Google
This is a digita] copy of a btx>k ihal was preserved l'or general ions ori library shelves before il was carcl'ullv scaimcd by Google as pari of a project
to make the world's books discovcrable online.
Il has survived long enough l'or the copyright lo espire and the hook to enter the public domain. A public domain hook is one ihat was never subjecl
lo copyright or whose legai copyright lenii has expired. Whether a book is in the public domain may vary country lo country. Public domain books
are our galeways lo the past. representing a weallh ol'history. culture and knowledge ihat's ol'ten dillìcult lo discover.
Marks. notaiions and other marginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journey from the
publisher lo a library and linally lo you.
Usage guidelines
Google is proud to partner with libraries lo digili/e public domain malerials and make ihem widely accessible. Public domain books belong to the
public and wc are merely their cuslodians. Neverlheless. this work is expensive. so in order lo keep providing this resource. we bave laken steps lo
prevent abuse by commercial parlics. nicliiJiiig placmg Icchnical reslriclions on aulomated querying.
We alsoasklhat you:
+ Make non -commerciai use of the fi Ics Wc designed Google Book Search for use by individuai, and we reunesl that you use these files for
personal, non -commerci al purposes.
+ Refrain from au tornateli //iicrying Dono! send aulomated (.|ueries ol'any sorl to Google's system: II' you are conducting research on machine
translation. optical characler recognilion or olher areas where access to a large amounl of lexl is helpful. please contaci us. We cncourage the
use of public domain malerials l'or illese purposes and may bc able to help.
+ Maintain attribution The Google "walermark" you see on each lìle is essenlial for informing people aboul ibis project and hclping them lind
additional malerials ihrough Google Book Search. Please do noi remove it.
+ Keep it legai Whatever your use. remember that you are responsive for ensuring ihat whal you are doing is legai. Do noi assume that just
because we believe a book is in the public domain for users in ihc Uniteci Siatcs. ihat ihc work is also in the public domain for users in other
counlries. Whelhcr a book is siili in copyright varics from country lo country, and wc can'l offer guidancc on whclhcr any specilìc use of
any spccilic book is allowed. Please do noi assume ihal a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner
anywhere in the world. Copyrighl iiifriiigcmenl liability can bc quite severe.
About Google Book Search
Google 's mission is lo organize the world's information and to make it uni versiti ly accessible and useful. Google Book Search helps readers
discovcr ihc world's books wlulc liclpmg aulliors and publishcrs rcach new audicnecs. You cari scardi ihrough the full lexl ol'lhis book un the web
al|_-.:. :.-.-:: / / books . qooqle . com/|
Google
Informazioni su questo libro
Si tratta della copia di Liliale di lui libro clic per gcncraz ioni e sialo conservala negli scalTali di Lina biblioteca prima di essere digitalizzalo da Google
nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tulio il mondo.
Ila sopravvissuto abbaslan/a per non essere più proietto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio ò
un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classi lìcazionc di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiuri/ione con il passalo, rappresentano un patrimonio storico.
culturale e di conoscenza spesso diflìcile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presemi nel volume originale compariranno in questo lìle. come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere lino a te.
Linee guide per l'utilizzo
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi fi/e Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l'uso da parie dei singoli utenti privati e li chiediamo
di utilizzare questi lìle per uso personale e non a lini commerciali.
+ Non inviare queiy automatizzale Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a conlallarei. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la fili gran a La "iìtignuni' (walermark) di Google che compare in ciascun lìle è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi trainile Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'utilizzo che ne farai, ricordali che è tua responsabilità accertali di farne un uso legale. Non
dare per scontato che. poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stali Uniii. sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è proietto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro ò consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere mollo severe.
Informazioni su Google Ricerca Libri
La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalnicnle accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri amia
i lettori a scoprirci libri di tulio il mondo e consci ile ad aulon ed ed i lori di filili lumiere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell'intero testo di questo libro da|.-.:.:. .-: / .;::::-..-::: .-[le. comi
r rs
?3*ì
m
h£
LA
DIVINA COMEDIA
COL
COMMENTO CATTOLICO
VOLUME SECONDO.
Ili bri apparsa u U
a Hobn. LOKKNZO SCHIAVI
e dall'erede flou*. FRANCESCO KOS DA
di Capod Istria
donati alla Residenza Triestina 8. J.
12-X1-1020.
&gft.lj>ì-
Luigi Bexnassuti odi toro
si riserva tutti i diritti di proprietà letterari».
LA
DIVINA COMEDIA
DI
DANTE ALIGHIERI
i;ol
COMMENTO CATTOLICO
DI
LUIGI BENNA88UT1
.ARCIPRETE DI CEREA
lion somma diligcnia vigilate eh*
ncH'inseguameulo delle umane
lotterò o Degli sludj superiori
nulla venga ad introdursi di
contrario alla fedo, alla reli-
gione, al buon costume.
AUocuz. di S. S. Pio IX
nel Concisi. Oyiuy no 1862.
'■S?>
reni t A% \~ì i .
DALLO STABILIMENTO CIVKLLI
186Ó.
fri a n <%
PREFAZIONE
V olse già tempo (e fu di molti secoli) che
chi voleva con sicurezza istituire la gioventù nelle
discipline letterarie, e scientifiche, ne chiedevate
norme alla Chiesa cattolica. Fra i molti esempi,
che si potrebbero recare in prova di questo vero,
noi ci ristringiamo ad un solo, ma tale che vai
per mille, su qualunque bilancia si pesi, È questi
Monsignor Jacopo Benigno Bossuet, illustre Ve-
scovo di Meaux, uno dei rari che abbia potuto
riscuotere le lodi e le ammirazioni del 1 Napoleone.
Incaricato di istituire nelle lettere e nelle scienze
il Delfino di Francia, egli, non ostante il suo pro-
fondo sapere, la sua vasta erudizione, e il suo
altissimo ingegno, qualità tutte che lo fecero pro-
clamare l'Agostino delle Gallie, non ebbe però il
coraggio di mettersi all' impresa, se prima non
corse ai piedi di Papa Innocenzo XI, e non gli
chiese che cosa dovesse fare, e come si dovesse
regolare per non mettere il piede in fallo nella
istituzione del suo reale discepolo. Ed Innocenzo,
sebbene sapesse chi era Bossuet, con una sua let-
tera eortesissima, che è premessa air inarrivabile
Discorso sulla storia universale dello stesso Bos-
suet, si fece ad ammaestrare un tanto maestro,
II
tracciandogli un sistema di sì eccellente insegna
mento, che beato il mondo presente se si piegasse
ad adottarlo.
Ma pur troppo il mondo presente non è sif-
fatto che voglia a suo gran prò seguire l'esempio
di un Bossuet, ricorrendo per lume, e per guida
al successore d'Innocenzo, al grande Pio IX, che
pur oggi, meglio di tutti, saprebbe scorgere a
glorioso porto quanti si affidassero ai suoi consigli.
Egli anzi sdegna di attignere i sani metodi d'istru-
zione da chi ha saputo finora insegnarli con tanta
gloria ai Genii più grandi; e invece li va men-
dicando a chi non sa darne che di guasti, e di
velenosi, voglio dire alla incredulità, ed alla rivo-
luzione: e queste, a suo gran danno, glieli som-
ministrano a dosi cosi acri ed abbondanti, che in
poco tempo hanno di già prodotto per ogni dove
tristissimi efFetti; effetti d'immoralità, ed effetti
d'irreligione, per non dire anche effetti d' igno-
ranza, checché se ne vanti in contrario.
(Johì avvenne sempre, e così sempre avverrà.
Onde anche oggidì potrebbe ripetersi quello che
Dante lamentava dei giorni suoi (Par., 0. XXVII,
v. T27):
Fede ed innocenzia son reperto
Solo uè' parvoletti; poi ciascuna
l*ria fugge che le guance sieu coverte.
l'ale, balbuziendo ancor, digiuna,
Che poi divora, con la lingua sciolta,
Qualunque cibo per qualunque luna.
l'i tal, balbuziendo, ama ed ascolta
La madre sua, che, con loquela intera,
Disia poi di vederla sepolta.
Ili
E tanto male perchè? Per la ragione che
già toccammo, e che ci pince ridire colle imma-
gini stesse di Dante (Par., C. XXX, v. 159):
La cieca cupidigia che v'ammalia
Simili fatti v' ha al fantolino,
Che muor di fame, e caccia via la balia.
Buon per noi che la balia che abbiamo, quan-
tunque rigettata, non ci abbandona: e questa balia
così pietosa ò l'angelico IX Pio. Questi, vedendo la
strage che mena dovunque sulla semplice gioventù
la falsa, e, diciamolo pure, empia scuola moderna,
nel 6 di giugno dell'anno presente 1867, si è rivolto
a tutti i Vescovi dell'orbe cattolico, avvertendoli
di tanta sciagura (fra le diciasette principali che
loro addita) e invitandoli a studiarne e proporne
i rimedi, da publicarsi poscia in un prossimo Con-
cilio Ecumenico, già intimato, e da attuarsi quanto
prima a salvezza della società ahi! pur troppo sul-
l'orlo di un orribile precipizio. Dei diciasette mali
sui quali il gran Pio chiama la più seria atten-
zione dei Vescovi, quello che fa per noi è il sesto,
che vogliamo riferire colle sue stesse parole : « Do*
ulendum, egli dice, summopere est ut populares
u scholae, quae patent omnibus cuiusque e pò-
u pulo classis pueris, ac publica universim insti-
li tuta, quae litteris, severioribusque disciplinis
u tradendis, et educationi inventutis curandae sunt
u destinata, eximantur pluribus in locis ab Ec-
u clesiae auctoritate moderatrice, vi et influxuì
uplenoque civilis ac politicete auctoritatis arbi-
« trio subiiciantur, ad impcrantium placito, et
« ad communium aetatis opinionum amussim;
IV
« QUIDNAM ITAQUE EFFICI rOSSET, QUO CONGRUUM
« TANTO MALO REMEDIUM AFFERATUB, ET ClIRTSTl-
«F1DELIBUS SUPrETAT CATHOLICzVE ISSTRUCTIONIS
«et educationis ADiUMENTUM ? » Sollecito a ri-
calcare lo stesso argomento fu l'Eminentissimo
Cardinal Monchini Vescovo di Jesi. Questo dotto
Cardinale, che non ha guari, sotto il nome ar-
cadico di Callistene Rofeatico, pubblicava un ele-
gante poemetto intitolato : Danieleide, il 25 di
giugno leggeva nella romana Accademia di reli-
gione cattolica una bellissima orazione intitolata :
De mira aetatis nostrae cum romana Petri Sede
sacrorum antistitam coniunctìone. L'esimio Ora-
tore nota il sommo vantaggio che deriverà al
mondo cattolico da questa intima concordia dei
sacri Pastori col Sommo Pontefice, principalmente
per resistere agli sforzi dell'empietà, che vorrebbe
annientare il nome cristiano ricorrendo a mezzi
anche più iniqui ; non ultimo tra i quali ò gridare
all' ignoranza del clero, ed a quavis Ecclesiae
potestate et regimine scholas eximcre, ut proge-
nies vitiosior succrescat.
Siamo certi che tutti i Vescovi, devotissimi,
come sono, degli oraceli Vaticani, di che hanno
dato prove si luminose nei 1854, I8G2 e i 867,
risponderanno a yì nobili appelli, ed escogiteranno
con tutto lo zelo, nei tre o quattro mesi loro con-
cessi a tal uopo, i più efficaci rimedi al nude del-
l'istruzion publica manomessa, e deporranno i loro
sapientissimi ritrovati ai piedi dei Maestro uni-
versale, che sancirà definitivamente ogni cosa nel
futuro Concilio.
V
Tra questi rimedi crediamo non ultimo la
riforma dello studio Dantesco nella Divina Co-
media, libro, non che utile, necessario e indispen-
sabile alle scuole, massime italiane; ma libro in
pari tempo pericolosissimo, se non s'interpreta con
quello spirito cattolico, ond7 era pieno l'autore, dal
quale spirito, a bello studio di corrompere la in-
cauta gioventù, si diparti più che mai l'età mo-
derna.
Noi da molt'anni abbiamo atteso a questo caro
lavoro, a solo fine di giovare veracemente alla
studiosa gioventù, sì che questa vi avesse un pa-
scolo sano o nutritivo di letteratura e di religione,
e non un potente veleno, quale tuttodì ci viene
propinato da certi commentatori, emissari prez-
zolati della moderna empietà. Se ci siamo riusciti
non osiamo dirlo da noi, ma solo sperarlo: e la
speranza ce la porse la impareggiabile Civiltà
Cattolica nel quaderno 582, 17 febbraio 1860,
esaminando il nostro commento deW Inferno, dove
tra l'altre cose, chiamò questa nostra prima publica-
zione « lavoro degnissimo di essere proposto nelle
u scuole cattoliche per la infinita utilità, che ne
upuò provenire alla gioventù così sotto il rispetto
u religioso, come ancora sotto il risguardo lette*
vario n. Nutriamo fiducia che così potrà dirsi del
Purgatorio, che or vede la luce, e del Paradiso,
che la vedrà non più tardi di quattro mesi.
Anche i Padri del Concilio di Costanza (che
ha il merito, dice Witte, di aver destato in Ger-
mania le prime scintille della Divina Comedia),
furono penetrati della necessità di porre in mano
VI
alla gioventù quest'opera principale di Dante,
scevra da commenti pericolosi, e di estenderne lo
studio anche fuori df Italia: onde il Cardinale Ame-
deo di Saluzzo, ed i Vescovi di Salisburgo e di
Bath incaricarono Giovanni da Serra valle, Vescovo
di Fermo, a dettarne una versione latina, ed un
vasto commentario; il che Giovanni eseguì, co-
minciando il suo lavoro il i.° febbraio 1416, e
compiendolo il 16 febbraio dell' anno seguente.
(Ferrazzi — Enciclopedia Dantesca — Voi. I,
Parte I — Bassano 1865, pag. 499).
Chi sa che anche nell'imminente Concilio
di Pio non si torni dai Padri sullo stesso argo-
mento! In tal caso, che par naturale, il nostro
magnanimo Mecenate e Vescovo Luigi di Canossa,
dantista e letterato cospicuo, avrebbe forse da mo-
strare, per uno dei mali segnalati dal Papa, già
bello e pronto il farmaco ricercato.
PURGATORIO
CANTO I
Argomento.
Indicato il nuovo tema, invocato il debito aiuto per trattarlo,
e determinata Vora, che attor correva, si trovano alla presenza
del vecchio Catone Uticese, custode delle falde del monte del Pur-
gatorio. Questi si maraviglia e sì lagna. Gli si rendono le ragioni
di questo viaggio privilegiato, dietro le quali si r acqueta, ed inse-
gna quel che si debba far per salire e dove salire.
NB. Vedi tatti i casellini di questo Canto selle mie Tar. 1 e II, Purg.
ler correr miglior acqua alza le vele *
Ornai la navicella del mio 'ngegno *
* Per correr ecc. Per trattar migliore, ossia più dolce argomento.
Bellissima allegoria mista, come la chiamano i retori, dove l'acqua
significa la materia da trattarsi, la nave rappresenta l'ingegno, e
le vele sono gli argomenti, che questo usa nel percorrere la materia.
Imitò questa allegoria, forse troppo davvicino, il Monti nel IV della
Bamilliana :
Batte a voi più sublime aura sicura
La farfalletta dell'ingegno mio,
Lasciando la città della sozzura.
* Ornai la navicella ecc. L'Alighieri chiama qui modestamente
navicella il suo ingegno, quasi piccolo ingegno.
PURGATORIO
Che lascia dietro a sé mar si crudele : '
E canterò di quel secondo regno, 4
Ove Fumano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesia risurga, *
O sante Muse, poiché vostro sono, 6
* Che lascia ecc. Continua la stessa allegorìa. Avendo chiamato
acqua il nuovo argomento del Purgatorio^ dovea chiamare acqua,
anzi mare crudele, l'Inferno già percorso.
* E canterò ecc. Espone il suo assunto. Chiama il Purgatorio
secondo regno: dunque l'Inferno fu il primo regno. Nell'Inferno re-
gnava Lucifero , Lo imperador del doloroso regno ; qui regna Dio.
E vero ch'è un re che tormenta i suoi sudditi, ma li tormenta per
amore, mentre all'Inferno li tormenta per assoluta avversione. Questo
fine amoroso viene ottimamente indicato nei due versi seguenti : Ove
rumano spirito ecc. — Ecco l'esordio, ecco la proposizione d'assunto.
ecco il fine consolante, nobile e cattolico di questo secondo regno.
Se tra i protestanti fosse stato possibile un Dante, la stessa eresia
avrebbe nociuto alla poesia, perchè gli avrebbe vietata fin la ma-
teria di questa seconda Cantica. L'errore è funesto perfino all'arte.
All'incontro la verità cattolica la favorisce.
8 Ma qui la morta ecc. Morta perchè trattò di morti alla grazia,
quali sono i dannati ; morta perchè trattò di pene mortali ed eterne :
non morta perchè prima di lui la poesia fosse spenta in Italia, ed
a lui toccasse di farla rivivere, che il contesto non porta un tale
concetto. Lo stile che Dante adottò per V Inferno, e tutto quel
colorito che servi a dipingerlo poeticamente, è adattato al soggetto.
Essendo questo terribile ed aspro, aspro e terribile n'è lo stile, e
la poesia con esso. Or che il poeta cangia soggetto, cangia anche
stile, e adotta uno stile dolce e melanconico; quale si addiceva questo
secondo viaggio. Dunque non più morta poesia, ma una poesia ve-
stita di nuova vita.
6 Osante Muse ecc. A quali muse accenna? Non accenna che a muse
cristiane. Le inventate dal paganesimo non lo potevano aiutare; esse
non conoscevano nemmeno il nome del soggetto in discorso . Perciò a dif-
ferenziarle dalle antiche, le dice sante. Per un poema sacro quale lo defini
il poeta, non ci volevano che le muse sante, ossia muse fatte conoscere
dalla fede cattolica. Le nostre muse si trovano nella Santa Scrittura, la
CANTO I.
?
E qui Calliopea alquanto surga, 7
ìguitanjlo il mio canto con quel suono
io. Seguitando il mio
8
cui poesia è dettato dello Spirito Santo, e quindi infinitamente superiore
a qualunque dettato umano. Fu da queste muse che Dante si ispirò.
Poiché vostro sono. Il poeta è proprietà delle muse in quanto
si dedica e si consacra ad esse. Dante s'era consacrato agli studi
sacri, la parte più importante dei quali e la fondamentale, è appunto
la Santa Scrittura, di cui egli era peritissimo, massime di quelli Agio-
grafi che più lo somigliavano nell'ingegno, nell'indole e nelle vicende,
come fu Ezechiele. Sicché questa sudditanza ch'egli qui professa alle
muse, è per lui una cosa speciale. Dante poteva ciò dire a più ra-
gione in questo viaggio, perchè egli era tutto di queste sante muse
per la poesia, e lo era tutto per la grazia della giustificazione, che
avea acquistato appiè del Calvario il venerdì santo precedente.
7 Calliopea ecc. È la maggior delle muse e suona di bella voce.
Sta bene per lo stile più dolce che si adopera in questa Cantica. Il
dire: E qvi alquanto surga, fa intendere ch'essa ci entrava anche
per aiutarlo nei versi d' Inferno. Ma si badi bene che tanto Calliopea,
quanto l'altre sue sorelle, non si nominano in quel senso usato co*
illunemente dai poeti profani, ma si nominano piuttosto per quello che
rappresentano, cioè per le muse veramente sacre e cattoliche, delle
quali sole ha bisogno il poeta cristiano, come si accennò poco prima.
8 Seguitando ecc. Ovidio nel V delle Metamorfosi narra della sfida
nel canto, che le arroganti nove figlie di Pierio gettarono alle muse.
Furon vinte da queste e in pena cangiate in gazze. La squisitezza
di quel canto, è quella che invoca il poeta. Ma come mai in argomento
si religioso intrometter pensieri mitologici ? Ci sarebbe qui una questione
tra i classicisti e la nuova scuola. I classicisti vorrebbero usare la mito-
logia né più né meno che i pagani ; invece i seguaci della nuova scuola
hi vorrebbero del tutto esclusa. Io p^nso che ci sarebbe una via di
mezzo, quella cioè di adoperarla assai parcamente e a sola necessità di
abbellire i concetti. Forse Dante la predilesse soverchio, masi badi che
allora sorgeva la nostra letteratura, e dovendosi foggiar sui classici non
è maraviglia, che si valicasse il segno. Io credo però che il Ventura sia
per lo meno esagerato in un suo discorso alla Tuilleries, dove riprova
assolutamente il classicismo, e lo fa sorgente della idolatria moderna.
Anche i templi pagani o i loro avanzi poterono essere volti a culto
cattolico. In tal caso non sono che un semplice abbellimento materiale.
Dicasi lo stesso della mitologia e d'altre cose consimili.
f P LEGATORI* »
Di cui le piche misere sentirò
Lo colpo lai. che disperar perdono.
Dclce cclor d'orientai zaffiro. *
1 D»iuin ::ii»rr *c?.. vii vminr.ln ii poeta Li descrizione del Pnrjra-
«icu». ihk ii subirne in *t. usimi* 7errà et.iEpiendo, sino al Paradiso
^g'jjiscw -inani mala «uà, 'ima. Li tornii; eia non già dal?a sua terra,
usi ìul ìou swo. Z'^ilu jem arn poteva accori parlare, perchè vi
^•Jinsf il anni!, v^iik ide ire ù: ■;«■ ;in: imi- ridiane «:ss:a 3:20 prima
aula, ntszni iei Sut*. àe nasceri» ille «:l ', eoc:e &b'"LixEO provato
■miT Jjueniiiee u Jaa.iV ii^mo >i!"*r /n. Fara dinqae solamente
ài fOiJ aisio. ae irritar.: ii arcre ■'* nei xaisinio ieìla sua pompa
e iella, sui 3nent*i^i— i. Stasi iieica «;ì av-*a :re altre ragioni par»
riiHÌaz*. i«r j» ;ruui ii:-*** ;: arsire ì^zi cu-:-? d-i. ciei? del Purga -
3>co. La 3cmn rhr«:ne ?i --n ia :n:d3:ce stessa in cui era stato
■ano i iokì itmx>j. :*a«ii^i«:ne ii vr-r.-rcer: ■: jìi::-:ì:o di sepolto
ear.-j 3fm ^ ;uu vrri' Ter ^ tri": I :w -■?■-'. -itll-: 4- ili ì 4
glissi > aeii" farer*:- . -^: 1 -• tussi^ il :fctr: il ì'-rì-i:::;:. iHvo
ii i«ii? ii ir^ilri t 1 ri *v ; n--ie t-l^i^i* . :Li y«:r:^=-: le steììe
h*ì i àeio. Sì ì«:nci ia i-m»: a r:eila teuosi ■.:• *.■*-:■.■:::■: per '.tizzo
inala ìduzio ii jil^-ia -f-f. : ■'_-'• . :ua:.: ■; .^jt. il lia^-tro deil*
rwr«ji uiur r muserà*:' :« j'jme h : m:r i:. Tr. IT. J'»-*. £-:".a 23". e
» HTOPzaer* ieiM^uneu:^ i "rL-vr"!''. lii'f leu *-"t: :*.-■. :lì :ai -;u:o ..ii
sbirir-i -il sui :'.i\:nLa — ìcll. ;:er »:: »*i:ci ?t:-u: i-i fru:-fz:e:::.; La
*eirjn»ùi ridirne »n làcr.iii auu-i. ^r Li ne^e?i'.± i- Je'.-r.r.v.L.ir . ;ra
iel* TtH". ci k ; 'iT'Z'i .'■ : r ■ : :■ • l jiit.^: . : lv :• :« : cuf ■. r -?c e v- > ir^mt ».
la Tfiza .ti la;*, ri^-j ctf :.r:cì. :ae Lr'i -;i ■!■-:..>:■• r/rò:-.»» -i xc^ì-
*n» oiei iir in i-.u^ro * ~':r_ r-i -~y :i : :»-: :.ri«\ :\i*t :>^-.:zì nsuiea-
ieri 1**-..: ji:i —i^-i:ne^:.* :■-: :• ?t . s cri . j« rrir'. T-.cn: :.*c. in-
3in.^ni -rt;": ^:ij :--ù-l**-l'.; ..: ;r-i-i ■„■*•■ r"ia :^i:a ii riesr.; ni.-a.re
ii ae Tur» "aer^nn. ;i i i x:_r i -•;•■ *:-,t:'
.m suL'ir'i.uiiii :;lt* ■ i "i:-'<i a :»■■=•::- j:« -ne :; zies* * :ì»;ìo ^i
» -
.. sunr-- • ";i*t:. i; :n :::::ir ■• ! ì j.. vi /. ma «t'u t*i;ui':i&u ■.*
i ir.i «iiier"--. -uv le . ■■- •• — ■.::'" n* ' i.—jio i"u;r sa ^*i )»'»u&i
:Ur lt*t )r:iu. ". u-" U3^: .' ";. . *■ ^ r*t*r. ..ja1 vr ìiir-.i.-» i .»ilfin>
ìJa sui n»iaei.uia Ì! .'.i-i^a. "**• )i \ :«n-ra "ì^-ì hiti.* ?r>*ila.;i ^*a ì^CUr
li ir :na~^n j d tar^unv. ji iu -a^i .a - i^ii'zzti ti'i t'.'iuni j io*
CANTO I: 11
Che s'accoglieva nel sereno aspetto '"
DelTaer puro infino al primo giro, u
Agli occhi miei ricominciò diletto w
Tosto ch'io usci' fuor dell'aura morta, l3
Dissi notte di primavera o di autunno, perchè al Purgatorio
dove ora siamo, non corre la primavera che abbiam trovata nell'al-
tro emisfero (Inf. Canto I), ma quella primavera s'è per noi cangiata
quasi improvvisamente in autunno, e precisamente nel giorno 9 di
aprile, che avremmo se fossimo ancora nel nostro emisfero. Queste cir-
costanze dobbiam notarle accuratamente, perchè ci porgono la chiave
ad entrare in molti concetti danteschi, altrimenti insolubili.
*o Che s'accoglieva ecc. E un effetto della terza ragione anzidetta.
Era cielo del Paradiso terrestre. Dunque dovea esser tale. Però an-
che oggidì i viaggiatori di America ci predicano quel cielo come più
vago del nostro nei climi meridionali.
*l Infino al primo giro. Fino al giro della Luna.
12 Agli occhi miei ecc. Si ricordino quei versi del I Canto d'In/. :
Tcmp'era del principio del mattino;
£ il sol montava in su con quelle stelle
Ch'eran con lui, quando l'Amor divino
Mosse dapprima quelle cose belle.
La bella mattina di quel giorno fu l'ultima volta ch'ebbe il diletto
di pascere gli occhi nelle stelle. Dopo di quel giorno egli entrò nelle
tenebre sotterranee, e quando fu sull'orlo della valle di abisso do-
lorosa, la ritrasse in questi versi (Ivf. Canto IV):
Oscura, profonderà, e nebulosa
Tanto, che per ficcar' lo viso al fondo
I'non vi discernea veruna cosa.
*
Or dunque eh' è uscito dal Purgatorio gli si ricomincia il diletto pro-
vato prima al Calvario. Prego di mettere a riscontro l'una dell'aitai,
e la terzina dell' Inferno testé recitata : Oscura, profanò? era ecc., e
l'altra or or veduta del Purgatorio-. Dolce color ecc., e si troverà
un contrasto di tinte il più sorprendente.
*3 Aura morta. E perche riserrata, e perchè tenebrosa (essendo la
luce come l'anima e la vita di questo corpo che dicesi aura) e per-
chè finalmente aura dei morti di morte eterna.
12 PURGATORIO
Che m'avea contristato gli occhi e ?1 petto. n
Lo bel pianeta che ad amar conforta 15
20. Faceva tutto rider l'oriente
Velando i pesci, ch'erano in sua scorta. Ifi
Io mi volsi a man destra, e posi mente l7
1* Gli occhi e 7 petto. Nella visita dell'Inferno ha veduto cose che
facevano agli occhi ribrezzo, e spesso gli mossero al pianto. Pegli
occhi il dolore discende al cuore, sede degli affetti.
*s Lo bel pianeta ecc. In questa terzina fissa Torà precisa della
sua uscita dalle viscere della terra al Purgatorio. Dice dunque che
in quel primo momento che se gli presentò la vastità del firmamento
si vedeva all'orizzonte la stella Venere ch'era accompagnata dai Pesci.
Ora i pesci sono la costellazione che precede immediatamente quella
di Ariete di 30 gradi, ossia di 2 ore. Vedi la mia Tav. VII, Purg.
Dunque tra i Pesci già levati e Ariete che leverà, vi ha l'intervallo
di 2 ore. Ma noi abhiam veduto che il Sole era in Ariete, ossia le-
vava con Ariete. Dunque alla nascita del Sole manca no ancor 2 ore.
Questo conto andrebbe bene, se il Sole fosse nel primo grado di Ariete,
il che avviene ai 21 di Marzo, perchè come si sa or siamo ai 10 di
Aprile. Laonde il Sole sebbene sia sneora in Ariete s'è già ritirato
verso il Toro, che è la costellazion dopo Ariete, di ben 20 gradi.
Dopo, il conto di 2 ore., già trovato tra i Pesci e l'Ariete, non
è ancora esattp. Perchè lo sia, bisogna aggiungervi il ritardo dei
20 gradi di Sole in Ariete. Dando un' ora per ogni 15 gradi, come
è infatti, 20 gradi darebbero ore 1:20, e questi» unite alle due danno
ore 3:20. Dunque posto che i Pesci sieno nascenti all'orizzonte, do-
vrebbero mancare ore 3:20 alla nascita del Sole. Ecco precisata l'ora
della uscita al Purgatorio.
16 Velando ecc. Cioè col suo splendor maggiore della costellazion
dei Pesci, la eclissava in parte, ossia ne appannava il folgore, come
fa un velo trasparente cogli oggetti a lui sottoposti. Si sa che una
luce maggiore vince un' altra minore, per esempio, il Sole per l'ec-
cesso di luce vince dei tutto la luce delle stelle. Invece una stella
vince r altra solo in parte.
*7 Io mi volsi ecc. Come abbiam veduto nella terzina antecedente
Dante avea la faccia volta ad oriente. E chiaro che in questa po-
situra aveva a man destra il polo australe, e a man sinistra il bo-
reale. Egli pon mente all'australe. Perchè ? Per veder tutte le plaghe
CANTO L 1»
All'altro polo, e vidi quattro stelle ls
del suo nuovo ciclo. Ciò è naturale in tutti e massime in Dante per
la seguente ragione. Perchè arrivando al Purgatorio di notte, ignaro
affitto della ferra, non avea altro mezzo per conoscere la sua collo-
cazione che il raffronto di lui cogli astri del cielo. Perciò noi ve*
diamo ch'egli da bravo astronomo esamina tutte le plaghe, che può.
Egli non ne potea guardare che tre, la orientale e le due polari. Non
potea guardare la quarta, ossia l'occidentale, perchè l'altissima mon-
tagna del Purgatorio, che aveva al suo occidente, gliene impediva
la vista. Si noti che quella montagna secondo Dante, come abbiamo
veduto nella Tav. IL d'Inferno, aveva l'altezza di miglia 95, per la
ragione che quella montagna era fatta della terra, che si ritrasse dal
centro alla superficie, per paura di Lucifero nel momento che questi
si trovò inchiodato nel centro, terra che nel solido corrisponde per-
fettamente al vano occupato dal vero Inferno dantesco, che abbiamo
veduto nella profondità di 95 miglia. Eitornando dunque al filo del
nostro discorso. Dante dovea guardar le tre plaghe a lui possibili.
La più importante di queste era la orientale, perchè gli serviva di
punto d'appoggio a conoscere il tempo di sua venuta al Purgatorio.
Ecco infatti che questa è la prima mirata da Dante. La più impor-
tante in secondo luogo era il polo australe, e per la curiosità stessa
naturale di non averlo giammai veduto, e perchè questo gli serviva
di punto d'appoggio a conoscere il luogo e la sua distanza dall'equa-
tore. La plaga in terzo luogo importante per lui era il polo boreale,
perchè confrontando il suo abbassamento con l'innalzamento dell'altro
contrario australe, veniva meglio a conoscere il sito dove allora si tro-
vava. Fatte queste osservazioni generiche sulle quattro plaghe, e sulle
tre mirate da Dante, veniamo al particolare di questa australe.
*8 Vidi quattro stelle ecc. E inutile voler insistere sulla esistenza
o realtà astronomica di queste quattro stelle, e fanno da ridere tanto
coloro, che le vollero quelle che sono già nel catalogo di Tolomeo
col nome di Croce del Sud nella costellazione del Centauro, quanto
quegli altri, che le supposero da Dante profetizzate, quali poi le tro-
varono i viaggiatori del Sud, e quanto finalmente quegli ultimi, che
pretesero averle Dante apprese da Marco Polo. È cosa più che evi-
dente esser queste quattr > stelle meramente poetiche, cioè inventate
da Dante quali simboli delle quattro virtù cardinali. Quando Dante
ce lo dice aperto, è ridicolo, non che inutile, il volerne sofisticar di
avvantaggio. Dante infatti asserisce di queste quattro stelle due cose.
Prima che esse non furono mai vedute da^alcuno, salvo che da Adamo
14 PURGATORIO
Non viste mai fuor ch'alia prima gente. ,u
Goder pareva il ciel di lor fiammelle. *
ed Eva, che furono la prima gente. Dunque ne Tolomeo né Marco
Polo le videro mai. Seconda, che esse hanno una virft morale, anzi
che sono esse le quattro virtù morali: Noi eem qui ninfe, e nel
del temo stelle, dissero esse stesse nel Paradiso terrestre (Purga-
torio, XXXI, 106). Dunque non sono stelle fisico-astronomiche, ma
solamente poetiche e convenientissime al concetto poetico. Qual e que-
sto concetto? È quello di lodare il cielo degli antipodi sopra il nostro.
Perchè? Perchè quel cielo risplendeva agli innocenti abitatori del
Paradiso terrestre, locato in cima al monte del Purgatorio, i quali
cosi dal cielo traeano la loro virtù che li rendea felici sulla terra. Ai-
rincontro il nostro cielo si distende sopra una progenie peccatrice,
che ha perduto queste stesse quattro virtù, e perciò si rese infelice.
Con quanta grazia non è qui dipinta la giustizia originale di Adamo
e la sua felicità fin che visse nel Paradiso terrestre? E per. lo con-
trario con quanta passione non è dipinta la perdita di quello stato?
Nel Paradiso terrestre era il suo cielo una fonte di grazia. Nella
parte contraria a quel luogo, il cielo si chiuse, e divenne avaro dei
doni suoi. Tutto questo non potea parer dapprima che una bella
poesia, una fervida immaginazione , ma dietro questi pensieri la ci
è divenuta una biblica verità vestita con eleganza e fantasia, secondo
il sistema degli influssi celesti dominante nel medio evo.
*9 Fuor ch'alia prima gente. Fuor che ad Adamo ed Eva fin che
vissero nella innocenza, che si ammantava delle quattro Virtù car-
dinali, i cui benefici influssi venivan loro da queste stelle.
20 Goder pareva ecc. Questo pareva non suona sembrava, ma ap-
pariva, che è il solito senso dantesco. Ammesso quel ohe abbiam
detto nella nota 18, è chiarissimo il senso di questo verso. Esso non
è che morale. H fisico qui non ci entra, che come un artifizio poe-
tico per farsi intendere. Il senso è dunque, che come quelle quattro
stelle erano altrettante Virtù cardinali, cosi quel cielo tutto semiuato
d'altri astri minori, non era che l'immagine di tante altre virtù, che-
sgorgano dalle quattro cardinali. E tutto questo numero immenso di
virtù figlie delle prime quattro si facean belle del folgore emanato
dalle quattro lor madri. Cosi Dante diede l'ultima mano al magnifico
quadro delle tante virtù, che ornavano il primo stato dell'innocenza,
facendocele vedere non già atteggiate nel Paradiso terrestre, dal quale
siamo ancora lontani, e nel quale ci toccherà ancor di vederle; ma
atteggiate nel cielo, onde piove a noi ogni sorta di grazia.
CANTO I. 15
O settentrional vedovo sito, 2I
Poi che privato se' di mirar quelle !
Com' io dal loro sguardo fui partito, **
st O settentrional ecc. Al cielo australe del Paradiso terrestre, tatto
virtù, contrappone la nostra plaga boreale, tutta vizio, perchè non
può veder quelle quattro stelle. Intendi questo moralmente, e tutto
è chiaro. Adamo ed Eva divenuti peccatori, esulando dal Paradiso,
furono gettati agli antipodi di questo monte. Quindi passarono nel
nostro emisfero settentrionale, nel punto più lontano che mai si possa
dal Paradiso terrestre. Bellissima invenzion dantesca, che noi bensì
non ammettiamo per vera, ma che però non ha niente di contrario
alla Santa Scrittura, e che potrebbe esser giustificata da tante al-
tre opinioni le più svariate di gravi e santi scrittori esegetici, che
scrìssero di questa materia, come vedremo nel Paradiso terrestre.
Pertanto Adamo ed Eva passati dopo il peccato ad abitar nel*
l'Asia, diedero principio a tutte quelle generazioni, che popolarono
appresso il mondo antico conosciuto, che qui è chiamato settentrion^
sito. Ora questo sitò settentrionale per accogliere i figli non più della
grazia, ma del peccato, lo si compiange dal poeta, quale un sito che
non riceve più 1* influenza delle virtù, tanto da lui rimote, che sono
penino fuori della sua vista.
Chi la intende cosi, comprende tutto lo spirito di Dante: chi
invece s'attiene alla pura parola materiale, non ne raggiunge il mil-
lesimo di quel che Dante intese, anzi si attacca ad un senso falso,
che Dante non intese giammai, e perde le più belle verità teologiche
vestite poeticamente.
22 Com' io ecc. Dopo la sguardo dato all'oriente, per la determi-
nazione del tempo, dopo quello dato al polo australe, per la deter-
minazione del luogo, dà un terzo sguardo al polo boreale. Vi si volge
un poca perchè lo conosceva, essendo Dante abitator di questo emi-
sfero settentrionale, che ò settentrional vedovo sito detto di sopra.
Vi si volge un poco per mostrare la sua poca stima di questa parte
in confronto dell' altra, come appunto si fa delle cose, che si hanno
in dispetto alle quali non si volge interamente la faccia, ma solo
in parte; e questo per la ragione detta alla nota 21. Vi si -volge
finalmente un poco perchè veramente bastava un poco per accertarsi
dell' abbassamento del Carro o dell'Orsa maggiore sotto l'orizzonte
j>er cavare dall'abbassamento di questa costellazione vicina al polo,
che è la più alta delle sette dell'Orsa minore, addi 2 Gennaio ore (»,
1(5 PURGATORIO
Un poco me volgendo all'altro polo,
30. Là onde il Carro già era sparito;
Vidi presso di me un veglio solo, -J
Degno di tanta reverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliuolo,
Lunga la barba, e di pel bianco mista
Portava a' suoi capegli simigliante,
De' quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi delle quattro luci sante 2;
e in altri giorni ad ore diverse, e dall'elevazione del polo contrario,
il grado preciso di latitudine australe in cui si trovava al Purgatorio,
cioè il 30.«™ grado. Mi piace di far qui notare una portentosa esattezza
di Dante. Nel Canto XXVI, vers. 120, Inferno, parlando di Ulisse
naufragato verso il Purgatorio, dice che il nostro polo non usciva
fuor del marin suolo. Qui invece dice ch'era sparito anche il carro.
Ciò significa che Ulisse non arrivò che solo all'equatore verso il Pur-
gatorio, perchè il solo polo, e non il carro gli era sparito. Dicendoci
che qui è sparito anche il carro, viene a dirci che il polo è restato
molto più sotto dell'orizzonte che non al punto di Ulisse. Per Ulisse
era all'orizzonte, per Dante 30 gradi di sotto.
23 Fidi presso di me ecc. Perchè lo vede ora e non prima? Perchè"
era notte, e di notte gli oggetti anche vicini non compariscono su-
bito; ed inoltre Dante prima guardava altrove, ed e facile anche
supporre che il veglie fosse accorso testo al movimento ed alle voci
dei forasti eri.
Intanto faccio notare una cosa sul raffronto di una Cantica con
l'altra. La cosa è che come néiV Infer no, Canto I, al bisogno di Dante si
presentò un uomo autorevole per raddrizzarlo al l>ene, cosi qui nel
Canto I deV Purgatorio, gli si presenta all'uopo un uomo più autore-
vole ancora, che gli indicherà quello che è necessario per proseguire
il suo viaggio della via purgativa. Ma e di Virgilio che n' è ? Vir-
gilio, retta ragione, è insufficiente a tale assunto, però ha bisogno
anch' egli di altri, che sappia meglio di lui.
94 /.$ raggi ecc. Questo veglio standocene dil lato settentrionale ,
«vea la faccia ai due poeti dal suo lato meridionale, e quindi le
quattro stelle lo ferivano in volto. Qualunque altro però, che non
fosse questo veglio, posto nello stesso atto di lui, sarebbe stato colpito
CANTO I. 17
Fregiavan sì la sua faccia di lume,
Ch- io ì vedea come il sol fosse davante.
40 Chi siete voi, che con tra '1 cieco fiume, 2Ji
nella faccia dalla luce di quelle quattro stelle. Ma altro è esaer col-
pito da una luce, ed altro esserne così pieno da tramandarla come
il primo agente. In questa ultima condizione era quel veglio. Imbe-
vuto di quei raggi, li rifletteva come fosse un Sole. Questo vuol dire,
che gli si vedevano in faccia i segni più fulgidi e manifesti delle
quattro Virtù cardinali, come le stesse quattro Virtù cardinali si co-
noscevano mirando le quattro stelle. Io non mi maraviglio di questo
ritrovato, perchè se tra noi, dove pur tanto vi ha di umano, si tro-
vano tali feerie, che dicono da sé tutto il candore dell' anima, che
sta nascosta e che si diffonde all'esterno, quanto più non dovea ciò
avvenire colà, dove tutto era soprannaturale 1
23 Chi ritte voi ecc. In questa e nelle due seguenti terrine si con-
tengono i lamenti ed i rimproveri di quel veglio contro li due fo«
raetieri presi per due dannati ruggiti d'Inferno. Perchè li crede tali ?
Perchè quanti vengono al monte del Purgatorio, tutti vengono in
barca, guidati da un Angelo per attraverso l'oceano Atlantico par-
tendo da Roma, centro della cattolicità. 11 veglio non avea veduto
questa barca. Dunque doveano essere sbucati di sotterra. Il veglio
non sa comprendere un tale avvenimento, perchè non conosce il pri-
vilegio concesso a Dante ed al suo condottiero. E perchè Dio non
glielo fece conoscere, affinchè i due viaggiatori non trovassero im-
pedimenti dove doveano trovare indirizzo? Prima per ragione poe-
tica, affine di aprir sempre nuove scene: secondariamente, perchè
Dio non fa cose inutili, e l'avvisare il veglio di tal venuta sarebbe
stata una cosa inutile, mentre la può saper dai viaggiatori stessi,
dai quali infatti presto la saprà. Ma chi è questo veglio, e quali
sono le sue mansioni? Lo vedremo da qui a poco. Ora spieghiamo
parte a parte le tre terzine.
Chi siete voi ecc. Pare che il veglio ( il quale vedremo esser
Catone ) avrebbe dovuto conoscere Virgilio, che visse a Roma, come
Catone, e che nato 70 anni avanti Gesù Cristo, morì 19 anni pure avanti
Gesù Cristo, mentre Catone nato 93 anni avanti GeBÙ Cristo, ne
morì 45 prima. Laonde sebbene Catone fosse nato prima di Virgilio,
e fosse morto prima di lui, pure una parte della vita di Catone fu
contemporanea alla vita di Virgilio. Perchè dunque Catone non rav-
visa nn suo coetaneo ed un suo concittadino? Rispondo: per due
2
1S PURGATORIO
Foggilo avete la prigione eterna?
Dis8 ei movendo quelle oneste piume : *
Chi v'ha guidati? o chi vi fu lucerna,17
Uscendo fuor della profonda notte,
Che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d'abisso cosi rotte?
O è mutato in ciel nuovo consiglio,
Che» dannati, venite alle mie grotte?"
ragioni; te prima ai è, che quando morì Catone» Virgilio non aveva
ce* SS amai, netta quale età eato VirgiBo bob aveva potalo ancata
tea coaoacere per opere di tema; mentre invece Catone a mmi»
Fcpoca eia amai temolo proso di tatti Perciò Virgilio potai cono-
scere Catane, ma non così Catone Virgilio.
La attornia natone à è« percbè anche qui a tenno agire ad tei-
ptaimmTT dcua rista quelle cause 5tease eoe la impedirono nel no-
stro mondo» qaa£ seno le tenebre dette notte. Allora, se ci ricorda,
notte ancor atta, ne l'alba era ancor corta.
Obnàetàooe* Ma le Untore de£a notte non impedirono che Tir-
ikonoteesae Catone. Raspando* eoe altro è il caso di Ytrgiao
ed altro qsd dì Catone. La feccia di Ottone era iDnmtnati e rag-
guatew e quindi guardandola si potei coaoacere. Xon cosà la faccia
& Yìrgt ». u qaaie era ratio nelle tenebre, ne i raggi delie qnat-
tra fatue* ais quia roìgev* U caca» lo pcteano rischiarare
meanr. Sòo&è anche per questa parte è natnxatiavmo
cono*» Casoa*. e Catone non conoata Yugi&o*
€**&* t« a*«v €***- H £ume Lete* che scavò U scala a chkc-
wà* vedete ìa éne dei Canto XXXIV deìr/v**"1*^ P** *** *•&-
* JnVwi'jV i**^* ***** j**mc. Moreo&> i pc5 deUa su hmga
W**. A* segra» ì moti òeì meato di cai para*
£* Chi tu p*sj*i* ecc* FarU d* vero guardàiao del Purga
wò^ e tW sapere al posato ccaae *ti*m> se co*e„ se di Dìo o
à* jer^ arranca a Ice v^assa. Se o*. i:ro. eveae nxero a trovare
1 oumnsr* Se ss. I>m. eco* mai si sitarono i vvoRgìì di tam
* Cfor. àt*ut;:. r*»*.* <w\ ÈYcc^vv^r* csa*t>iv vx ^t^^v ox-
auz awnot> Da» fa**. j<rvàè <£C x età *cptteto a
CANTÒ I. 19
Lo duca mio aitar tei die9 di piglio, "
50 E con parole, e con mani, e con cenni,
Reverenti mi fé' le gambe e il ciglio.
Poscia rispose lui: Da me non venni: *°
Donna scese dal ciel, per li cui preghi "
Della mia compagnia costui sovvenni.
*> Lo duca mio attor ecc. Virgilio, ossi» la retta ragione, è sem-
pre la guida amorosa di Dante, e Io sarà, sebbene scemando la eoa
assistenza, di mano in mano che s'avanzerà nel cammino del Pur-
gatorio. Perchè in ragione che si andrà salendo, come perdono di
vigore le forze naturali, così acquistano di vigore le forze sopran-
naturali, o della grazia. Quando l'anima di Dante sarà tutta purificata,
e la forza degH abiti viziosi sarà distrutta, allora Virgilio, ossia la
ragione, come un essere non più necessario, svanirà da sé stesso.
Intanto, prima di giungere a questo passo, Dante ha bisogno di lui,
de' suoi ammaestramenti e della sua protezione. Eccone sùbito un
primo saggio.
Quello che a Dante non venne in mente, venne in mente a Vir-
gilio. Bisognava calmare i giusti sdegni di Catone, e bisognava pure
calmarli con fatti e con ragioni. I fatti sono in questa terzina; e le ra«
giani verranno dopo. I fatti consistono nel mostrarsi entrambi negH
atti esterni tutta compresi di rispettosa venerazione verso una per-
sona cotanto autorevole. Dissi entrambi, perchè il piagar che fa Dante
le ginocchia ed il capo innanzi a Catone, non è solo per avviso di
Virgilio, ma ò per esempio di lui. Avviso di Virgilio è il dargli di pi»
glio, avviso sono le sue parole; ma le mani e i cenni di Virgilio
indicano il suo esempio, cioè che anche Virgilio giunse le mani, e
piegò le ginocchia per indurre Dante a rare lo stesso. Certo noi ab-
biam j dilagato qaesta terzina, ma abbiamo dovuto spiegarla. Ora
la si torni a leggere, e forse la si gusterà meglio di prima. Essa è
di un sentimento dilicstissimo. — Ci par di vedere una di quelle
madri che per insegnare al bimbo la riverenza ad una santa im-
magine, lo aiuta a far tutti gli atti di religione, e gliene dà l'esem-
pio. Graziosa pittura!
*o Da me non venni. Non venni di mio capriccio, di mia elezione,
di mia autorità. Bel vezzo di nostra lingua!
*t Donna §eeee ecc. Beatrice, che mi pregò di accettare P incarico
di sovvenire' ai bisogni di costui.
20 PURGÀTOBIO
Ma daoch'è tuo voler, ohe più si spieghi M
Di nostra oondizion, cora'ella è vera, 33
Esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai l'ultima sera, u
Ma per la sua follia le fu si presso, rj
3* Ma dacch' è tuo voler ecc. La ragione allegata testé da Vir-
gilio della' donna scesa dal cielo, in servizio del suo compagno, era
buon&j ma insufficiente, perchè troppo generica. Or bene*, Virgilio,
che tutto sa, passerà subito .dal genere alla specie, specificando cioè
le cagioni di quella venuta. Questa parlata di Virgilio è un vero
modello di eloquenza di genere persuasivo, e perciò vi troveremo
svolte tutte quelle ragioni, che fanno buon giuoco agli oratori,
quando vogliono ottener qualche cosa colle loro arringhe. Queste, ra-
gioni si rendeano tanto più necessarie, quanto più (V indole austera
e severa era il veglio, a cui andavano pòrte. Chi conosce Catone
comprende meglio 1* convenienza di tutto questo.
W Di nostra condition, ecc. Siccome due erano gli imputati da
Catone, così la difesa dovea farsi per entrambi. Perciò dice: Di
nostra condtstem, non della condizione dell'uno o dell'altro soltanto.
Cornelia è vera. Cioè di nostra condizione tale quale ella è in
verità. Come dicesse: Per render ragione della nostra venuta, e per
piagarti ad esserci favorevole, non occorre altro che il farti assapere
il vero stato di noi e delle nostre cose, senza alterarle con menzogna
alcuna. Questo ò quello che tu vuoi, la verità, e questo è quello che
▼ogno anch'io. Quant'arte non harvi in sì poche parole! Ij« prime
parole spogliano Catone di ogni prevenzione : erano desse : Donna
$ce*t ecc. Le ultime lo affezionano interamente.
M Questi ecc. Comincia dalla condizion di Dante: dopo dirà la sna.
La condizione di Dante, toccata qui da Virgilio, si e, ch'egli è
ancor vivo, non motto, come sei credette Catone. Siccome Virgilio e
Dante furono presi da Catone per due dannati, cosi rorono presi per
due morti. Dicendo dunque Virgilio che Dante è ancor vivo, venne
a dire per conseguenza eh* egli non era un dannato. £ questo era
il ponto principale di che importava far ricreder tosto Catone.
Obbiezione. Non dovea accorgersi Catone che deili due uno era
viro? Non lo poteva, perchè allora era ancor notte.
'5 Afa per la 9>m follia ecc. Qoai'è questa follia, che lo condusse
Ticino a morte? Dirla una passione politica per le parti fiorentino:
ovvero una passione amorosa per la perdita di Beatrice, quantunque
CANTO I. 21
60 Ohe molto poeto tempo a volger fera.
SI come io dissi, fui mandato ad esso
Per lui campare, e no»' c'era altra via, 36
Ohe qaesta per la quale io mi son mtesso. 37
Mostrata ho lui tutta la gente ria; *
sieno per sé cose che possano portare )a morte, pure non sono tal i
che costituiscano la follia in discorso. Questa e follia coerente al con-
cetto cattolico dantesco sviluppato nella I Tavola dell'Inferno e nel
relativo Discorso preliminare. Questa follia era il peccato. Stimulus
àutèm mùrt4s,pecatuint disse san Paolo ; e questo è quelle che ritiene
pur Dante nel suo grande concetto cattolico. Se non fosse questa, e
unicamente questa, la follia di cui si parla, ma fosse stata invece o rima
o l'altra passione toccata di sopra, amorosa o politica, ci aveano ben
altri mezzi a guarirla che non era quésto d'un viaggio ultramondiale;
né Dante per queste inezie avrebbe messo in movimento a suo favore
presso l'irata divina Giustizia tanti esseri nobilissimi e beati, quali
erano Maria santissima, santa Lucia e la Beata Beatrice (Chiesa e
Rivelazione) personaggi tutti che s'interessano beasi a prò dei fedeli
per la grazia, che hanrio perduta, non per una sposa e per una-liberta
che s' intenda acquistare. Sicché, a conchiudere, questa follia non è
altro che una vita rea, che accelera la morte etema. Aggiungerò
un altro argomento a favore di questo senso, non allegorico ma let-
terale, che cioè qui si parli della sola follia del peccatore. L'argo-
mento consiste in questo che sarebbe stato ridicolo e del tutto fuor
di proposito allegare di quelle baie a Catone deputato ornai ad offici
soprannaturali, e sol eui animo non potevano più che motivi sopran-
naturali, come vedremo. Della morte presta o tarda per càuse poli*
tiche gli caleva così poco, che anzi da sé se la diede; e delle passioni
amorose facea si poco conto, che non vuol sentirsi wemmen nomi-
nare più la sua Marzia, quantunque amata.
•* Non c'era altra via ecc. Una via tutta soprannaturale, ed unica
all'uopo, non è la via per salvar uno dalla morte temporale, mar bensì
dalla morte eterna. Pare incredibile che tanfi commentatori non
l'abbiano inteso, e vadano invece sofisticando altre cose mondane.
w Che questa eco. Cosi rende ragione perchè fosse sbucato di sot-
*
terra venendo' contro il cieco fiume.
38 Mostrata ho lui ecc. Tutta la gente che ha una reità, ed è con-
finata all'Inferno. Non- dice, tutta la gente dannata, ma ria, per com-
prendere cosìanahe quelli delF Atrio del Limbo e del Castello dei Savi
& PURGATORIO
Ed ora intendo mostrar quegli spirti.
Che purgan sé sotto la tua balia. "
Com' io r ho tratto sana lungo a dirti. *°
Dell'alto scende virtù, che m'aiuta
Conducerlo a vederti, e a udirti. "
70- Or ti piaccia gradir la sua venuta;
Libertà va cercando, eh' è A cara, 4t
» Sótto fa Ina balia. Sotto la tua custodia, non perchè egli •©-
ptatieglisme a tutto il Purgatorio, doro veramente egli non poteva
il piede, ma perchè quanti andavano al Purgatorio, doveeno
panare sotto i suoi occhi, alle cadici del monte, alle quali egli
abitava e donde era custode, facendo l'affido dlndrissarli alla vera
salila» rimproverandoli se si adagiassero.
* CWȏ Tao trito ecc. Virgilio ribatte qui un dubbio, che potea
sorgere in Catone. Il dubbio si era: Come ha mai potalo costui, con-
tro tanti demoni, che certo si deono essere opposti al passaggio di
Dante, esser riuscito a condurre il suo raccomandato? Ma Virgilio
dilegua un tal dubbio con una ragione trionfante : uno speciale aiuto
divino.
*» CcmdmctrU a 9 Arti eoe Invece di dire : Condueerlo al Pur-
gatorio, Virgilio dice : Comduotrlo a vederti, e a udirti, che in effetto
è lo atesso, ma che fa supporre che fosse già nella mente di Virgilio
presentar il suo guidato a vedere e udire Catone, mentre a dire il
vero Virgilio non ne sapeva nulla. Questo è un ^a^avr artifisio
oratorio per cattivarsi sempre più la benevolensa del severo Catone.
Pia qui Virgilio ha parlato ottimamente dicendo delle belle e sode
ragioni, uè altro ci volea per Catone, ch'era pienamente convinto e
persuaso del fatto, e quindi risoluto di accordare il passaggio. Quello
che Virgilio soggiunse da libertà va cercando in poi, non sono buone
ragioni per Catone, ms piuttosto inutili lusinghe , come dirà Catone
Ma se sono lusinghe e non buone ragioni, perchè dunque Vrrgiho
le allega? Lo vedremo nella nota appresso.
** Lìè-rtà va ctrvmndò ecc. Ecco il primo argomento messo in bocca
dì Vìrglho dallo spirito di lusinga, credendo facesse buona presa sul-
l'animi di Catone ad accordare il passaggio. Virgilio gli dice, che
Dante va in cerca della libertà Unto amata da fui stesso. Qui Vir-
ilio è ito fuori del senùaato. A prima vista, è vero, sembra un
CANTO I. 38
potente argomento, ma bene esaminato, non vale un frullo per Catone.
Or Dante, che fa cosi parlar Virgilio, non sapeva forse che gli met-
tea sulle labbra una ragione affatto vana e ridicola? Lo sapeva be-
nissimo, ansi appunto gliela pose in bocca, perchè la sapea vana e
ridicola. E vaglia il vero : chi rappresenta Virgilio ? Virgilio rap-
presenta la Ragione, retta quanto si vuole, ma sempre e sola Ra-
gione. Or questa Ragione, che è naturale, trovasi a fronte di un
essere soprannaturale quale si è ornai Catone. Questa Ragione natu-
rale vuole da quest'essere soprannaturale ottenere una grazia pur
soprannaturale. Che argomenti quindi può allegare per ottenerla?
Non può allegare che il volere di Dio, provando che è volere di Dio.
Tanto fece Virgilio fin qui. Dopo questo non gli restava da dir di
più. Perchè dunque Dante lo fa continuare in nuovi argomenti ri-
stretti alla sfera naturale, ed inetti ad agire sopra un essere sopran-
naturale? in oggetto pur soprannaturale ? Per farci comprendere che
la Ragione ha corte Tali, e che in materie soprannaturali essa Ra-
gione non può parlare che da bambina, e a sproposito. Dunque gli
spropositi che qui commette Virgilio nelle sue argomentazioni sono
naturali a chi parla, e Dante da grand' uomo glieli fa dire pensa-
tamente. Prova ne sia che lo stesso Dante per la bocca di Catone,
come presto vedremo, li giudica per quel che valgono, cioè per ine-
zia e lusinga, che non ha forza alcuna sull'animo suo, e non la po-
tevano avere Virgilio, quand'era nel regno dei dannati, valeva molto ;
ora che è neh regno della grazia, vai poco, e se vuol discorrerne un
tantino, cade in errore. Perciò vedremo nel Purgatorio il contegno
di Virgilio assai riserbato, e andarsene con Dante, più perchè Dante
avesse una compagnia, di quello che una guida. — Or tocchiamo un
poco la Libertà, della quale qui si ragiona. Di qual libertà intese
parlare Virgilio? Di quella libertà per amor della quale Catone si
uccise, come dice nel verso dopo. Dunque intese parlare della libertà
politica. Gli parlò di questa, perchè la credette ancor cara a Catone,
e non sapeva il poverino che a Catone ornai non importava più nulla,
perch'egli era costituito in una cerchia di cose soprannaturali; ma,
come provammo prima, fa molto bene Dante a far parlare Virgilio
cosi. Quanto a Dante, noi sappiamo ch'egli amava molto la libertà
della sua patria, e gli doleva assai di vederla dilaniata dalle pre-
potenti fazioni, e in ultimo da Carlo d' Angiò, per liberarla dal quale
egfi se n'era ito a Romn quale ambasciatore della Republica fioren-
tina, nella quale occasione egli perdette per sempre la patria. Quanto
a Catone, sappiamo ch'egli era republicano corpo ed anima; perciò
stette sempre con Pompeo, e quando perdette questi a Farsaglia,
egli si ritrasse in Utica, dove, piuttosto di aderire a Cesare (che
24 PURttATOltlO
Come sa chi per lei vita rifiuta. tt
Tu '1 sai, che non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
La veste ch'ai gran dì sarà sì chiara. 4i
uvea distrutto la Republica) ai uccìse di pugnale. Non ostante il mi»
oidio, invece di essere tra i dannati nel Canto XIII, settimo cerchio,
Dante lo pone qui, e da qui a poco ne vedremo il perche.
** Come sa ecc. Allude a Catone suicida per la libertà ; ciò che
dichiarerà ancor meglio nella terzina seguente.
ÌL£*f2*** U La veste che ecc. La veste del tuo corpo, che nel di del giu-
dizio risorgerà glorioso. Dunque, secondo queste parole, Catone è lo-
dato del suo suicidio, quale un atto glorioso. D'altra parte nei
troviamo i suicidi condannati nel Canto XIII deU7>/. e puniti colà
giù, come vedemmo. Se è un peccato degno d' Inferno, perchè Catone
non è tra i dannati per lo suicidio? E se non e tal peccato, perchè far
dannati tutti quegli altri? Bisogna sciogliere questa contraddizione.
Intanto vuoisi notare per ecutenzadi Dante che il suicidio per sé stesso
è peccato,, e peccato gravissimo. Xè questa è dottrina di solo Dante»
ma la ò pur di Virgilio, a cui Dante fa dire nel Canto XI, Inferno :
e però nel secondo
Giron convien, che senza prò si penta
Qualunque priva sé del vostro mondo.
Virgilio stesso uella sua Eneide condanna i suicide alle pene d' A-
verno come Dante. Dante poi come cristiano e teologo tomista lo
sapeva ancor meglio.
Sicché non è a dubitare, che sì Dante come Virgilio non rite-
nessero il suicidio per peccato gravissimo. Or come si può scasare
il Poeta di aver collocato il suicida di Utica in tal condizione
d'aspettarsi una risurrezione per poco gloriosa? Catone nella Botte
prima d'uccidersi avea letto nel Fedone, e in quel libro il suicidio
è apertamente condannato. Il savio (vi si legge) mai non deve uc-
cidersi) non essendo ciò lecito ne pure a quelli cui la vita pesa;
giacché Dio li collocò in un posto, cui non devono abbandonare
senza sua permissione. Ma nessun punto della morale ^osserva il
Cantù) era per gli antichi più confuso di questo» Gli Stoici ^e Catone
era Stoico) dicevano apertamente : Quando la vita pesa, muori. Vo-
lendo però conciliare anch'essi l'opinione loro con Socrate, da cui
pretendevano ritrarre, s'appoggiavano alle parole di questo Filosofo
CANTO I. 25
Non son gli editti eterni per noi guasti ; 4b
Che questi vive, e Minos me non lega; 4fi
nel fedone stesso, ove dice, che bisogna aspettare, che Dio ci mandi
un ordine espresso per uscire dalla vita. Ordine espresso pareva loro
una disgrazia, massime pubblica, e ciascuno diventava cosi arbitro
di decidere quando convenisse ammazzarsi. Onde Cicerone nel I.°
delle Tumulane loda Catone che uscì di vita, come foste lieto dì
aver colto una causa di morire, pigliando cioè per voce e ordino
di Dio che lo chiamasse fuori della vita, quel tedio, che egli in sé
ne sentiva per la caduta della Republiea.
Dopo tutto ciò, a giustificazione di Dante, non si può dir altro,
se non che in questo il Poeta ebbe riguardo solo a quell'antica opi-
nione che si avea intorno alle virtù di Catone e al suo suicidio.
Tanto più che egli faceasi in questo immaginato viaggio condurre da
un Gentile, quale era Virgilio, Savio e Poeta. Del resto come po~
trebbesi mai concedere a Dante questa licenza in buona Teologia
e Filosofia? Se vi ha modo a scusarla, trovasi unicamente nella ra-
gione di Poesia.
** Jfon son gli editti ecc. Risponde a quelle parole di Catone
Son le leggi d'abisso così rotte t
M Che questi vive. Perchè questi vive, e perciò non è un dannato
che abbia guasti gli editti eterni. Fin qui si è discorso della con-
dizione di Dante, che è la prima parte dell'arringa virgiliana.
E Minos me. non lega. Passa alla seconda parte della sua ar-
ringa facendo la propria difesa. Dice dunque di sé «he quantunque
sia morto, pure non. è un condannato, come Catone sospettava. I
veri dannati cominciano nel secondo cerchio d'Inferno: all'ingresso
del quale sta Minos, a cui tutti debbono presentarsi, e che col cin-
gersi la coda intorno uno o più giri, dichiara quanti giri dee il dan-
nato discendere per passare al luogo destinato alla sua pena.
- Ma se è Minos quegli che si lega intorno con la coda, perchè
dice: Me non lega, facendo così credere che Minos leghi gli altri in
luogo di legare se stesso ? Rispondo che le legature che si fa intorno
Minosse, sono* per lui un'semplice indizio, ma per li dannati invece
sono vere legature, e le sentono siffattamente, che da sé stessi, dietro
quell'indizio, si sentono portare a quel luogo, che è da loro.
Una osservazione. Virgilio, come tace con Catone il nome di
Dante, cosi tace il proprio. Le ragioni per tacere di Dante le ab.
biam dette testé. Ora per le ragioni contrarie, avrebbe dovuto Virgilio
26 PURGATORIO
Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti 4T
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega, "
nominare sé stesso. Come va dunque che non si nomina? Rispondo.
Virgilio non si palesò perchè temeva, e con ragione, di pregiudicare
alla sua causa col nominarsi. Infetti Virgilio era Cesariano, e Catone
Pompeiano, due fazioni affatto contrarie. Inoltre Catone stava per
la Republica, e Virgilio per l'Impero, due forme di governo affatto
diverse. Virgilio avrebbe peccato contro l'arte se si fosse nominato.
*7 Afa son del cerchio ecc. Del primo cerchio dov'è il castello dei
Savi e degli uomini e delle femmine grandi.
Ove fon gli occhi catti. Bellissimo traslato a ricordare la ca-
stità di Marzia, perchè l'onestà, come il suo contrario, manifestali
specialmente negli occhi.
4* Di Marma tua ecc. Marzia era moglie di Catone. Fu ceduta
dal marito m moglie ad Ortensio, che non avea figliuoli: tanto lo
amava! Mania accondiscese. Morto Ortensio, ritornò a Catone, pie-
gandolo a ripigliarla. A quest' ultimo ratto accenna Dante. Egli dice
che Mania, sebbene per sempre divisa da lui, perchè abitatrice del
castello dei Savi, pure a mirarla ella è sempre tal qual era in quel*
l'atto quando, dopo Ortensio, ritornò a Catone per esser da Ini ri*
presa: questo è quell'affetto che continuamente le si legge in fronte.
Bellissimo e dilicatissimo pensiero. In. quanto alla moralità di questa
cession di moglie, bisogna riportarci ai principii di quel tempo, ed
alle idee che della donna allora si aveano. Catone, non ostante que
sta cessione, si mantenne in grandissima rama. Dunque la cessione di
Mania ad Ortensio trovò allor modo da farsi giustificare. Non ci voi*
lero che le idee cristiane, perchè quella cessione fosse pesata a dovere.
L'affetto di Mania a Catone, recato qui ad arte da Virgilio,
esaminato dal lato oratorio, parrebbe un forte argomento, e tale lo
crede lo stesso Virgilio. Ma Virgilio non sa e non può
qual segno gli affetti di Catone in questo suo nuovo stato
purificati, e se non fosse altro che per questo argomento, egli avrebbe
fatto un bel fiasco. Virgilio giudica le cose colla sola ragione natii*
rale alla mano, ma Catone e collocato in una sfera di un grado su-
periore, sebbene non sia la sfera della fede. Questo è il motivo perchè
Virgilio ha ragione ad apportare quell'argomento, ed ha ragione
Catone a non valutarlo. Di qui si pare l'ingegno versatile di Dante}
che si fa tutto a tutti, dando a ciascuno quello che si conviene al
singolo carattere personale, anche con pericolo che gli indòtti gli
ascrivano ad errore quello che non è che verità e natura.
CANTO I. 27
s°t O santo petto, che per tua la tegni: "
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni: "
Grazie riporterò di te a lei, j"
Se d' esser mentovato laggiù degni. ** .
Marzia piacque tanto agli occhi miei, *'
Mentre eh' i' fai di là, diss'egli allora, **
Che quante grazie volle da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora, **
*9 O $anio petto. Di Marzia nominò gii occhi; di Catone nomina
il petto. Quanta filosofia, e quanta storia in questi modi di favellare!
*o Lasciane ecc. Si dicono tuoi, non peroh'egli ri abbia autorità, che
Catone ansi n*è escluso; ma perchè egli n'è alle falde e ne sorveglia
le venate. — Sette, pei sette peccati capitali, di cui si sconta la pena.
B* Grotte riporterò ecc. Continua l'argomento suggeritogli dalle
lusinghe oratorie, che fanno pur parte di una retta ragione, quale
egli rappresenta, ma che non valgono all'uopo, perchè Catone si è
ornai francato da tali artifizi
**8e d'esser mentovato laggiù degni. È questo un grazioso pen-
siero suggerito da un cuore gentile.
Prima di passar da Virgilio a Catone facciamo una ricerca. Vir-
gilio conobbe subito che quel vecchio era Catone: come lo conobbe?
Dalle fattezze del volto a lui note, perchè avea convivuto nella stessa
Roma una parte di vita, mentre Catone era già avanzato negli anni,
e Virgilio era ancor giovane.
** Mania piacque ecc. Ecco quanto sia vero quel che dicemmo
di sopra, che Virgilio andò fuori del seminato quando nella sua ar-
ringa a Catone, dopo il solido e vero argomento del voler divino,
venne fuori con argomenti inconcludenti per Catone, quali erano le
aspirazioni liberali del suo raccomandato, le lodi a Catone pel suo
amore alla libertà, il panegirico del suo suicidio, e da ultimo quel
cavallo di battaglia che dovean essere per lui i meriti della sua Marzia.
Catone di tutte queste forze oratorie non ne calcola alcuna e tutte
le disprezza, salvo sempre la prima del volere divino, come si disse.
** Di là. Al mondo dei viventi.
** Or ohe di là dal mal fiume ecc. Di là dal fiume Acheronte,
eh* è il primo fiume che dà i passo al vero Inferno.
38 PURGATORIO
Più muover non mi può per quella legge, ■
*>• Che fatta fu quand* i' me n'uaci' fuora. w
Ma se donna del oiel ti muove e regge, w
^ Per quella Ugge, — Che fatta fu ecc. Alla morte di uno dei due
coniugi, de'quali per esempio la moglie vada dannata, ed 3 marito
noi sia, avvi la legge, che si tronca ogni affetto preesistente nolU
parte che è salva, restando pare un'affezione impotente e sol lasciata
a tormento nella parte che e dannata. Ciò ha luogo non solo pei
coniugi, ma per qualunque altro. Questa in sostatila è la dottrina
evangelica espressa nella parabola di Lazzaro e del ricco Epulone,
ed è quel magwm ch<io$ firmatum intcr uos et eoi. come allora ri-
spose Abramo alPKpulone d.in:nto. e come qui risponde Catone a
Virgilio, per la sua moglie.
•»• Afe wVrtnT /nervi. Fuora dei mondo per la mia morte'. H Ven-
turi crede che voglia dire fuora del Limito, donde mi trasse Gesù
Cristo, quando vi discose, per collocarmi qui ; se non che lasciando
anche da una parte la Stnta Scrittura ed i teologi. Dante stesso ci
d?ee chiaro e tondo che le anime del Limito, tratte da Gesù Cristo,
furono subito fatte beate, cioè furono subito gloriose con Lui, e
dopo 40 giorni con Lui salirono al cielo (#«/., Canto IV, t. 61). In
quel numero non entrava eertamente Catone, perchè non ave* la
fede. Solamente per Catone fu fatta una eccezione, netta poetica
finzione di Dante, e invece d'esser collocato dopo merle nel castello
dei Savi . pei meriti suoi singolari fu collocato jqui. A onesto pro-
posito dice il .Tommaseo, che prima di Gesù Cristo non vi atea Pur-
gatorio. Se egli afferma questo soltanto come finzione poetica, non
ho che apporgli ; ma se egli volesse sostenere che veramente non ci
fosse stato il Purgatorio, 9 ingannerebbe a partito, essendo dì lede
eho esisteva anche prima di Gesù Cristo 1-eggasi fl li Afarean. 12.
**Ma se dimmi ecc. Feco l'unico argomento, che Catone accetta
da Virgilio riferendosi alle parole: latina #ce« Hai dei ecc. Gli
altri sono scoria, e non hanno valore presso di lui : e per mostrargli
che intatti li giudica un nulla, o al più cose d* fWneiulloni. ed artifizi
da rettorieuzai. gli soggiungo nel verso appresso: „Vo* ©> mtttier #«-
*i»ga. * gli dichiara che potè-» starsene contento al solo argomento
della autorità divina, scartandogli tutti gli altri con dirgli : Batti ti
ben c\e orr lr% mi richieate. IVvera arte retorica ooal naufragio
non foce qui! Lo smacco sofferto da Virgilio sin sulle prime gh ser-
viva dì r *gola jH^r il rv*to d» l Purgatorio» avendo già imparato ene
CANTO L 29
'Come tu dì, non c'è mestier lusinga,
Bastiti ben, che per lei mi richieggo.
Va dunque e fa che tu costui ricinga
D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso 59
Sì ch'ogni sucidume quindi stinga :
et- -vuol altro che la Ragione per misurarsi con esseri alla Ragion
superiori, e che altro è condur per l'Inferno, ed altro condurre pel
Purgatorio. Là'potea far da maestro, qui è appena scolaro. Infatti
vergiamo sùbito alla terzina seguente eh' egli ha bisogno che Ca-
tone gli insegni le còse più ovvie, e le convenienze più volgari, quali
sarebbero: ch'egli è uopo lavarsi la faccia e raffazzonarsi il vestito,
prima di presentarsi al portinaio del Purgatorio, che sarà un angelo.
E vero che questa lavanda e questo raffazzonamento, oltre il mate-
riale, hanno un senso spirituale, ma è vero altresì che Virgilio non
conobbe il primo, e meno il secondo.
Prima di passar oltre, faccio osservare una finissima avvedu-
tezza di Dante in tutte cose. Eccone una, che restava da far no-
tare, dopo le tante dette fin qui. Avrete osservato che Catone non
s'interessa di sapere chi sia né la guida né il guidato. Come mai
ciò, mentre quel caso era tale da muovere la curiosità di qualun*
que? Dante, atteso a tutto, fu atteso anche a questo. Catone essendo
quel soggetto, che è, non dovea interessarsi di queste bazzecole. Egli
è tutto nella esecuzione dei voleri divini , e non gli cale di altro.
Non vedeste che qon gli cale nemmeno di Marzia? Bisogna asso-
lutamente esser Dante peT trattare i caratteri con sì acuto accor-
gimento! ;
50 D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso. Dante, se ben vi
ricorda; *vea dato la sua cintura aggroppata e ravvolta a Virgilio,
perchè la gettasse giù in quell'alto burrato per accenno a Gerione
di salire a prendere forestieri (/w/., Canto XVI, v. 3). Quello era
il cdrdoh dei Tendati di san Francesco, al cui Ordine Dante era
aserilto. Questo cordone gli serviva a due usi : il principale era quello
della penitenza, il secondario di tenergli stretti i panni alla persona.
Dopo di averlo pòrto a Virgilio, come si disse, egli era rimasto di-
scinto, sicché e avea perduto il simbolo del penitente, e non riteneva
pie nella veste della persona la debita gravità e convenienza. Ora
dovendosi di qui a poco presentare all'Angelo, e cominciare il viaggio
del ^ Purgatorio, dovea ripigliare il suo simbolo di penitenza, ed at-
teggiarsi a maggior compostezza. Di ritrovare il suo cordone era
dO PURGATORIO
Che non si converria rocchio sorpriso *°
D'alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, eh' è di quei di Paradiso.
100 Questa isoletta intorno ad imo ad imo, M
Laggiù, colà dove la batte l'onda,
nulla, dunque dovea provvedersi io altra maniera, e Catone la il
al suo duca.
Inoltre Dante dal viaggio d' Infèrno aveva portato ima fimia
sudicia anzi che no, per ragion de* luoghi che visitò, e dell'atta
nero e faliginoso in che trovossi e del sudor che sparse. Però dova»
lavarsi per riverenza all'Angelo a cui ai dovea presentare.
Bisogna però confessare che anche questa lavanda, come il cin-
golo, ha un senso spirituale. Con questa lavanda che si vuol fatta
a Dante, Catone intende di far capire la purità di mente che è ne-
cessaria ad un penitente, quale allora era Dante, neU' intraprendere
la purga dei propri peccati, o per meglio dire delle reliquie di essi.
Per questo Catone non prescrive di lavare propriamente la faccia,
ma si attiene al viso, ossia alla sede degli occhi, ed anche nella te-
sina che segue, non parla che di occhi, e ciò per farci compren-
dere il mistero che vi si nasconde, cioè la purità di mente ohe
si diceva.
Insomma Catone vuol con questo doppio precetto sollevar Dante
da quanto sa di terreno, ed appuntare il suo cuore e le sue viste
all'altezza dello stato che sta per prendere.
so Che non si converria ecc. L'occhio di colui, che dea presen-
tarsi ad un angelo, convien che non sia appannato di nebbia alena,
ovvero, che aia puro e netto d'ogni macula. Or di qual macula ai
parla ? Non v'ha dubbio che la intesa da Catone era la macula o
la nebbia dei pensieri terreni, che alterano la vista dell'anima, si
che ella vede e giudica mal degli oggetti. Questa nebbia dunque
ha da sparire prima d'affacciarsi al Purgatorio, che esige occhi di
pura fedo, altrimenti sarebbero insufficienti a giudicar rettamente
degli oggetti che gli si presenteranno.
6* Questa isoltiia ecc. Avea la circonferenza di miglia 909 alla
baso. Vedi Ptiro\, Tav. U.
Questa isoletta risponde in dimensione alla dimensione del vero
Inferno. Ha come l'Inferno due riparti generali, Atrio di Purgatorio,
o vero Purgatorio, quello grandissimo; questo piccolissimo, colle stesse
proporsioni che aveva l'Atrio d'Inferno col vero Inferno, cioè di SS
CANTO I. 31
Porta de9 giunchi sovra 1 molle lìmo. "
NulTaltra pianta che facesse fronda, **
0 indurasse, vi puote aver vita;
Però eh9 alle percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita: "
parti di tutto; 31 è Atrio ed 1 è Purgatorio. £ ciò assai ragione-
volmente; perchè come quasi tutti quei che si dannano, si dannano
per ignavia, cosi quasi tutti quei che si salvano si salvano dopo di
aver ritardato molt'anni la lor conversione , e la lor penitenza. Di
tutte queste cose diremo più in lungo a suo luogo.
H VeluteUo, eh* è per altro assai profondo commentatore di
Dante e che ha fatto di gravi studi sulle misure dei luoghi delle tre
Cantiche, fa la circonferenza di quest'isola alla sua base miglia 1100
(mille e cento). Ma se fosse vero il suo calcolo, come si potrebbe
chiamare isoletta quella che avesse tanta circonferensa? Egli ha ab-
bondato nelle misure dell'Inferno e cosi dovette abbondare anche in
queste del Purgatorio.
** Porta. Produce. — Giunchi. Alghe o canne,
w NuWaltra ecc. Tutta questa terzina ha un senso chiarissimo.
Appunto gli alberi propriamente detti non ponno attecchire dov* è
mare, perhè la loro stessa durezza è causa- della lor debolezza a fronte
della furia dell'onde. Invece i giunchi, perchè non resistono all'onde
ma le secondano, trovano la forza nella loro arrendevolezza, e per
conseguenza possono attecchire e crescere in mare.
Che bella immagine non è questa di quelle anime docili, che
presto o tardi si piegano agli impulsi della grazia, e perciò vanno
salve! Questa è la ragione perchè Dante intorno intorno fa ger-
mogliare dei giunchi simbolo delle anime elette. Quella moltitudine
di esseri organici, quali sono i giunchi sorgenti per tutto il mare
che lambe le radici intorno del Purgatorio, rappresentano quegli
esseri razionali, che per essersi piegati alla grazia, meritarono di
salir quel monte a loro perfetta mondezza, finché ottenutala, indi
salgano a Dio.
64 Poscia non sia ecc. Non ritornate dal mare per questa parte,
perchè quindi in su non si può salire, ossia perchè qui non vi è
salita ; bisogna cercarla altrove, e il Sole ve la mostrerà. Come sia
che il Sole gliela dovesse mostrare, vedilo *in seguito, Canto IV,
nota 12, dubbio 2,
32 PURGATORIO
Lo Sol vi mostrerà, che surge ornai, ° '
Prendere il monte a più lieve salita.
Così sparì; ed io su mi levai. 0G
*10 Senza parlare, e tutto mi ritrassi H7
m Lo Sol vi mostrerà) ohe eurge ornai, lì Sole veramente non sor-
geva allora, ma solo sorgeva l'alba foriera del Sole. Siccome per
altro i chiarori dell'alba sono effetto del Sole, anzi sono il Sole stesso
che si fa veder molto prima che nasca, perciò Catone poteva dire
con verità che il Sole sorgeva. Infatti se noi volessimo rispondere
a chi ci domandasse che cosa son quei chiarori., noi, parlando vera-
mente, potremmo dire : Quelli sono i raggi del Sole, sono la luce dei
Sole, sono il Sole che comincia a farsi vedere.
Prendere il monte ecc. La più lieve salita non era per le anime
veramente purganti, ma era necessaria per Dante che non era puro
spirito, ma aveva corpo.
6* Così sparì. Con quest' ultime parole spari. E dove andò egli
dopo Bparito? Et si ritrasse alle sue grotte, nelle quali abitava, come
accennò in questo Canto il poeta. Egli è chiaro dal contesto, che le
grotte di Catone erano precisamente presso lo sbocco, onde i poeti
uscirono dell'Inferno, rivolte verso oriente. Quel luogo era il più
opportuno per un custode, perch'egii di colà potea tener d'occhio tanto
l'uscita d'Inferno, quanto l'arrivo delle anime al Purgatorio, ai quali
due oggetti egli dovea continuamente avere la mira. Questo monte
ne' suoi termini bassi era cosi bipartito : 1. Una cinta di rocce scoscese
ed impraticabili, tranne in un punto, che vedremo, discosto da quello
ov'erano allora i poeti : sotto questa cinta vicino alla bocca d' Inferno?
nella parte che guarda a mattina, abitava Catone. 2. Dalla cinta in
giù, sino al mare vi avea tutto intorno un piano inclinato messo a
prato per cui ora si dirigeranno i poeti in cerca di un giunco ma-
rino. Vedi Pnrg., Tav. II.
Ed io su mi leva i. -Perchè dal momento che Virgilio alla prima
vista di Catone gli fé' reverenti le gambe e il [ciglio, Dante se ne
stette sempre in ginocchio davanti a lui.
M Senta parlare ecc. Perchè senza parlare? I. Perchè era ancora
colpito dalla immensa impressione, che in lui fece la vista, e le pa-
role di Catone. I grandi avvenimenti improvvisi ci lasciano senza fa-
vella per qualche tratto. II. Per una cotale mortificazione di veder
H suo Virgilio rauiniliato da Catone, che non gli passò per buone
tante ragioni da lui credute 'convenientissime. III. Per attendere ri-
spettosamente da Virgilio l'esecuzion degli ordini di Catone.
CANTO 1. 33
Al duca mìa, e gli occhi a lui drizzai.
Ei cominciò : Figliuo), segui i miei passi : "
Volgiànci indietro, che di qua dichina **
Questa pianura af suoi termini bassi. "
L'alba vinceva Torà mattutina 7I
<>» Figliuol, segui i miei pani. Virgilio, come si disse altre volte,
sarà sempre la guida del. viaggio, perchè aetye cose puramente ma-
teriali quali sono il trovare le strade ecc. avrà, più avvedutasi* Vir-
gilio, che Dante. Dante invece sarà più sagace nelle cose sopran-
naturali e di grazia. Inoltre Virgilio dovea mandare ad effetto i co-
mandi di Catone su Dante.
£9 Volgiànci indietro, che ecc. Cioè verso mezzogiorno. Sino a quel
punto, parlando con Catone, li duo poeti erano stati odia focaia ri-
volta a lui, cioè rivolta a settentrione. Dunque dicendo volgiànci
indietro, accenna a mezzogiorno. Vejli Tav. II* Purg.
70 Quièta pianura ecc. Eooo quel piano inclinato al mare che di-
cemmo alla nota 66. Ma quanta profondità avea> questo piano dalla
cinta ond'ora partono i poeti? Àvca la profondate di tfu ài miglio
pari a queir Xfu che abbiazn trovato dalla crosta della ghiaccia al
centro 4' Inferno. •Questoimonte si dee percorrere tutto dal suo nuoio
e atraprdinario penitene che è Dante. Dunque ita. da rare anche
questo sessantaquattresimo, come fece l'altro sessantaquattresima in
Inferno lungQji peli dì Lucifero. _•-'.».
Che immensa esattezza non è questa di Dante? Perchè cara partito
da t/64 di miglio al di qua del centro d'Inferno* perciò dovea sbu*
care ifu di miglio d'altezza al Purgatorio. Ecco che noi lo troviamo ap-
puntino, ed ecco ch'egli ci aveagià dati ieenni necessari per trovarlo.
7< L'alba vinceva ecc. L'alba quando nasce (supponendo il giorno
tranquillo, com'era sempre al Purgatorio) produce un'alterazione
noli' atmosfera, cioè l'agita in direzione da oriente ad occidente, e
ciò perchè l'appressarsi del Sole, corpo calorifero, riscaldando gli
strati atmosferici che ha p^ù vicini, ne dilata la massa, e questa di-
latazione preme sugli strati adiacenti, e questi sugli aKri, e cosi via,
producendo quel venticelo o brezza, che sempre sentiamo alla mat-
tina dal principio dell'alba. Perciò il tempo dei crepuscoli mattutini
è il tempo delle maggior frescure di tutta la notte. Dante ci fa
intendere quest'alba, che s'avanza, da' suoi effetti, cioè dalla pres-
sione o spingimento dall' óra od aura, o brezza, la quale a chi si
trova di rincontro sul lido del mare, come allora si trovava Dante,
3
34 PURGATORIO
Che fuggi a innanzi, sì che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
Noi andavam per lo solingo piano, ™
Com'uom, che torna alla smarrita strada, w
120 Che infino ad essa li par ire invano. u
Quando noi fummo dove la rugiada 15
fa conoscere il suo movimento cagionato dall'alba col mezzo del-
l' increspamento delle onde che viene di mano in mano inoltrandosi.
In più brevi parole. L'alba premeva (vinceva) l'aura {Vòra) mat-
tutina, la quale fuggiva dinanzi al Sole verso Dante, e Dante, guar-
dando a' quella volta, conobbe lunghesso i chiarori dell'alba il tre-
molar della marina.
Stabiliamo adesso l'ora di quest'alba. Avvertasi che noi ci tro-
viamo nell'emisfero meridionale, agli antipodi di Gerusalemme, a 20
gradi di latitudine meridionale , e che quindi se stando a Gerusa-
lemme oggi noi avremmo il giorno 19 Aprile, stando invece al Pur-
gatorio, dove in poco d'ora sfamo passati, abbiamo il giorno 9 Ot-
tobre. Cerchiamo dunque sulla Tavola temporaria di un calendario
l'ora della levata del Sole nei 9 Ottobre. Essa ci dà le 6.10. I cre-
puscoli vengono prima. In qual'ora cominciano? Alle 4.90 come si
può vedere sulla stessa Tav. temporaria. Dunque ora che comincia
l' alba, ossia i crepuscoli, sono le 4.30.
i*Per lo solingo piano. Perchè solingo? Perchè non trovarono
anime purganti. Le prime ohe troveranno saranno quelle che sbar-
cheranno da qui a poco.
7* Com'uom, ohe torna alla ecc. Essi non l'avevano smarrita,
perchè dal punto ov'erano sbucati, quest'era la prima volta che si
movevano; ma andavano al luogo indicato da Catone, con quella
fretta che usano aver coloro, che si accorgono d'aver errato il cam-
mino, e perciò si studiano di compensare la perdita del tempo con
la velocità del passo.
74 Che in fino ad e$»a eoe. Questo è proprio notare il pel nell'uovo.
Dante cercò nel cuor di chi corre, per avere smarrito la strada, il
sentimento che prova mentre corre; ed è appunto questo.
7i> Quando noi fummo ecc. La rugiada cade al tempo del crepu-
scolo per la ragion della brezza agitata dal Sole, che s'avvicina : Gutta
roris antelucani, come dice anche la Sapienza XI, 28. Questa ru-
giada è più nitida nelle parti, che sono opposte all'oriente ; ceco
CANTO l. 35
Pugna col Sole, e per essere in parte,
Ove adorezza, poco si dirada,
Ambo le mani in su l'erbetta sparte *
Soavemente il mio Maestro, pose :
Ond' io, che fui accorto di sua arte, 7t
Porsi ver lui le guancie lagrimose: 70
perchè Virgilio scelse la rugiada di quella esposizione (dove la tu*
giada — Pugna col Sole).
Inoltre questa rugiada è più copiosa e meglio si mantiene
nella erbetta bassa, che sull'alta, per ragion che la bassa ha più
ombra che l'alta, ed è meno scossa che l'aita. Ecco perchè Virgi-
lio scelse la rugiada di quella parte ove a dorma, e ove perciò
poco si dirada.
Questa rugiada era mistica, come mistici erano i giunchi Essa
avea la virtù di purificare il viso spirituale. Perciò Catone parlava
di lavanda del viso e non di altro.
76 Ambo le mani ecc. Perchè non una ma due mani? Per far più
presto la sua lavanda, e perchè è naturale che due sieno le manj,
che ci lavano. E perchè Dante non si lavò da sé stesso?
1. Perchè l'ordine fu dato a Virgilio;
2. Perchè Dante non potea saper se si frese in fine lavato o
bene o male.
E perchè ambo sporte? Per raccogliere così più rugiada, che
fosse stato possibile. — E perchè in mìa l'erbetta ? Perchè era la più
bassa ove aderenza.
77 Soavemente. Perchè soavemente? Perchè calcando troppo, le mani
potean coH'acqua intingersi anche di terra.
78 Accorto di sua arte. Cioè del fine di tutti qùe'suoi artifisi, che
non poteano avere altra mira, che lavargli la faccia, secondo il pre-
scritto di Catone.
?9 Porsi ver lui. Notate bene questa espressione. Essa vi dà l'idea
di un lievissimo moviménto di faccia, qual si conviene a chi là porge
per esser lavato. È una pitturimi da Giotto.
Ghiande lagrimofe. Perchè guancie lagrimoseì ossia irrorate
daHc lagrime degli occhi? Perchè Dante piangea 1. di tenerezza verso
Virgilio, che per suo amore gli facea quell'umile officio» che appena
le madri affettuose sanno fare coi loro bimbi; che delicatezza di pen-
siero! £. di consolazione per sé, avendo gii capito più di Virgilio il
3* PURGATORIO
Quivi mi fece tutto cliscoverto m
Quel color, che V Inferno mi nascose.
130. Venimmo poi in sul lito diserto, •'
Che rxM non vide navigar nue acque •*
Udiri che di ritornar sia poscia esperto. n
Quivi mi cinse, sì come altrui piacque: •*
O maraviglia ! che qual egli scelse •*
senso di quelle parole di Catone sulla virtù portentosa di questa acqua
lustrale:
e che gli lavi il viso
Ri ch'ogni sucidume quindi stinga:
Che non si converrà l'occhio sorpriso
D'alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, ch'è di quei di Paradiso.
La virtù di questa acqua si era di purificare e raffinare la vista
dell'anima, nel mentre che all'esterno purificava e abbelliva la vista
del corpo-, e còsi veniva ad operar dentro quello che indicava al di
fuori; 3. di nuovo pentimento de'euoi pecpati, che per grazia divina
veniva a piangere ed a scontare nel Purgatorio.
w Quivi mi fece ecc. Il fumo 4' Inferno avea coperto a Dante come
d'una fuligine il colore naturale della faccia, il quale colla lavanda si
discoverse e tornò nella primiera naturalezza.
«I Ih $ ti lito dUerto. Vedi la nota 72.
*> Che mai non ecc. Le anime destinate al Purgatorio vi appro-
dano attraversando l'oceano partendo da Roma, solo centro di salute.
** Uom} che di ritornar ecc. Chi viene al Purgatorio, non ritorna
più al mondo a rifarvi la vita. Forse si vorrebbe anche accennare
all'ardito Ulisse, che vide da lungi questa montagna, ma per averla
veduta naufragò, Inf. XXVI. Vedi anche la mia Tavola L fnf.
84 Sì come altrui piacque. A Catone che comandò a Virgilio di
cinger Dante con un giunco marino. Era inutile specificarlo, e per-
ciò !c> accennò in modo generico. ,
8a O meraviglia! che qual ecc. Quanto bavvi ai Purgatorio tutto
è dotato di una virtù soprannaturale, come è il Purgatorio mede-
simo che Io contiene. Dante- a farci intendere questa verità, suppone
che strappato un giunco, tosto un altro tutto simile vi rinasca. Dun-
que sono giunchi che han.no dpi soprannaturale ^cjunque il tcrr,enp
stossòH un terreno che iha* dèi soprannaturale. La Chiesa cattolica
CANTO I. 87
L'umile pianta, cotal si rinacque
Subitamente Ih onde la svelse.
come ha l'acqua benedetta, che desta pensieri soprannaturali e che
risponderebbe alla rugiada veduta, così ha eziandio le cinture bene-
dette, che valgono ad uso di penitenza, e che risponderebbero alla
ruvidezza del giunco. Tutto ben applicato a Dante penitente.
CANTO II
Argomento.
Stando i poeti sul Udo veno oriente, veggono un vascello ca-
rico di anime, che partite da Roma venivano al Purgatorio guidate
da un angelo. L'anima di Conila, amico di Dante, era tra quelle.
Si fanno i convenevoli. Si chiede ragione del tuo ritardo, e fu per
colpeveniali. Casella,pregato dall' amico, scioglie la foce al canto. Ma
sopraggiunto Catone, rimprovera quelle anime di negligenza. Esse
partono correndo alla sparpagliata, e partono anche i nostri poeti.
MT. Vedi tatù ì catellini di quello Canto nello mia Ta?. I e II, Pura».
fi
ià era il Sole all'orizzonte giunto/
< Già era il Sole ecc. L' orlo superiore del disco solare toccava
l'orinoti te. Quando saremo al verso 55 di questo Canto il disco so-
lare toccherà l' orizzonte con l' orlo inferiore. Sicché quanto si dice da
questo primo verso sino al verso 55, tutto è avvenuto in quel piccio-
lissimo tratto di tempo che impiega il Sole a farsi veder nella parte
superiore e nella parte inferiore, cioè a nascer tutto, il qual tempo
è calcolato di due minuti. In somma qui si parla della nascita comin-
ciata, e nel verso 55 si parlerà della nascita compita. Che velocità
non diede Dante a tutta Pacione che sta per raccontare ! £ con quanto
accorgimento non gliela diede! Pochi minuti bastano ad un angelo
per navigar da Roma al Purgatorio. Questa velocità è molto bene
in relazione con quella di Dante : se Dante in ore 1.20 venne dal
centro della terra al Purgatorio, che maraviglia che un angelo in
meno ancora venga al Purgatorio da Roma?
40 PURGATORIO
Lo cui meridian cerchio coverchia *
Ierusalem col suo più alto punto :
E la nolte, oh'opposita a lui cerchia, *
liscia di Gange fuor con le bilance, 4
Che le eaggion di man quando soverchia ; *
i Lo eui meridian ecc. Questa è la prova scientifica la più lam-
pante, che il Purgatorio è antipode di Gerusalemme; perchè qui si
determina che il Purgatorio ha lo stesso meridiano di Gerusalemme
e lo stette orizzonte, ossia, a parlar più rettamente, un orizzonte pa-
rallelo a quello di Gerusalemme: dicendo poi Ierusalem eoi tuo più
alto punto, si determina il zenit di Gerusalemme, che ha per nadir
3 zenit del Purgatorio e viceversa.
* E la notte ecc. Siccome al crepuscoli mattutini, che ci apportano
il Sole ad oriente, è contraria la notte che bì trova all'occidente del
8ole, cosi si dice che la notte cerchia opposita a lui.
* Utcia di Gange ecc. Per noi abitatori d' Europa il dire Gange
e il dire oriente è lo stesso, perchè a rispetto nostro il Gange, fiume
dell' India, è posto ad oriente. Ma pegli abitatori del Purgatorio
nell'altro emisfero non è cosi : essi hanno il Gange all'occidente e
all'oriente l'Europa. Essendo dunque che la notte opposta al Sole
sorge dall'occidente come abbiasi veduto alla nota 3, bisognava dire
che sorgea dal Gange.
Con le bilance. Tra il Sole cominciante a nascere da una parte
e la notte cominciante a nascere per altri da un' altra, v* Ila l' in-
tervallo di sei costellazioni zodiacali di due ore di distanza luna
dall'altra. Dunque se il Sole, per esempio, leva da una parte in
Ariete, come abbiam veduto che leva presentemente, la notte leva
dall' altra parte per 1' altro emisfero nella costellazione della Libra,
che succede sei costellazioni dopo Ariete. Vedi Tav. VII, Purg.
*Che le eaggion di man ecc. Quando la notte soverchia, ossia
si fa più lunga del giorno soverchiamente, come sarebbe dal 21 Ot-
tobre in poi, allora la notte non sorge nel segno della Bilancia, ma
in quello dello Scorpione, nel quale entra appunto ai 21 Ottobre, e
allora può dirsi con granosissima immagine poetica, che le Bilan-
cie eaggion di mano dalla Notte. Questa idea è qui molto opportuna
per la ragione, che noi agli antipodi ci troviamo presentemente ad-
di 9 di Ottobre, e quindi ci andiamo avvicinando a quel giorno, nel
quale le Bilancie deono cader di mano alla Notte, perchè soverchia-
mente allungata.
CAXTó IL 41
Si die le bianche, e le vermiglie guance *
Li dove io era della l>ella Aurora,
Per troppa etate divenivan rance.
io. Noi eravam lunghesso 1 mare ancora. ~
■ alunga la notte dopo 3 21 di Ghigno? E vero; ma
ad a&ungaxaì soltanto di poco : e qui sì parìa di un
I cbe anitac quando, dopo che la notte ■ è ragguagliata
al giorno nei S! Settembre, da quel punto in poi ai fin più lunga
del giorno stesso, e quand'essa è giunta a superarlo aovew.Hlaawinte>
ai » Ottone*, nlora addio BOnmde. Chi saprebbe dir queste cose
•fll càe le biamcke eoe. £ un riepìlogo grassosissimo dell'alba,
dePaurora e di tutte le Casi di questa, considerando questi tre stati
dola luce per una persona, cioè per una donna, cbe va passando per
le sue tre età della giovine***, maturità e vecchiaia, nelle quali pre-
domina 3 bianco per la gioì incarna, il vermiglio per la maturità, il ran-
cio per la vetehiaia. Tale è appunto quella htce cbe precede la na-
scita del Sole. Dapprima è bianca, ecco T alba; poi avvicinandosi dì
pie il 8ote, si fa vermiglia, ecco l'aurora propriamente detta : final-
mente al- primo spuntar del Sole cbe è rancio, si fu rancia; ecco le
ultime rasi dell'aurora dove si tocca con la nascita del Sole.
7 Noi eravam ecc. Dante nota questo punto di parteusa che t
da' piedi del monte a livello del mare, per m ragion già detta, che
ci quale un' anima del Purgatorio dovea far tutto il monte , come
k> facevano le vere purganti. Dunque di questo monte noi siamo a
sera- ahessa. Richiamo l'attenzione a questo, perchè nelle Tavole del
Purgatorio, noto in un'apposita colonna le migfia d'altessa che Dante
andrà acquistando ; le quali altezze sommate poi insieme nel fine del
Purgatorio ci daranno l'alterna complessiva di tutto il monte ; seb-
bene la si sappia anche prima d'ora, avendo noi provato nell'ultimo
deH'/fi/er*o dietro i cenni di Dante, che il monte del suo Purga-
torio ha miglia 95 di alterna, o più veramente miglia 94'S/ti, come
il vero Inferno, perchè anche il Purgatorio è un cono tronco alla
punta; il cono d' Inferito è tronco di </64 di miglio per la ghiaccia;
e il cono del Purgatorio è parimenti tronco di f/ei di miglio pel Pa-
radiso terrestre, opposto cosi alla ghiaccia. Questi due luoghi Dante
li ha tatti esattissimamente simmetrici l'uno all'altro, e noi ammi-
reremo l'architettonico disegno del Purgatorio, come abbiamo ratto
con ta struttura dell' Inferno.
42 PURGÀTOBIO
Come gente che pensa suo cammino, '
Che va col cuore, e col corpo dimora : 9
Ed ecco qual, sul presso del mattino, *°
Per li grossi vapor Marte rosseggia "
Giù nel ponente sopra il suol marino;
• Come gente. Come disse nei Cauto I: Noi amdavam per lo #o-
lingo piano — Com'uom che torna ecc.; cosi qui dice: Noi eravam
lunghetto il mare ancora — Come gente ecc.
Che pensa suo cammino. Con questo Dante ci dipinse tatto l'atto
delle loro persone. Chi pensa suo cammino, guarda, esamina, accenna,
si consiglia e sta in un tal quale cipiglio, cose tutte che indicano
la sua incertezza. Si trattava di trovare un'altra salita, secondo il
detto di Catone : Poscia non sia di qua vostra rtddita; — Lo
eoi vi mostrerà ecc.
9 Che va col cuore eco. U notare quel sentimento che prova chi
ha fretta di andarsene, ed è costretto a starsi fermo per non saper
qual via prendere, è da attento studioso della natura. Dante in toccar
queste fibre del cuore è gran maestro. Questo è un ritardo di viag-
gio, che dobbiam calcolare per le ragioni dette nella mia Tavola II
deir/*/erno, e che troveremo nelle Tavole del Purgatorio in appo-
sita colonna.
iOSul presso del mattino. Vicino al mattino, sulT appressarsi del
mattino. Mattino è diverso da mattina.
t* Per li grossi vapor ecc. Marte è uno dei primari pianeti satel-
liti del Sole, intorno al quale compie la sua rotazione in 22 mesi e
messo. Le circostanze che fanno veder Marte nella sua massima bei-
lessa, sono : 1. guardarlo un poco prima del mattino, ossia dei cre-
puscoli, perchè allora l'abbiamo basso verso ponente, e si sa che gli
astri, quanto sono più bassi e tanto compariscono più vasti per le
ragioni dell'ottica; 2. guardarlo mentr'è sopra e vicino alla marina,
perchè sollevandosi da lei più densi vapori, che dalla terra, la luce
di Marte si fa per quelli più rosseggiante. Potete veder questo ef-
fetto ogni giorno o nel Sole o nella Luna, che all'orizzonte sono
rossastri, appunto perchè la loro luce passa per densi vapori, e quanto
più s'innalzano al meridiano e tanto più si rischiarano. Perchè Dante
sceglie Marte per significar l'angelo condottiero delle anime pur-
ganti? Perchè come il lume di Marte si suppone qui a fior fiore della
marina, cosi addiviene similitudine adequatissima pel lume angelico,
che Dante vedea lontan lontano a fior d'acqua verso oriente.
CANTO IL 43
Coiai m'apparve, s'io ancor lo veggia! {i
Un lume per lo mar venir sì ratto, w
Che'l muover suo nessun volar pareggia; u
Dal qual com' io un poco ebbi ritratto l5
totiPio ancor io veggia! Così mi tocchi in sorte di vederlo un'al-
tra volta morendo io in grafia di Dio, e appartenendo cosi anch' io
al numero di quelle anime fortunate, che saran condotte da quel-
l'angelo al Purgatorio, che se è luogo di pena, è pur luogo di si-
curezza. Che bel pensierino pieno di pio e focoso affetto, e quanto
ben collocato!
** Un lume. Oli oggetti che si veggono a grande distanza, non
compariscono per intero, ma dapprima si vede solo un incognito in-
distinto, spiccando però in questo stato confuso e generico quelle
parti che sono più luminose. Per esempio, se in distanza ci fosse una
fiaccola di una candida torcia sostenuta da un candelabro suboscuro,
quello che si vede prima è il lume, poi la torcia sottoposta e, final,
mente, accostandosi più, il candelabro. Così è in questo caso. Prima
non può altro dire se non che vedeva un lume, ed era la feccia rag-
giante dell'angelo.
Per lo mar. Per qual mare? Pel mare di nord-est, che sarebbe
l'oceano Atlantico, che dal Purgatorio va alle colonne di Ercole, ora
stretto di Gibilterra, e per esso alle foci del Tèvere. . .
Venir ti ratto. Onde. conobbe siffatta velocità? Da quel che
dirà nell'altra terzina.
u Che'l muover suo ecc.. Rende ragione della velocità dei due mi-
nuti assegnati a tutta l'azione che narra (Vedi nota 1). Perchè quel
lume (che vedremo esser l'angelo guidator delle anime purgande)
correva con tanta velocità? 1. perchè è naturale alla tragrande po-
tenza angelica il movimento velocissimo; 2. perchè è consentaneo
alla prontezza di obbedienza, con cui eseguiscono gli angeli i voleri
di Dio; 3. perchè un tal movimento velocissimo è tutto favorevole
a quelle anime, che desiderando di goder Dio il più presto* possibile,
desiderano per conseguenza di purgarsi il più presto possibile; ed
è favorevole agli angeli stessi , che più gioiscono, se più prestò la
hanno a compagne nella gloria.
** Dal qual com' io un poco ecc. Ecco la prova del moto velocissimo
di quel lume verso il Purgatorio: nel brevissimo istante che paasò tra
il volgerai a Virgilio per interrogarlo su quel lume, ed il rivolgersi
44 PURGATORIO
20. L'occhio per dimandar lo duca mio, **
ttividil più lucente, e maggior fatto.
Poi d'ogni parte ad esso m'appario f7
Un non sapea che bianco, e di sotto
A poco a poco un altro a lui n 'ùscio.
Lo mio Maestro anoor non fece motto, <8
Mentre che i primi bianchi apparser a)i : '
Àllor, che ben conobbe il galeotto,
Gridò: Fa, fa che le ginocchia cali:
Ecco l'Angel di £)io, piega le mani:
Orna* vedrai di sì fatti uficiali. *°
210
tosto allo stesso lume, gii era diventato e più lucente e maggiore.
È chiaro die gli oggetti luminosi, quanto più sono distanti tanto
più scemano dell* loro luce e della loro grandézza; al contrarlo,
quanto più sì Avvicinano é tanto più crescono in lucfcore e gran-
detta. Questo lume crebne in lucidezza e dimensione : dunque gtf era
venuto 'più vicino di assai. ""'" ' '"
ibPer* dimandar lo Alca vi io. Nemmeno Virgilio, ne sapea nulla.
E la solita deficienza della ragione nello stato della grafìa.' PWtflò
Virgilio resta mutò, né £fi dà sfregane alcuna.
n Poi d'òfyrit patte ecc.' Popò déflfe luce appariscono i colori, e tra
questi il primo bianco, che erano le due ali 'candide dell'angelo. Dun-
que si èra più avvicinato ancora. Ma di questi due bianchi ha una
idea confusa come del lume, perchè ancora la distanza eia grande.
Intanto si avvicinava sempre più , e cosi venne a raffigurarsi un
altro lìlanco sotto le ali candide e la faccia raggiante, e quest'ul-
timo bianco èra la tunica dell'angelo*, ma ancóra tutto era in con-
fuso, perchè non. si conosceva né la feccia, né le ali, né là veste
dell'angelo. Che' bèlle industrie poetiche e scientifiche per dinotai le
distanze e gli avanzamenti !
** Lo mito Maè$ ito ancor ecc. Virgilio, nuovo anch' egli del Pur-
gatorio, non sa riconoscer l'angelo sé non quando s'accorge delle ali.
*• Mentre che. Fintanto che. — Apparser ali. È evidente che sì
dee scartar la lezione aperscr l'ali.
*o Orna' vedrai ecc. Come lo pò tea sapere? 1. Per induzione: se chi
guidava le anime al Purgatorio era uno degli angeli beati, dunque an-
che coloro che si sarebbero trovati in qualche ufficiò del Purgatorio
CANTÒ II. 45
Vedi che sdegna gli argomenti umani, -'
Sì che remo non vuol, né altro velo
Che Vale sue tra liti sì lontani. **
Vedi come V ha dritte verso '1 cielo, i3
Trattando l'aere con l'eterne penne,
Cne non si mutan come mortai pelo.
Poi come più e più verso noi venne il
doveauo esser tali; 2. per informazione diretta avuta poco yrima da
Catone quando gH disse:
Che non si converria l'occhio sorprìso
D'afonia nebbia andar finanzi al primo
Ministro, eh* è di quei di Paradiso.
n Vidi che tdegn* ecc. Virgilio si accorse prima dalle ali che quello
era un angelo, ma essendo afferà troppo distante, non potea vedere
a qual uso quelle ali servissero. Ora che l'angelo si è avvicinato di
più, scorse a che doveano servire, cioè, gii dovean servir di remi
« di vele, che sono gli argomenti umani marinareschi. Desso è un
angelo, e Quindi non può e non deve aver mestieri di umani ordi-
gni. Egli trova in sé stesso il messo per venire a capo fclievmchte
di ogni opera più difficile e pericolosa, qual' è sempre stata una na-
vigatone oceanica, che noi abblam veduto costar la vita di Ulisse
e de1 suoi.
Falla assai ehi nei disegni a questo luogo poue nella mano del-
l'angelo il remo.
» Tnt liti il fontani. Tra i liti d'Europa ed il Purgatorio, ch'era
una traversata di forse 9000 miglia, quante corrono dalla foce del
Tevere al Purgatorio.
» Vedi carne l'ha dritte ecc. Non è ripetizione del pensiero del*
l'ultima terzina antecedente, ma è una gradazione di sempre mag-
giore iscoprimento dell'oggetto e de' suoi atti , mano mano che si
venia accostando. Prima vide Tali aperte, poi ne presunse l'uso, qui
vexW effettuato quest'uso.
*} Poi come più. e pitt ecc. Era naturalo che atta massima vicinanza
dell'angelo il poeta dovesse i dare un tocco risentito a quello ebe era
la cosa jprjncipale dell' angelo, cioè al chiarore che usciva special-
mente dalla sua faccia, in che si mettono gli occhi alla presenza di
una persona.
96
46 PURGATORIO
L'uccel divino, più chiaro appariva;
Perchè l'occhio da presso noi sostenne ; lb
40. Ma chinai! giuso: e quei sen venne a riva
Con un vascello snellettò e leggiero
Tanto, che l'acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero, 27
Tal che parea beato per iscritto, *
E più di cento spirti entro sediero : n
** Perchè Vecchio ecc. Se in tanta distanza Vangelo risplendeva
cotanto, è naturale che giunto alla massima vicinanza, non si potesse
sostenere il suo bagliore.
36 Nulla nt inghiottiva. È naturale che la barchetta non pescasse
menomamente, perchè tutto il suo carico era di spiriti.
vi Da poppa stava, È il solito luogo di chi sta a guida dei va-
scelli , ma qui è messo anche per ultima circostanza, che fa vedere
V approdo dell'angelo. Non si sarebbe potuto distinguere con preci-
sione in qual parte del vascello egli stesse , se non fosse stato del
tutto sotto gli occhi, e perchè la barca veniva direttamente al Pur-
gatorio, e perchè egli spandeva molta luce (Vedi Tav. II, Puff.).
** Beato per iscritto. Evidentemente beato; ossia gli si leggea la
beatitudine in volto. Siccome le cose che sì leggono sono scritte, cosi
è lo stesso dire gli si leggea la beatitudine in volto, e parea beato
per iscritto.
» Entro sediero. Questa maniera di parlare esprime che quegli
spiriti non erano seduti in alto, come sarebbe sulla tolda del va-
scello, ti quale pare non l'avesse: ma esprìme ch'eglino se ne stessero
seduti lunghesso le sponde del legnetto con le piante posate sul fondo
della barca, come una comitiva starebbe seduta entro una gondola.
E perché nessuno di questi spiriti stava in piedi , ma tutti erano
seduti entro la barca? Per indicare eh' essi di questo mondo non si
curavano più né punto né poco, onde la vista delle cose esterne non
potea in loro menomamente.' Inoltre essi cantavano concordemente
un salmo, come si dice nel verso seguente, e quando molti entro
una barca si combinano a cantarellare qualche arietta, noi vediamo
che tutti seggono per essere più concordi nel canto. Finalmente tanta
era la velocità con cui veniva il vascello, che rendeva al tutto con-
veniente il sedere.
CANTO 1{. 47
In exitn Israel de Egitto *
Cantavan tutti insieme ad una voce, 31
Con quanto di quel salmo è poi scritto. a*
Poi fece il segno lor di santa croce ; **
50. Ond'ei si gittar tutti in su la spiaggia, u
30 In exitu ecc. E il salmo degli Ebrei per la uscita di Egitto (113).
Quanto fa bene al caso presente ! Che idea non porge di questo mondo,
de' suoi pericoli e de' suoi disgusti! Che idea non porge di Dio, che
ne li ha liberati con la morte in grazia sua! Che idea non porge
di quelle anime sante e della lor gratitudine al Signore per averle
alfin liberate!
** Ad una voce. Unisoni, come si usa nel canto ecclesiastico, da
un pieno popolo raccolto nel tempio, e massime nel canto dei salmi.
)* Con quanto ecc. Tutto sino al fine. Bisognerebbe leggerlo per
accertarsi che tutto fa a proposito di chi esce da questo mondo per
esser salvo. Per questo dice : Con quanto di quel $almo è poi ecritto.
Io non dirò che la chiusa dei due ultimi, versetti:
Non mortui laudabunt te Domine ; ncque omnee qui deeeendunt
in infemum — Sed noe qui vivimue benedieimus Domino, ex hoc
nunc et ueque in $aeculum.
** Poi /eoe il tegno lor ecc. Era questa la benedisione che dava
l'angelo a quelle anime prima di separarsi da loro, e il segnale dello
sbarco. La benedizione che il superiore dà air inferiore è ripetuta le
tante volte anche nell'antico Testamento, ma si questiona tra gli
interpreti qual segno si usasse allora per quest'atto quando sola-
mente religioso, quando religioso insieme e sociale. Quello che è
certo si è che dopo di Gesù Cristo la benedizione si è sempre data
dai cristiani col santo segno di croco. A questo sf attiene pure il
nostro celestial nocchiero, ed a ragione, Quelle anime furono salve
per la croce, e con la croce deono essere benedette ora che son con-
dotte al porto di salvamento. Il nostro poeta è pieno di fede e di
tenerezza per le sante pratiche della sua religione. Oh se fossero
parimente anche tutti gli ammiratori di Dante! — Che differenza tra
questo celestial nocchiero e il nocchiero di Acheronte!
s* Ond'ei si gittar tutti ecc. Cho differenza tra queste anime elette
che arrivarono al Purgatorio, e quelle anime dannate che arrivavano
alla riva d'Acheronte. Queste cangiar colore e dibàtterò i denti, —
Ratto ohe inteser le parole crude, e però si ritraevano o indugia-
vano a salir Bulla barca, onde Caronte battea col refno qualunoué
4S PURGATORIO
Ed el seri gì, come venne, veloce. 3b
La turba che rimase lì, selvaggia *
Parea del loco, rimirando intórno, *7
Come colui che nuove cose assaggia. 3g
Da tutte parti saettava il giorno *
l'adagia. — Bestemmiavano Iddio t i lor parenti ecc. Invece quelle
del Purgatorio dopo i lieti canti e la benedizione dell'angelo, si gittan
leste sulla spiaggia, come a grande ventura di esservi giunte.
w Ed ti sen gì ecc. Faccio notare la prontezza con cui eseguiscono
le loro azioni questi due soggetti, angelo ed anime. Le anime sbar-
cano subito e volonterose , però si disse si gìttar tutti ì che esprime
ardenza di azione. L'angelo, appena sbarcate l'anime, parte veloce-
mente alla volta di Roma, per un altro imbarco. Non si poteva espri-
mere meglio né il contento dell'anime pel loro arrivo, uè il gusto
dell'angelo in si nobile officio, che colla speditezza di entrambi. La
causa degli uomini e degli angeli qui apparisce legata in modo da
formarne un spio interesse, l' interesse della gloria di Dio e della loro
eterna beatitudine.
36 La turba che rimase lì. Perchè il poeta fa sostare alquanto
queste anime sulla spiaggia, e non le fa correre invece sull'istante
alla loro pena? Per attenersi alla natura di tali avvenimenti. Avrete
torse osservato le tante volte, che quando un vascello sbarca una
moltitudine di forestieri, questi, appena sbarcati, ranno crocchio sul
porto guardando ora la nave che li approdò, ora il paese a cui sono
approdati, intanto che tra loro fanuo mille discorsi. Dante non di*
montica mai la natura, quantunque sia in un regno sopra naturai
perchè la legge della poesia così gli ordinava. Per tal modo si apre
la via a nuove scene le più care che mai si sieno vedute.
Selvaggia. Straniera, nuova, inesperta del luogo. E tolto dai
selvaggi, che non hanno conoscenza di cosa alcuna dalle lor selve
in fuori, e perciò di tutto si maravigliano.
37 Parta* Appariva. Da eho appariva selvaggia del loco? Da quel
che si dice subito appresso, cioè dal rimirare intorno.
38 Assaggia. Assai sentitamente dice assaggia, e non ammira, con-
sidera od altro: perchè col primo sguardo che volgono i forastieri
alle cose intorno, non fanno che prenderne un saggio confuso e gè-
nerico.
39 Da tutte #ar ti ecc. Costruite così : Lo sol, ch'avea con le saette conte
di mezzol ciel cacciato il Capricorno, da tutte parti saettava il giorno.
CANTO D. 49
Lo sol, eh' avea con le saette conte
Di mezzo '1 ciel cacciato il Capricorno,
Da tutte parti saettava il giorno — Lo sol. Ecco la vera na-
sata .del Sole atte 6.10 addì 9 Ottobre, il qua! giorno dobbiamo
calcolare ti Purgatorio, se a Gerusalemme avremmo 10 Aprile. Tutti
i commentatori, che io ho veduto, spiegano queste parole e questa
tesina per 2 ore dopo la nascita del Sole, ma per verità non è che
la nascita stessa tutta effettuata sino al lembo inferiore del disco.
Ora proviamo che questa è la nascita compita di tutto il disco so-
lare esaminando tutte le parole di Dante.
Prima dice, che il Sol saettava il giorno da tutte parti. Che è
questo: Da tutte parti? Forse per tutte le parti dell'emisfero, o
per meglio dire, dell'orizzonte da oriente ad occidente? Mainò. In
tal caso avrebbe detto: Per tutte parti. Questo: Da tutte partivi
riferito al Sole, non agli oggetti illuminati dal Sole. Dunque va in-
teso cosi: Da tutte parti del suo disco il Sole saettava o raggiava
il giorno. E quando è che il 8ole manda la sua luce a noi da tutte
le parti dei suo disco? Quando è già sopra il nostro orizzonte, anche
solo una linea.
Basta questo per poter dire con tutto il rigore dei termini che
il Sole saetta il giorno da tutte parti, ossia da tutte parti è a noi
visibile e sopra e sotto. Ecco in secondo luogo da che proviene
T errore di quelli che qui intendono due ore di Sole, dal riferire il
da tutte parti air oggetto, invece che al soggetto. Poi Dante dice
che il Sole con le saette conte di messo il cielo avea cacciato il Ca-
pricorno. Anche queste parole sono una prova che il Sole era nato
appena appena. Vediamolo.
Se il Sole nascesse nel primo grado di Ariete, avrebbe il Ca-
pricorno nel giusto meriggio, essendo che la distanza tra l'Ariete
ed il Capricorno è di un quarto di cerchio, ossia di tre costellazioni
di due ore l'ima, che Bono Pesci, Acquario e Capricorno, e quindi
ci avrebbe la distanza di 6 ore.
Ma il Sole non è nel primo grado di Ariete, sì bene nel grado 20
verso il Toro che segue nel mese di Aprile, il che porta di tempo
ore 1 .20, le quali aggiunte alle 6 delle tre costellazioni , ci danno
ore 720. In conseguenza il Capricorno quando nasce il Sole ai 9 Ot-
tobre dee trovarsi oltre il meriggio di ore 1.20 ohe è il guadagno
che ha fatto il Sole nei suoi 20 gradi di Ariete verso il Toro.
Prendete in mano la miaTav. VII, Pur g., e avanzando dall'Ariete
di Aprile giorno 10, corrispondente negli antipodi di Gerusalemme
4
50 PURGATORIO
Quando la nuova gente alzò la fronte *°
Ver noi, dicendo a noi : Se vo' sapete 4I
al 9 Ottobre, troverete Pesci (che abbiam già vedati sull'orizzonte
prima che nascesse il Sole, Canto I) Acquario e Capricorno.
Dunque resta provato, che appunto perchè il Capricorno fa
cacciato da mezzo il cielo, e cacciato di 20 gradi, il Sole deve essere
appena nato, o appena sorto tatto sali' orizzonte , e non già che il
Sole sia alto due ore, come vogliono tutti i commentatori.
Resta ora a vedere che cosa sono le saette conte del Sole. Sono
in poche parole le saette famose, tanto celebrate dai poeti latini,
che in fin dei conti altro non sono che i lunghissimi e splendentissimi
raggi coi quali il Sole caccia le tenebre, e coi quali qui con somma
grazia si fa che il Sole si cacci innanzi il Capricorno, al poeto del
quale vuol entrare il Sole nel mezzo giorno, o nel mezzo cielo.
*Q Aitò la fronte — Ver noi. Dunque li due poeti stavano allora
più in alto di quelle anime, e la ragione è chiara, perchè chi smonta
da una barca sul lido, mette il piede al confine dell* acqua colla terra,
all' incontro chi dalla terra viene al lido, non vi si inoltra al segno
di chi smonta da un battello, e quindi resta più alto degli smontati,
supponendo sempre, come abbiam veduto nel Canto I, che il piano
sia inclinato.
Da ciò anche si rileva chiaramente, che quando i poeti partendo
da Catone, discesero al mare, Dante stette alla debita distanza da
questo, mentre Virgilio discese di più, anzi entrò nelle prime onde
per cogliere il giunco prescritto, colto il quale, ritornò con esso a
Dante per cingerlo ai lombi, come Catone avea ordinato. Ecco per-
che le anime nuove dovettero alzar la fronte verso i poeti. Osser-
vate la Tav. II, Purg.
H Dicendo a noi, $e vo' sapete — Mostratene ecc. Sono anime che
mai non vennero à questi luoghi, e quindi non è maraviglia, se non
sanno per qual parte, o strada si salga per ire al monte, ossia al
Purgatorio, che è su quel monte.
È certo che teologicamente parlando quelle anime dovean sapere
la salita del monte, ma non cosi parlando poeticamente e umana-
mente: esse in quest'ultimo senso la doveano ignorare, e perciò,
veggendo persone, che credeano pratiche di quel luogo, ragionevol-
mente la doveano dimandare.
Come si vedo, Dante attribuisce alle auime purganti gran parte
del fare e del sentire che aveano quando viveano nel loro corpo e
CANTO II. 61
60. Mostratene la via di gire al monte,
E Virgilio rispose : Voi credete 4t
Forse che siamo sperti d'esto loco; w
Ma noi sem peregrin come voi siete. u
Dianzi venimmo innanzi a voi un poco 4i>
Per altra via, che fu sì aspra e forte, *
Che lo salire ornai ne parrà gioco.
L'anime che si far' di me accorte, kl
le fa parlare ed operare molte volte in guisa, che non parrebbe da
que* luoghi; ma tali fantasie del poeta non ai troveranno diretta-
mente contrarie al dogma, ned egli avrebbe altrimenti potato com-
porre la sua Commedia.
Noto un'altra cosa ed è la voglia di quelle anime per ire ai
tormenti, perchè appunto hanno voglia di purgarsi per veder Dio
il più presto possibile.
42 E Virgilio rispose. In questo fatto può risponder Virgilio, per-
chè era cosa puramente naturale. E poi si trattava di una risposta
negativa, cioè che nemmen essi poeti sapeano la via che si dovesse
tenere. Dante lascierà sempre a Virgilio, anche qui in Purgatorio,
una cotal supremazia su di sé, ed una direzione superiore in tutto
ciò, che sarà ristretto ai limiti naturali.
W Forse perchè forse e non cerio f Perchè anche la dimanda di
quell'anime era concepita in modo dubitativo.
4i Peregrin, come voi siete. Nuovi come voi.
4» Un poco. Allora erano le 6.10 antim. (come abbiamo veduto)
e abbiamo pure veduto (Append. al Canto XXXIV, Jnf.) che i poeti
sbucarono al Purgatorio alle ore 2.50 antim. Dunque questo Diansi
venimmo innanzi a voi un poco, si riferisce allo spazio di tempo che
corre tra le 2.50 e le 6.10. Vuol dir dunque : Siamo qui giunti da
sole ore 3.20.
ttPer altra via ecc. Per la via d'Inferno, che però non dice,
perchè non era del caso lo specificarlo. Noi abbiamo veduto abba-
stanza la difficoltà del cammino d' Inferno. La natura di una tale
risposta dovea stuzzicare immensamente la curiosità di quelle anime,
ed è un grande artifizio poetico l' introdurla, perchè così si creano
incidenti sempre nuovi e naturali.
47 Vanirne che si fur ecc. Alla strana risposta di Virgilio era na-
turale, che quell'anime fissassero ben bene i due forestieri, ed ecco
52 PURGATORIO
Per lo spirar, oh' io era ancora vivo,
Maravigliando diventaro smorte.
70. E come a messaggier, che porta olivo, **
Tragge la gente per udir novelle, *•
E di calcar nessun si mostra schivo ; w
Così al viso mio s'affisar quelle
Anime fortunate tutte quante,
Quasi obliando d' ire a farsi belle. 5I
che fissandoli, si accorgono di una grande novità, la novità che uno
di essi due era vivo , e se ne accorgono non dal romore dei piedi
(che allora Dante con Virgilio stava fermo), né dalla voce (che al-
lora Dan fé taceva), ma dal respiro, che produce un movimento del
torace, per l1 aria che un corpo vivo dee aspirare e respirare dai
polmoni, di che non han bisogno le anime. Laonde è naturale in esse
una maraviglia, che va allo smarrimento.
*s Che porta olivo. Le fiondi di olivo sono il segno della pace,
portata dai messaggieri, o araldi, che ora con voce barbara si di-
cono parlamentari, i quali in luogo di olivo usano presentemente
innalzare bandiera bianca, o fazzoletto bianco. La venuta di tali
personaggi suscita in tutti la più veemente curiosità, e la suscitava
assai più nel medio evo, quando i Comuni tutti d'Italia si gover-
navano da sé medesimi, e il popolo intero prendeva parte ai consi-
gli o della pace o della guerra.
*9 Per udir novelle. Quali sarebbero le condizioni della pace signi-
ficata per T olivo.
so E di calcar ecc. Nessuno ha riguardo dell' altro per cacciarsi
avanti più che può.
M Quasi obliando d'ire ecc. Perchè quasi obliando t Perchè vera-
mente non poteano obliare il loro fortunato destino, al quale anzi
aveano rivolto la punta del lor desiderio. Infatti lo aveano mostrato
appena sbarcate; perchè dopo due soli minuti d'incertezza sulla strada
da prendere, vedute due persone sul lido, eh' erano i due poeti, cre-
dendoli aperti del luogo, prima ancora di giungere affatto ad essi,
li pregarono dicendo : Mostratene la via di gire al monte. — A farsi
belle. A purgarsi o delle colpe veniali, o del reato delle colpe mor-
tali già rimesse e non del tutto espiate con opere satisfattone, meutre
viveano. Dobbiamo qui ammirare la perizia poetica di Dante. Egli
dovea, come teologo, porre in quest'anime purganti un veemente
CANTO TI. . 53
F vidi una di lor trarresi avatite w
Per abbracciarmi con si grande affetto,
Che mosse me a far lo somigliante. *3
O ombre vane, fuor che nelT aspetto ! 54
impulso, die le spingesse alla loro purgazione, e tuttavia come poeta
gli mettea bene rattenerle a servigio di nuove scene che si voleano
aprire al lettore. Come ottener questo senza ledere i diritti della teolo-
gia? Eccolo: con offrir loro uno spettacolo di curiosità si nuovo e ma-
raviglioso, che potesse interessarle per un momento almeno. E lo spet-
tacolo fu appunto la sua stessa persona, un vivente al Purgatorio.
Chi non le avrebbe scusate del loro fermarsi e della voglia d' inten-
derne la ragione?
9*1' vidi tma ecc. Quest'anima aveva motivi particolari, e perso-
nali per far più dell'altre verso Dante, cioè per lanciategli ad un
tenero abbracciamento, perch'era conoscente ed amico di Dante, come
vedremo subito. Questa dimostrazione di affetto che un troppo ri-
goroso teologo penerebbe a giustificare, se non fosse altro, perchè
ritarda lo slancio delle anime a Dio, un altro teologo più moderato
troverebbe invece di giustificarla appieno, perchè i segni d'affetto
di quest'anima hanno più del soprannaturale, che del naturale, stante
che sono gioie di un' anima eletta per vedere, che anche Dante suo
amico è in grazia di Dio, e che certamente sarà un giorno tra gli
eletti con lei.
** A far lo 80 mi gitante. Ad abbracciarlo con grande affetto.
** 0 ombre vane, fuor che ecc. Come si dice nell'Inferno, le anime
che escono dal corpo, e vanno all'altra vita, ricevono in senso poe-
tico un corpo aereo in luogo del vero lasciato al mondo. Allora queste
anime assumono il nome di ombre, che sono vane, perchè hanno un
corpo formato di vano aere, che non si può palpare e stringere co-
me il nostro solido. Ma non sono vane nell'aspetto, perchè riten-
gono le dimensioni; le forme ed il colorito del vero corpo un di pos-
seduto.
Un dubbio. 8e dunque l'aspetto non era vano, ma vero, cioè
serbava le sembianze del corpo antico, com'è che Dante non conobbe
a prima vista questo suo amico, ma aspettò che parlasse, e allor lo
conobbe, come dirà un po' più sotto? Due sono le ragioni del non
averlo conosciuto sull'istante dell'abbracciamento : 1. Perchè essendo
quella un'anima eletta, e quindi in grazia di Dio, doveva avere
un aspetto assai migliore di quello che aveva in vita; 2. Porchò i
54 PURGATORIO
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
£ tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi, 55
Perchè l'ombra sorrise, e si ritrasse;
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi. M
Soavemente disse eh' io posasse : *7
Àllor conobbi chi era, e pregai, **
Che, per parlarmi, un poco s'arrestasse. w
Risposemi: Cosi, com'io t'amai
60
soli lineamenti e fattezze di una persona potrebbero ingannare, suc-
cedendo talvolta che uno sia eguale all'altro, come spesso avvien
ne* gemelli : per conoscere adunque con certezza una persona, oltre
le sembianze del volto ci vuole anche il suono della voce, essendo
assai difficile e per poco impossibile, che due persone si combinino ad
avere e la persona e la voce precisamente uguali.
M Di maraviglia, eredo, ecc. Dante non sa con certezza se abbia
manifestato' in volto la meraviglia nel vedere che abbraccia, e nulla
strìnge, perciò dice eredo ; e noi sapea, perchè quando si opera per
un grande slancio di affetto, la mente non considera troppo, onde
la cosa ci passa, senza saper come. Da che poi raccolse Dante d* es-
sersi dipinto di maraviglia? DalTaver veduto queir ombra sorrìdere.
Dunque il perchè di questo luogo non vale per la qual cosa, ma
per ciò che.
** Ed io seguendo ecc. È naturale, che Dante nell* inavvertenza
del suo operare, credendo trattar come al solito nel mondo, rifacesse
i suoi abbracciamenti! attribuendo a sbaglio delle sue braccia, quello
eh* era invece difetto dell'ombra.
57 Soavemente disse ecc. Essendo un* anima che al mondo avea
avuto una voce soavissima, perciò la fa parlare soavemente anche qui,
s* Allor conobbi ecc. Il segno della voce unito al segno delle sem-
bianze, gli diedero la certa conoscenza della persona.
39 Un poco ecc. Perchè un poco? Perchè sapea che quell'anime non
erano qui per fermarsi, ma erano portate dal loro stesso istinto a
salire alla pena. Perciò prega e prega solo di poco.
«0 Risposemi: Cosi ecc. Osservate bene il senso di questa terzina,
credo, non inteso finora da nessuno. Tutti i commentatori credono
di averla spiegata con dire : Come ti amai in vita, così t'amo adesso.
CANTO II. 55
Nel mortai corpo , così t'amo sciolta;
90. Però m'arresto : ma tu perchè vai ? 6i
Ebbene, spiegando cosi, so tanto quanto prima, ne valea la pena di
spiegarla. Per cavarne il vero senso è mestieri che ci rammentiamo
quanto abbiamo detto alla nota 51 di questo Canto. Quelle anime
hanno un istinto; che le porta alla pena pel desiderio, che sentono
di veder Dio il più presto possibile, né varrebbe ad arrestarle nessun
motivo puramente naturale, come sarebbe la naturale affezione che
si ha tra amici. Dante dee conservar loro questa proprietà, altrimenti
degraderebbe queir anime, e contrarierebbe il loro istinto. Non ci
avrebbe però altro motivo per cui si potessero arrestare, che un
motivo di ordine soprannaturale, quale sarebbe quello somministrato
dalla religione e dalla grazia divina, che è quanto dire il motivo
deQa vera carità evangelica. Ebbene questo è appunto quel solo, in
forza del quale si arresta questo amico di Dante, e con lui le anime
sue compagne. Non si arresta per qualunque amore, anche di forca
grandissima, ma ristretto ai limiti naturali : egli si arresta in forza
di un amore assai più puro e sublime, l'amor che viene dalla ra-
gione e da Dio, e che si chiama carità. In sostanza egli vuol dire:
Come in vita t'amai, non naturalmente, ma soprannaturalmente, cosi
soprannaturalmente, e non naturalmente ti amo adesso. Non manco
dunque al mio carattere, se secondando un amore si tanto, si re-
ligioso, si soprannaturale, mi formo teco per pochi istanti; ansi io
mancherei a quella carità che qui si raffina, se per tuo bene non
volessi arrestarmi.
Dopo tutto questo intenderete la ripetizione di quella particella
co&i: cosi, e non altrimenti che cosi, io t'amai, e t'amo; ed è solo
perchè t'amai cosi, che io posso e debbo e voglio arrestarmi.
Oltre di ciò, chi ben mira, in questo cori ripetuto, hawi la prova
che dimostra esser vissuto Casella sempre da buon cristiano, perchè
altrimenti non avrebbe potuto dire, che qui ama Dante di quella
viva carità, colla quale lo amava in vita; che carità tale non può
accogliersi che in cuore, il quale sia in grazia di Dio.
Dunque Casella è messo dal poeta tra quei pochi fortunati che
ruggirono sempre il peccato mortale, e non caddero che in venialità ,
il che però bastava per subir quella pena di tardanza al Tevere che
or or si dirà.
m Ma tu perchè vai t A che fine ottenesti un privilegio si grande,
tu vivo?
56 PURGATORIO
Casella mio, per tornare altra volta 6*
Là dove i' son fo io questo viaggio, 63
Di8s' io; ma a te come tanta ora è tolta? u
0* Cattila mio. Casella era un fiorentino amico di Dante, peritis-
simo della musica, bravo compositore e cantante. Secondo il Crescim-
beni, egli àvea messo in musica qualcuna delle canzoni di Dante. Il
Boccaccio d descrive Dante per molto appassionato e dilettante di
musica, e l'Ottimo ci fa l'elogio del musico Casella.
Per tornare altra volta. Venni al Purgatorio (che è luogo di
salvazione) da vivo per poterci ritornare da morto. È facile poi il
conoscere come la vista dei tormenti del Purgatorio inflitti per il pec-
cato giovi assaissimo per fuggirlo e quindi salvarsi. È sempre il con-
cetto cattolico che predomina.
to Là dove i' son. Dove io sono presentemente. Il là che precede
non altera il senso; perchè si può dire: La dove io sono e qua dove
io sono indistintamente.
6*3fa a te come tanta ora è tolta? A te, che sei morto da un
pezzo, come fu tolto si gran tempo qual si è quello daBa tua morte
al di presente, in che giungi qui? Quando sia morto Casella le cro-
nache noi dicono ; ma par certo da quel che si dice più sotto, ch'egli
fòsse morto prima che cominciasse il Giubileo, cioè prima di tre mesi
addietro dal giorno presente 10 Aprile 1300. Dunque Dante suppone
poter avvenire, anzi essere avvenuto che uno muoja senza che su-
bito la sua anima, già uscita in grazia, vada ai Purgatorio a scon-
tarvi U propria pena, ma che invece le sia differito questo passag-
gio e intanto resti (come tosto vedremo ) alle bocche del Tevere a
vedere altre anime partire pél Purgatorio, fino a nuove disposizioni
di Dio sul suo conto. Questa finzione poetica di Dante non è con-
traria alle credenze cattoliche sui defunti, come ci vuole insegnare
il signor canonico Bracone Bianchi ne* commenti su questo passo,
dove dice : « Che tutto ciò è fuor della credenza cattolica, che non
ritarda punto alle anime dei morti il luogo da esse meritato. » Ma
io rispondo : Non è forse un Purgatorio anche il ritardo del Purga-
torio ? Anzi il ritardo del Purgatorio non è un Purgatorio maggiore
del vero? £ perchè dunque Dio non potrebbe ritardarlo a chi si me-
rita ohe gli sia ritardato? Sa egli che Dio non l'abbia mai fatto?
Basta questo per un poeta perchè senza distruggere o contraddire
la credenza cattolica possa ammetterlo come un caso possibile. Dante
non lede mai i principj cattolici in un poema che è per concetto e
CANTO IT. 57
Ed egli a me : Nessun m' è fatto oltraggio C5
Se quei che leva e quando e cui gli piace, 66
Più volte m' ha negato esto passaggio ;
-Che di giusto voler lo suo si face : w
Veramente da tre mesi egli ha tolto 68
per fine cattolico. Ma Dante non solo è teologo ma. poeta, e quindi può
a giusta ragione ammettere come un fatto quello che è sol probabile.
Intanto abbiamo qui un bel luogo parallelo (col suo debito di-
vario, s* intende) ad uno d'Inferno: anime sospese là, ed anime so-
spese qua. I sospesi d' Inferno erano nel primo cerchio dove stava
Virgilio, ed i sospesi del Purgatorio sono parte alla foce del Tevere,
e parte nell'atrio del Purgatorio; e tanto questi dell'atrio, quanto
quelli del Tevere nella sospensione del lor Purgatorio penavano assai
più che se vi fossero entrati, e quindi erano sottoposti ad un vero
castigo espiatorio.
Questo sistema è congegnato maravigliosamente bene.
. Ora qual fu la colpa di Casella, che gli meritò d'essere ritar-
dato alla foce del Tevere? Dico che dovea essere stata una colpa
tale, che non togliesse la grazia di Dio, ossia colpa o colpe veniali.
Provo. A nota 60 abbiamo veduto che Casella amava Dante, nel
mondo, come lo ama qui. Ma qui lo ama in carità e santamente.
Dunque in carità e santamente lo amava in vita. Ma questo non
può unirsi col peccato mortale. Dunque la colpa di Casella non era
mortale. Che maraviglia per un bravo cantore che fosse un po' di
vanità e di ambizione della sua bella voce!
6* Nessun m'e fatto oltraggio. Ecco una bellissima qualità dell'anime
sante, che escono del corpo, una si perfetta conformità ai giusti vo-
leri di Dio, da prenderne le difese, quantunque soggiacciano ai ri-
gori della sua giustizia.
66 Se quei che leva e quando ecc. Se l'angelo, quel celeste noc-
chiero che accoglie nella sua barca chi vuole, e quando vuole, più
volte mi rifiutò questo passaggio, e me lo ritardò sino al giorno
presente.
67 Che di giusto ecc. Il voler dell'angelo battellante si fa del voler
divino, e quindi di voler giusto, al quale le anime sante uscite dai
corpi sono conformatissime.
W Veramente ecc. È il latino vcrumtamen, tuttavia, ciò nulla ostante.
Non ostante cioè che io dovessi attendere chi sa per quanto tem-
po, alle foci del Tevere prima che mi fosse concesso il passaggio al
58 PURGATORIO
Purgatorio, sorse una tale circostanza felice che mi abbreviò la esclu-
sione o l'esiglio, e questa fu l'occasione del grande e famoso Giu-
bileo centenario di Bonifazio Vili con indulgenza plenaria applicabile
a' vivi e defunti. Si chiarisce da questo luogo che Casella era morto
prima del Giubileo, altrimenti non parlerebbe così ; e quindi cade
la supposizione di molti che credono Casella presente in Roma con
Dante al detto Giubileo.
Da tre mesi egli ha tolto — Chi ha voluto ecc. Ecco dichiarato
il tempo scorso dal principio del Giubileo del 1900 sino a questo
giorno 10 Aprile pure 1300. Come risultano questi tre mesi? Eccolo.
L'anno santo va per iure da un Natale air altro, ossia dai 25 Di-
cembre. La Bolla poi di Bonifacio Vili prescrive le visite di 15 giorni
pei pellegrini, e di 30 giorni pei Romani. Dunque fino che non erano
passati 15 giorni dal 25 Dicembre 1299, con che si andrebbe sino
alli 8 Gennaio 1300, nessuno poteva avere acquistato la indulgenza
ed esser tolto in barca dall'angelo alla volta del Purgatorio. Dibattete
adesso questi 15 giorni da giorni 108 quanti scorrono da 25 Dicem-
bre a 10 Aprile, ed avrete giorni 93: da questi poi dibattendo il
giorno corrente 10 Aprile perchè appena incominciato, trovandoci alla
nascita del Sole ; e dibattendo pure una metà del di di Natale che
passa prima dell' anno santo, e dibattendo anche quel pò1 di tempo
che è necessario a Casella per venir dal Tevere al Purgatorio, tempo
brevissimo, se in due minuti si vide dalla maggior distanza al lido,
come abbiam notato di sopra, nota 1 e 39, vi trovate avere giorni
91 */) che corrispondono appunto ad una metà di giorno e tre mesi,
due de" quali, cioè Gennaio e Marzo sono di giorni 31, e Febbraio
di giorni 29, perchè il 1300 era bisestile. Ecco la ragione perchè il
poeta usò la frase da tre mesi, perchè non sono tre mesi in punto,
ma sono tre mesi ed un mezzo giorno. Questa di Dante si dice esat-
tezza, ma di quella fine.
Se questo calcolo è esatto, come pare fuori di dubbio, dunque
il giorno di Pasqua in cui siamo oggi al Purgatorio, è veramente
il 10 Aprile, che abbiamo stabilito nella nostra Tav. II de\V Inferno,
dietro 1* autorità di messer Donato Giannotti, che abbiamo veduto
adoperare il Calendario di Dante prima della correzion Gregoriana.
Perchè se oggi non siamo al 10 Aprile, non è possibile che ci com-
biniamo coi tre mesi qui indicati da Dante; ali* incontro ci combi-
niamo perfettamente ritenendo la Pasqua al 10 Aprile.
Ci potrebbe servire di una controprova il vedere che, nel 1300,
il 10 Aprile cadeva appunto in Domenica. Come si fa a conoscerlo?
Con una osservazione semplicissima, ed è la seguente. Noi sappiamo
dalla Storia di quel Giubileo (Rohrbacher, Storia dellaChieta, lib. 76,
CANTO li. 59
Chi ha voluto entrar con tutta pace. 69
an. 1300) che la calca dei divoti fu immensa nel giorno che si mo-
strava la Veronica, ossia nella prima Domenica dopo l'ottava di Epi-
fania, la quai Domenica in quell'anno cadeva nel 17 Gennaio. Dunque
la Domenica susseguente cadeva nel 24 Gennaio, la susseguente an-
cora ai 81 e cosi di seguito. Troveremo procedendo di questo passo,
(ricordandoci però che il Febbraio del 1300 è bisestile, quindi di
giorni 29) che appunto il giorno 10 Aprile cade in Domenica.
Dunque quelli che fanno cominciare il viaggio di Dante addì
4 Aprile (giovedì santo) e quindi mettono la Pasqua del 1300, addì
6 Aprile, sappiano che questo giorno non cade in Domenica, e con
ciò solo è rovesciato il loro computo. A questo argomento non credo
si trovi risposta.
In conferma di quanto abbiamo detto, osservate l'opera insigne
dei Maurini : L'Art de verifier le* dates — Pari», 1110, Table chro-
nologiqve : Le» Pàquei. Vi troverete la Pasqua del 1300 nel giorno
10 Aprile.
£ questo fia suggel che ogni uomo sganni.
69 Con tutta pace. Con plenaria indulgenza, quale si acquista nel
Giubileo.
Un dubbio. L'indulgenza plenaria del Giubileo non rimette forse
tutta la colpa e tutta la pena in modo, che se uno acquista perfet-
tamente il Giubileo se ne va diritto al Paradiso? Com'è dunque che
si trasportano al Purgatorio dall'angelo anche quelli che noi vediamo
qui avere acquistato il Giubileo? Rispondo : 1. Che Giubileo o non
Giubileo, bisogno o non bisogno di satisfare con pene di Purgato-
rio, tutte indistintamente le anime che escono in grazia di Dio, s'im-
barcano ^secondo il sistema di Dante) alle foci del Tevere, e sono
condotte al Purgatorio, dove restano se hanno da purgarsi, e per
dove passano, se non hanno questo bisogno. Lo dice Dante poco
sotto in quelle parole: Perocc h è sempre quivi si raccoglie ecc.;
2. Che l'acquisto del Giubileo in modo perfettissimo non è cosa facile.
San Filippo Neri seppe che nel Giubileo del suo tempo solo una vec-
chierella lo aveva acquistato compiutamente; 3. Che quantunque il
Giubileo sia per sé una indulgenza plenaria con remissione intera di
colpa e di pena, pure anche in esso si acquista indulgenza o più o
meno secondo che più o meno si è disposto, e secondo che più o
meno si fanno opere meritorie in quel tempo, come ha dichiarato Bo-
nifacio VITI nella sua Bolla pel Giubileo del 1300, che qui abbiamo,
60 PURGATORIO
100. Ond' io eh' er' ora alla marina volto, 70
Dove l'acqua di Tevere s'insala, 7I
Benignamente fui da lui ricolto. n
A quella foce ha egli or dritta l'ala:
Perocché sempre quivi si raccoglie 73
in queste parole, che sono in fine di essa Bolla : « Ma quanto più ci
verranno spesso, e devotamente (alle visite), e tanto più il loro me-
rito sarà grande e l'indulgenza efficace. » Dal che si rileva che non
ostante l'acquisto della indulgenza potrebbe restar qualche cosa da
satisfare potendosi essa acquistare o più o meno ; 4. Che si potrebbe
commettere qualche lieve mancamento anche dopo acquistato il pieno
Giubileo, e intanto con questo mancamento morire, per cui si rende
necessario il Purgatorio : 5. Che in quanto all'applicazione della in-
dulgenza ai defunti, questa potrebbe non succedere intera sebbene
l'applicante non sia mancato in veruna cosa da sua parte, perchè
ciò dipende dai beneplacito di Dio, che accorda più o meno, e forse
niente, secondo che più o meno , e- forse niente, si merita il pur-
gante. L'applicazione della indulgenza fetta per Casella (come si vede)
o gli fa fatta tardi da' suoi amici e parenti, o gli fu fatta imperfetta,
o se anche era perfetta, Dio' dispose che non gli fòsse concessa su-
bito, il che tutto è secondo la credenza cattolica sulle indulgenze.
70 Ch'er'ora. Dunque il tempo speso nei tragitto da Ostia al Pur-
gatorio fu tanto breve da potersi dire : Ora io era ad Ostia ed ora
stesso son qui. Questo modo di parlare non porterebbe che pochi
minuti.
Anche questa osservazione è fotta da Dante in persona di Ca-
sella, per giustificare la rapidità della venuta dell'angelo, che poi ab-
biamo veduto essere di due soli minuti, quanti corrono dal principio
del disco solare al suo fine nella sua comparsa sull'orizzonte.
Perchè dice volto f Per indicare che suo unico desiderio era l'es-
sere trasportato al Purgatorio, e quindi guardava sempre a quella
parte, onde l'angelo veniva ed andava.
ti Dove l'acqua ecc. Dove l'acqua dolce del Tevere sbocca in mare
e diviene salata. A quella foce è Ostia.
7 2 Benignamente ecc. Qualche buon'anima in quel dì gli dee aver
applicata l'indulgenza; giacché l'indulgenza del Giubileo e applica-
bile ai vivi ed ai defunti.
78 Perocché sempre quivi ecc. Secondo il sistema poeticamente cat-
tolico di Dante, tutte l'anime che vanno a salvazione, come furono
CANTO II ei
Qual verso d'Acheronte non si cala.
Ed io : Se nuova legge non ti toglie 74
Memoria, o uso all'amoroso canto, n
Che mi solea quetar tutte mie voglie, 76
unite in vita a Roma, centro della vera religione pel romano Pon-
tefice, che vi risiede, così dopo la separazione del corpo deono adu-
narsi alla foce del Tevere, e quivi aspettare il loro momento di par-
tenia sul vascello dell'angelo che le conduce tutte al Purgatorio, di
dove passano al paradiso terrestre che è sulla cima di quel monte,
e di là al paradiso empireo.
È bello e giusto il divisamente di Dante di farle andar tutte
al Purgatorio perchè è caso quasi improbabile che le anime, per sante
che sieno, non abbiano bisogno di qualche purga; se è vero com'è
verissimo il detto di Giob: Septiea caditjuatus; e l'altro: In angeli*
sui* reperii pramtatem; e l'altro ancora: Ecce qui eerviunt et non
sunt itatele*.
E l'anime che vanno alla dannazione dove Dante le fa egli unire?
Dante le fa unire alla bocca d' Inferno sotto la riprovata Gerusa-
lemme, come abbiamo detto nel nostro Discorso preliminare. Vedi
Tav. I, In/. La scelta di questo ingresso pei dannati è fatta con
molta sapienza, affinchè essi ricevano la loro maledizione da quel
Calvario medesimo, che dovea essere la loro salute, e non l'hanno
voluta.
7* Se nuova legge ecc. Se qualche legge a te posta e alle anime
tue compagne nella nuova condizione in cui ti trovo, non ti ha tolto
la memoria o .l'uso della musica.
7* Amoroso canto. Non di amore profano, ma santo e divino. Di
canzoni d' amor profano Dante non avrebbe certo toccato a Casella,
ornai divenuto anima santa del Purgatorio. Questa è anche una prova
del genere di musica a cui s'era dedicato Casella, cioè ad una mu-
sica santa e religiosa ; e questa è pure la prova per conoscere di
quali canti si dilettasse il nostro poeta , cioè di quei canti che in-
nalzano la mente ed il cuore a Dio.
76 Che mi solea quetar ecc. Quel canto affettuoso e soave , che
mi rapiva siffattamente da obbliare ogni affanno , e trovarvi anzi
ogni diletto. Le armonie d'una bella voce hanno la proprietà di ra-
pire siffattamente il cuore, che pare non vivere in lui verun altro
affetto, che il piacer di quei suoni. Perciò la musica fu usata in ogni
tempo per addolcire le amarezze della vita, ottenendo in questo
62 PURGATORIO
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
100. L'anima mia, che con la sua persona 77
Venendo qui, è affannata tanto.
Amor che nella mente mi ragiona, w
Cominciò egli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente 79
effetti portentosissimi. Questo di ogni music* : a più ragione poi di
quella musica che viene avvalorata da pensieri e motivi cattolici ,
capace essa sola di attutire i piaceri sensuali, e di lanciare il cuore in
Dio fonte d'ogni piacere; capace essa sola di sollevare un'anima abbat-
tuta dalle sventure. Noi sappiamo quante il nostro poeta ne avesse.
77 L'anima mia, che con la sua persona — Venendo ecc. Cioè unita
al corpo, e non divisa come le vostre. Noi abbiani veduto quanta
fatica ubbia dovuto durar Dante per tutto il lungo viaggio d'In-
ferno, e per l'altro, pur lungo dall'Inferno al Purgatorio; e ciò per
avere l'impaccio del corpo. Allude alle parole dette sopra da Vir-
gilio in risposta alle anime nella prima lor giunta : Per altra via,
che fu sì aspra e forte, — Che lo salire ornai ne parrà giuoco. Al-
lude pure a tante angosce provate alla vista di tanti tormenti, e
tanti tormentati in Inferno.
78 Amor, che nella mente ecc. £ il principio della seconda canzone,
che si trova nel Convito di Dante, spiegata da lui medesimo, dove
discorre del suo amore alla filosofia, ma filosofia cristiana, piena di
pii pensieri. Casella santo, che la cantò al Purgatorio , ne è una
prova. È poi dimostrato dal contesto, che questa è una di quelle
canzoni che Casella avea messe in musica , e che avea cantato iu
vita a Dante medesimo. La prova di ciò la trovate nella penultima
terzina :
Ed io: Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all'amoroso canto,
Che mi solea quotar tutte mie voglie.
Da questa terzina apparisce chiaro che Dante vuol da Casella un'aria
di quelle, che gli solea cantare in vita.
7» Lo mio Maestro, ed io. E cosa di poco rilievo, ma la noto perchè il
non eseguirla sarebbe errore. Quando ci dobbiam nominare con altri,
dobbiam nominarci in secondo luogo, come qui e altrove fa Dante-
CANTO II. 63
Ch'eran con lui, parevan sì contenti 9 80
Come a nessun toccasse altro la mente. "
Noi eravam tutti fissi, e attenti
Alle sue note, ed ecco il veglio onesto, 82
*o Parevan si contenti. Il solito parere per apparire, mostrarsi
evidentemente.
** Come a nessun toccasse ecc. Come nessuno s'interessasse di altro,
o non fosse occupato da nessun altro interesse.
Un dubbio. Come mai quell'anime, che abbiamo detto portate
per istinto a Dio, ed ai mezzi, che loro raffrettavano, quali sono
le peue del Purgatorio, ora si sviano da questo fine per umane
canzoni?
Rispondo: 1. Che la canzon cantata da Casella era di scusi tutto
religiosi e santi, e che in sostanza avrebbe potuto essere cantata auche
in cielo, perchè innalzava a Dio, ed era una vera lode di Dio. Dun-
que non bisogna dire che Casella ed i suoi si sviassero per umane
canzoni: era questo piuttosto un aguzzare il desiderio, che avevan
di Dio, ed un prelibarne la beatitudine; 2. Che Casella ed i suoi
compagni si fermarono a questo canto, perch' era un atto di carità
esercitato verso un fratello bisognoso, al quale nemmeno i beati si
ricusano; 3. Che quanto alla sospensione del loro Purgatorio, tanto
da loro desiderato, qual mezzo per giungere a Dio, la poteauo tol-
lerar volentieri in vista appunto del giovamento spirituale che potean
con quel canto recare ad un uomo ancor mortale.
Leggiamo in fatti di santi (tra gli altri di Mosè e San Paolo)
che quantunque assai desiderosi di andarsene a Dio, tuttavia pel
bene dell'anime desideravano di starsene ancora in terra : e S. Igna-
zio diceva a questo proposito, che sé fosse stata in lui la scelta o
di andare subito a posseder Dio, o di restarsene a questo mondo
a zelar la salute dell'anime, coli' incertezza del paradiso, di buon
grado si sarebbe appigliato a quest'ultimo partito. Dunque quelle
anime avevano buona ragione di arrestarsi, la qual loro ragione non
potea conoscere né sentire Catone , perchè non mosso come quelle
da carità soprannaturale; donde i suoi rimproveri.
M Ed ecco. Questo ed ecco vale un tesoro , tanto è ben col-
locato.
Il veglio onesto. Catone. Lo dice onesto, cioè venerabile per la
maestà dell'aspetto, come lo disse nel I Canto: Degno di tanta ri-
verenza in vista.
64 PURGATORIO
120. Gridando : Che è ciò spiriti lenti ? M
Qual negligenza, quale stare è questo ?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio, M
Ch'esser non lascia a voi Dio manifesto.
Come quando, cogliendo biada o loglio
Gli colombi adunati alla pastura, 8b
Queti, senza mostrar l'usato orgoglio, **
Se cosa appare ond'elli abbian paura,
Subitamente lasciano star l'esca
130. Perchè assaliti son da maggior cura; *7
*3 Gridando: Che è ciò spiriti lenti? La nota virtuosa severità
di Catone, che ad altro non guarda, che al fedele adempimento dei
commessogli uffizio, quanto non è qui bene tratteggiata!
8i Scoglio. Scoglio è la camicia o la veste, che ha formato intorno
a sé stesso il serpente stando sotterra nel verno, da cui esce alla
primavera. Ebbene ora che per quell'anime hyems transiit, imber
abiit , et recessit , si può dire ad esse exuite veterem hominem et
induite vos novum hominem qui secundum Deum creatile est ecc., ite
a spogliarvi di quella scorza , che fece intorno a voi V inverno del
mondo, e colla quale non potrete giunger a veder Dio.
85 Gli colombi. Vaghissima e bene appropriata Bimilitudine i cui prin-
cipali riscontri col fatto delle anime sono questi: il queto e tranquillo ci-
barsi dei colombi adunati e l'attento ascoltare delle anime al canto di
Casella: e la fuga scompigliata dei primi per improvvisa paura, e il pre-
sto fuggire di quelle anime alla presenza e al rimprovero di Catone.
86 Queti. Perchè attendono alla pastura. Senta mostrar l'usato
orgoglio. Questo orgoglio consiste nei movimenti altezzosi che danno
al collo, camminando, onde par che facciano pompa di sé stessi. Questa
specie di colombi è molto timida.
87 Da maggior cura. Dalla cura, o sollecitudine di salvarsi , che
è maggiore dell'amor dell'esca. Circostanza benissimo appropriata a
quelle anime. La paura di Catone che non sapeano chi fosse, né che
autorità vi godesse, ma che presero per una gran cosa, servì a dis-
taccarli dal canto per la cura di loro intera salvezza, che si com-
piva pel Purgatorio, e dalla quale s'erano momentaneamente distolte
per carità del prossimo, cioè di Dante, assaggiando colà come di furto
uu granellino di piaceri armonici di paradiso.
CANTO II. 65
130. Così vid' io quella masnada fresca M
Lasciar il canto, e fuggir ver la costa,
Com' uom che va, né sa dove riesca : 89
Né la nostra partita fu nien tosta.
8* Masnada fresca. Masnada venuta di fresco, da poco al Pur-
gatorio. Vedremo al principio del Canto seguente quanto tempo fosse
trascorso dalla sua venuta a questo momento della fuga.
Ora il termine masnada ha un senso obbrobrioso: nel trecento
non era così. Le masnade erano truppe di soldati onorati d' Italia,
detti perciò masnadieri, presi agli stipendi or d'una or d'altra re-
publica secondo i bisogni. In processo queste masnade si diedero alle
ruberie ed al delitto : perciò il loro nome restò in senso di vitupero.
89 Cora* uom che va ecc. Catone né ai poeti , né a quelle anime
indicò qual fosse la salita ; ma almeno ai poeti, per ragion di Dante,
che avea corpo , disse : Poscia non sia di qua vostra reddiia. A
quell'anime invece ch'erano senza corpo era buona qualunque salita.
0
CANTO III
ARGOMENTO.
Dal mare corrono i poeti su per la pianura inclinata. S'arre-
stano finalmente a pie della roccia impraticabile che cinge il Pur-
gatorio. Se ne starino dubbiosi del dove trovar la salita. Veggono
intanto a sinistra venir verso di loro alcune anime. Vanno ad in-
contrarle, e dimandano per dove si potrebbe salire. Le anime ac-
cennano, e vengono coi poeti. S'accorgono che Dante è vivo, ed un
di loro, cioè Manfredi re di Sicilia, gli si manifesta, dichiarando
ch'eran anime riconciliate bensì con Dio in morte, ma partite dal
mondo colla scomunica della Chiesa, e perciò non ammesse per lungo
tempo a fare il lor purgatorio.
XB. Vedi tutti i casellini di questo Canto nella mia Tav.I e la Tav. 11, Purg,
Avvegnaché la subitana fuga
Dispergesse color per la campagna, i
Rivolti al monte, ove ragion ne fruga; *
* Dispergesse ecc. Precisamente come fanno i colombi per improv-
viso spavento fuggenti dal campo, che svolazzano dispersi qualche
tratto, tendenti ad unirsi più da lungi.
* Rivolti ecc. Già per istinto erano portati al monte , e perciò
nella fuga tengono quella direzione. Vedi Purg. Tav. II.
Ragion ne fruga. Giustizia divina ne fruga, ossia ne cerca in
ogni parte colle pene per lavarci ogni macchia
i
68 PURGATORIO
Io mi ristrinsi alla fida compagna: 3
E come sare' io senza lui corso ?
Chi m'avria tratto su per la montagna ?
Ei mi parea da sé stesso rimorso : 4
O dignitosa coscienza, e netta, b
Come t' è piccipl fallo amaro morso ! 6
io. Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
Che Tonestade ad ogni atto dismaga, 7
La mente mia che prima era ristretta, 8
* Io mi ristrinsi ecc. È una antitesi , e sta iu questo : Sebben
tutte l'anime nella fuga si dispergessero, io ch'era pur fuggente non
mi divisi però dalla compagnia {compagna) di Virgilio. Ciò era na-
turale, perchè le anime non aveano bisogno l'ima dell'altra; ma Dante
avea bisogno di Virgilio. Questo bisogno lo esprime nei due versi,
che seguono.
* Ei mi parea ecc. Virgilio mostrava nell' atteggiamento della
faccia mesta ed avvilita come un rimorso di coscienza, e ciò per essersi
meritato un indiretto rimprovero di Catone, in quanto che permet-
tendo a Dante d'arrestarsi, ed arrestandosi egli stesso con gran pia-
cere dietro il canto di Casella, fu cagione, che quelle anime pren-
dessero dal vecchio un rimbrotto.
3 0 dignitosa ecc. Nel Canto I d' Inferno abbiam detto abba-
stanza della probità di Virgilio. In quanto poi fu preso a significar
la ragione pura, questa lode gli si affa ancor meglio.
6 Come t'è picciol fallo ecc. Per Virgilio, come per Cafone, quella
fermata e quel canto fu un fallo, e lo doveva anche essere, attese
le cognizioni limitate che si attribuiscono a Virgilio ed a Catone.
Ma noi abbiamo dimostrato che non fu un vero fallo né per Dante
nò per le anime, giacché tutto provenne dall'amore di Dio che fa
essere amorevoli verso il prossimo.
7 Che V onestade ad ogni ecc. Dante osserva che il correre non
è conveniente alla dignità ed alla modestia, che dee serbare ne' suoi
movimenti ogni uom grave, e che quella fuga avea dismagato, o
fatto perdere a Virgilio il suo contegno grave mantenuto fino allora.
8 La mente mia, che ecc. La paura, nell'atto che stringe il cuori',
stringe anche la mente. Infatti quando siamo dominati da una improv-
visa paura la mente nostra si fa confusa, e limita la cerchia di sue vedute
CANTO 111. 69
Lo intento r allargò, sì come vaga ; *
E diedi il viso mio incontro al poggio, i0
Che inverso il ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, !l
Rotto m' era dinanzi, alla figura, "
9 Lo intento r allargò, à ecc. Railargò la sua ristrettezza essendo
(sì come) ornai libera (vaga). Libera da che? Libera dalla paura,
che fu cessata col cessar del correre di Virgilio. Perchè chi non
fugge più, vuol dire che è fuori di pericolo, e quindi non è più do*
minato dalla paura.
40 E diedi il viso ecc. Guardai alla cima del monte , la quale si
solleva più d'ogni sua parte dal livello delle acque, o si dislaga più
in alto. Perchè guardò alla cima, e non al piede per cui dovea trovar
la salita? Perchè sempre chi sale una montagna guarda più facil-
mente, e più spesso la cima che altro, essendo quella il termine di
sue fatiche. E naturalissimo.
*i Lo sol ecc. Il sole è rossastro (roggio) quand'è vicinissimo al-
l'orizzonte dopo la nascita e prima del tramonto, e ciò proviene dal
venirci la sua luce all' occhio orizzontalmente, o quasi, alla terra, e
dal passare ch'essa fa per le esalazioni terraquee. Di mano in mano
poi, che il sole s'innalza sull'orizzonte, perde quel color rosso e si
atteggia al giallo, perchè i raggi della sua luce passano da esso al
nostro occhio traversando solo per piccoli strati di vapori. Questo
stato del sole può durare poco più di u^ ora, che a n. 16 si deter-
mina per ore 1.20. Avendo adunque veduto di sopra, Canto II, n. 39,
ehe il sole era levato tutto sull'orizzonte, e che perciò erano le 6.10
antimeridiane per essere noi nel Purgatorio ai 9 Ottobre, corrispon-
dente ai 10 Aprile di Gerusalemme, ne viene per conseguenza che sieno
passate ore 1.20 dopo le 6.10. Dunque abbiamo ore 7.30 antim. Ciò
verrà confermato alla nota 16 susseguente.
te Rotto m'era ecc. Dunque Dante avea il sole alla schiena, e il
monte in faccia, stando rivolto verso occidente. In questa positura
Dante gettava l'ombra della sua persona non dall'uno dei fianchi,
ma dal dinanzi della sua persona. I raggi del sole trovando un corpo
denso, opaco ed impermeabile, si arrestano a questo corpo (ecco il
sole rotto), e di qui l'ombra sulla terra. £ qual figura disegnava
quest'ombra? La figura di un uomo, ossia di Dante, perciò egli dice
alla figura , cioè al modo di quella figura che delineavano i raggi
rotti ed appoggiati in me.
70 PURGATORIO
Ch'aveva in ine àe suoi raggi l'appoggio.
Io mi volsi dallato con paura "
20. D' essere abbandonato, quando i' vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura.
E '1 mio Conforto : Perchè pur diffidi, u
A dir mi cominciò tutto rivolto ; "
Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi?
Vespero è già colà, dov'è sepolto *6
Lo corpo, dentro al quale io facev' ombra:
*8 Io mi volsi dallato ecc. Dopo l'ingresso in Inferno è questa la
prima volta che Dante si trova con Virgilio a splendore di sole, e
quindi è naturale, che si faccia maraviglia delle differenze che il sole
ha in lui ed in Virgilio. Questi avendo corpo aereo, lasciava passare
i raggi del sole , e però non gettava ombra : Dante invece, che avea
vero corpo, gettava la sua ombra. Onde Dante, che era a' fianchi
di Virgilio , non vedendo dinanzi a sé due ombre ma la sola ombra
sua, è naturale che tema d'essere da Virgilio abbandonato, e si volga
dallato per accertarsi se Virgilio c'era o non c'era.
i* Conforto. Virgilio.
« Tutto rivolto. Chi parla con grande affetto ad una persona già
bisognosa di conforto si rivolge tutto. a lei.
«6 Vespero è già colà ecc. Gli rende ragione perch'egli non getti
l'ombra in terra come Dante, ed era perchè non aveva corpo, il quale
tolto da Brìndisi fu portato a Napoli e colà sepolto. A Napoli poi,
qual'ora faceva in quel momento che Virgilio cosi parlava ? Dice che
facea vespero, o sera, la quale comincia appena tramontato il sole.
Vuol dire in somma che per Napoli tramontava il sole. Infatti dovea
esser cosi. Eccone la prova. Quanti gradi di distanza abbiamo tra
Gerusalemme e Napoli? La distanza di 20 gradi. Ma noi sappiamo
che il sole impiega un'ora a percorrere 15 gradi, e perciò minuti 20
a percorrere 5 gradi. Dunque se il sole tramontava per Napoli, già
di ore 1.20 era tramontato per Gerusalemme. E poiché il Purgatorio
è antipode di Gerusalemme, perciò se di ore 1 .20 è tramontato per
Gerusalemme, di ore 1.20 parimente è sorto pel Purgatorio. Nascendo
esso ai Purgatorio alle 6.10 nel 9 Ottobre in cui siamo, se a queste 6.10
si aggiungano ore 1.20, abbiamo ore 7.30. Con ciò, come si vede,
si determina più precisamente Torà solo accennata di sopra alla
nota 11 del sole roggio.
CANTO III. 71
Napoli l'ha, e da Brandisio è tolto. {1
Ora se innanzi a me nulla s'adombra,
Non ti maravigliar, più che de7 cieli, i8
30. Che l'uno all'altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, e caldi, e geli i9
Simili corpi la Virtù dispone; *°
Che come fa non vuol che a noi si sveli. *!
Matto è chi spera che nostra ragione **
t? Napoli ecc. Virgilio reduce dalla Grecia giunto a Brindisi cadde
malato, e vi mori. Indi il suo corpo fu trasportato e sepolto a Napoli,
dove gli fu innalzato per Augusto un magnifico mausoleo sul quale si
disse che sorgesse spontaneo e ingigantisse col tempo un bellissimo lauro.
** Più che de* cieli, — Che ecc. Secondo il sistema Tolomaico, i cieli
sono di una sostanza che è sottilissima, e perciò lasciano passare
la luce d'uno in altro.
*9 A sofferir ecc. Dice il poeta il perchè Dio forma intorno alle anime
dell'Inferno e del Purgatorio questo corpo aereo, cioè perchè bì patisca
nel corpo aereo quello che si sarebbe patito nel vero corpo, se si
avesse. Laonde quando risorgerà il vero corpo, e sarà dalle anime
pigliato, non ci sarà più bisogno del corpo aereo, il quale non ò che
una sostituzione precaria del vero. Io non veggo come si possa dire che
questa sia una teologia bizzarra, come la chiama il Venturi, non inten-
dendo già Dante di proporci né un dogma, né un'opinione teologica, ma
servendosi di tal finzione solo per poter dipingere sensibilmente le varie
scene di spiriti, che nelT immaginato viaggio non si sarebbero potuto
rendere manifesti senza un corpo visibile. Del resto chi potrebbe ap-
puntar d'errore una tale opinione? Non dà Dio un corpo aereo anche
agli angeli, quando gli manda sulla terra in qualche missione ?
20 La Virtù. La Virtù divina, la Virtù per eccellenza, la Virtù
in persona, in somma Dio.
2* Che come fa ecc. Dio non ci svela il modo con cui questo opera,
né vuole che noi lo sappiamo. Il perchè è quello che abbiamo detto
ed è evidente; il modo non si sa, e non si può sapere.
22 Matto è chi spera ecc. Giacché Virgilio toccò a Dante un fatto evi-
dente, qual'era l'attitudine del corpo aereo a sofferir tormenti e caldi
e geli, il che sarebbe il perchè, o il quia della cosa, e dichiarò che
non si conosceva il modo (il come) di questo fatto, perchè Dio noi
volle dirci, toglie di qui occasione di sferzare la pazzia di coloro,
72 PURGATORIO
Possa trascorrer la infinita via,
Che tiene una Sustanzia in tre Persone.
State contenti, umana gente, al quia] **
Che se potuto aveste veder tutto, u
Mestier non era partorir Maria.
che presumono con ragione finita misurare l'infinito, quale è Dio
nelle sue operazioni fuori di sé, o ad extra, come le chiamano i Teo-
logi, ed accennate dal Poeta in quell'infinita via che Dio tiene,
ed in sé medesimo e nelle operazioni ad intra accennate in quella
circonlocuzione con cui nomina Dio una Sostanza in tre Persone, che
è il massimo e più incomprensibile dei misteri. La Chiesa stessa nella
Festa della SS. Trinità ripete quasi questa medesima sentenza, colle
parole di Paolo: 0 altitudo divitiarum scientiae et Bapicntiae Dei !
quamincomprehensibiliasunt judicia ejns, etinvestigabilet vico eju* !
» Al quia. Al perchè degli effetti, che vedete, ossia all'uso degli
effetti stessi, quale si era, pei caso di sopra, che diede origine a
questa intemerata, il perchè dei corpi aerei, che aveano l'anime pe-
nanti dell' altro mondo, il quale perché era evidentissimo, cioè perchè
quell'anime possano penare anche corporalmente, senza che si pre-
suma d'investigare come ciò avvenga, il che sarebbe voler cono-
scere sempre anche le cause, non contenti degli effetti, alla sola co-
noscenza de' quali Dio vuole che ci limitiamo sovente. In sostanza
il quia nelle scuole del Medio Evo era la dimostrazione che ora noi
diciatto a posteriori, che dagli effetti giudica delle cause; come il
propter quod era la dimostrazione che ora noi diciamo a priori ,
che dalle cause giudica degli effetti.
2* Che %e potuto ecc. Se aveste potuto veder tutto, avreste veduto
tutte le conseguenze immensamente funeste del peccato (alludesi ad
Adamo ed Eva) e cosi non avreste peccato, e quindi non si rendeva ne-
cessaria la redenzione per mezzo dell' incarnazione del Verbo. Tutti i
commentatori spiegano questo verso così : Mestier non era che Maria
partorisse. Io invece sarei tentato di spiegare: Mestier non era che fosse
partorita Maria. Ambo questi sensi riescono alla stessa conclusione,
e quindi sarebbe per sé indifferente prender l'uno o l'altro. Ma ali* ac-
cennata spiegazione m' inclina l'osservare, che Dante sparge per tutta
la Divina Commedia la vita di Maria, e mancherebbe un cenno della
sua natività quando non si volesse vedere in questo luogo. Né la na-
scita è mai trascurata dal Poeta, quando sia interessante; come non la
trascurò per Virgilio, per S. Francesco, per S. Domenico.
CANTO Iti. 73
40. E disiar vedesti senza frutto *i5
Tai, che sarebbe lor disio quetato,
Ch* eternalmente è dato lor per lutto.
r dico d'Aristotele, e di Plato,
E di molti altri: e qui chinò la fronte, 26
E più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto appiè del monte:
Quivi trovammo la roccia sì erta *7
Che indarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerici e Turbìa, la più diserta, *
50- La più rotta ruina è una scala
Verso di quella agevole e aperta.
23 E disiar vedesti ecc. Altra prova che i'uom non vede tutto è
la condizione di quelli, che son sospesi nella città dei Savi nell'In-
ferno, i quali con tutto il loro ingegno non adorar debitamente Iddio,
quel Dio per cui si sentivano fatti, e il desiderio del quale è ora
lasciato loro in pena ; desiderio che sarebbe stato lor soddisfatto dopo
morte in cielo, se avessero adorato Dio debitamente in vita. Del
valore di questa prova potea rendere testimonianza Dante medesi-
mo, che avea veduto co' suoi propri occhi quegli spiriti magni del
primo cerchio d* Inferno, e perciò Virgilio cita lui parlandogli in se-
conda persona e dicendogli: e desiar vedesti.
*$ E qui chinò la fronte, E più non disse ecc. — Perchè tra questi
agraziati era pure esso Virgilio, ond'è naturalissimo questo suo tur-
bamento.
& Quivi trovammo ecc. E quella cinta di roccia che comincia a
circa 7 miglia sopra il livello del mare, dove aveva sua stanza Ca-
tone, e donde discesero al mare. Vedi Purg. Tav. II.
28 Tra Lerici e Turbìa ecc. In quel gran semicerchio che forma
d'ambo i suoi lati la riviera di Genova, bay vi Lerici ad oriente sul
golfo della Spezia, e Turbia ad occidente nella contea di Nizza. Tutta
questa riviera è corsa al Nord dalle Alpi marittime, che la riparano
dai venti settentrionali. Prendete dunque in tutta questa gran corda
di montagne quei punti, che sono più impraticabili, e li troverete
una scala agevole ed aperta in confronto. di questa roccia del Pur-
gatorio. Vedete che anche noi nel nostro disegno, Tav. II, Purg.y
abbiamo fatto la montagna assai erta dietro la descrizione dantesca»
74 PlTK<*ATOKl< >
Or chi sa da qual man la costa cala, **
Dis«e il Maestro mio, fermando il passo, Ju
Sì che possa salir chi va senz'ala? 3I
E mentre che, tenendo il viso basso, M
Esaminava del cammin la mente, a8
Ed io mirava suso intorno al sasso, 3*
Da man sinistra m' apparì una gente 3*
D'anime, che moviéno i pie ver noi,
29 La costa cala. Chi sa dove la roccia è meno erta, se a dritta
od a manca.
30 Fermando il passo. Più avanti non si potea andare per la roccia
di fronte: volgendosi a dritta od a manca non si sapeva di far bene:
dunque intanto fermarsi e pensare. È naturalissimo.
31 Chi va senz'ala. Non vuol dire di se, perchè quantunque non
avesse ali, pure non avea corpo grave, ma vuol dire di Dante, che
avendo corpo grave non aveva ali; ed ali ci voleano a salire in
quel sito.
32 Tenendo il viso basso. Tutto natura. Quando non si sa la via
da prendere, in quella incertezza si fanno tre atti: 1. Si ferma il
pie; 2. Si china il viso; S. Si pensa, il che si dira subito appresso.
33 Esaminava del cammin la mente. Esaminava la propria mente
intorno al cammino. Ma e che cosa esaminava di quel cammino, se
Virgilio non era mai stato in quei luoghi, e perciò non ne avea pra-
tica alcuna? Ciò non ostante io dico che Virgilio potea prendere ad
esame due circostanze , e tentar se da quelle potea decidersi se do-
vesse cercar la salita verso destra o verso sinistra. Le due circo-
stanze erano: 1. Lo indirizzo che diede a loro Catone in quelle parole :
Poscia non sia di qua vostra reddita:
Lo sol vi mostrerà, che surge ornai,
Prender il monte a più lieve salita.
2. La direzione presa dall'altre anime nella loro fuga. Queste due
cose doveano essere la materia de' suoi pensieri.
34 Ed io mirava suso ecc. Naturalissimo anche questo, che di due
i quali cercano una via e non sanno quale , mentre Y uno pensa ,
T altro guardi.
39 Da man sinistra. Dal mezzodì, perchè i poeti stavano colla faccia
al monte, Occidente, e colla schiena all'Oriente.
CANTO III. 75
#>• E non parevan, sì venivan lente. 3C
Leva, dissi al Maestro, gli occhi tuoi: 87
Ecco di qua chi ne darà consiglio,
Se tu da te medesmo aver noi puoi. 38
Guardommi allora, e con libero piglio 39
Rispose: Andiamo in là, ch'ei vegnon piano,40
E tu ferma la speme, dolce figlio. 4I
Ancora era quel popol di lontano, 4*
36 E non parevan ecc. Non si vedeva, non appariva che venissero
verso di noi, perchè ci venivano lentamente. Se il moto delle per-
sone, che vediamo l'abbiamo traversalmente al nostro viso, allora
ce ne accorgiamo, quantunque esso moto sia poco ; ma se il loro moto
è diretto alla nostra vista, allora bisogna che sia veloce perchè ce
ne accorgiamo, altrimenti un moto lento lo prendiamo facilmente per
immobilita. £ perchè queir anime venivan lente? 1. Perchè state
assai lente in vita a pentirsi, mentre si pentirono solo in sul morire ;
2. Perchè passate dal mondo coi legami della scomunica, che impe-
discono la scioltezza. Quindi la tardità era loro pena molto conve-
niente, oltre T esclusione dall' incominciar subito il vero Purgatorio.
37 Leva ecc. Non, leva gli occhi tuoi al monte , perchè le anime
vedute non erano in alto sopra la cerchia di rocce, si bene sotto e
lunghesso la cérehia (vedi Purg. Tav. II); ma leva gli occhi tuoi
dal suolo. A questo li aveva avvallati quando fu detto: E mentre
che tenendo il viso basso, n. 32.
** Se tu da te medesmo. È sempre V insufficienza della Ragione
nel regno della grazia, che ci vuol dimostrare.
*& Guardommi ecc. Sono tratti di schietta e cara natura famiglia-
rissimi al cuor paterno.
*o Ch? ei vegnon piano. Virgilio vide quello che non ha potuto veder
Dante, vide che camminavano lente, e ciò perchè la forza visiva,
essendo qualità naturale e non soprannaturale, era più acuta in Vir-
gilio che in Dante.
** E tu ferma ecc. Da ciò si vede che Dante si mostrava alquanto
angustiato , ed era naturale , per V imbarazzo in cui vedeva la sua
Btesaa guida. Questo conforto è molto opportuno.
tt Quel popol. In tempi di grande venerazione, ma anche di gravi
torti a Roma papale ed a' suoi temporali diritti, quali furono quelli
7G PURGATORIO
T dico dopo i nostri mille passi,
Quanto un buon gittator trarria con mano ;
70. Quando si strinser tutti a' duri massi w
Dell'alta ripa, e stetter fermi e stretti, u
Come a guardar chi va dubbiando stassi.
O ben finiti, o già spiriti eletti,
Virgilio incominciò; per quella pace
Ch' i' credo che per voi tutti s'aspetti,
Ditene dove la montagna giace, i5
SI che possibil sia l'andare in suso:
Che il perder tempo, a chi più sa più spiace.
Come le pecorelle escon del chiuso **
80. Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno
di Dante, e del secolo precedente; in tempi che vedeano frequenti
casi di ben meritata scomunica, non è fuor di proposito il trovar
qui non pochi, ma un popolo di scomunicati.
**■ Quando si strinser ecc. Perche si strinser tutti a* duri massi?
Perchè maravigliati di veder qui due sconosciuti, che non eran del
loro numero, e che in tanto tempo che giravano il monte non ave-
vano mai veduti. £ per questo strìngerai a* duri massi? SI. Perchè
è lo stesso che dire che quell'anime addatesi della novità, si leva-
rono il più che fosse loro possibile per accertarsi della cosa, e per
elevarsi, dovettero farsi più che potevano presso alla roccia, che
era più alta della via che facevano ; e quanto più erano stretti alla
roccia, e tanto più erano alti, e meglio vedevano gli atti delle per*
sone che loro si veniano avvicinando. Perciò si dice subito appresso :
massi dell'alta ripa.
** Stetter fermi e stretti. Fermi a guardare chi fossero, e stretti
gli uni agli altri , e tutti alla rupe più alta , cercando ciascuno di
vedere meglio che poteva, con innalzarsi dal lato della ripa, ov-
vero rupe.
** Giace. Dove la rupe è meno erta , meno verticale. Il giacere
applicato a luoghi è un verbo prediletto di Dante , e suona incli-
nazione.
46 Come le pecorelle ecc. È superfluo, anzi dannoso spiegare questa
bellissima ed evidentissima similitudine.
CANTO HI. 77
Timidette atterrando l'occhio, e 'l muso,
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
Addossandosi a lei s'ella s'arresta.
Semplici e quete, e lo imperché non sanno :
Sì vid' io mover, a venir, la testa 47
Di quella mandria fortunata allotta, **
Pudica in faccia, e nell'andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
La luce in terra, dal mio destro canto, 49
90. Sì che l'ombr'era da me alla grotta;
Ristaro, e trasser sé indietro alquanto, 50
" E tutti gli altri, che venièno appresso,
*7 Sì vid* io mover ecc. Figuriamoci bene quella processione di
anime. Elie si erano prima arrestate, veggendo due che non erano
di loro. Arrestate le prime, si dovettero arrestare per conseguenza
anche tutte le altre dopo, senza saperne il vero perchè, saputo sol-
tanto dalle prime che videro li due sconosciuti, e non dall'altre che
non li poterono vedere impedite dal giro del monte. Intanto que-
st'anime sono pregate da Virgilio, e allora la loro testa si muove.
Di mano che si muove la testa, ossia le prime, si muovono anche
l'altre dopo, successivamente. Quand'ecco un altro fermarsi della testa
per l'altra maraviglia che delli due sconosciuti uno era vivo, rav-
visato all' ombra che gettava, come subito vedremo. Quindi un altro
fermarsi di tutte V altre dopo, senza sapere il perchè della fermata
delle prime. Tutto questo è espresso nella vaghissima similitudine
delle pecorelle.
48 Di quella mandria ecc. Mandria cioè turba, schiera; voce me-
taforica, buona allora, e dignitosa, ed ora scaduta a senso peg-
giorativo, come masnada. Qui poi suona bene, anche perchè avendo
somigliate quelle anime ad una gregge di pecorelle, ne continua ac-
conciamente la metafora.
*• Dal mio destro canto. Dante andava da nord a sud (Vedi Purg.,
Tav. II) in ora che il sole era ad Oriente. Dunque il sole feriva il
canto sinistro, e l' ombra era gittata a destra verso la cerchia Ton-
chiosa, che qui dicesi grotta.
so Ristarò e trasser ecc. E l'atto, che sempre naturalmente fanno
coloro che veggono una subita cosa di grande ammirazione.
78 PURGATORIO
Non sappiendo il perchè fero altrettanto. bì
Senza vostra dimanda io vi confesso, *'
Che questi è corpo uman, che voi vedete;
Perchè il lume del sole in terra è fesso : M
Non vi maravigliate, ma credete,
Che non senza virtù, che dal ciel vegna, "
Cerchi di soverchiar questa parete. **
100. Così '1 Maestro : e quella gente degna,
Tornate, disse, intrate innanzi dunque, w
Co' dossi delle man facendo insegna. 57
f E un di loro incominciò : Chiunque
Tu se', così andando volgi il viso: 58
Pon mente, se di là mi vedesti unque. '3°
Io mi volsi ver lui, e guardail fiso :
5* Non sappiendo il perchè. L'ombra di Dante nou la poterono os-
servare, che quelli che erano alla testa. Ma fermati questi per mo-
tivo che conoscevano, dovettero fermarsi anche gli altri per motivo
che non conoscevano.
** Senza vostra dimanda. Perchè Virgilio anticipa le dimando di
quell'anime? Perchè e proprio di chi ha fretta fare così. Che avesse
fretta lo dichiarò di sopra dove disse: Che il perder tempo a ehi
piò sa più spiace.
** Perchè. Per la qnal cosa.
** Che non tema virtù ecc. Potentissima ragione per essere subito
et audito da quelle anime nella dimanda mossa sopra a n. 45: Di-
tene dove la montagna giace.
M Parete. La roccia di cinta, che era si erta da potersi dire: pa-
rete. La parete è a piombo. Questa montagna era quasi a piombo,
come vedete nel mio disegno Tav. II, Purg.
*6 Tornate. Per la stessa parte ove siete voi venuti. Dunque in-
dietro, e mettendovi innanzi a noi; perciò intrate innanzi.
57 Co' dossi ecc. E il gesto naturale che si fa a segnare che altri
debba tornare indietro.
38 Così andando. Perchè non abbi a perder tempo, sapendo, come
detto fu, che hai fretta.
•* U>,que. Mai.
CANTO III. 79
BioncT era e bello, e di gentile aspetto;
Ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand' io mi fui umilmente disdetto ^
110« D'averlo visto mai, ei disse: Or vedi;
E mostrommi una piaga a sommo il petto.
Poi disse sorridendo : I' son Manfredi 6I
Nipote di Gostanza Imperadrice : 64
Ond'io ti prego, che quando tu riedi,
Vadi a mia bella figlia genitrice 63
60 Disdetto. Negato d'averlo mai veduto. Dante nato nel 1265 non
poteva aver veduto o sapere di aver veduto uno ch'era morto
nel 1266.
64 1' son Manfredi ecc. La biografia del Ladvocat dice : « Man-
fredi famoso tiranno della Sicilia, era figliuolo naturale dell'impe-
ratore Federico II. Egli fece avvelenare Corrado, figliuolo legittimo
di questo imperatore, e si rese tutore di Corradino figlio di Cor-
rado. Manfredi al favore di questa tutela, s'impadronì del regno di
Sicilia , e tolse molte piazze alla S. Sede , per cui fu scomunicato
da' Papi. Urbano IV chiamò in appresso Carlo d'Angiò, fratello del
re S. Luigi, e gli diede l'investitura del regno di Napoli e di Si-
cilia. La battaglia si diede tra i due concorrenti sulla pianura di
Benevento alli 16 Febbrajo (deve essere 26) 1266. Manfredi perdo
la vita, dopo d'avere sconvolta l'Italia quasi 11 anni. »Noto che la
battaglia ebbe luogo due anni appresso la morte di Urbano IV suc-
cessa ai 20 Ott. 1264, sotto il successore di lui Clemente IV. Sicché
Urbano IV non fece che ordinar la crociata.
61 Nipote di Gostanza ecc. La biografia del Ladvocat dice: «* Co-
stanza postuma di Ruggero, primo di questo nome, re di Sicilia, fu
moglie di Arrigo VI, e per essa Federico II suo figlio successe alla
monarchia di Sicilia. Egli passò da questa vita nel 1178 lasciando
il figliuol Federico, e il suo reame sotto la cura e il Bailato d' In-
nocenzo III (doveva già farlo, aggiungo io, perchè era già un feudo
che dava la S. Sede a cui ella meglio credeva , come tra gli altri
documenti chiaro apparisce dalle condizioni espresse nella Bolla d'in-
vestitura a Carlo d'Angiò 26 Febbrajo 1265), e in essa ebbe fine il
real lignaggio de' Normanni nel regno di Napoli.
w Mia bella figlia. Pur di nomt Costanza, come la zia di Manfredi.
80 PURGATORIO
Deli'onor di Cicilia, e <TAragona; 6I
E dicbi a lei il ver, s'altro si dice. 65
Poscia eh' i' ebbi rotta la persona *
Di due punte mortali, io mi rendei, 67
120. Piangendo, a quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei : M
Ma la Bontà infinita ha sì gran braccia, 60
Che prende ciò, che si rivolve a lei.
zi Dell' onor di ecc. Questa Costanza figlia di re Manfredi fa data
in moglie a Pietro re di Aragona, a cui diede quattro figliuoli; due
de' quali furono re, Federico di Sicilia (da non confonderei colT altro
Federico II figlio della prima Costanza) e Giacopo d'Aragona. Questi
due fratelli son qui lodati non perchè ritenesse il poeta che fossero
veramente degni di lode, ma perchè, facendo egli parlare di loro
Manfredi che fu loro zio, gli si conveniva lodarli.
All'incontro nel VII del Purgatorio, v. 110, 120, il poeta per
Sordello li biasima, e qui veramente si esprìme il sentimento del
poeta.
65 E dichi ecc. Che m' hai veduto in luogo di salvazione mentre
si crederà, e si dirà ch'io sono dannato.
66 Rotta la persona* Nella battaglia di Benevento.
«7 Di due punte. Le due ferite mostrate di sopra. Perchè punte
e non tagli? Eccone la ragione recata dal Muratori colle seguenti
parole: «* Racconta Riccobaldo, e dopo lui Francesco Pipino, che in
quei tempi andarono in disuso per V Italia le spade da taglio, ossia
le sciable, e si cominciò ad usar quelle da punta, ossia gli stocchi,
de1 quali si servivano i Francesi. Per esser gli uomini d'armi tutti
vestiti di ferro, poco profitto facean addosso a loro i colpi delle scia-
ble. Ma allorché essi (i soldati di Manfredi) alzavano il braccio per
ferire, i Francesi colle punte degli stocchi li foravano sotto le ascelle
e in questa maniera li rendevano inutili a più combattere. » (An. d'I-
talia, an. 1266).
Io mi rendeiy — Piangendo ecc. Mi rivolsi pentito a Dio demen*
tissimo, chiedendogli perdono.
&* Orribil furon ecc. Li abbiamo detti di sopra alla nota 62, oltre
non pochi altri, e veramente orribili, onde fu accusato.
69 Ha bì grati braccia, Che ecc. Magnifica imagine della Bontà
divina !
CANTO DI. 81
Se il Pastor di Cosenza, ch'alia caccia 70
70 Se il Pastor ecc. Valga a spiegazione di queste tre terzine un
brano opportunissimo, che trovasi nella vita di Dante di Cesare Balbo
(Lib. I, e. II, anni 1265-1284, pag. 39. Torino, Pomba), avvertendo
che Benevento e la sua diocesi era terra degli stati della Chiesa e
quindi considerata aver un cotal che di sacro. « . . . . Pochi mesi
erano corsi dalla nascita di lui (Dante), quando Carlo d'Angiò, rag-
giunto già dal suo esercito in Roma vi fu, il giorno della Epifania
dell'anno seguente 1266, da papa Clemente IV incoronato re di Puglia
e di Sicilia, facendogliene il solito' omaggio. Mosse quindi, seguito
dal vescovo di Cosenza legato pontificio, che bandiva la croce per
lui ; passò il Garigliano, abbandonato a tradimento dal conte di Ca-
serta; e, prese Aquino e Rocca d'Arce, si drizzò a Benevento, dove
Manfredi raccoglieva, oltre i titubanti Pugliesi e Siciliani, i suoi Te-
deschi, i suoi Saraceni di Nocera, e gli aiuti ghibellini di varie parti
d' Italia* Dubitava Manfredi, e mandava messi a Carlo ; il quale ri-
spondeva : — Dite al Soldano di Nocera, che io non voglio pace, o tre-
gua con lui ; e che in breve o io manderò lui in Inferno, o egli me
in Paradiso. — Combatteva^ poi a' 26 di Febbraio. Pugnavano for-
temente per Manfredi i suoi Saraceni e Tedeschi ; ma usando i ferri
di taglio furono vinti- dai Francesi, che combattevano di punta. Ed
allora lasciato il campo vergognosamente da' Baroni pugliesi, Man-
fredi spronò il cavallo in mezzo alle schiere francesi e vi mori glo-
riosamente, ma perduto allora tra mucchi di cadenti. Tre di furono
a trovarne il corpo. Finalmente riconosciuto da un ribaldo, fu posto
penzolone su un asino, mostrato pel campo francese, poi fatto rico-
noscere dai prigioni e seppellito, come scomunicato, non in terra santa,
ma in capo al ponte di Benevento sotto un monte di pietre getta-
tegli sopra da ogni soldato. »
et Ma per alcun si disse (seguita il Villani, p. 235), che poi per man-
dato del Papa il Vescovo di Cosenza il trasse di quella sepoltura, e man-
dolio fuori del regno, perocché era terra di Chiesa; e fu seppellito lungo
il fiume del Verde ai confini del Regno e di Campagna. Questo però non.
affermiamo ; ma di ciò rende testimonianza Dante nel Purgatorio. »
Faccia. Facciata o pagina. La facciata della misericordia. Se
avesse potuto legger questa. — Mora. La parola che più risponda a.
questa, mi pare che sia la veronese Marogna, che è quel muricelo, che
usano far i contadini sui monti per sostener la terra, sovrapponendo
sasso a sasso senza calce. — A lume spento. Senza candele accese; che
sono una specie di suffragio vietato agli scomunicati.
82 PURGATORIO
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia;
L'ossa del corpo mio sarieno ancora
In co' del ponte presso Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
130. Or le bagna la pioggia, e muove il vento
Di fupr dal regno, quasi lungo il Verde,
Ove le tramutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde, 7I
Che non possa tornar l'eterno amore, ,a
Mentre che la speranza ha fior dei verde. 73
Ver' è che quale in contumacia muore 74
71 Per lor maladinon ecc. Non si creda che Manfredi disprezzi qui
le scomuniche della Chiesa: ciò sarebbe fuor del carattere di un'anima
santa, e fuori del concetto cattolico che Dante ha manifestato in tutte
le sue cantiche intorno alla autorità della Chiesa. Manfredi non fa chi
ridurre le scomuniche a quel valore, a cui le riduce la Chiesa stessa.
La Chiesa con siffatte pene interdice allo scomunicato la fruizione de*
suoi beni spirituali in vita, e de* suoi suffragi e della sepoltura eccle-
siastica dopo morte, e ciò per atterrire salutarmente il peccatore, e
per farlo pentir de' suoi falli : ma non intende che lo scomunicato non
possa, fin che ha un momento di vita, ricuperar la grazia perduta e
salvarsi, non ostante la scomunica, la quale pure continua a sussistere
ne* suoi effetti giuridici e canonici, perche alla Chiesa non consta, che
il tale individuo, per esempio Manfredi, si sia riconciliato con Dio prima
di morire, almeno colla verace contrizione. Onde Manfredi qui non dice
se non quello che tiene ed insegna la Chiesa sulla scomunica.
7* Chenonpona ecc. Che non possa tornare all'anima la grazia di Dio.
7* Mentre che ecc. Finche si può sperare ; e sperare si può sino
all'ultimo respiro della vita. Fior del verde è lo stesso che fior verde,
a quel modo che Dante dice : l'aquile delVoro (Purg., e. X, v. 80)
e le palle dell'oro (Par., e. XVI, v. 110), per aquile auree, palle
auree. Dunque vuol dire: finché la speranza è verde , ha punto di
verde, ossia non è morta.
74 In contumacia ecc. Senza esser assolto canonicamente dalla sco-
munica, il che può succedere per impotenza assoluta, come succede
realmente a chi muore in battaglia, del quale si sa la scomuuica, bi
CANTO ni. 83
Di santa Chiesa, ancor che al fin si penta, w
Star li convien da questa ripa in fuore
Per ogni tempo, ch'egli è stato, trenta,
140. In sua presunzioni; se tal decreto 76
Più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oramai se tu mi puoi far lieto 77
Rivelando alla mia buona Gostanza 78
Come m' hai visto, e anco esto divieto : 79
sa che non fu assolto, e non si sa se veramente siasi pentito prima
di morire. In tal caso, come si disse, gli effetti del foro esterno deb-
bono durar tuttavia.
76 Ancor che al fin si penta, — Star gli convien ecc. Dato il caso
eh' egli sia pentito prima di morire, la Chiesa gli negherà sempre la
sepoltura ecclesiastica ed i suffragi (senza ritenere perciò che sia dan-
nato) percM il suo pentimento non le consta; all'altro mondo poi
(ecco quel che dice qui Dante in aggiunta) dovrà in pena di sua
scomunica restarsene escluso dall'incominciare il suo Purgatorio trenta
volte quel tempo, che visse in contumacia. Con questo Dante si mostra
agli scomunicati più rigoroso ancora di quel che sia la Chiesa, la quale
non ha nessuna difficoltà ad ammettere che uno scomunicato, che muoia
veramente pentito, possa andarsene subito a incominciare il suo Pur-
gatorio o volarsene direttamente al cielo. Questo sia detto per quei
che vorrebbero, come fa il Tommaseo, tacciata da Dante la Chiesa di
troppo rigore, mentre è tutto il contrario ; cioè non la Chiesa è più
severa di Dante,' ma Dante è. più severo della Chiesa.
76 Se tal decreto — Più corto ecc. Se il decreto divino che ci esclude per
tanto tempo dal dar principio al nostro Purgatorio non è cangiato in
minor tempo dai suffragi di quelli del mondo, tra i quali suffragi uno
è la preghiera , ma buona, ossia meritoria, che surga su di cuor, che
in grazia viva, come dice lo stesso Dante (Purg., e. IV, v. 134).
77 Far lieto. Accorciandomi il tempo assegnato di esclusione.
78 Gostanza. La figlia, non la zia. La dice buona, perch'egli desi-
dera preghiere di buoni, le sole che accetti Dio a suffragio dell'anime
purganti.
79 Come m'hai visto. La condizione in cui m'hai veduto.
Esto divieto. Cioè il decreto di esclusione portato al trentecuplo
del tempo di contumacia ; ma decreto condizionato, cioè capace di ab*
breviarsi dietro le preci dei buoni.
84 PURGATORIO
Che qui per quei di là molto s'avanza. w
«•
80 Che qui ecc. Che le anime del Purgatorio possano esser giovate
dai suffragi dei viventi è dogma definito dalla Chiesa. Pei Protestanti,
che impugnano il dogma del Purgatorio, sarebbe stato impossibile il
concepire una ai patetica e dolce poesia. Infelici !
Un dubbio. Come mai Dante suppone pentito Manfredi e lo mette
salvo al Purgatorio, non ostante gli orribili peccati che avea com-
messi, come abbiam veduto alla nota 61, e come glielo la confes-
sare a lui stesso in quel verso di sopra : Or r tini furori li peccati
miei? Rispondo:
1. Bisogna confessare che Dante fu largo di molta indulgenza
con re Manfredi ; mentre ha posto invece air Inferno altre persone
certo di lui men delinquenti.
2. È d'uopo però osservare a giustificazione di siffatta parzialità,
che a quei tempi di grandi delitti, e di grandi virtù, non era raro il
caso, che sommi peccatori da un punto all'altro si ravvedessero, perchè
quantunque peccatori serbavano però sempre nel loro cuore viva la
fede, la quale a date circostanze non potea mancare di riportar buoni
frutti. Perciò nel Medio Evo si vedeva spesso taluno oggi uccidere a
tutto sangue freddo un rivale, o rapire donzelle, o saccheggiare paesi,
all'indomani pentito de' falli suoi e confesso, a risarcimento del danno,
e dello scandalo dato aprire tutti i suoi tesori all'erezione di una ba-
silica o d'un monastero, entro cui talvolta si rinchiudeva egli stesso
a passarvi il resto de' giorni suoi. Sicché, stando allora le cose cosi,
Dante, lavorando sul verosimile credette poter far qui una eccezione
vantaggiosa pel suo Manfredi, dandocelo sinceramente pentito.
3. Notate che i precedenti stessi della battaglia di Benevento,
se vuoisi credere a Cesare Balbo, ci fanno pensar bene delle ultime
disposizioni di re Manfredi. Infatti noi alla nota 70 abbiamo veduto
scrivere il Balbo che « Manfredi dubitava e mandava messi a Carlo » ;
il che fa credere ch'egli si volesse acconciare con lui e per lui col
Papa.
4. Si osservi ancora (e questa credo che sia la ragione che più
potè influire a redintegrar la memoria favorevole di Manfredi) si os-
servi, dico, che il governo di Carlo e de' suoi ebbe tanta tristizia, che
tutti si augurarono subito il perduto Manfredi. È troppo bello ed op-
portuno il brano del Muratori, perch'io lo possa tacere (An. d'It.,
an. 1266).
ce Diedesi poi il re Carlo ad ordinare il regno. Si erano figurati i
popoli di quelle contrade, che colla venuta del Francesi, e sotto il
CANTO ni. 85
nuovo governo tornerebbe il secolo d'oro, si leverebbono le gabelle,
le angherie e le contribuzioni passate, ed ognuno goderebbe un* in-
vidiabile tranquillità e pace. Si trovarono ben tosto delusi, e ingan-
nati a partito. Le soldatesche francesi ne' loro passaggi e quartieri a
guisa del fuoco portavano la desolazione dappertutto. Ebbe il re Carlo
in mano da un Desolino da Marra tutti i libri e registri delle rendite
e degli uffizi del regno, e di tutte le giurisdizioni, dazi, collette, taglie
ed altri aggravi dei popoli. Non solamente volle il re intatti tutti
questi usi od abusi ; ma siccome in addietro si camminava assai alla
buona in riscuotere cotali carichi, istituì egli dei nuovi giustizieri,
doganieri, notai ed altri uffiziali del fisco, che rigorosamente preme-
vano il sangue dai popoli, e cominciarono ad accrescere in profitto del
re o proprio, i publici pesi e le avanie, di modo che altro non si udiva,
che secreti gemiti e lamenti della misera gente con augurarsi ognuno,
quando non era più tempo, l'abbandonato e perduto re Manfredi. È
un autore guelfo, uno storico pontificio che l'attesta, cioè Saba Mala-
spina. Secondo lui, ravveduti quei popoli andavano dicendo: — O re
Manfredi, noi non ti abbiam conosciuto vivo, ora ti piangiamo estinto.
Tu ci sembravi un lupo rapace tra le pecorelle di questo regno ; ma
dacché per la nostra volubilità ed incostanza siam caduti sotto il pre-
sente dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo in fine che tu
eri un agnello mansueto, Ora si che conosciamo quanto fosse dolce il
governo tuo posto a confronto dell'amarezza presente. Riusciva a noi
grave in addietro, che una parte delle nostre sostanze pervenisse alle
tue mani ; troviamo adesso, che tutti i nostri beni, e quel ch'è peggio,
anche le persone vanno in preda a gente straniera. — Tali erano di
quei popoli le querele : querele osservate prima e di poi anche in altri
popoli, sempre mal contenti dello stato presente, e che ripongono la
speranza di star meglio, o men male, colla mutazion dei governi, ma
con disingannarsi poi delle loro mal fondate idee. »
5. Si osservi pure che Manfredi (anche senza il confronto tra lui
e Carlo, e tra il suo governo e quello di Carlo) era uomo che con
avere dei vizi assai avea pure di belle virtù che poteano creargli, e gli
crearono infatti in Italia un'opinion vantaggiosa, almeno per un tem-
po. Ascoltiamo il Muratori (An. d'it., an- 1258).
u Comunque sia, nel di 11 Agosto nella cattedral di Palermo, fu
egli solennemente coronato re da tre arcivescovi col concorso e plauso
d' innumerevoli prelati, baroni e popolo. Ed abbondavano bene in lui,
anche per confessione de' suoi avversari, moltissime di quelle prero-
gative, che rendono Tuoni degno di regnare. Giovane di bell'aspetto
(è il ritratto che ne fece Dante di sopra dove disse : B tonferà, e
bello, e di gentil aspetto) faceva sua gloria la cortesia, l'affabilità e la
86 PURGATORIO
clemenza, senza aver ereditata la crudeltà de' buoi maggiori. Singolare
fu la sua prudenza, e 1* intendimento superiore di lunga mano all'età;
grande il suo amore verso le lettere, e i letterati, ed egli stesso bene
istruito delle scienze e delle arti più nobili ; ma soprattutto risplendeva
in lui la generosità e la gratitudine in premiare chiunque gli prestava
servigio. » Quando vi hanno tali pregi in una persona, facilmente ci
incliniamo ad esserle indulgenti dove possiamo.
6. Finalmente si osservi che Dante potè aver inteso colla salva-
zion di Manfredi, da lui supposta, di porgere un motivo di consola-
zione alla buona figlia di lui Gostanza, colla quale pare essere stato
il poeta in relazion personale di amicizia, altrimenti Manfredi non lo
manderebbe a visitar la sua figlia con tale ambasciata: Vadi a mia
bella figlia genitrice — DelVonor di Cicilia e d'Aragona. Questo con-
forto a tal figlia è iu Dante naturalissimo, e direi anche pio.
CANTO IV
Argomento.
Da quelle anime, ohe vissute scomunicate ritardarono la lor con-
versione sino alla morte, cioè da Man/redi e dà1 suoi compagni, è
mostrato ai due poeti lo strettissimo e faticosissimo calle della salita,
per uno spaccato della cerchia. Salgono a stento e giunti sulla cima
veggono a man sinistra le anime di coloro che senza essere scomuni-
cati, come questi però ritardarono sino alla morte la lor conversione
per effetto di accidia, tra i quali trovano il citarista Belacqua*
NB. Vedi (ulti i casollioi di quello Canio nella mia Ta?.l e la Taf. Il, Purg.
Q
fuando per dilettanze, ovver per doglie, 4
* Quando per ecc. Spieghiamo secondo il costrutto: Quando l'ani-
ma si raccoglie bene ad alcuna nostra virtù, per diletti o per doglie,
ch'essa virtù comprenda, pare ch'essa anima non intenda più alle altre
sue potenze. Ora spieghiamo secondo il senso: L'anima nostra si rac-
coglie sempre tutta a quella potenza, per esempio alla volontà, che è
dominata interamente o dal diletto o dal dolore; ed allora par che l'a-
nima abbia abbandonato le altre sue potenze, per esempio l'intelletto e
la memoria ; le quali più non considerano o ricordano, perchè l'anima,
come pare, non è più con loro, ma è invece tutta intrinsecata nella
volontà.
In altri termini : Quando la volontà è occupata o nel diletto o nel
dolore, allora l' intelletto e la memoria sono inerti. Vedetelo in voi
stessi prendendo qui l'esempio del solo piacare che s'apprende alla po-
tenza della volontà. Voi per esempio udite una musica soave che vi
88 PURGATORIO
Che alcuna virtù nostra comprenda,
L'anima bene ad essa si raccoglie,
Par, eh' a nulla potenzia più intenda :
E questo è contra quello error, che crede *
Che un'anima sovr'altra in noi s'accenda.
E però quando s'ode cosa o vede, 3
Che tenga forte a sé l'anima volta,
Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede:
rapisce; ebbene, vi passa il tempo, senza che ve ne avvediate. Perchè?
Perchè né il vostro intelletto, ne la vostra memoria sono in caso di
attendere al tempo o di ricordarvi i minuti, e le ore che passano,
avendo voi tutta l'anima nella volontà che gnsta la musica. Dite al-
l' incontro lo stesso di un caso doloroso che vi toccasse.
Se invece fosse l'intelletto occupato dall'anima interamente, corno
quando Archimede disegnava in Siracusa le figure geometriche, senza
che si accorgesse dei nemici, che avevano invasa la casa sua, o come
il Parmigianino, che nel sacco di Roma non si accorse dei soldati fe-
roci entratigli nella stanza ove pingeva; allora non agisce la volontà
' e la memoria.
Dante era immerso in un sommo piacere a udir Manfredi. Ecco
la sua volontà tutta occupata, ossia tutta la sua anima nella sua vo-
lontà. Dunque egli non potrà colla sua mente avvertire alla cura del
tempo, tanto raccomandata da Virgilio, e quindi il tempo, che intanto
gli passa, non può esser da lui contato, e quando entrerà in sé gli
parrà un minuto, e sarà invece assai più.
2 Quello error che crede — Che un'anima ecc. L'error di coloro,
che credevano esser in noi tante anime quante potenze, cioò un'anima
per la volontà, un'altra per l' intelletto, un'altra per la memoria. La
prova che non sia così è l'esempio portato nei quattro primi versi. In-
fetti se veramente avessimo tante anime, quante potenze, nessuna po-
tenza potrebbe mai esser inerte. Ma noi vediamo che talvolta qualche
potenza rimane inerte, mentre un'altra ò sommamente in atto. Dunque
non e' è che un'anima sola.
3 E però quando ecc. È una conseguenza ed un'applicazione del
discorso fin qui al caso particolare, in cui si trovava allora Dante, il
quale appunto pel piacere, che il suo cuore ritraea da Manfredi, non
si accorgeva che intanto gli passava molto tempo.
CANTO IV. 89
io. Ch'altra potenzia è quella che l'ascolta ; 4
E altra è quella, eh' ha l'anima intera :
Questa è quasi legata, e quella è sciolta/
Di ciò ebb' io esperienzia vera, 5
Udendo quello spirto, e ammirando c
Che ben cinquanta gradi salifera 7
* Ch'altra potenzia ecc. Vuol dire che la diversità non è nell'a-
nhne, che non sono più d' una, ma bensì nelle potenze, che sono più
di una, e variamente condizionate, secondo che 1* anima opera, onon
opera in loro. Da che proviene infatti che mentre noi fissamente ascol-
tiamo una cosa (Quando s'ode cosà) il tempo ci passa inavvertita-
mente ? Proviene dalle diversità delle potenze, delle quali una si fa
attiva, concentrando l'anima a sé, l'altra resta inerte, e come a dire
senza anima in quanto all'atto.
Dunque anima intera è Io stesso che anima inerte, o non attiva,
e resta in quella potenza, che non opera ; e la potenza che ascolta la
cosa, è quella che ha con sé 1' anima in pieno atto, in pieno vigore.
Queste due potenze, l'una con l'anima, l'altra senza (sempre in quanto
all'atto) si possono dire e sono veramente l'una legata, cioè quella che
ha l'anima inerte e non operativa ; l'altra sciolta, cioè quella che ha
l'anima nel pieno esercizio della sua attività.
* Di ciò ebb1 io ecc. Cioè ho esperimentato veramente qui , che
quando una potenza, p. e. l'udito, tira a sé tutta l'anima, la vista non
si accorge di quel che vede. È lo stesso raziocinio tanto delle potenze
spirituali, quanto delle fisiche, alle quali il poeta qui accenna.
6 Udendo...* e ammirando ecc. Udendo Manfredi con tutta l'anima,
e ammirando poi non Manfredi, come intendono alcuni, ma che il tempo
mi fosse ito senza accorgermi, perchè i miei occhi, ove l'anima non era,
non potevano attendere al salire del sole, ancorché vedessero il sole*
7 Che ben cinquanta ecc. L' ultimo accenno cronologico ci fissava
ore 1.20 di sole, ossia* ore 7.30 antim. (Vedi Canto III, n. 11) eh' è
quanto dire che il sole a quel punto era salito 20 gradi sull'orizzonte.
Ora vediamo il sole 50 gradi sull'orizzonte. Dunque il sole dall'ulti-
ma volta a questa parte ha percorso 30 gradi, ossia 2 ore, essendo che
egli percorre 15 gradi per ogni ora. Perciò alle 7.30 antimeridiane chi
avevamo prima, aggiungendo 2 ore trovate, abbiamo presentemente
ore 9.30 antim. e cosi sappiamo che dalla fuga alla campagna per lo
spavento di Catone, fino all' indicazione della salita passarono ore 2.
M PURGATORIO
Lo sole, ed io non m'era accorto, quando
Venimmo dove queir anime ad una *
Gridaro a noi : Qui è vostro dimando. *
Maggiore aperta molte volte impruna l0
20. Con una forcatella di sue spine '* .
L'uom della villa quando l'uva imbruna,
. Che non era la calla onde saline "
* Quell'anime ad una. Tutte ad una voce. Bastava una sola all'uo-
po dei poeti, per esempio Manfredi, che indicasse la via di salita; ma
non bastava alla carità di quell'anime tutte ugualmente propense pei
noi. Qui si vede pure che quelle anime doveano in pena della lor di-
lazione a convertirsi girar lente lente, rasentando sempre la cerchia
dov'era la salita, e per dove dovean vedere salire tante anime, rima-
nendo esse escluse, il che è grande tormento. Anche Casella alla foce
del Tevere dovea vedere rimbarco delle anime, che andavano al Pur-
gatorio, senza potersi lui stesso imbarcare.
9 Qui è vostro dimando. La materia della vostra dimanda, quello
che ci avete domandato, ossia la salita.
io Maggiore aperta ecc. Vaghissima ed elegantissima comparazione,
a significare l'angustia del calle per cui doveano salire.
n Forcatella. Perchè forcatella? Per indicar che il foro da otturare
è assai piccolo.
43 Che non era la calla ecc. È lo stesso che calle: altre volte Dante
dice callaia. Era una ristrettissima spaccatura di monte entro cui sì
saliva al Purgatorio. Ecco la ragione perchè i poeti non la videro pri-
ma sebbene l'avessero sotto gli occhi. Vedi Tav. il, Purg. al ferro
della freccia. Se avete sottocchio il diseguo del Fraticelli, potete os-
servare quant'esso sia errato qui e in tutto il resto, come dal più al
meno errarono ne' lor disegni tutti gii altri commentatori. Si errò per
l'Atrio non estendendolo dal mare a 92 miglia d'altezza; si errò nel
collocamento della strada che attraversa l'Atrio da imo a sommo, e si
errò in tante altre cose che vedremo. Perciò è assai necessario aver
sempre sott' occhio la mia Tav. II.
Eppure per questa stessa rottura erano entrate quelle più che cen*
l'anime dapprima sbarcate. Di qui un dubbio. Se quell'anime entrarono
per questa calla e salirono per essa, e i poeti erano con loro fuggiti
dalla spiaggia al monte, com'è ch'essi non videro il buco per cui esse
anime sparirono? La ragione è evidentissima: perciocché essendo il
CANTO IV. 91
Lo duca mio, ed io appresso soli,
Come da noi la schiera si partine.
monte circolare, dopo breve tratto le anime furono perdute di vista
dai poeti; l'uno dei quali, per avere il corpo, non potea correre come
gli spiriti, e ritardò per conseguenza anche la foga del suo condot-
tiero. Rimasti dunque i poeti troppo indietro, e le anime essendo in-
tanto giunte fuori della loro prospettiva dietro la svolta del monte,
queste poterono ficcarsi di botto su per la calla, prima che vi soprag-
giungessero i due poeti; o cosi questi non ne sepper più nulla. Quan-
t'arte non ci vuole nel poeta per non dire la cosa apertamente, e pure
farcela cavare nò più nò meno che se l' avesse detta !
Un altro dubbio a proposito di questo buco di salita. Se vi ri-
corda, Catone aveva ammoniti i due poeti dicendo:
Poscia non sia di qua vostra reddita:
Lo sol vi mostrerà che surge ornai
Prendere il monte a più lieve salita.
È chiaro che Catone con queste parole pretese insegnar loro la salita,
che ora fu indicata dall' anime, e che i poeti non aveano potuto ve-
dere, non ostante che il sole fosse alto sull'orizzonte 50 gradi. Come
dunque questo può conciliarsi col detto di Catone ?
Rispondo. Il sole l'avrebbe veramente mostrata, se i poeti invece
di fermarsi sulla riva del mare colle anime sbarcate, per un'ora e venti
minuti dopo la nascita del sole, fossero venuti subito alla cinta nella
levata del sole. Essendo questa facciata del monte precisamente volta
ad oriente, il sole, nascendo, feriva direttamente la calla di salita che
sega per mezzo questa facciata di monte. Onde il dire: Lo sol vi mo-
strerà che surge ornai prendere il monte a più lieve salita, era quanto
dire che la salita era in mezzo della facciata. Vedi Tav. II, Purg.
Terzo dubbio. Perchè la bocca di salita al Purgatorio è ristret-
tissima, difficile a trovarsi, ed è mestieri che il sole, e sol nascente la
mostri, mentre la porta d'Inferno fu larga, di facile ritrovamento, senza
bisogno di sole? Perchè la via di salute è stretta e pochi camminano
per essa, e questi dietro i lumi del sol di giustizia Gesù Cristo, che
dicesi oriens ex alto, Invece essendo larga la via di perdizione, perchè
secondo i nostri scorretti appetiti, e molti andando per essa, sprez-
zando i lumi di Gesù Cristo, perciò la porta d'Inferno e fu larga, e si
trovò subito dai poeti, e si trovò nelle tenebre della notte.
92 PURGATORIO
Vasai in Sanleo, e discendesi in Noli, la
Montasi su Bismantova in cacume
Con esso i pie ; ma qui convien ch'uom voli :
Dico con Tali snelle, e con le piume
Del gran disio, diretro a quei condotto, u
30. Che speranza mi dava, e facea lume. 1*
Noi sali vani per entro il sasso rotto, *6
E d'ogni lato ne stringea lo stremo,
E piedi e man voleva il suol di sotto.
** Sanleo* Luogo forte posto su monte alpestro in quel dTTrblno.
Noli, città sulla riviera di ponente genovese, appio dell'alpi marittime.
Bismantova, montagna scoscesa del Reggiano di Modena, a Castel
nuovo dei monti, sulla cui cima hawi un monastero tutto scavato nel
masso. Sono luoghi celebri per ascese malagevolissime . Eppure per
tali ascese, a stento sì, ma i pie ci riescono.
Ebbene, messe al confronto con questa del Purgatorio, si direbbe
che se quelle vogliono buoni piedi, questa vuole buone ali. E si tratta
che questo è il luogo indicato da Catone quando disse : Prender il
monte a più lieve salita, e che questo è il luogo chiesto da Virgilio
alle anime colle parole: Ditene dove la montagna giace. Dunque Dante
non monterà perch'è senz'ali? Monterà istessamente perchè Tali, che
qui occorrono non sono già le materiali, ma bensì le spirituali, che
Dante avea molto buone, e però cosi si spiega dicendo subito: Dico
con Vali snelle, e con le piume del gran disio.
** Diretro a quel condotto. Dietro a quel condottiero, ossia dietro a
Virgilio mia guida. Si fanno tante maraviglie, perchè il poeta abbia
usato condotto per condottiero, mentre si ha continuamente sotto gli
occhi l'esempio di questa parola in questo senso. Infatti i canali che
conducono l'acqua si dicono condotti, che evidentemente vale per con-
dottieri, n Bianchi lo vorrebbe participio applicato a Dante, cioè io
condotto diretro a quel; ma non e' è bisogno di questa stiracchiatura.
*5 Che speranza mi dava e facea lume* Mi facea coraggio, e m'in-
segnava la strada : ecco la speranza , ecco il lume. Così diciamo il
secolo dei lumi, non già in senso proprio ma traslato, cioè d* insegna-
menti, di cognizioni.
*6 Noi salivam ece. Questa salita ha un luogo parallelo ne\V Inferno*
Canto XXIV, v, 22 e seg, È bello il confronto di queste due salite
per la differenza di esse, secondo la varietà dei luoghi.
CANTO IV. 93
Quando noi fummo ih su Torlo supremo "
Dell'alta ripa alla scoverta piaggia,
Maestro mio, diss' io, che via faremo ?
Ed egli a me : Nessun tuo passo caggia : ,8
Per su al monte dietro a me acquista
Fin che n'appaia alcuna scorta saggia,
io. Lo sommo er'alto, che vincea la vista, 19
E la costa superba più assai, 20
*7 In su Vorlo supremo. Orlo supremo, non perchè quivi terminasse
il monte né la roccia scoscesa, ma perchè la roccia avea ivi una cotal
divisione, o addentramento e poi di nuovo continuava. Vedi la mon-
tagna a 35 miglia d'altezza nella mia Tav, II Purg*
l* Nessun tuo passo caggia. Non soffermarti punto, non vengan
meno i tuoi passi; ma segui a camminare.
w Lo sommo ecc. Non vedeva la cima della montagna, tanto era alta.
Troveremo che Dante parla spesso dell'altezza maravigliosa di questo
monte. Ciò fa a bello studio perchè non ci scordiamo ch'esso è alto
miglia 95, come abbiam dimostrato altrove, e dimostreremo ancora.
& Eia costa ecc. E questo intervallo tra la prima e la seconda roccia
era uno spazio assai più erto, che non sia la inclinazione che fa la linea
condotta dalla circonferenza di un mezzo quadrante al suo centro. Il
quadrante è un quarto di cerchio che nella figura che segue è com-
preso da A B C.
Ebbene, si prenda la metà di questo quadrante, segando la cir-
conferenza per mezzo con una linea, che da quel punto vada al centro»
e sarebbe la linea B D. L'inclinazione di quella costa, per cui era
94 PURGATORIO
Che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando incominciai : w
O dolce padre, volgiti e rimira,
Com' io rimango sol se non ristai.
O figliuol, disse, in sin quivi ti tira,
Additandomi un balzo poco in sue, K
Che da quel lato il poggio tutto gira. *3
Sì mi spronaron le parole sue,
50. di' i' mi sforzai, carpando appresso lui, 24
Tanto che il cinghio sotto i pie mi fue. *5
A seder ci ponemmo ivi ambedui 26
Volti a levante, ond'eravam saliti, *7
invitato a salir Dante , era ancora più rapida, o più superba, ov-
vero più accostatesi alla linea perpendicolare À B , che torne-
rebbe alla linea interpuntata 13 E, L'inclinazione data da noi olla
montagna nel nostro disegno della Tav. II è appunto tale.
21 Io era la 880 quando ecc. Il poeta vuole scusarsi se incominciò
a parlar a Virgilio in tono non mai da lui usato prima. Si legga
infatti la dimanda di Dante compresa nei due versi seguenti, e si vedrà
che sanno un po' d'intollerante. Perciò a scusarsene dice: Quando disse
queste parole io era proprio lasso. Tale e il vero senso di questa
terzina, sottiletto anziché no; ma deguo che ben si osservi.
22 Un balzo poco in sue. Il balzo a quasi miglia 55 di altezza.
Vedi Tav. II, Purg.
23 Da quel lato. Dice da quel lato, cioè dal lato di levante ove
salivano, perchè non poteva sapere se quel balzo continuasse per tutto
il giro del monte, anche dal lato occidentale.
9* Carpando* Andando carponi.
28 Tanto che il cinghio ecc. Tanto che giunsi sovra il cinghio a
posarvi i miei piedi. Era il cinghio che trovate a quasi miglia 55
d'altezza.
26 il seder ci ponemmo ecc. Sedette anche Virgilio, per la prima
volta.
27 Vòlti a levante ecc, È infatti cosi : quando uno è salito a gran
fatica su qualche altezza di monte, la prima cosa che fa ò sedere (il
che fu detto) e sedere cosi da guardare il fatto cammino (il che si
dice qui), perchè si compiace in vedere il frutto de' suoi stenti : Che
CA^TO IV. 05
Che suole a riguardar giovare altrui.
Gli occhi prima drizzai a' bassi liti, M
Poscia gli alzai al sole, e ammirava,
Che da sinistra n'eravani feriti. w
Ben s'avvide il poeta, ch'io stava
Stupido tutto al carro della luce, 30
60. Ove tra noi ed Aquilone intrava. 3*
suole a riguardar giovare altrui; non a riguardar il levante, ina a ri-
guardar la parte ov'è salito ; se questa è levante, il piacere si ha riguar-
dando a levante; se è ponente, il piacere si ha riguardando a ponente.
38 Gli occhi prima drizzai a* bassi liti — Poscia ecc. Anche questo
è pretta natura ed è quel che infatti si fa in tali circostanze. Si noti
bassi liti, perchè infatti il cammino fu lungo, e s' era molto levato
dal livello del mare, cioè quasi miglia 55.
W Che da sinistra n'eravam feriti. Gli abitanti di Gerusalemme
(primo punto di partenza) in qualunque stagione si sin, se si volgono
verso levante presso il mezzogiorno, sono percossi dal Sole nella spalla
destra, mentre i loro antipodi volti allo stesso levante nell' ora stessa
sono percossi dal Sole nella spalla sinistra. Questa differenza ammi-
rava il poeta, e intanto con questa sua ammirazione, senza che ce
ne avvediamo, ci dice che allora era vicino il mezzogiorno, cioè le
11.30 circa, perchè in sola quest'ora il Sole potea percuoterlo sulla
spalla sinistra , o sul fianco sinistro , stando però rivolto a levante
com'era. Così ci fa sapere ch'egli compì tutta la salita della roccia
da circa 7 miglia d'altezza a quasi 55 in 2 ore, quante corrono dalle
9.30, in cui incominciò a salire la roccia alle 11.30 che abbiamo pre-
sentemente nel termine della roccia stessa.
m
La determinazione poi di 30 minuti che mancavan al mezzodì
si può veder trattata sotto, Canto IV, n. 60, quando non era ancor
giunto mezzogiorno, al quale ai giunge solo in fine di questo Canto,
80 Carro della luce. Sole, che secondo le favole circola il cielo entro
un carro tratto da focosi cavalli.
81 Ove* Colà al Purgatorio. — Tra noi e Aquilone intrava. Intrava
vale girava tramezzo a noi ed Aquilone. Noi nelle nostre latitudini
settentrionali o per meglio dire al di qua del tropico del cancro ve-
diamo il Sole intrar o frapporsi tra noi ed il mezzogiorno. Al contrario
gli abitatori delle latitudini meridionali, ossia al di la del tropico dèi Ca-
pricorno, vedono il Sole intrar, o frapporsi tra ossi ed il settentrione
96 PURGATORIO
Ond'egli a me : Se Castore e Polluce a
Fossero in compagnia di quello specchio, M
Che su e giù del suo lume conduce; "
Tu vederesti il Zodiaco rubecchio w
Ancora all'Orse più stretto rotare *6
** Se Castore e Polluce. Se il Sole (specchio che conduce intorno
alla terra la sua lucei fosse in Gemini, e non in Ariete, com'è presen-
temente, ossia se fossimo in giugno invece di essere in aprile, quando
il Sole ai 21 di quel mese si è scostato dall'equatore il più possibile,
arrivando cosi al tropico del Cancro o al solstizio d'estate per Ge-
rusalemme, tu vedresti la linea luminosa, in focata (Zodiaco rubecchio)
che percorre il Sole in Gemini, più inclinata ancora verso Aquilone
(Ancora aWOrse più stretto rotare), se non mutasse il suo corso
sempre seguito fin qui (Se non uscisse fuor del cammi* vecchio).
Sicché, ad esprimere il pensiero con meno scienza, Virgilio dice a
Dante cosi : Tu fai le maraviglie perchè vedi il Sole girare dalla parte
di settentrione. Sappi che lo vedresti più inclinato verso settentrione
da qui ad oltre due mesi, e allora foresti maraviglie ancora mag-
giori, per essere stato avvezzo prima di questo viaggio, quand'eri nel
tuo emisfero, a veder girarti il Sole sempre dal lato di mezzogiorno.
Si sa che Castore e Polluce, due figli di Giove e di Leda, nati ad un
parto, sono la costellazione di Gemini in cui entra il Sole addi 21 di
maggio, e vi resta sino addi 21 giugno, nel quale il Sole s'è scostato
il massimo grado dall'Equatore, e s'è accostato il massimo grado verso
settentrione.
** Specchio* lì Sole è detto specchio perchè riflette a noi la luce
ricevuta dall'1 angelo suo motore, secondo il sistema di Dante espresso
nel Convito, e secondo il sistema di tutti in quei tempi,
i* Che su e giù eoe, Da levante ad occidente, e da occidente a
levante: e inoltre da settentrione a mezzogiorno e viceversa, ossia
dal tropico del Cancro al tropico del Capricorno e viceversa per l'E-
clittica,
*$ Zodiaco rubecchio. Il Zodiaco è l'Eclittica, ossia quella fascia
del cielo compresa tra il Cancro ed il Capricorno, partita in 12 co-
stellazioni, entro i quali termini gira il Scie in un anno e dove sten-
desi la sona torrida, Rubecchio, perchè è la sola parte del cielo per-
corsa dal disco solare fiammeggiante.
1* Orse* Due costellazioni presso il polo artico: Orsa maggiore, e
Orsa minore. Stanno per settentrione.
CANTO IV. 07
Se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come ciò sia, se '1 vuoi poter pensare, 37
Dentro raccolto immagina Sion *8
37 Come ciò sia. Se vuoi poter pensare come sia che da taluno si
vegga il Sole girare da un fianco, e da tal altro dal fianco opposto,
sebbene tutti viviamo nello stesso globo terracqueo, ingegnati a que-
sto modo che ti dirò.
38 Dentro raccolto ecc. Raccolto in te stesso figurati la sfera ter-
restre, sulla quale ci sieno questi due luoghi: il monte di Sion, donde
siamo partiti, e il monte del Purgatorio, dove siamo; e ch'essi sicn
collocati secondo le seguenti tre condizioni:
a) Che abbiano un orizzonte comune (SI ch'ambedue hanno un
nolo orizzbnj ;
b) Che abbiano cmisperi diversi (E diversi emisperi) ;
e) Che sieno fuori dall'Eclittica, ossia dai Tropici, ossia dalla
zona torrida, ossia più distanti di gradi 23.30 dall'equatore (Ond'k
la strada, — Che mal non seppe carreggiar Fetòr.).
Due luoghi che avessero le tre condizioni esposte, evidentemente
sarebbero non solo antipodi (attenti bene), ma avrebbero ancora il
Sole dalla parte contraria. Le due prime condizioni li rendono an-
tipodi ; l'ultima, e l'ultima sola, badate bene, li rende tali da vedere
girarsi il Sole ai fianchi tra loro opposti.
Le due prime condizioni sono facili a comprendere ; un po' men
facile è la terza, per ragion del modo con cui e espressa, ma però
facile anch'essa a chi ben mira. Spieghiamo prima la condizione, e
poi il modo un po' astruso. La terza condizione si era, che questi due
luoghi per poter aver necessariamente e sempre il Sole dai lati op-
posti, deono stare fuori dell'Eclittica, e non dentro; perchè se fossero
dentro dall'Eclittica, ossia compresi tra' due Tropici, quantunque essi
luoghi si suppongano antipodi, non avrebbero sempre e necessariamente
il Sole da parte contraria. Infatui state attenti, che ve lo mostro con
tutta l'evidenza. Voi sapete che il Sole in un anno si scosta gradi 23.30
dall'equatore verso settentrione, ed altrettanti si scosta dall'equatore
verso mezzodì, girando così per tutta l'Eclittica, o per tutto il Zo-
diaco tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno. Or bene,
fingete adesso due luoghi antipodi, che sieno compresi dentro l'Eclit-
tica, a quella distanza che volete dall'equatore, ma sempre dentro
l'Eclittica, e per determinarli supponeteli ambedue 12 gradi distanti
dall'equatore, l'uno verso settentrione in un emisfero, l'altro verso
7
98 PURGATORIO
mezzogiorno nell'altro emisfero. Si può egli verificare per questi due
luoghi la terza condizione posta da Dante , che cioè essi debbono
avere il Sole da' lati contrari nello stesso giorno? Mainò. Infatti quando
il Sole per costoro sarà in Gemini, e più precisamente presso ai 21 di
giugno, quando il Sole sarà sulla linea del Tropico del Cancro nel
solstizio di Estate, entrambi questi luoghi lo vedranno verso una stessa
parte, cioè verso settentrione. Ma questo non può succedere pei luoghi
antipodi che sono fuori dell'Eclittica, o fuori dei Tropici. Per questi
antipodi, necessariamente il Sole è sempre veduto in parti contrarie:
Sion, per esempio, che è circa 6 gradi fuori dell'Eclittica verso il nord,
vede e dee vedere sempre il Sole verso mezzogiorno; mentre il monte
del Purgatorio suo antipode, e quindi anch'esso 6 gradi fuori del-
l'Eclittica verso il sud, lo vede e dee vedere sempre verso il nord.
Tutto sta adesso rilevare se la terza condizione, come la espone
Daute, voglia veramente precisare luoghi fuori dell'Eclittica. Dico
dunque che le parole di Dante vogliono dir questo, e solo questo.
Ripetiamole: Una' è la strada, — Che mal non^seppe carreggiar
Fetòn.
Ricordiamo primieramente la favola di Fetonte. Questo figliuolo
del Sole, giovine inesperto, ebbe un giorno la presunzione di chie-
dere al padre licenza di guidar egli il suo carro per la strada del-
l'Eclittica. Il padre Io contentò, ma il figlio non riusci : i cavalli gli
tolsero la mano, e il Sole andava per l'Eclittica all'impazzata, la-
sciando un segnale di arsione nella Via Lattea. Questa è la strada,
che Fetonte seppe mal carreggiar, ma uon è quella strada che in-
tende qui Dante ; perchè Dante dice invece che Fetonte non la seppe
carreggiar male. Or mi si dica qual' è quella strada, che non seppe
carreggiar male Fetonte? Non è altra che la strada fuori dall'Eclit-
tica, non .già perch'egli l'abbia carreggiata bene, ma perchè non vi
portò il mal carreggiamento, che avea cominciato nell'Eclittica, dalla
quale lo avrebbe portato chi sa dove se a tempo non fòsse stato dal-
l'Eclittica trabalzato nel Po. Dante dice tutto questo abbastanza
chiaro, usando l'avverbio onde, e non ove. Onde vuol dire moto da
un luogo, o remozione da un luogo, ed è come Dante avesse detto:
Fetonte carreggiò male nell'Eclittica: dall'Eclittica non seppe esten-
dere al di fuori il suo mal carreggiar, e questa è quella strada, che
intendo io, perchè sola in questa regge la verità della mia tesi, la
quale è di mostrare, che vi sono antipodi che veggono il Sole da
contrarie bande necessariamente, e questa tesi, che non può verifi-
carsi entro l'Eclittica, si verifica appuntino, per tutti, e sempre fuori
dell'Eclittica, onde comincia la strada Che mal non seppe carreggiar
Fetòn, perchè fuori uon vi potè carreggiare.
CANTO IV. W
Con questo monte in su la terra stare
70. Sì ch'ambedue hanno un solo ori zzò n
E diversi emi speri, ond'è la strada,
Che mal non seppe carreggiar Fetòn;
Vedrai come a costui convien, che vada w
Dall' un, quando a colui dall'altro fianco,
Se lo intelletto tuo ben chiaro bada.
Certo, Maestro mio, diss' io, unquanco
Non vid' io chiaro sì, com' io digeerno *°
Questo e non altro è il scuso genuino di Danto, non mai inteso
finora da nessun commentatore, anzi inteso tutto a rovescio contro
la tesi dantesca, che pur bisogna confessare svolta con una precisione
maravigliosa. Inteso Dante così, è facile intendere la terzina seguente;
inteso invece come vollero sinora i commentatori, è falso e contrad-
ditorio il senso della terzina stessa.
39 Vedrai ecc. Vedrai come a questo monte del Purgatorio (a co-
Btui) convien che il Zodiaco rubecchio, o il Sole, che è nel Zodiaco, vada
dall'un fianco, p. es. dal fianco sinistro, che riesce a settentrione stando
volti ad oriente, nel mentre che al monte di Sion suo antipode convien
che il detto Zodiaco, o il Sole, vada dal fianco opposto, per esempio,
dal fianco destro, che riesce a mezzodì, stando volti pure ad oriente.
Notale questo convien, che non può dirsi che pei luoghi fuori del-
l'Eclittica. Provatevi, lo dico di nuovo, a non intendere nel senso da
me esposto la terza condizione veduta nella nota passata alla let-
tera e, e vedrete, che il ratto asserito in questa presente terzina
non potrebbe verificarsi, e che Dante sarebbe venuto ad una con-
clusione impertinente, falsa e contradditoria.
*° Non vidi io ecc. La dimostrazione di Virgilio fu veramente da
maestro, né mai prima d'ora suonata sul labbro di nessuno, e deve
esser piaciuta immensamente ai contemporanei di Dante, che in siffatte
notizie eran bambini, ma ghiotti di saperne. Del resto questa istru-
zione ha del maraviglioso anche per noi ; e la prova l'abbiamo nel
non averla afferrata tutti i commentatori moderni, quantunque le
cognizioni astronomiche e geografiche sieno all'apice. Infatti i com-
mentatori moderni non seppero o non considerarono, che gli antipodi
per avere costantemente il Sole da' lati opposti bisogna che sieno
fuor dell'Eclittica, e che gli antipodi entro l'Eclittica non vanno sog-
getti a questa legge.
100 PURGATORIO
Là dove mio ingegno parea manco :
Che il mezzo cerchio del moto superno, w
80. Che si chiama Equatore in alcun'arte, tt
E che sempre riman tra il sole e il verno, u
Si credette finora dir vero, dicendo che gli antipodf veggono il
Sole in parte contraria, e non si vide, che la proporzione non è esatta,
perchè non basta esser antipodi, ma è necessario, che questi antipodi
sieno fuor dell'Eclittica.
" Parea manco Insufficiente air intelligenza di cognizioni cosi alte
e nuove.
** Che il mezzo cerchio ecc. Lo scolaro Dante ora dimostra di aver
compreso la lezione del suo maestro facendogli da sé stesso una nuova
giunta, perchè trovata una cosa è facile aggiungerne un'altra. Prego
che si attenda bene a questa giunta. Il cerchio di cui parla è fram-
mezzo i poli o frammezzo i Tropici dividendo il cielo e la terra in
due parti uguali: perciò si dice mezzo cerchio,
*8 Che si chiama Equatore. È la linea equinoziale, che divide
l' Eclittica per metà, e parallelamente ai tropici.
In alcun'arte. Astronomia o Cosmografia.
** E che sempre riman ecc. Il Sole s'aggira dall'una e dall' altra
parte dell'Equatore sino al Tropico del Cancro verso settentrione,
e fino al Tropico del Capricorno verso mezzodì. L' Equatore riman
sempre tra il Sole e l'inverno, ossia tra Testate e l'inverno. Anche
questa proposizione non può essere vera, come vuol qui Dante, se
non pegli antipodi fuori dell'Eclittica, e quindi anche con questo
verso mira a soli essi. R
Dico che non può esser vera pegli antipodi entro l'Eclittica, e
perchè essi non hanno mai il verno, vivendo nella zona torrida, e
più perchè ci sono gli antipodi della linea equinoziale, o dell' Equa-
tore, che quando hanno entrambi il Sole in essa linea non posson
dire di aver l'Equatore tra il Sole e il verno, essendo che il Soie
lo hanno appunto nell'Equatore.
Dunque dicendo Dante dell' Equatore : E che sempre riman tra
il sole e il verno, non può averlo detto, che in riguardo degli an-
tipodi, che stanno fuori della Eclittica, a soli i quali mira la giunta
che qui si propone di fare alla lezione del suo maestro , che or si
va preparando da gran maestro lui stesso.
Qual è questa ragione detta da Virgilio? E che agli antipodi
fuor dell'Eclittica dee girare il Sole da parti contrarie. E Dante
CANTO IV. 101
Per la ragion, che dì, quinci si parte A5
Verso settentrion, quanto gli Ebrei 46
Vedevan lui verso la calda parte. 41
procedendo col raziocinio io base alla cognizione avuta, aggiunge
quanti gradi questi antipodi deono veder inclinato dalla propria parte
l'Equatore ; cioè deono veder dalla propria parte l'Equatore incli-
nato tanto quanto è dall'altra. Se per esempio Sion lo vede verso
mezzogiorno alla distanza di 30 gradi, come è infatti, il Purgatorio
lo dee vedere inclinato al settentrione alla distanza pure di 80.
Con questa ultima notizia, che ci porse qui, Dante diede l'ul-
tima mano alla determinazione del vero sito dei due luoghi antipodi
Monte Sion e Monte Purgatorio. Prima ci avea detto che sono an-
tipodi, ma tanti sono gli antipodi, perchè ve ne ha nell'Eclittica e
ve n' ha fuori. Poi ci ha detto che questi antipodi son fuori dell'Eclit-
tica, ma fuori dell' Eclittica ci sono antipodi dai tropici ai poli. Dun-
que di quali antipodi si parla ? Ossia quanto questi due antipodi sono
distanti dall'Eclittica? À quest'ultima differenza rispose qui dicendo,
che tanto il Purgatorio è distante dall' Equatore, quanto dall'Equa-
tore è distante Sion. Ma la distanza di Sion si sa. Dunque per questo*
si sa anche la distanza del Purgatorio.
**Per la ragion, che dì. Qual'è questa ragione? Sono quelle tre
condizioni esposte sopra colle lettere a, o, e, ma specialmente là terza,
la quale determinava che questi due monti Sion e Purgatorio s' im-
maginassero e fossero fuori della Eclittica. Attenti bene che presto
sbuccia la bella appendice che Dante fa alla dottrina di Virgilio.
tf Quinci si parte — Verso settentrion. L'Equatore da questo monte
del Purgatorio (quinci) si inclina o si accosta, (si parte) verso set •
tentrione. Fin qui era giunto colla sua lezione anche Virgilio; ma
parlando del Sole, non dell'Equatore, che è tutta un'altra cosa, e
da non confondersi, come han fatto i commentatori : quello che segue
è la giunta bellissima, che noi aspettiamo da Dante.
«7 Quanto gli Ebrei — Vedevan lui verso la calda parte. La le-
zione quanto, e non quando è la sola autentica. Se ritenete quando,
Dante verrebbe a dire solamente quel che fu detto, e sarebbe una
inutile ripetizione indegna non che di Dante, ma e d'ogni più me-
diocre scrittore. Inoltre il quando, nell'atto stesso che nulla aggiunge
al detto, lascierebbe incompiuta la dimostrazione, che è di precisare
il «ito che occupano sulla sfera terrestre li due monti Sion e Pur-
gatorio, alla qual dimostrazione qui si intende di proposito. Perciò
102 PURGATORIO
fecero bene il Buti, il Veluteuo ed il Landino ad attenersi aHa lenone
quanto riprovando quella del quando, che certo fa errore degli ama-
nuensi, seguiti poscia alla cieca dai commentatori.
Mi maraviglio poi del signor canonico Brnnone Bianchi, che dopo
di aver avuto la bella sorte di abbattersi nella lesione quanto t sia
nondimeno rimasto indifferente sul quanto, o sul quando, dicendo
queste precise parole: « Chi volesse però, potrebbe in qualche modo
sostenere anche la lezione quando. » Ma non avendo egli punto com-
preso tutto questo passo, non potè* pure esser fermo nella verità che gli
ai era affacciata. Dice poi che il P. Ponta nelle sue Tavole cosmografi-
che, per r intelligenza della Di trina Commedia, additò la lesione quanto
come migliore della comune quando. Dicendo migliore disse troppo
poco, perchè quando si dice solamente migliore ai lascia sussistere l'al-
tra come men buona, mentre assolutamente questa, che ai vorrebbe
men buona, invece è cattiva, erronea e falsa. Dante o scrisse quanto
o scrisse quando. Indifferenza o almen tolleranza per questo e per
quello non si può dare ; e chi si adagia a tal tolleranza, io dico che
non ha compreso la tesi proposta, e svolta in questo lungo e bellissimo
brano. Dico finalmente, che i un mostrare un troppo basso concetto di
Dante supponendolo indifferente al senso delle parole, mentre Dante
è si maraviglioso per l'esattezza. Se si trattasse di due parole d'un
senso affine, vorrei passarmene; invece ai tratta di due parole, Tona
delle quali è particella di tempo, l'altra particella di quantità; per cui
adoperando l'una o l'altra ne riescono sensi tutto diversi, e niente
affini In tal caso non si ha da dire l'una miglior dell'altra, ma ai
ha da dire o l'una o l'altra. Ritenuta dunque per sola lesione auten-
tica il quanto (ed or vedremo se si ha ragione di legger cosi, escluso
qualunque altro testo), veniamo al commento.
Quanto gli Ebrei — Vedeoan lui ver$o la calda parte. Il quanto
presuppone tanto. Dunque intendete cosi: Il Purgatorio vede l'equa-
tore tanto inclinato verso settentrione, quanto inclinato verso il mez-
zodì lo vedevano gli Ebrei dalla loro Sionne. Ossia, che è lo stesso:
Dal Purgatorio all'Equatore, che sta verso il nord, havvi quella di-
stanza, che vi ha da Sionne all'Equatore, che sta verso il sud. Ossia
che è puro lo stesso : Tanti gradi di latitudine meridionale dobbiamo
avere (dice Dan te"> da qui (Purgatorio) all'Equatore, quanti gradi ave-
vano gli Ebrei da Sionne all'Equatore. Ma si sa che Sionne dall'Equa-
tore dista 80 gradi di latitudine settentrionale. Dunque anche il Pur-
gatorio dista 30 gradi di latitudine meridionale dallo stesso Equatore.
Cosi tra quel che ha detto prima Virgilio, e quel che ha ag-
giunto Dante adesso, sappiamo di questi due monti Sionne e Pur-
gatorio le cose seguenti: 1. Che sono antipodi, perchè hanno lo stesso
CANTO IV. 103
.Ma 8* a te piace, volentier saprei, i8
Quanto avemo ad andar, che il poggio sale
Più che salir non posson gli occhi miei.
Ed egli a me: Questa montagna è tale, 49
orizzonte e diversi emisperi ; 2. Che sono fuori dell'Eclittica, perchè
giacciono dove Fetonte non seppe mal carreggiare, il quai corso av-
venne nella Eclittica ; 3. Quanti gradi sono fuori dell'Eclittica, ossia
i loro gradi di latitudine, che sono SO. Ora questi due luoghi dietro
tali indicazioni di Virgilio prima, e di Dante dappoi, si potrebbero
eglino Irovar sulle carte geografiche? Rispondo che no, perchè man-
cherebbe a compimento la indicazione dei gradi di longitudine di cia-
scuno. Ma perchè non dare anche questi? Perchè Dante li aveva dati
al principio del canto II in quella terzina:
Già era il sole all'orizzonte giunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalem col suo più alto punto.
Cosi abbiamo quanto occorre per trovarli sulla carta geografica. Vo-
lendo sapere adesso qual luogo nell'altro emisfero sarebbe antipode»
di Gerusalemme, dico che oggi sarebbero le isole dei Quattro Co-
ronati all'occidente dell'America meridionale, in faccia al Chili.
*8 Ma s'a te piace ecc. Dante, essendo salito assai alto pel monte
pensa tra sé che non gli dovrebbe restar molto per arrivare alla cima.
S'inganna, perchè egli ha fatto meno di 55 miglia, e la montagna
è alta 95. Vedi Tav. II, Purg.
49 Questa montagna è tale ecc. Come Virgilio può sapere la pro-
prietà, che infatti avea questa montagna, mentre non ci fu mai ? Ri-
spondo: Egli sapea che era il Purgatorio, cioè il luogo destinato aUe
anime elette, che salivano, e si purgavano, e di mano in man che
salivano, avendo meno da purgare, aveano perciò meno peso di colpa
da portare, e sapea ancora che il suo guidato aveva anch'egli i suoi
fardelli da scaricare per questa montagna come le altre anime. Ba-
stava saper questo per conchiudere ragionevolmente che la proprietà
della montagna doveva esser tale. Poteva dirgli è vero, che per an-
darne al fine gli mancava ancora gran tratto , ma questo non era
argomento da ispirar coraggio, e però lo tacque. Del resto sull'al-
tezza di questa montagna, e sul viaggio rimanente, che Dante potea
invaginarsi , Virgilio gli avea detto abbastanza nel fine doli' Inferno,
dove gli toccò della materia che si spiccò dal centro della terra, e
104 PURGATORIO
Che sempre al cominciar di sotto è grave,
90, E quant'uoni più va su, e men fa male.
Però quand'ella ti parrà soave
Tanto che '1 su andar ti sia leggiero,
Come a seconda giù l'andar per nave,
Allor sarai al fin d'esto sentiero:
Quivi di riposar l'affanno aspetta:
Più non rispondo, e questo so per vero. w
E, com'egli ebbe sua parola detta,
Una voce di presso sonò : Forse
Che di sedere in prima avrai distretta. M
ìoo. Al suon di lei ciascun di noi si torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone, M
che salse alla superficie a formarci il monte dove si trovavano. Te-
niamoci a mente questa terzina, e gli altri quattro versi che seguono,
perchè da essi si conchiude che Dante nel Canto VI. nota 31-32, dovea
•esser presso il fine della montagna, per la ragione che, giunto a questo
Canto e a questi versi, dichiara che gli è soave e leggero l'andare
in su.
50 Più non rispondo, ecc. Virgilio, che non sapea troppo di questo
monte, non amava perciò che il suo guidato gli facesse ulteriori ri-
cerche, nelle quali il maestro si sarebbe trovato impacciato. Dunque
risposta asciutta e definitiva.
si Che di sedere ecc. Quest'auima non veduta potè intendere tutto
il colloquio di Dante con Virgilio, e di Virgilio con Dante sin dal
momento del suo arrivo su quel balco. Ella, stando dietro al suo pe-
trone ancor nascosta, rimbecca le ultime parole di Virgilio che disse
a Dante di non riposar sino al fine del monte : Quivi di riposar
l'affanno aspetta, E una scena bellissima, e tanto più bella quanto
più improvvisa. Notate che da una parte Virgilio gliel'avea fetta a
Dante troppo consolata, e dall'altra quest'anima era una di quelle che
patirono di pigrizia. E naturalo adunque che questa parli a Dante
di difficolta che incontrerebbe.
&- Un yran petrone. Appunto per le montagne tra una roccia ed
un'altra si vede qua e colà qualche sasso immane che sorge da un
pratello. e che mostra essere un tempo caduto dall'alto. Vedi questo
petrone nella mia Tav. II, Purg.} a destra.
CANTO IV. 105
Del qual ned' io, ned'ei prima s'accorse. 33
Lk ci traemmo: ed ivi eran persone,
Che sì stavano all'ombra dietro al sasso, 5*
Come Tuoni per negghienaa a star si pone, ri;i
A mancina. Dunque dalla parte di settentrione, ove i poeti ve-
devano il Sole, Questo petrone gettava l'ombra verso i poeti, e ap-
punto a quest'ombra stavano quell'anime rannicchiate, che venivano
cosi ad essere tra il petrone ed i poeti. Questi non le videro appunto
perchè stavano rannicchiate sull' erba.
w Ned' io, ned'ei ecc, È raro il caso che Dante nomini prima sé
che Virgilio; ed a ragione. Qui però fa una eccezione alla regola,
e questo, se ben si osserva, è per onor di Virgilio, perchè il discorso
cresce, ed è meno da stupirsi che non se ne sia accorto Dante, e più
che non se ne sin accorto Virgilio.
5* Che sì stavano all' ombra ecc. Il poeta descrive qui il fare delle
persone dominate dall'accidia. Fu fatti queste eran anime, che aveano
ritardata la lor conversione per sola negligenza e pigrizia, onde per
aver esse ritardato di darsi a Dio, sono ora in pena ritardate dal.
rincominciare il loro purgatorio. Un'usanza dei pigri è intanto questa
di fuggire gli incommodi della stagione; ed ecco che queste dietro
l'ombra del sasso si riparano da' rai del Sole. II Sole allora era presso
mezzogiorno, ora troppo seccante per accidiosi. Ricordivi che Dante
l'avea detto poco prima che il Sole era presso mezzogiorno, quando
disse che da sinistra n'eravam feriti (nota 29). Dicendo il poeta dietro
al bosso non bisogna credere che il sasso fosse tra le anime ed i poeti,
n sasso era al di là verso settentrione, poi venivano le anime, e dopo
delle anime venivano i poeti. Sicché si potrebbero mettere in que-
st'ordine, cominciando dal sasso, ch'era verso settentrione : sasso, ani-
me, poeti, n sasso gettava l'ombra verso le anime e verso i poeti,
e questa è un'altra ragione perchè i poeti non s'accorsero subito né
del sasso né delle anime, ivi sedute; non si accorsero per l'ombra,
che aveva il sasso, e che dal sasso cadea sull'anime. Non si creda
soverchio l'esame scrupoloso di queste minute circostanze, perchè è
quello che ci conduce a conoscere la ragione di tutto ; il che soddisfa
la mente, che cerca verità e natura.
ss Per negghiema ecc. Per neghittosaggine. Erano anime accidiose
dunque neghittose. Queste, dopo cercata l'ombra, cercano un commodo
stare nell'ombra; quindi o stanno sdrajate o sedute. Par divederli
quei poveri Bfaccendoni, ch'erano al mondo.
56
106 PURGATORIO
E un di lor, che mi sembrava lasso,
Sedeva, e abbracciava le ginocchia,
Tenendo '1 viso giù tra esse basso.
O dolce signor mio, diss' io, adocchia
no. Colui che mostra sé più negligente,
Che se pigrizia fosse sua sirocchia.
AUor si volse a noi, e pose mente, 37
Movendo '1 viso pur su per la coscia, u
E disse : Va su tu, che se' valente. "
Conobbi allor chi era : e quell'angoscia, ••
Che m'avacciava un poco ancor la lena,
Non m' impedì l'andare a lui ; e poscia
Ch'a lui fui giunto, alzò la testa appena, 6i
Dicendo: Hai ben veduto, come il sole w
** Sedeva ecc. Detto del contegno di queste anime accidiose in gè-
* nerale (54-55) passa a dime in particolare. Gli atti caratteristici di
pigrizia che il poeta nota in questa, sono veramente naturalissimi, e
indicanti grave pigrizia: sedere, abbracciar le ginocchia, e ficcarvi
il viso trammezso fanno vedere un pigrone.
5" AUor 8t volse a noi. Anche il non volgersi prima, quando cioè
i due poeti si trassero ad esse, è atto pur questo di gran pigrizia. Dante
quando colorisce non abbandona il quadro se non ad opera finita.
ss Movendo il viso ecc. Altro atto di pigrizia. Nemmeno alzar la
testa, ma solo torcer la faccia tanto, che potesse vedere i forasti eri.
w Va su tu ecc. È tutto il parlar dei poltroni, che per istrado lo-
dano di valentia chi intendono biasimare.
«>o Quell'angoscia — Che m'avaceiava ecc. La fatica angosciosa,
che mi affrettava ancora il respiro, detto altrove V affollar del casso.
Dopo la fatica di una lunga salita si prova una grande ansia al petto
che dura qualche tempo.
6t Alno la testa appena. Am he questo è un altro atto di pigrizia:
alzar sì poco la testa, e alzarla dopo di aver aspettato che Dante fosse
giunto a lui. Il poeta si studia di trovar fuori tutti li tratti che ca-
ratterizzano il pigro, e gli vengono trovati assai bene.
63 Dicendo, hai ben veduto ecc. In tuono di scherno, perchè il pigro
sta sempre sul canzonare chi s'argomenta di imparare. L'anima si
CANTO IV. 107
120. Dall'omero sinistro il carro mena?
Gli atti suoi pigri, e le corte parole 68
Mosson le labbra mie un poco a riso : 64
Po' cominciai : Helacqua a me non duole M
Di te ornai ; ma dimmi, perchè assiso
Quiritta se' : attendi tu iscorta, **
O pur lo modo usato t1 ha ripriso ? 67
riferisce eolie sue parole al discorso astronomico fatto tra Dante e
Virgilio quando questi non s'erano ancora accorti che vi avesse dap-
presso chi li ascoltasse. Questo è un bellissimo e naturalissimo intrec-
cio ; imaginar persone presenti ad un discorso, senza che chi discorre
lo sappia. Questo caso succede, ed è fonte di gran piacere quando
si scopre la presenta di chi non si credeva, e si apprende ch'egli ha
inteso tutto il discorso.
•• Gli atti ecc. Gli atti che abbiam veduto sono tutti da pigro,
e da pigro le parole, perchè da vero pigro ne disse poche risparmian-
dole più che potè, e perciò son dette corte.
64 Monon le labbra ecc. Bisogna mettersi nei panni di Dante. Egli
era di un' indole acre e risentita, che avrebbe fatto pentire chiunque
si fosse attentato a motteggiarlo. Noi l'abbiamo veduto nelV Inferno
alle prese con qualche dannato, che gli si mostrava scortese, e abbiam
veduto con quanto suo costo. Qui invece si sente pungere ; eppure
non ha che un riso da rifarsene. Era il rispetto per l'anima eletta.
& Iìelacqua II Tommaseo dice che un antico postillatore afferma es-
sere stato Belacqua un eccellente fabbricatore di cetere,ma pigro assai
nelle cose dello spirito. Qua! ch'egli fosse, era amico di Dante come
Casella. Questi era caro a Dante pel suo canto, e facilmente Belacqua
gli sarà stato caro pel suono. Forse il Belacqua avrà accompagnato
co' suoi strumenti il Casella quando questi cantava le canzoni di Dante,
n caso è molto probabile.
A me non duole —Dite ornai. Questo modo di parlare dichiara
apertamente che Dante prima di questo momento viveva in angustia
sulla sorte del suo Belacqua per averlo saputo uomo sempre bislacco
nelle cose dell'anima; ed ora, che lo vede in salvamento, si raccheta.
Dante con ciò gli dà una testimonianza di bella amicizia.
** Quiritta. Modo fiorentino, sta per qui.
M Lo modo usato t'ha riprisoì O ti se* lasciato pur cogliere al-
l'antica pigrizia?
10* PURGATORIO
Ed ei : Frate, l'andare in su che porta? 6S
Che non mi lascerebbe ire a' martiri
L'uscier di Dio, che siede in su la porta. w
130. Prima convien che tanto il Ciel m'aggiri 70
Di fuor da essa, quanto feci in vita,
Perdi' io indugiai al fin li buon sospiri, 71
Se orazione in prima non m'aita, 71
Che surga su di cuor, che in grazia viva; 73
L'altra che vai che in Ciel non è udita?
** Che porta f Che giova?
69 L'uscier di Dio ecc. L'angelo custode della porta, o portinajo
del Purgatorio; che non lascia incominciar la sua pena, chi non se
lo merita; e non se lo merita chi indugiò la penitenza. Quanto de-
siderio di patire per ire al cielo! Che nobile idea di quell'anime e
del Purgatorio!
70 Prima convien cht tanto ecc. Ecco la pena proporzionata alla
colpa. Chi visse impenitente (ma senza scomuniche o censure, e solo
per accidia) per esempio 50 anni, dee restarsene fuor della porta del
Purgatorio per altrettanti 50, penando per non poter penare, che è
il solo mezzo di giungere a Dio in Paradiso.
Tanto il Ciel m'aggiri. Tanto tempo il Ciel aggiri me. S'intende
il cielo dov' e il Sole, che gira la terra ogni di in 24 ore secondo il
sistema di quei giorni.
Il Sole aggirando la terra, o intorno la terra, aggira anche gli
abitatori di essa, quali erano quelli del Purgatorio, sebbene fossero
nell'altro emisfero.
7* Perchè indugiai al fin ecc. Al fin, cioè sino al termine della vita,
essendosi dunque convertito in morte.
Li buon sospiri. Li sospiri di vero pentimento. Li sospiri effi-
caci alla remission del peccato. A questa classe di penitenti appar-
tiene una gran parte degli uomini.
7* Se orazione. Dunque il decreto di esclusione per tanto tempo,
quanta fu V impenitenza, non è assoluto, per ragion di suffragi, che
lo abbreviano secondo il principio cattolico, ohe è di fede. Dante non
manca alla sua fede.
73 Che surga ecc. Anche questo è un altro punto di fede cattolica,
che l'orazione non fatta in grazia, non gioya ai purganti.
CANTO IV. 109
E già il poeta innanzi mi saliva, 7i
E dicea : Vienne ornai ; vedi eh' è tocco 75
Meridian dal sole, e dalla riva 1G
Cuopre la notte già col pie Marocco.
74 Innanzi mi saliva — E dicea: Vienne ornai. Eccitamento alla
fretta. Notate bene innanzi mi saliva. Vi rammenterete che i poeti
appena giunsero sull' orlo del balzo, si arrestarono, e fatti alcuni di-
scorsi, videro a sinistra il pctrone. Questo era sull'orlo del balzo. Ven-
gono ad esso. E finalmente Virgilio parte. A qual luogo? Al varco,
che sperava ritrovare sopra la costa di rimpetto alla lor salita pri-
miera. Quindi per ir dal petrone al varco di sopra, a prendere la più
corta, bisognava fare la diagonale attraverso la costa, la quale stava
in pendio ed era larga. Colla espressione che usa il poeta, s'intende
tutto questo. Ritenetelo a memoria, perchè occorre nell'altro Canto.
Vedi il mio disegno Tav. II, Purg., a questo luogo, che ti facili-
terà P intelligenza.
75 Vedi eh' è tocco — Meridian dal sole. Quando il Sole giunge al
Meridiano, allora è mezzogiorno, o almeno il principio di mezzogiorno,
perchè per essere mezzogiorno in punto, il Sole non solo deve toccare
il meridiano, ma deve esser segato per mezzo dal meridiano. Sicché,
a tatto rigore mancherebbe ancora un minuto a mezzogiorno. Sprez-
ziamolo pure questo minuto, e riteniam mezzogiorno.
71 Dalla riva — Cuopre ecc. Se al Purgatorio era mezzogiorno,
dunque era mezzanotte a Gerusalemme. Dal Purgatorio poi a Ge-
rusalemme havvi Va cerchio, ossia 180 gradi. Supponendo zero Ge-
rusalemme, ossia supponendo a Gerusalemme il primo meridiano, come
Dante infatti lo pone, per esser considerata Gerusalemme il centro
della terra abitata, e movendo da quello ad occidente verso il Pur-
gatorio, quando saremo a </ì di cerchio, ossia a 90 gradi da Geru-
salemme troveremo il tramonto del Sole. Ora Marocco colla sua riva
è forse a questa meta tra il Purgatorio e Gerusalemme? No, egli è
verso Gerusalemme 25 gradi, ossia è a 65 gradi da Gerusalemme.
Dunque a Marocco il tramonto del Sole è avvenuto. Di quanto ?
Quanto è il tempo che il Sole impiega a percorrere 25 gradi. Ora si
sa che il Sole percorre 15 gradi all'ora. Dunque a percorrere 25 im-
piegherà ore 1.40 minuti. Dunque a Marocco il Sole era tramontato
di ore 1.40; e perciò per Marocco cominciava la notte, la quale, se-
condo che sempre la prende Dante, e secondo la realtà, comincia al
cessar dei crepuscoli, cioè dopo 1.40 minuti, dacché è tramontato il
110 PURGATORIO
sole. Ecco perchè Danto dice che la notte, e non la sera, comincia per
Marocco, perchè la sera comincia al tramonto del Sole, e la notte dopo
terminati i crepuscoli. In breve : Mezzanotte a Gerusalemme, Messo-
giorno al Purgatorio, Tramonto a 90 gradi da Gerusalemme, un'ora
e mezza dopo il tramonto a 65 gradi da Gerusalemme, dov'era la riva
di Marocco, impero occidentale dell'Africa settentrionale sull'Oceano
Atlantico.
Tutto questo si può veder all'evidenza appuntando una sfera:
perciò i commentatori, che non fecero il calcolo sulla sfera presero
Marocco per linea di mezzo tra Gerusalemme e il Purgatorio, ed e
un errore non mai detto da Dante, mentre invece da Marocco alla
linea di mezzo mancano 26 gradi. Questo prova all'evidenza che Dante
non fa già un quadrante, ossia 90 gradi da Gerusalemme allo stretto
di Gibilterra, cioè ai confini occidentali della Spagna, come gli fanno
dire con sua vergogna i commentatori spiegando il Farad., Canto IX,
v. 82 seg., ma fa il quadrante un 50 gradi all'ovest di Gibilterra,
oppure 25 all'ovest di Marocco. Il vero quadrante, qual'è in realtà,
Dante, a scanso d'ogni errore, ce lo ripete per ben tre volte; una qui
Purg. IV, v. 137 e seg., un'altra volta nel Farad* IX, 82 e seg. ed
una terza nel Farad, XXVII, 79 e seg. Perciò io mi maraviglio di
certi commentatori, che par che spieghino Dante per fargli dire degli
spropositi che mai non sognò.
CANTO V
Argomento.
I poeti partono dalpetrone. S'incontrano in molte anime. Queste
s'accorgono che Dante è vivo. Gli si appressano e lo pregano di
ricordarle ai loro parenti. Anche queste sono anime, che trascura'
rono sino alla morte la lor conversione, per effetto di accidia; ed
essendo stata violenta la loro morte, prima di spirar si pentirono
e perdonarono. Tra queste vede Giacopo del Cassero, Buonconle di
Monte feltro e la Sanese Pia. Queste anime morte violentemente sono
nel medesimo giro del monte, nel quale erano le anime vedute nel
Canto IV, ma in parte contraria; cioè le procrastinanti per accidia,
e pentite in morte naturale stavano dalla parte di settentrione in
atto di neghittose, e le procrastinanti pur per accidia, e pentite in
morte violenta, venivano a tardi passi dalla parte di mez%od\.(Vedi
Tav. Il, Purg,). Non si creda dunque, che per vedere camminare i
poeti, essi cangino balzo o costa, come si vede che ritengono tutti i
commentatori, e però si veggono errati i disegni, e le spartizioni
del monte, massime in Fraticelli. No: queste due apparenti sorta di
procrastinanti, non sono che una sorte sola, cioè procrastinanti per
accidia sino alla morte, sebbene questa sia diversa in loro ; naturale
in quelli da settentrione, violenta in quelli da mezzodì.
Si chiariranno meglio le cose nei commenti.
NB. Vedi tatti i casellini di questo Cinto nella mia Ta?.I e la Taf. Il, Purg.
lo era già da quell'ombre partito,
£ seguitava Torme del mio duca, '
* E seguitava l'orme ecc. Avvertite bene che Virgilio non passò
al di là del petrone, ma ritornò indietro, non già rifacendo la stessa
strada, cho fece dal punto del balzo, ov'era poco prima salito, ma
attraversando la costa pendente, dirigendosi al filo di mezzo tenuto
sempre fin da principio per rimettersi sai filo medesimo, mediante
la diagonale, a risparmio di tempo. Vedi Tav. II, Purg.
112 PURGATORIO
Quando dirietro a me, drizzando il dito f
Una gridò : Ve', che non par che luca 3
2 Dirietro a me. I poeti (Virgilio innanzi e Dante dopo) partiti
dalle anime, non girarono il monto. oltrepassando il petrone, ina sa-
lirono la costa, c<>me dicemmo .n. 1) per la diagonale, affin di rag-
giungere al più presto possibile la strada di mezzo, che è la lor dire-
zione. Dante pertanto, andando dietro a Virgilio, veniva così a lasciare
sotto di sé le anime del petrolio, e queste lo poteano seguire col-
1* occhio benissimo, perchè la sua salita eia nella direzione sud-ovest
del petrone. Vedi Tav. II. Vurg. Se Dante e Virgilio invece fossero
passati al di là del petrone salendo la costa, quelle anime che sta-
vano all'ombra di quel sasso volte a sud, e che non si movevano,
non li avrebbero potuto seguire coll'oeehio. e quindi il poeta non
avrebbe potuto descrivere il fatto di quelle anime che qui successe.
Mi si scusi se insisto nel fermar bene questo punto, e perchè i com-
mentatori vi scivolano sopra senza spiegazione alcuna, e perchè al-
trimenti non si saprebbe di quali nuove anime Dante intendesse qui
parlare, e perchè finalmente ci serve di chiave alla retta inteJligenia
di quel che segue; come infatti si vedrà.
Drizzando il dito. Gesto naturale di chi accenna a cosa da ve-
dere. L'anima a vista si nuova, quale si era vedere un vivo in quei
luoghi, non si scuote, non sorge: perchè':' perchè appunto eia una
di quelle anime tanto pigre e neghittose, che abbiamo veduto poco
prima e continuano ad esser tenute in quel carattere, che loro e
proprio. Perciò quest'anima, standosene pur seduta con l'altre, fece
anche assai a levare un po' la testa tanto, che vedesse la partenza
di que' due forastierì. e vistili nelle sehieue. s'accorse del caso nuovo,
e ad avviso dell'altre, grido drizzando il dito.
3 Una gridò. Dunque quelle anime erano ?i pigre, che di tante
sol' una ebbe talento d'alzare il caj»o e guardare. 11 poeta in questi
tocchi è assai più maraviglioso di quel che paia, ed è tutto schietta
natura.
Ve', che non par che luca — Lo raggio da ecc. Essendo al-
lora il mezzodì, e salendo Daute nella direzione, che abbiamo detto,
egli era ferito dal Sole sull'omero destro, e quindi gettava l'ombra
da sinistra. A più chiara intelligenza si osservi di nuovo il mio di-
segno della Montagna in questo luogo Ma come mai quell'anime
non si accorsero prima doli* ombra di Dante ? Per molte ragioni :
1. Porche prima nessuno, fuor che IVlaoqna, alzò la testa a vedere;
2. Perchè auche ttelacqua, che la alzò, l'alzò appena miraudo all'alto
CANTO V. 113
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
E come vivo par che si conduca. A
Gli occhi rivolsi al suon di questo motto , 5
E vidile guardar per maraviglia 6
Pur me, pur me, e il lume ch'era rotto. 7
io. Perchè l'animo tuo tanto s' impiglia, *
e non al basso di Dante, che sebben conoscente di lei, com' ella di
lui, punto non servi a scuoterla d'avvantaggio; 3. Perchè l'ombra
del petrone copriva anche Dante, e quindi l'ombra del corpo di Dante
era cassa.
* E come vivo ecc. Nel modo che vanno i vivi, cioè mostrando
fatica in salire, andando goffo, facendo romore coi piedi, e mo-
vendo i sassi.
5 Gli occhi rivolsi. Senza però fermarsi ; ma andando più lento,
com'è naturale che vada chi cammina volgendosi indietro a guarda-
re: e Virgilio, senza guardare a Dante, s'avvide subito che Dante
si allentava nel cammino, e lo raccogliea dalla maggior distanza onde
a lui veniva il romor de' suoi piedi.
6 E vidile. Quali anime, se una sola avea gridato? Quelle anime pi-
gre colcate al petrone, che i poeti aveano lasciato abbasso verso nord.
Guardar. Guardar, ma non sorgere, non ergersi della persona
per veder meglio, e sempre per la ragione eh' erano pigre. L'anime
invece, che abbiam veduto in compagnia di Manfredi, nel e. III, ap-
pena s'accorsero che Dante gettava ombra, si strinsero a' duri massi
per alzarsi ad ammirar meglio il caso.
? Pur me, pur me. Solo me, solo me. In solo Dante era il ma-
raviglioso; dunque erano tutte in lui, e nella sua ombra, che qui
si dice lume rotto, com'è chiaro.
* Perchè l'animo tuo ecc. A Virgilio preme la fretta si, che questo
medesimo rimprovero è da lui dato senza volgersi e senza rallentarsi
nei passi, come fa chi è indispettito col suo compagno, corretto al-
tre volte di lentezza. A Virgilio preme di andarsene e di non atten-
dere a quest'anima per due ragioni: 1. Per mostrar la cura che si
ha da avere del tempo, di cui mostrò sollecitudine tante altre volte;
ed è perciò che il viaggio d' Inferno l'ha fornito in sole 24 ore:
2. Per mostrare quanto poco lo interessassero quelle anime con la loro
pigrizia, e quanto poco ne dovrebbe calere anche a Dante, non in
quanto sono salve, che per ciò meritavano ogni rispetto, ma in quanto
ebbero la pigrizia, vizio tanto alieno da Virgilio e da Dante. Queste
8
114 PURGATORIO
Disse '1 Maestro, che l'andare allenti?
Che ti fa ciò, che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me7 e lascia dir le genti:
Sta come torre ferma, che non crolla
Giammai la cima per soffiar di venti.
Che sempre l'uomo, in cui pensier rampolla *
Sovra pensier, da sé dilunga il segno,
Perchè la foga l'un dell'altro insolla.
Che potev' io ridir, se non : I' vegno ? ,0
20. Dissilo, alquanto del color consperso, fl
Che fa Tuom di perdon talvolta degno.
E intanto per la costa di traverso
13
anime (fatta ben ragione alla differenza delle persone) rispondereb-
bero, per T effetto prodotto in Virgilio, a quelle anime dell* Atrio
d'Inferno, e. Ili, per conto delle quali Virgilio disse al poeta: Non
ragioniam di lor, ma guarda e passa.
9 Che sempre ecc. Intendi così : Perche l'uomo, che si da a più
pensieri ad un tempo, non raggiungerà mai a perfezionare nessuno, per
la ragione che il secondo colla sua fretta di succedere indebolisce (in-
solla) il primo, il terzo il secondo e cosi via via. È il detto di Orazio
nella Poetica: Pluribus intenius minor est ad singula semns. Questa
sentenza rovescia di colpo la falsa foggia d'insegnamento che corre
oggidì.
*o Che potev' io ecc. A si giusto rimprovero non ci potea essere scusa
che tenesse, salvo l'obbedire.
** Alquanto del color consperso — Che fa ecc. È il colore della ver-
gogna, che in noi succede al riconoscimento del nostro fallo, per cui alle
volte in vista di questo ci vien perdonato, come a meritevoli di perdono.
12 Per la costa ecc. Il tratto di monte per cui Dante sale dal petrone
in su non è cinghio, o roccia, come dal petrone in giù, ma è un piano
liscio inclinato, che si può girare in qualunque direzione. Perciò il
poeta lo chiama costa, e non cinghio o roccia, come quella di sotto;
perciò questa costa tanto i poeti, quanto le anime la camminano di
traverso, cioè dal basso all'alto, e dall'alto al basso, come potete ve
derc chiaramente nella mia Tav. II dal petrone in su. È inutile che
vi dica che tutti i disegni di questa montagna pubblicati finora sono
sbagliati. Oli sbagli cominciano dalla radice e vanno sino alla cima.
CANTO V. 115
Venivan genti innanzi a noi un poco, l3
Cantando Miserere a verso a verso. u
Quando s'accorser, ch'io non dava loco 15
Per lo mio corpo al trapassar de' raggi,
Mutar lo canto in un O lungo e roco ; l6
E due di loro in forma di messaggi n
Sicché da essi non intenderete mai niente di quel che dice Dante. Pren-
detene un saggio in quel che or vi dico. L'Atrio del Purgatorio, che
è per quattro sorte di procrastinanti, secondo Dante, comprende quasi
tutto il Purgatorio, cioè delle 95 miglia ne comprende 92, e cosi l'A-
trio del Purgatorio verso il vero Purgatorio ha le medesime propor-
zioni che vedemmo avere l'Atrio dell'Inferno verso il vero Inferno.
Questa proprietà la cercate indarno nei disegni già pubblicati. Così
tra il I balzo ronchioso a miglia 35 d'altezza ed il II a quasi miglia 55,
havvi un tratto di prateria, come a' pie del monte, e come ci ha fatto
intendere il poeta quando disse: Additandomi un balzo poco in sue
(IV, 47); ed anche questa proprietà non esiste nei disegni comuni.
Cosi pure non esiste nemmeno quest'altra proprietà che la costa, dove
siamo presentemente, metà è riservata per i procrastinanti morti di
morte naturale, quali furono quelli del petrone, metà per i procrasti-
nanti morti di morte violenta, senza però la scomunica, quali son quelli
che troviamo presentemente, i quali attraversano la costa dall'alto al
basso per volgersi a rigirare il loro semicerchio di monte, senza mai
passare la linea, che sega per mezzo questa facciata di monte.
** Innanzi a noi un poco. Vedi la reciproca collocazione dei poeti
e delle anime nella mia Tav. II a circa miglia 70 di altezza. Queste
anime poi compaiono improvvisamente per ragion che il monte essendo
arcuato a cono, gli oggetti si deono presentare cosi; il che non av-
viene in una pianura.
** Cantando Miserere ecc. Salmo di penitenza.
A verso a verso. Questo vuol dire che cantandolo non saltavano
alcun versetto, e che lo cantavano posatamente.
** Ch'io non dova loco ecc. E quindi che gettava l'ombra,
*6 Mutar ecc. Questo pensiero piacerà sempre a tutti immensamente
per la sua semplicità e natura. Sembra che ciascuno l'avrebbe fatto.
O lungo. Quando la maraviglia è al sommo si prolunga l'escla-
mazione. — Eneo. Perchè? Pel tanto cantare il Miserere
*7 E due di loro ecc. Vedi queste due anime indicate dalle due o
tra i poeti e la turba di esse anime.
UH PURGATORIO
Corsero incontro a noi, e dimandarne: l8
30. Di vostra condizion fatene saggi. f9
E il mio Maestro: Voi potete andarne,
E ritrarre a color che vi mandaro, 50
Che il corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra ristaro,
Com' io avviso, assai è lor risposto : *'
Facciangli onore, ed esser può lor caro. M
Vapori accesi non vid' io, sì tosto u
i* Dimandarne. Passato indicativo: ci dimandarono.
*9 Fatene saggi. E il certiorem facete dei Latini.
30,4 color che vi mandaro. Si segue l'idea dei messaggi detta
di sopra.
21 Com'io avviso. Virgilio non poteva sapere per certo il motivo
della loro fermata, ma solo poteva imagi nar lo come lo imaginò; perciò
nel rispondere sta bene: com'io avviso.
22 Facciangli onore ecc. A Virgilio cuoco ancora la bisiaccaggine,
onde T anime del petrone in questa costa accolsero Dante. Perciò qui
parla cosi.
Ed esser può lor caro. Per le orazioni e suffragi ch'egli loro pro-
curerà in vita; di che Virgilio avea vedute tanto desiderose le anime
trovate prima, non escluso Belacqua, seblxm si pigro. Ritenete a mente
questo passo perchè verrà buono da qui a poco.
ss Vapori accesi ecc. A maggior chiarezza di senso, ho messo virgola
innanzi a sì tosto, perchè il sì tosto va unito a fender, non ad aoctsi.
I vapori accesi di questa terzina sono due: 1. I razzi, detti anche
stelle cadenti, che fendono il ciel sereno; 2. I lampi che fendono il
ciel nebuloso nei temporali.
Secondo il costume di Dante, che coglie sempre la natura nei suo
massimo grado d'azione, egli in questa similitudine di corpi veloci,
non si contenta di un qualunque razzo, e di un qualunque lampo.
Il razzo lo coglie di mezzanotte, quando le tenebre sono più fitte, e per-
ciò si vede meglio scorrere il razzo, e lo coglie nel tempo affatto se-
reno, perchè allora non c'è nube alcuna, che ne nasconda l'intero corso.
Quanto poi al lampo egli lo coglie nella stagione ed ora del gior-
no, che, essendo l'atmosfera più pregna di vapori, il lampo guizza
più esteso, e più pronto, il che avviene nei temporali d'agosto nelle
ore pomeridiane quando il Sole cala dal meridiano.
CANTO V. 117
Di mezza notte mai fender sereno, *4
Né, sol calando, nuvole d'agosto,
40. Che color non tornasser suso in meno,
E giunti là, cogli altri a noi dier volta,
Come schiera, che corre senza freno.
Questa gente, che preme a noi, è molta, *5
E vengonti a pregar, disse il poeta ; 25
Però pur va, e in andando ascolta. n
O anima, che vai per esser lieta, M
Con quelle membra con le quai nascesti, a"
** Di mezza notte ecc. Quasi tutte le edizioni hanno di prima notte :
ma- il codice preziosissimo Libri, ha invece di mezza notte : e questa
dagli eruditi si ritiene la vera lezione, e così credo anch'io. Vedi il
giornale Armonia di Torino del 6 settembre 1862, che parla di questo
codice e di Guglielmo Libri, che lo rubò.
*3 Questa gente, che preme a noL Che corre con premura a noi.
È molta, Virgilio lo sa, perchè è più innanzi di Dante.
*& E vengonti a pregar. Come sa Virgilio, che quell'anime veni-
vano a pregar Dante? Dail'aver veduto che tutte l'altre sin qui hanno
fatto cosi.
** Però pur va, ecc. Questo va, non significa che Dante andasse
da quell'anime, restandosene discosto Virgilio, no; significa solamente
questo, che sebbene vengano quelle anime a parlarti, tu va per la
tua strada istessamente, e in andando ascolta.
Dunque è chiaro che quell'anime per poter parlare con Dante,
dovettero cangiare in contrario la lor direzione di strada: prima
venivano dall' alto al basso , attraversando la costa , e poi volendo
parlare al nostro poeta Dante dovettero volgersi e salire al punto,
d'onde erano poco prima discese. Veggasi il mio disegno della Mon-
tagna.
98 Che vai per esser lieta. Per esser lieta a suo tempo, cioè dopo
che anche tu morrai.
Quindi più precisamente vuol dire: O anima che fai questo
viaggio; perchè ti serva di istruzione e disposizione a quella vita
cristiana, mediante la quale si arriva ad esser lieta in paradiso nella
eterna beatitudine.
29 Con quelle membra ecc. Col tuo vero corpo.
*?*
118 PURGATORIO
Venian gridando, un poco il passo queta. M
Guarda se alcun di noi unque vedesti,
50. Sì che di lui di là novelle porti : u *
Deh ! perchè vai ? deh! perchè non t'arresti ? w
Noi fummo già tutti per forza morti, M
E peccatori infino all'ultim'ora : u
Quivi lume del ciel ne fece accorti, *5
•SI che pentendo, e perdonando, fuora 3G
Di vita uscimmo a Dio pacificati,
Che del disio di sé veder n'accora. *7
Ed io : Perchè ne' vostri visi guati, M
Non riconosco alcun; ma s'a voi piace *9
co. Cosa eh' io possa, spiriti ben nati,
30 Un poco il passo queta. Dante è memore del comando: Però
pur va, e in andando ascolta. Intanto che Dante andava su alla sua
strada, l'anime lo accompagnavano di costa, seguendolo anch'esse in
su dalla lor parte. Vedi Tav. TI, Purg.
** Sì che di lui ecc. Non già che lo pregassero a portar novelle
per amore ch'esse avessero ad una fama nel mondo. Questo deside-
ravano le anime dannate, che non potoano aver di meglio ; ma que-
st'anime sante aveano ben altro in mira: miravano ad ottener col
mezzo di Dante i tanto utili suffragi.
33 Deh ! perchè vai t deh! ecc. Dante ha inteso per bene la lezione
del suo maestro, e va come chi non si cura.
33 Tutti per fona morti. Tutti finiti di morte violenta.
3* E peccatori ecc. Procrastinanti sino alla morte.
35 Quivi ecc. In queir ultim' ora una grazia speciale del cielo ci
fece entrare in noi stessi a conoscere i nostri peccati e ii pericolo di
eterna dannazione che per essi incorrevamo.
36 Sì che pentendo e perdonando ecc. Ci volevano appunto siffatte
due condizioni per ottener queir anime il perdono di tutte lor colpe:
pentimento delle loro offese fatte a Dio, e. perdono delle offese fatte
loro dagli uccisori.
37 Che del disio ecc. Ecco la condizione di tutte l'anime purganti,
gran desiderio di veder presto il loro Dio.
38 Perchè. Per quanto.
3» Non riconosco alcun. Non avendoli conosciuti in vita.
CANTO V. 119
Voi dite, ed io farò per quella pace, 40
Che, dietro a' piedi di ai fatta guida, i!
Di mondo in mondo cercar mi si face. 4t
Ed uno incominciò: Ciascun si fida
Del beneficio tuo senza giurarlo, i3
Pur che '1 voler non possa non ricida. 4i
Ond' io, che solo, innanzi agii altri parlo.
Ti prego, se mai vedi quel paese, **
Che siede tra Romagna, e quel di Carlo,
70, Che tu mi sie de' tuoi prieghi cortese is
In Fano sì, che ben per me s'adori, 47
*o Per quella pace. Per la vita eterna.
*i Dietro a1 piedi ecc. Perchè Virgilio avea avuto l'incarico da
Beatrice di ^guidarlo.
** Vi mondo in mondo* Dal mondo dell'Inferno e del Purgatorio
inviato al Paradiso. Allude alla promessa di Virgilio: E trarrotU di
qui per luogo eterno — Ove udirai ecc. {Inf\ I, 114),
4* Senza giurarlo. Allude al giuramento testé emesso da Dante con
quelle parole : Io farò per quella pace ecc.
44 Pur che ecc. Purché V impotenza non impedisca la buona volontà.
43 Se mai vedi quel ecc. La Marca di Ancona, che si estende lungo
l'Adriatico tra la Romagna al nord, e gli Abb ruzzi al sud. Gli Abbrum
formavano parte del regno di Napoli, di cui era signore Carlo Novello.
4* De' tuoi prieghi cortese. Non che prieghi per me, ma che preghi
i miei di Fano a fare orazione per me.
4i In Fano. Era questi Messe r Jacopo del Cassero di Fano tra Pe-
saro e Sinigaglia sul mare, nemico di Azzo III marchese d'Este, e
per tale eletto in loro podestà dai Bolognesi, ch'erano in briga con
quel marchese, il quale ambiva la signoria di Bologna, dove aveva
fautori. Questo Jacopo fu coi Fiorentini Guelfi alla battaglia contro
i Ghibellini d'Arezzo nella fumosa giornata di Campaldino, vinta dagli
alleati Guelfi, tra i quali si trovava pur Dante, come dirassi più Botto.
Azzo faceva codiare a' suoi sgherri questo Jacopo per vendicarsi del
mal governo fatto a' suoi fautori di Bologna.
S'adori. Si ori. — Ben. Con orazione ben fatta, detta altrove :
Che sur ga su di cuor che in grazia viva: V altra che vai che inciti
non e udita? (Purg., e. IV).
120 PURGATORIO
Perch' io possa purgar le gravi offese. 4B
Quindi fu9 io, ma li profondi fori,
Ond'uscì'l sangue, in sul quale io sedea,
Fatti mi furo in grembo agli Antenori, "
Là dove più sicuro esser credea : w
Quel da Esti il fé' far, che m'avea in ira "
Assai più là che dritto non volea. *
Ma s' io fossi fuggito in ver la Mira, M
4* Perch'io possa purgar ecc. Perch'io ottenga grana che mi sia
abbreviato il tempo di esclusione dal vero Purgatorio, e possa dar
principio quanto prima- alle pene del Purgatorio destinate a' miei gravi
peccati, e così purgarli. Le anime del Purgatorio nulla più desiderano
che di saldare per pene i debiti, che hanno con Dio.
49 In grembo agli Antenori. Sul Padovano. Secondo la tradiiione
Padova fu fondata da Antenore, Dunque Antenori i Padovani. Si
mostra in Padova una gran pietra nella quale si sono riposte le pre-
tese ossa di questo vecchio Trojano, e si chiama comunemente la
Tomba di Antenore* (Dizionario geografico).
so Là dove più sicuro ecc. Come questo Jacopo del Cassero si
trovava sul Padovano? Egli vi si trovava perchè da Bologna era in
sul passare a Milano, dal cui Comune era stato eletto a podestà. Dice
che fu assassinato là dove si credea più sicuro, perchè non solamente
era fuori dalle terre di Azzo, ma era in quelle de' nimici di Ini, i
Padovani, i quali di quei di uniti ai Veronesi capitanati da Alberto
Scaligero, facevano guerra contro Azzo III ; sicché stando colà non
avea ragion di temer d'Azzo II I {Dalla Corte, T. II).
M Quel da Esti Azzo III, marchese d'Este e Ferrara. — 3T avea in
ira. Perchè Jacopo era suo contrario, prima per ragione di parte, e
poi più contrario ancora al tempo della sua podesteria di Bologna
per avere sventate le ambizioni di lui su Bologna stessa, di cui, come
fu detto, si voleva fare signore.
99 Assai ecc. L'aver in ira i propri nemici (parlo secondo politica) è
cosa naturale ; ma anche quest'ira ha i suoi confini ; ed Aszo gli oltre-
passò con Jacopo. La guerra, se Azzo avea ragione da ciò, sarebbe stata
entro il diritto, ma il tradimento e l'assassinio era più là del dritto,
st Ma s'io f ossi fuggito ecc. Oriaco (ora Oriago) è sull'antica strada
postale di Fusina intorno ad otto miglia da questo paese, e a circa
quattro miglia a mezzodì dalla odierna strada ferrata sul Padovano.
CANTO V. 121
so. Quand' io fui sovraggiunto ad Oriaco,
Ancor sarei di là dove si spira. **
Corsi al palude, e le cannucce e il braco *5
M' impigliar sì eh' io caddi, e lì vicT io
Delle mie vene farsi in terra laco. *
Poi disse un altro : Deh ! se quel disio *7
Si compia che ti tragge all'alto monte, *8
Ad Oriaco il nostro Jacopo fu sopraggiunto dagli assassini d'Azzo.
A mezzodì d'Oriaco ci son paludi,, e al suo settentrione havyi il pae-
sello di Mira. Se a questa si fosse diretto, fuggendo, l'avrebbe scam-
pata; invece nella confusione, e per poca pratica dei luoghi, tenne la
parte meridionale ad Oriaco, e si trovò tra le paludi. Fuggendo verso
la Mira avrebbe trovato difensori : riuscito invece alle paludi si trovò
isolato e senza difesa ; onde' gli assassini poterono a man salva scan-
narlo.
5* Dove ai spira. Dove si vive. La vita si mantiene col respiro. Ces-
sando questo si muore.
w E le cannucce e il braco. Le alghe ed il pantano.
36 Delle mie vene. Dei mio sangue*
si Se quel disio. Cosi quel disio si compia. Se non è condizione, ma
buon augurio.
S8 Ali* alto monte. Attenti bene alle espressioni, perchè racchiudono
più di quel che si crede. Fermatevi ben nella mente che Dante fa
il monte del Purgatorio dell'altezza di miglia 95 ; 92 delle quali sono
l'atrio dove stanno coloro che trascurarono la loro eterna salute ; e
perchè questi formano l'immensa maggioranza, per non dir quasi tutti
quelli che poi si salvano, perciò a questo monte si assegna loro un
luogo proporzionato al loro numero ; in quella guisa che ai neghittosi
e non mai convertiti, nemmeno in morte, i quali pure sono il mas-
simo numero degli uomini, si assegnò nelT Inferno quell'atrio profon-
dissimo di miglia 3150, ed ai peccatori famosi si assegnò un Inferno
della sola profondità di miglia 95.
Adunque 92 miglia d'altezza di monte sono destinate per tenere
in aspettativa del vero Purgatorio le anime, che aspettarono a con-
vertirsi ; e sole 3, anzi 2 tt?6* (che sono la cima della montagna) eono
destinate al vero Purgatorio di pene sensibili, alle quali tanto aspi-
rano le anime non ammesse, e rilegate a tempo al di fuori. (V. Tav. II,
Purgatorio).
122 PURGATORIO
Con buona pietate aiuta il mio.
Io fui di Montefeltro, io son Buonconte : w
Giovanna, o altri non ha di me cura ; *°
90. Perch' i' vo tra costor con bassa fronte. 6I
Quindi le parole all'alto monte, non significano semplicemente
una qualunque altezza, quale si potrebbe dire di ogni altro monte
per alto cbe fosse; ma l'altezza qui toccata dall'anima ba una ra-
gione speciale, perchè è la sola altezza di quelle ultime due miglia
e sessanta tre sessanta quattresimi, cbe è la sospirata da quelle anime,
per la ragione cbe là solamente possono purgarsi dalle loro colpe, e
mentre cbe colà non giungano si tengono infelicissime.
Per questo l'anima, che qui parla, dice subito : Con buona pit-
tate aiuta il mio; il quale non è altro cbe il disio di essere ammessa
a scontar Li sua pena sull'alto di quella montagna, dov'era il luogo
a ciò destinato.
Quel disio poi di quest'anima poteva esser aiutato da Dante
colle orazioni cbe egli avrebbe fatte o fatte fare, per abbreviare a
quest'anime il bando dal vero Purgatorio.
Si dice: Buona pietate, come poco sopra, v. 71, si disse: Ben
per me s'adori*
&9 Io fui . . . io son ecc. Perchè questa differenza di tempi, io
fui, io sonf Perchè Tessere cittadino di Montefeltro è cosa passata,
che ornai non appartiene menomamente a quelle anime, già divenute
cittadine del Purgatorio; e l'aver nome Buonconte è cosa presente,
che dura ancora sebbene, l'anima sia fuori del mondo.
Questo Buonconte fu figliuolo di quel coute Guido da Montefeltro
di Romagna, che noi abbiamo veduto neli'/w/. e. XXVII, tra i mali
consiglieri, e cbe si rese Francescano nel 1296.
&° Giovanna o altri. Mia moglie, e i miei parenti ed amici
6« Perch'i' tx> tra costor ecc. Questo suppone ch'egli in questi 11
anni di aspettazione nell'Atrio del Purgatorio avesse veduto di molte
anime per suffragi dei lor parenti ed amici finire il loro bando prima
del tempo stabilito, e andare al loro Purgatorio a scontarvi la pena
dovuta, mcntr egli dovette sempre restarsene escluso per mancanza
di tali suffragi. Quindi questo andare con bassa fronte tra i suoi
compagni non vuol dire cbe i suoi portassero la testa alta, ma so-
lamente che egli con sua vergogna si ritrovava ancor tra quell'anime
mentre in questo frattempo tante altre salirono per suffragi alla
lor pena.
CANTO V. 123
Ed io a lui : Qual forza o qual ventura M
Ti traviò sì fuor di Campaldino
Che non si seppe mai tua sepoltura?
69 Ed io a lui: Qual forza ecc. Siccome il fatto che qui si tocca
è uno dei più importanti per la vita dei nostro poeta, così lo tratterò
in disteso, levandolo da Cesare Balbo nella Vita di Dante, 1. 1, e. 6 :
così nell'atto che si chiarisce questo punto-storico riguardo a Buon-
conte, resterà pur chiarito qualche passo della vita di Dante,
e. Arezzo, guelfa, come il rimanente di Toscana fino al 1287,
s' era in quell'anno rivolta a ghibellina, per opera anch'essa del suo
vescovo Guglielmino di Ubertino de1 Pazzi, il quale avea fatto capi-
tano di guerra Buonconte di Montefeltro figlio di quel Guido, che
vedemmo podestà ghibellino di Pisa. Arezzo n'era diventata capo
di parte ghibellina in quel lato di Toscana, e fino in Romagna; e
secondo il costume i Guelfi uscitine eran venuti per aiuti a Firenze.
Dove assai deliberòssi prima, se avesse a farsi l'impresa, poi per
qual via; e si vinse per quella del Casentino. »
a Fatta tal deliberazione (segue Dino Compagni Stor. /£.,pp. 473,
474), i Fiorentini accolsero l'amistà, che feciono i Bolognesi con
dugento cavalli; Lucchesi con dugento; Pistoiesi con dugento: dei
quali fu capitano messer Corso Donati cavaliere fiorentino; Maina rdo
da Susinana con venti cavalli e trecento fanti a pie ; messere Mal-
piglio Ciccioni con venticinque ; e messer Barone Mangiadori da San
Miniato, gli Squarcialupi e i Colligiani, e altre castella di Valdelsa ;
sì che fu il numero cavalli mille trecento, e assai pedoni.
« Mossono le insegne al giorno ordinato i Fiorentini per andare
in terra di nemici ; e passarono per Casentino per male vie, ove se
avessono trovati i nemici, arebbono ricevuto assai danno. Ma non
volle Dio ; e giunsbno presso a Bibbiena, a uno luogo si chiama Cam-
paldino, dove erano i nemici; e quivi si fermarono e feciono una
schiera. I capitani della guerra misono i feditori alla fronte della schie-
ra; e i palvesi col campo bianco e giglio vermiglio, furono attellati
dinanzi. Allora il Vescovo, che avea corta vista, domandò: Quelle
che mura sono? fugli risposto: I Palvesi dev nemici.
<( Messer Barone de' Mangiadori da San Miniato, franco et esperto
cavaliere in fatti d'arme, ratinati gli uomini d'arme, disse loro : Si-
gnori! le guerre di Toscana si solevano vincere per bene assalire,
non duravano, e pochi huomini vi moriano, che non era in uso di
ucciderli. Ora e mutato modo, e vinconsi per stare bene fermi; il
124 PURGATORIO
perchè io vi consiglio, che voi stiate forti, e lasciateli assalire. £ eoa!
disposono di fare. Gli Aretini assalirono il campo si vigorosamente,
e con tanta forza, che la schiera dei Fiorentini forte rinculò. La
battaglia fa molto aspra e dura. Cavalieri novelli vi si erano tatti dal-
l'una parte e dall'altra. Messer Corso Donati colla brigata de* Piatojeai
fedi i nemici per costa. Le quadrella piovevano. Gli Aretini n'avean
poche et erano fediti per costa, ond' erano scoperti. L'aria era co-
perta di nuvoli, la polvere era grandissima. I pedoni degli Aretini ai
mettevano carpone sotto i ventri de* cavalli con le coltella in mano,
e sbudellavano : e de* loro feditoli trascorsone tanto, che nel messo
della schiera furono morti molti di ciascuna parte. Molti quel di ch'e-
rano stimati di grande prodezza, furono vili; e molti di cui non si
parlava, furono stimati. Assai pregio v'ebbe il Balio del Capitane,
e fuvvi morto. Fu fedito messer Bindo del B aschiera Tosinghi e cosi
tornò a Firenze, ma tra pochi di mori. Della parte de* nemici fu
morto il Vescovo , e messer Guglielmo de' Pazzi , franco cavaliere ,
Bonconte e Leccio da Montefrltri e altri valenti huomini. Il conte
Guido non aspettò il fine, ma senza dar colpo di spada si partì. Molto
bene provò messer Vieri de' Cerchi, e uno suo figliuolo cavaliere alla
costa di sé. Furono rotti gli Aretini, non per viltà né per poca pro-
dezza ; ma per lo soperchio de' nemici furono messi in caccia, ucci-
dendoli. I soldati Fiorentini che erano usi alle sconfitte, gli ammaz-
zavano; i villani non aveauo pietà. Messer Talano Adimari e i suoi
tornarono si presto a loro stanza. Molti popolani di Firenze che aveano
ca vallate, stettono fermi; molti niente seppono; se non quando i ne-
mici furon rotti. Non corsono ad Arezzo con la vittoria, che si spe-
rava con poca fatica l'arebbono avuta. Al capitano e ai giovani ca-
valieri, che aveano bisogno di riposo, parve avere assai fatto di vincere,
senza perseguitarli. Più insegne ebbono di loro nemici, e molti pri-
gioni ; e molti n'occisono che ne fu un danno per tutta Toscana. Fu
la detta rotta a di undici di giugno 1289 il di di San Barnaba, in
un luogo che si chiama Campaklino presso a Poppi. »
Qual parte poi prendesse Dante in questa battaglia è accennato
da Leonardo Aretino, il quale narrato quel conversare e vivere di
Dante negli esercizi giovanili, continua dicendo:
<( Intantochè in quella battaglia memorabile, che fu a Campal-
dino, lui giovane e bene stimato si trovò nell'armi, combattendo vi-
gorosamente a cavallo nella prima schiera, dove portò gravissimo
pericolo. Perocché la prima battaglia fu delle schiere equestri ; nella
quale i cavalieri, che erano della parte degli Aretini, con tanta tem-
pesta vinsero e superchiarono la schiera de' cavalieri Fiorentini, che
sbarattati e rotti bisognò fuggire alla schiera pedestre. Questa rotta
CANTO V. 125
Oh, rispostegli, appiè del Casentino M
Traversa un'acqua ch'ha nome l' Archiano, 64
' Che sopra Y Ermo nasce in Appennino. w
Là 've 1 vocabol suo diventa vano 66
Arriva' io forato nella gola,
fu quella, che fé' perdere la battaglia agli Aretini, perchè i loro ca-
valieri vincitori persegui tando quelli che ruggivano, per grande di-
stanza lasciarono addietro la loro pedestre schiera; sicché da quindi
innanzi in niun luogo interi combatterono, ma i cavalieri soli, e di
per sé senza sussidio di pedoni, ed i pedoni poi di per sé senza
sussidio dei cavalieri. Ma dalla parte de' Fiorentini addivenne il con-
trario; che per essere ruggiti i loro cavalieri alla schiera pedestre,
si ferono tutti un corpo, e agevolmente vinsero prima i cavalieri
poi i pedoni. Questa battaglia racconta Dante in una sua epistola
e dice, esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia. »
£ più giù reca le parole stesse di Dante in questa o in altra
epistola, dove, parlando del suo priorato dell'anno 1300, dice : « Dieci
anni erano già passati dalla battaglia di Campaldino , nella quale
la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta; dove mi
trovai non fanciullo nell'armi, e dove ebbi temenza molta, e nella
fine grandissima allegrezza per li vari casi di quella battaglia. »
Dove è da notare che se la epistola certamente latina di Dante
è qui ben tradotta, chiaro è, che non fu questo il primo fatto d'arme
in che si trovasse. Ad ogni modo vedesi che Dante fu della schiera
di messer Vieri de' Cerchi, cioè di quei feditori, che questi non volle
disegnare, ma s'offerirono eglino volontari. E dopo tal fatto, tanto
più bella parrà quella confessione cosi semplice della temenza molta,
che ebbe al principio, e della allegrezza in fine della giornata. —
Credo di notare che Carlo II, ossia il Novello figlio di Carlo I
d'Angiò, passato per Firenze per alla volta di Napoli il 2 Mag-
gio 1289, lasciato avea ai Fiorentini per la impresa contro Arezzo
il suo capitano Amerigo da Narbona.
63 Appiè del Casentino. Regione montana tra Firenze ed Arezzo
dove avvenne la battaglia di Campaldino, e la rotta degli Aretini.
•* Archiano piccolissimo fiumicello, che va in Amo.
tt Sopra l'Ermo. Sopra l' Eremo di Camaldoli. — Appennino. Ca-
tena di monti, che sega l'Italia per mezzo da nord a sud.
66 Là 've ecc. Là ove sbocca in Arno, e quindi perde il nome di
Archiano.
126 PURGATORIO
Fuggendo a piede, e sanguinando il piano. **
100. Quivi perdei la vita, e la parola w
Nel nome di Maria finì, e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò il vero, e tu '1 ridi tra i vivi :
L'Angel di Dio mi prese, e quel d'Inferno *
Gridava: O tu dal ciel perchft mi privi? w
Tu te ne porti di costui l'eterno 7I
Per una lagr inietta che '1 mi toglie ; n
67 Fuggendo a piede. Perchè il cavallo, che usava, gli èra stato
morto nella pugna. Noi abbiamo veduto di sopra che si andava sotto
i ventri dei cavalli a ferirli di coltello.
6* Tjg parola — Nel nome ecc. Invocando Maria, ossia la mia pa-
rola finì colla invocazion di Maria. Ecco la sua conversione al solo
punto di morte. Il poeta era molto divoto di Maria Santissima, di
cui nella Divina Commedia sparse la vita.
*&L'Angel di Dio mi prese. Prese la mia anima.
70 Gridava: O tu dal ciel ecc. Questo contrasto tra l'Angelo buono
ed il cattivo ha un simigliantissimo riscontro con quello che avvenne in
senso contrario tra S. Francesco e un Angelo nero per Guido padre di
questo Buonconte(/»/., e. XXVII, v. 112 e seg.). È bello vedere come il
poeta per Guido padre, e per Buon con te figliuolo, imaginaalla lor morte
una simile contesa tra i santi e i demoni, e come per l'anima del padre
perdette la contesa S. Francesco, tuttoché il padre si fosse dato a vita
penitente, mentre per l'anima del figlio vinse la contesa l'Angolo buono,
quantunque non ci fosse stato altro tempo per darsi a Dio, che un ultimo
respiro. Abbiamo anche nella Sacra Scrittura esempi di contese tra An-
geli buoni e cattivi, come quella tra S. Michele e il demonio in occasione
della sepoltura di Mosè raccontata da S. Giuda nella sua epistola cat-
tolica v. 9. Notate l' apostrofe superba e sprezzativa del demonio in
quelle parole: O tu dal ciel% non degnandolo chiamar Angelo, ne
usando termini di rispetto verso di lui, ma soli termini arroganti.
"• Di costui l'eterno. L'anima, che non muore , né pn«S morire.
"i*Per una lagrimetta. Diminuisce il valor dell'atto di vera con-
trizione fatto da Buonconte in sul morire, restringendolo ad una la-
grimetta, e tacendo l'atto interno di dolore in che stava la sostanza
del pentimento e della conversione. Questo linguaggio s'addice molto
bene al demonio, tanto invidioso del nostro bene, e tanto bugiardo.
CANTO V. . 127
Ma io farò dell'altro altro governo. 78
Ben sai come nell'aer si raccoglie 7i
no. Quell'umido vapor, che in acqua riede, 76
Tosto che sale dove '1 freddo il coglie.
Giunse quel Ma' '1 voler, che pur mal chiede, 76
"3 Maio farò dell'altro ecc. pelTaltro, ossia del temporale di costui,
che è il corpo, il quale si distrugge. Altro governò, diverso e con-
trario governo a quello che tu fai dell'anima.
74 Ben sai come neWaer ecc. Descrive la formazione d'un gran tem-
porale, che per la giornata di Campaldino è un fatto storico.
7* Quell'umido vapor ecc. Per la formazione d'una pioggia improv-
visa tempestosa e dirotta sono necessarie le seguenti condizioni, che
qui si cominciano ad enumerare:
1. Che gli umidi vapori della terra salgano ad occupar l'atmo-
sfera;
2. Che salgano tant'alto nell'atmosfera, sino a trovare gli strati
atmosferici freddi, i quali condensino quei vapori a ridurli acqua.
Ridotta la cosa a questo punto succederebbe qualunque pioggia.
Ma qui si parla di una pioggia tempestosa e dirotta. Quindi ci. vo-
gliono ancora delle altre condizioni che tosto si diranno, e che il poeta
ascrive a maleficio diabolico, seguendo in ciò la credenza cattolica,
che ritiene i temporali devastatori essere opera sovente degli spiriti
maligni odiatori dell'uman genere, per iscongiurar i quali la chiesa
ha determinato appositi esorcismi ne' suoi libri Liturgici, ed il suono
dei sacri bronzi, quali armi possenti a conquiderli : di che in fatti si
veggono portentosissimi effetti. Chi volesse appuntare i cattolici di
troppo credenzoni, non avrà che a leggere il Libro di Giobbe, dove
troverà appunto uu impetuoso turbine prodotto da maleficio diabo-
lico ad oggetto di atterrare il palazzo dei figli e delle figlie di Giobbe
per ischiacciarli sotto le sue rovine Sicché il poeta e la chiesa cat-
tolica sono in piena regola.
76 Giunge quel Ma* 'l voler ecc. Mi sia lecito sulla lezione di questo
verso proporre una variante, che ritengo necessaria per la sintassi e
pel senso. Quel Ma1 sta in luogo di quel Malo, nome che la stessa
Scrittura applica al demonio dicendo: Sed libera nos a malo Dante
ha sincopato altre volte la voce Malo, per es. nel Canto XXXIII,
dell'Inferno dove disse: Che per effetto de' suo' ma' pensieri. Leg-
gendo dunque così, tutto è chiaro e sarebbe : Giunse quel Ma' (il de-
monio, nominativo) H voler ecc. In questa lezione, come la pretendo
128 PURGATORIO
Con l'intelletto, e mosse il fummo e il vento 77
Per la virtù che sua natura diede. 78
Indi la valle, come il dì fu spento, 79
Da Pratomagno al gran giogo coperse
Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento *°
io, tì ha il suo soggetto (quel Ma1), vi ha il suo oggetto articolato e
preciso Rivoler) — Chepur mal chiede. Pur vale solo, cioè che chiede,
che vuole il solo male, e non può voler altro che il male.
Anche Filippo il Bello, come qui il demonio, fu chiamato il Malo:
Padre e suocero son del Mal di Francia. (Purg.f Canto VII, v. 109).
n Con l'intelletto ecc. Come noi, quando vogliamo far del male ad
alcuno mettiamo in azione le due nostre potenze dell'anima, volontà
ed intelletto, cosi fa il demonio quando anch'egli ci vuol fare del male;
accoppia e mette in azione insieme la sua crudelissima volontà, e il
suo intelletto perspicacissimo, e con queste due potenze congegna i
nostri danni. Rifacciamoci al Libro di Giob, e vedremo delineate con
tutta precisione le operazioni della volontà e dell'intelletto del demonio
a danno di quel grande profeta.
E mosse il fummo e il vento. Questa è la terza condizione pro-
duttrice del temporale. Le due prime nominate alla nota 75 sono pro-
duttrici della sola pioggia anche innocua. Questa terza è della pioggia
ruinosa e devastatrice.
7* Per la virtù ecc. Per la forza che ha dalla stessa sua natura.
Si sa che nel demonio, e compagni, anche dopo la loro dannazione
restarono i doni di natura , come sono immensa forza superiore ad
ogni altra naturale, ingegno acutissimo, ecc.
TO Indi la valle, come ecc. Si nota il luogo ove s'adunarono i pre-
parativi di questo terribile temporale; e il tempo di essi. Quanto al
luogo fu la gran vallata del Casentino, per mezzo della quale scorre
l'alto Arno, tra due giogaie, quella di Pratomagno, che forma un se-
micerchio ad occidente dell'Arno, e quella dell'Appennino ad Oriente,
detta qui gran giogo per la sua maggiore altezza e lunghezza in con-
fronto di Pratomagno. Quanto poi al tempo, fu di notte (come il dì
fu spento) che accresce colle tenebre il terrore del temporale, ed im-
pedisce a chiunque di vedere e salvar le persone.
so Di nebbia. Di polvere sollevata da tutte parti. Si ricordi che la
battaglia di Campaldino avvenne agli 11 di Giugno, quando la terra
pei calori estivi è tutta ingombra di polvere.
CANTO V. 129
Sì che '1 pregno aere in acqua si converse : 81
La pioggia cadde, e ai fossati venne M
120. Di lei ciò che la terra non sofferse:
E come a' rivi grandi si convenne,
Ver lo fiume real tanto veloce M
Si ruinò, che nulla la ritenne. M
Lo corpo mio gelato in su la foce M
Trovò TArchian rubesto, e quel sospinse M
Nell'Arno, e sciolse al mio petto la croce, 81
Ch* io fei di me quando il dolor mi vinse :
E il del di sopra fece intento. Intento va letto colla e larga,
che suona teso, compresso. Notate bene ogni cosa. Prima il citi di
sopra, ossia l'aria soprastante ai nuvoloni.
Il Demonio aggravò quest'aria di peso tale che comprimendo
le nubi sottoposte le costrinse a sciogliersi in dirottissimo diluvio,
come comprimendo la mano una sottoposta spugna immollata, la
farebbe schizzar acqua al di sotto. E tutto detto con mirabile pro-
prietà.
** Sì che il pregno aere ecc. Ecco finalmente prodotta la forma-
zione dell'acqua dirotta per opera della pression atmosferica sape*
riore.
82 E ai fossati venne — Di lei ciò ecc. E noto che gli acquazzoni
d'estate, come fu questo, perchè impetuosi, sono assai poco imbevuti
dall' arso terreno, e il più di essi trascorre nei fossi, e da questi nei
rivi o torrenti, e da questi finalmente nei fiumi reali, e per essi al
mare con impeto di irresistibili piene.
83 Ver lo fiume real. L'Arno. Reale perchè ha proprio cammino
da Falterona al mare. E fiume reale qualunque che non sia confluente
in altro fiume, ma vada a metter foce in mare.
& La ritenne. L'acqua.
*&Lo corpo mio gelato in su la foce — Trovò VArchian. Abbiamo
veduto sopra n. 63 e scg., che Buonconte cadde morto in riva ed
alla foce dell' Archiano in Arno,
toftubesto. Gonfio e altero d'acque.
87 Sciolse al mio petto la croce , — Ch'io fei ecc. Buonconte, se fosse
stato ritrovato all'Archiano dove cadde, avrebbe fatto conoscere con
quest'atto chVgli era morto pentito de* falli suoi.
9
130 PURGATORIO
Voltommi per le coste e per lo fondo ; w
Poi di sua preda mi coperse, e cinse. "
130. Deh! quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato dalla lunga via, ^
Seguitò il terzo spirito al secondo,
Ricordati di me, che son la Pia : 9f
Siena mi fe\ disfecemi Maremma : w
Salsi colui che, innanellata pria, 93
& Voltommi per ecc. Appunto i fiumi tortuosi, qual' e l'Arno, mas-
sime in quelle parti del Casentino, ove serpeggia da monte a monte,
trabalzano e rivoltano i corpi nella lor rapina da destra a manca
e da manca a destra, e ciò in forza delle loro svolte ; in quelle parti
poi dove corrono diritti travolgono i detti corpi pel fondo. Dante
sino in notar queste minutezze si mostra grande naturalista.
89 Poi di sua preda ecc. Mi coperse e cinse di sabbioni e di ghiaie,
che sono la preda che massime dei monti fanno tutti i fiumi.
M E riposato ecc. L' idea del riposo, a cui ricorre qui il terzo spi-
rito, sorge naturalmente dalla circostanza in che allor si trovava. La
circostanza era che Dante saliva a gran passi la costa dietro al suo
Virgilio, che gli concesse di parlare con quelle anime, ma senza punto
arrestarsi. Era poi molto tempo che si saliva di questa foga. Di qui
T idea spontanea del riposo che questo spirito giudicava necessario
a Dante sino d'allora. Inoltre si avverta sempre che Dante non la-
scia occasione alcuna per darci un'idea dell'altezza sterminata del
Purgatorio, ch'era di 95 miglia.
9* Ricordali di me che son la Pia. Pia Guastelloni, maritata in
primi voti ad un Tolomei.
93 Siena mi fe\ disfecemi Maremma. Nacqui in Siena, morii o fui
uccisa in Maremma. Maremma dicesi la costa a sud-ovest in Toscana
lunghesso il mar Tirreno.
93 Salsi colui. Lo sa il mio secondo marito, che fu certo Nello Pan-
nocchieschi, Rettore del Castello della Pietra in Maremma. Questi
la fé' gittare a un suo servo dall'alto d'una finestra, perchè egli era
entrato in sospetto d' infedeltà, secondo alcuni per istranio amore ad
un certo Agostino de Ghisi. Si vede che l'uccisione fu combinata
e tenuta assai secreta, e ciò ricavasi dal detto Salsi colui: onde
appare che nessun altro ne sappia nulla. Questo fatto viene ascritto
all'anno 1295.
CANTO V. 131
Disposato m'avea con la sua gemma. 94
Innanellata pria. Aderisco pienamente alla saggia nota del ca-
nonico Brunone Bianchi, che fa la Pia maritata due volte, come dissi
testé. Infatti se qui si parlasse di nn unico matrimonio, non si sa-
prebbe comprendere il giusto senso del pria, anzi questo pria sarebbe
affatto vano, e, peggio, fuori affatto di luogo : il che è tutto alieno
da Dante.
Dunque innanellata pria, vuol dire che prima era stata moglie
ad altri.
9* Disposato m'avea ecc. Preso innanellata pria per prime nozze,
ne segue per necessità che si debba leggere disposato e non dispo-
sando, com' è la comune. Il Bianchi trovò che il Codice Poggiali ha
disposato m'avea; e con questo egli ha fatto un gran servigio al
passo presente, sul quale non può rimanere ornai verun dubbio.
Gemma ò l'anello nuziale con gemma.
G ANTO VI
Argomento.
Oltre le tre anime, che si raccomandarono a Dante per orazione
nel Canto antecedente, si nominano qui tante altre di quella me»
desima schiera di procrastinanti per accidia sino alla morte vio-
lenta, che pur si raccomandavano a Dante per lo stesso fine di ot-
tenere da Dio per le orazioni di quei del mondo una diminuzione
al loro bando fuori del vero Purgatorio. Qui nasce un dubbio sui
decreti di Dio che sono immutabili, eppure si mutano per orazioni.
Virgilio scioglie in parte questo dubbio, e in parte si riporta a
Beatrice, che Dante vedrà sulla cima del monte* Dante a questo
nome si sente crescer la lena, e crede che camminando forte possa
trovarsi ttovr'essa cima prima di sera. Virgilio lo disinganna. In-
tanto sempre salendo per la costa, veggono un'anima solitaria. Era
Sor dello, mantovano. Sordello fa mille feste solo a vedere colà un
Mantovano. Di qui la famosa invettiva di Dante contro l'Italia,
contro il Papa, contro l'Imperatore, e che si chiude finalmente
con un'amara ironia contro Firenze*
NB. Vedi tatti i casellini di questo Canto nella mia Ta?. I e la Taf. 11, -Purg.
Q
uando si parte il giuoco della zara, 1
Colui che perde si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara :
* Quando si parte ecc. Quando è finita la partita del giuoco della
«ara. Zara è un giuoco di BOrte, che si fa con dadi, gettandoli de-
atramente perchè sortisca il punto della vincita. Quando dunque è
finito questo giuoco, allora succedono due scene Tuna contraria al*
l'altra. Chi ha perduto, resta solo ed avvilito al desco fatale (si riman
dolente) e da sé rinnova il giuoco, gittando i dadi come prima, ma
con altro artifizio (ripetendo le volte), per veder se cosi gli riesca per
un'altra volta; e veramente impara a sue spese, come dovrà dirigersi
per l'avvenire (e tristo impara).
134 PURGATORIO
Con l'altro se ne va tutta la gente : *
Qual va dinanzi, e qual dirietro il prende, *
E qual da lato gli si reca a mente.
Ei non s'arresta, e questo e quello intende; 4
A cui porge la man più non fa pressa;
E cosi dalla calca si difende.
Questa prima parte della similitudine va riferita a quelle anime,
che non ebbero la sorte di essere vedute, udite ed intese da Dante,
come le tre del Canto antecedente. £ la ragione si era che Dante
camminava a gran fretta, e le anime doveano parlargli in andando :
essendo poi molte quelle anime , secondo che disse sopra Virgilio,
Questa gente che preme a noi è molta, non tutte gli si poterono
avvicinare, anzi la maggior parte dovette andarsene senza raccoman-
dazioni.
* Con V altro se ne va ecc. Seconda parte della similitudine, che
si riferisce al vincitore, dietro al quale per isperanza di qualche man-
cia corrono tutti raccomandandoglisi per questo o quel merito, che
ciascuno pretende avere avuto nella sua vincita, o augurandogli
buona fortuna, o insegnandogli il tratto, o in qualunque modo favo-
reggiandolo.
Questa seconda parte riguarda quelle anime ch'ebbero la sorte di
venire, più dappresso al poeta, d'essere da lui vedute e corrisposte.
* Qual va dinanzi ecc. Si noti la naturalezza della descrizione.
Succedo infatti cosi, che la moltitudine, seguendo il fortunato, lo as-
siepa da tutte parti facendo a chi più può per ottenere le sue buone
grazie. Par di vederli questi importuni che innanzi gli attraversano
il passo ; e quegli altri non meno importuni, che sapendo di non esser
veduti, come i primi, lo tirano di dietro pel giubbone; e finalmente
quegli altri più discreti, che dai fianchi gli si raccomandano.
* Ei non s'arresta ecc. Notate bene. Egli in andando tra la calca
dispensa cenni di avere inteso (intende) le dimando di questo o di
quello. Ma siccome dei cenni non si può esser certi a cui vanno, perciò
gli accennati continuano ad incalzare.
II aegno certo che il vincitore ha inteso questo o quello, si è il
prenderlo per la mano, seguo che non può riferirsi se non alla per-
sona, eliti mI prende; e questo solo e quegli che non fa più pressa:
« coni gli riegeo di liberarsi da tutti, e di andarsene pc' fatti suoi (E
rosi dulia cairn $i difende).
t
CANTO VI. 136
io. Tal era io in quella turba spessa, *
Volgendo a loro e qua e là la faccia,
E promettendo mi sciogliea da essa.
Quivi era l'Aretin, che dalle braccia €
Fiere di Ginn di Tacco ebbe la morte ;
E l'altro che annegò correndo in caccia. 7
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa, 8
Che fé' parer lo buon Marzucco forte. 9
Vidi Cont'Orso, e l'anima divisa 10
ì 20. Dal corpo suo per astio; e per inveggia,
Come dicea, non per colpa commisa ;
Pier Dalla Broccia dico : e qui provveggia,
* Tal era io ecc. L'anzidetta similitudine, tutta natura, quadrava
precisamente al caso di Dante, che volgendosi a tutti, or quinci or
quindi, a tutti diceva di si; e se ne andavano contenti.
6 Quivi era l'Aretin ecc. Benincasa Aretino , vicario di Siena,
ucciso da Ghin di Tacco, per vendicare un suo fratello e nipote, stati
condannati alla morte quali assassini da Benincasa.
7 E l'altro che annegò ecc. Altro Aretino, Guccio de' Tarlati, che
nella sconfitta di Campaldino, detta nell'altro Canto, correndo messo
in caccia, annegò in Arno.
* Federigo Novello. Figlio di Guido Battifolle, ucciso da unBostoIi.
Quel da Pisa ecc. Farinata de' Scoringiaui figlio di Marzucco,
ucciso da Beccio da C aprona.
9 Che fé1 parer ecc. Perchè Marzucco già resosi frate Minore, non
solo perdonò all'omicida, ma pregò il parentado a fare lo stesso.
*o Vidi ConVOrso. Uno degli Alberti, e secondo altri figliuolo del
r Conte Napoleone di Cerboia, ucciso da' suoi.
L'anima divisa — Dal corpo suo ecc. Pier dalla Broccia di
Turena, chirurgo del re S. Luigi, e poi primo consigliere sotto Fi-
lippo III l'Ardito, che il Poeta appella Nasetto nel Canto VII, v. 103.
'. Fu odiato da Maria di Brabante seconda moglie del detto Filippo III,
I perchè lo vedea più favorevole ai figli del primo letto. Calunniato
t dai cortigiani invidiosi del suo merito e del suo ascendente, mori im-
j piccato nel 1276 per ordine di Filippo III.
130 PURGATORIO
Mentr'è di qua, la donna di Brabante, "
SI che però non sia di peggior greggia. n
Come libero fui da tutte quante "
Quelle ombre che pregar pur ch'altri preghi,
Sì ohe s'avacci il lor divenir sante, "
lo cominciai : E' par che tu mi nieghi,
O luce mia, espresso in alcun testo, **
80. Che decreto del cielo orazion pieghi ; l6
E queste genti pregan pur di questo. n
Sarebbe dunque loro speme vana?
O non m' è il detto tuo ben manifesto?
Ed egli a me : La mia scrittura è piana, '*
E la speranza di costor non falla, "
Se ben si guarda con la mente sana : *°
Che cima di giudicio non s'avvalla, *!
" La donna di Brabante. La signora, la sovrana del Brabante.
*• Di peggior greggia . Della greggia dannata.
*• Come. Appena che, subito che.
t* S'avacci ecc. S'affretti la loro santificazione perfetta col mezzo
della pena.
<B Espresso. Espressamente. In alcun testo, in alcun passo de' tuoi
libri, In alcuna tua scrittura, come dice appresso.
<6 Che decreto ecc. Il testo è nel libro VI dell'Eneide: Desine fata
Deilm flecti sperare precando.
w Pur. Solamente.
\% f] piana. Facile ad intendersi, e l'hai anzi intesa; ed è che
l'orazione non cangia i decreti divini.
tu K la iperanna. Kppuro la speranza.
•° Mente sana. Libera da pregiudizi. Vi hanno delle persone di
mente pernpicacifu<hna, lo quali, perchè sono dominate da pregiudizi,
frutto di mala educazione, o di passioni viziose, sono incapaci d'in-
tendimi corto cono, che sono lo più chiare e lampanti.
*f Ohe rima di giadicio ecc. Il giudicio è qui simboleggiato in
uria lincia rotta o perpendicolare. L'immagine e bellissima per la ret-
titudine do' «Indizi divini, e per il punto da cui partono, e a cui
tari'loiio, Ann s'avvalla Non si piega. Si riferisce al verso di sopra:
CANTO VT. . 137
Perchè fuoco d'amor compia in un punto M
Ciò che dee soddisfar chi qui s'astalla.
40. E là dov'io fermai cotesto punto, ■*
Non si ammendava, per pregar, difetto, u
Perchè il prego da Dio era disgiunto. M
Veramente a così alto sospetto *
Che decreto del cielo orazion pieghi. Se il giudicio divino è come
una retta perpendicolare, dunque dicendosi che questa retta non piega,
non inclina la sua cima, si viene a dire che non si cangia il detto
giudicio. Ma osservate bene il profondo pensiero del poeta. Il giu-
dicio divino, che è la retta, parte da. Dio, quale soggetto agente,
e s'appoggia in noi quale soggetto paziente : ecco quindi la profon-
dità della recata similitudine. La cima della retta, che è in Dio, non
si cangia ; la sola parte che si cangia è la bassa, quella che in noi
s'appoggia. Questa similitudine, che da prima pare un niente, ben
ponderata è invece un pensiero immenso.
59 Perchè fuoco d'amor ecc. Ecco dove havvi il cangiamento : havvi
in noi, che colla preghiera uscita da un cuore infiammato d'amor
divino compiamo quello che dovrebbero assolutamente compiere le
anime purganti. Sicché il giudicio di Dio resta sempre immutabile,
la mutazione non è che nel soggetto paziente, perchè quello che
deve soddisfar uno, invece soddisfa un altro.
23 E la dov"1 io fermai ecc. In quel mio verso Desine fata Deum ecc.
nel quale affermai questo punto, che la preghiera non cangia i de-
creti divini, parlava di altra preghiera, che esce da cuore indegno,
e nimico di Dio, la quale non ha e non può avere virtù di soddis-
far per quelli, che soddisfar non ponno. Con ciò è spiegata tutta la
terzina,
24 Non si ammendava, per pregar, difetto. Non si soddisfaceva,
non si compensava (dai viventi) il difetto dei morti, cioè quello che
dovrebbero ammendare o soddisfare i morti, e che per esser tali pa-
tiscono difetto di farlo. Ammendare è diverso da emendare : questo
riguarda la colpa, quello la pena.
23 Perchè il prego ecc. Perchè quella preghiera di cui parlava,
non era di quelle fatte in grazia, e in carità con Dio, condizion ne-
cessaria per ottener cangiamento ai decreti divini.
26 Veramente. Veruntamen, ma, tuttavia, nondimeno.
A così alto sospetto. A cosi alto dubbio, o questione.
13» PURGATORIO
Non ti fermar, se quella noi ti dice, r'
Che lume fia tra il vero, e lo intelletto. M
Non 00 «e intendi : io dico di Beatrice : "
*? Non ti fermar. Non crederti del tutto illuminato, non tenerti
jAgo n quel nolo eh' io ti dissi per iscioglierti la mossa questione. In-
fatti la questiono non fu sciolta, ma sol dilucidata alquanto, perdoc-
rho resta sempre, come si possa combinare immutabilità de* decreti
ili l)lo, non cangiamento di essi per via di suffragi fatti da persone
In grani* di Dio. In sostanza questo è un mistero, che noi cattolici
turi Un mio dilucidare in qualche modo , dicendo che certi decreti di
filo sono condizionati, cioè sono emessi con condizione. Prendiamo
M naso nostro. Il decreto porta che queste anime debbano restar fuori
4*1 Purgatorio tanto tempo, quanto hanno procrastinato la lor con-
Vffrsloii*, a mono che (ceco la coudizion del decreto) non ci sia qualche
unitila buona! elio coi suffragi abbrevi questa condanna.
t* tir ijurllu noi ii dice — Che lume ecc. Se non ti spiega questo
softput lo, qnosta questione si alta, la Rivelazione (Beatrice) a cui sola
spelta darlfrare rotali difficili quesiti superiori a Ragione (Virgilio).
Lm Jtlynl*»|oii<t e lume tra il vero e lo intelletto. Come? Ecco: Tin-
Mltdto ha pur oggotto il vero. Ma l'intelletto ha corta la vista, ansi
Muli» qulstlonl soprannaturali ò affatto nelle tenebre, non ci vede punto,
« punito non può raggiungere il suo oggetto, che è la verità sopran-
nmImi'uI". ('nino dunque fare perchè l'intelletto la raggiunga? Met-
lsw\ un lume di mezzo, che valga a ciò. Ora questo lume non è e
non può l'MHttr altro che la Rivelazione, la quale, come abbiamo detto
hk\ létiumdn Cauto dell' Inferno, è rappresentata da Beatrice. Non mi
|/ùmk «-•he certi commentatori confondano qui la Teologia colla Ri-
vetaione, prendendo indifferentemente Tuna per l'altra, come fa il
canonico Brunone Bianchi Altra cosa e la Rivelazione, ed altra la
Teologia. ìm Rivelazione è la face delle verità soprannaturali, la Teo-
logia non ne è che il discorso. La Rivelazione senza Teologia si può
dure, Teologia senza Rivelazione non si può dare, o se si dà è falsa
«d incerte. La Teologia riguarda le scuole, la Rivelazione la Chiesa.
\m Jtivelazione e indivisa dalla grazia; la Teologia ne può essere
«tiotttpagnata. Finalmente la Rivelazione è dono infuso, la Teologia
t' lUnut acquisito; perciò tutti i cattolici appartengono alla Rivela-
*j//n*, non tutti alla Tipologia.
*> /// dinu di J Matrice. Credo che cosi sia dichiarato a sufficienza l'uf-
ftfvt »! 1*4 rapproiseiitanzadi Beatrice. Questa rappresenta unicamente
CANTO VI. 139
Tu la vedrai di sópra, in su la vetta 30
Di questo monte, ridente e felice.
Ed io : Buon duca, andiamo a maggior fretta ; 91
la Rivelazione, da cui si attingono i misteri della Religione divina,
e che è la depositaria delle verità soprannaturali, che furono comu-
nicate all'uomo sin dal principio della sua creazione nel paradiso ter-
restre, dal qual momento incomincia la serie delle verità rivelate
prima che esistesse la Teologia «
U nome poi di Beatrice fa a Virgilio un doppio servigio; il ser-
vigio di sbrigarsi da una questione che non era da lui, e il servigio
di attizzare il su(f guidato a non istancarsi nella faticosa salita. Que-
sto doppio fine fu conseguito assai bene : per il primo si è veduto ;
per il secondo si vedrà presto.
*> Tu la vedrai di sopra ecc. Cioè la vedrai nel paradiso terre-
stre, che è sulla cima del monte. Perchè Beatrice ha da vedersi colà?
Perchè là appunto, come dicemmo, ebbe principio la Rivelazione col
primo uomo, a cui essa parlò e quand'era innocente, e quando di-
venne peccatore, prima che fosse espulso dal paradiso.
Infatti per toccar di questo solo secondo stato (che del primo
è troppo chiaro) la promessa di un futuro Riparatore alla colpa di
Adamo e di Eva (opera di Rivelazione), venne fatta loro, prima di
esser cacciati in esilio fuor del lor paradiso primiero. Era dunque
conveniente che la Rivelazione rappresentata da Beatrice, si collocasse
colà dove fu da principio, e dove avea fin d'allora in certo qual modo
posto il suo trono.
Gli epiteti di ridente e felice non vanno al monte, ma alla vetta
del monte, la qual sola è ridente e felice pel paradiso terrestre, eh* ivi
si pone.
Un dubbio : Come mai Virgilio sa tutto questo, mentre colà su
non fu mai? Rispondo che Beatrice, quando comparve a Virgilio nel
Limbo dei Savi, dovette dirgli dove verrebbe ad incontrare il suo
Dante, e ciò ad istruzione sua più che di Dante. Se Virgilio allora
non disse anche questo a Dante, ciò fu perchè non era necessario di
dirglielo. Altre cose allora premevano; ora preme anche questa.
31 Andiamo a maggior fretta. Tanta prontezza è effetto del po-
tente nome di Beatrice recitato da Virgilio appunto a questo fine di
eccitarlo. Quest'arte, che è piuttosto natura, offre un colpo di scena
maraviglioso. Dante però s' immaginava quel che non era, cioè s'im-
maginava che col termine di quel giorno, o poco più, sarebbe giunto
140 PURGATORIO
50. Che già non m'affatico come dianzi ; **
E vedi ornai che il poggio l'ombra getta. "
sulla vetta in faccia alla sua Beatrice ; Virgilio non disse questo, ma
quando si desidera molto una cosa, s' intende più là di quel che vie»
detto a proposito di essa. Virgilio dice solo, che la vedrà sulla vetta, e
Dante estendendo la sentenza virgiliana a tenore de' suoi desideri, in-
tende che in quel giorno la vedrà. Che natura in questa poesia! Dante
però aveva buono in mano per creder d'esser vicino al termine, e per-
chè vedeva vicina la vetta del monte, e perchè si ricordava di quel che
gli avea promesso Virgilio, C. IV, n. 49, v. 88 e seg., che egli sarebbe
al termine quando più non si affaticherà a salire. Dante diceva: Io
non mi affatico tanto ; dunque io sono al fine o presso al fine.
** Che già non m'affatico ecc. Ecco l'effetto delle cose che si ranno
per amore. Quando le si fanno per tal motivo, tutto riesce facile;
gli stessi ostacoli pur gravi, che in sé contengono, si volgono come
per un incanto in altrettante agevolezze. Ora non è più Virgilio che
abbia bisogno di stimolar Dante alla fretta; invece è Dante che si
sente costretto a stimolare Virgilio. La eloquenza virgiliana non po-
teva riportare su Dante una vittoria più segnalata, E dire che la ri-
portò con sola una parola proferita a tempo ed a luogo ! Secondo il
mio sentire questo è uno di quei tratti, che declamato a dovere ra-
pirebbe gli applausi del più indomabile entusiasmo.
Questo verso è una prova che Dante è presso al fine della mon-
tagna, cioè a miglia 91 di altezza. Non manca che solo un miglio
per compir l'Atrio del Purgatorio, Vedi la mia Tav. II, Purg.
33 E vedi ornai ecc. Prendete il mio disegno del Purgatorio Tav. II,
ed affisate bene il punto di esso, ove Dante allor si trovava. Si tro-
vava in quella faccia del monte volta a levante, e nel mezzo di essa
verso il fine dell'Atrio a 91 miglia di altezza. Risovvenitevi ancora
che era già mezzogiorno, quando partiva dall'anime trovate al pe-
trone presso il balzo nominato al C. IV, v. 47, n. 22; e che da quel
momento in poi successero sino a qui di molti avvenimenti. Il Sole
girava dalla parte del nord. AI punte di mezzodì, che dicemmo, il
Sole feriva Dante sulle spalla destra, ond' egli gettava la sua ombra
dalla sinistra. Ora il Sole non ferisce più Dante, perchè calando calando
s'è ormai nascosto dietro il monte. Ma quanto è calato questo Sole? At-
tenti bene, perchè parte ce lo dice Dante in questo verso, e parte ce
lo dirà Virgilio da qui a cinque versi Dante ci dice che il monte
getta ornai l'ombra. Dunque era passato di molto il mezzogiorno. Di
quanto? Di circa quattro ore, come si vedrà dopo cinque versi, dove
CANTO VI. ni
Noi anderem con questo giorno innanzi, 34
Rispose, quanto più potremo ornai ;
Ma il fatto è d'altra forma che non stanzi. 3S
si determina più precisamente la espressione generica di questo verso ;
e come si vedrà più precisamente ancora al primo accenno- cronolo-
gico che troveremo specificato nell'ora.
u Noi anderem ecc. Come s'è voltata U scena? Virgilio, che sti-
molava Dante ad andare, ora deve scusarsi a lui per non andare,
come voleva Dante.
Con questo giorno innanzi — quanto piò eco. Ciò fa vedere che
restava poco al tramonto. Noi abbiamo detto nella nota 38, che erano
circa le 4 pom. Dunque restava al tramonto ore 1.25, perchè addi $ di
Ottobre nel Purgatorio, corrispondente ai 10 di Aprile per noi, il
Sole tramonta alle 5.25.
** Ma il fatto ecc. Qual fatto? Il fatto della falsa credenza in che
eraDante, che a qualche ora di quel giorno sarebbe giunto sulla vetta
in vista di Beatrice, Dante la vedeva questa vetta, e vedeva di non
esserci troppo lontano. (Guardate il mio disegno a questo punto). Egli
non dice più: Lo sommo er'alto ohe vinceà la vista; ma se conta
di trovarsi a quel sommo entro quel giorno, vuol dire proprio che
lo vedeva a tale distanza da potervisi ritrovare. È vero ch'egli sba-
gliava i suoi conti, perchè non calcolava : 1, che partito il Sole non
si poteva più salire, e conveniva arrestarsi, come si dirà ; 2. che e' era
da vedere il vero Purgatorio, che egli ancora ignorava, anzi si pen-
sava di aver veduto quasi tutto quello che era colà da vedere, men-
tre non aveva veduto che l'Atrio, e questo non tutto. Dove c'erano
più oggetti da vedere, non era già l'Atrio, ma bensì il vero Pur-
gatorio. Già dicemmo altre volte, che questi due luoghi Atrio del
Purgatorio e vero Purgatorio, tengono tra loro quella stessa ragione
che tengono quegli altri due luoghi d' Inferno, cioè Atrio e vero In-
ferno. E come nell'Atrio d' Inferno sebbene vastissimo di miglia 3150
ci fu poco da osservare, e invece moltissimo da osservare ci fu nel
vero Inferno, sebbene piccolissimo di miglia 94 6*fei, cosi qui nel Pur-
gatorio poco abbiamo da vedere nell'Atrio, sebbene di miglia 92
d'altezza, e molto nel vero Purgatorio, sebbene di sole miglia 2 o/e*
di altezza.
Stami. Giudichi. Che giudicava Dante? Dante giudicava, dietro
l'affermativa di Virgilio (C. IV, n. 49. v. 88), che egli era presso il
termine della montagna, perchè si affaticava poco a salire. E giudicava
142 PURGATORIO
Prima che sii lassù tornar vedrai *
Colui, che già si copre della costa 37
bene. Infatti la cima era vicina, come si vede nel mio disegno. Ma
tra lui e la cima c'era il vero Purgatorio, che si saliva non già at-
traversandolo, ossia salendolo per la sua altezza come avea Catto sino
allora, ma girandolo intorno, il che porta un ben altro cammino, e
ben altro tempo.
36 Prima che sii lassù. Prima che sii sulla vetta dove vedrai Bea-
trice, e dove credevi di giungere in un* ora e pochi minuti. Se noi
guardiamo sul Disegno della montagna del Purgatorio, vediamo in
fotti, che essendosi Dante elevato ornai all'altezza di 91 miglio, non
gli restavano che miglia 3 G3/gì per giungere alla cima, dov'era il pa-
radiso terrestre, il quale tratto di strada è appunto quello che può
compiersi in un'ora e 25 minuti, quanto restava al Sole per giun-
gere al tramonto.
Tornar vedrai — Colui. Tornar vedrai il Sole.
87 Colui, che già si copre della costa. Il Sole, che in questo mo-
mento (già) si nasconde dietro la costa, che è sotto il vero Purga-
torio. Il Sole si nascondeva dietro la costa, ossia dietro quel punto
della costa, dov'erano i poeti, e non dietro al vero Purgatorio so-
prapposto, perchè il Sole era basso. Se il Sole fosse ptato più alto,
non sarebbe stata la costa, quella che avrebbe nascosto il Sole, ma
le quattro ultime miglia di monte sopra la costa. Dicendosi invece
che si copre della costa, che arriva da miglia 55 circa a miglia 91,
già nominata costa dal poeta al Canto IV, v. 47, si viene a dire che
il Sole è basso, come si può vedere tirando una linea dai poeti al
Sole, e facendola passar rettamente per mezzo al monte al di sotto
del vero Purgatorio. Intenderete ciò ad evidenza se osserverete at-
tentamente il mio Disegno del Purgatorio, Tav. II, nel punto ove
siamo, dove vedrete che tirando la linea retta, che dicea, dai poeti
al Sole, essa andrebbe a colpire il Sole in direzione quasi orizzon-
tale, il che porterebbe il Sole a circa 1 ora e 25 minuti alto dall'o-
rizzonte. Ed essendo che pegli antipodi, dove siamo, addi 9 Ottobre,
corrispondente al nostro 10 Aprile, il tramonto succederebbe alle 5.25,
perciò possiamo calcolare di trovarci adesso alle ore 4 pomeridiane.
Come vedete tutto il secreto per V intelligenza dell'orario indicato da
questo verso consiste nella parola costa , intesa come si deve. Chi
non ha avuto la pazienza di farsi un disegno esatto di questo monte,
ma invece lo ha gettato giù a caso, e senza seguire le precise in-
dicazioni dantesche, volta per volta, come si è fatto sin qui da tutti
CANTO VI. . 143
Sì, che i suoi raggi tu romper non fai. M
Ma vedi là un'anima, che a posta 89
i commentatori; costai potrà bensì indovinare, ma non ragionare l'o-
rario, oltre P altro errore fondamentale di metter Dante ancora in
fondo del monte, mentre invece è già salito a miglia 91 di altezza, sba-
gliando così e le proporzioni dell'Atrio, e quelle del vero Purgatorio.
38 SI, che i suoi ecc. Ma quanto si copre della costa il Sole; tutto
o in parte? Rispondo che tutto, perchè se fosse solo in parte. Dante
con una parte del suo corpo ne romperebbe i raggi. Dunque il Sole
era testé passato dalla vista di Dante, e solo testé s'era tutto na-
scosto dietro la cosi a. Chi ha presente il mio disegno, Tav. II, vede
che appunto circa le ore 4 pomeridiane ciò doveva avvenire per chi,
come Dante, si fosse trovato «nella linea di mezzo della faccia del monte
volta a levante.
Ma è poi vero che Dante si trovasse in questo filo di mezzo, che
guarda ad oriente? Ciò è detto e ripetuto da Dante medesimo. Egli
stesso dice di essere sbucato dall'Inferno al Purgatorio nella faccia
del monte volta ad oriente, e precisamente verso la metà di questa
faccia, avendo indicato questo colle due osservazioni del polo australe
e del polo nordico. (CI, v. 19 e seg). Conferma questo medesimo filo
della metà della facciata d'oriente il suggerimento di Catone, che met-
teva i poeti nel giusto mezzo dicendo:
Poscia non sia di qua vostra reddita;
Lo sol vi mostrerà, che surge ornai,
Prendere il monte a più lieve salita (C. I, v. 106),
Conferma lo stesso l'andare dal mezzo verso Manfredi e poi ritornare
con lui al mezzo. Vedi sempre il mio disegno, Tav. II a sette miglia
d'altezza (C. III). Conferma lo stesso quand'è giunto a sedersi a quasi
miglia 55 di altezza (C. IV, v. 52 e seg.). E vero che qui fece una
piccola diversione per andare al petrone verso nord, ma dopo si ri-
mise allo stesso filo di mezzo, salendo per una diagonale indicata
precisamente dal poeta col mezzo dell'ombra gettata dal suo corpo,
ed osservata dalle anime del petrone (C. V, v. 4 e seg.). Che poi il poeta
sia ornai giunto a miglia 91 di altezza, è provato da ciò che egli
è già arrivato a quelle vallette, che cingono intorno il vero Purga-
torio, come tosto vedremo. (Vedi Tav. II., Purg.).
39 Che a posta. Àppostamente, in aspettazione di noi, come fa chi
sta in luogo, e vede venire alla sua volta o da presso persone ignote,
che le sta guardando ed aspettandole per vedere chi sieno, o dove vanno.
144 PURGATORIO
Sola soletta verso noi riguarda : *°
60. Questa ne insegnerà la via più tosta 4I
Venimmo a lei : O anima lombarda "
Come ti stavi altera, e disdegnosa, a
U>Sola, Boatta. Perchè? Facilmente perchè di cpeUa fatta di persone
al Purgatorio non ve ne avea abbondanza. Quest'anima era stata
letterato, poeta, politico, soldato ed innamorato, ed aveva per tali
cose procrastinata la sua conversione alla morte. D poeta riteneva
(come pare) che uomini tali di raro si convertissero anche in morte.
È una quarta specie di negligenti. Anche la fierezza del suo carat-
tere, sebbene caldo di patriottismo, potè suggerire al poeta di met-
terla sola. Inoltre qui occorreva una guida, perchè a questo punto
la strada, prima unica, si bipartiva quinci e quindi girando 0 monte,
ond'era necessaria una persona che indicasse il da farsi (Vedi Tav. II,
Purg^ a miglia 91 di altezza).
ti La via piò tosta. Come dicemmo altre volte, Virgilio cercava,
sempre la via più corta per salire, e questa era la retta lungo l'al-
tezza del monte, come avea fatto inaio allora, meno qualche ecce-
zione per bisogno, una volta in fondo ed un'altra alla metà del
monte (Vedi Tav. II, Purg.). Perchè dunque non continuò la retta
per cui era inviato? Perchè nel punto dov'erano i poeti la costa,
che par sino a quel luogo saliva equabile, colà invece era rotta di
più vallette, una delle quali vedremo presto, alle quali vallette s'an-
dava per due sentieri, a destra ed a manca. È naturale che tali
luoghi inforsino la salita. Un'altra ragione induceva Virgilio a farsi
premuroso della vera strada, ed era che trovandosi vicin vicino al
vero Purgatorio, bisognava trovarne la porta d'ingresso per solo
la quale si poteva salire. Cosi fece nella prima costa appiè del monte,
dove non c'era che un solo ingresso, e questo diffioUilissimo a ve-
dere per la sua strettezza, e non veduto dopo molte ricerche e pen-
sieri, finalmente fu indicato dalle anime di Manfredi (C. IV, v. 18).
4* O anima lombarda. Secondo il suo solito, ed è arte bellissima,
Dante dalle note generali passa alle più particolari. Cosi s'interessa
più chi legge tenendolo sospeso.
Prima anima in generale ( Vedi là un'anima); qui anima lom-
barda; finalmente la ci farà conoscere per Mantovana.
48 Come ti stavi ecc. Non vi ha dubbio che Dante in queste pa-
role volle darci il ritratto di quello che era stata quell'anima al mondo,
quale si conosceva a' suoi di. Evidentemente il ritratto, che qui si
CANTO VI. 145
E nel mover degli occhi onesta e tarda!
Ella non ci diceva alcuna cosa ; "
, Ma lasciavane gir, solo guardando 45
A guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio sì trasse a lei, pregando *
Che ne mostrasse la miglior salita; 47
fa, è dedotto da una canzone dì Sordeilo, che è appunto l'anima
in discorso , della quale canzone il Tommaseo dice così : « La sua
canzone in morte di Blacasso, vigorosa poesia, scrìtta nel 1180, fu
stampata da Giulio Perticali, ed è canzone politica al modo di certe
invettive di Dante. »
** Ella non ci diceva ecc. La scena di pensosi silenzi misti a ferocia
dignitosa, che abbiamo in questa terzina e nell'altra passata, serve
di un1 ottima preparazione alla sonora invettiva che presto scatterà.
Tanta quiete è la solita foriera di gran tempesta.
È facile accorgerei dell'amore speciale che Dante sente per quo*
sta anima. Chi conosce Dante può vederne la ragione. Egli la trovò
fatta sul suo tipo, in quanto ad indole generosa, e senza pur cono-
scerla di persona le pose amore. La passion per la grandezza d' Ita-
lia dovea esser predominante anche in Bordello.
** Solo guardando. Quest'anima non poteva ancora accorgersi che
Dante fosse vivo, perch'egli non gettava più ombra, camminando per
quella del monte. Se se ne fosse accorta, certo si sarebbe scossa.
46 Pur Virgilio si trasse a lei, Virgilio solo le si fa innanzi. 11
pur, checché ne dicano alcuni, vale solo, solamente, perchè sarebbe
ridicolo prenderlo per tuttavia, quasi che Virgilio dovesse Ben tire la
tremerella a farsi dinanzi a quell'anima, perch'era così silenziosa e
grave, egli che non ebbe mai timor d'affrontar dannati e demoni.
Da questo si sa che Dante, sebbene ito alquanto innanzi con Vir-
gilio, come fu detto in quelle parole Venimmo a lei, pure a poca
distanza si soffermò, e lasciò andar solo Virgilio alla presenza del-
l'ombra. Questo ritiro gli era necessario per far da sé solo quella
solenne intemerata, che presto rivolgerà all' Italia ed agli autori dei
mali di lei.
*7 Che ne mostrasse la miglior salita. Appunto perchè, come di-
cemmo alla nota 41, più di uno era il sentiero di quei luoghi per
le vallette, che cerchiavano intorno intorno il vero Purgatorio, a'
cui pie noi siamo ornai giunti.
10
ne PURGATORIO
E quella non rispose al suo dimando; **
7o. Ma di nostro paese, e della vita *•
C inchiese. E il duca incominciava : ,
Mantova .... E l'ombra tutta in sé romita *°
Surse ver lui del luogo ove pria stava, w
Dicendo: O Mantovano, i' son Sordello M
** Equella non rispose ecc. Perchè non farla rispondere ? 1. Per con-
tinuare sino all'ai timo il carattere dì pieno riserbo dell'ombra;?. Perchè
doyea ferie soddisfare un desiderio a lor più pungente, il quale si è
quello che subito l'ombra manifesterà; 3. Perchè il silenzio presente dà
un gran rincalzo alle accoglienze che presto succederanno, ed è come
l'ombre, che gittate sul quadro dovevano dar risalto alla luce.
*• Ma di nostro paese ecc. Della patria d'entrambi, e della pro-
fessione di vita.
so Mantova, Continuando il discorso avrebbe detto: Fu mia terra;
Manina me genuit. Osservate che scena affettuosa prodotta da que-
sta sola parola; e quant'arte anzi natura non c'è in questa reticenza.
Tutta in sé romita. È quell'entrare tutto in sé stesso, con un
moto retrivo, che si fa ogniqualvolta si ode o vede cosa impensata,
meravigliosa e desiderata. Il primo sentimento che produce tale ap-
parizione ci fa ritirare alquanto, e concentrare in noi stessi, quasi
non credendo agli occhi nostri.
M Surse ver lui ecc. Dunque in tutto il veduto ed udito prima
l'ombra si tenne sempre seduta. Anche questo è da aggiungere alle
altre note caratteristiche di quest'anima svolte nelle note 89, 40, 43,
44, 48, che tutte preparano il grandioso colpo di scena a cui ora ci
ha condotti il poeta. R poeta volea far vedere a vergogna della sua
Italia contemporanea, quale fosse stata l'Italia e gli Italiani di un
tempo, cioè di un secolo e mezzo addietro, dove poche erano le pa-
role e molti e grandi i fatti e l'amore che li creava. Tutto il con*
trario di quello che abbiamo presentemente, quando molto si ciancia,
tutto si distrugge, e niente si fa, colpa lo spirito rivoltoso. — Surse ver
lui inchiude due azioni, quella del sorgere e quella dell'avanzare.
0* Dicendo: 0 Mantovano ecc. Virgilio era di Andes, e Sordello di
Goito, ambedue terre del Mantovano. Sordello non si conosce più
da quel di prima ; tanto si è cangiato da quel suo fare altezzoso e
romito, che aveva un istante fa ! Si possente manifestasi qui l'amore
di patria, che s'amano i propri concittadini senza pur conoscerli. Che
CANTO VI. 147
Della tua terra; e Tun l'altro abbracciava. 58
luce terribile gettata sulle tenebre del quadro d'Italia, che tosto verrà !
Il Tommaseo trae su Bordello, da un commento inedito, i cenni se-
guenti : <( Sordello del Mantovano, d'un castello, e' ha nome Goito :
gentil cattano : fu avvinente omo della persona, e grande amatore.
Ma molto egli fu scaltro e falso verso le donne, e verso i Baroni
da cui «Ili stava. E s'intese in madonna Cunizza sorore di ser Ec-
celino, e de ser Alberico da Romano, ch'era mollerà del conte de San
Bonifazio. E per volontate de ser Eccelino etti involò madonna Cu-
nizza, e menolla via ...» Benvenuto lo dice: Nobilis et prudens
mile$ et curiali*. Per altro i fatti di questo personaggio sono av-
volti nel dubbio. Quello che è certo si è che Dante ce lo presenta quale
uomo di gran senno, e pieno d'amore d'Italia, e che avendolo collocato
nel giro di coloro che attesero a' mondani ingrandimenti, fa creder che
egli fosse Visconte di Mantova e suo signore. Egli viveva tra il 1150
e il 1200, epoca la più gloriosa pei municipi italiani, ed epoca pur invi-
diata tanto da Dante quando fa l'elogio doi tempi antichi di Firenze
fPar.,C.XV). Andrebbe assai bene confrontar la seguente invettiva
contro l'Italia del 1800, dove anche Firenze ha il fatto suo, colle
lodi di Firenze di più di un secolo addietro nel Canto testò indicato.
**EVuh l'altro abbracciava. Ombra con ombra potevano ben ab-
bracciarsi : quelli che abbracciare non si potevano erano corpi ed
ombre, come abbiamo veduto nel Canto di Casella (Purg. C. II, v. 80),
dove il poeta parlando de1 suoi abbracciamenti a Casella dice:
O ombre vane fuor che nell'aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto.
Mentre che li due concittadini si accoglievano cosi teneramente
tra loro, Dante che se ne stava in cesso, e a qualche distanza, potè
sfogar da sé solo la sua ira contro i degeneri Italiani de' suoi giorni.
Appunto per dar subito e colà luogo a questo sfogo, dice Virgilio solo
ito a Sordello, e lui rimasto indietro. Sicché a me non garba troppo
la osservazione del Tommaseo, che pone la invettiva di Dante all'Ita-
lia, come un frutto di reminiscenza dopo tornato dal suo viaggio poe-
tico. No, egli la fece sul luogo stesso, che gliePha suggerita, e mentre
le due ombre concittadine si facevano tra loro reciproche feste. Dante
stesso dichiara apertamente che la sua invettiva l'ha fatta allora, e non
dopo, e lo dichiara colla parolina quivi, che dirà da qui a poco, al v. 81.
Certo il tarla qui è tutta cosa di natura e di vero e caldo amore;
il farla dopo non ha il primo pregio e fa scapitare il secondo.
148 PURGATORIO
Ahi serva Italia, di dolore ostello, 5*
Nave senza nocchiero in gran tempesta, w
Non donna di provincie. ma bordello! w
M Ahi serva Italia. Serva delle parti , serva dei podestà, che si
facevano tiranni, serva dei reali di Francia, che approfittavano delle
sue discordie.
Di dolore ostello. Perchè albergo di guerre civili, sorgente fu-
nèsta di mille guai.
M Nave senta nocchiero eoe II nocchiero, che dovea guidar questa
barca frenando le sue tempeste civili, dovea essere 1* imperadote to-
rnano, che nel 1300 era Alberto figlio del gran Rodolfo capostipite
della casa imperiale d'Austria. Ma erano 50 anni che gli Imperadori
romani non discendevano a visitare questa parte più bella del loro
impero ; e quelli che prima di questi 50 anni discesero, non mirarono
che al loro interesse, mettendo qua e là de' consoli loro rappresen-
tanti, che presto divenivano tiranni, e così fomentavano le parti, che
diedero poi frutti amari massime in sul finire del 1200, e in sul prin-
cipio del 1300.
Só Non donna di ecc. Non signora di provincie, quale fosti un tempo
sotto gli antichi Romani. Nel 1300 gli Italiani lungi dal comandare
al di fuori, non comandavano nemmeno dentro ; ma erano tatti co-
mandati o da tiranni, o da fazioni che li laceravano ; e di qui il ri-
corso a protettori, che facevano rimpiangere i padroni antichi.
Ma bordello. Questa similitudine è sanguinosa, ma vera per l'I-
talia. Anche l'Italia vendea la sua carne; e sua carne era il ripo-
sato viver civile indipendente, che l'Italia vendeva a chi non era suo
sposo, cioè ai Reali di Francia. Il vero, il legittimo sposo d'Italia
dovea essere l'imperador del sacro romano impero, e questo per
i sventura l'aveva abbandonata, o almeno non se ne curava. L'impero,
o l'imperadore romano, quale fu dopo la caduta dell'antico, ò tutta
e sola istituzion della Chiesa, e perciò è detto sacro romano impero,
cui la Chiesa Utitutrice dispose a nobile e santo fine, quello cioè di
salvar l'impero, e massime la parte di esso più preziosa, l'Italia, dalle
invasioni barbariche, se mai avessero continuato; di proteggere l'or-
dinazione interna politica d' Italia, salvi i diritti dei municipi; di di-
fendere la Chiesa ne' suoi temporali domini, e di concorrere con lei
alla diffusione del cristianesimo, entro la cerchia delle sue attribu-
zioni. Come si vede la istituzione non potea essere più magnifica, o
questa è l'idea che n'ha Dante, e che n'aveano Ghibellini e Guelfi
CANTO VI. 149
Quell'anima gentil fu così presta,
80. Sol per lo dolce suon della sua terra, 57
Di fare al cittadin suo quivi festa; M
Ed ora in te non stanno senza guerra 59
non affascinati da deche utopie politiche. Peccato che da una parte
gli Italiani, e da un' altra gli imperadorì dimenticassero il vero de-
stino di questa si nobile e si vantaggiosa istituzione, e si dessero
invece a fomentar quelle gare che ad altro non servirono se non a
precipitare l' Italia. Il Papato intanto si trovò deluso nelle sue spe-
ranze, onde dovette pensar da se solo ad ordinar alla meglio questa
penisola, ritenendo però la istituzione dell' Impero romano quale l'a-
veva Ideato sin da principio, e cercando d'eleggere imperadorì, che
rispondessero al fine per cui venivano ratti elegger da lei, da lei
confermati e consecrati.
n Sol per lo dolce 8uon ecc. Virgilio non disse che Mantova, e
Bordello non volle di più per gettargli» al collo.
0* Quivi. Dunque Dante parla in quell'ora e da quel luogo deve
presentemente si trova nel Purgatorio; e non è altrimenti una re-
miniscenza venutagli alla memoria dopo il ritorno dall'altro mondo.
*9 Ed ora in te eco. Notate bene l'antitesi satirica di questa ter-
zina con l1 altra di sopra. Nell'altra terzina si ammiravano le cose
seguenti :
1. Che un secolo e mezzo prima vi aveva in Italia cittadini come
Bordello, che amavano e festeggiavano i loro concittadini;
2. Che li amavano senza conoscere, conoscendoli ai nome di patria;
8. Che bì amavano fin da morti;
4. Che tanto amore tra cittadini egli ha la fortuna di ammirare
nel 1300 ai 10 di Aprile.
A tutto questo spettacolo di amore contrappone il poeta uno
spettacolo tutto diverso di odio nelle circostanze seguenti:
1. Ora, ossia nello stesso 1800, 10 Aprile, ore 4 pom.;
2. Guerra e non festa tra Comuni e Comuni d'Italia;
3. Tra vivi e vivi, che potrebbero e dovrebbero assistersi ;
' 4. Rancori e rodimenti tra quelli d'uno stesso comune e città,
la quale è qui indicata dalle mura e dalla fossa che la circonda, il
ohe fa tra bel contrasto con due castelli diversi Andes -e Goito, pa-
tria di Virgilio il primo e di Bordello il secondo. Altri per muro in-
tese le Alpi, che serrano l'Italia da settentrione, e per fossa intese
i mari Adriatico e Mediterraneo, che la serrano dagli altri lati. Io-
160 PURGATORIO
Li vivi tuoi, e Tun l'altro si rode
Di quei che un muro, ed una fossa serra.
Cerca, misera, intorno dalle prode *•
Le tue marine, e poi ti guarda in seno
S'aleuna parte in te di pace gode.
Che vai, perchè ti racconciasse il freno *f
Giustiniano, se la sella è vota?
non credo che t'abbia dm intender cosi, perchè tal pensiero e sarebbe
una inolile spiegazione di quelle parole in le, nelle quali era deter*
minata l'Italia abbastanza, e sarebbe inoltre meno storico ed espres-
sivo, perchè mancherebbe la guerra intestina e civile tra gli abitanti
d'ano stesso municipio, che è male assai peggiore di quello tra un
municipio ed un altro, e che pure allora era tanto ordinario per tatto,
e massime in Firenze.
Fu appunto in quest* anno che ai venivano maturando in Ffrenee
le ire contro Dante, che poco dopo scoppiarono in decreto di bando
perpetuo.
M Cerca ecc. Guarda intorno per le tue coste alle città marit-
time, e poi rivolgi i tuoi sguardi per tutto il tuo continente a ve*
dere se parte alcuna di te viva in pace. Questa è la prova di fatto re-
cata a conferma della sua asserzione espressa nella terzina passata. —
Parie qui non è presa per fazione, ma per vera parte geografica,
riferendosi al detto prima dei luoghi sul mare e deatro terra.
** Che vai, perchè ecc. Prima il poeta ci avea presentata l'Italia
come una donna vendereccia, ora ce la presenta sotto l'imagine di
una cavalla indomita. Questa cavalla ha avuto un freno, le leggi e
la potenza del romano impero sino alla calata dei barbati in Italia.
Ma i barbari (Goti) hanno lacerato questo freno, e l' Italia allor di-
ventò quel che addiviene una cavalla sbrigliata, ossia diventò una
terra senza ordine, e senza soggezione, senza pace, senza onore, alla
mercè del barbaro conquistatore. Giustiniano, per opera del suo ge-
nerale Belisario, conquise i barbari, ristabilì e l' impero romano già
caduto in Italia, e la legislazione romana, opera che servi poi di base
ad ogni altra legislazione. Ciò avvenne verso la metà del VI secolo.
A qnesti fatti allude qui il poeta, dicendo che il bene fiuto all'Italia
da Giustiniano, a nulla vale perchè dopo sconfitti i barbari, e dato
buone leggi, non pose qui la sua sede imperiale, lasciando cosi vota
la sella di questa cavalla.
CANTO VI. 161
90. Senz'esso fora la vergogna meno. M
Ahi gente che dovresti esser divota.
63
G* Senz'esso ecc. Se non vi avesse né imperatore, né leggi (freno),
V Italia avrebbe meno da vergognarsi ; ma essendoci e l'uno e l'altro
di questi vantaggi, e ciò nulla ostante vivendo come se non vi fos-
sero, il disdoro per l'Italia è maggiore.
63 Ahi gente ecc. Parla ai Guelfi aderenti al papa in fatto di reg-
gimento politico, e dice loro che stieno pure col papa (dovresti esser
divota) nel governo spiritual della Chiesa, che questo è il loro do-
vere, ma stieno coir imperatore nel governo civile e politico d'Italia
(e lasciar seder Cesar nella sella), nel quale non ha parte la Chiesa,
secondo il fine a cui fu da Dio ordinata (8e bene intendi ciò che
Dio ti nota!).
Ordinariamente ai prende questo passo ed altri, ehe seguono, per
arma a combattere il dominio temporale della Santa Sede, quasi Dante
fosse perfettamente d'accordo cogli odierni nemici del temporale do*
minio dei papi, e ne favorisce lo spogliamento, È troppo facile fran-
tendere il poeta, quando si legge con passione, e quando non si co-
nosce il pensiero di tutto il medio Evo in tutta questa bisogna. Il
pensier di Dante in questa materia altro non è che lo stesso pensier
della Chiesa nella istituzione del sacro romano impero, al quale at-
tribuisce il poeta quella ingerenza nelle cose d'Italia, che pure at-
tribuisce la Chiesa. Solo errò in questo il nostro poeta, che ritenne
colpa dei papi se l' imperadore non governava l'Italia, o non ne im-
pediva i mali, mentre era colpa degli stessi imperadori, cupidi o dap-
poco, e talora empi, che non corrispondevano a quei fini pei quali
dalla Chiesa institutriee ricevevano la loro autorità imperiale. In
Dante potea esser facile questo scappuccio perchè era troppo risen-
tito centra Bonifacio Vili , sotto il Pontificato del quale suppone
questo sfogo (1300), sebbene quando veramente lo scrìsse fossero pas-
sati un dieci anni, cioè si fosse sotto l'impero del successore di Al-
berto, che fu Arrigo di Lucemburgo, in cui egli avea poste tante
sue belle sperarne, e per la discesa in Italia che ne sperava, e pel
ripatriamento che ne sarebbe stata una conseguenza. Nell'epoca dun-
que nella quale Dante scrisse questa invettiva (1310), le cose d'Italia
andavano a male sempre più, e Clemente, suceessor di Benedetto XI,
dimorava in Francia, lasciata Roma, la quale per quell'abbandono
dovea precipitare nell'estrema rovina, come infatti accadde. Ponete
adunque un uomo qual'era Dante pieno di amor di patria e di una
perfetta attitudine al governo dei popoli, sdegnoso per tanti mali che
152 PURGATORIO
E lasciar seder Cesar nella sella, 4
Se bene intendi ciò che Dio ti nota ! "
Guarda congesta fiera è fatta fella *
Per non esser corretta dagli sproni, m
vedeva crescere, e per le d visioni interne, e per l'abbandono del
pepa, e per la inerzia degli imperatori, che da 60 anni non discen-
deano in Italia a vedere il fatto proprio, a eoi erano dalla Chiesa
stessa deputati, e poi ditemi se Dante ai potea contenere da non
inveire e contro il papa esule volontario d'Italia, e contro gl'im-
peratori; che la lasciavan preda alle «ne discordie ed ai tiranni, e
contro P Italia stessa, che non vedeva, o meglio, che non tettava di
rimediare al suo precipizio.
** E lardar §edcr ecc. Qui non s'intende Poeeiipasiome di Roma
da farsi capitale e sede dell1 impero romano, il che non è né secondo
la mente di Dante espressa chiaramente ndV Inferno C. II, dove «fisse:
La quale e il quale a voler dir lo vero
Fur stabiliti per lo loco santo,
U* siede il successor del maggior Piero;
né secondo la mente di nessun ghibellino e dell* imperatore medesimo;
ma solo s* intende il governo civile d' Italia, o meglio la tua proto-
sion civile, qualunque ne fosse la sua sede, anche fuori d'Italia.
«fle bene intendi eoe Quae nmt Coesori*, Coesori: qnae sani
Dei, Deo, ed altri testi consimili. £ appunto la Chiesa od i papi,
nell'istituzione del romano impero, intesero di rare questa separa-
zione, riservando all'imperatore la direzione errile, o per meglio sire,
la suprema tutela d'Italia, sansa pregiudizio ai diritti esistenti.
*» Guarda confetta eco. Guarda come l'Italia, questa cavalla in-
domita, è divenuta pazza e furente.
e? Per non eater corretta ecc. Per non avere il suo imperatore, che
la moderi. Il governo imperiale è qui simboleggiato sotto l'imma-
gine detta cavalcatura, perchè chi cavalca un destriero lo dirige per
la briglia, e, dove impassi, lo punge con gli sproni, e cosi lo tiene
a dovere. Ricordatevi sempre che anche in sentenza di Dante it go-
verno imperiale doveva avere più il carattere di protezione, che di
▼ero e reale dominio. I Comuni doveano restare sempre padroni di
sé e indipendenti l' uno dall' altro. Lo dice Dante stesso nella famosa
lettera ai signori e principi d' Italia, che potete vedere in Balbo, Vita
di Dante, voi II, e. IX, an, 1310-1311, pag. 190, Torino- Pomba.
CANTO VI. 153
Poi che ponesti mano alla predella. 68
O Alberto Tedesco, che abbandoni 69
& Poi che ponesti mano alla predella. Da quel tempo in poi che
hai volato governarla tu, o gente guelfa, o Papi. Predella è quella
parte della briglia, detta anche bredella, per la quale si prende il
cavallo, e lo si fa camminare. Insiste Dante sul suo errore di credere
che gli imperatori non discendevano in Italia a mettervi ordine e go-
vernarla, perchè i papi avessero Pambizione di governarla essi stessi ;
mentre anzi i papi, sin da Leon III, che creò il primo imperatore nella
persona di Carlo Magno, facevano eleggere sempre e con gran pre-
mura, e anche con minacele, dove gli elettori indugiassero o aves-
sero mire indegne nello eleggere gli imperatori stessi, e poi si face-
vano subito grande premura perchè venissero a Roma a prendere
la TOrona imperiale, disponendo ogni cosa perchè fossero accolti do-
vunque come meritavano e perchè fossero obbediti. Ma siccome gli
imperatori d'occidente imitavano quelli d'oriente di molti secoli pri-
ma, abbandonando cioè l'Italia, gli orientali alle incursioni barbari-
che, e gli occidentali alle guerre intestine, perciò ne venne la necessità
che i papi dovettero occuparsi delle cose civili fuori dei propri Stati
più di quello che essi avrebbero desiderato ; ma per questo di chi la
colpa? Nemmeno in ciò, come è evidente, si prende di mira dal poeta
il dominio temporale dei Papi, ma solamente la direzione ch'essi ave-
vano (ed era necessita) delle cose civili d* Italia per mancanza di chi
spettava. Guai all' Italia, e agli Italiani, se in que' miseri tempi non
fossero stati tutelati dai papi!
** O Alberto Tedesco ecc. Havvi qui una malizietta di Dante, che
bisogna notare. Noi siamo col poema nel 1300, come si sa. Ora Al-
berto Tedesco era egli vero e legittimo imperador de' Romani in que-
st'anno? Vediamolo. Morto l'imperatore Rodolfo d'Austria, gli elet-
tori nominarono all' impero de' Romani Adolfo di Nassau nel 1 di
maggio 1292. Essendo questi stato eletto nelle forme volute, gli elet-
tori non potevano deporlo, ma aspettare la conferma della Santa Sede,
secondo il solito. Invece tra perchè Adolfo non si diportava con sod-
disfazione, e perchè Alberto ambiva l'Impero, gli elettori addi 23 di
giugno 1298 deposero illegalmente Adolfo ed elessero Alberto figlio
di Rodolfo d'Austria, primo imperadore di questa casa. Spiacque vi-
vamente il fatto a Bonifacio Vili, il quale in una lettera agli elet-
tori del 18 di aprile 1301 riprova la condotta di essi e di Alberto*
che per salire al trono dei Romani, si era ribellato ad Adolfo suo
principe, ed uccisolo in guerra da ribelle, e lo cita al suo tribunale,
154 PURGATORIO
Costei eh' è fatta indomita e selvaggia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni, TO
« altrimenti (sodo parole del papa) noi vietiamo strettamente agli eiet-
tori, e a tatti i sudditi dell'impero di riconoscerlo re dei Romani, gli
sciogliamo dal giuramento di fedeltà, e procederemo contro lui, e i
suoi fautori spiritualmente e temporalmente, come giudicheremo a pro-
posito. » Allora Alberto mandò ambasciatori a Roma implorando la
misericordia del papa, e mostrandosi pronto a fare tutto ciò che pia-
cesse alla Santa Sede. Bonifacio si lasciò piegare, e in una Bolla del
30 aprile 1303 « Noi, dicea, vi riceviamo qua! nostro figliuolo spe-
ciale e della Chiesa, e vi accettiamo qua! re dei Romani, che dev'es-
sere promosso imperatore per l'autorità di Dio ; vogliamo e statuiamo
che voi siate tale oggidì, che per tale siate riconosciuto dagli altri,
che tutti i sudditi del santo impero romano vi obbediscano, flne
è costume di obbedire ai legittimi re dei Romani approvati dalla Santa
Sede, supplendo tutto ciò che potrebbe esser difettoso nella vostra
elezione, incoronazione ed amministrazione. » (Ronrbaeher).
Da tutto questo apparisce che Alberto nel 1300 (epoca nostra) non
era legittimo re dei Romani, e che lo fu solamente nel 30 aprile 1303.
Dante non ignorava certo questi fatti. Dunque come mai egfi po-
teva riprendere Alberto pel suo abbandono d'Italia, quasi foste il ano
vero principe? Si vede apertamente che tutto questo egh dice in
onta di Bonifacio Vili, e che desiderava la discesa d'Alberto in Italia
più per vendicarsi del papa, tirandogli addosso un nemico, di quello
che per la vera pacificazione d'Italia. Quando la passione, e passione in-
giusta verso un papa si grande, fa parlare, ci potrà essere una bella
poesia, ma non mai una bella verità ed un ordinato amore di patria.
70 E dovresti inforcar. E dovresti discendere a governar l'Italia.
E sempre l'allegoria della cavalla, sotto cui si colora l' Italia. Con
ciò Dante eccitava il già ribelle Alberto a proseguire nella sua ri*
bellione, marciando contro il papa ed i suoi aderenti, e con ciò tra-
volgeva la grand' opera della instituxione del romano impero fatta
nell* 800 da Leon III, e continuata con prospero successo tanti anni
dappoi. Sopra il qual proposito è bene che sia qui dichiarato più
diffusamente di prima il nobile, sublime, vantaggiosissimo intendi- *
mento, che ebbe la Chiesa quando istituì quest'opera, che è tutta sua,
e che certamente avrebbe portato frutti ubertosissimi e perenni,
s'ella fosse stata compresa da chi più dovea. Riporterò le stesse parole
di uno storico (Rohrbacher, t. XI, 1. 53, p. 227): « Eravi qualche cosa
che a papa san Leone stava più a cuore della propria giustificazione,
CANTO VI. 165
il ristauramento cioè dell' impero romano in occidente nella persona
di Carlo Magno, acciocché avesse ad essere il difensore armato della
Chiesa romana e di tutta la cristianità. Questo sacerdotale rinno-
vamento dell' impero, che compieva la costitusione cristiana del mondo
cristiano, ebbe luogo il dì di Natale dell'anno 800, nel tempio del
principe degli Apostoli, ben addicendosi che l' impero cristiano na-
scesse il giorno della nascita di Cristo e nella basilica del suo primo
vicario. Carlo Magno, che era qui venuto ad assister alla messa so-
lenne, stava terminando l'orazion sua dinanzi al sepolcro di S.Pietro,
quando il papa gli impose di propria mano la corona imperiale sul
capo, e tutto il popolo di Roma a quell'atto usci nel grido seguente, ^
tre volte ripetuto ed accompagnato dalla invocazione di più santi:
— A Carlo Augusto coronato dalla mano di Dio grande e pacifico inv
perador de' Romani, vita e vittoria ! — Dopo le quali acclamazioni il
papa se gli inchinò davanti come a capo dell' impero, al modo degli anti-
chi principi . . . Il papa gli conferi al tempo medesimo la sacra unzione.
« La cagione per la quale furono da Leone HI conferiti il titolo
e la dignità d'imperatore a Cariomagno viene succintamente esposta
dal Sigonio. Sendo questo titolo della dignità imperiale cessato circa
tre secoli avanti nella persona d* Augnatolo, ultimo imperador d'oc»
ridente, per lasciar luogo al regno de' Goti, volle il papa rinnovarlo
nell'occidente stesso, a fin che la romana chiesa avesse contro gli in-
fedeli, gli eretici, i sediziosi, un difensore: officio che l'imperatore
d'oriente parca avere da lunga pezza abbandonato. Grossamente perciò
vanno errati coloro i quali vogliono che papa Leone, allorché cinse
a Cariomagno il diadema imperiale, non più che un mero titolo gli
conferisse; che un'amplissima dignità gli ebb* ad un'ora conferito,
e rispondente a quell'eccelso titolo, la dignità vale a dire di tutore
e difensore della repubblica cristiana e della chiesa tutta quanta, in
ispesialtà della chiesa romana. Cotesto incarico di difendere la società
cristiana, al quale da lunga età fallivano gli imperadori d'oriente, la
romana chiesa o lo sposo capo di lei, il padre universale, e pontefice
supremo de' cristiani, commetter lo poteva ad un altro, affinché tutti
i popoli d'occidente, stretti in alleanza sotto uno stesso impero, con
ardor più concorde adoperassero a respingere gli infedeli, e tener a
freno i scismatici e i sediziosi, che desser molestia alla chiesa e al
suo capo. Carlo fu dal capo della chiesa universale tra tutti i principi
cristiani reputato il più degno e capace di tal glorioso incarico......
Pastore del mondo, capo della Chiesa universale, pontefice di Roma
papa san Leon III crea e consacra nel padre dell' Europa, nella per-
sona di Cariomagno, ti santo romano impero, 1* impero della forza
fatta ancella del vero e del giusto. Cariomagno non avrà in tale
15(5 PURGATORIO
100. Giusto giudicio dalle stelle caggia 7I
Sovra il tuo sangue, e sia nuovo ed aperto, u
Tal che il tuo successo!' temenza n'aggia : n
impero chi gli succeda appieno, ma il santo impero romano consacrato
nella persona sua, starà d'ogni tempo, non ostante le contrarie appa-
renze, non altro essendo esso impero che l' Europa cristiana e cattolica,
che dopo dieci secoli, «ente tuttavia la nobil necessità di usar la poe-
. sansa sua, il suo sapere, il suo sangue a gloria di Dio, e a salvezza del
mondo. Sente ella perennemente nell'imo delle proprie viscere la con*
secrezione apostolica conferitale nella persona di Carlomagno, suo
primo rappresentante. Il mondo intero ne assegna a lei il vanto, >•
it Gitito giudicio. È una profezia di quello che infatti avvenne,
essendo stato Alberto ucciso a tradimento da Giovanni suo cugino
nel 1 maggio 1308. Ma è da avvertire che la profezia non è che
poetica, e dipende dall'aver dato al poema un'epoca anteriore all'e-
poca reale in cui tali cose furono scritte. Imperocché abbiamo già
detto che il presente viaggio è supposto nel 1800, e la presente in-
vettiva è scritta 9 anni dopo, quand'era di già avvenuta rucds'oné
di Alberto. Vedi Tav. 1, Pur ?., casellino dell'Epoca. Essa fu scritta
in Parigi. Vedi Tav. I, Purg., casellino del Luogo.
v* Nuovo ed aperto. Il castigo, che piombò dal cielo su Alberto! fa
veramente nuovo ed aperto, cioè chiaramente apparve un vero ca-
stigo del cielo, ina non nel senso in cui lo prende ti poeta, al quale
è lecito tirar gli avvenimenti al proprio servigio. Esso castigo è nuovo
ed aperto nel senso della Sacra Scrittura, la quale minaccia la morte di
ferro a chi di ferro uccide; cori Alberto uccisore di Adolfo, venne an-
ch'egli alla sua volta ucciso. Il poeta invece suppone chettlcastigo gfi
venga per non discender in Italia ad ordinarla, com'era suo dovere; e
in parte sarà anche stato cosi : ma la prima è più solida e più vera.
i* Tal che il tuo sucetssor ecc. 11 tuo successore, che fu nel no-
vembre del 1308, Arrigo di Lucemburgo, e di cui nel 1810 si pre-
parava la discesa in Italia, impari alla tua scuola che gli impero-
dori romani deono prendersi cnra d'Italia, che dell'Impero è il giar-
dino, e tema la stessa sorte se non discende a visitarla ed ordinarla.
Appena Dante ebbe sentore che si Dicevano i preparativi per la calata
del Lucemburghese, scrisse da Parigi la lettera t toccata a nota 67} a
tutti i principi ed a tutte le repubbliche d'Italia, magnificando l'im-
peratore e esortando tutti ad accoglierlo, ed a mostrargli sudditi
fedeli ed obbedienti, non quali servi; ma quali liberi.
CANTO VI. 157
Che avete tu, e il tuo padre sofferto, u
Per cupidigia di . costà distretti, 75
7* Che avete tu ecc. Che nò tu né tuo padre Rodolfo siete mai di-
scesi in Italia ad adempiere le mansioni del vostro officio quali im-
peratori romani, infrenando le fazioni e cacciando i tiranni che sor-
gevano dalle fazioni, per cui il giardino dell' Imperio, l'Italia, andò
deserto: e questo è pura storia e verità: e questo pure è la cagione
per cui i papi dovettero pensar essi soli a rimediare ai mali civili
d'Italia, mentre in tal bisogna doveano essere aiutati dall' impera-
dorè , secondo gli obblighi assunti venendo all'impero. Per questa
mancanza da parte degli imperatori romani di Germania, i papi dove
non poteano ottenere colla fòrza morale la pacificazione dei Comuni,
come per esempio, di quel di Firenze sopra tutti, erano costretti a
rivolgersi agli aiuti militari della Francia dove avea risieduto in an-
tico la dignità imperiale. Fu bene, o fu male? Io non dirò altro che
fu necessità, e che la colpa del non intervento fu tutta degli impe-
ratori alemanni, come le colpe commesse dagli interventi francesi, fu
tutta colpa dei reali di Francia, restando i papi frattanto gli unici
tutori e difensori d' Italia. Felice l' Italia se avesse sempre dato ascolto
a questi suoi tutori e difensori, che non ci sarebbe stato mai uopo
d'eserciti stranieri, sarebbero state tolte le discordie d' Italia, e non
si sarebbero vedute e piante tante calamità. — Questi due imperatori,
Rodolfo ed Alberto, morirono senza riceve re dalle mani del papa la
corona imperiale, sebbene fossero stati da lui riconosciuti per legittimi
imperatori. Rodolfo però per due volte vi doveva discendere, ed era
tutto combinato col papa, ma la discesa andò sempre a vuoto. Egli visse*
sempre in buonissime relazioni col papa ; e fu veramente uomo grande,
e di leali intenzioni. Avremo occasione di parlarne quanto prima.
13 Per cupidigia di costà distretti. Per allargare i vostri stati in
Germania e farvi forti colà. Allude evidentemente alla conquista del-
l'Austria fatta su Ottocaro re di Boemia, che n'era signore. Si sa
che Rodolfo ed Alberto non erano uomini molto possenti in Germa-
nia, sebbene di famiglia nobile e cospicua, onde saliti al trono im-
periale, anche per mettersi in caso di rispondere all'altezza del loro of-
ficio dovettero spendere degli anni molti per acquistare preponderanza.
E intanto non si mancava di mettere a loro colpa ciò che era dura ne-
cessità. I Ghibellini però sognavano un po' troppo sui buoni effetti
di tali discese in Italia, ancorché fossero state possibili, e non vedevano
che i Guelfi sognavano men di loro stringendosi intorno al Papato
anziché ad altro principe straniero. Era infatti il solo Papato che
158 PURGATORIO
Che il giardin dell' imperio aia diserto. w
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, n
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura, n
Color già tristi, e costor con sospetti.
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura n
110. De1 tuoi gentili, e cura lor magagne, m
E vedrai Santafior com'è sicura. Sl
potca pacificare e render felice l'Italia; ma bisognava ascoltarlo*
come bisognava che lo ascoltassero sieno gli imperatori, aleno, i reali
di Francia. Forse oggi è già venuta l'epoca, per vedersi le cose
spinte agli eccessi, in cui si conoscerà più che mai la verità che dkaarno.
to Che il ecc. Che l' Italia sia diserta dalle fanoni e dai tiranni e dai
reali di Francia, si mal veduti da Dante in Italia, ed a ragione, perché
l'officio di venire quaggiù spettava ai soli imperatori romani.
77 Montecchi e Cappelletti. I tuoi medesimi partigiani Ghibellini,
quali erano queste due nobili e potenti famiglie veronesi, che in
onta al tuo nome e al tuo appoggio, sono scadute ed oppresse.
78 Monaldi e Filippeschi. Altre famiglie ghibelline d'Orvieto, in
sul punto di precipitare anch' esse. Come dicesse : Tu abbandoni, oltre
T Italia in generale, che è tuo impero, anche le prime famiglie che
qui sostengono la tua parte, e così dai il crollo alla tua patena in
Italia, perchè in avvenire nessuno più vorrà favorir quella parie,
dove stando, si cade.
^ Vien, crudel, ecc. La storia appella Alberto uomo buono, ma erodo.
E vedi la pressura — De' tuoi gentili ecc. L'oppressione a che
soggiacciono tutti i nobili baroni del tuo impero, e che per favorire
in Italia la tua causa n* hanno* ovunque la peggio.
so E cura lor magagne. Soccorri ai loro mali, alle loro disgrafie,
che subiscono per conto tuo.
8i E vedrai Santafior ecc. Castello e contea imperiale nella Ma-
remma di Toscana. Questo fèudo imperiale esistente in meato a tanti
Guelfi era in continuo pericolo di divenir preda dei Guelfi stessi per
incuria del suo sovrano imperatore. Sicché da quanto si dice in queste
due terzine si vuol concludere, che la causa e la autorità imperiale
più non si conosce né in Lombardia, né in Romagna, né in Toscana,
né in nessun 'al tra parte d'Italia, perché dappertutto gli aderenti im-
periali sono oppressi. ÀI tempo che Dante scriveva tali cose, cioè
nel 1309, la parto preponderante in Italia era il Guelfismo.
CANTO VI. 159
Vieni a veder la tua Roma che piagne, M
Vedova, sola, e dì e notte chiama: 83
Cesare mio, perchè non m'accompagne ?
Vieni a veder la gente quanto s'ama; 8*
E se nulla di noi pietà ti muove, X5
A vergognar ti vien della tua fama.
E se licito m'è, o sommo Giove, M
Che fosti in terra per noi crocifisso,
99 Vieni a veder la tua Roma ecc. Intendete bene queste parole.
Dante dice tua Roma in quel senso che diceva tua l'Italia e tue tutte
le sue città: perchè da quando fu istituito da san Leon III nell'800
il sacro romano impero esteso su tutta la cristianità, tutti i luoghi
cristiani diventavano dominio dell' imperatore, non in quanto egli po-
tesse governarli a suo talento , e toglierli e darli a chi meglio cre-
desse, ma in quanto per la costituzion dell'impero poteva e doveva in-
tervenire alla repression del disordine, delle tirannie, delle offese alla
Chiesa in generale, e massime alla Chiesa romana. In questo senso
Dante dice tua Rom a, perchè non è possibile che Dante finga d'i-
gnorare tutta la storia, e massime questa parte, che tratta della rin-
novazion dell'impero romano, e dei diritti e doveri inerenti a questo
impero; e perchè inoltre si mostrerebbe nimico di tutte le autonomie
comunali, di cui invece si sa quanto fosse propugnatore tenace.
8* Vedova, sola, e di e notte ecc. Anche in Roma, come in tutte
le altre città d'Italia, vi aveano fazioni e tumulti. Per questi san Ce-
lestino non volle andarci : per questi Bonifacio VIII, suo successore,
visse spesso inquieto, e alla fine dovette abbandonarla: per questi
Benedetto XI, successore di Bonifacio, ne stette lontano, e lontano
mori; e per questi il successore di lui, Clemente V, venne *l partito
di trasportar la sede di Roma in Avignone, che fu la capitale sven-
tura d'Italia e del mondo cattolico. Dante parla qui del 1300 sotto
Bonifacio, ma scrive al tempo di Clemente V nel 1309. Notate bene
questa circostanza.
8* Vieni a veder la gente quanto s'ama. Quanto si odia. Ironico*
** Della tua fama* Perchè tutti parlano contro di te e del tuo
indegno abbandono. Questa è la fama.
86 O sommo Giove. Non bisogna prendere scandalo di questo nome
del paganesimo applicato al vero Dio, perchè Giove in sostanza non
è che il Jeova degli Ebrei,
160 PURGATORIO
120. Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 81
O è preparazion che nell'abisso **
Del tuo consiglio fai per alcun bene, *
In tutto dall' accorger nostro abscisso?
Che le terre d' Italia tutte piene ®°
8? Son li giusti occhi ecc. Espressione enfatica tratta dal dolore,
osata spesso nei salmi.
88 o è preparaiion ecc. Bellissimo pensiero cristiano di rassegna-
zione ai voleri di Dio nei suoi flagelli, preparati e disposti negli im-
perscrutabili giudizi divini per giovare con essi a quel bene, die
l'uomo di corta veduta non può vedere. Quante volte infatti Dìo
produce sommi beni dagli estremi mali, e quante volte non ci vo-
gliono assolutamente questi sommi mali per ottenere quei sommi beni,
anche umanamente parlando ? Non fu un sommo male, per dirne una,
la rivoluzion dell' 89 ? Eppure da quel male quanti disinganni ? £
dal male di altre rivoluzioni posteriori, quanti altri disinganni, e quanta
gloria per la Chiesa di G. C. e per chi la governa? Si dice nella
sacra Scrittura che Dio ha fatto le nazioni sanabili ; ma ordinaria-
mente le nazioni non arrivano alla loro sanità se non mediante or-
rende catastrofi. Tutta la storia lo insegna.
89 Per alcun bene. Il bene che intendeva di ottenere Iddio col per-
mettere e l'abbandono degli imperatori, e lo scapestrare delle fazioni
d* Italia si era il persuadere a tutti i popoli, che solo ascoltando la
Chiesa cattolica e il suo capo universale, il romano Pontefice! poteano
trovar pace e felicità ; e bisognava provarglielo colla dura necessità
dei fatti contrari; perchè tutti i malanni che succedevano, succede-
vano appunto per questo, che non si ascoltava il Supremo Pacifica-
tore romano. Questo era un fatto anche troppo manifesto, ma che
la gente ghibellina poteva affettare di non conoscerlo, e dirlo invece:
In tutto dall' accorger nostro abscisso.
90 Che le terre d'Italia ecc. Le divisioni, le fazioni, le guerre in-
testine sono universali, non v'ha luogo, che ne sia libero. Le fami-
glie potenti d'ogni città si fabbricavano castelli forti de* loro palagi,
e di 1à coli' ajuto degli amici e dei dipendenti teneano in soggezione
le famiglie meno potenti. Inoltre quegli stessi che erano chiamati al
governo del popolo e che aveano giurato di difendere la libertà del
Comune, a poco a poco diventavano despoti. Quello che avveniva
in città avveniva pure nel contado. Per questo noi vediamo ancora
le campagne df Italia seminate di antichi castelli, o delle loro ruine ;
CANTO VI. 161
Son di tiranni, ed un Marcel diventa *
Ogni villani ohe parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta **
Di questa digressione che non ti tocca,
Mercè del popol tuo che si argomenta.
130. Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca, **
e li vedremmo pare in tutte le città, che n'erano ancor più gremite,
se al cadere del medio evo non fossero stati o demoliti del tutto o
almeno spianati di tanto da renderli innocui. La sola Verona (città)
ne contava 48, che poi per ordine pubblico furono abbassati tutti
al medesimo livello.
9i Ed un Afareel divenia — Ogni ecc. Sin la gente rozza di con-
tado, una volta ch'abbia preso a parteggiare, perde l'amore ai campi
e lo prende all'armi, nell'eseroisio delle quali diventa terribile come
Marcello, il famoso espugnatore di Siracusa. Con quest'ultima pen-
nellata dipinge massimamente quei villani, che da poco tempo erano
venuti a stare a Firenze, che alterarono i costumi di questa gentile
città, che vi lai fecero potenti e insolenti, de9 quali il poeta tornerà
a parlare particolarmente nel Canto XVI del Paradiso. Nella età
precedente s'erano veduti in questo genere esempi più terribili an-
cora, voglio dire Eccellilo da Romano ed altri suoi pari, Che fecero
alle etrade tanta guerra.
9* Fiorentamia ecc. La digressione, che è contenuta in tutta questa
sanguinosa invettiva contro l' Italia e le sue divisioni di parti, mira
specialmente a flagellar Firenze, che in tali disordini entrava Innanzi
a quasi tutte le altre città d' Italia. H poeta per pungerla di ciò più
amaramente, gliene landa l'accusa con Ironia, dicendo che può an-
dar lieta, perchè la invettiva non le tocca, perchè il suo popolo a
differenza di tutti gii altri sa governarsi (ei argomenta) ottimamente.
»8 Molti han giuetinia in cor ecc. Attenti a cogliere il Vero senso
di queste due terzine. H poeta aveva dapprima inveito molto con-
tro l'indolenza degli imperatori romani, che chiamati in Italia dal
loro dovere e dai bisogni urgenti delle disordinate città , pure non
vennero. Ora per caricar meglio Firenze coda sua invettiva, esce con
una scusa che poteano avere gli imperadori per non esser discesi a
curare la cosa pubblica d'Italia, Gli imperatori poteano dire a loro
discolpa: Noi saremmo venuti a castigar i colpevoli italiani, ma il
nostro dover di giustizia che sentiamo nel cuore per questa causa,
XX
162 PURGÀTOBIO
Per non venir senza consiglio all'arco;
Ma il popol tuo T ha in sommo della bocca.
Molti rifiutali lo comune incarco;
Ma il popol tuo sollecito risponde,
Senza chiamare, e grida: F mi sobbarco.
Or ti fa lieta, ohe tu hai ben onde : *
Tu ricca, tu con pace, tu con senno. **
S' io dico ver l'effetto noi nasconde. *
lo dobbiamo mettere ad esame eolie nostre forte; e queste sentiamo
di non avere ancor sufficienti : appena le avremo, faremo il nostro
dovere: cosi la giustizia dell' impresa sarà accompagnata dalla pru-
denza Dell'eseguirla, e ci assicureremo un prospero successo. Cosi po-
trebbero dirci gli imperatori, che ci lasciano dilaniare, cori potrebbero
dirci i capi dei Ghibellini. Tu all' incontro, o Firenze, che hai l'am-
bizione d'essere il centro dei Guelfi, e il capo di questa parte, e che
vuoi estendere il guelnsmo dovunque, guerreggiando la parte ghi-
bellina o imperiale, dove la trovi, che fai per giungere all'intento
delle tue ambizioni? 1. Tu non esamini nella tua coscienza la giu-
stizia della causa che patrocini, ma la giustizia di questa causa l'hai
sol sulla bocca per inganno dei semplici (Afa il popol tuo l'ha in
sommo della bocca)', 2. Non esamini nemmen le tue forse se stono
sufficienti a tanta impresa, come sarebbe prudente, massime ve-
dendo che altri maggiori di te, come son gli imperatori, rifiutano
il grave incarico, per essere un incarico spaventoso, e quindi ti
dai pazzamente ad imprese superiori al tuo stato (Molti rifiuta*
lo comune incarco — Ma il popol tuo sollecito risponde : — • . . Vmi
sobbarco)-, 3. Tu finalmente ti motti ad impresa tanto ingiusta e
tanto difficile, senza un logittimo mandato, senza che ne sii stata
chiamata da ehi n'abbia l'autorità, mentre gl'imperatori, che n'hanno
il mandato e che sono chiamati da sessanta anni, pure esitano an-
cora a venire e si fan riguardo di sobbarcarsi a tanto peso (Sansa
chiamare).
d* Or ti fa lieta ecc. Continua l'ironia per dire tutto l'opposto.
95 Tu ricca ecc. Tu senza ricchezze, senza pace, senza sapienza.
La mancanza di queste tre cose porta la rovina degli stati ; come
il possedimento di queste tre cose ne e la felicità.
96 L'effetto noi nasconde, Perchè^l'effetto dimostra tutto il contra-
rio, cioè che non hai uè ricchezze, uè pace, uò senno.
CANTO VI. 163
Atene e Lacedemona, che fenno 97
140. L'antiche leggi, e furon sì civili,
Fecero al viver bene un picciol cenno 9$
Verso di te, che fai tanto sottili "
Provvedimenti, eh' a mezzo novembre100
Non ghigne quel che tu d'ottobre fili.
Quante volte del tempo che rimembre, m
Legge, moneta, uffici, e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre!
97 Atene e Laeedemona (Sparta) ecc. Città illustri di Grecia, ambe
famose nelle leggi e nell'armi. Atene ebbe per legislatore Solone,
Sparta Licurgo.
98 Viver bene. Viver civile. — Picciol cenno. Che amaro sarcasmo
in queste due parole!
99 Vereo di te. In confronto di te. fisse furono incivilissime a petto
di te. Ironia.
Che fai tanto eottili. L'anfibologia di questa parola dà luogo
alla satira. Sottili ha doppio senso: fini, e deboli o fiacchi. Nel senso
vero bisogna prenderlo in senso di deboli, imbelli.
^^Provvedimenti, eh9 a meno ecc. La bontà delle leggi e dei prov-
vedimenti si prova dall'essere accolti e mantenuti dal popolo libera*
mente. Se i provvedimenti non durano è segno che non furono buoni,
o che non erano buoni quei che dovevano eseguirli, o almeno è segno
di continui cangiamenti di pubblici ufficiali, pei quali è sempre fatto
male quel che fu fatto prima. I provvedimenti per un regime di un po-
polo sono qui simboleggiati in una tela.
La tela dei provvedimenti di Firenze era di si bassa qualità,
che diventava già logora e non più servibile portandola meno di un
mezzo mese. Oh che stracci provvedimenti ! Le leggi savie attecchi-
scono ; le stolte muoiono.
mi Quante volte eoe Qui si dà una prova di fatto a convalidare
l'accusa degli imbecilli provvedimenti di Firenze, riportandosi il poeta
alla memoria de' suoi cittadini contemporanei, che aveano veduto
le tante volte, vita loro durante, i cangiamenti delle leggi, delle mo-
nete, degli uffici, delle costumanze e delle persone. Ogni volta che
si cangia provvedimento, si dà a conoscere che i provvedimenti an-
tecedenti non erano prudenti, e non otteneano il ben vivere.
164 PURGATORIO
E se ben ti ricorda, e vedi lume,102
Vedrai te somigliante a quella inferma,
150. Che non può trovar posa in su le piume,
Ma con dar volta suo dolore scherma.
*w # tt ben ti ricorda ecc. mostra la prora di fatto testé recata
colla similitudine di una inferma, che non potendo guarir del suo male
ornai cronico, cerca almeno di alleggerirlo voltandosi e rivoltandosi
nel letto de1 suoi dolori.
CANTO VII
Argomento.
Sordello domanda chi sieno il Mantovano e l'altro in sua com-
pagnia. Virgilio gli si manifesta. Tale manifestazione fa andare
in un* estasi di maraviglia Sordello, per cui né Virgilio dice di
Dante, né Sordello ne dimanda, sazio abbastanza del suo Virgi-
lio. Questi chiede a Sordello che gli indichi la strada per ire subito
al principio del Purgatorio. Sordello risponde, che per esser l'ora
troppo tarda non si potea continuare il viaggio e propone intanto
di condurli in un* amena valletta a veder coloro che ritardarono
la conversione per essersi troppo occupati di terreni ingrandimenti,
peccato che fu anche di Sordello. Ci vanno e veggono molti e grandi
personaggi.
JVfl. Vtdi tolti i casdlioi di qne«to Culo Bella mi» Tar. I e \),Purg. e meglio U IV*
1 osciachè l'accoglienze oneste e liete
Furo iterate tre e quattro volte, 1
Sordel si trasse, e disse : Voi chi siete? *
« Furo iterate ecc. Coro' è costume di fare tra teneri amici, che
non si veggono da lunga pezza, che non sì facilmente al distaccano
dagli abbracciamenti e dai baci, e li rinnovano ostinatamente.
t Voi chi siete? Tu e l'altro che sta in disparte. Sordello chiede
di tutti due. Convien notarla, perchè dopo vedremo che Sordello,
udito di uno, si dimentica dell'altro per una ragione di gran natura.
166 PURGATORIO
Prima che a questo monte fosser volte *
L'anime degne di salire a Dio ,
Fur Tossa mie per Ottavian sepolte. 4
l' son Virgilio ; e per null'altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fò : 5
Cosi rispose allora il duca mio.
io. QuaTè colui che cosa innanzi a sé
Subita vede, ond'ei si maraviglia,
Che crede e no, dicendo eli* è, non è;*
Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia, 7
E umilmente ritornò ver lui, 8 .
* Prima che ecc. Prima che le anime purganti fossero mandate qui
a scontare la loro pena : prima che esistesse questo luogo, come Pur-
gatorio. Si vuol dunque dire : prima della morte di Gesù Cristo, quando
i giusti che aveano da purgarsi, andavano a fare li loro Purgatorio
nel Limbo. Il Purgatorio dunque esisteva anche prima di Gesù Cristo,
ma in altro luogo da quello ove il poeta Io colloca dopo di Gesù Cristo.
* Fur l'osta mie ecc. Ottaviano Augusto imperatore a cui Vir-
gilio era si caro* quando questi mori a Brindisi 19 anni avanti la
nascita di Cristo, fé portare a Napoli le sue spoglie, ed eresse loro
un magnifico mausoleo, su cui fé' scrivere due versi da lui compo-
sti : Mantua me genuit, Calabri rapidere, tenet nunc — Parthenope:
cecini pascila, rura, duce*.
5 Che per non aver fé. Solo mancai della fede al vero Dio, che
bisognava avere per salvarsi anche da chi viveva prima di Gesù Cristo,
peccato d'ommissione che più sotto dichiarerà con dire : Non per far,
ma per non fare ho perduto.
6 Che crede e no ecc. Tutti atti parte interni parte esterni di chi
si maraviglia grandemente.
7 E poi chinò le ciglia. Non è più la confidenza famigliare pel suo
concittadino, che domina il cuor di Bordello, ma la riverenza.
8 E umilmente ritornò ecc. Bordello dopo le prime accoglienze si
era tratto indietro (Sor del si tratte), e questo è Tatto delle persone
civili quando parlano tra loro, che non si stringono a' panni, come
fanno le persone ineducate. Ora Sordello si ravvicina di nuovo a
Virgilio, ma umilmente, perchè è compreso da riverenza per la per-
sona, che ornai conosce. Che passaggi e che naturai
CANTO VII. 167
E abbracciollo ove il minor e' appiglia. 9
O gloria de' Latin, disse, per cui
Mostrò ciò ohe potea la lingua nostra: i0
O pregio eterno del loco, ond'io fui,
Qual merito o qual grazia mi ti mostra? M
20. S'io eoa d'udir le tue parole degno,
Dimmi se vien d'Inferno, o di qual chiostra. n
9 E abbraoùioilo ove ec. Alle ginocchia genuflettendosi a lui, quasi
chiedendogli scusa della troppa libertà di prima, e subito levandosi.
«o Mostrò dò che poiea eoe Quando una bagna è atta a can-
tare un poema, ed a sostenerlo in tutta tatua dignità, allora quella
lingua deve aver raggiunto U suo massimo grado di perfeatoue. Vir-
gilio mostrò questo vanto della lingua latina nel suo grandioso poema.
Bordello chiama lingua nostra la lingua latina, e perchè sarà sem-
pre nostra quantunque morta, e perchè è la base della italiana, si
che a saper ben questa è necessaria quella, e perone finalmente (e
questa è la principal ragione) ai tempi di Bordello ogni cosa di qual-
che importanza la si scriveva in latino, come anche nello stesso tre-
cento l'epistolario degli uomini colti era in latino. Per questa ragione
sappiamo che Dante non pensava dapprima di scrivere il suo poema
in volgare, ma lo cominciò in latino, e sol quando dietro un grande
studio del volgare, conobbe di poterlo scrivere in esso, lasciò il la-
tino e s'appigliò al volgare.
" Qual merito ecc. Fa veramente sulle prime qualche maraviglia
che un'anima santa del Purgatorio tratti con tanta riverenza Vir-
gilio, di cui per quanto pensasse bene, non potea formarsi concetto
che fosse delle anime purganti e molto meno beate. Bla dee cessare
ogni maraviglia quando si pensi ch« Bordello vedeva certo in Vir-
gilio un'anima da Dio privilegiata cotanto da trovarsi in quel luogo
colle anime elette. Questo bastava per; un'anima santa e conformata
perfettamente ai voleri di Dio, .perchè riverisse colui, qual che si fosse,
in cui splendeva tanta grazia divina.
*2 Dimmi se vien d'Inferno ece. La prima idea che dovea correre
alla niente di Bordello dovea essere che Virgilio ai trovasse tra le
anime d'Intono, e perciò questa è la prima cosa che gli domanda.
Siccome poi l'abisso delle misericordie di Dio .è seni» confine, come
sapeva a prova Bordello stesso, perciò gli chiede subito appresso se
venga d'altro luogo, che Interno non sia, ma che non osa determinare,
168 PURGATORIO
Per tutti i cerchi del dolente regno, "
Rispose lui» son io di qua Tenuto:
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non fare, ho perduto '*
Di veder l'alto Sol, che tu desiri, "
E che fu tardi da me conosciuto M
Luogo è laggiù non tristo da martiri, f7
Ma di tenebre solo, ove i lamenti ,8
Non suonan come guai, ma son sospiri.
30.
perchè le anime purganti non tonno le ihlperscrutabili dispoeisioni
di Dio su questa o quell'anima del paganesimo, non essendo ancora
ammesse atta vista di Dio dove tali disposieioni conosceranno. Leggi
o di qual okiatira, e non e di qual catastiti.
" Per tutti i eereki eec. Virgilio era dal primo cerchio d'Infamo.
Ma avanti di arrivare al primo cerchio movendo dalla superficie della
terra sotto Gerusalemme, si trovava quell'atrio immenso della pro-
fondità di miglia 8160, come abbiamo notato a suo luogo, dove erano
dannate le anime innumerabili di coloro che non fecero al mondo uè
ben nò male. Avendo dunque Virgilio levato Dante da Gerusalemme
lo avea condotto per tutti i luoghi d'Inforno, anche per l'atrio donde
Virgilio non era, e perciò qui dice d'esser venuto per tutti i cer-
chi, ossia per tutti i luoghi, indicando cosi di esser partito dalla
superficie della terra com'era di fatto : e con ciò non gli diceva punto
di che luogo egli fosse. Questo glielo dirà dopo.
t* Non per far ecc. Non per colpe di commissione, ma per quelle
di ommissione.
i*Di veder l'alio Sol ecc. Ho perduto la mia eterna felicità, la
quale consiste nella vision beatifica di Dio. La beatitudine della mente
passa al cuore. Questa è pur la sentenza di 8. Tomaso.
i& E ohe fu tardi ecc. Cioè lo conobbe quando Gesù Cristo appena
morto discese al Limbo dov'era pure Virgilio, il quale disse nel C. IV
dell' Inferno : Quando ci vidi venire un Ponente, — Con eegno di vitto-
ri* incoronato. Ma allora ornai era un conoscerlo troppo tardi.
" Luogo è laggiù ecc. Non attristato da martiri!, ma solo attristato
dalle tenebre, quanto ai tormenti esteriori. Si allude a quel verso:
Ch'emUperio di tenebre vincia. In/., C. IV.
ti Ove i lamenti — Non suonan. Lamenti ne fiumò tanto i veri
dannati quanto le anime del Limbo, perchè si gli uni che gli altri
CANTO VII, 169
Quivi sto io co' parvoli innocenti, *•
Dai denti morsi della morte, avante
Che fosser dell'umana colpa esenti.
Quivi sto io con quei che le tre sante
Virtù non si vestirò, e senza vizio
Conobber l'altre, e seguir tutte quanto.
Ma se tu sai, e puoi, alcuno indizio
•
hanno la pena del danno, ossia l'allontanamento eterno da Dio. Ma
i veri dannati oltre la pena del danno sono anche colpiti dalla pena
del senso per atroci tormenti del corpo; ondei loro lamenti sono guai;
e questa è quella pena di coi sono fibere le ànime del Limbo, le quali
non sentono che un cruccio interno per la privazione eterna di Dìo^
al quale sospirano continuamente coDa certeasa di non raggiungerlo
mai, e quindi i loro lamenti non suonano che sospiri Si allude a quei
veni (la/. C. IV) :
Quìtì, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto ma* che di sospiri,
Che l'aura eterna facevan tremare.
19 Qutof Ho io cu* parvoli ecc. Dante fa due riparti del Limbo, uno
pei fanciulli morti col solo peccato originale, e questo è il riparto
che nomina in questa tersine. Di queBto riparto avea parlato neU' Jw-
forno, C. IV :
E ciò avyenia di dnol senza martiri
Ch'avean le turbe ch'eran molte e grandi
£ d* infanti.
L'altro riparto più cospicuo direi del primo era riserbato pegli
adulti, che non ebbero le tre virtù teologali, che si ricevono nell'atto
che vien cancellato il peccato originale, o pel sacramento del battesimo
dopo Gesù Cristo o per appartenere alla vera religione prima di Gesù
Cristo. Non avendo però le tre virtù teologali necessarie a salute, che
sono fede, speranza e carità, questi adulti conobbero e praticarono tutte
le altre virtù morali , senza aver commesso colpe gravi e positive
contro di esse. Di tali adulti parla nella terzina seguente e cosi ac-
cenna a quel che avea detto nelP !#>/., C. IV, in seguito all'ultimo
testo citato : e dì femmine e di viri.
ÌÌO PURGATORIO
Dà noi, perchè venir possiam più tosto *°
Là dove il Purgatorio ha dritto inizio. "
40. Rispose: Luogo certo non c'è posto: **
Licito m'è andar suso, ed intorno: *
Per quanto ir posso a guida mi t'accosto. u
*o Perchè venir possiam più tosto. Virgilio, come abbiadi sempre
veduto, non vuol mai perder briciolo di tempo , e cerca di rare il
suo viaggio più speditamente che può. Perciò la strada che tiene è
sempre la continuajrione della iettai che prese dapprima al salir della
roccia, meno quella piccola deviasene per recarsi al petvone, come
fu detto. Notate che Virgilo dice: dà noi, parlandoci, di sé e di Dante.
ma Bordello non fa conto che di Virgilio, avendo già dimenticato
Dante per soverchia ammirazione di Virgilio.
*i Là dove il Purgatorio ecc. Sin qui e un miglio ancora di so-
pra, non è vero Purgatorio, ma atrio del Purgatorio, sebbene già
ci troviamo quasi in fine della montagna. Vedi il mio Disegno e lascia
stare gli altri che sono tutti fallati.
** Luogo certo non c'è posto. Perchè? Perchè questi erano gli ul-
timi procrastinanti, e tra loro e il vero Purgatorio di aopra non se
ne trovavano altri, onde quella fascia di monte era tutta per loro.
Abbiamo già sempre veduto che, secondo il sistema di Dante, dove
sta una sorta di peccatori non ce ne deve stare un'altra.
is Licito m'è andar muso ed intorno. Non dice giù, perchè Bordello
procrastinante per attacco ad ingrandimenti si sarebbe confuso coi
procrastinanti per accidia, e morti violentemente; il che è contrario
al sistema del nostro poeta che tiene divise e separate le specie dei
peccatori. Dice suso ed intorno perchè, come fu detto, non c'era pe-
ricolo di mischiarsi con altri.
** Per quanto ir posso eco. Sarebbe stato un solo miglio di sa-
lita pel quale 8ordello gli avrebbe potuto accompagnare quanto c'era
da quel punto all'ingresso del Purgatorio. Vedi il mio Disegno, Tav. II,
all'altezza di miglia 91. Notate mi t'accosto, il che fa vedere, ohe Sor-
delio non parlava che a Virgilio, e non iacea conto che di lui solo.
Dante era divenuto per Bordello una persona di nessuna importanza.
Verrà tempo che conoscerà il suo errore : e noi intanto ammiriamo
l'arte del poeta, che sa cosi prepararci scene sempre belle e sempre
nuove, facendosi anche trascurare per un momento da chi è troppo
rapito verso tal personaggio, che tutto assorbe. Un luogo simile a
questo lo abbiamo nel C. IV dell Inferno, dove i gran Savi facevano
CANTO VII. 171
Ma Tedi già eome dichina il giorno, **
E andar su di notte non si puote ; *c
Perir è buon pensar di bel soggiorno. *
sono a destra qua remote: *
onorifiche aceoghense a Virgilio senza curarsi di Dante ; ma poi in-
fermati secretamente da Virgilio sui meriti di Dante, fecero anche a
lai onorifico accoglimento.
* Come diekina il giorno. Nel Canto precedente, nota 37 e 38,
abbiamo fatto osservare, che allora si accennava alle ore 4 potneri-
<Saae» PWr le cose avvenute d'allora in poi , e per quello che qui
si dice, e pel tramonto che ci sta vicino, si conchinde Torà presente,
la quale non può esser che le 5 pom., vale a dire 25 mimiti prima
del traaMmto, il quale, nel giorno in cui siamo 10 Aprile ma volto
ài 9 Ottobre, per esser noi divenuti antipodi, accade alle 5.25.
** E mudar tu di notte ecc. Perchè qui di notte non si può salire ?
Perchè un solo miglio di sopra c'è la porta del Purgatorio, dove stasai
rangdo portinaio, innanzi al quale si dee comparire di giorno e non
di Botte, essendo le tenebre indegne dell'angelo di Paradiso, che è
angelo di luce. Perciò convenientemente è stato disposto dal poeta
che la notte sia d' impedimento a salire. Adunque per presentarsi a
un angelo di Paradiso si esige la luce del giorno, come si esige la
pulitezza della meda e della persona, deDe quafi esigenze Dante avea
parlato nel Canto I dal Purg. dove Catone ordinò cosi :
Va dunque, e fa che tu costui rirìnga
D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso,
Si ch'ogni fuccklfune quindi stinga:
Che non si converria l'occhio sorpriso
D'alcuna nebbia andar dinanzi al primo
Ministro, ch'è di quei di Paradiso.
Aggiungete ancora che se per andar all'Inferno fu bene scelta l'ora
delie tenebre, per ragion dei contrari per andate al vero Purgatorio
e ad un angelo santo, bisognava scegliere l'ora della luce.
*i Però è buon ecc. Non potendo proseguire il viaggio, bisogna pen-
sare al modo di passar qui la notte alla meglio.
*ft Anime tono a destra. Dal lato di mezzogiorno. Vedi il mio Di*
segno Tav. II, a miglia 91 di altezza. — Qua remote. Qua appartate.
La voce remote non indica lontane, ma appartate, ritirate.
/
172 PURGATORIO
Se '1 mi consenti, menerotti ad esse, **
E non senea diletto ti fien note. *°
Com'è ciò? fa risposto: ohi volesse
50 Salir di notte, fora egli impedito
D'altrui? ovver saria che non potesse? M
E il buon Sordello in terra fregò '1 dito s*
*9 Menerotti ad e8$e. Parla di Virgilio come fosse solo. £ il povero
Dante è là come non ci fosse. Egli però è in qualche pena pel avo isola-
mento, e tosto vedremo che s'argomenterà d'esser contato anch'egli.
Quant'arte non c'è dentro in questa distrazione messa m 8ordeUo 1
so Com'è ciò f fu risposto. Chi disse queste parole T queste le
disse Dante, che seguiva le due ombre, e che aveva voglia d'esser
carato da Sordello un poco più di quel che era, e che cercava cosi
aprirsi la strada perchè Sordello degnasse anche lui de' suoi sguardi
e delle sue parole. È questo un pensiero delicatissimo e finissimo del
poeta, che lavora le cose di natura con tanta arte, che quasi non
ce ne accorgiamo. E di fatti credo che nessuno finora se ne sia ac-
corto, perchè tutti dicono che queste parole son di Virgilio. Baie.
** iy altrui? ovver ecc. C'è qualcuno che impedisce la salita di not-
te, o è una impotenza che sente in sé stesso ohi vuoi salire ? Que-
st'ultima ragione era la vera.
** E il buon Bordello. L'epiteto di buono sta molto bene allogato
in questa risposta, che Sordello si degna finalmente di fare a Dante,
ancora da lui trascurato. Queste sono gemme della poesia, ma gem-
me alquanto nascoste che paiono però subito che si fanno vedere.
In terra fregò H dito. L'artifizio poetico tiene qui dell'immenso.
Dante anche nell'atto di farsi rispondere da Sordello trovò modo di
farglielo fare sema attaccarlo al suo nuovo interlocutore, pur deside-
roso delle occhiate di Sordello. Dante non potè esser si fortunato
da ottenerle. Sordello gli rispose ma volto altrove , cioè alla terra,
dove gli faceva la risposta. Povero Dante t Ma intanto che bella poe-
sia inarrivabile ! Che amor cittadino unito a riverenza in questo Sor-
delio, che di due, che ha presenti, non vede altro che un solo, il suo
Virgilio! La natura non diede mai combinazioni cosi naturali, come
è questa creata dall'arte. Eppure se Sordello avesse posto gli occhi
su Dante, avrebbe scoperto una maraviglia più grande ancora che
il suo Virgilio, perchè avrebbe veduto che egli era vivo.
Dopo il sol partito va inteso dopo i crepuscoli o al termine di
essi, quando comincia la notte.
CANTO VII. 173
Dicendo: Vedi, sola questa riga
Non varcheresti dopo il sol partito.
Non però ch'altra cosa desse briga, 83
Che la notturna tenebra ad ir suso:
Quella col non poter la voglia intriga.
Ben si porìa con lei tornare in giuso, 54
E passeggiar la costa intorno errando,
60. Mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso.
33 Non però ch'alita cosa ecc. Bìs)K>nde alla prima parte della di-
manda detta sopra: Fora egli impedito — D'altrui t Non e' è né
angelo, né nomo ebe impedisca, ma è la sola tenebra che produce in
noi l'effetto dell'impotenza a salire, e così risponde alla seconda parte
della domanda: onver earia che (perchè) non potette f cioè, data la
esistenza delle tenebre, ne segue sabito V impotenza delle gambe a
salire, non ostante la voglia, ebe si avrebbe di salire. Un esempio del
maraviglio*) effetto di tali tenebre lo troviamo nell'Esodo, dove gli
Egiziani colti dalle tenebre non si poterono più muovere dal luogo dove
erano. Cosi queste cinta di tenebre presso la porta del Purgatorio ser-
viva come di un antemurale di difesa, oltre lo scoglio ebe girava in-
torno e Udiresti personale dell'angelo, che stava sulla porta d'ingresso.
3* Ben ti paria con lei ecc. Intendi cosi : non in giuso dal punto
dove allor si trovavano, perchè in tal caso Bordello sarebbe disceso
a frammischiarsi coi procrastinanti di diversa specie già veduti , il
che non era lecito ; ma tornare in giuso m questo senso, cioè che
se fossero <jti là sediti sino al termine dei crepuscoli, colti colasse dalle
tenebre potevano tornare in giuso sino alla linea, dove allor si tro-
vavano, e passeggiar intorno, perchè cosi restavano sempre entro i
limiti del loro riparto. Vedi il mio Disegno Tav. Il a 91 miglia di
altezza. Noi vedremo Dante (C. XVII) nel cerchio degli accidiosi,
che è il IV, correr di notte per quel cerchio insieme colle anime, per-
chè quel correre orizzontalmente non era salire ; è il salire che non
può effettuarsi di notte. Ora dimando io : perchè Dante dispose questo
nel suo Purgatorio ? Rispondo : che una tale disposizione egli Fha
presa dai Vangelo nell'ammonimento che Gesù Cristo diede agli apo-
stoli dicendo: Ambulate àura luoem habetU ne ve* tenebrae com-
prthendant; e dall'altre parole : Venitnox quando nemo poteet epe-
rari. Ora la salita pel Purgatorio è un'opera buona, che è un'opera
di espiazione. Dovea dunque farsi di giorno e non di notte.
174 PURGATORIO
Allora il mio signor, quasi ammirando: **
Menane, disse, dunque là 've dici *
Ch'aver si può diletto dimorando.
Poco allungati c'eravam di liei, M
Quand' io m'accorsi che '1 monte era scemo **
A guisa che i valloni sceman quici.
Colà, disse quell'ombra, n' and eremo
Dove la costa fece di sé grembo,
E quivi il nuovo giorno attenderemo.
70. Tra erto e piano era un sentiero sghembo, *
Che ne condusse in fianco della lacca, *
•
as Quari ammirando. Quasi facendo un segno dì maraviglia, come
chi pretende d'aver trovata la soinsioao d'una cosa ignota per altra
nota, che allora allora gli sovviene alla mente.
Qual'era la cosa nota ohe or sovviene alla mante di Virgilio?
Era quella che sin dal primo Canto gli avea detta Catone, che cioè
bisognava cinger e lavar Dante perchè verrebbe il momento di pre-
sentarlo ad un principe del Paradiso, ad un Angelo. Onde egli, che
sapea già di dover esser vicino a quest'Angelo, combinava la con-
venieuxa del composto vestito e della faccia netta, ordinata da Ca-
tone, colla convenienza della «luce che bisogava certo aspettare per
presentarsi a quest'Angelo; e cosi fece un moto, che si usa fare in
tale iucontro, qual sarebbe il dire: Ahi con un po' di esclatnaakme e
proluugamento.
3fi Menane. Virgilio sempre parla di se e di Dante in numero più*
rate, ina Sordcllo è sempre fisso nel solo Virgilio , che per Ini era
tutto, e intanto addio Dante.
h Poco allungati. Ecco la prova che la voce qua remote detta di
M>praf non suona lontane, ma ritirate ; perchè per andare ad esse eb-
bero bisogno di far poca strada.
3* Che il monte era scemo. Si abbassava il terreno formando una
valletta, una conca.
& Tra erto e piano era un dentiere ecc. Il sentiero che condu-
ceva a quella valletta aveva dunque due direzioni, una tortuosa
(sghembo), l'altra ascendente e discendente (erto e piano), appunto
come sono i viottoli dei monti.
4° In fianco della lacca. In fianco della conca o valletta, o seno.
CANTO VII. 175
Là dove più ch'a mezzo muore il lembo. "
Oro ed argento fino, e cocco e biacca, "
Indico legno lucido e sereno,
Fresco smeraldo in l'ora che si fiacca, "
Dall'erba e dalli fior dentro a quel seno u
Posti, ciascun saria di color vinto,
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto, "
80. Ma di soavità di mille odori
Vi faceva un incognito indistinto.
Salve Regina in sul verde, e in sui fiori * .
** Là dove più ch*a messo muore il lembo. Cioè il qual sentiero
riusciva sotto alla metà dell'altezza del fiasco che serrava la valle.
Vedi la valletta od il sentiero sghembo nella mia Tav. Il Purg.
AStQro ed argento ecc. Loda prima questa amena valletta dai suoi
colori ohe servono a diletto della vista. Questi colori fi prende: 1. dai
metalli (oro ed argento); 2. dai frutti (cocco); 3. dalla chimica (biacca);
4. dai vegetabili (Indico legno); 6. dalle pietre (smeraldo). Dai me-
talli trae il giallo ed il bianco puro (oro ed argento fino); dai frutti
trae il tosso (ooeoo)\ dalla chimica trae il bianco pallido {biacca).
dai vegetabili trae rasaurro più bello (indico Ugno)} dalle pietre
trae il verde carico (smeraldo). Sicché abbiamo i seguenti colori ac-
colti in quella valletta: giallo, bianco, rosso, biancastro, azzurro e verde.
*3 Fresco smeraldo in Vora che si ecc. Smeraldo fresco, cioè appena
tratto di miniera, e non appannato dal lungo uso.
In Vora che si fiacca. Di quel primo vivo colore, che ha nel mo-
mento che si spessa, momento in cui tramanda il suo più bel colore.
u Dall'erba e dalli fior ecc. Sono pur belli i vari colori nominati
di sopra, ma sono vinti dai colori dell'erbe e dei fiori di quella val-
letta, come il minore è vinto dal suo maggiore ossia dal suo mag-
giore della stessa specie.
** Non avea pur natura ecc. Oltre i colori, ohe vi avea dipinto
, natura, e che servivano di diletto alla vista, vi avea anche spano
le essenze di mille odori.
tf Salve Regina eoe. Il poeta aveva detto quella valletta allietata
prima da bellissimi colori di erbe e fiori, poi da soavissimi odori delle
erbe e dei fiori stessi, ora finalmente la dice allietata dal dolce canto
17« PURGATORIO
Quindi seder cantando anime vidi 47
Che per la valle non parean di fuori. **
Prima che il poco sole ornai s'annidi, 49
Cominoiò '1 Manto van, che ci avea volti,
Tra color non vogliate, ch'io vi guidi.
Da questo balzo meglio gli atti e i volti w
Conoscerete voi di tutti quanti,
90. Che nella lama giù tra essi accolti. Sl
delle anime. Il canto cbe pone loro in bocca, è quello della Salve Re-
gina, bellissima e patetica orazion della Chiesa a Maria SS. che si
canta dopo dèi vesperi, qual'è appunto il tempo a cui ora slam giunti
col nostro viaggio.
Inoltre il poeta sceglie tra tutte le antìfone postvetperali dett*amio
questa antifona al loro canto, per le continue allusioni che hanno i
pensieri di si bella preghiera alle condizioni di quell'anime, come
si può vedere andando per essa di versetto ia versetto, e perchè
niun'altra potrebbe rispondere al loro stato si perfettamente. Si eoa*
frontino però tutte, e le si vedrà alla prova.
In sul verde e in ètti fiori. Dunque quell'anime eran sedute
sul variopinto smalto,
47 Quindi, Dal luogo dove età, cioè dall'orlo del fianco della valle»
che è poco sotto alla metà deU'ahessa di lei e dove era riuscita al
termine di quel sentiere sghembo ed erto e piano.
48 Che per la valle non parean di fuori. Perchè quell'anime sta-
vano sedute quasi nel fondo di essa valle, onde non apparivano a
quei di fuori, ma per vederle bisognava almeno affacciarsi a quel lembo
dov'erano saliti i poeti .
E poi evidente che quelle anime stavano per la valle dal fianco
opposto a quello dove attualmente stavano i poeti , i quali cosi le
avevano di rimpetto.
49 Prima che il poco sole ecc. Concedendo 10 minuti (ehe di più
non occorre) alla risposta di Sordello a Dante, ed alla giterella alla
valle, mancherebbero ancora 15 minuti al tramonto, e quindi avremmo
l'ora delle 5.10 pomeridiane.
so Da questo balzo ecc. Perchè cosi gli aveano dirimpetto, * quasi
al medesimo livello di altessa. Da questo pure si conchiude che la
valle era molto ristretta.
W.Che nella lama. Che nella valle.
CANTO VII. 177
Colui che più sied'alto, ed ha sembianti M
D'aver negletto ciò, che far dovea,
E che non muove bocca agli altrui canti, w
Rodolfo imperador fu, che potea Bi
Sanar le piaghe, ch'hanno Italia morta
Sì, che tardi per altri »i ricrea. w
** Colui che più sied'alto. Per essere imperatore, e quindi supe-
riore a tutti gli altri in autorità.
Ed ha sembianti — D'aver negletto ecc. Intende che egli trascurò
di calare in Italia a ricomporvi l'ordine come era suo dovere, in
quanto era imperatore del sacro romano impero, istituito per assi-
curare il buon reggirae di tutti i popoli cristiani, e massime per di-
fendere i diritti della Romana Chiesa. Or quali erano questi sembianti
da cui si raccoglievano le sue mancanze? Non poteano essere che
un'aria melanconica ed un evidente dolor del suo volto.
M E che. non muove bocca ecc. Un dolore veramente profondo non
ha alcuno sfogo, e perciò nemmeno quello del canto.
«4 Rodolfo imperador ecc. Figlio di Alberto conte d'A&bourg, ca-
stello posto tra Basilea e Zurigo. Fu eletto imperadore nel mese di Ot-
tobre 1273, e tal mori nel 30 Settembre 1291. E falso quel che si disse,
che uon volesse andare a Roma a prendervi la corona imperiale. Egli
solamente tardò a manifestare la risoluzione di andarvi. Nel 1285
Ferisse a papa Onorio IV, perchè il papa gli assegnasse un giorno
por essere in Roma a prendervi la corona ; e Onorio Tanno appresso
gli assegnò il giorno della Purificazione del 1287. È vero che non
ebbe luogo; onde abbiamo una lettera di Rodolfo del 1289 a papa
Nicolò IV, in cui lo avvisava che era per muoversi e recarsi per la
incoronazione, la qcale aborti anche questa volta, perchè intanto fu
rapito dalla morte. Ma il vedere l'imperatore Rodolfo sempre in buone
relazioni colla Santa Sede, fa ritenere che il suo allontanamento d'Ita-
lia e da Roma, era effetto di reali impedimenti e non di alienazione
da Roma.
Che potea sanar le piaghe ecc. Questo da una parte fa grande
onore all' imperatore Rodolfo, perchè vuol dir che il poeta lo tenea
uomo da ciò. Egli fu infatti un degno imperatore Ma il poeta volea
vederne i frutti in Italia. Le piaghe erano lo fazioni ed i tiranni.
^ Tardi per altri si ricrea. Intende d'Arrigo di Luccmburgo im-
peratore successo ad Alberto, e che nel 1310 discese in Italia, ma
senza buon effetto.
12
178 PURGATORIO
L'altro, che nella vista lui conforta, b6
Resse la terra dove l'acqua nasce, *7
Che Molta in Albia, ed Albia in mar ne porta.
100. O tlachero ebbe nome, e nelle fasce 58
Fu meglio assai che Vincislao suo figlio
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
E quel Nasetto, che stretto a consiglio 59
Par con colui ch'ha sì benigno aspetto, 60
Morì fuggendo, e disfiorando il giglio : 61
^ Nella vitta lui conforta. A vederlo si capisce, che egli è in atto
di confortar l'imperator Rodolfo. Questo è un frizzo contro Rodolfo
stesso. Si sa che Rodolfo vinse Ottaehero nella battaglia di Vienna,
dove Ottaehero perdette la vita. I conforti dunque di Ottaehero sono
piuttosto una graziosa beffa, quasi gli dica: Porta un po' di pazienza
anche pel male che hai fatto a me, togliendomi la mia Austria.
s? Resst la Urrà ecc. Resse la Boemia, fu re di Boemia. Era anche
re d'Austria, ma la perdette nella battaglia contro Rodolfo, che d'indi
in poi la tramandò ai posteri. Nella Boemia nasco quell'acqua, che
va a formare il fiume Moldava (Molta), il quale va nell'Elba (Albia),
e l'Elba nel mar del Nord sotto la Danimarca.
s8 Nelle fasce — Fu meglio ecc. Da giovane imberbe fu assai mi-
gliore del figlio Venccslao già adulto. Anche per la Boemia, come
prima per l'Austria, havvi la sua satiietta.
sa E quel Nasetto. Filippo III io di Francia, figlio di San Luigi e.
padre di Filippo il Bello, detto Nasetto dal piccolo naso; quel desso,
che per calunnia della Regina Maria di Brabante sua seconda moglie,
fece impiccare Pier della Broccia. Vedi Purg., C. VI, u. 10.
<# Par con colui ch'ha ecc. Apparisce stretto in colloquio con Ar-
rigo III il Grasso, re di Navarra, che diede sua figlia Giovanna in
moglie a Filippo il Bello.
61 Morì fuggendo, e dUjiorando il giglio. Nella guerra ch'ebbe
contro Pietro III re d'Aragona, mossagli per vendicarsi dei V'esperì
Siciliani del 1282 cagionati dagli eccitamenti di Pietro. Ma dovette
fuggire, e giunto a Perpignano morì. Il giglio era lo stemma dei rcaÙ
di Francia. Si dice che il giglio si disfiora quando si perdono le bat-
taglie, e in un con esse le bandiere dei gigli, che cadono in mano
del vincitore.
CASTO VII. 1*3
Guardate là come si batte il petto. w
L'altro vedete, eh' ba fatto alla guancia 63
Della sua palma, sospirando, letto.
Padre e suocero son del Mal di Francia : 64
6* Come si batte il petto. Il Nasetto , ossia Filippo III l'Ardito.
Acceooa così al suo pentimento d'attacco agli ingrandimenti, e mas-
sime dell'ingiusta morte di Pier della Broccia.
63 L'altre vedete ecc. Arrigo III detto di sopra, che sta in quel-
T attitudine melanconica, e per lo stesso attacco agli ingrandimenti,
che è il peccato comune di tatti questi, ed anche pel dispiacere d'aver
dato sua figlia ad un empio, qual fu Filippo il Bello.
6* Padre e suocero ecc. Padre e suocero di Filippo il Bello re di Fran-
cia, ambizioso, empio, avaro ed ipocrita, e perciò una vera disgrazia
per la Francia, ed aggiungo anche per l'Italia, e più per la Chiesa.
Egli usurpò le decime in Francia, processò, calunniò e distrusse l'Or-
dine dei Templari, invadendone le immense ricchezze, aggravò il po-
polo di tributi soperchi, battè monete false, rinnovandole per gua-
dagno continuamente: affettò protezion della Chiesa, mentre n'era
persecutore, fìnse docilità ai giusti rimproveri di papa Bonifacio Vili,
e fece di tutto per disgustarlo ed offenderlo : fu scomunicato dal detto
Bouifacio, e si vendicò col tradimento e con la guerra a questo grande
Pontefice, che morì vittima delle sue vessazioni: fu ad un pelo che
la Chiesa pct opera sua subisse uno scisma fatale, perchè fece di tutto
por accusare, condannare e deporre il legittimo pontefice, qual pon-
tefice intruso. Gli fu perdonato da Benedetto XI successore di Bo-
nifacio, ed egli, invece di mostrarsene pentito e grato, si ha fondato
timore da credere che abbia fatto morir di veleno questo santo pon-
tefice ; e quello scisma che non potè effettuare sotto Bonifacio. Vili
cercò almeno di prepararlo sotto Clemente V, successore di Bene-
dotto, obbligandolo a risiedere in Franca, e dando principio alla
schiavitù settantenne dei papi in Avignone, schiavitù che andò a
parare in uno scismi terribile di tre papi nella Chiesa. Oltre questi
mali, egli era il primo e più astuto intrigante in Italia, dove voleva
sempre far prevalere la sua influenza, che riuscì sempre funesta.
Questo emolo, dirò cosi, dei veri imperatori romani, vedeva a mal
in cuore che l'autorità imperiale fosse passata di Francia in Germa-
nia: di qui la sua animosità contro gli imperadorì; di qui forse i
riguardi di Rodolfo e di Alberto per non discendere in Italia; di qui
l'avversione di Dante a Filippo. Io convengo pienamente col poeta.
180 PURGATORIO
119. Sanno la vita sua viziata e lorda,
E quindi viene il duol, che sì gli lancia.
Quel che par sì membruto, e che Raccorda °5
Cantando con colui dal maschio naso, w
D'ogni valor portò cinta la corda. tì7
il quale merita lode di gran coraggio porche scrivea contro di lui,
e parlava di lui si amaramente mentre Filippo vivca, e mentre il
poeta era agli studi di Parigi nel 1310. Egli regnò dal 1285 al 1313.
Il poeta chiama Filippo il Bello il Mal, o il M»Io per antono-
masia, come nel Canto V, v. 112 di questa Cantica, parlando del de-
monio lo disse: Quel Ma', sincopato di Malo. Il Mal applicato a Fi-
lippo è una conferma del Afa' applicato al demonio.
65 Quel che par ecc. Appar si membruto. Pietro III re d'Aragona,
uomo di forme colossali, marito di Costanza figlia di Manftedi, già
re di Napoli e di Sicilia.
66 Cantando. Già abbiam veduto sino dal principio alcuni di qucsf i
principi cantare, e alcani non cantare, e questo si fa per dar varietà
al quadro. Naturalmente poi egli fa cautare chi avea più ragione di
farlo, come per es. i più fortunati o i più virtuosi. Notate un'altra
cosa, che ad ogni personaggio che si nomina, vi ha direttamente o
indirettamente la sua satiretta, in so, o nei figli, o nei parenti, o
anche nei conoscenti; per cui la poesia si fa ricca e spiritosa.
Colui dal maschio naso. Carlo I d'Angiò fratello del re S. Luig»,
quegli che vinse Manfredi a Benevento, ed ottenne da Urbano IV
rinvestitura del regno di Napoli e di Sicilia. Vedi Canto III, n. 62.
Stettero i Francesi in Sicilia sino all'epoca dei famosi Vespe ri Sici-
liani (1282) subentrandone al possesso Pietro III anzidetto, rimasto
Carlo I d'Angiò re della sola Puglia, sino al 1285, epoca della sua
morte, al quale successe colà Carlo Novello o il II, non già subito,
perchè era prigioniero di Pietro III, ma solo nel 1299 dopo che fu
messo in libertà. Carlo d'Angiò era di naso badiale. In sostnnza Pie-
tro III e Carlo d'Angiò erano stati due rivali entrambi fortunati, il
primo, per essere entrato al possesso della Sicilia , a cui agognava, il
secondo per essergli toccata la Puglia; perciò si fanno cantare insieme.
61 D'ogni valor ree. Lo mostrò massimamente nella guerra contro
Filippo III accennata di sopra, nota 61.
Cinta la corda. Siccome il valore si mostra nella spada, e la
spada pende dalla corda dei fianchi, perciò si dice con vaga espres-
sione poetica, che la corda è cinta d'ogni valore.
CANTO VII. 181
E se re dopo lui fosse rimaso
Lo giovinetto, che retro a lui siede, 68
Bene andava il valor di vaso in vaso ;
Che non si pùote dir dell'altre rede. w
Iacopo e Federigo hanno i reami : 70
120. Del retaggio miglior nessun possiede. 7I
Rade volte risurge per li rami 7a
L'umana probitade : e questo vuole
Quei che la dà perchè da lui si chiami.
Anche al Nasuto vanno mie parole, 73
Non men ch'all'altro Pier, che con lui canta,
Onde Puglia e Proenza già si duole.
Tant'è del seme suo minor la pianta, 7*
6* Lo giovinetto ecc. Ecco un po' di amaro alle dolci lodi di Pietro.
Fu grand' uomo, ma non tutti i suoi figli lo simigliarono. Di questi
lo simigliò un solo, il primogenito, che fu Alfonso, ma mori giovane
e senza figli di 29 anni nel 1291. Potrebbe però intendersi anche di
Pietro, altro figliuolo, che rimase senza regno.
co Dell'altre rede. Degli altri figli suoi eredi.
70 Iacopo e Federigo hanno i reami. Jacopo ebbe quel d'Aragona,
Federigo quel di Sicilia,
71 Del retaggio miglior ecc Nessun possiede le virtù del padre.
74 Rade volte ecc. Di rado risurge nei figli la bontà dei padri. Vera
e terrìbile sentenza; ma quanto ragionata cattolicamente! La bontà
dei figliuoli è un dono, un tesoro del cielo, che vuol essere chiesto
a Dio con grandi preghiere. La gran santità per' es. di S. Luigi re
di Francia è dovuta alle continue preghiere della sua santa madre
Bianca. Perchè si trascura questo mezzo, i figli tralignano.
73 Anche al Nasuto ecc. A Carlo d'Angiò duca di Provenza e re
di Puglia. La disgrazia di una trista figliolanza, toccata a Pietro, è
toccata pure a questo Carlo I nella persona di Carlo II, o Novello, suo
figliuolo, che redo dal padre la Puglia e la Provenza, che mal governa.
74 TanC è del seme suo ecc. Il poeta chiude gli accenni su Pietro III
e su Carlo d'Angiò, e sulla lor figliuolanza, facendo il calcolo del
quanto i figli di que' due sono degeneri dai loro padri. Il calcolo lo
prende dalle lor donne. Quali sono prima queste donne? Sono Gostanza
188 PURGATORIO
Quanto più che Beatrice, e Margherita,
Gostanza di marito ancor si vanta.
130. Vedete il re della semplice vita *5#
Seder là solo, Arrigo d' Inghilterra : 76
Questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
Quel che più basso tra costor s'atterra, 78
moglie a Pietro III ; e Beatrice e Margherita mogli successive di
Carlo. Or bene ecco il calcolo. Gostanza si loda ancora assai del suo
Pietro sebben morto , e Beatrice e Margherita non si lodano o si
lodano assai meno del loro marito Carlo, morfo ancor esso. Ebbene
quel divario che passa tra le lodi delle due e dell i prina, quello stesso
passa tra la virtù dei figli, e quella dei padri.
75 II re della semplice vita. Arrigo III re d'Inghilterra, figliuolo
di Giovanni Senza Terra. 11 poeta ce lo dà per uomo di vita semplice,
come ordinariamente erano tutti i re dell'antica Inghilterra. Regnò
dal 1216 sino al 1272.
16 Seder là solo* Come solo e diviso dall'Europa è il regno d'In-
ghilterra. Qui pur si accenna l' indole silenziosa degli Inglesi, che son
tali anche oggidì.
77 Questi ha ne* rami ecc. E più fortunato nei figli. Edoardo I. che
gli succedette, fu gran principe.
78 Quel che più basso ecc. Essendo solo marche?" e non re. lo si
fa sedere più basso. Ma notate che si fa seder più basso tra costor,
tenendosi nel posto di mezzo sotto agli altri. Sembra una di quelle
figure, che i pittori di ancone mettono in fondo al quadro inginoc-
chiati solitamente, e con le mani giunte, e cogli occhi rivolti ai
personaggi principali del quadro, e che solitamente ò il di voto che
dipinse o fece dipingere la tavola. Con questo rimile tutto il qua-
dro 6 ben compartito, ed ha sua bella forma piramidale e sim-
metrica, secondo il gusto semplice e schietto delle pitture di quel
tempo sino a Raffaello e Buonarotti. Si è cominciato con un solo più
alto di tutti, e fu un imperadore, e si e finito con un più basso di
tutti, e fu un marchese. Gli altri sono sparsi nel mezzo a gruppi bene
allogati e svariatigli arie e di azioni tutte diverse, cantando gli uni,
congratulando gli altri , e alcuni silenziosi. Il solitario e silenzioso
per eccellenza è l'Inglese. Questi non si potea dipingere più al na-
turale. Invece i cantori per eccellenza sono i re d'Itiilia e di Spagna,
ed anche questo è ben accordato. Generalmente poi i personaggi si
CANTO VII. 183
Guardando in suso, è Guglielmo marchese 79
Per cui Alessandria e la sua guerra
Fa pianger Monferrato, e il Canavese.
raggruppano secondo le loro relazioni in vita, cercando sempre il
contrasto nella loro unione. Anche Bordello ed i poeti appartereb-
bero a questo quadro, Sordello come indicatore o guida, i poeti come
guidati. Insomma questo è un immenso quadro che meriterebbe il
pennello di qualche grande artista. Io faccio un invito pressante ai
pittori italiani perchè si mettano a questo cimento. Il poeta gli ispira
ed assiste da cima a fondo. È pur bello un altro luogo simile che
abbiamo nell' Inferno, C. IV, dove il poeta descrive l'adunanza dei
Savi < ntro il loro ameno castèllo; ma l'adunanza dèi principi descritta
in questo Canto la vince sopra quella. Due quadri di ta'i soggetti
farebbero grande onore ai uostri pittori; e da questi la gioventù
pittrice potrebbe imparare assai.
79 Guglielmo. Marchese di Monferrato. Gli Alessandrini della Pa-
glia lo hanno fatto prigione, e poi condannato a morire in una gabbia
uel 1292. Di qui la guerra che il Monferrato ed il Canavese ausi-
liario freero contro Alessandria, colla sconfitta dei primi.
CANTO Vili
- Argomento.
È l'Ave Maria. I principi nella valletta cantano l'inno di
Compieta. Scendono due angeli a difender la valle da una serpe
insidiosa. I poeti con Sordello discendono giù nel fondo della vai»
ietta. I crepuscoli illanguidiscono ognora più. Ce n'ha però quanto
basta pur conoscersi viso a viso. Nino di Gallura conosce Dante
Questi si manifesta per vivo. Di qui la maraviglia di Nino e di
Sordello. Nino si raccomanda a Dante. Questi osserva tre stelle
al polo del Mezzodì, e Virgilio gli dice che sieno. Sordello annunzia
la venuta della serpe. Gli angeli la scacciano. Currado Malaspina
chiede novella del suo paese. Dante loda questa casa, e Currado
gli predice V ospitalità che gli faranno i suoi da qui ad alcuni annù
NB. Vedi tulli i casollioi di questo Canto nella mia Tav. leti, Purg. e meglio la IV .
Eira già l'ora che volge il disio 4
Ai naviganti, e intenerisce il cuore
Lo dì eh' han detto ai dolci amici addio ;
* Era già l'ora ecc. Era l'Ave Maria; la quale avviene mezz'ora
dopo il tramonto del Sole, ossia a 30 minuti di crepuscolo vespertino.
Abbiamo già detto nell'altro canto che il Sole tramontava nel di che
abbiamo alle ore 5.25. Aggiungete minuti 30, ed avrete 5.55 pom.,
che è l'ora presente. Come il poeta esprìme quest'ora? Nel modo il
più bello e poetico che mai, ma non inteso, quantunque il poeta lo
180 PURGATORIO
E che lo nuovo peregrio, d'amore *
Punge, se ode squilla di lontano,
Che paia il giorno pianger che si muore :
esprima si chiaramente. Tutti intendono, che il poeta parli dei sog-
getti medesimi tanto nella prima, che nella seconda terzina, ossia dei
naviganti, e intendono male. Invece nelli prima, terzina pari» di quelli,
che rimasti a casa dissero addio ni naviganti; o nella secondi parla
dei naviganti che a quest'ora si ricordano dei rimasti a casa. I con-
cetti dunque sono due e diversi, ma entrambi esprimenti l'ora me-
desima, cioè l'Ave Maria, sebbene nella prima terzina, secondo l'ino
del poeta, la si esprime più genialmente, e nella seconda più speci-
ficamente. Cominciamo dalla prima terzina. Questa dice che l'ora che
contavano i poeti, appena terminato l'altro cinto, era quella la quale
volge il desio di chi resta a casa, o sul porto, verso dei loro amici
naviganti, i quali si suppongono partiti alla mattina. Giunta la sera
di quel medesimo ci, i rimasti pensando alle tenebre dalle quali per
la prima volta si trovano circondati in mezzo al mare que' loro amici,
non ponno a meno , essi che sono al sicuro , e in mezzo al chiaror
delle lampane, di volgere ai naviganti un amoroso pensiero, e intene-
rirsi il cuore verso si cari oggetti. Si può dar più nobile, e delicato
sentimento di questo? K si può dar poesia che dica le cose più sterili
con maggior affetto?
2 E che lo nuovo ecc. Se la prima terzina parlava dei rimasti a
casa, e dei sentimenti che li rapiscono alla sera dietro i loro cari,
che sono in mare; questa terzina parla invece di questi che sono in
mare, e dei sentimenti d'amore che li rapiscono verso i loro cari, che
la mattina lasci aro a sul porto, all'ora stessa dell'Ave Maria, segnata
ad essi dai rintocchi di un bronzo lontano, che forse potrebbe essere
quel della patria, cari suoni di sacra squilla, che paiano piangere il
di che muore. Al suono di sì mesta campana si risovviene il navi-
gante de' suoi cari, e per essa si sente anch'egli intenerire, e pungere
il cuore, ricordando ad ogni tocco di lei quel che faranno, quel che
diranno, e sino quello che penseranno gli amici a quell'ora entro alla
quiete delle lor case. E perchè questi affetti si provano assai più la
prima sera che la seconda, e poi si van scemando via via, e più si
provano dai novelli naviganti, che dai naviganti già abituati al mare,
perciò il poeta pone che il navigante in cui si suscitano tali affetti
sia nuovo del mare, e sia quella la prima navigazione ch'egli intra-
prenda esprimendo tutto questo colla parola nuovo.
CANTO Vili. 187
Quand' io incominciai a render vano 8
L'udire, ed a mirar una dell'aline 4
Surta, che l'ascoltar chiedea con mano. 5
io. Ella giunse e lev<v> ambo le palme,
Ficcando irli occhi verso l'oriente G
o
iQuanctio incominciai ecc. A render vano il mio udito, perchè
questo non udiva più Sordello. che avca cessato dal far la rivista
delle anime. L'udito dicesi vano quando non ascolta i suoni , quali
ch'essi sieno. K lo stesso dunque che dire : Sordello uvea già tron-
cati! la sua narrazione.
* Ed a mirar. Incominciai a mirare. Cessata l'azione dell'udito, in-
cominciò la vista ad agir da se sola col mirare una dell'alme. Non
ebbe Dante bisogno che Sordel'o gliela indicasse; la vide da tè.
5 Snrla. Le anime erano già tutte sedute sull'erba. Una si levò
prima dell'altre per la preghiera della sera da farsi in compagnia.
Attenti al nuovo quadro ed alla nuova scena che il poeta ci verrà
dipingendo. Quctto quadro non cederà per nulla all'altro testé ve-
duto; anzi questo sarà superiore a quello per le nuove, e più calo-
rose, e più varie azioni dei personaggi. Studiando e colorando questo
quadro sulle traccie del poeta, i pittori farebbero un'opera immensa.
La pittura ha sempre bisogno della poesia, che l' è maestra, ma ha
bisogno d'una poesia, come questa di Dante, che è semplice nello
stesso tempo e maestosa. Guai ai pittori se prendono a guida i poeti
a cui manchi natura. La pittura dovià allora falsarsi dietro alla fal-
sità della poesia sua maestra. Finché s'ebbero poeti grandi, e più
finché s'ebbero semplici e schietti, avemmo pittori pari ai poeti. Aj
mancar dei primi mancarono i secondi.
Che, V ascoltar chiedea con mavo. O ponendosi il dito in su
dal mento al naso; o stendendo il dosso delle mani eccitando a si-
lenzio.
* Ficcando (fli occhi ecc. L'oriente è considerato la parte più
santa del Ciclo. Nel Sole oriente fu raffigurato Gesù Cristo. Perciò
la Chiesa nella fabbrica dei templi usa rivolger la facciata a sera,
andando i templi verso oriente : così il sacerdote celebrando all'aitar
maggiore i divini misteri guarda all'oriente.
Anche fisicamente parlando, la parte orientale ha per noi un
non so che più di vita e di piacere. Già ci ricorderemo che la faccia
del monte nella qual siamo, è quella che prospetta all'oriente. Vedi
Tav. II, Piiry.
188 PURGATORIO
Come dicesse a Dio: D'altro non calme. 7
Te lucis ante sì divotamente 8
Le usci di bocca, e con sì dolci note,
9
7 Co/ne dicesse a Dio ecc. L'orazione e l'astrazione assoluta dalle
cose terrene alle celesti : è definita elevatio mentis in Deum* Questo
elevamento e rapimento dell'anima in Dio si manifesta nell'ani me sante
anche nel loro esteriore, ossia negli occhi rivolti al cielo, il che dice
chiaramente che quella tal'anima ion si cura d'altro, in quei momenti
della preghiera, che del suo Dio. Questa è la sola preghiera che Dio
accetta; perchè non attende che a Dio.
8 Te lucis ante. E il principio dell' inno di Compieta, che la Chiesa
cattolica canta dopo dei v esperi, che e la vera orazione della sera, e
la chiusa di tutte le orazioni del giorno : perciò quest' inno è messo
uel Completorio o chiusa. È composto di due stro fette tutte al caso
di quelle anime. Sono le seguenti :
Te lucis ante terminarti Procul recedant somnia,
Rerum creator poscitnus, Et ttoctium phastasmata
Ut prò tua elementia Hostemque nostrum comprime
Ati* praesul et custodia. Ne polluantur corpora. *
Teniamoci bene a mente il senso di questo inno, e così vedremo in
breve la necessitò di cantarlo» Intanto ricordiamoci che abbiamo già
30 minuti di crepuscolo, e che finché dura il crepuscolo non è del tutto
finita la luce, ma questa finirà interamente col termine d'esso crepuscolo,
che sarà alle 7 pomeridiane, durando cosi per ore 1.35 quante sono
dalle 5.25 (tramonto) alle 7. Avvertiamo che quest'anima sola comincia
l'inno secondo l'uso dei cori cattolici, nei quali il maestro di eappella
iutuona solo alcune note, e tutti gli altri lo seguono poco appresso.
Tutto in Dante spira catolicismo e pietà, e va a cercar i pensieri della
sua nobile e vera poesia sino uel canto ecclesiastico.
* Le uscì di bocca ecc. La divozione prima di tutto e poi la dol-
cezza sono le due note caratteristiche del canto sacro, il quale serve
mirabilmente a sollevare l'anima a Dio. Per questo e per solo questo
fu introdotto il canto nella liturgia cattolica ad imitazione della li-
turgia mosaica, per la quale Davide scrisse gli ispirati suoi salmi.
La religione ha cosi consacrato il più bello istinto dell'uomo, mediante
il quale gareggia cogli angeli del cielo, che cantano eterni osanna.
Guai alla musica che invece di alzare a Dio il cuor dell'uomo, da
Dio lo allontana, massime nei momenti consacrati a Dio solo.
CANTO Vili. 189
Che fece me a me uscir di mente. I0
E l'altre poi dolcemente, e di vote 1l
Seguitar lei per tutto l'inno intero,
Avendo gli occhi alle superne ruote. 12
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero, 13
*o Che fece me ecc. Lo estasiò. Abbiamo molti esempi nella Sacra
Scrittura e nella storia ecclesiastica di queste estasi prodotte dal
canto snero.
U Dolcemente, e divote. Cioè colla stessa divozione e dolcezza della
prima, che avea dato principio: quindi anch'esse dritte in piedi,
quindi anch'esse cantando.
^2 Avendo gli occhi ecc. Come la prima che avea intonato l'inno,
la qual pure aveva gli occhi alle superne ruote, ossia all'alto cielo,
il che espresse benissimo il poeta dicendo : Come dicesse a Dio: D'altro
non calme. Gli occhi rivolti al cielo danno al volto una espressione
ed una grazia maravigliosa. Perciò il Guido Reni si atteneva spesfo
a questo partito.
13 Aguzza qui ecc. Aguzza bene gli occhi della tua mente per affer-
rare la verità, che ò sotto il velo di questa narrazione. Perchè aguzzar
tanto la mente, afh'n di cogliere la verità dietro al velo nascosta?
Rispondo: la verità è una cosa e la forma di esprimerla è un'altra.
Questa forma di esprimere la verità è il velo che copre la verità me-
desima. Se il velo è denso, esso non lascierà vedere, sebbene a stento,
che il solo oggetto che vi sta dietro, e quindi non ci avrà pericolo
di confonderlo con altri oggetti, che si trovassero dietro a lui a qual-
che distanza, anche per la ragione fìsica che l'occhio affrontandosi
ad un velo denso dee cercare questo o quel foro solamente che gli
faccia trovare li dietro l'oggetto; e però non sarà si facile che l'oc-
chio scorra ad altri oggetti, perdendo quello che sta vicino al foro.
Al contrario se il velo ò sottile, ossia, di maglie assai larghe, l'occhio
vedrà %bensl l'oggetto velato con molta più facilità, ma anche con
molta pili facilità potrà passare ad altri oggetti dietro al primo, e
cos*\ invece di cogliere il primo Folamentc, che è quello che si vuol
velare, potrà facilmente trapassar oltre e posarsi su altri oggetti, che
non sono intesi e non si vogliono presentati. Attento dunque, o let-
tore , dice il poeta, a imberciare il solo vero ch'io intendo, perchè
essendo il velo assai largo, e facile a trapassare, potresti cogliere altri
oggetti, che non sono i veri, e cosi saltar via quel solo vero ch'io
ti presento, e che intendo che sia raggiunto. Noto finalmente che
190 PURGATORIO
20. Che il velo è ora ben tanto sottile,
Certo che '1 trapassar dentro è leggiero.
Io vidi quello esercito gentile 14
Tacito poscia riguardare in sue, **
quando noi vogliamo isolarci all'occhio l'oggetto visibile, soliamo
stringere le ciglia perchè non abbraccino altri oggetti che V inteso ;
e questo è l'aguzzar gli occhi detto dal poeta. — Ma qual è poi questo
vero, pur sì facile da vedere, e anche sì facile ad essere oltrepassato
e scambiato con altra cosa che non è vera? È questo, che le anime
dei principi nella valletta hanno questa pena da Dio di soffrire as-
salti e tentazioni al peccato, come non fossero uello stato di termine,
ma si trovassero ancora nella prima vita.
Ora queste tentazioni non sono già reali, o. meglio, non ponno
avere gli effetti eh* hanno nel mondo, ma per altro Dio le permette
a solo spavento di queste anime negligenti , anche nel Purgatorio,
perchè provino almeno qui che cosa sia l'angustia di un'anima nel
sentirsi tentata, e posta in pericolo di perder Dio. Dio può loro dar
questa pena e tanto basta, senza che perciò sia intaccato il dogma
che nello stato di termine non si può più offender Dio, come infatt1
non lo possono più offendere queste anime , che intanto provan la
sola angustia del poterlo offendere.
Tn breve: il vero è l' angustia di poter offender Dio per la ten-
tazione : il falso che si potrebbe cogliere da questa narrazione è, che
veramente le adirne ncll' altra vita possano offendere il loro Dio per
la tentazione. E questo errore è pur quello che a prima vista si crede-
rebbe insegnato dal poeta ; e perciò il poeta ci mette in guardia perchè
non cogliamo questo errore, ma il solo vero già detto. Dante è delica-
tissimo, perchè non s'impari da lui cosa men retta, e meno cattolica.
Ma perchè Dio assoggetta questi principi alla paura della t n-
tazione? Per questo che di solito i grandi spacciano i paurosi delle
tentazioni per anime basse e volgari, e si danno vanto di spiriti forti
sopra i tementi il Signore. Dunque sta loro bene provare questa pena,
che non hanno voluto credere in vita, e che anzi sprezzarono.
U Esercito gentile. Essendo composto di principi o marchesi che
sono di uobil sangue, o sangue gentilizio, perciò è loro proprio l'e-
piteto di gentile.
** Riguardare in sue. Cioè, avendo guardato il cielo durante l'o-
razione, continuava a guardar in au anche dopo quando si mise a
tacere, il che si fa per cosa, cho si attenda venir di là.
CANTO Vili. 191
Quasi aspettando pallido, e umile : i6
E vidi uscir dell'alto, e scender giue 41
Due angeli con duo spade affocate, *8
*<> Quasi aspettando ecc. Ecco lo stato a che per disposizione di
Dio sono assoggettati le anime di questi principi, stato di paura della
tentazione, e non di vera tentazione, che nell'altro mondo non può
aver luogo. Lo stato della paura della tentazione è il vero, al quale
il poeta vuol che il lettore aguzzi ben l'occhio ; ed è quello che egli
vuol che afferriamo come da lui inteso: e lo stato di vera tentazione
sarebbe quelPerror da cui intende e vuole rimuoverci il poeta. Lo
stato della paura e della tentazione, mette in bocca a quelle anime
Tinno: Te loci 8 ante terminum, che è orazione contro le tentazioni
e gli assalti del demonio, ed una invocazione dell'aiuto di Dio per
vincere le insidie dell'iuferual nemico. Trovandosi esse in questo stato,
è naturale che sien pallide ed umili, e che stieno in attesa dell* in-
vocato aoccorso, il quale infatti tosto verrà, perchè il tutto dee li-
mitarsi alla paura, e non estendersi alla tentazione.
n E vidi. Questo e ha piuttosto senso di ed ecco, che di sola
congiunzione. Fu uua medesima cosa vederle impallidire, e vedere
gli angeli discendere. Discendono essi dal cielo, e non dal Purgatorio/
dove pur erano angeli, perchè gli angeli del Purgatorio dovevano
stare al loro ufficio, e perchè essendo fatta al cielo la preghiera, dal
cielo duveano aspettare il loro aiuto.
*s Due angeli. Non bastava un solo? Per la sufficenza ce ne avea
d'avanzo ; per la convenienza stavano bene due. Notate che il poeta,
come dicemmo sopra, è pittore, anzi maestro dei pittori. Or suppo-
nete che si volesse fare un quadro di questa scena sì pia: ebbene
un angelo solo stonerebbe noi quadro , il quale per la possura del
luogo ne esige due, pei due fianchi della valle. Notatene un' altra,
che di solito prima di Gesù Cristo un solo angelo compiva le mis-
sioni celesti ; ma dopo di Gesù Cristo si veggono più facilmente ac-
coppiati. Due angeli videro le sante donne al sepolcro di Gesù Cristo,
due ne videro gli Apostoli sul monte dell'Ascensione. Notate final-
mente che nell'orazione di Compieta : Visita ecc. (a cui attendono
qui le anime) si chiede la discesa di più angeli e non di un solo
angelo. Questa orazione merita di esser letta, perchè tutta propria
di quelle anime. — Con duo spade affocate. Diconsi affocate per indi-
care che non possono essere spade umane, le quali son di metallo, e
non possono essere di foco. Spada di foco non può essere che spada
192 PURGATORIO
Tronche, e private delle punte sue. *9
Verdi, come fogliette pur mo nate, *°
Erano in veste, che da verdi penne 9I
30. Percosse traèn dietro, e ventilate.
*L'un poco sovra noi a star si venne, *■
divina. Perciò la Sacra Scrittura attribuisce spada di fuoco a S. Michele
debellatore degli angeli ribelli, ed all'angelo che cacciò dal paradiso i no-
stri progenitori. Tutti i poeti, tutti i pittori hau seguifoqueste imagini.
*9 Tronche, e private ecc. Perchè queste spade scn tali ? Io mi
diparto dall'interpretazione di Pietro di Dante e di Benvenuto da
Imola, e dico che queste spade non hanno punte per raffermar nella
mente del lettore che qui non ha mestieri vera difesa, non essendo
vero ed efficace l'assalto. Queste spade souo a solo onore degli an-
geli. Infatti basterà il sussurro delle ali perchè la serpe seu fugga.
*> Verdi come fogliette ecc. Si descrive l'abito degli angeli, che
s'imagina verde, e che è il più bel colore che possano avere le stoffe
e il più amato dall'occhio. Ma la scala dei verdi è molteplice, e si
può dire infinita. Vedetelo nelle erbe, pur tutte verdi , ma uessuna
ha un verde perfettamente eguale all'altra. Il verde però più bello
si trova nella prima nascita delle erbe e delle foglie in primavera.
Appresso, quel verde si altera e diventa verde cupo. Le vesti degli
angeli erano del primo verde. Notate che Dante, come al solito, non sj
contenti ad ogni bello, ma sceglie sempre il Mio nel suo grado sommo.
*l Da verdi penne — Percosse traèn ecc. Allo vesti angeliche,
oltre al colore più bollo, bisognava dare una grazia, e la si die loro
col farle ondeggianti mollemente al di dietro, come facicnti di sé un
seno e per l'aria mossa dalle piume dell'ali, e pel volo stesso dall'alto
al basso che fende l'acre e si lascia increspar al di dietro le ve«?ti.
Le penne dell'ali si fanno verdi, ma del verde, comune, non come
le fogliette pur mo nate, il che era pregio delle sole vesti. Cosi questi
due verdi non faceano confusione ma distacco. Questa regola la os-
servino bone i pittori.
91 I/un poco sovra voi ecc. Così esigeva la simmetria del quadro,
cosi esigeva la difesa. (Vedi il mio disegno, Tav. II, Purg.)
Ma perchè non si posoro gli angeli al disotto, cioè più presso
all'ingresso del serpente, come sarebbe nei due punti AB V Rispondo,
perchè in tal caso le anime non avrebbero provato la paura che Dio
intendeva che dovessero provare, e ciò perchè gli angeli in quel punto
le avrebbero assicurate di troppo.
CANTO VITI. . 193
E l'altro scese all'opposi ta* sponda,
SI che la gente in mezzo si contenne.-
Ben discerneva in lor la testa bionda ; s*
Ma nelle facce l'occhio si smarria, a4
Come virtù che a troppo si confonda. M
Ambo vegnon del grembo di Maria, *
** La testa bionda. Si usò sempre e da tatti pinger gli angeli coi
capelli biondi, che sono i più vaghi e che non possono avere che i
giovani, quali pur si dipingono gli angeli.
a* Ma nelle facce ecc. Per gli splendori che tramandavano.
43 Come virtù ecc. Siccome quegli che ha una forza visiva a gran
pezza inferiore a quello che esigerebbe l'oggetto visibile splendente
di troppo, per cui rocchio a luce cosi soverchia si confonde. Guar-
date a cagion d'esempio il sole ad occhio nudo, e vedrete se la vo-
stra virtù intuitiva possa reggere e non abbacinarsi.
^ Ambo vegnon del grembo di Maria. Siccome sono angeli de-
putati a difender l'anime dalle tentazioni del demonio, perciò con
graziosissima idea si fanno spediti da Maria, presso al cui grembo
stanno sempre, perch'elfo gli abbia a mandare prontamente in aiuto
agli assaliti. È questa un' imagine delle più pie, ed ha la credenza-
cattolica in suo favore. Tutti credono che a Maria sieno in cielo as-
segnate le parti della misericordia, la prima delle quali si è di pro-
teggere i suoi divoti contro gli assalti del demonio. A tale oggetto,
secondo la vaga imagine del poeta, ella ha presso di sé un corpo di
eletta milizia celeste, dipendente da' suoi cenni, simile a quei corpi
di guardia e alle cosi dette ordinanze che hanno i principi alla parte'
della reggia, per mandare qua e là ad eseguire prontamente i loro
ordini. Chi dunque vuol vincere le tentazioni dee ricorrere a Maria,
ed ella accenna subito al suo corpo di guardia ed alle sue ordinanze,
perchè sia provveduto sull' istante alla difesa del ricorrente. Sl cara*
e sl pia imagine fa grande onore al poeta ed alla sua divozione s
Maria. Questa idea serve di appendice e di spiegazione all'altra del
secondo canto dell'/n/erno, dove Beatrice dice a Virgilio, parlando
dell'aiuto che Maria offre a Dante:
Donna è gentil nel ciel che si compiange
Di questo impedimento ov'io ti mando
Si che duro giudicio lassù frange.
Vedremo nel Paradiso la schiera degli angeli che stanno ai servigi
della Regina del cielo.
13
194 PURGATORIO
Disse Sovdello, a guardia della valle,
Per lo serpente che verrà via via. *7
40. Ond'io, che non sapeva per qual calle, *
Mi volsi intorno, e stretto m'accostai
Tutto gelato alle fidate spalle. *
E Sordello anche : Ora avvalliamo ornai ,0
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse :
Grazioso fia lor vedervi assai.
Solo tre passi credo eh' io scendesse, ,!
E fui di sotto, e vidi un che mirava
Pur me, come conoscer mi volesse. w
Temp'era già che l'aer s'annerava *
97 per lo serpente che verrà. Dunque già si sapeva che il serpente
era solito venire a quest'ora. — Via via. Subito, subito.
98 Ond'io che non sapeva ecc. Il notar che fa Dante l'impressione
prodotta in so stesso dall'annunzio del serpente che è sul venire, non può
essere più magistrale. E naturalissimo infatti questo caso e ciascuno
avrebbe fatto come Dante. Ma nessuno come Dante l'avrebbe colta.
99 Alle fidate spalle. A Virgilio. Che bel gruppetto non sarebbe
questo per uno studio di pittore!
30 Ora avvalliamo ornai. Perchè essendo i crepuscoli scemati di
molto, i poeti standosene colà non avrebbero potuto ravvisare le om-
bre. Quindi bisognava avvicinarle con discendere. Rammentiamoci
che stavano prima su quello sbocco un po' elevato, che metteva alla
valle. Vedi Tav. II, Purg.
*' Solo tre passi ecc. Da ciò si scorge che la valletta era ben poco
profonda. Essa non s'abbassava che sette passi. Infatti abbiam veduto
che i poeti si erano collocati al di sotto della metà del fianco della
valle: Là dove più che a mezzo muore il lembo (C. VII, v. 72) —
ed ora per discendere al fondo non hanno a far che tre soli passi.
Dunque la valle al più non potea esser fonda che sette passi, quattro
di sopra al punto dove son collocati i poeti presentemente, e tre da
questo punto all'ima valle.
**Pur me. Solamente me.
33 Temprerà già che Vaer eoe. Era presso il fine dei crepuscoli, che
avviene addì 9 Ottobre in cui siamo alle 7 pomer., nella qual'ora si
fa notte perfetta e i'aer si annera del tutto. A questo putito però
CANTO Vili. 195
60. Ma non sì che tra gli occhi suoi e' miei
Non dichiarasse ciò che pria serrava. 84
Ver me si fece, ed io ver lui mi fei : 85
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque, u
Quando ti vidi non esser tra' rei l
Nullo bel salutar tra noi si tacque: n
Poi dimandò : Quant'è che tu venisti 38
non siamo ancor giunti, perchè dice il poeta che l'aer s'annerava
bensì ma non del tutto, il che fa supporre, mancare ancora 30 mi-
nuti circa alla fine dei crepuscoli. Sicché vuol dire che ora abbiamo
le 6.30.
** Non dichiarasse oiò che pria serrava. Appunto verso il fine dei
crepuscoli a certa distanza non si conoscouo le persone, e avvicinan-
dole si conoscono mercè la luce che sebbcn poca, pure dà qualche
aiuto alla conoscenza.
35 Ver me si fece , ed io ver lui ecc. Appunto quel che avviene
quando due persone credono di riconoscersi sul far della notte, quando
entrambe dopo la dubbia conoscenza, che se ne hanno pigliato, cer-
cano di farla certa, e quindi entrambe si vanno sotto la faccia.
96 Giudice Ifi* gentil. Nino Visconti , nobile Pisano , nipote del
conte Ugolino, e giudice di Gallura in Sardegna, allor soggetta ai
Pisani. — Gentil è epiteto di nobiltà. Così vediamo che i re siedono
più in alto, ed i marchesi ed i conti più in basso, perchè il poeta
trovò Nino In fondo della valle tra le prime persone. Nino era guelfo,
e ciò prova la imparzialità del poeta (già ammirata più volte) che
mena gran festa per questo guelfo giunto a salvamento. Nella ri-
volta dei Pisani Guelfi contro i Ghibellini (1289), Nino figlio della
figlia di Ugolino stette contro Tavolo che s'era raccostato ai Ghi-
bellini. Nino e la sua parte furono allora cacciati dalla città.
n Nullo bel salutar ecc. Quali conoscenti ed amici, che erano.
3* Quant'è che tu venisti — Appiè ecc.? Dimandandogli questo, mo-
stra di crederlo morto, e quindi venuto come le altre anime al Pur-
gatorio. Vedi la barchetta dell'anime che giungono al Purg. nella
mia Tav. II.
Ma come piai non conobbe Nino che Dante era vivo se Pavea
sì vicino? Perchè essendo quasi il fine dei crepuscoli, pò tea da vicino
veder bensì i lineamenti del volto di Dante, ma quella non era luce
raffìciente a conoscerlo vivo. Perchè per conoscerlo vivo bisognavi
190 PURGATORIO
Appiè del monte per le lontane acque ?
Oh ! dissi lui, per entro i luoghi tristi w
Venni stamane, e sono in prima vita, 40
co. Ancor che l'altra sì andando acquisti. 4f
E come fu la mia risposta udita,
Bordello ed egli indietro si raccolse "
vedere anche i movimenti della gola , il respiro ecc. cose non visibili
a si languida luce. Intanto l' inganno che si fa Nino apre la più bella
scena del mondo. Quant'arte non ci vuole a lavorar le cose di questa
guisa! U verso: Appiè del monte per le lontane acque — ci fa pro-
prio vedere colla sua lunghezaa la lunghezza dell'oceano, da Roma
al Purgatorio.
39 Oh ì dissi lui ecc. Passando per entro i luoghi tristi d'Inferno,
arrivai al Purgatorio questa mattina, 10 Aprile al di là, 9 Ottobre
al di qua. Dunque io non son venuto appiè del monte per mare,
come tu credi.
*° E sono in prima vita. Dante desiderava da un peszo di venire
a questa manifestazione, non fosse altro, perchè Sordello lo curasse
un po' più. Ci volle la grand'arte per tenere fin qui Dante ignoto a
Sordello, parte coll'ammirazione di Sordello verso Virgilio, parte colla
collocazione di Sordello alla destra di Virgilio, mentre Dante stava
alla sua sinistra. (Vedi Tav. II, Purg.)
a* Ancor ohe V altra ecc. Sebbene con questo mio viaggio io ac-
quisti anche l'altra vita. Ecco un'altra prova manifesta che il con-
cetto del poema è solo cattolico, perchè ha per fine la remission del
peccato, e l' acquisto della perfezion cristiana mediante la vista delle
pene inflitte al peccato, e dei premi concessi alla virtù nell'altra vita.
'* Sordello ed egli ecc. Ecco la scena maravigliosa tirata fin qui
a forza di sospensioni artifiziosissime e naturalissime preparate e di-
sposte negli altri due Canti ed in questo. Si dovea venire per via di
molti intrecci, che teneano nascosta la condizione di Dante, a questo
colpo di scena della sua manifestazione, e degli effetti suoi maravi-
gliosi, prima in Sordello, che è principalmente inteso, e in grazia del
cui disinganno si condussero sì arti filialmente le fila di questa gran
tela poetica, e poi negli altri. Sordello che non credeva potersi dare
maraviglia maggiore quanto quella di vedersi dinaxfzi un Virgilio,
ora 8' avvede che l'umile compagno di Virgilio offre in sé una ma-
raviglia a pezza più grande dell'altra; onde non può a meno di pen-
tirsi e ripentirsi di aver sino allora trascurato il soggetto maggiore
CANTO Vili. 197
Come gente di subito smarrita.
L'uno a Virgilio, e l'altro ad un si volse, **
Che sedea lì, gridando : Su, Currado, u
Vieni a veder che Dio per grazia volse.
per lo minore, non ostante che Dante gli avesse porto occasione di
farei da lui conoscere, come allora che gli disse nel C. VII, v. 49
e seg. : Com'è ciò? fu risposto: Chi volesse ecc. Vedi colala n. 30.
Ma l'accorgersi di Sordello è troppo tardi, e Dante con una disin-
voltura da innocentino e che si fa appena sentire, or lo ripaga dan-
dogli noncuranza per noncuranza.
Sordello ed egli indietro si raccolse. È l'atto preciso che si fa
ogniqualvolta ci si presenta innanzi una persona che ci si dà a cono-
scere con nostra grande sorpresa. Qual pennello potrebbe dipingere
questo quadro? Importerebbe studiarlo assai.
** L'uno a Virgilio, e V altro ecc. Sordello si volse a Virgilio, e
Nino a Currado Malaspini. Nuova scena del quadro non meno in-
teressante dell'altra, e non meno naturale. Qui non si dice che cosa
Sordello bisbigliasse con Virgilio, e Virgilio con Sordello. Il poeta
noi dovea dire per rendere ancora più bella la scena, facendo in-
dovinar ai lettori il tema del loro ragionamento, che era però facile
ad indovinare. Se Dante V avesse detto, la poesia avrebbe perduto
mille tanti.
Certo Sordello si sarà dolcemente lagnato con Virgilio, di non
averlo avvertito prima, che cosi non avrebbe mancato a quei doveri
di convenienza verso un soggetto così ammirabile; e Virgilio se ne
sarà sensato coinè poteva, e gli avrà parlato dei meriti tragrandi del-
l'uomo sino allora sconosciuto. Tutto questo si raccoglie agevol-
mente da quelle due sole parole: L'uno a Virgilio; e si raccoglie
ancora che la modestia di Dante dovea appunto passarsene così, e
lasciar che gli altri dicano le sue lodi, tacendone lui stesso. Questo
luogo è un perfetto parallelo col riconoscimento di Dante nel castello
dei Savi, /n/., C. IV.
** Che sedea lì. Dunque dopo la preghiera i grandi s'erano rimessi
a sedere.
Gridando. Lo stupore onde era tutto compreso Nino non sola-
mente il fa dire, ma gridare. È naturalissimo.
Su. Particella di gran senso, e di gran natura in tali incontri.
Currado. Corrado II Malaspiua signor di Lunigiana, di cui dirò
più sotto.
198 PURGATORIO
Poi volto a me : Per quel singular grado,
Che tu dei a Colui, che sì nasconde *•
Lo suo primo perchè, che non gli è guado,
70. Quando sarai di là dalle larghe onde, A1
Dì a Giovanna mia7 che per me chiami *•
Là, dove agli innocenti si risponde. À9
Non credo che la sua madre più m'ami, *°
** Per quel singular grado — Che tu dei a colui. Per quella sin-
golar gratitudine che tu devi a Dio d'averti accordato il privilegio
di venire da vivo nel luogo dei morti per assicurare così la tua eterna
salute. Nino prega Dante con preghiere d'ossecrazione, o di giura-
mento, per quel dono di Dio che supera tutti i doni, che è il bene-
fizio di conseguire con mezzi si privilegiati la salute dell'anima propria.
Il poeta con ciò ribadisce il concetto cattolico del suo viaggio, e quello
che unicamente intende colla sua Divina Commedia. Chi vi ha ve-
duto altri concetti ed altri fini, è ito assolutamente fuori del seminato:
e di cotali a' dì nostri è pieno il mondo. Ma non era così degli an-
tichi commeutatori.
*<> Che sì nasconde — Lo suo primo perchè ecc. Il quale nel conceder
le sue grazie piuttosto a questo che a quello è mosso da si misteriose
e a noi si nascoste ragioni, che non possiamo arrivare a comprendere.
È il medesimo concetto di S. Paolo: Quam incomprchensibiiia sunt
judicia tua Domine ecc. Per ragione di questo privilegio di Dante,
Nino adora quel che non può comprendere.
*7 Quando sarai di là ecc. Quando ritornerai in Italia tra' vivi. Si
sa che tra l'Italia ed il Purgatorio si estendeva il Mediterraneo e
l'Oceano. Questo verso è fatto ad arte sì che paia lungo per esprimer
meglio l'immensità del mare, come l'altro di sopra — Appiè del monte
per le lontane acque.
48 Dì a Giovanna mia ecc. Figliuola di Nino maritata a Riccardo
da Camino Trevigiano.
Per me chiami. Per me preghi. Chiamare dal latino clamare
è espressione biblica usata per pregare, come quella Ad te Domine
clamavi ed altre senza numero.
*9 Là dove agli innocenti. Perchè Peccatores Deus non audit. Con
questo dichiara innocente la sua Giovanna.
50 Nojì credo che la %va madre più m'ami. Beatrice moglie di Nino,
passata poi in secoude nozze con Galeazzo Visconti di Milano 1300,
CANTO Vili. 199
Poscia che trasmutò le bianche bende, "
Le quai convien che misera ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende M
Quanto in femmina fuoco d'amor dura,
Se l'occhio, o il tatto spesso noi raccende.
Non le farà si bella sepoltura 9*
80. La vipera che il Milanese accampa,
Come avria fatto il gallo di Gallura.
5* Bianche bende. Il vero colore di lutto italiano era il bianco nel
medio evo. Durò siuo a Carlo V, quando gli italiani per scimiottare
le mode straniere adottarono il nero. 11 contado però più tenace delle
sue costumanze nazionali ritiene ancora un vestigio di questa nostra
usanza, coprendo le bare funebri di bianchissime coperte, e portando
le donne i lor morti vestite di bianco.
Nino con questo mutamento di bianche bende vuol dire, che sua
moglie gettò il lutto per passare ad altre nozze. Ma dovrà desiderarsi
di nuovo il lutto: segno dunque che il nuovo marito non l'amava
come il primo.
s* Per lei aitai di lieve ecc. Si comprende che la donna ama finché
vede l'oggetto amato, ed è accarezzata da quello. Lontan dagli occhi
lontan dal cuore.
Pare che Dante voglia qui fare qualche allusione anche alla sua
moglie Gemma, rimasta in Firenze dopo U suo esiglio.
w JSon le farà si bella ecc. Si può intendere in due modi. 1. La
vipera (stemma dei Visconti di Milano) non le dirà si bene sulla sua
sepoltura, dove i nobili incidono Tarme di famigli*, come le avrebbe
detto bene il gallo (stemma dei Visconti di Pisa), perchè questo avrebbe
ratto vedere la sua continenza, e la sua fedeltà al primo amore, e
quella la dimenticanza del suo primo giuro, e il suo smodato ardor
dei piaceri. — Accampa. Mette in campo, cioè nel campo dello stemma.
2. La famiglia dei Visconti di Milano che ha la vipera nel campo
del suo stemma non le farà sepoltura si bella , come gliel'avrebbe
fatta la famiglia dei Visconti di Pisa giudici di Gallura, che ha il
gallo nel campo del suo stemma, se ella fosse rimasta vedova io
quella casa. Dal maggiore o minore onor funebre che si fa ai defunti
si desumono i meriti loro, e l'amor acquistatosi dai superstiti.
L'uria e l'altra interpretazione è buona e genuina, ma la prima
ha più poesia.
200 PURGATORIO
Così dicea segnato della stampa "
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che misuratamente in cuore avvampa.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo, **
Pur" là dove le stelle son più tarde, **
Sì come ruota più presso allo stelo.
E il duca mio: Figliuol, che lassù guarde? *7
s* Così dicea segnato ecc. Così dicea tutto acceso di zelo pinato
e misurato. Notate come al suo solito il poeta loda una parte e bia-
sima un'altra, e il biasimo di questa serve di rincalco alle Iodi di
quella. Sarebbe come il chiaroscuro gettato ad arte nei quadri per
far comparir meglio il soggetto principale. Di rado il poeta loda le
famiglie per intero, perchè pur troppo col buono è misto il cattivo.
La famiglia Malaspiua, che or ora vedremo, formerà, una fortunata
eccezione; e veramente il poeta avea ogni ragione a differenziarla.
5* Gli occhi miei ghiotti andavan pure al ciclo, — Pur là. Dopo
il discorso di Nino par che Dante avrebbe dovuto per naturale istinto
adocchiare qualche altra persona 11 presso, massime quel Currado
chiamato da Mno.. Invece i suoi occhi gli corsero e si fissarono in
altra parte, cioè nel polo meridionale. Dice dunque questo per iscu-
sarsi del non aver guardato subito il Currado, che ancora non co-
nosceva per il marchese di Lunigiana, rapito com'era in un'appa-
rizione di stelle maravigliose , che a sé lo trassero inopinatamente.
Il pure ripetuto vale solo solo.
36 Dove le stelle son più tarde. Le stelle girano più tarde quanto
più son vicine ai poli, come in una ruota che giri, le parti più vicine
allo stelo van più tarde delle parti, che son più vicine alla sua cir-
conferenza. Va senza dire, che qui si parla del polo meridionale, perchè
il settentrionale non potea esser veduto da Dante essendo abbassato
sotto l'orizzonte dal lato settentrionale. Con questo ci fa vedere ch'egli
era volto a mezzodì, come si può scorgere nel nostro disegno della
Montagna del Purgatorio nel sito in cui siamo. (Tav. II.)
37 Che lassù guarde t Virgilio dimostra qualche maraviglia per
queste occhiate di Dante cosi ghiotte ; ed egli ha ragione perchè non
ne può conoscere tutta l' importanza, essendo che quelle tre stelle ri
luminose ed ardenti rappresentavano le tre virtù teologali ed infuse,
fede, speranza e carità, delle quali egli fu spoglio, e non ebbe mai
saggio. Dante siccome cristiano ne senti l' importanza, e la sentì più
CANTQ Vili. 201 -
Ed io a lui : A quelle tre facelle, **
90. Di che il polo di qua tutto quanto arde. S9
Ed egli a me : Le quattro chiare stelle, 60
per istinto cristiano che per altro, e perciò senza punto avvedersi
veniva egli rapito dietro una cosa ohe era tutta da lui, e della quale
egli era innamorato. Insomma Dante ama quelle tre stelle, e in esse
si fissa perchè sente dentro di sé una cotale rassomiglianza tra le
tre virtù che possiede, e quelle tre stelle.
5* A quelle tre facelle. A quelle tre stelle dove Dio ha posto sin
da principio le tre virtù teologali fede , speranza e carità , le quali
furono infuse nei nostri progenitori già creati in grazia,, e delle quali
andarono privi tutti i loro figliuoli, pena del loro peccato, virtù che
nei cristiani vengono infuse nel battesimo. Noi le troveremo in cima
a questa montagna corteggiare il carro della Chiesa cattolica. (Pur*
gatorio, C. XXXI, v. 131.)
*9 Di che il polo di qua tutto quanto arde. Perchè queste tre stelle,
o virtù stanno al polo del Purgatorio? Perchè sulla. cima di questo
monte havvi il Paradiso terrestre, dove Adamo ed Eva furono creati
innocenti, e quindi adorni di queste tre virtù, e quindi irraggiati da
queste tre stelle, che sono le virtù stesse. £ siccome dopo il peccato
vennero essi espubi di questo luogo felice e cacciati ad abitare nel
nostro emisfero volto al polo settentrionale, dove procrearono una
prole peccatrice, cosi si dice che di queste stelle arde questo e non
l'altro polo.
Si dice che tutto il polo arde di esse e non solamente che di esse
risplende. Ardere è molto più che risplendere. Noi abbiamo veduto
nel I Canto del Purgatorio il polo risplendere delle quattro stelle
che erano le quattro virtù cardinali ; ma siccome le tre virtù teolo-
gali sono infinitamente superiori alle cardinali ; perciò si dice che di
quelle il polo tutto arde e di queste che risplende.
w Le quattro chiare stelle. Son quelle quattro stelle accennate
nel Canto I del Purg., dove disse:
Io mi volsi a man destra, e posi mente
All'altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai fuor ch'alia prima gente.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
le quali disse il poeta che irradiavano la faccia di Catone : Li raggi
delle quattro luci sante — Fregiavan sì la sua faccia di lume.
Notate che queste quattro stelle si dicono sempre emanatrici di lucei
202 PURGATORIO
Che vedevi sta man son di tti basse, 6f
E queste son salite ov'eran quelle.
ma non di ardore. Infatti nel Canto I si parla sempre di sola luce,
in questo Canto Vili pur di sola luce, perciò si dicono qui : chiare,
mentre invece le tre or vedute si dicono ardenti ; perche le quattro*
virtù cardinali si possono possedere anche da chi non è cristiano,
sebbene assai difficilmente, e formano l'uomo chiaro, e splendido di
umana rettitudine, qual fu Catone ; ma le tre teologali non si pos-
sono possedere che direttamente dallo Spirito Santo, cho è simbo-
leggiato nelTardor dei fuoco, e non si ottengono che in seno della
vera Chiesa. A far dunque conoscere che tutte le anime che sono
al Purgatorio hanno tutte avuto e le quattro virtù cardinali e le tre
teologali, si sono entrambe fatte vedere da questo monte : come a in-
dicare il caso raro che un uomo senza le virtù teologali possegga le
quattro virtù cardinali, si pose al fondo del Purgatorio, affatto se-
parato dalle anime sante, che vengono a purgarsi, e senza speranza
di purgarsi mai, il solo Catone, che si dà cosi come un caso piuttosto
unico, che raro.
6i Che vedevi starnati son di là basse. Le avea vedute appena
sbucato al Purgatorio (Canto I). Queste quattro stelle per chi sta al
Purgatorio antipode di Gerusalemme non tramontano mai, essendo
il polo colà elevato dall' orizzonte ben 30 gradi, come il nostro è ele-
vato di 30 per Gerusalemme. Attenti bene a quel che ora son per dire*
Se Dante fosse sbucato al Purgatorio, non nella faccia rivolta ad
oriente, ma in quella rivolta a mezzodì, egli avrebbe vedute tutte
queste sette stelle, sebbene le 4 ad oriente, le 3 ad occidente. Egli
invece, come abbiam veduto e provato in più luoghi, era sbucato al
Purgatorio nella faccia del monte, che guarda ad oriente. Dunque
è chiaro che voltosi a mezzodì (come dice «il Canto l)egli dovea vedere
le 4 stelle e non le 3 ; perchè le 4 erano al polo dalla parte di oriente,
e le 3 erano al polo dalla parte di occidente, la qual' ultima parte
egli non potea vedere per il monte che ne lo impediva, siccome è
facile accorgersi guardando il mio diseguo della Montagna. E quan-
tunque il poeta sia ora arrivato all'altezza di miglia 91, pure egli
è ancora nella stessa faccia del monte volta ad orieute, e perciò per
riinpedimeuto del monte utesdo vedrà ora le 3, e uou le 4, perchè
le tre sono al polo dalla parte di orieute, e le 4 sono al polo , ma
dalla parte di occidente che pel monte non può vedere. Ma notate
ben tutto. Queste quattro stelle non solo dico clic sono al di là, cioè
al di là del monte verso occidente, che ne toglie il vederle, ma sono al
CANTO VITI. 203
Com'ei parlava, e Sordello a sé '! trasse 62
Dicendo : Vedi là *1 nostro avversare ;
E drizzò '1 dito, perchè in \h guatasse. 6S
Da quella parte, onde non ha riparo
La picciola vallea, era una biscia, "
di là anche beute. Se le 4 fossero al di là, ma alla stessa elevazione
dall' orizzonte delle tre, non sarebbero passate che 12 ore dalla
venata al Purgatorio a questo momento. Ma siccome ne son passate
di più, cioè 15.40 almeno, come si può vedere nella mia I Tav. del
Purgatorio al caselline» delle Ore, sommandole insieme dalle 2.50 an-
timeridiane fino alle 6.30, ultima ora ritrovata; perciò dice che sono
al di là basse, indicando con questa parola che sono passate più di
12 ore dal principio del Purgatorio sino a qui, cioè ore 15 e min. 40
almeno.
Dico almeno, perchè dall'ultima ora trovata (6.30), (vedi sopra
nota 63) avvenne l'abboccamento con Nino, che porta l'aggiunta di
pochi altri minuti.
Prima di chiudere questa nota, amo che osserviate il sapientis-
simo ritrovato del poeta, nell'imaginare che queste sette stelle, che
sono, come è detto, sette virtù necessarie a salute, sieno tali che mai
non tramontino, come tramontano le altre da quelle distanti. E ciò
è molto bene pensato, perchè non sono le grazie e le virtù divine
che manchino all'uomo, è sempre l'uomo che manca ad e3se. Stupen-
dissima verità!
63 E. Questo e sta per avverbio di tempo, ecco che Sordello a «è 7
tra$se. Non movendolo di luogo, ma invitandolo ad attendere a sé
per la cosa che gli volea mostrare, distaccandolo dal colloquio con
Dante. Sordello continua ad avere Virgilio per suo oggetto princi-
pale, ed a lui bì rivolge e non a Dante, forse per vergogna di curarlo
adesso, non avendolo curato prima.
Cosi vediamo succedere anche tra noi, che difficilmente ci vo-
gliamo ricredere del nostro contegno passato. Le sono inezie, è «vero,
ma avvengono; e ciò basta perchè a seguir natura si rinnovino
anche qui.
«* Perchè in là guataste. A sinistra, alla bassa imboccatura della
valle, che non avea riparo.
<" Picciola vallea. Di soli sette passi di profondità, come abbiamo
veduto, aperta verso mattina.
204 PURGATORIO
Foree qual diede ad Eva il cibo amaro. •
100. Tra l'erba e i fior venia la mala striscia, m
Volgendo ad or ad or la testa, e il dosso
Leccando, come bestia che si liscia.
Io noi vidi, e però dicer noi posso, CT
Come mosser gli astor celestiali, **
Ma vidi bene e Fimo, e l'altro mosso.
Sentendo fender l'aere alle verdi ali "
Fuggìo'l serpente, e gli angeli dier volta
Suso alle poste rivolando iguali. 70
L'ombra, che s'era al giudice raccolta 7I
ilo. Quando chiamò, per tutto quell'assalto ™
£3 Forte qual diede ecc. Sospetta il poeta, che sia quella di Et»
per vederla ancora sa quel monte, solla cima del quale era il para-
diso terrestre dove fece la gran tentazione Cibo amaro per le amare
conseguenze.
** Tra feria e i fior ecc. Si descrive al naturale r andar dei ser-
penti, i movimenti delle loro spire, e la lingua che spesso caccia» o
fuori in atto di leccarsi, come talora fanno i cani ed i gatti.
•* Io noi vidi ecc. Non vide il primo momento della lor mossa, per*
che, come Virgilio, guardava anch' egli alla biscia, ma si volse ad eaai
al suon dell'ali che subito senti.
*$ Attor celestiali. Gli uccelli celestiali.
*• Sentendo fender Caere ecc. £ mollo bene amplificata la paura
del demonio alle persone e cose sanie. Gli basta sentirne un lontano
indirò, perchè si dia alla fuga. Trattandosi poi di angeli, si ricordò
ancora dell'angelo che lo colpi dopo la gran tentazione di Eva. Le
apade dunque in mano di questi angeli non sono per adoperarle, che
noe e* è mai bisogno, ma più per indizio, ed onore del loro officio
che altro.
"^ Alle poeie. Alle sedi prime scelte da essi per la difesa. Iguali,
eguali. Ugualmente si mescere, ed ugualmente ritornarono. Nel di-
segno e n*lla pittura come nella poesia in quel secolo di aurea sem-
plicità si voleva sempre simmetria.
• • L'ombra cke etra ecc. Currado.
73 Quando chiamò. Quando Nino gli disse: £v Currado,
CANTO VITI. 205
Punto non fu da me guardare sciolta. "
Se la lucerna che ti mena in alto 7i
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
Quant' è mestieri infino al sommo smalto, w
Cominciò ella, se novella vera 16
Di Valdimagra, o di parte vicina "
Sai, dilla a me, che già grande la era. 7*
Chiamato fui Currado Malaspioa : 79
™ Punto non fu ecc. Tant'era l'ammirazione che l'ava* colpita per
▼edere un vivo in quei luoghi, che dimenticando il serpente e la di-
fesa, era tutta in Dante.
n Se la lucerna ecc. Cosi la grazia che ti mena per questo viaggio
trovi neHa tua libera volontà la corrispondenza sino alla fine: ossia
per quanto io desidero che la grazia trovi in te tanta cooptazione, ecc.
Bella ed arguta allegoria della grazia divina simboleggiata nella
fiaccola ardente, e della umana cooperazione simboleggiata nella cera.
™ Quant'è mestieri ecc. Tanta cera, ossia tanta tua cooperazione
alla grazia, quanta è necessaria per condurti al termine del Purga-
torio, dove hawi il delizioso paradiso terrestre. Con ciò gli augura
la perseveranza nel bene, perchè la corona ò dei perseveranti.
Jnfino al sommo smalto. Il delizioso paradiso terrestre, Currado
si riporta a questo termine, ed è come si fosse riportato al termine
del Paradiso empireo. Perchè chi ha la perseveranza sino al terrestre,
dove ogni colpa e pena è rimessa, l'ha per conseguenza sino all' em-
pireo. Io non veggo perchè si disputi tanto su questo sommo smalto,
intendendolo altri per il cielo, smaltato di stelle, ed altri pel paradiso
terrestre. Intendete come volete, la cosa riesce allo stesso. E certo fa
maraviglia l'udire il Balbo nella Vita di Dante dire a questo proposito»
che questo — è de* pochi passi ove sia insolvibile il dubbio, e se n'ab-
bia cosi ad incolpare l'autore d'oscurità — Oh beatissima oscurità t
7* Se novella vera. Questo secondo se è condizionale.
n Di Valdimagra. Di Lunigiana di cui una parte si estende per
la valle del fiume Magra, ed un'altra nelle parti ad essa contigue;
perciò aggiunge, o di parte vicina.
™ Era signore di Lunigiana.
™ Chiamato fui Currado Malaspina ecc. Ecco l'albero genealogico
di questa celebre famiglia signora di Lunigiana generosa ospitatrice
di Dante, presso la quale fece quasi tutto il suo Inferno, e dalla
286
PURGATORIO
quaJe dovette aver arati per la dimora di Parigi, dove Dante com.
pose una gran parta del suo Purgatorio. L'albero è tratto da Ce-
sare Balbo, Vita di Dante, Parte li, Capo VI.
Obiazone
▼**•• uei secolo XII
Corredo detto l'antico
gran guerriw» al phoeipio del secolo XIII morto nel 1190
r
Moroello
march, di Mulatto
morto nel 4389.
Manfredi
march, di tf io? agallo
Federigo
march, di Vuiafraac*.
I
Franceachino
o^ntò Dante almeno
sino al 1806, pelseg.
atto tuttora esistente
d' una legasione di
Oaole:«NellSOSadd!
tiott. all'ora tersa Tu
fatta pace tra il «en.
padre il signor Dos
Antonio Vescovo per
uoa parte, e Fr ance-
schino marchese Ma-
laspina e Corradino
del fn Obiztino mar-
chese 51 alaspioaean-
cora Uoroello mar-
chese Malatpina, che
il detto Franceschi-
ito prò carerà indurre
alia ratifica. • Per
proni rar q sesta paco
fu falla procura pri-
ma a Dante. Ceco
l'atto di procura: «Il
inaimi fico sig. Frau-
ceschino march. Ma-
laspina fece suo pro-
curatore Dante Ale-
gerì di Firense a ri-
cevere e dar la pace
da farsi tra il \en.
pad. il sìr. D. Anto-
nio Vescovo di Luni
da una parte e il
stg. Francescano in
nome proprio e di
Moroolio e Corradi-
no fratelli marchesi
Malaspina dall'altra
parte; ed a promet-
tere che il sig. Fran-
«-«schiiio detto pro-
curerà la ratifica del
detto Mg. Gorradino
per sé « «noi fratelli.»
In Mulatto rsisle
ancora un resto di
torre detta di Dante,
e li presso una casa
detta pur di Dante.
Moroello II
detto Vapor di Val-
dimagra, inf. XXIV.
Corrado II
mori nel 1494. Fa
Radre dell' unica
glia Spina. Que-
sto è il trovalo da
Dante nella vallet-
ta, Purg.C. V1U.
Obiccino
Moroello
A questo dedicò
Dante il Pur-
gatorio.
Dan le abili»
presso questi ino
al iM8, quando
parti per Parici,
dove si trattenne
almeno fino alla
state del 1310.
epoca della calata
di Arrigo VII la
Italia, che offri
occasione al poe-
ta di abbandonar*
Parigi, e di con-
cepire sperante di
ritorno in patria*
CANTO Vili. i>07
Non son l'antico, ma di lui discesi : *°
420. A' miei portai l'amor che qui raffina 8I
01 j, dissi lui, per li vostri paesi
Giammai non fui ; ma dove, si dimora w
Per tutta Europa, ch'ei non sien palesi? **
La fama che la vostra casa onora, 84
Grida i signori, e grida la contrada ,
Sì che né sa chi non vi fu ancora.
Ed io vi giuro, s' io di sopra vada, 85
Che vostra gente onrata non si sfregia
Del pregio della borsa e della spada. **
130. Uso e natura sì la privilegia, 87
•o Non 8on Vantico ecc. Vedi qui appresso l'albero genealogico.
•* A' miei portai ecc. Ebbi l'amor d'ingrandire i miei, onde dila-
zionai a darmi a Dio, amor che qui si parifica e raffina.
ag Giammai non fui. Avvertite sempre che Dante finse questo suo
viaggio nel 1300. Del resto abbiano già veduto che questo scrisse real-
mente tra il 1309 ed il 1310, quando già era stato ospite dei Malaspina.
*3 Per tutta Europa ecc. I Malaspini in Lunigiana erano il rifugio
di tutti gli esuli ghibellini.
8* La fama ecc. Vedi la nota 83.
*5 Ed io vi giuro, s'io di sopra vada. Dante giura per quel buon
augurio, che Currado gli fece sopra, quando gli disse:
Se la lucerna che ti mena in alto
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
Quant'è mestieri infino al sommo smalto.
Accennando a quest'ultime parole massimamente, egli giura per la
stessa grazia che a aè desidera. Dunque vuol dire : cosi io di sopra
vada, cioè di sopra a questo monte dove e' e il sommo smalto, a cai
giunti non abbiam più né colpa né pena.
** Del pregio della ecc. Il pregio della borsa è la liberalità e il
pregio della spada è il valor guerriero. (Vedi la nota 79.)
8i Uso e natura. La natura non Insta a far virtuose le schiatte, ci
vuole anche T esercizio dei doni di natura. Nell'una cosa e nell'altra
i Malaspina sono privilegiati.
208 PURGATORIO
Che, perchè 1 capo reo lo mondo torca. •■
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia,
Ed egli : Or va che il sol non si ricorca "
Sette volte nel letto che il Montone
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca,
Che cotesta cortese opinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi che d'altrui sermone ; *°
Se corso di giudicio non s'arresta.
IH
•• Perchè 'l capo reo lo mondo torca. Quantunque il Supremo Capo
della cristianità, Bonifacio Vili, faccia deviare il mondo. Se mostra»
qui il Poeta non riverente al supremo Pastore, se ne cerchi la causa
e nelle sue viste politiche che vedea contrariate e nei personali risen-
timenti, che nutriva contro Bonifacio. Questo capo reo cosi interpretato
riceve una conferma dal passo del Purg., C. XVI, v. 97 e seg. —
Altri però intende per capo reo il demonio, il quale veramente
colle sue arti tenta sviare il mondo dal retto sentiero e tirarlo sai
mal cammino.
*'<> // Sol non sì ricerca — Sette volte ecc. Non passeranno dal pre-
sente (1300, 10 Aprile, Sole in Ariete) sett'anni, che la buona opinione
che hai di mia famiglia ti sarà riconficcata in testa per la generosa
ospitalità che ne avrai. Ogni volta che il Sole ritorna in Ariete si conta
un anno. Quando il Sole va in una costellazione si dice poeticamente
ch'egli si ricorca in quel letto. Dante, come vedemmo nella nota 79,
era già in Lnnigiana nell'Ottobre 1306 venutovi da Padova non molto
prima; e cosi il vaticinio combina coli* avvenuto.
w Con maggior chiovi ecc. Con fotti e non solo con parole, cioè coi
fatti generosi, colle beneficenze de' miei nipoti e pronipoti verso di
te, che son assai più che le voci della fama onorevole alla mia fa-
miglia.
*i £> cor$o di giudicio eoe. Se non si arrestano gli ordini della prov-
videnza divina.
G ANTO 12
Argomento.
A due ore e mezza di notte il poeta a9 addormenta. Allo spuntar
dell'alba egli ha un sogno allusivo al fatto che gli succede. Mentre
dorme e sogna è preso e portato in su per via a Dante impossibile.
da una donna, che è S. Lucia, sino a poca distanza dalla porta del
Purgatorio. Ivi la donna lo depone dalle sue braccia, il sonno lo
lascia, e si risveglia che sono già oltre a due ore di Sole. Dante è
smarrito per vedersi in luogo diverso dalla valletta dove il sonno lo
colse, e Virgilio, che è solo al suo fianco, gli spiega tutto l'accaduto.
Rassicurato, fa a piedi il resto della roccia ormai praticabile, che
mena alla porta del Purgatorio. Si descrive questa e il portinaio,
che vuole le debite spiegazioni dai due arrivati, che finalmente si
lasciano avvicinare. Dante s'inginocchia davanti al portinaio e questi
colta punta della sua spada gli imprime sette P nella fronte. Indi
tratte due chiavi, apre ed entrano i poeti, i quali subito odono il
canto del Te Deum, e il suono che i1 accompagnava. .
ÌV4. Vedi tatti I casellini di qneslo Canto nella Taf. 1 ed abbi soU' occhio
la mia Tav. IV Purg.
L
a concubina di Titone antico '*
i La concubina eco. La mitologia narra che l'Aurora è moglie di
Titone. Non avendo la moglie chiesta a Giove coli* immortalità anche
la perpetua giovinezza dello sposo, egli invecchiò ; onde la dea Aurora
stanca di lai si prese a marito il giovane Ccfal^pice Titone antico
perchè invecchiato.
14
210 PURGATORIO
Già s'imbiancava al balzo d'oriente, f
Fuor delle braccia del suo dolce amico. *
Di gemme la sua fronte era lucente *
Poste in figura del freddo animale, *
* Già s'imbiancava ecc. T risono le età dell'Aurora, che abbiamo
veduto e notato nel II Cauto del Purg.. nota 6. bianca dapprima, poi
rosacea, finalmente gialla o rancia Qui si accenna alla prima età, anzi
al principio della prima età. cioè al principio dell'albi.
Al balzo d'oriente. Dov'è ques«o balzo? 1-a mitologia pegti abi-
tanti del nostro emisfero lo pose al Gan^e. Mi» noi col nostro poeta
non siamo già nel nostro emisfero, ma agli antipodi di Gerusalemme.
Come dunque il poeta ci parla come fosse nel nostro emisfero : Ri-
spondo: il poeta, che vuol farsi studiare, qui dice l'ora ebe correva per
noi al nostro emisfero (e vedremo in qual parte di esso) nel momento
che Currado al fine del Canto VI IL terminò di parlare, e poi dirà del-
l'ora che correva per lui in quel momen o medesimo. Ascoltiamolo
con pazienza, e intenderemo o^ui cosa con grande no -tra soddisfa-
zione. In tanto compiamo la spìegazion letterale.
3 Fuor delle braccia ecc. X«»n già fuor delie braccia di Titone già
da lei ripudiato per la sua vecchie .za. ma fuor delle braccia del suo
no vello sposo Cefalo. Si finge che l'Aurora dorma col suo sposo durante
la notte: alla prima luce del di eccola svincolarsi dalle braccia dello
eposo, saltar giù dal letto, e farsi vedere,
* 7>i gemme ecc. Come si dice che il Soie leva in una costellazione
del zodiaco per indicare il meie in cui si trova il So1?, così si dice
che l'Aurora leva anch'essa colla sua costolla^ou*. la quale se è im-
mediatamente prima di lei, si dice che form \ !e gemme d Ila sua fronte,
e ciò per esprimer la cosa più vaga e plebeamente che sia possible.
Quale dunque la costellazione che levava immediantemente e direi
al contatto dello spuntar dell'alba? La dirà nei due versi seguenti.
5 Poste in figura ecc. Poste in fig ara dei Pesci , che souo quel
fnddo animale (vivendo esso nell'acqua^ eh»? con la codi percuote
la gente, avendo il pesce una gran forza nella sua coda, come si può
vedere quand'esco è tratto in asciutto dove la sna codi basta a fargli
dare que* balzi, che appena darebbe un uomo dritto coi piedi. Que-
sta e non altra costeMazionc è qui indicata. ibi intese 7o Scorpione
errò d'aseai. I Pesci precedono di 2 ore la costellazione d'Ariete, nella
quale è il Sole, e qpindi vanno unite al principio dell'alba. an«i la
cleono precedere d'alcuni minuti, come vedremo, ragion per cui ai
CANTO IX . 211
Clie con la coda percuote la gente:
E la notte de' passi con che sale €
dice che sono nella sua fronte. Presto, c:oè dopo la spiegazione del»
l'altra terzina, diremo che ora intendeva il poeta con quest'alba fin
qui descritta, e qual luogo della terra egli intendeva, che allora go-
desse di quest'alba. Intant) pognamoci nella mente che in queste
due terzine non si parla del Purgatorio, ma di un altro luogo che
vedremo, dove faceva il principio dell'alba, mentre al Purgatorio fa-
covasi un'altra ora, cioè 2 *f-i di notte,
6 E la notte de' passi ecc. Noi camminiamo a forza di passi che
facciamo, e questi passi altro non sono che il levar de' piedi a vi-
cenda portandol^innanzi, descrìvendo un semicerchio schiacciato. Eb-
bene anche la notte poeticamente ed elegantemente parlando ha i
suoi passi come noi, e questi passi sono le ore Ma notate che la
notte sino alla sua metà ha passi di salita, e dopo la metà ha passi
di discesa presso poco come noi quando ci mettiamo a scavalcare un
monte da una radice all'altra, che sino alla sua cima facciamo passi
che salgono, e dalla cima in giù facciamo passi che discendono. Ora
i passi di salita della notte sono tutte le sue ore sino alla mezza-
notte, e i suoi passi di discesa sono tutte le ore sino al comincia-
mento dell'alba. Lasciamo questi ultimi passi, dei quali qui non si
parla, e ragioniamo solo dei primi che sono intesi dal poeta. Di questi
parlando egli dice, che sinora la noUe nel luogo ove eravamo, cioè
al Purgatorio, ave a fatto due passi e mezzo, cioè erano passate due
ore e mezza di notte. La mezza è indicata dal verso : E il terzo pia
chinava in giuso Vale, cioè avea fatto la prima metà del passo. Ma
intendiamoci bene con questa notte. La notte, secondo il giudizio di
Dante (comesi dimostra da quti verso del Canto XXXIV dell' in/.:
Ma la notte risurge, e ora mai ecc. quando eran finiti i crepuscoli)
non contasi dal tramonto del Sole, ma contasi dal termine dei cre-
puscoli, il quale addì 9 Ottobre, nostro giorno al Purgatorio, suc-
cede alle 7 pomeridiane. Solo da questo punto comincia la notte e
va sino all'alba del dì appresso ascendendo per u-ia metà e discen-
dendo per l'altra sua metà, come si farebbe girando per un semi-
cerchio verticale da un capo all' altro ; ma ricordiamoci che siamo
sempre nella metà ehe sale. Essendo dunque due ore e mezza, co-
minciandole però dalle 7, come abbiam detto, ecco che noi siamo alle
ore 9 e mezza pom. nel luogo ove siamo col poeta, cioò al Purga-
torio. Riepiloghiamo le nostre ore dal tramonto in poi. Tramon-
tava il Sole nel Canto VII verso la metà della rivista dei Principi
*!2 PURGATORIO
contemplali dal Indro, e quindi allora areramo oif 5.S5. Eraro le 5-55,
ossìa 30 minati dopo il tramonto (Canto VIH). quando l'anime detta
valletta cantarono l'inno di Compieta e discesero gli Angel'. Erano
le &S). cioè men'ora aranti il fine dei creposcolo. qiando i poeti,
Temendoci ornai troppo poco, diatewio nel fondo de9a valle rrammàv
■cbìandoaì aITan>xse e Tacendo tosto coawece uà del giudice Xmo.
L abboccamento eco Nino. l'usici «anone deBe tre stelle polari. l'aa-
mito del serpente e rabbocca aMnto con Cnrrado qui soio
ava «be si lancia credei* pia targo} ci portano a quest'ultimo
Ciò oosto cocce » ccmKsa l'ora defle nere e mena pom. eibe
ai buaso al Purgatorio col prìncipi* un'alba, par qui indicato? Si
combina cc*ì» ebe W cor? e n>»aza seno riferite al Purgatorio (mei
luco er>r*rtiv*;% * Talba è riferita a un altro luogo £1 Tene dal Pmr-
gateòo, conte deTe «aere. Ma q-xil è questo ?Taogn de£a
terra, ebe ba il pri^cir» deìTa-ba quando il Purgatorio
e mezza pooDerìd asa? CeTcròamolo. e per alatarà
d'orcèm a tirara ascrcnemùta in fine d*&i nota* Il Soie è
tramestato a! Parlatorio aue 5l25 reiSb neQa figura . Dui parto
di qnesto tramo* co aue ?3> in ce «ìa^x ra> passale ore 4.&V.
baiati rn-ii ^x^/ae arra percorse il SoGe dal tramonto in pai weso
CkruaairKme in -;aes» ore 4..Ó ? Fcrsesò* il S«4e 15
egfi in ere 1.06 arra percorso il grui: crescente Terse
Eccoti ueZa Sottra aJtzoavmJca il Scie in ■>! rraòe dal
Ora l'cnxirfrrj è *ì:tso in IiO gradi, dei qaaa W arcartene*
mi qnnùnA«e. E. S*:ò* ixauj* arra p»*rcorao ti cl quessi àv. Se ne
aieiaw p«xe*?e5o *? sur: bòv jrà a G<roat>mm*. csma oascerrbò* a
Gercmómm**. At-u.ì«;cu; ìnTwe percorso sciiti, mancano ancocm afta
del S;i< a Gerssaùannn* <ri*i£ t>. Wiiio a*rua Srim astro-
. v^xaiùe :re ime», rtara \w«ì 2S xt*Jì? A tosò* òen» ebe
2 Soie fii ?3 ^radi jer :ra.29 graòi anccr«r«òc«r: oc* I.j*. Dua-
«jmt a lWfr&sk«aiim! majKan» ore I Jn ili atucica iei 5v*e. qmmnV
al Pxrrap^no iìòuìobj «ir* ÌJ50 rvox V-fiì anenrt q-w»c^ ae&a a>
gara a^Crva»jauc^\ Ma ! >i :raa òfiLk xkseisa òzi Xiì«*. àbramn*?
^natfì 1 rrmeiuM iea' aJtnk. e -ied~ i^bu. a G<rsdaìevB:e. Dri» *i<£a?i
avtnci^to. 3«rv-ùtf finoiAtt l'ilba, av?:i:2* -?rf I ir) prau affli sa*
arina: s»rrhìì aeì rasilo Ji^faoo: iboiaaio l*f sia ir. ii iv-iaao sul
prausgte ÀJ'iiba. rrrai;t»» ?«?-.■:«: cvminci . i-ba i v^roba. Vanne s^n.
cano anc*^rt li m±nnri l < ;«.nùi I L'ok airi :vaiiat:uiS& a xn hxo*>:
mi «e ii ^rxaaùiaixut; *iof?. ;xmcj persia** ;^e»c li jiinatL Ma
cìi a^bik ^tzescu lutici k il m- ai .aUicir; io! pv<c&. Ma ^ c«mu
CANTO IX
213
dice ancora, che quest'alba era preceduta dai Pesci; ed appunto
quell'alba dovea esser preceduta da essi. Infatti voi vedete nella mia
Tav. VII, Purg.y che prima nascono i Pesci e poi nasco Ariete, in
cui è il Sole presentemente (IO Aprile). •
Un dubbio potrebbe restare in chi mi legga, e sarebbe quello
di credere che tramontando il Sole al Purgatorio, nasca subito per
Gerusalemme sua antipode. Il creder questo sarebbe credere un er-
rore. Se fosse cosi non avrebbe il Sole per tutta la terra che una
nascita sola ed un tramonto solo. Invece egli ha tante nascite e tanti
tramonti, quanti presso a poco sono i gradi della circonferenza. Non
è che astrattamente parlando, che tramontando il Sole ai nostri an-
tipodi si dice che nasce per noi; ma infatto egli non ci nasce che
molto più tardi, e prima nasce per tanti altri siti. Il caso che il Sole
appena tramontato da un emisfero nasca all'altro non può verificarsi
che pei quasi centricoìi, come abbiamo detto e provato noli' Appendice
alC. XXXI V dell' //i/. Pegli abitanti della superficie nasce gradata,
mente, ed è a questa nascita graduata, che bisogna aver l'occhio.
SUD
Purga torio
OVEST Trtm
EST
/
^
Geru»a|lcnirue
ore |.96 prim»|della nascita
Pesci
<*°
NORD
214 PURGATORIO
Fatti avea duo nel loco ov'eravamo,
E il terzo già chinava in giuso Tale;
10. Quand' io che meco avea di quel d'Adamo, T
Vinto dal sonno in su l'erba inchinai *
Là 've già tutti e cinque sedevamo. 9
Nell'ora che comincia i tristi lai 10
La rondinella presso alla mattina, u
Forse a memoria de" suoi primi guai,
E che la mente nostra pellegrina ia
7 Di quel d'Adamo. Di quel che porta la condixion umana discen-
dente da Adamo, cioè necessità di riposo.
8 Vinto dal sonno ecc. h\\ preso dal sonno alle nove e mina po-
meridiane, ossia dopo ore 4 .00 dal tramonto.
9 Là 'vd già ecc. Kello stesso fondo della valletta dove sedevano
tutti e cinritie, cioè Nino. Currado, Sordello. Virgilio e Dante.
*o NelVora che comincia ecc. Eccoci a un' altra alba. La prima
era Falba che Taceva a J gradi Est di Genibalemme nel momento che
al Purgatorio si contavano oro nove e inezia, e questa seconda ò
Falba del Purgatorio stesso. Dunque noi abbiamo qui oggimai ore
4.34. perchè l"«lba nel Purgatorio è quella dei IO Ottobre rispon-
dente alli 11 Api ile, che si ha a Gerusalemme, e Falba dei 10 Ot-
tobre avviene alle 4.34, .neutre Falba degli 11 Aprile avviene a Ge-
rusalemme alle 3.30. Stando dunque noi colFalba del Purgatorio ai
10 Ottobre, che avviene come dicemmo alle 4.34, ricaviamo che Dante
ha dormito il suo primo sonno dalie D.30 poni, del 9 Ottobre sino
alle 4.31 antim. del 10 detto, il che porta un tonno di ore 7.04.
** La rondinella ecc. Allude alla tavola di Progne figlia di Pan-
dioue re d'Atene e sorella di Filomela. Ella fu trasformata in una
rondine e Filomela in un ussignuolo, ed il figlio di Progne in un
fagiano. Ai primi albóri ogni uccello si desta e pigola.
*2 E che la mente nodi a ecc. Appena ci pogniamo a riposo, di mano
in mano che il corpo si dà al sonno, la meute si va come partendo
dal corpo, e quando il corpo è tutto preso dal sonno, allora la mente
è come sciolta e pellegrina da esso corpo. Questo stato dilla mente
è massimo presso al fine di un lungo ponno, quand' essa non solo
si è sciolta dalla carne, ma ha del tutto cancellato i pensieri di prima :
onde se in quell'ora avvieu ch'ella sogni, i sogni suoi si tengono
per veritieri, cioè veramente indicanti un qualche reale avvenimento,
CANTO IX 215
Più dalla carne, e men da' pensier presa,
Alle sue vision quasi è divina;
In sogno mi parea veder sospesa 13
20. Un'aquila nel ciel con penne d'oro,
Con Tale aperte, ed a calare intese:
Ed esser mi parea là dove foro u
Abbandonati i suoi da Ganimede, l5
Quando fu ratto al sommo concistoro. ltì
Tra me pensava : Forse questa fiede i7
per essere la sola mente che lavora senza ingombri che vengano dij
corpo. Dante stesso disse altra volta nelT/n/. C. XXVI : Ma se presso
al mattiti del ver si sogna. È questa per altro una teoria basata
sulle dottrine astrologiche del medio evo, che però fa un buon ser-
vizio in poesia, come vedrassi.
** In sogno mi purea ecc. Sognavasi di un fatto (poco importa se mi-
tologico) il quale veramente avea somiglianza con quel fatto che succe-
deva in quell'istante a sé stesso Egli sognava d'esser su un monte,
e infatti v'era: sognava d'esser presso alla cima, e infatti v'era; so-
gnava che calasse a lui un'aquila dal cielo, e infatti veniva dal cielo per
lui S. Lucia ; sognava d'esser trasportato hi alto, e infatti era a braccia
portato in su dalla santa. Il tutto è indicato con quelle idee esagerate
che comunemente sono frutto di sogni. Anche nel C. XXXI li dell'////.
un sogno indica ad Ugolino la morte di sé e de' suoi figliuoli.
**Là dove foro. Sul monte Ida.
43 Abbandonati i suoi ecc. La favola è la seguente. Ganimede fi-
glio di Troo re di Troja era il più bel giovane del mondo. Giove
ne fu invaghito, e fattosi in aquila lo rapi mentre stava co' suoi
sul monte Ida, e lo fece suo coppiere in luogo di Ebe.
16 Al sommo concistoro. Al consesso dei Numi.
*7 Forse questa fiede — Pur qui per uso. Forse quest'aquila o svo-
lazza qui per solo suo uso ed esercizio di volo, o svolazza qui per
rapire al cielo la gente, sdegnando di prenderla altronde che qui.
Anche in questo ghiribizzo di pensieri v' ha la sua allusione al fatto
vero, che in tanto succedeva in Dante, sopra il quale volava S. Lu-
cia, come durassi^ sia per suo uso di volar qui dove sono i suoi figli,
sia perchè sdegna di prender le anime da altro luogo chu dal santo
suo monte per portarle al Purgatorio.
216 PURGATORIO
Pur qui per uso, e forse d'altro loco
Disdegna di portarne suso in piede. ,s
Poi mi parea che, più rotata un poco, <9
Terribil come folgor discendesse,
so. E me rapisse suso infino al foco. *°
Ivi pareva ch'ella, ed io ardesse ; 2f
E sì F incendio immaginato cosse, **
Che convenne che il sonno si rompesse.
Non altrimente Achille si riscosse, "
18 In piede. Ne' suoi artigli. Dice piede e non artigli, perchè qoe-
st' aquila indica una santa.
*9 Che più rotata un poco — Terribil come ecc. £ il fere degli oc»
celli di rapina, che scendendo alla caccia di preda, fanno prima ai-
cani roteameli ti quasi per adocchiar meglio la preda, e poi piom-
bano rapidi e chiusi su di lei , e la ghermiscono portandola in sa.
20 In fino al foco. Alla sfera del foco. Sovrapposta alle tre regioni
d'aria insegnate dagli antichi, aria terrestre, aria delle nubi, aria
purissima, e sopra, la regione del foco, dove uomo mortale non po-
trebbe vivere, ma dovrebbe abbruciarsi. Anche questo sollevamento
(ino alla regione del foco ha la sua allusione, allude cioè a quel fòco
divino, che dicesi carità, da cui un' anima è tutta compresa quando
si presenti alla porta del Purgatorio, alla quale il poeta stava per
essere trasportato.
?i Ivi pareva ch'ella ecc. Anche questa fantasia è allusiva al vero
avvenimento che succedeva a lui ed a S. Lucia presso la porta de!
Purgatorio, ardendo l'uno e l'altra di carità divina, o di divin go-
dimento, essendo che la Chiesa rappresentata da Lucia gode in tras-
portare al Purgatorio un suo fedele, e Dante, che è questo fedele,
gode anch'egli immensamente dell'esservi trasportato.
w E sì l'incendio ecc. E la solita catastrofe o fine dei sogni
portentosi, nei. quali il sonno continua finché la fantasia passando
d'avvenimento in avvenimento finge a noi finalmente p rea* piti, ca-
dute, od altro cose di simil fatta ; e allora il sonno si rompe, e ci
lascia in uno stato di turbamento.
2a Non altrimenti Achille ecc. Il fatto a cui allude è il seguente:
Te ti madre di Achille, perchè il suo figlio non andasse coi greci alla
guerra di Troja. lo vesti da donna, e togliendolo al suo aio, Chirone,
lo portò, mentre dormiva, alla corto del re Licoinede in Schiro, perchè
0
CANTO IX 217
Gli occhi svegliati rivolgendo in giro,
E' non sapendo là dove si fosse,
Quando la madre da Ohirone a Schiro
Trafugò lui dormendo in le sue braccia, fl
Là onde poi li Greci il dipartirò; **
40. Che mi scosa' io, sì come dalla faccia
Mi fuggì '1 sonno, e diventai smorto, 96
Come fa Tuoni che spaventato agghiaccia.
Da lato m'era solo il mio Conforto, ^
E il sole er' alto già più di due ore, s8
ti facesse vita tra le femmine, creduto femmina. Di questo fatto
(mitologico certamente) sì coglie il punto della sorpresa e dello smar-
rimento a che si diede Achille, quando nello svegliarsi non si trovò
più né dove era prima, cioè a casa sua presso la madre, né tampoco
quel di prima; onde i suoi sguardi esterrefatti e la sua confusione.
2* Trafugò lui dormendo ecc. E precisamente il fatto successo a
Dante in quell'ora, essendo anch' egli, dormendo, trasportato in braccio
a sua madre, la Chiesa, significata per Lucia, in luogo diverso da
quello ove fu colto dal sonno, come presto vedremo.
2* Là onde poi li Greci ecc. Ulisse e Diomede.
26 Diventai smorto ecc. Sempre tali novità producono questi smar-
rimenti. ♦
27 H mio Conforto. Virgilio.
2ft E il sol er'alto ecc. Intendi al Purgatorio. Il sole leva addi 11
Aprile, volto però in 10 Ottobre per esser noi al Purgatorio, alle ore 6.14
circa. Aggiungendo a queste due ore almeno, abbiamo le ore 8.14,
ora nella quale si trova Dante allo svegliarsi. Ma abbiamo veduto
di sopra, nota 8, eh' egli si pose a dormire alle 9.30 della notte in-
nanzi. Dunque egli ha dormito ore 10.44, delle quali sole 7.04 ap-
partengono a sonno naturale, e le altre &40 a sonno soprannaturale.
Cosi é tolta la maraviglia che potrebbero fare alcuni per una dor-
mita si lunga di ore 10.44, e la si riduce ad un termine comune
di ore 7.04.
Ma perché Dante si fa porre un sonno soprannaturale di ore 3.40?
Rispondo: Perché sopra la cinta delle vallette vi aveva un
precinto di roccia al tutto impraticabile ad uom mortale pel tratto
di uu miglio d'altezza, come si può vedere dal mio diseguo della
218 PURGATORIO
E il viso m'era alla marina torto. 29
Non aver tema, disse il mio signore:
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto:
Non stringer ma rallarga ogni vigore.
Tu se' ornai al Purgatorio giunto : *°
50.- Vedi là'l balzo, che '1 chiude d'intorno: M
montagna, Tav. II, Purg., sopra le vallette, che sono a miglia 91 di
altezza. Già altre volte Dante fa fatto dormire per essere traspor-
tato; inf-t C. Ili, verso 136. Inoltre in quel sonno e sogno sopran-
naturale fatto in braccio di S. Lucia, ossia della Chiesa cattolica,
Dante dovea, secondo che indicava il eogno stesso, diventare altro
uomo da quel di prima, ed accendersi tutto di sentimenti reli-
giosi, quali si con veni ano ad un'anima che ha da entrare nel Pur-
gatorio.
Onde lo starsi tanto tra quelle braccia caritatevoli era per Dante
presso poco come quel sonno che fé' S. Giovanni sul petto del Re-
dentore: e come Giovanni attinse da Gesù Cristo quell'ardore si
acceso di carità; cosi Dante per quel lungo abbracciamento in cut
rimase assopito in grembo a S. Lucia, attinse tutte le disposizioni
necessarie per esser ammesso al Purgatorio. A meglio ricordarci quos-o
fatto, nel Disegno della Montagna, Tav. II, chiameremo Cinghio di
S. Lucia, il Cinghio sopra le vallette. E inutile poi dire che ora siamo
passati dalla Domenica di Pasqua ai Ifcinedì susseguente. Vedi Ta-
vola I, Purg.
M E il viso m'era alla marina torto. Guardava sotto alla marina,
che bagnava le radici della montagna per veder a qual altezza smi-
surata egli fosse ornai giunto: era all'altezza di 92 miglia dal livello
del mare ( Vedi Tav. II ) e tanta altezza gli producca il capogiro e
l'apprensione ; ed è tra per la novità e tra per questo che Virgilio gli
soggiunse tosto: Non aver Urna ecc. Fatti sicur ecc. Non stringer ecc.
80 Tu se% ornai ecc. Dopo tanto di Purgatorio percorso (91 miglio
di altezza ed un altro adesso) sentirsi dire, ch'era ornai al Purgatorio
giunto, la dovea esser cosa di grande maraviglia per Dante.
81 Vedi là 7 balzo ecc. Questo balzo era una gran fascia di vivo
macigno, come le alte mura che cingono una città , la qual fascia
posava sopra l'estremità di quella roccia impraticabile che sì sten-
deva dui di sopra delle vallette fili colassù, osaiu posava sul Cinghio
di S. Lucia. Vedi il mio Disegno dalla Montagna, Tav. II.
CANTO IX 219
Vedi l'entrata là 've par disgiunto. 8*
Dianzi nell'alba, che precede al giorno, 33
Quando l'anima tua dentro dormia 34
Sopra li fiori, onde laggiù è adorno, 35
Venne una donna, e disse : I' son Lucia ; 36
Lasciatemi pigliar costui che dorme;
Sì l'agevolerò per la Bua via. Z1
Sordel rimase, e l'altre gentil forme : 3S
Ella ti tolse, e come il dì fu chiaro, 39
60. Sen venne suso, ed io per le sue orme.
**'Ve par disgiunto. Ove apparisce il balzo disgiunto, o diviso
colai che si vede esservi un'entrata.
** Nell'alba ecc. Cioè alle ore 4.34 antim. di quel medesimo giorno.
Vedi n. 10.
34 Quando l'anima tua ecc. Qnando dorme il corpo, le potenze
dell'anima -restano inerti, onde si dice che dormono anch'esse, o che
l'anima dorme entro del corpo.
83 Sopra li fiori ecc. Nella valletta dei prìncipi tutta fiori ed erb«\
86 V son Lucia. Ossia la rappresentante della Chiesa cattolica con. e
sempre fu detto dal principio. Alla Chiesa cattolica toccava dispone
Dante ancor vivo all' ingresso del Purgatorio e di portar velo. Invece
per le vere anima purganti, Dio si vale del miuistero di un angelo,
che viene a prenderle, non però a portarle.
M Si r agevolerò ecc. Cosi ({li faciliterò la via sua, che è via di
purgazione entro al Purgatorio. £ che cosa fece Lucia affiue di
agevolar Dante per la sua via ? Due cose che si dicono nell'altra ter-
zina, e che sono disposizioni a degnamente entrare al Purgatorio,
le quali non era da Virgilio né il darle, né l'indicarle.
38 Sordel rimase e l'altre ecc. Perchè non avevano aucora passato
fuori del Purgatorio tanto di tempo, quanto avevano in vita pro-
crastinato la loro conversione. — Forme. Anime.
w Ella ti tolse, e come ecc. Questo e l'altro verso che segue in-
dicano chiaramente due cose: l. Che S. Lucia durante tutta l'au-
rora tenne Dante nelle suo braccia sino alla nascita del sole, cioè
dalle 4.34, sino alle 6.14, vale a due per ore 1.40, pel qual tratto
di tempo S. Lucia, ossia la Chiesa, gli comunicò la pienezza del t>uo
spirito di fervore e di penitenza ; 2. Che S. Lucia solo al levar dol
220 PURGATORIO
Qui ti posò : e pria mi dimostrare» i0
Gli occhi suoi belli quell'entrata aperta; 4f
Poi ella e il sonno ad una se n andare At
A guisa d'uom che in dubbio si raccerta, a
E che muti in conforto sua paura,
Poi che la verità gli è discoverta,
Mi cambia9 io : e come senza cura 4I
Videmi il duca mio, su per lo balzo 45
Si mosse, ed io diretro in ver l'altura.
70. Lettor, tu vedi ben coni7 io innalzo *
sole, ossìa Mie 6.14 si mosse con Dante in braccio por dormiente
e sognante, e lo portò sa per un miglio di strada impraticabile ad
uomo aucor mortale, deponendolo a poca distanza della porta del
Purgatorio, impiegando in questo trasporto, dalla nascita sino alle
ore 2 di sole, cioè dalle 6.14 antim. sino alle ore 8.14 pure antim.
Due ore per un miglio di roccia! Dunque la roccia dovea essere ben
ardua, se ci vollero due ore di salita. Questo precinto impossibile
ad esser salito da pie mortale è ben degno riparo a luogo sì santo.
*° Qui ti posò. A questa poca distanza dalla Porta del Purgatorio.
*l Quell'entrata aperta. Pareva aperta, ma era chiusa a porta,
la quale però non si potea discernere nel luogo ov' erano i poeti.
** Poi ella e il sonno ecc. Tanto è vero ebe il sonno fu sopran-
naturale, cioè operato da S. Lucia pe' suoi soprannaturali intendi-
menti, che appena partita lei (che ornai aveva ben disposto il suo
fedele^ parti anche il sonno.
** Che indubbio si raccerta ecc. Le assicurazioni di Virgilio che
la cosa era cosi, come la disse, confrontate e combinate col sogno
allusivo al caso che gli era successo, lo appagarono e si serenò.
** &fisa cura. Senza tema.
**S* per lo balzo. Non per Io b:\lzo che chiudeva d'intorno il
Purgatorio (n. 3U ma pel resto di balzo che fece S. Lucia portandolo
su; balzo impraticabile sino alle vicinanze del Purgatorio; da quel
punto sino all' entrata dot Purgatorio eri praticabile anche da Dante,
e per questo lo depone S. Lucia, allineilo egli facesse da se quello
che fare poteva
4» Con io inaa«=o — La mia materia ecc. Com'ìo ìunnalso il mìo
tenia, il mio argomento, il mio soziretto. Il so .inetto è Dante stesso
CANTO EX 221
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliar a' io la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
Che là, dove pareami in prima un rotto, i7
Pur come un fesso, che muro diparte,
Vidi una porta, e tre gradi di sotto, 48
Per gire ad essa, di color diversi,
Ed un portier che ancor non facea motto. 49
E com% l'occhio più e più v'apersi, !0
che per essere disposto ad entrar degnamente nel Purgai ororio fu
come spiritualizzato da S. Lucia. Di che Dante chiede scusa al let-
tore se lavora la sua materia con più arte, così chiedendolo la subii-
miti del soggetto. Infatti noi abbiam veduto quanto studio ci ha voluto
per penetrare gli altissimi sensi del sogno misterioso; ed abbiamo tro-
vato quelle allusioni giustissime dell'aquila a S. Lucia. Ma il poeta con
questa ammonizione ci vuol preparare ad altre simili allusioni sublimi
e spirituaiissime, che verranno in questo medesimo Canto IX.
*7 In prima un rotto. Una rottura , o spaccatura di muro , che
di sopra Virgilio avea accennato con quei verso: Vedi l'entrata
là 've par disgiunto. Noi distinguiamo gli oggetti mano mano cho
ad essi ci avviciniamo. Cosi, se ci ricorda, abbiam veduto dell'an-
gelo conduttore dell'anime al Purgatorio, C. 11, v. 16.
l* Vidi una porta, e tre gradi ecc. Presto vedremo che cosa sia
questa porta e queati tre gradini. Intanto diciamo che questa è quella
porta a cui fu accennato nelTJti/., C. I,v. 131, colla quale si voleva
dire tutto il Purgatorio, essendo questa porta in mezzo tra l'Atrio
ed il vero Purgatorio.
49 Ed un portier ecc. Lo dice portiere semplicemente, perchè- lo
vedea alla porta; ma egli ancora non sa chi sia. Questo portiere
tacca e lasciava che intanto venissero più avanti i poeti, e stava
a vedere se avevano la debita guida, ossia l'angelo presentatore.
Perchè dunque la Santa non presentò i poeti fin sulla porta, ma li
lasciò a certa distanza da essa? Perchè il resto lo poteano fare da
sé medesimi. E perchè l'angelo portinaio non sapea queste partico-
larità? Perchè Dio manifesta agli angeli, che manda ad eseguire i
suoi ordini, quel che crede che sappiano e nulla più.
$0 E come l'occhio ecc. Vuol dire che si appressava ognor più, e
quindi lo discernea più di prima.
2» PURGATORIO
80. Vidil seder sovra il grado soprano, 5t
Tal nella faccia ch'io non lo soffersi: M
Ed una spada nuda aveva in mano S8
Che rifletteva i raggi sì ver noi, *4
Oh' io dirizzava spesso il viso invano.
Di tei costinci : Che volete voi ? w
Cominciò egli a dire: ov'è la scorta? w
Guardate che ;1 venir su non vi nói. 87
Donna del ciel di queste cose accorta, M
Rispose il mio Maestro a lui, pur dianzi
oo. Ne disse : Andate là, quivi è la porta.
Ed ella i passi vostri in bene avanzi, w
Ricominciò il. cortese portinaio:
Venite dunque a1 nostri gradi innanzi.
** Vidil seder sovra il grado aoprano. Avca detto prima, che i
gradi erano tre. Tenendo le sue piante sul più alto di questi tre
(come vedremo) e sedendo sopra la soglia superiore della porta, il
portinaio veniva a trovarsi sopra il grado soprano, e Dante lo ve-
deva al di sopra di questo terzo grado, seduto quindi sulla soglia.
m Tal nella faccia ecc. Luminosissimo. Quanti ne vedremo pel Pur-
gatorio tutti saranno tali. Gli angeli buoni si dicono di luce, come
li cattivi di tenebre.
w Ed una spada nuda ecc. Presto vedremo che sia ed a qual
uso serva.
M Che rifletteva ecc. Quindi di tempera finissima e lucidissima.
** Di tei costinci: Che ecc. Fa loro questa dimanda, perche già co-
nobbe *che non erano anime purganti e non avevano seco il solito
angelo a presentarli. Un angelo guidava le anime da Roma alle
ppiaggie del Purgatorio ; ed un angelo le dovea presentare alla porta
d' ingresso.
w Ov'k la scorta t L'angelo presentatore.
97 Guardate ecc. Se voi non siete da questo luogo, voi capiterete
male sotto la mia spada.
*& Donna del ciel ecc. S. Lucia che sa quel che va fatto.
** Ed ella i pastti vostri ecc. Ed ella prosperi il vostro ulterior cam-
mino, che n'ha diritto, per esser vostra madre. Lucia e la Chiesa.
CANTO IX 223
Là ne venimmo; e lo scaglion prunaio fl0
Bianco marmo era sì pulito e terso,
Ch' io mi specchiava in esso qual' i' paio.
Era il secondo tinto più che perso 6!
D una petrina ruvida, ed arsiccia,
Crepata per lo lungo, e per traverso.
ioo. Lo terzo, che di sopra sTammassiccia, M
Porfido mi parea sì fiammeggiante,
Come sangue che fuor di vena spiccia.
Sopra questo teneva ambo le piante 6S
L'angel di Dio, sedendo in su la soglia,
Che mi sembrava pietra di diamante.
*° Lo scaglion primaio — Bianco marmo ecc. Siccome la porta
d'ingresso rappresenti il sacramento della Confessione, cosi i tre
gradi che vanno ad essa rappresentano le disposizioni al detto Sa-
cramento.
Il primo è la candida sincerità della accusa dei proprii peccati,
la quale è molto bene significata nella bianchezza del marmo, e nella
sua lucidezza da rendere la imagine come lo specchio.
6* Era il secondo. Il secondo gradino aveva le seguenti qualità:
1. Il colore era più cupo del perso ; dunque tendente al nero, come sono
le pietre vulcaniche. 2. La materia era pietra non pulita e non lucida,
ma greggia e come cotta dal fuoco. 3. Screpolata per tutti i versi.
Questo secondo grado indica il dolore che spezza il cuore del
peccatore e lo fa vivere da penitente.
6* Lo terzo, che di sopra ecc . Il terzo è di porfido, pietra durissima
e venata di vivo sangue.
Questo terzo grado indica l'amor di Dio che in un penitente
dee essere costante e caldo.
63 Sopra questo teneva ecc. Lfa ngel di Dio (che ornai si dice tale
perchè tale si è conosciuto, dopo un maggior avvicinamento) tenendo
i piò sul porfido (terzo gradino) sedeva sul diamante ( Foglia) indi-
cando cosi le due doti precipue del sacerdote che riceve la confes-
sione, cioè carità e fermezza. Siccome poi il diamante è preziosissimo,
così sedendo l'angelo su questo, si volle indicare pure la preziosità
del Tribunale di penitenza.
«21 PURGATORIO
Per li tre gradi su di buona voglia a
Mi trasse il duca mio, dicendo : Chiedi G*
Umilemente che'l serrarne scioglia.
Di voto mi gettai a' santi piedi: 66
no. Misericordia chiesi, e eh' ei m'aprisse ;
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
Sette P nella fronte mi descrisse 67
*t Per li tre gradi su ecc. Mi tratte il duca mio. Virgilio non
traggo su Dante pei tre gradi conoscendo il vero significato di essi
<»hè la ragione a tanto non giunge. Egli fa tutto, ciò materialmente,
ma Dante che dal grembo di S. Lucia fu agevolato per la sua via ,
conosce che voglion dire quei tre gradi, e li fa da vero penitente,
mentre Virgilio li fa per quella umana riverenza che anche la ra-
gione ispira verso i rappresentanti di Dio.
65 Dicendo : Chiedi — Umilemente che ecc. Virgilio che non co-
nosce i misteri di questa azione, va riciso al suo fine che gl'insegna
Ragione, e suggerisce senz'altro un' umil dimanda d'entrare. Buona
anche questa ; ma Dante che conosce il tutto la eseguisce da vero
tjattolico, e da vero penitente, come vedrassi nella terzina, che segue.
66 Divoto mi gettai ecc. Eccoci al punto della Confessione pasquale
che Dante fa nel lunedi dopo la Domenica di Risurrezione, intorno
alle 9 antim. all'angelo rappresentante il sacerdote confessore. La
umiltà dell'accusa dei peccati è indicata da questo verso: Divoto
mi gettai a* santi piedi. L'atto di contrizione che è costume di fare
dopo l'accusa è indicato in qielle parole : Misericordia chiesi. Se-
guono tosto tre picchiatore di petto per confermare coli' opera quello
che dichiararono le parole e ciò è epresso nel verso : Afa pria nel
petto tre fiate mi diedi. Da ultimo il penitente chiude tutti i suoi
atti col dimandare umilmente l'assoluzione, e questo è nelle parole :
e ch'ei m'aprisse. Questo è l'ordine che secondo la pratica della Chiesa
tengo» i tuttavia i penitenti quando si confessano, e questo sarebbe
ottima cosa introdurlo dove non esistesse, o dove comandar del
tempo si venne alterando. I tirolesi lo conservano precisamente.
67 Sette P nella fronte ecc. Dopo la fatta confessione e gli atti
relativi, l'angelo confessore dee dare Ih penitenza sacramentale al ben
confessato ,. e gliela impone nella presente terzina, e la penitenza si
è di dargli sette colpi di punta di spada nella fronte, descrivendogli
sette /', che indicano i sette Peccati capitali, dai quali deriva ogni
CANTO IX. 225
Col punton della spada, e : Fa che lavi,
Quando se' dentro, queste piaghe, disse.
Cenere o terra, che secca si cavi, **
D'un color fora col suo vestimento,
E di sotto da quel trasse due chiavi. ••
mancanza nelle nostre azioni, e d'imporgli che faccia sette stazioni
di penitenza, una stazione per ciascun peccato, mediante la quale si
Tiene a cancellare, oltre la colpa rimessa, anche la pena corrispon-
dente; e cosi ad ogni stazione vedremo sparire un P dalla fronte.
68 Cenere e terra ecc. Il color della veste dell'Angelo era quello della
cenere o della terra secca cavata, per esempio, da una fornace. Questo
color è il grigio o bigio. Un tal colore è colore di penitenza, quindi si
confi molto al sacramento di penitenza che qui si compie. Ma c'è anche
una ragion speciale per vestir questo confessore di panni bigi; ed è
che i frati Francescani, al cui terz'ordine apparteneva Dante, anda-
vano da principio vestiti di panni bigi (Vedi Rohrbacher, lib. 7 1 , p. 308 e
lib. 72,p. 7 10; Mila no, do ve si racconta l'aneddoto che diamo in fine della
nota). E siccome i frati Francescani specialmente, ed in generale il clero
regolare, erauo quelli che più e meglio del clero secolare esercitavansi
a quei tempi nel pubblico ministero ecclesiastico, e nella cura delle
anime; perciò il confessore di Dante qui al Purgatorio lo si veste
di abito francescano. Notate però che tra i Francescani presenti non
trovate è vero gli abiti di questo colore, perchè gli hanno alterati da
più secoli, anzi gli alterarono in men di un secolo dopo la istituzione
di S. Francesco; ma intorno al 1300, i riformatori dell'ordine (tra
i quali Giacopone da Todi) ripigliarono l'abito antico, e l'antica po-
vertà, staccandosi dagli altri che vollero ritenere gli abiti più agiati,
in un ai privilegi di possedere, ed ai sontuosi conventi, detti perciò
quest'ultimi Conventuali ; e questa fu la prima riforma dei France-
scani avvenuta ai tempi di Dante, alla qual riforma egli apparteneva.
Aneddoto. * Amava a. Francesco d'Assisi le allodole. Compiace-
vasi notare nelle loro piume il color grigio e cinericcio, che avea scelto
pel suo Ordine, affinchè si pensasse spesso alla morte, alla cenere del
sepolcro. Mostrando a' suoi discepoli l'allodola, che s'innalzava nell'aere
cantando, dopo aver preso in terra alcuni grani: Vedete, diceva con
gioia, elleno e' insegnano a ringraziare il comun padre, che ci dà il
nutrimento, a non mangiare che per la sua gloria, a disprezzar la terra
ed a levarci al cielo, dove esser deve la nostra conversazione. »
69 E di $otto da ecc. I Francescani hanno in petto una saccoccia
grande. A questa allude qui il poeta.
15
22C PURGATORIO
L'una era d'oro, e l'altra era d'argento : 70
Pria con la bianca, e poscia con la gialla 71
120. Fece alla porta sì eh' io fui contento. 7*
Quandunque l'una d'este chiavi falla, n
Che non si volga dritta per la toppa,
70 Vuna era d'oro* ecc. Quella d'oro è l'autorità di assolvere, quella
d'argento è la dottrina necessaria per giudicare se si o no si debba
assolvere. Imperocclrè il tribunale di penitenza è un vero giudizio.
Ora nei giudizi si richiede: 1. Autorità giudiziaria; 2. Dottrina per
usare rettamente di questa autorità giudiziaria, istituendo processi
atti a formare retti giudizi sulle colpe. La prima è d'oro, perchè ò
tutta divina, la seconda è d'argento, perchè acquistata con l'arte.
7' Pria con la bianca ecc. Prima colla scienza istituì processo e
ragionamento sulle colpe udite e sulle disposizioni del confitente, il
che importa arte od ingegno, e trovando che tutto era in piena re*
gola, emanò la sentenza di assoluzione usando della gialla.
73 Fece alla porta A ecc. Con queste due chiavi, scienza prima,
ed autorità poi, apri la porta, ossia diede l'assoluzione, la quale non
è altro che un aprire la porta per cui si va al Ciclo: non la porta,
notisi bene, che mette subito subito in Cielo : perchè anche dopo
l'assoluzione sacramentale, rimane lo sconto della penitenza, che si
ha da fare oltre la porta, come abbiam detto prima nella nota 66.
Si notino finalmente queste parole : eh' io fui contento, che conten-
gono due sentenze in una; perciocché indicano 1. che la porta con
quelle due chiavi fu aperta, ossia che l'assoluzione fu impartita;
2. che questo avvenimento ha portato per conseguenza la contentezza
nell'anima del penitente, come sempre avviene in si fatti incontri.
Compita cosi la confessione dal suo primo atto sino all'ultimo, imma-
gina il poeta assai opportunamente una soda istruzioncella sulle due
chiavi del giudizio sacramentale di penitenza nelle terzine seguenti.
Intanto che cosa credete voi intendesse Virgilio di tutto questo?
Niente, proprio niente. Ed è per questo ch'egli sta là muto, muto.
La ragione è vinta dalla rivelazione.
78 Quandunque l'una d'este ecc. Ogni qualvolta nel sacro mini-
stro di penitenza c'è difetto, odi dottrina, per cui si creda di assol-
vere chi non è degno, o di autorità, non ci può essere assoluzione
che tenga. D trattato della Penitenza, vuoi nella teoria, vuoi nella
pratica, è qui completo. £ tutto questo espresso poeticamente. Che
forza d'ingegno e di fantasia non ci voleva!
CANTO IX. 227
Diss'egli a noi, non s'apre questa calla.
Più cara è V una ; ma l'altra vuol troppa 7i
D'arte e d'ingegno avanti che disserri,
Perch'ella è quella che il nodo disgroppa.
Da Pier le teguo ; e dissemi eh' io erri 7*
74 Più cara è Vana, ma V altra ecc. Quella d'oro, ossia l'autorità
di assolvere è più cara, o più preziosa di quella di argento, ossia
della dottrina, perchè quella è' increata, questa è creata, ed è più
difficile della prima; perchè importa vastissimi e profondissimi studi
per conoscere quando si debba dare e quando negare l'assoluzione :
e perciò essa è quella che disgroppa il nodo, il quale consiste appunto
nel sapere chi sia o non sia degno d'assoluzione. Conosciuto questo»
è facile esercitare l'autorità di assolvere.
7* Da Pier le tigno. San Pietro, qual capo della Chiesa universa,
le tenne o ricevette da Gesù Cristo : Tìhi dabo clave* regni coelo-
rum: quodeumque ligaveri* $uper terram, erit ligatum in coeli*,
et quodeumque solverti super terram erit solutum et in coelis (san
Mai. 16, 19); e da san Pietro le ricevono tutti gli altri ministri della
Chiesa, che vivono in comunicazione con san Pietro, ossia il romano
Pontefice, che è lo stesso, perchè ogni romano Pontefice è successor
di san Pietro, erede per conseguenza di tutti i suoi poteri. Questo
angelo poi, che rappresenta il sacerdote confessore, o il vescovo di
tutte le anime che vogliono entrare nel Purgatorio, e pel Purgatorio
in cielo, anch' egli come qualunque altro le ricevette da Pietro. Ecco
intanto la famosa porta di san Pietro, accennata in fine del Canto II
dell'Inferno, e la quale Dante allora tanto desiderò di vedere. Questa
è porta sua 1. perchè non entra per essa se non chi è suo figlio di-
voto ; 2. perchè è custodita da un suo rappresentante ; 3. perchè a
questa porta si esercita quel ministero, il quale fu dato a san Pietro
e per san Pietro agli altri. Dopo questo s'intenderà meglio la rappre-
sentanza che noi abbiamo dato a santa Lucia per simbolo della Chiesa
cattolica, legandosi intimamente insieme, anzi non essendo possibile
di disgiungere questi due soggetti, Chiesa cattolica e san Pietro.
E dis$emi eh* io erri — Anzi ad aprir ecc. Dissemi essere
meglio ch'io ecceda in clemenza che in rigore, purché la gente
venga -a confessarsi. E bellissimo poi il vedere che tutto questo
discorsetto sulle chiavi di san Pietro, l'angelo lo fa mentre volgea
l'una e l'altra per la toppa, come appunto fanno i veri portinai,
che mentre aprono danno a chi entra le loro avvertenze.
S26 PURGATORIO
Anzi ad aprir, ch'a tenerla serrata,
Pur che la gente a' piedi mi s'atterri.
130. Poi pinse l'uscio alla porta sacrata, 7*
Dicendo : Intrate ; ma facciovi accorti, **
Che di fuor torna chi indietro si guata.
E quando fur ne' cardini distorti 78
Gli spigoli di quella regge sacra, w
Che di metallo son sonanti, e forti,
™ Poi pin$e l'uscio ecc. Poi diede una spinta all'ascio della
porta, facendola cosi spalancar tanto che vi passassero i poeti. Che
bella simplicità di natura non è anche questa!
77 Dicendo: Intrate; ma facciovi accorti ecc. Cosi tutta la Con*
fessione termina con un ricordo utilissimo del Confessore, come è
costume di fare, perchè non si abbia più a ritornar a peccare. Il
ricordo è: Che di fuor torna chi indietro ai guata, il quale av-
viso è precisamente quello che dà sempre il Confessore dopo le
parole dell'assoluzione, che si trovano nel Rituale romano, e sono le
seguenti: Vade in pacey et noli ampliua peccare, che è la usata rac-
comandazione che faceva Gesù Cristo medesimo a quelli che per-
donava.
Cou ciò si e dato l'ultimo perfezionamento alla Confessione pa-
squale. Dante, che qui ce la espone in poesia, si sa che ancor la
eseguiva realmente da quel buon cristiano che era. Chi dunque am-
mira Dante (e chi non l'ammira?) dovrebbe anche farai imitatore
de' suoi sentimenti religiosi; e ben potrebbe rispondersi agli scre-
denti, che ci sbendassero per le pratiche religiose: Io faccio quello
che m' insegnò e che fece Dante, che certo non era un pregiudicato.
Dalla presentazione all'angelo sino a questa entrata corse un'ora:
lo si ricava dall'orario che segue, C. X, n. 9.
78 E quando fur ne* cardini ecc. Li portoni di gran mole invece
di essere sostenuti da portatori immaschiati nei gangheri, sono sos-
tenuti da punzoni, ossia fusti di ferro perpendicolari, ed attaccati
alle due estremità della porta in alto, e in basso. Il punzone di sotto
entra in una nicchia in terra, ed il punzone di sopra entra in un
grosso anello di ferro. Cosi le imposte, aprendosi la porta, si girano
più mcilmcntc. Tale era la porta del Purgatorio.
Cardini. La nicchia di sotto e l'anellone di sopra.
79 Gli spigoli. I punzoni già detti. — Regge* Porta.
CANTO IX. 229
Non raggio sì, uè ai mostrò sì aera 80
Tarpeia, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra.
lo mi rivolsi attento al primo tuono, 8I
140. E, Te Deum laudarrtus, mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.
Tale imagine appunto mi rendea
Ciò eh' i' udiva, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea :
Ch'or sì or no s' intendon le parole.
SO Non raggio sì ecc. I ferri delle gran porte, che si aprono sol
di rado, quando- viene la volta di aprirle, per là ruggine a lungo
andar contratta, stridono con un suono acre. Cosi dice il poeta,
che strìdesse la porta Tarpeia, entro cui si custodiva l'erario ro-
mano e lo si serbava ai grandi bisogni dello Stato, quando volen-
dosene Cesare impadronire, e fatto cessare Metello, che vi si opponeva,
finalmente fu aperta e rubato l'erario. Ma la porta del Purgatorio
ruggì, e si mostrò più aera ancora della Tarpeia. Dunque era gran
tempo che nessuno entrava al Purgatorio. Ecco il pauci intrant
per eam del Vangelo.
Notate bene questo passo, da cui si ricava pel Purgatorio quella
proporzione stessa di luogo e di persone, che fu notata nell' Inferno.
Nell'Inferno, Atrio grandissimo, e vero Inferno piccolissimo per le
ragioni annunciate nella Tav. II, Inf-, nota 23, verso il fine. Così
qui nel Purgatorio, Atrio grandissimo, e vero Purgatorio piccolis-
simo, perchè la maggioranza resta nell'Atrio (che pure abbi imo ve-
duto poco, pochissimo popolato) a passarvi gli anni vissuti nella im-
penitenza ; e solo 'di mano in mano che le anime compiono gli anni
del loro esiglio (il che avviene alla spicciolata e rare volte), si apre
loro la porta, e salgono al vero Purgatorio, dove ragionevolmente
il numero delle anime è immensamente minore.
81 Io mi rivolsi ecc. Appena le anime dentro alla porta del Pur-
gatorio intesero ch'ella ruggiva, s'accorsero che dopo lungo tempo
entrava finalmente un'anima con loro, e perciò intuonarono l'inno
di ringrazi amento, il Te Deum.
Appar chiaramente dalla parola rivolsi, che Dante prima di
entrare e stando ancor sulla porta, prima ch'ella si richiudesse abbia
MO PURGATORIO
fatto un inchino Tolto all'angelo, e poi si sia rivolto ni tuono che
udiva di dentro. Che bellissimo concetto intanto non è questo di
far che le anime dentro al Purgatorio, per la consolazione di acqui-
etare un fratello, cantino un inno nel punto delio stridere della portai
Appare ancora che la porta strìdeva acremente quando si apriva, e
dolcemente quando si chiudeva ; e che il canto delle anime era ac-
compagnato a questo secondo suono dolce di-Uà porta, perchè la
ruggine era tolta dalla stessa apertura. Cosi il poeta, che sa dar
vita a tutto, trovò modo di dar vita sino ad una porta. Ora senza
pia intenderemo benìssimo la similitudine del canto e degli organi,
che abbiamo negli ultimi versi.
Fise dell'Atrio del Purgatorio.
CANTO IX. 231
AVVERTIMENTO SUL VERO PURGATORIO CHE SEGUE.
Se il principe dei meditativi, Lodovico Da- Ponte, fosse vissuto
prima di Dante, si direbbe che Dante tolse da lui il suo piano di
ascetica riguardante i sette vizi capitali, che si purgano entro al
Purgatorio. Infatti il Preambolo alla Meditazione XVIII, parte I,
pare che sia fatto per servir di Commento generale al vero Pur-
gatorio di Tante. Leggetelo e poi dite se la cosa non è cosi. Eccolo:
• Porrò in primo luogo le Meditazioni dei sette vizi, che si
dimandano capitali, perithè come dice l'angelico dottore san Tom-
maso (I, 4, q. 84, art. 4), in essi, come in setfc capi, stanno vir
tualmente rinchiusi gli altri vizi: Vitia capi tolta dicuntur, ex qui-
bìia alia oriuntur: e per la stessa cagione la nostra principal batta-
glia ha da essere contro di loro, attesoché chi perfèttamente li vince,
vince il Dragone di sette capi (di cui si parla nell'Apocalisse : bt
ecce Draco magnu*f rufua, habens capita aeptem, il quale fa guerra
a' santi), e distrugge le sette nazioni dei nemici, Scptern gente* multo
major Ì8 numeri..,, et robuatiorea, che impediscono l'entrata nella
terra di Promissione, non terrena ma celeste, come lungamente ne
tratta (Tassiano nei libri che di ciò scrisse. Quindi è che il fine pria,
ci pale di queste Meditazioni non ha da essere di conoscere solamente
la malizia e bruttezza di questi vizi e aborrirli ; ma mettere subito
mano all'opera e mortificar le passioni ed affezioni disordinate, che
hanno messo le radici nel cuore, perchè come disse diffusamente trat-
tando di questo pun'.o san Basilio, non si vincono vizi, e non si ac-
quistano le virtù con le sole meditazioni ; ma con li gagliardi eser-
cizi di mortificazione, per li quali aiuta la meditazione ed orazione,
movendo la nostra volontà a volere mortificarsi, ed impetrando da
nostro Signore forze per co fare.
E sebbene è vero, che i peccati mortali si cancellano tutti insieme
e in un colpo con la contrizione e confessione , nella quale non si
perdona un peccato mortale senza l' altro ; con tutto ciò gli abiti
viziosi, che restano nell' anima, e le passio ni dell' appetito, nelle quali
si fondano, si hanno da mortificare parte per parte, e a poco a poco
Laonde disse Mosè al suo popolo, parlando delle sette nazioni ac-
cennate di sopra: Ipae conaumet nationea has in eonapectu tuo pania-
tim, atque per partea : non poterla eaa delere pariter (Deut. 7,22)
ordinando così la Divina Provvidenza per nostro esercizio e umi.
liazione; perchè durando più la guerra, sarà più sicura e più gio-
vevole la vittoria. »
CANTO X.
Argomento.
Salgono % poeti, per via molto ardua e tortuosa, scavata entro
il vivo masso, al primo giro, o cornice dove si punisce il peccato
della superbia. Al primo loro arrivo non sanno quale strada pren-
dere, se a destra od a manca. Intanto Dante ammira nella pa-
rete dirimpetto, molto bene intagliati nella pietra, esempi di umiltà.
Mentre Dante osserva quei bassorilievi, Virgilio vede persone ve-
nire da lungi, curve qual più qual meno sotto il peso di un sasso,
che le opprimeva. Al cenno di Virgilio, anche Dante si volge a
quella parte. Dapprima, non sa che sieno, ma istruito da Virgilio,
conosce che sono persone che portano sassi : onde si lagna del male
che a noi fa la superbia.
NB. Vedi lutti i catellìiii di questo Canto nella rota Tar. ili, Purgata abbi tempre
lott'occbio la mia Tav. IV, Purg.
Jtoi fummo dentro al soglio della porta, *
Che il mal amor dell'anime disusa, *
* Poi; poiché. Al soglio; alla soglia, quella che sembrava pietra
di diamante, su cui sedeva l'angelo.
3 Che il malo amor ecc. Che è accusativo ; malo amor è nomi-
nativo. Il malo amor dell' anime, che sono a questo nostro mondo,
fa ch'esse vivano male, e quindi sciogliendosi dal corpo per morte,
invece di avviarsi al Purgatorio, cadono nell'Inferno. Cosi la porta
del Purgatorio di raro si apre, e cosi resta disusata. La porta si
usa aprendola, si disusa, non aprendola. Per questo essa ruggì si
forte , e ai mostrò si aera quando l' Angelo l' apri per Dante : per
questo le anime dentro, sentendone il suono, cantarono: Te Deum
laudamus, che sogliamo dir anche noi per proverbio, quando dopo
lungo aspettare, finalmente viene quello che si aspettava.
234 PURGATORIO
Perchè fa parer dritta la via torta, '
Sonando la senti9 esser richiusa: 4
E s' io avessi gli occhi volti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salivam per una pietra fessa *
Che si moveva d'una e d'altra parte,
Sì come Tonda che fugge, e s'appressa. *
io. Qui si conviene usar un poco d'arte,
Cominciò il duca mio, in accostarsi
Or quinci or quindi al lato che si parte. 7
E ciò fece li nostri passi scarsi 8
Tanto, che pria lo scemo della luna •
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
* Perchè fa parer ecc. L* amore è malo per questo che ci fa cre-
der buona vita quella che è cattiva.
* Sonando ecc. Vale a dire eh* egli non si voltò a vederla chiu-
dere, ma s'accorse che fu richiusa dal suono che fanno comunemente
le porte. Dante non si volse, perchè poco prima n' aveva avuto proi-
bizione dall'angelo, il quale aveva detto: Ma faccioni accorti —
Che di fuor torna chi indietro si guata. D volgersi adunque sa-
rebbe stalo un fallo incscusabile, perchè la proibizione sonava an-
cora nelle sue orecchie
* Ptr una pietra fetta — Che ti ecc. Per uno spaccato di mon-
tagna in faccia alla porta, il quale andava su tortuoso, o a spina-
pesce o a zig zag ad ogni pie sospinto.
* Sì come l'onda ecc. Che fugge e s'appressa al lido, dove ad
ogni momento si spinge innanzi, e si ritira indietro.
7 Or quinci or quindi al lato che $i parte. È naturale che chi
va per tali sentieri deva tenersi continuamente a quel lato dove il
monte si ritira. Così si fa meno disagiata la salita, ma la si allunga
più di quello che sarebbe se si andasse meno a sghimbescio.
* Li nostri passi. Li nostri passi di salita perciò si fecero scarsi,
perchè dovendo andare ora a destra ed ora a manca per agevolare
il cammino, meno salivano, che se fosse r iti più direttamente
9 Pria lo scemo della luna — - Iti giunse ecc. Lo scemo della luna
è la parte di lei non illuminata dal sole, la quale nella luna calante
in cui siamo dopo il Plenilunio, è la bassa verso V orizzonte, e quindi
CANTO X. 235
Che noi fossimo fuor di quella cruna. i0
Ma quando fummo liberi ed aperti
Su dove'l monte indietro si rauna, fi
Io stancato, e ambedue incerti "
20. Di nostra via, ristemmo su in un piano
è la prima a toccar l'orizzonte allorché tramonta. Cosi quella che
noi diciamo gobba della Luna, ossia la parte illuminata dal Sole, è
la superiore, e quindi guarda ad Oriente, secondo il noto adagio:
Gobba levante, Luna calante; Gobba ponente, Luna crescente.
Quale ora vuol indicare il poeta con questo tramonto di Luna?
vediamolo, ma abbi presente la mia Tav. VII, Purg.
Sappiamo che nel Plenilunio la Luna sorge quando il Sole tra-
monta, e sappiamo ancora che dal Plenilunio in poi la Luna si ri-
tira verso il Sole di circa 13 gradi al giorno. Essendo dunque pas-
sati dal Plenilunio sino a questo momento giorni 4 2/8, la Luna si
sarà ritirata verso il Sole gradi 60 circa. E facendo 15 gradi per
ogni ora, i gradi risponderanno ad ore 4: ma noi vediamo che la
Luna in questo punto tramonta. Dunque il Sole deve esser nato di
altrettanto, ossia di ore 4: levando egli alle 6.14, se a queste ag-
giungiamo ore 4, abbiamo ore 10.14. L'ultimo orario per noi tro-
vato tu nel C. IX, n. 28, e allora erano più che due ore di sole ossia
almeno le 8.14 quando S. Lucia depose Dante dormiente presso la
porta del Purgatorio.
Da quel punto a questa parte sono dunque passate ore due,
delle quali ore una venne assegnata alla confessione e all'istruzione,
che avvenne alla porta: onde un'ora, che rimane, fu impiegata in
questa salita così difficile.
E la Luna in qual segno sarà presentemente? Pei 30 primi
gradi di questi 60 anzidetti, ella dovea trovarsi in Libra: pegli
altri 30, in che si è ravvicinata dalla Libra all'Ariete, ella dovea
trovarsi in 30 gradi in Scorpione.
10 Fuor di quella cruna. Via sottilissima, quasi la cruna dell'ago.
44 Indietro si rauna. Per dar luogo ad una strada circolare in-
torno al monte, dove giravano le prime anime che troveranno.
** Io stancato. Per un'opera di salita disastrosissima. Vedi Ta-
vola IV, Purgatorio.
Ambedue incerti. Dunque l'altra salita, che da questa prima
dovea mettere alla seconda cornice, non era di fronte alla salita fatta
testò.
236 PURGATORIO
Solingo più che strade per diserti. M
Dalla sua sponda, ove confina il vano, u
Appiè dell'alta ripa, che pur sale,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano:
E quanto l'occhio mio potea trar d'ale "
Or dal sinistro ed or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale. "
Lassù non eran mossi i pie nostri anco, {1
Quand' io conobbi quella ripa intorno,
30. Che dritto di salita aveva manco, "
4* Solingo più ecc. Per lo scarsissimo numero di quelli eoe vanno
al Purgatorio. Il poeta ribadisce sovente questo puuto, e lo fa prima
per la pura verità, poi per dimostrare che assai poco luogo occorre
per la purgazione di pochi. Infatti in meno che tre miglia di monte
ce n'ha d'avanzo per contenerli tutti. Qui poi non bì vedeva anima
nata, perchè le anime girando unite intomo al monta, esse si tro-
vavano allora dalla parte di occidente, mentre il poeta era dalla parte
di oriente. Queste anime presto compariranno, facendo la volta. Vedi
la mia Tav. IV, Purg.
** Dalla tua sponda eco. Dalla sponda esterna o dal ciglio di
questo piano, che confina al di fuori col libero aere, alla sua parte
interna , donde si eleva di nuovo il monte, ci avea la larghezza di
tre uomini ordinari, ossia la strada circolare era larga tre uomini co-
ricati T un dopo T altro, in una stessa linea, il che risponde alò piedi,
48 E quanto l'occhio ecc. Poteva estendersi da ambo i lati.
*6 Mi parea cotale. Mi parea larga istessamente. Dovendo que-
sta cornice, o piano, servir di strada, a chi girava intorno , dovea
essere uguale dapertutto.
47 Lassù. Sul piano circolare a cui giunsero, terminata la salita.
Prima di terminarla, essendo gli occhi circa cinque piedi più alti
delle piante, vide e conobbe la ripa addentrata al di la della strada.
Quando Dante dice ripa intende sempre il macigno tra una
ed altra cornice. Lo vedremo presto, C. XI, v. 49.
48 Dritto ecc. Che era manco o meno erta della ripa testé salita.
Di cornice in cornice tutte le ripe che troveremo saranno grada-
tamente meco erte o meno perpendicolari della sottoposta. Osser-
vate il mio disegno Tav. IV, e vedrete che il profilo esteriore di
canto x. 237
Esser di marmo candido, e adorno
D' intagli sì, che non pur Policleto, i0
Ma la natura lì avrebbe scorno, *°
L'angel che venne in terra col decreto Ji
Della molt'anni iagrimata pace, **
Ch'aperse il Ciel dal suo lungo divieto, *8
Dinanzi .a noi pareva sì verace u
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembiava imagine che tace.
40. Giurato si saria, ch'ei dicesse: Ave; w
Però eh' iv'era imaginata Quella, M
ogni ripa, non è mai parallelo al profilo sottoposto, ma pende sem-
pre nella sommità a maggiore inclinatone. Se qui avvertite bene
questi proprietà della ripa, intendete subito perchè in appresso si
dica di ogni scala, ch'essa è meno erta, e sempre più agevole della
sottoposta.
*9 Policleto. Uno dei più celebri statuari!, di Sidone in Grecia.
90 L\ avrebbe scorno. Resterebbe scornata a quel confronto. I
vivi sono meno vivi di quelle immagini. Queste cose il poeta le
vide, e conobbe prima di aver messo il pie sulla cornice, o strada.
Dunque tanto più le vedevano le anime, che salivano a questa pena.
Cosi la prima vista che si offriva alle anime superbe erano esempi
di umiltà, sculti nella parete, tra i quali l'Annunciazione, che è il
primo e più grande esempio di umiltà, era il primo ad offrirsi allo
sguardo prima di sbucar dalla cruna.
*i L'angel. L'arcangelo Gabriele. •
33 Della molt'anni ecc. Pace, o pacificazione, o perdono, o re-
denzione chiesta con lagrime molti anni. Il Messia era il sospiro
dei patriarchi e dei profeti.
** Lungo divieto. Si sa che il Cielo fu chiuso dal momento ehe
•Adamo peccò. Bisognava che venisse ad aprirlo il Redentore prò-
messo. Intanto le anime giuste andavano al Limbo.
3* Dinanzi a noi. Dunque l' Annunziamone era in faccia allo sbocco
della salita, perchè i poeti giunti lassù non si erano mossi ancora
per veruna parte.
tt Ave. É il principio dell'angelico saluto.
** Imaginata. Sculta.
238 PURGATORIO
Ch'ad aprir l'alto Amor volse la chiave. *7
Ed avea in atto impressa està favella :
Ecce Anelila Dei, sì propriamente, **
Come figura in cera si suggella. "
Non tener pure ad un luogo la meute, w
Disse '1 dolce maestro, che m'avea
Da quella parte onde il core ha la gente : "
Pereti' io mi volsi col viso, e vedea n
50. Diretro da Maria per quella costa,
Onde m'era colui che mi movea, M
Un'altra istoria nella roccia imposta:
Perch' io varcai Virgilio, e femmi presso, u
Acciocché fosse agli occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso n
tf L'alto amor. Lo Spirito Santo per la sola opera di cai fa poi
fecondata.
28 Ecce Ancilla Dei. È la risposta colla quale acconsenti al de-
creto divino: le quali parole indicanola sua grande umiltà ; potessi
infatti dir madre e invece si disse ancella.
29 Come figura ecc. Quelle amili e rassegnate parole tanto pa-
rlano sul suo labbro, e ne1 suoi atti quanto una figura in cera filila
dal suggello.
*° Pure. Solamente. — Ad un luogo. Ad un intaglio. — La mente.
L'attenzione.
3; Onde il core ha la gente. A sinistra. Dunque Dante avea
Virgilio alla sua destra. Vedi Tav. IV, Purg.
** Mi volsi col viso. Non colla persona e coi passi che continuò
a restare nello stesso luogo. Questo guardar un secondo oggetto
senza partir dal primo è naturale quando il primo ha si rapito.
83 Onde m'era ecc. Cioè alla costa che era alla destra di Dante.
Dante avea la schiena ad oriente. Dunque la Bua destra volgea a
settentrione, e la sua sinistra a mezzogiorno.
34 Varcai Virgilio. Notate che solo adesso si muove, dopo la
vista ancor confusa d'altri intagli che lo interessavano.
ss Kel marmo stesso. Cioè marmo di quella stessa qualità del-
l'altro dov'era sculta 1' Annunciazione, cioè candido.
CÀNT£ X. 239
Lo carro e i buoi traendo l'arca santa, **
Perchè si teme ufficio non commesso. 87
Dinanzi parea gente ; e tutta quanta '*
Partita in sette cori, a' duo miei sensi "
60. Facea dicer Fini no, l'altro sì canta.
Similemente al fummo degli incensi,
Che v'era imaginato, e gli occhi e il naso "
E al sì e al no discordi fenai.
Lì precedeva al benedetto vaso, 4!
•• Lo carro e i buoi ecc. Per ben comprendere -e gustare tutta
la descrizione di questo secondo intaglio, basta saper il fatto scrit-
turale (II, Re, e. 6). Eccolo in breve : L'arca santa era in casa di
Aminudab. David coi sacerdoti e col popolo la va a prendere per
collocarla m luogo più degno in Gerusalemme. L'arca era su un
carro tratto da buoi guidati da Oro e Aio figli di Atninndab David
succinto le vesti in onor dell'arca danzava, mentre i sacerdoti can-
tavano e sfamavano incensi. A un certo punto i buoi ricalcitrarono,
e parve ebe il carro si rovesciasse. Oza, a cui non toccava, stese
la mano per sostener l'arca. In quel punto stesso fu colpito di morte.
S'entra in Gerusalemme e si passa colla processione davanti alla
reggia. Michel, moglie di David, ad una finestra vede il marito tre*
scare, e lo disprezza, come di un atto vile, mentr'era un atto di
grande umiltà davanti alla maestà di Dio.
97 Perchè si teme ecc. Per la morte di Oza, ebe non potendo
toccar l'arca ardì stendervi la mano per sostenerla.
*s Parea. Si vedeva, appariva.
» Partita in sette cori. Anche questo è narrato dalla S. Scat-
terà, — A' duo miti sensi. Dell'udito, e della vista. Le orecchie che
veramente non udivano, avrebbero sostenuto che quella gente non
canta. Ma la vista, ebe la vedeva in alto verace di canto, avrebbe
invece sostenuto che quella gente canta effettivamente.
*o E gli occhi e il naso ecc. Prima la discordia nel giudicare era
tra gli occhi e le orecchie, perchè si trattava di canto; ora è tra
gli occhi e il naso, perchè si tratta di odore : gli occhi diceano, que-
sto è vero rumo d'incenso: ma il naso che nulla fiutava diceva, che
non era vero rumo, ma solo scultura.
H Vaso. Arca cosi spesso chiamata nelle Scritture.
240 PURGATORIO
Trescando alzato l'umile Salmista, "
E più e men che re era in quel caso. "
Di contro ef6giata ad una vista " #
D'un gran palazzo Michol ammirava, is
Sì come donna dispettosa e trista,
70. Io mossi i pie del loco dov' io stava,
Per avvisar da presso un'altra storia
Che diretro a Michol mi biancheggiava. 46
Quivi era storiata l'alta gloria 47
Del roman prence, lo cui gran valore i8
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria : 40
4* Aitato. Alzato nelle vesti, ritirate in su e strette ai lombi per
poter meglio danzare coli 'abito corto.
48 E più e men evi. Più che re, perchè faceva un atto di reli-
gione che rende l'uomo superiore a qualunque dignità mondana:
men che re, perchè in quelle danze ad onor di Dio non cura va si di
serbare la gravità del suo grado, tenendo che ogni sua umiliazione
fosse poca dinanzi alla Maestà di Dio.
U Vista, Fenestra o loggia.
4* Michol. Moglie di David, e figlia di Saule. È il solito con-
trasto artistico, che ingrandisce la virtù. Da ciò si vede che la scena
è in Gerusalemme, dove per ragione della città e della Corte spet-
tatrice, l'umiltà di David prende misure gigantesche.
46 Che dietro a Michol. Essendo Michol nella estremità del bas-
sorilievo, perciò si dice che la terza storia era subito al di là di
Michol. — Biancheggiava. Cioè era scult a nello stesso marmo bianco.
4i L'alta gloria. Cioè il fatto glorioso della umiltà di Traiano,
che presto narrerà.
48 Lo cui gran valore. La cui gran virtù, ehe è causa di ogni
valore. Traiano fu veramente un prìncipe di bellissime doti reali.
Se fosse stato cristiano, avrebbe tenuto molto di Carlo Magno.
49 Mone Gregorio alla sua gran vittoria, lì fatto che qui si ac-
cenna è la seguente tradizione popolare del medio evo. San Gre-
gorio papa, il Magno, ammirando le belle virtù di Traiano (tra le
altre cose egli pubblicò un editto col quale proibiva che si perse-
guitassero i cristiani per causa di religione), si portò un giorno a
visitare il suo sepolcro. Fattolo scoprire, trovò la lingua incorrotta.
CANTO X. 241
Io dico di Traiano itnperadore :
Ed una vedovella gli era al freno 50
Di lagrime atteggiata e di dolore.
D' intorno a lui parea calcato e pieno M
80. Di cavalieri, e Taguglie dell'oro 52
Sovr'esso in vista al vento si movièno.
La miserella in fra tutti costoro
Ciò gli fu ntaggior incentivo d' ammirazione. Pregò allora Iddio che
gli donasse queir anima togliendola al demonio, e restituendola al
proprio corpo perchè vi facesse la debita penitenza e, fattosi cri-
stiano, si salvasse. Dio gli accordò grazia sì singolare. Sulla crìtica
di questa istoria non è da discorrere: è chiaro chedessa none altro
che una favola, recitata da Paolo Diacono, ritenuta per altro da
molti scrittori del Medio Evo, orientali e occidentali. La fede però
non ne scapita, perchè anche quelli che la credettero , ritennero
sempre che Dio non avesse definitivamente dannato Traiano all'In-
ferno ove nulla est redemptio, ma lo ritennero mandato colà preca-
riamente, sapendo già quel che doveva succedere per s. Gregorio. Ad
ogni modo questa favola prova l'inclinazione a trasmodar nel cre-
dere che aveva il Medio Evo. e la semplicità della fede dei nostri
antichi, carattere affatto contrario all' incredulità moderna.
Ma Dante la credette o no? Xon si dee ritenere che la cre-
desse, perchè qui la espose; .egli è poeta, e il poeta lavora sul
probabile, ed accetta i fatti tradizionali, come sono, senza debito
di rendere conto alla storia ed alla critica. Anzi la favola è una
parte della poesia. Tutti i poeti la usarono: e Dante, avendone
trovata una nelle credenze volgari dei cristiani, credette bene adot-
tarla, e per abbellire la sua poesia, e per rendere il carattere del
suo tempo.
3° Ed una vedovella ecc. La storia, che si descrive veduta incisa
nella pietra del monte, è chiara per sé medesima, essendo raccontata
minutamente dal poeta. È questo uu esempio molto illustre della
umiltà dell'imperatore Traiano* Così questa virtù riceve conferma
anche da esempi pagani.
51 Calcato e pieno. Aggettivi presi sostantivamente»
** Uaguglie dell'oro. Le aquile aureo impresse sulle bandiere.
A guglie de IV oro è simile a quel: Le palle dell'oro di Firenze nel
C. XVI del Paradiso.
16
242 PURGATORIO
Parea dicer : Signor, fammi vendetta 53
Del mio figliuoljCh'è morto, ond'io m'accoro.54
Ed egli a lei rispondere : Ora aspetta
Tanto eh* io torni. Ed ella : Signor mio,
Come persona in cui dolor s'affretta,
Se tu non torni? Ed ei : Chi fia dov' io,
La ti farà. Ed ella: L'altrui bene
90. A te che fia, se '1 tuo metti in oblio?
Ond'egli: Or ti conforta, che conviene
Ch' io solva il mio dovere anzi eh' io muova :
Giustizia vuole, e pietà mi ritiene.
Colui, che mai non vide cosa nuova, w
Produsse esto visibile parlare, 56
Novello a noi, perchè qui non si truova. b7
*3 -Parea dicer. Le scolture, come le pitture, deono darci l'anima
delle persone acuite o dipinte, e tutte quelle passioui che porta il
soggetto. Questo è il sommo dell'arte.
8* Ch% è morto. Ch' è stato ucciso.
33 Colui, ohe mai ecc. Perifrasi di Dio. Senti il poeta la impossibilità
d'imprimere in un sol marmo un intero dialogo tra due persone ;
perchè l'arte umana non può cogliere che un punto solo, quello che
più spicca in tutta l'azione, ma nulla più ; mentre qui si leggevano
nel marmo tante dimando e tante risposte. Ebbene ; egli spiega la cosa
con dire che per esser quelli intagli opera divina, non si limitavano
a un punto solo, ma in un solo atteggio offerivano V intera storia.
36 Produsse esto visibile ecc. Il dialogo tri la vedovella e Traiano
si raccoglieva dagli atti del marmo, i quali si vedevano, e non si udi-
vano; quindi era un parlare visibile.
37 Novello a noi, perchè ecc. L' arte umana non ha e non ebbe
mai sculture, che potessero dir tanto.
Nel chiudere queste tre rappresentazioni di fatti eroici d'umiltà
facciamo osservare ch'essi sono incisi nel marmo che dall'interno della
strada sale in alto, a differenza degli esempi di superbia, che sono in •
vece sul letto della strada medesima, e che sono per conseguenza calcati
dalle anime passeggiere, come vedremo. L'umiltà dunque sta in alto,
e la superbia in basso, perchè deposuit potentes de sede, et exaltavit
CANTO X. 243
Mentr' io mi dilettava di guardare
Le imagini di tante umilitadi,
E per lo Fabbro loro a veder care ; w
100. Ecco di qua, ma fanno i passi radi,
Mormorava il poeta, molte genti: M
Queste ne invieranno agli alti gradi.
Gli occhi miei eh' a mirar erano intenti, *°
Per veder novitadi, onde son vaghi,
Volgendosi ver lui non furon lenti.
Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi 6I
Di buon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi.
humilcs. Cosi le anime, che furono superbe, girando il monte da nord
a sud, avevano nella metà del monte, che guarda nord, esempi di
umiltà coronata da mirare, e con fatica, alla loro destra nella parete;
e nell'altra metà verso sud, avevano da mirare, con più facilità negli
occhi, ma con più difficoltà pei piedi, esempi di superbia punita ; dalla
qual doppia vista e dal peso che le incurvava, come vedremo, cosce*
pivano sentimenti umilissimi, e si purgavano della superbia.
** Per lo Fabbro. Fabbro divino. Le buone sculture e pitture son
grande eccitamento all'anima per elevarsi a Dio.
69 Mormorava il poeta. Virgilio dicea seco stesso queste parole,
senza dirizzarle a Dante, ma in modo che Dante le potesse udire*
Perchè cosi? Per non distoglierlo a forza dai buoni oggetti, che mi-
rava, e che erano utilissimi anche per Dante. Virgilio lo volea dis-
togliere da quelli, ma dolcemente e liberamente. Egli già sapeva
che le sue parole avrebbero trovato corrispondenza. È questo un
fare di una estrema delicatezza. In quel: ma fanno i passi radi,
dimostra dispiacer della perdita del tempp.
60 Gli occhi miei ecc. Quantunque gli occhi fossero intenti a
quelle novità ed avidi di osservarle, pure alle parole mormorate
da Virgilio tra sé e se furon pronti a volgersi a lui; perocché quelle
parole gli dicevano trovato quello che entrambi cercavano, e di cui
abbisognavano, vale a dire, gente che insegnasse loro il cammino.
M Ti smaghi. Ti smarrisca o devii dai buoni proponimenti, at-
territo all'udir la pena delle colpe. È questa la prima pena del
Purgatorio, e pei ciò sta bene premettere un incoraggiamento, che
244 PURGATORIO
Non attender la forma del martire:
no. Pensa la succession ; pensa che , a peggio,
Oltre la gran sentenzia non può ire.
F cominciai : Maestro, quel eh7 io veggio
Muovere a noi, non mi sembran persone,
E non so che, si nel veder vaneggio. 6*
Ed egli a me: La grave condizione
Di lor tormento a terra gli rannicchia
Sì che i miei occhi pria n'ebber tenzone.
Ma guarda fiso là, e disviticchia **
Col viso quel che vien sotto a quei sassi :
120. Già scorger puoi come ciascun si picchia. G4
O superbi Cristian, miseri, lassi, 65
valga per questa e per le altre, affinchè al terror della pena non ci
disperiamo, ma prendiamo invece nuova lena a rinforzarci nel bene,
pensando che dopo la pena succede la gloria (Pensa la succession) ,
e che, alla peggio, finito il mondo, finisce anche questa pena.
tt Sì nel veder vaneggio. I superbi, che qui si purgano, girano il
monte per questa cornice, portando sul dorso dei sassi più o meno
grandi a proporsione della lor colpa. Per questo essi sono costi etti
ad andare più o meno chini, e ciò impedisce che dalla lunge si possa
conoscere chi o che cosasieno. Virgilio stesso, sebbene di vista assai
più acuta di Dante, non sapeva sulle prime che cosa fossero.
W Disviticchia — Col viso quel ecc. Uno tra gli altri, che men ('egli
altri era chino, si poteva a grande fatica ravvisare, non già per co-
noeoere ancora chi fosse, ma per riscontrare eh1 era faccia di m ino,
faccia che dava a veder abbastanza la gravità della sua pena.
** Si picchia. Si flagella, si batte dalla divina giustizia. È inutile
dire, perchè è troppo chiaro per sé, come tal pena sia del tutto
conveniente alla colpa della superbia. Questa fece portare alta la
testa; ebbene la pena gliela abbassi. Questa sprezzò gli umili ; eb-
bene li veneri nella parete. Questa lodò i superbi, e ne imitò le
azioni; ebbene ora li calchi.
63 O superbi Cristian ecc. È naturale che vedendo punita la su-
perbia anche in anime sante, in modo si miserando e conveniente,
si senta il poeta eccitato a battere la superbia dei mondo, che per
ben che vada, va a terminare in tanta umiliazione.
CANTO X. MS
Che. della rista della mente infermi, **
Fidanza avete ne* ritrosi passi ; ^
Non v'accorgete voi, che noi siam vermi a
Nati a formar l'angelica farfalla.
Che vola alla giustizia senza schermì?
Di che l'animo vostro in alto galla?
Voi siete quasi entomata in difetto, •
Sì come verme in cui formazion falla. *
130. Come per sostentar solaio o tetto, Tl
Per mensola talvolta una figura
Si vede punger le ginocchia al petto.
La qual fa del non ver vera rancura :-
Nascere a chi la vede; così fatti
66 Che della vista ecc. Che non conoscendo betio voi stari» ohe
siete un niente.
«n Fidanza avete eoe. Confidate nella vostra vantata grandetta»
che vi allontana da Dio e dalla santa sua legge.
w Non v'accorgete voi ecc. Non sapete che in fin dei conti noi
dovremo cadere nelle mani della divina giustìzia, senta che noi od
altri ce ne schermisca, come appunto avviene di quest'anime sante?
Questa cosa la dice il poeta colla similitudine bellissima del filugello
o verme da seta, che passa da verme in farfalla. Così noi, venni
dapprima, poi purché usciti dal mondo in gratin di Dio, diventiamo
angeliche farfalle, che vanno senta difesa alcuna alla giustizia punitiva
del Purgatorio. A questo stato di volare, dopo morto, alla giustitia
di Dio, nasciamo tutti, grandi e piccoli, e nasciamo por essere an-
geliche farfalle, ovvero per esser beati ; ma, colpa la nostra superbia,
i più dopo morte si trasmutano in farfalle diaboliche, e vanno in per*
dizione; ed altri pochi in farfalle angeliche, cui la giustitia raffina
in questo monte senza che vi abbia eccezione o schermo per nessuno.
&> Entomata in difetto. Enti o sostanze difettose per la colpa di
orìgine, che vi. storpia sin dal vostro concepimento.
™ Sì come verme. Come un aborto di verme.
71 Come per soste nl< ir ecc. Non ci poteva c*ser similitudine più
propria di questa.
*J2 Del non ver vera rancura. Infatti si prova una vera oppiti-
sion d'a«iimo per quella non vero fatiche.
246 PURGATORIO
VicT io color, quando posi ben cura. 73
Ver' è che più e meno eran contratti, 7i
Secondo ch'avean più e meno addosso ;
E qual più pazienza avea, negli atti 7*
Piangendo parea dicer : Più non posso.
78 Quando posi ben cura. Quando gli osservai colla maggior at-
tenzione, secondo il detto di Virgilio: Ma guarda fiso là, e disvi-
ticchia Col viso quel che vien sotto a quei sassi,
i* Più e meno eran contratti. Più e meno inchinati, secondo il
maggiore e minor peso, che avevano sulle spalle. E ciò perchè chi
avea più da soddisfare alla divina giustizia, ossia chi era stato più
superbo, dovea portare un maggior sasso, e quindi dovea andare
più chino: e chi avea da soddisfar meno, ossia chi era stato meno
superbo, portava un sasso minore e quindi andava meno chino.
™ E qual piti pazienza avea. Chi aveva addosso un sasso più
grande, è però più ci pativa sotto. Dopo avea ci va virgola.
CANTO X I
Argomento
Le anime recitano il Pater noster. Il p-xta fa una pia conti-
aerazione su questo. Virgilio chiede la via più. comoda per salire
alla seconda cornice. Olì vien risposto di mettersi entrambi alla de-
stra delle anime tra il monte ed esse, e di seguirle. L'anima, che die
tale indirizzo, si manifesta, ed era Umberto, che manifesta pure
la condition degli altri. Dante si china per ravvisarlo. Intanto
Dante vien conosciuto da uh* altra anima. Fra il celebre minia*
tore Oderisi. Dante lo loda* ma egli si umilia. Oderisi prende a
parlar della vanità della gloria mondana, e ne dà esempi anche
tra le anime sue compagne t accennando a Provennan Salvani. Su
questo nasce un dubbio in Dante, la solu%ion del quale termina
il Canto.
!iB. Vedi latti i cu HI ini di questo Cinto nella Tit. Ili, Pury, ed ibbi tott'occfcto
la mia Ta?. \V,PHrg.
o
Padre nostro, che ne' cieli stai, f
* 0 Padre. nostro ecc Parafrasi del Pater noster, orastone in-
segnataci dallo stesso Gesù Cristo. Fin qni abbiamo udito le anime
cantare quando il Afiserere, quando la Salve Regina ? inno do) ve.
spero, quando l'inno di compieta Te lucie. Allo stesso ingresso dei
poeti per la porta del Purgatorio, udimmo le anime soprastanti can-
tare l'inno di ringraziamento, il Tcdeum. Ora udiamo le animo più
superbe umiliarsi a Dio con una ornatane, che dichiara toner noi
tutto da lui, e perciò tutto a lui doversi richiedere. Dante pone
continuamente in bocca allo anime la preghiera; tanto la ritien ne-
cessaria, e tanto Vania.
248 PURGATORIO
Non circonscritto, ma per più amore, 2
ChV primi effetti di lassù tu hai,
Laudato sia il tuo Nome, e il tuo Valore 3
Da ogni creatura, com'è degno
Di render grazie al tuo dolce Vapore.
Venga ver noi la pace del tuo regno, 4
Che noi ad essa non potem da noi, ,j
S'ella non vien, con tutto nostro ingegno,
io. Come del suo voler gli angeli tuoi c
2 Non cireomcritto. Si dice nei deli *tai} non perchè stia solo
nei cieli, come le creature, che mentre stanno in un luogo, non
possono anche stare in un altro : ma si dice che stai nei cicli, per-
chè cola stanno, le creature più nobili di noi, alle quali perciò si
manifesta nella sua gloria più che a noi mortali. Questo è il pream-
bolo del Pater: Pater noster qui es in coelis,
3 Laudato da il tuo Nome (Dio Padre); il tuo Valore o Virtù
(Dio Figliuolo, detto Virtus Patri «).
Dolce Vapore (Dio Spirito santo, che spira e procede dal Padre
e dal Figliuolo per via di calore o di amore). Il Vapore ò effetto
del fuoco; cosi lo Spirito Santo è effetto sostanziale del foco amo-
roso tra il Padre ed il Figlio. Questa è la prima petizione: San*
ctificetur nomen tuum.
* Venga ver noi ecc. Il regno della tua gloria, il qual regno e
perfetta pace, secondo quel detto dei Salmi : Delectabitur in mul~
indine paris. Onde Gesù Cristo è chiamato Princcps pad*. La
pace è ogni bene, secondo il parlare scritturale, come la guerra è
ogni male: perciò quella è in Cielo, questa nell'Inferno. Quelle anime
usando questa petizione, in quanto la applicano a sé, non ponno in-
tendere che del regno di gloria; in quanto la applicano a noi, in-
tendono anche del regno di grazia; il quale pure, come il primo, è
superiore affatto alle nostre forze naturali.
3 Non potem. Non potem venire. Le anime purganti sospirano
alla beatitudine; ma siccome sanno di non potervi arrivare colle
loro forze, perciò ne invocano l'aiuto da Dio, che la ravvicini loro
abbreviando il tempo della purgazione, se ciò ò piacente a Dio. Se-
conda petizione : Adveniat regnum tuum,
6 Come del suo voler ecc. Terza petizione: Fiat voluntas tua
sicut in calo et in terra. Quando noi diciamo di vero cuore che sia
i
cax ro xi. *»
Fan sacrificio a te, cantando Os\nna,
Cosi facciano gli uomini de suoi.
Da oggi a noi la cotidiana manna. 7
Senza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s'affanna,
E come noi lo mal ch'arem soffert > *
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardare al nostro merto.
Nostra virtù, che di leggier s'adona, *
fatta la volontà di Dio, intendiamo che noi abbiamo a fare di buona
viglia la volontà di Dio. il che non è altro dio sacrificare a lui
la nostra volontà, perchè sìa fatta la sua; e questo sacrificio tv il
più nobile, il più gradito che possiamo fare. Ma por farlo colla por-
fez ion maggiore possibile, si chiede di farlo con quella generosità e
prontezza con cui lo fanno gli angeli.
" Dà oggi a noi ecc. Quarta petizione: Pmnem nortrum quoti*
dìanum da nobis hodie. La manna è tanto il cibo corporale, quanto
e più (come nel Vangelo in questo luogoì il cibo spirituale, che ò
ogni rinforzo di grazia valevole in questo nostro mondo, e nell'altro,
e specialmente la Eucaristia pel nostro mondo. Dante nelP adattar
le petizioni ai bisogni anche delle anime del Purgatorio, sceglie
con una felice necessità quei sensi della petizione ohe possano esser
propri e dei vivi e dei morti. Qui, p. e., voltò il pane in manna. Or
sappiamo che la manna fu cibo degli Ebrei per 40 anni nel deserto,
il qual deserto fu un luogo di prova per renderli degni di entrare
nella terra promessa, figura del Paradiso. Questo è, tutto il caso di
quelle anime, e insieme il caso nostro. Non sarebbe stato possibile
di trovar una traduzione del panem noitrum più facile e più spon-
tanea di questa.
8 E come noi lo mal ecc. Quinta petizione: Dimittt nobU de-
bita nostra, sicut et noe dimUtimut debitoribut nostri». Questa è
chiara per sé medesima, e &' adatta in tutto il rigor naturale senta
il menomo cangiamento si a noi, come a loro*
9 Nostra virtù che di leggier ecc. Sesta e settima petizione con*
sidcratc per una petizion sola, come possono infatti considerarsi:
Et ne no8 inducaa in tentationem ; sed libera nos a malo»
Che di leggier iadonà. Che facilmente si vince, si fiacca, li
abbatto.
«50 PURGATORIO
20. Non spermerttar con l'antico avversare ; ,0
Ma libera da lui che sì la sprona. "
Quest'ultima preghiera. Signor caro, i%
Già non si fa per noi, che non bisogna,
Ma per color che dietro a noi restaro.
Così a sé, e a noi buona ramogna "
Quell'ombre orando, andavan sotto il pondo,
Simile a quel che talvolta si sogna, "
Disparmente angosciate tutte a tondo, "
E lasse su per la prima cornice, *6
30. Purgando le calìgini del mondo. 17
Se di là sempre ben per noi si dice, 18
Di qua che dire e far per lor si puote
40 Non $permentar ecc. Non permetter che sia assalita dalle ten-
tazioni del demonio.
44 Ma Ubera ecc. Ma libera la nostra debole virtù dal demonio facen-
dola di lui vittoriosa, caso che tu voglia cimentarla agli assalti di lui.
tt Queft' ultima ecc. Poiché le anime del Purgatorio sono ornai
in istato di termine, nel quale sono finite le battaglie di questo mondo
contro il demonio, da cui non ponno ricever più danno, perciò tutta
la preghiera recitata nella terzina antecedente non è per loro, ma
per noi. Già si sa che le anime sante dei morti pregano per noi vivi.
4* Ramogna. Voce antiquata: augurio di buon viaggio. Di là
dunque si prega, perchè di qua si faccia buon viaggio, cioè un
viaggio da buoni cristiani, obbedienti alla santa legge di Dio.
44 Simile a quel ecc. Simile all'incubo, cho è quel peso al cuore
da cui talvolta sognamo d'essere schiacciati, e che ci toglie sino il
respiro, e a forza ci sveglia.
*8 Di$par mente. Non tutte avevano ugual macigno sul dorso*, ma
qual maggiore, qual minore secondo la colpa.
46 Cornice, La strada che cinge il monte si chiama cornice, per
la somiglianza della cornice, che cinge il quadro.
n Le caligini del mondo. Le macchie del mondo.
48 Sempre ben per noi si dice. Non solo coli' ultima preghiera
del Pater noster, che esse fanno esclusivamente per noi, ma anche
con tutte le altre preghiere, che fanno per sé e per noi.
CAVTO XI. *M
Da quei, eh* hanno al v\cder buona r&dtc*? •*
Ben si dee loro aitar lavar le noie* *
Che portar quinci» si che mondi e lievi
Possano uscire alle stellate rote.
Deh ! se giustizia e pietà vi disprevì *
Tosto, si che possiate muover l'ala.
Che secondo il desio vostro vi levi,
4". Mostrate da qual mano in ver la scala tt
Si va più corto: e se ce più d%un varco, w
Quel ne insegnate che men erto cala; *4
Che questi che vien meco, per T incarco
Della carne d'Adamo, onde si veste.
Al montar su. contro sua voglia, è parco.
** Da qnci ch'hanno ol coler ecc. Da quelli, eh* vivono in gra-
zia di Dìo, e che sono quelli che si chiamano netta Sucri Scritturi* :
Uomini di buona volontà. Questi soli hanno volontà, dee fissa in
bnona radice, radice di grazia; gli altri V hanno (barn nella radice
del peccato. Le orazioni di soli questi, valgono di suffragio al*
l'anime.
*> Ben si dee loro aitar ecc. Come esse pregano per noi, • cosi
noi dobbiamo pregare per esse, aiutandole eoi suffragi a lavar pre-
sto le loro macchie, e ad alleggerire i loro pesi, che hanno per aste*
affinchè volino presto al cielo e monde e lievi,
** Dehìse giustinia e pietà. Deh! cosi couTio desidero, giustlsia
e piotò vi disgrevi. È il solito augurio che Virgilio sempre pre-
mette alle sue dimande, desiderando all'anime quel bsu ehe è prò*
prio di ciascuna. A queste che erano aggravato da pesi desiderava
lo sgravamento e la leggerezza. Ma come giustizia t pietà? Appunto :
perchè lo sgravarle e opera di giustizia o pietà, in quanto ehe la
pietà dei viventi coi loro suffragi disarma la giustizia, od ella oasi
diminuisce o toglie la pena.
** Mostrate d* qual mano ecc. 8e a destra del punto ov1 erano
saliti, e ove allor si trovavano, ovvero a sinistra di qual punto.
Vedi Tav. IV, Purg.
23 Si va pia corto. Per la cura ohe ha Virgilio di non perder
tempo.
3* Che men erto cala. Chiede questo per la ragiona che dira tosto.
252 PURGATORIO
Le lor parole che renderò a queste,
Che dette avea colui, cui io seguiva,
Non fiir da cui venisser manifeste , M
Ma fu detto : A man destra per la riva *6
50. Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
E s' io non fossi impedito dal sasso, *7
Che la cervice mia superba doma, 28
Onde portar conviemmi il viso basso,
Cotesti, che ancor vive e non si noma, 29
Guarderei per veder s' io lo conosco,
E per farlo pietoso a questa soma. ^
r fui Latino, e nato d'un gran Tosco : 3I
Guglielmo Aldobrandeschi fu mio padre :
** Non fur da cui venisser ecc. Perchè tutte le anime erano
assai curve a terra sotto i lor pesi.
26 A man destra ecc. Un' anima disse : venite a man destra di noi,
cioè tra noi e la riva che sale, dov'erano incisi gli esempi di umiltà,
e poi procedete con noi. Consulta anche qui la Tav. IV, Pvrg.
Ma perchè le anime fecero andare i poeti alla loro destra, cioè
tra esse ed il monte ? Perchè essendo la cornice , ossia la strada,
alquanto stretta, cioè di 15 soli piedi, se Dante avesse camminato al
di fuori, e avesse anche dovuto attendere a parlare con quell'anime
ed a guardarle, il cammino sarebbe stato troppo pericoloso.
27 E «' io non fossi impedito ecc. Ecco perchè Dante non potè
conoscere qual bocca avesse parlato.
28 Che ecc. I superbi erano divenuti umili : cosi stanno in carattere.
& Vive ecc. Notate la perizia del poeta: tanto quello che dice, quanto
quello che tace, è detto e taciuto per crear sempre di nuove scene. Vir-
gilio con dir Dante vivo, avea stuzzicato la curiosità delle anime, e
Dante col suo tacere la stuzzicava parimenti. Di qui la scena presente.
80 A questa soma. Alla mia pena, pregandolo di suffragi.
8* Ffui Latino. Italiano, di Toscana sanesc,che si estendeva sino al
mar Tirreno per la Maremma , dov' era Santafiorc, di cui suo padre
Guglielmo Aldobrandeschi fu conte. Questi era Omberto, ucciso dai
Senesi per la sua superbia in Cnmpagnatico luogo di Maremma.
CANTO IXi 253
60. Non so se il nome suo giammai fu vosco. w
L'antico sangue, e, l'opere leggiadre M
De' miei maggior mi fer sì arrogante,
Che non pensando alla comune madre, 34
Ogni uom ebbi in dispetto tanto avente, 35
Ch'io ne mori', come i Senesi sanno, *c
E sallo in Campagn&tico ogni fante.
Io sono Omberto : e non pure a me danno *7
Superbia fé', che tutti i miei consorti !8
Ha ella tratti seco nel malanno.
70. E qui convien che questo peso porti
Per lei, tanto che a Dio si soddisfaccia,
Poi eh' io noi fei tra' vivi, qui tra' morti. w
Ascoltando chinai in giù la faccia ; *°
32 Fu vosco. Fu con voi , e quindi noto a voi. Questo superbo,
divenuto umile, dice il bene degli altri, e il male di se stesso..
33 L'opere leggiadre — De' miei maggior. Continua a dir il bene
degli altri, e il male suo, come fanno gli umili.
** Alla comune madre. Alla terra da cui tutti abbiamo la vile
origine.
3* Ogni uomo ecc. Esagera il proprio peccato, come fanno gli umilL
** Ch'io ne mori' ecc. Diminuisce le offese che gli altri hanno fatto
a lui. Potea dire : fui ucciso, e invece dice che mori. Potea dire : fai
ucciso dai Senesi, e invece si restringe e dice che i Senesi lo sanno.
37 Io $ono Omberto. Finalmente dice il suo nome, ma dopo di
averlo coperto col vituperio della sua antica superbia.
38CAè tutti i miei consorti ecc. Dante per quest'anima dice la
colpa e la pena, che si purga in questa prima cornice.
39 Poi ch'io noi fei tra1 vivi. Si conferma il dogma cattolico del
merito soddisfatorio, che hanno le opere buone in questo mondo.
*o Ascoltando chinai ecc. Àzion naturalissima e civilissima in Dante
questa di accostare la sua alfa faccia, ci e parlava; ma che fa ve-
dere in pari tempo la fievolezza e stanchezza di voce di Omberto,
per l'oppression del suo peso; ond'era iur necessario che Dante,
cosi facesse. E così facendo acquistava unch'egli umiltà; e soddisfa-
cea per la superbia propria.
254 PURGATORIO
E un di lor (non questi che parlava) 4I
Si torse sotto il peso che lo impaccia : "
E vide mi, e conobbemi, e chiamava, 43
Tenendo gli occhi con fatica fisi
A me che tutto chin con loro andava. u
O, diss* io lui, non se' tu Oderisi, **
80. L'onor d'Agubbio, e Tonor di quell'arte, *
Che alluminare è chiamata in Parisi ? 47
Frate, diss'egli, più ridon le carte **
*l Non questi che parlava. Perchè già di Omberto fa dichiarato
sopra per lui medesimo , che non poteva guardare per esser ano
dei più aggravati. Cosi sino dall'impotenza altrui si traggon nuovi
partiti di scene sempre più belle,
42 Si torse sotto il peso ecc. Sarebbe questo un atteggio diffici-
lissimo per qualunque più illustre pennello.
tt E videmiy e ecc. Chi potrebbe esprimere la foga di affetto che
ci ha in queste tre congiunzioni copulative!
U A me ohe tutto ecc. Nota Dante questa particolarità, per farci
vedere come fu che queir anima lo potè conoscere. Lo conóbbe per-
chè andava tutto chino; se non era questo, quell'anima nonpotea
ravvisarlo. E sebben Dante andasse si chino, pure queir ombra fece
tanta fatica per affisarlo. Dunque quell'anime doveano essere molto
chine.
** Oderisi. Famoso miniatore di Gubbio, della scuola di Cimabue,
chiamato a Roma da Bonifacio Vili a miniar Codici e libri Corali,
che sono ancora l'ammirazione del mondo. Peccato che le guerre e
le soppressioni dei monasteri abbiano disperso o perduto una mas-
sima parte di questi gentilissimi lavorietti!
*• Agobbzo. Gubbio, città dell* Umbria.
*7 Che alluminare ecc. Da enluminaire (francese) miniare. Quando
Dante seri vea questa parte della sua Cantica, era appunto in Parigi;
ed io credo eh' egli noti questa particolarità per insinuar bellamente
dov* egli seri vea queste cose. Se non fosse per questa ragione, l'os-
servazione del nome, che si dà in Parigi alla miniatura, perdei ebbe
ogni importanza, e sarebbe piuttosto una frivolezza, da cui tanto,
aborre il nostro sommo poeta. — Parisi. Dal latino Lut etici Parisiorum.
*• Più ridon le carte. Le pergamene dei Corali e dei Codici sulle
quali ordinariamente si miniavano vignette ed iniziali stupende e
CANTO XI. 255
Che pennelleggia Franco Bolognese : 49
L'onore è tutto or suo, e mio in parte. w
Ben non sare' io stato si cortese 5I
Mentre eh' io vissi, per lo gran disio
Dell'eccellenza, ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio:
Ed ancor non sarei qui, se non fosse,
90. Che possendo peccar mi volsi a Dio. C2
O vanagloria delle umane posse, 5I
graziose con pensieri allusivi all'argomento, o a qualche fatto della
Santa Scrittura, da poterne formare un1 amabile galleria di bei qua-
dretti. Anche la Divina Commedia ebbe in appresso l'onor di queste
finitissime miniature, e tra gli altri andava per tali lavorietti più
superbo il Codice, che di Francia rubò il famigerato Libri. Il gior-
nale V Armonia, nel darcene conto nel suo Numero del 6 Sett. 1862 lo
dice: Con iniziali alluminate al primo canto di ciascuna Cantica, e
piccole iniziali in oro e colori ai primi versi degli altri Canti. Il
principio dell* Inferno ha una bellissima ghirlanda di fiorì, frutti, vasi
ed angeli, ed una piccola pittura di Dante seduto. — Di sopra Om-
berto tutto raumiliato ingrandiva la sua colpa e impiccoliva quella
de' suoi nemici: qui Oderisi per la stessa umiltà impicciolisce il pro-
prio merito e ingrandisce l'altrui, persino quello de'suoi scolari.
49 Franco Bolognese. Scolaro di Odorisi, una parte delle cui mi-
niature serbavasi nella galleria Malvezzi a Bologna.
W L'onor è tutto or suo ecc. Varia secondo il carattere del vero umile.
M Ben non sare1 io stato ecc. Accasa il suo peccato, che fu di
superbia; in forza della quale altri innalza sé stesso, anche colla
depressione altrui.
3* Che possendo peccar ecc. Oltre di esser superbo dell'arto mia,
fui anche procrastinante della mia conversione, ma infine però con-
vertito a Dio. Da ciò si vede che Oderisi prima fu nell' Atrio tra
i procrastinanti, ondagli morì molto prima del 1300. Anche questo è
naturale all'umile ; dire oltre le proprie colpe palesi anche le occulte.
53 0 vanagloria ecc. Continua lo stesso Oderisi, e tutto com-
preso dall'umiltà, esce in un predicozzo contro la vanagloria. — Delle
umane posse. Dell'umano valore in fatto di arti liberali, perchè di
queste sole si parla.
956 PURGATORIO
Com' poco verde in sulla cima dura, 5i
Se non è giunta dalle etadi grosse ! w
Credette Cimabue nella pintura **
Tener lo campo, ed ora ha Griotto.il grido,
Sì che la fama di colui oscura.
54 Com9 poco verde ecc. La gloria umana si presenta qui sotto
l'allegoria di una pianta, che presto si disseccai quantunque l'eccel-
lenza sia giunta al sommo (in sulla cima).
33 Se non è giunta ecc. Da che dipende la rinomanza di un ar-
tista? Dal caso; cioè dal non succedergli chi lo superi, e meglio
dal sopravvenire di una età o di un secolo, che abbia la disgrazia
di non produrre artisti di vaglia. Perchè se i secoli susseguenti
danno artisti migliori, addio gloria dei primi, vinti come sono dai
secondi.
96 Credette Cimabue ecc. Cimabue, nobile fiorentino, ebbe il primo
merito di far rivivere la pittura in Italia, apprendendola dai mae-
stri greci fatti venire a Firenze, ma ben presto superandoli con
abbandonare le loro grettezze. Al suo tempo, che fu dal 1240
al 1300, fu il primo senza eccezione, ed egli stesso si teneva per
tale. Al qual proposito dice il Vasari, citando l'Ottimo: « Fu Ci-
mabue di Firenze pintore nel tempo di l'autore, molto nobile di
più che homo sapesse, e con questo fue sì arrogante et si disde-
gnoso, che si per alcuno li fosse a sua opera posto alcun fallo o
difetto, o elli da se l'avessi veduto (che come accade molte volte,
l'artefice pecca per difetto della materia, in che adopera, o per
mancamento eh 'è nello strumento con che lavora) immantiuente quel-
V opra disertava, fusai cara quanto volesse. Ma finalmente (con-
tinua il Vasari) essendo vivuto sessanta anni , passò ali1 altra vita
Tanno 1300 , avendo poco meno che risuscitata la pittura. La-
sciò molti discepoli, e tra gli altri Giotto che. poi fu eccellente
pittore ^ il quale Giotto, abitò dopo Cimabue nelle proprie case
del suo maestro, nella via del Cocomero. Fu sotterrato Cima-
bue in santa Maria del Fiore, con questo epitafìo fattogli da uno
de' Nini :
Crcdidit ut Cimubos picturae castra tenere,
Sic tenuit vivens; nunc tertet astra poli.
CANTO XI. 2*7
Così ha tolto l'uno all'altro Guido "
La gloria della lingua ; e forse è nato M
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido.
100. Non è il fhondan rumore altro che un fiato w
Di vento, ch'or vien quinci, ed or vien quindi,
E muta nome perchè muta lato.
Che fama avrai tu più se vecchia scindi *°
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi,
OT Coà ha tolto l'uno all'altro Guido. Guido Cavalcasti fioren.
tino tolse la gloria della lingua a Guido Guinicelli bolognese. Gui-
nieeUi mori nel 1276: Cavalcanti nel 1301. Questi era il più stretto
amico di Dante.
M E font è nato — Chi Vuno ecc. Dante intende questo di sé st^so.
È superbia? non credo ; perchè la superiorità di Dante ai due Guidi
è troppo evidente. Ad ogni modo Dante se lo fa dir da Oderisi, e
ci mette l'attenuazione di un forte*
** Non è il mondan rumore altroché un fiato. J\ mondan rumore
ò la rinomanaa umana. Oderisi la fa veder vana e volubile al som-
mo, paragonandola al vento, che secondo che spira ba vani nomi.
Quid cosa più vana del vento? e qual cosa più variabile di lui?
Tale è la gloria mondana: vana per sé medesima, come il vento:
facile a mutarsi per altri nomi, come il vento cangiando luogo
muta di nome. Non potea scegliersi più appropriata similitudine di
questa.
* Che fama avrai tu pia te veochia scindi. La gloria, oltre di
esser vana ed instabile , è anche tarda a raggiungersi ; e questa
teraa proprietà si tratta in questo luogo, dicendo che se prima non
passano mille anni, tanto ha fama chi muore vecchio, quanto chi
muore bambino, lì morir vecchio ò reso dalla frase: et vecchia
tèndi — Da te la carne, dal latino scindere , dividere , cioè se ti
dividi dalla tua carne in vecchia età. Il morir bambino è reso
dalla frase: Se fosti morto — Innanzi che lasciassi il pappo e il
dindi, cioè il cibo eli danari, che i bambini chiamano, come fu loro
insegnato per vezzo, pappo o pappa, e dindi. Ci vogliono dunque
mille anni, perchè un valente possa dire : Io mi tono ornai assicurato
la fama.
17
358 PURGATORIO
Pria che passiti mill'anui ? oh9 è piti corto <f
Spazio all'eterno, che un muover di ciglia
Al cerchio che più tardi in cielo è torto.
Colui che del cammin al poccP piglia **
lio. Dinanzi a me, Toscana sonò tutta, "
E ora appena in Siena san pispiglia, u
Ond'era sire, quando fu distrutta "
M Ch'è pia certo -» Spento alV eterno ecc. Che se ti sembras-
sero troppo lunghi questi mille anni di prova, sappi die invece
sono un niente in confronto della eternità ; come un niente sarebbe
l'arco delle ciglia, in confronto del massimo arco, che abbiano, <(aal
sarebbe il primo mobile (Vedi Tav. II, Par.) rateo del quote, per
essere maggiore di tutti gH areni, si volge più tardi. Intendi però
bene questo più tardi, che non ò avverbio di tempo, ma di tango,
o di quantità, e vuol dire che è torto meno, perchè quarto mi cer-
chio è maggiore, tanto ha minore inefinasione. Dice dunque fl poeta,
o Oderisi pel poeta, che c'è pia proporsione tra I mila «eòi pei
quali si dee aspettare la fama e la eternità, che bob tra r«reo del
nostro ciglio e l'arco massimo del cielo.
«* Che del cammin ti poco piglia. Che va ai adagio pel peso
che l'opprime. Virgilio avea detto poco prima: Keoe di qua, tao
fanno i potei radi.
ai Toscana eonb tutta. Tutta Toscana (nominativo) seme colui
(accusativo). La fama lo strombustò per tutta Toscano.
64 E ora appena ecc. Prova di ratto della caducità della glorio
mondana. Ecco infatti qui uno che l'avea, e poi 1* ha perduto; e
non si nomina più che nel solo suo luogo natio (Siena), o sotto
voce (pispiglia) per paura o per vergogno.
Quest' ultimo argomento, che porta Oderisi contro lo glorio
mondana sarebbe per rispondere alla seguente obbieaione, eoo gli
si poteo rare. Eppure ci fu ehi ottenne somma gloria anche primo
che passassero i mille anni : tale sarebbe questo Senese.
Al che Odorisi risponde: è vero, ma la perdette anche subito,
ed ora nessuno più lo ricorda. E cosi anche dalTobbiesiooe si trae
una conferma alle cose dette contro la gloria mondana.
£* Ond' tra .sire. Di cui era valoroso capitano al tempo che i
Senesi diedero la rotta ai Fiorentini a Monteaperti nel I960, che
fece VArbia colorata in rosso.
CANTO XI. 269
La rabbia fiorentina, che superba **
Fu a quel tempo, sì come ora è putta.
La vostra nominanza è color d'erba, 67
Che viene e va, e quei la discolora, **
Per cui ell'eace della terra acerba.
Ed io a lui : Lo tuo ver dir m' incuora 69
Buona umiltà, e gran tumor m'appiani : 70
120. Ma chi è quei di cui tu parlavi ora ?
Quegli è, rispose, Frovenzan Salvaci ; 71
Ed è qui perchè fu presuntuoso
A recar Siena tutta alle sue mani.
Ito è così, e va senza riposo, M
«
<* La ràbbia fiorentina. La oltracotanza rabbiosa dei Fiorentini,
allora superbi, ed ora cortigiani e venali.
•7 È color feria, — Che viene e va ecc. Prima l'avea assomigliata
ed un fiato di vento ch'or vien quinci ed or vìen quindi: ora ras-
somiglia al colore dell'erba prima verde e poi secca.
** E quei la discolora — Per cui ecc. Il Sole che fa nascere l'erba
tutta verde, mentr'è acerba, ossia in sul principio, il Sole stesso le
toglie poscia il colore facendola avvizzire.
® M'incuora. Mi mette in cuore.
7° Gran tumor m'appiani* La superbia gonfia, e le esortazioni
ben ragionate della umiltà ci fanno dar giù tale gonfiezza. Danto con-
fessa di non esser immune di questo peccato, e Io confesserà di nuovo
da qui a poco; ma confessa in pari tempo che le ragioni per esser
umile recate si maestrevolmente da O derisi,, gli hanno fatto gran
breccia sul cuore. Di questo egli abbisogna per poter passare da
questa a un' altra cornice, dovendosi ad ognuna purgar del peccato
che in essa si punisce.
H Provcnzan Salvani. Che da semplice capitano del popolo Se-
nese volle farsi padrone assolato di Siena, S'egli ruppe dapprima
i Fiorentini, poscia i Fiorentini vinsero lui, e mozzatagli la testa, l'ap-
pesero ad un'asta a ludibrio universale. Questo avvenne nel 1268,
poco dopo la sua superbia di volersi fare tiranno di Siena.
7* Ilo è così, e va ecc. Dal punto che mori sino adesso si trova
a questa pena. Dunque egli non perdette tempo alcuno nell'Atrio,
quantunque si sia pentito de' suoi peccati solo in fine di vita ,
260 PURGATORIO
Poi ohe mori : cotal moneta rende 7>
A soddisfar, chi è di là tropp'oso.
Ed io : Se quello spirito che attende, "
Pria che si penta, Torlo della vita,
Laggiù dimora, e quassù non ascende,
iso. Se buona orazion lui non aita, "
Prima che passi tempo quanto visse,
Come fu la venuta a lui largita?
Quando vivea più glorioso, disse, 7*
essendo stato sino allora superbo. Sarebbe stata questa per Proven-
zano una felice eccezione dalla legge comune, che arresta i procra-
stinanti nell'Atrio tatto il tempo che vissero nell'impenitenza. Di qui
il dubbio che sorge in Dante: Perchè mai siffatta eccesione e de-
rogazione alla legge comune? La proposta di questo dubbio e la
sua risposta verranno subito appresso.
™ Cotal moneta rende — A soddisfar eoe. Tale è la pena dei
superbi, ossia chi di là peccò di superbia paga qui di questa mo-
neta la divina giustizia" offesa.
i*Se quello spirito che attende ecc. Ecco il dubbio di Dante In-
torno alla grazia usata da Dio a Provenzan Sai vani procrastinante.
È chiaro per sé medesimo,
78 Se buona ora* io n ecc. La condanna di esiglio non* Atrio pei
procrastinanti abb'am detto altre volte, eh 'è condizionata ai suffragi
che si o no si applicano loro nel mondo, coi quali si scansa in tutto
o in parte il tempo del loro esiglio. Dunque il procrastinante dee
passar tanto tempo nell'Atrio quanto visse impenitente, salvo che
i suffragi non lo aiutino. E questi suffragi non pare che abbiano
avuto luogo, e che però abbiano potuto essere la vera causa che
Proveuzano cessasse T esiglio; perchè egli salse a questa prima
cornice del vero Purgatorio subito dopo spirato. Dunque com'è che
Proveuzano fu sì privilegiato? Rispondo anticipatamente che ciò
gli avvenne per un'opera eroica di carità fatta ad un suo amico,
come vedremo.
™ Quando vivea piò glorioso. Nel tempo della sua massima glo-
ria (mondana s'intende), quando cioè gli uomini sono più inclinati a
superbire, e più disdegnano l'abbassarsi. Ciò fu nel tempo della
sua prima signoria di Siena.
canto xi. m
Liberamente nel campo di Siena, 7T
Ogni vergogna deposta, s'affisse :
E li per trar l'amico suo di pena, 7*
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena. "
79 Liberamente nei campo di Siena,— Ognivergognm ecc. Il fatto
è questo: Un amico di Provengano era nelle prigioni di Carlo I
re di Puglia, il quale pel suo riscatto volea dieci mila ducati d'oro.
Provenaano ai tolse l' incarico di trovarli, chiedendoli egli stesso in
elemosina in piana di Siena, superando la naturai vergogna che si
ha in elemosinare, massime dalle persone grandi. Notate bene le cir-
costanze, che impreziosiscono quest'atto di carità di Salvanb
!.• Umiliarsi nel tempo della sua massima gloria, e allora pen-
sare ai miseri, quando gli altri solitamente li dimenticano.
2.« Fare quest'atto di carità spontaneamente, senza che nessuno
il pregasse (liberamente).
S.° Chiedere elemosina per l'amico non già privatamente ed entro
le case, lungi dalla vista del pubblico! ma nella stessa piazza (nel
campo).
4.* Superar generosamente ogni vergogna, facendo quest'opera
si umile con quell'animo con cui avrebbe vinto in campo i nemici.
6.0 Tener in simile questua il modo che tengono i grandi men-
dichi, i quali siedono e stanno fissi o alla porta del tempio o sui
crocicchi dei mercati, saldi e costanti a chiedere a tutti (Zaffine).
Dicono alcuni ch'egli avesse disteso innanzi a sé per tèrra un tap-
peto per raccogliere le elemosine.
78 E lì, IX in quella piazza, in quel punto della piazza più po-
polato; 11 inchiodato senza mai dipartirsi. Questa parolina ha una
gran forza, come si vede: essa fa vedere la sua immobile costanza
sa un'opera tanto difficile.
W Si condusse. Si ridusse. D si condusse non indica già moto
per questo o quel luogo della piazza o della città, mentre abbiamo
veduto ch'egli s'affisse nella piazza ; ma indica semplicemente il suo
movimento interno che provava nell' eroica sua azione, ed era quel
tremito che prova un nobil cuore nell'atto umiliante di accettar
elemosina.
Dante a ragione attribuisce a quest'atto eroico di carità, verso
un povero prigioniero, la esenzione dalla legge comune del bando
fuori del Purgatorio accordata a Provengano. Dissi: a ragione; perchè
262 PURGATORIO
Più non dirò, e Beuro ho che parlo; w
140. Ma poco tempo andrà che i tuoi vicini
Faranno A che tu potrai chiosarlo.
Quest'opera gli tolse quei confini. w '
Gesù Cristo nel Vangelo innalza quest'opera sopra tutte: e nel giu-
dizio medesimo che di noi faxa, egli si protesta che sette opera della
carità verso il prossimo s'aggirerà principalmente il nostro processo;
e per animarci di preferenza a questa fotta operazione, egli dichiara
fatto a sé quel che faremo ai bisognosi Cosi Dania anche in vista
di si bel premio sprona tatti non sok> all' amor del prossimo, ma e
a soffrire qualunque disagio per soddisfare a questo sa batto amore,
so E scuro 89 che parlo. Parlo oscuro, perchè narrai 4'eroismo di
questa azione in termini alquanto vaghi e generici) .sebbene «hi
intese il fatto comprende i miei detti e quanto debba avere costato*
a Salvaci l'opera sua. Gaso. però che tn non m'abbia issato com-
piutamente, m'intenderai da te stesso tra poco tempo, optando i
tuoi cittadini ti cacceranno in esigUo spoglio di tutti a beai. Al-
lora anche tu. dovrai cercarti la vita elemosinando, e scoiando attera
per propria esperienza quanto costi ad uom gentile questo modo di
vivere, sarai in caso di chiosare o spiegare perfettamente i miai detti*
. 8! Quest'opera gli tolse quei confini. Quest'opera si santa a ca-
ritatevole fé' ai che non dovesse dopo morte starsene in bando nel-
l'Atrio del Purgatorio, dove avrebbe dovuto stare, se non avente*
fatta quest'opera, secondo la legge posta a tutti i procrastinanti..
Pare che il poeta abbia fondato questo privilegio di Salvasi spe-
cialmente su quelle parole dell'Angelo a Tobia: Eltemorinm a morse
Uberat% ci ipsa purgai peccata, et /adi invenire misericordiam.
La frase gli tolse quei confini, non devesi intendere nel senso, che
lo liberò da quei confini dopo di esservi caduto, ma che lo preservò
perchè non vi cadesse. E devesi intendere cosi, perchè di sopra a
nota 72 si era detto, che galvani, appena morto, andò a purgarsi
tra i superbi. — Confini vale eeiglio.
CANTO XII
Argomento.
Dante eccitato da Virgilio ri diparte dalle ànime, che andavano
troppo lente, e Raffretta con lutper la §trada verso messoli. Dante
osserva quivi sul piano incisi esempi molti di superbia» Intanto
che Dante guarda le incisioni per terra, Virgilio vede appressarsi
V Angelo custode del varco , per cui si sale alla seconda cornice
degli Invidiosi, e ne avvisa Dante. Dante gli si presenta, e l'An-
gelo l'accoglie amorosamente, e lo conduce alla scala, cancellan-
dogli colf ale un P dalla fronte. I poeti salgono e intanto odono
canti dal di sopra* Dante, che si sente leggero in salire, ne di-
manda il perchè a Virgilio, e Virgilio gliene rende la ragione
▼•rfi tatti i smWoi di qoMto Canio odi* mie Tst. Ili i IV, Purg.
D
i pari come buoi che vanno a giogo f
M'andava io con quell'anima carca,
Fin che '1 sofferse il dolce pedagogo. '
* Di pari come buoi ecc. Io andava tanto chino accanto a Ode-
risi, quanto era chino egli stesso pel suo peso; e ciò perch'agli ap-
pressasse comodamente a me le sue parole ed io a lai le mie. La
similitudine dei buoi che vanno a giogo è molto significante. Qua-
si'umile eurvamento della persona insieme alla umile parola, che
venia udendo, gli incuoravano buona umiltà, e cosi purgava egli
tesso la sua superbia, e si disponeva con questi atti penitenziali
a salire all' altra cornice.
2 Pedagogo. Pedagogo è parola greca, e suona guida. Tale ara
Virgilio,
264 PURGATORIO
Ma quando disse: Lascia lui e varca; '
Che qui è buon con la vela e co' remi, *
Quantunque può ciascun, pinger sua barca;
Dritto sì, come andar vuoisi, rifèmi ■
Con la persona, avvegnaché i pensieri
Mi rimanessero e chinati e scemi. '
io. Io m'era mosso, e segnia volentieri 7
Del mio Maestro i passi, ed ambedue
Già mostravam com'eravam leggieri ;
» Ma quando oYsse: Laeeia ecc. Una dei sofiti eccitamenti ali*
fretta, che Virgilio non manca mai di dare al tao guidato per la
estrema cura eh' egli ha del tempo tanto prenoto.
* Che qui è buo* con la vela eco. Perchè qui (dove vedi cheti
va con tanta lentezza) conviene che assenno prò v teda a'fittti mei
usando quella maggior fretta che può. A indicar questa maggior
fretta prende la similitudine dei barcaiuoli, i quali quando vogtioa»
più sollecitare adoperano vele e remi. Proverbio toscano.
* Dritto si ecc. Dritto del corpo, ma rauminata dell'animo, coma
fu detto alla nota 1.» , perchè la vista delle pene del superbi, le
loro belle considerasioni sui danni della superbia e sulla vanità dalla
gloria mondana, e il camminare si curvo di Dante medesimo sono
argomenti assai buoni per procacciare umiltà.
* Chinati e scemi. Scemi, perchè fu troncato loro quel di (sa che
è superbia, Chinati, perchè la parte dei pensieri rimana era tutta
di umiltà.
1 1o m'era motto, e seduta ecc. Occorre qui un po'oH osserva*
sione al mio disegno della Montagna, Tav. IV, per aver le posture
esatte delle persone in questo luogo. Se vi ricordata, mentre Dante
guardava la tersa incisione di Traiano, Virgilio l'avvisò delle anima
che venivano. Allora Dante e Virgilio erano a sinistra dalla inci-
sion di Traiano in messo alla strada dove appunto io U ha messi.
Intanto s'appressano le anime recitando il Pater, e dicono ai Poeti
di farsi alla loro destra. Ecco infetti nel mio disegno D e V alla
destra dell'anima prima. Questa era Omberto, la seconda appresso
era galvani, la terza Oderisi. Mentre la prima (Omberto) andava
e parlava con Dante, Dante fu conosciuto dalla tersa (Oderiai) colla
quale si accompagna e procede avanti aaeai lentamente. Questa tersa
CANTO Xn. 266
Quando mi disse: Volgi gli occhi in giue : 8
Buon ti sarà per alleggiar la via
Veder lo letto delle piante tue.
Come, perchè di lor memoria sia, •
Sopra ay sepolti le tombe terragne
Portan segnato quel ch'elli eran pria ; *°
Onde lì molte volte se ne piagne M
20. Per la puntura della rimembranza,
Che solo a' pii dà delle calcagne : "
Sì vidi io lì, ma di miglior sembianza,
(Secondo l'artificio) figurato "
Quanto per via di fuor dal monte avanza. u
gli dà notizia della seconda (Salvani) e intanto si viene presso allo
sbocco dela prima salita vicino all'intaglio dell'Annunziata, e in
feccia all'intaglio dell'Arca Santa. Qui Virgilio diparte Dante dal-
l'anta* par affrettarsi, e trascorsi oltre l'intaglio dell' Annunziata,
Virgilio raccomanda a Dante di osservare gli intagli della superbia,
che a differenza degli intagli dell'umiltà erano posti sulla strada
stessa che si calcava, e cosi venivano ad esser calcati essi pare dai
passeggiati» Bellissima e sapientissima invenzione, come dicemsao, per
la quale mezzo monte ha esempi di umiltà in alto, e l'altro messo
monte ha esempi di superbia in basso, luogo degno di loro,
* Quando mi dine: Volgi ecc. Virgilio gli disse questo appena
passato lo sbocco della salita, m faccia all'Annunziata. Sicché aveano
fistio poca strada dall'abbandono dell'anime sin qui, al più un quin-
dici o venti passi.
* Come perchè ecc. Non ci sarebbe stata similitudine pia pro-
pria di questa.
M Portan legnato ecc. Portano in bassorilievo l'effigie al natu-
rale del morto qua! era in vita.
*t Se ne piagne. Dai parenti ed amici memori delle belle qualità
a dei benefizi del defunto»
« Che Molo a9 pii ecc. Che solo punge i pii, o teneri di cuora,
verso le anime. I duri non si muovon per questo.
** Secondo l'artificio. Per esser quell'artificio divino e non umano.
ti Quanto per via ecc. Tutta la larghezza della strada, ch'era
tanta quanta Mieurrebbe in tre volte un corpo umano : circa 15 piedi.
266 PURGATORIO
Vedea colui, che fu nobil creato"
Più d'altra creatura, giù dal cielo
Folgoreggiando scendere da uà lato:
Yedea Briareò fitto dal telo *6 .
■
Celestial, giacer dall'altra parte,
so. Grave alla terra per lo mortai gelo. I7
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, l8
Armati ancora, intorno al padre loro, "
Mirar le membra de' giganti aparte. *°
** Vedea colui ecc. Dante per farci conoscere che Otterrà tatti que-
sti bassorilievi del pavimento alla sfuggita, per secondare la pressa che
gli IV Virgilio, si esprime in modo come si esprimerebbe eoraf che tocca
di volo gli argomenti. Il primo intaglio che vide, fa la caduta di Luci,
fero , il pruno superbo del mondo. Ma notisi che parlando di Lucifero
lo vedea scendere da un lato, é parlando di Briareo, che subito segue,
lo vedea giacer dall'altra parte. Questo da un lato veder uno, e dal*
PaUra parie un altre dinota chiaramente Pordine con cui erano messi
gii intagli ; cioè erano accoppiati a due a due pel tiayerso delia strada,
nella eoi parte interna era Lucifero, e netta cui parte esterna era Bria-
reo. Goal dite degli altri intagli, che seguiranno : ma quando fa al 1&.°
intaglio si levò per attendere all'Angelo indicatogli da Virgili*. Per
questo nel Disegno della Montagna il 19.« intaglio si vede solo. I pit-
tori e gli scultori hanno molto da imparare in questi tredici abbassi.
** Briareo, Gigante che con altri suoi pari ebbe la superbia di
muover guerra agli dei nella valle di Flagra, È vero ohe è tavola,
ma questa favola conferma, l'idea della superbia punita essere stata
dominante pur tra1 pagani
ti Per la mortai gelo. Pel suo grave corpaccio disanimato e
freddo, e pesante alla terra. Un basso rilievo di questa fatta sa-
rebbe lavoro da gran maestro.
M Timbreo, Apollo, detto Timbreo da un tempio, che avea in
Timbra nella Troade.
*• Al padre loro. Giove. Armati ancora. Dinota che la battaglia
era appena finita, e oh'eran pronti a rinnovarne un'altra, a a fare
altrettanto contro qualunque superbo.
*° Mirar le membra ecc. Accenna ad altra guerra dei giganti,
ehe più d'una volta fecer guerra a Giove. Membra sono parti del
corpo mosse e sparse qua e colà.
CANTO XII. 267
Vedea Nembrotte a pie del gran lavoro, "
Quatti smarrito, e riguardar le genti, **
Che in Sennaar con lui superbe foro. *'
O Niobe, con che occhi dolenti u
Vedeva io te segnata in su la strada, **
Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti !
40. O Saul, come in su la propria spada *
Quivi parevi morto in Gelboè,
Che poi qon sentii pioggia né rugiada!
*• Jfembrotte ecc. Vero personaggio scritturale e primo autore
di un'opera veramente auperba^che servi di base a tutte le mito-
logie pagane in questo genere. — II gran lavoro è la famosa torre
di Babele.
** , Qwtf* enarrilo, e riguardar ecc. Turbato e confuso in sé stesso
guardar altri confusi senza saper onde e come fosse quel caso di
non intendersi. Si sa che Dio confuse il loro linguaggio si che nes-
suno intendeva più l'altro» o lo intendeva a rovescio*
» Sennaar. H campo di Sennaar è al sud-est della Palestina presso
alla confluenza dei due fiumi Eufrate e Tigri.
** 0 Niobe ecc. Notisi che a dar varietà a questa rivista d'in-
tagli, il poeta or dice: Vedea, or: 0, or: Mostrava; cosi per la me-
desima ragione va interpolando esempi scritturali ed esempi mito-
logici, cioè .uno mitologico ed uno scritturale , e cosi via via.
Ripeto che gli esempi di mitologia non si pongono in quanto
sono di mitologia, la quale per sé è menzogna, ma si pongono in
quanto servono di testimonianza del sentimento universale dei
popoli in ogni tempo, che la superbia fu sempre odiata e punita
da Dio.
Niobe, superba della sua fecondità, avendo avuto sette figli e
sette figlie, osò tenersi da più di Latona. Ebjsjpe; i figli di Latona,
Apollo e Diana, in pena di tanta arroganza le uccisero sotto i suoi
occhi li quattordici figli.
** Segnata. Scolpita.
* 0 Saul ecc. Saul non volle obbedire agli ordini di Dio in più
cose. Ebbene Dio lo rigettò, ed egli disperato si uccise sui monti
di Gelboò, sui quali Davide, a sfogo di dolore, imprecò mancanza di
pioggia t rugiada,
268 PURGATORIO
O folle Àragne, ai vedea io te, v
Già mezza aragna trista in sugli stracci *
Dell'opera che mal per te si fé'! "
O Roboam, già non par che minacci "
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento ,f
Nel porta un carro prima ch'altri il cacci !
Mostrava ancor lo duro pavimento
50. Come Aimeone a sua madre fé' caro n
Parer lo sventurato adornamento.
Mostrava come i figli si gittaro *
** O folle Aragne ecc. Mitologica tessitrice e ricamatrice, die
oaò sfidare Minerva. Vinta dalla dea, fa da easa cangiata in lagno.
Si vedea io te. U ti è affermativo.
» In lugli etraeci. In ani drappi ricamati, che si dicono strecci
per modo dispregiativo, o perchè le vennero stracciati fai pena dsfla
eoa arrogante, il che mi par miglior senso.
» Dell'opera che mal per te ei fé'! Questo avrebbe dee sensi:
1. dell'opera, che tu facesti male o che si fe' male da te; 3. dtffepem
che ai fo' per tuo malanno. L'uno e l'altro di questi sensi ualsenihlia
all'argomento. Meglio però il primo.
»» O Roboam ecc. Robotmo, figlio di Salomone, trattò arrogante-
mente le giuste dimanda del popolo! al quale, perchè ili mandai e
alleggerimento di gabelle, rispose, dietro il consiglio del gius ani,
spronato quello dei vecchi, che se suo padre lo avea battale eoa
verghe di legno egli lo batterebbe cogli scorpioni In conseguane* di
tanta alterigia il popolosi sollevò ed egli dovette fuggire per salvarsi.
« // Ino ttyito. Fu sculto in questo luogo, perchè l' intaglio le
rappresentava in atto di fuga.
« Almecne. Figlio di Anfiarao e di Enfile. Questa, superba <fi
ornarsi di un monile offertole da Polinice per tradire il merito, fa
uccisa dal proprio nfko per vendicare il tradimento del padre.
n tfitfi « geitaro — Sovra Sennackerib. Sennaeherib re degli
Assiri dopo aver saccheggiata la Giudea, mandò minacciare I re
Esechia burlandosi della confidente, che egli aveva in Dio. Assediò
poi Gerusalemme, ma Dio mandò un angelo sterminatore, durante
la notte, che gli uccise 180,000 uomini Sennacherib dopo questa
carneficina se ne fuggì ne* suoi Stati e fa ucciso a Nini ve in un
tempio da' tuoi due primi figliuoli.
CANTO XII. 269
Sovra Sennacherib dentro dal tempio,
E come morto lui quivi lasciare u
Mostrava la ruina, e il crudo scempio
Ohe fé' Tarn ir i, quando disse a Ciro: "
Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio.
Mostrava come in rotta si fuggirò
Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne, M
sa E anche le reliquie del martire
Vedeva Troia in cenere e in caverne : n
O Uión, come te basso e vile M
U Qww Joasfaro. Dandoli essi albi Alga. Quindi nell'intaglio ri
doveano veder quei figli da un canto fuggenti.
*» Che fé* Tamiri. Il fatto a eoi accenna il poeta è il seguente:
Ciro fotta guerra agli 8citi, capitanati da 8pargapiso, figliuolo della
lor regina Tamlriy li Tinae: ma Tamiri raccolto ben torto un nuovo
esercito Inseguì il vincitore, e lo Tinse anch'olla alla sua volta. Fat-
tolo prigioniero, gli troncò la testa e la tuffo in un otre pieno di san-
gue dipendo: 8aiia te languii* quem ritisH. Cosi Erodoto e Giustino
narrano la fine di Ciro.
Ma Senofonte narra invece ch'egli mori in Persia di morte na-
turale, B poeta s'attiene ai primi. 8e fosse da noi concordare queste
due diverse narrazioni, diremmo, che 11 celebre P. Tournemine nelle
memorie di Trevouz del Nov. 1708, distingue due Ciri, uno re di
Persia e grande conquistatore! l'altro aio di mi: quello morto come
lo narra Senofonte, questo ucciso come racconta Erodoto, il quale
però Ingannato dal nome attribuì al nipote la morte dello aio. Dante
non dice di parlare dello zio, o del nipote; onde potrebbe essere
ch'agi Intendesse veramente dello aio e die sapesse anch' egli la
esistenza di questi due Ciri.
W Poi the fu storio Oloferne. Poi che fu ucciso Oloferne da Giu-
ditta. H fatto di questa eroina è noto abbastanza. La strage degli
Assiri fotta dagli Ebrei, in seguito alla uccision di Oloferne, sono
le reliquie del martire
ti Vedeva Troia ecc. Ridotta parte in cenere, parte in caverne.
Troia era superba delle sue ricchezze e della sua potenza.
»* 0 Ilio*. Era la cittadella di Troia opera gigantesca e formi-
dabile.
970 PURGATORIO
Mostrava il segno che li si discerne ! M
w Mostrava il $egno. La scoltura che li ti rappresentava. Notate
il principio di ogni verso in questa terzina: Vedeva, O, Atogtrava, che
sono una ricapitolazione dei quattro Vedea, dei quattro O, e dei
quattro Mostrava, usati nei dodici esempi di superbia mentovati di
sopra. Abbiamo fatto osservare altre volte, come Dante abbia vo-
luto essere simmetrico in tutte le parti del. suo poema tanto generali
quanto particolari : qui poi perchè si trattava di disegno e di scol-
tura, volle essere più simmetrico ancora ehe m ogni altra parte, per-
chè la scolta» e la pittura de* suoi tempi era modellata sulla sim-
metria, che tutto rendeva semplice, armonico e piramidale: dalla
qual legge rigorosa se si scostarono alquanto 1 cinquecentisti, non
credo che abbiamo fatto bene, e che ci abbiano guadagnato, es-
sendo essi usciti da quelle beate e semplici dispoaisioai e propor-
zioni che contentano l'occhio, ed essendosi invece gettati hi una
sfrenata lioenxe di linee e di disannonie, che seppero pur sostenere
con gloria assistiti dal loro genio, ma che divennero causa del tra*
lignamento dell'arte, tosto che la loro scuola cadde in mano di ar-
tisti privi affatto del genio dei loro maestri. Presentemente a risto*
rare le arti liberali non v' ha altro messo che quello di rieondurle
alla lor primiera semplicità, studiando i modelli dei secali sesspliei,
sta nella pittura, sia nella poesia maestra di quella, e mpwsimsmente
studiando i quadri magnifici e semplicissimi di Dante, notti qui ed
altrove. Per questo ho creduto bene destinare un caseUino nelle mie
Tavole, in cui sono registrati i brani più pittoreschi della JHvima
Commedia a comodo ed a sussidio degli artisti.
Questo mi venne detto in proposito delle stesse paiole che co»
minciano i versi , e che danno a vedere sino a qual segno qnelm
mente, pure al immensa, di Dante andasse attesa alle cose più mi-
nute, per dare più che fosse possibile un ordine simmetrico alle sue
rappresentazioni. Ma v* ha di più* Per disporre più simmetricamente
i buoi dodici gruppi li riparti in tre diverse categorie di quattro
soggetti l'una, e in fine H tredicesimo ehe tutti gli raccogliesse, fug-
gendo in questo modo la monotonia che avrebbe reso se non fos-
sero stati così distinti.
Il Vinci fece lo stesso (se forse noi prese da Dante) co' suoi do-
dici apostoli seduti alla mensa Eucaristica del Redentore. Anche in
questo dipinto sono tredici soggetti, dodici apostoli e il Redentore,
come tredici soggetti sono queste incisioni. Il Vinci li riparti in
quattro gruppi di tre apostoli ciascuno, come Dante riparti i suoi
CANTO XII. 27 1
Qual di perinei fu maestro e di stile , 40
Che ritraesse l'ombre, e gli atti, eh' ivi 41
Farien mirar ogni ingegno sottile? 4S
Morti li morti, e i vivi parean vivi : a
Non vide me9 di me chi vide il vero,
• Quant' io calcai fin che chinato : givi. u
70. Or superbite, e via col viso altiero w
Figliuoli d'Eva, e non chinate il volto, "
SI che veggiate il vostro mal sentiero.
■oggetti in tre grappi di quattro ciascuno. Il Vinci poee il suo
tredicesime nel meno che tatti li riunisce , come Dante collocò il
no tredicesimo in £oe; e per far che li riunisse tatti, ricapitolò
in quest'ultimo le iniziali dei primi. In tal modo è ottenuta la varietà
naia unità tastò nella Cena del Vinci, quanto nei tredici intagli di
Beote,
** Qual di penml eec. Qual fu pittore, qual fu scultorei — Siile,
Scalpello.
*t L'ombre e gli atti. I morti ed i vivi.
<t MkrUn mirar. Farebbero maravigliare,
** jiùrti li morti eoe. Ecco là perfeaione dell'arte, la verità, per
la quale se si dipinge o scolpisce un morto, dee parer vero morto,
e- se -n dipinge) o scolpisce un vivo, dee parer veramente tale. Non
batta antera» ma il morto dee parer quel tal morto, e non qualunque
motto-; e il vivo dee parer quel tal vivo e non qualunque vivo:
il che è espresso dall'altro verso: Non vide me' di me chi vide il vere-,
** GKvi. Andai, è il passato di gire.
*s Or superbite. Ora che io vi ho narrato cotanti etempi di su*
perbi puniti, le cui effigie stanno là incise sul pavimento a scuola
dette anime purganti, e a scuola vostra, in quanto io ve le narro,
era dunque, se avete ancor coraggio, insuperbitevi pure. £ una
calda apostrofo che l' umiltà impossessatasi del cuor di Dente, cava
di viva forza dalle sue labbra contro la nostra superbia. Tutta que-
sta tarane è per modo d' ironia.
E via. E mostratela pure la vostra superbia col viso altiero.
È utfeUssi.
**Figtduoli d'Evadigli d'una madre anch'essa superba. Li nomina
dalla madre e non dal padre, perchè la madre fu superba prima del
padre, e perchè cosi fa più spiccare la nostra imbecillità.
37* PURGATORIO
Più era già per noi del monte volto, i7
E del cammin del sole assai più speso, *•
Che non stimava l'animo non sciolto : i9
Quando colui, che sempre innanzi atteso *°
Andava, cominciò: Drizza la testa; ,!
Non è più tempo da gir sì sospeso. **
E non chinate il volto — Si ohe uggiate ecc. I superbi vtnno alti
della fronte, e cosi non veggono in terra quello che potrebbe istruirli,
ed emendarli. La terra, chi ben ricorda la propria origine, è una
grande scuola di umiltà. Il superbo non yuol questa scuola, e guar-
dando in alto, e non alla terra, non conosce mai oh'egfi mal cam-
mina. Ironicamente il poeta fa animo ai superbi a non chinarsi tanto
da vedere il mal sentiero che tengono.
* 47 Più era già per noi ecc. Facemmo più strada intorno al mosto
che non avessimo creduto : e ciò perchè la niente di Dante era le-
gata a considerare quei bellissimi intagli della superbia. Provatevi
a non esser occupato in cosa, o con persona piacevole sinché mie
una strada. Essa vi parrà lunga: all' incontro fate quella medesima
strada con persona aggradevole, occupandovi con essa di cosa pia-
cevoli, ed essa vi parrà breve. Cosi avvenne a Dante. Veni questo
cammino di Dante nella Tav. IV, Purg.
** E del cammin del soie assai ecc. Come, standocene noi oc-
cupati dilettevolmente, non avvertiamo al luogo, cosi nemmeno av-
vertiamo al tempo, ambo i quali ci pascano più presto che non ero-
diamo.
*• Che non stimava ecc. Più luogo e più tempo abbiam passito
che non stimava la mente occupata.
*>Cke sempre sanatisi atteso — Andava. Non si vuol diro che
Virgilio camminasse iimansi a Dante, ma solo che camminando ai
guardava sempre innansi in attensione del varco per sauro. Cosi
potè veder il primo quello che non potè veder Dante, perchè area
la testa china agli intagli.
M Dritta la testa. In quel momento Dante era inchinato a mi-
rar Troia distrutta.
M Da gir sì sospeso. Chi cammina sciolto da ogni cura è sciolto
anche del passo: ma chi cammina occupato in cose che trova sul
suo cammino, non è sciolto del passo-, egli ha un andar lento o
sospeso.
CANTO Xn. 273
Vedi colà un Angel, che s'appresta M
80. Per venir verso noi : vedi che torna M
Dal servizio del dì l'ancella sesta.
Di riverenza gli atti e il viso adorna M
Sì ch'ei diletti lo inviarci in suso: *6
Pensa che questo dì mai non raggiorna. "
Io era ben del suo ammonir uso, **
Pur di non perder tempo, sì che in quella
Materia non potea parlarmi chiuso. w
tt S'appresta. S'accinge; e in atto.
** Vedi che torna — Dal servizio ecc. Le ore de) giorno e della
notte sòn qui rappresentate, con una vaghezza di pensiero assai
gentile, per tante ancelle che fanno il servigio del giorno e della
notte; e quando ciascuna ha fatto il proprio, se ne ritira per dar
luogo ad un* altra. L'ora ed ancella presente è la sesta del d\, se»
condo il parlar degli antichi, ossia quella del mezzogiorno e delle 12
meridiane, secondo il parlar dei moderni. L'ultimo orario, che ci
die il poeta, fu appena giunto sulla cornice della superbia (C. X, n. 9),
quando ci die l'ora delle 10.14 antimeridiane. Adesso che sta per
partire da questa cornice, ci dà pure il suo rispettivo orario delle 12
meridiane.
Così sappiamo che tra la venuta e la partenza dai superbì pas-
sarono ore 1.46 (Vedi Tav. Ili, ovvero IV, Purg.).
** Di riverenza ecc. Adorna gli atti di riverenza con gcnuflet»
fere e giunger le mani: adorna il viso di riverenza con inchinare
a lui la fronte.
M 51 ch'ei di Ulti. Sì che gli diletti. Idiotismo. Altri legge: Sì
che i diletti. *
W Pensa ecc. Pensa che il tempo passa e non torna più. Perciò
fio ti ho consigliato di far subito tutti questi atti di riverenza, per*
che l'angelo di te soddisfatto non ti faccia aspettare e, senza perder
tempo, c'invii alla salita.
W Del suo ammonir uso ecc. Gli eccitamenti alla fretta furono
tanti e continui; e noi già gli abbiamo registrati in un apposito ca»
Bellino delle Tavole, dove si troveranno tutti.
La cura del tempo è un punto assai interessante sia per Vir»
gilio, sia per Dante.
W Parlarmi chiuso. Parlarmi oscuro.
18
674 PURGATORIO
A ttoi venia la creatura bella M
Bianco vestita, e nella faccia quale 6<
90. . Par tremolando mattutina stella. **
Le braccia aperse, e indi aperse Tale : M
Disse: Venite; qui son plesso i gradi, **
Ed agevolmente ornai si sale. w
A questo invito vengoh molto radi : M
<>o La creatura bella. L'angelo per antonomasia e chiamato là
creatura bella, perchè è la più bella delle creatore uscite dalla mano
di Dio. È più bella dell'uomo, secondo il detto dì David: Minutili
eum paulo minvs ab angelis.
61 Bianco. vtrtita. Come agli angeli si dà corpo, se ben non 1* hanno,
cosi si dà ad essi una veste, la quale secondo le Sante Scritture è seni*
pre bianca. Oli angeli del sepolcro di Gesù Cristo apparsi alle donne
furono in veelibus al bit, che è il colore della letizia e dei vergini, quali
appunto sono gli angeli.
** Mattutina stella. Presso al matt:no per la maggior ptirezsa
óVll'aria le stelle sono più belle a vedersi, che nel principio o nel
resto della notte. Per questo si dice: Mattutina $Ulla.
6* Le braccia aperte ecc. Per segno di accoglienza, scusa però
Veramente abbracciare, come fanno le persone grandi, che fanno solo
il seguo dell'abbraccio, ma non abbracciano.
6* / gradi. Questa seconda scala, che dalla prima cornice dei su-
perbi mette alla seconda degli invidiosi, aveva gradi o gradini o
scaglioni a differenza della prima che non aveva gradi, ma sole
rotture di sasso che servivano di gradi. Vedi Tav. IV, Purg.
68 Agevolemmte ecc. Per più ragioni si sale qui agevolmente:
1. perchè la via ha gradini e non frastagli di monte, come l'altra
salita) 2. perchè sebben erta, è però meno erta dell'altra \ 3. perchè chi
ascende è più leggiero, avendo un P di meno, e un tal P, che è
più pesante degli altri sei, essendo il P della superbia, radice di
tutti gli altri vizi*, 4. per -he deposto il peso del primo P, perdono
di gravita gli altri sei, che pur rimangono, essendo che vinto il
vìzio principale, gli altri perdono di lor forza.
66 A questo invito ecc. Al venite ecc., detto dall'angelo testè.
E Verità evangelica che molto pochi sono quelli che si salvano, e
quindi che passino pel Purgatorio! o che ricevano le accoglienze •
gli inviti di quest'angelo.
CANTO XII. 275
O gente umana per volar su nata, 67
Perchè a poco vento così cadi ? M
Menocci ove la roccia era tagliata : 6f
Abbinino in testimonianza il multi sunt vocati, palici vero elecli:
Abbiamo Yarcta est via quce ducit ad vitam, et pauci intrant
yer eatn, ed altri simili espressioni.
«7 0 gente umana ecc. Queste parole, come quelle del verso antece^
dente, non son già di Dante, ma dell'angelo. — Per volar su nata.
Nata per volare al cielo. Fecisti nos, Domine, ad te, disse sant'Ago-
stino. Perciò Gesù Cristo nel dì del Giudizio dira agli eletti : Vettile^
possedete paratum voli* regnum a constitutionc mundi.
6* Perchè a poco vento. Al vento delle tentazioni e delle concu-
piscenze.
Così. Cosi miseramente e indegnamente e universalmente.
fl> Menocci. Dicendosi qui menocci, non s' intende che l'angelo con-
ducesse i poeti molto lungi. L'angelo non avea fatta molta strada
per venire incontro ai poeti: qualche passo e nulla più. Tanto si
viene a dire con quelle parole dette sopra : Vedi colà un angel, che
t'appretta — Per venir verso noi ; e colle altre: A noi venia la
creatura bella. Queste frasi non indicano che un piccolo movimento,
e che anche pochi passi dell'angelo verso i poeti bastavano per po-
tarsi dire ch'ei veniva. Del resto, siccome egli era il custode di quel
Varco, si capisce che non potec scostarsene gran fatto, e che non
era poi nemmen conveniente e decoroso per un angelo che facesse
gran cammino incontro ai poeti. Sicché l'angelo non ebbe che a
ritornar qualche passo per menargli al varco. Per ciò nel nostro
disegno della Montagna lo si troverà subito dietro all'angelo.
La roccia era tagliata. Notate bene la differenza tra la prima
(Canto X, ver. 7) e questa seconda scala.
1. La prima scala era entro una pietra fessa, per cui salivano :
Noi salivam per una pietra fessa; e questa era entro una pietra
tagliata.
2. La prima andava ora a destra ora a sinistra, cioè obliqua,
per render, se non agevole, alinen possibile la salita : Che si moveva
d'una e d'altra parte; questa andava in direzione retta, ma tra-
versale ascendente.
3. La prima non aveva gradini, ma solo rotture di scoglio j
questa io vece ha gradini.
4% La prima non era tanto profonduta nello scoglio; quésta si;
f76 PURGATORIO
Quivi mi batteo Tale per la fronte ; 70
Poi mi promise sicura l'andata. 7i
100. Come a man destra per salire il -monte, 7*
Dove siede la chiesa che soggioga 7*
La ben guidata sopra Rubaconte,
io Quivi mi batteo ecc. Per cancellargli cosi il primo P della su-
perbia, che era stata già purgata. Ma Dolisi che batte per la fronte
ambedue le ali, e quindi sì l'una che l'altra ala dovette strisciar
per la fronte, sebbene l'ala dalla parte del P della superbia strisciò
con più forza e lo cancellò del tutto, e l'ala contraria strisciò sugli
altri P degli altri peccati, ma assai più leggermente, cosi che non
li cancellò, ma solo gli appannò lasciandoli meno spiccati di prima,
e ciò per indicare che, tolto il vizio principale, gli altri che pur
restano perdono la loro forza. Questa osservazione la vedremo con-
fermata da qui a poco. Intendi però tutto questo della pena, non
della colpa, la quale fu già rimessa nella confessione alla porta.
71 poi ecc. È questi il primo angelo, che prometta sicurezza di andata.
L'angelo della porta, che fu il confessore di Dante, non la promise, ma
gli avvertì invece d'un pericolo dicendo: Ma facciavi accorti, — Che
di fuor torna ehi indietro si guata. E già prima che gli si accostassero
gli avea minacciati dicendo: Ov'e la scortai — Guardate chclvtnirsu
non vi nói. Questo invece promette tutto sicuro, perchè quando è tolta
la superbia, siamo sicuri di vincerci in tutto il resto, e di toglierci gli
altri vizi : come all' incontro è vano ogni nostro sforzo per liberarci
dagli altri vizi, se resta in noi quello della superbia.
71 Come a man destra ecc. Uscite di Firenze da porta san Miniato,
e tenete la via del monte di detto santo. Voi salite un tratto per una
sola via, e di 11 a poca distanza quella via vi si biforca. Tenetevi a
quella a man destra (come a man destra) che è scavata nel vivo masso
del monte, e lo scavo si fa più profondo mano mano che si sale,
e così tempera la ertezza. In questa maniera lo sbocco superiore della
scala viene a tagliare la cornice, come vedete nel mio disegno Tav. IV,
Pnrg. Il taglio poi di questa cornice punto non pregiudica alle anime
•ch'essa accoglie, perchè quest'anime essendo cieche, non si muovono
ma stanno sedute colla sehiena appoggiata alia ripa.
73 La chiesa che soggioga — La ben guidata. La chiesa di san Mi-
niato, che sta a cavaliere di Firenze sopra il ponte ora Alle Grazie
ed allora Rubaconte, per essere stato fabbricato da Rubaconte di
Mandclla milanese, quando fu podestà a Fireuzc nel 1237.
La bea guidata Ironia per mal guidata.
CANTO XH. 277
Si rompe del montar l'ardita foga 7i
Per le scalee, che si fero ad etade w
Ch'era sicuro il quaderno e la doga;
Cosi s'allenta la ripa che cade 76
Quivi ben ratta dall'altro girone ; 77
Ma quinci e quindi l'alta pietra rade. 78
Noi volgend' ivi le nostre persone, 79
no. Beati pauperes spirito, voci w
Cantaron sì che noi diria sermone.
74 Si rompe del montar. Si addolcisce V ardua salita.
75 Per le scalee ecc. Che si fecero in tempo antico quando Fi-
renze non aveva i ladri, che ba oggidì. Or questa beata franchigia
dai ladri è significata da un'allusione a duo ladronecci, eh» si fe-
cero in Firenze intorno al 1300, e di cui non si ebbe mai esempio
nei fatti antichi di Firenze. L' uno è del quaderno allora sicuro, ed
era non più, l'altro è della doga, allora pur sicura, ed ora non più.
Il fatto del quaderno è il seguente. 11 Comune aveva il suo libro
di erediti. In un quaderno di esso libro c'era una partita a carico
di Messer Nicola Acciaiuoli. Questi con l'aiuto di AI. Baldo d'Àgu-
glione lo stralciò. Il fatto della doga è questo. Il Comune vendea
il sale con lo staio. Durante de' Chiaramon tesi , impiegato al sale,
ne trasse una doga, approGttando del sale risparmiato.
?S La ripa. È il contorno del monte tra una cornice ed altra.
Vedi Tav. IV, Purg. , dove trovi la detta scala clic dal punto del-
l'angelo partendo va per un piano inclinato sino alla seconda cor*
uicc, passando sopra gl'intagli dell'umiltà.
77 Ben ratta. Molto rapida, ma meno della prima.
78 Ma quinci e quindi Calta pietra rade. Dicemmo ebe la scalea
era approfondita nel monte ; quindi la ripa restava alta. Ma la scalea
era anche tanto stretta da passarvi appena appena uu uomo. Quindi
la pietra radeva i fianchi e le spalle di Dante, che saliva.
79 Noi volgendovi ecc. Volgendoci a destra su per la scala, pre-
cisamente come per ire a monte S. Miniato si volge a destra, se-
condo che disse di sopra.
*o Beati ecc. È una delle beatitudini del primo discorso di Gesù
Cristo sul monte. Li poveri di spirito sono gli umili. Queste parole sono
cantate dalle anime degli invidiobi della cornice di sopra, le quali
s' accorgono che qualche anima già purgata della superbia sale alla.
878 PURGATORIO
Ahi quanto son diverse quelle foci 8*
Dalle infernali ! che quivi per canti 8^
S'entra, e laggiù per lamenti feroci.
Già montavam su per li scaglion santi
Ed esser mi parea troppo più lieve, 83
Che per lo pian non mi parea davanti.
Ond' io: Maestro, di', qual cosa greve84
Levata s* è da me, che nulla quasi w
}20. Per me fatica andando si riceve?
loro cornice, e quindi la felicitano con questi canti, chiamandola
beata d'esser divenuta perfettamente umile. Gli invidiosi poi fiac-
co ree ro che venivano di nuovi ospiti dalle parole dell' angelo ai poeti
udite {la loro di colassù.
M Quelle foci. Quegli ingressi.
8? Quivi ecc. Quivi quando s'entra sentiamo canti dell'anime alle
quali andiamo; e all'inferno sentivamo i lamenti dell'anime alle quali
ci avvicinavamo. Accenna a tanti passi dell'Inferno; ne dirò alcuno:
Diverte lingue, orribili favelle ecc. (C. Ili); Però ch'io vidi fuochi a
pentii pianti (C. XVII) ; Lamenti satttaron me diverti (C. XXIX).
M Troppo più lieve. Dante era infatti più leggiero, perchè avea
meno peso addosso. Prima avea sette P che lo aggravavano, ossia
le sette pene dei sette peccati, edorane ha soli sei, e anche questi
cancellati in parte, come dicemmo e si dirà. Dante era già stato
avvertito da Virgilio sino dal IX Canto, che la cosa succederebbe coaì:
Questa montagna è tale
Che sempre al cominciar di sotto e greve,
E quant'uom più va su, e men fa male.
Però quand'olia ti parrà soave ,
Tanto che '1 su andar ti fia leggero
Quanto a seconda giù l'andar per nave,
Allor sarai al fin d'esto sentiero.
•4 Maestro, di' ecc. Dante s'era dimenticato de* suoi sette P im-
pressigli in fronte dall'angelo, e non pensava che la gravezza ve-
nisse da loro. Che bella istruzione ascetica non è chiusa qui dentro \
1 nostri difetti sono la eaii3a che ci fa pesante il cammino della
yirtù: e al contrario la purga dei nostri difetti ce lo rende agevole.
85 Trulla quasi. Dice quasi perchè da' tuoi sci P, che rimangono^
non e ancor liberato.
CANTO XII. 27 d
Rispose : Quando i P, che son rimasi
Ancor nel volto tuo presso che stinti, M
Saranno, come l'un, del tutto rasi,
Fien li tuoi pie dal buon voler sì vinti, 87
Che non pur non fatica sentiranno,
Ma fia diletto loro esser su pinti.
Allor fec* io come color che vanno M
Con cosa in capo non da lor saputa,
Se non che i cenni altrui suspicar fanno ;
J30. Perchè la mano ad accertar s'aiuta,
E cerca e trova, e quell'ufficio adempie
Che non si può fornir per la veduta :
E con le dita della destra scempie "
Trovai pur sei le lettere, ohe incise M
Quel dalle chiavi a me sopra le tempie;
A che guardando il mio duca sorrìse. •'
W Prtsèo che stinti. Presso che cancellati. Tolto il vizio prinoi*
pale, gii altri ohe restano s'affievoliscono.
81 Fien li tuoi pie ecc. A misura che ci purghiamo dai nostri
difetti, meno sentiamo il peso del cammino della virtù per alto che
ria; e giunti ad esseme purgati affatto, l'esercizio della virtù non.
solo perde per noi ogni gravezza, ma ritorna in diletto. In altre
parole, è la conferma della promessa che Virgilio fece a Danto nel
Canto IV del Purgatorio.
8» Allor fec* io ecc. Dietro le parole di Virgilio, risovvenendosi
Danto de* suoi P, che avea per poco dimenticati , corde colle inani
ad accertarsi se la cosa era veramente come la narrava Virgilio,
tastandosi la fronte. La similitudine che reca è tutta da ciò, ed e
chiara per sé medesima.
*" Scempie. Aperte per tastarsi la faccia più largamente.
W Pur sei. Solo sci.
"I Sorrise Come sempre si usa sorridere in questi casi da chi
n'fc spettatore.
CANTO XIII
Argomento.
/ poeti giungono alla seconda cornice dove si purga il peccato
dell'invidia. Virgilio,incerto del cammino, si volge alla parte del sole
andando cosi in direzione contraria a quella tenuta nella cornice
di sotto, quando abbandonati i superbi si diresse alla volta dei-
Vangelo. Procedono così per un miglio di strada udendo, ma non
vedendo, spiriti che dicevano cose allusive agli invidiosi. Questi
finalmente appariscono e si descrivono. Dante rivolge toro la pa-
rola* Una di quelle anime si manifesta ed è la savese Sa^la, che
narra il suo peccato. Sapìa dimanda a Dante chi sia, e Dante
risponde sulle generali. Finalmente Sapìa si raccomanda a Dante*
1YB. Vidi tulli i cascllini di questo Canto nella Taf. HI e la IV, Purg.
N
oi eravamo al sommo della scala, 4
Ove secondamente si risega a
Lo monte che, salendo, altrui dismala: *
* Noi eravamo. Vedi il mìo disegno. Tavola IV, Cornice 2.
l Ove secondamente ecc. Le strade intorno al monte si chiamano
qui segamenti del monte. Sembra infatti così; pare che una sega
tagli il cono ad ogni cornice e lo ristringa. Quest'e il secondo se-
gamento.
* Dismala. Libera dal male purgandolo de* suoi reati. Tanto av-
viene e delle ombre e di Dante. Dante di mano in mano che sale
si dismala di un P, ossia di un peccato, o più veramente reato di
un peccato.
?83 PURGATORIO
Ivi così una cornice lega
Dintorno il poggio, come la primaia, 4
Se non che l'arco suo più tosto piega. *
Ombra non gli è, né segno che sì paia : c
Par sì la ripa, e par sì la via schietta, 7
Col livido color della petraia, 8
* Cornice lega. La strada intorno al monte prima detta. segamento,
ora è detta cornice. Come la cornice è il contorno del quadro; così
questa strada è il contorno del monte.
s L'arco tuo piò, tosto piega. Questa seconda strada ò come la
prima, salvo che la circonferenza è più piccola della prima. Oli ar-
chi, quanto più sono piccoli, e tanto più sono inclinati o piegati. Del-
l'arco che qui ai restringe Dante dice, che piega più tosto, come
invece dell'arco maggiore disse al Canto XI : Al cerchio che più tardi
in cielo è torto. Questi avverbi di tempo stanno per avverbi di luogo.
Del resto è chiaro per sé medesimo che i segamenti superiori di un
co io diritto abbiano circonferenze minori degl'inferiori. Tutte le di-
mensioni di questa cornice si veggono nel disegno della Montagna, Ta-
vola IV. La strada è larga 15 piedi, come la prima : lo dice il poeta. La sua
circonferenza è di 2 miglia. II suo diametro di miglia 3 */j. La sua al-
tezza dal livello del mare è poco più di miglia 93 if\ il che tutto abbia*
roo dimostrato a suo luogo, cioè nella nota apposta al disegno.
6 Ombra non gli è, né segno ecc. Non ha questo luogo ombra
di alberi o di erbe, nò scultura alcuna. Ciò dice a differenziar que-
sto luogo dagli ultimi luoghi veduti. Il penultimo fu la valletta dei
principi fuori del Purgatorio, ma essa era tutta smaltata d'erbe e
di fiori. L' ultimo fu la cornice dei superbi, ma essa se non aveva
erbe, aveva almeno sculture. Invece questa cornice degli invidioti
non ha uè etbe, né sculture. — Che si paia. Che apparisca.
7 Par sì ecc. Cosi par (apparisco o si mostra) la ripa ecc.
8 Col livido color ecc. Come dicesse : E anche il livido color. Que-
sto color non apparirebbe, se ci fossero erbe, che lo coprissero. Il
poeta finse tuttociò convenientemente. Prima non ci doveano esser
piinte nò sculture, perchè le ombre che stauuo qui non ci veggono
e quindi sarebbero state inutili per esse. In secondo luogo il color
della pietra dovea esser livido, per rassomigliarsi alla natura dei
suoi abituiti, che hanno da purgarsi dal livor della invidia. In terzo
luogo questa cornice è nuda di tutto, perchè l'invidioso ha goduta
4i veder tutti senza alcun bona.
CANTO XIII. 983
IO. Se qui per dimandar gente s'aspetta, *
Ragionava il poeta, io temo forse
Che troppo avrà d'indugio nostra eletta. **
Poi fisamente al Sole gli occhi porse; 4i
Fece del destro lato al muover centro, i%
E la sinistra parte di sé torse.
9 Se qui per dimandar ecc. Virgilio mostra apertamente di non
sapere ohe le anime di questa cornice non girano, ma stanno ferme»
S'egli credesse che stessero ferme, come vedremo , non parlerebbe»
cosi. Avendo veduto i superbi, che giravano, crede che girino an<rhe
queste. Ma non vedendone alcuna, egli le ritiene già passate all'altra
parte del monte. E se esse avessero preso quella volta da poco
tempo, chi sa quanto vi avrebbe voluto perchè ritornassero al luogo»
dei poeti? La fortuna ch'ebbero nel primo giro di averle vedute
spuntare dopo poco tempo ch'cran saliti, forse non l'avrebbero in.
questa seconda cornice. Se ci fosse stata qual cosa da vedere in-
tanto, come c'era nella prima cornice, pazienza -, ma qui, dove tutto
è deserto, non era da stare, e perdere cosi tanto tempo inutilmente.
Avvertite che la circonferenza del monte qui era già di 2 miglia, e
Virgilio il potea sapere, che era cosa da lui. Si osservi la Tav. 1 V,Purg.
io Nogira eletta ecc. Nostra elezione, o determinazione.
Jl Poi fisamente al sole ecc. 11 Sole girava alla destra dei poeti
supponendoli appena ascesi e vólti al monte, com' era infatto. Vir-
gilio dunque, in mancanza di gente pratica, si rivolge dalla parte
del Sole, ossia a nord, perchè quegli antipodi l'aveano al nord. Era
ottimo consiglio, perchè cosi si mettea per quella costa illuminata
dal Sole più a lungo, che se fosse ito per la costa contraria, dove
di 11 a poco il Sole sarebbe mancato. Per dire adunque che girò il
monte alla parte di nord, dice che guardò fiso il Sole, ed a questo
voltò tutta la persona. E notabilissima questa nuova direzione di
cammino. Vedi Tav. «IV, Purg. Fin qui i poeti stettero sempre nella
faccia del monte volta nd oriente. Vi staranno ancora per qualche
tratto, ma in direzione che li porterà presto alla facciata di nord^
che per essi antipodi sarebbe la vera esposizione di mezzogiorno.
I disegni del monte presso i commentatori sono errati. Da essi non,
capite niente, anzi capite tutto il contrario di quel che vi dice i\
poeta.
1* Fece ecc. E il moto, che sempre facciamo quando ci voltiamo
a destra standocene fìssi in un luogo.
284 PURGATORIO
O dolce Ijime, a cui fidanza i? entro "
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci, u
Dicea, come condur si vuol quinc'entro. !*
Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci : i6
20. S'altra cagione in contrario non pronta, l7
Esser deu sempre li tuoi raggi duci.
Quanto di qua per un migliai' si conta, "
Tanto di Ih eravam noi già iti,
Con poco tempo, per la voglia pronta.
E verso noi volar furon sentiti, i9
Non però visti, spiriti parlando
Alla mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando, *°
Vimini non habent, altamente disse, sl
U o dolce ecc. Virgilio fu questa preghiera al Sole, non cornea Dio
nel senso pagano, ma come a ministro di Dio, concesso all'uomo sin
dal principio del mondo, perchè ci abbia a guidare nel nostro cammino.
14 Per lo nuovo cammin ecc. Per lo cammino non mai fatto e
di cui non abbiamo esperienza alcuna.
MCome condur si vuol quinc' entro. Come si deve dirigere olii
sale questo monte.
46 Tu scaldi ecc. È certo che queste qualità del sole, calore e
luce, ci sono date da Dio a conforto o direzione.
17 Scaltra cagione ecc. S'altro non si oppone (u on pronta), tu dei
esser sempre la guida.
*8 Quanto di qua ecc. Un miglio, secondo il Villani, sono 3,000
braccia fiorentine. Vedi Tav, IV, Purg.
19 E verso noi ecc. Dante ornai più spiritualizzato è eccitato all'amore
non più da intagli materiali, come nella cornice della superbia, ma da
spiriti che si sentono e non si veggono. E vale per: ed ecco.
*o La prima voce ecc. Il primo spirito, che parlò.
*J Ftfiitfn non habent. Parole amorose di Maria SS. a favore degli
sposi di Cana. Fatto noto. Anche qui, come gli intagli dell'umiltà
e della superbia dell'altra cornice, si vanno interpolando a' fatti sacri
i profani per mostrar che l'amore al prossimo, già radicalo nella
natura, è opera di religioue insieme e di natura. Gli esempi sono
vocali e non visibili, perchè sono ad istruzione di ciechi.
CANTO XIII. 285
30. E dietro a noi l'andò reiterando, M
E prima che del tutto non s'udisse
Per allungarsi, un'altra: T sono Oreste, M
Passò gridando, ed anche non s'affisse.
O, diss'io, padre che voci son queste?
E coni' io dimandai, ecco la terza54
Dicendo : Amate da cui male aveste.
Lo buon Maestro : Questo cinghio sferza
La colpa della invidia, e però sono
Tratte da amor le corde della ferza. 21
40. Lo fren vuol esser del contrario suono : 26
tt E dietro a noi ecc. Ripeteva continuamente quelle parole.
H Un* altra. Un'altro spirito alzando la voce. È bellissimo questo
dar per persona una voce; ed è bellissimo anche per questo, che gli
spiriti che pronunziavano quegli esempi non si sapea chi fossero.
Io sono Orale. Altro esempio di amore contrario All'invidia e
questo profano. Agamemnone marito di Clitemnestra torna dalla
guerra di Troia. È ucciso da Egisto adultero di Clitemnestra. Questa
vuol far lo stesso anche di Oreste, figlio ch'ella ebbe da Agamem-
none. Strobilo focose glieloto glie di furto, e lo* fa educare in Fo-
cide con Pilade suo figliuolo. Oreste già adulto, viene eccitato da
Strobilo a ricuperare il regno, e a vendicarsi di Clitemnestra e di
Egisto. Cosi fa, ma ne divien furioso. L'amico suo Pilade per li-
berarlo di quel male lo conduce al tempio di Diana in Tauride, e
quivi infatti si risana. Toante re di Tauride nemico dei Greci, sa-
puto di Oreste, lo vuol sacrificare alla Dea. Non sapendo qu;il dei due
amici, Pilade ed Oreste, fosse Oreste, entrambi dicono di essere Ore-
ste per salvar l'uno l'altro. Il crudo re, ammirandoli, li pose in libertà.
2* Ecco la terza — Dicendo: Amate ecc. Questo è l'esempio di carità
maggior di tutti. Il primo è provvedere ai bisognosi, il secondo dar la
vita pegli amici, il terzo darla pei nemici come fece Gesù Cristo. Tre
intagli di umiltà pei superbi, e tre esempi di carità pegli invidiosi.
23 Tratte da Amor ecc. A purgar gli invidiosi dalla loro invidia
si sferzano le loro orecchie continuamente con esempi traiti dalla
storia si sacra, che profana dell'amore.
M Lo fren vuol esser, ecc. Al male si dee rimediar col bene, al-
l'odio coli' amore.
&Sfi PURGATORIO
Credo che l'udirai, per mio avviso, *7
Prima che giungili al passo del perdono. *
Ma ficca gli occhi per Taer ben fiso, w
E vedrai gente innanzi a noi sedersi, 30
£ ciascun è lungo la grotta assiso. "
Allora più che prima gli occhi apersi ; M
Guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti, u
Al color della pietra non diversi.
E poi che fummo un poco più avanti, 8i
60. Udì' gridar : Maria, óra per noi ; M
Gridar Michele, e Pietro, e tutti i Santi;
57 Credo ecc. Virgilio crede che prima di lasciare quella cornice si
Udranno degli altri esempi, che indurranno parimente all'amore sebbene
per via diversa; egli potea creder ciò fondatamente deducendolo dà
quello che ha veduto nella cornice dei superbi. Cola per purgar la super-
bia si offrirono da una parte esempi di umiltà glorificata, e dall'altra
esempi di superbia punirà. Virgilio da ciò conchiude che una cosa simile
dovea trovarsi anche nella cornice degli invidiosi ; e non n'ingannò.
*8 Al passo del perdono. All'angelo, che sta al varco di un' altra
cornice e che cancella uno dei P, perdonandosi cosi e cancellandosi
del tutto quel peccato, o meglio quel reato di pena.
29 Ma ficca gH occhi ecc. Non perchè ci avesse poca Ilice, «si
scndo il Sole molto alto, ma perchè le ombre sedevano lungo la riva
ed aVean abiti del color della pietra, come si dirà.
30 Sedersi. Essendo tutti ciechi, conveniva porli seduti,
%i Lungo la grotta. Lungo il monte, o la ripa del monte, Ès-
nendo ciechi conveniva collocarli più distanti dall'orlo della strada
che fosse possibile, e quindi lungo il monte. Vedi Tav. IV, Purtj.
** Più che prima gli occhi ecc Per la ragione già detta ebo con»
fondendosi la gente col color della pietra, non si pò tea facilmente
tiiscernere se non adocchiandola bene.
** Con manti — Al color ecc. Le ombre si Coprono convenientemente
con manti di color livido essendo state anime piene di livore.
34 Un poco piò, avanti — Udì' gridar. Prima ò sempre l'occhio che
Vede, poi l'udito che ode.
** Maria, ora per noi ecc. Sono le litanie dei Satìti, quali si trd-
Vano sul Ili tu ale romano.
CANTO Xllt. £8?
Non credo che per terra vada ancoi 3e
Uomo sì duro, che non fosse punto
Per compassion di quel eh* io vidi poi.
Che quando fui sì presso di lor giunto,
Che gli atti loro a me venivan certi,
Pegli occhi fui di grave dolor munto. zi
Di vii cilicio mi parean Coperti, 88
E Tùn soffieria l'altro con la spalla, 39
60. E tutti dalla ripa eran sofferti. i0
Cosi li ciechi, a cui la roba falla, i!
Stanno a* perdoni a chieder lor bisogna, 4*
È l'uno il capo sopra l'altro avvalla, A*
Perchè in altrui pietà tosto si pogna
Non ptir per lo sonar delle parole, u
Ma per la vista che non meno agogna, i3
** Ancoi. Oggi. Vote provenzale e tirolese.
** Pegli occhi fui ecc. l*a chiara vista del loro tormento mi liti
■premuto ii grave dolor del cuore per mezzo del piauto.
8* Di %sil cilicio ecc. I manti, dopo che Dante si avvicinò, gli
apparvero cilici, o abiti di sacco, o penitenziali.
w E Vun sofferia l'altro ecc. Era appoggiato l'uno alla spalla
dell'altro.
*o E tutti dalla ripa ecc. Tutti appoggiavano la schiena alla ripa,
** A cui la roba falla. A cui manca il bisogno per vivere.
** ^perdoni. Alle chiese di concorso per l'acquisto delle indul-
genze. 1 poveri frequentano volentieri e più spesso questi perdoni;
perchè i fedeli che vanno ai perdoni sono più disposti a soccorrere.
I poveri.
*s E Vuno il capo ecc. È uno degli artifizi, che usano i mendichi
infermi per farsi più counpasbionare.
** Non pur per lo tonar ecc. Queste parole son sempre4e stesse:
la carità al povero orbo.
W Ma per la vista ecc. Cercano di impietosire i p&sseggieri e
con le parole e coi fatti della loro miseria offerti alla vista. Due
grandi argomenti di eloquenza pratica e naturale.
288 PURGATORIO
E come agli orbi non approda il Sole, l6
Così all'ombre, dov'io parlav'ora,
Luce del ciei di sé largir non vuole ; 41
70. Che a tutte un fil di ferro il ciglio fora, 48
E cuce sì, C3me a sparvier selvaggio 4f
Si fa, però che queto non diinora.
A me pareva andando fare oltraggio, w
Vedendo altrui, non essendo veduto:
Agogna II loro stato miserando chiede da sé medesimo uà sus-
sidio, non meno che le parole di umile preghiera.
*> Non approda il Sole. Non arriva ad illuminare i loro occhi
'7 Luce del elei ecc. Il cielo niega lor la sua luce, non perchè
sian veramente ciechi, come quelli dell'esempio recato, ma perchè in
pena sono chiuse lor le ciglia, come si vedrà, o cosi sono ridotti
allo stato dei veri ciechi.
*8 Che a tutte un fil di ferro. È chiaro per sé medesimo; ma con-
vien notare il fil di ferro in luogo di canape, perchè anche questo
filo è simbolico ed allusivo alla lor colpa. Il ferro contrae la rug-
gine non cosi la canape, e la ruggine in senso morale è una delle
proprietà dell'invidia.
*? Come a eparvier selvaggio ecc. Cosi si faceva per addome-
sticar lo sparviero, uso alla libertà e schivo degli uomini.
A questo uccello selvaggio e schivo degli uomini sono ottima*
mente paragonati gl'invidiosi schivi anch'essi degli uomini, e che
hauno anch' essi bisogno di essere addomesticati, cioè amicati col loro
prossimo. E come gli sparvieri addomesticati che sieno non hanno più
ritrosia alcuna di chi li circonda, così gli invidiosi per mezzo di questa
scuola penosa depongono ogni avversione che prima aveano ai loro
vicini o fratelli. Questa pena posta ai loro occhi è conveniente alla
loro colpa. La lor colpa è detta invidia dal mal vedere, quasi che
questa colpa risieda nei loro occhi. Veramente la sede vera è il
cuore; ma gli occhi ne sono il principale strumento, e da ciò vien
nominata invidia.
so A me pareva andando ecc. Il cieco udendo passarsi da presso
persone è tutto curiosità di saper almeno chi sieno. Manifestatevi,
ed egli n' ha gran compiacenza ; non fatelo, ed egli resta come of-
feso. Noi, che ci vediamo, difficilmente calcoliamo questi sentimenti
del cieco, perchè al passaggio di qualche persona soddisfacciamo la
CANTO XIII. 289
Perch'io mi volsi al mio consiglio saggio. Sl
Ben sapev'ei che volea dir lo muto;
E però non attese mia dimanda;
Ma disse : Parla e sii breve ed arguto. M
Virgilio mi* venia da quella banda 83
80. Della cornice, onde cader si puote,
Perchè da nulla sponda s'inghirlanda:
Dall'altra parte m'eran le devote
Ombre, che per l'orribile costura Si
Premevan sì, che bagnavan le gote. 55
natia curiosità col mirarla. Ci vuole un cuore molto ben fatto ed educato
per notar le esigenze dei poveri ciechi, e per saper che si offendono a
non contentarle. Cosi Dante mostra di aver fatto già gran profitto nella
scuola della carità contraria all' invidia. Prima fu tutto compassione del
loro tormento (n. 36). Ora spinge la sua carità a questo segno. Cosi
anche Dante girando questa cornice purga li propria invidia.
M Consiglio. Astratto pel concreto consigliere, ossia Virgilio. Ma è ar-
cibeilis8Ìmo e naturalissimo questo muto dimandare a Virgilio s'era con-
tento ch'egli parlasse con quelle anime. E veramente un colpo maestro.
3*5» breve ed arguto. Breve, perchè Virgilio ha ed insegna la
cura del tempo. Arguto, perchè essendo i ciechi per lor natura molto
considerativi, amano ragionamenti ingegnosi.
** Mi venia da quella banda ecc. Virgilio venia pel di fuori della
strada, e Dante pel di dentro per rimuovere ogni pericolo di sdruc-
ciolar giù dalla ripa. (Vedi Tav. IVtPurg.) Per questo abbiam veduto
i superbi di sotto tirarsi Dante nell'interno della strada alla loro
destra : A man destra per la riva con noi venite. Sappiamo che la
strada non era più larga di 15 piedi, come ne avvertì il poeta ap-
pena giunto sulla cornice dei superbi, e una strada sì stretta posta
a quella altezza di più di 93 miglia e 1/2 dal livello del mare, con
una ripa così erta che cadeva dall'orlo e con nessun riparo all'orlo
stesso, era veramente pericolosa per uno che dovea attendere ad altro
oltre al luogo de* suoi passi.
3* Costura. È la linea di congiunzione di due parti cucite insieme.
Queste due parti erano le ciglia.
33 Premevan sì ecc. Questo premere ci fa vedere le loro ciglia molto
gonfiate per l'ingorgo del pianto che parte usciva, parte restava.
È questo un verso d'immensa espressione e fantasia.
290 PURGATORIO
Volsimi a loro, ed : O gente sicura, u
Incominciai, di veder l'alto Lume,
Che il disio vostro solo ha in sua cura, *7
Se tosto grazia risolva le schiume M
Di vostra coscienza, sì che chiaro M
90. Per essa scenda della mente il fiume.
Ditemi (che mi fia grazioso e caro)
S'anima è qui tra voi, che sia latina ; *°
E forse a lei sarà buon, s' io l'apparo. 6I
*6 Sicura di veder Paltò Lume. Sicura di conseguire la beatitudine
eterna, la quale consista nel veder Dio in sé stesso, secondo il detto
dell'Apostolo: Videbimus eum sicuti est. La beatitudine adunque
ha origine nella niente che vede e conosce Dio, e le sue infinite
perfezioni; e dalla mente trabocca nel cuore. Questa è pur la dot-
trina dell'Angelico. Parlando poi a gente, che non ci vede, Dante
esprime questo Dio sotto l'idea che potea esser più cara a quelle
anime, voglio dire il lume, il quale ho messo qui con iniziale
macola, perchè è preso per Iddio. In questi pensieri nobili ed
ziosamente naturali sta l'argutezza tanto testé raccomandata.
w Che il disio vostro ecc. Le anime sante del Purgatorio non
desiderano, e non possono desiderare che Dio.
**Se tosto grazia ecc. Per quanto desidero, che tosto grazia eoe.
Risolva le schiume — Di vostra coscienza. Le schiume sono la
parte sucida dei liquidi, e qui si prendono per macchie, o difetti del-
l'anima. Dunque vuol dire: per quanto desidero che tosto la graaia
divina vi purghi dalle macchie della vostra coscienza.
89 Sì che chiaro — Per essa scenda ecc. La beatitudine è sempre
presentata sotto l' idea di Visione intellettuale , come infatto deb-
b' essere, ed è. Dunque tutta la sentenza è questa. Per quanto io
desidero che tosto la grazia vi purifichi la coscienza in modo che
Dio (fiume della mente, o fiume intellettuale) scenda chiaro per la
chiara coscienza a iuebbriare il vostro cuore. Anche qui ai nomina
loro Dio sotto imagi ne più confacente a' ciechi, ai quali niente è
più caro che il sentirsi definir Dio da quel che più desiderano, cioè
dal lume e dilla chiarezza, di cui essi ciechi son privi.
•0 Che sia latina. Che sia Italiana.
6* Sarà buon s'io l'apparo. Sara utile s'io la conosco, pregando
e facendo pregare per essa. Dice /orse, perchè è certo bensì, anzi è
' CANTO XIII. 291
O frate mio, ciascuna ò cittadina M
D'una vera città ; ma tu vuoi dire,
Che vivesse in Italia peregrina.
Questo mi parve per risposta udire
Più innanzi alquanto, che là dov'io stava;
di fede che i suffragi giovano all'anime purganti, ma non 6 certo
ebe sempre giovino a quella tal' anima per cui si fanno; perchè ciò
dipende dalla volontà di Dio, che pegli altissimi suoi fini concede
o non concede l'applicazion dei suffragi.
& Ciascuna è cittadina — D'una vera città* Non ostante la finis-
sima arguzia onde compose Dante la sua dimanda, un* anima trova
di che censurarla a ragione. Un Dante che in una ingegnosa par-
lata si lascia a bello studio sfuggire una inesattezza per farla poi
rettificare da un giudice competente quai'è un'auima santa del Pur-
gatorio, è invenzione arcibellissiwa. Dante avea dimandato, se c'è
tra esse qualche anima che sia latina. Questa frase supponeva uu
errore; supponeva che dopo morte sussistesse nell'anime sante una
distinzione di nazionalità. Essa non esisteva nemmeno in vita per
le anime sante, perchè in faccia alla Religione di Qesù Cristo non
vi ha distinzione, come dicca san Paolo, di ebreo o di greco, di
barbaro o di romano. Molto meno dunque questa distinzione potea
farsi per le anime del Purgatorio. I santi, tanto di questo, quanto
dell'altro mondo, hanno una sola patria, una sola città di cui si
considerano cittadini, e questa è il cielo, secondo le belle parole
dell'Apostolo agli Ebrei (XIII): Non enim habemus hic manca-
tem civitatem, tedfuturam inquirimus.' Per riguardo a questo mondo
i santi noi guardano, e non è veramente, che come un luogo di
pellegrinaggio, a cui essi non appartengono definitivamente, qualun-
que sia il regno o la nazione. Dietro a tutte queste considerazioni
(abbiamo detto che i ciechi vanno molto considerati) un'anima ap-
punta Dante d'inesattezza nel suo parlare, e dice che non dovea dire
la fina, ma peregrina in Italia, Così si oppone arguzia ad arguzia,
un'arguzia vera ad un'arguzia apparente, e cosi quest'anime, che fu-
rono invidiose, pensano e parlano da anime le più amorose. Quando
quell'anime erano al mondo, l'invidia facea loro considerare forestieri
e nemici i loro medesimi cittadini, ed ora che sono al Purgatorio,
l' amore fa loro considerare cittadini ed amici i medesimi fore-
stieri. Quest'anime sostengono molto bene il loro carattere sin dalle
prime parole.
292 PURGATORIO
Ond'io mi feci ancor più là sentire. 6I
100. Tra T altre vidi un' ombra che aspettava **
In vista; e se volesse alcun dir come,
Lo mento a guisa d'orbo in su levava.
Spirto, diss' io, che per salir ti dome, 6S
Se tu se' quegli, che mi rispondesti,
Fammiti conto o per luogo o per uome. 6S
r fui Sanese, rispose, e con questi S7
Altri rimondo qui la vita ria," **
w OtuVio mi feci ecc. Questo non vuol dire che Dante ripetesse
la stessa domanda in tono più alto, come potrebbe sembrare a prima
vista, ma vuol dire, ch'egli è andato innanzi alcuni passi facendo
sentire agli orbi il suo avanzare mediante il calpestio de'suoi piedi ;
e si avanzò per mettersi possibilmente in faccia a quell'anima che
gli avea risposto, e che non potè ben distinguere quale fòsse.
** Un'ombra che aspettava — In vista ecc. Questa terzina è una
copia incarnata di natura. Udite. Dante si è affacciato ad anime ,
una delle quali certamente gli ha parlato. Quale sarà? Egli la trova
senza che nessuno gliela dica. Come? Osserva che tra quelle anime
una sola tien la faccia levata Ebbene , questa è dessa, perchè gli
orbi, quando attendono risposta, usano sempre spingere innanzi e
alzare il mento. Questo è Va spettava in vista, cioè si vedeva nella
sua faccia che aspettava ch'io le parlassi.
65 Per salir ti dome. Per salire alla beatitudine -ti addolori.
6f» O per luogo o per nome. Col dirmi o il luogo della tua na-
scita, o il tuo nome.
67 r fui Sanese ecc. Dante Tavea richiesta o del luogo o del
nome; e quest'anima, che ornai è tutta carità, lo soddisfa oltre la
sua dimanda, manifestandosi e dal luogo e dal nome. Qui dal luogo.
w Con questi altri ecc. E sempre costume di Dante che un'anima
dica la condizione propria e delle sue compagne. — Rimondo qui
la vita ria. Questa confessione fa vedere anche l'umiltà di quel-
l'anima, e debb' essere così, perchè le anime delle cornici superiori
hanno avuto bisogno di purgarsi prima dei vizi, che si purgano nelle
comici inferiori, almeno almeno della superbia, che è madre di ogni
altro vizio capitale e massime dell'invidia, che più le si approssima
e le somiglia.
CANTO XIII. 293
Lagrimando a Colui, che sé ne presti. °°
Savia non fui , avvegnaché Sapìa 70
*f0- Fossi chiamata, e fui degli altrui danni 1!
Più lieta assai, che di ventura mia.
E perchè tu non credi ch'io t'inganni, 72
Odi se fui, com' io ti dico, folle :
W A Colui. A Dio, di cui tu mi bai tanto ben parlato di sopra.
Che tè ne presti. Affinchè manifesti ed offra sé stesso a noi
in cielo,
70 Savia non fui ecc. Di questa Sapla multi multa dicunt, nò
monta troppo che sia piuttosto una cbe un'altra. Credo che i più
autorevoli sieno Pietro di Dante ed il Boccaccio, il primo dei quali
la dice de' Provenzan), ed il secondo de' Salvani, che è tutt'uno, se-
condo che la si nomina dal nome o cognome di Provenzan Salvani,
che abbiamo veduto nella cornice dei superbi. Io ritengo che que-
sta femmina fosse avversa a Provenzan Salvani, quello che nel CXI
fa presuntuoso a recar Siena tutta alle tue mani; e ciò ritengo
per veder ch'ella gioì della sua disfatta, che si tocca più sotto,
qu&nd'ella era a confino a Colle, città a nord-ovest di Siena. Dalla
famiglia di Provenzano o de* Salvani passò a marito chi dice ad
uno di quei da Pigezzo, e chi ad uno de' Saracini, famiglie sanesi.
Essa però figura qui principalmente qual donna di parte, ed è certo
la parte presa contro Provenzan Salvani; per cui ebbe evidente-
mente due peccati da purgare, la superbia e la invidia. La prima
la purgò nella coruice di sotto, la seconda la purga qui.
È poi da gran conoscitore di umane passioni Io scegliere a primo
campion dell'invidia una donna piuttosto che un uomo, perchè in-
fatti la invidia, come passion bassa e debole , è passione più da
donne che da uomini. Premesse queste cose veniamo alla spiegazione
letterale.
Savia non fui, avvegnaché Sapìa — Fossi chiamata. Sofia (dal
greco) Sapla (dal latino) Savia (dall' italiano) sono il medesimo nome.
1* E fui degli altrui danni — Più lieta ecc. Con questo manife-
sta ch'ebbe il peccato della iuvidia, che si rattrista dell'altrui bene
e gode dell'altrui mule.
7* E perchè tu non credi ecc. A Sapìa interessa tanto di provar
la sua colpa, quanto a noi interessa di provar qualche nostra glo-
ria. Questa è vera persuasione d'essere stata colpevole, se ha tanta
premura d'esser creduta tale.
29* PURGATORIO
Già discendendo l'arco de' mici anni, n
Erano i cittadin miei presso a Colle 7i
In campo giunti coi loro avversari, 75
Ed io pregava Dio di quel eh1 ei volle. *5
Rotti fur quivi, e volti negli amari
Passi di fuga, e veggendo la caccia, "
12°- Letizia presi ad ogni altra dispari,
Tanto, eh' io levai in su V ardita faccia, 7S
Gridando a Dio: Ornai più non ti temo,
73 Già discendendo ecc. E veramente un'idea poetica e prediletta
di Dante quella di figurare gli anni della vita umana sotto il sim-
bolo di un arco. La metà dell'arco, ossia la sua massima altezza, o
il suo sfogo, al quale si ascende, sarebbero gli anni sino alla metà
del hi vita (ordina ria monte 85 pei maschi e 30 per le femmine); l'altra
parte dell'arco che discende rappresenta il resto degli anni. Dun-
que questa donna dice di aver cominciato a passare gli anni 30
della sua vita. Questa idea del salire e discender degli anni della
vita umana è simile a quella di Orazio nella Poetica, dove invece
di farli salire e discendere, li fa venire e partire: Multa ftrunt anni
veniente* commoda secum, Multa recedente* adimunt, ed è bellis-
sima mingine pur questa, sebbene quella di Dante è più naturale e
filosofica.
74 Colle. Luogo di confine tra Siena e Firenze.
75 Coi loro avversari. Coi Fiorentini. I suoi erano capitanati da
Provenzan Salvani e da Guido Novello, i Fiorentini dal vicario di
re Carlo. Ciò avvenne nel 1269.
7«ì Di quel ch'ei volle. Pregnva Dio che perdessero i suoi. Questo
era voluto da Dio. Come dicesse: Se ciò dunque avvenne, non av-
venne in virtù della mia preghiera, che era malvagia, ma per sola
disposizione di Dio, il quale per al tri «fini dai mici volle quella rotta.
77 E veggendo la caccia. Dicesi ch'ella salisse sovra una torre di
Colle per godor meglio il crudo spettacolo della rotta de* suoi. Ec-
cesso d'invidia che gode del male altrui.
78 L'ardita faccia — Gridando a Dio ecc. Atti e parole superbe
di Sapia, e prova ch'ella era già stata prima nella cornice dei su-
perbi a purgarsene. Xota/c come Sapia nella narrazione delle sue
colpe, ammoglia d»J continuo la sua superbia alla sua invidia. Lo
pìiolo : t imai più n< n ti icnw} suonano coti: Ora che da' miei
CANTO XIII. 295
*
Come fé' il merlo per poca bonaccia. 79
Pace volli con Dio in su lo stremo 80
Della mia vita; ed ancor non sarebbe 8I
Lo mio dover per penitenza scemo,
cittadini Don preso più temere, non temo neppur di te, e perciò se-
guirò la vita che mi piace, quasi non sapesse che dopo i brevi
contenti del mondo si cade in mano della divina giustizia, che si
fa temere daddovero.
79 Come fé* ecc. Come dopo i brevi tepori di un gennaio incolse
rigida e nevosa stagione a quel merlo, che a torto si teneva sicuro
che quella poca e inaspettata bonaccia gli avesse sempre a conti-
nuare; ciò che non fu.
80 Pace volli con Dio ecc. Mi sono convertita però in fine di vita.
Dunque Sapia confessa d'essere stata anche procrastinante, e perciò,
oltre d'essere stata a purgarsi nella cornice della superbia quale
superba, e oltre d'essere presentemente nella cornice dell'invidia a
purgarsi anche di questo peccato, ella avea passato qualche tempo
nell'Atrio, come tutti i procrastinanti.
81 Ed ancor non sarebbe — Lo mio dover ecc. Sarei ancora nel-
l'Atrio in compagnia dei procrastinanti , ai quali non si concede
1! ingresso al vero Purgatorio , se non dopo certo tempo , e quindi
non possono scemare per penitenza (che solo si fa entro il vero Pur-
gatorio) il loro debito. Abbiamo detto altre volte quanto sia dolo-
roso all'anime il divieto di cominciar la loro pena o penitenza, per
la gran voglia che hanno di purgarsi quanto prima , e di salire a
Dio. Sapia dunque non sarebbe qui a far penitenza delle sue colpe
e quindi a scemare i propri debiti (cosa desi de rarissima), e non sa-
rebbe nemmeno stata prima ammessa a scontar per penitenza il suo
debito di superbia nella cornice di sotto , se non fosse stata assi-
stita e suffragata dalle sante orazioni del buon eremita Pier Pot-
tinagno, di cui altro non si sa se non che era Fiorentino, o secondo
altri Sanese. Si confrontino le date e si vedrà esser vero che nel 1300,
epoca di questo viaggio, la Sapia avrebbe dovuto trovarsi ancora
nell'Atrio. Infatti Sapia era nella metà della vita, ossia nei 30 anni
(che sono l'ordinaria metà della vita femminile), quando godette della
rotta de' suoi avvenuta nel 1260. Sino ai 60 anni ella visse impe-
nitente. Se dunque al 1260 si aggiungano anni 30 che sono il resto
della vita di Sapia, si arriva agli anni 1299, epoca della morte di
Sapia, secondo i dati del poeta. In quest' anno Sapia si converti e
298 PURGATORIO
Se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinagno in sue sante orazioni,
A cui di me per caritate increbbe.
130. Ma tu chi se', che nostre condizioni w
Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti, M
Sì come io credo, € spirando ragioni? u
Gli occhi, diss'io, mi fieno ancor qui tolti; 85
Ma picciol tempo, che poca è l'offesa Bc
Fatta per esser con invidia volti.
mori, e tosto sarebbe andata nell'Atrio a passarvi tanto tempo,
quanto visse impenitente, cioè almeno 30 anni. Da questo calcalo
apparisce che appena morta ebbe i suffragi elei santo eremita, in virtù
dei quali fu quasi subito trasportata dall'Atrio nella cornice dei superbi
e dopo un anno di questa cornice fu passata nei 1800 alla cornice
degli invidiosi. Sicché quando vi giunse e la trovò il poeta, non
potea essere che da qualche mese ch'ella si trovava in quel luogo.
8* Nostre condizioni. Condizioni in questo luogo non vuol dir
pene, ma qualità di persone, come sarebbe, nome, luogo di nascita ecc.
secondo che Dante avea prima dimandato.
8* E porti gli occhi sciolti, Sapìa lo poteva argomentare da)
sentir ch'egli camminava ovunque volea, il che non pOBSono.fare
che le persone che ci veggono. Sapla non sapeva ancora ch'egli
avesse una guida.
84 E spirando ragioni. Lo spirare di Dante era cosa che potea
saperla anche la cieca Sapla, perchè è cosa che si sente. Da questo vero
respiro massimamente sospettò Sapìa che il suo collocutore fosse vivo.
85 Ancor qui tolti. Gli occhi si tolgono all'uomo la prima volta
quando muore; e poi gli si tolgono ancora nel Purgatorio se abbia
colpe d' invidia da purgare. Confessa dunque Dante di aver anch'egli
questo peccato, perchè dice che gli saranno tolti gli occhi in quella
cornice, colla pena degli altri invidiosi.
86 Ma picciol tempo. Come dicesse : per tempo assai più breve del
tuo. La durata delle pene è proporzionata alla colpa: e della colpa
d'invidia Dante dice pure d'averne, ma d'averne assai poca, per-
chè l'invidia non è il peccato veramente degli uomini grandi, i quali
hauno poco da invidiare agli altri.
Che poca è V offesa — Jfalta per esser ecc. Le anime femminili e
dappoco, se hanno nemici che le tormentano scoino p. e. questa Sania
CANTO XIII. 237
Troppa è*più la paura, ond'ò sospesa *7
L'anima mia, del tormento di sotto7
Che già lo incarco di laggiù mi posa. *6
Ed ella a me: Chi t'ha dunque condotto 8*
l40- Quassù tra noi, se giù ritornar credi?
i suoi Sanasi, che la bandirono) perdono assai della loro felicità, non
trovando in so stesse un degno compenso; e quindi assai invidiano
la felicità dei loro nemici, o assai gioiscono delle loro perdite. Ma
fate che sieno tormentate medesimamente le anime maschie e ge-
nerose (come per es. Dante esigliato da' suoi) ; esse perdono assai
poco per quei tormenti, portando sempre seco stessi ogni vera ric-
eheiza, come quel greco filosofo Simonide, che in meeso alle dispe-
razioni dei naufraghi suoi compagni, solo era lieto per non aver
nulla perduto, non avendo perduto la sua scienza, che per lui era
tutto. Tal fu di Dante. L'offesa che gli recarono i suoi eon Tesiglio
non gli tolse che la patria e i beni caduchi, ma non gli potè to-
gliere i veri beni inalienabili della sua mente, che erano immensi,
e pei quali egli restava di gran lunga superiore a tutti i suoi Fio-
rentini, e cosi invidiare non li potea. Non si invidia se non chi si
crede a so superiore in cosa di vaglia.
Queste parole di Dante sono un testimonio ch'egli in questa
cornice si va per bene spogliando dell' invidia , perchè con esse at-
tenua e scusa il male che gli hanno fatto i suoi nemici, e cosi si
dispone al passaggio da questa a un' altra cornice.
07 Troppa è piò la paura ecc. Ho assai più paura di andar tra
i superbi, che tra gli invidiosi, e ne ho tanta che mi pare di es-
serci e portar quei pesi. È troppo facile che chi sa d'esser superiore
a tutti nelle doti della mente e del cuore, possa pati r* di superbia.
Dante era in questo pericolo; ma aveva anche la virtù di conoscerlo
e questa virtù l' ha massimamente acquistata nella cornice di sotto.
Ond'è sospesa l'anima mia. La paura agghiaccia il cuore, e
quasi gli sospende la vita.
** Che già lo incarco ecc. La paura di una cosa fa presentirla
prima che avvenga, anzi la paura di lei n' è un saggio anticipato.
M Chi t' ha dunque condotto ecc. Chi t'ha condotto a questa cor-
nice degli invidiosi, se credi ritornar giù a quella dei superbi ? Que-
sta dimanda non dimostra già che Sapìa abbia conosciuto che Dante
fosse ancor vivo. La dimanda è appoggiata alla sola notizia, che
Dante dalla cornice dei superbi sia pacato a quella degli invidiosi,
298 PURGATORIO
Ed io: Costui ch'è meco, e non fa motto: "
E vivo sono; e però mi richiedi, 9I
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova
e da questa sia per tornare a quella dei superbi. Sapla non sa altro
di preciso; le sue cognizioni su Dante non si estendono che a questi
due cerchi, intorno a che non sa comprendere molte cose: 1. come
si trovi al Purgatorio uno che spiri; 2. come si trovi tra gK invi-
diosi senza soffrirne la pena ; 3. come essendo stato prima tra i su-
perbi, poi vi ritorni contro l'uso del Purgatorio. Dunque, conchiude
Sapìa, qui ci ha da essere qualche novità eh* io non conosco. Questo
solo conosco che se alcuno non l'avesse quassù condotto, egli certo
non vi sarebbe venuto. Dunque dimmi, chi t' ha condotto. Questa
catena di considerazioni e queste induzioni sono cose tutto proprie
dei ciechi in simili casi, e ci vuole una grande maestrìa nel poeta a
condurle si finamente.
90 Costui eh' è meco e non fa motto. Il solo tenere in perpetuo
silenzio Virgilio per tutta questa scena è artifizio da sommo mae-
stro, ed ò cosa che pure spesso avviene tra ciechi e veggenti. Sup-
ponete un istante che Virgilio si fosse ratto sentire a quell'anime
fin dal principio, o che Dante gliene avesse fatto cenno; quasi tutta
la bellezza dì questa scena sarebbe sparita. Quant'arte non occorre
a condur con natura, e con quel che si chiama colpo di scena, gli
avvenimenti ! Questa scoperta fatta all'orbo, riserbata qui sulla fine,
come da bellezza a tutto l'abbocca mento in corso, così serve assai
bene ad aprir nuove scene per l'altro canto, come vedremo.
Ma perchè Virgilio non parla almeno adesso? Perchè sarebbe
un rompere la scena, che vuol esser continuata di bellezza in bel-
lezza. Provatevi per un poco a far parlare Virgilio, e ne vedrete
lo sconcio; vedrete almeno che l'entusiasmo di questa scena si raf-
fredda sull'istante. — £ perchè il poeta disse in generale, che ha
una guida li presente, senza dire chi sia quella guida? 1. Perchè
il dir chi sia non importa; 2. Perchè importa il non dir chi sia.
Non nominando Virgilio, si tiene la scena in sospeso, e s'introdu-
cono nuove scene basate suli' ignoranza del condottiero. Cosi Dante
nell'atto che contenta quest'anima, mette questa e le sue vicine in
nuovi desiderii del resto.
•I E vivo sono. Due notizie, una più grande dell'altra. La prima
fu che 11 c'era una guida e non parlava, e non si diceva chi fosse.
La seconda, più grande ancora, che Dante era vivo. Ma Dante non
si era ancora manifestato. A maraviglia anche questo. Quello che
CANTO XIII. 2$)
Di lk per te ancor li mortai piedi. 92
Oh questa é a udir sì cosa nuova, 93
Rispose, che gran segno è che Dio t'ami; 9i
Però col prego tuo talor mi giova. 9*
interessa è tenere incerte quelle anime su tante cose, perchè si pos-
sano appiccare di nuovi intrecci. Che scuola non è questa pei dram*
matici e pei comici! Intanto qui gli ha detto che è vivo, ed è la
notizia più maravigliosa. Ma calcolate bene una circostanza. Sanno
quelle anime e le altre colà intorno, ch'è giunto loro un vivo senza
poterlo ravvisare, e senza che. il vivo abbia Ior detto chi fosse. Se
lo avessero veduto, o conosciuto almeno per nome, per quanto fosse
stata grande la loro curiosità, sarebbe stata a gran pezza minore della
curiosità che infatti doveano avere per non conoscerlo neppur di vista.
Rammentatevi i torcimenti e gli sforzi che laccano i superbi
sotto i lor pesi per conoscer di vista questo lor ospite ; e da quelli
fate ragione alle ansiose brame di questi poveri cicchi, ai quali
Dante non dava che saggi generici di conoscenza, che servivano a
viemeglio stuzzicare il loro appetito.
w Di là per te ancor ecc. Dimmi se vuoi eh' io vada a trovare
i tuoi parenti ed amici, inculcando loro che preghino per te.
•* Che questa ecc. Questa che tu sia vivo, e ch'abbi di nuovo a
tornare al mondo. I ciechi di lor natura tendono a maravigliarsi
molto più che i veggenti. Imaginate dunque quale impressione en-
tusiastica debba aver prodotto in Sapia questa novità, che avrebbe
scosso d'ammirazione qualunque altro veggente.
•* Gran segno è che Dio Varai. Sapia dal privilegio di Dante,
ne deduce il suo stato di grazia, e starei per dire di santità. Quanto
e mutata Sapia, la invidiosa Sapia! Gli invidiosi sono inclinati a
scemare il merito delle persone, ma Sapia fa vedere d'essere incli-
nata ad accrescerlo. Questo è proprio tener le persone nel loro vero
carature.
95 Però col prego tuo ecc Sapia apprezza più i suffragi di Dante,
che quelli de' suoi parenti, de'quali non fa veramente nessun conto ;
e questo dimostra che il parentado di Sapia non era troppo buono
come dirassi. Ad ogni modo avendo ella due cose, l'una certa quale
era la bontà di Dante, l'altra incerta qual'era la bontà de'suoi pa-
renti a quei giorni, amò di tenerci alla più sicura, e chiese lo ora-
zioni di Dante. Sulla natura della missione a' suoi propinqui dirà so- .
bito appresso.
800 PURGATORIO
E chieggoti per quel che tu più brami, 96
Se mai calchi la terra di Toscana, 97
150. Ch' a' miei propinqui tu ben mi rinfami. 98
Tu li vedrai tra quella gente vana "
Che spera in Talamone, e perderagli l0°
Più di speranza , eh' a trovar la Diana : ioì
«
Ma più vi perderanno gli ammiragli. 10a
96 per quel che tu più brami Dio, a cui tanto sei caro.
97 Se mai calchi ecc. Dante non disse a Sapìa né chi fosse, nò
di qua! luogo; perciò Sapìa paria in tal modo: Se mai ecc.
Q&Mi rinfami. Cioè che tu dica loro ch'io non sono dannata,
come facilmente potrebbon credere giudicando dalla mia vita rea,
ma eh' io sono salva per essermi davvero convertita in morte. Ecco
quel che commette per riguardo a' suoi propinqui, non suffragi, ma
annunzio di sua salute.
99 Tra quella gente vana. Tra i Sanesi, che per tutta Toscana
erano in grido di vani e leggieri.
*oo che spera in Talamone. Città di Maremma soggetta a Siena.
I Sanesi aveano fatto di grandi assegnamenti di futura grandezza
su quel punto della marina, sognando di farvi un porto per un em-
porio di grande importanza, e per una stazione navale alle loro
galere, emulando cosi gli altri stati marittimi d'Italia, che salirono
a ricchezza e potenza appunto pei loro porti Perderagli. — E vi per-
derà. Gli per vi.
ioì Più di speranza, che a trovar la Diana. La speranza dei
vantaggi immensi che s' imaginarono di ricavare sia nel commercio
sia nell'armi, da questo loro vano progetto li farà perdere assai più di
quello che hanno perduto quando cercarono la Diana, che era un
fiume creduto scorrere sotto la loro città, pel ritrovamento del quale
operarono inutilmente immensi scavi, e gettarono gran danaro.
402 Ma più vi perderanno gli ammiragli. Perchè questi dovendo in-
vigilare ai lavori del porto, vi perderanno anche la vita per la malaria.
CANTO XIV
Argomento.
Due ciechi (Guido del Duca da Bertinoro e Rinieri de' Ctdboìi
da Forlì) ragionano tra Loro di Dante, non sapendo chi sia. Guido
lo prega a manifestarsi ; ma egli stando sulle genarali si dichiara
di Val d'Arno, senza però nominar questo fiume. Ditale reticenza
Rinieri si maraviglia, e Guido la interpreta in disfavore degli
abitanti di quella valle, le cui città enumera con vitupero, e più
Firenze, dove predice la strage del 1303 che la parte Nera farà
della Bianca per opera di un nipote aelV altro cieco Rinieri. Dante
chiede a quei ciechi chi sieno, e Guido manifesta sé e Vallro suo
compagno, e segue a parlar contro tanti luoghi e persone di Ro-
magna. Finalmente i poetisi dipartono da que'due ciechi passando
lungo lutti gli altri, e udendo voci che ricordano altri esempi di
invidia. Virgilio chiude il Canto con un ammonimento morale, che
eccita Vuomo ali1 amor del Creatore.
IiD. Vedi tatti i casellini di questo Canto nella Tar. HI o la IV, Purg.
e
hi è costui che il nostro monte cerchia, i
* Chi è costui ecc. Due ciechi al di là di Sapìa(VediTav.IV, Purg.)
.avendo udito il colloquio di Dante con lei, hanno inteso ch'egli è
vivo e veggente. Appiccano adunque tra di loro un colloquio, come
si fa, chiedendosi chi sia. Quante nuove scene non si aprono con
solo questo artifizio poetico di manifestarsi Dante gradatamente!
Nell'altro Canto, Dante altro non disse a Sapla se non che egli era
ancor vivo, e che dovea ritornarsene al mondo. Di qui la curiosità
ed i discorsi di altri orbi sulla sua condizione più precisa. Essi la
chiederanno, ma Dante non si manifesterà ancora interamente, e que-
sto sarà un altro appicco per nuove scene. Intanto notiamo che gli
orbi sono assai curiosi delle persone che loro passan dinanzi, e che
veramente questa è la loro natura e costume di farsi tali discorsi
quali qui. deaeri ve il poeta.
802 PURGATORIO
Prima che morte gli abbia dato il volo, * *
Ed apre gli occhi a Bua voglia e coperchia? 3
Non so chi sia; ma so ch'ei non è solo: 4
Dimandai tu che più gli t'avvicini, *
£ dolcemente sì che parli accòlo. e
Così duo spirti, V uno all'altro chini, 7
Ragionavan di me ivi a man dritta; 8
Poi fer li visi, per dirmi, supini: 9
10* £ disse T uno : O anima, che fitta
Nel corpo ancora in ver lo ciel ten vai,
Per carità ne consola, e ne ditta, i0
•
* Prima ecc. Prima di morire. Notate però la frase, la quale è
propria dello animo che sciogliendosi dal corpo vanno a salvamento. Di
sole queste ai può dive che la morte dia loro il volo ; perchè le altre
cut* vauno dannato, piombando all' Inferno, non hanno bisogno di voli.
* Ed <i|>re ecc. Cosa grande per quell'anime ch'aveano le ciglia
cucite da un filo di ferro. Ciascuno nota più facilmente negli altri
quello che manca in sé stesso.
* Ma so ch'ei no» è solo. Lo avea inteso da Dante quando disse:
Coffa» ck'è meco t non fa motto.
5 Che piìi gii Ravvicini* Dunque quegli che parlerà primo a Dante
sarà quegli che più si avvicina a Sapìa. (Vedi la Tav. IV). Tenia-
molo a mente per non confonder l'uno di questi ciechi con l'altro.
6 E dolcemente §1 ecc. Prendilo con ogni duke&za e destrezza
perchè possiamo saper tutto di lui.
Accòlo. Sincopato di accoglilo. Anche questo dimostra quanto
«eno curiosi i ciechi, ed è detto perche tale è la loro natura di ten-
tare ogni mezzo per saziare la loro smania di conoscere.
7 Coti duo spirti ecc. Vedeteli sul mio disegno Tav. IV.
Unno all'altro chini. Secondo il rare degli orbi, e come furono
descritti nel Canto antecedente.
8 Ivi a man dritta. D.-nte si trovava sulla strada colla faccia
volta a Sapìa. La sua man dritta volgeva a nord dove stavano le
nuove anime a dialogare. (Vedi la mia Tav. IV in questo punto).
9 Supini. Gli orbi quando parlano levano in su la faccia. Il poeta
della natura non la dimentica mai.
*o Per carifà ecc. Ecco l'offri to della raccomandazione d'accoglierlo
dolcemente. Ditta. Dì, dal latino dictito.
CANTO XIV. 303
Onde vieni, e chi se'; che tu ne fai
Tanto maravigliar della tua grazia,
Quanto vuol cosa, che non fu più mai.
Ed io: Per mezza Toscana si. spazia n
Un fiumi e el che nasce in Falterona,
£ cento miglia di corso noi sazia.
Di sovr' esso rech' io questa persona; "
20. Dirvi chi sia, saria parlare indarno; ,s
Chè'l nome mio ancor molto non suona. I4
Se ben lo intendimento tuo accarno 15
*l Per mena Toscana ecc. L'Amo nasce in Falterona, montagna
dell' Apemiino, attraversa anzi s'aggira per la Toscana dividendola
in due parti quasi uguali, compiendo più di cento miglia di cam-
mino dalla sorgente alla foce.
<3 Di eovr1 esso recK io ecc. Io sono di Val d'Arno. Nel canto an-
tecedente accennò d'essere Italiano, quando chiese se c'era qualche
anima latina, e se Sapìa bramasse qualche cosa da' suoi : questo par-
lare era molto generico, ma valeva ad aguzzare la curiosità delle
anime. Quelle anime infatti spinte dalla curiosità di aver notizie più
precise di lui, lo richiedono, ed egli venendo più al particolare si
dice di Toscana e di Val d'Arno. Ma Val d'Arno tira oltre cento
miglia, e eontien più città. Restava dunque a sapere di quale città
egli fosse, e restava anche un dubbio sulla espressione di dirsi del-
l'Arno senza però nominarlo. Quest'ultima circostanza, che da sé
parrebbe un niente, è fonte di maraviglio se bellezze. Nessuno si sa-
rebbe creduto che quella circonlocuzione di Val d'Arno ci condu-
cesse come per incanto ad una delle scene più spettacolose.
** Dirvi chi sia. Bravo Dante 1 Egli vuol tacere di sé, e noi stessi
sentiamo un bisogno ch'egli si taccia, per l'aspettazione di qualche
gran cosa, dalla quale ci devierebbero i particolari di sua persona.
M Che il nome mio ecc. Dante anche nel 1800 (epoca poetica in
cui si finge il Poema), prima che questo uscisse, era incontrastabil-
mente superiore a tutti pei saggi d' ingegno dati sino a quel tempo.
Siccome però egli dovea essere immortalato dalla sua Divina Com-
media eh' è posteriore a quell'epoca, perciò egli parla com. E bello
poi questo parlare dopo la visita fatta alla cornice dei superbi,
perchò desso è considerato anche frutto di quella visita.
i* Accarno — Con lo intelletto. Afferro con lo intelletto.
30* PURGATORIO
Con lo intelletto, allora mi rispose
Quei che prima dicea, tu parli d'Arno. *6
E T altro disse a lui: Perchè nascose 17
Questi il vocabol di quella riviera, ig
Pur com'uom fa delle orribili cose? **
E l'ombra, che di ciò dimandata era, *°
Sì sdebitò cosi ^ Non so, ma degno 2*
*°- Ben è che il nome di tal valle pera; 22
Che dai principio suo, dov'è sì pregno *3
L'alpestro monte, ond'è tronco Peioro,
Che in pochi luoghi passa oltra quel segno,
Infin là Ve si rende per ristoro **
*6 Quei che prima dicea. Quegli de* due che gli era più Ticino,
e che lo richiese chi e onde fosse, e che vedremo essere Guido del
Duca di Bertinoro.
17 E l'altro. Quegli che era più lontano, e che si nominava Rinier
de'Calboli da Forlì, come di rasai.
*8 II vocabol ecc. Allude alla perifrasi con che Dante indicò la
Valle dell'Arno, nascondendo così nella perifrasi il nome proprio del
fiume Amo e della sua Valle.
19 Pur com' uom fa ecc. Appunto uno de' fini a cni è ordinata la
perifrasi per legge rcttorica si è quello di fuggire l'orrore e la schi-
fezza che metterebbe la cosa esprìmendola col proprio nome.
20 L'ombra. Guido del Duca.
21 Non so, ma degno — Ben è ecc. Questo non so vale un tesoro.
22 Valle. Pel fiume che scorre per la valle.
28 Che dal principio suo. Perchè dalla sua sorgente. Dove Val-
pestro monte , l' Apennino, ond'è tronco Peioro, promontorio di
Sicilia che si unirebbe coll'Apcnnino senza lo stretto di Messina, e
che si crede essere stato un tempo unito con esso Apennino prima
della divisione dell'Isola dal continente.
Sì pregno che in pochi luoghi ecc. La montagna di Falterona
è uno de' punti più culminanti dell' Apennino. V'ha an punto in Cam-
pania che è più pregno e più alto di Falterona.
24 Infin là 've si rende ecc. Dalla sua sorgente fino alla sua foce,
dove esso fiume va a risarcire le perdite che fa il mare asciugato
dai calori del cielo.
CANTO XIV. - 305
Di quel che il ciel della marina asciuga,
Ond' hanno i fiumi ciò che va con loro, 25
Virtù così per nimica si fugar 2J
Da tutti, come biscia, o per sventura 27
Del loco, o per mal uso che gli fruga:
*°- OncT hanno sì mutata lor natura **
Gli abitator della misera valle,
Che par che Circe gli avesse in pastura. 29
Tra brutti porci, più degni di galle, 30
Che d'altro cibo fatto in uman uso,
** Ond' hanno i fiumi ecc. Il mare ha bisogno dei fiumi per non
asciugarsi, e i fiumi hanno bisogno del mare per formarsi.
*» Virtù cosi ecc. Tutti fanno guerra a virtù qual loro nimica,
come farebbero guerra ad una biscia pur loro nemica.
Questo è morto più che esser vizioso o contrario a virtù, per-
chè si potrebbe non amare la virtù, e in pari tempo astenersi dal
perseguitarla. Questo e quell'ultimo eccesso a cui accenna Isaia
(V, 20) dove dice: Vae vobis qui dic'tis bonnm malum, et malum
honum. Questo è quel reprobum sensum dell* Apostolo, in cui ca-
dono coloro, ebe per lungo abituarsi nel male sono abbandonati
da Dio.
27 O per sventura del loco, o per mal uso ecc. Espressione en-
fatica, che si usa quando non si sa come render ragione di qualche
mostruoso avvenimento, che si attribuisce o a destino del luogo,
o ad un inconcepibile talento del male, che al mal ci trascina.
*&S\ mutata lor natura. Lor natura umana per acquistarne uua
bestiale.
**Che par che Circe ecc. Circe era una strega, che quanti uomini
cadevano nelle sue mani li trasmutava in bestie e le pascolava.
Dunque i Valdancsi sembravano uomini fatti bestie. Infatti ora gli
enumererà sotto li forma di diverse bestie. Questa che pare una esa-
gerazione, non è finalmente che pretta verità scritturale. Anche la
santa Scrittura assomiglia certi peccatori ai cavalli ed ai muli, s'euf.
equus et mulu8 quibus non'est inlellectus (Tob. VI, 17) e qualunque
altro agli animali in genere: Animali* homo non percipit ea quae
sunt spiritus (I, Cor. ff, 14).
so Tra brulli porri ecc. Anche in san Matteo (VII, 6) si chia-
mano porci gli uomini sensuali: Solile, projiccre margaritas aule
20
306 PURGATORIO
Dirizza prima il suo povero calle, 8I
Botoli trova poi venendo giugo, 3*
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
Ed a lor disdegnosa torce il muso. w
Vasai caggendo, e quanto ella più ingrossa, n
porcos. Tali sono chiamati quelli del Casentino paese montuoso tra
Falterona ed Arezzo. Taluni ci veggono una allusione ai Conti
Guidi di Romena nel Casentino detti di Porciano,*na qui evidente
si parla di un intero popolo, e non di una famiglia particolare.
È molto credibile che montanari, quali eran questi, dediti alla cura
dille raandre, fossero succidi nel loro vivere, e forse anche volut-
tuosi e mangioni; vizi., che ordinariamente si contraggono negli ozi
montani. — Galle. Ghiande.
31 Dirima prima ecc. L'Arno pel Casentino per esser propinquo
alla sua sorgente, ha un alveo assai ristretto.
32 Botoli ecc. Questi sono gli Aretini, detti botoli o cani piccoli
ringhiosi, per esprimere la loro impotenza unita ad oltracotanza. An-
che il nome di cani è dato dalla sacra Scrittura ai peccatori. Citerò
sol qualche passo: drcunderunt me canee multi (Salm. XXI, 17).
Notile sanetum dare eanibus (Mntt. VII, 6). Non est bonum sumere
panem filtorun et mittere eanibus (Mar. VII, 27). Canis rever$u$ ad
suum vomilum (2 Pet. 11,21). Foris canea, et venefic i (Apoc.XXIF, 15).
Venendo giuso. Da nord a sud lunghesso le falde dell' Apetin ino.
33 Torce il muso. Come i passaggieri usano fare coi botoli, che li
Lisciano gridare e se ne vanno pei fatti loro sdegnandoli, cosi fa la
ville d'Arno, o l'Arno cogli Aretini, perchè l'Arno giunto nelle vi-
cinanze d'Arezzo, cambia subito corso e direzione. Prima da Falte-
rona ad Arezso ha la direzione, come dicemmo, da nord a sud, e ad
Arezzo prende la direzione da sud a nord- ovest. La lotterà V sarebbe
il preciso corso del fiume, ed Arezzo sarebbe pi-esso la punta così:
Nord
o Arezzo
3* Fasti. Il si è riempitivo. Quant'clla più ingrossa, — Tanto ecc.
Ella ò ingegnosissima questa corrispondenza di ingrandimento di
fiume, e ingrandimento di bestie : prima cani piccoli e poi cani mag-
giori, 088 i a lupi, che sono già della stessa famiglia, ma più feroci.
CANTO XIV. 307
*>°- Tanto più trova di can farsi lupi
La maledetta; e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi, 3IJ
Trova le volpi sì piene di froda, 3tì
Questi lupi sono i Fiorentini visitati dall'Arno già grosso, e oltre
la metà del suo corso. Dei lupi è propria la prepotenza e la rapacità.
Queste qualità il poeta le riconosce ne1 suoi cittadini. Anche la sacra
Scrittura chiama gli uomini di (al fatta col nome di lupi. In So fo-
nia (III, 3): Judices ejus lupi. In san Matt. (VII, 15): Jntrinsecus
antera sunt lupi rapaces. E Gesù Cristo dice di mandare i suoi:
Sicut ove s in medio luporum (Matt. X, 1(>). E san Paolo dice che
partito lui, entreranno nei Cristiani dei lupi: Inlrabunt post disocs-
sionem meam lupi rapaces in w$. Per questo Dante nel Par. XXV
chiama sé agnello e i suoi Fiorentini lupi :
Se mai con tinga che il poema sacro
Vinca la crudeltà che fuor mi serra.
Del bello ovile, ov'io dormi' agnello
Nimico a' lupi che gli danno guerra.
85 Per più pelaghi cupi. L'Arno da Firenze a Pisa s'allarga pel
piano, dove, e pel suo maggiore ingrossamento e pel suo minor corso
di quello che avea sopra Firenze, dice il poeta che discendo per pe-
laghi: e questi cupi perchè bassi ed ombrosi. Con questa descrizione
prepara il fiume stesso a rassomigliarsi meglio agli abitanti fra quali
trascorre: il fiume stesso viene cosi ad essere un'immagine dei Fio-
rentini e degli Aretini.
*6 Trova le volpi ecc. I Pisani posti presso la foce dell'Arno, e
chiamati volpi per la loro natura frodo lente, che si dice anche vol-
pina, perchè le frodi e gl'inganni sono proprii della volpe, la quale
perciò si giova delle tenebre notturne, e dei cupi tradimenti. Anche
Gesù Cristo chiamò volpe quell'ingannatore di Erode, che per dis-
farsi di lui, e far si ch'egli partisse da suoi stati, e ritornasse. a
Gerusalemme, perchè la presenza di Cristo in Galilea gli riusciva
Importuna, per le lodi ch'egli dava al Battista da lui crudelmente
ucciso, fece suggerirgli da terze persone, che si finsero amanti di
Gesù, di andarsene dalla Galilea perchè sapevano che Erode lo cer-
cava a morte. Ma Gesù Cristo conoscendo già la trama rispose loro:
Ite et dicite vulpì UH ecc. (Lue. XIII, 32).
308 PURGÀTORfO
Che non temono ingegno che le occiipi. a7
Né lascerò di dir, perch'altri m'oda: 38
E buon sarà costui s' ancor s'ammenta 89
Di ciò, che vero spirto mi disnoda. *°
Io veggio tuo nipote, che diventa 4I
3"» Che lo occupi. Che le soperchi, o vinca.
38 Per eh' altri. Quantunque altri. Accenna alla presenza dei due
sconosciuti.
39 E buon sarà costui ecc. E sarà buona cosa se costui si ricorda,
a suo tempo di ciò, ecc.
Nel verso antecedentemente il pronome altri si riferisce ad
ambedue i poeti, ma qui perchè parla di cosa che si riferisce ad un
abitante di Val d'Arno, e che potrebbe giovargli il saperla, parla di
un solo e dice costui. Dell'altro non può dir niente, perchè non sa
chi sia.
*o Di ciò che vero spirto mi dimoda. Di ciò che un vero spirito
profetico mi fa dire, mi strappa dal labbro.
ài lo veggio tuo nipote, ecc. Accenna al fatto seguente, che mi
piace ricordare colle parole di C. Balbo (Vita di Dante, voi. IT, ci):
Scarpetta al principio del 1303 mosse contro Firenze a capo degli
esuli fiorentini, e di una gran lega per essi, Forlì, Imola, Faenza,
Bologna. Arezzo con Uguecione a buono o mal grado, Federigo di
Montcfelfro, e Bernardino da Poleuta, il fratello di Francesca, il
compagno d'arme di Dante a Campaldino; mentre Pisa, Pistoja
e gli Ubaldini in armi distraevano l'attenzione e le forze fiorentine.
E fin da Verona Bartolomeo della Scala, gran Ghibellino di Lom-
bardia mandò loro aiuti. Quattro mila fanti e settecento cavalli fu*
rono in tutto. Ma tutto quello sforzo si ruppe contro il misero fa-
stello di Pulicciano presso a Borgo san Lorenzo. Dove minacciati
più che assaliti i fuorusciti dal successore di messcr Cante nella
podesteria di Firenza, Falcieri de'Calboli, nemico personale di Scar-
petta, si dispersero e fuggirono alla spicciolata, presi ed uccisi molti
da' Paesani. Tra' primi messer Donato Alberti — fu menato (son
parole di Dino pag. 500) vilmente su un as:no con una gonneUetta
d'un villano ni podestà. Il quale quando il vide lo domandò: Siete
voi messcr Donato Alberti? rispose: Io sono Donato; così ci fosse
iunanzi Andrea da Corretto, e Nicola Acciainoli, e Baldo d'Agn-
glionc, e Jacopo da Cestaldo, che hanno distrutta Firenze. (Erano
traditori de* Bianchi passati ai Neri di Falcieri). Allora lo pose alla
CANTO XIV. 800
Caccintor di quei lupi in sulla riva 42
60- Del fiero fiume, e tutti li sgomenta: A3
Vende la carne loro, essendo viva; 4i
Poscia li ancide, come antica belva; M
colla, e accomodò la corda all'aspo, e così vel lasciò stare, e fé'
aprire le finestre, e le porte del palazzo, e fece richiedere molti cit-
tadini sotto altre cagioni perchè vedessero lo strazio e la derisione
che iacea di lui; e tanto procurò il podestà, che gli fu conceduto
il tagliargli la testa, E questo fece (notate bene le seguenti parole
di Dino che spiegano il verso : Vende la cai ne ecc. che viene ap-
presso^ perchè la guerra gli era utile, e la pace dannosa; e così
fece di tutti. — Ma Dante non fu a questa guerra del Mugello;
che quell'aiuto di Bartolomeo della Scala alla lega Bianca Ghibel-
lina c'è memoria fosse mandato per opera di Dante ambasciadore
a Verona (Pellip. 123). Era opera conforme ai carichi al mestiere
diplomatico di Dante prima dell'esilio ; onde non è da maravigliare
gli fosse or commessa dagli esuli; e quindi si vede l'occasione che
ebbe Dante d'andare a Verona, la quale altrimenti uè si spiega,
ce si può intendere.
i*Cacciator di quei lupi. Insiste sull'allegoria. Dal momento che
ha chiamato lupi i Fiorentini, ne viene che il loro tiranno e carne-
fice dovea dirsi cacciator.
& Fiero. Perchè abitato da uomini feroci.- Tutti li sgomenta. Dopo
la guerra del Mugello fatta dagli esuli per ultimo tentativo di ri-
patriare, e ita cosi a male, tutti quei Bianchi che o palesemente o
di nascosto favorirono quel tentativo sia del contado che della città,
vissero in continuo timore per le catture e sentenze che vedeano
farsi ogni di su di loro dalla parte Nera, a cui favoriva il vincitore
Falcieri. Questo è espresso da Dino in quelle parole della nota 4 :
e così fece di tutti.
** Vende la carne loro essendo viva. Vuol dire che il podestà
Falcieri alle richieste dei Neri, e dietro danari concedeva d'impri-
gionare or questo or quello dei Bianchi rimasti in patria, e che spe-
ravano che la sevizie non si stendesse sopra di loro per non aver
presa parte attiva alla spedizione di Mugello. Questa è la carne viva
dei Bianchi, contrattata e concessa da Falcieri 'alle ire ed ai danari
dei Neri.
*s Poscia li andde ecc. Fatto coi Neri il contratto dei Bianchi,
passava Falcidi alla loro caiceiazionc ed uccisione.
49
310 PURGATORIO
Molti di vita, e sé di pregiò priva. 4*
Sanguinoso esce della trista selva; *7
Lasciala tal, che di qui a uiiir anni 48
Nello stato primai non si rinselva.
Come all' annunzio de' futuri danni
Si turba il viso di colui, che ascolta,
Da qual che parte il periglio l'assanni ;
70- Cosi vid'io l'altr' anima, che volta
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista,
Poi ch'ebbe la parola a sé raccolta. b0
Lo dir dell'una, .e dell'altra la vista
Mi fé1 voglioso di saper lor nomi,
*6 Molti di vita. Ricordatevi il detto di Dino testò allegato: e
così fece con tutti.
*7 Sanguinoso esce ecc. Falcieri lascia la podesteria di Firenze,
come un beccaio esce dal suo macello, tutto sangue. — Trista selva.
Avendo chiamato lupi i Fiorentini, e cacciatore il Falcieri, la città
di Firenze dovea chiamarsi selva.
*8 Lasciala tal che ecc. Qui il poeta oltre ai danni fatti da Fal-
cieri alle persone colla morte, accenna ai danni fatti alle case dì Fi-
renze, che appartenevano ai ribelli, e che furono o rubate o incen-
diate. Laonde quando Falcieri usci di carica, lasciò Firenze in un
mucchio di ruine, a risarcire le quali non avrebbero bastati mille anni.
Questo era il fine luttuoso di tutte le guerre civili del medio evo ;
dopo inveito contro le persone, si inveiva contro i beni. Cosi tante
bellezze ch'erano il frutto di molti secoli, in brev'ora sparivano.
*9 Da qual che parte ecc. Il Cesari, giudice competente in que-
sto fatto, riduce così il costrutto: Da qual parte che ecc., il che
risponde al dire: Onde gli venga, o lo assalti il periglio. In sostanza
il che è riempitivo. Ne avete l'esempio neM^onde stesso, perchè si
dice onde, e ondechh promiscuamente. Ora Da qual parte, e onde
è lo stesso. Apponetevi un che riempitivo ecco fatto tutto. Il che e
una particella che ora pì mette come riempitiva, ed ora si tralascia
anche dove va. Perciò Dante spesso disse poi per poiché, come in
quel verso: Poi fummo dentro ni soglio della porta*
i0 Poi eli ebbi* la parola ecc. Poi ch'rbbc ascoltato la predizione
che l'onici a gli fece «ulle enormi crudclts'i di óuo nipote.
CANTO XIV. 311
E dimanda ne fei con priegbi mista:
Perchè lo spirto, che di pria parlómi, 8!
Ricominciò : Tu vuoi eh' io mi deduca M
Nel fare a te ciò, che tu far non vuo'mi;
Ma dacché Dio in te vuol che traluca
80- Tanta sua grazia, non ti sarò scarso:
Però sappi eh1 io son Guido del Duca. 53
Fu il sangue mio d1 invidia sì riarso, b4
Che se veduto avessi uom farsi lieto,
Visto m'avresti di livore sparso.
Di mia semenza cotal paglia mieto. 8S
O gente umana perchè poni il core
• Là Ve mestier di consorto divieto? 56
si Lo spirto, che di pria parlómi. Il profeta delle crudeltà di
Falcieri.
s* Tu vuoi ch'io mi deduca — Nel /are a te ecc. Tu vuoi ch'io
m'induca a dire i nostri nomi, mentre tu non bai voluto compia-
cermi dire il tuo.
** Guido del Duca, Da Bertinoro tra Forti e Cesena nelle Ho-
magne.
M Fu il sangue mio ecc. L' invidia dissecca il sangue, e però noi
ve di atrio spesso le persone molto dedite a questo vizio avere una
cera livida.
W Di mia semema* Del mio peccato raccolgo questo frutto. E
un'idea scritturale come quella (Ag. I, 6) ■ Seminastis multvm et in-
tulistis parum, e meglio l'altra (Sai. VI, 7): Quae seminaverit
homo haec et metet.
W/jàVè mestier ecc. Sono parole dello stesso Guido, e vogliono
dire: Perchè poni il cuore nelle cose terrene? Le cose terrene hanno
una infelice qualità, ed è che quanti più sono i partecipanti ad esse,
e tanto più esse si scemano. Per esempio : muore un padre che ha 1000
campi ed un unico figlio: a questo unico figlio toccheranno tutti i
mille campi. Ma supponete che i figli invece di esser uno, sieno
dieci, a ciascun figlio toccheranno cento campi. Perchè tale è la
proprietà dei beni terreni, dove quanti più sono i soggetti che ne
godono, e tanto più essi si ristringono e impiccioliscono. Per questo
l'invidia non può aver luogo che nelle cose terrene, che a godere
312 rUUO ATORTO
Questi è Rinier ; questi ò il pregio e l'onore 57
Della casa da Calboli, ove nullo '**
90- Fatto s'è reda poi del suo valore;
E non pur lo suo sangue è fatto brullo 51>
Tra '1 Po e il monte, e la marina e il Reno, w
Del ben richiesto al vero, ed al trastullo; *'
Chò dentro a questi termini è ripieno M
Di venenosi sterpi, si che tardi 63
per intero non vogliono compagni: ecco il divieto di consorto. Al-
l'incontro le cose celesti hanno una qualità tutta contraria. Qunn'o
più cn^ctì il numero dei parti cipanti, e tanto più esse crescono :
quindi in queste cose non può aver luogo l'invidia; anzi l'intervie
di ogni particolare vorrebbe che ci fossero più compagni Uie fosso
possibile. E tutto questo per una semplicissima ragione, che i beai
terreni sono limitati, i celesti sono immensi.
S7 Questi è Rinier ecc. Di questo personaggio non si sa ora più di
quel che ne dice il poeta. A suoi tempi però dev'essere stato io
gran credito. Tanto si dica di quasi tutti gli airi personaggi toccati
in questo canto; molto conosciuti a quei tempi, ed ora dimenticati.
te Ove nullo — Fatto s'è reda ecc. Nessun suo discendente ere-
ditò la virtù di Riniori.
56 Los»io8a?ifjue. La sua discendenza — Brullo. Spoglio, privo, nodo*
co Tra il Po ecc. Accenna i confini della Romagna, che ha il Po
a nord, l'Adriatico ad est, il Reno ad ovest, l'Apennino a sud. Nella
Romagna dunque noti solo la Casa da Calboli è ora tralignata, ma
anche tutte le altre famiglie nobili sou divenute tali.
61 Del ben richiesto ecc. Il b»n che riguarda il vero, è la spe-
ranza con tutte le sue ramificazioni; il ben eh», riguarda il trastullo
sono tutte le arti liberali, con tutte lo loro ramificazioni. Sicché da
questa casa e dalle altre di Romagna non si coltivano più né scienze
divine od umane, nò arti belle.
62CAe dentro a questi termini ecc. Iu Romagna circoscritta ai
detti conimi.
6-J Di venenosi sterpi ecc. Allegoria delle case nobili di Romagna
paragonate a piante parassi tu e dannose. Anche nel Vrangelo 1' uomo
è p:ir.i^on;i(o ad una ficaia, che non tacendo frutto occupava la terra
iuutilmei.te. im/.i condanno dei l-tp-uo; della quale di**e Gesù Cripto ut
q'yìil :crr'.im occupai? e coni. nulo eh»- t'-.'oit i\cua e gettata bruciare.
CANTO XIV. 313
Per coltivare ornai verrebber meno. 6*
Ov'è il buon Ligio ed Arrigo Manardi, 6*
Pier Traversaro, e Guido di Carpigna?
O Romagnuoli tornati in bastardi ! 6C
100. Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? 67
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar s'io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata 6S
Ugolin d'Azzo, che vi vette nosco; *>
Federigo Tignoso, e sua brigata, 70
La casa Traversara, e gli Anastagi, 7I
(E l'ima gente, e l'altra, è diredata), "2
& Ptr coltivare ornai ecc. Tanto le Romagna sono piene di nobili
inutili e dannosi; che solo con una buona riforma di educazione,
(per coltivare) e dopo il corso di molti anni (tardi) si verrebbe
a rimediarvi. Quando una generazione è depravata non v'ha altra
speranza che educarne un'altra aspettando con pazienza i suoi frutti.
6* Ov'è il buon Ligio ecc. Tutti cavalieri onorati intorno alla meta
del XIII secolo, allor famosi, ora dimenticati. Ligio fu di Valbona;
Mainardi di Brettinoro o di Faenza; Pier Traversaro di Ravenna,
e Guido di Carpigna luogo di Mon: efeltro. La frase: Ov'è il buon
Ligio ecc. va intesa cosi: Ov'è ora chi somiglia al buon Ligio <ce.
fó Tornati in bastardi! Divenuti degeneri dalla virtù degli avi.
61 Quando in Bologna eec. Quando verrà mai quel tempo in cui
sorgerà a Bologna chi somigli ad un Fabbro (Domenico Fabbri de'
Lambertazzi), ed in Faenza chi somigli ad un Bernardin di Fosco,
che nato di bassa stirpe (di piccola gramigna) divenne eccellente
lavoratore in terra, e molto ammirato? (Verga gentil).
w Prata. Castello tra Faenza e Forlì.
W Ugolin oVAzzo. Degli Ubaldini. — Che vivette nosco. Che quan-
tunque di Toscana, vi3se però in Romagna.
™ Federigo Tignoso ecc. Visse in Brettinoro, convitando colà di
buoni e onesti amici.
'' Traversata, Di Ravenna. Gli Anastagi pur di Ravenna.
~'* E luna grate, e l'altra ecc. Tutte le care che ho nominato
sono Uiredate, o senza eredi delle avite virtù, ossia sono tralignate.
314 PURGATORIO
Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi, 7*
HO- Che ne invogliava amore, e cortesia
Là dove i cuor son fatti sì malvagi.
O Brettinoro, che non fuggi via,74
Poiché gita se n'è la tua famiglia,
E molta gente per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia, 75
E mal fa Castrocai» e peggio Conio, 76
Che di figliar tai conti più a' impiglia.
"3 TjC donne e i cavalier ecc. Le donne che servivano di sprone,
di virtù ai cavalieri degni di loro, per cui questi si davano alle
onorate imprese (affanni), e poi veniano tra gli agi donneschi a
raccontarle in ameno conversazioni, le quali servivano a metter nel
cuor degli uomini miti sensi e dolcezza di maniere (che ne invo-
gliava amore e cortesia), colà stesso dove ora altre non sono che
cuori malvagi o duri,
74 O Brettinoro ecc. Espressione enfatica di Guido contro la sua
patria, a cui consiglia di fuggire anch'essa, dopo che la famiglia di
Guido, e altre molte famiglie l'abbandonarono, per non contrarre i
pessimi costumi degli abitanti degenerati. Gli antichi nobili di Bret-
tinoro erano ci gelosi dei buoni costumi , che non permisero mai
alberghi od osterie, ma qualunque giugnesse lo ospitavano alle lor
case. — La tua famiglia. Per antonomasia. Da questo si vede che
la famiglia di Guido era signora di Brettinoro. Anch'essa dovette
esiliare per civili discordie, e per non pregiudicare alla propria co-
scienza, restando. Da ciò pure apparisce, che lo stare o l'andare
era in loro scelta; e che elessero andare, perchè rimanendo avreb-
bero dovuto partecipare ai mali del governo.
1S Ben fa Bagnicaval ecc. Nomina i luoghi pei signori di quei
luoghi. Bagnacaval, ad est di Lugo retto dai Mala bocca, che aveano
cessato di figliare, la quale estinzione di famiglia è dal poeta rite-
nuta per una grazia, perchè cosi è tolto il pericolo di aver figli
degeneri.
™ E malfa Casirocaro ecc. I Conti, o signori di Cast rocaro fanno
male ad attendere alla generazione di nuovi nV«i, e peggio fanno
i Conti di Conio (entrambi erano castelli di Romagna) più fecondi
nella generazione: sempre per la ragione che i figli bono degenci i.
Aneli* h. S. Matteo 'J.\. lì). :?i nota I:. r\<ntinr»di .»v r figliolanza
CANTO XIV. 3!f>
•
Ben faranno i Pagan, da che il Demonio 71
Lor sen gira ; ma non però che puro ,8
120. Giammai rimanga d'essi testimonio.
O Ugolin de' Fantoli, sicuro 79
E il nome tuo, da che più non s'aspetta
Chi far lo possa, tralignando, oscuro.
Ma va via, Tosco, ornai, ch'or mi diletta
Troppo di pianger più che di parlare :
' Sì m' ha nostra region la mente stretta. 80
Noi sapevam che quell'anime care
Ci sentivano andar : però tacendo 8i
Facevan noi del cammin confidare:
130. Poi fummo fatti soli procedendo,
Folgore parve, quando Taer fende,
Voce che giunse di con tra, dicendo :
in quelle parole: Vae praegnantibus et nutricntibus inillis d;ebu8.
Onde in S. Luca 23,29, si chiamano beato le sterili: Bealae ste-
rile* et ventres qui non genuerunt.
Da questi pensieri scritturali sembrano attinti i pensieri, clic qui
si sviluppano.
n Ben faranno i Pagan. Rettori d'Jmola. Questi faranno bene
a figliare, ma dopo la morte del loro padre Mainardi, detto il De-
monio per la sua trista condotta. Si dice dopo la morte del padre,
perchè questi col suo malo esempio potrebbe falsare i nipoti.
78 Ma non però che puro giammai ecc. I Pagani, che discende-
ranno di quelli non saranno però tutti buoni ; avranno chi fa bene,
e chi fa male.
■*• O Ugolin de' Fantoli ecc. Signore di Faenza, che non ebbe
figliuoli.
80 Si m' ha nostra region. Nostro paese, dove succedono tanti
guai. Vi ha chi legge: ragion (ragionamento). 11 senso è lo stesso.
81 Però tacendo, — Facevan noi del cammin ecc. I poeti raccol-
gono dal silenzio dell'anime dì trovarsi sulla vera via che motte
alla salita per l'altra cornice. Perchè essendo esse si piene di carità
(anime care) se essi avessero errato il cammino, cprto non avieb-
bero taciuto.
316 PURGATORIO
Àncideramnii qualunque m'apprende : *'
E faggio come tuon, che si dilegua,
Se subito la nuvola scoscende. ha
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua,
Ed ecco l'altra con sì gran fracasso,
Che somigliò tonar, che tosto segua :^
Io son Aglauro, che divenni sasso. 83
140. E allor per istringermi al poeta,
Indietro feci, e non innanzi il passo. S6
Già era l'aura d'ogni parte queta,
M Anciderammi ree. Questa voce ricorda la pena che ebbe l'in-
vidioso Caino dopo l'uccisione dell' innocente fratello. Kgli temette
che altri col tempo facesse a lui ciò che egli fece ad Abele, e lo
disse al Signore appunto con queste parole. L'esempio d'un invi-
dioso punito va ben ricordarlo ad anime che purgansi dell'invidia.
Quello che imaginò il poeta pei superbi, imagina pure, sebben sot-
t'a! tra forma, pegli invidiosi. I superbi avevano da una parte del
monte esempi di umiltà, e dall'altra esempi di superbia: cosi gli
invidiosi prima udivano tr:is\o!are degli spiriti gridando esempli di
amore, come abbiamo osservato nel Canto XIII, e qui odono altri
spiriti gridare esempi d'invidia, come Virgilio ne aveva giù av-
vertito il poeta uel Canto stesso XIII: Credo che V udirai, per mio
avviso, — Prima che giungiti al passo del pei dono,
*>* Se subito la nuvola sco.<cfhde. Il tuono altro non è che elet-
ti ico che passa di nube in nube fendendole. La celerità dunque del
tiK.no dipende dalla celerità di fendere, o scoscendere le nubi.
*>» Tonar, che tosto segua. Un secoudo tuono che tenga dietro sabito
al primo, come avviene quando l'atmosfera è tutta ingombra di
nubi e pregna di elettrico, dove uu tuono segue all'altro.
**> Io sono Aglauro ecc. Altra invidiosa delle favole. Aglauro figlia
di Kretteo re di Atene, perch'ebbe invidia che sua sorella fosse
amata da Mercurio, fu dal nume Messo convertita in sasso. Anche
i fatti favolosi non diseouveiigo.io in quanto che esprimono l'opi-
nione universale anche degli id< litri eh' l'invidia è un vizio degno
di pena.
&> Indietro fivi ecc. L eiiniL- a qikl dei Piov. XXXI: Rtddet
ti boHiim et non mala:n.
CANTO X!Y. 317
Ed ei mi disse : Quel fu il duro eamo, 87
Chedovria Tuoni tener dentro a sua meta : 8*
Ma voi prendete l'esca sì, che l'amo R,J
Dell' antico avversario a sé vi tira ;
81 Quel fu il duro eamo ccc Quel ch'hai udito da queste due
voci ò il duro freno (eamo) di cui t'ho accennato poco fa fC. XIII)
quando dissi, a proposito di altre voci, che parlavano esempi di
amore :
" Lo fren vuol esfer del contrario suono:
Credo che l'udirai per mio avviso
Prima che giungili al passo del perdono.
Ecco infatti che anche qui l'hai udito, come t'avea predetto.
Le voci udite prima e quelle udite «desso, quantunque quelle sicno
di esempi d'amore, queste d'invidia, pure tutte e due sono contrarie
all'invidia stessa, quelle colla virtù, queste colla pena..
88 Che dovria l'uom tener ecc. Questa è una lezione di filosofia
morale sul vero oggetto dell' amore dell'uomo, che Virgilio fa a Dante
e in lai a tutto il mondo. Questa lezione e illustrata da tre simi-
litudini una più Mia dell'altra. La prima è tolta dai cavalli, la se-
conda dai pesci, la terza dal cielo. Vediamole paratamente. L'uomo
anche dalla santa Scrittura è paragonato ad un cavallo: In ca»io
et fraeno mascillus eorum coite-Ingo, qui non approximant ad te
(Sai. 31, 9). Come ai cavalli si mette un freno per tenerli e diri-
gerli nel giusto cammino e dentro lor meta , così all' uomo perchè
non sinistri dietro falsi amori, che sono fuori della sua meta, e del
suo vero cammino, si dà per freno questo complesso di ricordi che
furono gli esempi di bello amore, e di brutta invidia nominati di
sopra. Cosi colla vaghezza della virtù, e colla pena del vizio con-
trario, l'uomo che ben considera è per bè tenuto entro i confini di
un giusto amore, e va diritto alla sua meta suprema. Questa prima
parte della lezione stabilisce il fiue dei nostri amori, e i mezzi per
corrispondere a questo fine. Ma l'uomo vi si assoggetta? Ecco la
seconda parte della lezione, che viene ad esser la pratica, ossia la
ricerca del come l'uomo vi corrisponde col fatto, e questo si tratta
nella terzina seguente.
89 A/a voi prendete l'esca ecc. Dio vi presenta per oggetto d'a-
more beni infiniti e veraci, e voi lasciati questi, correte dietro avi-
damente a beni piccioli eJ ingannevoli. Questo fatto elicè in aperta
contraddizione al nostro altissimo fiue, e illustrai.» dalla similitudine
318 PURGATORIO
E però poco vai freno, o richiamo. 00
Chiamavi il ciel, e intorno vi si gira, 9I
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
150. E Tocchio vostro pure a terra mira :
Onde vi batte chi tutto discerne. 9*
dei pesci. Come i pesci corrono dietro all'esca, vile e falso cibo che
a lor inganno offrono ì pescatori, entro il quale sta celato il ferro
mortifero, così gli uomini sprezzati i veri ed immensi beni proposti
loro da Dio. corrono dietro af beni bugiardi e vili, che offre a loro
inganno il demonio, il quale facendo con essi come il pescatore coi
pesci, appena e' si accorge che hanno abbocconato il cibo, ritira la
corda e l'amo, impiantato nelle lor fauci, e per sé gli assicura. Ecco
il fatto ehe succede ogni di.
90 E però poco vai freno o richiamo. Il nostro sregolato amore
ai falsi beni della terra rende inutile il freno che Dio ci avea posto
alla bocca, freno già dimostrato nella prima parte di questa lezione
e rende inutile il richiamarci che fa Dio a so, vero ed unico bene,
perchè ormai l'adunco ferro del demonio ci tira ove vuole. Ciò ap-
parisce manifesto nelle due similitudini recate del cavallo e del pesce,
Il cavallo nella sua ardenza non ascolta più il freno, e va in pre-
cipizio; ed il pesce attaccato al suo uncino più non può ritirarsi.
Ecco le prime conseguenze, conseguenze temporali dei nostri er-
rori, che sono come il corollario delle due prime parti.
°i Chiamavi il cielo ecc. Dio però non v' abbandona nella furia
dei vostri errori, ma vi richiama al dovere, ed è questa la spiega-
zione del richiamo detto nel verso antecedente.
Che richiamo? poteva dire alcuno; e il poeta risponde: Ecco qual
è il richiamo. È una voce amabile che vieti dal cielo, colla mostra
ch'ei ci fa di tutte le sue bellezze, dicendoci apertamente ehe noi
siamo fatti per esse, non già per la terra, e che alziamo una volta
i nostri occhi a quelle sfere, capaci per so medesime d' innamorarci,
e più capaci per quello che noi sappiamo star sopra loro, che è Dio
e la beatitudine dei santi, pei quali si belle cose son fatte.
Ebbene; che facciamo noi a questi richiami? Noi facciamo i sordi
e ci ostiniamo a guardare ad apprezzar solo la terra, e la viltà de'
beni suoi.
** Onde vi batte ecc. Riuscito inutile anche questo tentativo del
Signore per appuntare alla vera meta il no3tro ouore, che fa egli
finalmente? Ci amareggia a questo mondo la nostra sognata felicità*,
CANTO XrV. 3 li)
facendoci trovare scontenti dove noi credevamo di trovarci felici, e
aggravandoci di indicibili supplizi nell'altra vita. E queste sono le
seconde ed ultime conseguenze dei nostri ingiusti amori.
Chiudiamo le osservazioni a questo Canto col dir una parola sulla
convenienza della pena dell'invidia. La pena principale è la cucitura
degli occhi con un filo di ferro, da cui restano cicchi. Siccome la
colpa deriva dal guardare con occhio cieco la terra ed i suoi beni
ponendo in essa ed in. questi la propria felicità, che naturalmente
la si considera scemata se altri ne partecipa, perciò è convenientis*
sima la pena di non poter nemmen vedere la terra sì idolatrata. AI
mondo l'occhio vostro, o anime, pure a terra mirò. Ebbene; al Pur-
gatorio non la possa più mirare, e così impari a sprezzarla. L'in-
vidia, che suona etimologicamente privazione di vista, ò punita se-
condo il senso della parola.
CANTO XV
Argomento.
Prima il poeta determina V ora, ed il luogo del suo cammino,
punto assai importante. Dice poi che arrivarono all'Angelo por-
Hnajo della terza scala che dalla cornice dell'invidia mette a quella
dell'ira. L'Angelo gli invia per issa, che è meno erta delle altre.
Salendo chiede Dante a Virgilio la spiegazione di alcune parole
dette prima dall'invidioso Guido del Duca, e Virgilio gliele spiega.
Lo affretta quindi nel cammino, e lo avverte che gli fu dall'An-
gelo cancellato un altro P dalla fronte. Compiti questi discorsi i
poeti si trovano al fine della scala nella cornice dell'ira. Qui il
poeta non s'arresta, ma cammina verso occidente per più di mezza
lega, colla mente sopita in alcune visioni di mansuetudine e oVira.
Rientrato in sé stesso e chiesto da Virgilio perchè faccia i movi-
menti di chi si sveglia dal sonno, e volendo Dante raccontargli
le sue visioni, Virgilio dice di saperle, e che le cose da lui vedute
hanno per fine di disporlo a depor Vira, ed a farlo pacifico; e
che se gliene ha dimandato, era per {stimolarlo alla fretta, Pro*
cedendo dunque con maggior f retta y verso sera veggono spuntare
e venire alla lor volta un fumo, che prendeva tutta la cornice, dal
quale perciò furono avvolti.
NB. Vedi tatti ì easellini di questo Canto netta Tar. HI e la Ta?. ▼ Purg.
II e poi III cornice.
Q
uanto tra l'ultimar dell'ora terza 1
4 Quanto tra V ultimar ecc. In queste due prime terzine è pre-
cisata l'ora che faceva quando il poeta si trovava nel luogo che si
preciserà subito dopo. 11 poeta ci fa intendere quest'ora con un
confronto tra il Sol che si leva, e il Sol che tramonta, dicendo, che
quella distanza che e' e tra il Sol quando nasce o il Sole quando ha
percorso tre ore dalla nascita, quella stessa distanza avea allora
21
«22 PURGATORIO
E il principio del di par della spera, *
Che sempre a guisa di fanciullo scherza; '
Tanto pareva già in ver la sera 4
Essere al Sol del suo corso rimaso :
Vespero là, e qui mezza notte era. 3
il Sole per giungere al suo tramonto, cioè la distanza di tre ore,
come alla mattina. Se dunque mancavano tre ore al tramonto, che
ora del giorno era quella? Per saperlo basta solo osservare sulla
tavola temporaria, che troviamo negli Almanacchi o Calendarii,
l'ora precisa del tramonto nel giorno 10 Ottobre, che abbiamo oggi
agli antipodi, rispondente al nostro 11 Aprile, e troveremo che nel
10 Ottobre il Sole tramonta alle 5.20 circa. Ora da queste 6.20
dibattendo le 3 ore, che vuole il poeta, avremo 2.20 dopo mez-
zodì. Questa è l'ora precisa in cui siamo. Sicché dalla prima vista
dell'Angelo trovato alla scala, che dai superbi mette agli invidiosi
(Canto XII., n. 53) quando correvano le 12 meridiane precise» sino al
punto presente passarono ore 2.20, nelle quali i poeti salirono la
lunga scala dalla superbia all'invidia, s'abboccarono cogli invidiosi)
intrattenendosi a lungo con loro, e poi camminando un buon tratto
intorno al monte per la facciata che guarda nord (Vedi la Tav. IV
e la V, Purg.).
* Par della spera. Apparisce della spera celeste. Notate questo
par, il che dimostra parlarsi de) tratto di cielo a noi visibile, e con
ciò solo si condanna l'opinion di quelli che sostengono Yor* terna
per ora avanti la nascita, quando il Sol percorre un tratto di cielo
che a noi non apparisce.
'Che sempre a guisa ecc. Il fanciullo ora piange ora rìde, e
facilmente e improvvisamente passa dall'uno all'altro. Cosi il cielo
ora piange ora ride, piange quando piove, ride quando è sereno, e
queste vicende sono continue ed improvvise. In sostanza vuol dire
cielo mutabile , com'è il fanciullo. È presoda Orazio, Arte Poetica,
che parlando del fanciullo dice: Et mutatur in horas.
i Pareva ecc. Appariva. Quanto corso fa il Sole in tre ore dal
punto della sua nascita in oriente, tanto corso restava a fare in
occidente per giungere al suo tramonto.
B Vespero là, e qui mezza notte era. Essendo le 2.20 pom., ossia
mancando 3 ore al tramonto del Sole al monte del Purgatorio, per
conseguenza colà era vespero ossia quell'ora pomeridiana, che non
è già la sera, come taluno intende, ma che è quell'ora dopo il mezzodì
CANTO XV. 323
nella quale la Chiesa usa cantare il vespero, che appunto nel mese
e giorno in cai siamo (10 Ottobre) risponde alIe-2.20 pomeridiane. In
più brevi parole vespero in questo luogo vale per principio delle
ore vespertine nel senso ecclesiastico, nelle quali si compie una parte
di ufficiatura che appartiene al di seguente, e questo per la ragione
che la Chiesa non conta il giorno da una meszariotte ali1 altra, o
da un tramonto all'altro, o da un mezzodì all'altro, ma da un ve-
spero all' altro. Infatti in questo tempo in cui siamo (10 Ottobre)
si potrebbe alle 2.34 pomeridiane recitare persino il mattutino che ap-
partiene al di seguente naturale. I 14 minuti antecedenti a que-
st'ora si richiederebbero al canto di vespero e di compieta.
Dunque al Purgatorio era vespero, ossia 2.20 pom., ed era mez-
zanotte in un altro luogo della terra, che il poeta esprime coli' av-
verbio qui, lasciandolo trovare a noi stessi.
Il trovarlo è facile ; ed ecco come. Se al Purgatorio mancano 8 ore
al tramonto del Sole, a Gerusalemme antipode del Purgatorio man-
cheranno 8 ore alla nascita del Sole medesimo» Se poi a Gerusalemme
mancano 8 ore alla nascita, ad un luogo più occidentale di Geru-
salemme mancherà più. L' Italia, a cagion d' esempio, è luogo occi-
dentale a Gerusalemme. Dunque all' Italia nascerà il Sole dopo Ge-
rusalemme. E quanto nascerà dopo? Nascerà dopo di ore 1.40,
perchè il Sole percorre 15 gradi per ora, e tra Gerusalemme e la
metà d'Italia abbiamo 25 gradi, che portano ore 1.40, come di-
cemmo. Dunque quando al Purgatorio mancano 3 ore al tramonto
del Sole, a Gerusalemme ne mancano 3 alla nascita, ed all'Italia
a questa nascita ne mancano 4.40. Ma quando in Italia mancano
ore 4.40 alla nascita del Sole, può essere mezzanotte nel giorno e
mese in cui siamo? No; perchè noi siamo agli 11 di Aprile, e sap-
piamo dalla Tavola temporaria che agli 11 di Aprile il Sole ci nasce
alle 5.24. Dunque è evidente che il poeta non accenna all'Italia,
ma ad un altro luogo molto più occidentale a Gerusalemme che non
è l'Italia. Ora di quanto questo luogo deve esser più occidentale?
Deve esser più occidentale tutta la differenza che passa tra le ore 4.40
• le ore 5.24, che sono 44 minuti. Ebbene il luogo, dove ci por-
teranno questi 44 minuti, sarà il luogo preciso indicato dal poeta
nel quale batteva allora allora mezzanotte. Per trovarlo ragioniamo
cosi: Se 60 minuti di ora fanno 15 gradi di Sole; 44 minuti quanti
gradi faranno? Troveremo che 44 minuti di ora fanno 11 gradi di
Sole. Aggiungiamo dunque ai gradi d' Italia (che sono 24 partendo
da Gerusalemme) gli 11 gradi trovati, ed avremo gradi 35. Dun-
que il poeta determina la mezzanotte di un luogo all' occidente di
Gerusalemme 35 gradi. Ma questo luogo è Parigi comesi può riscontrar
324 PURGATORIO
sulle carte geografiche. Dunque quando al Purgatorio mancavano
ancor 3 ore al tramonto, a Parigi batteva mezzanotte. Dunque il
poeta eoi suo qui dice manifesto che al tempo che scrivea questo
Canto, egli si trovava a Parigi, dov'era da qualche tempo, come
abbiamo altrove accennato dietro l' autorità e le prove di Cesare
Balbo nella vita di Dante. Cosi Dante, con questo conto astrono-
mico ci chiama a fargli una visita nella stanza di Parigi proprio
alle 12 di notte, mentre scrivea questi versi.
Il poeta avea compito il suo Inferno nel 1808 presso i Mala-
spina di Lunigiana. In quell'anno stesso coi sussidii dei MaUspina
medesimi si recò a Parigi, dove cominciò e prosegui almeno sino
a questo Canto XV il suo Purgatorio, e donde fece una scorsa anche
in Inghilterra. Trattenutosi in Parigi sino al 1310 ritornò in Italia
nella state di queir anno, quando vi discese l'imperadore Arrigo VII,
e dopo 3 anni spesi a tener dietro vicino o lontano ad esso Arrigo,
che tentava di soggiogar Firenze, e di ricondurvi gli esuli, nei quali
tre anni ultimò il suo Purgatorio parte in Pisa parte in Lucca,
negli ultimi mesi del 1314 si ridusse e stabili a Verona presso Can
Grande, svanita ornai ogni speranza di ripatriare. In Verona die
opera al Paradiso, e lo portò oltre alla metà. Quattro anni (inter-
rotti) spese ne\Y Inferno (1304-1308): sei anni (pure interrotti) spese
nel Purgatorio (1308-1314) : e sei anni (però più pacifici) spese nel
Paradiso (1814-1320). In gratitudine al primo asilo ch'ebbe dai Fag-
giolani dedicò ad Uguccione il suo Inferno : per pari gratitudine al
secondo asilo datogli dai Malaspina, e pei loro soccorsi nel viaggio
e dimora a Parigi, dedicò a Moroello il Purgatorio ; e per l'ultimo
asilo ed aiuti degli Scaligeri, dedicò a Can Grande il Parodi**.
Il primo fu composto in Lunigiana, sebben cominciato a Verona.
Il secondo a Parigi sino al Canto XV, il resto a Pisa, a Lucca e in
qualche altro luogo di Lunigiana. 11 terzo a Verona per la più parte.
Il Guerra citato dal chiarissimo P. Sorio nel suo opuscolo : Un pro-
blema dantesco astronomico, è indifferente per Parigi o per Oxford.
Questa indifferenza non si può dare, perchè Dante col suo calcolo o
determina Parigi, o determina Oxford, luogo più occidentale di Pa-
rigi di 3 gradi, e noi abbiamo veduto che il poeta determina pre-
cisamente Parigi. Quelli poi che per questo qui intendono l'Italia
non potranno mai provarlo, perchè sarebbe un tentare la prova con-
tro Dante medesimo, che si eprime con una chiarezza ed esattezza
che non lascia alcun dubbio; e perchè si contraddirebbe alla storia,
la quale a quest'epoca pone Dante in Francia ed a Parigi, non in
Italia, e molto meno a Verona, dove da quando parti (1304) più
non ritornò che o in fine del 1314, o nel principio del 1315.
CANTO XV. 326
E i raggi ne ferian per mezzo il naso, 6
Perchè per noi girato era sì il monte,
Che già dritti andavamo in ver l'occaso ;
io. Quand' io senti' a me gravar la fronte 7
« E i raggi ne ferian per meno il naso. Attenti bene a questa
terzina, che inchiude un accenno topografico di somma rilevanza,
perchè ci trasporta col poeta in un' altra facciata del monte, al che
non avvertendo i passati disegnatori del Purgatorio, hanno sempre
tenuto i nostri viaggiatori nella stessa faccia del monte, cioè sem-
pre in quella che guarda ad oriente. Errore grandissimo, come tosto
diremo. Intanto spieghiamo il senso di questa terrina. Nel nostro
disegno della Montagna, Tav. IV, noi abbiamo lasciato Dante nella
cornice II degli Invidiosi, al fine della facciata che prospetta oriente,
che è in una il principio dell'altra facciata che prospetta settentrione,
per la quale egli s'incammina a gran passi Dunque si rende as-
solutamente necessario un altro apposito disegno del Monte, che ei
dia quella facciata di esso che guarda settentrione, altrimenti noi
non potremo intendere bene il viaggio che resta, e faremo una con-
fusione quale hanno fatta sinora i commentatori, ed 1 loro scarsi
disegni. Questo disegno lo troverete nella Tav. V. Osservatela bene.
In essa trovate Dante già inoltrato per la facciata stessa di nord.
In questo punto arrivato egli è evidente, che stante il vespero già
discorso nelle due prime terzine di questo Canto, per cui il sole era
passato dal meridiano di ore 2.20, restando sole 3 ore al tramonto,
egli Dante dovea camminare direttamente incontro al Sole, e non in
costa di lui, come faceva nella parte del monte percorsa prima, e volta
ad oriente : onde ne seguiva che i raggi del Sole venivano alla sua faccia
direttamente colpendo la linea che da sommo ad imo dividerebbe per
messo il naso. Per rendere poi ragione di questa sua nuova postura per
riguardo al Sole, dice nei due versi seguenti che ciò proveniva per aver
essi tanto ornai girato il monte dalla parte di nord, che già andavano
dritti all'occaso, il che non potea avvenire se il cammino che facevano
non gli avesse portati alquanto innanzi per la facciata del monte che
guarda nord, ossia il Sole di mezzogiorno, perchè il Sole al Purga-
torio gira dalla parte di nord, parte tutta contraria alla nostra.
7 Quand'io ecc. Questo modo di esprimersi indica che lo splen-
dore gli si offerse improvviso. Ricordatevi che -il poeta gira per un
monte, dove ad ogni pochi passi appaiono oggetti nuovi, e cosi
intenderete meglio la ragione di questa improvvisata.
il
326 PURGATORIO
Allo splendore assai più ohe di prima,
E stupor m'eran le cosa non conte: 9
Ond'io levai le mani in ver la cima ,0
Delle mie ciglia e fecimi il solecchio,
Che del soverchio visibile lima.
Come quando dall'acqua, o dallo specchio
Balta lo raggio all'opposto parte, "
Salendo su per lo modo parecchio
*Allo splendore* Dallo splendore. — A*$ai pi* che di prima.
Quatto cU prima non si riferisce all'angelo veduto neiraltra cornice
dei superbi, ma al Sole occiduo incontro al quale fl poeta andava.
Dice dunque che lo splendore nuovo che se gli offerte improvviso
lo abbaglio assai più che quello del Sole.
• E stupir m'eran eoe. Appunto quando siamo colpiti d'improv-
viso da un soggetto luminosissimo, in quel momento perdiamo la
vista, e non conosciamo più nulla delle cose che ci stanno dinnanzi.
*o Onà" io levai le moni eoe. E questo il naturai movimento di
schermo ohe facciamo in casi simili: stendiamo ambedue le mani
aperte alla sommità delle ciglia (il che dica» solecchio), e quest'atto
Ima, ossia toglie, o diminuisce una gran parte degli splendori (che
sono il soverchio visibile) che vengono ai nostri occhi, e cosi re-
stiamo meno abbagliati di prima.
4* Come quando ecc. Queste tre terzine colla loro similitudine in-
dicano che non valse al poeta farsi il solecchio, perchè col solecchio
si era bensì riparato dai raggi diretti di questo nuovo splendore,
ma non si era potuto riparare dai suoi raggi indiretti, ossia riflessi,
i quali veniano dal pavimento a' suoi occhi, alla qual venuta di
raggi il solecchio che era di sopra alle ciglia non giovava, venendo
i raggi riflessi dal di sotto. Con tutto questo poi viene a dire che
egli si trovava già alla presenza dell'angelo, e a pochissima distanza
da lui, perchè altrimenti i raggi angelici riflessi non lo avrebbero
ferito negli occhi.
Dall'acqua, o dallo specchio. Quanto meno è scabra la super-
ficie dei corpi, e tanto più riflette i raggi. Ora queste due super-
ficie dell'acqua e dello specchio non hanno scabrosità, o in minimo
grado. Dunque riflettono anche molto i raggi.
i* Salta lo raggio all'opposita ecc. Ecco il raggio riflesso, e le
relative sue proprietà, che sono: 1. Salire dal lato opposto al primo
CANTO XV. 3*7
A quel che scende, e tanto si diparte
20. Dal cader della pietra in igual tratta,
Sì come mostra esperienza ed arte : "
. Cosi mi parve da luce rifratta
Ivi dinanzi a me esser percosso;
Perchè a fuggir la mia vista fu ratta. u
Che è quel, dolce padre, a che non posso "
Schermar lo viso tanto che mi vaglia, 1G
Diss' io, e pare in ver noi esser mosso? i7
m
raggio (Salta lo raggio ali* apposita parte) ;2, Salire in direzione
diretta come il primo r&gg'io (Salendo su per lo modo parecchio — A
quel che scende) ; 3. Salire tanto distante dalla perpendieolare indi-
cata dal cader della pietra o piombino, quanto si tenne distante
il primo raggio (E tanto si diparte — Dal cader della pietra
in igual tratta). •
** Sì come mostra esperienwa ecc. Il fatto medesimo, se si os-
serva, e la teoria medesima, se si ascolta, dimostrano la verità di
quel che dico. Quanto alla teoria essa ammise su questo fatto il co-
rollario seguente: L'angolo d'incidenza è uguale a quello di ri-
flessione.
** Perchè a fuggir ecc. Sentendosi ferire gli occhi anche dal di
sotto, e quindi non avendo altro schermo, naturalmente si rivolse
altrove sino a Virgilio a destra. (Vedi Tav. V, Purg.)
*3 Che è quel ecc. Dante non pensa ancora che sia un angelo.
** Schermar lo viso tanto ecc. Quantunque io abbia ora gli occhi
rivolti a te, e quindi non sia ferito dallo splendore né direttamente
come prima di farmi il solecchio, né di riflesso come dappoi che mi
rivolsi a destra verso di te, pure mi sento ancora ferir a quei raggi.
Nella positura in cui allora era Dante, i suoi occhi non erano per-
cossi dagli splendori né diretti, né riflessi, ma solo solo da splendori
che passavano transversalmente dinnanzi af suoi occhi Anche solo
questo bastava perché i suoi occhi se ne rìsentìsser di troppo. Arte
maravigliosa per descriver l'angelica luce.
*? Pare in ver noi esser mosso. Pare che venga verso noi. Onde
pensava questo? Dal veder che la luce gli si facea ogni momento
più chiara* Notate la natura e i gradi della luce, e notate come con
un concetto ne accenni due. Questa é vera ricchezza di natura e di
poesia.
32fc PURGATORIO
Non ti maravigliar se ancor t'abbaglia i8
La famiglia del cielo, a me rispose : "
30. Messo è che viene ad invitar ch'uom saglia. *°
Tosto sarà eh' a veder queste cose **
Non ti fia grave, ma fleti diletto,
Quanto natura a sentir ti dispose. **
Poi giunti fummo all'angel benedetto,
Con lieta voce disse: Intrate quinci,
*8 Non ti maravigliar ecc. Per non essere ancor purgato abba-
stanza dalle reliquie che restano ancora dopo confessate e detestate
le colpe. Dante non avea più sulla sua fronte il P, o la penalità
della superbia, che già gli era stato cancellato del tutto dall'angelo
di quella cornice. Gli altri sei P gli erano smarriti alquanto dopo
tolto il primo vizio capitale, la superbia; ma per altro in questa
cornice dell'invidia avendo pagato il debito anche per questo viaio,
non gli rimanevano che cinque vizi! da purgare. Questi soli però
bastavano perchè 1& sua vista non fosse forte abbastanza per reg-
gere ai raggi angelici, che richiedono ogni purezza.
*9 La famiglia del cielo. Famiglia nel buon trecento si usava,
e si usa ancora, ad indicare i cervi o le guardie delle corti di ma-
gistratura, e dei principi. Questa voce viene da/amtrfa* (servo);
ed ancora un servo di campagna dicesi famiglio.
Gii angeli sono dunque la famiglia, o i famigli, o i famuli, o
i servi , o i messi , come si dirà tosto, di Dio nella esecuzione dei
suoi voleri.
90 Messo è ecc. Ecco spiegata la voce famiglia in un de* suoi
membri o servi. Angelo vuol dir messo, o m/tndato, o ambasciatore.
Ch' uom saglia. Invece di usare V impersonale si sa glia, dicesi
anche uom saglia. È tolto dal provenzale dalla particella on (si), che
unita ai verbi li fa impersonali.
M Tosto tata. Cioè quando ti sarai purgato degli altri cinque
peccati capitali, come ti Bei purgato dei due primi, superbia e in-
vidia, il che avverrà in breve.
*2 Quanto natura ecc. Dice natura perche Dante è ancora mor-
tale. Dio perchè gli ha concesso questo viaggio ultramondiale non
lo trasnaturò, come trasnatura i beati. Soltanto die e darà alla sua
natura il massimo grado di elevazione, che può ricevere un uomo
rimanendo mortale.
CANTO XV. 389
Ad un scaleo vie meri che gli altri eretto. **
Noi montavamo già partiti linci, u
E, Beati misericordes, fue u
Cantato retro, e : Godi tu che vinci.
40. Lo mio Maestro ed io soli ambedue
Suso andavamo, ed io pensava, andando,
Prode acquistar nelle parole sue : *
E dirizza'mi a lui si dimandando:
Che volle dir lo spirto dj Romagna, *7
E divieto e consorto menzionando? **
Perch'egli a me : Di sua maggior magagna *
Conosce il danno; e però non s'ammiri
23 Ad un scaleo ecc. Ad una scala. Questa è meao erta dell'altre
due. La prima dalla porta alla cornice dei superbi era quasi per-
pendicolare, e quindi ertissima; la seconda dai superbi agli invi-
diosi era alquanto inclinata; la terza, che è questa, più inclinata
ancora e quindi più comoda. (Vedi il mio disegno, Tav, IV e V, Purg.)
La ragione di questa minore ertezza dipende dalle ripe che si fanno
sempre meno erte di mano in mano che si sale, come si disse al
Canto X, v. 30. Queste facilità sempre crescenti di salire indicane
in senso ascetico la sempre maggiore facilità che ha l'anima di sa-
lire alla perfezione mano mano che procede nella via purgativa.
94 Noi montavamo ecc. Avvertite che Dante già sin dau" ingresso
del Vero Purgatorio è il primo ad andare innanzi come fu il primo
ad entrare per la porta. Questo sia detto per riguardo alle scale
Per riguardo poi alle cornici, Virgilio se ne sta sempre dalla parte di
fuori e Dante dalla parte di dentro pel pericolo di rotolare giù dalla
ripa, — Linci. Di lì.
23 Beati misericordes ecc. L'angelo cantò queste parole. Anche
gli angeli dell'altre cornici canteranno altre parole allusive. Queste
sono allusive all'invidia già purgata e vinta.
26 Prode. Pro, utilità.
tf Lo spirto di Eomagna. Guido del Duca da Bertinoro.
2* E divieto e ecc. Allude a quei due versi del C. XIV, n. 56: O genie
umana perchè poni il core — Là'v'è mestier di contorto divieto f
» Di sua maggior magagna — Conosce il danno. Del suo vizio
predominante, cioè della invidia, dalla quale Guido si confessò già
380 PURGATORIO
Se ne riprende perchè men sen piagna. *
Perchè s'appuntano i vostri desiri "
50. Dove per compagnia parte si scema,
Invìdia muove il mantaco a' sospiri.
Ma se l'amor della spera suprema "
Torcesse in suso il desiderio vostro, 33
Non vi sarebbe al petto quella tema: 3i
Perchè quanto si dice più lì nostro, 8*
Tanto possiede più di ben ciascuno,
predominato più che da qualunque altro vizio, e quindi n'avea più danno
al Purgatorio, avendo detto precedentemente a que'due veni :
Fu il sangue mio d'invidia ai riarso
Che se veduto avessi uom farsi lieto
Visto m'avresti di livore sparso.
Di mia semenza cotal paglia mieto.
Ecco la sua maggior magagna; ecco quant'egli ne conosce il danno.
*> Se ne riprende. H ne in questo luogo non vuol dir ci ma di
ciò. Allude alla riprensione fetta da Guido in quelle parole: 0 gente
umana perchè ecc.
Perchè men sen piagna. Meno sen piagna qui al Purgatorio,
se ne abbia qui meno pena.
M Perchè $' appuntano ecc. È questa la spiegasene del quesito
messo al n.* 28. Avete invidia del bene altrui perchè mettete ì vo-
stri desiderii in cose terrene, le quali tanto più si scemano quanto
più crescono i concorrenti al loro godimento.
** Ma te Vamor ecc. Ma se l'amor del cielo o delle cose celesti
e non delle terrene.
** Torcesse in suso ecc. Drizzasse al cielo ed alle cose celesti il
vostro cuore,, o amore.
** Quella tema. Quella tema di aver meno a possedere perch'altri
posseggano insieme con voi.
w Perchè quanto si dice ecc. Perchè in cielo (lì) quanti più sono
i partecipanti (ossia coloro che dicono: Questo bene è nostro) tanto
più ciascuno possiede: il che è tutto il contrario di quello che av-
viene nei beni terreni, nei quali a proporzione che crescono i par-
tecipanti, cala la parte che tocca a ciascuno.
CANTO XV. 331
E più di cantate arde in quel chiostro. "
Io son d'esser contento più digiuno, ,7
Diss' io, che se mi fosse pria taciuto ;
60. E più di dubbio nella mente aduno. '*
Com'esser puote che un ben distributo M
I più posseditor faccia più ricchi
Di sé, che se da pochi è posseduto?
Ed egli a me : Perocché tu rificchi *
La mente pure alle cose terrene,
Di vera luce tenebre dispicchi.
*6 E più di caritaU ecc. Più si desidera in cielo che vengano
sempre di nuovi partecipanti a godere del bene eh' essi posseggono.
Oggi p. e. arrivano in cielo dieci beati. Ebbene si verrebbe invece
che quei dieci fossero cento, mille, un milione ecc.
*? Io son (Tesser ecc. Io sono meno contento di prima, meno con-
tento che se non mi fosse stato risposto.
3* E più di dubbio ecc. Io dubito più di prima, perchè dal dub*
bio sui beni terreni, che ho già inteso, e che m* hai risoluto, tu ora
mi trasporti in un altro dubbio sui beni celesti, che mi par più dif-
ficile da intendere e risolvere. Il nodo del suo dubbio lo espone nella
terzina seguente.
39 Com'esser puote ecc. E un paradosso, che non intendo, il dire,
che un bene quanto è più suddiviso, i partecipanti ad esso faccia
più ricchi, che se fosse men suddiviso, ossia che i partecipanti fos-
sero meno. La fallacia di questo paradosso sta nella parola distributo,
il che non si può dire di Dio, bene infinito, che non si divide e
suddivide. La divisione e suddivisione non cade che nelle cose li-
mitate, quali sono i beni terreni: e Dante s'imbroglia e non capi-
sce perchè ragiona di Dio, come delle creature. Questi dubbi di Dante
son fatti per nostra istruzione ; ed è una istruzione filosofica e teo.
logica, alla quale si può giungere col solo lume naturale.
*o Perocché tu rificchi — La mente ecc. Ragionando di beni ce-
lesti non si dovrebbero prender le norme dai beni terreni; e ap-
punto tu ragioni del cielo prendendo a prestito le idee della terra. Chi
ragiona dei beni celesti dee astrarre dai beni terreni, che sono affatto
diversi da quelli. Tu che non fai così di vera luce tenebre dispicchi,
cioè cavi dalla mia dottrina di verità, conseguenze di errore. -
332 PURGATORIO
Quello infinito ed inefiabil Bene, 41
Che lassù è, così corre ad amore
Come a Incido corpo raggio viene.
70. Tanto si dà, quanto trova d'ardore ;
Sì che quantunque carità si stende,
Cresce sovr'essa l'eterno Valore.
£ quanta gente più lassù s'intende,
Più v'è da bene amare, e più vi s'ama.
E come specchio l'uno all'altro rende.
4* Qptllo infinito ecc. Virgilio prova ora a Dante con una bel-
lissima e chiarissima similitudine, come sia che i beni celesti non
si scemano per moltiplicarsi di partecipanti, ansi si vengono ad ac-
crescere non in sé stessi (che ciò non è possibile perchè infiniti), ma
in chi gli ama, vale a dire vengono a crescere soggettivamente, non
oggettivamente. Infatti che cosa sono questi beni celesti? non sono
altro che Dio (Quello infinito ed ineffabil Bene). Ora Dio come s;
comunica a chi l'ama? si comunica a quel medesimo modo con che
il sole vibra i suoi raggi in un lucido specchio (co A corre ad amore,—
Come a lucido corpo raggio viene). E quanto si comunica Dio all'anima
amante di lui? Dio le si comunica in proporzione delle disposizioni
dell'anima stessa, ossia dell'amore ch'ella ha per Iddio (Tanto ri dà
quanto trova d'ardore), appunto come il Sole ohe tanto si comu-
nica allo specchio, quant'è la capacità dello specchio stesso. Cosi
avviene che a misura che cresce nell'anima l'amore a Dio (Sì che
quantunque carità si stende) cresce e la comunicazione di Dio al-
l'anima (Cresce sovr'essa*. V eterno Valore), la quaT anima diventa
come un altro Dio, tant'è l'abbondanza con cui Dio le ai comunica.
Sin qui ho supposto (continua Virgilio) una sol'anima darsi a Dio,
e Dio alla stessa misura a lei. Ora suppongo che invece di una,
ve ne sieno molte che crescano nell'amore di Dio. In tal caso che
avviene? avviene che quanto è maggiore il numero di chi ai stenda
a Dio ed a' suoi beni eterni (quanta gente più là su s'intende, ossia
quanta più gente tende di quaggiù al cielo), tanto più cresce il bene
e gli amori a quel bene (Più v' è da bene amare e più vi s'ama);
perchè ciò? Perche l'anime che posseggono l'amato lor Dio ranno tra
loro come molti specchi di una stanza percossi dal Sole. Gli specchi
ricevono ciascuno tutto il sole, e invece di riceverne meno per
esser molti,, appunto per questo ne ricevon di più, perchè oltre di
CANTO XV. 333
E se la mia ragion non ti disfama, 4S
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente l3
Ti torrà questa, e ciascun'altra brama. "
Procaccia pur che tosto sieno spente, 4*
ricevere ciascuno i raggi diretti del Sola, Timo all'altro ai comunica
il proprio Sole per riflessione (£7 come specchio l'uno all'altro rende).
Tale è il caso di Dio e dell'anime che a Lui sospirano.
Ecco provato che i beni celesti si accrescono coU*accresoersi il
numero di chi li gode, a differenza dei beni terreni che eolTaecre-
seersi dei percipienti si diminuiscono; e perciò in questi soli può
aver luogo la invidia, e non in quelli.
*3 La mia ragion. H mio ragionamento. Ragione poi per ragio-
namento è detta qui con proprietà la più rigorosa» perchè Virgilio
non può discorrerò dei beni celesti e di Dio, che secondo ragione.
Ma la ragione non basta in cotali argomenti , che sono più propri
della Rivelazione. Ebbene appunto alla Rivelazione si riporta Vir-
gilio in caso che Dante pel ragionamento di Virgilio non abbia an-
cor veduto tutta e netta la verità.
u Vedrai Beatrice, ed ella ecc. Ecco la Rivelasione, la sola ohe
possa pienamente risolvere ogni questione sulle cose del cielo. Questa
uscita di Beatrice è fetta con arte la più fina. Con essa si propone
a Dante una maestra degna di lui e delle sue adustioni, e con essa lo
si eccita alla fretta che tanto preme a Virgilio, perchè era impossibile
che Dante a questo nome non si sentisse Tali ai piedi. Colla ricordanza
di Beatrice lo animò a salire sin dal principio della Montagna, e con
questa ricordanza medesima lo udiremo spronar Dante altre volte*
** Questa e ciascun'altra brama. La soluzione della precedente que-
stione e di altre che Dante si era notate nella mente, come disse,
nel Canto XV dell' Inferno : E serbolo a chiosar con altro testo —
A donna che 7 saprà $'a lei arrivo. La espressione poi ciascun'al-
tra brama importa anche un'altra idea molto poderosa per Dante
a darsi tutta la fretta, ed è di poter quanto prima bearsi in quel
volto che da dieci anni gli era stato da morte rapito, secondo quel
che dirà nel Canto XXX li del Pvrg. : Tanto eran gli occhi miei
fissi ed attenti — A disbramarsi la decenne sete.
tt Procaccia pur ecc. Eccitamento alla fretta. Pur Solo. Intanto
a questo solo attendi di liberarti il più presto dai rimanenti cinque P
(stimmate o piaghe, incisi sulla fronte di Dante dal puntone della
spada dell' angelo custode alla Porta del Purgatorio). Questo era un
dirgli aperto, che non perdesse tempo.
334 PURGATORIO
80. Come son già le due, le cinque piaghe, "
Che si richiudon per esser dolente. 47
Com' io voleva dicer : Tu m'appaghe,
Vidimi giunto in su l'altro girone,
Sì che tacer mi fer le luci vaghe. u
Ivi mi parve in una visione *
Estatica di subito esser tratto,
t* Come son già le due. Il primo P della superbia gli fa can-
cellato dalle ali dell'angelo in fine della cornice della superbia, ven-
tilategli per la fronte. Ma il secondo P della invidia quando e come
fu tolto a Dante? lo die* nel verso seguente.
4? Che si richiudon per esser dolente. Gii atti di dolore per cia-
scun peccato delle cornici sono assolutamente necessari per la can-
cellazione dei singoli P; ma non è sempre necessario che sieno le
ali degli Angeli quelle che li cancellino. Fu fatto per il primo P,
perchè per quello c'era una ragione speciale, ed è ch'esso era il
vizio origine di tutti gli altri, come il padre di tutti, e abbiam già
veduto che tolto lui, rimasero gli altri presso che stìnti, e lo si farà
per qualche altro P, che sia la passione predominante del poeta*
Del resto, come dissi, bastano gli atti di dolore e di penitenza che
si vengono facendo di cornice in cornice.
4* Le luci vaghe. Gli occhi vaghi o desiderosi di veder la con-
dizion del nuovo luogo mi troncarono le parole in bocca. E naturale
*• Ivi mi parve ecc. Dante come giunge sulla cornice dell'ira è
rapito in visione senza però arrestarsi dal suo cammino verso oc-
cidente. A che queste visioni? Queste visioni servono al fine me-
desimo, al quale erano dirette e le incisioni nella cornice dei su-
perbi, e le voci di spiriti invisibili nella cornice degli invidiosi. Come
le incisioni in pietra degli esempi di umiltà premiata e di superbia
punita, tanto sacri quanto profani servivano a dlsporlo colla vista
a piangere la sua superbia: come le voci di spiriti invisibili, che
trasvolavano, gridando esempi sacri e profani di amore premiato
e di odio punito, servivano a disporlo coli" udito a piangere la sua
invidia: cosi le visioni di fatti sì sacri che profani, che gli appaiono
nell'estasi del suo cammino per questa terza cornice dell' ira, servono
a disporlo colla imaginativa a piangere la sua ira. Per tal modo
ogni sua potenza, come è concorsa nella colpa, cosi concorre pur
nella pena.
CANTO XV. 335
E vedere in un tempio più persone: "
Ed una donna in su l'entrar con atto
Dolce di madre dicer : Figliuol mio, 5I
90. Perchè hai tu cosi verso noi fatto?
Ecco, dolenti lo tuo padre ed io
Ti cercavamo. E come qui si tacque,
Ciò che pareva prima disparii »
Indi m'apparve un'altra con quell'acque w
Giù per le gote, che il dolor distilla,
Quando per gran dispetto in altrui nacque; &i
E dir : Se tu se' sire della villa, M
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite, M
90 E vedere in un tempio ecc. Il primo esempio di questa visione,
sacro secondo il solito, è la mansuetudine contraria all'ira, che
usò verso il Figlio la Vergine santissima , quando, ritrovatolo nel
tempio che disputava in mezzo ai dottori, seco lui se ne dolse con
quella dolcezza che ognuno sa. (Vedi questo fatto in S. Luca C. U.)
M Figliuol mio ecc. È la precisa versione delle parole evangeliche
le quali sono: Dixit Mater ejus ad illumi Fili, quid feristi nobis
èie? Ecce pater tuus et ego, dolente» quaerebamus te.
52 Ciò che m'apparve prima ecc. Cioè la vista del tempio di
Gerusalemme, i dottori, Gesù tra loro, Maria e S. Giuseppe.
53 Indi m'apparve ecc. Il secondo esempio di questa visione, pro-
fano secondo l'usato, è Tira vendicativa contraria alla mansuetu-
dine, che la moglie di Pisistrato tiranno, o re di Atene, sfogò con
esso lui all'occasione che un giovinastro ardì abbracciare la propria
figliuola; e la opposta mansuetudine e clemenza, che usò Pisistrato
in quell'occasione. (Vedi Valerio al I del V lib.)
54 Quando per gran dispetto ecc. Bagnata gli occhi di doloroso
pianto cagionato da ira in altrui o contro altrui.
55 Villa. Città, dal provenzale ville che suona città. È usata in questo
luogo villa per città anche per una storica ragione, ed è che Atene era
da principio una unione di 12 ville, la principe delle quali era residenza
del re. Le città, che come Atene, ebbero origine da un aggregato di più
parti tra lor divise* come che sia, in latino hanno il solo plurale.
M Del cui nome ecc. La favola è raccontata da Ovidio nel II.
Nettuno e Minerva ambivano l'onore di porre il proprio nome alla
386 PURGATORIO
E onde ogni scienza disfavilla, *7
100. Vendica te di quelle braccia ardite, *8
Che abbracciar nostra figlia o Pisitrato.
E '1 Signor mi parea benigno e mite w
Risponder lei con viso temperato:
Che farem noi a chi mal ne desira,
Se quei die ci ama è per noi condannato ?
Poi vidi genti accese in fuoco d' ira M
Con pietre un giovinetto ancider, forte
Gridando a sé pur : Martira, martira :
E lui vedea chinarsi per la morte,
no. Che l'aggravava già, in ver la terra,
Ma degli occhi facea sempre al ciel porte,
città. Si convenne che qua! di loro avesse fatto cosa più bella im-
porrebbe il nome. Nettuno allora percossa la terra fece uscire un
cavallo, e Minerva, percossala anch' ella, fece uscire un olivo. Questi
due portenti significavano la guerra e la pace. I giudici stettero
per la pace, e vinse Minerva, che perciò impose il suo nome ad
Atene, che vuol dire Minerva. Questa è favola, ma il vero narrato
dalla storia (se possono dirsi vere le cose di quell'età) si è che al
lora andavano ai publici consigli anche le donne, e nel giorno che
si dovea decider sul nome, della città tra Nettuno e Minerva, per-
chè le donne furono in maggior numero, vinsero esse pel nome della
loro Dea.
*7 E onde ogni sdenta ecc. La sapienza enciclopedica di Atene
è nota abbastanza. D'ogni parte, chi volea scienza, colà si recava,
e di là si diffuse pel mondo.
ft* Vendica ecc. Inchiesta d' un'adirata vendicatrice: esempio d'ira
e di vendetta.
*• Benigno e mite — Risponder ecc. Risposta d'un mansueto e
clemente. Esempio contrario a quello della moglie.
60 Poi vidi genti ecc. Due altri esempi iu uno: esempio d'ira e
di ferocia nei lapidatori; esempio di pazienza e di perdono nel gio-
vine martire Stefano. Il fatto è noto abbastanza.
Avverto, anzi esorto caldamente i pittori a studiar molto questi
magnifici quadri.
CANTO XV. 337
Orando ali1 alto Sire in tanta guerra,
Che perdonasse a' suoi persecutori,
Con quell'aspetto, che pietà disserra.
Quando l'anima mia tornò di fuori 6I
Alle cose che son fuor di lei vere, 62
Io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
Far sì com'uom che dal sonno si slega, 63
120. Disse : Che hai, che non ti puoi tenere ;
Ma se' venuto più che mezza lega 6i
61 Quando V anima mia ecc. Nel tempo dell'estasi l'anima si ri-
tira dai sensi, e si concentra. Cessando Testasi, l'anima torna alle
sue potenze e sensi, che sono suoi ministri per l'esercizio delle sue
funzioni. Dunque l'anima che tornò di fuori, è l'anima che ritornò
a'suoi sensi, mediante la cessazione dell'estasi e delle visioni.
w Alle cose che son ecc. Finché l'anima fu in Dante concentrata
per Testasi, essa col mezzo della imaginazione vide molte cose (gli
esempi d'ira e pazienza già detti) le quali non erano in atto, ma solo
rappresentate come in atto dalla fautasia, per la memoria che le
ricordava. Ma quando Dante fu ritornato ai sensi, e vide in fatto
fuori di sé gli oggetti veri e reali che se gli presentarono, cioè la
cornice dell' ira, e quant'era in quella cornice, allora conobbe che le
visioni avute erano relative alle condizioni del luogo ov'egliera giunto,
e però se quelle visioni erano errori in quanto faceano creder esistente
attualmente quel ch'era invece passato da molti secoli, non erano però
errori falsi, in quanto che indicavano il vero che avea presente, cioè
anime un tempo irose ed or mansuete in questa cornice.
M Far sì com'uom ecc. Chi dal sonno si slega, ossia si sveglia,
talvolta si contorce e si stira , ed è la natura stessa che ha
bisogno di liberar dal torpore le membra state come legate sino a
quel punto. Per questo adopera il poeta il verbo slega, perchè come
il sonno lega le membra, cosi lo svegliamento le slega.
64 Piò, che me%%a lega. Più di miglia 1 */a. Una lega è tre mi-
glia. Con questo cammino di 1 miglio e */a. Dante era sulla fine
della facciata, che guarda nord presso il principio della facciata, che
guarda est, per cui si rende presto necessaria un'altra tavola di
facciata di monte che prospetti occidente, dove avranno luogo alcune
scene che succedono in altri Canti seguenti, e sarà la Tav. VI, Purg.
22
338 PURGATORIO
Velando gli occhi e con le gambe avvolte 65
A guisa di cui vino o sonno piega?
O dolce padre mio, se tu m' ascolte,
l' ti dirò, diss' io, ciò che mi apparve
Quando le gambe mi furon si tolte. w
Ed ei : Se tu avessi cento larve 67
Sovra la faccia, non mi sarien chiuse
Le tue cogitazion quantunque parve. **
130. Ciò che vedesti fu perchè non scuse 69
D'aprir lo cuore all'acque della pace, 70
Che dall'eterno fonte son diffuse.
Non dimandai Che hai f per quel che face 7>
65 Velando gli occhi. Sonnecchiando. Con le gambe avvolte a
guisa ecc. Come camminano gli ubbriachi, che piegano or quinci
or quindi. Vedi la linea serpeggiante per questa cornice, che indica
la strada fatta cosi da Dante.
66 Quando le gambe ecc. Allude ai due versi della nota 65.
61 Cento larve. Cento maschere.
68 Quantunque parve. Per quanto picciolo, e poco importanti esse
sieno.
69 Ciò che vedesti fu ecc. Ecco come quelle visioni, se erano er-
rori in quanto che erano visione , non erano però errori falsi in
quanto al fine eh' esse aveano, il quale era di dispor Dante ad esser
pacifico, purgandosi della sua ira in questa cornice dell'ira.
70 Ali1 acque della pace. La pace che inclina l'uomo al perdono
e smorza Tira, è a gran ragione simboleggiata nell'acqua; perchè
come l'acqua spegne il fuoco, cosi la pace o la mansuetudine spegne
l'ira» Per indicare poi la qualità di queste acque della pace, si dice
che sono acque soprannaturali e non naturali (Che dall'eterno fonte
son diffuse). La pace infatti, che ci fa esser inclinevoli a mansue-
tudine ed a perdono, è frutto dello Spirito Santo quasi per nulla
conosciuto da chi è estraneo alla vera religione. In somma questa
virtù è la prima figlia della Carità, cui Dio lasciò come tessera per
distinguere i veri dai falsi suoi figli.
71 Non dimandai Che hai? per ecc. Non dimandai, per sapere
ciò che io non conoscessi, al quale fine dimanda colui, che guarda
solamente coli' occhio del corpo, il quale per sé non vede, come puoi
CANTO XV. 339
Chi guarda pur con l'occhio che non vede,
Quando disanimato il corpo giace;
Ma dimandai per darti forza al piede : 7S
Cori frugar conviensi i pigri, lenti
Ad usar lor vigilia quando riede.
Noi andavam per lo vespero attenti 7S
uo. Oltre, quanto potèn gli occhi allungarsi, 7i
Contro i raggi serotini e lucenti : 75
accertarti allora ch'egli resta senz'anima, in forza solamente della
quale egli vede. Chi guarda solo con quest'occhio carnale, non vede
gli interni pensieri delle persone. Ma io che guardo eoi solo occhio
dell'anima, veggo e leggo nell'anima tua, e perciò non dimandai
per sapere quello che già conosco.
13 Ma dimandai ecc. Per eccitarti alla fretta.
73 Noi andavam per lo vespero. Siccome era ancora vespero, non
essendo per anco tramontato il Sole, sebben fosse vicino a tramontare,
cosi qui si dice per lo vespero, ossia in tempo che ancor era ve-
spero. Il vespero era già cominciato dove si notò l'ultimo orario
delle 2.20 pom. al principio di questo Canto ; e il vespero dura da
quel punto Bino al tramonto del Sole, che presto vedremo.
7* Attenti — Oltre, quanto ecc. Nota il poeta l'attenzione degli occhi
più in avanti che potevano, perchè dopo tanto cammino che avean
fatto per quella cornice dell'ira (miglia 1 */*) non s'erano incon-
trati ancora in anima nata. Eppure avevano bisogno d' incontrarne
per chiedere indirizzo.
7* Contro i raggi serotini e lucenti. Sin che il Sole è alquanto
alto, com' era nelle ore 2.20 pom. anzidette, chi va verso occidente,
può dire di andar verso il Sole , ma non contro il Sole. Può dir
di andar verso il Sole, perchè così andando si avvicina al Sole; ma
non può dir contro il Sole, perchè per andar contro il Sole bisogne-
rebbe ch'egli si levasse dalla linea orizzontale che necessariamente
l'uomo percorre, e si ponesse (cosa impossibile) per la ascendentale
che dal viandante s'innalza al Sole. Ma quando il Sole è presso
l'orizzonte, ecco che l'uomo camminando verso sera, non solo va verso
il Sole, ma anche contro il Sole, in modo che s1 egli potesse continuare
per aria il suo cammino orizzontale, andrebbe a dar nel Sole.
Questo è il pensiero di Dante, sottile bensì, ma della massima
proprietà ed esattezza; e con questo si dichiara che il Sole era
3*0 PURGATORIO
Ed ecco a poco a poco un fumò farsi 16
Verso di noi, come la notte oscuro,
Né da quello era loco da causarsi. 77
Questo ne tolse gli occhi e Paer puro. ™
ornai vicinissimo all'orizzonte od al suo tramonto, al quale non po-
teano mancare più di 30 minuti. Succedendo il tramonto nei 10 ot-
tobre alle 5.20# ne viene che i 80 minuti prima fanno le ore 4.50.
Riassumendo più in breve il senso del primo ed ultimo verso
di questa terzina, Dante vuol dire : Andavamo verso occidente non
pur nel vespero (v. 1.), ma in fine di esso vespero (v. 2.). Vedi il
mio Disegno nel punto in che abbiamo lasciato Dante dopo le gi-
ravolte del suo miglio e mezzo di cammino, dove lo vediamo an-
cora nella facciata che guarda settentrione, e dove Dante avea
ancora un tratto da camminare verso occidente. Nessuno pon mente
a queste minutezze, che sono pur tanto necessarie qui e appresso,
come vedremo.
76 Un fumo farsi — Verso di noi ecc. Invaginatevi una densa
nebbia ma assai più oscura della nostra, e imaginatevi ch'ella ve-
nisse contro i poeti, quale di verno la vediamo talora avanzarsi a
noi dalle valli. Se il fumo veniva verso i poeti, dunque notate bene,
che veniva da sera, cioè dal principio della facciata di monte, la
quale guarda ad occidente, e la quale si congiunge col principio
della facciata che guarda a settentrione. Notate ancora che il fumo
lo si fa spuntare nell'ora presso al tramonto del di, come appunto
a quell'ora spuntano anche le nostre nebbie, combinando cosi quelle
meteore colle nostre, per dar più natura, ed aria di verità al rac-
conto. Notate pure che dentro a quel fumo venivano le ombre con-
dannate convenientemente a quella pena, perchè essendo proprietà
dell'ira di ottenebrare la nostra mente, è bene che le tenebre ser-
vano a tormento dell'ira: Per quac peccami qui* per haec. et
torquetur.
77 A1 è da quello ecc. Perchè il fumo prendeva tutta la strada,
larga 15 piedi come abbiamo veduto.
78 Questo ne tolse ecc. Perchè Dante fu subito investito da quel
fumo stesso ond'erano vestite le anime purganti.
Cosi Dante nella cornice dell'ira provò tutto il tormento che
provarono le anime. E qui avete a fare una considerazione. Finora
Dante passò per la pena della superbia, dell'invidia, e qui passa
per quella dell'ira. Di questi tre peccati qual era quello che più
CANTO XV. 341
aggravava Dante? La superbia e l'ira, ma più l'ira che la super-
bia. Ebbene voi vedete che in ragione della sua maggior colpa, è
pur sottoposto a maggior pena. Per questo avendo Dante poca in-
vidia, per non dir nessuna, perciò poca o nessuna pena sofferse
nella cornice degli invidiosi. Invece avendo egli più la superbia, e
più ancora l'ira, più sofferse nella cornice della superbia, e più an-
cora nella cornice dell'ira. Coi superbi non portò, è vero, i lor pesi,
ma però dovette camminare buon tratto tutto chino, il che è un
disagio: e qui cogli irosi (perchè Tira era la sua passione predo-
minante assai più che la superbia) viene avvolto nella medesima
pena degli irosi.
CANTO XVI
Argomento.
Descrive le tenebre dalle quali i poeti furono avvolti, e la cura
che di lui si prete allora Virgilio. Ode la preghiera delle anime,
e te ne accerta per Virgilio. Un'anima dimanda a Dante chi
egli sia. Dante dice di soddisfarla purché torni indietro con lui.
Torna infatti e Dante le si dichiara vivo. Poi le dimanda chi
ella sia, e la strada per salire. L'anima si manifesta per Marco
Lombardo, gli approva la via presa e lo prega a ricordarsi di
lui. Dante si obbliga a farlo, ma pria di licenziarlo gli chiede
la soluzione di un dubbio sulla origine dei mali d'Italia. Marco
la dice, e Dante Vapprova. Dante chiede a Marco notizie di un
certo Gherardo, e dopo la risposta Marco ritorna, lasciando ire
innanzi i poeti.
ii
trio d' inferno, e di notte privata 4
D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Quant'esser può di nuvol tenebrata,
* Buio d'inferno ecc. Descrive il fumo che venne a coprirlo nella
svolta del monte da nord ad ovest per la terza cornice dell'ira,
facendolo maggiore: 1. d'ogni oscurità incontrata nella sua discesa
in Inferno (Buio d'inferno), e noi abbiamo veduto e notato che
Dante vi trovò tenebre nel suo principio e nella sua fine, essendo
entrato in Inferno al principio della notte, ed essendosi trovato
presso il centro al principio di un'altra notte; 2. facendolo mag-
giore d'ogni altra tenebra da lui provata mai : a) in tempo di notte,
b) priva d'ogni splendore di stelle o di luna, e) nel profondo di
qualche valle, d) con un ammasso di oscuri nuvoloni; che tutto oc*
cupino l'aere.
344 PURGATORIO
Non fece al viso mio sì grosso velo, 2
Come quel fumo ch'ivi ci coperse,
Né a sentir di così aspro pelo.
Che l'occhio stare aperto non sofferse: 3
Onde la scorta mia saputa e fida
Mi s'accostò; e l'omero m'offerse. 4
io. Sì come cieco va dietro a sua guida *
Per non smarrirsi e per non dar di cozzo
In cosa che'l molesti, o forse ancida;
* Viso. Vista. — Sì grosso velo. H fumo di grado esagerato ha
due qualità: 1. fa un velo al senso della vista (al viso mio sì
grosso velo)\ 2. produce un co tal pizzicore al senso del tatto che è
pur diffuso pegli occhi e per le palpebre (Né a sentir di così aspro
pelo).
3 Che rocchio ecc. È questo il preciso bisogno naturale che sen-
tiamo quando siamo avvolti in un fumo denso ed acre, chiudere
gli occhi. Ma come potea poi Dante camminare ad occhi chiusi?
Vedilo a n. 4.
*Àfi s'accostò e V omero m'offerse. Notate che Virgilio cammi-
nava presso il ciglio della strada al di fuori, avendo Dante alla sua
sinistra verso l'interno della strada per assicurarlo cosi dal cader
giù dalla ripa (Vedi Tav. V, Purg.) Ora però che la folta nebbia
avvolse i poeti, questa cautela non basta. Ci voleva il contatto di
Virgilio con Dante. Perciò Virgilio gli s'accosta e gli offre la spalla
sinistra affinchè Dante gli metta 'sopra la sua mano destra, e cosi
cammini dietro a lui sicuro. Nel disegno dunque Dante vuoi esser
rappresentato in questo aspetto, avvertendo che quando uno che
non ci vede, segue un altro che ci vede, tenendogli la man sulla
spalla, per necessità il non veggente deve starsi un mezzo passo
indietro, cosa avvertita da Dante nel verso seguente, nota 5.
* Sì come cicco ecc. Non ci avea altra similitudine più naturale
e più propria di questa. Notate quel va dietro, perchè il cieco che
cammina toccando la sua guida, resta sempre un poco indietro da
lei, e questo è natura che glielo insegna, perchè con questo po' di
ritiro si assicura di non metter il piò in fallo, avendo la sua guida
messo innanzi il piede prima di lui. Quanto fanno piacere queste
pitture si naturali! Le studino i pittori e impareranno assai.
CANTO XVI. 346
M'andava io per l'aere amaro e sozzo, 6
Ascoltando il mio duca, che diceva 7
Pur: Guarda che da me tu non aie mozzo. 8
Io sentia voci, e ciascuna pareva •
Pregar per pace, e per misericordia 40
L'Agnel di Dio che le peccata leva.
6 Per l'aere amaro e sotto. Essendo il fumo di quella qualità
descritta in principio del Canto (n. 1, 2) gli stanno bene questi
due epiteti di amaro e sotto; V amaro si riferisce a quel pizzicore,
espresso sopra nel verso sesto: Né a sentir di così aspro pelo;
e il sotto si riferisce alle qualità espresse nei cinque primi Tersi
del Canto, perchè quando il fumo è cosi denso, che supera anche
la densità dei nuvoloni, è sozzo per natura, essendo composto di
vapori bozzi.
7 Ascoltando il mio duca. Il cieco, che si attiene alla sua guida,
vuole assicurarsi per tutti i modi. Non gH basta il toccamente della
persona che gli serve di guida, egli bì assicura anche oolTascoltare
la sua voce ; cosi è più certo che non gli viene scambiata con altra
guida.
* Pur ecc. Solo gli andava ripetendo questa raccomandazione di
attenersi sempre alla sua spalla.
9 Io sentia voci. Erano le voci delle anime purganti degli ira*
condì, i quali andavano entro a quell'oscurissimo e palpabile fumo.
Questa scena si può benissimo esprimere in poesia, ma non rap-
presentare in colori o in marmo. Da ciò emerge la superiorità della
poesia sull'arti belle, e perciò dei poeti sugli artisti, perchè questi
non possono far tutto ciò che fanno quelli. 11 poeta neir introdur
questa scena così rara, ma pur possibile in natura, ha dato prova
di una fantasia la più ricca e sterminata. Chi avrebbe mai pensato
ad un'invenzione cosi singolare di rappresentare sin quello che non
si può vedere? La gloria di quest'invenzione era riservata a Dante.
*o Pregar per pace ecc. Pregar l'Agnel di Dio per ottener pace
e misericordia. È la preghiera, che fa il sacerdote nella Messa prima
della Comunione, finita la qua! preghiera dà la pace ai ministri, e per
essi al popolo : Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis,
ripetuto due volte, ed in una terza di chiusasi dice: Agnus Dei qui
tollis peccata mundi dona nobis pacem. Questa orazione è presa
dalle parole di S. Giovanni Battista colle quali indicava alle turbe
346 PURGATORIO
Pure Agnus Dei eran le loro esordia : i{
20. Una parola in tutti era ed un modo, "
Sì che parea tra esse ogni concordia.
Quei sono spirti, Maestro, ch'i' odo? i3
Diss' io. Ed egli a me: Tu vero apprendi,
E d'iracondia van solvendo il nodo.
Or tu chi se' che il nostro fumo fendi
E di noi parli pur, come se tue u
Partissi ancor lo tempo per calendi ? fS
la venuta del Salvatore nel suo. deserto per farsi da lai battezzare.
Una tale preghiera che parla di pace e di misericordia sta molto
bene in bocca ad anime, che piangono qui per non aver dato la
pace ed osato misericordia ai propri fratelli.
t* Pure Agnus Dei ecc. Solamente Agnus Dei. La loro orazione
cominciava sempre cosi, e cosi vernano sempre ripetendola, come la
ripete per tre volte il sacerdote nella Messa. .
** Una parola in ecc. Tutti recitavano questa preghiera, cosi però
che la parola pronunciata da uno era nello stesso tempo pronunciata
dall'altro, e in un tono uguale ali* altro, e in una voce uguale al-
l'altro, per cui vi avea una perfetta consonanza e concordia di tutti.
Per una consonanza di voci ci vogliono appunto queste due con-
dizioni: lo stesso tempo, e lo stesso tono. Anche questo ottimamente,
perchè siccome Tira mette disarmonia e discordia in tutti ed in tutto,
cosi la pace e la mansuetudine sua virtù contraria mette in tutti
ed in tutto armonia e concordia. Notate che le anime purganti hanno
nel Purgatorio i sentimenti di quella virtù, che è contraria al. vizio
che aveano in vita.
*• Quei sono ecc. Quelli ch'io odo, o Maestro, sono essi spiriti
purganti?
M E di noi parli pur come ecc. Parli di noi come tu fossi ancor
vivo.
** Partissi ancor ecc. Fossi ancor vivo. Chi vive, vive nel tempo,
e il tempo ha le sue misure, le quali dal vivente sono calcolate per
sapersi regolar nella vita. Queste misure presso i Romani (parlando
del mese) erano tre: Calende, None e Idi, nelle quali tre parti il
mese era diviso. Ciò presupposto, s'intende subito il sen30 di que-
sto verso.
CAVI» XYL ai ;
Cosi per una voce detto Aie.
Onde il Maestro mio disse: Rispondi,
E dimanda se quinci si va sue. u
so Ed io: O creatura che ti mondi
Per tornar bella a Colui che ti fece.
Maraviglia udirai se mi secondi. r
Io ti seguiterò quanto mi lece, u
Rispose, e se veder fumo non lascia, *
L'udir ci terrà giunti in quella vece.
Allora incominciai : Con quella fascia, *
Che la morte dissolve, men vo suso,
E venni qui per la infernale ambascia. t%
4/0. E se Dio m'ha in sua grada richiuso
Tanto, eh' e' vuol eh' io vegga la sua corte
*6 Se quinci si va sue. Si deve intendere : se questa è la strada
più corta per raggiungere la salita; perchè del ratto anche andando
dall'altra parte, a forza di girare la cornice la ai sarebbe trovata.
Ma la strada sarebbe stata lunga (più che 4 miglia) ed inutile. Quo*
ste parole: Rispondi — E dimanda ecc. Virgilio le dìcea sottovoce*
«7 Maraviglia udirai. Perchè udirai che io sono ancor vivo. — St
mi secondi* Se ritorni indietro con me.
18 Quanto mi lece. Quelle anime non poteano giungere sino all'an-
gelo custode della salita, ma a poca distanza da lui ritornavano
indietro entro il loro fumo, e il fumo nel medesimo tempo, che to-
glieva loro gli occhi, era anche la loro guida, a somiglianza della
colonna di nube che guidava gli Ebrei pel deserto.
w Se veder fumo non lascia, — L'udir ecc. Questo prova che
le anime non ci vedeano più di Dante. In mancanza di vederci, oi
terremo uniti col parlarci e coli' ascoltarci. Anche l'udito ,è buon
giudice della vicinanza degli oggetti. Con questo modo s' ingegnano
sempre i ciechi, i quali perciò mettono le loro guide in continui
discorsi.
*> Con quella fascia ecc. Col corpo, che è fascia dell'anima e ohe
è soggetta alla morte. Ecco la maraviglia promessa prima a nota 17.
si Per la infernale ambascia. Passando per i' Inferno, e diretto
pel Paradiso, come dice nella terzina seguente.
348 PURGATORIO
Per modo tutto fuor del modern'uso, w
Non mi celar ohi fosti anzi la morte, 28
Ma dilmi, e dimmi s' io vo bene al varco ;
E tue parole fien le nostre scorte.
Lombardo fui, e fui chiamato Marco : 3i
Del mondo seppi, e quel valore amai 25
Al quale ha or ciascun disteso l'arco : u
Per montar su dirittamente vai. **
50. Così rispose, e soggiunse: Io ti prego
&Per modo ecc. Per modo tutto inusitato. L'uso è che prima
della fine del mondo le anime sole vadano in paradiso, e questo dopo
la loro separazione dal corpo, A me invece è stato concesso un pri-
vilegio diverso dall'uso.
** Chi fosti anni la morte. Non dice chi sei, ma chi fosti; se-
condo la correzione che gii fece un'anima a proposito di simile
ricerca fatta al Canto XIII, verso 92 e seg.
** Lombardo fui ecc. Nobile Veneziano di Cà Lombardi, di cui
parla il Villani nel Capo 120 del libro VII. Così i commentatori.
Fu contemporaneo di Dante. Poco però si sa di preciso di un tal
personaggio. Certo egli era iracondo. Vedi nel fine del Canto la
nota 81.
M Del mondo seppi. Fui uomo di politica. Appunto per questa
sua profonda conoscenza del mondo predisse ad Ugolino della Ohe-
rardesca la sua caduta.
Valore, Qui è in senso generico di virtù.
*>Al quale ha or ciascun ecc. Tutti intendono disteso per al-
lentato; cioè che rimessamente si miri da tutti a virtù, prendendo
distendere per contrario a tendere. Il poeta non intende questo.
Egli vuol dire, che gli nomini non contenti di non seguire la virtù
sono passati perfino ad osteggiarla a perseguitarla a saettarla se
1& veggono in altri. Dante stesso se ne spiega in questo senso più
sotto alla nota 31.
n Dirittamente vai. Si dice dirittamente} non perchè la strada
del monte fosse veramente diritta, perchè invece era rotonda; ma
si dice dirittamente perchè se Dante per trovar la salita si fosse
rivolto dall'altra parte del monte, sarebbe ito in parte contraria
alla medesima^ la quale era li presso.
CANTO XVI. 349
•
Che per me preghi quando su sarai. 28
Ed io a lui: Per fede mi ti lego
Di far ciò che mi chiedi ; ma io scoppio 29
Dentro da un dubbio,s'i' non me ne spiego. 30
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio 3I
Nella sentenza tua, che mi fa certo
Qui ed altrove, quello ov' io l'accoppio.
28 Che per me preghi. Incarica Dante, e Dante solo di pregare
per lui essendo certo eh' egli era in grazia di Dio, anzi privilegiato
nella grazia. — Quando su sarai. Quando sarai in Paradiso.
29 Ma io scoppio — Dentro da un dubbio. Il dubbio ristringe
l'intelletto, e se il dubbio ò gravissimo lo ristringe assai. In tal
caso r intelletto cosi ristretto dal dubbio si sente male, e prova
quel senso che proverebbe una persona stretta intorno al corpo di
bene tese funi, dalla forza delle quali schizzerebbe fuori il sangue
e scoppierebbe. È una allegoria mollo filosofica applicata alla mente.
30 & io non me ne spiego. Insiste sulla medesima allegoria. Vuol
dire: S'io non mi libero dal mio dubbio sciogliendomi dalle sue ri-
torte, che tanto mi costringono.
3i Prima era scempio ecc. Continua la stessa allegoria presa dalle
funi che stringono il corpo. Un giro solo di fune che stvignesse intorno il
corpo, si direbbe scempio, due giri lo farebbero doppio, e quindi
crescerebbe lo stringimento, e la difficoltà di sbrigarsene. Applicate
questa allegoria all'intelletto: un argomento che si avesse ,per un
dubbio, lo stringerebbe con una forza scempia; ma se sorgesse un
altro argomento a rafforzar quel dubbio, esso stringerebbe l'intel-
letto con una forza doppia* E tal era lo stato dell'intelletto di
Dante in questo momento. Egli aveva inteso altrove (da Guido
del Duca, Canto XIV) la universa! corruzione dell'Italia, tra le
altre con quelle parole: Virtù così per nimica si fuga — Da tutti,
il che importa non solamente esser vizioso, ma perseguitar la virtù
in altri. L'asserzione di Guido sulla universale e nuova malizia
umana, mette in Dante il dubbio che tanta e si diffusa malizia venga
dagli influssi malefìci delle sfere, alle quali nel medio evo si attri-
buiva un gran4e concorso nelle azioni umane. Ecco il dubbio scem-
pio. La stessa attestazione del grado ed estensione della malizia
umana, è qui espressa da Marco colla stessa allegoria dell'arco e
della caccia come prima avea fatto Guido. Ecco il dubbio fatto doppi:
360 PURGATORIO
Lo mondo è ben così tutto diserto
D'ogni virtute, come tu mi suone,
60. E di malizia gravido e coverto ;
Ma prego che m'additi la cagione,
Sì eh' io la vegga, e eh' io la mostri altrui ;
Che nel cielo uno, ed un quaggiù la pone.
Alto sospir, che duolo strinse in hui, 32
Mise fuor prima, e poi cominciò : Frate
Lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. 83
Voi che vivete ogni cagion recate
Pur suso al cielo, si come se tutto 8i
Movesse seco di necessitate. 8S
Com'è possibile, dice Dante, tanta depravazione? È ella possibile
senza ammettere una universale influenza delle sfere su questa mo-
ralità umana? Dante vuol adunque sapere se e quanto ci entri
1* influsso dello, sfere su questa universale depravazione, e in caso
che le sfere non ne siano la cagione, e che questa si debba cercare
qui in terra, ei vuol sapere chi e dove sia 1* autore di tanti mali.
M Alto sospir ecc. Diede un alto sospiro e per eccesso di dolore
lo terminò nella esclamazione hui ! Nuovo artifizio poetico per dare
il massimo ingrandimento al male, che poi dirà.
*3 Lo mondo è cieco. Cieco perchè non vede la cagione dei mali
d'Italia, dove infatti si trova, ma la vede o crede di vederla dove
non è. Generalmente gli uomini la veggono in cielo, ossia nelle sfere
celesti, facendole autrici dei mali morali dell'uomo; e non la veg-
gono in terra, cioè in una potenza morale, che è quaggiù, la quale
presto si dirà. Perciò questi uomini sono ciechi. L'astrologia tanto
studiata e vagheggiata nel medio evo, già lo dicemmo, portava gli
uomini buoni e tristi a dar la colpa o il merito agli astri ed alle
sfere per le azioni umane si ree che buone. Era un' appendice della
eresia dei Priscillianisti.
E tu vien ben da lui. E tu col dar peso a questo dubbio cosi
sciocco, mostri proprio di venire dal mondo, e di partecipare alla
sua cecità, alle sue false credenze, alle sue superstizioni.
** Pur tuso al cielo. Solamente al cielo.
M Movesse seco ecc. Come se il cielo trascinasse col suo moto
l'uomo al bene o al male.
CANTO XVI. 351
70. Se così fosse, in voi fora distrutto 86
Libero arbitrio, e non fora giustizia;
Per ben letizia, e per male, aver lutto. r
Lo cielo i vostri movimenti inizia ; *
Non dico tutti; ma posto eh' io'l dica,39
Lume v9 è dato a bene ed a malizia,
36 In voi fora distrutto ecc. Giustissima conseguenza, la quale con-
vince falsa quella credenza.
3? Per ben letizia ecc. Per la virtù conseguire il paradiso, e per
il peccato avere l'inferno.
3^ Lo cielo i vostri ecc. Dante .seguendoci sistema astrologico de'
suoi giorni pone in ogni cielo una virtù, ossia una proprietà che
agisce sopra le potenze dell'anima e del corpo umano, suscitando in
noi la qualità propria di quel cielo. Oggidì questo sistema è reietto;
solo si ammette che il cielo possa agire co1 suoi influssi e in grado
pur tenuissimo sui soli organi sensori, non già sulle potenze dell'a-
nima. Stando dunque al sistema astrologico del medio evo, qui però
da Dante modificato, e in parte depurato da quella esagerazione super-
stiziosa che dominanava, Dante per Marco Lombardo attribuisce al
cielo la sola iniziativa delle nostre inclinazioni morali, ossia delle
nostre passioni o tendenze ; cosi p. e. chi è iracondo riceve dal cielo
i suoi primi moti dell' ira, i quali per sé non sono peccaminosi per-
chè dipendenti da natura raggiata dalle sfere. Cosi è corretto l'ec-
cesso delle dottrine astrologiche, troppo secondate da Dante stesso
nel suo Convito, dalle esagerate dottrine del quale egli qui. si ri-
tira, e prova con ciò che il Convito fu opera anteriore alla Divina
Comedi a t e che avea progredito di molto negli studi filosofici e teo-
logici alla Università di Parigi.
*9 Non dico tutti. Altra modificazione posta da Dante all'esage-
rato sistema astrologico del medio evo. Col primo verso di questa
terzina limitava l'azion delle sfere sui nostri movimenti ai soli inizi,
cioè a quel primo spuntare dei nostri atti prima che sieno deliberati.
Ora limita la loro azione ancora più, non estendendola a tutti i
primi movimenti, ma soltanto ad alcuni.
Ma posto ch'io'l dica. Ma dato anche che il cielo inizii tutti
i vostri movimenti, si potrà per questo incolpare il cielo dei vostri
mali? No, perchè Dio vi ha dato l' intelletto e la volontà; coll'in-
tclletto, che è illuminato da Dio, potete distinguere il bene dal male
352 PURGATORIO
E libero voler, che se fatica *°
Nelle prime battaglie col ciel dura,
Poi vince tutto, se ben si nutrica.
A maggior forza, ed a miglior natura 41
80, Liberi soggiacete, e quella cria iJ
La mente in voi, che il ciel non ha in sua cura.
Però se il mondo presente disvia, "
(Lume v* è dato a bene ed a malizia) e colla volontà che è dotata
da Dio della libertà potete scegliere a vostro arbitrio tra quel bene
e quel male (E libero voler).
*o Che se fatica — Nelle prime ecc. Prima d' ora parlava d'ogni
movimento buono e cattivo; adesso riduce il discorco ai soli mo-
vimenti cattivi, che sono il tema di questo discorso, col quale si vuol
cercare l'origine del male, che si era fatto comune nel mondo, e in
grado il più malizioso. Dice dunque che fie la nostra libera volontà
resiste a quei mali germi che il ciclo ha messo in noi, ossia com-
batte i principii delle nostre ree passioni (il che esige fatica), poi
la nostra stessa volontà già avvezzata alla vittoria per atti sempre
buoni,, vince tutto facilmente. Dunque il cielo non- e causa efficiente
dei vostri mali, perchè voi potete vincerlo se volete.
M A maggior forza ecc. Dante ha mostrato sin ani che non siamo
dipendenti dall'influsso delle sfere nelle nostre azioni morali. Siamo
dunque indipendenti da tutti ? No ; e' è un essere d?i cui dipendiamo,
ma dipendiamo liberamente, e questo è Dio (A maggior forza ed
a miglior natura — Liberi soggiacete).
&E quella cria — La mente ecc. Ed è pur quella, che in voi
crea la mente ecc. Dio nell 'assoggettarci a lui ci diede la volontà
perchè ce gli assoggettassimo liberamente (Liberi soggiacete) e ci
diede l'intelletto per conoscere la giustizia di questa sommesaione
(E quella cria — La mente ecc.). £ tanto quella libertà, quanto
questo intelletto non sono in cura del cielo, ossia le sfere non vi
hanno dominio od influenza alcuna.
48 Però se il mondo ecc. Se il male proviene dalla vostra volontà,
e dal vostro intelletto, e né volontà né intelletto dipendono dalle
sfere celesti, dunque la cagion del male non è nelle sfere celesti,
ma in voi, che col libero arbitrio abusato della volontà e dell'in-
telletto, servendo vene a male, contro 1* intenzione del Creatore, che
ve le diede a bene.
CANTO XVI. 353
In voi è la cagione, in voi si cheggia, u
Ed io te ne sarò or vera spia. 45
Esce di mano a lui, che la vagheggia w
Prima che sia, a guisa di fanciulla,
Che piangendo e ridendo pargoleggia,
L'anima semplicetta, che sa nulla, i7
Salvo che, mossa da lieto fattore **
USi cheggia. Si cerchi.
*3 Ed io te ne sarò ecc. Ed io ti sarò guida verace in questa
ricerca che ha per fine di trovare la cagione univewde di un male
par universale.
46 Esce di mano ecc. Nella ricerca della cagiomVJfein male uni-
versale Dante , o per Ini Marco, procede a tatto rigore di logica,
provando prima che se il male è universale non basta per generarlo
una cagione particolare, ma ci vuole assolutamente una cagione uni-
versale. Parla dunque prima della depravazione degli individui, la
quale è ristretta agli individui stessi, e quindi questa non può es-
sere la causa del male universale. A spiegare la depravazione del-
l'individuo comincia dalla sua bontà natia, e termina colla sua cor-
ruzione esponendo il modo onde questa avviene.
In queste due terzine parla della sua bontà natia, e cosi viene
a provare indirettamente, che Dio non può esser causa del male in
che l'uomo trabocca.
QuaTè dunque l'anima quand'esce dalle mani del suo creatore?
Ella è buona, e per indicare questa sua bontà si dice ch'ella è
vagheggiata da Dio, prima che sia, cioè prima che sia nel suo
corpo ; e si dice questo perchè appena l'anima è unita al corpo ella
contrae il peccato originale, per cui non è vagheggiata da Dio, se
non è liberata pel santo battesimo. Quando poi quest'anima arriva
ad essere, cioè ad essere unita al suo corpo, quando propriamente
si dice anima, ella è come una bambina che piange e ride, piange
pel male che contrasse in questa sua unione, ride pel rimedio che
vi fu posto mediante il santo battesimo.
*7 L'anima semplicetta. Qui si parla della creatura umana, non
giunta ancora all' uso della ragione ; l' anima di questa creatura è
semplice e non sa nulla.
** Salvo che mossa ecc. Non sa nulla, ma pure senza saperlo
ella è vaga di diletti, e questo dimostra la natura lieta e dilettevole
23
«* PURGATORIO
90. Volentier torna a ciò che la trastulla. "
Di picciol bene in pria sente sapore; w
Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, 5I
Se guida e fren non torce il suo amore. M
Onde convenne legge per fren porre ; M
Convenne rege avertette discernesse u
Della vera cittade almen la torre.
dalla quale fa originata. Essa fa originata da Dio, che è sommo
Bene. Dunque ella debbe avere questa tendenza al bene. E l'ha
infatti. Perciò l'amore che hanno i fanciulletti ai divertimenti è una
testimonianza ^ie la loro anima venne da Dio, che è la stessa le-
tizia e lo stesso diletto.
*9 Volenti^Èptna a ciò ecc. Si da volentieri alle cose dilettevoli.
80 Di picciol bene in pria ecc. Intanto questa creatura umaaa
giunge all'uso di ragione: in questo stato le ai offre un picciol
bene (un bene transitorio, che non è degno dell'anima e, per grande
esso sia, è sempre piccolo, perchè non è il bene infinito a cui na-
turalmente l'anima è fatta): lo assaggia, e le piace.
M Quindi a' inganna ecc. S'inganna perchè lo crede un bene ca-
pace di soddisfarla, e non ne sarà mai capace, perchè non è un bene
infinito per cui solo sente l'anima d'esser fatta. Ma siccome pel fo-
mite del peccato che l'anima ha contratto col peccato originale nella
prima unione di lei col corpo, essa è inclinata al male, cioè a falsi
beni, perciò corre dietro a quel picciolo bene (e dietro ad esso corre).
**Se guida e fren ecc. Io credo che qui ci sia un errore di te-
sto: esso sarebbe un o per un e. Io ritengo che Dante avesse
scritto e, leggendo cosi: Se guida e fren, perchè infatti occorre
Tuna e l'altra cosa per raddrizzare i traviati. La guida senza il
freno, e il freno senza la guida non giovano. Perciò nella terzina
seguente si pone l'una e l'altro, entrambi come mezzi necessari.
33 Onde convenne legge ecc. La legge di natura, la legge scritta,
e la legge di grazia. Errò chi intese questa legge per la civile degli
Stati, o dell'Impero romano. Qui non si parla che di una legge
di sua natura capace di guidar l'uomo al suo bene infinito che è
Dio, e questa legge non può esser che la divina.
54 Convenne rege aver. Non s' intende qui un re civile, ma rege
è usato per reggitore, o guida dei popoli per l'osservanza della legge
detta di sopra a nota 53, il quale rege, o reggitore, o guida, altri
non è che il Vicario di Gesù Cristo, guida del popolo nelle cose che
CANTO XVI. 355
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? w
Nullo ; però che '1 pastor, che precede, **
appartengono alla nostra eterna salate, della qnal sola materia qui
si parla, come è dimostrato dagli antecedenti e dai conseguenti. Gli
antecedenti gli abbiamo veduti volti unicamente sopra argomento
di eterna salute: ed i conseguenti accennano alla stessa materia,
come tosto vedremo.
Che discernesae — Della vera cittade ecc. La qual guida do-
vrebbe non perdere mai di vista almen la torre della vera città. Che
cosa è questo? Eccolo. Nel senso di Dante, esposto altre volte, e
tra l'altre nel Canto XIII, ver. 94, dove si dice :
O frate mio ciascuna è cittadina
D'una vera città; ma tu vuoi dire,
Che vivesse in Italia peregrina,»
non vi ha che una città che si possa dire vera città, e questa è la
Gerusalemme celeste, col qual nome san Paolo indica il Paradiso:
città che viene descritta nell'Apocalisse di san Giovanni. Tutte le
città che sono a questo mondo, secondo il sentire di Dante e delle
anime purganti, che è il vero, non sono che temporarie stazioni di
pellegrinaggio. Dunque è certo che qui non si parla di terra, ma di
cielo, e quindi è pur certo che qui si parla di una guida, la quale,
per esser vera guida a quella vera città, dee ella stessa conoscerne il
cammino, o almeno tener sempre d'occhio il sito dell'eterna città cono-
sciuto pei segni pia culminanti di essa, quali sarebbero la torre, e a
quel termine guidar sempre le persone commesse alla sua condotta.
In ciò si esprime l' oggetto a cui dee tendere il ministero ecclesia*
stico, unificato nel suo Capo, il Romano Pontefice, il quale oggetto
altro non è che condurre gli uomini alla eterna loro beatitudine in
cielo, mediante la osservanza esatta della santa legge di grazia incul-
cata continuamente dalla guida spirituale, il cui occhio dee sempre
appuntarsi al cielo per eccitar coiai tutti gli altri ad appuntarlo colà,
ss Le leggi son. Le leggi necessarie per vivere da buoni cristiani
ci sono. Dio le ha date per Gesù Cristo. — » Ma chi pon mano ad
est e? Ma chi le osserva?
56 Nullo; però che 7 pastor ecc. Nessuno osserva la santa legge
di Dio, perchè non la vede osservata nemmen dalla sua guida, che
gli va innanzi, come il pastore va innanzi alle sue pecore, sotto la
quale imagine di pastore, di pecore e di agnelli, Gesù Cristo nel
suo santo Vangelo ha adombrato san Pietro (pa$tort) e i suoi suc-
cessori, vescovi (pecore) e popolo (agnelli),
356 PURGATORIO
Ruminar può, ma non ha l' unghie fesse. "
100. Perchè la gente, che sua guida vede
Pure a quel ben ferire, ond'ella è ghiotta, M
Di quel si pasce, e più oltre non chiede. w
Ben puoi veder che la mala condotta *°
E la cagion che il mondo ha fatto reo,
E non natura che in voi sia corrotta. 61
07 Ruminar può, ma non ha V unghie fesse. Non è atto al mini-
stero ecclesiastico di condor l'anime a Dio, perchè delle due qualità
proprie di un pastore d'anime, quali sono quelle d'insegnare e di
fare, ha bensì la prima, ma non ha la seconda, cioè insegna bensì
colle parole, ma non insegna anche coir esempio, che è più impor-
tante. L'idea è tolta dalla legge mosaica, e da quello ch'essa rap-
presentava secondo i commentatori. La legge prescriveva che i qua-
drupedi atti al sacrificio dovessero ruminare e aver l'unghie fesse,
il che significava le due qualità di cui deono essere adomi i ministri
di Dio, di pascere il popolo colla dottrina, intesa per ruminare, e
di precederlo coli' esempio, inteso per V unghie fesse,
S8 Pure a quél ben ecc. Solo mirare a quel bene falso (bene ter-
reno) del quale la gente è ingorda, perchè è più conforme a' suoi
appetiti sensuali.
69 Di quel si pasce, e più ecc. Mette la sua felicità nella terra,
e non si cura più del cielo.
60 La mala condotta. La mala guida. Altra volta (Purg, IV, v. 29)
si disse condotto per guida; dunque condotto e condotta è lo stesso.
Ci E non natura ecc. Con questo non si vuol negare la corruzion
portata in noi dal peccato originale, cosa ammessa sempre da Dante
vero cattolico; ma solo si vuol dire che la nostra natura corrotta
non è la cagione efficiente del male universale, perchè in tal caso
sarebbe distrutto il no3tro libero arbitrio, il che ha provato di sopra
che non è, e non può essere ; e che questa cagione bisogna trovarla
in un soggetto morale di influenza universale, dal mal esempio del
quale la gente sedotta, si dà liberamente al male, che vede fare alla
sua guida.
Osservazione.
Questo luogo della Divina Comedia, e qualche altro, ossia
per malizia, ossia per ignoranza, ossia finalmente per non attenta con-
siderazione, sono da non pochi riguardati come inesorabile condanna
CANTO XVI. 357
che Dante pronuncia contro il dominio temporale, anche territoriale ,
della Santa Sede. Leggansi su questo proposito le poche, ma succose,
parole di Cesare Cantù nel suo Discorso: V Europa nel secolo ài
Dante: « Chi nel dolersi Dante che il mondo sia sossopra, perchè
* Roma confonde in sé due reggimenti, vede una disapprovazione
* del dominio temporale, attribuisce frivola causa a grandissimi
» effetti. Bensì egli si riferisce o fa riferire ad uno de* suoi inter-
i* locutori (Marco) alla prevalenza dei papi sugli imperatori; che
« quel che allora chiama vasi poter temporale non consisteva nel
» possesso di un piccolo territorio in Italia, bensì nella supremazia
» del Pontefice su tutti i Signori Cristiani, considerandoli come
»» delegati da quello al governo delle cose temporali. £ Dante era
* talmente alieno dal' disputare al papa una città o un territorio,
»» che non solo trova assai sconveniente anche il dubitare, che i
* papi ne abusino (dicere quod Ecclesia abutatur patrimonio sibi
n deputato valde est inconveniens. — De Monarchia II, C. 12); non
n solo esalta Matelda, cosi larga di beni terreni a coloro che diapen-
ti sano beni celesti ; ma gli balenò un pensiero di filosofia della Storia,
n quasi che tutti i fatti dei Troiani e del Lazio fossero coordinati,
» affinchè grandeggiasse la città V siede il successor del maggior
n Piero, n Cosi ragiona dirittamente il nostro Cantù in quel suo
Discorsa : e nel medesimo più innanzi recisamente sentenzia : « Egli
» (Dante) non voleà distruggere il temporale del papa, bensì che
» questi non soverchiasse l'imperatore. *
Cosi la pensava pure il nostro veronese Giuseppe Torelli, profondo
conoscitore di Dante, scrivendo: • Non intende il Poeta, che nel
Pontefice Romano non possano unirsi l' autorità spirituale e la tempo-
rale, sicché possa esser sovrano ne* propri stati, ma si bene esclude
l' autorità generale sopra gli stati d' altri Principi. Egli tiene, secondo
l'opinione vera e cattolica, che ogni Principe temporale abbia, in
quanto all'esser Principe, una podestà immediata da Dio, non me-
diata per Ponti ficem, secondo l' opinione di alcuni di que1 tempi. »
(Ediz. dantesca di Padova, tip. Minerva 1822).
• Anche il padre Bernardinelli nelle sue dotte elucubrazioni che
portano il titolo: La Monarchia di Dante e il Dominio Tempo»
rale dei Romani Pontefici, con profonda e lunga analisi di molti
passi della Divina Comedia, e dei libri De Monarchia, argomen-
tando, diviene finalmente a conchiudere, che Dante non solo non
vuole abolito il Domi aio Temporale dei papi, ma anzi lo approva,
commenda e mantiene (Vedi Civiltà Cattolica, 1865).
Però, essendo noi fermi in questa medesima ragionata sentenza,
quello che qui e altrove notassimo nei nostri conienti a difesa del
.1 ,
358 PURGATOEIO
Soleva Roma, che il buon mondo feo, tt
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada
Facèn vedere e del mondo e di Deo.
Domìnio Temporale dei Romani Pontefici, non tanto sarebbe volto
a confutare la sentenza o l'opinione di Dante su questo fatto, che
non ne ha d'uopo, quanto a redarguire coloro, che essendo essi ne-
mici di questo Potere, vorrebbero trarre alla loro .parte il Gran
Poeta, tenendoci sempre sott'occhio quei motivi speciali di passione
e di parte, per li quali lo sdegnoso Ghibellino parlò talvolta in
guisa da farsi credere un istante, solo però da chi profondamente
non lo conosce, avverso al Dominio Temporale della Chiesa.
62 Soleva Roma che ecc. Veduto sin qui che la causa del guasto
universa! dei costumi non è l'influsso delle sfere celesti, non è la
stessa umana natura, non sono le leggi, ma è invece (sempre nella
supposta sentenza di Dante esagerato costantemente in questa ma-
teria) il custode delle leggi medesime, cioè il Romano Pontefice, passa
a ricercare (giacché questa argomentazione procede per via di ri-
cerca) onde mai ciò avvenne, e ne trova l'origine nelTagognare, che
secondo lui facevano i Papi l'universale dominio anche nelle cose
temporali, mercè il loro dominio territoriale, falsamente e per pas-
sione riguardato da Dante come occasione alla sopraddetta ambizione,
l'uso del quale voleva egli però, non già abolito, ma limitato dalla
supremazia imperiale.
Dice adunque che Roma, la qual fece buono il mondo colla
diffusione del cristianesimo, diramata ovunque dal suo centro, soleva
avere due Soli, cioè due capi reggitori, il papa nel governo spiri-
tuale, l'imperatore nel governo civile (Soleva . . . Duo Soli aver, che
Vuna e V altra strada — Facèn vedere e del mondo e di Deo). Con
questo Dante viene a indicare la distinzione dei due poteri eccle-
siastico e civile, esistenti in due diverse persone, stabilite in Roma,
il papa e l'imperatore. La distinzione di questi due poteri è un
fatto, e quindi non c'è che ridire. Solo non si può ammettere con
Dante che gli imperatori romani dei tre primi secoli facessero ve-
dere la strada del mondo, almeno in modo utile all'umano consor-
zio. Tranne qualche rara eccezione furono tanti tiranni, tanti mo-
stri coronati, nemici piuttosto dell' umanità che reggitori dei popoli,
e vere cause efficienti della ruina del mondo. Dante passò sopra a
tanti eccessi, perchè era troppo innamorato della Monarchia romana,
la quale se fu provvidenziale nel nascere, fu anche provvidenziale
pel suo cadere. La passione affascinò il poeta.
CANTO XVI. 359
L'un r altro ha spento ; ed è giunta la spada M
M L'un l'altro ha spento. L'un Sole, cioè il Sole del papa, ha
spento l'altro Sole dell'imperatore. Veramente il papato non ha spento
l'impero romano. L'impero cadde da sé oppresso dalla propria im-
potenza, dai propri vizi, e a questi argomenti di caduta s' aggiun-
sero le forze barbariche che non fecero troppa fatica ad annichilarlo.
Anzi il papato ha il vanto di averlo fatto rivivere dalle sue ceneri
appena trovò i tempi maturi a questo nuovo miracolo di politica
cristiana, e lo fece rivivere assai migliore del primo, perchè come
Dio nella creta di Adamo soffiò il suo spirito, così il papato nella
creta del nuovo impero soffiò uno spirito tutto santo, e gli die una
destinazione la più gloriosa che mai. Se questo nuovo impero avesse
continuato nei discendenti di Carlo magno a secondar sempre la
natura della sua ecclesiastica istituzione, il mondo già da più secoli
sarebbe tutto cristiano, sarebbe stato impossibile nessun scisma od
eresia, ed ogni nazione ed ogni popolo sarebbe già da più secoli al
massimo grado di civiltà e di cultura. Fu una vera disgrazia mon-
diale non aver voluto comprendere l'alta intenzione della Chiesa
nella istituzione del sacro romano impero. Tutte queste cose erano
a cognizione di Dante, e quindi se egli ciò nulla ostante asserisce
che l'uno ha spento l'altro, non può intendersi se non di cosa av-
venuta prima della istituzione del Sacro Romano Impero, creazione
dell' 800, operata da Leon III nella persona di Carlo Magno. Quando
dunque, secondo Dante, il papato ha spento l'impero? Lo ha spento
sotto Costantino, che Per cedere al Pastor si fece greco (Par. e. XX)
trasportando la sede dell'impero a Bisanzio, e lasciando Soma al
papa. Questo avvenimento si trasse dietro le sue naturali conse-
guenze. Per dirne alcune, una si fu che datando da Costantino, e
venendo giù per la division dell'impero avvenuta sotto i due figli
ó\i Teodosio il Grande, Arcadio ed Onorio, Roma non era più ri-
guardata come vera ed unica capitale dell' impero romano, seguendo
le tracce di Costantino che la lasciò ai papi; e un'altra conseguenza
si fu l'indebolimento e al fine la caduta dell'impero romano di oc-
cidente per le incursioni barbariche ; e una terza la potenza dei papi
in occidente, rimasti soli difensori d'Italia che non era, e non potea
essere assistita dall'impero d'oriente; e finalmente una quarta, la
spontanea dedizione di una gran parte d'Italia ai papi, per aver
da essi quel governo, e* quella tutela che da tanto tempo indarno
si aspettava d'oriente. Ecco in qual modo l'un V altro ha spento ;
ecco in qual modo la spada fu giunta col pasturale. Ma qual colpa
360 PURGATORIO
no. (Jol pasturale, e l'uno e l'altro insieme 64
Per viva forza mal convier^ che vada.
ci può essere in tutto questo pei papi? chi invece non ci vede la
storia delle lor glorie ed un ordine provvidenziale per la salvezza
del mondo?
64 E l'uno e V altro inèitme — Per viva forza ecc. Come
già s'è detto nella Osservazione antecedente, non ferisce qui Dante
il dominio territoriale della Chiesa, ma solo parla della unione nel
papa dei due supremi poteri, ecclesiastico e civile. Noi non vogliamo
qui contro questa sentenza di Dante intorno alla incompatibilità
del doppio supremo potere nei Papi, da esso creduta necessaria,
istituire apposito ragionamento. Ricorderemo solo, che dell'opinion*
di Dante non era S. Tommaso, il quale cosi scrìve: « In his au-
» tem quae ad bonum civile pertinent, est magia obediendum po-
li testati saeculari quam spirituali, secundum illud Matthaei 29:
« Redatte, quae sunt Caesaris, Caesari, et quae sunt Dei, Deo ;
« nisi forte pò testati spirituali etiam saecularis potestas conjunga-
» tur, sicut in papa, qui utrìusque potestatis apicetn tenet, scilicet
* spirìtualis et saecularis : hoc ilio disponente, qui est Sacerdos et Rex
9 in aeternum secundum ordinerà Melchisedech , Rex Regum et Do-
li minus Dominantium, cujus potestas non au fere tur, et regnum non
« corrumpetur in saecula saeculorum. Amen. * San Tommaso ne' Com-
menti al lib. 2° delle distinzioni \ distinzione 44, quest. 2, dopo l'art. 3
della esposizione del Testo, nella risposta alla 4, obiezione.
Del resto se nel medio evo i papi operarono in guisa da mo-
strare, benché non fosse, che aspirassero anche al dominio supremo
nelle cose civili, qual male operarono essi? Il loro male altro non
fu, che di essersi sempre opposti alla tirannide, da qualunque
parte essa venisse , sia dagli Imperatori del Sacro Romano Impero,
immemori della loro sudditanza al papato, sia dai re, sia dai tiran-
nelli d'Italia, con qualunque nome si chiamassero, di baroni o di
conti, di consoli o di podestà. U loro male altro non fu che di in-
frenare le prepotenze degli imperatori di Germania e dei reali di
Francia che facevano mercimonio d'Italia. Il loro male altro non
fu che adoperarsi a tutt'uomo per ispegnere le discordie civili in
Italia. Il loro male altro non fu che proteggere dapertutto la li-
bertà e i diritti del popolo. Il loro male altro non fu che cercare
ogni via di conciliazione tra i principiJdissMenti, e di assisterli con
mezzi pecuniari per islanciarli nelle crociate contro il barbaro Isla-
mismo, che senza dei papi avrebbe fatto dell'occidente quello che
CANTO XVI. 361
Perocché, giunti, Tun l'altro non teme. tt*
Se non mi credi pon mente alla spiga, 66
Ch'ogni erba si conosce per lo seme. 67
In sul paese ch'Adige e Po riga 68
Solea valore e cortesia trovarsi C9
Prima che Federigo avesse briga: ™
oggidì è dell' Asia, H loro'male finalmente si fu di non essere stati
mai secondati nei loro nobili sforzi da chi più si dovea, cioè dagli
imperatori del Sacro Romano Impero e dai Municipi d'Italia, che
lor doveano la vita.
63 Perocché, giunti, Vun ecc. Il principato spirituale non teme
il principato politico, e viceversa, perchè si trova nelle medesime
mani. Questa ragione si fonda sul falso, perocché* mancherebbero forse
anche in questo caso i due più paurosi tribunali, quello della co-
scienza, e quello di Dio?
to Pon mente alla spiga, — Ch'ogni erba ece. Pon mente ai frutti,
alle conseguenze. È in altri termini il detto di Gesù Cristo: Exfructihie
eorum cognoscetis eost Se poi fossero baoiii o rei i frutti di quelTo-
perare dei papi, che falsamente parve unione dei due supremi poteri,
vedi in fine della nota 64.
& Per lo seme. Pel frutto ch'ella produce, nel qua! frutto c'è
il seme per una nuova produzione.
fó/n sul paese ch'Adige eccl Nell'alta Italia irrigata da questi
due fiumi
M Solea valore ecc. Ci erano genti virtuose e cortesi. Eppure,
osservo io, anche nei tempi anteriori a Federigo II avevano i papi
il temporale dominio, e lo avevano da più secoli ; e Dante, stesso,
per bocca di Marco, accorda che lungi dalTesservi in quei tempi cor-
ruzion di costumi vi avea invece valore e cortesia* Non è dunque che
Dante biasimi questo dominio territoriale, riferendo ad esso l'universale
corruzione, che sarebbe con sé stesso in contraddizione ; ma si il no*,
vellamente ambito dominio supremo, come egli falsamente credeva.
™ Prima che Federigo avesse briga. Prima che Federigo II im-
perador de1 Romani avesse quelle sue famose questioni col papa.
Federigo II, da naturai protettor della Chiesa e de' suoi diritti,
quale dovea essere in forza della costituzione del Sacro Romano Im-
pero, e de' suoi giuramenti, divenne il suo più accanito persecutore.
Di qui It scomuniche del papa, e di qui l'inasprimento della fazione
imperiale.
862 PURGATORIO
Or può sicuramente indi passarsi 7I
Per qualunque lasciasse, per vergogna
120. Di ragionar co' buoni, d'appressarsi.
Ben v'en tre vecchi ancora, in cui rampogna 71
L'antica età la nuova, e par lor tardo
Che Dio a miglior vita li rìpogna:
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo, 7S
E Guido da Castel, che me' si noma
Francescamente il Semplice Lombardo. n
Dì oggimai che la Chiesa di Roma n
Per confondere in sé duo reggimenti,
Cade nel fango, e sé brutta e la soma.
li Or può sicuramente ecc. Ora se vi fosse chi per vergogna di
farsi vedere in compagnia di buoni tralasciasse fin d'appressarsi
all'alta Italia, sappia costai che può passarla tutta sicuramente,
cioè senza timore d' incontrarsi con gente buona. Detto per ironia
e per iperbole.
?* Ben v'en tre vecchi ecc. Per altro vi sono (en pi. antiq. in
luogo di enno) ancora tre vecchi per mezzo dei quali l'antica età
(cioè i tempi anteriori a Federigo II quando solca va lare e cortesia
trovarsi) rimprovera la età nuova, nella quale più non si trova né
valore né cortesia.
?* Currado da Palazzo. Di Brescia — Gherardo. Di Trevigi. —
Guido da Castel Di Reggio di Lombardia. Tutti amici di Dante,
puri Ghibellini, e l'ultimo ospite di Dante.
?* Francescamente il Semplice Lombardo. Alla francese è cono-
scinto e chiamato il Semplice Lombardo ; Semplice per la sua vita
frugale, Lombardo perché i Francesi chiamavano gli Italiani Lom-
bardi, quelli però dell'alta Italia. Così dei genitori di Virgilio: Eli
parenti miti furon Lombardi. (In/. L)
7S Dì oggimai che ecc. E questa la falsa conclusione di tutto
il ragionamento ed invettiva di Marco, ossia del passionato Ghi-
bellino, per bocca di Marco, contro il dominio universale, anche
nelle cose civili, da lui falsamente supposto nelle mire dei papi, e
forse falsamente creduto del tutto incompatibile in essi colla su-
prema autorità spirituale.
CANTO XVL 368
180. o Marco mio, diss' io, bene argomenti ; 76
Ed or discerno, perchè dal retaggio 77
Li figli di Levi furono esenti.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio 7*
Dì eh' è rimaso della gente spenta
In rimproverio del secol selvaggio?
0 tuo parlar m' inganna, o e' mi tenta, ™
76 O Marco mio. Da questo modo di dire appar che Marco fosse
legato con Dante in qualche amicizia, altrimenti noi direbbe mio.
Bene argomenti. Arte finissima di eloquenza per dar rincalio
alla invettiva.
77 Ed or discerno perchè ecc. La tribù di Levi, perchè addetta al
servizio del santuario, non ebbe nella partizione della terra promessa
il suo retaggio come le altre, alle quali toccò una parte distinta dal-
l'altre, mentre i Leviti furono sparsi pei retaggi dell'altre tribù.
Questo però fu disposto da Dio non perchè i Leviti non dovessero
possedere, ma perchè essendo sparsi fra le tribù sorelle, fossero a tutte
di giovamento colla dottrina e coli' esempio, e nel medesimo tempo
tutte le tribù contribuissero al mantenimento dei ministri di Dio col
cedere una parte dei loro terreni e delle loro città. Cosi, sebben si
guardi, i Leviti possedevano come gli altri, salvo che invece di avere
la proprietà unita, l'aveano sparsa frammezzo alle proprietà del po-
polo. Su questo proposito ecco come si esprìme il Padre Prospero del-
l'Aquila nel suo Dizionario della Bibbia alla voce Levita : a Com'essi
non entrarono punto nella divisione della terra promessa, Iddio aveva
provveduto alla loro sussistenza con dar loro le decime dei grani, dei
frutti, e degli animali in Israele. Egli assegnò loro quaranta otto città
nella terra di Canaan per loro abitazione con campagna e giardini,
e tutte le terre alla distanza di due miglia incirca. Di queste quaranta
otto città, se ne diedero tredici ai sacerdoti, tra le quali se ne scel-
sero sei per cjttà di rifugio. Mentre che i Leviti erano occupati nel
servizio attuale del tempio, essi erano nutriti delle giornali fatiche
che vi si facevano. «
78 Per saggio — D\ ch'è rimaso della gente spenta ecc. Allude alla
terzina di sopra: Ben v*en tre vecchi ancora ecc.
79 M'inganna, o e' mi tenta. Appunto la dimanda di Dante era
volta a tentare Marco per udire da lui l'ultima nota caratteristica
di sua persona sulla quale non era affatto certo, e così lo notifica
364 PURGATORIO
Rispose a me ; che parlandomi Tosco, *°
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io noi conosco,
140. S' i> noi togliessi da sua figlia Gaia : Sl
Dio sia con voi, che più non vegno vosco. M
al mondo per quel tal Marco e non altri. Come poi Dante potesse
da Gherardo aver l'ultima nota caratteristica di Marco, lo vedremo
alla nota 81.
*o Che parlandomi Tosco. Queste parole provano apertamente
che Marco non conosceva Dante suo interlocutore, perchè questi
non gli si era menomamente manifestato, e il fumo impediva ogni
conoscenza.
81 S'C noi togliessi ecc. Come dicesse: Io parlo di quel Gherardo che
è padre di Gaia. Cosi Dante seppe di qual Gherardo parlasse Marco;
ma seppe con ciò medesimo che l'ombra sua interlocutrice era vera-
mente Marco l'amico suo. Come ciò sia, eccolo. Dante altro non
conosce di quest'ombra se non che 1.° essa fu dell'alta Italia (Lom-
bardo fui), 2.° essa ebbe nome Marco (E fui chiamato Marco),
3.° essa fu persona politica e valorosa (Del mondo seppi e quel
valore amai ecc). Queste note generiche lasciano qualche incer-
tezza in Dante sulla persona dell'amico. Che fa egli? Egli tenta di
conoscerlo precisamente, per via indiretta (o e* mi tenta), facendo
questi calcoli : S'egli è quel Marco che intendo io, cioè il mio amico,
deve esser marito di Gaia figlia di Gherardo. Ebbene io dimanderò
chi è questo Gherardo, e se conoscerò ch'egli è il padre di Gaia,
saprò pure chi sia questo Marco ch'ebbe Gaia in isposa. Cosi infatt1
fece Dante, e cosi scoperse qual Marco fosse quell'ombra, cioè il
genero di Gherardo il buono. Sarà sottile il commento, ma è sottile
anche il contesto, il quale, bene studiato che sia, ci fa alfine veder
chiaramente che Gaia è la moglie di Marco, e che cosi il tentare
di Dante riusci a cavar dall'ombra chi ella fosse precisamente. Non
fìtte Gaia moglie di Marco e tutto il contesto va in fumo. Se i com-
mentatori avessero avvertito a questo artifizio di Dante, da lui già
chiaramente manifestato, non avrebbero detto di Gaia notizie tanto
infondate e contradditorie.
8* Dio sia con voi. Non sapendo Marco chi sia il compagno di
Dante, dice Dio sia con voi. Se avesse saputo ch'era Virgilio non
avrebbe parlato in plurale. — Più non vegno vosco. Il fumo degli
irosi non potea arrivare all'angelo.
CANTO XVI. 365
Vedi l'albor, che per lo fumo raia, M
Già biancheggiare, e me convien partirmi,
(L'Angelo è ivi) prima ch'egli paia. 8i
Codi tornò, e più non volle udirmi.
83 Vedi Valbor, che'eea. Erano gli splendori, che 'gettava l'An-
gelo custode della scala dalla sua persona. Questi splendori rag-
giavano attraverso il fumo che circondava le anime e Dante.
Dicendo vedi Ualbor, indica due cose: prima che l'Angelo era vicino;
seconda, ed è la più importante, che l'Angelo era subito al di là
della svolta del monte, alla faccia di ovest di dove gettava i suoi
raggi in modo diverso dal Sole. Quelli del Sole più languidi batte*
vano contro il fumo che da est andava ad ovest, quelli dell'Angelo
più vivi battevano non contro, ma attraverso il fumo. A questi e
non a quei del Sole Marco accenna. (Vedi il mio Disegno, Tavola Vl}
cornice III a sinistra. Altezza migl. 94.)
Un dubbio. Gli splendori dell'Angelo erano come quelli del Sole.
Perchè dunque si dicono albore t Appunto perchè passavano per il
fumo. Anche il Soler che è di color rancio, se avviene che l'atmosfera
sia tutta ingombra di nebbia, veduto per la nebbia è bianco. Perciò
si dice: VediValbor già biancheggiare.
** L'Angelo e ivi. L'ho messo tra parentesi per maggiore intel-
ligenza. È come dicesse: Perchè ivi è l'Angelo. Gli iracondi, come
dissi altre volte, dovevano ritornarsene come fossero giunti in vi-
cinanza dell'Angelo : e ciò dimostra che dinanzi all'Angelo le anime
non vanno che quando hanno finito la loro purga e deono salire.
Questa osservazione si dice solamente qui per la prima volta, ma
va intesa per ogni cornice, perchè Dante vuol sempre farci studiare
e tenerci svegliati, onde una cosa che potea dirla in un luogo, la
dice in un altro, e sta a noi avvertirla.
Prima ch'egli paia. Prima ch'egli apparisca del tutto. Siccome
poi egli apparirebbe qual' è, andando fuor delle' tenebre e del fumo,
cosi vuol dire con ciò ch'egli non può andare che fin dove va il fumo,
entro il quale egli dee sempre camminare.
CANTO XVII
Argomento.
Escono i poeti dal fumo al tramonto del Sole. In un' estasi
come la prima ha Dante visioni che si riferiscono alVira. Si rin»
sensa al bagliore dell'Angelo, che invita a salire. Arrivati al
sommo della scala non possono piò ire innanzi. Virgilio compensa
la fermata con un discorso sopra V amore.
NB. Vedi tatti i easellini di questo Canto nella mia Taf. Ili Purg. e le Tav. V
e VI Purg.
Uicorditi, lettor, se mai nell'alpe *
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Non altrimenti che per pelle talpe; *
Come quando i vapori umidi e spessi 3
* Se mai nelV Alpe ecc. Ci richiama ad un esempio di nebbia che
ci abbia incolto non in una pianura, ma su di una montagna, come
talora avviene ; e ciò perchè i poeti sono già in un altissimo monte
e non in un piano.
* Non altrimenti ecc. La talpa ha la retina membranacea della
pupilla assai densa, e però è quasi cieea. Cosi ci vede chi è av-
volto da folta nebbia.
* / vapori umidi e spessi. Questi sono la nebbia. £ una perifrasi
di lei.
368 PURGATORIO
A diradar comi nei ansi, la spera *
Del sol debitamente entra per essi;
E fia la tua immagine leggiera *
In giugnere a veder, com' io rividi
Lo Sole in pria, che già nel corcare era. 6
10- SI pareggiando i miei co' passi fidi 7
Del mio Maestro, usci' fuor di tal nube
* A diradar cominciami ecc. Siccome la nebbia si scioglie a poco
a poco, così a poco a poco si fa più visibile il Sole.
* E fia la tua immagine ecc. E avrai in ciò (in quel che dissi
nella seconda terzina) una similitudine assai facile per comprendere
come il Sole mi riapparve, cioè mi riapparve a poco a poco.
* Lo Sole in pria. Prima di veder l'Angelo, che m'era a sinistra
dopo la svolta, vi vidi il sole che mi splendeva in faccia, per non
essermi io voltato per anche per la strada del monte, la cui fac-
ciata è volta ad occidente, in principio della quale stava l'Angelo.
(Vedi attentamente il mio disegno in questo punto Tav. Vf.)
Che già nel corcare era. Era nel suo preciso tramonto. Erano
dunque le ore 5.20, perchè nei 10 Ottobre, giorno in cui siamo agli
antipodi, rispondente al nostro 11 Aprile, il Sole tramonta appinto
in quest'ora.
1 Sì pareggiando ecc. Dopo che Dante lasciò Marco, pareggiò i
suoi passi a quelli di Virgilio. Come ciò? Non li pareggiava anche
prima? Dacché Dante fu avvolto nella nube egli andava dietro a
Virgilio come un orbo dietro a sua guida. Dante ai teneva colla
destra attaccato alla spalla sinistra di Virgilio, e abbiamo allora
notato che necessariamente in tal positura il passo di Dante dovea
restare un po' addietro dal passo di Virgilio. (Canto XVI, n. 4 e 5).
Parea un'inezia notare allora questa circostanza; eppure ecco che
senza quel passo non si può spiegar questo. Dante vuole studio ed
attenzione alle cose più minute. Chi non le calcola, crede d'inten-
dere e non intende. Chi p. e. intende che colle cose dette infine del
Canto XVI ed in principio di questo, Dante ci dichiari aperto che dalla
Cacciata di settentrione si sta per passare alla facciata di occidente?
Nessuno osserva questo. Eppure è un viaggio quello che si descrive,
e almeno i cangiamenti di plaga non si dovrebbero tener per inezie.
Ma il vero si è che si tengono inezie perchè costano troppo stu-
dio ad* afferrarle nel poeta, quand' egli ce lo offre.
CANTO XVII. 369
A' raggi morti già ne' bassi lidi, 8
O immaginativa, che ne rube 9
Talvolta sì di fuor, ch'uom non s'accorge,
Perchè d' intorno suonin mille tube, i0
Chi muove te, se il senso non ti porge? u
Muoveti lume che nel ciel s'informa,
Per sé, o per voler che giù lo scorge.
Dell'empiezza di lei che mutò forma i2
8 Morti già nerbassi lidi. Quando il Sole tramonta; le prime a
perdere il Sole sono le parti basse, e poi via via le parti più
alte. Dante in questa cornice era air altezza di £4 miglia. Egli
godeva ancora dei raggi del Sole, quando i lidi di quella montagna
gli aveano perduti.. Da qui a poco più di un minuto avrà perduto
il Sole anche quella cima. la tanto si vede eli e Dante nel suo viaggio
tien conto anche di un minuto.
9 0 immaginativa ecc. Dante appena uscito dalla nube è rapito
in un'estasi come prima di entrarvi; e questo si fa succedere, perchè
Dante abbia istruzione d' altri esempi relativi all' ira, e quindi si
disponga sempre più a detestarla. Abbiam veduto sin qui succeder
sempre così: prima una istruzione di esempi con che si apre la scena;
poi la vista ed il colloquio dell'anime, seconda scena; finalmente
nuova istruzione di esempi, terza ed ultima scena. Cosi il peccatore
è sempre preso in mezzo da due istruzioni, che servono alla purga
del peccato.
Ora che cosa ò necessario per Testasi? È necessario che l'anima
si ritiri dalle porte dei sensi, e si concentri tutta in so stessa o
nella sua immaginativa. L'anima cosi concentrata non ode, non
sente, non vede; i sensi per lei sono come più non esistessero; po-
trebbero strepitarle intorno mille trombe, ella non s'accorge.
*o Perchè. Per quanto.
4* Chi muove te, se ecc. L'anima agisce col ministero dei sensi.
Ma i sensi qui sono inerti, e non porgono all'anima alcun oggetto.
Dunque chi ti muove a veder oggetti, o anima, o immaginativa? In
questo stato non ti muove che il lume celeste, cioè Dio o imme-
diatamente, o mediatamente pel ministero angelico.
** Dell' empiczza ecc. Dell'empietà di Filomela, che per vendicarsi
di Tereo, d'accordo con Progne sua sorella, cosse Iti figliuolo di
Tereo, e glielo diede mangiare. Esempio di vendetta figlia d'ira.
24
370 PURGATORIO
20- NelTuccel che a cantar più si diletta, {Z
Neil' immagine mia apparve Torma. u
E qui fu la mia mente sì ristretta l3
Dentro da so, che di fuor non venia
Cosa che fosse allor da lei recetta.
Poi piovve dentro all'alta fantasia 4IÌ
Un crocifisso dispettoso, e fiero 47
Nella sua vista, e cotal si morìa.
Intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa, e il giusto Mardocheo,
80- Che fu al dire, e al far così intero. iè
*8 Neil9 uccel ecc. In ussignolo.
M Nell'immagine mia ecc. Nella mia immaginativa. Apparve
l'orma. Il fatto anzidetto si stampò nella mia immaginativa, ed io
lo vedea come presente senza che i sensi me l'offerissero.
*5 E qui fu la mia ecc. Perchè la mente potesse accogliete un
altro esempio dopo il primo di Filomela, bisognava che questo sva-
nisce: ed ecco che svanisce col restringersi vieppiù la mente, che
è il campo sa cui s'impresse il primo fatto, e stringendosi cosi la
mente, ne distrusse la impressione, appunto come succede nelle im-
pressioni materiali, p. e. in quello fatte in cera, le quali svaniscono
collo schiacciare e restringere la cera stessa. Distrutta cosi questa
impressione, restò la mente vergine perchè in lei non cadde altra
impressione, però si soggiunge: eh*, di fuor non venia — Cosa che
fosse allor da lei recetta ; e ciò per dar luogo ad una seconda visione.
*6 Poi piovve dentro ecc. Per variare le concezioni della mente,
ora le descrìve sotto l'idea dello stampo e del sigillo, come la prima,
ed ora sotto l'idea di una pioggia, come la concezione presente.
Prova si è questa d'immensi ricchezza di fantasia, e per questo il
poeta non può a meno di chiamar qui la sua mente, alta fantasia.
il Un crocifisso ecc. E il supplieio dell'iracondo Amano, fatto
abbastanza noto. Esempio snero in mezzo ni due profani per dar
varietà anche all'enumerazione. D?A sacro misto al profano abbiamo
reso ragione altra volta.
*8 Che fu al dire ecc. Si giusto nelle parole e nelle opere, leg-
gete la Bibbia, e saprete come parlò alla nipote Ester (esempio vero
d'eloquenza), e come salvò la vita di Assuero.
CANTO XVII. 371
E come questa immagine rompeo 19
Sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
Cui manca l'acqua sotto qual si feo;
Surse in mia visione una fanciulla, *°
Piangendo forte, e diceva: O regina,
Perchè per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
Or m'hai perduta ; i' sono essa che lutto,
Madre, alla tua, pria ch'ali' altrui mina.
40- Come si frange il sonno, ove di butto 2I
Nuova luce percuote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto;
19 Rompeo — Sé per sé stessa ecc. Avendo espresso il poeta la
seconda visione sotto la immagine di una pioggia, parla del suo dis-
facimento continuando la stessa immagine, paragonando la visione
ad una bulla o bolla d'acqua, che si fa dall'acqua, e per mancanza
0 perdita d'acqua si disfa. Così avvenne di questa seconda visione.
Essa piovve nella mia fantasia, e poi cessando di piovere/ossia so-
spendendosi la continuazione della visione, svanì per sé stessa. Ci vuole
un immenso ingegno per trovare queste maravigliose similitudini.
1 sogni che di solito proviamo non si potrebbero esprimer meglio
che colle bolle dell'acqua, che si fanno e disfanno senza lasciare la
menoma impressione.
*> Surse in mia visione ecc. Terzo ed ultimo esempio d'ira o di
impazienza, e de' suoi effetti funesti. E questo il suicidio d'Aronta
madre di Lavina, promessa sposa a Turno. Aronta si uccise udendo
che Turno, il suo futuro genero, fosse stato ucciso da Enea. Lo fu
appresso, ma allor non l'era. Intanto a Lavina toccò fare il lutto
o il pianto, pria per la madre e poi per lo sposo.
*i Come si frange ecc. Dante dall'estasi ritorna ai sensi per ef-
fetto di bagliore forte ed irrprovviso che gli venne dagli splendori
dell'Angelo che stava al comincia mento dell'altra facciata del monte
che guarda ad ovest. E per indicar questo fatto, usa d'una simili-
tudine la più propria e naturale, quella del sonno che improvvisa-
mente ci vien rotto da un subito chiarore che fortemente ci per-
cuota gli occhi, dal quale il sonno è infranto (fratto): Ma pria di
partirsene del tutto (prix che tnuoja tutto) guizza o ci fa guizzare.
872 PURGATORIO
Cosi P immaginar mio cadde giuso
Tosto che un lume il volto mi percosse,
Maggiore assai, che quello ch'è in nostr'uso."
r mi volgea per vedere ov' io fosse, M
Quando una voce disse : Qui si monta : 3i
Che da ogni altro intento mi rimosse ;
E fece la mia voglia tanto pronta
60. Di riguardar chi era che parlava,
Che mai non posa, se non si raffronta. 24
Ma come al sol, che nostra vista grava,
E per soverchio sua figura vela,
Così la mia virtù quivi mancava. *
Questi è divino spirito, che ne la
Via d'andar su ne drizza senza prego,
» Maggiore assai ecc. Maggiore assai del sole.
23 Jo mi volgea per ecc. Da questo punto Dante che finora fu
nell'estremità della facciata del monte, che guarda nord, mette il
piò e si volge per il principio della facciata che guarda ponente.
Per questo egli dice: Fmi volgea per ecc. Avea poco prima nel
suo cammino la faccia rivolta al sole che tramontava; dunque era
ancora nella facciata di nord, la cui strada va direttamente a po-
nente. Ora ha bisogno di volgersi per vedere dove fosse; dunque
egli era nel prìntipio della facciata di ovest Osserva attentamente
il mio disegno in questo punto, Tav. VI. Da ciò è pur fissato il
sito dell'Angelo e della scala nel principio di questa stessa facciata
alla sinistra di chi legge la Tav. VI. £ indubitato che Dante non
avrebbe potuto essere cosi preciso ed esatto in tutti i passi del suo
viaggio, se prima non si fosse fatto un modello di tutto, e non lo
avesse tenuto del continuo sott' occhio. £ se questo fece Dante,
quanto più noi! È perciò ch'io insisto su questo punto si neces-
sario, e che ciò nulla ostante fu trascurato finora da tutti, per quanto
mi sappia.
2i Qui si monta. Vedi Tav. VL
*5 Se non si raffronta. Se non raffigura l'oggetto che le ha mosso
la curiosità.
# Pt'Wù, Virtù visiva.
CANTO XVII. 373
E col suo lume sé medesmo cela.
Sì fa con noi, come Tuoni si fa sego : **
Che quale aspetta prego, e Tuopo vede,
60- Malignamente già, si mette al nego.
Ora accordiamo a tanto invito il piede : M
Procacciaci di salir pria che s'abbui, M
Che poi non si poria se il dì non riede.
Così disse il mio duca; ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala:
E tosto ch'io al primo grado fui,
Senti' mi presso quasi un muover d'ala, 80
E ventarmi nel volto, e dir : Beati 3t
Pacifici, che son senz'irà mala. »
& Si fa con noi. Ci contenta senza che noi lo preghiamo. Cosj
facciamo noi con noi stessi. Per contentarci non abbiamo bisogno
di pregarci. — Sego per seco. Così da preco si fa prego.
98 Ora accordiamo ecc. I pie s'accordano ali1 invito di montare
quando si dirigono alla scala per cui si monta. Dunque vuol dire
che si diressero alla scala.
29 Procacciata di salir ', Studiamoci di fornir tutta la scala prima
che venga notte, perchè poi salir non si potrebbe sin al nuovo di.
Virgilio l'avea imparato da Sordello (C. VII v. 51 e seg.)
Avvertite che la notte (che è il presente s'abbui), secondo Dante,
comincia dopo i crepuscoli.
so Ouasi un muover d'ala — E ventarmi nel volto. Perchè Tira era uno
dei peccati che più poteano in Dante, come la superbia, perciò in questi
due luoghi per la cancellazione del P abbisognò speciale operazione del-
l'angelo, cioè un pò" di scopatura coll'ala, mentre negli altri non occorse*
si fi dir: Beati ecc. Sono parole doli' Angelo prese dal Vangelo?
colle (uali felicita il penitente, ornai purgato dall'ira.
32 fcnz'ira mala. Si dice mala, perchè e' e anche Tira santa, che
è lo zelo: Irascimini et nolite peccare (Salmi). Perciò si disse, Purg.
C. Vili, v. 82 e seg :
Cosi dicea, segnato della stampa
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che misuratamente in cuore avvampa.
374 PURGATORIO
7o- Già eran sopra noi tanto levati **
Gli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle appari van da più lati.
0 virtù mia, perchè sì ti dilegue ? 3i
Fra me stesso dicea, che mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
83 Già eran sopra noi ecc. Nel momento che il sole incomincia
a tramontare, i suoi raggi vengono ad nno che stia in pianura, p. e,
sulla superficie del mare," in direzione orizzontale. Di mano in mano
che il disco solare s'abbassa sotto la linea dell 'orizzonte, i suoi raggi
s'innalzano, lasciando nell'ombra le parti basse della terra. Per
questo poco fa (n. 8.) abbi a m veduto che i raggi del sole non il-
luminavano più le falde estreme ed i lidi della montagna, ma illu-
minavano per altro ancora quella altezza, ov'era il poeta, di miglia 94
dal livello del mare. Continuando il sole ad abbassarsi sotto l'oriz-
zonte, i suoi raggi sempre più si elevano, finche lasciano nell'ombra
anche le cime delle più alte montagne. Ma per questo non è ancor
notte. Mancando il raggio diritto, abbiamo il raggio riflesso, perchè
il sole co' suoi raggi elevati percuote l'atmosfera a noi visibile prò.
ducendo cosi i crepuscoli, e quando il sole a forza di allontanarsi
dal nostro orizzonte cessa di percuotere anche questa atmosfera, al-
lora cessano i crepuscoli , e comincia la notte. Il poeta in questo
luogo precisa appunto il momento in cui il sole vibrava nell'alta
atmosfera gli ultimi suoi raggi, dopo i quali viene subito la notte,
e perciò dice: Gli ultimi raggi che la notte segue; e perciò ancora
dice: Che le stelle apparivun d^ pia lati, cioè anche da più lati
della parte accidentale alla quale era volta quella facciata del monte
e dove era prima tramontato il sole. La parto del cielo rivolta ad
oriente, il poeta non la potea vedere, perchè tra lui e la parte
orientale del cielo c'era la montagna che ne impediva la vista. Che
se allora era il fine dei crepuscoli, dunque correvano le oro 7 pom.,
come insegna la tavola temporaria degli almanacchi, addi 10 Ottobre.
3i 0 virtù mia, perchè ecc. Questo fine de' crepuscoli, o prin-
cipio di notte (ore 7) lo fa intendere anche dagli effetti prodotti
dalle tenebre in lui e udii sua guida, che sono il non potersi più
muovere per salire, e la debolezza che fiaccava al tutto le gambe,
sempre però per salire; e furon colti da questa impossibilità di sa-
lire, appena ascesa tutta la scala, e appena giunti nella cornice della
CANTO XVII. 375
Noi eravam dove più non saliva
La scala su, ed eravamo affissi,
Pur com3 nave, ch'alia piaggia arriva.
Ed io attesi un poco s' io udissi 3S
*°- Alcuna cosa nel nuovo girone; 3C
Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi:
Dolce mio padre, di' quale offensione 37
Si purga qui nei giro dove semo?
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone.
Ed egli a me : L'amor del bene, scemo 3g
Di suo dover, quiritta si ristora,
Qui si ribatte il mal tardato remo. 30
Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me, e prenderai
9°« Alcun buon frutto di nostra dimora.
Né Creator, nò creatura mai, *°
Accidia. Vedi il mio Disegno all'altezza di miglia 94 3j8. Cosi in
queste tre terzine Giù eran — 0 virtù — JVoi eravam, il poeta
ci ha dato gli accenni precisi del tempo e del luogo, non che la
cagione dell' impossibilità di salire più oltre. Con ciò sappiamo che
dall' uscita dalla nube degli iracondi all' arrivo bulla cornice degli acci-
diosi, furono impiegate ore 1 . 40. Il resto è di facile interpretazione.
M Attesi. Non potendo u?are gli occhi, por la notte allora inco-
minciata, usò l'udito. Allora non passavano anime.
36 ATeZ nuovo giroi e. Cornice IV degli Accidiosi.
31 Quale offeritone* Quale offesa, o qual reccato.
38 L'amor del bene, ttetmo ecc. Qui (nuirltla) si compensa la
fiacchezza con cui il nostro amore si portò verso il bene. Questa
fiacchezza e Accidia. L'inique qui si jurga il peccato dell'Accidia.
39 Qui si ribatte ecc. Paragona chi dee operare il bene ai re-
miganti. Chi opera le .tamente o c«»n noia il bene, è simile a chi è
tardo nel remigare. Per compensar questa tardanza si ribatte qui
il remo a dovere, ossia qui si ha una pena che ò contraria diret-
tamente alla colpa. La vedremo,
40 jyè Creator ecc. Tutti da Dio in giù hanno un amore che
li fa operare. Questo ò di due guise: o naturale o di animo. Il
376 PURGATORIO
Cominciò ei, figliuol, fu senza amore,
0 naturale, o d'animo, e tu '1 sai.
Lo naturai fu sempre senza errore ; 4I
Ma l'altro puote errar per malo obbietto, 41
0 per troppo, o per poco di vigore.
Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto 43
E ne' secondi sé stesso misura,
Esser non può cagion di mal diletto,
100. Ma quando al mal si torce, o con più cura u
O con men che non dee, corre nel bene,
Contra il Fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser conviene w
Amor sementa in voi d'ogni virtute,
E d'ogni opera zion che merta pene.
Or perchè mai non può dalla salute M
•
naturale è quello che non è di elezione, ma necessario; per esempio
ciascuno necessariamente ama il proprio bene: l'amore di animo è
l'amor di elezione, perchè dipende dal nostro arbitrio.
41 Lo naturai ecc. È sempre immune da colpa e da errore, per-
chè parlandosi delle creature e messo da Dio medesimo, e Dio non
può mettere nelle sue creature cose male.
4* Ma t altro puotc errar ecc. L'amor di elezione può errar o
peccare, 1. o perchè si propone per oggetto una cosa cattiva, 2. o perchè
(se pur si propone una cosa buona) tende a lei più di quel che deve,
3. o perchè vi tende meno di quel che deve.
*3 Ife'primi ecc. Finché l'amore ei dirizza bene nei primi, che si sono m
scelti al loro amore un oggetto malo, e tinche nei secondi esso amore si
tiene nella giusta misura non trasmodando nò per eccesso, ne per di-
fetto, esso amore non può esser cagion di mal diletto, ossia di peccato.
** Ma quando al mal ecc. Ma quando o si dirigge l'amore ad
un oggetto malo, o se Io si dirigge ad un oggetto buono, glielo si di-
rigge o con eccesso o con difetto, allora la creatura offende il Creatore.
*5 Quinci comprender ecc. Quindi l'amore è cagione e di virtù
e di vizio, secondo che l'amore si dirigge o misura.
*6 Or perchè mai non può ecc. Or perchè ciascuno ama necessa-
riamente sé stesso, Todio contro sé stesso è impossibile. Parla dei
È chi,
CANTO XVII. 377
Amor del suo sùggetto volger viso,
Dall'odio proprio son le cose tute.
E perdio intender non si può diviso, 47
HO. Né per sé stante, alcuno esser dal primo,
Da quello odiare ogni affetto è deciso.
Resta, se, dividendo, bene stimo,48
Che il mal che s'ama è del prossimo, ed esso
Amor nasce in tre modi in vostro limo.
per esser suo vicin soppresso 49
Spera eccellenza, e sol per questo brama
Ch' el sia di sua grandezza in basso messo.
L chi podere, grazia, onore e fama w
Teme di perder perch'altri sormonti,
i20 Onde s'attrista sì, che il contrario ama;
Ed è chi per ingiuria par ch'adonti 8I
primi che possono errar neil' obbietto, prendendolo malo, ossìa
amando il male. Ma qual male? Non il proprio.
*7 E perchè intender ecc. E perchè nessun essere può immagi-
narsi diviso dal primo essere (Dio), o stante per sé stesso (indipen-
dente da Dio) e necessariamente pensiamo eh' egli sia in Dio» come
nel suo principio, perciò ò evidente che come non si può avere vera
volontà di odiar so stessso, cosi nemmeno si può avere vera volontà
di odiar Dio, nel quale noi siamo ed egli in noi. Dunque non
si può amare nemmeno il male di Dio. — Deciso. Tolto, tagliato*
48 Resta ecc. Rosta che non si può amare che il male del prossimo.
Qui solamente è dove si erra per malo obbietto, e si erra in tre
diverse maniere secondo i tre diversi fini che si hanno nell'amare
il mal del prossimo.
& È chi per esser eco, Si ama il male del prossimo per nostra
superbia, perchè nella depressione del prossimo si spera la propria
eccellenza.
H> È chi podere ecc. Si ama il mal del prossimo per invidia, per-
chè nell'innalzamento del prossimo si teme la nostra depressione nelle
sostanze, nella grazia, nell'onore e nella fama.
5> Ed è chi per ingiuria ecc. Si ama il mal del prossimo per ira'
perchè si vuol di lui vendetta per l' ingiuria che ha fatto.
378 PURGATORIO
Sì, che bì fa della vendetta ghiotto :
E tal convien, che il male altrui impronti. --
Questo triforme amor quaggiù disotto J8
Si piange ; or vo' che tu dell'altro intende,"
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende, w
Nel qual si queti l'ani mo9 e desira :
Perchè di giunger lui ciascun contende. M
8* E tal convien, che il male altrui impronti. E questo tale che
è così dominato dallo spirito di vendetta conviene, o si sente por-
tato ad improntare o ad infliggere altrui quel male che prima avea
da lui ricevuto, rendendo altrui, o ad altri, male per male. Sicché
in questo verso: Tale è il soggetto; impronti, è il verbo; il male
è oggetto; altrui è dativo per ad altri.
M Questo triforme amor ecc. Questo amor che erra nell'oggetto,
perchè ama il male del prossimo per diversi finì, ò punito e si piange
nelle tre cornici di sotto, in quella più bassa dei superbi, nell'altra
sopra degli invidiosi, e nella terza degli iracondi.
M Dell'altro intende — Che corre ecc. L'altro amore erra nel modo,
non nell'oggetto; il suo oggetto è buono, ma nel portarsi a questo
oggetto pecca per difetto o per eccesso; ed ecco cosi l'ordine cor-
rotto.
M Ciascun ^confusamente ecc. Costruisci co3Ì : Ciascun confusa'
mente apprende e desira un bene — Piti qual si queti l'animo. Spie-
ghiamo: Ciascuno (buono o malvagio) sebbene in confuso fissa ed
ama un bene che abbia la qualità di saziarlo perfettamente ; e que-
sto bene, voglia e non voglia è solo Dio, Beno sommo, unico vero
Bene, Bene infinito e perciò solo capace di soddisfare il cuore umano
a cui solo Dio è tanto. E la sentenza di S. Agostino: Fecisti nos
Domine ad te, et irroquietum est cor nostrum donec requiescat
in te. E la risposta di S. Tommaso d'Aquino a Dio, quando richiesto
che volea per mercede do* 6uoi scritti divini, egli risposf : Non alìam
Domine , nisi te ipmrn.
86 Perchè di giugner lui ecc. Per la qual cosa ciascuno si sforza
di prenderlo. Il malvagio non crederà che questo bene sia Dio, e
perciò disse di sopra che lo apprende e desira conj usamente ; ma
non dipende da lui che questo bene non sia Dio; esso è Dio non
ostante la sua ignoranza o i suoi perversi desideri.
CANTO XVII. 379
130. Se lento amore in lui veder vi tira, "•
O a lui acquistar, questa cornice,
Dopo giusto pentir ve ne martira :
Altro ben è che non fa Tuorn felice ; M
Non è felicità, non è la buona
Essenzia, d?ogni ben frutto e radice.
L'amor che ad esso troppo s'abbandona, M
Di sovra a noi si» piange per tre cerchi ;
Ma come tripartito si ragiona 60
57 Se lento amore ecc. Se amate poco di andar in paradiso a ve-
derlo, se amate poco di far quel che dovete per acquistarlo, ossia
se siete accidiosi nei bene, dopo che ve ne sarete debitamente pen-
titi in vita, questa cornice qui ve ne purga co' suoi martiri.
58 Altro ben è che ecc. Oltre il sommo B»»ne, havvi un bene par- •
ziale e limitato, il quale perciò non fa e non può fare uomo felice,
bene che non e felicità, non è Dio ossia la buona Essenza, (T ogni
ben frutto e radice. Questo bene sono tutti i beni temporali, di cui
è lasciata all'uomo la fruizione, entro la debita misura.
59 L'amor che ad esso ecc. L'amar troppo questo bene transito-
rio è un peccato che si punisce nei tre ultimi cerchi superiori a
questo, con tal ordine da imo a sommo : 1 . Avarizia, 2. Gola, 3. Lus-
suria, che sono peccati affatto sensuali, a differenza degli altri quattro
che possono dirsi spirituali. Notate che quanto più si ascende pel
Purgatorio il peccato che vi si punisce e minore, precisamente come
abbiamo veduto nell'Antipurgatorio, dove il maggior peccato è sotto
ed il minore è sopra, facendosi qui tutto il contrario di quello che
si 6 fatto nell'Inferno, perche colà abbiamo veduto invece crescer
le colpe di mano in mano che si andava più profondo. La ragione
poi perdio i peccati sempliermenU spirituali, come i quattro primi
capitali da noi fin qui veduti , sono maggiori del tre sensuali che
d restano a vedere, si ò perchè invalgono maggior malizia, e sono
più alieni dalla nostra natura pur soggetta a' sensi, nei quali i tre
ultimi peccati trovano un incentivo, e quiudi se non una scusa, che
non può darsi, almeno un allevamento di milizia.
6° il/tt come tripartito ecc. Ma come uno stesso amore, quale s
è quello che ci porta per eccesso ad amar i beni transitori, abbia
tre forme e quindi sia punito in tre distinti cerchi, io lo taccio
afGnchc ne studi la ragione per tj medesimo, essendo facile il
380 PURGATORIO
Tateciolo, acciò che tu per te ne cerchi. 6I
trovarla. Essa si fonda nelle tre specie di beni materiali, diversi
l'uno dall'altro, che quindi han bisogno di diversa pena.
W Taccialo ecc. Virgilio, quand'era con Dante nell'Inferno, gli
facea la spiegazione dei peccati e dei luoghi ad essi destinati prima
di condurlo per essi : qui invece nel Purgatorio gli fa la spiegazione
dopo di aver veduto i peccatori ed i luoghi. Perchè questa diffe-
renza? Perchè Virgilio avea pratica dell'Inferno, dove altra volta
era stato sino al fondo, come dice* nel C, IX: Per trarne un spirto
del cerchio di Giuda, ma non avea per lo contrario pratica alcuna
del Purgatorio, dove non era mai stato.
CANTO XVIII
Argomento.
Dante desidera (Temere istruito ancora da Virgilio infamo
aW amore fonie di bene e di male, e Virgilio lo compiace con un
lungo ragionamento di etica razionale. Finito il quale. Dante co-
mincia a sonnif erare per fora tarda di notte. Ma subito gli fu
tolta la sonnolenta da molte anime accidiose che correano, e gri-
davano, piangendo, esempi a freno e purga d'accidia, secondo il
solito degli altri peccati. Virgilio manifesta loro che li c'è un vico,
e chiede della salita. Le anime che non possono ristare lo invitano
a seguirle per trovar la scala. L'anima che paria è un abate di
& Zeno a Verona, il quale gli fa una profezia intorno ad Al-
berto della Scala. Dopo V abate seguono due altre anime, che gri-
dano altri esempi relatici air accidia. Finalmente Dante s'ad-
dormenta e sogna.
Posto avea fine al suo ragionamento f
L'alto dottore, ed attento guardava1
Nella mia vista s'io parea contento.
* Ragionamento. Sull'origine e division dei peccati, che tatti pro-
cedono da sregolato amore.
* Attento guardava — Sella mia vista ecc. È il solito atto che fa
colui che ha istruito un altro : guardarlo fissamente per raccogliere
dal suo viso se si o no le ragioni lo han soddisfatto. Si dice: guar-
dava nella mia vista, ossia mi guardava negli occhi, perchè se ben
sì badi quando noi ragioniamo con uno, noi guardiamo mai, né
nella bocca, come ninno i muti, né io altro parti della faccia, ma
propriamente negli occhi
38tf PURGATORIO
Ed io, cui nuova sete ancor frugava, 3
Di fuor taceva, e dentro dicea: Forse 4
Lo troppo dimandar, ch'io for gli grava.
Ma quel padre verace, dia s'accorse 5
Del timido voler, che non s'apriva,
Parlando, di parlare ardir mi porse. tì
40 Ond' io : Maestro, il mio veder s'avviva 7
Sì nel tuo lume, eh' io discerno chiaro 8
Quanto la tua ragion porti o descriva: 9
Però ti prego, dolce padre caro,
Che mi dimostri amore, a cui riduci 10
Ogni buono operare, e il suo contraro.
Drizza, disse, ver me l'acute luci 41
Dello intelletto, e fleti manifesto
L'error de' ciechi, che hì fanno duci. {1
8 Cui nuova sete ecc. Nuovo desiderio di sapere altre cose.
* Di fuor taceva, e dentro dicea. Bellissima osservazione di due
linguaggi eh 3 tutti abbiamo, interno ed esterno.
5 S'accorse del timido ecc. Se un maestro ci guarda per vedere
se noi siamo persuasi o soddisfatti delle cose detteci, e noi tacciamo
gli diamo motivo di avvedersi, che noi non siamo ancor paghi, o
che ci resta altro a sapere da lui, e che se noi manifestiamo a pa-
role, ci riteniamo per riguardo del maestro. È tutta natura che
Dante non trascura mai.
6 Parlando, di parlare ecc. Gli dee aver detto p. e : Sei soddis-
fatto appieno? o ti reata altro a sapere?
i II mio veder. Il veder del mio intelletto.
8 Nel tuo lume* ecc. Nelle tue chiare, e lucide istruzioni.
• La tua ragion. Si può intender tanto ragione, quanto ragio-
namento frutto di ragione. Virgilio non parlava che guidato dal
lume di ragione. In teologia egli non entra mai.
*o Che mi dimostri amore. Che ini dimostri, che cosa sia questo
amore fonte di bene e di male.
*l Drizza ver me l'acute ecc. Aguzza al mio nuovo ragionamento
il tuo acuto ingegno, e la tua attenzione.
*' L'error de* ciechi ecc. L'errore di coloro che fanno ciascuno
CANTO XVIII. 383
L'animo ch'c creato ad amar presto,18
-J *> Ad ogni cosa è mobile che piace, u
Tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da essere verace15
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
Sì che l'animo ad essa volger face.
E se, rivolto, in ver di lei si piega, *6
^* Quel piegare è amor, quello è natura,
3 Che per piacer di nuovo in voi si lega.
-<■
amore in sé laudabil cosa, come dirà qui sotto. Siccome ogni amore
^ lo dicono naturale, perciò Io fanno sempre innocente. Or Virgilio in-
^ segnerà quando l'amore sarà senza colpa, e quando passerà ad esser
4 colpa.
•3 Duci. Allude a certi maestri de' suoi tempi.
4 *3 L'animo ch'è creato ecc. L' animo che è naturalmente fatto, per
1 Amare, e quindi all'amore è disposto.
n Ad ogni cosa ecc. Ad ogni cosa che sia piacevole si sente com-
muovere verso di lei, appena che il piacere della cosa fa passar l'a-
nimo dalla disposizione di amare all'atto di amare.
45 Vostra apprension ecc. Nella terzina precedente si parlò del-
l'atto indeliberato dell'amore, che nasce dal solo piacer della cosa.
Ma come nasce in noi questo atto? Ecco: l' apprensiva, ossia la fa-
coltà di apprendere o di conoscere, veduto fuori di sé un essere reale
(esser verace) se ne forma un'immagine (Tragge intenzione), e questa
immagine la tramanda e la spiega dentro all'animo; perchè altri-
menti ignoti nulla cupido; e siccome la immagi ae è di cosa supposta
piacevole, cosi essa fa volger V animo a lei. Ma notate che fin qui
è un semplice volgimento, e l'atto deliberato ancor non esiste.
16 E se, rivolto, in ver ecc. Il primo atto dell'animo nella circo-
stanza supposta è rivolgersi all'oggetto piacevole, e questa è ope-
razion di natura, non colpevole, ed è quella discorsa nella terzina
precedente. Ora si ragiona del secondo atto che succede al primo,
e in forza del primo, e questo si e che l'animo dopo di essersi ri-
volto all'oggetto piacevole, trovatolo di sua soddisfazione, si piega
verso di lei, dico, n piega e non si slancia. Che ò dunque questa
piega verso l'oggetto piacevole ? Questa piega ò amore. È desso giunto
con ciò ad essere un atto deliberato, e quindi meritevole di bene o
di male ? Non ancora : esso è semplice natura (quello è natura), che
]
384 PURGATORIO
Poi come il fuoco movesi in altura, "
Per la sua forma, ch'è nata a salire
30. Là dove più in sua materia dura;
Cosi l'animo preso entra in disire, ì
Ch'è moto spiritale, e mai non posa j
Fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti puote apparer quant'è nascosa18
come si era legata ed unita in voi per mezzo del piacere al primo
offrirvÌ8Ì dell1 oggetto (vedi nota 15), cosi per mezzo dello stesso pi*
cere fa lega di nuovo in voi. (Che per piacer di nuovo in voi A
lega). Finora dunque l'amore non è nò virtù nò colpa, perchè mancJ
ancora il deliberato consenso.
*7 Poi come il fuoco ecc. Procede ora il poeta al terzo atto àéL
l'animo, ossia all'atto deliberato dell'amore! che egli chiama disiré
o desiderio, o volontà deliberata. Per ispiegar questo dà la simili- 1
tudine del foco, qual'era conosciuto a' suoi tempi. Dice dunque: Cornai
il fuoco si spinge in alto portatovi dalla sua natura (forma) legge-
rissima e quindi fatta per salire (ch'è nata a salire), ed a salile
alla sua regione, che è (sempre secondo gli antichi) sotto il ciel delia-
luna, ossia nella parte più alta tra la terra e la luna, dove trovan-
dosi nel sito suo proprio e naturale, più dura nella sua materia, es-
sendo tutta fuoco quella regione (Là dove piò, in sua materia dura)»
cosi T animo preso dall'amore (che è quasi un foco) si slancia in uà
atto della volontà (Così l'animo preso entra in disire), il quale atto
è deliberato o proprio dello spirito (Ch'è moto spiritale), e quest'atto
volontario deliberato fa verso il suo oggetto piacevole quello, che
fa il foco verso la sua sfera, cioè non posa se non si unisce al ano
oggetto amato (e mai non posa — Fin che la cosa amata il fa gioire).
to Or ti puote ecc. Ora che hai veduto che cosa ò amore, e quali
sono i suoi tre atti progressivi che abbiamo ragionato, può esserti
chiaro (apparer) quanto ignorante sia chi dà per cosa certa e vera
(avvera) che ogni amore sia lodevole in so stesso (Ciascuno amore
in sé laudabil cosa). Vedrai invece che amore nei primi due atti
che abbiam veduto non è mai laudabile nò biasimevole, perchè sono
moti naturali, non soggetti né a merito nò a castigo: vedrai che
solo il terzo atto di amore può esser buono o cattivo, secondo che
buono o cattivo sarà l'oggetto a cui l'animo si slancia colla sua vo-
lontà deliberata.
CANTO XVIU. 385
La veritade alla gente, ch'avvera
Ciascuno amore in so laudabil cosa ;
Però che forse appar la sua matera19
Sempr'esser buona: ma non ciascuu segno
È buono, ancor die buona sia la cera.
40- Le tue parole e il mio seguace ingegno,20
Bisposi lui, m'hanno amor discoverto;21
Ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno. *2
W Però che forse ecc. Su che si fonda l'ignorante quando asse-
risce che ogni amore è buono ? Si fonda in ciò, che forse la materia
(Tobbietto) dell'amore :ippar esser sempre buona. Infatti si dice : La
materia o l'oggetto dell'amore e sempre il bene. Dunque l' amore è
sempre buono. Ma il poeta risponde: La materia del vostro amore
sìa pur sempre buona, ma ciò non basta perchè V amor si possa dir
sempre buono per sé stesso. Perchè l'amor si possa dire ed essere
sempre buono occorrono due condizioni: 1. che sia buona la materia
o l'oggetto dell'amore; 2. che sia buono anche il soggetto, ossia
l'atto dell'amore.
La bontà della materia amata forma il bene obbiettivo, e la bontà
dell' atto amante forma il bene soggettivo. Entrambi questi due beni
deono concorrere, perchè Ciascuno amore sia laudabil cosa.
Per far intender meglio questa verità, il poeta dà la similitu-
dine della cera e del suggello. Sia pur buona la cera, ma se il sug-
gello non è buono, come s'imprimerà una buona figura? Così sia pur
buona la materia dell'amore, ma se Tatto dell'agente o dell'amore
non è buono, come questo amore si potrà dir buono ? Quello che è
il sigillo alla cera, è l'amore alla cosa amata. Come dunque per fare
una bella immagine si richiede buon sigillo e buona cera, ossia buona
materia e buona forma ; cosi per fare un bello amore si richiede bontà
nella cosa amata, e bontà nell'atto amante.
»o Le tue parole e il ecc. La tua istruzione, e il mio ingegno che
attentamente l'ha seguita. Non basta la dottrina del maestro; oc-
corre inoltre un corrispondente ingegno ed attenzione nel discente.
-' M'hanno amor discoperto. M'hanno scoperto che cosa è amore
e quali sono i suoi atti, e quale di questi atti (il solo terzo) può
esser lodevole o biasimevole.
22 Ma db m'ha fatto ecc. Ma ciò mi ha suscitato nella mente un
dubbio più grande.
or»
386 PURGATORIO
Che s' amore è di fuori a noi offerto,98
E l'anima non va con altro piede,
Se dritto o torto va, non è suo merto.
Ed egli a me : Quanto ragion qui vede **
Dir ti posa' io; da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice, ch'è opra di fede.
Ogni forma sostanziai, che setta39
M- È da materia, ed è con lei unita,16
Specifica virtude ha in sé colletta,37
** Che s^ amore è di fuori ecc. Questo si riferisce alla terrina :
Vostra apprensiva da esser verace ecc. Dice dunque il poeta: le
tue parole mi hanno suscitato un grandissimo dubbio. Perciocché
(Che) se amore è offerto a noi dal di fuori, ossia da esser verace
fuori di noi, spiegato poi in immagine dentro a noi dalla nostra ap-
prensiva, in modo che costringe l'animo a volgersi a quell'oggetto
reale, e anche a piegarsi verso di lui; e se l'anima nostra non opera
che dietro la impressione che le viene dagli oggetti esterni (ET a*
nima non va con altro piede); ne viene di conseguenza che il
nostro amore non ha né merito nò colpa, se va dritto o torto , es-
sendo egli fonato dall'oggetto esterno: quindi non é libero, quindi
non ha merito di premio o castigo nel suo agire. Il dubbio adun-
que è sulla libertà dell'amore, che pare esser distrutta dall'azione
esterna dell'oggetto, e quindi le nostre azioni, tutte procedenti dal*
l'amore (come si é dimostrato di sopra), non sarebbero più degne né
di premio né di castigo. Il che ripugna e alla natura dell'uomo, e
alla giustìzia che punisce e premia.
34 Quanto ragion qui vede ecc. Virgilio non può dire che quello
che insegna Ragione, di cui é sempre rappresentante. Ma la Ragione
non é sufficiente a sciogliere questo dubbio : essa può dare una so-
luzione conforme ai suoi lumi, e nulla più. A questi si terrà Vir-
gilio. La soluzione completa non può darla che la Rivelazione (Da
indi in là t'aspetta — Pure (solo) a Beatrice.
ss Ogni forma sustanzial. Ogni spirito. Che setta è da mater S".
Che é senza materia, che é puro spirito, come l'angelo.
26 Ed è con lei unita. Come l'uomo, che é spirito e materia.
H Specifica virtute ecc. Ha in sé una proprietà; essa é il cosi
detto appetito d'animo naturale, ossia il concupiscibile: nelle bestie
questo si chiamerebbe istinto.
CINTO XVm. 387
La qual senza operar non è sentita, **
Né si dimostra ma' che per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita.
Però là onde vegna lo intelletto59
Delle prime notizie, nomo non sape,
E de' primi appetibili V affetto,
Che sono in voi, sì come studio in ape
Di far lo mele; e questa prima voglia
•o. Merto di lode, o di biasmo non cape.
Or perchè a questa ogni altra si raccoglia *°
Innata v'è la virtù che consiglia,
E dell'assenso de' tener la soglia.
28 La qual senza operar ecc. Essendo sola virtù, e non atto, non può
meglio sentirsi e dimostrarsi che per i suoi effetti, come la vita delle
piante non si manifesta meglio che per V effetto della verdezza delle
frondi.
W Però là onde ecc. Non potendosi conoscere in sé stessa quella
specifica virtù, che nell'uomo è appetito d'animo naturale, nel bruto
è istinto, nelle piante è vita, non si può per conseguenza sapere
onde derivino altre cose simili a quella prima virtù specifica, come
sarebbero le prime notizie dello intelletto, che sembrano innate, o
l'affetto dei primi appetibili, che sembra pur esso innato, come si
può veder in un bambino, che sa poppare senza che nessuno glielo
abbia insegnato. Queste cotali appendici della virtù specifica del-
l'uomo, che si confondono quasi con essa virtù, sono in voi, con-
tinua il poeta, come nelle api lo studio o la disposizione di fare il
mele: si sa ch'esse sono inerenti e connaturate con noi, e che non
dipendono da noi, né siamo liberi ad averle o no : e perciò questo
primo affetto o questi prima voglia é incapace di lode e biasimo.
30 Or perchè a questa ecc.- A intender bene questa e l'altra terzina
che segue, ricordiamoci di quel che disse il poeta nel C. XVII:
Né Creator, né creatura mai,
Cominciò ei, figliuol, fu senza amore,
0 naturale, o d' animo ; e tu '1 sai.
Lo naturai fu sempre senza errore.
Premesso ciò, ecco quello che qui vuol dire il poeta: Io vi ho
detto nel C. XVII, che c'è un amor naturale, che è sempre senza
388 PURGATORIO
Quest'è '1 principio là onde si piglia 3I
Cagion di meritare in voi, secondo
Che buoni e rei amori accoglie e viglia,
Color, che ragionando andaro al fondo, 3i
S'accorser d'està innata libertate ; 38
Però moralità lasciaro al mondo. 34
W- Onde pognam che di necessitate35
errore; vi ho detto testé in que3to Canto XVIII, che c'è una prima
voglia che metto di lode, o di biasmo non cape, il che vuol dire,
che è sempre senza errore, come si disse dell'amor naturale. Ma voi
dopo questo amor naturale; che e quanto dire, dopo questa prima
voglia, avete anche l'amore che abbiamo detto di animo, e avete
altre voglie di seguito alle prime. Ebbene ogni altra voglia che spunti
in voi dopo quella prima dovete ridurla alla natura della prima. La
prima fu senza errore, e senza errore dovete voi fare che sia ogni
altra. E qual mezzo vi fu dato per ciò? Vi fu data la virtù che con-
siglia, cioè l'intelletto per conoscere il valore de' vostri affetti se
buoni o rei, e vi fu data la virtù, che dee tener la soglia dell'as-
senso, ossia la libera volontà per dare o negar l'assenso come vi
pare. La virtù che consiglia, e la virtù che assente o dissente, ossia
l'intelletto e la volontà, dicesi innata perchè nasce con noi, e solo
se ne differisce l'uso sino all'età della discrezione, quando appunto
abbisogniamo di mettere in pratica la virtù innata.
3t QuesWl principio ecc. Dal punto che voi potete esercitare la
virtù dell'intelletto e del libero arbitrio, 03sia da queste due virtù
in atto si piglia cagione di meritare in voi (qui il meritare è in
senso di bene, e di male), secondo che il libero arbitrio accoglie e
rigetta (viglia o vaglia da vagliare) amori buoni o rei.
32 Color che ragionando ecc. I grandi filosofi.
33 S'acoorser ecc. Insegnarono che l'uomo ò libero naturalmente.
34 Però moralità ecc. Lasciarono al mondo insegnamenti per re-
golar moralmente le nostre azioni. Ciò non avrebbero fatto gè l'uomo
non fosse libero.
35 Onde pognam che di vcccsdtate. Virgilio ripiglia nella conclu-
sione l'obbiezione di Dante mossa nel ver. 43 e scg. e dice: Voglio
supporre con te che ogni amore che in voi s'accende sorga in voi
di necessità per la forza proponderante dell' obbietto esterno-, voi però
col vostro libero arbitrio siete padroni di ritenerlo, e per conseguenza
anche di lasciarlo.
CANTO XVII r. 38<)
Surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
Di ritenerlo è in voi la potestate.
La nobile virtù Beatrice intendi36
Per lo libero arbitrio, e però guarda
Che l'abbi a niente s'a parlar ten prende.
La luna quasi a mezza notte tarda,37
W La nobile virth ecc. Beatrice, per dir il libero arbìtrio, dice
in quella v<ce: la nobile virth. Ricordati dunque bene questa dif-
ferenza di termini «e mai ella te ne parlasse. Ma et me sapea Vir-
gilio che Beatrice avrebbe chiamato il libero arbitrio col nome di
nobile virtù? Non veggo altra ragione che l'uso delle scuole teolo-
giche del medio evo di chiamarlo ceti, cosa che Virgilio avrebbe
potuto conoscere da qualche grnnd'uomo del Limbo conoscitore di
quelle scuole, p. e. Averrois, cho cogli altri spiriti magni s'intrat-
teneva in gravi ragionamenti.
31 La luva quasi a mezta votte tarda. In questo verso dice due cose:
I. Che nel 10 < ttobre, rispondente all'I l Aprile in cui saremmo
B6 fossimo nel nostro emisfero, erri quasi mezza notte.
IL Che colà in questo medesimo dì la luna levava a quasi
mezza notte.
La I parte non li a bisogno di prova. E un fatto che bisogna
accettarlo com'è. Erano dunque quasi le 12 di notte. Solo è da no-
tare una cosa, che Dante in tutte le sue espressioni va sempre
all'ultimo grado dell* esattezza, come si e sempre veduto fin qui in
tutto, e specialmente nel calcolo delle ore. dove si mettono a conto
fino i minuti; il che abbiamo potuto osservare ogni qual volta il
Poeta determina lWa in cui si trova qui e colà. Questo sia detto
contro quei commentatori che parlando di questo quaai, ritirano
l'ora fino alle 11, e dicono che era circa un'ora prima di mezza
notte. IV ora prima di mezza notte non e mui quasi mezza notte,
presso ne^uno, e molto meno presso Dante tanto scrupoloso ed
esatto calcolatore. Dovrà dunque essere un tempo molto più vicino
a mezza notte clic non sono hi nudici, e vedremo in fatti che que-
sto quati ci porta vicin vicino alle IL tanto da potersi dire che se
era un tantino più in là, si sarebbe caduto nelle 1*2.
La II parte stabilisce un altro fatto, che ha bisogno di prova,
ed inchiudc la finale e precisa determinazione del quasi. Come dicesse
Dante: Io vi ho detto in generale che era quasi mezza notte, ma
con questa espressione generica non potete sapere quanti minuti
390 PURGATO RTO
Facea le stelle a noi parer più rade38
intenda io prima di mezza notte. Questo lo faccio passando ora dal
generale -al particolare, dicendovi che quella era l' ora e il momento
in cui levava la luna a me che era antipode di Gerusalemme. Sta
a voi adesso il trovare coi vostri calcoli in qual ora e minuto mi
levasse la luna, e allora saprete quanti minuti ci mancassero a mezza
notte, e se aveva io ragione la più rigorosa di dire che allora era
quasi mezzanotte. Ecco dunque i calcoli semplicissimi.
Quando Dante la notte dal giovedì al venerdì santo era nella selva,
allora correva il plenilunio pel nostro emisfero ; notate bene pel no-
stro emisfero^ nel quale plenilunio nasce la luna quando il sole tramonta,
( vedetelo nella Tav. VII Purg. cui vi prego ad avere sottocchio)
ed allora erano li 7 aprile, come ho dimostrato nella Tav. II dell'In-
ferno. Ebbene, saputo in qual* ora tramonta il sole addi 7 aprile, si
sa pure in qual* ora leva la luna. Ma il sole tramonta alle 6.33, per
istare all' ultima precisione. Dunque alle ore 6.33 leva pure la luna*
Ora si sa che la luna dopo il plenilunio ritarda a levare 13 gradi,
ossia 52 minuti al giorno, secondo il calcolo di 15 gradi per ora
(vedi questi ritardi nella mia Tav. VII Purg.)\ e si sa pure che
nel giorno in cui siamo (notte tra lunedi e martedì dopo Pasqua)
la luna conta già 5 giorni e 6 ore dal plenilunio, come ho notato
nella Tav. Ili del Purg. nel casellino della Lunazione. Dunque la
luna presente ritarda a levare cinque volte 52 minuti, più minuti 13
per le 6 ore: il che importa un ritardo complessivo di ore 4.33.
Aggiungete adesso questo ritardo di ore 4.33 alle 6.33 in cui
levava nel plenilunio, ed avrete la giusta sua levata presente pel
nostro emisfero, che sarà alle ore 11.6 pomeridiane.
Ma noi con Dante non siamo più nel nostro emisfero, siamo in-
vece ai nostri antipodi. Ora i nostri antipodi hanno il plenilunio,
un giorno prima di noi, e quindi alle 11.6 trovate dobbiamo ag-
giungere altri 52 minuti, che sono il ritardo della luna in un gior-
no; e cosi avremo ore 11.58, ossia 2 minuti prima di mezzanotte.
Ecco il quasi a mezzanotte di Dante, ed ecco quanto Dante sia
preciso ne'suoi calcoli, e nelle sue espressioni.
Si crede comunemente di spiegar Dante abbastanza prendendolo
all'ingrosso; ma il detto da noi fa vedere, che ogni accuratezza
non è mai soverchia. Se Dante volle essere sì sottile e scrupoloso,
sottili e scrupolosi dobbiamo esser pur noi.
ss Facea le stelle ecc. Le ore di notte in cui risplende la luna
si veggono meno stelle che quando essa non risplende, e ciò per-
chè il chiaro della luna vince il chiaro di molte stelle.
CANTO XVHI. 391
Fatta com'un secchione che tutt' arda. 39
E correa contra '1 ciel per quelle strade, *°
*>• Che il sole infiamma allor che quel da Roma
Tra' Sardi e' Corsi il vede quando cade.
w Fatta com'un secchione ecc. Il secchione è rotondo nel fondo
ma è piano nella sua parte superiore. Tale è l'aspetto della luna
nel quinto giorno dacché si scema dopo il plenilunio, nel quale è
perfettamente rotonda. Essa poi è paragonata ad un secchion che
tutto arda, perchè essa appena levata, pei vapori della terra, sem-
brava tutta rossiccia e infiammata.
*0 E correa contra 7 del. Perchè correa contra '1 ciel ? Secondo
l'astronomia di quei tempi, gli otto cieli hanno ciascuno due moti,
uno da occidente in oriente che è loro proprio, l'altro da oriente
in occidente trattivi dal primo mobile.
Dice dunque che la luna col primo di questi moti, ossia col moto
suo propri, ocorreva contro il moto che ha il cielo dal primo mobile.
Per quelle strade — Che il sole infiamma ecc. Queste strade
sono il segno del Zodiaco. Osserva la mia Tav. VII. Purg.
Nel e. XVII, Tav. Ili abbiam veduto la luna dopo 5 giorni dal
plenilunio nel 5° grado di Sagittario. Ora abbiamo 6 ore di più che im-
portano gradi 3 ifi , i quali aggiunti ai 5 fanno 8 */i . Dunque la luna
è in gradi 8 */i . E in questo segno che Roma vede cadere il sole
tra la Sardegna e la Corsica. Anche la luna allora percorrea questa
strada, cioè quella strada che ha il sole ai 29 di novembre e poco
più . Il che è un dire che la luna pasquale (qual'è la presente) nel
suo quinto giorno dopo il plenilunio sorge e tramonta, dove sorge e
tramonta il sole nel 29 Novembre quand'esso è ad 8 gradi del Sagit-
tario. Dante notò e vide questo tramonto del sole cadere precisa-
mente nello stretto che divide le due isole, il notò, dissi, e vide quando
fu a Roma ambasciato di Firenze a papa Bonifacio Vili, quando
lo ritenne a Roma facendo ritornare a Firenze gli altri suoi compa-
gni d'ambasciata.Egli vi andò in Ottobre e vi stette almeno tutto
novembre 1 301. L'epoca storica che troverete nella vita di Dante del
Balbo, lib. 1, e. 12, è cosi confermata, anzi perfezionata, in ciò che
lasciava d1 incerto, dalla osservazione che qui fa Dante, determinando
con essa indirettamente che ai 29 di Novembre si ritrovava ancora in
Roma ritenuto da Bonifacio mentre la sua patria Firenze era in mano
e alla balla de' suoi nemici Carlo di Valois (entratovi il 1 Novem-
bre 1301 ) ed i Neri.
90.
392 PURGATORIO
E quell'ombra gentil, per cui si noma
Pietola più che villa Mantovana, 4i
Del mio carcar diposto avea la soma. 4f
Perch'io, che la ragion aperta e piana
Sovra le mie quistioni avea ricolta,
Stava com'uom che sonnolento vana. 43
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
Subitamente da gente, che dopo u
Le nostre spalle a noi era già volta.
E quale Ismeno già vide, ed Asopo 45
Lungo di sé di notte furia e calca, #
Pur che i Teban di Bacco avesser uopo ;
Tale per quei giron suo passo falca. 46
ti Pietola.\h lo stesso che Andes, patria di Virgilio. È più che
villa per la fama e gloria che le vien da Virgilio.
** Del mio carcar diposto ecc. Avea deposto il peso, che io met-
tea sopra lui, de' miei dubbi e questioni.
*3 Stava com'uom ecc. Non avendo altri dubbi da farmi dichia-
rare, e perciò trovandomi senza pensieri, tra per la quiete dell'animo,
e per l'ora avanzata (quasi mezza notte), mi dava al vaneggio del
sonno.
** Da gente. Accidiosa. Che dopo — Le nostre spalle. I poeti
stavano nella facciata del monte volta ad ovest, dove gli abbiam
condotti al sommo della scala, e dove stavano seduti colla faccia
volta ad ovest com'è naturale. Quindi le anime venivano tra le spalle
dei poeti e la ripa. Vedi il mio Disegno Tav. VI, Purg.
** Ismeno ecc. Fiumi della Beozia dov' era Tebe e dove si vene-
rava qual n ome tutelare il Dio Bacco. Quei popoli nei loro bisogni
correvano a torme lungo quei fiumi di notte invocando il loro Dio,
Questo esempio di gente che corre di notte pregando, era proprio a
quei caso degli accidiosi, che correan essi pure di notte pregando.
*6 Falca, Piega a modo di falco, dice il Cesari, e dice ottima-
mente. Chi corre per un tondo, se questo tondo è di ristretta pe-
riferia, dee, correndo, restringere ed arcare il passo al centro, come
fanno i cavalli che corrono in un torneo, da' quali il poeta prese
questa immagine. Ed a ragione dice Dante che qui le anione falcano
CANTO XVIII. 303
Per quel ch'io vidi di color, venendo 4"
Cui buon volere, e giusto ajnor cavalca. <8
Tosto fur sovra noi, perchè correndo49
Si movea tutta quolla turba magna ; 50
E duo dinanzi gridavan piangendo : 3I
100. Maria corse con fretta alla montagna ; 5J
il passo, perchè qui il girone e assai ristretto, a proporzione degli altri
sotto, meno arcuati e molto più larghi, dove non si avrebbe potuto
dire che Io anime falcassero il passo. Vedi il mio Disegno alla circon-
ferenza di miglia 2 lft. Col verbo falca Dante ci fa conoscere la ri-
strettezza del monte a che Siam giunti.
*7 Per quel ch'io vidi di color, venendo. Per quanto a cagion
delle tenebre (rischiarate però dnlla luna, e questa è la ragione per
cui il poeta nominò la luna poco prima), mi fu permesso di osser-
varli nella loro venuta. Dice venendo, o nella loro venuta, e non
quand'erano già passati dinanzi a Ini, pcrchò quando veggiamo correr
molte persone l'una dietro l'altra noi guardiamo sempre ai vegnenti
non ai passati. Dicendo venendo vuol dir anche ch'egli si voltò subito
per veder chi erano quelli che venivano, essendosi già accorto che
venivano dal gridar ch'essi facevano.
** Cui buon volere ecc. Insistei sulP idea che gli fé' usare il verbo
falca. Siccome questo e proprio della cavallerizza in un torneo, per-
ciò paragona quelle anime a tinti cavalli, che corrono in circolo ; e
come quei cavalli hanno chi li cavalca, cosi quello anime sono ca-
valcate da buon volere e giusto amore, contrariamente a quando
erano al mondo ; che per la loro accidia erano cavalcate dal mal
volere, e dal non giusto amore. — Anche qui in questa pena si
vede che Lo fren vnol wer drl contrario suono.
49 Tosto fur povra noi. I poeti stavano sempre fissi in capo alla
scala , non potendo passar di là per la notte che toglie le gambe
come si disse. Correndo. Questo moto accelerato ò contrario alla
loro pigrizin nel bene avuti al mondo.
M Turba magna. K la prima volta the nel Purgatorio troviamo
tanta gente: ed a rnginne troviamo qui una turba magna, perchè il più
di quei che si salvano son stati accidiosi, o poco fervorosi nel bene,
*i Gridavan piangendo. La prima pena fu quella di correre
(n. 49); la seconda è gridar esempi ed esortazioni di fervore; la
terza ò piangere.
M Maria corse ecc. È un esempio scritturale di Maria Vergine
che ab Ut cum feslinatione in montana per far del bene a tutta
394 PURGATORIO
E Cesare per soggiogare Ilerda **
Punse Marsilia, e poi corse in Ispagna. "
Batto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor, gridavan gli altri appresso: 55
Che studio di ben far grazia rinverda. *6
O gente, in cui fervore acuto adesso 87
Ricompie forse negligenza e indugio **
Da voi per tepidezza in ben far messo,
Questi che vive (e certo io non vi bugio) 59
la famiglia di S. Elisabetta. Secondo il solito prima si mette un
esempio sacro e poi uno profano, e sarà quello di Cesare. Per dare
a questi una varietà dagli altri se ne mettono due soli gridati
non da tutte, ma da due anime sole, e in luogo dei più che si trala-
sciano si fa che le altre anime di dietro eccitino quelle davanti a cor-
rere sempre più, ed a compensar cosi il tempo perduto in tiepidezza.
** Ilerda. Ora Lerida, città di Spagna, ove Afranio e un figlio
di Pompeo ristauravano la guerra.
tu Punse Marsiglia e poi ecc. Lasciò assedio intorno a Marsi-
glia, dov'erano altri partigiani di Afranio e Pompeo, e corse in
Ispagna dov'era il nucleo principal de'nemici. Anche dai figli del
mondo deono imparare i figli di Dio, come ne insegna il vangelo.
w Per poco amor. Per accidia. Gridavan gli altri. Cosi i primi
eccitavano i secondi cogli esempi, ed i secondi eccitavano i primi di-
mostrando i mali della accidia (che il tempo non ti perda) ed i beni
che provengono dalla sua virtù contraria (Che studio di ben far
grazia rinverda).
36 Che studio ecc. Che il fervore nel bene mantien viva la
grazia, e la arricchisce di nuovi meriti.
81 Fervore acuto. E la virtù contraria all'accidia, che qui si punisce.
38 Ricompie. Ricompensa, risarcisce. Negligenza e indugio - Da
voi ecc. È ìa vera definizione dell'accidia.
Dice forse, perchè non è ancor affatto certo che questo sia il
girone dell'accidia, ma solo il conchiuse dietro la parole udite, e
perchè pregandoli egli di una grazia, era suo dovere di astenersi
dalla loro pecca più che poteva. Tale è la legge di chi prega.
*» Che vive. Tocca loro subito questa circostanza nuova e ma-
ravigliosa per indurle ad arrestarsi più facilmente. Aon vi bugio.
Non vi dico bugia.
CANTO XVIII. 305
HO. Vuole andar su, purché il sol ne riluca ; °°
Però ne dite ond'è presso il pertugio.01
Parole furon queste del mio duca :
Ed un di quegli spirti disse : Vieni °*2
60 Vuole andar su purché ecc. Abbiamo drtto altre volte che
nessun di notte avrebbe potuto salire anche sola una riga. Si po-
teva però di notte girare il monte. Ma i poeti noi fecero, perchè
non sapevano da qu:ii parte si fosse trovata la scala se a destra o a
ministra, e però si stavano ancora fermi in capo alla loro scala, aspet-
tando indirizzo dalle anime. Ecco che le anime son giunte, e richieste.
** Ond'è pre$hO. Questo onde non e ove. Esso vuol dire : da
qual parte, se a destra od a sinistra. I poeti sapeano che o da
una parte o dall'altra ci dovca essere il pertugio della salita, e se
anche avessero errato strada, a forza di girare il monte l'avreb-
bero trovato. Vogliono dunque sapere da qual parte il pertugio è
più vicino: perciò Virgilio dice: Ond'è premo \ e ciò per non get-
tare il tempo inutilmente.
•* Vieni - Diretro a noi ecc. Ricordatevi che noi siamo nella fac-
ciata del monte che guarda ad ovest, come vi dice la Tav. VI ;
ricordatevi pure che le anime degli accidiosi venivano da nord a
sud; e cosi intenderete qual direzione venga indicata con queste
parole: Vieni diretro a noi ; cioè vieni da nord a sud.
Va senza dire che i poeti aiutati allo splendor della luna, segui-
rono tosto quegli spiriti più che potevano, correndo anch'essi con loro
lungo il ciglio della strada, e cosi girando il resto di questa facciata
volta ad ovest, poi tutta la facciata volta a sud e un tratto dell'altra
ad est, come vedremo più sotto e. XIX, v. 39» per la qual gita rendesi
necessaria anche la facciata del monte volta a sud, Tav. Vili, (solo
perchè è percorsa anche dai poeti insieme cogli accidiosi, e per po-
ter coal render ragione del come si trovi Dante nel e. XIX per la
seconda fiata nella facciata di est, e precisamente alla metà di essa
faccia sopra la porta del Purgatorio, ond'era partito dopo la con-
fessione fatta ai piò dell'Angelo.
Notate tre cose: 1. Che Dante si fa più girare in questa cornice
che* nel r altre per torgli meglio l'accidia, peccato tanto comune;
2. Che la facciata di sud non ha qui altri fotti che il passaggio,
essendo essa e quella di est, come migliori, riserbate al Paradiso
terrestre ; 3. Che i disegni comuni sono tutti errati, mettendovi
tutte le salite nella sola facciata di est, e quindi confondendovi il
disegno sì ragionato di Dante.
39G PURGATORIO
Diretro a noi, che troverai la buca: (J*
Noi siam di voglia a moverci s\ pieni, 6i
Che ristar non potem ; però perdona,
Se villania nostra giustizia tieni.,65
r fui Abate in San Zeno a Verona 6G
Sotto r imperio del buon Barbarossa, ^
120« Di cui dolente ancor Meian ragiona.
63 Buca* Per la strettezza dell' imboccatura della scala tra i duri
massi del monte.
6i Noi siam di voglia ecc. Quegli spiriti fin ch'erano in vita
erano tutto il contrario di quel che sono presentemente. In vita
erano di voglia a moverei si vuoti, che andar non potevano: ora
invece sono si pieni di voglia a muoversi, che non possono ristare.
Avvertite che questa era la loro pena, mediante la quale si pnr-
gavan del lor peccato.
68 Nostra giustizia. La condizion nostra impostaci dalla divina
giustizia, come dicesse : Se tieni per atto scortese il nostro non fer
marci datoci in pena dalla giustizia di Dio, perdonacelo.
M /* fui Abate ecc. Gherardo II.- In San Zeno a Verona. Cele-
bre ed antica Abazia del medio evo, durata sin presso al morire
dei secolo XVIII, onde uscirono vescovi e papi. Accanto havvi la
famosa basilica di S. Zeno incominciata a spese di re Pipino, con-
tinuata dai Carlovingi e dagli Ottoni, e compita dal vescovo d i
Verona Ognibene. Custodisce il corpo del vescovo S. Zeno in un
vastissimo sotterraneo dove fu traslatato dall'attigua chiesetta che
riesce sotto la sacristia, la quale chiesetta era quella dove predicava
il santo, e dove avvenne il prodigio dell'acqua, raccontato da
S, Gregorio Magno. Dante avea visitato questo monastero nella
sua prima venuta a Verona sotto Bartolomeo della Scala. Allora
era in un borgo della città; ampliata questa rimase compreso entro la
cinta.
67 Sotto V imperio ecc. In questo verso si assegna l'epoca pre-
cisa in cui iu Abate Gherardo II. Esso vi fu Abate quando Ve-
rona, dopo la destituzione dei consoli, fu governata dai pqdestà
posti dall' ir iperadore Federico, detto Barbarossa, dalla rossa sua
barba. Ma questo governo del Barbarossa designerebbe un tempo
troppo generico, perchè si estenderebbe dal 1155 sino al 1190, cioè
dalla sua occupazion di Verona sino alla sua morte, occupando cosi
un periodo di 35 anni. Dante non ha il costume di esser troppo
canto xvm ss:
E tale ha già Tun pie dentro la fossa. w
generico in nessuna sua cosa, e oé nenuLt^o in questa. Per
tirare quest'epoca dal genere alla ssa specie vi pose l'aggiunta dei
buon £j risarcita. -Dì mi dzltnU. anc:<r Meìz-t raci.ra. e così ci
ha specificalo in quali di pe=ti S5 sud: il <.*L*rard:- fosse Abate :
«oè il Gherardo fu A Vaie in quel!'ep-.«a. che Barbaro»:* tra •«ul-'s:.
e dopo Tanno delh dir; radon di filano, che fu nel 1102. A Lag-
gior chiarezza della casa sappiasi chi: li vita di Birlirossa può
dividerei in tre epoche: la prin.*. buona, e onesta e cai 1I5J anni-
in che fn innalzato all' i ap^ro- sinn a tuli j il 55 : la secónda, rea.
e questa è dal 1156 sin:* al 1177 anno della sua sottomissione al
Papa in Venezia): !a terza ei n tin, ancor buona, dal 1177 sino
al 1190. in coi il', ri nella croci ita di terra santa. Da insti cenni
risolta chiarissimo l ~ che Gherardo fu Abate quandi Barbarossa
era buono: 2r che ii Abate non nella prima epoca buona, ma
nefla terza pur biona. perche il Gherardo stesso fi riporta ad una
epoca dopo la distruzion di MiUuo. Dun-jue Dante o per Ini Ghe-
rardo ci dice, ch'egli ra Ab ite tra il 1 177 e U 11M, in cai p«otevasi
appellar buor,z il Birb crossa in se~:?o propri: di questa piarola. e
non in serico traslto ed ironico, come vogliono p*r errore tutti
i commini ato ri. i quali non sap«eiidj sp/ egire questo epiteto di
buono dar- ai Barbar .-=5*. se la cavano dicendolo usato in senso
d'ironia, che in questo luojo e in bocca di tal p*erK>na sarebbe la
cosa h più insulsa, e la n.en concludente, e distruggerebbe i pensi
dotti e profondi de noi vi abbiamo scorti, e eh* sodo secondo lo
ingegno e l'arte di Dinte. Da ciò si raccoglie che l'Abate Ghe-
rardo ri trovava al Purgatorio da circa 110 anni, a contarlo
dalla morte di Fé ieri go sino al 13ó0. nel quale qui Dante lo vede.
Questa lunghezza di pena ed a tre che sappiamo anc-r più lunghe sono
basate sulle credenze cattoliche, e sulle asserzioni dei cattolici dottori.
€» E tal*. E v'La un cotale, che è secchio, vicino a morire. Era
Alberto della Scala, già prima podestà di Mantova, indi signor di
Verona, success i al fratello Masi no I dall'anno 1-77 al 1-01 in cui
m
mori Siccome il viaggio di Dante nell* altro mondo si p ^ne ne! loO.\
e Ai'oerV, mori nel li 01. perciò a ragione si dice che h.i eia .""».«
pie detti :'j fossa. Trattandosi dei signori delia mia jàtria. trat-
tar.-dosi d cilici ed ospiti di L'ante, p.resso i quJi scrisse buona
parte del suo traina, e trattandosi finalmente di uno di Ito Sastino 1.
eh*- prima di e^nr podestà di Verona fu podestà di Cerea, mia pia-
'occhia, credo fa: cosa degna di offrir 1" aibero genealogico di questa
iUu-tic fami g Uh. ka porremo in fine del Canto.
398 PURGATORIO
Che tosto piangerà quel monistero, 6f
E tristo fia d'avervi avuta possa ; 70
te Che tosto piangerà ecc. Che (nominativo) tosto (per la sua
morte che avverrà in breve) piangerà quel monistero o il mal che
fece a quel monistero. Non si dice dove dovià Alberto piangere i
guai di cui fu egli cagione a quel monistero, se in Inferno o nel
Purgatorio. Pare che il poeta accenni all' Inferno,appunto per aver
avuto riguardo a specificarlo. Se si fosse trattato di solo Purga-
torio questi riguardi non avrebbero avuto luogo. Si deduce questo
anche dall' aggiunto tristo, che calza più ai dannati che ai purganti,
della terzina più sotto: Io non so se piò disse ecc., dove il poeta
per non inimicarsi il figliuolo Can Grande (nel cui tempo egli scrivea
questi versi) lascia la cosa pendente.
70 E tristo fia ecc. £ fia dolente. Avvertite che Dante quando
dice tristo lo intende sempre applicare a' dannati. -•• D'avervi avuta
possa. L'autorità che godette Alberto in Verona (dice la storia) non
fu di capo di republica, o di semplice capitano del popolo, quaL
era, qual venne eletto, e qual doveva essere, ma era di padrone
assoluto e monarchico. Infatti sotto di lui cominciò a sparir affatto
il governo del popolo, ed a introdursi il potere assoluto. Anche la
elezione del podestà la riservò a so medesimo. Non è quindi mara-
viglia che voleste dominare anche per entro ad un monastero, e domi*
narvi con tanto scandalo e pregiudizio del fervore monastico. Questa
è la ragione perchè tanto di lui si duole l'Abate Gherardo. Egli
che ornai conosce il male dell'accidia, cagion funesta della perdita del
vero spirito monastico, non può non detestare quelle influenze mon-
dane, che portano la tiepidezza e lo scandalo nei chiostri. Ricor-
diamoci che questa fu la causa della dissoluzione monastica in altri
tempi vicini a noi. Dante gran conoscitore di spirito, pose ottima-
mente in bocca dell'abate Gherardo questa giusta censura della
prepotenza Albertina. L' influenza preponderante degli Scaligeri in
poco più di un secolo che signoreggiarono Verona, non si limitava
in fatto ecclesiastico al solo monastero di S. Zeno, ma si estendeva
anche nel vescovado, ed è notevole che in un secolo Verona ebbe
ben cinque vescovi, tutti Scaligeri, e sono i seguenti :
1. Guido 1274-1275.
2. Bartolomeo 1278-1290.
3. Pietro 1290-1295.
4. Bartolomeo II 1338 (prima abate di S. Zeno 1321-1330).
5. Pietro li, passato a Lodi nel 1387.
CANTO XYIU. S»
Perchè suo figHo. mal del corpo intero. T*
£ della mente peggio, e che mal nacque.
Ha posto in luogo di suo pastor vero. **
Io non so se più disse, o s'ei si tacque. '
Tant'era già di là da noi trascorso : ~*
Ma questo intesi, e ritener mi piacque. 7&
***■ E quei che m?era ad ogni uopo soccorso, w
: Volgiti in qua, vedine due"7
71 Pente tuo figli* ecc. Area nome Giuseppe, di cui ai
qui tre brutte qualità: 1. storpio [mal del corpo intere' r. 2. Boemo
di monte più che noi fesse di corpo 'E detti mente peggio j: 3. ba-
stardo (e cke mal r*arqvi . Lo troreni zKlTalbero genealogico in
fine del canto : dove troverai che onesto bastardo fa esso pare pa-
dre di bastardi I vizi dei padri passano nei figlinoli. GÈ Scalìgeri
ebbero mi turpe vasto in questa specie di «^arì^mT;
74 Ha pò fi:1 in lu:*?:. Per prepotenza lo fece eleggere abate del
convento. Sicetcne il monastero non dipendeva dalla giurisdizione
Tescovik. perciò ì monaci aveano per vero pastore l'abate e non il
vescovo, a differenza degli altri fedeli. Per questo si dice qui «a
postar vero. Grande sventura per qnel monastero, e grande respon-
sabilità per chi ne fa causa.
H Io non *o se più diète ecc. Assai fino artificio poetico per far
intendere che altre cose più gravi ancora si vogliono con questa
specie di reticenza nascondere, ebe Dante gHeTavrebbe fatte dir vo-
lentieri; se non avesse avuto giusti fini di tacerle, come vedremo
che per giusti fini anche nel Paradiso, parlando dello stesso Can-
grande. tacerà di molte ignominie per non pregiudicar troppo alla
propria persona e famiglia.
"* Tant'era già di là ecc. Correndo gli spiriti più di quel che
potesse correr Dante, essi gli erano trascorsi molto innanzi
75 jtfa questj intuì e ritener mi" piacque. Come per saggio di
quel peggio che forse avrà detto, e eh lo non ho potuto intendere-
'* E quei ecc. Virgilio.
~ Volgiti in qua. vedine due. Questa schiera di accidiosi aveano
due di loro per avanguardia, e quegli gridavano esempi di fervore
premiato, come abbiam veduto, e due ne aveano per retroguardia, e
questi gridavano esempi di accidia punita. Cosi secondo il solito i
perca tori stanno tra due freni, e da entrambi è loro incuorata la
virtù di cui mancavano in vita,
400 PURGATORIO
All'accidia venir dando di morso. 78
Diretro a tutti dicean : Prima fue 7a
Morta la gente, a cui il mar s'aperse,
Che vedesse Giordan le rede sue. *°
E quella che l'affanno non sofferse 81
Sino alla fine col figliuol d'Ànchise,
Sé stessa a vita senza gloria offerse.
Poi quando fur da noi tanto divise 82
•
78 Dando di morso. Rimbeccando l'accidia col suo contrario,
ossia facendo guerra all'accìdia col loro correre fervoroso in con-
trarietà al torpore e tiepidezza ch'ebbero in vita.
79 Prima fue morta ecc. Tranne Giosuè e Caleb, tutti gli Ebrei
che uscirono d'Egitto, e pel mar che s' aperse vennero nei deserto,
vi perirono prima di giungere al Giordano, ch'era il fiume di con-
fine della terra promessa ad oriente, e vi perirono in pena d'esser
tardi al bene, ossia in pena della loro accidia.
80 Le rede sue. I suoi eredi legittimi, i quali erano i discendenti
di Abramo per Isacco, alla posterità del quale Dio fece la promessa
di dare in retaggio la Palestina.
81 E quella che V affanno ecc. Una parte dei seguaci di Enea
stanchi degli affanni del mare, come giunsero alla spiaggia occiden-
tale di Sicilia, preferirono il riposo di quelle terre alla conquista di
Italia, onde colà rimasti col loro capo Aceste, lasciarono seguire
Enea la sua gloriosa carriera in Italia. Anche qui secondo il solito ad
un primo esempio sacro vedete aggiunto un esempio profano d'accidia
per mostrare che la religione e la società abborrono questo vizio.
M poi quando fur da noi ecc. Quantunque i poeti corressero
anch'essi dietro all'ombre, pure essi correvano assai meno che le
ombre, e perciò queste li trapassavano, tanto che i poeti più non
le videro. Ma intanto a forza di correre, i poeti aveano trascorsa
tutta la facciata del monte volta ad ovest (vedi Tav. VI), più
tutta la facciata volta a sud (vedi Tav. Vili), e quasi mezzo
giro della facciata volta ad est (vedi Tav. IV) , per cui senza sa-
perlo erano vicinissimi alla scala ed all'Angelo, che stava a piombo
della porta d' ingresso del Purgatorio. E questo è quello che l'abate
Gherardo avea detto a Virgilio, quando gli disse: Vieni diretro a
noi che troverai la buca. Ecco in fatti che la buca era là dove gli
ultimi due spiriti trapassarono i poeti.
CANTO XVIII. 401
14°- Quell'ombre, che veder più non potersi,
Nuovo pensier dentro di me si mise, 83
Dal qual più altri nacquero e diversi : 8fc
E tanto d' uno in altro vaneggiai, **
Che gli occhi per vaghezza ricopersi, w
E il pensamento in sogno trasmutai.
87
83 Nuovo pensier ecc. Se ne andarono da me i pensieri gravi che
tengono l'anima svegliata, e dacché altro d'interessante non si of-
friva più a' miei sensi per tenerli desti, mi si mise dentro nuovo
pensiero, uno di quei pensieri leggeri leggeri che ci vengono quando
sonniferiamo, e siamo li ìì per abbandonarci al sonno.
** Dal qual piU altri ecc. Appunto il corpo si dispone al sonno,
ed all' abbandono o meglio concentramento dell' anima mediante
molti pensieri vaghi e diversi, l'uno dei quali nasce dall'altro;
senta però concatenazione d' idee dell' uno dall' altro.
M E tanto d'uno in ecc. I pensieri in questo stato non possono
essere che vaneggi, ossia cose vane, e sempre più vane a tenore
che l'anima si concentra al cuore ed abbandona la mente.
tt Che gli occhi per ecc. Che mi diedi al sonno per non esser
ornai più la mente occupata in pensieri fìssi, ma solo in idee sì vaghe,
da poterle dire la stessa vaghezza.
87 E il pensamento in ecc. E quando proprio fui preso dal sonno,
allora i molti e vani e vaghi mici pensieri mi si trasmutarono in
un sogno ; che per essere un sogno messo da Dio, era ragionato e
significativo, e non vano come i precedenti pensieri.
Essendo il sonniferare (che e indicato dai vaneggi precedenti)
esteso sino al principio del vero sonno (che è indicato dal verso:
che gli occhi per vaghezza ricopersi ) ; e sapendosi che al principio
di questo sonno i pensieri si cambiarono in sogno, che, come dice
nel Canto seguente, avvenne presso l'alba, ne segue per conseguenza
che il sonniferare o la sonnolenza fu lunga tanto quanto è dalla
mezza notte fin presso all' alba. Al principio del canto seguente
diremo di quest'alba. Intanto basta che sappiamo die Dante non
ha veramente dormito che cominciando da poco prima dell' alba, e
che il reato da questo punto sino alla mezzanotte indietro non fu
che una sonnolenza.
86
Airi
PURGATORIO
ALBERO GENEALOGI
ISSARLH
1.° dalla Borgogna, secondo alcuni. dovT erano assai
2.° da Scalimburg, secondo altri, donde seguirono Bi
Jacopino Broc
I T
Mastino I.
primi podestà di Cerea verone** .
1158. poi podestà di Verona 1J6*.
finalmente quasi signore assolalo ;
m. 1317 uccìso.
I
Bartolomeo
sema figli legittimi; m.
1804. — Prima venata dì
Dante in Verona, nella
quale die principio al-
l' Inferno.
Alberto II.
I
Alberto I.
signore assoluto di Veron
uccisione di Mattino; m. i
Canqrande II
detto Canrabbioso fatto
uccidere da Cansignono.
/
/
I
Alboino
1311.
m
I
I
Mastino II
manto di Tarìrtea
Carrara ; m. 1331.
Legittimi |
Illegittimi
I
Paolo Alboino
fatto chiudere nel 1365 da C'insignorir)
nella rocca di Peschiera e da lui fatto
strangolare poco prima del 1375.
CANTO XVIII.
FAMIGLIA SCALIGERA.
>ua moglie
donde esularono per salvarsi dalla vendetta del Duca,
militarono, e cessato il servizio si fermarono in Verona.
ECCAFIGA
4(KJ
I
Manfredo
• storico Dalla Corte
tcovo di Verona. Dee
Ilo che noi abbiamo
juido (D. 70;.
Bocca .
ucciflo dai suoi domestici
presso Viiiafranca.
Corrado Aimonte
Francesco
an Grande
i. 1329 senza figli la-
Seconda venuta di
a Verona nella quale
>ltre la mela del Pa-
ti ùuo ai C. XVII.
Giuseppe
abate in San Zeno m Verona nel 1292, m. 1309.
I
5SIGN0RI0
ixa figli legittimi.
Ille gittimi
Fregnano
Bartolomeo
abate d> S. Zeno di Verona
4321-1336 poi vescovo di
Verona, ucciso da Masti-
no Il noi 1338.
I
>LOMEO
? re dal fra-
ilo m. 1381.
I
Antonio
cacciato dal Visconti, 1881. Alorto
di veleno sulla montagna di Forlì
1387. Sotto di Antonio si estinse
la signoria degli Scaligon in Ve-
rona.
I
Can Francesco
senza signoria.
Quest'albero genealo-
gico ò tratto dalla Storia
di Verona del Dalla Cor-
te e del Venturi. — I
vescovi di questa fami-
glia sono tutti riportati
in questo Canto, u. 70.
CANTO XIX
Argomento.
•
Sogna Dante presso V alba una donna brutta e falsa, ed
un' altra bella e santa. Si sveglia. I poeti vanno in cerca della
scala. L'angelo custode di quella gli invita a salire. Salgono t
ragionano. Giungono intanto al quinto giro degli Avari. Dante
li vede e ne descrive la pena. Virgilio li dimanda del cammino
per salire. Un'ombra risponde, e Dante va sopra lei chieden-
dola chi fosse stata. Era V ombra di Papa Adriano F, che di sé
e del suo peccato e della sua pena parla a Dante, Dante *' in-
ginocchia per riverenza, ma V ombra noi consente, e gliene dice
il perchè. Adriano V licenzia finalmente il poeta, e nel licenziarlo
gli tocca di Alagìa sua nipote, la sola rimastagli al mondo.
NB. Vedi tutti i casellini di questo Canto nella Tav.lJl Purg.,o la Taf. IV Purg.
.Nell'ora che non può il calor diurno4
Intepidar più il freddo della luna,
* Neil7 ora che ecc. Neil' ora nella quale ecc. Quest' ora è circa
r ultima della notte, quella che precede l' alba. L' alba negli 11 ott.
del Purgatorio rispondenti ai 12 apr. di Gerusalemme nasce alle 4:84.
Dunque un' ora prima sono le 3:34. — Non può il calor diurno —
Intepidar ecc. Il calor diurno prodotto dai raggi solari, durante il
giorno, non si spegne affatto col partir del sole e de' suoi crepu-
scoli, ma continua benché scemando gradatamente, anche durante
la notte, e cosi intiepidisce il freddo della luna. Ma v' ha un' ora
della notte, in cui il calore prodotto dal sole del di innanzi non
può intiepidir il freddo raggio binare, e quest1 ora è appunto l'ul-
tima della notte, nella quale esso calore è vinto dal freddo naturai
della terra, rimasta molte ore senza sole, ed anche è talora vinto
da Saturno, altro freddo pianeta, quand'osso si ritrova sull'orizzonte,
che non sempre avviene, e perciò si dice talora.
96 a
406 PURGATORIO
Vinto da Terra o talor da Saturno;
Quando i geomanti lor maggior fortuna *
Veggiono in oriente, innanzi all' alba, 8
Surger per via che poco le sta bruna ; 4
* Quando % geomanti ecc. I geomanti sono indovini che segnano
in terra i loro punti superstiziosi, secando che indica la parola
greca; come i chiromanti sono quelli che li segnano sulla mano.
Questi geomanti hanno un punto di maggior fortuna, ed è quando
facendo alcuni segni a caso nella sabbia riesce loro di delinear
l'Acquario ed il principio dei Pesci, che sono le due costellazioni
che precedono l'Ariete, a 22 gradi del quale abbiamo presentemente
il sole. (Vedi la mia Tav. Vili).
* Innanzi alV alba. Abbiamo veduto (n. 1) che oggi è alba alle
4:34. Da qui ad ore 1:40, che saranno le 6:14 nascerà il soie che
ora è nel 22 grado di Ariete verso il Toro dove puoi conside-
rarlo per te nella mia Tav. VII, Purg. Ma se il sole è nel 22 grado
di Ariete verso il Toro, quanti gradi ci saranno tra il sole e il 29
grado dei Pesci ? Ci saranno gradi 22 + 29 che formano 51. Questi
51 gradi (a 15 gradi per ora) quante ore ci portano indietro dalla
nascita del sole ? Ci portano ad ore 3:24 ; che sono appunto ore
1:10 minuti prima dell' alba. Questa precisamente è l' ora indicata
qui dal poeta. Colla prima terzina ha indicato, secondo il suo so-
lito, in modo generico, che Torà di cui parla è l'ultima della notte;
e con questa terzina, secondo il suo solito, in modo più speciale e
preciso, ha indicato qual' ora sia questa, cioè le 3:24 minuti, ossia
ore 1:10 minuti innanzi all' alba-, nella qual' ora stanno sull' oriz-
zonte i Pesci per un grado, e tutto l'Acquario, entrambi i quali
segni cosi posti formano la maggior fortuna dei geomanti. (Vedi la
mia Tav, VII).
* Surger per via ecc. Questa maggior fortuna (ossia tutto l'Ac-
quario ed una piccola parte dei Pesci) la veggon sorgere ancora
notturna, o bruna; ma per poco, perchè da qui ad ore 1:10 la via
del cielo non istà più bruna alla maggior fortuna dei geomanti,
perchè da quel punto comincia 1' alba, e finisce quindi la notte,
della quale si giovano i geomanti. Geomanzia, Necromanzia e simili
scienze erano dilette a molti del medio evo. Dante seguendo 1' indole
dei tempi, si vale anche di questi per abbellire la sua poesia, e per
conservare cosi le cognizioni, sebbene false, dell' antichità. Fin qui
il poeta per esprimere le 3:24 antim. Vedete che ingegno, che dot-
trina e che studio !
CANTO XIX. 407
Mi venne in sogno una femmina balba, K
Con gli occhi guerci e sovra i pie distorta,
s Mi venne in sogno una femmina. È questo il sogno che accennò
nelT ultimo verso del Canto precedente. A che questo sogno ? Questo
sogno serve a disporlo alla visita dei tre gironi che ancora restano >
nei quali si piange di aver posto il cuore in tre specie di beni falsi,
che costituiscono la falsa felicità mondana e sono tre piaceri, delle
ricchezze, della crapula e della lussuria. Questa falsa felicità mon-
dana gli viene mostrata sotto l' immagine poetica di una femmina
tutta difettosa per sé medesima; come per sé medesima è difettosa
la felicita mondana; la qual femmina diventa poi bella in apparenza,
ma perchè è fatta diventar tale da Dante col suo mirarla; come
la mondana felicità diventa apparentemente pregevole sol perchè
noi vi poniamo 1' ocehio ed il cuore che fa parer belle anche le cose
brutte: la femmina tutta cangiata, di brutta in bella, ma sempre
in apparenza, incatena col suo fascino Dante sedotto, il quale pare
non possa più vivere senza di lei, tanto ella gli piace ; come la mon-
dana felicità una volta che sia stata gustata dall' uom sedotto, lo
incatena e lo fa suo. Mi ecco che nel maggior pericolo di Dante
viene una donna santa e presta, che facendo dioudare da Virgilio
la infinta bella, fa vedere e sentire a Dante tutto il suo errore.
Cosi la grazia misericordiosa di Dio avendo compassione del pec-
catore vittima di questi inganni, col mezzo di un'altra donna santa,
e pronta alla salute dei traviati (la santa Chiesa simboleggiata
sempre in S. Lucia) fa scoprire anche col mezzo della retta ragione
al peccatore tutta la nefandezza d-3lla mondana felicità, e cosi lo
salva dalle sue lusinghe. Questo è tutto il sogno di Dante, ed il
suo concetto allegorico. Il sogno ed il concetto è opera stupendis-
sima. Li verità non fu mai meglio spiegata. Questa spiegazione
basta ad intender lutto. Chi volesse dirne di più correrebbe peri-
colo di sparger tenebre sulla luce. Solo dirò, che Dante in questo
simbolo della falsa felicità ebbe un precursore in S. Giovanni Gri-
sostomo, e forse da lui tolse l'immagine. Ecco le parole di questo
Dottore n^l libro Quod nemo labditqr nisi a seipso « Ut enim
pulcritudo ìiieretricum fucis et pigmenti 8 comparata, pulcritudine
destituta, turpem ac deformem faciem, pulcram et formosam esse
facit illis, qui ca decipiuntur, cum palerà non sit : ita etiam di'
vitiae fuciunt ..... Ac si quando indutam larvam superveniens
mutatio rerum sustulerit, ac detexerit, quemadmodum vultus ilio*
sol missia radiis calidioribus, tum sic dare videbis ecc. »
408 PURGATORIO
Con le man monche e di colore scialba. 6
10- Io la mirava; e, come il sol conforta7
Le fredde membra che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta
La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d'ora, e lo smarrito volto,
Com' amor vuol, così le colorava.
Poi ch'ella avea il parlar così disciolto, 8
Cominciava a cantar sì che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
Io son, cantava, io son dolce sirena,9
2°- Che i marinari in mezzo al mar dismago ;
Tanto son di piacer a sentir piena.
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
& Scialba. Di color cadaverico. In tutta questa terzina si adom-
bra la schifezza della mondana felicità, qua! ch'ella sia.
i Io la mirava ecc. In questa e nell' altra terzina seguente si
dimostra che la mondana felicità non avendo pregio reale in sé
stessa, anzi avendo tutti i difetti, noi colla nostra immaginativa, e
colle nostre passioni ce la fingiamo bella e perfetta.
s Poich' ella avea il parlar ecc. In questa terzina e nell' altre
due seguenti si dimostra che quando la falsa felicità mondana si
è aperto l'adito al nostro cuore, allora ci affascina con ogni sua
lusinga, e e1 incatena tanto a so stessa, da parer impossibile di farne
senza.
9 Io son, cantava, io son ecc. In questa terzina e nell' altra se-
guente si adombrano le tre specie di piaceri ond' è costituita la
mondana felicità: ricchezze, crapole, lascivie, tutte con le loro con-
seguenze funeste. Le ricchezze, che si acquistano principalmente colla
navigazione, hanno per conseguenza le perdite (che i marinari ecc.)
Le crapole a cui si affeziona massimamente la vita degli avventu-
rieri, hanno per conseguenza l'obesità, e la natura bestiale alla
quale appunto ridusse Circe i compagni di Ulisse. Vedi Inferno,
Canto XXVI v. 47 (Io volsi Ulisse ecc.) Le lascivie, che il poeta
esprime con tanto riserbo e castigatezza con quel suo meco s* ausa,
hanno per conseguenza la ostinazione nel peccato (E qual meco ecc.)
CANTO XIX. 409
ÀI canto mio ; e qual meco s' ausa
Rado sen parte, sì tutto V appago.
Ancor non era sua bocca richiusa,
Quando una donna apparve santa e presta l0
Lunghesso me per far colei confusa.
0 Virgilio, Virgilio, chi è questa? u
Fieramente dicea : ed ei veniva ls
*o Una donna ecc. S. Lucia che simboleggia la Chiesa, che è
santa, e che è presta al soccorso de1 suoi fedeli in perìcolo. Errò
chi intese la Filosofia, la quale non è personaggio da Purgatorio,
e la quale finalmente non è, e non può essere il rifugio e la difesa
dei penitenti confessi, quale è qui Dante. Il primo ed il più grande
sostegno dei penitenti è la S. Chiesa figurata in S. Lucia, perciò
noi 1* abbiamo veduta finora interessarsi per Dante due volte ; la
prima, quando Dante era nella selva dei vizi (/»/. C. II), la se-
conda quando Dante già pentito dovea esser portato al tribunal di
penitenza per la sua confessione a' pie dell'Angelo sulla soglia di
ingresso al vero Purgatorio (Purg. C. IX). Questa dunque sarebbe
la terza volta che la Chiesa a' interessa pel suo penitente, e dav-
vero che ci avea ben onde interessarsi, perchè chi ha ricuperato la
grazia colla contrìzion perfètta, e poi coli' assoluzione sacramentale,
non è perciò impeccabile, anzi il tempo della penitenza è d'ordinario
il tempo della tentazione, secondo quel detto: Fili accede™ ad
tervitutem Dei praepara animarti tuam ad tentationem : nei quali
bisogni la Chiesa accorre pronta in aiuto de* suoi tentati figliuoli
Tutto ci vien dalla Chiesa.
H 0 Virgilio, Virgilio ecc. S. Lucia, o la Chiesa, visto il peri-
colo del suo fedele, si volge a Virgilio o alla Ragione sua guida, e
lo provoca a disingannare il pericolante, essendo la materia di que-
sto inganno tutta cosa di ragione.
4* Ed ei veniva — Con gli occhi fitti ecc. Virgilio, o la Ragione,
venendo a S. Lucia e tenendo gli occhi fissi solo in lei mostra di
dipendere da lei e di riceverne la missione. Ottimamente. Perchè
quantunque la Ragione possa convincere l'uomo, non lo può muovere
perfettamente ad abbonire i falsi beni mondani. Virgilio intanto o
la Ragione cosi mossa da un essere soprannaturale mostra la fallacia
dei beni mondani colla terzina : L'altra prendeva ecc. Rivedi qui
li sette ultimi versi del Canto XVII: Altro ben è che ecc., ai quali
26 b
410 PURGATORIO
3°- Con gli occhi fitti pure in quella Onesta.
L' altra prendeva, e dinanzi 1' apriva
Fendendo i drappi, e mostravano il ventre :
Quel mi svegliò col puzzo che n'usciva.
F volsi gli occhi ; e il buon Virgilio: Almen tre"
Voci t' ho messe, dicea : sorgi e vieni, u
si^ riferisce questo sogno, il quale altro non è che una spiegazione di
quei versi, che compisce cosi il trattato lasciato allora da Virgilio
in sospeso, perchè Dante lo cercasse da sé.
** /' volti gli occhi. Li volsi a Virgilio — Almen tre — Voci ecc.
Ti ho chiamato almen tre volte, perchè nasceva il sole, e alla na-
scita del sole dee finire ogni sonno. Da qui a poco vedremo che
il sole era già tutto nato, ossia tutto sopra 1* orizzonte. Del resto
queste tre chiamate hanno pur relazione al sogno stesso, ed al pe-
ricolo che pò tea venirne a Dante stesso nel sogno per causa di
quella femminaccia, giacché Dante sebbene pentito, coufesso e già
buon penitente non era per questo confermato in grazia e potea
benissimo cadere nei lacci della tentazione. E vero però che Vir-
gilio, conoscitor degli interni moti di Dante, avrebbe dovuto scuo-
terlo prima, cioè al principio del sogno, giacché il pericolo cominciò
fin dal principio, che è quanto dire 3:24, invece non lo scuote che
alla levata del sole. Perchè? Ricordatevi del rimprovero che la
donna santa e presta diede a Virgilio per la sua lentezza d' insor-
gere alla difesa del suo guidato, e lo saprete. Questo vuol dire che
la Ragione è insufficiente a tanto uopo. Ma quando la Ragione è
mossa dalla Fede, o dalla Chiesa che la possiede, allora subilo la
Ragione entra in campo vigorosa e vince. Confrontando ora il ter-
mine del sogno col suo principio, vediamo esser durato dalle 3:24
alle 6:14, che è la presente nascita del sole : ha durato cioè ore 2:50.
** Surgi e vieni, — Troviam ecc. Surgi ; da dove ? Da dove era
rimasto quando le due ultime anime accidiose sparirono agli occhi
suoi. £ dov'era allora precisamente? Attenti bene. Dante si tro-
vava presso T orlo esterno del girone, cosi che Virgilio era proprio
rasente Torlo, e Daute accanto a lui aldi dentro. (Vedi il mio di-
segno Tav. IV, cornice IV, altezza migl. 94 3j8, metà della fac-
ciata). Ivi trovate Virgilio al di fuori suIP orlo della strada, Dante
accamto a lui al di dentro, e la scala dirimpetto. Come si prova
che Dante è in questo punto preciso ? Si prova cosi : È presso
CANTO XIX 411
Troviam la porta per la qual tu entre.
Su mi levai, e tutti erari già pieni "
Dell'alto di i giron del sacro monte,
all' orlo, perchè appunto presso P orlo, ossia subito dopo che i poeti
posero il piò dalla scala alla cornice dell'accidia, furono colti dalla
notte (C. XVII, n. 33, v. 76), al cui spuntare nessuno avrebbe
potuto salire oltre ad una riga, come disse Bordello (C. VII, v. 55).
Però se non poteano salire, poteano girare intorno, e girarono in-
fatti insieme coli' anime degli accidiosi, tenendosi sempre nel giro
presso Torlo, ov' erano giunti dopo la salita "della scala correndo
gli accidiosi tra i poeti ed il monte, andando però Virgilio sempre
al di fuori, e Dante al di dentro per sua sicurezza. Cosi è provato,
che i poeti dovean sempre trovarsi presso T orlo della strada. Provo
poi che questo punto era precisamente nella metà della facciata del
monte, che guarda ad oriente, perchè neh' attraversare che ora fa-
ranno la strada, larga, come si sa, 15 piedi, essi hanno alle reni,
ossia alla schiena, il sole appena spuntato, il che non sarebbe loro
avvenuto, se non fossero stati precisamente nel mezzo della facciata.
Qui senza eh' essi il sapessero si trovarono in faccia alla scala. (Vedi
il mio disegno Tav. IV, altezza migl. 94 3[8). Dunque quell'abate
di S. Zeno avea parlato con tutta precisione quando disse a Vir-
gilio, che dietro ad esse anime accidiose avrebbe trovato la buca,
perchè infatti essendosi fermati i poeti dietro alli due ultimi spiriti,
colà appunto era la scala (Vedi Q. XVIII, n. 62. 63).
Per la qual tu entre. Dice : tu entre perchè Dante dall' in-
gresso del vero Purgatorio in su dovette sempre essere il primo ad
entrare alla salita. Eppure, a chi tutto non considera, poteva sembrare
indifferente: per la qual tu entre, o per la quale noi entriamo.
Dunque attenti a tutto.
45 Tutti eran già pieni — Dell1 alto dì ecc. Alcuni presero un
facile abbaglio in questa determinazione di tempo. Presero queste
parole come dinotanti il sole levato da lunga pezza. No : esse non
vogliono dir altro se non che il sole era tutto montato sulT oriz-
zonte. Quando il sole comincia a spuntare sull'orizzonte, allora
esso illumina le vette dei monti; e quand'è tutto sulP orizzonte,
allora esso illumina i monti dalla cima al fondo, ficco il tutti eran
già pieni — Dell'alto dì i giron. Queste gradazioni della luce e
delle ombre il poeta le avea notate anche nelT ultimo tramonto
(Canto XVII, n. 8) dove avea detto che tramontando il sole, egli,
eh* era all'altezza di 94 miglia godeva ancor de' suoi raggi, mentre
412 PURGATORIO
E andavam col sol nuovo alle reni. "
40. Seguendo lui, portava la mia fronte41
Come colui che V ha di pensier caroa,
Che fa di sé un mezzo arco di ponte;
i bassi lidi erari di già coperti dalle ombre, perchè il disco solare
col suo lembo inferiore cominciava a nascondersi sotto l'orizzonte.
Forse le parole alto di foron quelle che più cagionarci! l' errore,
sulla supposizione che non si possa dire alto dì quando il sole è
appena tutto sorto sulT orizzonte. Ma osservate, che anche parlando
a tutto rigore si può dire alto di anche in questo caso. Perciocché
il di comincia coi crepuscoli. Ora i crepuscoli spuntano nel di che
abbiamo alle 4:34, e il sole nasce alle 6:14. Dunque è già da ore
1:40 che abbiamo il di; e quind si può dir alto dì quanto si vuol
Notate che altro è dire alto dì ed altro alto sole; ma certi commen-
tatori hanno confuso una cosa con P altra. Intanto notiamo che es-
sendo qui il sole tutto uscito dall'orizzonte, invece di avere ore 6:14
ne abbiamo 6:15.
*6 E andavam eoi sol ecc. Andavano dal di fuori al di dentro
della strada, cioè P attraversavano pel tratto di 15 piedi quanti ne
avea di larghezza (Vedi Tav. IV). Cosi dovea no avere precisamente
il sole dietro alla schiena. Si dice sol nuovo, perchè appena levato.
E perchè attraversavano cosi la strada ? Perchè là ci dovea esser
la scala, secondo che avea accennato V abate di S. Zeno. Secondo
quelle parole (Canto XVIII, n. 62, 63) i poeti dovevano andare
dietro alle anime accidiose, ed avrebbero trovato la scala. Ma sino
a quel punto dove allor si trovavano i poeti tirava la processione
di quelle anime. Dunque la scala non potea esser che da quel punto
innanzi, e quindi doveano attraversar la strada direttamente e non per
la diagonale, perchè avrebbero potuto passar via la scala senza av-
vedersene. Siccome il poeta attende alle più minute particolarità, cosi
ad esse bisogna che attendiamo anche noi, perchè da quelle ne risulta
la precisione dei fatti, che tanto piace quand' è trovata. Osservaste
poco sopra che Virgilio per eccitar Dante a muoversi usa perfino
le stesse parole dette a lui dall'abate di S. Zeno ? Questi avea detto :
Vieni diretro a noi che troverai; e Virgilio dice: Vieni — Troviam.
17 Seguendo lui, portava ecc. — Notate bene questo artifizio di
fare che Dante attraversando il picciol tratto della strada, 1. abbia
dinanzi Virgilio (seguendo lui) ; 2. vada colla fronte tutta china, e
colla persona molto curvata a terra Queste due circostanze rendono
ragione perchè Dante pur si vicino all' angelo, non l'abbia veduto
CANTO XIX. '413
QuancT io udi' : Venite, qui si varca, l8
Parlare in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa mortai marca. *°
Con l' ale aperte, che parean di cigno, *
Volseci in su colui che sì parlonne,
Tra i duo pareti del duro macigno.11
Mosse le penne poi e ventilonne, M
prima che gli fosse a' panni. Cosi queste due circostanze messe qui
tanto sapientemente fanno doppio servigio. Prima spiegano perchè
Dante non si fosse accorto innanzi dell1 angelo che avea a soli 15
piedi di distanza. Poi tengono Dante «secondo che vuol natura, tutto
preso ed occupato del sogno avuto per trovarne la spiegazione, se-
condo quello che gli avea detto Virgilio nelT ultimo verso del Canto
CX VII; giacché anche Dante riteneva per la esperienza di altri
sogni su questo stesso monte, che il sogno testé avuto significasse
quello che gli restava a vedere. Che finezza di tocchi in queste
pitture! Ma chi ha inteso questo traverso di strada ?
1* QuancT io udì1 : Vtniit ecc. Dal partire dall' orlo della strada
all' arrivare alla scala, passò un brevissimo istante quanto conve-
niva a 15 piedi, e questo istante ò espresso chiarissimamente da
questo modo di parlare, perciocché appena Dante segue Virgilio,
eccoti la voce dell* Angelo, che gli invita.
to Marca. Terra.
90 Dì cigno. Dunque bianche.
a< Tra i duo pareti ecd. Questa scala, come si può vedere sul
Disegno Tav. IV, è a filo sopra 1' altra che dalla porta d* ingresso
al Vero Purgatorio mette alla prima cornice dei superbi. Però è
differente da quella in alcune cose. 1. è più corta, perchè lo spazio
tra una cornice e V altra ascendendo, è gradatamente più corto, se-
condo che si è detto nel Canto X, n. 18 e nel Canto XI, n. 24;
2. non è a onda di mare, ma retta, come tutte le altre dopo la
prima; 3. è più incliti ata e quindf più agevole, perchè il monte mano
mano che sale va sempre più convergendo le rive al centro, come
si vede nel Disegno.
93 Mosse le penne ecc. Notate che gli angeli delle scale non ven-
tano colle lor penne in faccia a Dante, se non quando trattasi di
peccati che Dante aveva, per cui nel Canto XV, v. 34, dove Dante
parte dalla cornice dell' invidia, perchè questo peccato non era di
414 PURGATORIO
&>• Qui lugent affermando esser beati, *
Ch* avran di consolar Y anime donne. u
Che hai che pure in ver la terra guati? Tj
La guida mia incominciò a dirmi,
Poco ambedue dall' angel sormontati. **
Ed io: Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision eh' a sé mi piega, w
Sì ch'io non posso dal pensar partirmi.
Vedesti, disse, queir antica strega, M
Dante, V angelo non gli ventila la fronte. Per 1' accidia invece, per-
chè Dante conosceva d'averne (e ne hanno qualche dose anche
tutti i buoni), si fa ventilare la fronte dall'angelo come perla su-
perbia e per l'ira.
M Qui lugent affermando ecc. Gli accidiosi sono lrnti al bene
perchè amano piuttosto i comodi, il riso, ed i divertimenti piace-
voli. Ma T angelo predica il contrario, e chiama invece beati coloro
che piangono, cioè coloro che pongono tatto il buo gusto e piacere
non già nei piaceri terreni, ma nella mortificazione e nel pianto
della vita cristiana. L' angelo dice questo a proposito della vita di
Dante, che in questa cornice si è purgato della sua accidia, e perciò
lo felicita con sì bello augurio, che e una dello sette beatitudini
insegnate dal nostro Signor G. C.
*i CV avran ecc. Ch' avranno P anime padrone, o posseditrici di
consolazione (consolar). E la versione delle parole evangeliche : Beati
qui lugent quoniam ipsi consolabuntur,
35 Pure, Solamente o continuamente.
96 Poco ambedue ecc. Con questo ordine, Dante avanti e Virgilio
dope. Questo ci indica il poeta colla dimanda che fece Virgilio. Per-
ciocché è naturale che se Virgilio vedeva Dante guardare alla terra,
gli fosse di dietro e non dinanzi.
97 Novella vision. La visione testò avuta della rea femmina e della
santa donna, e di lui stesso Virgilio. La chiama novella, perché
prima ne avea avute delle altre, come abbiamo veduto.
A «è mi piega. È naturale che quando uno rumini nella sua
mente gravi pensieri vada piegato e chino della persona, ed e quasi
il pensiero stesso che a sé lo china.
2» Vedesti, ecc. Virgilio gli dice la sua visione senza aspettare
che Dante gliela manifesti, per fargli vedere ch'egli conosce anche
CANTO XIX. 415
Che sola sovra noi ornai si piagne ? *
•o. Vedesti come 1" uom da lei si slega ? *
Bastiti, e batti a terra le calcagne, di
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira a-
Lo rege eterno con le rote magne.
Quale il falcon che prima a' pie si mira, M
i suoi pensieri, come gli ha dichiarato altra volta. — QuelV antica
strega. La falsa felicità mondana e detta strega, perchè le streghe
fanno vedere quel che non è. od è menzogna. La dice poi antica,
perchè la falsa felicità è tanto antica quanto il mondo. Anche Adamo
ed Eva furono da lei ammaliati.
*9 Che sola sovra noi ecc. L'amore a questa falsa felicità è quel
peccato che solo resta a piangere nelle tre cornici di sopra, se-
condo il vario oggetto di questo amore fallace.
30 Vedesti come ecc. Così Virgilio gli dice il principio ed il fine
di quella visione, e cosi lo dispone a detestare i falsi amori. — Si
slega. Si libera.
si Bastiti, e batti ecc. Eccitamento a non perder tempo, di cui
Virgilio mostra si spesso aver gran cura.
** Gli occhi rivolgi al logoro ecc. Eccitamento ad amare le cose
eterne e del cielo, ed a pascersi di quei puri piaceri ; il che si
dice per far opposizione all'amore sensuale dei beni e dei piaceri
terreni, che si purga nei tre giri di sopra. Cosi Virgilio dispone
Dante alla penitenza di quei tre peccati. Virgilio poi per eccitar
Dante all' amore dei beni eterni gliene mostra un saggio nelle bel-
lezze dei cieli, che Dio fece appunto si belli per innamorarci di quei
piaceri che stanno sopr' essi cieli. Dice perciò che il re eterno gi-
rando intorno a noi le rote magne degli otto cieli, fa con noi come
il falconiere, che quando vuol richiamare a so il suo falcone gli
mostra il logoro, ossia un finto uccello, girandolo intorno, e a quel
cenno il falcone lascia i campi aerei, e discende fra le mani del
suo padrone. Veramente l'aspetto vaghissimo dei cieli è- un forte
richiamo ai nostri amori. Anche la Ragione ha conosciuto questo
argomento, e con esso S. Paolo confonde i gentili.
33 Quale il falcon ecc. Siccome ha paragonato Dio che attrae
l'uomo all'amore dei beni eterni, mostrandogli il logoro dei cieli;
così ora paragona 1' uomo al falcone, dicendo, che come il falcone
prima si mira a' piò per vedere se è sciolto, e poi si volge e alancia
dietro la preda, di cui ha udito il grido, tiratovi dai desiderio di
38
39
41C PURGATORIO
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto, che là il tira:
Tal mi fec' io, e tal, quanto si fende 34
La roccia per dar via a chi va suso,
N'andai infili dove il cerchiar si prende. 3*
70- Com' io nel quinto giro fui dischiuso 36
Vidi gente per esso che piangea, **
Giacendo a terra tutta volta in giuso.
Adhaesit pavimento anima mea,
Sentia dir lor con sì alti sospiri,
cibarsene; cosi Dante prima si mirò a* pie, ossia guardò s'era Bciolto
dal basso amore delle cose terrene; e poi al grido di Virgilio che
gli mostrò nei cieli un saggio dei beni eterni, ad essi si volse e
protese pel desiderio di acquistarli e con essi di rendersi felice della
vera felicità.
UE tal ecc. £ con queste disposizioni d'amore alle cose celesti.
E modo prediletto di Dante, simile a quello : E tal sen già con
Unto passo (Inf. Canto XXV).
Quanto si fende — La roccia ecc. Per quanto .si fende la roc-
cia, ossia per tutta la scala incavata nella roccia.
tt Dove il cerchiar ai prende. Dove termina la scala, e comincia
la cornice, Dunque tutta la scala sino al girone.
36 Fui dischiuso. Della scala disse di sopra: Tra i duo pareti
del duro macigno. Alludendo a questo, ora si dice dischiuso per
uscito al quinto giro.
87 Vidi gente ecc. Vidi dall' una e dall'altra parte le anime che
furono degli avari, de' quali si nota qui la pena che e 1.° pian-
gere, 2.° giacere, ossia essere distesi a terra, perche Dante usa
questo verbo sempre in senso di aver tutta distesa a terra la per-
sona, 3.° giacer bocconi.
*8 Adhaesit ecc. Con questo versetto del salmo 1 18, le anime di-
chiarano ad un tempo la loro colpa, e la pena corrispondente. La
colpa fu attacco alla terra, e la pena la prostrazione intera alla
terra. Notate che il salmo 118 ò tutto dedicato alla vera felicità
dell1 uomo innamorato di Dio e della santa sua legge. Bel contrap-
posto alla falsa felicità che qui si piange.
99 Con sì alti sospiri. Questi sospiri hanno per quest'anime una
proprietà peculiare. Tutti i penitenti sospirano, ma specialmente
CANTO XIX. 41
Che la parola appena s' intendea.
O eletti di Dio. li cai soffrili
E giustizia e speranza fan men duri, *°
Drizzate noi verso gli alti satiri. 41
Se voi venite dal giacer sicuri, 4t
**• E volete trovar la via più tosto, M
deoDO sospirare quelli d* essi che sospirarono dietro la rarità della
terra. È molto più conveniente ch'essi sospirino ai veri beni del
cielo.
*o E giustizia e speranza ecc. La giustizia divina voluta ed
amata por da quelle anime, a differenza delle anime dannate, che
veggono e sentono la giustizia di Dio, ma non la vorrebbero, e non
T amano, e la speranza del paradiso che otterranno per quelle pene,
rendono meno duri i loro tormenti.
*t Drizzate noi ecc. Insegnateci a salire, o dove% la salita. Dice
alti perchè noi ormai siamo air altezza di miglia 94 5/8 dal livello
del mare, non rimanendo che 3/8 di miglio per essere sulla cima
del montagnone. (Vedi il mio Disegno, V cornice degli avari. T. IV).
4* Se voi venite ecc. Un* anima risponde, ma senza alzarsi me-
nomamente della persona, per la voglia che ha essa e tutte di sod-
disfar la divina giustizia colla lor pena. Come l'ultimo accidioso
r abate Gherardo di S. Zeno, parlava, ma senza punto arrestarsi
per la stessa ragione, cosi qui (Vedi Canto XVIII; n. 64). E cosi
è sempre di tutte le anime. Non movendosi dunque quest'anima
dalla sua positura, non vedeva chi fossero li due forastieri, e quindi
non potè conoscere che l'uno de' due era il vivo, il che avrebbe
benissimo conosciuto se almeno avesse mosso il viso a mirarlo, giac-
che Dante era molto vicino a quest'anima, che gli stava in faccia
al di dentro della strada, roentr' egli stava ancora sul principio della
strada al di fuori in capo alla scala, e noi già sappiamo che tutta
la larghezza della strada non è maggiore di 1 5 piedi. — Dal giacer
sicuri. Esenti dalla nostra pena.
*3 E volete trovar la via ecc. E volete trovar la scala dalla
parte che si fa più presto ad entrarvi. Da qualunque parte fossero
andati, V avrebbero trovata girando intorno. Se la scala qui richiesta
fosse stata nella giusta metà del cerchio, che è quanto dire alla
metà della facciata del monte che prospetta ad occidente, sarebbe
stato indifferente andarvi perla destra o per lo manca; ma essendo
27
418 PURGATORIO
Le vostre destre sien sempre di furi. u
Così pregò il poeta, e sì risposto
Poco dinanzi a noi ne fu ; perch* io i5
Nel parlare avvisai V altro nascosto : "
E volsi gli occhi allora al signor mio ; i7
Ond' elli m' assentì con lieto cenno **
invece nel semicerchio che guarda settentrione (Vedi Tav. V Purg.),
c'era quindi una direzione per raggiungerla più tosto.
4* Le vostre destre ecc. E Io stesso che dire andate a destra,
ossia verso settentrione. Vedi il mio Disegno, cornice V, Tav. IV
ed osserva bene i poeti che sono ancora presso Torlo della scala in
feccia all'anima con cui parlavano, e ricorda che siamo agli antipodi.
— Furi, Antiquato di fuori.
** Poco dinanti a noi. Ecco dichiarato il reciproco collocamento
dei poeti, e di quello spirito. I poeti appena sopra la scala nel
principio della suwìa colla faccia volta ad occidente: e quello spi-
rito in faccia ad essi al di dentro del:a strada. Dicemmo di'» la
strada era larga 15 piedi; perciò la distanza tra i poeti e quello
spirito era poca, cioè meno di 15 piedi, perche un tratto di questi
15 piedi ne occupava Dante, ed un tratto era libera tra lo spirito
e il monte, lasciando coti da quella parte un sentiero, di cui presto
vedremo Dante approfittarsi per non camminare, al di fuori della
strada con suo pericolo. Questa ò la ragione dell' artifizio poetico
di Dante, di farsi rispondere da uno spirito in faccia, per avere
cosi buono in mano da passar al sentiero che costeggia il monte al
di là degli spiriti. Pare che il poeta non dica tutte queste cose,
eppure le dice. (Vedi ed osserva sempre la mia Tav. IV, cornice V).
M Nel parlare avvisai ecc. Conobbe dalla direzione del suono
della voce, che quella era voce di uno spirito a quel tal punto
dinanzi, che si dice nascosto, perche non si era punto mosso nem-
men colla faccia.
*7 E volsi gli occhi ecc. Anche noi in certi incontri, e con ceitc
persone con solo volger loro gli occhi facciamo intendere quel che
vogliamo. È questa una di quelle naturalez.c che sono proprie di
Dante. Con ciò egli dimandava a Virgilio (che ben sapea che volea
dir lo muto) di passare avanti per poter favellare a quello spirito.
t* Ond' elli m* assentì eec. Come con un cenno degli occhi Dante
domandò, cosi con un cenno di sorriso Virgilio concesse. Che bella
semplicità di natura, e di delicatezza di sentire !
CANTO XIX. 419
Ciò che chiedea la vista del disio.
Poich' io potei di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella creatura,
90 Le cui parole pria notar mi fenno.
Dicendo : Spirto, in cui pianger matura *
Quel, senza il quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura. w
Chi fosti, e perchè volti avete i dossi 8I
Al su, mi di', e se vuoi eh' io t' impetri w
Cosa di là, ond' io vivendo mossi. b3
& Matura — Quel senza il quale ecc. Matura o perfeziona Io
stato di grazia o di perfetta mondezza, senza il quale stato non si
entra in cielo. Allude al nihil inquinatimi in eam incurrit della
Sapienza, VII, 25.
50 Tua maggior cura. Quella di pianger la propria colpa, che è
il sommo dei desideri di queir anime sante.
st Chi fosti. Non dice chi sei\ perchè altra volta dimandando tal
cosa in texpo presente, la sua dimauda venne rettificata dall'anima.
Ali1 altro mondo tutti siamo ugu ili, non avendoci differenza che nei
meriti. Quindi dimandando di qualche anima bisogna riportarsi allo
stato prima di'lla morte. E perchè volti avete i dossi — Al su.
Dante fa questa domanda perchè non è ben certo della colpa che
si punisce in quella cornice. Egli non sa altro che quel resto di monte
è destinato a purgare il disordinato amore ai piaceri della terra, che
come dicemmo ha tre oggetti, la roba, gli alimenti, la carne, ma
non sa per quale di questi amori qui si punisce. Virgilio gli avea
detto nella fine del Canto XVII : L9 amor che ad esso troppo s1 ab-
bandona, — Di sovra a noi si piange per tre cerchi ; — Ma come
tripartito si ragiona — Taccioloy acciocché tu per te ne cerchi.
Ecco infatti che Dante, il quale mai non dimentica niente, ne cerca
per sé quest'anima. Ritornando ora alla dimanda di Dante osserva
eh' egli avea forte ragione di maravigliarsi che le anime sante tanto
desiderose del cielo gli volgessero le spalle e la faccia. Ma questo
era una pena ben degna a chi in vita volse le spalle al cielo per
attaccarsi alla terra. .*
sa Se vuoi ch'io t'impetri ecc. L'unica dimanda lusinghiera che
si potesse fare a queir anime.
w Ond? io vivendo mossi. Siccome era molto difficile l'ottener da
480 PURGATORIO
Ed egli a me : Perchè i nostri diretri *4
Rivolga il cielo a sé, saprai : ma prima M
Scias quod ego fui successor Petri. w
100. Intra Siestri e Chiaveri s1 adima 57
Una fiumana bella, e del suo nome **
Lo titol del mio sangue fé' sua cima. B9
queir anima che sospendesse il suo pianto e colloquiasse un poco
con lai (e Dante n' ebbe la prova nel veder che nessuna si mosse
per osservare i due forestieri) cosi cerca con ragioni che valgano
a muoverla; la prima, il suo vantaggio spirituale detto di sopra;
la seconda, la convenienza di favorire uno che è tanto favorito da
Dio col privilegio di andar vivo a quei luoghi.
M Diretti. I nostri dossi.
M Rivolga il cielo a «è. Con questo modo di dire, queir anima
attribuisce la sua pena alla giustizia da cui la tiene, e con ciò si
fa vedere rassegnatissima agli alti decreti divini. Osservo che chi
è preso da un desiderio, qualunque cosa esprima la esprimo coi co-
lorì di quel desiderio. Quest* anima eh' era dolentissima di aver vol-
tate le spalle al cielo per la terra, e che ora unicamente a questo
cielo sospirava, per dire del suo stato di prostrazione, si esprime
col cielo. Questi tocchi hanno una immensa filosofìa.
*& Scias quod ecc. Sappi che fui papa. Perchè glielo dice in
latino? Perchè il latino è la lingua della Chiesa, ed era convenien-
ti*8Ìmo metterlo in bocca ai suo capo, che quando parla ai fedeli
parla sempre in latino. Questo papa era Adriano V genovese detto
prima Ottobono de' Fieschi eletto il 12 luglio 127G. In agosto se-
guente egli morendo rispose a* suoi parenti che lo felicitavano per
la sua dignità: Avrei più a caro che mi vedeste cardinal sano che
papa moribondo.
87 Intra Siestri e Chiaveri. Chiaveri al nord, Siestri ora Sestri
al sud, due terre del genovesato sulla riviera di levante.
** Una fiumana. Il fiumicelletto Lavagna, presso la terra di La-
vagno.
» Lo titol del mio sangue. Li Fieschi (che è il titolo dei sangue
della famiglia) si denominavano conti di Luvagno, e cosi dal fiume
aveano l'appellativo della lor nobiltà, che è la cima, o il perfezio-
namento fatto al cognome della famiglia. Mi piace adottare la le-
zione di Benvenuto che legge /e1, perchè non sorvivendo allora di
questa famiglia che una nipote, Alagia, come dirà appresso, e questa
CANTO XIX. 421
Un mese e poco più prova9 io come *°
Pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,61
Che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversione, ohimè! fu tarda: **
Ma come fatto fui Roman Pastore, •
Così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che li non si quetava il core,
110- Né più salir poteasi in quella vita;
Perchè di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
Da Dio anima fui, del tutto avara:
essendosi ammogliata a Moroello Malaspina, uvea lasciato anch'essa
il suo titolo e la sua cima; e cosi quel sopranome di onore (conti
di Lavagna) avea cessato di essere. L' estinzione di questi conti
torna molto opportuna al soggetto presente che è inteso al disprezzo
delle grandezze terrene.
co Un mese e poco più. Papa Adriano V eletto ai 12 di Luglio
1276, morì ai 28 del seguente Agosto, quindi poco più d* un mese
dalla sua elezione.
61 Pesa il gran manto ecc. Gran concetto si è questo sulla gran-
dezza e responsabilità del Papato. Pare che il poeta accenni qui
lo zelo del breve pontificato di Adriano, zelo che gli costò la vita.
te La mia conversione ecc. Dunque papa Adriano, secondo Dante,
deve aver passato alcun tempo de' suoi 24 anni dalla morte nei-
l' Atrio del Purgatorio tra coloro che differirono la loro conver-
sione per essersi troppo occupati delle mondane grandezze, che,
come vi ricorda, stanno nella valletta in cima dell'Atrio presso la
porta del vero Purgatorio.
w Ma come fatto fui ecc. In questo verso, e negli altri sette
seguenti narra 1 . quando fu che si converti (come fatto fui Roman
Pastore)^ 2. come si converti, cioè dietro al vuoto del suo cuore,
non ostante l' occupazione del posto più alto del mondo (Così sco-
persi ecc.), 3. qual fosse il suo peccato, cioè l' attacco alle cose
terrene (Fino a quel punto ecc.), 4. qual divenne dopo la conver-
sione, cioè solo amante delle cose del cielo k Perchè di questa in
me ecc.), 5. la pena del suo peccato, ma solo indicata, rimetten*
done ai versi dopo la spiegazione.
422 PURGATORIO
Or, come vedi, qui ne son punita.
Quel eh' avarizia fa, qui si dichiara 64
In purgazion dell' anime converse,
E nulla pena il monte ha più amara.
Sì come P occhio nostro non s' aderse 65
In alto, fisso alle cose terrene,
12°- Così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene 66
Lo nostro amore, onde operar per desi,
Così giustizia qui stretti ne tiene
Ne' piedi, e nelle man legati e presi;
E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili, e distesi.
Io m'era inginocchiato, e volea dire; ti7
Ma com' io cominciai, ed ei sT accorse, tts
64 Quel eh1 avarizia ecc. Dante gli avea dimandato per seconda
cosa: Perchè volti avete i dossi — Al su ? Ebbene dopo soddisfatta
la prima dimanda, ora soddisfa questa seconda, facendogli vedere
la convenienza che passa tra la colpa e la pena; dichiarando questa
gli effetti e la proprietà di quella, il tutto a purgazion dell-ì anime
converse, ossia bocconi al suolo.
65 Sì come l'occhio ecc. Prima proprietà dell' avarizia ò guardar
a terra e non guardare il ciclo. Ebbene, 1 a pena fa qui guardar la
terra, e non guardare il cielo.
66 Come avarizia spense ecc. Seconda proprietà dell'avarizia e
l'inoperosità d'ogni bene. Così la pena è immobilità che esclude
ogni opera. Le pene che Dante dà a' suoi purganti si possono sem-
pre ragionare a questo modo. Lascio ciò allo studio dei lettori; dove
non l'abbia fatto io stesso.
67 Volea dire; — Ma com1 io cominciai. Reticenza, che lascia però
chiaramente intendere quel che avrà incominciato a dire il poeta
a quel papa, cioò scuse di non averlo così riverito prima, per non
averlo conosciuto.
<*8 Ed ei «' accorse — Solo ascoltando ecc. Dice nolo ascoltando
perchè queir anima non volea nemmeno piegare un po' il viso per
amor della pena.
CANTO XJX. ( t 423
Solo ascoltando, del mio riverire;
130. QUal cagion, disse, in giù così ti torse?
Ed io a lui : Per vostra dignitate *
Mia coscienza dritta mi rimorse.
Drizza le gambe, e levati su, frate, 10
Rispose; non errar, conservo sono
Teco, e con gli altri ad una potestate.
Se mai v quel santo evangelico suono,
Che dice Neque nubent> intendesti, 71
Come Adriano s'accorse dall'udito, che Dante gli si era ingi-
nocchiato? Perchè chi sY inginocchia si fa più basso, e da più basso
parla : e l' altro che ode questo cangiamento s' accorge dell' inchino
della persona: perchè inoltre Dante essendo vivo, nelT inginocchiarsi
dovette aver fatto quel po' di romore, che fanno le ginocchia toc-
cando il suolo. E bellissimo ed è al tutto secondo natura questo
intreccio sì nuovo.
od ptr vostra dignitate — Mia ecc. Per cagione della vostra
dignità, la mia coscienza, che è retta, mi ha fatto sentire rimorso.
Ma di che? Di non essermi inginocchiato prima, e di aver parlato
con voi come si usa con qualunque altro.
io Drizza le gambe ecc. Adriano che s'accorse di quello che volea
dir Dante in seguito alla parola rimorse, cioè, come dicemmo, mi
rimorse di non essermi inginocchiato prima, e di non aver parlato
altrimenti con voi, gli tronca la parola in bocca, e gli dice: Driz-
zati, e mi tratta da uguale, perch* io, come tutti gli altri, sono
servo a Dio, unico signor nostro. Questo tratto è tolto da S. Gio-
vanni (Apoc. XIX), dove essendosi 8. Giovanni inginocchiato al-
l' angelo, questi gli disse : Vide ne feceris, conservus tuus sum, et
fratrum tuorum hahenlium te stimo nium Jesu.
71 Neque nvbenL Questo testo di S. Mat. XXII è di G. C. in
risposta ai Sadducei che gli avevano dimandato: A qual marito
dopo la risurrezione si unirebbe quella donna, che avesse avuto più
mariti. G. C. rispose loro: Erratis ne sciente 8 scripturas neque tur-
tutem Dti% In resurrectione enim neque nubent neque nubentur,
sed erunt sicut angeli Dei in coelo, e così venne ad insegnar loro
che nell'altra vita, gli stati avuti in questa spariscono, onde, come
non esistono più relazioni matrimoniali, ma tanto l'uomo quanto
la donna non si differenziano; cosi non esistono più quelle prero-
71
424 PURGATORIO
Ben puoi veder perch' io così ragiono.
Vattene ornai ; non vo che più t' arresti,
14°« Che la tua stanza mio pianger disagia,
Col qual maturo ciò che tu dicesti. 73
Nepote ho io di là ch'ha nome Alagia, "
Buona da sé, purché la nostra casa w
Non faccia lei per esemplo malvagia; 76
E questa sola m' è di là rimase
gative del matrimonio spirituale contratto tra me e la chiesa quando
fui papa.
7* Che la tua stanza mio ecc. Perchè la tua dimora disturba il
mio pianto che tinto amo.
73 Col qual maturo ecc. Vedi la nota 49.
7i Alagia. Dicemmo già ch'era maritata a Moroello Malaspina
marchese di Lunigiana, munifico mecenate di Dante, al quale de-
dicò il suo Purgatorio, e presso il quale compose quasi tutto V In*
ferno.
75 La nostra casa. La casa Fieschi.
76 Per esemplo. Non per esemplo di persona vivente, perchè tutta
la discendenza Fieschi di Lavagna, era già spenta tranne questa
nipote, ma per tristo esemplo degli antenati. Pur troppo le opere
malvagie di questi, sono una specie di contagio pei superstiti.
Un dubbio. Perchè Adriano non risponde alla terza dimanda
di Dante, la quale era: E se vuoi ch'io t'impetri — Cosa di là
onoV io vivendo mossi.
Rispondo che Adriano se accennò a Dante l' unica e buona sua
nipote Alagia, non per altro gliel'accennò, che perchè Dante si avesse
a rivolgere a lei per animarla a suffragare lo papa zio. Non gli ha
risposto dunque direttamente, ma indirettamente gli ha risposto
quanto basta.
CANTO XX
Argomento.
Dante licenziato da papa Adriano V, contro suo grado sen
parte con Virgilio, camminando lentamente pel sentiero tra Vom-
bre ed il monte. Dante così andando atttndea al pianto ed alle
parole dell'ombre degli avari prostesi e conversi^ una delle quali
rammentava la povertà di Maria SS., di Fabrizio, e la bella
elemosina di S. Nicola. Si trae tosto su quell'anima e le dimanda
chi sia e perchè parli ella sola, promettendole ricompensa di su/'
fragi. Quell'ombra gli risponde esser Ugo Capeto, capo stipite dei
Capetingi, dei quali narra le infami anioni con ordine cronolo-
gico sin presso il 1300. Risposto così alla prima domanda di Dante,
gli risponde alla seconda, in/ormandolo d'avvantaggio ch'esse om-
bre ripetono di giorno esempi di povertà e generosità, e di notte
poi esempi oV avarizia, e che quanoV una parla e tutte parlano,
sebben non tutte si fan sentire, come nel caso di lui quando fu
udito da Dante. I poeti partono finalmente da Ugo e vanno non
più lenti, ma a gran passi. Intanto sentono un colpo terribile di
tremuoto, come per cosa che cada, e tutte Vombre gridano: gloria
in excelsis deo. I poeti a questo colpo e grido s'arrestano e
Dante, esterrefatto ; indi tosto proseguono il lor cammino, dub-
biando Dante fortemente sulV accaduto, ma non avendo ardire di
palesare il suo dubbio.
NB. Vedi tutti i casellini di questo Canto nella Tav.III Purg.,t laTar. IV J>urf.
Contra miglior voler, voler mal pugna ; *
Onde contra il piacer mio, per piacerli,
i Contra miglior voler. Papa Adriano gli avea comandato di
andarsene, dicendo: Vattene ornai ecc. allegando per ragione : Che
la tua stanza mio pianger disagia — Col qual maturo ciò ohe tu
dicesti. Questo volere di Adriano era migliore del volere di Dante,
426 PURGATORIO
Trassi dell' acqua non sazia la spugna. *
Mossimi, e il duca mio si mosse , per li 3
Luoghi spediti pur lungo la roccia A
Come si va per muro stretto a' merli; 5
Che la gente che fonde a goccia a goccia 6
che avrebbe voluto continuare il colloquio per sapere altre cose:
il voler del primo era molto più santo, che il voler del secondo ; il
meno santo mal pugna col più sauto, e dal più santo e vinto.
3 Traisi delV acqua ecc. Allegoria per indicare : Ho dovuto par-
tire senza appagare appieno il mio desiderio, che era di sapere da
lui altre cose. Cosi non è sazia d'acqua una spugna, che si trae
dall'acqua prima del tempo necessario per inzuppamela.
3 Mommi, e il duca ecc. Prima nomina il muover suo, e poi quello
del suo duca, perchè Dante era dinanzi e Virgilio di dietro. Fu
Dante che passò il primo la strada dal sommo della scala, dove i
poeti si trovavano, per andare al di dentro di essa sopra l'ombra
di papa Adriano. Vedi qui C. XIX; n. 45. E per qual direzione
si mosse? Si mosse verso nord, e cosi avevano i poeti le destre
all' infuori, secondo l' avviso di Adriano: Le vostre destre den sem-
pre di furi. Ricordatevi che noi siamo nella facciata del monte
volta ad est, e così è facile intendere che chi va da sud a nord
ha la destra all' infuori. (Vedi Tav. IV, cornice V).
* Luoghi spediti. Quel sentiero libero dalle ombre, che correva
tra le ombre ed il monte.
Pur lungo la roccia. Solo lungo la roccia perche il resto della
strada, era coperto dalle ombre.
3 Per muro stretto a' merli. Le fortezze murate del medio evo
avevano nell'interno vicino ai merli uu corritoio capace di conte-
nere un uomo. La fila de' soldati che camminava per quello si do-
veva tenere stretta ai merli per non cader dal corritoio.
e Che. Perchè. La gente. Gli avari prostesi e conversi. Che fonde
a goccia a goccia Che piange : vedemmo già che il pianto era una
delle lor pene. Ma notate bene il fonde a goccia a gocciaì che dà
la seguente bellissima idea, cioè che la pena decretata l'avessero già
tutta dentro di sé postavi dalla divina giustizia, e l'andavano sce-
mando ogn' ora versandola fuori pel pianto, come un vaso pieno
d'acqua si va gradatamente scemando a misura delle goccie d'acqua
che n'escono.
CANTO XX 427
Per gli occhi il mal che tutto il mondo
(occupa, 7
Dall'altra parte in fuor troppo s'approccia. 8
10- Maledetta sie tu antica lupa,9
Che più che tutte 1' altre bestie bai preda, i0
Per la tua fame senza fine cupa! u
7 // mal che tutto il mondo occupa. L* avarizia, ossia 1* attacco
ai beni terreni, che è il peccato comune a tutti, universale. Ram-
mentatevi la Lupa del Canto I dell' Inferno, e la sua terrìbile de-
scrizione, quale immagine dell' avarizia, e vedrete meglio la ragione
di questo verso.
8 Dall'altra parte in fuor ecc. Le ombre degli avari sono tante
che occupano tutto lo spazio della strada sino all'orlo esterno, meno
il viottolo interno che dicemmo. È naturale che essendo molti, per
non dir tutti, gli infetti da questo vizio questa cornice sia più ri-
piena di penitenti che l'altre fin qui vedute.
^ 9 Antica lupa. La lupa è stata sempre il simbolo dell' avarìzia,
E detta antica per indicar che fin dalla più rimota antichità, e dai
primordi del mondo sorse tra gli uomini. Per questo allorquando
parla il poeta degli avari dannati {Inf. Canto Vfl) e dà loro il de-
monio Pluto a guardiano, lo fa parlare colla lingua più antica, che
si conosca cioè coli' ebraica, mettendogli in bocca quelle parole2
Pape ecc. volendo indicare coir antichità della lingua l'antichità
del vizio. È questa quella lupa, terza delle tre fiere, in che s'in-
contrò il poeta la mattina del venerdì santo ascendendo il Calvario ;
quella che gli porse tanto di gravezza, con la paura eh' liscia di sua
vista, che perde la speranza dell'altezza; non già perchè il poeta
avesse in so stesso questo vizio dell' avarizia, che anzi ne fu alieno
le mille miglia, ma perchè rappvescntando egli l' umanità peccatrice,
ed essendo l'umanità peccatrice più dedita a questo vizio, per ciò
fu da quella atterrito e indietreggiato più che dall'altre.
io Che più che tutte ecc. Hai preda di anime, fai strage di anime
più che ogni altro vizio. In fatto questo girone è più pieno di
ombre che gli altri. Ricordavi del verso detto di questa lupa:
E molte genti fé9 già viver grame (Inf. Canto I) e degli altri:
Che questa bestia per la qual tu gride — Non lascia altrui
passar per la sua via, — Ma tanto lo impedisce che l'uccide (Inf,
Canto I) che combina perfettamente con questo.
1< Per la tua fame ecc. Anche questo risponde a quel dell'/?//.
428 PURGATORIO
0 ciel nel cui girar par che si creda 1*
Le condizion di quaggiù trasmutarsi, "
Quando verrà per cui questa disceda ? u
Canto I : E d'una lupa ohe di tutte brame — Sembrava earea
con la sua magre%%a% In particolare l'aggiunto di cupa risponde
a quel dell' Inf. Canto I : Che venendomi incontro a poco a pocof
che è l'indole capa di certe bestie più feroci: e l'altro aggiunto
di senza fine risponde a quel dell'/»/. Canto I ; Che dopo il pasto
ha più fame ohe pria.
t* 0 ciel nel cui girar ecc. Bisogna che ci riportiamo alle cre-
denze del medio evo. Il medio evo poneva una virtù intelligente,
ossia un angelo, motore di ciascun cielo, e credeva che il girar dei
cieli e le speciali proprietà delle loro intelligenze comunicate ai cieli
stessi, facessero sentire i loro influssi sulla terra, variandone gli
avvenimenti non solo fisici ma e morali. Perciò qui veggiamo che
nelT attribuire al girar del cielo i cangiamenti morali della terra,
ossia degli uomini abitatori della terra, non dice che tale è il suo
pensiero, ma piuttosto che tale par che sia il credere della gente,
la cui opinione egli qui adotta parlando più da poeta che da filo-
sofo, come si usti negli impeti di una grande passione.
** Le condizion di ecc. Lo stato delle cose umane.
Notate che il poeta, quando scriveva queste cose, era in Italia,
venutovi per la calata dell' imparadore Arrigo VII, il quale dopo
di aver trovato, per le discordie, intoppi dovunque, mossigli mas-
Bimamente dall' empio ed avaro Filippo il Bello re di Francia, nelle
cui unghie spietate si trovava già ad Avignone Papa Clemente V,
finalmente senza nulla ottenere, mori, secondo l'opinione di alcuni,
seguita anche da Dante, d' un'Ostia avvelenata a Boucon vento in
Toscana addì 25 agosto 1313. Sotto la impressione di tali avveni-
menti Dante scrivea.
U Quando verrà ecc. Fa voti perche presto venga il nemico
dell' avarizia per liberar il mondo da lei, e da tutto le sue conse-
guenze. Questi è il famoso Veltro preconizzato nel Canto I dell' /n-
ferno. Quando colà lo preconizzava, esso era già venuto, ed era
S. Benedetto XI; ma in quel mese stesso che il poeta scrivea di
lui, esso mori (Vedi il Canto 1 In/.). Ma il poeta non abbandonò
mai questa sua idea, e se sperava un rimedio ai mali morali e re-
ligiosi lo sperava unicamente dal papato, cora' è naturale ; giacché
nessun' altra potenza può esser da ciò. L' aspettazione di un Papa
GANTI» XX. 429
Noi andavam co" passi lenti e scarsi, "
Ed io attento all'ombre, ch'i'sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi:
E per ventura udi* : Dolce Maria. "
So- Dinanzi a noi chiamar eoa nel pianto,
Come fa donna che in partorir sia : 1T
E seguitar: Povera fosti tanto, f*
noto e fendente m Roma e non ad Avignone, coxn* era al tempo
che il poeta scrive», quale unico rimedio ai mali d'Italia e del
mondo, è ritoccata nche nel P-fraaV*». Canto XXVII. 142 seg.
ts Ltnti e izarà. li passo potrebbe esser lento, ma lungo, che
è il contrario di scarso : i passi presenti aveano le dne qualità che
ai faceano in più tempo, e che preadeano meno strada. Questo sa-
rebbe contrario alla cura del tempo, e alla fretta tanto raccoman-
data da Virgilio : ma osservatene la ragione nel verso seguente, ed
era, che Dante, il quale andava innanzi a Virgilio, attendeva al-
l'' ombre 'ed io attento air ombre) per poter raccogliere le loro
parole, perchè sentiva bensì il loro piangere e Lagnarsi, ma non
potea ben cap're le loro parole. Ciò era naturale per parole che
uscivano da bocche tutte volte alla terra; rim con questa atten-
zione di Dante all' ombre si vuole indirettamente far comprendere
queir adhatsit pavimento nel senso più rigoroso della frase. Così
Dante per una cosa ne dice due, e bisogna seguirlo anche in questi
parlari. Notate pure che il parlare di quelle ombre in alcune era
aasai basso, e in qualcuna era un po' più alto, come dirassi ap-
presso. In tal caso le ombre che parlavano più basso servivano di
impedimento a intender quella che parlava più alto. Se le voci basse
non avessero mormorato la stessa parola. Dante avrebbe inteso la
voce più alta che fosse stata tra loro. Bisogna dire tutte queste
cose per intender il valor di questa terzina. Notate che dicendosi
passi lenti e scarsi si accenna un molto scarso a vantare.
<6 E per ventura udì1 ecc. Intesa bene la nota 15, s' intenderà
benissimo la fona che ha questo: per ventura. Fra tanti bassi e
cupi rumori fu assai coglier chiara la parola che diase un'ombra un
pò1 dinanzi. Notate che le parole erano anche accompagnate dal
pianto, e quando parliamo e piangiamo, poco ci facciamo intendere.
ti Come fa donna ecc. H pianger della donna in sul partorire si
dice nicchiare, ed è un guaio a bocca chiusa che stride nella gola.
<* E seguitar: — Fovera ecc. La prima parola intesa fa strada
430 PURGATORIO
Quanto veder si può per quell'ospizio,
Ove sponesti il tuo portato santo.
Seguentemente intesi : O buon Fabrizio, Ia
Con povertà volesti anzi virtute,
Che gran ricchezza posseder con vizio.
Queste parole m' eran sì piaciute, 20
Ch1 i' mi trassi oltre per aver contezza
30« Di quello spirto, onde parean venute.
Esso parlava ancor della larghezza, 2I
Che fece Nicolao alle pulcelle **
a intender le altre. Qui Dante a gran fortuna intese dapprima —
Dolce Maria, e queste parole gli facilitarono la intelligenza delle
altre : Povera fosti ecc. Notate pure queste gradazioni che sono
appunto intere da Dante nella descrizione di gente, che parla in
quella giacitura. Questo è il primo esempio in lode della povertà,
secondo il metodo fin qui seguito di porre prima esempi di virtù,
e poi esempi di vizio contrario a quella virtù. Prima, secondo l'uso,
si dicono esempi sacri e poi profani. La povertà di Maria non si
mostra più che nella capanna di Betlemme.
*9 0 buon Fabrizio ecc. Fabrizio general romano rifiutò le ric-
chezze di Pirro offertegli perche tradisse la patria, ed elesse piuttosto
di morir povero servendo a lei. Anche la storia profana condanna
l'avarizia, Perciò si allega questo esempio.
20 Si piaciute. Avvertite che la virtù della povertà contraria al-
l' attacco ai beni terreni era la virtù prediletta di Dante, per amor
della quale e' sentiva un' affezioni maggiore per l'Ordine di S. Fran-
cesco d'Assisi che per qualunque altro, ed egli stesso si fece membro
di quest'Ordine nei Terziari. Quindi non è maraviglia se tanto si
sia compiaciuto di questi due esempi.
*t Esso parlava ancor ecc. Terzo esempio che rimbecca 1' ava-
rizia, ed è la generosità o la liberalità ad essa contraria. Per Dante
che avea perduto e patria e ricchezze, e che viveva della liberalità
de' grandi signori suoi amici, dovea servire di eccitamento ad amare
sopratutte questa virtù, la sua medesima condizione.
** Che feee Nicolao ecc. S. Nicola vescovo di Mira saputo il pe-
rìcolo di tre povere fanciulle passò a nuoto di notte alla loro casa,
e vi gettò dentro tanto quanto bistava a collocarle in onesto ma-
trimonio.
CANTO XX. 431
Per condurre ad onor lor giovinezza. w
O anima, che tanto ben favelle, "
Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sols^ M
Tu queste degne lode rinnovelle?
Ntn fia senza mercè la tua parola, *
S' io ritorno a compier lo cammin corto r
Di quella vita ch'ai termine vola.
*°- Ed egli : Io ti dirò, non per conforto a
ss Per condurre. Per collocare in onorato connubio la lor giovi-
nezza, campandole dal perìcolo di disonorarsi.
2* Che tanto ben favelle. Chi è molto avverso all'avarizia, come
Dante, sente con gran piacere i begli esempi della virtù della po-
vertà, e loda volentieri chi li racconta. Avremo occasione altre
volte di notare quanto Dante amasse il distacco dalle cose terrene,
e come trattasse sempre con maggior gusto e migliore riuscita gli
argomenti in lode della povertà e della liberalità. Questo è quel
genere in cui Dante, se così m* è lecito esprìmermi, si trovava pro-
prio nella sua beva. Di qui la migl or prova che fece nella vita di
S. Francesco, che in quella di S. Domenico nel Paradiso: di qui
le sue ire contro la Lupa nel Canto 1 dell' Inferno ed in questo del
Purgatorio, che si fanno sentire per qualche cos% di più dell'ordinario.
*5 Perchè sola — » Tu ecc. La crede sola a dir quelle lodi perchè
non udì che lei sola. Del resto anche l'altre lediceano, ma a bassa
voce, come vedremo. Così con questa nuova specie di malintesa si
vengono creando scene novelle.
96 Non fia senza mercè ecc. Senza ricompensa di suffragi che ti
farò fare al mio ritorno, essendo io ancora vivo.
27 Cammin corto — Di quella ecc. È la massima di S. Paolo:
Tempii 8 breve est ecc. che dovrebbe essere la continua considera-
zione di tutti, come la era di Dante.
Pio IX nel sabato santo dell' anno 1863 accogliendo una folla
immensa di forestieri nella gran sala delle carte geografiche prese
ad argomento questo medesimo testo accennando le due conseguenze
contrarie che ne cavano gli uomini; gli uni di mortificazione, di
piaceri gli altri, e quanto questi la sbagliano, facendo tutti pian-
gere gli astanti per tenerezza e piangendo lui stesso; tanto riuscì
patetico quel discorso (Arm. Apr. 10),
** Non per conforto — Ch* io attenda di là. Questo dice non
432 PURGATORIO
Uh' io attenda di là, ma perchè tanta
Grazia in te luce prima che sie morto.
F fui radice della mala pianta, *
Òhe la terra cristiana tutta aduggia *°
già perchè non desideri e non apprezzi i suffragi, ma perchè sa di
avere un parentado tristo, i coi suffragi a nulla gioverebbero. Di
qui T ombra comincia l'invettiva contro la sua discendenza, che erano
i reali di Francia.
<9 r fui radice ecc. Fui capo stipite di una malvagia famiglia
reale, detta allegoricamente mala pianta. L' albero ò allegorìa più
propria e naturale della famiglia: perciò è costume inalterabile che
quando si vuol disegnare una discendenza genealogica di famiglia,
si adotta una pianta (albero).
30 Che la terra cristiana ecc. Che ombreggia con ombra funesta
tutta la Chiesa cattolica. Fuori di allegoria sarebbe che la mia di-
scendenza è di danno a tutta la cristianità. Presa prima l'allegoria
della pianta per la famiglia, per continuare l'allegoria si esprimono
i danni che fa questa famiglia coi danni che fa la pianta cella sua
ombra. Nessun9 ombra delle piante è benefica alla terra, prova ne
sia che dove l'ombra si stende, poco o molto resta impedito il frut-
tar della terra. Ma v'hanno delle piante la cui ombra è più ma-
lefica, e sono le salvatane, le parassite, e quelle che producono tristi
frutti. Tale è la pianta di cui quest'ombra fu radice. Come è poi
che i reali di Francia pregiudicavano a tutta la cristianità? Ciò
sarà spiegato in seguito di questo Canto. Solo mi piace di avver-
tire la bella e vera analogia che passa tra il vizio della pianta, e
. il vizio dei reali di Francia. Come la pianta mette a solo suo pro-
fitto tutta la terra ad essa sottoposta, il che è una cotale avarizia
della pianta; cosi la vera avarizia dei reali metteva ad unico loro
profitto la Chiesa tutta.
Altro che avarizia di papi, altro che dominio temporale della
santa Sede ! Il Canto è fatto contro Filippo il Bello ed i suoi parenti .
Questi aduggiavano tutta la terra cristiana, non il papa col suo do-
minio temporale. Il papa ed il dominio suo, anche secondo Dante,
n'era una vittima come gli altri italiani. Questo sia detto perchè certi
commentatori fin dal principio del Canto ci presentano la lupa per
il papa o la santa Sede, quasi non vedessero dove questa lupa, o
quell'avarizia vada a parare, come a mira principalissima od unica,
cioè ai reali di Francia, e massime a Filippo il Bello, la vera lupa
CANTO XX. «3
Sì, che buon tratto rado se ne schianta. S1
Ma se Doagio. Guanto. Lilla e Bruggia11
Potesser, tosto ne saria vendetta ; **
Ed io la cheggio a lui che tutto giuggia. w
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta : M
intesa da Dante, e (.con altra allegorìa) vera pianta funesta alla
Chiesa cattolica.
31 Si che buoi frutto ecc. Contìnui l'allegoria della famiglia o
discendenza sempre nella pianta. Li frutti della pianta sono i figliuoli
della famiglia. Li frutti buoni sono i figliuoli buoni, li frutti cattivi
sono i figliuoli cattivi. Questi reali di Francia ebbero di rado qual-
che buon figlio. Il poeta allude ai due re. Roberto e S. Luigi che
vedrem nella nota 35 nella genealogia Capetinga. 11 secondo è noto
abbastanza. Del primo basti dire eh* egli cercò sempre la felicità
de* suoi popoli e pacificandone le turbolenze e promovendo le scienze
e le lettere, ed innalzando ovunque chiese magnifiche, componendo
per fino degli inni sacri che tutt" ora si cantano nella liturgia.
32 Doagioì ecc. Città di Fiandra occupate ingiustamente da Fi-
lippo il Bello nel 1299; sono espresse all' italiana.
33 Potc8ser, tetto. Ciò fa vedere l'avversione di quello città a
Filippo, che se potessero sarebbero pronte ad insorgere e vendicarsi.
Si vendicarono infatti come scrive Villani (Ltb. Vlll.òth ribellan-
dosi ed uccidendo una parte dell'esercito di Filippo il Bello. Ma
Dante che scrìve i fatti sino al 1300 non potea che predirlo.
34 Ed io la eheggio ecc. A Dio che giudica (giuggia) tutti.
ss Ugo Ciapetta. Detto oggidì Capetto, capo stipite dei Gape-
tingi dopo l'estinzione dei Cario vingi. Avvertasi che due furouo
i Ciapetta: Ugo Magno, che è il presente spirito qui trovato da
Dante, e l'altro detto semplicemente Ugo Ciapetta suo figlio.
Credo qui utile di dar dapprima un albero genealogico dei Carlo-
vingi che ci conduca sino ai Capetingi, e poi l'albero di questi.
I
Carlo Magno 763814
Lodovico il Buono
Carlo il Calvo
Lodovico il Bello 877-87 9 <^ J i:arloinano ^ìt\ arancia
28
434 PURGATORIO
| Interregno per osurpuion*.
Carlo il Semplice 895-929
| Interregno per a sur pallone.
Lodovico d'oltre mare 936-954
i
Lotario 951-986
I
Lodovico il Neghittoso 986-987. Ultimo senza figli, marito
di Rianca, Dopo la di lui morte, il regno apparteneva per diritto
a Carlo suo zio, duca di Lorena inferiore, e figlio di Lodovico o
Luigi d' oltre mare, ma essendo questo principe reso odioso ai Fran-
cesi, Ugo Capeto Magno &' impossessò del governo di Francia. Dico
del governo e non della corona, che cominciò a portarla solo suo
figlio. Cosi cominciò la serie dei Capetingi sino a Filippo il Bello,
ove con Dante conviene che ci arrestiamo.
Ugo Ciapetta il Magno, conte di Parigi figlio di uno che il
poeta chiama beccaio di Parigi. Ebbe il governo, ma non la corona
di Francia.
Ugo Ciapetta 987-996. Il primo a portare la corona di Francia.
I
Roberto (il Divoto, il Dritto, il Saggio) 996-1031
I
Arrigo I 1031-1060
I
Filippo I 1060-1108
I
Luigi il Grosso 1108-1137
Luigi VII 1137-1180
I
Filippo Augusto detto il Conquistatore e Diodato 11 80- 1223
I
Luigi Vili il Lione 1223-122G
I
Luigi IX (S.) 1226 1270
I
Filippo III P Ardito 1270-1285
I
Filippo il Bello 1285-1313.
CANTO XX. 435
H>- Di me son nati i Filippi e i Luigi, u
Per cui novellamente è Francia retta. I7
Figliuol fui d' un beccai di Parigi. **
Quando li regi antichi venner meno *
Tutti, fuor eh' un renduto in panni bigi, *
* / Filippi e i Luigi. Quattro Filippi, e quattro Luigi, sino
a Dante, come si pnò vedere nella genealogia dei Capetingi della
nota 35. Quegli che si dicea Lodovico nei Carlovingi, ai dicea Luigi
nei Capetingi.
87 Per cui novellamente ecc. Pei Capetingi schiatta novella e
diversa dai Carlovingi antecedenti.
** Beccai di Parigi. To Ugo Ciapetta Magno foi figlinolo d' un
beccaio di Parigi. 11 padre di Ugo Magno fu invece conte di Pa-
rigi, grande uomo di Btato, ricco e potente. ConT è dunque che Dante
lo dice beccaio di Parigi? Dice cosi, perchè tal era l'opinione dei
suoi tempi, narrata anche da alcuni scrittori, come dal Villani. Ma
ora nessun più s' attiene a questa credenza, poiché è provato il con-
trario. Del resto la voce beccaio potrebbe avere altro senso dal co-
mune che gli viene attribuito di macellaio: potrebbe significare un
prefetto o provveditor dell'annona in questo ramo di publica am-
ministrazione, senza escludere ch'egli fosse anche conte di Parigi.
A proposito della parola beccai avvertite essere stato costume
dei trecentisti di non pronunciare mai la o della terminazione aio
ed ciò.
39 Quando li regi antichi ecc. Cioè la seconda schiatta dei re
di Francia. La prima fu quella dei Merovingi /la seconda dei Carlo-
vingi, la terza dei Capetingi. — Venner meno. Si estinsero. Vedi la
nota 35 al nome di Lodovico il Neghittoso.
*o Tutti, fuor eh* un ecc. Questi non può esser che Carlo I duca
di Lorena fratello del re Lotario. Perchè apparisca il vero senso
di questo verso, e si vegga a un colpo d'occhio e questi dai panai
bigi, e la sua discendenza, credo cosa utile di aggiungere alle due
genealogie della nota 35 la genealogia di questo ramo particolare
436
PURGATORIO
Lodovico III d'Oltremare
936-954
I
secondo I genito
Carlo I duca di Lorena
figliuolo secondogenito di Lodovico III d'Oltra-
mare e fratello del re Lotario. Nacque a Lione
nel 958, e fece omaggio de' suoi stati all' Impe-
ratore Ottone II suo cugino; e si diede a vita
umile e solitaria dopo di aver avuto dal suo
matrimonio due maschi e due femmine che si
possono ypder sotto descrìtte. Essendo morto frat-
tanto Lodovico il Neghittoso suo nipote; venne
eccitato ad uscire dalla sua solitudine ed occupare
il trono. Rifiutò dapprima : ma poi pentitosi fece
guerra ad Ugo Magno. Fu sconfitto, preso nel
2 aprile 991, e rinchiuso in una torre di Orléans,
ove mori dopo 3 anni nel 994. Il renduto in panni
bigi, ossia il fattosi monaco non può essere che
questo Carlo, che come dicemmo avea rinunziato
ai suoi Btati, e s'era dato a vita umile e solitaria;
non ostando niente a questo il suo posteriore
pentimento. Seguono ora i 4 figli, 2 maschi e 2
femmine di questo Carlo, i quali si uniscono a
solo fine di far meglio vedere V estinzione ma-
scolina dei reali Carlovingi, e il seguito della
femminina, la quale col tempo andò a congiun-
gersi coi Capetingi.
primo I genito
Lotario
954-986
I
Lodovico IV
il Neghittoso
986-987
ultimo e senza
figli.
Lodovico Carlo
Non essendo questi 2 ma-
sebi che semplicemente men-
zionati dalla storia, e poi
taciuti del tutto, è da con-
chiudere ch'essi sieno morti
in tenera età, e prima del
padre.
I
Arvidk
I
Menarda
!
maritata al Conte di Namdr.
I
Baldovino
I
Isabella
maritata a FiLirio Augusto
detto Diodato, Capetingo.
I
Luigi Vili
Luigi IX il Santo. — Cosi
S. Luigi che per parte ma-
schile discende da Ugo C apeto,
per parte femminile discende
da Carlo Magno.
CANTO XX. 43T
Trova7mi stretto nelle mani il freno41
Del governo del* regno, e tanta possa tó
Di nuovo acquisto, e sì (T amici pieno,
Ch' alla corona vedova promossa u
La testa di- mio figlio tu. dal quale u
*°- Cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dote Provenzale *5
M Trovaci stretto e«. Questo modo di dire in Dante, sempre
cattissimo nelle sue espressioni, addimostra che causa del ano in-
nalzamento al supremo potere fu sola la estinzione dei re Cariovingi
da un lato, e dall'altro l' esser egli a quel tempo impiegato in grandi
cariche governative sostenute con universale soddisfazione, senza
che si abbia a sospettare d* intrighi a suo carico. Fu in somma una
buona ventura che talora incontrano le persone di merito.
*a E tanta possa di nuovo acquisto ecc. £ trova* mi tanta possa
di nuovo acquisto, e si pieno di amici. Questo accenna all'esser egli
stato fatto in termalmente capo provvisorio del regno, come sarebbe
un presidente d'una repubblica sorta dalla caduta di un regno, e
all'aver egli ottenuto per governare da capo un suffragio univer-
sale, e un valido sostegno nei grandi del reame.
43 Ch'alia corona vedova protnos$a — La tuta di mio figlio fu.
Dunque Ugo Magno Ciapctta gettò le fondamenta del poter reale
della sua famiglia, reggendo da semplice capo di uno stato elet-
tivo, e indi tosto in grazia de' suoi meriti, ed a suo guiderdone
gli stati generali di Francia pensarono di perennare il potere nella
sua discendenza con decretare al suo figlio Ugo Ciapetta, pieno esso
pure di meriti, la corona rimasta vedova colla morte di Lodovico IV
il Neghittoso, e cosi fu assicurato il regno alla sua discendenza.
U Dal quale — Cominciar ecc. I re di Francia si consacravano
con una santa unzione, che faceva l' arcivescovo di Roims nella sua
cattedrale. — Ossa per persone. Da Ugo Capeto figlio del presente
Magno Ugo venne nominata la terza echiatta dei reali di Francia
detti Capetingi.
*3 Mentre che. Finche. — La gran dote Proveniate. Nel 1245 Carlo
d'Angiò fratello di S. Luigi sposò la figlia ereditiera di Raimondo
Berlinghici! conte di Provenza, la quale gli portò in dote questa
provincia. Già prima (1228) una figlia del conte di Tolosa sposata
ad Alfonso, altro fratello di S. Luigi, gli avea portato in dote la
contea di Tolosa.
438 PURGATORIO
Al sangue mio non tolse la vergogna, M
Poco valea, ma puf non facea male. 47
Lì cominciò con forza e con menzogna **
La sua rapina; e poscia per ammenda *°
Fonti e Normandia prese, e Guascogna.
Carlo venne in Italia, e per ammenda80
Vittima fé' di Curradino ; e poi M
Ripinse al ciel Tommaso per ammenda. *
46 Al sangue mio non tolte la vergogna. La vergogna dell'oscura
nascita. Allude al beccaio di sopra, secondo l'opinione allora cor-
Tenie.
47 poco valea, ma ecc. Il mio sangue era poco potente, ma pure
era buono, che è il più, o almeno non si dava al male. Ecco un
effetto del possedere assai, vizi e prepotenze, ed ecco un effetto del
poco avere, almeno non far male.
48 Lì cominciò. Dal tempo che la mia discendenza ingrandi per
la dote Provenzale, cominciarono le sue prepotenze ed inganni, che
si fecero Bubito sentire nella Provenza. Poi si allargarono in Pio-
cardia, beccandosi il Ponthieu (.Ponti), e in Normandia, ripiglian-
dola dagli Inglesi , e finalmente in Guascogna. Sicché l' acquisto
legittimo della Provenza servi d' incentivo alle usurpazioni qui no-
minate.
49 Per ammenda ecc. Per far la satira più amara il poeta la
espone in modo d' ironia, dicendo che per far penitenza d'un pec-
cato, quei reali ne comraetteano un altro. {Per ammenda).
N> Carlo venne ecc. Carlo d'Angiò fratello di S. Luigi venne alla
conquista del reame di Napoli e di Sicilia.
s* Vittima /e' di Curradino. Curradino figliuolo di Currado, e
legittimo re di Puglia, fatto decapitare da Carlo dopo la battaglia
di Tagliacozzo (1268).
** Ripinse al del ecc. Fece avvelenare S. Tommaso d'Aquino
mentre andava al Concilio di Lione, sospettandolo contrario a* suoi
desideri. Bello quest' indicar la morte dell'Angelico Dottore con
ripingerlo al cielo, volendo significare l'anima tutta celeste di questa
aquila degli ingegni. Sulla verità storica di questo fatto ecco il giu-
dizio del Muratori {Ann. d'Italia an. 1274) : « Io non so qual fede
ri possa prestare a Dante, che cel rappresenta tolto dal mondo con
lento veleno, fattogli dare dal re Carlo per timore, che non facesse
CANTO XX. 439
TO- Tempo vegg'io, non molto dopo ancoi, w
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,*4
Per far conoscer meglio e sé e i suoi. M
Senz' arme n' esce, e solo con la lancia *
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta **
Sì, eh' a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato ed onta M
Guadagnerà per sé tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.
L'altro, che già usci preso di nave,89
dei mali uffizii alla corte pontiGeia a cagione della persecuzione dm
lui fatta ai conti- d'Aquino suoi fratelli ».
h Tempo vegg'io ecc. Un anno e mezzo dopo il di presente 12
aprile 1300.
« Un altro Carlo. Carlo di Valois fratello di Filippo il Bello.
w E $è e i suoi. La malvagità propria e di quelli della eoa casa.
M Senz'arme n'esce. Usci di Francia con soli 500 cavalli.
E solo con la lancia — Con la qual ecc. Col tradimento.
Carlo di Valois fn chiamato da papa Bonifacio Vili a solo questo
fine di pacificare Firenze. Invece di paciere, egli ne fu tiranno e
borsaiuolo.
57 E quella ponta — Sì eh' a Fiorenza ecc. Fé' scoppiar la pan-
da a Firenze, perchè trasse da lei d'un colpo e la parte Bianca che
bandi, e una bella somma d' oro.
58 Quindi non terra, ma ecc. Non guadagnerà terra per sé (onde
fu chiamato Senta terra) ma peccato e vergogna, non avendo ri-
mediato alle discordie di Firenze, di che non si curava, e avendola
spogliata invece di danaro e di cittadini : e questo peccato e quest'onta
sarà tanto più grave, quanto meno egli se ne fa coscienza. I danni
che dall'esilio patiscono gli esuli (e Dante era fra loro) sono incal-
colabili. Parlando del solo Dante (ch'era di parte Bianca) dovette
coli' esilio soffrir la confisca dei beni, ed errare ramingo per tanti
anni elemosinando la vita.
*9 V altro che già uscì ecc. Carlo II il Novello figlio di Carlo'.I
d'Angiò. Andando egli all' acquisto della Sicilia, come fu da Na-
poli poco lungi, assalito da Buggeri d'Oria ammiraglio del re Già-
copo d'Aragona, fu fatto prigione, e condotto a Messina (1283),
onde usci nel 1388.
440 PURGATORIO
*°* Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,60
Come fan li corsar dell'altre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne,
Poi eh' hai il sangue mio a te sì tratto,
Che non si cura della propria carne?
Perchè men paia il mal futuro e il fatto, 6I
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, w
60 Veggio vender ecc. Vendette sua figlia Beatrice ad Azzo Vili
da Este, e per questo matrimonio pretese e ricevette da Azzo non
si sa bene se 30, 50, o 100 mila ducati. Dice veggio, cioè veggio
in ispirìto profetico, essendo successo questo contratto matrimoniale
dopo il ÌÌ00.
61 II mal futuro e il fatto. Il mal futuro, come le avare gesta
di Carlo Valois, e di Carlo Novello già detto di sopra: il fatto,
come l'alti e avare gesta dette prima.
63 Veggio in Alagna ecc. Veggio entrar in Anngni i commis-
sari di Filippo il Bello e i loro congiurati (Nogarete e Sciarra Co-
lonna ed altri al loro soldo per catturare il Papa Bonifacio Villi
cui il Bello non volea più riconoscer per papa, e lo volea far con-
dannare come intruso. Si dice : entrar lo fiordaliso , per indicare le
armi francesi, essendo il fiordaliso lo stemma impresso sulle ban-
diere militari di Francia in quel tempo.
Bellissima ammenda del nostro poota all' onta fatta altre volte
a questo gran papa, u Bonifazio Vili (dice il chiariss. Ab. Giara-
battista Marcucci nell'Omaggio a Dante Alighieri; Roma 18G5,
pag. 216 e seg.), è tra'pontefici, die più sono presi di mira a furia
d' ingiurie e di calunnie dagli eretici, che le pigliano Tua dall'altro
di netto, senza darsi pensiero di vedere se a- primi, da cui gli altri
le ricevono, fece prò' il dirle ; anzi con voglia di crescer quelle delle
proprie, come il Gibbon tra gli altri, l'Hallan ed il Sismondi, che
intinsero volentieri la penna loro nel fiele, onde in Francia scrisse
i libelli quel Nogareto che fu uno dei due capi della cattura di Bo-
nifazio, o, come dice Dante, ladroni a posta di Filippo il Bello.
Alquanti nondimeno anche tra' cattolici, dove loro avvenga d' in-
contrarsi in pontefici, che più con vigore sostennero i diritti della
santa cattedra contro potenti avversari, credendo più a coloro, che
ne provarono la severità, ne parlano con animo grosso ; lo che è
disposizione a sentir di scemo nella fede. Non sono mancati però
anche fra gli eretici, la Dio merco, difensori de* calunniati pontefici.
CAX7V' XX. 441
bx zzaciasser? :l :h&ux cm mbsc ara* a ne?
g-tiàa t L£s» ii" aiti cìst-ms- Gr»r-r.-: VTI ex* xa aìcbkv»
Tiiea zèL Torlr:- >_lTfirr II reTE.xk. Iraxe»-: IH atTHctt?;
l£: Vili ?€■:•:•= ttì ri: a* ari cmroci a Xicv£a Wìsmaan. c*r-
Scu Cr«.: 1 :saie ce' 5xxmes.Ti ali*, mas? ha
e li rriTlàfm La fan: si ìs* *- sart; jvcitó*. S
di chi mal pznz- 'a -pezi-xas* x pr^rrì peceatL e Ì05* neri* di
chi ora nàr^iri'j al* f&» o>;e e predire virrL «a* KtiKai e
aDo WMEptri: àej» c:»e :-r.:c-« £ ,» metto. « »3i stù* fie*
rea il m>I:£ fra : -arili ci yaLi ebbe c-be tir*, ha fitto sì cb*
risponda dal sesoìero alie esimie. *
Equi Marcieei ii la ser^s» n. 41 : — StaSa Wì«wan. Difesa
dà Tiri pvnn •■*»-* visi d. &?b_xìz:3 Vili. Escono ietto neiT Ac-
cademia di Eeilrl:« europea in Roma a £ 4 Giorno 1540. Annali
deBe sàenze recgùee crcspCaù dall' Ab. Ani* De-Laea. rotarne XI.
Roma. Tiporrana delle BeJ» Arti 1>40. —
« 0 Sissc-ndi, sull'autorità dei Ferreto. ne racconta che il Papa
per rabbia diventò dopo il suo arrivo in Roma rre&etico; ed avendo
cacciato fuori della sua stanza ratti ì famigliari la quale poi in*
ehiavicehiò al di dentro, dopo essersi battati il capo al mur\\ dì
modo eh? tatti i «noi eanuà capelli fossero intrisi di sangue, « •af-
focò furibondo, sotto le coperte del letto.» Favole, aumogne dalla
prima ail" ultima ma che diremo de* capelli imbrattati dì san-
gue, delle ferite trovate in testo, e come altri ci narrano, nelle mani
lacerate da' suoi propri denti ': 11 Sìsmondi par ci dice che rosicato
da questi fn trovato il suo bastone. Or udite come In divina Pro»
vìdenza hi saputo convincere di menzogna tali calunnie» Nell'anno
1605. setto il pontificato di Paolo V, fu necessario di demolire nella
Basilica Vaticana la cappella, che Bonifazio aveva fabbricata per
sua sepoltura. Prima di portarlo alla nuova sepoltura destinatagli
nelle grotte vaticane, fu aperta la di lui cassa in presenta di molti
prelati e signori, e fu fatto rogito di quest'apertura con minutis-
sima descrizione del tutto rinvenuto dal notare Grimaldi. Ora dopo
trecento anni, neppure un sol giorno più nò meno dopo la morte
del Pontefice, fu trovato il suo corpo iutiero ed incorrotto. Fu mi-
nutamente esaminato da'professori ed altri, ed esattamente descritto;
vi si vedevano le vene ed ogni piccolo segno. La natura, ognuno
il sa. non guarisce nò cicatrixza le ferite dopo la morte: perlochè
queste, se accaddero pochi momenti prima della morte, dovevano
rimanere nel cadavere impresse. Eppure non se ne rinvenne segno
alcuno {.4p. Rub. Boni/. Vili Bomae 1657). La* pelle del capo era
449 PURGATORIO
E nel Vicario suo Cristo esser catto. w
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
Veggio rinnovellar l'aceto e il fele, M
Sk E tra nuovi ladroni essere anciso. w
Veggio il nuovo Pilato sì crudele,
Che ciò noi sazia, ma senza decreto, M
Porta nel Tempio le cupide vele. 67
sanissima, le mani perfette adeo ut summam videntìbus iniiceret
admirationem. Ma il sangue almeno poteasi lavare in modo che più
non tingesse i capelli. Neppur questo; poiché il Pontefice invece di
esser canuto, era quasi del tutto calvo.
W E nel Vicario suo ecc. Bonifazio Vili è detto qui molto pen-
satamente Vicario di Cristo, in opposizione all' empia protesta di
Filippo, che Io volea dannato quale intruso e nullo.
6* Veggio rinnovellar ecc. A Bonifacio Vili tornò si amara questa
onta, che di là ritiratosi poscia a Roma, perdette la mente, e poco
dopo spirò d'angoscia li 12 ottobre 1303.
65 E tra nuovi ladroni essere anciso. I congiurati di Filippo il
Bello per la cattura de) Papa in Anagni furono, oltre il resto, an-
che grandi ladroni, perchè vuotarono il tesoro del papa, che era
grande e da molto tempo accumulato per assoldare una crociata
contro i Saraceni.
66 Senza decreto. Senza decreto del papa alla giurisdizione della
quale e non alla sua era soggetto l'Ordine dei tempiali.
67 Porta nel Tempio ecc. Contro l'Ordine dei templari porta la
sua ingordigia. Filippo confiscò a suo profìtto gl'immensi beni che
possedevano, e questi erano la vera causa della sua guerra contro
di loro; non le pretese mene rivoluzionarie contro lo Stato, o l'ac-
cusa di eresia, che non ne furono, che un palliato pretesto. Le
catture, i processi, le torture, le morti si eseguirono nel modo il
più barbaro. Il fatto avvenne nel 1307 per tutta la Francia. I
templari erano un Ordine di cavalieri che per professione doveano
difendere l'innocenza oppressa. Se alcuni o molti tralignarono dal loro
Istituto, il che pare, Filippo non era per ciò in diritto di giudicarli,
e molto meno di tormentarli a quel segno. E vero che la finale abo-
lizione di quest'Ordine cavalleresco venne fatta da Clemente V di
comune accordo con Filippo nel 1311; ma allora le usurpazioni, le
rapine e le stragi erano belle e consumate.
CANTO XX. 443
O Signor mio, quando sarò io lieto "
A veder la vendetta, che nascosa
Fa dolce Tira tua nel tuo segreto!
Ciò ch'io dicea di quell'unica Sposa60
Dello Spirito Santo, e. che ti fece™
Verso me volger per alcuna chiosa,71
10°- Tant' è disposto a tutte nostre prece n
68 0 Signor mio, quando ecc. O Signor, quando avrò la conso-
lazione di veder piombare terribile sul mio Filippo la tua vendetta,
quella vendetta che tu tieni rinserrata ancora nelT imperscrutabile
tuo cuore, e che per esser sicura, e immanchevole non turba la tua
ira, ma la conserva si dolce, come se colla vendetta ti fossi già sod-
disfatto. Noi quando ci vogliam vendicare siamo inquieti nell' ira
nostra, perchè limitati, come siamo, temiamo ci sfugga l'occasione
di vendicarci. Ma Dio che è onnipotente ed eterno non teme di
questo, e perciò la sua ira è tranquilla.
69 Ciò ch'io divea ecc. Fin qui il Ciapetta rispose con una giunta
maggior della derrata alla prima dimanda di Dante, la quale fu:
Chi fosti. — Ora risponde alla seconda che era : E perchè sola —
Tu queste degne lode r innovelle t — Unica Spota dello Spirito
Santo. Maria SS. perchè concepì e partorì G. C. fecondata solo
dallo Spirito Santo, secondo quel dell'Evangelio: Firtus Altissimi
obumbrabit tibi. Le parole che di Maria diceva il Ciapetta quando
Dante gli s'appressò erano : Dolce Maria — Povera ecc.
io E che ti fece — Verso me ecc. Allude a quel che disse Dante:
Queste parole m'cran sì piaciute — Ch'i'mi trassi oltre per aver
contezza — Di quello spirto onde parean venute.
7i Per alcuna chiosa. Questo alcuna è una gemma, ed una sa-
tira la più sanguinosa dell'altre prime dette contro ai reali di Fran-
cia, perchè Ugo Ciapetta con ciò dichiara che il tanto che ha detto
a carico de1 suoi discendenti non è che una minima parte di quél
più che avrebbe potuto -dire; dichiara insomma, che il detto da lui
non è che alcuna chiosa. Che sarebbe stato se avesse esposte a
Dante tutte le chiose necessarie?
to TanVt disposto ecc. Le lodi della virtù della povertà contraria
al vizio dell'avarizia sono recitate di giorno a modo di preghiera;
all' incontro i biasimi e castighi dell'avarizia, che sono il suono con-
trario, sono recitati di notte. Bellissimo questo riserbare il ricordo
444 PURGATORIO
Quanto il di dura ; ma quando s' annotta
Contrario suon prendendo in quella vece.
Noi ripetiam Pigmalione allotta, 73
Cui traditore, e ladro e parricida
Fece la voglia sua dell'oro ghiotta ;
E la miseria dell'avaro Mida, n
Che seguì alla sua dimanda ingorda,
Per la qual sempre convien che si rida.
Del folle Acam ciascun poi si ricorda, 7*
no. Come furò le spoglie, sì che l'ira
Di Giosuè qui par che ancor lo morda.
Indi accusiam col marito Safira : 76
del bene alla luce, e del male alle tenebre, convenendo alla luce il
bene, ed alle tenebre il male, secondo quel detto allegorico di G. C. :
Ambulate dura lueem habctis, ne vos tenrbrae comprehendant. Fu
da questo ammaestramento evangelico che Dante si fa qui render
impossibile il salir di notte, che è un bene. Dante per mettere più
in onore la virtù della povertà ne mette le lodi di giorno, e per
mettere in disonore il vizio dell'avarizia ne mette i biasimi di notte.
Questo in sostanza risponde a quello che Dante ha fatto nel primo
giro per gli e sempi dell' umiltà e della superbia ; dove gli esempi
dell'umiltà gli pose in alto, e quelli della superbia in basso. Cosi
per onorare la virtù e disonorare il vizio opposto, Dante prende
sempre il partito di nominar prima la virtù e poi il vizio opposto.
73 Pigmalione ecc. Figmalione uccise Sichco suo zio e marito di
sua sorella Didone per impadronirsi delle sue ricchezze.
1* Mida ecc. Questi chiese agli Dei che si cambiasse in oro quanto
fosse toccato da lui. Fu esaudito, e vide quindi cambiarsi in oro
anche gli alimenti: onde morì di fame in mezzo all'oro.
75 Acam ecc. Poi si biasima l'avarizia di Acam, che contro il di-
vieto di Giosuè s'impossessò d'una parte della preda nella conquista
di Gerico, per cui tanto si adirò Giosuè, e per cui fu dannato a
morte.
76 Safira. Anania e Safira che depositando ai piedi di S. Pietro
i propri beni, se ne ritennero parte affermando che li aveano de-
positati tutti, e cosi morirono sull'istante.
CANTO XX. 445
Lodiamo i calci eh' ebbe Eliodoro : ~
Ed in infamia tutto il monte gira
Polinestor che ancise Polidoro. TS
Ultimamente ci si grida : Crasso. ?*
Dicci, chè'l sai. di che sapore è Toro-
Talor parliam 1" un alto e Y altro basso. *°
Secondo Y affezion. che a dir ci sprona *f
120. Ora a maggiore, ed ora a minor passo.
77 Eliodoro. Empio panerai di Selenio mandato a rapire i tesori
dal tempio di Gerusalemme. Eutrato appena sulla soglia, un angelo
a cavallo gli fu sopra atterrandolo a calci.
~» Polinestor ecc. Polinestor re di Tracia ebbe in custodia da
Priamo durante l'assedio di Troia il tulio Polidoro, e suoi tesori.
Egli uccise questo figlio per impadronirsi dei tesori. Così il nome
di Polinestor gira infame per tutto il monte sulla bocca dell'anime.
Dicendosi tutto il monte si viene a dichiarare che le anime degli avari
occupavano tutto il giro, e che quindi erano molte, indicando cosi
quanto comune sia questo vizio.
«9 Crasso ecc. Generale romano avarissimo e ricchissimo Dopo
spogliato il tempio di Gerusalemme andò contro i Parti. A Cam
fu disfatto. Trovatone il cadavere gli fu tronco il capo, e tuffatolo
nell'oro liquefatto gli si diceva a strazio: Anrum sitist\y aurum bibe.
Dante rese questo testo ancora più acuto e satirico.
*° Tutor parliam l'un alto ecc. Dante nella sua dimanda al Cia-
petta disse: Perchè sola — Tu queste degne lode rinnovellef Dun-
que Dante credette che solo il Ciapctta parlasse: ma ciò era falso,
perchè quel che diceva una lo dicevan tutte, colla differenza che
talora una alzava la voce, e qualche altra no. Di qui il creder che
fosse sol una che avesse parlato.
*f Secondo l' affezion che ecc. Appunto come avviene tra noi nel
mondo dove chi prega più alto e chi più basso secondo che il passo
della preghiera lo colpisce più o meno. E siccome l'avarìzia è tanto
varia quanto sono vari gli oggetti a cui mira e di cui si pasce!
perciò alcuna di quelle anime sarà più colpita da un esempio, che
conoscerà esser suo proprio, e alcuna da un altro. Por questa ra-
gione stessa della moltiplicitù dell'avarizia, si pose qui una molti-
tudine di esempi più che in altri gironi.
446 PURGATORIO
Però al ben che il di ci si ragiona, M
Dianzi non er'io sol; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona.
Noi eravam partiti già da esso, **
E brigavam di soverchiar la strada 8i
Tanto, quanto al poder n' era permesso ;
Quand'io senti9, come cosa che cada, **
Tremar lo monte : onde mi prese un gelo,
Qual prender suol colui che a morte vada.
13°* Certo non si scotea A forte Delo w
*9 Però al ben ecc. Perciò dianzi quando tu mi t'appressasti, e
che per noi si recitavano le lodi della povertà che si dicon di giorno.
M Partiti. Virgilio andava sempre dietro a Dante ; ma qui cam-
bia posto ed è Dante che va dietro a Virgilio, come vedremo. I
poeti girano per trovar la scala. È al tutto necessario tener d'oc-
chio ogni mossa per avere un'idea esatta del loro cammino (Vedi
Tav. IV Purg.).
** E brigavam ecc. Ci davamo fretta il più che potevamo; pure
con ciò si indica che andavano poco avanti. Dice così perch'essi
camminavano per un viottolo stretto! rasentato a sinistra dal monte,
e a destra dalle prostese anime degli avari; colle quali non si for-
meranno più,
w Quand'io senti', come cosa ecc. La ragione di questo tremuoto
è detta distesamente nel seguente Canto XXL Intanto si sappia
che quando un'anima ha compito il tempo assegnato al suo Purga-
torio, e si leva per andarsene, succede nel monte un tremuoto, che
è come il segnale dato a tutte le anime perchè sappiano che una
di loro va in Paradiso. A quel segnale poi le anime di tutto il Pur-
gatorio lodano Dio, come vedremo. Vi ricordate che nelP Inf. C. HI,
v. 130, abbiamo veduto qualche cosa di simile? Ebbene, come il
tremuoto che succede colà giù è segno di anime che arrivano al-
l'Inferno, cosi qui il tremuoto è segno di anime che partono dal
Purgatorio. Inoltre il tremuoto infernale era seguito da fierìssimo
vento, da lampi vermigli e spaventosi e da urli de' disperati ; men-
tre questo del Purgatorio non ha altra conseguenza che le sante
grida di gioia che levano le anime per tutto il monte.
** Certo non si scotea ecc. L1 isola di Delo, secondo che narra
Virgilio, soffriva scosse tali da farsi fin natante per Tacque. Questi
CAXTO XX. 44T
Pria che Latona in lei £aeese il nido
À partorir li due occhi del cielo.
Poi cominciò da ratte parti un grido r
TaL che "1 mastro in ver di me a fco,*
Dicendo : Non dubbiar mentr* io #ti guida
Gloria in ezcthh tatti Deo. *
Dicean, per qnel eh* io da vicin compresi.
Onde intender lo grido si potea
Noi ci restammo immobili e sospesi,*
14°- Come i pastor che prima udir quel canto, *
Fin che "1 tremar cessò, ed ei compièsL
Poi ripigliammo nostro cammin santo
Guardando l'ombre che giaceanper terra,
Tornate già in su Y usato pianto. tt
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
Mi fé' desideroso di sapere.
tremuoti si arrestarono quando ri si fermò Latona a partorirvi
Apollo e Diana, ossia il sole e la luna.
** Un grido — Taf ecc. Un grido universale die per quanto
tanto e lieto egli sia. quand* è improvviso e se ne ignora la ca-
gione, come in questo caso, mette sempre l'animo in gran sospen-
sione.
** Invtr di me $i feo. Virgilio ti rivolse indietro a Dante., al
quale egli allora andava innanzi per guida. Ecco la prova del can»
giamento di posto, che vedremo confermato esplicitamente il\ XXI.
▼. 5). Tenet e velo ben* a mente.
89 G Ieri a ecc. Inno cantato d:igli Angeli alla nascita del Reden-
tore. Le anime purganti lodano Dio per la liberazione dì un'anima,
*> Noi ei restammo ecc. Dante e Virgilio, il quale ne sapea ancor
meno di Daiite. Dante almeno saprà l'origine di quell'inno. Im-
mobili e sospesi. Ecco il senso prodotto da queste parole, una santa
sospensione.
9* Come i pastor ecc. 1 pastori di Betlem furono i primi a udir
queir inno, e neppur essi né sapeano.
91 Tornate già ecc. Tornate dal canto al pianto, e non che ai
fosser levate e poi riprostrate.
448 PURGATORIO
Se la memoria mia in ciò non erra, M
Quanta pare'mi allor, pensando, avere : "
Né per la fretta dimandare er'oso,
1B<>. Né per me lì potea cosa vedere. 95
Così, m'andava timido e pensoso.
& Se la memoria ecc. E proprio delle cose che ci sbalordiscono
lasciarci poca memoria di sé.
9* Quanta pare'mi ecc. Dice ch'egli non ebbe mai tanta curio-
sita quanta n'ebbe allor di sapere la cagione di quel tremuoto e di
quelle grida.
95 A7è per me H potea ecc. Non vedendo comparire alcuna novità
dopo il tremuoto e le grida, ma restatosi tutto nello stato di prima,
non potea darsene una spiegazione : e d' altra parte non avea ar-
dire di chiederne a Virgilio per la fretta che si avea. La novità
che scioglierà ogni dubbio comparirà nell'altro Canto.
CANTO XXI
Argomento.
Mentre Dante dubitava sul tremuoto del Purgatorio, e cam-
minava a gran fretta dietro a Virgilioì e si condolea alia pena
degli ovari, furono i poeti raggiunti da un'ombra. Questa saluta
i poeti, e Virgilio rende il saluto dichiarando ch'egli era dell'In-
ferno. L'ombra crede <:he sieno dell'Inferno tu4 ti t due % poeti, e
se ne maraviglia. Ma Virgilio le dice che V altro è vivo, e le
spiega com'egli sia in sua compagnia. Filato questo, Virgilio, an-
cora ignoto a quell'ombra, le dimanda la ragione del tremuoto e
delle grida. L'ombra gliela dice. Finita la risposta delV ombra,
Virgilio le dimanda chi ella sia, e questa gli risponde essere Sta-
zio poeta, dichiarando d'essersi ispirato all'Eneide di Virgilio, e
che per conoscer Virgilio torrebbe di sture ancora al Purgatorio
qualche tempo. A questo punto Virgilio sogguarda a Dante, e Dante
sorride. L'ombra allora s'accorge di qualche novità, e la chiede
a Dante. Dante non sa che si fare; ma Virgilio gli dice che ri-
sponda il vero: perciò Dante dice a Stasio che appunto la sua
guida è il Virgilio tanto da lui ammirato e desiderato. Stazio
allora per un trasporto d'amore vuole abbracciar i piedi di Vir-
gilio, ma Virgilio noi consente.
NB. Vedi tutti i casetlini di questo Canto nella Tirili Purg.,t la Tar. IV Pur§.
La sete naturai, che mai non sazia 1
Se non con l'acqua, onde la femminetta *
* La sete naturai. È il desiderio innato di sapere e di intendere. —
Che mai non sazia. Che mai non si sazia.
3 Se non con V acqua, onde ecc. Se non colla visione beatifica di
Dio in cielo che si acquista mediante la grazia divina in questo
mondo, grazia che dimandò la donna Samaritana a G. C, dicen-
dogli: Da mihi hane aquam, cioè queir acqua della quale G. C. le
29
450 PURGATORIO
Samaritana dimandò la grazia,
Mi travagliava, e punge'mi la fretta
Per la impacciata via retro al mio duca, f
E condole'mi alla giusta vendetta. 4
Ed ecco, sì come ne scrive Luca, *
Che Cristo apparve a' duo, ch'erano in via,
Già surto fuor della sepulcral buca,
10- Ci apparve un'ombra (e dietro a noi venia *
ayea detto prima: Qui biberit ex aqua hac non axtiet in aeternum.
Solo m cielo sarà sazio ogni nostro desiderio, e a questo cielo si
va coll'acqua chiesta dalla Samaritana.
1 Per la impacciata via. Le ombre distese occupavano quasi tutta
la strada meno una stretta viuzza verso il monte: perciò si dice via
impacciata. — Retro al mio Duca. Dante è secondo; tenetelo bene
a mente, e vedetelo nella Tav. IV.
* E condole'mi ecc. Guardando gli appenati, cioè i puniti dalla
giustizia di Dio, n'aveva dolore esso pure, purgando cosi quel qua-
lunque attacco alla terra che Dante avesse potuto avere, sebbene
questo non fosse stato il peccato dì che Dante dovesse temere.
B Sì come ne scrive Luca. E noto il fatto de'due discepoli (S. Luca,
C. aXXÌIV) che dopo la risurrezione di G. C. da loro ancora igno-
rata, andavano al castello di Emmaus, e che furono raggiunti per
istrada da G. C. sotto forma di viaggiatore.
Da tutta la storia sacra e profana non si poteva scegliere un
fatto più proprio al presente caso.
6 E dietro a noi venia — Dappiè guardando ecc. Nessuno, che
io mi sappia, ha inteso questo passo, anzi tutti V hanno inteso a
rovescio. Hanno inteso che l' ombra sopraggiunta fosse quella che
dietro ai poeti venia guardando a* pie la turbi che giace. Invece
il caso è tutto contrario. Non era la nuova ombra quella che guar-
dasse la turba prostesa, erti all' incontro la turba prost !sa quella
che guardava la nuova ombra. Sicché i commentatori hanno rove-
sciato tutto; quello che era soggetto o nominativo (la turba) Io
hanno fatto oggetto o accusativo, e non si accorsero che il loro
senso era impossibile, e di più veniva a distruggere il bellissimo
senso del poeta.
Dissi prima che il senso dei commentatori è impossibile. Infatti
come potea saper Dante e dire che un'ombra di cui i poeti non se
CANTO XXL 461
Dappiè guardando la turba che giace);
n'erano ancora accorti, si guardava dietro ai poeti dappiè la turba
che giace? Sarebbe questa un* aperta contraddizione. I poeti non
hanno ancora veduto quest'ombra, eppure hanno veduto ch'ella
guardavasi a' pie i prostesi. Ritum teneatis, amici! Ciò non può
venir in mente a nessuno che abbia fW di senno in capo. Dissi
in secondo luogo che quel senso travolto dai commentatori distrugge
il bellissimo senso del poeta. Il poeta vuol dire in questo verso e
meno cinque cose: 1.* com'erano allogate le ombre, le une rispetto
alle altre ; 2.* che cosa facessero in sulTappressarai dell'ombra nuova;
3.» per qual ragione facessero cosi; 4.» che cosa facessero i due
poeti mentre andavano a gran fretta pel loro viottolo tra l'ombre
e il monte; 5.* come i poeti sospettarono già di qualche novità dal
contegno dell'ombre prostese. Tutte queste cinque cose sono com-
prese in questo verso e mezzo. Vediamolo.
l.a Ci dice com'erano allogate le ombre le une rispetto alle altre.
Infatti esse guardavano dietro ai poeti, non inninzi a loro, e guar-
davano dappiè, cioè dalla parte dei piedi di esse ombre, e non dalla
parte onde avevano il capo. Ebbene con questo Dante viene a dire
precisamente la loro rispettiva collocazione, la quale il poeta non
ci aveva ancor detto. Ci aveva detto bensì che erano tutte boc-
coni e distese per terra, ma gli restava a dire da qual parte aves-
sero il capo o le gambe, ossia se Dante girando quella cornice
trovasse prima la testa e poi i piedi delle prostese, ovvero trovasse
invece tutto il contrario, cioè prima i loro pie, e poi la testa
Dice adunque Dante che appunto prima trovava i loro pie, e poi
la loro testa, perch' esse si guardavano indietro verso la parte dei
piedi, e cosi venivano a guardare dietro alla strada già percorsa
dai poeti, e verso quella parte dove Dante avea parlato con Cia-
pelta, dove Dante avea parlato con papa Adriano V, e dove ap-
punto c'era la scala nella giusta metà del monte che prospetta oriente.
Vedi qui a maggior chiarezza il mio Disegno Tav. IV, Cornice V
degli avari. Da tutto questo è chiaro che non è indifferente nel Di-
segno del monte collocar le anime volte o da una parte o dtll'altra
a nostro arbitrio, ma bisogna collocarle precisamente come vuol
Dante, altrimenti non si potrà conoscere o spiegar questo passo,
come non l'hanno conosciuto, e perciò l' hanno spiegato a rovescio
i commentatori, i disegni dei quali, se pur ne hanno, sono tutti sba-
gliati.
2.t Ci dice che cosa facessero le ombre cosi prostese in sull'ap-
pressarsi dell'ombra nuova. Esse torcendo la testa si guardavano
452 PURGATORIO
Né ci addemmo di lei, si parlò pria,
verso i loro piò, e precisamente alla via dietro Dante, ossia percorsa
da Dante. Notate bene eh* io dissi, torcendo la testa, perchè una
persona cosi tutta prostesa, se vuol guardarsi dietro ad essa verso
i suoi pie, dee volgere e torcere alquanto il capo con qualche sfòrzo.
Aiutati col mio Disegno Tav. IV.
3.t Ci dice per qual ragione guardassero le ombre verso quella
parte dei loro pie e della via percorsa dai poeti, perchè cioè da
quella parte appunto dovea spuntare o venire un'anima libera ormai
dalla pena del Purgatorio, quell'anima, in grazia della quale avea
testé tremato il monte, ed aveano gridato le anime tut te : Gloria
in excelsis. Quest'anime prostese stavano dunque cosi in sull'avviso
di vederla spuntare, ed è nobilissimo, e naturalissimo sentimento di
quelle anime di conoscere una loro compagna si fortunata. E questa
anima già purgata dovea pur venire da quella parte, perchè da
quella parte, come vedesi nel mio Disegno ci avea la scala, che mette
il V girone degli avari in comunic Azione coi gironi di sotto, e per
passare all'altra scala che sale dal V al Vi girone, bisognava pro-
prio prendere la stessa via presa dai poeti, e che venne loro indi-
cata al principio del girone da papa Adriano in quella terzina del
Canto XIX : Se voi venite dal giacer sicuri, — E volete trovar
la via più tosto, — Le vostre destre sieri sempre di furi. E poi
chiaro che l'anima la quale anela di andar presto al Paradiso, non
prenda la via più lunga, ma la più corta.
4.a Ci dice che cosa fecero i due poeti, mentre andavano a gran
fretta tra l'ombre e il monte pel loro viottolo. Essi camminavano
e guardavano la turba, che giace, e così poterono vedere che tutta
quella turba avea levato un po' il capo, e tortolo indietro. Se i
poeti non avessero ciò osservato, Dante non l'avrebbe potuto de-
scrivere.
5.a Questo verso e mezzo ci dice finalmente che i poeti, ve-
dendo quella turba giacente bocconi torcerai cosi indietro e guardare,
dovettero necessariamente maravigliarsi di quella novità, la quale
sapeano che non era fatta per essi, ina per altra cosa che i poeti
allor non sapeano né potea no immaginare. Ora i commentatori, in-
tendendo a rovescio, tolsero dal Canto una scena sì bella e si na-
turale, ed introdussero un senso vuoto e contradditorio. Se un
pittore avesse voluto dipingere la scena di questo verso e mezzo
dietro la scorta dei commentatori, gli sarebbe riuscita una copia
tutta diversa, anzi contraria all'originale. Eppure l'originale e una
delle più care cose che siano giammai uscite da umana fantasia.
CANTO XXI. 453
Dicendo : Frati miei, Dio vi dea pace. 7
Noi ci volgemmo subito, e Virgilio8
Bendò lui 1 cenno che a ciò si conface. 9
Da tutto questo potete anche conchiudere che quando Dante
disse: Ci apparve un'ombra, intese dire : Ci apparve dopo le spalle,
e senza che noi sapessimo di averla dopo le spalle, non essendoci
noi accorti di lei se non quando già ci era vicina e ci parlò, che
è il eì parlò pria, ossia sinché parlò pria.
Noto finalmente per la punteggiatura, che quel verso e mezzo
che riguarda l' atteggio delle anime, va chiuso fra parentesi, come
lo vedete nel mio testo. Questa graziosissima scena ebbe luogo
ttutto esaminato) tra il fine della facciata di est ed il principio
della facciata di nord, giacché dopo l 'abboccamento dei poeti con
quest'ombra ci troviamo alla scala della facci .ita di nord. (Vedi il
mio Disegno Tav. IV e V, Cornice V).
? Frati miei, Dio vi dea pace. Li prende per anime che vadano
al cielo come lui. Lo potea anche credere, perchè potea credere
che il tremuoto e le grida avvenute pochi istanti prima non fos-
sero per lui solo, ma anche per quelli due Virgilio e Dante. Questo
sbaglio farà presto un bellissime contrasto coll'altro sbaglio di cre-
derli due dell'Inferno. Questi due sbagli sono naturalissimi. Il dif-
ficile era combinarli in modo che fossero naturalissimi. Notate che
quando quest'ombra parlò ai poeti non vedea che le loro terga : Se
avesse veduto lo spirar di Dante non avrebbe parlato cosi, ma
avrebbe conosciuto che Dante era vivo. Di rasai : Ma non sentiva
il calpestio dei piedi che dovea far Dante, e da questo segno co-
noscere ch'egli non er a un'ombra ? Rispondo che il mormorio delle
preghiere degli avari le impediva di potersi accorger di questo.
Osservo finalmente che questo saluto è quello che era solito dar
G. C. af suoi discepoli.
8 Noi ci volgemmo subito. Se i poeti si volsero solo adesso, dun-
que è contradditorio il dirsi dai commentatori nella terzina antece-
dente, che essi videro l'ombra che venia guardando la turba che
giace, ed è vero quanto dicemmo nella n. 6. Notate che il ci vol-
gemmo indica qui due cose : l.a il volgersi della loro faccia all'om-
bra, 2.» il volgersi di sito, venendo Virgilio al di qua di Dante,
secondo che gli troviamo appresso, dovendo esso Virgilio discorrer
colTombra.
9 Rendè lui ecc. Questo dovette esser un semplice inchino, per-
chè non fu che un cenno, od un gesto. Le parole vengono poi.
454 PURGATORIO
Poi cominciò : Nel beato concilio l0
Ti ponga in pace la verace corte, u
Che me rilega nell'eterno esilio. "
Come ! diss'egli (e parte andavam forte) "
*0 Poi cominciò ecc. Questo poi è il correlativo del pria detto
innanzi, il quale pria sembrava starsi da sé solo. — Nel beato
concilio — Ti ponga ecc. Da queste parole non si creda che Vir-
gilio avesse già conosciuto, che quell'anima, finita la sua pena, se
ne andasse dritta al cielo. E nn felice angario che potea fare a
qualunque altra anima del Purgatorio. Virgilio con queste parole
ricambia precisamente lo stesso saluto ricevuto prima dall'ombra,
alla quale avea risposto prima con solo cenno o gesto.
*< Verace corte ecc. Il Paradiso. Quando Dante usa il termine
verace intende sempre con esso l'ultimo grado di perfezione.
i* Che me rilega ecc. Rettifica lo sbaglio della nuova ombra, di-
cendo di sé che era un'anima bandita dal cielo. Queste parole danno
occasione ad un secondo inganno dell'ombra, passando essa a cre-
dere di que' due tutto l'opposto di prima. Prima li ha tolti per
eletti, ora li toglie per presciti, ritenendo che il compagno di Vir-
gilio sia della slessa sua condizione. Ma come mai l'ombra potè
prendere quest'abbaglio? Lo vedremo alla n. 13.
** Come ! disi egli ecc. A intender bene tutta la scena di questo
atto notiamone tutti i movimenti, avendo sempre dinanzi agli occhi il
luogo strettissimo dove siamo, e perciò vi consiglio ad osservar bene
il mio Disegno Tav. IV, Cornice V.
Vedrete 1.° Che nel viottolo andavano prima soli i due poeti,
Virgilio innanzi e Dante dietro, mentre le anime prostese guarda-
vano indietro ad un'ombra che dovea venire, senza che i poeti sa-
pessero perchè 'quest'ombre cosi guardassero.
2.° Che l' ombra a qualche distanza vide li due poeti a lei
sconosciuti, e, camminando sempre forte, quasi li raggiunse, ed a
poca distanza da essi li salutò, credendoli anime elette.
3.° Li due poeti a questo saluto si fermano, e con loro sor-
presa si veggono poco lontuna un'anima che viene dietro ad essi:
e allora Virgilio si ritira al di qua di Dante, in modo che Virgilio
resta in mezzo tra Dante e l'ombra, e in questo stesso momento
fa un cenno di riverenza, e poi subito restituisce a parole il saluto,
e manifesta ch'egli non è degli eletti.
4.° Mentre Virgilio cosi risponde, l'ombra compie il po' di tratto
CANTO XXI. 455
*°- Se voi siete ombre che Dio su non degni, u
Chi v'ha per la sua scala tanto scorte? "
E il dottor mio: Se tu riguardi i segni,4*
Che questi porta, e che l'angel proffila, 47
Ben vedrai che co'buon convien chV regni.18
di strada, che la divideva dai poeti, e continua il suo frettoloso
cammino trapassandoli, e cosi viene a trovarsi in un tratto cam-
biata la scena in questo modo : l'ombra nuova dinanzi, Virgilio dopo
l'ombra, e Dante dopo Virgilio, e in questo medesimo punto di
istantanea traslocazione intende o crede intendere che entrambi non
sono anime elette, e ne fa le maraviglie andando sempre a gran
passi, ed i poeti, pure a gran passi, dietro. La velocità con che si
compiono tutti questi movimenti, e il desiderio di giunger presto
alla sua beatitudine fé* si che non adocchiò sottilmente li due poeti.
Se l'ombra avesse guardato bene l'uno e l'altro si sarebbe accorta
che Dante era ben diverso da Virgilio, cioò vivo e spirante, e con
alcuni P nella fronte, il che è segno di anima eletta. — E parte
andavam forte. E intanto tutti e tre andavamo forte. Chi ha letto
tutta questa nota 13 comprende subito che il testo genuino no n
può esser che questo. Andando forte l'ombra sopraggiunta, doveano
andar forte anche i poeti.
u Se voi siete ombre ecc. Queste parole di maraviglia sono dette
dall'ombra già passata innanzi ai poeti, e andante a gran passi coi
poeti correnti dietro ad essa.
u Per la sua scala. Questa del Purgatorio. — Tanto scorie.
Fino a questo punto che è presso al fine del Purgatorio, essendo
noi già all'altezza di miglia 94 5/8, e non rimanendo per giungere
alla cima che 3/8 di miglio.
*<* Se tu riguardi. Dice riguardi, ossia retroguardi, perchè, come
dicemmo, l'ombra era avanti di tutti, e ultimo era Dante, andando
tutti e tre un dietro all'altro per ragion della strada si stretta. —
/ segni. Li P che rimangono ancora sulla fronte di Dante. Di 7 che
ne avea, 4 erano già cancellati nei 4 giri di sotto. Ne rimanevano
dunque ancora 3.
*i Che VAng ti proffila. Appiana all'eguaglianza della fronte. Que-
sto si fa da un angelo prima di monti r ogni scala.
*8 Ben vedrai ecc. Vedrai che il mio compagno non è qua! io.
Egli è un eletto al cielo, e questi P ne sono il segno.
456 PURGATORIO
Ma po' colei che di e notte fila, 10
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Che Cloto impone a ciascuno e compila,
L'anima sua, eh' è tua e mia s ir occhia,20
Venendo su non potè a venir sola, 1!
30- Però ch'ai nostro modo non adocchia : **
*9 Ma po\ Ma poiché. Vedete qui un' olissi simile al sì parlò
del v. 12. Il si stava per sinché^ e questo pò1 sta per poiché. Al
sì mancava la n del sin; e al po' manca la t del poiì oltre il che,
che manca e si sottintende ad entrambi. — Colei che di e notte
fila. Le favole inventarono che la vita dell'uomo fosse in mano di
tre parche: Cloto, Lachesi ed Atropo. Cloto imponeva e raggirava
intorno alla rocca lo stame della vita. Ecco l'impone a ciascuno e
compila. Lachesi filava di e notte quello stame, e fin che c'era da
filare, s'intendeva che l'uomo di cui era quello stame continuava
a vivere. Finalmente Atropo, quando lo stame appartenente alla
vita del tale era finito, tagliava il filo, e l'uomo allora dovea mo-
rire. Colei dunque che dì e notte fila è la parca Lachesi, e questa
non avea tratto ancora tutto lo stame della conocchia appartenente
alla vita di Dante, e quindi si vuol dire che Dante era ancor vivo.
Per questo qui non si parla della terza ed ultima parca, la quale
con uno, che dee ancor vivere, non ha che fare.
*> Tua e mia sirocchia. Ogni anima in quanto alla creazione è
uguale, ossia l'una sorella dell'altra, perchè ognuna è figlia d'uno
stesso padre.
21 Non potea venir sola. Non pò tea venir senza una guida.
ss Però ch'ai nostro ecc. Dice che Dante non adocchia al modo
dell'ombre, che non hanno vero corpo ; ma non vuol dire il solo
adocchiare : dice l'aziono di un senso principale intendendole tutte.
Sicché si dice adocchia, per opera in generale con qualunque degli
altri sensi, ossia non vede, non ode, non gestisce, non odora, non
sente al modo di noi che non abbiamo quel corpo, e che perciò ab-
biamo altri modi di operare. Dante per avere anche il corpo era
perciò soggetto a quelle passioni e fiacchezze, alle quali non anda-
vano soggette le anime senza corpo; e per quelle sue passioni e
fiacchezze bisognava per venir su che avesse un aiuto nella mia
guida. Noi abbiam già veduto infatti quanti aiuti e conforti diede
Virgilio a Dante in tutto questo viaggio.
CANTO XXI. 457
Ond' io fui tratto fuor dell'ampia gola n
D'Inferno per mostrarli, e mostrerolli '*
Oltre, quanto il potrà menar mia scuola,35
Ma dinne, se tu sai, perchè tai crolli *
Die dianzi il monte, e perchè tutti ad una r
Parver gridare infino a' suoi pie molli ? **
Sì mi die dimandando per la cruna *
Del mio disio, che pur con la speranza *°
Si fece la mia sete men digiuna. 31
2» Dell'ampia gola d'Inferno. Dice ampia gola d'Inferno perchè
il luogo dove stava rilegato Virgilio (il castello dei savi al Limbo)
era nel primo cerchio d'Inferno cbe è il maggiore di tutti i cerchi
inferiori, ed è come gli avesse detto : io sono al Limbo. Noi abbiamo
notato nella Tavola II dell" Inferno che la circonferenza di questo
cerchio era di miglia 209.
2* Per mostrarli. Questo prova che gli ordini precisi di Beatrice,
che solo in termini generali si dicono nel secondo Canto dell' In-
ferno, furono questi di condur Dante pei luoghi dell'altro mondo
come luoghi atti ad emendarlo.
2* Oltre quanto ecc. Essendo limitata la Ragione rappresentata
in Virgilio, perciò non a tutto il viaggio Virgilio sarà buono.
& Se tu sai. Di grazia.
37 Tutti ad una. Tutti gli spiriti concordemente.
28 Infino a' suoi pie molli. Fino alle radici del monte che pescano
in mare.
29 Cruna. Forellino dell'ago per cui passa il filo. Per dire che
Virgilio ha colto precisamente nel desiderio di Dante, si prende la
similitudine del sartore, che colla punta del suo filo coglie nella cruna.
E modo tutto Dantesco.
30 Che pur con la speranza ecc. Che con la sola speranza. S'in-
tende colla sola speranza che già si sarebbe soddisfatto al mio de-
siderio di saper la cagion del tremuoto e delle grida.
31 La mia sete men digiuna. Questo è proprio conoscere i più
sottili, e quasi impercettibili moti del cuore. E un fatto che quando
noi, od altri per noi, a persona proba e capace facciamo dimanda
di spiegazione di un dubbio che fortemente ci agita, ci sentiamo
come sollevati prima ancora ch'ella ci risponda, per la speranza che
presto saremo appagati.
458 PURGATORIO
4°- Quei cominciò: Cosa non è che ganza n
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia fuor d'usanza.
Libero è qui da ogni alterazione: *8
Di quel che il cielo in sé da sé riceve u
Esserci puote, e non d'altro, cagione.
W Cosa non è che èanza — Ordine ecc. Ogni cosa che qui av-
viene o che sente la religiosa montagna (la religione della mon-
tagna) è mossa da un ordine superiore e divino, ed è un uso che
qui tutti sanno. Con questo si dice abbastanza che il tremuoto di
quel monte non fu originato da quelle cause fisiche dalle quali sono
mossi quelli del nostro mondo ; e si dice abbastanza, che gli abita-
tori del Purgatorio conoscono l'uso a che servono quei tremuoti,
cioè ad indicare la liberazione di un'anima, come meglio si spie*
gherà appresso, e che appunto perchè si sa a qual uso essi tremuoti
son destinati, gridano le anime il Gloria in excelsit Deo, esprimendo
cosi la gioia che tutti sentono pel bene dei loro fratelli.
>3 Libero è qui ecc. Il Vero Purgatorio che sorge sopra l'Atrio
cominciando alla porta d'ingresso dove abbiam veduto seder V an-
gele confessore (osaerva qui l'Atrio ed il Vero Purgatorio, ossia
Tav. U e Tav. IV) è libero da ogni fisica alterazione. A meglio
inteuder ciò sappiasi che gli antichi distinguevano tre regioni sulla
terra, o riferenti si alla terra, sotto la sfera del fuoco sublunare : la
prima e la più bassa è la regione terrestre deve si formano i tre-
muoti, e le evaporazioni alla superficie sino a certa altezza: la se-
conda sopra questa è la regione dove si formano i fulmini, i tuoni,
i lampi, la pioggia, la grandine; e questa, secondo sempre gli an-
tichi, arriva a 92 miglia dal livello marino; la terzi regione sopra
la seconda, è la purissima ed esente da ogni alterazione. In questa
terza è collocato, ovvero ha il suo principio il Vero Purgatorio per
il tratto di 3 miglia di altezza, dove quanto più si ascende e tanto
la regione si fa più pura, sinché sulla cima si ha il massimo grado
di purezza, dove appunto il poeta ha collocato il Paradiso terre-
stre, del quale discorreremo più a lungo quando ci saremo. Alquanto
più alto di questa terza regione l'uomo naturalmente non potrebbe
più respirare, senza un miracolo di Dio, qual fu concesso a Dante.
si Di quel che il cielo ecc. Costruisci e intendi cosi: Quindi nel
Vero Purgatorio non da altro ci puote essere o venir cagione di
■Iterazione che da quello che il cielo da sé riceve in sé stesso, cioè
CANTO XXI. 459
Perchè non pioggia, non grondo, non neve, n
Non rugiada, non brina più su cade,
Che la scaletta de' tre gradi breve. M
Nuvole spesse non paion, né rade,
*°- Né corruscar, né figlia di Taumante, v
Che di là cangia sovente contrade. *
Secco vapor non surge più avante w
Ch'ai sommo de9 tre gradi ch'io parlai,
Ov'ha il Vicario di Pietro le piante. *•
Trema forse più giù poco od assai ; 41
dalle sfere Celesti e dai loro motori che sono le intelligenze ange-
liche, le quali danno alle sfere le proprietà della loro natura, e quindi
è Io stesso che dire, che le alterazioni del Vero Purgatorio sono
mosse dai motori dei cicli, e dai loro cieli.
W Perchè non pioggia ecc. Vedi nota 38. Queste meteore vanno
al più sino al primo grado della scaletta. (Vedi il Disegno Tav. IV).
*6 Nuvole spesse.. Quindi quella nuvola di folta nebbia che noi
abbiamo veduto avvolgere gli irosi nella III Cornice non era effetto
fisico.
Ji Figlia di Taumante. L'Iride. Iride messaggera di Giunone
era figlia di Taumante.
** Che di là cangia ecc. Perchè è sempre in opposizione al sole ;
quindi ora si vede in oriente, ora in occidente.
M Secco vapor. Il fuoco ed i fulmini, che s' innalzano bensì sopra
la pioggia, la grandine ecc. dette di sopra, ma non arrivano che
fino al sommo dei 3 gradi della porta del Vero Purgatorio (Vedi
Tav. IV).
M II Vicario di Pietro. L'angelo confessore (Vedi C. IX, n. 63).
ài Trema forse ecc. Dice forse, perchè (parlo sempre secondo gli
antichi) quantunque l'Atrio sia nella regione, nella quale sono tutte
la altre terre, e gli altri monti più elevati del nostro emisfero, e
quindi possa andar soggetto alle stesse alterazioni ed agli stessi
tremuoti, pure, per esser molto più alto di tutti, e per esser posto
nell'altro emisfero, e come in un altro mondo, e per esser destinato
a sostanze ultramondiali, potrebbe esser che poco o molto più giù
dei tre gradi Dio l'avesse fatto esente da tali vicende. Da ciò si
vede che il tremuoto è bensì un segno della liberazione dell' anime
che dal Vero Purgatorio vanno al cielo; ma non è il segno della
460 PURGATORIO
•
Ma, per vento che in terra si nasconda, "
Non so come, quassù non tremò mai : **
Tremaci quando alcuna anima monda u
Si sente si, che surga, o che si muova **
*°. Per salir su, e tal grido seconda.
Della mondizia il sol voler fa pruova, **
Che, tutto libero a mutar convento,
L'alma sorprende, e di voler le giova.
liberazione dell'anime, che dall'Atrio passano al Vero Purgatorio :
perchè se anche queste avessero il detto segno, l'anima presente che
è quella di Stazio, e che è stata tanto tempo essa pure nell'Atrio
tra i primi procrastinanti, come vedremo al Canto XXII, nu 55,
non direbbe: Trema forse, ma saprebbe se sì o no trema.
4* Per vento che ecc. Accenna la cagione fisica del tremuoto.
tt Quassù non tremò mai. Perchè appunto il Vero Purgatorio
è nella regione purissima non soggetta ad alterazioni fisiche, ossia
a' venti sotterranei. Ma perchè dice : Non so come, mentre nel verso
innanzi avea detto che il Vero Purgatorio non avea venti sotter-
ranei che sono la causa del tremuoto? Dice non so come, perche
essendo il Vero Purgatorio la continuazione dello stesso monte, non
si sa comprendere come possa tremar l'Atrio, senza che questo co-
munichi le sue scosse anche al Vero Purgatorio con cui è congiunto.
M Tremaci. Trema quassù, cioè nel Vero Purgatorio, dal punto
dove sta il Vicario di Pietro, ossia quell'angelo che ha confessato
Dante, in su, che è quanto dire per le tre ultime miglia del monte,
dalle 92 alle 95 d'altezza dal livello del mare. Vedi il mio Disegno
Tav. IV. — Quando alcuna anima ecc. La causa dunque del tre-
muoto non è nella terra, nò è fìsica, ma estranea a quanto sa dì
natura, ed è al tutto soprannaturale, essendo essa non altro che
la virtù angelica motrice del cielo, come avea detto prima, la qua!
virtù dà questo segno perchè tutti gli spiriti abitatori del Vero
Purgatorio sappiano che uno di loro ha mondata la sua anima, ed
ha finita la sua pena, e ne ringrazino Iddio.
45 0 che si muova. Non ogni sorgere, ma il sorgere per salire
alla beatitudine.
46 Della mondizia ecc. Come conosce l'anima di essersi affatto
purificata, e di aver così terminata la sua pena? Lo conosce, ri-
sponde Dante, dalla volontà assoluta di salire, che improvvisamente
assale l'anima.
CANTO XXI. 461
Prima vuol ben; ma non lascia il talento, i7
Che divina giustizia contro voglia,
Come fu al peccar, pone al tormento.
Ed io che son giaciuto a questa doglia 4S
Cinque cent' anni e più, pur mo'sentii *
47 Prima vuol ben ecc. Dante si fa un'obbiezione. Ma l'anima
non ha sempre la volontà di andare a Dio? Sì, risponde Dante,
ella ha la volontà di salire a Dio sin dal momento che comincia la
sua pena, ma questa volontà non è assoluta, è condizionata, cioè
vuole salire a Dio colla condizione però di purgarsi prima di sa-
lire, e così ha bensì la volontà di salire, ma ha eziandio il talento,
ossia la voglia di penare per rendersi monda, perchè così vuole il
suo Dio, al quale unicamente intende piacere. Ma che cosa è questo:
Jfon lascia il talento? Spieghiamolo. Talento è quella propensione
od atto della volontà per il quale l'anima si dà volentieri alle cose
che le piaciono. Questa propensione alle cose piacevoli l'ha messa
Dio nell'anima. Sta poi all'anima di valersene in bene o in male*
Se l'anima dirige questo suo talento o propensione alle cose piace-
voli peccaminose, Dio, sebbene contro sua voglia, perchè si tratta
di peccato, lascia all'anima il 1 ibero esercizio di questo buo talento,
che le ha posto sin da principio. Ma quando quest'anima parte dal
mondo, la Divina Giustizia pone ossia continua a porre ed a con-
servare nell'anima il detto talento, colla differenza che prima era
talento di peccare, e nel Purgatorio è talento di penare, il che riesce
all'anima cosa piacevole, non già per sé stessa, che il penare è sem-
pre cosa ripugnante, ma per l'uniformità perfetta ai voleri di Dio.
48 Sojì giaciuto a questa doglia. Dicendo giaciuto, indica preci-
samente la pena di quel girone dove erano allora i poeti, e non
qualunque altra pena degli altri gironi di sotto, dove neasun'anima
può dir che giace. Il giacere in senso di Dante, e della lingua, è
esser propriamente e del tutto distesi a terra, il che non si può
dire che dell'anime di questa V Cornice.
49 Cinque cent'anni e più. Di tutte le anime trovate fin qui nel
Purgatorio, questa è quella che ha superate tutte nella durazion
della pena : essa ha superato anche la durata di pena del Ciapetta,
che fu di oltre a 200 anni (Vedi Canto XX Purg ), e chi sa quanti
ancora gliene restano a compimento. Intanto notiamo che le pene
più diuturne Dante le ha messe nel cerchio degli avari, indicando
cosi che se l'avarìzia ha maggior pena nella estensione, deve pur
461 PURGATORIO
Libera volontà di miglior soglia. M
70- Però sentisti il tremuoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor, che tosto su gì' invìi. "
Così gli disse ; e però che si gode M
Tanto del ber quant' è grande la sete.
Non saprei dir quant' ei mi fece prode.
E il savio duca: Ornai veggio la rete n
Che qui vi piglia, e come si scalappia, *
Perchè ci trema, e di che congaudete.
esser maggior colpa, se non in sé stessa, almeno nelle «ne conse-
guenze. Certo l'avarizia è il peccato più aborrito da Dante, e perciò
qui calca la mano più che altrove. Ricordiamoci sempre il ritratto
orribile dell'avarizia, che Dante fece nella lupa del Canto I dell' Jn/.
perchè quello giustifica i rigori presenti. Vedremo poi chi sia questa
anima dai 600 anni e più, perchè il poeta a grand'arte ci fa saper
le cose un po' alla volta, e con bellissima sospensione.
Pur mo\ Solo da pochi istanti. Dunque il tremuoto pur mo
avvenuto, era proprio per lui.
so Libera volontà ecc. Volontà libera da ogni condizione, volontà
assoluta, quella volontà che è senza il talento della pena, che ornai
ai sente già finita per la intera mondezza dell'anima, come dicemmo
a nota 47.
Di miglior soglia. Del Cielo.
si Che tosto su gl'invìi. Bellissimo e gentilissimo tratto di amore
di quest'anima verso le sue sorelle tuttor peuanti.
w E però che si gode — Tanto ecc. Bellissima similitudine dei
gusto ohe si prova nel bere a proporzione della grandezza della
sete, applicato al gusto che si prova nel conoscere a proporzione
del desiderio che se n'ha.
88 Ornai veggio la rete — Che qui vi piglia. Veggo come non
ostante il voler che avete di salire a Dio, vi rimane il talento di
soddisfare la pena, come aveste il talento di soddisfarvi nella colpa.
Questa è la rete che vi piglia.
M &t scalappia. Si scappi dalla rete per la mondezza perfetta
dell'anima, alla quale segue immediatamente la volontà assoluta di
saHre, e- si Mie infatti.
CANTO XXI. 463
Ora chi fosti, piacciati eh' io sappia, w
80* E, perchè tanti secoli giaciuto M
Qui se', nelle parole tue mi cappia. S7
Nei tempo che il buon Tito con l'aiuto S8
S5 Ora chi fosti ecc. Il poeta ha condotto passo passo la narra-
zione delle cose riguardanti quest'ombra a tale un segno da stuz-
zicare nel modo il più acuto la curiosità di essi poeti per saper chi
ella si fosse, e noi non possiamo a meno di esser curiosi con loro.
Le circostanze che servivano di fomite a questa naturale curiosità
erano 1.° un'ombra in piedi e moventesi fra tutte le altre ch'eran
prostese, 2.Q un'ombra ch'era stata la causa del tremuoto e grida
che recarono tanta maraviglia e tanti dubbi ai poeti, 3.° un'ombra
che era la pi ima che trovassero in tutto il suo viaggio in tal punto
che avesse pur mo' compito il suo Purgatorio, 4.° un'ombra si an-
tica da aver passato oltre 500 anni nel Purgatorio. Chi non sarebbe
stato curioso di sapere chi ella fosse? Eppure le circostanze più
maravig'iose e più atte a suscitare la curiosità sono quelle che re-
stano. L'arte di rendere interessante un racconto non fu mai tanto
grande, quanto qui.
fó Tanti secoli. Cinquecent'anni di pena sorprendono veramente,
e ingrandiscono nel concetto il rigore delta divina giustizia. Eppure
questo non è altro che il sentimento cattolico sulla diuturnità di
quelle pene.
H Mi cappia. Costruisci così: Piacciati ch'io mi cappia (ossia
ch'io mi capisca o sia capnee di intendere per mezzo delle tue pa-
role) nelle tue parole, perchè qui se' giaciuto tanti secoli.
38 Nel tempo. Intorno all'auno settanta dell'era volgare. Il buon
Tito. Figlio di Vespasiano. Vespasiano col figlio Tito facea la guerra
in Giudea quando fu acclamato imperatore. Egli allora incaricò il
figlio Tito a dar fine a quella guerra colla distruzione di Gerusa-
lemme. È detto il buono perchè si fece talmente amare per la sua
clemenza e dolcezza che fu chiamato la delizia del genere umano:
la sua 1 b ralità era bì grande che, avendo gassato un giorno senza
aver donato alcuna cosa, disse queste belle parole, rivolto a' suoi
cortigiani: Amici miei abbiamo perduto questo giorno. Successe aj
padre nell'anno 79 di G. C.
Con Vaiuto del gommo Rege. Tito fu veramente aiutato da Dio
nella presa di Gerusalemme, perchè mentre Tito coU'armi l'assediava
si di fuori, Dio colla fame, colle discordie e cogli spaventi la la-
cerava al di dentro.
464 PURGATORIO
Del sommo Rege vendicò le fora, •
Ond'usoì '1 sangue per Giuda venduto, *°
Col nome che più dura, e più onora 61
Er' io dì là, rispose quello spirto, •
Famoso assai, ma non con fede ancora. °
Tanto fu dolce mio vocale spirto, a
99 Vendicò le /ora. Vendicò U passione dei nostro Signore G. C.
tutto fòri o piaghe per le spine, flagelli e chiodi. Questa vendetta
era stata predetta da 6. C. medesimo, e gli Ebrei già se V aveaa
chiamata sul capo dicendo a Pilato quelle memorabili parole: Sa ri-
gidi ejus super noe et super filios nostro*.
60 Per Giuda venduto. È noto che Giuda, il discepolo traditore,
ha venduto a* Giudei per trenta danari il sangue del suo Maestro.
6t Col nome che ecc. Col nome di poeta. Il nome di poeta più
dura e più onora. Infatti nò a filosofi, né a storici, né ad altri scien-
ziati furono da Roma decretati quei publici onori che si decretarono
e si diedero ai poeti.
<3 Er' io di là. Nuova cagione per accrescere lo Btupore dei due
poeti. Essi erano sorpresi di que' 500 anni detti prima, ed ora ai
500 veggono di doverne aggiungere oltre a 700. Dunque essi do-
veano dire: chi sarà mai costui, e dove avrà passati gli altri 700
che adesso saltano fuori? In questa parte di narrazione l' interesse
maggiore dovea esser di Dante, che non di Virgilio, perchè si parla
di un uomo e di una età posteriore di un secolo a Virgilio ed an-
teriore a Dante di 12 secoli.
63 Ma non con fede ancora. Altra cagion di maraviglia per Dante
più che per Virgilio : un poeta famoso, non cristiano prima, e cri-
stiano appresso. Chi sarà mai costui? Dante che sapea la storia
avrà creduto certo d' indovinar chi fosse quel poeta dal tempo in
cui visse, e dalla sua fama di poeta; e avrà detto nel suo cuore:
Questi non potrebbe essere che Stazio, se Stazio fosse stato cri-
stiano. Ma Stazio non fu cristiano. Dunque chi sarà mai? Tutte
queste circostanze sbucciano dal racconto, e dall'arte ond'è condotto.
Intanto è solo Dante che qui può prendere, e prende infatti un in-
teresse particolare verso quell'ombra che parla. Vedremo poi come
verrà la sua volta anche a Virgilio.
64 jlft'o vscalt spirto. Il mio spirito poetico, la mia poesia, i miei
canti.
CANTO XXL 465
Che, Tolosano, a sé mi trasse Roma, e*
90- Dove mertai le tempie ornar di mirto. 66
Stazio la gente ancor di là mi noma; 67
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille,
Ma caddi in via con la seconda soma. **
Al mio ardor fur seme le faville, 69
6* Che, Tolosano. Che sebben di Tolosa, «ebben fossi Tolosano.
Qui 8' intende Tolosa delle Gallio, e non Tolosa di Spagna, perchè
Tolosa di Spagna nella Biscaglia fu fondata molti secoli dopo il
primo dell'era volgare, essendo essa stata fabbricata da Alfonso il
Savio re di Castiglia poco dopo il 1252. Vedremo tosto come qui
Dante prese un abbaglio nel determinar la patria di questo poeta.
Ma lo sbaglio più che suo era del tempo e della necessità.
6* Mirto. Era questa la ghirlanda serbata ai poeti erotici : quella
di lauro era riserbata agli epici. Qui il mirto sta non per indicare
che quel fosse un poeta erotico, ma per indicare che era grande
bensì, ma inferiore agli epici antichi.
67 Stazio ecc. Publio Tapini o Stazio celebre poeta latino in sul-
l'ultimo scorcio del I secolo, era Napoletano, e figlio di Stazio.
Egli si acquistò la buona grazia di Domiziano ch'era successo a
Tito suo fratello nell'anno 81 dopo 6. C. e gli dedicò i suoi poemi
la Ttbaide e V Achilleide. Mori a Napoli verso Fanno 100 di G. C.
Oltre la sua Tebaide iu 12 libri, e la sua Achilleide in 2 libri, noi
abbiamo ancora le sue Selve in 5 libri, lo stile delle quali ò più
puro, più piacevole, e più naturale di quello della Tebaide e del-
V Achilleide. Nel III delle Selve Stazio medesimo si appalesa Napo-
letano; ma le Selve al tempo di Dante non erano conosciute ; esse
furono scoperte circa un secolo dopo di Dante. Ma al tempo di
Dante tutti faceano Stazio di Tolosa; e l'origine di questo errore
è dovuta a Placido Lattanzio, commentatore di Stazio, che lo fa
Tolosano, dicendo ch'egli insegnò rettori ca in Gallici con molta
celebrità ; ma poscia venuto in Roma si diede a jìoesia.
t* Ma caddi in via con ecc. Non ultimai V Achilleide, sorpreso
dalla morte. Dante non nominando che queste due opere di Stazio,
e tacendo le Selve, che, come dicemmo, sono migliori, fa chiara
mostra che non le conosceva; e già egli non pò tea conoscerle, per-
chè furono scoperte dopo, come dicemmo.
69 Al mio ardor ecc. Al mio ardor poetico furono eccitamento
le faville infuocate della divina fiamma (Eneida), dalla quale ven-
do
466 PURGATORIO
Che mi scaldar, della divina fiamma,
Onde sono allumati più di mille ;
Dell' Eneida dico, la qual mamma ™
Fummi, e fummi nutrice poetando :
Senz' essa non fermai peso di dramma. 7f
100. E, per esser Vivuto di là quando
Visse Virgilio, assentirei un sole 7i
gono illuminati moltissimi. Notate la differenza. L' Eneida taluni in-
fiamma, talaltri illumina: infiamma i grandi, illumina i mediocri»
che sono molti.
70 Za qual mamma — Fummi ecc. La qual mi fu madre e nu-
trice ogni qual volta poetai, il che ò un dire : Da\V Eneida riconosco
il principio ed il seguito delle mie poesie immaginate dapprima sul
modello di Virgilio, e condotte poscia al suo compimento, tenendo
sempre d'occhio il modello detto.
71 Senz'essa ecc. Vuol dire che ogni più piccolo pensiero delle
sue poesie cercò sempre di ragguagliarlo al pensiero dell1 Eneida,
e non si chiamava mai pago finché la roba sua, per piccola che
fosse, pesata con quella di Virgilio non riuscisse a pari, come si
fa appunto delle cose che si pesano sulle bilance, sur un bacile delle
quali si mette la merce, e sull'altro il peso, ed allora la merce cor-
risponde al peso e il peso alla merce, quando levando la bilancia,
e merce e peso restano uguali. Nel caso nostro il peso sarebbe
V Eneida, la merce la poesia di Stazio. Questo però Stazio intende
quanto alla imitazione, dichiarando di aver imitato a capello V Eneida,
non quanto al merito intrinseco della cosa, dichiarando lo stesso
Stazio in fine della Tebaìde, e della sua Teòaide parlando, quanto
egli fosse inferiore a Virgilio, dicendo: Vive precor: nec tu divi'
nam iEneida tenta} — Sed longe sequere, et vestigia semper adora.
Avvertite che nel discorso àeìY Eneida maestra di Stazio in tutto
e per tutto comincia ad essere interessato anche Virgilio, che dap-
prima non lo potea esser troppo, trattandosi di persona a lui po-
steriore. Qui dunque viene la sua volta anche per Virgilio, ed è
ammirabile l'arte del poeta di aver introdotto circostanze tali da
ravvicinar due soggetti, che si amavano senza conoscersi.
7* Un $ole. Un sole potrebbe esser preso per un anno, e anche
per un giorno. A me piacerebbe che fosse preso per un giorno, cioè
per quel giro che il sole compie in 24 ore, e non il corso annuo
del sole. Perciocché a me pare che quanto meno tempo si dice, e
CANTO XXI. 467
Più eh' i' non (leggio al mio uscir di bando.
Volser Virgilio a me queste parole 73
Con viso che, tacendo, dicea: Taci;
Ma non può tutto la virtù che vuole: 7i
Che riso e pianto son tanto seguaci 7*
Alla passion, di che ciascun si spicca,
tanto più s'ingrandisce il concetto delle pene del Purgatorio. Chi
concede un ritardo nella pena per un anno, mostrerebbe chela pena
è assai piccola; ma chi concede il ritardo in essa pena di un giorno,
credendo di concedere assai assai, mostrerebbe che la pena è pure
assai grande. Anche concedendo solo un giorno di più nel Purga-
torio sarebbe un'iperbole sterminata, ma starebbe nei limiti della
probabilità poetica, e non diminuirebbe di troppo il concetto delle
pene del Purgatorio: all'incontro, credendo un anno, si eccedono i
limiti della probabilità poetica, e si rendono spregevoli quelle pene
che tanto si esagerarono sin qui, e che secondo le credenze catto-
liche, seguite appuntino da Dante, sono sì gravi che un minuto ti
pare un anno. Non credo dunque che s'abbia da ingrandire l'iper-
bole più del dovere, e a danno del concetto della pena; onde fissiamo
che assentire un sole sia assentire un giorno. Che poi Dante prenda
un sole per un giorno, fra gli altri passi che lo provano, basti il
verso 39 del Canto XIX del Purg. dove Dante disse : E andavam
col sol nuovo alle reni. Se era nuovo il sole allora appena levato:
dunque non era quello del giorno innanzi, era un altro sole, e per-
ciò Dante contava un sole per un giorno.
73 Volser Firgilio ecc. Virgilio si compiacque dei sentimenti di
Stazio; ma siccome voleva continuare la scena, e godersela più a lungo,
perciò temendo che Dante lo svelasse (ed era infatti da aspettarsela),
gli disse che si tacesse. Ma come dirglielo senza che se ne accorgesse
Stazio? Glielo disse Con viso che, tacendo, dicea : Taci, ossia glielo
disse con un tale sguardo, che esprimeva abbastanza quello che avreb-
be espresso il labbro. Chi sa quante volte noi stessi ci siamo fatti
intendere in questa maniera? Notate che Dante camminava dietro a
Virgilio, onde si disse che Virgilio si volse anche per questa ragione.
74 La virtù che vuole. La volontà.
w Che riso e pianto ecc. Si può ben dire ad un uomo d' indole
aincera, che non manifesti quel che dentro prova, sia di gaudio che
di dolore, che tutto è inutile : egli riderà e piangerà secondo quello
che sente, perchè appunto è sincero, e quanto lo è più, tantomeno
468 PURGATORIO
Che meri seguon voler nei più veraci.
Io pur sorrisi, come l1 uom che ammicca ; 7e
no. Perchè l'ombra si tacque, e riguardommi w
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca.78
sarà capace di ritenersi. Tale era l'indole di Dante; e perciò non
potè tenersi dal sorrìdere.
76 lo pur sorrisi. Io feci solo un sorriso, s' intende però accom-
pagnato da quella leggera gesticolazione degli occhi, che natural-
mente si unisce al sorriso, e che è appunto l' ammiccare , ossia il
fare un cenno cogli occhi che mostrano di aver capito. E come il
poeta ci avesse detto : Io pur sorrìsi ammiccando, o ammiccai sorri-
dendo. Notate qui una cosa di gran rilievo. Sapete che i tre poeti
camminavano a gran passi per una strettissima vìa con quest'or-
dine. Innanzi era Stazio, e dopo Stazio Virgilio, e dopo Virgilio,
Dante. Tenete sempre d'occhio il mio disegno Tav. IV Purg. Nes-
suno dunque di questi tre vedea la faccia dell'altro. Intanto Stazio
manifesta il suo immenso desiderio di aver potuto conoscere Virgilio,
e per questa fortuna mostra vasi anche disposto ad un grandissimo
sacrificio. In questo incidente, Virgilio teme che Dante scopra il
secreto, onde si volge a Dante, che avea di dietro, accennando
che tacesse. Questo piccolo volgimento portava necessariamente un
tantino di ritardo in Virgilio, e per conseguenza anche in Dante,
e questo bastò perchè Stazio si rivolgesse a veder che era. Si volse
infatti in quel punto che Dante sorrise ed ammiccò, e cosi Stazio
colse Dante in quell'atto, e, come si direbbe, in fragranti. Egli non
colse Virgilio in quel punto, perchè avea la faccia a Dante, e quindi
ascosa a Stazio. La scena sarebbe stata bellissima anche se i tre
poeti fossero stati fermi in un crocchio, ma diventa arcibellissima
considerata la circostanza del luogo angusto, del frettoloso cam-
mino, e dell'ordine con cui andavano i poeti. Se in Dante si tien
conto di tutto, si comprenderanno tutte le sue bellezze : facendo
altrimenti, crederemo di averle colte tutte, e non ci accorgeremo
che il meglio va perduto. I pittori tentino di colorire una scena
cosi magnifica. Lo stesso facciano gli scultori. Imparerebbero molto.
•" Perchè. Per la qual cosa. L'ombra si tacque. E naturale che
Stazio, accortosi che gatta ci cova, si taccia e pensi. Riguardommi.
Perchè Stazio guardava indietro si dovea appunto dir: riguardommi,
essendo Dante in ultimo luogo.
78 Negli occhi ecc. Sempre quando ci volgiamo ad uno lo guai-
CANTO XXI. 469
E, se tanto lavoro in bene assommi, 79
Disse, perchè la facoia tua testeso 80
Un lampeggiar di riso dimostrommi ?
Or son io d'una parte e d'altra preso : 81
L'una mi fa tacer, l'altra scongiura
Ch'i' dica; ond'io sospiro, e sono inteso.85
Di', il mio Maestro, e non aver paura, M
Mi disse, di parlar; ma parla, e digli
12°- Quel eh' ei domanda con cotanta cura.
Ond' io: Forse che tu ti maravigli, •*
diamo negli occhi; il resto della faccia lo vediamo per concomitanza.
Qui poi c'era una ragion particolare perchè Stazio mettesse i suoi
occhi su quei di Dante, ed era perchè gli occhi di Dante aveano
ammiccato, e con questo aveano messo Stazio in qualche sospetto,
ed in voglia di sapere il perchè di quei cenni.
™ Se. Non è condizione, ma augurio. — Tanto lavoro. Tanto viag-
gio, che per esser viaggio a prò dello spirito, riusciva ed era un
vero lavoro, e lavoro faticosissimo. — Assommi . Compi, termini.
«0 Testeso. Testé.
81 D'una parte e d'altra. Da Virgilio che vuol eh* io taccia, da
8tazio che vuol eh1 io parli.
89 Sospiro, e sono inteso. Avvien più volte che si faccia trape-
lare il secreto senza dirlo, ed è se si pena a rispondere quando si
dovrebbe rispondere prontamente. Dante appunto era in questa
angustia che Stazio sospettasse già che la terza persona fosse Vir-
gilio, e lo sospettasse per sua cagione, e perciò temeva che il fatto
riuscisse poco gradito al suo maestro, che gli aveva tanto racco-
mandato di tacere.
83 Dl'9 ecc. Ad arte si pongono qui in bocca di Virgilio tanti
eccitamenti della stessa cosa, per assecurar Dante, che con dirla
non gli facea dispiacere, quatunque poco prima gli avesse racco-
mandato il contrario. E quello che sempre facciamo per dar ansa
di parlare ad una persona che conosciamo troppo timida.
84 Forse. Dico forse e non certo, quantunque Dante fosse certo,
ma cosi parlano le persone, che sono timide e riverenziali: esse
non azzardano mai con ostinazione le loro opinioni, sebbene ne sieno
convìnte, ma le presentano con aria di dubitazione, quasi dichia-
470 PURGATORIO
Antico spirto, del rider eh' io fei ; 85
Ma più d'ammirazion vo' che ti pigli.
Questi che guida in alto gli occhi miei, w
È quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forze a cantar degli uomini e de' Dei. 87
Se cagion altra al mio rider credesti,
Lasciala per non vera ; ed esser credi
Quelle parole che di lui dicesti. *"
180. G& gi chinava ad abbracciar li piedi *°
rando con ciò di sottomettersi al giudizio altrui, e di esser pronte
a ricredersi. Questo ò quel modo che si tiene dalle persone molto
educate colle persone di alta portata. Se io, a cagion d'esempio,
parlo con un principe che e in qualche errore, io non gli dico : Certo
vostra Maestà s'inganna: ma dico invece: Forse V. M. s'inganna.
85 Antico spirto. Perch'era al nostro mondo da 1200 anni prima.
86 Gli occhi mici. Siccome Virgilio guidava Dante verso la cima
di quel monte, e siccome quando si va su per un monte, massime
se questo è altissimo e faticosissimo, gli occhi corrono sempre
avanti a veder quanto resti ancor di cammino, perciò è molto me-
glio detto gli occhi miei, che i passi miei. Notammo altra volta
l'avidità degli occhi di Dante a veder l'altezza del monte per la
voglia di guadagnarla, come nel C. IV, v. 85 dove Dante dice : Ma
8c a te piace, volentier saprei — Quanto avemo ad andar, che il
poggio sale — Più che salir non posson gli occhi miei.
87 Forze a cavtar. A cantar con robustezza poetica.
88 Quelle parole ecc. E per esser vivuto di là quando ecc.
89 Già si chinava ecc. Solamente qui si fermano un istante li
tre poeti per Tatto di omaggio, che in una invasione di forte en-
tusiasmo Stazio vuol fare a Virgilio. Anche qui come feci alla n. 76
non posso a meno di eccitar pittori e scultori a tentar lo studio
di questo gruppo maraviglioso. Forse alcuno potrebbe trovar qui
una esagerazione. La trovo anch'io, e prima di me e di tutti la
dovette sentir Dante che la scrìsse. E una iperbole di fatto, come
l'altra spiegata nella nota 72 era un' iperbole di parole. Ma se Dante
sapeva che questa era un'esagerazione, e dirò anche esagerazione tale
che travalica i limiti della credenza per un cattolico, per cui è fatta
la Divina Comedia, come la dettò ? Rispondo : Perchè conoscea
l'effetto che dovea produrre generalmente. Dico generalmente e
CANTO XXI. 471
Al mio dottor; ma egli disse: Frate,
Non far, che tu se' ombra, e ombra vedi. *>
Ed ei surgendo: Or puoi la quantitate
Comprender dell'amor che a te mi scalda,
Quando dismento nostra vanitate,
Trattando l'ombre come cosa salda.
quindi escludo i teologi rigoristi. Quando un grande poeta descrive
scene di una immensa commozione, egli sa che il calcolo della ra-
gione negli spettatori o nei lettori ha da far ben poco in quei mo-
menti, e ch'essi sono disposti a berne di grosse. In questi casi il
grande poeta ti lancia in mezzo un pensiero che per sé stesso è
esagerato, ma per il complesso delle circostanze sa che riesce gra-
dito, che produce un magico effetto, che viene applaudito, e che si
tiene per il vero colpo di scena. Tale e il brano di quel figlio d'Ugo-
lino che offre le sue carni al padre perchè le mangi e si disfami.
Anche questo è troppo esagerato, ma fa colpo ed effetto ammirabile;
e tanto basta. H brano presente sa di quello.
9° Non far, che tu ecc. Si sa che le ombro non avendo vero corpo
non si potevano stringere né abbracciare. Ricordati di Dante nel
Canto II, dove in un trasporto di amicizia e'si gettò sopra Casella
per abbracciarlo, e gli sforzi inutili di quell'atto.
CANTO XXII
Argomento.
Li tre poeti Virgilio, Sfatto e Dante panando dinnanzi
all'angelo che rade un P dalla fronte di Dante, salgono la scala
che mette al VI giro, e odono frattanto alcune parole allusive M
dell'angelo, e Dante dietro loro sale più leggermente di prima. tv
Nella salita Virgilio ohe andava dietro Stazio gli manifesta l'a-
more ch'egli ha per lui già da gran tempo, e come gli abbia preso
quell'affezione. Indi gli muove il dubbio come mai egli sì savio
fosse stato avaro. Stazio gli risponde che il suo peccato fu anzi
il contrario dell'avarizia^ e che per esso sarebbe caduto all'In-
ferno se un passo di Virgilio non l'avesse corretto, e gli manifesta
che nella V cornice insieme cogli avari sono anche % prodighi.
Virgilio gli muove poi un altro dubbio dicendogli che dalla sua
Tebaide apparisce ch'egli fosse vissuto pagano ; gli chiede dunque
come fu che entrò nella vera fede. Stazio gli risponde che la prima
sua guida alla fede fu appunto Virgilio con un altro passo delle
Egloghe, e la seconda sua guida fu la santa vita dei cristiani:
per cui egli fu cristiano innanzi la Tebaide, ma fu cristiano di
solo cuore, mostrando, per paura, di esser pagano, e che per que-
sta paura stette tanti anni nel IV cerchio dell'accidia. Finito
questo, Stazio chiede nuove a Virgilio di tanti antichi personaggi,
e Virgilio gU risponde che sono al Limbo con sé. Intanto con que-
sti discorsi arrivano alla fine della salita del VI giro. Volgono
a destra secondo il solito, e poco dopo trovano un albero con frutta
in mezzo la strada, ed un ruscelletto che dalla roccia vi piove so-
pra. Da quell'albero esce una voce che divieta di mangiarne, e che
fa l'elogio della sobrietà e dell'astinenza.
NB. Vedi tutti i casellini di questo Canto nella Ta?. Ili Pura., e la Tav.V Purg-
dia era, l'angel dietro a noi rimaso, *
L'angel che n'avea volti al sesto giro,9
i Già era l'angel ecc. L'angelo custode della scala che dalV giro
degli avari mette al VI dei golosi.
9 Al sesto giro. Al giro dei golosi.
474 PURGATORIO
Avendomi dal viso un colpo raso: 3
E quei eh1 hanno a giustizia lor disiro 4
Detto n'avea Beati, e le sue voci
Con sitiunt, senz'altro, ciò fornirò.
Ed io più lieve, che per l'altre foci, 8
M'andava sì, che senza alcun labore
£ Seguiva in su gli spiriti veloci : 6
10* Quando Virgilio cominciò : Amore 7
Acceso di virtù sempre altro accese,
Pur che la fiamma sua paresse fuore. 8
Onde, d'allora che tra noi discese 9
3 Un colpo raso. Col ventilar dello sue ali secondo il solito. U
colpo era un P impresso cogli altri dal primo angelo col punton
della spada. L'azione si accenna di passaggio, perche l'avarizia non
era peccato proprio di Dante.
* E quei ch'hanno ecc. Secondo il solito l'angelo ora che Dante
è purgato dal peccato di questa cornice, recita la beatitudine con-
traria a detto peccato. Beati qui esuriunt et titiunt iustitiam.
$ Ed io più lieve ecc. Perchè essendogli stato levato un altro P
(peccato) aveva un peso di meno da portare.
Foci. Sono propriamente gli sbocchi dei fiumi nel mare, come
la scala è uno sbocco da una cornice ad altra.
6 Seguiva in su ecc. Con quest'ordine : Dante in ultimo luogo,
indi Virgilio, indi Stazio.
? Amore acceso di virtù ecc. Notate bene di qual amore si parli.
Amore virtuoso. Chi ama di questo amore si fa sempre riamare :
ma chi ama di amor vizioso non si fa sempre riamare ; ed è per-
chè la virtù piace a tutti, e il vizio a pochi.
8 Pur che ecc. Solo che ecc. S' intende che per riamare un amante
virtuoso bisogna prima che l'amore di questo apparisca. Ma qui ai
vuol dire una cosa più precisa ancora; bì vuol dire che basta solo
avere un sentore che altri abbia per noi questo amor virtuoso,
perchè tosto noi siam portati a riamarlo.
Paresse. Apparisse.
9 D'allora ohe. Dal 128 di G. C. nel qual anno morì Giovenale
poeta satirico, che, essendo d'Aquila, venne a Roma, come Stazio,
e sorvisse a Stazio 28 anni. Giovenale dunque pò tea benissimo co-
noscere Stazio.
CANTO XXII. 475
Nel limbo dell' inferno Giuvenale,
Che la tua affezioni mi fé' palese, 10
Mia benvoglienza inverso te fu quale
Più strinse mai di non vista persona, "
Sì ch'or mi parran corte queste scale. *
Ma dimmi (e come amico mi perdona
20- Se troppa sicurtà m'allarga il freno,
E come amico ornai meco ragiona),
Come poteo trovar dentro al tuo seno "
Luogo avarizia, tra cotanto senno,
Di quanto per tua cura fosti pieno?
Queste parole Stazio muover fenno
Un poco a riso pria ; poscia rispose : u
Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno. IS
Veramente più volte appaion cose, iù
Che danno a dubitar falsa matera, "
i0 dffezion. Amandomi nelle mie opere, e per esse prendendo affe-
zione alla mia persona.
<* Piò, strinse mai di ecc. Più non strinse mai amante di non
vista persona.
is Mi parran corte queste scale. Queste scale, sebbene di molto
accorciate dalle prime, pare sono lunghette anzi che no. La scala
p. e. dove sono li tre poeti presentemente è lunga quasi 2/8 di
miglio. Vedilo nella Tav. V, tra V e VI cornice.
43 Come poteo ecc. Virgilio crede Stazio essere stato avaro, e avea
ragione di crederlo perch'era stato a penar tra gli avari più di 500
anni, secondo che gli avea confessato Stazio medesimo. Or Virgilio
si maraviglia ch'egli avesse avuto questo vizio, egli, uomo di tanto
senno.
n Un poco a riso pria. E naturalissimo, essendo quello che ap-
punto succede in tali incontri.
43 Ogni tuo dir d'amor ecc. Chi ama parla così.
46 Appaion cose. Come quella di essere Stazio giaciuto più di
500 anni tra gli avari senza esser avaro.
n Falsa. Perchè questa materia è falsa? E falsa perchè non è
appoggiata alle vere cagioni che si dicono nell'altro verso. Appli-
476 PURGATORIO
3°- Per le vere cagion che son nascose.
La tua dimanda tuo creder m'avvera
Esser, eh' io fossi avaro in l'altra vita,
Forse per quella cerchia dov'io era.
* Or sappi ch'avarizia fu partita i8
Troppo da me, e questa dismisura
Migliaia di lunari hanno punita. "
E, se non fosse eh' io drizzai mia cura, *°
Quand' io intesi là dove tu chiami, sl
Crucciato quasi all'umana natura:
chiamo la teoria al fatto. La materia nel caso di Stazio sarebbe che
egli giacque cogli avari per tanti anni. Dunque Stazio fu avaro
(così conchiuse Virgilio). Ma conchiuse male; perch'egli crede che
cogli avari non ci sieno che avari, mentre ci sono quelli che noi
sono, almeno che noi sono nel senso comune della parola. Ma questa
circostanza Virgilio non la sapeva, e perciò non sapeva la vera ca-
gione che tenne Stazio in quel luogo insieme cogli avari, e quanto
giustamente fosse punito colà quantunque alieno dall'avarizia. Dietro
questa osservazioni s'intenderà facilmente la terzina seguente.
48 Avarizia fu partita — Troppo da me. Avarizia fu divisa
(lontana) troppo da me, cioè peccai per l'eccesso contrario. La virtù
è sempre in mezzo a due vizi fra lor contrari ; e la liberalità è in
mezzo all'avarizia da una parte, e alla prodigalità dall'altra. Onde
l'adagio: In medio stat virtus Ora tanto l'avarizia quanto la pro-
digalità si oppone alla stessa virtù della liberalità, l 'una per difetto,
l'altra per eccesso : e questa e la ragione perchè suppone sapiente-
mente Dante e nell'Inferno e qui che avari e prodighi sieno puniti
in un medesimo cerchio. Stazio dunque vuol dire ch'egli era stato
prodigo e non avaro, e Io dice con una espressione quasi identica
a quella dell'in/. C. VII, dove per dir di quelli ch'ebbero il vizio
della prodigalità si espresse cosi : In cui usa avarizia il stio soperchio.
49 Migliaia di lunari ecc. Stazio getta in lune o in mesi i 500
anni della sua pena detta prima.
20 E «e non fosse ecc. E se non fosse ch'io regolai la mia pas-
sione della prodigalità.
** QuanoVio intesi là ecc. Quand'io appuntai le mie considera-
■ioni a quel passo dove tu esclami.
CANTO XXN. 477
40- Per che non reggi tu, o sacra fame M
Dell'oro, l'appetito de' mortali ?
Voltando sentirei le giostre grame, M
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali *
Fotean le mani a spendere, e peritemi
Così di quel, come degli altri mali.
Quanti risurgeran co' crini scemi, **
» Per che non reggi ecc. È la traduzione di quel passo di Virgilio
En. Ili : Quid non mortalia pectora cogis — Auri sacra farnesi
che taluno, come il Venturi ed il Bianchi, vorrebbe pretendere, che
Dante non l'abbia inteso, facendo così di Dante un ignorantello da
disgradarne gli asini delle scuole. Anzi Dante l'ha inteso più e me-
glio di qual si fosse sapu tissimo Virgiliano : e credo che la prima
gloria di aver difeso Dante in questo punto vadi al nostro P. Cesari,
e la seconda al Tommaseo. Il Cesari nelle sue bellezze di Dante
spiega cosi: Per che (per quanto e quali vie distorte) non reggi
(non signoreggi tu) l'appetito degli uomini, o esecrata fame dell'oro?
Il Tommaseo nel suo Commento imparando dal Cesari spiega cosi :
Per che non reggi? Per quali opere non traggi? — Or io dico che
questo è propoio dare nel segno, indicando che la sacra o maledetta
fame dell'oro può trascinare a vie del tutto opposte, a vizi che fanno
a9 pugni tra loro, quali sarebbero l'avarizia e la prodigalità.
** Voltando ecc. Sarei dannato coi prodighi dell1 Jn/., C. VII.
** Che troppo apri r Vali — Potean ecc. Conobbi che come po-
teano chiudersi troppo le mani per tenacità, e cosi poteano troppo
aprirsi per prodigalità ; e cosi conobbi la mia prodigalità essere un
vizio né più né meno che la tenacità, onde me ne pentii, e pentito
di questo ch'era il mio vizio principale facilmente mi potei pentire
anche degli altri Va senza dire che qui si parla di un pentimento
solamente naturale, che si può trarre anche dalle osservazioni filo-
sofiche, e che serve di buon principio al pentimento soprannaturale
che giustifica. E questo io dico contro que' tali che hanno riso di
questo pentimento primo di Stazio, e della sua cagione.
s* Quanti risurgeran ecc. Quanti vanno dannati per la prodiga-
Età., e quindi al di del giudizio risurgeranno coi crini scemi, o mozzi!
Allude al v. 57 del Canto VII dell'/»/. : Col pugno chiuso (gli avari),
e questi co'crin motti. ,
478 PURGATORIO
Per r ignoranza, che di questa pecca K
Toglie il pentir vivendo, e negli estremi!
E sappi che la colpa, che rimbecca *7
so* Per dritta opposizione alcun peccato,
Con esso insieme qui suo verde secca. **
Però 81 io son tra quella gente stato *
Che piange l'avarizia, per purgarmi
Per lo contrario suo m'ò incontrato.
Or quando tu cantasti le crude armi *°
Della doppia tristizia di Giocasta, 3t
Disse il cantor de1 bucolici carmi, M
*6 Per V ignoranza. Colpevole, s' intende.
*1 E sappi che la colpa ecc. Sappi che i peccati direttamente
opposti, come avarizia e prodigalità, si puniscono al Purgatorio
colla stessa pena, e nello stesso luogo. Ciò non va detto solo di
questa cornice, ma e di qualunque altra. Il poeta ci fa solamente qui
questa osservazione perchè noi l'applichiamo anche agli altri peccati.
*s Suo verde secca. Modo proverbiale : sconta il suo reato.
*9 Però s'io son ecc. Perciò s' io son giaciuto cogli avari fu non
per purgarmi dell'avarizia, ma della prodigalità.
30 Or quando tu cantasti ecc. Passa ora Virgilio a chiedere a
Stazio la soluzione di un altro dubbio. Notate qui che i dubbi di
Virgilio son pur quelli di Dante, in cui Virgilio vede, come in sé
stesso, e ne chiede la soluzione più per Dante che per sé. Dalla
soluzione dei primo dubbio conchiuse Virgilio che dunque Stazio
non dovea esser dannato, ma per questo non ne veniva ch'egli do-
vesse esser beato, ma solo confinato al Limbo cogli altri grandi che
non avevano peccato, ma non ebbero la fede necessaria a salute.
Ora vede che Stazio venne prima qui a salvamento, ed ora se ne
va alla gloria del cielo, eppure apparisce egli dalle suo opere pa-
gano, e quindi mancante della fede necessaria a salute. Come dun-
que, conchrude Virgilio, si può combinar tutto questo f
31 Della doppia tristizia ecc. Et co do e Polinice due figliuoli di
Giocasta, che per ambizione di regno si uccisero a vicenda, e quindi
furono la doppia tristizia di Giocasta. Questo è il soggetto della
Tebaide di Stazio.
39 II cantor ecc. Della Bucolica, poesie pastorali di Virgilio.
CANTO XXII. 479
Per quel che Clio lì con teco tasta, 33
Non par che ti facesse ancor fedele 3i
6°- La fé, senza la qual ben far non basta.
Se così è, qual sole o quai candele M
Ti stenebraron sì, che tu drizzasti
Poscia di retro al Pescator le vele?36
Ed egli a lui: Tu prima m'inviasti37
Perchè accenna Virgilio dalla Bucolica? Perchè la soluzione a que-
sto secondo dubbio sarà presa dalla Bucolica, come vedremo.
33 Per quel che Clio ecc. Per quanto si raccoglie dai pensieri
poetici sparsi in quel poema, Virgilio nomina Clio, perchè questa è
la musa invocata da Stazio al principio del poema. La musa tasta
o strimpella le corde della poetica cetra insieme col poeta : cosi si
indica l'aiuto delle muse ai poeti.
3* Non par che ti facesse ecc. Perchè parlasti di numi, dei loro
sacrifizi, e delle superstizioni pagane con quel rispetto, onde è com-
preso un pagano, che non abbia ancora ricevuto la fede di G. C,
senza la quale, operar bene non basta a salute.
35 Qual sole o quai candele. La luce del sole è luce propria, la
luce delle candele è luce acquisita. Cosi Dio è luce propria; i mi-
nistri di Dio sono luce acquisita. Con queste metafore è come Vir-
gilio dicesse : Fu Dio immediatamente che ti converti, o Dio ti
convertì mediante i suoi ministri?
30 Dietro al Pescator le vele ? Così che tu drizzasti la tua vita
secondo le norme della vita cristiana, che non può esser tale se non
seguendo il Vicario di G. C, Pietro e i suoi successori. Ah se ascol-
tassero questo bel documento tanti eretici e tanti libertini peggiori
di tutti gli eretici, i quali pretendono di essere cristiani e salvarsi
anche senza il Papa! La necessità di stare col Papa è un punto
che a Dante stava sommamente a cuore. Dante prese l'unione col
Papa come il perno della nostra fede, e come la regola della nostra
condotta. Ogni professione infatti che manca di questa unione e di
questa sommissione ò nulla. Perciò questo punto Dante lo ripete
più di una volta, e non contento d'accennarlo, come qui, passa a
raccomandarlo caldamente, come fa nel Paradiso, Canto V. Avete il
vecchio, e il nuovo Testamento (questo lo hanno anche gli eretici
ed i scismatici, ma non basta) — E il Pastor della Chiesa, che vi
guida : — Questo vi basti a vostro salvamento.
■ 37 Tu prima ecc. Tu mi recasti prima a poesia, e poi a Dio col
480 PURGATORIO
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte, **
E poi appresso Dio m' illuminasti. *
Facesti come quei che va di notte,40
Che porta il lume dietro, e sé non giova,
Ma dopo sé fa le persone dotte,
70- Quando dicesti: Secol si rinnova; 4i
meno della poesia. Ecco lo scopo sublime della grande poesia, e
dei grandi poeti. Il dilettar non & che un mezio, il fine è d'innal-
zare l'uomo a Dio. I poetastri non sanno questa cosa ; ma Dante,
per dir dei nostri, la seppe e la praticò, usando sopra tutti della
poesia per la salute delle anime, co me un missionario si vale a que-
sto fine delle sue prediche. Vedi a questo proposito la Tav. ì del-
l' Inferno e il discorso preliminare relativo, dove ho sviluppato tutto
il concetto cattolico della D. C.
*8 Parnaso. Monte presso Elicona famoso per il sno fonte Pegaseo,
le cui acque, secondo la mitologia facevano i poeti.
39 appresto Dio m'illuminasti. S' intende sempre quel lume na-
turale, che serve di buon principio alla vera fede.
40 Facesti come ecc. Bella e molto espressiva similitudine. Vir-
gilio vivendo un poco prima di G. C. visse nelle tenebre del paga-
nesimo, ma retto e probo come era, par che travedesse la prossima
venuta del promesso riparatore, e nell'Egloga IV della sua Bucolica
l'accennò. Di questo accenno Stazio, che visse dopo il compimento
della predizion Virgiliana, si giovò più che non se ne fosse giovato
Virgilio; onde Virgilio fece come quel dal lume descritto nella si-
militudine troppo chiara per so.
M Secol si rinnova ecc. Magmi* ab integro eaeclorum nascitur
ordo. Jam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna; Jam nova
progenie* coelo dimittitur alto. Virgilio trasse questa predizione
dai versi della Sibilla Cumana. 11 Venturi ha qui una bella nota
per testimonianza di S. Agostino a tal proposito : Nonne ( S. Ag.
contra JudaeosJ quando poetatile facundissimus inter sua carmina
jam nova progenie* ecc. dicebat, Christo teHimonium perhibebut t
Poi in altro passo contro Marciano lo stesso S. Ag. scriveva : Te
duce, si qua manent sceleri* vestigia nostri irrita perpetua sol-
vent formidine terrai^ quod ex antheo, ide*t ex sibyllino carmine
se fassus est transtulisse Virgilius1 quoniam for tasse eiiam illa
vaie* aliquid de unico Salvatore in spiritu audierat quod ne.
cesse habuit confiteri.
CANTO XXII. 481
Torna giustizia, e primo tempo umano,
£ progenie discende dal ciel nuova.
Per te poeta fui, per te cristiano: 4a
Ma perchè veggi me* ciò eh' io disegno, w
A colorar distenderò la mano.
Già era il mondo tutto quanto pregno AÀ
Della vera credenza seminata
Per li messaggi dell'eterno regno ; 45
£ la parola tua sopra toccata 46
**°- Si consonava a' nuovi predicanti ; 47
45 Per te cristiano. Sempre in Benso di naturai predisposizione.
*3 jffe\ Meglio. — Ciò eh* io disegno — A colorar ecc. Il disegno
serve di profilo al colorito che poi si pone. Il colorito dunque com-
pie il disegno. Questo vale un dire : Se finora ti ho solo accennato
come fu la mia conversione, ora te la narrerò per disteso.
U Già era il mondo ecc. Già la fede di G. C. era sparsa per
tutto il mondo. Infatti Tertulliano vicino a Stazio potea dire dei
cristiani: Noi siamo di jeri, eppure occupiamo ogni luogo dell' im»
pero romano.
** Per li messaggi ecc. Sparsa ovunque dagli Apostoli poco prima,
e subito dopo continuata a spargere dai successori degli Apostoli,
ai quali era stato detto da G. C. (ed essi adempirono fedelmente
con mirabil successo) : Euntes in mundum universum, praedicate
E vangeli uni omni creaturae.
Gli apostoli e gli uomini apostolici si dicono messaggi, perchè
furono messi o mandati da G. C. : sicut misit me Pater, et ego mitto
vos. Si dicono dell'eterno regno, perchè il regno di G. C. non è peri-
turo, come i regni di questo mondo : sulla terra non ha che il prin-
cipio, e poi ha nel cielo la sua eterna continuazione.
*s Sopra toccata. Vedi n. 41.
*7 si consonava ecc. Si combinava appunto con quello che inse-
gnavano i predicatori di G. C. e della vera fede. Essi predicavano
un nuovo ordine di cose avvenuto in terra mediante una riforma
radicale del disordine antico : Magntts ab integro saeclorum na~
ncitur or do. Predicavano le grandezze di una Vergine e lo stabili-
mento del regno della grazia e dell'innocenza per la rigenerazione
dell'uomo, una età veramente dell' oro : Redit et Virgo, redeunt
Saturnia regna. Predicavano già disceso in terra un bambine di
4Ai PURGATORIO
Dimmi dov'è Terenzio, nostro antico, M
Cecilio, Plauto, e Varrò, se lo sai: 59
Dimmi se son dannati, ed in qual vico. *°
100. Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai, fil
che dal V mette al VI giro. Dicemmo ch'era lunga 2/8 di miglio,
come potete vedere nella mia Tav. V.
58 Terenzio, nostro u ìttico, Cecilio, Plauto ecc. Tre poeti comici
latini più antichi di Virgilio, ai quali tutti è comune l'aggiunto
nostro antico, come Dante dicesse in plurale : Nostri antichi Te-
renzio, Cecilio e Plauto. Terenzio, elegantissimo, mori verso il 159
av, G. C. Cecilio anteriore a Terenzio. Cicerone lo chiama malum
latinitatis auctorem ; ma ch'egli fosse perito nell'arto della Come-
dia appare da ciò che lo stesso Terenzio non dubitava di consal-
tarlo. Plauto, anch'esso elegantissimo, morì nel 184 av. G.C. Varrò
o Vairone, il più dotto ed il più erudito tra i Romani in Gram-
matica, Storia e Filosofìa, visse tra il 116 e il 28 av. G. C. Desso
era contemporaneo a Virgilio, perciò questo quarto ò separato dagli
altri tre primi, ed a lui non si estende l'epiteto di nostro antico come
ai primi.
t>9 Se lo sai. Dice se lo sai, perchè stando Virgilio nel Limbo
non pò tea sapere precisamente che di quelli che fossero al Limbo;
degli altri avrebbe potuto saperlo parte per induzione, poiché, non
trovandosi al Limbo, si potea conchiudere che fossero dannati, e
parte per poterli anche aver veduti nel discendere con Dante all'In»
ferno: poiché già nel Canto XXT Virgilio gli avea detto : Ond'io fui
tratt>> fuor dell'ampia gola — D% Inferno per mostrarli, e tno-
stremili — Oltre quauto il potrà menar mia scuola: il che era
un dire a Stadio, ch'egli (Virgilio) avea mostrato a Dante l'inferno,
e quanto si può vedere nella discesa, ed una parte del Purgatorio.
Poteva dunque Virgilio uella discesa dell'Inferno essersi abbattuto
in qualcuno dei menzionati, se non erano al Limbo, od averne in-
lesi i nomi da altri dannati, così passando di cerchio in cerchio.
*>o in qual vico. In qual contrada, o cerchio dell'Inferno.
61 Persio. Poeta satirico latiuo assai stimato, ma oscuro ed osceno,
quantunque la sua vita non fosse oscena, ma di buoni costumi.
Nacque nel 34 dopo G. C. e morì nel G2 di 28 anni. Egli fu dun-
que contemporaneo di Stazio, sebbene morto prima di Stazio, e.
vivendo insieme nella stessa Homa. debbono questi due poeti essersi
conosciuti. Perciò Virgilio aggiunge anche questo ni nomi richiesti
CANTO XXII. 486
Rispose il duca mìo, siam con quel Greco. tt
Che le Muse lattar più ch'altro mai.
Nel primo cerchio del carcere cieco. 6à
Spesse fiate ragioniam del monte, **
Ch'ha le nutrici nostre sempre seco.
Euripide v' è nosco, e Anacreonte, 6b
Simonide, Agatone, e altri piue
Greci, che già di lauro ornar la fronte. **
Quivi si veggion delle genti tue 67
da Stazio, quasi volendo supplire alla dimenticali za di lui. E forte
ehi sa che Dante l'abbia fatto a Stazio tacere a bello studio per
indicare che i poeti osceni non meritano nemmeno d'esser nominati.
Virgilio però lo nominò in grazia di Stazio. Osservo ancora che
Persio, siccome Stazio, vivevano in tempo e in luogo che erano ob-
bligati ad aver la fede di G. C. per salvarsi. Sicché Dante inclinò
a un po' di troppa indulgenza verso di Persio, per quanto a me pare*
Ma torna qui in proposito l'argomento che abbiamo altre volte toc-
cato in simili propositi, doversi cioè concedere al poeta una tanta
libertà in confronto del Teologo.
6* Con qvel Greco ecc. Omero, principe di tutti i poeti antichi.
Dico antichi, perchè Dante sorpassò di gran lunga lo stesso Omero,
per la fortuna d'aver potuto attingere dalla vera fede il più grande
soggetto che mai si possa concepire, e di averlo saputo trattare
con una poesia d.'gua di queir altezza. Ricordatevi qui del IV Canto
dell'/»/*, dove di Omero, venuto con altri ad incontrar Virgilio, si
dice: Questi è Omero poeta sovrano. Con Omero bì apre In via a
dir dei Greci.
63 AeJ primo. Nel Limbo, che era nel primo cerchio dell'Inferno.
Noi abbiam veduto che folte tenebre circondassero la città dei
Savi. Canto IV.
64 Del monte ecc. Del Parnaso, dove abitano sempre le muse
maestre e madri dei poeti.
65 Euripide ecc. Tutti poeti greci. Euripide tragico, visse dal
480 av. C; Anacreonte erotico, visse dal 532 av. C. ; Simonide ele-
giaco, visse dal 480 av. C; Agotone tragico e comico, visse ai tempi
di Socrate e di Platone.
W Di lauro ecc. Per esser poeti.
6"» DeUe gtnti tue. Cantate nella tua !/eòa»d<? ed Achilleide.
4*6 PURGATORIO
uo- Antigone, Deifile, ed Argia,
Ed Ismene sì trista come fu e.
Vedesi quella che mostrò Langia ; M
Evvi la figlia di Tiresia, e Teti, w
E con le suore sue Deidamia. 70
Tacevansi ambedue già li poeti, 7t
Di nuovo attenti a riguardare intorno,
Liberi dal salire e da' pareti; 7*
E già le quattro ancelle eran del giorno7'
Rimase addietro, e la quinta era al temo,
120. Drizzando pure in su l'ardente corno, 74
Antigone figlia di Edippo re di Tebe ; Deifile figlia di Adrasto re di
Argo; Argia altra figlia di Adrasto; I amene figlia di Edippo. La
dice «4 trista come fueì alludendo a quei versi della Tebaide XI :
Stride n te m pectore plagam Ismene collapsu super lacrymisque co-
misque — Siocahat plangens.
W Vedesi quella. Issifile che mostrò la fonte Langia agli assetati
Argivi.
69 Figlia di Tiresia. Non Manto, ma o Dafne o Istoriade, ambo
le quali furono anch'esse figlie di Tiresia. Teti. Madre di Achille,
personaggio fe\V Achillei de.
70 Deidamia. Principessa trovata alla corte del re Licomede da
Achille quando visse colà travestito da donna. Scoperto da Ulisse,
l'abbandonò, lasciandola gravida di Pirro. E un personaggio deK
Wéehilleide nel I,
71 Taoevansi. Naturalmente, all'apparir di nuovi luoghi, per un
momento si tace. E quel momento in cui la mente si consiglia per
qual via si debba volgere in caso che più ce. ne sieno, come qui.,
dov'era a dritta e a sinistra.
72 Liberi ecc. Tutto questo Canto sin qui passò per la scala che
dal V mette al VI giro dei golosi. Eccoci dunque nel VI giro, nella
facciata che guarda nord. Vedi la mia Tav. V.
73 E già le quattro. L'ultimo orario fu nel Canto XIX n. 15.
Allora avevamo le 6:15, cioè 1 minuto dopo la nascita del sole.
Aggiunte le 4 ore che qui si registrano, abbiamo 10:15 antim. del
martedì dopo Pasqua. Le ancelle del giorno, che fanno il servizio di
tirare il carro del soli?, sono le ore, come abbiamo notalo altre volte.
74 Drizzando pitre in su. Mancando ore 1:4.- al mezzogiorno.
CANTO XXII. 487
Quando 1 mio duca: Io credo eh allo stremo15
Le destre spalle volger ci convegna,
Girando il monte come far solerne "
Così l'usanza lì fu nostra insegna, n
E prendemmo la via con men sospetto74
Per l'assentir di quell'anima degna.
Elli givan dinanzi, ed io soletto
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni,
Ch'a poetar mi davano intelletto. w
180. jfa tosto ruppe le dolci ragioni*0
Un alber che trovammo in mezza strada,"
ossia al ponto più alto dell* arco che fa il iole nel suo corso diarno,
l* punta estrema del timone del cario del sole, doveva ancora driz-
zarsi all' insù. Questa punta estrema del limone è l'ardente eorno
del temo.
7* Io credo eh'a'lo stremo ecc. Secondo che hanno fatto sempre
sin qui, che, salita ogni scala, si volsero sempre a destra. Cosi la
spalla destra fu sempre volta al di fuori della strada, o allo stremo
di essa. Anche l'ultima volta, per l'altro girone di sotto, Adriano V
disse ai poeti: Le vostre destre sien sempre di furi. Cosi i poeti
presero una direzione da est ad ovest, camminando per la facciata
«lei monte volta a nord. Vedi la mia Tav. V, cornice VI.
?6 Girando ti morite ecc. Vedi Tav. V, cornice VI.
77 Così l'usanza. L'usanza di andar sempre a destra, in contrario
all'Inferno, dove si andò sempre a sinistra.
Nostra insegna. Metafora presa dalle pietre migliane o indici
delle strade.
T* Con men sospetto. — Per ecc. Per simil modo si erano assi-
curati della vera strada, quando i poeti si trovavano nella cornice
degli invidiosi, dove si disse : Xoi sapevam che queir anime care —
Ci lasciavano andar; però tacendo — Facevan noi del cammin
confidare.
~9 Mi davano intelletto. Mi davano intelligenza, conoscenza, o
istruzione, o scuola*
so Le dolci ragioni. I dolci ragionamenti. La vista di cose nuove
e straordinarie interrompe sempre i colloquii.
** Un alber. Un albero carico di frutta. Ricordiamoci di essere
488 PURGATORIO
Con pomi ad odorar soavi e buoni. M
E come abete in alto si digrada **
Di ramo in ramo, così quello in giuso;
Cred' io perchè persona su non vada.
Dal lato, onde il cammin nostro era chiuso, "
Cadea dall'alta roccia un liquor chiaro, **
tìellà cornice dei golosi, ai quali per pena si offre un albero pien
di frutta, tali che anche al solo odore solleticano l'appetito di anime
affamatissime, senza che se ne possano cibare. — In mezza strada.
Nel mezzo della strada. Era nel mezzo avente perciò piedi 7 1/2
di strada per parte, e ciò perchè le anime affiniate lo potessero
veder tutto intorno, e oosi servisse loro di maggior tormento. Es-
sendo nel mezzo, le anime giunte ad essa si dividevano, trapassan-
dolo, metà per parte, e cosi sia le une che le altre ne sentivano i
medesimi influssi.
32 Con pomi. Alla latina, con frutta. — Ad odorar. Cosi oltre la
vista dei pomi, l'odore stesso di essi tormentava. La gola si serve
a peccare dei sentimenti del corpo. Ebbene, tutti i sentimenti del
corpo son qui puniti. Intanto si comincia dalla vista, e dall'odorato.
W E come abete ecc. Perchè sia punito il tatto dei golosi si
diede all'albero forma tale che non può essere asceso. Esso è dira-
mato a rovescio d'un abete. L'abete nel fondo verso terra ha li
rami più espansi, e mano mano che sale, più ristretti finché nella
cima termina in sola punta. L'abete così fatto ò facile a salire. Eb-
bene, l'albero, che qui troviamo, è bensì piantato in terra come gli
altri, ma la massima espansione dei rami la ha in alto sulla cima,
e mano mano che discende, li ristringe, Bieche non resta in fondo
che T ignudo fusto. In conseguenza quest'albero non ò accendibile.
E se non è ascendibile, ecco che la mano non può coglier frutta.
W Dal lato onde ecc. Questo non vuol già dire che tra l'albero
e il monto non vi avesse strada ; perciocché gtò vedemmo che v'era
di piedi 7 1/2 : ma vuol dire dal lato del monte al quale confinava
la strada, ossia dal monte stesso, il quale colà non aveva salita, e
quindi chiudeva il cammin dei poeti.
W Cadea dall'alta roccia. Come le frutta si posero visibili ma
inaccessibili, così la fontana si pose visibile ma inaccessibile : perciò
la si fa spicciare dall'alta roccia. Siccome però le acque pure inac-
oetsibili alla sorgente, poteano farsi accessibili e pr «abili dopo discese:
CANTO XXII. 4SJ
E a spandeva per le foglie suso».
L: due poeti alìalhcr s'appressare* :
*4" Ed una voce per entro le fronde
Gridò : Di questo cibo avrete caro. "*
Poi disse : Più pensava Maria, onde *~
F^sser le nozze orrevoli ed inten\
eoa a far eh* ri reggane, seni* che poi se ne possa tx*ara, si ranno
cascare carne pioggia salì' ombrello dell'albeio. per cui sì spandano
e perdano parte lunro i'sibero. e parte a terra ù:. rette in cvcic.
Co*: tré fame ir mìe pu"« esfer *">vata awawawur.onto ; ani; così
viene l'oca e i'*Itra inaqfrln V'ha di pH. Vacqaa slargando dal
sw» e cadendo amli'albet» si iacea «dii* dagli assetati, e così era
tonuentato acche rndàte. L'adito «aia tmnta» «ache dalle voci
che uscivan dalla, fiuta, cua* vedremo,
^ Gridò ecc. IN questo a fitto wualia. «saia leanmnra, o*>ìa
ood potrete cibarvi. Cori la gola era piatta aaéaa per l'udito : e
c*si tatti i sentimenti del goloso, il <]ual dì tatti si vale alla sua
gola. Tediamo che qui sono paniti. Notate che queste paiole uscite
dall'albero, e le altre che si diranno, non aaao unieimente direte
ai tre poeti : ma esse veng-mo recitate tempre ohe passano anime
lunghesso la pianta.
& poi dine: Più puntava eco. Sono questi ì soliti esempi dì
virtù che noi abbiamo sempre vedito in ogni cornice per ogni vì-
zio. Prima si posero sempre eli e>.:»pi di quella virtù, la cui man-
con .a si puniva in ogui «ingoia cornice, p*i si trovavano le anime
punite per aver seguito il vizio contrario, e finalmente si chiudeva
«»ogli esempi di castighi al detto vizio. Ma questo si foco sempre
variandone il modo, secondo che ci ricorda di aver noi osservato
di volta in volta. Il modo che veliamo qui, varia dagli altri; per-
chè la voce di un ignoto e fatta ir ciré dall'albero, il che non ab-
biamo mai veduto. Prov.i di sterminata riccheiia di fantasìa Per
tanto la virtù che si loda contraria alla gola è la sobrietà o l'asti -
nenzi. Il primo esempio e^ di Maria SS. che Dante mette sempre
a maestra principale d'ogni virili, e quando può dirne qualche fatto
noi lascia mai, anzi e sempre il primo che gli esco, dalla penna.
L'abbiamo sempre veduto, e lo vedremo sempre. Prova della divo-
zione di Dante a sì gran Donna. T letterati che ammirano Dante
nella poesia, e torrebbero a gran merce, di poterlo imitare, lo imi*
>
490 PURGATORIO
Ch'alia sua bocca, ch'or per voi risponde. w
E le romane antiche per lor bere *9
Contente furon d'acqua, e Daniello M
Dispregiò cibo, ed acquistò savere.
Lo secol primo quant'oro fu bello ; 9i
Fé savorose con fame le ghiande,
150, E nettare con sete ogni ruscello.
Mele e locuste furon le vivande,91
Che nudriro il Battista nel deserto ;
tino pure in questi tjel sentimenti, che, come fanno grande onore a
Dante, cosi farebbero pas9 onore ad e&sb nqedesUai. L' esempio di
Maria SS. & il f»U» abbMUnza noto ddtiìCflremura ch'ebbe Maria
per l'onore delle notte altrui, e non par «e slot»
** Ch'or per voi rftpttMfr Prega © guarenttaee per voi. È bel-
lissimo questo rùpondb, ohe espone r ira di Dio che ci vuol pu-
nire pei nostri peccati, e eke viene arrestato dalle guarentigie che
gli fa in cielo Ilaria per la nostra conversione.
** E le romane ecc. È nota la sobrietà degli antichi romani tnnto
lodati da Salustio nel principio della sua Storia di Roma. Questo
fatto prof t> no succede al sacro, secondo il solito delle altre conrei,
che hanno sempre quest'ordine.
90 Daniello cec. Daniello ed altri fauchilli ebrei dovean secondo
le regolo di corte esser tutti nutriti di cibo regio. Ma perchè que-
sto era vietato dalla legge, ottennero di soppiato dì cibarsi di soli
legumi. Questa astinenza in ossequio alla religione gli valse l'acqui-
sto del savere, ossia della sapienza, e della intelligenza dei sogni e
dei misteri. Vedi il libro di Daniele.
9* Lo secai primo ecc. Fu tanto bello, quanto bello è l'oro : per-
ciò la prima età del mondo si chiama il secol d'oro. È il quarto
esempio in lode della sobrietà contraria alla gola tratto dalla mito-
logia. Secondo questa, allora gli uomini si cibavano di ghiande, e
spegnevano la sete coll'acqua, ed erano tanto sobri che mangiavano
a tarda fame, e bevevano a tarda sete, perciò riuscivano loro sa-
porite le ghiande, e nettare o vin prelibato l'acqua dei ruscelli.
92 Mele e locuste ecc. È noto abbastanza dal Vangelo. Si sa che
nella Palestina ci hanno locuste assai più grandi delle nostre, e
che possono servire di cibo, sebbene assai triviale e misero.
CANTO XXH. 491
Perch'egli è glorioso, e tanto grande, w
Quanto per l'Evangelio v'è aperto.
tt Perch' egli t ecc. G. C medesimo disse di lui : Joannes nec
manducane panerà , nec bibens vinum. Lue. VII, 33 (questo quanto
alla sua astinenza ; e poi disse di lui medesimo : .Voti surrexit inur
nato* mulierum maior Joanue Baptist a ( questo quanto alla sua
gloria). Hat. XI. 11.
1
XXIII
A sgomento.
Dante mjtftrmu'ùii «//* albero guarda liso p*r entro te fronde.
Virgilio lo eccita a partirete*. Dante segue tosto i poeti. Ani***
preganti vengono di dietro a loro. Frani* i golosi. Si descrive la
loro magrezza. A Dante vìe a vojìia dì saperne la cagione. Per
fortuna gli vie i fatto ni conoscer un'ombra. Era quella di Forese
suo arnica e parente, ìf spiale *ra t'ato il prioi > a riconoscer
Dante. Forese chìed* a Dan* e due cosci l.<* come mai. vivente
ancora, egli sia cola : 2.*1 chi sie*o li due suoi compagni. Ma
Dante s'impiglia a voler prima saper da Forese la cagione della
magrezza, forese t'addita nella proprietà delTacqra e della pianta,
e con questa occasione gli manifesta che r anime di quella cor-
nice furon golose, e che girano e rigirano a quella pianta, sebbene
d-i quella venga la lor*> pena. Sciolto un dubbio. Dante gliene pr«>«
pone un secondo, come mai egli morto da 5 an*i. e come rt itosi
tolo in morte non è accora nelT Atrio del Purgatorio? Forese
risponde tenendo la tua liberazione daW Atrio e dagli altri giri,
dalla sua buona vedova Xella. Presa occasione dalla bontà della
tua donna, inveiste con'ro la scostumatezza delle donne fiorentine.
e predice che *i griderà dal pergamo contro di loro, e che saranno
punite di là a non molto. Contentata ch'ebbe F*rr*e ogni dimanda
di Dante, chiede che gli soddisfi la sua. Dante gli spiega di tè e
de suoi due compagni.
AH. Vedi tolti i c*s«UJai «li questo **nto o«lla T*v. IH Pufj., e U fa%. \ Purg.
Mentre che gli occhi per la fronda verde !
Ficcava io cosi, come far suole
* Mentre che ecc. Essendo i poeli gii mossi dall'albero e partiti,
1 tante s'era arrestato alquanto, agallando rocchio per entro le fronde,
come chi attende alla presa di qualche uccellino colà nascosto. Per-
chè Dante si soffermò cosi? Per veder, se gli era Dosàbile, chi
avesse date quelle toci fuor dell'albero
494 PURGATORIO
Chi dietro all' uccellili sua vita perde ;
Lo più che padre mi dicea : Figliuole,
Vienne oramai, che '1 tempo che c'è imposto *
Più utilmente compartir si vuole. 3
I1 volsi il viso, e il passo non men tosto 4
Appreso a' savi, che parla van si e, 5
Che l'andar mi facén di nullo costo.
w- Ed ecco piangere e cantar s'udie.6
Labia mea, Domine, per modo *
Tal, che diletto, e doglia parturie. g
0 dolce padre, che è quel ch'i' odo ? *
* Vienne ecc. È il solito eccitamento alla cura del tempo.
* Più utilmente ecc. Perchè il volere Dante veder l'autore di
quel divieto: Di questo cibo avrete caro, era vana curiosità più
che altro.
* /' volsi il viso. Fu tutt'uno l'eccitamento alla fretta che fé Vir-
gilio e il muoversi di Dante dietro quell'eccitamento. Però si può
notare differenza in una simultaneità di azioni: quando ci moviamo
dietro un invito, prima si volge il viso, e poi il passo, non mai
prima il passo e poi il viso. In Dante scrittor di natura convien
osservare anche le cose più piccole.
s Parlavan rie — Che ecc. Nel Canto XXII disse che i sermoni
dei due poeti eran tali CKa poetar mi davano intelletto. Si capisce
dunque che erano discorsi poetici.
6 Piangere e cantar s^udie. Notate che tanto il piangere quanto
il cantare si udiva. Dunque il piangere non è qui il solo lagrimare.
il quale si vede, ma non si ode: quel piangere era un gemito, o
piuttosto un'aria patetica e piagnolenta con che si esprime talora
il canto, sì che quando si canta ti par sentir di piangere. Lezione
ai maestri di musica per esprimere colle note i veri sensi della pa-
rola, e le varie passioni del cuore.
7 Labia me a Domine. Dante scelse e sceglie ora molto a propo-
sito i versetti scritturali. Questo del salmo 50 pei golosi è il più
calzante.
& Diletto e doglia. Diletto pel canto, doglia pel pianto.
9 Che è quel ch'i' odo ì Notate bene che Dante udiva bensì il
cantar patetico e le stesse parole, ma non vedeva però ancor le
r.'i.
10
CANTO XXIII. 495
Comincia' io: ed egli: Ombre che vanno
Forse di lor dover solvendo il nodo.
Sì come i peregrin pensosi fanno.
Giugnendo per cammin gente non nota.
Che si volgono ad essa, e non ristanno;
Così diretro a noi più tosto mota, "
20. Venendo e trapassando, ci ammirava ls
D'anime turba tacita e devota. "
persone. Lo stesso Virgilio udiva, ma non vedeva, ed è perciò che
nella sua risposta dice: For$e. Eppure se era per Torà del giorno,
vi si vedeva molto bene, perchè erano di poco passate le 10 1/4
antimeridiane, e se era per la distanza dei cantanti, questi erano
si poco distanti, che appena fatta la dimanda di Dante, e la ri-
sposta di Virgilio, quei cantanti erano già sopra i tre poeti. Che
ci vuol dir dunque il poeta con questo modo di descrivere? Ci vuol
dire, ed ecco l'arte finissima del poeta, che il monte in quella VI
cornice, aveva una periferia ristrettissima, cotal che le ombre ai fa-
cevano udire senza vedere, e poi in un baleno poteano raggiungere
i poeti, passando assai poco dal non vederle al vedersele appresso.
Chi crederebbe imper tanto che il poeta, dicendo cosi, ci desse già
i cenni belli e chiari della ristrettezza della circonferenza in quella
VI cornice? Eppure è così. Vedi il mio Disegno Tav. V, coni. VI,
dove riscontrerai che la circonferenza della presente cornice è di
soli 5/8 di miglio.
*o Giugnendo. Raggiungendo essi peregrini (Nominativo) gente
non nota (Accusativo).
H Diretro a noi. Dalla parte ove i poeti aveano lasciato l'al-
bero. — Più toiio mota. Con passo più frettoloso del nostro.
** Trapassando. Per la voglia di ritornare all'albero onde veniva
la loro pena. Dunque per lo desiderio di pena. — Ci ammiravo.
Ammirava tutti e tre i poeti qual per una, qual per altra ragione.
Essa ammirava Dante perchè lo conosceva vivo dall'ombra che
gittava. Ammirava gli altri due, che sebbene fossero ombre non
erano della loro schiera, e non sapea chi potessero essere
<3 Tacita. I canti e i gemiti erano stati già sospesi appena le
ombre s'accorsero dei tre forestieri. E natorale, e noi il notammo
poco sopra, che all'improvviso apparire di cose nuove, s' interrompe
sempre il parlare che si facea dapprima.
496 PURGATORIO
Negli occhi era ciascuna oscura e cava, u
Pallida nella faccia, e tanto scema, "
Che dall'ossa la pelle s' informava.
Non credo che così a buccia strema l6
Erisiton si fosse fatto secco l7
Per digiunar, quando più n>.bbe téma.
Io dicea, fra me stesso pensando: Ecco 4H
i* Negli occhi ecc. Sia pel bratto che pel bello gli occhi tengono
sempre il primo luogo. Perc'ò Dell'imprendere la descrizione di
quest'ombre distrutte dalla fame meritamente si comincia dagli
occhi. — Oscura, perchè essendo gli occhi addentrati, l'osso superiore
sporgente e le sopracciglia vi diffondono la loro ombra. — Cava. Gli
occhi nelle malattie di consunzione perdono loro d' intorno la parte
carnea, e diminuiscono i loro umori, per cui dove prima era protu-
beranza si fa cavità.
** Pallida ecc. Il pallore è uno degli effetti della fame, che spe-
gne la vivacità del sangue, il qual colora la pelle. Tanto scema —
Che ecc. La distruzione della carne è anch'essa effetto evidente della
fame. Nel nostro caso la consunzione era ridotta a pelle ed ossa,
cotalchè Tossa e non le carni informavano la pelle , ossia la . pelle
non era che leggier velo teso lungo le ossa, le quali cosi spicca*
vano quasi fossero ignudc, e di scheletro.
*fi A buccia strema. Fino all'ultima delle tre pelli che vestono
la carne, quasi dica che le tre pelli superiori si fossero già dissec-
cate e consunte, e che non restasse che l'ultima a vestir tesamente
le ossa, in sul punto anch'essa di smagliarsi se la faine fosse cre-
sciuta d'un sol tantino.
<7 Erisiton. Secondo Ovidio nell'Vill delle Metamorfosi, era di
Tessaglia, sprezzò il culto dei numi, onde fu punito a consumarsi
dalla fame. Perciò dopo aver mangiato tutto il suo, e di aver per
fame venduta la figlia, non avendo più altro, si rosicchiava da sé
stesso le carni, e così mentre in esse cercava la vita vi trovò la
morte. È su quest'ultimo stadio della fame di Erisiton che il poeta
chiama la nostra attenzione. Prima di quest'ultimo fatto egli ebbe
téma, o cagion ili digiunare ; ma giuuto a quest'ultimo punto ebbe
più téma o cagion di digiuno che tutte le altre volto, perchè non
aveva più nò sostanze né figlia da vendere, onde il digiuno e la
fame fu portata agli eccessi.
18 Ecco la gente che ccc Ecco la vera imagiue degli Ebrei
CANTO XXIII. 497
La gente che perde Gerusalemme,
30- Quando Maria nei figlio die di becco.
Parean le occhiaie anella senza gemme: i9
Chi nel viso degli uomini legge omo, *°
Ben avria quivi conosciuto l'emme.
Chi crederebbe che l'odor d'un pomo11
Sì governasse, generando brama,
E quel d'un' acqua, non sappiendo corno?
Già era in ammirar che sì gli affama,
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza, e di lor trista squama ; **
quando furono si orrìbilmente affamati da Tito entro Gerusalemme;
ma degli ebrei in quel punto che perderono Gerusalemme cioè la
vigilia o il giorno stesso della sua presa, quando la lor fame era
giunta al suo massimo grado, grado che si conosce da quel bar-
baro partito preso da quella madre che avea nome Maria, la quale
arrosti il proprio bambino, non avendo altro da mangiare, fatto il
patto con una sua vicina di mangiarsi appresso il figlio di questa.
Fatti che avvennero in fine dell'assedio, quando la fame arrivò al
sommo.
19 Parean le occhiaie ecc. Le occhiaie o le casse degli occhi pa-
rean senza occhi, tanto erano approfonditi. Per far intender meglio
questa cosa, prende la similitudine delle anella, che nel castone hanno
una gemma, e dice: supponete che il castone non abbia gemma.
Ebbene ; tali parean quelle occhiaie.
*o Chi nel viso ecc. In un viso inagrissimo, e affatto scarno che
somigliasse ad un teschio da morto voi vedete li due 0 nelle oc-
chiaie, e vedete in mezzo a questi 1* M formato dal filo del naso, e
dalle due ossa arcuate che si protendono dai lati del naso soprale
mascelle superiori. L'emme sarebbe nel viso la seguente figura^..
a* Chi crederebbe ecc. È detto questo per anticipazione. Il poeta
lo intenderà tra poco da Forese. Dio a castigo dei golosi pone nelle
frutta di quell'albero, e nell'acqua che su vi cade una virtù spe-
ciale in fòrza della quale l'odor delle frutta e dell'acqua genera in
essi la fame e la sete che li strugge, senza che si sappia come ciò
avvenga.
tt Trista squama. Metafora: è propriamente la veste, che avvolge
32
498 PURGATORIO
40. Ed ecco dal profondo della testa53
Volse a me gli occhi un'ombra, e guardò fiso;
Poi gridò forte: Qual grazia m' è questa?*4
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;*5
Ma nella voce sua mi fu palese
Ciò che l'aspetto in sé avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese *6
Mia conoscenza alla cambiata labbia, *7
E ravvisai la faccia di Forese, 28
Deh! non contendere all'asciutta scabbia,29
50- Che mi scolora, pregava, la pelle,
Né a difetto di carne ch'io abbia;
la carne di certi pesci, ma è detta per la pelle di quelle ombre
affamate, la quale appunto per effetto naturale della inedia si fa
incallita e squamosa, come si può vedere nei pellagrosi, che d' or-
dinario divengono tali per cibo manco.
23 Dal profondo della testa. Dal fondo delle occhiaie, li cui occhi
s' internavano profondamente nella testa. Questa scena meriterebbe
lo studio di un valente pennello.
24 Qual grazia m'è questa t L'ombra avea già riconosciuto Dante
alle fazioni del volto.
25 Mai non l'avrei riconosciuto al viso ecc. Dante non poteva
riconoscer l'ombra che alla voce, perchè l'eccessiva magrezza distrugge
affatto i lineamenti.
96 Questa favilla. Questo indizio della sua voce.
«f Cambiata labbia. Labbia per faccia.
28 Forese. Nobile fiorentino, amico e parente di Dante. Forese
era dei Donati, fratello di Corso e di Piccarci a : era poi parente di
Dante, perchè questi spos*ò una Gemma Donati. Dante però in po-
litica era avversario dei Donati.
29 tfon contendere. Qui non vuol dire contrastare, ma vuol dir :
fissar con tensione, ossia tendere con molta forza le ciglia, come
si fa in un eccesso di maraviglia. Dante era tutto fuori di sé per
lo stupore, come disse prima, e ripeterà poi, e ciò dovea impedirlo
dal secondar subito la curiosità di Forese. Forese dunque gli vuol
torre questo impedimento per farlo subito parlare. — All'asciutta
scabbia. Alla pellagra.
CANTO XXin. 499
Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle *
Due anime che là ti fanno scorta ; *f
Non rimaner che tu non mi favelle.
La faccia tua, chv io lagrimai già morta, **
Mi dà di pianger mo non minor doglia,
Risposi lui, veggendola sì torta. **
Però mi di', per Dio > che A vi sfoglia ; u
Non mi far dir mentr'io mi maraviglio;15
*°. Che mal può dir chi è pien d'altra voglia.
Ed egli a me : Dell'eterno consiglio "
Cade virtù nell'acqua, e nella pianta
Rimasa addietro, ond1 io sì mi sotti glie
Tutta està gente, che piangendo canta.
Per seguitar la gola oltre misura,
In fame e in sete qui si rifa santa.
Di bere e di mangiar n'accende cura
L'odor ch'esce del pomo, e dello sprazzo,
Che si distende su per la verdura.
70- E non pure una volta, questo spazzo "
*> Ma dimmi il ver di te. Non già chi tu sia, ma come sia quassù
mentre sei vivo.
31 Che là. Da ciò non si creda che Dante e Forese fossero fermi.
No, essi andavano; ma pegli atti del riconoscimento e delle pa-
role dovettero aver alquanto allentato il passo, si che li due altri
poeti s'erano nn po' discostati innanzi. (Vedi la collocazione di que-
sti quattro personaggi nel mio disegno Tav. V, tra li due alberi).
3* Ch'io lagrimai. ecc. Per essere stato suo amico, come dicemmo.
33 Si torta. Sì contrafatta.
34 Per Dio. Per amor di Dio. Sfoglia. Emunge, dimagra.
3* Non mi far ecc. Nota l'arte e l'astuzia che usa Dante per
saper primo le cose. Egli non sa se poi le potrà saper più. Questo
verso spiega il contendere del verso 49.
36 Dell'eterno ecc. Vedi la nota 21.
37 E non pure una volta. E non solo una volta girando questo
spazzo. La nostra pena si rinnova ogni volta che facciamo un gire
o
600 PURGATORIO
Girando, si rinfresca nostra pena;
Io dico pena,- e dovre' dir sollazzo ; M
Che quella voglia all'arbore ci mena, "
Che menò Cristo lieto a dire Eli, *°
Quando ne liberò con la sua vena. 41
Ed io a lui: Forese, da quel dì Aa
: el qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqu' anni non son volti insino a qui. "
Se prima fu la possa in te finita "
8°- Di peccar più, che sorvenisse Torà
Del buon dolor, ch'a Dio ne rimarita,
del monte, e che passiamo dinanzi all'albero, e di questi giri e di
questi ritorni all'albero, causa del nostro sfacimento, ne facciamo
molti. L'amor della pena è cagione che ritorniamo all'albero con
velocità, e la brevità del giro, che è di soli 5/8 di miglio, come
si vede nella mia Tav. V, è cagione che. di questi giri ne dobbiamo
far molti.
88 Stillano. Stupendissima correzione.
39 Quella voglia ecc. Siccome Cristo fu menato all'albero della
croce dalla voglia di soddisfare alla divina giustizia, così queir anime
son menate all'albero delle frutta dalla stessa voglia: dunque come
Cristo amò la sua croce, così noi amiamo il nostro albero.
*o A dire Eli. A dir Dio mto, Dio mio perchè mi avete abban-
donato? parole dette da Cristo in croce. Eli (Dio mio) è il principio
di quelle parole.
u Con la sua vena. Col suo sangue.
*2 Forese, da quél dì ecc. Dante dimanda a Forese la soluzione
di un altro dubbio. Il dubbio era questo, come mai egli morto da
soli 5 anni (1295), e convertitosi solo in morte, non era coi procra-
stinanti della sua classe nell'Atrio, dove Dante credea di trovarlo,
e non qui. Da ciò si vede che Forese era durato nella impenitenza
più di 5 anni.
43 Insino a qui. Insino al 1300. Da ciò apparisce che Forese
era morto dopo il 12 aprile 1295, perchè se fosse morto prima di
questo giorno, sarebbero già volti 5 anni.
** Se prima fu la possa ecc. Se prima di convertirti tu fosti
colto dall'ultima tua malattia nella quale ti convertisti e moristi.
v.**
CANTO XXIII. 501
Come se* tu quassù venuto ? Àncora **
Io ti credea trovar laggiù di sotto,46
Dove tempo per tempo si ristora. 41
Ed egli a me : Sì tosto m' ha condotto
A ber io dolce assenzio de' martiri "
La Nella mia coi suo pianger dirotto. "
Con suoi p neghi devoti, e con sospiri50
Tratto m' ha della costa ove s'aspetta, M
9°- E liberato m'ha degli altri giri. M
Tant'è a Dio più cara, e più diletta
48 Ancora, Io ti credea trovar ancora, ecc,
46 Laggiù di sotto. Nell'Atrio del Purgatorio.
tf Dove tempo per tempo ecc. Dove si sta in bando tanto tempo
quanto si ritardò la conversione. Dunque Forese fu procrastinante
convertito in morte; ma senza scomunica, perchè quelli dalla sco-
munica deono esulare nell'Atrio 30 volte il tempo vissuti in con-
tumacia.
48 A ber lo dolce, ecc A scontare le pene del Purgatorio.
49 Nella mia. Già moglie di Forese, che passò poi il tempo in
santa vedovanza, come prima Pavea passato santamente nel coniugio.
80 Con tuoi prieghi ecc Spiega la natura del pianger dirotto
detto prima.
81 Della eosta ove ecc. Dall'Atrio. Vedi il mio disegno Tav. II
Purgatorio.
83 E liberato m'ha ecc. Forese oltre la gola avea dunque di altri
peccati, giacché per essi era stato in altri giri alla pena, e di là
liberato dalla sua Nella. Generalmente parlando quanti vanno al
Purgatorio vi portano macchie per tutti i giri, sebbene abbia cia-
scuno la sua macchia principale, proveniente dalla sua passione
predominante, in forza della quale più facilmente cade in quella
specie di peccati, e quindi più a lungo deve stare in quel giro che
è proprio al suo principal peccato. Vedemmo infatti che Dante il
qual pur diceva d'aver la superbia, e di questa temeva assai, e poco
di qualche altro peccato, nondimeno ebbe tutti i 7 P nella fronte,
e dovette purgarsi di tutti. Noto finalmente che avendo Dante pre-
ferito di trovar Forese nel giro dei golosi, piuttosto che in qualun-
que altro, venne a dirci con ciò che il vizio predominante di Forese
era la gola.
502 PURGATORIO
La vedovella mia, che tanto amai,
Quanto in bene operare è più soletta; "
Che la Barbagia di Sardigna assai M
Nelle femmine sue è più pudica,
Che la Barbagia dov' io la lasciai. "
O dolce frate, che vuoi tu eh' io dica ?
Tempo futuro m'è già nel cospetto,
Cui non sarà quest'ora molto antica, "
100. Nel qual sarà in pergamo interdetto 57
** Quanto in bene operare e più Moietta, L'esser soli a far il bene
fra tutti che fanno il male, è un grande argomento di virtù. Da
questa ragione trasse appunto il Signore l'elogio di Noè, chiaman-
dolo tur iuttus in generationibus suis. Lo stesso fu di Giob, di To-
bia e di altri. Dante cosi condanna apertamente la cosi detta opinion
publica, che oggi si vorrebbe erigere a criterio di moralità, e ad un
santo principio. L'opinion publica, qual ch'ella sia, non vale un
frullo se contraddice al Decalogo.
54 Che la Barbagia di Sardigna ecc. Valga a chiarir questo
passo la seguente noterella di Cesare Balbo nella vita di Dante,
VoL I, Cap, Vili, pag. 161 : In insula Sardiniue est montana
alta9 quae dicitur la Barbagia, et quando lanuenses retraxeruni
dictam insulam de manibus infide li um} nunquam potuerunt retra-
here dictam montanàm, in qua habitat gens barbara et sine civi-
litate; et foeminae suae vadunt indutae suolili pergolato, ita quod
omnia membra ostendunl inhoneste. Nam est ibi magnus calor.
Cosi il postillator Caietano.
M La Barbagia dov io ecc. Per istrazio chiama Barbagia, e peg-
gio di Barbagia, Firenze, per esser le femmine fiorentine più im-
pudiche nel vestire che le Barbagiane.
86 Cui non sarà quest'ora ecc. Non molto dopo il 1300, epoca
odierna.
37 A'el qual sarà in pergamo ecc. Questa è la prova, che le
fiorentine sono peggiori delle Barbagiane, il doversi parlare sino in
chiesa e dai pulpiti di quelle nefandezze, che non si dovrebbero nem-
meno nominare in privato, secondo il precetto. Segno dunque che
le disonestà erano gravi ed universali, e facilmente portate sino
entro il tempio. Le parole in pergamo interdetto, possono signifi-
care le prediche contro lo scandaloso vestir delle femmine, ma più
CANTO XXni. 603
Alle sfacciate donne fiorentine
L'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai Barbare fur mai, quai Saracine, "
Cui bisognasse, per farle ir coverte,
O spiritali, o altre discipline? 59
Ma se le svergognate fosser certe
Di quel che il ciel veloce loro ammanna, *°
Già per urlare avrian le bocche aperte. 6I
Che se l'antiveder qui non m'inganna,
no. Prima fien triste, che le guance impeli M
Colui che mo si consola con nanna. **
Deh! frate, or fa che più non mi ti celi; *
e meglio i decreti vescovili e le pene canoniche, che si bandivano
dal pergamo contro si afacciate usanze. Questo è il senso più gè .
auino della parola interdetto, il quale nel senso canonico indica
censura, e legge d'interdizione, che è un atto di giurisdizione epi-
scopale, e non un privato divieto di predicatore, il quale atto di
giurisdizione è sempre accompagnato da pene contro i violatori. 11
seguito prova che tale è il senso. (Vedi v. 105).
58 Quai barbare ecc. Quali donne di Barberia (co9ta settentrio-
nale d'Africa) o quali donne maomettane. Di tutte queste si sanno
abbastanza i costumi lascivi autenticati dai falsi principii di re-
ligione.
39 0 spiritali ecc. O esorcismi, o censure penali.
co 11 ciel veloce loro ammutiva. Loro prepara in punizione. //
citi veloce è il primo mobile che va più veloce di tutti, e parte-
cipa della sua velocitò agli altri, affrettando gli avvenimenti. Forese
usa questo modo d'indicare la provvidenza di Dio per accennare
che il castigo non è lontano.
*t Già per urlare ecc. Come si fa quando i castighi sono gravi»
e stanno per incoglierci.
63 Prima fien ecc. Saranno punite entro 20 anni.
63 Colui ohe mo ecc. Colui che ora è bambino da culla. Dante,
si pudico, mostra in tutta questa invettiva quanto apprezzi la pudi-
cizia, e quanto gli dolga che la si offenda. Infamia ai poeti lascivi !
w Non mi ti cJi. Non già nel nome, che ti conosco, ma nella
ragione perchè sei qui.
604 PURGATORIO
Vedi che non pur io, ma questa gente
Tutta rimira là dove il sol veli. 65
Perch' io a lui : Se ti riduci a mente
Qual fosti meco, e quale io teco fui, M
Ancor fia grave il memorar presente. 67
Di quella vita mi volse costui, M
Che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda69
65 Rimira là dove il sol veli. Alla tua sinistra. Infatti Dante,
ben notato il luogo dove era, gettava l'ombra cosi. Imperciocché
egli avea girato un tratto della facciata che guarda nord (Vedi la
mia Tav. V, corn. VI), ed era ancora in quella, ed allora erano
circa le 11 meridiane. Egli dunquo avea la spalla destra volta al
sole, e quindi gettava l'ombra dalla spalla sinistra. Prego il lettore
a star molto atteso a questi ultimi tratti di monte, perchè il poeta
ci indica i siti con sottilissimi cenni, e guai se li perdiamo. Abbiate
anche sempre fra le mani le Tavole che verremo accennando,
perchè qui più forse che altrove, sono necessarissime, attesa la ri-
strettezza dello spazio.
66 Qual fosti meco ecc. Cioè tu a me, ed io a te cagion di pec-
cato, ossia fummo complici nel peccare, e fu per purgarmi da esso
che ottenni a gran privilegio il viaggio ch'io faccio,
67 Ancor fia ecc. Ci sarà anche adesso increscioso il ricordarci
d'esserci stati a vicenda cagion di colpa, perchè e tu ed io ne siam
pentiti; e tu ed io ne paghiamo la pena, tu per giustizia di Dio,
io per sua misericordia, la qua'e mi concesse questo viaggio ultra-
mondiale per ricondurmi a virtù.
68 Di quella vita ecc. Da quella vita peccaminosa che ci era co-
mune ad ammendue volse, o mi tolse Virgilio. Allude al I ed al
Il Canto dell'Inferno.
69 Che mi va innanzi. Vedi come son poste le quattro persone
nella Tav. V, corn, VI, tra li due alberi, e con; ■ con questa collo-
cazione si viene qui a indicare precisamente Virgilio, che andavi
innanzi a Danti», come Stazio andava innanzi a Forese. Ma come
sappiamo che Dante era al di dentro della strada, e non al di fuori ?
Lo sappiamo dall'csser questo stato sempre il suo sito, e lo dovea
esser per fuggir il pericolo di cader giù dalla strada. Per questo
quando Dante era solo con Virgilio, Virgilio gli si metteva sempre
dall'orlo della cornice: ce l'ha detto altra volta, Canto XIII, v. 79:
CANTO XXUI. 505
120. Vi si mostrò la suora di colui 70
(E il sol mostrai). Costui per la profonda 7!
Notte menato m'ha de9 veri morti,
Con questa vera carne che il seconda.
Indi m' han tratto su gli suoi conforti, n
Salendo, e rigirando la montagna, n
Virgilio mi venia da quella banda — Della cornice onde cader
si puote — Perchè da nulla sponda s'inghirlanda. Che se c'era
perìcolo nei cerchi più bassi, quanto più nei superiori?
L'altr'icry quando tonda — Vi si mostrò ecc. Queste parole
ValtrHer non indicano precisamente due giorni "innanzi al giorno
presente, perchè se indicassero questo, si cadrebbe in domenica di
Pasqua, essendo noi oggi nel martedì dopo Pasqua verso le 11 an-
timeridiane. Ma ciò non può essere perchè sappiamo che l'appari-
zione di Virgilio a Dante avvenne la mattina del venerdì santo,
dopo di aver Dante passata la notte dal giovedì al venerdì nella
selva, dov'ebbe appunto la luna tonda o il plenilunio. Sicché V altro
ier altro non indica che un giorno qualunque anteriore al presente.
A determinar poi qual fosse questo giorno soggiunge subito Dante :
quanoV era la luna tonda o plenilunio. Laonde è come Danto avesse
detto : Costui mi tolse dalla vita rea alcuni giorni sono e precisa-
mente il giorno dopo il plenilunio. (Vedi il disegno della mia Tav. ,
Inf. — Selva e luna tonda).
70 Vi si mostrò. Quando a voi si mostrò il plenilunio, perchè le
medesime fasi lunari sono tanto per noi quanto pei nostri antipodi,
sebbene operate in ore diverse. — Suora di colui. La luna sorella
del sole.
71 Costui ecc. Ha condotto me vivente ancora per l'Inferno. (Vedi
Tav. I Inf. Emisf, Inf.).
75 Indi ecc. Dall' Inferno (Vedi Tav. 1 Inf Emisf. Inf.).
73 Salendo. In queste due parole, salendo e rigirando c'è in epi-
logo tutto il viaggio dell'Atrio e del Vero Purgatorio fatto sin qui
da Dante. Nel salendo e* è il viaggio dell'Atrio per salita diritta
(Vedi Tav. II Purg.)\ nel rigirando c'è il viaggio del Vero Purga-
torio, con di più l'altra idea che ora è dietro a fare il secondo
giro della montagna, perchè si dice rigirando e non girando. (Vedi
Tav. III Purg. casellino degli aggiramenti). Di questi epiloghi cosi
precisi di viaggio, ne farà anche nel Paradiso, come vedremo,
606 PURGATORIO
Che drizza voi che il mondo fece torti. "
Tanto dice di farmi sua compagna, 15
Ch'io sarò là dove fia Beatrice:
Quivi convien che senza lui rimagna. 7*
130. Virgilio è questi che così mi dice v
(E additalo); e quest'altro è quell'ombra,
Per cui scosse dianzi ogni pendice "
Lo vostro regno, che da sé la sgombra. w
7* Che dritta voi ecc. Che vi parifica dai peccati fatti seguendo
le massime torte del mondo.
7» Tanto dice di farmi ecc. Virgilio gli avea assicurato questo
sin dal Canto I dell'/n/. dove gli avea detto : AUe qua* poi se tu
vorrai salire — Anima fia a ciò di me più degna : — Con lei ti
lascierò nel mio partire. E poi tante volte in altri modi lo avea
accertato della stessa cosa, nominando espressamente Beatrice.
76 Convien. Perchè in quel punto che troverà Beatrice, la scuola
della Ragione rappresentata da Virgilio, dee cedere alla scuola della
Rivelazione rappresentata da Beatrice, e dee cedere quella a questa
porche appunto d'allora in poi si tratterà di cose, che appartengono
non alla Ragione, ma alla Fede, come in 'atti vedremo.
77 Virgilio è questi ecc. Daute dice i nomi finor taciuti dell'uno,
e dell'altro per soddisfare compiutamente alla dimanda di Forese.
Dicendo questi e quest'altro, indica che si trovavano di poco in-
nanzi a Daute. ed a Forese. £ dovea esser così, perchè Virgilio a
cui fu da Beatrice raccomandato e consegnato Dante, vuole sem-
pre fargli da vera guida.
••8 Ptr cui scosse ecc, Per cui fece il tremuoto. Nota pendice, per-
chè il tremuoto soprannaturale fu all'altezza del Vero Purgatorio, che
sono le tre ultime miglia della montagna. Qui dunque non si parla
dell'Atrio.
79 Lo vostro regno. Il Vero Purgatorio. — Che da sé la sgom-
bra» Che la manda via da sé, non per mandarla a purgarsi in altri
giri superiori, ma per mandarla al cielo, essendo già perfettamente
purificata. Il tremuoto avviene solo in questo caso.
CANTO XXIV
Argomento.
Dante continua la tua ttrada con Forese e Poltre anime am-
mirate di lui, compiendo il tuo discorso sopra di Statio. Indi
chiede a Forese novelle di Piccar da, e di alcuni tuoi compagni.
Forese gli dice prima di Riccarda, e poi gli nomina e addita
alcuni di tua compagnia. Dante più che tugli altri pone gli occhi
su Bonagiunta, e que' gli predice l'affezione che avrà per certa
Gentucca. Bonagiunta gli chiede te sia egU quel Dante autor
della Vita Nuova, e Dante gli risponde d'esser un poeta che scrive
dietro la ispirazione d'amore. Bonagiunta da ciò conosce perchè
esso ed altri sieno rimasi indietro da lui nel valore poetico. Par-
tono tutti quegli spiriti 9 meno Forese che continua andar con
Dante, e gli dimanda quando avrà il bene di rivederlo al Pur-
gatorio. Dante risponde di non saperlo, ma di desiderar che sia
presto, pei mali ognor crescenti della sua patria. Forese gli pre*
dice la fine infelice di Corso Donati principale autore dei mali
di Firenze. Anche Forese lascia Dante per ripigliare un passo
più accelerato, e Dante resta coi due poeti. Guardandosi innanzi
vede un altro albero, e genti so U' esso alzar le mani. Queste genti
partono, e sopraggiungono i poeti. Una voce per entro all'albero
gli avverte ad andarsene senza apprettarsi all'albero. Allora i
poeti si ristringono al lato del monte. La voce intanto continuava
'da quell'albero a ricordar esempi di castighi di gola. Poi vanno
innanzi mille passi, Dante precedendo i poeti. Dopo questa cam-
minata eccoti l'angelo e la scala, che dal ri mette al VII giro.
Quest'angelo gli venta in fronte, e gli cancella il P della gola,
recitando la beatitudine relativa, e i poeti salgono.
HB. Vedi tatti i casellini di questo Canto ne a T. Ili Purg , e le T. V e VI Pur Q
Né il dir l'andar, né l'andar lui più lento f
Facea; ma ragionando andavano forte,
* A'è il dir ecc. Ordinariamente quando si parla ai allenta l'an-
dare, e quando ai va si allenta il parlare. Qui non fu cosi. Perchè?
Perchè Dante avea per regola al suo passo il passo dei due poeti.
508 PURGATORIO
Sì come nave pinta da buon vento.
E l'ombre, che parean cose rimorte, *
Per le fosse degli occhi ammirazione *
Traén di me, di mio vivere accorte. 4
Ed io, continuando il mio sermone, *
Dissi: Ella sen va su forse più tarda6
Che non farebbe, per altrui cagione.
10« Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda;7
Dimmi s' io veggio da notar persona
Tra questa gente che sì mi riguarda. 8
La mia sorella, che tra bella e buona
E per questo che fa qui un'eccezione alla regola di natura, essendo
questa vinta da un'altra preponderante.
* Cose rimorte. Morte e più che morte pel colore e nella con-
sunzione che avrebbe un corpo non già appena morto, ma il se-
condo o terzo o quarto giorno della sua morte.
3 Per le fosse ecc.' E sempre rocchio che dimostra gli inferni
affetti più che altra parte della faccia, massime poi trattandosi di
occhi tali.
* Di mio vivere accorte. Per l'ombra, pel respiro, pel suono dei
piedi ecc.
3 Continuando ecc. A dir di Stazio, che fu la chiusa del Canto
precedente.
6 Ella $en va ecc. L'ombra di Stazio forse per riguardo di Vir-
gilio ritarda la sua salita. Si sa poi che Virgilio la ritardava per
amore di Dante, che aveva il peso del corpo, e dovea prendere
cognizione del luogo e delle persone, e dovea aver campo di pur-
garsi. Sicché Stazio in ultima analisi ritardava per Dante.
7 Piccarda. Sorella di Forese, e di Corso Donati, che prese il
velo di S. Chiara in Firenze, onde la trasse a violenza il fratello
Corso, scalandone il monastero con più sicari. Se la trasse a casa,
le stracciò le bende, la vesti alla mondana, e a forza la die moglie
a Rosellino della Rosa. La troveremo nel Canto III del Paradiso
n'jl cielo della luna.
* Mi riguarda. Intendi o guardare replicatamente, o guardar
retro, perchè le ombre per adocchiar Dante, itegli un po' innanzi,
si rivolgevano a lui continuando a mirarlo.
CANTO XXIV. 50*
Non 80 qual fosse più, trionfa lieta •
Nell'alto Olimpo già di sua corona.
Si disse prima; e poi: Qui non ai vieta40
Di nominar ciascun, dacch'è sì munta
Nostra sembianza via per la dieta.
Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta, "
20* Buonagiunta da Lucca: e quella faccia if
Di là da lui, più che l'altre trapunta, "
Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: "
Dal Torso fu, e purga per digiuno 1S
• Trionfa lieta — Ne IT alto Olimpo ecc. Tra quelle di gloria
minore per non essere state veramente fedeli al loro voto.
io E poi : Qui non n vieta ecc. Risponde alla seconda dimanda
di Dante, dicendo che non è vietato di dir chi sia ciascuno, per-
chè altrimenti non lo si potrebbe conoscere, essendo smarrita ogni
sembianza, ossia le naturali fattezze per la dieta, ossia per il digiuno
che dimagra e distrugge la vera fisonomia.
** Buonagiunta ecc. Degli Orbiciani, rimatore mediocre e di stile
negletto, nominato da Dante nel suo Vulg. Eloquio. Forese lo no-
mina a Dante ripetendo il nome. Non è oziosa questa ripetizione,
ed ha più senso che non si crede. In sostanza Forese vuole che
Dante ponga la sua attenzione più su questo, che sugli altri, come
infatti Dante gliela pone, e lo vedremo poi, e serve di ottimo ri-
chiamo alle cose che verranno, e che dirà questo Bonagiunta!
t< E quella faccia. Bellissimo il dir quella faccia per quell'altra
Ombra.
1* Trapunta. Tutte le protuberanze ossee in una faccia assai
dimagrata, e per poco distrutta, risa ltano e fanno com« tante punte.
u Ebbe la Santa ecc. Fu Papa, ossia sposo della Chiesa.
<s Dal Torao fu. Martino IV francese di Tours. Per delicatezza,
dicono, si facea cuocere le celebri anguille del lago di Bclsena. fatte
morir prima nella vernaccia, perchè riuscissero più gustose. La ero-
nica di Francesco Pipino (Muratori T. 9, Rerum Ital.) attribuisce
la sua ultima infermità e morte ad eccesso in mangiar delle anguille,
cibo a lui troppo ghiotto. Del resto il Muratori (An. d'/É., 1285,
epoca della morte di Martino IV) lo dice pontefice degno di lode
si pel suo zelo ecclesiastico, come per lo staccamento dall'amore dei
suoi parenti, che, nati poveri, non volle mai esaltare.
510 PURGATORIO
L'anguille di Bolsena, e la vernaccia.
Molti altri mi mostrò ad uno ad uno ;
E nel nomar parean tutti contenti, "
Sì eh' io però non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a vuoto usar li denti i7
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio 18
30- Che pasturò col rocco molte genti. {9
Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio*0
Già di bere a Forlì con men secchezza,
E si fu tal che non si sentì sazio. 21
Ma, come fa chi guarda, e poi fa prezza32
*6 Parean tutti contenti ecc. Questa pennellata è di una bellezza
impareggiabile. Quanti bei sorrisi non ci fa ella immaginare ! £ per-
che tanta contentezza? Per la speranza di buone preci che ne pò-
teano e doveano sperare. Questo tocco forma un bel contrasto con
qualche altro tocco tutto contrario che vedemmo n^W Inferno. Per
esempio nel Canto XXI V Dante conosce il ladro Vanni Facci, il
quale dolente d'essere stato scoperto manifesta cosi il suo dispia-
cere : Poi dine : — Più mi duol che tu m'hai coito — Nella
miseria dove tu mi vedi, — Che quando Vfui dell'altra vita tolto,
47 Per fame a vuoto usar li denti. Un affamato per impulso di
natura ya masticando senza aver di che.
*8 Ubaldin della Pila. Ubaldino degli Ubaldini che possedeano
la Pila castello di Monte Senario. Bonifazio de* Fieschi di Lavagna
della riviera orientale di Genova.
*9 Che pasturò ecc. Che fu Arcivescovo di Ravenna. Tutti sanno
che i Vescovi si dicono pastori, ed hanno perciò il rocco o pasto-
rale. Si dice che pasturò molte genti per essere non solo vescovo,
ma arcivescovo, e quindi con più estesa giurisdizione che quella di
un vescovo.
*o Marchese. Rigogliosi.
3t E si. Risponde al latino etsi . Accenna al seguente aneddoto :
Narranio un giorno al Marchese un suo servo, che la gente sparlava
di lui, dicendo ch'era sempre a bere, il marchese ripigliò: E tu
di' loro che ho sempre sete.
^ Chi guardale poi fa prezza. Quando parliamo con molti suc-
cede sempre questo, che dopo non molto ci affisiamo più su di uno
CANTO XXIV. 511
Più d'un che d'altro, fé' io a quel da Lucca,*1
Che più parea di me aver contezza. *
Ei mormorava; e non so che Gentucca*5
Sentiva io là ov'el sentia la piaga16
Della giustizia che si gli pilucca. "
che su di un altro, e ciò naturalmente per il maggior pregio che
facciamo di quello, o per certi speciali bisogni, che di quello abbiamo.
Sono similitudini naturalissime, ma che sfuggono facilmente all'oc-
chio dei più grandi osservatori di natura, meno Dante.
*3 A quel da Lucca. A Buonagiunta di sopra. Ecco l'effetto della
ripetizione, che fu un marcare questa persona più che le altre. Dante
osservandolo meglio, s'accorse a certi tratti che il Buonagiunta pren-
deva in lui più interesse che gli altri, ma non sapeva ancora di che.
** Che più parea di me aver contezza. Vedremo appresso qual
contezza ne avea.
Ma onde parea che Buonagiunta avesse di Dante più con-
tezza degli altri?
Ciò parea, o appariva da quel non so che di J.ria e di tratto
che si manifesta nel viso ad una persona che crede di conoscerci,
ma nel medesimo tempo non è affatto certa. Questa persona ci guarda
massimamente con tale un occhio che dice abbastanza, lui aver di
noi qualche contezza. Il notar dirò così queste sfumature di natura
è cosa da solo Dante.
25 Ei mormorava. Appunto come fanno le persone che credono
di aver dati sufficienti per dir di riconoscere già un foraetiero, che
si para loro dinanzi, che van mormorando fra" denti certe circostanze
spettanti a lui.
E non so che Genlucca. Buonagiunta nel suo moimorar fra i
denti, tra le parole che non facea capire, ce n'era una che bene o
male faceva intendere, ed era il nome di Gen tacca, gentil donna
Lucchese, della quale diremo più sotto.
26 Sentiva io là ov1 el ecc. Dante sentiva che Buonagiunta bor-
bottava questo nome, ov' egli sentia la piaga della fame, ossia fra i
denti. Disse prima che vedea questi affamati usar a vuoto li denti.
Anche Buonagiunta li usava cosi, e nel dibatterli parlava, e par-
lando per tal guisa le parole uscivano mozzicate; non cobi però che
non s'intendesse quella di Gentucca.
*? Che sì gli pilucca. Pilucca vale spicca a poco a poco. La giu-
stizia divina, dimagrandoli per fame, veniva come a spiccar loro a
poco a poco le earni.
612 PURGATORIO
*0- O anima, diss' io, che par A vaga*
Di parlar meco, fa sì ch'io t'intenda,
E te e me col tuo parlare appaga. "
Femmina è nata, e non porta ancor benda, *°
Cominciò ei, che ti farà piacere."
*• Che par ti vaga — Dì parlar meco. Appunto perchè Bno-
nagiunta avea di Dante più contezza che gli altri (e ne vedremo
subito la pova) perciò appariva più vogliosa di parlar con Ini.
W E te e me ecc. Appaga te, che certo parlando desideri d'es-
sere intesa : appaga me, che udendo un tal nome senza sapere a che
si riferisca, sono desideroso di sapere a qual fine tu me lo nomini.
*o Femmina è nata. Ora (1800) è già nata una cotal giovane,
la Gentucca.
E non porta ancor benda. Le maritate e le vedove portavano
una benda o velo dinanzi agli occhi scendente dal capo, di vario
colore però, secondo ch'erano maritate o vedove. Per le vedove il
velo era bianco. Parlandosi qui non di vedova o maritata, ma di
donzella, il dir che non porta ancor benda, significa che è ancor
nubile, quantunque in età di esser maritata ; e significa inoltre che
ella in appresso non rimase nubile, ma si maritò. Con ciò vengono
indienti approssimativamente gli anni che Gentucca avea nel 1300,
vale a dire almeno 15, non potendosi supporre minore età in una
giovane, della quale si noti la circostanza che non porta ancor benda*
M Che ti farà piacere — La mia città. Non v' ha dubbio che
questa è profezia del soggiorno prolungato che Dante fece in Lucca
nel 1314, dopo il 14 di giugno presso Gentucca, quando essa doveva
avere circa 30 anni. Se Gentucca fosse allor maritata con uno degli
Antelminelli Allucinghi, o no, resta ancora ignoto. Quanto a me
inclino a credere che lo fosse, attesa la sua età di 30 anni, e il dirsi
di sopra ch'ella, non porta ancor benda, accennando cosi che poi la
portò, ossia fu maritata. Ma dunque Dante sì onesto e pudico,
nella sua età di 50 anni, dopo tante avversità, e in momenti che
dava al publico un'opera tendente a richiamare il mondo dai vizi,
e massime da quello degli impuri affetti, forse vivente ancora sua
moglie Gemma Donati, la cui fine resta ancor da sapersi, colla cura
di più figliuoli alle spalle, si sarà perduto dietro ad amori, *?d amori
illeciti, quali son quelli verso a maritata, e quel che è peggio se li
farà predire da un'anima santa in aria di compiacenza, come cosa
a lui non disdicevole, anzi lodevole, e lodevole per la donna amata ?
CANTO XXIV. 513
Questo è quanto credono i commentatori ed i biografi, non escluso
il Balbo, il qual però si contenta di sol dubitarne. M:i oh buona
pace di tutti io non credo, nò posso credere a relazioni men che
oneste di Dante per Gentucca, e ciò per le ragioni su in mento va te,
ed anche perchè il contesto sembra ad esse affatto contrario, par-
lando esso di amore a città, e non di amore a donna. Quello che
posso credere, e che è assolutamente conforme a tutte le circostante
del poeta si ò, che come prima Uguccione della Faggiola, e Moroello
Malaspina, e poi Can Grande, cosi Gentucca in mezzo a questi be*
nefattori di Dante, volle prendere anch'eliti il muo posto onorevole
di generosa benefattrice albergandolo in casa sua, e sopperendogli
i mezzi e la pace necessaria per compire il suo Purgatorio; quel
Purgatorio cominciato a Parigi (1308) tra gli studi della Sorbona,
e colà continuato certo sino al Canto XV, come vedemmo (1310)
e sospeso nei 2 anni che corsero dal ritorno da Parigi (1312) alla
morte del suo caro Arrigo VII, avvenuta nel 25 agosto 1313, poi
ripigliato dal Canto XVI e in men d'un anno condotto al Canto XXIV,
abitando Dante in questo frattempo ora a Pisa presso l'amico Uguc-
cione, ora in Luuigiana presso Moroello. Cosi Dante altro non in-
dicherebbe qui che di pagare un debito tributo di gratitudine ad
una donna, che a vergogna di tanti uomini, gli fu larga di aiuto
per li suoi studi, accennando perfino di quanto egli era debitore a
tal donna, cioè almeno dell'ultima terza parte del suo Purgatorio,
vale a dira dal Canto XX IV in giù. Chi poi volesse sapere l'epoca
precisa della venuta di Dante a Luco, non avrà che a leggere il
seguente brano della vita di Dante per Cesare Balbo, voi. II, C. XII,
pag. 23G :
« In Lucca aldi 11 giugno dì quell'anno (1314) entrò Uguc-
cione co' Pisani, cacciò i Guelfi, e il vicario del re Roberto, e lasciò
saccheggiare otto dì la città e il tesoro fattovi recare da Roma da
papa Clemente. Quindi Lucca fu signoreggiata da Pisa, e Lucca e
Pisa da Uguccione; il quale mise podestà a Lucca Francesco della
Faggiola uno de' suoi figliuoli, mentre Neri, un altro di essi, insi-
gnorivasi di Borgo S. Sepolcro .... E sotto lo schermo dell'amico
potò quindi senza pericolo entrar Dante in Lucca, quantunque da
lui ingiuriata ne\V Inferno. Certo non prima; scudo Lucca fino al-
lora rimasta avversaria caldissima de1 Bianchi, de' Ghibellini e d'Ar-
rigo VII. Ma entratovi così e dimoratovi, trovò Dante costi chi lo
fece ricredere di questo almeno fra i tanti vituperi saettati contro
le città italiane. Terminando poco appresso, anzi appunto nel re-
stante di quell'auno 1314 la Cantica del Purgatorio, v' introducca
quel Buonagiuuta da Lucca, ecc. *».
33
OH PURGATORI'»
La mia città, come ch'uom la riprenda. K
Tu te n'andrai con queàto antivedere: "
8e nel mio mormorar prendenti errore. u
Dante reato in Lucca presso la famosa Gen tacca almes:- sino
al compimento del =uo Purgatorio, che è quanto c:re da &:< *» dopo
UH giugno 1311 sino ve rio il fit-ì il noverare dei »-t:o a uno.
Ma e probabile ch'egli vi si fermasi anche pi'i. eoe =inj al 1316
quando si muto a Verena presso Cai Grande.
Io re^to nvir viglialo co.ne tanti scriu.-ri di cose Dantesche
non abbiano mai nenimen s-js^ettato eh? Dante in queiio luogo di
Geutucca abbia volato s- -g^alare in questi gran donna una sua
ospite gen^oa-i. no:* diverga dagli U za teloni, da'. Moroelli e da^li
Scaligeri: e si sieno piuttosto incaponii a credere eh r Dante abbia
voluto presen'arti a modello di corruzione e di ;ikZzo innamorato,
con aperta contraddizione non fosse altro) all'argomen'.o stesso che
avea tra mano, ed alla santa persona che gli faceva la predizione.
« Com e ch'uom la riprenda. Quantunque alcuno la riprenda.
Accenna a Dante stesso che la riprese nel Cant> XXI à?\Y Inferno,
dove avea detto dei Lucchesi ch'eiauo tutti barattieri e falsari:
Ogni vom «' è bar atti er, fuor che Bui ut tiro : — Del i»o, per li
denar, vi èi fa ila. Dante, che allora era ospi'ato in Lucca, avea
bisogno di amicarci i Lucchesi.
w Tu te n'andrai. Nel resto di tua vita avrai sempre presente
questa predizione. Questo gli raccomanda quasi un fa: muco alle
sue sventure. L'asilo che gli offrirà Geutucca nel 1314 sarà vera-
mente tale.
** Se nel mio mormorar ecc. Pare proprio che Dante abbia pre-
veduto l'errore in che doveano cadere tutti gli studiosi della sua
Divina Come dia, prendendo per tresche amorose quelle nobili affé*
zioni che passano tra benefattrice e beneficato. Dante fa dunque
dire qui a Buonagiunta: Se udendomi pronunciar fra i d< nti certa
Gcntucca, tu credesti eh1 io aversi fatto allusione a cose male di
te, tu prendesti certo un grande errore. Io parlo cose buone di te,
e te le do per un conforto. Chi juò credere, che un'anima del Pur-
gatorio, che è santa, volesse consolar Dante, che è in grazia di
Dio, e tinto ama Dio. che gli concede per singolar privilegio un
viaggio tale, chi può credere, dico, che quell'anima consolasse Dante
promettendogli che a Lucca coll'andar del tempo, farebbe pazzie
per una donna ? Bisogna esser molto sori per crederlo Nuovn prova
che noi alla nota 31 abbiamo colto nel vero.
CANTO XXIV. 515
Dichiarar anti ancor le cose vere. M
Ma di' s'io veggio qui colui che fuore w
30« Trasse le nuove rime, cominciando : 87
Donne ch'avete intelletto d'amore. 88
Ed io a lui : I' mi son un che, quando "
tt Dichiareranti ancor ecc. Il fatto stesso quando avverrà ti pro-
verà quanto sia vera la mia predizione. Anche qui l'anima santa
mostra affetto alle cose vere che cleono succedere a Dante, e gliele
dice con un'aria di compiacenza, ch'ella non avrebbe che per avve-
nimenti di vero merito e bontà. Ma se fossero quelle relazioni amo-
rose sempre intese da tutti i commentatori, sarebbero esse degne
della compiacenza di un'anima santa, che come l'altre tutte sin qui
trovate, d'altro abbiam veduto non curarsi che del bene? o non sa-
rebbero invece iudegn:ssime di lei, e non avrebbe q'ii Dante man-
cato ad ogni regola d'arte, e persino al senso comune?
36 Ma di* s'io veggio qui ecc. Questo, chi ben osserva, non ò un
dubbio che abbia Buonagiunta sulla persona di Dante. Come infatti
poteva avere dubbi sulla persona di Dante colui che seppe predire a
Dante fatti che gli dovean succedere 14 anni dopo? Anche questo
passo non fu inteso. Lo si intese per un vero dubbio, per un' ignoranza
di Buonagiunta su Daute. Ma se ciò fosse,eccoti Dante contraddirsi,
supponendo prima che Buonagiunta lo conosca, e poi non lo conosca.
Ecco pertanto il netto. Questa non e una dimanda che accenni a dub-
bio o ad ignoranza; è solo una espressione enfatica che noi pure
diciamo a persona cara, che contro ogni nostra aspettazione abbiamo
la sorte di vedere. Cosi un padre avendo ornai tra le' braccia un
figlio che si tenea già perduto, quantunque lo conosca, e lo stringa,
e lo baci, gli va dicendo: Ma sei tu proprio il mio caro figlio?
* 37 £jt nuove rime. Le poesie della Vita Nuova , fatte in morte di
Beatrice.
38 Donne ecc. È una bellissima canzone della Vita Nuova che
codi comincia. Notate che Buonagiunta era stato testimonio aurico-
lare quando il poeta al fine dell'altro Canto avea fatto cenno di
Beatrice. Dunque sapea di certo ch'egli era Dante. Nuova ragione
per non credere che egli lo interrogasse per essere certo di sua
persona.
39 p mi ioti un ecc. Dante, comprendendo appunto che la di-
manda di Buonagiunta non era volta a sapere s'egli era veramente
Dante o un altro, ma piuttosto a esternare un atto di ammirazione
516 PURGATORIO
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo' significando.
per lai quale autore di poesie di un pregio tanto nuovo, nella ri-
sposta che gli dà, altro non fa ehe chiarirlo del motivo onde le sue
poesie riuscirono tali. 11 motivo si era ch'egli scriveva dietro l'ispi-
razione dell'amore che tutto dentro lo infiammava; di quell'amore,
che e unico maestro ed ispiratore di passionata e verace poesia, la
quale piglia poi qualità di giustizia, onestà, generosità, o del con-
trario dall'oggetto che la ispira e dal fine che la muove. Spieghiamo
più largamente le poche parole di questa terzina.
1.° Quando amore spira. Ecco qual dee essere il maestro della
poesia ; e dicendo poesia intendi pure qualunque scrittura anche in
prosa, o qualunque discorso anche di prediche, anzi intendi pure
qualunque arte bella, qual sarebbe la musica, la pittura, la scultura,
che sono sorelle della poesia, e che deono avere a maestro, a mo-
vente, ad ispiratore, a padre, l'amore, quale si è detto di sopra,
altrimenti i parti riusciranno languidi o morti. Da ciò si deduce che
un poeta, o un predicatore, o un artista, prima di trattare un sog-
getto, deve consultare sé stesso se ha amore per quel soggetto, ossia
se quel soggetto gli piace, e se gli piace, cercare ogni mezzo d'in-
namorarsene vieppiù. Quando il compositore non ama, e non ama
assai il soggetto che dee trattare, è inutile ch'egli si metta a com-
porre. È in altri termini il: Si vie me fiere, dolendum — Primum
ip8Ì Hbi, di Orazio. Dante, che lo sapea meglio di tutti, non iscrisse
mai che ispirato dall'amore al suo soggetto.
2.° Noto. Con ciò si indica l'attenzione del discepolo al maestro
amore, che dentro gli parla, ed alla sua cura di non perdere cosa
alcuna che amor gl'insegna, notandone i punti che più lo accendono-
3.° -4 quel modo — Che detta ecc. Con ciò si indica che quando
un compositore si sente portato da forte passione al suo soggetto,
e ne ha già notato come in abbozzo i colpi più risentiti, altro pen-
siero non si ha da prendere che scrivere, o comporre sotto la det-
tatura di questa passione, che altro non ò che un forte amore al
suo soggetto, certo e sicuro che le parole o i segni esterni ch'egli
userà per esprimere quel che sente, riusciranno una copia fedele
dell'originale ch'egli porta impresso nel cuore. Anche questo è pre-
cetto d'Orazio De Arie poetica: — Cui leda potentcr erit res, —
Nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo.
Applichiamo tutto questo ad un caso di Pittura. Chi non si
sente rapire alle linee, ai colori, alle figure da Paradiso del Beato
CANTO XXIV. 517
0 frate, issa vegg'io, di ss' egli, il nodo, *°
Angelico, ed alla convenienza di tutto al soggetto che trattava? Ma
di grazia si legga nella sua viti quanta cura poneva per innamo-
rarsi, e infiammarsi del suo soggetto prima di prendere in mano o
la matita, o i pennelli. Egli prima di mettersi a disegnare o a co-
lorire un quadro faceva punto di sua profonda meditazione il sog-
getto che dovea trattare, e j>er iscaldarsi viemmaggiormente in esso,
la mattina stessa che metteva la mano all'opera, non mancava mai
di accostarsi alla sacra mensa degli Angeli, dalla quale tutto acceso
di sacro fuoco passava alla sua tavolozza.
40 Issa, Ora. Voce lombarda, ossia di Lucca di Lombardia, come
la chiamavano anticamente. Dante la prese da quel dialetto e la
fece volgare italiana, come usò con tante altre voci. Parlando qui
un Lucchese (Bnonagiunta), la voce issa, come ognun vede, gli sta
molto bene in bocci, ed è arte, forse non osservata, del nostro'poeta.
Da qui si conosce che quando Guido da Montefeltro nel Canto XX VII
dell' Infer no disse a Dante: .... 0 tu a cui io drizzo — La voce,
e che parlavi mo lombardo, — Dicendo : Issa ten va , più non
t'aizzo, la voce lombardo di questa terzina si deve prendere in senso
stretto e proprio di lombardo, e non di italiano in generale, come
altri spiegò. Cosi l'uno e l'altro passo si chiarisce a vicenda.
VeggHo, diss'egli, il nodo ecc. Notate bene queste tre terzine
in cui parla Buonagiunta. Non so se sieno state mai ben comprese
prima d'ora. È chiaro, e in ciò vanno d'accordo tutti, che queste
tre terzine parlano di due classi di poeti, cioè dei poeti di progetto,
quali sarebbero il Notajo, Guittone e Buonagiunta, e dei poeti di
Amore quale sarebbe qui Dante, ed altri con lui. Ma non è chiaro
a tutti, che i poeti di progetto a detta di Dante si suddividono in
due altre specie, secondo il peccar ch'essi fanno per difetto o per
eccesso. E queste due spec e sono qui nominate distintamente da
Dante, mettendo la specie virtuosa dei poeti nella terzina di mezzo
e delle peccaminose, quella per difetto, mettendola nella prima ter-
zina, e quella per eccesso mettendola nella terza. Per tal modo come
la virtù, secondo il filosofo, sta in mezzo a due vizj tra loro opposti*
per difetto Tu no e per eccesso l'altro, cosi la vera poesia (terzina
di mezzo) sta in mezzo a due false, l'una delle quali è falsa per
difetto (terzina prima), l'altra è falsa per eccesso (terzina terza)-
Quella per difetto resta troppo indietro, quella per eccesso va troppo
innanzi al vero maestro di poesia che è l'amore. La prima riesce
gretta, e/éroppo semplice; ammanierata ed esagerata la seconda. E
..»
518 PURGATORIO
Che il Notaio, e Guittone, e me ritenne A!
Di qua dal dolce stil nuovo eh' i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne w
Diretro al dittator sen vanno strette,4*
6°' Che delle nostre certo non avvenne.
E qual più, a gradir oltre si mette, A*
tutto questo perchè? Perchè non si va di pari passo coli' Amore,
come fa la vera Poesia, la quale si tiene stretta al suo maestro, e
non dice né più né meno di quello ch'egli le insegna, e quando le
insegna, e come le insegua, perchè essendogli si dappresso le è facile
intendere da lui precisamente ogni cosa.
Questa nota serva di sguardo generico a tutte le tre terzine,
che così vengono collegate con un ordine ammirabile e veramente
poetico. Se ne potrebbe infatto fare un gruppo pittoresco che riu-
scirebbe di una vaghezza originale. Tutto questo è precisamente
secondo l'indole della mente di Dante, che è simmetrica e pittorica
in ogni sua creazione.
*< Notaio. Jacopo da Lenti no, detto il Notaio per la sua perizia
nell'arte notarile.
Guittone. Fra Guitton^ d'Arezzo.
Questi furono i viziosi per difetto, e risponderebbero a quella
classe nominata da Orazio, da cui evidentemente il nostro poeta,
etrasse questa triplice divisione: Serpìt humi tutus nimicum, timi-
dusque procella e, (De Arte poetica).
** Le vostre penne. Di Dante e di Virgilio. Buonagiunta era pre-
sente quando Dante disse a Forese, che il suo compagno dinnanzi
era Virgilio. Dunque di questo, e non de' contemporanei di Dante
egli parla.
*3 Dittator. Colui che detta, il quale nel nostro caso è l'amore.
Questi sono i veri poeti, perciò posti in mezzo ai falsi.
tt E qual più a gradir ecc. Questi sono i poeti che peccano per
ccesso, e sono gli ammanierali, o esagerati, conosciuti sotto il nome
di sentimentalisti, o romantici ; i quali sono affatto contrari a quei
primi gretti, e troppo semplici, che abbiam veduto peccar per di-
fetto. Questa tei za specie di poeti viziosi per eccesso sono anch'essi
fulminati e derisi da Orazio nella sua Poetica, là dove dice : Qui
variare cupit rem prodiglalitcr unam Delfinum silvis appingit,
fluetibus aprum: e già fin dal principio del libro li avea messi in
CANTO XXIV. 519
Non vede più dall'uno all'altro stilo:
E quasi contentato si tacette.
canzone colla vaga similitudine di quello stranissimo pittore: IIu-
mano capiti cervicem pictor equinam^ ecc.
Gradir. Da gradior, gradi. Andar avanti, camminare. E que-
sta Tunica lezione che sia buona perchè la sola che leghi bene col
concetto poetico di Dante. Chi legge: E qua? più a guardare oltre
«t mette: Chi legge pur gradir, ma inteso per compiacere, aggra-
dire: chi è indifferente a leggere tanto gradir per camminare, quanto
gradir per aggradire: chi (e questi peggio di tutti) legge: E quale
a riguardar oltre ai mette, lo ripeto, nessuna di queste ò buona
tranne quella del gradir per andare avanti. Proviamolo. Come di-
ciamo in fine della nota 40, queste tre cl4*i di poeti, secondo che
ce le presenta Dante, formano un gruppo dei più magnifici e pit-
toreschi. In mezzo c'è Amore, tutto vita e bellezza, che fa da mae-
stro, d* dittatore, da ispiratore: e la vera Poesia, anch'essa trftta
vita e bellezza lo segue d'accanto, stretta a' panni, bevendo coll'oc-
chio e colle orecchie le sue lezioni. A questi tien dietro a qualche
distanza un'altra, che è la Poesia, che pecca per difetto, semplice,
ma troppo, della persona, immatura d'anni e corta ne' suoi passi.
Essa non può, è vero, scaldarsi alle fiamme d'Amore , perchè gli sta
troppo discosta, ma raggiunge almeno col guardo quel gran mae*
stro, e almeno ritrae da lui qualche parte della sua bella semplicità*
Ma la poesia, che pecca per eccesso e per intemperanza, vedetela là
più attempata dell'altre, tutta vispa e tutta bizzarra nelle vesti,
correr tanto innanzi e lontano da Amore e dalla vera Poesia, e più
ancora dalla Poesia peccante per difetto, ch'ella non sente più né
l'una né l'altra, e, se si volge anche indietro, è pur tanto lontana?
che non sa più raffigurarle, e più non vede la distanza che separa
l'una dall'altra, e per conseguenza i passi che resterebbero alla dif-
fettosa per raggiungere la perfetta, e farsi così perfetta ella stessa.
Per tal modo scambia facilmente l'una per l'altra, perchè si distant-
le paiono unite : onde le disprezza entrambi, e vaga di sola sé stessa
corre sempre più innanzi, fin che perde affatto di vista e la sempli-
cità della più lontana, tutto che incolta, e le vere bellezze della p.ù
vicinai tutto che si ammirande.
Ecco un quadro de' più imaginosi, de' più dotti, e de' più gentili
che sieno usciti mai da mano umana, a petto del quale gii stili di-
pinti da Orazio nella sua Poetica, come che degni d'altissima lode,
perdono assai. Eppure chi 1' ha inteso ? e chi ha mai creduto che
f>20 PURGATORIO
Come gli augei che vernan verso il Nilo, i5
Alcuna volta di lor fanno schiera, u
Poi volan più in fretta e vanno in filo: A"
Cosi tutta la gente che 11 era, 4*
Volgendo il viso, raffrettò suo passo,
E per magrezza, e per voler leggiera. *9
"0. E come l'uom, che di trottare è lasso, •
Lascia andar li compagni, e si passeggia
Fin che si sfoghi l'affollar del casso;
Sì lasciò trapassar la santa greggia
dentro a si pochi versi ci fosse un trattato cosi compito e cosi pit-
toresco di tutti gli stili ? Oh quanto sarei vago di vedere un sog-
getto si grazioso trattato da qualche valente pennello !
Il gradir usato da Dante nel senso sopt accennato lo troviamo
anche nel Par ad., Canto X, ver. 57, n. 37.
** Augei. Le gru. — Vernan. Vanno a passare il verno venendo
dal settentrione d'Europa. — ferito il Silo. Nella calda Africa
Si dice verso il yiloy perchè soffereudo l'Africa quasi dappertutto,
meno nella linea dell'Egitto e della Nubia, penuria d'acqua, questi
uccelli passando all'Africa si tengono in que.la direzione del Nilo
'per non patir la sete nel tempo che dimorano in Africa. Perciò
taluni in luogo di verso leggono lungo. Ma le gru non solo sono
lungo il Nilo, ma anche verso il Nilo. Sicché la lezione verso è mi-
gliore.
** Fanno schiera. Si uniscono roteando e avanzando poco, e que-
sto è come il loro fermarsi.
47 poi volan ecc. Quando le gru si sono date quella specie di
riposo, poi, quasi a ristorare il tempo perduto, affrettano più di
prima il loro volo, e vanno in filo, cioè a cono orizzontale colla
punta d'innanzi. L'andar in filo è questo, non l'andar in una sol fila.
** Cos) tutta la gente ecc. Quella gente fece rome le gru : prima
si uni a schiera intorno a Dante, e poi coree via a maggior fretta
di prima per compensare il tempo perduto, gli uni andando dietro
agli altri.
** E per voler. Ricordatevi della n. 39 Canto XXIII.
so E come Vuom ecc. Similitudine per indicare che Forese non
corse coi compagni, ma andò col passo di Dante, affrettato si, ma
di passeggio.
CANTO XXIV. 521
Forese, e dietro meco sen veniva, M
Dicendo: Quando fia ch'i' ti riveggia? M
Non so, risposi lui, quant'io mi viva ; *
Ma già non fia '1 tornar mio tanto tosto, " ;
Ch'io non sia col voler prima alla riva.59
Perocché il luogo, u' fui a viver posto M
80- Di giorno in giorno più di ben si spolpa, 57
E a trista ruina par disposto. w
** Dietro. Non dietro a Dante, ma dietro all'anime sue compagne.
Con Dante andava a paro, perciò si aggiunge meco (Vedi il dise-
gno Tav. V Purg.).
52 Quando fia eh' i9 ecc. Al Purgatorio, in questo cerchio dei
golosi. Evidentemente questa dimanda è ratta per veder Dante assai
patito ; e lo era veramente, come confessa Dante stesso nel Parad
Canto XXV, v. 3.
5» Non 90 ecc. Dio non me l'ha rivelato, quantunque m'abbia
privilegiato a questo segno che tu vedi.
8* Il tornar ecc. Per quanto presto sia il mìo ritorno a questo
luogo è sempre tardo in confronto del mio desiderio. Bella aspira-
zione a salute 1
35 Alla riva. Già sappiamo che il Purgatorio dantesco è un' isola
antipode a Gerusalemme, e già noi abbiamo veduto la sua riva sin
dal principio.
36 Perocché il luogo ecc. Firenze: egli parla supponendosi nel 1300,
epoca poetica. È maraviglioso questo passaggio e successione da
cosa in cosa, da cosa sì cara, qual' era la dimanda di Forese e la
risposta di Dante, a cosa sì orribile, quale si era lo stato reo di
Firenze, e il castigo del suo primo colpevole. Il saper distribuire
le ombre nei quadri così a proposito, è solo proprietà dei grandi
poeti e dei grandi pittori.
*7 Di giorno in giorno ecc. Firenze perde di virtù ogni giorno
colla guerra che dai Neri si fa ai Bianchi (tra i Bianchi Dante).
E bello il dir questo pensiero ritraendone l' immagine dagli oggetti
stessi che avea dinanzi, cioè dallo spolparsi continuo dei golosi. E
naturale che gli oggetti che ci circondano informino le nostre idee,
e noi volendo dir qualche cosa, prendiamo, anche senza avvertirlo,
dagli oggetti stessi le nostre immagini.
W E a trista ecc. Si predice la cacciata dei Bianchi (Dante,
con essi). Il poeta vede in questa cacciata la ruina della sua città.
l'A PURGATOUU.i
Or va. ditfs'ei, che quei che più olia colpa. :*
Vegg' io a coda d'una bestia tratto *°
Verso la valle, ove mai non si scolpa. <f
M Quei che più n'hm colpa. Corso Donati capo della parte Nera.
Secondo gli storici contemporanei fa grande nei vizi e nel valore.
Forese noi nomina per riguardo di sangue, essendo Corso suo fra-
tello. Ma è pnr darà per Corso, che lo stesso sao fratello si consoli,
e consoli anche Dante, anch'esso imparentai j coi Donati per via di
moglie, colla vinta della sua Une infelice. Al mondo è una bestia
che ne disfà il corpo, e al Purgatorio è un fratello che lo predice
qual meritato castigo. Non potea Corso esser punito più di cosi.
tt A coda d'una bestia ecc. La storia di questa catastrofe è in
poche parole la seguente. Corso ornai troppo grande e prepotente
venne in sospetto de1 suoi. Fatto tumulto lo assalirono nelle sue
case. Egli fuggi a cavallo, ma cadd-?, rimastogli un pie nella staffa.
Fn cosi trascinato per lungo tratto. Intanto fu sopraggiunto da al-
cuni soldati cataUoi, e forae in sul boccheggiare finirono di ammaz-
xarlo. La predizione di Forese varia alquanto dalla storia : e dovea
esser cosi, altrimenti sarebbe stata storiale non profezia. La so-
stanza però è la stessa. Questo eia detto per iscagionar Dante che
qui alterò alcune circostanze. Egli le doveva alterare; ed è bello
quel prendere la coda per la staffa; ed è più bello tacer de'soldati
e de* loro stocchi, e di parlare invece di bestia e di calci. Notate
bestia per cavallo. Anche questo a maggior vergogna di Corso.
6* Verso la valle, ove ecc. Verso l'Inferno, ove resta sempre la
colpa, e non è come il Purgatorio, dov'essa si purga. Notate che
Corso tratto cosi dalla bestia, andava a certa morte, e siccome que-
sta lo ghermiva carico di colpe e impenitente, perciò egli andava
verso la valle d'Inferno. Ma qui è da scavare una gemma nascosta.
Eccola. La bestia trascinava Corso verso la valle 8. Salvi, a poco
più di un miglio da Firenze: ebbene, il poeta coglie anche questa
circostanza del luogo verso il quale era volta la bestia, per ferire
con una acutissima antifrasi il suo avversario, notando ch'egli, seb-
bene sia tratto alla valle S, Salvi, pure più veramente si può dire
che è tratto alla valle di dannazione. Cosi, come prima la coda in-
vece della staffa, e la bestia invece del cavallo si dissero per ag-
gravare più l'iguominia della morte di Cordo; a questo stesso fine
si cangia la valle di saluto in valle di dannazione. Tutto divien
terribile quando Dante vuol punire.
CANTO XXIV. 523
La bestia ad ogni passo va più ratto **
Crescendo sempre, in fin ch'ella il percuote,
E lascia il corpo vilmente disfatto. •*
Non hanno molto a volger quelle ruote, 6i
(E drizzò gli occhi al ciel) eh1 a te Ha chiaro65
90- Ciò che il mio dir più dichiarar non puote.
Tu ti rimani ornai, che il tempo è caro*6
6* Va più ratto — Crescendo sempre. Quello appunto che avviene
di un cavallo, che accortosi di esser senza cavalier che lo infreni,
e sentendosi battere da un iasolito peso, corre ognor più furibondo,
menando calci.
63 Vilmente disfatto. Morto vilmente. Questo e quello a che mira
sempre Dante in totta questa descrizione della morte di Corso:
egli mira a farne risaltar l' ignominia; non solo morte violenta, ma
e ignominiosa.
G* Fon hanno molto. 11 tempo è segnato dai rivolgimenti delle
sfere celesti. La morte di Corso avvenne il 6 ottobre 1308. Ricor-
diamoci che oggi siamo col nostro poema ai 12 aprile 1300. Sicché
dalla predizione della morte, alla morte stessa, passarono anni 8,
mesi 5, e giorni 24.
63 A te fia chiaro — Ciò ecc. Il fatto stesso, che allora avverrà, ti
chiarirà di tutte l'altre circostanze, che io ora non posso dire. Dante
intese la morte di Corso quand'era presso Moroello in Lunigiana,
quando già avea finito l'Inferno, e stava per muovere alla volta
di Parigi agli studi della Sorbona. Se quella morte fossa avvenuta
durante la composizione del suo Inferno, Dante non avrebbe di-
menticato di farsi predire questa fine miseranda del massimo tra
suoi avversari da qualche anima dannata. Questa circostanza è no-
tevole per accertare il fine dell' Inferno di Dante e asserire ch'egli
l'avea già finito prima del 6 ottobre 1308, la qual1 epoca combina
precisamente colle notizie storiche della vita di Dante. Cosi per
riguardo alla composizione dell' Inferno noi abbiamo due date di
grande importanza ; la data del principio e la data del fine. La prima
è accennata nell'/n/. Canto I, nel discorco del Veltro in fine, ed è
fissata tra il 7 giugno 1304 ed il 7 luglio pur 1304, La seconda è
accennata qui, ed è di poco anteriore ai 6 ottobre 1308. Secondo
queste date la composizione dell'//»/*, sarebbe durata anni 4, mesi 4.
66 Ti rimani. Non già férmo, ma del tuo passo come vai adesso,
perch'io debbo andare a maggior fretta.
524 PURGATORIO
In questo regno, al eh9 io perdo troppo **
Venendo teco sì a paro a paro.
Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo ; "*
Tal si partì da noi con maggior valchi; 69
Ed io rimasi in via con esso i due,
Che fur del mondo sì gran maliscalchi. 70
100. £ quando innanzi a noi sì entrato fue, 7f
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci,
Come la mente alle parole sue ; "
Parvermi i rami gravidi e vivaci71
*7 Ch'io perdo troppo ecc. Perch'io perdo la mia pena che tanto
desidero; e noi già sappiamo che la pena era di andare all'albero
che aveva la virtù di accrescere la loro fame per le fratta, e la loro
sete per l'acqua che vi pioveva, senta potere né mangiare né bere.
ss Del primo intoppo. Del primo scontro, del primo attacco. —
Da noi. Da me e dai due poeti miei compagni. Dunque erano questi
di poco avanti a Dante, da essere in sua compagnia.
69 Con maggior valohi. Con maggior passi. Contratto di valichi.
70 Maliscalchi. Suona governatore di corte, o di eserciti. I poeti
(gli epici) sono i governatori del mondo, in questo senBO ch'essi
danno al mondo la direzione per le grandi virtù ; Dante sopratutti
e per concetto esplicito. Poi siccome i maliscalchi sono i primi e i
più onorati nell'esercito, cosi i poeti nel mondo appartengono a quella
professione che è superiore a tutte. Onde Stazio nel Canto XXI
per dire a Virgilio ch'egli fu al mondo poeta, dice : Col nome cht
piò dura e piò onora.
71 E quando innanni ecc. Questo non vuol dire quand'egli fu
molto innanzi a noi, ma il contrario, appena che fu innanzi a noi,
perchè rocchio comincia ad essere seguace d'uno appena che questi
gli va innanzi.
73 Come la mente ecc. A tutti i suoi discorsi, ma specialmente
all'ultimo col qual predisse la fine funesta di Corso Donati, l'autor
principale della mina di Firenze.
7» Parvermi. Mi apparvero. — Gravidi. Carichi di frutta —
Vivaci. Nella piena lor vita e verdura.
*%
CANTO XXIV. 525
D'un altro popò, e nqo molto, lontani,74
Per esser pur allora voltò m laci.
Vidi gente so W esso alzar le mani,15
7^ ZJ'mh afrro pomo. D'un altro albero fruttifero , dal latino pò-
mum che suona qualunque albero fruttifero. A che quest'altro pomo
oltre il primo? Perchè la gola pecca nei cibi in due modi: 1. man-
giando troppo di cibi permessi ; 2. mangiando cibi vietati. Col primo
modo si pecca per via di quantità ; col secondo per via di qualità.
Perciò il primo albero serve a punire i golosi in quanto mangia-
rono o bevvero troppo ; e questo secondo serve a punirli in quanto
anche sol gustarono cibi vietati. Su questo secondo albero non cade
liquore alcuno, perchè il precetto ecclesiastico di astenersi da certi
cibi, non comprende anche le bevande: onde sorse anche il proverbio
dei moralisti: liquida non frangunt. Vedremo poi più sotto altre
ragioni per ritenere che questo secondo albero non è che a punì-
zion della gola rea dei cibi vietati. 1 commentatori sul vero perchè
di questo secondo albero o non fiatano punto, o dicono delle stram-
bellerie. Eppure la cosa è chiara, sol che si mediti un poco. Questo
albero era necessario quanto il primo, e oso dire più che il primo,
perchè è maggior atto di gola mau giare il vietato, che esagerare
alquanto nel permesso.
E non molto lontani. Se non erano molto lontani, perchè non
li ha veduti prima? Rispondo : Non li ha veduti prima non già
perchè questo pomo fosse dietro alla svolta del monte, e quindi fuori
della prospettiva di Dante, come errando credono alcuni, ma per
la sola ragione che dice nel verso che segue, cioè per aver solo in
quel punto guardato innanzi. Dunque se avesse guardato prima,
anche prima lo avrebbe veduto. E quando fu che Dante si mise a
guardare innanzi ? Fu dal solo momento che Forese si spiccò da
lui, e che Dante gli tenne dietro coll'occhio. Dunque (ecco che cosa
ci vuol dire il poeta) per tutto il tempo che Dante fu con Forese,
egli gli tenne sempre l'occhio addosso, e si glielo tenne fisso, da non
veder punto le cose innanzi a lui. Questa fissazione pur si natu-
rale, Dante non ce l'avea notata prima d'ora, ed era cosa che
tanto gli premeva di notarla. Perciò la nota qui facendocela stu-
diare secondo il suo solito. Ed ora che noi l'abbiamo trovata col
nostro studio ci pare ancora più bella, e quasi ringraziamo il poeta
di avercela fatta trovare a punta di fatica, perchè così sentiamo il
piacere che sente chi ha il merito di qualche scoperta.
"5 ridi gente ecc. Cioè quella sola gente che a questo mondo
526 PURGATORIO
E gridar non so che verso le fronde, 76
Quasi bramosi fantolini e vani, 77
avesse violato il precetto ecclesiastico del digiuno e dell'astinenza
dalle carni, che ha fatto perciò un peccato di specie diversa dai
primi golosi, che abbiam veduto. Si noti la coscienza di Dante ben
diversa da quella di tanti cattolici, che mangiano impudentemente
cibi vietati dalla Chiesa. Dante qui li ha serviti come meritano. Mi
preme assai di fermar questo punto anche colla autorità di Dante,
che non era certo uomo di pregiudizi, e che pure riconosceva e
rispettava nel>a Chiesa il diritto di vietar certi cibi, e quindi rico-
nosceva nei fedeli l'obbligo rigoroso di obbedirla. Almeno l'autorità
di Dante farà vergognare gli sprezza tori.
Aitar le mani. Come facevano a questo mondo, che stende-
vano le mani ai cibi vietati. Ma come alzavano le mani a questo
cibo se sapevano che era vietato ? Rispondo : Dante non dice che
lo sapessero, anzi da quel che segue appare che non lo sapessero,
perchè più sotto si dice che quella gente partiva ricreduta. Ma come,
ripiglio, quella gente noi sapeva, se girando sempre intorno a quel
sesto giro sf incontrava più volte al giorno in quelle due piante ?
Rispondo : che ciò nulla ostante non lo sapevano, e così ha voluto
supporre e imagiuare il poeta, il quale con ciò ci fa intendere aper-
tamente che nel giro che facevano pai tendo dall'albero e ritornan-
dovi perdevano affatto la memoria, cosi volendolo Dio, a rinnova-
zione della loro pena. £ veramente non c'era Litro mezzo che questo
per rinnovargliela continuamente. Ila rinnovato qui Dante per la
memoria dei golosi quello che ha supposto pel corpo dei scismatici
e degli scandalosi nel Canto XX Vili dell'Inferno. Colà d.ssc: Un
diavolo è qua dietro che rìaccisma — Sì crudelmente, al taglio
della spada — Rimettendo ciascun di questa risma, — Quando
avem volta la dolente strada ; — Perocché le ferite son richiuse
— Prima ch'altri dinanzi li rivada. Ebbene a simigliatila di ciò,
queste anime golose, quando partono dall'albero, hanno la conoscenza
di lui, e questa conoscenza nel tratto che fa ano per ritornarci la
si chiude e cancella. Questo ritrovato è stupendo, e Dante ce lo
dice chiaro d* tutto il contesto, ma è sempre mancata la pazienza
d'investigarlo, e si vide qui questo nuovo albero, e questa nuova
gente, senza curarsi di saperne il perchè.
76 Non so che. L'occbio vede a maggior distanza che non sente
l'udito. Perciò Dante vide li gesti, ma non udì il senso delle parole.
77 Quasi bramosi ecc. Questa similitudine è molto a proposito
CANTO XXIV. 527
Che pregano, e il pregato non risponde;
n0- Ma per fere esser ben lor voglia acuta.
Tien alto lor disio, e noi nasconde. :*
Poi si partì sì come ricreduta ; w
E noi venimmo al grande arbore, ad esso *°
Che tanti preghi e lagrime rifiuta. 8I
Trapassate oltre senza farvi presso: **
perchè gli atti di quella gente sono quelli che noi sempre vediamo
avverarsi nei fantolini del caso detto qui dal poeta.
78 Lor dii\o. La cosa desiderata.
79 Screduta. Disingannata. Questo prova che quelle anime nel
far il giro per tornare alta pianta perdevano la memoria della natura
dell'albero e de'suoi frutti, cioè perdevano la memoria che fosse cibo
proibito. Questo, come notammo, era disposto dalla divina provvi-
denza per loro pena.
*° Al grande arbore. Perchè questo si dice grande, ciò che non
fu detto dell'ai :ro ? Per accennare che grande è il numero di coloro
che mangiano cibi vietati. — Ad uso. Questa è la vera lesione,
non adesso «ora), che non ha nessun senso. Sta per quello stesso.
** Che tanti preghi ecc. Ài Purgatorio, non al mondo. Qui (al
mondo) si mangia indifferentemente quel che è vietato; ma al Pur-
gatorio se ne sconta la pena a qui»st*albero che rifiuta e preghi e
lagrime, negando ai golosi i suoi pomi. Ripeto che su quest' albero
non piove umore, perchè i liquidi nel divieto ecclesiastico non sono
contemplati. Nel divieto si dice: non mangiare, ma nou si dice:
non bere.
** Trapassate oltre senta ecc. Notate la differenza delle voci ehe
escono dall'uno e dall'altro di questi due alberi. Dal primo la voce
dicea : Di questo cibo avrete caro, ossia carest'a, il che non ìndica
assoluta mancanza di esso, ma solo scarsezza, accennando così alla
sobrietà nella quantità, e tormentando cosi quei golosi che trasmo-
darono mangiando troppo cibi permessi. Invece la voce che esce da
questa seconda pianta dice: Trapassate oltre senza farvi presso,
il che indica assoluta e totale privazione di quelle frutta, perchè
frutta proibite, accennando cosi alla qualità non permessa; e tor-
mentando così quei golosi che la gustarono. E per cessare anche
il pericolo di mangiarne un tantino, si ordina persin l'allontanamento
dall'albero. Per questo Dio ogni qual volta vieta il peccato, vieta
anche l'occasion di peccato.
588 PURGATORIO
Legno è più su che fu morso da Eva, "
E questa pianta si levò da eaao. M
Sì tra le frasche non so chi diceva : **
Perchè Virgilio, e Stazio, ed io ristretti,
12°- Oltre andavam dal lato che si leva. 87 *
%G
' i .
'■•'| . .■ < #•-...,-.! f
** Legno è più su ecc. L' albero che troveremo sulla cima del
monte, situato in mezzo del Paradiso terrestre colà locato. Quei
legno fu morso da Eva, perennila mangiò del suo frutto che le era
•tato vietato, con dirle Dio, mangerai di tutti gli altri frutti, ma
non di questo. L'eccezione che fa la Chiesa de1 cibi grassi in certi
giorni non è che una rinnovazione di quella prima che Dio fece ad Eva.
** E questa pianta ai levò da essa. Dunque è della stessa na-
tura. Dunque questa pianta è la pianta dei cibi vietati che qui si
introduce a castigo non dei golosi che oltrepassano la misura nei
cibi permessi, ma a castigo di quei tali golosi che non rispettano
la legge ecclesiastica dei cibi vietati : e quindi la gente che vedemmo
sotto quest'albero non è quella che si dimagra a quell'altro, a meno
che eerte anime nel peccare non abbiano violato e la quantità eia
qualità dei cibi. In somma anche qui havvi due sorta di peccatori,
come due sorta ne abbiamo veduto nel cerchio degli avari, dove
stavano alla stessa pena avari e prodighi, tra i quali ultimi era Stazio.
•* Sì tra le frasche. Come dal primo albero, così da questo se-
condo esce una voce, e come Dante non potè sapete chi parlasse
dal primo, cosi nemmeno da questo secondo. Tra le fronde del primo
avea spiato, ma tra le fronde di questo non Tosa, memore della
riprension di Virgilio, e più memore delle parole: Trapassate ecc.
** Virgilio e Stazio ed io. Tenete conto anche di questo, che
tutto è buono, e tutto giova. Qui Dante, senza che ce n'accorgiamo,
accenna l'ordine in che si posero i poeti l'un dietro l'altro, rasente
il monte, e ristretti l'uno all'altro. Quest'ordine è il seguente: In
nanzi Virgilio, dietro a Virgilio Stazio, Dante in fine. Così passato
Palbero, quando questi tre s'allargheranno per la strada, Virgilio
riuscirà di fuori, Stazio in mezzo e Dante al di dentro della strada
lungo il monte (Vedi Tav. V, Purg.). Notate anche il ristretti. Vale
ristretti tra loro e ristretti al monte. E ciò è naturale, e perchè
quando tre viaggiatori prima un po' divisi odono cosa di qualche,
paura, sempre si restringono tra loro, e perche la strada non era
larga che piedi 7 1/2, dall'albero al monte.
*7 Dal lato che si leva. Era il più sicuro per Danto.
CANTO XXIV. 529
Ricordivi, di ce a, de' maledetti 88
Ne' nuvoli formati, che satolli
Teseo combatter co' doppi i petti ; 89
E degli Ebrei ch'ai ber si mostrar molli, ^
Perchè non gli ebbe Gedeon compagni,
Quando in ver Madian discese i colli. 9!
Sì, accostati all'un de' duo vivagni,99
Passammo, udendo colpe della gola,
Seguite già da miseri guadagni. 93
130. pGj rallargati per la strada sola, 9A
ss Ricordivi ecc. La voce del primo albero disse esempi di tem-
peranza e de' suoi premi ; questa del secondo dice esempi d' intem-
peranza, e de* suoi castighi. Cosi abbiam sempre veduto io tutto
il Purgatorio : prima esempi di virtù, poi anime purganti, e final-
mente esempi di vizio. — De' maledetti. Centauri, secondo la fa-
vola, figli d'Iasione e d'una donna aerea da Giove composta di nubi
e avente l'immagine di Giunone: esseri di doppia natura, mezzi
uomo e mezzi cavallo. Questi, dopo una crapola, vollero rapire Ip-
podamia a Piritoo, ed ebbero perciò a combattere con Teseo ed
Ercole.
89 Co'doppi petti. Petti d'uomo e petti di cavallo che si univano
e confondevano noi dinanzi.
so E degli Ebrei ecc. È il fatto del e. VII dei Giudici Gedeone,
secondo l'ordine di Dio, a combattere i Madianiti dovea prender
con se soli quei soldati, che condotti al fiume per bere, avessero
bevuto recandosi l'acqua alla bocca colla mano, e non quelli che
si fossero inginocchiati per tuffare la bocca nel fiume, perchè que-
sti avrebbero con ciò mostrato troppa mollezza, e ingordigia di berne
molta. Soli 300 bevvero alla sfuggita, bevendo l'acqua colle mani :
questi furono ritenuti, e gli altri licenziati.
91 / colli. I colli che li dividevano dai Madianiti.
9* Vivagni. Orli o estremità del panno. Qui, orli della strada. —
JlVun de* duo. All'interno.
93 Seguite già ecc. Colpe seguite già dalle lor pene. Misero gua-
dagno è perifrasi di pena, perchè la pena è quel che si guadagna
colla colpa.
94 Poi rallargati per ecc. E naturale che tolta la causa se ne
tolga l'effetto, La causa che li fece andar rasentando il monte fa
34
580 PURGATORIO
Ben mille passi, e più ci portar oltre, 9S
l'albero in mezza strada, ol trapassato questo, la strada era sgombra.
Cosi Virgilio riusci al vivagno esteriore, Stazio al mezzo della strada,
e Dante al vivagno interiore, e quindi più comodo alla salita dove
l'avessero trovata.
Strada sola. Sola, perchè senz'albero e senza golosi,
w Ben mille passi ecc. Questo accenno geometrico di circonfe-
renza è di una importanza incalcolabile. Attenti bone. Prima di
tutto bisogna ebe noi indaghiamo quanti pa-si fa un miglio. Per
conoscere questo basta che noi consultiamo Giovanni Villani al 258
del IX libro delle sue cronache fiorentine. In quel luogo dove il
Villani misura la periferia di Firenze fa il miglio di braccia 3000
(tre mille) le quali corrispondono a circa 5000 passi grandi o £ 000
piccoli. Noi atteniamoci a questi ultimi per le ragioni che diremo
in line. Ora prendete in mano la mia Tavola VI, osservando in
essa la VI cornice dei golosi. Voi vedete che essa ha la circonfe-
renza di 5/8 di miglio in tutto il suo cerchio, vale a dire che tutto
il giro intorno al monte a quella altezza è di passi 3750, essendo 1/8
di miglio passi 750. Ora essendo 4 le facciate del monte, quanti
passi fnrà ogni facciata? È chiaro che ogni facciata sarà la quarta
parte di 3750 passi, ossia sarà di passi 938 circa che si possono
computare dalla metà di una facciata all'altra metà e che la metà
di ogni facciata sarà 469. Ma Dante dice qui che dal secondo al-
bero fino alla scala ha fatto 1000 passi <jl poco di più trascuria-
molo), e la scala che subito troveremo e nella giusta metà della
facciata che guarda ovest, come si proverà appresso. Dunque il se-
condo albero, da cui cominciano questi mille passi, si trova prima
di arrivare alla metà della facciata che guarda nord, venendo dal
primo al secondo albero; ossia si troverà 62 passi prima di giun-
gere alla metà della facciata anzidetta (Vedi qui la mia Tav. V,
corn. VI). E quindi questi mille passi che fecero i poeti, parte li
fecero nella facciata che guarda nord, dal secondo albero in poi, e
parte li fecero nella facciata che guarda ovest ; ossia per venire al-
l'ultima deterininaziouc , passi 62 + 4G9 fatti nella facciata che
guarda nord, ed altri passi 469 nella facciata che guarda ovest per
giungere al punto di mezzo di quella facciata. Si vede chiaro che
sommando 62 + 469 + 469 si hanno i 1000 passi di Dante, e con
questi già siamo al giusto mezzo della facciata a ponente (Vedi
Tav. VI, corn. VI).
Ma Dante con questi 1000 passi che qui ci dice non solamente
ci è venuto a determinare il punto preciso dove si deve col'ocaro
CANTO XXIV. S31
il secondo albero, ma ci è venuto a determinare ancora il punto
preciso dove vuol essere allogata la scala che dalla V mette alla VI
cornice, che è appunto il luogo dove noi l'abbiam posta; perciocché
tra questa scala e il primo dei 1000 passi dei poeti, ci devono stare
a qualche distanza separate tra loro le due piante, la prima delle
quali si trova quasi subito dopo finita la scala e la seconda si trova
a 62 passi prima di giungere al punto di mezzo della facciata che
guarda nord.
Non basta ancora. Dante con questi suoi 1000 passi avendoci
determinato il punto preciso della scala dal V al VI giro e delle
due piant-% ci ha determinato anche quanti passi la prima pianta e
distante dalla seconda. Perciocché se la scala smonta al principio
delfa facciata volta a nord (Vedi Tav. V, coni. VI) e già ci avea
detto che li vicino si trova la prima pianta; e se la seconda pianta
è distante 62 passi dal punto di mozzo della facciata stessa, sapen-
dosi ornai che mezza facciata è passi 469. basterà da questi detrarre
i passi 62; per avere la distanza tra una pianta e l'altra, che sarà
di passi 407.
Non basta ancora. Questi 1000 passi provano ancora esser vera
ed esatta la misura di circonferenza che uoi abbiamo assegnato a
questa VI cornice, che come sapete è di 5/8 di miglio, ossia di
pas*i 3750. Infatti se tutta la circonferenza è di passi 3750, cia-
scuna delle 4 facciate sarà la quarta parte di 3750, ossia 938 passi
circa. Ma noi abbiamo appunto veduto che coi 1000 passi abbrac-
ciamo Ìj2 facciata di nord (469 passi) e i/2 facciata di ovest (469
passi) computate esse due mezze per una facciata, oltre la rimanenza
di 62 passi, per giungere dalla metà al secondo albero. Dunque la
misura che noi abbiamo dato alla circonferenza di tutta la VI cor-
nice, è veramente quella intesa da Dante, altrimenti la mia misura
non si combinerebbe con questi 1000 passi.
Non basta ancora. Questi stessi 1000 passi che fin qui hanno
fatto vedere vero ed esatto il posto della scala dalla V alla VI
cornice, vero ed esatto il collocamento degli alberi, vera ed esatta
tutta la circonferenza di passi 3750 assegnati «Ila VI cornice, pro-
vano, per induzione infallibile, vera ed esatta la misura di circon-
ferenza assegnata a tutte le cornici inferiori ed all'altre superiori,
non essendo possibile immaginare che qui si trovi l'esattezza se
altrove ci fosse lo sbaglio. Anzi questo prova la verità ed esat-
tezza anche della circonferenza delle radici del Purgatorio, perchè
se colà giù ci fosse uno sbaglio; non ci darebbe infine del Purga-
torio un risultato di tanta verità ed evidenza. E siccome tutto
questo monte altro non è che il cono solido corrispondente al cono
532 PURGATORIO
vuoto di tutto il vero Inferno, cosi accertate le misure del Purga-
torio, vengono accecate anche quelle del Vero Inferno, oltre la prova
che abbiamo colà recata, traendola dai due Canti XXIX e XXX,
ai quali questo serve di controprova. Comprendo che la solidità di
tutte queste argomentazioni e calcoli dipende da due supposti,
l.o dall' aver adottato i 6000 passi piccoli per un miglio, 2.o dal
porre la scala, dove va a finire l'ultimo dei 1000 passi, nel giusto
mezzo della facciata del monte che guarda ovest.
Ma ques'i due supposti sono verissimi. E verissimo il 2.o, e
noi lo vedremo presto a suo luogo colla prova del sole allegata da
Dante, Canto XXVI, n. 4, 5. E verissimo poi anche il l.o per le
ragioni seguenti :
1.* Perchè Dante ci ha fatto conoscere più di una volta che
quando non aveva ragione che lo costringesse al contrario egli cam-
minava sempre con passo dignitoso e gravo. (Ptirg. Canto [II, v. 10).
Quando li piedi miei lasciar la fretta — Che l'onesta de ad ogni
atto dismaga ;
2. a perchè Dan! e, come tutti, quando cammina occupato nel-
l'osservare o nel pensare, va sempre a pa^si scarsi. Lo disse nel
Canto XX del Purg.} 1G: Noi andavam compassi scarsi e lenti —
Ed io attento all'ombre e ce. Nel caso nostro egli, come anche i due
suoi compagni, era attento e profondato in gravi pensieri, portando
anche bassa la testa; perciò dice: Contemplando ciascun senza pa-
rola : e poi Drizzai la tetta. Chi va a testa così bassa non può
far passi così lunghi, o non li fa solitamente;
3.» perchè Dante dichiara che quando camminava con Forese,
il suo passo era di passaggio, onde portò li similitudine: E come
Vuom che di trottare è lasso — Lascia andar gli compagni, e si
passeggia (Canto XXIV, v. 70). Il passo del passeggio non è lungo,
ma piccolo;
4.» perchè Dante, a indicare che i suoi passi erano brevi, si
fa dire a Forese così: Tu ti rimani ornai che il tempo è caro —
fn questo regno sì ch'io perdo troppo — lenendo teco sì a paro
a paro. (Canto XXIV, v. 91);
5.» perchè i passi che si fanno intorno ad un cerchio assai ri-
stretto scemano anche più per doversi falcare. La poca circonfe-
renza ci e nota. E se Dante osservò (Canto XVIII, v. 94) che
nella IV cornice degli accidiosi che rur avea miglia 2 1/2 di cir-
conferenza, le anime doveano falcare il passo; quanto più in questa
cornice VI che ha la sola circonferenza di 0/8 di miglio.
Forse taluno anche dopo tante ragioni potrebbe dirci che Dante
quando intende di misurare a passi la sua strada, è da presumere
CANTO XXIV. 53S
Contemplando ciascun senza parola. w
Che andate pensando si voi sol tre ? 97
Subita voce disse; ond'io mi scossi,
Come fan bestie spaventate, e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi ; 9*
E giammai non si videro in fornace
ch'egli adotti i passi come vanno intesi geometricamente a rigor di
arte. Ma io rispondo che Dante intende e vuol intendere non dei
passi determinati dall'arte, ma dei passi suoi propri. Come si sa?
Si sa perchè Io dice egli stesso n-jl Canto III del Purgatorio, v. 68:
r dico dopo ì nostri mille passi. Dove si noti bene quel nostri,
che determina passi speciali e propri di una persona, e non di un'al-
tra; e i passi appn ito a cui allora acceunava Dante erano passi
scarsi anche perchè seguivano alia stanchezza d'una gran corsa. Al
qual proposito dei 1000 passi trovati nel Canto III del Purg., io
prego il lettore a considerar bene il tratto che possono aver misurato
alle falde del Purgatorio quei 1090 passi, ed a raffrontarlo col tratto
misurato dagli altri 1000 passi della VI cornice (il che può vedere
sui mici disegni) e vedrà che i due tratti combinano perfettamente.
Ci portar ol re. Fanno veramente piacere le osservazioni del
P. Cesari su questo poetar. Leggetele. Invece quelle del Tomma-
seo, che vuol dare una lezione al Cesari in fatto di purezza di lin-
gua, ci disgustano. Leggete anche questo se \i piace. E simile
all'altro passo del Pwg , Canto XXVI II. v. 22: Giò m* avean
trasportato i lenti passi,
96 Ciascun. Ciascun di noi (nominativo). Non intendete adunque:
Contemplando noi ciascun' anima, che in quei 1000 passi non se ne
videro. Già prima il poeta l'avea espresso quando nel primo verso
di questa terzina avea detto che la strada era sola, ossia libera da
ogni cosa e persona. Che dunque i poeti andavano contemplando?
Andavano contemplando V affar di quell'albero che ultimo aveau
veduto e udito, albero veramente maraviglioso, che solo per esser
figlio dell'albero ri' Eva, ne aveva per dare il fatto suo a tutti e tre.
97 Che andate ecc. Si vede chiaro che tutti e tre portavano la
testa bassa, altrimenti avrebbero veduto prima l'angelo che sì par-
lava a sol pochi pissi di distanza. Tanto li facea pensosi quell'al-
bero, origine di tutti i guai!
98 Drizzai la testa. Ecco la ragione dell'esser andati fin sotto
l'angelo, senza avvedersi. Fu il pensate a testa bassa.
99
100
534 PURGATORIO
Vetri o metalli si lucenti e rosai,
Com' io vidi un che dicea : S' a voi piace
140- Montare in su, qui si convien dar volta;
Quinci si va chi vuole andar per pace.
L'aspetto suo m' avea la vista tolta :
Perch'io mi volsi indietro a' miei dottori,101
Com'uoiu che va secondo ch'egli ascolta.
E quale, annunziatrice degli albori, m
L'aura di maggio movesi ed olezza,
Tutta impregnata dall'erbe, e, da' fiori ; i03
Tal mi sentì' un vento dar per mezza m
La fronte, e ben sentì' muover la piuma.
150. Ohe fé' sentir d'ambrosia l'orezza ; 105
99 Qui si convien dar volta. Convien volgerei a sinistra, dov'è la scala.
*oo Chi vuole andar per pace. Chi vuole andare al cielo, che è
pace. La parola pace indica ogni contento. Va senza dire che Dante
■enz'altri complimenti prese la scala. Egli fa il primo a salirla, per-
chè le era più vicino, come noi abbiamo notato, e come potete os-
servare sulla mia Tav. VI, corn. VI.
*0I Perch'io mi volsi indietro ecc. Ecco provato l'ordine dei tre
poeti eh* io dissi. Prima Dante, poi Stazio, poi Virgilio, secondo
l'ordine che avevano camminando per la strada. Perchè Dante si
volse a" suoi dottori? Si volse appena posto l' un de' piedi sul primo
gradino, e bì volse loro affinchè parlassero nella salita; perciocché
mancando in quel momento della vista, facea per vista servir l'udito,
e cosi potea salir più sicuro, e in lor compagnia senza esserne diviso.
402 Annunziatrice degli albori. In sul far del giorno, che annunzi
una bell'alba, con che si esclude il giorno procelloso, perchè in tal
caso nemmen l'aura di maggio ha le qualità dette qui dal poeta
*03 Tutta impregnata ecc. L'erbe ed i fiori in quel mese, e mas-
sime in quell'ora, e in tempo sereno, spargono fragranze più che
in ogni loro altra età, essendo nella prima e più vigorosa lor viti.
*04 Un vento ecc. E il solito ventilar dell'ali angeliche nella fronte
di Dante per la cancellazione di un P; del P della gola.
105 D'ambrosia l'orezza. Il profumo fragrante di quest'erba, che
i poeti fanno il cibo de' Numi.
CANTO XXIV. 685
E sentì' dir : Beati cui alluma m
Tanto di grazia, che l'amor del gusto ,07
Nel petto lor troppo disir non fuma, 10g
Esuriendo sempre quanto è giusto. 4<*
l°6 Beati cui alluma ree. È in più parole una delle solite bea-
titudini che vengono dette dall'angelo custode della scala, a felici-
tazione delle anime purgate di quel tal vizio Questa beatitudine
appartenente al l'in frenamento della gola, è il compimento del si ti un t
detto sopra al Canto XXII: Con sitiuut senz'altro ciò fornirò. La,
intera beatitudine sarebbe: Beati qui esuriunt et sitivnt institi a vi
quoniam ipsi saturabuntur.
* oi L'amor del gusto. L'appetenza dei cibi e delle vivande.
*08 AW petto lor troppo ecc. Non valica i debiti confini.
*°9 Esuriendo sempre ecc. Desiderando solo quel tanto, e tal cibo,
che si può prendere senza peccato.
CANTO XXV
Argomento.
Determina scientificamtnte l'ora ed il minuto, in cui i poeti
cominciarono a salire la scala che dalla VI cornice dei golosi
mette alla VII dei lussuriosi. Ma Dante salendo è travagliato
da un dubbio che è lì per dirlo e non s'attenta, Virgilio lo sa,
ed eccita Dante a manifestarlo, allora Dante lo dice, ed è: come
mai si può dimagrare un corpo che non ha bisogno di nutrirti,
accennando alla magrezza veduta velie ombre. Virgilio, se non
impiega, chiarisce il dubbio suo con esempi consimili di Meleagro,
e della immagine dello specchio; ma poi perchè Dante avesse in
ciò anche una spiegazione, scientifica, gliela fa dare da Statio.
che prende la cosa ab ovo. appena finita la scientifica e lunga
spiegazione di Stazio, terminano la hcala e giungono sulla F' li cor-
nice dei lussuriosi. Voltano secondo il solito a destra, e si descrive
il fuoco che vi ha di tormento, dal qual fuoco però è Hb-.ro il
viottolo che va lunghesso l'orlo esterno della strada. per cui cam-
minano i poeti, e Dante con gran cautela e pericolo. Odono can-
tarsi un inno dalle anime in me- zo al /woco, interpolandone le
strofe con qualche esempio di castità.
XB Vedi tulli i caudini di questo Canto nella Ta?. Ili Purg., e la Tav. VI l*urg ,
Ora era che 'i salir non volea storpio, *
Che '1 sole avea lo cerchio di merigge *
* Ora era che ecc. Era quell'ora nella quale non ci vogliono storpi,
o tardi a salire la scala. Le ore pomeridiane, secondo la solita sen-
tenza del poeta, sono ore in cui bisogna affrettarsi più che al mat-
tino. E ciò e naturale ovunque, che per ragione del tempo che fuggr,
e del quale è ornai passato una gran parte, ma è naturale special-
mente al Purgatorio, dove giunta la notte, non si può più salire,
ma bisogna arrestarsi dov'ella coglie : e ciò per le ragioui dette nel
Purg., Canto VII, n. 32, 33 e 34.
* ('he 7 sole avea ecc. Qual' ora ci viene qui indicata? Sono I"
due pom., dice il Velutello. Sono le due pom.,dico il Venturi. Sono
538 PURGATORIO
Lasciato al tauro, e la notte allo scorpio. 3
le due pomeridiane, dice il Cesari. Tutti sono in errore. Il poeta
dice in quella vece che erano 32 minuti dopo mezzodì. A restarne
persuasi prendete subito la Tav. VII, Purg , dove osservate il sole
starsene all'orizzonte con Ariete: sotto Ariete vedete il Toro e in
faccia al Toro lo Scorpione, sopra il sole i Pesci. Ebbene, il sole
che là nella Tav. è messo precisamente nel primo grado di Ariete,
e propriamente al suo vero posto nel giorno in cui siamo? Mainò;
perciocché il sole oggimai (Vedi Tav. Ili, capellini del tempo) è nel
22.° grado di Ariete, essendo noi ai 12 di aprile, e contandosi quindi
22 giorni da 21 marzo (esclusive) al 12 aprile (esclusive). Perciò il
sole pel dì in cui siamo, bisogna trasportarlo verso il Toro per
gradi 22. Cosi resterebbero soli 8 gradi di distanza tra Ariete, e
il primo grado di Toro. Adesso che abbiamo posto il sole nel suo
vero punto, che ha nel 12 aprile, facciamolo girare con tutte le co-
stellazioni dalla parte dei Pesci, e facciamolo girar tanto che il Toro
col suo primo grado si trovi sul meridiano. Ora, dimando io, dove
abbiamo il sole presentemente ? Lo abbiamo 8 gradi al di là del
meridiano, ossia dal Toro che ora e sul meridiano, come pure 8
gradi era distante dal Toro quando il sole era all'orizzonte. E dove
è andato lo Scorpione col suo primo grado ? Lo Scorpione si man-
tien sempre in giusta opposizione al Toro; essendo il primo grado
del Toro sul meridiano, pure sul meridiano in parte diametralmente
opposta è ito a porsi lo Scorpione col suo primo grado. Afferrate
bene (sempre nella mia Tav. VII) tutte queste collocazioni, rifac-
ciamoci al sole, che abbiamo lasciato 8 gradi dopo passato il meri-
diano. Qual'ora dunque abbiamo? Quando il sole era sul meridiano,
faceva mezzogiorno in punto ; ora che è passato 8 gradi più in la ,
farà mezzo giorno e qualche cosa di più. Quanto di più ? Quello
che portano 8 gradi. E 8 gradi quanto tempo portano ? Trovatelo
colla seguente regola del tre semplicissima. Se 30 gradi portano 120
minuti, 8 gradi quanti minuti porteranno ? Eseguite il calcolo e vedrete
che il risultato sarà 32 minuti. Dunque veramente sono 32 minuti
pomeridiani, e non due ore pomeridiane, come tutti dicono per errore.
8 E la notte ecc. E la notte (nominativo) avea lasciato il mede-
simo cerchio meridiano allo Scorpione primo grado. (Vedi la mia
Tav. VII, secondo le nuove collocazioni fatte nella nota precedente).
Raffrontiamo adesso questo orario coll'ultimo trovato al Canto XXII,
n. 73. Che cosa risulta ? Risulta che dalle IO : 15 antim. trovate
allora, ai 32 min. pom. trovati adesso passarono ore 2:17. Quando
CANTO XXV. 539
Perchè, come faTuom che non s'affigge, *
Ma vassi alla sua via, checché gli appaia,
Se di bisogno stimolo il trafigge ; 5
Così entrammo noi per la callaia 6
Uno innanzi altro, prendendo la scala, 7
Che per artezza i salitor dispaia. 8
10- E quale il cicognin, che leva V ala 9
Per voglia di volare, e non s'attenta
D'abbandonar lo nido, e giù la scala;
Tal era io con voglia accesa, e spenta 10
Di domandar, venendo infino all'atto u
si aveva 10:1") ant, i poeti avevano terminata la scala che dalla
V va alla VI cornice: ora che si hanno 32 min. dopo mezzodì, i
poeti cominciano la scala che mette dalla VI alla VII cornice. Dun-
que ore 2:17 precisamente impiegarono a visitare la cornice VI dei
golosi.
* Non s'affigge. Non s'arresta.
5 Se dì bisogno ecc. Se è stimolato dal bisogno di qualche cosa.
Qui il bisogno era di far più strada che fosse possibile prima che
annottasse, perche di notte nel Purgatorio non si può salire.
6 Callaia. Scala o via incavata nella pietra del monte. General-
mente via stretta.
7 Uno innanzi altro. Dante innanzi Virgilio, infine Stazio nel
mezzo ad entrambi (Vedi Tav. VI).
8 Ter artezza ecc. Era tanto ristretta, che i sa li tori doveano di-
spaiarsi, ossia non andare a paro, ossia disgiungersi. Le scale erano
tutte tali, perchè non dovevano servire che per quell'anima che ad
ogni tempo finita la sua pena saliva : e questo caso non era né di
egni momento, né di ogni giorno, mi raro : onde una scala per una
sola persona serviva.
$ Il cicognin. Il figlio della cicogna, ancor da nido. — Leva l'ala ecc.
Tutti gli uccelli, quando pare loro di sentirsi abili al volo, fanno
di queste prove. Qui il poeta prende un uccello grande, perchè la
similitudine applicandosi all'uomo s^rba più proporzione. Sono simi-
litudini per natura e semplicità inarrivabili.
*° Coti voglia accesa e spenta. Con voglia prima risoluta, poi
soffocata, che nella similitudine era il levare ed il calar dell'ala.
H Venendo in fino ali1 atto — Che ecc. Non si potea esprimere
540 PURGATORIO
Che fa colui eh9 a elicer s'argomenta.
Non lasciò per l'andar che fosse ratto, "
Lo dolce padre mio, ma disse : Scocca u
L'arco del dir, che insirto al ferro bai tratto.14
meglio il desiderio che ave* Dante di manifestare uo suo debbio, che
Cucendolo prorompere sino a quel gesto, che fa naturalmente chi è
in sai punto di parlare, e vi bi scnU* sforzato, o si sforza. Dico si
sforza (s'argomenta), e questo atto è più che in altri, visibilissimo
nei balbuzienti, i quali avendo graude difficoltà di parlare, deside-
rosi come sono di esprimersi, ranno precedere alla loro parola un
tal atto di sforzo, onde altri subito capisce ch'essi voglion dire qual-
che cosa. Ma perchè Dante aveva tanta difficolta ad esporre il suo
dubbio? Ne troverai la ragione alia nota 18 di questo Canto, ra-
gione che ci scopre nuove gemme di fino artifizio poetico.
f* jVon lasciò ecc. Non lanciò di dire, non ostante l'andar fret-
toloso, ma disse, ecc. Notate che dal principio di questa scala, che
hanno preso a salire, sino alla prossima cima del Purgatorio, non
abbiamo in tutto che 1/8 di miglio, osai a 750 passi di altezza, come
vi potete convincere dando uno sguardo alla Tav. VI dalla corn Vi
in su. Questi passi 750 che anrora rimangono per arrivare alla cima,
sono scompartiti per una metà (375) a tutta questa scala che dalla
VI mette alla VII cornice, e per l'altra metà dalla VII cornice in su,
come potete vedere, osservando la detta Tav. VI. Sicché, quando
qui udite dire al poeta che andavano ratto, non bisogni che vi
immaginiate lunghi tratti di via, non potendosi dir lungo tratto quello
che è di soli passi 375. Osservate però che qui si sale, e che la
accennata rapidità e sempre in relazione di quella che si può avere
salendo: e osservate infine che questo andar ratto fu di pochi istanti,
cioè fino allo scoccare del dubbio; cominciando da questo in poi,
qucll'andar non fu ratto pei gravi discorsi ch'ivi si fecero, e che
udiremo.
*3 Scocca — L'arco del dir ecc. La parola è lo strale, la bocca
e l'arco, la volontà che dirige la bocca e la parola ò la mano che
scocca. Immensa similitudine, che fuor di metafora vuol dire: Caccia
pur fuori la parola, che hai sulla punta della lingua.
** Inaino al ferro hai tratto. Lo strale è ferrato sulla punta.
Quando si vuole scoccarlo con forza, tanto si. tira l'arco chj la punta
dello strale e già addentrata sino all'arco. Quello è il vero punto
in cui si scocca. Ricordatevi qui l'ordina con cui procedevano i poeti :
CANTO XXV. . 541
Allor sicuramente aprii la bocca, l8
20- E cominciai : Come si può far magro le
Li\ dove l'uopo di nutrir non tocca ? {1
Se Rammentassi come Meleagro 18
avanti Dante, poi Stazio, poi Virgilio. Di qui nasce un dubbio.
Come sapea Virgilio che Dante volea parlare, e che avea le parole
sulla punta della lingua, non osando mandarla fuori, mentre Dante,
che era davanti, avea volta la schiena a Virgilio?
Rispondo, che già si disse più di una volta che Virgilio vedeva
anche i più secreti pensieri di Dante. Perciò Virgilio gli avea detto
in altro caso simile (Inf., Canto XXIII): &'io fossi d'impiombato
vetro — L'imagine di fuor tua non trarrei — Più tosto a me
che quella dentro impetro. Ed altra volta lo stesso Virgilio gli avea
detto: Se tu avessi cento larve — Sovra la facci a ^ non mi sarien
chiuse — Le tue cogitazion quantunque parve.
i» Sieuramen'e. Senza tema. Sicuro viene da «ine cura.
** Come si può far magro. Impersonale passivo. Come può suc-
cedere magrezza.
*7 Là dove l'uopo ecc. In un soggetto (ombra) nel quale non ha
luogo il bisogno di nutrirsi. Accenna alle ombre che si dimagrano
alla vista degli alberi, come s'è veduto nel Canto XXIII e XXIV.
M Come Meleagro. Si ha da Ovidio, 1. 8 delle Metam. che Me-
leagro, Bgliuolo di Eneo re di Caledonia, tanto dovea vivere quanto
ardesse e si consumasse un ramo d'albero gettato dalle fate sul
foco. Virgilio non intende di aver porto con tale esempio una ra-
gionata spiegazione al dubbio di Dante. Solo intese dire che casi
di tal natura si hanno anche dalle storie e dalla Mitologia, che pegli
ant'ehi era come una storia sacra, confermando cosi colla sola ra-
gione, quello che altrimenti va spiegato colla ragione aiutata dalla
rivelazione. Ed è per questo che Virgilio, solo rappresentante di
Ragione, nella sua risposta si attiene al fatto di Meleagro ed al-
l'altro che verrà dello specchio, lasciandone la perfetta spiegazione
ad uno superiore di sé, qual è Stazio, dove si unisce la ragione av.
valorata dalla fede. Questo ci dà la chiave per conoscere il motivo
che dapprima riteneva Dante dall' esporre il suo dubbio, sebbene
scoppiasse dalla voglia e venisse fino all'atto, che prende la parola.
Il motivo era il seguente. Dante sapeva già che quel dimagramento
era effetto di una causa soprannaturale. Come lo sapeva? Perchè
Forese gliela aveva dichiarato, quando gli disse (Canto XX Ili; :
542 PURGATORIO
Si consumò al consumar d'un tizzo,
Non fora, disse, questo a te sì agro. i9
E se pensassi come al vostro guizzo *°
Guizza dentro allo specchio vostra image,
Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 21
Ma perchè dentro al tuo voler t'adage, **
Dell'eterno consiglio — Cade virtù nell'acqua e nella pianta —
Rimane addietro, ond' io sì mi tot ti gì io. Di questo fatto duuque
soprannaturale desiderava Dante, una spiegazione quanta aver si
l? * ( ' • poteva. Egli avea due maestri da chiederne, Virgilio e Stazio. Vir-
gilio era veramente il suo primo maestro, assegnatogli a guida dalla
misericordia di Dio: a lui dunque doveva rivolgersi: ma in questo
fatto era insufficiente. Stazio era più adatto, ma non era il suo mae-
stro, e rivolgendosi a questo maestro per lui avveniticcio, temeva
far onta al suo maestro vero. Di qui le titubanze di Dante ad
esporre il suo dubbio. Di qui la cura di Virgilio per animare il di-
scepolo. Di qui la spiegazione che dà Virgilio, secondo le deboli sue
forze. Di qui il rimetter la decisione di materia sì ardua a chi aveva
gli aiuti della rivelazione. Così Dante ottenne il suo intento senza
offesa del suo maestro. Considerate bene l'intreccio delle cose, e ve-
drete e gusterete l'arte maravìgliosa di lavorarle.
*9 Sì agro. Metafora tolti dalle frutta immature. Vale : Non ti
sarebbe sì difficile la intelligenza di questo fatto, dietro il fatto con-
simile che t' ho recato.
20 Vostro guizzo ecc. Dice vostro, non nostro, perchè le ombre
non avendo corpo, non avrebbero gettato nello specchio la loro imma-
gine. Vedeste infatti che non gettavano nemmeno ombra quando
il sole le percuoteva? Secondo esempio che rischiara l'avvenimento
della magrezza al Purgatorio. L'immagine dello specchio ò una cosa
tutto vana e insussistente, eppure guizza al nostro guizzo, in so
riceve gli atti nostri, come s'ella avesse corpo. L'immagine dello spec-
chio sarebbe nel nostro caso le ombre vane ; e la persona stessa
che guizzando fa guizzare l' immagine sarebbe l'albero e l'acqua colla
sua virtù.
2* Ciò che ecc. È la stessa metafora delle frutta molto mature,
e vale facile a comprendersi.
2* Ma perchè dentro ecc. Ma perchè la tua volontà si riposi con
esser saziata compiutamente. Bellissima similitudine tolta da chi si
mette a letto, e nou pensa ad altro, che a darsi riposo.
30.
CANTO XXV. )*" °,'">' 543
Ecco qui Stazio, ed io . lui ^chiamo e prego 2*
Che sia or sanator delle tue piage. **\ . , , ..# ,„
be la veduta eterna gli dispiego,"
23 Ecco qui Stazio. Ora si vede la ragione sapientissima di col-
locare Stazio tra Dante e Virgilio nella salita della scala: la ra-
gione era che per la scala Stazio dovea essere il primo maestro di
Dante. Quanto non va cauto in tutto il nostro poeta, e quanto non
è necessario osservar anche tutto, perchè nihil aine rattorte suffi-
cienti! Per questo fino dal primo dei mille passi, Dante ebbe il
posto della scala, Stazio in mezzo della strada, e Virgilio all'orlo
estremo di essa. Così ni momento della salita non si ebbero a cam-
biare minimamente, t» così serbarono lo stesso ordine anche per la
scala (Vedi la mia Tav. VI cornice VI e scala dalla VI alla VII).
Ed io lui chiamo e prego. Bellissimo ! Io (sola Ragione) chiamo
in mio aiuto e prego lui (Ragione sussidiata dalla Rivelazione).
2* Che sia or ecc. Che medichi e sani la piaga della tua igno-
ranza. I mali portati dal peccato originale (tra i quali havvi l'igno-
ranza) si dicono comunemente piaghe dai padri e dai teologi. Così
Virgilio dispone bellamente il suo Dante ad avvezzarsi pel bello a
dipendere da altri a sé superiori, giacché per poco ancora gli dee
seguire di guida, non potendo la Ragione, rappresentata da Vigi-
lio, fare da maestra là dove cominciano cose, che appartengono alla
Rivelazione. Stazio diventa come un anello di congiunzione tra la
Ragione e la Rivelazione.
23 Se la veduta eterna ecc. Cosi legge anche il cod. Fontaniano
del Seminario di Verona. Ceduta eterna è lo stesso che provvi-
denza eterna, entrambi le quali parole (veduta e provvidenza) hanno
comune l'origine del verbo vedere. Alcuni testi leggono : vendetta
eterna. I letterati se ne danno per indifferenti, e dicono che il senso
vien bene sia coll'una che coll'altra lezione. Adngio a ma' passi. Ma
il poeta deve essersi appigliato all'unsi o all'altra. Trattandosi di
cose di Dante (che è uno scrittore che fa parte da sé stesso) nou
ammetto si facilmente la indifferenza sui termini da hii usati. Dun-
que egli certo avrà dettato o veduta eterna o vendetta eterna^ non
e' è mezzo. Ora io dico che la più esatta di queste due sarà quella
adottata da Dante. Dico la più esatta, perchè Dante è la esattezza
in persona. Ma la più esatta è veduta eterna. Dunque atteniamoci
a questa che ha a sua conferma de' buoni codici, come tra gli altri
il più celebre della Marciana, N. 276, Clas. IX, e il codice di frate
Stefano della Capitolare di Verona. Come poi sia la più esatta,
544 PURGATORIO -
Rispose Stazio, là dove tu sie,
' 4-i
I '. ' * • .
46
» /:' V
vediamolo. La dimanda che mosse Dante, alla quale qui si accenna,
è volta alla ricerca di un perchè nell'ordine della divina Provvi-
denza. È tanto chiaro che mira a quest'ordine colla sua dimanda,
che appunto perchè Danto sapeva che Virgilio non ce l'avrebbe ca-
vata, come materia superiore alle sue cognizioni, piuttosto che fare
un torto al suo primo maestro ricorrendo a Stazio, toglieva di re-
stare col suo dubbio in corpo, e cosi mantenere illeso l'onore del
suo Virgilio. Questa osservazione l'abbiamo provata alla nota 18
Virgilio conoscendo la sua insufficienza, quale rappresentante dì
pura ragione, prudentemente si rimise a Stazio, che oltre di avere
la ragione, come Virgilio, avea anche il lume della fede, e perciò
in tal materia era giudice assai più competente che Virgilio. Che
cosa dunque dovea dire Stazio in seguito di questi avvenimenti?
Egli doveva dire veduta eterna e non vendetta eterna, perchè la
prima lezione e non la seconda, balte noi segno in cui batteva la
dimanda di Dante, e perchè la prima lozione e non la seconda vi
rende ragione dell'appello che Virgilio fa a Stazio. Invece la lezione
vendetta eterna, ne batte il punto di Dante, né rende ragione del-
l'appello, e per sopra più mi dà un senso ambiguo (che non è mai
il fare di Dante) applicabile al Purgatorio ed all'Inferno, e un senso
stiracchiato se si prende vendetta ettrna per vendetta dell'Eterno,
nel qual senso debbono intendere la cosa quelli dalla vendetta eterna.
Sicché fatta ragione di tutto è da leggersi veduta eterna, e non
vendetta eterna, anche perchè questa lite è decisa da Stazio poco
dopo là dove dice : Lume ti fieno al come che tu die. Notate bene
infatti questo come. Il come non indica la vendetla, ma la ragione
ed il modo della vendetta, che è appunto la provvidenza, o la ve-
duta eterna. Questo è quello che dimandava Dante ; non dimandava
il fatto che già bello e lampante se V avea veduto sotto gli occhi,
ma dimandava ragion del fatto, e questa è provvidenza o veduta
eterna. Dante dimandò il come, e il come ù ripetuto da Stazio.
Gli dispiego. Anche qui chi legge dispiego, e chi dislego. Ma
basterà un poco di buon senso per preferire dispiego a dislego. Dis-
legare la provvidenza, non mi ha quella naturalezza, che sento avere
dispiegare la provvidenza. E di ciò basti.
26 Là dove tu sie — Discolpi ecc. Notate che Stazio è un discepolo
di Virgilio, ed è un atto d'omaggio che fa il minore al maggiore.
In questo complimento non è tanto da badare alle doti presenti dello
stato d'entrambi quanto alle relazioni della lor professione.
CANTO XXV, 546
-T '
Discolpi me non poter io far niego/ ' "*
Poi cominciò: Se le parole mie,
Figlio, la mente tua guarda e riceve,
Lume ti fieno al come che tu die. t7
Sangue perfetto che mai non si beve w
Dall'assetate vene, e si rimane,
Quasi alimento che di mensa leve,
40- Prende nel cuore a tutte membra umane w
Virtute informativa, come quello w
v Oh* a farsi. quelle per le vene $àne,
Ancor digesto scende ov' è più belio 8i
Tacer che dire, e quindi poscia geme
37 Al come. Dante aveva chiesto: Come si può far magro ecc.
A questo come allude Stazio ; il qual come non indica il fatto, ma
il modo del fatto ; e questo modo non è la vendetta, ma il modo
di eseguirla, il che importa provvidenza eterna, o veduta eterna,
come si provò alla n. 25.
98 Sangue perfetto ecc. Quel sangue che serve alla generazione
umana è la parte più pura di lui, il qual sangue se va ad iscor-
rere per le vene come il resto, di cui il corpo ha bisogno per la
vita, non è però destinato a saziar le vene, ma si rimane separato
da quello, e come in serbo, a somiglianza di quegli alimenti ohe
avanzano sulla tavola, e che non furono necessari al sostentamento
della vita. La similitudine non poteva essere joèqpiù propria, uè più
evidente. Quanto si dice qui è dottrina filosofica di S. Tommaso.
Som. I p., q, 119, art. 2.
29 Prende nel cuore ecc. Questo sangue perfetto, mentre se ne
sta al cuore, gran vaso di ogni sangue, prende^ dal cuore stesso,
che è sede degli affetti, una speciale virtù od abilità a diventar
membra umane, mediante altre operazioni di natura, e questo si
chiama virtù informativa a tutte membra umane.
30 Come quello — - Che ecc. Siccome quello che se ne va per le
vene a formare le dette membra.
** Ancor digesto ecc. Questo sangue dopo la sua partenza da1
cuore, purificatosi sempre più, strada racendft, discende cosi purifi-
cato in altro luogo, ove da natura si tiene iniierbo finché avvenga
che si mescoli con altro sangue, de' quali l'Uno ha virtù, attiva,
l'altro passiva. ■" vv
85
646 PURGATORIO
Sovr' altrui sangue in naturai vasello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
L'un disposto a patire, e l'altro a fare,
Per lo perfetto luogo onde si preme : '*
E, giunto lui, comincia ad operare, "
•nilioft"* *"" **• Coagulando primate poi avviva14
Sut^ ~ CttTcke per sua dateria fé constare.
Anima fatta, la virtute attiva, ,5
Qual d'una pianta, in tanto differente,
«.•suu in ^e <lue8t ^ ™ ,v?a> e quella è già a riva, M
S8J?llT*#,il" Tanto ovra poi, che giàTsi muove e sente, ,T
» Per lo perfetto ecc. In fona del cuore (luogo perfetto) che è
il vaso più nobile di tutti gli umani, e perciò ritenuto la sede prin-
cipale dell'anima. — Onde ti preme. Dal qual cuore scaturisce.
tt E giunto lui ecc. £ unito (il sangue attivo) a lui (al sangue
passivo). — Comincia ad operare, cioè a informar la materia, cha
dovrà col tempo diventar corpo umano.
M Coagulando prima. Ecco la prima operazione, quella di coa-
gulare, o consolidare.
E poi avviva ecc. Ecco la seconda operazione, quella di avvi-
vare, o dar vita vegetativa. A chi? — A ciò che per sua materia ecc.
Al coagulato o consolidato, perchè fosse corpo di un'anima che ora
non si può chiamtoe, che vita vegetativa.
*8 Anima fatta , la virtute attiva. La virtù attiva eccola dive-
nuta anima (non la vera anima umana, la quale non viene dall'uomo,
ma da Dio) ; essa è divenuta solamente quell'anima che hanno an-
che le piante, la quale dicesi vita vegetativa.
** Che questa è in via ecc. Questa e quella, vale l'una e l'altra.
Questa, ossia l'anima di quella materia che poi sarà corpo umano. —
Quella è già a riva, ossia l'anima delle piante, non ammette né at-
tende altra perfezione. Finora dunque l'anima di questa materia
umana è la sola vita vegetativa, che però è in via di perfeziona-
mento, perch' essa è destinata non ad avvivare una pianta, ma un
corpo umano.
•7 Tanto ovra poi che ecc. La virtù attiva divenuta anima, qual
d'una pianta, continua la sua operazione, e fa che quel corpo passi
dall'essere vegetativo ad un principio di essere sensitivo , cioè ad
CANTO XXV. 647
I V
f'*>» .-.-.-. a;
l' • » -
Come fungo marino ; ed ivi imprende M
ioSJjJX Ad organar le posse ond' è semente. w
.•suio.iea- Or si piega, figliuolo, or si distende40
Bl*- La virtù eh' è dal cuor del generante, 4i
6°. Dove natura a tutte membra intende. 4t
ano stato che è mezzo tra le creature vegetative e sensitive, quale
si è il fungo marino, o spugna, che occupa uno stato di mezzo tra
i vegetabili e gli animali, non essendo né tutto vegetabile, né tutto
animale, e però esso ed altri esseri suoi pari sono detti plantari-
malia, o zoofili. Pertanto il poeta, ad indicare questo terzo stato,
dice: già si muove e sente; si muove per essere vegetativo, sente
per essere sensitivo; ma egli però non é un essere sensitivo per-
fetto, non avendo che un principio di senso, come appunto il fungo
marino, e per ora non é che un anello di congiunzione tra gli esseri
vegetativi e sensitivi.
*• Ed ivi imprende - Ad organar ecc. La virtù attiva, condotto
che ha il corpo allo stato come di fungo marino, non desiste dal-
l'opera, anzi continua a lavorarlo per condurlo a vero stato sensi-
tivo, e in questo lavoro si occupa a fare in lui gli organi sensori
(ad organar le posse), occhi, orecchi, ecc.
39 Ond'è semente. Delle quali essa virtù attiva è semente. Dun-
que le posse o gli organi sono i frutti, e la virtù attiva è semente
di essi frutti Ora il frutto è della natura del seme. Per indicar
dunque che la virtù attiva fabbrica gli organi sensori non di qua-
lunque sorta essi sieno, ma solo propri della specie umana, il poeta
dice che la virtù attiva organa quelle tali posse, che rispondano alla
natura della virtù attiva, la quale è umana.
*o Or ai piega ecc. Alcuni leggono spiega, ma non va bene, per-
ché sarebbe lo stesso che distende. Quelli che leggono spiega, danno
al si spiega e al si distende questo senso: si allarga e si allunga.
Ma, chi ben mira, il verbo distendersi significa ambedue questi
verbi: allargarsi e allungarsi. In questo verso si accenna il lavoro
delle parti ossee, e delle parti molli del corpo. Nelle ossee la virtù
attiva sì piega, ossia si stringe, nelle molli si distende, o si allarga
in ogni direzione.
** La virtù ohe ecc. La virtù attiva detti di sopra, la quale
per indicare che fa il lavoro di un corpo umano, e non di un bruto,
•i dice che ne prende le forme dal cuore umano, ed é chiaro che il
cuore umano non può dare che forme umane, ossia organi umani.
42 Dove natura a ecc. È dal cuore che la natura prende l'archetipo,
i
648 PURGATORIO
Ma, come d' animai divenga fante "
Non vedi tu ancor : quest' è tal punto,
Che più. savio di te già fece errante ; u r
Sì ohe per sua dottrina fé disgiunto
Dall'anima il possibile intelletto/45
Perchè da lui non vide organo assunto. "
.\ *.
o il modello pel lavoro delle membra a lui corrispondenti. Essendo
il generante, uomo, ó quindi d'uomo anche il cuore ; e il cuor d'uomo
non può intendere che a formar membra d'uomo.
** Come d'animai divenga fante. Come da sensi tiyo divenga in-
tellettivo. Questo stato intellettivo è espresso dalla parola fante,
che vuol dire parlante, ossia atto a parlare, il che è dell'uomo, e
non dei bruti, ed è dell'uomo in quanto che. ha l'intelletto, non in
quanto ha il solo senso, essendo la parola frutto dell'intelletto.
U Che più savio di te già fece errante % Chi è quest'uomo che
Stano fa più savio di Dante, e che pure fu errante in tal punto?
Tutti credono essere Averroe, sottilissimo filosofo arabo di Cordova,
che visse alla metà del secolo XII dell'era volgare, e che tradusse
in arabo e commentò Aristotele, filosofo greco, capo della setta dei
Peripatetici, nato in Stagi ra nel 384 avanti Q. C. Ma come è pos-
sibile che Stazio, vissuto nel primo secolo dell'era volgare, parli di
Averroe posteriore a lui di undici secoli, e di cui né in vita nò dopo
morte ebbe mai contezza alcuna? Tutti dunque i commentatori pre-
sero qui un granchio a secco dei più madornali; e me ne duole
molto pel Tommaseo caduto anch'esso in questo errore, il quale,
aggiungendo errore ad errore, dice cosi nella nota del suo commento
alla parola possibile : « Aristotile (de anima Ili) e Averroe com-
battuti da Agostino!!! da Tommaso e da Scoto. Come mai S, Ago-
stino tra il IV e V secolo potea combattere Averroe del secolo XII?
Stazio dunque non può parlare che di Aristotele, il quale iniziò
l'errore raddoppiato poscia da Averroe. Aristotele infatti insegnò
essere V intelletto possibile cosa distinta da noi, ma nel medesimo
tempo lo dice anche cosa congiunta all'anima : mentre Averroe am-
mette la prima, e non la seconda sentenza di Aristotele, e cosi
distrugge affatto la natura dell'anima razionale, facendola sussistere
senza il possibile intelletto.
45 II possibile intelletto. E la facoltà d'intendere, negata dagli
antichi all'intelletto agente.
*• Perchè da lui non vide organo assunto. La facoltà di vedere
CANTO XXV. 549
Apri alla verità che viene il petto, -,
E sappi che, sì tosto come al feto ?'IN
,%*rfèuT L'articolar del cerebro è perfetto, 4T
70. Lo Motor primo a lui si volge ì lieto, tt *o ■ *■«
assume per suo organo gli occhi, quella di udire, gli orecchi. Ari-
stotele (che si conosceva e studiava sui commenti d'Averroe, e que-
sto è quello che trasse in errore i commentatori di Dante prendendo
Averroe in luogo di Aristotele), Aristotele dunque negò all'anima
come cosa di sua essenza, ossia fé' disgiunto dall'anima il possìbile
intelletto, perchè questa potenza intellettiva non vide che si avesse
assunto un suo organo speciale, come le altre potente sensitive,
onde non riconosceva che un intelletto universale disgiunto dal-
l'anima. La sentenza d'Averroe, desunta da Aristotele è confutata
da S. Tommaso, p. I, q. 76, a. 2, e da Scoto in 4 dist. 43, q, 2,
che censuravano questa sentenza (sono parole del Venturi), come as-
surda ed eretica, la quale fu poi condannata dal Conc. Later. sotto
Leone X, ses. 8. Il Tommaseo qui aggiunse che questo errore è
insegnato oggidì nella scuola di M. Cousin. Da queste tre ultime
note sì deduce che la questione presentata prima da Dante: come
si può far magro ecc., non si pò tea sciogliere da Virgilio (sola Ra*
gione), ma ci voleva uno (Stazio) che alla ragione unisse anche i
lumi della fede, giacché un tal punto non fu deciso, che dietro la
scorta di questi lumi, ed ecco come Stazio serve di anello di con-
giunzione tra la Ragione e la Fede. Le quali cose stando cosi,
emerge chiara la ragione, per cui Dante voleva, e non voleva esporre
il suo dubbio, cioè per non fare un torto a Virgilio, già insufficiente
a scioglierlo.
*7 L'articolar d*l cerebro è per/elio. Nel cerebro vanno ad unirsi
le articolazioni di tutti gli organi, e quindi il dirsi perfetto l'arti-
colar del cerebro è lo stesso che dirsi perfetta l' articolazione di tutti
gli organi ; e intanto qui si nomina il cerebro, in quanto esso è il
punto di unione di tutti loro, e il punto da cui ogni articolazione
dipende. Dunque è lo stesso che dire: appena il corpo è perfezio-
nato in tutte le sue parti, il che avviene quando l'articolar del ce-
rebro è perfetto.
tt Lo Motor primo. Dio. — A Lui. Al feto , ornai ridotto alla
sua perfezion sensitiva.
Si volge lieto. Nel Canto XVI del Purg., Dante avea detto,
parlando dell'anima, ch'ella è mossa da lieto fattore, ossia da Dio,
che è beato di sé medesimo, e che non può non amare, o non mirare
0 ♦£
660 PURGATORIO
Sovra tent'arta di natura, e spira 49
T Stalo in- o • •, ™ ***%. . AV 1 A
leiiettiTo. bpinto nuovo di virtù repleto,
a rv\ ^^ A
anima.
Che ciò che truova attivo '^ùivi tira *°
seutito^Mnll" In sua sustanzia, e fassi un'alma sola, 81
tiro, intelletti™, z^i • , \ • * • • ■«
uniti in una soia Une vive e sente, e se in se rigira. M
£ perchè meno ammiri la parola, **
con occhio lieto l'opera di natura, che è opera sua. Onde quando
Dio creava il mondo, ad ogni cosa creata, si dice nella Genesi:
Vìdit Deus quod esset bonum : e per questo stesso si dice nei salmi :
Laetabitur Dominus in operibus tuia,
49 Sovra tanVarte di natura. E la spiegazione di queir a lui,
detto nel verso antecedente. Si volge lieto a lui, a tant'arte di na-
tura, a questo corpo, che è detto un piccolo mondo nel mondo grande,
e da altri e meglio, un grande mondo a confronto del materiale.
Spira — Spirito nuovo ecc. Quello che ha fatto Dio col primo
uomo dopo la creazione del corpo, lo fa Dio con ogni altra crea-
tura umana appena il corpo è perfezionato nel sen materno. Perciò
come Dio volto al corpo di Adamo, la S. Scrittura dice nel II, 7
della Genesiche per farlo un essere intellettivo: Inspirava infacicm
ejus spiraculum vitae; cosi fa Dio con tutti gli altri esseri umani. Si
dice spirito nuovo, perchè questo è spirito intellettivo, diverso dal sen-
sitivo, ond'era già prima animato il feto. Si dice di virtù repleto,
perchè questo spirito è pieno della bontà e della grazia di Dio;
sicché virtù, in questo caso, non ha senso generico di principio, o di
forza, com'era la virtù informativa detta di sopra, ma ha un senso
particolare di vero bene morale.
*0 Che. Il quale spirito nuovo, di virtù repleto.
Ciò che truova attivo. L'anima vegetativa e sensitiva.
Quivi. A sé, a quello spirito nuovo.
Tira in sua sus tamia. Identifica quelle varie sostanze attive
nella sua.
ai Fassi un'alma sola. Delle tre anime vegetativa, sensitiva, e
intellettiva o razionale, si fa una sol' anima, e quindi non restano
già separate le une dalle altre, ma tutte unite formano una sola.
M Che vive e sente, e sé in sé rigira. L'anima sola che è il ri-
sultato di tre unite insieme, gode e partecipa delle qualità proprie
a ciascuna, onde vive perchè vegetativa, sente perchè sensitiva, in-
tende perchè intellettiva.
M E perchè meno ammiri la parola. E perchè il fatto che io
- / •.
CANTO XXV. 551
Guarda il calor del sol, che si fa vino "
Giunto all'umor che dalla vite cola.
E quando Lachesis non ha più lino, M
80- Solvesi dalla carne, ed in virtute M
. Seco ne porta e l'umano, e^ il^ divino ; **
L'altre potenzie tutte quante mute; »Wr
/ Memoria, intelligenzia, e volontade, \
In atto molto più che prima acute*.
Senza ristarsi, per sé stèssa caae "**K c^
esposi in parole della unione di più sostanze, che si fanno una so-
stanza sola, abbia a recarti meno maraviglia, eccoti un fatto pu-
ramente materiale, che rischiara il mio detto.
Si Guarda il calor del sol che ecc. Il vino è unaeosa che risulta
dall'unione di due, cioè dal calor del sole e dall'umor della vite.
Cosi nel caso eh1 io ti dissi; di tre anime si & un'anima sola. La
similitudine è immensa per la sua proprietà al fatto della genera-
zione dell'uomo, dove concorrono cose che molto s'assomigliano al
sole ed alla vite.
w E quando Lachegis ecc. £ quando si muore. Lachesis, una
delle tre parche che filano la nostra vita secondo la mitologia. Fi-
nito il lino è finita la vita.
M Solvesi dalla carne. Quest'anima che fu il risultato di tre. —
In virtute, in potenza, o virtualmente.
87 Seco ne porta e l'umano e il divino. L'umano, ossia il suo
stato vegetativo e sensitivo. Il divino, ossia il suo stato intellettivo.
** L'altre potenzie ecc. Capovolgi e costruisci : Memoria, intelli-
genzia e volontade, — In atto molto più che prima acute; — L'altre
potentie tutte quante mute. Qnesta è la spiegazione dell'umano e
divino detta testé; col quale si congiungerebbe mediante un cioè,
dicendosi : Seco ne porta l'umano e il divino, cioè Memoria, intel-
ligenna ecc. Dante disse prima le potenze sensitive, e poi le intel-
lettive, e perchè quelle furono le prime nel tempo, e perchè nel verso
antecedente prima si disse rumano e poi il divino. Le potenze sen-
sitive si dicono mute, perchè prive dei loro organi sensori; e invece
le potenze intellettive o razionali, memoria, intelligenza, e volontade
si dicono in atto più acute di prima, perchè non sono più distratte
dagli organi sensori.
» Senza fiatarti. Nel punto stesso della sua uscita dal corpo, — •
*a>
"•
6»
552 PURGATORIO ) ^'
Mirabilmente all'una delle rive : Cl° ' '
Quivi conosce prima le sue strade. 6i
Tosto chejuogojì là cirponscrive, XM
La virtù formativa "raggia intórno, "
90- Così, e quanto/nelle membra vive. ,
come 1 aere quand è ben 'piorno, 64
Per T altrui raggio che in sé riflette,
Di diversi color si mostra adorno ;
Per sé stessa. Per natura, per inclinazione sua propria, e senza
bisogno che altri ve la porti.
W Mirabilmente. In modo che non si sa comprendere, in modo
misterioso.
All'una delle rive. Queste rive sono due : l'una dove cadono
le anime destinate all'Inferno, e questa è la riva di Acheronte :
l'altra dove cadono le anime che vanno a salvamento, e questa è
la foce del Tevere sul quale, e non lungi da essa foce è Roma,
centro di unione cattolica e di salute.
6* Quivi conosce prima ecc. L'anima ita alla riva d'Acheronte
per mezzo del giudice Minosse conosce le sue strade, cioè a qual
cerchio ella deve andare in Inferno, e lo conosce dai giri della coda
che Minosse s'avvolge intorno al corpo. L'anima ita alla foce del
Tevere conosce le sue strade, cioè in qual parte del Purgatorio
ella deve andare a purgarsi, o se debba prima esulare nell'Anti-
purgatorio, per mezzo dell'Angelo che va colà a prenderla colla barca.
63 Tosto che luogo li ecc. Tosto che è giunta, e posata e ferma
su una di queste due rive. Lì si riferisce al quivi detto prima.
6* La virtù formativa ecc. E quella virtù formativa detta al
verso 41, n. 29. Avendosi l'anima uscita dal corpo portato seco in
virtute e l'umano e il divino, per conseguenza si ha portato seco
la virtù informativa che abbiam veduto appartenere all'umano, ed
è quella abitudine a formarsi un corpo corrispondente alla sua spe-
cie. — Raggia intorno — Così, e ecc. La virtù formativa in forza
della sua tendenza di formare all'anima un corpo, si mette in fatti
a formarglielo raggiando intorno a sé quel tratto d'aria che occu-
perebbe il suo corpo se ancor l'avesse.
6* Piorno. Molto piovoso.
w Per Valtrui raggio ecc. Pel raggio del sole opposto e riflet-
tuto nella pioggia, onde awien l'iride.
t -K-tr*^
CANTO XXV. 553
Così l'aer vicinA quivi si mette *
In quella forma, che in lui suggella
Virtualmente l'alma che ristette.
E simigliante poi alla fiammella 67
Che segue il fuoco là 'vunque si muta,
Segue _al}o spirto sua forma novella.
100. per5 che quindi tìa* poscia sua parata, M
, i a^V E chiamat' ombra ; e quindi organa' poi M
(% > v" ìiK Ciascun sentire* msino alla veduta. 70
c wk fa* Quindi parliamo, e quindi ridiam noi, n
Quindi facciam le lagrime e i sospiri,
Che per lo monte aver sentiti puoi. n
6i Così l'aer vicin ecc. Cosi Taer circostante ai raggi emaaati
dalla virtù formativa si mette in quella forma o parvenza, che
l'anima colà fermatasi virtualmente in Ini suggella e stampa.
OT E simigliante poi ecc. Ora il poeta dà moto a quel corpo che
l'anima s' è formato d'aere mediante la virtù formativa; e per farci
intendere com'egli secondi i moti dell'anima, r*?ca la similitudine
della fiammella che va ovunque si muove il suo fuoco che la ge-
nerò. Come il fuoco ha per corpo la fiammella, cosi il nuovo spi-
rito ha per corpo l'aere : e come non è il fuoco che segue la fiam-
mella, ma la fiammella che segue il fuoco, cosi non è lo spirito
che segue il corpo aereo, ma il corpo aereo che segue lo spirito.
Precisamente come avviene anche nei viventi, nei quali è l'anima
quella che si muove, e che si trae dietro il suo corpo.
<8 Quindi. Dal corpo aereo.
69 È chiamata ombra. Perchè il corpo è fatto di aere sottile a
guisa di ombra, perciò l'anima che ha un tal corpo è detta ombra :
non già è detta ombra perchè faccia ombra.
Quindi organa poi ecc. Di questo stesso aere si fa poscia tutti
gli organi, o sensi corporali.
i° Ciascun sentire. Ogni senso dall'infimo, che sarebbe il tatto,
sino al sommo, che sarebbe la vista.
7* Quindi parliamo, e quindi ecc. Con questo corpo aereo par-
liamo, ridiamo, piangiamo, sospiriamo.
72 Per lo monte. 11 Purgatorio che tu hai salito sin qui, e dove
puoi aver sentito tutto questo,
e
J
654 PURGATORIO
Secondo che ci affiggon li disiri, n
E gli altri affetti, l'ombra si figura; v AVr
E questa è la oagion di che tu /miri. n/ -^
E già venuto all'ultima tortura18 ^ ^>w>^'
no. S'era per noi, e volto alla man destra, 7i
1' Seeondo ohe oi affiggon. Secondo la natura degli affetti che
ci pungono, quali sarebbero di desiderio o di orrore, di speranza
o di timore, di gioia o di tristezza, dì mangiare o di bere, ecc.
74 E questa è la ecc. E questo è quello di che tu ti sei mara-
vigliato, e tuttora ti maravigli.
Miri. Dal Latino mirati.
Or che è finita questa trattazione dello stato dell'uomo in que-
sta e nell'altra vita, ognuno può aver veduto per sé stesso, che
non furono mai dette cose si difficili con tauta esattezza e con tanta
poesia. Per me questo lungo brano è uno dei più maraviglioei, se
più o meno si può dire di Dante.
7* All'ultima tortura. Alla settima cornice dei lussuriosi. Dunque
il discorso durò tutta la scala (che vedemmo essere 375 passi) quasi
dal suo principio. Appunto il tratto di quasi 375 passi darebbe
agio a tenere quel lungo discorso; onde il discorso è molto bene
proporzionato al tempo.
Tortura. La specie per il genere, tortura per pena.
( 76 E volto alla man deetra. E 8' era volto per noi alla man de-
stra. Erauo certi i poeti che si dovea voltare a destra dalla espe-
rienza di tutti i cerchi inferiori, e quindi non ne dubitaron nemmeno,
ma senz'altro voltarono a quella parte. Aveano, oltre V esperienza,
anche un altro argomento per voltarsi a destra, ed era ch'essi,
come avevano fatto tutto un giro dalla I alla IV* cornice, cosi sta-
vano per fornire il secondo giro di tutto il monte, di cui non man-
cava che mezza facciata di ponente, tutta la facciata di mezzodì,
e mezza facciata di levante. Per compiere dunque anche questo
secondo giro, doveano tenersi a destra e non a sinistra. Ma con
qual ordine andavano essi? L'ordine per la cornice è diverso dal-
l'ordine tenuto per la scala. Per la scala abbiamo veduto Dante
avanti, dopo Dante Stazio, dopo Stazio Virgilio. Invece per la cor-
nice procede prima Virgilio, secondo Stazio, terzo ed ultimo Dante,
il quale cosi era diviso da Virgilio mediante Stazio di mezzo. (Vedi
la Tav. IV Purg.). La prova che tale è l'ordine delle persone, la
troveremo nel Canto XXVII, v. 46, 47 e 48.
CANTO XXV. 555
Ed eravamo attenti ad altra cura. 77 -" ■ f /
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, 78
E la cornice spira fiato in suso, 79
ti Ed eravamo attenti ad altra cura. Finora fummo attenti al
discorso, chi per farlo come Stazio, chi per adirlo come Virgilio e
Dante. Ora eravamo attenti al fuoco della strada, per evi il cam-
minare si renderà pericolosissimo. Per questo il cammino sarà assai
lento. Si tenga bene a mente questa circostanza, perchè rende ra-
gione del tempo molto che b' impiega in un tratto che è pur cor-
tissimo.
7» La ripa. Quella eosta di monte, che è tra una cornice e l'altra,
ossia tra un cerchio e l'altro, dicesi ripa. Essendo che poi noi siamo
nell'ultimo cerchio, ossia nel VII, sopra del quale si eleva il Para-
diso terrestre, perciò la ripa in questo luogo ò quella costa di
monte che giace tra la VII cornice ed il Paradiso terrestre (Vedi
la mia Tav. VI, corn. VII). — Fiamma in fuor balestra. Getta,
o vibra, o scaglia fiamme per attraverso la strada, che vanno per-
correndo le anime dei lussuriosi, le quali perciò restano sempre av-
volte da quelle fiamme orizzontali.
79 La cornice. La cornice VII, ossia tutto il piano di strada, che
forma il VII cerchio ; sicché questo vento spira da sotto i piedi dei
lussuriosi. Tutti i commentatori non la intesero cosi, ma per cor-
nice hanno inteso Torlo di fuori della cornice, cotal che il vento
venisse dalla ripa posta tra la VI e la VII cornice. Questo è un
errore. Il poeta non dice esser Torlo della cornice, ma propriamente
a cornice quella che spiri fiato in suso: e quando il poeta dice
cornice intende sempre tutta la strada di ciascun cerchio, e non
mai Torlo di esso cerchio. Se il vento fosse venuto dal di fuori di
quella strada, in tal caso sarebbe la ripa sottoposta, che spira questo
fiato, e non mai la cornice, come vuole ed ha imaginato il poeta,
ed in tal caso il poeta non avrebbe detto che la cornice spira fiato
Un suso, ma bensì che la ripa sottoposta spira fiato in suso.
In questo errore sono caduti i commentatori forse perchè sem-
brava lor duro che il piano di una strada spirasse vento, e perchè
sembrava lor più naturale che il vento venisse dal di fuori, e perchè
le parole non ben considerate cosi fanno credere a prima vista. Ma
dal momento che il poeta suppose, -che una ripa di pietra avesse la
proprietà di balestrar fiamme orizzontali, e si ammirò la sua fan-
tasia nelTimaginare tal cosa, non veggo perchè egli non possa
anche supporre che il piano per cui camminano i lussuriosi possa
556 PURGATORIO
Che la riflette, e via da lei sequestra. *°
avere ed abbia infatti la proprietà di spirar fiato verticale. Chi gli
concede quello gli dee concedere anche questo. Ad ogni modo, con-
ceda o non conceda, il poeta vuole che sia la cornice e non la sot-
toposta ripa quella che spiri il fiato in suso. Ma forse si dirà: se è
la cornice così intesa quella che spira fiato in suso, questo fiato,
spirando da tutta la strada non avrebbe ollontauato da lei anche
tutta la fiamma, e quindi rese immuni le anime dal fuoco? Rispondo:
la forza verticalmente ascendente del fiato non era molta corno in-
dicano le parole, e air incontro era molta la forza orizzontale delle
fiamme, come indicano le stesse parole: onde veniva, che il fiato
sottospirante non desse alle fiamme, che quell'urto il quale fosse
necessario a far descrivere ad esse quella curva che rendeva im-
mune l'estremità esterna della strada. Se non era così, per quanto
vento fosse soffiato dalla ripa sottoposta, anche il viottolo che ser-
viva di strada a Dante avrebbe dovuto essere ardente. Anzi pare
naturalmente che se il vento fosse venuto dalla ripa sottoposta
attraverso Torlo della cornice, quel vento ad altro non avrebbe ser-
vito che a ritorcere la fiamma con più impeto sopra tutta la strada
sino all'orlo stesso della cornice, presso il quale camminavano i poeti;
e cosi Dante, lungi dall' essersi procurato un* immunità col suo
ritrovato, altro non avrebbe fatto che accrescersi l'ardore. Almeno
i suoi piedi avrebbero dovuto restarne abbruciati.
w Che la riflette, e via ecc. Il fiato (abbi sott' occhio la Tav. V
Purg.) cominciando a spirare da pie della ripa fiammifera (giacahè
è la cornice o la strada quella che secondo vuole il poeta, spira
fiato) e spirando da tutto il traverso della strada, dal principio al
fine premeva in su la fiamma. Minima era la riflessione che il fiato
ottenea sulla fiamma nel suo primo balestramene, attesa la forza
con cui usciva dalla ripa, ma la riflessione si facea massima presso
Porlo esterno della strada ; e ciò era naturale; perchè ad ogni tratto
• del traverso della strada la fiamma perdeva di forza, mentre il fiato
conservava sempre la sua; e cosi doveva seguire necessariamente,
che dove il vento trovava la minima forza della fiamma, il che av-
veniva nella sua punta presso al termine della strada, esso veniva a
rifletterla costringendola a percorrere un semicerchio verticale, e libe-
rando così dalle fiamme il viottolo per cui camminavano i nostri poeti.
E via da lei sequestra. La caccia da lei, e la va cacciando
grado a grado per tutto il traverso della strada dalla ripa all'orlo,
finché presso Torlo la vince intéramente e riflette.
CANTO XXV. , 557
Ond' ir ne convenìa dal lato schiuso, 81
Ad uno ad uno, ed io temeva il fuoco "
Quinci, e quindi temeva il cader giuso. M
Lo duca mio dicea: per questo loco84
Si vuol tenere agli occhi stretto il freno M
120. Però eh' errar potrebbesi per poco. *6
Summae Deus ci ementi a e nel seno 87
Del grand' ardore allora udì' cantando,
Che di volger mi fé caler non meno. 8s
•I Dal lato schiuso. Non dal lato della ripa interna che par sale,
ma dal lato opposto presso Torlo esterno, che da nulla sponda si
inghirlanda, avea detto altra volta, e perciò schiuso.
M Ad uno ad uno. Perchè la via senza foco era un sentieruzzo
da non capire che sol ano.
L'ordine è questo: ultimo Dante, in mezzo Stazio, Virgilio
davanti, come si vede nel Canto XXVI, v. 15, 16, e si proverà
presto.
M Quinci, e quindi ecc. Il fuoco a sinistra, e il cadere a destra
Ricordatevi che siamo all'altezza di miglia 94 + 7/8 + 1/16, altezza
sterminatissima. (Vedi la mia Tav. VI).
84 Dicea : Per questo ecc. Virgilio diceva questo per farlo inten-
dere a Dante, ed è bello questo ammonirlo, come di rimbalzo, senza
volgersi a lui.
8* Si vuol tenere ecc. Si deono tenere molto raccolti gli occhi.
w Per poco. Facilmente.
87 Summae Deus. È l'inno bellissimo che canta la Chiesa nel
mattutino del sabbato per ottenere la continenza. Non c'era orazione
che fosse più a proposito di questa. Eccola per intero:
Summae Parens clementiae
Mundi regis qui machinam,
Vnius et substantiae
Trinusque personis Deus;
Nostros pius cum canticis
Fletus benigne suscipe;
Ut corde puro sordium
Te perfruamur largius.
Lumbos jecurque morbidum
Flammis adure congruis;
Accincti ut artus exeubent
Luxu remoto pessimo.
Quicumque ut horas noctium
Nunc concinendo rumpimus,
Ditemur omnes affatim
Donis beatae patriae.
ss Che di volger ecc. Le parole di Virgilio lo invitavano a tenere
568 PURGATORIO
E vidi spirti per la fiamma andando; "
Perch'io guardava, ai loro, ed a' miei passi M
Compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine eh9 a queir inno fassi, "
Grida van alto: Virum non cognosco;9*
Indi ricominoiavan V inno bassi. *
180. Finitolo, anche gridavano : Al bosco u
Si tenne Diana, ed Elice cacci orme, "
Che di Venere avea sentito il tòsco.
Indi al cantar tornavano ; indi donne *
gli occhi a' piedi : il canto delle anime per entro il foco lo invita-
vano a volgere gli occhi al foco.
*9 E vidi ecc. Notate il vidi qui, e il guardava poi. Il vidi in*
dica atto accidentale, il guardava atto volontario. Sta molto bene
questa gradazione.
*> J% loro, ed a' miti pasti ecc. Avanti ai loro è proprio neces-
saria una virgola per maggior chiarezza. Questa pittura fa vedere
l'estremo pericolo di quella viuzza.
tt Appresso il fine. Dopo il fine.
99 Virum non cog nosco. Parole di Maria SS. all'Arcangelo Ga-
briele, dichiaranti la sua virginità.
** Bassi. In tono più basso. Questa variazione di toni serve a
variare la poesia, ma potrebbe anche essere conseguenza della ri-
cordanza delle loro pratiche ree dietro le ultime parole : virum non
eognosco. Si sa che le anime purganti provano anch'esse diverse
affezioni, e secondo esse condizionano i loro cauti or alto or bassi,
come disse quell'ombra nel Canto XX del Purg.: Talor parham
l'un alto e V altro basso, — Secondo l'affetion che a dir ci sprona, —
Ora a maggiore, ed ora a minor passo.
9* Anche gridavano. Interpolavano continuamente all' inno anzi-
detto un esempio di castità , prima sacro e poi profano secondo
l' usato.
95 Diana. Diana si tenne al bosco, ossia elesse il bosco a sua
dimora, come luogo più opportuno a serbare virginità. — Elice*
Una delle seguaci di Diana, cacciata dalla Dea per lascivia.
9* Indi al cantar ecc. Al canto dell'inno e al grido d' esempi
di casti coniugati. Gli esempi primi erano di vergini, gli ultimi di
maritati, tutti casti secondo il loro stato.
1
CANTO XXV. 569
Gridavano e mariti che fur casti,
Come virtù te, e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti w
Per tutto il tempo che il fuoco gli abbrucia.
Con tal cura conviene, e con tai .pasti w
Che la piaga d asse zzo si ricucia.99
vi E questo modo ecc. Questo modo di avvicendare all'inno gli
esempi, credo che sia e debba essere il loro costume finché duri la
pena. Questo appunto credette per udir l'anime ripigliar le coso
con quest'ordine.
•* Con tal cura ecc Similitudine presa dai medici che curano
gì' infermi di piaghe, prescrivendo ricette di due sorta, la prima
d'impiastri alle piaghe, la seconda di farmachi alla bocca,
w La piaga. Dell' incontinenza. Dassenzo. Da ultimo.
CANTO XXVI
Argomento.
/ poeti continuano il loro cammino per l'orlo della settima
cornice, e Virgilio avverte spesso Dante a procedere con gran ri-
guardo. Si nota Vora che. allor faceva, e l'ombra che Dante git-
tava sulla fiamma. Alcune ombre di lussuriosi che vengono entro
al foco dietro a Dante s'accorgono dell'ombra, e una di esse chiede
a Dante il perchè. Mentre Dante stava per manifestarsi, gli rompe
la parola in bocca un'altra turba di anime purganti, che venia
di contro. Dante osserva quel che fanno tra loro, e ascolta quel
ohe dicono finché le vede continuare ciascuna il suo viaggio op-
posto. Le prime anime tornano a rivolgersi a Dante per aver da
lui risposta alla domanda già fatta prima. Dante dice loro che
è vivo, e perchè fa quel viaggio, e da chi ottenne quella grazia.
Indi chiede chi sieno esse di quella turba e gli spirti dell' altra
già partita. Le ombre prima di tutto fanno atti di grande stu-
pore alla novità di quel vivo : poi la prima che avea parlato
felicita Dante, e lo chiarisce delle due turbe opposte, del loro
peccato, e della ragione perchè una gridò un esempio, e un esem-
pio un'altra. Finalmente quest'ombra gli si manifesta per nome,
e dice essere Guido Guìnicelli. Dante mostra la sua contentata
di conoscere un tanto uomo, che fu poeta amoroso, e gli si offre
a giovarlo in quel che può. Guido mostra gradire le sue parole,
e gli chiede onde mai avvenga eh' egli abbia sì cara la sua per-
sona. Dante gli risponde, che ciò è in causa delle sue rime, ma
Guido gliene addita avanti un altro miglior di sé, e fa di quest'al-
tro somme lodi rampognando quelli che non hanno buon gusto, e,
detto questo, gli si raccomanda per preci a suo favore quando sarà
in cielo davanti G. ('. Dopo questa preghiera Guido dispare pel
fuoco, e Dante si fa innanzi all'indicato miglior poeta ; e lo prega
a dirgli il suo nome. Questi gli si manifesta per Arnaldo proven-
zale, parlandogli in versi provenzali. Ed anche questo dopo la sua
risposta s'asconde pel foco, e va a raggiungere i suoi compagni.
NB. Vedi tatti i casellini di qneito Canto nella Tat. IH Purg., e U Ti?. VI Purg.
36
662 PURGATORIO
Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro 4
Ce n'andavamo, spesso il buon Maestro *
Diceva: Guarda: giovi ch'io ti scaltro. •.
Feriami il'sole in su l'omero destro,4
Che già, raggiando, tutto l'occidente 8
MUtava in bianco aspetto di'cilestro:
* Per l'orlo. Rasente Torlo. — Uno innanzi altro. Dante dietro
Stano, Virgilio davanti. Lo dice al Canto XXVII, v. 46 seg.
* Sputo ecc. Fa vedere la gran cara di Virgilio per Dante e la
difficoltà del cammino. Per questa difficoltà, a fornir poca strada
si porrà gran tempo, e lo vedremo e lo noteremo.
» Guarda. Guarda a' tuoi ed ai miei piedi. — Giovi ch'io ti
scaltro. Ti sia giovevole l'insegnamento che io ti fo del dove tu
abbia a porre i piedi.
* Ftriami il sole ecc. Se Dante era ferito dal sole nell'omero o
spalla destra, e il sole era allora alia metà del suo corso tra mei*
sodi e il tramonto, come dimostreremo spiegando il verso che segue,
dunque Dante camminava per la facciata del monte, che guarda
ponente : e precisamente egli camminava nella seconda metà di quella
facciata, cioè non in quella dalla parte di settentrione, ma in quella
dalla parte di mezzogiorno, dirigendo egli il suo passo da nord a
sud. In questa terzina havvi la prova, che la scala testé passata,
che ci ha messi dalla VI alla VII cornice, è nel mezzo della fac-
ciata del monte volta ad ovest, come si era supposto nel Canto XXIV
verso la fine della nota 95, alla quale questa serve di compimento.
Raffronta insieme runa e l'altra, ed abbi anche sotto gli occhi la
mia Tav. VI in questo luogo.
* Che già raggiando ecc. Con questo e ooll'altro verso che se-
gue si esprime l'ora precisa, che correva in quel punto : impercioc-
ché si dice, che il sole era alla metà del suo corso tra il mezzogiorno
e il suo tramonto. Come si viene a dir questo? ecco come. Guar-
date il sole quand'è a mezzogiorno: voi vedrete che per un gran
tratto ad est e ad ovest di lui il cielo è tutto biancastro, e che al
di là di questi due tratti il cielo per esser troppo lungi d:il sole
è cilestro. Ebbeue; come si farebbe ad ottenere, che tutto ii cielo
di occidente, che è il tratto da mezzodì a sera si cangiasse di cile-
stro in bianco? Como vedete, altro non ci vorrebbe che collocare
il sole alla giusta metà di quel tratto. Per collocarlo poi alla giusta
» ■>.
CANTO XXVI. 668
Ed io facea con l'ombra più roveri te •, :% a ,'
Parer la fiamma, e pur a tanto indizio 7
Vidi molt' ombre andando poner mente. f
io. Questa fu la cagion che diede inizio •
Loro a parlar di me ; e cominciarsi i0
metà bisogna conoscere i due ponti estremi di quel tratto. L'ano
si conosce per sé, per esser sempre lo stesso, ed è il mezzogiorno,
o le 12 meridiane, e l'altro, eh' è il tramonto, si conosce dagli alma-
nacchi agli 11 di ottobre in cai siamo al Purgatorio, corrispondente
ai 12 aprile nel nostro emisfero, dove per ora del tramonto del sole
è assegnato 5:20. Prendete adesso la metà di 5:20, ed avrete l'ora
precisa indicata qui dal poeta, cioè avrete le 2:40 pomeridiane.
Così dall'ultimo orario, che fu di 32 minati dopo mezzodì, al-
l'orario presente passarono ore 2:8, nel qual tempo fecero la salita
della scala ragionando a lungo, e un po' di tratto di questa cor-
nice difficilissimo a farsi.
0 Ed io facea ecc. L'ombra colla oscurità che getta dove cade,
cadendo sulla fiamma la fa apparir più rossa. Un medesimo incen-
dio, se avvien di giorno, non si fa apparir troppo rovente, e se av-
vien di notte appar roventassimo. E tutto effetto delle tenebre o
dell'oscurità. Perciò avrete osservato che accendendo un lume in
una stanza in tempo di giorno par che non luca ; chiudete le finestre
e fate oscurità , e vedrete che la stessa lucerna non par più quella.
i E pur a tanto indizio ecc. E solo a si picciolo indizio. Alcuni
prendono a tanto inditio per a sì grande. Ma ciò non è. Il poeta
vuol far rilevare quanto poco bastò alle anime purganti per so-
spettare che Dante fosse vivo, pei ciò egli vi premette il pur (solo,
eolamente) che male starebbe accompagnato a tanto, se tanto, qui,
volesse dire: si grande,
8 andando. Quest'ombre venivano da dietro a Dante, ossia dalla
parte della scala rimasa addietro, sicché facevano lo stesso cam-
mino di Danto: da nord a sud. Giunte esse a paro di Dante, lo
trapassavano alquanto, e Dante allor si accorgeva di esse ed esse
della sua ombra.
9 Questa fu la cagion che ecc. Dante vedeva i loro atti, e adiva
le loro parole, E bellissima questa conversazione che per conto di
Dante tengono le anime in mezzo alle fiamme. Che immensa fantasia!
Qual pennello potrebbe mai colorirla ? Meriterebbe che fosse tentato.
*o Cominciarsi. Verbo riflessivo. Si cominciarono, ovvero comin-
ciarono a dirai tra loro.
PURGATORIO
^ A dir : poltri non par corpo fittizio.
Poi verso 'me, quanto "potevan farsi.
Certi si feron, sempre con riguardo u
Di non uscir dove non fosser arsi. "
Oh tu che vai, non per esser più tardo, "
Ma forse reverente, agli altri dopo, u
Rispondi a me, che in sete e in fuoco ardo:
Né solo a me la tua risposta è uopo ;
2°* Che tutti questi n'hanno maggior sete
Che d'acqua fredda Indo o Etiopo. "
Dinne com'è che fai di te parete46
ii Sempre con riguardo — Di ecc. Questo fa vedere quanto amino
la loro pena per le ragioni abbastanza note. Tutte l'anime fin qui
trovate hanno manifestato questa premura.
13 Dove non fosser arsi. Presso al viottolo per cui camminavano
i poeti.
*8 Non per esser più tardo. Si sa che Dante diventava vieppiù
leggiero di mano in mano che guadagnava le cornici, perchè ad
ognuna si scaricava di un P, ossia di un peccato capitale, o me-
glio della sua pena. Ornai non gli restava che l'ultimo P, e anche
questo molto illanguidito, perchè non si cancella mai un vizio senza
indebolire la forza degli altri. Perciò Dante andava leggiero quasi
come i poeti. Da ciò egli potea raccogliere d'essere presso al fine
del Purgatorio, secondo che Virgilio gli avea predetto, Purgatorio,
Canto IV, in quei versi: Questa montagna e tale — Che sempre
al cominciar di sotto è grave, — E qvanVuom piò, va su, e men
fa male. — Però quand'ella ti parrà soave — Tanto che il su
andar ti sia leggiero, — Come a seconda giù Vandar per nave, —
AUor sarai al fin d'esto sentiero.
*i Agli altri dopo. Ecco qui dichiarato l'ordine delle persone che
noi dicevamo prima. Solo resterebbe il dubbio se Virgilio fosse
avanti di Stazio, o Stazio avanti di Virgilio. Ma questo dubbio è
tolto al Canto XXVII, v. 46 e seg.
<* Indo o Etiopo. L'India e l'Etiopia sono paesi assai caldi perchè
più vicini all'equatore.
tfi Dinne com' è ecc. Non dubita del fatto, cioè dell'ombra che
Dante getta sulla fiamma, facendo cosi parete al sole, come (anno
CANTO XXVL 566
Al sol; come se tu non fossi ancora "
Di morte entrato dentro delia rete.
Sì mi parlava un d'essi, ed io mi fora "
Già manifesto, s' i' non fossi atteso
Ad altra novità eh" apparse allora. "
Che per lo mezzo del cammino acceso "
Venia gente col viso incontro a questa, "
i corpi dei viventi, ma per questo non è affatto certo che tanto
avvenga perchè Dante sia ancora vivo, come ei rileva dagli altri
due verri, e perciò ne chiede schiarimento.
*? Come et tu non fotti ancora. — Di morte, ecc. Come se tu
non fossi ancora morto.
*' Ed io mi fora -- Già manifesto. Per uno ancor vivente,
non già per Dante.
*• Ad altra novità, ecc. Era, come vedrassi, un* altra schiera di
lussuriosi, diversi dalla prima, che sopraggiungono all'insaputa per
ragion delle fiamme fra cai camminano, le quali non lasciavano ve-
derli, che quando erano vicini.
30 Per lo mezto, ecc. Il traverso della cornice è di piedi 15, quanti
abbiamo determinati dietro l' accenno di Dante in quel verso del
Purg., Canto X : Jiieurrebbe in tre volte un corpo umano , che vale
per tutte le cornici. Di questo traverso circa 3 piedi ne prendeva
Dante fuor delle fiamme. Dunque alle fiamme non restavano che 12
piedi. La metà di questi 12 è appunto il messo del cammino acceso.
La nuova schiera che sopraggiunge si teneva dunque a 6 piedi di
distanza dalla ripa interna, che balestrava le fiamme, e perciò l'al-
tra schiera che prima s'era avvicinata a Dante più che poteva, oc-
cupava gli altri sei piedi, che di fiamme restavano dal mezzo sino
a Dante. Alcuni le diranno minuzie, ma non lo sono. Dante, scru-
poloso calcolatore del minuto riguardo al tempo, lo è pure anche
di poche oncie riguardo al luogo, e noi dobbiamo tener conto di tutto,
perchè di tutto tiene conto anche Dante, e perchè dove meno si
crede, quel minuto o quell'oncia ci spiega una frase che altrimenti
parrebbe oziosa ed oscura. Per il minuto ne vedemmo l'esempio nel
tempo, che impiega il sole, a levar tutto sull'orizzonte dal lembo
superiore all'inferiore del suo disco (Purg., Canto II, n. 39), e per
l'oncia l'esempio l'abbiamo (fra gli altri) in questo sentieruzzo dove
un'oncia sola di sbaglio può costare a Dante la vita.
n Incontro a questa, E perciò veniva anche rincontro a Dante*
M6 PURGATORIO
8°- La qual mi fece a rimirar sospeso. w
Lì veggio d'ogni parte farsi presta
Ciascun'ombra, e baciarsi una con una, **
Senza ristar, contente a breve festa.
Così per entro loro schiera bruna
S' ammusa l'una con l'altra formica, u
Forse a spiar lor via e lor fortuna.
Tosto che pàrton l'accoglienza amica, "
Prima che il primo passo lì trascorra,
Sopragridar ciascuna s'affatica : *6
*°- La nuova gente : Soddoma e Gomorra ; r
Dante e i primi lussuriosi camminavano da nord a sud, e questi se-
condi lussuriosi camminavano da sud a nord, calcolando però qui
\\ sola facciata del monte in cui siamo, la quale, co ne sappiamo, e
volta ad ovest. (Vedi Tav. VI Purg9ì cornice VII).
** A rimirar sospeso. Notate questa fermata di Dante, perchè
essa ed il lentissimo andare per si pericolo io sentiero, giustificano
il molto tempo che s* impiega in un cammino per so cortissimo,
giacché tutta questa cornice non volge che 5/16 di miglio, ossia
passi 1875 calcolando il miglio 6000 passi piccoli come già dicemmo,
e quindi ogni facciata conta passi 469 circa, ed ogni metà di fac-
ciata passi 234 circa. (Vedi la mia Tav, VI, cornice VII).
** Baciarsi. Baci casti a punizione dei baci lascivi.
34 S'ammusa Vuna ecc. È un fatto che le formiche che vanno e
vengono spesso s'ammusano, o si toccano mu*o a muso, come se vo-
lessero parlarsi, o diremmo meglio, come se voles ro indettarsi del
luogo dove si trova più ben di Dio, e da far fortuna.
** Tosto che partorì ecc. Tosto che dividono o finiscono l'acco-
glienza amica — Partire (attivo) è separare, dividere. Dunque ap-
pena che hanno finite le accoglienze e prima di muovere il primo
passo a partirsi. Questo viene dichiarato più sotto, dove si dice:
Quando partiamei.
M Sopragridar. Gridar con forza.
*7 Tua nuova gente. L'ultima venuta. Questa grida esempi di Sod-
domia. La Pentapoli era infame per questo vizio. Si sa che i Sod-
domiti volean abusare per fin dei due angeli iti figura di giovani
che andarono a salvare la famiglia di Lot.
CANTO XXVL 667
E l'altra : Nella vacca entrò Pasife, M
Perché il torello a sua lussuria corra.
Poi come gru, ch'alle montagne Rife *9
Volasser parte, e parte in ver l'arene, M
Queste del gel, quelle del sole schifa; "
L'una gente sen va, l'altra sen viene,
E tornan lagrimando a' primi canti, w
E al gridar che più lor si conviene : M
E raccostarsi a me, come davanti, u
*°- Essi medesmi che m' avean pregato ;
Attenti ad ascoltar ne' lor sembianti. "
Io, che due volte avea visto lor grato, w
S* Nella vacca entrò Pa$ife ecc. Con questo fatto si accenna
al vizio della bestialità. Il primo esempio sacro, questo profano, se-
condo l'ordine solito. - Entrò (passato) sta meglio che entra (pre-
sente) di alcuni testi.
39 Montagne Rife. Montagne russe al nord.
so In ver l'arene. Dell'Africa. Questo determina vera la nostra
lezione del verso 64, nel Canto XXIV Purg.y dove dicemmo verso
il iFtfo, non lungo il Nilo.
*i Queste del gel ecc. Queste che vanno in Africa, nemiche del
gelo ; quelle che vanno in Russia, nemiche del sole. Il poeta sup-
pone che avvenga questo caso, e lo dà solo come immaginario, non
reale, sapendo già che ciò non avviene. Ma è un caso che appunto
si può supporre.
s* A' primi canfi. Al canto dell'inno: Summae Deus clementiae
(Canto XXV).
M Al gridar che ecc. Al gridar esempi che più si conranno al
loro peccato, coll'ordine espresso al fine del Canto XXV.
84 E raccostarti ecc. Si ripiglia il fatto interrotto per l'arrivo
della nuova gente.
ss Attenti ad ascoltar ecc. Il non farli ripetere la domanda di
prima, come quella già bastasse, e farli solamente attenti alla ri-
sposta è un'arte tale che vince natura. Che bella maniera per far
di due fatti un fatto solo! Notate che ne' lor sembianti si vedeva
l'attenzione ad ascoltare. È proprio là che apparisce. Par di vederli,
16 Due volte. La prima quando dimandarono di lui, la seconda,
ora che stanno attenti alla risposta.
Yf
568 PURGATORIO
Incominciai: O anime sicure
D'aver, quando che sifr, di pace stato, "
Non son rimase acerbe, né mature 38
Le membra mie di là, ma son qui meco w
•* ^jVa\CJ[(\^i'^t^%^ Col sangue suo e con le sue giunture.
Qùinèi su vo per non esser più cieco: *°
Donna è di sopra che n'acquista grazia, 4i
17 d% pace stato. Beatitudine.
** Non son rimase, ecc. Nel 1300, epoca poetica di questo viaggio,
Dante contava 35 anni. Siccome era ancor vivo, le sue membra né
giovanili né vecchie le aveva con sé, e non le aveva lasciate al
mondo come gli altri che muoiono. Notate che ci troviamo nello
stesso globo terrestre sebbene noi siamo al Purgatorio. Tuttavia
questo luogo del Purgatorio ha ragione di un altro mondo, massime
nel medio evo, quando nulla si conoscea dell'emisfero inferiore.
>9 Di là. Nell'altro emisfero opposto a questo. — Bla son qui
meco — Col ecc. Dunque sono ancor vivo.
*o Quinci tu vo per ecc. Da questi luoghi vo so fino al sommo
cielo per correggermi de' miei errori passati, e per non ricadérvi
più in avvenire. Ecco il fine bello e spiattellato del poema. Chi ne
sogna un altro da questo, contradice al poeta, e non sa che si dica.
Questo è tutto il concetto cattolico che noi abbiamo esposto in
un'apposita Tavola, che è la prima dell' Inferno e nel suo relativo
Discorso Preliminare.
Da ciò si vede quanto debbono fare pietà le chiaccberate di
coloro che hanno scattolicizzato Dante, e d'un missionario e d'un
ascetico eminente ne hanno fatto o un poeta politico, o peggio, un
rivoluzionario. Si sa che Dante si propose co la sua Divina Co-
media anche la felicità temporale delle nazioni ; ma questo è un fine
secondario ; il primo è sempre la felicità eterna, che si acquista colla
liberazione dal peccato e coll'esercizio delle virtù. Perciò questo è
il punto preso di mira in tutto il poema ; ed a ragione, perchè otte-
nuto questo, la felicità temporale» viene da sé. Pare incredibile che
non la si sia ancora intesa !
^ Donna è di sopra ecc. Non è questa Beatrice, ma Maria SS.
di' cui avea detto Beatrice stessa nel Canto li dell'/n/,: Donna è
gentil nel del, che ai compiange — Di questo impedimento ov'io
ti mando. — Sì che duro giudicio lassù frange. Questa e non
altra è la donna qui accennata, perciocché tutta la grazia di questo
i
A
CANTO XXVI. 569
*>• Perchè '1 mortai pel vostro mondo reco, 41
Ma se la vostra maggior voglia sazia "
Tosto divenga, sì che il ciel v'alberghi, u
Ch'è pien d'amore e più ampio si spazia,
Ditemi, acciocché ancor carte ne verghi, 4S
Chi siete voi, e chi è quella turba
Che sì ne va di retro a' vostri terghi? 46
Non altrimenti stupido si turba 47
Lo montanaro, e rimirando ammuta, ^?
( Quando rozzo e selvatico s'inurba ]"* °H ^
7* <Che ciascun'ombra fece in sua partita "P1
Ma poi che furon di stupore scarche^
Lo qual negli alti cuor tosto s'attuta,' 49
▼Saggio venne da questa. Beatrice non ne fa che mandatario. Quindi
di «opra indica in cielo. Questa donna la si è presa per Beatrice
perchè Beatrice si farà vedere sulla cima di questo monte.
** II mortai. Il corpo.
4* Ma se ecc. Ma per quanto io desidero che la vostra maggior
voglia ecc. Il se non è qui condizionale, ma vale per cosi, oppure :
per quanto io desidero che. Modo toscano assai prediletto a Dante. —
Maggior voglia. È la voglia del cielo.
** II ciel v'alberghi ecc. Il cielo empireo, sede di Dio e dei
beati, superiore al primo mobile e quindi più ampio di tutti i cieli
inferiori.
** Carte ne verghi. Scriva i vostri nomi, scrìva di voi.
** Sì ne va. Per tal modo ne va. Accenna alle'aceoglienze fatte,
ed alle grida degli esempi come dicesse: che dopo d'aver fatto quegli
atti con voi, ne va dietro voi gridando.
*7 Stupido si turba — Lo montanaro ecc. È proverbialo lo stu-
pore che s'appiglia al montanaro quando#la prima volta dalle sue
selve viene a citta. Egli guarda le cose come estatico, cogli occhi
sbarrati, colla bocca aperta e senza fiato di proferir parola : tanto
T incantano le cose nuove. Che bel quadro fiammingo non verrebbe
da questa terzina!
** Parufa. Sembianza.
*9 Lo qual negli alti ecc. Le persone bene educate e civili de-
pongono tosto lo stupore concetto, e non lo serbano tenacemente
,» '-V
570 PURGATORIO
Beato te che delle nostre marche, *°
Ricominciò colei, che pria ne chiese,
Per viver meglio esperienza .imbarche! M
La gente che non vien con noi, offese/"
Di ciò, per che già Cesar trionfando,
Regina contra sa chiamar s'intese:
Però si parton Soddoma gridando,
*>• Rimproverando a sé, com' hai udito,
E aiutanti arsura vergognando. 8I '
Nostro peccato fu ermafrodito ; ** ' ^ ■ ; .
Ma perchè non servammo' lituana leggesi '
Seguendo come bestie l'appetito,
come il montanaro rozzo e salvatico. La differenza tra quello e que-
sto procede appunto dall'educazione che sa moderare i propri affetti,
tf& Marche. Contrade e paesi. — lmbarehe (prendi) etperien**
(conoscenza) delle nostre marche.
Vi Per viver meglio. Non già civilmente o politicamente, che que-
sto non era il luogo da ciò, né queste erano le persone cui ne
calesse, né per questo l'avrebbero detto beato, ma moralmente e
religiosamente. Si conferma il concetto e il fine cattolico del viaggio
di Dante. Tornino ad osservarlo bene gli studiosi per legger Dante
col fine inteso ed espresso da Dante. (Vedi la mia Tav. I dell'/n/.,
e il Discorso relativo.
** Offese di eia ecc. Peccò di quel peccato per il quale, quando
Cesare trionfò delle Gallio, i suoi licenziosi soldati gli davano il
titolo di Regina, perchè quando da giovane fu alla corte di Nico*
mede si diceva che quel Ile abusasse di lui. Perciò i soldati can-
tavano: Gallio» Caesar 8ubegit> Nicomedes Cacearem. Dunque la
gente partita avea peccato di Soddomia.
** E aiutan V anitra ecc. Col loro rossore accrescono il rosso
delle fiamme. Espressione enfatica.
M Ermafrodito. Il nostro peccato fu tra i due sessi, a differenza
di quello dell'altra schiera, pel quale essa gridava Soddoma.
M Ma perchè ecc. Rende ragione del gridar ch'essi fanno l'esem-
pio di Paiife, e dice che questo gridano non perchè abbiano essi
abusato delle bestie, come quella moglie di Minos, ma perchè hanno
imitato le bestie.
CANTO XXVI. 571
In obbrobrio di noi per noi si legge *
Quando partiamci il nome di colei n -■■-/, ,/— ^ K
Che s'imbestiò nell'imb estiate schegge. **
Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
Se forse a nome vuoi saper chi senio, ,
*°- Tempo non è da dire, e non saprei! w
OA-VM
M Per noi si legge. Da noi si grida.
'7 Qua/ido partiamci. Quando ci separiamo.
88 Che sHmbestiò. Che si fece bestia mettendosi entro al legno
fatto bestia, o lavorato a figura di bestia.
•9 Tempo non è da dire. Perchè è sera, dicono alcuni. Ma ciò
non può essere, prima perchè non era sera, poi perchè i nomi 1*
avrebbe potato dire sia di sera che di notte. Quello che non si
poteva [fere dopo il sol partito era il salire, ma parlare si poteva
a qualunque ora, ed a qualunque ora si poteva girare intorno se-
condo il noto supposto di Dante che abbiam più volte toccato. La
vera ragione, che non c'era tempo da spendere in dire i nomi di tutti
si era quella medesima che giù nell'Inferno allegò a Dante Brunetto
Latini, reo di questi medesimi peccati, e non pentito prima di mo-
rire, e condannato eternamente a fiamme di foco, a simiglianza di
questi. Brunetto dunque diceva allora a Dante cosi: Di più direi;
ma il venire e il sermone — Più lungo esser non può, però ch'io
veggio — IA surger nuovo fumo dal sabbione. — Gente vien
con la quale esser non deggio. (Canto XV, v. 1 \b). Ebbene, anche
qui al Purgatorio i peccatori, secondo il loro peccato, andavano
separati in turbe diverse, alcune delle quali si venivano incontro
per indicare il loro peccato al tutto opposto a quello di altri, e
alcune andavano le une dietro le altre, per non avere peccati op*
posti ma solo differenti. E siccome questa VII cornice aveva un
giro assai piccolo, essendo di soli 5/16 di miglio, ossia passi 1876,
come abbiam detto poco fa, e come potete vedere nella mia Ta-
vola VI, perciò la turba che seguiva questa colla quale non si dovea
essere, era certo poco lontana, anzi vicina, e questa è Tunica ra-
gione per cui l'ombra presente non avea tempo di dire. — E non sa-
prei. Certo perchè non le conosceva.
Questo tocco ci sta molto bene. Esso vorrebbe indicare che or*
dinariamente cadono in questo vizio, che avea quella turba, persone
basse e vulgati, che non fecero parlare di sé la fama, tranne qualche
piccola eccezione, che or dirà. La lussuria, e più certe lussurie, sono
679 PURGATORIO y
A 1 17 ' ' '■ * " ' v%
F arotti ben di me volere scemo ; M
Son Guido Guinipelli, e già mi purgo, èl
Per ben dolermi prima ch'alio stremo. M
Quali nella tristizia di Licurgo w • ■«'** *"■*«■• [
Si fer duo figli ari veder la madre, vvr J",;
infatti si malefiche, che togliendo all'uomo le forie fisiche, gli tol-
gono eziandio perfino le forte intellettuali, e lo abbrutiscono.
•o Farotti ecc. Ti dirò chi son io, e cosi il desiderio che hai di
saper chi noi siamo te lo avrò fatto scemo di uno.
fi* Son Guido Guinicelli. Buon poeta Bolognese, caposcuola di
buon gusto, uno dei più corretti padri di nostra lingua, lodato molto
da Dante nel volgare Eloquio, e nel Convito; morì, secondo il fo-
raboschi, IV. 408, nell'anno 1276, quando Dante era in sugli un-
dici anni, e quindi era al Purgatorio da 24 a ani. La poesia italiana,
e in generale le lettere italiane, ebbero per sede vari punti più
prediletti : prima la Sicilia, poi la Puglia, Bologna e alcuni altri
luoghi di Romagna, ultima la Toscana, che poi superò tutti. I più
antichi poeti italiani furono Federigo II; Pier dalle Vigne, poi
Cirillo d'Alcamo, Pier d'Aitino ed altri parecchi tutti siciliani. Ma
anche nel resto d'Italia, non l'alta, erano poeti: S. Francesco d'As-
sisi, autore del rosso ma bello inno al sole: fra Pacifico seguace di
lui in religione e poesia, , Qui ttone il Notaio, e Jacopo da Lentmo,
ed alcuni altri ; superati tutti poi da Guido G ubiceli i di quella Bo-
logna dov'era antico già uno studio di tutte lettere.
6* Per ben dolermi prima ecc. Non fu dunque tra quelli ohe
hanno differita la loro conversione alla morte, e quindi non fu trat-
tenuto con loro nell'antipurgatorio. Il modo ond'ò espresso questo
concetto, farebbe pensare che appunto per non aver differita la sua
conversione potè effettuarla, quasi voglia dire che chi è impeciato
di questo vizio, se crede di potersi convertire in morte, non l'ot-
tiene. Io ritengo che Guido voglia dire così, e cosi è infatti J[dei
lussuriosi ; la lussuria è un vizio che difficilmente si lascia davvero
ih punto di morte ; o prima o mai .
68 Quali nella tristizia di ecc. Il fatto mitologico è questo: Gia-
sone ed l8sifile ebbero due figliuoli, Toante ed Eumenio. Issifile
intanto fu rapita dai corsari, e i figli l'andarono cercando. Dai
corsari la comperò Licurgo re di Nemea in Tracia, e la fé sua
schiava, datole a nutrire il suo figlio Ofelle od Archemoro. Assente
la nutrice, il detto figlio fu morso da una serpe, e mori. Infuriato
CANTO XXVI. 573
Tal mi fec'io, ma non a tanto insurgò, u
Quand'io udì' nomar sé stesso il padre w ' ' ''
Mio, e degli altri miei miglior, che mai "
Rime d'amore usar dolci e leggiadre.
100. E senza udire e dir pensoso andai w
Licurgo, s'avventa per uccidere Issifile, ma in quella eccoti i figli
di lei, Toante ed Eumenio, che riconoscendola, la salvano dall'ira
di Licurgo. Il Tommaseo non trova la similitudine troppo acconcia,
ma, tutto ben calcolato, ella è convenientissima.
6* Ma non a tanto insurgo. I figli di Issifile, appena l'ebbero
riconosciuta, le ri precipitarono tra le braccia, cosa che non fece
Dante per tema delle fiamme, ma cosa che avrebbe fatto senza
quella tema. Perciò dice : non a tanto insurgo, cioè non mi slanciai
a Goinicelli come quei figli alla lor madre. Ricordiamoci il caso
simile di Dante con Brunetto , pur suo maestro, nel Canto XV,
v. 43, e l'altro più simile ancora nel Canto XVI, pure dell' /n/emo,
v. 46, successo a Dante nello stesso cerchio di Brunetto, dov'egli
dice: S'io fossi stato dal fuoco coperto — Gittato mi sarei tra lor
di sotto, — E credo che H dottor V avvia sofferto. — Ma perch'io
mi sarei bruciato e cotto — Vinse paura la mia buona voglia —
Che di loro abbracciar mi facea ghiotto,
** Il padre — Mio ecc. Nelli) stile e nella poesia. Ecco perchè
ha portato la similitudine del v. 94
M E degli altri miei. E degli altri miei italiani. — Miglior. Che
meglio riuscirono, che ebbero maggior vanto. Già dicemmo che
Goinicelli a Bologna fu caposcuola, onde era una gloria il poter
dire : io sono della scuola di Guinicelli. Insomma fino alla comparsa
delle poesie di Dante nella sua Vita Nuova, quelle di Guinicelli
avevano il primato.
67 Senta udire. Perchè Guinicelli taceva, osservando invece l'ef-
fetto che produceva in Dante la sua manifestazione. — E dir. Ta-
ceva anche Dante tutto intenerito pel suo Guinicelli. Ricordatevi del
v. 60, Canto XXIII : Che mal può dir chi è pien d'altra voglia.
— Pensoso andai. Dante si moveva, sebben con passi assai tardi
pel pericolo quinci del fuoco, quindi della caduta, onde la strada
che prendeva era assai poca ; ma andava pensoso, pensando cioè a
quel grand'uomo ch'egli stesso avea lodato in più luoghi delle sue
opere, avendolo chiamato nel IV del Convito : Quel nobile Guido
Guinicelli, e nel Folgar Eloquio : Maximus ille Guido ; e pen-
sando al suo peccato, ed all'acerba sua pena.
/ '
574 PURGATORIO
Lunga fiata rimirando lui, u
Né per lo fuoco in là più m'appressai. *
Poiché di riguardar pasciuto fui, 70
Tutto m'offersi pronto ai suo servigio, 7I
Con l'affermar che fa credere altrui. 7*
Ed egli a me : Tu lasci tal vestigio,
Per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,
Che Lete noi può torre, né far bigio. n
Ma, se le tue parole or ver giuraro, 74
M Lunga fiata. Lungo tempo. La vista inaspettata d'una persona
amatissima, congiunta al dolore di vederla in pena, soffoca per lungo
tratto le parole in gola. Rammentatevi del lungo silenzio degli amici
di Giob. Con ciò si rende pure ragione del lungo tempo che pasta
in si breve tratto di cammino quanto sappiamo che n'ha questa VII
cornicd, come potete vedere nella mia Tav. VI. — Rimirando lui.
Si dice rimirando, o tornando a mirare, perchè Dante ora per ne-
cessità mirava a' suoi pàssi; ed ora mirava a Guinicelli.
•• Jfè per lo fuoco ecc. Rivedi la mia nota 64 di questo Canto.
Con ciò esprime quello che Dante avrebbe fatto sensa la paura
del fuoco, e con ciò si accenna al suo grande amore per GuinictUi.
70 Riguardar. Nota quel? che fu notato ai rimirando nella n. 68.
Danto è di una esattezza la più sottile. — Pasciuto fui. Anche questo
indica affetto immenso a Guinicelli. Chi ama non si stanca mai di
guardare la persona amata, e si può dir che si pasce di sguardi.
il Al tuo servigio. Al servigio di calde preghiere per lui.
7* Con l'affermar che ecc. Col giuramento. Con questo e con
tutti gli altri atti di amor fatti prima, Dante gittò in Guinicelli il
sospetto, ch'egli avea delle ragioni particolarissime per essergli tanto
affezionato, e cosi sorge in Guinicelli il desiderio ben naturale di
sapere onde provenga in Dante si grande affetto per lui, come ve-
drassì. Così le scene si preparano, e l'una all'altra s'intreccia.
?* Lete. Fiume che troveremo sulla cima del Purgatorio. Qui è
preso nel senso poetico dei classici, che appoggiati alla mitologia,
ritenevano che l'acqua di Lete avesse la proprietà di far dimenti-
care i fatti passati. — Tè far bigio. Nò tare oscuro. Duuque nò torlo
né oscurarlo.
7 * Ma se le (uè parole ecc. (Vedi la nota 72).
CANTO XXVI. 576
no. Dimmi che è ca gioii perchè dimostri
Nel dire e nel guardar d'avermi caro?
Ed io a lui: Li dolci detti vostri, n
Che quanto durerà l'uso moderno, 76
Faranno cari ancora i loro inchiostri.
O frate, disse, questi ch'io ti scerno
Col dito (e additò un spirto innanzi)
tt Li dolci detti «ostri. Le rime d'amor dolci e leggiadre dette
di sopra e scrìtte in Tolgare italiano.
7* L'uso moderno. L'oso della lingua italiana. A quest'ora esso
conta intorno a settecent' anni. Allora dunque l'uso del volgare ita-
liano si poteva dire moderno, perchè di poco introdotto. Bisogna
però in ciò distinguere l'uso del parlare in volgare e l'uso di scri-
vere : quello avvenne prima, questo dopo, e a questo accenna qui
Dante. L'uso di scrivere ha un'epoca pia o meno determinata: in-
vece indeterminata è quella del parlare: solo si può dire che essa
monta innanzi al mille, ma di quanto non si potrebbe definire:
e ciò è naturale perchè formandosi il volgare dal latino, mano mano
che questo si venia corrompendo e obliterando dal popolo, sbuc-
ciava l'altro : e questo lavoro dovette etser lungo. Esso poi fu più
lungo in una parte che in un'altra d'Italia per molte e varie ra-
gioni, ma principalmente per tre : 1 .» per l'indole varia dei popoli ;
2.* per la varietà delle invasioni e dominazioni straniere ; 3.t pel clima.
Queste tre ragioni, riuscendo più favorevoli al mezzodì che al set-
tentrione d'Italia, ne anticipa ron colà la nascita sopra tutte le altre
parti : onde Sicilia e Puglia furono le prime a parlare italiano :
ed ultima la Lombardia e l'alta Italia intorno al Po. La dolcezza
che si trova avere questo volgare più in una parte che in un'altra
d'Italia vuoisi attribuire alla primitiva origine di ciascun popolo
venuto in antico ad abitare l'Italia, ed al grado di coltura che vi
portò o che vi accrebbe. La dolcezza greca portata nella bassa Ita-
lia, o Magna Grecia, e nella Sicilia fu la causa precipua che colà
uscisse la dolcezza italiana. La dolcezza etnisca fu pur causa in
Toscana della dolcezza italiana. Nell'alta Italia osservate una mezza
dolcezza nel Veneto ed una crudezza nella Lombardia, e nell'altro
paese verso le Gallie. Attribuitelo precipuamente alla varia deriva-
sione dei loro popoli in antico, i Veneti dall'Asia molle, il resto
dall' Alemagna.
576 PUKGATORIO
Fu miglior fabbro del parlar materno. 77
Versi d'amore e prose di romanzi 78
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti,
120- Che quel di Lemosì credon ch'avanzi. n
A voce più eh' al ver drizzan li volti, w
E cosi ferman sua opinione
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti. 8i
Così fer molti antichi di Guittone, w
77 Parlar materno. Lingua volgare, ben inteso però che parlan-
dosi qui di un provenzale, per lingua materna e volgare s'intende
la provenzale. Questi due volgari italiano e provenzale aveano tra
loro tanta affinità, che anche gli scrittori italiani componevano in
provenzale. Lo stesso Dante compose in provenzale qualche cosa
sua. Lo stesso maestro di Dante, Brunetto Latini, secretano del
Comune di Firenze, scrisse in provenzale il suo Tesoro. Si sarebbe
detto che l'Italia e la Provenza ambissero di far di due lingue una
sola lingua. La Provenza ebbe il merito di far progredire la poesia
più sollecitamente che l'Italia in grazia delle splendide corti di To-
losa e Provenza, a cui s'accogUeano i poeti da tutte partile dove
trovavano accoglienze amiche e liberali. Ma l'Italia una volta che
con Dante le furò la mano, non se la lasciò più torre. L'additato
è Arnaldo, o Arnault Daniello, di cui Dante fa cenno nel Volgare
Eloquio. Vivea prima di Guinicelli. Di Arnaldo diremo qualche cosa
più sotto.
78 Versi d'amore ecc. Soverchiò tutti versi d'amore ecc.
79 Quel di Lemosì. Gerault de Berneil di Limoges. Dante parla
anche di questo nel Volgare Eloquio.
80 A voce ecc. Questi stolti nel giudicar degli autori, dicono quel
che sentono dire, e non guardano al vero merito che si desume
dallo studio di essi autori. Quanti lodano Dante perchè sentono che
tutti lo lodano, e forse essi non avranno mai letto che la fran-
e-esca e V Ugolino]
8t Ch'arte o ragion. Il Tommaseo reca assai bene queste due
parole nelle due altre: pratica e teoria.
M Così fer molti antichi ecc. Di questo Guittone avea Dante
fatto parlar prima B nonaggiunta da Lucca nel Canto XXIV del
Purgatorio, quando Buonaggiunta, lodator esso pure di Guittone,
ma ormai ricreduto dietro le osservazioni fattegli da Dante, disse
CANTO XXVI. 577
Di grido in grido pur lui dando pregio, M
Fin. che l'ha vinto il ver con più persone. u
Or se tu hai sì ampio privilegio,
Che licito ti sia 1' andare al chiostro, "
di lui: 0 frate, issa vegg'io, diesagli, il nodo, — Che il Notaio
e Guitton* , e me ritenne — Di qua dal dolce stil nuovo ch'i* odo;
Guitlone d'Arezzo, dice il Balbo, è tenuto per primo, e fu certo
de' primi poeti toscani posteriori a' primi Siciliani. Balbo però non
par che dia nel segno quando di Guittone aggiunge: Contempora-
neo di Guido Guinicelli Bolognese, mori poco prima o poco dopo
la nascita di Dante. Perchè Guinicelli, che è quegli che qui parla,
lo fa antico riguardo di sé, il che non direbbe se Guittone fosse
stato suo contemporaneo. Di Guittone, come di altri molti, tocca
il Petrarca nel Tìionfo d'amore dicendo:
Ecco Dante e Beatrice, ecco Selvaggia,
Ecco Cin da Pistoia, Guitton d'Arezzo,
Che di non esser primo par ch'ira aggia.
Ed in quel sonetto :
Sennuccio mio, benché doglioso e solo,
dice:
Ma ben ti prego che in la terza spera
Guitton saluti e me&ser Cino e Dante.
&s Di grido in grido. Correndosi dietro la gente, dice il Cesari,
come i paperi, a dargli nome di primo poeta. — Pur lui. Solo a lui.
84 Fin che V ha vinto ecc. Cioè la verità fu conosciuta e confes-
sata da' più, spiega il Cesari, ma è poco: bisognava aggiungere che
questi più l'hanno provata col fatto delle loro opere, come p. e.
Guinicelli, ed altri.
M Al chiostro. Al Paradiso empireo. Come lo seppe Guinicelli?
Lo dedusse dal fine del viaggio accordato a Dante e dal cenno,
che gliene fece Dante medesimo in quelle parole : Donna è di sopra
che n'acquista grazia, intendendo di Maria SS. beata in cielo. Qual-
che profanissimo commentatore (e di questi ce n'ha a iosa) nell'udire
chiostro per Paradiso, fa il niffolo, quasi gli putisca il naso di sito
fratesco. Questa è conseguenza del senso cattolico ornai guasto.
Dante non pensava dei chiostri come i libertini moderni : egli li
considerava una immagine del cielo. I cristiani, o non hanno poesia,
o l'hanno Cristian.;.
57
578 PURGATORIO
Nel quale è Cristo abate del coll'egio, M
180. Fagli per me un dir di paternostro, 87
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
Ove poter peccar non è più nostro.
Poi forse per dar luogo altrui secondo, M
Che presso avea, disparve per lo fuoco,
Come per l'acqua il pesce andando al fondo.89
W Abatt. Parola d'origine ebraica, che significa padre. Essendosi
chiamato chiostro il Paradiso, bisognava chiamar Cristo, abate.
•7 Fagli per me ecc Guinicelli si vale dell' offerta, che gli avea
fatto Dante quando disse :
Tutto m'offersi pronto al suo servigio
Con l'affermar che fa credere altrui.
Guinicelli dunque lo prega, che pervenuto in cielo si ricordi di lui ,
chiedendo a Cristo in suo favore, quanto delle sette petizioni del
Pater notter può dirsi per le anime che sono dell'altro mondo. Dun-
que 8* intendono le sole prime cinque petizioni, le quali possono
farsi anche per le anime purganti ; escluse le duo ultime che non
ponno farsi, che per quelli che vivono ancora, quali sarebbero : et
ne no* induca» in tentalionem} e l'altra: sed libera non a malo;
le quali suppongono che l'anima per cui si recitano possa peccare,
il che non è delle anime purganti, che sono già confermate in gra-
zia. Ricordatevi qui del Pa'er noster che recitavano i superbi della
prima cornice nel principio»tlel Canto XI, dove delle due ultime
petizioni congiunte in una dicevano quelle anime :
Quest'ultima preghiera, Signor caro,
Già non si fa per noi, che non bisogna,
Ma per co!or che dietro a noi restaro.
w Poi forse per dar luogo ecc. Non fa partir Guinicelli se non
unisce alla sua partenza un fine gentile. Cosi fin la partenza di
Guinicelli diviene un atto di cortesia verso Dante, e verso di un
suo compagno. Questo ò veramente cavar luce dalle tenebre, cioè
faro che gli atti per so sterili producano anch'essi le lor bellezze.
89 Come per l'acqua ecc. Non c'era similitudine in natura più
propria di questi, eebbene sia cavata dal suo contrario. Anzi il con-
trario stesso, quile si è l'acqua al fuoco, mi fa sentir più le pro-
prietà di quel fuoco, perchè mi dice che come il ;waoe è nell'acqua ,
CANTO XXVI. 679
lo mi feci al mostrato innanzi un poco,
E dissi ch'ai suo nome il mio desire *
Apparecchiava grazioso loco.
Ei cominciò liberamente a dire : 9!
140. Tan m'abelhis vostre cortes deman, M
Qiiieu no m puesc ni m voti a vos cobrire.
leu sui Arnautz que plor e vai chantan :
Consiros vei la passada folor,
E vei jauzen lo joi qu'esper denan.
Ara us prcc per aquella valorì
così quelle animo sono nel foco; e come sparito il pesce, P imsgina»
tiya continua a supporlo nell'acqua, e non può supporlo altrimenti
ovunque egli vada, sebben non lo vegga ; coel qui una tal simili*
tudine nell'atto che ci fa perder l'anima di vista, ce la fa supporre
sempre annegata nel suo fuoco.
w E di 8 si ch'ai suo nome ecc. Dissi che io desiderava che per
sua gentile sza mi dichiarasse il suo nome. Non fu mai detta cosa
con tinta grazia come questa. Essa ne ha tanta che sembra per-
fino troppo artificiosa e cortigiana. Io credo però che Dante abbia
esposto questo pensiero con tanta raffinatezza, e, lasciatemi dire, per
poco affettazione, a bello studio. Imperciocché egli sapeva da quel
che gliene disse prima il Guinicelli, che il mostrato doveva essere
un Provenzale. Ebbene, i Provenzali si piccavano di questi modi,
presso poco come fanno i francesi moderni, i quali tutto vogliono
detto con ispiri to, e con tal gentilezza, che per altre nazioni sa-
prebbe di ammanierato, e per loro non è. Questa, cred' io, è la ra-
gione, ch'ebbe qui Dante. Egli adattò il suo parlare all'indole del
soggetto, al quale lo dirigeva.
91 Liberamente* Cortesemente.
M Tan ecc. Accetto volentieri la nota del Bianchi, che è la pi A
giusta ch'io conosca. Eccola: * Lasciata a parte ogni altra lezione,
io do questi versi provenzali secondo la correzione del signor Ray -
nouard, e vi appongo la interpretazione che n' ha data il professor
Vannucci nella sua Analisi dei verbi italiani a pag. 20. — --Tanto
m'abbellisce (m' aggrada) il vostro cortese dimando, che io non mi
posso, nò mi voglio a voi coprire (uascoudere). To seno Arnaldo, che
ploro e vo cantando : consiroso (pensieroso, afflitto) veggio il passato
680 PURGATORIO
Que usguia al som sensfreich e sens colina^
Sovenha us atemprar ma dolor.
Poi s'ascose nel fuoco, che gli affina.
follore (follia); e veggio gaudente la gioia che spero dinanti (tosto,
presto). Ora vi prego per quel valore (virtù) che vi guida al sommo
(alla sommità, alla cima; senza freddo e senza caldo, sov?egnavi di
attemperare il mio dolore. *n
•m
CANTO XXVII
Argomento.
Determinata l'ora siti presso del tramonto del sole, i poeti si
trovano alla presenza dell* angelo, che gli invita a passare per
attraverso il fuoco. Di qui i brividi di Dante che si descrivono :
di qui le esortazioni di Virgilio per persuader Dante al gran
passaggio. Virgilio poi, vedendo riuscire a nulla le sue esorta-
zioni, lo vince finalmente coli' argomento di Beatrice, che vedrà
dopo passato il fuoco. Passano adunque per le fiamme, Virgilio
innanzi, Stazio indietro, e Dante nel mezzo di loro. Si descrive
il brucior delle fiamme; ma Dante è animalo per esse e da Vir-
gilio che gli continua parlar di Beatrice, e da un'angelica voce
che si facea sentire al di là delle fiamme. Escono finalmente dal
fuoco all'imboccatura della scala, ed eccoti un Angelo che fa loro
V invito degli eletti, e gli eccita a salir frettolosamente per la
scala, di cui si descrive la postura. Salgono pochi gradi, ed eccoti
tramontare il sole dietro la schiena dei poeti. Essi allora si co-
ricano sulla sca1<i a passarvi la notte. Si descrive questa loro
fermata. Intanto Panie si addormenta. Prima dell'alba egli ha
un sogno significativo di quello che poco dopo gli succederà. In-
tanto spunta l'alba e cessa il sonno. Allora Dante si leva, vedendo
i maestri levati. Virgilio accerta Dante che in quel giorno stesso
egli sarà compiutamente felice. Questa nuova lo accende di straor-
dinario ardore a salire il resto della scala. La salgono e la fini-
scono. Allora Vigilio voltosi a Dante lo avvisa di aver compilo
il suo incarico traendolo sino a quel punto dove la sua assistenti
non gli era più necessaria, ne egli gliela poteva piò, continuare:
perciò lo avverte a far d'ora innanzi da sé stesso. Gli addila il
sol nascente, gli addita il luogo ameno, dove gli dice che presto
verrà Beatrice, e che intanto egli poieva o passeggiare o stare,
come più gli piaceva, senza più dipender da lui.
SU Voili tulli i capellini di qn^lo Canio Belisi Tritola II! htrgatoiio, e la
TarnU VI, cornice VII, Purgatorio,
tó'i PURGATORIO
Oì come quando i primi raggi vibra f
Là dove il suo Fattore il sangue sparse,
Cadendo Ibero *
4 Sì come quando i primi ecc. Tutti dicono che il poeta in questi
primi quattro versi e mezzo annuii ri il tramonto del sole. Ma ciò
è falso, perchè il tramonto del sole è scguato al verso G8 di questo
medesimo Canto, dicendosi cola:
Che il sol corcar per l'ombra cho si spense
Sentimmo dietro ed io, e li mici saggi,
e avvenendo prima di que3to tramonto molti fatti. Pare incredibile
che nessuno abbia avvertita questa oircostan za così lampante! Que-
sto basta per rovesciare la sentenza finora invalsa. Qual ora dunque
viene qui indicata? Vengono indicati 7 gradi prima del tramonto,
ossia 28 minuti avanti di esso. Per dimostrar questa tesi con una
evidenza che salti subito all'occhio, senza logorar troppa la mento
in astrazioni, eccovi l'aiuto di uu 'apposita Tavola comparativa, che
sarà la IX del Purgatorio; dissi comparativa, perchè in essa ho
messo a confronto in due apposite sfere le due posizioni astrono*
mico-geografiche di cui qui parli il poeta, 1' una d^lle quili è la
reale del Purgatòrio, l'altra ò solo supposta per provar la reale.
Veniamo dunque alla spiegazione «Sì come qumdo % primi ecc.
Siccome quando nasce il sole a Gerusalemme, dova Q. C. ha patito
ed è morto per noi. (Vedi Tav. IX Purg,t emisfero N. II).
* Ibero. Ibero è un fiume vrso nord della Spagna, che scorrendo
da ovest ad est va a cader nel Medita rraueo poco sotto a Tortosa,
nella costa orientale della Spagna medesima. (Vedi la Tavola V,
Par.), dove puoi appuntarlo alla L di Cai la roga. Questo fiume è stato
preso per la Spagna intera da tutti quei commentatori, che vollero
vedere in esso indicato il confine occidentale dell'emisfero di Geru-
salemme contrappiede del Purgatorio. Niente di più erroneo : per-
chè quando fosse pur vero, ciò che non è, che qui il poeta volesse
indicare il confine occidentale dell' emisferio di Gerusalemme, non
l'avrebbe indicato né nell' Ibero, nò in tutta la Spagna, nò in tutta
la Occidental Lusitania, ma l'avrebbe indica o ben più oltre, cioè a
gradi 65 1/2 al di là della foce dell' Jbero, ovvero (ciò che torna
lo stesso) a gradi 4o lontano dalla Lusitauia verro ovest nell'oceano
Atlantico, Colà infatti lo pone nel Parad., Canto XXVII, v. 79 e
seg., come si può vedere nel mio Commento. Dante non parla mai
così alla larga, e qui specialmente dove intende di fare un calcolo
CANTO XXVn. 583
sotto l'alta Libra, '
E in Tonde Gange da nona riarse; *
astronomico- geografi co in tutta regola. Dunque il cader dell' Ibero
altro non vnol dire cho Li precisa foce dell' Ibero, la quale è a
gradi 1 1/2 dal primo meridiano di Parigi, ossia gradi 34 1/2 dal
primo meridiano di Gerusalemme, s condo il sistema geografico di
Dante, che là lo pone, al quilc noi dobbiamo attenerci. Le carte
geografiche e la sfera terrestre, anche moderna, ti comproveranno
quanto è qui detto. Lo trovi anche segnato nella mia Tav. IX
comparativa, Num. II. Osserva e nota.
* Sotto l'alta Libra. La foce dell' Ibero in questa ipotesi astro*
nomico-geografica giace a perpendicolo sotto la Libra ; non basta,
ma aggiungi col poeta: sotto l'alta Libra. Dice sotto la Libra, in-
dicando cosi precisamente che la Ijibra è metà di qua, metà di là
dalla detta foce. Dice alta, indicando così che essa è nella sommità
del cielo, avendo ni suo orizzonte orientale il Gange. (Vedilo nella
mia Tav. comp. N. II). In fatti dalla Libra in mezzo al cielo sino
al Gange, suo orizzonte orientale, corrono 90 interi gradi, ossia un
quadraute di cerchio, il cui Iato perpendicolare cade sulla foce del-
l' Ibero; e il cui lato orizzontale va a colpire la foce del Gauge.
In somma la Libra in questo punto che nota il poeta è nel meri-
diano che ha il Gange al suo orizzonte di est. Tenetevi dunque
bene a mente che la Libra è metà per parte della foce dell' Ibero,
ossia 15 gradi di essa ad est, e 15 gradi ad ovest, e che è meri-
diano di quell'orizzonte dov* è il Gange orientale.
* E in Vondt Gange da nona riarse. Lasciate le altre lezioni,
atteniamoci a questa che è l'unica vera, come sarà dimostrato. In-
tendi dunque così: £ cadendo Gange in Fonde riarse da nona. Come
il cadendo dell' Ibero indicava la foce dell 'Ibero nel Mediterraneo,
così il cadendo di Gange indica la foce del Gange nell'Oceano In-
diano. Si dirà: ma il cadendo ce lo mettete voi. Appunto, perchè
è troppo chiaro che il primo serve a tutti e due. Dice dunque il
poeta che la foce del Gange ha l'ora delle 9 antim. quando nasce
il Bole a Gerusalemme, e la Libra sta a perpendicolo dell' Ibero nel
mezzo del cielo; vedete anche questo nella mia Tav. IX, dove io
vi sarò di guida a facilitarvi le osservazioni nel modo seguente.
Adocchiate prima la Libra posta a perpendicolo dell'Ibero. Chi sta
alla foce del Gange, e guarda la Libra, la vcd.? nel punto più alto
del cielo, metà per parte deUlbero stesso, ed equidistante dal Ca-
pricorno verso oriente, e dal Granchio verso occidente. Tra Ibero,
584 PURGATORIO
sottoposto giustamente alla Libra, e Gerusalemme, abbiamo, siccome
è detto, gradi 34 1/2. Dunque per andare al r«ange a compire i
90 gradi del quadrante, abbiamo gradi 55 1/2.
Questi tre punti marcateli bene. Ma c'è un quarto punto da
marcare, ed è il punto della nascita del sole per quelli che stanno
a Gerusalemme. Come farete a trovarlo? Basterà che tiriate un
orizzonte che divida in due giuste metà gli emisferi dei due anti-
podi, Gerusalemme e Purgatorio. Fatto questo, all'estremità di questa
linea orizzonte di Gerusalemme e del Purgatorio, collocate il sole
rivolto col suo viaggio al Gange ed a Gerusalemme, avvertendo
però che, come l'Ibero divide per metà la sovraposta Libra, cosi
il punto del cerchio della terra intersecato dall'orizzonte, che vi
abbiamo condotto, divida per metà quel segno zodiacale, dove sta
il sole nascente per Gerusalemme. (Vedi la mia Tav. IX, N. II).
Ebbene in quanti gradi di quel segno sarebbe il sole quando nasce
a Gerusalemme? Sarebbe in 15 gradi di quel segno, contando cia-
scun segno gradi 30. Or bene, dice il poeta, come nel caso sup-
posto avete il sole nascente a Gerusalemme noi grado 15 del suo
segno; così nel grado 15 di Ariete, supponete pure che sia il 3ole
quand'io mi trovava in faccia all'angelo della VII cornice. (Vedi
Tav. IX, Furg., N. 1). Fin qui tuito è ipotesi. 11 caso invece reale
è forse questo per Dante, che si trovava al Purgatorio addì 12
aprile? No: il sole per Dante (come abbiamo nella Tav. Ili del
Purg.) si trovava invece nel grado 22 di esso Ariete, nel qual
grado realmente tramonterà al Purgatorio. (Vedi Tav. IX, N. I).
Confrontando ora il caso ipotetico col caso reale, quanti gradi man-
cano al vero tramonto del sole al Purgatorio? Quanti ce ne vo-
gliono per andar dal 15 al 22. Ma dal 15 al 22 sono 7 gradi; dun-
que mancano 7 gradi al tramonto. (Vedi Tav. IX, N. I). Ma il
corso di 7 gradi importa 28 minuti ; dunque mancano 28 minuti al
tramonto: e tanti almeno ne occorrono per fare e dire quanto si
disse e si fece dai poeti prima che questo tramena » giungesse, e lo
si notasse nel verso 68 di questo medesimo Canto. K siccome il sole
addi 12 aprile, che qui però bisogna calcolar 11 ottobre, per esser
agli antipodi, tramonta alle 5:20, perciò abbiamo 4:52 pomer.
Ora rifacciamoci un poco al verso : E in l'onde Gange da nona
riarse, e' vediamo come siano le 9 ant. alla foce del Gange, quando
il sole vibra i suoi primi raggi o nasce a Gerusalemme, standosene
però la Libra sopra lbero, e il Capricorno sopra :ange, come nella
fig. della Tav. IX, N. 11. Rispondo dunque così, ed io vi prego ad
aver sempre sott'occhio la mia Tav. IX. Dal meridiano di Geru-
salemme al suo orizzonte abbiamo 90 gradi. Se il Gange fosse nel
CANTO XXVII. 585
segno dove nasce il sole, quando na«ce per Gerusalemme, egli
avrebbe giù avuto 6 ore di sole, quando appunto il sole nasce a
Gerusalemme ; ma siccome egli è distante da Gerusalemme non già
90 gr. ma soli 55 1/2 ; perciò egli ha avuto di sole quanto portano
questi gradi 55 1/2. Ciò posto, quante ore di sole fanno gradi 55 1/2?
Se 15 gradi fanno l ora, 55 1/2 quante ore faranno? Troverete
ore 3:42. Dunque la foce del tfange ha il sole sino da ore 3:42.
Ora nascendo il sole nel giorno in cui siamo, 12 aprile, rispondente
a 11 ottobre, alle ore 5:18, minuto più, minuto meno, aggiun-
gendo alle 5:18 le 3:42 trovate, avremo 9 ore antimerid. in punto.
Dunque la nona detta qui da Dante non è mezzogiorno, come in-
tesero tutti, ma è Torà nona antimeridiana, contando da mezzanotte.
Se alcuno poi si maravigliasse, perchè negli orari ora ci regoliamo su
aprile, ora sull'opposto ottobre, sappia ch^ appunto si dee fare cosi,
regolandosi su aprile per l'orario di Gerusalemme, e su ottobre per
l'orario del Purgatorio, trovandoci noi in aprile, se siamo in quel-
l'emisfero, ed in ottobre, se siamo in questo. (Vedi su ciò la mia
Tav. I e III, Tempo del Purgatorio). Da tutto questo appar chia-
ramente, che la lezione da noi adottata, che è pur quella del P.
Cesari in appoggio a buoni testi a penna, è la sola vera e genuina
lezione che si dee tenere, esclusane ogni altra. Le principali false
lezioni sono le seguenti tre:
La 1.» ha cosi: En l'onde in Gange da nona riarse;
La 2.a ha cosi: En Vondc in Gange di nuovo riarse;
La 3.2 ha così: E in l'onde il flange da nona riarse.
Esaminiamo un poco la prima. È evidente che di due parole
poste dal poeta E inf oppure E V, se ne fece dai copisti una sola.
Allora si è studiato su questo En, saltato fuori per miracolo, e si
volle crederlo posto per Ennò, antico plurale di è; sono, sunt; come
per tale lo prese il P. Sorio, sbagliando tutto. (Lezione Accademica,
pag. 84). Fatta questa scoperta, cosi dannosa, necessariamente si
dovette porre un in avanti a Gange, e cosi eccoti ito in dileguo v
povero Dante. Secondo la nostra vera lezione, le onde accennate
da Dante sono le onde del mare indiano, e invece in questa sono
le onde di Gange. Vi pare piccola cosa? Piccoli , si dirà, perchè il
senso e lo stesso. Ed io dico invece che il senso è tutt'altro, e che
Dante non può assolutamente avere scritto: En l'onde in Gange,
Ragione: Il Gange è un fiume famoso dell'India, che ha un corso
di ben 15 gradi da occidente verso oriente. Ora, secondo la lezione
dell'anno, tutte le onde di queati 15 gradi sarebbero riarse da nona.
Il che ognuno vede essere impossibile : e in oltre sarebbero tolti l
veri due punti estremi del quadrante Ibero e Gange, i quali nella
586 PURGATORIO
sentenza di Dante sono veri punti, e non estensione, come abbiamo
provato; e inoltre ancora sparirebbe l'idea delle due foci chiara-
mente indicate da Dante, e finalmente si farebbe parlar Dante in
un calcolo aslronomico-geografico, che richiede la massima esattezza
di tempo e di luogo, in termini cosi generali, che sono affatto alieni
dal suo modo di dire anche nelle cose più vaghe.
Esaminiamo un poco anche la seconda. Questa ha un male più
della prima, perchè oltre i difetti della prima, vi aggiunge anche
di nuovo, per da nona viarie. Ci vuol poco a vedere, che questo di
nuovo non vuol dir niente, ed e affatto inutile; e Dante non mette
mai cose inutili. Ragione: Se nasceva il sole a Gerusalemme, vedi
anche un cieco, che da più ore doveva esser nato al Gange, e quindi
non era bisogno di dirlo. Inoltre questa lezione farebbe supporre
nient'altro che Terrore massiccio di porre al medesimo luogo Geru-
salemme e il Gange, quando invece distailo tra loro gradi 55 1/2.
Finalmente non farebbe che ripetere il senso di riarie, perchè riarse
vuol dire arse di nuovo , dunque si verrebbe a dire di nuovo arte
di nuovo. Il che quanto sia ridicolo ognun lo vede.
La terza non ha di male che l'articolo il preposto a Gange,
il quale vuol esser soppresso, perchè nemmeno Ibero lo ha. Questo
è il solo errore (piccolo per verità) che ha il Cesari nella sua le-
sione. Dante in questa sua ipotesi astronomi co -geografica intavolò
un vero problema a tre termini cogniti e ad uno incognito. Li tre
termini cogniti sono 1 .° Ibero su cui cade la Libra metà per parte;
il che importa, che il punto dove si fa nascere il sole divida anche
• • .'.esso per metà la sua costellazione. 2 o Gerusalemme a cui nasce il
sole. 3.o Foce del Grange riarsa da nona. Con questi tre termini
noti si vuol trovare il quarto ignoto, che è: in quale distanza era
il sole vespertino dall'orizzonte comune tra Gerusalemme ed il Pur-
gatorio per quelli che stanno al Purgatorio.
Si noti che il secondo termine cognito rende il problema un
paradosso, perchè se nasce il sole a Gerusalemme par che debba
tramontar al Purgatorio, mentre anzi si suppone che non tramonti.
£• ''Questa fu la causa che f ce tutti deviare. Il caso in vero sarebbe
contradditorio se si supponesse nei medesimo giorno, ma perchè si
suppone in giorni diversi, la contraddizione non è che apparente.
In conclusione è come il poeta avesse detto osi , esponendo il caso
in una forinola di proporzione: Se il sole supposto nel 15o grado di
Ariete sarebbe nel tramonto; quanto gli sarebbe lontano standosene
egli veramente nel grado 22 di esso Ariete? La risposta al quesito
sarebbe la differenza tra 15 e 22, cioè 7.
Il Galileo, maestro massimo, avrebbe sciolto questo problema
Canto xxvii. 4S7
meglio degli altri; ma non ci ri usci, come tutti; no» già perchè non
sapesse (che basta il suo nome per crederlo capacissimo), ma perch'egli
parti da un dato erroneo, messogli in mente da tutti i commentatori,
e questo dato si fu il supporre che Dante parlasse qui del tramonto
del sole del Purgatorio. Egli merita veramente ogni scusa, se a
questo punto, non trovandoci il suo conto giunto, non si lodò troppo
di Dante in fatto di astronomia, e usci in quella censura: quan-
doque bonus itormibat H'vmcrus. La colpa è tu ita dei commentatori,
che gli piantarono come assioma infallibile questo lor farfallone del
tramonto. Egli dovea essere più astronomo che Dantista. Ad ogni
modo se non per lui, certo per chi lo trasse in errore sta bene la
terzina di Dante del Canto precedente dove dice:
A voce più che al ver drizzan li volti,
E cosi ferman sua opinione
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.
Perchè avendo letto nei due primi versi che il sole nasceva a
Gerusalemme, tolsero quella nascita pel tramonto del sole al Pur-
gatorio, non badando che quella nascita è solo un supposto e non
una reaTtà, uno dei termini del problema e non il problema.
Più però, che contro ogni altro, io mi sento stizzito, contro il
P. Venturi, che a questo problema astronomieo-geografico comincia
la sua nota cosi: «Grande imbroglio di parole e di cose, non volen-
dosi pur dir alto se non che tramontava il sole*. Cosi se la cava
magnificamente. Ognuno però vede se questo sia un imbroglio di
parole e di cose, e non piuttosto un grande problema degno delle
menti più colte ed acute, intavolato in poesia, con una mirabile
chiarezza, in soli quattro versi e mezzo. Se non ci fosse altro in
Dante, questi pochi versi basterebbero a predicarlo sommo astro-
nomo, sommo geometra, sommo geografo, sommo matematico e sommo
poeta. Non posso finir questa nota senza far avvertire una cosa im-
portantissima, che sbuccia dalla soluzione del proposto problema Dan-
tesco, ed è che se sono veri i 28 minuti che mancano al tramonto
del sole al Purgatorio; duuque è vero eh,», il sole era nel 22<> grado
di Ariete, vero che oggi cori e al Purgatorio il di 12 aprile; veri
tutti i giorni antecedenti Bino al primo (8 aprile), in cui sulla sera
si cominciò da Dante il suo viaggio poetico.
Dante ci ha fatto sudare a trovar questi 28 minu'i precedenti
il tramonto del sole; ma egli ce ne compenserà al vero tramonto,
perchè questo ce lo dirà in termini tali che si faranno intendere
anche dai bimbi.
588 PURGATORIO
Sì stava il sole; onde il giorno sen giva *
Quando l'angel di Dio lieto ci apparse. 6
Fuor della fiamma stava in su la riva, 7
E cantava: Beati mundo corde, 8
In voce assai più che la nostra viva.
10- Poscia : Più non si va, se pria non morde, f
8 Sì stava il iole. U sole stava, come ho detto, a 28 minuti sopra
il mio orizzonte di occidente, ossia a 7 gradi di distanza da quello,
cioè stava in quella distanza tra lui e l'orizzonte, che corre tra il
grado 22° d'Ariete, in cui ho veramente il sole, e il grado 15° di un
altro segno in cui tramontasse il sole, secondo il caso ipotetico, o
problema che ho presentato di sopra.
Onde il giorno sen giva. Non già perchè in quel momento tra-
montasse il sole, che tramonterà più tardi, ma perchè era presso
a fuggire dalla vista di lui. Cosi si dice che una persona muore,
quando è vicina a morire, o che va all'altro mondo, quando manca
poco ad andarvi. Notate ancora che il sole quando è si basso ha
già scemato molto alla luce del giorno; e in tutte l'altre parti, ove
non è il sole, si fa una luce smorta e cupa, perchè il cielo da oc-
cidente in oriente è diventato tutto azzurro ; onde anche per questo
si può dire a tutta ragione fisica, che il giorno sen giva.
• ' . • Quando l'angel ecc. L'angelo custode dello sbocco di quella
* cornice. Notate però che questo sbocco non ha un angelo solo, ma
. due, uno di qua dalle fiamme, ed è il presente, e l'altro di là, e lo
vedremo, e allora diremo la ragione di porne due.
1 Fuor della fiamma. Non per il pericolo di abbruciarsi, che
Beatrice già disse a Virgilio, e lo ponno dire anche gli angeli:
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale
Che la vostra miseria non mi tauge,
Né fiamma d'esto incendio non m'assale :
ma stava fuor della fiamma per la sua dignità e pel suo ufficio. —
In su la riva. In su l'orlo estremo di questa cornice VII, che forma
la linea più alta della riva sottoposta. In qual facciata del monte?
In quella che guarda ovest, dovt; ancora sono i poeti, e precisa-
mente nella parte meridionale di essa facciata.
8 Beati mundo corde. Purgandosi qui il peccato dell'immondezza
carnale, si canta la beatitudine a lei contraria,
9 fiu non si va} se ecc. Ogn'anima dunque dee passare per que
CANTO XXVII. 589
Anime sante, il fuoco ; entrate in esso, l0
E al cantar di là non siate sorde. "
Sì disse, come noi gli fummo presso,
Perch'io divenni tal quando lo 'ntesi,
Qual è colui, che nella fossa è messo. "
In su le man commesse, mi protesi "
Guardando il fuoco, e immaginando forte u
Umani corpi già veduti accesi. '*
Volsersi verso me le buone scorte; !*
fuoco quantunque santa eli* sia. Perchè? Perchè è troppo facile offen-
dere la virtù della santa purità, che è più delicata d'ogni altra virtù.
*o Anime sante. Questo si dice per Dante e Stazio, non per Vir-
gilio, coi sapea l'angelo non esser del Purgatorio. Si dicono sante,
non già nel senso delle anime sante del Paradiso, ma nel senso delle
anime sante del Purgatorio, le quali fin che non sono uscite di là,
quantunque sante, hanno ancor qualche neo, che si toglie col fuoco.
*l E al cantar ecc. Di qua cantava quest'angelo, di là cantava
un altro. Raccomandò loro di non esser sorde a quel canto, ossia
di ascoltarlo attentamente, perchè quel canto dovea servir loro di
filo a trovar la imboccatura della scala, e non perdersi per il fuoco.
La imboccatura non era in faccia al luogo, dove allora stava l'an-
gelo ed i poeti, ma stava molto più indietro come vedremo. (Vedi '.
anche la mia Tav. VI Purg.).
43 Nella fo$*a è messo. Si può intendere o il condannato a morir
nella fossa; o un morto che viene calato nella fossa. Forse il se-
condo sta meglio del primo.
*s In su le man ecc. Commesse le mani in su (è ablativo asso-
luto) piegai la vita innanzi verso le mie guide, come fa chi supplica
aiuto da qualche persona in momento d'estremo bisogno, e spinto
da grande affetto.
** Guardando il fuoco. Dopo il guardo supplichevole alle sue
guide, subito guardò il fuoco, cagione di sua paura. Un guardo
alle giide, un guardo al fuoco. È tutto natura,
ìs Umani corpi ecc. Era il supplizio, che anche dalle leggi co-
munali si dava, specialmente agli eretici, nel medio evo.
*6 Volsersi verso ecc. Stazio (che era immediatamente innanzi a
Dante) e Virgilio che era innanzi a Stazio, il qual ordine di persone
verrà conf rinato da qui a poco ai v. 46, 47 e 48 di questo Canto.
690 PURGATORIO
20. E Virgilio mi disse: Figliuol mio,
Qui puote esser tormento, ma non morte. 47
Ricordati, Ricordati ... e, se io l8
Sovr'esso Gerion ti guidai salvo, l9
Che farò or che son più presso a Dio? *
Credi per certo che, se dentro all'alvo
Di questa fiamma stessi ben m ili' anni,
Non ti potrebbe far d'un capei calvo. *!
E se tu credi forse ch'io t'inganni,
Fatti ver lei, e fatti far credenza w
*o. Con le tue mani al lembo de' tuoi panni
Pon giù ornai, pon giù ogni temenza ;
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro. **
n Qui puote esser ecc. Concede la difficoltà del passo, ma la
attenua da buon oratore.
*8 Ricordati ecc. Le noie core, i miei benefìci.
1* Sovr'esso Gerion ecc. Quel dragone che calò i roeti alla visita
dei frodolenti, giù in malebolge. Fu questo uno dei passi più ter
ribili per Dante.
*o Che farò or ecc. Se tanto feci per te in Inferno, lontano da
Dio, che farò ora che gli son più vicino, e quasi sotto i suoi occhi?
V-W Di un capei calvo ecc. Gli facilita l'andata con un altro ar-
gomento, tolto dal lato di una impotenza di quel fuoco, che ab-
brucia ma non consuma; e non consuma nemmeno un capello. Esso
è spirituale, perciò si farà sentire, e non più.
** Fatti ver lei ecc. Bellissimo questo dirci che fu Dante le cose
indirettamente. Indirettamente ci dice ch'egli avea volte le spalle
alle fiamme, come fanno i fanciulli ostinati, che si volgono in parte
contraria a quella che sono ordinati di andare. — Fatti far ecc. Prendi
il lembo de' tuoi panni, e mettilo nel fuoco. Vedrai che non brucia.
*• Volgiti in qua ecc. L'aver detto prima fatti ver leif o volgiti
a lei, e il ripeter qui in altri termini la stessa cosa, prova che Dante
si manteneva sempre ostinato, colla schiena al fuoco, senza punto
muoversi. Il tutto è preso dall'ostinazioni de' fanciulli, ed è pur cosa
dolce il vedere un Dante divenuto fanciullo. — Fieni oltre sicuro
Vieni pel fuoco senza paura. Sicuro, sì ne cura.
CANTO XXVII. 691
Ed io pur fermo, e contra coscienza. u
Quando mi vide star pur fermo e duro,
Turbato un poco disse: Or vedi, figlio, w
Tra Beatrice e te è questo muro. *
Com'al nome di Tisbe aperse il ciglio r
Piramo in su la morte, e riguardolla,
Allor che il gelso diventò vermiglio ;
*0- Così la mia durezza fatta solla, **
Mi volsi al savio duca, udendo il nome,
M Contro cosci enta ecc. Come dicesse : so tatto, credo tatto, ma . ..
*3 Turbalo un poco ecc. Quel che fauno i padri coi figli ostinati,
che prima gli prendono con calma, poi con un po' di alterazione.
Tutta questa pittura è presa dai padri quando hanno da far con
fanciulli ostinati.
26 Tra Beatrice e te ecc. Ultimo e pia potente argomento, e
perirò serbato in fine a grancTarte. Il nome di Beatrice allegato qui
da Virgilio a Dante prova quali fossero le relazioni tra Beatrice
e Dante in vita, cioè relazioni tutte caste e sante, altrimenti in
luogo si santo e a fine si santo, Virgilio non gliela ricorderebbe.
Questo passo serve di conferma al Convito, scritto evidentemente a
provare ch'egli per Beatrice intendeva un essere astratto e celeste,
incarnato però in Beatrice, che lo invitava alle più nobili applica*
«ioni dell'animo. Notate l'arte somma che c'è nel dir muro le fiamme.
Le fiamme spaventano, ma il muro no. À toglier dunque lo spa-
vento le chiama muro.
*7 Tube ecc. Giovinetta Babilonese, che vedendo trafitto di pu-
gnale a piò d'un gelso ramato suo Piramo, esclamando : Ahi Tisbe
infelice! s'uccise anch'essa sullo stesso amante. Cosi Piramo pria
di spirare potè conoscere che Tisbe era viva, mentitegli s'era uè*
ciao per averla creduta morta. Il sangue di questi due amanti cangiò
in rossi i frutti bianchi del gelso. Il poeta applica a sé ed alla sua
Beatrice qupsta similitudine in quanto egli era in sul morire di
paura, come Piramo di ferita amorosa, quando udì quel caro nome.
Gli effetti si rassomigliano in questo, che Piramo lasciò la vita dopo
adito il nome di Tisbe, e Dante lasciò la sua volontà dopo udito il
nome di Beatrice
» Solla. Soffice, molle, contraria alla darà ed ostinata di prima.
.:*•
592 PURGATORIO
Che nella mente sempre mi rampolla. w
Ond'ei crollò la testa e disse : Come ! w
Volemci star di qua? indi sorrise, 3I
Com'al fanciul si fa ch'è vinto al pome.
Poi dentro ai fuoco innanzi mi si mise 3*
Pregando Stazio che venisse retro,
Che pria per lunga strada ci divise.
Come fui dentro, in un bogiiente vetro 3S
50- Gittato mi sarei per rinfrescarmi;
*• Mi rampolla. Che ho sempre in mente,
80 Ond'ei crollò la testa ecc. È quel naturai movimento del capo
a destra ed a manca, che facciamo con uno, dopo che ci ha facto
sudar troppo a persuaderlo d'una cosa. Allora, come a prenderlo un
poco a beffa, gli offriamo che faccia pure la sua volontà di prima,
perchè sappiamo che ornai egli è vinto e non la farebbe. Sono tratti
di poesia improntati d'un bello inarrivabile, e che a volerli spiegare
s'illanguidiscono.
M Indi ibrrise, — Come ecc. Carissima similitudine tolta dai
bimbi nel caso seguente: Quando la madre vuole usare il suo bimbo
a camminare da sé, lo impianta dritto al muro ; indi, ritiratasi al-
quanto da lui, lo invita a venire da sé nelle sue braccia. Il bimbo
teme di cadere, e non osa muoversi dal suo muro. La madre invita,
e torna ad invitare, ma del muoversi il bimbo è nulla, che ha troppa
«paura. Allora la madre trae di saccoccia un bel pomo, e mostran-
dolo al bimbo gli dice : Te1 questo bel pomo. Ecco vinto il fanciul*
lino : egli si spicca dal muro, e barcollando e stendendo le mani si
getta in sen della madre, che a tanta vittoria non sa tenersi, e
sorride, e fa festa al suo bravo figliuolo. Tutto questo è detto dal
poeta in quattordici sillabe !
l* Innanzi mi si mise ecc. Nuovo e necessario ordine di persone.
Dico nuovo, perchè Stazio camminò tra Virgilio e Dante per lunga
strada, cioè: dal stcondo albero dei golosi nel Canto XXIV sino a
qui, come puoi vedere osservando attentamente le mie Tav. V e VI.
Dico necessario, perchè trattandosi di camminar per il fuoco, il fidarsi
dei buoni proponimenti di Dante era bene, ma il non fidarsi era
meglio.
w In un Dogliente ecc. Similitudine assai espressiva a fare in-
tendere l'eccessivo bruciore d. quelle Gamme.
CANTO XXVIL 598
Tant'er' ivi lo incendio senza metro. u
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
Pur di Beatrice ragionando andava, M
Dicendo : Gli occhi euoi già veder parmi.
** Senta metro. Senza misura.
M Pur di Beatrice ecc. Non faceva discorsi che di Beatrice nel-
Tatto che andava, essendo stato il nome di Beatrice l'argomento
che vinse Dante, e lo persuase a passare pel fuoco. Gli teneva dun-
que sempre a mente questo argomento trionfante per animarlo con
tal memoria. Questi ragionamenti, e l'altre ragioni che seguono,
dimostrano ad evidenza, che il passaggio pel fuoco durò alquanto
tempo. Ma come ciò, se il traverso della strada non era che di 15
soli piedi, come abbiam dimostrato nella I cornice? Rispondo, che
i poeti attraversarono il fuoco, non già pel corto traverso della cor-
nice, ossia 'pe' suoi quindici piedi, ma lo attraversarono tornando
indietro sino al punto in faccia alla scala per cui erano prima saliti
dal VI al VII cerchio, e percorrendo cosi la diagonale sottoposta
ad un angolo retto. Imagina questa linea, e il suo triangolo nella
mia Tav. VI, da un angolo all'altro. Ma come si sa che tale fu la
direzione che presero i poeti, passando per il fuoco ? Ce lo fa sapere
Dante medesimo coi seguenti argomenti:
1.° Perchè il ragionar di Virgilio mal s'addice ad un passaggio
di soli 15 piedi, pei quali stieno tre persone l'ima dietro l'altra.
Dissi 15 piedi: ma invece doveva dire 12, perchè tre piedi della
strada non erano arsi dal fuoco, come vedemmo, essendo quei 3
piedi di strada non arsa, che diedero via dapprima ai poeti. Quei
12 piedi adunque sarebbero stati poco più che sufficienti a disten-
dersi in filo i tre poeti, e non già a ragionare mentre andavano
pel fuoco. Questa considerazione induce a i magio are necessariamente
un tratto più lungo, che non sono li 12 piedi di traverso.
2.° Perchè se il traverso del foco fosse stato di soli 12 piedi,
quan t'era larga la strada infuocata, non sarebbe stato uopo della
guida di una voce al di là, stante che Virgilio avrebbe già toccato
il punto di là. quando Stazio, ch'era ultimo, fòsse entrato nel fuoco.
3.° Perchè il punto (e questo è l'argomento decisivo) dove ri-
escono i poeti dopo il passaggio pel fuoco, è precisamente alla metà
della facciata che guarda ovest, dove sono attualmente, proprio in
faccia alla scala, che dalla VI ha messo alla VII cornice, concios-
siachè poco appresso si dirà, che finita l'ultima scala, che dalla VII
cornice mette alla cuna del monte, i poeti si trovarono precisamente
88
594 PURGATORIO
Guidavaci una voce, che cantava H
Di là, e noi attenti pure a lei, 87
Venimmo fuor là, ove si montava.
Venite benedicli Patris mei, 88
colla faccia volta ad oriente. Quindi e manifesto che se in questa
cornice non ci fosse stato il fuoco, i poeti appena salita la scala,
che li pose Bulla VII comico, avrebbero veduta anche l'altra scala
in cerca della quale essi movono ora pel fuoco.
Quanti passi (dico passi non piedi), era lunga la diagonale che
dovean percorrere i poeti in mezzo al fuoco per arrivare dall'an-
gelo alla scala ? Rispondo : pochi passi di più di quello che porta
il tratto dall'angelo all'ultima scala già fatta. Questi passi si tro-
vano facilmente co 4: qui abbiamo una circonferenza di 5/16 di miglio,
che fanno 1875. Ognuna dunque delle quattro facciate avrà un arco
di passi 469, ed ogni «crii". facciata un arco di passi 234. Dunque
fecero poco più di 231 passi nel fuoco, avendo percorso la diago-
nale. Abbi sempre sotto gli occhi la mia Tav. VI, perchè cosi queste
cose s'intendono anche senza volerlo. Queste cognizioni sono neces-
sarissime per ispiegarc i passi topografici di Dante qui, e altrove
appresso.
Notate qui l'ingegno eminentemente simmetrico di Dante. Vi
ricordate che alle radici di questa montagna, dopo che i poeti spa-
ventati da Catone cornerò al monte, essi *i trovarono in taccia della
salita senza vederla, e che allora andarono un tratto verso mezzodì
per farsela indicare da alcune anime che venivano, e che poi con
queste anime (Manfredi tra esse) ritornarono al punto di prima, e
qui fu accennata la salita? Cosa ammirabile! in principio e in fine
della montagna abbiamo lo stesso giro e rigiro, abbiamo una scala
che non si vede, quantunque se l'abbia dinanzi alla faccia.
Così questi due estremi sono ottimamente e simmetricamente
legati insieme. Fa questo confronto sulla Tav. II o sulla Tav, VI.
86 Guidavaci una voce. Era la voce di un angelo che stava al
di là del fuoco presso la scala che era precisamente in faccia al-
l'ultima già ascesa, distante luna dall'alcra, quant'è il traverso della
cornice, ossia 15 piedi. (Vedi la inia Tav. VI, cornice VII).
87 attenti pure a lei. Attenti aolo a lei, come loro avea tanto
raccomandato l'angelo al di qua del fuoco.
38 Fenile benedirti ecc. Finito il Purgatorio, eccoti l'invito alla
gloria.
CANTO XXVII. 595
Sonò dentro da un lame, che lì era, *
60. Tal che mi vinse, e guardar noi potei.
Lo sol sen va, soggiunse, e vien la sera; m
Non v'arrestate, ma studiate il passo,
Mentre che l'occidente non s'annera. 41
Dritta salia la via per entro il sasso 4a
Verso tal parte, ch'io toglieva i raggi a
M Da un lume ecc. Dal chiarore del Pan gelo. — Che lì era. Sulla
ripa presso la scala, come l'angelo al di qua del fuoco, ma faori
del fuoco, come appunto l'altro angelo. (Vedi il preciso colloca-
mento nella mia Tav VI).
M Lo sol sen va ecc. Mancavano forse uno o due minuti al tra-
monto. Dante procede con esattezza matematica ; egli calcola il mi-
nuto. Calcoliamolo dunque anche noi, e non facciamo come tutti
che fecero tramontare il sole in principio di questo Canto, ingan-
nati dai due primi versi. Intanto l'angelo gli eccita a darsi fretta.
Essi hanno ancora Ì/U) di miglio di altezza, ossia 375 passi, spar-
titi così: 2S0 per tutta la scala: 95, che è l'altezza del piano in-
clinato, che formerà il Paradiso terrestre, il quale così nel suo centro
s'eleva dalla scala passi 95. (Vedi Tav. VI, misure d'altezza). —
Vien la sera. Il tempo dei crepuscoli tra il tramonto e la notte.
*4 Mentre che l'occidente tee. Finché non venga notte, la quale
succede immediatamente al termine dei crepuscoli.
tt Dritta ecc. Perpendicolare. Dunque anche la ripa era perpen-
dicolare. Perchè quest'ultima ripa non e inclinata come l'altre sotto,
ma è perpendicolare? Perchè questa fu presa dalla tomba presso
Lucifero, la quale lunghesso il corpo di Lucifero disceso dai poeti
era perpendicolare sino all'orlo del pozzo, su cui Dante si assise, e,
sul quale posò il piede del suo Maestro. (Vedi In/., Canto XXXIV,
v. 85 seg. e 127 seg.). Obbietto: Come potea salir Dante per una
scala perpendicolare? Prima no, ed ora sì, perchè non ha più alcun
peso di peccato, ed è divenuto leggiero come le ombre. Questo ci
dispone ad intender il volo alle sfere celesti, che farà nel Paradiso,
il quale è più che salire una scala perpendicolare.
4* Verso tal parte ecc. Perchè la scala era nel mezzo della fac-
ciata volti ad ovest, perciò chi la saliva avea la schiena in faccia
al sole presso al tramonto, e il viso in faccia ad oriente. Qui si
determina precisamente il posto della scala, che è quello che abbiam
detto di sopra. Se la scala non fosse stata nel giusto mezzo della
590 PURGATORIO
Dinanzi a me del Boi ch'era giù basso. u
E di pochi scaglion levammo i saggi, *5
Che il sol corcar, per l'ombra che si spende, u
Sentimmo dietro, ed io, e gli miei Saggi.
70- E pria che in tutte le sue parti immense 47
facciata volta ad ovest, il corpo di Dante non avrebbe gettata l'om-
bra dinanzi a sé. Un'altra prova l'avremo infine della scala, dove
si troverà colla faccia e colla vista al sol levante.
44 Sol ch'era giù lasso. Dunque il sole è basso bensì, ma è an-
cora sopra l'orizzonte, perchè ancora getta l'ombra di Dante. Perchè
dunque i commentatori farcelo tramontare tanto prima? Ottimi co-
dici (dice il P. Cesari) hanno giù basso. Ed io tengo questa legione,
perchè più precisa ed astronomica, al che Dante mira, rigettata
l'altra di già lasso. Quelli che cangiarono il basso in lasso, certo
hanno cangiato il giù in già, che col lasso sta meglio. Dante ha
per certo scritto giù basso, e a questa lezione io m'attengo senza
altro. Era troppo facile cangiare il giù dantesco in un già dai si-
gnori copisti. Qui non si dice che né l'uno né l'altro dei due angeli,
che stanno di qua e di la dal fuoco, abbia cancellato l'ultimo P
della lussuria dalla fronte di Dante. Perchè? Perchè una tal' ope-
razione questa volta la fece il fuoco, che ha un' immensa attività a
purificare.
48 E di pochi scaglion ecc. Salimmo pochi gradi della scala,
quanti portava un minuto.
46 Che il sol corcar ecc. Ecco finalmente il tramonto del sole,
troppo anticipato dai commentatori. Io non so corno non l'abbiano
veduta. È inutile dire che qui si parla della sola ombra di Dante,
perchè gli altri due poeti non gettavano ombra, ma l'uno e l'altro
s'accorse che Dante da un momento all'altro non gettò più la so-
lita ombra. S'accorse Virgilio, quantunque dinanzi, perchè l'ombra,
che di una persona getta il sol cadente, è lunga lunga, sicché an-
dava innanzi a Virgilio : meglio s'accorse Stazio, che veniva dietro
a Dante. Questo tramonto è quello dei 12 aprile, ma volto in II
ottobre, perchè noi siamo agli antipodi di Gerusalemme. Agli 11
ottobre il sole tramonta alle 5:20, come si ha dagli almanacchi.
47 E pria che in tutte ecc. Pria che fossero terminati i crepu-
scoli. Questi nella sera degli 11 ottobre finiscono alle 7 in punto,
durando perciò lo spazio di ore 1:40. Veramente finche durano i
crepuscoli, secondo il sistema di Dante, si potè sempre salir la
CANTO XXVlt. 597
Fusse orizzonte fatto d'un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
Ciascun di noi d'un grado fece letto;
Che la natura del monte ci affranse48
La possa del salir più che il diletto. 49
Quali si fanno ruminando manse 50
montagna. Qui invece fa un'eccezione alla legge, e suppone che non
si possa salire anche prima del termine dei crepuscoli, non es?endo
conveniente di andare nel Paradiso terrestre in tempo di oscurità.
Noi vedremo quanto si gioverà il poeta di questo riposo.
48 La natura ecc. (Vedi Purg., Canto VII, n. 33).
49 La possa ecc. Possa e diletto sono accusativi. Por la voglia
e piacere, che tutti prendevano a salir quella scala, sebbene fosse
perpendicolare, l'avrebbero continuità, a salirò con tutta facilità an-
corché fosse 9 tata lunga le mille miglia; ma la natura del monte
portava cosi : esso in quel punto e a quell'ora avea la virtù di tor
le gambe più che la volontà, e perciò bisognava arrestarsi. Questa
fermata è opportuna per disporre Dante ade cose che verranno, per-
chè egli verrà disposto al resto con una visione seeondo il metodo
di Dante, cominciato ad usare sino dalla ameni valletta dei principi
nella fine dell' Antipurgatorio quando fu portato da Santa Lucia
presso la porta del Purgatorio, come viene narrato nel Canto IX.
50 Quali fi fanno ruminando ecc. Il poeta vuol dire due cose, una
per ciascuna delle due similitudini, che ha in queste quattro ter-
zine. La prima si è la cura ch'ebbero di lui nel giorno i due poeti.
La seconda la cura ch'ebbero di lui nella notte. La prima simili-
tudine serve per la cura ch'ebbero di lui durante il giorno. La
seconda similitudine serve per la cura ch'essi ebbero di Ini durante
la notte. Li due poeti sono paragonati ai pastori. Dante si para-
gona alla Capra. Alla Capra, dico, e non alle agnelle: perchè sono
le capre e non le agnelle che vanno peglì altissimi greppi delle
montagne, sopra tali precipizi, dove non ci andrebbero che gli au-
gelli. Questo è un ottimo ritrovato pel punto dove si trovava Dante.
Dante si trovava su di una montagna alta tanto, quanto vedata
non se n'ebbe alcuna, e allora precisamente era a presso 05 miglia
della sua altezza. Adunque questa capra di Dante fu menata a
pascere per quelle alte pendici, da solo Virgilio prima, e poi da
Virgilio e Stazio. Ogni giro che faceva, ogni cosa che vedeva, ogni
5*
598 PURGATORIO
Le capre, state rapide e proterve u
Sopra le cime prima che sien pranse, "
Tacite all'ombra mentre che il sol ferve,
80- Guardate dal pastor, che in sulla verga
Poggiato s'è, e lor, poggiato, serve; S4
E quale il mandrian che fuori alberga, w
Lungo il peculio suo queto pernotta,
Guardando perchè fiera non lo sperga;
Tali eravamo tutti e tre allotta,
lo come capra, ed ei come pastori,
Fasciati quinci e quindi dalla grotta. **
persona con cui parlava era per lai una pastura; e li poeti guar-
darlo e custodirlo mentre prendeva quel pascolo. Quando poi Dante
avea finito di pascersi di qualche curiosità, allora si univa coi suoi
poeti, e questo serviva a lui di riposo diurno, ascoltando le loro
ragioni, che a poetar gli davano intelletto. Questa e tutta la prima
similitudine. La seconda poi riguarda precisamente il luogo dove
erano allogati tutti e tre in quella notte. Usano i pastori delle al-
tissime montagne passar la notte colle loro greggi al sereno, dor-
mendo le greggi, e vegliando i pastori. Ebbene ; nota qui Dante,
che standosene egli (capra) al sereno, per suo amore stavano al
sereno anche i suoi pastori, sulla scala incavata nel vivo masso.
Questa è la spiegazione più propria di queste quattro terzine, e di
queste due similitudini, le quali voglion dire due cose diverse, e
non quell'unica cosa (che sarebbe stata una confusione bella e buona)
che vollero far dire a Dante tutti i commentatori.
** Rapide. E nota la rapidità della capra pei precipizi i più alti
delle montagne. — Proterve. E Vhaedique petulci di Virgilio.
M Prima che sien pranse. Prima che siano satolle.
53 In sulla verga — Poggiato s'è. Tale è l'usata positura dei
pastori, mentre riposa il gregge.
** E lor, poggialo serve. Non può esser che questa la vera le-
zione, perchè ci mantiene il fine della similitudine, che è la cura
che ha il pastor della sua greggia anche quando pare che egli ri-
posi ; anzi quel riposo è una guardia alla greggi : .
53 Fuori alberga — Lungo. Mandriano e peculio (greggia) eu«
trambi fuori alla aperta campagna.
W Grotta. Monte dov'era incavata le scala.
CANTO XXVII. 599
Poco potea parer li del di fuori ; 57
Ma per quel poco vedev'io le stelle 88
w- Di lor solere e più chiare e maggiori. 59
Sì ruminando, e sì mirando in quelle 60
Mi prese '1 sonno; il sonno, che sovente
Anzi che il fatto sia sa le novelle. 61
Nell'ora, credo, che dell'oriente 62
57 Poco potea ecc. Poco potca apparire, perchè la scala era in-
cavata profondamente nel masso della ripa.
*>* Per quel poco. Per quel poco spazio tra l'una e l'altra parete
della nostra scala.
39 Di lor solere più chiare e maggiori. Perchè per regola di
ottica gli oggetti che si mirano lunghesso a qualunque pia piano,
che ce li isoli alla nostra vista, ci appariscono sempre e più chiari
e maggiori. Ossei vate questo fenomeno aila levata della Luna, che
allora vi par più grande e più risplendente per vederla lunv?o il
piano della terra.
60 Sì ruminando. H pensando alla simiglianza nostra colle capre
e pastori. - Sì mirando in quelle. SI guardando in quelle poche
stelle, che aveano per me un fenomeno fisico particolare.
6* Anzi che il fatto sia ecc. Per qualche sogno, che si fa dor-
mendo, e che smesso ci annunzia ciò che ci sarà per succedere.
Tale se vi ìicorda, fu il sonno od il so^no nel sonno, che ebbe il
poeta la notte che pa»sò nella valletta dei principi, dove sogoò del-
l'aquila, che rapi Ganimede al sommo concistoro, sogno allusivo al
trasporto che fé' di lui S. Lucia sin presso alla porta del Purga-
torio Canto IX. (Vedi il mio disegno, Tav. IV, Purg.), E tale fu
sempre ogni altro sogno che fece, come quello della strega del
Canto XIX del Purg.y allusivo alla falsa felicità mondana, cui egli
era per visitare nella persoua de' suoi amanti Avari, Gol «si e Lus-
suriosi. .Anche il sogno di questo Canto gli predirà l'avvenimento
della prossima dimane. Lo si inette presso alla mattina, perchè è
in quell'ora
Che la mente nostra pellegrina,
Più dalla carne, e men da' ppnsier presa,
Alle sue vision quasi è divina.
{Purg., Canto IX, v. 16, n. 12).
62 bell'or a ecc. Nell'ora che forse Venere dall'oriente. Venere
600 PURGATORIO
Prima raggiò nel monte Citerea, M
Che di fuoco d'amor par sempre ardente, •*
Giovane e bella in sogno mi parea
Donna vedere andar per una landa, •*
Cogliendo fiori, e cantando dicea:
10°- Sappia, qualunque il mio nome dimanda,
Cb'io mi son Lia, e vo movendo intorno w
Le belle mani a tarmi una ghirlanda.
nasce coi Pesci, come abbiamo veduto (Purg. Canto I, n. 15). Ma
i Pesci precedono Ariete di 30 gradi ossia 2 ore. Dunque Venere
nasce 2 ore prima di Ariete. Ha il sole non è nel lo grado di Ariete,
esso è invece nel grado 22°, di tanto ritirato verso il Toro che vien
dopo Ariete. Dunque Venere precede la nascita del sole di 52 gradi,
ossia di ore 3:28. In qual' ora nascerà il sole del 12 ottobre, che
abbiamo al Purgatorio, corrispondente al 13 aprii in Gerusalemme?
Esso nascerà alle 6:15. Togliamo dunque dalle 6:15 le ore 3:28 ed
avremo la precisa ora antimeridiana presente della nascita di Ve-
nere. Fatto questo calcolo, vedremo che Venere nascerà alle 3:27
antimeridiane. — Credo* Dice credo, perchè trattandosi di un sogno
avuto nel sonno non può esser certo dell'ora precisa.
W Prima raggiò ecc. Per accennar l'ora del giorno 13 aprile,
rispondente a 12 ottobre al Purgatorio, la piglia (che è lo stesso,
ma assai meglio) dalla prima volta che Venere o Citerea raggiò
sulla terra, dopo la creazione del mondo. La sentenza comune si è
che il mondo abbia, pel nostro emisfero, cominciato dalla primavera,
che è la più bella stagione dell'anno. A questa opinione s'attiene
pur Dante, e vi aggiunge anche il giorno e l' ora dacché comincia-
rono a correre le stagioni. Dunque, secondo Dant<\ quando il mondo
fu creato, dovette cominciar a contarsi primavera 13 aprile, ore 3:27
antim., nel qual momento torse d'oriente por la prima volta la stella
Venere a raggiar nel monte e nel Paradiso terrestre. Quanta erudi-
zione in questo semplice orario! e quanta vaghezza e quanta novità!
•* Che di fuoco d'amor. La stella Venere è la più amabile del ciclo.
63 Landa. Campagna.
*6 Lia. Lia e Rachele furono due sorelle; Lia fu sempre presa a
aimbolo della vita attiva, e Rachele a simbolo della contemplativa
in punto di ascetica cristiana. Vedete che Lia, perchè era simbolo
della vita attiva, la si descrive in questo sogno dedicata all'opera
CANTO XXVII. 601
Per piacermi allo specchio qui m'adorno ; i7
Ma mia suora Rachel mai non si smaga 6*
delle mani. A questi simboli danteschi s' inspirò Michelagnolo nella
■cultura di due statue che ornano il mausoleo di Giulio II a Roma.
Ecco come le descrive il Vasari : « In una nicchia messe Lia, figlinola
di Laban, per la vita attiva, con uno specchio in mano per la con-
siderazione si deve avere per le azioni nostre; e nell'altra una ghir-
landa di fiori, per le virtù che ornano la vita nostra in vita, e dopo
la morte la fanno gloriosa. L'altra fu Rachel sua sorella, per la vita
contemplati va, con le mani giunte, con un ginocchio piegato, e col
volto par che stia elevata in ispirito. » Vita di Buonarroti. Cosi
Michelangelo, dal Minosse di Dante, nel Canto V dell1 /n/*., prese
il suo nel famoso Giudizio universale della Sistina: e cosi in tanti
suoi concetti, dipinti o sculti, copiò le idee da Dante, di cui fa tanto
studioso, che disegnò in un esemplare ben marginoso i più bei con-
cetti del gran poeta : e fu gran peccato che un tanto volume pe-
risse in mare con chi lo portava.
67 Per piacermi allo specchio qui m'adorno. Perchè io possa
essere contenta di me stosa innanzi a Dio, quando gli andrò di-
nanzi, mi occupo in questa vita attiva. Si vede chiaramente che
specchio in questa allegoria è Dio medesimo. Ogni cristiano, nel-
l'adempire i suoi santi doveri della vita attiva, se vuole che le sue
opere gli valgano a vita eterna , supposto sempre il fondamento della
grazia santificante, dee avere in mira di piacer con esse al suo spec-
chio, ossia a Dio, a cui ogni nostra buona azione dee esser diretta.
** Mai non si smaga ecc. Mai non diparte dal suo specchio, dal
suo Dio, e siede tutto giorno a contemplarlo. In Rachele, come ai
vede, è delineata la vita contemplativa, che, lasciate l'opere proprie
dell'apostolato, attende continuamente alla meditazione ed alla con-
templazione di Dio. Si crede comunemente, che queste due vite
dell'ascetica cristiana sieno proprie dei soli religiosi, secondo che
porta la lor varia professione, e non facciano menomamente pei
laici. Questo è un errore, e Dante non la pensava così. Li due per-
sonaggi, che prende a simbolo di queste due vite, sono persone laiche
e maritate, e Matilde che troveremo nell'altro Canto, alla quale al-
lude la Lia del sogno, era pur essa laica e principessa e maritata. Colle
debite differenze dagli ordini religiosi, tutti i fedeli cristiani per
salvarsi devono appartenere o all'una, o all'altra di queste vite, o
o ad un cotale temperamento di tutte e due. Dante la intese cosi
e la intese bene.
602 PURGATORIO
Dal suo miraglio, e siede tutto giorno. i9,
EU'è de' suoi begli occhi veder vaga, 70
Com'io dell' adornarmi colle mani ; 7i
Lei lo vedere, e me lovrare appaga. 7*
E già, per li splendori antelucani, n
HO- Ohe tanto ai peregrin surgon più grati, 74
*9 Miraglio. Specchio.
70 EWh de' suoi begli occhi ecc. Rachele non ama che contem-
plare allo specchio i suoi begli occhi, ovvero, fuori d'allegoria, la
vita contemplati va a sola questa occupazione è consecrata di con-
templare in Dio (suo specchio) i suoi begli occhi, ossia la santità
della sua vita contemplativa, per veder di piacere con essa al suo
Dio, rendendo belli i suoi occhi, ossia tutta so stessa, tanto quanto
possibilmente è dato a creatura d'assomigliarsi alla bellezza di Dio.
E siccome la vita contemplativa è per so più eccellente della attiva,
perciò ella viene paragonata agli occhi, che sono la parte più bella
del corpo. E siccome la vita contemplativa ha per fine di vedere e
considerare le perfezioni di Dio, perciò essa si coltoci negli occhi,
che hanno per fine di vedere. E si* come finalmente la vita con-
templativa prende direttamente da Dio il m .dello alle sue perfe-
zioni, né mai si contenta finché non le esempli in sé compiutamente,
perciò agli occhi si pone l'aggiunto di belli.
71 Com'io dell1 adornarmi ecc. Come Rachele e dedita alla vita
contemplativa, cosi io alla vita attiva significata dall'adornarsi colle
mani. Come l'occhio, che vede, e s;mbolo del contemplare, cosi la
mano che opera è simbolo dell'operare
72 Lei io vedere, e me ecc. Ella trova tutto il su ) contento nella
vita contemplativa (vedere), ed io trovo tutto il mio contento nella
vita attiva (ovrare). Dio mette negli uomini le varie vocazioni al-
l'una, o all'altra di queste vite, secondo le indoli e propensioni par-
ticolari di ciascuno, e cosi ciascuno si trova contento in quella che
aegue per sua propria elezione, perchè si l'una che l'altra mira a Dio.
173 Splendori antelucani. L'alba addi 12 ottobre al Purgatorio,
rispondente a\13 aprile a Gerusalemme, spuntava alle ore 4:35
antim. Sicché il sogno durò dalle 3-27 alle 4:35, ossia ore 1:8.
7* Ai peregria ecc. Qual era Dante, il quale anch'esso, come gli
altri pellegrini nel ritorno alla patria, pensava che movendosi al-
l'alba, alla sera di quel giorno avrebbe albergato più vicino alla
patria, che per lui era il Paradiso. Per questo gli splendori antelucani
CANTO XXVII. «03
Quanto tornando albergali men lontani,
Le tenebre fuggian da tutti i lati,
E il sonno mio con esse; ond'io leva'mi,
Veggendo i gran maestri già levati. 75
Quel dolce pome, che per tanti rami 76
Cercando va la cura de' mortali,
Oggi porrà in pace le tue fami:
Virgilio in verso me queste cotali
Parole usò, e mai non furo strenne, 77
12o. Ohe fosser di piacere a queste iguali.
Tanto voler sovra voler mi venne
Dell'esser su, ch'ad ogni passo poi
Al volo mi sentia crescer le penne. 7g
soii tanto più grati ai pellegrino, che agli altri tutti Notate che qui
si parla dei pellegrini, non quando partono, ma quando ritornano,
perchè è allora che si avvera questo caso Anche Dante tornava, e
non partiva,
75 Già levati. Virgilio e Stazio, che si erano bensì coricati, ma
non ave in dormito, avendo fatto in quella notte da pastori alla
buona capra di Dante, il quale veramente ha dormito, perchè avendo
egli corpo, a differenza delle due ombre, esso era tuttor soggetto
a quel bisogno di natura, al quale non eran soggette le ombre.
76 Quel dolce pome. Quella felicità. L'uomo tende naturalmente
ad una felicità ; ma spesso va a cercarla dove non è. Co9Ì fecero
Adamo ed Eva pei primi, che andarono a cercarla in un pomo vie-
tato. L'allegoria si fonda su questo malaugurato principio. — Per
tanti rami. Ogni sorta di falsa felicità mondana, che si riduce alle
tre concupiscenze degli onori, della roba, della carne, sono come
tanti rami fallaci, pei quali l'uomo ingannato va in cerca di ciò che
lo appaghi compiutamente: ma il vero ramo, che ha il veramente
dolce frutto della soda felicità, non è che un solo, e Virgilio pro-
mette a Dante, che lo troverà oggi stesso nel Paradiso terrestre»
dove regnò per poco ogni vera felicità per la innocenza della vita,
innocenza che Dante aveva ornai acquistato dopo lavata ogni mac-
chia nel Purgatorio.
77 Strenne. Doni, regali.
78 Al volo. Era veramente un volo l'ascesa per la scala, la quale, per
604 PURGATORIO
Come la scala tutta sotto noi
Fu corsa, e fummo in su'i grado superno, 7f
In me ficcò Virgilio gli occhi suoi,
E disse : li temporal fuoco e l'eterno ®°
Veduto hai, figlio, e se' venuto in parte
Ov'io per me più oltre non discerno. 8I
130. Tratto t'ho qui con ingegno, e con arte : w
Lo tuo piacere ornai prendi per duce; M
Fuor se' dell'erte vie, fuor se' dell'arte. 84
esser perpendicolare, non avrebbe potuto salirla ebe un corpo dive-
unto tanto leggiero quanto uno spirito. Dante era infatti divenuto tale.
79 In sul grado superno. Eccoli giunti al Paradiso terrestre.
80 il temporal fuoco e l'eterno. 11 Purgatorio e l'Inferno, en-
trambi i quali luoghi aveauo qualche peccato che si puniva nel fuoco.
Virgilio qui capovolge l'ordine, come l'avca capovolto anche Dante
nell'/n/. Canto I, v. 133, quando così lo richiese:
Che tu mi meni là dov'or dicesti,
Sì ch'io vegga la porta di San Pietro,
E color che tu fai cotanto mesti.
Ora Virgilio gli rende la pariglia.
*i Ov'io per me ecc. La sola ragione rappresentata da Virgilio
non può vedere e discorrere esattamente di quel luogo felice, e delio
stato de' suoi felici abitatori, perchè questa materia è cosa che senza
della Rivelazione non si sarebbe potuta sapere. In prova di ciò ab-
biamo i farfalloni della mitologia in questa materia. Tutta l'antichità
non illuminata dalla Rivelazione conobbe bensì l'esistenza primitiva
di uno stato felice, ma sempre errò nel definirlo.
tt Con ingegno e con arte. Arte od ingegno puramente umani,
perchè di sola Ragione.
** Lo tuo piacere. Il tuo gusto, la tua inclinazione, la tua vo-
lontà, che ornai non può suggerirti che bene.
8i Fuor se' ecc. Non incontrerai più alcuna difficoltà in cosa che
sia. La metafora è tolta dalle difficoltà che si trovano in un cam-
mino, il quale può riuscir malagevole per esser le vie, o erte o
strette. Di queste ne trovò Dante moltissime in questo viaggio sia
dell'Inferno che del Purgatorio. Ora invece ha sol dinanzi un piano
aperto e dolcissimamente inclinato.
CANTO XXVII. 605
Vedi là il sol, che in fronte ti riluce; w
Vedi l'erbetta, i fiori e gli arboscelli,
Che questa terra sol da sé produce. w
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli, 87
Che lagrimando a te venir mi ferino, **
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno:
li0- Libero, dritto, sano è tuo arbitrio, 89
E fallo fora non fare a suo senno: 90
Perch' io te sopra te corono e mitrio. 9!
&* Vedi là il sol ecc. Nascita del sole. Nel 12 ottobre in cui
siamo, rispondente a' 13 aprile, il sole leva alle 6:15;
w Sol da sé produce. Senza bisogno di coltura. Adamo fu posto
a lavorare il Paradiso terrestre non per bisogno di questo, ma per
piacere di lui stesso.
87 Gli occhi belli. Beatrice. Gli occhi per tutta la persona. S.
dice gli occhi, perchè la più bella parte. È l'uso di Dante.
88 Che lagrimando ecc. Alludi a quei due versi del Canto II
dell' inferno:
Gli occhi lucenti lagrimando volse,
Perchè mi fece del venir più presto.
89 Libero ecc. Come quel di Adano nello stato dell'innocenza,
nel giardin del quale or Dante si trova,
90 E fallo fora. Il non secondare la coscienza retta, è peccato.
Adamo peccò perchè non l'ascoltò.
di Te sopra U. Ti taccio donno e signore di te stesso.
Fine del Vero Purgatorio e quindi della Via purgativa.
Da questo punto il Purgatorio diventa il prodromo
della Via illuminativa, mediante l'anello del Paradiso terrestre.
CANTO XXVIII
Argomento.
Descrive il Paradiso terrestre, che trova cinto da una bella
foresta. Lentamente s' inoltra per essa fin che trova un ruscello
chtt V arresta. Il ruscello scorre da sud a nord, e si descrive. Dante
dalla sponda sinistra mira al di là la bella campagna, ed ecco
che gli vicn veduto una bella donna, che cantava e coglieva fiori.
Egli la prega ad avanzarsi verso il ruscello per intendere i suoi
canti. Descrive la venuta di questa donna, e indi la donna stessa.
Questa dice ai tre poeti la causa del suo riso, e poi in partico-
lare s'offre a Dante ad appagarlo in ogni sua dimanda, dicen-
dogli che per qncHo è venuta. Dante allora le espone un suo dubbio
sull'acqua e sul vento trovati nel Paradiso terrestre, mentre egli
eapea che tali cose non poteano oltrepassare la porta del Fero
Purgatorio, secondo che gli avea prima spiegato Stazio., La donna
gli scioglie questo dubbio, mostrandogli la causa che muove il vento
nel Paradiso terrestre, e la causa che produce il ruscello. Gli
dice che il tuscello è biparti'o, e che il ramo dov'erano, si chia-
mava Lete, e l altro Eunoè; che il primo cancella la memoria
del peccato, ed il secondo dà la memoria del ben fatto, dietro il
gusto che se ve fa, il quale supera in dolcezza ogni altra cosa.
Finalmente deride le follìe dei poeti antichi, che posero l'età del-
l'oro e lo stato felice in Parnaso, mentre non fu che in quel luogo
dov'erano, i ornando queste parole in frizzo a Virgilio e Stazio,
Dante ti volfje a veder l1 impressione, che in essi hanno prodotto,
e li trova che ridano. Indi si volge ancora alla donna al di là
del ruscello.
Avvertimento
SUL SITO DEL PARADISO TERRESTRE.
Dante, nel porre il Paradiso terrestre in sito cosi elevato, non
fece elio >. ,:uire l'opinione corrente fino a' suoi tempi, convalidata
dall'*, test -i» «>uianze di gravi jiutori Al qual proposito è bello leg-
gere la ( iv.^à Cattolica, Quad. 297 del 2 agosto I8fi2, pag. 313.
dove si dicf cosi : « Alcuni vecchi scrittori hanno posto il Para-
li diso terrestre in luogo affatto remoto, e l'hanno innalzato fino
608 PURGATORIO
« al globo lunare. S. Basilio lo colloca in regione cosi elevata, che
« non soffrisse mai tenebre. In luogo eccelsissimo lo credettero ezian-
« dio S. Giovanni Damasceno. Mosè Barcefa, il quale cita Filo— eno
« vescovo di Mabuga, e con essi Leon te, prete di Parigi, ohe scrisse
«in versi le istorie deWJnlico Testamento; ecco i versi:
« Ip$e voluptatis jam tunc oriente remoto
« Montibus in summit hortum plantavit amoenum.
« Alessandro di Ales, e il Tostato lo pongono sopra la media re-
« gione dell'aria, e cosi lo salvano dall'acqua del diluvio. S. Bona-
« ventura e il Durando credettero che fosse sotto la linea equinoziale.
« Queste autorità sono sufficienti a giustificar Dante, il quale collocò
«• quel delizioso soggiorno di là dall'equatore, e sulla cima del più
« alto dei monti, superiore a tutte le nuvole, e libero da ogni alte-
« razione prodotta dalle esalazioni dell' acqua e della terra. »
Rivedi a questo proposito il nostro Discorso Preliminare (/*/!,
pag. 23-32) dove noi dicevamo che Tertulliano e S. Tomaso pon-
gono il Paradiso terrestre al sud dell'equatore. Meglio di tutti spiega
queste cose Rabano Mauro, abate di Fulda del IX secolo, uno degli
scrittori più cari a Dante, che lo collocò nel sole fra i più famosi
teologi. Egli nel tomo I de Universo, lib. XII, cap, III, dice cosi :
Septus (paradisusj est enim undique romphaea flammea {gladi**
igneus atout versatili*, dice la BibbiaJ, idest muro igneo aecineius
ita ut ejus coelo pene iungat incendium (ecco l'equatore, dal quale
Dante fa circondare il Paradiso terrestre, come puoi vedere nella
mia Tav. I In/.). Dante poi a questa prima cinta lontana, ne pone
un'altra, pure di fuoco, affatto vicina al Paradiso terrestre, come
puoi vedere nella mia Tav. VI del Purg., precisamente nell'ultima
cornice, dove si purgano i lussuriosi, ed è a questa seconda cinta
ch'egli pone i Cherubini a eustodi, seguendo anche in ciò l'anzidetto
Rabano, loco citato : Cherubin quoque, idest angelorum praesidium
arcendis spiritibus malis super romphaea flagranti ordinatum e*tt
ut komines flammaey angelos vero malos angtli summoveant, ne cui
earni vel spiritili transgressionis aditus Paradisi pateat. E con
ciò si ha bella e netta tutta la credenza del medio evo intorno al
Paradiso terrestre, tanto per il sito, quanto per la simbolica spada
che lo circonda, e per i Cherubini che lo custodiscono.
KB. Vedi tatti euellioi di questo Cauto uolla Ta*. X Purg.% e la Ta?. XI Purg,
CANTO xxvin. tot
/••
Vago già di cercar dentro e dintorno l
La divina foresta spessa e vìva,
Ch'agli occhi temperava il nuovo giorno,
Senza più aspettar lasciai la riva, '
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo suol che d'ogni parte oliva. *
Un'aura dolce, senza mutamento
Avere in sé, mi feria per la fronte
Non di più colpo che soave vento:
i Vago già ecc. È inchiostro gettato volere spiegare queste «ette
prime terzine, che sono chiare abbastanza, e che, chiosate, corre-
rebbero pericolo di scadere dalla loro originale bellezza. Spiegheremo'
solo qualche parola.
2 Riva. L'orlo della riva, o cinghia, che vedemmo innalzarsi per*
pendicolare dalla VII cornice al Parad. terr. (Vedi Tav. XI Purg.).
> Su per lo suol. Il Paradiso terrestre, dove siamo, è anch'esso
un cono da lati i più aperti che si possano imaginare, e quindi di
una dolcissima salita. La sua circonferenza è 5/16 di miglio, ossia
passi 1875, e la sua altezza nel punto culminante del centro è passi 75
più che l'altezza dell'orlo intorno. (Vedi la mia Tav. XI) Perciò
si dice: Su per lo tuoi. Perchè la cima di questa montagna ha
questo cono tanto spalancato da formare un dolcissimo pendio da!
più alto punto alla circonferenza? Perchè, come dicemmo, è tatto
di quella terra, che partitasi dal centro di essa quando vi cadde
Lucifero, lasciò colà giù il luogo vuoto. Ma noi vedemmo net
Canto XXXIV dell'Inferno, che appunto l'ultimo luogo dell'In-
ferno formava un cono moltissimo aperto dov'era la ghiacciaia,
quindi un piano assai poco inclinato, e che tal*; era la sua faccia
di rincontro, faccia, che prima di Lucifero, era occupata da questa
terra che serve di cima del Purgatorio. Dunque tale, e non altra,
è la sua figura nella cima del Purgatorio. Essa ritrasse lo stampo
del luogo, che lasciò vuoto al centro della terra, come si può con-
vincersi leggendo gli ultimi versi del Canto XXXIV dell'Inferno.
Di qui pure si trae la prova dell'altezza del Purgatorio, il quale,
secondo Dante, dee esser tanto alto quant'è profondo il Vero In-
ferno, o tomba, di cui parla appunto nell'ultimo Canto deu"/i»/ern*,
in fine: Luogo è laggiù da Behebu rimoto eco.
610 PURGATORIO
la- Per cui le fronde, tremolando pronte,
Tutte quante piegavano alla parte
IT la prim ombra gitta il santo monte; *
Non però dal lor esser dritto sparte
Tanto che gli augelletti per le cimo
Lasciasser d'operare ogni lor arte ; *
Ma con piena letizia Tore prime, 6
Cantando, ricevieno intra le foglie,
Che tenevan bordone alle sue rime, 7
Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie
20, per la Pineta in sui lito di Chiassi, 8
Quand'Eolo Scirocco fuor discioglie. 9
Già m'avean trasportato i lenti passi 10
Dentro all'antica selva tanto, ch'io u
* II tanto monte, U monte del Purgatorio. Dunque l'aura veniva
da oriente verso occidente. La prima ombra è quella della mattina^
3 Lasciasser d'operare ecc. Lasciasse r di cantaro nei lor vari
metri. Il troppo vento fa tacere gli augelli, il soave li fa cantare.
<> Ore. Aure,
? Che tenevan bordone ecc. Il mormorio dell* aura pei rami, ser-
viva d'accompagnamento musicale al canto degli augelli.
8 Pinata. Questa Pineta e presso Eavenua, in quelh due miglia
occupate anticamente dal mare, ed ora lasciate in secco dal mare,
che di tanto si ritirò. Chiassi ò un luogo di questa Pineta.
9 Quand'Eelo ecc. Quand'Eolo, re dei venti, sprigiona il vento
detto Scirocco, che 6 tiepido.
*o I lenii pissi. Nota lenti passi, che il poeta ripete qui dopo
averlo anche detto di sopra colle parole : Prendendo la campagna
lento lento. Questa lentezza ha la sua ragione, e nella novità sor-
prendente del luogo, o nella ristrettezza dello spazio in cui si fa
succedere questa e tante altre scene dei G ultimi Canti del Purga-
torio. (Vedi la Tav. XI).
*' Antica selva. Perchè quella stessa goduta da Adamo ed Eva
al principio del mondo. — Tanto ch'io — Noi potea tee. Per sa-
pere quanti passi s'era inoltrato Dante da occidente direttamente
verso oriente, passando per mezzo la selva, ò necessario ricorrere
CANTO XXVm. 611
Non potea rivedere ond' i' m'entrassi :
Ed ecco più andar mi tolse un rio,
Che in ver sinistra con sue piccioronde i%
Piegava l'erba che in sua ripa uscio.
Tutte l'acque, che son di qua più monde,
Farri eno avere in sé mistura alcuna
8°« Verso di quella che nulla nasconde;
Avvegnacchè si muova bruna bruna
Sotto l'ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi, né luna.
Co' pie ristetti, e con gli occhi passai
Di là dal fiumicello per mirare
La gran varì'azion de' freschi mai: 4I
E là m'apparve, sì com'egli appare
al dettaglio che ne fa al principio del Canto XXIX, dove la so-
mifacciata, che all'orlo estremo del Paradiso terrestre era di passi 234
di circonferenza, al punto dove ora pervenne, la riduce a poco men
che 50, quindi Varco intero della facciata di ovest sarebbe di 100,
ed essendo 4 le facciate, tutta la circonferenza del monte, nel punto
in cui giunse il poeta, sarebbe di passi 400, mentre la circonfe-
renza dell'orlo donde parti, era di passi 1875. Ebbene su questi dati
e sull'altro del diametro, che conosciamo, facciamo ora il nostro
calcolo cosi: Sta la grande circonferenza (passi 1875) alla piccola
testé trovata (passi 400) come il diametro della grande (passi 595)
al diametro della piccola (a?). Troveremo che questo diametro è
di passi 127, meno qualche cosa che non monta : e quindi il semi-
diametro, o raggio, sarebbe di passi 63. Ora dibattete questo semi-
diametro della piccola dal semidiametro (pesai 298) della grande
circonferenza, ed il residuo sar anno tutti i passi che fece il poeta
per arrivare al punto in cui siamo, ossia sino al fiume Lete. Ma
questo residuo vi dà passi 235. Dunque il poeta dice di aver fatto 235
passi verso il centro del Paradiso terrestre. (Vedi la miaTav.XI).
tf In ver sinistra. Mettendoci come Dante, che stando nella fac-
ciata di ovest, guardava est, il rio scorreva da sud a nord.
43 Mai. Fronda di primavera, che i fidanzati fiorentini del con-
tado mettevano sulla porta della fidanzata il primo giorno di maggio.
Qui sta per la bella e varia verzura in generale.
61* PURGATORIO
Subitamente cosa che disvia u
Per maraviglia tutt'altro pensare,
*°. Una donna soletta, che si già "
Cantando, ed iscegliendo fior da fiore,
Ond'era pinta tutta la sua via.
Deh! bella donna, chV raggi d'amore ,6
Ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti, i7
Che soglion esser testi mon del cuore,
Vegnati voglia di trarreti avanti,
Diss'io a lei, verso questa riviera,
Tanto ch'io possa intender che tu cauti.
Tu mi fai rimembrar dove, e qual' era 18
H Disvia tult 'altro pensare. Disvia a pensar tutt 'altro.
M Dna donna ecc. Matilde, la celebre contessa di Toscana, la
pia difenditrice di S. Gregorio, la generosa donatrice di molti Stati
alla Chiesa Romana, il modello delle regine di tatti i tempi. Lo
strumento della donazione di Matilde, tuttavia esistente, si legge in
fine del poema di Donizone, ed è una conferma della donazione fatta
prima a Gregorio VII. (Vedi, se vuoi, Muratori, An. d'Italia, al-
l'anno 1102). Alcuni non vogliono che sia dessa, ma, o un perso-
naggio ideale, o un'altra Matilde, che non san dire ; ma queste son
pretese ridicole, se non sapessero anche di empie. Imperciocché la
ragione precipua per non voler qui collocata la più gran donna del
medio evo, si è ch'ella ha ingrandito la Chiesa di Stato terreno colle
sue famose donazioni; e questa, per alcuni de* nostri moderni, 6 tale
una colpa da meritarsi poco men che l'Inferno. Intanto è notevole,
e fa onore alla imparzialità di Dante, il vedere [che chi diede alla
Chiesa Romana dominii temporali, e posto da lui in Paradiso. Vi
porrà anche Costantino e Carlo Magno.
M A' raggi d'amore. D'amore santo, d'amore divino, che qui non
han luogo altri amori.
*7 A1 sembianti. Sembianti d'infervorata. Il fervore dell'anima tra-
spare al di fuori in tinte più calde dell'ordinario.
18 Dove e qual1 era — Proserpina ecc. Proserpina, figlia di Cerere,
raccoglieva i fiori in un amenissimo prato, presente la madre. In
quel tempo venne Plutone a rapirla, invaghitosi di tanta bellezza,
e la fé regina de' luoghi inferni. Tanto fu lo spavento in vedendo
CANTO XXVnt. 613
r>0 Proserpina nel tempo che perdette
La madre lei, ed ella primavera.
Come si volge con le piante strette l9
A terra ed intra sé, donna che balii,
E piede innanzi piede appena mette;
Volsesi in su' vermigli, ed in su' gialli
Fioretti verso me, non altrimenti
Che vergine che gli occhi onesti avvalli;
E fece i prieghi miei esser contenti,
Sì appressando sé, che il dolce suono
60- Veniva a me co' suoi intendimenti. *°
Tosto che fu là dove l'erbe sono
Bagnate già dall'onde del bel fiume,
Di levar gli occhi suoi mi fece dono.
Non credo che splendesse tanto lume
Sotto le ciglia a Venere trafitta 5I
Dal figlio, fuor di tutto suo costume.
l' assalitore, che correndo per salvarsi alla madre, lasciò cadere il
grembiale di fior!, ossia la primavera, o i frutti della primavera!
alludendo cosi il poeta ad Ovidio, nel 5.° delle Metamorfosi, dove
racconta questo ratto.
*9 Come si vulge ecc. Da qui per sei versi seguenti si fa l'elogio
delia leggerezza, prontezza e modestia verginale di quella donna;
perciò alla legge della danza, che vuole piante strette a terra, e
tra loro, e passi corti, accoppia la modestia del tratto d'una vergine,
modestia che si manifesta specialmente nell'abbassamento degli occhi.
£0 Co* suoi intendimenti. Col senso delle sue parole.
?! Sotto le ciglia. Negli occhi. Oli occhi sono sempre quella parte
del corpo dove la bellezza di una persona più si manifesta. Il no-
stro poeta ricorre sempre agli occhi. — A Venere ecc. Mentre Ve-
nere si stringeva al seno il fanciullo Cupido, armato di strali, questi,
senza saperlo, trafisse con uno di essi la madre, ond'ella arse d'amore
per Adone. Allora gli occhi di Venere, tanto belli per sé medesimi,
accrebbero più del solito la loro bellezza. Le parole fuor di tutto
tuo costume, più che a Cupido, stanno bene a Venere. L'insaputa
di Cupido non ha che fare col nostro caso.
6H PURGATORIO
Ella riclea dall'altra riva dritta, M
Trattando più color con le sue mani, *•
Che l'alta terra senza seme gitta. **
70. Tre passi ci facea '1 fiume lontani; M
Ma Ellesponto, là 've passò Serse, *6
Ancora freno a tutti orgogli umani, *7
Più odio da Leandro non sofferse M
2) Ella ridea. Questo ridere non è che un'aria di contento e di
Paradiso, diffusa per tutta la faccia di Matilde. — Dritta è riferito a
Fenere e non a riva, la quale è determinata abbastanza con altra.
23 Più color. Varie sorta di fiori raccolti prima. Li trattava come
chi è in atto di fare con essi una ghirlanda. È questa l' immagine della
vita attiva, che gode occuparsi in varie opere del divino servizio.
** L'alta terra. Il Paradiso terrestre, aito 95 miglia sul livello
del mare. (Vedi Tav. XI e l'Avvertimento premesso a questo Canto.
Vedi anche le note 3 e 40 di questo Canto. — Senza seme. Senza
umana seminagione o cultura. Prima avea detto : Che quella terra
sol da $è produce.
25 2 re passi ecc. Dunque il fiumicello era largo tre soli passi.
20 Ellesponto. Famoso canale, o stretto, che separa l'Europa dal-
l'Asia, che è indifferentemente chiamato dai moderni Braccio di
S. Giorgio, Bocche di Costantinopoli, Stretto di Gallipoli, o Stretto
di Dardanelli. Gli antichi lo chiamavano Ellesponto, da Elle, figlia
d'Atamas, la quale, traversandolo per fuggire nella Colchide col
fratello Frisso, avente il vello d' oro, cadde sventuratamente in quel
'mare e vi peri. Questo stretto non ha più di 3 miglia di larghezza
alla sua entrata, ed in seguito non ne ha che un mìglio e mezzo
al più. Serse, re di Persia, lo passò con 700 mila uomini su di un
ponte di barche perfinire la guerra colla Grecia, incominciata da Da-
rio; ma fu rotto da un pugno di pi odi, capitanato da Temistocle. Nella
fuga non trovo più il suo ponte, ed ebbe a gran ventura di ripas-
sarlo su di una barca peschereccia, mentre i suoi erano fatti a pizzi.
27 Ancora freno ecc. Ellesponto, con ricordare il pacsaggio di
un fioritissimo esercito dapprima, e la sua disfatta dappoi, serve
ancora di freno a qualunque orgoglioso che confidi nelle grandi sue
posse, che oggi sono e domani non sono più. Foivc il poeta ebbe
di mua una cosa più particolare, i Saraceni, trattenuti accora dal-
l'invadere l'Europa dall Ellesponto. Oggi non diiebbe più cosi.
ss Fili odio da Leandro ecc. Il fatto è narrato da Ovidio nelle
CANTO XXVin. 615
r
Per mareggiare intra Sesto e Abido,
Che quél da me, perchè allor non s'aperse.
Voi siete nuovi, e forse perch'io rido, M
Cominciò ella, in questo luogo eletto *°
All'umana natura per suo nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto;
80« Ma luce rende il salmo Delectasti 81
Che puote disnebbiar vostro intelletto.
E tu che se' dinanzi, e mi pregasti, w
Di' s'altro vuoi udir, ch'io venni presta
Ad ogni tua question, tanto che basti.
epistole. Abido era un luogo d'Asia sull'Eli esposto, o Sesto altro
luogo sulla spiaggia di rincontro in Europa. Leandro era d' Abido:
Ero, giovane da lui amata, era di Sesto. Leandro veniva a trovarla
a nuoto. Ma un giorno, mentre lo passava, il mare si fece grosso
per tempesta (mareggiò), e Leandro si sommerse. Intendi dunque:
Leandro non ebbe tanta avversione a quel braccio di mare, che lo
divideva per sempre dalla sua amata, quanta n'aveva io a que' tre
passi di fiume che mi dividevano da quella donna.
29 Nuovi. Nuovi di questo luogo, stranieri, appena giunti. —
Perch'io rido. Perch'io sono e mi mostro si contenta e felice.
80 in questo luogo eletto all'umana ecc. In questo Paradiso ter-
restre, che fu scelto ad esser nido dell'umana stirpe, avendo accolto
i nostri progenitori Adamo ed Eva. Appellar nido dell'umana natura
il Paradiso terrestre, ha una grazia ed una proprietà sorprendente,
perchè come il nido è la stnnza di poco tempo degli augelli, ed è
molto piccolo, eoa quel luogo per Adamo ed Eva, e in essi per
tutti noi.
31 Ma luce rende ecc. Il salmo 91 che comincia: Bonum est confi-
teri Domino, nel cui 5.° verso ci sono queste parole: Delectasti me
Domine, in factura tua, et in opzribus matiuum tuarum exultabo;
questo salmo spiega il perchè del mio ridere. Io rido perchè vivo in
un luogo di felicità, tutto pieno delle opere maravigliose di Dio.
32 Tu. Dante. — Che se' dinanzi. Dante licenziato ornai a far da
sé, veniva innanzi, e dietro lui a paro i due poeti. (V edi Tav. XI).
— E mi pregasti. Quando pregò la donna a farsi presso il fiume
per intendere i suoi canti.
ti* PURGATOttìÒ
L'acqua, diss'io, e il suon della foresta M
Impugnan dentro a me novella fede '*
Di cosa, ch'io udi9 contraria a questa.
On d'ella: F dicerò come procede 85
Per sua cagion, ciò ch'ammirar ti face :
*°. E purgherò la nebbia che ti fiede.
Lo sommo Bene, che solo a sé piace, *6
Fece Tuoni buono ; e il ben di questo loco l7
Diede per arra a lui d'eterna pace. **
Per sua diffalta qui dimorò poco; *
** L'acqua, diss*io,e il suon della foresta. L'acqua ed il vento.
** Impugnan ecc. Fanno a pugni dentro di me con quello che
poco fa mi fu insegnato per cosa certa, e che perciò sarebbe contraria
all'acqua che qui vedo, ed al venticello che qui sento. Allude a quello
che gli avea insegnato Stazio nel Canto XXI, quando gli disse:
Libero è qui da ogni alterazione . • .
Perchè non pioggia, non grando, non neve
Non rugiada, non brina più su cade
Che la scaletta de* tre gradi breve, ecc.
Ma Pacqua ed il vento trovato lassù, pare che distruggano l'asserto
di Stazio, che negava le alterazioni, mentre ed acqua e vento sono
alterazioni.
M P dicerò come procede ecc. lo ti dirò da qual causa procede
qui l'acqua ed il vento, e cosi ti rischiarerò questo punto.
M Lo sommo Bene. Dio. — Che solo a sé piace. Le creature, per
esser finite e dipendenti, sentono bisogno di un altro bene, fuor di
sé stesse, che le soddisfi. Invece Dio, per esser infinito e indipendente,
non ha a cercare fuori di sé un bene, che gli piaccia e lo soddisfi ; egli
lo trova tutto e solo in sé stesso, e quindi egli solo piace a sé stesso.
*7 Fece Vuom buono. Lo fece a sua immagine e somiglianza, e
quindi non potè farlo che buono. — Il ben di questo loco. Le de-
fizie del Paradiso terrestre.
** Diede per arra ecc. Queste delizie terrene le diede all'uomo
'per caparra dell'eterne in cielo, se gli fosse sta'o fedele.
•» Per sua diffalta. Per sua mancanza, per sua colpa. — Qui
dimorò poco. Furono sole sei ore tra innocente e peccatore, come
dirassi nel Par., Canto XXVI, v. 139.
CANTO XXVIII. 617
Per sua diffalta in pianto ed in affanno
Cambiò onesto riso e dolce giuoco.
Perchè il turbar, che sotto da sé fanno A0
L'esalazion dell'acqua, e della terra,
Che, quanto posson, dietro al calor vanno,
100 All'uomo non facesse alcuna guerra,
Questo monte salio ver lo ciel tanto,
E libero è da indi, ove si serra.
Or, perchè in circuito tutto quanto 4I
*> Perche il turbar ecc. Affinchè l'uomo, collocato nel Paradiso
terrestre, non fosse disturbato menomamente dai turbamenti prò
dotti di sotto a lui dalle esalazioni dell'acqua e della terra, esala-
zioni che tendono quanto possono all'ulto, dov'è la sfera del calore
e del fuoco; perciò questo monte si è innalzato verso il cielo tanto
quanto fu mestieri, e precisamente esso comincia ad esser libero da
quelle esalazioni dal punto in su dov'è la porta e la cinta che se-
para l' Antipurgatorio dal Vero Purgatorio, che è quanto dire da 92
miglia d'altezza sino a 95 dove siamo. Stazio adunque aveva inse-
gnato bene a Dante quando gli diede la lezione del Canto XXI:
Libero è qui da ogni alterazione, ma lo scolare Dante non aveva
allora ben compreso, oppure per restasi di tante cose, si era di-
menticato la eccezione, che subito dopo vi aggiunse Stazio dicendo:
Di quel che il cielo in sé da sé riceve.
Esserci puote, e non d'altro, cagione.
La qual eccezione di Stazio è appunto quella che si spiega da Ma-
tilde. In sostanza dunque ella dice, che l'acqua ed il vento, che Dante
trova qui, non ha la sua cagione cUl di sotto, ma dal di sopra, come
spiegherà tosto.
*i Or, perchè in circuito ecc. Spiega la cagione del vento. Il
primo mobile (ossia la prima sfera celeste, più grande di tutte, e
che tutte, contiene) girando fa girare anche l'aere sottoposto. Cosi
l'aere di ogni pianeta, che ad una certa altezza dal pianeta sarebbe
immobile, come sarebbe immobile nnche qui al Purgatorio, comin-
ciando alla sua altezza di miglia 92, o alla porta del Vero Purga-
torio, per la ragione del moto che ha l'aere del primo mobile, esso
aero a qualunque sia altezza si muove in circuito da oriente in
occidente. Bisogna riportarsi al sistema fisico di quei tempi. Allora
«18 PURGATORIO
L'aer si volge con la prima volta,
Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto ; tt
In questa altezza, che tutta è disciolta tt
Nell'aer vivo, tal moto percuote, 4*
E fa sonar la selva perch'è folta; 4S
E la percossa pianta tanto puote, 46
110- Che della sua virtute l'aura impregna,
E quella poi girando intorno scuote: i7
E l'alta terra, secondo eh 'è degna 4*
per esempio l'aere si faceva arrivare a 92 miglia di altezza, ed oggi
a sole 40 miglia. Allora si faceva la Terra centro fisso del sistema
planetario, oggi invece non è così.
4* Se non gli è rotto ecc. Per esempio da qualche combinazione
miracolosa, quale sarebbe stata la fermata del sole operata ai prieghi
di Giosuè,
43 In questa altezza. Nell'altezza che ha il monte dalla porta del
Purgatorio in su.
44 Neil' aeravo. Nell'aere purissimo, perchè non soggetto a nessun
influsso terrestre. — Tal moto. Il moto circolare del primo mobile.
43 Perche folta. E noi ci accorgiamo del moto, che ha l'aere in
questa nostra altezza, per esser folta la selva , perchè offrendo resi-
stenza colla sua spessezza in tutti i punti, perciò in tutti i punti
fa un piccolo mormorio, che unito insieme, forma il suono di tutta
la selva.
46 e la percossa pianta ecc. La piantatosi accarezzata dal ven-
ticello, acquista tale e tanta virtù, che ne impregna l'aura circostante,
diffondendo cosi per essa le mollccole svaporate da essa pianta.
47 E quella poi ecc. E quell'aura, cosi impregnata di essenze,
girando intorno le scuote, o depone qua e là. Per questo lo sposo
nel IV dei Cantici invoca i venti all'orlo della sposa, perchè vi fac-
ciano stillare gli aromi.
45 E Valta terra, secondo ecc. Io leggo alta col cod. Fontani ano
del Seminario di Verona, che legge benissimo; ma i più leggono
altra intendendo Li terra che noi abitiamo diversa da quella del
Paradiso terrestre: Il poeta non fa parlar qui che della terra del
Paradiso terrestre, quando parlerà di un'altra terra ce lo dirà, come
qui appresso: ma per ora non parla e non può parlare, secondo
il contesto ed il senso, che del Paradiso terrestre. Ritenuto dunque
CANTO XXVIII. 619
Per sé o per suo ciel, concepe e figlia
Di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia, a
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese, vi s'appiglia.
E saper dei che la campagna santa,
Ove tu se', d'ogni semenza è piena, w
120* E frutto ha in sé che di là non si schianta. 8I
L'acqua che vedi non surge di vena M
alta, eccone la spiegazione: E Valla terra (Paradiso terrestre, alto
95 miglia dal mare) secondo la sua attitudine — (secondo ch'è degna)
che ha in sé, o acquistata dall' influsso del suo purissimo cielo —
(Per «è o per suo ciel) accogliendo in sé quelle essenze mollecolari
scosse su di lei dall'aura che si è impregnata, concepisce e produce
diverse piante di diverse qualità.
*9 Non parrebbe di là ecc. Quel che succede qui per metodo
costante, che la terra germoglia senza coltura di sorta, ma solo per
l'aura che prende dalle piante, e sparge i semi ovunque, avviene
per caso eccezionale talvolta anche di là, cioè nel nostro emisfero,
dove vediamo sorger delle piante senza che alcuno v'abbia prima
sparso o piantato il seme. Fu il vento che ve lo portò senza che
noi lo sapessimo. Il seme non fu palese, ma il seme vi fu sparso.
Onde non dobbiamo maravigliarci se vediamo appigliarsi qualche
pianta così.
*° D'ogni semenza è piena. Si sa dalla Genesi che il Paradiso
terrestre conteneva ogni sorta di semi di erbe, fiori e piante.
*i E frutto ha in sé ecc. Ed ha tali frutti sì saporosi e perfètti,
che quelli dell'altro emisfero sono un nulla a pareggio di questi.
52 L'acqua che vedi ecc. Quest'è la seconda parte della dimanda.
La prima era di saper la cagion del vento, e questa fu sciolta con
una giunta alla derrata, perchè dopo detta la vera causa del vento
nel Paradiso terrestre, disse anche che quel vento era il semina*
tore di quell'alto terreno. Or fa lo stesso anche coli* acqua, dicen-
done la cagione, e aggiungendo anche qui un corollario di sopra
più. Dice dunque, che come il venticello del Paradiso terrestre, avea
una cagione affatto diversa dal vento delle regioui più basse, quali
sono tutte quelle del nostro emisfero, e anche del Purgatorio dalla
porta in giù, cosi l'acqua di quel luogo avea una cagione affatto
620 PURGATORIO
Che ristori vapor che gel converta,
Come fiume ch'acquista o perde lena; *
Ma esce di fontana salda e certa,
Che tanto dal voler di Dio riprende,
Quant'ella versa da duo parti aperta.
Da questa parte con virtù discende,
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.
130 Quinci Lete, così dall'altro lato
Eunoè si chiama, e non adopra,
Se. quinci e quindi pria non è gustato.
A tutt'altri sapori esto è di sopra. M
E avvegna ch'assai possa esser sazia
La sete tua, perchè più non ti scopra, at
Dnrotti un corollario ancor per grazia;
Nò credo che il mio dir ti sia men caro,
Se oltre promission teco si spazia.
diversa dall'acqua degli altri luoghi. Gli altri luoghi della terra
hnnuo i fiumi, che derivano da vena tale, che per riempirsi hanno
bisogno di pioggie, e perciò noi vediamo i fiumi andar ora gonfi,
ora scemi per sovrabbondanza, o per mancanza di pioggie alla loro
sorgente. Quest'acqua invece ha una fontana indeficiente , perchè
non dipende (falle pioggie, ma da Dio che cosi vuole ; e perciò sem-
pre una tal fontana tanto riceve quanto versa per due bocche, dalle
quali partono due rami di fiume, che hanno diversi nomi e pro-
prietà. Il fiume dove tu sei presentemente è Lete (in greco oblìo),
ed ha la proprietà, gustato che sia, di far dimenticare il peccato:
l'altro braccio si chiama Eunoè (in greco buona menlé), ed ha la
proprietà, gustato anch'esso che sia, di richiamar alla memoria il
ben fatto.
83 A tutt'altri sapori ecc. Come le frutta del Paradiso terrestre,
si disse, che vincevano in sapore tutte le altre, cosi si dice pure
di quest'acqua, la quale vince in sapore, il sapore di tutti gli altri
l:quori del nostro mondo.
*»4 Perchè più, non ecc. Per non dirli io di più, avendo soddisfatto
alla tiri dimandi più oltre d< quello ch'essa esigeva
CANTO XXVIII. 621
Quelli ch'anticamente poetaro
l4°- L'età dell'oro, e suo stato felice, M
Forse in Parnaso esto loco sognaro. bQ
Qui fu innocente l'umana radice; b7
Qui primavera sempre ed ogni frutto;
Nettare è questo di che ciascun dice.
Io mi rivolsi addietro allora tutto 58
A' miei poeti, e vidi che con riso yj
Udito avevan l'ultimo costrutto: co
Poi alla bella donna tornai '1 viso.
»s L'età dell'oro ecc. I poeti distinsero per metalli le età del
mondo, assegnando alla prima Toro, il più prezioso dei metalli, per
essere stata quella l'età felice, Matilde veniva cosi a pungere Stazio
e Virgilio.
N> Forse in Parnaso ecc. Forse standosene in Parnaso, o per le
notizie attinte in Parnaso, sognarono questo luogo altrove, cioè in
Creta, descrivendolo con una fantasia capricciosa
*7 Qui f a ecc. Non dove, e come dice il Parnaso, ma qui. e come
ai vede qui, fu la vera età dell'oro.
38 fo mi rivolsi ecc. Per vedere che impressioni» avea fatto nei
due antichi poeti questo disinganno. E un bellissimo colpo di scena,
che chiuie con grande semplicità e natura questo Canto.
*9 Con riso ecc. Ridendo della lor dabbenaggine.
60 L'ultimo costrutto ere I.e ult:me p-irole che accennavano ai
sogni dei poeti sul collocamento dell età dell'oro.
CANTO XXIX
Argomento.
Matilde, standosi ancor ferma sulla sua riva destra di Lete,
canta. Poi si muove contro il corso del fiume, e Dante e i suoi
compagni con essa. Dopo quasi 50 passi, fatti nella facciata di
ovest, si trovano al principio della facciata di sud, e perciò vanno
col viso volto ad est, sempre contro il fiume, che qui ha il canale
da ovest ad est, come prima Vavea da sud a nord. Non sono ancor
giunti alla metà della facciata di sud, cioè non hanno fatto ancor
50 passi, che Matilde lo invita a guardare e ascoltare dinanzi
lungo il fiume verso oriente. Dante guarda, e vede per tutta la
foresta una gran luce. Dante ascolta e ode una dolcissima melodia,
tale, che più gli increbbe il peccato d'Eva, per avere ella, e seco
tutti i suoi discendenti, perduto quelle delizie. Intanto il chiarore
più s'avvicina, da sembrar fuoco sotto i rami, e il suono si fa
più distinto da intendere che esso è canto. Qui prega le muse di
un aiuto particolare per espor degnamente la sua visione. Si fa
un poco più avanti, e quel chiarore gli pare essere sette alberi
d'oro. Si avvicina ancor più, e apprende che il chiarore sono sette
candelabri, e che le voci cantano Osanna. Allora Dante ammirato,
si volge a Virgilio, e lo trova ammirato pari a lui. Tosto torna
gli occhi ai sette candelabri, e la donna lo sgrida perchè guardi
sol questi, e non anche quello che viene dietro a questi. Dante
guarda come dicea la donna, e vede genti vestite di bianco. Tutto
questo spettacolo si stendeva lunghesso la riva destra, onde l'acqua
dalla parte di Dante, ch'era alla sinistra del fiume, splendeva
tanto, che come specchio gli rende a il suo fianco sinistro* Intanto
i candelabri giungono dirimpetto a Dante, e Dante allora si ferma
per veder meglio quell'incanto. Le fiammelle continuavano ad an-
dare segnando nell'aere sette liste luminose dei colori dell'iride.
Queste sette liste erano così lunghe che non ne vede il fine; os-
serva però che le liste laterali erano distanti Vuna dall'altra dieci
passi. Sotto questa tenda di luce venivano 24 seniori a due a due
coronali di gigli, ed essi cantavano le lodi di Maria Santissima-
Passati li 24 seniori, vengono 4 animali coronati di verde fronda,
e ciascuno aveva sei ali occhiute, tali quali li descrive Ezechiele,
tranne le penne, che sono quelle descritte da S. Giovanni. Lo ipo-
ciò di mezzo a questi 4 animali è occupato da un carro trionfale
624 PURGATORIO
a due ruotff tirato da un grifone. Questo grifone avea l'afe aperte
e dritte al cielo, e le spingeva su d'ambo i lati della luta lumi-
nosa di mezzo fino al cielo, senza però romper quei raggi. Questo
grifone era d'oro velie parti dov'era uccellot e nel resto era un
misto di bianco e vermiglio. Mia destra ruota del carro danza-
vano in giro tre donne, Vuna rossa, Valtra verde e la terza bianca,
dirigendo la danza ora la bianca, ora la rossa; la rosta poi era
la sola che. cantasse, e che col canto allentasse o affrettasse la
danza. Dalla ruota sinistra danzavano quattro altre donne rosso
vestite, la principal delle quali avea tre occhi in testa. Dietro al
carro veni ano due vecchi vestiti diversamente, ma ugualmente gravi,
Vuno appariva esser medico, l'altro armigero, e dietro a questi
veniano 4 altri, lutto umili e dimessi. Finalmente chiudeva il
corteo un veglio che veniva solo, in faccia dormiente ed arguta*
Questi sette erano bianco vestiti come i primi 24, solo che intorno
al rapo, invece di ghirlanda di gigli Vaveano di ro$e, e altìi fiori
vermigli. Quando il carro è in faccia a Dante s'ode un tuono, e
tutii ristanno a quel segno.
AvVEKTIMKNTO GENERALE SUL CANTO.
Questo Canto è tatto mistico: perciò le cose si hanno da in*
tendere in senso spirituale.
SB. Vedi (Dtli i easellini di questo Canto uella T. X Purg.. e le T. XI e XII Ptirp.
Latitando come donna innamorata. !
Continuò col fin di sue parole: *
Beati, quorum tecta sunt peccata. 8
* Innamorala. Di Dio.
* Continuò col fin ecc. Alle sue ultime parole dette, aggiunse
quest'altre. Le ultime parole furono: Nettare è questo ecc.
3 Meati quorum ecc. Sono parole dol primo versetto del Salmo 31 :
Beati guorum remissae sunt iniquità tee et quorum tecta sunt pec-
cata, con che Matilde allude alla purgazione delle colpe fatte da
l>ante nel Purgatorio.
CANTO XXIX. «25
E come ninfe che si givan sole l
Per le selvatich'ombre, disiando
Qual di fuggir, qual di veder lo sole,
Allor si mosse contr'al fiume, andando *
Su per la riva, ed io pari di lei,
Picciol passo con picciol seguitando.
10- Non eran cento tra suoi passi e i miei, •
Quando le ripe igualmente dier volta, 7
* E come ninfe ecc. Per ingentilire più che fosso possibile l' an-
data di Matilde lunghesso il fiume contro la corrente, e sotto lt
ombre del bosco, paragona quell'andata all'andata delle ninfe per
le foreste, ove amavano aggirarsi sole.
* .Iridando — Su per la riva ecc. Osservate sulla Tav. XI che noi
siamo nella facciata che guarda ovest, e perciò andando ora contro
il fiume, che veniva da sud a nord, noi andiamo da nord a sud.
6 JYon eran cento ecc. Non eran cinquanta i passi di Dante. In-
vece di nominar la distanza dai suoi soli passi, il poeti la nomina
dai passi di lei uniti ai suoi, e ciò per riverenza a Matilde, ch'era
allor la sua guida. Matilde, come dicemmo, è figura della vita attiva
alla quale appartiene disporre le anime per la attiva, e per la con-
templativa. Perciò Dante, che dee darsi all'una ed all'altra di queste
vite, dee tener dietro alla sua maestra, ovunque essa il conduca,
badando bene di misurare i suoi coi passi di lei, il che vuol dire
tenersi stretto ai suoi insegnamenti, facendone gran conto, quantun-
que piccoli essi appaiano. Con questi quasi 50 passi pervennero al
fine del giro d-lla facciata di ovest verso sud. (Vedi Tav. XI).
7 Quando le ripe igualmente ecc. Due linee circolari concentri-
che, quali sono le due ripe del fiume, voltano egualmente, a diffe-
renza delle lince quadrate, dove voltando la minore non volta anche
la maggiore. Dunque con questo si vuol diro che il corso del fiume
era in figura circolare, e non quadrata. La figura circolare è la
più perfetta ; e qui sta molto bene la scelta della più perfetta, sia
pel luogo perfetto dove siamo, sia per la perfezione alla quale si
vuol condur Dante, dopo la purgazione. È per questo che qui si
cambia anche plaga, e che si scelgono le due plaghe migliori, quella
di mezzogiorno, e quella di oriente; quella di mezzogiorno, perchè
le persone vanno appunto a porsi in quella facciata ; quella di oriente,
perchè andando per la facciata di mezzogiorno, hanno la faccia ri-
volta ad orieute i Vedi Tav. Xlfy
40
626 PURGATORIO
Per modo ch'a levante mi rendei. 8
Né anche fu cobi nostra via molta, 9
Quando la donna tutta a me si torse, l0
Dicendo: Frate mio, guarda ed ascolta.
Ed ecco un lustro subito trascorse u
Da tutte parti per la gran foresta,
Tal che di balenar mi mise in forse. '*
Ma perchè il belenar, come vien, resta, "
8 A levante mi rendei ecc. Comincisi ad aver la faccia volta a
levante, perchè andando per la facciata di sud da ovest ad est,
si ha la faccia ad est. É questa la seconda volta che Dante viene
nella facciata di mezzogiorno. La prima volta che ci passò fu nella
cornice degli Accidiosi, ed allora ci passò di notte, come si può
vedere nella Tav. Vili, e come venne descrìtto nel Canto XVIII,
dopo il verso 115: e fu per sola necessità di passare alla facciata
di levante. La seconda volta che ci passa è questa, nella quale ci
viene di giorno: e questa volta la facciata è destinata a scena di
un fatto assai più importante, che non sono i fatti del Purgatorio.
Da ciò risulta che questa facciata meridionale fu riservata ad azioni
di maggior perfezione che non sono le azioni delle pene del Pur-
gatorio. (Confronta la Tav. Vili colla Tav. XII).
9 Ne anche fu così ecc. I passi che facemmo per la facciata d,
sud verso est furono meno che i passi fatti per venire dalla metà
della facciata di ovest al principio della facciata di sud, che, come
vedemmo, furono meno di 50, che noi per rotondità di numero ab-
biamo ritenuto 50, perchè parlando Dante in quella maniera volle
dire quasi 50, o tra il 49 e il 50. Se dunque in questa facciata
di sud avessero fatto 50 passi, sarebbero giunti alla metà di essa
facciata. Avendone fatto meno, restano ancora al di qua della metà
ma di pochi passi, tale essendo il senso di questo verso. (Vedi la
mia Tav. XII).
io Tutta a me ti torse. Si rivolse a me con tutta la persona,
come facciamo quando vogliamo avvisare un compagno tutto intento
a noi, della comparsa di cosa straordinaria. La cosa straordinaria
spuntava qui dalla facciata di est che mette a quella di sud, dove
erano i poeti. (Vedi la mia Tav. XII).
M Un lustro subito. Un improvviso chiarore.
** Tal che di balenar. Tal che ho sospettato essere un lampo.
*• Sfa perchè il balenar ecc. Ma perchè il lam^o appena comparso
CANTO XXIX. 627
20- E quel durando più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: Che cosa è questa?
Ed una melodia dolce correva u
Per i'aer luminoso; onde buon zelo
Mi fé riprender l'ardimento d'Eva, i5
Che là dove ubbidia la terra e il cielo,
Femmina sola, e pur testé formata,
Non sofferse di star sotto alcun velo; *•
Sotto '1 qual, se divota fosse stata,
Avrei quelle ineffabili delizie
30- Sentite prima, e poi lunga fiata,
Mentr'io m'andava tra tante primizie IT
Dell'eterno piacer, tutto sospeso,
E disposo ancora a più letizie,
Dinanzi a noi, tal quale un fuoco acceso, "
Ci si fé l'aer, sotto i verdi rami,
E il dolce suon per canto era già inteso.
scompare, e quello invece durava e si facea più splendente. Ciò era
naturale, perchè era infatti un chiarore che si avvicinava dalla
parte di oriente.
t* Ed una melodia ecc. Prima la luce e poi la melodia, perche
la luce è più pronta e veloce del suono.
*s L'ardimento d'Eva. La quale non osservò il divino divieto, e
cosi fu causa ch'ella, e noi tutti, perdessimo le delizie del Paradiso
terrestre.
* e Non sofferse di ecc. 11 velo misterioso della ragione che avea Dio
per vietarle un frutto, ragione ch'essa dovea contentarsi d'ignorare
e di rispettare, li demonio l'attaccò appunto su questa ragione, sti-
molando così la sua curiosità, e poi ingannandola.
47 Mentr'io m'andava ecc. Dante guardava, ascoltava, ma anche
camminava, sebbene lentissimamente.
48 Dinanzi a noi tal ecc. Avvicinandosi Dante agli oggetti nuov
o gli oggetti nuovi a lui, quello che era chiarore comprende esserei
un fuoco acceso, e il dolce suono comprende essere un canto. Tutto
effetto della minor distanza degli oggetti.
«8 PURGATORIO
O sacrosante vergini, se fami, i9
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona ch'io mercè ne chiami. *
*°- Or convien ch'Elicona per me versi, *!
E Urania m'ajuti col suo coro, w
Forti cose a pensar, mettere in versi. n
Poco più oltre sette alberi d'oro u
Falsava nel parere il lungo tratto
Del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro
Ma quando i' fui sì presso di lor fatto, 1S
t? 0 sacrosante vergini.' Invocazione alle muse di uno speciale
aiuto rispondente all'altezza del nuovo soggetto. Invoca nou le pro-
fane, ma le sacre.
30 Ch'io mercè ne chiami. Ch'io implori il vostro soccorso in
premio delle fatiche sostenute per voi. Ne ho sostenute pel mio solo
poema 51 che m'ha fatto per più anni macro.
*l Ch'Elicona per me versi. Invocazione al giogo di Parnaso,
perché versi tutto il suo fiume per lui non dividendolo ad altri,
perch'egli ha bisogno di tutte quelle acque del fiume Pegasco, ossia
di tutto il valore poetico.
3* Urania. Musa delle cose celesti, come esprime il suo stono
nome, e musa principale, alla quale è soggetto il coro delle altre
muse. Trattandosi di cose celesti ottimamente s'invoca specialmente
questa musa.
33 Forti cose ecc. A concepir cose sì difficili ed a metterle in versi.
3* Poco più oltre ecc. Avvicinatomi più alla mete del monte nella
facciata di sud. (Vedi Tav. XII). — Sette alberi d'oro — Falsava eoe-
Costruisci cosi : Il lungo tratto del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro,
nel parere falsava setto alberi d'oro. Cioè: la distanza, che ancor
rimaneva tra me e quegli esseri luminosi, me li facea parere, falsa-
mente però, sette alberi d'oro. Intanto vediamo, che per la minor
distanza, quello che prima era un indistinto chiarore, e poi un fuoco
acceso, ora più distintamente appare essere sette alberi d'oro. Ma
non erano 3ette alberi d'oro, orano essi ben altro, ma per la di-
stanza pareano tali. Appresso, quando saranno vicini affatto, appa-
riranno quel che erano realmente.
33 Sì presso di lor giunto. Alla metà della facciata del monte
che guarda sud. (Vedi Tav. XII),
CANTO XXIX. 689
Che l'obbietto comun, che'l senso inganna, stt
Non perdea per distanza alcun suo atto; *7
La virtù ch'a ragion discorso a m manna **
W- Siccom'egli eran candelabri apprese,
E nelle voci del cantare, Osanna. w
Di sopra fiammeggiava il bello arnese *°
Fiù chiaro assai, che luna per sereno "
Di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno
Al buon Virgilio, ed esso mi rispose M
Con vista carca di stupor non meno.
Indi rendei l'aspetto all'alte cose,
Che si movieno incontro a noi sì tardi,
** Che l'obbietto comun ecc. L'obbietto comune è quello che una
cosa ha comune ad un'altra veduta a certa distanza. Per esempio
nel caso nostro i sette candelabri, quali erano veramente, sembravano
in distanza sette alberi d'oro, perchè tanto gli alberi d'oro, quanto
i candelabri lucenti paiono la stessa cosa in distanza, perchè hanno
lo stesso obbietto comune di rassomiglianza. Ognun vede poi che è
questo obbietto comune quello che inganna i sensi.
si Non perdea ecc. L'obbietto comune, non essendoci ornai che a
poca distanza, si ristringeva a far veder candelabri quelli che in più
distanza falsava per alberi.
*8 La virtù ecc. L'apprensiva che appresta la materia del discono
alla ragione.
29 E nelle voc> ecc. E apprese nelle voci prima confuse del can-
tare che quelle voci erano tanti Osanna.
30 11 bello arnese. Quei sette candelabri. Riserviamo al fine del
canto il senso mistico di tutto questo spettacolo religioso, per non
interrompere qui il corso della descrizione.
31 Più chiaro assai che luna ecc. La luna allora è più chiara quando
concorrono queste tre circostanze : 1 .* che il cielo sia sereno; 2.* che sia
in mezzo del cielo : 3.a che sia plenilunio; tutte circostanze notate qui.
32 Mi rispose. Non già che Virgilio abbia risposto con parole, ma,
come dicesi qui, colla vista piena di stupore. Virgilio rappresentante
della sola ragione, non può intendersi di queste cose, che sono sopr
ragione, e che appartengono a rivelazione.
630 PURGATORIO
6°, Che foran vinte da novelle spose. M
La donna mi sgridò : Perchè pur ardi u
Sì nell'affetto delle vive luci,
E ciò che vien di retro a lor non guardi ?
Gente vid'io allor, conTa lor duci. 35
Venire appresso vestite di bianco;
E tal candor giammai di qua non fuci.
L'acqua splendeva dal sinistro fianco, w
E rendea a me la mia sinistra costa, Z1
S'io riguardava in lei, come specchio anco. u
70« Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta, M
Che solo il fiume mi facea distante,
Per veder meglio a' passi diedi sosta ; 40
sa Novelle spose. Le spose quand'escono dal tempio, dopo la ce-
rimonia nuziale, hanno un passo assai lento, come si può vedere,
più che altrove nelle spose di contado. La verecondia n'è la causa
principale, oltre il corteggio, che si le arresta colle gratulazioni.
3* Sgridò. Non è in senso di rimproverò, ma di parlò forte.
33 Come a lor duci. Le sette fiammelle, in testa alla processione
che segue, erano le regolatrici del moto di essa processione. Le per-
sone, che vernano subito dopo le dette fiammelle, erano 24 seniori,
come si dirà appresso, ma qui si accennano perchè le prime vedute
dopo le sette fiamme.
36 Dal sinistro fianco. Dal sinistro fianco di Dante. Dunque li
sette candelabri colla processione erano alla destra del fiume.
37 E rendea a me ecc. S'intende da sé, che splendendo Tacqui
dalla parte di Dante, esso dovea specchiarvi^ col fianco sinistro.
38 Come specchio, anco. Tanta era la luce e la chiarezza dell'acqua
che questa gli scusava tersissimo specchio.
39 Ebbi lai posta — Che ecc. Ciò vuol dire che Dante ed i can-
delabri si raggiunsero, ciascuno dalla propria riva, l'uno in faccia
all'altro. Sicché candelabri e Dante erano giunti in mezzo alla fac-
ciata del monte che guarda sud.
*o A* passi diedi sosta. Si fermò dirimpetto ai can «Glabri, i quali non
sostarono, come Dante, ma continuarono il lento loro cammino. Solo al-
lora Dante potè vedere l'effetto che lasciavano indietro le fiammelle.
Prima Don pò tea. perchè vedea il dinanzi delle fiammelle non il di dietro
CANTO XXIX. 681
E vidi le fiammelle andare avante,
Lasciando dietro a sé l'aer dipinto, 4I
E di tratti pennelli avean sembiante;
Sì che di sopra rimanea distinto is
Di sette liste, tutte in quei colori, **
Onde fa l'arco il sole, e Delia il cinto.
Questi stendali dietro eran maggiori u
**• Che la mia vista, e, quanto a mio avviso,
Dieci passi distavan quei di fuori. "
Sotto così bel ciel, com'io diviso,
Ventiquattro seniori, a due a due, *
Coronati venian di fiordaliso, 47
4* Lasciando ditiro ecc. Le 7 fiammelle per tutto l'aere per col
passavano, lasciavano vìva traccia di sé stampandovi una lista lu-
minosa. Sicché non erano come le nostre fiammelle, che uoq lasciano
strisele luminose dopo di sé; esse avean la virtù d'imprimer nel-
Paria un effetto stabile, come un acceso tratto di pennello. Cosi
venivano a formare un padiglione di luce alla processione che sotto
incedeva.
tt Di sopra. Nell'aria, all'altezza delle fiammelle.
43 Tutte in quei colori — Onde ecc. Ogni lista avea sette colori,
o dell'iride, o dell'alone della luna.
44 Questi stendali ecc. Gli sette candelabri, con lasciar dietro
dipinta l'aria di sette striscie lucenti, venìano ad esser simili agli
stendardi, il drappo de' quali va sventolando indietro. Quelle striscie
lucenti si prolungavano oltre la vista, perchè dovendo essi coprire
tutta la processione, e la processione non essendo ancora spuntata
tutta dalla facciata d'oriente, Dante non ne potea vedere il fine.
(Vedi la mia Tav. XII, che bisogna aver sempre sottocchio, per
presentarsi alla mente, e goder meglio questa scena).
43 Dieci passi ecc. Fra le due liste estreme correva il tratto di
dieci passi. Era dunque un padiglione largo dieci passi, quanti ba-
stavano a coprire il corteo, anche dove era più largo, e sarà più
largo al punto del carro che vedremo.
46 Ventiquattro ecc. Ventiquattro venerabili vecchi dell'antico
Testamento, facilmente agiografi. — A due a due. Qui la processione
era ristretta.
4? Di fiordaliso- Di gigli.
U32 PURGATORIO
Tutti cantavan : Benedetta tue *•
Nelle figlie d'Adamo, e benedette
Sieno in eterno le bellezze tue.
Poscia che i fiori, e l'altre fresche erbette, 4*
A rimpetto di me dall'altra sponda,
0°. Libere fur da quelle genti elette,
Sì come luce luce in ciel seconda, 50
Vennero appresso lor quattro animali, 5i
Coronato ciascun di verde fronda. w
Ognuno era pennuto di sei ali, 5*
Le penne piene d'occhi ; e gli occhi d'Argo,
Se fosser vivi sarebber colali.
A descriver lor forma più non spargo
Rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne u
Tanto, che in questa non posso esser largo.
100. Ma leggi Ezechiel che li dipigne 53
*# Tutti canlavan. Ecco onde veniva la melodia, che da lontano
sentiva Dante. — Benedetta tue ecc., che sono parole di S. Elisa-
betta a Maria, ed a Maria vanno dirette anche qui.
*9 Poscia che i fiori ecc. Dopo che i 24 seniori mi trapassarono.
50 Sì come luce ecc Come appare in cielo una stella dopo uu'altra.
51 Quattro animali. Onde Dante li abbia presi, e che figura
avessero, lo dice appresso. (Vedi n. 05 e 50. Vedi pure in fine del
Canto il loro mistico significato).
52 DI verde fronda^ A differenza dei "24 seniori che l'avean candida.
M Di sei ali. Aveva sei ali sparse d'occhi come quelli della coda
del pavone, in cui Argo dai cen t'occhi, fu trasmuta to, secondo uarra
Ovidio nel XVI.
s* Ch'altra spesa ecc. Similitudine tratta dagli spenditori, che
non avendo da spendere che una certa somma determinata, in al-
cune cose secondarie sono più econonvei, e in quelle principali sono
più larghi.
N Ezechiel ecc. Le parole di E/.ochielo (Cap. I), Fono le seguenti :
Et vidi, et ecce ventus turbini* veniebut ab aqu<ì>nc, nubes magna
et igni* involvens .... Et ex medio ejus similitudo quatuor anima-
lium .... Simili ludo autem vultus porum facies hominis, et facies
Uonis a dextris ip&orum quatuor. Facies autem bovis a sinistrti
CANTO XXIX. 638
Come li vide dalla fredda parte
Venir con vento, con nube, e con igne;
E quai li troverai nelle sue carte,
Tali eran quivi, salvo ch'alle penne M
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne l7
Un carro, in su duo rote, trionfale,
Che al collo d'un grifon tirato venne. w
Ed esso tende a su l'una e l'alt r' ale M
110- Tra la mezzana e le tre e tre liste, *°
Sì ch'a nulla, fendendo, facea male. 6I
ìptorum quatuor, et facies aquilae ipsorum quatuor .Et facies eorum
et pennae eorum exientae desuper t duae pennae singulorum iun-
gebantury et duae tegebant corporei eorum.
36 .Me penne Giovanni ecc. Ezechiele ai suoi animali dà solo
quattro ale, S. Giovanni sei. Le parole di S. Giovanni, che prendo
un po' addietro; per far vedere onde Dante attinse una gran parte
di questa scena religiosa, sono le seguenti deWApoc, IV, 4: Et in
circuiiu sedis sedili a viginti quatuor, et super thronos vigiliti qua-
tuor seniores sedentes, circumamicti vestimenlis a Ibis, et in capi-
tibus eorum coronae aureae. Et de throno procedebant fulgura. et
voces et tonitrua et septem lampades ardente 8 ante thronum, qui
sunt septem spiri tus Dei, et in conspeclu sedis tamquam mare vi-
treum simile crystallo, et in medio sedis quatuor ammalia piena
oculis ante et retro. Et animai primum simile leoni, et secundum
animai simile vitulo, et tertium animai habens faciem quasi ho-
minis, et quartum animai simile aquilae volanti. Et quatuor ani -
malia: Ungula eorum habens alas senas: et in circuito, et intus
piena sunt oculis. et requiem non habebant die ac nocte dicentia:
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus omnipotens% qui erat} et
qui est, et qui venturus est.
57 Lo spazio dentro ecc. Lo spazio (nominativo).
ss Grifon. Mezzo uccello e mezzo leone.
59 L'una e Valtr'ale. Alt singolare di ali.
co Tra la mezzana ecc. Così che le due ali prendevano in mezzo
la lista luminosa mediana.
61 Sì eh* a nulla ecc. Le ali passavano sopra le liste lumiuose
senza toccarle o interromperle.
634 PURGATORIO
Tanto salivari, che non eran viste; w
Le membra d'oro avea quanto era uccello, M
E bianche l'altre di vermiglio miste.
Non che Roma di carro così bello 64
Rallegrasse Africano, ovvero Augusto;
Ma quel del sol saria pò ver con elio;
Quel del sol che sviando fu combusto, M
Per Torazion della terra devota, 66
6* Che non eran viste. Che non se ne vedeva il fine.
t* Le membra d'oro ecc. La parte superiore era uccello, e questa
parte era d'oro, il resto era leone, e questa parte era d'un misto
bianco e rosso, ossia color di carne umana.
M Non che Roma ecc. Paragona la bellezza di questo carro trion-
fale coi carri trionfali che fece Roma a Scipione Africano, cosi ap-
pellato dall'Africa, per lui domata, e ad Ottaviano Angusto, quando
trionfò tre giorni continui per tre conquiste diverse: e col medesimo
carro che i poeti fingono avere il sole, sul quale esso corre pel firma-
mento, e dice che quei tre carri sono una miseria a confronto di
questo.
68 Sviando. Per opera del presuntuoso Fetonte che lo guidava.
~ Fu combusto. Da un fulmine di Giove. Perchè il poeta al carro
del sole appone la circostanza del suo guasto in causa dello sviarsi,
e ciò per opera di Giove medesimo mosso alle preghiere della Terra,
circostanza che a prima vista parrebbe superflua? Perchè quel carro
è qui portato per similitudine d'un altro carro (quel della Chiesa)
che fu anch'esso guastato pel suo sviarsi da Roma in Francia, e
da altre cause avvenute prima, come toccherà il poeta nei Canti
seguenti. Sicché questa circostanza del guasto, che pareva superflua»
è invece conveniente al concetto, ed introdotta con avvedutezza am-
mirabile.
6G Per Voration ecc. La terra sentendosi ardere improvvisamente
per quel deviamento del carro del sole, pregò Giove di salvarla, e
Giove accondiscese : come dicesse : cosi, dietro le preghiere cristiane,
Dio colpirà de' suoi fulmini il carro della Chiesa sviato da Roma
in Francia da Clemente V, che nella similitudine verrebbe ad essere
il Fetonte del carro del sole. E evidente che il poeta alludeva, con
ciò alla morte di Clemente V, già avvenuta addi 10 aprile del 1314,
e quindi si conferma l'epoca reale della nostra Tav. X Purg. Dopo
CANTO XXIX. 685
12°- Quando fu Giove arcanamente giusto. *7
Tre donne in giro dalla destra ruota, 68
Veniali danzando; l'una tanto rossa,
Ch'a pena fora dentro al fuoco nota. fl9
L'altr'era, come se le carni e Tossa
Fossero state di smeraldo fatte; 70
La terza parea neve testé mossa: 7I
Ed or parevan dalla bianca tratte, 7*
Or dalla rossa, e dal canto di questa 78
la morte di Clemente V, in quel medesimo anno addi 29 novembre
avveniva pare la morte dell'empio Filippo il Bello, complice, anzi
primo autore tiranno, dello sviamento del carro della Chiesa, e perciò
il poeta ne parlerà da qui a poco nel Canto XXXIII del Purg.,
dove nei versi 44 e 45 unirà queste due morti. Ciò confermerà l'epoca
reale della nostra Tav. X anche per conto di Filippo, confermerà
cioè che il line del Purgatorio fu scritto dopo la morte di quel re,
e sotto l'impressione recente di essa.
67 Quando fu Giove arcanamente giusto. Fulminando lo stesso
figlio del sole, che veniva perciò ad essere suo nipote, e spezzando
in mille frantumi un carro tanto prezioso, mostrando così quanto
egli sia nemico della presunzione, e come per essa distrugge le cose
a lui p ù care, e come sia pronto a far giustizia agli innocenti dan-
neggiati dalla prepotenza, da qualunque parte essa venga. Questi
motivi, che guidarono Giove in quel castigo di Fetonte, fecero dire
al poeta arcanamente. (Rivedi le note 65 e 66 che ti serviranno
di guida all'applicazione della similitudine coll'assimigliato.)
68 Tre donne. Presso la destra mota, che è la più nobile, dan-
zavano. Qui la processione s'allarga: ecco il bisogno dei 10 passi
di padiglione.
69 Ch' a pena fora ecc. Il suo colore era tanto rosso, che si con-
fondeva con quello del fuoco; onde se fosse stata nel fuoco non si
sarebbe distinta.
70 Di smeraldo. Lo smeraldo è di color verde. Dunque V altra
era tutta verde.
71 La terza ecc. Era bianca come la neve testé caduta.
7* Dalla bianca tratte. Or parea, che la prima a muoversi e a
trar l'altre alla danza, fosse la bianca.
73 Or dalla rotsa. Or parea che fosse la rossa quella che principiaste
77
68* PURGATORIO
L'altre toglièn l'andare e tarde e ratte.
130. Dalla sinistra quattro facean festa, lk
In porpora vestite, dietro al modo
D'una di lor, ch'avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo, 75
Vidi duo vecchi in abito dispari, 7*
Ma pari in atto ed onestato e sodo.
L'un si mostrava alcun de' famigliari 7i
Di quel sommo Ippocrate, che natura
Agli animali fé' ch'eli' ha più cari.
Mostrava l'altro la contraria cura 79
14°- Con una spada lucida ed acuta,
Tal che di qua dal rio mi fé paura.
Poi vidi quattro in umile parata, *°
la danza, e traesse l'altre. — Dal canto di questa ecc. La sola delle
tre che cantasse, e che col canto di tempo largo o stretto, dirigesse
la danza, o celere o lenta, era la rossa.
74 Dalla sinistra ecc. Dalla sinistra ruota, che è la meno no-
bile, danzavano quattro donne. Tutte erano vestite di porpora. —
Esse facean festa, o danzavano; dietro al modo, secondo che ve-
deano fare a quella di loro che avea tre occhi in testa ; la quale
venia cosi ad essere la regolatrice della danza.
7« Appresso tutto. Dopo tutto questo gruppo di persone, e di cose
di che abbiamo trattato. Li due vecchi, in ordine di tempo, ven-
nero dopo i fatti rappresentati dalle persone e dalle cose sin qui
vedute; quindi si pongono dopo.
76 In abito dispari. Perchè l'un d'essi, come si dirà, dapprima
fu medico, e l'altro fu dapprima guerriero.
77 Onestato e sodo. Dignitoso e grave.
78 Alcun de' famigliari ecc. Alcun de' seguaci del famoso me-
dico Ippocrate, che natura (Dio) diede agli uomini che sono gli
animali, ch'ella ha più cari, perchè essendo dotati di ragione supe-
rano a gran pezza tutti gli altri.
79 Mostrava l'altro ecc. L'altro vecchio, stringendo una spada,
strumento di morte, mostrava avere intendimenti contrarli a quelli
di 1 vecchio suo compaguo.
80 Quattro in umile ecc. Quattro vestiti umilmente, poveramente.
CANTO XXIX. 6S7
E di retro da tutti un veglio solo 8I
Venir, dormendo, con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo M
Erano abituati; ma di gigli
Dintorno al capo non facevan brolo;
Anzi di rose, e d'altri fior vermigli:
Giurato avria poco lontano aspetto,
150- Che tutti ardesser di sopra dai cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto, M
Un tuon s'udì, e quelle genti degne u
Parvero aver l'andar più interdetto.
Fermandosi ivi con le prime insegne. 8*
si Un veglio solo. Chiudeva la processione un vecchio, che aveva
in sé due particolarità: la prima, che era dormiente sebben cammi-
nasse; la seconda, che aveva la faccia arguta, cioè una faccia che
mostrava di aver la mente assorta in altissima contemplazione, tal
quale la dovette avere quello sposo dei sacri cantici, che disse : Ego
dormio et cor mentri vigilai. Cantica V, 2.
82 Col primaio stuolo ecc. Coi 24 Seniori che vennero immediate
dopo i 7 candelabri e ch'erano vestiti di bianco. Questi ultimi sette
erano abituati con quelli, ossia vestiti come quelli ; solo differivano
nella ghirlanda intorno la testa, perchè in luogo di averla di gigli
l'aveano di roso ed altri fiori rossi, e tanto rossi, che a poca lon-
tananza, si sarebbe giurato che avessero una ghirlanda di fiamme
dai cigli in su.
83 E quando il carro ecc. Quando il carro fu in faccia a Dante,
ossia quando esso giunse alla metà della facciata di sud, dov'era
Dante. (Vedi Tav. XII).
tu Un tuon s'udì. Era queBto il segnale della fermata di tutta la
processione. Il fermarsi degli altri dipendeva dal fermarsi del carro.
M Con le prime insegne. Coi sette candelabri, o stendali. Tutti
si fermarono come si fermarono le prime insegne, che guidavano il
corteo.
ITO
PUKGATOBIO
APPENDICE AL CANTO XXIX
Senso mistico rispondente al letterale di tutte le cose
contenute in questo canto.
(A) La Chiesa cattolica e la tua oostituioae.
1
3
7
8
fi
SENSO LBTTBRALB
Matilde.
Matilde pronta ai bisogni di
Dante.
Matilde gode che Dante sia
puigato: Beati ecc.
Matilde conduce Dante da
ovest a sud.
Luce e melodia per la fo-
resta.
Dante rimprovera il peccato
d'Eva e le sue conseguenze.
Processione nel Paradiso ter-
restre.
Processione verso Dante, e
Dante verso processione.
SSNSO MISTICO CORBISPOXDBKTB
La vita attiva, o il ministro
ecclesiastico della vita at-
tiva.
La vita attiva, o il suo mi-
nistro, pronto al perfezio-
namento dell'anime.
La vita attiva, o il suo
ministro, gode degli avan-
zamenti delle anime dallo
stato di penitenti a quello
di profìcienti.
La vita attiva, o il suo mi-
nistro, conduce l'anima in
miglior parte, cioè alla so-
litudine, secondo quel detto :
Ducam eam in aolitudintm
et loquar ad cor ejus, dove
l'anima può abilitarsi dalla
vita purgativa alla illumi-
nativa. Il sud è miglior
plaga, ed è solitudine. Dan-
te riservò il sud al Parade
terr. (Vedi Tav. Vili).
Presagi dello stato felice che
si acquista da chi vera-
mente vuol passare dalla
purgativa alla illuminativa.
Deve sempre crescere 1* av-
versione al peccato in chi
vuol darsi a stato perfetto.
Chiesa cattolica cominciata
nel Paradiso teirestre.
La chiesa si muove verso
il fedele, e il fedele deve
muoversi verso la chiesa,
dalla qual sola può essere
abilitato a vita perfetta.
I
CANTO XXIX.
639
10
11
12
13
SENSO LBTT1BALB
Sette candelabri andanti da
sé e guidanti.
Dante specchia il sinistro suo
fianco, nell'acqua illuminata
dalla sua parte.
Li 7 candelabri fanno dietro
a bò e da sé il tetto o il
ciel della Chiesa.
14
Il cielo che copre la proces-
sione proviene immediata-
mente dai candelabri.
Sette liste, ciascuna con tutti
i sette colori dell'iride.
Queste sette liste sono più
luughe della vista.
SBKSO MISTICO COBBISPOXDBNTB
Lo Spirito Santo da sé sus-
sistente e moventesi co'suoi
sette doni, guida tutta la
Chiesa.
Dante guarda alla sua vita
passata nel peccato mostra-
tagli in tutta Ih sua nudità
dal lume dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo fa da sé
che sia immacolatamente
concetta Maria Vergine che
é il cielo della Chiesa, se-
condo il Gris. Ave coelum
loffie 12 sett.), e secondo
8 Germano: Toliu$ orbii
propitiatorium, coelumque
Dei gloriata enarrane (ul-
timo off. della Uoncez.) e
eecondo S. Epifanio: Ma-
ria roelum templum et
thronus Diviniiatis... Ave
gratta piena , quae et
iplendidum coelum. (Ult.
off. della Conce».) Questo
cielo contiene sotto di sé
tutta la Chiesa, secondo
S. Germano: Dei sumtni
Regis palalium, omnesque
hospitio recipiens. (TJltim.
off. della Concez.)
La grazia per cui Maria Ver-
gine é come il cielo che )
copre e difende la Chiesa
proviene immediatamente
dallo Spirito Santo.
Sette grazie singolari e tutte
eminenti e perfette fatte
dallo Spirito banto a Maria,
alla quale si applica quello
della Sapienza: Sapientia
a edificavi t sibi domum,
excidi t columnat $eplem.
Le grazie concesse a Maria
sono inarrivabili da mente
umana; oppure la prote-
zione di Maria sulla Chiesa
si estende dal principio del
mondo sino alla fine.
PURGATORIO
N.
15
SEX SO LE TI IH A LI
SRKSO MISTICO CORaiSPONDBXTB
Dieci passi disiano tra loro
Chi b nella Chiesa è sog-
le estreme liste.
getto ai IO ruin^ndamenli
adempiti da Maria SS. con
tutta la più gran perfezione.
IG
Ventiquattro seniori.
Agiografi e santi dell'antico
17
Questi 24 a due a due.
Mirabile accordo tra loro
nella dottrina 6 nella vita.
18
Questi 24 sono vestiti di
Purità e santità della loro
bianco.
vita.
19
Questi 24 sono coronati di
Purità e attutita della loro
gigli.
dottrina.
20
Questi 24 lodano una donna
Gli Mgkrgr.Uì dell' Antico
chiamandola Btnedetta lue
Testamento preconizzarono
Maria SS. e ne cantarmi
le glorie. Ma dov'è questa
donna, se poi non compa-
risce che Beatrice ? Questa
donna e nel cielo già de-
scritto, e queste parole ei
dicono jicr iIi.'Utiiiìiihv' '-he
coaa si volle intendere pel
cielo delle 1 liste. Le pa-
role dirotte a Beatrice, che
verrà poi, non sono queste,
ì
e non lo poasono ewra;
spentati J.tóano.cantaado,
Cauto XXX, v. 11, colle
qunlì sì fa a lei l'invito di
venire come infatti subito
dopo verri. Maria SS. era
già venuta. ;
21
Quattro animali a due a due.
Quattro evangeli concordi
tra loro. !
! 22
Questi quattro animali scn
Trionfo dell'Evangelio sui
coronati d'alloro.
vizj, e sugli errori.
La dottrina evangelica vola
•23
Questi quattro animali avean
ciascuno gei ali, a differenza
al passato, presente, e fu-
di quei d'Ezechiele, che ne
turo, a differenza della dot-
avi: vari soltanto quattro.
trina dell' Antico Testata,
che non dovea guardare il
! 24
Questi quattro animali aventi
Vista acuta della dottrina
penne tutte occhi.
evangelica, che tratti» dei '
più alti misteri.
Chiesa che trionfa colla sua
15
Carro trionfale tra i quattro
animali.
dottrina evangelica.
CANTO XXIX.
N.
.»«. UT..ML.
.„„»„™»c..,»om™
2G
Questo carro è su due ruote.
La Chiesa e sulla giustìzia
e sulla misericordia.
27
Questo carro fc tirato da un
La Chiesa e condotta da
grifone.
Il grifone ha due ali, che ai
Gesù Cristo.
28
Q. C. è il Verbo eterno vo-
elevano sino al cielo.
lato dal cielo a guidar in
per? un a la sua Chiesa.
Il Verbo etomo disceso dal j
29
Le al! sebbene passino per
il rido delle sette liste non
cielo in terra, ed incarna- .
le offendono.
tosi in Maria non ne offeso I
la virginità. Cosi al N. Il 1
abbiamo la Imm. Concez..
e qui abbiamo Maria Ver-
g'ne nel parto, e innanzi
al parto, e dopo il parto.
30
I.e ali passano pel mezzo
Il Verbo etemo passa pel 1
delle liste.
seno di Maria.
31
Queste duo ali tanto salgo-
Il Verbo eterno viene dal l
no, die non ne si vede il
Padre, infinitamente a noi J
fine.
lontano, percbfc Dio come :
il Padre.
32
Due nature del grifone, dì
Due nature in Cristo. Quella |
uccello e di leone.
d'uccello è la divina, ijiiella
di leone è l'umana. lYiyml;i |
prima e superiore, è d'oro. ;
[a seconda ed inferiore, è
leonina. Non prese per la
seconda altra carne che
quella del leone, peri ■!»' sic- !
come il leone e re degli
animali, cosi G. C. anche |
in quanto alla sua umanità '■
è re; Ego antera conflitti- ;
lui tutti rex ab to mper ì
Sioti moniti» luneium ejui. j
Asta B).
33
Tre dunne danzano dalla
Le tre più nubili virtù le teo-
ruota destra, o dalla ruota
logali, o infuse, ornano tri-
più nobile.
pudiane la Chiesa dalla sua :
parte più nobile.
31
Donna rossa.
La Canta.
, 33
Donna verde.
La Speranza.
36
Donna bianca.
La Pede-
37
La donna venie non è mai
La Speranaa non è mai la
la prima a damare, e a trar
prima ad essere infusa, e a
.l'altro olla danza.
trar seco l'altre.
33
É or la bianca, or la rossa
La Fede era la virtù che 1
che comincia la danza.
primeggiava prima di Gesù
642
PURGATORIO
N.
39
40
41
42
43
44
45
46
47
SKKSO LBTTIBALI
11 maggior o minor moto
della danza è sempre preeo
dal canto della rosea.
Qua tiro donne danzano dalla
ruota sinistra.
Queste quattro donne sono
vestite di porpora.
Una di queste quattro donne
ha tre occhi in testa e di-
rige le altre.
Due vecchi.
Questi due vecchi sono in
abito dispari.
Questi due vecchi sono pari
in atto, onestato e sodo.
L'uno ha ordigni medici, e
l'altro guerreschi.
Quattro altri in umile paruta.
SRXSO MISTICO COBRlSrONDlUVTB
Cristo. La Carità è la virtù
che primeggia dopo Gesù
Cristo.
Lo zelo con cui operano la
Fede e la Speranza è in ra-
gione della Carità.
Le quattro virtù morali Pru-
denza, Giustizia, Tempe-
ranza e Fortezza, ornano
anch'esse la Chiesa. Sono
inferiori in pregio alle teo-
logali, quindi stanno dalla
ruota sinistra.
Le quattro virtù u orali, dac-
ché si uniscono alla Chiesa,
acquistano molto più splen-
dore e dignità che non avean
dapprima.
Alla Prudenza appartiene di-
rigere le altre virtù sue so-
relle, e quindi dee avere oc-
chi per so, e per le altre.
S. Luca, in quanto è scrit-
tore degli Atti, e S. Paolo,
in quanto è scrittore di let-
tere ai popoli, Ebraico, Gre-
co e Romano.
S. Paolo meglio vestito che
S. Luca: egli superiore e
maestro, questi dipendente
e discepolo.
Tanto S. Paolo, quanto S.
Luca sono scrittori egual-
mente ispirati, e di eguale
autorità.
Luca era medico (Salutai vo$
Luca* medicu8> S. Paolo).
Paolo guerriero. Il primo
divenne medico dell'anime ;
il secondo guerriero contro
gli errori ed i vizi.
Sono quattro tra i primi pon-
tefici romani vissuti oscuri
nelle catacombe, e nominati
da Dante nel Canto XX VII
del Parad.y dicendo : E Si-
slo e Pio, Callisto e Ur-
tano. Sono in umile paruta
CANTO XXIX.
643
■R!
48
41)
'50
51
52
53
54
Un veglio.
Questo veglio è solo.
Questo veglio è dietro a j
tutti.
Quest'ali imo vecchio dorme.
Ila la faccia arguta o intel-
ligente.
Questi ultimi eette sono tutti
bianco vestiti come i 24 pri-
mi seniori.
Questi ultimi sette uon avrà-
ito in capo corone di gigli,
come i 24 primi, ma di rose
e di altri fiori vermigli.
8BJ*S0 MISTICO CORHISPOKDINTB
perchè da meno degli apo-
stoli. Vengono dopo S. Luca
e S. Paolo, perchè infatti
vissero dopo gli apostoli.
S. Giovanni Evangelista che
visse sino al 101 dell'era
volgare, e mori decrepito
di 90 anni.
S, Giovanni rimase solo degli
aposto i che morirono molto
prima. Questo era stato già
predetto da G. C.
Non perchè Giovanni fosse
inferiore a tutti, ma perchè
nella sua Apocalisse scrisse
gli avvenimenti futuri della
Chieia, sino alla fine del
mondo, e perciò egli incerto
qual modo viene a chiudere
1 óra della Chiesa militante.
S. Giovanni dormi sul petto
di G. C, ond'ebbe rivela-
zioni più che gli altri apo-
stoli.
8. Giovanni è paragonato
all'aquila per la elevazione
della sua mente. Il princi-
pio del suo Vangelo e VA-
poc aliate ne fanno fede.
Nessuno seppe decifrare an-
cora auest'ultimo libro.
La infallibilità della dottrina
del Nuovo Testamento, os-
sia la sua autorità, è pari
all'autorità dell'Antico, es-
sendo stati tutti inspirati
dallo Spirito Santo. Lo eon
anche i Papi quando par-
lano come capi della Chiesa.
Perchè nei Santi del Nuovo
Testamento spiccò la Ca-
rità pù che la Fede; o in
quelli dell'Antico spiccò la
Fede più che la Carità.
Perchè inoltre questi sette
furono martiri a differenza
dei 24 primi seniori. Per-
ciò dei 4 anzidetti Dante
644
PURGATORIO
55 II carro si -ferma in faccia a
Dante.
56 Al fermarsi del carro un
tuono dà il segnale per la
fermata di tutti.
81*60 MISTICO COHRISrO!tOEKTE
nel Canto XXVII del Par.
cantò: Ma per l'acquisto
d'esto viver lieto — E Si-
sto e Pio, Callisto e Ur-
bano — Sparser lo sangue
dopo molto fleto. Anche gli
altri tre si sa che furono
martiri. Cosi si prelude al-
l'epoca dei martiri durata
per 300 anni.
Perchè la Chiesa dee abilitar
questo purgato alla via il-
luminativa, che segue la
purgativa.
Perchè tutta la Chiesa con-
corre alla perfezione del-
l'anima, tanto la Chiesa
prima di Q. C- quanto
quella che fu con Q. C. e
dopo di G. C, formando
tutti e tre questi membri
un solo corpo di Chiesa.
CANTO XXX
Argomento.
Nel momento, che si fermarono i sette candelabri, li 24 seniori
si rivolsero tutti al carro. Un di loro intvonò un'antifona, che è
cantata tre volte da tutti. A quel canto una gran moltitudine di
angeli si levò in aria sopra il carro, cantando e spargendo fiori
d' ogni parte. In quella nube di fiori scese una donna. Dante
tenti ch'ella era Beatrice. Allora si volse a Virgilio per dirgli
lo spavento di quella vista, ma non vide più il suo Virgilio, che
poco prima era sparito , senza sua sapula, e si die al pianto. Al-
lora Beatrice, chiamalo Dante per nome, in tuono severo, gli disse
che riservi il suo pianto per altre cose più degne. Dante aitò gli
occhi a Beatrice, e la vide starsene dritta alla sponda sinistra
del carro, rivolta a lui. Qui Beatrice lo sgridò ironicamente, e
Dante abbassò gli occhi, ma vedendosi nell'acqua, e mal compor-
tando la vista di sé stesso, gli trasse all'erba. Allora gli angeli
cantarono un tratto del salmo 30: e dopo quel canto Dante si die
ad un dirottissimo pianto e singulto; e Beatrice ritiratasi alla
sponda destra del carro, narrò a tutti gli astanti, ascoltandolo
Dante, tutto il processo della vita colpevoli di lui, dopo la sua
partenza dalla terra, e quanto ella fece per richiamarlo sul buon
sentiero senza venir mai corrisposta. Finalmente Beatrice espose
d'esser 8 i appigliata all'ultimo partito, di scendere all'Inferno, e
di pregar, piangendo, Firgilio, che lo conducesse sino a quel punto
passando per V Inferno. Beatrice chiuse le sue parole dicendo esser
decreto di Dio, che prima che Dante abbia a passar Lete, egli
dee piangere i suoi traviamenti,
(B) I mirabili effetti della Chiesa Cattolica tulle anime,
il maggior de' quali è la confeition publioa in perfetto grado.
NO. Vedi tulli i cascllini di questo Canto nella Taf. X Purg . e la Ta?. XII Purg.
446 PURGATORIO
Quando il settentrion del primo cielo, *
Che né occaso mai seppe nò orto, 3
Nò d'altra nebbia, che di colpa velo, *
E che faceva 11 ciascuno accorto 4
Di suo dover, come il più basso face
Qual timon gira per venire a porto,
Fermo s'affisse, la gente verace, 8
Venuta prima tra il Grifone ed esso,
* Il settentrion. I sette candelabri. Li chiama col nome di set-
tentrione dalle nostre sette stelle dell'orsa, che a noi non tramontano
mai per la loro elevazione, ma si aggirano intorno ad una di loro
che è il polo sempre fisso, e guardato però dai naviganti per loro
norma. Chiama poi li sette candelabri col nome di settentrione per
rufficio che fanno di guidar la Chiesa, come il nostro settentrione
guida i marinai. — Del primo cielo. Del cielo., empireo, dove abita
lo Spirito Santo (che è Dio) rappresentato qui da questi sette can-
delabri. La terza persona della Ss. Trinità, Dio, come il Padre ed
il Figliuolo, in cielo è lo Spirito Santo, nella sua Chiesa è il settem- '
plice lume, per i sette suoi doni, di cui è largo alla Chiesa.
* Che né occaso eofeA somiglianza del nostro pettentrione. Lo
Spirito Santo siccome Dio immenso, infinito, eterno, non ebbe mai
né nascita, né tramonto.
* Né d'altra nebbia. Lo Spirito Santo, dacché guidò la Chiesa,
cominciata nel Paradiso terrestre, non vide in ter porsi tra lui e la
Chiesa, sua guidata, nebbia d'altra sorta che di colpa. Accenna alla
colpa dei nostri progenitori prendendo similitudine dalla nebbia ma-
teriale, che s'interpone talora tra noi e il settentrione, per cui ci
resta nascosto allo sguardo. Ma come tra noi la nebbia materiale
non offende le sette stelle del polo e solo offende noi, cosi la nebbia
spirituale del peccato non offese lo Spirito Santo, ma solo la Chiesa,
o più veramente la umanità, tra la quale e lo Spirito Santo per il
peccato Adamitico si stese il velo della colpa. Immensi pensieri!
4 E che faceva lì ecc. Vedi la nota 1.* Allo Spirito Santo ap-
partiene guidar la Chiesa, ed i suoi vari movimenti.
5 La gente verace. Li 24 seniori dell'Antico Testamento, che de-
vono rivolgersi al Nuovo, dove in G. C. si appuntano lor desideri
e speranze.
CANTO XXX. 647
Al carro volse so, come a sua pace:
10- E un di loro, quasi dal ciel messo,
Veni, sponsa, de Libano, cantando, 6
Gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando 7
Surgeran presti ognun di sua caverna, 8
La rivestita voce alleluiando; 9
Co tali, in su la divina basterna, 40
Si levar cento, ad vocem tanti senis} u
Ministri e messaggier di vita eterna.
Tutti dicean: Benedictus qui venis; "
2°. E, fior gittando di sopra e d'intorno,
6 Veni sponsa ecc. Parole dirette a Beatrice, quale rappresen-
tante della Rivelazione, la qual Rivelazione è messaggera di Maria.
Sicché gli onori, che si fanno con questo invito a Beatrice, rica-
dono su Maria, la quale fu quella che placò la collera di Dio contro
Dante, e che mandò Beatrice a salvarlo (Vedi il Canto II dell' In f.,
dal verso 52). Badate bene, di non confondere la direzione delle
lodi dell'altro Canto: Benedetta tue ecc,, colla direzione dì queste.
Quelle veramente andavano a Maria, perchè di lei, ossia del cielo
della Chiesa colà si parlava, e infatti esse s'in tuonano appena nomi-
nato il cielo: Sotto così bel ciel ecc.; queste invece, vanno dirette a
Beatrice, perchè di Beatrice qui si parla, la quale è in sul comparire.
7 Al novissimo bando. Allo squillo dell'angeliche trombe, che in.
fine del mondo faranno risuscitare i morti.
8 Di sua caverna. Di sua sepoltura.
• La rivestita ecc. Ablativo assoluto. Mentre la voce riacquistata
da quei corpi coll'anima intuonerà cantici d'alleluia.
W Basterna. Carro dignitoso e grave. Era quello su cui le Ve-
stali portavano in processione le cose sicre. È divina, perchè a il
carro della Chiesa opera divizia.
*t Si levar cento Ministri. Si levaron per l'aere al di sopra del
carro moltissimi angeli. — Ad vocem tanti senis. All'invito di quel
seniore.
1* Benedictus qui venis. Sono parole prese dagli evviva che fe-
cero gli Ebrei al solenne ingresso di Cristo in Gerusalemme. Chi
le dice rivolte a Dante, chi a Beatrice: io credo che né a Beatrice
648 PURGATORIO
Manibus o date Mia plenis. iZ
lo vidi già nel cominciar del giorno u
La parte orientai tutta rosata,
E l'altro ciel di bel sereno adorno,
E la faccia del sol nascere ombrata,
SI che per temperanza di vapori
L occhio lo sostenea lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva, "
30- E ricadeva giù dentro e di fuori, *6
Sovra candido vel cinta d'oliva, l7
Donna m'apparve, sotto verde manto, l8
Vestita di color di fiamma viva. i9
nò a Dante, ma al Grifone, figura di G. C, al quale inneggiano
dopo di aver inneggiato a Beatrice, ossia Rivelazione, che da Cristo
dipende.
13 Mani bus ecc. Parole prese da Virgilio per la solennità del-
l'esequie di Marcello nel VI. Sono un omaggio al Grifone ed a
Beatrice.
u lo vidi già ecc. Similitudine per dire come se gli presentò
Beatrice. Come si vede il sole nascere in un ciel rosato, e come
allora si può mirarlo per un pò* di vapori che l'adombrano; così
m'apparve allora una donna.
*3 Saliva. Gli angeli spargevano in alto, verso Beatrice, i loro
fiori, come si fa quando s'incensa al Venerabile.
iti Dentro e di fuori. Dentro delia basterna e di fuori da essa.
<7 Sovra candido ecc. Beatrice aveva in testa e giù per la faccia
un candido velo, e sovra questo era cinta di un ramo d'olivo, segno
di pace.
*& Sotto verde manto. 11 munto, o mantello, è un gran drappo
sovraposto alla tonaca, che si portava dagli antichi con un tal quale
ordine disordinato, che dava maestà e grazia. Questo di Beatrice
era verde.
*9 Vestita ecc. La tonaca, o la vera veste, era rossa come la viva
fiamma. Cosi Beatrice aveva il velo bianco, il manto verde, la gonna
rossa. Così eli' era vestita delle tre virtù teologali.
CANTO XXX. 649
E lo spirito mio, che già cotanto *°
Tempo era stato, ch'alia sua presenza
Non era di stupor tremando affranto, *l
Senza degli occhi aver più conoscenza, M
Per occulta virtù che da lei mosse, M
D'antico amor senti la gran potenza. n
40- Tosto che nella vista mi percosse M
L'alta virtù, che già m'avea trafitto K
Prima ch'io fuor di puerizia fosse,
Volsimi alla sinistra col rispitto *7
Col quale il fantolin corre alla mamma,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto, **
Per dicere a Virgilio: Men che dramma59
20 Cotanto tempo ecc. Dieci anni, dal 1290, epoca della morte di
Beatrice, al 1300.
21 Stupor. Della sua bellezza. — Tremando affranto. Per tre-
mito d'amore e di riverenza.
22 Senza degli occhi ecc. Non avendo più conoscenza de* suoi
occhi, o non conoscendola agli occhi per esser velata.
£3 Per occulta virtù ecc. Ma facendosi ella stessa a me sentire
senza ch'io sappia come.
a* D'antico amor ecc. Il mio spirito fu tutto invaso dalla gran
forza dell'antico amore.
23 Nella vista mi percosse ecc. Tosto che quella donna, o l'alta
sua virtù, mi colpì gli occhi.
26 Che già mf avea trafitto ecc. Che m*avea di sé innamorato
quand' io contava soli 9 anni.
27 Alla sinistra. Virgilio stava prima un po' indietro alia sinistra
di Dante, ed alla destra Stazio. (Vedi Tav. XII PurgX
28 Quando ha paura. Come Dante avea paura di Beatrice, sa-
pendo d'aver condotto una vita poco gradevole a lei. Questa simi-
litudine, collocata nel punto dell'abbandono di Virgilio, ingrandisce
nel concetto il dolore che Dante dovette provare al primo accor-
gersi d'aver perduto Virgilio, e cosi si dispone assai bene il colpo
di scena che verrà.
29 Men che dramma ecc. Lo sconcertarsi del sangue per un im-
peto di grandi affetti, i poeti lo dicono il tremar del sangue.
650 PURGATORIO
Di sangue m' è rimasta che non tremi;
Conosco i segni dell' antica fiamma. w
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi31
50. Di sé, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio, a cui per mia salute diurni : w
Né quantunque perdeo V antica madre, M
Valse alle guance nette di rugiada, "
Che lagrimando non tornasser'adre. 8S
Dante, perchè Virgilio se ne vada, **
so Conosco i segni ecc. Sento dentro di me che questa è colei
di cai arsi un tempo, sonto ch'eli' è Beatrice-
si Ma Virgilio, Ma Virgilio non e' era più. Notate l'affetto e la
pietà che ispira questa terrina. Non ci fu mai ripetizione usata tanto
a proposito, quanto questa. Virgilio è partito, perchè la Ragione
cessa dove comincia la Rivelazione. Fin che c'era Matilde sola
Virgilio ci stette sebben taciturno. Ora che è venuta con Beatrice
la Rivelazione, la pura Ragione ha da cessare del tutto, corno impo-
tente ad aiutare.
** A cui per mia salute dièmi. Al quale Beatrice mi consegnò,
(Inf., Canto II) per ravviarmi a salute.
** Né quantunque ex e. Nò tutte le delizie ch'Eva perdette, e ch'io
allora godeva, mi poterono frenar dal pianto pel dolore di tanta perdita.
3i Nette di rugiada. Ch'erano state pulite e lavate di rugiada
da Virgilio stesso alle radici della montagna, Pntg , Canto I : Va
dunque e fa ecc. — Quando noi fummo dove la rugiada ecc. A
quei passi Dante allude in questo luogo ; ed è bellissimo il ricordar
qui il paterno servigio, che con tanto amore gli prestò Virgilio. Chi
intende nette di rugiada per nette di lagrime, o asciutte, toglie
il vero e graziosissimo senso di queste parole.
33 Che lagrimando non torna$ser adre. Che colle lagrime anco*
si lordassero. Le lagrime correnti per le guancie le lasciano succide,
e attaccatele (adre o atre). Dice tornassero , alludendo al bisogno
ch'egli ebbe di pulirne la faccia colla rugiada alle falde del Pur-
gatorio. Anche questo tornasser prova la verità della mia interpre-
tazione nella n. 34. Come infatti potrebbe il poeta dire tornassero,
se col verso antecedente non alludesse alla prima pulitura fatta da
Virgilio colla rugiada?
36 Dante, perchè ecc. Dante, per questo che Virgilio, ecc. Pa-
role di Beatrice a Dante.
60.
CANTO XXX. 661
Non pianger anco, non pianger ancora; *7
Che pianger ti convien per altra spada. **
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora 89
Viene a veder la gente che ministra
Per gli altri legni, ed a ben far la incuora,
In su la sponda del carro sinistra, *•
Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si registra, 4I
Vidi la donna, che pria m'appario
Velata sotto l'angelica festa, 41
Drizzar gli occhi ver me di qua dal rio.
Tuttoché il vel, che le scendea di testa,
Cerchiato dalla fronde di Minerva, **
Non la lasciasse parer manifesta;
ti Xan pianger a\>co ecc. Ripete la proibizione per pungerlo mng-
glormentf».
38 Che pianger ti convien ecc. Ti convien piangere per altre per-
dite molto più gravi.
39 Ammiraglio. Duce supremo d'un infero naviglio. — Che in
poppa ed ecc. Che sale ora in poppa, ora in prora della sua nave
ammiraglia, per veder come si diportino i suoi soldati sparsi per
gli altri legni, e colla sua presenza li anima al valore. Chi legge
altri e chi alti. Pare* che altri quadri meglio, perchè come Tarn-
miraglio guarda fuori della sua nave alle altre navi dalla sua dipen-
denti, così Beatrice guarda fuori del suo carro a Dante da lei
dipendente.
*o Sinistra. Porche la sinistra era quella dalla parte di Dante.
(Vedi Tav. XII). Trattandosi poi che Dante dee esser qui rimpro-
verato per mala vita, la sinistra ha un senso mistico molto adatto.
u Che di necessità ecc. Chiede scusa d'essersi nominato, non es-
sendo cosa dicevole parlar di se stessi senza necessità. Per altro si
osservi che Dante si nomina in un momento che è rimproverato
qual reo.
** relata sotto ecc. Sotto il velo di tanti fiori, che a mani piene
spargeano gli angeli.
*3 Dalla fronde di Minerva. Dalla ghirlanda di olivo, come ve-
demmo. L'olivo 6 sacro a Minerva.
652 PUKGATORIO
70- Regalmente, nell'atto ancor proterva, u
Continuò, come colui che dice, 4*
E il più caldo parlar dietro riserva : M
Guardami ben : ben son, ben son Beatrice : 47
Come degnasti d' accedere al monte ? w
Non sapei tu, che qui è l'uom felice? 49
Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; *°
Ma veggendomi in esso i trassi all'erba: 5I
** Regalmente ecc. In maestà regale e in atto severo, cose tutte
che si vedevano in lei, sebben velata.
Dice ancor , accennando alla severità delle sue prime parole:
Dante, perchè Virgilio se ne vada ecc.
45 Continuò. Continuò il discorso incominciato con quella terzina:
Dante, perchè Virgilio ecc.
46 E il piU caldo ecc. Mostrandosi sempre più severa, dicendo
dopo cose più forti di prima.
47 Guardami ben ecc. Dante guardava Beatrice, e aguzzava
Tocchio in lei per ravvisarla più che potesse di sotto al velo. Di
qui Beatrice prende cagione per appiccare una seconda castigatola :
dicendo: guardami ben, lo rimprovera perch'abbia tanto ardir di
guardarla, dopo d'averne per tanto tempo dimenticato gli esempi
e le insinuazioni.
Ben son, ben son. Queste ripetizioni sono tante stoccate. —
Beatrice. L'espressione di questo nome, UDa volta si caro, è per
sé stesso un cumulo di rimproveri.
48 Come degnasti ecc. Acerba ironia. Dante avea fatti già passi
235 dall'orlo del Paradiso terrestre al fiume Lete, come si vede nella
Tav. XI; e poi altri 100 passi circa di giro per esso dalla metà
della sua facciata d'ovest, alla metà della sua facciata di sud, come
si vede nelle due Tav. XI e XII. Pure Beatrice dice solo accedere,
per continuar meglio la ironia del degnasti, per cui bisognava ado-
perare un verbo che indicasse il meno possibile,
49 Non sapei tu ecc. La trafittura di questa ironia mena sangue
a rivi. È come Beatrice gli avesse detto : Tu che hai paura d'esser
felice, e che godi d'essere infelice pel tuo peccato, perchè venir qui
dove sai che regna felicità ed innocenza?
so Gli occhi mi cadder ecc. Per la vergogna d'essermi meritato
quell'acerbo rimprovero.
M i" trassi, ecc. Li trassi all' erba. Trassi gii occhi all'erba per non
CANTO XXX. C53
Tanta vergogna mi gravò la fronte.
Così la madre al figlio par superba,
80- Com'ella parve a me; perchè d'amaro 5*
Sente il sapor della pietate acerba.
Ella si tacque, e gli angeli cantaro 58
Di subito: In te, Domine, speravi;
Ma oltre pedes meos non passaro.
Sì come neve tra le vive travi u
Per lo dosso d' Italia si congela 55
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi; M
Poi liquefatta in sé stessa trapela, b7
Pur che la terra, che perde ombra, spiri,
veder nello specchio dell'acqua la mia confusione. / è la vera le-
zione, e non io, perchè Dante allor non si messe; ma mosse solo
gli occhi. / legge anche il cod. Fontaniano del Seminario di Verona.
32 Perchè d'amaro — Sente ecc. Per questo che il sapor della
pietà che puoge sa di amaro.
53 Ella si tacque. E per dar tempo alla salutare vergogna di
Dante, a pentirsi sempre più della sua mala vita passata, cosa ne-
cessaria prima di ammetterlo alla via illuminativa, e per lasciar
campo agli angeli, sospesi per aria intorno a lei, di cantare quella
bellissima preghiera del Salmo 30, che i SS. Padri, dice Martini,
appropriarono a Cristo ed alla sua Chiesa perseguitati, e che gli
ascetici, in senso tropologico, adattano air anima che in Dio con-
fida per essere liberata dai suoi spirituali nemici. Gli otto primi
versetti del Salmo, che si chiudono colle parole pedes meos, com-
prendono la preghiera per essere liberato dai mali, e la sua csau*
dizione, per cui non occorreva cantar più oltre.
8* Vive travi. Alberi delle foreste.
33 Per lo dosso a" Italia. La catena degli Apennini, che formano
il dosso d'Italia da nord a sud.
36 Balli venti Schiavi. Da quei venti che vengono di Schiavonia,
paese all'oriente dell'Adriatico.
37 Poi liquefatta ecc. Poi dentro a sé stessa liquefatta dal sei-
rocco, che spira da mezzodì, dove la terra perde ombra, perchè
essendo il sole perpendicolare, o quasi, l'ombra che getta dei corpi,
- è poca o nulla, essa trapela o goccia giù dai rami degli alberi.
634 PURGATORIO
90- SI che par fuoco fonder la candela;
Cosi fui senza lagrime e sospiri b8
Anzi il cantar di quei che notan sempre 59
Dietro alle note degli eterni giri.
Ma poi che intesi nelle dolci tempre co
Lor compatire a me, più che se detto 6I
Avesser: Donna, perchè sì lo stempre? 62
. Lo gel, che m'era intorno al cuor ristretto, 63
38 Coti fui senza lagrime ecc. Dante prima di passare alla via
illuminativa, che è più perfetta della purgativa testé compita, dee
rinnovare con maggior perfezione, sotto la guida di Matilde, o di
Beatrice, esseri divini, tre atti perii perfetto pulimento dell'anima,
quali sono vergognarsi, pentirsi, confessarsi. Di questi tre atti, il
primo fu già eseguito. (Vedi la mia nota 51 di questo Canto). Qui
si eseguisce il secondo, che è il pentirsi. Da qui a un poco si ese-
guirà anche il terzo. In questa terzina vuol dire: Cosi io fui duro
come la neve agghiacciata, prima che gli angeli cantassero quel
salmo. Il canto ecclesiastico ha per istituzione sua propria tra gli
altri fini anche quello di disporre ad ammollire il cuore doi pecca*
tori. Perciò nella missioni si fa precedere sempre il canto, perchè
questo dispone l'anima a calma e tranquillità, e la prepara ad ascoltar
volentieri la voce di Dio.
59 Di quei che notan sempre — Dietro. Degli angeli che can-
tano dietro quelle note musicali medesime (notan) che fanno pure
le sfere girando, il qual suono è effetto dalle altissime intelligente
angeliche date da Dio a movitrici dei Cieli, secondo quello che si
tenea pegli Antichi.
tt> Selle dolci tempre. Nelle dolci armonie del salmo.
6< Lor compatire a me. Il lor compatire a me, perchè quel salmo
sono gli sfoghi di un'anima che tutta in Dio si affida nei propri
bisogni, e pericoli, e lo ringrazia di averla salvata.
W Perche si lo slempre? Perchè tu, o donna, coi tuoi rimpro-
veri lo tratti come un'anma dura, mentre è tutto liquefatto di do-
lore delle sue colpe? Non c'è nessuna opposizione tra gli angeli e
Beatrice, ma è Dante, o il peccatore medesimo, che per voglia di
veder placata la sua corretrice, vede in quel canto una raccoman-
dazione a suo favore.
&J Io gel che ecc. Applica il suo caso alla similitudine della neve
CANTO XXX, 655
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
Per la bocca, e per gli occhi uscì del petto,
too. Ella, pur ferma in su la destra coscia64
Del carro stando, alle sustanze pie M
gelata. Dante era gelo, perchè ancor non piangeva e sospirava, ma
dopo il canto, il gelo si mutò in sospiri e lagrime — ^Spirito ed
acqua fessi), che traboccarono per la bocca i sospiri, i singulti, e
i gemiti, e per gli occhi le lagrime. Ecco eseguito anche il secondo
atto, che è pentirsi. Resta il terzo che è confessarsi.
<>l Ella pw férma ecc. I commentatori veggono qui una con-
traddizione. Dante avea detto poco fa che Beatrice stava In su la
sponda del carro sinistra, ed osa ci dice ch'ella sta sulla destra.
Per aggiustarla, il Bianchi sostituisce (forse sull'autorità del codice
Marciano, N. 276, classo IX, che legge detta), alla voce destra, la
voce detta, e cosi cangia la destra in sinistra, e suppone che Bea-
trice non si sia punto mossa dal suo posto. A me pare che la cosa
sia tanto chiara da non esserci bisogno alcuno né di questionare,
né di mutare. Dante dice che Beatrice come prima era ferma sulla
sinistra coscia del carro, ora é pur ferma, ma sulla destra. Che
contrassenso e' é qui ? Se era sulla destra, dunque ella s' era riti-
rata a quella parte. Ma c'era bisogno di ritirarsi alla destra? Ap-
punto, perchè come prima per parlare a Dante, che Pera sotto,
ragion voleva che stesse sulla sinistra sponda, cosi ora per parlare
agli angeli, che le stanno sopra sospesi, ragion vuole che si ritiri
alla destra per avere cosi almeno un poco avanti di sé il suo udi-
torio. Appunto a questo mutarsi di luogo accennava Dante nella
similitudine dell'ammiraglio, che va in poppa ed in prora. Quella
similitudine ha qui il suo compimento. Il senso dunque vuol destra
e non detta o sinistra; e cosi legge il cod. Fontani ano del Semi-
nario di Verona. Ma come potea saper Dante che Beatrice s'era
ferma sulla destra del carro, egli che ttne% gli occhi all'erba per
la vergogna? Rispondo: lo potea raccogliere benissimo dal suono
della voce che sentia essersi da lui allontanato alquanto. Sebbene
il codice Marciano sopracitato, sia de' più riputati che esistano, tut-
tav'a non è qui da seguire, ma invece è da seguire la lezione del
codice L, Catalogo Zanetti, che si trova nella Marciana medesima,
e legge: destra.
65 Alle sustanze pie — Volse ecc. Questo appello di Beatrice agli
angeli, raccontando loro la ingratitudine di Daute ai favorì divini,
656 PURGATORIO
Volse le sue parole così poscia:
Voi vigilate nell'eterno die, 66
SI che notte, né sonno a voi non fura
Passo, che faccia il secol per sue vie:
Onde la mia risposta è con più cura, 67
Che m'intenda colui che di là piagne,
Perchè sia colpa e duol d'una misura.
vNon pur per ovra delle rote magne, M
110- Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
Secondo che le stelle son compagne ;
Ma per larghezza di grazie divine, 69
Che sì alti vapori hanno a lor piova, 70
è tolto da Geremia, II, 12, 13, dove si dice: Obstupescite coeli
super hoc, et porlae ejus desola mini vehementer, dicit Dominua.
Duo enim mala ftc'it pjpulus meus: me dereligwrunt fontem
aquae viva e, et foderunt sibi cisternasì cisternas dissipata*, quae
eontinere non valcnt aquas.
66 Voi vigilale ecc. Voi sapete tutto perchè sempre vegliate nel
Paradiso empireo innanzi a Dio che tatto sa, e in cui voi tutto
vedete, che fa il mondo.
67 La mia risposta. La risposta che faccio al vostro salmo di
compassione, non è per informar voi dell'avvenuto, ma perchè prenda
un maggior dolore, e tanto che risponda alla colpa colui che di là
piagne. Dire colui che di là piagne^ e non appellarlo dal suo nome
è una nuova stoccata.
68 JV<m pur per ovra ecc. Qui comincia il processo della vita di
Dante, fondato sui benefici di natura, e di grazia a lui largiti, e
sulle sue ingratitudini. Comincia qui dai benefici di natura, quali
sono indole egregia, e ingegno sommo, che secondo il pensare del
medio evo, si fanno provenire dal giro dei cieli, che comunicano
al soggetto gli influssi loro propri secondo la destinazione del sog-
getto stesso, mediante la varia combinazione delle stelle zodiacali.
69 Ma per larghezza ecc. Non solo per abbondanza di doni na-
turali, ma anche per abbondanza di doni soprannaturali.
70 Che sì alti vapori ecc. Dei quali doni soprannaturali non si
sa la ragione, perchè è nascosa nella profondità dei giudizi di Dio
che li dà a chi. quando, e come vuole, sì che gl'intelletti creati uon
CANTO XXX. 657
Che nostre viste là non van vicine;
Questi fu tal nella sua vita nuova 7i
Virtualmente, ch'ogni abito destro 72
Fatto averebbe in lui mirabil pruova. 73
Ma tanto più maligno, e più Silvestro74
Si fi il terren col mal seme, e non colto,
12°- Quant'egli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto;73
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco il menava in dritta parte volto.
ne Sanno il perchè. La fci mi li tu dine dei vapori e della piova, per
iudicare la impenetrabilità di questo mistero, è bellissima. La piova
ò effetto di una causa naturale, che sono i vapori ; così la infusione
delle grazie soprannaturali è effetto d' una causa soprannaturale. Nella
piova di natura si vede e si conosce la causa, perchè le nostre viste
vi possono andar vicine; ma nella piova soprannaturale la causa
non si vede e non si conosce, perchè fin là non giungono le nostre
deboli viste.
71 Sella sua vila nuova ecc. Nella sua prima età, nella puerizia
fu si arricchito di buone disposizioni naturali e soprannaturali.
72 Ogni abito destro. Ogni abito buono, ogni buona disposizione
che gii fu largamente concessa.
73 Fatto averebbe. ecc. Colla sua coopcrazione ad ogni abito buono,
l'abito buono avrebbe reso frutti ammirabili.
74 Ma tanto 2)ih maligno ecc. Il terren che ha buon vigor ter-
restro, ossia il terren buono è qui posto a significare l'animo ar-
ricchito a dovizia di doni naturali e soprannaturali. Ciò posto, ecco
la similitudine: come il buon terreno diventa terren cattivo non
coltivandolo, o seminandolo di mal seme, così l'animo buono diventa
cattivo lasciandolo inoperoso,, o facendogli operare il male. Anzi vi
ha di più; che come la stessa bontà del terreno influisce a farlo
diventar peggiore di ogni altro terreno, non coltivandolo, o semi-
nandolo di mal seme, cosi la stessa bontà dell'animo, abusata, o per
mema, o per atti malvagi, influisce a farlo diventar peggiore di
tutti gli altri che non ebbero quei doni,
7* Alcun tempo il sostenni ecc. Beatrice, come sappiamo, consi-
derata quale vivente, è simbolo della filosofia, e quale beata è simbolo
della Rivelazione con tutte lo sue dolci attrattive. Alle prime allude
43
#
658 PURGATORIO
SI tosto come in su la soglia fui 7e
Di mia seconda etade, e mutai vita,77
Questi si tolse a me, e diessi altrui. 78
Quando di carne a spirto era salita, 79
E bellezza e virtù cresciuta m'era, M
qui Beatrice Dice dunque che Dante, buono virtualmcutc iu pue-
rizia, fu buono anche per atto nella sua gioventù per merito di lei,
che invaghitolo delle sue bellezze intellettuali e filosofiche, per essa lo
guidava al bene, perchè la stessa Filosofia indegna all'uomo a vivere
virtuosamente. Questo è il soggetto del Convito.
76 In su la soglia fui — Di mia secondi elade. Appena io fui
uscita di puerizia, e fui in sull'ingresso della gioventù. Beatrice,
vivente e fanciulla di puerizia, è la Filosofia. Ottimamente; perchè
infatti la Filosofia, in confronto della Rivelazione, è una maestra
fanciulla e ancora in puerìzia. Invece Beatrice, beata, e giovane
matura, e la Rivelazione.
77 E mutai vita. Beatrice mori in sull'ingresso della gioventù.
Da quel punto in poi Beatrice non è più la rappresentante delU
Filosofia, ma per esser ita a bearsi di Dio, è divenuta rappresen-
tante della Rivelazione. I due personaggi sostenuti da Beatrice,
secondo le varie epoche, non sono in nessun luogo meglio chiariti
che in questo.
78 Questi si tolse a me. Non intender qui il matrimonio di Dante
con Gemma Donati, che nulla ha da fare col senso voluto da Dante;
né intender nemmeno che Beatrice si lagni con Dante d'essersi dato
agli studi teologici, abbandonati i filosofici ; che neppur questo ha
da fare c>l nostro senso, anzi sarebbe contrario al nostro senso,
perchè ripugna che la Rivelazione si lagni che altri studi la Teo-
logia, dalla quale, meglio che dilla Filosofia, si può apprender a
viver bene, e la quale è la scienza della Rivelazione. Intendi in-
vece, che Dante, abbandonata la virtù che gì' insegnava la Filosofìa
per mezzo di Beatr ce vivente, in luogo di darsi subito alla Teo-
logia, che era la scienza di Beatrice beata, si diede a parteggiare
e a ingolfarsi nei maneggi politici, il che lo corruppe e sviò dal
suo ultimo fine. Questa è pretta stori* biografica di Dante.
75) Quando di carne ecc Quando di Filosofia io m'era innalz<ta
ad essere Rivelazione. La Filosofia ò carne, la Rivelazione è spirito.
80 E bellezza e virtù ecc. Bellezza e virtù tanto cresciuta, quanto
la Rivelazione è più bella e virtuosa della Filosofia.
130.
rn
CANTO XXX. 659
Fu' io a lui men cara e men gradita:84
E vol>e i passi suoi per via non vera, M
Immagini di ben seguendo false;
Che nulla promission rendono intera.
Nò T impetrare spirazion mi valse,
Con le quali e in sogno, ed altrimenti88
Lo rivocai; sì poco a lui ne calse.
Tanto giù cadde, che tutti argomenti 84
Alla salute sua eran già corti,
Fuor che mostrargli le perdute genti.
**i FtC io a lui men ecc. Perchè non praticò più nemmeno lo virtù
insegnatogli dalla Filosofia col mezzo mio. Bachi bv'nc cho Dante,
so parla di so, non intende so solo, anzi più che sé intende l'uomo
in generale, a cui cerca di esser utile, mentre parla di sé stesso.
Ciascuno infitti applichi a se queste cose, e dal più al meno le tro-
verà vere e reali. Le tre terzine che seguono battono appunto il
caso ed il bisogno dell'umanità in gencrale3 e sono chiare per sé
stesse.
8Ì E volse l passi suoi ecc. Notate che, storicamente parlando,
qui Dante si fa rimproverar da Beatrice per essersi dato con tanto
calore alle parti politiche : e sebben Dante con esse mirasse al bene
della sua patrh e deiritalia, puro chiama questo pa-^siper via non
vera, t false immagini di bene.
83 E in sogno. Si sa che talora i sogni, in mano di Dio, sono
mezzi di richiamo dai peccato alla virtù.
8& Tanto giù cadde. Divenne un tale e tanto peccatore che niente
valeva a convertirlo, tranne il fargli vedere coi suui propri occhi
le t riibili peno dell'Inferno, e tentar di scuoterlo a quella vista.
Questo infitti è il mezzo più potente per la conversione dell'anime,
adoperato d-.igli ascetici negli Spirituali Eserciti, la meditazione al-
meno delle massime eterne, non potendosi condur le anime veramente
nell'Inferno, come immaginò d'esservi condotto Dante. Beatrice non
accenna che il viaggio dell'Inferno, non già per escludere l'altro del
Purgatorio, ma perche posto quello, questo s' intendo da so, non
essendo il Purgatorio che la continuazione della Via purgativa co-
minciata nell'Inferno. Del resto del Purgatorio parla implicitamente
nella terzina che segue.
660 PURGATORIO
Per questo visitai l'uscio de' morti, M
140. E a colui che V ha quassù condotto, stì
Li prieghi miei, piangendo, furon porti. 87
L' alto fato di Dio sarebbe rotto, 88
Se Lete si passasse, e tal vivanda 89
Fosse gustata senza alcuno scotto
Di pentimento che lagrime spanda.
M Per questo visitai ecc. Accenna alla sua discesa al Limbo,
primo cerchio dell'Inferno. (Vedi Canto II dell'Inferno). — Morti.
Dannati nell'Inferno dove oono i morti alla grazia eternamente.
86 A colui che Vha ecc. A Virgilio che dall'Inferno l'ha condotto
su pel Purgatorio a questa cima. Parla di Virgilio come assente,
essendo infatti egli partito poco prima dell'arrivo di Beatrice, non
essendo conveniente che la Ragione si metta a fronte della Rive-
lazione! restando quella soggiogata da questa.
87 Li prieghi miei ecc. Riferisce per soli accenni l' incarico dato
da Beatrice a Virgilio per la salute di Dante; incarico che già fu
narrato distesamente da Virgilio stesso a Dante, quando nel lì Canto
deli'/n/. lo volle persuadere a seguirlo; e perciò, come cosa già nota
a Dante, Beatrice la tocca semplicemente.
88 L'alto fato di Dio ecc. Beatrice si giustifica in faccia agli an-
geli di aver trafìtto Dante colle sue parole a tal segno, da farlo
scoppiare in dirottissimo pianto, e dice che questo appunto esige
l'alto decreto di Dio, il quale ha stabilito, che nessuno possa pas-
sare il fiume Lete senza rinnovar prima il pentimento dolorosissimo
delle sue colpe, per la ragione che abbiamo detto altre volte. Que-
sto, che par diretto agli angeli, ò con più cura che venga inteso
da Dante.
M E tal vivanda — Fosse ecc. Siccome Dante dovrà bere del-
l'acqua di Lete, per obliar con essa i suoi peccati, corno si è detto,
cosi quest'acqua, che ha un sapore al di sopra di tutt'altri sapori,
si dice vivanda. Inaino a qui Dante, dei tre atti che deve fare prima
di passar Lete, ne ha eseguiti due, vergognarsi e pentirsi. Rimane
ll terzo che è confessar la sua colpa.
CANTO XXXI
Argomento.
Beatrice continua i suoi rimproveri a Dante per eccitarlo al
terzo atto, che è confessare i suoi torti, dopo d'essersene prima ver-
gognato e pentito. Dante vuol parlare per confessare i suoi falli,
ma tale e i7 suo sbigottimento, che la voce gli muore sulle labbra.
Insìste Beatrice per aver da Dante la sua confessione; e Dante,
tra la confusione e la paura, esprime a gran fatica un sì, poco
sensibile, non già perche non fosse persuaso di confessarsi, ma
perchè non poteva pel crepacuore. Beatrice non si contenta a questa
confession sì generica di Dante, espressa con una affermativa alle
accuse di Beatrice, ma vuole una confessione piò, esplicita : perciò
lo continua a battere con nuoci argomenti, e prima colV argomento
della amabilità di lei, che non valse a tenerselo fedele; poi col-
l'argomento contrario della schifezza degli oggetti di cui egli si
innamorò. Allora Dante, sebbene con gran fatica per l'eccessivo
dolore delle sue colpe , fa piangendo una più esplicita confessione.
Beatrice se ne chiama contenta, ma non tralascia perciò di bat-
terlo ancora, e perchè Dante si penta nel maggior grado possi-
b le, e per meglio guarentirlo contro i futuri pericoli. Per questo
Beatrice gli torna a parlar di sé prima vivente in terra, e poi
beata in Cielo, mostrandogli che Dio glieV aveva data nell'uno e
nell'altro stato per sua vera amante e guida alla virtù. Di qui
ella deduce il sommo torto di Dante nel darsi ad altra cosa mor-
tele; poi accresce questo suo torto colla ricordanza della moltepli-
ci tà delle tue ricadute, e lo confonde col confronto degli augelletti
che 807)0 più cauli di lui. Da ciò cresce vieppiù la vergogna e
il dolore in Dante. Cresciuto così il dolore per le parole di Bea*
trice, essa vuole che cresca ancora per la sua vista : perciò invita
Dante ad alzare il viso, e mirarla. Dante a gran pena leva gli
occhi in Beati ice, e vede die gli angeli non gettano più fiori sovra
Beatrice, vede Beatrice piegala verso il grifone, e sebben coperta
ancora dal velo, la vede tanto bella da superare infinitamente la
bellezza di lei quand'era al mondo. Per questa veduta Dante ac-
cresce tanto il suo pentimento, che* sente somma avversione alle
cose che pria più gli piaceano, ed eccolo0 nel vero dolore voluto
da Beatrice, allora Matilde ordina a Dante di appigliarsi a lei,
662 PURGATORIO
ed ella trat così Dante per entro il fiume Lete fitto alla gola, tra-
scinandolo un tratto, e scivolando essa a fior d'acqua sino all'altra
riva; presso alla quale, come giunge Dante, ode cantar dolce'
mente: Asperges me. Matilde prende allor Dante per la testa e
gliela sommerge perchè beva. Poi lo toglie dal fiume, e così ba-
gnato lo pone in mezzo alle quattro donne danzanti, le quali lo
ricoprono del loro braccio. Esse danzando e cantando gli dichia-
rano che sono ancelle di Beatrice. Gli promettono di condurlo a
vedere i suoi occhi, ma dicono che occorre per questo l'aiuto delle
altre tre donne. Passano quindi con Dante al petto del Grifone
ove Beatrice avea volta la faccia. Qui le donne eccitano Dante
a saziare i suoi sguardi in Beatrice. Gli occhi di Dante allora
guardano negli occhi di Beatrice, ma gli occhi di Beatrice non
guardano ancora Dante, essi guardano il Grifone, il quale raggia
negli occhi di Beatrice immagini stupcid* di sé slesso, in modo
che gli occhi di Beatrice sembravano gli oerhi stessi di Dio. Dante
va in un'estasi di delizie vedendo gli occhi di Beatrice, ma Bea-
trice ancor non li volge a lui. Allora s'avanzano le tre donne
danzando, e si accompagnano a Dante. Qui le tre do n+e cantando
pregano Beatrice a degnarsi di mirare anch'essa il suo fedele, ed
a mostrargli anche la sua bocca. Allor Beatrice si leva il velo,
e mostra a Dante gli occhi e la bocca,
(C) 81 continua a trattare dei mirabili effetti della Chiesa Cattolica
tulle anime, il maggior de1 quali è In oonfession puLlica in
perfetto grado.
Sii. Vedi lutti i caiellini di questo Canto nella T.u. X Purg , e la Tav. MI Ptirg.
0 tu che se1 di là dal fiume sxero, 1
(Volgendo suo parlare a me per punta, *
Che pur per taglio m'era parut'acro)
* 0 tu che se* di là. 0 Dante. Cesi si appella taluno, quando ai
ha per lui qualche risentimento, — Fiume sacro. Lete.
2 Per punta. Parlando a mo direttamente. Prima avea parlato
a Dante indirettamente (per taglio), quando av a parlato di Dante
agli Angeli giustificandosi in faccia a loro del trattarlo rubesta.
CANTO XXXI. 663
Ricominciò, seguendo senza cunta, 8
Di', di' se questo è vero: a tanta accusa4
Tua confession conviene esser congiunta.
Era la mia virù tanto confusa, 5
Ohe la voce si mosse, e pria si spense6
Che dagli organi puoi fosse dischiusa.
10- Poco sofferse; poi disse: Che pense? 7
Rispondi a me; che le memorie triste 8
In te non sono ancor dall'acqua offense. 9
Confusione, e paura insieme miste
Mi pinsero un tal sì fuor della bocca,
Al quale intender fur mestier le viste. i0
Come balestro frange, quando scocca u
Da troppa tesa la sua corda e l'arco,
E con men foga l'asta il segno tocca;
* Senza cunta. So ìza ritardo, dal latino cunctor.
* Di' di' se ecc. Beatrice vuol trar da Dante il terzo atto neces-
sario ad una purgazione perfettissima; eonf ssarai.
$ La mia virtù ecc. Il mio spirito.
6 Che la voce si mosse ecc. In altri termini d'use Dante la stessa
cosa quando a cavallo di Gerìone volea dire a Virgilio che io te-
li 's^e, ma non potè dirlo per la paura che gli fece morir la parola
in gola. — Sì, volli dir, ma la voce non venne — Cora io credetti :
Fa che tu m'abbracce (//;/., Canto XVII, v. 92 e 93).
7 Poco sofferse, ecc. Un poco attese.
8 Che le memorie triste. La memoria dei mali commessi.
9 In te non sono ecc L'acqua di Lete bevuta era quella che facca
dimenticare i peccati. Tu non l'hai anco:a bevuta, e quindi serbi
ancora la memoria di loro.
W Al quale internar ecc. Un sì cosi languido, cosi poco sensibile,
che per accertarsi ch'era un s), bisognò raccoglierlo dai moti del
lihbro, come si farebbe per in'endere la parola di un muto
il Come balestro ecc. Cono un dardo quand'esce (scocca) da
troppa tensione (tesa) frange la sua corda e il suo arco, e cosi per
quella frattura va il ferro del da'do (Vasta) a toccar la meta con
minor impeto.
664 PURGATORIO
Sì scoppia' io sott'esso grave carco, *-
20- Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
Ond'ella a me: Per entro i miei disiri,13
Che ti menavano ad amar lo Bene
Di là dal qual non è a che s'aspiri,
** Sì scoppia' io ecc. Applicazione della similitudine. La troppa
tensione e il grave peso od oppressione che fanno sul suo cuore le
parole di Beatrice. La frattura dell'arco e dell;*» corda sono lo sgor-
gare lagrime e eospìri. L'asta che scocca e va lenta alla muta è il
al appena sensibile uscito di bocca, l'ale ò l'idea che danno gli
ascetici di certi dolori straordinari, chiamandoli perciò contrizione,
ossia spezzamento o strittolimanto, il quale però, sebbene sia sempre
dolor perfetto, pure ha anch'esso i suoi gradi di maggior perfe*
zione; ed è per questo che Beatrice, in riguardo alla contrizione
di Dante, non si contenta d'una perfezione qualunque, ma cerca di
innalzarla al massimo grado, chiamando e richiamando e tornando
a chiamare il tuo penitente sempre a nuove considerazioni, che per-
fezionano la contrizione. Di queste, parte abbiamo veduto, e parte
vedremo. Da tutto ciò ò manifesto quanta importanza ponga Dante
nel dolore dei nostri peccati quando andiamo a confessarsi, per esser
questo l'atto più nobile, più sostanziale, più necessario della con-
fessione; ed anche in questo Dante s'accorda coi teologi e cogli
ascetici. Leggi il Daponte, p. I, medit. 31, e lo vedrai.
*3 Ond'ella a me. Beatrice vuole da Dante una confessione più
esplicita che non è un sì quasi impercettibile, perciò continna a
tartassarlo. — Per entro i miei desivi — Ci. e ecc. Beatrice parla
di sé a Dante cosi: Dentro ai miei desiri, cioè dentro ai desideri
che tu dovevi avere per me beata, e che ti menavano ad amar
Dio, bene infinito e solo, quali ostacoli o quai ritegni tu trovasti,
perche dovessi tu disperare di passare innanzi? 11 volgere i tuoi
desideri a me beata era forse una impossibilità? Ovvero contene-
vano essi una impossibilità? Notate il jìissarc iìinanzi, come Bea-
trice dicesse a Dante : Io viva (Beatrice viva ò la Filosofia) ti feci
dare i primi passi al bene : dopo la mia morte, quando fui beata
(Beatrice beata e la Rivelazione), io dovea servirti perciò tu pro-
cedessi molto più innanzi nel bene. Invece ti arrestasti disperato
come a cosa impossibile, quasi che l'amarmi beata fosse più difficile
che l'amarmi mortale.
CANIO XXX7. GG5
Quai fosse attraversate, o quai catene
Trovasti, perchè del passare innanzi
Dovessiti cosi spogliar la spene?
E quali agevolezze, o quali avanzi u
Nella fronte degli altri si mostraro,
;w- Perchè dovessi lor passeggiare anzi? IS
Dopo la tratta d'un sospiro amaro,
A pena ebbi la voce che rispose, ,c
E le labbra a fatica la formare
Piangendo dissi: Le presenti cose*7
Col falso lor piacer volser miei passi,
Tosto che il vostro viso si nascose.
Ed ella: Se tacessi, o se negassi18
Ciò che confessi, non fora men nota
La colpa tua: da tal giudice sassi.19
40- Ma quando scoppia dalla prepria gota
20
t* E quali agevolezze ecc. Se Ini dunque abbandonato me quando
più tu dovevi seguirmi, e ti sci dato ad altri, perdio facesti cosi?
Forse per trovare negli altri un bene assai maggiore che non in me?
*•'» Perchè doversi lor passeggiare ami. Allude al costume degli
amanti, che passeggiano spesso innanzi alla persona amata.
**» fja voce che rispose, — E le lahbra ecc. La voce ha origine
dal petto, ina si foima in parole mediante gli organi gutturali, pa-
latini, labbiali e linguali. Ecco il maggior dolore in questa terzina.
i? Piangendo dissi ecc. Ecco in questa terzina la confessione più
esplicita.
,?* Se tacessi o se negassi ecc. Con questo vuol dire Beatrice che
la confessione, ordinata e voluta da Dio, non ha per fine le cogni-
zioni altrui, ma il solo vantaggio spirituale del penitente.
•'•> Da tal giudice sassi. Da Di.» che sa tutto, e nel quale noi
tutto conosciamo.
*> Ma quando scoppia ecc. Ma quando taluno conferà con veia
«» perfetta contrizione il proprio peccato. Nella vocs scoppia, si
esprime il dolore perfettissimo dui penitente; nelle voci dalla pro-
pria gota (bocca) v espresso l'altro atto che è confessare il peccato
di cui si ha quel dolore.
COC PURGATORIO
L'accusa del peccato, in nostra corte, ,f
Rivolge se contro il taglio la rota. u
Tuttavia, p?rchò nic' vergogna porte M
Del tuo errore, e perdio altra volta
Udendo le sirene si» più forte, 2i
Poh giù il seme del piangere, ed ascolta; a5
21 In nostra corte ecc. In cielo Qvaecumque solwritU super ter-
ram, erunt soluta et in coelo (Mat. XVIII, 18).
2* Rivolge sé ecc. La giustizia, divina si chiama soddsfattft, per-
dona e rimette il peccato. La simili udine per dir questo è di una
grazia ed evidenza ammirabili. Per es.*a si vede la Giustizia divina
arruotar la spada alla cote, e cosi pr pararla a ferir meglio il pec-
catore quando che sia, caso che non si convertii. Ma ecco la con-
fessione dolorosissima, l.i quale fa che la Giustizia divina non più
attenda ad aguzzare la spada, ma attenda invece al contrario, cioè
a rintuzzar sulla rota il tiglio già prima affila o.
23 Tuttavia, perchè me1 (meglio) eoe. Osservisi, quel che gi;\ si è
detto alla nota 12, che Beatrice, non ostante la contrizione già per-
fetti ; e la perfetta confessione del suo penitente, ella non si rhiami
ancor pa.ra, ma cerchi d'accrccccvc d'avvantnggio quella contrizione
pure perfetta, e di consolidare co*ì la volontà del penitente nel bene
contro i futuri pericoli che mai non mancano a chi vive sulla terra.
Quest'ultimo colpo di Boat ice risponderebbe a quelle considerazioni,
esortazioni, e precauzioni che danno sempre i confessori ai lor peni-
tenti dopo ch'essi hanno confessato amaramente i loro peccati per
i stabilirli sempre più nei buoni proponi -renti. Si vede che Dante
sapeva molto di confessione e che da buon cristiano si confessava
egli stesso.
2* Le sirene. Le sirene sono i pericoli di peccarci. È tolto dalla
favola di Ulisse e de' suoi compagni, cui egli fece legare agli alberi
della nave perchè non si lisciassero traviare dai canti delle sirene,
mostri marini favolosi, mezzo donne, e. mezzo pesci
*'*> ron g h il srme ecc. Ces.*a dal piangere. E i1 lacrymas ptlle
di Virg Ho. Ma la donna dice il seme del piangere. Questo seme
e la fonte intcrm d<*i vasi ottici, che da all'occhio le lagrime. Pon
giù dunque questo seme, perchè tolta la caiua è tolto l'effetto. Il
Bianchi spiega: Pon giù la confusione e la piura ; ma que-t:> è con-
trario a quello che intende Beatrice, aveudo ella detto tes-ò: Tut-
tavia perchè me' vergogna porle.
CANTO XXXI. 607
* SI udirai come in 'Contraria parte %ì
Muover doventi mia carne sepolta.27
Mai non t'apprcsentò natura ed arte M
r'°- Piacer, quanto le belle membra in ch'io 2J
Rinchiusa fui, e che son terra sparte:30
E se il sommo piacer sì ti fallio 3I
Per la mia morte, qual cosa mortale 32
Dovea poi trarre te nel suo disio? 33
2C Sì. Vezzo di lingua.
27 Mutwr doveati ecc. Beatrice fa il confronto tra la potenza
ch'eli' ebbe da viva, e quella maggiore che doveva avere da morta,
sul cuor di Dante. Se vivendo in terra mortale ti condussi al bene ;
quando cominciai a vivere in e.; lo, d >vea condurti al bene di più:
se coinè Filosofìa ti condussi al bene, come Rivelazione vi ti dovea
condurre di più. Invece tu andasti in contraria parte.
28 Natura ed arte. Naturi, die mi die al mondo; arte, che mi
dio educazione.
*** Piacer. In vedermi, e in udirmi.
>o E che son terra sparte. E che sparte e slogate ora son terra.
31 II sommo piacer. Quel sommo piacer di vedermi e di udirmi.
Badate sempre che Beatrice vivente è la rappresentante della Filo-
sofia, che insegna la virtù nel modo a lei dato, e, per quanto ella
può, vi couduce l'uomo. Chi l'ascolta e l'ama, riceve da lei un
sommo piacere. Il poeta però, nello sviluppare questo concetto uni-
versale, per dargli più evidenza lo particolareggia in so e Beatrice,
in modo che, se non si sta sull' avviso, si potrebbe frantendere il
suo pensiero, e trarlo a senso carnale; il che, come ognun vede,
sarebbe affatto contrario al tema proposto. Questa fu la ragione
perchè alcuni perfino dubitarono della esistenza di una vera Bea-
trice, e la dissero solo personaggio immaginato da Dante, cosa che
io non credo, che troppo ripugna alla storia, e che raffredderebbe
di molto le poesie dantesche. È meglio credere che Dante, di una
vera e reale featrice, abbia fatto prima la Filosofia, e poi la Rive-
lazione, potendosi ad Ut ir bene l'uua e Pai tra ai due stati di Bea-
trice, mortale e beata.
y* Qual coia mortale ecc. Infatti non e' e cosa naturale e tran-
sitoria che possa uguagliare in bellezza la verità, anche sol filosofica.
33 Nel suo disio Nel dialo di sé, coinè sopra avea detto: per entro
i miei desiri, significando per entro i disiri diretti a me, o di me.
6(33 PURGATORIO
Ben ti dovevi, per lo primo strale 34
Delle cose fallaci, levar suso
Diretro a me, che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso, 35
Ad aspettar più colpi, o pargoletta, 3G
*;°- O altra vanità con sì brev' uso.
Nuovo augelletto due o tre aspetta;37
Ma dinanzi dagli occhi de' pennuti 3*
Rete si spiega indarno, o si saetta.
Quale i fanciulli vergognando muti, 30
Con gli occhi a terra, stannosi ascoltando,
E sé riconoscendo, e ripentuti ; 40
31 Ben fi dovevi ecc. Almeno dopo la prima caduta {per lo primo
strale delle cose fallaci) dovevi levarti suso, riconoscendo ornai
anche da quella prima volta, che le cose fallici non danno felicità ;
e dovevi assorgere dietro a me che non era più fallace (non era
più tuie). La Filosofia, per quanto savia C3sa sia, non ha però il
dono della infallibilità, come Io hi la Rivelazione.
33 Non ti dovea gravar ecc. Similitudine, o allegoria prosa dagli
uccelli stolti che si lasciano accalappiare più volte agli agguiti degli
uccellatori.
3t> Ad aspettar più colpi. Di rete o di saelta.
0 pargoletta o altra vanità ecc. Queste cose fallaci rispon-
dono ai richiami ingannatori che tengono gli uccellatori presso alle
panie o alle reti.
37 JVuovo augelletto ecc. Accenna, continuando l'allegoria , agli
augellctti di passaggio, che semplici ancora, e di poco usciti di
nido, non sanno dei tranelli tesi digli uccellatori, i quali s'arrestano
due o tre volte entro ai pericoli, ma poi ammaestrati dall'esperienza
non vi si arrestano più, e paion sordi ai richiami.
3» Pennuti. Uccelli vecchi, come sci tu, o Dante. Eppure per tua
vergogna ti sei lasciato cogliere tinte volto come fossi nuovo au-
gelletto.
89 Quale i fanciulli* Similitudine la più propria del caso. Dante
fanciullo, in quanto, sebbene adulto, imitò i fanciulli ghiotti di cose
vane e appariscenti, lasciate le grandi e di merito intrinseco. Ma
Dante si dà per fanciullo pentito.
M E se riconoscendo. E riconoscendo eè colpevoli. — lìipcnluii.
CANTO XXXI. G69
Tal mi stav'io. Ed ella disse: Quando 4I
Per udir se' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.
70- Con men di resistenza si dibarba 4J
Robusto cerro, ovvero a nostral vento, 43
Ovvero a quel della terra di Iarba, u
Ch' io non levai al suo comando il munto :
E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi il velen dell'argomento.
E come la mia faccia si distese, i3
Posarsi quelle prime creature 40
Da loro aspersion l'occhio comprese : 47
Pentiti e ripentì'. i. Vedi quanta volte ha mostrato Dante il suo
pentimento in solo questo Canto! E tale appunto era il fine che
avea Beatrice coi suoi rimproveri, eccitar Dante alla frequenza degli
atti di contrizioni», tentando di raffinarli sempre più secondo il con-
siglio degli ascetici ai penitenti.
*i Quando — Per udir se dolente ecc. Poiché con solo udirmi
Bt*' tu venuto in tanta contrizione, vedi di accrescerla ancora con
guardarmi e riguardarmi in faccia, perchè cosi tu vedrai in effetto
da qual bene tu ti sia allontanato coi tuoi peccati. E notevole qui
la frase, alza la barba, por alta la faccia. Così parlando vuol
dire Beatrice che Dante fece le sue pazzie non già da . fanciullo,
ma da uomo fatto, il che ò peggio ; ed 6 argomento pien di veleno,
come seppe a Dante e come dirà,
** Con men di resistenza ecc. Bella iperbole.
te A nostral vento — Ovvero ecc. Da vento Borea o da Austro,
che sono entrambi venti fortissimi.
4i Iarba. Ile di Numidia in Africa.
M E come la mia faccia ecc. E in quell' istante stesso che la
mia fa :cia si alzò. Li faccia si distende quando guarda in alto.
N> Quelle prime creature. Gli angeli che corteggiavano in alto
Beatrice, prime creature, perche le prime uscite dalla mano di Dio.
*~ Posarsi — Va loro aspersion ecc. Desistere dallo sparger
fiori coi quali velavano Beatrice. Dante comprese che desistettero
in quel punto che levò la faccia perchè vide gli ultimi fiori cader
sotto Beatrice.
670 PURGATORIO
E le mie luci, ancor poco sicure,48
80 Vider Beatrice volta in su la fiera, 49
di' è sola una persona in duo nature.
Sotto suo velo, ed oltre la riviera50
Verde, pareami più so stessa antica 5I
Vincer, che l'altre qui quand'ella c'era.
Di penter sì mi punse ivi l'ortica, 52
** Poco sicure. Perchè fiuo allora Dante avea tenuto gli occhi
abbassati all'erba. Gli occhi, passando repente da un corpo opaco
ad un corpo luminoso, sono poco sicuri, o abbagliati.
W Volta in su la fiera. Non più volta a me, ma volta al Gri-
fone, a cui si vedeva inclinata con tutta la persona. Dante la vide
dunque solo in profilo e velata. Beatrice si mostrerà a Dante uu
pò* alla volta, secondo che saia degno, e vuol dire che la Rivela-
zione ci illustrerà a seconda de* nostri meriti, e delle nostre dispo-
sizioni. Beatrice è vvlta in su la fiera, perchè la Rivelazione, sia
antica, sia nuova, ha per sua meta G. C. che è persona divina in
due nature, umana e divina, come due nature ed una sola perdona,
ha pure, secondo le favolo, il Grifone.
50 Sotto suo velo ecc. Il velo che le scendea di te-tn, il quale era
suo, e non era come il velo, già cessato, dei fiori angelici , che non
era suo. La Rivelazione è misteiiosa; perciò ha il suo velo — Ri-
viera. Lete. E ancora un po' rimossa (tre passi) dal pcn'ten'e, per-
chè il penitente non ha aucora raggiunto V ilt ino e più perfetto
grado di dolore, il quale tosto verrà.
51 Pareami più sé slessa antica ecc. Beatrice, sebben in profilo,
sebbeu velata, sebben rimossa, pure parca tanto bella, che tra la
bellezza presente e la sua antica, che avea quand'era mortalo, c'è
molto più differenza, che tra la bellezza di lei mortale e le altre
bellezze pur mortili, tutte già superate da lei quand'era viva. Ciò
vuol dire, che tra la Filosofia e la Rivelazione havvi una distanza
infinita, e quindi che la Rivelazione viuco as«ai più la Filosofia, di
quello che la Filosofia vinca le altro scienze minori ; perchè tra la
Filosofia o le altre scienze minori, il paragone è tra finito e finito,
mentre il paragone tra la Filosofia e la Rivelazione è tra finito ed
infinito.
ss Di penter sì mi punse ecc. Ecco finalmente il grado ultimo e
più perfetto di contrizione, ad elicere il quale da Dante, Beatrice,
o li Rivelazione, tanto si adoperò.
CANTO XXXI. G7t
Che di tu tt' altre cose, qual mi torse M
Più nel suo amor, più mi si fé nimica.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse, 5l
Ch'io caddi vinto, e quale allora fonimi 55
90- Salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtù di fuor renckinmi 5<J
La donna ch'io avea trovata sola, 57
w Che di tutValtre cose ecc. Siccome il peccato è aversio a Deo
el conversili ad creatnraat così la vera, la perfetta contrizione del
peccato è conversio ad Deum et aversio a creaturis.
54 Riconoscenza. Ecco il scuso di questa voce che è tanto male
aiata per gratitudine.
Essa non vuol dir altro che il riconoscimento, o materiale, o
spirituale di so stessi, o d'altri. Qui è riconoscimento spirituale,
ovvero dell'anima propria e delle proprie colpe, che è un atto dcl-
l'intcllet'o, il quale muove tosto anche Tatto delia volontà al dolore.
55 Ch? io caddi vinto ecc. Dante cadde rcalment? colla persona
a terra per effetto d'intensità di dolore. — E ([vale allora femmi ecc.
Dante noi può dire perchè svenuto sotto il deliquio cagionatogli
dal dulore. Ora che e fatta anche questa seconda confessione, con
quanto ò richiesto alla sua perfezione, si potrebbe accampare un
dubbio. Dante avci fatta la sua confessione alla porta del Purga-
torio, a* piò dell'angelo; che bisogno dunque c'era di questa? Di
tante risposte che potrei dare, b:\sti una sola: La confessione fatta
all'angelo alla porta del Purgatorio fu privata e meno perfetta. Ma
la chiesa, oltre la confessione privata e mono perfetta, usò anche
la publica e più perfetta, davanti all'adunanza dei fedeli. Questa
non è più in uso, è vero, quanto alle pene canoniche, ma è in uso
o lo sarà sempre, quanto al riparare gli scandali dati coi propri
peccati, almeno con un contegno tale in faccia al pubblico che di-
chiari il proprio dolore e la propria conversione. Ebbene, questa
e nfessiono si dolorosa clv3 fa Dante davanti a Beatrice (Rivela-
zione) e a tutta la Chiesa cattolica lì presente, tien luogo di quella
publica confessione e penitenza elm si usava in antica, e di quel
risarcimento agli scandali che si devo usare anche al presente.
56 Poi quando ecc. Poi quando rinvenni dal mio svenimento. Lo
svenimento richiama il sangue al cuore; e la cessazione dvllo sve-
nimento il rimanda d. il cuore a' suoi corei naturali.
57 La donna ch'io ecc. Matilde cui trovò soletta come s'appressò
672 PURGATORIO
Sopra me vidij e cìicea : Tienimi, tienimi. b*
Tratto rn'avea nel fiume infino a gola, w
E, tirandosi me dietro, sen giva G0
Sovr'esso l'acqua, lieve come spola. 6I
Quando fui presso alla beata riva, Ci
Asperges me sì dolcemente udissi, 63
Ch'io noi so rimembrar, non ch'io lo scriva.
100. La bella donna nelle braccia aprissi ;
Abbracciommi la testa, e mi sommerse, Gi
Ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi.
a Lete. Ella fa da ancella alla Rivelazione; e bene le sta, giacche
casa è la rappresentante della vita attiva, alla quale è commessa
la cura dell'anime.
w Sopra me vidi ecc. Sospesa sopra di ine alla sinistra sponda
di Lete. Ella stava prima sulla destra, e dalla destra passò alla
sinistra per aria come un uccello. — Tiemmi, tiemmi% Stringi lo
tue mani alla mia.
59 Tratto ìnavea nel fiume ecc. Questo fiume fa un doppio ef-
etto. Esso, in quanto è bagno, fa il medesimo effetto del bagna
sacramentale di penitenza, che è un seguito del battesimo che monda
l'anima perfettamente e la dispone alla vita illuminativa: e in quanto
è bevanda, esso toglie la memoria del male commesso.
M Sen giva — Sovr esso ecc. Matilde non dovea toccar l'acqua,
perchè non ne aveva bisogno.
oi Lieve come spola. .Spola ò quella navicella die adoperano i
tessitori per trarre il filo da una parte ad altra entro l'ordito, e
che scorre con uua leggerezza inesprimibile.
62 Mia beala riva. Alla riva destra dove stavano i beati, e tra
questi anche Matilde, beata pur essa, ma qui faci ente l'ufficio di
attuffar l'anime nel fiume Lete, come ministra della Rivelazione.
63 Asperges me ecc. E l'antifona che usa la Chiesa cattolica ogui
qual volta ha da benedire oggetti all'uso sacro, nell'atto di asper-
gerli coll'acqua santa. Questa antifona 6 cantata dagli Angeli, e,
secondo mio avviso, anche da tutta la Chiesa lì presente, perchè
la consccrazione di Dante e di gaudio al ciclo ed alla Chiesa.
6i Mi sommerse. Mi sommerse la testa, perche bevessi di quel-
l'acqua, la (inalo noti prova se pria non è gustata, come si disse
di sopra.
CANTO XXXI. 673
Indi mi tolse, e bagnato m'offerse 6b
Dentro alla danza delle quattro beile,66
E ciascuna col braccio mi coperse.
Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle : 67
Pria che Beatrice discendesse al mondo, 68
63 Bagnato. Bugnato dentro e fuori, ossia purgato e mondo per-
fettamente da colpe interne ed esteme, e fino privo della memoria
di esse.
(Fine della Via Purgativa
k principio della vla illuminativa).
60 Dentro alla danza ecc. Ripulito Dante perfettamente dalle
colpe, e dalla memoria di esse, dovea passare ad abbellirsi di tutte
le virtù. Comincia dalle 4 morali, ed inferiori. L'acquisto di esse
è indicato dall'entrar in mezzo alla loro danza, mentr'esse gli girano
intorno strìngendo le loro mani sopra la testa di Dante, e cosi span-
dendo su Dante i loro benefici influssi.
67 AToi sem qui ninfe. Donne o vergini sacre. — E nel ciel semo
sielle. Dante le avea vedute nella plaga di sud, quando sbucò dal-
l'Inferno al Purgatorio, standosene nella facciata del monte, che
prospetta ad oriente, quando disse nel Canto I: E vidi quattro
stelle — Non viste mai fuor ch'alia prima gente, È come queste
quattro dicessero a Dante : Quelle quattro stelle che tu innanzi al-
l'alba della domenica di Pasqua hai veduto ed ammirato nel cielo
di sud, sbucato appena dall' Inferno, quelle quattro stelle siam noi.
68 Pria che Beatrice ecc. Fummo da Dio ordinate ad abbellire
Beatrice prima che la sua anima dalle mani di Dio discendesse al
mondo. Questo si avvera di Beatrice mortale e di Beatrice beata,
in quanto che Beatrice mortale è simbolo della Filosofia, che in-
segna e pratica quelle quattro virtù , e Beatrice beata è simbolo
della Rivelazione, che insegna e pratica quelle quattro virtù con
molto maggior perfezione. Ma esse quattro virtù erano prima di
Beatrice mortale e di Beatrice beata, osa' a prima della Filosofia e
della Rivelazione, perchè il cislo, dove fur messe, fu creato prima
dell'uomo, ed esse furono poste nel cielo appena creato, e prima
ancora che fossero poste nel cielo, esse esistevano in Dio da cui
furono emanate al momento della creazione. Perciò si dice ordinate
e non create.
43
674 PURGATORIO
Fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Menrenti agli occhi suoi; ma nel giocondo w
,10- Lume ch'è dentro, aguzzerai! li tuoi70
Le tre di là che miran più profondo.
Cosi cantando comi nei aro; e poi
Al petto del Grifon seco menarmi,
Ove Beatrice volta stava a noi* 1[
Disser : Fa che le viste non risparmi : 7i
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi, 7a
O nei' Amor già ti trasse le sue armi. 7i
69 Menrenti agli occhi suoi ecc. Ti meneremo in faccia agli occhi
suoi, ossia innanzi al Grifone, tiratore del carro al quale s'era volta
Beatrice. Dante, come si vede, non è qui solo guidato da Matilde,
ina anche dalle quattro virtù, anzi da queste più che da quella,
70 Agutzcran li tuoi — Le tre ecc. Noi solo possiamo condurti
in faccia alla Rivelazione (Vedi Tav. XI, che ti mette sulla faccia
del luogo), ma non possiamo darti valore per affisar co'tuoi gli occhi
di lei, perchè questa è opera di altre virtù superiori a noi, cioè
delle tre virtù teologali che sono alla destra ruota del carro della
Chiesa. È infatti cosi, che 1 > virtù morali possono disporre l'anima
alla Rivelazione, ponendola solo in faccia a questa, e a questa ve-
lata, ma dare all'anima la virtù di vederla in tutta la sua bellezza,
e di attraine tutti i suoi benefici influssi, non è opera che delle
sole tre virtù teologali.
71 Ove Beatrice stava ecc. Cosi Dante, coll'aiuto e guidi delle
quattro virtù cardinali può veder Beatrice, o la Rivelazione, sebben
velata, non più di profilo come prima, ma di fronte. Cosi si avanca,
72 Fa che le viste non risparmi. Mira e rimira più che puoi,
per trar di sotto al velo quanto di volto ti sani dato.
73 Posto l'aveni dinanzi ecc. Ecco il più che hanno potuto fare
le quattro virtù morali, por Dante in faccia alla Rivelazione ve-
lata, e vederne quanto sia bella ancor velata; ma questo non è il
farla vedere interamente; un tal compito sarà delle tre virtù teo-
logali come si disse. — Smeraldi. Occhi di Beatrice.
"» OndJmor ecc. Dai quali Amore ti feri. È inutile il ripetere
che qui non si può intendere Amor profano o carnale, ma sunto e
spirituale. Danto, nelle bellezze della sui Beatrice vivente, non v de
por lui che un oggetto di attrative e di eccitamenti alla Filosofia.
CANTO XXXI. 675
Mille disiri più cbe fiamma caldi
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti, 7S
12°- Che pur sovra il Grifone stavan saldi. 76
Come in lo specchio il sol, non altrimenti 77
La doppia fiera dentro vi raggiava,
Alcuni de' suoi tempi noi vollero credere, ma sospettarono lui ve-
ramente innamorato d'amor carnale. Appunto per difendersi da qua*
sta taccia compose il suo Convito ; e se anche non ci fosse il Convito
a smentir l'accusa, non basterebbe a smentirla il parlarsi qui con
lode di quell'amore tanto da Beatrice beata, quanto dalle stesse
quattro virtù? Si noti ancora a prova di ciò, che Dante, per avere
ornai bevuto l'acqua di Lete, ebbe cancellata perfin la memoria dei
mali commessi. Se dunque qui gli si rammenta l'antico amore, ap-
punto per questo gli si rammenta che queir amore non era effetto
di concupiscenze carnali, ma vero dono e benefizio del cielo, che si
valea di quel mezzo per trarre Dante a virtù.
™ Slrinaermi gli occhi. Dietro l'eccitamento delle quattro virtù,
Dante già tutto infiammato d'amore; ficcò gli occhi per attraverso
il velo più che potò sugli occhi di Beatrice. Non dice qui che li
abbia veduti nettamente, ch'egli non era ancora tanto avvalorato
per ciò: dice solo che i suoi occhi si affisarono in quelli di Bea-
trice, e che si vedeauo rilucere non ostante che il velo ancor li
coprisse.
76 Che pur sovra il Grifone ecc. Beatrice di sotto al velo non
volgeva i suoi occhi a Dante, ma al Grifone, che Dante, non es-
sendo ancora avvalorato e abbellito da tutta la forza e grazia delle
tre virtù teologali, né egli in lei, né ella in lui poteano compiuta-
mente mirare. Sicché alla perfetta visione degli occhi di Beatrice
restano ancora due cose a farsi: 1.* che cali il velo; 2.a che Bea-
trice guardi Dante. Beatrice poi tiene gli occhi saldi sul Grifone,
perchè la Rivelazione ha per suo oggetto Gesù Cristo, e a questo
mira continuamente, sia nel Testamento vecchio che nel nuovo.
77 Come in lo specchio il sol ecc. Dicemmo che la Rivelazione
ha per suo oggetto Gesù Cristo, e perciò qui Beatrice tiene gli occhi
saldi sul Grifone. Questo non è altro che un dire che la Rivelazione
ama Gesù Cristo, e di lui vive e B'abbella. Or bene, se la Rivelazione
ama Gesù Cristo, anche Gesù Cristo ama la Rivelazione. Questo
amore di Gesù Cristo alla Rivelazione è il soggetto che trattasi in
queste due terziuo. Come dunque Gesù Cristo mostra il suo amore
676 PURGATORIO
Or con uui, or con altri reggimenti. ro
Pensa, lettor, s'io mi maravigliava,
Quando vedea la cosa in sé star queta, *•
£ nell'idolo suo si trasmutava.
Mentre che, piena di stupore, e lieta,
L'anima mia gustava di quel cibo,
Che, saziando di sé, di sé asseta ; *°
,3°- Sé dimostrando del più alto tribo81
alla Rivelazione? Raggiando esso negli occhi di lei tutta la bellezza
e la varietà delle sue due nature divina ed umana, e quindi comu-
nicando a lei tutti i suoi pregi, e quasi facendola un altro lui, in
quella guisa, che il sole raggiando nello specchio vi fa un altro sole.
78 Or con uni, or ecc. Ora raggiando negli occhi di Beatrice
(Rivelazione) le proprietà ed i pregi della sua natura umana, ora
le proprietà ed i pregi della sua natura divina. Infatti la Rivela-
zione ora è piena di dogmi sulla divinità di Gesù Cristo, ed ora è piena
di dogmi sulla sua umanità, arabo i quali sono di pari import ansa.
70 Quando vedea la cosa ecc. In questa terzina si stabilisce il
dogma dell'unità di persona divini in Gesù Cristo, come nell altra
terzina di sopra si stabilì il dogma della duplicità delle nature in
Gesù Cristo, ed anche questa unità di persona, come la duplicità
delle nature, venia trasmutata o raggiata nella Rivelazione, perchè
la Rivelazione, come è piena di dogmi riguardatiti la natura divina
ed umana di Gesù Cristo, coai ò pur piena di dogmi riguardanti la
unità di persona divina iu Gesù Cristo medesimo. Questa unità di
persona è espressa nel verso : Quando vedea la cosa (il Grifone) tu
se star queta, cioè non divìdersi mai, ma esser sempre quella stessa
perdona. Questa unità di persona poi, raggiata o trasmutata nella
Rivelazione, è espressa nel verso: E nell1 idolo suo si trasmutava.
La Rivelazione è l'idolo di Gesù Cristo in quanto che Gesù Cristo
nella Rivelazione, come in sua immagine, imprime e trasmuta tutto
*ò stesso.
so Che saziando di tè ecc. Perchè era cibo divino, o Dio stesso,
clic solo ha la proprietà di saziare, e nel medesimo tempo sempre
assetar di se.
*i Del più alto tribo. Della più alti tribù, o schiera, o gerar*
ch'in celeste. Infatti solo presso il fine del Paradiso empireo Dante
sarà esaminato intorno a queste tre virtù teologali.
CANTO XXXI. . 677
Negli atti, l'altre tre si fero avanti, 82
Danzando al loro angelico caribo. 83
Volgi, Beatrice, volgi gli ocelli santi, 8t
Era la sua canzone, al tuo fedele, 85
Che, per vederti, ha mossi passi tanti.
Per grazia fa noi grazia che disvele
A lui la bocca tua, sì che discerna
La seconda bellezza, che tu C6le.
O isplendor di viva luce eterna,86
14°- Chi pallido si fece sotto l'ombra87
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
Che non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te qual tu paresti
8* V altre ire si fero avanti. Per aguzzar gli occhi di Dante,
e farli capaci di sostener lo splendore degli occhi e del viso della
Rivelazione, comurveando a Dante la loro proprietà di mirar più
profondo che non le quattro virtù morali, come queste avean detto.
(Vedi nota 70;. Così Danto ora viene ad avere tre guide, Matilde,
le quattro vi* tu morali, e le tre teologali.
83 Danzando al loro angelico caribo. Danzando dietro a quelle
note di ballo, o a quella musica alla quale usano danzare in cielo.
Caribo e music* da ballo piena di grazia (Xy.pt;) da cui trae il nome.
8* Volgi, Beatrice, volgi ecc. Pregano Beatrice di due cose, che
abbiam toccate di sopra alla nota 76; e che restano ancora a Dante
per conseguire tutto il suo desiderio, cioè che Beatrice volga gli
occhi (che ora ha sul Grifone) a Dante, e che si sveli. La prima
grazia si dimanda in questa terzina ; la seconda nell'altra che segue.
83 Al tuo fedele. Come fedele, se prima fu Dante tanto rimpro-
verato per infedeltà? Rispondo che la bevanda di Lete non lascia
più parlare né ramni ntar di mali. Questi ormai sono come non fos-
sero mai successi.
86 o isplendor ecc. Ecco Beatrice già svelata e fissa in Dante.
Dante, dall'estasi oad'e preso, non ce lo può dire che con una escla-
mazione che ci lascia intendere le due grazie fatto da Beatrice.
87 Chi pallido si fece ecc. Qual sarebbe poeta si grande che non
paresse al tutto ignorante tentando ecc.
678 PURGATORIO
Là, dove armonizzando il ciel t'adombra, **
Quando nell'aere aperto ti solvesti ? 89
** Là dove armonizzando ecc. Accenna ai canti già notati di
quella celeste assemblea venata nel Paradiso terrestre, ed a quel
cielo mirabile di sette liste sotto cui tutti stavano.
#> Quando neWaere ecc. Quando mi ti manifestasti apertamente.
CANTO XXXII
Argomento.
Dante sazia la sua vista nell'aspetto di Beatrice. Le tre virtù
teologali lo scuotono. Dante si volge a loro, e vede la processione
già mossa a destra tornarsi indietro. Allora le quattro virtù tor-
nano alla loro ruota sinistra, e le ti e alla ruota destra, e il
Grifone volge il carro senza muover l'ali. Matilde con Stazio e
Dante prendono posto alla ruota destra colle tre virtù teologali.
La processione va a passo di musica degli angeli. Dopo un tratto
di tre voli di saetta, eccoli alla metà delta facciata d'oriente.
Allora Beatrice scende dal carro. Tutti gridano: Adamo, e si
pongono in giro intorno ad un'altissima pianta tutt i spoglia di
fiori e di fronde, come le piante oV inverno. Questa pianta si di-
lata di mano in mano che sale. Tutti fanno orazioni al Grifone
perche nulla toglie di quella pianta, e il Grifone conferma quelle
felicitazioni dicendo che è così che la giustizia si serba. Ciò detto,
il Grifone trae il timone, che è legno di quella pianta, alla pianta
stessa, e lo lascia a Iti legalo. Per quella unione la pianta si co-
lora e si veste di fronde. Allora tutti cantano un inno, che il poeta,
per esser molto misterioso, non intende. Qui Dante è preso dal
sonno. Poi uno splendore ed un invito a sorgere glielo rompe.
L'invito era di Matilde, e lo splendore abbagliante era del Gri-
fone e di quasi tutta la processione che salivano al cielo. Panie
riscosso dal sonno, dimanda ove sia Beatrice, e Matilde gliela ad-
dita seduta a' pie della rinverdita pianta, mentre le fanno corona
le sette virtù, che adesso portano i 7 candelabri. Dante si dà
tutto a contemplar Beatrice, e Beatrice lo assicura, che, dopo
alquanto di dimora nella chiesa militante, egli verrebbe ad abitar
con lei per sempre nella chiesa trionfante: ma intanto gliord'na
di osservar bete quanto colaseli gli sarà dato vedere affine di
scriverlo, e di ripeterlo al mondo. Allora Dante guarda ove gli
addita Beatrice, e vede un'aquila impetuosa scender dall'alto lun-
ghesso V albero e rompergli della scorza, de' fiori e delle foglie;
indi vede quell'aquila urtar nel carro con forza e tutto farlo
barcollare. Poi vede un}orribil volpe avventarsi nella cuna del
carro; ma Beatrice la riprende, e la volge in precipitosa fuga.
Dopo cacciata la volpe, eccoti di nuovo l'aquila, che venendo lungo
680 PURGATORIO
l'albero, come prima discende ma non precipitosa, nella cuna del
carro, e vi lascia molte sue penne. Allora una mesta voce si fa
sentir dal cielo, che piange il carco di quelle penne lasciale al
carro, siccome un peso pcricolono. Appresso questo Dante vede aprirti
la terra di sotto al carro tra le due ruote, uscirne un dragone, e
questo dragone torcer la coda contro il fondo del carrot e por-
tarsene via una parte qua e là per la foresta. La parte di carro
rimasta, si ricopre allor tutta in tutte sue parti di quella piuma
già cresciuta, come la gramigna, cotalchè vanno in poco tempo
coperti di piuma, e carro e ruote e timone. Allora quel carro,
già voto, manda fuori teste da per tutto, tre sul timone a due
corna come di bue, ed una per ciascun canto da un solo corno, e
così il carro diventa un mostro non pia veduto. Allora apparisce
a Dante, tcdu'a con fronte sicura entro il carro, una meretrice,
sciolta nelle vesti, e cupida negli sguardi; e di costa a lei un gi-
gante come a sua guardia. Questi due si baciano talora insieme;
ma perche una volta la cortigiana ardì volgere a Dante il suo
sguardo, quel feroce gigante, suo drudo, la flagella da capo a1 pie.
Finalmente il gigante, pieno di sospetto e d'ira, scioglie il mostro
dall'albero, e lo trae lungi di là per la selva, tanto che la selva
taglie u Dante di vista e la cortigiana ed il mostro,
(0) Continuazione dei mirabili effetti della Chiesa Cattolica tolte
anime preti in generale carne prima furono preti in particolare.
Rinnovazione del mondo operata da Gesù Cristo col meno
della tua Passione e della Chiesa Cattolica, e storia o vicende
dì està Chiesa.
SD. Vedi talli i cascltini di questo Canio uolta T. X Purg , e lo T. MI e XIII Purf.
lant'eran gli ocelli miei fissi ed attenti
A disbramarsi la decenne sete, l
Che gli altri sensi m'eran tutti spenti ; *
Ed essi quinci, e quindi av<?n parete8
* La decenne sete. Beatrice mori nel 1290.
* Che (/li altri sensi ecc. Gli occhi soli erano i sensi che in me
operavano; gli altri era come se non li avessi.
a Ed essi quinci ecc. Gli occhi stessi poi chi soli erano attivi,
CANTO XXXII. 681
Di non caler; così lo santo riso
A sé traèli con l'antica rete;
Quando per forza mi fu volto il viso
Ver la sinistra mia da quelle Dee, 4
Perch'io udia da loro un : Troppo 6so. s
10- E la disposizion eh' a veder èe 6
Negli occhi pur testé dal sol percossi;
Senza la vista alquanto esser mi fee;
Ma poi ch'ai poco il viso riformossi, 7
(lo dico al poco per rispetto al molto 8
non erano attivi che ad un punto solo, alla faccia di Beatrice, cosi
che le altre cose, fuori di lei, essi non le avvertivano, e non caleva
loro di avvertirle, come se lo spazio tra gli occhi di Dante e quelli
di Beatrice fosse stato fiancheggiato da due strette pareti.
* Ver la sinistra ecc. Dante, ch'era volto a Beatrice, guardava
ad oriente. La sinistra dunque di Dante era il nord, dalla cui parte
era la cima del monte. (Vedi Tav. XII, Purg.) — Da quelle Dee.
Dalle tre virtù teologali.
8 Troppo fiso. Cioè tu guardi troppo fiso negli occhi e nella bocca
di Beatrice, e cosi non avverti che la processione si muove e ritorna,
colla quale noi pure tutti dobbiamo muoverci e ritornare. (Abbi
spesso rocchio alla Tav. XII Purg.).
e E la disposizion ecc. Dopo che noi abbiamo mirato il sole, re-
stiamo per un po' di tempo abbagliati, e non possiamo vedere gli
oggetti che ci circondano. Tale è stata l' impressione che restò negli
occhi di Dante dopo aver tanto mirato il viso risplendentissimo di Bea-
trice. La Rivelazione è si piena di divinità che abbaglia ogni viatore.
7 Ma poi eh1 al poco ecc. Quando siamo abbagliati dal sole, per
riformare la nostra potenza visiva sconcertata, dobbiamo posare gli
occhi su corpi di poca luce, e cosi a poco a poco gli occhi riven-
gono dal loro abbagliamento. Così fece Dante, che guardando alle
Dee e ad altri oggetti, minori in luce di quella di Beatrice, si ri-
formò la vista.
8 Io dico al poco ecc. La luce degli altri oggetti era molta a
vero dire, ma poca a rispetto di quella di Beatrice. Rammentiamo
che le stesse quattro virtù cardinali si dissero ancelle di Beatrice.
Tanto deve dirsi anche delle tre virtù teologali, sebbene di ordine
superiore alle quattro.
682 PURGATORIO
Sensibile, onde a forza mi rimossi),
Vidi in sul braccio destro esser rivolto 9
Lo glorioso esercito, e tornarsi
Col sole e con le sette fiamme al volto. f0
Come sotto gli scudi per salvarsi l!
Volgesi schiera, e sé gira col segno.
Prima che possa tutta in sé mutarsi:
*m Jm
* Sul braccio destro ecc. A de3tra di esso esercito. (.Vedi Tav. XII
Purg.). Dunque la processione non volse dalla parie di Lete, ma
dalla parte contraria, e tornava in direzione quasi opposta a quella
per la quale era venuta. Prima era venuta da est ad ovest, ed ora
torna da ovest ad est, o più veramente a nord -est, perchè andava
al centro del Paradiso terrestre, traversando la facciata di sud e
di est, come tosto vedremo. (Vedi Tav. XII e XIII Purg.).
"> Col sole ecc. Essendo il sole non già presso alla nascita, ma
piuttosto presso il meriggio, il dirsi qui che l* esercito tornava col
sole al volto indica chiaramente che esso andava ad est-nord dove
appunto si trovava il .sole. Da ciò si vede che la processione nel
ritorno percorreva la diagonale per innalzarsi verso la cima, o centro
del Paradiso terrestre, rimettendosi cosi dalla facciata di sud a quella
di est. Puoi immaginarti da ta stesso questo ritorno ponendo l'oc-
chio sulla mia Tav. XTI e XIII. — E con le tette fiamme al volto.
Andava dietro ai 7 candelabri come quando era venuto. Si dice
che aveva al volto le sette fiamme a dinoti re che l'esercito si era
già voltato dalla sua postura che avea mentr'era fermo, essendo
prima tutti volti colla faccia al carro. Lo Spirito Santo che è sim-
boleggiato da questi 7 candelabri, è sempre quello che guida la
Chiesa ne' suoi movimenti, e con lo Spirito Santo la guida anche
Maria SS. che dallo Spirito Santo in certo qual modo procede per
sette liste che formano il cielo.
Notate bene che i sette candelabri si muovono da sé, e non
sono portati da nessuno, perchè lo Spirito Santo non ha bisogno
di nessuno per guidar la sua Chiesa^ II disegno del Velutello ha 7
angeli portatori dei candelabri. Errore.
** Come sotto gli scudi ecc. Una schiera che sia stata sorpresa
inopinatamente dal nemico, secondo i metodi guerreschi di quel
tempo, alza tosto gli scudi facendo un tetto sopra le teste, e la
bandiera davanti dà volta; e le file de' soldati voltano anch'esse
dietro al loro vessillo, restando frattanto le file indietro tutte ferme,
iì
CANTO XXXII. 683
Quella milizia del eeleste regno,
Che precedeva, tutta trapassonne
Pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi alle rote si tornar le donne, ls
E il Grifon mosse il benedetto carco, n
SI che però nulla penna crollonne. I5
La bella donna che mi trasse al varco, i6
E Stazio, ed io seguitavani la rota
30- Che fé l'orbita sua con minor arco. *7
Sì passeggiando l'alta selva vota, u
Colpa di quella ch'ai serpente crese, 19
Temprava i passi un'angelica nota.
20
e voltando soltanto quando si volta la fila anteriore. L'imagine della
ritirata, cogli sondi in capo, fu suggerita dal cielo, o padiglion di
luce, che, come vedemmo, copriva tutta quella processione; e che
era Maria SS.
*2 II primo legno. Il timone.
13 Indi alle rote ecc. Le tre alla destra, le quattro alla sinistra.
f* Il benedetto earco. Il carro e Beatrice, ch'era il santo carico
di quel carro. Gesù Cristo trae seco la Rivelazione, perchè tutta la
Rivelazione è per lui.
*3 Kulla penna erollonne. Perchè il Grifone è Gesù Cristo che è
Dio, e non ha bisogno di sforzi per condurre il carro della sua Chiesa :
e poi qui si conferma la nessuna lesione delle ali alle liste, che ve-
demmo indicare Maria Vergine u\ concepimento e nel parto del
suo Divin Figliuolo.
4G La bella donna ecc. Matilde.
17 Che fé l'orbita ecc. La rota destra, che facea minor giro, per-
chè il carro voltava alla destra. Da questa parte si pose Matilde,
Stazio e Dante dietro alle tre virtù teologali, di cui Dante prima
era già stato vestito, e però dovoa seguir queste e tenersi alla de-
stra, che è la parte migliore più dicevole al suo nuovo stato di
perfezione.
<8 Vota. Di abitatori.
w Colpa di quella ecc. Di Eva.
so Temprava i passi ecc. Andavano tutti a passo di battuta die-
tro il canto degli angeli. Che bella armonia non ha la Chiesa!
684 PURGATORIO
Forse in tre voli tanto spazio prese al
Disfrenata saetta, quanto eramo
Rimossi, quando Beatrice scese. n
Io senti' mormorare a tutti: Adamo! M
Poi cerchiaro una pianta dispogliata M
Di fiori, e d'altra fronda in ciascun ramo.
21 Forse in tre voli ecc. Sarebbero stati soli cento passi se la
processione, senza alzarsi verso il centro, si fosse recata dalla meta
della facciata di sud, onde parti, sino alla metà della facciata di
e3t, o v'era diretta. Ma poiché in questo ritorno si tenne anche verso
la cima, ossia andò verso est-nord, come è dichiarato prima con dire
che andava a dritto filo del sole che era più presso al meriggio che
all'orizzonte, perciò occorrevano assai più di cento passi ; il che va
appunto a rispondere ai tre voli di saetta Da questo punto in poi
si dee aver presente la mia Tav. XIII. Una ricerca. Perchè dalla
plaga di sud va la proesssione alla plaga di est? Perchè questa
plaga orientale ò il luogo dove si suppone creato Adamo ed Eva,
presso la pianta alla quale si peccò. Gesù Cristo (Grifone) volendo
rimediare al mal di Adamo doveva andare alla radice del male, a
quella pianta malaugurata, facendo a lei tutto il contrario di quello
che fecero Adamo ed Eva.
** Quando Beatrice scese. Scese Beatrice, o la Rivelazione, per
dar luogo alle opere che era sarà per fare il Grifone (Gesù Cristo)
per la redenzione dell'uomo, e per la sua totale rinnovazione. Quando
Gesù Cristo venne al mondo per effettuare la redenzione dell'uman
genere, la figura dovette dar luogo al figurato (Gesù Cristo), la-
sciando a lui tutta intera l'azione dell'umano rise itto, che qui tosto
succederà. Qui la Rivelazione non ha a far altro che essere spetta-
trice degli avvenimenti ch'ella stessa predisse ed insegnò.
23 Adamo. Ecco la pianta di Adamo, ecco a che fu ridotta pel
suo peccato.
2i Poi cerchiaro una pianta ecc La pianta, prima frondosa e
fiorita, poi dispogliata di fiori e di fronde, è l'umanità, prima inno-
cente, poi peccatrice, a redintegrar la quale venne Gesù Cristo,
come qui a rinnovar quolla pianta si dispogliata venne il Grifone.
Si sa che Adamo ed Eva, in cui era concentrata da principio l'uma-
nità tutta quanta, furono creati nella giustizia originale, arricchiti
d'ogni tesoro di natura e di grazia, belli della bellezza di l>io, per-
ciò paragonati ad una piauta incantevole.
CANTO XXXII. 685
*o La chioma sua, che tanto si dilata *3
Più, quanto più è su, fora dagl'Indi
Ne' boschi lor per altezza ammirata.
Beato se', Grifon, che non discindi M
Col becco d'esto legno dolce al gusto,
Posciachè mal si torse il ventre quindi. 27
Così d'intorno all'arbore robusto
Gridaron gli altri; e l'animai binato: u
ss La ohi orna sua, che ecc. Di questa pianta si descrive qui
l'altezza, la larghezza e la forma. Per altezza essa supera le più
alte piante dell'India, le quali superano tutte l'altre della terra.
Per larghezza essa pur si dilata più che tutte l'altre. Per la sua
forma ò essa fatta in guisa che rappresenta un cono rovesciato
col' a punta in giù. Tutto questo conviene all'umanità. Essa è alta
per la sua derivazione che è dal cielo: essa è larga per l'ampiezza
delle grazie in lei versate: essa è dilatata in cima e stretta in
fondo, perchè tutta l'umanità, quanl' ella è viista, poggia come in
un punto su Adamo ed Eva uniti in un solo connubio. Che im-
mensità di concetti e di poesia!
26 Beato se' ecc. La rovina di si bella, di si alta, di si grande
umanità, provenne dall'avere Adamo ed Eva beccato di quella
pianta, i cui frutti stuzzicarono la gola dei nostri progenitori, quan-
tunque avessero il divieto di gustarne. Ebbene; Gesù Cristo per
riparare a quel male dovea comportarsi verso quella pianta in modo
tutto cantrario a quello che tennero i nostri primi parenti. Essi pec-
carono per mangiarne, e Gesù Cristo dovea rimediare al loro pec-
cato con non mangiarne. In altri termini se essi disubbidirono a
Dio, e codi ci rovinarono; Gesù Cristo, con obbedire all' Etcì no suo
divin Padre, dovea ristorare le perdite Adamitiche, Quest'obbedienza
di Cristo ai decreti del padre, è Unto proclamata dalle sante scrit-
ture, e massime da S. Paolo.
27 Posàachè mal si torse ecc. Perchè essendo quello un cibo
vietato, Adamo ed Eva che ne gustarono partirono d i quella pianta
con nel ventre il velino e la morte per sé e per tutti i lor discen-
denti. In questo il poeta prende la similitudine da que' sciaurati,
che per aver mangiato un frutto gusto jo, ma avvelenato, si dibat-
tono poscia per atroci dolori di ventre, e vi l ascian la vita.
28 L'animai binato. Il Grifone che era biforme o di due nature,
uccello e leone.
686 PURGATORIO
Si si conserva il seme d'ogni giusto. *
E volto al temo ch'egli avea tirato,'30
50- Trasselo a pie della vedova frasca; 3I
E quel di lei a lei lasciò legato. 32
Come le nostre piante, quando casca
29 Sì si conserva ecc. Così si osserva giustizia; che è il seme
d'ogni cosa giusta. Allude all'obbedienza che Gesù Cristo ebbe alla
legge divina, alla quale volle sottomettersi per rimediare air ingiusti-
zia della disobbedienza Adamitica. E evidente che queste parole del
Grifone (Gesù Cristo) rispondono a quella protesta che fece Gesù
Cristo (S. Mat,, III, 15), quando, chiesto il battesimo a S. Giovanni,
questi per umiltà gli si rifiutava; ed allora Gesù Cristo gli disse:
Sine modo: sic enim decet nos implere omnem iustitiam: e rispon-
dono pure a quell'altra protesta di Gesù Cristo quando disse (Mat.,
V, 17): JVvn veni solvere legem, sed adimplcre.
30 Temo. Timone. Questo è la croce di Gesù Cristo sulla quale
egli compi la redenzione dell'uomo.
Ch'egli avea tirato. Come il Grifone avea tirato il timone, cosi Gedù
Cristo ha portato la croce sulle sue spalle nell'ascesa del monte Calvario.
** Trasselo a pie ecc. Gesù Cristo applicò la sua croce alla uma-
nità peccatrice. L'immagine è tolta dal bellissimo poema di Rabano
De laudibus Sanotae Crucis, dove anch'egli applica la Croce a tutte
cose per santificarle. Rabano era l'autore prediletto di Dante.
32 E quel di lei a lei ecc. E quel timone, ch'era figlio, o ram-
pollo di lei, lasciò legato a lei stessa, vale a dire che Gesù Cristo
strinse la sua croce all'umanità peccatrice, comunicando così a questa
la bua virtù redentrice, ed applicandole tutto il merito infinito della
sua Passione che su di lei consumò. Su questo legame del timone
all'albero sono incredibili gli spropositi di certi interpreti alla mo-
derna. Questo legno poi aveva a sé attaccato il carro, perchè alla
croce di Gesù Cristo fu sempre attaccata la Chiesa, sia del Testamento
vecchio, che nuovo. È evidente che il poeta nell' immaginare la no-
biltà e l'efficacia di questo santo timone su quel graud'arbore, ve-
dovo d'ogni onore, ossia nell' immaginare la nobiltà d'efficacia della
santa croce di Gesù Cristo sulla umanità viziata, prese le sue ispira-
zioni dagli inni che la Chiesa canta in lode del santo legno della croce
nel tempo della Passione, presso le cui bellezze sono cose ridicole
pensieri di Orazio in lode del legno della sua nave. Ne daremo
un saggio. Nell'inno del sabbato avanti la domenica di Passione,
la Chiesa in lode della Croce canta cosi:
CANTO XXXII. 687
VexiUa Regia prodcunt, ImpUla sunl quae concinit
Fulget Crucis myaterium, David fideli Carmine,
Qua vita mortem perlulil, Dicendo nationibus :
Et morie vitata protulit. Regnuvil a Ugno Deus.
Quae vulnerata lanceae Arbor decora, et fulgida,
Mucrone diro, criminum Ornata Regia pnrpura,
Ut no8 lavarci aordibus. Electa digno alipile
M ari avi l unda et sanguine. Tarn sancta membra tangere.
Beata, cuius brachiis
Pretium pepe n di i aaeculi%
Staterà faci a corpo ria9
Tulitque praedam tartari.
Nell'inno poi di mattutino della domenica di Passione a lode
della stessa Croce si canta:
Pange lingua gloriosi De parcntis prò topi aiti
Lauream certaminis, Fraude Factor condole ns,
Et super crucis trophaeo Quando pomi noxialis
Die triumphum nobilem: In neccm morsu ruit:
Qualiter Rclemptor orbis Ipse Ugnarti lune notuvit,
ImmolaLus viccrit* Damna Ugni ut solver et.
Hoc opus nostrae salutis
Ordo dopoposcerat,
Multiformi 8 proditoris
Ars ut artem fallerete
Et medelam ferret inde.
Hostis un de laeseratt
E nell'inno delle laudi della stessa domenica, tra le altre belle
lodi alla Croce, si hanno pur queste di una impareggiabile poesia :
Crux fideli s inter nmnes Flecte ramoa arbor alta,
Arbor una nobilis: Tensa laxa viscera,
Silva talem nulla profeit Et rigor lentescat Me,
Fronde, flore, genuine : Quem dedit nativilas;
Dnlce ferrum, didce lignum, Et superni membra Regia.
Dulce pondua suslinent. Tende miti stipite.
Sola digna tu fuisli.
Ferre mundi Victimam;
Atque porlum praeparare
Arca mundo naufrago,
Quam sacer cruor perunxit
Fusua Agni corpore.
688 * PURGATORIO
Giù la gran luce mischiata con quella M
Che raggia dietro alla celeste lasca,
Turgide fansi, e poi si rinnovella
Di suo color ciascuna, pria che '1 sole
Giunga li suoi corsier sott'altra stella;
Men che di rose, e più che di viole, 34
Colore aprendo, s'innovò la pianta, M
60- Che prima avea le ramora sì sole.
*3 La gran luce ecc. La luce del sole. — Mischiata con quella ec.
Il sole nasce e tramonta or con uno or con altro segno zodiacale,
mischiando cosi i suoi coi raggi di quel segno. Dal 21 marzo al 21
aprile il sole nasc<s e tramonta in Ariete, che è quel segno del zo-
diaco che ticn dietro ai Pesci (lasca) coi quali il sole nasce e
tramonta il mese avanti, cioè dal 21 febbraio al 21 marzo. (Vedi
Tav. VII Purg). Qui il poeta prende il primo tempo, quello cioè
dal 21 marzo al 21 aprile, quando il sole na9ce e tramonta in Ariete,
che è quanto dire il principio di primavera, nel quale le piante,
irrigidite nel verno, sentendo i tepori della nuova stagione, si fanno
turgide e gravide, e poi pria che il sole passi dall'Ariete nel Toro,
cioè pria che venga il 21 aprile si rivestono anche di frondi.
** Men che di rote, t più che di viole. Questo colore è preci-
samente il colore del sangue già uscito dalle vene, che ha un rosso
carico o cupo, ed è un colore di mezzo tra quel della rosa e della
viola. Attenti bene a questo colore che è il colore del Sangue Pre-
ziosissimo di Gesù Cristo sparso per noi sulla Croce.
3* S'innovò la pianta ecc. Ecco l'umanità redenta dal sangue di
Gesù Cristo, mediante la diffusione del suo sangue dalla Croce su tutta
la umanità raffigurata nella pianta, la quale perciò prende il color
di quel preziosissimo sangue. Che altezza e chiarezza e sautità di
concetti! Eppure anche il buono e bravo Cesare Balbo non intese
verbo di queste cose, e perchè non le intese lui, gli parea impos-
sibile che le intendessero gli altri, onde, stizzito di Dante, ebbe il
coraggio di eh amar questi ultimi canti, canti infelici, e poi ag-
giungere: u L'animo di nuovo abbuiato (forse dalla composizione
della Monarchia) produsse in lui questi abbuiamenti d'i magi ni, di
stile, di parole, e di lettere stravolte. » (Vita di Dante, v. IT,
cap. XI l in fine), Certo quanto a bellezza, maestà, e chiarezza di
imagini, al tutto profetiche, non era da dare un tal giudizio.
CANTO XXXII. 689
Io non lo intesi, ni quaggiù si canta 8G
L'inno che quella gente allor cantaro,
Nò la nota soffersi tutta quanta. 37
S'io potessi ritrar come assonnaro 3S
Gli occhi spietati, udendo di Siringa, a9
Gli occhi, a cui più vegghiar costò sì caro; /,D
36 lo non /.) intesi ecc. E imitato dall', /poculissc nel Canto XIV
dove si parisi di un e mto speciale e nuovo che non e concesso can-
tare in cielo a tutti i beati, ma ai soli vergini.
3" Né la noia soffersi ecc. Come non intese il senso dell' inno,
cosi non potè raccogliere tutto il metro del canto, tanto erano en-
trambi superiori alla sua capacità. Questo ranto dovea essere il
canto di esultanza e di ringraziamento degli Angeli e dei Santi per
b. Redenzione testé eseguita.
3* S'io potessi ritrar come ecc. Dante s'addormentò, ma non sa
dir come. A che questo sonno, che non si può spiegare, e sonno
in questi momenti si lieti? Questo sonno è Dio che glielo mette,
porche Dante è ancora incapace di veder la trasformazione, che
intanto succederà, del Grifone simbolico nella persona reale di Gesù
Cristo. Dante potrà fissarsi in Gesù Cristo reale e non simbolico
nell'ultimo Canto del Paradiso, e non qui, dove appena e noi prin-
cipio della Via Illuminativa. (Vedi la nota seguente),
39 Gli occhi spietati ecc. Certa Io era amata da Giove. Per que-
sto la gelosa Ginno la facea custodire da Argo, mostro da cen t'occhi.
Ma Mercurio, messo di Giove, si presentò al vigile custode, e fat-
tolo assonnare con raccontargli l.i favola della ninfa Siringa, l'uccise
e rapi lo. Si dicono occhi spietati, perche senza nessuna pietà cu-
stodivano la donzella rigorosamente. Siccome dopo il bonno di Dante
avviene il rapimento di ima donna e del carro su cui siede, perciò
il poeti rassomigliò il suo sonno al sonno di Argo, che ebbe simili
conseguenze.
*o Più vegghiar costò sì caro. È qui una contraddizione, ma solo
apparente. Parrebbe che avesse dovuto dire il poeta : A cui non
vegghiar costò sì carof parche fu in causa d'aver dormito, ch'egli
fu morto: ma se si osservi che appunto la sui oculatissima vigi-
lanza fu e.iusa del decreto fatai di Giove di farlo assonnare, e poi
uccidere, si vedrà che la causa prima e determinai r ice della sua
morte fu il suo troppo vegghiare. Il sonno non fu che un mezzo
per la sua morte; la sua rigorosa vigilanza ne fu la causa motrice.
44
6D0 PURGATORIO
Come pintor che con esemplo pingu, 4|
Disegnerei coni' io m'addormentai ; ;i
Ma qual vuol sia che l'assonnar ben finga.
70- Però trascorro a qusmdo mi svegliai, u
E dico eh un splendor mi squarciò il velo n
Dei sonno, ed un chiamar: Surgi, che fai? 4:>
Quale a veder de' fioretti del melo 4,i
Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti; 47
E perpetue nozze fa nel cielo,
*• Come pintor ecc. Come un pittore che ritrae copie da mi ori-
ginale.
to Dibcgnercl ecc. Perchè anch'io mi debbo uvei* s.ddoiiuuit ito
come Argo. Argo pur sì vigilante e premuroso «li tener gli rechi
sulla giovinetta lo, s'addormentò all'udire un racconto maraviglio^,
e Dante anch'egli si addormentò all'udire cose maravigliose, cioè:
L'inno che quella gmte allor cantaro.
W Pero trascorro ecc. Si vuol accenuare così che questo sonno
fa di assai breve durata. Egli non potè infatti esser souno che di
qualche minuto. Imperciocché se nel Canto XX Vili, n. 85 eravamo
alle 6:16 antiro., cioè un minuto dopo la nascita del sole, v nei
Canto XXXIII die segue, avremo il meriggio di questo stesso,
sapendo quanti fatti avvennero in questi più che quattro Canti, e
in questo periodo di sole ore 5:i4, s» concili ude a tutta prova che
quel sonno non potò essere che di pochi minuti.
** Un splendor mi squarciò ccc. Lo splender lontano di Cristo
e dei beati che ritornavano al cielo.
** Ed un chiamar tee. Il chiamar è di Matilde.
■'•*> Quale a veder ecc. 11 poeta vuol dare uuidea del come si trovò,
appena svegliato, e dice che si trovò come si trovarono li tic apo-
stoli Pietro, Giovanni e Giacomo dopo l.t trasfigurazione di Gcmì
Cristo sul Taborre. La similitudine è tutta propria al caso di itati te.
Lo vedremo a parte a parte.
*
Melo. Albero pomi fero. E Gesù Cristo. Di quest'albero si ac-
cennano solo i fioretti, che sono un saggio delle frutta che poi ver-
ranno a suo tempo, perchè li tre apostoli, nella Trasfigur. -.zirno di
Gesù Cristo furono ammes-i a godere solo un maggio de' la t'ìoiia
di Gesù Cristo.
*" Che del 6iu> punì- tee. Il gedim nto della gloria del eie!*.1 non
CANTO XXX IL 691
Pietro e Giovanni e Giacopo condotti,
E vinti ritornalo alla parola, 4*
Dalla qual furon maggior sonni rotti, 49
E videro scemata loro scuola» 50
80- Così di Moisè, come d'Elia,
E al maestro suo cangiata stola ; M
Tal torna' io, e vidi quella pia l-
Sovra me starsi, clic conducitrice
Fu de' miei passi lungo il fiume pria;
E tutto in dubbio dissi: Ov' è Beatrice? 53
è soltanto un saggio (fioretti) come quello ch'ebbero gli Apostoli,
ma è una cosa compita, come il pomo è un frutto compito dell'al-
bero. In terra dunque al più i soli fiori, in cielo i frutti.
48 E vinti ritornaro ecc. Intendi così: E dopo di essere stati
vinti ed oppressi all'eccessivo splendore della gloria di Gcaù Cristo,
poi ritornarono ìà sensi chiamativi dalla parola di Gesù Cristo me-
desimo, che disse loro: Surgitr ; noliie timerc.
fc* Dalla qual furon ecc. I sonni di morte, come in Lazzaro, e
in t-.nli altri.
M E videro scemala ecc. Non videro più né Mosè né Elia. AIosò
in quella occasione faceva da rappresentante della Chieda dell' an-
tico Testamento, ed Elia della Chiesa del nuovo, perch'esso dovrà
venire alla fine del mondo a combattere contro l'Anticristo.
si E al maestro suo ecc. Cioè ritornato alle sue vesti di prima,
lasciate le candidissime e splendenti della Trasfigurazione.
S2 Tal tomaio ecc. Io. che come quei tre apostoli, mi trovava su
un monte, com'easi gustava un saggio della gloria celeste, com'essi
vedea Gesù Cristo e le due Chiese, coni' essi caddi privo de" sensi
al trasformarsi del Grifoncda simbolo di Gesù Cristo in Gesù Cristo
reale, e glorioso, pure, coin'cssi, mi svegliai riscosso dalle parole:
Surgi che fui, come gli apostoli furono riscossi dal Sur gite, noliie
timere, non vedendo più la processione o le due Chiese di prima, come
essi più non videro Mosè ed Elia, e vedendomi star sopra una persona,
qual era Matilde, come gli apostoli videro starsi sopra Gesù Cristo.
M Ove Beatrice? Come fa chi si sveglia, e non vede tosto tutti
gli oggetti che io circondano. Egli chiede della sola Beatrice, come
il figliuolino, quando si sveglia, chiede tosto della sua madre. TI
vero fedele ricorre sempre alla Rivelazione.
692 PURGATORIO
Ed elht : Vedi lei sotto 1:\ fronda :,i
Nuova sedersi in su la sua radice. *5
Vedi la compagnia clic la circonda; hù
Gli altri 'dopo il Grifon seti vanno suso, •,,7
9(ì- Con più dolce canzone, e più profonda. hs
E so fu più lo suo parlar diffuso 59
Non so, però che giìi negli occhi m'era
Quella, ch'ad altro intender ru'avca chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera, °°
Come guardia lasciata 11 del plaustro, 6I
Che Iettar vidi alla biforme fiera. 6*
^» iVrfi / t s'A'g fa fronda ecc. C^me Beatrice siede tra il carro
e la pi iuta rinnovellat-i, cosi li Rivelazione siede tra la Chiesa e
t'urn tnità redenta, al cui servigio ella resta.
^ In su Li sua radice. La Rivelazione sic le in Roma, radice
del monÙM cattolico.
^ La iOinpagnia ecc. Le Ire virtù teologali e le quattro morali,
che stanno sempre colla Uivelazionc. e Io fannj ouorc, come nncellc
a signora. Chi duuque le vuole deve ricorrere alla Rivelazione.
57 CU altri dopo il Grifon ecc. E Gesù Cristo che nella sua glo"
rioii a*ceiis:oue ritorna al Padre onduccndodi dietro tanti >anij
dell'antica e dell i nuova Chiesa, ai quali e^li aperse per la prima
volta le porte del Celo.
:,8 Cvit pia dolci ecc. Perche vanno alla gloria e CV.po e Membia.
w E se fu più lo suo ecc. Dante e tutto inteso alla Rivelazione,
perchè des.'a è la fola guida e maestra dell'uomo. Ipsatn audite
Matilde uc è il suo ministro, che rivolge l'uomo siila Rivelazione.
•>n &>la itdeasi ecc. Perchè sola ? Perche e 1 1 sola maestra del
mondo. Perchè sed-.u ? Per indicar appunto ch'ella è maestra, e clu*
siede colà come in sua e Ut* dra Perche la sua cattedra è la t«.'ira,
luogo basso? Perchè la Rivelazione diede dapprima i aioi oracoli
nella povertà delle catacombe e delle prigioni. Perchè è tv ria vera?
Perchè la sua cattedra è cUtedra di verità.
*' Conie guardia ecc. La Rivelazione veglia sulla Ch:c.-a h 1 o-
IcTL'iata. come dicemmo, nel carro
*- Che le-'ir cidi ecc. Gqù Cristo ha legato 1 Chieda colliiaia-
cita mediante la sua croco.
CANTO XXXII. 693
In cerchio le facevan di se claustro 03
Le sette ninfe, con que' lumi in mano, ci
Ohe son sicuri d'aquilone e d'austro.
100. Qui sarai tu poco tempo silvano, r,i
E sarai meco senza fine ci ve 6tì
Di quella lioma onde Cristo è Komano:(JT
63 In cerchio le facevan ecc. Ornamento della Rivelazione, come
dicemmo, sono le 7 vii tu. Chi sprezza qu-lla, sprezza anche queste.
*>s Con qua' lumi in mano ecc. Colla Chiesa fu lasciata da Cristo,
nel suo partire, la Rivelazione, le 7 virtù, e lo Spirito Santo che
la illumina Questo lume dello Spirito Santo inni non si spegne per
forza di Vinti anche più furiosi, perchè sempre Io Spirito Santo
illumina e dirige la Chiosa eolla sua Rivelazione, colle sue virtù,
e coi sette doni di lui. Li 7 candelai); i, quando il Grifone o Gesù
Cristo era in terra, non erano portati da nessuno, ed ora non por-
titi dalle 7 virtù, perchè quand'era in terra Gesù Crbto, lo Spi-
rito Santo era con lui ed in lui e per lui ; ma dopo la sua partenza
da questo mondo, lo consegnò o depose hi altre inani, nelle mani
de' ì:uoì Apostoli, sova i quali per mandato di Gesù Cripto, discese
noi giorno della Pentecoste.
*W Qui earai lu ecc Vivrai tu ancor poco tempo in questo mondo
eli* è diventato ornai una solva d'errori e di vi/.;. Dante presentiva
non lontana la sua morte. Egli avei ragione, perdi' ebbe appena
tempo di comporre la terza Cantica dopo la quale spirò nel 132 L
Egli scrivea questo penultimo Canto (LA Purgatorio appena dopo
il novembre del 1311, probabilmente in Lucca, presso la fumosa
Gentucca, sua ospite generosa. (Vedi Purg., Canto XXIV. v. *M,
e vedi auchc il Canto scg., v. 43),
&» E 8arui meco ecc. Dopo vorrai con me eternamente in Para-
diso ad esservi citfadino perpetuo.
«7 Di qu.-lla Roma ecc. La Roma del Paradiso. Secondo Dante
v' hanno due Rome, una in terra, un'altra in ciclo, a quella guisa
medesima die sccorid-.» S. Paolo v'hanno due Gerusalemme, Tuna
terrena e l'altra celeste. Ora che la città santa non è più Gerusa-
lemme ma Roma, è naturale sostituir R;ina a Gerusalemme, clic
più non C:iite e fu ribelle.
Onde Crùio è Romano. Di cui Cristo è capo dei cittadini. Es-
sendo la Roma celeste la sede dell'Imperatore cele ite, perciò egli
può chiamarsi colassù il vero Imperatore Romano.
«9i PURGATORI»
Però, in prò del mondo che mai vive, cs
Al carro tieni or gli occhi, e, quel che vedi,
Ritornato di là, fa che tu scrive.
Così Beatrice: ed io, che tutto a' piedi, Ù'J
De' suoi comandamenti era devoto,
La mente e gli occhi, ov'ella volle, diedi.
Non scese mai con sì veloce moto 70
,w In prò ihl mondo ecc. Alcune delie cose che IJanto sarà per
dire, Bono veramente in prò del mondo : ma alcune altre sono piut-
tosto il frutto di un* ira ed avversion ghibellina contro la Santa
Sede, colpa le «ne idee politiche, le quali in fatto di impero Ro-
mano, o di monarchia universale, non erano troppo rette, né certo
le accetterebbero presentemente, anzi essi meno di tutti, i più ac-
caniti nemici del pot?r temporale dei papi. Bi- gna però confessare,
come avremo occasione di notarlo con più diffusione a suo luogo
in questo medesimo Canto, che un grandissimo male7 anzi una sor-
gente di mille mali, che poscia avvennero, era sorto da circa dieci
anni nella Chiesa, od era il trasporto della Santa S*de da Roma in
Avignone tri gli artigli dispotici dell'empio Filippo il Bello. Quando
si cousidcra questo fatto, tatto terribile p?r li Chiesa, e gravido
di funestissime conseguenze, non si può a mei ,> di usare un po' di
indulgenza all'ira Dantesca, ed alle sue aberrazioni. Per un animo
generoso, e disgustato, è una gran tentazione lo scandalo. Ciò pre-
messo veniamo alla spiegazione. Dante, per dar maigior peso ed
autorità alle cose acerbe che tara per dire, se ne fa dar il mandato
di missione da Beatrice, ossia dalla Rivelazione. Questo è il conte-
nuto della presente terzina.
fo» Ed lo che iutt* a pìcJi ecc. Non ti par di veder qui un mis-
sionario che prendo in gin kvIiìo dalle mani del Papa la bem dizione
e le patenti por ire alii conversione del mondo? Questo fa il Vv-ro
fine che si proti -se Dant.* nello scrivere la Min 7>i"riw i Co'ncdia
ritrar il umido, che md vive, dal disordine dei pece ito qual che
egli sia. come abbiamo svolto in un'apposita Tavoli, la prima ùeì-
V Fnfm.'\ e chi dini?nt:ci o non coirli^ nues*.> fiue genernle rollo
studio di quest'opera, e ne sostituisco un suo rart"co!nre, falso e
mesch'no. cono fanno ergili tanti po!ir"c.ì>tri. u"*n si co:. forma a il»"
vere, infiiilor.i d 1 poeti, ne perì'' a.f.ttf» lo sririt.». e n*» di»gy:da
nrsera-r.euio la dignità.
"'■* .V -*ì ,nv:»-" -j-i" cee. Cor:ì'n%:a oul iì r-oefc» ^ far *-\ >lori.-: ,Vj!c
CANTO XXX IL 69*
ilo. Fuoco di spessa uube, quando piove
Da quel contine, che più è remoto.
Coni' io vidi calar l'uccel di Giove
Per l'arbor giù, rompendo della scorza, 7I
Non che de? fiori, e delle foglie nuove; ri
E ferio '1 carro di tutta sua forza, 73
vicende della Chiosa. La prima vicenda sono le persecuzioni degli
impcrndori romani contro di lei. persecuzioni che durarono per beu
tre secoli, e che formano l'èra dei martiri sino all'Imperador Co-
stantino. Secondo l'uso poetico, questo impero romano e pagano.
6 simboleggiato nell'aquila che fu lo stemma dell' impero romano.
Per indicare la furia <; la ferocia onde si persegli tò la Chiesa dai
mostri coronati di Roma pagai -i, si paragona l'aquila romana (uccel
di Giove) al fulmine, ma al fulmine che ha maggior forza distrug-
gitrice, che ìì quando scende dallo più alte regioni dell'aeie.
71 Per l'arbor yih. eco.. L'arbore quale lo abbiamo qui, verdeg-
giante e fiorito è, corno dceniuio, la umanità, rigenerata da Gesù
Cristo mediante la unione di lei al carro della Chiesa. Or bene, gli
imperatori romani si avventarono per tre secoli contro questa re-
denta umanità; e contro la Chiesa che la redenso, e fecero ogni
sforzo per istcrin'uarc luna e Pulirà del mondo. Perciò si dice prima
che l'aquila calò giù per l'arbore, e dall'arbore pnssò ad urtar nel
enrro. Non si poteva assolutamente presentare con più magnifiche,
e più precise idee questo san Miinoso periodo della storia ecclesiastica.
lì'ompmcio della scorsa. — Kon che ecc. Si dice che l'aquila
rompe non già tutta la scorza, tutti i liori; e tutte le foglie, ma
I arte della scorza, dei fiori e delle foglie, perchè i persecutori ro-
mani, sebbene si proponessero di affogar tutti i cristiani nel loro
sangue, pure non ci riuscirono che in parte, avvenendo poi per
divina disposizione il contrario ai loro divisamenti, perchè quel
mezzo stesso ch'esci adoperavano per togliere i cristiani dal mondo,
quello serviva invi ce ad accrescerne, il numero: ciò che fece dire
a Tertulliano: sangui; martyru.m semen christianorum. 11 grande
destino dcl'a cristianità ò di essere indefettibile,, e durar se mpre sino
alla consumazione de' secoli.
7* Xuove. Perchè i tre secoli di persecuzioni avvennero nel prin-
cipio dell a cristianità, e si scatenarono contro di lei fui dalle fasce.
"3 E fe.riol- carro ecc. Perchè i persecutori romani nella loro
sete di sangue cristiano prendevano massimamente di mira il corpo
60G PURGATORIO
Ond'ei piegò, come nave in fortuna, 74
Vinta dall'onde, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi nella cuna 7S
Del trionfai veicolo una volpe,
12°- Che d'ogni pasto buon parea digiuna.
ecclesiastico, la Chiesa docente; e più di tutti il suo supremo pastore,
il romano pontefice, e la cattedra romana, sperando chr -penti i capi
ed i condottieri, facilmente resterebbe spento il cristiano esercito.
7i Ona"ei piego come ecc. Con queste parole ed imigini si ac-
cenna all'evidente pericolo che corse allora la Chiesa di and. ir di-
strutta dalla violenza cesarea, e sarebbe stata distrutta in effetto,
s'ella fosse stata opera umana, impotente a reggere contro assalti
sì replicati e feroci. Ma eli* era invece opera divina, che poteva
e doveva bensì essere combattuta, vinta non umi: oppugnati poteat,
vinci non potest, come disse un santo padre. Perciò il poeti pren-
dendo l'imagine dalla navicella evangelica, ci descrive qui la Chieda
in pericolo come quel mistico legno su cui giacca Geeù Cristo dor-
miente, anch'esso flagellato dai marosi a destra ed a manca, anche
caso in evidente pericolo di affondare, c/m.e credeano allora gli
apostoli di poca fede, dicendo al divino Mastro: Salva nos peri*
mus. E Gesù Cristo li ha salvati, come salvò la sua Chicca dalle
prime persecuzioni, ridonandole, dopo tre secoli di continuo sangue,
la pace: ci faci a est tranquUlitas magna. Fin qui la prima vicenda
od il primo pericolo della Chiesa.
7!> Poscia vidi avvallarsi ecc. Pas3a ali i seconda vicenda, o al
secondo pericolo della Chiesa, che fu l'eresia. Perchè l'eresia e rap-
presentata da una volpe? Perchè la volpe è ladra, astuta, ed in-
gorda; e queste qualità sono proprie dell'eresia e degli eretici. Essi
sono ladri, perchè rubano i figli alla madre loro, la Chiesa; sono
astuti e ingannatori, perchè per rubare i figli alla Chiesa si atteg-
giano in atto di pietà, e di amore alla verità ed alla fede; :ono
ingordi, perchè poi fanno strage di quei semplicioni che loro si affi-
dano, strage temporale e poi eterni, e perchè il principio che li
muove e sempre un loro interesse, e non ma" -m vero intcre3=c dei
credenti. Perchè si dice che la volpe si avventa nella cuna del
carro? Perchè l'eresia e gli eretici nascono nel tcno della Chiesa,
che qui si chiama trionfai veicolo, pei trionfi già riportati sugli
imperatori pagani. Perchè si dice che parti digiuna d'ogni buon
pasto? Perchè l'eresia si pasce di «oli errori e menzogne. Il poeta
CANTO XXXII. G97
Ma riprendendo lei di laide colpe, 76
La donna mia la volse in tanta futa, 77
pone l'eresia dopo l'èra dei martiri, perchè appena la Chiesa ebbe
la paca sotto Costantino, sorse l'eresia di Ario, la più terribile delle
eresie, perchè ini acci va la divinità del Verbo incarnato fondator
della Chiesa.
"<* Ma riprendendo lei ecc. Veramente la Chiesa non avrebbe a
far altro per confondere e debellare l'eresia, e gli eretici, che rin-
facciare ad essi la loro vita, lorda di laide colpe, fra le quali seni-
prò primeggia V incontinenza. E questo infatti è quello che ha fatto
la Chiesa, oltre le definizioni dogmatiche ne' suoi ecumenici concilii.
Qui si allude al Concilio ecumenico di Nicca dove furono condan-
nati gli errori di Ario. Ma per questa eresia e per questo Concilio
s'intendono tutte l'altre eresie, e gli altri Concilii; perchè al poeta
basta un accenno.
77 La donna mia ecc. La Rivelazione. Quando la Chiesa com-
batte gli eretici e stabilisce la verità ai loro errori contraria, essa
oppone loro la K ivelazione. Io non posso tollerare che qui e per
tutto altrove i Commentatori riconoscano in Beatrice la Teologia.
Altro è Teolog'a ed altro Rivelazione. La Teologia è la scienza
delh Rivelazione. Quella 6 il risultato dello studio, questa è un
sacro deposito lasciato dallo Spirito Santo alla sua Chiesa prima
ancora della Teologia. La Teologia è nelle Scuole, la Rivelazione
è nella Chiesa. La Teologia, non ostante i suoi profondi studi, po-
trebbe errare, ed errò talvolta anche in qualche padre famoso, e
persino santo e persino martire; ma la Rivelazione non errò mai,
ne mai po'ra errare. La Rivelazione è la maestra della Teologia,
e questa non può che estendere la parole ed in principii quello che
le viene da essa insegnato. Finalmente ncn è alla scienza Teologica
che si attribuisce l'autorità delle definizioni dogmatiche e morali,
che si devono tenere infallibili, ma questa autorità si attribuisce
soltanto alla Rivelazione, ovvero al custode di essa, il Romano Pon-
tefice. Supponete, come' caso solo ipotetico che un Romano Ponte-
fice non avesse mai sludiato la Teologia; sarebbe egli pjr questo
fallibile quando parla come capo della Chiesa? No; perchè avrebbe
sempre a maestra la Rivelazione che noi lascerebbe errare giammai.
Da tutto questo si vede con quanta poca precisione parlino i com-
mentatori quando a Beatrice danno la rappresentanza della Teologia,
mentre invece devono darle la rappresentanza della Rivelazione, come
è chiaro da tutti i passi Danteschi, e da questo che abbinili \ter
mano. — In tanta futa. Tu tanta fuga.
698 PURGATORIO
Quanto sofferson Tossa senza polpe. T8
Poscia, per indi ond'era pria venuta, 7D
L'aquila vidi scender giù nell'arca *°
Del carro, e lasciar lei di so pennuta. 81
78 Quanto tofferson ecc. Dunque una fuga la più precipitosa,
perchè non impedita dalla pinguedine, ma invece aiutata dalla ma-
grezza.
L'eresia e gli eretici si dipingono mngii. perchè non si cibano
di cibi sostanziosi, quali sono il latte della propria madre che sono
le verità della Chiesa, ma si cibano di vento, o d'altre cose simili
vane, alle quali si rassomiglia Terrore e la menzogna.
Quindi è che l'eresia è dannata fin dal suo nascere a morire
di etisia, mentre la verità non muore mai, e si rinforza quand'è
combattuta. Seconda vicenda, o secondo pericolo dell* Chiesa.
79 Poscia per indi ecc. Dal cielo per essere la stessa aquila del-
l'impero romano. Viene alla terza vicenda o pericolo della Chiesa,
lo donationi ed i domini temporali. Qui è dove la passion del poeta
si manifesta.
80 L'aquila vidi ecc. Prima l'aquila urtò il carro al di fuori senza
penetrar nell'arca del carro, perchè quando l'impero romano per tre
secoli perseguitò la Chiesa fu pagano, e da pagano la perseguitò
vivendosene egli fuor della Chiesa. Ma ora l'aquila entra, ed entra
amica nell'arca del carro, perchè l'impero romano nella persona di
Costantino il grande entrò come fedele nella Chiesa, e si fece di
lei seguace. Fu allora che fu approvato lcgalmen- e il eulto cristiano,
e sol tollerato il pagano.
8t E lasciar lei di sé pennuta. L'aquila entrata nella Chiesa vi
lasciò delle suj penne, ossia in senso allegorico, ma primieramente
inteso, Costantino facendosi cristiano donò alla Chiesa ciò che ap-
parteneva all'imparo romano. Non si crede comunemente che queste
donazioni costantiniane fodero diritti sovrani, ma è certo almeno
che furono possessioni e tesori muniflcentissiini. Dissi testé : dona-
zioni, ma lo dissi abusivamente, perchè Costantino medesimo non
le intese per donazioni, ma per necessarie restituzioni e giusti com-
pensi, sebbene in ragione assai scarsi, alla Chiesa per quel molto
più di che l'ave i spogliata prima pel corso di tre secoli l'impeio
pagano. Esiste ancora un decreto di Costantino che attcsta queste
sue intenzioni di giustizia nel dare alla Chiesa. Dissi anche di sopra
che non si crede comunemente che queste cosi dette donazioni fos-
sori» diritti sovrani ma possessi priv.ìti, porcile tubini non sono di
canto xxxrr. G9<»
E qual esce di cuor che si ram marca, *2
Tal voce u.scl dal cielo, e cotal disse:83
O navicella mia, corri' mal se' carca!81
•
questa comune, sentenza, ma opinano che nel lasciato vi avessero
anche diritti regi, secondo l'atto di donazione, che si teneva auten-
tico nei medio evo. Forse questi hauno più ragione degli altri se non
iu principio della conversione di Costantino, almeno in seguito quando
trasportò la sede dell'impero da Roma a Bisanzio; cosa che non
si può spiegare in politica in quel grand' uomo, che pure era tanto
politico, senza supporre in lui una v -tonta che il papa governasse
almen quella Roma che gli lasciava. Certo che di questo parere era
pur Dante, quando scrisse nel Canto XX del Paradiso che Costan-
tino: Per cedere al Pastor si fece greco. Noi aderiamo alla sen-
tenza di Dant»1, tanto più che spigando Dante, dobbiamo ritenerlo
nel suo concetto, e non attribuirgli i concetti moderni. Chi vuol qualche
lume di più in questa materia legga le bellissime considerazioni di
monsignor Nardi, che si trovano neir./rmo/iia 17 aprile 1862; ed
oltre di questo il V secolo del Cristianesimo di Osannun, dove poco
dopo Costantino si trova il clero a capo di amministrazioni civili.
** E qual esce ecc. Qual ò quella voce che esce da un cuor do-
lente per una qualche sciagura.
83 Tal voce uscì dal cielo ecc. II poeta fa uscir dal cielo la
disapprovazione alle cosi dette donazioni costantiniane, per dare ad
essa disapprovazione più di autorità, una autorità divina.
M O navicella mia ecc. Souo parole che il poe.a fa dire a Gesù
Cristo medesimo dal cielo. Gebù Tristo appella la Chiesa la navi-
cella sua, perchè egli stesso ce la volle rappresentare sotto questa
figura sul mare di Tiberiade. — Com'mil se carca! Quanto ti sta
male questo peso terreno! Si sa che le ricchezze ed i domini tem-
porali sono pe^ so stessi un pericolo, pericolo pei secolari e pericolo
pngli ecclesiastici. Si vorrebbe forse conchiuder da questo che dun-
que gli ecclesiastici devono ppogliusene ? In tal caso dovrebbono
spogliarsene per la medesima ragù ne anche i secolari: anzi più
questi che quelli, per il maggiore percolo, e per il maggiore abuso, e
per la minore utilità publica che è nei secolari ricchi o dominauti, che
non negli ecclesiastici dominanti o ricchi. Bisognerebbe rinnegare tutta
la storia per non riconoscere gl'infiniti vantaggi che vennero al mondo
dai domini temporali della Chiesa, e specialmente da quello della Santa
Sede, non ostante che si suppongano alcuni abuù inseparabili dal-
l'umana fragilità. Quantunque S. Bernardo riconoscesse un pe. ieolo
700 PURGATORIO
130. p0i parve a me che la terra s'aprisse **
TV ambo le ruote, e vidi uscirne un drago,
Che per lo carro su la coda tìsse :
nei domini temporali del papa, come Io riconosceva in qualuuque
dominio; pure non consigliò mai il papa a spogliarsene, anzi lo ec-
citò a tener fermo. Per questo scrivea a Corrado, imperador te-
desco, di venire in Italia a sottomettere al papa colle armi i faziosi
romani, invitandolo colle pare le del salmo 44, ¥3: « Cingi a* taci
fianchi la taa spada, o potentissimo. La vittoria, come in Dio con-
fidiamo, sarà tai. La superbia e l'arroganza de* Romani è mag-
giore della loro fortezza» (epist. 241). E nel Lib 4, c&p. 3 de
Contidera tione scrivea cosi : « La Chiesa dunque ha dne spade (po-
deotà), i'una spirituale, e l'altra materiale *. — E Bernardo che
parla cosi è quegli stesso che Dante prendo a sua^uidapiù santa
e più efficace, a intercessor più potente per ottener le grazie più
elette in fine del Paradiso. Del resto, per giudicar rettamente le
opinioni di Dante in questa materia, convien sempre avere presenti
due regole di criterio: l.* che egli colpisce l'abu3o ; 2.* che il mo-
tivo specialissimo, per cui Dante inveisce talvolta contro il potere
temporale dei Papi, si è non già la disapprovazione del loro po-
tere territoriale considerato in sé stesso, ma il fuLo timore che egli
avea, non forse i Papi, giovandosi del pottre territoriale si usur-
passero il potere politico universale, che egli lamentava trascurato
in gran parte dagli Imperatori ; come abbiamo già provato con ra-
gioni ed autorità nel commento al Canto XIX di questa Cantica ,
al qu-ile preghiamo i lettori di aver l'occhio e per questo e per altri
simili luoghi.
W Poi p'irve a me che la terra ecc. Viene alla quarta vicenda
amarissima che sostenne la Chiesa per la introduzione del Maomet-
tismo nel VII secalo eli 5 tolse al cristianesimo una gran parte del-
l'Asia, tutta l'Africa, ed una parte d'Europa nella Scagna e nella
Sicilia, colla minicela del resto. Per descrivere Maometto e le sue
opere sozzo:
a) Lo fa uscir dalla tìrra che a'ap e. Poi pur ve a me che la
terra s'aprisse, e non dalla cuna del carro, come l'eresìa, per in-
dicare che il Maomettismo non è propriamente un'eresia sorta da
un uomo appartenente alla Chiesa, ma è un sistema di religione
tutto nuovo, creato da u i uomo estraneo alla Chiesa, uomo che non
può essere stato vomitato su questa tirra che dalle voragini d'abisso.
h) Lo fa userò tr'ambo h rnot*\ perche Maometto e il suo
CANTO XXXII. 701
E, come vespa che ritragge 1' ago,
A sé traendo la coda maligna,
Trasse del fondo, e gissen vago vago.
maomettismo si stabili dapprima tra la Chiesa d Oriente e quella
d'Occidente, occupando il centro dei mondo, che secondo la geo-
grafìa D.uitejoa sarebbe Gerusalemme e ìe parti intorno a quel meri-
diuio e a quelle latitudini. La Mecca, patria di Maometto in Arabia,
è pic3so a poco nella stessa longitudine di Gerusalemme, e le imprese
di Maometto e de' suoi si tennero dapprincipio su questa direzione
centralo tra l'Oriente e 1' Occidente invadendo l'Egitto e la Siria.
e) CV Io presenta sotto la figura di un drago o serpente alato,
e vidi uscirne un drago, per indicare quattro proprietà del mao-
mettismo rispondenti alle quattro proprietà del dragone.
I. Il dragone è un serpente velenosissimo. Quest'è il veleno
dv'IIa dottrina maomettana.
II. Il dragone è un serpente alato, che striscia e che vola,
e cosi è un mostro. Quest'è la mostruosità del maomettismo, si-
stema religioso il più empio, composto di priucipii più ripugnanti,
un amalgamcnto di credenze tolte dal cristianesimo, dall'ebraismo,
e dal pagaueiimo, corrompendo il buono e peggiorando il cattivo.
III. Il dragone, in quanto striscia come rettile al suolo, è
simbolo della bassa carnalità a cui il maomettismo trascina il mondo.
IV. Il dragone, in quanto e volatile, e simbolo della rapi-
dità con cui il maomettismo si propagò allcttando coi piaceri, e
spaventando con inesorabile scimitarra.
dj Gli fa torcer la coda contro il fondo del cirro, e per lo
cairo su la coda fisse. Il fondo della Chiesa è il luogo ov'ella co-
minciò, che è l'Asia occidentale; e appunto Maometto contro questa
patte volse i suoi fanatici furori.
e) Lo rassomiglia alla vespa, e come ve*pa per la ferocia e
rabbia di quella setta che si proponeva la morte e la distruz one
di quanti e di quanto si opponeva al maomettismo.
fj Lo rassomiglia alla vespa nell'atto che adopra il suo pun-
g gl'ione contro la gente, e lo ritragge, per indicare che l'argomento
di persuasione adoperato dal maomettismo, fu la sciabola stermi-
natrice, colla quale punse il cristianesimo.
gj II drago ritrae la coda, e parte del fondo che .i attaccò alla
coda, per indicar che il maomettismo, col fanatico furore delle sue armi,
trasse alla sua setta uua parte del fondo della Chiesa cristìaua, ossia
dapprima una parte dell'Asia occidentale e d'altri luoghi circostanti.
.j
702 PURGATORIO
Quel che rimase, coinè di gramigna s;
Vivace terra, della piuma offerta
Forse con ititenzioci casta e benigna,
h) II dr.i^o dopo quoiU r ipiua va girovagando qua e là, e
giòsen vago vago, per indicare i molti progressi del maomettismo
lino ai tem^i di Dante quando i maomettani s'erano già scarsi per
la massima parte dell'Asia, p-;r tutta r Africa allor conosciuta, per
una parte di Spagna, e minacciane d'invadere molte altre parti
del continente europeo, come di fatto avvenne circa due secoli dopo
Dante, non ostante le immense sollecitudini di tutti i papi per ar-
restarne i malaugurati progressi, agli sforzi di soli i quali dobbiam
saper grado se in oggi l'Europa non e tutta barbara e mussulmana.
Non vuoisi passar sotto s lenzio per la piena intelligenza delle pa-
role: A st traendo la coda maligna, — Trasse del fondo, cc<\, che
Dante tolse questo concetto dall'. ipocalisse, XI!. 4, dove, parlan-
dosi di un fatto simile, cioè di aver Lucifero tirato con sé una parte
di angeli, si dice : Et cauda eitis (rhaebat tertiam par Lem ttlellu-
rum coeli. La coda di Lucifero fece in cielo quello che in tena foce
poi la coda di Maomett >.
*» Quel che rimale ecc. Costruisci cosi: Come vivai e terra si
copre di gramigna, cosi quel che rimase del carro dopo il distac-
camento di una parte del suo fondo, si ricoperse della piuma of-
ferta ecc. Queàt'è la quinta vicenda della Chiesa. La piuma 'asceta
prima nell'arca del carro, era, come dicemmo, la com detta dona-
zione costantiniana, che al più poteva comprender Roma, ed altre
poche parti a Homi circonvicine, conosc'ute sotto il nome di Pa-
trimonio di 8. Pietro. Or bene : a quei primi domini tempora' i non
andò guari eh 2 se. ne aggiunsero degli altri tanto alla Chic. a ro-
mana, quanto ad altre Chiese in Italia e fuori specialmente in Cìe.-
mania. Per quel che riguarda la nuova cstensiou di diurni della
Chiesa romana, s' intendono le Romagne, le Marche e 1 Umbria,
conosciute dipo l'estinzion dell'impero romano in recidente, sotto
il nome di Esareao di Rivenna. sul quale gli imperad ri greci ac-
campavano, è vero, pretese di proprietà, senza volerne sostenere i
pesi relativi, per cui queste parti erano lasciate esposte al furore
delle grandi emigrazioni barbariche: ondt\ come Sta'i abbandonati,
necessariamente dovettero rivolgersi al papa, che solo li poteva in
qualche modo dif ndcre, parte col poso della sua divina autorità
rispettata fino da; barbari, e parte coll'eftieacia organizzatrice ed u.;i-
flcatrice delle forze disgregate, eh».1 cola è propria del cristi;. uec-iuio
CANTO XXXII. 7n3
Si ricoperse, e futine ricoperta
140. E l'uria e l'altra ruota, e il temo intanto,
Che piti tiene un sospir la bocca aperta.
per la carità che Io informa. Da questi bisogni dei popoli per
una parte, e dalla sola forza .soccorritrice del papato, sorsero alla
Chiesa romana nuovi domini nel centro d'Italia. Dietro questo esem-
pio, felice per le popolazioni romane, s' invogliarono altre popola-
zioni d' Italia a fare lo stesso, perchè anch'esce erano abbandonate
e lisciate preda dei barbari dagli impotenti, e sacrileghi impera-
dori d'oriente; onde la marsina parte d'Italia, compresa la Sicilia
ed altre isole del Mediterraneo, si diedero, o direttamente come veri
budditi, o indirettamente come vaselli e protetti sotto il dominio
papale. Ognun vede, che pei tempi calamitosi che allor correvano,
i papi, accettando dai popoli il loro governo, non solamente fecero
opera caritatevole, e di sommo interesse religioso e civile, ma opera
pur di giustizia, non potendo i papi rifiutare senza grave detrimento
della religione e dell'anime dall'assumernc le necessarie difese. Tanto
più che all'abbandono in cui erano lasciati i popoli d'Italia dagli
imperadori d'oriente, si aggiungeva la guerra aperta che gl'impe-
radori medesimi facevano da Costantinopoli alla religione cattolica
in Italia, onde i popoli anche per principio religioso si straniarono
H-tnpre più da quegli iniqui padroni, e sentivano uu prepotente
bisogno per la salvezza delle loro animi-, di farsi sudditi o almeu
vassalli del primo pastor delle anime, il Rumano Pontefice.
Intanto in Italia alle prime invasioni di barbari succedevano
le seconde, e le terze lino ai Longobardi, ed ognuna di queste in-
vasioni rincalzava maggiormente il bisogno nei popoli di strìngersi
sempre più al Roun.no Pontefice. Verso T800 il dominio temporale
della S. Sede era già tanto consolidato che Pipino e Carlo Magno
bono chiamati in Italia dal papa per toglie, e ai Longobardi gli
stati alla Chieda rapiti ; onde Pipino e Carlo Magno non d< nano
ma restituiscono, e svi donano, non donano se non quello che ancora
al pipa non si era assoggettato nei tempi anteriori.
Intanto nell'800 si crea da papa Leone l'impero romano, e lo
si crea senza pregiudizio de' i?uoi temporali domini, anzi si dà )>er
fine a questa gigantesca istituzione prima di tutto la difesa della
religione, e poi la difesa della giustizia in tutte le parti del romano
impero e specialmente del dominio temporale della fc>. Sede. Questo
e il secolo in cui anche le altre chiese figliali di Roma (prima delle quali
fu Aquileja, secondo il Muratori) sono dotate di temporali domiui, con
704 PITKGATOMO
Trasformato cosi il difìeio s:intu *T
Mise fiK»r teste per le parti sue. s^
Tre sovra il temo, ed ima in ciascun canto. '
diritti sovrani, diritti clic in Italia cessarono di n:ai;u in mano che iA
venne sviluppando il municipale:!. o intorno al eccolo XII. e che con-
tinuarono più a lungo in Germania, caduti nella massima parte sotto
le zanne della liifoima, e il resto sotto l'impero del primo Napoleone.
Questo è quanto volle accennar Daute quando disse che quel
che rimase del carro si ricoperse di piuma. E vero ch'egli ci vede
un male per la Chiesa, come più aperto dirà da qui a poco, e comò
indi rettamente accenna in questo luogo medesimo colla similitudine
della gramigna, erba perniciosa alla terra, o col giudizio ch'egli fa
dolia forse buona in tenzono di Costantino; ina il male che ci ved^
Dante non è che effetto di parte, e il suo pregiudizio non può di-
strugger la Storia. Questo ami dev'essere un argomento per tutti
a guardarsi di non dar luogo a passioni, che rendono ciechi perfino
gli uomini più intelligenti. Quauto poi alla rapidità onde la Chiesa
in tutte parti divien sovrana, E fu une ricoperta — E Vuna e l'altra
ruota, e il temo in tanto — Che piò, iie/i* un sospir la bocca t. perla:
essa rapidità non fu veramente sì breve quanto è breve un sospiro,
ma bi dà questa similitudine solo per uua iperbole, cioè per dire
assai presto, perchè la Chiesa romana, e le altre vescovili in quei
secoli oscuri si trovarono al possesso del governo civile por un vero
bisogno ed uno slancio istantantaneo dei popoli, i quali vedevano
o di non poter ecser governati da nessuno o sol dalla Chiedi.
*" Trasformato ecc. Per questa coperta di piuuc, o di temporali
domini in tutte sue parti, che noi facevano più conoscere pel carro
di prima.
*s Mite fuor teste ecc. Sesta vicenda della Chiesa, (biacche tutto
il carro diventò pennuto, culle penne dell'aquila romano, che sini-
boli'ggiano i temporali domini, quel carro, o quella chieda, era dive-
nuto come un'unione confusa di molte aquile senza testa. Ebbene,
il poeti gliele dà, ma invece di dargliele di aquila, gliele dà di
mostro, perchè, sconcio lui, la chiesa coi domini temporali divenne
mostruosa. Già dicemmo invece che* gu:ii ai popoli, alla lor religione
ed alla lor civiltà, se il governo di essi in quei secoli si barbari
nou fosse passato in man della Chiesa <> in tutto o in parte.
w Tre sovra il 'emo cc\ La direzione di tutta la Chic- a sta nella
Santa Sede romana, ernie sta ini limone la direzione del carro.
Ebbene, il timone si prende qui per Udina papale, e i quattro cauti
C ANTO XXXII. 705
Le prime eran cornute come bue; w
Ma le quattro un sol corno avean per fronte :
Simile mostro visto mai non fue, 91
Sicura, quasi rocca in alto monte, 92
Seder sovr'esso una puttana sciolta 93
del carro si pi endono per le altre chiese figliali Siccome la Chiesa
romana era quella clic possedea più che le altre Chiese, così il poeta
fa spuntar sul timone tre teste, ed una per ciascun canto.
^0 Le prime eran cornute ecc. Tanto le tre teste del timone,
quanto le quattro dei quattro canti, erano tutte teste di bue, per-
chè il bue è il simbolo dei sacerdoti, e dei ministri del santuario,
dei quali appunto qui si parla; oppure è il simbolo dell1 autorità
sacerdotale che è nella Chiesa, la quale qui si rappresenta nella
sua trasformazione subita dal momento che ebbe temporali domini.
Ma le tre teste del timone aveano due corna per indicare la mag-
giore potenza temporale della prima Chiesa madre di tutte l'altre:
e le quattro dei quattro canti non aveano che un corno salo per
indicare la minore potenza temporale che aveano le minori Chiese.
'Ji Simile mostro ecc. Un mostro simile fu visto da S. Giovanni
Evangelista, dal quale pare averlo imitato il poeta. La descrizione
6 nel XVII deU'^poc. : Et vidi mulierem sedentem super Òestiam
coccineaia plenam vominibus blasphemiae. habentem capita sepiem
et comua decem.
92 Sicura, quasi rocca ecc. La persona che si fa sedere in mezzo
al carro rappresenta il papa, il papa dil momento ch'ebbe tempo-
rali domini in poi, cioè almeno dall' 800 in poi; nei quali secoli
suppone, e suppone a torto il poeta, che il papa facesse vita grande
e superba, tutto fidato nella sua potenza temporale, e perciò para-
gonato ad una rocca in alto monte, come usavano avere i grandi
baroni e signori del medio Evo.
98 Seder 8t>vr' esso una ecc. Irriverente ed empia al sommo è qui
la poesia di Dante, quantunque sia impareggiabile nel merito come
poesia. Ma, ripetiamolo, la passione eccessiva di parte lo accecò, e
si uni ad accrescerne l'accecamento, la perdita della patria, il rigore
pur giusto con lui di un grande pontefice qual fu Boufacio Vili,
la vita d'accatto che dove a condurre, la parte guelfa non buona,
la parte ghibellina pessima, e per giunta a tanti mali un Filippo
il Bello, che tiene il papa e la Chiesa tutta a bacchetta, e la Santa
Sede svelta da Roma e piantata in Aviguone fra gli artigli del
45
706 PURGATORIO
150. M'apparve con le ciglia intorno pronte.
E, come perchè non gli fosso tolta, 9i
Vidi di costa a lei dritto un gigante, 95
E baciavansi insieme alcuna volta. 9Ó
Ma perchè l'occhio cupido e vagante 97
Bello, Intanto in questa terzina il poeta comprende e descrive la
Chiesa in tutti i secoli del suo temporale dominio, senza parlare dei
tempi suoi, dei quali parlerà nelle terzine seguenti.
9* E, come perchè non ecc. Eccoci alla descrizion della Chiesa
romana e del suo capo ai tempi di Dante da Bonifacio Vili sino
a tutto il pontificato di Clemente V, cioè dal 24 dicembre 1294 al
10 aprile 1314. E siccome l'epoca fittiza del poema è il 1300, per*
ciò le cose che qui si narrano, parte sono storia, parte profezia.
Profezia per altro poetica, perchè Dante scrisse veramente queste
cose ad avvenimenti già compiuti, avendole scritte poco dopo la
morte di Clemente e di Filippo il Bello, la quale avvenne addi 29
novembre 1314.
Nelle parole: Come perchè non gli fosse tolta, è espressa la
padronanza che voleva avere Filippo il Bello sulla S. Sede e sul papa
35 Vidi di costa a lei ecc. Così si esprime con tutta la preci-
sione storica il regno di Filippo contemporaneo al regno di Boni-
facio. Filippo cominciò a regnare nel 1285. Filippo sorge di costa
a Bonifacio perche regnarono nello stesso tempo.
Si dice gigante e per l'indole sua prepotente e feroce, e perchè
infatti era più potente degli altri re di quel tempo.
9fi E baciavansi ecc. Accenna ai buoni ed amichevoli accordi,
che dapprincipio passavano tra Bonifacio e Filippo. Bonifacio però
non tradì mai la sua coscienza per amor di Filippo: egli fino che
potè lo trattò con quei riguardi paterni, con cui i padri trattano
i figli pericolosi, e nulla più. Ma a Dante, ch'era tutto imperadore,
incresceva sul vivo di vedere un papa non passare in buona armo-
nia col tedesco, e passare invece in buona armonia col francese.
Bisognava che Dante fosse spassionato, ed allora avrebbe reso giu-
stizia alla prudente condotta di Bonifacio.
97 Ma perchè l'occhio cupido ecc. Accenna qui alle rotture a che
finalmente dovette venire Bonifacio con Filippo, la cui condotta
cominciava ornai a compromettere gF interessi del catolicismo, «
della società. £ pretta storia. Ora le botte che Bonifacio dava a
Filippo con le sue Bolle, sia a motivo della crociata progettata da
CANTO XXXII. 707
A me rivolse, quel feroce drudo w
La flagellò dal capo iris in le piante.
Poi, di sospetto pieno, e d'ira crudo, "
Bonifacio e impedita da Filippo, sia a motivo della erezione di ve-
scovadi, sia a motivo della collazione dei benefizi, sia finalmente
a motivo di angherie sai popolo francese, ed altro, erauo indiret-
tamente tante occhiate benevole all' imperadore di Germania. Bo-
nifacio però non odiava V imperador di Gennania, ma solo voleva,
e giustamente, ch'egli riconoscesse il diritto del papa sull* impero,
giacche l'impero era creazione papale, e dal papa dipendente fino
dalla sua istituzione. Ora, era questa dipendenza che solitamente
non si volea riconoscere nò dagli imperadori, né dai loro partigiani,
tra i quali Dante, i quali vedevano in questi diritti papali una
usurpazione ed una guerra all' impero, ciò che non era. Ma Bo-
nifacio tenne forte e vinse. Quando p. e. Bonifacio non volea ricor
noscere la elezione di Alberto, allegando la violazione dei diritti
della S. Sede in quella elezione, Alberto, se volle essere imperadore
legittimo, dovette umiliarsi al papa, chiedergli grazia e misericordia,
e dichiarare di riconoscere i diritti del papa sull1 impero. Fu in
quella occasione che Bonifacio si riamicò coli' impero, e questi più
direttamente sono gli sguardi benevoli che la donna del carro volge
a Dante o alla parte seguita da Dante (Rohrbacher, t. XIX, 1, 77).
9* Quel feroce drudo ecc. Si allude alla congiura ordita da Fi-
lippo il Bello contro Bonifacio Vili in Anagni per rapirlo e trarlo
prigioniero in Francia in mano al suo nemico, e nemico della Chiesa.
L'empietà di questi attentati di Filippo, e le minacce e i mali trat-
tamenti che si fecero dai suoi emissari Nogareto e Sciarra Colonna
a Bonifacio Vili in quella occasione, infiammarono di tanto zelo
il nostro poeta, il quale nel Canto XX del Purgatorio difende
Bonifacio, e fa coatar caro all'empio Filippo il suo assassinio sa-
crilego.
99 Poi di sospetto pieno ecc. Si allude al trasporto della S. Sede
da Roma in Avignone, opera infame e funesta di Filippo il Bello.
Questi, non riuscitogli il progetto sotto Bonifacio, lo eseguì dopo
la morte di San Benedetto XI nel 1305, non lasciando andare a
Roma Clemente V, obbligato questo a lui con dichiarazione scritta,
qual condizione alla sua eie/Jone, distaccando cosi il capo della cri-
stianità dal suo corpo cattolico, raffigurato nella pianta, e interpo-
nendo tra le membra e il capo, la selva che cinge il Paradiso
terrestre, e che, fuori d'allegoria, sarebbe la selva d' Italia per cui
708 PURGATORIO
Disciolse il mostro, e trassel per hi selva
Tanto, che sol di lei ini fece scudo
160. Alla puttana, ed alla nuova belva.
egli rimase invisibile ed inaccessibile al resto del mondo cattolico,
e tutto, anima e corpo, in poter di Filippo, clic diventava cosi i
capo della Chiesa sovra lo stesso papa. Tale dovea esser tenuto
Filippo ed il papa dal mondo cattolico: e da ciò appunto il poeta,
se fosse slato fuor di passione, dovea facilmente conchiuder che
dunque al papa e n< cesjario uno stato temporale, che non io renda
suddito di nessun principe per essere e venir creduto indipendente.
CANTO XXXIII
Argomento.
Le sette donne delle sette virtù cantano il salmo 78. Beatrice
le ascolta tutta dolente. Finito quel canto si leva Beatrice, e spi-
rante fiamme dal volto, recita alcune parole di Gesù Cristo eolle
quali annunzia che si allontana per un poco, e che dopo quel poco
ritornerà. Poi Beatrice si muove facendosi precedere aUe sette,
donne, e seguire da Dante, da Matilde, e da Stano. Cammina al
più dieci passi, e volta indietro a Dante, lo fa avanzar pari di
lei. Allora Beatrice lo anima a far quelle dimande che vuole,
riferendosi alla spi* %/ azione delle cose simboliche vedute prima.
Dante si rimette a Beatrice, per saper ella i suoi bisogni. Allora
Beatrice, fatto prima animo a Dante, gli dà alcune spiegazioni della
scena simbolica dell'altro Canto, Gli dice che la sede del capo della
Chiesa non è dove deu1 essere, ma gli vaticina le vendette di Dio
sui colpevoli, cioè la morte di Clemente V e di Filippo il Bello,
questi autore, quegli complice del trasporto della S. Sede da Roma
ad Avignone, e qual ne sarà l'esecutore a punì zio n del papa e
di Filippo il Bello. Gli raccomanda di notar tutte le sue parole,
e di scriverle ad insegnamento dei posteri, non ommeitendo di
dire qual era e quale è divenuta la pianta per altrui colpa. Qui
Beatrice si eleva nel suo parlare tanto ch'ella ben s'accorge che
Dante poco ne intende; perciò gli promette di abbassarsi alla sua
capacità. Dante si appresta ad ascoltarla, ma in pari tempo le
chiede perchè gli abbia prima parlato sì astruso. E Beatrice gli
risponde che così alto ella parlò per fargli vedere la differenza
infinita che passa tra le scienze umane da lui seguite finora con
abbandono di lei, e le divine alle quali dovrà appigliarsi d'ora
in avanti. Ma Dante risponde che non si ricorda d'averla mai
abbandonata, e Beatrice ripiglia che appunto non se ne ricorda
per aver lui bevuto i i quella mattina di Lete che fa dimenticare
il mal pa^sj.to. Intanto il sole giunge al punto di mezzodì, e tutti
si fermano xil fermarsi delle sette donne, che *' arrestarono alla
fonte ond' escono bipartiti due fiumi, che al poeta sembrano Eu-
frate e Tigri. Dante chiede a Beatrice che fiumi sien quelli che
usciti d'una sol fonte poi si partono in direzione contraria. Bea-
trice rivolge Dante per la spiegazione a Matilde. Matilde risponde
710 PURGATORIO
di aver già spiegata fa cosa prima d'ora. 4llora Beatrice, fa le
scuse dell* ignoranza di Dante, ed ordini a Matilde di condur
Dante a bere di Eunoe^ Vuno dei due fiumi anzidetti, che ha la
proprietà di far ricordare il ben passato e di avvalorare la fiac-
chezza umana. Matilde conduce Dante e Stazio a quell'acqua* e
Dante ne beve con tanto diletto, che non si sarebbe mai distac-
cato dall'onda. Da quell'onda egli partì lutto disposto al viaggio
del Paradiso.
(E) Consegaense fa ne* te derivate «Ila Chiesa latta dal trasporto
della S. Sede in Avignone, e vaticinio del loro prcnto ri a» ed o
col castigo ai colpevoli. Storia della Chiesa sino a tatto il 1314.
>« Vedi talli i casellini di questo doto nei:» Ja» X. Purg ,eliT;f XIII P*r$.
Ueusy venerunt gente*, alternando, f
Or tre or quattro, dolce salmodia *
Le donne incominciare, lngriraando:
E Beatrice sospirosa e pia
Quelle ascoltava sì fatta, die poco
Più alla croce sì cambiò Maria.
i Deus venctupt ecc. Siccome il carro della Chiesa fu rubiti
dall'empio Filippo il Bello, svellendo a forza la à\ Sed* da Roma
in Avignone, profanando per tal medo la Cinema, e. quanto cri da
Ini. distruggendola: co?ì opportunamente sì iecitan qui ì lanr.eisti
del snlmo 78. nel qui le Davide predice le abominazioni e la ru:ra
del tempio di Gerusalemme, e il castigo degli empì profanator".
* Or tre or quattro ecc. Le tre virtù teologai:, cantando ?n>. t
rispondendo ad esse le quattro cardinali, facendo co>i due cri. Taxi*
queste e le seguenti sono invenzioni poetiche, c:«n mi si m;" in-
grandire il male prodotto dalla cattività Avi^nese, ma non ?i vovù
inscenare d. ^miticamente che la Ch:esa sia dfcttbìV. j -rciv'- c:v
sarebbe un'aperti eresia contraria . ile J\:."aia-.i i:i S.\ Gv*ù Cr >•
che disse : Prrtae inffi n^n pa?valtbnr:: ali'crs-f ?j~ì. e. E'cf
e 70 vtbiscvn suv* e l'ìibus dl'bìi* ì;*ji.* ud r. ■■■;<»•• "..ifi-ri'-i «-,?.-* i.
le quali Panie ben sapeta e credeva.
CANTO XXXIII. 711
Ma poiché l'altre vergini dier loco 8
A lei di dir, levata dritta in pie, 4
Rispose, colorata come fuoco : *
*°- Modicum, et non tndebitis me, 6
Et iterum, sorelle mie dilette,
Modicum, et vos videbitis me.
Poi le si mise innanzi tutte e sette, 7
E dopa sé, solo accennando, mosse
Me e la donna, e il Savio che ristette. 8
a Ma poiché l'altre ecc. Ma poiché le sette virtù finirono di'
cantare.
* Levata dritta in pie. Dunque Beatrice ascoltò seduta a' pie
dell'albero il canto del salmo.
5 Rispose ecc. Rispose ai lamenti sui mali della Chiesa. E colo-
rata come fuoco pel suo sdegno contro i colpevoli.
ti Modicum ecc. Parole di Gesù Cristo agli Apostoli annunziando
loro la partenza da questo mondo dopo un po' di tempo, e dopo
un altro po' di temp^ il suo ritorno per giudicare tutti gli uomini
(S. Joan.y XVI, 16, e XVII, 19). Queste parole qui alludono al
ritorno dei Pontefici da Avignone a Roma, sperato prossimo da
Dante. E chiaro che Dante scrivea questo vaticinio in sede vacante
tra Clemente V, morto li 10 aprile 1314, e Giovanni XXII suc-
cessogli li 7 agosto 13(6. Dante sperava che Clemente V fosse U
primo e l'ultimo Papa residente in Avignone. Sventuratamente si
ingannò Nel Pa*ad.. Canto XXVII, v. 142 e seg., che è quanto
dire al fine del 1319 (Vedi Tay. VI Farad.), quando cioè vedeva
che Giovanni XXII, neppur egli pensava a ritornare alla sua sede,
vedremo che anche allora il poeta predirà il ritorno a tempo inde-
terminato d»n Papi a Roma, ma lo predirà in modo enigmatico, per
aversi veduto ingannato nella sua prima previsione.
7 Poi le si mise innanzi ecc. Beatrice con tutte le sette virtù
parte dalla pianta, che come dicemmo è il simbolo dell'umanità pria
peccatrice, poi rigenerata.
8 La donna e il Savio. Matilde e Stazio. Noi vedemmo Stazio
sin dal principio del Paradiso terrestre fare una parte muta. Però
anch'egli come purgato nei giri del monte di sotto dee subire quelle
prove che sono comuni a tutte l'anime, meno le cose particolaris-
sime che riguardano Dante e Beatrice, per le loro relazioni affatto
712 PURGATORIO
Così sen giva, e non credo che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto, 9
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ; ,0
E con tranquillo aspetto: Vien più tosto, n
20- Mi disse, tanto che s' io parlo teco, ' *
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto.
Sì com' i' fui, com' io doveva, seco,
Dissemi: Frate, perchè non t'attenti
A dimandare ornai venendo meco?
Come a color, che troppo reverenti
Dinanzi a' suoi maggior parlando sono,
Che non traggon la voce viva a' denti,
Avvenne a me, che senza in! ero suono
Incominciai: Madonna, mia bisogna l3
3()- Voi conoscete, e ciò eh' ad essa è buono.
singolari. Le cose comuni sono il bere prima ni fiume Lete, e poi
ni fiume Eunoè, come vedremo. In questo due pratiche Stazio è pa-
reggiato a Dante. Perciò se ne farà un cenno ni fiume Eunoè. Del
resto egli dee starsene muto, come parte riatto secondari:), per
non confondere la primaria che è Dante.
9 Lo decimo suo passo ecc. Dei 63 pasù che correano dalla riva
di Lete, al centro dove sedeva Beatrice, ne avea fatti quasi dieci,
andando appunto dalla pianta verso la porgente di Lete, che è
quanto dire da ovest ad est. (Vedi la mia Tav. ^JIT).
io Quando con gli occhi ecc. Quando si vn^se indietro a guar-
darmi. Il poeta si esprimo con questa frase perchè ogni qualvolta
noi parliamo ad uno lo guardiani negli occhi. Beatrice avea le per-
sone di dietro con quest'ordine: Dante dietro la destra di Beatrice,
Stazio dietro la sinistra, Matilde in mezzo rd entrambi.
*' E con tranquillo aspetto. Essendosi rabbonacciata dallo sdegno
santo che avea prima, quando disse: Modicum ecc. — Vien jriìt tosto.
Vieni innanzi, e cammina al mio fianco.
te S'io parlo teco — Ad ascoltarmi tu ecc. Con que.^'e parole
Beatrice cerca di levare o<xni timore soverchio a Doliti*, eh»1 se. ne
veniva dietro a lei taciturno, e Io incoraggia a parlare.
13 Madonna, mia bisogna ecc. Voi che vedete quello che mi bi-
sogna sapere, voi compiacetevi di dirmelo.
CANTO XXXIII. 713
Ed ella a me : Da tema e da vergogna
Voglio che tu ornai ti disviluppe,
Sì che non parli più com'uom che sogna. u
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe, *s
Fu, e non ò; ma chi n'ha colpa creda i6
Ohe vendetta di Dio non teme suppe. i7
Non sarà tutto tempo senza reda 18
1'» Com'uom che sogna. Chi parla dormendo frastaglia le parole:
tuie è chi parla con troppo timore riverenziale.
13 II vaso che il serpente ruppe. Il carro della Chiesa della cui
cima trasse il drago (Maometto) una parte, e cosi lo ruppe.
'6 Fu e non è. Sarebbe apert i eresia affermare, che la Chiesa
possa venir meno anche solo un istante, contro l'infallibile promessa
di Cristo: nò potrcbbesi a Dante rispiarmiare severo giudizio di
questa sua sentenza, che avendo riguardo alla violenza della sua
passione politica, e supponendo che intendesse parlare di una cotale
falsa apparenza, non mai della reale e visibile esistenza della Chiesa.
Oppure si potrebbe (e forse meglio) intendere cosi: Fu, al suo posto,
dove l'avea collocata Dio, cioè :i Roma, sede propria, e providen-
zkile: non è, al posto ove dovrebbe, per essere stata allora rapita
altrove. P>co le strette, alle quali anche i più gran genii possono
ridursi quando il Papi 6 suddito altrui. - Chi n' ha cdpa. Filippo,
ma oltre Filippo, il Para e i cardinali.
*7 Che vendetta di Dio non teme suppe. La voce suppe è dal
francese soupe, fettoìina di pane, qual sarebbe quella che si usa
noi Santo Sacrific'o, la quale aiiOia per i principi si usava ancora
intingere nel vino consecrato. Il poeta allude con ciò all'Ostia av-
velenata che trasse a morte il suo Arrigo VII a Buoncon vento,
quasi volesse dire: Dio non è come l'uomo che tema i vostri veleni
nelle Ostie, e che rosti ucciso di quelle come il mio buono Ar-
rigo VII fu avvelenato da te, o Filippo. Parlandosi contro ai fran-
cesi quali erano re, Papa e carcVnali, il termine calza per bene.
18 Tutto tempo. Sempre. — Senza reda — L'aquila ecc. Il trono
imperiale non sarà vacante per sempre, dopo la morte di Arrigo VII
avvenuta addi 2i agosto 1313. Dante si sbagliò nel predire che il
trono imperiale non dovesse Btar molto senza erede, perchè invece
esso dopo Arrigo VII rimase vacante sino al 1346, frutto anche
questo della Sede romana trasportata in Francia , e cosi Arrigo VII
«4 PURGATORIO
L'aquila che lasciò le penne al carro, **
Perdio divenne mostro, e poscia preda ; *
40- Ch'io veggio certamente, e però '1 narro, 2I
A darne tempo già stelle propinque,
Sicuro d'ogni intoppo, e d'ogni sbarro;
Nel quale un cinquecento dieci e cinque, **
non ebbe reda che 25 anni dopo la morte del poeta. Qui eonfida
il poeta di trovare in breve un vendicatore dei mali fatti alla Chiesa,
collo avere strappato il Papa da Roma in Francia, in un succes-
sore deirimperadore Arrigo. Ma siccome successori di questo im-
perador^ non ve n'ebbero né allora né poi per molt'anni, cioè fino
a 25 anni dopo U morte del poeta, e d'altra parte il poeta dichiara
apertamente di conoscere questo soggetto, come dirà da qui a poco,
perciò qui intende propriamente non un imperadore, ma un rspprc-
sen tante di esso, quali erano i vicari imperiali in Italia, i quali per
la loro rappresentanza si potevano e si dovevano riguardare come
imperadori. Di questi ve n'aveano allora due principali, quali erano
Can Qrande di Verona e Uguccione della Faggiuola, il primo per
la sponda sinistra del Po, il secondo per la sponda destra. Vedremo
in quali di questi due ponga Dante le sue presenti speranze, e qual
d'essi qui accenni.
19 L'aquila che lasciò ecc. L'aquila imperiale, che dapprincipio
fu quella che diede terreni domini alla Chiesa. L'aquila é presa per
la potenza o il trono imperiale.
20 Mostro e poscia preda. Allude alle varie trasformazioni del
carro narrate di sopra.
21 Ch'io veggio certamente. L'uso poetico, massime del medio evo,
era di leggere l'avvenire n»lla varia combinazione delle stelle. Il
volgo allora dava gran peso a queste cose, e il poeta ne seconda
l'andazzo. Intanto notate che qui le stelle pronosticano con certezza
il tempo, e tempo vicino, perchè le stelle sono propinque, tempo
che nessuno può arrestare o differire. Dante parlava con tanta cer-
tezza di questo tempo, perchè era appunto tra il fine del 1314 e
la metà del 1315, in cui già avea veduto e vedeva le prodezze del
suo Vicario Imperiale, prodezze tali da vincere di gran lunga quelle
di Arrigo. Sicché Dante qui nou fa altro che narrare quello che
succedeva sotto i suoi occhi in quello scorcio di tempo, quand'era
in Lucca sotto l'egida del figlio di Uguccione, e in tanto si prono-
stica in quanto che l'epoca fittizia del poema è fissata al 1300.
22 Un cinquecento dieci ecc. Con queste parole enigmatiche viene
CANTO XXXIII. 715
indicato certamente un personaggio, al quale si possa adattare quel
numero, e la impresa allegata, e questo personaggio, come dicemmo
alla nota 18, altri non può essere e non è certamente che V uno o
l'altro de' due vicari imperiali, Can Grande della Scaldi di Verona,
e Uguccione della Faggiuola. Alcuni stanno per Cane, ed altri per
Uguccione. Chi di loro ha ragione ? Quelli che stanno per Uguc-
cione. Come si adatta il numero ad Uguccione? Gli si adatta nel
modo il più semplice. Il cinquecento dieci e cinque risponde alle
seguenti lettere: D X V.
Le due prime esprimono la professione del personaggio che
sarà DVX.
L'ultima è la iniziale del nome di Uguccione.
L' U, come si sa, nelle epigrafi si scrive colla V. È vero che
queste stesse lettere bì potrebbero anche applicare a Can Grande
signor di Verona, leggendo DVX VERONAE. Ma io faccio osser-
vare che se a Cane si possono applicare le lettere come ad Uguc-
cione, ne contrasta però l'applicazione il tempo e le imprese, che
punto non favoriscono il veronese. Quanto al tempo, si sa che Dante
dopo la sua visita a Verona sotto Bartolomeo, non vi ritornò se
non verso il 1316, dopo la caduta di Uguccione; e si sa che questo
Canto Dante V ha scritto prima di venire a Verona, dove quando
giunse, il Purgatorio era bello e finito, e dove diede mano al Pa-
radiso. Come dunque Dante poteva mettere tutte le sue speranze
in uno che da tanti anni non visitava, e che starà ancora qualche
tempo prima di vedere?
Quanto poi alle imprese, quelle di Can Grande avevano più
appetto di dilatare la signoria a proprio profitto, che a profitto del-
l'impero, e ad ogni modo esse si limitavano alla riva sinistra del
Po ; e Dante qui accenna evidontemente ad uno, le cui imprese
tendevano all'Italia centrale. Sicché, parte perchè sono ancora im-
maturi i tempi per indicare Can Grande, e parte perchè quelle
imprese non eran tali da somministrargli co.4 preciso e certo il suo
vaticinio, quelle lettere non possono convenire a Can Grande. Can
Grande avrà la sua parte nel Paradiso, cominciato e condotto bene
innanzi in Verona; ma per questo noi dovremo aspettare ancora
circa u» anno, cioè sino al 1316. Al presente Danle aveva ben altro
personaggio su cui fondare ogni più bella speranza per la riduzione
di tutla Italia all'impero, e questi era appunto Uguccione della
Faggiuola. Ecco le prove in succinto:
I. Uguccione era un vero capitano (DVX), prima capitano
del popolo in Arezzo e in Gubbio, e in quella qualità già molto
prima di Arrigo operatore di grandi imprese; poi capitano di
716 PURGATORIO
ventura, e in que3ta seconda qualità assai più conosciuto che nella
prima.
II. Uguccione avei sempre seguito Arrigo nel suo giro di
Italia, ed avea combattuto per lui e con lui.
HI. Uguccione fu fatto prima da Arrigo suo Vicario in Ge-
nova (1313).
IV. Uguccione, morto Arrigo a Buoncon vento (24 ag. 1313),
si riduce a PÌ3a, en'ò fatto signore, e intorno a lui si aduna l'eser-
cito che fu di Arrigo, e l'esercito ed altri molti che a quello si uni-
rono, lo riguardano qual successore di lui nella impresa d'Italia, e
a lui si giurano per compire l'opera di Arrigo, che tendeva a due
punti principali, Firenze e Roma.
V. Uguccione, mirando sempre all'impresa di tutta Italia, si
assicura prima di tutto le spalle assoggettandosi Lucca e Borgo
S. Sepolcro (li giugno 1314), ponendo a podestà suo figlio Fran-
cesco in Lucca, e Neri in Borgo. Qui Dante, sotto gli auspici di
Uguccione, entra e dimora in Lucca, attende a compire il Purgatorio,
consolandoci della morte d'Arrigo colle vittorie che va ogni di ri-
portando il suo amico Uguccione,
VL Uguccione, appunto quando Dante in sul termine del
1314, o in sui principio del 1315, attendeva a scrivere la fine del
Purgatorio, attendeva anch' egli a fare i suoi grandi preparativi
per la conquista di Firenze e di Roma ; e Dante in Lucca ne aveva
sempre novelle una più buona dell'altra; cotal che non solo Dante,
ma tutti i ghibellini, e tutti gli esuli, aveano già in Uguccione ri-
posto ogni loro speranza. In quest'epoca nessuno parlava di Can
Grande, come esecutore dell'opera incominciata da Arrigo ; tutti di
Uguccione, che veramente era tutto in quell'opera.
VII. Fu dietro i timori che ispirava Uguccione, e le sue
note aspirazioni a soggiogar tutta Italia all'impero, che appunto
mentre Dante scriveva gli ultimi Canti del Purgatorio, si fece con-
tro di lui la gran lega dei Fiorentini, di tre principi di Puglia, di
molte città di Romagna e di Toscana, oste numerosissima, ma che
Uguccione tutta sbaragliò a Monte Catini con valore, facendo due
mila morti (tra' quali i tre principi di Puglia) e cencinquanta pri-
gioni. Uguccione, come dice il Balbo, all'apice della sua potenza,
pareva presso ad effettuare le predizioni di Dante.
Bastano quosti cenni per giudicare con tutta critica che il cin*
queecuto dieci e cinque non e già Cane, come pretesero alcuni per
anacronismo e per imperizia di storia, ma b. il capitano Ugucciono.
Caduto Uguccione dopo tanta fortuna e belle impreso. Uguccione
e Dante si riducono in corte a Can Grande verso il 13 1G, e questo
CANTO XXXIII. 717
allora sarà il solo punto d'appoggio che avrà Dante, al quale farà
le sue lodi sebbene ambigue nel Paradiso.
Non sarebbe però, almeno come par mi, da disprezzare l'opinione
che or sono per soggiungere intorno alle lettere D X V. Potrebbe
essere che Dante nel 1315, quando scrivea questo finale del Pur-
gatorio, non sapesse di qual più dei due duci (Uguccione e Cane)
egli avesse dovuto aver bisogno nelle sue pressanti strettezze; e che
perciò egli con arte finissima avesse scelto quelle tre lettere, che
potrebbero significare si l'uno che l'altro. Certo quando Danto le
scrivea, esse erano più proprie di Uguccione ; ma siccome vera stima
di Uguccione Dante non ebbe, e non potè aver mai, ma solo stima
della sua momentanea fortuna, restando però sempre col timore
della sua caduta, come infatti avvenne di li a poco, perciò è pos-
sibile che Dante intendesse che Can Grande le appropriasse a sé
stesso, caso mai che fosse caduto Uguccione, come forte dovea te-
mere il poeta; e cosi esso si aperse da sé la via al rifugio di Ve-
rona presso quello Scaligero.
Ad altri piacque scioglier l'enigma numerico coli' applicazione
a Cristo, cosi: Dominus Xptus Victor, facendo che Cristo compia
l' impresa qui indicata. (Borsa, di Napoli. Anno II, num. 146). Ma
questa soluzione, che a prima vista par fidare il piede sul vero,
ben ponderata, non tiene, e non può legare coi versi antecedenti:
Non sarà tutto tempo senza reda ecc., le quali parole accennano
chiaramente che la predizione colpisce un personaggio laico, impe-
ratore, o vicario di lui. Peggio poi quando l'articolista citato sup-
pone che Dominus Xptus Victor, sia lo stesso che il Veltro del
I Canto dell' In/., che noi abbiamo detto e provato essere S. Be-
nedetto XI, personaggio già mancato alle sperante di Dante appena
comparso, e appena ch'egli ne scrisse quel bellissimo elogio, cosi
circostauziato; ragion per cui egli appresso ne tacque.
Finalmente il chiarissimo P. Bartolomeo Sorio in un suo dot-
tissimo opuscolo intitolato: Balano Mauro abate di Fulda e Dante
Alighieri nell'uso dell'arte cabalistica — Modena 1867, unisce due
spiegazioni del numero cinquecento dieci e cinque, che ambedue
trova convenire, non avvisando che convenga ancora al duce Uguc-
cione, senza contrasto delle sue due spiegazioni.
La prima è questa, e sarebbe un monogramma simile a quello
della Croce Costantiniana: In hoc signo vinces:
500 D Dominus
10 X Xptus
5 V Vinoet.
718 PURGATORIO
La seconda porta il cinquecento dicci e cinque a indicar l'anno
1315 di grazia, allor corrente, che sarebbe il 515 dell'esistenza del
Sacro Romano Impero. Imperciocché il Sacro Romano Impero fa
ricostituito ncll'800 da Papa Leone III; dalla qual' epoca al 1315,
anno immediatamente successo alla morte di Clemente V, primo
Papa Avignonese, e di Filippo il Bello re di Francia, primi avver-
sari dei Ghibellini, e quindi della parte imperiale, corrono 515 anni:
volendo indicare con ciò che questo anno sarà Tanno providenziale,
in cui Domimi» Xctus (della prima spiegazione) vincet, cioè libererà
l'Impero dai due suoi maggiori opponenti (morti nel 1314), e quindi
il tutto, Chiesa e società, ritornerà nell'ordine primitivo.
Questa seconda spiegazione è ingegnosa, ma anch'essa ha il
difetto della prima, perchè e l'una e l'altra non ci danno netto il
personaggio imperiale annunciato poco prima colle parole:
Non sarà tutto tempo sema reda
L'aquila che lasciò le penne al carro,
personaggio imperiale, che il poeta subito dopo avvolge nel numero
misterioso (composto a similitudine di quello dell'eoo., XIII, 18)
cinquecento dieci e cinque. Bisogna dunque ad ogni modo che esci
dall'accennato numero il preconizzato personaggio, altrimenti tutto
resta sull'aria. Il chiaro P. Sorio, senza accorgersi, sente anch'egli
questa necessità ; e perciò, continuando la sua spiegazione del come
sia che Dominus Xptus Viticci , e che l'anno 515 del Sacro Ro-
mano Impero sarebbe l'anno felice del riordinamento universale,
supposta la morte della futa (sede Romana, non più Romana per
Clemente V) e del gigante (Filippo il Bello) avvenuta in ambedue
nel 1314, segue narrando le grandi e clamorose imprese di Uguc-
cioue vicario Imperiale, che restauravano il Sacro Romano Impero
su grande scala in Italia, e la parte Ghibellina con esso, eebbeue
il dotto Sorio ci un:sca anche le simili imprese, ma assai men grandi
e clamorose di un altro vicario imperiale, ossia di Cau Grande,
venendo cosi ad inforsare il soggetto preconizzato in quel numero,
cioè Ugucciouc, eh' è il punto a cui con Dante si deve mirare, e
dal quale pur troppo ci frastorna il chiaro opuscolista, eh' è solo
fisso al Dominus Xptus Vincet, ed al 515 del Sacro Romano Im-
pero. — Dopo tutto questo io sarei anche con tonto delle belle spie-
gazioni Soriane, a condizione però che riuscissero al personaggio
che certo è preconizz ito, e che non può essere altro che Uguccione,
ed ecco come combinerei: Dominus Xotus Vi ncct nel 515 del Sacro
i
Romano Impero, clic sarebbe il 1315 di grazia, col mezzo del Pax
Cguccio, onde uscirebbe questo prospetto :
50
CANTO XXXIII. 7J9
Messo di Dio, inciderà la fuia, 23
E quel gigante che con lei delinque. u
E forse che la mia narrazion buia, M
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade, M
Perchè a lor modo lo intelletto attuia ; a7
Ma tosto tìen li fatti le Naiade, *8
Che solveranno questo enigma forte, *9
Senza danno di pecore, e di biade. 80
Tu nota; e, sì come da me son porte
500 ^ D = Dominus ( = Dx .^ ^
10 = X = Xptua
6 = V = Vincet =x Vguccio.
515 anno corrente dall'istituzione del Sacro Romano Impero.
800 epoca dell* istituzione del Sacro Romano Impero.
1315 anno di grazia corrente al tempo di Dante.
Ma non si dica mai, come dice il chiarissimo P. Sorio, e con
lui cento altri, che, in tutto questo, Danto ritorna sull'allegoria d«l
Veltro che era solo per Benedetto XI, mentre qui non si parla che
di un personaggio imperiale, cioè del più gran vicario dell'impe-
ratore; che conquistava a nome dell'impero, e che forse i ghibellini
speravano che riuscisse Imperatore.
M La futa» Ladra.
2* E quel gigante ecc. Filippo il Bello.
25 La mia narrazion buia. La predizione delle gesta d* Uguccione
che uccideranno moralmente in Italia Clemente V e Filippo il Bello.
Erano già morti, il primo addì 19 aprile 1314, il secondo addi 29
novembre 1314 e appunto, perchè già morti, potè predirlo.
26 Qual Temi e Sfinge men ti persuade. Temi, dea favoTos* che
dava oracoli ambigui. Sfinge, mostro presso a Tebe che proponeva
enigmi, uccidendo chi non li decifrasse.
27 Attuta. Offusca.
2* Ma tosto fieii ecc. Li fatti che presto succederanno serviranno
di Naiadi o di spiegatrici della mia narrazione enigmatica. Le Naiadi,
secondo Ovidio, davano oracoli.
*> Enigma forte. Enigma difficile. Allude al DXV, ossia Dux
Uguecio.
*° Senta danno di ecc. Secondo Ovidio. Perchè le Naiadi, secondo
720 PURGATORIO
Queste parole, sì le insegna a' vivi 31
Del viver ch'è un correre alla morte;
Ed haggi a mente, quando tu le scrivi,
Di non celar qual hai vista la pianta, 3*
Ch'è or due volte dirubata quivi. 33
Qualunque ruba quella, o quella schianta, "
Con bestemmia di fatto offende Dio, 33
60- Che solo all' uso suo la creò santa. 3lì
Per morder quella, in pena ed in disio 37
Ovidio, davano chiari responsi, Temi mandò contro Tebe una belva
che distruggeva i bestiami e le biadi*. Dice il poeta che le Naiadi
dei fatti, che sono la più bella conferma o spiegazione delle predi-
zioni, non avranno per conseguenza danni di pecore o di biade,
come i responsi delle Naiadi antiche.
31 Queste parole. Questa mia predizione enigmatica: dilla coro 'io
te la dico, cioè con quel numero e colle parole che sono negli altri
due versi. — Sì le insegna. Dante nel suo poema si fa dare spesso
v dai celesti la missione di correggere i grandi. — A1 vivi — Del
viver ecc. Ài vivi del mondo, la cui vita ò un corso alla morte; a
differenza dei vivi della eternit:1), che non muoiono mai
32 La pianta. La pianta, che è simbolo dell'umanità universale.
33 Ch'è or due volte ecc. Sarebbero tre con quella di Adamo. Ma
qui non si contano eh 2 i dirubamenti dopo la sua rigenerazione
fatta da Gesù Cristo coll'applicarvi la sua croce; e perciò fi dice:
or dirubata. La prima di queste due volte è il dirubamento del-
l'aquila imperiale ; la seconda è il dirubamento fatto da Filippo.
3* Qualunque ruba quella ecc. Qualunque ruba quella, come
gl'imperatori pagani che la rubarono per tre secoli con dieci atro-
cissime persecuzioni; e qualunque quella schianta, come Filippo il
Bello, che ne schiantò da lei il carro fatto del legno di lei, come disse
Dante in quel verso: E quel di lei a lei lasciò legato (Canto XXXII).
35 Bestemmia d fatto. Supponendo che li umanità rigenerata fosse
cosa malefica, come la credevano i gentili; o che la umanità rigenerata
possa sussistere senza la Chiesa, come credeva in fatto Filippo il Bello.
36 Che solo ali Uso ecc. Creò Dio l'umanità santa in Adamo, e la
ricreò santa in Uc3Ù Cristo. All'uso suo, cioè al suo santo servizio.
37 Ptr morder quella ecc. Adamo mangiando del suo frutto morse
quella pianta. — In pena a questo mondo, in disio nell'altro.
CANTO XXXIII. 721
Cinquemiir anni e più, 1' anima prima *6
Bramò Colui che il morso in sé punio. 3J
Dorme lo ingegno tuo, se non istima *°
Per singular cagione essere eccelsa
Lei tanto, e ai travolta nella cima.
E, se stati non fossero acqua d'Elsa 4<
Li pensier vani intorno alla tua mente,
»8 CinquemilVanni e più. Nel Parad., Canto XXVI, 118 e seg.,
Adamo stesso dice a Dante di essere stato al Limbo 4302 anni.
Quindi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattro mila trecento e duo volumi
Di sol desiderai questo concilio.
Ora aggiungete a questi anche gli anni della vita di Adamo a questo
inondo, che furono 930, passati in pena, ed eccovi i cinquemiir anni
e più. (Vedi nel detto Canto XXVI la cronologia di Dante sugli
anni del mondo).
39 Bramò Colui ecc. Siccome ad Adamo appena peccò fu pro-
messo un riparator del suo fallo, così da quel punto in poi egli lo
sospirò. Questo riparatore punì in sé il morso adamitico, perchè
Gesù Cristo si offerse alla morte, e morte di croce, per soddisfare
la divina Giustizia offesa dal peccato di Adamo.
40 Dorme lo ingegno tuo. Tu hai una mente ottusa, non capisci
niente, se non capisci che la pianta è sì alta e sì travolta per un
fine speciale avuto da Dio quando la pose. Dio la pose sì alta per
renderne più difficile lo spiccarne le frutta ; e pel medesimo fine la
fece travolta nella cima, cioè larghissima in cima, e strettissima in
fondo, perchè, come disse altrove, persona su non vada. Sicché nel-
l'altezza e nella forma della pianta si può benissimo conoscere l' in-
terdetto di mangiarne.
4i Se stati non fossero ecc. L'Elsa, piccolo confluente dell'Arno,
dicevasi aver virtù d'impietrare o tignere di un tartaro petrigno
quanto vi s'immergeva. A quest'acqua si paragonano i vani pen-
sieri che avea Dante; pensieri dunque oscuri, che stando intorno
alla sua mente la oscuravano. Quando a Dante avvenne questo
caso? Nel Canto XXII, v. 135, quando veduto l'albero dei golosi
fatto come questo, giudicò che così fosse perchè le anime di quei
golosi non salissero sull'albero a cibarsene, e perciò disse allora:
Cred'io perchè persona su non vada. Beatrice riferendosi a quel
caso, dice a Dante ch'egli, se non fosse stato allora ottuso di mente,
46
722 PURGATORIO
E il piacer loro un Piramo alla gelsa, i!
70- Per tante circostanze solamente i3
La giustizia di Dio nello interdetto
Conosceresti all'alber moralmente.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto 4*
Fatto di pietra, ed in petrato tinto.
Sì che t'abbaglia il lume del mio detto,
Voglio anche, e se non scritto, almen dipinto,
Che 'I te ne porti dentro a te per quello
avrebbe potato conoscere, che ciò non era perchè quei golosi non
vi salissero (ehe certo non ne aveano nò poteano avere questa vo-
glia), ma perchè altri, cioè Adamo, non vi fosse salito prima di
loro: e così si faceva a que' golosi comprendere che la gola fu la
causa della rovina universale, perchè la detestassero sempre più.
** E il piacer loro ecc. Questo significa la stessa cosa che ci
Volle significare coll'acqua d'Elsa. Quell'effetto che fa l'acqua d'Elsa
sugli oggetti immersi, che è oscurarli di petrigno, quell'effetto me-
desimo produsse alla gelsa il sangue di Piramo, oscurando in san-
guigno le bianche frutta del &elso. Ebbene i tuoi pensieri vani e
il lor piacere produsser lo stesso effetto alla tua mente.
48 Per tante ecc. Dietro queste sole circostanze si gravi cono-
sceresti in senso morale la giustizia di Dio nell'interdetto all'albero,
cioè quanto Dio fosse giusto quando vietò ad Adamo di spiccar
frutti da quella pianta, perchè Dio gli fece conoscere quel suo di-
vieto, non solamente a parole, ma anche a fatti, facendo la pianta
di quell'altezza e di quella forma. Da questo deduce Dante il gran
peccato che fanno coloro che rubano da quella pianta.
44 Ma perch'io veggio te ecc Ma perch'io ti veggo d'intelletto
ancor duro, ed oh curo tanto che il mio dir ti abbaglia. E lo stesso
che dire: Ma poiché sei ancora incapace di comprender tutto il senso
profondo di ogni cosa, che qui hai tu veduto, come mostri chiara-
mente dallo stupore che hai pe' miei detti ; voglio che ti tenga a
mente com'abbia tu veduto questa pianta, e che intenda qualche
cosa se non tutto di essa; e che questo poco che hai inteso di lei
(che è la giustizia di Dio nello interdetto all'albero) te lo porti teco
quando ritornerai al mondo, come colui che da un pellegrinaggio
in Terra Santa, s'altre cognizioni non sa riportare di quelle terre,
ne riporta almeno un indizio nella palma attaccata al suo bastone:
e cosi da questo segno la gente conosce che visitò quelle terre,
CANTO XXXilI. V23
Che si reca il bordon di palina ciato.
Ed io: Sì come cera da suggello, **
80- Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perchè tanto sovra mia veduta 4li
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde quanto più s'aiuta?
Perchè conoscili, disse, quella scuola K1
Ch'hai seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda M
9°. Da terra il ciel che più alto festina.
'3 Sì come cera da suggello. Con questa similitudine Dante di-
chiara di avere inteso perfettamente il senso delle parole di Bea-
trice, riguardo alla pianta ed al suo senso morale; ma non già
riguardo all'enigma del nome indicato numericamente, V ignoranza
del quale gli sta fitta in mente come un tormento, e non se ne
darà pace finché non l'esponga a Beatrice nei versi seguenti. Il poeta
insiste sul doppio senso delle lettere DXV, come abbiamo detto in
fine della nota 22: Dux Uguccio, ovvero Dux Veronae.
M Ma perchè t.tnto ecc. Accenna all'arcano del nome dell'eroe
indicato numericamente: e siccome si lambiccava il cervello per ri-
trovarne la soluzione, e quanto più pensava, tanto meno gli riu-
sciva, perciò la richiede della ragione di tanta sua profondità di
parlare.
*7 Perchè conoschi ecc. Perchè conoschi quanto la scuola della
filosofia da te seguita sinora sia inferiore alla mia scuola della Ri-
velazione. Dunque certe oscurità che si trovano in questa fine del
Purgatorio sono fatte ad arte, per far conoscere la distanza inBnita
che corre tra la Ragione e la Rivelazione nel regno della quale
siamo ornai giunti. Perchè dunque certuni, come il Balbo, hanno
censurato questa oscurità, ed hanno tacciato Daute di essere riu-
scito molto infelice in questi ultimi Canti, se qualche oscurità che
qui si trova è fatta ad arte così sapiente, e se quella stessa oscu-
rità si dirada tanto bene al lume della Storia?
*8 Quanto si discorda — Da terra ecc. Quanto dalia terra è
724 PURGATORIO
OncTio risposi lei: Non mi ricorda i9
Ch'io straniassi me giammai da voi, w
Né honne coscienzia che rimorda.
E, se tu ricordar non te ne puoi,
Sorridendo rispose, or ti rammenta 51
Sì come di Lete beesti ancoi; 5i
E, se dal fummo fuoco s'argomenta,
Cotesta oblivion chiaro conchiude 53
Colpa nella tua voglia altrove attenta. H
100 Veramente oramai saranno nude M
Le mie parole, quanto converrassi
distante il cielo più alto, il quale appunto per essere il più alto,
dee girare in tomo alla terra con moto più veloce di tutti gli altri
cieli inferiori.
*9 Non mi ricorda. Certamente che non se ne potea più ricor-
dare, perchè avea bevuto di Lete, che h a la proprietà di cancellare
ogni memoria del male.
*o Ch'io siraniassi ecc. Ch'io mi sia mai dipartito dai dettami
della Rivelazione. Allude alle parole dette prima da Beatrice: Quella
scuola — Ch'hai seguitata.
M Sorridendo rispose. Perchè sorridendo? Per la felice dimen-
ticanza che avea Dante, senza saperlo. — Or li rammenta — Sì ecc.
Questo si che Dante potea rammentare ; perche il bere di Lete era
un bene e n n un male.
8* Ancoi. Oggi, in questo giorno. Dante avea bevuto di Lete
poco prima.
»8 Oblivion. Non si può concepii e l'obli vion di una cosa, senza
supporre esser prima esistita la cosa obliata; come non si può con-
cepire resistenza del fummo senza la precedente esistenza del fuoco
M Colpa nella tua voglia. Esser prima esistita una colpa nella
tua volontà straniata da me.
M Veramente. È il verumtamen dei latini. - Nude. Aperto e
chiare. Anche da ciò si vede che l'oscurità posta in bocca di Bea-
trice, non fu d'fetto del poeta, com1 altri asserì, ma arte bella e
buona per provare a Dante la superiorità d -Ila Rivelazione sulla
Ragione. Tanto è vero, che ottenuto cosi da Beatrice il suo intento,
promette chiarezza per l'avvenire.
CANTO XXXIII. 725
Quelle scovrire alla tua vista rude. *tì
E più corrusco, e con più lenti passi b7
Teneva il sole il cerchio di merigge, M
Che qua e là, come gli aspetti, fassi, "9
Quando s' affisser, sì come s' affigge M
Chi va dinanzi a schiera per iscorta, 6I
Se trova novitate in sue vestigge, 6*
Le sette donne al fin d'un'onibra smorta, 63
sr> rista rude. Intelletto rozzo, in proporzion della sublimità della
Rivelazione, della quale si dimostra qui la sterminata eccedenza.
37 E piò, corrusco. Più luminoso, quale mostra essere il sole giunto
al meridiano per minor intoppo di vapori. — Con piò, lenti passi.
Veramente il sole cammina sempre colla stessa velocità in qualun-
que punto della sua orbita; ma notauo però gli astronomi che nelle
sue massime elevazioni pare a noi che vada più a rilento per es-
sere a noi meno sensibile il suo procedere, e ne danno l'esempio
ponendo un uomo al centro di una ruota di carrozza, in atto di
guardare e di accompagnar col IV echio un oggetto posto sulla cir-
conferenza, e andante colla circonferenza stessa, che nelle parti
somme lo vede andar più a rilento.
&** Il cerchio di merigge. Il meridiano. Dunque era mezzogiorno
in punto. Tenetelo bene a mente, perchè ci sarà da discorrere sa
questo anche nel Par ad. y Canto I, n. 43.
39 Che qua e là ecc. Il qual meridiano non è mai lo stesso per
qualunque punto della terra, ma varia secondo gli aspetti, secondo
il vario punto di chi lo guarda. Ogni volta che si cambia orizzonte
si cambia pur meridiano. Che se è il sole, e non il cerchio, il sog-
getto di fassi, come si potrebbe anche intendere, allora vorrebbe
dire che il sole altera il suo colorito, come lo alterano le faccie umane,
ora liete e ridenti, ora cupe e meste, ora rosse, ora pallide, ecc.
60 S'affisser. Si fermarono.
61 Per iscorta. Per guida
62 Se trova novitate ecc. Li novità che colà trovarono era la
fonte d<i due fiumi, Lete ed Eunoè.
63 Le sette donne. Le tre virtù teologali, e le quattro cardinali
che portavano li sette candelabri.
Al fin oV un'ombra smorta — Qual ecc. Al termine di un'om-
bra smorta, dove cioè terminava la conca della fonte, in quel punto
726 PURGATORIO
110- Qual sotto foglie verdi e rami nigri
Sovra suoi freddi rivi l'Alpe porta.
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri w
Veder mi parve uscir d'una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri. G5
ove da essa fonte sgorgavano due fiumicelli. (Vedi Tav. XIII). Ras-
somiglia quella fonte e la sua ombra all'ombra ed alle fonti delle
nostre alpi, perchè appunto dove colà son fonti, ed esse sono più
fresche che nel piano, ed hanno intorno degli arboscelli che vi por-
tano una smorta ma gratissim'ombra.
6* Dinanzi ad eeee ecc. Tutti quei personaggi, venendo dall' al-
bero verso la fonte, avevano la faccia rivolta ad est. (Vedi Tav. XIII).
In capo alla processione erano le sette virtù, che si arrestarono al
fin della fonte colà dove sboccavano i due fiumi. Quindi Dante che
era indietro vedeva innanzi alle donne uscir dalla fonte due fiumi,
che, per esser egli nel Paradiso terrestre, li prese pei due fiumi,
Eufrate e Tigri, dai quali, come dice la S. Scrittura, era irrigato
il terren Paradiso da quella parte di est dove ora noi siamo. Da
ciò si vedo, che secondo l'opinione di Dante, che punto non con-
tradice, alla Santa Scrittura, li qualuor capita in cui si diramava
Punica fonte del Paradiso terrestre, altro non erano che due fiumi -
celli indi partiti ad irrigare le quattro plaghe di esso Paradiso. Eu-
frate, che sarebbe secondo Dante, il Lete, volge di là a mezzogiorno,
e il Tigri, che secondo lui, sarebbe Eunoè, volge di là a setten-
trione Nella plaga settentrionale poi questi due fiumi s'incontrano
ed hanno colà la loro foce, entro le viscere della terra. Ed ò per
questo che Dante li fa spicciare appunto dopo un corso di filtra-
zione nel sasso , li fa spicciare, dico, nella facciata di nord dalla ripa
sopra la cornice VI dei golosi per ispruzzarc la pianta che colà
abbiamo veduta. (Vedi Tav. V, Faccia verso nord, Cornice VI).
Lete percorre cosi molto più spazio che Eunoè, percorrendo esso
tutta la facciata di ovest, dove l'abbiamo trovato la prima volta
nel Canto XXVIII, quella di sud, e metà di quella di est e di nord,
mentre Eunoè non percorre che metà di facciata di est e metà di
nord, e ciò, cred' io, ad indicare che abbiamo molto più bisogno di
dimenticarci del male, che di ricordarci del bene.
63 E quasi amici ecc. Andar tranquilli e cheti in parte contraria,
Lete verso mezzodì, Eunoè verso settentrione. (Vedi Tav. XIII).
Cosi fanno gli amici nel dipartirsi: essi si dividono a lenti passi
pel dispiacer di lasciarsi.
CANTO XXXIII. 727
O luce, o gloria della gente umana, 66
Che acqua è questa che qui si dispiega
Da un principio, e sé da sé lontana? 67
Per cotal prego detto mi fu: Prega 68
Matelda che il ti dica. E qui rispose, *
120. Come fa chi da colpa si dislega, 70
La bella donna: Questo, ed altre cose 7I
Dette li son per me ; e son sicura
Che l'acqua di Lete non gliel nascose. n
E Beatrice: Forse maggior cura, n
Che spesse volte la memoria priva,
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura.
Ma vedi Eunoè che là deriva :
Menalo ad esso, e, come tu se' usa, 74
*» O luce ecc. La Rivelazione, Beatrice, merita veramente questi
appellativi. E veramente non altri che la Rivelazione seppe dirci
di questi fiumi del Paradiso terrestre,
& E «è da se lontana ? Perchè uno va a sud, l'altro a nord.
68 Detto mi fu. Da Beatrice.
69 Matelda che il ti dica. Quale ministra della Rivelazione sic-
come è chi attende alla vita attiva, che è tutta [in servizio dell'uomo.
Quest' è la professione che abbiam già detto rappresentata da Ma-
tilde.
70 Come fa chi da colpa ecc. Matilde avea istruito Dante già
prima, cioè nel Canto XXVIII. intorno a questi due fiumi ed alle
lor proprietà in quelle parole: L'acqua che vedi ecc., versi 121*.
Ma la dimanda di Dante facea credere che Matilde avesse mancato
d'istruirlo.
7* Questo ed altre cose. Da questa risposta di Matilde, Dante com-
prende che fiumi son questi, cioè i discorsi da lei nel Canto XXVIII.
72 Non gliel nascose. Perchè Lete fa dimenticare i soli mali, e
il saper di questi due fiumi non è un male,
73 Forse maggior cura. Allude ai rimproveri ch'ella fece a Dante,
rimproveri che lo gettarono in tanta costernazione.
74 Conte tu sé1 usa. Se' usa di fare con tutte l'anime purgate nei
giri del Purgatorio.
728 PURGATORIO
La tramortita sua virtù ravviva. 7*
*80. Com'anima gentil, che non fa scusa,
Ma fa sua voglia della voglia altrui,
Tosto com' ft per segno fuor dischiusa;
Così, poi che da essa preso fui,
La bella donna mossesi, ed a Stazio 7G
Donnescamente disse : Vien con lui. 77
S'io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere, io pur cantere' in parte
Lo dolce ber che mai non m'avria sazio.
Ma perchè piene son tutte le carte 78
140. Ordite a questa Cantica seconda,
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte.
75 La tramortita ecc. Con dargli, mediante il ber di Eunoè (buona
mente) la memoria del ben ratto che ravviva e racconsola la nostra
fralezza.
76 A Stazio. Anche Stazio dovea bere ad Eunoe, come dovette
bere a Lete, sebbene non sia stato detto. Certe cose Dan e le fa
intender ad un solo accenno ch'egli pone qui o cola; e questo va
assai bene per non confondere le parti principali, e alle quali si vuol
tutta trarre l'attenzion dei lettori, colle parti secondarie. Il bere di
Stazio è qui fatto intendere così dalla lungi, che appena si conosco
da chi vi presta attenzione. Arte mirabile del poeta per non prò-
giudicare al soggetto principale.
77 Donnescamente. In atto matronale.
78 Ma perchè piene son tutte le earte ecc. Dante è simmetrico
anche nella materiale quantità dei Canti e dei versi, oltre l'altra
simmetria materiale che osservò in tutte le parti del suo poema,
simmetria che abbiamo avuto occasione d'ammirare altre volte, mas-
sime nella forma e misura dei luoghi percorsi. Le grandi menti at-
tendono molto a questa simmetria, che è molto utile a dar chiarezza
ed unità; simmetria, che applicata alle arti della pittura, scultura
ed architettura, di*>de loro tanta aria di sublime semplicità fino agli
artisti del 500, i quali se ebbero il merito di dare all'arte uno slan-
cio, sino allor non tentato, ebbero però il demerito di crear cosi la
scuola dei licenziosi e degli ammanierati che vennero poscia. Gli
artisti del 500, o non doveano mai nascere, o non doveano poi morire*
CANTO XXXIII. 729
Io ritornai dalla santissim'onda
Rifatto sì, come piante novelle
Rinnovellato di novella fronda,
Puro e disposto a salire alle stelle. 7ìl
"i> Stelle, Per amore alla stessa simmetria, termina la seconda
Cantica coni* la prima, e cosi terminerà pure la terza. Io suppongo
che dal mezzodì, notato alla nota 58, insino al termine del bere in
Eunoc, sieno passati Iti minuti, che pare tanti abbiano dovuto oc-
correre per fare quello che si fece dal mezzogiorno in poi. Cosi
Danto si fa stare nel Paradiso terrestre G ore, quante egli suppone
nel Canto XXVI del Paradiso , che ci sia stato Adamo, sebbene
in modo contrario a quello di Adamo. Adamo, come dice Dante,
ci stette G ore tra innocente e colpevole. Dante ci stette pure G ore
tra bisognoso di mondezza ed al tutto purificato.
Fine del T croato rio.
47
APPENDICE
al PURGATORIO cinto I, verso 75, hota li.
Impedito una fiata di correggere da me iteiso la stampa di
quest'opera, m'accorsi troppo tardi che, senza mia saputa, non so come,
si aveva alterato sostanzialmente la soprascritta nota del mio Com-
mento; sicché, dov'io difendeva, si veniva invece a condannare il
poeta, o almeno a lasciarlo ingiustificato. Ecco pertanto la mia nota
nella sua genuina integrità,
4* La veste che ecc. La veste del tuo corpo, che nel di del giu-
dizio risorgerà glorioso. Dunque, secondo queste parole, Catone
è lodato del suo suicidio, quale un atto glorioso. D'altra parte noi
troviamo i suicide condannati nel Canto XIII àe\V Inferno e puniti
colà giù, come vedemmo. Se è un peccato degno d'inferno, perchè
Catone non è fra i dannati per suicidio ? £ se non è tal peccato,
perchè far dannati tutti quegli altri? Bisogna sciogliere questa con-
traddizione.
Intanto vuoisi notare per sentenza di Dante, che il suicidio per
sé stesso è peccato e peccato gravissimo. Né questa è dottrina di
solo Dante, ma la è pur di Virgilio, a cui Dante fa dire nel Can-
to XI dell'/Ti/.;
e però nel secondo
Giron convien ohe senza prò si penta
Qualunque priva sé del vostro mondo.
Virgilio stesso nella sua Eneide condanna i suicide alle pene di
averno, come Dante. Dante poi, come cristiano e teologo tomista,
lo sapeva ancor meglio. Sicché non è a dubitare che si Dante, come
Virgilio ritenessero il suicidio per peccato gravissimo.
Ma perchè il suicidio è per sé peccato gravissimo, dunque ogni
suicidio sarà sempre tale peccato, che non si sia mai potuto e che
mai non si possa giustificare od esimerlo da peccato? Il punto
732 APPENDICE
dunque della questione per riguardo a Dante che pone Catone a
custode dell'antipurgatorio, e per riguardo a Virgilio che lo enco-
mia, si riduce a questo : Se il suicidio di Catone nell'atto pratico,
ossia soggettivamente, fossa essere giustificato ed anche lodato, Vir-
gilio e Dante tengono per la sentenza affermativa. Hanno essi ra-
gione?
Rispondo : Potrebbero aver torto, ma potrebbero anche aver
ragione. Potrebbero aver torto, e l'avrebbero, nella ipotesi che Catone
avesse saputo di fare, uccidendosi, un'azione, che per nessun caso gli
passava per lecita la legge di natura. Ma potrebbero anche aver
ragione nella ipotesi che Catone avesse creduto in buona coscienza,
sebbene erronea, di poter fare lecitamente in quel caso quella azione,
quantunque generalmente vietata.
E evidente che Dante e Virgilio stanno qui per la seconda ipo-
tesi, ammessa la quale, non veggo che sia troppo da scandolezzarsi
di questi due poeti pel fatto di Catone. Anche san Gian Crisostomo
e sant'Agostino, parlando di cèrti delitti che qui non occor nomi-
nare, sebbene per so stessi li ritengono veri delitti, pure, per lo
stesso principio di Dante, trovano di scusarli. Imperciocché può darsi
il caso che un peccato che potrebbe esser formale, ossia imputabile,
resti soltanto materiale, e quindi non imputabile. Tale è il senti-
mento dei nostri poeti su Catone. Essi ritengono che egli abbia
commesso un peccato puramente materiale, e perciò lo assolvono
da ogni colpa. Che poi la cosa sia passata veramente così, que-
sto è un altro discorso. Basta ch'essi abbiano ritenuto il principio
della colpabilità generica di siffatta azione, senza voler preten-
dere da essi quello che non si può uè in filosofia, nò in mo-
rale, cioè che veramente Catone abbia commesso in quel caso un
peccato formale, e non ci sia verso da potorio per nessun modo
giustificare. Chi negherà che la passion della patria non sia gran-
dissima? Chi negherà ch'ella possa talora turbare siffattamente lo
intelletto da creder lecito quel che non è? Chi negherà che non
possa entrare in qualche anima generosa in date circostanze di ca-
tastrofi politiche fin l'idea del dovere di dar la sua vita perchè la
si crede l'unico mezzo di salvar tutte l'altre? Io non affermo, lo
ripeto, che tale precisamente fosse il caso di Catone quando si uc-
cise, ma dico soltanto che lo potea essere, e questo basta al mio uopo.
Aggiungo che Dante, a giustificazione del suicidio di Catone,
poteva esser mosso da un esempio simile che abbiamo nelle Divine
Scritture, l'esempio di Razia, narratoci nel I Machab, XIV, 37.
Razia fu accusato davanti a Nicànore governatore della Giudea da
PURGATORIO 733
Demetrio: Razias quidem de senioribus ab Hitrosolymis delatus
est Nicanori. E questi per dare un segno publico dell'odio che por-
tava a' Giudei, inviò cinquecento soldati per disfarsi di lui. Razia,
vedendo di non poter iscappare dalle loro inani, si diede un colpo
di spada, amando meglio morire coraggiosamente, che vedersi sot-
toposto a peccatori, e soffrire oltraggi indegni della sua nascita.
Ma non essendo mortale quel colpo, quando egli vide i soldati en-
trare in folla nella sua casa, corse sul muro, e spiritosamente si
precipitò dall'alto al basso. Non avendolo quella caduta fatto mo-
rire, fece un nuovo sforzo, si raddrizzò; e strappandosi le intestina
dal corpo, le gittò colle sue mani sopra del popolo, invocando il
Dominatore della vita e dell'anima, acciocché se gli rendesse un
giorno, e co9Ì fini di vivere : Jnvocans Dominatorem vitee et spi-
rittts* ut ìuec UH iterum redderet, atque ita vita defunctus est.
I Giudei mettono Razia nel numero dei loro più illustri martiri,
e riguardano la sua morte come una ispirazione straordinaria di
Dio. Que9t'ì» ancora il giudizio che ne fanno alcuni interpreti cat-
tolici, che Io paragonano a Sansone, non ostante la sentenza con-
traria di sant'Agostino. Certo la Scrittura, se non loda apertamente
la sua morte, nemmeno la biasima, e con ciò solo ha lasciato una
cotal libertà di giudizio sul fine di Rnzia. Ecco le parole della santa
Scrittura, sulle quali si sono fatti forti gl'interpreti: Eligens nobi-
li ter mori, potius quam snòdi tum fieri peccatoribus, et con tra «a-
tales 8V08 indignis injuriis agi. Io non sarò mai quegli che pre-
suma decidere in tanta lite; ma posso sempre supporre che Dante
peritissimo della Bibbia, abbia avuto presente Razia quando s'in-
dusse a metter salvo Catone. È vero che Catone non era Razia,
ma appunto per questo, cioè per il difetto dei lumi che poteano
guidarlo nella sua final decisione, meriterebbe d'esser più giustifi-
cato Catone che Razia.
Del resto, mentre tutti credono che Dante abbia trattato troppo
generosamente Catone, collocandolo alle falde dell'antipurgatorio
senza calcolar la sua colpa, io trovo invece che l'ha trattato con
alquanta severità. Imperciocché ammesso che Catone fosse in vita
quell'uomo che si poteva dar per modello delle quattro virtù car~
dinali (nel che pare che con Dante si accordino molti, se non tutti
gli storici); ammesso puro ch'egli si possa scusar di reato nel sui-
cidio, perchè, dico, noi pose in cielo dove pur collocò Traiano, prin-
cipe gentile, senza che ne rèsti perciò scandolezzato nessuno ? Mj
si dira: Perchè Catone non adorò debitamente Iddio. Ma io rispondo :
Neppur Traiano lo adorò debitamente; ma per rimediare a tal colpa
734 APPENDICE
Dante lo fa tornare al corpo, e salvarsi. Soggiungo poi che se fosse
veramente per questo, Dante avrebbe collocato Catone nella città
dei Savi al primo cerchio d'inferno, insieme con Virgilio e con altri
grandi Vedendo che non l'ha collocato nel limbo, dunque Dante
non riconobbe in lui nemmeno questo peccato. Dunque, a ben pen-
sare, Catone per Dante avrebbe dovuto trovarsi in cielo. Invece lo
pianta là alle falde dell'antipurgatorio, e, a quel che pare, senza
nessuna speranza di salire al cielo quando che sia, non ostante lo
splendor del suo corpo nella universale risurrezione. Perchè è bensì
vero che si tocca della sua gloriosa risurrezione, dove ò detto :
La veste che al gran di sarà si chiara:
ma prima quelle parole Dante le pone in bocca a Virgilio, il quale
trovando in quel luogo e in quell'ufficio, e in tanta chiarezza, il suo
Catone, è indotto a crederò necessariamente, ch'egli sia destinato
all'immortalità dei beati. In secondo luogo non è si manifesto che
quelle parole determinino una vera risurrezione gloriosa, quale la
acquisteranno i veri beati, mentre si può intendere (e cosi infatti
va inteso) anche una chiarezza di corpo, quale l'aveva allor la sua
ombra, cosi raggiata dalle quattro virtù cardinali; il che sarebbe
una chiarezza puramente naturale, ben diversa da quella dei veri
corpi gloriosi e beati. Adunque con tutta la indulgenza di Dante
verso Catone, eccotelo al purgatorio in tristissime condizioni.
Prima condizione, escluso per sempre dalla vista di Dio.
Seconda condizione, condannato a vivere solo ; e chi può misurar
questa pena?
Terza condizione, messo alla oustodia d'un luogo, ove l'anime si
purificano per ire al cielo, senza ch'egli vi possa mai metter piede
per mondarsi egli stesso, e cosi giungere con esse alla beatitudine.
Quarta condizione, accogliere e vedere continuamente le anime
elette passargli davanti, senza ch'egli si possa mai unire con loro.
Quinta condizione, eccitarle ad acceleiare la loro beatitudine, e
intanto non poter mai accelerarla a so stesso.
Sicché tutto esaminato, la condizione di Catone alle falde del pur-
gatorio, se è migliore di quella che hanno i Savi nel I cerchio di
inferno, non par migliore di troppo. Si conosce a tutta evidenza
che Dante intronato le orecchie per tante lodi prodigate a Catone
da tutta l'antichità, da Virgilio (Eri. LVI), da Lucano (Fars. IX),
da Sallustio, da Seneca e da tanti altri, lodi che formarono anche
l'opinione del medio evo su quel soggetto, come apparisce e da
Dante stesso nel suo Convivio, e da Pietro figliuolo di Dante nei
PURGATORIO 735
suoi commenti, e da un commento inedito della Laurenziana, si
conosce, dico, da tutto questo che Dante in servigio di Catone volle
creare uno stato intermedio tra quello che hanno i Savi del I cer-
chio d'inferno, e le anime purganti destinate all'eterna e beata im-
mortalità.
Così noi veniamo ad avere, o meglio a supporre, per effetto della
ricca immaginazione di Dante, una copiosa gradazione di stati ul-
tramondiali tra gli umani, come la vedemmo da lui trovata tra gli
angeli ; stati che comprendono tutti i casi possibili, senza che per
essi venga ad intaccarsi la credenza cattolica. Noi cattolici crediamo
che ci sieno dannati, purganti e beati : riteniamo pure che la classe
dei dannati si suddivida in due, in quella dei bambini morti senza
battesimo, aventi il peccato originale, senza gli attuali, e in quella
degli adulti con o senza il peccato originale, ma sempre con pec-
cati attuali gravi: i primi con la sola pena del danno, ed i se*
condi anche con quella del senso. Sicché al più noi abbiamo notizia
di quattro stati, 1 o di dannati alia sola pena del danno ; 2,° di dannati
a qmella del danno e a quella del senso ; 3.° di purganti ; 4.o di beati.
Dante ritenne questi, e ve ne aggiunse degli altri. Ai dannati alla
sola pena del danno vi aggiunse i sospesi che vivono nel castello
ameno dei Savi, in una cotale felicità naturale letteraria e civile.
Ecco una modificazione supposta da Dante, e non supposta dai teo-
logi. Forse non ci sarà questo stato, ma è possibile, e tanto basta
per il poeta teologo. Così ai purganti aggiunse il solo Catone pel
merito singolare delle sue quattro virtù cardinali. Ecco un'altra mo-
dificazione dello stesso genere. Questi stati non ci saranno; ciò poco
importa ; basta che sian possibili perchè al poeta sia lecito di adot-
tarli, anche per un solo individuo, qual fu Catone, il quale non dee
esser beato, perchè non ebbe la fede ; non dee esser purgante, perchè
non può esser tale se non chi è eletto alla gloria; non dee essere
dannato alla pena del senso, perchè si suppone senza peccati attuali.
Dunque dovrebbe esser nel castello cogli altri Savi e con Virgilio.
Ma essendo egli spiccato più di tutti questi per le virtù, ragione
voleva che non fosse con lor confuso, ma che fosse trovato un altro
stato degno di lui. Questo stato è appunto il luogo e la condi-
zione in che Dante lo pose.
Credo che questo brevissimo discorso possa valere sufficientemente
a togliere ogni maraviglia ed ogni scandalo prodotto in chi legge
dal trovare Catone posto a custode del purgatorio, o, per meglio
dire, delle sue falde, senza bisogno per giustificar Dante di creare
un Catone allegorico, come fece il canonico Brunone Bianchi nei
736 APPENDICE
suoi commenti. Dante ci dà Catone per quel che è, e per questo lo
definisce con tutti i particolari di luì. Si sa che in questo perso-
naggio c'è della poesia; ma la poesia non consiste nello spacciarlo
per allegorico. Se Dante avesse errato nella scelta di Catone, tanto
avrebbe errato facendolo storico, quanto facendolo allegorico. Ma
il fatto non è cosi, come abbiam dimostrato.
1 '
:l
KRRATA-COItllIGE.
Pag,
12
12
19
34
na
94
116
193
21.~>
2<>s
27:-
2*>
3o;>
3us
312
aia
• •
IVI
327
imi)
«).'»»!
nn»
• »,«.»
UO.I
3*3
381)
532
fi3:)
fi-I 3
5^7
Lin\
20
23
Si»
s
r»
20
ì>
2(j
Si;
37
•»
o
2<;
20
30
r;
27
•>■»
_.>
^•'
*•• >
•>
«.»
32
4
31
27
24
.>»»
19
IL
S
Errata.
il clic avviene ai 21 di
marzo, perchè, come si
sa, or siamo ai 10 di
aprile.
dopo
dilagato
21)
la
disse
a lor
alla parte
intese
Fu
primi
il
greve
glidotti glie
Valdaucai
lo
t perniigli
Lii»io
Ligio
sino
Pi citrato
o?t
fatiche
es.- ere
11
jì assaggio
gin
Virgilio, infine
pel liello
vedi
do multai
Corrige,
ii ohe avvieae ai 21 di
marzo. Invece sou già
passati giorni 20 dopo
il 21 ili marzo, perchè,
coinè bi fa, cr siamo ui
10 di aprile
dunque
dilavato
30
fa
pur
dis*»i
al lor
alle porte
intesa
Tu
propri
al
grave
glielo toglie
Valdarncai
le
capienza
Lizio
Lizio
cioè
Pisistrato
ovest
ollerte
e.-:-cr
12
passeggio
già
, Virgiho infine,
bel hello
vede
dormii il
%.
DATE DUE
STANFORD UNIVERSITY LIBRARIES
STANFORD, CALIFORNIA 94305-6004
"~S 1
H
H»