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Full text of "Paradiso"

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LA 


DIVINA  COMEDIA 


COL 


COMMENTO  CATTOLICO 


VOLUME  SECONDO. 


Ili  bri  apparsa  u  U 

a  Hobn.  LOKKNZO  SCHIAVI 

e  dall'erede  flou*.  FRANCESCO  KOS  DA 

di  Capod  Istria 

donati  alla  Residenza  Triestina  8.  J. 

12-X1-1020. 


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Luigi  Bexnassuti  odi  toro 
si  riserva  tutti  i  diritti  di  proprietà  letterari». 


LA 


DIVINA  COMEDIA 


DI 


DANTE  ALIGHIERI 


i;ol 


COMMENTO  CATTOLICO 


DI 


LUIGI    BENNA88UT1 


.ARCIPRETE   DI    CEREA 


lion  somma  diligcnia  vigilate  eh* 
ncH'inseguameulo  delle  umane 
lotterò  o  Degli  sludj  superiori 
nulla  venga  ad  introdursi  di 
contrario  alla  fedo,  alla  reli- 
gione, al  buon  costume. 

AUocuz.  di  S.  S.  Pio  IX 
nel  Concisi.  Oyiuy no  1862. 


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reni    t  A%  \~ì    i  . 


DALLO    STABILIMENTO   CIVKLLI 


186Ó. 


fri  a n  <% 


PREFAZIONE 


V  olse  già  tempo  (e  fu  di  molti  secoli)  che 
chi  voleva  con  sicurezza  istituire  la  gioventù  nelle 
discipline  letterarie,  e  scientifiche,  ne  chiedevate 
norme  alla  Chiesa  cattolica.  Fra  i  molti  esempi, 
che  si  potrebbero  recare  in  prova  di  questo  vero, 
noi  ci  ristringiamo  ad  un  solo,  ma  tale  che  vai 
per  mille,  su  qualunque  bilancia  si  pesi,  È  questi 
Monsignor  Jacopo  Benigno  Bossuet,  illustre  Ve- 
scovo di  Meaux,  uno  dei  rari  che  abbia  potuto 
riscuotere  le  lodi  e  le  ammirazioni  del  1  Napoleone. 
Incaricato  di  istituire  nelle  lettere  e  nelle  scienze 
il  Delfino  di  Francia,  egli,  non  ostante  il  suo  pro- 
fondo sapere,  la  sua  vasta  erudizione,  e  il  suo 
altissimo  ingegno,  qualità  tutte  che  lo  fecero  pro- 
clamare l'Agostino  delle  Gallie,  non  ebbe  però  il 
coraggio  di  mettersi  all'  impresa,  se  prima  non 
corse  ai  piedi  di  Papa  Innocenzo  XI,  e  non  gli 
chiese  che  cosa  dovesse  fare,  e  come  si  dovesse 
regolare  per  non  mettere  il  piede  in  fallo  nella 
istituzione  del  suo  reale  discepolo.  Ed  Innocenzo, 
sebbene  sapesse  chi  era  Bossuet,  con  una  sua  let- 
tera eortesissima,  che  è  premessa  air  inarrivabile 
Discorso  sulla  storia  universale  dello  stesso  Bos- 
suet, si  fece   ad  ammaestrare  un   tanto    maestro, 


II 

tracciandogli  un  sistema  di  sì  eccellente  insegna 
mento,  che  beato  il  mondo  presente  se  si  piegasse 
ad  adottarlo. 

Ma  pur  troppo  il  mondo  presente  non  è  sif- 
fatto che  voglia  a  suo  gran  prò  seguire  l'esempio 
di  un  Bossuet,  ricorrendo  per  lume,  e  per  guida 
al  successore  d'Innocenzo,  al  grande  Pio  IX,  che 
pur  oggi,  meglio  di  tutti,  saprebbe  scorgere  a 
glorioso  porto  quanti  si  affidassero  ai  suoi  consigli. 
Egli  anzi  sdegna  di  attignere  i  sani  metodi  d'istru- 
zione da  chi  ha  saputo  finora  insegnarli  con  tanta 
gloria  ai  Genii  più  grandi;  e  invece  li  va  men- 
dicando a  chi  non  sa  darne  che  di  guasti,  e  di 
velenosi,  voglio  dire  alla  incredulità,  ed  alla  rivo- 
luzione: e  queste,  a  suo  gran  danno,  glieli  som- 
ministrano a  dosi  cosi  acri  ed  abbondanti,  che  in 
poco  tempo  hanno  di  già  prodotto  per  ogni  dove 
tristissimi  efFetti;  effetti  d'immoralità,  ed  effetti 
d'irreligione,  per  non  dire  anche  effetti  d' igno- 
ranza,  checché  se  ne  vanti  in  contrario. 

(Johì  avvenne  sempre,  e  così  sempre  avverrà. 
Onde  anche  oggidì  potrebbe  ripetersi  quello  che 
Dante  lamentava  dei  giorni  suoi  (Par.,  0.  XXVII, 
v.   T27): 

Fede  ed  innocenzia  son  reperto 
Solo  uè'  parvoletti;  poi  ciascuna 
l*ria  fugge  che  le  guance  sieu  coverte. 

l'ale,  balbuziendo  ancor,  digiuna, 
Che  poi  divora,  con  la  lingua  sciolta, 
Qualunque  cibo  per  qualunque  luna. 

l'i  tal,  balbuziendo,  ama  ed  ascolta 

La  madre  sua,  che,  con  loquela  intera, 
Disia  poi  di  vederla  sepolta. 


Ili 

E  tanto  male  perchè?  Per  la  ragione  che 
già  toccammo,  e  che  ci  pince  ridire  colle  imma- 
gini stesse  di  Dante  (Par.,  C.  XXX,  v.   159): 

La  cieca  cupidigia  che  v'ammalia 
Simili  fatti  v'  ha  al  fantolino, 
Che  muor  di  fame,  e  caccia  via  la  balia. 

Buon  per  noi  che  la  balia  che  abbiamo,  quan- 
tunque rigettata,  non  ci  abbandona:  e  questa  balia 
così  pietosa  ò  l'angelico  IX  Pio.  Questi,  vedendo  la 
strage  che  mena  dovunque  sulla  semplice  gioventù 
la  falsa,  e,  diciamolo  pure,  empia  scuola  moderna, 
nel  6  di  giugno  dell'anno  presente  1867,  si  è  rivolto 
a  tutti  i  Vescovi  dell'orbe  cattolico,  avvertendoli 
di  tanta  sciagura  (fra  le  diciasette  principali  che 
loro  addita)  e  invitandoli  a  studiarne  e  proporne 
i  rimedi,  da  publicarsi  poscia  in  un  prossimo  Con- 
cilio Ecumenico,  già  intimato,  e  da  attuarsi  quanto 
prima  a  salvezza  della  società  ahi!  pur  troppo  sul- 
l'orlo di  un  orribile  precipizio.  Dei  diciasette  mali 
sui  quali  il  gran  Pio  chiama  la  più  seria  atten- 
zione dei  Vescovi,  quello  che  fa  per  noi  è  il  sesto, 
che  vogliamo  riferire  colle  sue  stesse  parole  :  «  Do* 
ulendum,  egli  dice,  summopere  est  ut  populares 
u  scholae,  quae  patent  omnibus  cuiusque  e  pò- 
u pulo  classis  pueris,  ac  publica  universim  insti- 
li tuta,  quae  litteris,  severioribusque  disciplinis 
u  tradendis,  et  educationi  inventutis  curandae  sunt 
u  destinata,  eximantur  pluribus  in  locis  ab  Ec- 
u  clesiae  auctoritate  moderatrice,  vi  et  influxuì 
uplenoque  civilis  ac  politicete  auctoritatis  arbi- 
«  trio  subiiciantur,  ad  impcrantium  placito,  et 
«  ad    communium    aetatis    opinionum    amussim; 


IV 

«  QUIDNAM  ITAQUE  EFFICI  rOSSET,  QUO  CONGRUUM 
«  TANTO  MALO  REMEDIUM  AFFERATUB,  ET  ClIRTSTl- 
«F1DELIBUS    SUPrETAT    CATHOLICzVE     ISSTRUCTIONIS 

«et  educationis  ADiUMENTUM  ?  »  Sollecito  a  ri- 
calcare lo  stesso  argomento  fu  l'Eminentissimo 
Cardinal  Monchini  Vescovo  di  Jesi.  Questo  dotto 
Cardinale,  che  non  ha  guari,  sotto  il  nome  ar- 
cadico di  Callistene  Rofeatico,  pubblicava  un  ele- 
gante poemetto  intitolato  :  Danieleide,  il  25  di 
giugno  leggeva  nella  romana  Accademia  di  reli- 
gione cattolica  una  bellissima  orazione  intitolata  : 
De  mira  aetatis  nostrae  cum  romana  Petri  Sede 
sacrorum  antistitam  coniunctìone.  L'esimio  Ora- 
tore nota  il  sommo  vantaggio  che  deriverà  al 
mondo  cattolico  da  questa  intima  concordia  dei 
sacri  Pastori  col  Sommo  Pontefice,  principalmente 
per  resistere  agli  sforzi  dell'empietà,  che  vorrebbe 
annientare  il  nome  cristiano  ricorrendo  a  mezzi 
anche  più  iniqui  ;  non  ultimo  tra  i  quali  ò  gridare 
all'  ignoranza  del  clero,  ed  a  quavis  Ecclesiae 
potestate  et  regimine  scholas  eximcre,  ut  proge- 
nies  vitiosior  succrescat. 

Siamo  certi  che  tutti  i  Vescovi,  devotissimi, 
come  sono,  degli  oraceli  Vaticani,  di  che  hanno 
dato  prove  si  luminose  nei  1854,  I8G2  e  i  867, 
risponderanno  a  yì  nobili  appelli,  ed  escogiteranno 
con  tutto  lo  zelo,  nei  tre  o  quattro  mesi  loro  con- 
cessi a  tal  uopo,  i  più  efficaci  rimedi  al  nude  del- 
l'istruzion  publica  manomessa,  e  deporranno  i  loro 
sapientissimi  ritrovati  ai  piedi  dei  Maestro  uni- 
versale, che  sancirà  definitivamente  ogni  cosa  nel 
futuro  Concilio. 


V 

Tra  questi  rimedi  crediamo  non  ultimo  la 
riforma  dello  studio  Dantesco  nella  Divina  Co- 
media,  libro,  non  che  utile,  necessario  e  indispen- 
sabile alle  scuole,  massime  italiane;  ma  libro  in 
pari  tempo  pericolosissimo,  se  non  s'interpreta  con 
quello  spirito  cattolico,  ond7  era  pieno  l'autore,  dal 
quale  spirito,  a  bello  studio  di  corrompere  la  in- 
cauta gioventù,  si  diparti  più  che  mai  l'età  mo- 
derna. 

Noi  da  molt'anni  abbiamo  atteso  a  questo  caro 
lavoro,  a  solo  fine  di  giovare  veracemente  alla 
studiosa  gioventù,  sì  che  questa  vi  avesse  un  pa- 
scolo sano  o  nutritivo  di  letteratura  e  di  religione, 
e  non  un  potente  veleno,  quale  tuttodì  ci  viene 
propinato  da  certi  commentatori,  emissari  prez- 
zolati della  moderna  empietà.  Se  ci  siamo  riusciti 
non  osiamo  dirlo  da  noi,  ma  solo  sperarlo:  e  la 
speranza  ce  la  porse  la  impareggiabile  Civiltà 
Cattolica  nel  quaderno  582,  17  febbraio  1860, 
esaminando  il  nostro  commento  deW Inferno,  dove 
tra  l'altre  cose,  chiamò  questa  nostra  prima  publica- 
zione  «  lavoro  degnissimo  di  essere  proposto  nelle 
u  scuole  cattoliche  per  la  infinita  utilità,  che  ne 
upuò  provenire  alla  gioventù  così  sotto  il  rispetto 
u  religioso,  come  ancora  sotto  il  risguardo  lette* 
vario  n.  Nutriamo  fiducia  che  così  potrà  dirsi  del 
Purgatorio,  che  or  vede  la  luce,  e  del  Paradiso, 
che  la  vedrà  non  più  tardi  di  quattro  mesi. 

Anche  i  Padri  del  Concilio  di  Costanza  (che 
ha  il  merito,  dice  Witte,  di  aver  destato  in  Ger- 
mania le  prime  scintille  della  Divina  Comedia), 
furono  penetrati  della  necessità  di  porre  in  mano 


VI 

alla  gioventù  quest'opera  principale  di  Dante, 
scevra  da  commenti  pericolosi,  e  di  estenderne  lo 
studio  anche  fuori  df  Italia:  onde  il  Cardinale  Ame- 
deo di  Saluzzo,  ed  i  Vescovi  di  Salisburgo  e  di 
Bath  incaricarono  Giovanni  da  Serra  valle,  Vescovo 
di  Fermo,  a  dettarne  una  versione  latina,  ed  un 
vasto  commentario;  il  che  Giovanni  eseguì,  co- 
minciando il  suo  lavoro  il  i.°  febbraio  1416,  e 
compiendolo  il  16  febbraio  dell'  anno  seguente. 
(Ferrazzi  —  Enciclopedia  Dantesca  —  Voi.  I, 
Parte  I   —  Bassano  1865,  pag.  499). 

Chi  sa  che  anche  nell'imminente  Concilio 
di  Pio  non  si  torni  dai  Padri  sullo  stesso  argo- 
mento! In  tal  caso,  che  par  naturale,  il  nostro 
magnanimo  Mecenate  e  Vescovo  Luigi  di  Canossa, 
dantista  e  letterato  cospicuo,  avrebbe  forse  da  mo- 
strare, per  uno  dei  mali  segnalati  dal  Papa,  già 
bello  e  pronto  il  farmaco  ricercato. 


PURGATORIO 


CANTO    I 


Argomento. 

Indicato  il  nuovo  tema,  invocato  il  debito  aiuto  per  trattarlo, 
e  determinata  Vora,  che  attor  correva,  si  trovano  alla  presenza 
del  vecchio  Catone  Uticese,  custode  delle  falde  del  monte  del  Pur- 
gatorio. Questi  si  maraviglia  e  sì  lagna.  Gli  si  rendono  le  ragioni 
di  questo  viaggio  privilegiato,  dietro  le  quali  si  r acqueta,  ed  inse- 
gna quel  che  si  debba  far  per  salire  e  dove  salire. 

NB.  Vedi  tatti  i  casellini  di  questo  Canto  selle  mie  Tar.  1  e  II,  Purg. 


ler  correr  miglior  acqua  alza  le  vele  * 
Ornai  la  navicella  del  mio  'ngegno  * 


*  Per  correr  ecc.  Per  trattar  migliore,  ossia  più  dolce  argomento. 
Bellissima  allegoria  mista,  come  la  chiamano  i  retori,  dove  l'acqua 
significa  la  materia  da  trattarsi,  la  nave  rappresenta  l'ingegno,  e 
le  vele  sono  gli  argomenti,  che  questo  usa  nel  percorrere  la  materia. 
Imitò  questa  allegoria,  forse  troppo  davvicino,  il  Monti  nel  IV  della 
Bamilliana  : 

Batte  a  voi  più  sublime  aura  sicura 
La  farfalletta  dell'ingegno  mio, 
Lasciando  la  città  della  sozzura. 

*  Ornai  la  navicella  ecc.  L'Alighieri  chiama  qui  modestamente 
navicella  il  suo  ingegno,  quasi  piccolo  ingegno. 


PURGATORIO 

Che  lascia  dietro  a  sé  mar  si  crudele  :  ' 
E  canterò  di  quel  secondo  regno,  4 

Ove  Fumano  spirito  si  purga, 

E  di  salire  al  ciel  diventa  degno. 
Ma  qui  la  morta  poesia  risurga,  * 

O  sante  Muse,  poiché  vostro  sono, 6 


*  Che  lascia  ecc.  Continua  la  stessa  allegorìa.  Avendo  chiamato 
acqua  il  nuovo  argomento  del  Purgatorio^  dovea  chiamare  acqua, 
anzi  mare  crudele,  l'Inferno  già  percorso. 

*  E  canterò  ecc.  Espone  il  suo  assunto.  Chiama  il  Purgatorio 
secondo  regno:  dunque  l'Inferno  fu  il  primo  regno.  Nell'Inferno  re- 
gnava Lucifero ,  Lo  imperador  del  doloroso  regno  ;  qui  regna  Dio. 
E  vero  ch'è  un  re  che  tormenta  i  suoi  sudditi,  ma  li  tormenta  per 
amore,  mentre  all'Inferno  li  tormenta  per  assoluta  avversione.  Questo 
fine  amoroso  viene  ottimamente  indicato  nei  due  versi  seguenti  :  Ove 
rumano  spirito  ecc.  —  Ecco  l'esordio,  ecco  la  proposizione  d'assunto. 
ecco  il  fine  consolante,  nobile  e  cattolico  di  questo  secondo  regno. 
Se  tra  i  protestanti  fosse  stato  possibile  un  Dante,  la  stessa  eresia 
avrebbe  nociuto  alla  poesia,  perchè  gli  avrebbe  vietata  fin  la  ma- 
teria di  questa  seconda  Cantica.  L'errore  è  funesto  perfino  all'arte. 
All'incontro  la  verità  cattolica  la  favorisce. 

8  Ma  qui  la  morta  ecc.  Morta  perchè  trattò  di  morti  alla  grazia, 
quali  sono  i  dannati  ;  morta  perchè  trattò  di  pene  mortali  ed  eterne  : 
non  morta  perchè  prima  di  lui  la  poesia  fosse  spenta  in  Italia,  ed 
a  lui  toccasse  di  farla  rivivere,  che  il  contesto  non  porta  un  tale 
concetto.  Lo  stile  che  Dante  adottò  per  V Inferno,  e  tutto  quel 
colorito  che  servi  a  dipingerlo  poeticamente,  è  adattato  al  soggetto. 
Essendo  questo  terribile  ed  aspro,  aspro  e  terribile  n'è  lo  stile,  e 
la  poesia  con  esso.  Or  che  il  poeta  cangia  soggetto,  cangia  anche 
stile,  e  adotta  uno  stile  dolce  e  melanconico;  quale  si  addiceva  questo 
secondo  viaggio.  Dunque  non  più  morta  poesia,  ma  una  poesia  ve- 
stita di  nuova  vita. 

6  Osante  Muse  ecc.  A  quali  muse  accenna?  Non  accenna  che  a  muse 
cristiane.  Le  inventate  dal  paganesimo  non  lo  potevano  aiutare;  esse 
non  conoscevano  nemmeno  il  nome  del  soggetto  in  discorso .  Perciò  a  dif- 
ferenziarle dalle  antiche,  le  dice  sante.  Per  un  poema  sacro  quale  lo  defini 
il  poeta,  non  ci  volevano  che  le  muse  sante,  ossia  muse  fatte  conoscere 
dalla  fede  cattolica.  Le  nostre  muse  si  trovano  nella  Santa  Scrittura,  la 


CANTO  I. 


? 


E  qui  Calliopea  alquanto  surga,  7 
ìguitanjlo  il  mio  canto  con  quel  suono 


io.     Seguitando  il  mio 


8 


cui  poesia  è  dettato  dello  Spirito  Santo,  e  quindi  infinitamente  superiore 
a  qualunque  dettato  umano.  Fu  da  queste  muse  che  Dante  si  ispirò. 
Poiché  vostro  sono.  Il  poeta  è  proprietà  delle  muse  in  quanto 
si  dedica  e  si  consacra  ad  esse.  Dante  s'era  consacrato  agli  studi 
sacri,  la  parte  più  importante  dei  quali  e  la  fondamentale,  è  appunto 
la  Santa  Scrittura,  di  cui  egli  era  peritissimo,  massime  di  quelli  Agio- 
grafi che  più  lo  somigliavano  nell'ingegno,  nell'indole  e  nelle  vicende, 
come  fu  Ezechiele.  Sicché  questa  sudditanza  ch'egli  qui  professa  alle 
muse,  è  per  lui  una  cosa  speciale.  Dante  poteva  ciò  dire  a  più  ra- 
gione in  questo  viaggio,  perchè  egli  era  tutto  di  queste  sante  muse 
per  la  poesia,  e  lo  era  tutto  per  la  grazia  della  giustificazione,  che 
avea  acquistato  appiè  del  Calvario  il  venerdì  santo  precedente. 

7  Calliopea  ecc.  È  la  maggior  delle  muse  e  suona  di  bella  voce. 
Sta  bene  per  lo  stile  più  dolce  che  si  adopera  in  questa  Cantica.  Il 
dire:  E  qvi  alquanto  surga,  fa  intendere  ch'essa  ci  entrava  anche 
per  aiutarlo  nei  versi  d' Inferno.  Ma  si  badi  bene  che  tanto  Calliopea, 
quanto  l'altre  sue  sorelle,  non  si  nominano  in  quel  senso  usato  co* 
illunemente  dai  poeti  profani,  ma  si  nominano  piuttosto  per  quello  che 
rappresentano,  cioè  per  le  muse  veramente  sacre  e  cattoliche,  delle 
quali  sole  ha  bisogno  il  poeta  cristiano,  come  si  accennò  poco  prima. 

8  Seguitando  ecc.  Ovidio  nel  V  delle  Metamorfosi  narra  della  sfida 
nel  canto,  che  le  arroganti  nove  figlie  di  Pierio  gettarono  alle  muse. 
Furon  vinte  da  queste  e  in  pena  cangiate  in  gazze.  La  squisitezza 
di  quel  canto,  è  quella  che  invoca  il  poeta.  Ma  come  mai  in  argomento 
si  religioso  intrometter  pensieri  mitologici  ?  Ci  sarebbe  qui  una  questione 
tra  i  classicisti  e  la  nuova  scuola.  I  classicisti  vorrebbero  usare  la  mito- 
logia né  più  né  meno  che  i  pagani  ;  invece  i  seguaci  della  nuova  scuola 
hi  vorrebbero  del  tutto  esclusa.  Io  p^nso  che  ci  sarebbe  una  via  di 
mezzo,  quella  cioè  di  adoperarla  assai  parcamente  e  a  sola  necessità  di 
abbellire  i  concetti.  Forse  Dante  la  predilesse  soverchio,  masi  badi  che 
allora  sorgeva  la  nostra  letteratura,  e  dovendosi  foggiar  sui  classici  non 
è  maraviglia,  che  si  valicasse  il  segno.  Io  credo  però  che  il  Ventura  sia 
per  lo  meno  esagerato  in  un  suo  discorso  alla  Tuilleries,  dove  riprova 
assolutamente  il  classicismo,  e  lo  fa  sorgente  della  idolatria  moderna. 
Anche  i  templi  pagani  o  i  loro  avanzi  poterono  essere  volti  a  culto 
cattolico.  In  tal  caso  non  sono  che  un  semplice  abbellimento  materiale. 
Dicasi  lo  stesso  della  mitologia  e  d'altre  cose  consimili. 


f  P  LEGATORI*  » 

Di  cui  le  piche  misere  sentirò 
Lo  colpo  lai.  che  disperar  perdono. 
Dclce  cclor  d'orientai  zaffiro.  * 

1  D»iuin  ::ii»rr  *c?..  vii  vminr.ln  ii  poeta  Li  descrizione  del  Pnrjra- 

«icu».  ihk   ii  subirne  in  *t.  usimi*  7errà  et.iEpiendo,  sino  al  Paradiso 

^g'jjiscw  -inani  mala  «uà,   'ima.  Li  tornii;  eia  non  già  dal?a  sua  terra, 

usi  ìul  ìou    swo.  Z'^ilu  jem  arn  poteva  accori  parlare,  perchè  vi 

^•Jinsf    il  anni!,  v^iik   ide    ire  ù:  ■;«■  ;in:  imi- ridiane  «:ss:a  3:20  prima 

aula,  ntszni   iei  Sut*.  àe  nasceri»    ille  «:l  ',  eoc:e  &b'"LixEO  provato 

■miT  Jjueniiiee  u  Jaa.iV  ii^mo   >i!"*r  /n.   Fara  dinqae  solamente 

ài  fOiJ    aisio.   ae   irritar.:    ii  arcre  ■'*  nei  xaisinio  ieìla  sua  pompa 

e  iella,  sui  3nent*i^i— i.  Stasi    iieica  «;ì  av-*a  :re  altre  ragioni  par» 

riiHÌaz*.  i«r  j»   ;ruui  ii:-***  ;:  arsire   ì^zi  cu-:-?  d-i.  ciei?  del  Purga - 

3>co.  La  3cmn  rhr«:ne  ?i  --n  ia  :n:d3:ce  stessa  in  cui  era  stato 

■ano  i  iokì  itmx>j.    :*a«ii^i«:ne    ii  vr-r.-rcer:  ■:  jìi::-:ì:o  di  sepolto 

ear.-j  3fm  ^    ;uu  vrri'     Ter  ^  tri":   I    :w  -■?■-'.  -itll-:  4- ili  ì 4 

glissi  >  aeii"  farer*:-  .  -^:  1  -•    tussi^  il  :fctr:  il  ì'-rì-i:::;:.  iHvo 

ii  i«ii?     ii  ir^ilri   t   1  ri  *v   ;  n--ie  t-l^i^i*  .  :Li  y«:r:^=-:  le  steììe 

h*ì  i  àeio.   Sì  ì«:nci  ia  i-m»:    a  r:eila  teuosi  ■.:•  *.■*-:■.■:::■:  per  '.tizzo 

inala  ìduzio   ii  jil^-ia  -f-f. :  ■'_-'•  .   :ua:.:  ■;  .^jt.   il    lia^-tro  deil* 

rwr«ji  uiur  r  muserà*:' :«  j'jme  h  :   m:r    i:.   Tr.    IT.  J'»-*.  £-:".a  23".  e 

»  HTOPzaer*  ieiM^uneu:^  i  "rL-vr"!''.  lii'f    leu   *-"t:  :*.-■.  :lì  :ai  -;u:o  ..ii 

sbirir-i  -il  sui    :'.i\:nLa  — ìcll.  ;:er  »::    »*i:ci   ?t:-u:   i-i  fru:-fz:e:::.;    La 

*eirjn»ùi  ridirne  »n  làcr.iii auu-i.  ^r  Li  ne^e?i'.±  i-    Je'.-r.r.v.L.ir  .  ;ra 

iel*  TtH". ci   k  ;  'iT'Z'i .'■  :  r  ■  :    :■  •  l  jiit.^:         .   : lv  :•      :« : cuf  ■.  r  -?c e  v-  >  ir^mt  ». 

la  Tfiza    .ti  la;*,  ri^-j  ctf  :.r:cì.  :ae  Lr'i  -;i ■!■-:..>:■•   r/rò:-.»»  -i  xc^ì- 

*n»  oiei  iir   in  i-.u^ro  *  ~':r_  r-i  -~y    :i    :  :»-:  :.ri«\  :\i*t  :>^-.:zì  nsuiea- 

ieri   1**-..:  ji:i   —i^-i:ne^:.*    :■-:  :•  ?t  .   s  cri  .  j«  rrir'.  T-.cn:  :.*c.  in- 

3in.^ni     -rt;":  ^:ij    :--ù-l**-l'.;    ..:   ;r-i-i ■„■*•■   r"ia    :^i:a    ii    riesr.;  ni.-a.re 

ii    ae  Tur» "aer^nn.   ;i  i   i    x:_r     i   -•;•■    *:-,t:' 

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i  ir.i  «iiier"--.  -uv  le  . ■■-  ••  — ■.::'" n*  '  i.—jio  i"u;r  sa  ^*i  )»'»u&i 
:Ur  lt*t  )r:iu.  ".  u-"  U3^:  .'  ";. .  *■  ^  r*t*r.  ..ja1  vr  ìiir-.i.-»  i  .»ilfin> 
ìJa  sui  n»iaei.uia  Ì!  .'.i-i^a.  "**•  )i  \  :«n-ra  "ì^-ì  hiti.*  ?r>*ila.;i  ^*a  ì^CUr 
li  ir  :na~^n   j    d   tar^unv.  ji  iu   -a^i  .a    -  i^ii'zzti    ti'i    t'.'iuni  j   io* 


CANTO  I:  11 


Che  s'accoglieva  nel  sereno  aspetto  '" 
DelTaer  puro  infino  al  primo  giro,  u 
Agli  occhi  miei  ricominciò  diletto  w 
Tosto  ch'io  usci'  fuor  dell'aura  morta,  l3 


Dissi  notte  di  primavera  o  di  autunno,  perchè  al  Purgatorio 
dove  ora  siamo,  non  corre  la  primavera  che  abbiam  trovata  nell'al- 
tro emisfero  (Inf.  Canto  I),  ma  quella  primavera  s'è  per  noi  cangiata 
quasi  improvvisamente  in  autunno,  e  precisamente  nel  giorno  9  di 
aprile,  che  avremmo  se  fossimo  ancora  nel  nostro  emisfero.  Queste  cir- 
costanze dobbiam  notarle  accuratamente,  perchè  ci  porgono  la  chiave 
ad  entrare  in  molti  concetti  danteschi,  altrimenti  insolubili. 

*o  Che  s'accoglieva  ecc.  E  un  effetto  della  terza  ragione  anzidetta. 
Era  cielo  del  Paradiso  terrestre.  Dunque  dovea  esser  tale.  Però  an- 
che oggidì  i  viaggiatori  di  America  ci  predicano  quel  cielo  come  più 
vago  del  nostro  nei  climi  meridionali. 

*l  Infino  al  primo  giro.  Fino  al  giro  della  Luna. 

12  Agli  occhi  miei  ecc.  Si  ricordino  quei  versi  del  I  Canto  d'In/.  : 

Tcmp'era  del  principio  del  mattino; 
£  il  sol  montava  in  su  con  quelle  stelle 
Ch'eran  con  lui,  quando  l'Amor  divino 

Mosse  dapprima  quelle  cose  belle. 

La  bella  mattina  di  quel  giorno  fu  l'ultima  volta  ch'ebbe  il  diletto 
di  pascere  gli  occhi  nelle  stelle.  Dopo  di  quel  giorno  egli  entrò  nelle 
tenebre  sotterranee,  e  quando  fu  sull'orlo  della  valle  di  abisso  do- 
lorosa, la  ritrasse  in  questi  versi  (Ivf.  Canto  IV): 

Oscura,  profonderà,  e  nebulosa 

Tanto,  che  per  ficcar'  lo  viso  al  fondo 
I'non  vi  discernea  veruna  cosa. 

* 

Or  dunque  eh' è  uscito  dal  Purgatorio  gli  si  ricomincia  il  diletto  pro- 
vato prima  al  Calvario.  Prego  di  mettere  a  riscontro  l'una  dell'aitai, 
e  la  terzina  dell'  Inferno  testé  recitata  :  Oscura,  profanò? era  ecc.,  e 
l'altra  or  or  veduta  del  Purgatorio-.  Dolce  color  ecc.,  e  si  troverà 
un  contrasto  di  tinte  il  più  sorprendente. 

*3  Aura  morta.  E  perche  riserrata,  e  perchè  tenebrosa  (essendo  la 
luce  come  l'anima  e  la  vita  di  questo  corpo  che  dicesi  aura)  e  per- 
chè finalmente  aura  dei  morti  di  morte  eterna. 


12  PURGATORIO 

Che  m'avea  contristato  gli  occhi  e  ?1  petto.  n 
Lo  bel  pianeta  che  ad  amar  conforta  15 
20.       Faceva  tutto  rider  l'oriente 

Velando  i  pesci,  ch'erano  in  sua  scorta.  Ifi 
Io  mi  volsi  a  man  destra,  e  posi  mente  l7 

1*  Gli  occhi  e  7  petto.  Nella  visita  dell'Inferno  ha  veduto  cose  che 
facevano  agli  occhi  ribrezzo,  e  spesso  gli  mossero  al  pianto.  Pegli 
occhi  il  dolore  discende  al  cuore,  sede  degli  affetti. 

*s  Lo  bel  pianeta  ecc.  In  questa  terzina  fissa  Torà  precisa  della 
sua  uscita  dalle  viscere  della  terra  al  Purgatorio.  Dice  dunque  che 
in  quel  primo  momento  che  se  gli  presentò  la  vastità  del  firmamento 
si  vedeva  all'orizzonte  la  stella  Venere  ch'era  accompagnata  dai  Pesci. 
Ora  i  pesci  sono  la  costellazione  che  precede  immediatamente  quella 
di  Ariete  di  30  gradi,  ossia  di  2  ore.  Vedi  la  mia  Tav.  VII,  Purg. 
Dunque  tra  i  Pesci  già  levati  e  Ariete  che  leverà,  vi  ha  l'intervallo 
di  2  ore.  Ma  noi  abhiam  veduto  che  il  Sole  era  in  Ariete,  ossia  le- 
vava con  Ariete.  Dunque  alla  nascita  del  Sole  manca  no  ancor  2  ore. 
Questo  conto  andrebbe  bene,  se  il  Sole  fosse  nel  primo  grado  di  Ariete, 
il  che  avviene  ai  21  di  Marzo,  perchè  come  si  sa  or  siamo  ai  10  di 
Aprile.  Laonde  il  Sole  sebbene  sia  sneora  in  Ariete  s'è  già  ritirato 
verso  il  Toro,  che  è  la  costellazion  dopo  Ariete,  di  ben  20  gradi. 
Dopo,  il  conto  di  2  ore.,  già  trovato  tra  i  Pesci  e  l'Ariete,  non 
è  ancora  esattp.  Perchè  lo  sia,  bisogna  aggiungervi  il  ritardo  dei 
20  gradi  di  Sole  in  Ariete.  Dando  un' ora  per  ogni  15  gradi,  come 
è  infatti,  20  gradi  darebbero  ore  1:20,  e  questi»  unite  alle  due  danno 
ore  3:20.  Dunque  posto  che  i  Pesci  sieno  nascenti  all'orizzonte, do- 
vrebbero mancare  ore  3:20  alla  nascita  del  Sole.  Ecco  precisata  l'ora 
della  uscita  al  Purgatorio. 

16  Velando  ecc.  Cioè  col  suo  splendor  maggiore  della  costellazion 
dei  Pesci,  la  eclissava  in  parte,  ossia  ne  appannava  il  folgore,  come 
fa  un  velo  trasparente  cogli  oggetti  a  lui  sottoposti.  Si  sa  che  una 
luce  maggiore  vince  un'  altra  minore,  per  esempio,  il  Sole  per  l'ec- 
cesso di  luce  vince  dei  tutto  la  luce  delle  stelle.  Invece  una  stella 
vince  r  altra  solo  in  parte. 

*7  Io  mi  volsi  ecc.  Come  abbiam  veduto  nella  terzina  antecedente 
Dante  avea  la  faccia  volta  ad  oriente.  E  chiaro  che  in  questa  po- 
situra aveva  a  man  destra  il  polo  australe,  e  a  man  sinistra  il  bo- 
reale. Egli  pon  mente  all'australe.  Perchè  ?  Per  veder  tutte  le  plaghe 


CANTO  L  1» 

All'altro  polo,  e  vidi  quattro  stelle  ls 

del  suo  nuovo  ciclo.  Ciò  è  naturale  in  tutti  e  massime  in  Dante  per 
la  seguente  ragione.  Perchè  arrivando  al  Purgatorio  di  notte,  ignaro 
affitto  della  ferra,  non  avea  altro  mezzo  per  conoscere  la  sua  collo- 
cazione che  il  raffronto  di  lui  cogli  astri  del  cielo.  Perciò  noi  ve* 
diamo  ch'egli  da  bravo  astronomo  esamina  tutte  le  plaghe,  che  può. 
Egli  non  ne  potea  guardare  che  tre,  la  orientale  e  le  due  polari.  Non 
potea  guardare  la  quarta,  ossia  l'occidentale,  perchè  l'altissima  mon- 
tagna del  Purgatorio,  che  aveva  al  suo  occidente,  gliene  impediva 
la  vista.  Si  noti  che  quella  montagna  secondo  Dante,  come  abbiamo 
veduto  nella  Tav.  IL  d'Inferno,  aveva  l'altezza  di  miglia  95,  per  la 
ragione  che  quella  montagna  era  fatta  della  terra,  che  si  ritrasse  dal 
centro  alla  superficie,  per  paura  di  Lucifero  nel  momento  che  questi 
si  trovò  inchiodato  nel  centro,  terra  che  nel  solido  corrisponde  per- 
fettamente al  vano  occupato  dal  vero  Inferno  dantesco,  che  abbiamo 
veduto  nella  profondità  di  95  miglia.  Eitornando  dunque  al  filo  del 
nostro  discorso.  Dante  dovea  guardar  le  tre  plaghe  a  lui  possibili. 
La  più  importante  di  queste  era  la  orientale,  perchè  gli  serviva  di 
punto  d'appoggio  a  conoscere  il  tempo  di  sua  venuta  al  Purgatorio. 
Ecco  infatti  che  questa  è  la  prima  mirata  da  Dante.  La  più  impor- 
tante in  secondo  luogo  era  il  polo  australe,  e  per  la  curiosità  stessa 
naturale  di  non  averlo  giammai  veduto,  e  perchè  questo  gli  serviva 
di  punto  d'appoggio  a  conoscere  il  luogo  e  la  sua  distanza  dall'equa- 
tore. La  plaga  in  terzo  luogo  importante  per  lui  era  il  polo  boreale, 
perchè  confrontando  il  suo  abbassamento  con  l'innalzamento  dell'altro 
contrario  australe,  veniva  meglio  a  conoscere  il  sito  dove  allora  si  tro- 
vava. Fatte  queste  osservazioni  generiche  sulle  quattro  plaghe,  e  sulle 
tre  mirate  da  Dante,  veniamo  al  particolare  di  questa  australe. 

*8  Vidi  quattro  stelle  ecc.  E  inutile  voler  insistere  sulla  esistenza 
o  realtà  astronomica  di  queste  quattro  stelle,  e  fanno  da  ridere  tanto 
coloro,  che  le  vollero  quelle  che  sono  già  nel  catalogo  di  Tolomeo 
col  nome  di  Croce  del  Sud  nella  costellazione  del  Centauro,  quanto 
quegli  altri,  che  le  supposero  da  Dante  profetizzate,  quali  poi  le  tro- 
varono i  viaggiatori  del  Sud,  e  quanto  finalmente  quegli  ultimi,  che 
pretesero  averle  Dante  apprese  da  Marco  Polo.  È  cosa  più  che  evi- 
dente esser  queste  quattr  >  stelle  meramente  poetiche,  cioè  inventate 
da  Dante  quali  simboli  delle  quattro  virtù  cardinali.  Quando  Dante 
ce  lo  dice  aperto,  è  ridicolo,  non  che  inutile,  il  volerne  sofisticar  di 
avvantaggio.  Dante  infatti  asserisce  di  queste  quattro  stelle  due  cose. 
Prima  che  esse  non  furono  mai  vedute  da^alcuno,  salvo  che  da  Adamo 


14  PURGATORIO 

Non  viste  mai  fuor  ch'alia  prima  gente.  ,u 
Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle.  * 

ed  Eva,  che  furono  la  prima  gente.  Dunque  ne  Tolomeo  né  Marco 
Polo  le  videro  mai.  Seconda,  che  esse  hanno  una  virft  morale,  anzi 
che  sono  esse  le  quattro  virtù  morali:  Noi  eem  qui  ninfe,  e  nel 
del  temo  stelle,  dissero  esse  stesse  nel  Paradiso  terrestre  (Purga- 
torio,  XXXI,  106).  Dunque  non  sono  stelle  fisico-astronomiche,  ma 
solamente  poetiche  e  convenientissime  al  concetto  poetico.  Qual  e  que- 
sto concetto?  È  quello  di  lodare  il  cielo  degli  antipodi  sopra  il  nostro. 
Perchè?  Perchè  quel  cielo  risplendeva  agli  innocenti  abitatori  del 
Paradiso  terrestre,  locato  in  cima  al  monte  del  Purgatorio,  i  quali 
cosi  dal  cielo  traeano  la  loro  virtù  che  li  rendea  felici  sulla  terra.  Ai- 
rincontro  il  nostro  cielo  si  distende  sopra  una  progenie  peccatrice, 
che  ha  perduto  queste  stesse  quattro  virtù,  e  perciò  si  rese  infelice. 
Con  quanta  grazia  non  è  qui  dipinta  la  giustizia  originale  di  Adamo 
e  la  sua  felicità  fin  che  visse  nel  Paradiso  terrestre?  E  per.  lo  con- 
trario con  quanta  passione  non  è  dipinta  la  perdita  di  quello  stato? 
Nel  Paradiso  terrestre  era  il  suo  cielo  una  fonte  di  grazia.  Nella 
parte  contraria  a  quel  luogo,  il  cielo  si  chiuse,  e  divenne  avaro  dei 
doni  suoi.  Tutto  questo  non  potea  parer  dapprima  che  una  bella 
poesia,  una  fervida  immaginazione ,  ma  dietro  questi  pensieri  la  ci 
è  divenuta  una  biblica  verità  vestita  con  eleganza  e  fantasia,  secondo 
il  sistema  degli  influssi  celesti  dominante  nel  medio  evo. 

*9  Fuor  ch'alia  prima  gente.  Fuor  che  ad  Adamo  ed  Eva  fin  che 
vissero  nella  innocenza,  che  si  ammantava  delle  quattro  Virtù  car- 
dinali, i  cui  benefici  influssi  venivan  loro  da  queste  stelle. 

20  Goder  pareva  ecc.  Questo  pareva  non  suona  sembrava,  ma  ap- 
pariva, che  è  il  solito  senso  dantesco.  Ammesso  quel  ohe  abbiam 
detto  nella  nota  18,  è  chiarissimo  il  senso  di  questo  verso.  Esso  non 
è  che  morale.  H  fisico  qui  non  ci  entra,  che  come  un  artifizio  poe- 
tico per  farsi  intendere.  Il  senso  è  dunque,  che  come  quelle  quattro 
stelle  erano  altrettante  Virtù  cardinali,  cosi  quel  cielo  tutto  semiuato 
d'altri  astri  minori,  non  era  che  l'immagine  di  tante  altre  virtù,  che- 
sgorgano  dalle  quattro  cardinali.  E  tutto  questo  numero  immenso  di 
virtù  figlie  delle  prime  quattro  si  facean  belle  del  folgore  emanato 
dalle  quattro  lor  madri.  Cosi  Dante  diede  l'ultima  mano  al  magnifico 
quadro  delle  tante  virtù,  che  ornavano  il  primo  stato  dell'innocenza, 
facendocele  vedere  non  già  atteggiate  nel  Paradiso  terrestre,  dal  quale 
siamo  ancora  lontani,  e  nel  quale  ci  toccherà  ancor  di  vederle;  ma 
atteggiate  nel  cielo,  onde  piove  a  noi  ogni  sorta  di  grazia. 


CANTO  I.  15 

O  settentrional  vedovo  sito,  2I 
Poi  che  privato  se'  di  mirar  quelle  ! 
Com'  io  dal  loro  sguardo  fui  partito,  ** 

st  O  settentrional  ecc.  Al  cielo  australe  del  Paradiso  terrestre,  tatto 
virtù,  contrappone  la  nostra  plaga  boreale,  tutta  vizio,  perchè  non 
può  veder  quelle  quattro  stelle.  Intendi  questo  moralmente,  e  tutto 
è  chiaro.  Adamo  ed  Eva  divenuti  peccatori,  esulando  dal  Paradiso, 
furono  gettati  agli  antipodi  di  questo  monte.  Quindi  passarono  nel 
nostro  emisfero  settentrionale,  nel  punto  più  lontano  che  mai  si  possa 
dal  Paradiso  terrestre.  Bellissima  invenzion  dantesca,  che  noi  bensì 
non  ammettiamo  per  vera,  ma  che  però  non  ha  niente  di  contrario 
alla  Santa  Scrittura,  e  che  potrebbe  esser  giustificata  da  tante  al- 
tre opinioni  le  più  svariate  di  gravi  e  santi  scrittori  esegetici,  che 
scrìssero  di  questa  materia,  come  vedremo  nel  Paradiso  terrestre. 
Pertanto  Adamo  ed  Eva  passati  dopo  il  peccato  ad  abitar  nel* 
l'Asia,  diedero  principio  a  tutte  quelle  generazioni,  che  popolarono 
appresso  il  mondo  antico  conosciuto,  che  qui  è  chiamato  settentrion^ 
sito.  Ora  questo  sitò  settentrionale  per  accogliere  i  figli  non  più  della 
grazia,  ma  del  peccato,  lo  si  compiange  dal  poeta,  quale  un  sito  che 
non  riceve  più  1*  influenza  delle  virtù,  tanto  da  lui  rimote,  che  sono 
penino  fuori  della  sua  vista. 

Chi  la  intende  cosi,  comprende  tutto  lo  spirito  di  Dante:  chi 
invece  s'attiene  alla  pura  parola  materiale,  non  ne  raggiunge  il  mil- 
lesimo di  quel  che  Dante  intese,  anzi  si  attacca  ad  un  senso  falso, 
che  Dante  non  intese  giammai,  e  perde  le  più  belle  verità  teologiche 
vestite  poeticamente. 

22  Com'  io  ecc.  Dopo  la  sguardo  dato  all'oriente,  per  la  determi- 
nazione del  tempo,  dopo  quello  dato  al  polo  australe,  per  la  deter- 
minazione del  luogo,  dà  un  terzo  sguardo  al  polo  boreale.  Vi  si  volge 
un  poca  perchè  lo  conosceva,  essendo  Dante  abitator  di  questo  emi- 
sfero settentrionale,  che  ò  settentrional  vedovo  sito  detto  di  sopra. 
Vi  si  volge  un  poco  per  mostrare  la  sua  poca  stima  di  questa  parte 
in  confronto  dell'  altra,  come  appunto  si  fa  delle  cose,  che  si  hanno 
in  dispetto  alle  quali  non  si  volge  interamente  la  faccia,  ma  solo 
in  parte;  e  questo  per  la  ragione  detta  alla  nota  21.  Vi  si -volge 
finalmente  un  poco  perchè  veramente  bastava  un  poco  per  accertarsi 
dell'  abbassamento  del  Carro  o  dell'Orsa  maggiore  sotto  l'orizzonte 
j>er  cavare  dall'abbassamento  di  questa  costellazione  vicina  al  polo, 
che  è  la  più  alta  delle  sette  dell'Orsa  minore,  addi  2  Gennaio  ore  (», 


1(5  PURGATORIO 

Un  poco  me  volgendo  all'altro  polo, 
30.         Là  onde  il  Carro  già  era  sparito; 

Vidi  presso  di  me  un  veglio  solo,  -J 
Degno  di  tanta  reverenza  in  vista, 
Che  più  non  dee  a  padre  alcun  figliuolo, 

Lunga  la  barba,  e  di  pel  bianco  mista 
Portava  a'  suoi  capegli  simigliante, 
De'  quai  cadeva  al  petto  doppia  lista. 

Li  raggi  delle  quattro  luci  sante  2; 

e  in  altri  giorni  ad  ore  diverse,  e  dall'elevazione  del  polo  contrario, 
il  grado  preciso  di  latitudine  australe  in  cui  si  trovava  al  Purgatorio, 
cioè  il  30.«™  grado.  Mi  piace  di  far  qui  notare  una  portentosa  esattezza 
di  Dante.  Nel  Canto  XXVI,  vers.  120,  Inferno,  parlando  di  Ulisse 
naufragato  verso  il  Purgatorio,  dice  che  il  nostro  polo  non  usciva 
fuor  del  marin  suolo.  Qui  invece  dice  ch'era  sparito  anche  il  carro. 
Ciò  significa  che  Ulisse  non  arrivò  che  solo  all'equatore  verso  il  Pur- 
gatorio, perchè  il  solo  polo,  e  non  il  carro  gli  era  sparito.  Dicendoci 
che  qui  è  sparito  anche  il  carro,  viene  a  dirci  che  il  polo  è  restato 
molto  più  sotto  dell'orizzonte  che  non  al  punto  di  Ulisse.  Per  Ulisse 
era  all'orizzonte,  per  Dante  30  gradi  di  sotto. 

23  Fidi  presso  di  me  ecc.  Perchè  lo  vede  ora  e  non  prima?  Perchè" 
era  notte,  e  di  notte  gli  oggetti  anche  vicini  non  compariscono  su- 
bito; ed  inoltre  Dante  prima  guardava  altrove,  ed  e  facile  anche 
supporre  che  il  veglie  fosse  accorso  testo  al  movimento  ed  alle  voci 
dei  forasti  eri. 

Intanto  faccio  notare  una  cosa  sul  raffronto  di  una  Cantica  con 
l'altra.  La  cosa  è  che  come  néiV Infer no,  Canto  I,  al  bisogno  di  Dante  si 
presentò  un  uomo  autorevole  per  raddrizzarlo  al  l>ene,  cosi  qui  nel 
Canto  I  deV  Purgatorio,  gli  si  presenta  all'uopo  un  uomo  più  autore- 
vole ancora,  che  gli  indicherà  quello  che  è  necessario  per  proseguire 
il  suo  viaggio  della  via  purgativa.  Ma  e  di  Virgilio  che  n'  è  ?  Vir- 
gilio, retta  ragione,  è  insufficiente  a  tale  assunto,  però  ha  bisogno 
anch' egli  di  altri,  che  sappia  meglio  di  lui. 

94  /.$  raggi  ecc.  Questo  veglio  standocene  dil  lato  settentrionale  , 
«vea  la  faccia  ai  due  poeti  dal  suo  lato  meridionale,  e  quindi  le 
quattro  stelle  lo  ferivano  in  volto.  Qualunque  altro  però,  che  non 
fosse  questo  veglio,  posto  nello  stesso  atto  di  lui,  sarebbe  stato  colpito 


CANTO  I.  17 

Fregiavan  sì  la  sua  faccia  di  lume, 
Ch-  io  ì  vedea  come  il  sol  fosse  davante. 
40     Chi  siete  voi,  che  con  tra  '1  cieco  fiume, 2Ji 


nella  faccia  dalla  luce  di  quelle  quattro  stelle.  Ma  altro  è  esaer  col- 
pito da  una  luce,  ed  altro  esserne  così  pieno  da  tramandarla  come 
il  primo  agente.  In  questa  ultima  condizione  era  quel  veglio.  Imbe- 
vuto di  quei  raggi,  li  rifletteva  come  fosse  un  Sole.  Questo  vuol  dire, 
che  gli  si  vedevano  in  faccia  i  segni  più  fulgidi  e  manifesti  delle 
quattro  Virtù  cardinali,  come  le  stesse  quattro  Virtù  cardinali  si  co- 
noscevano mirando  le  quattro  stelle.  Io  non  mi  maraviglio  di  questo 
ritrovato,  perchè  se  tra  noi,  dove  pur  tanto  vi  ha  di  umano,  si  tro- 
vano tali  feerie,  che  dicono  da  sé  tutto  il  candore  dell'  anima,  che 
sta  nascosta  e  che  si  diffonde  all'esterno,  quanto  più  non  dovea  ciò 
avvenire  colà,  dove  tutto  era  soprannaturale  1 

23  Chi  ritte  voi  ecc.  In  questa  e  nelle  due  seguenti  terrine  si  con- 
tengono i  lamenti  ed  i  rimproveri  di  quel  veglio  contro  li  due  fo« 
raetieri  presi  per  due  dannati  ruggiti  d'Inferno.  Perchè  li  crede  tali  ? 
Perchè  quanti  vengono  al  monte  del  Purgatorio,  tutti  vengono  in 
barca,  guidati  da  un  Angelo  per  attraverso  l'oceano  Atlantico  par- 
tendo da  Roma,  centro  della  cattolicità.  11  veglio  non  avea  veduto 
questa  barca.  Dunque  doveano  essere  sbucati  di  sotterra.  Il  veglio 
non  sa  comprendere  un  tale  avvenimento,  perchè  non  conosce  il  pri- 
vilegio concesso  a  Dante  ed  al  suo  condottiero.  E  perchè  Dio  non 
glielo  fece  conoscere,  affinchè  i  due  viaggiatori  non  trovassero  im- 
pedimenti dove  doveano  trovare  indirizzo?  Prima  per  ragione  poe- 
tica, affine  di  aprir  sempre  nuove  scene:  secondariamente,  perchè 
Dio  non  fa  cose  inutili,  e  l'avvisare  il  veglio  di  tal  venuta  sarebbe 
stata  una  cosa  inutile,  mentre  la  può  saper  dai  viaggiatori  stessi, 
dai  quali  infatti  presto  la  saprà.  Ma  chi  è  questo  veglio,  e  quali 
sono  le  sue  mansioni?  Lo  vedremo  da  qui  a  poco.  Ora  spieghiamo 
parte  a  parte  le  tre  terzine. 

Chi  siete  voi  ecc.  Pare  che  il  veglio  (  il  quale  vedremo  esser 
Catone  )  avrebbe  dovuto  conoscere  Virgilio,  che  visse  a  Roma,  come 
Catone, e  che  nato  70  anni  avanti  Gesù  Cristo,  morì  19  anni  pure  avanti 
Gesù  Cristo,  mentre  Catone  nato  93  anni  avanti  GeBÙ  Cristo,  ne 
morì  45  prima.  Laonde  sebbene  Catone  fosse  nato  prima  di  Virgilio, 
e  fosse  morto  prima  di  lui,  pure  una  parte  della  vita  di  Catone  fu 
contemporanea  alla  vita  di  Virgilio.  Perchè  dunque  Catone  non  rav- 
visa nn  suo  coetaneo  ed  un  suo  concittadino?  Rispondo:  per  due 

2 


1S  PURGATORIO 

Foggilo  avete  la  prigione  eterna? 
Dis8  ei  movendo  quelle  oneste  piume  :  * 

Chi  v'ha  guidati?  o  chi  vi  fu  lucerna,17 
Uscendo  fuor  della  profonda  notte, 
Che  sempre  nera  fa  la  valle  inferna? 

Son  le  leggi  d'abisso  cosi  rotte? 
O  è  mutato  in  ciel  nuovo  consiglio, 
Che»  dannati,  venite  alle  mie  grotte?" 


ragioni;  te  prima  ai  è,  che  quando  morì  Catone»  Virgilio  non  aveva 
ce*  SS  amai,  netta  quale  età  eato  VirgiBo  bob  aveva  potalo  ancata 
tea  coaoacere  per  opere  di  tema;  mentre  invece  Catone  a  mmi» 
Fcpoca  eia  amai  temolo  proso  di  tatti  Perciò  Virgilio  potai  cono- 
scere Catane,  ma  non  così  Catone  Virgilio. 

La  attornia  natone  à  è«  percbè  anche  qui  a  tenno  agire  ad  tei- 
ptaimmTT  dcua  rista  quelle  cause  5tease  eoe  la  impedirono  nel  no- 
stro mondo»  qaa£  seno  le  tenebre  dette  notte.  Allora,  se  ci  ricorda, 

notte  ancor  atta,  ne  l'alba  era  ancor  corta. 

Obnàetàooe*  Ma  le  Untore  de£a  notte  non  impedirono  che Tir- 
ikonoteesae  Catone.  Raspando*  eoe  altro  è  il  caso  di  Ytrgiao 
ed  altro  qsd  dì  Catone.  La  feccia  di  Ottone  era  iDnmtnati  e  rag- 
guatew  e  quindi  guardandola  si  potei  coaoacere.  Xon  cosà  la  faccia 
&  Yìrgt  ».  u  qaaie  era  ratio  nelle  tenebre,  ne  i  raggi  delie  qnat- 
tra  fatue*  ais  quia  roìgev*  U  caca»  lo  pcteano  rischiarare 
meanr.  Sòo&è  anche  per  questa  parte  è  natnxatiavmo 
cono*»  Casoa*.  e  Catone  non  conoata  Yugi&o* 

€**&*  t«  a*«v  €***-  H  £ume  Lete*  che  scavò  U  scala  a  chkc- 
wà*  vedete  ìa  éne  dei  Canto  XXXIV  deìr/v**"1*^  P**  ***  *•&- 


*  JnVwi'jV  i**^*  *****  j**mc.  Moreo&>  i  pc5  deUa  su  hmga 
W**.  A*  segra»  ì  moti  òeì  meato  di  cai  para* 

£*  Chi  tu  p*sj*i*  ecc*  FarU  d*  vero  guardàiao  del  Purga 
wò^  e  tW  sapere  al  posato  ccaae  *ti*m>  se  co*e„  se  di  Dìo  o 
à*  jer^  arranca    a  Ice  v^assa.  Se  o*.  i:ro.   eveae  nxero  a  trovare 
1  oumnsr*  Se  ss.  I>m.  eco*  mai   si    sitarono   i  vvoRgìì  di  tam 

*  Cfor.   àt*ut;:.  r*»*.*  <w\  ÈYcc^vv^r*  csa*t>iv  vx  ^t^^v    ox- 
auz  awnot>  Da»  fa**.  j<rvàè  <£C  x  età  *cptteto  a 


CANTÒ  I.  19 

Lo  duca  mio  aitar  tei  die9  di  piglio,  " 
50         E  con  parole,  e  con  mani,  e  con  cenni, 
Reverenti  mi  fé' le  gambe  e  il  ciglio. 

Poscia  rispose  lui:  Da  me  non  venni:  *° 
Donna  scese  dal  ciel,  per  li  cui  preghi  " 
Della  mia  compagnia  costui  sovvenni. 


*>  Lo  duca  mio  attor  ecc.  Virgilio,  ossi»  la  retta  ragione,  è  sem- 
pre la  guida  amorosa  di  Dante,  e  Io  sarà,  sebbene  scemando  la  eoa 
assistenza,  di  mano  in  mano  che  s'avanzerà  nel  cammino  del  Pur- 
gatorio. Perchè  in  ragione  che  si  andrà  salendo,  come  perdono  di 
vigore  le  forze  naturali,  così  acquistano  di  vigore  le  forze  sopran- 
naturali, o  della  grazia.  Quando  l'anima  di  Dante  sarà  tutta  purificata, 
e  la  forza  degH  abiti  viziosi  sarà  distrutta,  allora  Virgilio,  ossia  la 
ragione,  come  un  essere  non  più  necessario,  svanirà  da  sé  stesso. 
Intanto,  prima  di  giungere  a  questo  passo,  Dante  ha  bisogno  di  lui, 
de' suoi  ammaestramenti  e  della  sua  protezione.  Eccone  sùbito  un 
primo  saggio. 

Quello  che  a  Dante  non  venne  in  mente,  venne  in  mente  a  Vir- 
gilio. Bisognava  calmare  i  giusti  sdegni  di  Catone,  e  bisognava  pure 
calmarli  con  fatti  e  con  ragioni.  I  fatti  sono  in  questa  terzina;  e  le  ra« 
giani  verranno  dopo.  I  fatti  consistono  nel  mostrarsi  entrambi  negH 
atti  esterni  tutta  compresi  di  rispettosa  venerazione  verso  una  per- 
sona cotanto  autorevole.  Dissi  entrambi,  perchè  il  piagar  che  fa  Dante 
le  ginocchia  ed  il  capo  innanzi  a  Catone,  non  è  solo  per  avviso  di 
Virgilio,  ma  ò  per  esempio  di  lui.  Avviso  di  Virgilio  è  il  dargli  di  pi» 
glio,  avviso  sono  le  sue  parole;  ma  le  mani  e  i  cenni  di  Virgilio 
indicano  il  suo  esempio,  cioè  che  anche  Virgilio  giunse  le  mani,  e 
piegò  le  ginocchia  per  indurre  Dante  a  rare  lo  stesso.  Certo  noi  ab- 
biam j  dilagato  qaesta  terzina,  ma  abbiamo  dovuto  spiegarla.  Ora 
la  si  torni  a  leggere,  e  forse  la  si  gusterà  meglio  di  prima.  Essa  è 
di  un  sentimento  dilicstissimo.  —  Ci  par  di  vedere  una  di  quelle 
madri  che  per  insegnare  al  bimbo  la  riverenza  ad  una  santa  im- 
magine, lo  aiuta  a  far  tutti  gli  atti  di  religione,  e  gliene  dà  l'esem- 
pio. Graziosa  pittura! 

*o  Da  me  non  venni.  Non  venni  di  mio  capriccio,  di  mia  elezione, 
di  mia  autorità.  Bel  vezzo  di  nostra  lingua! 

*t  Donna  §eeee  ecc.  Beatrice,  che  mi  pregò  di  accettare  P  incarico 
di  sovvenire' ai  bisogni  di  costui. 


20  PURGÀTOBIO 

Ma  daoch'è  tuo  voler,  ohe  più  si  spieghi  M 
Di  nostra  oondizion,  cora'ella  è  vera,  33 
Esser  non  puote  il  mio  che  a  te  si  nieghi. 

Questi  non  vide  mai  l'ultima  sera,  u 
Ma  per  la  sua  follia  le  fu  si  presso,  rj 

3*  Ma  dacch'  è  tuo  voler  ecc.  La  ragione  allegata  testé  da  Vir- 
gilio della'  donna  scesa  dal  cielo,  in  servizio  del  suo  compagno,  era 
buon&j  ma  insufficiente,  perchè  troppo  generica.  Or  bene*,  Virgilio, 
che  tutto  sa,  passerà  subito  .dal  genere  alla  specie,  specificando  cioè 
le  cagioni  di  quella  venuta.  Questa  parlata  di  Virgilio  è  un  vero 
modello  di  eloquenza  di  genere  persuasivo,  e  perciò  vi  troveremo 
svolte  tutte  quelle  ragioni,  che  fanno  buon  giuoco  agli  oratori, 
quando  vogliono  ottener  qualche  cosa  colle  loro  arringhe.  Queste,  ra- 
gioni si  rendeano  tanto  più  necessarie,  quanto  più  (V  indole  austera 
e  severa  era  il  veglio,  a  cui  andavano  pòrte.  Chi  conosce  Catone 
comprende  meglio  1*  convenienza  di  tutto  questo. 

W  Di  nostra  condition,  ecc.  Siccome  due  erano  gli  imputati  da 
Catone,  così  la  difesa  dovea  farsi  per  entrambi.  Perciò  dice:  Di 
nostra  condtstem,  non  della  condizione  dell'uno  o  dell'altro  soltanto. 
Cornelia  è  vera.  Cioè  di  nostra  condizione  tale  quale  ella  è  in 
verità.  Come  dicesse:  Per  render  ragione  della  nostra  venuta,  e  per 
piagarti  ad  esserci  favorevole,  non  occorre  altro  che  il  farti  assapere 
il  vero  stato  di  noi  e  delle  nostre  cose,  senza  alterarle  con  menzogna 
alcuna.  Questo  ò  quello  che  tu  vuoi,  la  verità,  e  questo  è  quello  che 

▼ogno  anch'io.  Quant'arte  non  harvi  in  sì  poche  parole!  Ij«  prime 
parole  spogliano  Catone  di  ogni  prevenzione  :  erano  desse  :  Donna 
$ce*t  ecc.  Le  ultime  lo  affezionano  interamente. 

M  Questi  ecc.  Comincia  dalla  condizion  di  Dante:  dopo  dirà  la  sna. 
La  condizione  di  Dante,  toccata  qui  da  Virgilio,  si  e,  ch'egli  è 
ancor  vivo,  non  motto,  come  sei  credette  Catone.  Siccome  Virgilio  e 
Dante  furono  presi  da  Catone  per  due  dannati,  cosi  rorono  presi  per 
due  morti.  Dicendo  dunque  Virgilio  che  Dante  è  ancor  vivo,  venne 
a  dire  per  conseguenza  eh*  egli  non  era  un  dannato.  £  questo  era 
il  ponto  principale  di  che  importava  far  ricreder  tosto  Catone. 

Obbiezione.  Non  dovea  accorgersi  Catone  che  deili  due  uno  era 
viro?  Non  lo  poteva,  perchè  allora  era  ancor  notte. 

'5  Afa  per  la  9>m  follia  ecc.  Qoai'è  questa  follia,  che  lo  condusse 
Ticino  a  morte?  Dirla  una  passione  politica  per  le  parti  fiorentino: 
ovvero  una  passione  amorosa  per  la  perdita  di  Beatrice,  quantunque 


CANTO  I.  21 

60         Ohe  molto  poeto  tempo  a  volger  fera. 

SI  come  io  dissi,  fui  mandato  ad  esso 
Per  lui  campare,  e  no»'  c'era  altra  via,  36 
Ohe  qaesta  per  la  quale  io  mi  son  mtesso.  37 

Mostrata  ho  lui  tutta  la  gente  ria;  * 

sieno  per  sé  cose  che  possano  portare  )a  morte,  pure  non  sono  tal  i 
che  costituiscano  la  follia  in  discorso.  Questa  e  follia  coerente  al  con- 
cetto cattolico  dantesco  sviluppato  nella  I  Tavola  dell'Inferno  e  nel 
relativo  Discorso  preliminare.  Questa  follia  era  il  peccato.  Stimulus 
àutèm  mùrt4s,pecatuint  disse  san  Paolo  ;  e  questo  è  quelle  che  ritiene 
pur  Dante  nel  suo  grande  concetto  cattolico.  Se  non  fosse  questa,  e 
unicamente  questa,  la  follia  di  cui  si  parla,  ma  fosse  stata  invece  o  rima 
o  l'altra  passione  toccata  di  sopra,  amorosa  o  politica,  ci  aveano  ben 
altri  mezzi  a  guarirla  che  non  era  quésto  d'un  viaggio  ultramondiale; 
né  Dante  per  queste  inezie  avrebbe  messo  in  movimento  a  suo  favore 
presso  l'irata  divina  Giustizia  tanti  esseri  nobilissimi  e  beati,  quali 
erano  Maria  santissima,  santa  Lucia  e  la  Beata  Beatrice  (Chiesa  e 
Rivelazione)  personaggi  tutti  che  s'interessano  beasi  a  prò  dei  fedeli 
per  la  grazia,  che  hanrio  perduta,  non  per  una  sposa  e  per  una-liberta 
che  s' intenda  acquistare.  Sicché,  a  conchiudere,  questa  follia  non  è 
altro  che  una  vita  rea,  che  accelera  la  morte  etema.  Aggiungerò 
un  altro  argomento  a  favore  di  questo  senso,  non  allegorico  ma  let- 
terale, che  cioè  qui  si  parli  della  sola  follia  del  peccatore.  L'argo- 
mento consiste  in  questo  che  sarebbe  stato  ridicolo  e  del  tutto  fuor 
di  proposito  allegare  di  quelle  baie  a  Catone  deputato  ornai  ad  offici 
soprannaturali,  e  sol  eui  animo  non  potevano  più  che  motivi  sopran- 
naturali, come  vedremo.  Della  morte  presta  o  tarda  per  càuse  poli* 
tiche  gli  caleva  così  poco,  che  anzi  da  sé  se  la  diede;  e  delle  passioni 
amorose  facea  si  poco  conto,  che  non  vuol  sentirsi  wemmen  nomi- 
nare più  la  sua  Marzia,  quantunque  amata. 

•*  Non  c'era  altra  via  ecc.  Una  via  tutta  soprannaturale,  ed  unica 
all'uopo,  non  è  la  via  per  salvar  uno  dalla  morte  temporale,  mar  bensì 
dalla  morte  eterna.  Pare  incredibile  che  tanfi  commentatori  non 
l'abbiano  inteso,  e  vadano  invece  sofisticando  altre  cose  mondane. 

w  Che  questa  eco.  Cosi  rende  ragione  perchè  fosse  sbucato  di  sot- 

* 

terra  venendo'  contro  il  cieco  fiume. 

38  Mostrata  ho  lui  ecc.  Tutta  la  gente  che  ha  una  reità,  ed  è  con- 
finata all'Inferno.  Non- dice,  tutta  la  gente  dannata,  ma  ria,  per  com- 
prendere cosìanahe  quelli  delF Atrio  del  Limbo  e  del  Castello  dei  Savi 


&  PURGATORIO 

Ed  ora  intendo  mostrar  quegli  spirti. 
Che  purgan  sé  sotto  la  tua  balia.  " 
Com'  io  r  ho  tratto  sana  lungo  a  dirti.  *° 
Dell'alto  scende  virtù,  che  m'aiuta 
Conducerlo  a  vederti,  e  a  udirti.  " 
70-     Or  ti  piaccia  gradir  la  sua  venuta; 

Libertà  va  cercando,  eh' è  A  cara, 4t 


»  Sótto  fa  Ina  balia.  Sotto  la  tua  custodia,  non  perchè  egli  •©- 
ptatieglisme  a  tutto  il  Purgatorio,  doro  veramente  egli  non  poteva 
il  piede,  ma  perchè  quanti  andavano  al  Purgatorio,  doveeno 
panare  sotto  i  suoi  occhi,  alle  cadici  del  monte,  alle  quali  egli 
abitava  e  donde  era  custode,  facendo  l'affido  dlndrissarli  alla  vera 
salila»  rimproverandoli  se  si  adagiassero. 

*  CWȏ  Tao  trito  ecc.  Virgilio  ribatte  qui  un  dubbio,  che  potea 
sorgere  in  Catone.  Il  dubbio  si  era:  Come  ha  mai  potalo  costui,  con- 
tro tanti  demoni,  che  certo  si  deono  essere  opposti  al  passaggio  di 
Dante,  esser  riuscito  a  condurre  il  suo  raccomandato?  Ma  Virgilio 
dilegua  un  tal  dubbio  con  una  ragione  trionfante  :  uno  speciale  aiuto 
divino. 

*»  CcmdmctrU  a  9  Arti  eoe  Invece  di  dire  :  Condueerlo  al  Pur- 
gatorio, Virgilio  dice  :  Comduotrlo  a  vederti,  e  a  udirti,  che  in  effetto 
è  lo  atesso,  ma  che  fa  supporre  che  fosse  già  nella  mente  di  Virgilio 
presentar  il  suo  guidato  a  vedere  e  udire  Catone,  mentre  a  dire  il 
vero  Virgilio  non  ne  sapeva  nulla.  Questo  è  un  ^a^avr  artifisio 
oratorio  per  cattivarsi  sempre  più  la  benevolensa  del  severo  Catone. 
Pia  qui  Virgilio  ha  parlato  ottimamente  dicendo  delle  belle  e  sode 
ragioni,  uè  altro  ci  volea  per  Catone,  ch'era  pienamente  convinto  e 
persuaso  del  fatto,  e  quindi  risoluto  di  accordare  il  passaggio.  Quello 
che  Virgilio  soggiunse  da  libertà  va  cercando  in  poi,  non  sono  buone 
ragioni  per  Catone,  ms  piuttosto  inutili  lusinghe ,  come  dirà  Catone 


Ma  se  sono  lusinghe  e  non  buone  ragioni,  perchè  dunque  Vrrgiho 
le  allega?  Lo  vedremo  nella  nota  appresso. 

**  Lìè-rtà  va  ctrvmndò  ecc.  Ecco  il  primo  argomento  messo  in  bocca 
dì  Vìrglho  dallo  spirito  di  lusinga,  credendo  facesse  buona  presa  sul- 
l'animi di  Catone  ad  accordare  il  passaggio.  Virgilio  gli  dice,  che 
Dante  va  in  cerca  della  libertà  Unto  amata  da  fui  stesso.  Qui  Vir- 
ilio è  ito  fuori  del  senùaato.  A  prima  vista,  è  vero,  sembra  un 


CANTO  I.  38 

potente  argomento,  ma  bene  esaminato,  non  vale  un  frullo  per  Catone. 
Or  Dante,  che  fa  cosi  parlar  Virgilio,  non  sapeva  forse  che  gli  met- 
tea  sulle  labbra  una  ragione  affatto  vana  e  ridicola?  Lo  sapeva  be- 
nissimo, ansi  appunto  gliela  pose  in  bocca,  perchè  la  sapea  vana  e 
ridicola.  E  vaglia  il  vero  :  chi  rappresenta  Virgilio  ?  Virgilio  rap- 
presenta la  Ragione,  retta  quanto  si  vuole,  ma  sempre  e  sola  Ra- 
gione. Or  questa  Ragione,  che  è  naturale,  trovasi  a  fronte  di  un 
essere  soprannaturale  quale  si  è  ornai  Catone.  Questa  Ragione  natu- 
rale vuole  da  quest'essere  soprannaturale  ottenere  una  grazia  pur 
soprannaturale.  Che  argomenti  quindi  può  allegare  per  ottenerla? 
Non  può  allegare  che  il  volere  di  Dio,  provando  che  è  volere  di  Dio. 
Tanto  fece  Virgilio  fin  qui.  Dopo  questo  non  gli  restava  da  dir  di 
più.  Perchè  dunque  Dante  lo  fa  continuare  in  nuovi  argomenti  ri- 
stretti alla  sfera  naturale,  ed  inetti  ad  agire  sopra  un  essere  sopran- 
naturale? in  oggetto  pur  soprannaturale  ?  Per  farci  comprendere  che 
la  Ragione  ha  corte  Tali,  e  che  in  materie  soprannaturali  essa  Ra- 
gione non  può  parlare  che  da  bambina,  e  a  sproposito.  Dunque  gli 
spropositi  che  qui  commette  Virgilio  nelle  sue  argomentazioni  sono 
naturali  a  chi  parla,  e  Dante  da  grand' uomo  glieli  fa  dire  pensa- 
tamente. Prova  ne  sia  che  lo  stesso  Dante  per  la  bocca  di  Catone, 
come  presto  vedremo,  li  giudica  per  quel  che  valgono,  cioè  per  ine- 
zia e  lusinga,  che  non  ha  forza  alcuna  sull'animo  suo,  e  non  la  po- 
tevano avere  Virgilio,  quand'era  nel  regno  dei  dannati,  valeva  molto  ; 
ora  che  è  neh  regno  della  grazia,  vai  poco,  e  se  vuol  discorrerne  un 
tantino,  cade  in  errore.  Perciò  vedremo  nel  Purgatorio  il  contegno 
di  Virgilio  assai  riserbato,  e  andarsene  con  Dante,  più  perchè  Dante 
avesse  una  compagnia,  di  quello  che  una  guida.  —  Or  tocchiamo  un 
poco  la  Libertà,  della  quale  qui  si  ragiona.  Di  qual  libertà  intese 
parlare  Virgilio?  Di  quella  libertà  per  amor  della  quale  Catone  si 
uccise,  come  dice  nel  verso  dopo.  Dunque  intese  parlare  della  libertà 
politica.  Gli  parlò  di  questa,  perchè  la  credette  ancor  cara  a  Catone, 
e  non  sapeva  il  poverino  che  a  Catone  ornai  non  importava  più  nulla, 
perch'egli  era  costituito  in  una  cerchia  di  cose  soprannaturali;  ma, 
come  provammo  prima,  fa  molto  bene  Dante  a  far  parlare  Virgilio 
cosi.  Quanto  a  Dante,  noi  sappiamo  ch'egli  amava  molto  la  libertà 
della  sua  patria,  e  gli  doleva  assai  di  vederla  dilaniata  dalle  pre- 
potenti fazioni,  e  in  ultimo  da  Carlo  d' Angiò,  per  liberarla  dal  quale 
egfi  se  n'era  ito  a  Romn  quale  ambasciatore  della  Republica  fioren- 
tina, nella  quale  occasione  egli  perdette  per  sempre  la  patria.  Quanto 
a  Catone,  sappiamo  ch'egli  era  republicano  corpo  ed  anima; perciò 
stette  sempre  con  Pompeo,  e  quando  perdette  questi  a  Farsaglia, 
egli  si  ritrasse  in  Utica,  dove,  piuttosto  di  aderire  a  Cesare  (che 


24  PURttATOltlO 

Come  sa  chi  per  lei  vita  rifiuta.  tt 
Tu  '1  sai,  che  non  ti  fu  per  lei  amara 
In  Utica  la  morte,  ove  lasciasti 
La  veste  ch'ai  gran  dì  sarà  sì  chiara.  4i 

uvea  distrutto  la  Republica)  ai  uccìse  di  pugnale.  Non  ostante  il  mi» 
oidio,  invece  di  essere  tra  i  dannati  nel  Canto  XIII,  settimo  cerchio, 
Dante  lo  pone  qui,  e  da  qui  a  poco  ne  vedremo  il  perche. 

**  Come  sa  ecc.  Allude  a  Catone  suicida  per  la  libertà  ;  ciò  che 
dichiarerà  ancor  meglio  nella  terzina  seguente. 
ÌL£*f2***  U  La  veste  che  ecc.  La  veste  del  tuo  corpo,  che  nel  di  del  giu- 
dizio risorgerà  glorioso.  Dunque,  secondo  queste  parole,  Catone  è  lo- 
dato del  suo  suicidio,  quale  un  atto  glorioso.  D'altra  parte  nei 
troviamo  i  suicidi  condannati  nel  Canto  XIII  deU7>/.  e  puniti  colà 
giù,  come  vedemmo.  Se  è  un  peccato  degno  d' Inferno,  perchè  Catone 
non  è  tra  i  dannati  per  lo  suicidio?  E  se  non  e  tal  peccato,  perchè  far 
dannati  tutti  quegli  altri?  Bisogna  sciogliere  questa  contraddizione. 
Intanto  vuoisi  notare  per  ecutenzadi  Dante  che  il  suicidio  per  sé  stesso 
è  peccato,,  e  peccato  gravissimo.  Xè  questa  è  dottrina  di  solo  Dante» 
ma  la  ò  pur  di  Virgilio,  a  cui  Dante  fa  dire  nel  Canto  XI,  Inferno  : 

e  però  nel  secondo 
Giron  convien,  che  senza  prò  si  penta 
Qualunque  priva  sé  del  vostro  mondo. 

Virgilio  stesso  uella  sua  Eneide  condanna  i  suicide  alle  pene  d' A- 
verno  come  Dante.  Dante  poi  come  cristiano  e  teologo  tomista  lo 
sapeva  ancor  meglio. 

Sicché  non  è  a  dubitare,  che  sì  Dante  come  Virgilio  non  rite- 
nessero il  suicidio  per  peccato  gravissimo.  Or  come  si  può  scasare 
il  Poeta  di  aver  collocato  il  suicida  di  Utica  in  tal  condizione 
d'aspettarsi  una  risurrezione  per  poco  gloriosa?  Catone  nella  Botte 
prima  d'uccidersi  avea  letto  nel  Fedone,  e  in  quel  libro  il  suicidio 
è  apertamente  condannato.  Il  savio  (vi  si  legge)  mai  non  deve  uc- 
cidersi) non  essendo  ciò  lecito  ne  pure  a  quelli  cui  la  vita  pesa; 
giacché  Dio  li  collocò  in  un  posto,  cui  non  devono  abbandonare 
senza  sua  permissione.  Ma  nessun  punto  della  morale  ^osserva  il 
Cantù)  era  per  gli  antichi  più  confuso  di  questo»  Gli  Stoici  ^e  Catone 
era  Stoico)  dicevano  apertamente  :  Quando  la  vita  pesa,  muori.  Vo- 
lendo però  conciliare  anch'essi  l'opinione  loro  con  Socrate,  da  cui 
pretendevano  ritrarre,  s'appoggiavano  alle  parole  di  questo  Filosofo 


CANTO  I.  25 

Non  son  gli  editti  eterni  per  noi  guasti  ;  4b 
Che  questi  vive,  e  Minos  me  non  lega;  4fi 

nel  fedone  stesso,  ove  dice,  che  bisogna  aspettare,  che  Dio  ci  mandi 
un  ordine  espresso  per  uscire  dalla  vita.  Ordine  espresso  pareva  loro 
una  disgrazia,  massime  pubblica,  e  ciascuno  diventava  cosi  arbitro 
di  decidere  quando  convenisse  ammazzarsi.  Onde  Cicerone  nel  I.° 
delle  Tumulane  loda  Catone  che  uscì  di  vita,  come  foste  lieto  dì 
aver  colto  una  causa  di  morire,  pigliando  cioè  per  voce  e  ordino 
di  Dio  che  lo  chiamasse  fuori  della  vita,  quel  tedio,  che  egli  in  sé 
ne  sentiva  per  la  caduta  della  Republiea. 

Dopo  tutto  ciò,  a  giustificazione  di  Dante,  non  si  può  dir  altro, 
se  non  che  in  questo  il  Poeta  ebbe  riguardo  solo  a  quell'antica  opi- 
nione che  si  avea  intorno  alle  virtù  di  Catone  e  al  suo  suicidio. 
Tanto  più  che  egli  faceasi  in  questo  immaginato  viaggio  condurre  da 
un  Gentile,  quale  era  Virgilio,  Savio  e  Poeta.  Del  resto  come  po~ 
trebbesi  mai  concedere  a  Dante  questa  licenza  in  buona  Teologia 
e  Filosofia?  Se  vi  ha  modo  a  scusarla,  trovasi  unicamente  nella  ra- 
gione  di  Poesia. 

**  Jfon  son  gli  editti  ecc.  Risponde  a  quelle  parole  di  Catone 
Son  le  leggi  d'abisso  così  rotte  t 

M  Che  questi  vive.  Perchè  questi  vive,  e  perciò  non  è  un  dannato 
che  abbia  guasti  gli  editti  eterni.  Fin  qui  si  è  discorso  della  con- 
dizione di  Dante,  che  è  la  prima  parte  dell'arringa  virgiliana. 

E  Minos  me.  non  lega.  Passa  alla  seconda  parte  della  sua  ar- 
ringa facendo  la  propria  difesa.  Dice  dunque  di  sé  «he  quantunque 
sia  morto,  pure  non. è  un  condannato,  come  Catone  sospettava.  I 
veri  dannati  cominciano  nel  secondo  cerchio  d'Inferno:  all'ingresso 
del  quale  sta  Minos,  a  cui  tutti  debbono  presentarsi,  e  che  col  cin- 
gersi la  coda  intorno  uno  o  più  giri,  dichiara  quanti  giri  dee  il  dan- 
nato discendere  per  passare  al  luogo  destinato  alla  sua  pena. 

-  Ma  se  è  Minos  quegli  che  si  lega  intorno  con  la  coda,  perchè 
dice:  Me  non  lega,  facendo  così  credere  che  Minos  leghi  gli  altri  in 
luogo  di  legare  se  stesso  ?  Rispondo  che  le  legature  che  si  fa  intorno 
Minosse,  sono* per  lui  un'semplice  indizio,  ma  per  li  dannati  invece 
sono  vere  legature,  e  le  sentono  siffattamente,  che  da  sé  stessi,  dietro 
quell'indizio,  si  sentono  portare  a  quel  luogo,  che  è  da  loro. 

Una  osservazione.  Virgilio,  come  tace  con  Catone  il  nome  di 
Dante,  cosi  tace  il  proprio.  Le  ragioni  per  tacere  di  Dante  le  ab. 
biam  dette  testé.  Ora  per  le  ragioni  contrarie,  avrebbe  dovuto  Virgilio 


26  PURGATORIO 

Ma  son  del  cerchio,  ove  son  gli  occhi  casti 4T 
Di  Marzia  tua,  che  in  vista  ancor  ti  prega,  " 

nominare  sé  stesso.  Come  va  dunque  che  non  si  nomina?  Rispondo. 
Virgilio  non  si  palesò  perchè  temeva,  e  con  ragione,  di  pregiudicare 
alla  sua  causa  col  nominarsi.  Infetti  Virgilio  era  Cesariano,  e  Catone 
Pompeiano,  due  fazioni  affatto  contrarie.  Inoltre  Catone  stava  per 
la  Republica,  e  Virgilio  per  l'Impero,  due  forme  di  governo  affatto 
diverse.  Virgilio  avrebbe  peccato  contro  l'arte  se  si  fosse  nominato. 

*7  Afa  son  del  cerchio  ecc.  Del  primo  cerchio  dov'è  il  castello  dei 
Savi  e  degli  uomini  e  delle  femmine  grandi. 

Ove  fon  gli  occhi  catti.  Bellissimo  traslato  a  ricordare  la  ca- 
stità di  Marzia,  perchè  l'onestà,  come  il  suo  contrario,  manifestali 
specialmente  negli  occhi. 

4*  Di  Marma  tua  ecc.  Marzia  era  moglie  di  Catone.  Fu  ceduta 
dal  marito  m  moglie  ad  Ortensio,  che  non  avea  figliuoli:  tanto  lo 
amava!  Mania  accondiscese.  Morto  Ortensio,  ritornò  a  Catone,  pie- 
gandolo a  ripigliarla.  A  quest'  ultimo  ratto  accenna  Dante.  Egli  dice 
che  Mania,  sebbene  per  sempre  divisa  da  lui,  perchè  abitatrice  del 
castello  dei  Savi,  pure  a  mirarla  ella  è  sempre  tal  qual  era  in  quel* 
l'atto  quando,  dopo  Ortensio,  ritornò  a  Catone  per  esser  da  Ini  ri* 
presa:  questo  è  quell'affetto  che  continuamente  le  si  legge  in  fronte. 
Bellissimo  e  dilicatissimo  pensiero.  In.  quanto  alla  moralità  di  questa 
cession  di  moglie,  bisogna  riportarci  ai  principii  di  quel  tempo,  ed 
alle  idee  che  della  donna  allora  si  aveano.  Catone,  non  ostante  que 
sta  cessione,  si  mantenne  in  grandissima  rama.  Dunque  la  cessione  di 
Mania  ad  Ortensio  trovò  allor  modo  da  farsi  giustificare.  Non  ci  voi* 
lero  che  le  idee  cristiane,  perchè  quella  cessione  fosse  pesata  a  dovere. 
L'affetto  di  Mania  a  Catone,  recato  qui  ad  arte  da  Virgilio, 
esaminato  dal  lato  oratorio,  parrebbe  un  forte  argomento,  e  tale  lo 
crede  lo  stesso  Virgilio.  Ma  Virgilio  non  sa  e  non  può 
qual  segno  gli  affetti  di  Catone  in  questo  suo  nuovo  stato 
purificati,  e  se  non  fosse  altro  che  per  questo  argomento,  egli  avrebbe 
fatto  un  bel  fiasco.  Virgilio  giudica  le  cose  colla  sola  ragione  natii* 
rale  alla  mano,  ma  Catone  e  collocato  in  una  sfera  di  un  grado  su- 
periore, sebbene  non  sia  la  sfera  della  fede.  Questo  è  il  motivo  perchè 
Virgilio  ha  ragione  ad  apportare  quell'argomento,  ed  ha  ragione 
Catone  a  non  valutarlo.  Di  qui  si  pare  l'ingegno  versatile  di  Dante} 
che  si  fa  tutto  a  tutti,  dando  a  ciascuno  quello  che  si  conviene  al 
singolo  carattere  personale,  anche  con  pericolo  che  gli  indòtti  gli 
ascrivano  ad  errore  quello  che  non  è  che  verità  e  natura. 


CANTO  I.  27 

s°t        O  santo  petto,  che  per  tua  la  tegni:  " 

Per  lo  suo  amore  adunque  a  noi  ti  piega. 

Lasciane  andar  per  li  tuoi  sette  regni:  " 
Grazie  riporterò  di  te  a  lei,  j" 
Se  d' esser  mentovato  laggiù  degni.  ** . 

Marzia  piacque  tanto  agli  occhi  miei,  *' 
Mentre  eh'  i'  fai  di  là,  diss'egli  allora,  ** 
Che  quante  grazie  volle  da  me,  fei. 

Or  che  di  là  dal  mal  fiume  dimora,  ** 


*9  O  $anio  petto.  Di  Marzia  nominò  gii  occhi;  di  Catone  nomina 
il  petto.  Quanta  filosofia,  e  quanta  storia  in  questi  modi  di  favellare! 

*o  Lasciane  ecc.  Si  dicono  tuoi,  non  peroh'egli  ri  abbia  autorità,  che 
Catone  ansi  n*è  escluso;  ma  perchè  egli  n'è  alle  falde  e  ne  sorveglia 
le  venate.  —  Sette,  pei  sette  peccati  capitali,  di  cui  si  sconta  la  pena. 

B*  Grotte  riporterò  ecc.  Continua  l'argomento  suggeritogli  dalle 
lusinghe  oratorie,  che  fanno  pur  parte  di  una  retta  ragione,  quale 
egli  rappresenta,  ma  che  non  valgono  all'uopo,  perchè  Catone  si  è 
ornai  francato  da  tali  artifizi 

**8e  d'esser  mentovato  laggiù  degni.  È  questo  un  grazioso  pen- 
siero suggerito  da  un  cuore  gentile. 

Prima  di  passar  da  Virgilio  a  Catone  facciamo  una  ricerca.  Vir- 
gilio conobbe  subito  che  quel  vecchio  era  Catone:  come  lo  conobbe? 
Dalle  fattezze  del  volto  a  lui  note,  perchè  avea  convivuto  nella  stessa 
Roma  una  parte  di  vita,  mentre  Catone  era  già  avanzato  negli  anni, 
e  Virgilio  era  ancor  giovane. 

**  Mania  piacque  ecc.  Ecco  quanto  sia  vero  quel  che  dicemmo 
di  sopra,  che  Virgilio  andò  fuori  del  seminato  quando  nella  sua  ar- 
ringa a  Catone,  dopo  il  solido  e  vero  argomento  del  voler  divino, 
venne  fuori  con  argomenti  inconcludenti  per  Catone,  quali  erano  le 
aspirazioni  liberali  del  suo  raccomandato,  le  lodi  a  Catone  pel  suo 
amore  alla  libertà,  il  panegirico  del  suo  suicidio,  e  da  ultimo  quel 
cavallo  di  battaglia  che  dovean  essere  per  lui  i  meriti  della  sua  Marzia. 
Catone  di  tutte  queste  forze  oratorie  non  ne  calcola  alcuna  e  tutte 
le  disprezza,  salvo  sempre  la  prima  del  volere  divino,  come  si  disse. 

**  Di  là.  Al  mondo  dei  viventi. 

**  Or  ohe  di  là  dal  mal  fiume  ecc.  Di  là  dal  fiume  Acheronte, 
eh*  è  il  primo  fiume  che  dà  i  passo  al  vero  Inferno. 


38  PURGATORIO 

Più  muover  non  mi  può  per  quella  legge,  ■ 
*>•        Che  fatta  fu  quand*  i'  me  n'uaci'  fuora.  w 
Ma  se  donna  del  oiel  ti  muove  e  regge,  w 


^  Per  quella  Ugge,  —  Che  fatta  fu  ecc.  Alla  morte  di  uno  dei  due 
coniugi,  de'quali  per  esempio  la  moglie  vada  dannata,  ed  3  marito 
noi  sia,  avvi  la  legge,  che  si  tronca  ogni  affetto  preesistente  nolU 
parte  che  è  salva,  restando  pare  un'affezione  impotente  e  sol  lasciata 
a  tormento  nella  parte  che  e  dannata.  Ciò  ha  luogo  non  solo  pei 
coniugi,  ma  per  qualunque  altro.  Questa  in  sostatila  è  la  dottrina 
evangelica  espressa  nella  parabola  di  Lazzaro  e  del  ricco  Epulone, 
ed  è  quel  magwm  ch<io$  firmatum  intcr  uos  et  eoi.  come  allora  ri- 
spose Abramo  alPKpulone  d.in:nto.  e  come  qui  risponde  Catone  a 
Virgilio,  per  la  sua  moglie. 

•»•  Afe  wVrtnT /nervi.  Fuora  dei  mondo  per  la  mia  morte'.  H  Ven- 
turi crede  che  voglia  dire  fuora  del  Limito,  donde  mi  trasse  Gesù 
Cristo,  quando  vi  discose,  per  collocarmi  qui  ;  se  non  che  lasciando 
anche  da  una  parte  la  Stnta  Scrittura  ed  i  teologi.  Dante  stesso  ci 
d?ee  chiaro  e  tondo  che  le  anime  del  Limito,  tratte  da  Gesù  Cristo, 
furono  subito  fatte  beate,  cioè  furono  subito  gloriose  con  Lui,  e 
dopo  40  giorni  con  Lui  salirono  al  cielo  (#«/.,  Canto  IV,  t.  61).  In 
quel  numero  non  entrava  eertamente  Catone,  perchè  non  ave*  la 
fede.  Solamente  per   Catone  fu  fatta   una    eccezione,  netta  poetica 
finzione  di  Dante,  e  invece  d'esser  collocato  dopo  merle  nel  castello 
dei  Savi .  pei  meriti  suoi  singolari  fu  collocato  jqui.  A  onesto  pro- 
posito dice  il  .Tommaseo,  che  prima  di  Gesù  Cristo  non  vi  atea  Pur- 
gatorio. Se  egli  afferma  questo  soltanto  come  finzione  poetica,  non 
ho  che  apporgli  ;  ma  se  egli  volesse  sostenere  che  veramente  non  ci 
fosse  stato  il  Purgatorio,  9  ingannerebbe  a  partito,  essendo  dì  lede 
eho  esisteva  anche  prima  di  Gesù  Cristo    1-eggasi  fl  li  Afarean.  12. 
**Ma  se  dimmi  ecc.  Feco  l'unico  argomento,  che  Catone  accetta 
da  Virgilio  riferendosi  alle  parole:   latina  #ce«  Hai  dei  ecc.  Gli 
altri  sono  scoria,  e  non  hanno  valore  presso  di  lui  :  e  per  mostrargli 
che  intatti  li  giudica  un  nulla,  o  al  più  cose  d*  fWneiulloni.  ed  artifizi 
da  rettorieuzai.  gli  soggiungo  nel  verso  appresso:  „Vo*  ©>  mtttier  #«- 
*i»ga.  *  gli  dichiara  che  potè-»  starsene  contento  al  solo  argomento 
della  autorità  divina,  scartandogli  tutti  gli  altri  con  dirgli  :  Batti  ti 
ben  c\e  orr  lr%  mi  richieate.  IVvera  arte  retorica  ooal  naufragio 
non  foce  qui!  Lo  smacco  sofferto  da  Virgilio  sin  sulle  prime  gh ser- 
viva dì  r  *gola  jH^r  il  rv*to  d»  l  Purgatorio»  avendo  già  imparato  ene 


CANTO  L  29 

'Come  tu  dì,  non  c'è  mestier  lusinga, 
Bastiti  ben,  che  per  lei  mi  richieggo. 
Va  dunque  e  fa  che  tu  costui  ricinga 

D'un  giunco  schietto,  e  che  gli  lavi  il  viso  59 
Sì  ch'ogni  sucidume  quindi  stinga  : 

et- -vuol  altro  che  la  Ragione  per  misurarsi  con  esseri  alla  Ragion 
superiori,  e  che  altro  è  condur  per  l'Inferno,  ed  altro  condurre  pel 
Purgatorio.  Là'potea  far  da  maestro,  qui  è  appena  scolaro.  Infatti 
vergiamo  sùbito  alla  terzina  seguente  eh'  egli  ha  bisogno  che  Ca- 
tone gli  insegni  le  còse  più  ovvie,  e  le  convenienze  più  volgari,  quali 
sarebbero:  ch'egli  è  uopo  lavarsi  la  faccia  e  raffazzonarsi  il  vestito, 
prima  di  presentarsi  al  portinaio  del  Purgatorio,  che  sarà  un  angelo. 
E  vero  che  questa  lavanda  e  questo  raffazzonamento,  oltre  il  mate- 
riale, hanno  un  senso  spirituale,  ma  è  vero  altresì  che  Virgilio  non 
conobbe  il  primo,  e  meno  il  secondo. 

Prima  di  passar  oltre,  faccio  osservare  una  finissima  avvedu- 
tezza di  Dante  in  tutte  cose.  Eccone  una,  che  restava  da  far  no- 
tare, dopo  le  tante  dette  fin  qui.  Avrete  osservato  che  Catone  non 
s'interessa  di  sapere  chi  sia  né  la  guida  né  il  guidato.  Come  mai 
ciò,  mentre  quel  caso  era  tale  da  muovere  la  curiosità  di  qualun* 
que?  Dante,  atteso  a  tutto,  fu  atteso  anche  a  questo.  Catone  essendo 
quel  soggetto,  che  è,  non  dovea  interessarsi  di  queste  bazzecole.  Egli 
è  tutto  nella  esecuzione  dei  voleri  divini ,  e  non  gli  cale  di  altro. 
Non  vedeste  che  qon  gli  cale  nemmeno  di  Marzia?  Bisogna  asso- 
lutamente esser  Dante  peT  trattare  i  caratteri  con  sì  acuto  accor- 
gimento!  ; 

50  D'un  giunco  schietto,  e  che  gli  lavi  il  viso.  Dante,  se  ben  vi 
ricorda;  *vea  dato  la  sua  cintura  aggroppata  e  ravvolta  a  Virgilio, 
perchè  la  gettasse  giù  in  quell'alto  burrato  per  accenno  a  Gerione 
di  salire  a  prendere  forestieri  (/w/.,  Canto  XVI,  v.  3).  Quello  era 
il  cdrdoh  dei  Tendati  di  san  Francesco,  al  cui  Ordine  Dante  era 
aserilto.  Questo  cordone  gli  serviva  a  due  usi  :  il  principale  era  quello 
della  penitenza,  il  secondario  di  tenergli  stretti  i  panni  alla  persona. 
Dopo  di  averlo  pòrto  a  Virgilio,  come  si  disse,  egli  era  rimasto  di- 
scinto, sicché  e  avea  perduto  il  simbolo  del  penitente,  e  non  riteneva 
pie  nella  veste  della  persona  la  debita  gravità  e  convenienza.  Ora 
dovendosi  di  qui  a  poco  presentare  all'Angelo,  e  cominciare  il  viaggio 
del ^ Purgatorio,  dovea  ripigliare  il  suo  simbolo  di  penitenza,  ed  at- 
teggiarsi a  maggior  compostezza.  Di  ritrovare  il  suo  cordone  era 


dO  PURGATORIO 

Che  non  si  converria  rocchio  sorpriso  *° 
D'alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo 
Ministro,  eh' è  di  quei  di  Paradiso. 
100    Questa  isoletta  intorno  ad  imo  ad  imo,  M 
Laggiù,  colà  dove  la  batte  l'onda, 


nulla,  dunque  dovea  provvedersi  io  altra  maniera,  e  Catone  la  il 
al  suo  duca. 

Inoltre  Dante  dal  viaggio  d' Infèrno  aveva  portato  ima  fimia 
sudicia  anzi  che  no,  per  ragion  de* luoghi  che  visitò,  e  dell'atta 
nero  e  faliginoso  in  che  trovossi  e  del  sudor  che  sparse.  Però  dova» 
lavarsi  per  riverenza  all'Angelo  a  cui  ai  dovea  presentare. 

Bisogna  però  confessare  che  anche  questa  lavanda,  come  il  cin- 
golo, ha  un  senso  spirituale.  Con  questa  lavanda  che  si  vuol  fatta 
a  Dante,  Catone  intende  di  far  capire  la  purità  di  mente  che  è  ne- 
cessaria ad  un  penitente,  quale  allora  era  Dante,  neU' intraprendere 
la  purga  dei  propri  peccati,  o  per  meglio  dire  delle  reliquie  di  essi. 
Per  questo  Catone  non  prescrive  di  lavare  propriamente  la  faccia, 
ma  si  attiene  al  viso,  ossia  alla  sede  degli  occhi,  ed  anche  nella  te- 
sina che  segue,  non  parla  che  di  occhi,  e  ciò  per  farci  compren- 
dere il  mistero  che  vi  si  nasconde,  cioè  la  purità  di  mente  ohe 
si  diceva. 

Insomma  Catone  vuol  con  questo  doppio  precetto  sollevar  Dante 
da  quanto  sa  di  terreno,  ed  appuntare  il  suo  cuore  e  le  sue  viste 
all'altezza  dello  stato  che  sta  per  prendere. 

so  Che  non  si  converria  ecc.  L'occhio  di  colui,  che  dea  presen- 
tarsi ad  un  angelo,  convien  che  non  sia  appannato  di  nebbia  alena, 
ovvero,  che  aia  puro  e  netto  d'ogni  macula.  Or  di  qual  macula  ai 
parla  ?  Non  v'ha  dubbio  che  la  intesa  da  Catone  era  la  macula  o 
la  nebbia  dei  pensieri  terreni,  che  alterano  la  vista  dell'anima,  si 
che  ella  vede  e  giudica  mal  degli  oggetti.  Questa  nebbia  dunque 
ha  da  sparire  prima  d'affacciarsi  al  Purgatorio,  che  esige  occhi  di 
pura  fedo,  altrimenti  sarebbero  insufficienti  a  giudicar  rettamente 
degli  oggetti  che  gli  si  presenteranno. 

6*  Questa  isoltiia  ecc.  Avea  la  circonferenza  di  miglia  909  alla 
baso.  Vedi  Ptiro\,  Tav.  U. 

Questa  isoletta  risponde  in  dimensione  alla  dimensione  del  vero 
Inferno.  Ha  come  l'Inferno  due  riparti  generali,  Atrio  di  Purgatorio, 
o  vero  Purgatorio,  quello  grandissimo;  questo  piccolissimo,  colle  stesse 
proporsioni  che  aveva  l'Atrio  d'Inferno  col  vero  Inferno,  cioè  di  SS 


CANTO  I.  31 


Porta  de9  giunchi  sovra  1  molle  lìmo.  " 
NulTaltra  pianta  che  facesse  fronda,  ** 

0  indurasse,  vi  puote  aver  vita; 

Però  eh9  alle  percosse  non  seconda. 
Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita:    " 


parti  di  tutto;  31  è  Atrio  ed  1  è  Purgatorio.  £  ciò  assai  ragione- 
volmente; perchè  come  quasi  tutti  quei  che  si  dannano,  si  dannano 
per  ignavia,  cosi  quasi  tutti  quei  che  si  salvano  si  salvano  dopo  di 
aver  ritardato  molt'anni  la  lor  conversione ,  e  la  lor  penitenza.  Di 
tutte  queste  cose  diremo  più  in  lungo  a  suo  luogo. 

H  VeluteUo,  eh*  è  per  altro  assai  profondo  commentatore  di 
Dante  e  che  ha  fatto  di  gravi  studi  sulle  misure  dei  luoghi  delle  tre 
Cantiche,  fa  la  circonferenza  di  quest'isola  alla  sua  base  miglia  1100 
(mille  e  cento).  Ma  se  fosse  vero  il  suo  calcolo,  come  si  potrebbe 
chiamare  isoletta  quella  che  avesse  tanta  circonferensa?  Egli  ha  ab- 
bondato nelle  misure  dell'Inferno  e  cosi  dovette  abbondare  anche  in 
queste  del  Purgatorio. 

**  Porta.  Produce.  —  Giunchi.  Alghe  o  canne, 

w  NuWaltra  ecc.  Tutta  questa  terzina  ha  un  senso  chiarissimo. 
Appunto  gli  alberi  propriamente  detti  non  ponno  attecchire  dov*  è 
mare,  perhè  la  loro  stessa  durezza  è  causa- della  lor  debolezza  a  fronte 
della  furia  dell'onde.  Invece  i  giunchi,  perchè  non  resistono  all'onde 
ma  le  secondano,  trovano  la  forza  nella  loro  arrendevolezza,  e  per 
conseguenza  possono  attecchire  e  crescere  in  mare. 

Che  bella  immagine  non  è  questa  di  quelle  anime  docili,  che 
presto  o  tardi  si  piegano  agli  impulsi  della  grazia,  e  perciò  vanno 
salve!  Questa  è  la  ragione  perchè  Dante  intorno  intorno  fa  ger- 
mogliare dei  giunchi  simbolo  delle  anime  elette.  Quella  moltitudine 
di  esseri  organici,  quali  sono  i  giunchi  sorgenti  per  tutto  il  mare 
che  lambe  le  radici  intorno  del  Purgatorio,  rappresentano  quegli 
esseri  razionali,  che  per  essersi  piegati  alla  grazia,  meritarono  di 
salir  quel  monte  a  loro  perfetta  mondezza,  finché  ottenutala,  indi 
salgano  a  Dio. 

64  Poscia  non  sia  ecc.  Non  ritornate  dal  mare  per  questa  parte, 
perchè  quindi  in  su  non  si  può  salire,  ossia  perchè  qui  non  vi  è 
salita  ;  bisogna  cercarla  altrove,  e  il  Sole  ve  la  mostrerà.  Come  sia 
che  il  Sole  gliela  dovesse  mostrare,  vedilo  *in  seguito,  Canto  IV, 
nota  12,  dubbio  2, 


32  PURGATORIO 

Lo  Sol  vi  mostrerà,  che  surge  ornai,  °  ' 
Prendere  il  monte  a  più  lieve  salita. 
Così  sparì;  ed  io  su  mi  levai.  0G 
*10        Senza  parlare,  e  tutto  mi  ritrassi  H7 

m  Lo  Sol  vi  mostrerà)  ohe  eurge  ornai,  lì  Sole  veramente  non  sor- 
geva allora,  ma  solo  sorgeva  l'alba  foriera  del  Sole.  Siccome  per 
altro  i  chiarori  dell'alba  sono  effetto  del  Sole,  anzi  sono  il  Sole  stesso 
che  si  fa  veder  molto  prima  che  nasca,  perciò  Catone  poteva  dire 
con  verità  che  il  Sole  sorgeva.  Infatti  se  noi  volessimo  rispondere 
a  chi  ci  domandasse  che  cosa  son  quei  chiarori.,  noi,  parlando  vera- 
mente, potremmo  dire  :  Quelli  sono  i  raggi  del  Sole,  sono  la  luce  dei 
Sole,  sono  il  Sole  che  comincia  a  farsi  vedere. 

Prendere  il  monte  ecc.  La  più  lieve  salita  non  era  per  le  anime 
veramente  purganti,  ma  era  necessaria  per  Dante  che  non  era  puro 
spirito,  ma  aveva  corpo. 

6*  Così  sparì.  Con  quest'  ultime  parole  spari.  E  dove  andò  egli 
dopo  Bparito?  Et  si  ritrasse  alle  sue  grotte,  nelle  quali  abitava,  come 
accennò  in  questo  Canto  il  poeta.  Egli  è  chiaro  dal  contesto,  che  le 
grotte  di  Catone  erano  precisamente  presso  lo  sbocco,  onde  i  poeti 
uscirono  dell'Inferno,  rivolte  verso  oriente.  Quel  luogo  era  il  più 
opportuno  per  un  custode,  perch'egii  di  colà  potea  tener  d'occhio  tanto 
l'uscita  d'Inferno,  quanto  l'arrivo  delle  anime  al  Purgatorio,  ai  quali 
due  oggetti  egli  dovea  continuamente  avere  la  mira.  Questo  monte 
ne' suoi  termini  bassi  era  cosi  bipartito  :  1.  Una  cinta  di  rocce  scoscese 
ed  impraticabili,  tranne  in  un  punto,  che  vedremo,  discosto  da  quello 
ov'erano  allora  i  poeti  :  sotto  questa  cinta  vicino  alla  bocca  d' Inferno? 
nella  parte  che  guarda  a  mattina,  abitava  Catone.  2.  Dalla  cinta  in 
giù,  sino  al  mare  vi  avea  tutto  intorno  un  piano  inclinato  messo  a 
prato  per  cui  ora  si  dirigeranno  i  poeti  in  cerca  di  un  giunco  ma- 
rino. Vedi  Pnrg.,  Tav.  II. 

Ed  io  su  mi  leva i. -Perchè  dal  momento  che  Virgilio  alla  prima 
vista  di  Catone  gli  fé'  reverenti  le  gambe  e  il  [ciglio,  Dante  se  ne 
stette  sempre  in  ginocchio  davanti  a  lui. 

M  Senta  parlare  ecc.  Perchè  senza  parlare?  I.  Perchè  era  ancora 
colpito  dalla  immensa  impressione,  che  in  lui  fece  la  vista,  e  le  pa- 
role di  Catone.  I  grandi  avvenimenti  improvvisi  ci  lasciano  senza  fa- 
vella per  qualche  tratto.  II.  Per  una  cotale  mortificazione  di  veder 
H  suo  Virgilio  rauiniliato  da  Catone,  che  non  gli  passò  per  buone 
tante  ragioni  da  lui  credute 'convenientissime.  III.  Per  attendere  ri- 
spettosamente da  Virgilio  l'esecuzion  degli  ordini  di  Catone. 


CANTO  1.  33 

Al  duca  mìa,  e  gli  occhi  a  lui  drizzai. 

Ei  cominciò  :  Figliuo),  segui  i  miei  passi  :  " 
Volgiànci  indietro,  che  di  qua  dichina  ** 
Questa  pianura  af  suoi  termini  bassi.  " 

L'alba  vinceva  Torà  mattutina  7I 

<>»  Figliuol,  segui  i  miei  pani.  Virgilio,  come  si  disse  altre  volte, 
sarà  sempre  la  guida  del.  viaggio,  perchè  aetye  cose  puramente  ma- 
teriali quali  sono  il  trovare  le  strade  ecc.  avrà,  più  avvedutasi*  Vir- 
gilio, che  Dante.  Dante  invece  sarà  più  sagace  nelle  cose  sopran- 
naturali e  di  grazia.  Inoltre  Virgilio  dovea  mandare  ad  effetto  i  co- 
mandi di  Catone  su  Dante. 

£9  Volgiànci  indietro,  che  ecc.  Cioè  verso  mezzogiorno.  Sino  a  quel 
punto,  parlando  con  Catone,  li  duo  poeti  erano  stati  odia  focaia  ri- 
volta a  lui,  cioè  rivolta  a  settentrione.  Dunque  dicendo  volgiànci 
indietro,  accenna  a  mezzogiorno.  Vejli  Tav.  II*  Purg. 

70  Quièta  pianura  ecc.  Eooo  quel  piano  inclinato  al  mare  che  di- 
cemmo alla  nota  66.  Ma  quanta  profondità  avea>  questo  piano  dalla 
cinta  ond'ora  partono  i  poeti?  Àvca  la  profondate  di  tfu  ài  miglio 
pari  a  queir  Xfu  che  abbiazn  trovato  dalla  crosta  della  ghiaccia  al 
centro  4'  Inferno.  •Questoimonte  si  dee  percorrere  tutto  dal  suo  nuoio 
e  atraprdinario  penitene  che  è  Dante.  Dunque  ita. da  rare  anche 
questo  sessantaquattresimo,  come  fece  l'altro  sessantaquattresima  in 
Inferno  lungQji  peli  dì  Lucifero.       _•-'.». 

Che  immensa  esattezza  non  è  questa  di  Dante?  Perchè  cara  partito 
da  t/64  di  miglio  al  di  qua  del  centro  d'Inferno*  perciò  dovea  sbu* 
care  ifu  di  miglio  d'altezza  al  Purgatorio.  Ecco  che  noi  lo  troviamo  ap- 
puntino, ed  ecco  ch'egli  ci  aveagià  dati  ieenni  necessari  per  trovarlo. 

7<  L'alba  vinceva  ecc.  L'alba  quando  nasce  (supponendo  il  giorno 
tranquillo,  com'era  sempre  al  Purgatorio)  produce  un'alterazione 
noli'  atmosfera,  cioè  l'agita  in  direzione  da  oriente  ad  occidente,  e 
ciò  perchè  l'appressarsi  del  Sole,  corpo  calorifero,  riscaldando  gli 
strati  atmosferici  che  ha  p^ù  vicini,  ne  dilata  la  massa,  e  questa  di- 
latazione preme  sugli  strati  adiacenti,  e  questi  sugli  aKri,  e  cosi  via, 
producendo  quel  venticelo  o  brezza,  che  sempre  sentiamo  alla  mat- 
tina dal  principio  dell'alba.  Perciò  il  tempo  dei  crepuscoli  mattutini 
è  il  tempo  delle  maggior  frescure  di  tutta  la  notte.  Dante  ci  fa 
intendere  quest'alba,  che  s'avanza,  da' suoi  effetti,  cioè  dalla  pres- 
sione o  spingimento  dall'  óra  od  aura,  o  brezza,  la  quale  a  chi  si 
trova  di  rincontro  sul  lido  del  mare,  come  allora  si  trovava  Dante, 

3 


34  PURGATORIO 

Che  fuggi  a  innanzi,  sì  che  di  lontano 
Conobbi  il  tremolar  della  marina. 

Noi  andavam  per  lo  solingo  piano,  ™ 
Com'uom,  che  torna  alla  smarrita  strada,  w 
120       Che  infino  ad  essa  li  par  ire  invano.  u 

Quando  noi  fummo  dove  la  rugiada  15 


fa  conoscere  il  suo  movimento  cagionato  dall'alba  col  mezzo  del- 
l' increspamento  delle  onde  che  viene  di  mano  in  mano  inoltrandosi. 
In  più  brevi  parole.  L'alba  premeva  (vinceva)  l'aura  {Vòra)  mat- 
tutina, la  quale  fuggiva  dinanzi  al  Sole  verso  Dante,  e  Dante,  guar- 
dando a'  quella  volta,  conobbe  lunghesso  i  chiarori  dell'alba  il  tre- 
molar della  marina. 

Stabiliamo  adesso  l'ora  di  quest'alba.  Avvertasi  che  noi  ci  tro- 
viamo nell'emisfero  meridionale,  agli  antipodi  di  Gerusalemme,  a  20 
gradi  di  latitudine  meridionale ,  e  che  quindi  se  stando  a  Gerusa- 
lemme oggi  noi  avremmo  il  giorno  19  Aprile,  stando  invece  al  Pur- 
gatorio, dove  in  poco  d'ora  sfamo  passati,  abbiamo  il  giorno  9  Ot- 
tobre. Cerchiamo  dunque  sulla  Tavola  temporaria  di  un  calendario 
l'ora  della  levata  del  Sole  nei  9  Ottobre.  Essa  ci  dà  le  6.10.  I  cre- 
puscoli vengono  prima.  In  qual'ora  cominciano?  Alle  4.90  come  si 
può  vedere  sulla  stessa  Tav.  temporaria.  Dunque  ora  che  comincia 
l' alba,  ossia  i  crepuscoli,  sono  le  4.30. 

i*Per  lo  solingo  piano.  Perchè  solingo?  Perchè  non  trovarono 
anime  purganti.  Le  prime  ohe  troveranno  saranno  quelle  che  sbar- 
cheranno da  qui  a  poco. 

7* Com'uom,  ohe  torna  alla  ecc.  Essi  non  l'avevano  smarrita, 
perchè  dal  punto  ov'erano  sbucati,  quest'era  la  prima  volta  che  si 
movevano;  ma  andavano  al  luogo  indicato  da  Catone,  con  quella 
fretta  che  usano  aver  coloro,  che  si  accorgono  d'aver  errato  il  cam- 
mino, e  perciò  si  studiano  di  compensare  la  perdita  del  tempo  con 
la  velocità  del  passo. 

74  Che  in  fino  ad  e$»a  eoe.  Questo  è  proprio  notare  il  pel  nell'uovo. 
Dante  cercò  nel  cuor  di  chi  corre,  per  avere  smarrito  la  strada,  il 
sentimento  che  prova  mentre  corre;  ed  è  appunto  questo. 

7i>  Quando  noi  fummo  ecc.  La  rugiada  cade  al  tempo  del  crepu- 
scolo per  la  ragion  della  brezza  agitata  dal  Sole,  che  s'avvicina  :  Gutta 
roris  antelucani,  come  dice  anche  la  Sapienza  XI,  28.  Questa  ru- 
giada è  più  nitida  nelle  parti,  che    sono  opposte  all'oriente  ;  ceco 


CANTO  l.  35 

Pugna  col  Sole,  e  per  essere  in  parte, 

Ove  adorezza,  poco  si  dirada, 
Ambo  le  mani  in  su  l'erbetta  sparte  * 

Soavemente  il  mio  Maestro,  pose  : 

Ond'  io,  che  fui  accorto  di  sua  arte,  7t 
Porsi  ver  lui  le  guancie  lagrimose:  70 


perchè  Virgilio  scelse  la  rugiada  di  quella  esposizione  (dove  la  tu* 
giada  —  Pugna  col  Sole). 

Inoltre  questa  rugiada  è  più  copiosa  e  meglio  si  mantiene 
nella  erbetta  bassa,  che  sull'alta,  per  ragion  che  la  bassa  ha  più 
ombra  che  l'alta,  ed  è  meno  scossa  che  l'aita.  Ecco  perchè  Virgi- 
lio scelse  la  rugiada  di  quella  parte  ove  a  dorma,  e  ove  perciò 
poco  si  dirada. 

Questa  rugiada  era  mistica,  come  mistici  erano  i  giunchi  Essa 
avea  la  virtù  di  purificare  il  viso  spirituale.  Perciò  Catone  parlava 
di  lavanda  del  viso  e  non  di  altro. 

76  Ambo  le  mani  ecc.  Perchè  non  una  ma  due  mani?  Per  far  più 
presto  la  sua  lavanda,  e  perchè  è  naturale  che  due  sieno  le  manj, 
che  ci  lavano.  E  perchè  Dante  non  si  lavò  da  sé  stesso? 

1.  Perchè  l'ordine  fu  dato  a  Virgilio; 

2.  Perchè  Dante  non  potea  saper  se  si  frese  in  fine  lavato  o 
bene  o  male. 

E  perchè  ambo  sporte?  Per  raccogliere  così  più  rugiada,  che 
fosse  stato  possibile.  —  E  perchè  in  mìa  l'erbetta  ?  Perchè  era  la  più 
bassa  ove  aderenza. 

77  Soavemente.  Perchè  soavemente?  Perchè  calcando  troppo,  le  mani 
potean  coH'acqua  intingersi  anche  di  terra. 

78  Accorto  di  sua  arte.  Cioè  del  fine  di  tutti  qùe'suoi  artifisi,  che 
non  poteano  avere  altra  mira,  che  lavargli  la  faccia,  secondo  il  pre- 
scritto di  Catone. 

?9  Porsi  ver  lui.  Notate  bene  questa  espressione.  Essa  vi  dà  l'idea 
di  un  lievissimo  moviménto  di  faccia,  qual  si  conviene  a  chi  là  porge 
per  esser  lavato.  È  una  pitturimi  da  Giotto. 

Ghiande  lagrimofe.  Perchè  guancie  lagrimoseì  ossia  irrorate 
daHc  lagrime  degli  occhi?  Perchè  Dante  piangea  1.  di  tenerezza  verso 
Virgilio,  che  per  suo  amore  gli  facea  quell'umile  officio»  che  appena 
le  madri  affettuose  sanno  fare  coi  loro  bimbi;  che  delicatezza  di  pen- 
siero! £.  di  consolazione  per  sé,  avendo  gii  capito  più  di  Virgilio  il 


3*  PURGATORIO 

Quivi  mi  fece  tutto  cliscoverto  m 
Quel  color,  che  V  Inferno  mi  nascose. 
130.   Venimmo  poi  in  sul  lito  diserto, •' 

Che  rxM  non  vide  navigar  nue  acque  •* 
Udiri  che  di  ritornar  sia  poscia  esperto.  n 
Quivi  mi  cinse,  sì  come  altrui  piacque:  •* 
O  maraviglia  !  che  qual  egli  scelse  •* 

senso  di  quelle  parole  di  Catone  sulla  virtù  portentosa  di  questa  acqua 
lustrale: 

e  che  gli  lavi  il  viso 
Ri  ch'ogni  sucidume  quindi  stinga: 
Che  non  si  converrà  l'occhio  sorpriso 
D'alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo 
Ministro,  ch'è  di  quei  di  Paradiso. 

La  virtù  di  questa  acqua  si  era  di  purificare  e  raffinare  la  vista 
dell'anima,  nel  mentre  che  all'esterno  purificava  e  abbelliva  la  vista 
del  corpo-,  e  còsi  veniva  ad  operar  dentro  quello  che  indicava  al  di 
fuori;  3.  di  nuovo  pentimento  de'euoi  pecpati,  che  per  grazia  divina 
veniva  a  piangere  ed  a  scontare  nel  Purgatorio. 

w  Quivi  mi  fece  ecc.  Il  fumo  4'  Inferno  avea  coperto  a  Dante  come 
d'una  fuligine  il  colore  naturale  della  faccia,  il  quale  colla  lavanda  si 
discoverse  e  tornò  nella  primiera  naturalezza. 
«I  Ih  $  ti  lito  dUerto.  Vedi  la  nota  72. 

*>  Che  mai  non  ecc.  Le  anime  destinate  al  Purgatorio  vi  appro- 
dano attraversando  l'oceano  partendo  da  Roma,  solo  centro  di  salute. 
**  Uom}  che  di  ritornar  ecc.  Chi  viene  al  Purgatorio,  non  ritorna 
più  al  mondo  a  rifarvi  la  vita.  Forse  si  vorrebbe  anche  accennare 
all'ardito  Ulisse,  che  vide  da  lungi  questa  montagna,  ma  per  averla 
veduta  naufragò,  Inf.  XXVI.  Vedi  anche  la  mia  Tavola  L  fnf. 
84  Sì  come  altrui  piacque.  A  Catone  che  comandò  a  Virgilio  di 
cinger  Dante  con  un  giunco  marino.  Era  inutile  specificarlo,  e  per- 
ciò !c>  accennò  in  modo  generico.  , 

8a  O  meraviglia!  che  qual  ecc.  Quanto  bavvi  ai  Purgatorio  tutto 
è  dotato  di  una  virtù  soprannaturale,  come  è  il  Purgatorio  mede- 
simo che  Io  contiene.  Dante-  a  farci  intendere  questa  verità, suppone 
che  strappato  un  giunco,  tosto  un  altro  tutto  simile  vi  rinasca.  Dun- 
que sono  giunchi  che  han.no  dpi  soprannaturale  ^cjunque  il  tcrr,enp 
stossòH  un  terreno  che  iha*  dèi  soprannaturale.  La  Chiesa  cattolica 


CANTO  I.  87 


L'umile  pianta,  cotal  si  rinacque 
Subitamente  Ih  onde  la  svelse. 


come  ha  l'acqua  benedetta,  che  desta  pensieri  soprannaturali  e  che 
risponderebbe  alla  rugiada  veduta,  così  ha  eziandio  le  cinture  bene- 
dette, che  valgono  ad  uso  di  penitenza,  e  che  risponderebbero  alla 
ruvidezza  del  giunco.  Tutto  ben  applicato  a  Dante  penitente. 


CANTO  II 


Argomento. 

Stando  i  poeti  sul  Udo  veno  oriente,  veggono  un  vascello  ca- 
rico di  anime,  che  partite  da  Roma  venivano  al  Purgatorio  guidate 
da  un  angelo.  L'anima  di  Conila,  amico  di  Dante,  era  tra  quelle. 
Si  fanno  i  convenevoli.  Si  chiede  ragione  del  tuo  ritardo,  e  fu  per 
colpeveniali.  Casella,pregato  dall' amico,  scioglie  la  foce  al  canto.  Ma 
sopraggiunto  Catone,  rimprovera  quelle  anime  di  negligenza.  Esse 
partono  correndo  alla  sparpagliata,  e  partono  anche  i  nostri  poeti. 

MT.  Vedi  tatù  ì  catellini  di  quello  Canto  nello  mia  Ta?.  I  e  II,  Pura». 


fi 


ià  era  il  Sole  all'orizzonte  giunto/ 


<  Già  era  il  Sole  ecc.  L' orlo  superiore  del  disco  solare  toccava 
l'orinoti  te.  Quando  saremo  al  verso  55  di  questo  Canto  il  disco  so- 
lare  toccherà  l' orizzonte  con  l' orlo  inferiore.  Sicché  quanto  si  dice  da 
questo  primo  verso  sino  al  verso  55,  tutto  è  avvenuto  in  quel  piccio- 
lissimo  tratto  di  tempo  che  impiega  il  Sole  a  farsi  veder  nella  parte 
superiore  e  nella  parte  inferiore,  cioè  a  nascer  tutto,  il  qual  tempo 
è  calcolato  di  due  minuti.  In  somma  qui  si  parla  della  nascita  comin- 
ciata, e  nel  verso  55  si  parlerà  della  nascita  compita.  Che  velocità 
non  diede  Dante  a  tutta  Pacione  che  sta  per  raccontare  !  £  con  quanto 
accorgimento  non  gliela  diede!  Pochi  minuti  bastano  ad  un  angelo 
per  navigar  da  Roma  al  Purgatorio.  Questa  velocità  è  molto  bene 
in  relazione  con  quella  di  Dante  :  se  Dante  in  ore  1.20  venne  dal 
centro  della  terra  al  Purgatorio,  che  maraviglia  che  un  angelo  in 
meno  ancora  venga  al  Purgatorio  da  Roma? 


40  PURGATORIO 

Lo  cui  meridian  cerchio  coverchia  * 
Ierusalem  col  suo  più  alto  punto  : 
E  la  nolte,  oh'opposita  a  lui  cerchia,  * 
liscia  di  Gange  fuor  con  le  bilance,  4 
Che  le  eaggion  di  man  quando  soverchia  ;  * 

i  Lo  eui  meridian  ecc.  Questa  è  la  prova  scientifica  la  più  lam- 
pante, che  il  Purgatorio  è  antipode  di  Gerusalemme;  perchè  qui  si 
determina  che  il  Purgatorio  ha  lo  stesso  meridiano  di  Gerusalemme 
e  lo  stette  orizzonte,  ossia,  a  parlar  più  rettamente,  un  orizzonte  pa- 
rallelo a  quello  di  Gerusalemme:  dicendo  poi  Ierusalem  eoi  tuo  più 
alto  punto,  si  determina  il  zenit  di  Gerusalemme,  che  ha  per  nadir 
3  zenit  del  Purgatorio  e  viceversa. 

*  E  la  notte  ecc.  Siccome  al  crepuscoli  mattutini,  che  ci  apportano 
il  Sole  ad  oriente,  è  contraria  la  notte  che  bì  trova  all'occidente  del 
8ole,  cosi  si  dice  che  la  notte  cerchia  opposita  a  lui. 

*  Utcia  di  Gange  ecc.  Per  noi  abitatori  d' Europa  il  dire  Gange 
e  il  dire  oriente  è  lo  stesso,  perchè  a  rispetto  nostro  il  Gange,  fiume 
dell'  India,  è  posto  ad  oriente.  Ma  pegli  abitatori  del  Purgatorio 
nell'altro  emisfero  non  è  cosi  :  essi  hanno  il  Gange  all'occidente  e 
all'oriente  l'Europa.  Essendo  dunque  che  la  notte  opposta  al  Sole 
sorge  dall'occidente  come  abbiasi  veduto  alla  nota  3,  bisognava  dire 
che  sorgea  dal  Gange. 

Con  le  bilance.  Tra  il  Sole  cominciante  a  nascere  da  una  parte 
e  la  notte  cominciante  a  nascere  per  altri  da  un'  altra,  v*  Ila  l' in- 
tervallo di  sei  costellazioni  zodiacali  di  due  ore  di  distanza  luna 
dall'altra.  Dunque  se  il  Sole,  per  esempio,  leva  da  una  parte  in 
Ariete,  come  abbiam  veduto  che  leva  presentemente,  la  notte  leva 
dall'  altra  parte  per  1'  altro  emisfero  nella  costellazione  della  Libra, 
che  succede  sei  costellazioni  dopo  Ariete.  Vedi  Tav.  VII,  Purg. 

*Che  le  eaggion  di  man  ecc.  Quando  la  notte  soverchia,  ossia 
si  fa  più  lunga  del  giorno  soverchiamente,  come  sarebbe  dal  21  Ot- 
tobre in  poi,  allora  la  notte  non  sorge  nel  segno  della  Bilancia,  ma 
in  quello  dello  Scorpione,  nel  quale  entra  appunto  ai  21  Ottobre,  e 
allora  può  dirsi  con  granosissima  immagine  poetica,  che  le  Bilan- 
cie  eaggion  di  mano  dalla  Notte.  Questa  idea  è  qui  molto  opportuna 
per  la  ragione,  che  noi  agli  antipodi  ci  troviamo  presentemente  ad- 
di 9  di  Ottobre,  e  quindi  ci  andiamo  avvicinando  a  quel  giorno,  nel 
quale  le  Bilancie  deono  cader  di  mano  alla  Notte,  perchè  soverchia- 
mente allungata. 


CAXTó  IL  41 

Si  die  le  bianche,  e  le  vermiglie  guance  * 
Li  dove  io  era  della  l>ella  Aurora, 
Per  troppa  etate  divenivan  rance. 
io.     Noi  eravam  lunghesso  1  mare  ancora.  ~ 

■  alunga  la  notte  dopo  3  21  di  Ghigno?  E  vero;  ma 
ad  a&ungaxaì  soltanto  di  poco  :  e  qui  sì  parìa  di  un 
I  cbe  anitac  quando,  dopo  che  la  notte  ■  è  ragguagliata 
al  giorno  nei  S!  Settembre,  da  quel  punto  in  poi  ai  fin  più  lunga 
del  giorno  stesso,  e  quand'essa  è  giunta  a  superarlo  aovew.Hlaawinte> 
ai  »  Ottone*,  nlora  addio  BOnmde.  Chi  saprebbe  dir  queste  cose 


•fll  càe  le  biamcke  eoe.  £  un  riepìlogo  grassosissimo  dell'alba, 
dePaurora  e  di  tutte  le  Casi  di  questa,  considerando  questi  tre  stati 
dola  luce  per  una  persona,  cioè  per  una  donna,  cbe  va  passando  per 
le  sue  tre  età  della  giovine***,  maturità  e  vecchiaia,  nelle  quali  pre- 
domina 3  bianco  per  la  gioì  incarna,  il  vermiglio  per  la  maturità,  il  ran- 
cio per  la  vetehiaia.  Tale  è  appunto  quella  htce  cbe  precede  la  na- 
scita del  Sole.  Dapprima  è  bianca,  ecco  T  alba;  poi  avvicinandosi  dì 
pie  il  8ote,  si  fa  vermiglia,  ecco  l'aurora  propriamente  detta  :  final- 
mente al- primo  spuntar  del  Sole  cbe  è  rancio,  si  fu  rancia;  ecco  le 
ultime  rasi  dell'aurora  dove  si  tocca  con  la  nascita  del  Sole. 

7  Noi  eravam  ecc.  Dante  nota  questo  punto  di  parteusa  che  t 
da'  piedi  del  monte  a  livello  del  mare,  per  m  ragion  già  detta,  che 
ci  quale  un'  anima  del  Purgatorio  dovea  far  tutto  il  monte ,  come 
k>  facevano  le  vere  purganti.  Dunque  di  questo  monte  noi  siamo  a 
sera-  ahessa.  Richiamo  l'attenzione  a  questo,  perchè  nelle  Tavole  del 
Purgatorio,  noto  in  un'apposita  colonna  le  migfia  d'altessa  che  Dante 
andrà  acquistando  ;  le  quali  altezze  sommate  poi  insieme  nel  fine  del 
Purgatorio  ci  daranno  l'alterna  complessiva  di  tutto  il  monte  ;  seb- 
bene la  si  sappia  anche  prima  d'ora,  avendo  noi  provato  nell'ultimo 
deH'/fi/er*o  dietro  i  cenni  di  Dante,  che  il  monte  del  suo  Purga- 
torio ha  miglia  95  di  alterna,  o  più  veramente  miglia  94'S/ti,  come 
il  vero  Inferno,  perchè  anche  il  Purgatorio  è  un  cono  tronco  alla 
punta;  il  cono  d' Inferito  è  tronco  di  </64  di  miglio  per  la  ghiaccia; 
e  il  cono  del  Purgatorio  è  parimenti  tronco  di  f/ei  di  miglio  pel  Pa- 
radiso terrestre,  opposto  cosi  alla  ghiaccia.  Questi  due  luoghi  Dante 
li  ha  tatti  esattissimamente  simmetrici  l'uno  all'altro,  e  noi  ammi- 
reremo l'architettonico  disegno  del  Purgatorio,  come  abbiamo  ratto 
con  ta  struttura  dell'  Inferno. 


42  PURGÀTOBIO 

Come  gente  che  pensa  suo  cammino,  ' 
Che  va  col  cuore,  e  col  corpo  dimora  :  9 
Ed  ecco  qual,  sul  presso  del  mattino,  *° 
Per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia  " 
Giù  nel  ponente  sopra  il  suol  marino; 

•  Come  gente.  Come  disse  nei  Cauto  I:  Noi  amdavam  per  lo  #o- 
lingo  piano  —  Com'uom  che  torna  ecc.;  cosi  qui  dice:  Noi  eravam 
lunghetto  il  mare  ancora  —  Come  gente  ecc. 

Che  pensa  suo  cammino.  Con  questo  Dante  ci  dipinse  tatto  l'atto 
delle  loro  persone.  Chi  pensa  suo  cammino,  guarda,  esamina,  accenna, 
si  consiglia  e  sta  in  un  tal  quale  cipiglio,  cose  tutte  che  indicano 
la  sua  incertezza.  Si  trattava  di  trovare  un'altra  salita,  secondo  il 
detto  di  Catone  :  Poscia  non  sia  di  qua  vostra  rtddita; —  Lo 
eoi  vi  mostrerà  ecc. 

9  Che  va  col  cuore  eco.  U  notare  quel  sentimento  che  prova  chi 
ha  fretta  di  andarsene,  ed  è  costretto  a  starsi  fermo  per  non  saper 
qual  via  prendere,  è  da  attento  studioso  della  natura.  Dante  in  toccar 
queste  fibre  del  cuore  è  gran  maestro.  Questo  è  un  ritardo  di  viag- 
gio, che  dobbiam  calcolare  per  le  ragioni  dette  nella  mia  Tavola  II 
deir/*/erno,  e  che  troveremo  nelle  Tavole  del  Purgatorio  in  appo- 
sita colonna. 

iOSul  presso  del  mattino.  Vicino  al  mattino,  sulT  appressarsi  del 
mattino.  Mattino  è  diverso  da  mattina. 

t*  Per  li  grossi  vapor  ecc.  Marte  è  uno  dei  primari  pianeti  satel- 
liti del  Sole,  intorno  al  quale  compie  la  sua  rotazione  in  22  mesi  e 
messo.  Le  circostanze  che  fanno  veder  Marte  nella  sua  massima  bei- 
lessa,  sono  :  1.  guardarlo  un  poco  prima  del  mattino,  ossia  dei  cre- 
puscoli, perchè  allora  l'abbiamo  basso  verso  ponente,  e  si  sa  che  gli 
astri,  quanto  sono  più  bassi  e  tanto  compariscono  più  vasti  per  le 
ragioni  dell'ottica;  2.  guardarlo  mentr'è  sopra  e  vicino  alla  marina, 
perchè  sollevandosi  da  lei  più  densi  vapori,  che  dalla  terra,  la  luce 
di  Marte  si  fa  per  quelli  più  rosseggiante.  Potete  veder  questo  ef- 
fetto ogni  giorno  o  nel  Sole  o  nella  Luna,  che  all'orizzonte  sono 
rossastri,  appunto  perchè  la  loro  luce  passa  per  densi  vapori,  e  quanto 
più  s'innalzano  al  meridiano  e  tanto  più  si  rischiarano.  Perchè  Dante 
sceglie  Marte  per  significar  l'angelo  condottiero  delle  anime  pur- 
ganti? Perchè  come  il  lume  di  Marte  si  suppone  qui  a  fior  fiore  della 
marina,  cosi  addiviene  similitudine  adequatissima  pel  lume  angelico, 
che  Dante  vedea  lontan  lontano  a  fior  d'acqua  verso  oriente. 


CANTO  IL  43 

Coiai  m'apparve,  s'io  ancor  lo  veggia!  {i 
Un  lume  per  lo  mar  venir  sì  ratto,  w 
Che'l  muover  suo  nessun  volar  pareggia;  u 

Dal  qual  com'  io  un  poco  ebbi  ritratto  l5 


totiPio  ancor  io  veggia!  Così  mi  tocchi  in  sorte  di  vederlo  un'al- 
tra volta  morendo  io  in  grafia  di  Dio,  e  appartenendo  cosi  anch'  io 
al  numero  di  quelle  anime  fortunate,  che  saran  condotte  da  quel- 
l'angelo al  Purgatorio,  che  se  è  luogo  di  pena,  è  pur  luogo  di  si- 
curezza. Che  bel  pensierino  pieno  di  pio  e  focoso  affetto,  e  quanto 
ben  collocato! 

**  Un  lume.  Oli  oggetti  che  si  veggono  a  grande  distanza,  non 
compariscono  per  intero,  ma  dapprima  si  vede  solo  un  incognito  in- 
distinto, spiccando  però  in  questo  stato  confuso  e  generico  quelle 
parti  che  sono  più  luminose.  Per  esempio,  se  in  distanza  ci  fosse  una 
fiaccola  di  una  candida  torcia  sostenuta  da  un  candelabro  suboscuro, 
quello  che  si  vede  prima  è  il  lume,  poi  la  torcia  sottoposta  e,  final, 
mente,  accostandosi  più,  il  candelabro.  Così  è  in  questo  caso.  Prima 
non  può  altro  dire  se  non  che  vedeva  un  lume,  ed  era  la  feccia  rag- 
giante dell'angelo. 

Per  lo  mar.  Per  qual  mare?  Pel  mare  di  nord-est,  che  sarebbe 
l'oceano  Atlantico,  che  dal  Purgatorio  va  alle  colonne  di  Ercole,  ora 
stretto  di  Gibilterra,  e  per  esso  alle  foci  del  Tèvere.  .    . 

Venir  ti  ratto.  Onde. conobbe  siffatta  velocità?  Da  quel  che 
dirà  nell'altra  terzina. 

u  Che'l  muover  suo  ecc.. Rende  ragione  della  velocità  dei  due  mi- 
nuti assegnati  a  tutta  l'azione  che  narra  (Vedi  nota  1).  Perchè  quel 
lume  (che  vedremo  esser  l'angelo  guidator  delle  anime  purgande) 
correva  con  tanta  velocità?  1.  perchè  è  naturale  alla  tragrande  po- 
tenza angelica  il  movimento  velocissimo;  2.  perchè  è  consentaneo 
alla  prontezza  di  obbedienza,  con  cui  eseguiscono  gli  angeli  i  voleri 
di  Dio;  3.  perchè  un  tal  movimento  velocissimo  è  tutto  favorevole 
a  quelle  anime,  che  desiderando  di  goder  Dio  il  più  presto* possibile, 
desiderano  per  conseguenza  di  purgarsi  il  più  presto  possibile;  ed 
è  favorevole  agli  angeli  stessi ,  che  più  gioiscono,  se  più  prestò  la 
hanno  a  compagne  nella  gloria. 

**  Dal  qual  com'  io  un  poco  ecc.  Ecco  la  prova  del  moto  velocissimo 
di  quel  lume  verso  il  Purgatorio:  nel  brevissimo  istante  che  paasò  tra 
il  volgerai  a  Virgilio  per  interrogarlo  su  quel  lume,  ed  il  rivolgersi 


44  PURGATORIO 

20.         L'occhio  per  dimandar  lo  duca  mio,  ** 
ttividil  più  lucente,  e  maggior  fatto. 

Poi  d'ogni  parte  ad  esso  m'appario  f7 
Un  non  sapea  che  bianco,  e  di  sotto 
A  poco  a  poco  un  altro  a  lui  n 'ùscio. 

Lo  mio  Maestro  anoor  non  fece  motto,  <8 
Mentre  che  i  primi  bianchi  apparser  a)i  :  ' 
Àllor,  che  ben  conobbe  il  galeotto, 

Gridò:  Fa,  fa  che  le  ginocchia  cali: 
Ecco  l'Angel  di  £)io,  piega  le  mani: 
Orna*  vedrai  di  sì  fatti  uficiali.  *° 


210 


tosto  allo  stesso  lume,  gii  era  diventato  e  più  lucente  e  maggiore. 
È  chiaro  die  gli  oggetti  luminosi,  quanto  più  sono  distanti  tanto 
più  scemano  dell*  loro  luce  e  della  loro  grandézza;  al  contrarlo, 
quanto  più  sì  Avvicinano  é  tanto  più  crescono  in  lucfcore  e  gran- 
detta. Questo  lume  crebne  in  lucidezza  e  dimensione  :  dunque  gtf  era 
venuto 'più  vicino  di  assai.  ""'"     '    '" 

ibPer*  dimandar  lo  Alca  vi  io.  Nemmeno  Virgilio,  ne  sapea  nulla. 
E  la  solita  deficienza  della  ragione  nello  stato  della  grafìa.'  PWtflò 
Virgilio  resta  mutò,  né  £fi  dà  sfregane  alcuna. 

n  Poi  d'òfyrit  patte  ecc.'  Popò  déflfe  luce  appariscono  i  colori,  e  tra 
questi  il  primo  bianco,  che  erano  le  due  ali  'candide  dell'angelo.  Dun- 
que si  èra  più  avvicinato  ancora.  Ma  di  questi  due  bianchi  ha  una 
idea  confusa  come  del  lume,  perchè  ancora  la  distanza  eia  grande. 
Intanto  si  avvicinava  sempre  più ,  e  cosi  venne  a  raffigurarsi  un 
altro  lìlanco  sotto  le  ali  candide  e  la  faccia  raggiante,  e  quest'ul- 
timo bianco  èra  la  tunica  dell'angelo*,  ma  ancóra  tutto  era  in  con- 
fuso,  perchè  non. si  conosceva  né  la  feccia,  né  le  ali,  né  là  veste 
dell'angelo.  Che'  bèlle  industrie  poetiche  e  scientifiche  per  dinotai  le 
distanze  e  gli  avanzamenti  ! 

**  Lo  mito  Maè$ ito  ancor  ecc.  Virgilio,  nuovo  anch' egli  del  Pur- 
gatorio, non  sa  riconoscer  l'angelo  sé  non  quando  s'accorge  delle  ali. 

*•  Mentre  che.  Fintanto  che.  —  Apparser  ali.  È  evidente  che  sì 
dee  scartar  la  lezione  aperscr  l'ali. 

*o  Orna'  vedrai  ecc.  Come  lo  pò  tea  sapere?  1.  Per  induzione:  se  chi 
guidava  le  anime  al  Purgatorio  era  uno  degli  angeli  beati,  dunque  an- 
che coloro  che  si  sarebbero  trovati  in  qualche  ufficiò  del  Purgatorio 


CANTÒ  II.  45 

Vedi  che  sdegna  gli  argomenti  umani,  -' 
Sì  che  remo  non  vuol,  né  altro  velo 
Che  Vale  sue  tra  liti  sì  lontani.  ** 

Vedi  come  V  ha  dritte  verso  '1  cielo,  i3 
Trattando  l'aere  con  l'eterne  penne, 
Cne  non  si  mutan  come  mortai  pelo. 

Poi  come  più  e  più  verso  noi  venne  il 


doveauo  esser  tali;  2.  per  informazione  diretta  avuta  poco  yrima  da 
Catone  quando  gH  disse: 

Che  non  si  converria  l'occhio  sorprìso 
D'afonia  nebbia  andar  finanzi  al  primo 
Ministro,  eh*  è  di  quei  di  Paradiso. 

n  Vidi  che  tdegn*  ecc.  Virgilio  si  accorse  prima  dalle  ali  che  quello 
era  un  angelo,  ma  essendo  afferà  troppo  distante,  non  potea  vedere 
a  qual  uso  quelle  ali  servissero.  Ora  che  l'angelo  si  è  avvicinato  di 
più,  scorse  a  che  doveano  servire,  cioè,  gii  dovean  servir  di  remi 
«  di  vele,  che  sono  gli  argomenti  umani  marinareschi.  Desso  è  un 
angelo,  e  Quindi  non  può  e  non  deve  aver  mestieri  di  umani  ordi- 
gni. Egli  trova  in  sé  stesso  il  messo  per  venire  a  capo  fclievmchte 
di  ogni  opera  più  difficile  e  pericolosa,  qual'  è  sempre  stata  una  na- 
vigatone oceanica,  che  noi  abblam  veduto  costar  la  vita  di  Ulisse 
e  de1  suoi. 

Falla  assai  ehi  nei  disegni  a  questo  luogo  poue  nella  mano  del- 
l'angelo il  remo. 

»  Tnt  liti  il  fontani.  Tra  i  liti  d'Europa  ed  il  Purgatorio,  ch'era 
una  traversata  di  forse  9000  miglia,  quante  corrono  dalla  foce  del 
Tevere  al  Purgatorio. 

»  Vedi  carne  l'ha  dritte  ecc.  Non  è  ripetizione  del  pensiero  del* 
l'ultima  terzina  antecedente,  ma  è  una  gradazione  di  sempre  mag- 
giore iscoprimento  dell'oggetto  e  de'  suoi  atti ,  mano  mano  che  si 
venia  accostando.  Prima  vide  Tali  aperte,  poi  ne  presunse  l'uso,  qui 
vexW  effettuato  quest'uso. 

*}  Poi  come  più. e  pitt  ecc.  Era  naturalo  che  atta  massima  vicinanza 
dell'angelo  il  poeta  dovesse  i dare  un  tocco  risentito  a  quello  ebe  era 
la  cosa  jprjncipale  dell'  angelo,  cioè  al  chiarore  che  usciva  special- 
mente dalla  sua  faccia,  in  che  si  mettono  gli  occhi  alla  presenza  di 
una  persona. 


96 


46  PURGATORIO 

L'uccel  divino,  più  chiaro  appariva; 
Perchè  l'occhio  da  presso  noi  sostenne  ; lb 
40.     Ma  chinai!  giuso:  e  quei  sen  venne  a  riva 
Con  un  vascello  snellettò  e  leggiero 
Tanto,  che  l'acqua  nulla  ne  inghiottiva. 
Da  poppa  stava  il  celestial  nocchiero, 27 
Tal  che  parea  beato  per  iscritto,  * 
E  più  di  cento  spirti  entro  sediero  :  n 


**  Perchè  Vecchio  ecc.  Se  in  tanta  distanza  Vangelo  risplendeva 
cotanto,  è  naturale  che  giunto  alla  massima  vicinanza,  non  si  potesse 
sostenere  il  suo  bagliore. 

36  Nulla  nt  inghiottiva.  È  naturale  che  la  barchetta  non  pescasse 
menomamente,  perchè  tutto  il  suo  carico  era  di  spiriti. 

vi  Da  poppa  stava,  È  il  solito  luogo  di  chi  sta  a  guida  dei  va- 
scelli ,  ma  qui  è  messo  anche  per  ultima  circostanza,  che  fa  vedere 
V  approdo  dell'angelo.  Non  si  sarebbe  potuto  distinguere  con  preci- 
sione in  qual  parte  del  vascello  egli  stesse ,  se  non  fosse  stato  del 
tutto  sotto  gli  occhi,  e  perchè  la  barca  veniva  direttamente  al  Pur- 
gatorio, e  perchè  egli  spandeva  molta  luce  (Vedi  Tav.  II,  Puff.). 

** Beato  per  iscritto.  Evidentemente  beato;  ossia  gli  si  leggea  la 
beatitudine  in  volto.  Siccome  le  cose  che  sì  leggono  sono  scritte,  cosi 
è  lo  stesso  dire  gli  si  leggea  la  beatitudine  in  volto,  e  parea  beato 
per  iscritto. 

»  Entro  sediero.  Questa  maniera  di  parlare  esprime  che  quegli 
spiriti  non  erano  seduti  in  alto,  come  sarebbe  sulla  tolda  del  va- 
scello, ti  quale  pare  non  l'avesse:  ma  esprìme  ch'eglino  se  ne  stessero 
seduti  lunghesso  le  sponde  del  legnetto  con  le  piante  posate  sul  fondo 
della  barca,  come  una  comitiva  starebbe  seduta  entro  una  gondola. 
E  perché  nessuno  di  questi  spiriti  stava  in  piedi ,  ma  tutti  erano 
seduti  entro  la  barca?  Per  indicare  eh'  essi  di  questo  mondo  non  si 
curavano  più  né  punto  né  poco,  onde  la  vista  delle  cose  esterne  non 
potea  in  loro  menomamente.'  Inoltre  essi  cantavano  concordemente 
un  salmo,  come  si  dice  nel  verso  seguente,  e  quando  molti  entro 
una  barca  si  combinano  a  cantarellare  qualche  arietta,  noi  vediamo 
che  tutti  seggono  per  essere  più  concordi  nel  canto.  Finalmente  tanta 
era  la  velocità  con  cui  veniva  il  vascello,  che  rendeva  al  tutto  con- 
veniente il  sedere. 


CANTO  1{.  47 

In  exitn  Israel  de  Egitto  * 
Cantavan  tutti  insieme  ad  una  voce,  31 
Con  quanto  di  quel  salmo  è  poi  scritto.  a* 
Poi  fece  il  segno  lor  di  santa  croce  ;  ** 
50.        Ond'ei  si  gittar  tutti  in  su  la  spiaggia,  u 

30  In  exitu  ecc.  E  il  salmo  degli  Ebrei  per  la  uscita  di  Egitto  (113). 
Quanto  fa  bene  al  caso  presente  !  Che  idea  non  porge  di  questo  mondo, 
de'  suoi  pericoli  e  de'  suoi  disgusti!  Che  idea  non  porge  di  Dio,  che 
ne  li  ha  liberati  con  la  morte  in  grazia  sua!  Che  idea  non  porge 
di  quelle  anime  sante  e  della  lor  gratitudine  al  Signore  per  averle 
alfin  liberate! 

**  Ad  una  voce.  Unisoni,  come  si  usa  nel  canto  ecclesiastico,  da 
un  pieno  popolo  raccolto  nel  tempio,  e  massime  nel  canto  dei  salmi. 

)*  Con  quanto  ecc.  Tutto  sino  al  fine.  Bisognerebbe  leggerlo  per 
accertarsi  che  tutto  fa  a  proposito  di  chi  esce  da  questo  mondo  per 
esser  salvo.  Per  questo  dice  :  Con  quanto  di  quel  $almo  è  poi  ecritto. 
Io  non  dirò  che  la  chiusa  dei  due  ultimi,  versetti: 

Non  mortui  laudabunt  te  Domine  ;  ncque  omnee  qui  deeeendunt 
in  infemum  —  Sed  noe  qui  vivimue  benedieimus  Domino,  ex  hoc 
nunc  et  ueque  in  $aeculum. 

**  Poi  /eoe  il  tegno  lor  ecc.  Era  questa  la  benedisione  che  dava 
l'angelo  a  quelle  anime  prima  di  separarsi  da  loro,  e  il  segnale  dello 
sbarco.  La  benedizione  che  il  superiore  dà  air  inferiore  è  ripetuta  le 
tante  volte  anche  nell'antico  Testamento,  ma  si  questiona  tra  gli 
interpreti  qual  segno  si  usasse  allora  per  quest'atto  quando  sola- 
mente religioso,  quando  religioso  insieme  e  sociale.  Quello  che  è 
certo  si  è  che  dopo  di  Gesù  Cristo  la  benedizione  si  è  sempre  data 
dai  cristiani  col  santo  segno  di  croco.  A  questo  sf  attiene  pure  il 
nostro  celestial  nocchiero,  ed  a  ragione,  Quelle  anime  furono  salve 
per  la  croce,  e  con  la  croce  deono  essere  benedette  ora  che  son  con- 
dotte al  porto  di  salvamento.  Il  nostro  poeta  è  pieno  di  fede  e  di 
tenerezza  per  le  sante  pratiche  della  sua  religione.  Oh  se  fossero 
parimente  anche  tutti  gli  ammiratori  di  Dante!  —  Che  differenza  tra 
questo  celestial  nocchiero  e  il  nocchiero  di  Acheronte! 

s*  Ond'ei  si  gittar  tutti  ecc.  Cho  differenza  tra  queste  anime  elette 
che  arrivarono  al  Purgatorio,  e  quelle  anime  dannate  che  arrivavano 
alla  riva  d'Acheronte.  Queste  cangiar  colore  e  dibàtterò  i  denti,  — 
Ratto  ohe  inteser  le  parole  crude,  e  però  si  ritraevano  o  indugia- 
vano a  salir  Bulla  barca,  onde  Caronte  battea  col  refno  qualunoué 


4S  PURGATORIO 

Ed  el  seri  gì,  come  venne,  veloce.  3b 
La  turba  che  rimase  lì,  selvaggia  * 
Parea  del  loco,  rimirando  intórno,  *7 
Come  colui  che  nuove  cose  assaggia.  3g 
Da  tutte  parti  saettava  il  giorno  * 

l'adagia.  —  Bestemmiavano  Iddio  t  i  lor  parenti  ecc.  Invece  quelle 
del  Purgatorio  dopo  i  lieti  canti  e  la  benedizione  dell'angelo,  si  gittan 
leste  sulla  spiaggia,  come  a  grande  ventura  di  esservi  giunte. 

w  Ed  ti  sen  gì  ecc.  Faccio  notare  la  prontezza  con  cui  eseguiscono 
le  loro  azioni  questi  due  soggetti,  angelo  ed  anime.  Le  anime  sbar- 
cano subito  e  volonterose ,  però  si  disse  si  gìttar  tutti ì  che  esprime 
ardenza  di  azione.  L'angelo,  appena  sbarcate  l'anime,  parte  veloce- 
mente alla  volta  di  Roma, per  un  altro  imbarco.  Non  si  poteva  espri- 
mere meglio  né  il  contento  dell'anime  pel  loro  arrivo,  uè  il  gusto 
dell'angelo  in  si  nobile  officio,  che  colla  speditezza  di  entrambi.  La 
causa  degli  uomini  e  degli  angeli  qui  apparisce  legata  in  modo  da 
formarne  un  spio  interesse,  l' interesse  della  gloria  di  Dio  e  della  loro 
eterna  beatitudine. 

36  La  turba  che  rimase  lì.  Perchè  il  poeta  fa  sostare  alquanto 
queste  anime  sulla  spiaggia,  e  non  le  fa  correre  invece  sull'istante 
alla  loro  pena?  Per  attenersi  alla  natura  di  tali  avvenimenti.  Avrete 
torse  osservato  le  tante  volte,  che  quando  un  vascello  sbarca  una 
moltitudine  di  forestieri,  questi,  appena  sbarcati,  ranno  crocchio  sul 
porto  guardando  ora  la  nave  che  li  approdò,  ora  il  paese  a  cui  sono 
approdati,  intanto  che  tra  loro  fanuo  mille  discorsi.  Dante  non  di* 
montica  mai  la  natura,  quantunque  sia  in  un  regno  sopra  naturai 
perchè  la  legge  della  poesia  così  gli  ordinava.  Per  tal  modo  si  apre 
la  via  a  nuove  scene  le  più  care  che  mai  si  sieno  vedute. 

Selvaggia.  Straniera,  nuova,  inesperta  del  luogo.  E  tolto  dai 
selvaggi,  che  non  hanno  conoscenza  di  cosa  alcuna  dalle  lor  selve 
in  fuori,  e  perciò  di  tutto  si  maravigliano. 

37  Parta*  Appariva.  Da  eho  appariva  selvaggia  del  loco?  Da  quel 
che  si  dice  subito  appresso,  cioè  dal  rimirare  intorno. 

38  Assaggia.  Assai  sentitamente  dice  assaggia,  e  non  ammira,  con- 
sidera od  altro:  perchè  col  primo  sguardo  che  volgono  i  forastieri 
alle  cose  intorno,  non  fanno  che  prenderne  un  saggio  confuso  e  gè- 
nerico. 

39  Da  tutte  #ar  ti  ecc.  Costruite  così  :  Lo  sol,  ch'avea  con  le  saette  conte 
di  mezzol  ciel  cacciato  il  Capricorno,  da  tutte  parti  saettava  il  giorno. 


CANTO  D.  49 

Lo  sol,  eh'  avea  con  le  saette  conte 
Di  mezzo '1  ciel  cacciato  il  Capricorno, 

Da  tutte  parti  saettava  il  giorno  —  Lo  sol.  Ecco  la  vera  na- 
sata .del  Sole  atte  6.10  addì  9  Ottobre,  il  qua!  giorno  dobbiamo 
calcolare  ti  Purgatorio,  se  a  Gerusalemme  avremmo  10  Aprile.  Tutti 
i  commentatori,  che  io  ho  veduto,  spiegano  queste  parole  e  questa 
tesina  per  2  ore  dopo  la  nascita  del  Sole,  ma  per  verità  non  è  che 
la  nascita  stessa  tutta  effettuata  sino  al  lembo  inferiore  del  disco. 
Ora  proviamo  che  questa  è  la  nascita  compita  di  tutto  il  disco  so- 
lare esaminando  tutte  le  parole  di  Dante. 

Prima  dice,  che  il  Sol  saettava  il  giorno  da  tutte  parti.  Che  è 
questo:  Da  tutte  parti?  Forse  per  tutte  le  parti  dell'emisfero,  o 
per  meglio  dire,  dell'orizzonte  da  oriente  ad  occidente?  Mainò.  In 
tal  caso  avrebbe  detto:  Per  tutte  parti.  Questo:  Da  tutte  partivi 
riferito  al  Sole,  non  agli  oggetti  illuminati  dal  Sole.  Dunque  va  in- 
teso cosi:  Da  tutte  parti  del  suo  disco  il  Sole  saettava  o  raggiava 
il  giorno.  E  quando  è  che  il  8ole  manda  la  sua  luce  a  noi  da  tutte 
le  parti  dei  suo  disco?  Quando  è  già  sopra  il  nostro  orizzonte,  anche 
solo  una  linea. 

Basta  questo  per  poter  dire  con  tutto  il  rigore  dei  termini  che 
il  Sole  saetta  il  giorno  da  tutte  parti,  ossia  da  tutte  parti  è  a  noi 
visibile  e  sopra  e  sotto.  Ecco  in  secondo  luogo  da  che  proviene 
T errore  di  quelli  che  qui  intendono  due  ore  di  Sole,  dal  riferire  il 
da  tutte  parti  air  oggetto,  invece  che  al  soggetto.  Poi  Dante  dice 
che  il  Sole  con  le  saette  conte  di  messo  il  cielo  avea  cacciato  il  Ca- 
pricorno. Anche  queste  parole  sono  una  prova  che  il  Sole  era  nato 
appena  appena.  Vediamolo. 

Se  il  Sole  nascesse  nel  primo  grado  di  Ariete,  avrebbe  il  Ca- 
pricorno nel  giusto  meriggio,  essendo  che  la  distanza  tra  l'Ariete 
ed  il  Capricorno  è  di  un  quarto  di  cerchio,  ossia  di  tre  costellazioni 
di  due  ore  l'ima,  che  Bono  Pesci,  Acquario  e  Capricorno,  e  quindi 
ci  avrebbe  la  distanza  di  6  ore. 

Ma  il  Sole  non  è  nel  primo  grado  di  Ariete,  sì  bene  nel  grado  20 
verso  il  Toro  che  segue  nel  mese  di  Aprile,  il  che  porta  di  tempo 
ore  1 .20,  le  quali  aggiunte  alle  6  delle  tre  costellazioni ,  ci  danno 
ore  720.  In  conseguenza  il  Capricorno  quando  nasce  il  Sole  ai  9  Ot- 
tobre dee  trovarsi  oltre  il  meriggio  di  ore  1.20  ohe  è  il  guadagno 
che  ha  fatto  il  Sole  nei  suoi  20  gradi  di  Ariete  verso  il  Toro. 

Prendete  in  mano  la  miaTav.  VII,  Pur g.,  e  avanzando  dall'Ariete 
di  Aprile  giorno  10,  corrispondente  negli  antipodi  di  Gerusalemme 

4 


50  PURGATORIO 

Quando  la  nuova  gente  alzò  la  fronte  *° 
Ver  noi,  dicendo  a  noi  :  Se  vo'  sapete  4I 


al  9  Ottobre,  troverete  Pesci  (che  abbiam  già  vedati  sull'orizzonte 
prima  che  nascesse  il  Sole,  Canto  I)  Acquario  e  Capricorno. 

Dunque  resta  provato,  che  appunto  perchè  il  Capricorno  fa 
cacciato  da  mezzo  il  cielo,  e  cacciato  di  20  gradi,  il  Sole  deve  essere 
appena  nato,  o  appena  sorto  tatto  sali'  orizzonte ,  e  non  già  che  il 
Sole  sia  alto  due  ore,  come  vogliono  tutti  i  commentatori. 

Resta  ora  a  vedere  che  cosa  sono  le  saette  conte  del  Sole.  Sono 
in  poche  parole  le  saette  famose,  tanto  celebrate  dai  poeti  latini, 
che  in  fin  dei  conti  altro  non  sono  che  i  lunghissimi  e  splendentissimi 
raggi  coi  quali  il  Sole  caccia  le  tenebre,  e  coi  quali  qui  con  somma 
grazia  si  fa  che  il  Sole  si  cacci  innanzi  il  Capricorno,  al  poeto  del 
quale  vuol  entrare  il  Sole  nel  mezzo  giorno,  o  nel  mezzo  cielo. 

*Q  Aitò  la  fronte  —  Ver  noi.  Dunque  li  due  poeti  stavano  allora 
più  in  alto  di  quelle  anime,  e  la  ragione  è  chiara,  perchè  chi  smonta 
da  una  barca  sul  lido,  mette  il  piede  al  confine  dell*  acqua  colla  terra, 
all'  incontro  chi  dalla  terra  viene  al  lido,  non  vi  si  inoltra  al  segno 
di  chi  smonta  da  un  battello,  e  quindi  resta  più  alto  degli  smontati, 
supponendo  sempre,  come  abbiam  veduto  nel  Canto  I,  che  il  piano 
sia  inclinato. 

Da  ciò  anche  si  rileva  chiaramente,  che  quando  i  poeti  partendo 
da  Catone,  discesero  al  mare,  Dante  stette  alla  debita  distanza  da 
questo,  mentre  Virgilio  discese  di  più,  anzi  entrò  nelle  prime  onde 
per  cogliere  il  giunco  prescritto,  colto  il  quale,  ritornò  con  esso  a 
Dante  per  cingerlo  ai  lombi,  come  Catone  avea  ordinato.  Ecco  per- 
che  le  anime  nuove  dovettero  alzar  la  fronte  verso  i  poeti.  Osser- 
vate la  Tav.  II,  Purg. 

H  Dicendo  a  noi,  $e  vo' sapete  —  Mostratene  ecc.  Sono  anime  che 
mai  non  vennero  à  questi  luoghi,  e  quindi  non  è  maraviglia,  se  non 
sanno  per  qual  parte,  o  strada  si  salga  per  ire  al  monte,  ossia  al 
Purgatorio,  che  è  su  quel  monte. 

È  certo  che  teologicamente  parlando  quelle  anime  dovean  sapere 
la  salita  del  monte,  ma  non  cosi  parlando  poeticamente  e  umana- 
mente: esse  in  quest'ultimo  senso  la  doveano  ignorare,  e  perciò, 
veggendo  persone,  che  credeano  pratiche  di  quel  luogo,  ragionevol- 
mente la  doveano  dimandare. 

Come  si  vedo,  Dante  attribuisce  alle  auime  purganti  gran  parte 
del  fare  e  del  sentire  che  aveano  quando  viveano  nel  loro  corpo  e 


CANTO  II.  61 

60.        Mostratene  la  via  di  gire  al  monte, 
E  Virgilio  rispose  :  Voi  credete  4t 
Forse  che  siamo  sperti  d'esto  loco;  w 
Ma  noi  sem  peregrin  come  voi  siete.  u 
Dianzi  venimmo  innanzi  a  voi  un  poco  4i> 
Per  altra  via,  che  fu  sì  aspra  e  forte,  * 
Che  lo  salire  ornai  ne  parrà  gioco. 
L'anime  che  si  far'  di  me  accorte, kl 

le  fa  parlare  ed  operare  molte  volte  in  guisa,  che  non  parrebbe  da 
que*  luoghi;  ma  tali  fantasie  del  poeta  non  ai  troveranno  diretta- 
mente contrarie  al  dogma,  ned  egli  avrebbe  altrimenti  potato  com- 
porre la  sua  Commedia. 

Noto  un'altra  cosa  ed  è  la  voglia  di  quelle  anime  per  ire  ai 
tormenti,  perchè  appunto  hanno  voglia  di  purgarsi  per  veder  Dio 
il  più  presto  possibile. 

42  E  Virgilio  rispose.  In  questo  fatto  può  risponder  Virgilio,  per- 
chè era  cosa  puramente  naturale.  E  poi  si  trattava  di  una  risposta 
negativa,  cioè  che  nemmen  essi  poeti  sapeano  la  via  che  si  dovesse 
tenere.  Dante  lascierà  sempre  a  Virgilio,  anche  qui  in  Purgatorio, 
una  cotal  supremazia  su  di  sé,  ed  una  direzione  superiore  in  tutto 
ciò,  che  sarà  ristretto  ai  limiti  naturali. 

W  Forse  perchè  forse  e  non  cerio  f  Perchè  anche  la  dimanda  di 
quell'anime  era  concepita  in  modo  dubitativo. 

4i  Peregrin,  come  voi  siete.  Nuovi  come  voi. 

4»  Un  poco.  Allora  erano  le  6.10  antim.  (come  abbiamo  veduto) 
e  abbiamo  pure  veduto  (Append.  al  Canto  XXXIV,  Jnf.)  che  i  poeti 
sbucarono  al  Purgatorio  alle  ore  2.50  antim.  Dunque  questo  Diansi 
venimmo  innanzi  a  voi  un  poco,  si  riferisce  allo  spazio  di  tempo  che 
corre  tra  le  2.50  e  le  6.10.  Vuol  dir  dunque  :  Siamo  qui  giunti  da 
sole  ore  3.20. 

ttPer  altra  via  ecc.  Per  la  via  d'Inferno,  che  però  non  dice, 
perchè  non  era  del  caso  lo  specificarlo.  Noi  abbiamo  veduto  abba- 
stanza la  difficoltà  del  cammino  d' Inferno.  La  natura  di  una  tale 
risposta  dovea  stuzzicare  immensamente  la  curiosità  di  quelle  anime, 
ed  è  un  grande  artifizio  poetico  l' introdurla,  perchè  così  si  creano 
incidenti  sempre  nuovi  e  naturali. 

47  Vanirne  che  si  fur  ecc.  Alla  strana  risposta  di  Virgilio  era  na- 
turale, che  quell'anime  fissassero  ben  bene  i  due  forestieri,  ed  ecco 


52  PURGATORIO 

Per  lo  spirar,  oh'  io  era  ancora  vivo, 
Maravigliando  diventaro  smorte. 
70.    E  come  a  messaggier,  che  porta  olivo,  ** 
Tragge  la  gente  per  udir  novelle,  *• 
E  di  calcar  nessun  si  mostra  schivo  ;  w 
Così  al  viso  mio  s'affisar  quelle 
Anime  fortunate  tutte  quante, 
Quasi  obliando  d' ire  a  farsi  belle.  5I 

che  fissandoli,  si  accorgono  di  una  grande  novità,  la  novità  che  uno 
di  essi  due  era  vivo ,  e  se  ne  accorgono  non  dal  romore  dei  piedi 
(che  allora  Dante  con  Virgilio  stava  fermo),  né  dalla  voce  (che  al- 
lora Dan  fé  taceva),  ma  dal  respiro,  che  produce  un  movimento  del 
torace,  per  l1  aria  che  un  corpo  vivo  dee  aspirare  e  respirare  dai 
polmoni,  di  che  non  han  bisogno  le  anime.  Laonde  è  naturale  in  esse 
una  maraviglia,  che  va  allo  smarrimento. 

*s  Che  porta  olivo.  Le  fiondi  di  olivo  sono  il  segno  della  pace, 
portata  dai  messaggieri,  o  araldi,  che  ora  con  voce  barbara  si  di- 
cono parlamentari,  i  quali  in  luogo  di  olivo  usano  presentemente 
innalzare  bandiera  bianca,  o  fazzoletto  bianco.  La  venuta  di  tali 
personaggi  suscita  in  tutti  la  più  veemente  curiosità,  e  la  suscitava 
assai  più  nel  medio  evo,  quando  i  Comuni  tutti  d'Italia  si  gover- 
navano da  sé  medesimi,  e  il  popolo  intero  prendeva  parte  ai  consi- 
gli o  della  pace  o  della  guerra. 

*9  Per  udir  novelle.  Quali  sarebbero  le  condizioni  della  pace  signi- 
ficata per  T  olivo. 

so  E  di  calcar  ecc.  Nessuno  ha  riguardo  dell'  altro  per  cacciarsi 
avanti  più  che  può. 

M  Quasi  obliando  d'ire  ecc.  Perchè  quasi  obliando  t  Perchè  vera- 
mente non  poteano  obliare  il  loro  fortunato  destino,  al  quale  anzi 
aveano  rivolto  la  punta  del  lor  desiderio.  Infatti  lo  aveano  mostrato 
appena  sbarcate;  perchè  dopo  due  soli  minuti  d'incertezza  sulla  strada 
da  prendere,  vedute  due  persone  sul  lido,  eh'  erano  i  due  poeti,  cre- 
dendoli aperti  del  luogo,  prima  ancora  di  giungere  affatto  ad  essi, 
li  pregarono  dicendo  :  Mostratene  la  via  di  gire  al  monte.  —  A  farsi 
belle.  A  purgarsi  o  delle  colpe  veniali,  o  del  reato  delle  colpe  mor- 
tali già  rimesse  e  non  del  tutto  espiate  con  opere  satisfattone,  meutre 
viveano.  Dobbiamo  qui  ammirare  la  perizia  poetica  di  Dante.  Egli 
dovea,   come  teologo,  porre  in  quest'anime  purganti  un  veemente 


CANTO  TI.  .      53 

F  vidi  una  di  lor  trarresi  avatite  w 

Per  abbracciarmi  con  si  grande  affetto, 
Che  mosse  me  a  far  lo  somigliante.  *3 

O  ombre  vane,  fuor  che  nelT  aspetto  !  54 

impulso,  die  le  spingesse  alla  loro  purgazione,  e  tuttavia  come  poeta 
gli  mettea  bene  rattenerle  a  servigio  di  nuove  scene  che  si  voleano 
aprire  al  lettore.  Come  ottener  questo  senza  ledere  i  diritti  della  teolo- 
gia? Eccolo:  con  offrir  loro  uno  spettacolo  di  curiosità  si  nuovo  e  ma- 
raviglioso,  che  potesse  interessarle  per  un  momento  almeno.  E  lo  spet- 
tacolo fu  appunto  la  sua  stessa  persona,  un  vivente  al  Purgatorio. 
Chi  non  le  avrebbe  scusate  del  loro  fermarsi  e  della  voglia  d' inten- 
derne la  ragione? 

9*1'  vidi  tma  ecc.  Quest'anima  aveva  motivi  particolari,  e  perso- 
nali per  far  più  dell'altre  verso  Dante,  cioè  per  lanciategli  ad  un 
tenero  abbracciamento,  perch'era  conoscente  ed  amico  di  Dante,  come 
vedremo  subito.  Questa  dimostrazione  di  affetto  che  un  troppo  ri- 
goroso teologo  penerebbe  a  giustificare,  se  non  fosse  altro,  perchè 
ritarda  lo  slancio  delle  anime  a  Dio,  un  altro  teologo  più  moderato 
troverebbe  invece  di  giustificarla  appieno,  perchè  i  segni  d'affetto 
di  quest'anima  hanno  più  del  soprannaturale,  che  del  naturale,  stante 
che  sono  gioie  di  un'  anima  eletta  per  vedere,  che  anche  Dante  suo 
amico  è  in  grazia  di  Dio,  e  che  certamente  sarà  un  giorno  tra  gli 
eletti  con  lei. 

**  A  far  lo  80  mi  gitante.  Ad  abbracciarlo  con  grande  affetto. 

**  0  ombre  vane,  fuor  che  ecc.  Come  si  dice  nell'Inferno,  le  anime 
che  escono  dal  corpo,  e  vanno  all'altra  vita,  ricevono  in  senso  poe- 
tico un  corpo  aereo  in  luogo  del  vero  lasciato  al  mondo.  Allora  queste 
anime  assumono  il  nome  di  ombre,  che  sono  vane,  perchè  hanno  un 
corpo  formato  di  vano  aere,  che  non  si  può  palpare  e  stringere  co- 
me il  nostro  solido.  Ma  non  sono  vane  nell'aspetto,  perchè  riten- 
gono le  dimensioni;  le  forme  ed  il  colorito  del  vero  corpo  un  di  pos- 
seduto. 

Un  dubbio.  8e  dunque  l'aspetto  non  era  vano,  ma  vero,  cioè 
serbava  le  sembianze  del  corpo  antico,  com'è  che  Dante  non  conobbe 
a  prima  vista  questo  suo  amico,  ma  aspettò  che  parlasse,  e  allor  lo 
conobbe,  come  dirà  un  po'  più  sotto?  Due  sono  le  ragioni  del  non 
averlo  conosciuto  sull'istante  dell'abbracciamento  :  1.  Perchè  essendo 
quella  un'anima  eletta,  e  quindi  in  grazia  di  Dio,  doveva  avere 
un  aspetto  assai  migliore  di  quello  che  aveva  in  vita;  2.  Porchò  i 


54  PURGATORIO 

Tre  volte  dietro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
£  tante  mi  tornai  con  esse  al  petto. 

Di  maraviglia,  credo,  mi  dipinsi,  55 
Perchè  l'ombra  sorrise,  e  si  ritrasse; 
Ed  io,  seguendo  lei,  oltre  mi  pinsi.  M 

Soavemente  disse  eh'  io  posasse  :  *7 
Àllor  conobbi  chi  era,  e  pregai,  ** 
Che,  per  parlarmi,  un  poco  s'arrestasse.  w 

Risposemi:  Cosi,  com'io  t'amai 


60 


soli  lineamenti  e  fattezze  di  una  persona  potrebbero  ingannare,  suc- 
cedendo talvolta  che  uno  sia  eguale  all'altro,  come  spesso  avvien 
ne*  gemelli  :  per  conoscere  adunque  con  certezza  una  persona,  oltre 
le  sembianze  del  volto  ci  vuole  anche  il  suono  della  voce,  essendo 
assai  difficile  e  per  poco  impossibile,  che  due  persone  si  combinino  ad 
avere  e  la  persona  e  la  voce  precisamente  uguali. 

M  Di  maraviglia,  eredo,  ecc.  Dante  non  sa  con  certezza  se  abbia 
manifestato'  in  volto  la  meraviglia  nel  vedere  che  abbraccia,  e  nulla 
strìnge,  perciò  dice  eredo  ;  e  noi  sapea,  perchè  quando  si  opera  per 
un  grande  slancio  di  affetto,  la  mente  non  considera  troppo,  onde 
la  cosa  ci  passa,  senza  saper  come.  Da  che  poi  raccolse  Dante  d* es- 
sersi dipinto  di  maraviglia?  DalTaver  veduto  queir  ombra  sorrìdere. 
Dunque  il  perchè  di  questo  luogo  non  vale  per  la  qual  cosa,  ma 
per  ciò  che. 

**  Ed  io  seguendo  ecc.  È  naturale,  che  Dante  nell*  inavvertenza 
del  suo  operare,  credendo  trattar  come  al  solito  nel  mondo,  rifacesse 
i  suoi  abbracciamenti!  attribuendo  a  sbaglio  delle  sue  braccia,  quello 
eh* era  invece  difetto  dell'ombra. 

57  Soavemente  disse  ecc.  Essendo  un*  anima  che  al  mondo  avea 
avuto  una  voce  soavissima,  perciò  la  fa  parlare  soavemente  anche  qui, 

s*  Allor  conobbi  ecc.  Il  segno  della  voce  unito  al  segno  delle  sem- 
bianze, gli  diedero  la  certa  conoscenza  della  persona. 

39  Un  poco  ecc.  Perchè  un  poco?  Perchè  sapea  che  quell'anime  non 
erano  qui  per  fermarsi,  ma  erano  portate  dal  loro  stesso  istinto  a 
salire  alla  pena.  Perciò  prega  e  prega  solo  di  poco. 

«0  Risposemi:  Cosi  ecc.  Osservate  bene  il  senso  di  questa  terzina, 
credo,  non  inteso  finora  da  nessuno.  Tutti  i  commentatori  credono 
di  averla  spiegata  con  dire  :  Come  ti  amai  in  vita,  così  t'amo  adesso. 


CANTO  II.  55 

Nel  mortai  corpo ,  così  t'amo  sciolta; 
90.        Però  m'arresto  :  ma  tu  perchè  vai  ?  6i 


Ebbene,  spiegando  cosi,  so  tanto  quanto  prima,  ne  valea  la  pena  di 
spiegarla.  Per  cavarne  il  vero  senso  è  mestieri  che  ci  rammentiamo 
quanto  abbiamo  detto  alla  nota  51  di  questo  Canto.  Quelle  anime 
hanno  un  istinto;  che  le  porta  alla  pena  pel  desiderio,  che  sentono 
di  veder  Dio  il  più  presto  possibile,  né  varrebbe  ad  arrestarle  nessun 
motivo  puramente  naturale,  come  sarebbe  la  naturale  affezione  che 
si  ha  tra  amici.  Dante  dee  conservar  loro  questa  proprietà,  altrimenti 
degraderebbe  queir  anime,  e  contrarierebbe  il  loro  istinto.  Non  ci 
avrebbe  però  altro  motivo  per  cui  si  potessero  arrestare,  che  un 
motivo  di  ordine  soprannaturale,  quale  sarebbe  quello  somministrato 
dalla  religione  e  dalla  grazia  divina,  che  è  quanto  dire  il  motivo 
deQa  vera  carità  evangelica.  Ebbene  questo  è  appunto  quel  solo,  in 
forza  del  quale  si  arresta  questo  amico  di  Dante,  e  con  lui  le  anime 
sue  compagne.  Non  si  arresta  per  qualunque  amore,  anche  di  forca 
grandissima,  ma  ristretto  ai  limiti  naturali  :  egli  si  arresta  in  forza 
di  un  amore  assai  più  puro  e  sublime,  l'amor  che  viene  dalla  ra- 
gione e  da  Dio,  e  che  si  chiama  carità.  In  sostanza  egli  vuol  dire: 
Come  in  vita  t'amai,  non  naturalmente,  ma  soprannaturalmente,  cosi 
soprannaturalmente,  e  non  naturalmente  ti  amo  adesso.  Non  manco 
dunque  al  mio  carattere,  se  secondando  un  amore  si  tanto,  si  re- 
ligioso, si  soprannaturale,  mi  formo  teco  per  pochi  istanti;  ansi  io 
mancherei  a  quella  carità  che  qui  si  raffina,  se  per  tuo  bene  non 
volessi  arrestarmi. 

Dopo  tutto  questo  intenderete  la  ripetizione  di  quella  particella 
co&i:  cosi,  e  non  altrimenti  che  cosi,  io  t'amai,  e  t'amo;  ed  è  solo 
perchè  t'amai  cosi,  che  io  posso  e  debbo  e  voglio  arrestarmi. 

Oltre  di  ciò,  chi  ben  mira,  in  questo  cori  ripetuto,  hawi  la  prova 
che  dimostra  esser  vissuto  Casella  sempre  da  buon  cristiano,  perchè 
altrimenti  non  avrebbe  potuto  dire,  che  qui  ama  Dante  di  quella 
viva  carità,  colla  quale  lo  amava  in  vita;  che  carità  tale  non  può 
accogliersi  che  in  cuore,  il  quale  sia  in  grazia  di  Dio. 

Dunque  Casella  è  messo  dal  poeta  tra  quei  pochi  fortunati  che 
ruggirono  sempre  il  peccato  mortale,  e  non  caddero  che  in  venialità , 
il  che  però  bastava  per  subir  quella  pena  di  tardanza  al  Tevere  che 
or  or  si  dirà. 

m  Ma  tu  perchè  vai  t  A  che  fine  ottenesti  un  privilegio  si  grande, 
tu  vivo? 


56  PURGATORIO 

Casella  mio,  per  tornare  altra  volta  6* 
Là  dove  i'  son  fo  io  questo  viaggio,  63 
Di8s'  io;  ma  a  te  come  tanta  ora  è  tolta?  u 


0*  Cattila  mio.  Casella  era  un  fiorentino  amico  di  Dante,  peritis- 
simo della  musica,  bravo  compositore  e  cantante.  Secondo  il  Crescim- 
beni,  egli  àvea  messo  in  musica  qualcuna  delle  canzoni  di  Dante.  Il 
Boccaccio  d  descrive  Dante  per  molto  appassionato  e  dilettante  di 
musica,  e  l'Ottimo  ci  fa  l'elogio  del  musico  Casella. 

Per  tornare  altra  volta.  Venni  al  Purgatorio  (che  è  luogo  di 
salvazione)  da  vivo  per  poterci  ritornare  da  morto.  È  facile  poi  il 
conoscere  come  la  vista  dei  tormenti  del  Purgatorio  inflitti  per  il  pec- 
cato giovi  assaissimo  per  fuggirlo  e  quindi  salvarsi.  È  sempre  il  con- 
cetto cattolico  che  predomina. 

to  Là  dove  i'  son.  Dove  io  sono  presentemente.  Il  là  che  precede 
non  altera  il  senso;  perchè  si  può  dire:  La  dove  io  sono  e  qua  dove 
io  sono  indistintamente. 

6*3fa  a  te  come  tanta  ora  è  tolta?  A  te,  che  sei  morto  da  un 
pezzo,  come  fu  tolto  si  gran  tempo  qual  si  è  quello  daBa  tua  morte 
al  di  presente,  in  che  giungi  qui?  Quando  sia  morto  Casella  le  cro- 
nache noi  dicono  ;  ma  par  certo  da  quel  che  si  dice  più  sotto,  ch'egli 
fòsse  morto  prima  che  cominciasse  il  Giubileo,  cioè  prima  di  tre  mesi 
addietro  dal  giorno  presente  10  Aprile  1300.  Dunque  Dante  suppone 
poter  avvenire,  anzi  essere  avvenuto  che  uno  muoja  senza  che  su- 
bito la  sua  anima,  già  uscita  in  grazia,  vada  ai  Purgatorio  a  scon- 
tarvi U  propria  pena,  ma  che  invece  le  sia  differito  questo  passag- 
gio e  intanto  resti  (come  tosto  vedremo  )  alle  bocche  del  Tevere  a 
vedere  altre  anime  partire  pél  Purgatorio,  fino  a  nuove  disposizioni 
di  Dio  sul  suo  conto.  Questa  finzione  poetica  di  Dante  non  è  con- 
traria alle  credenze  cattoliche  sui  defunti,  come  ci  vuole  insegnare 
il  signor  canonico  Bracone  Bianchi  ne*  commenti  su  questo  passo, 
dove  dice  :  «  Che  tutto  ciò  è  fuor  della  credenza  cattolica,  che  non 
ritarda  punto  alle  anime  dei  morti  il  luogo  da  esse  meritato.  »  Ma 
io  rispondo  :  Non  è  forse  un  Purgatorio  anche  il  ritardo  del  Purga- 
torio ?  Anzi  il  ritardo  del  Purgatorio  non  è  un  Purgatorio  maggiore 
del  vero?  £  perchè  dunque  Dio  non  potrebbe  ritardarlo  a  chi  si  me- 
rita ohe  gli  sia  ritardato?  Sa  egli  che  Dio  non  l'abbia  mai  fatto? 
Basta  questo  per  un  poeta  perchè  senza  distruggere  o  contraddire 
la  credenza  cattolica  possa  ammetterlo  come  un  caso  possibile.  Dante 
non  lede  mai  i  principj  cattolici  in  un  poema  che  è  per  concetto  e 


CANTO  IT.  57 

Ed  egli  a  me  :  Nessun  m' è  fatto  oltraggio  C5 
Se  quei  che  leva  e  quando  e  cui  gli  piace, 66 
Più  volte  m'  ha  negato  esto  passaggio  ; 

-Che  di  giusto  voler  lo  suo  si  face  :  w 
Veramente  da  tre  mesi  egli  ha  tolto  68 

per  fine  cattolico.  Ma  Dante  non  solo  è  teologo  ma. poeta,  e  quindi  può 
a  giusta  ragione  ammettere  come  un  fatto  quello  che  è  sol  probabile. 
Intanto  abbiamo  qui  un  bel  luogo  parallelo  (col  suo  debito  di- 
vario, s* intende)  ad  uno  d'Inferno:  anime  sospese  là,  ed  anime  so- 
spese qua.  I  sospesi  d' Inferno  erano  nel  primo  cerchio  dove  stava 
Virgilio,  ed  i  sospesi  del  Purgatorio  sono  parte  alla  foce  del  Tevere, 
e  parte  nell'atrio  del  Purgatorio; e  tanto  questi  dell'atrio,  quanto 
quelli  del  Tevere  nella  sospensione  del  lor  Purgatorio  penavano  assai 
più  che  se  vi  fossero  entrati,  e  quindi  erano  sottoposti  ad  un  vero 
castigo  espiatorio. 

Questo  sistema  è  congegnato  maravigliosamente  bene. 

.  Ora  qual  fu  la  colpa  di  Casella,  che  gli  meritò  d'essere  ritar- 
dato alla  foce  del  Tevere?  Dico  che  dovea  essere  stata  una  colpa 
tale,  che  non  togliesse  la  grazia  di  Dio,  ossia  colpa  o  colpe  veniali. 
Provo.  A  nota  60  abbiamo  veduto  che  Casella  amava  Dante,  nel 
mondo,  come  lo  ama  qui.  Ma  qui  lo  ama  in  carità  e  santamente. 
Dunque  in  carità  e  santamente  lo  amava  in  vita.  Ma  questo  non 
può  unirsi  col  peccato  mortale.  Dunque  la  colpa  di  Casella  non  era 
mortale.  Che  maraviglia  per  un  bravo  cantore  che  fosse  un  po'  di 
vanità  e  di  ambizione  della  sua  bella  voce! 

6*  Nessun  m'e  fatto  oltraggio.  Ecco  una  bellissima  qualità  dell'anime 
sante,  che  escono  del  corpo,  una  si  perfetta  conformità  ai  giusti  vo- 
leri di  Dio,  da  prenderne  le  difese,  quantunque  soggiacciano  ai  ri- 
gori della  sua  giustizia. 

66 Se  quei  che  leva  e  quando  ecc.  Se  l'angelo,  quel  celeste  noc- 
chiero che  accoglie  nella  sua  barca  chi  vuole,  e  quando  vuole,  più 
volte  mi  rifiutò  questo  passaggio,  e  me  lo  ritardò  sino  al  giorno 
presente. 

67  Che  di  giusto  ecc.  Il  voler  dell'angelo  battellante  si  fa  del  voler 
divino,  e  quindi  di  voler  giusto,  al  quale  le  anime  sante  uscite  dai 
corpi  sono  conformatissime. 

W  Veramente  ecc.  È  il  latino  vcrumtamen,  tuttavia,  ciò  nulla  ostante. 
Non  ostante  cioè  che  io  dovessi  attendere  chi  sa  per  quanto  tem- 
po, alle  foci  del  Tevere  prima  che  mi  fosse  concesso  il  passaggio  al 


58  PURGATORIO 

Purgatorio,  sorse  una  tale  circostanza  felice  che  mi  abbreviò  la  esclu- 
sione o  l'esiglio,  e  questa  fu  l'occasione  del  grande  e  famoso  Giu- 
bileo centenario  di  Bonifazio  Vili  con  indulgenza  plenaria  applicabile 
a'  vivi  e  defunti.  Si  chiarisce  da  questo  luogo  che  Casella  era  morto 
prima  del  Giubileo,  altrimenti  non  parlerebbe  così  ;  e  quindi  cade 
la  supposizione  di  molti  che  credono  Casella  presente  in  Roma  con 
Dante  al  detto  Giubileo. 

Da  tre  mesi  egli  ha  tolto  —  Chi  ha  voluto  ecc.  Ecco  dichiarato 
il  tempo  scorso  dal  principio  del  Giubileo  del  1900  sino  a  questo 
giorno  10  Aprile  pure  1300.  Come  risultano  questi  tre  mesi?  Eccolo. 
L'anno  santo  va  per  iure  da  un  Natale  air  altro,  ossia  dai  25  Di- 
cembre. La  Bolla  poi  di  Bonifacio  Vili  prescrive  le  visite  di  15  giorni 
pei  pellegrini,  e  di  30  giorni  pei  Romani.  Dunque  fino  che  non  erano 
passati  15  giorni  dal  25  Dicembre  1299,  con  che  si  andrebbe  sino 
alli  8  Gennaio  1300,  nessuno  poteva  avere  acquistato  la  indulgenza 
ed  esser  tolto  in  barca  dall'angelo  alla  volta  del  Purgatorio.  Dibattete 
adesso  questi  15  giorni  da  giorni  108  quanti  scorrono  da  25  Dicem- 
bre a  10  Aprile,  ed  avrete  giorni  93:  da  questi  poi  dibattendo  il 
giorno  corrente  10  Aprile  perchè  appena  incominciato,  trovandoci  alla 
nascita  del  Sole  ;  e  dibattendo  pure  una  metà  del  di  di  Natale  che 
passa  prima  dell'  anno  santo,  e  dibattendo  anche  quel  pò1  di  tempo 
che  è  necessario  a  Casella  per  venir  dal  Tevere  al  Purgatorio,  tempo 
brevissimo,  se  in  due  minuti  si  vide  dalla  maggior  distanza  al  lido, 
come  abbiam  notato  di  sopra,  nota  1  e  39,  vi  trovate  avere  giorni 
91  */)  che  corrispondono  appunto  ad  una  metà  di  giorno  e  tre  mesi, 
due  de"  quali,  cioè  Gennaio  e  Marzo  sono  di  giorni  31,  e  Febbraio 
di  giorni  29,  perchè  il  1300  era  bisestile.  Ecco  la  ragione  perchè  il 
poeta  usò  la  frase  da  tre  mesi,  perchè  non  sono  tre  mesi  in  punto, 
ma  sono  tre  mesi  ed  un  mezzo  giorno.  Questa  di  Dante  si  dice  esat- 
tezza, ma  di  quella  fine. 

Se  questo  calcolo  è  esatto,  come  pare  fuori  di  dubbio,  dunque 
il  giorno  di  Pasqua  in  cui  siamo  oggi  al  Purgatorio,  è  veramente 
il  10  Aprile,  che  abbiamo  stabilito  nella  nostra  Tav.  II  de\V Inferno, 
dietro  1*  autorità  di  messer  Donato  Giannotti,  che  abbiamo  veduto 
adoperare  il  Calendario  di  Dante  prima  della  correzion  Gregoriana. 
Perchè  se  oggi  non  siamo  al  10  Aprile,  non  è  possibile  che  ci  com- 
biniamo coi  tre  mesi  qui  indicati  da  Dante;  ali* incontro  ci  combi- 
niamo perfettamente  ritenendo  la  Pasqua  al  10  Aprile. 

Ci  potrebbe  servire  di  una  controprova  il  vedere  che,  nel  1300, 
il  10  Aprile  cadeva  appunto  in  Domenica.  Come  si  fa  a  conoscerlo? 
Con  una  osservazione  semplicissima,  ed  è  la  seguente.  Noi  sappiamo 
dalla  Storia  di  quel  Giubileo  (Rohrbacher,  Storia  dellaChieta,  lib.  76, 


CANTO  li.  59 

Chi  ha  voluto  entrar  con  tutta  pace.  69 

an.  1300)  che  la  calca  dei  divoti  fu  immensa  nel  giorno  che  si  mo- 
strava la  Veronica,  ossia  nella  prima  Domenica  dopo  l'ottava  di  Epi- 
fania, la  quai Domenica  in  quell'anno  cadeva  nel  17  Gennaio. Dunque 
la  Domenica  susseguente  cadeva  nel  24  Gennaio,  la  susseguente  an- 
cora ai  81  e  cosi  di  seguito.  Troveremo  procedendo  di  questo  passo, 
(ricordandoci  però  che  il  Febbraio  del  1300  è  bisestile,  quindi  di 
giorni  29)  che  appunto  il  giorno  10  Aprile  cade  in  Domenica. 

Dunque  quelli  che  fanno  cominciare  il  viaggio  di  Dante  addì 
4  Aprile  (giovedì  santo)  e  quindi  mettono  la  Pasqua  del  1300,  addì 
6  Aprile,  sappiano  che  questo  giorno  non  cade  in  Domenica,  e  con 
ciò  solo  è  rovesciato  il  loro  computo.  A  questo  argomento  non  credo 
si  trovi  risposta. 

In  conferma  di  quanto  abbiamo  detto,  osservate  l'opera  insigne 
dei  Maurini :  L'Art  de  verifier  le*  dates  —  Pari»,  1110,  Table  chro- 
nologiqve  :  Le»  Pàquei.  Vi  troverete  la  Pasqua  del  1300  nel  giorno 
10  Aprile. 

£  questo  fia  suggel  che  ogni  uomo  sganni. 

69  Con  tutta  pace.  Con  plenaria  indulgenza,  quale  si  acquista  nel 
Giubileo. 

Un  dubbio.  L'indulgenza  plenaria  del  Giubileo  non  rimette  forse 
tutta  la  colpa  e  tutta  la  pena  in  modo,  che  se  uno  acquista  perfet- 
tamente il  Giubileo  se  ne  va  diritto  al  Paradiso?  Com'è  dunque  che 
si  trasportano  al  Purgatorio  dall'angelo  anche  quelli  che  noi  vediamo 
qui  avere  acquistato  il  Giubileo?  Rispondo  :  1.  Che  Giubileo  o  non 
Giubileo,  bisogno  o  non  bisogno  di  satisfare  con  pene  di  Purgato- 
rio, tutte  indistintamente  le  anime  che  escono  in  grazia  di  Dio,  s'im- 
barcano ^secondo  il  sistema  di  Dante)  alle  foci  del  Tevere,  e  sono 
condotte  al  Purgatorio,  dove  restano  se  hanno  da  purgarsi,  e  per 
dove  passano,  se  non  hanno  questo  bisogno.  Lo  dice  Dante  poco 
sotto  in  quelle  parole:  Perocc h è  sempre  quivi  si  raccoglie  ecc.; 
2.  Che  l'acquisto  del  Giubileo  in  modo  perfettissimo  non  è  cosa  facile. 
San  Filippo  Neri  seppe  che  nel  Giubileo  del  suo  tempo  solo  una  vec- 
chierella  lo  aveva  acquistato  compiutamente;  3.  Che  quantunque  il 
Giubileo  sia  per  sé  una  indulgenza  plenaria  con  remissione  intera  di 
colpa  e  di  pena,  pure  anche  in  esso  si  acquista  indulgenza  o  più  o 
meno  secondo  che  più  o  meno  si  è  disposto,  e  secondo  che  più  o 
meno  si  fanno  opere  meritorie  in  quel  tempo,  come  ha  dichiarato  Bo- 
nifacio  VITI  nella  sua  Bolla  pel  Giubileo  del  1300,  che  qui  abbiamo, 


60  PURGATORIO 

100.   Ond'  io  eh'  er'  ora  alla  marina  volto,  70 
Dove  l'acqua  di  Tevere  s'insala,  7I 
Benignamente  fui  da  lui  ricolto.  n 
A  quella  foce  ha  egli  or  dritta  l'ala: 
Perocché  sempre  quivi  si  raccoglie  73 

in  queste  parole,  che  sono  in  fine  di  essa  Bolla  :  «  Ma  quanto  più  ci 
verranno  spesso,  e  devotamente  (alle  visite),  e  tanto  più  il  loro  me- 
rito sarà  grande  e  l'indulgenza  efficace.  »  Dal  che  si  rileva  che  non 
ostante  l'acquisto  della  indulgenza  potrebbe  restar  qualche  cosa  da 
satisfare  potendosi  essa  acquistare  o  più  o  meno  ;  4.  Che  si  potrebbe 
commettere  qualche  lieve  mancamento  anche  dopo  acquistato  il  pieno 
Giubileo,  e  intanto  con  questo  mancamento  morire,  per  cui  si  rende 
necessario  il  Purgatorio  :  5.  Che  in  quanto  all'applicazione  della  in- 
dulgenza ai  defunti,  questa  potrebbe  non  succedere  intera  sebbene 
l'applicante  non  sia  mancato  in  veruna  cosa  da  sua  parte,  perchè 
ciò  dipende  dai  beneplacito  di  Dio,  che  accorda  più  o  meno,  e  forse 
niente,  secondo  che  più  o  meno ,  e-  forse  niente,  si  merita  il  pur- 
gante. L'applicazione  della  indulgenza  fetta  per  Casella  (come  si  vede) 
o  gli  fa  fatta  tardi  da'  suoi  amici  e  parenti,  o  gli  fu  fatta  imperfetta, 
o  se  anche  era  perfetta,  Dio'  dispose  che  non  gli  fòsse  concessa  su- 
bito, il  che  tutto  è  secondo  la  credenza  cattolica  sulle  indulgenze. 

70  Ch'er'ora.  Dunque  il  tempo  speso  nei  tragitto  da  Ostia  al  Pur- 
gatorio fu  tanto  breve  da  potersi  dire  :  Ora  io  era  ad  Ostia  ed  ora 
stesso  son  qui.  Questo  modo  di  parlare  non  porterebbe  che  pochi 
minuti. 

Anche  questa  osservazione  è  fotta  da  Dante  in  persona  di  Ca- 
sella, per  giustificare  la  rapidità  della  venuta  dell'angelo,  che  poi  ab- 
biamo veduto  essere  di  due  soli  minuti,  quanti  corrono  dal  principio 
del  disco  solare  al  suo  fine  nella  sua  comparsa  sull'orizzonte. 

Perchè  dice  volto  f  Per  indicare  che  suo  unico  desiderio  era  l'es- 
sere trasportato  al  Purgatorio,  e  quindi  guardava  sempre  a  quella 
parte,  onde  l'angelo  veniva  ed  andava. 

ti  Dove  l'acqua  ecc.  Dove  l'acqua  dolce  del  Tevere  sbocca  in  mare 
e  diviene  salata.  A  quella  foce  è  Ostia. 

7 2  Benignamente  ecc.  Qualche  buon'anima  in  quel  dì  gli  dee  aver 
applicata  l'indulgenza;  giacché  l'indulgenza  del  Giubileo  e  applica- 
bile ai  vivi  ed  ai  defunti. 

78  Perocché  sempre  quivi  ecc.  Secondo  il  sistema  poeticamente  cat- 
tolico di  Dante,  tutte  l'anime  che  vanno  a  salvazione,  come  furono 


CANTO  II  ei 

Qual  verso  d'Acheronte  non  si  cala. 
Ed  io  :  Se  nuova  legge  non  ti  toglie  74 
Memoria,  o  uso  all'amoroso  canto,  n 
Che  mi  solea  quetar  tutte  mie  voglie,  76 

unite  in  vita  a  Roma,  centro  della  vera  religione  pel  romano  Pon- 
tefice, che  vi  risiede,  così  dopo  la  separazione  del  corpo  deono  adu- 
narsi alla  foce  del  Tevere,  e  quivi  aspettare  il  loro  momento  di  par- 
tenia  sul  vascello  dell'angelo  che  le  conduce  tutte  al  Purgatorio,  di 
dove  passano  al  paradiso  terrestre  che  è  sulla  cima  di  quel  monte, 
e  di  là  al  paradiso  empireo. 

È  bello  e  giusto  il  divisamente  di  Dante  di  farle  andar  tutte 
al  Purgatorio  perchè  è  caso  quasi  improbabile  che  le  anime,  per  sante 
che  sieno,  non  abbiano  bisogno  di  qualche  purga;  se  è  vero  com'è 
verissimo  il  detto  di  Giob:  Septiea  caditjuatus;  e  l'altro:  In  angeli* 
sui*  reperii  pramtatem;  e  l'altro  ancora:  Ecce  qui  eerviunt  et  non 
sunt  itatele*. 

E  l'anime  che  vanno  alla  dannazione  dove  Dante  le  fa  egli  unire? 
Dante  le  fa  unire  alla  bocca  d' Inferno  sotto  la  riprovata  Gerusa- 
lemme, come  abbiamo  detto  nel  nostro  Discorso  preliminare.  Vedi 
Tav.  I,  In/.  La  scelta  di  questo  ingresso  pei  dannati  è  fatta  con 
molta  sapienza,  affinchè  essi  ricevano  la  loro  maledizione  da  quel 
Calvario  medesimo,  che  dovea  essere  la  loro  salute,  e  non  l'hanno 
voluta. 

7*  Se  nuova  legge  ecc.  Se  qualche  legge  a  te  posta  e  alle  anime 
tue  compagne  nella  nuova  condizione  in  cui  ti  trovo,  non  ti  ha  tolto 
la  memoria  o  .l'uso  della  musica. 

7*  Amoroso  canto.  Non  di  amore  profano,  ma  santo  e  divino.  Di 
canzoni  d' amor  profano  Dante  non  avrebbe  certo  toccato  a  Casella, 
ornai  divenuto  anima  santa  del  Purgatorio.  Questa  è  anche  una  prova 
del  genere  di  musica  a  cui  s'era  dedicato  Casella,  cioè  ad  una  mu- 
sica santa  e  religiosa  ;  e  questa  è  pure  la  prova  per  conoscere  di 
quali  canti  si  dilettasse  il  nostro  poeta  ,  cioè  di  quei  canti  che  in- 
nalzano la  mente  ed  il  cuore  a  Dio. 

76  Che  mi  solea  quetar  ecc.  Quel  canto  affettuoso  e  soave ,  che 
mi  rapiva  siffattamente  da  obbliare  ogni  affanno ,  e  trovarvi  anzi 
ogni  diletto.  Le  armonie  d'una  bella  voce  hanno  la  proprietà  di  ra- 
pire siffattamente  il  cuore,  che  pare  non  vivere  in  lui  verun  altro 
affetto,  che  il  piacer  di  quei  suoni.  Perciò  la  musica  fu  usata  in  ogni 
tempo  per  addolcire  le  amarezze  della  vita,  ottenendo  in  questo 


62  PURGATORIO 

Di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 
100.       L'anima  mia,  che  con  la  sua  persona  77 
Venendo  qui,  è  affannata  tanto. 

Amor  che  nella  mente  mi  ragiona,  w 
Cominciò  egli  allor  sì  dolcemente, 
Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 

Lo  mio  Maestro,  ed  io,  e  quella  gente  79 

effetti  portentosissimi.  Questo  di  ogni  music*  :  a  più  ragione  poi  di 
quella  musica  che  viene  avvalorata  da  pensieri  e  motivi  cattolici , 
capace  essa  sola  di  attutire  i  piaceri  sensuali,  e  di  lanciare  il  cuore  in 
Dio  fonte  d'ogni  piacere;  capace  essa  sola  di  sollevare  un'anima  abbat- 
tuta dalle  sventure.  Noi  sappiamo  quante  il  nostro  poeta  ne  avesse. 

77  L'anima  mia,  che  con  la  sua  persona — Venendo  ecc.  Cioè  unita 
al  corpo,  e  non  divisa  come  le  vostre.  Noi  abbiani  veduto  quanta 
fatica  ubbia  dovuto  durar  Dante  per  tutto  il  lungo  viaggio  d'In- 
ferno, e  per  l'altro,  pur  lungo  dall'Inferno  al  Purgatorio;  e  ciò  per 
avere  l'impaccio  del  corpo.  Allude  alle  parole  dette  sopra  da  Vir- 
gilio in  risposta  alle  anime  nella  prima  lor  giunta  :  Per  altra  via, 
che  fu  sì  aspra  e  forte,  —  Che  lo  salire  ornai  ne  parrà  giuoco.  Al- 
lude pure  a  tante  angosce  provate  alla  vista  di  tanti  tormenti,  e 
tanti  tormentati  in  Inferno. 

78  Amor,  che  nella  mente  ecc.  £  il  principio  della  seconda  canzone, 
che  si  trova  nel  Convito  di  Dante,  spiegata  da  lui  medesimo,  dove 
discorre  del  suo  amore  alla  filosofia,  ma  filosofia  cristiana,  piena  di 
pii  pensieri.  Casella  santo,  che  la  cantò  al  Purgatorio ,  ne  è  una 
prova.  È  poi  dimostrato  dal  contesto,  che  questa  è  una  di  quelle 
canzoni  che  Casella  avea  messe  in  musica ,  e  che  avea  cantato  iu 
vita  a  Dante  medesimo.  La  prova  di  ciò  la  trovate  nella  penultima 
terzina  : 

Ed  io:  Se  nuova  legge  non  ti  toglie 
Memoria  o  uso  all'amoroso  canto, 
Che  mi  solea  quotar  tutte  mie  voglie. 

Da  questa  terzina  apparisce  chiaro  che  Dante  vuol  da  Casella  un'aria 
di  quelle,  che  gli  solea  cantare  in  vita. 

7»  Lo  mio  Maestro,  ed  io.  E  cosa  di  poco  rilievo,  ma  la  noto  perchè  il 
non  eseguirla  sarebbe  errore.  Quando  ci  dobbiam  nominare  con  altri, 
dobbiam  nominarci  in  secondo  luogo,  come  qui  e  altrove  fa  Dante- 


CANTO  II.  63 

Ch'eran  con  lui,  parevan  sì  contenti 9  80 
Come  a  nessun  toccasse  altro  la  mente.  " 
Noi  eravam  tutti  fissi,  e  attenti 

Alle  sue  note,  ed  ecco  il  veglio  onesto,  82 

*o  Parevan  si  contenti.  Il  solito  parere  per  apparire,  mostrarsi 
evidentemente. 

**  Come  a  nessun  toccasse  ecc.  Come  nessuno  s'interessasse  di  altro, 
o  non  fosse  occupato  da  nessun  altro  interesse. 

Un  dubbio.  Come  mai  quell'anime,  che  abbiamo  detto  portate 
per  istinto  a  Dio,  ed  ai  mezzi,  che  loro  raffrettavano,  quali  sono 
le  peue  del  Purgatorio,  ora  si  sviano  da  questo  fine  per  umane 
canzoni? 

Rispondo:  1.  Che  la  canzon  cantata  da  Casella  era  di  scusi  tutto 
religiosi  e  santi,  e  che  in  sostanza  avrebbe  potuto  essere  cantata  auche 
in  cielo,  perchè  innalzava  a  Dio,  ed  era  una  vera  lode  di  Dio.  Dun- 
que non  bisogna  dire  che  Casella  ed  i  suoi  si  sviassero  per  umane 
canzoni:  era  questo  piuttosto  un  aguzzare  il  desiderio,  che  avevan 
di  Dio,  ed  un  prelibarne  la  beatitudine;  2.  Che  Casella  ed  i  suoi 
compagni  si  fermarono  a  questo  canto,  perch'  era  un  atto  di  carità 
esercitato  verso  un  fratello  bisognoso,  al  quale  nemmeno  i  beati  si 
ricusano;  3.  Che  quanto  alla  sospensione  del  loro  Purgatorio,  tanto 
da  loro  desiderato,  qual  mezzo  per  giungere  a  Dio,  la  poteauo  tol- 
lerar volentieri  in  vista  appunto  del  giovamento  spirituale  che  potean 
con  quel  canto  recare  ad  un  uomo  ancor  mortale. 

Leggiamo  in  fatti  di  santi  (tra  gli  altri  di  Mosè  e  San  Paolo) 
che  quantunque  assai  desiderosi  di  andarsene  a  Dio,  tuttavia  pel 
bene  dell'anime  desideravano  di  starsene  ancora  in  terra  :  e  S.  Igna- 
zio diceva  a  questo  proposito,  che  sé  fosse  stata  in  lui  la  scelta  o 
di  andare  subito  a  posseder  Dio,  o  di  restarsene  a  questo  mondo 
a  zelar  la  salute  dell'anime,  coli' incertezza  del  paradiso,  di  buon 
grado  si  sarebbe  appigliato  a  quest'ultimo  partito.  Dunque  quelle 
anime  avevano  buona  ragione  di  arrestarsi,  la  qual  loro  ragione  non 
potea  conoscere  né  sentire  Catone ,  perchè  non  mosso  come  quelle 
da  carità  soprannaturale;  donde  i  suoi  rimproveri. 

M  Ed  ecco.  Questo  ed  ecco  vale   un  tesoro ,  tanto  è  ben  col- 
locato. 

Il  veglio  onesto.  Catone.  Lo  dice  onesto,  cioè  venerabile  per  la 
maestà  dell'aspetto,  come  lo  disse  nel  I  Canto:  Degno  di  tanta  ri- 
verenza in  vista. 


64  PURGATORIO 

120.       Gridando  :  Che  è  ciò  spiriti  lenti  ?  M 
Qual  negligenza,  quale  stare  è  questo  ? 
Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio,  M 
Ch'esser  non  lascia  a  voi  Dio  manifesto. 
Come  quando,  cogliendo  biada  o  loglio 
Gli  colombi  adunati  alla  pastura, 8b 
Queti,  senza  mostrar  l'usato  orgoglio,  ** 
Se  cosa  appare  ond'elli  abbian  paura, 
Subitamente  lasciano  star  l'esca 
130.       Perchè  assaliti  son  da  maggior  cura;  *7 

*3  Gridando:  Che  è  ciò  spiriti  lenti?  La  nota  virtuosa  severità 
di  Catone,  che  ad  altro  non  guarda,  che  al  fedele  adempimento  dei 
commessogli  uffizio,  quanto  non  è  qui  bene  tratteggiata! 

8i  Scoglio.  Scoglio  è  la  camicia  o  la  veste,  che  ha  formato  intorno 
a  sé  stesso  il  serpente  stando  sotterra  nel  verno,  da  cui  esce  alla 
primavera.  Ebbene  ora  che  per  quell'anime  hyems  transiit,  imber 
abiit ,  et  recessit ,  si  può  dire  ad  esse  exuite  veterem  hominem  et 
induite  vos  novum  hominem  qui  secundum  Deum  creatile  est  ecc.,  ite 
a  spogliarvi  di  quella  scorza ,  che  fece  intorno  a  voi  V  inverno  del 
mondo,  e  colla  quale  non  potrete  giunger  a  veder  Dio. 

85  Gli  colombi.  Vaghissima  e  bene  appropriata  Bimilitudine  i  cui  prin- 
cipali riscontri  col  fatto  delle  anime  sono  questi:  il  queto  e  tranquillo  ci- 
barsi dei  colombi  adunati  e  l'attento  ascoltare  delle  anime  al  canto  di 
Casella:  e  la  fuga  scompigliata  dei  primi  per  improvvisa  paura,  e  il  pre- 
sto fuggire  di  quelle  anime  alla  presenza  e  al  rimprovero  di  Catone. 

86  Queti.  Perchè  attendono  alla  pastura.  Senta  mostrar  l'usato 
orgoglio.  Questo  orgoglio  consiste  nei  movimenti  altezzosi  che  danno 
al  collo,  camminando,  onde  par  che  facciano  pompa  di  sé  stessi.  Questa 
specie  di  colombi  è  molto  timida. 

87  Da  maggior  cura.  Dalla  cura,  o  sollecitudine  di  salvarsi ,  che 
è  maggiore  dell'amor  dell'esca.  Circostanza  benissimo  appropriata  a 
quelle  anime.  La  paura  di  Catone  che  non  sapeano  chi  fosse,  né  che 
autorità  vi  godesse,  ma  che  presero  per  una  gran  cosa,  servì  a  dis- 
taccarli dal  canto  per  la  cura  di  loro  intera  salvezza,  che  si  com- 
piva pel  Purgatorio,  e  dalla  quale  s'erano  momentaneamente  distolte 
per  carità  del  prossimo,  cioè  di  Dante,  assaggiando  colà  come  di  furto 
uu  granellino  di  piaceri  armonici  di  paradiso. 


CANTO  II.  65 

130.   Così  vid'  io  quella  masnada  fresca  M 

Lasciar  il  canto,  e  fuggir  ver  la  costa, 
Com'  uom  che  va,  né  sa  dove  riesca  :  89 
Né  la  nostra  partita  fu  nien  tosta. 

8*  Masnada  fresca.  Masnada  venuta  di  fresco,  da  poco  al  Pur- 
gatorio. Vedremo  al  principio  del  Canto  seguente  quanto  tempo  fosse 
trascorso  dalla  sua  venuta  a  questo  momento  della  fuga. 

Ora  il  termine  masnada  ha  un  senso  obbrobrioso:  nel  trecento 
non  era  così.  Le  masnade  erano  truppe  di  soldati  onorati  d' Italia, 
detti  perciò  masnadieri,  presi  agli  stipendi  or  d'una  or  d'altra  re- 
publica  secondo  i  bisogni.  In  processo  queste  masnade  si  diedero  alle 
ruberie  ed  al  delitto  :  perciò  il  loro  nome  restò  in  senso  di  vitupero. 

89  Cora*  uom  che  va  ecc.  Catone  né  ai  poeti ,  né  a  quelle  anime 
indicò  qual  fosse  la  salita  ;  ma  almeno  ai  poeti,  per  ragion  di  Dante, 
che  avea  corpo ,  disse  :  Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddiia.  A 
quell'anime  invece  ch'erano  senza  corpo  era  buona  qualunque  salita. 


0 


CANTO    III 


ARGOMENTO. 

Dal  mare  corrono  i  poeti  su  per  la  pianura  inclinata.  S'arre- 
stano finalmente  a  pie  della  roccia  impraticabile  che  cinge  il  Pur- 
gatorio.  Se  ne  starino  dubbiosi  del  dove  trovar  la  salita.  Veggono 
intanto  a  sinistra  venir  verso  di  loro  alcune  anime.  Vanno  ad  in- 
contrarle, e  dimandano  per  dove  si  potrebbe  salire.  Le  anime  ac- 
cennano, e  vengono  coi  poeti.  S'accorgono  che  Dante  è  vivo,  ed  un 
di  loro,  cioè  Manfredi  re  di  Sicilia,  gli  si  manifesta,  dichiarando 
ch'eran  anime  riconciliate  bensì  con  Dio  in  morte,  ma  partite  dal 
mondo  colla  scomunica  della  Chiesa,  e  perciò  non  ammesse  per  lungo 
tempo  a  fare  il  lor  purgatorio. 

XB.  Vedi  tutti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  mia  Tav.I  e  la  Tav.  11,  Purg, 


Avvegnaché  la  subitana  fuga 
Dispergesse  color  per  la  campagna,  i 
Rivolti  al  monte,  ove  ragion  ne  fruga;  * 


*  Dispergesse  ecc.  Precisamente  come  fanno  i  colombi  per  improv- 
viso spavento  fuggenti  dal  campo,  che  svolazzano  dispersi  qualche 
tratto,  tendenti  ad  unirsi  più  da  lungi. 

*  Rivolti  ecc.  Già  per  istinto  erano  portati  al  monte ,  e  perciò 
nella  fuga  tengono  quella  direzione.  Vedi  Purg.  Tav.  II. 

Ragion  ne  fruga.  Giustizia  divina  ne  fruga,  ossia  ne  cerca  in 
ogni  parte  colle  pene  per  lavarci  ogni  macchia 


i 


68  PURGATORIO 

Io  mi  ristrinsi  alla  fida  compagna:  3 
E  come  sare'  io  senza  lui  corso  ? 
Chi  m'avria  tratto  su  per  la  montagna  ? 
Ei  mi  parea  da  sé  stesso  rimorso  :  4 
O  dignitosa  coscienza,  e  netta,  b 
Come  t' è  piccipl  fallo  amaro  morso  !  6 
io.     Quando  li  piedi  suoi  lasciar  la  fretta, 

Che  Tonestade  ad  ogni  atto  dismaga,  7 
La  mente  mia  che  prima  era  ristretta,  8 


*  Io  mi  ristrinsi  ecc.  È  una  antitesi ,  e  sta  iu  questo  :  Sebben 
tutte  l'anime  nella  fuga  si  dispergessero,  io  ch'era  pur  fuggente  non 
mi  divisi  però  dalla  compagnia  {compagna)  di  Virgilio.  Ciò  era  na- 
turale, perchè  le  anime  non  aveano  bisogno  l'ima  dell'altra;  ma  Dante 
avea  bisogno  di  Virgilio.  Questo  bisogno  lo  esprime  nei  due  versi, 
che  seguono. 

*  Ei  mi  parea  ecc.  Virgilio  mostrava  nell'  atteggiamento  della 
faccia  mesta  ed  avvilita  come  un  rimorso  di  coscienza,  e  ciò  per  essersi 
meritato  un  indiretto  rimprovero  di  Catone,  in  quanto  che  permet- 
tendo a  Dante  d'arrestarsi,  ed  arrestandosi  egli  stesso  con  gran  pia- 
cere dietro  il  canto  di  Casella,  fu  cagione,  che  quelle  anime  pren- 
dessero dal  vecchio  un  rimbrotto. 

3  0  dignitosa  ecc.  Nel  Canto  I  d' Inferno  abbiam  detto  abba- 
stanza della  probità  di  Virgilio.  In  quanto  poi  fu  preso  a  significar 
la  ragione  pura,  questa  lode  gli  si  affa  ancor  meglio. 

6  Come  t'è  picciol  fallo  ecc.  Per  Virgilio,  come  per  Cafone,  quella 
fermata  e  quel  canto  fu  un  fallo,  e  lo  doveva  anche  essere,  attese 
le  cognizioni  limitate  che  si  attribuiscono  a  Virgilio  ed  a  Catone. 
Ma  noi  abbiamo  dimostrato  che  non  fu  un  vero  fallo  né  per  Dante 
nò  per  le  anime,  giacché  tutto  provenne  dall'amore  di  Dio  che  fa 
essere  amorevoli  verso  il  prossimo. 

7  Che  V  onestade  ad  ogni  ecc.  Dante  osserva  che  il  correre  non 
è  conveniente  alla  dignità  ed  alla  modestia,  che  dee  serbare  ne'  suoi 
movimenti  ogni  uom  grave,  e  che  quella  fuga  avea  dismagato,  o 
fatto  perdere  a  Virgilio  il  suo  contegno  grave  mantenuto  fino  allora. 

8  La  mente  mia,  che  ecc.  La  paura,  nell'atto  che  stringe  il  cuori', 
stringe  anche  la  mente.  Infatti  quando  siamo  dominati  da  una  improv- 
visa paura  la  mente  nostra  si  fa  confusa,  e  limita  la  cerchia  di  sue  vedute 


CANTO  111.  69 

Lo  intento  r allargò,  sì  come  vaga  ;  * 

E  diedi  il  viso  mio  incontro  al  poggio,  i0 
Che  inverso  il  ciel  più  alto  si  dislaga. 

Lo  sol,  che  dietro  fiammeggiava  roggio,  !l 
Rotto  m' era  dinanzi,  alla  figura,  " 

9  Lo  intento  r allargò,  à  ecc.  Railargò  la  sua  ristrettezza  essendo 
(sì come)  ornai  libera  (vaga).  Libera  da  che?  Libera  dalla  paura, 
che  fu  cessata  col  cessar  del  correre  di  Virgilio.  Perchè  chi  non 
fugge  più,  vuol  dire  che  è  fuori  di  pericolo,  e  quindi  non  è  più  do* 
minato  dalla  paura. 

40  E  diedi  il  viso  ecc.  Guardai  alla  cima  del  monte ,  la  quale  si 
solleva  più  d'ogni  sua  parte  dal  livello  delle  acque,  o  si  dislaga  più 
in  alto.  Perchè  guardò  alla  cima,  e  non  al  piede  per  cui  dovea  trovar 
la  salita?  Perchè  sempre  chi  sale  una  montagna  guarda  più  facil- 
mente, e  più  spesso  la  cima  che  altro,  essendo  quella  il  termine  di 
sue  fatiche.  E  naturalissimo. 

*i  Lo  sol  ecc.  Il  sole  è  rossastro  (roggio)  quand'è  vicinissimo  al- 
l'orizzonte dopo  la  nascita  e  prima  del  tramonto,  e  ciò  proviene  dal 
venirci  la  sua  luce  all'  occhio  orizzontalmente,  o  quasi,  alla  terra,  e 
dal  passare  ch'essa  fa  per  le  esalazioni  terraquee.  Di  mano  in  mano 
poi,  che  il  sole  s'innalza  sull'orizzonte,  perde  quel  color  rosso  e  si 
atteggia  al  giallo,  perchè  i  raggi  della  sua  luce  passano  da  esso  al 
nostro  occhio  traversando  solo  per  piccoli  strati  di  vapori.  Questo 
stato  del  sole  può  durare  poco  più  di  u^  ora,  che  a  n.  16  si  deter- 
mina per  ore  1.20.  Avendo  adunque  veduto  di  sopra,  Canto  II,  n.  39, 
ehe  il  sole  era  levato  tutto  sull'orizzonte,  e  che  perciò  erano  le  6.10 
antimeridiane  per  essere  noi  nel  Purgatorio  ai  9  Ottobre,  corrispon- 
dente ai  10  Aprile  di  Gerusalemme,  ne  viene  per  conseguenza  che  sieno 
passate  ore  1.20  dopo  le  6.10.  Dunque  abbiamo  ore  7.30  antim.  Ciò 
verrà  confermato  alla  nota  16  susseguente. 

te  Rotto  m'era  ecc.  Dunque  Dante  avea  il  sole  alla  schiena,  e  il 
monte  in  faccia,  stando  rivolto  verso  occidente.  In  questa  positura 
Dante  gettava  l'ombra  della  sua  persona  non  dall'uno  dei  fianchi, 
ma  dal  dinanzi  della  sua  persona.  I  raggi  del  sole  trovando  un  corpo 
denso,  opaco  ed  impermeabile,  si  arrestano  a  questo  corpo  (ecco  il 
sole  rotto),  e  di  qui  l'ombra  sulla  terra.  £  qual  figura  disegnava 
quest'ombra?  La  figura  di  un  uomo,  ossia  di  Dante,  perciò  egli  dice 
alla  figura ,  cioè  al  modo  di  quella  figura  che  delineavano  i  raggi 
rotti  ed  appoggiati  in  me. 


70  PURGATORIO 

Ch'aveva  in  ine  àe  suoi  raggi  l'appoggio. 
Io  mi  volsi  dallato  con  paura  " 
20.         D' essere  abbandonato,  quando  i'  vidi 

Solo  dinanzi  a  me  la  terra  oscura. 
E  '1  mio  Conforto  :  Perchè  pur  diffidi,  u 

A  dir  mi  cominciò  tutto  rivolto  ;  " 

Non  credi  tu  me  teco,  e  ch'io  ti  guidi? 
Vespero  è  già  colà,  dov'è  sepolto  *6 

Lo  corpo,  dentro  al  quale  io  facev' ombra: 

*8  Io  mi  volsi  dallato  ecc.  Dopo  l'ingresso  in  Inferno  è  questa  la 
prima  volta  che  Dante  si  trova  con  Virgilio  a  splendore  di  sole,  e 
quindi  è  naturale,  che  si  faccia  maraviglia  delle  differenze  che  il  sole 
ha  in  lui  ed  in  Virgilio.  Questi  avendo  corpo  aereo,  lasciava  passare 
i  raggi  del  sole ,  e  però  non  gettava  ombra  :  Dante  invece,  che  avea 
vero  corpo,  gettava  la  sua  ombra.  Onde  Dante,  che  era  a' fianchi 
di  Virgilio ,  non  vedendo  dinanzi  a  sé  due  ombre  ma  la  sola  ombra 
sua,  è  naturale  che  tema  d'essere  da  Virgilio  abbandonato,  e  si  volga 
dallato  per  accertarsi  se  Virgilio  c'era  o  non  c'era. 

i*  Conforto.  Virgilio. 

«  Tutto  rivolto.  Chi  parla  con  grande  affetto  ad  una  persona  già 
bisognosa  di  conforto  si  rivolge  tutto. a  lei. 

«6  Vespero  è  già  colà  ecc.  Gli  rende  ragione  perch'egli  non  getti 
l'ombra  in  terra  come  Dante,  ed  era  perchè  non  aveva  corpo,  il  quale 
tolto  da  Brìndisi  fu  portato  a  Napoli  e  colà  sepolto.  A  Napoli  poi, 
qual'ora  faceva  in  quel  momento  che  Virgilio  cosi  parlava  ?  Dice  che 
facea  vespero,  o  sera,  la  quale  comincia  appena  tramontato  il  sole. 
Vuol  dire  in  somma  che  per  Napoli  tramontava  il  sole.  Infatti  dovea 
esser  cosi.  Eccone  la  prova.  Quanti  gradi  di  distanza  abbiamo  tra 
Gerusalemme  e  Napoli?  La  distanza  di  20  gradi.  Ma  noi  sappiamo 
che  il  sole  impiega  un'ora  a  percorrere  15  gradi,  e  perciò  minuti  20 
a  percorrere  5  gradi.  Dunque  se  il  sole  tramontava  per  Napoli,  già 
di  ore  1.20  era  tramontato  per  Gerusalemme.  E  poiché  il  Purgatorio 
è  antipode  di  Gerusalemme,  perciò  se  di  ore  1 .20  è  tramontato  per 
Gerusalemme,  di  ore  1.20  parimente  è  sorto  pel  Purgatorio.  Nascendo 
esso  ai  Purgatorio  alle  6.10  nel  9  Ottobre  in  cui  siamo,  se  a  queste  6.10 
si  aggiungano  ore  1.20,  abbiamo  ore  7.30.  Con  ciò,  come  si  vede, 
si  determina  più  precisamente  Torà  solo  accennata  di  sopra  alla 
nota  11  del  sole  roggio. 


CANTO  III.  71 

Napoli  l'ha,  e  da  Brandisio  è  tolto.  {1 
Ora  se  innanzi  a  me  nulla  s'adombra, 

Non  ti  maravigliar,  più  che  de7  cieli,  i8 
30.         Che  l'uno  all'altro  raggio  non  ingombra. 
A  sofferir  tormenti,  e  caldi,  e  geli  i9 

Simili  corpi  la  Virtù  dispone;  *° 

Che  come  fa  non  vuol  che  a  noi  si  sveli.  *! 
Matto  è  chi  spera  che  nostra  ragione  ** 

t?  Napoli  ecc.  Virgilio  reduce  dalla  Grecia  giunto  a  Brindisi  cadde 
malato,  e  vi  mori.  Indi  il  suo  corpo  fu  trasportato  e  sepolto  a  Napoli, 
dove  gli  fu  innalzato  per  Augusto  un  magnifico  mausoleo  sul  quale  si 
disse  che  sorgesse  spontaneo  e  ingigantisse  col  tempo  un  bellissimo  lauro. 

**  Più  che  de*  cieli,  —  Che  ecc.  Secondo  il  sistema  Tolomaico,  i  cieli 
sono  di  una  sostanza  che  è  sottilissima,  e  perciò  lasciano  passare 
la  luce  d'uno  in  altro. 

*9  A  sofferir  ecc.  Dice  il  poeta  il  perchè  Dio  forma  intorno  alle  anime 
dell'Inferno  e  del  Purgatorio  questo  corpo  aereo,  cioè  perchè  bì  patisca 
nel  corpo  aereo  quello  che  si  sarebbe  patito  nel  vero  corpo,  se  si 
avesse.  Laonde  quando  risorgerà  il  vero  corpo,  e  sarà  dalle  anime 
pigliato,  non  ci  sarà  più  bisogno  del  corpo  aereo,  il  quale  non  ò  che 
una  sostituzione  precaria  del  vero.  Io  non  veggo  come  si  possa  dire  che 
questa  sia  una  teologia  bizzarra,  come  la  chiama  il  Venturi,  non  inten- 
dendo già  Dante  di  proporci  né  un  dogma,  né  un'opinione  teologica,  ma 
servendosi  di  tal  finzione  solo  per  poter  dipingere  sensibilmente  le  varie 
scene  di  spiriti,  che  nelT  immaginato  viaggio  non  si  sarebbero  potuto 
rendere  manifesti  senza  un  corpo  visibile.  Del  resto  chi  potrebbe  ap- 
puntar d'errore  una  tale  opinione?  Non  dà  Dio  un  corpo  aereo  anche 
agli  angeli,  quando  gli  manda  sulla  terra  in  qualche  missione  ? 

20  La  Virtù.  La  Virtù  divina,  la  Virtù  per  eccellenza,  la  Virtù 
in  persona,  in  somma  Dio. 

2*  Che  come  fa  ecc.  Dio  non  ci  svela  il  modo  con  cui  questo  opera, 
né  vuole  che  noi  lo  sappiamo.  Il  perchè  è  quello  che  abbiamo  detto 
ed  è  evidente;  il  modo  non  si  sa,  e  non  si  può  sapere. 

22  Matto  è  chi  spera  ecc.  Giacché  Virgilio  toccò  a  Dante  un  fatto  evi- 
dente, qual'era  l'attitudine  del  corpo  aereo  a  sofferir  tormenti  e  caldi 
e  geli,  il  che  sarebbe  il  perchè,  o  il  quia  della  cosa,  e  dichiarò  che 
non  si  conosceva  il  modo  (il  come)  di  questo  fatto,  perchè  Dio  noi 
volle  dirci,  toglie  di  qui  occasione  di  sferzare  la  pazzia  di  coloro, 


72  PURGATORIO 

Possa  trascorrer  la  infinita  via, 
Che  tiene  una  Sustanzia  in  tre  Persone. 
State  contenti,  umana  gente,  al  quia]  ** 
Che  se  potuto  aveste  veder  tutto,  u 
Mestier  non  era  partorir  Maria. 

che  presumono  con  ragione  finita  misurare  l'infinito,  quale  è  Dio 
nelle  sue  operazioni  fuori  di  sé,  o  ad  extra,  come  le  chiamano  i  Teo- 
logi, ed  accennate  dal  Poeta  in  quell'infinita  via  che  Dio  tiene, 
ed  in  sé  medesimo  e  nelle  operazioni  ad  intra  accennate  in  quella 
circonlocuzione  con  cui  nomina  Dio  una  Sostanza  in  tre  Persone,  che 
è  il  massimo  e  più  incomprensibile  dei  misteri.  La  Chiesa  stessa  nella 
Festa  della  SS.  Trinità  ripete  quasi  questa  medesima  sentenza,  colle 
parole  di  Paolo:  0  altitudo  divitiarum  scientiae  et  Bapicntiae  Dei  ! 
quamincomprehensibiliasunt  judicia  ejns,  etinvestigabilet  vico  eju*  ! 

»  Al  quia.  Al  perchè  degli  effetti,  che  vedete,  ossia  all'uso  degli 
effetti  stessi,  quale  si  era,  pei  caso  di  sopra,  che  diede  origine  a 
questa  intemerata,  il  perchè  dei  corpi  aerei,  che  aveano  l'anime  pe- 
nanti dell'  altro  mondo,  il  quale  perché  era  evidentissimo,  cioè  perchè 
quell'anime  possano  penare  anche  corporalmente,  senza  che  si  pre- 
suma d'investigare  come  ciò  avvenga,  il  che  sarebbe  voler  cono- 
scere sempre  anche  le  cause,  non  contenti  degli  effetti,  alla  sola  co- 
noscenza de'  quali  Dio  vuole  che  ci  limitiamo  sovente.  In  sostanza 
il  quia  nelle  scuole  del  Medio  Evo  era  la  dimostrazione  che  ora  noi 
diciatto  a  posteriori,  che  dagli  effetti  giudica  delle  cause;  come  il 
propter  quod  era  la  dimostrazione  che  ora  noi  diciamo  a  priori , 
che  dalle  cause  giudica  degli  effetti. 

2*  Che  %e  potuto  ecc.  Se  aveste  potuto  veder  tutto,  avreste  veduto 
tutte  le  conseguenze  immensamente  funeste  del  peccato  (alludesi  ad 
Adamo  ed  Eva)  e  cosi  non  avreste  peccato,  e  quindi  non  si  rendeva  ne- 
cessaria la  redenzione  per  mezzo  dell'  incarnazione  del  Verbo.  Tutti  i 
commentatori  spiegano  questo  verso  così  :  Mestier  non  era  che  Maria 
partorisse.  Io  invece  sarei  tentato  di  spiegare:  Mestier  non  era  che  fosse 
partorita  Maria.  Ambo  questi  sensi  riescono  alla  stessa  conclusione, 
e  quindi  sarebbe  per  sé  indifferente  prender  l'uno  o  l'altro.  Ma  ali*  ac- 
cennata spiegazione  m' inclina  l'osservare,  che  Dante  sparge  per  tutta 
la  Divina  Commedia  la  vita  di  Maria,  e  mancherebbe  un  cenno  della 
sua  natività  quando  non  si  volesse  vedere  in  questo  luogo.  Né  la  na- 
scita è  mai  trascurata  dal  Poeta,  quando  sia  interessante;  come  non  la 
trascurò  per  Virgilio,  per  S.  Francesco,  per  S.  Domenico. 


CANTO  Iti.  73 

40.     E  disiar  vedesti  senza  frutto  *i5 

Tai,  che  sarebbe  lor  disio  quetato, 
Ch*  eternalmente  è  dato  lor  per  lutto. 

r  dico  d'Aristotele,  e  di  Plato, 

E  di  molti  altri:  e  qui  chinò  la  fronte,  26 
E  più  non  disse,  e  rimase  turbato. 

Noi  divenimmo  intanto  appiè  del  monte: 
Quivi  trovammo  la  roccia  sì  erta  *7 
Che  indarno  vi  sarien  le  gambe  pronte. 

Tra  Lerici  e  Turbìa,  la  più  diserta,  * 
50-        La  più  rotta  ruina  è  una  scala 

Verso  di  quella  agevole  e  aperta. 

23  E  disiar  vedesti  ecc.  Altra  prova  che  i'uom  non  vede  tutto  è 
la  condizione  di  quelli,  che  son  sospesi  nella  città  dei  Savi  nell'In- 
ferno, i  quali  con  tutto  il  loro  ingegno  non  adorar  debitamente  Iddio, 
quel  Dio  per  cui  si  sentivano  fatti,  e  il  desiderio  del  quale  è  ora 
lasciato  loro  in  pena  ;  desiderio  che  sarebbe  stato  lor  soddisfatto  dopo 
morte  in  cielo,  se  avessero  adorato  Dio  debitamente  in  vita.  Del 
valore  di  questa  prova  potea  rendere  testimonianza  Dante  medesi- 
mo, che  avea  veduto  co'  suoi  propri  occhi  quegli  spiriti  magni  del 
primo  cerchio  d*  Inferno,  e  perciò  Virgilio  cita  lui  parlandogli  in  se- 
conda persona  e  dicendogli:  e  desiar  vedesti. 

*$  E  qui  chinò  la  fronte,  E  più  non  disse  ecc.  —  Perchè  tra  questi 
agraziati  era  pure  esso  Virgilio,  ond'è  naturalissimo  questo  suo  tur- 
bamento. 

&  Quivi  trovammo  ecc.  E  quella  cinta  di  roccia  che  comincia  a 
circa  7  miglia  sopra  il  livello  del  mare,  dove  aveva  sua  stanza  Ca- 
tone, e  donde  discesero  al  mare.  Vedi  Purg.  Tav.  II. 

28  Tra  Lerici  e  Turbìa  ecc.  In  quel  gran  semicerchio  che  forma 
d'ambo  i  suoi  lati  la  riviera  di  Genova,  bay  vi  Lerici  ad  oriente  sul 
golfo  della  Spezia,  e  Turbia  ad  occidente  nella  contea  di  Nizza.  Tutta 
questa  riviera  è  corsa  al  Nord  dalle  Alpi  marittime,  che  la  riparano 
dai  venti  settentrionali.  Prendete  dunque  in  tutta  questa  gran  corda 
di  montagne  quei  punti,  che  sono  più  impraticabili,  e  li  troverete 
una  scala  agevole  ed  aperta  in  confronto. di  questa  roccia  del  Pur- 
gatorio. Vedete  che  anche  noi  nel  nostro  disegno,  Tav.  II,  Purg.y 
abbiamo  fatto  la  montagna  assai  erta  dietro  la  descrizione  dantesca» 


74  PlTK<*ATOKl<  > 

Or  chi  sa  da  qual  man   la  costa  cala,  ** 
Dis«e  il  Maestro  mio,  fermando  il  passo,  Ju 
Sì  che  possa  salir  chi  va  senz'ala?  3I 

E  mentre  che,  tenendo  il  viso  basso,  M 
Esaminava  del  cammin  la  mente,  a8 
Ed  io  mirava  suso  intorno  al  sasso,  3* 

Da  man  sinistra  m' apparì  una  gente  3* 
D'anime,  che  moviéno  i  pie  ver  noi, 

29  La  costa  cala.  Chi  sa  dove  la  roccia  è  meno  erta,  se  a  dritta 
od  a  manca. 

30  Fermando  il  passo.  Più  avanti  non  si  potea  andare  per  la  roccia 
di  fronte:  volgendosi  a  dritta  od  a  manca  non  si  sapeva  di  far  bene: 
dunque  intanto  fermarsi  e  pensare.  È  naturalissimo. 

31  Chi  va  senz'ala.  Non  vuol  dire  di  se,  perchè  quantunque  non 
avesse  ali,  pure  non  avea  corpo  grave,  ma  vuol  dire  di  Dante,  che 
avendo  corpo  grave  non  aveva  ali;  ed  ali  ci  voleano  a  salire  in 
quel  sito. 

32  Tenendo  il  viso  basso.  Tutto  natura.  Quando  non  si  sa  la  via 
da  prendere,  in  quella  incertezza  si  fanno  tre  atti:  1.  Si  ferma  il 
pie;  2.  Si  china  il  viso;  S.  Si  pensa,  il  che  si  dira  subito  appresso. 

33  Esaminava  del  cammin  la  mente.  Esaminava  la  propria  mente 
intorno  al  cammino.  Ma  e  che  cosa  esaminava  di  quel  cammino,  se 
Virgilio  non  era  mai  stato  in  quei  luoghi,  e  perciò  non  ne  avea  pra- 
tica alcuna?  Ciò  non  ostante  io  dico  che  Virgilio  potea  prendere  ad 
esame  due  circostanze ,  e  tentar  se  da  quelle  potea  decidersi  se  do- 
vesse cercar  la  salita  verso  destra  o  verso  sinistra.  Le  due  circo- 
stanze erano:  1.  Lo  indirizzo  che  diede  a  loro  Catone  in  quelle  parole  : 

Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita: 
Lo  sol  vi  mostrerà,  che  surge  ornai, 
Prender  il  monte  a  più  lieve  salita. 

2.  La  direzione  presa  dall'altre  anime  nella  loro  fuga.  Queste  due 
cose  doveano  essere  la  materia  de' suoi  pensieri. 

34  Ed  io  mirava  suso  ecc.  Naturalissimo  anche  questo,  che  di  due 
i  quali  cercano  una  via  e  non  sanno  quale ,  mentre  Y  uno  pensa , 
T  altro  guardi. 

39  Da  man  sinistra.  Dal  mezzodì,  perchè  i  poeti  stavano  colla  faccia 
al  monte,  Occidente,  e  colla  schiena  all'Oriente. 


CANTO  III.  75 

#>•         E  non  parevan,  sì  venivan  lente.  3C 
Leva,  dissi  al  Maestro,  gli  occhi  tuoi:  87 
Ecco  di  qua  chi  ne  darà  consiglio, 
Se  tu  da  te  medesmo  aver  noi  puoi.  38 
Guardommi  allora,  e  con  libero  piglio  39 
Rispose:  Andiamo  in  là,  ch'ei  vegnon  piano,40 

E  tu  ferma  la  speme,  dolce  figlio.  4I 
Ancora  era  quel  popol  di  lontano,  4* 


36  E  non  parevan  ecc.  Non  si  vedeva,  non  appariva  che  venissero 
verso  di  noi,  perchè  ci  venivano  lentamente.  Se  il  moto  delle  per- 
sone, che  vediamo  l'abbiamo  traversalmente  al  nostro  viso,  allora 
ce  ne  accorgiamo,  quantunque  esso  moto  sia  poco  ;  ma  se  il  loro  moto 
è  diretto  alla  nostra  vista,  allora  bisogna  che  sia  veloce  perchè  ce 
ne  accorgiamo,  altrimenti  un  moto  lento  lo  prendiamo  facilmente  per 
immobilita.  £  perchè  queir  anime  venivan  lente?  1.  Perchè  state 
assai  lente  in  vita  a  pentirsi,  mentre  si  pentirono  solo  in  sul  morire  ; 
2.  Perchè  passate  dal  mondo  coi  legami  della  scomunica,  che  impe- 
discono la  scioltezza.  Quindi  la  tardità  era  loro  pena  molto  conve- 
niente, oltre  T  esclusione  dall'  incominciar  subito  il  vero  Purgatorio. 

37  Leva  ecc.  Non,  leva  gli  occhi  tuoi  al  monte ,  perchè  le  anime 
vedute  non  erano  in  alto  sopra  la  cerchia  di  rocce,  si  bene  sotto  e 
lunghesso  la  cérehia  (vedi  Purg.  Tav.  II);  ma  leva  gli  occhi  tuoi 
dal  suolo.  A  questo  li  aveva  avvallati  quando  fu  detto:  E  mentre 
che  tenendo  il  viso  basso,  n.  32. 

**  Se  tu  da  te  medesmo.  È  sempre  V  insufficienza  della  Ragione 
nel  regno  della  grazia,  che  ci  vuol  dimostrare. 

*&  Guardommi  ecc.  Sono  tratti  di  schietta  e  cara  natura  famiglia- 
rissimi  al  cuor  paterno. 

*o  Ch?  ei  vegnon  piano.  Virgilio  vide  quello  che  non  ha  potuto  veder 
Dante,  vide  che  camminavano  lente,  e  ciò  perchè  la  forza  visiva, 
essendo  qualità  naturale  e  non  soprannaturale,  era  più  acuta  in  Vir- 
gilio che  in  Dante. 

**  E  tu  ferma  ecc.  Da  ciò  si  vede  che  Dante  si  mostrava  alquanto 
angustiato ,  ed  era  naturale ,  per  V  imbarazzo  in  cui  vedeva  la  sua 
Btesaa  guida.  Questo  conforto  è  molto  opportuno. 

tt  Quel  popol.  In  tempi  di  grande  venerazione,  ma  anche  di  gravi 
torti  a  Roma  papale  ed  a'  suoi  temporali  diritti,  quali  furono  quelli 


7G  PURGATORIO 

T  dico  dopo  i  nostri  mille  passi, 
Quanto  un  buon  gittator  trarria  con  mano  ; 
70.     Quando  si  strinser  tutti  a'  duri  massi  w 

Dell'alta  ripa,  e  stetter  fermi  e  stretti,  u 
Come  a  guardar  chi  va  dubbiando  stassi. 

O  ben  finiti,  o  già  spiriti  eletti, 
Virgilio  incominciò;  per  quella  pace 
Ch'  i'  credo  che  per  voi  tutti  s'aspetti, 

Ditene  dove  la  montagna  giace,  i5 
SI  che  possibil  sia  l'andare  in  suso: 
Che  il  perder  tempo,  a  chi  più  sa  più  spiace. 

Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso  ** 
80.         Ad  una,  a  due,  a  tre,  e  l'altre  stanno 


di  Dante,  e  del  secolo  precedente;  in  tempi  che  vedeano  frequenti 
casi  di  ben  meritata  scomunica,  non  è  fuor  di  proposito  il  trovar 
qui  non  pochi,  ma  un  popolo  di  scomunicati. 

**■  Quando  si  strinser  ecc.  Perche  si  strinser  tutti  a*  duri  massi? 
Perchè  maravigliati  di  veder  qui  due  sconosciuti,  che  non  eran  del 
loro  numero,  e  che  in  tanto  tempo  che  giravano  il  monte  non  ave- 
vano  mai  veduti.  £  per  questo  strìngerai  a*  duri  massi?  SI.  Perchè 
è  lo  stesso  che  dire  che  quell'anime  addatesi  della  novità,  si  leva- 
rono il  più  che  fosse  loro  possibile  per  accertarsi  della  cosa,  e  per 
elevarsi,  dovettero  farsi  più  che  potevano  presso  alla  roccia,  che 
era  più  alta  della  via  che  facevano  ;  e  quanto  più  erano  stretti  alla 
roccia,  e  tanto  più  erano  alti,  e  meglio  vedevano  gli  atti  delle  per* 
sone  che  loro  si  veniano  avvicinando.  Perciò  si  dice  subito  appresso  : 
massi  dell'alta  ripa. 

**  Stetter  fermi  e  stretti.  Fermi  a  guardare  chi  fossero,  e  stretti 
gli  uni  agli  altri ,  e  tutti  alla  rupe  più  alta ,  cercando  ciascuno  di 
vedere  meglio  che  poteva,  con  innalzarsi  dal  lato  della  ripa,  ov- 
vero rupe. 

**  Giace.  Dove  la  rupe  è  meno  erta ,  meno  verticale.  Il  giacere 
applicato  a  luoghi  è  un  verbo  prediletto  di  Dante ,  e  suona  incli- 
nazione. 

46  Come  le  pecorelle  ecc.  È  superfluo,  anzi  dannoso  spiegare  questa 
bellissima  ed  evidentissima  similitudine. 


CANTO  HI.  77 

Timidette  atterrando  l'occhio,  e  'l  muso, 
E  ciò  che  fa  la  prima,  e  l'altre  fanno, 
Addossandosi  a  lei  s'ella  s'arresta. 
Semplici  e  quete,  e  lo  imperché  non  sanno  : 
Sì  vid'  io  mover,  a  venir,  la  testa  47 
Di  quella  mandria  fortunata  allotta,  ** 
Pudica  in  faccia,  e  nell'andare  onesta. 
Come  color  dinanzi  vider  rotta 
La  luce  in  terra,  dal  mio  destro  canto,  49 
90.         Sì  che  l'ombr'era  da  me  alla  grotta; 
Ristaro,  e  trasser  sé  indietro  alquanto,  50 
"   E  tutti  gli  altri,  che  venièno  appresso, 

*7  Sì  vid*  io  mover  ecc.  Figuriamoci  bene  quella  processione  di 
anime.  Elie  si  erano  prima  arrestate,  veggendo  due  che  non  erano 
di  loro.  Arrestate  le  prime,  si  dovettero  arrestare  per  conseguenza 
anche  tutte  le  altre  dopo,  senza  saperne  il  vero  perchè,  saputo  sol- 
tanto dalle  prime  che  videro  li  due  sconosciuti,  e  non  dall'altre  che 
non  li  poterono  vedere  impedite  dal  giro  del  monte.  Intanto  que- 
st'anime sono  pregate  da  Virgilio,  e  allora  la  loro  testa  si  muove. 
Di  mano  che  si  muove  la  testa,  ossia  le  prime,  si  muovono  anche 
l'altre  dopo,  successivamente.  Quand'ecco  un  altro  fermarsi  della  testa 
per  l'altra  maraviglia  che  delli  due  sconosciuti  uno  era  vivo,  rav- 
visato all'  ombra  che  gettava,  come  subito  vedremo.  Quindi  un  altro 
fermarsi  di  tutte  V  altre  dopo,  senza  sapere  il  perchè  della  fermata 
delle  prime.  Tutto  questo  è  espresso  nella  vaghissima  similitudine 
delle  pecorelle. 

48  Di  quella  mandria  ecc.  Mandria  cioè  turba,  schiera;  voce  me- 
taforica, buona  allora,  e  dignitosa,  ed  ora  scaduta  a  senso  peg- 
giorativo, come  masnada.  Qui  poi  suona  bene,  anche  perchè  avendo 
somigliate  quelle  anime  ad  una  gregge  di  pecorelle,  ne  continua  ac- 
conciamente la  metafora. 

*•  Dal  mio  destro  canto.  Dante  andava  da  nord  a  sud  (Vedi  Purg., 
Tav.  II)  in  ora  che  il  sole  era  ad  Oriente.  Dunque  il  sole  feriva  il 
canto  sinistro,  e  l' ombra  era  gittata  a  destra  verso  la  cerchia  Ton- 
chiosa, che  qui  dicesi  grotta. 

so  Ristarò  e  trasser  ecc.  E  l'atto,  che  sempre  naturalmente  fanno 
coloro  che  veggono  una  subita  cosa  di  grande  ammirazione. 


78  PURGATORIO 

Non  sappiendo  il  perchè  fero  altrettanto.  bì 
Senza  vostra  dimanda  io  vi  confesso,  *' 
Che  questi  è  corpo  uman,  che  voi  vedete; 
Perchè  il  lume  del  sole  in  terra  è  fesso  :  M 
Non  vi  maravigliate,  ma  credete, 

Che  non  senza  virtù,  che  dal  ciel  vegna,  " 
Cerchi  di  soverchiar  questa  parete.  ** 
100.    Così  '1  Maestro  :  e  quella  gente  degna, 

Tornate,  disse,  intrate  innanzi  dunque,  w 
Co'  dossi  delle  man  facendo  insegna.  57 
f  E  un  di  loro  incominciò  :  Chiunque 
Tu  se',  così  andando  volgi  il  viso:  58 
Pon  mente,  se  di  là  mi  vedesti  unque.  '3° 
Io  mi  volsi  ver  lui,  e  guardail  fiso  : 

5*  Non  sappiendo  il  perchè.  L'ombra  di  Dante  nou  la  poterono  os- 
servare, che  quelli  che  erano  alla  testa.  Ma  fermati  questi  per  mo- 
tivo che  conoscevano,  dovettero  fermarsi  anche  gli  altri  per  motivo 
che  non  conoscevano. 

**  Senza  vostra  dimanda.  Perchè  Virgilio  anticipa  le  dimando  di 
quell'anime?  Perchè  e  proprio  di  chi  ha  fretta  fare  così.  Che  avesse 
fretta  lo  dichiarò  di  sopra  dove  disse:  Che  il  perder  tempo  a  ehi 
piò  sa  più  spiace. 

**  Perchè.  Per  la  qnal  cosa. 

**  Che  non  tema  virtù  ecc.  Potentissima  ragione  per  essere  subito 
et  audito  da  quelle  anime  nella  dimanda  mossa  sopra  a  n.  45:  Di- 
tene dove  la  montagna  giace. 

M  Parete.  La  roccia  di  cinta,  che  era  si  erta  da  potersi  dire:  pa- 
rete. La  parete  è  a  piombo.  Questa  montagna  era  quasi  a  piombo, 
come  vedete  nel  mio  disegno  Tav.  II,  Purg. 

*6  Tornate.  Per  la  stessa  parte  ove  siete  voi  venuti.  Dunque  in- 
dietro, e  mettendovi  innanzi  a  noi;  perciò  intrate  innanzi. 

57  Co'  dossi  ecc.  E  il  gesto  naturale  che  si  fa  a  segnare  che  altri 
debba  tornare  indietro. 

38  Così  andando.  Perchè  non  abbi  a  perder  tempo,  sapendo,  come 
detto  fu,  che  hai  fretta. 

•*  U>,que.  Mai. 


CANTO  III.  79 

BioncT era  e  bello,  e  di  gentile  aspetto; 

Ma  l'un  de'  cigli  un  colpo  avea  diviso. 
Quand'  io  mi  fui  umilmente  disdetto  ^ 
110«       D'averlo  visto  mai,  ei  disse:  Or  vedi; 

E  mostrommi  una  piaga  a  sommo  il  petto. 
Poi  disse  sorridendo  :  I'  son  Manfredi 6I 

Nipote  di  Gostanza  Imperadrice  :  64 

Ond'io  ti  prego,  che  quando  tu  riedi, 
Vadi  a  mia  bella  figlia  genitrice  63 


60  Disdetto.  Negato  d'averlo  mai  veduto.  Dante  nato  nel  1265  non 
poteva  aver  veduto  o  sapere  di  aver  veduto  uno  ch'era  morto 
nel  1266. 

64 1' son  Manfredi  ecc.  La  biografia  del  Ladvocat  dice  :  «  Man- 
fredi famoso  tiranno  della  Sicilia,  era  figliuolo  naturale  dell'impe- 
ratore Federico  II.  Egli  fece  avvelenare  Corrado,  figliuolo  legittimo 
di  questo  imperatore,  e  si  rese  tutore  di  Corradino  figlio  di  Cor- 
rado. Manfredi  al  favore  di  questa  tutela,  s'impadronì  del  regno  di 
Sicilia ,  e  tolse  molte  piazze  alla  S.  Sede ,  per  cui  fu  scomunicato 
da'  Papi.  Urbano  IV  chiamò  in  appresso  Carlo  d'Angiò,  fratello  del 
re  S.  Luigi,  e  gli  diede  l'investitura  del  regno  di  Napoli  e  di  Si- 
cilia. La  battaglia  si  diede  tra  i  due  concorrenti  sulla  pianura  di 
Benevento  alli  16  Febbrajo  (deve  essere  26)  1266.  Manfredi  perdo 
la  vita,  dopo  d'avere  sconvolta  l'Italia  quasi  11  anni.  »Noto  che  la 
battaglia  ebbe  luogo  due  anni  appresso  la  morte  di  Urbano  IV  suc- 
cessa ai  20  Ott.  1264,  sotto  il  successore  di  lui  Clemente  IV.  Sicché 
Urbano  IV  non  fece  che  ordinar  la  crociata. 

61  Nipote  di  Gostanza  ecc.  La  biografia  del  Ladvocat  dice:  «*  Co- 
stanza postuma  di  Ruggero,  primo  di  questo  nome,  re  di  Sicilia,  fu 
moglie  di  Arrigo  VI,  e  per  essa  Federico  II  suo  figlio  successe  alla 
monarchia  di  Sicilia.  Egli  passò  da  questa  vita  nel  1178  lasciando 
il  figliuol  Federico,  e  il  suo  reame  sotto  la  cura  e  il  Bailato  d' In- 
nocenzo III  (doveva  già  farlo,  aggiungo  io,  perchè  era  già  un  feudo 
che  dava  la  S.  Sede  a  cui  ella  meglio  credeva ,  come  tra  gli  altri 
documenti  chiaro  apparisce  dalle  condizioni  espresse  nella  Bolla  d'in- 
vestitura a  Carlo  d'Angiò  26  Febbrajo  1265),  e  in  essa  ebbe  fine  il 
real  lignaggio  de' Normanni  nel  regno  di  Napoli. 

w  Mia  bella  figlia.  Pur  di  nomt  Costanza,  come  la  zia  di  Manfredi. 


80  PURGATORIO 

Deli'onor  di    Cicilia,  e  <TAragona;  6I 
E  dicbi  a  lei  il  ver,  s'altro  si  dice.  65 

Poscia  eh'  i'  ebbi  rotta  la  persona  * 
Di  due  punte  mortali,  io  mi  rendei, 67 
120.       Piangendo,  a  quei  che  volentier  perdona. 

Orribil  furon  li  peccati  miei  :  M 

Ma  la  Bontà  infinita  ha  sì  gran  braccia, 60 
Che  prende  ciò,  che  si  rivolve  a  lei. 

zi  Dell' onor  di  ecc.  Questa  Costanza  figlia  di  re  Manfredi  fa  data 
in  moglie  a  Pietro  re  di  Aragona,  a  cui  diede  quattro  figliuoli;  due 
de' quali  furono  re,  Federico  di  Sicilia  (da  non  confonderei  colT altro 
Federico  II  figlio  della  prima  Costanza)  e  Giacopo  d'Aragona.  Questi 
due  fratelli  son  qui  lodati  non  perchè  ritenesse  il  poeta  che  fossero 
veramente  degni  di  lode,  ma  perchè,  facendo  egli  parlare  di  loro 
Manfredi  che  fu  loro  zio,  gli  si  conveniva  lodarli. 

All'incontro  nel  VII  del  Purgatorio,  v.  110,  120,  il  poeta  per 
Sordello  li  biasima,  e  qui  veramente  si  esprìme  il  sentimento  del 
poeta. 

65  E  dichi  ecc.  Che  m' hai  veduto  in  luogo  di  salvazione  mentre 
si  crederà,  e  si  dirà  ch'io  sono  dannato. 

66  Rotta  la  persona*  Nella  battaglia  di  Benevento. 

«7  Di  due  punte.  Le  due  ferite  mostrate  di  sopra.  Perchè  punte 
e  non  tagli?  Eccone  la  ragione  recata  dal  Muratori  colle  seguenti 
parole:  «*  Racconta  Riccobaldo,  e  dopo  lui  Francesco  Pipino,  che  in 
quei  tempi  andarono  in  disuso  per  V  Italia  le  spade  da  taglio,  ossia 
le  sciable,  e  si  cominciò  ad  usar  quelle  da  punta,  ossia  gli  stocchi, 
de1  quali  si  servivano  i  Francesi.  Per  esser  gli  uomini  d'armi  tutti 
vestiti  di  ferro,  poco  profitto  facean  addosso  a  loro  i  colpi  delle  scia- 
ble. Ma  allorché  essi  (i  soldati  di  Manfredi)  alzavano  il  braccio  per 
ferire,  i  Francesi  colle  punte  degli  stocchi  li  foravano  sotto  le  ascelle 
e  in  questa  maniera  li  rendevano  inutili  a  più  combattere.  »  (An.  d'I- 
talia, an.  1266). 

Io  mi  rendeiy  —  Piangendo  ecc.  Mi  rivolsi  pentito  a  Dio  demen* 
tissimo,  chiedendogli  perdono. 

&*  Orribil  furon  ecc.  Li  abbiamo  detti  di  sopra  alla  nota  62,  oltre 
non  pochi  altri,  e  veramente  orribili,  onde  fu  accusato. 

69  Ha  bì  grati  braccia,  Che  ecc.  Magnifica  imagine  della  Bontà 
divina  ! 


CANTO  DI.  81 

Se  il  Pastor  di  Cosenza,  ch'alia  caccia  70 

70  Se  il  Pastor  ecc.  Valga  a  spiegazione  di  queste  tre  terzine  un 
brano  opportunissimo,  che  trovasi  nella  vita  di  Dante  di  Cesare  Balbo 
(Lib.  I,  e.  II,  anni  1265-1284,  pag.  39.  Torino,  Pomba),  avvertendo 
che  Benevento  e  la  sua  diocesi  era  terra  degli  stati  della  Chiesa  e 
quindi  considerata  aver  un  cotal  che  di  sacro.  «  .  .  .  .  Pochi  mesi 
erano  corsi  dalla  nascita  di  lui  (Dante),  quando  Carlo  d'Angiò,  rag- 
giunto già  dal  suo  esercito  in  Roma  vi  fu,  il  giorno  della  Epifania 
dell'anno  seguente  1266,  da  papa  Clemente  IV  incoronato  re  di  Puglia 
e  di  Sicilia,  facendogliene  il  solito'  omaggio.  Mosse  quindi,  seguito 
dal  vescovo  di  Cosenza  legato  pontificio,  che  bandiva  la  croce  per 
lui  ;  passò  il  Garigliano,  abbandonato  a  tradimento  dal  conte  di  Ca- 
serta; e,  prese  Aquino  e  Rocca  d'Arce,  si  drizzò  a  Benevento,  dove 
Manfredi  raccoglieva,  oltre  i  titubanti  Pugliesi  e  Siciliani,  i  suoi  Te- 
deschi, i  suoi  Saraceni  di  Nocera,  e  gli  aiuti  ghibellini  di  varie  parti 
d' Italia*  Dubitava  Manfredi,  e  mandava  messi  a  Carlo  ;  il  quale  ri- 
spondeva :  —  Dite  al  Soldano  di  Nocera, che  io  non  voglio  pace,  o  tre- 
gua con  lui  ;  e  che  in  breve  o  io  manderò  lui  in  Inferno,  o  egli  me 
in  Paradiso.  —  Combatteva^  poi  a'  26  di  Febbraio.  Pugnavano  for- 
temente per  Manfredi  i  suoi  Saraceni  e  Tedeschi  ;  ma  usando  i  ferri 
di  taglio  furono  vinti-  dai  Francesi,  che  combattevano  di  punta.  Ed 
allora  lasciato  il  campo  vergognosamente  da'  Baroni  pugliesi,  Man- 
fredi spronò  il  cavallo  in  mezzo  alle  schiere  francesi  e  vi  mori  glo- 
riosamente, ma  perduto  allora  tra  mucchi  di  cadenti.  Tre  di  furono 
a  trovarne  il  corpo.  Finalmente  riconosciuto  da  un  ribaldo,  fu  posto 
penzolone  su  un  asino,  mostrato  pel  campo  francese,  poi  fatto  rico- 
noscere dai  prigioni  e  seppellito,  come  scomunicato,  non  in  terra  santa, 
ma  in  capo  al  ponte  di  Benevento  sotto  un  monte  di  pietre  getta- 
tegli sopra  da  ogni  soldato.  » 

et  Ma  per  alcun  si  disse  (seguita  il  Villani,  p.  235),  che  poi  per  man- 
dato del  Papa  il  Vescovo  di  Cosenza  il  trasse  di  quella  sepoltura,  e  man- 
dolio  fuori  del  regno,  perocché  era  terra  di  Chiesa;  e  fu  seppellito  lungo 
il  fiume  del  Verde  ai  confini  del  Regno  e  di  Campagna.  Questo  però  non. 
affermiamo  ;  ma  di  ciò  rende  testimonianza  Dante  nel  Purgatorio.  » 

Faccia.  Facciata  o  pagina.  La  facciata  della  misericordia.  Se 
avesse  potuto  legger  questa.  —  Mora.  La  parola  che  più  risponda  a. 
questa,  mi  pare  che  sia  la  veronese  Marogna,  che  è  quel  muricelo,  che 
usano  far  i  contadini  sui  monti  per  sostener  la  terra,  sovrapponendo 
sasso  a  sasso  senza  calce.  — A  lume  spento.  Senza  candele  accese;  che 
sono  una  specie  di  suffragio  vietato  agli  scomunicati. 


82  PURGATORIO 

Di  me  fu  messo  per  Clemente,  allora 
Avesse  in  Dio  ben  letta  questa  faccia; 

L'ossa  del  corpo  mio  sarieno  ancora 
In  co'  del  ponte  presso  Benevento, 
Sotto  la  guardia  della  grave  mora. 
130.  Or  le  bagna  la  pioggia,  e  muove  il  vento 
Di  fupr  dal  regno,  quasi  lungo  il  Verde, 
Ove  le  tramutò  a  lume  spento. 

Per  lor  maladizion  sì  non  si  perde,  7I 
Che  non  possa  tornar  l'eterno  amore,  ,a 
Mentre  che  la  speranza  ha  fior  dei  verde.  73 

Ver'  è  che  quale  in  contumacia  muore  74 

71  Per  lor  maladinon  ecc.  Non  si  creda  che  Manfredi  disprezzi  qui 
le  scomuniche  della  Chiesa:  ciò  sarebbe  fuor  del  carattere  di  un'anima 
santa,  e  fuori  del  concetto  cattolico  che  Dante  ha  manifestato  in  tutte 
le  sue  cantiche  intorno  alla  autorità  della  Chiesa.  Manfredi  non  fa  chi 
ridurre  le  scomuniche  a  quel  valore,  a  cui  le  riduce  la  Chiesa  stessa. 
La  Chiesa  con  siffatte  pene  interdice  allo  scomunicato  la  fruizione  de* 
suoi  beni  spirituali  in  vita,  e  de*  suoi  suffragi  e  della  sepoltura  eccle- 
siastica dopo  morte,  e  ciò  per  atterrire  salutarmente  il  peccatore,  e 
per  farlo  pentir  de'  suoi  falli  :  ma  non  intende  che  lo  scomunicato  non 
possa,  fin  che  ha  un  momento  di  vita,  ricuperar  la  grazia  perduta  e 
salvarsi,  non  ostante  la  scomunica,  la  quale  pure  continua  a  sussistere 
ne*  suoi  effetti  giuridici  e  canonici,  perche  alla  Chiesa  non  consta,  che 
il  tale  individuo,  per  esempio  Manfredi,  si  sia  riconciliato  con  Dio  prima 
di  morire,  almeno  colla  verace  contrizione.  Onde  Manfredi  qui  non  dice 
se  non  quello  che  tiene  ed  insegna  la  Chiesa  sulla  scomunica. 

7*  Chenonpona  ecc.  Che  non  possa  tornare  all'anima  la  grazia  di  Dio. 

7*  Mentre  che  ecc.  Finche  si  può  sperare  ;  e  sperare  si  può  sino 
all'ultimo  respiro  della  vita.  Fior  del  verde  è  lo  stesso  che  fior  verde, 
a  quel  modo  che  Dante  dice  :  l'aquile  delVoro  (Purg.,  e.  X,  v.  80) 
e  le  palle  dell'oro  (Par.,  e.  XVI,  v.  110),  per  aquile  auree,  palle 
auree.  Dunque  vuol  dire:  finché  la  speranza  è  verde ,  ha  punto  di 
verde,  ossia  non  è  morta. 

74  In  contumacia  ecc.  Senza  esser  assolto  canonicamente  dalla  sco- 
munica, il  che  può  succedere  per  impotenza  assoluta,  come  succede 
realmente  a  chi  muore  in  battaglia,  del  quale  si  sa  la  scomuuica,  bi 


CANTO  ni.  83 

Di  santa  Chiesa,  ancor  che  al  fin  si  penta,  w 
Star  li  convien  da  questa  ripa  in  fuore 

Per  ogni  tempo,  ch'egli  è  stato,  trenta, 
140.       In  sua  presunzioni;  se  tal  decreto  76 

Più  corto  per  buon  prieghi  non  diventa. 

Vedi  oramai  se  tu  mi  puoi  far  lieto  77 
Rivelando  alla  mia  buona  Gostanza  78 
Come  m' hai  visto,  e  anco  esto  divieto  : 79 

sa  che  non  fu  assolto,  e  non  si  sa  se  veramente  siasi  pentito  prima 
di  morire.  In  tal  caso,  come  si  disse,  gli  effetti  del  foro  esterno  deb- 
bono durar  tuttavia. 

76  Ancor  che  al  fin  si  penta,  —  Star  gli  convien  ecc.  Dato  il  caso 
eh'  egli  sia  pentito  prima  di  morire,  la  Chiesa  gli  negherà  sempre  la 
sepoltura  ecclesiastica  ed  i  suffragi  (senza  ritenere  perciò  che  sia  dan- 
nato) percM  il  suo  pentimento  non  le  consta;  all'altro  mondo  poi 
(ecco  quel  che  dice  qui  Dante  in  aggiunta)  dovrà  in  pena  di  sua 
scomunica  restarsene  escluso  dall'incominciare  il  suo  Purgatorio  trenta 
volte  quel  tempo,  che  visse  in  contumacia.  Con  questo  Dante  si  mostra 
agli  scomunicati  più  rigoroso  ancora  di  quel  che  sia  la  Chiesa,  la  quale 
non  ha  nessuna  difficoltà  ad  ammettere  che  uno  scomunicato,  che  muoia 
veramente  pentito,  possa  andarsene  subito  a  incominciare  il  suo  Pur- 
gatorio o  volarsene  direttamente  al  cielo.  Questo  sia  detto  per  quei 
che  vorrebbero,  come  fa  il  Tommaseo,  tacciata  da  Dante  la  Chiesa  di 
troppo  rigore,  mentre  è  tutto  il  contrario  ;  cioè  non  la  Chiesa  è  più 
severa  di  Dante,' ma  Dante  è.  più  severo  della  Chiesa. 

76  Se  tal  decreto  —  Più  corto  ecc.  Se  il  decreto  divino  che  ci  esclude  per 
tanto  tempo  dal  dar  principio  al  nostro  Purgatorio  non  è  cangiato  in 
minor  tempo  dai  suffragi  di  quelli  del  mondo,  tra  i  quali  suffragi  uno 
è  la  preghiera ,  ma  buona,  ossia  meritoria,  che  surga  su  di  cuor,  che 
in  grazia  viva,  come  dice  lo  stesso  Dante  (Purg.,  e.  IV,  v.  134). 

77  Far  lieto.  Accorciandomi  il  tempo  assegnato  di  esclusione. 

78  Gostanza.  La  figlia,  non  la  zia.  La  dice  buona,  perch'egli  desi- 
dera preghiere  di  buoni,  le  sole  che  accetti  Dio  a  suffragio  dell'anime 
purganti. 

79  Come  m'hai  visto.  La  condizione  in  cui  m'hai  veduto. 

Esto  divieto.  Cioè  il  decreto  di  esclusione  portato  al  trentecuplo 
del  tempo  di  contumacia  ;  ma  decreto  condizionato,  cioè  capace  di  ab* 
breviarsi  dietro  le  preci  dei  buoni. 


84  PURGATORIO 

Che  qui  per  quei  di  là  molto  s'avanza.  w 

«• 

80  Che  qui  ecc.  Che  le  anime  del  Purgatorio  possano  esser  giovate 
dai  suffragi  dei  viventi  è  dogma  definito  dalla  Chiesa.  Pei  Protestanti, 
che  impugnano  il  dogma  del  Purgatorio,  sarebbe  stato  impossibile  il 
concepire  una  ai  patetica  e  dolce  poesia.  Infelici  ! 

Un  dubbio.  Come  mai  Dante  suppone  pentito  Manfredi  e  lo  mette 
salvo  al  Purgatorio,  non  ostante  gli  orribili  peccati  che  avea  com- 
messi, come  abbiam  veduto  alla  nota  61,  e  come  glielo  la  confes- 
sare a  lui  stesso  in  quel  verso  di  sopra  :  Or r tini  furori  li  peccati 
miei?  Rispondo: 

1.  Bisogna  confessare  che  Dante  fu  largo  di  molta  indulgenza 
con  re  Manfredi  ;  mentre  ha  posto  invece  air  Inferno  altre  persone 
certo  di  lui  men  delinquenti. 

2.  È  d'uopo  però  osservare  a  giustificazione  di  siffatta  parzialità, 
che  a  quei  tempi  di  grandi  delitti,  e  di  grandi  virtù,  non  era  raro  il 
caso,  che  sommi  peccatori  da  un  punto  all'altro  si  ravvedessero,  perchè 
quantunque  peccatori  serbavano  però  sempre  nel  loro  cuore  viva  la 
fede,  la  quale  a  date  circostanze  non  potea  mancare  di  riportar  buoni 
frutti.  Perciò  nel  Medio  Evo  si  vedeva  spesso  taluno  oggi  uccidere  a 
tutto  sangue  freddo  un  rivale,  o  rapire  donzelle,  o  saccheggiare  paesi, 
all'indomani  pentito  de'  falli  suoi  e  confesso,  a  risarcimento  del  danno, 
e  dello  scandalo  dato  aprire  tutti  i  suoi  tesori  all'erezione  di  una  ba- 
silica o  d'un  monastero,  entro  cui  talvolta  si  rinchiudeva  egli  stesso 
a  passarvi  il  resto  de'  giorni  suoi.  Sicché,  stando  allora  le  cose  cosi, 
Dante,  lavorando  sul  verosimile  credette  poter  far  qui  una  eccezione 
vantaggiosa  pel  suo  Manfredi,  dandocelo  sinceramente  pentito. 

3.  Notate  che  i  precedenti  stessi  della  battaglia  di  Benevento, 
se  vuoisi  credere  a  Cesare  Balbo,  ci  fanno  pensar  bene  delle  ultime 
disposizioni  di  re  Manfredi.  Infatti  noi  alla  nota  70  abbiamo  veduto 
scrivere  il  Balbo  che  «  Manfredi  dubitava  e  mandava  messi  a  Carlo  »  ; 
il  che  fa  credere  ch'egli  si  volesse  acconciare  con  lui  e  per  lui  col 
Papa. 

4.  Si  osservi  ancora  (e  questa  credo  che  sia  la  ragione  che  più 
potè  influire  a  redintegrar  la  memoria  favorevole  di  Manfredi)  si  os- 
servi, dico,  che  il  governo  di  Carlo  e  de'  suoi  ebbe  tanta  tristizia,  che 
tutti  si  augurarono  subito  il  perduto  Manfredi.  È  troppo  bello  ed  op- 
portuno il  brano  del  Muratori,  perch'io  lo  possa  tacere  (An.  d'It., 
an.  1266). 

ce  Diedesi  poi  il  re  Carlo  ad  ordinare  il  regno.  Si  erano  figurati  i 
popoli  di  quelle  contrade,  che  colla  venuta  del  Francesi,  e  sotto  il 


CANTO  ni.  85 

nuovo  governo  tornerebbe  il  secolo  d'oro,  si  leverebbono  le  gabelle, 
le  angherie  e  le  contribuzioni  passate,  ed  ognuno  goderebbe  un*  in- 
vidiabile tranquillità  e  pace.  Si  trovarono  ben  tosto  delusi,  e  ingan- 
nati a  partito.  Le  soldatesche  francesi  ne'  loro  passaggi  e  quartieri  a 
guisa  del  fuoco  portavano  la  desolazione  dappertutto.  Ebbe  il  re  Carlo 
in  mano  da  un  Desolino  da  Marra  tutti  i  libri  e  registri  delle  rendite 
e  degli  uffizi  del  regno,  e  di  tutte  le  giurisdizioni,  dazi,  collette,  taglie 
ed  altri  aggravi  dei  popoli.  Non  solamente  volle  il  re  intatti  tutti 
questi  usi  od  abusi  ;  ma  siccome  in  addietro  si  camminava  assai  alla 
buona  in  riscuotere  cotali  carichi,  istituì  egli  dei  nuovi  giustizieri, 
doganieri,  notai  ed  altri  uffiziali  del  fisco,  che  rigorosamente  preme- 
vano il  sangue  dai  popoli,  e  cominciarono  ad  accrescere  in  profitto  del 
re  o  proprio,  i  publici  pesi  e  le  avanie,  di  modo  che  altro  non  si  udiva, 
che  secreti  gemiti  e  lamenti  della  misera  gente  con  augurarsi  ognuno, 
quando  non  era  più  tempo,  l'abbandonato  e  perduto  re  Manfredi.  È 
un  autore  guelfo,  uno  storico  pontificio  che  l'attesta,  cioè  Saba  Mala- 
spina.  Secondo  lui,  ravveduti  quei  popoli  andavano  dicendo:  —  O  re 
Manfredi,  noi  non  ti  abbiam  conosciuto  vivo,  ora  ti  piangiamo  estinto. 
Tu  ci  sembravi  un  lupo  rapace  tra  le  pecorelle  di  questo  regno  ;  ma 
dacché  per  la  nostra  volubilità  ed  incostanza  siam  caduti  sotto  il  pre- 
sente dominio,  tanto  da  noi  desiderato,  ci  accorgiamo  in  fine  che  tu 
eri  un  agnello  mansueto,  Ora  si  che  conosciamo  quanto  fosse  dolce  il 
governo  tuo  posto  a  confronto  dell'amarezza  presente.  Riusciva  a  noi 
grave  in  addietro,  che  una  parte  delle  nostre  sostanze  pervenisse  alle 
tue  mani  ;  troviamo  adesso,  che  tutti  i  nostri  beni,  e  quel  ch'è  peggio, 
anche  le  persone  vanno  in  preda  a  gente  straniera.  —  Tali  erano  di 
quei  popoli  le  querele  :  querele  osservate  prima  e  di  poi  anche  in  altri 
popoli,  sempre  mal  contenti  dello  stato  presente,  e  che  ripongono  la 
speranza  di  star  meglio,  o  men  male,  colla  mutazion  dei  governi,  ma 
con  disingannarsi  poi  delle  loro  mal  fondate  idee.  » 

5.  Si  osservi  pure  che  Manfredi  (anche  senza  il  confronto  tra  lui 
e  Carlo,  e  tra  il  suo  governo  e  quello  di  Carlo)  era  uomo  che  con 
avere  dei  vizi  assai  avea  pure  di  belle  virtù  che  poteano  creargli,  e  gli 
crearono  infatti  in  Italia  un'opinion  vantaggiosa,  almeno  per  un  tem- 
po. Ascoltiamo  il  Muratori  (An.  d'it.,  an-  1258). 

u  Comunque  sia,  nel  di  11  Agosto  nella  cattedral  di  Palermo,  fu 
egli  solennemente  coronato  re  da  tre  arcivescovi  col  concorso  e  plauso 
d' innumerevoli  prelati,  baroni  e  popolo.  Ed  abbondavano  bene  in  lui, 
anche  per  confessione  de'  suoi  avversari,  moltissime  di  quelle  prero- 
gative, che  rendono  Tuoni  degno  di  regnare.  Giovane  di  bell'aspetto 
(è  il  ritratto  che  ne  fece  Dante  di  sopra  dove  disse  :  B  tonferà,  e 
bello,  e  di  gentil  aspetto)  faceva  sua  gloria  la  cortesia,  l'affabilità  e  la 


86  PURGATORIO 

clemenza,  senza  aver  ereditata  la  crudeltà  de'  buoi  maggiori.  Singolare 
fu  la  sua  prudenza,  e  1*  intendimento  superiore  di  lunga  mano  all'età; 
grande  il  suo  amore  verso  le  lettere,  e  i  letterati,  ed  egli  stesso  bene 
istruito  delle  scienze  e  delle  arti  più  nobili  ;  ma  soprattutto  risplendeva 
in  lui  la  generosità  e  la  gratitudine  in  premiare  chiunque  gli  prestava 
servigio.  »  Quando  vi  hanno  tali  pregi  in  una  persona,  facilmente  ci 
incliniamo  ad  esserle  indulgenti  dove  possiamo. 

6.  Finalmente  si  osservi  che  Dante  potè  aver  inteso  colla  salva- 
zion  di  Manfredi,  da  lui  supposta,  di  porgere  un  motivo  di  consola- 
zione alla  buona  figlia  di  lui  Gostanza,  colla  quale  pare  essere  stato 
il  poeta  in  relazion  personale  di  amicizia,  altrimenti  Manfredi  non  lo 
manderebbe  a  visitar  la  sua  figlia  con  tale  ambasciata:  Vadi  a  mia 
bella  figlia  genitrice  — DelVonor  di  Cicilia  e  d'Aragona.  Questo  con- 
forto a  tal  figlia  è  iu  Dante  naturalissimo,  e  direi  anche  pio. 


CANTO    IV 


Argomento. 

Da  quelle  anime,  ohe  vissute  scomunicate  ritardarono  la  lor  con- 
versione sino  alla  morte,  cioè  da  Man/redi  e  dà1  suoi  compagni,  è 
mostrato  ai  due  poeti  lo  strettissimo  e  faticosissimo  calle  della  salita, 
per  uno  spaccato  della  cerchia.  Salgono  a  stento  e  giunti  sulla  cima 
veggono  a  man  sinistra  le  anime  di  coloro  che  senza  essere  scomuni- 
cati, come  questi  però  ritardarono  sino  alla  morte  la  lor  conversione 
per  effetto  di  accidia,  tra  i  quali  trovano  il  citarista  Belacqua* 

NB.  Vedi  (ulti  i  casollioi  di  quello  Canio  nella  mia  Ta?.l  e  la  Taf.  Il,  Purg. 


Q 


fuando  per  dilettanze,  ovver  per  doglie, 4 


*  Quando  per  ecc.  Spieghiamo  secondo  il  costrutto:  Quando  l'ani- 
ma si  raccoglie  bene  ad  alcuna  nostra  virtù,  per  diletti  o  per  doglie, 
ch'essa  virtù  comprenda,  pare  ch'essa  anima  non  intenda  più  alle  altre 
sue  potenze.  Ora  spieghiamo  secondo  il  senso:  L'anima  nostra  si  rac- 
coglie sempre  tutta  a  quella  potenza,  per  esempio  alla  volontà,  che  è 
dominata  interamente  o  dal  diletto  o  dal  dolore;  ed  allora  par  che  l'a- 
nima abbia  abbandonato  le  altre  sue  potenze,  per  esempio  l'intelletto  e 
la  memoria  ;  le  quali  più  non  considerano  o  ricordano,  perchè  l'anima, 
come  pare,  non  è  più  con  loro,  ma  è  invece  tutta  intrinsecata  nella 
volontà. 

In  altri  termini  :  Quando  la  volontà  è  occupata  o  nel  diletto  o  nel 
dolore,  allora  l' intelletto  e  la  memoria  sono  inerti.  Vedetelo  in  voi 
stessi  prendendo  qui  l'esempio  del  solo  piacare  che  s'apprende  alla  po- 
tenza della  volontà.  Voi  per  esempio  udite  una  musica  soave  che  vi 


88  PURGATORIO 

Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda, 
L'anima  bene  ad  essa  si  raccoglie, 

Par,  eh' a  nulla  potenzia  più  intenda  : 
E  questo  è  contra  quello  error,  che  crede  * 
Che  un'anima  sovr'altra  in  noi  s'accenda. 

E  però  quando  s'ode  cosa  o  vede,  3 
Che  tenga  forte  a  sé  l'anima  volta, 
Vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede: 


rapisce;  ebbene,  vi  passa  il  tempo,  senza  che  ve  ne  avvediate.  Perchè? 
Perchè  né  il  vostro  intelletto,  ne  la  vostra  memoria  sono  in  caso  di 
attendere  al  tempo  o  di  ricordarvi  i  minuti,  e  le  ore  che  passano, 
avendo  voi  tutta  l'anima  nella  volontà  che  gnsta  la  musica.  Dite  al- 
l' incontro  lo  stesso  di  un  caso  doloroso  che  vi  toccasse. 

Se  invece  fosse  l'intelletto  occupato  dall'anima  interamente,  corno 
quando  Archimede  disegnava  in  Siracusa  le  figure  geometriche,  senza 
che  si  accorgesse  dei  nemici,  che  avevano  invasa  la  casa  sua,  o  come 
il  Parmigianino,  che  nel  sacco  di  Roma  non  si  accorse  dei  soldati  fe- 
roci entratigli  nella  stanza  ove  pingeva;  allora  non  agisce  la  volontà 
'  e  la  memoria. 

Dante  era  immerso  in  un  sommo  piacere  a  udir  Manfredi.  Ecco 
la  sua  volontà  tutta  occupata,  ossia  tutta  la  sua  anima  nella  sua  vo- 
lontà. Dunque  egli  non  potrà  colla  sua  mente  avvertire  alla  cura  del 
tempo,  tanto  raccomandata  da  Virgilio,  e  quindi  il  tempo,  che  intanto 
gli  passa,  non  può  esser  da  lui  contato,  e  quando  entrerà  in  sé  gli 
parrà  un  minuto,  e  sarà  invece  assai  più. 

2  Quello  error  che  crede  —  Che  un'anima  ecc.  L'error  di  coloro, 
che  credevano  esser  in  noi  tante  anime  quante  potenze,  cioò  un'anima 
per  la  volontà,  un'altra  per  l' intelletto,  un'altra  per  la  memoria.  La 
prova  che  non  sia  così  è  l'esempio  portato  nei  quattro  primi  versi.  In- 
fetti se  veramente  avessimo  tante  anime,  quante  potenze,  nessuna  po- 
tenza potrebbe  mai  esser  inerte.  Ma  noi  vediamo  che  talvolta  qualche 
potenza  rimane  inerte,  mentre  un'altra  ò  sommamente  in  atto.  Dunque 
non  e'  è  che  un'anima  sola. 

3  E  però  quando  ecc.  È  una  conseguenza  ed  un'applicazione  del 
discorso  fin  qui  al  caso  particolare,  in  cui  si  trovava  allora  Dante,  il 
quale  appunto  pel  piacere,  che  il  suo  cuore  ritraea  da  Manfredi,  non 
si  accorgeva  che  intanto  gli  passava  molto  tempo. 


CANTO  IV.  89 

io.     Ch'altra  potenzia  è  quella  che  l'ascolta  ; 4 
E  altra  è  quella,  eh'  ha  l'anima  intera  : 
Questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta/ 
Di  ciò  ebb'  io  esperienzia  vera,  5 
Udendo  quello  spirto,  e  ammirando  c 
Che  ben  cinquanta  gradi  salifera  7 


*  Ch'altra  potenzia  ecc.  Vuol  dire  che  la  diversità  non  è  nell'a- 
nhne,  che  non  sono  più  d' una,  ma  bensì  nelle  potenze,  che  sono  più 
di  una,  e  variamente  condizionate,  secondo  che  1*  anima  opera,  onon 
opera  in  loro.  Da  che  proviene  infatti  che  mentre  noi  fissamente  ascol- 
tiamo una  cosa  (Quando  s'ode  cosà)  il  tempo  ci  passa  inavvertita- 
mente ?  Proviene  dalle  diversità  delle  potenze,  delle  quali  una  si  fa 
attiva,  concentrando  l'anima  a  sé,  l'altra  resta  inerte,  e  come  a  dire 
senza  anima  in  quanto  all'atto. 

Dunque  anima  intera  è  Io  stesso  che  anima  inerte,  o  non  attiva, 
e  resta  in  quella  potenza,  che  non  opera  ;  e  la  potenza  che  ascolta  la 
cosa,  è  quella  che  ha  con  sé  1'  anima  in  pieno  atto,  in  pieno  vigore. 
Queste  due  potenze,  l'una  con  l'anima,  l'altra  senza  (sempre  in  quanto 
all'atto)  si  possono  dire  e  sono  veramente  l'una  legata,  cioè  quella  che 
ha  l'anima  inerte  e  non  operativa  ;  l'altra  sciolta,  cioè  quella  che  ha 
l'anima  nel  pieno  esercizio  della  sua  attività. 

*  Di  ciò  ebb1  io  ecc.  Cioè  ho  esperimentato  veramente  qui ,  che 
quando  una  potenza,  p.  e.  l'udito,  tira  a  sé  tutta  l'anima,  la  vista  non 
si  accorge  di  quel  che  vede.  È  lo  stesso  raziocinio  tanto  delle  potenze 
spirituali,  quanto  delle  fisiche,  alle  quali  il  poeta  qui  accenna. 

6  Udendo...*  e  ammirando  ecc.  Udendo  Manfredi  con  tutta  l'anima, 
e  ammirando  poi  non  Manfredi,  come  intendono  alcuni,  ma  che  il  tempo 
mi  fosse  ito  senza  accorgermi,  perchè  i  miei  occhi,  ove  l'anima  non  era, 
non  potevano  attendere  al  salire  del  sole,  ancorché  vedessero  il  sole* 

7  Che  ben  cinquanta  ecc.  L' ultimo  accenno  cronologico  ci  fissava 
ore  1.20  di  sole,  ossia*  ore  7.30  antim.  (Vedi  Canto  III,  n.  11)  eh' è 
quanto  dire  che  il  sole  a  quel  punto  era  salito  20  gradi  sull'orizzonte. 
Ora  vediamo  il  sole  50  gradi  sull'orizzonte.  Dunque  il  sole  dall'ulti- 
ma volta  a  questa  parte  ha  percorso  30  gradi,  ossia  2  ore,  essendo  che 
egli  percorre  15  gradi  per  ogni  ora.  Perciò  alle  7.30  antimeridiane  chi 
avevamo  prima,  aggiungendo  2  ore  trovate,  abbiamo  presentemente 
ore  9.30  antim.  e  cosi  sappiamo  che  dalla  fuga  alla  campagna  per  lo 
spavento  di  Catone,  fino  all'  indicazione  della  salita  passarono  ore  2. 


M  PURGATORIO 

Lo  sole,  ed  io  non  m'era  accorto,  quando 
Venimmo  dove  queir  anime  ad  una  * 
Gridaro  a  noi  :  Qui  è  vostro  dimando.  * 
Maggiore  aperta  molte  volte  impruna  l0 
20.         Con  una  forcatella  di  sue  spine  '*    . 

L'uom  della  villa  quando  l'uva  imbruna, 
.  Che  non  era  la  calla  onde  saline  " 


*  Quell'anime  ad  una.  Tutte  ad  una  voce.  Bastava  una  sola  all'uo- 
po dei  poeti,  per  esempio  Manfredi,  che  indicasse  la  via  di  salita;  ma 
non  bastava  alla  carità  di  quell'anime  tutte  ugualmente  propense  pei 
noi.  Qui  si  vede  pure  che  quelle  anime  doveano  in  pena  della  lor  di- 
lazione a  convertirsi  girar  lente  lente,  rasentando  sempre  la  cerchia 
dov'era  la  salita,  e  per  dove  dovean  vedere  salire  tante  anime,  rima- 
nendo esse  escluse,  il  che  è  grande  tormento.  Anche  Casella  alla  foce 
del  Tevere  dovea  vedere  rimbarco  delle  anime,  che  andavano  al  Pur- 
gatorio, senza  potersi  lui  stesso  imbarcare. 

9  Qui  è  vostro  dimando.  La  materia  della  vostra  dimanda,  quello 
che  ci  avete  domandato,  ossia  la  salita. 

io  Maggiore  aperta  ecc.  Vaghissima  ed  elegantissima  comparazione, 
a  significare  l'angustia  del  calle  per  cui  doveano  salire. 

n  Forcatella.  Perchè  forcatella?  Per  indicar  che  il  foro  da  otturare 
è  assai  piccolo. 

43  Che  non  era  la  calla  ecc.  È  lo  stesso  che  calle:  altre  volte  Dante 
dice  callaia.  Era  una  ristrettissima  spaccatura  di  monte  entro  cui  sì 
saliva  al  Purgatorio.  Ecco  la  ragione  perchè  i  poeti  non  la  videro  pri- 
ma sebbene  l'avessero  sotto  gli  occhi.  Vedi  Tav.  il,  Purg.  al  ferro 
della  freccia.  Se  avete  sottocchio  il  diseguo  del  Fraticelli,  potete  os- 
servare quant'esso  sia  errato  qui  e  in  tutto  il  resto,  come  dal  più  al 
meno  errarono  ne'  lor  disegni  tutti  gii  altri  commentatori.  Si  errò  per 
l'Atrio  non  estendendolo  dal  mare  a  92  miglia  d'altezza;  si  errò  nel 
collocamento  della  strada  che  attraversa  l'Atrio  da  imo  a  sommo,  e  si 
errò  in  tante  altre  cose  che  vedremo.  Perciò  è  assai  necessario  aver 
sempre  sott'  occhio  la  mia  Tav.  II. 

Eppure  per  questa  stessa  rottura  erano  entrate  quelle  più  che  cen* 
l'anime  dapprima  sbarcate.  Di  qui  un  dubbio.  Se  quell'anime  entrarono 
per  questa  calla  e  salirono  per  essa,  e  i  poeti  erano  con  loro  fuggiti 
dalla  spiaggia  al  monte,  com'è  ch'essi  non  videro  il  buco  per  cui  esse 
anime  sparirono?  La  ragione  è  evidentissima:  perciocché  essendo  il 


CANTO  IV.  91 


Lo  duca  mio,  ed  io  appresso  soli, 
Come  da  noi  la  schiera  si  partine. 


monte  circolare,  dopo  breve  tratto  le  anime  furono  perdute  di  vista 
dai  poeti;  l'uno  dei  quali,  per  avere  il  corpo,  non  potea  correre  come 
gli  spiriti,  e  ritardò  per  conseguenza  anche  la  foga  del  suo  condot- 
tiero. Rimasti  dunque  i  poeti  troppo  indietro,  e  le  anime  essendo  in- 
tanto giunte  fuori  della  loro  prospettiva  dietro  la  svolta  del  monte, 
queste  poterono  ficcarsi  di  botto  su  per  la  calla,  prima  che  vi  soprag- 
giungessero i  due  poeti;  o  cosi  questi  non  ne  sepper  più  nulla.  Quan- 
t'arte  non  ci  vuole  nel  poeta  per  non  dire  la  cosa  apertamente,  e  pure 
farcela  cavare  nò  più  nò  meno  che  se  l' avesse  detta  ! 

Un  altro  dubbio  a  proposito  di  questo  buco  di  salita.  Se  vi  ri- 
corda, Catone  aveva  ammoniti  i  due  poeti  dicendo: 

Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita: 
Lo  sol  vi  mostrerà  che  surge  ornai 
Prendere  il  monte  a  più  lieve  salita. 

È  chiaro  che  Catone  con  queste  parole  pretese  insegnar  loro  la  salita, 
che  ora  fu  indicata  dall'  anime,  e  che  i  poeti  non  aveano  potuto  ve- 
dere, non  ostante  che  il  sole  fosse  alto  sull'orizzonte  50  gradi.  Come 
dunque  questo  può  conciliarsi  col  detto  di  Catone  ? 

Rispondo.  Il  sole  l'avrebbe  veramente  mostrata,  se  i  poeti  invece 
di  fermarsi  sulla  riva  del  mare  colle  anime  sbarcate,  per  un'ora  e  venti 
minuti  dopo  la  nascita  del  sole,  fossero  venuti  subito  alla  cinta  nella 
levata  del  sole.  Essendo  questa  facciata  del  monte  precisamente  volta 
ad  oriente,  il  sole,  nascendo,  feriva  direttamente  la  calla  di  salita  che 
sega  per  mezzo  questa  facciata  di  monte.  Onde  il  dire:  Lo  sol  vi  mo- 
strerà che  surge  ornai  prendere  il  monte  a  più  lieve  salita,  era  quanto 
dire  che  la  salita  era  in  mezzo  della  facciata.  Vedi  Tav.  II,  Purg. 

Terzo  dubbio.  Perchè  la  bocca  di  salita  al  Purgatorio  è  ristret- 
tissima, difficile  a  trovarsi,  ed  è  mestieri  che  il  sole,  e  sol  nascente  la 
mostri,  mentre  la  porta  d'Inferno  fu  larga,  di  facile  ritrovamento,  senza 
bisogno  di  sole?  Perchè  la  via  di  salute  è  stretta  e  pochi  camminano 
per  essa,  e  questi  dietro  i  lumi  del  sol  di  giustizia  Gesù  Cristo,  che 
dicesi  oriens  ex  alto,  Invece  essendo  larga  la  via  di  perdizione, perchè 
secondo  i  nostri  scorretti  appetiti,  e  molti  andando  per  essa,  sprez- 
zando i  lumi  di  Gesù  Cristo,  perciò  la  porta  d'Inferno  e  fu  larga,  e  si 
trovò  subito  dai  poeti,  e  si  trovò  nelle  tenebre  della  notte. 


92  PURGATORIO 

Vasai  in  Sanleo,  e  discendesi  in  Noli, la 
Montasi  su  Bismantova  in  cacume 
Con  esso  i  pie  ;  ma  qui  convien  ch'uom  voli  : 

Dico  con  Tali  snelle,  e  con  le  piume 

Del  gran  disio,  diretro  a  quei  condotto,  u 
30.         Che  speranza  mi  dava,  e  facea  lume.  1* 

Noi  sali  vani  per  entro  il  sasso  rotto,  *6 
E  d'ogni  lato  ne  stringea  lo  stremo, 
E  piedi  e  man  voleva  il  suol  di  sotto. 

**  Sanleo*  Luogo  forte  posto  su  monte  alpestro  in  quel  dTTrblno. 
Noli,  città  sulla  riviera  di  ponente  genovese,  appio  dell'alpi  marittime. 
Bismantova,  montagna  scoscesa  del  Reggiano  di  Modena,  a  Castel 
nuovo  dei  monti,  sulla  cui  cima  hawi  un  monastero  tutto  scavato  nel 
masso.  Sono  luoghi  celebri  per  ascese  malagevolissime .  Eppure  per 
tali  ascese,  a  stento  sì,  ma  i  pie  ci  riescono. 

Ebbene,  messe  al  confronto  con  questa  del  Purgatorio,  si  direbbe 
che  se  quelle  vogliono  buoni  piedi,  questa  vuole  buone  ali.  E  si  tratta 
che  questo  è  il  luogo  indicato  da  Catone  quando  disse  :  Prender  il 
monte  a  più  lieve  salita,  e  che  questo  è  il  luogo  chiesto  da  Virgilio 
alle  anime  colle  parole:  Ditene  dove  la  montagna  giace.  Dunque  Dante 
non  monterà  perch'è  senz'ali?  Monterà  istessamente  perchè  Tali,  che 
qui  occorrono  non  sono  già  le  materiali,  ma  bensì  le  spirituali,  che 
Dante  avea  molto  buone,  e  però  cosi  si  spiega  dicendo  subito:  Dico 
con  Vali  snelle,  e  con  le  piume  del  gran  disio. 

**  Diretro  a  quel  condotto.  Dietro  a  quel  condottiero,  ossia  dietro  a 
Virgilio  mia  guida.  Si  fanno  tante  maraviglie,  perchè  il  poeta  abbia 
usato  condotto  per  condottiero,  mentre  si  ha  continuamente  sotto  gli 
occhi  l'esempio  di  questa  parola  in  questo  senso.  Infatti  i  canali  che 
conducono  l'acqua  si  dicono  condotti,  che  evidentemente  vale  per  con- 
dottieri, n  Bianchi  lo  vorrebbe  participio  applicato  a  Dante,  cioè  io 
condotto  diretro  a  quel;  ma  non  e'  è  bisogno  di  questa  stiracchiatura. 

*5  Che  speranza  mi  dava  e  facea  lume*  Mi  facea  coraggio,  e  m'in- 
segnava la  strada  :  ecco  la  speranza ,  ecco  il  lume.  Così  diciamo  il 
secolo  dei  lumi,  non  già  in  senso  proprio  ma  traslato,  cioè  d*  insegna- 
menti, di  cognizioni. 

*6  Noi  salivam  ece.  Questa  salita  ha  un  luogo  parallelo  ne\V  Inferno* 
Canto  XXIV,  v,  22  e  seg,  È  bello  il  confronto  di  queste  due  salite 
per  la  differenza  di  esse,  secondo  la  varietà  dei  luoghi. 


CANTO  IV.  93 

Quando  noi  fummo  ih  su  Torlo  supremo  " 
Dell'alta  ripa  alla  scoverta  piaggia, 
Maestro  mio,  diss'  io,  che  via  faremo  ? 
Ed  egli  a  me  :  Nessun  tuo  passo  caggia  :  ,8 
Per  su  al  monte  dietro  a  me  acquista 
Fin  che  n'appaia  alcuna  scorta  saggia, 
io.     Lo  sommo  er'alto,  che  vincea  la  vista,  19 
E  la  costa  superba  più  assai, 20 

*7  In  su  Vorlo  supremo.  Orlo  supremo,  non  perchè  quivi  terminasse 
il  monte  né  la  roccia  scoscesa,  ma  perchè  la  roccia  avea  ivi  una  cotal 
divisione,  o  addentramento  e  poi  di  nuovo  continuava.  Vedi  la  mon- 
tagna a  35  miglia  d'altezza  nella  mia  Tav,  II  Purg* 

l*  Nessun  tuo  passo  caggia.  Non  soffermarti  punto,  non  vengan 
meno  i  tuoi  passi;  ma  segui  a  camminare. 

w  Lo  sommo  ecc.  Non  vedeva  la  cima  della  montagna,  tanto  era  alta. 
Troveremo  che  Dante  parla  spesso  dell'altezza  maravigliosa  di  questo 
monte.  Ciò  fa  a  bello  studio  perchè  non  ci  scordiamo  ch'esso  è  alto 
miglia  95,  come  abbiam  dimostrato  altrove,  e  dimostreremo  ancora. 

&  Eia  costa  ecc.  E  questo  intervallo  tra  la  prima  e  la  seconda  roccia 
era  uno  spazio  assai  più  erto,  che  non  sia  la  inclinazione  che  fa  la  linea 
condotta  dalla  circonferenza  di  un  mezzo  quadrante  al  suo  centro.  Il 
quadrante  è  un  quarto  di  cerchio  che  nella  figura  che  segue  è  com- 
preso da  A  B  C. 


Ebbene,  si  prenda  la  metà  di  questo  quadrante,  segando  la  cir- 
conferenza per  mezzo  con  una  linea,  che  da  quel  punto  vada  al  centro» 
e  sarebbe  la  linea  B  D.  L'inclinazione  di  quella  costa,  per  cui  era 


94  PURGATORIO 

Che  da  mezzo  quadrante  a  centro  lista. 
Io  era  lasso,  quando  incominciai  :  w 

O  dolce  padre,  volgiti  e  rimira, 

Com' io  rimango  sol  se  non  ristai. 
O  figliuol,  disse,  in  sin  quivi  ti  tira, 

Additandomi  un  balzo  poco  in  sue,  K 

Che  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gira.  *3 
Sì  mi  spronaron  le  parole  sue, 
50.         di'  i'  mi  sforzai,  carpando  appresso  lui,  24 

Tanto  che  il  cinghio  sotto  i  pie  mi  fue.  *5 
A  seder  ci  ponemmo  ivi  ambedui  26 

Volti  a  levante,  ond'eravam  saliti,  *7 

invitato  a  salir  Dante  ,  era  ancora  più  rapida,  o  più  superba,  ov- 
vero più  accostatesi  alla  linea  perpendicolare  À  B  ,  che  torne- 
rebbe alla  linea  interpuntata  13  E,  L'inclinazione  data  da  noi  olla 
montagna  nel  nostro  disegno  della  Tav.  II  è  appunto  tale. 

21  Io  era  la 880  quando  ecc.  Il  poeta  vuole  scusarsi  se  incominciò 
a  parlar  a  Virgilio  in  tono  non  mai  da  lui  usato  prima.  Si  legga 
infatti  la  dimanda  di  Dante  compresa  nei  due  versi  seguenti,  e  si  vedrà 
che  sanno  un  po' d'intollerante.  Perciò  a  scusarsene  dice:  Quando  disse 
queste  parole  io  era  proprio  lasso.  Tale  e  il  vero  senso  di  questa 
terzina,  sottiletto  anziché  no;  ma  deguo  che  ben  si  osservi. 

22  Un  balzo  poco  in  sue.  Il  balzo  a  quasi  miglia  55  di  altezza. 
Vedi  Tav.  II,  Purg. 

23  Da  quel  lato.  Dice  da  quel  lato,  cioè  dal  lato  di  levante  ove 
salivano,  perchè  non  poteva  sapere  se  quel  balzo  continuasse  per  tutto 
il  giro  del  monte,  anche  dal  lato  occidentale. 

9*  Carpando*  Andando  carponi. 

28  Tanto  che  il  cinghio  ecc.  Tanto  che  giunsi  sovra  il  cinghio  a 
posarvi  i  miei  piedi.  Era  il  cinghio  che  trovate  a  quasi  miglia  55 
d'altezza. 

26  il  seder  ci  ponemmo  ecc.  Sedette  anche  Virgilio,  per  la  prima 
volta. 

27  Vòlti  a  levante  ecc,  È  infatti  cosi  :  quando  uno  è  salito  a  gran 
fatica  su  qualche  altezza  di  monte,  la  prima  cosa  che  fa  ò  sedere  (il 
che  fu  detto)  e  sedere  cosi  da  guardare  il  fatto  cammino  (il  che  si 
dice  qui),  perchè  si  compiace  in  vedere  il  frutto  de'  suoi  stenti  :  Che 


CA^TO  IV.  05 

Che  suole  a  riguardar  giovare  altrui. 
Gli  occhi  prima  drizzai  a'  bassi  liti,  M 

Poscia  gli  alzai  al  sole,  e  ammirava, 

Che  da  sinistra  n'eravani  feriti.  w 
Ben  s'avvide  il  poeta,  ch'io  stava 

Stupido  tutto  al  carro  della  luce,  30 
60.         Ove  tra  noi  ed  Aquilone  intrava.  3* 


suole  a  riguardar  giovare  altrui;  non  a  riguardar  il  levante,  ina  a  ri- 
guardar la  parte  ov'è  salito  ;  se  questa  è  levante,  il  piacere  si  ha  riguar- 
dando a  levante;  se  è  ponente,  il  piacere  si  ha  riguardando  a  ponente. 

38  Gli  occhi  prima  drizzai  a*  bassi  liti  —  Poscia  ecc.  Anche  questo 
è  pretta  natura  ed  è  quel  che  infatti  si  fa  in  tali  circostanze.  Si  noti 
bassi  liti,  perchè  infatti  il  cammino  fu  lungo,  e  s' era  molto  levato 
dal  livello  del  mare,  cioè  quasi  miglia  55. 

W  Che  da  sinistra  n'eravam  feriti.  Gli  abitanti  di  Gerusalemme 
(primo  punto  di  partenza)  in  qualunque  stagione  si  sin,  se  si  volgono 
verso  levante  presso  il  mezzogiorno,  sono  percossi  dal  Sole  nella  spalla 
destra,  mentre  i  loro  antipodi  volti  allo  stesso  levante  nell'  ora  stessa 
sono  percossi  dal  Sole  nella  spalla  sinistra.  Questa  differenza  ammi- 
rava il  poeta,  e  intanto  con  questa  sua  ammirazione,  senza  che  ce 
ne  avvediamo,  ci  dice  che  allora  era  vicino  il  mezzogiorno,  cioè  le 
11.30  circa,  perchè  in  sola  quest'ora  il  Sole  potea  percuoterlo  sulla 
spalla  sinistra ,  o  sul  fianco  sinistro ,  stando  però  rivolto  a  levante 
com'era.  Così  ci  fa  sapere  ch'egli  compì  tutta  la  salita  della  roccia 
da  circa  7  miglia  d'altezza  a  quasi  55  in  2  ore,  quante  corrono  dalle 
9.30,  in  cui  incominciò  a  salire  la  roccia  alle  11.30  che  abbiamo  pre- 
sentemente nel  termine  della  roccia  stessa. 

m 

La  determinazione  poi  di  30  minuti  che  mancavan  al  mezzodì 
si  può  veder  trattata  sotto,  Canto  IV,  n.  60,  quando  non  era  ancor 
giunto  mezzogiorno,  al  quale  ai  giunge  solo  in  fine  di  questo  Canto, 

80  Carro  della  luce.  Sole,  che  secondo  le  favole  circola  il  cielo  entro 
un  carro  tratto  da  focosi  cavalli. 

81  Ove*  Colà  al  Purgatorio.  —  Tra  noi  e  Aquilone  intrava.  Intrava 
vale  girava  tramezzo  a  noi  ed  Aquilone.  Noi  nelle  nostre  latitudini 
settentrionali  o  per  meglio  dire  al  di  qua  del  tropico  del  cancro  ve- 
diamo il  Sole  intrar  o  frapporsi  tra  noi  ed  il  mezzogiorno.  Al  contrario 
gli  abitatori  delle  latitudini  meridionali,  ossia  al  di  la  del  tropico  dèi  Ca- 
pricorno, vedono  il  Sole  intrar,  o  frapporsi  tra  ossi  ed  il  settentrione 


96  PURGATORIO 

Ond'egli  a  me  :  Se  Castore  e  Polluce  a 
Fossero  in  compagnia  di  quello  specchio,  M 
Che  su  e  giù  del  suo  lume  conduce;  " 

Tu  vederesti  il  Zodiaco  rubecchio  w 
Ancora  all'Orse  più  stretto  rotare  *6 

**  Se  Castore  e  Polluce.  Se  il  Sole  (specchio  che  conduce  intorno 
alla  terra  la  sua  lucei  fosse  in  Gemini,  e  non  in  Ariete,  com'è  presen- 
temente, ossia  se  fossimo  in  giugno  invece  di  essere  in  aprile,  quando 
il  Sole  ai  21  di  quel  mese  si  è  scostato  dall'equatore  il  più  possibile, 
arrivando  cosi  al  tropico  del  Cancro  o  al  solstizio  d'estate  per  Ge- 
rusalemme, tu  vedresti  la  linea  luminosa,  in  focata  (Zodiaco  rubecchio) 
che  percorre  il  Sole  in  Gemini,  più  inclinata  ancora  verso  Aquilone 
(Ancora  aWOrse  più  stretto  rotare),  se  non  mutasse  il  suo  corso 
sempre  seguito  fin  qui  (Se  non  uscisse  fuor  del  cammi*  vecchio). 
Sicché,  ad  esprimere  il  pensiero  con  meno  scienza,  Virgilio  dice  a 
Dante  cosi  :  Tu  fai  le  maraviglie  perchè  vedi  il  Sole  girare  dalla  parte 
di  settentrione.  Sappi  che  lo  vedresti  più  inclinato  verso  settentrione 
da  qui  ad  oltre  due  mesi,  e  allora  foresti  maraviglie  ancora  mag- 
giori, per  essere  stato  avvezzo  prima  di  questo  viaggio,  quand'eri  nel 
tuo  emisfero,  a  veder  girarti  il  Sole  sempre  dal  lato  di  mezzogiorno. 
Si  sa  che  Castore  e  Polluce,  due  figli  di  Giove  e  di  Leda,  nati  ad  un 
parto,  sono  la  costellazione  di  Gemini  in  cui  entra  il  Sole  addi  21  di 
maggio,  e  vi  resta  sino  addi  21  giugno,  nel  quale  il  Sole  s'è  scostato 
il  massimo  grado  dall'Equatore,  e  s'è  accostato  il  massimo  grado  verso 
settentrione. 

**  Specchio*  lì  Sole  è  detto  specchio  perchè  riflette  a  noi  la  luce 
ricevuta  dall'1  angelo  suo  motore,  secondo  il  sistema  di  Dante  espresso 
nel  Convito,  e  secondo  il  sistema  di  tutti  in  quei  tempi, 

i*  Che  su  e  giù  eoe,  Da  levante  ad  occidente,  e  da  occidente  a 
levante:  e  inoltre  da  settentrione  a  mezzogiorno  e  viceversa,  ossia 
dal  tropico  del  Cancro  al  tropico  del  Capricorno  e  viceversa  per  l'E- 
clittica, 

*$  Zodiaco  rubecchio.  Il  Zodiaco  è  l'Eclittica,  ossia  quella  fascia 
del  cielo  compresa  tra  il  Cancro  ed  il  Capricorno,  partita  in  12  co- 
stellazioni, entro  i  quali  termini  gira  il  Scie  in  un  anno  e  dove  sten- 
desi  la  sona  torrida,  Rubecchio,  perchè  è  la  sola  parte  del  cielo  per- 
corsa dal  disco  solare  fiammeggiante. 

1*  Orse*  Due  costellazioni  presso  il  polo  artico:  Orsa  maggiore,  e 
Orsa  minore.  Stanno  per  settentrione. 


CANTO  IV.  07 

Se  non  uscisse  fuor  del  cammin  vecchio. 
Come  ciò  sia,  se  '1  vuoi  poter  pensare, 37 
Dentro  raccolto  immagina  Sion  *8 

37  Come  ciò  sia.  Se  vuoi  poter  pensare  come  sia  che  da  taluno  si 
vegga  il  Sole  girare  da  un  fianco,  e  da  tal  altro  dal  fianco  opposto, 
sebbene  tutti  viviamo  nello  stesso  globo  terracqueo,  ingegnati  a  que- 
sto modo  che  ti  dirò. 

38  Dentro  raccolto  ecc.  Raccolto  in  te  stesso  figurati  la  sfera  ter- 
restre, sulla  quale  ci  sieno  questi  due  luoghi:  il  monte  di  Sion,  donde 
siamo  partiti,  e  il  monte  del  Purgatorio,  dove  siamo;  e  ch'essi  sicn 
collocati  secondo  le  seguenti  tre  condizioni: 

a)  Che  abbiano  un  orizzonte  comune  (SI  ch'ambedue  hanno  un 
nolo  orizzbnj  ; 

b)  Che  abbiano  cmisperi  diversi  (E  diversi  emisperi)  ; 

e)  Che  sieno  fuori  dall'Eclittica,  ossia  dai  Tropici,  ossia  dalla 
zona  torrida,  ossia  più  distanti  di  gradi  23.30  dall'equatore  (Ond'k 
la  strada,  —  Che  mal  non  seppe  carreggiar  Fetòr.). 

Due  luoghi  che  avessero  le  tre  condizioni  esposte,  evidentemente 
sarebbero  non  solo  antipodi  (attenti  bene),  ma  avrebbero  ancora  il 
Sole  dalla  parte  contraria.  Le  due  prime  condizioni  li  rendono  an- 
tipodi ;  l'ultima,  e  l'ultima  sola,  badate  bene,  li  rende  tali  da  vedere 
girarsi  il  Sole  ai  fianchi  tra  loro  opposti. 

Le  due  prime  condizioni  sono  facili  a  comprendere  ;  un  po'  men 
facile  è  la  terza,  per  ragion  del  modo  con  cui  e  espressa,  ma  però 
facile  anch'essa  a  chi  ben  mira.  Spieghiamo  prima  la  condizione,  e 
poi  il  modo  un  po'  astruso.  La  terza  condizione  si  era,  che  questi  due 
luoghi  per  poter  aver  necessariamente  e  sempre  il  Sole  dai  lati  op- 
posti, deono  stare  fuori  dell'Eclittica,  e  non  dentro;  perchè  se  fossero 
dentro  dall'Eclittica,  ossia  compresi  tra'  due  Tropici,  quantunque  essi 
luoghi  si  suppongano  antipodi,  non  avrebbero  sempre  e  necessariamente 
il  Sole  da  parte  contraria.  Infatui  state  attenti,  che  ve  lo  mostro  con 
tutta  l'evidenza.  Voi  sapete  che  il  Sole  in  un  anno  si  scosta  gradi  23.30 
dall'equatore  verso  settentrione,  ed  altrettanti  si  scosta  dall'equatore 
verso  mezzodì,  girando  così  per  tutta  l'Eclittica,  o  per  tutto  il  Zo- 
diaco tra  il  Tropico  del  Cancro  e  il  Tropico  del  Capricorno.  Or  bene, 
fingete  adesso  due  luoghi  antipodi,  che  sieno  compresi  dentro  l'Eclit- 
tica, a  quella  distanza  che  volete  dall'equatore,  ma  sempre  dentro 
l'Eclittica,  e  per  determinarli  supponeteli  ambedue  12  gradi  distanti 
dall'equatore,  l'uno  verso  settentrione  in  un  emisfero,  l'altro  verso 

7 


98  PURGATORIO 

mezzogiorno  nell'altro  emisfero.  Si  può  egli  verificare  per  questi  due 
luoghi  la  terza  condizione  posta  da  Dante ,  che  cioè  essi  debbono 
avere  il  Sole  da' lati  contrari  nello  stesso  giorno?  Mainò.  Infatti  quando 
il  Sole  per  costoro  sarà  in  Gemini,  e  più  precisamente  presso  ai  21  di 
giugno,  quando  il  Sole  sarà  sulla  linea  del  Tropico  del  Cancro  nel 
solstizio  di  Estate,  entrambi  questi  luoghi  lo  vedranno  verso  una  stessa 
parte,  cioè  verso  settentrione.  Ma  questo  non  può  succedere  pei  luoghi 
antipodi  che  sono  fuori  dell'Eclittica,  o  fuori  dei  Tropici.  Per  questi 
antipodi,  necessariamente  il  Sole  è  sempre  veduto  in  parti  contrarie: 
Sion,  per  esempio,  che  è  circa  6  gradi  fuori  dell'Eclittica  verso  il  nord, 
vede  e  dee  vedere  sempre  il  Sole  verso  mezzogiorno;  mentre  il  monte 
del  Purgatorio  suo  antipode,  e  quindi  anch'esso  6  gradi  fuori  del- 
l'Eclittica verso  il  sud,  lo  vede  e  dee  vedere  sempre  verso  il  nord. 

Tutto  sta  adesso  rilevare  se  la  terza  condizione,  come  la  espone 
Daute,  voglia  veramente  precisare  luoghi  fuori  dell'Eclittica.  Dico 
dunque  che  le  parole  di  Dante  vogliono  dir  questo,  e  solo  questo. 
Ripetiamole:  Una' è  la  strada,  —  Che  mal  non^seppe  carreggiar 
Fetòn. 

Ricordiamo  primieramente  la  favola  di  Fetonte.  Questo  figliuolo 
del  Sole,  giovine  inesperto,  ebbe  un  giorno  la  presunzione  di  chie- 
dere al  padre  licenza  di  guidar  egli  il  suo  carro  per  la  strada  del- 
l'Eclittica. Il  padre  Io  contentò,  ma  il  figlio  non  riusci  :  i  cavalli  gli 
tolsero  la  mano,  e  il  Sole  andava  per  l'Eclittica  all'impazzata,  la- 
sciando un  segnale  di  arsione  nella  Via  Lattea.  Questa  è  la  strada, 
che  Fetonte  seppe  mal  carreggiar,  ma  uon  è  quella  strada  che  in- 
tende qui  Dante  ;  perchè  Dante  dice  invece  che  Fetonte  non  la  seppe 
carreggiar  male.  Or  mi  si  dica  qual'  è  quella  strada,  che  non  seppe 
carreggiar  male  Fetonte?  Non  è  altra  che  la  strada  fuori  dall'Eclit- 
tica, non  .già  perch'egli  l'abbia  carreggiata  bene,  ma  perchè  non  vi 
portò  il  mal  carreggiamento,  che  avea  cominciato  nell'Eclittica,  dalla 
quale  lo  avrebbe  portato  chi  sa  dove  se  a  tempo  non  fòsse  stato  dal- 
l'Eclittica trabalzato  nel  Po.  Dante  dice  tutto  questo  abbastanza 
chiaro,  usando  l'avverbio  onde,  e  non  ove.  Onde  vuol  dire  moto  da 
un  luogo,  o  remozione  da  un  luogo,  ed  è  come  Dante  avesse  detto: 
Fetonte  carreggiò  male  nell'Eclittica:  dall'Eclittica  non  seppe  esten- 
dere al  di  fuori  il  suo  mal  carreggiar,  e  questa  è  quella  strada,  che 
intendo  io,  perchè  sola  in  questa  regge  la  verità  della  mia  tesi,  la 
quale  è  di  mostrare,  che  vi  sono  antipodi  che  veggono  il  Sole  da 
contrarie  bande  necessariamente,  e  questa  tesi,  che  non  può  verifi- 
carsi entro  l'Eclittica,  si  verifica  appuntino,  per  tutti,  e  sempre  fuori 
dell'Eclittica,  onde  comincia  la  strada  Che  mal  non  seppe  carreggiar 
Fetòn,  perchè  fuori  uon  vi  potè  carreggiare. 


CANTO  IV.  W 

Con  questo  monte  in  su  la  terra  stare 
70.     Sì  ch'ambedue  hanno  un  solo  ori  zzò n 
E  diversi  emi speri,  ond'è  la  strada, 
Che  mal  non  seppe  carreggiar  Fetòn; 

Vedrai  come  a  costui  convien,  che  vada  w 
Dall' un,  quando  a  colui  dall'altro  fianco, 
Se  lo  intelletto  tuo  ben  chiaro  bada. 

Certo,  Maestro  mio,  diss'  io,  unquanco 
Non  vid'  io  chiaro  sì,  com'  io  digeerno  *° 

Questo  e  non  altro  è  il  scuso  genuino  di  Danto,  non  mai  inteso 
finora  da  nessun  commentatore,  anzi  inteso  tutto  a  rovescio  contro 
la  tesi  dantesca,  che  pur  bisogna  confessare  svolta  con  una  precisione 
maravigliosa.  Inteso  Dante  così,  è  facile  intendere  la  terzina  seguente; 
inteso  invece  come  vollero  sinora  i  commentatori,  è  falso  e  contrad- 
ditorio il  senso  della  terzina  stessa. 

39  Vedrai  ecc.  Vedrai  come  a  questo  monte  del  Purgatorio  (a  co- 
Btui)  convien  che  il  Zodiaco  rubecchio,  o  il  Sole,  che  è  nel  Zodiaco,  vada 
dall'un  fianco,  p.  es.  dal  fianco  sinistro,  che  riesce  a  settentrione  stando 
volti  ad  oriente,  nel  mentre  che  al  monte  di  Sion  suo  antipode  convien 
che  il  detto  Zodiaco,  o  il  Sole,  vada  dal  fianco  opposto,  per  esempio, 
dal  fianco  destro,  che  riesce  a  mezzodì,  stando  volti  pure  ad  oriente. 
Notale  questo  convien,  che  non  può  dirsi  che  pei  luoghi  fuori  del- 
l'Eclittica. Provatevi,  lo  dico  di  nuovo,  a  non  intendere  nel  senso  da 
me  esposto  la  terza  condizione  veduta  nella  nota  passata  alla  let- 
tera e,  e  vedrete,  che  il  ratto  asserito  in  questa  presente  terzina 
non  potrebbe  verificarsi,  e  che  Dante  sarebbe  venuto  ad  una  con- 
clusione impertinente,  falsa  e  contradditoria. 

*°  Non  vidi  io  ecc.  La  dimostrazione  di  Virgilio  fu  veramente  da 
maestro,  né  mai  prima  d'ora  suonata  sul  labbro  di  nessuno,  e  deve 
esser  piaciuta  immensamente  ai  contemporanei  di  Dante,  che  in  siffatte 
notizie  eran  bambini,  ma  ghiotti  di  saperne.  Del  resto  questa  istru- 
zione ha  del  maraviglioso  anche  per  noi  ;  e  la  prova  l'abbiamo  nel 
non  averla  afferrata  tutti  i  commentatori  moderni,  quantunque  le 
cognizioni  astronomiche  e  geografiche  sieno  all'apice.  Infatti  i  com- 
mentatori moderni  non  seppero  o  non  considerarono,  che  gli  antipodi 
per  avere  costantemente  il  Sole  da'  lati  opposti  bisogna  che  sieno 
fuor  dell'Eclittica,  e  che  gli  antipodi  entro  l'Eclittica  non  vanno  sog- 
getti a  questa  legge. 


100  PURGATORIO 

Là  dove  mio  ingegno  parea  manco  : 
Che  il  mezzo  cerchio  del  moto  superno,  w 
80.         Che  si  chiama  Equatore  in  alcun'arte,  tt 
E  che  sempre  riman  tra  il  sole  e  il  verno,  u 

Si  credette  finora  dir  vero,  dicendo  che  gli  antipodf  veggono  il 
Sole  in  parte  contraria,  e  non  si  vide,  che  la  proporzione  non  è  esatta, 
perchè  non  basta  esser  antipodi,  ma  è  necessario,  che  questi  antipodi 
sieno  fuor  dell'Eclittica. 

"  Parea  manco  Insufficiente  air  intelligenza  di  cognizioni  cosi  alte 
e  nuove. 

**  Che  il  mezzo  cerchio  ecc.  Lo  scolaro  Dante  ora  dimostra  di  aver 
compreso  la  lezione  del  suo  maestro  facendogli  da  sé  stesso  una  nuova 
giunta,  perchè  trovata  una  cosa  è  facile  aggiungerne  un'altra.  Prego 
che  si  attenda  bene  a  questa  giunta.  Il  cerchio  di  cui  parla  è  fram- 
mezzo i  poli  o  frammezzo  i  Tropici  dividendo  il  cielo  e  la  terra  in 
due  parti  uguali:  perciò  si  dice  mezzo  cerchio, 

*8  Che  si  chiama  Equatore.  È  la  linea  equinoziale,  che  divide 
l' Eclittica  per  metà,  e  parallelamente  ai  tropici. 
In  alcun'arte.  Astronomia  o  Cosmografia. 

**  E  che  sempre  riman  ecc.  Il  Sole  s'aggira  dall'una  e  dall'  altra 
parte  dell'Equatore  sino  al  Tropico  del  Cancro  verso  settentrione, 
e  fino  al  Tropico  del  Capricorno  verso  mezzodì.  L' Equatore  riman 
sempre  tra  il  Sole  e  l'inverno,  ossia  tra  Testate  e  l'inverno.  Anche 
questa  proposizione  non  può  essere  vera,  come  vuol  qui  Dante,  se 
non  pegli  antipodi  fuori  dell'Eclittica,  e  quindi  anche  con  questo 
verso  mira  a  soli  essi.  R 

Dico  che  non  può  esser  vera  pegli  antipodi  entro  l'Eclittica,  e 
perchè  essi  non  hanno  mai  il  verno,  vivendo  nella  zona  torrida,  e 
più  perchè  ci  sono  gli  antipodi  della  linea  equinoziale,  o  dell'  Equa- 
tore, che  quando  hanno  entrambi  il  Sole  in  essa  linea  non  posson 
dire  di  aver  l'Equatore  tra  il  Sole  e  il  verno,  essendo  che  il  Soie 
lo  hanno  appunto  nell'Equatore. 

Dunque  dicendo  Dante  dell'  Equatore  :  E  che  sempre  riman  tra 
il  sole  e  il  verno,  non  può  averlo  detto,  che  in  riguardo  degli  an- 
tipodi, che  stanno  fuori  della  Eclittica,  a  soli  i  quali  mira  la  giunta 
che  qui  si  propone  di  fare  alla  lezione  del  suo  maestro ,  che  or  si 
va  preparando  da  gran  maestro  lui  stesso. 

Qual  è  questa  ragione  detta  da  Virgilio?  E  che  agli  antipodi 
fuor  dell'Eclittica  dee  girare  il  Sole    da  parti  contrarie.  E  Dante 


CANTO  IV.  101 

Per  la  ragion,  che  dì,  quinci  si  parte  A5 
Verso  settentrion,  quanto  gli  Ebrei  46 
Vedevan  lui  verso  la  calda  parte. 41 

procedendo  col  raziocinio  io  base  alla  cognizione  avuta,  aggiunge 
quanti  gradi  questi  antipodi  deono  veder  inclinato  dalla  propria  parte 
l'Equatore  ;  cioè  deono  veder  dalla  propria  parte  l'Equatore  incli- 
nato tanto  quanto  è  dall'altra.  Se  per  esempio  Sion  lo  vede  verso 
mezzogiorno  alla  distanza  di  30  gradi,  come  è  infatti,  il  Purgatorio 
lo  dee  vedere  inclinato  al  settentrione  alla  distanza  pure  di  80. 

Con  questa  ultima  notizia,  che  ci  porse  qui,  Dante  diede  l'ul- 
tima mano  alla  determinazione  del  vero  sito  dei  due  luoghi  antipodi 
Monte  Sion  e  Monte  Purgatorio.  Prima  ci  avea  detto  che  sono  an- 
tipodi, ma  tanti  sono  gli  antipodi,  perchè  ve  ne  ha  nell'Eclittica  e 
ve  n'  ha  fuori.  Poi  ci  ha  detto  che  questi  antipodi  son  fuori  dell'Eclit- 
tica, ma  fuori  dell'  Eclittica  ci  sono  antipodi  dai  tropici  ai  poli.  Dun- 
que di  quali  antipodi  si  parla  ?  Ossia  quanto  questi  due  antipodi  sono 
distanti  dall'Eclittica?  À  quest'ultima  differenza  rispose  qui  dicendo, 
che  tanto  il  Purgatorio  è  distante  dall'  Equatore,  quanto  dall'Equa- 
tore è  distante  Sion.  Ma  la  distanza  di  Sion  si  sa.  Dunque  per  questo* 
si  sa  anche  la  distanza  del  Purgatorio. 

**Per  la  ragion,  che  dì.  Qual'è  questa  ragione?  Sono  quelle  tre 
condizioni  esposte  sopra  colle  lettere  a,  o,  e,  ma  specialmente  là  terza, 
la  quale  determinava  che  questi  due  monti  Sion  e  Purgatorio  s' im- 
maginassero e  fossero  fuori  della  Eclittica.  Attenti  bene  che  presto 
sbuccia  la  bella  appendice  che  Dante  fa  alla  dottrina  di  Virgilio. 

tf  Quinci  si  parte  —  Verso  settentrion.  L'Equatore  da  questo  monte 
del  Purgatorio  (quinci)  si  inclina  o  si  accosta,  (si  parte)  verso  set  • 
tentrione.  Fin  qui  era  giunto  colla  sua  lezione  anche  Virgilio;  ma 
parlando  del  Sole,  non  dell'Equatore,  che  è  tutta  un'altra  cosa,  e 
da  non  confondersi,  come  han  fatto  i  commentatori  :  quello  che  segue 
è  la  giunta  bellissima,  che  noi  aspettiamo  da  Dante. 

«7  Quanto  gli  Ebrei  —  Vedevan  lui  verso  la  calda  parte.  La  le- 
zione quanto,  e  non  quando  è  la  sola  autentica.  Se  ritenete  quando, 
Dante  verrebbe  a  dire  solamente  quel  che  fu  detto,  e  sarebbe  una 
inutile  ripetizione  indegna  non  che  di  Dante,  ma  e  d'ogni  più  me- 
diocre scrittore.  Inoltre  il  quando,  nell'atto  stesso  che  nulla  aggiunge 
al  detto,  lascierebbe  incompiuta  la  dimostrazione,  che  è  di  precisare 
il  «ito  che  occupano  sulla  sfera  terrestre  li  due  monti  Sion  e  Pur- 
gatorio, alla  qual  dimostrazione  qui  si  intende  di  proposito.  Perciò 


102  PURGATORIO 

fecero  bene  il  Buti,  il  Veluteuo  ed  il  Landino  ad  attenersi  aHa  lenone 
quanto  riprovando  quella  del  quando,  che  certo  fa  errore  degli  ama- 
nuensi, seguiti  poscia  alla  cieca  dai  commentatori. 

Mi  maraviglio  poi  del  signor  canonico  Brnnone  Bianchi,  che  dopo 
di  aver  avuto  la  bella  sorte  di  abbattersi  nella  lesione  quanto  t  sia 
nondimeno  rimasto  indifferente  sul  quanto,  o  sul  quando,  dicendo 
queste  precise  parole:  «  Chi  volesse  però,  potrebbe  in  qualche  modo 
sostenere  anche  la  lezione  quando.  »  Ma  non  avendo  egli  punto  com- 
preso tutto  questo  passo,  non  potè*  pure  esser  fermo  nella  verità  che  gli 
ai  era  affacciata.  Dice  poi  che  il  P.  Ponta  nelle  sue  Tavole  cosmografi- 
che, per  r  intelligenza  della  Di  trina  Commedia,  additò  la  lesione  quanto 
come  migliore  della  comune  quando.  Dicendo  migliore  disse  troppo 
poco,  perchè  quando  si  dice  solamente  migliore  ai  lascia  sussistere  l'al- 
tra come  men  buona,  mentre  assolutamente  questa,  che  ai  vorrebbe 
men  buona,  invece  è  cattiva,  erronea  e  falsa.  Dante  o  scrisse  quanto 
o  scrisse  quando.  Indifferenza  o  almen  tolleranza  per  questo  e  per 
quello  non  si  può  dare  ;  e  chi  si  adagia  a  tal  tolleranza,  io  dico  che 
non  ha  compreso  la  tesi  proposta,  e  svolta  in  questo  lungo  e  bellissimo 
brano.  Dico  finalmente,  che  i  un  mostrare  un  troppo  basso  concetto  di 
Dante  supponendolo  indifferente  al  senso  delle  parole,  mentre  Dante 
è  si  maraviglioso  per  l'esattezza.  Se  si  trattasse  di  due  parole  d'un 
senso  affine,  vorrei  passarmene;  invece  ai  tratta  di  due  parole,  Tona 
delle  quali  è  particella  di  tempo,  l'altra  particella  di  quantità;  per  cui 
adoperando  l'una  o  l'altra  ne  riescono  sensi  tutto  diversi,  e  niente 
affini  In  tal  caso  non  si  ha  da  dire  l'una  miglior  dell'altra,  ma  ai 
ha  da  dire  o  l'una  o  l'altra.  Ritenuta  dunque  per  sola  lesione  auten- 
tica il  quanto  (ed  or  vedremo  se  si  ha  ragione  di  legger  cosi,  escluso 
qualunque  altro  testo),  veniamo  al  commento. 

Quanto  gli  Ebrei  —  Vedeoan  lui  ver$o  la  calda  parte.  Il  quanto 
presuppone  tanto.  Dunque  intendete  cosi:  Il  Purgatorio  vede  l'equa- 
tore tanto  inclinato  verso  settentrione,  quanto  inclinato  verso  il  mez- 
zodì lo  vedevano  gli  Ebrei  dalla  loro  Sionne.  Ossia,  che  è  lo  stesso: 
Dal  Purgatorio  all'Equatore,  che  sta  verso  il  nord,  havvi  quella  di- 
stanza, che  vi  ha  da  Sionne  all'Equatore,  che  sta  verso  il  sud.  Ossia 
che  è  puro  lo  stesso  :  Tanti  gradi  di  latitudine  meridionale  dobbiamo 
avere  (dice  Dan  te">  da  qui  (Purgatorio)  all'Equatore,  quanti  gradi  ave- 
vano gli  Ebrei  da  Sionne  all'Equatore.  Ma  si  sa  che  Sionne  dall'Equa- 
tore dista  80  gradi  di  latitudine  settentrionale.  Dunque  anche  il  Pur- 
gatorio dista  30  gradi  di  latitudine  meridionale  dallo  stesso  Equatore. 

Cosi  tra  quel  che  ha  detto  prima  Virgilio,  e  quel  che  ha  ag- 
giunto Dante  adesso,  sappiamo  di  questi  due  monti  Sionne  e  Pur- 
gatorio le  cose  seguenti:  1.  Che  sono  antipodi,  perchè  hanno  lo  stesso 


CANTO  IV.  103 

.Ma  8*  a  te  piace,  volentier  saprei,  i8 

Quanto  avemo  ad  andar,  che  il  poggio  sale 
Più  che  salir  non  posson  gli  occhi  miei. 

Ed  egli  a  me:  Questa  montagna  è  tale,  49 

orizzonte  e  diversi  emisperi  ;  2.  Che  sono  fuori  dell'Eclittica,  perchè 
giacciono  dove  Fetonte  non  seppe  mal  carreggiare,  il  quai  corso  av- 
venne nella  Eclittica  ;  3.  Quanti  gradi  sono  fuori  dell'Eclittica,  ossia 
i  loro  gradi  di  latitudine,  che  sono  SO.  Ora  questi  due  luoghi  dietro 
tali  indicazioni  di  Virgilio  prima,  e  di  Dante  dappoi,  si  potrebbero 
eglino  Irovar  sulle  carte  geografiche?  Rispondo  che  no,  perchè  man- 
cherebbe a  compimento  la  indicazione  dei  gradi  di  longitudine  di  cia- 
scuno. Ma  perchè  non  dare  anche  questi?  Perchè  Dante  li  aveva  dati 
al  principio  del  canto  II  in  quella  terzina: 

Già  era  il  sole  all'orizzonte  giunto, 
Lo  cui  meridian  cerchio  coverchia 
Ierusalem  col  suo  più  alto  punto. 

Cosi  abbiamo  quanto  occorre  per  trovarli  sulla  carta  geografica.  Vo- 
lendo sapere  adesso  qual  luogo  nell'altro  emisfero  sarebbe  antipode» 
di  Gerusalemme,  dico  che  oggi  sarebbero  le  isole  dei  Quattro  Co- 
ronati all'occidente  dell'America  meridionale,  in  faccia  al  Chili. 

*8  Ma  s'a  te  piace  ecc.  Dante,  essendo  salito  assai  alto  pel  monte 
pensa  tra  sé  che  non  gli  dovrebbe  restar  molto  per  arrivare  alla  cima. 
S'inganna,  perchè  egli  ha  fatto  meno  di  55  miglia,  e  la  montagna 
è  alta  95.  Vedi  Tav.  II,  Purg. 

49  Questa  montagna  è  tale  ecc.  Come  Virgilio  può  sapere  la  pro- 
prietà, che  infatti  avea  questa  montagna,  mentre  non  ci  fu  mai  ?  Ri- 
spondo: Egli  sapea  che  era  il  Purgatorio,  cioè  il  luogo  destinato  aUe 
anime  elette,  che  salivano,  e  si  purgavano,  e  di  mano  in  man  che 
salivano,  avendo  meno  da  purgare,  aveano  perciò  meno  peso  di  colpa 
da  portare,  e  sapea  ancora  che  il  suo  guidato  aveva  anch'egli  i  suoi 
fardelli  da  scaricare  per  questa  montagna  come  le  altre  anime.  Ba- 
stava saper  questo  per  conchiudere  ragionevolmente  che  la  proprietà 
della  montagna  doveva  esser  tale.  Poteva  dirgli  è  vero,  che  per  an- 
darne al  fine  gli  mancava  ancora  gran  tratto ,  ma  questo  non  era 
argomento  da  ispirar  coraggio,  e  però  lo  tacque.  Del  resto  sull'al- 
tezza di  questa  montagna,  e  sul  viaggio  rimanente,  che  Dante  potea 
invaginarsi ,  Virgilio  gli  avea  detto  abbastanza  nel  fine  doli'  Inferno, 
dove  gli  toccò  della  materia  che  si  spiccò  dal  centro  della  terra,  e 


104  PURGATORIO 

Che  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  grave, 
90,        E  quant'uoni  più  va  su,  e  men  fa  male. 

Però  quand'ella  ti  parrà  soave 

Tanto  che  '1  su  andar  ti  sia  leggiero, 
Come  a  seconda  giù  l'andar  per  nave, 

Allor  sarai  al  fin  d'esto  sentiero: 
Quivi  di  riposar  l'affanno  aspetta: 
Più  non  rispondo,  e  questo  so  per  vero.  w 

E,  com'egli  ebbe  sua  parola  detta, 
Una  voce  di  presso  sonò  :  Forse 
Che  di  sedere  in  prima  avrai  distretta.  M 
ìoo.   Al  suon  di  lei  ciascun  di  noi  si  torse, 

E  vedemmo  a  mancina  un  gran  petrone,  M 

che  salse  alla  superficie  a  formarci  il  monte  dove  si  trovavano.  Te- 
niamoci a  mente  questa  terzina,  e  gli  altri  quattro  versi  che  seguono, 
perchè  da  essi  si  conchiude  che  Dante  nel  Canto  VI.  nota  31-32,  dovea 
•esser  presso  il  fine  della  montagna,  per  la  ragione  che,  giunto  a  questo 
Canto  e  a  questi  versi,  dichiara  che  gli  è  soave  e  leggero  l'andare 
in  su. 

50  Più  non  rispondo,  ecc.  Virgilio,  che  non  sapea  troppo  di  questo 
monte,  non  amava  perciò  che  il  suo  guidato  gli  facesse  ulteriori  ri- 
cerche, nelle  quali  il  maestro  si  sarebbe  trovato  impacciato.  Dunque 
risposta  asciutta  e  definitiva. 

si  Che  di  sedere  ecc.  Quest'auima  non  veduta  potè  intendere  tutto 
il  colloquio  di  Dante  con  Virgilio,  e  di  Virgilio  con  Dante  sin  dal 
momento  del  suo  arrivo  su  quel  balco.  Ella,  stando  dietro  al  suo  pe- 
trone ancor  nascosta,  rimbecca  le  ultime  parole  di  Virgilio  che  disse 
a  Dante  di  non  riposar  sino  al  fine  del  monte  :  Quivi  di  riposar 
l'affanno  aspetta,  E  una  scena  bellissima,  e  tanto  più  bella  quanto 
più  improvvisa.  Notate  che  da  una  parte  Virgilio  gliel'avea  fetta  a 
Dante  troppo  consolata,  e  dall'altra  quest'anima  era  una  di  quelle  che 
patirono  di  pigrizia.  E  naturalo  adunque  che  questa  parli  a  Dante 
di  difficolta  che  incontrerebbe. 

&-  Un  yran  petrone.  Appunto  per  le  montagne  tra  una  roccia  ed 
un'altra  si  vede  qua  e  colà  qualche  sasso  immane  che  sorge  da  un 
pratello.  e  che  mostra  essere  un  tempo  caduto  dall'alto.  Vedi  questo 
petrone  nella  mia  Tav.  II,  Purg.}  a  destra. 


CANTO  IV.  105 

Del  qual  ned'  io,  ned'ei  prima  s'accorse.  33 
Lk  ci  traemmo:  ed  ivi  eran  persone, 

Che  sì  stavano  all'ombra  dietro  al  sasso,  5* 
Come  Tuoni  per  negghienaa  a  star  si  pone,  ri;i 

A  mancina.  Dunque  dalla  parte  di  settentrione,  ove  i  poeti  ve- 
devano il  Sole,  Questo  petrone  gettava  l'ombra  verso  i  poeti,  e  ap- 
punto a  quest'ombra  stavano  quell'anime  rannicchiate,  che  venivano 
cosi  ad  essere  tra  il  petrone  ed  i  poeti.  Questi  non  le  videro  appunto 
perchè  stavano  rannicchiate  sull'  erba. 

w  Ned' io,  ned'ei  ecc,  È  raro  il  caso  che  Dante  nomini  prima  sé 
che  Virgilio;  ed  a  ragione.  Qui  però  fa  una  eccezione  alla  regola, 
e  questo,  se  ben  si  osserva,  è  per  onor  di  Virgilio,  perchè  il  discorso 
cresce,  ed  è  meno  da  stupirsi  che  non  se  ne  sia  accorto  Dante,  e  più 
che  non  se  ne  sin  accorto  Virgilio. 

5*  Che  sì  stavano  all'  ombra  ecc.  Il  poeta  descrive  qui  il  fare  delle 
persone  dominate  dall'accidia.  Fu  fatti  queste  eran  anime,  che  aveano 
ritardata  la  lor  conversione  per  sola  negligenza  e  pigrizia,  onde  per 
aver  esse  ritardato  di  darsi  a  Dio,  sono  ora  in  pena  ritardate  dal. 
rincominciare  il  loro  purgatorio.  Un'usanza  dei  pigri  è  intanto  questa 
di  fuggire  gli  incommodi  della  stagione;  ed  ecco  che  queste  dietro 
l'ombra  del  sasso  si  riparano  da'  rai  del  Sole.  II  Sole  allora  era  presso 
mezzogiorno,  ora  troppo  seccante  per  accidiosi.  Ricordivi  che  Dante 
l'avea  detto  poco  prima  che  il  Sole  era  presso  mezzogiorno,  quando 
disse  che  da  sinistra  n'eravam  feriti  (nota  29).  Dicendo  il  poeta  dietro 
al  bosso  non  bisogna  credere  che  il  sasso  fosse  tra  le  anime  ed  i  poeti, 
n  sasso  era  al  di  là  verso  settentrione,  poi  venivano  le  anime,  e  dopo 
delle  anime  venivano  i  poeti.  Sicché  si  potrebbero  mettere  in  que- 
st'ordine, cominciando  dal  sasso,  ch'era  verso  settentrione  :  sasso,  ani- 
me, poeti,  n  sasso  gettava  l'ombra  verso  le  anime  e  verso  i  poeti, 
e  questa  è  un'altra  ragione  perchè  i  poeti  non  s'accorsero  subito  né 
del  sasso  né  delle  anime,  ivi  sedute;  non  si  accorsero  per  l'ombra, 
che  aveva  il  sasso,  e  che  dal  sasso  cadea  sull'anime.  Non  si  creda 
soverchio  l'esame  scrupoloso  di  queste  minute  circostanze,  perchè  è 
quello  che  ci  conduce  a  conoscere  la  ragione  di  tutto  ;  il  che  soddisfa 
la  mente,  che  cerca  verità  e  natura. 

ss  Per  negghiema  ecc.  Per  neghittosaggine.  Erano  anime  accidiose 
dunque  neghittose.  Queste,  dopo  cercata  l'ombra,  cercano  un  commodo 
stare  nell'ombra;  quindi  o  stanno  sdrajate  o  sedute.  Par  divederli 
quei  poveri  Bfaccendoni,  ch'erano  al  mondo. 


56 


106  PURGATORIO 

E  un  di  lor,  che  mi  sembrava  lasso, 
Sedeva,  e  abbracciava  le  ginocchia, 
Tenendo  '1  viso  giù  tra  esse  basso. 

O  dolce  signor  mio,  diss'  io,  adocchia 
no.       Colui  che  mostra  sé  più  negligente, 
Che  se  pigrizia  fosse  sua  sirocchia. 

AUor  si  volse  a  noi,  e  pose  mente,  37 
Movendo  '1  viso  pur  su  per  la  coscia,  u 
E  disse  :  Va  su  tu,  che  se'  valente.  " 

Conobbi  allor  chi  era  :  e  quell'angoscia,  •• 
Che  m'avacciava  un  poco  ancor  la  lena, 
Non  m' impedì  l'andare  a  lui  ;  e  poscia 

Ch'a  lui  fui  giunto,  alzò  la  testa  appena,  6i 
Dicendo:  Hai  ben  veduto,  come  il  sole  w 


**  Sedeva  ecc.  Detto  del  contegno  di  queste  anime  accidiose  in  gè- 

*   nerale  (54-55)  passa  a  dime  in  particolare.  Gli  atti  caratteristici  di 

pigrizia  che  il  poeta  nota  in  questa,  sono  veramente  naturalissimi,  e 

indicanti  grave  pigrizia:  sedere,  abbracciar  le  ginocchia,  e  ficcarvi 

il  viso  trammezso  fanno  vedere  un  pigrone. 

5"  AUor  8t  volse  a  noi.  Anche  il  non  volgersi  prima,  quando  cioè 
i  due  poeti  si  trassero  ad  esse,  è  atto  pur  questo  di  gran  pigrizia.  Dante 
quando  colorisce  non  abbandona  il  quadro  se  non  ad  opera  finita. 

ss  Movendo  il  viso  ecc.  Altro  atto  di  pigrizia.  Nemmeno  alzar  la 
testa,  ma  solo  torcer  la  faccia  tanto,  che  potesse  vedere  i  forasti  eri. 

w  Va  su  tu  ecc.  È  tutto  il  parlar  dei  poltroni,  che  per  istrado  lo- 
dano di  valentia  chi  intendono  biasimare. 

«>o  Quell'angoscia  —  Che  m'avaceiava  ecc.  La  fatica  angosciosa, 
che  mi  affrettava  ancora  il  respiro,  detto  altrove  V affollar  del  casso. 
Dopo  la  fatica  di  una  lunga  salita  si  prova  una  grande  ansia  al  petto 
che  dura  qualche  tempo. 

6t  Alno  la  testa  appena.  Am  he  questo  è  un  altro  atto  di  pigrizia: 
alzar  sì  poco  la  testa,  e  alzarla  dopo  di  aver  aspettato  che  Dante  fosse 
giunto  a  lui.  Il  poeta  si  studia  di  trovar  fuori  tutti  li  tratti  che  ca- 
ratterizzano il  pigro,  e  gli  vengono  trovati  assai  bene. 

63  Dicendo,  hai  ben  veduto  ecc.  In  tuono  di  scherno,  perchè  il  pigro 
sta  sempre  sul  canzonare  chi  s'argomenta  di  imparare.  L'anima  si 


CANTO  IV.  107 

120.       Dall'omero  sinistro  il  carro  mena? 

Gli  atti  suoi  pigri,  e  le  corte  parole  68 
Mosson  le  labbra  mie  un  poco  a  riso  :  64 
Po'  cominciai  :  Helacqua  a  me  non  duole  M 

Di  te  ornai  ;  ma  dimmi,  perchè  assiso 
Quiritta  se'  :  attendi  tu  iscorta,  ** 
O  pur  lo  modo  usato  t1  ha  ripriso  ?  67 

riferisce  eolie  sue  parole  al  discorso  astronomico  fatto  tra  Dante  e 
Virgilio  quando  questi  non  s'erano  ancora  accorti  che  vi  avesse  dap- 
presso chi  li  ascoltasse.  Questo  è  un  bellissimo  e  naturalissimo  intrec- 
cio ;  imaginar  persone  presenti  ad  un  discorso,  senza  che  chi  discorre 
lo  sappia.  Questo  caso  succede,  ed  è  fonte  di  gran  piacere  quando 
si  scopre  la  presenta  di  chi  non  si  credeva,  e  si  apprende  ch'egli  ha 
inteso  tutto  il  discorso. 

••  Gli  atti  ecc.  Gli  atti  che  abbiam  veduto  sono  tutti  da  pigro, 
e  da  pigro  le  parole,  perchè  da  vero  pigro  ne  disse  poche  risparmian- 
dole più  che  potè,  e  perciò  son  dette  corte. 

64  Monon  le  labbra  ecc.  Bisogna  mettersi  nei  panni  di  Dante.  Egli 
era  di  un'  indole  acre  e  risentita,  che  avrebbe  fatto  pentire  chiunque 
si  fosse  attentato  a  motteggiarlo.  Noi  l'abbiamo  veduto  nelV  Inferno 
alle  prese  con  qualche  dannato,  che  gli  si  mostrava  scortese,  e  abbiam 
veduto  con  quanto  suo  costo.  Qui  invece  si  sente  pungere  ;  eppure 
non  ha  che  un  riso  da  rifarsene.  Era  il  rispetto  per  l'anima  eletta. 

&  Iìelacqua  II  Tommaseo  dice  che  un  antico  postillatore  afferma  es- 
sere stato  Belacqua  un  eccellente  fabbricatore  di  cetere,ma  pigro  assai 
nelle  cose  dello  spirito.  Qua!  ch'egli  fosse,  era  amico  di  Dante  come 
Casella.  Questi  era  caro  a  Dante  pel  suo  canto,  e  facilmente  Belacqua 
gli  sarà  stato  caro  pel  suono.  Forse  il  Belacqua  avrà  accompagnato 
co' suoi  strumenti  il  Casella  quando  questi  cantava  le  canzoni  di  Dante, 
n  caso  è  molto  probabile. 

A  me  non  duole  —Dite  ornai.  Questo  modo  di  parlare  dichiara 
apertamente  che  Dante  prima  di  questo  momento  viveva  in  angustia 
sulla  sorte  del  suo  Belacqua  per  averlo  saputo  uomo  sempre  bislacco 
nelle  cose  dell'anima;  ed  ora,  che  lo  vede  in  salvamento,  si  raccheta. 
Dante  con  ciò  gli  dà  una  testimonianza  di  bella  amicizia. 

**  Quiritta.  Modo  fiorentino,  sta  per  qui. 

M  Lo  modo  usato  t'ha  riprisoì  O  ti  se*  lasciato  pur  cogliere  al- 
l'antica pigrizia? 


10*  PURGATORIO 

Ed  ei  :  Frate,  l'andare  in  su  che  porta?  6S 
Che  non  mi  lascerebbe  ire  a'  martiri 
L'uscier  di  Dio,  che  siede  in  su  la  porta.  w 
130.    Prima  convien  che  tanto  il  Ciel  m'aggiri 70 
Di  fuor  da  essa,  quanto  feci  in  vita, 
Perdi'  io  indugiai  al  fin  li  buon  sospiri, 71 
Se  orazione  in  prima  non  m'aita,  71 

Che  surga  su  di  cuor,  che  in  grazia  viva;  73 
L'altra  che  vai  che  in  Ciel  non  è  udita? 


**  Che  porta  f  Che  giova? 

69  L'uscier  di  Dio  ecc.  L'angelo  custode  della  porta,  o  portinajo 
del  Purgatorio;  che  non  lascia  incominciar  la  sua  pena,  chi  non  se 
lo  merita;  e  non  se  lo  merita  chi  indugiò  la  penitenza.  Quanto  de- 
siderio di  patire  per  ire  al  cielo!  Che  nobile  idea  di  quell'anime  e 
del  Purgatorio! 

70  Prima  convien  cht  tanto  ecc.  Ecco  la  pena  proporzionata  alla 
colpa.  Chi  visse  impenitente  (ma  senza  scomuniche  o  censure,  e  solo 
per  accidia)  per  esempio  50  anni,  dee  restarsene  fuor  della  porta  del 
Purgatorio  per  altrettanti  50,  penando  per  non  poter  penare,  che  è 
il  solo  mezzo  di  giungere  a  Dio  in  Paradiso. 

Tanto  il  Ciel  m'aggiri.  Tanto  tempo  il  Ciel  aggiri  me.  S'intende 
il  cielo  dov'  e  il  Sole,  che  gira  la  terra  ogni  di  in  24  ore  secondo  il 
sistema  di  quei  giorni. 

Il  Sole  aggirando  la  terra,  o  intorno  la  terra,  aggira  anche  gli 
abitatori  di  essa,  quali  erano  quelli  del  Purgatorio,  sebbene  fossero 
nell'altro  emisfero. 

7*  Perchè  indugiai  al  fin  ecc.  Al  fin,  cioè  sino  al  termine  della  vita, 
essendosi  dunque  convertito  in  morte. 

Li  buon  sospiri.  Li  sospiri  di  vero  pentimento.  Li  sospiri  effi- 
caci alla  remission  del  peccato.  A  questa  classe  di  penitenti  appar- 
tiene una  gran  parte  degli  uomini. 

7*  Se  orazione.  Dunque  il  decreto  di  esclusione  per  tanto  tempo, 
quanta  fu  V  impenitenza,  non  è  assoluto,  per  ragion  di  suffragi,  che 
lo  abbreviano  secondo  il  principio  cattolico,  ohe  è  di  fede.  Dante  non 
manca  alla  sua  fede. 

73  Che  surga  ecc.  Anche  questo  è  un  altro  punto  di  fede  cattolica, 
che  l'orazione  non  fatta  in  grazia,  non  gioya  ai  purganti. 


CANTO  IV.  109 

E  già  il  poeta  innanzi  mi  saliva,  7i 

E  dicea  :  Vienne  ornai  ;  vedi  eh'  è  tocco  75 
Meridian  dal  sole,  e  dalla  riva  1G 

Cuopre  la  notte  già  col  pie  Marocco. 

74  Innanzi  mi  saliva  —  E  dicea:  Vienne  ornai.  Eccitamento  alla 
fretta.  Notate  bene  innanzi  mi  saliva.  Vi  rammenterete  che  i  poeti 
appena  giunsero  sull'  orlo  del  balzo,  si  arrestarono,  e  fatti  alcuni  di- 
scorsi, videro  a  sinistra  il  pctrone.  Questo  era  sull'orlo  del  balzo.  Ven- 
gono ad  esso.  E  finalmente  Virgilio  parte.  A  qual  luogo?  Al  varco, 
che  sperava  ritrovare  sopra  la  costa  di  rimpetto  alla  lor  salita  pri- 
miera. Quindi  per  ir  dal  petrone  al  varco  di  sopra,  a  prendere  la  più 
corta,  bisognava  fare  la  diagonale  attraverso  la  costa,  la  quale  stava 
in  pendio  ed  era  larga.  Colla  espressione  che  usa  il  poeta,  s'intende 
tutto  questo.  Ritenetelo  a  memoria,  perchè  occorre  nell'altro  Canto. 
Vedi  il  mio  disegno  Tav.  II,  Purg.,  a  questo  luogo,  che  ti  facili- 
terà P  intelligenza. 

75  Vedi  eh' è  tocco  —  Meridian  dal  sole.  Quando  il  Sole  giunge  al 
Meridiano,  allora  è  mezzogiorno,  o  almeno  il  principio  di  mezzogiorno, 
perchè  per  essere  mezzogiorno  in  punto,  il  Sole  non  solo  deve  toccare 
il  meridiano,  ma  deve  esser  segato  per  mezzo  dal  meridiano.  Sicché, 
a  tatto  rigore  mancherebbe  ancora  un  minuto  a  mezzogiorno.  Sprez- 
ziamolo pure  questo  minuto,  e  riteniam  mezzogiorno. 

71  Dalla  riva  —  Cuopre  ecc.  Se  al  Purgatorio  era  mezzogiorno, 
dunque  era  mezzanotte  a  Gerusalemme.  Dal  Purgatorio  poi  a  Ge- 
rusalemme havvi  Va  cerchio,  ossia  180  gradi.  Supponendo  zero  Ge- 
rusalemme, ossia  supponendo  a  Gerusalemme  il  primo  meridiano,  come 
Dante  infatti  lo  pone,  per  esser  considerata  Gerusalemme  il  centro 
della  terra  abitata,  e  movendo  da  quello  ad  occidente  verso  il  Pur- 
gatorio, quando  saremo  a  </ì  di  cerchio,  ossia  a  90  gradi  da  Geru- 
salemme troveremo  il  tramonto  del  Sole.  Ora  Marocco  colla  sua  riva 
è  forse  a  questa  meta  tra  il  Purgatorio  e  Gerusalemme?  No,  egli  è 
verso  Gerusalemme  25  gradi,  ossia  è  a  65  gradi  da  Gerusalemme. 
Dunque  a  Marocco  il  tramonto  del  Sole  è  avvenuto.  Di  quanto  ? 
Quanto  è  il  tempo  che  il  Sole  impiega  a  percorrere  25  gradi.  Ora  si 
sa  che  il  Sole  percorre  15  gradi  all'ora.  Dunque  a  percorrere  25  im- 
piegherà ore  1.40  minuti.  Dunque  a  Marocco  il  Sole  era  tramontato 
di  ore  1.40;  e  perciò  per  Marocco  cominciava  la  notte,  la  quale,  se- 
condo che  sempre  la  prende  Dante,  e  secondo  la  realtà,  comincia  al 
cessar  dei  crepuscoli,  cioè  dopo  1.40  minuti,  dacché  è  tramontato  il 


110  PURGATORIO 

sole.  Ecco  perchè  Danto  dice  che  la  notte,  e  non  la  sera,  comincia  per 
Marocco,  perchè  la  sera  comincia  al  tramonto  del  Sole,  e  la  notte  dopo 
terminati  i  crepuscoli.  In  breve  :  Mezzanotte  a  Gerusalemme,  Messo- 
giorno  al  Purgatorio,  Tramonto  a  90  gradi  da  Gerusalemme,  un'ora 
e  mezza  dopo  il  tramonto  a  65  gradi  da  Gerusalemme,  dov'era  la  riva 
di  Marocco,  impero  occidentale  dell'Africa  settentrionale  sull'Oceano 
Atlantico. 

Tutto  questo  si  può  veder  all'evidenza  appuntando  una  sfera: 
perciò  i  commentatori,  che  non  fecero  il  calcolo  sulla  sfera  presero 
Marocco  per  linea  di  mezzo  tra  Gerusalemme  e  il  Purgatorio,  ed  e 
un  errore  non  mai  detto  da  Dante,  mentre  invece  da  Marocco  alla 
linea  di  mezzo  mancano  26  gradi.  Questo  prova  all'evidenza  che  Dante 
non  fa  già  un  quadrante,  ossia  90  gradi  da  Gerusalemme  allo  stretto 
di  Gibilterra,  cioè  ai  confini  occidentali  della  Spagna,  come  gli  fanno 
dire  con  sua  vergogna  i  commentatori  spiegando  il  Farad.,  Canto  IX, 
v.  82  seg.,  ma  fa  il  quadrante  un  50  gradi  all'ovest  di  Gibilterra, 
oppure  25  all'ovest  di  Marocco.  Il  vero  quadrante,  qual'è  in  realtà, 
Dante,  a  scanso  d'ogni  errore,  ce  lo  ripete  per  ben  tre  volte;  una  qui 
Purg.  IV,  v.  137  e  seg.,  un'altra  volta  nel  Farad*  IX,  82  e  seg.  ed 
una  terza  nel  Farad,  XXVII,  79  e  seg.  Perciò  io  mi  maraviglio  di 
certi  commentatori,  che  par  che  spieghino  Dante  per  fargli  dire  degli 
spropositi  che  mai  non  sognò. 


CANTO    V 


Argomento. 

I  poeti  partono  dalpetrone.  S'incontrano  in  molte  anime.  Queste 
s'accorgono  che  Dante  è  vivo.  Gli  si  appressano  e  lo  pregano  di 
ricordarle  ai  loro  parenti.  Anche  queste  sono  anime,  che  trascura' 
rono  sino  alla  morte  la  lor  conversione,  per  effetto  di  accidia;  ed 
essendo  stata  violenta  la  loro  morte,  prima  di  spirar  si  pentirono 
e  perdonarono.  Tra  queste  vede  Giacopo  del  Cassero,  Buonconle  di 
Monte  feltro  e  la  Sanese  Pia.  Queste  anime  morte  violentemente  sono 
nel  medesimo  giro  del  monte,  nel  quale  erano  le  anime  vedute  nel 
Canto  IV,  ma  in  parte  contraria;  cioè  le  procrastinanti  per  accidia, 
e  pentite  in  morte  naturale  stavano  dalla  parte  di  settentrione  in 
atto  di  neghittose,  e  le  procrastinanti  pur  per  accidia,  e  pentite  in 
morte  violenta,  venivano  a  tardi  passi  dalla  parte  di  mez%od\.(Vedi 
Tav.  Il,  Purg,).  Non  si  creda  dunque,  che  per  vedere  camminare  i 
poeti,  essi  cangino  balzo  o  costa,  come  si  vede  che  ritengono  tutti  i 
commentatori,  e  però  si  veggono  errati  i  disegni,  e  le  spartizioni 
del  monte,  massime  in  Fraticelli.  No:  queste  due  apparenti  sorta  di 
procrastinanti,  non  sono  che  una  sorte  sola,  cioè  procrastinanti  per 
accidia  sino  alla  morte,  sebbene  questa  sia  diversa  in  loro  ;  naturale 
in  quelli  da  settentrione,  violenta  in  quelli  da  mezzodì. 

Si  chiariranno  meglio  le  cose  nei  commenti. 

NB.  Vedi  tatti  i  casellini  di  questo  Cinto  nella  mia  Ta?.I  e  la  Taf.  Il,  Purg. 


lo  era  già  da  quell'ombre  partito, 
£  seguitava  Torme  del  mio  duca,  ' 

*  E  seguitava  l'orme  ecc.  Avvertite  bene  che  Virgilio  non  passò 
al  di  là  del  petrone,  ma  ritornò  indietro,  non  già  rifacendo  la  stessa 
strada,  cho  fece  dal  punto  del  balzo,  ov'era  poco  prima  salito,  ma 
attraversando  la  costa  pendente,  dirigendosi  al  filo  di  mezzo  tenuto 
sempre  fin  da  principio  per  rimettersi  sai  filo  medesimo,  mediante 
la  diagonale,  a  risparmio  di  tempo.  Vedi  Tav.  II,  Purg. 


112  PURGATORIO 

Quando  dirietro  a  me,  drizzando  il  dito  f 
Una  gridò  :  Ve',  che  non  par  che  luca  3 

2  Dirietro  a  me.  I  poeti  (Virgilio  innanzi  e  Dante  dopo)  partiti 
dalle  anime,  non  girarono  il  monto.  oltrepassando  il  petrone,  ina  sa- 
lirono la  costa,  c<>me  dicemmo  .n.  1)  per  la  diagonale,  affin  di  rag- 
giungere al  più  presto  possibile  la  strada  di  mezzo,  che  è  la  lor  dire- 
zione. Dante  pertanto,  andando  dietro  a  Virgilio,  veniva  così  a  lasciare 
sotto  di  sé  le  anime  del  petrolio,  e  queste  lo  poteano  seguire  col- 
1* occhio  benissimo,  perchè  la  sua  salita  eia  nella  direzione  sud-ovest 
del  petrone.  Vedi  Tav.  II.  Vurg.  Se  Dante  e  Virgilio  invece  fossero 
passati  al  di  là  del  petrone  salendo  la  costa,  quelle  anime  che  sta- 
vano all'ombra  di  quel  sasso  volte  a  sud,  e  che  non  si  movevano, 
non  li  avrebbero  potuto  seguire  coll'oeehio.  e  quindi  il  poeta  non 
avrebbe  potuto  descrivere  il  fatto  di  quelle  anime  che  qui  successe. 
Mi  si  scusi  se  insisto  nel  fermar  bene  questo  punto,  e  perchè  i  com- 
mentatori vi  scivolano  sopra  senza  spiegazione  alcuna,  e  perchè  al- 
trimenti non  si  saprebbe  di  quali  nuove  anime  Dante  intendesse  qui 
parlare,  e  perchè  finalmente  ci  serve  di  chiave  alla  retta  inteJligenia 
di  quel  che  segue;  come  infatti  si  vedrà. 

Drizzando  il  dito.  Gesto  naturale  di  chi  accenna  a  cosa  da  ve- 
dere. L'anima  a  vista  si  nuova,  quale  si  era  vedere  un  vivo  in  quei 
luoghi,  non  si  scuote,  non  sorge:  perchè':'  perchè  appunto  eia  una 
di  quelle  anime  tanto  pigre  e  neghittose,  che  abbiamo  veduto  poco 
prima  e  continuano  ad  esser  tenute  in  quel  carattere,  che  loro  e 
proprio.  Perciò  quest'anima,  standosene  pur  seduta  con  l'altre,  fece 
anche  assai  a  levare  un  po'  la  testa  tanto,  che  vedesse  la  partenza 
di  que'  due  forastierì.  e  vistili  nelle  sehieue.  s'accorse  del  caso  nuovo, 
e  ad  avviso  dell'altre,  grido  drizzando  il  dito. 

3  Una  gridò.  Dunque  quelle  anime  erano  ?i  pigre,  che  di  tante 
sol' una  ebbe  talento  d'alzare  il  caj»o  e  guardare.  11  poeta  in  questi 
tocchi  è  assai  più  maraviglioso  di  quel  che  paia,  ed  è  tutto  schietta 
natura. 

Ve',  che  non  par  che  luca  —  Lo  raggio  da  ecc.  Essendo  al- 
lora il  mezzodì,  e  salendo  Daute  nella  direzione,  che  abbiamo  detto, 
egli  era  ferito  dal  Sole  sull'omero  destro,  e  quindi  gettava  l'ombra 
da  sinistra.  A  più  chiara  intelligenza  si  osservi  di  nuovo  il  mio  di- 
segno della  Montagna  in  questo  luogo  Ma  come  mai  quell'anime 
non  si  accorsero  prima  doli*  ombra   di    Dante  ?  Per  molte  ragioni  : 

1.  Porche  prima  nessuno,  fuor  che  IVlaoqna,  alzò  la  testa  a  vedere; 

2.  Perchè  auche  ttelacqua,  che  la  alzò,  l'alzò  appena  miraudo  all'alto 


CANTO  V.  113 

Lo  raggio  da  sinistra  a  quel  di  sotto, 
E  come  vivo  par  che  si  conduca.  A 
Gli  occhi  rivolsi  al  suon  di  questo  motto ,  5 
E  vidile  guardar  per  maraviglia  6 
Pur  me,  pur  me,  e  il  lume  ch'era  rotto.  7 
io.     Perchè  l'animo  tuo  tanto  s' impiglia,  * 

e  non  al  basso  di  Dante,  che  sebben  conoscente  di  lei,  com'  ella  di 
lui,  punto  non  servi  a  scuoterla  d'avvantaggio;  3.  Perchè  l'ombra 
del  petrone  copriva  anche  Dante,  e  quindi  l'ombra  del  corpo  di  Dante 
era  cassa. 

*  E  come  vivo  ecc.  Nel  modo  che  vanno  i  vivi,  cioè  mostrando 
fatica  in  salire,  andando  goffo,  facendo  romore  coi  piedi,  e  mo- 
vendo i  sassi. 

5  Gli  occhi  rivolsi.  Senza  però  fermarsi  ;  ma  andando  più  lento, 
com'è  naturale  che  vada  chi  cammina  volgendosi  indietro  a  guarda- 
re: e  Virgilio,  senza  guardare  a  Dante,  s'avvide  subito  che  Dante 
si  allentava  nel  cammino,  e  lo  raccogliea  dalla  maggior  distanza  onde 
a  lui  veniva  il  romor  de'  suoi  piedi. 

6  E  vidile.  Quali  anime,  se  una  sola  avea  gridato?  Quelle  anime  pi- 
gre colcate  al  petrone,  che  i  poeti  aveano  lasciato  abbasso  verso  nord. 

Guardar.  Guardar,  ma  non  sorgere,  non  ergersi  della  persona 
per  veder  meglio,  e  sempre  per  la  ragione  eh'  erano  pigre.  L'anime 
invece,  che  abbiam  veduto  in  compagnia  di  Manfredi,  nel  e.  III,  ap- 
pena s'accorsero  che  Dante  gettava  ombra,  si  strinsero  a'  duri  massi 
per  alzarsi  ad  ammirar  meglio  il  caso. 

?  Pur  me,  pur  me.  Solo  me,  solo  me.  In  solo  Dante  era  il  ma- 
raviglioso;  dunque  erano  tutte  in  lui,  e  nella  sua  ombra,  che  qui 
si  dice  lume  rotto,  com'è  chiaro. 

*  Perchè  l'animo  tuo  ecc.  A  Virgilio  preme  la  fretta  si,  che  questo 
medesimo  rimprovero  è  da  lui  dato  senza  volgersi  e  senza  rallentarsi 
nei  passi,  come  fa  chi  è  indispettito  col  suo  compagno,  corretto  al- 
tre volte  di  lentezza.  A  Virgilio  preme  di  andarsene  e  di  non  atten- 
dere a  quest'anima  per  due  ragioni:  1.  Per  mostrar  la  cura  che  si 
ha  da  avere  del  tempo,  di  cui  mostrò  sollecitudine  tante  altre  volte; 
ed  è  perciò  che  il  viaggio  d' Inferno  l'ha  fornito  in  sole  24  ore: 
2.  Per  mostrare  quanto  poco  lo  interessassero  quelle  anime  con  la  loro 
pigrizia,  e  quanto  poco  ne  dovrebbe  calere  anche  a  Dante,  non  in 
quanto  sono  salve,  che  per  ciò  meritavano  ogni  rispetto, ma  in  quanto 
ebbero  la  pigrizia,  vizio  tanto  alieno  da  Virgilio  e  da  Dante.  Queste 

8 


114  PURGATORIO 

Disse  '1  Maestro,  che  l'andare  allenti? 

Che  ti  fa  ciò,  che  quivi  si  pispiglia? 
Vien  dietro  a  me7  e  lascia  dir  le  genti: 

Sta  come  torre  ferma,  che  non  crolla 

Giammai  la  cima  per  soffiar  di  venti. 
Che  sempre  l'uomo,  in  cui  pensier  rampolla  * 

Sovra  pensier,  da  sé  dilunga  il  segno, 

Perchè  la  foga  l'un  dell'altro  insolla. 
Che  potev'  io  ridir,  se  non  :  I'  vegno  ?  ,0 
20.         Dissilo,  alquanto  del  color  consperso,  fl 

Che  fa  Tuom  di  perdon  talvolta  degno. 
E  intanto  per  la  costa  di  traverso 


13 


anime  (fatta  ben  ragione  alla  differenza  delle  persone)  rispondereb- 
bero, per  T  effetto  prodotto  in  Virgilio,  a  quelle  anime  dell*  Atrio 
d'Inferno, e.  Ili,  per  conto  delle  quali  Virgilio  disse  al  poeta:  Non 
ragioniam  di  lor,  ma  guarda  e  passa. 

9  Che  sempre  ecc.  Intendi  così  :  Perche  l'uomo,  che  si  da  a  più 
pensieri  ad  un  tempo,  non  raggiungerà  mai  a  perfezionare  nessuno,  per 
la  ragione  che  il  secondo  colla  sua  fretta  di  succedere  indebolisce  (in- 
solla) il  primo,  il  terzo  il  secondo  e  cosi  via  via.  È  il  detto  di  Orazio 
nella  Poetica:  Pluribus  intenius  minor  est  ad  singula  semns.  Questa 
sentenza  rovescia  di  colpo  la  falsa  foggia  d'insegnamento  che  corre 
oggidì. 

*o  Che  potev'  io  ecc.  A  si  giusto  rimprovero  non  ci  potea  essere  scusa 
che  tenesse,  salvo  l'obbedire. 

**  Alquanto  del  color  consperso  —  Che  fa  ecc.  È  il  colore  della  ver- 
gogna, che  in  noi  succede  al  riconoscimento  del  nostro  fallo,  per  cui  alle 
volte  in  vista  di  questo  ci  vien  perdonato,  come  a  meritevoli  di  perdono. 

12  Per  la  costa  ecc.  Il  tratto  di  monte  per  cui  Dante  sale  dal  petrone 
in  su  non  è  cinghio,  o  roccia,  come  dal  petrone  in  giù,  ma  è  un  piano 
liscio  inclinato,  che  si  può  girare  in  qualunque  direzione.  Perciò  il 
poeta  lo  chiama  costa,  e  non  cinghio  o  roccia,  come  quella  di  sotto; 
perciò  questa  costa  tanto  i  poeti,  quanto  le  anime  la  camminano  di 
traverso,  cioè  dal  basso  all'alto,  e  dall'alto  al  basso,  come  potete  ve 
derc  chiaramente  nella  mia  Tav.  II  dal  petrone  in  su.  È  inutile  che 
vi  dica  che  tutti  i  disegni  di  questa  montagna  pubblicati  finora  sono 
sbagliati.  Oli  sbagli  cominciano  dalla  radice  e  vanno  sino  alla  cima. 


CANTO  V.  115 

Venivan  genti  innanzi  a  noi  un  poco, l3 
Cantando  Miserere  a  verso  a  verso.  u 

Quando  s'accorser,  ch'io  non  dava  loco  15 
Per  lo  mio  corpo  al  trapassar  de'  raggi, 
Mutar  lo  canto  in  un  O  lungo  e  roco  ;  l6 

E  due  di  loro  in  forma  di  messaggi  n 

Sicché  da  essi  non  intenderete  mai  niente  di  quel  che  dice  Dante.  Pren- 
detene un  saggio  in  quel  che  or  vi  dico.  L'Atrio  del  Purgatorio,  che 
è  per  quattro  sorte  di  procrastinanti,  secondo  Dante,  comprende  quasi 
tutto  il  Purgatorio,  cioè  delle  95  miglia  ne  comprende  92,  e  cosi  l'A- 
trio del  Purgatorio  verso  il  vero  Purgatorio  ha  le  medesime  propor- 
zioni che  vedemmo  avere  l'Atrio  dell'Inferno  verso  il  vero  Inferno. 
Questa  proprietà  la  cercate  indarno  nei  disegni  già  pubblicati.  Così 
tra  il  I  balzo  ronchioso  a  miglia  35  d'altezza  ed  il  II  a  quasi  miglia  55, 
havvi  un  tratto  di  prateria,  come  a'  pie  del  monte,  e  come  ci  ha  fatto 
intendere  il  poeta  quando  disse:  Additandomi  un  balzo  poco  in  sue 
(IV,  47);  ed  anche  questa  proprietà  non  esiste  nei  disegni  comuni. 
Cosi  pure  non  esiste  nemmeno  quest'altra  proprietà  che  la  costa,  dove 
siamo  presentemente,  metà  è  riservata  per  i  procrastinanti  morti  di 
morte  naturale,  quali  furono  quelli  del  petrone,  metà  per  i  procrasti- 
nanti morti  di  morte  violenta,  senza  però  la  scomunica,  quali  son  quelli 
che  troviamo  presentemente,  i  quali  attraversano  la  costa  dall'alto  al 
basso  per  volgersi  a  rigirare  il  loro  semicerchio  di  monte,  senza  mai 
passare  la  linea,  che  sega  per  mezzo  questa  facciata  di  monte. 

**  Innanzi  a  noi  un  poco.  Vedi  la  reciproca  collocazione  dei  poeti 
e  delle  anime  nella  mia  Tav.  II  a  circa  miglia  70  di  altezza.  Queste 
anime  poi  compaiono  improvvisamente  per  ragion  che  il  monte  essendo 
arcuato  a  cono,  gli  oggetti  si  deono  presentare  cosi;  il  che  non  av- 
viene in  una  pianura. 

**  Cantando  Miserere  ecc.  Salmo  di  penitenza. 
A  verso  a  verso.  Questo  vuol  dire  che  cantandolo  non  saltavano 
alcun  versetto,  e  che  lo  cantavano  posatamente. 

** Ch'io  non  dova  loco  ecc.  E  quindi  che  gettava  l'ombra, 

*6  Mutar  ecc.  Questo  pensiero  piacerà  sempre  a  tutti  immensamente 
per  la  sua  semplicità  e  natura.  Sembra  che  ciascuno  l'avrebbe  fatto. 
O  lungo.  Quando  la  maraviglia  è  al  sommo  si  prolunga  l'escla- 
mazione. —  Eneo.  Perchè?  Pel  tanto  cantare  il  Miserere 

*7  E  due  di  loro  ecc.  Vedi  queste  due  anime  indicate  dalle  due  o 
tra  i  poeti  e  la  turba  di  esse  anime. 


UH  PURGATORIO 

Corsero  incontro  a  noi,  e  dimandarne:  l8 
30.        Di  vostra  condizion  fatene  saggi.  f9 

E  il  mio  Maestro:  Voi  potete  andarne, 
E  ritrarre  a  color  che  vi  mandaro, 50 
Che  il  corpo  di  costui  è  vera  carne. 

Se  per  veder  la  sua  ombra  ristaro, 
Com'  io  avviso,  assai  è  lor  risposto  :  *' 
Facciangli  onore,  ed  esser  può  lor  caro.  M 

Vapori  accesi  non  vid'  io,  sì  tosto  u 

i*  Dimandarne.  Passato  indicativo:  ci  dimandarono. 

*9  Fatene  saggi.  E  il  certiorem  facete  dei  Latini. 

30,4  color  che  vi  mandaro.  Si  segue  l'idea  dei  messaggi  detta 

di  sopra. 

21  Com'io  avviso.  Virgilio  non  poteva  sapere  per  certo  il  motivo 
della  loro  fermata,  ma  solo  poteva  imagi nar lo  come  lo  imaginò;  perciò 
nel  rispondere  sta  bene:  com'io  avviso. 

22  Facciangli  onore  ecc.  A  Virgilio  cuoco  ancora  la  bisiaccaggine, 
onde  T  anime  del  petrone  in  questa  costa  accolsero  Dante.  Perciò  qui 
parla  cosi. 

Ed  esser  può  lor  caro.  Per  le  orazioni  e  suffragi  ch'egli  loro  pro- 
curerà in  vita;  di  che  Virgilio  avea  vedute  tanto  desiderose  le  anime 
trovate  prima,  non  escluso  Belacqua,  seblxm  si  pigro.  Ritenete  a  mente 
questo  passo  perchè  verrà  buono  da  qui  a  poco. 

ss  Vapori  accesi  ecc.  A  maggior  chiarezza  di  senso,  ho  messo  virgola 
innanzi  a  sì  tosto,  perchè  il  sì  tosto  va  unito  a  fender,  non  ad  aoctsi. 

I  vapori  accesi  di  questa  terzina  sono  due:  1.  I  razzi,  detti  anche 
stelle  cadenti,  che  fendono  il  ciel  sereno;  2.  I  lampi  che  fendono  il 
ciel  nebuloso  nei  temporali. 

Secondo  il  costume  di  Dante,  che  coglie  sempre  la  natura  nei  suo 
massimo  grado  d'azione,  egli  in  questa  similitudine  di  corpi  veloci, 
non  si  contenta  di  un  qualunque  razzo,  e  di  un  qualunque  lampo. 
Il  razzo  lo  coglie  di  mezzanotte,  quando  le  tenebre  sono  più  fitte,  e  per- 
ciò si  vede  meglio  scorrere  il  razzo,  e  lo  coglie  nel  tempo  affatto  se- 
reno, perchè  allora  non  c'è  nube  alcuna,  che  ne  nasconda  l'intero  corso. 

Quanto  poi  al  lampo  egli  lo  coglie  nella  stagione  ed  ora  del  gior- 
no, che,  essendo  l'atmosfera  più  pregna  di  vapori,  il  lampo  guizza 
più  esteso,  e  più  pronto,  il  che  avviene  nei  temporali  d'agosto  nelle 
ore  pomeridiane  quando  il  Sole  cala  dal  meridiano. 


CANTO  V.  117 

Di  mezza  notte  mai  fender  sereno,  *4 
Né,  sol  calando,  nuvole  d'agosto, 
40.     Che  color  non  tornasser  suso  in  meno, 

E  giunti  là,  cogli  altri  a  noi  dier  volta, 
Come  schiera,  che  corre  senza  freno. 

Questa  gente,  che  preme  a  noi,  è  molta,  *5 
E  vengonti  a  pregar,  disse  il  poeta  ;  25 
Però  pur  va,  e  in  andando  ascolta.  n 

O  anima,  che  vai  per  esser  lieta,  M 
Con  quelle  membra  con  le  quai  nascesti,  a" 


**  Di  mezza  notte  ecc.  Quasi  tutte  le  edizioni  hanno  di  prima  notte  : 
ma-  il  codice  preziosissimo  Libri,  ha  invece  di  mezza  notte  :  e  questa 
dagli  eruditi  si  ritiene  la  vera  lezione,  e  così  credo  anch'io.  Vedi  il 
giornale  Armonia  di  Torino  del  6  settembre  1862,  che  parla  di  questo 
codice  e  di  Guglielmo  Libri,  che  lo  rubò. 

*3  Questa  gente,  che  preme  a  noL  Che  corre  con  premura  a  noi. 
È  molta,  Virgilio  lo  sa,  perchè  è  più  innanzi  di  Dante. 

*&  E  vengonti  a  pregar.  Come  sa  Virgilio,  che  quell'anime  veni- 
vano a  pregar  Dante?  Dail'aver  veduto  che  tutte  l'altre  sin  qui  hanno 
fatto  cosi. 

**  Però  pur  va,  ecc.  Questo  va,  non  significa  che  Dante  andasse 
da  quell'anime,  restandosene  discosto  Virgilio,  no;  significa  solamente 
questo,  che  sebbene  vengano  quelle  anime  a  parlarti,  tu  va  per  la 
tua  strada  istessamente,  e  in  andando  ascolta. 

Dunque  è  chiaro  che  quell'anime  per  poter  parlare  con  Dante, 
dovettero  cangiare  in  contrario  la  lor  direzione  di  strada:  prima 
venivano  dall'  alto  al  basso ,  attraversando  la  costa ,  e  poi  volendo 
parlare  al  nostro  poeta  Dante  dovettero  volgersi  e  salire  al  punto, 
d'onde  erano  poco  prima  discese.  Veggasi  il  mio  disegno  della  Mon- 
tagna. 

98  Che  vai  per  esser  lieta.  Per  esser  lieta  a  suo  tempo,  cioè  dopo 
che  anche  tu  morrai. 

Quindi  più  precisamente  vuol  dire:  O  anima  che  fai  questo 
viaggio;  perchè  ti  serva  di  istruzione  e  disposizione  a  quella  vita 
cristiana,  mediante  la  quale  si  arriva  ad  esser  lieta  in  paradiso  nella 
eterna  beatitudine. 

29  Con  quelle  membra  ecc.  Col  tuo  vero  corpo. 


*?* 


118  PURGATORIO 

Venian  gridando,  un  poco  il  passo  queta.  M 
Guarda  se  alcun  di  noi  unque  vedesti, 
50.         Sì  che  di  lui  di  là  novelle  porti  :  u  * 

Deh  !  perchè  vai  ?  deh!  perchè  non  t'arresti  ?  w 
Noi  fummo  già  tutti  per  forza  morti,  M 

E  peccatori  infino  all'ultim'ora  :  u 

Quivi  lume  del  ciel  ne  fece  accorti,  *5 
•SI  che  pentendo,  e  perdonando,  fuora  3G 

Di  vita  uscimmo  a  Dio  pacificati, 

Che  del  disio  di  sé  veder  n'accora.  *7 
Ed  io  :  Perchè  ne'  vostri  visi  guati,  M 

Non  riconosco  alcun;  ma  s'a  voi  piace  *9 
co.         Cosa  eh'  io  possa,  spiriti  ben  nati, 

30  Un  poco  il  passo  queta.  Dante  è  memore  del  comando:  Però 
pur  va,  e  in  andando  ascolta.  Intanto  che  Dante  andava  su  alla  sua 
strada,  l'anime  lo  accompagnavano  di  costa,  seguendolo  anch'esse  in 
su  dalla  lor  parte.  Vedi  Tav.  TI,  Purg. 

**  Sì  che  di  lui  ecc.  Non  già  che  lo  pregassero  a  portar  novelle 
per  amore  ch'esse  avessero  ad  una  fama  nel  mondo.  Questo  deside- 
ravano le  anime  dannate,  che  non  potoano  aver  di  meglio  ;  ma  que- 
st'anime sante  aveano  ben  altro  in  mira:  miravano  ad  ottener  col 
mezzo  di  Dante  i  tanto  utili  suffragi. 

33  Deh  !  perchè  vai  t  deh!  ecc.  Dante  ha  inteso  per  bene  la  lezione 
del  suo  maestro,  e  va  come  chi  non  si  cura. 

33  Tutti  per  fona  morti.  Tutti  finiti  di  morte  violenta. 

3*  E  peccatori  ecc.  Procrastinanti  sino  alla  morte. 

35  Quivi  ecc.  In  queir  ultim'  ora  una  grazia  speciale  del  cielo  ci 
fece  entrare  in  noi  stessi  a  conoscere  i  nostri  peccati  e  ii  pericolo  di 
eterna  dannazione  che  per  essi  incorrevamo. 

36  Sì  che  pentendo  e  perdonando  ecc.  Ci  volevano  appunto  siffatte 
due  condizioni  per  ottener  queir  anime  il  perdono  di  tutte  lor  colpe: 
pentimento  delle  loro  offese  fatte  a  Dio,  e.  perdono  delle  offese  fatte 
loro  dagli  uccisori. 

37  Che  del  disio  ecc.  Ecco  la  condizione  di  tutte  l'anime  purganti, 
gran  desiderio  di  veder  presto  il  loro  Dio. 

38  Perchè.  Per  quanto. 

3»  Non  riconosco  alcun.  Non  avendoli  conosciuti  in  vita. 


CANTO  V.  119 

Voi  dite,  ed  io  farò  per  quella  pace,  40 
Che,  dietro  a'  piedi  di  ai  fatta  guida, i! 
Di  mondo  in  mondo  cercar  mi  si  face. 4t 

Ed  uno  incominciò:  Ciascun  si  fida 
Del  beneficio  tuo  senza  giurarlo, i3 
Pur  che  '1  voler  non  possa  non  ricida.  4i 

Ond'  io,  che  solo,  innanzi  agii  altri  parlo. 
Ti  prego,  se  mai  vedi  quel  paese,  ** 
Che  siede  tra  Romagna,  e  quel  di  Carlo, 
70,     Che  tu  mi  sie  de'  tuoi  prieghi  cortese  is 
In  Fano  sì,  che  ben  per  me  s'adori, 47 

*o  Per  quella  pace.  Per  la  vita  eterna. 

*i  Dietro  a1  piedi  ecc.  Perchè  Virgilio  avea  avuto  l'incarico  da 
Beatrice  di  ^guidarlo. 

**  Vi  mondo  in  mondo*  Dal  mondo  dell'Inferno  e  del  Purgatorio 
inviato  al  Paradiso.  Allude  alla  promessa  di  Virgilio:  E  trarrotU  di 
qui  per  luogo  eterno  —  Ove  udirai  ecc.  {Inf\  I,  114), 

4*  Senza  giurarlo.  Allude  al  giuramento  testé  emesso  da  Dante  con 
quelle  parole  :  Io  farò  per  quella  pace  ecc. 

44  Pur  che  ecc.  Purché  V  impotenza  non  impedisca  la  buona  volontà. 

43  Se  mai  vedi  quel  ecc.  La  Marca  di  Ancona,  che  si  estende  lungo 
l'Adriatico  tra  la  Romagna  al  nord,  e  gli  Abb ruzzi  al  sud. Gli  Abbrum 
formavano  parte  del  regno  di  Napoli,  di  cui  era  signore  Carlo  Novello. 

4*  De'  tuoi  prieghi  cortese.  Non  che  prieghi  per  me,  ma  che  preghi 
i  miei  di  Fano  a  fare  orazione  per  me. 

4i  In  Fano.  Era  questi  Messe r  Jacopo  del  Cassero  di  Fano  tra  Pe- 
saro e  Sinigaglia  sul  mare,  nemico  di  Azzo  III  marchese  d'Este,  e 
per  tale  eletto  in  loro  podestà  dai  Bolognesi,  ch'erano  in  briga  con 
quel  marchese,  il  quale  ambiva  la  signoria  di  Bologna,  dove  aveva 
fautori.  Questo  Jacopo  fu  coi  Fiorentini  Guelfi  alla  battaglia  contro 
i  Ghibellini  d'Arezzo  nella  fumosa  giornata  di  Campaldino,  vinta  dagli 
alleati  Guelfi,  tra  i  quali  si  trovava  pur  Dante,  come  dirassi  più  Botto. 
Azzo  faceva  codiare  a'  suoi  sgherri  questo  Jacopo  per  vendicarsi  del 
mal  governo  fatto  a'  suoi  fautori  di  Bologna. 

S'adori.  Si  ori.  —  Ben.  Con  orazione  ben  fatta,  detta  altrove  : 
Che  sur ga  su  di  cuor  che  in  grazia  viva:  V  altra  che  vai  che  inciti 
non  e  udita?  (Purg.,  e.  IV). 


120  PURGATORIO 

Perch'  io  possa  purgar  le  gravi  offese.  4B 
Quindi  fu9  io,  ma  li  profondi  fori, 

Ond'uscì'l  sangue,  in  sul  quale  io  sedea, 
Fatti  mi  furo  in  grembo  agli  Antenori,  " 
Là  dove  più  sicuro  esser  credea  :  w 
Quel  da  Esti  il  fé'  far,  che  m'avea  in  ira  " 
Assai  più  là  che  dritto  non  volea.  * 
Ma  s' io  fossi  fuggito  in  ver  la  Mira,  M 

4*  Perch'io  possa  purgar  ecc.  Perch'io  ottenga  grana  che  mi  sia 
abbreviato  il  tempo  di  esclusione  dal  vero  Purgatorio,  e  possa  dar 
principio  quanto  prima- alle  pene  del  Purgatorio  destinate  a' miei  gravi 
peccati,  e  così  purgarli.  Le  anime  del  Purgatorio  nulla  più  desiderano 
che  di  saldare  per  pene  i  debiti,  che  hanno  con  Dio. 

49  In  grembo  agli  Antenori.  Sul  Padovano.  Secondo  la  tradiiione 
Padova  fu  fondata  da  Antenore,  Dunque  Antenori  i  Padovani.  Si 
mostra  in  Padova  una  gran  pietra  nella  quale  si  sono  riposte  le  pre- 
tese ossa  di  questo  vecchio  Trojano,  e  si  chiama  comunemente  la 
Tomba  di  Antenore*  (Dizionario  geografico). 

so  Là  dove  più  sicuro  ecc.  Come  questo  Jacopo  del  Cassero  si 
trovava  sul  Padovano?  Egli  vi  si  trovava  perchè  da  Bologna  era  in 
sul  passare  a  Milano,  dal  cui  Comune  era  stato  eletto  a  podestà.  Dice 
che  fu  assassinato  là  dove  si  credea  più  sicuro,  perchè  non  solamente 
era  fuori  dalle  terre  di  Azzo,  ma  era  in  quelle  de'  nimici  di  Ini,  i 
Padovani,  i  quali  di  quei  di  uniti  ai  Veronesi  capitanati  da  Alberto 
Scaligero,  facevano  guerra  contro  Azzo  III  ;  sicché  stando  colà  non 
avea  ragion  di  temer  d'Azzo  II I  {Dalla  Corte,  T.  II). 

M  Quel  da  Esti  Azzo  III,  marchese  d'Este  e  Ferrara.  —  3T  avea  in 
ira.  Perchè  Jacopo  era  suo  contrario,  prima  per  ragione  di  parte,  e 
poi  più  contrario  ancora  al  tempo  della  sua  podesteria  di  Bologna 
per  avere  sventate  le  ambizioni  di  lui  su  Bologna  stessa,  di  cui,  come 
fu  detto,  si  voleva  fare  signore. 

99  Assai  ecc.  L'aver  in  ira  i  propri  nemici  (parlo  secondo  politica)  è 
cosa  naturale  ;  ma  anche  quest'ira  ha  i  suoi  confini  ;  ed  Aszo  gli  oltre- 
passò con  Jacopo.  La  guerra,  se  Azzo  avea  ragione  da  ciò,  sarebbe  stata 
entro  il  diritto,  ma  il  tradimento  e  l'assassinio  era  più  là  del  dritto, 

st  Ma  s'io  f ossi  fuggito  ecc.  Oriaco  (ora  Oriago)  è  sull'antica  strada 
postale  di  Fusina  intorno  ad  otto  miglia  da  questo  paese,  e  a  circa 
quattro  miglia  a  mezzodì  dalla  odierna  strada  ferrata  sul  Padovano. 


CANTO  V.  121 

so.        Quand'  io  fui  sovraggiunto  ad  Oriaco, 
Ancor  sarei  di  là  dove  si  spira.  ** 

Corsi  al  palude,  e  le  cannucce  e  il  braco  *5 
M' impigliar  sì  eh'  io  caddi,  e  lì  vicT  io 
Delle  mie  vene  farsi  in  terra  laco.  * 

Poi  disse  un  altro  :  Deh  !  se  quel  disio  *7 
Si  compia  che  ti  tragge  all'alto  monte,  *8 


Ad  Oriaco  il  nostro  Jacopo  fu  sopraggiunto  dagli  assassini  d'Azzo. 
A  mezzodì  d'Oriaco  ci  son  paludi,,  e  al  suo  settentrione  havyi  il  pae- 
sello di  Mira.  Se  a  questa  si  fosse  diretto,  fuggendo,  l'avrebbe  scam- 
pata; invece  nella  confusione,  e  per  poca  pratica  dei  luoghi,  tenne  la 
parte  meridionale  ad  Oriaco,  e  si  trovò  tra  le  paludi.  Fuggendo  verso 
la  Mira  avrebbe  trovato  difensori  :  riuscito  invece  alle  paludi  si  trovò 
isolato  e  senza  difesa  ;  onde'  gli  assassini  poterono  a  man  salva  scan- 
narlo. 

5*  Dove  ai  spira.  Dove  si  vive.  La  vita  si  mantiene  col  respiro.  Ces- 
sando questo  si  muore. 

w  E  le  cannucce  e  il  braco.  Le  alghe  ed  il  pantano. 

36  Delle  mie  vene.  Dei  mio  sangue* 

si  Se  quel  disio.  Cosi  quel  disio  si  compia.  Se  non  è  condizione,  ma 
buon  augurio. 

S8  Ali* alto  monte.  Attenti  bene  alle  espressioni,  perchè  racchiudono 
più  di  quel  che  si  crede.  Fermatevi  ben  nella  mente  che  Dante  fa 
il  monte  del  Purgatorio  dell'altezza  di  miglia  95  ;  92  delle  quali  sono 
l'atrio  dove  stanno  coloro  che  trascurarono  la  loro  eterna  salute  ;  e 
perchè  questi  formano  l'immensa  maggioranza,  per  non  dir  quasi  tutti 
quelli  che  poi  si  salvano,  perciò  a  questo  monte  si  assegna  loro  un 
luogo  proporzionato  al  loro  numero  ;  in  quella  guisa  che  ai  neghittosi 
e  non  mai  convertiti,  nemmeno  in  morte,  i  quali  pure  sono  il  mas- 
simo numero  degli  uomini,  si  assegnò  nelT  Inferno  quell'atrio  profon- 
dissimo di  miglia  3150,  ed  ai  peccatori  famosi  si  assegnò  un  Inferno 
della  sola  profondità  di  miglia  95. 

Adunque  92  miglia  d'altezza  di  monte  sono  destinate  per  tenere 
in  aspettativa  del  vero  Purgatorio  le  anime,  che  aspettarono  a  con- 
vertirsi ;  e  sole  3,  anzi  2  tt?6*  (che  sono  la  cima  della  montagna)  eono 
destinate  al  vero  Purgatorio  di  pene  sensibili,  alle  quali  tanto  aspi- 
rano le  anime  non  ammesse,  e  rilegate  a  tempo  al  di  fuori.  (V.  Tav.  II, 
Purgatorio). 


122  PURGATORIO 

Con  buona  pietate  aiuta  il  mio. 
Io  fui  di  Montefeltro,  io  son  Buonconte  :  w 
Giovanna,  o  altri  non  ha  di  me  cura  ;  *° 
90.         Perch'  i'  vo  tra  costor  con  bassa  fronte.  6I 

Quindi  le  parole  all'alto  monte,  non  significano  semplicemente 
una  qualunque  altezza,  quale  si  potrebbe  dire  di  ogni  altro  monte 
per  alto  cbe  fosse;  ma  l'altezza  qui  toccata  dall'anima  ba  una  ra- 
gione speciale,  perchè  è  la  sola  altezza  di  quelle  ultime  due  miglia 
e  sessanta  tre  sessanta  quattresimi,  cbe  è  la  sospirata  da  quelle  anime, 
per  la  ragione  cbe  là  solamente  possono  purgarsi  dalle  loro  colpe,  e 
mentre  cbe  colà  non  giungano  si  tengono  infelicissime. 

Per  questo  l'anima,  che  qui  parla,  dice  subito  :  Con  buona  pit- 
tate aiuta  il  mio;  il  quale  non  è  altro  cbe  il  disio  di  essere  ammessa 
a  scontar  Li  sua  pena  sull'alto  di  quella  montagna,  dov'era  il  luogo 
a  ciò  destinato. 

Quel  disio  poi  di  quest'anima  poteva  esser  aiutato  da  Dante 
colle  orazioni  cbe  egli  avrebbe  fatte  o  fatte  fare,  per  abbreviare  a 
quest'anime  il  bando  dal  vero  Purgatorio. 

Si  dice:  Buona  pietate,  come  poco  sopra,  v.  71,  si  disse:  Ben 
per  me  s'adori* 

&9  Io  fui  .  .  .  io  son  ecc.  Perchè  questa  differenza  di  tempi,  io 
fui,  io  sonf  Perchè  Tessere  cittadino  di  Montefeltro  è  cosa  passata, 
che  ornai  non  appartiene  menomamente  a  quelle  anime,  già  divenute 
cittadine  del  Purgatorio;  e  l'aver  nome  Buonconte  è  cosa  presente, 
che  dura  ancora  sebbene,  l'anima  sia  fuori  del  mondo. 

Questo  Buonconte  fu  figliuolo  di  quel  coute  Guido  da  Montefeltro 
di  Romagna,  che  noi  abbiamo  veduto  neli'/w/.  e.  XXVII,  tra  i  mali 
consiglieri,  e  cbe  si  rese  Francescano  nel  1296. 
&°  Giovanna  o  altri.  Mia  moglie,  e  i  miei  parenti  ed  amici 
6«  Perch'i' tx>  tra  costor  ecc.  Questo  suppone  ch'egli  in  questi  11 
anni  di  aspettazione  nell'Atrio  del  Purgatorio  avesse  veduto  di  molte 
anime  per  suffragi  dei  lor  parenti  ed  amici  finire  il  loro  bando  prima 
del  tempo  stabilito,  e  andare  al  loro  Purgatorio  a  scontarvi  la  pena 
dovuta,  mcntr  egli  dovette  sempre  restarsene  escluso  per  mancanza 
di  tali  suffragi.  Quindi  questo  andare  con  bassa  fronte  tra  i  suoi 
compagni  non  vuol  dire  cbe  i  suoi  portassero  la  testa  alta,  ma  so- 
lamente che  egli  con  sua  vergogna  si  ritrovava  ancor  tra  quell'anime 
mentre  in  questo  frattempo  tante  altre  salirono  per  suffragi  alla 
lor  pena. 


CANTO  V.  123 

Ed  io  a  lui  :  Qual  forza  o  qual  ventura  M 
Ti  traviò  sì  fuor  di  Campaldino 
Che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura? 


69  Ed  io  a  lui:  Qual  forza  ecc.  Siccome  il  fatto  che  qui  si  tocca 
è  uno  dei  più  importanti  per  la  vita  dei  nostro  poeta,  così  lo  tratterò 
in  disteso,  levandolo  da  Cesare  Balbo  nella  Vita  di  Dante,  1. 1,  e.  6  : 
così  nell'atto  che  si  chiarisce  questo  punto-storico  riguardo  a  Buon- 
conte,  resterà  pur  chiarito  qualche  passo  della  vita  di  Dante, 

e.  Arezzo,  guelfa,  come  il  rimanente  di  Toscana  fino  al  1287, 
s' era  in  quell'anno  rivolta  a  ghibellina,  per  opera  anch'essa  del  suo 
vescovo  Guglielmino  di  Ubertino  de1  Pazzi,  il  quale  avea  fatto  capi- 
tano di  guerra  Buonconte  di  Montefeltro  figlio  di  quel  Guido,  che 
vedemmo  podestà  ghibellino  di  Pisa.  Arezzo  n'era  diventata  capo 
di  parte  ghibellina  in  quel  lato  di  Toscana,  e  fino  in  Romagna;  e 
secondo  il  costume  i  Guelfi  uscitine  eran  venuti  per  aiuti  a  Firenze. 
Dove  assai  deliberòssi  prima,  se  avesse  a  farsi  l'impresa,  poi  per 
qual  via;  e  si  vinse  per  quella  del  Casentino.  » 

a  Fatta  tal  deliberazione  (segue  Dino  Compagni  Stor.  /£.,pp.  473, 
474),  i  Fiorentini  accolsero  l'amistà,  che  feciono  i  Bolognesi  con 
dugento  cavalli;  Lucchesi  con  dugento;  Pistoiesi  con  dugento:  dei 
quali  fu  capitano  messer  Corso  Donati  cavaliere  fiorentino;  Maina rdo 
da  Susinana  con  venti  cavalli  e  trecento  fanti  a  pie  ;  messere  Mal- 
piglio Ciccioni  con  venticinque  ;  e  messer  Barone  Mangiadori  da  San 
Miniato,  gli  Squarcialupi  e  i  Colligiani,  e  altre  castella  di  Valdelsa  ; 
sì  che  fu  il  numero  cavalli  mille  trecento,  e  assai  pedoni. 

«  Mossono  le  insegne  al  giorno  ordinato  i  Fiorentini  per  andare 
in  terra  di  nemici  ;  e  passarono  per  Casentino  per  male  vie,  ove  se 
avessono  trovati  i  nemici,  arebbono  ricevuto  assai  danno.  Ma  non 
volle  Dio  ;  e  giunsbno  presso  a  Bibbiena,  a  uno  luogo  si  chiama  Cam- 
paldino, dove  erano  i  nemici;  e  quivi  si  fermarono  e  feciono  una 
schiera.  I  capitani  della  guerra  misono  i  feditori  alla  fronte  della  schie- 
ra; e  i  palvesi  col  campo  bianco  e  giglio  vermiglio,  furono  attellati 
dinanzi.  Allora  il  Vescovo,  che  avea  corta  vista,  domandò:  Quelle 
che  mura  sono?  fugli  risposto:  I  Palvesi  dev  nemici. 

<(  Messer  Barone  de'  Mangiadori  da  San  Miniato,  franco  et  esperto 
cavaliere  in  fatti  d'arme,  ratinati  gli  uomini  d'arme,  disse  loro  :  Si- 
gnori! le  guerre  di  Toscana  si  solevano  vincere  per  bene  assalire, 
non  duravano,  e  pochi  huomini  vi  moriano,  che  non  era  in  uso  di 
ucciderli.  Ora  e  mutato  modo,  e  vinconsi  per  stare  bene  fermi;  il 


124  PURGATORIO 

perchè  io  vi  consiglio,  che  voi  stiate  forti,  e  lasciateli  assalire.  £  eoa! 
disposono  di  fare.  Gli  Aretini  assalirono  il  campo  si  vigorosamente, 
e  con  tanta  forza,  che  la  schiera  dei  Fiorentini  forte  rinculò.  La 
battaglia  fa  molto  aspra  e  dura.  Cavalieri  novelli  vi  si  erano  tatti  dal- 
l'una parte  e  dall'altra.  Messer  Corso  Donati  colla  brigata  de*  Piatojeai 
fedi  i  nemici  per  costa.  Le  quadrella  piovevano.  Gli  Aretini  n'avean 
poche  et  erano  fediti  per  costa,  ond' erano  scoperti.  L'aria  era  co- 
perta di  nuvoli,  la  polvere  era  grandissima.  I  pedoni  degli  Aretini  ai 
mettevano  carpone  sotto  i  ventri  de*  cavalli  con  le  coltella  in  mano, 
e  sbudellavano  :  e  de*  loro  feditoli  trascorsone  tanto,  che  nel  messo 
della  schiera  furono  morti  molti  di  ciascuna  parte.  Molti  quel  di  ch'e- 
rano stimati  di  grande  prodezza,  furono  vili;  e  molti  di  cui  non  si 
parlava,  furono  stimati.  Assai  pregio  v'ebbe  il  Balio  del  Capitane, 
e  fuvvi  morto.  Fu  fedito  messer  Bindo  del  B aschiera  Tosinghi  e  cosi 
tornò  a  Firenze,  ma  tra  pochi  di  mori.  Della  parte  de*  nemici  fu 
morto  il  Vescovo ,  e  messer  Guglielmo  de'  Pazzi ,  franco  cavaliere , 
Bonconte  e  Leccio  da  Montefrltri  e  altri  valenti  huomini.  Il  conte 
Guido  non  aspettò  il  fine,  ma  senza  dar  colpo  di  spada  si  partì.  Molto 
bene  provò  messer  Vieri  de'  Cerchi,  e  uno  suo  figliuolo  cavaliere  alla 
costa  di  sé.  Furono  rotti  gli  Aretini,  non  per  viltà  né  per  poca  pro- 
dezza ;  ma  per  lo  soperchio  de'  nemici  furono  messi  in  caccia,  ucci- 
dendoli. I  soldati  Fiorentini  che  erano  usi  alle  sconfitte,  gli  ammaz- 
zavano; i  villani  non  aveauo  pietà.  Messer  Talano  Adimari  e  i  suoi 
tornarono  si  presto  a  loro  stanza.  Molti  popolani  di  Firenze  che  aveano 
ca vallate,  stettono  fermi;  molti  niente  seppono;  se  non  quando  i  ne- 
mici furon  rotti.  Non  corsono  ad  Arezzo  con  la  vittoria,  che  si  spe- 
rava con  poca  fatica  l'arebbono  avuta.  Al  capitano  e  ai  giovani  ca- 
valieri, che  aveano  bisogno  di  riposo,  parve  avere  assai  fatto  di  vincere, 
senza  perseguitarli.  Più  insegne  ebbono  di  loro  nemici,  e  molti  pri- 
gioni ;  e  molti  n'occisono  che  ne  fu  un  danno  per  tutta  Toscana.  Fu 
la  detta  rotta  a  di  undici  di  giugno  1289  il  di  di  San  Barnaba,  in 
un  luogo  che  si  chiama  Campaklino  presso  a  Poppi.  » 

Qual  parte  poi  prendesse  Dante  in  questa  battaglia  è  accennato 
da  Leonardo  Aretino,  il  quale  narrato  quel  conversare  e  vivere  di 
Dante  negli  esercizi  giovanili,  continua  dicendo: 

<(  Intantochè  in  quella  battaglia  memorabile,  che  fu  a  Campal- 
dino, lui  giovane  e  bene  stimato  si  trovò  nell'armi,  combattendo  vi- 
gorosamente a  cavallo  nella  prima  schiera,  dove  portò  gravissimo 
pericolo.  Perocché  la  prima  battaglia  fu  delle  schiere  equestri  ;  nella 
quale  i  cavalieri,  che  erano  della  parte  degli  Aretini,  con  tanta  tem- 
pesta vinsero  e  superchiarono  la  schiera  de'  cavalieri  Fiorentini,  che 
sbarattati  e  rotti  bisognò  fuggire  alla  schiera  pedestre.  Questa  rotta 


CANTO  V.  125 

Oh,  rispostegli,  appiè  del  Casentino  M 

Traversa  un'acqua  ch'ha  nome  l' Archiano, 64 
'  Che  sopra  Y  Ermo  nasce  in  Appennino.  w 

Là  've  1  vocabol  suo  diventa  vano  66 
Arriva'  io  forato  nella  gola, 

fu  quella,  che  fé'  perdere  la  battaglia  agli  Aretini,  perchè  i  loro  ca- 
valieri vincitori  persegui tando  quelli  che  ruggivano,  per  grande  di- 
stanza lasciarono  addietro  la  loro  pedestre  schiera;  sicché  da  quindi 
innanzi  in  niun  luogo  interi  combatterono,  ma  i  cavalieri  soli,  e  di 
per  sé  senza  sussidio  di  pedoni,  ed  i  pedoni  poi  di  per  sé  senza 
sussidio  dei  cavalieri.  Ma  dalla  parte  de' Fiorentini  addivenne  il  con- 
trario; che  per  essere  ruggiti  i  loro  cavalieri  alla  schiera  pedestre, 
si  ferono  tutti  un  corpo,  e  agevolmente  vinsero  prima  i  cavalieri 
poi  i  pedoni.  Questa  battaglia  racconta  Dante  in  una  sua  epistola 
e  dice,  esservi  stato  a  combattere,  e  disegna  la  forma  della  battaglia.  » 
£  più  giù  reca  le  parole  stesse  di  Dante  in  questa  o  in  altra 
epistola,  dove,  parlando  del  suo  priorato  dell'anno  1300,  dice  :  «  Dieci 
anni  erano  già  passati  dalla  battaglia  di  Campaldino ,  nella  quale 
la  parte  ghibellina  fu  quasi  al  tutto  morta  e  disfatta;  dove  mi 
trovai  non  fanciullo  nell'armi,  e  dove  ebbi  temenza  molta,  e  nella 
fine  grandissima  allegrezza  per  li  vari  casi  di  quella  battaglia.  » 

Dove  è  da  notare  che  se  la  epistola  certamente  latina  di  Dante 
è  qui  ben  tradotta,  chiaro  è,  che  non  fu  questo  il  primo  fatto  d'arme 
in  che  si  trovasse.  Ad  ogni  modo  vedesi  che  Dante  fu  della  schiera 
di  messer  Vieri  de'  Cerchi,  cioè  di  quei  feditori,  che  questi  non  volle 
disegnare,  ma  s'offerirono  eglino  volontari.  E  dopo  tal  fatto,  tanto 
più  bella  parrà  quella  confessione  cosi  semplice  della  temenza  molta, 
che  ebbe  al  principio,  e  della  allegrezza  in  fine  della  giornata.  — 
Credo  di  notare  che  Carlo  II,  ossia  il  Novello  figlio  di  Carlo  I 
d'Angiò,  passato  per  Firenze  per  alla  volta  di  Napoli  il  2  Mag- 
gio 1289,  lasciato  avea  ai  Fiorentini  per  la  impresa  contro  Arezzo 
il  suo  capitano  Amerigo  da  Narbona. 

63  Appiè  del  Casentino.  Regione  montana  tra  Firenze  ed  Arezzo 
dove  avvenne  la  battaglia  di  Campaldino,  e  la  rotta  degli  Aretini. 

•*  Archiano  piccolissimo  fiumicello,  che  va  in  Amo. 

tt  Sopra  l'Ermo.  Sopra  l' Eremo  di  Camaldoli.  —  Appennino.  Ca- 
tena di  monti,  che  sega  l'Italia  per  mezzo  da  nord  a  sud. 

66  Là  've  ecc.  Là  ove  sbocca  in  Arno,  e  quindi  perde  il  nome  di 
Archiano. 


126  PURGATORIO 

Fuggendo  a  piede,  e  sanguinando  il  piano.  ** 
100.   Quivi  perdei  la  vita,  e  la  parola  w 
Nel  nome  di  Maria  finì,  e  quivi 
Caddi,  e  rimase  la  mia  carne  sola. 

Io  dirò  il  vero,  e  tu  '1  ridi  tra  i  vivi  : 
L'Angel  di  Dio  mi  prese,  e  quel  d'Inferno  * 
Gridava:  O  tu  dal  ciel  perchft  mi  privi?  w 

Tu  te  ne  porti  di  costui  l'eterno  7I 
Per  una  lagr inietta  che  '1  mi  toglie  ;  n 

67  Fuggendo  a  piede.  Perchè  il  cavallo,  che  usava,  gli  èra  stato 
morto  nella  pugna.  Noi  abbiamo  veduto  di  sopra  che  si  andava  sotto 
i  ventri  dei  cavalli  a  ferirli  di  coltello. 

6*  Tjg  parola  —  Nel  nome  ecc.  Invocando  Maria,  ossia  la  mia  pa- 
rola finì  colla  invocazion  di  Maria.  Ecco  la  sua  conversione  al  solo 
punto  di  morte.  Il  poeta  era  molto  divoto  di  Maria  Santissima,  di 
cui  nella  Divina  Commedia  sparse  la  vita. 

*&L'Angel  di  Dio  mi  prese.  Prese  la  mia  anima. 

70  Gridava:  O  tu  dal  ciel  ecc.  Questo  contrasto  tra  l'Angelo  buono 
ed  il  cattivo  ha  un  simigliantissimo  riscontro  con  quello  che  avvenne  in 
senso  contrario  tra  S.  Francesco  e  un  Angelo  nero  per  Guido  padre  di 
questo  Buonconte(/»/.,  e.  XXVII,  v.  112  e  seg.).  È  bello  vedere  come  il 
poeta  per  Guido  padre,  e  per  Buon  con  te  figliuolo,  imaginaalla  lor  morte 
una  simile  contesa  tra  i  santi  e  i  demoni,  e  come  per  l'anima  del  padre 
perdette  la  contesa  S.  Francesco,  tuttoché  il  padre  si  fosse  dato  a  vita 
penitente,  mentre  per  l'anima  del  figlio  vinse  la  contesa  l'Angolo  buono, 
quantunque  non  ci  fosse  stato  altro  tempo  per  darsi  a  Dio,  che  un  ultimo 
respiro.  Abbiamo  anche  nella  Sacra  Scrittura  esempi  di  contese  tra  An- 
geli buoni  e  cattivi,  come  quella  tra  S.  Michele  e  il  demonio  in  occasione 
della  sepoltura  di  Mosè  raccontata  da  S.  Giuda  nella  sua  epistola  cat- 
tolica v.  9.  Notate  l' apostrofe  superba  e  sprezzativa  del  demonio  in 
quelle  parole:  O  tu  dal  ciel%  non  degnandolo  chiamar  Angelo,  ne 
usando  termini  di  rispetto  verso  di  lui,  ma  soli  termini  arroganti. 

"•  Di  costui  l'eterno.  L'anima,  che  non  muore ,  né  pn«S  morire. 

"i*Per  una  lagrimetta.  Diminuisce  il  valor  dell'atto  di  vera  con- 
trizione fatto  da  Buonconte  in  sul  morire,  restringendolo  ad  una  la- 
grimetta, e  tacendo  l'atto  interno  di  dolore  in  che  stava  la  sostanza 
del  pentimento  e  della  conversione.  Questo  linguaggio  s'addice  molto 
bene  al  demonio,  tanto  invidioso  del  nostro  bene,  e  tanto  bugiardo. 


CANTO  V.  .         127 

Ma  io  farò  dell'altro  altro  governo.  78 
Ben  sai  come  nell'aer  si  raccoglie  7i 
no.       Quell'umido  vapor,  che  in  acqua  riede,  76 
Tosto  che  sale  dove  '1  freddo  il  coglie. 
Giunse  quel  Ma'  '1  voler,  che  pur  mal  chiede,  76 

"3  Maio  farò  dell'altro  ecc.  pelTaltro,  ossia  del  temporale  di  costui, 
che  è  il  corpo,  il  quale  si  distrugge.  Altro  governò,  diverso  e  con- 
trario governo  a  quello  che  tu  fai  dell'anima. 

74  Ben  sai  come  neWaer  ecc.  Descrive  la  formazione  d'un  gran  tem- 
porale, che  per  la  giornata  di  Campaldino  è  un  fatto  storico. 

7*  Quell'umido  vapor  ecc.  Per  la  formazione  d'una  pioggia  improv- 
visa tempestosa  e  dirotta  sono  necessarie  le  seguenti  condizioni,  che 
qui  si  cominciano  ad  enumerare: 

1.  Che  gli  umidi  vapori  della  terra  salgano  ad  occupar  l'atmo- 
sfera; 

2.  Che  salgano  tant'alto  nell'atmosfera,  sino  a  trovare  gli  strati 
atmosferici  freddi,  i  quali  condensino  quei  vapori  a  ridurli  acqua. 

Ridotta  la  cosa  a  questo  punto  succederebbe  qualunque  pioggia. 
Ma  qui  si  parla  di  una  pioggia  tempestosa  e  dirotta.  Quindi  ci.  vo- 
gliono ancora  delle  altre  condizioni  che  tosto  si  diranno,  e  che  il  poeta 
ascrive  a  maleficio  diabolico,  seguendo  in  ciò  la  credenza  cattolica, 
che  ritiene  i  temporali  devastatori  essere  opera  sovente  degli  spiriti 
maligni  odiatori  dell'uman  genere,  per  iscongiurar  i  quali  la  chiesa 
ha  determinato  appositi  esorcismi  ne'  suoi  libri  Liturgici,  ed  il  suono 
dei  sacri  bronzi,  quali  armi  possenti  a  conquiderli  :  di  che  in  fatti  si 
veggono  portentosissimi  effetti.  Chi  volesse  appuntare  i  cattolici  di 
troppo  credenzoni,  non  avrà  che  a  leggere  il  Libro  di  Giobbe,  dove 
troverà  appunto  uu  impetuoso  turbine  prodotto  da  maleficio  diabo- 
lico ad  oggetto  di  atterrare  il  palazzo  dei  figli  e  delle  figlie  di  Giobbe 
per  ischiacciarli  sotto  le  sue  rovine  Sicché  il  poeta  e  la  chiesa  cat- 
tolica sono  in  piena  regola. 

76  Giunge  quel  Ma*  'l  voler  ecc. Mi  sia  lecito  sulla  lezione  di  questo 
verso  proporre  una  variante,  che  ritengo  necessaria  per  la  sintassi  e 
pel  senso.  Quel  Ma1  sta  in  luogo  di  quel  Malo,  nome  che  la  stessa 
Scrittura  applica  al  demonio  dicendo:  Sed  libera  nos  a  malo  Dante 
ha  sincopato  altre  volte  la  voce  Malo,  per  es.  nel  Canto  XXXIII, 
dell'Inferno  dove  disse:  Che  per  effetto  de'  suo'  ma'  pensieri.  Leg- 
gendo dunque  così,  tutto  è  chiaro  e  sarebbe  :  Giunse  quel  Ma'  (il  de- 
monio, nominativo)  H  voler  ecc.  In  questa  lezione,  come  la  pretendo 


128  PURGATORIO 

Con  l'intelletto,  e  mosse  il  fummo  e  il  vento 77 
Per  la  virtù  che  sua  natura  diede.  78 
Indi  la  valle,  come  il  dì  fu  spento, 79 
Da  Pratomagno  al  gran  giogo  coperse 
Di  nebbia,  e  il  ciel  di  sopra  fece  intento  *° 


io,  tì  ha  il  suo  soggetto  (quel  Ma1),  vi  ha  il  suo  oggetto  articolato  e 
preciso  Rivoler)  —  Chepur  mal  chiede.  Pur  vale  solo,  cioè  che  chiede, 
che  vuole  il  solo  male,  e  non  può  voler  altro  che  il  male. 

Anche  Filippo  il  Bello,  come  qui  il  demonio,  fu  chiamato  il  Malo: 
Padre  e  suocero  son  del  Mal  di  Francia.  (Purg.f  Canto  VII,  v.  109). 

n  Con  l'intelletto  ecc.  Come  noi,  quando  vogliamo  far  del  male  ad 
alcuno  mettiamo  in  azione  le  due  nostre  potenze  dell'anima,  volontà 
ed  intelletto,  cosi  fa  il  demonio  quando  anch'egli  ci  vuol  fare  del  male; 
accoppia  e  mette  in  azione  insieme  la  sua  crudelissima  volontà,  e  il 
suo  intelletto  perspicacissimo,  e  con  queste  due  potenze  congegna  i 
nostri  danni.  Rifacciamoci  al  Libro  di  Giob,  e  vedremo  delineate  con 
tutta  precisione  le  operazioni  della  volontà  e  dell'intelletto  del  demonio 
a  danno  di  quel  grande  profeta. 

E  mosse  il  fummo  e  il  vento.  Questa  è  la  terza  condizione  pro- 
duttrice del  temporale.  Le  due  prime  nominate  alla  nota  75  sono  pro- 
duttrici della  sola  pioggia  anche  innocua.  Questa  terza  è  della  pioggia 
ruinosa  e  devastatrice. 

7*  Per  la  virtù  ecc.  Per  la  forza  che  ha  dalla  stessa  sua  natura. 
Si  sa  che  nel  demonio,  e  compagni,  anche  dopo  la  loro  dannazione 
restarono  i  doni  di  natura ,  come  sono  immensa  forza  superiore  ad 
ogni  altra  naturale,  ingegno  acutissimo,  ecc. 

TO  Indi  la  valle,  come  ecc.  Si  nota  il  luogo  ove  s'adunarono  i  pre- 
parativi di  questo  terribile  temporale;  e  il  tempo  di  essi.  Quanto  al 
luogo  fu  la  gran  vallata  del  Casentino,  per  mezzo  della  quale  scorre 
l'alto  Arno,  tra  due  giogaie,  quella  di  Pratomagno,  che  forma  un  se- 
micerchio ad  occidente  dell'Arno,  e  quella  dell'Appennino  ad  Oriente, 
detta  qui  gran  giogo  per  la  sua  maggiore  altezza  e  lunghezza  in  con- 
fronto di  Pratomagno.  Quanto  poi  al  tempo,  fu  di  notte  (come  il  dì 
fu  spento)  che  accresce  colle  tenebre  il  terrore  del  temporale,  ed  im- 
pedisce a  chiunque  di  vedere  e  salvar  le  persone. 

so  Di  nebbia.  Di  polvere  sollevata  da  tutte  parti.  Si  ricordi  che  la 
battaglia  di  Campaldino  avvenne  agli  11  di  Giugno,  quando  la  terra 
pei  calori  estivi  è  tutta  ingombra  di  polvere. 


CANTO  V.  129 

Sì  che  '1  pregno  aere  in  acqua  si  converse  :  81 
La  pioggia  cadde,  e  ai  fossati  venne  M 
120.       Di  lei  ciò  che  la  terra  non  sofferse: 

E  come  a' rivi  grandi  si  convenne, 
Ver  lo  fiume  real  tanto  veloce  M 
Si  ruinò,  che  nulla  la  ritenne.  M 

Lo  corpo  mio  gelato  in  su  la  foce  M 

Trovò  TArchian  rubesto,  e  quel  sospinse  M 
Nell'Arno,  e  sciolse  al  mio  petto  la  croce, 81 

Ch*  io  fei  di  me  quando  il  dolor  mi  vinse  : 

E  il  del  di  sopra  fece  intento.  Intento  va  letto  colla  e  larga, 
che  suona  teso,  compresso.  Notate  bene  ogni  cosa.  Prima  il  citi  di 
sopra,  ossia  l'aria  soprastante  ai  nuvoloni. 

Il  Demonio  aggravò  quest'aria  di  peso  tale  che  comprimendo 
le  nubi  sottoposte  le  costrinse  a  sciogliersi  in  dirottissimo  diluvio, 
come  comprimendo  la  mano  una  sottoposta  spugna  immollata,  la 
farebbe  schizzar  acqua  al  di  sotto.  E  tutto  detto  con  mirabile  pro- 
prietà. 

**  Sì  che  il  pregno  aere  ecc.  Ecco  finalmente  prodotta  la  forma- 
zione dell'acqua  dirotta  per  opera  della  pression  atmosferica  sape* 
riore. 

82  E  ai  fossati  venne  —  Di  lei  ciò  ecc.  E  noto  che  gli  acquazzoni 
d'estate,  come  fu  questo,  perchè  impetuosi,  sono  assai  poco  imbevuti 
dall'  arso  terreno,  e  il  più  di  essi  trascorre  nei  fossi,  e  da  questi  nei 
rivi  o  torrenti,  e  da  questi  finalmente  nei  fiumi  reali,  e  per  essi  al 
mare  con  impeto  di  irresistibili  piene. 

83  Ver  lo  fiume  real.  L'Arno.  Reale  perchè  ha  proprio  cammino 
da  Falterona  al  mare.  E  fiume  reale  qualunque  che  non  sia  confluente 
in  altro  fiume,  ma  vada  a  metter  foce  in  mare. 

&  La  ritenne.  L'acqua. 

*&Lo  corpo  mio  gelato  in  su  la  foce  —  Trovò  VArchian.  Abbiamo 
veduto  sopra  n.  63  e  scg.,  che  Buonconte  cadde  morto  in  riva  ed 
alla  foce  dell' Archiano  in  Arno, 

toftubesto.  Gonfio  e  altero  d'acque. 

87  Sciolse  al  mio  petto  la  croce , —  Ch'io  fei  ecc.  Buonconte,  se  fosse 
stato  ritrovato  all'Archiano  dove  cadde,  avrebbe  fatto  conoscere  con 
quest'atto  chVgli  era  morto  pentito  de* falli  suoi. 

9 


130  PURGATORIO 

Voltommi  per  le  coste  e  per  lo  fondo  ;  w 
Poi  di  sua  preda  mi  coperse,  e  cinse.  " 
130.    Deh!  quando  tu  sarai  tornato  al  mondo, 
E  riposato  dalla  lunga  via,  ^ 
Seguitò  il  terzo  spirito  al  secondo, 
Ricordati  di  me,  che  son  la  Pia  :  9f 
Siena  mi  fe\  disfecemi  Maremma  :  w 
Salsi  colui  che,  innanellata  pria, 93 

&  Voltommi  per  ecc.  Appunto  i  fiumi  tortuosi,  qual'  e  l'Arno,  mas- 
sime in  quelle  parti  del  Casentino,  ove  serpeggia  da  monte  a  monte, 
trabalzano  e  rivoltano  i  corpi  nella  lor  rapina  da  destra  a  manca 
e  da  manca  a  destra,  e  ciò  in  forza  delle  loro  svolte  ;  in  quelle  parti 
poi  dove  corrono  diritti  travolgono  i  detti  corpi  pel  fondo.  Dante 
sino  in  notar  queste  minutezze  si  mostra  grande  naturalista. 

89  Poi  di  sua  preda  ecc.  Mi  coperse  e  cinse  di  sabbioni  e  di  ghiaie, 
che  sono  la  preda  che  massime  dei  monti  fanno  tutti  i  fiumi. 

M  E  riposato  ecc.  L' idea  del  riposo,  a  cui  ricorre  qui  il  terzo  spi- 
rito, sorge  naturalmente  dalla  circostanza  in  che  allor  si  trovava.  La 
circostanza  era  che  Dante  saliva  a  gran  passi  la  costa  dietro  al  suo 
Virgilio,  che  gli  concesse  di  parlare  con  quelle  anime,  ma  senza  punto 
arrestarsi.  Era  poi  molto  tempo  che  si  saliva  di  questa  foga.  Di  qui 
T  idea  spontanea  del  riposo  che  questo  spirito  giudicava  necessario 
a  Dante  sino  d'allora.  Inoltre  si  avverta  sempre  che  Dante  non  la- 
scia occasione  alcuna  per  darci  un'idea  dell'altezza  sterminata  del 
Purgatorio,  ch'era  di  95  miglia. 

9*  Ricordali  di  me  che  son  la  Pia.  Pia  Guastelloni,  maritata  in 
primi  voti  ad  un  Tolomei. 

93  Siena  mi  fe\  disfecemi  Maremma.  Nacqui  in  Siena,  morii  o  fui 
uccisa  in  Maremma.  Maremma  dicesi  la  costa  a  sud-ovest  in  Toscana 
lunghesso  il  mar  Tirreno. 

93  Salsi  colui.  Lo  sa  il  mio  secondo  marito,  che  fu  certo  Nello  Pan- 
nocchieschi,  Rettore  del  Castello  della  Pietra  in  Maremma.  Questi 
la  fé'  gittare  a  un  suo  servo  dall'alto  d'una  finestra,  perchè  egli  era 
entrato  in  sospetto  d' infedeltà,  secondo  alcuni  per  istranio  amore  ad 
un  certo  Agostino  de  Ghisi.  Si  vede  che  l'uccisione  fu  combinata 
e  tenuta  assai  secreta,  e  ciò  ricavasi  dal  detto  Salsi  colui:  onde 
appare  che  nessun  altro  ne  sappia  nulla.  Questo  fatto  viene  ascritto 
all'anno  1295. 


CANTO  V.  131 

Disposato  m'avea  con  la  sua  gemma. 94 

Innanellata  pria.  Aderisco  pienamente  alla  saggia  nota  del  ca- 
nonico Brunone  Bianchi,  che  fa  la  Pia  maritata  due  volte,  come  dissi 
testé.  Infatti  se  qui  si  parlasse  di  nn  unico  matrimonio,  non  si  sa- 
prebbe comprendere  il  giusto  senso  del  pria,  anzi  questo  pria  sarebbe 
affatto  vano,  e,  peggio,  fuori  affatto  di  luogo  :  il  che  è  tutto  alieno 
da  Dante. 

Dunque  innanellata  pria,  vuol  dire  che  prima  era  stata  moglie 
ad  altri. 

9*  Disposato  m'avea  ecc.  Preso  innanellata  pria  per  prime  nozze, 
ne  segue  per  necessità  che  si  debba  leggere  disposato  e  non  dispo- 
sando, com'  è  la  comune.  Il  Bianchi  trovò  che  il  Codice  Poggiali  ha 
disposato  m'avea;  e  con  questo  egli  ha  fatto  un  gran  servigio  al 
passo  presente,  sul  quale  non  può  rimanere  ornai  verun  dubbio. 

Gemma  ò  l'anello  nuziale  con  gemma. 


G  ANTO    VI 


Argomento. 

Oltre  le  tre  anime,  che  si  raccomandarono  a  Dante  per  orazione 
nel  Canto  antecedente,  si  nominano  qui  tante  altre  di  quella  me» 
desima  schiera  di  procrastinanti  per  accidia  sino  alla  morte  vio- 
lenta, che  pur  si  raccomandavano  a  Dante  per  lo  stesso  fine  di  ot- 
tenere da  Dio  per  le  orazioni  di  quei  del  mondo  una  diminuzione 
al  loro  bando  fuori  del  vero  Purgatorio.  Qui  nasce  un  dubbio  sui 
decreti  di  Dio  che  sono  immutabili,  eppure  si  mutano  per  orazioni. 
Virgilio  scioglie  in  parte  questo  dubbio,  e  in  parte  si  riporta  a 
Beatrice,  che  Dante  vedrà  sulla  cima  del  monte*  Dante  a  questo 
nome  si  sente  crescer  la  lena,  e  crede  che  camminando  forte  possa 
trovarsi  ttovr'essa  cima  prima  di  sera.  Virgilio  lo  disinganna.  In- 
tanto sempre  salendo  per  la  costa,  veggono  un'anima  solitaria.  Era 
Sor  dello,  mantovano.  Sordello  fa  mille  feste  solo  a  vedere  colà  un 
Mantovano.  Di  qui  la  famosa  invettiva  di  Dante  contro  l'Italia, 
contro  il  Papa,  contro  l'Imperatore,  e  che  si  chiude  finalmente 
con  un'amara  ironia  contro  Firenze* 

NB.  Vedi  tatti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  mia  Ta?.  I  e  la  Taf.  11,  -Purg. 


Q 


uando  si  parte  il  giuoco  della  zara,  1 
Colui  che  perde  si  riman  dolente, 
Ripetendo  le  volte,  e  tristo  impara  : 

*  Quando  si  parte  ecc.  Quando  è  finita  la  partita  del  giuoco  della 
«ara.  Zara  è  un  giuoco  di  BOrte,  che  si  fa  con  dadi,  gettandoli  de- 
atramente  perchè  sortisca  il  punto  della  vincita.  Quando  dunque  è 
finito  questo  giuoco,  allora  succedono  due  scene  Tuna  contraria  al* 
l'altra.  Chi  ha  perduto,  resta  solo  ed  avvilito  al  desco  fatale  (si  riman 
dolente)  e  da  sé  rinnova  il  giuoco,  gittando  i  dadi  come  prima,  ma 
con  altro  artifizio  (ripetendo  le  volte),  per  veder  se  cosi  gli  riesca  per 
un'altra  volta;  e  veramente  impara  a  sue  spese,  come  dovrà  dirigersi 
per  l'avvenire  (e  tristo  impara). 


134  PURGATORIO 

Con  l'altro  se  ne  va  tutta  la  gente  :  * 
Qual  va  dinanzi,  e  qual  dirietro  il  prende,  * 
E  qual  da  lato  gli  si  reca  a  mente. 

Ei  non  s'arresta,  e  questo  e  quello  intende; 4 
A  cui  porge  la  man  più  non  fa  pressa; 
E  cosi  dalla  calca  si  difende. 


Questa  prima  parte  della  similitudine  va  riferita  a  quelle  anime, 
che  non  ebbero  la  sorte  di  essere  vedute,  udite  ed  intese  da  Dante, 
come  le  tre  del  Canto  antecedente.  £  la  ragione  si  era  che  Dante 
camminava  a  gran  fretta,  e  le  anime  doveano  parlargli  in  andando  : 
essendo  poi  molte  quelle  anime ,  secondo  che  disse  sopra  Virgilio, 
Questa  gente  che  preme  a  noi  è  molta,  non  tutte  gli  si  poterono 
avvicinare,  anzi  la  maggior  parte  dovette  andarsene  senza  raccoman- 
dazioni. 

*  Con  V altro  se  ne  va  ecc.  Seconda  parte  della  similitudine,  che 
si  riferisce  al  vincitore,  dietro  al  quale  per  isperanza  di  qualche  man- 
cia corrono  tutti  raccomandandoglisi  per  questo  o  quel  merito,  che 
ciascuno  pretende  avere  avuto  nella  sua  vincita,  o  augurandogli 
buona  fortuna,  o  insegnandogli  il  tratto,  o  in  qualunque  modo  favo- 
reggiandolo. 

Questa  seconda  parte  riguarda  quelle  anime  ch'ebbero  la  sorte  di 
venire,  più  dappresso  al  poeta,  d'essere  da  lui  vedute  e  corrisposte. 

*  Qual  va  dinanzi  ecc.  Si  noti  la  naturalezza  della  descrizione. 
Succedo  infatti  cosi,  che  la  moltitudine,  seguendo  il  fortunato,  lo  as- 
siepa da  tutte  parti  facendo  a  chi  più  può  per  ottenere  le  sue  buone 
grazie.  Par  di  vederli  questi  importuni  che  innanzi  gli  attraversano 
il  passo  ;  e  quegli  altri  non  meno  importuni,  che  sapendo  di  non  esser 
veduti,  come  i  primi,  lo  tirano  di  dietro  pel  giubbone;  e  finalmente 
quegli  altri  più  discreti,  che  dai  fianchi  gli  si  raccomandano. 

*  Ei  non  s'arresta  ecc.  Notate  bene.  Egli  in  andando  tra  la  calca 
dispensa  cenni  di  avere  inteso  (intende)  le  dimando  di  questo  o  di 
quello.  Ma  siccome  dei  cenni  non  si  può  esser  certi  a  cui  vanno,  perciò 
gli  accennati  continuano  ad  incalzare. 

II  aegno  certo  che  il  vincitore  ha  inteso  questo  o  quello,  si  è  il 
prenderlo  per  la  mano,  seguo  che  non  può  riferirsi  se  non  alla  per- 
sona, eliti  mI  prende;  e  questo  solo  e  quegli  che  non  fa  più  pressa: 
«  coni  gli  riegeo  di  liberarsi  da  tutti,  e  di  andarsene  pc'  fatti  suoi  (E 
rosi  dulia  cairn  $i  difende). 


t 


CANTO  VI.  136 

io.     Tal  era  io  in  quella  turba  spessa,  * 

Volgendo  a  loro  e  qua  e  là  la  faccia, 
E  promettendo  mi  sciogliea  da  essa. 

Quivi  era  l'Aretin,  che  dalle  braccia  € 
Fiere  di  Ginn  di  Tacco  ebbe  la  morte  ; 
E  l'altro  che  annegò  correndo  in  caccia.  7 

Quivi  pregava  con  le  mani  sporte 
Federigo  Novello,  e  quel  da  Pisa, 8 
Che  fé'  parer  lo  buon  Marzucco  forte. 9 

Vidi  Cont'Orso,  e  l'anima  divisa  10 
ì  20.        Dal  corpo  suo  per  astio;  e  per  inveggia, 

Come  dicea,  non  per  colpa  commisa  ; 

Pier  Dalla  Broccia  dico  :  e  qui  provveggia, 

*  Tal  era  io  ecc.  L'anzidetta  similitudine,  tutta  natura,  quadrava 
precisamente  al  caso  di  Dante,  che  volgendosi  a  tutti,  or  quinci  or 
quindi,  a  tutti  diceva  di  si;  e  se  ne  andavano  contenti. 

6  Quivi  era  l'Aretin  ecc.  Benincasa  Aretino ,  vicario  di  Siena, 
ucciso  da  Ghin  di  Tacco,  per  vendicare  un  suo  fratello  e  nipote,  stati 
condannati  alla  morte  quali  assassini  da  Benincasa. 

7  E  l'altro  che  annegò  ecc.  Altro  Aretino,  Guccio  de'  Tarlati,  che 
nella  sconfitta  di  Campaldino,  detta  nell'altro  Canto,  correndo  messo 
in  caccia,  annegò  in  Arno. 

*  Federigo  Novello.  Figlio  di  Guido  Battifolle,  ucciso  da  unBostoIi. 
Quel  da  Pisa  ecc.  Farinata  de'  Scoringiaui  figlio  di  Marzucco, 

ucciso  da  Beccio  da  C aprona. 

9  Che  fé1  parer  ecc.  Perchè  Marzucco  già  resosi  frate  Minore,  non 
solo  perdonò  all'omicida,  ma  pregò  il  parentado  a  fare  lo  stesso. 
*o  Vidi  ConVOrso.  Uno  degli  Alberti,  e  secondo  altri  figliuolo  del 
r  Conte  Napoleone  di  Cerboia,  ucciso  da'  suoi. 

L'anima  divisa  —  Dal  corpo  suo  ecc.  Pier  dalla  Broccia  di 
Turena,  chirurgo  del  re  S.  Luigi,  e  poi  primo  consigliere  sotto  Fi- 
lippo III  l'Ardito,  che  il  Poeta  appella  Nasetto  nel  Canto  VII,  v.  103. 
'.  Fu  odiato  da  Maria  di  Brabante  seconda  moglie  del  detto  Filippo  III, 

I  perchè  lo  vedea  più  favorevole  ai  figli  del  primo  letto.  Calunniato 

t  dai  cortigiani  invidiosi  del  suo  merito  e  del  suo  ascendente,  mori  im- 

j  piccato  nel  1276  per  ordine  di  Filippo  III. 


130  PURGATORIO 

Mentr'è  di  qua,  la  donna  di  Brabante,  " 
SI  che  però  non  sia  di  peggior  greggia.  n 

Come  libero  fui  da  tutte  quante  " 
Quelle  ombre  che  pregar  pur  ch'altri  preghi, 
Sì  ohe  s'avacci  il  lor  divenir  sante,  " 

lo  cominciai  :  E'  par  che  tu  mi  nieghi, 
O  luce  mia,  espresso  in  alcun  testo,  ** 
80.         Che  decreto  del  cielo  orazion  pieghi  ;  l6 

E  queste  genti  pregan  pur  di  questo.  n 
Sarebbe  dunque  loro  speme  vana? 
O  non  m' è  il  detto  tuo  ben  manifesto? 

Ed  egli  a  me  :  La  mia  scrittura  è  piana,  '* 
E  la  speranza  di  costor  non  falla,  " 
Se  ben  si  guarda  con  la  mente  sana  :  *° 

Che  cima  di  giudicio  non  s'avvalla,  *! 

"  La  donna  di  Brabante.  La  signora,  la  sovrana  del  Brabante. 

*•  Di  peggior  greggia .  Della  greggia  dannata. 

*•  Come.  Appena  che,  subito  che. 

t*  S'avacci  ecc.  S'affretti  la  loro  santificazione  perfetta  col  mezzo 
della  pena. 

<B  Espresso.  Espressamente.  In  alcun  testo,  in  alcun  passo  de'  tuoi 
libri,  In  alcuna  tua  scrittura,  come  dice  appresso. 

<6  Che  decreto  ecc.  Il  testo  è  nel  libro  VI  dell'Eneide:  Desine  fata 
Deilm  flecti  sperare  precando. 

w  Pur.  Solamente. 

\%  f]  piana.  Facile  ad  intendersi,  e  l'hai  anzi  intesa;  ed  è  che 
l'orazione  non  cangia  i  decreti  divini. 

tu  K  la  iperanna.  Kppuro  la  speranza. 

•°  Mente  sana.  Libera  da  pregiudizi.  Vi  hanno  delle  persone  di 
mente  pernpicacifu<hna,  lo  quali,  perchè  sono  dominate  da  pregiudizi, 
frutto  di  mala  educazione,  o  di  passioni  viziose,  sono  incapaci  d'in- 
tendimi corto  cono,  che  sono  lo  più  chiare  e  lampanti. 

*f  Ohe  rima  di  giadicio  ecc.  Il  giudicio  è  qui  simboleggiato  in 
uria  lincia  rotta  o  perpendicolare.  L'immagine  e  bellissima  per  la  ret- 
titudine do' «Indizi  divini,  e  per  il  punto  da  cui  partono,  e  a  cui 
tari'loiio,       Ann  s'avvalla  Non  si  piega.  Si  riferisce  al  verso  di  sopra: 


CANTO  VT.  .  137 

Perchè  fuoco  d'amor  compia  in  un  punto  M 
Ciò  che  dee  soddisfar  chi  qui  s'astalla. 
40.     E  là  dov'io  fermai  cotesto  punto,  ■* 

Non  si  ammendava,  per  pregar,  difetto,  u 
Perchè  il  prego  da  Dio  era  disgiunto.  M 
Veramente  a  così  alto  sospetto  * 

Che  decreto  del  cielo  orazion  pieghi.  Se  il  giudicio  divino  è  come 
una  retta  perpendicolare,  dunque  dicendosi  che  questa  retta  non  piega, 
non  inclina  la  sua  cima,  si  viene  a  dire  che  non  si  cangia  il  detto 
giudicio.  Ma  osservate  bene  il  profondo  pensiero  del  poeta.  Il  giu- 
dicio divino,  che  è  la  retta,  parte  da.  Dio,  quale  soggetto  agente, 
e  s'appoggia  in  noi  quale  soggetto  paziente  :  ecco  quindi  la  profon- 
dità della  recata  similitudine.  La  cima  della  retta,  che  è  in  Dio,  non 
si  cangia  ;  la  sola  parte  che  si  cangia  è  la  bassa,  quella  che  in  noi 
s'appoggia.  Questa  similitudine,  che  da  prima  pare  un  niente,  ben 
ponderata  è  invece  un  pensiero  immenso. 

59  Perchè  fuoco  d'amor  ecc.  Ecco  dove  havvi  il  cangiamento  :  havvi 
in  noi,  che  colla  preghiera  uscita  da  un  cuore  infiammato  d'amor 
divino  compiamo  quello  che  dovrebbero  assolutamente  compiere  le 
anime  purganti.  Sicché  il  giudicio  di  Dio  resta  sempre  immutabile, 
la  mutazione  non  è  che  nel  soggetto  paziente,  perchè  quello  che 
deve  soddisfar  uno,  invece  soddisfa  un  altro. 

23  E  la  dov"1 io  fermai  ecc.  In  quel  mio  verso  Desine  fata  Deum  ecc. 
nel  quale  affermai  questo  punto,  che  la  preghiera  non  cangia  i  de- 
creti divini,  parlava  di  altra  preghiera,  che  esce  da  cuore  indegno, 
e  nimico  di  Dio,  la  quale  non  ha  e  non  può  avere  virtù  di  soddis- 
far per  quelli,  che  soddisfar  non  ponno.  Con  ciò  è  spiegata  tutta  la 
terzina, 

24  Non  si  ammendava,  per  pregar,  difetto.  Non  si  soddisfaceva, 
non  si  compensava  (dai  viventi)  il  difetto  dei  morti,  cioè  quello  che 
dovrebbero  ammendare  o  soddisfare  i  morti,  e  che  per  esser  tali  pa- 
tiscono difetto  di  farlo.  Ammendare  è  diverso  da  emendare  :  questo 
riguarda  la  colpa,  quello  la  pena. 

23  Perchè  il  prego  ecc.  Perchè  quella  preghiera  di  cui  parlava, 
non  era  di  quelle  fatte  in  grazia,  e  in  carità  con  Dio,  condizion  ne- 
cessaria per  ottener  cangiamento  ai  decreti  divini. 

26  Veramente.  Veruntamen,  ma,  tuttavia,  nondimeno. 
A  così  alto  sospetto.  A  cosi  alto  dubbio,  o  questione. 


13»  PURGATORIO 

Non  ti  fermar,  se  quella  noi  ti  dice,  r' 
Che  lume  fia  tra  il  vero,  e  lo  intelletto.  M 
Non  00  «e  intendi  :  io  dico  di  Beatrice  :  " 


*?  Non  ti  fermar.  Non  crederti  del  tutto  illuminato,  non  tenerti 
jAgo  n  quel  nolo  eh'  io  ti  dissi  per  iscioglierti  la  mossa  questione.  In- 
fatti la  questiono  non  fu  sciolta,  ma  sol  dilucidata  alquanto,  perdoc- 
rho  resta  sempre,  come  si  possa  combinare  immutabilità  de*  decreti 
ili  l)lo,  non  cangiamento  di  essi  per  via  di  suffragi  fatti  da  persone 
In  grani*  di  Dio.  In  sostanza  questo  è  un  mistero,  che  noi  cattolici 
turi  Un  mio  dilucidare  in  qualche  modo ,  dicendo  che  certi  decreti  di 
filo  sono  condizionati,  cioè  sono  emessi  con  condizione.  Prendiamo 
M  naso  nostro.  Il  decreto  porta  che  queste  anime  debbano  restar  fuori 
4*1  Purgatorio  tanto  tempo,  quanto  hanno  procrastinato  la  lor  con- 
Vffrsloii*,  a  mono  che  (ceco  la  coudizion  del  decreto)  non  ci  sia  qualche 
unitila  buona!  elio  coi  suffragi  abbrevi  questa  condanna. 

t*  tir  ijurllu  noi  ii  dice  —  Che  lume  ecc.  Se  non  ti  spiega  questo 
softput  lo,  qnosta  questione  si  alta,  la  Rivelazione  (Beatrice)  a  cui  sola 
spelta  darlfrare  rotali  difficili  quesiti  superiori  a  Ragione  (Virgilio). 
Lm  Jtlynl*»|oii<t  e  lume  tra  il  vero  e  lo  intelletto.  Come?  Ecco:  Tin- 
Mltdto  ha  pur  oggotto  il  vero.  Ma  l'intelletto  ha  corta  la  vista,  ansi 
Muli»  qulstlonl  soprannaturali  ò  affatto  nelle  tenebre,  non  ci  vede  punto, 
«  punito  non  può  raggiungere  il  suo  oggetto,  che  è  la  verità  sopran- 
nmImi'uI".  ('nino  dunque  fare  perchè  l'intelletto  la  raggiunga?  Met- 
lsw\  un  lume  di  mezzo,  che  valga  a  ciò.  Ora  questo  lume  non  è  e 
non  può  l'MHttr  altro  che  la  Rivelazione,  la  quale,  come  abbiamo  detto 
hk\  létiumdn  Cauto  dell'  Inferno,  è  rappresentata  da  Beatrice.  Non  mi 
|/ùmk  «-•he  certi  commentatori  confondano  qui  la  Teologia  colla  Ri- 
vetaione,  prendendo  indifferentemente  Tuna  per  l'altra,  come  fa  il 
canonico  Brunone  Bianchi  Altra  cosa  e  la  Rivelazione,  ed  altra  la 
Teologia.  ìm  Rivelazione  è  la  face  delle  verità  soprannaturali,  la  Teo- 
logia non  ne  è  che  il  discorso.  La  Rivelazione  senza  Teologia  si  può 
dure,  Teologia  senza  Rivelazione  non  si  può  dare,  o  se  si  dà  è  falsa 
«d  incerte.  La  Teologia  riguarda  le  scuole,  la  Rivelazione  la  Chiesa. 
\m  Jtivelazione  e  indivisa  dalla  grazia;  la  Teologia  ne  può  essere 
«tiotttpagnata.  Finalmente  la  Rivelazione  è  dono  infuso,  la  Teologia 
t'  lUnut  acquisito;  perciò  tutti  i  cattolici  appartengono  alla  Rivela- 
*j//n*,  non  tutti  alla  Tipologia. 

*>  ///  dinu di  J Matrice.  Credo  che  cosi  sia  dichiarato  a  sufficienza  l'uf- 
ftfvt  »!  1*4  rapproiseiitanzadi  Beatrice.  Questa  rappresenta  unicamente 


CANTO  VI.  139 

Tu  la  vedrai  di  sópra,  in  su  la  vetta  30 
Di  questo  monte,  ridente  e  felice. 
Ed  io  :  Buon  duca,  andiamo  a  maggior  fretta  ;  91 

la  Rivelazione,  da  cui  si  attingono  i  misteri  della  Religione  divina, 
e  che  è  la  depositaria  delle  verità  soprannaturali,  che  furono  comu- 
nicate all'uomo  sin  dal  principio  della  sua  creazione  nel  paradiso  ter- 
restre, dal  qual  momento  incomincia  la  serie  delle  verità  rivelate 
prima  che  esistesse  la  Teologia  « 

U  nome  poi  di  Beatrice  fa  a  Virgilio  un  doppio  servigio;  il  ser- 
vigio di  sbrigarsi  da  una  questione  che  non  era  da  lui,  e  il  servigio 
di  attizzare  il  su(f  guidato  a  non  istancarsi  nella  faticosa  salita.  Que- 
sto doppio  fine  fu  conseguito  assai  bene  :  per  il  primo  si  è  veduto  ; 
per  il  secondo  si  vedrà  presto. 

*>  Tu  la  vedrai  di  sopra  ecc.  Cioè  la  vedrai  nel  paradiso  terre- 
stre, che  è  sulla  cima  del  monte.  Perchè  Beatrice  ha  da  vedersi  colà? 
Perchè  là  appunto,  come  dicemmo,  ebbe  principio  la  Rivelazione  col 
primo  uomo,  a  cui  essa  parlò  e  quand'era  innocente,  e  quando  di- 
venne peccatore,  prima  che  fosse  espulso  dal  paradiso. 

Infatti  per  toccar  di  questo  solo  secondo  stato  (che  del  primo 
è  troppo  chiaro)  la  promessa  di  un  futuro  Riparatore  alla  colpa  di 
Adamo  e  di  Eva  (opera  di  Rivelazione),  venne  fatta  loro,  prima  di 
esser  cacciati  in  esilio  fuor  del  lor  paradiso  primiero.  Era  dunque 
conveniente  che  la  Rivelazione  rappresentata  da  Beatrice,  si  collocasse 
colà  dove  fu  da  principio,  e  dove  avea  fin  d'allora  in  certo  qual  modo 
posto  il  suo  trono. 

Gli  epiteti  di  ridente  e  felice  non  vanno  al  monte,  ma  alla  vetta 
del  monte,  la  qual  sola  è  ridente  e  felice  pel  paradiso  terrestre,  eh* ivi 
si  pone. 

Un  dubbio  :  Come  mai  Virgilio  sa  tutto  questo,  mentre  colà  su 
non  fu  mai?  Rispondo  che  Beatrice,  quando  comparve  a  Virgilio  nel 
Limbo  dei  Savi,  dovette  dirgli  dove  verrebbe  ad  incontrare  il  suo 
Dante,  e  ciò  ad  istruzione  sua  più  che  di  Dante.  Se  Virgilio  allora 
non  disse  anche  questo  a  Dante,  ciò  fu  perchè  non  era  necessario  di 
dirglielo.  Altre  cose  allora  premevano;  ora  preme  anche  questa. 

31  Andiamo  a  maggior  fretta.  Tanta  prontezza  è  effetto  del  po- 
tente nome  di  Beatrice  recitato  da  Virgilio  appunto  a  questo  fine  di 
eccitarlo.  Quest'arte,  che  è  piuttosto  natura,  offre  un  colpo  di  scena 
maraviglioso.  Dante  però  s' immaginava  quel  che  non  era,  cioè  s'im- 
maginava che  col  termine  di  quel  giorno,  o  poco  più,  sarebbe  giunto 


140  PURGATORIO 

50.        Che  già  non  m'affatico  come  dianzi  ;  ** 

E  vedi  ornai  che  il  poggio  l'ombra  getta.  " 

sulla  vetta  in  faccia  alla  sua  Beatrice  ;  Virgilio  non  disse  questo,  ma 
quando  si  desidera  molto  una  cosa,  s' intende  più  là  di  quel  che  vie» 
detto  a  proposito  di  essa.  Virgilio  dice  solo,  che  la  vedrà  sulla  vetta,  e 
Dante  estendendo  la  sentenza  virgiliana  a  tenore  de' suoi  desideri,  in- 
tende che  in  quel  giorno  la  vedrà.  Che  natura  in  questa  poesia!  Dante 
però  aveva  buono  in  mano  per  creder  d'esser  vicino  al  termine,  e  per- 
chè vedeva  vicina  la  vetta  del  monte,  e  perchè  si  ricordava  di  quel  che 
gli  avea  promesso  Virgilio,  C.  IV,  n.  49,  v.  88  e  seg.,  che  egli  sarebbe 
al  termine  quando  più  non  si  affaticherà  a  salire.  Dante  diceva:  Io 
non  mi  affatico  tanto  ;  dunque  io  sono  al  fine  o  presso  al  fine. 

**  Che  già  non  m'affatico  ecc.  Ecco  l'effetto  delle  cose  che  si  ranno 
per  amore.  Quando  le  si  fanno  per  tal  motivo,  tutto  riesce  facile; 
gli  stessi  ostacoli  pur  gravi,  che  in  sé  contengono,  si  volgono  come 
per  un  incanto  in  altrettante  agevolezze.  Ora  non  è  più  Virgilio  che 
abbia  bisogno  di  stimolar  Dante  alla  fretta;  invece  è  Dante  che  si 
sente  costretto  a  stimolare  Virgilio.  La  eloquenza  virgiliana  non  po- 
teva riportare  su  Dante  una  vittoria  più  segnalata,  E  dire  che  la  ri- 
portò con  sola  una  parola  proferita  a  tempo  ed  a  luogo  !  Secondo  il 
mio  sentire  questo  è  uno  di  quei  tratti,  che  declamato  a  dovere  ra- 
pirebbe gli  applausi  del  più  indomabile  entusiasmo. 

Questo  verso  è  una  prova  che  Dante  è  presso  al  fine  della  mon- 
tagna, cioè  a  miglia  91  di  altezza.  Non  manca  che  solo  un  miglio 
per  compir  l'Atrio  del  Purgatorio,  Vedi  la  mia  Tav.  II,  Purg. 

33  E  vedi  ornai  ecc.  Prendete  il  mio  disegno  del  Purgatorio  Tav.  II, 
ed  affisate  bene  il  punto  di  esso,  ove  Dante  allor  si  trovava.  Si  tro- 
vava in  quella  faccia  del  monte  volta  a  levante,  e  nel  mezzo  di  essa 
verso  il  fine  dell'Atrio  a  91  miglia  di  altezza.  Risovvenitevi  ancora 
che  era  già  mezzogiorno,  quando  partiva  dall'anime  trovate  al  pe- 
trone  presso  il  balzo  nominato  al  C.  IV,  v.  47,  n.  22;  e  che  da  quel 
momento  in  poi  successero  sino  a  qui  di  molti  avvenimenti.  Il  Sole 
girava  dalla  parte  del  nord.  AI  punte  di  mezzodì,  che  dicemmo,  il 
Sole  feriva  Dante  sulle  spalla  destra,  ond'  egli  gettava  la  sua  ombra 
dalla  sinistra.  Ora  il  Sole  non  ferisce  più  Dante,  perchè  calando  calando 
s'è  ormai  nascosto  dietro  il  monte.  Ma  quanto  è  calato  questo  Sole?  At- 
tenti bene,  perchè  parte  ce  lo  dice  Dante  in  questo  verso,  e  parte  ce 
lo  dirà  Virgilio  da  qui  a  cinque  versi  Dante  ci  dice  che  il  monte 
getta  ornai  l'ombra.  Dunque  era  passato  di  molto  il  mezzogiorno.  Di 
quanto?  Di  circa  quattro  ore,  come  si  vedrà  dopo  cinque  versi,  dove 


CANTO  VI.  ni 

Noi  anderem  con  questo  giorno  innanzi, 34 
Rispose,  quanto  più  potremo  ornai  ; 
Ma  il  fatto  è  d'altra  forma  che  non  stanzi.  3S 


si  determina  più  precisamente  la  espressione  generica  di  questo  verso  ; 
e  come  si  vedrà  più  precisamente  ancora  al  primo  accenno- cronolo- 
gico che  troveremo  specificato  nell'ora. 

u  Noi  anderem  ecc.  Come  s'è  voltata  U  scena?  Virgilio,  che  sti- 
molava Dante  ad  andare,  ora  deve  scusarsi  a  lui  per  non  andare, 
come  voleva  Dante. 

Con  questo  giorno  innanzi  —  quanto  piò  eco.  Ciò  fa  vedere  che 
restava  poco  al  tramonto.  Noi  abbiamo  detto  nella  nota  38,  che  erano 
circa  le  4  pom.  Dunque  restava  al  tramonto  ore  1.25,  perchè  addi  $  di 
Ottobre  nel  Purgatorio,  corrispondente  ai  10  di  Aprile  per  noi,  il 
Sole  tramonta  alle  5.25. 

**  Ma  il  fatto  ecc.  Qual  fatto?  Il  fatto  della  falsa  credenza  in  che 
eraDante,  che  a  qualche  ora  di  quel  giorno  sarebbe  giunto  sulla  vetta 
in  vista  di  Beatrice,  Dante  la  vedeva  questa  vetta,  e  vedeva  di  non 
esserci  troppo  lontano.  (Guardate  il  mio  disegno  a  questo  punto).  Egli 
non  dice  più:  Lo  sommo  er'alto  ohe  vinceà  la  vista;  ma  se  conta 
di  trovarsi  a  quel  sommo  entro  quel  giorno,  vuol  dire  proprio  che 
lo  vedeva  a  tale  distanza  da  potervisi  ritrovare.  È  vero  ch'egli  sba- 
gliava i  suoi  conti,  perchè  non  calcolava  :  1,  che  partito  il  Sole  non 
si  poteva  più  salire,  e  conveniva  arrestarsi,  come  si  dirà  ;  2.  che  e'  era 
da  vedere  il  vero  Purgatorio,  che  egli  ancora  ignorava,  anzi  si  pen- 
sava di  aver  veduto  quasi  tutto  quello  che  era  colà  da  vedere,  men- 
tre non  aveva  veduto  che  l'Atrio,  e  questo  non  tutto.  Dove  c'erano 
più  oggetti  da  vedere,  non  era  già  l'Atrio,  ma  bensì  il  vero  Pur- 
gatorio. Già  dicemmo  altre  volte,  che  questi  due  luoghi  Atrio  del 
Purgatorio  e  vero  Purgatorio,  tengono  tra  loro  quella  stessa  ragione 
che  tengono  quegli  altri  due  luoghi  d' Inferno,  cioè  Atrio  e  vero  In- 
ferno. E  come  nell'Atrio  d' Inferno  sebbene  vastissimo  di  miglia  3150 
ci  fu  poco  da  osservare,  e  invece  moltissimo  da  osservare  ci  fu  nel 
vero  Inferno,  sebbene  piccolissimo  di  miglia  94  6*fei,  cosi  qui  nel  Pur- 
gatorio poco  abbiamo  da  vedere  nell'Atrio,  sebbene  di  miglia  92 
d'altezza,  e  molto  nel  vero  Purgatorio,  sebbene  di  sole  miglia  2  o/e* 
di  altezza. 

Stami.  Giudichi.  Che  giudicava  Dante?  Dante  giudicava,  dietro 

l'affermativa  di  Virgilio  (C.  IV,  n.  49.  v.  88),  che  egli  era  presso  il 

termine  della  montagna,  perchè  si  affaticava  poco  a  salire.  E  giudicava 


142  PURGATORIO 

Prima  che  sii  lassù  tornar  vedrai  * 
Colui,  che  già  si  copre  della  costa  37 

bene.  Infatti  la  cima  era  vicina,  come  si  vede  nel  mio  disegno.  Ma 
tra  lui  e  la  cima  c'era  il  vero  Purgatorio,  che  si  saliva  non  già  at- 
traversandolo, ossia  salendolo  per  la  sua  altezza  come  avea  Catto  sino 
allora,  ma  girandolo  intorno,  il  che  porta  un  ben  altro  cammino,  e 
ben  altro  tempo. 

36  Prima  che  sii  lassù.  Prima  che  sii  sulla  vetta  dove  vedrai  Bea- 
trice, e  dove  credevi  di  giungere  in  un*  ora  e  pochi  minuti.  Se  noi 
guardiamo  sul  Disegno  della  montagna  del  Purgatorio,  vediamo  in 
fotti,  che  essendosi  Dante  elevato  ornai  all'altezza  di  91  miglio, non 
gli  restavano  che  miglia  3  G3/gì  per  giungere  alla  cima,  dov'era  il  pa- 
radiso terrestre,  il  quale  tratto  di  strada  è  appunto  quello  che  può 
compiersi  in  un'ora  e  25  minuti,  quanto  restava  al  Sole  per  giun- 
gere al  tramonto. 

Tornar  vedrai  —  Colui.  Tornar  vedrai  il  Sole. 

87  Colui,  che  già  si  copre  della  costa.  Il  Sole,  che  in  questo  mo- 
mento (già)  si  nasconde  dietro  la  costa,  che  è  sotto  il  vero  Purga- 
torio. Il  Sole  si  nascondeva  dietro  la  costa,  ossia  dietro  quel  punto 
della  costa,  dov'erano  i  poeti,  e  non  dietro  al  vero  Purgatorio  so- 
prapposto, perchè  il  Sole  era  basso.  Se  il  Sole  fosse  ptato  più  alto, 
non  sarebbe  stata  la  costa,  quella  che  avrebbe  nascosto  il  Sole,  ma 
le  quattro  ultime  miglia  di  monte  sopra  la  costa.  Dicendosi  invece 
che  si  copre  della  costa,  che  arriva  da  miglia  55  circa  a  miglia  91, 
già  nominata  costa  dal  poeta  al  Canto  IV,  v.  47,  si  viene  a  dire  che 
il  Sole  è  basso,  come  si  può  vedere  tirando  una  linea  dai  poeti  al 
Sole,  e  facendola  passar  rettamente  per  mezzo  al  monte  al  di  sotto 
del  vero  Purgatorio.  Intenderete  ciò  ad  evidenza  se  osserverete  at- 
tentamente il  mio  Disegno  del  Purgatorio,  Tav.  II,  nel  punto  ove 
siamo,  dove  vedrete  che  tirando  la  linea  retta,  che  dicea,  dai  poeti 
al  Sole,  essa  andrebbe  a  colpire  il  Sole  in  direzione  quasi  orizzon- 
tale, il  che  porterebbe  il  Sole  a  circa  1  ora  e  25  minuti  alto  dall'o- 
rizzonte. Ed  essendo  che  pegli  antipodi,  dove  siamo,  addi  9  Ottobre, 
corrispondente  al  nostro  10  Aprile,  il  tramonto  succederebbe  alle  5.25, 
perciò  possiamo  calcolare  di  trovarci  adesso  alle  ore  4  pomeridiane. 
Come  vedete  tutto  il  secreto  per  V  intelligenza  dell'orario  indicato  da 
questo  verso  consiste  nella  parola  costa ,  intesa  come  si  deve.  Chi 
non  ha  avuto  la  pazienza  di  farsi  un  disegno  esatto  di  questo  monte, 
ma  invece  lo  ha  gettato  giù  a  caso,  e  senza  seguire  le  precise  in- 
dicazioni dantesche,  volta  per  volta,  come  si  è  fatto  sin  qui  da  tutti 


CANTO  VI.      .  143 

Sì,  che  i  suoi  raggi  tu  romper  non  fai.  M 
Ma  vedi  là  un'anima,  che  a  posta  89 

i  commentatori;  costai  potrà  bensì  indovinare,  ma  non  ragionare  l'o- 
rario, oltre  P  altro  errore  fondamentale  di  metter  Dante  ancora  in 
fondo  del  monte,  mentre  invece  è  già  salito  a  miglia  91  di  altezza,  sba- 
gliando così  e  le  proporzioni  dell'Atrio,  e  quelle  del  vero  Purgatorio. 

38  SI,  che  i  suoi  ecc.  Ma  quanto  si  copre  della  costa  il  Sole;  tutto 
o  in  parte?  Rispondo  che  tutto,  perchè  se  fosse  solo  in  parte.  Dante 
con  una  parte  del  suo  corpo  ne  romperebbe  i  raggi.  Dunque  il  Sole 
era  testé  passato  dalla  vista  di  Dante,  e  solo  testé  s'era  tutto  na- 
scosto  dietro  la  cosi  a.  Chi  ha  presente  il  mio  disegno,  Tav.  II,  vede 
che  appunto  circa  le  ore  4  pomeridiane  ciò  doveva  avvenire  per  chi, 
come  Dante,  si  fosse  trovato  «nella  linea  di  mezzo  della  faccia  del  monte 
volta  a  levante. 

Ma  è  poi  vero  che  Dante  si  trovasse  in  questo  filo  di  mezzo,  che 
guarda  ad  oriente?  Ciò  è  detto  e  ripetuto  da  Dante  medesimo.  Egli 
stesso  dice  di  essere  sbucato  dall'Inferno  al  Purgatorio  nella  faccia 
del  monte  volta  ad  oriente,  e  precisamente  verso  la  metà  di  questa 
faccia,  avendo  indicato  questo  colle  due  osservazioni  del  polo  australe 
e  del  polo  nordico.  (CI,  v.  19  e  seg).  Conferma  questo  medesimo  filo 
della  metà  della  facciata  d'oriente  il  suggerimento  di  Catone,  che  met- 
teva i  poeti  nel  giusto  mezzo  dicendo: 

Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita; 
Lo  sol  vi  mostrerà,  che  surge  ornai, 
Prendere  il  monte  a  più  lieve  salita  (C.  I,  v.  106), 

Conferma  lo  stesso  l'andare  dal  mezzo  verso  Manfredi  e  poi  ritornare 
con  lui  al  mezzo.  Vedi  sempre  il  mio  disegno,  Tav.  II  a  sette  miglia 
d'altezza  (C.  III).  Conferma  lo  stesso  quand'è  giunto  a  sedersi  a  quasi 
miglia  55  di  altezza  (C.  IV,  v.  52  e  seg.).  E  vero  che  qui  fece  una 
piccola  diversione  per  andare  al  petrone  verso  nord,  ma  dopo  si  ri- 
mise allo  stesso  filo  di  mezzo,  salendo  per  una  diagonale  indicata 
precisamente  dal  poeta  col  mezzo  dell'ombra  gettata  dal  suo  corpo, 
ed  osservata  dalle  anime  del  petrone  (C.  V,  v.  4  e  seg.).  Che  poi  il  poeta 
sia  ornai  giunto  a  miglia  91  di  altezza,  è  provato  da  ciò  che  egli 
è  già  arrivato  a  quelle  vallette,  che  cingono  intorno  il  vero  Purga- 
torio, come  tosto  vedremo.  (Vedi  Tav.  II.,  Purg.). 

39  Che  a  posta.  Àppostamente,  in  aspettazione  di  noi,  come  fa  chi 
sta  in  luogo,  e  vede  venire  alla  sua  volta  o  da  presso  persone  ignote, 
che  le  sta  guardando  ed  aspettandole  per  vedere  chi  sieno,  o  dove  vanno. 


144  PURGATORIO 

Sola  soletta  verso  noi  riguarda  :  *° 
60.        Questa  ne  insegnerà  la  via  più  tosta  4I 
Venimmo  a  lei  :  O  anima  lombarda  " 
Come  ti  stavi  altera,  e  disdegnosa,  a 

U>Sola,  Boatta.  Perchè?  Facilmente  perchè  di  cpeUa  fatta  di  persone 
al  Purgatorio  non  ve  ne  avea  abbondanza.  Quest'anima  era  stata 
letterato,  poeta,  politico,  soldato  ed  innamorato,  ed  aveva  per  tali 
cose  procrastinata  la  sua  conversione  alla  morte.  D  poeta  riteneva 
(come  pare)  che  uomini  tali  di  raro  si  convertissero  anche  in  morte. 
È  una  quarta  specie  di  negligenti.  Anche  la  fierezza  del  suo  carat- 
tere, sebbene  caldo  di  patriottismo,  potè  suggerire  al  poeta  di  met- 
terla sola.  Inoltre  qui  occorreva  una  guida,  perchè  a  questo  punto 
la  strada,  prima  unica,  si  bipartiva  quinci  e  quindi  girando  0  monte, 
ond'era  necessaria  una  persona  che  indicasse  il  da  farsi  (Vedi  Tav.  II, 
Purg^  a  miglia  91  di  altezza). 

ti  La  via  piò  tosta.  Come  dicemmo  altre  volte,  Virgilio  cercava, 
sempre  la  via  più  corta  per  salire,  e  questa  era  la  retta  lungo  l'al- 
tezza del  monte,  come  avea  fatto  inaio  allora,  meno  qualche  ecce- 
zione per  bisogno,  una  volta  in  fondo  ed  un'altra  alla  metà  del 
monte  (Vedi  Tav.  II,  Purg.).  Perchè  dunque  non  continuò  la  retta 
per  cui  era  inviato?  Perchè  nel  punto  dov'erano  i  poeti  la  costa, 
che  par  sino  a  quel  luogo  saliva  equabile,  colà  invece  era  rotta  di 
più  vallette,  una  delle  quali  vedremo  presto,  alle  quali  vallette  s'an- 
dava per  due  sentieri,  a  destra  ed  a  manca.  È  naturale  che  tali 
luoghi  inforsino  la  salita.  Un'altra  ragione  induceva  Virgilio  a  farsi 
premuroso  della  vera  strada,  ed  era  che  trovandosi  vicin  vicino  al 
vero  Purgatorio,  bisognava  trovarne  la  porta  d'ingresso  per  solo 
la  quale  si  poteva  salire.  Cosi  fece  nella  prima  costa  appiè  del  monte, 
dove  non  c'era  che  un  solo  ingresso,  e  questo  diffioUilissimo  a  ve- 
dere per  la  sua  strettezza,  e  non  veduto  dopo  molte  ricerche  e  pen- 
sieri, finalmente  fu  indicato  dalle  anime  di  Manfredi  (C.  IV,  v.  18). 

4*  O  anima  lombarda.  Secondo  il  suo  solito,  ed  è  arte  bellissima, 
Dante  dalle  note  generali  passa  alle  più  particolari.  Cosi  s'interessa 
più  chi  legge  tenendolo  sospeso. 

Prima  anima  in  generale  (  Vedi  là  un'anima);  qui  anima  lom- 
barda; finalmente  la  ci  farà  conoscere  per  Mantovana. 

48  Come  ti  stavi  ecc.  Non  vi  ha  dubbio  che  Dante  in  queste  pa- 
role volle  darci  il  ritratto  di  quello  che  era  stata  quell'anima  al  mondo, 
quale  si  conosceva  a' suoi  di.  Evidentemente  il  ritratto,  che  qui  si 


CANTO  VI.  145 

E  nel  mover  degli  occhi  onesta  e  tarda! 
Ella  non  ci  diceva  alcuna  cosa  ;  " 
,     Ma  lasciavane  gir,  solo  guardando  45 

A  guisa  di  leon  quando  si  posa. 
Pur  Virgilio  sì  trasse  a  lei,  pregando  * 

Che  ne  mostrasse  la  miglior  salita; 47 


fa,  è  dedotto  da  una  canzone  dì  Sordeilo,  che  è  appunto  l'anima 
in  discorso ,  della  quale  canzone  il  Tommaseo  dice  così  :  «  La  sua 
canzone  in  morte  di  Blacasso,  vigorosa  poesia,  scrìtta  nel  1180,  fu 
stampata  da  Giulio  Perticali,  ed  è  canzone  politica  al  modo  di  certe 
invettive  di  Dante.  » 

**  Ella  non  ci  diceva  ecc.  La  scena  di  pensosi  silenzi  misti  a  ferocia 
dignitosa,  che  abbiamo  in  questa  terzina  e  nell'altra  passata,  serve 
di  un1  ottima  preparazione  alla  sonora  invettiva  che  presto  scatterà. 
Tanta  quiete  è  la  solita  foriera  di  gran  tempesta. 

È  facile  accorgerei  dell'amore  speciale  che  Dante  sente  per  quo* 
sta  anima.  Chi  conosce  Dante  può  vederne  la  ragione.  Egli  la  trovò 
fatta  sul  suo  tipo,  in  quanto  ad  indole  generosa,  e  senza  pur  cono- 
scerla di  persona  le  pose  amore.  La  passion  per  la  grandezza  d' Ita- 
lia dovea  esser  predominante  anche  in  Bordello. 

**  Solo  guardando.  Quest'anima  non  poteva  ancora  accorgersi  che 
Dante  fosse  vivo,  perch'egli  non  gettava  più  ombra,  camminando  per 
quella  del  monte.  Se  se  ne  fosse  accorta,  certo  si  sarebbe  scossa. 

46  Pur  Virgilio  si  trasse  a  lei,  Virgilio  solo  le  si  fa  innanzi.  11 
pur,  checché  ne  dicano  alcuni,  vale  solo,  solamente,  perchè  sarebbe 
ridicolo  prenderlo  per  tuttavia,  quasi  che  Virgilio  dovesse  Ben  tire  la 
tremerella  a  farsi  dinanzi  a  quell'anima,  perch'era  così  silenziosa  e 
grave,  egli  che  non  ebbe  mai  timor  d'affrontar  dannati  e  demoni. 
Da  questo  si  sa  che  Dante,  sebbene  ito  alquanto  innanzi  con  Vir- 
gilio, come  fu  detto  in  quelle  parole  Venimmo  a  lei,  pure  a  poca 
distanza  si  soffermò,  e  lasciò  andar  solo  Virgilio  alla  presenza  del- 
l'ombra. Questo  ritiro  gli  era  necessario  per  far  da  sé  solo  quella 
solenne  intemerata,  che  presto  rivolgerà  all'  Italia  ed  agli  autori  dei 
mali  di  lei. 

*7  Che  ne  mostrasse  la  miglior  salita.  Appunto  perchè,  come  di- 
cemmo alla  nota  41,  più  di  uno  era  il  sentiero  di  quei  luoghi  per 
le  vallette,  che  cerchiavano  intorno  intorno  il  vero  Purgatorio,  a' 
cui  pie  noi  siamo  ornai  giunti. 

10 


ne  PURGATORIO 

E  quella  non  rispose  al  suo  dimando;  ** 
7o.     Ma  di  nostro  paese,  e  della  vita  *• 

C  inchiese.  E  il  duca  incominciava  :    , 
Mantova ....  E  l'ombra  tutta  in  sé  romita  *° 
Surse  ver  lui  del  luogo  ove  pria  stava,  w 
Dicendo:  O  Mantovano,  i' son  Sordello  M 


**  Equella  non  rispose  ecc.  Perchè  non  farla  rispondere  ?  1.  Per  con- 
tinuare sino  all'ai  timo  il  carattere  dì  pieno  riserbo  dell'ombra;?.  Perchè 
doyea  ferie  soddisfare  un  desiderio  a  lor  più  pungente,  il  quale  si  è 
quello  che  subito  l'ombra  manifesterà;  3.  Perchè  il  silenzio  presente  dà 
un  gran  rincalzo  alle  accoglienze  che  presto  succederanno,  ed  è  come 
l'ombre,  che  gittate  sul  quadro  dovevano  dar  risalto  alla  luce. 

*•  Ma  di  nostro  paese  ecc.  Della  patria  d'entrambi,  e  della  pro- 
fessione di  vita. 

so  Mantova,  Continuando  il  discorso  avrebbe  detto:  Fu  mia  terra; 
Manina  me  genuit.  Osservate  che  scena  affettuosa  prodotta  da  que- 
sta sola  parola;  e  quant'arte  anzi  natura  non  c'è  in  questa  reticenza. 
Tutta  in  sé  romita.  È  quell'entrare  tutto  in  sé  stesso,  con  un 
moto  retrivo,  che  si  fa  ogniqualvolta  si  ode  o  vede  cosa  impensata, 
meravigliosa  e  desiderata.  Il  primo  sentimento  che  produce  tale  ap- 
parizione ci  fa  ritirare  alquanto,  e  concentrare  in  noi  stessi,  quasi 
non  credendo  agli  occhi  nostri. 

M  Surse  ver  lui  ecc.  Dunque  in  tutto  il  veduto  ed  udito  prima 
l'ombra  si  tenne  sempre  seduta.  Anche  questo  è  da  aggiungere  alle 
altre  note  caratteristiche  di  quest'anima  svolte  nelle  note  89, 40, 43, 
44,  48,  che  tutte  preparano  il  grandioso  colpo  di  scena  a  cui  ora  ci 
ha  condotti  il  poeta.  R  poeta  volea  far  vedere  a  vergogna  della  sua 
Italia  contemporanea,  quale  fosse  stata  l'Italia  e  gli  Italiani  di  un 
tempo,  cioè  di  un  secolo  e  mezzo  addietro,  dove  poche  erano  le  pa- 
role e  molti  e  grandi  i  fatti  e  l'amore  che  li  creava.  Tutto  il  con* 
trario  di  quello  che  abbiamo  presentemente,  quando  molto  si  ciancia, 
tutto  si  distrugge,  e  niente  si  fa,  colpa  lo  spirito  rivoltoso. —  Surse  ver 
lui  inchiude  due  azioni,  quella  del  sorgere  e  quella  dell'avanzare. 

0*  Dicendo:  0  Mantovano  ecc.  Virgilio  era  di  Andes,  e  Sordello  di 
Goito,  ambedue  terre  del  Mantovano.  Sordello  non  si  conosce  più 
da  quel  di  prima  ;  tanto  si  è  cangiato  da  quel  suo  fare  altezzoso  e 
romito,  che  aveva  un  istante  fa  !  Si  possente  manifestasi  qui  l'amore 
di  patria,  che  s'amano  i  propri  concittadini  senza  pur  conoscerli.  Che 


CANTO  VI.  147 

Della  tua  terra;  e  Tun  l'altro  abbracciava.  58 

luce  terribile  gettata  sulle  tenebre  del  quadro  d'Italia,  che  tosto  verrà  ! 
Il  Tommaseo  trae  su  Bordello,  da  un  commento  inedito,  i  cenni  se- 
guenti :  <(  Sordello  del  Mantovano,  d'un  castello,  e'  ha  nome  Goito  : 
gentil  cattano  :  fu  avvinente  omo  della  persona,  e  grande  amatore. 
Ma  molto  egli  fu  scaltro  e  falso  verso  le  donne,  e  verso  i  Baroni 
da  cui  «Ili  stava.  E  s'intese  in  madonna  Cunizza  sorore  di  ser  Ec- 
celino,  e  de  ser  Alberico  da  Romano,  ch'era  mollerà  del  conte  de  San 
Bonifazio.  E  per  volontate  de  ser  Eccelino  etti  involò  madonna  Cu- 
nizza,  e  menolla  via  ...»  Benvenuto  lo  dice:  Nobilis  et  prudens 
mile$  et  curiali*.  Per  altro  i  fatti  di  questo  personaggio  sono  av- 
volti nel  dubbio.  Quello  che  è  certo  si  è  che  Dante  ce  lo  presenta  quale 
uomo  di  gran  senno,  e  pieno  d'amore  d'Italia, e  che  avendolo  collocato 
nel  giro  di  coloro  che  attesero  a' mondani  ingrandimenti, fa  creder  che 
egli  fosse  Visconte  di  Mantova  e  suo  signore.  Egli  viveva  tra  il  1150 
e  il  1200,  epoca  la  più  gloriosa  pei  municipi  italiani, ed  epoca  pur  invi- 
diata tanto  da  Dante  quando  fa  l'elogio  doi  tempi  antichi  di  Firenze 
fPar.,C.XV).  Andrebbe  assai  bene  confrontar  la  seguente  invettiva 
contro  l'Italia  del  1800,  dove  anche  Firenze  ha  il  fatto  suo,  colle 
lodi  di  Firenze  di  più  di  un  secolo  addietro  nel  Canto  testò  indicato. 
**EVuh  l'altro  abbracciava.  Ombra  con  ombra  potevano  ben  ab- 
bracciarsi :  quelli  che  abbracciare  non  si  potevano  erano  corpi  ed 
ombre,  come  abbiamo  veduto  nel  Canto  di  Casella  (Purg.  C.  II,  v.  80), 
dove  il  poeta  parlando  de1  suoi  abbracciamenti  a  Casella  dice: 
O  ombre  vane  fuor  che  nell'aspetto! 
Tre  volte  dietro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
E  tante  mi  tornai  con  esse  al  petto. 
Mentre  che  li  due  concittadini  si  accoglievano  cosi  teneramente 
tra  loro,  Dante  che  se  ne  stava  in  cesso,  e  a  qualche  distanza,  potè 
sfogar  da  sé  solo  la  sua  ira  contro  i  degeneri  Italiani  de' suoi  giorni. 
Appunto  per  dar  subito  e  colà  luogo  a  questo  sfogo,  dice  Virgilio  solo 
ito  a  Sordello,  e  lui  rimasto  indietro.  Sicché  a  me  non  garba  troppo 
la  osservazione  del  Tommaseo,  che  pone  la  invettiva  di  Dante  all'Ita- 
lia, come  un  frutto  di  reminiscenza  dopo  tornato  dal  suo  viaggio  poe- 
tico. No,  egli  la  fece  sul  luogo  stesso,  che  gliePha  suggerita,  e  mentre 
le  due  ombre  concittadine  si  facevano  tra  loro  reciproche  feste.  Dante 
stesso  dichiara  apertamente  che  la  sua  invettiva  l'ha  fatta  allora,  e  non 
dopo,  e  lo  dichiara  colla  parolina  quivi,  che  dirà  da  qui  a  poco,  al  v.  81. 
Certo  il  tarla  qui  è  tutta  cosa  di  natura  e  di  vero  e  caldo  amore; 
il  farla  dopo  non  ha  il  primo  pregio  e  fa  scapitare  il  secondo. 


148  PURGATORIO 

Ahi  serva  Italia,  di  dolore  ostello,  5* 

Nave  senza  nocchiero  in  gran  tempesta,  w 
Non  donna  di  provincie.  ma  bordello!  w 


M  Ahi  serva  Italia.  Serva  delle  parti ,  serva  dei  podestà,  che  si 
facevano  tiranni,  serva  dei  reali  di  Francia,  che  approfittavano  delle 
sue  discordie. 

Di  dolore  ostello.  Perchè  albergo  di  guerre  civili,  sorgente  fu- 
nèsta di  mille  guai. 

M  Nave  senta  nocchiero  eoe  II  nocchiero,  che  dovea  guidar  questa 
barca  frenando  le  sue  tempeste  civili,  dovea  essere  1*  imperadote  to- 
rnano, che  nel  1300  era  Alberto  figlio  del  gran  Rodolfo  capostipite 
della  casa  imperiale  d'Austria.  Ma  erano  50  anni  che  gli  Imperadori 
romani  non  discendevano  a  visitare  questa  parte  più  bella  del  loro 
impero  ;  e  quelli  che  prima  di  questi  50  anni  discesero,  non  mirarono 
che  al  loro  interesse,  mettendo  qua  e  là  de'  consoli  loro  rappresen- 
tanti, che  presto  divenivano  tiranni,  e  così  fomentavano  le  parti,  che 
diedero  poi  frutti  amari  massime  in  sul  finire  del  1200,  e  in  sul  prin- 
cipio del  1300. 

Só  Non  donna  di  ecc.  Non  signora  di  provincie,  quale  fosti  un  tempo 
sotto  gli  antichi  Romani.  Nel  1300  gli  Italiani  lungi  dal  comandare 
al  di  fuori,  non  comandavano  nemmeno  dentro  ;  ma  erano  tatti  co- 
mandati o  da  tiranni,  o  da  fazioni  che  li  laceravano  ;  e  di  qui  il  ri- 
corso  a  protettori,  che  facevano  rimpiangere  i  padroni  antichi. 

Ma  bordello.  Questa  similitudine  è  sanguinosa,  ma  vera  per  l'I- 
talia. Anche  l'Italia  vendea  la  sua  carne;  e  sua  carne  era  il  ripo- 
sato viver  civile  indipendente,  che  l'Italia  vendeva  a  chi  non  era  suo 
sposo,  cioè  ai  Reali  di  Francia.  Il  vero,  il  legittimo  sposo  d'Italia 
dovea  essere  l'imperador  del  sacro  romano  impero,  e  questo  per 
i sventura  l'aveva  abbandonata,  o  almeno  non  se  ne  curava.  L'impero, 
o  l'imperadore  romano,  quale  fu  dopo  la  caduta  dell'antico,  ò  tutta 
e  sola  istituzion  della  Chiesa,  e  perciò  è  detto  sacro  romano  impero, 
cui  la  Chiesa  Utitutrice  dispose  a  nobile  e  santo  fine,  quello  cioè  di 
salvar  l'impero,  e  massime  la  parte  di  esso  più  preziosa,  l'Italia, dalle 
invasioni  barbariche,  se  mai  avessero  continuato;  di  proteggere  l'or- 
dinazione interna  politica  d' Italia,  salvi  i  diritti  dei  municipi;  di  di- 
fendere la  Chiesa  ne'  suoi  temporali  domini,  e  di  concorrere  con  lei 
alla  diffusione  del  cristianesimo,  entro  la  cerchia  delle  sue  attribu- 
zioni. Come  si  vede  la  istituzione  non  potea  essere  più  magnifica,  o 
questa  è  l'idea  che  n'ha  Dante,  e  che  n'aveano  Ghibellini  e  Guelfi 


CANTO  VI.  149 

Quell'anima  gentil  fu  così  presta, 
80.         Sol  per  lo  dolce  suon  della  sua  terra, 57 
Di  fare  al  cittadin  suo  quivi  festa;  M 
Ed  ora  in  te  non  stanno  senza  guerra  59 

non  affascinati  da  deche  utopie  politiche.  Peccato  che  da  una  parte 
gli  Italiani,  e  da  un'  altra  gli  imperadorì  dimenticassero  il  vero  de- 
stino di  questa  si  nobile  e  si  vantaggiosa  istituzione,  e  si  dessero 
invece  a  fomentar  quelle  gare  che  ad  altro  non  servirono  se  non  a 
precipitare  l' Italia.  Il  Papato  intanto  si  trovò  deluso  nelle  sue  spe- 
ranze, onde  dovette  pensar  da  se  solo  ad  ordinar  alla  meglio  questa 
penisola,  ritenendo  però  la  istituzione  dell'  Impero  romano  quale  l'a- 
veva Ideato  sin  da  principio,  e  cercando  d'eleggere  imperadorì,  che 
rispondessero  al  fine  per  cui  venivano  ratti  elegger  da  lei,  da  lei 
confermati  e  consecrati. 

n  Sol  per  lo  dolce  8uon  ecc.  Virgilio  non  disse  che  Mantova,  e 
Bordello  non  volle  di  più  per  gettargli»  al  collo. 

0*  Quivi.  Dunque  Dante  parla  in  quell'ora  e  da  quel  luogo  deve 
presentemente  si  trova  nel  Purgatorio;  e  non  è  altrimenti  una  re- 
miniscenza venutagli  alla  memoria  dopo  il  ritorno  dall'altro  mondo. 

*9  Ed  ora  in  te  eco.  Notate  bene  l'antitesi  satirica  di  questa  ter- 
zina con  l1  altra  di  sopra.  Nell'altra  terzina  si  ammiravano  le  cose 
seguenti  : 

1.  Che  un  secolo  e  mezzo  prima  vi  aveva  in  Italia  cittadini  come 
Bordello,  che  amavano  e  festeggiavano  i  loro  concittadini; 

2.  Che  li  amavano  senza  conoscere,  conoscendoli  ai  nome  di  patria; 
8.  Che  bì  amavano  fin  da  morti; 

4.  Che  tanto  amore  tra  cittadini  egli  ha  la  fortuna  di  ammirare 
nel  1300  ai  10  di  Aprile. 

A  tutto  questo  spettacolo  di  amore  contrappone  il  poeta  uno 
spettacolo  tutto  diverso  di  odio  nelle  circostanze  seguenti: 

1.  Ora,  ossia  nello  stesso  1800,  10  Aprile,  ore  4  pom.; 

2.  Guerra  e  non  festa  tra  Comuni  e  Comuni  d'Italia; 

3.  Tra  vivi  e  vivi,  che  potrebbero  e  dovrebbero  assistersi  ; 

'  4.  Rancori  e  rodimenti  tra  quelli  d'uno  stesso  comune  e  città, 
la  quale  è  qui  indicata  dalle  mura  e  dalla  fossa  che  la  circonda,  il 
ohe  fa  tra  bel  contrasto  con  due  castelli  diversi  Andes  -e  Goito,  pa- 
tria di  Virgilio  il  primo  e  di  Bordello  il  secondo.  Altri  per  muro  in- 
tese le  Alpi,  che  serrano  l'Italia  da  settentrione,  e  per  fossa  intese 
i  mari  Adriatico  e  Mediterraneo,  che  la  serrano  dagli  altri  lati.  Io- 


160  PURGATORIO 

Li  vivi  tuoi,  e  Tun  l'altro  si  rode 

Di  quei  che  un  muro,  ed  una  fossa  serra. 

Cerca,  misera,  intorno  dalle  prode  *• 
Le  tue  marine,  e  poi  ti  guarda  in  seno 
S'aleuna  parte  in  te  di  pace  gode. 

Che  vai,  perchè  ti  racconciasse  il  freno  *f 
Giustiniano,  se  la  sella  è  vota? 


non  credo  che  t'abbia  dm  intender  cosi,  perchè  tal  pensiero  e  sarebbe 
una  inolile  spiegazione  di  quelle  parole  in  le,  nelle  quali  era  deter* 
minata  l'Italia  abbastanza,  e  sarebbe  inoltre  meno  storico  ed  espres- 
sivo, perchè  mancherebbe  la  guerra  intestina  e  civile  tra  gli  abitanti 
d'ano  stesso  municipio,  che  è  male  assai  peggiore  di  quello  tra  un 
municipio  ed  un  altro,  e  che  pure  allora  era  tanto  ordinario  per  tatto, 
e  massime  in  Firenze. 

Fu  appunto  in  quest*  anno  che  ai  venivano  maturando  in  Ffrenee 
le  ire  contro  Dante,  che  poco  dopo  scoppiarono  in  decreto  di  bando 
perpetuo. 

M  Cerca  ecc.  Guarda  intorno  per  le  tue  coste  alle  città  marit- 
time, e  poi  rivolgi  i  tuoi  sguardi  per  tutto  il  tuo  continente  a  ve* 
dere  se  parte  alcuna  di  te  viva  in  pace.  Questa  è  la  prova  di  fatto  re- 
cata a  conferma  della  sua  asserzione  espressa  nella  terzina  passata.  — 
Parie  qui  non  è  presa  per  fazione,  ma  per  vera  parte  geografica, 
riferendosi  al  detto  prima  dei  luoghi  sul  mare  e  deatro  terra. 

**  Che  vai,  perchè  ecc.  Prima  il  poeta  ci  avea  presentata  l'Italia 
come  una  donna  vendereccia,  ora  ce  la  presenta  sotto  l'imagine  di 
una  cavalla  indomita.  Questa  cavalla  ha  avuto  un  freno,  le  leggi  e 
la  potenza  del  romano  impero  sino  alla  calata  dei  barbati  in  Italia. 
Ma  i  barbari  (Goti)  hanno  lacerato  questo  freno,  e  l' Italia  allor  di- 
ventò quel  che  addiviene  una  cavalla  sbrigliata,  ossia  diventò  una 
terra  senza  ordine,  e  senza  soggezione,  senza  pace,  senza  onore,  alla 
mercè  del  barbaro  conquistatore.  Giustiniano,  per  opera  del  suo  ge- 
nerale Belisario,  conquise  i  barbari,  ristabilì  e  l' impero  romano  già 
caduto  in  Italia,  e  la  legislazione  romana,  opera  che  servi  poi  di  base 
ad  ogni  altra  legislazione.  Ciò  avvenne  verso  la  metà  del  VI  secolo. 
A  qnesti  fatti  allude  qui  il  poeta,  dicendo  che  il  bene  fiuto  all'Italia 
da  Giustiniano,  a  nulla  vale  perchè  dopo  sconfitti  i  barbari,  e  dato 
buone  leggi,  non  pose  qui  la  sua  sede  imperiale,  lasciando  cosi  vota 
la  sella  di  questa  cavalla. 


CANTO  VI.  161 

90.        Senz'esso  fora  la  vergogna  meno.  M 


Ahi  gente  che  dovresti  esser  divota. 


63 


G*  Senz'esso  ecc.  Se  non  vi  avesse  né  imperatore,  né  leggi  (freno), 
V  Italia  avrebbe  meno  da  vergognarsi  ;  ma  essendoci  e  l'uno  e  l'altro 
di  questi  vantaggi,  e  ciò  nulla  ostante  vivendo  come  se  non  vi  fos- 
sero, il  disdoro  per  l'Italia  è  maggiore. 

63  Ahi  gente  ecc.  Parla  ai  Guelfi  aderenti  al  papa  in  fatto  di  reg- 
gimento politico,  e  dice  loro  che  stieno  pure  col  papa  (dovresti  esser 
divota)  nel  governo  spiritual  della  Chiesa,  che  questo  è  il  loro  do- 
vere, ma  stieno  coir  imperatore  nel  governo  civile  e  politico  d'Italia 
(e  lasciar  seder  Cesar  nella  sella),  nel  quale  non  ha  parte  la  Chiesa, 
secondo  il  fine  a  cui  fu  da  Dio  ordinata  (8e  bene  intendi  ciò  che 
Dio  ti  nota!). 

Ordinariamente  ai  prende  questo  passo  ed  altri,  ehe  seguono,  per 
arma  a  combattere  il  dominio  temporale  della  Santa  Sede,  quasi  Dante 
fosse  perfettamente  d'accordo  cogli  odierni  nemici  del  temporale  do* 
minio  dei  papi,  e  ne  favorisce  lo  spogliamento,  È  troppo  facile  fran- 
tendere  il  poeta,  quando  si  legge  con  passione,  e  quando  non  si  co- 
nosce il  pensiero  di  tutto  il  medio  Evo  in  tutta  questa  bisogna.  Il 
pensier  di  Dante  in  questa  materia  altro  non  è  che  lo  stesso  pensier 
della  Chiesa  nella  istituzione  del  sacro  romano  impero,  al  quale  at- 
tribuisce il  poeta  quella  ingerenza  nelle  cose  d'Italia,  che  pure  at- 
tribuisce la  Chiesa.  Solo  errò  in  questo  il  nostro  poeta,  che  ritenne 
colpa  dei  papi  se  l' imperadore  non  governava  l'Italia,  o  non  ne  im- 
pediva i  mali,  mentre  era  colpa  degli  stessi  imperadori,  cupidi  o  dap- 
poco, e  talora  empi,  che  non  corrispondevano  a  quei  fini  pei  quali 
dalla  Chiesa  institutriee  ricevevano  la  loro  autorità  imperiale.  In 
Dante  potea  esser  facile  questo  scappuccio  perchè  era  troppo  risen- 
tito centra  Bonifacio  Vili ,  sotto  il  Pontificato  del  quale  suppone 
questo  sfogo  (1300),  sebbene  quando  veramente  lo  scrìsse  fossero  pas- 
sati un  dieci  anni,  cioè  si  fosse  sotto  l'impero  del  successore  di  Al- 
berto, che  fu  Arrigo  di  Lucemburgo,  in  cui  egli  avea  poste  tante 
sue  belle  sperarne,  e  per  la  discesa  in  Italia  che  ne  sperava,  e  pel 
ripatriamento  che  ne  sarebbe  stata  una  conseguenza.  Nell'epoca  dun- 
que nella  quale  Dante  scrisse  questa  invettiva  (1310),  le  cose  d'Italia 
andavano  a  male  sempre  più,  e  Clemente,  suceessor  di  Benedetto  XI, 
dimorava  in  Francia,  lasciata  Roma,  la  quale  per  quell'abbandono 
dovea  precipitare  nell'estrema  rovina,  come  infatti  accadde.  Ponete 
adunque  un  uomo  qual'era  Dante  pieno  di  amor  di  patria  e  di  una 
perfetta  attitudine  al  governo  dei  popoli,  sdegnoso  per  tanti  mali  che 


152  PURGATORIO 

E  lasciar  seder  Cesar  nella  sella,  4 
Se  bene  intendi  ciò  che  Dio  ti  nota  !  " 
Guarda  congesta  fiera  è  fatta  fella  * 
Per  non  esser  corretta  dagli  sproni,  m 

vedeva  crescere,  e  per  le  d  visioni  interne,  e  per  l'abbandono  del 
pepa,  e  per  la  inerzia  degli  imperatori,  che  da  60  anni  non  discen- 
deano  in  Italia  a  vedere  il  fatto  proprio,  a  eoi  erano  dalla  Chiesa 
stessa  deputati,  e  poi  ditemi  se  Dante  ai  potea  contenere  da  non 
inveire  e  contro  il  papa  esule  volontario  d'Italia,  e  contro  gl'im- 
peratori; che  la  lasciavan  preda  alle  «ne  discordie  ed  ai  tiranni,  e 
contro  P  Italia  stessa,  che  non  vedeva,  o  meglio,  che  non  tettava  di 
rimediare  al  suo  precipizio. 

**  E  lardar  §edcr  ecc.  Qui  non  s'intende  Poeeiipasiome  di  Roma 
da  farsi  capitale  e  sede  dell1  impero  romano,  il  che  non  è  né  secondo 
la  mente  di  Dante  espressa  chiaramente  ndV Inferno  C.  II,  dove  «fisse: 


La  quale  e  il  quale  a  voler  dir  lo  vero 
Fur  stabiliti  per  lo  loco  santo, 
U*  siede  il  successor  del  maggior  Piero; 

né  secondo  la  mente  di  nessun  ghibellino  e  dell* imperatore  medesimo; 
ma  solo  s*  intende  il  governo  civile  d' Italia,  o  meglio  la  tua  proto- 
sion  civile,  qualunque  ne  fosse  la  sua  sede,  anche  fuori  d'Italia. 

«fle  bene  intendi  eoe  Quae  nmt  Coesori*,  Coesori:  qnae  sani 
Dei,  Deo,  ed  altri  testi  consimili.  £  appunto  la  Chiesa  od  i  papi, 
nell'istituzione  del  romano  impero,  intesero  di  rare  questa  separa- 
zione, riservando  all'imperatore  la  direzione  errile,  o  per  meglio  sire, 
la  suprema  tutela  d'Italia,  sansa  pregiudizio  ai  diritti  esistenti. 

*»  Guarda  confetta  eco.  Guarda  come  l'Italia,  questa  cavalla  in- 
domita, è  divenuta  pazza  e  furente. 

e?  Per  non  eater  corretta  ecc.  Per  non  avere  il  suo  imperatore,  che 
la  moderi.  Il  governo  imperiale  è  qui  simboleggiato  sotto  l'imma- 
gine detta  cavalcatura,  perchè  chi  cavalca  un  destriero  lo  dirige  per 
la  briglia,  e,  dove  impassi,  lo  punge  con  gli  sproni,  e  cosi  lo  tiene 
a  dovere.  Ricordatevi  sempre  che  anche  in  sentenza  di  Dante  it  go- 
verno imperiale  doveva  avere  più  il  carattere  di  protezione,  che  di 
▼ero  e  reale  dominio.  I  Comuni  doveano  restare  sempre  padroni  di 
sé  e  indipendenti  l' uno  dall'  altro.  Lo  dice  Dante  stesso  nella  famosa 
lettera  ai  signori  e  principi  d' Italia,  che  potete  vedere  in  Balbo,  Vita 
di  Dante,  voi  II,  e.  IX,  an,  1310-1311,  pag.  190,  Torino- Pomba. 


CANTO  VI.  153 

Poi  che  ponesti  mano  alla  predella.  68 
O  Alberto  Tedesco,  che  abbandoni  69 

&  Poi  che  ponesti  mano  alla  predella.  Da  quel  tempo  in  poi  che 
hai  volato  governarla  tu,  o  gente  guelfa,  o  Papi.  Predella  è  quella 
parte  della  briglia,  detta  anche  bredella,  per  la  quale  si  prende  il 
cavallo,  e  lo  si  fa  camminare.  Insiste  Dante  sul  suo  errore  di  credere 
che  gli  imperatori  non  discendevano  in  Italia  a  mettervi  ordine  e  go- 
vernarla, perchè  i  papi  avessero  Pambizione  di  governarla  essi  stessi  ; 
mentre  anzi  i  papi,  sin  da  Leon  III,  che  creò  il  primo  imperatore  nella 
persona  di  Carlo  Magno,  facevano  eleggere  sempre  e  con  gran  pre- 
mura, e  anche  con  minacele,  dove  gli  elettori  indugiassero  o  aves- 
sero mire  indegne  nello  eleggere  gli  imperatori  stessi,  e  poi  si  face- 
vano subito  grande  premura  perchè  venissero  a  Roma  a  prendere 
la  TOrona  imperiale,  disponendo  ogni  cosa  perchè  fossero  accolti  do- 
vunque come  meritavano  e  perchè  fossero  obbediti.  Ma  siccome  gli 
imperatori  d'occidente  imitavano  quelli  d'oriente  di  molti  secoli  pri- 
ma, abbandonando  cioè  l'Italia,  gli  orientali  alle  incursioni  barbari- 
che, e  gli  occidentali  alle  guerre  intestine,  perciò  ne  venne  la  necessità 
che  i  papi  dovettero  occuparsi  delle  cose  civili  fuori  dei  propri  Stati 
più  di  quello  che  essi  avrebbero  desiderato  ;  ma  per  questo  di  chi  la 
colpa?  Nemmeno  in  ciò,  come  è  evidente,  si  prende  di  mira  dal  poeta 
il  dominio  temporale  dei  Papi,  ma  solamente  la  direzione  ch'essi  ave- 
vano (ed  era  necessita)  delle  cose  civili  d*  Italia  per  mancanza  di  chi 
spettava.  Guai  all'  Italia,  e  agli  Italiani,  se  in  que'  miseri  tempi  non 
fossero  stati  tutelati  dai  papi! 

**  O  Alberto  Tedesco  ecc.  Havvi  qui  una  malizietta  di  Dante,  che 
bisogna  notare.  Noi  siamo  col  poema  nel  1300,  come  si  sa.  Ora  Al- 
berto Tedesco  era  egli  vero  e  legittimo  imperador  de'  Romani  in  que- 
st'anno? Vediamolo.  Morto  l'imperatore  Rodolfo  d'Austria,  gli  elet- 
tori nominarono  all'  impero  de'  Romani  Adolfo  di  Nassau  nel  1  di 
maggio  1292.  Essendo  questi  stato  eletto  nelle  forme  volute,  gli  elet- 
tori non  potevano  deporlo,  ma  aspettare  la  conferma  della  Santa  Sede, 
secondo  il  solito.  Invece  tra  perchè  Adolfo  non  si  diportava  con  sod- 
disfazione, e  perchè  Alberto  ambiva  l'Impero,  gli  elettori  addi  23  di 
giugno  1298  deposero  illegalmente  Adolfo  ed  elessero  Alberto  figlio 
di  Rodolfo  d'Austria,  primo  imperadore  di  questa  casa.  Spiacque  vi- 
vamente il  fatto  a  Bonifacio  Vili,  il  quale  in  una  lettera  agli  elet- 
tori del  18  di  aprile  1301  riprova  la  condotta  di  essi  e  di  Alberto* 
che  per  salire  al  trono  dei  Romani,  si  era  ribellato  ad  Adolfo  suo 
principe,  ed  uccisolo  in  guerra  da  ribelle,  e  lo  cita  al  suo  tribunale, 


154  PURGATORIO 

Costei  eh'  è  fatta  indomita  e  selvaggia, 
E  dovresti  inforcar  li  suoi  arcioni,  TO 

«  altrimenti  (sodo  parole  del  papa)  noi  vietiamo  strettamente  agli  eiet- 
tori, e  a  tatti  i  sudditi  dell'impero  di  riconoscerlo  re  dei  Romani,  gli 
sciogliamo  dal  giuramento  di  fedeltà,  e  procederemo  contro  lui,  e  i 
suoi  fautori  spiritualmente  e  temporalmente,  come  giudicheremo  a  pro- 
posito. »  Allora  Alberto  mandò  ambasciatori  a  Roma  implorando  la 
misericordia  del  papa,  e  mostrandosi  pronto  a  fare  tutto  ciò  che  pia- 
cesse alla  Santa  Sede.  Bonifacio  si  lasciò  piegare,  e  in  una  Bolla  del 
30  aprile  1303  «  Noi,  dicea,  vi  riceviamo  qua!  nostro  figliuolo  spe- 
ciale e  della  Chiesa,  e  vi  accettiamo  qua!  re  dei  Romani,  che  dev'es- 
sere promosso  imperatore  per  l'autorità  di  Dio  ;  vogliamo  e  statuiamo 
che  voi  siate  tale  oggidì,  che  per  tale  siate  riconosciuto  dagli  altri, 
che  tutti  i  sudditi  del  santo  impero  romano  vi  obbediscano,  flne 
è  costume  di  obbedire  ai  legittimi  re  dei  Romani  approvati  dalla  Santa 
Sede,  supplendo  tutto  ciò  che  potrebbe  esser  difettoso  nella  vostra 
elezione,  incoronazione  ed  amministrazione.  »  (Ronrbaeher). 

Da  tutto  questo  apparisce  che  Alberto  nel  1300  (epoca  nostra)  non 
era  legittimo  re  dei  Romani,  e  che  lo  fu  solamente  nel  30  aprile  1303. 
Dante  non  ignorava  certo  questi  fatti.  Dunque  come  mai  egfi  po- 
teva riprendere  Alberto  pel  suo  abbandono  d'Italia,  quasi  foste  il  ano 
vero  principe?  Si  vede  apertamente  che  tutto  questo  egh  dice  in 
onta  di  Bonifacio  Vili,  e  che  desiderava  la  discesa  d'Alberto  in  Italia 
più  per  vendicarsi  del  papa,  tirandogli  addosso  un  nemico,  di  quello 
che  per  la  vera  pacificazione  d'Italia.  Quando  la  passione,  e  passione  in- 
giusta verso  un  papa  si  grande,  fa  parlare,  ci  potrà  essere  una  bella 
poesia,  ma  non  mai  una  bella  verità  ed  un  ordinato  amore  di  patria. 
70  E  dovresti  inforcar.  E  dovresti  discendere  a  governar  l'Italia. 
E  sempre  l'allegoria  della  cavalla,  sotto  cui  si  colora  l' Italia.  Con 
ciò  Dante  eccitava  il  già  ribelle  Alberto  a  proseguire  nella  sua  ri* 
bellione,  marciando  contro  il  papa  ed  i  suoi  aderenti,  e  con  ciò  tra- 
volgeva la  grand' opera  della  instituxione  del  romano  impero  fatta 
nell*  800  da  Leon  III,  e  continuata  con  prospero  successo  tanti  anni 
dappoi.  Sopra  il  qual  proposito  è  bene  che  sia  qui  dichiarato  più 
diffusamente  di  prima  il  nobile,  sublime,  vantaggiosissimo  intendi-  * 
mento,  che  ebbe  la  Chiesa  quando  istituì  quest'opera,  che  è  tutta  sua, 
e  che  certamente  avrebbe  portato  frutti  ubertosissimi  e  perenni, 
s'ella  fosse  stata  compresa  da  chi  più  dovea.  Riporterò  le  stesse  parole 
di  uno  storico  (Rohrbacher,  t.  XI,  1.  53,  p.  227):  «  Eravi  qualche  cosa 
che  a  papa  san  Leone  stava  più  a  cuore  della  propria  giustificazione, 


CANTO  VI.  165 

il  ristauramento  cioè  dell'  impero  romano  in  occidente  nella  persona 
di  Carlo  Magno,  acciocché  avesse  ad  essere  il  difensore  armato  della 
Chiesa  romana  e  di  tutta  la  cristianità.  Questo  sacerdotale  rinno- 
vamento dell'  impero,  che  compieva  la  costitusione  cristiana  del  mondo 
cristiano,  ebbe  luogo  il  dì  di  Natale  dell'anno  800,  nel  tempio  del 
principe  degli  Apostoli,  ben  addicendosi  che  l' impero  cristiano  na- 
scesse il  giorno  della  nascita  di  Cristo  e  nella  basilica  del  suo  primo 
vicario.  Carlo  Magno,  che  era  qui  venuto  ad  assister  alla  messa  so- 
lenne, stava  terminando  l'orazion  sua  dinanzi  al  sepolcro  di  S.Pietro, 
quando  il  papa  gli  impose  di  propria  mano  la  corona  imperiale  sul 
capo,  e  tutto  il  popolo  di  Roma  a  quell'atto  usci  nel  grido  seguente,  ^ 
tre  volte  ripetuto  ed  accompagnato  dalla  invocazione  di  più  santi: 
—  A  Carlo  Augusto  coronato  dalla  mano  di  Dio  grande  e  pacifico  inv 
perador  de'  Romani,  vita  e  vittoria  !  —  Dopo  le  quali  acclamazioni  il 
papa  se  gli  inchinò  davanti  come  a  capo  dell'  impero,  al  modo  degli  anti- 
chi principi . . .  Il  papa  gli  conferi  al  tempo  medesimo  la  sacra  unzione. 
«  La  cagione  per  la  quale  furono  da  Leone  HI  conferiti  il  titolo 
e  la  dignità  d'imperatore  a  Cariomagno  viene  succintamente  esposta 
dal  Sigonio.  Sendo  questo  titolo  della  dignità  imperiale  cessato  circa 
tre  secoli  avanti  nella  persona  d* Augnatolo,  ultimo  imperador  d'oc» 
ridente,  per  lasciar  luogo  al  regno  de'  Goti,  volle  il  papa  rinnovarlo 
nell'occidente  stesso,  a  fin  che  la  romana  chiesa  avesse  contro  gli  in- 
fedeli, gli  eretici,  i  sediziosi,  un  difensore:  officio  che  l'imperatore 
d'oriente  parca  avere  da  lunga  pezza  abbandonato.  Grossamente  perciò 
vanno  errati  coloro  i  quali  vogliono  che  papa  Leone,  allorché  cinse 
a  Cariomagno  il  diadema  imperiale,  non  più  che  un  mero  titolo  gli 
conferisse;  che  un'amplissima  dignità  gli  ebb*  ad  un'ora  conferito, 
e  rispondente  a  quell'eccelso  titolo,  la  dignità  vale  a  dire  di  tutore 
e  difensore  della  repubblica  cristiana  e  della  chiesa  tutta  quanta,  in 
ispesialtà  della  chiesa  romana.  Cotesto  incarico  di  difendere  la  società 
cristiana,  al  quale  da  lunga  età  fallivano  gli  imperadori  d'oriente,  la 
romana  chiesa  o  lo  sposo  capo  di  lei,  il  padre  universale,  e  pontefice 
supremo  de' cristiani,  commetter  lo  poteva  ad  un  altro,  affinché  tutti 
i  popoli  d'occidente,  stretti  in  alleanza  sotto  uno  stesso  impero,  con 
ardor  più  concorde  adoperassero  a  respingere  gli  infedeli,  e  tener  a 
freno  i  scismatici  e  i  sediziosi,  che  desser  molestia  alla  chiesa  e  al 
suo  capo.  Carlo  fu  dal  capo  della  chiesa  universale  tra  tutti  i  principi 
cristiani  reputato  il  più  degno  e  capace  di  tal  glorioso  incarico...... 

Pastore  del  mondo,  capo  della  Chiesa  universale,  pontefice  di  Roma 
papa  san  Leon  III  crea  e  consacra  nel  padre  dell'  Europa,  nella  per- 
sona di  Cariomagno,  ti  santo  romano  impero,  1* impero  della  forza 
fatta  ancella  del  vero  e  del  giusto.  Cariomagno  non  avrà  in   tale 


15(5  PURGATORIO 

100.   Giusto  giudicio  dalle  stelle  caggia  7I 

Sovra  il  tuo  sangue,  e  sia  nuovo  ed  aperto,  u 
Tal  che  il  tuo  successo!'  temenza  n'aggia  :  n 


impero  chi  gli  succeda  appieno,  ma  il  santo  impero  romano  consacrato 
nella  persona  sua,  starà  d'ogni  tempo,  non  ostante  le  contrarie  appa- 
renze, non  altro  essendo  esso  impero  che  l' Europa  cristiana  e  cattolica, 
che  dopo  dieci  secoli,  «ente  tuttavia  la  nobil  necessità  di  usar  la  poe- 
.  sansa  sua,  il  suo  sapere,  il  suo  sangue  a  gloria  di  Dio,  e  a  salvezza  del 
mondo.  Sente  ella  perennemente  nell'imo  delle  proprie  viscere  la  con* 
secrezione  apostolica  conferitale  nella  persona  di  Carlomagno,  suo 
primo  rappresentante.  Il  mondo  intero  ne  assegna  a  lei  il  vanto,  >• 

it  Gitito  giudicio.  È  una  profezia  di  quello  che  infatti  avvenne, 
essendo  stato  Alberto  ucciso  a  tradimento  da  Giovanni  suo  cugino 
nel  1  maggio  1308.  Ma  è  da  avvertire  che  la  profezia  non  è  che 
poetica,  e  dipende  dall'aver  dato  al  poema  un'epoca  anteriore  all'e- 
poca reale  in  cui  tali  cose  furono  scritte.  Imperocché  abbiamo  già 
detto  che  il  presente  viaggio  è  supposto  nel  1800,  e  la  presente  in- 
vettiva è  scritta  9  anni  dopo,  quand'era  di  già  avvenuta  rucds'oné 
di  Alberto.  Vedi  Tav.  1,  Pur ?.,  casellino  dell'Epoca.  Essa  fu  scritta 
in  Parigi.  Vedi  Tav.  I,  Purg.,  casellino  del  Luogo. 

v*  Nuovo  ed  aperto.  Il  castigo,  che  piombò  dal  cielo  su  Alberto!  fa 
veramente  nuovo  ed  aperto,  cioè  chiaramente  apparve  un  vero  ca- 
stigo del  cielo,  ina  non  nel  senso  in  cui  lo  prende  ti  poeta,  al  quale 
è  lecito  tirar  gli  avvenimenti  al  proprio  servigio.  Esso  castigo  è  nuovo 
ed  aperto  nel  senso  della  Sacra  Scrittura,  la  quale  minaccia  la  morte  di 
ferro  a  chi  di  ferro  uccide;  cori  Alberto  uccisore  di  Adolfo,  venne  an- 
ch'egli  alla  sua  volta  ucciso.  Il  poeta  invece  suppone  chettlcastigo  gfi 
venga  per  non  discender  in  Italia  ad  ordinarla,  com'era  suo  dovere;  e 
in  parte  sarà  anche  stato  cosi  :  ma  la  prima  è  più  solida  e  più  vera. 

i*  Tal  che  il  tuo  sucetssor  ecc.  11  tuo  successore,  che  fu  nel  no- 
vembre del  1308,  Arrigo  di  Lucemburgo,  e  di  cui  nel  1810  si  pre- 
parava la  discesa  in  Italia,  impari  alla  tua  scuola  che  gli  impero- 
dori  romani  deono  prendersi  cnra  d'Italia,  che  dell'Impero  è  il  giar- 
dino, e  tema  la  stessa  sorte  se  non  discende  a  visitarla  ed  ordinarla. 
Appena  Dante  ebbe  sentore  che  si  Dicevano  i  preparativi  per  la  calata 
del  Lucemburghese,  scrisse  da  Parigi  la  lettera  t  toccata  a  nota  67}  a 
tutti  i  principi  ed  a  tutte  le  repubbliche  d'Italia,  magnificando  l'im- 
peratore e  esortando  tutti  ad  accoglierlo,  ed  a  mostrargli  sudditi 
fedeli  ed  obbedienti,  non  quali  servi;  ma  quali  liberi. 


CANTO  VI.  157 

Che  avete  tu,  e  il  tuo  padre  sofferto,  u 
Per  cupidigia  di .  costà  distretti,  75 

7*  Che  avete  tu  ecc.  Che  nò  tu  né  tuo  padre  Rodolfo  siete  mai  di- 
scesi in  Italia  ad  adempiere  le  mansioni  del  vostro  officio  quali  im- 
peratori romani,  infrenando  le  fazioni  e  cacciando  i  tiranni  che  sor- 
gevano dalle  fazioni,  per  cui  il  giardino  dell' Imperio,  l'Italia,  andò 
deserto:  e  questo  è  pura  storia  e  verità:  e  questo  pure  è  la  cagione 
per  cui  i  papi  dovettero  pensar  essi  soli  a  rimediare  ai  mali  civili 
d'Italia,  mentre  in  tal  bisogna  doveano  essere  aiutati  dall' impera- 
dorè ,  secondo  gli  obblighi  assunti  venendo  all'impero.  Per  questa 
mancanza  da  parte  degli  imperatori  romani  di  Germania,  i  papi  dove 
non  poteano  ottenere  colla  fòrza  morale  la  pacificazione  dei  Comuni, 
come  per  esempio,  di  quel  di  Firenze  sopra  tutti,  erano  costretti  a 
rivolgersi  agli  aiuti  militari  della  Francia  dove  avea  risieduto  in  an- 
tico la  dignità  imperiale.  Fu  bene,  o  fu  male?  Io  non  dirò  altro  che 
fu  necessità,  e  che  la  colpa  del  non  intervento  fu  tutta  degli  impe- 
ratori alemanni,  come  le  colpe  commesse  dagli  interventi  francesi,  fu 
tutta  colpa  dei  reali  di  Francia,  restando  i  papi  frattanto  gli  unici 
tutori  e  difensori  d' Italia.  Felice  l' Italia  se  avesse  sempre  dato  ascolto 
a  questi  suoi  tutori  e  difensori,  che  non  ci  sarebbe  stato  mai  uopo 
d'eserciti  stranieri,  sarebbero  state  tolte  le  discordie  d' Italia,  e  non 
si  sarebbero  vedute  e  piante  tante  calamità.  —  Questi  due  imperatori, 
Rodolfo  ed  Alberto,  morirono  senza  riceve  re  dalle  mani  del  papa  la 
corona  imperiale,  sebbene  fossero  stati  da  lui  riconosciuti  per  legittimi 
imperatori.  Rodolfo  però  per  due  volte  vi  doveva  discendere,  ed  era 
tutto  combinato  col  papa,  ma  la  discesa  andò  sempre  a  vuoto.  Egli  visse* 
sempre  in  buonissime  relazioni  col  papa  ;  e  fu  veramente  uomo  grande, 
e  di  leali  intenzioni.  Avremo  occasione  di  parlarne  quanto  prima. 

13  Per  cupidigia  di  costà  distretti.  Per  allargare  i  vostri  stati  in 
Germania  e  farvi  forti  colà.  Allude  evidentemente  alla  conquista  del- 
l'Austria fatta  su  Ottocaro  re  di  Boemia,  che  n'era  signore.  Si  sa 
che  Rodolfo  ed  Alberto  non  erano  uomini  molto  possenti  in  Germa- 
nia, sebbene  di  famiglia  nobile  e  cospicua,  onde  saliti  al  trono  im- 
periale, anche  per  mettersi  in  caso  di  rispondere  all'altezza  del  loro  of- 
ficio dovettero  spendere  degli  anni  molti  per  acquistare  preponderanza. 
E  intanto  non  si  mancava  di  mettere  a  loro  colpa  ciò  che  era  dura  ne- 
cessità. I  Ghibellini  però  sognavano  un  po'  troppo  sui  buoni  effetti 
di  tali  discese  in  Italia,  ancorché  fossero  state  possibili,  e  non  vedevano 
che  i  Guelfi  sognavano  men  di  loro  stringendosi  intorno  al  Papato 
anziché  ad  altro  principe  straniero.  Era  infatti  il  solo  Papato  che 


158  PURGATORIO 

Che  il  giardin  dell'  imperio  aia  diserto.  w 
Vieni  a  veder  Montecchi  e  Cappelletti,  n 

Monaldi  e  Filippeschi,  uom  senza  cura,  n 

Color  già  tristi,  e  costor  con  sospetti. 
Vien,  crudel,  vieni,  e  vedi  la  pressura  n 
110.       De1  tuoi  gentili,  e  cura  lor  magagne,  m 

E  vedrai  Santafior  com'è  sicura. Sl 


potca  pacificare  e  render  felice  l'Italia;  ma  bisognava  ascoltarlo* 
come  bisognava  che  lo  ascoltassero  sieno  gli  imperatori,  aleno,  i  reali 
di  Francia.  Forse  oggi  è  già  venuta  l'epoca,  per  vedersi  le  cose 
spinte  agli  eccessi,  in  cui  si  conoscerà  più  che  mai  la  verità  che  dkaarno. 
to  Che  il  ecc.  Che  l' Italia  sia  diserta  dalle  fanoni  e  dai  tiranni  e  dai 
reali  di  Francia,  si  mal  veduti  da  Dante  in  Italia,  ed  a  ragione,  perché 
l'officio  di  venire  quaggiù  spettava  ai  soli  imperatori  romani. 

77  Montecchi  e  Cappelletti.  I  tuoi  medesimi  partigiani  Ghibellini, 
quali  erano  queste  due  nobili  e  potenti  famiglie  veronesi,  che  in 
onta  al  tuo  nome  e  al  tuo  appoggio,  sono  scadute  ed  oppresse. 

78  Monaldi  e  Filippeschi.  Altre  famiglie  ghibelline  d'Orvieto,  in 
sul  punto  di  precipitare  anch'  esse.  Come  dicesse  :  Tu  abbandoni,  oltre 
T  Italia  in  generale,  che  è  tuo  impero,  anche  le  prime  famiglie  che 
qui  sostengono  la  tua  parte,  e  così  dai  il  crollo  alla  tua  patena  in 
Italia,  perchè  in  avvenire  nessuno  più  vorrà  favorir  quella  parie, 
dove  stando,  si  cade. 

^  Vien,  crudel,  ecc.  La  storia  appella  Alberto  uomo  buono, ma  erodo. 
E  vedi  la  pressura  —  De'  tuoi  gentili  ecc.  L'oppressione  a  che 
soggiacciono  tutti  i  nobili  baroni  del  tuo  impero,  e  che  per  favorire 
in  Italia  la  tua  causa  n*  hanno*  ovunque  la  peggio. 

so  E  cura  lor  magagne.  Soccorri  ai  loro  mali,  alle  loro  disgrafie, 
che  subiscono  per  conto  tuo. 

8i  E  vedrai  Santafior  ecc.  Castello  e  contea  imperiale  nella  Ma- 
remma di  Toscana.  Questo  fèudo  imperiale  esistente  in  meato  a  tanti 
Guelfi  era  in  continuo  pericolo  di  divenir  preda  dei  Guelfi  stessi  per 
incuria  del  suo  sovrano  imperatore.  Sicché  da  quanto  si  dice  in  queste 
due  terzine  si  vuol  concludere,  che  la  causa  e  la  autorità  imperiale 
più  non  si  conosce  né  in  Lombardia,  né  in  Romagna,  né  in  Toscana, 
né  in  nessun 'al  tra  parte  d'Italia,  perché  dappertutto  gli  aderenti  im- 
periali sono  oppressi.  ÀI  tempo  che  Dante  scriveva  tali  cose,  cioè 
nel  1309,  la  parto  preponderante  in  Italia  era  il  Guelfismo. 


CANTO  VI.  159 

Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne,  M 
Vedova,  sola,  e  dì  e  notte  chiama:  83 
Cesare  mio,  perchè  non  m'accompagne  ? 

Vieni  a  veder  la  gente  quanto  s'ama;  8* 
E  se  nulla  di  noi  pietà  ti  muove, X5 
A  vergognar  ti  vien  della  tua  fama. 

E  se  licito  m'è,  o  sommo  Giove,  M 
Che  fosti  in  terra  per  noi  crocifisso, 

99  Vieni  a  veder  la  tua  Roma  ecc.  Intendete  bene  queste  parole. 
Dante  dice  tua  Roma  in  quel  senso  che  diceva  tua  l'Italia  e  tue  tutte 
le  sue  città:  perchè  da  quando  fu  istituito  da  san  Leon  III  nell'800 
il  sacro  romano  impero  esteso  su  tutta  la  cristianità,  tutti  i  luoghi 
cristiani  diventavano  dominio  dell'  imperatore,  non  in  quanto  egli  po- 
tesse governarli  a  suo  talento ,  e  toglierli  e  darli  a  chi  meglio  cre- 
desse, ma  in  quanto  per  la  costituzion  dell'impero  poteva  e  doveva  in- 
tervenire alla  repression  del  disordine,  delle  tirannie,  delle  offese  alla 
Chiesa  in  generale,  e  massime  alla  Chiesa  romana.  In  questo  senso 
Dante  dice  tua  Rom a,  perchè  non  è  possibile  che  Dante  finga  d'i- 
gnorare tutta  la  storia,  e  massime  questa  parte,  che  tratta  della  rin- 
novazion  dell'impero  romano,  e  dei  diritti  e  doveri  inerenti  a  questo 
impero;  e  perchè  inoltre  si  mostrerebbe  nimico  di  tutte  le  autonomie 
comunali,  di  cui  invece  si  sa  quanto  fosse  propugnatore  tenace. 

8*  Vedova,  sola,  e  di  e  notte  ecc.  Anche  in  Roma,  come  in  tutte 
le  altre  città  d'Italia,  vi  aveano  fazioni  e  tumulti.  Per  questi  san  Ce- 
lestino non  volle  andarci  :  per  questi  Bonifacio  VIII,  suo  successore, 
visse  spesso  inquieto,  e  alla  fine  dovette  abbandonarla:  per  questi 
Benedetto  XI,  successore  di  Bonifacio,  ne  stette  lontano,  e  lontano 
mori;  e  per  questi  il  successore  di  lui,  Clemente  V,  venne  *l  partito 
di  trasportar  la  sede  di  Roma  in  Avignone,  che  fu  la  capitale  sven- 
tura d'Italia  e  del  mondo  cattolico.  Dante  parla  qui  del  1300  sotto 
Bonifacio,  ma  scrive  al  tempo  di  Clemente  V  nel  1309.  Notate  bene 
questa  circostanza. 

8*  Vieni  a  veder  la  gente  quanto  s'ama.  Quanto  si  odia.  Ironico* 

**  Della  tua  fama*  Perchè  tutti  parlano  contro  di  te  e  del  tuo 
indegno  abbandono.  Questa  è  la  fama. 

86  O  sommo  Giove.  Non  bisogna  prendere  scandalo  di  questo  nome 
del  paganesimo  applicato  al  vero  Dio,  perchè  Giove  in  sostanza  non 
è  che  il  Jeova  degli  Ebrei, 


160  PURGATORIO 

120.       Son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove?  81 
O  è  preparazion  che  nell'abisso  ** 

Del  tuo  consiglio  fai  per  alcun  bene,  * 
In  tutto  dall'  accorger  nostro  abscisso? 
Che  le  terre  d' Italia  tutte  piene  ®° 

8?  Son  li  giusti  occhi  ecc.  Espressione  enfatica  tratta  dal  dolore, 
osata  spesso  nei  salmi. 

88  o  è  preparaiion  ecc.  Bellissimo  pensiero  cristiano  di  rassegna- 
zione ai  voleri  di  Dio  nei  suoi  flagelli,  preparati  e  disposti  negli  im- 
perscrutabili giudizi  divini  per  giovare  con  essi  a  quel  bene,  die 
l'uomo  di  corta  veduta  non  può  vedere.  Quante  volte  infatti  Dìo 
produce  sommi  beni  dagli  estremi  mali,  e  quante  volte  non  ci  vo- 
gliono assolutamente  questi  sommi  mali  per  ottenere  quei  sommi  beni, 
anche  umanamente  parlando  ?  Non  fu  un  sommo  male,  per  dirne  una, 
la  rivoluzion  dell'  89  ?  Eppure  da  quel  male  quanti  disinganni  ?  £ 
dal  male  di  altre  rivoluzioni  posteriori,  quanti  altri  disinganni,  e  quanta 
gloria  per  la  Chiesa  di  G.  C.  e  per  chi  la  governa?  Si  dice  nella 
sacra  Scrittura  che  Dio  ha  fatto  le  nazioni  sanabili  ;  ma  ordinaria- 
mente le  nazioni  non  arrivano  alla  loro  sanità  se  non  mediante  or- 
rende catastrofi.  Tutta  la  storia  lo  insegna. 

89  Per  alcun  bene.  Il  bene  che  intendeva  di  ottenere  Iddio  col  per- 
mettere e  l'abbandono  degli  imperatori,  e  lo  scapestrare  delle  fazioni 
d*  Italia  si  era  il  persuadere  a  tutti  i  popoli,  che  solo  ascoltando  la 
Chiesa  cattolica  e  il  suo  capo  universale,  il  romano  Pontefice!  poteano 
trovar  pace  e  felicità  ;  e  bisognava  provarglielo  colla  dura  necessità 
dei  fatti  contrari;  perchè  tutti  i  malanni  che  succedevano,  succede- 
vano appunto  per  questo,  che  non  si  ascoltava  il  Supremo  Pacifica- 
tore romano.  Questo  era  un  fatto  anche  troppo  manifesto,  ma  che 
la  gente  ghibellina  poteva  affettare  di  non  conoscerlo,  e  dirlo  invece: 
In  tutto  dall' accorger  nostro  abscisso. 

90  Che  le  terre  d'Italia  ecc.  Le  divisioni,  le  fazioni,  le  guerre  in- 
testine sono  universali,  non  v'ha  luogo,  che  ne  sia  libero.  Le  fami- 
glie potenti  d'ogni  città  si  fabbricavano  castelli  forti  de*  loro  palagi, 
e  di  1à  coli'  ajuto  degli  amici  e  dei  dipendenti  teneano  in  soggezione 
le  famiglie  meno  potenti.  Inoltre  quegli  stessi  che  erano  chiamati  al 
governo  del  popolo  e  che  aveano  giurato  di  difendere  la  libertà  del 
Comune,  a  poco  a  poco  diventavano  despoti.  Quello  che  avveniva 
in  città  avveniva  pure  nel  contado.  Per  questo  noi  vediamo  ancora 
le  campagne  df  Italia  seminate  di  antichi  castelli,  o  delle  loro  ruine  ; 


CANTO  VI.  161 

Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa  * 
Ogni  villani  ohe  parteggiando  viene. 
Fiorenza  mia,  ben  puoi  esser  contenta  ** 
Di  questa  digressione  che  non  ti  tocca, 
Mercè  del  popol  tuo  che  si  argomenta. 
130.   Molti  han  giustizia  in  cor,  ma  tardi  scocca,  ** 


e  li  vedremmo  pare  in  tutte  le  città,  che  n'erano  ancor  più  gremite, 
se  al  cadere  del  medio  evo  non  fossero  stati  o  demoliti  del  tutto  o 
almeno  spianati  di  tanto  da  renderli  innocui.  La  sola  Verona  (città) 
ne  contava  48,  che  poi  per  ordine  pubblico  furono  abbassati  tutti 
al  medesimo  livello. 

9i  Ed  un  Afareel  divenia  —  Ogni  ecc.  Sin  la  gente  rozza  di  con- 
tado, una  volta  ch'abbia  preso  a  parteggiare,  perde  l'amore  ai  campi 
e  lo  prende  all'armi,  nell'eseroisio  delle  quali  diventa  terribile  come 
Marcello,  il  famoso  espugnatore  di  Siracusa.  Con  quest'ultima  pen- 
nellata dipinge  massimamente  quei  villani,  che  da  poco  tempo  erano 
venuti  a  stare  a  Firenze,  che  alterarono  i  costumi  di  questa  gentile 
città,  che  vi  lai  fecero  potenti  e  insolenti,  de9  quali  il  poeta  tornerà 
a  parlare  particolarmente  nel  Canto  XVI  del  Paradiso.  Nella  età 
precedente  s'erano  veduti  in  questo  genere  esempi  più  terribili  an- 
cora, voglio  dire  Eccellilo  da  Romano  ed  altri  suoi  pari,  Che  fecero 
alle  etrade  tanta  guerra. 

9*  Fiorentamia  ecc.  La  digressione,  che  è  contenuta  in  tutta  questa 
sanguinosa  invettiva  contro  l' Italia  e  le  sue  divisioni  di  parti,  mira 
specialmente  a  flagellar  Firenze,  che  in  tali  disordini  entrava  Innanzi 
a  quasi  tutte  le  altre  città  d' Italia.  H  poeta  per  pungerla  di  ciò  più 
amaramente,  gliene  landa  l'accusa  con  Ironia,  dicendo  che  può  an- 
dar lieta,  perchè  la  invettiva  non  le  tocca,  perchè  il  suo  popolo  a 
differenza  di  tutti  gii  altri  sa  governarsi  (ei  argomenta)  ottimamente. 

»8  Molti  han  giuetinia  in  cor  ecc.  Attenti  a  cogliere  il  Vero  senso 
di  queste  due  terzine.  H  poeta  aveva  dapprima  inveito  molto  con- 
tro l'indolenza  degli  imperatori  romani,  che  chiamati  in  Italia  dal 
loro  dovere  e  dai  bisogni  urgenti  delle  disordinate  città ,  pure  non 
vennero.  Ora  per  caricar  meglio  Firenze  coda  sua  invettiva,  esce  con 
una  scusa  che  poteano  avere  gli  imperadori  per  non  esser  discesi  a 
curare  la  cosa  pubblica  d'Italia,  Gli  imperatori  poteano  dire  a  loro 
discolpa:  Noi  saremmo  venuti  a  castigar  i  colpevoli  italiani,  ma  il 
nostro  dover  di  giustizia  che  sentiamo  nel  cuore  per  questa  causa, 

XX 


162  PURGÀTOBIO 

Per  non  venir  senza  consiglio  all'arco; 
Ma  il  popol  tuo  T  ha  in  sommo  della  bocca. 

Molti  rifiutali  lo  comune  incarco; 
Ma  il  popol  tuo  sollecito  risponde, 
Senza  chiamare,  e  grida:  F  mi  sobbarco. 

Or  ti  fa  lieta,  ohe  tu  hai  ben  onde  :  * 
Tu  ricca,  tu  con  pace,  tu  con  senno.  ** 
S' io  dico  ver  l'effetto  noi  nasconde.  * 

lo  dobbiamo  mettere  ad  esame  eolie  nostre  forte;  e  queste  sentiamo 
di  non  avere  ancor  sufficienti  :  appena  le  avremo,  faremo  il  nostro 
dovere:  cosi  la  giustizia  dell' impresa  sarà  accompagnata  dalla  pru- 
denza Dell'eseguirla,  e  ci  assicureremo  un  prospero  successo.  Cosi  po- 
trebbero dirci  gli  imperatori,  che  ci  lasciano  dilaniare,  cori  potrebbero 
dirci  i  capi  dei  Ghibellini.  Tu  all'  incontro,  o  Firenze,  che  hai  l'am- 
bizione d'essere  il  centro  dei  Guelfi,  e  il  capo  di  questa  parte,  e  che 
vuoi  estendere  il  guelnsmo  dovunque,  guerreggiando  la  parte  ghi- 
bellina o  imperiale,  dove  la  trovi,  che  fai  per  giungere  all'intento 
delle  tue  ambizioni?  1.  Tu  non  esamini  nella  tua  coscienza  la  giu- 
stizia della  causa  che  patrocini,  ma  la  giustizia  di  questa  causa  l'hai 
sol  sulla  bocca  per  inganno  dei  semplici  (Afa  il  popol  tuo  l'ha  in 
sommo  della  bocca)',  2.  Non  esamini  nemmen  le  tue  forse  se  stono 
sufficienti  a  tanta  impresa,  come  sarebbe  prudente,  massime  ve- 
dendo che  altri  maggiori  di  te,  come  son  gli  imperatori,  rifiutano 
il  grave  incarico,  per  essere  un  incarico  spaventoso,  e  quindi  ti 
dai  pazzamente  ad  imprese  superiori  al  tuo  stato  (Molti  rifiuta* 
lo  comune  incarco  —  Ma  il  popol  tuo  sollecito  risponde  :  —  • . .  Vmi 
sobbarco)-,  3.  Tu  finalmente  ti  motti  ad  impresa  tanto  ingiusta  e 
tanto  difficile,  senza  un  logittimo  mandato,  senza  che  ne  sii  stata 
chiamata  da  ehi  n'abbia  l'autorità,  mentre  gl'imperatori,  che  n'hanno 
il  mandato  e  che  sono  chiamati  da  sessanta  anni,  pure  esitano  an- 
cora a  venire  e  si  fan  riguardo  di  sobbarcarsi  a  tanto  peso  (Sansa 
chiamare). 
d*  Or  ti  fa  lieta  ecc.  Continua  l'ironia  per  dire  tutto  l'opposto. 

95  Tu  ricca  ecc.  Tu  senza  ricchezze,  senza  pace,  senza  sapienza. 
La  mancanza  di  queste  tre  cose  porta  la  rovina  degli  stati  ;  come 
il  possedimento  di  queste  tre  cose  ne  e  la  felicità. 

96  L'effetto  noi  nasconde,  Perchè^l'effetto  dimostra  tutto  il  contra- 
rio, cioè  che  non  hai  uè  ricchezze,  uè  pace,  uò  senno. 


CANTO  VI.  163 

Atene  e  Lacedemona,  che  fenno  97 
140.       L'antiche  leggi,  e  furon  sì  civili, 

Fecero  al  viver  bene  un  picciol  cenno  9$ 

Verso  di  te,  che  fai  tanto  sottili  " 
Provvedimenti,  eh' a  mezzo  novembre100 
Non  ghigne  quel  che  tu  d'ottobre  fili. 

Quante  volte  del  tempo  che  rimembre, m 
Legge,  moneta,  uffici,  e  costume 
Hai  tu  mutato,  e  rinnovato  membre! 


97  Atene  e  Laeedemona  (Sparta)  ecc.  Città  illustri  di  Grecia,  ambe 
famose  nelle  leggi  e  nell'armi.  Atene  ebbe  per  legislatore  Solone, 
Sparta  Licurgo. 

98  Viver  bene.  Viver  civile.  —  Picciol  cenno.  Che  amaro  sarcasmo 
in  queste  due  parole! 

99  Vereo  di  te.  In  confronto  di  te.  fisse  furono  incivilissime  a  petto 
di  te.  Ironia. 

Che  fai  tanto  eottili.  L'anfibologia  di  questa  parola  dà  luogo 
alla  satira.  Sottili  ha  doppio  senso:  fini,  e  deboli  o  fiacchi.  Nel  senso 
vero  bisogna  prenderlo  in  senso  di  deboli,  imbelli. 

^^Provvedimenti,  eh9  a  meno  ecc.  La  bontà  delle  leggi  e  dei  prov- 
vedimenti si  prova  dall'essere  accolti  e  mantenuti  dal  popolo  libera* 
mente.  Se  i  provvedimenti  non  durano  è  segno  che  non  furono  buoni, 
o  che  non  erano  buoni  quei  che  dovevano  eseguirli,  o  almeno  è  segno 
di  continui  cangiamenti  di  pubblici  ufficiali,  pei  quali  è  sempre  fatto 
male  quel  che  fu  fatto  prima.  I  provvedimenti  per  un  regime  di  un  po- 
polo sono  qui  simboleggiati  in  una  tela. 

La  tela  dei  provvedimenti  di  Firenze  era  di  si  bassa  qualità, 
che  diventava  già  logora  e  non  più  servibile  portandola  meno  di  un 
mezzo  mese.  Oh  che  stracci  provvedimenti  !  Le  leggi  savie  attecchi- 
scono ;  le  stolte  muoiono. 

mi  Quante  volte  eoe  Qui  si  dà  una  prova  di  fatto  a  convalidare 
l'accusa  degli  imbecilli  provvedimenti  di  Firenze,  riportandosi  il  poeta 
alla  memoria  de'  suoi  cittadini  contemporanei,  che  aveano  veduto 
le  tante  volte,  vita  loro  durante,  i  cangiamenti  delle  leggi,  delle  mo- 
nete, degli  uffici,  delle  costumanze  e  delle  persone.  Ogni  volta  che 
si  cangia  provvedimento,  si  dà  a  conoscere  che  i  provvedimenti  an- 
tecedenti non  erano  prudenti,  e  non  otteneano  il  ben  vivere. 


164  PURGATORIO 

E  se  ben  ti  ricorda,  e  vedi  lume,102 
Vedrai  te  somigliante  a  quella  inferma, 
150.       Che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume, 
Ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma. 


*w  #  tt  ben  ti  ricorda  ecc.  mostra  la  prora  di  fatto  testé  recata 
colla  similitudine  di  una  inferma,  che  non  potendo  guarir  del  suo  male 
ornai  cronico,  cerca  almeno  di  alleggerirlo  voltandosi  e  rivoltandosi 
nel  letto  de1  suoi  dolori. 


CANTO    VII 


Argomento. 

Sordello  domanda  chi  sieno  il  Mantovano  e  l'altro  in  sua  com- 
pagnia. Virgilio  gli  si  manifesta.  Tale  manifestazione  fa  andare 
in  un*  estasi  di  maraviglia  Sordello,  per  cui  né  Virgilio  dice  di 
Dante,  né  Sordello  ne  dimanda,  sazio  abbastanza  del  suo  Virgi- 
lio. Questi  chiede  a  Sordello  che  gli  indichi  la  strada  per  ire  subito 
al  principio  del  Purgatorio.  Sordello  risponde,  che  per  esser  l'ora 
troppo  tarda  non  si  potea  continuare  il  viaggio  e  propone  intanto 
di  condurli  in  un*  amena  valletta  a  veder  coloro  che  ritardarono 
la  conversione  per  essersi  troppo  occupati  di  terreni  ingrandimenti, 
peccato  che  fu  anche  di  Sordello.  Ci  vanno  e  veggono  molti  e  grandi 
personaggi. 

JVfl.  Vtdi  tolti  i  casdlioi  di  qne«to  Culo  Bella  mi»  Tar.  I  e  \),Purg.  e  meglio  U IV* 


1  osciachè  l'accoglienze  oneste  e  liete 
Furo  iterate  tre  e  quattro  volte,  1 
Sordel  si  trasse,  e  disse  :  Voi  chi  siete?  * 


«  Furo  iterate  ecc.  Coro'  è  costume  di  fare  tra  teneri  amici,  che 
non  si  veggono  da  lunga  pezza,  che  non  sì  facilmente  al  distaccano 
dagli  abbracciamenti  e  dai  baci,  e  li  rinnovano  ostinatamente. 

t  Voi  chi  siete?  Tu  e  l'altro  che  sta  in  disparte.  Sordello  chiede 
di  tutti  due.  Convien  notarla,  perchè  dopo  vedremo  che  Sordello, 
udito  di  uno,  si  dimentica  dell'altro  per  una  ragione  di  gran  natura. 


166  PURGATORIO 

Prima  che  a  questo  monte  fosser  volte  * 
L'anime  degne  di  salire  a  Dio , 
Fur  Tossa  mie  per  Ottavian  sepolte. 4 

l' son  Virgilio  ;  e  per  null'altro  rio 
Lo  ciel  perdei,  che  per  non  aver  fò  :  5 
Cosi  rispose  allora  il  duca  mio. 
io.     QuaTè  colui  che  cosa  innanzi  a  sé 
Subita  vede,  ond'ei  si  maraviglia, 
Che  crede  e  no,  dicendo  eli*  è,  non  è;* 

Tal  parve  quegli,  e  poi  chinò  le  ciglia, 7 
E  umilmente  ritornò  ver  lui, 8  . 

*  Prima  che  ecc.  Prima  che  le  anime  purganti  fossero  mandate  qui 
a  scontare  la  loro  pena  :  prima  che  esistesse  questo  luogo,  come  Pur- 
gatorio. Si  vuol  dunque  dire  :  prima  della  morte  di  Gesù  Cristo,  quando 
i  giusti  che  aveano  da  purgarsi,  andavano  a  fare  li  loro  Purgatorio 
nel  Limbo.  Il  Purgatorio  dunque  esisteva  anche  prima  di  Gesù  Cristo, 
ma  in  altro  luogo  da  quello  ove  il  poeta  Io  colloca  dopo  di  Gesù  Cristo. 

*  Fur  l'osta  mie  ecc.  Ottaviano  Augusto  imperatore  a  cui  Vir- 
gilio era  si  caro*  quando  questi  mori  a  Brindisi  19  anni  avanti  la 
nascita  di  Cristo,  fé  portare  a  Napoli  le  sue  spoglie,  ed  eresse  loro 
un  magnifico  mausoleo,  su  cui  fé'  scrivere  due  versi  da  lui  compo- 
sti :  Mantua  me  genuit,  Calabri  rapidere,  tenet  nunc  —  Parthenope: 
cecini  pascila,  rura,  duce*. 

5  Che  per  non  aver  fé.  Solo  mancai  della  fede  al  vero  Dio,  che 
bisognava  avere  per  salvarsi  anche  da  chi  viveva  prima  di  Gesù  Cristo, 
peccato  d'ommissione  che  più  sotto  dichiarerà  con  dire  :  Non  per  far, 
ma  per  non  fare  ho  perduto. 

6  Che  crede  e  no  ecc.  Tutti  atti  parte  interni  parte  esterni  di  chi 
si  maraviglia  grandemente. 

7  E  poi  chinò  le  ciglia.  Non  è  più  la  confidenza  famigliare  pel  suo 
concittadino,  che  domina  il  cuor  di  Bordello,  ma  la  riverenza. 

8  E  umilmente  ritornò  ecc.  Bordello  dopo  le  prime  accoglienze  si 
era  tratto  indietro  (Sor del  si  tratte),  e  questo  è  Tatto  delle  persone 
civili  quando  parlano  tra  loro,  che  non  si  stringono  a'  panni,  come 
fanno  le  persone  ineducate.  Ora  Sordello  si  ravvicina  di  nuovo  a 
Virgilio,  ma  umilmente,  perchè  è  compreso  da  riverenza  per  la  per- 
sona, che  ornai  conosce.  Che  passaggi  e  che  naturai 


CANTO  VII.  167 

E  abbracciollo  ove  il  minor  e' appiglia.  9 
O  gloria  de'  Latin,  disse,  per  cui 
Mostrò  ciò  ohe  potea  la  lingua  nostra:  i0 
O  pregio  eterno  del  loco,  ond'io  fui, 
Qual  merito  o  qual  grazia  mi  ti  mostra?  M 
20.        S'io  eoa  d'udir  le  tue  parole  degno, 

Dimmi  se  vien  d'Inferno,  o  di  qual  chiostra.  n 

9  E  abbraoùioilo  ove  ec.  Alle  ginocchia  genuflettendosi  a  lui,  quasi 
chiedendogli  scusa  della  troppa  libertà  di  prima,  e  subito  levandosi. 

«o  Mostrò  dò  che  poiea  eoe  Quando  una  bagna  è  atta  a  can- 
tare un  poema,  ed  a  sostenerlo  in  tutta  tatua  dignità,  allora  quella 
lingua  deve  aver  raggiunto  U  suo  massimo  grado  di  perfeatoue.  Vir- 
gilio mostrò  questo  vanto  della  lingua  latina  nel  suo  grandioso  poema. 
Bordello  chiama  lingua  nostra  la  lingua  latina,  e  perchè  sarà  sem- 
pre nostra  quantunque  morta,  e  perchè  è  la  base  della  italiana,  si 
che  a  saper  ben  questa  è  necessaria  quella,  e  perone  finalmente  (e 
questa  è  la  principal  ragione)  ai  tempi  di  Bordello  ogni  cosa  di  qual- 
che importanza  la  si  scriveva  in  latino,  come  anche  nello  stesso  tre- 
cento l'epistolario  degli  uomini  colti  era  in  latino.  Per  questa  ragione 
sappiamo  che  Dante  non  pensava  dapprima  di  scrivere  il  suo  poema 
in  volgare,  ma  lo  cominciò  in  latino,  e  sol  quando  dietro  un  grande 
studio  del  volgare,  conobbe  di  poterlo  scrivere  in  esso,  lasciò  il  la- 
tino e  s'appigliò  al  volgare. 

"  Qual  merito  ecc.  Fa  veramente  sulle  prime  qualche  maraviglia 
che  un'anima  santa  del  Purgatorio  tratti  con  tanta  riverenza  Vir- 
gilio, di  cui  per  quanto  pensasse  bene,  non  potea  formarsi  concetto 
che  fosse  delle  anime  purganti  e  molto  meno  beate.  Bla  dee  cessare 
ogni  maraviglia  quando  si  pensi  ch«  Bordello  vedeva  certo  in  Vir- 
gilio un'anima  da  Dio  privilegiata  cotanto  da  trovarsi  in  quel  luogo 
colle  anime  elette.  Questo  bastava  per;  un'anima  santa  e  conformata 
perfettamente  ai  voleri  di  Dio,  .perchè  riverisse  colui,  qual  che  si  fosse, 
in  cui  splendeva  tanta  grazia  divina. 

*2  Dimmi  se  vien  d'Inferno  ece.  La  prima  idea  che  dovea  correre 
alla  niente  di  Bordello  dovea  essere  che  Virgilio  ai  trovasse  tra  le 
anime  d'Intono,  e  perciò  questa  è  la  prima  cosa  che  gli  domanda. 
Siccome  poi  l'abisso  delle  misericordie  di  Dio  .è  seni»  confine,  come 
sapeva  a  prova  Bordello  stesso,  perciò  gli  chiede  subito  appresso  se 
venga  d'altro  luogo,  che  Interno  non  sia,  ma  che  non  osa  determinare, 


168  PURGATORIO 

Per  tutti  i  cerchi  del  dolente  regno,  " 
Rispose  lui»  son  io  di  qua  Tenuto: 
Virtù  del  ciel  mi  mosse,  e  con  lei  vegno. 

Non  per  far,  ma  per  non  fare,  ho  perduto  '* 
Di  veder  l'alto  Sol,  che  tu  desiri,  " 
E  che  fu  tardi  da  me  conosciuto  M 

Luogo  è  laggiù  non  tristo  da  martiri,  f7 
Ma  di  tenebre  solo,  ove  i  lamenti  ,8 
Non  suonan  come  guai,  ma  son  sospiri. 


30. 


perchè  le  anime  purganti  non  tonno  le  ihlperscrutabili  dispoeisioni 
di  Dio  su  questa  o  quell'anima  del  paganesimo,  non  essendo  ancora 
ammesse  atta  vista  di  Dio  dove  tali  disposieioni  conosceranno.  Leggi 
o  di  qual  okiatira,  e  non  e  di  qual  catastiti. 

"  Per  tutti  i  eereki  eec.  Virgilio  era  dal  primo  cerchio  d'Infamo. 
Ma  avanti  di  arrivare  al  primo  cerchio  movendo  dalla  superficie  della 
terra  sotto  Gerusalemme,  si  trovava  quell'atrio  immenso  della  pro- 
fondità di  miglia  8160,  come  abbiamo  notato  a  suo  luogo,  dove  erano 
dannate  le  anime  innumerabili  di  coloro  che  non  fecero  al  mondo  uè 
ben  nò  male.  Avendo  dunque  Virgilio  levato  Dante  da  Gerusalemme 
lo  avea  condotto  per  tutti  i  luoghi  d'Inforno,  anche  per  l'atrio  donde 
Virgilio  non  era,  e  perciò  qui  dice  d'esser  venuto  per  tutti  i  cer- 
chi, ossia  per  tutti  i  luoghi,  indicando  cosi  di  esser  partito  dalla 
superficie  della  terra  com'era  di  fatto  :  e  con  ciò  non  gli  diceva  punto 
di  che  luogo  egli  fosse.  Questo  glielo  dirà  dopo. 

t*  Non  per  far  ecc.  Non  per  colpe  di  commissione,  ma  per  quelle 
di  ommissione. 

i*Di  veder  l'alio  Sol  ecc.  Ho  perduto  la  mia  eterna  felicità,  la 
quale  consiste  nella  vision  beatifica  di  Dio.  La  beatitudine  della  mente 
passa  al  cuore.  Questa  è  pur  la  sentenza  di  8.  Tomaso. 

i&  E  ohe  fu  tardi  ecc.  Cioè  lo  conobbe  quando  Gesù  Cristo  appena 
morto  discese  al  Limbo  dov'era  pure  Virgilio,  il  quale  disse  nel  C.  IV 
dell'  Inferno  :  Quando  ci  vidi  venire  un  Ponente, — Con  eegno  di  vitto- 
ri* incoronato.  Ma  allora  ornai  era  un  conoscerlo  troppo  tardi. 

"  Luogo  è  laggiù  ecc.  Non  attristato  da  martiri!,  ma  solo  attristato 
dalle  tenebre,  quanto  ai  tormenti  esteriori.  Si  allude  a  quel  verso: 
Ch'emUperio  di  tenebre  vincia.  In/.,  C.  IV. 

ti  Ove  i  lamenti  —  Non  suonan.  Lamenti  ne  fiumò  tanto  i  veri 
dannati   quanto  le  anime  del  Limbo,  perchè  si  gli  uni  che  gli  altri 


CANTO  VII,  169 

Quivi  sto  io  co'  parvoli  innocenti,  *• 
Dai  denti  morsi  della  morte,  avante 
Che  fosser  dell'umana  colpa  esenti. 

Quivi  sto  io  con  quei  che  le  tre  sante 
Virtù  non  si  vestirò,  e  senza  vizio 
Conobber  l'altre,  e  seguir  tutte  quanto. 

Ma  se  tu  sai,  e  puoi,  alcuno  indizio 

• 

hanno  la  pena  del  danno,  ossia  l'allontanamento  eterno  da  Dio.  Ma 
i  veri  dannati  oltre  la  pena  del  danno  sono  anche  colpiti  dalla  pena 
del  senso  per  atroci  tormenti  del  corpo;  ondei  loro  lamenti  sono  guai; 
e  questa  è  quella  pena  di  coi  sono  fibere  le  ànime  del  Limbo,  le  quali 
non  sentono  che  un  cruccio  interno  per  la  privazione  eterna  di  Dìo^ 
al  quale  sospirano  continuamente  coDa  certeasa  di  non  raggiungerlo 
mai,  e  quindi  i  loro  lamenti  non  suonano  che  sospiri  Si  allude  a  quei 
veni  (la/.  C.  IV)  : 

Quìtì,  secondo  che  per  ascoltare, 
Non  avea  pianto  ma*  che  di  sospiri, 
Che  l'aura  eterna  facevan  tremare. 

19  Qutof  Ho  io  cu* parvoli  ecc.  Dante  fa  due  riparti  del  Limbo,  uno 
pei  fanciulli  morti  col  solo  peccato  originale,  e  questo  è  il  riparto 
che  nomina  in  questa  tersine.  Di  queBto  riparto  avea  parlato  neU'  Jw- 
forno,  C.  IV  : 

E  ciò  avyenia  di  dnol  senza  martiri 
Ch'avean  le  turbe  ch'eran  molte  e  grandi 
£  d*  infanti. 

L'altro  riparto  più  cospicuo  direi  del  primo  era  riserbato  pegli 
adulti,  che  non  ebbero  le  tre  virtù  teologali,  che  si  ricevono  nell'atto 
che  vien  cancellato  il  peccato  originale,  o  pel  sacramento  del  battesimo 
dopo  Gesù  Cristo  o  per  appartenere  alla  vera  religione  prima  di  Gesù 
Cristo.  Non  avendo  però  le  tre  virtù  teologali  necessarie  a  salute,  che 
sono  fede,  speranza  e  carità,  questi  adulti  conobbero  e  praticarono  tutte 
le  altre  virtù  morali ,  senza  aver  commesso  colpe  gravi  e  positive 
contro  di  esse.  Di  tali  adulti  parla  nella  terzina  seguente  e  cosi  ac- 
cenna a  quel  che  avea  detto  nelP  !#>/.,  C.  IV,  in  seguito  all'ultimo 
testo  citato  :  e  dì  femmine  e  di  viri. 


ÌÌO  PURGATORIO 

Dà  noi,  perchè  venir  possiam  più  tosto  *° 
Là  dove  il  Purgatorio  ha  dritto  inizio.  " 
40.     Rispose:  Luogo  certo  non  c'è  posto:  ** 
Licito  m'è  andar  suso,  ed  intorno:  * 
Per  quanto  ir  posso  a  guida  mi  t'accosto.  u 

*o  Perchè  venir  possiam  più  tosto.  Virgilio,  come  abbiadi  sempre 
veduto,  non  vuol  mai  perder  briciolo  di  tempo ,  e  cerca  di  rare  il 
suo  viaggio  più  speditamente  che  può.  Perciò  la  strada  che  tiene  è 
sempre  la  continuajrione  della  iettai  che  prese  dapprima  al  salir  della 
roccia,  meno  quella  piccola  deviasene  per  recarsi  al  petvone,  come 
fu  detto.  Notate  che  Virgilo  dice:  dà  noi,  parlandoci,  di  sé  e  di  Dante. 
ma  Bordello  non  fa  conto  che  di  Virgilio,  avendo  già  dimenticato 
Dante  per  soverchia  ammirazione  di  Virgilio. 

*i  Là  dove  il  Purgatorio  ecc.  Sin  qui  e  un  miglio  ancora  di  so- 
pra, non  è  vero  Purgatorio,  ma  atrio  del  Purgatorio,  sebbene  già 
ci  troviamo  quasi  in  fine  della  montagna.  Vedi  il  mio  Disegno  e  lascia 
stare  gli  altri  che  sono  tutti  fallati. 

**  Luogo  certo  non  c'è  posto.  Perchè?  Perchè  questi  erano  gli  ul- 
timi procrastinanti,  e  tra  loro  e  il  vero  Purgatorio  di  aopra  non  se 
ne  trovavano  altri,  onde  quella  fascia  di  monte  era  tutta  per  loro. 
Abbiamo  già  sempre  veduto  che,  secondo  il  sistema  di  Dante,  dove 
sta  una  sorta  di  peccatori  non  ce  ne  deve  stare  un'altra. 

is  Licito  m'è  andar  muso  ed  intorno.  Non  dice  giù,  perchè  Bordello 
procrastinante  per  attacco  ad  ingrandimenti  si  sarebbe  confuso  coi 
procrastinanti  per  accidia,  e  morti  violentemente;  il  che  è  contrario 
al  sistema  del  nostro  poeta  che  tiene  divise  e  separate  le  specie  dei 
peccatori.  Dice  suso  ed  intorno  perchè,  come  fu  detto,  non  c'era  pe- 
ricolo di  mischiarsi  con  altri. 

**  Per  quanto  ir  posso  eco.  Sarebbe  stato  un  solo  miglio  di  sa- 
lita pel  quale  8ordello  gli  avrebbe  potuto  accompagnare  quanto  c'era 
da  quel  punto  all'ingresso  del  Purgatorio.  Vedi  il  mio  Disegno,  Tav.  II, 
all'altezza  di  miglia  91.  Notate  mi  t'accosto,  il  che  fa  vedere,  ohe  Sor- 
delio  non  parlava  che  a  Virgilio,  e  non  iacea  conto  che  di  lui  solo. 
Dante  era  divenuto  per  Bordello  una  persona  di  nessuna  importanza. 
Verrà  tempo  che  conoscerà  il  suo  errore  :  e  noi  intanto  ammiriamo 
l'arte  del  poeta,  che  sa  cosi  prepararci  scene  sempre  belle  e  sempre 
nuove,  facendosi  anche  trascurare  per  un  momento  da  chi  è  troppo 
rapito  verso  tal  personaggio,  che  tutto  assorbe.  Un  luogo  simile  a 
questo  lo  abbiamo  nel  C.  IV  dell  Inferno,  dove  i  gran  Savi  facevano 


CANTO  VII.  171 

Ma  Tedi  già  eome  dichina  il  giorno,  ** 
E  andar  su  di  notte  non  si  puote  ;  *c 
Perir  è  buon  pensar  di  bel  soggiorno.  * 
sono  a  destra  qua  remote:  * 


onorifiche  aceoghense  a  Virgilio  senza  curarsi  di  Dante  ;  ma  poi  in- 
fermati secretamente  da  Virgilio  sui  meriti  di  Dante,  fecero  anche  a 
lai  onorifico  accoglimento. 

*  Come  diekina  il  giorno.  Nel  Canto  precedente,  nota  37  e  38, 
abbiamo  fatto  osservare,  che  allora  si  accennava  alle  ore  4  potneri- 
<Saae»  PWr  le  cose  avvenute  d'allora  in  poi ,  e  per  quello  che  qui 
si  dice,  e  pel  tramonto  che  ci  sta  vicino,  si  conchinde  Torà  presente, 
la  quale  non  può  esser  che  le  5  pom.,  vale  a  dire  25  mimiti  prima 
del  traaMmto,  il  quale,  nel  giorno  in  cui  siamo  10  Aprile  ma  volto 
ài  9  Ottobre,  per  esser  noi  divenuti  antipodi,  accade  alle  5.25. 

**  E  mudar  tu  di  notte  ecc.  Perchè  qui  di  notte  non  si  può  salire  ? 
Perchè  un  solo  miglio  di  sopra  c'è  la  porta  del  Purgatorio,  dove  stasai 
rangdo  portinaio,  innanzi  al  quale  si  dee  comparire  di  giorno  e  non 
di  Botte,  essendo  le  tenebre  indegne  dell'angelo  di  Paradiso,  che  è 
angelo  di  luce.  Perciò  convenientemente  è  stato  disposto  dal  poeta 
che  la  notte  sia  d'  impedimento  a  salire.  Adunque  per  presentarsi  a 
un  angelo  di  Paradiso  si  esige  la  luce  del  giorno,  come  si  esige  la 
pulitezza  della  meda  e  della  persona,  deDe  quafi  esigenze  Dante  avea 
parlato  nel  Canto  I  dal  Purg.  dove  Catone  ordinò  cosi  : 

Va  dunque,  e  fa  che  tu  costui  rirìnga 
D'un  giunco  schietto,  e  che  gli  lavi  il  viso, 
Si  ch'ogni  fuccklfune  quindi  stinga: 

Che  non  si  converria  l'occhio  sorpriso 
D'alcuna  nebbia  andar  dinanzi  al  primo 
Ministro,  ch'è  di  quei  di  Paradiso. 

Aggiungete  ancora  che  se  per  andar  all'Inferno  fu  bene  scelta  l'ora 
delie  tenebre,  per  ragion  dei  contrari  per  andate  al  vero  Purgatorio 
e  ad  un  angelo  santo,  bisognava  scegliere  l'ora  della  luce. 

*i  Però  è  buon  ecc.  Non  potendo  proseguire  il  viaggio,  bisogna  pen- 
sare al  modo  di  passar  qui  la  notte  alla  meglio. 

*ft  Anime  tono  a  destra.  Dal  lato  di  mezzogiorno.  Vedi  il  mio  Di* 
segno  Tav.  II,  a  miglia  91  di  altezza.  —  Qua  remote.  Qua  appartate. 
La  voce  remote  non  indica  lontane,  ma  appartate,  ritirate. 


/ 


172  PURGATORIO 

Se  '1  mi  consenti,  menerotti  ad  esse,  ** 
E  non  senea  diletto  ti  fien  note.  *° 

Com'è  ciò?  fa  risposto:  ohi  volesse 
50  Salir  di  notte,  fora  egli  impedito 

D'altrui?  ovver  saria  che  non  potesse?  M 

E  il  buon  Sordello  in  terra  fregò  '1  dito  s* 

*9  Menerotti  ad  e8$e.  Parla  di  Virgilio  come  fosse  solo.  £  il  povero 
Dante  è  là  come  non  ci  fosse.  Egli  però  è  in  qualche  pena  pel  avo  isola- 
mento, e  tosto  vedremo  che  s'argomenterà  d'esser  contato  anch'egli. 
Quant'arte  non  c'è  dentro  in  questa  distrazione  messa  m  8ordeUo  1 

so  Com'è  ciò  f  fu  risposto.  Chi  disse  queste  parole  T  queste  le 
disse  Dante,  che  seguiva  le  due  ombre,  e  che  aveva  voglia  d'esser 
carato  da  Sordello  un  poco  più  di  quel  che  era,  e  che  cercava  cosi 
aprirsi  la  strada  perchè  Sordello  degnasse  anche  lui  de'  suoi  sguardi 
e  delle  sue  parole.  È  questo  un  pensiero  delicatissimo  e  finissimo  del 
poeta,  che  lavora  le  cose  di  natura  con  tanta  arte,  che  quasi  non 
ce  ne  accorgiamo.  E  di  fatti  credo  che  nessuno  finora  se  ne  sia  ac- 
corto, perchè  tutti  dicono  che  queste  parole  son  di  Virgilio.  Baie. 

**  iy altrui?  ovver  ecc.  C'è  qualcuno  che  impedisce  la  salita  di  not- 
te, o  è  una  impotenza  che  sente  in  sé  stesso  ohi  vuoi  salire  ?  Que- 
st'ultima ragione  era  la  vera. 

**  E  il  buon  Bordello.  L'epiteto  di  buono  sta  molto  bene  allogato 
in  questa  risposta,  che  Sordello  si  degna  finalmente  di  fare  a  Dante, 
ancora  da  lui  trascurato.  Queste  sono  gemme  della  poesia,  ma  gem- 
me alquanto  nascoste  che  paiono  però  subito  che  si  fanno  vedere. 
In  terra  fregò  H  dito.  L'artifizio  poetico  tiene  qui  dell'immenso. 
Dante  anche  nell'atto  di  farsi  rispondere  da  Sordello  trovò  modo  di 
farglielo  fare  sema  attaccarlo  al  suo  nuovo  interlocutore,  pur  deside- 
roso delle  occhiate  di  Sordello.  Dante  non  potè  esser  si  fortunato 
da  ottenerle.  Sordello  gli  rispose  ma  volto  altrove ,  cioè  alla  terra, 
dove  gli  faceva  la  risposta.  Povero  Dante  t  Ma  intanto  che  bella  poe- 
sia inarrivabile  !  Che  amor  cittadino  unito  a  riverenza  in  questo  Sor- 
delio,  che  di  due,  che  ha  presenti,  non  vede  altro  che  un  solo,  il  suo 
Virgilio!  La  natura  non  diede  mai  combinazioni  cosi  naturali,  come 
è  questa  creata  dall'arte.  Eppure  se  Sordello  avesse  posto  gli  occhi 
su  Dante,  avrebbe  scoperto  una  maraviglia  più  grande  ancora  che 
il  suo  Virgilio,  perchè  avrebbe  veduto  che  egli  era  vivo. 

Dopo  il  sol  partito  va  inteso  dopo  i  crepuscoli  o  al  termine  di 
essi,  quando  comincia  la  notte. 


CANTO  VII.  173 

Dicendo:  Vedi,  sola  questa  riga 
Non  varcheresti  dopo  il  sol  partito. 

Non  però  ch'altra  cosa  desse  briga, 83 
Che  la  notturna  tenebra  ad  ir  suso: 
Quella  col  non  poter  la  voglia  intriga. 

Ben  si  porìa  con  lei  tornare  in  giuso,  54 
E  passeggiar  la  costa  intorno  errando, 
60.         Mentre  che  l'orizzonte  il  dì  tien  chiuso. 

33  Non  però  ch'alita  cosa  ecc.  Bìs)K>nde  alla  prima  parte  della  di- 
manda detta  sopra:  Fora  egli  impedito  —  D'altrui  t  Non  e'  è  né 
angelo,  né  nomo  ebe  impedisca,  ma  è  la  sola  tenebra  che  produce  in 
noi  l'effetto  dell'impotenza  a  salire,  e  così  risponde  alla  seconda  parte 
della  domanda:  onver  earia  che  (perchè)  non  potette  f  cioè,  data  la 
esistenza  delle  tenebre,  ne  segue  sabito  V  impotenza  delle  gambe  a 
salire,  non  ostante  la  voglia,  ebe  si  avrebbe  di  salire.  Un  esempio  del 
maraviglio*)  effetto  di  tali  tenebre  lo  troviamo  nell'Esodo,  dove  gli 
Egiziani  colti  dalle  tenebre  non  si  poterono  più  muovere  dal  luogo  dove 
erano.  Cosi  queste  cinta  di  tenebre  presso  la  porta  del  Purgatorio  ser- 
viva come  di  un  antemurale  di  difesa,  oltre  lo  scoglio  ebe  girava  in- 
torno e  Udiresti  personale  dell'angelo,  che  stava  sulla  porta  d'ingresso. 

3*  Ben  ti  paria  con  lei  ecc.  Intendi  cosi  :  non  in  giuso  dal  punto 
dove  allor  si  trovavano,  perchè  in  tal  caso  Bordello  sarebbe  disceso 
a  frammischiarsi  coi  procrastinanti  di  diversa  specie  già  veduti ,  il 
che  non  era  lecito  ;  ma  tornare  in  giuso  m  questo  senso,  cioè  che 
se  fossero  <jti  là  sediti  sino  al  termine  dei  crepuscoli,  colti  colasse  dalle 
tenebre  potevano  tornare  in  giuso  sino  alla  linea,  dove  allor  si  tro- 
vavano, e  passeggiar  intorno,  perchè  cosi  restavano  sempre  entro  i 
limiti  del  loro  riparto.  Vedi  il  mio  Disegno  Tav.  Il  a  91  miglia  di 
altezza.  Noi  vedremo  Dante  (C.  XVII)  nel  cerchio  degli  accidiosi, 
che  è  il  IV,  correr  di  notte  per  quel  cerchio  insieme  colle  anime,  per- 
chè quel  correre  orizzontalmente  non  era  salire  ;  è  il  salire  che  non 
può  effettuarsi  di  notte.  Ora  dimando  io  :  perchè  Dante  dispose  questo 
nel  suo  Purgatorio  ?  Rispondo  :  che  una  tale  disposizione  egli  Fha 
presa  dai  Vangelo  nell'ammonimento  che  Gesù  Cristo  diede  agli  apo- 
stoli dicendo:  Ambulate  àura  luoem  habetU  ne  ve*  tenebrae  com- 
prthendant;  e  dall'altre  parole  :  Venitnox  quando  nemo  poteet  epe- 
rari.  Ora  la  salita  pel  Purgatorio  è  un'opera  buona,  che  è  un'opera 
di  espiazione.  Dovea  dunque  farsi  di  giorno  e  non  di  notte. 


174  PURGATORIO 

Allora  il  mio  signor,  quasi  ammirando:  ** 
Menane,  disse,  dunque  là  've  dici  * 
Ch'aver  si  può  diletto  dimorando. 

Poco  allungati  c'eravam  di  liei,  M 

Quand'  io  m'accorsi  che  '1  monte  era  scemo  ** 
A  guisa  che  i  valloni  sceman  quici. 

Colà,  disse  quell'ombra,  n' and  eremo 
Dove  la  costa  fece  di  sé  grembo, 
E  quivi  il  nuovo  giorno  attenderemo. 
70.     Tra  erto  e  piano  era  un  sentiero  sghembo,  * 
Che  ne  condusse  in  fianco  della  lacca,  * 

• 

as  Quari  ammirando.  Quasi  facendo  un  segno  dì  maraviglia,  come 
chi  pretende  d'aver  trovata  la  soinsioao  d'una  cosa  ignota  per  altra 
nota,  che  allora  allora  gli  sovviene  alla  mente. 

Qual'era  la  cosa  nota  ohe  or  sovviene  alla  mante  di  Virgilio? 
Era  quella  che  sin  dal  primo  Canto  gli  avea  detta  Catone,  che  cioè 
bisognava  cinger  e  lavar  Dante  perchè  verrebbe  il  momento  di  pre- 
sentarlo ad  un  principe  del  Paradiso,  ad  un  Angelo.  Onde  egli,  che 
sapea  già  di  dover  esser  vicino  a  quest'Angelo,  combinava  la  con- 
venieuxa  del  composto  vestito  e  della  faccia  netta,  ordinata  da  Ca- 
tone, colla  convenienza  della  «luce  che  bisogava  certo  aspettare  per 
presentarsi  a  quest'Angelo;  e  cosi  fece  un  moto,  che  si  usa  fare  in 
tale  iucontro,  qual  sarebbe  il  dire:  Ahi  con  un  po'  di  esclatnaakme  e 
proluugamento. 

3fi  Menane.  Virgilio  sempre  parla  di  se  e  di  Dante  in  numero  più* 
rate,  ina  Sordcllo  è  sempre  fisso  nel  solo  Virgilio ,  che  per  Ini  era 
tutto,  e  intanto  addio  Dante. 

h  Poco  allungati.  Ecco  la  prova  che  la  voce  qua  remote  detta  di 
M>praf  non  suona  lontane,  ma  ritirate  ;  perchè  per  andare  ad  esse  eb- 
bero bisogno  di  far  poca  strada. 

3*  Che  il  monte  era  scemo.  Si  abbassava  il  terreno  formando  una 
valletta,  una  conca. 

&  Tra  erto  e  piano  era  un  dentiere  ecc.  Il  sentiero  che  condu- 
ceva  a  quella  valletta  aveva  dunque  due  direzioni,  una  tortuosa 
(sghembo),  l'altra  ascendente  e  discendente  (erto  e  piano),  appunto 
come  sono  i  viottoli  dei  monti. 

4°  In  fianco  della  lacca.  In  fianco  della  conca  o  valletta,  o  seno. 


CANTO  VII.  175 

Là  dove  più  ch'a  mezzo  muore  il  lembo.  " 

Oro  ed  argento  fino,  e  cocco  e  biacca,  " 
Indico  legno  lucido  e  sereno, 
Fresco  smeraldo  in  l'ora  che  si  fiacca,  " 

Dall'erba  e  dalli  fior  dentro  a  quel  seno  u 
Posti,  ciascun  saria  di  color  vinto, 
Come  dal  suo  maggiore  è  vinto  il  meno. 

Non  avea  pur  natura  ivi  dipinto,  " 
80.        Ma  di  soavità  di  mille  odori 

Vi  faceva  un  incognito  indistinto. 

Salve  Regina  in  sul  verde,  e  in  sui  fiori  *  . 

**  Là  dove  più  ch*a  messo  muore  il  lembo.  Cioè  il  qual  sentiero 
riusciva  sotto  alla  metà  dell'altezza  del  fiasco  che  serrava  la  valle. 
Vedi  la  valletta  od  il  sentiero  sghembo  nella  mia  Tav.  Il  Purg. 

AStQro  ed  argento  ecc.  Loda  prima  questa  amena  valletta  dai  suoi 
colori  ohe  servono  a  diletto  della  vista.  Questi  colori  fi  prende:  1.  dai 
metalli  (oro  ed  argento);  2.  dai  frutti  (cocco);  3.  dalla  chimica  (biacca); 
4.  dai  vegetabili  (Indico  legno);  6.  dalle  pietre  (smeraldo).  Dai  me- 
talli trae  il  giallo  ed  il  bianco  puro  (oro  ed  argento  fino);  dai  frutti 
trae  il  tosso  (ooeoo)\  dalla  chimica  trae  il  bianco  pallido  {biacca). 
dai  vegetabili  trae  rasaurro  più  bello  (indico  Ugno)}  dalle  pietre 
trae  il  verde  carico  (smeraldo).  Sicché  abbiamo  i  seguenti  colori  ac- 
colti in  quella  valletta:  giallo,  bianco,  rosso,  biancastro,  azzurro  e  verde. 
*3  Fresco  smeraldo  in  Vora  che  si  ecc.  Smeraldo  fresco,  cioè  appena 
tratto  di  miniera,  e  non  appannato  dal  lungo  uso. 

In  Vora  che  si  fiacca.  Di  quel  primo  vivo  colore,  che  ha  nel  mo- 
mento che  si  spessa,  momento  in  cui  tramanda  il  suo  più  bel  colore. 
u  Dall'erba  e  dalli  fior  ecc.  Sono  pur  belli  i  vari  colori  nominati 
di  sopra,  ma  sono  vinti  dai  colori  dell'erbe  e  dei  fiori  di  quella  val- 
letta, come  il  minore  è  vinto  dal  suo  maggiore  ossia  dal  suo  mag- 
giore della  stessa  specie. 
**  Non  avea  pur  natura  ecc.  Oltre  i  colori,  ohe  vi  avea  dipinto 
,  natura,  e  che  servivano  di  diletto  alla  vista,  vi  avea  anche  spano 
le  essenze  di  mille  odori. 

tf  Salve  Regina  eoe.  Il  poeta  aveva  detto  quella  valletta  allietata 
prima  da  bellissimi  colori  di  erbe  e  fiori,  poi  da  soavissimi  odori  delle 
erbe  e  dei  fiori  stessi,  ora  finalmente  la  dice  allietata  dal  dolce  canto 


17«  PURGATORIO 

Quindi  seder  cantando  anime  vidi  47 
Che  per  la  valle  non  parean  di  fuori.  ** 

Prima  che  il  poco  sole  ornai  s'annidi, 49 
Cominoiò  '1  Manto van,  che  ci  avea  volti, 
Tra  color  non  vogliate,  ch'io  vi  guidi. 

Da  questo  balzo  meglio  gli  atti  e  i  volti  w 
Conoscerete  voi  di  tutti  quanti, 
90.        Che  nella  lama  giù  tra  essi  accolti.  Sl 

delle  anime.  Il  canto  cbe  pone  loro  in  bocca,  è  quello  della  Salve  Re- 
gina, bellissima  e  patetica  orazion  della  Chiesa  a  Maria  SS.  che  si 
canta  dopo  dèi  vesperi,  qual'è  appunto  il  tempo  a  cui  ora  slam  giunti 
col  nostro  viaggio. 

Inoltre  il  poeta  sceglie  tra  tutte  le  antìfone  postvetperali  dett*amio 
questa  antifona  al  loro  canto,  per  le  continue  allusioni  che  hanno  i 
pensieri  di  si  bella  preghiera  alle  condizioni  di  quell'anime,  come 
si  può  vedere  andando  per  essa  di  versetto  ia  versetto,  e  perchè 
niun'altra  potrebbe  rispondere  al  loro  stato  si  perfettamente.  Si  eoa* 
frontino  però  tutte,  e  le  si  vedrà  alla  prova. 

In  sul  verde  e  in  ètti  fiori.  Dunque  quell'anime  eran  sedute 
sul  variopinto  smalto, 

47  Quindi,  Dal  luogo  dove  età,  cioè  dall'orlo  del  fianco  della  valle» 
che  è  poco  sotto  alla  metà  deU'ahessa  di  lei  e  dove  era  riuscita  al 
termine  di  quel  sentiere  sghembo  ed  erto  e  piano. 

48  Che  per  la  valle  non  parean  di  fuori.  Perchè  quell'anime  sta- 
vano sedute  quasi  nel  fondo  di  essa  valle,  onde  non  apparivano  a 
quei  di  fuori,  ma  per  vederle  bisognava  almeno  affacciarsi  a  quel  lembo 
dov'erano  saliti  i  poeti  . 

E  poi  evidente  che  quelle  anime  stavano  per  la  valle  dal  fianco 
opposto  a  quello  dove  attualmente  stavano  i  poeti ,  i  quali  cosi  le 
avevano  di  rimpetto. 

49  Prima  che  il  poco  sole  ecc.  Concedendo  10  minuti  (ehe  di  più 
non  occorre)  alla  risposta  di  Sordello  a  Dante,  ed  alla  giterella  alla 
valle,  mancherebbero  ancora  15  minuti  al  tramonto,  e  quindi  avremmo 
l'ora  delle  5.10  pomeridiane. 

so  Da  questo  balzo  ecc.  Perchè  cosi  gli  aveano  dirimpetto,  *  quasi 
al  medesimo  livello  di  altessa.  Da  questo  pure  si  conchiude  che  la 
valle  era  molto  ristretta. 

W.Che  nella  lama.  Che  nella  valle. 


CANTO  VII.  177 

Colui  che  più  sied'alto,  ed  ha  sembianti  M 
D'aver  negletto  ciò,  che  far  dovea, 
E  che  non  muove  bocca  agli  altrui  canti,  w 

Rodolfo  imperador  fu,  che  potea  Bi 

Sanar  le  piaghe,  ch'hanno  Italia  morta 
Sì,  che  tardi  per  altri  »i  ricrea.  w 

**  Colui  che  più  sied'alto.  Per  essere  imperatore,  e  quindi  supe- 
riore a  tutti  gli  altri  in  autorità. 

Ed  ha  sembianti  —  D'aver  negletto  ecc.  Intende  che  egli  trascurò 
di  calare  in  Italia  a  ricomporvi  l'ordine  come  era  suo  dovere,  in 
quanto  era  imperatore  del  sacro  romano  impero,  istituito  per  assi- 
curare il  buon  reggirae  di  tutti  i  popoli  cristiani,  e  massime  per  di- 
fendere i  diritti  della  Romana  Chiesa.  Or  quali  erano  questi  sembianti 
da  cui  si  raccoglievano  le  sue  mancanze?  Non  poteano  essere  che 
un'aria  melanconica  ed  un  evidente  dolor  del  suo  volto. 

M  E  che.  non  muove  bocca  ecc.  Un  dolore  veramente  profondo  non 
ha  alcuno  sfogo,  e  perciò  nemmeno  quello  del  canto. 

«4  Rodolfo  imperador  ecc.  Figlio  di  Alberto  conte  d'A&bourg,  ca- 
stello posto  tra  Basilea  e  Zurigo.  Fu  eletto  imperadore  nel  mese  di  Ot- 
tobre 1273,  e  tal  mori  nel  30  Settembre  1291.  E  falso  quel  che  si  disse, 
che  uon  volesse  andare  a  Roma  a  prendervi  la  corona  imperiale.  Egli 
solamente  tardò  a  manifestare  la  risoluzione  di  andarvi.  Nel  1285 
Ferisse  a  papa  Onorio  IV,  perchè  il  papa  gli  assegnasse  un  giorno 
por  essere  in  Roma  a  prendervi  la  corona  ;  e  Onorio  Tanno  appresso 
gli  assegnò  il  giorno  della  Purificazione  del  1287.  È  vero  che  non 
ebbe  luogo;  onde  abbiamo  una  lettera  di  Rodolfo  del  1289  a  papa 
Nicolò  IV,  in  cui  lo  avvisava  che  era  per  muoversi  e  recarsi  per  la 
incoronazione,  la  qcale  aborti  anche  questa  volta,  perchè  intanto  fu 
rapito  dalla  morte.  Ma  il  vedere  l'imperatore  Rodolfo  sempre  in  buone 
relazioni  colla  Santa  Sede,  fa  ritenere  che  il  suo  allontanamento  d'Ita- 
lia e  da  Roma,  era  effetto  di  reali  impedimenti  e  non  di  alienazione 
da  Roma. 

Che  potea  sanar  le  piaghe  ecc.  Questo  da  una  parte  fa  grande 
onore  all'  imperatore  Rodolfo,  perchè  vuol  dir  che  il  poeta  lo  tenea 
uomo  da  ciò.  Egli  fu  infatti  un  degno  imperatore  Ma  il  poeta  volea 
vederne  i  frutti  in  Italia.  Le  piaghe  erano  lo  fazioni  ed  i  tiranni. 

^  Tardi  per  altri  si  ricrea.  Intende  d'Arrigo  di  Luccmburgo  im- 
peratore successo  ad  Alberto,  e  che  nel  1310  discese  in  Italia,  ma 
senza  buon  effetto. 

12 


178  PURGATORIO 

L'altro,  che  nella  vista  lui  conforta,  b6 
Resse  la  terra  dove  l'acqua  nasce,  *7 
Che  Molta  in  Albia,  ed  Albia  in  mar  ne  porta. 
100.    O tlachero  ebbe  nome,  e  nelle  fasce  58 

Fu  meglio  assai  che  Vincislao  suo  figlio 
Barbuto,  cui  lussuria  ed  ozio  pasce. 

E  quel  Nasetto,  che  stretto  a  consiglio  59 
Par  con  colui  ch'ha  sì  benigno  aspetto,  60 
Morì  fuggendo,  e  disfiorando  il  giglio  : 61 


^  Nella  vitta  lui  conforta.  A  vederlo  si  capisce,  che  egli  è  in  atto 
di  confortar  l'imperator  Rodolfo.  Questo  è  un  frizzo  contro  Rodolfo 
stesso.  Si  sa  che  Rodolfo  vinse  Ottaehero  nella  battaglia  di  Vienna, 
dove  Ottaehero  perdette  la  vita.  I  conforti  dunque  di  Ottaehero  sono 
piuttosto  una  graziosa  beffa,  quasi  gli  dica:  Porta  un  po' di  pazienza 
anche  pel  male  che  hai  fatto  a  me,  togliendomi  la  mia  Austria. 

s?  Resst  la  Urrà  ecc.  Resse  la  Boemia,  fu  re  di  Boemia.  Era  anche 
re  d'Austria,  ma  la  perdette  nella  battaglia  contro  Rodolfo,  che  d'indi 
in  poi  la  tramandò  ai  posteri.  Nella  Boemia  nasco  quell'acqua,  che 
va  a  formare  il  fiume  Moldava  (Molta),  il  quale  va  nell'Elba  (Albia), 
e  l'Elba  nel  mar  del  Nord  sotto  la  Danimarca. 

s8  Nelle  fasce  —  Fu  meglio  ecc.  Da  giovane  imberbe  fu  assai  mi- 
gliore del  figlio  Venccslao  già  adulto.  Anche  per  la  Boemia,  come 
prima  per  l'Austria,  havvi  la  sua  satiietta. 

sa  E  quel  Nasetto.  Filippo  III  io  di  Francia,  figlio  di  San  Luigi  e. 
padre  di  Filippo  il  Bello,  detto  Nasetto  dal  piccolo  naso;  quel  desso, 
che  per  calunnia  della  Regina  Maria  di  Brabante  sua  seconda  moglie, 
fece  impiccare  Pier  della  Broccia.  Vedi  Purg.,  C.  VI,  u.  10. 

<#  Par  con  colui  ch'ha  ecc.  Apparisce  stretto  in  colloquio  con  Ar- 
rigo III  il  Grasso,  re  di  Navarra,  che  diede  sua  figlia  Giovanna  in 
moglie  a  Filippo  il  Bello. 

61  Morì  fuggendo,  e  dUjiorando  il  giglio.  Nella  guerra  ch'ebbe 
contro  Pietro  III  re  d'Aragona,  mossagli  per  vendicarsi  dei  V'esperì 
Siciliani  del  1282  cagionati  dagli  eccitamenti  di  Pietro.  Ma  dovette 
fuggire,  e  giunto  a  Perpignano  morì.  Il  giglio  era  lo  stemma  dei  rcaÙ 
di  Francia.  Si  dice  che  il  giglio  si  disfiora  quando  si  perdono  le  bat- 
taglie, e  in  un  con  esse  le  bandiere  dei  gigli,  che  cadono  in  mano 
del  vincitore. 


CASTO  VII.  1*3 

Guardate  là  come  si  batte  il  petto.  w 

L'altro  vedete,  eh'  ba  fatto  alla  guancia  63 
Della  sua  palma,  sospirando,  letto. 

Padre  e  suocero  son  del  Mal  di  Francia  :  64 


6*  Come  si  batte  il  petto.  Il  Nasetto ,  ossia  Filippo  III  l'Ardito. 
Acceooa  così  al  suo  pentimento  d'attacco  agli  ingrandimenti,  e  mas- 
sime dell'ingiusta  morte  di  Pier  della  Broccia. 

63  L'altre  vedete  ecc.  Arrigo  III  detto  di  sopra,  che  sta  in  quel- 
T  attitudine  melanconica,  e  per  lo  stesso  attacco  agli  ingrandimenti, 
che  è  il  peccato  comune  di  tatti  questi,  ed  anche  pel  dispiacere  d'aver 
dato  sua  figlia  ad  un  empio,  qual  fu  Filippo  il  Bello. 

6*  Padre  e  suocero  ecc.  Padre  e  suocero  di  Filippo  il  Bello  re  di  Fran- 
cia, ambizioso,  empio,  avaro  ed  ipocrita,  e  perciò  una  vera  disgrazia 
per  la  Francia,  ed  aggiungo  anche  per  l'Italia,  e  più  per  la  Chiesa. 
Egli  usurpò  le  decime  in  Francia,  processò,  calunniò  e  distrusse  l'Or- 
dine dei  Templari,  invadendone  le  immense  ricchezze,  aggravò  il  po- 
polo di  tributi  soperchi,  battè  monete  false,  rinnovandole  per  gua- 
dagno continuamente:  affettò  protezion  della  Chiesa,  mentre  n'era 
persecutore,  fìnse  docilità  ai  giusti  rimproveri  di  papa  Bonifacio  Vili, 
e  fece  di  tutto  per  disgustarlo  ed  offenderlo  :  fu  scomunicato  dal  detto 
Bouifacio,  e  si  vendicò  col  tradimento  e  con  la  guerra  a  questo  grande 
Pontefice,  che  morì  vittima  delle  sue  vessazioni:  fu  ad  un  pelo  che 
la  Chiesa  pct  opera  sua  subisse  uno  scisma  fatale,  perchè  fece  di  tutto 
por  accusare,  condannare  e  deporre  il  legittimo  pontefice,  qual  pon- 
tefice intruso.  Gli  fu  perdonato  da  Benedetto  XI  successore  di  Bo- 
nifacio, ed  egli,  invece  di  mostrarsene  pentito  e  grato,  si  ha  fondato 
timore  da  credere  che  abbia  fatto  morir  di  veleno  questo  santo  pon- 
tefice ;  e  quello  scisma  che  non  potè  effettuare  sotto  Bonifacio.  Vili 
cercò  almeno  di  prepararlo  sotto  Clemente  V,  successore  di  Bene- 
dotto,  obbligandolo  a  risiedere  in  Franca,  e  dando  principio  alla 
schiavitù  settantenne  dei  papi  in  Avignone,  schiavitù  che  andò  a 
parare  in  uno  scismi  terribile  di  tre  papi  nella  Chiesa.  Oltre  questi 
mali,  egli  era  il  primo  e  più  astuto  intrigante  in  Italia,  dove  voleva 
sempre  far  prevalere  la  sua  influenza,  che  riuscì  sempre  funesta. 
Questo  emolo,  dirò  cosi,  dei  veri  imperatori  romani,  vedeva  a  mal 
in  cuore  che  l'autorità  imperiale  fosse  passata  di  Francia  in  Germa- 
nia: di  qui  la  sua  animosità  contro  gli  imperadorì;  di  qui  forse  i 
riguardi  di  Rodolfo  e  di  Alberto  per  non  discendere  in  Italia;  di  qui 
l'avversione  di  Dante  a  Filippo.  Io  convengo  pienamente  col  poeta. 


180  PURGATORIO 

119.       Sanno  la  vita  sua  viziata  e  lorda, 

E  quindi  viene  il  duol,  che  sì  gli  lancia. 
Quel  che  par  sì  membruto,  e  che  Raccorda  °5 
Cantando  con  colui  dal  maschio  naso,  w 
D'ogni  valor  portò  cinta  la  corda.  tì7 

il  quale  merita  lode  di  gran  coraggio  porche  scrivea  contro  di  lui, 
e  parlava  di  lui  si  amaramente  mentre  Filippo  vivca,  e  mentre  il 
poeta  era  agli  studi  di  Parigi  nel  1310.  Egli  regnò  dal  1285  al  1313. 
Il  poeta  chiama  Filippo  il  Bello  il  Mal,  o  il  M»Io  per  antono- 
masia, come  nel  Canto  V,  v.  112  di  questa  Cantica,  parlando  del  de- 
monio lo  disse:  Quel  Ma',  sincopato  di  Malo.  Il  Mal  applicato  a  Fi- 
lippo è  una  conferma  del  Afa'  applicato  al  demonio. 

65  Quel  che  par  ecc.  Appar  si  membruto.  Pietro  III  re  d'Aragona, 
uomo  di  forme  colossali,  marito  di  Costanza  figlia  di  Manftedi,  già 
re  di  Napoli  e  di  Sicilia. 

66  Cantando.  Già  abbiam  veduto  sino  dal  principio  alcuni  di  qucsf  i 
principi  cantare,  e  alcani  non  cantare,  e  questo  si  fa  per  dar  varietà 
al  quadro.  Naturalmente  poi  egli  fa  cautare  chi  avea  più  ragione  di 
farlo,  come  per  es.  i  più  fortunati  o  i  più  virtuosi.  Notate  un'altra 
cosa,  che  ad  ogni  personaggio  che  si  nomina,  vi  ha  direttamente  o 
indirettamente  la  sua  satiretta,  in  so,  o  nei  figli,  o  nei  parenti,  o 
anche  nei  conoscenti;  per  cui  la  poesia  si  fa  ricca  e  spiritosa. 

Colui  dal  maschio  naso.  Carlo  I  d'Angiò  fratello  del  re  S.  Luig», 
quegli  che  vinse  Manfredi  a  Benevento,  ed  ottenne  da  Urbano  IV 
rinvestitura  del  regno  di  Napoli  e  di  Sicilia.  Vedi  Canto  III,  n.  62. 
Stettero  i  Francesi  in  Sicilia  sino  all'epoca  dei  famosi  Vespe  ri  Sici- 
liani (1282)  subentrandone  al  possesso  Pietro  III  anzidetto,  rimasto 
Carlo  I  d'Angiò  re  della  sola  Puglia,  sino  al  1285,  epoca  della  sua 
morte,  al  quale  successe  colà  Carlo  Novello  o  il  II,  non  già  subito, 
perchè  era  prigioniero  di  Pietro  III,  ma  solo  nel  1299  dopo  che  fu 
messo  in  libertà.  Carlo  d'Angiò  era  di  naso  badiale.  In  sostnnza  Pie- 
tro III  e  Carlo  d'Angiò  erano  stati  due  rivali  entrambi  fortunati,  il 
primo,  per  essere  entrato  al  possesso  della  Sicilia ,  a  cui  agognava,  il 
secondo  per  essergli  toccata  la  Puglia;  perciò  si  fanno  cantare  insieme. 
61  D'ogni  valor  ree.  Lo  mostrò  massimamente  nella  guerra  contro 
Filippo  III  accennata  di  sopra,  nota  61. 

Cinta  la  corda.  Siccome  il  valore  si  mostra  nella  spada,  e  la 
spada  pende  dalla  corda  dei  fianchi,  perciò  si  dice  con  vaga  espres- 
sione poetica,  che  la  corda  è  cinta  d'ogni  valore. 


CANTO  VII.  181 

E  se  re  dopo  lui  fosse  rimaso 

Lo  giovinetto,  che  retro  a  lui  siede,  68 
Bene  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso  ; 

Che  non  si  pùote  dir  dell'altre  rede.  w 
Iacopo  e  Federigo  hanno  i  reami  : 70 
120.       Del  retaggio  miglior  nessun  possiede.  7I 

Rade  volte  risurge  per  li  rami 7a 
L'umana  probitade  :  e  questo  vuole 
Quei  che  la  dà  perchè  da  lui  si  chiami. 

Anche  al  Nasuto  vanno  mie  parole,  73 

Non  men  ch'all'altro  Pier,  che  con  lui  canta, 
Onde  Puglia  e  Proenza  già  si  duole. 

Tant'è  del  seme  suo  minor  la  pianta,  7* 


6*  Lo  giovinetto  ecc.  Ecco  un  po'  di  amaro  alle  dolci  lodi  di  Pietro. 
Fu  grand' uomo,  ma  non  tutti  i  suoi  figli  lo  simigliarono.  Di  questi 
lo  simigliò  un  solo,  il  primogenito,  che  fu  Alfonso,  ma  mori  giovane 
e  senza  figli  di  29  anni  nel  1291.  Potrebbe  però  intendersi  anche  di 
Pietro,  altro  figliuolo,  che  rimase  senza  regno. 

co  Dell'altre  rede.  Degli  altri  figli  suoi  eredi. 

70  Iacopo  e  Federigo  hanno  i  reami.  Jacopo  ebbe  quel  d'Aragona, 
Federigo  quel  di  Sicilia, 

71  Del  retaggio  miglior  ecc   Nessun  possiede  le  virtù  del  padre. 
74  Rade  volte  ecc.  Di  rado  risurge  nei  figli  la  bontà  dei  padri.  Vera 

e  terrìbile  sentenza;  ma  quanto  ragionata  cattolicamente!  La  bontà 
dei  figliuoli  è  un  dono,  un  tesoro  del  cielo,  che  vuol  essere  chiesto 
a  Dio  con  grandi  preghiere.  La  gran  santità  per'  es.  di  S.  Luigi  re 
di  Francia  è  dovuta  alle  continue  preghiere  della  sua  santa  madre 
Bianca.  Perchè  si  trascura  questo  mezzo,  i  figli  tralignano. 

73  Anche  al  Nasuto  ecc.  A  Carlo  d'Angiò  duca  di  Provenza  e  re 
di  Puglia.  La  disgrazia  di  una  trista  figliolanza,  toccata  a  Pietro,  è 
toccata  pure  a  questo  Carlo  I  nella  persona  di  Carlo  II,  o  Novello,  suo 
figliuolo,  che  redo  dal  padre  la  Puglia  e  la  Provenza,  che  mal  governa. 

74  TanC  è  del  seme  suo  ecc.  Il  poeta  chiude  gli  accenni  su  Pietro  III 
e  su  Carlo  d'Angiò,  e  sulla  lor  figliuolanza,  facendo  il  calcolo  del 
quanto  i  figli  di  que'  due  sono  degeneri  dai  loro  padri.  Il  calcolo  lo 
prende  dalle  lor  donne.  Quali  sono  prima  queste  donne?  Sono  Gostanza 


188  PURGATORIO 

Quanto  più  che  Beatrice,  e  Margherita, 
Gostanza  di  marito  ancor  si  vanta. 
130.   Vedete  il  re  della  semplice  vita  *5# 

Seder  là  solo,  Arrigo  d' Inghilterra  :  76 
Questi  ha  ne'  rami  suoi  migliore  uscita. 
Quel  che  più  basso  tra  costor  s'atterra,  78 


moglie  a  Pietro  III  ;  e  Beatrice  e  Margherita  mogli  successive  di 
Carlo.  Or  bene  ecco  il  calcolo.  Gostanza  si  loda  ancora  assai  del  suo 
Pietro  sebben  morto  ,  e  Beatrice  e  Margherita  non  si  lodano  o  si 
lodano  assai  meno  del  loro  marito  Carlo,  morfo  ancor  esso.  Ebbene 
quel  divario  che  passa  tra  le  lodi  delle  due  e  dell  i  prina,  quello  stesso 
passa  tra  la  virtù  dei  figli,  e  quella  dei  padri. 

75  II  re  della  semplice  vita.  Arrigo  III  re  d'Inghilterra,  figliuolo 
di  Giovanni  Senza  Terra.  11  poeta  ce  lo  dà  per  uomo  di  vita  semplice, 
come  ordinariamente  erano  tutti  i  re  dell'antica  Inghilterra.  Regnò 
dal  1216  sino  al  1272. 

16  Seder  là  solo*  Come  solo  e  diviso  dall'Europa  è  il  regno  d'In- 
ghilterra. Qui  pur  si  accenna  l' indole  silenziosa  degli  Inglesi,  che  son 
tali  anche  oggidì. 

77  Questi  ha  ne*  rami  ecc.  E  più  fortunato  nei  figli.  Edoardo  I.  che 
gli  succedette,  fu  gran  principe. 

78  Quel  che  più  basso  ecc.  Essendo  solo  marche?"  e  non  re.  lo  si 
fa  sedere  più  basso.  Ma  notate  che  si  fa  seder  più  basso  tra  costor, 
tenendosi  nel  posto  di  mezzo  sotto  agli  altri.  Sembra  una  di  quelle 
figure,  che  i  pittori  di  ancone  mettono  in  fondo  al  quadro  inginoc- 
chiati solitamente,  e  con  le  mani  giunte,  e  cogli  occhi  rivolti  ai 
personaggi  principali  del  quadro,  e  che  solitamente  ò  il  di  voto  che 
dipinse  o  fece  dipingere  la  tavola.  Con  questo  rimile  tutto  il  qua- 
dro 6  ben  compartito,  ed  ha  sua  bella  forma  piramidale  e  sim- 
metrica, secondo  il  gusto  semplice  e  schietto  delle  pitture  di  quel 
tempo  sino  a  Raffaello  e  Buonarotti.  Si  è  cominciato  con  un  solo  più 
alto  di  tutti,  e  fu  un  imperadore,  e  si  e  finito  con  un  più  basso  di 
tutti,  e  fu  un  marchese.  Gli  altri  sono  sparsi  nel  mezzo  a  gruppi  bene 
allogati  e  svariatigli  arie  e  di  azioni  tutte  diverse,  cantando  gli  uni, 
congratulando  gli  altri ,  e  alcuni  silenziosi.  Il  solitario  e  silenzioso 
per  eccellenza  è  l'Inglese.  Questi  non  si  potea  dipingere  più  al  na- 
turale. Invece  i  cantori  per  eccellenza  sono  i  re  d'Itiilia  e  di  Spagna, 
ed  anche  questo  è  ben  accordato.  Generalmente  poi  i  personaggi  si 


CANTO  VII.  183 

Guardando  in  suso,  è  Guglielmo  marchese  79 
Per  cui  Alessandria  e  la  sua  guerra 
Fa  pianger  Monferrato,  e  il  Canavese. 

raggruppano  secondo  le  loro  relazioni  in  vita,  cercando  sempre  il 
contrasto  nella  loro  unione.  Anche  Bordello  ed  i  poeti  appartereb- 
bero a  questo  quadro,  Sordello  come  indicatore  o  guida,  i  poeti  come 
guidati.  Insomma  questo  è  un  immenso  quadro  che  meriterebbe  il 
pennello  di  qualche  grande  artista.  Io  faccio  un  invito  pressante  ai 
pittori  italiani  perchè  si  mettano  a  questo  cimento.  Il  poeta  gli  ispira 
ed  assiste  da  cima  a  fondo.  È  pur  bello  un  altro  luogo  simile  che 
abbiamo  nell' Inferno,  C.  IV,  dove  il  poeta  descrive  l'adunanza  dei 
Savi  <  ntro  il  loro  ameno  castèllo;  ma  l'adunanza  dèi  principi  descritta 
in  questo  Canto  la  vince  sopra  quella.  Due  quadri  di  ta'i  soggetti 
farebbero  grande  onore  ai  uostri  pittori;  e  da  questi  la  gioventù 
pittrice  potrebbe  imparare  assai. 

79  Guglielmo.  Marchese  di  Monferrato.  Gli  Alessandrini  della  Pa- 
glia lo  hanno  fatto  prigione,  e  poi  condannato  a  morire  in  una  gabbia 
uel  1292.  Di  qui  la  guerra  che  il  Monferrato  ed  il  Canavese  ausi- 
liario freero  contro  Alessandria,  colla  sconfitta  dei  primi. 


CANTO    Vili 


-   Argomento. 

È  l'Ave  Maria.  I  principi  nella  valletta  cantano  l'inno  di 
Compieta.  Scendono  due  angeli  a  difender  la  valle  da  una  serpe 
insidiosa.  I  poeti  con  Sordello  discendono  giù  nel  fondo  della  vai» 
ietta.  I  crepuscoli  illanguidiscono  ognora  più.  Ce  n'ha  però  quanto 
basta  pur  conoscersi  viso  a  viso.  Nino  di  Gallura  conosce  Dante 
Questi  si  manifesta  per  vivo.  Di  qui  la  maraviglia  di  Nino  e  di 
Sordello.  Nino  si  raccomanda  a  Dante.  Questi  osserva  tre  stelle 
al  polo  del  Mezzodì,  e  Virgilio  gli  dice  che  sieno.  Sordello  annunzia 
la  venuta  della  serpe.  Gli  angeli  la  scacciano.  Currado  Malaspina 
chiede  novella  del  suo  paese.  Dante  loda  questa  casa,  e  Currado 
gli  predice  V ospitalità  che  gli  faranno  i  suoi  da  qui  ad  alcuni  annù 

NB.  Vedi  tulli  i  casollioi  di  questo  Canto  nella  mia  Tav.  leti,  Purg.  e  meglio  la  IV . 


Eira  già  l'ora  che  volge  il  disio  4 
Ai  naviganti,  e  intenerisce  il  cuore 
Lo  dì  eh'  han  detto  ai  dolci  amici  addio  ; 

*  Era  già  l'ora  ecc.  Era  l'Ave  Maria;  la  quale  avviene  mezz'ora 
dopo  il  tramonto  del  Sole,  ossia  a  30  minuti  di  crepuscolo  vespertino. 
Abbiamo  già  detto  nell'altro  canto  che  il  Sole  tramontava  nel  di  che 
abbiamo  alle  ore  5.25.  Aggiungete  minuti  30,  ed  avrete  5.55  pom., 
che  è  l'ora  presente.  Come  il  poeta  esprìme  quest'ora?  Nel  modo  il 
più  bello  e  poetico  che  mai,  ma  non  inteso,  quantunque  il  poeta  lo 


180  PURGATORIO 

E  che  lo  nuovo  peregrio,  d'amore  * 
Punge,  se  ode  squilla  di  lontano, 
Che  paia  il  giorno  pianger  che  si  muore  : 


esprima  si  chiaramente.  Tutti  intendono,  che  il  poeta  parli  dei  sog- 
getti medesimi  tanto  nella  prima,  che  nella  seconda  terzina,  ossia  dei 
naviganti,  e  intendono  male.  Invece  nelli  prima,  terzina  pari»  di  quelli, 
che  rimasti  a  casa  dissero  addio  ni  naviganti;  o  nella  secondi  parla 
dei  naviganti  che  a  quest'ora  si  ricordano  dei  rimasti  a  casa.  I  con- 
cetti dunque  sono  due  e  diversi,  ma  entrambi  esprimenti  l'ora  me- 
desima, cioè  l'Ave  Maria,  sebbene  nella  prima  terzina,  secondo  l'ino 
del  poeta,  la  si  esprime  più  genialmente,  e  nella  seconda  più  speci- 
ficamente. Cominciamo  dalla  prima  terzina.  Questa  dice  che  l'ora  che 
contavano  i  poeti,  appena  terminato  l'altro  cinto,  era  quella  la  quale 
volge  il  desio  di  chi  resta  a  casa,  o  sul  porto,  verso  dei  loro  amici 
naviganti,  i  quali  si  suppongono  partiti  alla  mattina.  Giunta  la  sera 
di  quel  medesimo  ci,  i  rimasti  pensando  alle  tenebre  dalle  quali  per 
la  prima  volta  si  trovano  circondati  in  mezzo  al  mare  que'  loro  amici, 
non  ponno  a  meno ,  essi  che  sono  al  sicuro ,  e  in  mezzo  al  chiaror 
delle  lampane,  di  volgere  ai  naviganti  un  amoroso  pensiero,  e  intene- 
rirsi il  cuore  verso  si  cari  oggetti.  Si  può  dar  più  nobile,  e  delicato 
sentimento  di  questo?  K  si  può  dar  poesia  che  dica  le  cose  più  sterili 
con  maggior  affetto? 

2  E  che  lo  nuovo  ecc.  Se  la  prima  terzina  parlava  dei  rimasti  a 
casa,  e  dei  sentimenti  che  li  rapiscono  alla  sera  dietro  i  loro  cari, 
che  sono  in  mare;  questa  terzina  parla  invece  di  questi  che  sono  in 
mare,  e  dei  sentimenti  d'amore  che  li  rapiscono  verso  i  loro  cari,  che 
la  mattina  lasci  aro  a  sul  porto,  all'ora  stessa  dell'Ave  Maria,  segnata 
ad  essi  dai  rintocchi  di  un  bronzo  lontano,  che  forse  potrebbe  essere 
quel  della  patria,  cari  suoni  di  sacra  squilla,  che  paiano  piangere  il 
di  che  muore.  Al  suono  di  sì  mesta  campana  si  risovviene  il  navi- 
gante de'  suoi  cari,  e  per  essa  si  sente  anch'egli  intenerire,  e  pungere 
il  cuore,  ricordando  ad  ogni  tocco  di  lei  quel  che  faranno,  quel  che 
diranno,  e  sino  quello  che  penseranno  gli  amici  a  quell'ora  entro  alla 
quiete  delle  lor  case.  E  perchè  questi  affetti  si  provano  assai  più  la 
prima  sera  che  la  seconda,  e  poi  si  van  scemando  via  via,  e  più  si 
provano  dai  novelli  naviganti,  che  dai  naviganti  già  abituati  al  mare, 
perciò  il  poeta  pone  che  il  navigante  in  cui  si  suscitano  tali  affetti 
sia  nuovo  del  mare,  e  sia  quella  la  prima  navigazione  ch'egli  intra- 
prenda esprimendo  tutto  questo  colla  parola  nuovo. 


CANTO  Vili.  187 

Quand'  io  incominciai  a  render  vano  8 
L'udire,  ed  a  mirar  una  dell'aline  4 
Surta,  che  l'ascoltar  chiedea  con  mano.  5 
io.     Ella  giunse  e  lev<v>  ambo  le  palme, 

Ficcando  irli  occhi  verso  l'oriente  G 

o 

iQuanctio  incominciai  ecc.  A  render  vano  il  mio  udito,  perchè 
questo  non  udiva  più  Sordello.  che  avca  cessato  dal  far  la  rivista 
delle  anime.  L'udito  dicesi  vano  quando  non  ascolta  i  suoni ,  quali 
ch'essi  sieno.  K  lo  stesso  dunque  che  dire  :  Sordello  uvea  già  tron- 
cati! la  sua  narrazione. 

*  Ed  a  mirar.  Incominciai  a  mirare.  Cessata  l'azione  dell'udito,  in- 
cominciò la  vista  ad  agir  da  se  sola  col  mirare  una  dell'alme.  Non 
ebbe  Dante  bisogno  che  Sordel'o  gliela  indicasse;  la  vide  da  tè. 

5  Snrla.  Le  anime  erano  già  tutte  sedute  sull'erba.  Una  si  levò 
prima  dell'altre  per  la  preghiera  della  sera  da  farsi  in  compagnia. 
Attenti  al  nuovo  quadro  ed  alla  nuova  scena  che  il  poeta  ci  verrà 
dipingendo.  Quctto  quadro  non  cederà  per  nulla  all'altro  testé  ve- 
duto; anzi  questo  sarà  superiore  a  quello  per  le  nuove,  e  più  calo- 
rose, e  più  varie  azioni  dei  personaggi.  Studiando  e  colorando  questo 
quadro  sulle  traccie  del  poeta,  i  pittori  farebbero  un'opera  immensa. 
La  pittura  ha  sempre  bisogno  della  poesia,  che  l' è  maestra,  ma  ha 
bisogno  d'una  poesia,  come  questa  di  Dante,  che  è  semplice  nello 
stesso  tempo  e  maestosa.  Guai  ai  pittori  se  prendono  a  guida  i  poeti 
a  cui  manchi  natura.  La  pittura  dovià  allora  falsarsi  dietro  alla  fal- 
sità della  poesia  sua  maestra.  Finché  s'ebbero  poeti  grandi,  e  più 
finché  s'ebbero  semplici  e  schietti,  avemmo  pittori  pari  ai  poeti.  Aj 
mancar  dei  primi  mancarono  i  secondi. 

Che,  V ascoltar  chiedea  con  mavo.  O  ponendosi  il  dito  in  su 
dal  mento  al  naso;  o  stendendo  il  dosso  delle  mani  eccitando  a  si- 
lenzio. 

*  Ficcando  (fli  occhi  ecc.  L'oriente  è  considerato  la  parte  più 
santa  del  Ciclo.  Nel  Sole  oriente  fu  raffigurato  Gesù  Cristo.  Perciò 
la  Chiesa  nella  fabbrica  dei  templi  usa  rivolger  la  facciata  a  sera, 
andando  i  templi  verso  oriente  :  così  il  sacerdote  celebrando  all'aitar 
maggiore  i  divini  misteri  guarda  all'oriente. 

Anche  fisicamente  parlando,  la  parte  orientale  ha  per  noi  un 
non  so  che  più  di  vita  e  di  piacere.  Già  ci  ricorderemo  che  la  faccia 
del  monte  nella  qual  siamo,  è  quella  che  prospetta  all'oriente.  Vedi 
Tav.  II,  Piiry. 


188  PURGATORIO 

Come  dicesse  a  Dio:  D'altro  non  calme.  7 
Te  lucis  ante  sì  divotamente  8 
Le  usci  di  bocca,  e  con  sì  dolci  note, 


9 


7  Co/ne  dicesse  a  Dio  ecc.  L'orazione  e  l'astrazione  assoluta  dalle 
cose  terrene  alle  celesti  :  è  definita  elevatio  mentis  in  Deum*  Questo 
elevamento  e  rapimento  dell'anima  in  Dio  si  manifesta  nell'ani  me  sante 
anche  nel  loro  esteriore,  ossia  negli  occhi  rivolti  al  cielo,  il  che  dice 
chiaramente  che  quella  tal'anima  ion  si  cura  d'altro,  in  quei  momenti 
della  preghiera,  che  del  suo  Dio.  Questa  è  la  sola  preghiera  che  Dio 
accetta;  perchè  non  attende  che  a  Dio. 

8  Te  lucis  ante.  E  il  principio  dell'  inno  di  Compieta,  che  la  Chiesa 
cattolica  canta  dopo  dei  v esperi,  che  e  la  vera  orazione  della  sera,  e 
la  chiusa  di  tutte  le  orazioni  del  giorno  :  perciò  quest'  inno  è  messo 
uel  Completorio  o  chiusa.  È  composto  di  due  stro fette  tutte  al  caso 
di  quelle  anime.  Sono  le  seguenti  : 

Te  lucis  ante  terminarti  Procul  recedant  somnia, 

Rerum  creator  poscitnus,  Et  ttoctium  phastasmata 

Ut  prò  tua  elementia  Hostemque  nostrum  comprime 

Ati*  praesul  et  custodia.  Ne  polluantur  corpora.    * 

Teniamoci  bene  a  mente  il  senso  di  questo  inno,  e  così  vedremo  in 
breve  la  necessitò  di  cantarlo»  Intanto  ricordiamoci  che  abbiamo  già 
30  minuti  di  crepuscolo,  e  che  finché  dura  il  crepuscolo  non  è  del  tutto 
finita  la  luce,  ma  questa  finirà  interamente  col  termine  d'esso  crepuscolo, 
che  sarà  alle  7  pomeridiane,  durando  cosi  per  ore  1.35  quante  sono 
dalle  5.25  (tramonto)  alle  7.  Avvertiamo  che  quest'anima  sola  comincia 
l'inno  secondo  l'uso  dei  cori  cattolici,  nei  quali  il  maestro  di  eappella 
iutuona  solo  alcune  note,  e  tutti  gli  altri  lo  seguono  poco  appresso. 
Tutto  in  Dante  spira  catolicismo  e  pietà,  e  va  a  cercar  i  pensieri  della 
sua  nobile  e  vera  poesia  sino  uel  canto  ecclesiastico. 

*  Le  uscì  di  bocca  ecc.  La  divozione  prima  di  tutto  e  poi  la  dol- 
cezza sono  le  due  note  caratteristiche  del  canto  sacro,  il  quale  serve 
mirabilmente  a  sollevare  l'anima  a  Dio.  Per  questo  e  per  solo  questo 
fu  introdotto  il  canto  nella  liturgia  cattolica  ad  imitazione  della  li- 
turgia mosaica,  per  la  quale  Davide  scrisse  gli  ispirati  suoi  salmi. 
La  religione  ha  cosi  consacrato  il  più  bello  istinto  dell'uomo,  mediante 
il  quale  gareggia  cogli  angeli  del  cielo,  che  cantano  eterni  osanna. 
Guai  alla  musica  che  invece  di  alzare  a  Dio  il  cuor  dell'uomo,  da 
Dio  lo  allontana,  massime  nei  momenti  consacrati  a  Dio  solo. 


CANTO  Vili.  189 

Che  fece  me  a  me  uscir  di  mente.  I0 
E  l'altre  poi  dolcemente,  e  di  vote  1l 
Seguitar  lei  per  tutto  l'inno  intero, 
Avendo  gli  occhi  alle  superne  ruote.  12 
Aguzza  qui,  lettor,  ben  gli  occhi  al  vero,  13 

*o  Che  fece  me  ecc.  Lo  estasiò.  Abbiamo  molti  esempi  nella  Sacra 
Scrittura  e  nella  storia  ecclesiastica  di  queste  estasi  prodotte  dal 
canto  snero. 

U  Dolcemente,  e  divote.  Cioè  colla  stessa  divozione  e  dolcezza  della 
prima,  che  avea  dato  principio:  quindi  anch'esse  dritte  in  piedi, 
quindi  anch'esse  cantando. 

^2  Avendo  gli  occhi  ecc.  Come  la  prima  che  avea  intonato  l'inno, 
la  qual  pure  aveva  gli  occhi  alle  superne  ruote,  ossia  all'alto  cielo, 
il  che  espresse  benissimo  il  poeta  dicendo  :  Come  dicesse  a  Dio:  D'altro 
non  calme.  Gli  occhi  rivolti  al  cielo  danno  al  volto  una  espressione 
ed  una  grazia  maravigliosa.  Perciò  il  Guido  Reni  si  atteneva  spesfo 
a  questo  partito. 

13  Aguzza  qui  ecc.  Aguzza  bene  gli  occhi  della  tua  mente  per  affer- 
rare la  verità,  che  ò  sotto  il  velo  di  questa  narrazione.  Perchè  aguzzar 
tanto  la  mente,  afh'n  di  cogliere  la  verità  dietro  al  velo  nascosta? 
Rispondo:  la  verità  è  una  cosa  e  la  forma  di  esprimerla  è  un'altra. 
Questa  forma  di  esprimere  la  verità  è  il  velo  che  copre  la  verità  me- 
desima. Se  il  velo  è  denso,  esso  non  lascierà  vedere,  sebbene  a  stento, 
che  il  solo  oggetto  che  vi  sta  dietro,  e  quindi  non  ci  avrà  pericolo 
di  confonderlo  con  altri  oggetti,  che  si  trovassero  dietro  a  lui  a  qual- 
che distanza,  anche  per  la  ragione  fìsica  che  l'occhio  affrontandosi 
ad  un  velo  denso  dee  cercare  questo  o  quel  foro  solamente  che  gli 
faccia  trovare  li  dietro  l'oggetto;  e  però  non  sarà  si  facile  che  l'oc- 
chio scorra  ad  altri  oggetti,  perdendo  quello  che  sta  vicino  al  foro. 
Al  contrario  se  il  velo  ò  sottile,  ossia,  di  maglie  assai  larghe,  l'occhio 
vedrà  %bensl  l'oggetto  velato  con  molta  più  facilità,  ma  anche  con 
molta  pili  facilità  potrà  passare  ad  altri  oggetti  dietro  al  primo,  e 
cos*\  invece  di  cogliere  il  primo  Folamentc,  che  è  quello  che  si  vuol 
velare,  potrà  facilmente  trapassar  oltre  e  posarsi  su  altri  oggetti,  che 
non  sono  intesi  e  non  si  vogliono  presentati.  Attento  dunque,  o  let- 
tore ,  dice  il  poeta,  a  imberciare  il  solo  vero  ch'io  intendo,  perchè 
essendo  il  velo  assai  largo,  e  facile  a  trapassare,  potresti  cogliere  altri 
oggetti,  che  non  sono  i  veri,  e  cosi  saltar  via  quel  solo  vero  ch'io 
ti  presento,  e  che  intendo  che  sia   raggiunto.  Noto  finalmente  che 


190  PURGATORIO 

20.  Che  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile, 

Certo  che  '1  trapassar  dentro  è  leggiero. 
Io  vidi  quello  esercito  gentile  14 
Tacito  poscia  riguardare  in  sue,  ** 

quando  noi  vogliamo  isolarci  all'occhio  l'oggetto  visibile,  soliamo 
stringere  le  ciglia  perchè  non  abbraccino  altri  oggetti  che  V  inteso  ; 
e  questo  è  l'aguzzar  gli  occhi  detto  dal  poeta.  —  Ma  qual  è  poi  questo 
vero,  pur  sì  facile  da  vedere,  e  anche  sì  facile  ad  essere  oltrepassato 
e  scambiato  con  altra  cosa  che  non  è  vera?  È  questo,  che  le  anime 
dei  principi  nella  valletta  hanno  questa  pena  da  Dio  di  soffrire  as- 
salti e  tentazioni  al  peccato,  come  non  fossero  uello  stato  di  termine, 
ma  si  trovassero  ancora  nella  prima  vita. 

Ora  queste  tentazioni  non  sono  già  reali,  o.  meglio,  non  ponno 
avere  gli  effetti  eh*  hanno  nel  mondo,  ma  per  altro  Dio  le  permette 
a  solo  spavento  di  queste  anime  negligenti ,  anche  nel  Purgatorio, 
perchè  provino  almeno  qui  che  cosa  sia  l'angustia  di  un'anima  nel 
sentirsi  tentata,  e  posta  in  pericolo  di  perder  Dio.  Dio  può  loro  dar 
questa  pena  e  tanto  basta,  senza  che  perciò  sia  intaccato  il  dogma 
che  nello  stato  di  termine  non  si  può  più  offender  Dio,  come  infatt1 
non  lo  possono  più  offendere  queste  anime  ,  che  intanto  provan  la 
sola  angustia  del  poterlo  offendere. 

Tn  breve:  il  vero  è  l'  angustia  di  poter  offender  Dio  per  la  ten- 
tazione :  il  falso  che  si  potrebbe  cogliere  da  questa  narrazione  è,  che 
veramente  le  adirne  ncll'  altra  vita  possano  offendere  il  loro  Dio  per 
la  tentazione.  E  questo  errore  è  pur  quello  che  a  prima  vista  si  crede- 
rebbe insegnato  dal  poeta  ;  e  perciò  il  poeta  ci  mette  in  guardia  perchè 
non  cogliamo  questo  errore,  ma  il  solo  vero  già  detto.  Dante  è  delica- 
tissimo, perchè  non  s'impari  da  lui  cosa  men  retta,  e  meno  cattolica. 
Ma  perchè  Dio  assoggetta  questi  principi  alla  paura  della  t  n- 
tazione?  Per  questo  che  di  solito  i  grandi  spacciano  i  paurosi  delle 
tentazioni  per  anime  basse  e  volgari,  e  si  danno  vanto  di  spiriti  forti 
sopra  i  tementi  il  Signore.  Dunque  sta  loro  bene  provare  questa  pena, 
che  non  hanno  voluto  credere  in  vita,  e  che  anzi  sprezzarono. 

U  Esercito  gentile.  Essendo  composto  di  principi  o  marchesi  che 
sono  di  uobil  sangue,  o  sangue  gentilizio,  perciò  è  loro  proprio  l'e- 
piteto di  gentile. 

**  Riguardare  in  sue.  Cioè,  avendo  guardato  il  cielo  durante  l'o- 
razione, continuava  a  guardar  in  au  anche  dopo  quando  si  mise  a 
tacere,  il  che  si  fa  per  cosa,  cho  si  attenda  venir  di  là. 


CANTO  Vili.  191 

Quasi  aspettando  pallido,  e  umile  :  i6 

E  vidi  uscir  dell'alto,  e  scender  giue  41 

Due  angeli  con  duo  spade  affocate,  *8 

*<>  Quasi  aspettando  ecc.  Ecco  lo  stato  a  che  per  disposizione  di 
Dio  sono  assoggettati  le  anime  di  questi  principi,  stato  di  paura  della 
tentazione,  e  non  di  vera  tentazione,  che  nell'altro  mondo  non  può 
aver  luogo.  Lo  stato  della  paura  della  tentazione  è  il  vero,  al  quale 
il  poeta  vuol  che  il  lettore  aguzzi  ben  l'occhio  ;  ed  è  quello  che  egli 
vuol  che  afferriamo  come  da  lui  inteso:  e  lo  stato  di  vera  tentazione 
sarebbe  quelPerror  da  cui  intende  e  vuole  rimuoverci  il  poeta.  Lo 
stato  della  paura  e  della  tentazione,  mette  in  bocca  a  quelle  anime 
Tinno:  Te  loci 8  ante  terminum,  che  è  orazione  contro  le  tentazioni 
e  gli  assalti  del  demonio,  ed  una  invocazione  dell'aiuto  di  Dio  per 
vincere  le  insidie  dell'iuferual  nemico.  Trovandosi  esse  in  questo  stato, 
è  naturale  che  sien  pallide  ed  umili,  e  che  stieno  in  attesa  dell*  in- 
vocato aoccorso,  il  quale  infatti  tosto  verrà,  perchè  il  tutto  dee  li- 
mitarsi alla  paura,  e  non  estendersi  alla  tentazione. 

n  E  vidi.  Questo  e  ha  piuttosto  senso  di  ed  ecco,  che  di  sola 
congiunzione.  Fu  uua  medesima  cosa  vederle  impallidire,  e  vedere 
gli  angeli  discendere.  Discendono  essi  dal  cielo,  e  non  dal  Purgatorio/ 
dove  pur  erano  angeli,  perchè  gli  angeli  del  Purgatorio  dovevano 
stare  al  loro  ufficio,  e  perchè  essendo  fatta  al  cielo  la  preghiera,  dal 
cielo  duveano  aspettare  il  loro  aiuto. 

*s  Due  angeli.  Non  bastava  un  solo?  Per  la  sufficenza  ce  ne  avea 
d'avanzo  ;  per  la  convenienza  stavano  bene  due.  Notate  che  il  poeta, 
come  dicemmo  sopra,  è  pittore,  anzi  maestro  dei  pittori.  Or  suppo- 
nete che  si  volesse  fare  un  quadro  di  questa  scena  sì  pia:  ebbene 
un  angelo  solo  stonerebbe  noi  quadro  ,  il  quale  per  la  possura  del 
luogo  ne  esige  due,  pei  due  fianchi  della  valle.  Notatene  un'  altra, 
che  di  solito  prima  di  Gesù  Cristo  un  solo  angelo  compiva  le  mis- 
sioni celesti  ;  ma  dopo  di  Gesù  Cristo  si  veggono  più  facilmente  ac- 
coppiati. Due  angeli  videro  le  sante  donne  al  sepolcro  di  Gesù  Cristo, 
due  ne  videro  gli  Apostoli  sul  monte  dell'Ascensione.  Notate  final- 
mente che  nell'orazione  di  Compieta  :  Visita  ecc.  (a  cui  attendono 
qui  le  anime)  si  chiede  la  discesa  di  più  angeli  e  non  di  un  solo 
angelo.  Questa  orazione  merita  di  esser  letta,  perchè  tutta  propria 
di  quelle  anime.  —  Con  duo  spade  affocate.  Diconsi  affocate  per  indi- 
care che  non  possono  essere  spade  umane,  le  quali  son  di  metallo,  e 
non  possono  essere  di  foco.  Spada  di  foco  non  può  essere  che  spada 


192  PURGATORIO 

Tronche,  e  private  delle  punte  sue.  *9 
Verdi,  come  fogliette  pur  mo  nate,  *° 
Erano  in  veste,  che  da  verdi  penne  9I 
30.         Percosse  traèn  dietro,  e  ventilate. 
*L'un  poco  sovra  noi  a  star  si  venne,  *■ 

divina.  Perciò  la  Sacra  Scrittura  attribuisce  spada  di  fuoco  a  S.  Michele 
debellatore  degli  angeli  ribelli,  ed  all'angelo  che  cacciò  dal  paradiso  i  no- 
stri progenitori.  Tutti  i  poeti,  tutti  i  pittori  hau  seguifoqueste  imagini. 

*9  Tronche,  e  private  ecc.  Perchè  queste  spade  scn  tali  ?  Io  mi 
diparto  dall'interpretazione  di  Pietro  di  Dante  e  di  Benvenuto  da 
Imola,  e  dico  che  queste  spade  non  hanno  punte  per  raffermar  nella 
mente  del  lettore  che  qui  non  ha  mestieri  vera  difesa,  non  essendo 
vero  ed  efficace  l'assalto.  Queste  spade  souo  a  solo  onore  degli  an- 
geli. Infatti  basterà  il  sussurro  delle  ali  perchè  la  serpe  seu  fugga. 

*>  Verdi  come  fogliette  ecc.  Si  descrive  l'abito  degli  angeli,  che 
s'imagina  verde,  e  che  è  il  più  bel  colore  che  possano  avere  le  stoffe 
e  il  più  amato  dall'occhio.  Ma  la  scala  dei  verdi  è  molteplice,  e  si 
può  dire  infinita.  Vedetelo  nelle  erbe,  pur  tutte  verdi ,  ma  uessuna 
ha  un  verde  perfettamente  eguale  all'altra.  Il  verde  però  più  bello 
si  trova  nella  prima  nascita  delle  erbe  e  delle  foglie  in  primavera. 
Appresso,  quel  verde  si  altera  e  diventa  verde  cupo.  Le  vesti  degli 
angeli  erano  del  primo  verde.  Notate  che  Dante,  come  al  solito,  non  sj 
contenti  ad  ogni  bello,  ma  sceglie  sempre  il  Mio  nel  suo  grado  sommo. 

*l  Da  verdi  penne  —  Percosse  traèn  ecc.  Allo  vesti  angeliche, 
oltre  al  colore  più  bollo,  bisognava  dare  una  grazia,  e  la  si  die  loro 
col  farle  ondeggianti  mollemente  al  di  dietro,  come  facicnti  di  sé  un 
seno  e  per  l'aria  mossa  dalle  piume  dell'ali,  e  pel  volo  stesso  dall'alto 
al  basso  che  fende  l'acre  e  si  lascia  increspar  al  di  dietro  le  ve«?ti. 
Le  penne  dell'ali  si  fanno  verdi,  ma  del  verde,  comune,  non  come 
le  fogliette  pur  mo  nate,  il  che  era  pregio  delle  sole  vesti.  Cosi  questi 
due  verdi  non  faceano  confusione  ma  distacco.  Questa  regola  la  os- 
servino bone  i  pittori. 

91  I/un  poco  sovra  voi  ecc.  Così  esigeva  la  simmetria  del  quadro, 
cosi  esigeva  la  difesa.  (Vedi  il  mio  disegno,  Tav.  II,  Purg.) 

Ma  perchè  non  si  posoro  gli  angeli  al  disotto,  cioè  più  presso 
all'ingresso  del  serpente,  come  sarebbe  nei  due  punti  AB  V  Rispondo, 
perchè  in  tal  caso  le  anime  non  avrebbero  provato  la  paura  che  Dio 
intendeva  che  dovessero  provare,  e  ciò  perchè  gli  angeli  in  quel  punto 
le  avrebbero  assicurate  di  troppo. 


CANTO  VITI.  .  193 

E  l'altro  scese  all'opposi  ta*  sponda, 

SI  che  la  gente  in  mezzo  si  contenne.- 

Ben  discerneva  in  lor  la  testa  bionda  ; s* 
Ma  nelle  facce  l'occhio  si  smarria, a4 
Come  virtù  che  a  troppo  si  confonda.  M 

Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria,  * 

**  La  testa  bionda.  Si  usò  sempre  e  da  tatti  pinger  gli  angeli  coi 
capelli  biondi,  che  sono  i  più  vaghi  e  che  non  possono  avere  che  i 
giovani,  quali  pur  si  dipingono  gli  angeli. 

a*  Ma  nelle  facce  ecc.  Per  gli  splendori  che  tramandavano. 

43  Come  virtù  ecc.  Siccome  quegli  che  ha  una  forza  visiva  a  gran 
pezza  inferiore  a  quello  che  esigerebbe  l'oggetto  visibile  splendente 
di  troppo,  per  cui  rocchio  a  luce  cosi  soverchia  si  confonde.  Guar- 
date a  cagion  d'esempio  il  sole  ad  occhio  nudo,  e  vedrete  se  la  vo- 
stra virtù  intuitiva  possa  reggere  e  non  abbacinarsi. 

^  Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria.  Siccome  sono  angeli  de- 
putati a  difender  l'anime  dalle  tentazioni  del  demonio,  perciò  con 
graziosissima  idea  si  fanno  spediti  da  Maria,  presso  al  cui  grembo 
stanno  sempre,  perch'elfo  gli  abbia  a  mandare  prontamente  in  aiuto 
agli  assaliti.  È  questa  un' imagine  delle  più  pie,  ed  ha  la  credenza- 
cattolica  in  suo  favore.  Tutti  credono  che  a  Maria  sieno  in  cielo  as- 
segnate le  parti  della  misericordia,  la  prima  delle  quali  si  è  di  pro- 
teggere i  suoi  divoti  contro  gli  assalti  del  demonio.  A  tale  oggetto, 
secondo  la  vaga  imagine  del  poeta,  ella  ha  presso  di  sé  un  corpo  di 
eletta  milizia  celeste,  dipendente  da'  suoi  cenni,  simile  a  quei  corpi 
di  guardia  e  alle  cosi  dette  ordinanze  che  hanno  i  principi  alla  parte' 
della  reggia,  per  mandare  qua  e  là  ad  eseguire  prontamente  i  loro 
ordini.  Chi  dunque  vuol  vincere  le  tentazioni  dee  ricorrere  a  Maria, 
ed  ella  accenna  subito  al  suo  corpo  di  guardia  ed  alle  sue  ordinanze, 
perchè  sia  provveduto  sull'  istante  alla  difesa  del  ricorrente.  Sl  cara* 
e  sl  pia  imagine  fa  grande  onore  al  poeta  ed  alla  sua  divozione  s 
Maria.  Questa  idea  serve  di  appendice  e  di  spiegazione  all'altra  del 
secondo  canto  dell'/n/erno,  dove  Beatrice  dice  a  Virgilio,  parlando 
dell'aiuto  che  Maria  offre  a  Dante: 

Donna  è  gentil  nel  ciel  che  si  compiange 
Di  questo  impedimento  ov'io  ti  mando 
Si  che  duro  giudicio  lassù  frange. 
Vedremo  nel  Paradiso  la  schiera  degli  angeli  che  stanno  ai  servigi 
della  Regina  del  cielo. 

13 


194  PURGATORIO 

Disse  Sovdello,  a  guardia  della  valle, 
Per  lo  serpente  che  verrà  via  via.  *7 
40.     Ond'io,  che  non  sapeva  per  qual  calle,  * 
Mi  volsi  intorno,  e  stretto  m'accostai 
Tutto  gelato  alle  fidate  spalle.  * 

E  Sordello  anche  :  Ora  avvalliamo  ornai  ,0 
Tra  le  grandi  ombre,  e  parleremo  ad  esse  : 
Grazioso  fia  lor  vedervi  assai. 

Solo  tre  passi  credo  eh'  io  scendesse,  ,! 
E  fui  di  sotto,  e  vidi  un  che  mirava 
Pur  me,  come  conoscer  mi  volesse.  w 

Temp'era  già  che  l'aer  s'annerava  * 

97  per  lo  serpente  che  verrà.  Dunque  già  si  sapeva  che  il  serpente 
era  solito  venire  a  quest'ora.  —  Via  via.  Subito,  subito. 

98  Ond'io  che  non  sapeva  ecc.  Il  notar  che  fa  Dante  l'impressione 
prodotta  in  so  stesso  dall'annunzio  del  serpente  che  è  sul  venire,  non  può 
essere  più  magistrale.  E  naturalissimo  infatti  questo  caso  e  ciascuno 
avrebbe  fatto  come  Dante.  Ma  nessuno  come  Dante  l'avrebbe  colta. 

99  Alle  fidate  spalle.  A  Virgilio.  Che  bel  gruppetto  non  sarebbe 
questo  per  uno  studio  di  pittore! 

30  Ora  avvalliamo  ornai.  Perchè  essendo  i  crepuscoli  scemati  di 
molto,  i  poeti  standosene  colà  non  avrebbero  potuto  ravvisare  le  om- 
bre. Quindi  bisognava  avvicinarle  con  discendere.  Rammentiamoci 
che  stavano  prima  su  quello  sbocco  un  po'  elevato,  che  metteva  alla 
valle.  Vedi  Tav.  II,  Purg. 

*'  Solo  tre  passi  ecc.  Da  ciò  si  scorge  che  la  valletta  era  ben  poco 
profonda.  Essa  non  s'abbassava  che  sette  passi.  Infatti  abbiam  veduto 
che  i  poeti  si  erano  collocati  al  di  sotto  della  metà  del  fianco  della 
valle:  Là  dove  più  che  a  mezzo  muore  il  lembo  (C.  VII,  v.  72)  — 
ed  ora  per  discendere  al  fondo  non  hanno  a  far  che  tre  soli  passi. 
Dunque  la  valle  al  più  non  potea  esser  fonda  che  sette  passi,  quattro 
di  sopra  al  punto  dove  son  collocati  i  poeti  presentemente,  e  tre  da 
questo  punto  all'ima  valle. 

**Pur  me.  Solamente  me. 

33  Temprerà  già  che  Vaer  eoe.  Era  presso  il  fine  dei  crepuscoli,  che 
avviene  addì  9  Ottobre  in  cui  siamo  alle  7  pomer.,  nella  qual'ora  si 
fa  notte  perfetta  e  i'aer  si  annera  del  tutto.  A  questo  putito  però 


CANTO  Vili.  195 

60.         Ma  non  sì  che  tra  gli  occhi  suoi  e'  miei 
Non  dichiarasse  ciò  che  pria  serrava.  84 

Ver  me  si  fece,  ed  io  ver  lui  mi  fei  :  85 
Giudice  Nin  gentil,  quanto  mi  piacque,  u 
Quando  ti  vidi  non  esser  tra'  rei  l 

Nullo  bel  salutar  tra  noi  si  tacque:  n 
Poi  dimandò  :  Quant'è  che  tu  venisti  38 

non  siamo  ancor  giunti,  perchè  dice  il  poeta  che  l'aer  s'annerava 
bensì  ma  non  del  tutto,  il  che  fa  supporre,  mancare  ancora  30  mi- 
nuti circa  alla  fine  dei  crepuscoli.  Sicché  vuol  dire  che  ora  abbiamo 
le  6.30. 

**  Non  dichiarasse  oiò  che  pria  serrava.  Appunto  verso  il  fine  dei 
crepuscoli  a  certa  distanza  non  si  conoscouo  le  persone,  e  avvicinan- 
dole si  conoscono  mercè  la  luce  che  sebbcn  poca,  pure  dà  qualche 
aiuto  alla  conoscenza. 

35  Ver  me  si  fece ,  ed  io  ver  lui  ecc.  Appunto  quel  che  avviene 
quando  due  persone  credono  di  riconoscersi  sul  far  della  notte,  quando 
entrambe  dopo  la  dubbia  conoscenza,  che  se  ne  hanno  pigliato,  cer- 
cano di  farla  certa,  e  quindi  entrambe  si  vanno  sotto  la  faccia. 

96  Giudice  Ifi*  gentil.  Nino  Visconti ,  nobile  Pisano ,  nipote  del 
conte  Ugolino,  e  giudice  di  Gallura  in  Sardegna,  allor  soggetta  ai 
Pisani.  —  Gentil  è  epiteto  di  nobiltà.  Così  vediamo  che  i  re  siedono 
più  in  alto,  ed  i  marchesi  ed  i  conti  più  in  basso,  perchè  il  poeta 
trovò  Nino  In  fondo  della  valle  tra  le  prime  persone.  Nino  era  guelfo, 
e  ciò  prova  la  imparzialità  del  poeta  (già  ammirata  più  volte)  che 
mena  gran  festa  per  questo  guelfo  giunto  a  salvamento.  Nella  ri- 
volta dei  Pisani  Guelfi  contro  i  Ghibellini  (1289),  Nino  figlio  della 
figlia  di  Ugolino  stette  contro  Tavolo  che  s'era  raccostato  ai  Ghi- 
bellini. Nino  e  la  sua  parte  furono  allora  cacciati  dalla  città. 

n  Nullo  bel  salutar  ecc.  Quali  conoscenti  ed  amici,  che  erano. 

3*  Quant'è  che  tu  venisti  —  Appiè  ecc.?  Dimandandogli  questo,  mo- 
stra di  crederlo  morto,  e  quindi  venuto  come  le  altre  anime  al  Pur- 
gatorio. Vedi  la  barchetta  dell'anime  che  giungono  al  Purg.  nella 
mia  Tav.  II. 

Ma  come  piai  non  conobbe  Nino  che  Dante  era  vivo  se  Pavea 
sì  vicino?  Perchè  essendo  quasi  il  fine  dei  crepuscoli,  pò  tea  da  vicino 
veder  bensì  i  lineamenti  del  volto  di  Dante,  ma  quella  non  era  luce 
raffìciente  a  conoscerlo  vivo.  Perchè  per  conoscerlo  vivo  bisognavi 


190  PURGATORIO 

Appiè  del  monte  per  le  lontane  acque  ? 
Oh  !  dissi  lui,  per  entro  i  luoghi  tristi  w 

Venni  stamane,  e  sono  in  prima  vita, 40 
co.        Ancor  che  l'altra  sì  andando  acquisti.  4f 
E  come  fu  la  mia  risposta  udita, 

Bordello  ed  egli  indietro  si  raccolse  " 

vedere  anche  i  movimenti  della  gola ,  il  respiro  ecc.  cose  non  visibili 
a  si  languida  luce.  Intanto  l' inganno  che  si  fa  Nino  apre  la  più  bella 
scena  del  mondo.  Quant'arte  non  ci  vuole  a  lavorar  le  cose  di  questa 
guisa!  U  verso:  Appiè  del  monte  per  le  lontane  acque  —  ci  fa  pro- 
prio vedere  colla  sua  lunghezaa  la  lunghezza  dell'oceano,  da  Roma 
al  Purgatorio. 

39  Oh  ì  dissi  lui  ecc.  Passando  per  entro  i  luoghi  tristi  d'Inferno, 
arrivai  al  Purgatorio  questa  mattina,  10  Aprile  al  di  là,  9  Ottobre 
al  di  qua.  Dunque  io  non  son  venuto  appiè  del  monte  per  mare, 
come  tu  credi. 

*°  E  sono  in  prima  vita.  Dante  desiderava  da  un  peszo  di  venire 
a  questa  manifestazione,  non  fosse  altro,  perchè  Sordello  lo  curasse 
un  po'  più.  Ci  volle  la  grand'arte  per  tenere  fin  qui  Dante  ignoto  a 
Sordello,  parte  coll'ammirazione  di  Sordello  verso  Virgilio,  parte  colla 
collocazione  di  Sordello  alla  destra  di  Virgilio,  mentre  Dante  stava 
alla  sua  sinistra.  (Vedi  Tav.  II,  Purg.) 

a*  Ancor  ohe  V altra  ecc.  Sebbene  con  questo  mio  viaggio  io  ac- 
quisti anche  l'altra  vita.  Ecco  un'altra  prova  manifesta  che  il  con- 
cetto del  poema  è  solo  cattolico,  perchè  ha  per  fine  la  remission  del 
peccato,  e  l' acquisto  della  perfezion  cristiana  mediante  la  vista  delle 
pene  inflitte  al  peccato,  e  dei  premi  concessi  alla  virtù  nell'altra  vita. 

'*  Sordello  ed  egli  ecc.  Ecco  la  scena  maravigliosa  tirata  fin  qui 
a  forza  di  sospensioni  artifiziosissime  e  naturalissime  preparate  e  di- 
sposte negli  altri  due  Canti  ed  in  questo.  Si  dovea  venire  per  via  di 
molti  intrecci,  che  teneano  nascosta  la  condizione  di  Dante,  a  questo 
colpo  di  scena  della  sua  manifestazione,  e  degli  effetti  suoi  maravi- 
gliosi,  prima  in  Sordello,  che  è  principalmente  inteso,  e  in  grazia  del 
cui  disinganno  si  condussero  sì  arti  filialmente  le  fila  di  questa  gran 
tela  poetica,  e  poi  negli  altri.  Sordello  che  non  credeva  potersi  dare 
maraviglia  maggiore  quanto  quella  di  vedersi  dinaxfzi  un  Virgilio, 
ora  8' avvede  che  l'umile  compagno  di  Virgilio  offre  in  sé  una  ma- 
raviglia a  pezza  più  grande  dell'altra;  onde  non  può  a  meno  di  pen- 
tirsi e  ripentirsi  di  aver  sino  allora  trascurato  il  soggetto  maggiore 


CANTO  Vili.  197 

Come  gente  di  subito  smarrita. 
L'uno  a  Virgilio,  e  l'altro  ad  un  si  volse,  ** 
Che  sedea  lì,  gridando  :  Su,  Currado,  u 
Vieni  a  veder  che  Dio  per  grazia  volse. 

per  lo  minore,  non  ostante  che  Dante  gli  avesse  porto  occasione  di 
farei  da  lui  conoscere,  come  allora  che  gli  disse  nel  C.  VII,  v.  49 
e  seg.  :  Com'è  ciò?  fu  risposto:  Chi  volesse  ecc.  Vedi  colala  n.  30. 
Ma  l'accorgersi  di  Sordello  è  troppo  tardi,  e  Dante  con  una  disin- 
voltura da  innocentino  e  che  si  fa  appena  sentire,  or  lo  ripaga  dan- 
dogli noncuranza  per  noncuranza. 

Sordello  ed  egli  indietro  si  raccolse.  È  l'atto  preciso  che  si  fa 
ogniqualvolta  ci  si  presenta  innanzi  una  persona  che  ci  si  dà  a  cono- 
scere con  nostra  grande  sorpresa.  Qual  pennello  potrebbe  dipingere 
questo  quadro?  Importerebbe  studiarlo  assai. 

**  L'uno  a  Virgilio,  e  V altro  ecc.  Sordello  si  volse  a  Virgilio,  e 
Nino  a  Currado  Malaspini.  Nuova  scena  del  quadro  non  meno  in- 
teressante dell'altra,  e  non  meno  naturale.  Qui  non  si  dice  che  cosa 
Sordello  bisbigliasse  con  Virgilio,  e  Virgilio  con  Sordello.  Il  poeta 
noi  dovea  dire  per  rendere  ancora  più  bella  la  scena,  facendo  in- 
dovinar ai  lettori  il  tema  del  loro  ragionamento,  che  era  però  facile 
ad  indovinare.  Se  Dante  V  avesse  detto,  la  poesia  avrebbe  perduto 
mille  tanti. 

Certo  Sordello  si  sarà  dolcemente  lagnato  con  Virgilio,  di  non 
averlo  avvertito  prima,  che  cosi  non  avrebbe  mancato  a  quei  doveri 
di  convenienza  verso  un  soggetto  così  ammirabile;  e  Virgilio  se  ne 
sarà  sensato  coinè  poteva,  e  gli  avrà  parlato  dei  meriti  tragrandi  del- 
l'uomo  sino  allora  sconosciuto.  Tutto  questo  si  raccoglie  agevol- 
mente da  quelle  due  sole  parole:  L'uno  a  Virgilio;  e  si  raccoglie 
ancora  che  la  modestia  di  Dante  dovea  appunto  passarsene  così,  e 
lasciar  che  gli  altri  dicano  le  sue  lodi,  tacendone  lui  stesso.  Questo 
luogo  è  un  perfetto  parallelo  col  riconoscimento  di  Dante  nel  castello 
dei  Savi,  /n/.,  C.  IV. 

**  Che  sedea  lì.  Dunque  dopo  la  preghiera  i  grandi  s'erano  rimessi 
a  sedere. 

Gridando.  Lo  stupore  onde  era  tutto  compreso  Nino  non  sola- 
mente il  fa  dire,  ma  gridare.  È  naturalissimo. 

Su.  Particella  di  gran  senso,  e  di  gran  natura  in  tali  incontri. 

Currado.  Corrado  II  Malaspiua  signor  di  Lunigiana,  di  cui  dirò 
più  sotto. 


198  PURGATORIO 

Poi  volto  a  me  :  Per  quel  singular  grado, 
Che  tu  dei  a  Colui,  che  sì  nasconde  *• 
Lo  suo  primo  perchè,  che  non  gli  è  guado, 
70.     Quando  sarai  di  là  dalle  larghe  onde,  A1 

Dì  a  Giovanna  mia7  che  per  me  chiami  *• 
Là,  dove  agli  innocenti  si  risponde. À9 

Non  credo  che  la  sua  madre  più  m'ami,  *° 

**  Per  quel  singular  grado  —  Che  tu  dei  a  colui.  Per  quella  sin- 
golar  gratitudine  che  tu  devi  a  Dio  d'averti  accordato  il  privilegio 
di  venire  da  vivo  nel  luogo  dei  morti  per  assicurare  così  la  tua  eterna 
salute.  Nino  prega  Dante  con  preghiere  d'ossecrazione,  o  di  giura- 
mento, per  quel  dono  di  Dio  che  supera  tutti  i  doni,  che  è  il  bene- 
fizio di  conseguire  con  mezzi  si  privilegiati  la  salute  dell'anima  propria. 
Il  poeta  con  ciò  ribadisce  il  concetto  cattolico  del  suo  viaggio,  e  quello 
che  unicamente  intende  colla  sua  Divina  Commedia.  Chi  vi  ha  ve- 
duto altri  concetti  ed  altri  fini,  è  ito  assolutamente  fuori  del  seminato: 
e  di  cotali  a'  dì  nostri  è  pieno  il  mondo.  Ma  non  era  così  degli  an- 
tichi commeutatori. 

*<>  Che  sì  nasconde  —  Lo  suo  primo  perchè  ecc.  Il  quale  nel  conceder 
le  sue  grazie  piuttosto  a  questo  che  a  quello  è  mosso  da  si  misteriose 
e  a  noi  si  nascoste  ragioni,  che  non  possiamo  arrivare  a  comprendere. 
È  il  medesimo  concetto  di  S.  Paolo:  Quam  incomprchensibiiia  sunt 
judicia  tua  Domine  ecc.  Per  ragione  di  questo  privilegio  di  Dante, 
Nino  adora  quel  che  non  può  comprendere. 

*7  Quando  sarai  di  là  ecc.  Quando  ritornerai  in  Italia  tra' vivi.  Si 
sa  che  tra  l'Italia  ed  il  Purgatorio  si  estendeva  il  Mediterraneo  e 
l'Oceano.  Questo  verso  è  fatto  ad  arte  sì  che  paia  lungo  per  esprimer 
meglio  l'immensità  del  mare,  come  l'altro  di  sopra  —  Appiè  del  monte 
per  le  lontane  acque. 

48  Dì  a  Giovanna  mia  ecc.  Figliuola  di  Nino  maritata  a  Riccardo 
da  Camino  Trevigiano. 

Per  me  chiami.  Per  me  preghi.  Chiamare  dal  latino  clamare 
è  espressione  biblica  usata  per  pregare,  come  quella  Ad  te  Domine 
clamavi  ed  altre  senza  numero. 

*9  Là  dove  agli  innocenti.  Perchè  Peccatores  Deus  non  audit.  Con 
questo  dichiara  innocente  la  sua  Giovanna. 

50  Nojì  credo  che  la  %va  madre  più  m'ami.  Beatrice  moglie  di  Nino, 
passata  poi  in  secoude  nozze  con  Galeazzo  Visconti  di  Milano  1300, 


CANTO  Vili.  199 

Poscia  che  trasmutò  le  bianche  bende,  " 
Le  quai  convien  che  misera  ancor  brami. 
Per  lei  assai  di  lieve  si  comprende  M 
Quanto  in  femmina  fuoco  d'amor  dura, 
Se  l'occhio,  o  il  tatto  spesso  noi  raccende. 
Non  le  farà  si  bella  sepoltura  9* 
80.         La  vipera  che  il  Milanese  accampa, 
Come  avria  fatto  il  gallo  di  Gallura. 

5*  Bianche  bende.  Il  vero  colore  di  lutto  italiano  era  il  bianco  nel 
medio  evo.  Durò  siuo  a  Carlo  V,  quando  gli  italiani  per  scimiottare 
le  mode  straniere  adottarono  il  nero.  11  contado  però  più  tenace  delle 
sue  costumanze  nazionali  ritiene  ancora  un  vestigio  di  questa  nostra 
usanza,  coprendo  le  bare  funebri  di  bianchissime  coperte,  e  portando 
le  donne  i  lor  morti  vestite  di  bianco. 

Nino  con  questo  mutamento  di  bianche  bende  vuol  dire,  che  sua 
moglie  gettò  il  lutto  per  passare  ad  altre  nozze.  Ma  dovrà  desiderarsi 
di  nuovo  il  lutto:  segno  dunque  che  il  nuovo  marito  non  l'amava 
come  il  primo. 

s*  Per  lei  aitai  di  lieve  ecc.  Si  comprende  che  la  donna  ama  finché 
vede  l'oggetto  amato,  ed  è  accarezzata  da  quello.  Lontan  dagli  occhi 
lontan  dal  cuore. 

Pare  che  Dante  voglia  qui  fare  qualche  allusione  anche  alla  sua 
moglie  Gemma,  rimasta  in  Firenze  dopo  U  suo  esiglio. 

w  JSon  le  farà  si  bella  ecc.  Si  può  intendere  in  due  modi.  1.  La 
vipera  (stemma  dei  Visconti  di  Milano)  non  le  dirà  si  bene  sulla  sua 
sepoltura,  dove  i  nobili  incidono  Tarme  di  famigli*,  come  le  avrebbe 
detto  bene  il  gallo  (stemma  dei  Visconti  di  Pisa),  perchè  questo  avrebbe 
ratto  vedere  la  sua  continenza,  e  la  sua  fedeltà  al  primo  amore,  e 
quella  la  dimenticanza  del  suo  primo  giuro,  e  il  suo  smodato  ardor 
dei  piaceri.  —  Accampa.  Mette  in  campo,  cioè  nel  campo  dello  stemma. 
2.  La  famiglia  dei  Visconti  di  Milano  che  ha  la  vipera  nel  campo 
del  suo  stemma  non  le  farà  sepoltura  si  bella ,  come  gliel'avrebbe 
fatta  la  famiglia  dei  Visconti  di  Pisa  giudici  di  Gallura,  che  ha  il 
gallo  nel  campo  del  suo  stemma,  se  ella  fosse  rimasta  vedova  io 
quella  casa.  Dal  maggiore  o  minore  onor  funebre  che  si  fa  ai  defunti 
si  desumono  i  meriti  loro,  e  l'amor  acquistatosi  dai  superstiti. 

L'uria  e  l'altra  interpretazione  è  buona  e  genuina,  ma  la  prima 
ha  più  poesia. 


200  PURGATORIO 

Così  dicea  segnato  della  stampa  " 
Nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  zelo, 
Che  misuratamente  in  cuore  avvampa. 

Gli  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  al  cielo,  ** 
Pur"  là  dove  le  stelle  son  più  tarde,  ** 
Sì  come  ruota  più  presso  allo  stelo. 

E  il  duca  mio:  Figliuol,  che  lassù  guarde?  *7 

s*  Così  dicea  segnato  ecc.  Così  dicea  tutto  acceso  di  zelo  pinato 
e  misurato.  Notate  come  al  suo  solito  il  poeta  loda  una  parte  e  bia- 
sima un'altra,  e  il  biasimo  di  questa  serve  di  rincalco  alle  Iodi  di 
quella.  Sarebbe  come  il  chiaroscuro  gettato  ad  arte  nei  quadri  per 
far  comparir  meglio  il  soggetto  principale.  Di  rado  il  poeta  loda  le 
famiglie  per  intero,  perchè  pur  troppo  col  buono  è  misto  il  cattivo. 
La  famiglia  Malaspiua,  che  or  ora  vedremo,  formerà,  una  fortunata 
eccezione;  e  veramente  il  poeta  avea  ogni  ragione  a  differenziarla. 

5*  Gli  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  al  ciclo,  —  Pur  là.  Dopo 
il  discorso  di  Nino  par  che  Dante  avrebbe  dovuto  per  naturale  istinto 
adocchiare  qualche  altra  persona  11  presso,  massime  quel  Currado 
chiamato  da  Mno..  Invece  i  suoi  occhi  gli  corsero  e  si  fissarono  in 
altra  parte,  cioè  nel  polo  meridionale.  Dice  dunque  questo  per  iscu- 
sarsi  del  non  aver  guardato  subito  il  Currado,  che  ancora  non  co- 
nosceva per  il  marchese  di  Lunigiana,  rapito  com'era  in  un'appa- 
rizione di  stelle  maravigliose ,  che  a  sé  lo  trassero  inopinatamente. 
Il  pure  ripetuto  vale  solo  solo. 

36  Dove  le  stelle  son  più  tarde.  Le  stelle  girano  più  tarde  quanto 
più  son  vicine  ai  poli,  come  in  una  ruota  che  giri,  le  parti  più  vicine 
allo  stelo  van  più  tarde  delle  parti,  che  son  più  vicine  alla  sua  cir- 
conferenza. Va  senza  dire,  che  qui  si  parla  del  polo  meridionale,  perchè 
il  settentrionale  non  potea  esser  veduto  da  Dante  essendo  abbassato 
sotto  l'orizzonte  dal  lato  settentrionale.  Con  questo  ci  fa  vedere  ch'egli 
era  volto  a  mezzodì,  come  si  può  scorgere  nel  nostro  disegno  della 
Montagna  del  Purgatorio  nel  sito  in  cui  siamo.  (Tav.  II.) 

37  Che  lassù  guarde  t  Virgilio  dimostra  qualche  maraviglia  per 
queste  occhiate  di  Dante  cosi  ghiotte  ;  ed  egli  ha  ragione  perchè  non 
ne  può  conoscere  tutta  l' importanza,  essendo  che  quelle  tre  stelle  ri 
luminose  ed  ardenti  rappresentavano  le  tre  virtù  teologali  ed  infuse, 
fede,  speranza  e  carità,  delle  quali  egli  fu  spoglio,  e  non  ebbe  mai 
saggio.  Dante  siccome  cristiano  ne  senti  l' importanza,  e  la  sentì  più 


CANTQ  Vili.  201  - 

Ed  io  a  lui  :  A  quelle  tre  facelle,  ** 
90.         Di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arde.  S9 
Ed  egli  a  me  :  Le  quattro  chiare  stelle,  60 

per  istinto  cristiano  che  per  altro,  e  perciò  senza  punto  avvedersi 
veniva  egli  rapito  dietro  una  cosa  ohe  era  tutta  da  lui,  e  della  quale 
egli  era  innamorato.  Insomma  Dante  ama  quelle  tre  stelle,  e  in  esse 
si  fissa  perchè  sente  dentro  di  sé  una  cotale  rassomiglianza  tra  le 
tre  virtù  che  possiede,  e  quelle  tre  stelle. 

5*  A  quelle  tre  facelle.  A  quelle  tre  stelle  dove  Dio  ha  posto  sin 
da  principio  le  tre  virtù  teologali  fede ,  speranza  e  carità ,  le  quali 
furono  infuse  nei  nostri  progenitori  già  creati  in  grazia,,  e  delle  quali 
andarono  privi  tutti  i  loro  figliuoli,  pena  del  loro  peccato,  virtù  che 
nei  cristiani  vengono  infuse  nel  battesimo.  Noi  le  troveremo  in  cima 
a  questa  montagna  corteggiare  il  carro  della  Chiesa  cattolica.  (Pur* 
gatorio,  C.  XXXI,  v.  131.) 

*9  Di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arde.  Perchè  queste  tre  stelle, 
o  virtù  stanno  al  polo  del  Purgatorio?  Perchè  sulla. cima  di  questo 
monte  havvi  il  Paradiso  terrestre,  dove  Adamo  ed  Eva  furono  creati 
innocenti,  e  quindi  adorni  di  queste  tre  virtù,  e  quindi  irraggiati  da 
queste  tre  stelle,  che  sono  le  virtù  stesse.  £  siccome  dopo  il  peccato 
vennero  essi  espubi  di  questo  luogo  felice  e  cacciati  ad  abitare  nel 
nostro  emisfero  volto  al  polo  settentrionale,  dove  procrearono  una 
prole  peccatrice,  cosi  si  dice  che  di  queste  stelle  arde  questo  e  non 
l'altro  polo. 

Si  dice  che  tutto  il  polo  arde  di  esse  e  non  solamente  che  di  esse 
risplende.  Ardere  è  molto  più  che  risplendere.  Noi  abbiamo  veduto 
nel  I  Canto  del  Purgatorio  il  polo  risplendere  delle  quattro  stelle 
che  erano  le  quattro  virtù  cardinali  ;  ma  siccome  le  tre  virtù  teolo- 
gali sono  infinitamente  superiori  alle  cardinali  ;  perciò  si  dice  che  di 
quelle  il  polo  tutto  arde  e  di  queste  che  risplende. 

w  Le  quattro  chiare  stelle.  Son  quelle  quattro  stelle  accennate 
nel  Canto  I  del  Purg.,  dove  disse: 

Io  mi  volsi  a  man  destra,  e  posi  mente 
All'altro  polo,  e  vidi  quattro  stelle 
Non  viste  mai  fuor  ch'alia  prima  gente. 

Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle: 

le  quali  disse  il  poeta  che  irradiavano  la  faccia  di  Catone  :  Li  raggi 
delle  quattro  luci  sante  —  Fregiavan  sì  la  sua  faccia  di  lume. 
Notate  che  queste  quattro  stelle  si  dicono  sempre  emanatrici  di  lucei 


202  PURGATORIO 

Che  vedevi  sta  man  son  di  tti  basse,  6f 
E  queste  son  salite  ov'eran  quelle. 

ma  non  di  ardore.  Infatti  nel  Canto  I  si  parla  sempre  di  sola  luce, 
in  questo  Canto  Vili  pur  di  sola  luce,  perciò  si  dicono  qui  :  chiare, 
mentre  invece  le  tre  or  vedute  si  dicono  ardenti  ;  perche  le  quattro* 
virtù  cardinali  si  possono  possedere  anche  da  chi  non  è  cristiano, 
sebbene  assai  difficilmente,  e  formano  l'uomo  chiaro,  e  splendido  di 
umana  rettitudine,  qual  fu  Catone  ;  ma  le  tre  teologali  non  si  pos- 
sono possedere  che  direttamente  dallo  Spirito  Santo,  cho  è  simbo- 
leggiato nelTardor  dei  fuoco,  e  non  si  ottengono  che  in  seno  della 
vera  Chiesa.  A  far  dunque  conoscere  che  tutte  le  anime  che  sono 
al  Purgatorio  hanno  tutte  avuto  e  le  quattro  virtù  cardinali  e  le  tre 
teologali,  si  sono  entrambe  fatte  vedere  da  questo  monte  :  come  a  in- 
dicare il  caso  raro  che  un  uomo  senza  le  virtù  teologali  possegga  le 
quattro  virtù  cardinali,  si  pose  al  fondo  del  Purgatorio,  affatto  se- 
parato dalle  anime  sante,  che  vengono  a  purgarsi,  e  senza  speranza 
di  purgarsi  mai,  il  solo  Catone,  che  si  dà  cosi  come  un  caso  piuttosto 
unico,  che  raro. 

6i  Che  vedevi  starnati  son  di  là  basse.  Le  avea  vedute  appena 
sbucato  al  Purgatorio  (Canto  I).  Queste  quattro  stelle  per  chi  sta  al 
Purgatorio  antipode  di  Gerusalemme  non  tramontano  mai,  essendo 
il  polo  colà  elevato  dall'  orizzonte  ben  30  gradi,  come  il  nostro  è  ele- 
vato di  30  per  Gerusalemme.  Attenti  bene  a  quel  che  ora  son  per  dire* 
Se  Dante  fosse  sbucato  al  Purgatorio,  non  nella  faccia  rivolta  ad 
oriente,  ma  in  quella  rivolta  a  mezzodì,  egli  avrebbe  vedute  tutte 
queste  sette  stelle,  sebbene  le  4  ad  oriente,  le  3  ad  occidente.  Egli 
invece,  come  abbiam  veduto  e  provato  in  più  luoghi,  era  sbucato  al 
Purgatorio  nella  faccia  del  monte,  che  guarda  ad  oriente.  Dunque 
è  chiaro  che  voltosi  a  mezzodì  (come  dice  «il  Canto  l)egli  dovea  vedere 
le  4  stelle  e  non  le  3  ;  perchè  le  4  erano  al  polo  dalla  parte  di  oriente, 
e  le  3  erano  al  polo  dalla  parte  di  occidente,  la  qual' ultima  parte 
egli  non  potea  vedere  per  il  monte  che  ne  lo  impediva,  siccome  è 
facile  accorgersi  guardando  il  mio  diseguo  della  Montagna.  E  quan- 
tunque il  poeta  sia  ora  arrivato  all'altezza  di  miglia  91,  pure  egli 
è  ancora  nella  stessa  faccia  del  monte  volta  ad  orieute,  e  perciò  per 
riinpedimeuto  del  monte  utesdo  vedrà  ora  le  3,  e  uou  le  4,  perchè 
le  tre  sono  al  polo  dalla  parte  di  orieute,  e  le  4  sono  al  polo  ,  ma 
dalla  parte  di  occidente  che  pel  monte  non  può  vedere.  Ma  notate 
ben  tutto.  Queste  quattro  stelle  non  solo  dico  clic  sono  al  di  là,  cioè 
al  di  là  del  monte  verso  occidente,  che  ne  toglie  il  vederle,  ma  sono  al 


CANTO  VITI.  203 

Com'ei  parlava,  e  Sordello  a  sé  '!  trasse  62 
Dicendo  :  Vedi  là  *1  nostro  avversare  ; 
E  drizzò  '1  dito,  perchè  in  \h  guatasse. 6S 

Da  quella  parte,  onde  non  ha  riparo 
La  picciola  vallea,  era  una  biscia,  " 


di  là  anche  beute.  Se  le  4  fossero  al  di  là,  ma  alla  stessa  elevazione 
dall'  orizzonte  delle  tre,  non  sarebbero  passate  che  12  ore  dalla 
venata  al  Purgatorio  a  questo  momento.  Ma  siccome  ne  son  passate 
di  più,  cioè  15.40  almeno,  come  si  può  vedere  nella  mia  I  Tav.  del 
Purgatorio  al  caselline»  delle  Ore,  sommandole  insieme  dalle  2.50  an- 
timeridiane fino  alle  6.30,  ultima  ora  ritrovata;  perciò  dice  che  sono 
al  di  là  basse,  indicando  con  questa  parola  che  sono  passate  più  di 
12  ore  dal  principio  del  Purgatorio  sino  a  qui,  cioè  ore  15  e  min.  40 
almeno. 

Dico  almeno,  perchè  dall'ultima  ora  trovata  (6.30),  (vedi  sopra 
nota  63)  avvenne  l'abboccamento  con  Nino,  che  porta  l'aggiunta  di 
pochi  altri  minuti. 

Prima  di  chiudere  questa  nota,  amo  che  osserviate  il  sapientis- 
simo ritrovato  del  poeta,  nell'imaginare  che  queste  sette  stelle,  che 
sono,  come  è  detto,  sette  virtù  necessarie  a  salute,  sieno  tali  che  mai 
non  tramontino,  come  tramontano  le  altre  da  quelle  distanti.  E  ciò 
è  molto  bene  pensato,  perchè  non  sono  le  grazie  e  le  virtù  divine 
che  manchino  all'uomo,  è  sempre  l'uomo  che  manca  ad  e3se.  Stupen- 
dissima verità! 

63  E.  Questo  e  sta  per  avverbio  di  tempo,  ecco  che  Sordello  a  «è  7 
tra$se.  Non  movendolo  di  luogo,  ma  invitandolo  ad  attendere  a  sé 
per  la  cosa  che  gli  volea  mostrare,  distaccandolo  dal  colloquio  con 
Dante.  Sordello  continua  ad  avere  Virgilio  per  suo  oggetto  princi- 
pale, ed  a  lui  bì  rivolge  e  non  a  Dante,  forse  per  vergogna  di  curarlo 
adesso,  non  avendolo  curato  prima. 

Cosi  vediamo  succedere  anche  tra  noi,  che  difficilmente  ci  vo- 
gliamo ricredere  del  nostro  contegno  passato.  Le  sono  inezie,  è  «vero, 
ma  avvengono;  e  ciò  basta  perchè  a  seguir  natura  si  rinnovino 
anche  qui. 

«*  Perchè  in  là  guataste.  A  sinistra,  alla  bassa  imboccatura  della 
valle,  che  non  avea  riparo. 

<"  Picciola  vallea.  Di  soli  sette  passi  di  profondità,  come  abbiamo 
veduto,  aperta  verso  mattina. 


204  PURGATORIO 

Foree  qual  diede  ad  Eva  il  cibo  amaro.  • 
100.   Tra  l'erba  e  i  fior  venia  la  mala  striscia,  m 
Volgendo  ad  or  ad  or  la  testa,  e  il  dosso 
Leccando,  come  bestia  che  si  liscia. 

Io  noi  vidi,  e  però  dicer  noi  posso,  CT 
Come  mosser  gli  astor  celestiali,  ** 
Ma  vidi  bene  e  Fimo,  e  l'altro  mosso. 

Sentendo  fender  l'aere  alle  verdi  ali  " 
Fuggìo'l  serpente,  e  gli  angeli  dier  volta 
Suso  alle  poste  rivolando  iguali.  70 

L'ombra,  che  s'era  al  giudice  raccolta  7I 
ilo.        Quando  chiamò,  per  tutto  quell'assalto  ™ 


£3  Forte  qual  diede  ecc.  Sospetta  il  poeta,  che  sia  quella  di  Et» 
per  vederla  ancora  sa  quel  monte,  solla  cima  del  quale  era  il  para- 
diso terrestre  dove  fece  la  gran  tentazione  Cibo  amaro  per  le  amare 
conseguenze. 

**  Tra  feria  e  i  fior  ecc.  Si  descrive  al  naturale  r andar  dei  ser- 
penti, i  movimenti  delle  loro  spire,  e  la  lingua  che  spesso  caccia» o 
fuori  in  atto  di  leccarsi,  come  talora  fanno  i  cani  ed  i  gatti. 

•*  Io  noi  vidi  ecc.  Non  vide  il  primo  momento  della  lor  mossa,  per* 
che,  come  Virgilio,  guardava  anch' egli  alla  biscia,  ma  si  volse  ad  eaai 
al  suon  dell'ali  che  subito  senti. 

*$  Attor  celestiali.  Gli  uccelli  celestiali. 

*•  Sentendo  fender  Caere  ecc.  £  mollo  bene  amplificata  la  paura 
del  demonio  alle  persone  e  cose  sanie.  Gli  basta  sentirne  un  lontano 
indirò,  perchè  si  dia  alla  fuga.  Trattandosi  poi  di  angeli,  si  ricordò 
ancora  dell'angelo  che  lo  colpi  dopo  la  gran  tentazione  di  Eva.  Le 
apade  dunque  in  mano  di  questi  angeli  non  sono  per  adoperarle,  che 
noe  e* è  mai  bisogno,  ma  più  per  indizio,  ed  onore  del  loro  officio 
che  altro. 

"^  Alle  poeie.  Alle  sedi  prime  scelte  da  essi  per  la  difesa.  Iguali, 
eguali.  Ugualmente  si  mescere,  ed  ugualmente  ritornarono.  Nel  di- 
segno e  n*lla  pittura  come  nella  poesia  in  quel  secolo  di  aurea  sem- 
plicità si  voleva  sempre  simmetria. 

•  •  L'ombra  cke  etra  ecc.  Currado. 

73  Quando  chiamò.  Quando  Nino  gli  disse:   £v  Currado, 


CANTO  VITI.  205 

Punto  non  fu  da  me  guardare  sciolta.  " 
Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto  7i 
Trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
Quant'  è  mestieri  infino  al  sommo  smalto,  w 
Cominciò  ella,  se  novella  vera  16 
Di  Valdimagra,  o  di  parte  vicina  " 
Sai,  dilla  a  me,  che  già  grande  la  era. 7* 
Chiamato  fui  Currado  Malaspioa  : 79 

™  Punto  non  fu  ecc.  Tant'era  l'ammirazione  che  l'ava*  colpita  per 
▼edere  un  vivo  in  quei  luoghi,  che  dimenticando  il  serpente  e  la  di- 
fesa, era  tutta  in  Dante. 

n  Se  la  lucerna  ecc.  Cosi  la  grazia  che  ti  mena  per  questo  viaggio 
trovi  neHa  tua  libera  volontà  la  corrispondenza  sino  alla  fine:  ossia 
per  quanto  io  desidero  che  la  grazia  trovi  in  te  tanta  cooptazione,  ecc. 
Bella  ed  arguta  allegoria  della  grazia  divina  simboleggiata  nella 
fiaccola  ardente,  e  della  umana  cooperazione  simboleggiata  nella  cera. 

™  Quant'è  mestieri  ecc.  Tanta  cera,  ossia  tanta  tua  cooperazione 
alla  grazia,  quanta  è  necessaria  per  condurti  al  termine  del  Purga- 
torio, dove  hawi  il  delizioso  paradiso  terrestre.  Con  ciò  gli  augura 
la  perseveranza  nel  bene,  perchè  la  corona  ò  dei  perseveranti. 

Jnfino  al  sommo  smalto.  Il  delizioso  paradiso  terrestre,  Currado 
si  riporta  a  questo  termine,  ed  è  come  si  fosse  riportato  al  termine 
del  Paradiso  empireo.  Perchè  chi  ha  la  perseveranza  sino  al  terrestre, 
dove  ogni  colpa  e  pena  è  rimessa,  l'ha  per  conseguenza  sino  all' em- 
pireo. Io  non  veggo  perchè  si  disputi  tanto  su  questo  sommo  smalto, 
intendendolo  altri  per  il  cielo,  smaltato  di  stelle,  ed  altri  pel  paradiso 
terrestre.  Intendete  come  volete,  la  cosa  riesce  allo  stesso.  E  certo  fa 
maraviglia  l'udire  il  Balbo  nella  Vita  di  Dante  dire  a  questo  proposito» 
che  questo  —  è  de*  pochi  passi  ove  sia  insolvibile  il  dubbio,  e  se  n'ab- 
bia cosi  ad  incolpare  l'autore  d'oscurità  —  Oh  beatissima  oscurità  t 

7*  Se  novella  vera.  Questo  secondo  se  è  condizionale. 

n  Di  Valdimagra.  Di  Lunigiana  di  cui  una  parte  si  estende  per 
la  valle  del  fiume  Magra,  ed  un'altra  nelle  parti  ad  essa  contigue; 
perciò  aggiunge,  o  di  parte  vicina. 

™  Era  signore  di  Lunigiana. 

™  Chiamato  fui  Currado  Malaspina  ecc.  Ecco  l'albero  genealogico 
di  questa  celebre  famiglia  signora  di  Lunigiana  generosa  ospitatrice 
di  Dante,  presso  la  quale  fece  quasi  tutto  il  suo  Inferno,  e  dalla 


286 


PURGATORIO 


quaJe  dovette  aver  arati  per  la  dimora  di  Parigi,  dove  Dante  com. 
pose  una  gran  parta  del  suo  Purgatorio.  L'albero  è  tratto  da  Ce- 
sare Balbo,  Vita  di  Dante,  Parte  li,  Capo   VI. 

Obiazone 
▼**••  uei  secolo  XII 

Corredo  detto    l'antico 
gran  guerriw»  al  phoeipio  del  secolo  XIII  morto  nel  1190 


r 


Moroello 

march,  di  Mulatto 

morto  nel  4389. 


Manfredi 
march,  di  tf  io?  agallo 


Federigo 
march,  di  Vuiafraac*. 


I 


Franceachino 

o^ntò  Dante  almeno 
sino  al  1806,  pelseg. 
atto  tuttora  esistente 
d'  una  legasione  di 
Oaole:«NellSOSadd! 
tiott.  all'ora  tersa  Tu 
fatta  pace  tra  il  «en. 
padre  il  signor  Dos 
Antonio  Vescovo  per 
uoa  parte,  e  Fr ance- 
schino  marchese  Ma- 
laspina  e  Corradino 
del  fn  Obiztino  mar- 
chese 51  alaspioaean- 
cora  Uoroello  mar- 
chese Malatpina,  che 
il  detto  Franceschi- 
ito  prò  carerà  indurre 
alia  ratifica.   •   Per 
proni rar  q sesta  paco 
fu  falla  procura  pri- 
ma a  Dante.   Ceco 
l'atto  di  procura:  «Il 
inaimi  fico  sig.  Frau- 
ceschino  march.  Ma- 
laspina fece  suo  pro- 
curatore Dante  Ale- 
gerì  di  Firense  a  ri- 
cevere e  dar  la  pace 
da  farsi  tra  il  \en. 
pad.  il  sìr.  D.  Anto- 
nio Vescovo  di  Luni 
da    una  parte  e  il 
stg.  Francescano  in 
nome  proprio  e   di 
Moroolio  e  Corradi- 
no  fratelli  marchesi 
Malaspina  dall'altra 
parte;  ed  a  promet- 
tere che  il  sig.  Fran- 
«-«schiiio  detto  pro- 
curerà la  ratifica  del 
detto  Mg.  Gorradino 
per  sé  «  «noi  fratelli.» 
In  Mulatto  rsisle 
ancora    un  resto  di 
torre  detta  di  Dante, 
e  li  presso  una  casa 
detta  pur  di  Dante. 


Moroello  II 

detto  Vapor  di  Val- 
dimagra,  inf.  XXIV. 


Corrado  II 
mori  nel  1494.  Fa 

Radre  dell'  unica 
glia  Spina.  Que- 
sto è  il  trovalo  da 
Dante  nella  vallet- 
ta, Purg.C.  V1U. 


Obiccino 


Moroello 

A  questo  dedicò 
Dante  il  Pur- 
gatorio. 

Dan  le  abili» 
presso  questi  ino 
al  iM8,  quando 
parti  per  Parici, 
dove  si  trattenne 
almeno  fino  alla 
state  del  1310. 
epoca  della  calata 
di  Arrigo  VII  la 
Italia,  che  offri 
occasione  al  poe- 
ta di  abbandonar* 
Parigi,  e  di  con- 
cepire sperante  di 
ritorno  in  patria* 


CANTO  Vili.  i>07 

Non  son  l'antico,  ma  di  lui  discesi  :  *° 
420.        A'  miei  portai  l'amor  che  qui  raffina  8I 
01  j,  dissi  lui,  per  li  vostri  paesi 

Giammai  non  fui  ;  ma  dove,  si  dimora  w 
Per  tutta  Europa,  ch'ei  non  sien  palesi?  ** 
La  fama  che  la  vostra  casa  onora,  84 
Grida  i  signori,  e  grida  la  contrada , 
Sì  che  né  sa  chi  non  vi  fu  ancora. 
Ed  io  vi  giuro,  s' io  di  sopra  vada,  85 
Che  vostra  gente  onrata  non  si  sfregia 
Del  pregio  della  borsa  e  della  spada.  ** 
130.  Uso  e  natura  sì  la  privilegia,  87 

•o  Non  8on  Vantico  ecc.  Vedi  qui  appresso  l'albero  genealogico. 

•*  A'  miei  portai  ecc.  Ebbi  l'amor  d'ingrandire  i  miei,  onde  dila- 
zionai a  darmi  a  Dio,  amor  che  qui  si  parifica  e  raffina. 

ag  Giammai  non  fui.  Avvertite  sempre  che  Dante  finse  questo  suo 
viaggio  nel  1300.  Del  resto  abbiano  già  veduto  che  questo  scrisse  real- 
mente tra  il  1309  ed  il  1310,  quando  già  era  stato  ospite  dei  Malaspina. 

*3  Per  tutta  Europa  ecc.  I  Malaspini  in  Lunigiana  erano  il  rifugio 
di  tutti  gli  esuli  ghibellini. 

8*  La  fama  ecc.  Vedi  la  nota  83. 

*5  Ed  io  vi  giuro,  s'io  di  sopra  vada.  Dante  giura  per  quel  buon 
augurio,  che  Currado  gli  fece  sopra,  quando  gli  disse: 

Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto 
Trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
Quant'è  mestieri  infino  al  sommo  smalto. 

Accennando  a  quest'ultime  parole  massimamente,  egli  giura  per  la 
stessa  grazia  che  a  aè  desidera.  Dunque  vuol  dire  :  cosi  io  di  sopra 
vada,  cioè  di  sopra  a  questo  monte  dove  e'  e  il  sommo  smalto,  a  cai 
giunti  non  abbiam  più  né  colpa  né  pena. 

**  Del  pregio  della  ecc.  Il  pregio  della  borsa  è  la  liberalità  e  il 
pregio  della  spada  è  il  valor  guerriero.  (Vedi  la  nota  79.) 

8i  Uso  e  natura.  La  natura  non  Insta  a  far  virtuose  le  schiatte,  ci 
vuole  anche  T esercizio  dei  doni  di  natura.  Nell'una  cosa  e  nell'altra 
i  Malaspina  sono  privilegiati. 


208  PURGATORIO 

Che,  perchè  1  capo  reo  lo  mondo  torca.  •■ 
Sola  va  dritta,  e  il  mal  cammin  dispregia, 

Ed  egli  :  Or  va  che  il  sol  non  si  ricorca  " 
Sette  volte  nel  letto  che  il  Montone 
Con  tutti  e  quattro  i  pie  copre  ed  inforca, 

Che  cotesta  cortese  opinione 

Ti  fia  chiavata  in  mezzo  della  testa 

Con  maggior  chiovi  che  d'altrui  sermone  ;  *° 

Se  corso  di  giudicio  non  s'arresta. 


IH 


••  Perchè  'l  capo  reo  lo  mondo  torca.  Quantunque  il  Supremo  Capo 
della  cristianità,  Bonifacio  Vili,  faccia  deviare  il  mondo.  Se  mostra» 
qui  il  Poeta  non  riverente  al  supremo  Pastore,  se  ne  cerchi  la  causa 
e  nelle  sue  viste  politiche  che  vedea  contrariate  e  nei  personali  risen- 
timenti, che  nutriva  contro  Bonifacio.  Questo  capo  reo  cosi  interpretato 
riceve  una  conferma  dal  passo  del  Purg.,  C.  XVI,  v.  97  e  seg. — 
Altri  però  intende  per  capo  reo  il  demonio,  il  quale  veramente 
colle  sue  arti  tenta  sviare  il  mondo  dal  retto  sentiero  e  tirarlo  sai 
mal  cammino. 

*'<>  //  Sol  non  sì  ricerca  —  Sette  volte  ecc.  Non  passeranno  dal  pre- 
sente (1300, 10  Aprile,  Sole  in  Ariete)  sett'anni,  che  la  buona  opinione 
che  hai  di  mia  famiglia  ti  sarà  riconficcata  in  testa  per  la  generosa 
ospitalità  che  ne  avrai.  Ogni  volta  che  il  Sole  ritorna  in  Ariete  si  conta 
un  anno.  Quando  il  Sole  va  in  una  costellazione  si  dice  poeticamente 
ch'egli  si  ricorca  in  quel  letto.  Dante,  come  vedemmo  nella  nota  79, 
era  già  in  Lnnigiana  nell'Ottobre  1306  venutovi  da  Padova  non  molto 
prima;  e  cosi  il  vaticinio  combina  coli* avvenuto. 

w  Con  maggior  chiovi  ecc.  Con  fotti  e  non  solo  con  parole,  cioè  coi 
fatti  generosi,  colle  beneficenze  de'  miei  nipoti  e  pronipoti  verso  di 
te,  che  son  assai  più  che  le  voci  della  fama  onorevole  alla  mia  fa- 
miglia. 

*i  £>  cor$o  di  giudicio  eoe.  Se  non  si  arrestano  gli  ordini  della  prov- 
videnza divina. 


G  ANTO    12 


Argomento. 


A  due  ore  e  mezza  di  notte  il  poeta  a9 addormenta.  Allo  spuntar 
dell'alba  egli  ha  un  sogno  allusivo  al  fatto  che  gli  succede.  Mentre 
dorme  e  sogna  è  preso  e  portato  in  su  per  via  a  Dante  impossibile. 
da  una  donna,  che  è  S.  Lucia,  sino  a  poca  distanza  dalla  porta  del 
Purgatorio.  Ivi  la  donna  lo  depone  dalle  sue  braccia,  il  sonno  lo 
lascia,  e  si  risveglia  che  sono  già  oltre  a  due  ore  di  Sole.  Dante  è 
smarrito  per  vedersi  in  luogo  diverso  dalla  valletta  dove  il  sonno  lo 
colse,  e  Virgilio,  che  è  solo  al  suo  fianco,  gli  spiega  tutto  l'accaduto. 
Rassicurato,  fa  a  piedi  il  resto  della  roccia  ormai  praticabile,  che 
mena  alla  porta  del  Purgatorio.  Si  descrive  questa  e  il  portinaio, 
che  vuole  le  debite  spiegazioni  dai  due  arrivati,  che  finalmente  si 
lasciano  avvicinare.  Dante  s'inginocchia  davanti  al  portinaio  e  questi 
colta  punta  della  sua  spada  gli  imprime  sette  P  nella  fronte.  Indi 
tratte  due  chiavi,  apre  ed  entrano  i  poeti,  i  quali  subito  odono  il 
canto  del  Te  Deum,  e  il  suono  che  i1  accompagnava.    . 


ÌV4.  Vedi  tatti  I  casellini  di  qneslo  Canto  nella  Taf.  1  ed  abbi  soU' occhio 

la  mia  Tav.  IV  Purg. 


L 


a  concubina  di  Titone  antico  '* 


i  La  concubina  eco.  La  mitologia  narra  che  l'Aurora  è  moglie  di 
Titone.  Non  avendo  la  moglie  chiesta  a  Giove  coli*  immortalità  anche 
la  perpetua  giovinezza  dello  sposo,  egli  invecchiò  ;  onde  la  dea  Aurora 
stanca  di  lai  si  prese  a  marito  il  giovane  Ccfal^pice  Titone  antico 
perchè  invecchiato. 

14 


210  PURGATORIO 

Già  s'imbiancava  al  balzo  d'oriente,  f 
Fuor  delle  braccia  del  suo  dolce  amico.  * 
Di  gemme  la  sua  fronte  era  lucente  * 
Poste  in  figura  del  freddo  animale,  * 

*  Già  s'imbiancava  ecc.  T  risono  le  età  dell'Aurora,  che  abbiamo 
veduto  e  notato  nel  II  Cauto  del  Purg..  nota  6.  bianca  dapprima,  poi 
rosacea,  finalmente  gialla  o  rancia  Qui  si  accenna  alla  prima  età,  anzi 
al  principio  della  prima  età.  cioè  al  principio  dell'albi. 

Al  balzo  d'oriente.  Dov'è  ques«o  balzo?  1-a  mitologia  pegti  abi- 
tanti del  nostro  emisfero  lo  pose  al  Gan^e.  Mi»  noi  col  nostro  poeta 
non  siamo  già  nel  nostro  emisfero,  ma  agli  antipodi  di  Gerusalemme. 
Come  dunque  il  poeta  ci  parla  come  fosse  nel  nostro  emisfero  :  Ri- 
spondo: il  poeta,  che  vuol  farsi  studiare,  qui  dice  l'ora  ebe  correva  per 
noi  al  nostro  emisfero  (e  vedremo  in  qual  parte  di  esso)  nel  momento 
che  Currado  al  fine  del  Canto  VI  IL  terminò  di  parlare,  e  poi  dirà  del- 
l'ora che  correva  per  lui  in  quel  momen  o  medesimo.  Ascoltiamolo 
con  pazienza,  e  intenderemo  o^ui  cosa  con  grande  no -tra  soddisfa- 
zione. In  tanto  compiamo  la  spìegazion  letterale. 

3  Fuor  delle  braccia  ecc.  X«»n  già  fuor  delie  braccia  di  Titone  già 
da  lei  ripudiato  per  la  sua  vecchie  .za.  ma  fuor  delle  braccia  del  suo 
no  vello  sposo  Cefalo.  Si  finge  che  l'Aurora  dorma  col  suo  sposo  durante 
la  notte:  alla  prima  luce  del  di  eccola  svincolarsi  dalle  braccia  dello 
eposo,  saltar  giù  dal  letto,  e  farsi  vedere, 

*  7>i  gemme  ecc.  Come  si  dice  che  il  Soie  leva  in  una  costellazione 
del  zodiaco  per  indicare  il  meie  in  cui  si  trova  il  So1?,  così  si  dice 
che  l'Aurora  leva  anch'essa  colla  sua  costolla^ou*.  la  quale  se  è  im- 
mediatamente prima  di  lei,  si  dice  che  form  \  !e  gemme  d  Ila  sua  fronte, 
e  ciò  per  esprimer  la  cosa  più  vaga  e  plebeamente  che  sia  possible. 
Quale  dunque  la  costellazione  che  levava  immediantemente  e  direi 
al  contatto  dello  spuntar  dell'alba?  La  dirà  nei  due  versi  seguenti. 

5  Poste  in  figura  ecc.  Poste  in  fig ara  dei  Pesci ,  che  souo  quel 
fnddo  animale  (vivendo  esso  nell'acqua^  eh»?  con  la  codi  percuote 
la  gente,  avendo  il  pesce  una  gran  forza  nella  sua  coda,  come  si  può 
vedere  quand'esco  è  tratto  in  asciutto  dove  la  sna  codi  basta  a  fargli 
dare  que*  balzi,  che  appena  darebbe  un  uomo  dritto  coi  piedi.  Que- 
sta e  non  altra  costeMazionc  è  qui  indicata.  ibi  intese  7o  Scorpione 
errò  d'aseai.  I  Pesci  precedono  di  2  ore  la  costellazione  d'Ariete,  nella 
quale  è  il  Sole,  e  qpindi  vanno  unite  al  principio  dell'alba.  an«i  la 
cleono  precedere  d'alcuni   minuti,  come  vedremo,  ragion  per  cui  ai 


CANTO  IX  .  211 

Clie  con  la  coda  percuote  la  gente: 
E  la  notte  de'  passi  con  che  sale  € 

dice  che  sono  nella  sua  fronte.  Presto,  c:oè  dopo  la  spiegazione  del» 
l'altra  terzina,  diremo  che  ora  intendeva  il  poeta  con  quest'alba  fin 
qui  descritta,  e  qual  luogo  della  terra  egli  intendeva,  che  allora  go- 
desse di  quest'alba.  Intant)  pognamoci  nella  mente  che  in  queste 
due  terzine  non  si  parla  del  Purgatorio,  ma  di  un  altro  luogo  che 
vedremo,  dove  faceva  il  principio  dell'alba,  mentre  al  Purgatorio  fa- 
covasi  un'altra  ora,  cioè  2  *f-i  di  notte, 

6  E  la  notte  de' passi  ecc.  Noi  camminiamo  a  forza  di  passi  che 
facciamo,  e  questi  passi  altro  non  sono  che  il  levar  de'  piedi  a  vi- 
cenda portandol^innanzi,  descrìvendo  un  semicerchio  schiacciato.  Eb- 
bene anche  la  notte  poeticamente  ed  elegantemente  parlando  ha  i 
suoi  passi  come  noi,  e  questi  passi  sono  le  ore  Ma  notate  che  la 
notte  sino  alla  sua  metà  ha  passi  di  salita,  e  dopo  la  metà  ha  passi 
di  discesa  presso  poco  come  noi  quando  ci  mettiamo  a  scavalcare  un 
monte  da  una  radice  all'altra,  che  sino  alla  sua  cima  facciamo  passi 
che  salgono,  e  dalla  cima  in  giù  facciamo  passi  che  discendono.  Ora 
i  passi  di  salita  della  notte  sono  tutte  le  sue  ore  sino  alla  mezza- 
notte, e  i  suoi  passi  di  discesa  sono  tutte  le  ore  sino  al  comincia- 
mento  dell'alba.  Lasciamo  questi  ultimi  passi,  dei  quali  qui  non  si 
parla,  e  ragioniamo  solo  dei  primi  che  sono  intesi  dal  poeta.  Di  questi 
parlando  egli  dice,  che  sinora  la  noUe  nel  luogo  ove  eravamo,  cioè 
al  Purgatorio,  ave  a  fatto  due  passi  e  mezzo,  cioè  erano  passate  due 
ore  e  mezza  di  notte.  La  mezza  è  indicata  dal  verso  :  E  il  terzo  pia 
chinava  in  giuso  Vale,  cioè  avea  fatto  la  prima  metà  del  passo.  Ma 
intendiamoci  bene  con  questa  notte.  La  notte,  secondo  il  giudizio  di 
Dante  (comesi  dimostra  da  quti  verso  del  Canto  XXXIV  dell' in/.: 
Ma  la  notte  risurge,  e  ora  mai  ecc.  quando  eran  finiti  i  crepuscoli) 
non  contasi  dal  tramonto  del  Sole,  ma  contasi  dal  termine  dei  cre- 
puscoli, il  quale  addì  9  Ottobre,  nostro  giorno  al  Purgatorio,  suc- 
cede alle  7  pomeridiane.  Solo  da  questo  punto  comincia  la  notte  e 
va  sino  all'alba  del  dì  appresso  ascendendo  per  u-ia  metà  e  discen- 
dendo per  l'altra  sua  metà,  come  si  farebbe  girando  per  un  semi- 
cerchio verticale  da  un  capo  all'  altro  ;  ma  ricordiamoci  che  siamo 
sempre  nella  metà  ehe  sale.  Essendo  dunque  due  ore  e  mezza,  co- 
minciandole però  dalle  7,  come  abbiam  detto,  ecco  che  noi  siamo  alle 
ore  9  e  mezza  pom.  nel  luogo  ove  siamo  col  poeta,  cioò  al  Purga- 
torio. Riepiloghiamo  le  nostre  ore  dal  tramonto  in  poi.  Tramon- 
tava il  Sole  nel  Canto  VII  verso  la  metà  della  rivista  dei  Principi 


*!2  PURGATORIO 

contemplali  dal  Indro,  e  quindi  allora  areramo  oif  5.S5.  Eraro  le  5-55, 
ossìa  30  minati  dopo  il  tramonto  (Canto  VIH).  quando  l'anime  detta 
valletta  cantarono  l'inno  di  Compieta  e  discesero  gli  Angel'.  Erano 
le  &S).  cioè  men'ora  aranti  il  fine  dei  creposcolo.  qiando  i  poeti, 
Temendoci  ornai  troppo  poco,  diatewio  nel  fondo  de9a  valle  rrammàv 
■cbìandoaì  aITan>xse  e  Tacendo  tosto  coawece  uà  del  giudice  Xmo. 
L  abboccamento  eco  Nino.  l'usici  «anone  deBe  tre  stelle  polari.  l'aa- 
mito  del  serpente  e  rabbocca aMnto  con  Cnrrado  qui  soio 
ava  «be  si  lancia  credei*  pia  targo}  ci  portano  a  quest'ultimo 


Ciò  oosto  cocce  »  ccmKsa  l'ora  defle  nere  e  mena  pom.  eibe 
ai  buaso  al  Purgatorio  col  prìncipi*  un'alba,  par  qui  indicato?  Si 
combina  cc*ì»  ebe  W  cor?  e  n>»aza  seno  riferite  al  Purgatorio  (mei 
luco  er>r*rtiv*;%  *  Talba  è  riferita  a  un  altro  luogo  £1  Tene  dal  Pmr- 
gateòo,  conte  deTe  «aere.  Ma  q-xil  è  questo  ?Taogn  de£a 

terra,  ebe  ba  il  pri^cir»  deìTa-ba  quando  il    Purgatorio 
e  mezza  pooDerìd  asa?  CeTcròamolo.  e  per  alatarà 

d'orcèm  a  tirara  ascrcnemùta  in  fine  d*&i  nota*  Il  Soie  è 
tramestato  a!  Parlatorio  aue  5l25  reiSb  neQa  figura .  Dui  parto 
di  qnesto  tramo*  co  aue  ?3>  in  ce  «ìa^x  ra>  passale  ore  4.&V. 
baiati  rn-ii  ^x^/ae  arra  percorse  il  SoGe  dal  tramonto  in  pai  weso 
CkruaairKme  in  -;aes»  ore  4..Ó ?  Fcrsesò*  il  S«4e  15 
egfi  in  ere  1.06  arra  percorso  il  grui:  crescente  Terse 
Eccoti  ueZa  Sottra  aJtzoavmJca  il  Scie  in  ■>!  rraòe  dal 
Ora  l'cnxirfrrj  è  *ì:tso  in  IiO  gradi,  dei  qaaa  W  arcartene* 
mi  qnnùnA«e.  E.  S*:ò*  ixauj*  arra  p»*rcorao  ti  cl  quessi  àv.  Se  ne 
aieiaw  p«xe*?e5o  *?  sur:  bòv  jrà  a  G<roat>mm*.  csma  oascerrbò*  a 
Gercmómm**.  At-u.ì«;cu;  ìnTwe  percorso  sciiti,  mancano  ancocm  afta 
del  S;i<  a  Gerssaùannn*  <ri*i£  t>.  Wiiio  a*rua  Srim  astro- 
.  v^xaiùe  :re  ime»,  rtara  \w«ì  2S  xt*Jì?  A  tosò*  òen»  ebe 
2  Soie  fii  ?3  ^radi  jer  :ra.29  graòi  anccr«r«òc«r:  oc*  I.j*.  Dua- 
«jmt  a  lWfr&sk«aiim!  majKan»  ore  I  Jn  ili  atucica  iei  5v*e.  qmmnV 
al  Pxrrap^no  iìòuìobj  «ir*  ÌJ50  rvox  V-fiì  anenrt  q-w»c^  ae&a  a> 
gara  a^Crva»jauc^\  Ma  !  >i  :raa  òfiLk  xkseisa  òzi  Xiì«*.  àbramn*? 
^natfì  1  rrmeiuM  iea'  aJtnk.  e  -ied~  i^bu.  a  G<rsdaìevB:e.  Dri»  *i<£a?i 
avtnci^to.  3«rv-ùtf  finoiAtt  l'ilba,  av?:i:2*  -?rf  I  ir)  prau  affli  sa* 
arina:  s»rrhìì  aeì  rasilo  Ji^faoo:  iboiaaio  l*f  sia  ir.  ii  iv-iaao  sul 
prausgte  ÀJ'iiba.  rrrai;t»»  ?«?-.■:«:  cvminci  .  i-ba  i  v^roba. Vanne  s^n. 
cano  anc*^rt  li  m±nnri  l  <  ;«.nùi  I  L'ok  airi  :vaiiat:uiS&  a  xn  hxo*>: 
mi  «e  ii  ^rxaaùiaixut;  *iof?.   ;xmcj  persia**  ;^e»c  li  jiinatL  Ma 

cìi  a^bik  ^tzescu  lutici  k  il  m-  ai  .aUicir;    io!   pv<c&.  Ma  ^  c«mu 


CANTO  IX 


213 


dice  ancora,  che  quest'alba  era  preceduta  dai  Pesci;  ed  appunto 
quell'alba  dovea  esser  preceduta  da  essi.  Infatti  voi  vedete  nella  mia 
Tav.  VII,  Purg.y  che  prima  nascono  i  Pesci  e  poi  nasco  Ariete,  in 
cui  è  il  Sole  presentemente  (IO  Aprile).  • 

Un  dubbio  potrebbe  restare  in  chi  mi  legga,  e  sarebbe  quello 
di  credere  che  tramontando  il  Sole  al  Purgatorio,  nasca  subito  per 
Gerusalemme  sua  antipode.  Il  creder  questo  sarebbe  credere  un  er- 
rore. Se  fosse  cosi  non  avrebbe  il  Sole  per  tutta  la  terra  che  una 
nascita  sola  ed  un  tramonto  solo.  Invece  egli  ha  tante  nascite  e  tanti 
tramonti,  quanti  presso  a  poco  sono  i  gradi  della  circonferenza.  Non 
è  che  astrattamente  parlando,  che  tramontando  il  Sole  ai  nostri  an- 
tipodi si  dice  che  nasce  per  noi;  ma  infatto  egli  non  ci  nasce  che 
molto  più  tardi,  e  prima  nasce  per  tanti  altri  siti.  Il  caso  che  il  Sole 
appena  tramontato  da  un  emisfero  nasca  all'altro  non  può  verificarsi 
che  pei  quasi  centricoìi,  come  abbiamo  detto  e  provato  noli' Appendice 
alC.  XXXI V  dell' //i/.  Pegli  abitanti  della  superficie  nasce  gradata, 
mente,  ed  è  a  questa  nascita  graduata,  che  bisogna  aver  l'occhio. 

SUD 

Purga  torio 


OVEST  Trtm 


EST 


/ 


^ 


Geru»a|lcnirue 


ore  |.96  prim»|della  nascita 
Pesci 


<*° 


NORD 


214  PURGATORIO 

Fatti  avea  duo  nel  loco  ov'eravamo, 
E  il  terzo  già  chinava  in  giuso  Tale; 
10.     Quand'  io  che  meco  avea  di  quel  d'Adamo,  T 
Vinto  dal  sonno  in  su  l'erba  inchinai  * 
Là  've  già  tutti  e  cinque  sedevamo.  9 

Nell'ora  che  comincia  i  tristi  lai  10 
La  rondinella  presso  alla  mattina,  u 
Forse  a  memoria  de"  suoi  primi  guai, 

E  che  la  mente  nostra  pellegrina  ia 

7  Di  quel  d'Adamo.  Di  quel  che  porta  la  condixion  umana  discen- 
dente da  Adamo,  cioè  necessità  di  riposo. 

8  Vinto  dal  sonno  ecc.  h\\  preso  dal  sonno  alle  nove  e  mina  po- 
meridiane, ossia  dopo  ore  4 .00  dal  tramonto. 

9  Là  'vd  già  ecc.  Kello  stesso  fondo  della  valletta  dove  sedevano 
tutti  e  cinritie,  cioè  Nino.  Currado,  Sordello.  Virgilio  e  Dante. 

*o  NelVora  che  comincia  ecc.  Eccoci  a  un'  altra  alba.  La  prima 
era  Falba  che  Taceva  a  J  gradi  Est  di  Genibalemme  nel  momento  che 
al  Purgatorio  si  contavano  oro  nove  e  inezia,  e  questa  seconda  ò 
Falba  del  Purgatorio  stesso.  Dunque  noi  abbiamo  qui  oggimai  ore 
4.34.  perchè  l"«lba  nel  Purgatorio  è  quella  dei  IO  Ottobre  rispon- 
dente alli  11  Api  ile,  che  si  ha  a  Gerusalemme,  e  Falba  dei  10  Ot- 
tobre avviene  alle  4.34,  .neutre  Falba  degli  11  Aprile  avviene  a  Ge- 
rusalemme alle  3.30.  Stando  dunque  noi  colFalba  del  Purgatorio  ai 
10  Ottobre,  che  avviene  come  dicemmo  alle  4.34,  ricaviamo  che  Dante 
ha  dormito  il  suo  primo  sonno  dalie  D.30  poni,  del  9  Ottobre  sino 
alle  4.31  antim.  del  10  detto,  il  che  porta  un  tonno  di  ore  7.04. 

**  La  rondinella  ecc.  Allude  alla  tavola  di  Progne  figlia  di  Pan- 
dioue  re  d'Atene  e  sorella  di  Filomela.  Ella  fu  trasformata  in  una 
rondine  e  Filomela  in  un  ussignuolo,  ed  il  figlio  di  Progne  in  un 
fagiano.  Ai  primi  albóri  ogni  uccello  si  desta  e  pigola. 

*2  E  che  la  mente  nodi  a  ecc.  Appena  ci  pogniamo  a  riposo,  di  mano 
in  mano  che  il  corpo  si  dà  al  sonno,  la  meute  si  va  come  partendo 
dal  corpo,  e  quando  il  corpo  è  tutto  preso  dal  sonno,  allora  la  mente 
è  come  sciolta  e  pellegrina  da  esso  corpo.  Questo  stato  dilla  mente 
è  massimo  presso  al  fine  di  un  lungo  ponno,  quand'  essa  non  solo 
si  è  sciolta  dalla  carne,  ma  ha  del  tutto  cancellato  i  pensieri  di  prima  : 
onde  se  in  quell'ora  avvieu  ch'ella  sogni,  i  sogni  suoi  si  tengono 
per  veritieri,  cioè  veramente  indicanti  un  qualche  reale  avvenimento, 


CANTO  IX  215 

Più  dalla  carne,  e  men  da'  pensier  presa, 
Alle  sue  vision  quasi  è  divina; 

In  sogno  mi  parea  veder  sospesa  13 
20.         Un'aquila  nel  ciel  con  penne  d'oro, 
Con  Tale  aperte,  ed  a  calare  intese: 

Ed  esser  mi  parea  là  dove  foro  u 
Abbandonati  i  suoi  da  Ganimede,  l5 
Quando  fu  ratto  al  sommo  concistoro.  ltì 

Tra  me  pensava  :  Forse  questa  fiede  i7 


per  essere  la  sola  mente  che  lavora  senza  ingombri  che  vengano  dij 
corpo.  Dante  stesso  disse  altra  volta  nelT/n/.  C.  XXVI  :  Ma  se  presso 
al  mattiti  del  ver  si  sogna.  È  questa  per  altro  una  teoria  basata 
sulle  dottrine  astrologiche  del  medio  evo,  che  però  fa  un  buon  ser- 
vizio in  poesia,  come  vedrassi. 

**  In  sogno  mi  purea  ecc.  Sognavasi  di  un  fatto  (poco  importa  se  mi- 
tologico) il  quale  veramente  avea  somiglianza  con  quel  fatto  che  succe- 
deva in  quell'istante  a  sé  stesso  Egli  sognava  d'esser  su  un  monte, 
e  infatti  v'era:  sognava  d'esser  presso  alla  cima,  e  infatti  v'era;  so- 
gnava che  calasse  a  lui  un'aquila  dal  cielo,  e  infatti  veniva  dal  cielo  per 
lui  S.  Lucia  ;  sognava  d'esser  trasportato  hi  alto,  e  infatti  era  a  braccia 
portato  in  su  dalla  santa.  Il  tutto  è  indicato  con  quelle  idee  esagerate 
che  comunemente  sono  frutto  di  sogni.  Anche  nel  C.  XXXI li  dell'////. 
un  sogno  indica  ad  Ugolino  la  morte  di  sé  e  de' suoi  figliuoli. 

**Là  dove  foro.  Sul  monte  Ida. 

43  Abbandonati  i  suoi  ecc.  La  favola  è  la  seguente.  Ganimede  fi- 
glio di  Troo  re  di  Troja  era  il  più  bel  giovane  del  mondo.  Giove 
ne  fu  invaghito,  e  fattosi  in  aquila  lo  rapi  mentre  stava  co' suoi 
sul  monte  Ida,  e  lo  fece  suo  coppiere  in  luogo  di  Ebe. 

16  Al  sommo  concistoro.  Al  consesso  dei  Numi. 

*7  Forse  questa  fiede  —  Pur  qui  per  uso.  Forse  quest'aquila  o  svo- 
lazza qui  per  solo  suo  uso  ed  esercizio  di  volo,  o  svolazza  qui  per 
rapire  al  cielo  la  gente,  sdegnando  di  prenderla  altronde  che  qui. 
Anche  in  questo  ghiribizzo  di  pensieri  v'  ha  la  sua  allusione  al  fatto 
vero,  che  in  tanto  succedeva  in  Dante,  sopra  il  quale  volava  S.  Lu- 
cia, come  durassi^  sia  per  suo  uso  di  volar  qui  dove  sono  i  suoi  figli, 
sia  perchè  sdegna  di  prender  le  anime  da  altro  luogo  chu  dal  santo 
suo  monte  per  portarle  al  Purgatorio. 


216  PURGATORIO 

Pur  qui  per  uso,  e  forse  d'altro  loco 
Disdegna  di  portarne  suso  in  piede.  ,s 

Poi  mi  parea  che,  più  rotata  un  poco, <9 
Terribil  come  folgor  discendesse, 
so.        E  me  rapisse  suso  infino  al  foco.  *° 

Ivi  pareva  ch'ella,  ed  io  ardesse  ;  2f 
E  sì  F  incendio  immaginato  cosse,  ** 
Che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse. 

Non  altrimente  Achille  si  riscosse,  " 

18  In  piede.  Ne'  suoi  artigli.  Dice  piede  e  non  artigli,  perchè  qoe- 
st' aquila  indica  una  santa. 

*9  Che  più  rotata  un  poco  —  Terribil  come  ecc.  £  il  fere  degli  oc» 
celli  di  rapina,  che  scendendo  alla  caccia  di  preda,  fanno  prima  ai- 
cani  roteameli  ti  quasi  per  adocchiar  meglio  la  preda,  e  poi  piom- 
bano rapidi  e  chiusi  su  di  lei ,  e  la  ghermiscono  portandola  in  sa. 

20  In  fino  al  foco.  Alla  sfera  del  foco.  Sovrapposta  alle  tre  regioni 
d'aria  insegnate  dagli  antichi,  aria  terrestre,  aria  delle  nubi,  aria 
purissima,  e  sopra,  la  regione  del  foco,  dove  uomo  mortale  non  po- 
trebbe vivere,  ma  dovrebbe  abbruciarsi.  Anche  questo  sollevamento 
(ino  alla  regione  del  foco  ha  la  sua  allusione,  allude  cioè  a  quel  fòco 
divino,  che  dicesi  carità,  da  cui  un'  anima  è  tutta  compresa  quando 
si  presenti  alla  porta  del  Purgatorio,  alla  quale  il  poeta  stava  per 
essere  trasportato. 

?i  Ivi  pareva  ch'ella  ecc.  Anche  questa  fantasia  è  allusiva  al  vero 
avvenimento  che  succedeva  a  lui  ed  a  S.  Lucia  presso  la  porta  de! 
Purgatorio,  ardendo  l'uno  e  l'altra  di  carità  divina,  o  di  divin  go- 
dimento, essendo  che  la  Chiesa  rappresentata  da  Lucia  gode  in  tras- 
portare al  Purgatorio  un  suo  fedele,  e  Dante,  che  è  questo  fedele, 
gode  anch'egli  immensamente  dell'esservi  trasportato. 

w  E  sì  l'incendio  ecc.  E  la  solita  catastrofe  o  fine  dei  sogni 
portentosi,  nei.  quali  il  sonno  continua  finché  la  fantasia  passando 
d'avvenimento  in  avvenimento  finge  a  noi  finalmente  p rea* piti,  ca- 
dute, od  altro  cose  di  simil  fatta  ;  e  allora  il  sonno  si  rompe,  e  ci 
lascia  in  uno  stato  di  turbamento. 

2a  Non  altrimenti  Achille  ecc.  Il  fatto  a  cui  allude  è  il  seguente: 
Te  ti  madre  di  Achille,  perchè  il  suo  figlio  non  andasse  coi  greci  alla 
guerra  di  Troja.  lo  vesti  da  donna,  e  togliendolo  al  suo  aio,  Chirone, 
lo  portò,  mentre  dormiva,  alla  corto  del  re  Licoinede  in  Schiro,  perchè 


0 


CANTO  IX  217 

Gli  occhi  svegliati  rivolgendo  in  giro, 
E'  non  sapendo  là  dove  si  fosse, 
Quando  la  madre  da  Ohirone  a  Schiro 
Trafugò  lui  dormendo  in  le  sue  braccia,  fl 
Là  onde  poi  li  Greci  il  dipartirò;  ** 
40.     Che  mi  scosa' io,  sì  come  dalla  faccia 

Mi  fuggì  '1  sonno,  e  diventai  smorto, 96 
Come  fa  Tuoni  che  spaventato  agghiaccia. 
Da  lato  m'era  solo  il  mio  Conforto,  ^ 
E  il  sole  er'  alto  già  più  di  due  ore, s8 

ti  facesse  vita  tra  le  femmine,  creduto  femmina.  Di  questo  fatto 
(mitologico  certamente)  sì  coglie  il  punto  della  sorpresa  e  dello  smar- 
rimento a  che  si  diede  Achille,  quando  nello  svegliarsi  non  si  trovò 
più  né  dove  era  prima,  cioè  a  casa  sua  presso  la  madre,  né  tampoco 
quel  di  prima;  onde  i  suoi  sguardi  esterrefatti  e  la  sua  confusione. 

2*  Trafugò  lui  dormendo  ecc.  E  precisamente  il  fatto  successo  a 
Dante  in  quell'ora,  essendo  anch' egli,  dormendo,  trasportato  in  braccio 
a  sua  madre,  la  Chiesa,  significata  per  Lucia,  in  luogo  diverso  da 
quello  ove  fu  colto  dal  sonno,  come  presto  vedremo. 

2*  Là  onde  poi  li  Greci  ecc.  Ulisse  e  Diomede. 

26  Diventai  smorto  ecc.  Sempre  tali  novità  producono  questi  smar- 
rimenti. ♦ 

27  H  mio  Conforto.  Virgilio. 

2ft  E  il  sol  er'alto  ecc.  Intendi  al  Purgatorio.  Il  sole  leva  addi  11 
Aprile,  volto  però  in  10  Ottobre  per  esser  noi  al  Purgatorio,  alle  ore  6.14 
circa.  Aggiungendo  a  queste  due  ore  almeno,  abbiamo  le  ore  8.14, 
ora  nella  quale  si  trova  Dante  allo  svegliarsi.  Ma  abbiamo  veduto 
di  sopra,  nota  8,  eh'  egli  si  pose  a  dormire  alle  9.30  della  notte  in- 
nanzi. Dunque  egli  ha  dormito  ore  10.44,  delle  quali  sole  7.04  ap- 
partengono a  sonno  naturale,  e  le  altre  &40  a  sonno  soprannaturale. 
Cosi  é  tolta  la  maraviglia  che  potrebbero  fare  alcuni  per  una  dor- 
mita si  lunga  di  ore  10.44,  e  la  si  riduce   ad   un  termine  comune 

di  ore  7.04. 

Ma  perché  Dante  si  fa  porre  un  sonno  soprannaturale  di  ore  3.40? 

Rispondo:  Perché  sopra  la  cinta  delle  vallette  vi  aveva  un 
precinto  di  roccia  al  tutto  impraticabile  ad  uom  mortale  pel  tratto 
di  uu  miglio  d'altezza,  come  si  può  vedere  dal   mio  diseguo  della 


218  PURGATORIO 

E  il  viso  m'era  alla  marina  torto.  29 
Non  aver  tema,  disse  il  mio  signore: 

Fatti  sicur,  che  noi  siamo  a  buon  punto: 
Non  stringer  ma  rallarga  ogni  vigore. 
Tu  se'  ornai  al  Purgatorio  giunto  :  *° 
50.-        Vedi  là'l  balzo,  che '1  chiude  d'intorno:  M 


montagna,  Tav.  II,  Purg.,  sopra  le  vallette,  che  sono  a  miglia  91  di 
altezza.  Già  altre  volte  Dante  fa  fatto  dormire  per  essere  traspor- 
tato; inf-t  C.  Ili,  verso  136.  Inoltre  in  quel  sonno  e  sogno  sopran- 
naturale fatto  in  braccio  di  S.  Lucia,  ossia  della  Chiesa  cattolica, 
Dante  dovea,  secondo  che  indicava  il  eogno  stesso,  diventare  altro 
uomo  da  quel  di  prima,  ed  accendersi  tutto  di  sentimenti  reli- 
giosi, quali  si  con  veni  ano  ad  un'anima  che  ha  da  entrare  nel  Pur- 
gatorio. 

Onde  lo  starsi  tanto  tra  quelle  braccia  caritatevoli  era  per  Dante 
presso  poco  come  quel  sonno  che  fé'  S.  Giovanni  sul  petto  del  Re- 
dentore: e  come  Giovanni  attinse  da  Gesù  Cristo  quell'ardore  si 
acceso  di  carità;  cosi  Dante  per  quel  lungo  abbracciamento  in  cut 
rimase  assopito  in  grembo  a  S.  Lucia,  attinse  tutte  le  disposizioni 
necessarie  per  esser  ammesso  al  Purgatorio.  A  meglio  ricordarci  quos-o 
fatto,  nel  Disegno  della  Montagna,  Tav.  II,  chiameremo  Cinghio  di 
S.  Lucia,  il  Cinghio  sopra  le  vallette.  E  inutile  poi  dire  che  ora  siamo 
passati  dalla  Domenica  di  Pasqua  ai  Ifcinedì  susseguente.  Vedi  Ta- 
vola I,  Purg. 

M  E  il  viso  m'era  alla  marina  torto.  Guardava  sotto  alla  marina, 
che  bagnava  le  radici  della  montagna  per  veder  a  qual  altezza  smi- 
surata egli  fosse  ornai  giunto:  era  all'altezza  di  92  miglia  dal  livello 
del  mare  (  Vedi  Tav.  II  )  e  tanta  altezza  gli  producca  il  capogiro  e 
l'apprensione  ;  ed  è  tra  per  la  novità  e  tra  per  questo  che  Virgilio  gli 
soggiunse  tosto:  Non  aver  Urna  ecc.  Fatti  sicur  ecc.  Non  stringer  ecc. 

80  Tu  se%  ornai  ecc.  Dopo  tanto  di  Purgatorio  percorso  (91  miglio 
di  altezza  ed  un  altro  adesso)  sentirsi  dire,  ch'era  ornai  al  Purgatorio 
giunto,  la  dovea  esser  cosa  di  grande  maraviglia  per  Dante. 

81  Vedi  là  7  balzo  ecc.  Questo  balzo  era  una  gran  fascia  di  vivo 
macigno,  come  le  alte  mura  che  cingono  una  città  ,  la  qual  fascia 
posava  sopra  l'estremità  di  quella  roccia  impraticabile  che  sì  sten- 
deva dui  di  sopra  delle  vallette  fili  colassù,  osaiu  posava  sul  Cinghio 
di  S.  Lucia.  Vedi  il  mio  Disegno  dalla  Montagna,  Tav.  II. 


CANTO  IX  219 

Vedi  l'entrata  là  've  par  disgiunto.  8* 
Dianzi  nell'alba,  che  precede  al  giorno,  33 

Quando  l'anima  tua  dentro  dormia  34 

Sopra  li  fiori,  onde  laggiù  è  adorno,  35 
Venne  una  donna,  e  disse  :  I'  son  Lucia  ;  36 

Lasciatemi  pigliar  costui  che  dorme; 

Sì  l'agevolerò  per  la  Bua  via.  Z1 
Sordel  rimase,  e  l'altre  gentil  forme  :  3S 

Ella  ti  tolse,  e  come  il  dì  fu  chiaro,  39 
60.         Sen  venne  suso,  ed  io  per  le  sue  orme. 

**'Ve  par  disgiunto.  Ove  apparisce  il  balzo  disgiunto,  o  diviso 
colai  che  si  vede  esservi  un'entrata. 

**  Nell'alba  ecc.  Cioè  alle  ore  4.34  antim.  di  quel  medesimo  giorno. 
Vedi  n.  10. 

34  Quando  l'anima  tua  ecc.  Qnando  dorme  il  corpo,  le  potenze 
dell'anima  -restano  inerti,  onde  si  dice  che  dormono  anch'esse,  o  che 
l'anima  dorme  entro  del  corpo. 

83  Sopra  li  fiori  ecc.  Nella  valletta  dei  prìncipi  tutta  fiori  ed  erb«\ 

86  V son  Lucia.  Ossia  la  rappresentante  della  Chiesa  cattolica  con. e 
sempre  fu  detto  dal  principio.  Alla  Chiesa  cattolica  toccava  dispone 
Dante  ancor  vivo  all'  ingresso  del  Purgatorio  e  di  portar  velo.  Invece 
per  le  vere  anima  purganti,  Dio  si  vale  del  miuistero  di  un  angelo, 
che  viene  a  prenderle,  non  però  a  portarle. 

M  Si  r  agevolerò  ecc.  Cosi  ({li  faciliterò  la  via  sua,  che  è  via  di 
purgazione  entro  al  Purgatorio.  £  che  cosa  fece  Lucia  affiue  di 
agevolar  Dante  per  la  sua  via  ?  Due  cose  che  si  dicono  nell'altra  ter- 
zina, e  che  sono  disposizioni  a  degnamente  entrare  al  Purgatorio, 
le  quali  non  era  da  Virgilio  né  il  darle,  né  l'indicarle. 

38  Sordel  rimase  e  l'altre  ecc.  Perchè  non  avevano  aucora  passato 
fuori  del  Purgatorio  tanto  di  tempo,  quanto  avevano  in  vita  pro- 
crastinato la  loro  conversione.  —  Forme.  Anime. 

w  Ella  ti  tolse,  e  come  ecc.  Questo  e  l'altro  verso  che  segue  in- 
dicano chiaramente  due  cose:  l.  Che  S.  Lucia  durante  tutta  l'au- 
rora tenne  Dante  nelle  suo  braccia  sino  alla  nascita  del  sole,  cioè 
dalle  4.34,  sino  alle  6.14,  vale  a  due  per  ore  1.40,  pel  qual  tratto 
di  tempo  S.  Lucia,  ossia  la  Chiesa,  gli  comunicò  la  pienezza  del  t>uo 
spirito  di  fervore  e  di  penitenza  ;  2.  Che  S.  Lucia  solo  al  levar  dol 


220  PURGATORIO 

Qui  ti  posò  :  e  pria  mi  dimostrare»  i0 

Gli  occhi  suoi  belli  quell'entrata  aperta;  4f 
Poi  ella  e  il  sonno  ad  una  se  n  andare  At 

A  guisa  d'uom  che  in  dubbio  si  raccerta,  a 
E  che  muti  in  conforto  sua  paura, 
Poi  che  la  verità  gli  è  discoverta, 

Mi  cambia9  io  :  e  come  senza  cura  4I 
Videmi  il  duca  mio,  su  per  lo  balzo  45 
Si  mosse,  ed  io  diretro  in  ver  l'altura. 
70.     Lettor,  tu  vedi  ben  coni7  io  innalzo  * 


sole,  ossìa  Mie  6.14  si  mosse  con  Dante  in  braccio  por  dormiente 
e  sognante,  e  lo  portò  sa  per  un  miglio  di  strada  impraticabile  ad 
uomo  aucor  mortale,  deponendolo  a  poca  distanza  della  porta  del 
Purgatorio,  impiegando  in  questo  trasporto,  dalla  nascita  sino  alle 
ore  2  di  sole,  cioè  dalle  6.14  antim.  sino  alle  ore  8.14  pure  antim. 
Due  ore  per  un  miglio  di  roccia!  Dunque  la  roccia  dovea  essere  ben 
ardua,  se  ci  vollero  due  ore  di  salita.  Questo  precinto  impossibile 
ad  esser  salito  da  pie  mortale  è  ben  degno  riparo  a  luogo  sì  santo. 

*°  Qui  ti  posò.  A  questa  poca  distanza  dalla  Porta  del  Purgatorio. 

*l  Quell'entrata  aperta.  Pareva  aperta,  ma  era  chiusa  a  porta, 
la  quale  però  non  si  potea  discernere  nel  luogo  ov' erano  i  poeti. 

**  Poi  ella  e  il  sonno  ecc.  Tanto  è  vero  ebe  il  sonno  fu  sopran- 
naturale, cioè  operato  da  S.  Lucia  pe'  suoi  soprannaturali  intendi- 
menti, che  appena  partita  lei  (che  ornai  aveva  ben  disposto  il  suo 
fedele^  parti  anche  il  sonno. 

**  Che  indubbio  si  raccerta  ecc.  Le  assicurazioni  di  Virgilio  che 
la  cosa  era  cosi,  come  la  disse,  confrontate  e  combinate  col  sogno 
allusivo  al  caso  che  gli  era  successo,  lo  appagarono  e  si  serenò. 

**  &fisa  cura.  Senza  tema. 

**S*  per  lo  balzo.  Non  per  Io  b:\lzo  che  chiudeva  d'intorno  il 
Purgatorio  (n.  3U  ma  pel  resto  di  balzo  che  fece  S.  Lucia  portandolo 
su;  balzo  impraticabile  sino  alle  vicinanze  del  Purgatorio;  da  quel 
punto  sino  all' entrata  dot  Purgatorio  eri  praticabile  anche  da  Dante, 
e  per  questo  lo  depone  S.  Lucia,  allineilo  egli  facesse  da  se  quello 
che  fare  poteva 

4»  Con  io  inaa«=o  —  La  mia  materia  ecc.  Com'ìo  ìunnalso  il  mìo 
tenia,  il  mio  argomento,  il  mio  soziretto.  Il  so  .inetto  è  Dante  stesso 


CANTO  EX  221 

La  mia  materia,  e  però  con  più  arte 
Non  ti  maravigliar  a' io  la  rincalzo. 

Noi  ci  appressammo,  ed  eravamo  in  parte 
Che  là,  dove  pareami  in  prima  un  rotto,  i7 
Pur  come  un  fesso,  che  muro  diparte, 

Vidi  una  porta,  e  tre  gradi  di  sotto,  48 
Per  gire  ad  essa,  di  color  diversi, 
Ed  un  portier  che  ancor  non  facea  motto.  49 

E  com%  l'occhio  più  e  più  v'apersi,  !0 

che  per  essere  disposto  ad  entrar  degnamente  nel  Purgai  ororio  fu 
come  spiritualizzato  da  S.  Lucia.  Di  che  Dante  chiede  scusa  al  let- 
tore se  lavora  la  sua  materia  con  più  arte,  così  chiedendolo  la  subii- 
miti  del  soggetto.  Infatti  noi  abbiam  veduto  quanto  studio  ci  ha  voluto 
per  penetrare  gli  altissimi  sensi  del  sogno  misterioso;  ed  abbiamo  tro- 
vato quelle  allusioni  giustissime  dell'aquila  a  S.  Lucia.  Ma  il  poeta  con 
questa  ammonizione  ci  vuol  preparare  ad  altre  simili  allusioni  sublimi 
e  spirituaiissime,  che  verranno  in  questo  medesimo  Canto  IX. 

*7  In  prima  un  rotto.  Una  rottura ,  o  spaccatura  di  muro ,  che 
di  sopra  Virgilio  avea  accennato  con  quei  verso:  Vedi  l'entrata 
là  've  par  disgiunto.  Noi  distinguiamo  gli  oggetti  mano  mano  cho 
ad  essi  ci  avviciniamo.  Cosi,  se  ci  ricorda,  abbiam  veduto  dell'an- 
gelo conduttore  dell'anime  al  Purgatorio,  C.  11,  v.  16. 

l*  Vidi  una  porta,  e  tre  gradi  ecc.  Presto  vedremo  che  cosa  sia 
questa  porta  e  queati  tre  gradini.  Intanto  diciamo  che  questa  è  quella 
porta  a  cui  fu  accennato  nelTJti/.,  C.  I,v.  131,  colla  quale  si  voleva 
dire  tutto  il  Purgatorio,  essendo  questa  porta  in  mezzo  tra  l'Atrio 
ed  il  vero  Purgatorio. 

49  Ed  un  portier  ecc.  Lo  dice  portiere  semplicemente,  perchè-  lo 
vedea  alla  porta;  ma  egli  ancora  non  sa  chi  sia.  Questo  portiere 
tacca  e  lasciava  che  intanto  venissero  più  avanti  i  poeti,  e  stava 
a  vedere  se  avevano  la  debita  guida,  ossia  l'angelo  presentatore. 
Perchè  dunque  la  Santa  non  presentò  i  poeti  fin  sulla  porta,  ma  li 
lasciò  a  certa  distanza  da  essa?  Perchè  il  resto  lo  poteano  fare  da 
sé  medesimi.  E  perchè  l'angelo  portinaio  non  sapea  queste  partico- 
larità? Perchè  Dio  manifesta  agli  angeli,  che  manda  ad  eseguire  i 
suoi  ordini,  quel  che  crede  che  sappiano  e  nulla  più. 

$0  E  come  l'occhio  ecc.  Vuol  dire  che  si  appressava  ognor  più,  e 
quindi  lo  discernea  più  di  prima. 


2»  PURGATORIO 

80.         Vidil  seder  sovra  il  grado  soprano,  5t 

Tal  nella  faccia  ch'io  non  lo  soffersi:  M 

Ed  una  spada  nuda  aveva  in  mano  S8 
Che  rifletteva  i  raggi  sì  ver  noi,  *4 
Oh'  io  dirizzava  spesso  il  viso  invano. 

Di  tei  costinci  :  Che  volete  voi  ?  w 

Cominciò  egli  a  dire:  ov'è  la  scorta?  w 
Guardate  che  ;1  venir  su  non  vi  nói.  87 

Donna  del  ciel  di  queste  cose  accorta,  M 
Rispose  il  mio  Maestro  a  lui,  pur  dianzi 
oo.         Ne  disse  :  Andate  là,  quivi  è  la  porta. 

Ed  ella  i  passi  vostri  in  bene  avanzi,  w 
Ricominciò  il. cortese  portinaio: 
Venite  dunque  a1  nostri  gradi  innanzi. 

**  Vidil  seder  sovra  il  grado  aoprano.  Avca  detto  prima,  che  i 
gradi  erano  tre.  Tenendo  le  sue  piante  sul  più  alto  di  questi  tre 
(come  vedremo)  e  sedendo  sopra  la  soglia  superiore  della  porta,  il 
portinaio  veniva  a  trovarsi  sopra  il  grado  soprano,  e  Dante  lo  ve- 
deva al  di  sopra  di  questo  terzo  grado,  seduto  quindi  sulla  soglia. 

m  Tal  nella  faccia  ecc.  Luminosissimo.  Quanti  ne  vedremo  pel  Pur- 
gatorio tutti  saranno  tali.  Gli  angeli  buoni  si  dicono  di  luce,  come 
li  cattivi  di  tenebre. 

w  Ed  una  spada  nuda  ecc.  Presto  vedremo  che  sia  ed  a  qual 
uso  serva. 

M  Che  rifletteva  ecc.  Quindi  di  tempera  finissima  e  lucidissima. 

**  Di  tei  costinci:  Che  ecc.  Fa  loro  questa  dimanda,  perche  già  co- 
nobbe *che  non  erano  anime  purganti  e  non  avevano  seco  il  solito 
angelo  a  presentarli.  Un  angelo  guidava  le  anime  da  Roma  alle 
ppiaggie  del  Purgatorio  ;  ed  un  angelo  le  dovea  presentare  alla  porta 
d' ingresso. 

w  Ov'k  la  scorta  t  L'angelo  presentatore. 

97  Guardate  ecc.  Se  voi  non  siete  da  questo  luogo,  voi  capiterete 
male  sotto  la  mia  spada. 

*&  Donna  del  ciel  ecc.  S.  Lucia  che  sa  quel  che  va  fatto. 

**  Ed  ella  i  pastti  vostri  ecc.  Ed  ella  prosperi  il  vostro  ulterior  cam- 
mino, che  n'ha  diritto,  per  esser  vostra  madre.  Lucia  e  la  Chiesa. 


CANTO  IX  223 

Là  ne  venimmo;  e  lo  scaglion  prunaio  fl0 
Bianco  marmo  era  sì  pulito  e  terso, 
Ch'  io  mi  specchiava  in  esso  qual'  i'  paio. 

Era  il  secondo  tinto  più  che  perso  6! 
D  una  petrina  ruvida,  ed  arsiccia, 
Crepata  per  lo  lungo,  e  per  traverso. 
ioo.  Lo  terzo,  che  di  sopra  sTammassiccia,  M 
Porfido  mi  parea  sì  fiammeggiante, 
Come  sangue  che  fuor  di  vena  spiccia. 

Sopra  questo  teneva  ambo  le  piante  6S 
L'angel  di  Dio,  sedendo  in  su  la  soglia, 
Che  mi  sembrava  pietra  di  diamante. 


*°  Lo  scaglion  primaio  —  Bianco  marmo  ecc.  Siccome  la  porta 
d'ingresso  rappresenti  il  sacramento  della  Confessione,  cosi  i  tre 
gradi  che  vanno  ad  essa  rappresentano  le  disposizioni  al  detto  Sa- 
cramento. 

Il  primo  è  la  candida  sincerità  della  accusa  dei  proprii  peccati, 
la  quale  è  molto  bene  significata  nella  bianchezza  del  marmo,  e  nella 
sua  lucidezza  da  rendere  la  imagine  come  lo  specchio. 

6*  Era  il  secondo.  Il  secondo  gradino  aveva  le  seguenti  qualità: 
1.  Il  colore  era  più  cupo  del  perso  ;  dunque  tendente  al  nero,  come  sono 
le  pietre  vulcaniche.  2.  La  materia  era  pietra  non  pulita  e  non  lucida, 
ma  greggia  e  come  cotta  dal  fuoco.  3.  Screpolata  per  tutti  i  versi. 

Questo  secondo  grado  indica  il  dolore  che  spezza  il  cuore  del 
peccatore  e  lo  fa  vivere  da  penitente. 

6*  Lo  terzo,  che  di  sopra  ecc .  Il  terzo  è  di  porfido,  pietra  durissima 
e  venata  di  vivo  sangue. 

Questo  terzo  grado  indica  l'amor  di  Dio  che  in  un  penitente 
dee  essere  costante  e  caldo. 

63  Sopra  questo  teneva  ecc.  Lfa  ngel  di  Dio  (che  ornai  si  dice  tale 
perchè  tale  si  è  conosciuto,  dopo  un  maggior  avvicinamento)  tenendo 
i  piò  sul  porfido  (terzo  gradino)  sedeva  sul  diamante  (  Foglia)  indi- 
cando cosi  le  due  doti  precipue  del  sacerdote  che  riceve  la  confes- 
sione, cioè  carità  e  fermezza.  Siccome  poi  il  diamante  è  preziosissimo, 
così  sedendo  l'angelo  su  questo,  si  volle  indicare  pure  la  preziosità 
del  Tribunale  di  penitenza. 


«21  PURGATORIO 

Per  li  tre  gradi  su  di  buona  voglia  a 

Mi  trasse  il  duca  mio,  dicendo  :  Chiedi G* 
Umilemente  che'l  serrarne  scioglia. 
Di  voto  mi  gettai  a' santi  piedi: 66 
no.       Misericordia  chiesi,  e  eh'  ei  m'aprisse  ; 
Ma  pria  nel  petto  tre  fiate  mi  diedi. 
Sette  P  nella  fronte  mi  descrisse  67 


*t  Per  li  tre  gradi  su  ecc.  Mi  tratte  il  duca  mio.  Virgilio  non 
traggo  su  Dante  pei  tre  gradi  conoscendo  il  vero  significato  di  essi 
<»hè  la  ragione  a  tanto  non  giunge.  Egli  fa  tutto,  ciò  materialmente, 
ma  Dante  che  dal  grembo  di  S.  Lucia  fu  agevolato  per  la  sua  via , 
conosce  che  voglion  dire  quei  tre  gradi,  e  li  fa  da  vero  penitente, 
mentre  Virgilio  li  fa  per  quella  umana  riverenza  che  anche  la  ra- 
gione ispira  verso  i  rappresentanti  di  Dio. 

65  Dicendo  :  Chiedi  —  Umilemente  che  ecc.  Virgilio  che  non  co- 
nosce i  misteri  di  questa  azione,  va  riciso  al  suo  fine  che  gl'insegna 
Ragione,  e  suggerisce  senz'altro  un'  umil  dimanda  d'entrare.  Buona 
anche  questa  ;  ma  Dante  che  conosce  il  tutto  la  eseguisce  da  vero 
tjattolico,  e  da  vero  penitente,  come  vedrassi  nella  terzina,  che  segue. 

66  Divoto  mi  gettai  ecc.  Eccoci  al  punto  della  Confessione  pasquale 
che  Dante  fa  nel  lunedi  dopo  la  Domenica  di  Risurrezione,  intorno 
alle  9  antim.  all'angelo  rappresentante  il  sacerdote  confessore.  La 
umiltà  dell'accusa  dei  peccati  è  indicata  da  questo  verso:  Divoto 
mi  gettai  a*  santi  piedi.  L'atto  di  contrizione  che  è  costume  di  fare 
dopo  l'accusa  è  indicato  in  qielle  parole  :  Misericordia  chiesi.  Se- 
guono tosto  tre  picchiatore  di  petto  per  confermare  coli' opera  quello 
che  dichiararono  le  parole  e  ciò  è  epresso  nel  verso  :  Afa  pria  nel 
petto  tre  fiate  mi  diedi.  Da  ultimo  il  penitente  chiude  tutti  i  suoi 
atti  col  dimandare  umilmente  l'assoluzione,  e  questo  è  nelle  parole  : 
e  ch'ei  m'aprisse.  Questo  è  l'ordine  che  secondo  la  pratica  della  Chiesa 
tengo» i  tuttavia  i  penitenti  quando  si  confessano,  e  questo  sarebbe 
ottima  cosa  introdurlo  dove  non  esistesse,  o  dove  comandar  del 
tempo  si  venne  alterando.  I  tirolesi  lo  conservano  precisamente. 

67  Sette  P  nella  fronte  ecc.  Dopo  la  fatta  confessione  e  gli  atti 
relativi,  l'angelo  confessore  dee  dare  Ih  penitenza  sacramentale  al  ben 
confessato ,.  e  gliela  impone  nella  presente  terzina,  e  la  penitenza  si 
è  di  dargli  sette  colpi  di  punta  di  spada  nella  fronte,  descrivendogli 
sette  /',  che  indicano  i  sette  Peccati  capitali,  dai  quali  deriva  ogni 


CANTO  IX.  225 

Col  punton  della  spada,  e  :  Fa  che  lavi, 
Quando  se'  dentro,  queste  piaghe,  disse. 
Cenere  o  terra,  che  secca  si  cavi,  ** 
D'un  color  fora  col  suo  vestimento, 
E  di  sotto  da  quel  trasse  due  chiavi.  •• 

mancanza  nelle  nostre  azioni,  e  d'imporgli  che  faccia  sette  stazioni 
di  penitenza,  una  stazione  per  ciascun  peccato,  mediante  la  quale  si 
Tiene  a  cancellare,  oltre  la  colpa  rimessa,  anche  la  pena  corrispon- 
dente; e  cosi  ad  ogni  stazione  vedremo  sparire  un  P  dalla  fronte. 

68  Cenere  e  terra  ecc.  Il  color  della  veste  dell'Angelo  era  quello  della 
cenere  o  della  terra  secca  cavata,  per  esempio,  da  una  fornace.  Questo 
color  è  il  grigio  o  bigio.  Un  tal  colore  è  colore  di  penitenza,  quindi  si 
confi  molto  al  sacramento  di  penitenza  che  qui  si  compie.  Ma  c'è  anche 
una  ragion  speciale  per  vestir  questo  confessore  di  panni  bigi;  ed  è 
che  i  frati  Francescani,  al  cui  terz'ordine  apparteneva  Dante,  anda- 
vano da  principio  vestiti  di  panni  bigi  (Vedi  Rohrbacher,  lib.  7 1 ,  p.  308  e 
lib.  72,p.  7 10;  Mila  no,  do  ve  si  racconta  l'aneddoto  che  diamo  in  fine  della 
nota).  E  siccome  i  frati  Francescani  specialmente,  ed  in  generale  il  clero 
regolare,  erauo  quelli  che  più  e  meglio  del  clero  secolare  esercitavansi 
a  quei  tempi  nel  pubblico  ministero  ecclesiastico,  e  nella  cura  delle 
anime;  perciò  il  confessore  di  Dante  qui  al  Purgatorio  lo  si  veste 
di  abito  francescano.  Notate  però  che  tra  i  Francescani  presenti  non 
trovate  è  vero  gli  abiti  di  questo  colore,  perchè  gli  hanno  alterati  da 
più  secoli,  anzi  gli  alterarono  in  men  di  un  secolo  dopo  la  istituzione 
di  S.  Francesco;  ma  intorno  al  1300,  i  riformatori  dell'ordine  (tra 

i  quali  Giacopone  da  Todi)  ripigliarono  l'abito  antico,  e  l'antica  po- 
vertà, staccandosi  dagli  altri  che  vollero  ritenere  gli  abiti  più  agiati, 
in  un  ai  privilegi  di  possedere,  ed  ai  sontuosi  conventi,  detti  perciò 
quest'ultimi  Conventuali  ;  e  questa  fu  la  prima  riforma  dei  France- 
scani avvenuta  ai  tempi  di  Dante,  alla  qual  riforma  egli  apparteneva. 
Aneddoto.  *  Amava  a.  Francesco  d'Assisi  le  allodole.  Compiace- 
vasi  notare  nelle  loro  piume  il  color  grigio  e  cinericcio,  che  avea  scelto 
pel  suo  Ordine,  affinchè  si  pensasse  spesso  alla  morte,  alla  cenere  del 
sepolcro.  Mostrando  a'  suoi  discepoli  l'allodola,  che  s'innalzava  nell'aere 
cantando, dopo  aver  preso  in  terra  alcuni  grani:  Vedete,  diceva  con 
gioia,  elleno  e'  insegnano  a  ringraziare  il  comun  padre,  che  ci  dà  il 
nutrimento,  a  non  mangiare  che  per  la  sua  gloria,  a  disprezzar  la  terra 
ed  a  levarci  al  cielo,  dove  esser  deve  la  nostra  conversazione.  » 

69  E  di  $otto  da  ecc.  I  Francescani  hanno  in  petto  una  saccoccia 

grande.  A  questa  allude  qui  il  poeta. 

15 


22C  PURGATORIO 

L'una  era  d'oro,  e  l'altra  era  d'argento  :  70 
Pria  con  la  bianca,  e  poscia  con  la  gialla  71 
120.       Fece  alla  porta  sì  eh'  io  fui  contento.  7* 

Quandunque  l'una  d'este  chiavi  falla,  n 
Che  non  si  volga  dritta  per  la  toppa, 

70  Vuna  era  d'oro*  ecc.  Quella  d'oro  è  l'autorità  di  assolvere,  quella 
d'argento  è  la  dottrina  necessaria  per  giudicare  se  si  o  no  si  debba 
assolvere.  Imperocclrè  il  tribunale  di  penitenza  è  un  vero  giudizio. 
Ora  nei  giudizi  si  richiede:  1.  Autorità  giudiziaria;  2.  Dottrina  per 
usare  rettamente  di  questa  autorità  giudiziaria,  istituendo  processi 
atti  a  formare  retti  giudizi  sulle  colpe.  La  prima  è  d'oro,  perchè  ò 
tutta  divina,  la  seconda  è  d'argento,  perchè  acquistata  con  l'arte. 

7'  Pria  con  la  bianca  ecc.  Prima  colla  scienza  istituì  processo  e 
ragionamento  sulle  colpe  udite  e  sulle  disposizioni  del  confitente,  il 
che  importa  arte  od  ingegno,  e  trovando  che  tutto  era  in  piena  re* 
gola,  emanò  la  sentenza  di  assoluzione  usando  della  gialla. 

73  Fece  alla  porta  A  ecc.  Con  queste  due  chiavi,  scienza  prima, 
ed  autorità  poi,  apri  la  porta,  ossia  diede  l'assoluzione,  la  quale  non 
è  altro  che  un  aprire  la  porta  per  cui  si  va  al  Ciclo:  non  la  porta, 
notisi  bene,  che  mette  subito  subito  in  Cielo  :  perchè  anche  dopo 
l'assoluzione  sacramentale,  rimane  lo  sconto  della  penitenza,  che  si 
ha  da  fare  oltre  la  porta,  come  abbiam  detto  prima  nella  nota  66. 
Si  notino  finalmente  queste  parole  :  eh'  io  fui  contento,  che  conten- 
gono due  sentenze  in  una;  perciocché  indicano  1.  che  la  porta  con 
quelle  due  chiavi  fu  aperta,  ossia  che  l'assoluzione  fu  impartita; 
2.  che  questo  avvenimento  ha  portato  per  conseguenza  la  contentezza 
nell'anima  del  penitente,  come  sempre  avviene  in  si  fatti  incontri. 
Compita  cosi  la  confessione  dal  suo  primo  atto  sino  all'ultimo,  imma- 
gina il  poeta  assai  opportunamente  una  soda  istruzioncella  sulle  due 
chiavi  del  giudizio  sacramentale  di  penitenza  nelle  terzine  seguenti. 

Intanto  che  cosa  credete  voi  intendesse  Virgilio  di  tutto  questo? 
Niente,  proprio  niente.  Ed  è  per  questo  ch'egli  sta  là  muto,  muto. 
La  ragione  è  vinta  dalla  rivelazione. 

78  Quandunque  l'una  d'este  ecc.  Ogni  qualvolta  nel  sacro  mini- 
stro di  penitenza  c'è  difetto, odi  dottrina, per  cui  si  creda  di  assol- 
vere chi  non  è  degno,  o  di  autorità,  non  ci  può  essere  assoluzione 
che  tenga.  D  trattato  della  Penitenza,  vuoi  nella  teoria,  vuoi  nella 
pratica,  è  qui  completo.  £  tutto  questo  espresso  poeticamente.  Che 
forza  d'ingegno  e  di  fantasia  non  ci  voleva! 


CANTO  IX.  227 

Diss'egli  a  noi,  non  s'apre  questa  calla. 

Più  cara  è  V  una  ;  ma  l'altra  vuol  troppa  7i 
D'arte  e  d'ingegno  avanti  che  disserri, 
Perch'ella  è  quella  che  il  nodo  disgroppa. 

Da  Pier  le  teguo  ;  e  dissemi  eh'  io  erri  7* 

74  Più  cara  è  Vana,  ma  V altra  ecc.  Quella  d'oro,  ossia  l'autorità 
di  assolvere  è  più  cara,  o  più  preziosa  di  quella  di  argento,  ossia 
della  dottrina,  perchè  quella  è' increata,  questa  è  creata,  ed  è  più 
difficile  della  prima;  perchè  importa  vastissimi  e  profondissimi  studi 
per  conoscere  quando  si  debba  dare  e  quando  negare  l'assoluzione : 
e  perciò  essa  è  quella  che  disgroppa  il  nodo,  il  quale  consiste  appunto 
nel  sapere  chi  sia  o  non  sia  degno  d'assoluzione.  Conosciuto  questo» 
è  facile  esercitare  l'autorità  di  assolvere. 

7*  Da  Pier  le  tigno.  San  Pietro,  qual  capo  della  Chiesa  universa, 
le  tenne  o  ricevette  da  Gesù  Cristo  :  Tìhi  dabo  clave*  regni  coelo- 
rum:  quodeumque  ligaveri*  $uper  terram,  erit  ligatum  in  coeli*, 
et  quodeumque  solverti  super  terram  erit  solutum  et  in  coelis  (san 
Mai.  16,  19);  e  da  san  Pietro  le  ricevono  tutti  gli  altri  ministri  della 
Chiesa,  che  vivono  in  comunicazione  con  san  Pietro,  ossia  il  romano 
Pontefice,  che  è  lo  stesso,  perchè  ogni  romano  Pontefice  è  successor 
di  san  Pietro,  erede  per  conseguenza  di  tutti  i  suoi  poteri.  Questo 
angelo  poi,  che  rappresenta  il  sacerdote  confessore,  o  il  vescovo  di 
tutte  le  anime  che  vogliono  entrare  nel  Purgatorio,  e  pel  Purgatorio 
in  cielo,  anch'  egli  come  qualunque  altro  le  ricevette  da  Pietro.  Ecco 
intanto  la  famosa  porta  di  san  Pietro,  accennata  in  fine  del  Canto  II 
dell'Inferno,  e  la  quale  Dante  allora  tanto  desiderò  di  vedere.  Questa 
è  porta  sua  1.  perchè  non  entra  per  essa  se  non  chi  è  suo  figlio  di- 
voto ;  2.  perchè  è  custodita  da  un  suo  rappresentante  ;  3.  perchè  a 
questa  porta  si  esercita  quel  ministero,  il  quale  fu  dato  a  san  Pietro 
e  per  san  Pietro  agli  altri.  Dopo  questo  s'intenderà  meglio  la  rappre- 
sentanza che  noi  abbiamo  dato  a  santa  Lucia  per  simbolo  della  Chiesa 
cattolica,  legandosi  intimamente  insieme,  anzi  non  essendo  possibile 
di  disgiungere  questi  due  soggetti,  Chiesa  cattolica  e  san  Pietro. 

E  dis$emi  eh* io  erri  —  Anzi  ad  aprir  ecc.  Dissemi  essere 
meglio  ch'io  ecceda  in  clemenza  che  in  rigore,  purché  la  gente 
venga -a  confessarsi.  E  bellissimo  poi  il  vedere  che  tutto  questo 
discorsetto  sulle  chiavi  di  san  Pietro,  l'angelo  lo  fa  mentre  volgea 
l'una  e  l'altra  per  la  toppa,  come  appunto  fanno  i  veri  portinai, 
che  mentre  aprono  danno  a  chi  entra  le  loro  avvertenze. 


S26  PURGATORIO 

Anzi  ad  aprir,  ch'a  tenerla  serrata, 
Pur  che  la  gente  a'  piedi  mi  s'atterri. 
130.   Poi  pinse  l'uscio  alla  porta  sacrata,  7* 

Dicendo  :  Intrate  ;  ma  facciovi  accorti,  ** 
Che  di  fuor  torna  chi  indietro  si  guata. 
E  quando  fur  ne'  cardini  distorti 78 
Gli  spigoli  di  quella  regge  sacra,  w 
Che  di  metallo  son  sonanti,  e  forti, 

™  Poi  pin$e  l'uscio  ecc.  Poi  diede  una  spinta  all'ascio  della 
porta,  facendola  cosi  spalancar  tanto  che  vi  passassero  i  poeti.  Che 
bella  simplicità  di  natura  non  è  anche  questa! 

77  Dicendo:  Intrate;  ma  facciovi  accorti  ecc.  Cosi  tutta  la  Con* 
fessione  termina  con  un  ricordo  utilissimo  del  Confessore,  come  è 
costume  di  fare,  perchè  non  si  abbia  più  a  ritornar  a  peccare.  Il 
ricordo  è:  Che  di  fuor  torna  chi  indietro  ai  guata,  il  quale  av- 
viso è  precisamente  quello  che  dà  sempre  il  Confessore  dopo  le 
parole  dell'assoluzione,  che  si  trovano  nel  Rituale  romano,  e  sono  le 
seguenti:  Vade  in  pacey  et  noli  ampliua  peccare,  che  è  la  usata  rac- 
comandazione che  faceva  Gesù  Cristo  medesimo  a  quelli  che  per- 
donava. 

Cou  ciò  si  e  dato  l'ultimo  perfezionamento  alla  Confessione  pa- 
squale. Dante,  che  qui  ce  la  espone  in  poesia,  si  sa  che  ancor  la 
eseguiva  realmente  da  quel  buon  cristiano  che  era.  Chi  dunque  am- 
mira Dante  (e  chi  non  l'ammira?)  dovrebbe  anche  farai  imitatore 
de' suoi  sentimenti  religiosi;  e  ben  potrebbe  rispondersi  agli  scre- 
denti, che  ci  sbendassero  per  le  pratiche  religiose:  Io  faccio  quello 
che  m' insegnò  e  che  fece  Dante,  che  certo  non  era  un  pregiudicato. 

Dalla  presentazione  all'angelo  sino  a  questa  entrata  corse  un'ora: 
lo  si  ricava  dall'orario  che  segue,  C.  X,  n.  9. 

78  E  quando  fur  ne*  cardini  ecc.  Li  portoni  di  gran  mole  invece 
di  essere  sostenuti  da  portatori  immaschiati  nei  gangheri,  sono  sos- 
tenuti da  punzoni,  ossia  fusti  di  ferro  perpendicolari,  ed  attaccati 
alle  due  estremità  della  porta  in  alto,  e  in  basso.  Il  punzone  di  sotto 
entra  in  una  nicchia  in  terra,  ed  il  punzone  di  sopra  entra  in  un 
grosso  anello  di  ferro.  Cosi  le  imposte,  aprendosi  la  porta,  si  girano 
più  mcilmcntc.  Tale  era  la  porta  del  Purgatorio. 

Cardini.  La  nicchia  di  sotto  e  l'anellone  di  sopra. 

79  Gli  spigoli.  I  punzoni  già  detti.  —  Regge*  Porta. 


CANTO  IX.  229 

Non  raggio  sì,  uè  ai  mostrò  sì  aera  80 
Tarpeia,  come  tolto  le  fu  il  buono 
Metello,  per  che  poi  rimase  macra. 

lo  mi  rivolsi  attento  al  primo  tuono,  8I 
140.       E,  Te  Deum  laudarrtus,  mi  parea 
Udir  in  voce  mista  al  dolce  suono. 

Tale  imagine  appunto  mi  rendea 

Ciò  eh'  i'  udiva,  qual  prender  si  suole 
Quando  a  cantar  con  organi  si  stea  : 

Ch'or  sì  or  no  s' intendon  le  parole. 


SO  Non  raggio  sì  ecc.  I  ferri  delle  gran  porte,  che  si  aprono  sol 
di  rado,  quando-  viene  la  volta  di  aprirle,  per  là  ruggine  a  lungo 
andar  contratta,  stridono  con  un  suono  acre.  Cosi  dice  il  poeta, 
che  strìdesse  la  porta  Tarpeia,  entro  cui  si  custodiva  l'erario  ro- 
mano e  lo  si  serbava  ai  grandi  bisogni  dello  Stato,  quando  volen- 
dosene Cesare  impadronire,  e  fatto  cessare  Metello,  che  vi  si  opponeva, 
finalmente  fu  aperta  e  rubato  l'erario.  Ma  la  porta  del  Purgatorio 
ruggì,  e  si  mostrò  più  aera  ancora  della  Tarpeia.  Dunque  era  gran 
tempo  che  nessuno  entrava  al  Purgatorio.  Ecco  il  pauci  intrant 
per  eam  del  Vangelo. 

Notate  bene  questo  passo,  da  cui  si  ricava  pel  Purgatorio  quella 
proporzione  stessa  di  luogo  e  di  persone,  che  fu  notata  nell'  Inferno. 
Nell'Inferno,  Atrio  grandissimo,  e  vero  Inferno  piccolissimo  per  le 
ragioni  annunciate  nella  Tav.  II,  Inf-,  nota  23,  verso  il  fine.  Così 
qui  nel  Purgatorio,  Atrio  grandissimo,  e  vero  Purgatorio  piccolis- 
simo, perchè  la  maggioranza  resta  nell'Atrio  (che  pure  abbi  imo  ve- 
duto poco,  pochissimo  popolato)  a  passarvi  gli  anni  vissuti  nella  im- 
penitenza ;  e  solo  'di  mano  in  mano  che  le  anime  compiono  gli  anni 
del  loro  esiglio  (il  che  avviene  alla  spicciolata  e  rare  volte),  si  apre 
loro  la  porta,  e  salgono  al  vero  Purgatorio,  dove  ragionevolmente 
il  numero  delle  anime  è  immensamente  minore. 

81  Io  mi  rivolsi  ecc.  Appena  le  anime  dentro  alla  porta  del  Pur- 
gatorio intesero  ch'ella  ruggiva,  s'accorsero  che  dopo  lungo  tempo 
entrava  finalmente  un'anima  con  loro,  e  perciò  intuonarono  l'inno 
di  ringrazi  amento,  il  Te  Deum. 

Appar  chiaramente  dalla  parola  rivolsi,  che  Dante  prima  di 
entrare  e  stando  ancor  sulla  porta,  prima  ch'ella  si  richiudesse  abbia 


MO  PURGATORIO 

fatto  un  inchino  Tolto  all'angelo,  e  poi  si  sia  rivolto  ni  tuono  che 
udiva  di  dentro.  Che  bellissimo  concetto  intanto  non  è  questo  di 
far  che  le  anime  dentro  al  Purgatorio,  per  la  consolazione  di  acqui- 
etare un  fratello,  cantino  un  inno  nel  punto  delio  stridere  della  portai 
Appare  ancora  che  la  porta  strìdeva  acremente  quando  si  apriva,  e 
dolcemente  quando  si  chiudeva  ;  e  che  il  canto  delle  anime  era  ac- 
compagnato a  questo  secondo  suono  dolce  di-Uà  porta,  perchè  la 
ruggine  era  tolta  dalla  stessa  apertura.  Cosi  il  poeta,  che  sa  dar 
vita  a  tutto,  trovò  modo  di  dar  vita  sino  ad  una  porta.  Ora  senza 
pia  intenderemo  benìssimo  la  similitudine  del  canto  e  degli  organi, 
che  abbiamo  negli  ultimi  versi. 


Fise  dell'Atrio  del  Purgatorio. 


CANTO  IX.  231 

AVVERTIMENTO  SUL  VERO  PURGATORIO  CHE  SEGUE. 

Se  il  principe  dei  meditativi,  Lodovico  Da- Ponte,  fosse  vissuto 
prima  di  Dante,  si  direbbe  che  Dante  tolse  da  lui  il  suo  piano  di 
ascetica  riguardante  i  sette  vizi  capitali,  che  si  purgano  entro  al 
Purgatorio.  Infatti  il  Preambolo  alla  Meditazione  XVIII,  parte  I, 
pare  che  sia  fatto  per  servir  di  Commento  generale  al  vero  Pur- 
gatorio di  Tante.  Leggetelo  e  poi  dite  se  la  cosa  non  è  cosi.  Eccolo: 

•  Porrò  in  primo  luogo  le  Meditazioni  dei  sette  vizi,  che  si 
dimandano  capitali,  perithè  come  dice  l'angelico  dottore  san  Tom- 
maso (I,  4,  q.  84,  art.  4),  in  essi,  come  in  setfc  capi,  stanno  vir 
tualmente  rinchiusi  gli  altri  vizi:  Vitia  capi  tolta  dicuntur,  ex  qui- 
bìia  alia  oriuntur:  e  per  la  stessa  cagione  la  nostra  principal  batta- 
glia ha  da  essere  contro  di  loro,  attesoché  chi  perfèttamente  li  vince, 
vince  il  Dragone  di  sette  capi  (di  cui  si  parla  nell'Apocalisse  :  bt 
ecce  Draco  magnu*f  rufua,  habens  capita  aeptem,  il  quale  fa  guerra 
a' santi),  e  distrugge  le  sette  nazioni  dei  nemici,  Scptern  gente*  multo 
major Ì8  numeri..,,  et  robuatiorea,  che  impediscono  l'entrata  nella 
terra  di  Promissione,  non  terrena  ma  celeste,  come  lungamente  ne 
tratta  (Tassiano  nei  libri  che  di  ciò  scrisse.  Quindi  è  che  il  fine  pria, 
ci  pale  di  queste  Meditazioni  non  ha  da  essere  di  conoscere  solamente 
la  malizia  e  bruttezza  di  questi  vizi  e  aborrirli  ;  ma  mettere  subito 
mano  all'opera  e  mortificar  le  passioni  ed  affezioni  disordinate,  che 
hanno  messo  le  radici  nel  cuore,  perchè  come  disse  diffusamente  trat- 
tando di  questo  pun'.o  san  Basilio,  non  si  vincono  vizi,  e  non  si  ac- 
quistano le  virtù  con  le  sole  meditazioni  ;  ma  con  li  gagliardi  eser- 
cizi di  mortificazione,  per  li  quali  aiuta  la  meditazione  ed  orazione, 
movendo  la  nostra  volontà  a  volere  mortificarsi,  ed  impetrando  da 
nostro  Signore  forze  per  co  fare. 

E  sebbene  è  vero,  che  i  peccati  mortali  si  cancellano  tutti  insieme 
e  in  un  colpo  con  la  contrizione  e  confessione ,  nella  quale  non  si 
perdona  un  peccato  mortale  senza  l' altro  ;  con  tutto  ciò  gli  abiti 
viziosi,  che  restano  nell'  anima,  e  le  passio  ni  dell'  appetito,  nelle  quali 
si  fondano,  si  hanno  da  mortificare  parte  per  parte,  e  a  poco  a  poco 
Laonde  disse  Mosè  al  suo  popolo,  parlando  delle  sette  nazioni  ac- 
cennate di  sopra:  Ipae  conaumet  nationea  has  in  eonapectu  tuo  pania- 
tim,  atque  per  partea  :  non  poterla  eaa  delere  pariter  (Deut.  7,22) 
ordinando  così  la  Divina  Provvidenza  per  nostro  esercizio  e  umi. 
liazione;  perchè  durando  più  la  guerra,  sarà  più  sicura  e  più  gio- 
vevole la  vittoria.  » 


CANTO    X. 


Argomento. 

Salgono  %  poeti,  per  via  molto  ardua  e  tortuosa,  scavata  entro 
il  vivo  masso,  al  primo  giro,  o  cornice  dove  si  punisce  il  peccato 
della  superbia.  Al  primo  loro  arrivo  non  sanno  quale  strada  pren- 
dere, se  a  destra  od  a  manca.  Intanto  Dante  ammira  nella  pa- 
rete dirimpetto,  molto  bene  intagliati  nella  pietra,  esempi  di  umiltà. 
Mentre  Dante  osserva  quei  bassorilievi,  Virgilio  vede  persone  ve- 
nire da  lungi,  curve  qual  più  qual  meno  sotto  il  peso  di  un  sasso, 
che  le  opprimeva.  Al  cenno  di  Virgilio,  anche  Dante  si  volge  a 
quella  parte.  Dapprima,  non  sa  che  sieno,  ma  istruito  da  Virgilio, 
conosce  che  sono  persone  che  portano  sassi  :  onde  si  lagna  del  male 
che  a  noi  fa  la  superbia. 

NB.  Vedi  lutti  i  catellìiii  di  questo  Canto  nella  rota  Tar.  ili,  Purgata  abbi  tempre 

lott'occbio  la  mia  Tav.  IV,  Purg. 


Jtoi  fummo  dentro  al  soglio  della  porta,  * 
Che  il  mal  amor  dell'anime  disusa,  * 

*  Poi;  poiché.  Al  soglio;  alla  soglia,  quella  che  sembrava  pietra 
di  diamante,  su  cui  sedeva  l'angelo. 

3  Che  il  malo  amor  ecc.  Che  è  accusativo  ;  malo  amor  è  nomi- 
nativo. Il  malo  amor  dell'  anime,  che  sono  a  questo  nostro  mondo, 
fa  ch'esse  vivano  male,  e  quindi  sciogliendosi  dal  corpo  per  morte, 
invece  di  avviarsi  al  Purgatorio,  cadono  nell'Inferno.  Cosi  la  porta 
del  Purgatorio  di  raro  si  apre,  e  cosi  resta  disusata.  La  porta  si 
usa  aprendola,  si  disusa,  non  aprendola.  Per  questo  essa  ruggì  si 
forte ,  e  ai  mostrò  si  aera  quando  l' Angelo  l' apri  per  Dante  :  per 
questo  le  anime  dentro,  sentendone  il  suono,  cantarono:  Te  Deum 
laudamus,  che  sogliamo  dir  anche  noi  per  proverbio,  quando  dopo 
lungo  aspettare,  finalmente  viene  quello  che  si  aspettava. 


234  PURGATORIO 

Perchè  fa  parer  dritta  la  via  torta,  ' 
Sonando  la  senti9 esser  richiusa:  4 
E  s' io  avessi  gli  occhi  volti  ad  essa, 
Qual  fora  stata  al  fallo  degna  scusa? 
Noi  salivam  per  una  pietra  fessa  * 
Che  si  moveva  d'una  e  d'altra  parte, 
Sì  come  Tonda  che  fugge,  e  s'appressa.  * 
io.     Qui  si  conviene  usar  un  poco  d'arte, 
Cominciò  il  duca  mio,  in  accostarsi 
Or  quinci  or  quindi  al  lato  che  si  parte. 7 
E  ciò  fece  li  nostri  passi  scarsi 8 

Tanto,  che  pria  lo  scemo  della  luna  • 
Rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcarsi, 

*  Perchè  fa  parer  ecc.  L*  amore  è  malo  per  questo  che  ci  fa  cre- 
der buona  vita  quella  che  è  cattiva. 

*  Sonando  ecc.  Vale  a  dire  eh*  egli  non  si  voltò  a  vederla  chiu- 
dere, ma  s'accorse  che  fu  richiusa  dal  suono  che  fanno  comunemente 
le  porte.  Dante  non  si  volse,  perchè  poco  prima  n'  aveva  avuto  proi- 
bizione dall'angelo,  il  quale  aveva  detto:  Ma  faccioni  accorti  — 
Che  di  fuor  torna  chi  indietro  si  guata.  D  volgersi  adunque  sa- 
rebbe stalo  un  fallo  incscusabile,  perchè  la  proibizione  sonava  an- 
cora nelle  sue  orecchie 

*  Ptr  una  pietra  fetta  —  Che  ti  ecc.  Per  uno  spaccato  di  mon- 
tagna in  faccia  alla  porta,  il  quale  andava  su  tortuoso,  o  a  spina- 
pesce o  a  zig  zag  ad  ogni  pie  sospinto. 

*  Sì  come  l'onda  ecc.  Che  fugge  e  s'appressa  al  lido,  dove  ad 
ogni  momento  si  spinge  innanzi,  e  si  ritira  indietro. 

7  Or  quinci  or  quindi  al  lato  che  $i  parte.  È  naturale  che  chi 
va  per  tali  sentieri  deva  tenersi  continuamente  a  quel  lato  dove  il 
monte  si  ritira.  Così  si  fa  meno  disagiata  la  salita,  ma  la  si  allunga 
più  di  quello  che  sarebbe  se  si  andasse  meno  a  sghimbescio. 

*  Li  nostri  passi.  Li  nostri  passi  di  salita  perciò  si  fecero  scarsi, 
perchè  dovendo  andare  ora  a  destra  ed  ora  a  manca  per  agevolare 
il  cammino,  meno  salivano,  che  se  fosse r  iti  più  direttamente 

9  Pria  lo  scemo  della  luna  — -  Iti  giunse  ecc.  Lo  scemo  della  luna 
è  la  parte  di  lei  non  illuminata  dal  sole,  la  quale  nella  luna  calante 
in  cui  siamo  dopo  il  Plenilunio,  è  la  bassa  verso  V orizzonte,  e  quindi 


CANTO  X.  235 

Che  noi  fossimo  fuor  di  quella  cruna. i0 
Ma  quando  fummo  liberi  ed  aperti 
Su  dove'l  monte  indietro  si  rauna,  fi 

Io  stancato,  e  ambedue  incerti  " 
20.        Di  nostra  via,  ristemmo  su  in  un  piano 

è  la  prima  a  toccar  l'orizzonte  allorché  tramonta.  Cosi  quella  che 
noi  diciamo  gobba  della  Luna,  ossia  la  parte  illuminata  dal  Sole,  è 
la  superiore,  e  quindi  guarda  ad  Oriente,  secondo  il  noto  adagio: 
Gobba  levante,  Luna  calante;  Gobba  ponente,  Luna  crescente. 

Quale  ora  vuol  indicare  il  poeta  con  questo  tramonto  di  Luna? 
vediamolo,  ma  abbi  presente  la  mia  Tav.  VII,  Purg. 

Sappiamo  che  nel  Plenilunio  la  Luna  sorge  quando  il  Sole  tra- 
monta, e  sappiamo  ancora  che  dal  Plenilunio  in  poi  la  Luna  si  ri- 
tira verso  il  Sole  di  circa  13  gradi  al  giorno.  Essendo  dunque  pas- 
sati dal  Plenilunio  sino  a  questo  momento  giorni  4  2/8,  la  Luna  si 
sarà  ritirata  verso  il  Sole  gradi  60  circa.  E  facendo  15  gradi  per 
ogni  ora,  i  gradi  risponderanno  ad  ore  4:  ma  noi  vediamo  che  la 
Luna  in  questo  punto  tramonta.  Dunque  il  Sole  deve  esser  nato  di 
altrettanto,  ossia  di  ore  4:  levando  egli  alle  6.14,  se  a  queste  ag- 
giungiamo ore  4,  abbiamo  ore  10.14.  L'ultimo  orario  per  noi  tro- 
vato tu  nel  C.  IX,  n.  28,  e  allora  erano  più  che  due  ore  di  sole  ossia 
almeno  le  8.14  quando  S.  Lucia  depose  Dante  dormiente  presso  la 
porta  del  Purgatorio. 

Da  quel  punto  a  questa  parte  sono  dunque  passate  ore  due, 
delle  quali  ore  una  venne  assegnata  alla  confessione  e  all'istruzione, 
che  avvenne  alla  porta:  onde  un'ora,  che  rimane,  fu  impiegata  in 
questa  salita  così  difficile. 

E  la  Luna  in  qual  segno  sarà  presentemente?  Pei  30  primi 
gradi  di  questi  60  anzidetti,  ella  dovea  trovarsi  in  Libra:  pegli 
altri  30,  in  che  si  è  ravvicinata  dalla  Libra  all'Ariete,  ella  dovea 
trovarsi  in  30  gradi  in  Scorpione. 

10  Fuor  di  quella  cruna.  Via  sottilissima,  quasi  la  cruna  dell'ago. 

44  Indietro  si  rauna.  Per  dar  luogo  ad  una  strada  circolare  in- 
torno al  monte,  dove  giravano  le  prime  anime  che  troveranno. 

**  Io  stancato.  Per  un'opera  di  salita  disastrosissima.  Vedi  Ta- 
vola IV,  Purgatorio. 

Ambedue  incerti.  Dunque  l'altra  salita,  che  da  questa  prima 
dovea  mettere  alla  seconda  cornice,  non  era  di  fronte  alla  salita  fatta 
testò. 


236  PURGATORIO 

Solingo  più  che  strade  per  diserti.  M 
Dalla  sua  sponda,  ove  confina  il  vano,  u 
Appiè  dell'alta  ripa,  che  pur  sale, 
Misurrebbe  in  tre  volte  un  corpo  umano: 
E  quanto  l'occhio  mio  potea  trar  d'ale  " 
Or  dal  sinistro  ed  or  dal  destro  fianco, 
Questa  cornice  mi  parea  cotale.  " 
Lassù  non  eran  mossi  i  pie  nostri  anco,  {1 
Quand'  io  conobbi  quella  ripa  intorno, 
30.        Che  dritto  di  salita  aveva  manco,  " 


4*  Solingo  più  ecc.  Per  lo  scarsissimo  numero  di  quelli  eoe  vanno 
al  Purgatorio.  Il  poeta  ribadisce  sovente  questo  puuto,  e  lo  fa  prima 
per  la  pura  verità,  poi  per  dimostrare  che  assai  poco  luogo  occorre 
per  la  purgazione  di  pochi.  Infatti  in  meno  che  tre  miglia  di  monte 
ce  n'ha  d'avanzo  per  contenerli  tutti.  Qui  poi  non  bì  vedeva  anima 
nata,  perchè  le  anime  girando  unite  intomo  al  monta,  esse  si  tro- 
vavano allora  dalla  parte  di  occidente,  mentre  il  poeta  era  dalla  parte 
di  oriente.  Queste  anime  presto  compariranno,  facendo  la  volta.  Vedi 
la  mia  Tav.  IV,  Purg. 

**  Dalla  tua  sponda  eco.  Dalla  sponda  esterna  o  dal  ciglio  di 
questo  piano,  che  confina  al  di  fuori  col  libero  aere,  alla  sua  parte 
interna ,  donde  si  eleva  di  nuovo  il  monte,  ci  avea  la  larghezza  di 
tre  uomini  ordinari,  ossia  la  strada  circolare  era  larga  tre  uomini  co- 
ricati T  un  dopo  T  altro,  in  una  stessa  linea,  il  che  risponde  alò  piedi, 

48  E  quanto  l'occhio  ecc.  Poteva  estendersi  da  ambo  i  lati. 

*6  Mi  parea  cotale.  Mi  parea  larga  istessamente.  Dovendo  que- 
sta cornice,  o  piano,  servir  di  strada,  a  chi  girava  intorno ,  dovea 
essere  uguale  dapertutto. 

47  Lassù.  Sul  piano  circolare  a  cui  giunsero,  terminata  la  salita. 
Prima  di  terminarla,  essendo  gli  occhi  circa  cinque  piedi  più  alti 
delle  piante,  vide  e  conobbe  la  ripa  addentrata  al  di  la  della  strada. 

Quando  Dante  dice  ripa  intende  sempre  il  macigno  tra  una 
ed  altra  cornice.  Lo  vedremo  presto,  C.  XI,  v.  49. 

48  Dritto  ecc.  Che  era  manco  o  meno  erta  della  ripa  testé  salita. 
Di  cornice  in  cornice  tutte  le  ripe  che  troveremo  saranno  grada- 
tamente meco  erte  o  meno  perpendicolari  della  sottoposta.  Osser- 
vate il  mio  disegno  Tav.  IV,  e  vedrete  che  il  profilo  esteriore  di 


canto  x.  237 

Esser  di  marmo  candido,  e  adorno 
D' intagli  sì,  che  non  pur  Policleto,  i0 
Ma  la  natura  lì  avrebbe  scorno,  *° 

L'angel  che  venne  in  terra  col  decreto  Ji 
Della  molt'anni  iagrimata  pace,  ** 
Ch'aperse  il  Ciel  dal  suo  lungo  divieto,  *8 

Dinanzi  .a  noi  pareva  sì  verace  u 
Quivi  intagliato  in  un  atto  soave, 
Che  non  sembiava  imagine  che  tace. 
40.     Giurato  si  saria,  ch'ei  dicesse:  Ave;  w 
Però  eh'  iv'era  imaginata  Quella,  M 

ogni  ripa,  non  è  mai  parallelo  al  profilo  sottoposto,  ma  pende  sem- 
pre nella  sommità  a  maggiore  inclinatone.  Se  qui  avvertite  bene 
questi  proprietà  della  ripa,  intendete  subito  perchè  in  appresso  si 
dica  di  ogni  scala,  ch'essa  è  meno  erta,  e  sempre  più  agevole  della 
sottoposta. 

*9  Policleto.  Uno  dei  più  celebri  statuari!,  di  Sidone  in  Grecia. 

90  L\  avrebbe  scorno.  Resterebbe  scornata  a  quel  confronto.  I 
vivi  sono  meno  vivi  di  quelle  immagini.  Queste  cose  il  poeta  le 
vide,  e  conobbe  prima  di  aver  messo  il  pie  sulla  cornice,  o  strada. 
Dunque  tanto  più  le  vedevano  le  anime,  che  salivano  a  questa  pena. 
Cosi  la  prima  vista  che  si  offriva  alle  anime  superbe  erano  esempi 
di  umiltà,  sculti  nella  parete,  tra  i  quali  l'Annunciazione,  che  è  il 
primo  e  più  grande  esempio  di  umiltà,  era  il  primo  ad  offrirsi  allo 
sguardo  prima  di  sbucar  dalla  cruna. 

*i  L'angel.  L'arcangelo  Gabriele.  • 

33  Della  molt'anni  ecc.  Pace,  o  pacificazione,  o  perdono,  o  re- 
denzione chiesta  con  lagrime  molti  anni.  Il  Messia  era  il  sospiro 
dei  patriarchi  e  dei  profeti. 

**  Lungo  divieto.  Si  sa  che  il  Cielo  fu  chiuso  dal  momento  ehe 
•Adamo  peccò.  Bisognava  che  venisse  ad  aprirlo  il  Redentore  prò- 
messo.  Intanto  le  anime  giuste  andavano  al  Limbo. 

3*  Dinanzi  a  noi.  Dunque  l' Annunziamone  era  in  faccia  allo  sbocco 
della  salita,  perchè  i  poeti  giunti  lassù  non  si  erano  mossi  ancora 
per  veruna  parte. 

tt  Ave.  É  il  principio  dell'angelico  saluto. 

**  Imaginata.  Sculta. 


238  PURGATORIO 

Ch'ad  aprir  l'alto  Amor  volse  la  chiave.  *7 

Ed  avea  in  atto  impressa  està  favella  : 
Ecce  Anelila  Dei,  sì  propriamente,  ** 
Come  figura  in  cera  si  suggella.  " 

Non  tener  pure  ad  un  luogo  la  meute,  w 
Disse  '1  dolce  maestro,  che  m'avea 
Da  quella  parte  onde  il  core  ha  la  gente  :  " 

Pereti'  io  mi  volsi  col  viso,  e  vedea  n 
50.         Diretro  da  Maria  per  quella  costa, 
Onde  m'era  colui  che  mi  movea,  M 

Un'altra  istoria  nella  roccia  imposta: 

Perch'  io  varcai  Virgilio,  e  femmi  presso,  u 
Acciocché  fosse  agli  occhi  miei  disposta. 

Era  intagliato  lì  nel  marmo  stesso  n 


tf  L'alto  amor.  Lo  Spirito  Santo  per  la  sola  opera  di  cai  fa  poi 
fecondata. 

28  Ecce  Ancilla  Dei.  È  la  risposta  colla  quale  acconsenti  al  de- 
creto divino:  le  quali  parole  indicanola  sua  grande  umiltà  ;  potessi 
infatti  dir  madre  e  invece  si  disse  ancella. 

29  Come  figura  ecc.  Quelle  amili  e  rassegnate  parole  tanto  pa- 
rlano sul  suo  labbro,  e  ne1  suoi  atti  quanto  una  figura  in  cera  filila 
dal  suggello. 

*°  Pure.  Solamente.  —  Ad  un  luogo.  Ad  un  intaglio.  —  La  mente. 
L'attenzione. 

3;  Onde  il  core  ha  la  gente.  A  sinistra.  Dunque  Dante  avea 
Virgilio  alla  sua  destra.  Vedi  Tav.  IV,  Purg. 

**  Mi  volsi  col  viso.  Non  colla  persona  e  coi  passi  che  continuò 
a  restare  nello  stesso  luogo.  Questo  guardar  un  secondo  oggetto 
senza  partir  dal  primo  è  naturale  quando  il  primo  ha  si  rapito. 

83  Onde  m'era  ecc.  Cioè  alla  costa  che  era  alla  destra  di  Dante. 
Dante  avea  la  schiena  ad  oriente.  Dunque  la  Bua  destra  volgea  a 
settentrione,  e  la  sua  sinistra  a  mezzogiorno. 

34  Varcai  Virgilio.  Notate  che  solo  adesso  si  muove,  dopo  la 
vista  ancor  confusa  d'altri  intagli  che  lo  interessavano. 

ss  Kel  marmo  stesso.  Cioè  marmo  di  quella  stessa  qualità  del- 
l'altro dov'era  sculta  1'  Annunciazione,  cioè  candido. 


CÀNT£  X.  239 

Lo  carro  e  i  buoi  traendo  l'arca  santa,  ** 

Perchè  si  teme  ufficio  non  commesso.  87 
Dinanzi  parea  gente  ;  e  tutta  quanta  '* 

Partita  in  sette  cori,  a'  duo  miei  sensi  " 
60.         Facea  dicer  Fini  no,  l'altro  sì  canta. 
Similemente  al  fummo  degli  incensi, 

Che  v'era  imaginato,  e  gli  occhi  e  il  naso  " 

E  al  sì  e  al  no  discordi  fenai. 
Lì  precedeva  al  benedetto  vaso,  4! 


••  Lo  carro  e  i  buoi  ecc.  Per  ben  comprendere  -e  gustare  tutta 
la  descrizione  di  questo  secondo  intaglio,  basta  saper  il  fatto  scrit- 
turale (II,  Re,  e.  6).  Eccolo  in  breve  :  L'arca  santa  era  in  casa  di 
Aminudab.  David  coi  sacerdoti  e  col  popolo  la  va  a  prendere  per 
collocarla  m  luogo  più  degno  in  Gerusalemme.  L'arca  era  su  un 
carro  tratto  da  buoi  guidati  da  Oro  e  Aio  figli  di  Atninndab  David 
succinto  le  vesti  in  onor  dell'arca  danzava,  mentre  i  sacerdoti  can- 
tavano e  sfamavano  incensi.  A  un  certo  punto  i  buoi  ricalcitrarono, 
e  parve  ebe  il  carro  si  rovesciasse.  Oza,  a  cui  non  toccava,  stese 
la  mano  per  sostener  l'arca.  In  quel  punto  stesso  fu  colpito  di  morte. 
S'entra  in  Gerusalemme  e  si  passa  colla  processione  davanti  alla 
reggia.  Michel,  moglie  di  David,  ad  una  finestra  vede  il  marito  tre* 
scare,  e  lo  disprezza,  come  di  un  atto  vile,  mentr'era  un  atto  di 
grande  umiltà  davanti  alla  maestà  di  Dio. 

97  Perchè  si  teme  ecc.  Per  la  morte  di  Oza,  ebe  non  potendo 
toccar  l'arca  ardì  stendervi  la  mano  per  sostenerla. 

*s  Parea.  Si  vedeva,  appariva. 

»  Partita  in  sette  cori.  Anche  questo  è  narrato  dalla  S.  Scat- 
terà, —  A' duo  miti  sensi.  Dell'udito,  e  della  vista.  Le  orecchie  che 
veramente  non  udivano,  avrebbero  sostenuto  che  quella  gente  non 
canta.  Ma  la  vista,  ebe  la  vedeva  in  alto  verace  di  canto,  avrebbe 
invece  sostenuto  che  quella  gente  canta  effettivamente. 

*o  E  gli  occhi  e  il  naso  ecc.  Prima  la  discordia  nel  giudicare  era 
tra  gli  occhi  e  le  orecchie,  perchè  si  trattava  di  canto;  ora  è  tra 
gli  occhi  e  il  naso,  perchè  si  tratta  di  odore  :  gli  occhi  diceano,  que- 
sto è  vero  rumo  d'incenso:  ma  il  naso  che  nulla  fiutava  diceva,  che 
non  era  vero  rumo,  ma  solo  scultura. 

H  Vaso.  Arca  cosi  spesso  chiamata  nelle  Scritture. 


240  PURGATORIO 

Trescando  alzato  l'umile  Salmista,  " 
E  più  e  men  che  re  era  in  quel  caso.  " 

Di  contro  ef6giata  ad  una  vista  "  # 
D'un  gran  palazzo  Michol  ammirava,  is 
Sì  come  donna  dispettosa  e  trista, 
70.     Io  mossi  i  pie  del  loco  dov'  io  stava, 
Per  avvisar  da  presso  un'altra  storia 
Che  diretro  a  Michol  mi  biancheggiava.  46 

Quivi  era  storiata  l'alta  gloria  47 

Del  roman  prence,  lo  cui  gran  valore  i8 
Mosse  Gregorio  alla  sua  gran  vittoria  :  40 

4*  Aitato.  Alzato  nelle  vesti,  ritirate  in  su  e  strette  ai  lombi  per 
poter  meglio  danzare  coli 'abito  corto. 

48  E  più  e  men  evi.  Più  che  re,  perchè  faceva  un  atto  di  reli- 
gione che  rende  l'uomo  superiore  a  qualunque  dignità  mondana: 
men  che  re,  perchè  in  quelle  danze  ad  onor  di  Dio  non  cura  va  si  di 
serbare  la  gravità  del  suo  grado,  tenendo  che  ogni  sua  umiliazione 
fosse  poca  dinanzi  alla  Maestà  di  Dio. 

U  Vista,  Fenestra  o  loggia. 

4*  Michol.  Moglie  di  David,  e  figlia  di  Saule.  È  il  solito  con- 
trasto artistico,  che  ingrandisce  la  virtù.  Da  ciò  si  vede  che  la  scena 
è  in  Gerusalemme,  dove  per  ragione  della  città  e  della  Corte  spet- 
tatrice, l'umiltà  di  David  prende  misure  gigantesche. 

46  Che  dietro  a  Michol.  Essendo  Michol  nella  estremità  del  bas- 
sorilievo, perciò  si  dice  che  la  terza  storia  era  subito  al  di  là  di 
Michol.  —  Biancheggiava.  Cioè  era  scult  a  nello  stesso  marmo  bianco. 

4i  L'alta  gloria.  Cioè  il  fatto  glorioso  della  umiltà  di  Traiano, 
che  presto  narrerà. 

48  Lo  cui  gran  valore.  La  cui  gran  virtù,  ehe  è  causa  di  ogni 
valore.  Traiano  fu  veramente  un  prìncipe  di  bellissime  doti  reali. 
Se  fosse  stato  cristiano,  avrebbe  tenuto  molto  di  Carlo  Magno. 

49  Mone  Gregorio  alla  sua  gran  vittoria,  lì  fatto  che  qui  si  ac- 
cenna è  la  seguente  tradizione  popolare  del  medio  evo.  San  Gre- 
gorio papa,  il  Magno,  ammirando  le  belle  virtù  di  Traiano  (tra  le 
altre  cose  egli  pubblicò  un  editto  col  quale  proibiva  che  si  perse- 
guitassero i  cristiani  per  causa  di  religione),  si  portò  un  giorno  a 
visitare  il  suo  sepolcro.  Fattolo  scoprire,  trovò  la  lingua  incorrotta. 


CANTO  X.  241 

Io  dico  di  Traiano  itnperadore  : 
Ed  una  vedovella  gli  era  al  freno  50 
Di  lagrime  atteggiata  e  di  dolore. 

D' intorno  a  lui  parea  calcato  e  pieno  M 
80.         Di  cavalieri,  e  Taguglie  dell'oro  52 

Sovr'esso  in  vista  al  vento  si  movièno. 

La  miserella  in  fra  tutti  costoro 

Ciò  gli  fu  ntaggior  incentivo  d' ammirazione.  Pregò  allora  Iddio  che 
gli  donasse  queir  anima  togliendola  al  demonio,  e  restituendola  al 
proprio  corpo  perchè  vi  facesse  la  debita  penitenza  e,  fattosi  cri- 
stiano, si  salvasse.  Dio  gli  accordò  grazia  sì  singolare.  Sulla  crìtica 
di  questa  istoria  non  è  da  discorrere:  è  chiaro  chedessa  none  altro 
che  una  favola,  recitata  da  Paolo  Diacono,  ritenuta  per  altro  da 
molti  scrittori  del  Medio  Evo,  orientali  e  occidentali.  La  fede  però 
non  ne  scapita,  perchè  anche  quelli  che  la  credettero ,  ritennero 
sempre  che  Dio  non  avesse  definitivamente  dannato  Traiano  all'In- 
ferno ove  nulla  est  redemptio,  ma  lo  ritennero  mandato  colà  preca- 
riamente, sapendo  già  quel  che  doveva  succedere  per  s.  Gregorio.  Ad 
ogni  modo  questa  favola  prova  l'inclinazione  a  trasmodar  nel  cre- 
dere che  aveva  il  Medio  Evo.  e  la  semplicità  della  fede  dei  nostri 
antichi,  carattere  affatto  contrario  all'  incredulità  moderna. 

Ma  Dante  la  credette  o  no?  Xon  si  dee  ritenere  che  la  cre- 
desse, perchè  qui  la  espose; .egli  è  poeta,  e  il  poeta  lavora  sul 
probabile,  ed  accetta  i  fatti  tradizionali,  come  sono,  senza  debito 
di  rendere  conto  alla  storia  ed  alla  critica.  Anzi  la  favola  è  una 
parte  della  poesia.  Tutti  i  poeti  la  usarono:  e  Dante,  avendone 
trovata  una  nelle  credenze  volgari  dei  cristiani,  credette  bene  adot- 
tarla, e  per  abbellire  la  sua  poesia,  e  per  rendere  il  carattere  del 
suo  tempo. 

3°  Ed  una  vedovella  ecc.  La  storia,  che  si  descrive  veduta  incisa 
nella  pietra  del  monte,  è  chiara  per  sé  medesima,  essendo  raccontata 
minutamente  dal  poeta.  È  questo  uu  esempio  molto  illustre  della 
umiltà  dell'imperatore  Traiano*  Così  questa  virtù  riceve  conferma 
anche  da  esempi  pagani. 
51  Calcato  e  pieno.  Aggettivi  presi  sostantivamente» 
**  Uaguglie  dell'oro.  Le  aquile  aureo  impresse  sulle  bandiere. 
A  guglie  de  IV  oro  è  simile  a  quel:  Le  palle  dell'oro  di  Firenze  nel 
C.  XVI  del  Paradiso. 

16 


242  PURGATORIO 

Parea  dicer  :  Signor,  fammi  vendetta  53 
Del  mio  figliuoljCh'è  morto,  ond'io  m'accoro.54 

Ed  egli  a  lei  rispondere  :  Ora  aspetta 
Tanto  eh*  io  torni.  Ed  ella  :  Signor  mio, 
Come  persona  in  cui  dolor  s'affretta, 

Se  tu  non  torni?  Ed  ei  :  Chi  fia  dov'  io, 
La  ti  farà.  Ed  ella:  L'altrui  bene 
90.        A  te  che  fia,  se  '1  tuo  metti  in  oblio? 

Ond'egli:  Or  ti  conforta,  che  conviene 
Ch'  io  solva  il  mio  dovere  anzi  eh'  io  muova  : 
Giustizia  vuole,  e  pietà  mi  ritiene. 

Colui,  che  mai  non  vide  cosa  nuova,  w 
Produsse  esto  visibile  parlare,  56 
Novello  a  noi,  perchè  qui  non  si  truova.  b7 

*3  -Parea  dicer.  Le  scolture,  come  le  pitture,  deono  darci  l'anima 
delle  persone  acuite  o  dipinte,  e  tutte  quelle  passioui  che  porta  il 
soggetto.  Questo  è  il  sommo  dell'arte. 

8*  Ch%  è  morto.  Ch'  è  stato  ucciso. 

33  Colui,  ohe  mai  ecc.  Perifrasi  di  Dio.  Senti  il  poeta  la  impossibilità 
d'imprimere  in  un  sol  marmo  un  intero  dialogo  tra  due  persone  ; 
perchè  l'arte  umana  non  può  cogliere  che  un  punto  solo,  quello  che 
più  spicca  in  tutta  l'azione,  ma  nulla  più  ;  mentre  qui  si  leggevano 
nel  marmo  tante  dimando  e  tante  risposte.  Ebbene  ;  egli  spiega  la  cosa 
con  dire  che  per  esser  quelli  intagli  opera  divina,  non  si  limitavano 
a  un  punto  solo,  ma  in  un  solo  atteggio  offerivano  V  intera  storia. 

36  Produsse  esto  visibile  ecc.  Il  dialogo  tri  la  vedovella  e  Traiano 
si  raccoglieva  dagli  atti  del  marmo,  i  quali  si  vedevano,  e  non  si  udi- 
vano; quindi  era  un  parlare  visibile. 

37  Novello  a  noi,  perchè  ecc.  L'  arte  umana  non  ha  e  non  ebbe 
mai  sculture,  che  potessero  dir  tanto. 

Nel  chiudere  queste  tre  rappresentazioni  di  fatti  eroici  d'umiltà 
facciamo  osservare  ch'essi  sono  incisi  nel  marmo  che  dall'interno  della 
strada  sale  in  alto,  a  differenza  degli  esempi  di  superbia,  che  sono  in  • 
vece  sul  letto  della  strada  medesima,  e  che  sono  per  conseguenza  calcati 
dalle  anime  passeggiere,  come  vedremo.  L'umiltà  dunque  sta  in  alto, 
e  la  superbia  in  basso,  perchè  deposuit  potentes  de  sede,  et  exaltavit 


CANTO  X.  243 

Mentr'  io  mi  dilettava  di  guardare 
Le  imagini  di  tante  umilitadi, 
E  per  lo  Fabbro  loro  a  veder  care  ;  w 
100.   Ecco  di  qua,  ma  fanno  i  passi  radi, 
Mormorava  il  poeta,  molte  genti:  M 
Queste  ne  invieranno  agli  alti  gradi. 

Gli  occhi  miei  eh' a  mirar  erano  intenti,  *° 
Per  veder  novitadi,  onde  son  vaghi, 
Volgendosi  ver  lui  non  furon  lenti. 

Non  vo'  però,  lettor,  che  tu  ti  smaghi  6I 
Di  buon  proponimento,  per  udire 
Come  Dio  vuol  che  il  debito  si  paghi. 

humilcs.  Cosi  le  anime,  che  furono  superbe,  girando  il  monte  da  nord 
a  sud,  avevano  nella  metà  del  monte,  che  guarda  nord,  esempi  di 
umiltà  coronata  da  mirare,  e  con  fatica,  alla  loro  destra  nella  parete; 
e  nell'altra  metà  verso  sud,  avevano  da  mirare,  con  più  facilità  negli 
occhi,  ma  con  più  difficoltà  pei  piedi,  esempi  di  superbia  punita  ;  dalla 
qual  doppia  vista  e  dal  peso  che  le  incurvava,  come  vedremo,  cosce* 
pivano  sentimenti  umilissimi,  e  si  purgavano  della  superbia. 

**  Per  lo  Fabbro.  Fabbro  divino.  Le  buone  sculture  e  pitture  son 
grande  eccitamento  all'anima  per  elevarsi  a  Dio. 

69  Mormorava  il  poeta.  Virgilio  dicea  seco  stesso  queste  parole, 
senza  dirizzarle  a  Dante,  ma  in  modo  che  Dante  le  potesse  udire* 
Perchè  cosi?  Per  non  distoglierlo  a  forza  dai  buoni  oggetti,  che  mi- 
rava, e  che  erano  utilissimi  anche  per  Dante.  Virgilio  lo  volea  dis- 
togliere da  quelli,  ma  dolcemente  e  liberamente.  Egli  già  sapeva 
che  le  sue  parole  avrebbero  trovato  corrispondenza.  È  questo  un 
fare  di  una  estrema  delicatezza.  In  quel:  ma  fanno  i  passi  radi, 
dimostra  dispiacer  della  perdita  del  tempp. 

60  Gli  occhi  miei  ecc.  Quantunque  gli  occhi  fossero  intenti  a 
quelle  novità  ed  avidi  di  osservarle,  pure  alle  parole  mormorate 
da  Virgilio  tra  sé  e  se  furon  pronti  a  volgersi  a  lui;  perocché  quelle 
parole  gli  dicevano  trovato  quello  che  entrambi  cercavano,  e  di  cui 
abbisognavano,  vale  a  dire,  gente  che  insegnasse  loro  il  cammino. 

M  Ti  smaghi.  Ti  smarrisca  o  devii  dai  buoni  proponimenti,  at- 
territo all'udir  la  pena  delle  colpe.  È  questa  la  prima  pena  del 
Purgatorio,  e  pei  ciò  sta  bene  premettere  un  incoraggiamento,  che 


244  PURGATORIO 

Non  attender  la  forma  del  martire: 
no.       Pensa  la  succession  ;  pensa  che ,  a  peggio, 
Oltre  la  gran  sentenzia  non  può  ire. 

F  cominciai  :  Maestro,  quel  eh7  io  veggio 
Muovere  a  noi,  non  mi  sembran  persone, 
E  non  so  che,  si  nel  veder  vaneggio.  6* 

Ed  egli  a  me:  La  grave  condizione 
Di  lor  tormento  a  terra  gli  rannicchia 
Sì  che  i  miei  occhi  pria  n'ebber  tenzone. 

Ma  guarda  fiso  là,  e  disviticchia  ** 

Col  viso  quel  che  vien  sotto  a  quei  sassi  : 
120.       Già  scorger  puoi  come  ciascun  si  picchia.  G4 

O  superbi  Cristian,  miseri,  lassi,  65 

valga  per  questa  e  per  le  altre,  affinchè  al  terror  della  pena  non  ci 
disperiamo,  ma  prendiamo  invece  nuova  lena  a  rinforzarci  nel  bene, 
pensando  che  dopo  la  pena  succede  la  gloria  (Pensa  la  succession) , 
e  che,  alla  peggio,  finito  il  mondo,  finisce  anche  questa  pena. 

tt  Sì  nel  veder  vaneggio.  I  superbi,  che  qui  si  purgano,  girano  il 
monte  per  questa  cornice,  portando  sul  dorso  dei  sassi  più  o  meno 
grandi  a  proporsione  della  lor  colpa.  Per  questo  essi  sono  costi  etti 
ad  andare  più  o  meno  chini,  e  ciò  impedisce  che  dalla  lunge  si  possa 
conoscere  chi  o  che  cosasieno.  Virgilio  stesso,  sebbene  di  vista  assai 
più  acuta  di  Dante,  non  sapeva  sulle  prime  che  cosa  fossero. 

W  Disviticchia  —  Col  viso  quel  ecc.  Uno  tra  gli  altri,  che  men  ('egli 
altri  era  chino,  si  poteva  a  grande  fatica  ravvisare,  non  già  per  co- 
noeoere  ancora  chi  fosse,  ma  per  riscontrare  eh1  era  faccia  di  m  ino, 
faccia  che  dava  a  veder  abbastanza  la  gravità  della  sua  pena. 

**  Si  picchia.  Si  flagella,  si  batte  dalla  divina  giustizia.  È  inutile 
dire,  perchè  è  troppo  chiaro  per  sé,  come  tal  pena  sia  del  tutto 
conveniente  alla  colpa  della  superbia.  Questa  fece  portare  alta  la 
testa;  ebbene  la  pena  gliela  abbassi.  Questa  sprezzò  gli  umili  ;  eb- 
bene li  veneri  nella  parete.  Questa  lodò  i  superbi,  e  ne  imitò  le 
azioni;  ebbene  ora  li  calchi. 

63  O  superbi  Cristian  ecc.  È  naturale  che  vedendo  punita  la  su- 
perbia anche  in  anime  sante,  in  modo  si  miserando  e  conveniente, 
si  senta  il  poeta  eccitato  a  battere  la  superbia  dei  mondo,  che  per 
ben  che  vada,  va  a  terminare  in  tanta  umiliazione. 


CANTO  X.  MS 

Che.  della  rista  della  mente  infermi,  ** 
Fidanza  avete  ne*  ritrosi  passi  ;  ^ 

Non  v'accorgete  voi,  che  noi  siam  vermi  a 
Nati  a  formar  l'angelica  farfalla. 
Che  vola  alla  giustizia  senza  schermì? 

Di  che  l'animo  vostro  in  alto  galla? 
Voi  siete  quasi  entomata  in  difetto,  • 
Sì  come  verme  in  cui  formazion  falla.  * 
130.   Come  per  sostentar  solaio  o  tetto, Tl 
Per  mensola  talvolta  una  figura 
Si  vede  punger  le  ginocchia  al  petto. 

La  qual  fa  del  non  ver  vera  rancura  :- 
Nascere  a  chi  la  vede;  così  fatti 

66  Che  della  vista  ecc.  Che  non  conoscendo  betio  voi  stari»  ohe 

siete  un  niente. 

«n  Fidanza  avete  eoe.  Confidate  nella  vostra  vantata  grandetta» 
che  vi  allontana  da  Dio  e  dalla  santa  sua  legge. 

w  Non  v'accorgete  voi  ecc.  Non  sapete  che  in  fin  dei  conti  noi 
dovremo  cadere  nelle  mani  della  divina  giustìzia,  senta  che  noi  od 
altri  ce  ne  schermisca,  come  appunto  avviene  di  quest'anime  sante? 
Questa  cosa  la  dice  il  poeta  colla  similitudine  bellissima  del  filugello 
o  verme  da  seta,  che  passa  da  verme  in  farfalla.  Così  noi,  venni 
dapprima,  poi  purché  usciti  dal  mondo  in  gratin  di  Dio,  diventiamo 
angeliche  farfalle,  che  vanno  senta  difesa  alcuna  alla  giustizia  punitiva 
del  Purgatorio.  A  questo  stato  di  volare,  dopo  morto,  alla  giustitia 
di  Dio,  nasciamo  tutti,  grandi  e  piccoli,  e  nasciamo  por  essere  an- 
geliche farfalle,  ovvero  per  esser  beati  ;  ma,  colpa  la  nostra  superbia, 
i  più  dopo  morte  si  trasmutano  in  farfalle  diaboliche,  e  vanno  in  per* 
dizione;  ed  altri  pochi  in  farfalle  angeliche,  cui  la  giustitia  raffina 
in  questo  monte  senza  che  vi  abbia  eccezione  o  schermo  per  nessuno. 

&>  Entomata  in  difetto.  Enti  o  sostanze  difettose  per  la  colpa  di 
orìgine,  che  vi.  storpia  sin  dal  vostro  concepimento. 

™  Sì  come  verme.  Come  un  aborto  di  verme. 

71  Come  per  soste  nl<  ir  ecc.  Non  ci  poteva  c*ser  similitudine  più 
propria  di  questa. 

*J2  Del  non  ver  vera  rancura.  Infatti  si  prova  una  vera  oppiti- 
sion  d'a«iimo  per  quella  non  vero  fatiche. 


246  PURGATORIO 

VicT  io  color,  quando  posi  ben  cura.  73 
Ver' è  che  più  e  meno  eran  contratti,  7i 

Secondo  ch'avean  più  e  meno  addosso  ; 

E  qual  più  pazienza  avea,  negli  atti  7* 
Piangendo  parea  dicer  :  Più  non  posso. 

78  Quando  posi  ben  cura.  Quando  gli  osservai  colla  maggior  at- 
tenzione, secondo  il  detto  di  Virgilio:  Ma  guarda  fiso  là,  e  disvi- 
ticchia Col  viso  quel  che  vien  sotto  a  quei  sassi, 

i*  Più  e  meno  eran  contratti.  Più  e  meno  inchinati,  secondo  il 
maggiore  e  minor  peso,  che  avevano  sulle  spalle.  E  ciò  perchè  chi 
avea  più  da  soddisfare  alla  divina  giustizia,  ossia  chi  era  stato  più 
superbo,  dovea  portare  un  maggior  sasso,  e  quindi  dovea  andare 
più  chino:  e  chi  avea  da  soddisfar  meno,  ossia  chi  era  stato  meno 
superbo,  portava  un  sasso  minore  e  quindi  andava  meno  chino. 

™  E  qual  piti  pazienza  avea.  Chi  aveva  addosso  un  sasso  più 
grande,  è  però  più  ci  pativa  sotto.  Dopo  avea  ci  va  virgola. 


CANTO   X I 


Argomento 

Le  anime  recitano  il  Pater  noster.  Il  p-xta  fa  una  pia  conti- 
aerazione  su  questo.  Virgilio  chiede  la  via  più.  comoda  per  salire 
alla  seconda  cornice.  Olì  vien  risposto  di  mettersi  entrambi  alla  de- 
stra delle  anime  tra  il  monte  ed  esse,  e  di  seguirle.  L'anima,  che  die 
tale  indirizzo, si  manifesta,  ed  era  Umberto,  che  manifesta  pure 
la  condition  degli  altri.  Dante  si  china  per  ravvisarlo.  Intanto 
Dante  vien  conosciuto  da  uh*  altra  anima.  Fra  il  celebre  minia* 
tore  Oderisi.  Dante  lo  loda*  ma  egli  si  umilia.  Oderisi  prende  a 
parlar  della  vanità  della  gloria  mondana,  e  ne  dà  esempi  anche 
tra  le  anime  sue  compagne  t  accennando  a  Provennan  Salvani.  Su 
questo  nasce  un  dubbio  in  Dante,  la  solu%ion  del  quale  termina 
il  Canto. 


!iB.  Vedi  latti  i  cu  HI  ini  di  questo  Cinto  nella  Tit.  Ili,  Pury,  ed  ibbi  tott'occfcto 

la  mia  Ta?.  \V,PHrg. 


o 


Padre  nostro,  che  ne'  cieli  stai,  f 


*  0  Padre. nostro  ecc  Parafrasi  del  Pater  noster,  orastone  in- 
segnataci dallo  stesso  Gesù  Cristo.  Fin  qni  abbiamo  udito  le  anime 
cantare  quando  il  Afiserere,  quando  la  Salve  Regina ?  inno  do)  ve. 
spero,  quando  l'inno  di  compieta  Te  lucie.  Allo  stesso  ingresso  dei 
poeti  per  la  porta  del  Purgatorio,  udimmo  le  anime  soprastanti  can- 
tare l'inno  di  ringraziamento,  il  Tcdeum.  Ora  udiamo  le  animo  più 
superbe  umiliarsi  a  Dio  con  una  ornatane,  che  dichiara  toner  noi 
tutto  da  lui,  e  perciò  tutto  a  lui  doversi  richiedere.  Dante  pone 
continuamente  in  bocca  allo  anime  la  preghiera;  tanto  la  ritien  ne- 
cessaria, e  tanto  Vania. 


248  PURGATORIO 

Non  circonscritto,  ma  per  più  amore, 2 
ChV  primi  effetti  di  lassù  tu  hai, 

Laudato  sia  il  tuo  Nome,  e  il  tuo  Valore  3 
Da  ogni  creatura,  com'è  degno 
Di  render  grazie  al  tuo  dolce  Vapore. 

Venga  ver  noi  la  pace  del  tuo  regno,  4 
Che  noi  ad  essa  non  potem  da  noi,  ,j 
S'ella  non  vien,  con  tutto  nostro  ingegno, 
io.     Come  del  suo  voler  gli  angeli  tuoi c 

2  Non  cireomcritto.  Si  dice  nei  deli  *tai}  non  perchè  stia  solo 
nei  cieli,  come  le  creature,  che  mentre  stanno  in  un  luogo,  non 
possono  anche  stare  in  un  altro  :  ma  si  dice  che  stai  nei  cicli,  per- 
chè cola  stanno,  le  creature  più  nobili  di  noi,  alle  quali  perciò  si 
manifesta  nella  sua  gloria  più  che  a  noi  mortali.  Questo  è  il  pream- 
bolo del  Pater:  Pater  noster  qui  es  in  coelis, 

3  Laudato  da  il  tuo  Nome  (Dio  Padre);  il  tuo  Valore  o  Virtù 
(Dio  Figliuolo,  detto   Virtus  Patri «). 

Dolce  Vapore  (Dio  Spirito  santo,  che  spira  e  procede  dal  Padre 
e  dal  Figliuolo  per  via  di  calore  o  di  amore).  Il  Vapore  ò  effetto 
del  fuoco;  cosi  lo  Spirito  Santo  è  effetto  sostanziale  del  foco  amo- 
roso tra  il  Padre  ed  il  Figlio.  Questa  è  la  prima  petizione:  San* 
ctificetur  nomen  tuum. 

*  Venga  ver  noi  ecc.  Il  regno  della  tua  gloria,  il  qual  regno  e 
perfetta  pace,  secondo  quel  detto  dei  Salmi  :  Delectabitur  in  mul~ 
indine  paris.  Onde  Gesù  Cristo  è  chiamato  Princcps  pad*.  La 
pace  è  ogni  bene,  secondo  il  parlare  scritturale,  come  la  guerra  è 
ogni  male:  perciò  quella  è  in  Cielo,  questa  nell'Inferno.  Quelle  anime 
usando  questa  petizione,  in  quanto  la  applicano  a  sé,  non  ponno  in- 
tendere che  del  regno  di  gloria;  in  quanto  la  applicano  a  noi,  in- 
tendono anche  del  regno  di  grazia;  il  quale  pure,  come  il  primo,  è 
superiore  affatto  alle  nostre  forze  naturali. 

3  Non  potem.  Non  potem  venire.  Le  anime  purganti  sospirano 
alla  beatitudine;  ma  siccome  sanno  di  non  potervi  arrivare  colle 
loro  forze,  perciò  ne  invocano  l'aiuto  da  Dio,  che  la  ravvicini  loro 
abbreviando  il  tempo  della  purgazione,  se  ciò  ò  piacente  a  Dio.  Se- 
conda petizione  :  Adveniat  regnum  tuum, 

6  Come  del  suo  voler  ecc.  Terza  petizione:  Fiat  voluntas  tua 
sicut  in  calo  et  in  terra.  Quando  noi  diciamo  di  vero  cuore  che  sia 


i 


cax  ro  xi.  *» 

Fan  sacrificio  a  te,  cantando  Os\nna, 
Cosi  facciano  gli  uomini  de  suoi. 

Da  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna.  7 
Senza  la  qual  per  questo  aspro  diserto 
A  retro  va  chi  più  di  gir  s'affanna, 

E  come  noi  lo  mal  ch'arem  soffert  >  * 
Perdoniamo  a  ciascuno,  e  tu  perdona 
Benigno,  e  non  guardare  al  nostro  merto. 

Nostra  virtù,  che  di  leggier  s'adona,  * 

fatta  la  volontà  di  Dio,  intendiamo  che  noi  abbiamo  a  fare  di  buona 
viglia  la  volontà  di  Dio.  il  che  non  è  altro  dio  sacrificare  a  lui 
la  nostra  volontà,  perchè  sìa  fatta  la  sua;  e  questo  sacrificio  tv  il 
più  nobile,  il  più  gradito  che  possiamo  fare.  Ma  por  farlo  colla  por- 
fez  ion  maggiore  possibile,  si  chiede  di  farlo  con  quella  generosità  e 
prontezza  con  cui  lo  fanno  gli  angeli. 

"  Dà  oggi  a  noi  ecc.  Quarta  petizione:  Pmnem  nortrum  quoti* 
dìanum  da  nobis  hodie.  La  manna  è  tanto  il  cibo  corporale,  quanto 
e  più  (come  nel  Vangelo  in  questo  luogoì  il  cibo  spirituale,  che  ò 
ogni  rinforzo  di  grazia  valevole  in  questo  nostro  mondo,  e  nell'altro, 
e  specialmente  la  Eucaristia  pel  nostro  mondo.  Dante  nelP adattar 
le  petizioni  ai  bisogni  anche  delle  anime  del  Purgatorio,  sceglie 
con  una  felice  necessità  quei  sensi  della  petizione  ohe  possano  esser 
propri  e  dei  vivi  e  dei  morti.  Qui,  p.  e.,  voltò  il  pane  in  manna.  Or 
sappiamo  che  la  manna  fu  cibo  degli  Ebrei  per  40  anni  nel  deserto, 
il  qual  deserto  fu  un  luogo  di  prova  per  renderli  degni  di  entrare 
nella  terra  promessa,  figura  del  Paradiso.  Questo  è,  tutto  il  caso  di 
quelle  anime,  e  insieme  il  caso  nostro.  Non  sarebbe  stato  possibile 
di  trovar  una  traduzione  del  panem  noitrum  più  facile  e  più  spon- 
tanea di  questa. 

8  E  come  noi  lo  mal  ecc.  Quinta  petizione:  Dimittt  nobU  de- 
bita nostra,  sicut  et  noe  dimUtimut  debitoribut  nostri».  Questa  è 
chiara  per  sé  medesima,  e  &'  adatta  in  tutto  il  rigor  naturale  senta 
il  menomo  cangiamento  si  a  noi,  come  a  loro* 

9  Nostra  virtù  che  di  leggier  ecc.  Sesta  e  settima  petizione  con* 
sidcratc  per  una  petizion  sola,  come  possono  infatti  considerarsi: 
Et  ne  no8  inducaa  in  tentationem ;  sed  libera  nos  a  malo» 

Che  di  leggier  iadonà.  Che  facilmente  si  vince,  si  fiacca,  li 
abbatto. 


«50  PURGATORIO 

20.        Non  spermerttar  con  l'antico  avversare  ;  ,0 
Ma  libera  da  lui  che  sì  la  sprona.  " 

Quest'ultima  preghiera.  Signor  caro,  i% 
Già  non  si  fa  per  noi,  che  non  bisogna, 
Ma  per  color  che  dietro  a  noi  restaro. 

Così  a  sé,  e  a  noi  buona  ramogna  " 

Quell'ombre  orando,  andavan  sotto  il  pondo, 
Simile  a  quel  che  talvolta  si  sogna,  " 

Disparmente  angosciate  tutte  a  tondo,  " 
E  lasse  su  per  la  prima  cornice,  *6 
30.        Purgando  le  calìgini  del  mondo.  17 

Se  di  là  sempre  ben  per  noi  si  dice,  18 
Di  qua  che  dire  e  far  per  lor  si  puote 


40  Non  $permentar  ecc.  Non  permetter  che  sia  assalita  dalle  ten- 
tazioni del  demonio. 

44  Ma  Ubera  ecc.  Ma  libera  la  nostra  debole  virtù  dal  demonio  facen- 
dola di  lui  vittoriosa,  caso  che  tu  voglia  cimentarla  agli  assalti  di  lui. 

tt  Queft' ultima  ecc.  Poiché  le  anime  del  Purgatorio  sono  ornai 
in  istato  di  termine,  nel  quale  sono  finite  le  battaglie  di  questo  mondo 
contro  il  demonio,  da  cui  non  ponno  ricever  più  danno,  perciò  tutta 
la  preghiera  recitata  nella  terzina  antecedente  non  è  per  loro,  ma 
per  noi.  Già  si  sa  che  le  anime  sante  dei  morti  pregano  per  noi  vivi. 

4*  Ramogna.  Voce  antiquata:  augurio  di  buon  viaggio.  Di  là 
dunque  si  prega,  perchè  di  qua  si  faccia  buon  viaggio,  cioè  un 
viaggio  da  buoni  cristiani,  obbedienti  alla  santa  legge  di  Dio. 

44  Simile  a  quel  ecc.  Simile  all'incubo,  cho  è  quel  peso  al  cuore 
da  cui  talvolta  sognamo  d'essere  schiacciati,  e  che  ci  toglie  sino  il 
respiro,  e  a  forza  ci  sveglia. 

*8  Di$par mente.  Non  tutte  avevano  ugual  macigno  sul  dorso*,  ma 
qual  maggiore,  qual  minore  secondo  la  colpa. 

46  Cornice,  La  strada  che  cinge  il  monte  si  chiama  cornice,  per 
la  somiglianza  della  cornice,  che  cinge  il  quadro. 

n  Le  caligini  del  mondo.  Le  macchie  del  mondo. 

48  Sempre  ben  per  noi  si  dice.  Non  solo  coli' ultima  preghiera 
del  Pater  noster,  che  esse  fanno  esclusivamente  per  noi,  ma  anche 
con  tutte  le  altre  preghiere,  che  fanno  per  sé  e  per  noi. 


CAVTO  XI.  *M 

Da  quei,  eh*  hanno  al  v\cder  buona  r&dtc*?  •* 
Ben  si  dee  loro  aitar  lavar  le  noie*  * 
Che  portar  quinci»  si  che  mondi  e  lievi 
Possano  uscire  alle  stellate  rote. 
Deh  !  se  giustizia  e  pietà  vi  disprevì  * 
Tosto,  si  che  possiate  muover  l'ala. 
Che  secondo  il  desio  vostro  vi  levi, 
4".     Mostrate  da  qual  mano  in  ver  la  scala  tt 

Si  va  più  corto:  e  se  ce  più  d%un  varco,  w 
Quel  ne  insegnate  che  men  erto  cala;  *4 
Che  questi  che  vien  meco,  per  T  incarco 
Della  carne  d'Adamo,  onde  si  veste. 
Al  montar  su.  contro  sua  voglia,  è  parco. 

**  Da  qnci  ch'hanno  ol  coler  ecc.  Da  quelli,  eh*  vivono  in  gra- 
zia  di  Dìo,  e  che  sono  quelli  che  si  chiamano  netta  Sucri  Scritturi* : 
Uomini  di  buona  volontà.  Questi  soli  hanno  volontà,  dee  fissa  in 
bnona  radice,  radice  di  grazia;  gli  altri  V  hanno  (barn  nella  radice 
del  peccato.  Le  orazioni  di  soli  questi,  valgono  di  suffragio  al* 
l'anime. 

*>  Ben  si  dee  loro  aitar  ecc.  Come  esse  pregano  per  noi,  •  cosi 
noi  dobbiamo  pregare  per  esse,  aiutandole  eoi  suffragi  a  lavar  pre- 
sto le  loro  macchie,  e  ad  alleggerire  i  loro  pesi,  che  hanno  per  aste* 
affinchè  volino  presto  al  cielo  e  monde  e  lievi, 

**  Dehìse  giustinia  e  pietà.  Deh!  cosi  couTio  desidero,  giustlsia 
e  piotò  vi  disgrevi.  È  il  solito  augurio  che  Virgilio  sempre  pre- 
mette alle  sue  dimande,  desiderando  all'anime  quel  bsu  ehe  è  prò* 
prio  di  ciascuna.  A  queste  che  erano  aggravato  da  pesi  desiderava 
lo  sgravamento  e  la  leggerezza.  Ma  come  giustizia  t  pietà? Appunto  : 
perchè  lo  sgravarle  e  opera  di  giustizia  o  pietà,  in  quanto  ehe  la 
pietà  dei  viventi  coi  loro  suffragi  disarma  la  giustizia,  od  ella  oasi 
diminuisce  o  toglie  la  pena. 

**  Mostrate  d*  qual  mano  ecc.  8e  a  destra  del  punto  ov1  erano 
saliti,  e  ove  allor  si  trovavano,  ovvero  a  sinistra  di  qual  punto. 
Vedi  Tav.  IV,  Purg. 

23  Si  va  pia  corto.  Per  la  cura  ohe  ha  Virgilio  di  non  perder 
tempo. 

3*  Che  men  erto  cala.  Chiede  questo  per  la  ragiona  che  dira  tosto. 


252  PURGATORIO 

Le  lor  parole  che  renderò  a  queste, 
Che  dette  avea  colui,  cui  io  seguiva, 
Non  fiir  da  cui  venisser  manifeste ,  M 

Ma  fu  detto  :  A  man  destra  per  la  riva  *6 
50.         Con  noi  venite,  e  troverete  il  passo 
Possibile  a  salir  persona  viva. 

E  s' io  non  fossi  impedito  dal  sasso,  *7 
Che  la  cervice  mia  superba  doma,  28 
Onde  portar  conviemmi  il  viso  basso, 

Cotesti,  che  ancor  vive  e  non  si  noma,  29 
Guarderei  per  veder  s' io  lo  conosco, 
E  per  farlo  pietoso  a  questa  soma.  ^ 

r  fui  Latino,  e  nato  d'un  gran  Tosco  :  3I 
Guglielmo  Aldobrandeschi  fu  mio  padre  : 

**  Non  fur  da  cui  venisser  ecc.  Perchè  tutte  le  anime  erano 
assai  curve  a  terra  sotto  i  lor  pesi. 

26  A  man  destra  ecc.  Un'  anima  disse  :  venite  a  man  destra  di  noi, 
cioè  tra  noi  e  la  riva  che  sale,  dov'erano  incisi  gli  esempi  di  umiltà, 
e  poi  procedete  con  noi.  Consulta  anche  qui  la  Tav.  IV,  Pvrg. 

Ma  perchè  le  anime  fecero  andare  i  poeti  alla  loro  destra,  cioè 
tra  esse  ed  il  monte  ?  Perchè  essendo  la  cornice ,  ossia  la  strada, 
alquanto  stretta,  cioè  di  15  soli  piedi,  se  Dante  avesse  camminato  al 
di  fuori,  e  avesse  anche  dovuto  attendere  a  parlare  con  quell'anime 
ed  a  guardarle,  il  cammino  sarebbe  stato  troppo  pericoloso. 

27  E  «'  io  non  fossi  impedito  ecc.  Ecco  perchè  Dante  non  potè 
conoscere  qual  bocca  avesse  parlato. 

28  Che  ecc.  I  superbi  erano  divenuti  umili  :  cosi  stanno  in  carattere. 
&  Vive  ecc.  Notate  la  perizia  del  poeta:  tanto  quello  che  dice,  quanto 

quello  che  tace,  è  detto  e  taciuto  per  crear  sempre  di  nuove  scene.  Vir- 
gilio con  dir  Dante  vivo,  avea  stuzzicato  la  curiosità  delle  anime,  e 
Dante  col  suo  tacere  la  stuzzicava  parimenti.  Di  qui  la  scena  presente. 

80  A  questa  soma.  Alla  mia  pena,  pregandolo  di  suffragi. 

8*  Ffui  Latino.  Italiano,  di  Toscana  sanesc,che  si  estendeva  sino  al 
mar  Tirreno  per  la  Maremma ,  dov'  era  Santafiorc,  di  cui  suo  padre 
Guglielmo  Aldobrandeschi  fu  conte.  Questi  era  Omberto,  ucciso  dai 
Senesi  per  la  sua  superbia  in  Cnmpagnatico  luogo  di  Maremma. 


CANTO  IXi  253 

60.        Non  so  se  il  nome  suo  giammai  fu  vosco.  w 

L'antico  sangue,  e,  l'opere  leggiadre  M 
De'  miei  maggior  mi  fer  sì  arrogante, 
Che  non  pensando  alla  comune  madre,  34 

Ogni  uom  ebbi  in  dispetto  tanto  avente,  35 
Ch'io  ne  mori',  come  i  Senesi  sanno,  *c 
E  sallo  in  Campagn&tico  ogni  fante. 

Io  sono  Omberto  :  e  non  pure  a  me  danno  *7 
Superbia  fé',  che  tutti  i  miei  consorti  !8 
Ha  ella  tratti  seco  nel  malanno. 
70.     E  qui  convien  che  questo  peso  porti 

Per  lei,  tanto  che  a  Dio  si  soddisfaccia, 
Poi  eh'  io  noi  fei  tra'  vivi,  qui  tra'  morti.  w 

Ascoltando  chinai  in  giù  la  faccia  ;  *° 

32  Fu  vosco.  Fu  con  voi ,  e  quindi  noto  a  voi.  Questo  superbo, 
divenuto  umile,  dice  il  bene  degli  altri,  e  il  male  di  se  stesso.. 

33  L'opere  leggiadre  —  De'  miei  maggior.  Continua  a  dir  il  bene 
degli  altri,  e  il  male  suo,  come  fanno  gli  umili. 

**  Alla  comune  madre.  Alla  terra  da  cui  tutti  abbiamo  la  vile 
origine. 

3*  Ogni  uomo  ecc.  Esagera  il  proprio  peccato,  come  fanno  gli  umilL 

**  Ch'io  ne  mori'  ecc.  Diminuisce  le  offese  che  gli  altri  hanno  fatto 
a  lui.  Potea  dire  :  fui  ucciso,  e  invece  dice  che  mori.  Potea  dire  :  fai 
ucciso  dai  Senesi,  e  invece  si  restringe  e  dice  che  i  Senesi  lo  sanno. 

37  Io  $ono  Omberto.  Finalmente  dice  il  suo  nome,  ma  dopo  di 
averlo  coperto  col  vituperio  della  sua  antica  superbia. 

38CAè  tutti  i  miei  consorti  ecc.  Dante  per  quest'anima  dice  la 
colpa  e  la  pena,  che  si  purga  in  questa  prima  cornice. 

39 Poi  ch'io  noi  fei  tra1  vivi.  Si  conferma  il  dogma  cattolico  del 
merito  soddisfatorio,  che  hanno  le  opere  buone  in  questo  mondo. 

*o  Ascoltando  chinai  ecc.  Àzion  naturalissima  e  civilissima  in  Dante 
questa  di  accostare  la  sua  alfa  faccia,  ci  e  parlava;  ma  che  fa  ve- 
dere in  pari  tempo  la  fievolezza  e  stanchezza  di  voce  di  Omberto, 
per  l'oppression  del  suo  peso;  ond'era  iur  necessario  che  Dante, 
cosi  facesse.  E  così  facendo  acquistava  unch'egli  umiltà;  e  soddisfa- 
cea  per  la  superbia  propria. 


254  PURGATORIO 

E  un  di  lor  (non  questi  che  parlava)  4I 
Si  torse  sotto  il  peso  che  lo  impaccia  :  " 

E  vide  mi,  e  conobbemi,  e  chiamava,  43 
Tenendo  gli  occhi  con  fatica  fisi 
A  me  che  tutto  chin  con  loro  andava.  u 

O,  diss*  io  lui,  non  se'  tu  Oderisi,  ** 
80.         L'onor  d'Agubbio,  e  Tonor  di  quell'arte,  * 
Che  alluminare  è  chiamata  in  Parisi  ?  47 

Frate,  diss'egli,  più  ridon  le  carte  ** 

*l  Non  questi  che  parlava.  Perchè  già  di  Omberto  fa  dichiarato 
sopra  per  lui  medesimo  ,  che  non  poteva  guardare  per  esser  ano 
dei  più  aggravati.  Cosi  sino  dall'impotenza  altrui  si  traggon  nuovi 
partiti  di  scene  sempre  più  belle, 

42  Si  torse  sotto  il  peso  ecc.  Sarebbe  questo  un  atteggio  diffici- 
lissimo per  qualunque  più  illustre  pennello. 

tt  E  videmiy  e  ecc.  Chi  potrebbe  esprimere  la  foga  di  affetto  che 
ci  ha  in  queste  tre  congiunzioni  copulative! 

U  A  me  ohe  tutto  ecc.  Nota  Dante  questa  particolarità,  per  farci 
vedere  come  fu  che  queir  anima  lo  potè  conoscere.  Lo  conóbbe  per- 
chè andava  tutto  chino;  se  non  era  questo,  quell'anima  nonpotea 
ravvisarlo.  E  sebben  Dante  andasse  si  chino,  pure  queir  ombra  fece 
tanta  fatica  per  affisarlo.  Dunque  quell'anime  doveano  essere  molto 
chine. 

**  Oderisi.  Famoso  miniatore  di  Gubbio,  della  scuola  di  Cimabue, 
chiamato  a  Roma  da  Bonifacio  Vili  a  miniar  Codici  e  libri  Corali, 
che  sono  ancora  l'ammirazione  del  mondo.  Peccato  che  le  guerre  e 
le  soppressioni  dei  monasteri  abbiano  disperso  o  perduto  una  mas- 
sima parte  di  questi  gentilissimi  lavorietti! 

*•  Agobbzo.  Gubbio,  città  dell*  Umbria. 

*7  Che  alluminare  ecc.  Da  enluminaire  (francese)  miniare.  Quando 
Dante  seri vea  questa  parte  della  sua  Cantica,  era  appunto  in  Parigi; 
ed  io  credo  eh'  egli  noti  questa  particolarità  per  insinuar  bellamente 
dov*  egli  seri  vea  queste  cose.  Se  non  fosse  per  questa  ragione,  l'os- 
servazione del  nome,  che  si  dà  in  Parigi  alla  miniatura,  perdei  ebbe 
ogni  importanza,  e  sarebbe  piuttosto  una  frivolezza,  da  cui  tanto, 
aborre  il  nostro  sommo  poeta. — Parisi.  Dal  latino  Lut  etici  Parisiorum. 

*•  Più  ridon  le  carte.  Le  pergamene  dei  Corali  e  dei  Codici  sulle 
quali  ordinariamente  si  miniavano  vignette  ed  iniziali   stupende  e 


CANTO  XI.  255 

Che  pennelleggia  Franco  Bolognese  : 49 
L'onore  è  tutto  or  suo,  e  mio  in  parte.  w 

Ben  non  sare'  io  stato  si  cortese  5I 
Mentre  eh'  io  vissi,  per  lo  gran  disio 
Dell'eccellenza,  ove  mio  core  intese. 

Di  tal  superbia  qui  si  paga  il  fio: 
Ed  ancor  non  sarei  qui,  se  non  fosse, 
90.        Che  possendo  peccar  mi  volsi  a  Dio.  C2 

O  vanagloria  delle  umane  posse,  5I 


graziose  con  pensieri  allusivi  all'argomento,  o  a  qualche  fatto  della 
Santa  Scrittura,  da  poterne  formare  un1  amabile  galleria  di  bei  qua- 
dretti. Anche  la  Divina  Commedia  ebbe  in  appresso  l'onor  di  queste 
finitissime  miniature,  e  tra  gli  altri  andava  per  tali  lavorietti  più 
superbo  il  Codice,  che  di  Francia  rubò  il  famigerato  Libri.  Il  gior- 
nale V Armonia,  nel  darcene  conto  nel  suo  Numero  del  6  Sett.  1862  lo 
dice:  Con  iniziali  alluminate  al  primo  canto  di  ciascuna  Cantica,  e 
piccole  iniziali  in  oro  e  colori  ai  primi  versi  degli  altri  Canti.  Il 
principio  dell*  Inferno  ha  una  bellissima  ghirlanda  di  fiorì,  frutti,  vasi 
ed  angeli,  ed  una  piccola  pittura  di  Dante  seduto.  —  Di  sopra  Om- 
berto  tutto  raumiliato  ingrandiva  la  sua  colpa  e  impiccoliva  quella 
de' suoi  nemici:  qui  Oderisi  per  la  stessa  umiltà  impicciolisce  il  pro- 
prio merito  e  ingrandisce  l'altrui,  persino  quello  de'suoi  scolari. 

49  Franco  Bolognese.  Scolaro  di  Odorisi,  una  parte  delle  cui  mi- 
niature serbavasi  nella  galleria  Malvezzi  a  Bologna. 

W  L'onor  è  tutto  or  suo  ecc.  Varia  secondo  il  carattere  del  vero  umile. 

M  Ben  non  sare1  io  stato  ecc.  Accasa  il  suo  peccato,  che  fu  di 
superbia;  in  forza  della  quale  altri  innalza  sé  stesso,  anche  colla 
depressione  altrui. 

3*  Che  possendo  peccar  ecc.  Oltre  di  esser  superbo  dell'arto  mia, 
fui  anche  procrastinante  della  mia  conversione,  ma  infine  però  con- 
vertito a  Dio.  Da  ciò  si  vede  che  Oderisi  prima  fu  nell'  Atrio  tra 
i  procrastinanti,  ondagli  morì  molto  prima  del  1300.  Anche  questo  è 
naturale  all'umile  ;  dire  oltre  le  proprie  colpe  palesi  anche  le  occulte. 

53  0  vanagloria  ecc.  Continua  lo  stesso  Oderisi,  e  tutto  com- 
preso dall'umiltà,  esce  in  un  predicozzo  contro  la  vanagloria.  —  Delle 
umane  posse.  Dell'umano  valore  in  fatto  di  arti  liberali,  perchè  di 
queste  sole  si  parla. 


956  PURGATORIO 

Com'  poco  verde  in  sulla  cima  dura,  5i 
Se  non  è  giunta  dalle  etadi  grosse  !  w 
Credette  Cimabue  nella  pintura  ** 

Tener  lo  campo,  ed  ora  ha  Griotto.il  grido, 
Sì  che  la  fama  di  colui  oscura. 


54  Com9 poco  verde  ecc.  La  gloria  umana  si  presenta  qui  sotto 
l'allegoria  di  una  pianta,  che  presto  si  disseccai  quantunque  l'eccel- 
lenza sia  giunta  al  sommo  (in  sulla  cima). 

33  Se  non  è  giunta  ecc.  Da  che  dipende  la  rinomanza  di  un  ar- 
tista? Dal  caso;  cioè  dal  non  succedergli  chi  lo  superi,  e  meglio 
dal  sopravvenire  di  una  età  o  di  un  secolo,  che  abbia  la  disgrazia 
di  non  produrre  artisti  di  vaglia.  Perchè  se  i  secoli  susseguenti 
danno  artisti  migliori,  addio  gloria  dei  primi,  vinti  come  sono  dai 
secondi. 

96  Credette  Cimabue  ecc.  Cimabue,  nobile  fiorentino,  ebbe  il  primo 
merito  di  far  rivivere  la  pittura  in  Italia,  apprendendola  dai  mae- 
stri greci  fatti  venire  a  Firenze,  ma  ben  presto  superandoli  con 
abbandonare  le  loro  grettezze.  Al  suo  tempo,  che  fu  dal  1240 
al  1300,  fu  il  primo  senza  eccezione,  ed  egli  stesso  si  teneva  per 
tale.  Al  qual  proposito  dice  il  Vasari,  citando  l'Ottimo:  «  Fu  Ci- 
mabue di  Firenze  pintore  nel  tempo  di  l'autore,  molto  nobile  di 
più  che  homo  sapesse,  e  con  questo  fue  sì  arrogante  et  si  disde- 
gnoso, che  si  per  alcuno  li  fosse  a  sua  opera  posto  alcun  fallo  o 
difetto,  o  elli  da  se  l'avessi  veduto  (che  come  accade  molte  volte, 
l'artefice  pecca  per  difetto  della  materia,  in  che  adopera,  o  per 
mancamento  eh 'è  nello  strumento  con  che  lavora)  immantiuente  quel- 
V  opra  disertava,  fusai  cara  quanto  volesse.  Ma  finalmente  (con- 
tinua il  Vasari)  essendo  vivuto  sessanta  anni ,  passò  ali1  altra  vita 
Tanno  1300 ,  avendo  poco  meno  che  risuscitata  la  pittura.  La- 
sciò molti  discepoli,  e  tra  gli  altri  Giotto  che.  poi  fu  eccellente 
pittore ^  il  quale  Giotto,  abitò  dopo  Cimabue  nelle  proprie  case 
del  suo  maestro,  nella  via  del  Cocomero.  Fu  sotterrato  Cima- 
bue  in  santa  Maria  del  Fiore,  con  questo  epitafìo  fattogli  da  uno 
de'  Nini  : 

Crcdidit  ut  Cimubos  picturae  castra  tenere, 
Sic  tenuit  vivens;  nunc  tertet  astra  poli. 


CANTO  XI.  2*7 

Così  ha  tolto  l'uno  all'altro  Guido  " 
La  gloria  della  lingua  ;  e  forse  è  nato  M 
Chi  l'uno  e  l'altro  caccerà  di  nido. 
100.  Non  è  il  fhondan  rumore  altro  che  un  fiato  w 
Di  vento, ch'or  vien  quinci,  ed  or  vien  quindi, 
E  muta  nome  perchè  muta  lato. 

Che  fama  avrai  tu  più  se  vecchia  scindi  *° 
Da  te  la  carne,  che  se  fossi  morto 
Innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il  dindi, 


OT  Coà  ha  tolto  l'uno  all'altro  Guido.  Guido  Cavalcasti  fioren. 
tino  tolse  la  gloria  della  lingua  a  Guido  Guinicelli  bolognese.  Gui- 
nieeUi  mori  nel  1276:  Cavalcanti  nel  1301.  Questi  era  il  più  stretto 
amico  di  Dante. 

M  E  font  è  nato —  Chi  Vuno  ecc.  Dante  intende  questo  di  sé  st^so. 
È  superbia?  non  credo  ;  perchè  la  superiorità  di  Dante  ai  due  Guidi 
è  troppo  evidente.  Ad  ogni  modo  Dante  se  lo  fa  dir  da  Oderisi,  e 
ci  mette  l'attenuazione  di  un  forte* 

**  Non  è  il  mondan  rumore  altroché  un  fiato.  J\  mondan  rumore 
ò  la  rinomanaa  umana.  Oderisi  la  fa  veder  vana  e  volubile  al  som- 
mo, paragonandola  al  vento,  che  secondo  che  spira  ba  vani  nomi. 
Quid  cosa  più  vana  del  vento?  e  qual  cosa  più  variabile  di  lui? 
Tale  è  la  gloria  mondana:  vana  per  sé  medesima,  come  il  vento: 
facile  a  mutarsi  per  altri  nomi,  come  il  vento  cangiando  luogo 
muta  di  nome.  Non  potea  scegliersi  più  appropriata  similitudine  di 
questa. 

*  Che  fama  avrai  tu  pia  te  veochia  scindi.  La  gloria,  oltre  di 
esser  vana  ed  instabile ,  è  anche  tarda  a  raggiungersi  ;  e  questa 
teraa  proprietà  si  tratta  in  questo  luogo,  dicendo  che  se  prima  non 
passano  mille  anni,  tanto  ha  fama  chi  muore  vecchio,  quanto  chi 
muore  bambino,  lì  morir  vecchio  ò  reso  dalla  frase:  et  vecchia 
tèndi  —  Da  te  la  carne,  dal  latino  scindere ,  dividere ,  cioè  se  ti 
dividi  dalla  tua  carne  in  vecchia  età.  Il  morir  bambino  è  reso 
dalla  frase:  Se  fosti  morto  —  Innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il 
dindi,  cioè  il  cibo  eli  danari,  che  i  bambini  chiamano,  come  fu  loro 
insegnato  per  vezzo,  pappo  o  pappa,  e  dindi.  Ci  vogliono  dunque 
mille  anni,  perchè  un  valente  possa  dire  :  Io  mi  tono  ornai  assicurato 
la  fama. 

17 


358  PURGATORIO 

Pria  che  passiti  mill'anui  ?  oh9  è  piti  corto  <f 
Spazio  all'eterno,  che  un  muover  di  ciglia 
Al  cerchio  che  più  tardi  in  cielo  è  torto. 

Colui  che  del  cammin  al  poccP  piglia  ** 
lio.       Dinanzi  a  me,  Toscana  sonò  tutta,  " 
E  ora  appena  in  Siena  san  pispiglia,  u 

Ond'era  sire,  quando  fu  distrutta  " 


M  Ch'è  pia  certo  -»  Spento  alV  eterno  ecc.  Che  se  ti  sembras- 
sero troppo  lunghi  questi  mille  anni  di  prova,  sappi  die  invece 
sono  un  niente  in  confronto  della  eternità  ;  come  un  niente  sarebbe 
l'arco  delle  ciglia,  in  confronto  del  massimo  arco,  che  abbiano,  <(aal 
sarebbe  il  primo  mobile  (Vedi  Tav.  II,  Par.)  rateo  del  quote,  per 
essere  maggiore  di  tutti  gH  areni,  si  volge  più  tardi.  Intendi  però 
bene  questo  più  tardi,  che  non  ò  avverbio  di  tempo,  ma  di  tango, 
o  di  quantità,  e  vuol  dire  che  è  torto  meno,  perchè  quarto  mi  cer- 
chio è  maggiore,  tanto  ha  minore  inefinasione.  Dice  dunque  fl  poeta, 
o  Oderisi  pel  poeta,  che  c'è  pia  proporsione  tra  I  mila  «eòi  pei 
quali  si  dee  aspettare  la  fama  e  la  eternità,  che  bob  tra  r«reo  del 
nostro  ciglio  e  l'arco  massimo  del  cielo. 

«*  Che  del  cammin  ti  poco  piglia.  Che  va  ai  adagio  pel  peso 
che  l'opprime.  Virgilio  avea  detto  poco  prima:  Keoe  di  qua,  tao 
fanno  i  potei  radi. 

ai  Toscana  eonb  tutta.  Tutta  Toscana  (nominativo)  seme  colui 
(accusativo).  La  fama  lo  strombustò  per  tutta  Toscano. 

64  E  ora  appena  ecc.  Prova  di  ratto  della  caducità  della  glorio 
mondana.  Ecco  infatti  qui  uno  che  l'avea,  e  poi  1*  ha  perduto;  e 
non  si  nomina  più  che  nel  solo  suo  luogo  natio  (Siena),  o  sotto 
voce  (pispiglia)  per  paura  o  per  vergogno. 

Quest'  ultimo  argomento,  che  porta  Oderisi  contro  lo  glorio 
mondana  sarebbe  per  rispondere  alla  seguente  obbieaione,  eoo  gli 
si  poteo  rare.  Eppure  ci  fu  ehi  ottenne  somma  gloria  anche  primo 
che  passassero  i  mille  anni  :  tale  sarebbe  questo  Senese. 

Al  che  Odorisi  risponde:  è  vero,  ma  la  perdette  anche  subito, 
ed  ora  nessuno  più  lo  ricorda.  E  cosi  anche  dalTobbiesiooe  si  trae 
una  conferma  alle  cose  dette  contro  la  gloria  mondana. 

£*  Ond' tra  .sire.  Di  cui  era  valoroso  capitano  al  tempo  che  i 
Senesi  diedero  la  rotta  ai  Fiorentini  a  Monteaperti  nel  I960,  che 
fece  VArbia  colorata  in  rosso. 


CANTO  XI.  269 

La  rabbia  fiorentina,  che  superba  ** 
Fu  a  quel  tempo,  sì  come  ora  è  putta. 

La  vostra  nominanza  è  color  d'erba, 67 
Che  viene  e  va,  e  quei  la  discolora,  ** 
Per  cui  ell'eace  della  terra  acerba. 

Ed  io  a  lui  :  Lo  tuo  ver  dir  m' incuora  69 
Buona  umiltà,  e  gran  tumor  m'appiani  :  70 
120.       Ma  chi  è  quei  di  cui  tu  parlavi  ora  ? 

Quegli  è,  rispose,  Frovenzan  Salvaci  ; 71 
Ed  è  qui  perchè  fu  presuntuoso 
A  recar  Siena  tutta  alle  sue  mani. 

Ito  è  così,  e  va  senza  riposo,  M 

« 

<*  La  ràbbia  fiorentina.  La  oltracotanza  rabbiosa  dei  Fiorentini, 
allora  superbi,  ed  ora  cortigiani  e  venali. 

•7  È  color  feria,  —  Che  viene  e  va  ecc.  Prima  l'avea  assomigliata 
ed  un  fiato  di  vento  ch'or  vien  quinci  ed  or  vìen  quindi:  ora  ras- 
somiglia al  colore  dell'erba  prima  verde  e  poi  secca. 

**  E  quei  la  discolora  —  Per  cui  ecc.  Il  Sole  che  fa  nascere  l'erba 
tutta  verde,  mentr'è  acerba,  ossia  in  sul  principio,  il  Sole  stesso  le 
toglie  poscia  il  colore  facendola  avvizzire. 

®  M'incuora.  Mi  mette  in  cuore. 

7°  Gran  tumor  m'appiani*  La  superbia  gonfia,  e  le  esortazioni 
ben  ragionate  della  umiltà  ci  fanno  dar  giù  tale  gonfiezza.  Danto  con- 
fessa di  non  esser  immune  di  questo  peccato,  e  Io  confesserà  di  nuovo 
da  qui  a  poco;  ma  confessa  in  pari  tempo  che  le  ragioni  per  esser 
umile  recate  si  maestrevolmente  da  O derisi,, gli  hanno  fatto  gran 
breccia  sul  cuore.  Di  questo  egli  abbisogna  per  poter  passare  da 
questa  a  un'  altra  cornice,  dovendosi  ad  ognuna  purgar  del  peccato 
che  in  essa  si  punisce. 

H  Provcnzan  Salvani.  Che  da  semplice  capitano  del  popolo  Se- 
nese volle  farsi  padrone  assolato  di  Siena,  S'egli  ruppe  dapprima 
i  Fiorentini,  poscia  i  Fiorentini  vinsero  lui,  e  mozzatagli  la  testa,  l'ap- 
pesero ad  un'asta  a  ludibrio  universale.  Questo  avvenne  nel  1268, 
poco  dopo  la  sua  superbia  di  volersi  fare  tiranno  di  Siena. 

7*  Ilo  è  così,  e  va  ecc.  Dal  punto  che  mori  sino  adesso  si  trova 
a  questa  pena.  Dunque  egli  non  perdette  tempo  alcuno  nell'Atrio, 
quantunque  si   sia   pentito  de'  suoi  peccati  solo  in  fine  di  vita , 


260  PURGATORIO 

Poi  ohe  mori  :  cotal  moneta  rende  7> 
A  soddisfar,  chi  è  di  là  tropp'oso. 

Ed  io  :  Se  quello  spirito  che  attende,  " 
Pria  che  si  penta,  Torlo  della  vita, 
Laggiù  dimora,  e  quassù  non  ascende, 
iso.   Se  buona  orazion  lui  non  aita,  " 

Prima  che  passi  tempo  quanto  visse, 
Come  fu  la  venuta  a  lui  largita? 

Quando  vivea  più  glorioso,  disse, 7* 


essendo  stato  sino  allora  superbo.  Sarebbe  stata  questa  per  Proven- 
zano  una  felice  eccezione  dalla  legge  comune,  che  arresta  i  procra- 
stinanti nell'Atrio  tatto  il  tempo  che  vissero  nell'impenitenza.  Di  qui 
il  dubbio  che  sorge  in  Dante:  Perchè  mai  siffatta  eccesione  e  de- 
rogazione alla  legge  comune?  La  proposta  di  questo  dubbio  e  la 
sua  risposta  verranno  subito  appresso. 

™  Cotal  moneta  rende  —  A  soddisfar  eoe.  Tale  è  la  pena  dei 
superbi,  ossia  chi  di  là  peccò  di  superbia  paga  qui  di  questa  mo- 
neta la  divina  giustizia"  offesa. 

i*Se  quello  spirito  che  attende  ecc.  Ecco  il  dubbio  di  Dante  In- 
torno alla  grazia  usata  da  Dio  a  Provenzan  Sai  vani  procrastinante. 
È  chiaro  per  sé  medesimo, 

78  Se  buona  ora* io n  ecc.  La  condanna  di  esiglio  non* Atrio  pei 
procrastinanti  abb'am  detto  altre  volte,  eh 'è  condizionata  ai  suffragi 
che  si  o  no  si  applicano  loro  nel  mondo,  coi  quali  si  scansa  in  tutto 
o  in  parte  il  tempo  del  loro  esiglio.  Dunque  il  procrastinante  dee 
passar  tanto  tempo  nell'Atrio  quanto  visse  impenitente,  salvo  che 
i  suffragi  non  lo  aiutino.  E  questi  suffragi  non  pare  che  abbiano 
avuto  luogo,  e  che  però  abbiano  potuto  essere  la  vera  causa  che 
Proveuzano  cessasse  T esiglio;  perchè  egli  salse  a  questa  prima 
cornice  del  vero  Purgatorio  subito  dopo  spirato.  Dunque  com'è  che 
Proveuzano  fu  sì  privilegiato?  Rispondo  anticipatamente  che  ciò 
gli  avvenne  per  un'opera  eroica  di  carità  fatta  ad  un  suo  amico, 
come  vedremo. 

™  Quando  vivea  piò  glorioso.  Nel  tempo  della  sua  massima  glo- 
ria (mondana  s'intende),  quando  cioè  gli  uomini  sono  più  inclinati  a 
superbire,  e  più  disdegnano  l'abbassarsi.  Ciò  fu  nel  tempo  della 
sua  prima  signoria  di  Siena. 


canto  xi.  m 

Liberamente  nel  campo  di  Siena, 7T 
Ogni  vergogna  deposta,  s'affisse  : 
E  li  per  trar  l'amico  suo  di  pena, 7* 
Che  sostenea  nella  prigion  di  Carlo, 
Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena.  " 


79  Liberamente  nei  campo  di  Siena,—  Ognivergognm  ecc.  Il  fatto 
è  questo:  Un  amico  di  Provengano  era  nelle  prigioni  di  Carlo  I 
re  di  Puglia,  il  quale  pel  suo  riscatto  volea  dieci  mila  ducati  d'oro. 
Provenaano  ai  tolse  l' incarico  di  trovarli,  chiedendoli  egli  stesso  in 
elemosina  in  piana  di  Siena,  superando  la  naturai  vergogna  che  si 
ha  in  elemosinare,  massime  dalle  persone  grandi.  Notate  bene  le  cir- 
costanze, che  impreziosiscono  quest'atto  di  carità  di  Salvanb 

!.•  Umiliarsi  nel  tempo  della  sua  massima  gloria,  e  allora  pen- 
sare ai  miseri,  quando  gli  altri  solitamente  li  dimenticano. 

2.«  Fare  quest'atto  di  carità  spontaneamente,  senza  che  nessuno 
il  pregasse  (liberamente). 

S.°  Chiedere  elemosina  per  l'amico  non  già  privatamente  ed  entro 
le  case,  lungi  dalla  vista  del  pubblico!  ma  nella  stessa  piazza  (nel 
campo). 

4.*  Superar  generosamente  ogni  vergogna,  facendo  quest'opera 
si  umile  con  quell'animo  con  cui  avrebbe  vinto  in  campo  i  nemici. 

6.0  Tener  in  simile  questua  il  modo  che  tengono  i  grandi  men- 
dichi, i  quali  siedono  e  stanno  fissi  o  alla  porta  del  tempio  o  sui 
crocicchi  dei  mercati,  saldi  e  costanti  a  chiedere  a  tutti  (Zaffine). 
Dicono  alcuni  ch'egli  avesse  disteso  innanzi  a  sé  per  tèrra  un  tap- 
peto per  raccogliere  le  elemosine. 

78  E  lì,  IX  in  quella  piazza,  in  quel  punto  della  piazza  più  po- 
polato; 11  inchiodato  senza  mai  dipartirsi.  Questa  parolina  ha  una 
gran  forza,  come  si  vede:  essa  fa  vedere  la  sua  immobile  costanza 
sa  un'opera  tanto  difficile. 

W  Si  condusse.  Si  ridusse.  D  si  condusse  non  indica  già  moto 
per  questo  o  quel  luogo  della  piazza  o  della  città,  mentre  abbiamo 
veduto  ch'egli  s'affisse  nella  piazza  ;  ma  indica  semplicemente  il  suo 
movimento  interno  che  provava  nell'  eroica  sua  azione,  ed  era  quel 
tremito  che  prova  un  nobil  cuore  nell'atto  umiliante  di  accettar 
elemosina. 

Dante  a  ragione  attribuisce  a  quest'atto  eroico  di  carità,  verso 
un  povero  prigioniero,  la  esenzione  dalla  legge  comune  del  bando 
fuori  del  Purgatorio  accordata  a  Provengano.  Dissi:  a  ragione;  perchè 


262  PURGATORIO 

Più  non  dirò,  e  Beuro  ho  che  parlo;  w 
140.       Ma  poco  tempo  andrà  che  i  tuoi  vicini 
Faranno  A  che  tu  potrai  chiosarlo. 
Quest'opera  gli  tolse  quei  confini.  w   ' 

Gesù  Cristo  nel  Vangelo  innalza  quest'opera  sopra  tutte:  e  nel  giu- 
dizio medesimo  che  di  noi  faxa,  egli  si  protesta  che  sette  opera  della 
carità  verso  il  prossimo  s'aggirerà  principalmente  il  nostro  processo; 
e  per  animarci  di  preferenza  a  questa  fotta  operazione,  egli  dichiara 
fatto  a  sé  quel  che  faremo  ai  bisognosi  Cosi  Dania  anche  in  vista 
di  si  bel  premio  sprona  tatti  non  sok>  all'  amor  del  prossimo,  ma  e 
a  soffrire  qualunque  disagio  per  soddisfare  a  questo  sa  batto  amore, 
so  E  scuro  89  che  parlo.  Parlo  oscuro,  perchè  narrai  4'eroismo  di 
questa  azione  in  termini  alquanto  vaghi  e  generici) .sebbene  «hi 
intese  il  fatto  comprende  i  miei  detti  e  quanto  debba  avere  costato* 
a  Salvaci  l'opera  sua.  Gaso. però  che  tn  non  m'abbia  issato  com- 
piutamente, m'intenderai  da  te  stesso  tra  poco  tempo,  optando  i 
tuoi  cittadini  ti  cacceranno  in  esigUo  spoglio  di  tutti  a  beai.  Al- 
lora anche  tu.  dovrai  cercarti  la  vita  elemosinando,  e  scoiando  attera 
per  propria  esperienza  quanto  costi  ad  uom  gentile  questo  modo  di 
vivere,  sarai  in  caso  di  chiosare  o  spiegare  perfettamente  i  miai  detti* 
.  8!  Quest'opera  gli  tolse  quei  confini.  Quest'opera  si  santa  a  ca- 
ritatevole fé'  ai  che  non  dovesse  dopo  morte  starsene  in  bando  nel- 
l'Atrio del  Purgatorio,  dove  avrebbe  dovuto  stare,  se  non  avente* 
fatta  quest'opera,  secondo  la  legge  posta  a  tutti  i  procrastinanti.. 
Pare  che  il  poeta  abbia  fondato  questo  privilegio  di  Salvasi  spe- 
cialmente su  quelle  parole  dell'Angelo  a  Tobia:  Eltemorinm  a  morse 
Uberat%  ci  ipsa  purgai  peccata,  et  /adi  invenire  misericordiam. 

La  frase  gli  tolse  quei  confini,  non  devesi  intendere  nel  senso,  che 
lo  liberò  da  quei  confini  dopo  di  esservi  caduto,  ma  che  lo  preservò 
perchè  non  vi  cadesse.  E  devesi  intendere  cosi,  perchè  di  sopra  a 
nota  72  si  era  detto,  che  galvani,  appena  morto,  andò  a  purgarsi 
tra  i  superbi.  —  Confini  vale  eeiglio. 


CANTO    XII 


Argomento. 

Dante  eccitato  da  Virgilio  ri  diparte  dalle  ànime,  che  andavano 
troppo  lente,  e  Raffretta  con  lutper  la  §trada  verso  messoli.  Dante 
osserva  quivi  sul  piano  incisi  esempi  molti  di  superbia»  Intanto 
che  Dante  guarda  le  incisioni  per  terra,  Virgilio  vede  appressarsi 
V Angelo  custode  del  varco ,  per  cui  si  sale  alla  seconda  cornice 
degli  Invidiosi,  e  ne  avvisa  Dante.  Dante  gli  si  presenta,  e  l'An- 
gelo l'accoglie  amorosamente,  e  lo  conduce  alla  scala,  cancellan- 
dogli colf  ale  un  P  dalla  fronte.  I  poeti  salgono  e  intanto  odono 
canti  dal  di  sopra*  Dante,  che  si  sente  leggero  in  salire,  ne  di- 
manda il  perchè  a  Virgilio,  e  Virgilio  gliene  rende  la  ragione 

▼•rfi  tatti  i  smWoi  di  qoMto  Canio  odi*  mie  Tst.  Ili  i  IV,  Purg. 


D 


i  pari  come  buoi  che  vanno  a  giogo  f 
M'andava  io  con  quell'anima  carca, 
Fin  che  '1  sofferse  il  dolce  pedagogo.  ' 

*  Di  pari  come  buoi  ecc.  Io  andava  tanto  chino  accanto  a  Ode- 
risi,  quanto  era  chino  egli  stesso  pel  suo  peso;  e  ciò  perch'agli  ap- 
pressasse comodamente  a  me  le  sue  parole  ed  io  a  lai  le  mie.  La 
similitudine  dei  buoi  che  vanno  a  giogo  è  molto  significante.  Qua- 
si'umile  eurvamento  della  persona  insieme  alla  umile  parola,  che 
venia  udendo,  gli  incuoravano  buona  umiltà,  e  cosi  purgava  egli 
tesso  la  sua  superbia,  e  si  disponeva  con  questi  atti  penitenziali 
a  salire  all'  altra  cornice. 

2  Pedagogo.  Pedagogo  è  parola  greca,  e  suona  guida.  Tale  ara 
Virgilio, 


264  PURGATORIO 

Ma  quando  disse:  Lascia  lui  e  varca;  ' 
Che  qui  è  buon  con  la  vela  e  co'  remi,  * 
Quantunque  può  ciascun,  pinger  sua  barca; 
Dritto  sì,  come  andar  vuoisi,  rifèmi  ■ 
Con  la  persona,  avvegnaché  i  pensieri 
Mi  rimanessero  e  chinati  e  scemi.  ' 
io.    Io  m'era  mosso,  e  segnia  volentieri  7 

Del  mio  Maestro  i  passi,  ed  ambedue 
Già  mostravam  com'eravam  leggieri  ; 


»  Ma  quando  oYsse:  Laeeia  ecc.  Una  dei  sofiti  eccitamenti  ali* 
fretta,  che  Virgilio  non  manca  mai  di  dare  al  tao  guidato  per  la 
estrema  cura  eh'  egli  ha  del  tempo  tanto  prenoto. 

*  Che  qui  è  buo*  con  la  vela  eco.  Perchè  qui  (dove vedi  cheti 
va  con  tanta  lentezza)  conviene  che  assenno  prò v  teda  a'fittti  mei 
usando  quella  maggior  fretta  che  può.  A  indicar  questa  maggior 
fretta  prende  la  similitudine  dei  barcaiuoli,  i  quali  quando  vogtioa» 
più  sollecitare  adoperano  vele  e  remi.  Proverbio  toscano. 

*  Dritto  si  ecc.  Dritto  del  corpo,  ma  rauminata  dell'animo,  coma 
fu  detto  alla  nota  1.» ,  perchè  la  vista  delle  pene  del  superbi,  le 
loro  belle  considerasioni  sui  danni  della  superbia  e  sulla  vanità  dalla 
gloria  mondana,  e  il  camminare  si  curvo  di  Dante  medesimo  sono 
argomenti  assai  buoni  per  procacciare  umiltà. 

*  Chinati  e  scemi.  Scemi,  perchè  fu  troncato  loro  quel  di  (sa  che 
è  superbia,  Chinati,  perchè  la  parte  dei  pensieri  rimana  era  tutta 
di  umiltà. 

1 1o  m'era  motto,  e  seduta  ecc.  Occorre  qui  un  po'oH  osserva* 
sione  al  mio  disegno  della  Montagna,  Tav.  IV,  per  aver  le  posture 
esatte  delle  persone  in  questo  luogo.  Se  vi  ricordata,  mentre  Dante 
guardava  la  tersa  incisione  di  Traiano,  Virgilio  l'avvisò  delle  anima 
che  venivano.  Allora  Dante  e  Virgilio  erano  a  sinistra  dalla  inci- 
sion  di  Traiano  in  messo  alla  strada  dove  appunto  io  U  ha  messi. 
Intanto  s'appressano  le  anime  recitando  il  Pater,  e  dicono  ai  Poeti 
di  farsi  alla  loro  destra.  Ecco  infetti  nel  mio  disegno  D  e  V  alla 
destra  dell'anima  prima.  Questa  era  Omberto,  la  seconda  appresso 
era  galvani,  la  terza  Oderisi.  Mentre  la  prima  (Omberto)  andava 
e  parlava  con  Dante,  Dante  fu  conosciuto  dalla  tersa  (Oderiai)  colla 
quale  si  accompagna  e  procede  avanti  aaeai  lentamente.  Questa  tersa 


CANTO  Xn.  266 

Quando  mi  disse:  Volgi  gli  occhi  in  giue  :  8 
Buon  ti  sarà  per  alleggiar  la  via 
Veder  lo  letto  delle  piante  tue. 

Come,  perchè  di  lor  memoria  sia,  • 
Sopra  ay  sepolti  le  tombe  terragne 
Portan  segnato  quel  ch'elli  eran  pria  ;  *° 

Onde  lì  molte  volte  se  ne  piagne  M 
20.        Per  la  puntura  della  rimembranza, 
Che  solo  a'  pii  dà  delle  calcagne  :  " 

Sì  vidi  io  lì,  ma  di  miglior  sembianza, 
(Secondo  l'artificio)  figurato  " 
Quanto  per  via  di  fuor  dal  monte  avanza.  u 

gli  dà  notizia  della  seconda  (Salvani)  e  intanto  si  viene  presso  allo 
sbocco  dela  prima  salita  vicino  all'intaglio  dell'Annunziata,  e  in 
feccia  all'intaglio  dell'Arca  Santa.  Qui  Virgilio  diparte  Dante  dal- 
l'anta*  par  affrettarsi,  e  trascorsi  oltre  l'intaglio  dell' Annunziata, 
Virgilio  raccomanda  a  Dante  di  osservare  gli  intagli  della  superbia, 
che  a  differenza  degli  intagli  dell'umiltà  erano  posti  sulla  strada 
stessa  che  si  calcava,  e  cosi  venivano  ad  esser  calcati  essi  pare  dai 
passeggiati»  Bellissima  e  sapientissima  invenzione,  come  dicemsao,  per 
la  quale  mezzo  monte  ha  esempi  di  umiltà  in  alto,  e  l'altro  messo 
monte  ha  esempi  di  superbia  in  basso,  luogo  degno  di  loro, 

*  Quando  mi  dine:  Volgi  ecc.  Virgilio  gli  disse  questo  appena 
passato  lo  sbocco  della  salita,  m  faccia  all'Annunziata.  Sicché  aveano 
fistio  poca  strada  dall'abbandono  dell'anime  sin  qui,  al  più  un  quin- 
dici o  venti  passi. 

*  Come  perchè  ecc.  Non  ci  sarebbe  stata  similitudine  pia  pro- 
pria di  questa. 

M  Portan  legnato  ecc.  Portano  in  bassorilievo  l'effigie  al  natu- 
rale del  morto  qua!  era  in  vita. 

*t  Se  ne  piagne.  Dai  parenti  ed  amici  memori  delle  belle  qualità 
a  dei  benefizi  del  defunto» 

«  Che  Molo  a9  pii  ecc.  Che  solo  punge  i  pii,  o  teneri  di  cuora, 
verso  le  anime.  I  duri  non  si  muovon  per  questo. 

**  Secondo  l'artificio.  Per  esser  quell'artificio  divino  e  non  umano. 

ti  Quanto  per  via  ecc.  Tutta  la  larghezza  della  strada,  ch'era 
tanta  quanta  Mieurrebbe  in  tre  volte  un  corpo  umano  :  circa  15  piedi. 


266  PURGATORIO 

Vedea  colui,  che  fu  nobil  creato" 
Più  d'altra  creatura,  giù  dal  cielo 
Folgoreggiando  scendere  da  uà  lato: 

Yedea  Briareò  fitto  dal  telo  *6 . 

■ 

Celestial,  giacer  dall'altra  parte, 
so.        Grave  alla  terra  per  lo  mortai  gelo.  I7 
Vedea  Timbreo,  vedea  Pallade  e  Marte, l8 
Armati  ancora,  intorno  al  padre  loro,  " 
Mirar  le  membra  de'  giganti  aparte.  *° 

**  Vedea  colui  ecc.  Dante  per  farci  conoscere  che  Otterrà  tatti  que- 
sti bassorilievi  del  pavimento  alla  sfuggita,  per  secondare  la  pressa  che 
gli  IV Virgilio,  si  esprime  in  modo  come  si  esprimerebbe  eoraf  che  tocca 
di  volo  gli  argomenti.  Il  primo  intaglio  che  vide,  fa  la  caduta  di  Luci, 
fero ,  il  pruno  superbo  del  mondo.  Ma  notisi  che  parlando  di  Lucifero 
lo  vedea  scendere  da  un  lato,  é  parlando  di  Briareo,  che  subito  segue, 
lo  vedea  giacer  dall'altra  parte.  Questo  da  un  lato  veder  uno,  e  dal* 
PaUra  parie  un  altre  dinota  chiaramente  Pordine  con  cui  erano  messi 
gii  intagli  ;  cioè  erano  accoppiati  a  due  a  due  pel  tiayerso  delia  strada, 
nella  eoi  parte  interna  era  Lucifero,  e  netta  cui  parte  esterna  era  Bria- 
reo. Goal  dite  degli  altri  intagli,  che  seguiranno  :  ma  quando  fa  al  1&.° 
intaglio  si  levò  per  attendere  all'Angelo  indicatogli  da  Virgili*.  Per 
questo  nel  Disegno  della  Montagna  il  19.«  intaglio  si  vede  solo.  I  pit- 
tori e  gli  scultori  hanno  molto  da  imparare  in  questi  tredici  abbassi. 

**  Briareo,  Gigante  che  con  altri  suoi  pari  ebbe  la  superbia  di 
muover  guerra  agli  dei  nella  valle  di  Flagra,  È  vero  ohe  è  tavola, 
ma  questa  favola  conferma,  l'idea  della  superbia  punita  essere  stata 
dominante  pur  tra1  pagani 

ti  Per  la  mortai  gelo.  Pel  suo  grave  corpaccio  disanimato  e 
freddo,  e  pesante  alla  terra.  Un  basso  rilievo  di  questa  fatta  sa- 
rebbe lavoro  da  gran  maestro. 

M  Timbreo,  Apollo,  detto  Timbreo  da  un  tempio,  che  avea  in 
Timbra  nella  Troade. 

*•  Al  padre  loro.  Giove.  Armati  ancora.  Dinota  che  la  battaglia 
era  appena  finita,  e  oh'eran  pronti  a  rinnovarne  un'altra,  a  a  fare 
altrettanto  contro  qualunque  superbo. 

*°  Mirar  le  membra  ecc.  Accenna  ad  altra  guerra  dei  giganti, 
ehe  più  d'una  volta  fecer  guerra  a  Giove.  Membra  sono  parti  del 
corpo  mosse  e  sparse  qua  e  colà. 


CANTO  XII.  267 

Vedea  Nembrotte  a  pie  del  gran  lavoro,  " 
Quatti  smarrito,  e  riguardar  le  genti,  ** 
Che  in  Sennaar  con  lui  superbe  foro.  *' 

O  Niobe,  con  che  occhi  dolenti  u 
Vedeva  io  te  segnata  in  su  la  strada,  ** 
Tra  sette  e  sette  tuoi  figliuoli  spenti  ! 
40.     O  Saul,  come  in  su  la  propria  spada  * 
Quivi  parevi  morto  in  Gelboè, 
Che  poi  qon  sentii  pioggia  né  rugiada! 


*•  Jfembrotte  ecc.  Vero  personaggio  scritturale  e  primo  autore 
di  un'opera  veramente  auperba^che  servi  di  base  a  tutte  le  mito- 
logie pagane  in  questo  genere.  —  II  gran  lavoro  è  la  famosa  torre 
di  Babele. 

** ,  Qwtf*  enarrilo,  e  riguardar  ecc.  Turbato  e  confuso  in  sé  stesso 
guardar  altri  confusi  senza  saper  onde  e  come  fosse  quel  caso  di 
non  intendersi.  Si  sa  che  Dio  confuse  il  loro  linguaggio  si  che  nes- 
suno intendeva  più  l'altro»  o  lo  intendeva  a  rovescio* 

»  Sennaar.  H  campo  di  Sennaar  è  al  sud-est  della  Palestina  presso 
alla  confluenza  dei  due  fiumi  Eufrate  e  Tigri. 

**  0  Niobe  ecc.  Notisi  che  a  dar  varietà  a  questa  rivista  d'in- 
tagli, il  poeta  or  dice:  Vedea,  or:  0,  or:  Mostrava;  cosi  per  la  me- 
desima ragione  va  interpolando  esempi  scritturali  ed  esempi  mito- 
logici, cioè  .uno  mitologico  ed  uno  scritturale ,  e  cosi  via  via. 

Ripeto  che  gli  esempi  di  mitologia  non  si  pongono  in  quanto 
sono  di  mitologia,  la  quale  per  sé  è  menzogna,  ma  si  pongono  in 
quanto  servono  di  testimonianza  del  sentimento  universale  dei 
popoli  in  ogni  tempo,  che  la  superbia  fu  sempre  odiata  e  punita 
da  Dio. 

Niobe,  superba  della  sua  fecondità,  avendo  avuto  sette  figli  e 
sette  figlie,  osò  tenersi  da  più  di  Latona.  Ebjsjpe;  i  figli  di  Latona, 
Apollo  e  Diana,  in  pena  di  tanta  arroganza  le  uccisero  sotto  i  suoi 
occhi  li  quattordici  figli. 

**  Segnata.  Scolpita. 

*  0  Saul  ecc.  Saul  non  volle  obbedire  agli  ordini  di  Dio  in  più 
cose.  Ebbene  Dio  lo  rigettò,  ed  egli  disperato  si  uccise  sui  monti 
di  Gelboò,  sui  quali  Davide,  a  sfogo  di  dolore,  imprecò  mancanza  di 
pioggia  t  rugiada, 


268  PURGATORIO 

O  folle  Àragne,  ai  vedea  io  te,  v 

Già  mezza  aragna  trista  in  sugli  stracci  * 
Dell'opera  che  mal  per  te  si  fé'!  " 

O  Roboam,  già  non  par  che  minacci  " 
Quivi  il  tuo  segno;  ma  pien  di  spavento  ,f 
Nel  porta  un  carro  prima  ch'altri  il  cacci  ! 

Mostrava  ancor  lo  duro  pavimento 
50.        Come  Aimeone  a  sua  madre  fé'  caro  n 
Parer  lo  sventurato  adornamento. 

Mostrava  come  i  figli  si  gittaro  * 

**  O  folle  Aragne  ecc.  Mitologica  tessitrice  e  ricamatrice,  die 
oaò  sfidare  Minerva.  Vinta  dalla  dea,  fa  da  easa  cangiata  in  lagno. 
Si  vedea  io  te.  U  ti  è  affermativo. 

»  In  lugli  etraeci.  In  ani  drappi  ricamati,  che  si  dicono  strecci 
per  modo  dispregiativo,  o  perchè  le  vennero  stracciati  fai  pena  dsfla 
eoa  arrogante,  il  che  mi  par  miglior  senso. 

»  Dell'opera  che  mal  per  te  ei  fé'!  Questo  avrebbe  dee  sensi: 
1.  dell'opera,  che  tu  facesti  male  o  che  si  fe'  male  da  te;  3.  dtffepem 
che  ai  fo'  per  tuo  malanno.  L'uno  e  l'altro  di  questi  sensi  ualsenihlia 
all'argomento.  Meglio  però  il  primo. 

»»  O  Roboam  ecc.  Robotmo,  figlio  di  Salomone,  trattò  arrogante- 
mente le  giuste  dimanda  del  popolo!  al  quale,  perchè  ili  mandai  e 
alleggerimento  di  gabelle,  rispose,  dietro  il  consiglio  del  gius  ani, 
spronato  quello  dei  vecchi,  che  se  suo  padre  lo  avea  battale  eoa 
verghe  di  legno  egli  lo  batterebbe  cogli  scorpioni  In  conseguane*  di 
tanta  alterigia  il  popolosi  sollevò  ed  egli  dovette  fuggire  per  salvarsi. 

«  //  Ino  ttyito.  Fu  sculto  in  questo  luogo,  perchè  l' intaglio  le 
rappresentava  in  atto  di  fuga. 

«  Almecne.  Figlio  di  Anfiarao  e  di  Enfile.  Questa,  superba  <fi 
ornarsi  di  un  monile  offertole  da  Polinice  per  tradire  il  merito,  fa 
uccisa  dal  proprio  nfko  per  vendicare  il  tradimento  del  padre. 

n  tfitfi  «  geitaro  —  Sovra  Sennackerib.  Sennaeherib  re  degli 
Assiri  dopo  aver  saccheggiata  la  Giudea,  mandò  minacciare  I  re 
Esechia  burlandosi  della  confidente,  che  egli  aveva  in  Dio.  Assediò 
poi  Gerusalemme,  ma  Dio  mandò  un  angelo  sterminatore,  durante 
la  notte,  che  gli  uccise  180,000  uomini  Sennacherib  dopo  questa 
carneficina  se  ne  fuggì  ne*  suoi  Stati  e  fa  ucciso  a  Nini  ve  in  un 
tempio  da' tuoi  due  primi  figliuoli. 


CANTO  XII.  269 

Sovra  Sennacherib  dentro  dal  tempio, 
E  come  morto  lui  quivi  lasciare  u 

Mostrava  la  ruina,  e  il  crudo  scempio 
Ohe  fé'  Tarn  ir  i,  quando  disse  a  Ciro:  " 
Sangue  sitisti,  ed  io  di  sangue  t'empio. 

Mostrava  come  in  rotta  si  fuggirò 

Gli  Assiri,  poi  che  fu  morto  Oloferne,  M 
sa        E  anche  le  reliquie  del  martire 

Vedeva  Troia  in  cenere  e  in  caverne  :  n 
O  Uión,  come  te  basso  e  vile  M 

U  Qww  Joasfaro.  Dandoli  essi  albi  Alga.  Quindi  nell'intaglio  ri 
doveano  veder  quei  figli  da  un  canto  fuggenti. 

*»  Che  fé*  Tamiri.  Il  fatto  a  eoi  accenna  il  poeta  è  il  seguente: 
Ciro  fotta  guerra  agli  8citi,  capitanati  da  8pargapiso,  figliuolo  della 
lor  regina  Tamlriy  li  Tinae:  ma  Tamiri  raccolto  ben  torto  un  nuovo 
esercito  Inseguì  il  vincitore,  e  lo  Tinse  anch'olla  alla  sua  volta.  Fat- 
tolo prigioniero,  gli  troncò  la  testa  e  la  tuffo  in  un  otre  pieno  di  san- 
gue dipendo:  8aiia  te  languii*  quem  ritisH.  Cosi  Erodoto  e  Giustino 
narrano  la  fine  di  Ciro. 

Ma  Senofonte  narra  invece  ch'egli  mori  in  Persia  di  morte  na- 
turale, B  poeta  s'attiene  ai  primi.  8e  fosse  da  noi  concordare  queste 
due  diverse  narrazioni,  diremmo,  che  11  celebre  P.  Tournemine  nelle 
memorie  di  Trevouz  del  Nov.  1708,  distingue  due  Ciri,  uno  re  di 
Persia  e  grande  conquistatore!  l'altro  aio  di  mi:  quello  morto  come 
lo  narra  Senofonte,  questo  ucciso  come  racconta  Erodoto,  il  quale 
però  Ingannato  dal  nome  attribuì  al  nipote  la  morte  dello  aio.  Dante 
non  dice  di  parlare  dello  zio,  o  del  nipote;  onde  potrebbe  essere 
ch'agi  Intendesse  veramente  dello  aio  e  die  sapesse  anch' egli  la 
esistenza  di  questi  due  Ciri. 

W  Poi  the  fu  storio  Oloferne.  Poi  che  fu  ucciso  Oloferne  da  Giu- 
ditta. H  fatto  di  questa  eroina  è  noto  abbastanza.  La  strage  degli 
Assiri  fotta  dagli  Ebrei,  in  seguito  alla  uccision  di  Oloferne,  sono 
le  reliquie  del  martire 

ti  Vedeva  Troia  ecc.  Ridotta  parte  in  cenere,  parte  in  caverne. 
Troia  era  superba  delle  sue  ricchezze  e  della  sua  potenza. 

»*  0  Ilio*.  Era  la  cittadella  di  Troia  opera  gigantesca  e  formi- 
dabile. 


970  PURGATORIO 

Mostrava  il  segno  che  li  si  discerne  !  M 

w  Mostrava  il  $egno.  La  scoltura  che  li  ti  rappresentava.  Notate 
il  principio  di  ogni  verso  in  questa  terzina:  Vedeva,  O,  Atogtrava,  che 
sono  una  ricapitolazione  dei  quattro  Vedea,  dei  quattro  O,  e  dei 
quattro  Mostrava,  usati  nei  dodici  esempi  di  superbia  mentovati  di 
sopra.  Abbiamo  fatto  osservare  altre  volte,  come  Dante  abbia  vo- 
luto essere  simmetrico  in  tutte  le  parti  del.  suo  poema  tanto  generali 
quanto  particolari  :  qui  poi  perchè  si  trattava  di  disegno  e  di  scol- 
tura, volle  essere  più  simmetrico  ancora  ehe  m  ogni  altra  parte,  per- 
chè la  scolta»  e  la  pittura  de*  suoi  tempi  era  modellata  sulla  sim- 
metria, che  tutto  rendeva  semplice,  armonico  e  piramidale:  dalla 
qual  legge  rigorosa  se  si  scostarono  alquanto  1  cinquecentisti,  non 
credo  che  abbiamo  fatto  bene,  e  che  ci  abbiano  guadagnato,  es- 
sendo essi  usciti  da  quelle  beate  e  semplici  dispoaisioai  e  propor- 
zioni che  contentano  l'occhio,  ed  essendosi  invece  gettati  hi  una 
sfrenata  lioenxe  di  linee  e  di  disannonie,  che  seppero  pur  sostenere 
con  gloria  assistiti  dal  loro  genio,  ma  che  divennero  causa  del  tra* 
lignamento  dell'arte,  tosto  che  la  loro  scuola  cadde  in  mano  di  ar- 
tisti privi  affatto  del  genio  dei  loro  maestri.  Presentemente  a  risto* 
rare  le  arti  liberali  non  v'  ha  altro  messo  che  quello  di  rieondurle 
alla  lor  primiera  semplicità,  studiando  i  modelli  dei  secali  sesspliei, 
sta  nella  pittura,  sia  nella  poesia  maestra  di  quella,  e  mpwsimsmente 
studiando  i  quadri  magnifici  e  semplicissimi  di  Dante,  notti  qui  ed 
altrove.  Per  questo  ho  creduto  bene  destinare  un  caseUino  nelle  mie 
Tavole,  in  cui  sono  registrati  i  brani  più  pittoreschi  della  JHvima 
Commedia  a  comodo  ed  a  sussidio  degli  artisti. 

Questo  mi  venne  detto  in  proposito  delle  stesse  paiole  che  co» 
minciano  i  versi ,  e  che  danno  a  vedere  sino  a  qual  segno  qnelm 
mente,  pure  al  immensa,  di  Dante  andasse  attesa  alle  cose  più  mi- 
nute, per  dare  più  che  fosse  possibile  un  ordine  simmetrico  alle  sue 
rappresentazioni.  Ma  v*  ha  di  più*  Per  disporre  più  simmetricamente 
i  buoi  dodici  gruppi  li  riparti  in  tre  diverse  categorie  di  quattro 
soggetti  l'una,  e  in  fine  H  tredicesimo  ehe  tutti  gli  raccogliesse,  fug- 
gendo in  questo  modo  la  monotonia  che  avrebbe  reso  se  non  fos- 
sero stati  così  distinti. 

Il  Vinci  fece  lo  stesso  (se  forse  noi  prese  da  Dante)  co'  suoi  do- 
dici apostoli  seduti  alla  mensa  Eucaristica  del  Redentore.  Anche  in 
questo  dipinto  sono  tredici  soggetti,  dodici  apostoli  e  il  Redentore, 
come  tredici  soggetti  sono  queste  incisioni.  Il  Vinci  li  riparti  in 
quattro  gruppi  di  tre  apostoli  ciascuno,  come  Dante  riparti  i  suoi 


CANTO  XII.  27 1 

Qual  di  perinei  fu  maestro  e  di  stile , 40 
Che  ritraesse  l'ombre,  e  gli  atti,  eh'  ivi 41 
Farien  mirar  ogni  ingegno  sottile?  4S 

Morti  li  morti,  e  i  vivi  parean  vivi  :  a 
Non  vide  me9  di  me  chi  vide  il  vero, 

•   Quant'  io  calcai  fin  che  chinato  :  givi.  u 
70.    Or  superbite,  e  via  col  viso  altiero  w 

Figliuoli  d'Eva,  e  non  chinate  il  volto,  " 
SI  che  veggiate  il  vostro  mal  sentiero. 

■oggetti  in  tre  grappi  di  quattro  ciascuno.  Il  Vinci  poee  il  suo 
tredicesime  nel  meno  che  tatti  li  riunisce ,  come  Dante  collocò  il 
no  tredicesimo  in  £oe;  e  per  far  che  li  riunisse  tatti,  ricapitolò 
in  quest'ultimo  le  iniziali  dei  primi.  In  tal  modo  è  ottenuta  la  varietà 
naia  unità  tastò  nella  Cena  del  Vinci,  quanto  nei  tredici  intagli  di 
Beote, 

**  Qual  di  penml  eec.  Qual  fu  pittore,  qual  fu  scultorei  —  Siile, 
Scalpello. 

*t  L'ombre  e  gli  atti.  I  morti  ed  i  vivi. 

<t  MkrUn  mirar.  Farebbero  maravigliare, 

**  jiùrti  li  morti  eoe.  Ecco  là  perfeaione  dell'arte,  la  verità,  per 
la  quale  se  si  dipinge  o  scolpisce  un  morto,  dee  parer  vero  morto, 
e-  se  -n  dipinge)  o  scolpisce  un  vivo,  dee  parer  veramente  tale.  Non 
batta  antera»  ma  il  morto  dee  parer  quel  tal  morto,  e  non  qualunque 
motto-;  e  il  vivo  dee  parer  quel  tal  vivo  e  non  qualunque  vivo: 
il  che  è  espresso  dall'altro  verso:  Non  vide  me'  di  me  chi  vide  il  vere-, 

**  GKvi.  Andai,  è  il  passato  di  gire. 

*s  Or  superbite.  Ora  che  io  vi  ho  narrato  cotanti  etempi  di  su* 
perbi  puniti,  le  cui  effigie  stanno  là  incise  sul  pavimento  a  scuola 
dette  anime  purganti,  e  a  scuola  vostra,  in  quanto  io  ve  le  narro, 
era  dunque,  se  avete  ancor  coraggio,  insuperbitevi  pure.  £  una 
calda  apostrofo  che  l' umiltà  impossessatasi  del  cuor  di  Dente,  cava 
di  viva  forza  dalle  sue  labbra  contro  la  nostra  superbia.  Tutta  que- 
sta tarane  è  per  modo  d' ironia. 

E  via.  E  mostratela  pure  la  vostra  superbia  col  viso  altiero. 
È  utfeUssi. 

**Figtduoli  d'Evadigli  d'una  madre  anch'essa  superba.  Li  nomina 
dalla  madre  e  non  dal  padre,  perchè  la  madre  fu  superba  prima  del 
padre,  e  perchè  cosi  fa  più  spiccare  la  nostra  imbecillità. 


37*  PURGATORIO 

Più  era  già  per  noi  del  monte  volto,  i7 
E  del  cammin  del  sole  assai  più  speso,  *• 
Che  non  stimava  l'animo  non  sciolto  :  i9 

Quando  colui,  che  sempre  innanzi  atteso  *° 
Andava,  cominciò:  Drizza  la  testa;  ,! 
Non  è  più  tempo  da  gir  sì  sospeso.  ** 


E  non  chinate  il  volto  —  Si  ohe  uggiate  ecc.  I  superbi  vtnno  alti 
della  fronte,  e  cosi  non  veggono  in  terra  quello  che  potrebbe  istruirli, 
ed  emendarli.  La  terra,  chi  ben  ricorda  la  propria  origine,  è  una 
grande  scuola  di  umiltà.  Il  superbo  non  yuol  questa  scuola,  e  guar- 
dando in  alto,  e  non  alla  terra,  non  conosce  mai  oh'egfi  mal  cam- 
mina. Ironicamente  il  poeta  fa  animo  ai  superbi  a  non  chinarsi  tanto 
da  vedere  il  mal  sentiero  che  tengono. 

*  47  Più  era  già  per  noi  ecc.  Facemmo  più  strada  intorno  al  mosto 
che  non  avessimo  creduto  :  e  ciò  perchè  la  niente  di  Dante  era  le- 
gata a  considerare  quei  bellissimi  intagli  della  superbia.  Provatevi 
a  non  esser  occupato  in  cosa,  o  con  persona  piacevole  sinché  mie 
una  strada.  Essa  vi  parrà  lunga:  all'  incontro  fate  quella  medesima 
strada  con  persona  aggradevole,  occupandovi  con  essa  di  cosa  pia- 
cevoli, ed  essa  vi  parrà  breve.  Cosi  avvenne  a  Dante.  Veni  questo 
cammino  di  Dante  nella  Tav.  IV,  Purg. 

**  E  del  cammin  del  soie  assai  ecc.  Come,  standocene  noi  oc- 
cupati dilettevolmente,  non  avvertiamo  al  luogo,  cosi  nemmeno  av- 
vertiamo al  tempo,  ambo  i  quali  ci  pascano  più  presto  che  non  ero- 
diamo. 

*•  Che  non  stimava  ecc.  Più  luogo  e  più  tempo  abbiam  passito 
che  non  stimava  la  mente  occupata. 

*>Cke  sempre  sanatisi  atteso  —  Andava.  Non  si  vuol  diro  che 
Virgilio  camminasse  iimansi  a  Dante,  ma  solo  che  camminando  ai 
guardava  sempre  innansi  in  attensione  del  varco  per  sauro.  Cosi 
potè  veder  il  primo  quello  che  non  potè  veder  Dante,  perchè  area 
la  testa  china  agli  intagli. 

M  Dritta  la  testa.  In  quel  momento  Dante  era  inchinato  a  mi- 
rar Troia  distrutta. 

M  Da  gir  sì  sospeso.  Chi  cammina  sciolto  da  ogni  cura  è  sciolto 
anche  del  passo:  ma  chi  cammina  occupato  in  cose  che  trova  sul 
suo  cammino,  non  è  sciolto  del  passo-,  egli  ha  un  andar  lento  o 
sospeso. 


CANTO  Xn.  273 

Vedi  colà  un  Angel,  che  s'appresta  M 
80.         Per  venir  verso  noi  :  vedi  che  torna  M 
Dal  servizio  del  dì  l'ancella  sesta. 

Di  riverenza  gli  atti  e  il  viso  adorna  M 
Sì  ch'ei  diletti  lo  inviarci  in  suso:  *6 
Pensa  che  questo  dì  mai  non  raggiorna.  " 

Io  era  ben  del  suo  ammonir  uso,  ** 

Pur  di  non  perder  tempo,  sì  che  in  quella 
Materia  non  potea  parlarmi  chiuso.  w 

tt  S'appresta.  S'accinge;  e  in  atto. 

**  Vedi  che  torna  —  Dal  servizio  ecc.  Le  ore  de)  giorno  e  della 
notte  sòn  qui  rappresentate,  con  una  vaghezza  di  pensiero  assai 
gentile,  per  tante  ancelle  che  fanno  il  servigio  del  giorno  e  della 
notte;  e  quando  ciascuna  ha  fatto  il  proprio,  se  ne  ritira  per  dar 
luogo  ad  un*  altra.  L'ora  ed  ancella  presente  è  la  sesta  del  d\,  se» 
condo  il  parlar  degli  antichi,  ossia  quella  del  mezzogiorno  e  delle  12 
meridiane,  secondo  il  parlar  dei  moderni.  L'ultimo  orario,  che  ci 
die  il  poeta,  fu  appena  giunto  sulla  cornice  della  superbia  (C.  X,  n.  9), 
quando  ci  die  l'ora  delle  10.14  antimeridiane.  Adesso  che  sta  per 
partire  da  questa  cornice,  ci  dà  pure  il  suo  rispettivo  orario  delle  12 
meridiane. 

Così  sappiamo  che  tra  la  venuta  e  la  partenza  dai  superbì  pas- 
sarono ore  1.46  (Vedi  Tav.  Ili,  ovvero  IV,  Purg.). 

**  Di  riverenza  ecc.  Adorna  gli  atti  di  riverenza  con  gcnuflet» 
fere  e  giunger  le  mani:  adorna  il  viso  di  riverenza  con  inchinare 
a  lui  la  fronte. 

M  51  ch'ei  di  Ulti.  Sì  che  gli  diletti.  Idiotismo.  Altri  legge:  Sì 
che  i  diletti.  * 

W  Pensa  ecc.  Pensa  che  il  tempo  passa  e  non  torna  più.  Perciò 
fio  ti  ho  consigliato  di  far  subito  tutti  questi  atti  di  riverenza,  per* 
che  l'angelo  di  te  soddisfatto  non  ti  faccia  aspettare  e,  senza  perder 
tempo,  c'invii  alla  salita. 

W  Del  suo  ammonir  uso  ecc.  Gli  eccitamenti  alla  fretta  furono 
tanti  e  continui;  e  noi  già  gli  abbiamo  registrati  in  un  apposito  ca» 
Bellino  delle  Tavole,  dove  si  troveranno  tutti. 

La  cura  del  tempo  è  un  punto  assai  interessante  sia  per  Vir» 
gilio,  sia  per  Dante. 

W  Parlarmi  chiuso.  Parlarmi  oscuro. 

18 


674  PURGATORIO 

A  ttoi  venia  la  creatura  bella  M 

Bianco  vestita,  e  nella  faccia  quale  6< 
90.       .  Par  tremolando  mattutina  stella.  ** 

Le  braccia  aperse,  e  indi  aperse  Tale  :  M 
Disse:  Venite;  qui  son  plesso  i  gradi,  ** 
Ed  agevolmente  ornai  si  sale.  w 

A  questo  invito  vengoh  molto  radi  :  M 

<>o  La  creatura  bella.  L'angelo  per  antonomasia  e  chiamato  là 
creatura  bella,  perchè  è  la  più  bella  delle  creatore  uscite  dalla  mano 
di  Dio.  È  più  bella  dell'uomo,  secondo  il  detto  dì  David:  Minutili 
eum  paulo  minvs  ab  angelis. 

61  Bianco. vtrtita.  Come  agli  angeli  si  dà  corpo,  se  ben  non  1*  hanno, 
cosi  si  dà  ad  essi  una  veste,  la  quale  secondo  le  Sante  Scritture  è  seni* 
pre  bianca.  Oli  angeli  del  sepolcro  di  Gesù  Cristo  apparsi  alle  donne 
furono  in  veelibus  al  bit,  che  è  il  colore  della  letizia  e  dei  vergini,  quali 
appunto  sono  gli  angeli. 

**  Mattutina  stella.  Presso  al  matt:no  per  la  maggior  ptirezsa 
óVll'aria  le  stelle  sono  più  belle  a  vedersi,  che  nel  principio  o  nel 
resto  della  notte.  Per  questo  si  dice:  Mattutina  $Ulla. 

6*  Le  braccia  aperte  ecc.  Per  segno  di  accoglienza,  scusa  però 
Veramente  abbracciare,  come  fanno  le  persone  grandi,  che  fanno  solo 
il  seguo  dell'abbraccio,  ma  non  abbracciano. 

6*  /  gradi.  Questa  seconda  scala,  che  dalla  prima  cornice  dei  su- 
perbi mette  alla  seconda  degli  invidiosi,  aveva  gradi  o  gradini  o 
scaglioni  a  differenza  della  prima  che  non  aveva  gradi,  ma  sole 
rotture  di  sasso  che  servivano  di  gradi.  Vedi  Tav.  IV,  Purg. 

68  Agevolemmte  ecc.  Per  più  ragioni  si  sale  qui  agevolmente: 
1.  perchè  la  via  ha  gradini  e  non  frastagli  di  monte,  come  l'altra 
salita)  2.  perchè  sebben  erta,  è  però  meno  erta  dell'altra  \  3.  perchè  chi 
ascende  è  più  leggiero,  avendo  un  P  di  meno,  e  un  tal  P,  che  è 
più  pesante  degli  altri  sei,  essendo  il  P  della  superbia,  radice  di 
tutti  gli  altri  vizi*,  4.  per -he  deposto  il  peso  del  primo  P,  perdono 
di  gravita  gli  altri  sei,  che  pur  rimangono,  essendo  che  vinto  il 
vìzio  principale,  gli  altri  perdono  di  lor  forza. 

66  A  questo  invito  ecc.  Al  venite  ecc.,  detto  dall'angelo  testè. 
E  Verità  evangelica  che  molto  pochi  sono  quelli  che  si  salvano,  e 
quindi  che  passino  pel  Purgatorio!  o  che  ricevano  le  accoglienze  • 
gli  inviti  di  quest'angelo. 


CANTO  XII.  275 

O  gente  umana  per  volar  su  nata, 67 
Perchè  a  poco  vento  così  cadi  ?  M 
Menocci  ove  la  roccia  era  tagliata  :  6f 

Abbinino  in  testimonianza  il  multi  sunt  vocati,  palici  vero  elecli: 
Abbiamo  Yarcta  est  via  quce  ducit  ad  vitam,  et  pauci  intrant 
yer  eatn,  ed  altri  simili  espressioni. 

«7  0  gente  umana  ecc.  Queste  parole,  come  quelle  del  verso  antece^ 
dente,  non  son  già  di  Dante,  ma  dell'angelo.  —  Per  volar  su  nata. 
Nata  per  volare  al  cielo.  Fecisti  nos,  Domine,  ad  te,  disse  sant'Ago- 
stino. Perciò  Gesù  Cristo  nel  dì  del  Giudizio  dira  agli  eletti  :  Vettile^ 
possedete  paratum  voli*  regnum  a  constitutionc  mundi. 

6*  Perchè  a  poco  vento.  Al  vento  delle  tentazioni  e  delle  concu- 
piscenze. 

Così.  Cosi  miseramente  e  indegnamente  e  universalmente. 

fl>  Menocci.  Dicendosi  qui  menocci,  non  s' intende  che  l'angelo  con- 
ducesse i  poeti  molto  lungi.  L'angelo  non  avea  fatta  molta  strada 
per  venire  incontro  ai  poeti:  qualche  passo  e  nulla  più.  Tanto  si 
viene  a  dire  con  quelle  parole  dette  sopra  :  Vedi  colà  un  angel,  che 
t'appretta  —  Per  venir  verso  noi  ;  e  colle  altre:  A  noi  venia  la 
creatura  bella.  Queste  frasi  non  indicano  che  un  piccolo  movimento, 
e  che  anche  pochi  passi  dell'angelo  verso  i  poeti  bastavano  per  po- 
tarsi dire  ch'ei  veniva.  Del  resto,  siccome  egli  era  il  custode  di  quel 
Varco,  si  capisce  che  non  potec  scostarsene  gran  fatto,  e  che  non 
era  poi  nemmen  conveniente  e  decoroso  per  un  angelo  che  facesse 
gran  cammino  incontro  ai  poeti.  Sicché  l'angelo  non  ebbe  che  a 
ritornar  qualche  passo  per  menargli  al  varco.  Per  ciò  nel  nostro 
disegno  della  Montagna  lo  si  troverà  subito  dietro  all'angelo. 

La  roccia  era  tagliata.  Notate  bene  la  differenza  tra  la  prima 
(Canto  X,  ver.  7)  e  questa  seconda  scala. 

1.  La  prima  scala  era  entro  una  pietra  fessa,  per  cui  salivano  : 
Noi  salivam  per  una  pietra  fessa;  e  questa  era  entro  una  pietra 
tagliata. 

2.  La  prima  andava  ora  a  destra  ora  a  sinistra,  cioè  obliqua, 
per  render,  se  non  agevole,  alinen  possibile  la  salita  :  Che  si  moveva 
d'una  e  d'altra  parte;  questa  andava  in  direzione  retta,  ma  tra- 
versale ascendente. 

3.  La  prima  non  aveva  gradini,  ma  solo  rotture  di  scoglio  j 
questa  io  vece  ha  gradini. 

4%  La  prima  non  era  tanto  profonduta  nello  scoglio;  quésta  si; 


f76  PURGATORIO 

Quivi  mi  batteo  Tale  per  la  fronte  ;  70 
Poi  mi  promise  sicura  l'andata.  7i 
100.   Come  a  man  destra  per  salire  il -monte,  7* 
Dove  siede  la  chiesa  che  soggioga  7* 
La  ben  guidata  sopra  Rubaconte, 

io  Quivi  mi  batteo  ecc.  Per  cancellargli  cosi  il  primo  P  della  su- 
perbia, che  era  stata  già  purgata.  Ma  Dolisi  che  batte  per  la  fronte 
ambedue  le  ali,  e  quindi  sì  l'una  che  l'altra  ala  dovette  strisciar 
per  la  fronte,  sebbene  l'ala  dalla  parte  del  P  della  superbia  strisciò 
con  più  forza  e  lo  cancellò  del  tutto,  e  l'ala  contraria  strisciò  sugli 
altri  P  degli  altri  peccati,  ma  assai  più  leggermente,  cosi  che  non 
li  cancellò,  ma  solo  gli  appannò  lasciandoli  meno  spiccati  di  prima, 
e  ciò  per  indicare  che,  tolto  il  vizio  principale,  gli  altri  che  pur 
restano  perdono  la  loro  forza.  Questa  osservazione  la  vedremo  con- 
fermata da  qui  a  poco.  Intendi  però  tutto  questo  della  pena,  non 
della  colpa,  la  quale  fu  già  rimessa  nella  confessione  alla  porta. 

71  poi  ecc.  È  questi  il  primo  angelo,  che  prometta  sicurezza  di  andata. 
L'angelo  della  porta,  che  fu  il  confessore  di  Dante,  non  la  promise,  ma 
gli  avvertì  invece  d'un  pericolo  dicendo:  Ma  facciavi  accorti,  —  Che 
di  fuor  torna  ehi  indietro  si  guata.  E  già  prima  che  gli  si  accostassero 
gli  avea  minacciati  dicendo:  Ov'e  la  scortai  —  Guardate  chclvtnirsu 
non  vi  nói.  Questo  invece  promette  tutto  sicuro,  perchè  quando  è  tolta 
la  superbia,  siamo  sicuri  di  vincerci  in  tutto  il  resto,  e  di  toglierci  gli 
altri  vizi  :  come  all'  incontro  è  vano  ogni  nostro  sforzo  per  liberarci 
dagli  altri  vizi,  se  resta  in  noi  quello  della  superbia. 

71  Come  a  man  destra  ecc.  Uscite  di  Firenze  da  porta  san  Miniato, 
e  tenete  la  via  del  monte  di  detto  santo.  Voi  salite  un  tratto  per  una 
sola  via,  e  di  11  a  poca  distanza  quella  via  vi  si  biforca.  Tenetevi  a 
quella  a  man  destra  (come  a  man  destra)  che  è  scavata  nel  vivo  masso 
del  monte,  e  lo  scavo  si  fa  più  profondo  mano  mano  che  si  sale, 
e  così  tempera  la  ertezza.  In  questa  maniera  lo  sbocco  superiore  della 
scala  viene  a  tagliare  la  cornice, come  vedete  nel  mio  disegno  Tav.  IV, 
Pnrg.  Il  taglio  poi  di  questa  cornice  punto  non  pregiudica  alle  anime 
•ch'essa  accoglie,  perchè  quest'anime  essendo  cieche,  non  si  muovono 
ma  stanno  sedute  colla  sehiena  appoggiata  alia  ripa. 

73  La  chiesa  che  soggioga  —  La  ben  guidata.  La  chiesa  di  san  Mi- 
niato, che  sta  a  cavaliere  di  Firenze  sopra  il  ponte  ora  Alle  Grazie 
ed  allora  Rubaconte,  per  essere  stato  fabbricato  da  Rubaconte  di 
Mandclla  milanese,  quando  fu  podestà  a  Fireuzc  nel  1237. 
La  bea  guidata    Ironia  per  mal  guidata. 


CANTO  XH.  277 

Si  rompe  del  montar  l'ardita  foga  7i 
Per  le  scalee,  che  si  fero  ad  etade  w 
Ch'era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga; 

Cosi  s'allenta  la  ripa  che  cade  76 
Quivi  ben  ratta  dall'altro  girone  ;  77 
Ma  quinci  e  quindi  l'alta  pietra  rade.  78 

Noi  volgend'  ivi  le  nostre  persone,  79 
no.       Beati  pauperes  spirito,  voci  w 

Cantaron  sì  che  noi  diria  sermone. 

74  Si  rompe  del  montar.  Si  addolcisce  V  ardua  salita. 

75  Per  le  scalee  ecc.  Che  si  fecero  in  tempo  antico  quando  Fi- 
renze non  aveva  i  ladri,  che  ba  oggidì.  Or  questa  beata  franchigia 
dai  ladri  è  significata  da  un'allusione  a  duo  ladronecci,  eh»  si  fe- 
cero in  Firenze  intorno  al  1300,  e  di  cui  non  si  ebbe  mai  esempio 
nei  fatti  antichi  di  Firenze.  L' uno  è  del  quaderno  allora  sicuro,  ed 
era  non  più,  l'altro  è  della  doga,  allora  pur  sicura,  ed  ora  non  più. 
Il  fatto  del  quaderno  è  il  seguente.  11  Comune  aveva  il  suo  libro 
di  erediti.  In  un  quaderno  di  esso  libro  c'era  una  partita  a  carico 
di  Messer  Nicola  Acciaiuoli.  Questi  con  l'aiuto  di  AI.  Baldo  d'Àgu- 
glione  lo  stralciò.  Il  fatto  della  doga  è  questo.  Il  Comune  vendea 
il  sale  con  lo  staio.  Durante  de' Chiaramon  tesi ,  impiegato  al  sale, 
ne  trasse  una  doga,  approGttando  del  sale  risparmiato. 

?S  La  ripa.  È  il  contorno  del  monte  tra  una  cornice  ed  altra. 
Vedi  Tav.  IV,  Purg. ,  dove  trovi  la  detta  scala  clic  dal  punto  del- 
l'angelo partendo  va  per  un  piano  inclinato  sino  alla  seconda  cor* 
uicc,  passando  sopra  gl'intagli  dell'umiltà. 

77  Ben  ratta.  Molto  rapida,  ma  meno  della  prima. 

78  Ma  quinci  e  quindi  Calta  pietra  rade.  Dicemmo  ebe  la  scalea 
era  approfondita  nel  monte  ;  quindi  la  ripa  restava  alta.  Ma  la  scalea 
era  anche  tanto  stretta  da  passarvi  appena  appena  uu  uomo.  Quindi 
la  pietra  radeva  i  fianchi  e  le  spalle  di  Dante,  che  saliva. 

79  Noi  volgendovi  ecc.  Volgendoci  a  destra  su  per  la  scala,  pre- 
cisamente come  per  ire  a  monte  S.  Miniato  si  volge  a  destra,  se- 
condo che  disse  di  sopra. 

*o  Beati  ecc.  È  una  delle  beatitudini  del  primo  discorso  di  Gesù 
Cristo  sul  monte.  Li  poveri  di  spirito  sono  gli  umili.  Queste  parole  sono 
cantate  dalle  anime  degli  invidiobi  della  cornice  di  sopra,  le  quali 
s' accorgono  che  qualche  anima  già  purgata  della  superbia  sale  alla. 


878  PURGATORIO 

Ahi  quanto  son  diverse  quelle  foci  8* 
Dalle  infernali  !  che  quivi  per  canti  8^ 
S'entra,  e  laggiù  per  lamenti  feroci. 

Già  montavam  su  per  li  scaglion  santi 
Ed  esser  mi  parea  troppo  più  lieve, 83 
Che  per  lo  pian  non  mi  parea  davanti. 

Ond' io:  Maestro,  di',  qual  cosa  greve84 
Levata  s*  è  da  me,  che  nulla  quasi w 
}20.       Per  me  fatica  andando  si  riceve? 

loro  cornice,  e  quindi   la  felicitano  con  questi  canti,  chiamandola 
beata  d'esser  divenuta  perfettamente  umile.  Gli  invidiosi  poi  fiac- 
co ree  ro  che  venivano  di  nuovi  ospiti  dalle  parole  dell'  angelo  ai  poeti 
udite  {la  loro  di  colassù. 
M  Quelle  foci.  Quegli  ingressi. 

8?  Quivi  ecc.  Quivi  quando  s'entra  sentiamo  canti  dell'anime  alle 
quali  andiamo;  e  all'inferno  sentivamo  i  lamenti  dell'anime  alle  quali 
ci  avvicinavamo.  Accenna  a  tanti  passi  dell'Inferno;  ne  dirò  alcuno: 
Diverte  lingue,  orribili  favelle  ecc.  (C.  Ili);  Però  ch'io  vidi  fuochi  a 
pentii  pianti  (C.  XVII)  ;  Lamenti  satttaron  me  diverti  (C.  XXIX). 
M  Troppo  più  lieve.  Dante  era  infatti  più  leggiero,  perchè  avea 
meno  peso  addosso.  Prima  avea  sette  P  che  lo  aggravavano,  ossia 
le  sette  pene  dei  sette  peccati,  edorane  ha  soli  sei,  e  anche  questi 
cancellati  in  parte,  come  dicemmo  e  si  dirà.  Dante  era  già  stato 
avvertito  da  Virgilio  sino  dal  IX  Canto,  che  la  cosa  succederebbe  coaì: 

Questa  montagna  è  tale 

Che  sempre  al  cominciar  di  sotto  e  greve, 
E  quant'uom  più  va  su,  e  men  fa  male. 
Però  quand'olia  ti  parrà  soave      , 
Tanto  che  '1  su  andar  ti  fia  leggero 
Quanto  a  seconda  giù  l'andar  per  nave, 
Allor  sarai  al  fin  d'esto  sentiero. 
•4  Maestro,  di'  ecc.  Dante  s'era  dimenticato  de*  suoi  sette  P  im- 
pressigli in  fronte  dall'angelo,  e  non  pensava  che  la   gravezza  ve- 
nisse da  loro.  Che  bella  istruzione  ascetica  non  è  chiusa  qui  dentro  \ 
1  nostri  difetti  sono  la  eaii3a  che  ci    fa  pesante   il    cammino    della 
yirtù:  e  al  contrario  la  purga  dei  nostri  difetti  ce  lo  rende  agevole. 
85  Trulla  quasi.  Dice  quasi  perchè  da' tuoi  sci  P,  che  rimangono^ 
non  e  ancor  liberato. 


CANTO  XII.  27  d 

Rispose  :  Quando  i  P,  che  son  rimasi 
Ancor  nel  volto  tuo  presso  che  stinti,  M 
Saranno,  come  l'un,  del  tutto  rasi, 

Fien  li  tuoi  pie  dal  buon  voler  sì  vinti,  87 
Che  non  pur  non  fatica  sentiranno, 
Ma  fia  diletto  loro  esser  su  pinti. 

Allor  fec*  io  come  color  che  vanno  M 
Con  cosa  in  capo  non  da  lor  saputa, 
Se  non  che  i  cenni  altrui  suspicar  fanno  ; 
J30.    Perchè  la  mano  ad  accertar  s'aiuta, 

E  cerca  e  trova,  e  quell'ufficio  adempie 
Che  non  si  può  fornir  per  la  veduta  : 

E  con  le  dita  della  destra  scempie  " 
Trovai  pur  sei  le  lettere,  ohe  incise  M 
Quel  dalle  chiavi  a  me  sopra  le  tempie; 

A  che  guardando  il  mio  duca  sorrìse. •' 

W  Prtsèo  che  stinti.  Presso  che  cancellati.  Tolto  il  vizio  prinoi* 
pale,  gii  altri  ohe  restano  s'affievoliscono. 

81  Fien  li  tuoi  pie  ecc.  A  misura  che  ci  purghiamo  dai  nostri 
difetti,  meno  sentiamo  il  peso  del  cammino  della  virtù  per  alto  che 
ria;  e  giunti  ad  esseme  purgati  affatto,  l'esercizio  della  virtù  non. 
solo  perde  per  noi  ogni  gravezza,  ma  ritorna  in  diletto.  In  altre 
parole,  è  la  conferma  della  promessa  che  Virgilio  fece  a  Danto  nel 
Canto  IV  del  Purgatorio. 

8»  Allor  fec*  io  ecc.  Dietro  le  parole  di  Virgilio,  risovvenendosi 
Danto  de*  suoi  P,  che  avea  per  poco  dimenticati ,  corde  colle  inani 
ad  accertarsi  se  la  cosa  era  veramente  come  la  narrava  Virgilio, 
tastandosi  la  fronte.  La  similitudine  che  reca  è  tutta  da  ciò,  ed  e 
chiara  per  sé  medesima. 

*"  Scempie.  Aperte  per  tastarsi  la  faccia  più  largamente. 

W  Pur  sei.  Solo  sci. 

"I  Sorrise  Come  sempre  si  usa  sorridere  in  questi  casi  da  chi 
n'fc  spettatore. 


CANTO    XIII 


Argomento. 

/  poeti  giungono  alla  seconda  cornice  dove  si  purga  il  peccato 
dell'invidia.  Virgilio,incerto  del  cammino,  si  volge  alla  parte  del  sole 
andando  cosi  in  direzione  contraria  a  quella  tenuta  nella  cornice 
di  sotto,  quando  abbandonati  i  superbi  si  diresse  alla  volta  dei- 
Vangelo.  Procedono  così  per  un  miglio  di  strada  udendo,  ma  non 
vedendo,  spiriti  che  dicevano  cose  allusive  agli  invidiosi.  Questi 
finalmente  appariscono  e  si  descrivono.  Dante  rivolge  toro  la  pa- 
rola* Una  di  quelle  anime  si  manifesta  ed  è  la  savese  Sa^la,  che 
narra  il  suo  peccato.  Sapìa  dimanda  a  Dante  chi  sia,  e  Dante 
risponde  sulle  generali.  Finalmente  Sapìa  si  raccomanda  a  Dante* 

1YB.  Vidi  tulli  i  cascllini  di  questo  Canto  nella  Taf.  HI  e  la  IV,  Purg. 


N 


oi  eravamo  al  sommo  della  scala, 4 

Ove  secondamente  si  risega  a 

Lo  monte  che,  salendo,  altrui  dismala:  * 


*  Noi  eravamo.  Vedi  il  mìo  disegno.  Tavola  IV,  Cornice  2. 

l  Ove  secondamente  ecc.  Le  strade  intorno  al  monte  si  chiamano 
qui  segamenti  del  monte.  Sembra  infatti  così;  pare  che  una  sega 
tagli  il  cono  ad  ogni  cornice  e  lo  ristringa.  Quest'e  il  secondo  se- 
gamento. 

*  Dismala.  Libera  dal  male  purgandolo  de*  suoi  reati.  Tanto  av- 
viene e  delle  ombre  e  di  Dante.  Dante  di  mano  in  mano  che  sale 
si  dismala  di  un  P,  ossia  di  un  peccato,  o  più  veramente  reato  di 
un  peccato. 


?83  PURGATORIO 

Ivi  così  una  cornice  lega 

Dintorno  il  poggio,  come  la  primaia,  4 
Se  non  che  l'arco  suo  più  tosto  piega.  * 

Ombra  non  gli  è,  né  segno  che  sì  paia  :  c 
Par  sì  la  ripa,  e  par  sì  la  via  schietta,  7 
Col  livido  color  della  petraia,  8 

*  Cornice  lega.  La  strada  intorno  al  monte  prima  detta. segamento, 
ora  è  detta  cornice.  Come  la  cornice  è  il  contorno  del  quadro;  così 
questa  strada  è  il  contorno  del  monte. 

s  L'arco  tuo  piò,  tosto  piega.  Questa  seconda  strada  ò  come  la 
prima,  salvo  che  la  circonferenza  è  più  piccola  della  prima.  Oli  ar- 
chi, quanto  più  sono  piccoli,  e  tanto  più  sono  inclinati  o  piegati.  Del- 
l'arco che  qui  ai  restringe  Dante  dice,  che  piega  più  tosto,  come 
invece  dell'arco  maggiore  disse  al  Canto  XI  :  Al  cerchio  che  più  tardi 
in  cielo  è  torto.  Questi  avverbi  di  tempo  stanno  per  avverbi  di  luogo. 
Del  resto  è  chiaro  per  sé  medesimo  che  i  segamenti  superiori  di  un 
co  io  diritto  abbiano  circonferenze  minori  degl'inferiori.  Tutte  le  di- 
mensioni di  questa  cornice  si  veggono  nel  disegno  della  Montagna,  Ta- 
vola IV.  La  strada  è  larga  15  piedi,  come  la  prima  :  lo  dice  il  poeta.  La  sua 
circonferenza  è  di  2  miglia.  II  suo  diametro  di  miglia  3  */j.  La  sua  al- 
tezza dal  livello  del  mare  è  poco  più  di  miglia  93  if\  il  che  tutto  abbia* 
roo  dimostrato  a  suo  luogo,  cioè  nella  nota  apposta  al  disegno. 

6  Ombra  non  gli  è,  né  segno  ecc.  Non  ha  questo  luogo  ombra 
di  alberi  o  di  erbe,  nò  scultura  alcuna.  Ciò  dice  a  differenziar  que- 
sto luogo  dagli  ultimi  luoghi  veduti.  Il  penultimo  fu  la  valletta  dei 
principi  fuori  del  Purgatorio,  ma  essa  era  tutta  smaltata  d'erbe  e 
di  fiori.  L' ultimo  fu  la  cornice  dei  superbi,  ma  essa  se  non  aveva 
erbe,  aveva  almeno  sculture.  Invece  questa  cornice  degli  invidioti 
non  ha  uè  etbe,  né  sculture.  —  Che  si  paia.  Che  apparisca. 

7  Par  sì  ecc.  Cosi  par  (apparisco  o  si  mostra)  la  ripa  ecc. 

8  Col  livido  color  ecc.  Come  dicesse  :  E  anche  il  livido  color.  Que- 
sto color  non  apparirebbe,  se  ci  fossero  erbe,  che  lo  coprissero.  Il 
poeta  finse  tuttociò  convenientemente.  Prima  non  ci  doveano  esser 
piinte  nò  sculture,  perchè  le  ombre  che  stauuo  qui  non  ci  veggono 
e  quindi  sarebbero  state  inutili  per  esse.  In  secondo  luogo  il  color 
della  pietra  dovea  esser  livido,  per  rassomigliarsi  alla  natura  dei 
suoi  abituiti,  che  hanno  da  purgarsi  dal  livor  della  invidia.  In  terzo 
luogo  questa  cornice  è  nuda  di  tutto,  perchè  l'invidioso  ha  goduta 
4i  veder  tutti  senza  alcun  bona. 


CANTO  XIII.  983 

IO.     Se  qui  per  dimandar  gente  s'aspetta,  * 
Ragionava  il  poeta,  io  temo  forse 
Che  troppo  avrà  d'indugio  nostra  eletta.  ** 
Poi  fisamente  al  Sole  gli  occhi  porse;  4i 
Fece  del  destro  lato  al  muover  centro,  i% 
E  la  sinistra  parte  di  sé  torse. 

9  Se  qui  per  dimandar  ecc.  Virgilio  mostra  apertamente  di  non 
sapere  ohe  le  anime  di  questa  cornice  non  girano,  ma  stanno  ferme» 
S'egli  credesse  che  stessero  ferme,  come  vedremo ,  non  parlerebbe» 
cosi.  Avendo  veduto  i  superbi,  che  giravano,  crede  che  girino  an<rhe 
queste.  Ma  non  vedendone  alcuna,  egli  le  ritiene  già  passate  all'altra 
parte  del  monte.  E  se  esse  avessero  preso  quella  volta  da  poco 
tempo,  chi  sa  quanto  vi  avrebbe  voluto  perchè  ritornassero  al  luogo» 
dei  poeti?  La  fortuna  ch'ebbero  nel  primo  giro  di  averle  vedute 
spuntare  dopo  poco  tempo  ch'cran  saliti,  forse  non  l'avrebbero  in. 
questa  seconda  cornice.  Se  ci  fosse  stata  qual  cosa  da  vedere  in- 
tanto, come  c'era  nella  prima  cornice,  pazienza -,  ma  qui,  dove  tutto 
è  deserto,  non  era  da  stare,  e  perdere  cosi  tanto  tempo  inutilmente. 
Avvertite  che  la  circonferenza  del  monte  qui  era  già  di  2  miglia,  e 
Virgilio  il  potea  sapere,  che  era  cosa  da  lui.  Si  osservi  la  Tav.  1  V,Purg. 

io  Nogira  eletta  ecc.  Nostra  elezione,  o  determinazione. 

Jl  Poi  fisamente  al  sole  ecc.  11  Sole  girava  alla  destra  dei  poeti 
supponendoli  appena  ascesi  e  vólti  al  monte,  com'  era  infatto.  Vir- 
gilio dunque,  in  mancanza  di  gente  pratica,  si  rivolge  dalla  parte 
del  Sole,  ossia  a  nord,  perchè  quegli  antipodi  l'aveano  al  nord.  Era 
ottimo  consiglio,  perchè  cosi  si  mettea  per  quella  costa  illuminata 
dal  Sole  più  a  lungo,  che  se  fosse  ito  per  la  costa  contraria,  dove 
di  11  a  poco  il  Sole  sarebbe  mancato.  Per  dire  adunque  che  girò  il 
monte  alla  parte  di  nord,  dice  che  guardò  fiso  il  Sole,  ed  a  questo 
voltò  tutta  la  persona.  E  notabilissima  questa  nuova  direzione  di 
cammino.  Vedi  Tav.  «IV,  Purg.  Fin  qui  i  poeti  stettero  sempre  nella 
faccia  del  monte  volta  nd  oriente.  Vi  staranno  ancora  per  qualche 
tratto,  ma  in  direzione  che  li  porterà  presto  alla  facciata  di  nord^ 
che  per  essi  antipodi  sarebbe  la  vera  esposizione  di  mezzogiorno. 
I  disegni  del  monte  presso  i  commentatori  sono  errati.  Da  essi  non, 
capite  niente,  anzi  capite  tutto  il  contrario  di  quel  che  vi  dice  i\ 
poeta. 

1*  Fece  ecc.  E  il  moto,  che  sempre  facciamo  quando  ci  voltiamo 
a  destra  standocene  fìssi  in  un  luogo. 


284  PURGATORIO 

O  dolce  Ijime,  a  cui  fidanza  i?  entro  " 
Per  lo  nuovo  cammin,  tu  ne  conduci,  u 
Dicea,  come  condur  si  vuol  quinc'entro.  !* 

Tu  scaldi  il  mondo,  tu  sovr'esso  luci  :  i6 

20.        S'altra  cagione  in  contrario  non  pronta,  l7 

Esser  deu  sempre  li  tuoi  raggi  duci. 

Quanto  di  qua  per  un  migliai'  si  conta,  " 
Tanto  di  Ih  eravam  noi  già  iti, 
Con  poco  tempo,  per  la  voglia  pronta. 

E  verso  noi  volar  furon  sentiti,  i9 
Non  però  visti,  spiriti  parlando 
Alla  mensa  d'amor  cortesi  inviti. 

La  prima  voce  che  passò  volando,  *° 
Vimini  non  habent,  altamente  disse,  sl 

U  o  dolce  ecc.  Virgilio  fu  questa  preghiera  al  Sole,  non  cornea  Dio 
nel  senso  pagano,  ma  come  a  ministro  di  Dio,  concesso  all'uomo  sin 
dal  principio  del  mondo,  perchè  ci  abbia  a  guidare  nel  nostro  cammino. 

14  Per  lo  nuovo  cammin  ecc.  Per  lo  cammino  non  mai  fatto  e 
di  cui  non  abbiamo  esperienza  alcuna. 

MCome  condur  si  vuol  quinc' entro.  Come  si  deve  dirigere  olii 
sale  questo  monte. 

46  Tu  scaldi  ecc.  È  certo  che  queste  qualità  del  sole,  calore  e 
luce,  ci  sono  date  da  Dio  a  conforto  o  direzione. 

17  Scaltra  cagione  ecc.  S'altro  non  si  oppone  (u on  pronta),  tu  dei 
esser  sempre  la  guida. 

*8  Quanto  di  qua  ecc.  Un  miglio,  secondo  il  Villani,  sono  3,000 
braccia  fiorentine.  Vedi  Tav,  IV,  Purg. 

19  E  verso  noi  ecc.  Dante  ornai  più  spiritualizzato  è  eccitato  all'amore 
non  più  da  intagli  materiali,  come  nella  cornice  della  superbia,  ma  da 
spiriti  che  si  sentono  e  non  si  veggono.  E  vale  per:  ed  ecco. 

*o  La  prima  voce  ecc.  Il  primo  spirito,  che  parlò. 

*J  Ftfiitfn  non  habent.  Parole  amorose  di  Maria  SS.  a  favore  degli 
sposi  di  Cana.  Fatto  noto.  Anche  qui,  come  gli  intagli  dell'umiltà 
e  della  superbia  dell'altra  cornice,  si  vanno  interpolando  a'  fatti  sacri 
i  profani  per  mostrar  che  l'amore  al  prossimo,  già  radicalo  nella 
natura,  è  opera  di  religioue  insieme  e  di  natura.  Gli  esempi  sono 
vocali  e  non  visibili,  perchè  sono  ad  istruzione  di  ciechi. 


CANTO  XIII.  285 

30.         E  dietro  a  noi  l'andò  reiterando,  M 
E  prima  che  del  tutto  non  s'udisse 
Per  allungarsi,  un'altra:  T  sono  Oreste,  M 
Passò  gridando,  ed  anche  non  s'affisse. 
O,  diss'io,  padre  che  voci  son  queste? 
E  coni' io  dimandai,  ecco  la  terza54 
Dicendo  :  Amate  da  cui  male  aveste. 
Lo  buon  Maestro  :  Questo  cinghio  sferza 
La  colpa  della  invidia,  e  però  sono 
Tratte  da  amor  le  corde  della  ferza. 21 
40.    Lo  fren  vuol  esser  del  contrario  suono  :  26 

tt  E  dietro  a  noi  ecc.  Ripeteva  continuamente  quelle  parole. 

H  Un* altra.  Un'altro  spirito  alzando  la  voce.  È  bellissimo  questo 
dar  per  persona  una  voce;  ed  è  bellissimo  anche  per  questo,  che  gli 
spiriti  che  pronunziavano  quegli  esempi  non  si  sapea  chi  fossero. 

Io  sono  Orale.  Altro  esempio  di  amore  contrario  All'invidia  e 
questo  profano.  Agamemnone  marito  di  Clitemnestra  torna  dalla 
guerra  di  Troia.  È  ucciso  da  Egisto  adultero  di  Clitemnestra.  Questa 
vuol  far  lo  stesso  anche  di  Oreste,  figlio  ch'ella  ebbe  da  Agamem- 
none. Strobilo  focose  glieloto  glie  di  furto,  e  lo* fa  educare  in  Fo- 
cide  con  Pilade  suo  figliuolo.  Oreste  già  adulto,  viene  eccitato  da 
Strobilo  a  ricuperare  il  regno,  e  a  vendicarsi  di  Clitemnestra  e  di 
Egisto.  Cosi  fa,  ma  ne  divien  furioso.  L'amico  suo  Pilade  per  li- 
berarlo di  quel  male  lo  conduce  al  tempio  di  Diana  in  Tauride,  e 
quivi  infatti  si  risana.  Toante  re  di  Tauride  nemico  dei  Greci,  sa- 
puto di  Oreste,  lo  vuol  sacrificare  alla  Dea.  Non  sapendo  qu;il  dei  due 
amici,  Pilade  ed  Oreste,  fosse  Oreste,  entrambi  dicono  di  essere  Ore- 
ste per  salvar  l'uno  l'altro.  Il  crudo  re,  ammirandoli,  li  pose  in  libertà. 

2*  Ecco  la  terza  —  Dicendo:  Amate  ecc.  Questo  è  l'esempio  di  carità 
maggior  di  tutti.  Il  primo  è  provvedere  ai  bisognosi,  il  secondo  dar  la 
vita  pegli  amici,  il  terzo  darla  pei  nemici  come  fece  Gesù  Cristo.  Tre 
intagli  di  umiltà  pei  superbi,  e  tre  esempi  di  carità  pegli  invidiosi. 

23  Tratte  da  Amor  ecc.  A  purgar  gli  invidiosi  dalla  loro  invidia 
si  sferzano  le  loro  orecchie  continuamente  con  esempi  traiti  dalla 
storia  si  sacra,  che  profana  dell'amore. 

M  Lo  fren  vuol  esser,  ecc.  Al  male  si  dee  rimediar  col  bene,  al- 
l'odio coli' amore. 


&Sfi  PURGATORIO 

Credo  che  l'udirai,  per  mio  avviso,  *7 
Prima  che  giungili  al  passo  del  perdono.  * 

Ma  ficca  gli  occhi  per  Taer  ben  fiso,  w 
E  vedrai  gente  innanzi  a  noi  sedersi,  30 
£  ciascun  è  lungo  la  grotta  assiso.  " 

Allora  più  che  prima  gli  occhi  apersi  ;  M 

Guarda'mi  innanzi, e  vidi  ombre  con  manti,  u 

Al  color  della  pietra  non  diversi. 
E  poi  che  fummo  un  poco  più  avanti, 8i 

60.         Udì'  gridar  :  Maria,  óra  per  noi  ;  M 

Gridar  Michele,  e  Pietro,  e  tutti  i  Santi; 


57  Credo  ecc.  Virgilio  crede  che  prima  di  lasciare  quella  cornice  si 
Udranno  degli  altri  esempi,  che  indurranno  parimente  all'amore  sebbene 
per  via  diversa;  egli  potea  creder  ciò  fondatamente  deducendolo  dà 
quello  che  ha  veduto  nella  cornice  dei  superbi.  Cola  per  purgar  la  super- 
bia si  offrirono  da  una  parte  esempi  di  umiltà  glorificata,  e  dall'altra 
esempi  di  superbia  punirà.  Virgilio  da  ciò  conchiude  che  una  cosa  simile 
dovea  trovarsi  anche  nella  cornice  degli  invidiosi  ;  e  non  n'ingannò. 

*8  Al  passo  del  perdono.  All'angelo,  che  sta  al  varco  di  un'  altra 
cornice  e  che  cancella  uno  dei  P,  perdonandosi  cosi  e  cancellandosi 
del  tutto  quel  peccato,  o  meglio  quel  reato  di  pena. 

29  Ma  ficca  gH  occhi  ecc.  Non  perchè  ci  avesse  poca  Ilice,  «si 
scndo  il  Sole  molto  alto,  ma  perchè  le  ombre  sedevano  lungo  la  riva 
ed  aVean  abiti  del  color  della  pietra,  come  si  dirà. 

30  Sedersi.  Essendo  tutti  ciechi,  conveniva  porli  seduti, 

%i  Lungo  la  grotta.  Lungo  il  monte,  o  la  ripa  del  monte,  Ès- 
nendo  ciechi  conveniva  collocarli  più  distanti  dall'orlo  della  strada 
che  fosse  possibile,  e  quindi  lungo  il  monte.  Vedi  Tav.  IV,  Purtj. 

**  Più  che  prima  gli  occhi  ecc  Per  la  ragione  già  detta  ebo  con» 
fondendosi  la  gente  col  color  della  pietra,  non  si  pò  tea  facilmente 
tiiscernere  se  non  adocchiandola  bene. 

**  Con  manti —  Al  color  ecc.  Le  ombre  si  Coprono  convenientemente 
con  manti  di  color  livido  essendo  state  anime  piene  di  livore. 

34  Un  poco  piò,  avanti  —  Udì'  gridar.  Prima  ò  sempre  l'occhio  che 
Vede,  poi  l'udito  che  ode. 

**  Maria,  ora  per  noi  ecc.  Sono  le  litanie  dei  Satìti,  quali  si  trd- 
Vano  sul  Ili  tu  ale  romano. 


CANTO  Xllt.  £8? 

Non  credo  che  per  terra  vada  ancoi  3e 
Uomo  sì  duro,  che  non  fosse  punto 
Per  compassion  di  quel  eh*  io  vidi  poi. 

Che  quando  fui  sì  presso  di  lor  giunto, 
Che  gli  atti  loro  a  me  venivan  certi, 
Pegli  occhi  fui  di  grave  dolor  munto.  zi 

Di  vii  cilicio  mi  parean  Coperti,  88 
E  Tùn  soffieria  l'altro  con  la  spalla, 39 
60.         E  tutti  dalla  ripa  eran  sofferti.  i0 

Cosi  li  ciechi,  a  cui  la  roba  falla,  i! 
Stanno  a*  perdoni  a  chieder  lor  bisogna,  4* 
È  l'uno  il  capo  sopra  l'altro  avvalla, A* 

Perchè  in  altrui  pietà  tosto  si  pogna 
Non  ptir  per  lo  sonar  delle  parole,  u 
Ma  per  la  vista  che  non  meno  agogna,  i3 


**  Ancoi.  Oggi.  Vote  provenzale  e  tirolese. 

**  Pegli  occhi  fui  ecc.  l*a  chiara  vista  del  loro  tormento  mi  liti 
■premuto  ii  grave  dolor  del  cuore  per  mezzo  del  piauto. 

8*  Di  %sil  cilicio  ecc.  I  manti,  dopo  che  Dante  si  avvicinò,  gli 
apparvero  cilici,  o  abiti  di  sacco,  o  penitenziali. 

w  E  Vun  sofferia  l'altro  ecc.  Era  appoggiato  l'uno  alla  spalla 
dell'altro. 

*o  E  tutti  dalla  ripa  ecc.  Tutti  appoggiavano  la  schiena  alla  ripa, 

**  A  cui  la  roba  falla.  A  cui  manca  il  bisogno  per  vivere. 

**  ^perdoni.  Alle  chiese  di  concorso  per  l'acquisto  delle  indul- 
genze. 1  poveri  frequentano  volentieri  e  più  spesso  questi  perdoni; 
perchè  i  fedeli  che  vanno  ai  perdoni  sono  più  disposti  a  soccorrere. 
I  poveri. 

*s  E  Vuno  il  capo  ecc.  È  uno  degli  artifizi,  che  usano  i  mendichi 
infermi  per  farsi  più  counpasbionare. 

**  Non  pur  per  lo  tonar  ecc.  Queste  parole  son  sempre4e  stesse: 
la  carità  al  povero  orbo. 

W  Ma  per  la  vista  ecc.  Cercano  di  impietosire  i  p&sseggieri  e 
con  le  parole  e  coi  fatti  della  loro  miseria  offerti  alla  vista.  Due 
grandi  argomenti  di  eloquenza  pratica  e  naturale. 


288  PURGATORIO 

E  come  agli  orbi  non  approda  il  Sole,  l6 
Così  all'ombre,  dov'io  parlav'ora, 
Luce  del  ciei  di  sé  largir  non  vuole  ; 41 
70.     Che  a  tutte  un  fil  di  ferro  il  ciglio  fora,  48 
E  cuce  sì,  C3me  a  sparvier  selvaggio  4f 
Si  fa,  però  che  queto  non  diinora. 

A  me  pareva  andando  fare  oltraggio,  w 
Vedendo  altrui,  non  essendo  veduto: 

Agogna  II  loro  stato  miserando  chiede  da  sé  medesimo  uà  sus- 
sidio, non  meno  che  le  parole  di  umile  preghiera. 

*>  Non  approda  il  Sole.  Non  arriva  ad  illuminare  i  loro  occhi 

'7  Luce  del  elei  ecc.  Il  cielo  niega  lor  la  sua  luce,  non  perchè 
sian  veramente  ciechi,  come  quelli  dell'esempio  recato,  ma  perchè  in 
pena  sono  chiuse  lor  le  ciglia,  come  si  vedrà,  o  cosi  sono  ridotti 
allo  stato  dei  veri  ciechi. 

*8  Che  a  tutte  un  fil  di  ferro.  È  chiaro  per  sé  medesimo;  ma  con- 
vien  notare  il  fil  di  ferro  in  luogo  di  canape,  perchè  anche  questo 
filo  è  simbolico  ed  allusivo  alla  lor  colpa.  Il  ferro  contrae  la  rug- 
gine non  cosi  la  canape,  e  la  ruggine  in  senso  morale  è  una  delle 
proprietà  dell'invidia. 

*?  Come  a  eparvier  selvaggio  ecc.  Cosi  si  faceva  per  addome- 
sticar lo  sparviero,  uso  alla  libertà  e  schivo  degli  uomini. 

A  questo  uccello  selvaggio  e  schivo  degli  uomini  sono  ottima* 
mente  paragonati  gl'invidiosi  schivi  anch'essi  degli  uomini,  e  che 
hauno  anch'  essi  bisogno  di  essere  addomesticati,  cioè  amicati  col  loro 
prossimo.  E  come  gli  sparvieri  addomesticati  che  sieno  non  hanno  più 
ritrosia  alcuna  di  chi  li  circonda,  così  gli  invidiosi  per  mezzo  di  questa 
scuola  penosa  depongono  ogni  avversione  che  prima  aveano  ai  loro 
vicini  o  fratelli.  Questa  pena  posta  ai  loro  occhi  è  conveniente  alla 
loro  colpa.  La  lor  colpa  è  detta  invidia  dal  mal  vedere,  quasi  che 
questa  colpa  risieda  nei  loro  occhi.  Veramente  la  sede  vera  è  il 
cuore;  ma  gli  occhi  ne  sono  il  principale  strumento,  e  da  ciò  vien 
nominata  invidia. 

so  A  me  pareva  andando  ecc.  Il  cieco  udendo  passarsi  da  presso 
persone  è  tutto  curiosità  di  saper  almeno  chi  sieno.  Manifestatevi, 
ed  egli  n'  ha  gran  compiacenza  ;  non  fatelo,  ed  egli  resta  come  of- 
feso. Noi,  che  ci  vediamo,  difficilmente  calcoliamo  questi  sentimenti 
del  cieco,  perchè  al  passaggio  di  qualche  persona  soddisfacciamo  la 


CANTO  XIII.  289 

Perch'io  mi  volsi  al  mio  consiglio  saggio.  Sl 
Ben  sapev'ei  che  volea  dir  lo  muto; 

E  però  non  attese  mia  dimanda; 

Ma  disse  :  Parla  e  sii  breve  ed  arguto.  M 
Virgilio  mi* venia  da  quella  banda  83 
80.        Della  cornice,  onde  cader  si  puote, 

Perchè  da  nulla  sponda  s'inghirlanda: 
Dall'altra  parte  m'eran  le  devote 

Ombre,  che  per  l'orribile  costura  Si 

Premevan  sì,  che  bagnavan  le  gote.  55 

natia  curiosità  col  mirarla.  Ci  vuole  un  cuore  molto  ben  fatto  ed  educato 
per  notar  le  esigenze  dei  poveri  ciechi,  e  per  saper  che  si  offendono  a 
non  contentarle.  Cosi  Dante  mostra  di  aver  fatto  già  gran  profitto  nella 
scuola  della  carità  contraria  all'  invidia.  Prima  fu  tutto  compassione  del 
loro  tormento  (n.  36).  Ora  spinge  la  sua  carità  a  questo  segno.  Cosi 
anche  Dante  girando  questa  cornice  purga  li  propria  invidia. 

M  Consiglio.  Astratto  pel  concreto  consigliere,  ossia  Virgilio.  Ma  è  ar- 
cibeilis8Ìmo  e  naturalissimo  questo  muto  dimandare  a  Virgilio  s'era  con- 
tento ch'egli  parlasse  con  quelle  anime.  E  veramente  un  colpo  maestro. 

3*5»  breve  ed  arguto.  Breve,  perchè  Virgilio  ha  ed  insegna  la 
cura  del  tempo.  Arguto,  perchè  essendo  i  ciechi  per  lor  natura  molto 
considerativi,  amano  ragionamenti  ingegnosi. 

**  Mi  venia  da  quella  banda  ecc.  Virgilio  venia  pel  di  fuori  della 
strada,  e  Dante  pel  di  dentro  per  rimuovere  ogni  pericolo  di  sdruc- 
ciolar giù  dalla  ripa.  (Vedi  Tav.  IVtPurg.)  Per  questo  abbiam  veduto 
i  superbi  di  sotto  tirarsi  Dante  nell'interno  della  strada  alla  loro 
destra  :  A  man  destra  per  la  riva  con  noi  venite.  Sappiamo  che  la 
strada  non  era  più  larga  di  15  piedi,  come  ne  avvertì  il  poeta  ap- 
pena giunto  sulla  cornice  dei  superbi,  e  una  strada  sì  stretta  posta 
a  quella  altezza  di  più  di  93  miglia  e  1/2  dal  livello  del  mare,  con 
una  ripa  così  erta  che  cadeva  dall'orlo  e  con  nessun  riparo  all'orlo 
stesso,  era  veramente  pericolosa  per  uno  che  dovea  attendere  ad  altro 
oltre  al  luogo  de*  suoi  passi. 

3*  Costura.  È  la  linea  di  congiunzione  di  due  parti  cucite  insieme. 
Queste  due  parti  erano  le  ciglia. 

33  Premevan  sì  ecc.  Questo  premere  ci  fa  vedere  le  loro  ciglia  molto 
gonfiate  per  l'ingorgo  del  pianto  che  parte  usciva,  parte  restava. 
È  questo  un  verso  d'immensa  espressione  e  fantasia. 


290  PURGATORIO 

Volsimi  a  loro,  ed  :  O  gente  sicura,  u 
Incominciai,  di  veder  l'alto  Lume, 
Che  il  disio  vostro  solo  ha  in  sua  cura,  *7 

Se  tosto  grazia  risolva  le  schiume  M 
Di  vostra  coscienza,  sì  che  chiaro  M 
90.        Per  essa  scenda  della  mente  il  fiume. 

Ditemi  (che  mi  fia  grazioso  e  caro) 

S'anima  è  qui  tra  voi,  che  sia  latina  ;  *° 
E  forse  a  lei  sarà  buon,  s' io  l'apparo.  6I 

*6  Sicura  di  veder  Paltò  Lume.  Sicura  di  conseguire  la  beatitudine 
eterna,  la  quale  consista  nel  veder  Dio  in  sé  stesso,  secondo  il  detto 
dell'Apostolo:  Videbimus  eum  sicuti  est.  La  beatitudine  adunque 
ha  origine  nella  niente  che  vede  e  conosce  Dio,  e  le  sue  infinite 
perfezioni;  e  dalla  mente  trabocca  nel  cuore.  Questa  è  pur  la  dot- 
trina dell'Angelico.  Parlando  poi  a  gente,  che  non  ci  vede,  Dante 
esprime  questo  Dio  sotto  l'idea  che  potea  esser  più  cara  a  quelle 
anime,  voglio  dire  il  lume,  il  quale  ho  messo  qui  con  iniziale 
macola,  perchè  è  preso  per  Iddio.  In  questi  pensieri  nobili  ed 
ziosamente  naturali  sta  l'argutezza  tanto  testé  raccomandata. 

w  Che  il  disio  vostro  ecc.  Le  anime  sante  del  Purgatorio  non 
desiderano,  e  non  possono  desiderare  che  Dio. 

**Se  tosto  grazia  ecc.  Per  quanto  desidero,  che  tosto  grazia  eoe. 
Risolva  le  schiume  —  Di  vostra  coscienza.  Le  schiume  sono  la 
parte  sucida  dei  liquidi,  e  qui  si  prendono  per  macchie,  o  difetti  del- 
l'anima. Dunque  vuol  dire:  per  quanto  desidero  che  tosto  la  graaia 
divina  vi  purghi  dalle  macchie  della  vostra  coscienza. 

89  Sì  che  chiaro  —  Per  essa  scenda  ecc.  La  beatitudine  è  sempre 
presentata  sotto  l' idea  di  Visione  intellettuale ,  come  infatto  deb- 
b' essere,  ed  è.  Dunque  tutta  la  sentenza  è  questa.  Per  quanto  io 
desidero  che  tosto  la  grazia  vi  purifichi  la  coscienza  in  modo  che 
Dio  (fiume  della  mente,  o  fiume  intellettuale)  scenda  chiaro  per  la 
chiara  coscienza  a  iuebbriare  il  vostro  cuore.  Anche  qui  ai  nomina 
loro  Dio  sotto  imagi  ne  più  confacente  a' ciechi,  ai  quali  niente  è 
più  caro  che  il  sentirsi  definir  Dio  da  quel  che  più  desiderano,  cioè 
dal  lume  e  dilla  chiarezza,  di  cui  essi  ciechi  son  privi. 

•0  Che  sia  latina.  Che  sia  Italiana. 

6*  Sarà  buon  s'io  l'apparo.  Sara  utile  s'io  la  conosco,  pregando 
e  facendo  pregare  per  essa.  Dice  /orse,  perchè  è  certo  bensì,  anzi  è 


'       CANTO  XIII.  291 

O  frate  mio,  ciascuna  ò  cittadina  M 
D'una  vera  città  ;  ma  tu  vuoi  dire, 
Che  vivesse  in  Italia  peregrina. 

Questo  mi  parve  per  risposta  udire 

Più  innanzi  alquanto,  che  là  dov'io  stava; 

di  fede  che  i  suffragi  giovano  all'anime  purganti,  ma  non  6  certo 
ebe  sempre  giovino  a  quella  tal' anima  per  cui  si  fanno;  perchè  ciò 
dipende  dalla  volontà  di  Dio,  che  pegli  altissimi  suoi  fini  concede 
o  non  concede  l'applicazion  dei  suffragi. 

&  Ciascuna  è  cittadina  —  D'una  vera  città*  Non  ostante  la  finis- 
sima arguzia  onde  compose  Dante  la  sua  dimanda,  un* anima  trova 
di  che  censurarla  a  ragione.  Un  Dante  che  in  una  ingegnosa  par- 
lata si  lascia  a  bello  studio  sfuggire  una  inesattezza  per  farla  poi 
rettificare  da  un  giudice  competente  quai'è  un'auima  santa  del  Pur- 
gatorio, è  invenzione  arcibellissiwa.  Dante  avea  dimandato,  se  c'è 
tra  esse  qualche  anima  che  sia  latina.  Questa  frase  supponeva  uu 
errore;  supponeva  che  dopo  morte  sussistesse  nell'anime  sante  una 
distinzione  di  nazionalità.  Essa  non  esisteva  nemmeno  in  vita  per 
le  anime  sante,  perchè  in  faccia  alla  Religione  di  Qesù  Cristo  non 
vi  ha  distinzione,  come  dicca  san  Paolo,  di  ebreo  o  di  greco,  di 
barbaro  o  di  romano.  Molto  meno  dunque  questa  distinzione  potea 
farsi  per  le  anime  del  Purgatorio.  I  santi,  tanto  di  questo,  quanto 
dell'altro  mondo,  hanno  una  sola  patria,  una  sola  città  di  cui  si 
considerano  cittadini,  e  questa  è  il  cielo,  secondo  le  belle  parole 
dell'Apostolo  agli  Ebrei  (XIII):  Non  enim  habemus  hic  manca- 
tem  civitatem,  tedfuturam  inquirimus.' Per  riguardo  a  questo  mondo 
i  santi  noi  guardano,  e  non  è  veramente,  che  come  un  luogo  di 
pellegrinaggio,  a  cui  essi  non  appartengono  definitivamente,  qualun- 
que sia  il  regno  o  la  nazione.  Dietro  a  tutte  queste  considerazioni 
(abbiamo  detto  che  i  ciechi  vanno  molto  considerati)  un'anima  ap- 
punta Dante  d'inesattezza  nel  suo  parlare,  e  dice  che  non  dovea  dire 
la  fina,  ma  peregrina  in  Italia,  Così  si  oppone  arguzia  ad  arguzia, 
un'arguzia  vera  ad  un'arguzia  apparente,  e  cosi  quest'anime,  che  fu- 
rono invidiose,  pensano  e  parlano  da  anime  le  più  amorose.  Quando 
quell'anime  erano  al  mondo,  l'invidia  facea  loro  considerare  forestieri 
e  nemici  i  loro  medesimi  cittadini,  ed  ora  che  sono  al  Purgatorio, 
l' amore  fa  loro  considerare  cittadini  ed  amici  i  medesimi  fore- 
stieri. Quest'anime  sostengono  molto  bene  il  loro  carattere  sin  dalle 
prime  parole. 


292  PURGATORIO 

Ond'io  mi  feci  ancor  più  là  sentire.  6I 
100.    Tra  T  altre  vidi  un'  ombra  che  aspettava  ** 
In  vista;  e  se  volesse  alcun  dir  come, 
Lo  mento  a  guisa  d'orbo  in  su  levava. 

Spirto,  diss'  io,  che  per  salir  ti  dome,  6S 
Se  tu  se'  quegli,  che  mi  rispondesti, 
Fammiti  conto  o  per  luogo  o  per  uome.  6S 

r  fui  Sanese,  rispose,  e  con  questi  S7 
Altri  rimondo  qui  la  vita  ria,"  ** 


w  OtuVio  mi  feci  ecc.  Questo  non  vuol  dire  che  Dante  ripetesse 
la  stessa  domanda  in  tono  più  alto,  come  potrebbe  sembrare  a  prima 
vista,  ma  vuol  dire,  ch'egli  è  andato  innanzi  alcuni  passi  facendo 
sentire  agli  orbi  il  suo  avanzare  mediante  il  calpestio  de'suoi  piedi  ; 
e  si  avanzò  per  mettersi  possibilmente  in  faccia  a  quell'anima  che 
gli  avea  risposto,  e  che  non  potè  ben  distinguere  quale  fòsse. 

**  Un'ombra  che  aspettava  —  In  vista  ecc.  Questa  terzina  è  una 
copia  incarnata  di  natura.  Udite.  Dante  si  è  affacciato  ad  anime , 
una  delle  quali  certamente  gli  ha  parlato.  Quale  sarà?  Egli  la  trova 
senza  che  nessuno  gliela  dica.  Come?  Osserva  che  tra  quelle  anime 
una  sola  tien  la  faccia  levata  Ebbene ,  questa  è  dessa,  perchè  gli 
orbi,  quando  attendono  risposta,  usano  sempre  spingere  innanzi  e 
alzare  il  mento.  Questo  è  Va  spettava  in  vista,  cioè  si  vedeva  nella 
sua  faccia  che  aspettava  ch'io  le  parlassi. 

65  Per  salir  ti  dome.  Per  salire  alla  beatitudine  -ti  addolori. 

6f»  O  per  luogo  o  per  nome.  Col  dirmi  o  il  luogo  della  tua  na- 
scita, o  il  tuo  nome. 

67  r  fui  Sanese  ecc.  Dante  Tavea  richiesta  o  del  luogo  o  del 
nome;  e  quest'anima,  che  ornai  è  tutta  carità,  lo  soddisfa  oltre  la 
sua  dimanda,  manifestandosi  e  dal  luogo  e  dal  nome.  Qui  dal  luogo. 

w  Con  questi  altri  ecc.  E  sempre  costume  di  Dante  che  un'anima 
dica  la  condizione  propria  e  delle  sue  compagne.  —  Rimondo  qui 
la  vita  ria.  Questa  confessione  fa  vedere  anche  l'umiltà  di  quel- 
l'anima, e  debb' essere  così,  perchè  le  anime  delle  cornici  superiori 
hanno  avuto  bisogno  di  purgarsi  prima  dei  vizi,  che  si  purgano  nelle 
comici  inferiori,  almeno  almeno  della  superbia,  che  è  madre  di  ogni 
altro  vizio  capitale  e  massime  dell'invidia,  che  più  le  si  approssima 
e  le  somiglia. 


CANTO  XIII.  293 

Lagrimando  a  Colui,  che  sé  ne  presti.  °° 
Savia  non  fui ,  avvegnaché  Sapìa  70 
*f0-       Fossi  chiamata,  e  fui  degli  altrui  danni 1! 

Più  lieta  assai,  che  di  ventura  mia. 
E  perchè  tu  non  credi  ch'io  t'inganni,  72 

Odi  se  fui,  com'  io  ti  dico,  folle  : 

W  A  Colui.  A  Dio,  di  cui  tu  mi  bai  tanto  ben  parlato  di  sopra. 
Che  tè  ne  presti.  Affinchè  manifesti  ed  offra  sé  stesso   a  noi 
in  cielo, 

70  Savia  non  fui  ecc.  Di  questa  Sapla  multi  multa  dicunt,  nò 
monta  troppo  che  sia  piuttosto  una  cbe  un'altra.  Credo  che  i  più 
autorevoli  sieno  Pietro  di  Dante  ed  il  Boccaccio,  il  primo  dei  quali 
la  dice  de' Provenzan),  ed  il  secondo  de'  Salvani,  che  è  tutt'uno,  se- 
condo che  la  si  nomina  dal  nome  o  cognome  di  Provenzan  Salvani, 
che  abbiamo  veduto  nella  cornice  dei  superbi.  Io  ritengo  che  que- 
sta femmina  fosse  avversa  a  Provenzan  Salvani,  quello  che  nel  CXI 
fa  presuntuoso  a  recar  Siena  tutta  alle  tue  mani;  e  ciò  ritengo 
per  veder  ch'ella  gioì  della  sua  disfatta,  che  si  tocca  più  sotto, 
qu&nd'ella  era  a  confino  a  Colle,  città  a  nord-ovest  di  Siena.  Dalla 
famiglia  di  Provenzano  o  de*  Salvani  passò  a  marito  chi  dice  ad 
uno  di  quei  da  Pigezzo,  e  chi  ad  uno  de'  Saracini,  famiglie  sanesi. 
Essa  però  figura  qui  principalmente  qual  donna  di  parte,  ed  è  certo 
la  parte  presa  contro  Provenzan  Salvani;  per  cui  ebbe  evidente- 
mente due  peccati  da  purgare,  la  superbia  e  la  invidia.  La  prima 
la  purgò  nella  coruice  di  sotto,  la  seconda  la  purga  qui. 

È  poi  da  gran  conoscitore  di  umane  passioni  Io  scegliere  a  primo 
campion  dell'invidia  una  donna  piuttosto  che  un  uomo,  perchè  in- 
fatti la  invidia,  come  passion  bassa  e  debole ,  è  passione  più  da 
donne  che  da  uomini.  Premesse  queste  cose  veniamo  alla  spiegazione 
letterale. 

Savia  non  fui,  avvegnaché  Sapìa  —  Fossi  chiamata.  Sofia  (dal 
greco)  Sapla  (dal  latino)  Savia  (dall'  italiano)  sono  il  medesimo  nome. 

1*  E  fui  degli  altrui  danni  —  Più  lieta  ecc.  Con  questo  manife- 
sta ch'ebbe  il  peccato  della  iuvidia,  che  si  rattrista  dell'altrui  bene 
e  gode  dell'altrui  mule. 

7*  E  perchè  tu  non  credi  ecc.  A  Sapìa  interessa  tanto  di  provar 
la  sua  colpa,  quanto  a  noi  interessa  di  provar  qualche  nostra  glo- 
ria. Questa  è  vera  persuasione  d'essere  stata  colpevole,  se  ha  tanta 
premura  d'esser  creduta  tale. 


29*  PURGATORIO 

Già  discendendo  l'arco  de' mici  anni,  n 
Erano  i  cittadin  miei  presso  a  Colle  7i 

In  campo  giunti  coi  loro  avversari, 75 

Ed  io  pregava  Dio  di  quel  eh1  ei  volle.  *5 
Rotti  fur  quivi,  e  volti  negli  amari 

Passi  di  fuga,  e  veggendo  la  caccia,  " 
12°-       Letizia  presi  ad  ogni  altra  dispari, 

Tanto,  eh'  io  levai  in  su  V  ardita  faccia, 7S 

Gridando  a  Dio:  Ornai  più  non   ti  temo, 

73  Già  discendendo  ecc.  E  veramente  un'idea  poetica  e  prediletta 
di  Dante  quella  di  figurare  gli  anni  della  vita  umana  sotto  il  sim- 
bolo di  un  arco.  La  metà  dell'arco,  ossia  la  sua  massima  altezza,  o 
il  suo  sfogo,  al  quale  si  ascende,  sarebbero  gli  anni  sino  alla  metà 
del  hi  vita  (ordina  ria  monte  85  pei  maschi  e  30  per  le  femmine);  l'altra 
parte  dell'arco  che  discende  rappresenta  il  resto  degli  anni.  Dun- 
que questa  donna  dice  di  aver  cominciato  a  passare  gli  anni  30 
della  sua  vita.  Questa  idea  del  salire  e  discender  degli  anni  della 
vita  umana  è  simile  a  quella  di  Orazio  nella  Poetica,  dove  invece 
di  farli  salire  e  discendere,  li  fa  venire  e  partire:  Multa  ftrunt  anni 
veniente*  commoda  secum,  Multa  recedente*  adimunt,  ed  è  bellis- 
sima mingine  pur  questa,  sebbene  quella  di  Dante  è  più  naturale  e 
filosofica. 

74  Colle.  Luogo  di  confine  tra  Siena  e  Firenze. 

75  Coi  loro  avversari.  Coi  Fiorentini.  I  suoi  erano  capitanati  da 
Provenzan  Salvani  e  da  Guido  Novello,  i  Fiorentini  dal  vicario  di 
re  Carlo.  Ciò  avvenne  nel  1269. 

7«ì  Di  quel  ch'ei  volle.  Pregnva  Dio  che  perdessero  i  suoi.  Questo 
era  voluto  da  Dio.  Come  dicesse:  Se  ciò  dunque  avvenne,  non  av- 
venne in  virtù  della  mia  preghiera,  che  era  malvagia,  ma  per  sola 
disposizione  di  Dio,  il  quale  per  al  tri  «fini  dai  mici  volle  quella  rotta. 

77  E  veggendo  la  caccia.  Dicesi  ch'ella  salisse  sovra  una  torre  di 
Colle  per  godor  meglio  il  crudo  spettacolo  della  rotta  de*  suoi.  Ec- 
cesso d'invidia  che  gode  del  male  altrui. 

78  L'ardita  faccia  —  Gridando  a  Dio  ecc.  Atti  e  parole  superbe 
di  Sapia,  e  prova  ch'ella  era  già  stata  prima  nella  cornice  dei  su- 
perbi a  purgarsene.  Xota/c  come  Sapia  nella  narrazione  delle  sue 
colpe,  ammoglia  d»J  continuo  la  sua  superbia  alla  sua  invidia.  Lo 
pìiolo  :  t imai  più    n<  n   ti   icnw}   suonano   coti:    Ora   che  da'  miei 


CANTO  XIII.  295 

* 

Come  fé'  il  merlo  per  poca  bonaccia.  79 
Pace  volli  con  Dio  in  su  lo  stremo  80 
Della  mia  vita;  ed  ancor  non  sarebbe  8I 
Lo  mio  dover  per  penitenza  scemo, 

cittadini  Don  preso  più  temere,  non  temo  neppur  di  te,  e  perciò  se- 
guirò la  vita  che  mi  piace,  quasi  non  sapesse  che  dopo  i  brevi 
contenti  del  mondo  si  cade  in  mano  della  divina  giustizia,  che  si 
fa  temere  daddovero. 

79  Come  fé*  ecc.  Come  dopo  i  brevi  tepori  di  un  gennaio  incolse 
rigida  e  nevosa  stagione  a  quel  merlo,  che  a  torto  si  teneva  sicuro 
che  quella  poca  e  inaspettata  bonaccia  gli  avesse  sempre  a  conti- 
nuare; ciò  che  non  fu. 

80  Pace  volli  con  Dio  ecc.  Mi  sono  convertita  però  in  fine  di  vita. 
Dunque  Sapia  confessa  d'essere  stata  anche  procrastinante,  e  perciò, 
oltre  d'essere  stata  a  purgarsi  nella  cornice  della  superbia  quale 
superba,  e  oltre  d'essere  presentemente  nella  cornice  dell'invidia  a 
purgarsi  anche  di  questo  peccato,  ella  avea  passato  qualche  tempo 
nell'Atrio,  come  tutti  i  procrastinanti. 

81  Ed  ancor  non  sarebbe  —  Lo  mio  dover  ecc.  Sarei  ancora  nel- 
l'Atrio in  compagnia  dei  procrastinanti ,  ai  quali  non  si  concede 
1!  ingresso  al  vero  Purgatorio ,  se  non  dopo  certo  tempo ,  e  quindi 
non  possono  scemare  per  penitenza  (che  solo  si  fa  entro  il  vero  Pur- 
gatorio) il  loro  debito.  Abbiamo  detto  altre  volte  quanto  sia  dolo- 
roso all'anime  il  divieto  di  cominciar  la  loro  pena  o  penitenza,  per 
la  gran  voglia  che  hanno  di  purgarsi  quanto  prima ,  e  di  salire  a 
Dio.  Sapia  dunque  non  sarebbe  qui  a  far  penitenza  delle  sue  colpe 
e  quindi  a  scemare  i  propri  debiti  (cosa  desi  de  rarissima),  e  non  sa- 
rebbe nemmeno  stata  prima  ammessa  a  scontar  per  penitenza  il  suo 
debito  di  superbia  nella  cornice  di  sotto ,  se  non  fosse  stata  assi- 
stita e  suffragata  dalle  sante  orazioni  del  buon  eremita  Pier  Pot- 
tinagno,  di  cui  altro  non  si  sa  se  non  che  era  Fiorentino,  o  secondo 
altri  Sanese.  Si  confrontino  le  date  e  si  vedrà  esser  vero  che  nel  1300, 
epoca  di  questo  viaggio,  la  Sapia  avrebbe  dovuto  trovarsi  ancora 
nell'Atrio.  Infatti  Sapia  era  nella  metà  della  vita,  ossia  nei  30  anni 
(che  sono  l'ordinaria  metà  della  vita  femminile),  quando  godette  della 
rotta  de' suoi  avvenuta  nel  1260.  Sino  ai  60  anni  ella  visse  impe- 
nitente. Se  dunque  al  1260  si  aggiungano  anni  30  che  sono  il  resto 
della  vita  di  Sapia,  si  arriva  agli  anni  1299,  epoca  della  morte  di 
Sapia,  secondo  i  dati  del  poeta.  In  quest'  anno  Sapia  si  converti  e 


298  PURGATORIO 

Se  ciò  non  fosse,  ch'a  memoria  m'ebbe 
Pier  Pettinagno  in  sue  sante  orazioni, 
A  cui  di  me  per  caritate  increbbe. 
130.    Ma  tu  chi  se',  che  nostre  condizioni  w 

Vai  dimandando,  e  porti  gli  occhi  sciolti,  M 
Sì  come  io  credo,  €  spirando  ragioni?  u 

Gli  occhi,  diss'io,  mi  fieno  ancor  qui  tolti;  85 
Ma  picciol  tempo,  che  poca  è  l'offesa  Bc 
Fatta  per  esser  con  invidia  volti. 

mori,  e  tosto  sarebbe  andata  nell'Atrio  a  passarvi  tanto  tempo, 
quanto  visse  impenitente,  cioè  almeno  30  anni.  Da  questo  calcalo 
apparisce  che  appena  morta  ebbe  i  suffragi  elei  santo  eremita,  in  virtù 
dei  quali  fu  quasi  subito  trasportata  dall'Atrio  nella  cornice  dei  superbi 
e  dopo  un  anno  di  questa  cornice  fu  passata  nei  1800  alla  cornice 
degli  invidiosi.  Sicché  quando  vi  giunse  e  la  trovò  il  poeta,  non 
potea  essere  che  da  qualche  mese  ch'ella  si  trovava  in  quel  luogo. 

8*  Nostre  condizioni.  Condizioni  in  questo  luogo  non  vuol  dir 
pene,  ma  qualità  di  persone,  come  sarebbe,  nome,  luogo  di  nascita  ecc. 
secondo  che  Dante  avea  prima  dimandato. 

8*  E  porti  gli  occhi  sciolti,  Sapìa  lo  poteva  argomentare  da) 
sentir  ch'egli  camminava  ovunque  volea,  il  che  non  pOBSono.fare 
che  le  persone  che  ci  veggono.  Sapla  non  sapeva  ancora  ch'egli 
avesse  una  guida. 

84  E  spirando  ragioni.  Lo  spirare  di  Dante  era  cosa  che  potea 
saperla  anche  la  cieca  Sapla,  perchè  è  cosa  che  si  sente.  Da  questo  vero 
respiro  massimamente  sospettò  Sapìa  che  il  suo  collocutore  fosse  vivo. 

85  Ancor  qui  tolti.  Gli  occhi  si  tolgono  all'uomo  la  prima  volta 
quando  muore;  e  poi  gli  si  tolgono  ancora  nel  Purgatorio  se  abbia 
colpe  d' invidia  da  purgare.  Confessa  dunque  Dante  di  aver  anch'egli 
questo  peccato,  perchè  dice  che  gli  saranno  tolti  gli  occhi  in  quella 
cornice,  colla  pena  degli  altri  invidiosi. 

86  Ma  picciol  tempo.  Come  dicesse  :  per  tempo  assai  più  breve  del 
tuo.  La  durata  delle  pene  è  proporzionata  alla  colpa:  e  della  colpa 
d'invidia  Dante  dice  pure  d'averne,  ma  d'averne  assai  poca,  per- 
chè l'invidia  non  è  il  peccato  veramente  degli  uomini  grandi,  i  quali 
hauno  poco  da  invidiare  agli  altri. 

Che  poca  è  V offesa  —  Jfalta  per  esser  ecc.  Le  anime  femminili  e 
dappoco,  se  hanno  nemici  che  le  tormentano  scoino  p.  e.  questa  Sania 


CANTO  XIII.  237 

Troppa  è*più  la  paura,  ond'ò  sospesa  *7 
L'anima  mia,  del  tormento  di  sotto7 
Che  già  lo  incarco  di  laggiù  mi  posa.  *6 
Ed  ella  a  me:  Chi  t'ha  dunque  condotto  8* 
l40-       Quassù  tra  noi,  se  giù  ritornar  credi? 

i  suoi  Sanasi,  che  la  bandirono)  perdono  assai  della  loro  felicità,  non 
trovando  in  so  stesse  un  degno  compenso;  e  quindi  assai  invidiano 
la  felicità  dei  loro  nemici,  o  assai  gioiscono  delle  loro  perdite.  Ma 
fate  che  sieno  tormentate  medesimamente  le  anime  maschie  e  ge- 
nerose (come  per  es.  Dante  esigliato  da'  suoi)  ;  esse  perdono  assai 
poco  per  quei  tormenti,  portando  sempre  seco  stessi  ogni  vera  ric- 
eheiza,  come  quel  greco  filosofo  Simonide,  che  in  meeso  alle  dispe- 
razioni dei  naufraghi  suoi  compagni,  solo  era  lieto  per  non  aver 
nulla  perduto,  non  avendo  perduto  la  sua  scienza,  che  per  lui  era 
tutto.  Tal  fu  di  Dante.  L'offesa  che  gli  recarono  i  suoi  eon  Tesiglio 
non  gli  tolse  che  la  patria  e  i  beni  caduchi,  ma  non  gli  potè  to- 
gliere i  veri  beni  inalienabili  della  sua  mente,  che  erano  immensi, 
e  pei  quali  egli  restava  di  gran  lunga  superiore  a  tutti  i  suoi  Fio- 
rentini, e  cosi  invidiare  non  li  potea.  Non  si  invidia  se  non  chi  si 
crede  a  so  superiore  in  cosa  di  vaglia. 

Queste  parole  di  Dante  sono  un  testimonio  ch'egli  in  questa 
cornice  si  va  per  bene  spogliando  dell'  invidia ,  perchè  con  esse  at- 
tenua e  scusa  il  male  che  gli  hanno  fatto  i  suoi  nemici,  e  cosi  si 
dispone  al  passaggio  da  questa  a  un'  altra  cornice. 

07  Troppa  è  piò  la  paura  ecc.  Ho  assai  più  paura  di  andar  tra 
i  superbi,  che  tra  gli  invidiosi,  e  ne  ho  tanta  che  mi  pare  di  es- 
serci e  portar  quei  pesi.  È  troppo  facile  che  chi  sa  d'esser  superiore 
a  tutti  nelle  doti  della  mente  e  del  cuore,  possa  pati r*  di  superbia. 
Dante  era  in  questo  pericolo;  ma  aveva  anche  la  virtù  di  conoscerlo 
e  questa  virtù  l'  ha  massimamente  acquistata  nella  cornice  di  sotto. 
Ond'è  sospesa  l'anima  mia.  La  paura  agghiaccia  il  cuore,  e 
quasi  gli  sospende  la  vita. 

**  Che  già  lo  incarco  ecc.  La  paura  di  una  cosa  fa  presentirla 
prima  che  avvenga,  anzi  la  paura  di  lei  n'  è  un  saggio  anticipato. 

M  Chi  t' ha  dunque  condotto  ecc.  Chi  t'ha  condotto  a  questa  cor- 
nice degli  invidiosi,  se  credi  ritornar  giù  a  quella  dei  superbi  ?  Que- 
sta dimanda  non  dimostra  già  che  Sapìa  abbia  conosciuto  che  Dante 
fosse  ancor  vivo.  La  dimanda  è  appoggiata  alla  sola  notizia,  che 
Dante  dalla  cornice  dei  superbi  sia  pacato  a  quella  degli  invidiosi, 


298  PURGATORIO 

Ed  io:  Costui  ch'è  meco,  e  non  fa  motto:  " 
E  vivo  sono;  e  però  mi  richiedi,  9I 
Spirito  eletto,  se  tu  vuoi  ch'io  muova 

e  da  questa  sia  per  tornare  a  quella  dei  superbi.  Sapla  non  sa  altro 
di  preciso;  le  sue  cognizioni  su  Dante  non  si  estendono  che  a  questi 
due  cerchi,  intorno  a  che  non  sa  comprendere  molte  cose:  1.  come 
si  trovi  al  Purgatorio  uno  che  spiri;  2.  come  si  trovi  tra  gK  invi- 
diosi senza  soffrirne  la  pena  ;  3.  come  essendo  stato  prima  tra  i  su- 
perbi, poi  vi  ritorni  contro  l'uso  del  Purgatorio.  Dunque,  conchiude 
Sapìa,  qui  ci  ha  da  essere  qualche  novità  eh*  io  non  conosco.  Questo 
solo  conosco  che  se  alcuno  non  l'avesse  quassù  condotto,  egli  certo 
non  vi  sarebbe  venuto.  Dunque  dimmi,  chi  t'  ha  condotto.  Questa 
catena  di  considerazioni  e  queste  induzioni  sono  cose  tutto  proprie 
dei  ciechi  in  simili  casi,  e  ci  vuole  una  grande  maestrìa  nel  poeta  a 
condurle  si  finamente. 

90  Costui  eh'  è  meco  e  non  fa  motto.  Il  solo  tenere  in  perpetuo 
silenzio  Virgilio  per  tutta  questa  scena  è  artifizio  da  sommo  mae- 
stro, ed  ò  cosa  che  pure  spesso  avviene  tra  ciechi  e  veggenti.  Sup- 
ponete un  istante  che  Virgilio  si  fosse  ratto  sentire  a  quell'anime 
fin  dal  principio,  o  che  Dante  gliene  avesse  fatto  cenno;  quasi  tutta 
la  bellezza  dì  questa  scena  sarebbe  sparita.  Quant'arte  non  occorre 
a  condur  con  natura,  e  con  quel  che  si  chiama  colpo  di  scena,  gli 
avvenimenti  !  Questa  scoperta  fatta  all'orbo,  riserbata  qui  sulla  fine, 
come  da  bellezza  a  tutto  l'abbocca  mento  in  corso,  così  serve  assai 
bene  ad  aprir  nuove  scene  per  l'altro  canto,  come  vedremo. 

Ma  perchè  Virgilio  non  parla  almeno  adesso?  Perchè  sarebbe 
un  rompere  la  scena,  che  vuol  esser  continuata  di  bellezza  in  bel- 
lezza. Provatevi  per  un  poco  a  far  parlare  Virgilio,  e  ne  vedrete 
lo  sconcio;  vedrete  almeno  che  l'entusiasmo  di  questa  scena  si  raf- 
fredda sull'istante.  —  £  perchè  il  poeta  disse  in  generale,  che  ha 
una  guida  li  presente,  senza  dire  chi  sia  quella  guida?  1.  Perchè 
il  dir  chi  sia  non  importa;  2.  Perchè  importa  il  non  dir  chi  sia. 
Non  nominando  Virgilio,  si  tiene  la  scena  in  sospeso,  e  s'introdu- 
cono nuove  scene  basate  suli'  ignoranza  del  condottiero.  Cosi  Dante 
nell'atto  che  contenta  quest'anima,  mette  questa  e  le  sue  vicine  in 
nuovi  desiderii  del  resto. 

•I  E  vivo  sono.  Due  notizie,  una  più  grande  dell'altra.  La  prima 
fu  che  11  c'era  una  guida  e  non  parlava,  e  non  si  diceva  chi  fosse. 
La  seconda,  più  grande  ancora,  che  Dante  era  vivo.  Ma  Dante  non 
si  era  ancora  manifestato.  A  maraviglia  anche  questo.   Quello  che 


CANTO  XIII.  2$) 

Di  lk  per  te  ancor  li  mortai  piedi.  92 
Oh  questa  é  a  udir  sì  cosa  nuova,  93 

Rispose,  che  gran  segno  è  che  Dio  t'ami;  9i 
Però  col  prego  tuo  talor  mi  giova.  9* 

interessa  è  tenere  incerte  quelle  anime  su  tante  cose,  perchè  si  pos- 
sano appiccare  di  nuovi  intrecci.  Che  scuola  non  è  questa  pei  dram* 
matici  e  pei  comici!  Intanto  qui  gli  ha  detto  che  è  vivo,  ed  è  la 
notizia  più  maravigliosa.  Ma  calcolate  bene  una  circostanza.  Sanno 
quelle  anime  e  le  altre  colà  intorno,  ch'è  giunto  loro  un  vivo  senza 
poterlo  ravvisare,  e  senza  che.  il  vivo  abbia  Ior  detto  chi  fosse.  Se 
lo  avessero  veduto,  o  conosciuto  almeno  per  nome,  per  quanto  fosse 
stata  grande  la  loro  curiosità,  sarebbe  stata  a  gran  pezza  minore  della 
curiosità  che  infatti  doveano  avere  per  non  conoscerlo  neppur  di  vista. 
Rammentatevi  i  torcimenti  e  gli  sforzi  che  laccano  i  superbi 
sotto  i  lor  pesi  per  conoscer  di  vista  questo  lor  ospite  ;  e  da  quelli 
fate  ragione  alle  ansiose  brame  di  questi  poveri  cicchi,  ai  quali 
Dante  non  dava  che  saggi  generici  di  conoscenza,  che  servivano  a 
viemeglio  stuzzicare  il  loro  appetito. 

w  Di  là  per  te  ancor  ecc.  Dimmi  se  vuoi  eh'  io  vada  a  trovare 
i  tuoi  parenti  ed  amici,  inculcando  loro  che  preghino  per  te. 

•*  Che  questa  ecc.  Questa  che  tu  sia  vivo,  e  ch'abbi  di  nuovo  a 
tornare  al  mondo.  I  ciechi  di  lor  natura  tendono  a  maravigliarsi 
molto  più  che  i  veggenti.  Imaginate  dunque  quale  impressione  en- 
tusiastica debba  aver  prodotto  in  Sapia  questa  novità,  che  avrebbe 
scosso  d'ammirazione  qualunque  altro  veggente. 

•*  Gran  segno  è  che  Dio  Varai.  Sapia  dal  privilegio  di  Dante, 
ne  deduce  il  suo  stato  di  grazia,  e  starei  per  dire  di  santità.  Quanto 
e  mutata  Sapia,  la  invidiosa  Sapia!  Gli  invidiosi  sono  inclinati  a 
scemare  il  merito  delle  persone,  ma  Sapia  fa  vedere  d'essere  incli- 
nata ad  accrescerlo.  Questo  è  proprio  tener  le  persone  nel  loro  vero 
carature. 

95  Però  col  prego  tuo  ecc  Sapia  apprezza  più  i  suffragi  di  Dante, 
che  quelli  de'  suoi  parenti,  de'quali  non  fa  veramente  nessun  conto  ; 
e  questo  dimostra  che  il  parentado  di  Sapia  non  era  troppo  buono 
come  dirassi.  Ad  ogni  modo  avendo  ella  due  cose,  l'una  certa  quale 
era  la  bontà  di  Dante,  l'altra  incerta  qual'era  la  bontà  de'suoi  pa- 
renti a  quei  giorni,  amò  di  tenerci  alla  più  sicura,  e  chiese  lo  ora- 
zioni di  Dante.  Sulla  natura  della  missione  a' suoi  propinqui  dirà  so- . 
bito  appresso. 


800  PURGATORIO 

E  chieggoti  per  quel  che  tu  più  brami, 96 
Se  mai  calchi  la  terra  di  Toscana,  97 
150.        Ch'  a'  miei  propinqui  tu  ben  mi  rinfami.  98 

Tu  li  vedrai  tra  quella  gente  vana  " 
Che  spera  in  Talamone,  e  perderagli  l0° 
Più  di  speranza ,  eh'  a  trovar  la  Diana  : ioì 

« 

Ma  più  vi  perderanno  gli  ammiragli. 10a 

96  per  quel  che  tu  più  brami  Dio,  a  cui  tanto  sei  caro. 

97  Se  mai  calchi  ecc.  Dante  non  disse  a  Sapìa  né  chi  fosse,  nò 
di  qua!  luogo;  perciò  Sapìa  paria  in  tal  modo:  Se  mai  ecc. 

Q&Mi  rinfami.  Cioè  che  tu  dica  loro  ch'io  non  sono  dannata, 
come  facilmente  potrebbon  credere  giudicando  dalla  mia  vita  rea, 
ma  eh' io  sono  salva  per  essermi  davvero  convertita  in  morte.  Ecco 
quel  che  commette  per  riguardo  a'  suoi  propinqui,  non  suffragi,  ma 
annunzio  di  sua  salute. 

99  Tra  quella  gente  vana.  Tra  i  Sanesi,  che  per  tutta  Toscana 
erano  in  grido  di  vani  e  leggieri. 

*oo  che  spera  in  Talamone.  Città  di  Maremma  soggetta  a  Siena. 
I  Sanesi  aveano  fatto  di  grandi  assegnamenti  di  futura  grandezza 
su  quel  punto  della  marina,  sognando  di  farvi  un  porto  per  un  em- 
porio di  grande  importanza,  e  per  una  stazione  navale  alle  loro 
galere,  emulando  cosi  gli  altri  stati  marittimi  d'Italia,  che  salirono 
a  ricchezza  e  potenza  appunto  pei  loro  porti  Perderagli.  —  E  vi  per- 
derà. Gli  per  vi. 

ioì  Più  di  speranza,  che  a  trovar  la  Diana.  La  speranza  dei 
vantaggi  immensi  che  s' imaginarono  di  ricavare  sia  nel  commercio 
sia  nell'armi,  da  questo  loro  vano  progetto  li  farà  perdere  assai  più  di 
quello  che  hanno  perduto  quando  cercarono  la  Diana,  che  era  un 
fiume  creduto  scorrere  sotto  la  loro  città,  pel  ritrovamento  del  quale 
operarono  inutilmente  immensi  scavi,  e  gettarono  gran  danaro. 

402  Ma  più  vi  perderanno  gli  ammiragli.  Perchè  questi  dovendo  in- 
vigilare ai  lavori  del  porto,  vi  perderanno  anche  la  vita  per  la  malaria. 


CANTO    XIV 


Argomento. 

Due  ciechi  (Guido  del  Duca  da  Bertinoro  e  Rinieri  de'  Ctdboìi 
da  Forlì)  ragionano  tra  Loro  di  Dante,  non  sapendo  chi  sia.  Guido 
lo  prega  a  manifestarsi  ;  ma  egli  stando  sulle  genarali  si  dichiara 
di  Val  d'Arno,  senza  però  nominar  questo  fiume.  Ditale  reticenza 
Rinieri  si  maraviglia,  e  Guido  la  interpreta  in  disfavore  degli 
abitanti  di  quella  valle,  le  cui  città  enumera  con  vitupero,  e  più 
Firenze,  dove  predice  la  strage  del  1303  che  la  parte  Nera  farà 
della  Bianca  per  opera  di  un  nipote  aelV altro  cieco  Rinieri.  Dante 
chiede  a  quei  ciechi  chi  sieno,  e  Guido  manifesta  sé  e  Vallro  suo 
compagno,  e  segue  a  parlar  contro  tanti  luoghi  e  persone  di  Ro- 
magna. Finalmente  i  poetisi  dipartono  da  que'due  ciechi  passando 
lungo  lutti  gli  altri,  e  udendo  voci  che  ricordano  altri  esempi  di 
invidia.  Virgilio  chiude  il  Canto  con  un  ammonimento  morale,  che 
eccita  Vuomo  ali1  amor  del  Creatore. 

IiD.  Vedi  tatti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  Tar.  HI  o  la  IV,  Purg. 


e 


hi  è  costui  che  il  nostro  monte  cerchia,  i 

*  Chi  è  costui  ecc.  Due  ciechi  al  di  là  di  Sapìa(VediTav.IV,  Purg.) 
.avendo  udito  il  colloquio  di  Dante  con  lei,  hanno  inteso  ch'egli  è 
vivo  e  veggente.  Appiccano  adunque  tra  di  loro  un  colloquio,  come 
si  fa,  chiedendosi  chi  sia.  Quante  nuove  scene  non  si  aprono  con 
solo  questo  artifizio  poetico  di  manifestarsi  Dante  gradatamente! 
Nell'altro  Canto,  Dante  altro  non  disse  a  Sapla  se  non  che  egli  era 
ancor  vivo,  e  che  dovea  ritornarsene  al  mondo.  Di  qui  la  curiosità 
ed  i  discorsi  di  altri  orbi  sulla  sua  condizione  più  precisa.  Essi  la 
chiederanno,  ma  Dante  non  si  manifesterà  ancora  interamente,  e  que- 
sto sarà  un  altro  appicco  per  nuove  scene.  Intanto  notiamo  che  gli 
orbi  sono  assai  curiosi  delle  persone  che  loro  passan  dinanzi,  e  che 
veramente  questa  è  la  loro  natura  e  costume  di  farsi  tali  discorsi 
quali  qui.  deaeri  ve  il  poeta. 


802  PURGATORIO 

Prima  che  morte  gli  abbia  dato  il  volo,  *  * 
Ed  apre  gli  occhi  a  Bua  voglia  e  coperchia?  3 
Non  so  chi  sia;  ma  so  ch'ei  non  è  solo:  4 
Dimandai  tu  che  più  gli  t'avvicini,  * 
£  dolcemente  sì  che  parli  accòlo.  e 
Così  duo  spirti,  V  uno  all'altro  chini, 7 
Ragionavan  di  me  ivi  a  man  dritta;  8 
Poi  fer  li  visi,  per  dirmi,  supini:  9 
10*     £  disse  T  uno  :  O  anima,  che  fitta 

Nel  corpo  ancora  in  ver  lo  ciel  ten  vai, 
Per  carità  ne  consola,  e  ne  ditta,  i0 

• 

*  Prima  ecc.  Prima  di  morire.  Notate  però  la  frase,  la  quale  è 
propria  dello  animo  che  sciogliendosi  dal  corpo  vanno  a  salvamento.  Di 
sole  queste  ai  può  dive  che  la  morte  dia  loro  il  volo  ;  perchè  le  altre 
cut*  vauno  dannato,  piombando  all'  Inferno,  non  hanno  bisogno  di  voli. 

*  Ed  <i|>re  ecc.  Cosa  grande  per  quell'anime  ch'aveano  le  ciglia 
cucite  da  un  filo  di  ferro.  Ciascuno  nota  più  facilmente  negli  altri 
quello  che  manca  in  sé  stesso. 

*  Ma  so  ch'ei  no»  è  solo.  Lo  avea  inteso  da  Dante  quando  disse: 
Coffa»  ck'è  meco  t  non  fa  motto. 

5  Che  piìi  gii  Ravvicini*  Dunque  quegli  che  parlerà  primo  a  Dante 
sarà  quegli  che  più  si  avvicina  a  Sapìa.  (Vedi  la  Tav.  IV).  Tenia- 
molo a  mente  per  non  confonder  l'uno  di  questi  ciechi  con  l'altro. 

6  E  dolcemente  §1  ecc.  Prendilo  con  ogni  duke&za  e  destrezza 
perchè  possiamo  saper  tutto  di  lui. 

Accòlo.  Sincopato  di  accoglilo.  Anche  questo  dimostra  quanto 
«eno  curiosi  i  ciechi,  ed  è  detto  perche  tale  è  la  loro  natura  di  ten- 
tare ogni  mezzo  per  saziare  la  loro  smania  di  conoscere. 

7  Coti  duo  spirti  ecc.  Vedeteli  sul  mio  disegno  Tav.  IV. 
Unno  all'altro  chini.  Secondo  il  rare  degli  orbi,  e  come  furono 

descritti  nel  Canto  antecedente. 

8  Ivi  a  man  dritta.  D.-nte  si  trovava  sulla  strada  colla  faccia 
volta  a  Sapìa.  La  sua  man  dritta  volgeva  a  nord  dove  stavano  le 
nuove  anime  a  dialogare.  (Vedi  la  mia  Tav.  IV  in  questo  punto). 

9  Supini.  Gli  orbi  quando  parlano  levano  in  su  la  faccia.  Il  poeta 
della  natura  non  la  dimentica  mai. 

*o  Per  carifà  ecc.  Ecco  l'offri  to  della  raccomandazione  d'accoglierlo 
dolcemente.  Ditta.  Dì,  dal  latino  dictito. 


CANTO  XIV.  303 

Onde  vieni,  e  chi  se';  che  tu  ne  fai 
Tanto  maravigliar  della  tua  grazia, 
Quanto  vuol  cosa,  che  non  fu  più  mai. 

Ed  io:  Per  mezza  Toscana  si. spazia  n 
Un  fiumi  e  el  che  nasce  in  Falterona, 
£  cento  miglia  di  corso  noi  sazia. 

Di  sovr' esso  rech'  io  questa  persona;  " 
20.         Dirvi  chi  sia,  saria  parlare  indarno;  ,s 

Chè'l  nome  mio  ancor  molto  non  suona.  I4 

Se  ben  lo  intendimento  tuo  accarno  15 

*l  Per  mena  Toscana  ecc.  L'Amo  nasce  in  Falterona,  montagna 
dell' Apemiino,  attraversa  anzi  s'aggira  per  la  Toscana  dividendola 
in  due  parti  quasi  uguali,  compiendo  più  di  cento  miglia  di  cam- 
mino dalla  sorgente  alla  foce. 

<3  Di  eovr1  esso  recK  io  ecc.  Io  sono  di  Val  d'Arno.  Nel  canto  an- 
tecedente accennò  d'essere  Italiano,  quando  chiese  se  c'era  qualche 
anima  latina,  e  se  Sapìa  bramasse  qualche  cosa  da' suoi  :  questo  par- 
lare era  molto  generico,  ma  valeva  ad  aguzzare  la  curiosità  delle 
anime.  Quelle  anime  infatti  spinte  dalla  curiosità  di  aver  notizie  più 
precise  di  lui,  lo  richiedono,  ed  egli  venendo  più  al  particolare  si 
dice  di  Toscana  e  di  Val  d'Arno.  Ma  Val  d'Arno  tira  oltre  cento 
miglia,  e  eontien  più  città.  Restava  dunque  a  sapere  di  quale  città 
egli  fosse,  e  restava  anche  un  dubbio  sulla  espressione  di  dirsi  del- 
l'Arno senza  però  nominarlo.  Quest'ultima  circostanza,  che  da  sé 
parrebbe  un  niente,  è  fonte  di  maraviglio  se  bellezze.  Nessuno  si  sa- 
rebbe  creduto  che  quella  circonlocuzione  di  Val  d'Arno  ci  condu- 
cesse come  per  incanto  ad  una  delle  scene  più  spettacolose. 

**  Dirvi  chi  sia.  Bravo  Dante  1  Egli  vuol  tacere  di  sé,  e  noi  stessi 
sentiamo  un  bisogno  ch'egli  si  taccia,  per  l'aspettazione  di  qualche 
gran  cosa,  dalla  quale  ci  devierebbero  i  particolari  di  sua  persona. 

M  Che  il  nome  mio  ecc.  Dante  anche  nel  1800  (epoca  poetica  in 
cui  si  finge  il  Poema),  prima  che  questo  uscisse,  era  incontrastabil- 
mente superiore  a  tutti  pei  saggi  d' ingegno  dati  sino  a  quel  tempo. 
Siccome  però  egli  dovea  essere  immortalato  dalla  sua  Divina  Com- 
media eh' è  posteriore  a  quell'epoca,  perciò  egli  parla  com.  E  bello 
poi  questo  parlare  dopo  la  visita  fatta  alla  cornice  dei  superbi, 
perchò  desso  è  considerato  anche  frutto  di  quella  visita. 

i*  Accarno  —  Con  lo  intelletto.  Afferro  con  lo  intelletto. 


30*  PURGATORIO 

Con  lo  intelletto,  allora  mi  rispose 

Quei  che  prima  dicea,  tu  parli  d'Arno.  *6 

E  T  altro  disse  a  lui:  Perchè  nascose  17 
Questi  il  vocabol  di  quella  riviera,  ig 
Pur  com'uom  fa  delle  orribili  cose?  ** 

E  l'ombra,  che  di  ciò  dimandata  era,  *° 
Sì  sdebitò  cosi  ^  Non  so,  ma  degno  2* 
*°-         Ben  è  che  il  nome  di  tal  valle  pera;  22 

Che  dai  principio  suo,  dov'è  sì  pregno  *3 
L'alpestro  monte,  ond'è  tronco  Peioro, 
Che  in  pochi  luoghi  passa  oltra  quel  segno, 

Infin  là  Ve  si  rende  per  ristoro  ** 


*6  Quei  che  prima  dicea.  Quegli  de*  due  che  gli  era  più  Ticino, 
e  che  lo  richiese  chi  e  onde  fosse,  e  che  vedremo  essere  Guido  del 
Duca  di  Bertinoro. 

17  E  l'altro.  Quegli  che  era  più  lontano,  e  che  si  nominava  Rinier 
de'Calboli  da  Forlì,  come  di  rasai. 

*8  II  vocabol  ecc.  Allude  alla  perifrasi  con  che  Dante  indicò  la 
Valle  dell'Arno,  nascondendo  così  nella  perifrasi  il  nome  proprio  del 
fiume  Amo  e  della  sua  Valle. 

19  Pur  com'  uom  fa  ecc.  Appunto  uno  de'  fini  a  cni  è  ordinata  la 
perifrasi  per  legge  rcttorica  si  è  quello  di  fuggire  l'orrore  e  la  schi- 
fezza che  metterebbe  la  cosa  esprìmendola  col  proprio  nome. 

20  L'ombra.  Guido  del  Duca. 

21  Non  so,  ma  degno  —  Ben  è  ecc.  Questo  non  so  vale  un  tesoro. 

22  Valle.  Pel  fiume  che  scorre  per  la  valle. 

28  Che  dal  principio  suo.  Perchè  dalla  sua  sorgente.  Dove  Val- 
pestro  monte ,  l' Apennino,  ond'è  tronco  Peioro,  promontorio  di 
Sicilia  che  si  unirebbe  coll'Apcnnino  senza  lo  stretto  di  Messina,  e 
che  si  crede  essere  stato  un  tempo  unito  con  esso  Apennino  prima 
della  divisione  dell'Isola  dal  continente. 

Sì  pregno  che  in  pochi  luoghi  ecc.  La  montagna  di  Falterona 
è  uno  de' punti  più  culminanti  dell' Apennino.  V'ha  an  punto  in  Cam- 
pania che  è  più  pregno  e  più  alto  di  Falterona. 

24  Infin  là  've  si  rende  ecc.  Dalla  sua  sorgente  fino  alla  sua  foce, 
dove  esso  fiume  va  a  risarcire  le  perdite  che  fa  il  mare  asciugato 
dai  calori  del  cielo. 


CANTO  XIV.         -  305 

Di  quel  che  il  ciel  della  marina  asciuga, 
Ond' hanno  i  fiumi  ciò  che  va  con  loro,  25 

Virtù  così  per  nimica  si  fugar 2J 

Da  tutti,  come  biscia,  o  per   sventura  27 
Del  loco,  o  per  mal  uso  che  gli  fruga: 
*°-     OncT  hanno  sì  mutata  lor  natura  ** 
Gli  abitator  della  misera  valle, 
Che  par  che  Circe  gli  avesse  in  pastura.  29 

Tra  brutti  porci,  più  degni  di  galle,  30 
Che  d'altro  cibo  fatto  in  uman  uso, 

**  Ond' hanno  i  fiumi  ecc.  Il  mare  ha  bisogno  dei  fiumi  per  non 
asciugarsi,  e  i  fiumi  hanno  bisogno  del  mare  per  formarsi. 

*»  Virtù  cosi  ecc.  Tutti  fanno  guerra  a  virtù  qual  loro  nimica, 
come  farebbero  guerra  ad  una  biscia  pur  loro  nemica. 

Questo  è  morto  più  che  esser  vizioso  o  contrario  a  virtù,  per- 
chè si  potrebbe  non  amare  la  virtù,  e  in  pari  tempo  astenersi  dal 
perseguitarla.  Questo  e  quell'ultimo  eccesso  a  cui  accenna  Isaia 
(V,  20)  dove  dice:  Vae  vobis  qui  dic'tis  bonnm  malum,  et  malum 
honum.  Questo  è  quel  reprobum  sensum  dell* Apostolo,  in  cui  ca- 
dono coloro,  ebe  per  lungo  abituarsi  nel  male  sono  abbandonati 
da  Dio. 

27  O  per  sventura  del  loco,  o  per  mal  uso  ecc.  Espressione  en- 
fatica, che  si  usa  quando  non  si  sa  come  render  ragione  di  qualche 
mostruoso  avvenimento,  che  si  attribuisce  o  a  destino  del  luogo, 
o  ad  un  inconcepibile  talento  del  male,  che  al  mal  ci  trascina. 

*&S\  mutata  lor  natura.  Lor  natura  umana  per  acquistarne  uua 
bestiale. 

**Che  par  che  Circe  ecc.  Circe  era  una  strega,  che  quanti  uomini 
cadevano  nelle  sue  mani  li  trasmutava  in  bestie  e  le  pascolava. 
Dunque  i  Valdancsi  sembravano  uomini  fatti  bestie.  Infatti  ora  gli 
enumererà  sotto  li  forma  di  diverse  bestie.  Questa  che  pare  una  esa- 
gerazione, non  è  finalmente  che  pretta  verità  scritturale.  Anche  la 
santa  Scrittura  assomiglia  certi  peccatori  ai  cavalli  ed  ai  muli,  s'euf. 
equus  et  mulu8  quibus  non'est  inlellectus  (Tob.  VI,  17)  e  qualunque 
altro  agli  animali  in  genere:  Animali*  homo  non  percipit  ea  quae 
sunt  spiritus  (I,  Cor.  ff,  14). 

so  Tra  brulli  porri  ecc.  Anche  in  san  Matteo  (VII,  6)  si  chia- 
mano porci  gli  uomini  sensuali:    Solile,  projiccre  margaritas  aule 

20 


306  PURGATORIO 

Dirizza  prima  il  suo  povero  calle,  8I 
Botoli  trova  poi  venendo  giugo,  3* 

Ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa, 
Ed  a  lor  disdegnosa  torce  il  muso.  w 
Vasai  caggendo,  e  quanto  ella  più  ingrossa,  n 

porcos.  Tali  sono  chiamati  quelli  del  Casentino  paese  montuoso  tra 
Falterona  ed  Arezzo.  Taluni  ci  veggono  una  allusione  ai  Conti 
Guidi  di  Romena  nel  Casentino  detti  di  Porciano,*na  qui  evidente 
si  parla  di  un  intero  popolo,  e  non  di  una  famiglia  particolare. 
È  molto  credibile  che  montanari,  quali  eran  questi,  dediti  alla  cura 
dille  raandre,  fossero  succidi  nel  loro  vivere,  e  forse  anche  volut- 
tuosi e  mangioni;  vizi.,  che  ordinariamente  si  contraggono  negli  ozi 
montani.  —  Galle.  Ghiande. 

31  Dirima  prima  ecc.  L'Arno  pel  Casentino  per  esser  propinquo 
alla  sua  sorgente,  ha  un  alveo  assai  ristretto. 

32 Botoli  ecc.  Questi  sono  gli  Aretini,  detti  botoli  o  cani  piccoli 
ringhiosi,  per  esprimere  la  loro  impotenza  unita  ad  oltracotanza.  An- 
che il  nome  di  cani  è  dato  dalla  sacra  Scrittura  ai  peccatori.  Citerò 
sol  qualche  passo:  drcunderunt  me  canee  multi  (Salm.  XXI,  17). 
Notile  sanetum  dare  eanibus  (Mntt.  VII,  6).  Non  est  bonum  sumere 
panem  filtorun  et  mittere  eanibus  (Mar.  VII,  27).  Canis  rever$u$  ad 
suum vomilum  (2  Pet.  11,21).  Foris  canea,  et  venefic i  (Apoc.XXIF,  15). 
Venendo  giuso.  Da  nord  a  sud  lunghesso  le  falde  dell' Apetin ino. 

33  Torce  il  muso.  Come  i  passaggieri  usano  fare  coi  botoli,  che  li 
Lisciano  gridare  e  se  ne  vanno  pei  fatti  loro  sdegnandoli,  cosi  fa  la 
ville  d'Arno,  o  l'Arno  cogli  Aretini,  perchè  l'Arno  giunto  nelle  vi- 
cinanze d'Arezzo,  cambia  subito  corso  e  direzione.  Prima  da  Falte- 
rona  ad  Arezso  ha  la  direzione,  come  dicemmo,  da  nord  a  sud,  e  ad 
Arezzo  prende  la  direzione  da  sud  a  nord- ovest.  La  lotterà  V  sarebbe 
il  preciso  corso  del  fiume,  ed  Arezzo  sarebbe  pi-esso  la  punta  così: 

Nord 


o  Arezzo 

3*  Fasti.  Il  si  è  riempitivo.  Quant'clla  più  ingrossa,  —  Tanto  ecc. 
Ella  ò  ingegnosissima  questa  corrispondenza  di  ingrandimento  di 
fiume,  e  ingrandimento  di  bestie  :  prima  cani  piccoli  e  poi  cani  mag- 
giori, 088 i a  lupi,  che  sono  già  della  stessa  famiglia,  ma  più  feroci. 


CANTO  XIV.  307 

*>°-         Tanto  più  trova  di  can  farsi  lupi 
La  maledetta;  e  sventurata  fossa. 
Discesa  poi  per  più  pelaghi  cupi,  3IJ 
Trova  le  volpi  sì  piene  di  froda,  3tì 

Questi  lupi  sono  i  Fiorentini  visitati  dall'Arno  già  grosso,  e  oltre 
la  metà  del  suo  corso.  Dei  lupi  è  propria  la  prepotenza  e  la  rapacità. 
Queste  qualità  il  poeta  le  riconosce  ne1  suoi  cittadini.  Anche  la  sacra 
Scrittura  chiama  gli  uomini  di  (al  fatta  col  nome  di  lupi.  In  So  fo- 
nia (III,  3):  Judices  ejus  lupi.  In  san  Matt.  (VII,  15):  Jntrinsecus 
antera  sunt  lupi  rapaces.  E  Gesù  Cristo  dice  di  mandare  i  suoi: 
Sicut  ove s  in  medio  luporum  (Matt.  X,  1(>).  E  san  Paolo  dice  che 
partito  lui, entreranno  nei  Cristiani  dei  lupi:  Inlrabunt  post  disocs- 
sionem  meam  lupi  rapaces  in  w$.  Per  questo  Dante  nel  Par.  XXV 
chiama  sé  agnello  e  i  suoi  Fiorentini  lupi  : 

Se  mai  con  tinga  che  il  poema  sacro 


Vinca  la  crudeltà  che  fuor  mi  serra. 
Del  bello  ovile,  ov'io  dormi' agnello 
Nimico  a'  lupi  che  gli  danno  guerra. 

85  Per  più  pelaghi  cupi.  L'Arno  da  Firenze  a  Pisa  s'allarga  pel 
piano,  dove,  e  pel  suo  maggiore  ingrossamento  e  pel  suo  minor  corso 
di  quello  che  avea  sopra  Firenze,  dice  il  poeta  che  discendo  per  pe- 
laghi: e  questi  cupi  perchè  bassi  ed  ombrosi.  Con  questa  descrizione 
prepara  il  fiume  stesso  a  rassomigliarsi  meglio  agli  abitanti  fra  quali 
trascorre:  il  fiume  stesso  viene  cosi  ad  essere  un'immagine  dei  Fio- 
rentini e  degli  Aretini. 

*6  Trova  le  volpi  ecc.  I  Pisani  posti  presso  la  foce  dell'Arno,  e 
chiamati  volpi  per  la  loro  natura  frodo  lente,  che  si  dice  anche  vol- 
pina, perchè  le  frodi  e  gl'inganni  sono  proprii  della  volpe,  la  quale 
perciò  si  giova  delle  tenebre  notturne,  e  dei  cupi  tradimenti.  Anche 
Gesù  Cristo  chiamò  volpe  quell'ingannatore  di  Erode,  che  per  dis- 
farsi di  lui,  e  far  si  ch'egli  partisse  da  suoi  stati,  e  ritornasse. a 
Gerusalemme,  perchè  la  presenza  di  Cristo  in  Galilea  gli  riusciva 
Importuna,  per  le  lodi  ch'egli  dava  al  Battista  da  lui  crudelmente 
ucciso,  fece  suggerirgli  da  terze  persone,  che  si  finsero  amanti  di 
Gesù,  di  andarsene  dalla  Galilea  perchè  sapevano  che  Erode  lo  cer- 
cava a  morte.  Ma  Gesù  Cristo  conoscendo  già  la  trama  rispose  loro: 
Ite  et  dicite  vulpì  UH  ecc.  (Lue.  XIII,  32). 


308  PURGÀTORfO 

Che  non  temono  ingegno  che  le  occiipi.  a7 
Né  lascerò  di  dir,  perch'altri  m'oda:    38 
E  buon  sarà  costui  s' ancor  s'ammenta  89 
Di  ciò,  che  vero  spirto  mi  disnoda.  *° 
Io  veggio  tuo  nipote,  che  diventa  4I 

3"»  Che  lo  occupi.  Che  le  soperchi,  o  vinca. 

38  Per  eh' altri.  Quantunque  altri.  Accenna  alla  presenza  dei  due 
sconosciuti. 

39  E  buon  sarà  costui  ecc.  E  sarà  buona  cosa  se  costui  si  ricorda, 
a  suo  tempo  di  ciò,  ecc. 

Nel  verso  antecedentemente  il  pronome  altri  si  riferisce  ad 
ambedue  i  poeti,  ma  qui  perchè  parla  di  cosa  che  si  riferisce  ad  un 
abitante  di  Val  d'Arno,  e  che  potrebbe  giovargli  il  saperla,  parla  di 
un  solo  e  dice  costui.  Dell'altro  non  può  dir  niente,  perchè  non  sa 
chi  sia. 

*o  Di  ciò  che  vero  spirto  mi  dimoda.  Di  ciò  che  un  vero  spirito 
profetico  mi  fa  dire,  mi  strappa  dal  labbro. 

ài  lo  veggio  tuo  nipote,  ecc.  Accenna  al  fatto  seguente,  che  mi 
piace  ricordare  colle  parole  di  C.  Balbo  (Vita  di  Dante,  voi.  IT,  ci): 
Scarpetta  al  principio  del  1303  mosse  contro  Firenze  a  capo  degli 
esuli  fiorentini,  e  di  una  gran  lega  per  essi,  Forlì,  Imola,  Faenza, 
Bologna.  Arezzo  con  Uguecione  a  buono  o  mal  grado,  Federigo  di 
Montcfelfro,  e  Bernardino  da  Poleuta,  il  fratello  di  Francesca,  il 
compagno  d'arme  di  Dante  a  Campaldino;  mentre  Pisa,  Pistoja 
e  gli  Ubaldini  in  armi  distraevano  l'attenzione  e  le  forze  fiorentine. 
E  fin  da  Verona  Bartolomeo  della  Scala,  gran  Ghibellino  di  Lom- 
bardia mandò  loro  aiuti.  Quattro  mila  fanti  e  settecento  cavalli  fu* 
rono  in  tutto.  Ma  tutto  quello  sforzo  si  ruppe  contro  il  misero  fa- 
stello di  Pulicciano  presso  a  Borgo  san  Lorenzo.  Dove  minacciati 
più  che  assaliti  i  fuorusciti  dal  successore  di  messcr  Cante  nella 
podesteria  di  Firenza,  Falcieri  de'Calboli,  nemico  personale  di  Scar- 
petta, si  dispersero  e  fuggirono  alla  spicciolata,  presi  ed  uccisi  molti 
da' Paesani.  Tra' primi  messer  Donato  Alberti  —  fu  menato  (son 
parole  di  Dino  pag.  500)  vilmente  su  un  as:no  con  una  gonneUetta 
d'un  villano  ni  podestà.  Il  quale  quando  il  vide  lo  domandò:  Siete 
voi  messcr  Donato  Alberti?  rispose:  Io  sono  Donato;  così  ci  fosse 
iunanzi  Andrea  da  Corretto,  e  Nicola  Acciainoli,  e  Baldo  d'Agn- 
glionc,  e  Jacopo  da  Cestaldo,  che  hanno  distrutta  Firenze.  (Erano 
traditori  de*  Bianchi  passati  ai  Neri  di  Falcieri).  Allora  lo  pose  alla 


CANTO  XIV.  800 

Caccintor  di  quei  lupi  in  sulla  riva  42 
60-         Del  fiero  fiume,  e  tutti  li  sgomenta:  A3 
Vende  la  carne  loro,  essendo  viva;  4i 
Poscia  li  ancide,  come  antica  belva;  M 

colla,  e  accomodò  la  corda  all'aspo,  e  così  vel  lasciò  stare,  e  fé' 
aprire  le  finestre,  e  le  porte  del  palazzo,  e  fece  richiedere  molti  cit- 
tadini sotto  altre  cagioni  perchè  vedessero  lo  strazio  e  la  derisione 
che  iacea  di  lui;  e  tanto  procurò  il  podestà,  che  gli  fu  conceduto 
il  tagliargli  la  testa,  E  questo  fece  (notate  bene  le  seguenti  parole 
di  Dino  che  spiegano  il  verso  :  Vende  la  cai  ne  ecc.  che  viene  ap- 
presso^ perchè  la  guerra  gli  era  utile,  e  la  pace  dannosa;  e  così 
fece  di  tutti.  —  Ma  Dante  non  fu  a  questa  guerra  del  Mugello; 
che  quell'aiuto  di  Bartolomeo  della  Scala  alla  lega  Bianca  Ghibel- 
lina c'è  memoria  fosse  mandato  per  opera  di  Dante  ambasciadore 
a  Verona  (Pellip.  123).  Era  opera  conforme  ai  carichi  al  mestiere 
diplomatico  di  Dante  prima  dell'esilio  ;  onde  non  è  da  maravigliare 
gli  fosse  or  commessa  dagli  esuli;  e  quindi  si  vede  l'occasione  che 
ebbe  Dante  d'andare  a  Verona,  la  quale  altrimenti  uè  si  spiega, 
ce  si  può  intendere. 

i*Cacciator  di  quei  lupi.  Insiste  sull'allegoria.  Dal  momento  che 
ha  chiamato  lupi  i  Fiorentini,  ne  viene  che  il  loro  tiranno  e  carne- 
fice dovea  dirsi  cacciator. 

&  Fiero.  Perchè  abitato  da  uomini  feroci.-  Tutti  li  sgomenta.  Dopo 
la  guerra  del  Mugello  fatta  dagli  esuli  per  ultimo  tentativo  di  ri- 
patriare,  e  ita  cosi  a  male,  tutti  quei  Bianchi  che  o  palesemente  o 
di  nascosto  favorirono  quel  tentativo  sia  del  contado  che  della  città, 
vissero  in  continuo  timore  per  le  catture  e  sentenze  che  vedeano 
farsi  ogni  di  su  di  loro  dalla  parte  Nera,  a  cui  favoriva  il  vincitore 
Falcieri.  Questo  è  espresso  da  Dino  in  quelle  parole  della  nota  4  : 
e  così  fece  di  tutti. 

**  Vende  la  carne  loro  essendo  viva.  Vuol  dire  che  il  podestà 
Falcieri  alle  richieste  dei  Neri,  e  dietro  danari  concedeva  d'impri- 
gionare or  questo  or  quello  dei  Bianchi  rimasti  in  patria,  e  che  spe- 
ravano che  la  sevizie  non  si  stendesse  sopra  di  loro  per  non  aver 
presa  parte  attiva  alla  spedizione  di  Mugello.  Questa  è  la  carne  viva 
dei  Bianchi,  contrattata  e  concessa  da  Falcieri 'alle  ire  ed  ai  danari 
dei  Neri. 

*s  Poscia  li  andde  ecc.  Fatto  coi  Neri  il  contratto  dei  Bianchi, 
passava  Falcidi  alla  loro  caiceiazionc  ed  uccisione. 


49 


310  PURGATORIO 

Molti  di  vita,  e  sé  di  pregiò  priva.  4* 
Sanguinoso  esce  della  trista  selva;  *7 
Lasciala  tal,  che  di  qui  a  uiiir  anni  48 
Nello  stato  primai  non  si  rinselva. 
Come  all'  annunzio  de'  futuri  danni 
Si  turba  il  viso  di  colui,  che  ascolta, 
Da  qual  che  parte  il  periglio  l'assanni  ; 
70-     Cosi  vid'io  l'altr'  anima,  che  volta 

Stava  ad  udir,  turbarsi  e  farsi  trista, 
Poi  ch'ebbe  la  parola  a  sé  raccolta.  b0 
Lo  dir  dell'una,  .e  dell'altra  la  vista 
Mi  fé1  voglioso  di  saper  lor  nomi, 

*6  Molti  di  vita.  Ricordatevi  il  detto  di  Dino  testò  allegato:  e 
così  fece  con  tutti. 

*7  Sanguinoso  esce  ecc.  Falcieri  lascia  la  podesteria  di  Firenze, 
come  un  beccaio  esce  dal  suo  macello,  tutto  sangue.  —  Trista  selva. 
Avendo  chiamato  lupi  i  Fiorentini,  e  cacciatore  il  Falcieri,  la  città 
di  Firenze  dovea  chiamarsi  selva. 

*8  Lasciala  tal  che  ecc.  Qui  il  poeta  oltre  ai  danni  fatti  da  Fal- 
cieri alle  persone  colla  morte,  accenna  ai  danni  fatti  alle  case  dì  Fi- 
renze, che  appartenevano  ai  ribelli,  e  che  furono  o  rubate  o  incen- 
diate. Laonde  quando  Falcieri  usci  di  carica,  lasciò  Firenze  in  un 
mucchio  di  ruine,  a  risarcire  le  quali  non  avrebbero  bastati  mille  anni. 
Questo  era  il  fine  luttuoso  di  tutte  le  guerre  civili  del  medio  evo  ; 
dopo  inveito  contro  le  persone,  si  inveiva  contro  i  beni.  Cosi  tante 
bellezze  ch'erano  il  frutto  di  molti  secoli,  in  brev'ora  sparivano. 

*9  Da  qual  che  parte  ecc.  Il  Cesari,  giudice  competente  in  que- 
sto fatto,  riduce  così  il  costrutto:  Da  qual  parte  che  ecc.,  il  che 
risponde  al  dire:  Onde  gli  venga,  o  lo  assalti  il  periglio.  In  sostanza 
il  che  è  riempitivo.  Ne  avete  l'esempio  neM^onde  stesso,  perchè  si 
dice  onde,  e  ondechh  promiscuamente.  Ora  Da  qual  parte,  e  onde 
è  lo  stesso.  Apponetevi  un  che  riempitivo  ecco  fatto  tutto.  Il  che  e 
una  particella  che  ora  pì  mette  come  riempitiva,  ed  ora  si  tralascia 
anche  dove  va.  Perciò  Dante  spesso  disse  poi  per  poiché,  come  in 
quel  verso:   Poi  fummo  dentro  ni  soglio  della  porta* 

i0  Poi  eli  ebbi*  la  parola  ecc.  Poi  ch'rbbc  ascoltato  la  predizione 
che  l'onici  a  gli  fece  «ulle  enormi  crudclts'i  di  óuo  nipote. 


CANTO  XIV.  311 

E  dimanda  ne  fei  con  priegbi  mista: 
Perchè  lo  spirto,  che  di    pria  parlómi,  8! 

Ricominciò  :  Tu  vuoi  eh'  io  mi  deduca  M 

Nel  fare  a  te  ciò,  che  tu  far  non  vuo'mi; 
Ma  dacché  Dio  in  te  vuol  che  traluca 
80-         Tanta  sua  grazia,  non  ti  sarò  scarso: 

Però  sappi  eh1  io  son  Guido  del  Duca.  53 
Fu  il  sangue  mio  d1  invidia  sì  riarso,  b4 

Che  se  veduto  avessi  uom  farsi  lieto, 

Visto  m'avresti  di  livore  sparso. 
Di  mia  semenza  cotal  paglia  mieto.  8S 

O  gente  umana  perchè  poni  il  core 
•  Là  Ve  mestier  di  consorto  divieto?  56 

si  Lo  spirto,  che  di  pria  parlómi.  Il  profeta  delle  crudeltà  di 
Falcieri. 

s*  Tu  vuoi  ch'io  mi  deduca  — Nel /are  a  te  ecc.  Tu  vuoi  ch'io 
m'induca  a  dire  i  nostri  nomi,  mentre  tu  non  bai  voluto  compia- 
cermi dire  il  tuo. 

**  Guido  del  Duca,  Da  Bertinoro  tra  Forti  e  Cesena  nelle  Ho- 
magne. 

M  Fu  il  sangue  mio  ecc.  L' invidia  dissecca  il  sangue,  e  però  noi 
ve  di  atrio  spesso  le  persone  molto  dedite  a  questo  vizio  avere  una 
cera  livida. 

W  Di  mia  semema*  Del  mio  peccato  raccolgo  questo  frutto.  E 
un'idea  scritturale  come  quella  (Ag.  I,  6)  ■  Seminastis  multvm  et  in- 
tulistis  parum,  e  meglio  l'altra  (Sai.  VI,  7):  Quae  seminaverit 
homo  haec  et  metet. 

W/jàVè  mestier  ecc.  Sono  parole  dello  stesso  Guido,  e  vogliono 
dire:  Perchè  poni  il  cuore  nelle  cose  terrene?  Le  cose  terrene  hanno 
una  infelice  qualità,  ed  è  che  quanti  più  sono  i  partecipanti  ad  esse, 
e  tanto  più  esse  si  scemano.  Per  esempio  :  muore  un  padre  che  ha  1000 
campi  ed  un  unico  figlio:  a  questo  unico  figlio  toccheranno  tutti  i 
mille  campi.  Ma  supponete  che  i  figli  invece  di  esser  uno,  sieno 
dieci,  a  ciascun  figlio  toccheranno  cento  campi.  Perchè  tale  è  la 
proprietà  dei  beni  terreni,  dove  quanti  più  sono  i  soggetti  che  ne 
godono,  e  tanto  più  essi  si  ristringono  e  impiccioliscono.  Per  questo 
l'invidia  non  può  aver  luogo  che  nelle  cose  terrene,    che  a    godere 


312  rUUO  ATORTO 

Questi  è  Rinier  ;  questi  ò  il  pregio  e  l'onore  57 
Della  casa  da  Calboli,  ove  nullo  '** 
90-         Fatto  s'è  reda  poi  del  suo  valore; 

E  non  pur  lo  suo  sangue  è  fatto  brullo  51> 
Tra  '1  Po  e  il  monte,  e  la  marina  e  il  Reno,  w 
Del  ben  richiesto  al  vero,  ed  al  trastullo;  *' 

Chò  dentro  a  questi  termini  è  ripieno  M 
Di  venenosi  sterpi,  si  che  tardi  63 

per  intero  non  vogliono  compagni:  ecco  il  divieto  di  consorto.  Al- 
l'incontro le  cose  celesti  hanno  una  qualità  tutta  contraria.  Qunn'o 
più  cn^ctì  il  numero  dei  parti  cipanti,  e  tanto  più  esse  crescono  : 
quindi  in  queste  cose  non  può  aver  luogo  l'invidia;  anzi  l'intervie 
di  ogni  particolare  vorrebbe  che  ci  fossero  più  compagni  Uie  fosso 
possibile.  E  tutto  questo  per  una  semplicissima  ragione,  che  i  beai 
terreni  sono  limitati,  i  celesti  sono  immensi. 

S7  Questi  è  Rinier  ecc.  Di  questo  personaggio  non  si  sa  ora  più  di 
quel  che  ne  dice  il  poeta.  A  suoi  tempi  però  dev'essere  stato  io 
gran  credito.  Tanto  si  dica  di  quasi  tutti  gli  airi  personaggi  toccati 
in  questo  canto;  molto  conosciuti  a  quei  tempi,  ed  ora  dimenticati. 

te  Ove  nullo  —  Fatto  s'è  reda  ecc.  Nessun  suo  discendente  ere- 
ditò la  virtù  di  Riniori. 

56  Los»io8a?ifjue.  La  sua  discendenza  — Brullo. Spoglio,  privo, nodo* 

co  Tra  il  Po  ecc.  Accenna  i  confini  della  Romagna,  che  ha  il  Po 
a  nord,  l'Adriatico  ad  est,  il  Reno  ad  ovest,  l'Apennino  a  sud.  Nella 
Romagna  dunque  noti  solo  la  Casa  da  Calboli  è  ora  tralignata,  ma 
anche  tutte  le  altre  famiglie  nobili  sou  divenute  tali. 

61  Del  ben  richiesto  ecc.  Il  b»n  che  riguarda  il  vero,  è  la  spe- 
ranza con  tutte  le  sue  ramificazioni;  il  ben  eh»,  riguarda  il  trastullo 
sono  tutte  le  arti  liberali,  con  tutte  lo  loro  ramificazioni.  Sicché  da 
questa  casa  e  dalle  altre  di  Romagna  non  si  coltivano  più  né  scienze 
divine  od  umane,  nò  arti  belle. 

62CAe  dentro  a  questi  termini  ecc.  Iu  Romagna  circoscritta  ai 
detti  conimi. 

6-J  Di  venenosi  sterpi  ecc.  Allegoria  delle  case  nobili  di  Romagna 
paragonate  a  piante  parassi  tu  e  dannose.  Anche  nel  Vrangelo  1'  uomo 
è  p:ir.i^on;i(o  ad  una  ficaia,  che  non  tacendo  frutto  occupava  la  terra 
iuutilmei.te.  im/.i  condanno  dei  l-tp-uo;  della  quale  di**e  Gesù  Cripto  ut 
q'yìil  :crr'.im  occupai?  e  coni. nulo  eh»-  t'-.'oit  i\cua e  gettata  bruciare. 


CANTO  XIV.  313 

Per  coltivare  ornai  verrebber  meno.  6* 
Ov'è  il  buon  Ligio  ed  Arrigo  Manardi,  6* 
Pier  Traversaro,  e  Guido  di  Carpigna? 
O  Romagnuoli  tornati  in  bastardi  !  6C 
100.    Quando  in  Bologna  un  Fabbro  si  ralligna?  67 
Quando  in  Faenza  un  Bernardin  di  Fosco, 
Verga  gentil  di  picciola  gramigna? 
Non  ti  maravigliar  s'io  piango,  Tosco, 
Quando  rimembro  con  Guido  da  Prata  6S 
Ugolin  d'Azzo,  che  vi  vette  nosco;  *> 
Federigo  Tignoso,  e  sua  brigata,  70 
La  casa  Traversara,  e  gli  Anastagi,  7I 
(E  l'ima  gente,  e  l'altra,  è  diredata),  "2 

&  Ptr  coltivare  ornai  ecc.  Tanto  le  Romagna  sono  piene  di  nobili 
inutili  e  dannosi;  che  solo  con  una  buona  riforma  di  educazione, 
(per  coltivare)  e  dopo  il  corso  di  molti  anni  (tardi)  si  verrebbe 
a  rimediarvi.  Quando  una  generazione  è  depravata  non  v'ha  altra 
speranza  che  educarne  un'altra  aspettando  con  pazienza  i  suoi  frutti. 

6*  Ov'è  il  buon  Ligio  ecc.  Tutti  cavalieri  onorati  intorno  alla  meta 
del  XIII  secolo,  allor  famosi,  ora  dimenticati.  Ligio  fu  di  Valbona; 
Mainardi  di  Brettinoro  o  di  Faenza;  Pier  Traversaro  di  Ravenna, 
e  Guido  di  Carpigna  luogo  di  Mon:  efeltro.  La  frase:  Ov'è  il  buon 
Ligio  ecc.  va  intesa  cosi:  Ov'è  ora  chi  somiglia  al  buon  Ligio  <ce. 

fó  Tornati  in  bastardi!  Divenuti  degeneri  dalla  virtù  degli  avi. 

61  Quando  in  Bologna  eec.  Quando  verrà  mai  quel  tempo  in  cui 
sorgerà  a  Bologna  chi  somigli  ad  un  Fabbro  (Domenico  Fabbri  de' 
Lambertazzi),  ed  in  Faenza  chi  somigli  ad  un  Bernardin  di  Fosco, 
che  nato  di  bassa  stirpe  (di  piccola  gramigna)  divenne  eccellente 
lavoratore  in  terra,  e  molto  ammirato?  (Verga  gentil). 

w  Prata.  Castello  tra  Faenza  e  Forlì. 

W  Ugolin  oVAzzo.  Degli  Ubaldini.  —  Che  vivette  nosco.  Che  quan- 
tunque di  Toscana,  vi3se  però  in  Romagna. 

™  Federigo  Tignoso  ecc.  Visse  in  Brettinoro,  convitando  colà  di 
buoni  e  onesti  amici. 

''   Traversata,  Di  Ravenna.  Gli  Anastagi  pur  di  Ravenna. 

~'*  E  luna  grate,  e  l'altra  ecc.  Tutte  le  care  che  ho  nominato 
sono  Uiredate,  o  senza  eredi  delle  avite  virtù,  ossia  sono  tralignate. 


314  PURGATORIO 

Le  donne  e  i  cavalier,  gli  affanni  e  gli  agi, 7* 
HO-        Che  ne  invogliava  amore,  e  cortesia 
Là  dove  i  cuor  son  fatti  sì  malvagi. 

O  Brettinoro,  che  non  fuggi  via,74 
Poiché  gita  se  n'è  la  tua  famiglia, 
E  molta  gente  per  non  esser  ria? 

Ben  fa  Bagnacaval,  che  non  rifiglia,  75 
E  mal  fa  Castrocai»  e  peggio  Conio,  76 
Che  di  figliar  tai  conti  più  a'  impiglia. 

"3  TjC  donne  e  i  cavalier  ecc.  Le  donne  che  servivano  di  sprone, 
di  virtù  ai  cavalieri  degni  di  loro,  per  cui  questi  si  davano  alle 
onorate  imprese  (affanni),  e  poi  veniano  tra  gli  agi  donneschi  a 
raccontarle  in  ameno  conversazioni,  le  quali  servivano  a  metter  nel 
cuor  degli  uomini  miti  sensi  e  dolcezza  di  maniere  (che  ne  invo- 
gliava amore  e  cortesia),  colà  stesso  dove  ora  altre  non  sono  che 
cuori  malvagi  o  duri, 

74  O  Brettinoro  ecc.  Espressione  enfatica  di  Guido  contro  la  sua 
patria,  a  cui  consiglia  di  fuggire  anch'essa,  dopo  che  la  famiglia  di 
Guido,  e  altre  molte  famiglie  l'abbandonarono,  per  non  contrarre  i 
pessimi  costumi  degli  abitanti  degenerati.  Gli  antichi  nobili  di  Bret- 
tinoro erano  ci  gelosi  dei  buoni  costumi ,  che  non  permisero  mai 
alberghi  od  osterie,  ma  qualunque  giugnesse  lo  ospitavano  alle  lor 
case.  —  La  tua  famiglia.  Per  antonomasia.  Da  questo  si  vede  che 
la  famiglia  di  Guido  era  signora  di  Brettinoro.  Anch'essa  dovette 
esiliare  per  civili  discordie,  e  per  non  pregiudicare  alla  propria  co- 
scienza, restando.  Da  ciò  pure  apparisce,  che  lo  stare  o  l'andare 
era  in  loro  scelta;  e  che  elessero  andare,  perchè  rimanendo  avreb- 
bero dovuto  partecipare  ai  mali  del  governo. 

1S  Ben  fa  Bagnicaval  ecc.  Nomina  i  luoghi  pei  signori  di  quei 
luoghi.  Bagnacaval,  ad  est  di  Lugo  retto  dai  Mala  bocca,  che  aveano 
cessato  di  figliare,  la  quale  estinzione  di  famiglia  è  dal  poeta  rite- 
nuta per  una  grazia,  perchè  cosi  è  tolto  il  pericolo  di  aver  figli 
degeneri. 

™  E  malfa  Casirocaro  ecc.  I  Conti,  o  signori  di  Cast  rocaro  fanno 
male  ad  attendere  alla  generazione  di  nuovi  nV«i,  e  peggio  fanno 
i  Conti  di  Conio  (entrambi  erano  castelli  di  Romagna)  più  fecondi 
nella  generazione:  sempre  per  la  ragione  che  i  figli  bono  degenci  i. 
Aneli*    h.   S.   Matteo  'J.\.  lì).  :?i  nota  I:.   r\<ntinr»di  .»v  r  figliolanza 


CANTO  XIV.  3!f> 

• 

Ben  faranno  i  Pagan,  da  che  il  Demonio  71 
Lor  sen  gira  ;  ma  non  però  che  puro  ,8 
120.       Giammai  rimanga  d'essi  testimonio. 

O  Ugolin  de'  Fantoli,  sicuro  79 
E  il  nome  tuo,  da  che  più  non  s'aspetta 
Chi  far  lo  possa,  tralignando,  oscuro. 

Ma  va  via,  Tosco,  ornai,  ch'or  mi  diletta 
Troppo  di  pianger  più  che  di  parlare  : 
'  Sì  m'  ha  nostra  region  la  mente  stretta.  80 

Noi  sapevam  che  quell'anime  care 
Ci  sentivano  andar  :  però  tacendo  8i 
Facevan  noi  del  cammin  confidare: 
130.   Poi  fummo  fatti  soli  procedendo, 

Folgore  parve,  quando  Taer  fende, 
Voce  che  giunse  di  con  tra,  dicendo  : 

in  quelle  parole:  Vae  praegnantibus  et  nutricntibus  inillis  d;ebu8. 
Onde  in  S.  Luca  23,29,  si  chiamano  beato  le  sterili:  Bealae  ste- 
rile* et  ventres  qui  non  genuerunt. 

Da  questi  pensieri  scritturali  sembrano  attinti  i  pensieri,  clic  qui 
si  sviluppano. 

n  Ben  faranno  i  Pagan.  Rettori  d'Jmola.  Questi  faranno  bene 
a  figliare,  ma  dopo  la  morte  del  loro  padre  Mainardi,  detto  il  De- 
monio per  la  sua  trista  condotta.  Si  dice  dopo  la  morte  del  padre, 
perchè  questi  col  suo  malo  esempio  potrebbe  falsare  i  nipoti. 

78  Ma  non  però  che  puro  giammai  ecc.  I  Pagani,  che  discende- 
ranno di  quelli  non  saranno  però  tutti  buoni  ;  avranno  chi  fa  bene, 
e  chi  fa  male. 

■*•  O  Ugolin  de' Fantoli  ecc.  Signore  di  Faenza,  che  non  ebbe 
figliuoli. 

80  Si  m'  ha  nostra  region.  Nostro  paese,  dove  succedono  tanti 
guai.  Vi  ha  chi  legge:  ragion  (ragionamento).  11  senso  è  lo  stesso. 

81  Però  tacendo,  —  Facevan  noi  del  cammin  ecc.  I  poeti  raccol- 
gono dal  silenzio  dell'anime  dì  trovarsi  sulla  vera  via  che  motte 
alla  salita  per  l'altra  cornice.  Perchè  essendo  esse  si  piene  di  carità 
(anime  care)  se  essi  avessero  errato  il  cammino,  cprto  non  avieb- 
bero  taciuto. 


316  PURGATORIO 

Àncideramnii  qualunque  m'apprende  :  *' 
E  faggio  come  tuon,  che  si  dilegua, 
Se  subito  la  nuvola  scoscende.  ha 

Come  da  lei  l'udir  nostro  ebbe  tregua, 
Ed  ecco  l'altra  con  sì  gran  fracasso, 
Che  somigliò  tonar,  che  tosto  segua  :^ 

Io  son  Aglauro,  che  divenni  sasso.  83 
140.        E  allor  per  istringermi  al  poeta, 

Indietro  feci,  e  non  innanzi  il  passo.  S6 

Già  era  l'aura  d'ogni  parte  queta, 


M  Anciderammi  ree.  Questa  voce  ricorda  la  pena  che  ebbe  l'in- 
vidioso Caino  dopo  l'uccisione  dell' innocente  fratello.  Kgli  temette 
che  altri  col  tempo  facesse  a  lui  ciò  che  egli  fece  ad  Abele,  e  lo 
disse  al  Signore  appunto  con  queste  parole.  L'esempio  d'un  invi- 
dioso punito  va  ben  ricordarlo  ad  anime  che  purgansi  dell'invidia. 
Quello  che  imaginò  il  poeta  pei  superbi,  imagina  pure,  sebben  sot- 
t'a! tra  forma,  pegli  invidiosi.  I  superbi  avevano  da  una  parte  del 
monte  esempi  di  umiltà,  e  dall'altra  esempi  di  superbia:  cosi  gli 
invidiosi  prima  udivano  tr:is\o!are  degli  spiriti  gridando  esempli  di 
amore,  come  abbiamo  osservato  nel  Canto  XIII,  e  qui  odono  altri 
spiriti  gridare  esempi  d'invidia,  come  Virgilio  ne  aveva  giù  av- 
vertito il  poeta  uel  Canto  stesso  XIII:  Credo  che  V udirai,  per  mio 
avviso,  —  Prima  che  giungiti  al  passo  del  pei  dono, 

*>* Se  subito  la  nuvola  sco.<cfhde.  Il  tuono  altro  non  è  che  elet- 
ti ico  che  passa  di  nube  in  nube  fendendole.  La  celerità  dunque  del 
tiK.no  dipende  dalla  celerità  di  fendere,  o  scoscendere  le  nubi. 

*>»  Tonar,  che  tosto  segua.  Un  secoudo  tuono  che  tenga  dietro  sabito 
al  primo,  come  avviene  quando  l'atmosfera  è  tutta  ingombra  di 
nubi  e  pregna  di  elettrico,  dove  uu  tuono  segue  all'altro. 

**>  Io  sono  Aglauro  ecc.  Altra  invidiosa  delle  favole.  Aglauro  figlia 
di  Kretteo  re  di  Atene,  perch'ebbe  invidia  che  sua  sorella  fosse 
amata  da  Mercurio,  fu  dal  nume  Messo  convertita  in  sasso.  Anche 
i  fatti  favolosi  non  diseouveiigo.io  in  quanto  che  esprimono  l'opi- 
nione universale  anche  degli  id<  litri  eh'  l'invidia  è  un  vizio  degno 
di  pena. 

&>  Indietro  fivi  ecc.  L  eiiniL-  a  qikl  dei  Piov.  XXXI:  Rtddet 
ti  boHiim  et  non   mala:n. 


CANTO  X!Y.  317 

Ed  ei  mi  disse  :  Quel  fu  il  duro  eamo,  87 
Chedovria  Tuoni  tener  dentro  a  sua  meta  :  8* 
Ma  voi  prendete  l'esca  sì,  che  l'amo  R,J 
Dell'  antico  avversario  a  sé  vi  tira  ; 

81  Quel  fu  il  duro  eamo  ccc  Quel  ch'hai  udito  da  queste  due 
voci  ò  il  duro  freno  (eamo)  di  cui  t'ho  accennato  poco  fa  fC.  XIII) 
quando  dissi,  a  proposito  di  altre  voci,  che  parlavano  esempi  di 
amore  : 

"  Lo  fren  vuol  esfer  del  contrario  suono: 
Credo  che  l'udirai  per  mio  avviso 
Prima  che  giungili  al  passo  del  perdono. 
Ecco  infatti  che  anche  qui  l'hai  udito,  come   t'avea  predetto. 
Le  voci  udite  prima  e  quelle  udite  «desso,  quantunque  quelle  sicno 
di  esempi  d'amore,  queste  d'invidia,  pure  tutte  e  due  sono  contrarie 
all'invidia  stessa,  quelle  colla  virtù,  queste  colla  pena.. 

88  Che  dovria  l'uom  tener  ecc.  Questa  è  una  lezione  di  filosofia 
morale  sul  vero  oggetto  dell'  amore  dell'uomo,  che  Virgilio  fa  a  Dante 
e  in  lai  a  tutto  il  mondo.  Questa  lezione  e  illustrata  da  tre  simi- 
litudini una  più  Mia  dell'altra.  La  prima  è  tolta  dai  cavalli,  la  se- 
conda dai  pesci,  la  terza  dal  cielo.  Vediamole  paratamente.  L'uomo 
anche  dalla  santa  Scrittura  è  paragonato  ad  un  cavallo:  In  ca»io 
et  fraeno  mascillus  eorum  coite-Ingo,  qui  non  approximant  ad  te 
(Sai.  31,  9).  Come  ai  cavalli  si  mette  un  freno  per  tenerli  e  diri- 
gerli nel  giusto  cammino  e  dentro  lor  meta ,  così  all'  uomo  perchè 
non  sinistri  dietro  falsi  amori,  che  sono  fuori  della  sua  meta,  e  del 
suo  vero  cammino,  si  dà  per  freno  questo  complesso  di  ricordi  che 
furono  gli  esempi  di  bello  amore,  e  di  brutta  invidia  nominati  di 
sopra.  Cosi  colla  vaghezza  della  virtù,  e  colla  pena  del  vizio  con- 
trario, l'uomo  che  ben  considera  è  per  bè  tenuto  entro  i  confini  di 
un  giusto  amore,  e  va  diritto  alla  sua  meta  suprema.  Questa  prima 
parte  della  lezione  stabilisce  il  fiue  dei  nostri  amori,  e  i  mezzi  per 
corrispondere  a  questo  fine.  Ma  l'uomo  vi  si  assoggetta?  Ecco  la 
seconda  parte  della  lezione,  che  viene  ad  esser  la  pratica,  ossia  la 
ricerca  del  come  l'uomo  vi  corrisponde  col  fatto,  e  questo  si  tratta 
nella  terzina  seguente. 

89  A/a  voi  prendete  l'esca  ecc.  Dio  vi  presenta  per  oggetto  d'a- 
more beni  infiniti  e  veraci,  e  voi  lasciati  questi,  correte  dietro  avi- 
damente a  beni  piccioli  eJ  ingannevoli.  Questo  fatto  elicè  in  aperta 
contraddizione  al  nostro  altissimo  fiue,  e  illustrai.»  dalla  similitudine 


318  PURGATORIO 

E  però  poco  vai  freno,  o  richiamo.  00 
Chiamavi  il  ciel,  e  intorno  vi  si  gira,  9I 

Mostrandovi  le  sue  bellezze  eterne, 
150.       E  Tocchio  vostro  pure  a  terra  mira  : 
Onde  vi  batte  chi  tutto  discerne.  9* 

dei  pesci.  Come  i  pesci  corrono  dietro  all'esca,  vile  e  falso  cibo  che 
a  lor  inganno  offrono  ì  pescatori,  entro  il  quale  sta  celato  il  ferro 
mortifero,  così  gli  uomini  sprezzati  i  veri  ed  immensi  beni  proposti 
loro  da  Dio.  corrono  dietro  af  beni  bugiardi  e  vili,  che  offre  a  loro 
inganno  il  demonio,  il  quale  facendo  con  essi  come  il  pescatore  coi 
pesci,  appena  e' si  accorge  che  hanno  abbocconato  il  cibo,  ritira  la 
corda  e  l'amo,  impiantato  nelle  lor  fauci,  e  per  sé  gli  assicura.  Ecco 
il  fatto  ehe  succede  ogni  di. 

90  E  però  poco  vai  freno  o  richiamo.  Il  nostro  sregolato  amore 
ai  falsi  beni  della  terra  rende  inutile  il  freno  che  Dio  ci  avea  posto 
alla  bocca,  freno  già  dimostrato  nella  prima  parte  di  questa  lezione 
e  rende  inutile  il  richiamarci  che  fa  Dio  a  so,  vero  ed  unico  bene, 
perchè  ormai  l'adunco  ferro  del  demonio  ci  tira  ove  vuole.  Ciò  ap- 
parisce manifesto  nelle  due  similitudini  recate  del  cavallo  e  del  pesce, 
Il  cavallo  nella  sua  ardenza  non  ascolta  più  il  freno,  e  va  in  pre- 
cipizio; ed  il  pesce  attaccato  al  suo  uncino  più  non  può  ritirarsi. 
Ecco  le  prime  conseguenze,  conseguenze  temporali  dei  nostri  er- 
rori, che  sono  come  il  corollario  delle  due  prime  parti. 

°i  Chiamavi  il  cielo  ecc.  Dio  però  non  v'  abbandona  nella  furia 
dei  vostri  errori,  ma  vi  richiama  al  dovere,  ed  è  questa  la  spiega- 
zione del  richiamo  detto  nel  verso  antecedente. 

Che  richiamo?  poteva  dire  alcuno;  e  il  poeta  risponde:  Ecco  qual 
è  il  richiamo.  È  una  voce  amabile  che  vieti  dal  cielo,  colla  mostra 
ch'ei  ci  fa  di  tutte  le  sue  bellezze,  dicendoci  apertamente  ehe  noi 
siamo  fatti  per  esse,  non  già  per  la  terra,  e  che  alziamo  una  volta 
i  nostri  occhi  a  quelle  sfere,  capaci  per  so  medesime  d' innamorarci, 
e  più  capaci  per  quello  che  noi  sappiamo  star  sopra  loro,  che  è  Dio 
e  la  beatitudine  dei  santi,  pei  quali  si  belle  cose  son  fatte. 

Ebbene;  che  facciamo  noi  a  questi  richiami?  Noi  facciamo  i  sordi 
e  ci  ostiniamo  a  guardare  ad  apprezzar  solo  la  terra,  e  la  viltà  de' 
beni  suoi. 

**  Onde  vi  batte  ecc.  Riuscito  inutile  anche  questo  tentativo  del 
Signore  per  appuntare  alla  vera  meta  il  no3tro  ouore,  che  fa  egli 
finalmente?  Ci  amareggia  a  questo  mondo  la  nostra  sognata  felicità*, 


CANTO  XrV.  3 li) 

facendoci  trovare  scontenti  dove  noi  credevamo  di  trovarci  felici,  e 
aggravandoci  di  indicibili  supplizi  nell'altra  vita.  E  queste  sono  le 
seconde  ed  ultime  conseguenze  dei  nostri  ingiusti  amori. 

Chiudiamo  le  osservazioni  a  questo  Canto  col  dir  una  parola  sulla 
convenienza  della  pena  dell'invidia.  La  pena  principale  è  la  cucitura 
degli  occhi  con  un  filo  di  ferro,  da  cui  restano  cicchi.  Siccome  la 
colpa  deriva  dal  guardare  con  occhio  cieco  la  terra  ed  i  suoi  beni 
ponendo  in  essa  ed  in.  questi  la  propria  felicità,  che  naturalmente 
la  si  considera  scemata  se  altri  ne  partecipa,  perciò  è  convenientis* 
sima  la  pena  di  non  poter  nemmen  vedere  la  terra  sì  idolatrata.  AI 
mondo  l'occhio  vostro,  o  anime,  pure  a  terra  mirò.  Ebbene;  al  Pur- 
gatorio non  la  possa  più  mirare,  e  così  impari  a  sprezzarla.  L'in- 
vidia, che  suona  etimologicamente  privazione  di  vista,  ò  punita  se- 
condo il  senso  della  parola. 


CANTO    XV 


Argomento. 

Prima  il  poeta  determina  V  ora,  ed  il  luogo  del  suo  cammino, 
punto  assai  importante.  Dice  poi  che  arrivarono  all'Angelo  por- 
Hnajo  della  terza  scala  che  dalla  cornice  dell'invidia  mette  a  quella 
dell'ira.  L'Angelo  gli  invia  per  issa,  che  è  meno  erta  delle  altre. 
Salendo  chiede  Dante  a  Virgilio  la  spiegazione  di  alcune  parole 
dette  prima  dall'invidioso  Guido  del  Duca,  e  Virgilio  gliele  spiega. 
Lo  affretta  quindi  nel  cammino,  e  lo  avverte  che  gli  fu  dall'An- 
gelo cancellato  un  altro  P  dalla  fronte.  Compiti  questi  discorsi  i 
poeti  si  trovano  al  fine  della  scala  nella  cornice  dell'ira.  Qui  il 
poeta  non  s'arresta,  ma  cammina  verso  occidente  per  più  di  mezza 
lega, colla  mente  sopita  in  alcune  visioni  di  mansuetudine  e  oVira. 
Rientrato  in  sé  stesso  e  chiesto  da  Virgilio  perchè  faccia  i  movi- 
menti di  chi  si  sveglia  dal  sonno,  e  volendo  Dante  raccontargli 
le  sue  visioni,  Virgilio  dice  di  saperle,  e  che  le  cose  da  lui  vedute 
hanno  per  fine  di  disporlo  a  depor  Vira,  ed  a  farlo  pacifico;  e 
che  se  gliene  ha  dimandato,  era  per  {stimolarlo  alla  fretta,  Pro* 
cedendo  dunque  con  maggior  f retta  y  verso  sera  veggono  spuntare 
e  venire  alla  lor  volta  un  fumo,  che  prendeva  tutta  la  cornice,  dal 
quale  perciò  furono  avvolti. 

NB.  Vedi  tatti  ì  easellini  di  questo  Canto  netta  Tar.  HI  e  la  Ta?.  ▼  Purg. 

II  e  poi  III  cornice. 


Q 


uanto  tra  l'ultimar  dell'ora  terza  1 

4  Quanto  tra  V  ultimar  ecc.  In  queste  due  prime  terzine  è  pre- 
cisata l'ora  che  faceva  quando  il  poeta  si  trovava  nel  luogo  che  si 
preciserà  subito  dopo.  11  poeta  ci  fa  intendere  quest'ora  con  un 
confronto  tra  il  Sol  che  si  leva,  e  il  Sol  che  tramonta,  dicendo,  che 
quella  distanza  che  e'  e  tra  il  Sol  quando  nasce  o  il  Sole  quando  ha 
percorso  tre  ore  dalla  nascita,  quella  stessa  distanza  avea  allora 

21 


«22  PURGATORIO 

E  il  principio  del  di  par  della  spera,  * 
Che  sempre  a  guisa  di  fanciullo  scherza;  ' 
Tanto  pareva  già  in  ver  la  sera  4 
Essere  al  Sol  del  suo  corso  rimaso  : 
Vespero  là,  e  qui  mezza  notte  era.  3 

il  Sole  per  giungere  al  suo  tramonto,  cioè  la  distanza  di  tre  ore, 
come  alla  mattina.  Se  dunque  mancavano  tre  ore  al  tramonto,  che 
ora  del  giorno  era  quella?  Per  saperlo  basta  solo  osservare  sulla 
tavola  temporaria,  che  troviamo  negli  Almanacchi  o  Calendarii, 
l'ora  precisa  del  tramonto  nel  giorno  10  Ottobre,  che  abbiamo  oggi 
agli  antipodi,  rispondente  al  nostro  11  Aprile,  e  troveremo  che  nel 
10  Ottobre  il  Sole  tramonta  alle  5.20  circa.  Ora  da  queste  6.20 
dibattendo  le  3  ore,  che  vuole  il  poeta,  avremo  2.20  dopo  mez- 
zodì. Questa  è  l'ora  precisa  in  cui  siamo.  Sicché  dalla  prima  vista 
dell'Angelo  trovato  alla  scala,  che  dai  superbi  mette  agli  invidiosi 
(Canto  XII.,  n.  53)  quando  correvano  le  12  meridiane  precise»  sino  al 
punto  presente  passarono  ore  2.20,  nelle  quali  i  poeti  salirono  la 
lunga  scala  dalla  superbia  all'invidia,  s'abboccarono  cogli  invidiosi) 
intrattenendosi  a  lungo  con  loro,  e  poi  camminando  un  buon  tratto 
intorno  al  monte  per  la  facciata  che  guarda  nord  (Vedi  la  Tav.  IV 
e  la  V,  Purg.). 

*  Par  della  spera.  Apparisce  della  spera  celeste.  Notate  questo 
par,  il  che  dimostra  parlarsi  de)  tratto  di  cielo  a  noi  visibile,  e  con 
ciò  solo  si  condanna  l'opinion  di  quelli  che  sostengono  Yor*  terna 
per  ora  avanti  la  nascita,  quando  il  Sol  percorre  un  tratto  di  cielo 
che  a  noi  non  apparisce. 

'Che  sempre  a  guisa  ecc.  Il  fanciullo  ora  piange  ora  rìde,  e 
facilmente  e  improvvisamente  passa  dall'uno  all'altro.  Cosi  il  cielo 
ora  piange  ora  ride,  piange  quando  piove,  ride  quando  è  sereno,  e 
queste  vicende  sono  continue  ed  improvvise.  In  sostanza  vuol  dire 
cielo  mutabile ,  com'è  il  fanciullo.  È  presoda  Orazio,  Arte  Poetica, 
che  parlando  del  fanciullo  dice:  Et  mutatur  in  horas. 

i  Pareva  ecc.  Appariva.  Quanto  corso  fa  il  Sole  in  tre  ore  dal 
punto  della  sua  nascita  in  oriente,  tanto  corso  restava  a  fare  in 
occidente  per  giungere  al  suo  tramonto. 

B  Vespero  là,  e  qui  mezza  notte  era.  Essendo  le  2.20  pom.,  ossia 
mancando  3  ore  al  tramonto  del  Sole  al  monte  del  Purgatorio,  per 
conseguenza  colà  era  vespero  ossia  quell'ora  pomeridiana,  che  non 
è  già  la  sera,  come  taluno  intende,  ma  che  è  quell'ora  dopo  il  mezzodì 


CANTO  XV.  323 

nella  quale  la  Chiesa  usa  cantare  il  vespero,  che  appunto  nel  mese 
e  giorno  in  cai  siamo  (10  Ottobre)  risponde  alIe-2.20  pomeridiane.  In 
più  brevi  parole  vespero  in  questo  luogo  vale  per  principio  delle 
ore  vespertine  nel  senso  ecclesiastico,  nelle  quali  si  compie  una  parte 
di  ufficiatura  che  appartiene  al  di  seguente,  e  questo  per  la  ragione 
che  la  Chiesa  non  conta  il  giorno  da  una  meszariotte  ali1  altra,  o 
da  un  tramonto  all'altro,  o  da  un  mezzodì  all'altro,  ma  da  un  ve- 
spero all'  altro.  Infatti  in  questo  tempo  in  cui  siamo  (10  Ottobre) 
si  potrebbe  alle  2.34  pomeridiane  recitare  persino  il  mattutino  che  ap- 
partiene al  di  seguente  naturale.  I  14  minuti  antecedenti  a  que- 
st'ora si  richiederebbero  al  canto  di  vespero  e  di  compieta. 

Dunque  al  Purgatorio  era  vespero,  ossia  2.20  pom.,  ed  era  mez- 
zanotte in  un  altro  luogo  della  terra,  che  il  poeta  esprime  coli' av- 
verbio qui,  lasciandolo  trovare  a  noi  stessi. 

Il  trovarlo  è  facile  ;  ed  ecco  come.  Se  al  Purgatorio  mancano  8  ore 
al  tramonto  del  Sole,  a  Gerusalemme  antipode  del  Purgatorio  man- 
cheranno 8  ore  alla  nascita  del  Sole  medesimo»  Se  poi  a  Gerusalemme 
mancano  8  ore  alla  nascita,  ad  un  luogo  più  occidentale  di  Geru- 
salemme mancherà  più.  L' Italia,  a  cagion  d' esempio,  è  luogo  occi- 
dentale a  Gerusalemme.  Dunque  all'  Italia  nascerà  il  Sole  dopo  Ge- 
rusalemme. E  quanto  nascerà  dopo?  Nascerà  dopo  di  ore  1.40, 
perchè  il  Sole  percorre  15  gradi  per  ora,  e  tra  Gerusalemme  e  la 
metà  d'Italia  abbiamo  25  gradi,  che  portano  ore  1.40,  come  di- 
cemmo. Dunque  quando  al  Purgatorio  mancano  3  ore  al  tramonto 
del  Sole,  a  Gerusalemme  ne  mancano  3  alla  nascita,  ed  all'Italia 
a  questa  nascita  ne  mancano  4.40.  Ma  quando  in  Italia  mancano 
ore  4.40  alla  nascita  del  Sole,  può  essere  mezzanotte  nel  giorno  e 
mese  in  cui  siamo?  No;  perchè  noi  siamo  agli  11  di  Aprile,  e  sap- 
piamo dalla  Tavola  temporaria  che  agli  11  di  Aprile  il  Sole  ci  nasce 
alle  5.24.  Dunque  è  evidente  che  il  poeta  non  accenna  all'Italia, 
ma  ad  un  altro  luogo  molto  più  occidentale  a  Gerusalemme  che  non 
è  l'Italia.  Ora  di  quanto  questo  luogo  deve  esser  più  occidentale? 
Deve  esser  più  occidentale  tutta  la  differenza  che  passa  tra  le  ore  4.40 
•  le  ore  5.24,  che  sono  44  minuti.  Ebbene  il  luogo,  dove  ci  por- 
teranno questi  44  minuti,  sarà  il  luogo  preciso  indicato  dal  poeta 
nel  quale  batteva  allora  allora  mezzanotte.  Per  trovarlo  ragioniamo 
cosi:  Se  60  minuti  di  ora  fanno  15  gradi  di  Sole;  44  minuti  quanti 
gradi  faranno?  Troveremo  che  44  minuti  di  ora  fanno  11  gradi  di 
Sole.  Aggiungiamo  dunque  ai  gradi  d' Italia  (che  sono  24  partendo 
da  Gerusalemme)  gli  11  gradi  trovati,  ed  avremo  gradi  35.  Dun- 
que il  poeta  determina  la  mezzanotte  di  un  luogo  all'  occidente  di 
Gerusalemme  35  gradi.  Ma  questo  luogo  è  Parigi  comesi  può  riscontrar 


324  PURGATORIO 

sulle  carte  geografiche.  Dunque  quando  al  Purgatorio  mancavano 
ancor  3  ore  al  tramonto,  a  Parigi  batteva  mezzanotte.  Dunque  il 
poeta  eoi  suo  qui  dice  manifesto  che  al  tempo  che  scrivea  questo 
Canto,  egli  si  trovava  a  Parigi,  dov'era  da  qualche  tempo,  come 
abbiamo  altrove  accennato  dietro  l' autorità  e  le  prove  di  Cesare 
Balbo  nella  vita  di  Dante.  Cosi  Dante,  con  questo  conto  astrono- 
mico ci  chiama  a  fargli  una  visita  nella  stanza  di  Parigi  proprio 
alle  12  di  notte,  mentre  scrivea  questi  versi. 

Il  poeta  avea  compito  il  suo  Inferno  nel  1808  presso  i  Mala- 
spina  di  Lunigiana.  In  quell'anno  stesso  coi  sussidii  dei  MaUspina 
medesimi  si  recò  a  Parigi,  dove  cominciò  e  prosegui  almeno  sino 
a  questo  Canto  XV  il  suo  Purgatorio,  e  donde  fece  una  scorsa  anche 
in  Inghilterra.  Trattenutosi  in  Parigi  sino  al  1310  ritornò  in  Italia 
nella  state  di  queir  anno,  quando  vi  discese  l'imperadore  Arrigo  VII, 
e  dopo  3  anni  spesi  a  tener  dietro  vicino  o  lontano  ad  esso  Arrigo, 
che  tentava  di  soggiogar  Firenze,  e  di  ricondurvi  gli  esuli,  nei  quali 
tre  anni  ultimò  il  suo  Purgatorio  parte  in  Pisa  parte  in  Lucca, 
negli  ultimi  mesi  del  1314  si  ridusse  e  stabili  a  Verona  presso  Can 
Grande,  svanita  ornai  ogni  speranza  di  ripatriare.  In  Verona  die 
opera  al  Paradiso,  e  lo  portò  oltre  alla  metà.  Quattro  anni  (inter- 
rotti) spese  ne\Y Inferno  (1304-1308):  sei  anni  (pure  interrotti)  spese 
nel  Purgatorio  (1308-1314)  :  e  sei  anni  (però  più  pacifici)  spese  nel 
Paradiso  (1814-1320).  In  gratitudine  al  primo  asilo  ch'ebbe  dai  Fag- 
giolani  dedicò  ad  Uguccione  il  suo  Inferno  :  per  pari  gratitudine  al 
secondo  asilo  datogli  dai  Malaspina,  e  pei  loro  soccorsi  nel  viaggio 
e  dimora  a  Parigi,  dedicò  a  Moroello  il  Purgatorio  ;  e  per  l'ultimo 
asilo  ed  aiuti  degli  Scaligeri,  dedicò  a  Can  Grande  il  Parodi**. 

Il  primo  fu  composto  in  Lunigiana,  sebben  cominciato  a  Verona. 
Il  secondo  a  Parigi  sino  al  Canto  XV,  il  resto  a  Pisa,  a  Lucca  e  in 
qualche  altro  luogo  di  Lunigiana.  11  terzo  a  Verona  per  la  più  parte. 
Il  Guerra  citato  dal  chiarissimo  P.  Sorio  nel  suo  opuscolo  :  Un  pro- 
blema dantesco  astronomico,  è  indifferente  per  Parigi  o  per  Oxford. 
Questa  indifferenza  non  si  può  dare,  perchè  Dante  col  suo  calcolo  o 
determina  Parigi,  o  determina  Oxford,  luogo  più  occidentale  di  Pa- 
rigi di  3  gradi,  e  noi  abbiamo  veduto  che  il  poeta  determina  pre- 
cisamente Parigi.  Quelli  poi  che  per  questo  qui  intendono  l'Italia 
non  potranno  mai  provarlo,  perchè  sarebbe  un  tentare  la  prova  con- 
tro Dante  medesimo,  che  si  eprime  con  una  chiarezza  ed  esattezza 
che  non  lascia  alcun  dubbio;  e  perchè  si  contraddirebbe  alla  storia, 
la  quale  a  quest'epoca  pone  Dante  in  Francia  ed  a  Parigi,  non  in 
Italia,  e  molto  meno  a  Verona,  dove  da  quando  parti  (1304)  più 
non  ritornò  che  o  in  fine  del  1314,  o  nel  principio  del  1315. 


CANTO  XV.  326 

E  i  raggi  ne  ferian  per  mezzo  il  naso,  6 
Perchè  per  noi  girato  era  sì  il  monte, 
Che  già  dritti  andavamo  in  ver  l'occaso  ; 
io.     Quand'  io  senti'  a  me  gravar  la  fronte  7 

«  E  i  raggi  ne  ferian  per  meno  il  naso.  Attenti  bene  a  questa 
terzina,  che  inchiude  un  accenno  topografico  di  somma  rilevanza, 
perchè  ci  trasporta  col  poeta  in  un'  altra  facciata  del  monte,  al  che 
non  avvertendo  i  passati  disegnatori  del  Purgatorio,  hanno  sempre 
tenuto  i  nostri  viaggiatori  nella  stessa  faccia  del  monte,  cioè  sem- 
pre in  quella  che  guarda  ad  oriente.  Errore  grandissimo,  come  tosto 
diremo.  Intanto  spieghiamo  il  senso  di  questa  terrina.  Nel  nostro 
disegno  della  Montagna,  Tav.  IV,  noi  abbiamo  lasciato  Dante  nella 
cornice  II  degli  Invidiosi,  al  fine  della  facciata  che  prospetta  oriente, 
che  è  in  una  il  principio  dell'altra  facciata  che  prospetta  settentrione, 
per  la  quale  egli  s'incammina  a  gran  passi  Dunque  si  rende  as- 
solutamente necessario  un  altro  apposito  disegno  del  Monte,  che  ei 
dia  quella  facciata  di  esso  che  guarda  settentrione,  altrimenti  noi 
non  potremo  intendere  bene  il  viaggio  che  resta,  e  faremo  una  con- 
fusione quale  hanno  fatta  sinora  i  commentatori,  ed  1  loro  scarsi 
disegni.  Questo  disegno  lo  troverete  nella  Tav.  V.  Osservatela  bene. 
In  essa  trovate  Dante  già  inoltrato  per  la  facciata  stessa  di  nord. 
In  questo  punto  arrivato  egli  è  evidente,  che  stante  il  vespero  già 
discorso  nelle  due  prime  terzine  di  questo  Canto,  per  cui  il  sole  era 
passato  dal  meridiano  di  ore  2.20,  restando  sole  3  ore  al  tramonto, 
egli  Dante  dovea  camminare  direttamente  incontro  al  Sole,  e  non  in 
costa  di  lui,  come  faceva  nella  parte  del  monte  percorsa  prima,  e  volta 
ad  oriente  :  onde  ne  seguiva  che  i  raggi  del  Sole  venivano  alla  sua  faccia 
direttamente  colpendo  la  linea  che  da  sommo  ad  imo  dividerebbe  per 
messo  il  naso.  Per  rendere  poi  ragione  di  questa  sua  nuova  postura  per 
riguardo  al  Sole,  dice  nei  due  versi  seguenti  che  ciò  proveniva  per  aver 
essi  tanto  ornai  girato  il  monte  dalla  parte  di  nord,  che  già  andavano 
dritti  all'occaso,  il  che  non  potea  avvenire  se  il  cammino  che  facevano 
non  gli  avesse  portati  alquanto  innanzi  per  la  facciata  del  monte  che 
guarda  nord,  ossia  il  Sole  di  mezzogiorno,  perchè  il  Sole  al  Purga- 
torio gira  dalla  parte  di  nord,  parte  tutta  contraria  alla  nostra. 

7  Quand'io  ecc.  Questo  modo  di  esprimersi  indica  che  lo  splen- 
dore gli  si  offerse  improvviso.  Ricordatevi  che  -il  poeta  gira  per  un 
monte,  dove  ad  ogni  pochi  passi  appaiono  oggetti  nuovi,  e  cosi 
intenderete  meglio  la  ragione  di  questa  improvvisata. 


il 


326  PURGATORIO 

Allo  splendore  assai  più  ohe  di  prima, 
E  stupor  m'eran  le  cosa  non  conte:  9 

Ond'io  levai  le  mani  in  ver  la  cima  ,0 
Delle  mie  ciglia  e  fecimi  il  solecchio, 
Che  del  soverchio  visibile  lima. 

Come  quando  dall'acqua,  o  dallo  specchio 
Balta  lo  raggio  all'opposto  parte,  " 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 


*Allo  splendore*  Dallo  splendore.  —  A*$ai  pi*  che  di  prima. 
Quatto  cU  prima  non  si  riferisce  all'angelo  veduto  neiraltra  cornice 
dei  superbi,  ma  al  Sole  occiduo  incontro  al  quale  fl  poeta  andava. 
Dice  dunque  che  lo  splendore  nuovo  che  se  gli  offerte  improvviso 
lo  abbaglio  assai  più  che  quello  del  Sole. 

•  E  stupir  m'eran  eoe.  Appunto  quando  siamo  colpiti  d'improv- 
viso da  un  soggetto  luminosissimo,  in  quel  momento  perdiamo  la 
vista,  e  non  conosciamo  più  nulla  delle  cose  che  ci  stanno  dinnanzi. 

*o  Onà"  io  levai  le  moni  eoe.  E  questo  il  naturai  movimento  di 
schermo  ohe  facciamo  in  casi  simili:  stendiamo  ambedue  le  mani 
aperte  alla  sommità  delle  ciglia  (il  che  dica»  solecchio),  e  quest'atto 
Ima,  ossia  toglie,  o  diminuisce  una  gran  parte  degli  splendori  (che 
sono  il  soverchio  visibile)  che  vengono  ai  nostri  occhi,  e  cosi  re- 
stiamo meno  abbagliati  di  prima. 

4*  Come  quando  ecc.  Queste  tre  terzine  colla  loro  similitudine  in- 
dicano che  non  valse  al  poeta  farsi  il  solecchio,  perchè  col  solecchio 
si  era  bensì  riparato  dai  raggi  diretti  di  questo  nuovo  splendore, 
ma  non  si  era  potuto  riparare  dai  suoi  raggi  indiretti,  ossia  riflessi, 
i  quali  veniano  dal  pavimento  a' suoi  occhi,  alla  qual  venuta  di 
raggi  il  solecchio  che  era  di  sopra  alle  ciglia  non  giovava,  venendo 
i  raggi  riflessi  dal  di  sotto.  Con  tutto  questo  poi  viene  a  dire  che 
egli  si  trovava  già  alla  presenza  dell'angelo,  e  a  pochissima  distanza 
da  lui,  perchè  altrimenti  i  raggi  angelici  riflessi  non  lo  avrebbero 
ferito  negli  occhi. 

Dall'acqua,  o  dallo  specchio.  Quanto  meno  è  scabra  la  super- 
ficie dei  corpi,  e  tanto  più  riflette  i  raggi.  Ora  queste  due  super- 
ficie dell'acqua  e  dello  specchio  non  hanno  scabrosità,  o  in  minimo 
grado.  Dunque  riflettono  anche  molto  i  raggi. 

i*  Salta  lo  raggio  all'opposita  ecc.  Ecco  il  raggio  riflesso,  e  le 
relative  sue  proprietà,  che  sono:  1.  Salire  dal  lato  opposto  al  primo 


CANTO  XV.  3*7 

A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte 
20.        Dal  cader  della  pietra  in  igual  tratta, 
Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte  :  " 
.    Cosi  mi  parve  da  luce  rifratta 

Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosso; 
Perchè  a  fuggir  la  mia  vista  fu  ratta.  u 
Che  è  quel,  dolce  padre,  a  che  non  posso  " 
Schermar  lo  viso  tanto  che  mi  vaglia,  1G 
Diss'  io,  e  pare  in  ver  noi  esser  mosso?  i7 

m 

raggio  (Salta  lo  raggio  ali*  apposita  parte)  ;2,  Salire  in  direzione 
diretta  come  il  primo  r&gg'io (Salendo  su  per  lo  modo  parecchio  —  A 
quel  che  scende)  ;  3.  Salire  tanto  distante  dalla  perpendieolare  indi- 
cata dal  cader  della  pietra  o  piombino,  quanto  si  tenne  distante 
il  primo  raggio  (E  tanto  si  diparte  —  Dal  cader  della  pietra 
in  igual  tratta).  • 

**  Sì  come  mostra  esperienwa  ecc.  Il  fatto  medesimo,  se  si  os- 
serva, e  la  teoria  medesima,  se  si  ascolta,  dimostrano  la  verità  di 
quel  che  dico.  Quanto  alla  teoria  essa  ammise  su  questo  fatto  il  co- 
rollario seguente:  L'angolo  d'incidenza  è  uguale  a  quello  di  ri- 
flessione. 

**  Perchè  a  fuggir  ecc.  Sentendosi  ferire  gli  occhi  anche  dal  di 
sotto,  e  quindi  non  avendo  altro  schermo,  naturalmente  si  rivolse 
altrove  sino  a  Virgilio  a  destra.  (Vedi  Tav.  V,  Purg.) 

*3  Che  è  quel  ecc.  Dante  non  pensa   ancora  che  sia  un  angelo. 

**  Schermar  lo  viso  tanto  ecc.  Quantunque  io  abbia  ora  gli  occhi 
rivolti  a  te,  e  quindi  non  sia  ferito  dallo  splendore  né  direttamente 
come  prima  di  farmi  il  solecchio,  né  di  riflesso  come  dappoi  che  mi 
rivolsi  a  destra  verso  di  te,  pure  mi  sento  ancora  ferir  a  quei  raggi. 
Nella  positura  in  cui  allora  era  Dante,  i  suoi  occhi  non  erano  per- 
cossi dagli  splendori  né  diretti,  né  riflessi,  ma  solo  solo  da  splendori 
che  passavano  transversalmente  dinnanzi  af  suoi  occhi  Anche  solo 
questo  bastava  perché  i  suoi  occhi  se  ne  rìsentìsser  di  troppo.  Arte 
maravigliosa  per  descriver  l'angelica  luce. 

*?  Pare  in  ver  noi  esser  mosso.  Pare  che  venga  verso  noi.  Onde 
pensava  questo?  Dal  veder  che  la  luce  gli  si  facea  ogni  momento 
più  chiara*  Notate  la  natura  e  i  gradi  della  luce,  e  notate  come  con 
un  concetto  ne  accenni  due.  Questa  é  vera  ricchezza  di  natura  e  di 
poesia. 


32fc  PURGATORIO 

Non  ti  maravigliar  se  ancor  t'abbaglia  i8 
La  famiglia  del  cielo,  a  me  rispose  :  " 
30.        Messo  è  che  viene  ad  invitar  ch'uom  saglia.  *° 

Tosto  sarà  eh'  a  veder  queste  cose  ** 
Non  ti  fia  grave,  ma  fleti  diletto, 
Quanto  natura  a  sentir  ti  dispose.  ** 

Poi  giunti  fummo  all'angel  benedetto, 
Con  lieta  voce  disse:  Intrate  quinci, 

*8  Non  ti  maravigliar  ecc.  Per  non  essere  ancor  purgato  abba- 
stanza dalle  reliquie  che  restano  ancora  dopo  confessate  e  detestate 
le  colpe.  Dante  non  avea  più  sulla  sua  fronte  il  P,  o  la  penalità 
della  superbia,  che  già  gli  era  stato  cancellato  del  tutto  dall'angelo 
di  quella  cornice.  Gli  altri  sei  P  gli  erano  smarriti  alquanto  dopo 
tolto  il  primo  vizio  capitale,  la  superbia;  ma  per  altro  in  questa 
cornice  dell'invidia  avendo  pagato  il  debito  anche  per  questo  viaio, 
non  gli  rimanevano  che  cinque  vizi!  da  purgare.  Questi  soli  però 
bastavano  perchè  1&  sua  vista  non  fosse  forte  abbastanza  per  reg- 
gere ai  raggi  angelici,  che  richiedono  ogni  purezza. 

*9  La  famiglia  del  cielo.  Famiglia  nel  buon  trecento  si  usava, 
e  si  usa  ancora,  ad  indicare  i  cervi  o  le  guardie  delle  corti  di  ma- 
gistratura, e  dei  principi.  Questa  voce  viene  da/amtrfa*  (servo); 
ed  ancora  un  servo  di  campagna  dicesi  famiglio. 

Gii  angeli  sono  dunque  la  famiglia,  o  i  famigli,  o  i  famuli,  o 
i  servi ,  o  i  messi ,  come  si  dirà  tosto,  di  Dio  nella  esecuzione  dei 
suoi  voleri. 

90  Messo  è  ecc.  Ecco  spiegata  la  voce  famiglia  in  un  de*  suoi 

membri  o  servi.  Angelo  vuol  dir  messo,  o  m/tndato,  o  ambasciatore. 

Ch'  uom  saglia.  Invece  di  usare  V  impersonale  si  sa  glia,  dicesi 

anche  uom  saglia.  È  tolto  dal  provenzale  dalla  particella  on  (si),  che 

unita  ai  verbi  li  fa  impersonali. 

M  Tosto  tata.  Cioè  quando  ti  sarai  purgato  degli  altri  cinque 
peccati  capitali,  come  ti  Bei  purgato  dei  due  primi,  superbia  e  in- 
vidia, il  che  avverrà  in  breve. 

*2  Quanto  natura  ecc.  Dice  natura  perche  Dante  è  ancora  mor- 
tale. Dio  perchè  gli  ha  concesso  questo  viaggio  ultramondiale  non 
lo  trasnaturò,  come  trasnatura  i  beati.  Soltanto  die  e  darà  alla  sua 
natura  il  massimo  grado  di  elevazione,  che  può  ricevere  un  uomo 
rimanendo  mortale. 


CANTO  XV.  389 

Ad  un  scaleo  vie  meri  che  gli  altri  eretto.  ** 
Noi  montavamo  già  partiti  linci,  u 
E,  Beati  misericordes,  fue  u 
Cantato  retro,  e  :  Godi  tu  che  vinci. 
40.     Lo  mio  Maestro  ed  io  soli  ambedue 

Suso  andavamo,  ed  io  pensava,  andando, 
Prode  acquistar  nelle  parole  sue  :  * 
E  dirizza'mi  a  lui  si  dimandando: 

Che  volle  dir  lo  spirto  dj  Romagna,  *7 
E  divieto  e  consorto  menzionando?  ** 
Perch'egli  a  me  :  Di  sua  maggior  magagna  * 
Conosce  il  danno;  e  però  non  s'ammiri 

23  Ad  un  scaleo  ecc.  Ad  una  scala.  Questa  è  meao  erta  dell'altre 
due.  La  prima  dalla  porta  alla  cornice  dei  superbi  era  quasi  per- 
pendicolare, e  quindi  ertissima;  la  seconda  dai  superbi  agli  invi- 
diosi era  alquanto  inclinata;  la  terza,  che  è  questa,  più  inclinata 
ancora  e  quindi  più  comoda.  (Vedi  il  mio  disegno,  Tav,  IV  e  V,  Purg.) 
La  ragione  di  questa  minore  ertezza  dipende  dalle  ripe  che  si  fanno 
sempre  meno  erte  di  mano  in  mano  che  si  sale,  come  si  disse  al 
Canto  X,  v.  30.  Queste  facilità  sempre  crescenti  di  salire  indicane 
in  senso  ascetico  la  sempre  maggiore  facilità  che  ha  l'anima  di  sa- 
lire alla  perfezione  mano  mano  che  procede  nella  via  purgativa. 

94  Noi  montavamo  ecc.  Avvertite  che  Dante  già  sin  dau"  ingresso 
del  Vero  Purgatorio  è  il  primo  ad  andare  innanzi  come  fu  il  primo 
ad  entrare  per  la  porta.  Questo  sia  detto  per  riguardo  alle  scale 
Per  riguardo  poi  alle  cornici,  Virgilio  se  ne  sta  sempre  dalla  parte  di 
fuori  e  Dante  dalla  parte  di  dentro  pel  pericolo  di  rotolare  giù  dalla 
ripa,  —  Linci.  Di  lì. 

23  Beati  misericordes  ecc.  L'angelo  cantò  queste  parole.  Anche 
gli  angeli  dell'altre  cornici  canteranno  altre  parole  allusive.  Queste 
sono  allusive  all'invidia  già  purgata  e  vinta. 

26  Prode.  Pro,  utilità. 

tf  Lo  spirto  di  Eomagna.  Guido  del  Duca  da  Bertinoro. 

2*  E  divieto  e  ecc.  Allude  a  quei  due  versi  del  C.  XIV,  n.  56:  O  genie 
umana  perchè  poni  il  core  —  Là'v'è  mestier  di  contorto  divieto  f 

»  Di  sua  maggior  magagna  —  Conosce  il  danno.  Del  suo  vizio 
predominante,  cioè  della  invidia,  dalla  quale  Guido  si  confessò  già 


380  PURGATORIO 

Se  ne  riprende  perchè  men  sen  piagna.  * 
Perchè  s'appuntano  i  vostri  desiri  " 
50.        Dove  per  compagnia  parte  si  scema, 

Invìdia  muove  il  mantaco  a' sospiri. 
Ma  se  l'amor  della  spera  suprema  " 

Torcesse  in  suso  il  desiderio  vostro, 33 

Non  vi  sarebbe  al  petto  quella  tema:  3i 
Perchè  quanto  si  dice  più  lì  nostro,  8* 

Tanto  possiede  più  di  ben  ciascuno, 

predominato  più  che  da  qualunque  altro  vizio,  e  quindi  n'avea  più  danno 
al  Purgatorio,  avendo  detto  precedentemente  a  que'due  veni  : 

Fu  il  sangue  mio  d'invidia  ai  riarso 
Che  se  veduto  avessi  uom  farsi  lieto 
Visto  m'avresti  di  livore  sparso. 

Di  mia  semenza  cotal  paglia  mieto. 

Ecco  la  sua  maggior  magagna;  ecco  quant'egli  ne  conosce  il  danno. 

*>  Se  ne  riprende.  H  ne  in  questo  luogo  non  vuol  dir  ci  ma  di 
ciò.  Allude  alla  riprensione  fetta  da  Guido  in  quelle  parole:  0  gente 
umana  perchè  ecc. 

Perchè  men  sen  piagna.  Meno  sen  piagna  qui  al  Purgatorio, 
se  ne  abbia  qui  meno  pena. 

M  Perchè  $' appuntano  ecc.  È  questa  la  spiegasene  del  quesito 
messo  al  n.*  28.  Avete  invidia  del  bene  altrui  perchè  mettete  ì  vo- 
stri desiderii  in  cose  terrene,  le  quali  tanto  più  si  scemano  quanto 
più  crescono  i  concorrenti  al  loro  godimento. 

**  Ma  te  Vamor  ecc.  Ma  se  l'amor  del  cielo  o  delle  cose  celesti 
e  non  delle  terrene. 

**  Torcesse  in  suso  ecc.  Drizzasse  al  cielo  ed  alle  cose  celesti  il 
vostro  cuore,,  o  amore. 

**  Quella  tema.  Quella  tema  di  aver  meno  a  possedere  perch'altri 
posseggano  insieme  con  voi. 

w  Perchè  quanto  si  dice  ecc.  Perchè  in  cielo  (lì)  quanti  più  sono 
i  partecipanti  (ossia  coloro  che  dicono:  Questo  bene  è  nostro)  tanto 
più  ciascuno  possiede:  il  che  è  tutto  il  contrario  di  quello  che  av- 
viene nei  beni  terreni,  nei  quali  a  proporzione  che  crescono  i  par- 
tecipanti, cala  la  parte  che  tocca  a  ciascuno. 


CANTO  XV.  331 

E  più  di  cantate  arde  in  quel  chiostro.  " 
Io  son  d'esser  contento  più  digiuno,  ,7 
Diss'  io,  che  se  mi  fosse  pria  taciuto  ; 
60.        E  più  di  dubbio  nella  mente  aduno.  '* 
Com'esser  puote  che  un  ben  distributo  M 
I  più  posseditor  faccia  più  ricchi 
Di  sé,  che  se  da  pochi  è  posseduto? 
Ed  egli  a  me  :  Perocché  tu  rificchi  * 
La  mente  pure  alle  cose  terrene, 
Di  vera  luce  tenebre  dispicchi. 


*6  E  più  di  caritaU  ecc.  Più  si  desidera  in  cielo  che  vengano 
sempre  di  nuovi  partecipanti  a  godere  del  bene  eh'  essi  posseggono. 
Oggi  p.  e.  arrivano  in  cielo  dieci  beati.  Ebbene  si  verrebbe  invece 
che  quei  dieci  fossero  cento,  mille,  un  milione  ecc. 

*?  Io  son  (Tesser  ecc.  Io  sono  meno  contento  di  prima,  meno  con- 
tento che  se  non  mi  fosse  stato  risposto. 

3*  E  più  di  dubbio  ecc.  Io  dubito  più  di  prima,  perchè  dal  dub* 
bio  sui  beni  terreni,  che  ho  già  inteso,  e  che  m*  hai  risoluto,  tu  ora 
mi  trasporti  in  un  altro  dubbio  sui  beni  celesti,  che  mi  par  più  dif- 
ficile da  intendere  e  risolvere.  Il  nodo  del  suo  dubbio  lo  espone  nella 
terzina  seguente. 

39  Com'esser  puote  ecc.  E  un  paradosso,  che  non  intendo,  il  dire, 
che  un  bene  quanto  è  più  suddiviso,  i  partecipanti  ad  esso  faccia 
più  ricchi,  che  se  fosse  men  suddiviso,  ossia  che  i  partecipanti  fos- 
sero meno.  La  fallacia  di  questo  paradosso  sta  nella  parola  distributo, 
il  che  non  si  può  dire  di  Dio,  bene  infinito,  che  non  si  divide  e 
suddivide.  La  divisione  e  suddivisione  non  cade  che  nelle  cose  li- 
mitate, quali  sono  i  beni  terreni:  e  Dante  s'imbroglia  e  non  capi- 
sce perchè  ragiona  di  Dio,  come  delle  creature.  Questi  dubbi  di  Dante 
son  fatti  per  nostra  istruzione  ;  ed  è  una  istruzione  filosofica  e  teo. 
logica,  alla  quale  si  può  giungere  col  solo  lume  naturale. 

*o  Perocché  tu  rificchi  —  La  mente  ecc.  Ragionando  di  beni  ce- 
lesti non  si  dovrebbero  prender  le  norme  dai  beni  terreni;  e  ap- 
punto tu  ragioni  del  cielo  prendendo  a  prestito  le  idee  della  terra.  Chi 
ragiona  dei  beni  celesti  dee  astrarre  dai  beni  terreni,  che  sono  affatto 
diversi  da  quelli.  Tu  che  non  fai  così  di  vera  luce  tenebre  dispicchi, 
cioè  cavi  dalla  mia  dottrina  di  verità,  conseguenze  di  errore.  - 


332  PURGATORIO 

Quello  infinito  ed  inefiabil  Bene, 41 
Che  lassù  è,  così  corre  ad  amore 
Come  a  Incido  corpo  raggio  viene. 
70.     Tanto  si  dà,  quanto  trova  d'ardore  ; 
Sì  che  quantunque  carità  si  stende, 
Cresce  sovr'essa  l'eterno  Valore. 

£  quanta  gente  più  lassù  s'intende, 
Più  v'è  da  bene  amare,  e  più  vi  s'ama. 
E  come  specchio  l'uno  all'altro  rende. 

4*  Qptllo  infinito  ecc.  Virgilio  prova  ora  a  Dante  con  una  bel- 
lissima e  chiarissima  similitudine,  come  sia  che  i  beni  celesti  non 
si  scemano  per  moltiplicarsi  di  partecipanti,  ansi  si  vengono  ad  ac- 
crescere non  in  sé  stessi  (che  ciò  non  è  possibile  perchè  infiniti),  ma 
in  chi  gli  ama,  vale  a  dire  vengono  a  crescere  soggettivamente,  non 
oggettivamente.  Infatti  che  cosa  sono  questi  beni  celesti?  non  sono 
altro  che  Dio  (Quello  infinito  ed  ineffabil  Bene).  Ora  Dio  come  s; 
comunica  a  chi  l'ama?  si  comunica  a  quel  medesimo  modo  con  che 
il  sole  vibra  i  suoi  raggi  in  un  lucido  specchio  (co  A  corre  ad  amore,— 
Come  a  lucido  corpo  raggio  viene).  E  quanto  si  comunica  Dio  all'anima 
amante  di  lui?  Dio  le  si  comunica  in  proporzione  delle  disposizioni 
dell'anima  stessa,  ossia  dell'amore  ch'ella  ha  per  Iddio  (Tanto  ri  dà 
quanto  trova  d'ardore),  appunto  come  il  Sole  ohe  tanto  si  comu- 
nica allo  specchio,  quant'è  la  capacità  dello  specchio  stesso.  Cosi 
avviene  che  a  misura  che  cresce  nell'anima  l'amore  a  Dio  (Sì  che 
quantunque  carità  si  stende)  cresce  e  la  comunicazione  di  Dio  al- 
l'anima (Cresce  sovr'essa*.  V  eterno  Valore),  la  quaT  anima  diventa 
come  un  altro  Dio,  tant'è  l'abbondanza  con  cui  Dio  le  ai  comunica. 
Sin  qui  ho  supposto  (continua  Virgilio)  una  sol'anima  darsi  a  Dio, 
e  Dio  alla  stessa  misura  a  lei.  Ora  suppongo  che  invece  di  una, 
ve  ne  sieno  molte  che  crescano  nell'amore  di  Dio.  In  tal  caso  che 
avviene?  avviene  che  quanto  è  maggiore  il  numero  di  chi  ai  stenda 
a  Dio  ed  a' suoi  beni  eterni  (quanta  gente  più  là  su  s'intende,  ossia 
quanta  più  gente  tende  di  quaggiù  al  cielo),  tanto  più  cresce  il  bene 
e  gli  amori  a  quel  bene  (Più  v'  è  da  bene  amare  e  più  vi  s'ama); 
perchè  ciò?  Perche  l'anime  che  posseggono  l'amato  lor  Dio  ranno  tra 
loro  come  molti  specchi  di  una  stanza  percossi  dal  Sole.  Gli  specchi 
ricevono  ciascuno  tutto  il  sole,  e  invece  di  riceverne  meno  per 
esser  molti,,  appunto  per  questo  ne  ricevon  di  più,  perchè  oltre  di 


CANTO  XV.  333 

E  se  la  mia  ragion  non  ti  disfama,  4S 
Vedrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente  l3 
Ti  torrà  questa,  e  ciascun'altra  brama.  " 

Procaccia  pur  che  tosto  sieno  spente, 4* 


ricevere  ciascuno  i  raggi  diretti  del  Sola,  Timo  all'altro  ai  comunica 
il  proprio  Sole  per  riflessione  (£7  come  specchio  l'uno  all'altro  rende). 
Tale  è  il  caso  di  Dio  e  dell'anime  che  a  Lui  sospirano. 

Ecco  provato  che  i  beni  celesti  si  accrescono  coU*accresoersi  il 
numero  di  chi  li  gode,  a  differenza  dei  beni  terreni  che  eolTaecre- 
seersi  dei  percipienti  si  diminuiscono;  e  perciò  in  questi  soli  può 
aver  luogo  la  invidia,  e  non  in  quelli. 

*3  La  mia  ragion.  H  mio  ragionamento.  Ragione  poi  per  ragio- 
namento è  detta  qui  con  proprietà  la  più  rigorosa»  perchè  Virgilio 
non  può  discorrerò  dei  beni  celesti  e  di  Dio,  che  secondo  ragione. 
Ma  la  ragione  non  basta  in  cotali  argomenti ,  che  sono  più  propri 
della  Rivelazione.  Ebbene  appunto  alla  Rivelazione  si  riporta  Vir- 
gilio in  caso  che  Dante  pel  ragionamento  di  Virgilio  non  abbia  an- 
cor veduto  tutta  e  netta  la  verità. 

u  Vedrai  Beatrice,  ed  ella  ecc.  Ecco  la  Rivelasione,  la  sola  ohe 
possa  pienamente  risolvere  ogni  questione  sulle  cose  del  cielo.  Questa 
uscita  di  Beatrice  è  fetta  con  arte  la  più  fina.  Con  essa  si  propone 
a  Dante  una  maestra  degna  di  lui  e  delle  sue  adustioni,  e  con  essa  lo 
si  eccita  alla  fretta  che  tanto  preme  a  Virgilio,  perchè  era  impossibile 
che  Dante  a  questo  nome  non  si  sentisse  Tali  ai  piedi.  Colla  ricordanza 
di  Beatrice  lo  animò  a  salire  sin  dal  principio  della  Montagna,  e  con 
questa  ricordanza  medesima  lo  udiremo  spronar  Dante  altre  volte* 

**  Questa  e  ciascun'altra  brama.  La  soluzione  della  precedente  que- 
stione e  di  altre  che  Dante  si  era  notate  nella  mente,  come  disse, 
nel  Canto  XV  dell'  Inferno  :  E  serbolo  a  chiosar  con  altro  testo  — 
A  donna  che  7  saprà  $'a  lei  arrivo.  La  espressione  poi  ciascun'al- 
tra brama  importa  anche  un'altra  idea  molto  poderosa  per  Dante 
a  darsi  tutta  la  fretta,  ed  è  di  poter  quanto  prima  bearsi  in  quel 
volto  che  da  dieci  anni  gli  era  stato  da  morte  rapito,  secondo  quel 
che  dirà  nel  Canto  XXX li  del  Pvrg.  :  Tanto  eran  gli  occhi  miei 
fissi  ed  attenti  —  A  disbramarsi  la  decenne  sete. 

tt  Procaccia  pur  ecc.  Eccitamento  alla  fretta.  Pur  Solo.  Intanto 
a  questo  solo  attendi  di  liberarti  il  più  presto  dai  rimanenti  cinque  P 
(stimmate  o  piaghe,  incisi  sulla  fronte  di  Dante  dal  puntone  della 
spada  dell'  angelo  custode  alla  Porta  del  Purgatorio).  Questo  era  un 
dirgli  aperto,  che  non  perdesse  tempo. 


334  PURGATORIO 

80.        Come  son  già  le  due,  le  cinque  piaghe,  " 
Che  si  richiudon  per  esser  dolente. 47 
Com'  io  voleva  dicer  :  Tu  m'appaghe, 
Vidimi  giunto  in  su  l'altro  girone, 
Sì  che  tacer  mi  fer  le  luci  vaghe.  u 
Ivi  mi  parve  in  una  visione  * 
Estatica  di  subito  esser  tratto, 


t*  Come  son  già  le  due.  Il  primo  P  della  superbia  gli  fa  can- 
cellato dalle  ali  dell'angelo  in  fine  della  cornice  della  superbia,  ven- 
tilategli per  la  fronte.  Ma  il  secondo  P  della  invidia  quando  e  come 
fu  tolto  a  Dante?  lo  die*  nel  verso  seguente. 

4?  Che  si  richiudon  per  esser  dolente.  Gii  atti  di  dolore  per  cia- 
scun peccato  delle  cornici  sono  assolutamente  necessari  per  la  can- 
cellazione dei  singoli  P;  ma  non  è  sempre  necessario  che  sieno  le 
ali  degli  Angeli  quelle  che  li  cancellino.  Fu  fatto  per  il  primo  P, 
perchè  per  quello  c'era  una  ragione  speciale,  ed  è  ch'esso  era  il 
vizio  origine  di  tutti  gli  altri,  come  il  padre  di  tutti,  e  abbiam  già 
veduto  che  tolto  lui,  rimasero  gli  altri  presso  che  stìnti,  e  lo  si  farà 
per  qualche  altro  P,  che  sia  la  passione  predominante  del  poeta* 
Del  resto,  come  dissi,  bastano  gli  atti  di  dolore  e  di  penitenza  che 
si  vengono  facendo  di  cornice  in  cornice. 

4*  Le  luci  vaghe.  Gli  occhi  vaghi  o  desiderosi  di  veder  la  con- 
dizion  del  nuovo  luogo  mi  troncarono  le  parole  in  bocca.  E  naturale 

*•  Ivi  mi  parve  ecc.  Dante  come  giunge  sulla  cornice  dell'ira  è 
rapito  in  visione  senza  però  arrestarsi  dal  suo  cammino  verso  oc- 
cidente. A  che  queste  visioni?  Queste  visioni  servono  al  fine  me- 
desimo, al  quale  erano  dirette  e  le  incisioni  nella  cornice  dei  su- 
perbi, e  le  voci  di  spiriti  invisibili  nella  cornice  degli  invidiosi.  Come 
le  incisioni  in  pietra  degli  esempi  di  umiltà  premiata  e  di  superbia 
punita,  tanto  sacri  quanto  profani  servivano  a  dlsporlo  colla  vista 
a  piangere  la  sua  superbia:  come  le  voci  di  spiriti  invisibili,  che 
trasvolavano,  gridando  esempi  sacri  e  profani  di  amore  premiato 
e  di  odio  punito,  servivano  a  disporlo  coli"  udito  a  piangere  la  sua 
invidia:  cosi  le  visioni  di  fatti  sì  sacri  che  profani,  che  gli  appaiono 
nell'estasi  del  suo  cammino  per  questa  terza  cornice  dell'  ira,  servono 
a  disporlo  colla  imaginativa  a  piangere  la  sua  ira.  Per  tal  modo 
ogni  sua  potenza,  come  è  concorsa  nella  colpa,  cosi  concorre  pur 
nella  pena. 


CANTO  XV.  335 

E  vedere  in  un  tempio  più  persone:  " 
Ed  una  donna  in  su  l'entrar  con  atto 

Dolce  di  madre  dicer  :  Figliuol  mio,  5I 
90.        Perchè  hai  tu  cosi  verso  noi  fatto? 
Ecco,  dolenti  lo  tuo  padre  ed  io 

Ti  cercavamo.  E  come  qui  si  tacque, 

Ciò  che  pareva  prima  disparii  » 
Indi  m'apparve  un'altra  con  quell'acque  w 

Giù  per  le  gote,  che  il  dolor  distilla, 

Quando  per  gran  dispetto  in  altrui  nacque;  &i 
E  dir  :  Se  tu  se'  sire  della  villa,  M 

Del  cui  nome  ne'  Dei  fu  tanta  lite,  M 

90  E  vedere  in  un  tempio  ecc.  Il  primo  esempio  di  questa  visione, 
sacro  secondo  il  solito,  è  la  mansuetudine  contraria  all'ira,  che 
usò  verso  il  Figlio  la  Vergine  santissima ,  quando,  ritrovatolo  nel 
tempio  che  disputava  in  mezzo  ai  dottori,  seco  lui  se  ne  dolse  con 
quella  dolcezza  che  ognuno  sa.  (Vedi  questo  fatto  in  S.  Luca  C.  U.) 

M  Figliuol  mio  ecc.  È  la  precisa  versione  delle  parole  evangeliche 
le  quali  sono:  Dixit  Mater  ejus  ad  illumi  Fili,  quid  feristi  nobis 
èie?  Ecce  pater  tuus  et  ego,  dolente»  quaerebamus  te. 

52  Ciò  che  m'apparve  prima  ecc.  Cioè  la  vista  del  tempio  di 
Gerusalemme,  i  dottori,  Gesù  tra  loro,  Maria  e  S.  Giuseppe. 

53  Indi  m'apparve  ecc.  Il  secondo  esempio  di  questa  visione,  pro- 
fano secondo  l'usato,  è  Tira  vendicativa  contraria  alla  mansuetu- 
dine, che  la  moglie  di  Pisistrato  tiranno,  o  re  di  Atene,  sfogò  con 
esso  lui  all'occasione  che  un  giovinastro  ardì  abbracciare  la  propria 
figliuola;  e  la  opposta  mansuetudine  e  clemenza,  che  usò  Pisistrato 
in  quell'occasione.  (Vedi  Valerio  al  I  del  V  lib.) 

54  Quando  per  gran  dispetto  ecc.  Bagnata  gli  occhi  di  doloroso 
pianto  cagionato  da  ira  in  altrui  o  contro  altrui. 

55  Villa.  Città,  dal  provenzale  ville  che  suona  città.  È  usata  in  questo 
luogo  villa  per  città  anche  per  una  storica  ragione,  ed  è  che  Atene  era 
da  principio  una  unione  di  12  ville,  la  principe  delle  quali  era  residenza 
del  re.  Le  città,  che  come  Atene,  ebbero  origine  da  un  aggregato  di  più 
parti  tra  lor  divise*  come  che  sia,  in  latino  hanno  il  solo  plurale. 

M  Del  cui  nome  ecc.  La  favola  è  raccontata  da  Ovidio  nel  II. 
Nettuno  e  Minerva  ambivano  l'onore  di  porre  il  proprio  nome  alla 


386  PURGATORIO 

E  onde  ogni  scienza  disfavilla,  *7 
100.   Vendica  te  di  quelle  braccia  ardite,  *8 

Che  abbracciar  nostra  figlia  o  Pisitrato. 

E  '1  Signor  mi  parea  benigno  e  mite  w 
Risponder  lei  con  viso  temperato: 

Che  farem  noi  a  chi  mal  ne  desira, 

Se  quei  die  ci  ama  è  per  noi  condannato  ? 
Poi  vidi  genti  accese  in  fuoco  d' ira  M 

Con  pietre  un  giovinetto  ancider,  forte 

Gridando  a  sé  pur  :  Martira,  martira  : 
E  lui  vedea  chinarsi  per  la  morte, 
no.       Che  l'aggravava  già,  in  ver  la  terra, 

Ma  degli  occhi  facea  sempre  al  ciel  porte, 

città.  Si  convenne  che  qua!  di  loro  avesse  fatto  cosa  più  bella  im- 
porrebbe il  nome.  Nettuno  allora  percossa  la  terra  fece  uscire  un 
cavallo,  e  Minerva,  percossala  anch' ella,  fece  uscire  un  olivo.  Questi 
due  portenti  significavano  la  guerra  e  la  pace.  I  giudici  stettero 
per  la  pace,  e  vinse  Minerva,  che  perciò  impose  il  suo  nome  ad 
Atene,  che  vuol  dire  Minerva.  Questa  è  favola,  ma  il  vero  narrato 
dalla  storia  (se  possono  dirsi  vere  le  cose  di  quell'età)  si  è  che  al 
lora  andavano  ai  publici  consigli  anche  le  donne,  e  nel  giorno  che 
si  dovea  decider  sul  nome,  della  città  tra  Nettuno  e  Minerva,  per- 
chè le  donne  furono  in  maggior  numero,  vinsero  esse  pel  nome  della 
loro  Dea. 

*7  E  onde  ogni  sdenta  ecc.  La  sapienza  enciclopedica  di  Atene 
è  nota  abbastanza.  D'ogni  parte,  chi  volea  scienza,  colà  si  recava, 
e  di  là  si  diffuse  pel  mondo. 

ft*  Vendica  ecc.  Inchiesta  d' un'adirata  vendicatrice:  esempio  d'ira 
e  di  vendetta. 

*•  Benigno  e  mite  —  Risponder  ecc.  Risposta  d'un  mansueto  e 
clemente.  Esempio  contrario  a  quello  della  moglie. 

60  Poi  vidi  genti  ecc.  Due  altri  esempi  iu  uno:  esempio  d'ira  e 
di  ferocia  nei  lapidatori;  esempio  di  pazienza  e  di  perdono  nel  gio- 
vine martire  Stefano.  Il  fatto  è  noto  abbastanza. 

Avverto,  anzi  esorto  caldamente  i  pittori  a  studiar  molto  questi 
magnifici  quadri. 


CANTO  XV.  337 

Orando  ali1  alto  Sire  in  tanta  guerra, 
Che  perdonasse  a'  suoi  persecutori, 
Con  quell'aspetto,  che  pietà  disserra. 

Quando  l'anima  mia  tornò  di  fuori 6I 
Alle  cose  che  son  fuor  di  lei  vere, 62 
Io  riconobbi  i  miei  non  falsi  errori. 

Lo  duca  mio,  che  mi  potea  vedere 

Far  sì  com'uom  che  dal  sonno  si  slega,  63 
120.       Disse  :  Che  hai,  che  non  ti  puoi  tenere  ; 

Ma  se'  venuto  più  che  mezza  lega  6i 

61  Quando  V anima  mia  ecc.  Nel  tempo  dell'estasi  l'anima  si  ri- 
tira dai  sensi,  e  si  concentra.  Cessando  Testasi,  l'anima  torna  alle 
sue  potenze  e  sensi,  che  sono  suoi  ministri  per  l'esercizio  delle  sue 
funzioni.  Dunque  l'anima  che  tornò  di  fuori,  è  l'anima  che  ritornò 
a'suoi  sensi,  mediante  la  cessazione  dell'estasi  e  delle  visioni. 

w  Alle  cose  che  son  ecc.  Finché  l'anima  fu  in  Dante  concentrata 
per  Testasi,  essa  col  mezzo  della  imaginazione  vide  molte  cose  (gli 
esempi  d'ira  e  pazienza  già  detti)  le  quali  non  erano  in  atto,  ma  solo 
rappresentate  come  in  atto  dalla  fautasia,  per  la  memoria  che  le 
ricordava.  Ma  quando  Dante  fu  ritornato  ai  sensi,  e  vide  in  fatto 
fuori  di  sé  gli  oggetti  veri  e  reali  che  se  gli  presentarono,  cioè  la 
cornice  dell'  ira,  e  quant'era  in  quella  cornice,  allora  conobbe  che  le 
visioni  avute  erano  relative  alle  condizioni  del  luogo  ov'egliera  giunto, 
e  però  se  quelle  visioni  erano  errori  in  quanto  faceano  creder  esistente 
attualmente  quel  ch'era  invece  passato  da  molti  secoli,  non  erano  però 
errori  falsi,  in  quanto  che  indicavano  il  vero  che  avea  presente,  cioè 
anime  un  tempo  irose  ed  or  mansuete  in  questa  cornice. 

M  Far  sì  com'uom  ecc.  Chi  dal  sonno  si  slega,  ossia  si  sveglia, 
talvolta  si  contorce  e  si  stira ,  ed  è  la  natura  stessa  che  ha 
bisogno  di  liberar  dal  torpore  le  membra  state  come  legate  sino  a 
quel  punto.  Per  questo  adopera  il  poeta  il  verbo  slega,  perchè  come 
il  sonno  lega  le  membra,  cosi  lo  svegliamento  le  slega. 

64  Piò,  che  me%%a  lega.  Più  di  miglia  1  */a.  Una  lega  è  tre  mi- 
glia. Con  questo  cammino  di  1  miglio  e  */a.  Dante  era  sulla  fine 
della  facciata,  che  guarda  nord  presso  il  principio  della  facciata,  che 
guarda  est,  per  cui  si  rende  presto  necessaria  un'altra  tavola  di 
facciata  di  monte  che  prospetti  occidente,  dove  avranno  luogo  alcune 
scene  che  succedono  in  altri  Canti  seguenti,  e  sarà  la  Tav.  VI,  Purg. 

22 


338  PURGATORIO 

Velando  gli  occhi  e  con  le  gambe  avvolte  65 
A  guisa  di  cui  vino  o  sonno  piega? 

O  dolce  padre  mio,  se  tu  m' ascolte, 
l' ti  dirò,  diss'  io,  ciò  che  mi  apparve 
Quando  le  gambe  mi  furon  si  tolte.  w 

Ed  ei  :  Se  tu  avessi  cento  larve  67 
Sovra  la  faccia,  non  mi  sarien  chiuse 
Le  tue  cogitazion  quantunque  parve.  ** 
130.   Ciò  che  vedesti  fu  perchè  non  scuse  69 

D'aprir  lo  cuore  all'acque  della  pace,  70 
Che  dall'eterno  fonte  son  diffuse. 

Non  dimandai  Che  hai  f  per  quel  che  face  7> 

65  Velando  gli  occhi.  Sonnecchiando.  Con  le  gambe  avvolte  a 
guisa  ecc.  Come  camminano  gli  ubbriachi,  che  piegano  or  quinci 
or  quindi.  Vedi  la  linea  serpeggiante  per  questa  cornice,  che  indica 
la  strada  fatta  cosi  da  Dante. 

66  Quando  le  gambe  ecc.  Allude  ai  due  versi  della  nota  65. 
61  Cento  larve.  Cento  maschere. 

68  Quantunque  parve.  Per  quanto  picciolo,  e  poco  importanti  esse 
sieno. 

69  Ciò  che  vedesti  fu  ecc.  Ecco  come  quelle  visioni,  se  erano  er- 
rori in  quanto  che  erano  visione ,  non  erano  però  errori  falsi  in 
quanto  al  fine  eh'  esse  aveano,  il  quale  era  di  dispor  Dante  ad  esser 
pacifico,  purgandosi  della  sua  ira  in  questa  cornice  dell'ira. 

70  Ali1  acque  della  pace.  La  pace  che  inclina  l'uomo  al  perdono 
e  smorza  Tira,  è  a  gran  ragione  simboleggiata  nell'acqua;  perchè 
come  l'acqua  spegne  il  fuoco,  cosi  la  pace  o  la  mansuetudine  spegne 
l'ira»  Per  indicare  poi  la  qualità  di  queste  acque  della  pace,  si  dice 
che  sono  acque  soprannaturali  e  non  naturali  (Che  dall'eterno  fonte 
son  diffuse).  La  pace  infatti,  che  ci  fa  esser  inclinevoli  a  mansue- 
tudine ed  a  perdono,  è  frutto  dello  Spirito  Santo  quasi  per  nulla 
conosciuto  da  chi  è  estraneo  alla  vera  religione.  In  somma  questa 
virtù  è  la  prima  figlia  della  Carità,  cui  Dio  lasciò  come  tessera  per 
distinguere  i  veri  dai  falsi  suoi  figli. 

71  Non  dimandai  Che  hai?  per  ecc.  Non  dimandai,  per  sapere 
ciò  che  io  non  conoscessi,  al  quale  fine  dimanda  colui,  che  guarda 
solamente  coli'  occhio  del  corpo,  il  quale  per  sé  non  vede,  come  puoi 


CANTO  XV.  339 

Chi  guarda  pur  con  l'occhio  che  non  vede, 
Quando  disanimato  il  corpo  giace; 

Ma  dimandai  per  darti  forza  al  piede  :  7S 
Cori  frugar  conviensi  i  pigri,  lenti 
Ad  usar  lor  vigilia  quando  riede. 

Noi  andavam  per  lo  vespero  attenti 7S 
uo.       Oltre,  quanto  potèn  gli  occhi  allungarsi,  7i 
Contro  i  raggi  serotini  e  lucenti  :  75 

accertarti  allora  ch'egli  resta  senz'anima,  in  forza  solamente  della 
quale  egli  vede.  Chi  guarda  solo  con  quest'occhio  carnale,  non  vede 
gli  interni  pensieri  delle  persone.  Ma  io  che  guardo  eoi  solo  occhio 
dell'anima,  veggo  e  leggo  nell'anima  tua,  e  perciò  non  dimandai 
per  sapere  quello  che  già  conosco. 

13  Ma  dimandai  ecc.  Per  eccitarti  alla  fretta. 

73  Noi  andavam  per  lo  vespero.  Siccome  era  ancora  vespero,  non 
essendo  per  anco  tramontato  il  Sole,  sebben  fosse  vicino  a  tramontare, 
cosi  qui  si  dice  per  lo  vespero,  ossia  in  tempo  che  ancor  era  ve- 
spero. Il  vespero  era  già  cominciato  dove  si  notò  l'ultimo  orario 
delle  2.20  pom.  al  principio  di  questo  Canto  ;  e  il  vespero  dura  da 
quel  punto  Bino  al  tramonto  del  Sole,  che  presto  vedremo. 

7*  Attenti —  Oltre,  quanto  ecc.  Nota  il  poeta  l'attenzione  degli  occhi 
più  in  avanti  che  potevano,  perchè  dopo  tanto  cammino  che  avean 
fatto  per  quella  cornice  dell'ira  (miglia  1  */*)  non  s'erano  incon- 
trati ancora  in  anima  nata.  Eppure  avevano  bisogno  d' incontrarne 
per  chiedere  indirizzo. 

7*  Contro  i  raggi  serotini  e  lucenti.  Sin  che  il  Sole  è  alquanto 
alto,  com'  era  nelle  ore  2.20  pom.  anzidette,  chi  va  verso  occidente, 
può  dire  di  andar  verso  il  Sole ,  ma  non  contro  il  Sole.  Può  dir 
di  andar  verso  il  Sole,  perchè  così  andando  si  avvicina  al  Sole;  ma 
non  può  dir  contro  il  Sole,  perchè  per  andar  contro  il  Sole  bisogne- 
rebbe ch'egli  si  levasse  dalla  linea  orizzontale  che  necessariamente 
l'uomo  percorre,  e  si  ponesse  (cosa  impossibile)  per  la  ascendentale 
che  dal  viandante  s'innalza  al  Sole.  Ma  quando  il  Sole  è  presso 
l'orizzonte,  ecco  che  l'uomo  camminando  verso  sera,  non  solo  va  verso 
il  Sole,  ma  anche  contro  il  Sole,  in  modo  che  s1  egli  potesse  continuare 
per  aria  il  suo  cammino  orizzontale,  andrebbe  a  dar  nel  Sole. 

Questo  è  il  pensiero  di  Dante,  sottile  bensì,  ma  della  massima 
proprietà  ed  esattezza;  e  con  questo  si  dichiara  che  il  Sole  era 


3*0  PURGATORIO 

Ed  ecco  a  poco  a  poco  un  fumò  farsi 16 
Verso  di  noi,  come  la  notte  oscuro, 
Né  da  quello  era  loco  da  causarsi.  77 

Questo  ne  tolse  gli  occhi  e  Paer  puro.  ™ 

ornai  vicinissimo  all'orizzonte  od  al  suo  tramonto,  al  quale  non  po- 
teano  mancare  più  di  30  minuti.  Succedendo  il  tramonto  nei  10  ot- 
tobre alle  5.20#  ne  viene  che  i  80  minuti  prima  fanno  le  ore  4.50. 
Riassumendo  più  in  breve  il  senso  del  primo  ed  ultimo  verso 
di  questa  terzina,  Dante  vuol  dire  :  Andavamo  verso  occidente  non 
pur  nel  vespero  (v.  1.),  ma  in  fine  di  esso  vespero  (v.  2.).  Vedi  il 
mio  Disegno  nel  punto  in  che  abbiamo  lasciato  Dante  dopo  le  gi- 
ravolte del  suo  miglio  e  mezzo  di  cammino,  dove  lo  vediamo  an- 
cora nella  facciata  che  guarda  settentrione,  e  dove  Dante  avea 
ancora  un  tratto  da  camminare  verso  occidente.  Nessuno  pon  mente 
a  queste  minutezze,  che  sono  pur  tanto  necessarie  qui  e  appresso, 
come  vedremo. 

76  Un  fumo  farsi  —  Verso  di  noi  ecc.  Invaginatevi  una  densa 
nebbia  ma  assai  più  oscura  della  nostra,  e  imaginatevi  ch'ella  ve- 
nisse contro  i  poeti,  quale  di  verno  la  vediamo  talora  avanzarsi  a 
noi  dalle  valli.  Se  il  fumo  veniva  verso  i  poeti,  dunque  notate  bene, 
che  veniva  da  sera,  cioè  dal  principio  della  facciata  di  monte,  la 
quale  guarda  ad  occidente,  e  la  quale  si  congiunge  col  principio 
della  facciata  che  guarda  a  settentrione.  Notate  ancora  che  il  fumo 
lo  si  fa  spuntare  nell'ora  presso  al  tramonto  del  di,  come  appunto 
a  quell'ora  spuntano  anche  le  nostre  nebbie,  combinando  cosi  quelle 
meteore  colle  nostre,  per  dar  più  natura,  ed  aria  di  verità  al  rac- 
conto. Notate  pure  che  dentro  a  quel  fumo  venivano  le  ombre  con- 
dannate convenientemente  a  quella  pena,  perchè  essendo  proprietà 
dell'ira  di  ottenebrare  la  nostra  mente,  è  bene  che  le  tenebre  ser- 
vano a  tormento  dell'ira:  Per  quac  peccami  qui*  per  haec.  et 
torquetur. 

77  A1  è  da  quello  ecc.  Perchè  il  fumo  prendeva  tutta  la  strada, 
larga  15  piedi  come  abbiamo  veduto. 

78  Questo  ne  tolse  ecc.  Perchè  Dante  fu  subito  investito  da  quel 
fumo  stesso  ond'erano  vestite  le  anime  purganti. 

Cosi  Dante  nella  cornice  dell'ira  provò  tutto  il  tormento  che 
provarono  le  anime.  E  qui  avete  a  fare  una  considerazione.  Finora 
Dante  passò  per  la  pena  della  superbia,  dell'invidia,  e  qui  passa 
per  quella  dell'ira.  Di  questi  tre  peccati  qual  era  quello  che  più 


CANTO  XV.  341 

aggravava  Dante?  La  superbia  e  l'ira,  ma  più  l'ira  che  la  super- 
bia. Ebbene  voi  vedete  che  in  ragione  della  sua  maggior  colpa,  è 
pur  sottoposto  a  maggior  pena.  Per  questo  avendo  Dante  poca  in- 
vidia, per  non  dir  nessuna,  perciò  poca  o  nessuna  pena  sofferse 
nella  cornice  degli  invidiosi.  Invece  avendo  egli  più  la  superbia,  e 
più  ancora  l'ira,  più  sofferse  nella  cornice  della  superbia,  e  più  an- 
cora nella  cornice  dell'ira.  Coi  superbi  non  portò,  è  vero,  i  lor  pesi, 
ma  però  dovette  camminare  buon  tratto  tutto  chino,  il  che  è  un 
disagio:  e  qui  cogli  irosi  (perchè  Tira  era  la  sua  passione  predo- 
minante assai  più  che  la  superbia)  viene  avvolto  nella  medesima 
pena  degli  irosi. 


CANTO   XVI 


Argomento. 

Descrive  le  tenebre  dalle  quali  i  poeti  furono  avvolti,  e  la  cura 
che  di  lui  si  prete  allora  Virgilio.  Ode  la  preghiera  delle  anime, 
e  te  ne  accerta  per  Virgilio.  Un'anima  dimanda  a  Dante  chi 
egli  sia.  Dante  dice  di  soddisfarla  purché  torni  indietro  con  lui. 
Torna  infatti  e  Dante  le  si  dichiara  vivo.  Poi  le  dimanda  chi 
ella  sia,  e  la  strada  per  salire.  L'anima  si  manifesta  per  Marco 
Lombardo,  gli  approva  la  via  presa  e  lo  prega  a  ricordarsi  di 
lui.  Dante  si  obbliga  a  farlo,  ma  pria  di  licenziarlo  gli  chiede 
la  soluzione  di  un  dubbio  sulla  origine  dei  mali  d'Italia.  Marco 
la  dice,  e  Dante  Vapprova.  Dante  chiede  a  Marco  notizie  di  un 
certo  Gherardo,  e  dopo  la  risposta  Marco  ritorna,  lasciando  ire 
innanzi  i  poeti. 


ii 


trio  d'  inferno,  e  di  notte  privata  4 
D'ogni  pianeta  sotto  pover  cielo, 
Quant'esser  può  di  nuvol  tenebrata, 


*  Buio  d'inferno  ecc.  Descrive  il  fumo  che  venne  a  coprirlo  nella 
svolta  del  monte  da  nord  ad  ovest  per  la  terza  cornice  dell'ira, 
facendolo  maggiore:  1.  d'ogni  oscurità  incontrata  nella  sua  discesa 
in  Inferno  (Buio  d'inferno),  e  noi  abbiamo  veduto  e  notato  che 
Dante  vi  trovò  tenebre  nel  suo  principio  e  nella  sua  fine,  essendo 
entrato  in  Inferno  al  principio  della  notte,  ed  essendosi  trovato 
presso  il  centro  al  principio  di  un'altra  notte;  2.  facendolo  mag- 
giore d'ogni  altra  tenebra  da  lui  provata  mai  :  a)  in  tempo  di  notte, 
b)  priva  d'ogni  splendore  di  stelle  o  di  luna,  e)  nel  profondo  di 
qualche  valle,  d)  con  un  ammasso  di  oscuri  nuvoloni;  che  tutto  oc* 
cupino  l'aere. 


344  PURGATORIO 

Non  fece  al  viso  mio  sì  grosso  velo,  2 
Come  quel  fumo  ch'ivi  ci  coperse, 
Né  a  sentir  di  così  aspro  pelo. 

Che  l'occhio  stare  aperto  non  sofferse:  3 
Onde  la  scorta  mia  saputa  e  fida 
Mi  s'accostò;  e  l'omero  m'offerse. 4 
io.     Sì  come  cieco  va  dietro  a  sua  guida  * 

Per  non  smarrirsi  e  per  non  dar  di  cozzo 
In  cosa  che'l  molesti,  o  forse  ancida; 


*  Viso.  Vista.  —  Sì  grosso  velo.  H  fumo  di  grado  esagerato  ha 
due  qualità:  1.  fa  un  velo  al  senso  della  vista  (al  viso  mio  sì 
grosso  velo)\  2.  produce  un  co  tal  pizzicore  al  senso  del  tatto  che  è 
pur  diffuso  pegli  occhi  e  per  le  palpebre  (Né  a  sentir  di  così  aspro 
pelo). 

3  Che  rocchio  ecc.  È  questo  il  preciso  bisogno  naturale  che  sen- 
tiamo quando  siamo  avvolti  in  un  fumo  denso  ed  acre,  chiudere 
gli  occhi.  Ma  come  potea  poi  Dante  camminare  ad  occhi  chiusi? 
Vedilo  a  n.  4. 

*Àfi  s'accostò  e  V omero  m'offerse.  Notate  che  Virgilio  cammi- 
nava presso  il  ciglio  della  strada  al  di  fuori,  avendo  Dante  alla  sua 
sinistra  verso  l'interno  della  strada  per  assicurarlo  cosi  dal  cader 
giù  dalla  ripa  (Vedi  Tav.  V,  Purg.)  Ora  però  che  la  folta  nebbia 
avvolse  i  poeti,  questa  cautela  non  basta.  Ci  voleva  il  contatto  di 
Virgilio  con  Dante.  Perciò  Virgilio  gli  s'accosta  e  gli  offre  la  spalla 
sinistra  affinchè  Dante  gli  metta  'sopra  la  sua  mano  destra,  e  cosi 
cammini  dietro  a  lui  sicuro.  Nel  disegno  dunque  Dante  vuoi  esser 
rappresentato  in  questo  aspetto,  avvertendo  che  quando  uno  che 
non  ci  vede,  segue  un  altro  che  ci  vede,  tenendogli  la  man  sulla 
spalla,  per  necessità  il  non  veggente  deve  starsi  un  mezzo  passo 
indietro,  cosa  avvertita  da  Dante  nel  verso  seguente,  nota  5. 

*  Sì  come  cicco  ecc.  Non  ci  avea  altra  similitudine  più  naturale 
e  più  propria  di  questa.  Notate  quel  va  dietro,  perchè  il  cieco  che 
cammina  toccando  la  sua  guida,  resta  sempre  un  poco  indietro  da 
lei,  e  questo  è  natura  che  glielo  insegna,  perchè  con  questo  po'  di 
ritiro  si  assicura  di  non  metter  il  piò  in  fallo,  avendo  la  sua  guida 
messo  innanzi  il  piede  prima  di  lui.  Quanto  fanno  piacere  queste 
pitture  si  naturali!  Le  studino  i  pittori  e  impareranno  assai. 


CANTO  XVI.  346 

M'andava  io  per  l'aere  amaro  e  sozzo, 6 
Ascoltando  il  mio  duca,  che  diceva  7 
Pur:  Guarda  che  da  me  tu  non  aie  mozzo.  8 

Io  sentia  voci,  e  ciascuna  pareva  • 
Pregar  per  pace,  e  per  misericordia  40 
L'Agnel  di  Dio  che  le  peccata  leva. 


6  Per  l'aere  amaro  e  sotto.  Essendo  il  fumo  di  quella  qualità 
descritta  in  principio  del  Canto  (n.  1,  2)  gli  stanno  bene  questi 
due  epiteti  di  amaro  e  sotto;  V amaro  si  riferisce  a  quel  pizzicore, 
espresso  sopra  nel  verso  sesto:  Né  a  sentir  di  così  aspro  pelo; 
e  il  sotto  si  riferisce  alle  qualità  espresse  nei  cinque  primi  Tersi 
del  Canto,  perchè  quando  il  fumo  è  cosi  denso,  che  supera  anche 
la  densità  dei  nuvoloni,  è  sozzo  per  natura,  essendo  composto  di 
vapori  bozzi. 

7  Ascoltando  il  mio  duca.  Il  cieco,  che  si  attiene  alla  sua  guida, 
vuole  assicurarsi  per  tutti  i  modi.  Non  gH  basta  il  toccamente  della 
persona  che  gli  serve  di  guida,  egli  bì  assicura  anche  oolTascoltare 
la  sua  voce  ;  cosi  è  più  certo  che  non  gli  viene  scambiata  con  altra 
guida. 

*  Pur  ecc.  Solo  gli  andava  ripetendo  questa  raccomandazione  di 
attenersi  sempre  alla  sua  spalla. 

9  Io  sentia  voci.  Erano  le  voci  delle  anime  purganti  degli  ira* 
condì,  i  quali  andavano  entro  a  quell'oscurissimo  e  palpabile  fumo. 
Questa  scena  si  può  benissimo  esprimere  in  poesia,  ma  non  rap- 
presentare in  colori  o  in  marmo.  Da  ciò  emerge  la  superiorità  della 
poesia  sull'arti  belle,  e  perciò  dei  poeti  sugli  artisti,  perchè  questi 
non  possono  far  tutto  ciò  che  fanno  quelli.  11  poeta  neir  introdur 
questa  scena  così  rara,  ma  pur  possibile  in  natura,  ha  dato  prova 
di  una  fantasia  la  più  ricca  e  sterminata.  Chi  avrebbe  mai  pensato 
ad  un'invenzione  cosi  singolare  di  rappresentare  sin  quello  che  non 
si  può  vedere?  La  gloria  di  quest'invenzione  era  riservata  a  Dante. 

*o  Pregar  per  pace  ecc.  Pregar  l'Agnel  di  Dio  per  ottener  pace 
e  misericordia.  È  la  preghiera,  che  fa  il  sacerdote  nella  Messa  prima 
della  Comunione,  finita  la  qua!  preghiera  dà  la  pace  ai  ministri,  e  per 
essi  al  popolo  :  Agnus  Dei  qui  tollis  peccata  mundi  miserere  nobis, 
ripetuto  due  volte,  ed  in  una  terza  di  chiusasi  dice:  Agnus  Dei  qui 
tollis  peccata  mundi  dona  nobis  pacem.  Questa  orazione  è  presa 
dalle  parole  di  S.  Giovanni  Battista  colle  quali  indicava  alle  turbe 


346  PURGATORIO 

Pure  Agnus  Dei  eran  le  loro  esordia  :  i{ 
20.        Una  parola  in  tutti  era  ed  un  modo,  " 
Sì  che  parea  tra  esse  ogni  concordia. 

Quei  sono  spirti,  Maestro,  ch'i'  odo?  i3 
Diss'  io.  Ed  egli  a  me:  Tu  vero  apprendi, 
E  d'iracondia  van  solvendo  il  nodo. 

Or  tu  chi  se'  che  il  nostro  fumo  fendi 
E  di  noi  parli  pur,  come  se  tue  u 
Partissi  ancor  lo  tempo  per  calendi  ?  fS 


la  venuta  del  Salvatore  nel  suo.  deserto  per  farsi  da  lai  battezzare. 
Una  tale  preghiera  che  parla  di  pace  e  di  misericordia  sta  molto 
bene  in  bocca  ad  anime,  che  piangono  qui  per  non  aver  dato  la 
pace  ed  osato  misericordia  ai  propri  fratelli. 

t*  Pure  Agnus  Dei  ecc.  Solamente  Agnus  Dei.  La  loro  orazione 
cominciava  sempre  cosi,  e  cosi  vernano  sempre  ripetendola,  come  la 
ripete  per  tre  volte  il  sacerdote  nella  Messa.  . 

**  Una  parola  in  ecc.  Tutti  recitavano  questa  preghiera,  cosi  però 
che  la  parola  pronunciata  da  uno  era  nello  stesso  tempo  pronunciata 
dall'altro,  e  in  un  tono  uguale  ali*  altro,  e  in  una  voce  uguale  al- 
l'altro, per  cui  vi  avea  una  perfetta  consonanza  e  concordia  di  tutti. 
Per  una  consonanza  di  voci  ci  vogliono  appunto  queste  due  con- 
dizioni: lo  stesso  tempo,  e  lo  stesso  tono.  Anche  questo  ottimamente, 
perchè  siccome  Tira  mette  disarmonia  e  discordia  in  tutti  ed  in  tutto, 
cosi  la  pace  e  la  mansuetudine  sua  virtù  contraria  mette  in  tutti 
ed  in  tutto  armonia  e  concordia.  Notate  che  le  anime  purganti  hanno 
nel  Purgatorio  i  sentimenti  di  quella  virtù,  che  è  contraria  al.  vizio 
che  aveano  in  vita. 

*•  Quei  sono  ecc.  Quelli  ch'io  odo,  o  Maestro,  sono  essi  spiriti 
purganti? 

M  E  di  noi  parli  pur  come  ecc.  Parli  di  noi  come  tu  fossi  ancor 
vivo. 

**  Partissi  ancor  ecc.  Fossi  ancor  vivo.  Chi  vive,  vive  nel  tempo, 
e  il  tempo  ha  le  sue  misure,  le  quali  dal  vivente  sono  calcolate  per 
sapersi  regolar  nella  vita.  Queste  misure  presso  i  Romani  (parlando 
del  mese)  erano  tre:  Calende,  None  e  Idi,  nelle  quali  tre  parti  il 
mese  era  diviso.  Ciò  presupposto,  s'intende  subito  il  sen30  di  que- 
sto verso. 


CAVI»  XYL  ai  ; 

Cosi  per  una  voce  detto  Aie. 
Onde  il  Maestro  mio  disse:  Rispondi, 
E  dimanda  se  quinci  si  va  sue.  u 
so     Ed  io:  O  creatura  che  ti  mondi 

Per  tornar  bella  a  Colui  che  ti  fece. 
Maraviglia  udirai  se  mi  secondi.  r 

Io  ti  seguiterò  quanto  mi  lece,  u 
Rispose,  e  se  veder  fumo  non  lascia,  * 
L'udir  ci  terrà  giunti  in  quella  vece. 

Allora  incominciai  :  Con  quella  fascia,  * 
Che  la  morte  dissolve,  men  vo  suso, 
E  venni  qui  per  la  infernale  ambascia.  t% 
4/0.    E  se  Dio  m'ha  in  sua  grada  richiuso 

Tanto,  eh'  e'  vuol  eh'  io  vegga  la  sua  corte 

*6  Se  quinci  si  va  sue.  Si  deve  intendere  :  se  questa  è  la  strada 
più  corta  per  raggiungere  la  salita;  perchè  del  ratto  anche  andando 
dall'altra  parte,  a  forza  di  girare  la  cornice  la  ai  sarebbe  trovata. 
Ma  la  strada  sarebbe  stata  lunga  (più  che  4  miglia)  ed  inutile.  Quo* 
ste  parole:  Rispondi  — E  dimanda  ecc.  Virgilio  le  dìcea  sottovoce* 

«7  Maraviglia  udirai.  Perchè  udirai  che  io  sono  ancor  vivo.  —  St 
mi  secondi*  Se  ritorni  indietro  con  me. 

18  Quanto  mi  lece.  Quelle  anime  non  poteano  giungere  sino  all'an- 
gelo custode  della  salita,  ma  a  poca  distanza  da  lui  ritornavano 
indietro  entro  il  loro  fumo,  e  il  fumo  nel  medesimo  tempo,  che  to- 
glieva loro  gli  occhi,  era  anche  la  loro  guida,  a  somiglianza  della 
colonna  di  nube  che  guidava  gli  Ebrei  pel  deserto. 

w  Se  veder  fumo  non  lascia,  —  L'udir  ecc.  Questo  prova  che 
le  anime  non  ci  vedeano  più  di  Dante.  In  mancanza  di  vederci,  oi 
terremo  uniti  col  parlarci  e  coli' ascoltarci.  Anche  l'udito  ,è  buon 
giudice  della  vicinanza  degli  oggetti.  Con  questo  modo  s' ingegnano 
sempre  i  ciechi,  i  quali  perciò  mettono  le  loro  guide  in  continui 
discorsi. 

*>  Con  quella  fascia  ecc.  Col  corpo,  che  è  fascia  dell'anima  e  ohe 
è  soggetta  alla  morte.  Ecco  la  maraviglia  promessa  prima  a  nota  17. 

si  Per  la  infernale  ambascia.  Passando  per  i'  Inferno,  e  diretto 
pel  Paradiso,  come  dice  nella  terzina  seguente. 


348  PURGATORIO 

Per  modo  tutto  fuor  del  modern'uso,  w 
Non  mi  celar  ohi  fosti  anzi  la  morte, 28 

Ma  dilmi,  e  dimmi  s'  io  vo  bene  al  varco  ; 

E  tue  parole  fien  le  nostre  scorte. 
Lombardo  fui,  e  fui  chiamato  Marco  :  3i 

Del  mondo  seppi,  e  quel  valore  amai  25 

Al  quale  ha  or  ciascun  disteso  l'arco  :  u 
Per  montar  su  dirittamente  vai.  ** 
50.        Così  rispose,  e  soggiunse:  Io  ti  prego 


&Per  modo  ecc.  Per  modo  tutto  inusitato.  L'uso  è  che  prima 
della  fine  del  mondo  le  anime  sole  vadano  in  paradiso,  e  questo  dopo 
la  loro  separazione  dal  corpo,  A  me  invece  è  stato  concesso  un  pri- 
vilegio diverso  dall'uso. 

**  Chi  fosti  anni  la  morte.  Non  dice  chi  sei,  ma  chi  fosti;  se- 
condo la  correzione  che  gii  fece  un'anima  a  proposito  di  simile 
ricerca  fatta  al  Canto  XIII,  verso  92  e  seg. 

**  Lombardo  fui  ecc.  Nobile  Veneziano  di  Cà  Lombardi,  di  cui 
parla  il  Villani  nel  Capo  120  del  libro  VII.  Così  i  commentatori. 
Fu  contemporaneo  di  Dante.  Poco  però  si  sa  di  preciso  di  un  tal 
personaggio.  Certo  egli  era  iracondo.  Vedi  nel  fine  del  Canto  la 
nota  81. 

M  Del  mondo  seppi.  Fui  uomo  di  politica.  Appunto  per  questa 
sua  profonda  conoscenza  del  mondo  predisse  ad  Ugolino  della  Ohe- 
rardesca  la  sua  caduta. 

Valore,  Qui  è  in  senso  generico  di  virtù. 

*>Al  quale  ha  or  ciascun  ecc.  Tutti  intendono  disteso  per  al- 
lentato; cioè  che  rimessamente  si  miri  da  tutti  a  virtù,  prendendo 
distendere  per  contrario  a  tendere.  Il  poeta  non  intende  questo. 
Egli  vuol  dire,  che  gli  nomini  non  contenti  di  non  seguire  la  virtù 
sono  passati  perfino  ad  osteggiarla  a  perseguitarla  a  saettarla  se 
1&  veggono  in  altri.  Dante  stesso  se  ne  spiega  in  questo  senso  più 
sotto  alla  nota  31. 

n  Dirittamente  vai.  Si  dice  dirittamente}  non  perchè  la  strada 
del  monte  fosse  veramente  diritta,  perchè  invece  era  rotonda;  ma 
si  dice  dirittamente  perchè  se  Dante  per  trovar  la  salita  si  fosse 
rivolto  dall'altra  parte  del  monte,  sarebbe  ito  in  parte  contraria 
alla  medesima^  la  quale  era  li  presso. 


CANTO  XVI.  349 

• 

Che  per  me  preghi  quando  su  sarai. 28 
Ed  io  a  lui:  Per  fede  mi  ti  lego 

Di  far  ciò  che  mi  chiedi  ;  ma  io  scoppio  29 
Dentro  da  un  dubbio,s'i'  non  me  ne  spiego. 30 
Prima  era  scempio,  ed  ora  è  fatto  doppio  3I 
Nella  sentenza  tua,  che  mi  fa  certo 
Qui  ed  altrove,  quello  ov'  io  l'accoppio. 

28  Che  per  me  preghi.  Incarica  Dante,  e  Dante  solo  di  pregare 
per  lui  essendo  certo  eh'  egli  era  in  grazia  di  Dio,  anzi  privilegiato 
nella  grazia.  —  Quando  su  sarai.  Quando  sarai  in  Paradiso. 

29  Ma  io  scoppio  —  Dentro  da  un  dubbio.  Il  dubbio  ristringe 
l'intelletto,  e  se  il  dubbio  ò  gravissimo  lo  ristringe  assai.  In  tal 
caso  r  intelletto  cosi  ristretto  dal  dubbio  si  sente  male,  e  prova 
quel  senso  che  proverebbe  una  persona  stretta  intorno  al  corpo  di 
bene  tese  funi,  dalla  forza  delle  quali  schizzerebbe  fuori  il  sangue 
e  scoppierebbe.  È  una  allegoria  mollo  filosofica  applicata  alla  mente. 

30  &  io  non  me  ne  spiego.  Insiste  sulla  medesima  allegoria.  Vuol 
dire:  S'io  non  mi  libero  dal  mio  dubbio  sciogliendomi  dalle  sue  ri- 
torte, che  tanto  mi  costringono. 

3i  Prima  era  scempio  ecc.  Continua  la  stessa  allegoria  presa  dalle 
funi  che  stringono  il  corpo.  Un  giro  solo  di  fune  che  stvignesse  intorno  il 
corpo,  si  direbbe  scempio,  due  giri  lo  farebbero  doppio,  e  quindi 
crescerebbe  lo  stringimento,  e  la  difficoltà  di  sbrigarsene.  Applicate 
questa  allegoria  all'intelletto:  un  argomento  che  si  avesse  ,per  un 
dubbio,  lo  stringerebbe  con  una  forza  scempia;  ma  se  sorgesse  un 
altro  argomento  a  rafforzar  quel  dubbio,  esso  stringerebbe  l'intel- 
letto con  una  forza  doppia*  E  tal  era  lo  stato  dell'intelletto  di 
Dante  in  questo  momento.  Egli  aveva  inteso  altrove  (da  Guido 
del  Duca,  Canto  XIV)  la  universa!  corruzione  dell'Italia,  tra  le 
altre  con  quelle  parole:  Virtù  così  per  nimica  si  fuga  —  Da  tutti, 
il  che  importa  non  solamente  esser  vizioso,  ma  perseguitar  la  virtù 
in  altri.  L'asserzione  di  Guido  sulla  universale  e  nuova  malizia 
umana,  mette  in  Dante  il  dubbio  che  tanta  e  si  diffusa  malizia  venga 
dagli  influssi  malefìci  delle  sfere,  alle  quali  nel  medio  evo  si  attri- 
buiva un  gran4e  concorso  nelle  azioni  umane.  Ecco  il  dubbio  scem- 
pio. La  stessa  attestazione  del  grado  ed  estensione  della  malizia 
umana,  è  qui  espressa  da  Marco  colla  stessa  allegoria  dell'arco  e 
della  caccia  come  prima  avea  fatto  Guido.  Ecco  il  dubbio  fatto  doppi: 


360  PURGATORIO 

Lo  mondo  è  ben  così  tutto  diserto 

D'ogni  virtute,  come  tu  mi  suone, 
60.         E  di  malizia  gravido  e  coverto  ; 
Ma  prego  che  m'additi  la  cagione, 

Sì  eh'  io  la  vegga,  e  eh'  io  la  mostri  altrui  ; 

Che  nel  cielo  uno,  ed  un  quaggiù  la  pone. 
Alto  sospir,  che  duolo  strinse  in  hui, 32 

Mise  fuor  prima,  e  poi  cominciò  :  Frate 

Lo  mondo  è  cieco,  e  tu  vien  ben  da  lui.  83 
Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate 

Pur  suso  al  cielo,  si  come  se  tutto  8i 

Movesse  seco  di  necessitate. 8S 

Com'è  possibile,  dice  Dante,  tanta  depravazione?  È  ella  possibile 
senza  ammettere  una  universale  influenza  delle  sfere  su  questa  mo- 
ralità umana?  Dante  vuol  adunque  sapere  se  e  quanto  ci  entri 
1*  influsso  dello,  sfere  su  questa  universale  depravazione,  e  in  caso 
che  le  sfere  non  ne  siano  la  cagione,  e  che  questa  si  debba  cercare 
qui  in  terra,  ei  vuol  sapere  chi  e  dove  sia  1*  autore  di  tanti  mali. 

M  Alto  sospir  ecc.  Diede  un  alto  sospiro  e  per  eccesso  di  dolore 
lo  terminò  nella  esclamazione  hui  !  Nuovo  artifizio  poetico  per  dare 
il  massimo  ingrandimento  al  male,  che  poi  dirà. 

*3  Lo  mondo  è  cieco.  Cieco  perchè  non  vede  la  cagione  dei  mali 
d'Italia,  dove  infatti  si  trova,  ma  la  vede  o  crede  di  vederla  dove 
non  è.  Generalmente  gli  uomini  la  veggono  in  cielo,  ossia  nelle  sfere 
celesti,  facendole  autrici  dei  mali  morali  dell'uomo;  e  non  la  veg- 
gono in  terra,  cioè  in  una  potenza  morale,  che  è  quaggiù,  la  quale 
presto  si  dirà.  Perciò  questi  uomini  sono  ciechi.  L'astrologia  tanto 
studiata  e  vagheggiata  nel  medio  evo,  già  lo  dicemmo,  portava  gli 
uomini  buoni  e  tristi  a  dar  la  colpa  o  il  merito  agli  astri  ed  alle 
sfere  per  le  azioni  umane  si  ree  che  buone.  Era  un'  appendice  della 
eresia  dei  Priscillianisti. 

E  tu  vien  ben  da  lui.  E  tu  col  dar  peso  a  questo  dubbio  cosi 
sciocco,  mostri  proprio  di  venire  dal  mondo,  e  di  partecipare  alla 
sua  cecità,  alle  sue  false  credenze,  alle  sue  superstizioni. 

**  Pur  tuso  al  cielo.  Solamente  al  cielo. 

M  Movesse  seco  ecc.  Come  se  il  cielo  trascinasse  col  suo  moto 
l'uomo  al  bene  o  al  male. 


CANTO  XVI.  351 

70.     Se  così  fosse,  in  voi  fora  distrutto  86 

Libero  arbitrio,  e  non  fora  giustizia; 
Per  ben  letizia,  e  per  male,  aver  lutto.  r 
Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia  ;  * 
Non  dico  tutti;  ma  posto  eh' io'l  dica,39 
Lume  v9  è  dato  a  bene  ed  a  malizia, 


36  In  voi  fora  distrutto  ecc.  Giustissima  conseguenza,  la  quale  con- 
vince falsa  quella  credenza. 

3?  Per  ben  letizia  ecc.  Per  la  virtù  conseguire  il  paradiso,  e  per 
il  peccato  avere  l'inferno. 

3^  Lo  cielo  i  vostri  ecc.  Dante  .seguendoci  sistema  astrologico  de' 
suoi  giorni  pone  in  ogni  cielo  una  virtù,  ossia  una  proprietà  che 
agisce  sopra  le  potenze  dell'anima  e  del  corpo  umano,  suscitando  in 
noi  la  qualità  propria  di  quel  cielo.  Oggidì  questo  sistema  è  reietto; 
solo  si  ammette  che  il  cielo  possa  agire  co1  suoi  influssi  e  in  grado 
pur  tenuissimo  sui  soli  organi  sensori,  non  già  sulle  potenze  dell'a- 
nima. Stando  dunque  al  sistema  astrologico  del  medio  evo,  qui  però 
da  Dante  modificato,  e  in  parte  depurato  da  quella  esagerazione  super- 
stiziosa che  dominanava,  Dante  per  Marco  Lombardo  attribuisce  al 
cielo  la  sola  iniziativa  delle  nostre  inclinazioni  morali,  ossia  delle 
nostre  passioni  o  tendenze  ;  cosi  p.  e.  chi  è  iracondo  riceve  dal  cielo 
i  suoi  primi  moti  dell'  ira,  i  quali  per  sé  non  sono  peccaminosi  per- 
chè dipendenti  da  natura  raggiata  dalle  sfere.  Cosi  è  corretto  l'ec- 
cesso delle  dottrine  astrologiche,  troppo  secondate  da  Dante  stesso 
nel  suo  Convito,  dalle  esagerate  dottrine  del  quale  egli  qui. si  ri- 
tira,  e  prova  con  ciò  che  il  Convito  fu  opera  anteriore  alla  Divina 
Comedi  a  t  e  che  avea  progredito  di  molto  negli  studi  filosofici  e  teo- 
logici alla  Università  di  Parigi. 

*9  Non  dico  tutti.  Altra  modificazione  posta  da  Dante  all'esage- 
rato sistema  astrologico  del  medio  evo.  Col  primo  verso  di  questa 
terzina  limitava  l'azion  delle  sfere  sui  nostri  movimenti  ai  soli  inizi, 
cioè  a  quel  primo  spuntare  dei  nostri  atti  prima  che  sieno  deliberati. 
Ora  limita  la  loro  azione  ancora  più,  non  estendendola  a  tutti  i 
primi  movimenti,  ma  soltanto  ad  alcuni. 

Ma  posto  ch'io'l  dica.  Ma  dato  anche  che  il  cielo  inizii  tutti 
i  vostri  movimenti,  si  potrà  per  questo  incolpare  il  cielo  dei  vostri 
mali?  No,  perchè  Dio  vi  ha  dato  l' intelletto  e  la  volontà;  coll'in- 
tclletto,  che  è  illuminato  da  Dio,  potete  distinguere  il  bene  dal  male 


352  PURGATORIO 

E  libero  voler,  che  se  fatica  *° 
Nelle  prime  battaglie  col  ciel  dura, 
Poi  vince  tutto,  se  ben  si  nutrica. 

A  maggior  forza,  ed  a  miglior  natura  41 
80,        Liberi  soggiacete,  e  quella  cria  iJ 

La  mente  in  voi,  che  il  ciel  non  ha  in  sua  cura. 

Però  se  il  mondo  presente  disvia,  " 

(Lume  v*  è  dato  a  bene  ed  a  malizia)  e  colla  volontà  che  è  dotata 
da  Dio  della  libertà  potete  scegliere  a  vostro  arbitrio  tra  quel  bene 
e  quel  male  (E  libero  voler). 

*o  Che  se  fatica  —  Nelle  prime  ecc.  Prima  d'  ora  parlava  d'ogni 
movimento  buono  e  cattivo;  adesso  riduce  il  discorco  ai  soli  mo- 
vimenti cattivi,  che  sono  il  tema  di  questo  discorso,  col  quale  si  vuol 
cercare  l'origine  del  male,  che  si  era  fatto  comune  nel  mondo,  e  in 
grado  il  più  malizioso.  Dice  dunque  che  fie  la  nostra  libera  volontà 
resiste  a  quei  mali  germi  che  il  ciclo  ha  messo  in  noi,  ossia  com- 
batte i  principii  delle  nostre  ree  passioni  (il  che  esige  fatica),  poi 
la  nostra  stessa  volontà  già  avvezzata  alla  vittoria  per  atti  sempre 
buoni,,  vince  tutto  facilmente.  Dunque  il  cielo  non-  e  causa  efficiente 
dei  vostri  mali,  perchè  voi  potete  vincerlo  se  volete. 

M  A  maggior  forza  ecc.  Dante  ha  mostrato  sin  ani  che  non  siamo 
dipendenti  dall'influsso  delle  sfere  nelle  nostre  azioni  morali.  Siamo 
dunque  indipendenti  da  tutti  ?  No  ;  e'  è  un  essere  d?i  cui  dipendiamo, 
ma  dipendiamo  liberamente,  e  questo  è  Dio  (A  maggior  forza  ed 
a  miglior  natura  —  Liberi  soggiacete). 

&E  quella  cria  —  La  mente  ecc.  Ed  è  pur  quella,  che  in  voi 
crea  la  mente  ecc.  Dio  nell 'assoggettarci  a  lui  ci  diede  la  volontà 
perchè  ce  gli  assoggettassimo  liberamente  (Liberi  soggiacete)  e  ci 
diede  l'intelletto  per  conoscere  la  giustizia  di  questa  sommesaione 
(E  quella  cria  —  La  mente  ecc.).  £  tanto  quella  libertà,  quanto 
questo  intelletto  non  sono  in  cura  del  cielo,  ossia  le  sfere  non  vi 
hanno  dominio  od  influenza  alcuna. 

48  Però  se  il  mondo  ecc.  Se  il  male  proviene  dalla  vostra  volontà, 
e  dal  vostro  intelletto,  e  né  volontà  né  intelletto  dipendono  dalle 
sfere  celesti,  dunque  la  cagion  del  male  non  è  nelle  sfere  celesti, 
ma  in  voi,  che  col  libero  arbitrio  abusato  della  volontà  e  dell'in- 
telletto, servendo  vene  a  male,  contro  1*  intenzione  del  Creatore,  che 
ve  le  diede  a  bene. 


CANTO  XVI.  353 

In  voi  è  la  cagione,  in  voi  si  cheggia,  u 
Ed  io  te  ne  sarò  or  vera  spia. 45 

Esce  di  mano  a  lui,  che  la  vagheggia  w 
Prima  che  sia,  a  guisa  di  fanciulla, 
Che  piangendo  e  ridendo  pargoleggia, 

L'anima  semplicetta,  che  sa  nulla, i7 
Salvo  che,  mossa  da  lieto  fattore  ** 

USi  cheggia.  Si  cerchi. 

*3  Ed  io  te  ne  sarò  ecc.  Ed  io  ti  sarò  guida  verace  in  questa 
ricerca  che  ha  per  fine  di  trovare  la  cagione  univewde  di  un  male 
par  universale. 

46  Esce  di  mano  ecc.  Nella  ricerca  della  cagiomVJfein  male  uni- 
versale Dante ,  o  per  Ini  Marco,  procede  a  tatto  rigore  di  logica, 
provando  prima  che  se  il  male  è  universale  non  basta  per  generarlo 
una  cagione  particolare,  ma  ci  vuole  assolutamente  una  cagione  uni- 
versale. Parla  dunque  prima  della  depravazione  degli  individui,  la 
quale  è  ristretta  agli  individui  stessi,  e  quindi  questa  non  può  es- 
sere la  causa  del  male  universale.  A  spiegare  la  depravazione  del- 
l'individuo comincia  dalla  sua  bontà  natia,  e  termina  colla  sua  cor- 
ruzione esponendo  il  modo  onde  questa  avviene. 

In  queste  due  terzine  parla  della  sua  bontà  natia,  e  cosi  viene 
a  provare  indirettamente,  che  Dio  non  può  esser  causa  del  male  in 
che  l'uomo  trabocca. 

QuaTè  dunque  l'anima  quand'esce  dalle  mani  del  suo  creatore? 
Ella  è  buona,  e  per  indicare  questa  sua  bontà  si  dice  ch'ella  è 
vagheggiata  da  Dio,  prima  che  sia,  cioè  prima  che  sia  nel  suo 
corpo  ;  e  si  dice  questo  perchè  appena  l'anima  è  unita  al  corpo  ella 
contrae  il  peccato  originale,  per  cui  non  è  vagheggiata  da  Dio,  se 
non  è  liberata  pel  santo  battesimo.  Quando  poi  quest'anima  arriva 
ad  essere,  cioè  ad  essere  unita  al  suo  corpo,  quando  propriamente 
si  dice  anima,  ella  è  come  una  bambina  che  piange  e  ride,  piange 
pel  male  che  contrasse  in  questa  sua  unione,  ride  pel  rimedio  che 
vi  fu  posto  mediante  il  santo  battesimo. 

*7  L'anima  semplicetta.  Qui  si  parla  della  creatura  umana,  non 
giunta  ancora  all'  uso  della  ragione  ;  l' anima  di  questa  creatura  è 
semplice  e  non  sa  nulla. 

**  Salvo  che  mossa  ecc.  Non  sa  nulla,  ma  pure  senza  saperlo 
ella  è  vaga  di  diletti,  e  questo  dimostra  la  natura  lieta  e  dilettevole 

23 


«*  PURGATORIO 

90.        Volentier  torna  a  ciò  che  la  trastulla.  " 
Di  picciol  bene  in  pria  sente  sapore;  w 
Quivi  s'inganna,  e  dietro  ad  esso  corre,  5I 
Se  guida  e  fren  non  torce  il  suo  amore.  M 
Onde  convenne  legge  per  fren  porre  ;  M 
Convenne  rege  avertette  discernesse  u 
Della  vera  cittade  almen  la  torre. 

dalla  quale  fa  originata.  Essa  fa  originata  da  Dio,  che  è  sommo 
Bene.  Dunque  ella  debbe  avere  questa  tendenza  al  bene.  E  l'ha 
infatti.  Perciò  l'amore  che  hanno  i  fanciulletti  ai  divertimenti  è  una 
testimonianza  ^ie  la  loro  anima  venne  da  Dio,  che  è  la  stessa  le- 
tizia e  lo  stesso  diletto. 

*9  Volenti^Èptna  a  ciò  ecc.  Si  da  volentieri  alle  cose  dilettevoli. 

80  Di  picciol  bene  in  pria  ecc.  Intanto  questa  creatura  umaaa 
giunge  all'uso  di  ragione:  in  questo  stato  le  ai  offre  un  picciol 
bene  (un  bene  transitorio,  che  non  è  degno  dell'anima  e,  per  grande 
esso  sia,  è  sempre  piccolo,  perchè  non  è  il  bene  infinito  a  cui  na- 
turalmente l'anima  è  fatta):  lo  assaggia,  e  le  piace. 

M  Quindi  a' inganna  ecc.  S'inganna  perchè  lo  crede  un  bene  ca- 
pace di  soddisfarla,  e  non  ne  sarà  mai  capace,  perchè  non  è  un  bene 
infinito  per  cui  solo  sente  l'anima  d'esser  fatta.  Ma  siccome  pel  fo- 
mite del  peccato  che  l'anima  ha  contratto  col  peccato  originale  nella 
prima  unione  di  lei  col  corpo,  essa  è  inclinata  al  male,  cioè  a  falsi 
beni,  perciò  corre  dietro  a  quel  picciolo  bene  (e  dietro  ad  esso  corre). 

**Se  guida  e  fren  ecc.  Io  credo  che  qui  ci  sia  un  errore  di  te- 
sto: esso  sarebbe  un  o  per  un  e.  Io  ritengo  che  Dante  avesse 
scritto  e,  leggendo  cosi:  Se  guida  e  fren,  perchè  infatti  occorre 
Tuna  e  l'altra  cosa  per  raddrizzare  i  traviati.  La  guida  senza  il 
freno,  e  il  freno  senza  la  guida  non  giovano.  Perciò  nella  terzina 
seguente  si  pone  l'una  e  l'altro,  entrambi  come  mezzi  necessari. 

33  Onde  convenne  legge  ecc.  La  legge  di  natura,  la  legge  scritta, 
e  la  legge  di  grazia.  Errò  chi  intese  questa  legge  per  la  civile  degli 
Stati,  o  dell'Impero  romano.  Qui  non  si  parla  che  di  una  legge 
di  sua  natura  capace  di  guidar  l'uomo  al  suo  bene  infinito  che  è 
Dio,  e  questa  legge  non  può  esser  che  la  divina. 

54  Convenne  rege  aver.  Non  s' intende  qui  un  re  civile,  ma  rege 
è  usato  per  reggitore,  o  guida  dei  popoli  per  l'osservanza  della  legge 
detta  di  sopra  a  nota  53,  il  quale  rege,  o  reggitore,  o  guida,  altri 
non  è  che  il  Vicario  di  Gesù  Cristo,  guida  del  popolo  nelle  cose  che 


CANTO  XVI.  355 

Le  leggi  son,  ma  chi  pon  mano  ad  esse?  w 
Nullo  ;  però  che  '1  pastor,  che  precede,  ** 

appartengono  alla  nostra  eterna  salate,  della  qnal  sola  materia  qui 

si  parla,  come  è  dimostrato  dagli  antecedenti  e  dai  conseguenti.  Gli 

antecedenti  gli  abbiamo  veduti  volti  unicamente  sopra  argomento 

di  eterna  salute:  ed  i  conseguenti  accennano  alla  stessa  materia, 
come  tosto  vedremo. 

Che  discernesae  —  Della  vera  cittade  ecc.  La  qual  guida  do- 
vrebbe non  perdere  mai  di  vista  almen  la  torre  della  vera  città.  Che 
cosa  è  questo?  Eccolo.  Nel  senso  di  Dante,  esposto  altre  volte,  e 
tra  l'altre  nel  Canto  XIII,  ver.  94,  dove  si  dice  : 

O  frate  mio  ciascuna  è  cittadina 
D'una  vera  città;  ma  tu  vuoi  dire, 
Che  vivesse  in  Italia  peregrina,» 
non  vi  ha  che  una  città  che  si  possa  dire  vera  città,  e  questa  è  la 
Gerusalemme  celeste,  col  qual  nome  san  Paolo  indica  il  Paradiso: 
città  che  viene  descritta  nell'Apocalisse  di  san  Giovanni.  Tutte  le 
città  che  sono  a  questo  mondo,  secondo  il  sentire  di  Dante  e  delle 
anime  purganti,  che  è  il  vero,  non  sono  che  temporarie  stazioni  di 
pellegrinaggio.  Dunque  è  certo  che  qui  non  si  parla  di  terra,  ma  di 
cielo,  e  quindi  è  pur  certo  che  qui  si  parla  di  una  guida,  la  quale, 
per  esser  vera  guida  a  quella  vera  città,  dee  ella  stessa  conoscerne  il 
cammino,  o  almeno  tener  sempre  d'occhio  il  sito  dell'eterna  città  cono- 
sciuto pei  segni  pia  culminanti  di  essa,  quali  sarebbero  la  torre,  e  a 
quel  termine  guidar  sempre  le  persone  commesse  alla  sua  condotta. 

In  ciò  si  esprime  l' oggetto  a  cui  dee  tendere  il  ministero  ecclesia* 
stico,  unificato  nel  suo  Capo,  il  Romano  Pontefice,  il  quale  oggetto 
altro  non  è  che  condurre  gli  uomini  alla  eterna  loro  beatitudine  in 
cielo,  mediante  la  osservanza  esatta  della  santa  legge  di  grazia  incul- 
cata continuamente  dalla  guida  spirituale,  il  cui  occhio  dee  sempre 
appuntarsi  al  cielo  per  eccitar  coiai  tutti  gli  altri  ad  appuntarlo  colà, 
ss  Le  leggi  son.  Le  leggi  necessarie  per  vivere  da  buoni  cristiani 
ci  sono.  Dio  le  ha  date  per  Gesù  Cristo.  — »  Ma  chi  pon  mano  ad 
est  e?  Ma  chi  le  osserva? 

56  Nullo;  però  che  7  pastor  ecc.  Nessuno  osserva  la  santa  legge 
di  Dio,  perchè  non  la  vede  osservata  nemmen  dalla  sua  guida,  che 
gli  va  innanzi,  come  il  pastore  va  innanzi  alle  sue  pecore,  sotto  la 
quale  imagine  di  pastore,  di  pecore  e  di  agnelli,  Gesù  Cristo  nel 
suo  santo  Vangelo  ha  adombrato  san  Pietro  (pa$tort)  e  i  suoi  suc- 
cessori, vescovi  (pecore)  e  popolo  (agnelli), 


356  PURGATORIO 

Ruminar  può,  ma  non  ha  l' unghie  fesse.  " 
100.   Perchè  la  gente,  che  sua  guida  vede 

Pure  a  quel  ben  ferire,  ond'ella  è  ghiotta,  M 
Di  quel  si  pasce,  e  più  oltre  non  chiede.  w 
Ben  puoi  veder  che  la  mala  condotta  *° 
E  la  cagion  che  il  mondo  ha  fatto  reo, 
E  non  natura  che  in  voi  sia  corrotta.  61 


07  Ruminar  può,  ma  non  ha  V  unghie  fesse.  Non  è  atto  al  mini- 
stero ecclesiastico  di  condor  l'anime  a  Dio,  perchè  delle  due  qualità 
proprie  di  un  pastore  d'anime,  quali  sono  quelle  d'insegnare  e  di 
fare,  ha  bensì  la  prima,  ma  non  ha  la  seconda,  cioè  insegna  bensì 
colle  parole,  ma  non  insegna  anche  coir  esempio,  che  è  più  impor- 
tante. L'idea  è  tolta  dalla  legge  mosaica,  e  da  quello  ch'essa  rap- 
presentava secondo  i  commentatori.  La  legge  prescriveva  che  i  qua- 
drupedi atti  al  sacrificio  dovessero  ruminare  e  aver  l'unghie  fesse, 
il  che  significava  le  due  qualità  di  cui  deono  essere  adomi  i  ministri 
di  Dio,  di  pascere  il  popolo  colla  dottrina,  intesa  per  ruminare,  e 
di  precederlo  coli'  esempio,  inteso  per  V  unghie  fesse, 

S8  Pure  a  quél  ben  ecc.  Solo  mirare  a  quel  bene  falso  (bene  ter- 
reno) del  quale  la  gente  è  ingorda,  perchè  è  più  conforme  a'  suoi 
appetiti  sensuali. 

69  Di  quel  si  pasce,  e  più  ecc.  Mette  la  sua  felicità  nella  terra, 
e  non  si  cura  più  del  cielo. 

60  La  mala  condotta.  La  mala  guida.  Altra  volta  (Purg,  IV,  v.  29) 
si  disse  condotto  per  guida;  dunque  condotto  e  condotta  è  lo  stesso. 

Ci  E  non  natura  ecc.  Con  questo  non  si  vuol  negare  la  corruzion 
portata  in  noi  dal  peccato  originale,  cosa  ammessa  sempre  da  Dante 
vero  cattolico;  ma  solo  si  vuol  dire  che  la  nostra  natura  corrotta 
non  è  la  cagione  efficiente  del  male  universale,  perchè  in  tal  caso 
sarebbe  distrutto  il  no3tro  libero  arbitrio,  il  che  ha  provato  di  sopra 
che  non  è,  e  non  può  essere  ;  e  che  questa  cagione  bisogna  trovarla 
in  un  soggetto  morale  di  influenza  universale,  dal  mal  esempio  del 
quale  la  gente  sedotta,  si  dà  liberamente  al  male,  che  vede  fare  alla 
sua  guida. 

Osservazione. 
Questo  luogo  della  Divina    Comedia,  e  qualche  altro,  ossia 
per  malizia,  ossia  per  ignoranza,  ossia  finalmente  per  non  attenta  con- 
siderazione, sono  da  non  pochi  riguardati  come  inesorabile  condanna 


CANTO  XVI.  357 

che  Dante  pronuncia  contro  il  dominio  temporale,  anche  territoriale , 
della  Santa  Sede.  Leggansi  su  questo  proposito  le  poche,  ma  succose, 
parole  di  Cesare  Cantù  nel  suo  Discorso:  V Europa  nel  secolo  ài 
Dante:  «  Chi  nel  dolersi  Dante  che  il  mondo  sia  sossopra,  perchè 

*  Roma  confonde  in  sé  due  reggimenti,  vede  una  disapprovazione 

*  del  dominio  temporale,  attribuisce  frivola  causa  a  grandissimi 
»  effetti.  Bensì  egli  si  riferisce  o  fa  riferire  ad  uno  de*  suoi  inter- 
i*  locutori  (Marco)  alla  prevalenza  dei  papi  sugli  imperatori;  che 
«  quel  che  allora  chiama  vasi  poter  temporale  non  consisteva  nel 
»  possesso  di  un  piccolo  territorio  in  Italia,  bensì  nella  supremazia 
»  del  Pontefice  su  tutti  i  Signori  Cristiani,  considerandoli  come 
»»  delegati  da  quello  al  governo  delle  cose  temporali.  £  Dante  era 

*  talmente  alieno  dal'  disputare  al  papa  una  città  o  un  territorio, 
»»  che  non  solo  trova  assai  sconveniente  anche  il  dubitare,  che  i 

*  papi  ne  abusino  (dicere  quod  Ecclesia  abutatur  patrimonio  sibi 
n  deputato  valde  est  inconveniens.  —  De  Monarchia  II,  C.  12);  non 
n  solo  esalta  Matelda,  cosi  larga  di  beni  terreni  a  coloro  che  diapen- 
ti sano  beni  celesti  ;  ma  gli  balenò  un  pensiero  di  filosofia  della  Storia, 
n  quasi  che  tutti  i  fatti  dei  Troiani  e  del  Lazio  fossero  coordinati, 
»  affinchè  grandeggiasse  la  città  V  siede  il  successor  del  maggior 
n  Piero,  n  Cosi  ragiona  dirittamente  il  nostro  Cantù  in  quel  suo 
Discorsa  :  e  nel  medesimo  più  innanzi  recisamente  sentenzia  :  «  Egli 
»  (Dante)  non  voleà  distruggere  il  temporale  del  papa,  bensì  che 
»   questi  non  soverchiasse  l'imperatore.  * 

Cosi  la  pensava  pure  il  nostro  veronese  Giuseppe  Torelli,  profondo 
conoscitore  di  Dante,  scrivendo:  •  Non  intende  il  Poeta,  che  nel 
Pontefice  Romano  non  possano  unirsi  l' autorità  spirituale  e  la  tempo- 
rale, sicché  possa  esser  sovrano  ne*  propri  stati,  ma  si  bene  esclude 
l' autorità  generale  sopra  gli  stati  d' altri  Principi.  Egli  tiene,  secondo 
l'opinione  vera  e  cattolica,  che  ogni  Principe  temporale  abbia,  in 
quanto  all'esser  Principe,  una  podestà  immediata  da  Dio,  non  me- 
diata per  Ponti ficem,  secondo  l' opinione  di  alcuni  di  que1  tempi.  » 
(Ediz.  dantesca  di  Padova,  tip.  Minerva  1822). 

•  Anche  il  padre  Bernardinelli  nelle  sue  dotte  elucubrazioni  che 
portano  il  titolo:  La  Monarchia  di  Dante  e  il  Dominio  Tempo» 
rale  dei  Romani  Pontefici,  con  profonda  e  lunga  analisi  di  molti 
passi  della  Divina  Comedia,  e  dei  libri  De  Monarchia,  argomen- 
tando, diviene  finalmente  a  conchiudere,  che  Dante  non  solo  non 
vuole  abolito  il  Domi  aio  Temporale  dei  papi,  ma  anzi  lo  approva, 
commenda  e  mantiene  (Vedi  Civiltà  Cattolica,  1865). 

Però,  essendo  noi  fermi  in  questa  medesima  ragionata  sentenza, 
quello  che  qui  e  altrove  notassimo  nei  nostri  conienti  a  difesa  del 


.1 , 


358  PURGATOEIO 

Soleva  Roma,  che  il  buon  mondo  feo,  tt 
Duo  Soli  aver,  che  l'una  e  l'altra  strada 
Facèn  vedere  e  del  mondo  e  di  Deo. 

Domìnio  Temporale  dei  Romani  Pontefici,  non  tanto  sarebbe  volto 
a  confutare  la  sentenza  o  l'opinione  di  Dante  su  questo  fatto,  che 
non  ne  ha  d'uopo,  quanto  a  redarguire  coloro,  che  essendo  essi  ne- 
mici di  questo  Potere,  vorrebbero  trarre  alla  loro  .parte  il  Gran 
Poeta,  tenendoci  sempre  sott'occhio  quei  motivi  speciali  di  passione 
e  di  parte,  per  li  quali  lo  sdegnoso  Ghibellino  parlò  talvolta  in 
guisa  da  farsi  credere  un  istante,  solo  però  da  chi  profondamente 
non  lo  conosce,  avverso  al  Dominio  Temporale  della  Chiesa. 

62  Soleva  Roma  che  ecc.  Veduto  sin  qui  che  la  causa  del  guasto 
universa!  dei  costumi  non  è  l'influsso  delle  sfere  celesti,  non  è  la 
stessa  umana  natura,  non  sono  le  leggi,  ma  è  invece  (sempre  nella 
supposta  sentenza  di  Dante  esagerato  costantemente  in  questa  ma- 
teria) il  custode  delle  leggi  medesime,  cioè  il  Romano  Pontefice,  passa 
a  ricercare  (giacché  questa  argomentazione  procede  per  via  di  ri- 
cerca) onde  mai  ciò  avvenne,  e  ne  trova  l'origine  nelTagognare,  che 
secondo  lui  facevano  i  Papi  l'universale  dominio  anche  nelle  cose 
temporali,  mercè  il  loro  dominio  territoriale,  falsamente  e  per  pas- 
sione riguardato  da  Dante  come  occasione  alla  sopraddetta  ambizione, 
l'uso  del  quale  voleva  egli  però,  non  già  abolito,  ma  limitato  dalla 
supremazia  imperiale. 

Dice  adunque  che  Roma,  la  qual  fece  buono  il  mondo  colla 
diffusione  del  cristianesimo,  diramata  ovunque  dal  suo  centro,  soleva 
avere  due  Soli,  cioè  due  capi  reggitori,  il  papa  nel  governo  spiri- 
tuale, l'imperatore  nel  governo  civile  (Soleva  .  . .  Duo  Soli  aver,  che 
Vuna  e  V altra  strada — Facèn  vedere  e  del  mondo  e  di  Deo).  Con 
questo  Dante  viene  a  indicare  la  distinzione  dei  due  poteri  eccle- 
siastico e  civile,  esistenti  in  due  diverse  persone,  stabilite  in  Roma, 
il  papa  e  l'imperatore.  La  distinzione  di  questi  due  poteri  è  un 
fatto,  e  quindi  non  c'è  che  ridire.  Solo  non  si  può  ammettere  con 
Dante  che  gli  imperatori  romani  dei  tre  primi  secoli  facessero  ve- 
dere la  strada  del  mondo,  almeno  in  modo  utile  all'umano  consor- 
zio. Tranne  qualche  rara  eccezione  furono  tanti  tiranni,  tanti  mo- 
stri coronati,  nemici  piuttosto  dell'  umanità  che  reggitori  dei  popoli, 
e  vere  cause  efficienti  della  ruina  del  mondo.  Dante  passò  sopra  a 
tanti  eccessi,  perchè  era  troppo  innamorato  della  Monarchia  romana, 
la  quale  se  fu  provvidenziale  nel  nascere,  fu  anche  provvidenziale 
pel  suo  cadere.  La  passione  affascinò  il  poeta. 


CANTO  XVI.  359 

L'un  r  altro  ha  spento  ;  ed  è  giunta  la  spada  M 

M  L'un  l'altro  ha  spento.  L'un  Sole,  cioè  il  Sole  del  papa,  ha 
spento  l'altro  Sole  dell'imperatore.  Veramente  il  papato  non  ha  spento 
l'impero  romano.  L'impero  cadde  da  sé  oppresso  dalla  propria  im- 
potenza, dai  propri  vizi,  e  a  questi  argomenti  di  caduta  s' aggiun- 
sero le  forze  barbariche  che  non  fecero  troppa  fatica  ad  annichilarlo. 
Anzi  il  papato  ha  il  vanto  di  averlo  fatto  rivivere  dalle  sue  ceneri 
appena  trovò  i  tempi  maturi  a  questo  nuovo  miracolo  di  politica 
cristiana,  e  lo  fece  rivivere  assai  migliore  del  primo,  perchè  come 
Dio  nella  creta  di  Adamo  soffiò  il  suo  spirito,  così  il  papato  nella 
creta  del  nuovo  impero  soffiò  uno  spirito  tutto  santo,  e  gli  die  una 
destinazione  la  più  gloriosa  che  mai.  Se  questo  nuovo  impero  avesse 
continuato  nei  discendenti  di  Carlo  magno  a  secondar  sempre  la 
natura  della  sua  ecclesiastica  istituzione,  il  mondo  già  da  più  secoli 
sarebbe  tutto  cristiano,  sarebbe  stato  impossibile  nessun  scisma  od 
eresia,  ed  ogni  nazione  ed  ogni  popolo  sarebbe  già  da  più  secoli  al 
massimo  grado  di  civiltà  e  di  cultura.  Fu  una  vera  disgrazia  mon- 
diale non  aver  voluto  comprendere  l'alta  intenzione  della  Chiesa 
nella  istituzione  del  sacro  romano  impero.  Tutte  queste  cose  erano 
a  cognizione  di  Dante,  e  quindi  se  egli  ciò  nulla  ostante  asserisce 
che  l'uno  ha  spento  l'altro,  non  può  intendersi  se  non  di  cosa  av- 
venuta prima  della  istituzione  del  Sacro  Romano  Impero,  creazione 
dell' 800,  operata  da  Leon  III  nella  persona  di  Carlo  Magno.  Quando 
dunque,  secondo  Dante,  il  papato  ha  spento  l'impero?  Lo  ha  spento 
sotto  Costantino,  che  Per  cedere  al  Pastor  si  fece  greco  (Par.  e.  XX) 
trasportando  la  sede  dell'impero  a  Bisanzio,  e  lasciando  Soma  al 
papa.  Questo  avvenimento  si  trasse  dietro  le  sue  naturali  conse- 
guenze. Per  dirne  alcune,  una  si  fu  che  datando  da  Costantino,  e 
venendo  giù  per  la  division  dell'impero  avvenuta  sotto  i  due  figli 
ó\i  Teodosio  il  Grande,  Arcadio  ed  Onorio,  Roma  non  era  più  ri- 
guardata come  vera  ed  unica  capitale  dell'  impero  romano,  seguendo 
le  tracce  di  Costantino  che  la  lasciò  ai  papi;  e  un'altra  conseguenza 
si  fu  l'indebolimento  e  al  fine  la  caduta  dell'impero  romano  di  oc- 
cidente per  le  incursioni  barbariche  ;  e  una  terza  la  potenza  dei  papi 
in  occidente,  rimasti  soli  difensori  d'Italia  che  non  era,  e  non  potea 
essere  assistita  dall'impero  d'oriente;  e  finalmente  una  quarta,  la 
spontanea  dedizione  di  una  gran  parte  d'Italia  ai  papi,  per  aver 
da  essi  quel  governo,  e*  quella  tutela  che  da  tanto  tempo  indarno 
si  aspettava  d'oriente.  Ecco  in  qual  modo  l'un  V  altro  ha  spento  ; 
ecco  in  qual  modo  la  spada  fu  giunta  col  pasturale.  Ma  qual  colpa 


360  PURGATORIO 

no.       (Jol  pasturale,  e  l'uno  e  l'altro  insieme  64 
Per  viva  forza  mal  convier^  che  vada. 

ci  può  essere  in  tutto  questo  pei  papi?  chi  invece  non  ci  vede  la 
storia  delle  lor  glorie  ed  un  ordine  provvidenziale  per  la  salvezza 
del  mondo? 

64  E  l'uno  e  V  altro  inèitme  —  Per  viva  forza  ecc.  Come 
già  s'è  detto  nella  Osservazione  antecedente,  non  ferisce  qui  Dante 
il  dominio  territoriale  della  Chiesa,  ma  solo  parla  della  unione  nel 
papa  dei  due  supremi  poteri,  ecclesiastico  e  civile.  Noi  non  vogliamo 
qui  contro  questa  sentenza  di  Dante  intorno  alla  incompatibilità 
del  doppio  supremo  potere  nei  Papi,  da  esso  creduta  necessaria, 
istituire  apposito  ragionamento.  Ricorderemo  solo,  che  dell'opinion* 
di  Dante  non  era  S.  Tommaso,  il  quale  cosi  scrìve:  «  In  his  au- 
»  tem  quae  ad  bonum  civile  pertinent,  est  magia  obediendum  po- 
li testati  saeculari  quam  spirituali,  secundum  illud  Matthaei  29: 
«  Redatte,  quae  sunt  Caesaris,  Caesari,  et  quae  sunt  Dei,  Deo ; 
«  nisi  forte  pò  testati  spirituali  etiam  saecularis  potestas  conjunga- 
»  tur,  sicut  in  papa,  qui  utrìusque  potestatis  apicetn  tenet,  scilicet 
*  spirìtualis  et  saecularis  :  hoc  ilio  disponente,  qui  est  Sacerdos  et  Rex 
9  in  aeternum  secundum  ordinerà  Melchisedech ,  Rex  Regum  et  Do- 
li minus  Dominantium,  cujus  potestas  non  au  fere  tur,  et  regnum  non 
«  corrumpetur  in  saecula  saeculorum.  Amen.  *  San  Tommaso  ne'  Com- 
menti al  lib.  2°  delle  distinzioni  \  distinzione  44,  quest.  2,  dopo  l'art.  3 
della  esposizione  del  Testo,  nella  risposta  alla  4,  obiezione. 

Del  resto  se  nel  medio  evo  i  papi  operarono  in  guisa  da  mo- 
strare, benché  non  fosse,  che  aspirassero  anche  al  dominio  supremo 
nelle  cose  civili,  qual  male  operarono  essi?  Il  loro  male  altro  non 
fu,  che  di  essersi  sempre  opposti  alla  tirannide,  da  qualunque 
parte  essa  venisse ,  sia  dagli  Imperatori  del  Sacro  Romano  Impero, 
immemori  della  loro  sudditanza  al  papato,  sia  dai  re,  sia  dai  tiran- 
nelli  d'Italia,  con  qualunque  nome  si  chiamassero,  di  baroni  o  di 
conti,  di  consoli  o  di  podestà.  U  loro  male  altro  non  fu  che  di  in- 
frenare le  prepotenze  degli  imperatori  di  Germania  e  dei  reali  di 
Francia  che  facevano  mercimonio  d'Italia.  Il  loro  male  altro  non 
fu  che  adoperarsi  a  tutt'uomo  per  ispegnere  le  discordie  civili  in 
Italia.  Il  loro  male  altro  non  fu  che  proteggere  dapertutto  la  li- 
bertà e  i  diritti  del  popolo.  Il  loro  male  altro  non  fu  che  cercare 
ogni  via  di  conciliazione  tra  i  principiJdissMenti,  e  di  assisterli  con 
mezzi  pecuniari  per  islanciarli  nelle  crociate  contro  il  barbaro  Isla- 
mismo, che  senza  dei  papi  avrebbe  fatto  dell'occidente  quello  che 


CANTO  XVI.  361 

Perocché,  giunti,  Tun  l'altro  non  teme.  tt* 
Se  non  mi  credi  pon  mente  alla  spiga, 66 
Ch'ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme. 67 

In  sul  paese  ch'Adige  e  Po  riga  68 
Solea  valore  e  cortesia  trovarsi  C9 
Prima  che  Federigo  avesse  briga:  ™ 

oggidì  è  dell'  Asia,  H  loro'male  finalmente  si  fu  di  non  essere  stati 
mai  secondati  nei  loro  nobili  sforzi  da  chi  più  si  dovea,  cioè  dagli 
imperatori  del  Sacro  Romano  Impero  e  dai  Municipi  d'Italia,  che 
lor  doveano  la  vita. 

63  Perocché,  giunti,  Vun  ecc.  Il  principato  spirituale  non  teme 
il  principato  politico,  e  viceversa,  perchè  si  trova  nelle  medesime 
mani.  Questa  ragione  si  fonda  sul  falso,  perocché* mancherebbero  forse 
anche  in  questo  caso  i  due  più  paurosi  tribunali,  quello  della  co- 
scienza, e  quello  di  Dio? 

to  Pon  mente  alla  spiga,  —  Ch'ogni  erba  ece.  Pon  mente  ai  frutti, 
alle  conseguenze.  È  in  altri  termini  il  detto  di  Gesù  Cristo:  Exfructihie 
eorum  cognoscetis  eost  Se  poi  fossero  baoiii  o  rei  i  frutti  di  quelTo- 
perare  dei  papi,  che  falsamente  parve  unione  dei  due  supremi  poteri, 
vedi  in  fine  della  nota  64. 

&  Per  lo  seme.  Pel  frutto  ch'ella  produce,  nel  qua!  frutto  c'è 
il  seme  per  una  nuova  produzione. 

fó/n  sul  paese  ch'Adige  eccl  Nell'alta  Italia  irrigata  da  questi 
due  fiumi 

M  Solea  valore  ecc.  Ci  erano  genti  virtuose  e  cortesi.  Eppure, 
osservo  io,  anche  nei  tempi  anteriori  a  Federigo  II  avevano  i  papi 
il  temporale  dominio,  e  lo  avevano  da  più  secoli  ;  e  Dante,  stesso, 
per  bocca  di  Marco,  accorda  che  lungi  dalTesservi  in  quei  tempi  cor- 
ruzion  di  costumi  vi  avea  invece  valore  e  cortesia*  Non  è  dunque  che 
Dante  biasimi  questo  dominio  territoriale,  riferendo  ad  esso  l'universale 
corruzione,  che  sarebbe  con  sé  stesso  in  contraddizione  ;  ma  si  il  no*, 
vellamente  ambito  dominio  supremo,  come  egli  falsamente  credeva. 

™  Prima  che  Federigo  avesse  briga.  Prima  che  Federigo  II  im- 
perador  de1  Romani  avesse  quelle  sue  famose  questioni  col  papa. 
Federigo  II,  da  naturai  protettor  della  Chiesa  e  de'  suoi  diritti, 
quale  dovea  essere  in  forza  della  costituzione  del  Sacro  Romano  Im- 
pero, e  de'  suoi  giuramenti,  divenne  il  suo  più  accanito  persecutore. 
Di  qui  It  scomuniche  del  papa,  e  di  qui  l'inasprimento  della  fazione 
imperiale. 


862  PURGATORIO 

Or  può  sicuramente  indi  passarsi  7I 
Per  qualunque  lasciasse,  per  vergogna 
120.       Di  ragionar  co' buoni,  d'appressarsi. 

Ben  v'en  tre  vecchi  ancora,  in  cui  rampogna  71 
L'antica  età  la  nuova,  e  par  lor  tardo 
Che  Dio  a  miglior  vita  li  rìpogna: 

Currado  da  Palazzo,  e  il  buon  Gherardo,  7S 
E  Guido  da  Castel,  che  me'  si  noma 
Francescamente  il  Semplice  Lombardo.  n 

Dì  oggimai  che  la  Chiesa  di  Roma  n 
Per  confondere  in  sé  duo  reggimenti, 
Cade  nel  fango,  e  sé  brutta  e  la  soma. 

li  Or  può  sicuramente  ecc.  Ora  se  vi  fosse  chi  per  vergogna  di 
farsi  vedere  in  compagnia  di  buoni  tralasciasse  fin  d'appressarsi 
all'alta  Italia,  sappia  costai  che  può  passarla  tutta  sicuramente, 
cioè  senza  timore  d' incontrarsi  con  gente  buona.  Detto  per  ironia 
e  per  iperbole. 

?*  Ben  v'en  tre  vecchi  ecc.  Per  altro  vi  sono  (en  pi.  antiq.  in 
luogo  di  enno)  ancora  tre  vecchi  per  mezzo  dei  quali  l'antica  età 
(cioè  i  tempi  anteriori  a  Federigo  II  quando  solca  va  lare  e  cortesia 
trovarsi)  rimprovera  la  età  nuova,  nella  quale  più  non  si  trova  né 
valore  né  cortesia. 

?*  Currado  da  Palazzo.  Di  Brescia  —  Gherardo.  Di  Trevigi.  — 
Guido  da  Castel  Di  Reggio  di  Lombardia.  Tutti  amici  di  Dante, 
puri  Ghibellini,  e  l'ultimo  ospite  di  Dante. 

?*  Francescamente  il  Semplice  Lombardo.  Alla  francese  è  cono- 
scinto  e  chiamato  il  Semplice  Lombardo  ;  Semplice  per  la  sua  vita 
frugale,  Lombardo  perché  i  Francesi  chiamavano  gli  Italiani  Lom- 
bardi, quelli  però  dell'alta  Italia.  Così  dei  genitori  di  Virgilio:  Eli 
parenti  miti  furon  Lombardi.  (In/.  L) 

7S  Dì  oggimai  che  ecc.  E  questa  la  falsa  conclusione  di  tutto 
il  ragionamento  ed  invettiva  di  Marco,  ossia  del  passionato  Ghi- 
bellino, per  bocca  di  Marco,  contro  il  dominio  universale,  anche 
nelle  cose  civili,  da  lui  falsamente  supposto  nelle  mire  dei  papi,  e 
forse  falsamente  creduto  del  tutto  incompatibile  in  essi  colla  su- 
prema autorità  spirituale. 


CANTO  XVL  368 

180.  o  Marco  mio,  diss'  io,  bene  argomenti  ; 76 
Ed  or  discerno,  perchè  dal  retaggio  77 
Li  figli  di  Levi  furono  esenti. 

Ma  qual  Gherardo  è  quel  che  tu  per  saggio  7* 
Dì  eh' è  rimaso  della  gente  spenta 
In  rimproverio  del  secol  selvaggio? 

0  tuo  parlar  m' inganna,  o  e'  mi  tenta,  ™ 

76  O  Marco  mio.  Da  questo  modo  di  dire  appar  che  Marco  fosse 
legato  con  Dante  in  qualche  amicizia,  altrimenti  noi  direbbe  mio. 

Bene  argomenti.  Arte  finissima  di  eloquenza  per  dar  rincalio 
alla  invettiva. 

77  Ed  or  discerno  perchè  ecc.  La  tribù  di  Levi,  perchè  addetta  al 
servizio  del  santuario,  non  ebbe  nella  partizione  della  terra  promessa 
il  suo  retaggio  come  le  altre,  alle  quali  toccò  una  parte  distinta  dal- 
l'altre, mentre  i  Leviti  furono  sparsi  pei  retaggi  dell'altre  tribù. 
Questo  però  fu  disposto  da  Dio  non  perchè  i  Leviti  non  dovessero 
possedere,  ma  perchè  essendo  sparsi  fra  le  tribù  sorelle,  fossero  a  tutte 
di  giovamento  colla  dottrina  e  coli' esempio,  e  nel  medesimo  tempo 
tutte  le  tribù  contribuissero  al  mantenimento  dei  ministri  di  Dio  col 
cedere  una  parte  dei  loro  terreni  e  delle  loro  città.  Cosi,  sebben  si 
guardi,  i  Leviti  possedevano  come  gli  altri,  salvo  che  invece  di  avere 
la  proprietà  unita,  l'aveano  sparsa  frammezzo  alle  proprietà  del  po- 
polo. Su  questo  proposito  ecco  come  si  esprìme  il  Padre  Prospero  del- 
l'Aquila nel  suo  Dizionario  della  Bibbia  alla  voce  Levita  :  a  Com'essi 
non  entrarono  punto  nella  divisione  della  terra  promessa,  Iddio  aveva 
provveduto  alla  loro  sussistenza  con  dar  loro  le  decime  dei  grani,  dei 
frutti,  e  degli  animali  in  Israele.  Egli  assegnò  loro  quaranta  otto  città 
nella  terra  di  Canaan  per  loro  abitazione  con  campagna  e  giardini, 
e  tutte  le  terre  alla  distanza  di  due  miglia  incirca.  Di  queste  quaranta 
otto  città,  se  ne  diedero  tredici  ai  sacerdoti,  tra  le  quali  se  ne  scel- 
sero sei  per  cjttà  di  rifugio.  Mentre  che  i  Leviti  erano  occupati  nel 
servizio  attuale  del  tempio,  essi  erano  nutriti  delle  giornali  fatiche 
che  vi  si  facevano.  « 

78  Per  saggio  —  D\  ch'è  rimaso  della  gente  spenta  ecc.  Allude  alla 
terzina  di  sopra:  Ben  v*en  tre  vecchi  ancora  ecc. 

79  M'inganna,  o  e'  mi  tenta.  Appunto  la  dimanda  di  Dante  era 
volta  a  tentare  Marco  per  udire  da  lui  l'ultima  nota  caratteristica 
di  sua  persona  sulla  quale  non  era  affatto  certo,  e  così  lo  notifica 


364  PURGATORIO 

Rispose  a  me  ;  che  parlandomi  Tosco,  *° 
Par  che  del  buon  Gherardo  nulla  senta. 
Per  altro  sopranome  io  noi  conosco, 
140.       S'  i>  noi  togliessi  da  sua  figlia  Gaia  : Sl 

Dio  sia  con  voi,  che  più  non  vegno  vosco.  M 

al  mondo  per  quel  tal  Marco  e  non  altri.  Come  poi  Dante  potesse 
da  Gherardo  aver  l'ultima  nota  caratteristica  di  Marco,  lo  vedremo 
alla  nota  81. 

*o  Che  parlandomi  Tosco.  Queste  parole  provano  apertamente 
che  Marco  non  conosceva  Dante  suo  interlocutore,  perchè  questi 
non  gli  si  era  menomamente  manifestato,  e  il  fumo  impediva  ogni 
conoscenza. 

81  S'C  noi  togliessi  ecc.  Come  dicesse:  Io  parlo  di  quel  Gherardo  che 
è  padre  di  Gaia.  Cosi  Dante  seppe  di  qual  Gherardo  parlasse  Marco; 
ma  seppe  con  ciò  medesimo  che  l'ombra  sua  interlocutrice  era  vera- 
mente Marco  l'amico  suo.  Come  ciò  sia,  eccolo.  Dante  altro  non 
conosce  di  quest'ombra  se  non  che  1.°  essa  fu  dell'alta  Italia  (Lom- 
bardo fui),  2.°  essa  ebbe  nome  Marco  (E  fui  chiamato  Marco), 
3.°  essa  fu  persona  politica  e  valorosa  (Del  mondo  seppi  e  quel 
valore  amai  ecc).  Queste  note  generiche  lasciano  qualche  incer- 
tezza in  Dante  sulla  persona  dell'amico.  Che  fa  egli?  Egli  tenta  di 
conoscerlo  precisamente,  per  via  indiretta  (o  e*  mi  tenta),  facendo 
questi  calcoli  :  S'egli  è  quel  Marco  che  intendo  io,  cioè  il  mio  amico, 
deve  esser  marito  di  Gaia  figlia  di  Gherardo.  Ebbene  io  dimanderò 
chi  è  questo  Gherardo,  e  se  conoscerò  ch'egli  è  il  padre  di  Gaia, 
saprò  pure  chi  sia  questo  Marco  ch'ebbe  Gaia  in  isposa.  Cosi  infatt1 
fece  Dante,  e  cosi  scoperse  qual  Marco  fosse  quell'ombra,  cioè  il 
genero  di  Gherardo  il  buono.  Sarà  sottile  il  commento,  ma  è  sottile 
anche  il  contesto,  il  quale,  bene  studiato  che  sia,  ci  fa  alfine  veder 
chiaramente  che  Gaia  è  la  moglie  di  Marco,  e  che  cosi  il  tentare 
di  Dante  riusci  a  cavar  dall'ombra  chi  ella  fosse  precisamente.  Non 
fìtte  Gaia  moglie  di  Marco  e  tutto  il  contesto  va  in  fumo.  Se  i  com- 
mentatori avessero  avvertito  a  questo  artifizio  di  Dante,  da  lui  già 
chiaramente  manifestato,  non  avrebbero  detto  di  Gaia  notizie  tanto 
infondate  e  contradditorie. 

8*  Dio  sia  con  voi.  Non  sapendo  Marco  chi  sia  il  compagno  di 
Dante,  dice  Dio  sia  con  voi.  Se  avesse  saputo  ch'era  Virgilio  non 
avrebbe  parlato  in  plurale.  —  Più  non  vegno  vosco.  Il  fumo  degli 
irosi  non  potea  arrivare  all'angelo. 


CANTO  XVI.  365 

Vedi  l'albor,  che  per  lo  fumo  raia,  M 

Già  biancheggiare,  e  me  convien  partirmi, 
(L'Angelo  è  ivi)  prima  ch'egli  paia. 8i 

Codi  tornò,  e  più  non  volle  udirmi. 

83  Vedi  Valbor,  che'eea.  Erano  gli  splendori,  che  'gettava  l'An- 
gelo custode  della  scala  dalla  sua  persona.  Questi  splendori  rag- 
giavano attraverso  il  fumo  che  circondava  le  anime  e  Dante. 
Dicendo  vedi  Ualbor,  indica  due  cose:  prima  che  l'Angelo  era  vicino; 
seconda,  ed  è  la  più  importante,  che  l'Angelo  era  subito  al  di  là 
della  svolta  del  monte,  alla  faccia  di  ovest  di  dove  gettava  i  suoi 
raggi  in  modo  diverso  dal  Sole.  Quelli  del  Sole  più  languidi  batte* 
vano  contro  il  fumo  che  da  est  andava  ad  ovest,  quelli  dell'Angelo 
più  vivi  battevano  non  contro,  ma  attraverso  il  fumo.  A  questi  e 
non  a  quei  del  Sole  Marco  accenna.  (Vedi  il  mio  Disegno,  Tavola  Vl} 
cornice  III  a  sinistra.  Altezza  migl.  94.) 

Un  dubbio.  Gli  splendori  dell'Angelo  erano  come  quelli  del  Sole. 
Perchè  dunque  si  dicono  albore  t  Appunto  perchè  passavano  per  il 
fumo.  Anche  il  Soler  che  è  di  color  rancio,  se  avviene  che  l'atmosfera 
sia  tutta  ingombra  di  nebbia,  veduto  per  la  nebbia  è  bianco.  Perciò 
si  dice:  VediValbor  già  biancheggiare. 

** L'Angelo  e  ivi.  L'ho  messo  tra  parentesi  per  maggiore  intel- 
ligenza. È  come  dicesse:  Perchè  ivi  è  l'Angelo.  Gli  iracondi,  come 
dissi  altre  volte,  dovevano  ritornarsene  come  fossero  giunti  in  vi- 
cinanza dell'Angelo  :  e  ciò  dimostra  che  dinanzi  all'Angelo  le  anime 
non  vanno  che  quando  hanno  finito  la  loro  purga  e  deono  salire. 
Questa  osservazione  si  dice  solamente  qui  per  la  prima  volta,  ma 
va  intesa  per  ogni  cornice,  perchè  Dante  vuol  sempre  farci  studiare 
e  tenerci  svegliati,  onde  una  cosa  che  potea  dirla  in  un  luogo,  la 
dice  in  un  altro,  e  sta  a  noi  avvertirla. 

Prima  ch'egli  paia.  Prima  ch'egli  apparisca  del  tutto.  Siccome 
poi  egli  apparirebbe  qual'  è,  andando  fuor  delle' tenebre  e  del  fumo, 
cosi  vuol  dire  con  ciò  ch'egli  non  può  andare  che  fin  dove  va  il  fumo, 
entro  il  quale  egli  dee  sempre  camminare. 


CANTO    XVII 


Argomento. 

Escono  i  poeti  dal  fumo  al  tramonto  del  Sole.  In  un'  estasi 
come  la  prima  ha  Dante  visioni  che  si  riferiscono  alVira.  Si  rin» 
sensa  al  bagliore  dell'Angelo,  che  invita  a  salire.  Arrivati  al 
sommo  della  scala  non  possono  piò  ire  innanzi.  Virgilio  compensa 
la  fermata  con  un  discorso  sopra  V amore. 

NB.  Vedi  tatti  i  easellini  di  questo  Canto  nella  mia  Taf.  Ili  Purg.  e  le  Tav.  V 

e  VI  Purg. 


Uicorditi,  lettor,  se  mai  nell'alpe  * 
Ti  colse  nebbia,  per  la  qual  vedessi 
Non  altrimenti  che  per  pelle  talpe;  * 

Come  quando  i  vapori  umidi  e  spessi  3 

*  Se  mai  nelV  Alpe  ecc.  Ci  richiama  ad  un  esempio  di  nebbia  che 
ci  abbia  incolto  non  in  una  pianura,  ma  su  di  una  montagna,  come 
talora  avviene  ;  e  ciò  perchè  i  poeti  sono  già  in  un  altissimo  monte 
e  non  in  un  piano. 

*  Non  altrimenti  ecc.  La  talpa  ha  la  retina  membranacea  della 
pupilla  assai  densa,  e  però  è  quasi  cieea.  Cosi  ci  vede  chi  è  av- 
volto da  folta  nebbia. 

*  /  vapori  umidi  e  spessi.  Questi  sono  la  nebbia.  £  una  perifrasi 
di  lei. 


368  PURGATORIO 

A  diradar  comi  nei  ansi,  la  spera  * 
Del  sol  debitamente  entra  per  essi; 
E  fia  la  tua  immagine  leggiera  * 
In  giugnere  a  veder,  com' io  rividi 
Lo  Sole  in  pria,  che  già  nel  corcare  era. 6 
10-    SI  pareggiando  i  miei  co'  passi  fidi 7 

Del  mio  Maestro,  usci'  fuor  di  tal  nube 


*  A  diradar  cominciami  ecc.  Siccome  la  nebbia  si  scioglie  a  poco 
a  poco,  così  a  poco  a  poco  si  fa  più  visibile  il  Sole. 

*  E  fia  la  tua  immagine  ecc.  E  avrai  in  ciò  (in  quel  che  dissi 
nella  seconda  terzina)  una  similitudine  assai  facile  per  comprendere 
come  il  Sole  mi  riapparve,  cioè  mi  riapparve  a  poco  a  poco. 

*  Lo  Sole  in  pria.  Prima  di  veder  l'Angelo,  che  m'era  a  sinistra 
dopo  la  svolta,  vi  vidi  il  sole  che  mi  splendeva  in  faccia,  per  non 
essermi  io  voltato  per  anche  per  la  strada  del  monte,  la  cui  fac- 
ciata è  volta  ad  occidente,  in  principio  della  quale  stava  l'Angelo. 
(Vedi  attentamente  il  mio  disegno  in  questo  punto  Tav.  Vf.) 

Che  già  nel  corcare  era.  Era  nel  suo  preciso  tramonto.  Erano 
dunque  le  ore  5.20,  perchè  nei  10  Ottobre,  giorno  in  cui  siamo  agli 
antipodi,  rispondente  al  nostro  11  Aprile,  il  Sole  tramonta  appinto 
in  quest'ora. 

1  Sì  pareggiando  ecc.  Dopo  che  Dante  lasciò  Marco,  pareggiò  i 
suoi  passi  a  quelli  di  Virgilio.  Come  ciò?  Non  li  pareggiava  anche 
prima?  Dacché  Dante  fu  avvolto  nella  nube  egli  andava  dietro  a 
Virgilio  come  un  orbo  dietro  a  sua  guida.  Dante  ai  teneva  colla 
destra  attaccato  alla  spalla  sinistra  di  Virgilio,  e  abbiamo  allora 
notato  che  necessariamente  in  tal  positura  il  passo  di  Dante  dovea 
restare  un  po'  addietro  dal  passo  di  Virgilio.  (Canto  XVI,  n.  4  e  5). 
Parea  un'inezia  notare  allora  questa  circostanza;  eppure  ecco  che 
senza  quel  passo  non  si  può  spiegar  questo.  Dante  vuole  studio  ed 
attenzione  alle  cose  più  minute.  Chi  non  le  calcola,  crede  d'inten- 
dere e  non  intende.  Chi  p.  e.  intende  che  colle  cose  dette  infine  del 
Canto  XVI  ed  in  principio  di  questo,  Dante  ci  dichiari  aperto  che  dalla 
Cacciata  di  settentrione  si  sta  per  passare  alla  facciata  di  occidente? 
Nessuno  osserva  questo.  Eppure  è  un  viaggio  quello  che  si  descrive, 
e  almeno  i  cangiamenti  di  plaga  non  si  dovrebbero  tener  per  inezie. 
Ma  il  vero  si  è  che  si  tengono  inezie  perchè  costano  troppo  stu- 
dio ad*  afferrarle  nel  poeta,  quand'  egli  ce  lo  offre. 


CANTO  XVII.  369 

A'  raggi  morti  già  ne'  bassi  lidi, 8 

O  immaginativa,  che  ne  rube  9 

Talvolta  sì  di  fuor,  ch'uom  non  s'accorge, 
Perchè  d' intorno  suonin  mille  tube, i0 

Chi  muove  te,  se  il  senso  non  ti  porge?  u 
Muoveti  lume  che  nel  ciel  s'informa, 
Per  sé,  o  per  voler  che  giù  lo  scorge. 

Dell'empiezza  di  lei  che  mutò  forma    i2 

8  Morti  già  nerbassi  lidi.  Quando  il  Sole  tramonta;  le  prime  a 
perdere  il  Sole  sono  le  parti  basse,  e  poi  via  via  le  parti  più 
alte.  Dante  in  questa  cornice  era  air  altezza  di  £4  miglia.  Egli 
godeva  ancora  dei  raggi  del  Sole,  quando  i  lidi  di  quella  montagna 
gli  aveano  perduti..  Da  qui  a  poco  più  di  un  minuto  avrà  perduto 
il  Sole  anche  quella  cima.  la  tanto  si  vede  eli  e  Dante  nel  suo  viaggio 
tien  conto  anche  di  un  minuto. 

9  0  immaginativa  ecc.  Dante  appena  uscito  dalla  nube  è  rapito 
in  un'estasi  come  prima  di  entrarvi;  e  questo  si  fa  succedere,  perchè 
Dante  abbia  istruzione  d' altri  esempi  relativi  all'  ira,  e  quindi  si 
disponga  sempre  più  a  detestarla.  Abbiam  veduto  sin  qui  succeder 
sempre  così:  prima  una  istruzione  di  esempi  con  che  si  apre  la  scena; 
poi  la  vista  ed  il  colloquio  dell'anime,  seconda  scena;  finalmente 
nuova  istruzione  di  esempi,  terza  ed  ultima  scena.  Cosi  il  peccatore 
è  sempre  preso  in  mezzo  da  due  istruzioni,  che  servono  alla  purga 
del  peccato. 

Ora  che  cosa  ò  necessario  per  Testasi?  È  necessario  che  l'anima 
si  ritiri  dalle  porte  dei  sensi,  e  si  concentri  tutta  in  so  stessa  o 
nella  sua  immaginativa.  L'anima  cosi  concentrata  non  ode,  non 
sente,  non  vede;  i  sensi  per  lei  sono  come  più  non  esistessero;  po- 
trebbero strepitarle  intorno  mille  trombe,  ella  non  s'accorge. 

*o  Perchè.  Per  quanto. 

4*  Chi  muove  te,  se  ecc.  L'anima  agisce  col  ministero  dei  sensi. 
Ma  i  sensi  qui  sono  inerti,  e  non  porgono  all'anima  alcun  oggetto. 
Dunque  chi  ti  muove  a  veder  oggetti,  o  anima,  o  immaginativa?  In 
questo  stato  non  ti  muove  che  il  lume  celeste,  cioè  Dio  o  imme- 
diatamente, o  mediatamente  pel  ministero  angelico. 

**  Dell' empiczza  ecc.  Dell'empietà  di  Filomela,  che  per  vendicarsi 
di  Tereo,  d'accordo  con  Progne  sua  sorella,  cosse  Iti  figliuolo  di 
Tereo,  e  glielo  diede  mangiare.  Esempio  di  vendetta  figlia  d'ira. 

24 


370  PURGATORIO 

20-        NelTuccel  che  a  cantar  più  si  diletta,  {Z 
Neil' immagine  mia  apparve  Torma.  u 

E  qui  fu  la  mia  mente  sì  ristretta  l3 
Dentro  da  so,  che  di  fuor  non  venia 
Cosa  che  fosse  allor  da  lei  recetta. 

Poi  piovve  dentro  all'alta  fantasia  4IÌ 
Un  crocifisso  dispettoso,  e  fiero  47 
Nella  sua  vista,  e  cotal  si  morìa. 

Intorno  ad  esso  era  il  grande  Assuero, 
Ester  sua  sposa,  e  il  giusto  Mardocheo, 
80-         Che  fu  al  dire,  e  al  far  così  intero. iè 


*8  Neil9  uccel  ecc.  In  ussignolo. 

M  Nell'immagine  mia  ecc.  Nella  mia  immaginativa.  Apparve 
l'orma.  Il  fatto  anzidetto  si  stampò  nella  mia  immaginativa,  ed  io 
lo  vedea  come  presente  senza  che  i  sensi  me  l'offerissero. 

*5  E  qui  fu  la  mia  ecc.  Perchè  la  mente  potesse  accogliete  un 
altro  esempio  dopo  il  primo  di  Filomela,  bisognava  che  questo  sva- 
nisce: ed  ecco  che  svanisce  col  restringersi  vieppiù  la  mente,  che 
è  il  campo  sa  cui  s'impresse  il  primo  fatto,  e  stringendosi  cosi  la 
mente,  ne  distrusse  la  impressione,  appunto  come  succede  nelle  im- 
pressioni materiali,  p.  e.  in  quello  fatte  in  cera,  le  quali  svaniscono 
collo  schiacciare  e  restringere  la  cera  stessa.  Distrutta  cosi  questa 
impressione,  restò  la  mente  vergine  perchè  in  lei  non  cadde  altra 
impressione,  però  si  soggiunge:  eh*,  di  fuor  non  venia —  Cosa  che 
fosse  allor  da  lei  recetta  ;  e  ciò  per  dar  luogo  ad  una  seconda  visione. 

*6  Poi  piovve  dentro  ecc.  Per  variare  le  concezioni  della  mente, 
ora  le  descrìve  sotto  l'idea  dello  stampo  e  del  sigillo,  come  la  prima, 
ed  ora  sotto  l'idea  di  una  pioggia,  come  la  concezione  presente. 
Prova  si  è  questa  d'immensi  ricchezza  di  fantasia,  e  per  questo  il 
poeta  non  può  a  meno  di  chiamar  qui  la  sua  mente,  alta  fantasia. 

il  Un  crocifisso  ecc.  E  il  supplieio  dell'iracondo  Amano,  fatto 
abbastanza  noto.  Esempio  snero  in  mezzo  ni  due  profani  per  dar 
varietà  anche  all'enumerazione.  D?A  sacro  misto  al  profano  abbiamo 
reso  ragione  altra  volta. 

*8  Che  fu  al  dire  ecc.  Si  giusto  nelle  parole  e  nelle  opere,  leg- 
gete la  Bibbia,  e  saprete  come  parlò  alla  nipote  Ester  (esempio  vero 
d'eloquenza),  e  come  salvò  la  vita  di  Assuero. 


CANTO  XVII.  371 

E  come  questa  immagine  rompeo  19 
Sé  per  sé  stessa,  a  guisa  d'una  bulla 
Cui  manca  l'acqua  sotto  qual  si  feo; 

Surse  in  mia  visione  una  fanciulla,  *° 
Piangendo  forte,  e  diceva:  O  regina, 
Perchè  per  ira  hai  voluto  esser  nulla? 

Ancisa  t'hai  per  non  perder  Lavina; 

Or  m'hai  perduta  ;  i'  sono  essa  che  lutto, 
Madre,  alla  tua,  pria  ch'ali' altrui  mina. 
40-     Come  si  frange  il  sonno,  ove  di  butto  2I 
Nuova  luce  percuote  il  viso  chiuso, 
Che  fratto  guizza  pria  che  muoia  tutto; 

19  Rompeo  —  Sé  per  sé  stessa  ecc.  Avendo  espresso  il  poeta  la 
seconda  visione  sotto  la  immagine  di  una  pioggia,  parla  del  suo  dis- 
facimento continuando  la  stessa  immagine,  paragonando  la  visione 
ad  una  bulla  o  bolla  d'acqua,  che  si  fa  dall'acqua,  e  per  mancanza 

0  perdita  d'acqua  si  disfa.  Così  avvenne  di  questa  seconda  visione. 
Essa  piovve  nella  mia  fantasia,  e  poi  cessando  di  piovere/ossia  so- 
spendendosi la  continuazione  della  visione,  svanì  per  sé  stessa.  Ci  vuole 
un  immenso  ingegno  per  trovare  queste  maravigliose  similitudini. 

1  sogni  che  di  solito  proviamo  non  si  potrebbero  esprimer  meglio 
che  colle  bolle  dell'acqua,  che  si  fanno  e  disfanno  senza  lasciare  la 
menoma  impressione. 

*>  Surse  in  mia  visione  ecc.  Terzo  ed  ultimo  esempio  d'ira  o  di 
impazienza,  e  de' suoi  effetti  funesti.  E  questo  il  suicidio  d'Aronta 
madre  di  Lavina,  promessa  sposa  a  Turno.  Aronta  si  uccise  udendo 
che  Turno,  il  suo  futuro  genero,  fosse  stato  ucciso  da  Enea.  Lo  fu 
appresso,  ma  allor  non  l'era.  Intanto  a  Lavina  toccò  fare  il  lutto 
o  il  pianto,  pria  per  la  madre  e  poi  per  lo  sposo. 

*i  Come  si  frange  ecc.  Dante  dall'estasi  ritorna  ai  sensi  per  ef- 
fetto di  bagliore  forte  ed  irrprovviso  che  gli  venne  dagli  splendori 
dell'Angelo  che  stava  al  comincia  mento  dell'altra  facciata  del  monte 
che  guarda  ad  ovest.  E  per  indicar  questo  fatto,  usa  d'una  simili- 
tudine la  più  propria  e  naturale,  quella  del  sonno  che  improvvisa- 
mente ci  vien  rotto  da  un  subito  chiarore  che  fortemente  ci  per- 
cuota gli  occhi,  dal  quale  il  sonno  è  infranto  (fratto):  Ma  pria  di 
partirsene  del  tutto  (prix  che  tnuoja  tutto)  guizza  o  ci  fa  guizzare. 


872  PURGATORIO 

Cosi  P  immaginar  mio  cadde  giuso 
Tosto  che  un  lume  il  volto  mi  percosse, 
Maggiore  assai, che  quello  ch'è  in  nostr'uso." 

r  mi  volgea  per  vedere  ov'  io  fosse,  M 
Quando  una  voce  disse  :  Qui  si  monta  : 3i 
Che  da  ogni  altro  intento  mi  rimosse  ; 

E  fece  la  mia  voglia  tanto  pronta 
60.         Di  riguardar  chi  era  che  parlava, 

Che  mai  non  posa,  se  non  si  raffronta.  24 

Ma  come  al  sol,  che  nostra  vista  grava, 
E  per  soverchio  sua  figura  vela, 
Così  la  mia  virtù  quivi  mancava.  * 

Questi  è  divino  spirito,  che  ne  la 
Via  d'andar  su  ne  drizza  senza  prego, 


»  Maggiore  assai  ecc.  Maggiore  assai  del  sole. 

23  Jo  mi  volgea  per  ecc.  Da  questo  punto  Dante  che  finora  fu 
nell'estremità  della  facciata  del  monte,  che  guarda  nord,  mette  il 
piò  e  si  volge  per  il  principio  della  facciata  che  guarda  ponente. 
Per  questo  egli  dice:  Fmi  volgea  per  ecc.  Avea  poco  prima  nel 
suo  cammino  la  faccia  rivolta  al  sole  che  tramontava;  dunque  era 
ancora  nella  facciata  di  nord,  la  cui  strada  va  direttamente  a  po- 
nente. Ora  ha  bisogno  di  volgersi  per  vedere  dove  fosse;  dunque 
egli  era  nel  prìntipio  della  facciata  di  ovest  Osserva  attentamente 
il  mio  disegno  in  questo  punto,  Tav.  VI.  Da  ciò  è  pur  fissato  il 
sito  dell'Angelo  e  della  scala  nel  principio  di  questa  stessa  facciata 
alla  sinistra  di  chi  legge  la  Tav.  VI.  £  indubitato  che  Dante  non 
avrebbe  potuto  essere  cosi  preciso  ed  esatto  in  tutti  i  passi  del  suo 
viaggio,  se  prima  non  si  fosse  fatto  un  modello  di  tutto,  e  non  lo 
avesse  tenuto  del  continuo  sott' occhio.  £  se  questo  fece  Dante, 
quanto  più  noi!  È  perciò  ch'io  insisto  su  questo  punto  si  neces- 
sario, e  che  ciò  nulla  ostante  fu  trascurato  finora  da  tutti,  per  quanto 
mi  sappia. 

2i  Qui  si  monta.  Vedi  Tav.  VL 

*5  Se  non  si  raffronta.  Se  non  raffigura  l'oggetto  che  le  ha  mosso 
la  curiosità. 

#  Pt'Wù,  Virtù  visiva. 


CANTO  XVII.  373 

E  col  suo  lume  sé  medesmo  cela. 

Sì  fa  con  noi,  come  Tuoni  si  fa  sego  :  ** 
Che  quale  aspetta  prego,  e  Tuopo  vede, 
60-         Malignamente  già,  si  mette  al  nego. 

Ora  accordiamo  a  tanto  invito  il  piede  :  M 
Procacciaci  di  salir  pria  che  s'abbui,  M 
Che  poi  non  si  poria  se  il  dì  non  riede. 

Così  disse  il  mio  duca;  ed  io  con  lui 
Volgemmo  i  nostri  passi  ad  una  scala: 
E  tosto  ch'io  al  primo  grado  fui, 

Senti'  mi  presso  quasi  un  muover  d'ala,  80 
E  ventarmi  nel  volto,  e  dir  :  Beati  3t 
Pacifici,  che  son  senz'irà  mala.  » 


&  Si  fa  con  noi.  Ci  contenta  senza  che  noi  lo  preghiamo.  Cosj 
facciamo  noi  con  noi  stessi.  Per  contentarci  non  abbiamo  bisogno 
di  pregarci.  —  Sego  per  seco.  Così  da  preco  si  fa  prego. 

98  Ora  accordiamo  ecc.  I  pie  s'accordano  ali1  invito  di  montare 
quando  si  dirigono  alla  scala  per  cui  si  monta.  Dunque  vuol  dire 
che  si  diressero  alla  scala. 

29  Procacciata  di  salir ',  Studiamoci  di  fornir  tutta  la  scala  prima 
che  venga  notte,  perchè  poi  salir  non  si  potrebbe  sin  al  nuovo  di. 
Virgilio  l'avea  imparato  da  Sordello  (C.  VII  v.  51  e  seg.) 

Avvertite  che  la  notte  (che  è  il  presente  s'abbui),  secondo  Dante, 
comincia  dopo  i  crepuscoli. 

so  Ouasi  un  muover  d'ala  — E  ventarmi  nel  volto.  Perchè  Tira  era  uno 
dei  peccati  che  più  poteano  in  Dante,  come  la  superbia,  perciò  in  questi 
due  luoghi  per  la  cancellazione  del  P  abbisognò  speciale  operazione  del- 
l'angelo, cioè  un  pò"  di  scopatura  coll'ala,  mentre  negli  altri  non  occorse* 

si  fi  dir:  Beati  ecc.  Sono  parole  doli' Angelo  prese  dal  Vangelo? 
colle   (uali  felicita  il  penitente,  ornai  purgato  dall'ira. 

32  fcnz'ira  mala.  Si  dice  mala,  perchè  e' e  anche  Tira  santa,  che 
è  lo  zelo:  Irascimini  et  nolite  peccare  (Salmi).  Perciò  si  disse,  Purg. 
C.  Vili,  v.  82  e  seg  : 

Cosi  dicea,  segnato  della  stampa 

Nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  zelo, 
Che  misuratamente  in  cuore  avvampa. 


374  PURGATORIO 

7o-    Già  eran  sopra  noi  tanto  levati  ** 

Gli  ultimi  raggi  che  la  notte  segue, 
Che  le  stelle  appari van  da  più  lati. 
0  virtù  mia,  perchè  sì  ti  dilegue  ?  3i 
Fra  me  stesso  dicea,  che  mi  sentiva 
La  possa  delle  gambe  posta  in  tregue. 


83  Già  eran  sopra  noi  ecc.  Nel  momento  che  il  sole  incomincia 
a  tramontare,  i  suoi  raggi  vengono  ad  nno  che  stia  in  pianura,  p.  e, 
sulla  superficie  del  mare," in  direzione  orizzontale.  Di  mano  in  mano 
che  il  disco  solare  s'abbassa  sotto  la  linea  dell  'orizzonte,  i  suoi  raggi 
s'innalzano,  lasciando  nell'ombra  le  parti  basse  della  terra.  Per 
questo  poco  fa  (n.  8.)  abbi  a  m  veduto  che  i  raggi  del  sole  non  il- 
luminavano più  le  falde  estreme  ed  i  lidi  della  montagna,  ma  illu- 
minavano per  altro  ancora  quella  altezza,  ov'era  il  poeta,  di  miglia  94 
dal  livello  del  mare.  Continuando  il  sole  ad  abbassarsi  sotto  l'oriz- 
zonte, i  suoi  raggi  sempre  più  si  elevano,  finche  lasciano  nell'ombra 
anche  le  cime  delle  più  alte  montagne.  Ma  per  questo  non  è  ancor 
notte.  Mancando  il  raggio  diritto,  abbiamo  il  raggio  riflesso,  perchè 
il  sole  co'  suoi  raggi  elevati  percuote  l'atmosfera  a  noi  visibile  prò. 
ducendo  cosi  i  crepuscoli,  e  quando  il  sole  a  forza  di  allontanarsi 
dal  nostro  orizzonte  cessa  di  percuotere  anche  questa  atmosfera,  al- 
lora cessano  i  crepuscoli ,  e  comincia  la  notte.  Il  poeta  in  questo 
luogo  precisa  appunto  il  momento  in  cui  il  sole  vibrava  nell'alta 
atmosfera  gli  ultimi  suoi  raggi,  dopo  i  quali  viene  subito  la  notte, 
e  perciò  dice:  Gli  ultimi  raggi  che  la  notte  segue;  e  perciò  ancora 
dice:  Che  le  stelle  apparivun  d^  pia  lati,  cioè  anche  da  più  lati 
della  parte  accidentale  alla  quale  era  volta  quella  facciata  del  monte 
e  dove  era  prima  tramontato  il  sole.  La  parto  del  cielo  rivolta  ad 
oriente,  il  poeta  non  la  potea  vedere,  perchè  tra  lui  e  la  parte 
orientale  del  cielo  c'era  la  montagna  che  ne  impediva  la  vista.  Che 
se  allora  era  il  fine  dei  crepuscoli,  dunque  correvano  le  oro  7  pom., 
come  insegna  la  tavola  temporaria  degli  almanacchi,  addi  10  Ottobre. 

3i  0  virtù  mia,  perchè  ecc.  Questo  fine  de' crepuscoli,  o  prin- 
cipio di  notte  (ore  7)  lo  fa  intendere  anche  dagli  effetti  prodotti 
dalle  tenebre  in  lui  e  udii  sua  guida,  che  sono  il  non  potersi  più 
muovere  per  salire,  e  la  debolezza  che  fiaccava  al  tutto  le  gambe, 
sempre  però  per  salire;  e  furon  colti  da  questa  impossibilità  di  sa- 
lire, appena  ascesa  tutta  la  scala,  e  appena  giunti  nella  cornice  della 


CANTO  XVII.  375 

Noi  eravam  dove  più  non  saliva 
La  scala  su,  ed  eravamo  affissi, 
Pur  com3  nave,  ch'alia  piaggia  arriva. 

Ed  io  attesi  un  poco  s' io  udissi 3S 
*°-        Alcuna  cosa  nel  nuovo  girone;  3C 

Poi  mi  rivolsi  al  mio  Maestro,  e  dissi: 

Dolce  mio  padre,  di'  quale  offensione  37 
Si  purga  qui  nei  giro  dove  semo? 
Se  i  pie  si  stanno,  non  stea  tuo  sermone. 

Ed  egli  a  me  :  L'amor  del  bene,  scemo  3g 
Di  suo  dover,  quiritta  si  ristora, 
Qui  si  ribatte  il  mal  tardato  remo. 30 

Ma  perchè  più  aperto  intendi  ancora, 
Volgi  la  mente  a  me,  e  prenderai 
9°«        Alcun  buon  frutto  di  nostra  dimora. 

Né  Creator,  nò  creatura  mai,  *° 

Accidia.  Vedi  il  mio  Disegno  all'altezza  di  miglia  94  3j8.  Cosi  in 
queste  tre  terzine  Giù  eran  —  0  virtù  —  JVoi  eravam,  il  poeta 
ci  ha  dato  gli  accenni  precisi  del  tempo  e  del  luogo,  non  che  la 
cagione  dell' impossibilità  di  salire  più  oltre.  Con  ciò  sappiamo  che 
dall'  uscita  dalla  nube  degli  iracondi  all'  arrivo  bulla  cornice  degli  acci- 
diosi, furono  impiegate  ore  1 .  40.  Il  resto  è  di  facile  interpretazione. 

M  Attesi.  Non  potendo  u?are  gli  occhi,  por  la  notte  allora  inco- 
minciata, usò  l'udito.  Allora  non  passavano  anime. 

36  ATeZ  nuovo  giroi  e.  Cornice  IV  degli  Accidiosi. 

31  Quale  offeritone*  Quale  offesa,  o  qual  reccato. 

38  L'amor  del  bene,  ttetmo  ecc.  Qui  (nuirltla)  si  compensa  la 
fiacchezza  con  cui  il  nostro  amore  si  portò  verso  il  bene.  Questa 
fiacchezza  e  Accidia.  L'inique  qui  si  jurga  il  peccato  dell'Accidia. 

39  Qui  si  ribatte  ecc.  Paragona  chi  dee  operare  il  bene  ai  re- 
miganti. Chi  opera  le  .tamente  o  c«»n  noia  il  bene,  è  simile  a  chi  è 
tardo  nel  remigare.  Per  compensar  questa  tardanza  si  ribatte  qui 
il  remo  a  dovere,  ossia  qui  si  ha  una  pena  che  ò  contraria  diret- 
tamente alla  colpa.  La  vedremo, 

40  jyè  Creator  ecc.  Tutti  da  Dio  in  giù  hanno  un  amore  che 
li  fa  operare.  Questo  ò  di  due   guise:  o   naturale  o  di   animo.  Il 


376  PURGATORIO 

Cominciò  ei,  figliuol,  fu  senza  amore, 
0  naturale,  o  d'animo,  e  tu  '1  sai. 

Lo  naturai  fu  sempre  senza  errore  ; 4I 
Ma  l'altro  puote  errar  per  malo  obbietto, 41 
0  per  troppo,  o  per  poco  di  vigore. 

Mentre  ch'egli    è  ne'  primi  ben  diretto  43 
E  ne' secondi  sé  stesso  misura, 
Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto, 
100.   Ma  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura  u 
O  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene, 
Contra  il  Fattore  adovra  sua  fattura. 

Quinci  comprender  puoi  ch'esser  conviene w 
Amor  sementa  in  voi  d'ogni  virtute, 
E  d'ogni  opera  zion  che  merta  pene. 

Or  perchè  mai  non  può  dalla  salute  M 

• 

naturale  è  quello  che  non  è  di  elezione,  ma  necessario;  per  esempio 
ciascuno  necessariamente  ama  il  proprio  bene:  l'amore  di  animo  è 
l'amor  di  elezione,  perchè  dipende  dal  nostro  arbitrio. 

41  Lo  naturai  ecc.  È  sempre  immune  da  colpa  e  da  errore,  per- 
chè parlandosi  delle  creature  e  messo  da  Dio  medesimo,  e  Dio  non 
può  mettere  nelle  sue  creature  cose  male. 

4*  Ma  t altro  puotc  errar  ecc.  L'amor  di  elezione  può  errar  o 
peccare,  1.  o  perchè  si  propone  per  oggetto  una  cosa  cattiva,  2.  o  perchè 
(se  pur  si  propone  una  cosa  buona)  tende  a  lei  più  di  quel  che  deve, 
3.  o  perchè  vi  tende  meno  di  quel  che  deve. 

*3  Ife'primi  ecc.  Finché  l'amore  ei  dirizza  bene  nei  primi,  che  si  sono  m 
scelti  al  loro  amore  un  oggetto  malo, e  tinche  nei  secondi  esso  amore  si 
tiene  nella  giusta  misura  non  trasmodando  nò  per  eccesso,  ne  per  di- 
fetto, esso  amore  non  può  esser  cagion  di  mal  diletto,  ossia  di  peccato. 

**  Ma  quando  al  mal  ecc.  Ma  quando  o  si  dirigge  l'amore  ad 
un  oggetto  malo,  o  se  Io  si  dirigge  ad  un  oggetto  buono,  glielo  si  di- 
rigge o  con  eccesso  o  con  difetto,  allora  la  creatura  offende  il  Creatore. 

*5  Quinci  comprender  ecc.  Quindi  l'amore  è  cagione  e  di  virtù 
e  di  vizio,  secondo  che  l'amore  si  dirigge  o  misura. 

*6  Or  perchè  mai  non  può  ecc.  Or  perchè  ciascuno  ama  necessa- 
riamente sé  stesso,  Todio  contro  sé  stesso  è  impossibile.  Parla  dei 


È  chi, 


CANTO  XVII.  377 

Amor  del  suo  sùggetto  volger  viso, 
Dall'odio  proprio  son  le  cose  tute. 
E  perdio  intender  non  si  può  diviso,  47 
HO.       Né  per  sé  stante,  alcuno  esser  dal  primo, 
Da  quello  odiare  ogni  affetto  è  deciso. 
Resta,  se,  dividendo,  bene  stimo,48 

Che  il  mal  che  s'ama  è  del  prossimo,  ed  esso 
Amor  nasce  in  tre  modi  in  vostro  limo. 

per  esser  suo  vicin  soppresso  49 
Spera  eccellenza,  e  sol  per  questo  brama 
Ch'  el  sia  di  sua  grandezza  in  basso  messo. 
L   chi  podere,  grazia,  onore  e  fama  w 
Teme  di  perder  perch'altri  sormonti, 
i20        Onde  s'attrista  sì,  che  il  contrario  ama; 
Ed  è  chi  per  ingiuria  par  ch'adonti 8I 

primi  che  possono  errar  neil'  obbietto,  prendendolo  malo,  ossìa 
amando  il  male.  Ma  qual  male?  Non  il  proprio. 

*7  E  perchè  intender  ecc.  E  perchè  nessun  essere  può  immagi- 
narsi diviso  dal  primo  essere  (Dio),  o  stante  per  sé  stesso  (indipen- 
dente da  Dio)  e  necessariamente  pensiamo  eh'  egli  sia  in  Dio»  come 
nel  suo  principio,  perciò  ò  evidente  che  come  non  si  può  avere  vera 
volontà  di  odiar  so  stessso,  cosi  nemmeno  si  può  avere  vera  volontà 
di  odiar  Dio,  nel  quale  noi  siamo  ed  egli  in  noi.  Dunque  non 
si  può  amare  nemmeno  il  male  di  Dio.  —  Deciso.  Tolto,  tagliato* 

48  Resta  ecc.  Rosta  che  non  si  può  amare  che  il  male  del  prossimo. 
Qui  solamente  è  dove  si  erra  per  malo  obbietto,  e  si  erra  in  tre 
diverse  maniere  secondo  i  tre  diversi  fini  che  si  hanno  nell'amare 
il  mal  del  prossimo. 

&  È  chi  per  esser  eco,  Si  ama  il  male  del  prossimo  per  nostra 
superbia,  perchè  nella  depressione  del  prossimo  si  spera  la  propria 
eccellenza. 

H>  È  chi  podere  ecc.  Si  ama  il  mal  del  prossimo  per  invidia,  per- 
chè nell'innalzamento  del  prossimo  si  teme  la  nostra  depressione  nelle 
sostanze,  nella  grazia,  nell'onore  e  nella  fama. 

5>  Ed  è  chi  per  ingiuria  ecc.  Si  ama  il  mal  del  prossimo  per  ira' 
perchè  si  vuol  di  lui  vendetta  per  l' ingiuria  che  ha  fatto. 


378  PURGATORIO 

Sì,  che  bì  fa  della  vendetta  ghiotto  : 

E  tal  convien,  che  il  male  altrui  impronti.  -- 

Questo  triforme  amor  quaggiù  disotto  J8 
Si  piange  ;  or  vo'  che  tu  dell'altro  intende," 
Che  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 

Ciascun  confusamente  un  bene  apprende,  w 
Nel  qual  si  queti  l'ani mo9  e  desira  : 
Perchè  di  giunger  lui  ciascun  contende.  M 

8*  E  tal  convien,  che  il  male  altrui  impronti.  E  questo  tale  che 
è  così  dominato  dallo  spirito  di  vendetta  conviene,  o  si  sente  por- 
tato ad  improntare  o  ad  infliggere  altrui  quel  male  che  prima  avea 
da  lui  ricevuto,  rendendo  altrui,  o  ad  altri,  male  per  male.  Sicché 
in  questo  verso:  Tale  è  il  soggetto;  impronti,  è  il  verbo;  il  male 
è  oggetto;  altrui  è  dativo  per  ad  altri. 

M  Questo  triforme  amor  ecc.  Questo  amor  che  erra  nell'oggetto, 
perchè  ama  il  male  del  prossimo  per  diversi  finì,  ò  punito  e  si  piange 
nelle  tre  cornici  di  sotto,  in  quella  più  bassa  dei  superbi,  nell'altra 
sopra  degli  invidiosi,  e  nella  terza  degli  iracondi. 

M  Dell'altro  intende  — Che  corre  ecc.  L'altro  amore  erra  nel  modo, 
non  nell'oggetto;  il  suo  oggetto  è  buono,  ma  nel  portarsi  a  questo 
oggetto  pecca  per  difetto  o  per  eccesso;  ed  ecco  cosi  l'ordine  cor- 
rotto. 

M  Ciascun  ^confusamente  ecc.  Costruisci  co3Ì  :  Ciascun  confusa' 
mente  apprende  e  desira  un  bene  —  Piti  qual  si  queti  l'animo.  Spie- 
ghiamo: Ciascuno  (buono  o  malvagio)  sebbene  in  confuso  fissa  ed 
ama  un  bene  che  abbia  la  qualità  di  saziarlo  perfettamente  ;  e  que- 
sto bene,  voglia  e  non  voglia  è  solo  Dio,  Beno  sommo,  unico  vero 
Bene,  Bene  infinito  e  perciò  solo  capace  di  soddisfare  il  cuore  umano 
a  cui  solo  Dio  è  tanto.  E  la  sentenza  di  S.  Agostino:  Fecisti  nos 
Domine  ad  te,  et  irroquietum  est  cor  nostrum  donec  requiescat 
in  te.  E  la  risposta  di  S.  Tommaso  d'Aquino  a  Dio,  quando  richiesto 
che  volea  per  mercede  do*  6uoi  scritti  divini,  egli  risposf  :  Non  alìam 
Domine ,  nisi  te  ipmrn. 

86  Perchè  di  giugner  lui  ecc.  Per  la  qual  cosa  ciascuno  si  sforza 
di  prenderlo.  Il  malvagio  non  crederà  che  questo  bene  sia  Dio,  e 
perciò  disse  di  sopra  che  lo  apprende  e  desira  conj usamente  ;  ma 
non  dipende  da  lui  che  questo  bene  non  sia  Dio;  esso  è  Dio  non 
ostante  la  sua  ignoranza  o  i  suoi  perversi  desideri. 


CANTO  XVII.  379 

130.  Se  lento  amore  in  lui  veder  vi  tira,  "• 
O  a  lui  acquistar,  questa  cornice, 
Dopo  giusto  pentir  ve  ne  martira  : 

Altro  ben  è  che  non  fa  Tuorn  felice  ;  M 
Non  è  felicità,  non  è  la  buona 
Essenzia,  d?ogni  ben  frutto  e  radice. 

L'amor  che  ad  esso  troppo  s'abbandona,  M 
Di  sovra  a  noi  si»  piange  per  tre  cerchi  ; 
Ma  come  tripartito  si  ragiona  60 

57  Se  lento  amore  ecc.  Se  amate  poco  di  andar  in  paradiso  a  ve- 
derlo, se  amate  poco  di  far  quel  che  dovete  per  acquistarlo,  ossia 
se  siete  accidiosi  nei  bene,  dopo  che  ve  ne  sarete  debitamente  pen- 
titi in  vita,  questa  cornice  qui  ve  ne  purga  co' suoi  martiri. 

58  Altro  ben  è  che  ecc.  Oltre  il  sommo  B»»ne,  havvi  un  bene  par-  • 
ziale  e  limitato,  il  quale  perciò  non  fa  e  non  può  fare  uomo  felice, 
bene  che  non  e  felicità,  non  è  Dio  ossia  la  buona  Essenza,  (T  ogni 
ben  frutto  e  radice.  Questo  bene  sono  tutti  i  beni  temporali,  di  cui 

è  lasciata  all'uomo  la  fruizione,  entro  la  debita  misura. 

59  L'amor  che  ad  esso  ecc.  L'amar  troppo  questo  bene  transito- 
rio è  un  peccato  che  si  punisce  nei  tre  ultimi  cerchi  superiori  a 
questo,  con  tal  ordine  da  imo  a  sommo  :  1 .  Avarizia,  2.  Gola,  3.  Lus- 
suria, che  sono  peccati  affatto  sensuali,  a  differenza  degli  altri  quattro 
che  possono  dirsi  spirituali.  Notate  che  quanto  più  si  ascende  pel 
Purgatorio  il  peccato  che  vi  si  punisce  e  minore,  precisamente  come 
abbiamo  veduto  nell'Antipurgatorio,  dove  il  maggior  peccato  è  sotto 
ed  il  minore  è  sopra,  facendosi  qui  tutto  il  contrario  di  quello  che 
si  6  fatto  nell'Inferno,  perche  colà  abbiamo  veduto  invece  crescer 
le  colpe  di  mano  in  mano  che  si  andava  più  profondo.  La  ragione 
poi  perdio  i  peccati  sempliermenU  spirituali,  come  i  quattro  primi 
capitali  da  noi  fin  qui  veduti ,  sono  maggiori  del  tre  sensuali  che 
d  restano  a  vedere,  si  ò  perchè  invalgono  maggior  malizia,  e  sono 
più  alieni  dalla  nostra  natura  pur  soggetta  a'  sensi,  nei  quali  i  tre 
ultimi  peccati  trovano  un  incentivo,  e  quiudi  se  non  una  scusa,  che 
non  può  darsi,  almeno  un  allevamento  di  milizia. 

6°  il/tt  come  tripartito  ecc.  Ma  come  uno  stesso  amore,  quale  s 
è  quello  che  ci  porta  per  eccesso  ad  amar  i  beni  transitori,  abbia 
tre  forme  e   quindi  sia  punito  in  tre    distinti   cerchi,   io  lo  taccio 
afGnchc  ne   studi  la   ragione   per  tj    medesimo,  essendo  facile    il 


380  PURGATORIO 

Tateciolo,  acciò  che  tu  per  te  ne  cerchi. 6I 

trovarla.    Essa  si   fonda  nelle  tre  specie  di  beni   materiali,  diversi 
l'uno  dall'altro,  che  quindi  han  bisogno  di  diversa  pena. 

W  Taccialo  ecc.  Virgilio,  quand'era  con  Dante  nell'Inferno,  gli 
facea  la  spiegazione  dei  peccati  e  dei  luoghi  ad  essi  destinati  prima 
di  condurlo  per  essi  :  qui  invece  nel  Purgatorio  gli  fa  la  spiegazione 
dopo  di  aver  veduto  i  peccatori  ed  i  luoghi.  Perchè  questa  diffe- 
renza? Perchè  Virgilio  avea  pratica  dell'Inferno,  dove  altra  volta 
era  stato  sino  al  fondo,  come  dice*  nel  C,  IX:  Per  trarne  un  spirto 
del  cerchio  di  Giuda,  ma  non  avea  per  lo  contrario  pratica  alcuna 
del  Purgatorio,  dove  non  era  mai  stato. 


CANTO   XVIII 


Argomento. 

Dante  desidera  (Temere  istruito  ancora  da  Virgilio  infamo 
aW  amore  fonie  di  bene  e  di  male,  e  Virgilio  lo  compiace  con  un 
lungo  ragionamento  di  etica  razionale.  Finito  il  quale.  Dante  co- 
mincia a  sonnif erare  per  fora  tarda  di  notte.  Ma  subito  gli  fu 
tolta  la  sonnolenta  da  molte  anime  accidiose  che  correano,  e  gri- 
davano, piangendo,  esempi  a  freno  e  purga  d'accidia,  secondo  il 
solito  degli  altri  peccati.  Virgilio  manifesta  loro  che  li  c'è  un  vico, 
e  chiede  della  salita.  Le  anime  che  non  possono  ristare  lo  invitano 
a  seguirle  per  trovar  la  scala.  L'anima  che  paria  è  un  abate  di 
&  Zeno  a  Verona,  il  quale  gli  fa  una  profezia  intorno  ad  Al- 
berto della  Scala.  Dopo  V abate  seguono  due  altre  anime,  che  gri- 
dano altri  esempi  relatici  air  accidia.  Finalmente  Dante  s'ad- 
dormenta e  sogna. 


Posto  avea  fine  al  suo  ragionamento f 
L'alto  dottore,  ed  attento  guardava1 
Nella  mia  vista  s'io  parea  contento. 


*  Ragionamento.  Sull'origine  e  division  dei  peccati,  che  tatti  pro- 
cedono da  sregolato  amore. 

*  Attento  guardava  —  Sella  mia  vista  ecc.  È  il  solito  atto  che  fa 
colui  che  ha  istruito  un  altro  :  guardarlo  fissamente  per  raccogliere 
dal  suo  viso  se  si  o  no  le  ragioni  lo  han  soddisfatto.  Si  dice:  guar- 
dava nella  mia  vista,  ossia  mi  guardava  negli  occhi,  perchè  se  ben 
sì  badi  quando  noi  ragioniamo  con  uno,  noi  guardiamo  mai,  né 
nella  bocca,  come  ninno  i  muti,  né  io  altro  parti  della  faccia,  ma 
propriamente  negli  occhi 


38tf  PURGATORIO 

Ed  io,  cui  nuova  sete  ancor  frugava,  3 
Di  fuor  taceva,  e  dentro  dicea:  Forse  4 
Lo  troppo  dimandar,  ch'io  for  gli  grava. 

Ma  quel  padre  verace,  dia  s'accorse  5 
Del  timido  voler,  che  non  s'apriva, 
Parlando,  di  parlare  ardir  mi  porse.    tì 
40      Ond'  io  :  Maestro,  il  mio  veder  s'avviva  7 
Sì  nel  tuo  lume,  eh'  io  discerno  chiaro  8 
Quanto  la  tua  ragion  porti  o  descriva:  9 

Però  ti  prego,  dolce  padre  caro, 

Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci 10 
Ogni  buono  operare,  e  il  suo  contraro. 

Drizza,  disse,  ver  me  l'acute  luci 41 
Dello  intelletto,  e  fleti  manifesto 
L'error  de'  ciechi,  che  hì  fanno  duci.  {1 

8  Cui  nuova  sete  ecc.  Nuovo  desiderio  di  sapere  altre  cose. 

*  Di  fuor  taceva,  e  dentro  dicea.  Bellissima  osservazione  di  due 
linguaggi  eh 3  tutti  abbiamo,  interno  ed  esterno. 

5  S'accorse  del  timido  ecc.  Se  un  maestro  ci  guarda  per  vedere 
se  noi  siamo  persuasi  o  soddisfatti  delle  cose  detteci,  e  noi  tacciamo 
gli  diamo  motivo  di  avvedersi,  che  noi  non  siamo  ancor  paghi,  o 
che  ci  resta  altro  a  sapere  da  lui,  e  che  se  noi  manifestiamo  a  pa- 
role, ci  riteniamo  per  riguardo  del  maestro.  È  tutta  natura  che 
Dante  non  trascura  mai. 

6  Parlando,  di  parlare  ecc.  Gli  dee  aver  detto  p.  e  :  Sei  soddis- 
fatto  appieno?  o  ti  reata  altro  a  sapere? 

i  II  mio  veder.  Il  veder  del  mio  intelletto. 

8  Nel  tuo  lume*  ecc.  Nelle  tue  chiare,  e  lucide  istruzioni. 

•  La  tua  ragion.  Si  può  intender  tanto  ragione,  quanto  ragio- 
namento frutto  di  ragione.  Virgilio  non  parlava  che  guidato  dal 
lume  di  ragione.  In  teologia  egli  non  entra  mai. 

*o  Che  mi  dimostri  amore.  Che  ini  dimostri,  che  cosa  sia  questo 
amore  fonte  di  bene  e  di  male. 

*l  Drizza  ver  me  l'acute  ecc.  Aguzza  al  mio  nuovo  ragionamento 
il  tuo  acuto  ingegno,  e  la  tua  attenzione. 

*'  L'error  de* ciechi  ecc.  L'errore  di  coloro  che  fanno  ciascuno 


CANTO  XVIII.  383 

L'animo  ch'c  creato  ad  amar  presto,18 
-J  *>         Ad  ogni  cosa  è  mobile  che  piace,  u 

Tosto  che  dal  piacere  in  atto  è  desto. 
Vostra  apprensiva  da  essere  verace15 

Tragge  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega, 
Sì  che  l'animo  ad  essa  volger  face. 
E  se,  rivolto,  in  ver  di  lei  si  piega,  *6 
^*  Quel  piegare  è  amor,  quello  è  natura, 

3  Che  per  piacer  di  nuovo  in  voi  si  lega. 

-<■ 

amore  in  sé  laudabil  cosa,  come  dirà  qui  sotto.  Siccome  ogni  amore 
^  lo  dicono  naturale,  perciò  Io  fanno  sempre  innocente.  Or  Virgilio  in- 
^  segnerà  quando  l'amore  sarà  senza  colpa,  e  quando  passerà  ad  esser 
4  colpa. 

•3         Duci.  Allude  a  certi  maestri  de' suoi  tempi. 
4     *3  L'animo  ch'è  creato  ecc.  L' animo  che  è  naturalmente  fatto,  per 
1  Amare,  e  quindi  all'amore  è  disposto. 

n  Ad  ogni  cosa  ecc.  Ad  ogni  cosa  che  sia  piacevole  si  sente  com- 
muovere verso  di  lei,  appena  che  il  piacere  della  cosa  fa  passar  l'a- 
nimo dalla  disposizione  di  amare  all'atto  di  amare. 

45  Vostra  apprension  ecc.  Nella  terzina  precedente  si  parlò  del- 
l'atto indeliberato  dell'amore,  che  nasce  dal  solo  piacer  della  cosa. 
Ma  come  nasce  in  noi  questo  atto?  Ecco:  l' apprensiva,  ossia  la  fa- 
coltà di  apprendere  o  di  conoscere,  veduto  fuori  di  sé  un  essere  reale 
(esser  verace)  se  ne  forma  un'immagine  (Tragge  intenzione),  e  questa 
immagine  la  tramanda  e  la  spiega  dentro  all'animo;  perchè  altri- 
menti ignoti  nulla  cupido;  e  siccome  la  immagi ae  è  di  cosa  supposta 
piacevole,  cosi  essa  fa  volger  V  animo  a  lei.  Ma  notate  che  fin  qui 
è  un  semplice  volgimento,  e  l'atto  deliberato  ancor  non  esiste. 

16  E  se,  rivolto,  in  ver  ecc.  Il  primo  atto  dell'animo  nella  circo- 
stanza supposta  è  rivolgersi  all'oggetto  piacevole,  e  questa  è  ope- 
razion  di  natura,  non  colpevole,  ed  è  quella  discorsa  nella  terzina 
precedente.  Ora  si  ragiona  del  secondo  atto  che  succede  al  primo, 
e  in  forza  del  primo,  e  questo  si  e  che  l'animo  dopo  di  essersi  ri- 
volto all'oggetto  piacevole,  trovatolo  di  sua  soddisfazione,  si  piega 
verso  di  lei,  dico,  n  piega  e  non  si  slancia.  Che  ò  dunque  questa 
piega  verso  l'oggetto  piacevole  ?  Questa  piega  ò  amore.  È  desso  giunto 
con  ciò  ad  essere  un  atto  deliberato,  e  quindi  meritevole  di  bene  o 
di  male  ?  Non  ancora  :  esso  è  semplice  natura  (quello  è  natura),  che 


] 


384  PURGATORIO 

Poi  come  il  fuoco  movesi  in  altura,  " 
Per  la  sua  forma,  ch'è  nata  a  salire 
30.         Là  dove  più  in  sua  materia  dura; 

Cosi  l'animo  preso  entra  in  disire,  ì 

Ch'è  moto  spiritale,  e  mai  non  posa  j 

Fin  che  la  cosa  amata  il  fa  gioire. 

Or  ti  puote  apparer  quant'è  nascosa18 


come  si  era  legata  ed  unita  in  voi  per  mezzo  del  piacere  al  primo 
offrirvÌ8Ì  dell1  oggetto  (vedi  nota  15),  cosi  per  mezzo  dello  stesso  pi* 
cere  fa  lega  di  nuovo  in  voi.  (Che  per  piacer  di  nuovo  in  voi  A 
lega).  Finora  dunque  l'amore  non  è  nò  virtù  nò  colpa,  perchè  mancJ 
ancora  il  deliberato  consenso. 

*7  Poi  come  il  fuoco  ecc.  Procede  ora  il  poeta  al  terzo  atto  àéL 
l'animo,  ossia  all'atto  deliberato  dell'amore!  che  egli  chiama  disiré 
o  desiderio,  o  volontà  deliberata.  Per  ispiegar  questo  dà  la  simili- 1 
tudine  del  foco,  qual'era  conosciuto  a' suoi  tempi.  Dice  dunque:  Cornai 
il  fuoco  si  spinge  in  alto  portatovi  dalla  sua  natura  (forma)  legge- 
rissima e  quindi  fatta  per  salire  (ch'è  nata  a  salire),  ed  a  salile 
alla  sua  regione,  che  è  (sempre  secondo  gli  antichi)  sotto  il  ciel  delia- 
luna,  ossia  nella  parte  più  alta  tra  la  terra  e  la  luna,  dove  trovan- 
dosi nel  sito  suo  proprio  e  naturale,  più  dura  nella  sua  materia,  es- 
sendo tutta  fuoco  quella  regione  (Là  dove  piò,  in  sua  materia  dura)» 
cosi  T animo  preso  dall'amore  (che  è  quasi  un  foco)  si  slancia  in  uà 
atto  della  volontà  (Così  l'animo  preso  entra  in  disire),  il  quale  atto 
è  deliberato  o  proprio  dello  spirito  (Ch'è  moto  spiritale),  e  quest'atto 
volontario  deliberato  fa  verso  il  suo  oggetto  piacevole  quello,  che 
fa  il  foco  verso  la  sua  sfera,  cioè  non  posa  se  non  si  unisce  al  ano 
oggetto  amato  (e  mai  non  posa  —  Fin  che  la  cosa  amata  il  fa  gioire). 

to  Or  ti  puote  ecc.  Ora  che  hai  veduto  che  cosa  ò  amore,  e  quali 
sono  i  suoi  tre  atti  progressivi  che  abbiamo  ragionato,  può  esserti 
chiaro  (apparer)  quanto  ignorante  sia  chi  dà  per  cosa  certa  e  vera 
(avvera)  che  ogni  amore  sia  lodevole  in  so  stesso  (Ciascuno  amore 
in  sé  laudabil  cosa).  Vedrai  invece  che  amore  nei  primi  due  atti 
che  abbiam  veduto  non  è  mai  laudabile  nò  biasimevole,  perchè  sono 
moti  naturali,  non  soggetti  né  a  merito  nò  a  castigo:  vedrai  che 
solo  il  terzo  atto  di  amore  può  esser  buono  o  cattivo,  secondo  che 
buono  o  cattivo  sarà  l'oggetto  a  cui  l'animo  si  slancia  colla  sua  vo- 
lontà deliberata. 


CANTO  XVIU.  385 

La  veritade  alla  gente,  ch'avvera 
Ciascuno  amore  in  so  laudabil  cosa  ; 
Però  che  forse  appar  la  sua  matera19 

Sempr'esser  buona:  ma  non  ciascuu  segno 
È  buono,  ancor  die  buona  sia  la  cera. 
40-     Le  tue  parole  e  il  mio  seguace  ingegno,20 
Bisposi  lui,  m'hanno  amor  discoverto;21 
Ma  ciò  m'ha  fatto  di  dubbiar  più  pregno.  *2 


W  Però  che  forse  ecc.  Su  che  si  fonda  l'ignorante  quando  asse- 
risce che  ogni  amore  è  buono  ?  Si  fonda  in  ciò,  che  forse  la  materia 
(Tobbietto)  dell'amore  :ippar  esser  sempre  buona.  Infatti  si  dice  :  La 
materia  o  l'oggetto  dell'amore  e  sempre  il  bene.  Dunque  l' amore  è 
sempre  buono.  Ma  il  poeta  risponde:  La  materia  del  vostro  amore 
sìa  pur  sempre  buona,  ma  ciò  non  basta  perchè  V  amor  si  possa  dir 
sempre  buono  per  sé  stesso.  Perchè  l'amor  si  possa  dire  ed  essere 
sempre  buono  occorrono  due  condizioni:  1.  che  sia  buona  la  materia 
o  l'oggetto  dell'amore;  2.  che  sia  buono  anche  il  soggetto,  ossia 
l'atto  dell'amore. 

La  bontà  della  materia  amata  forma  il  bene  obbiettivo,  e  la  bontà 
dell'  atto  amante  forma  il  bene  soggettivo.  Entrambi  questi  due  beni 
deono  concorrere,  perchè  Ciascuno  amore  sia  laudabil  cosa. 

Per  far  intender  meglio  questa  verità,  il  poeta  dà  la  similitu- 
dine della  cera  e  del  suggello.  Sia  pur  buona  la  cera,  ma  se  il  sug- 
gello non  è  buono,  come  s'imprimerà  una  buona  figura?  Così  sia  pur 
buona  la  materia  dell'amore,  ma  se  Tatto  dell'agente  o  dell'amore 
non  è  buono,  come  questo  amore  si  potrà  dir  buono  ?  Quello  che  è 
il  sigillo  alla  cera,  è  l'amore  alla  cosa  amata.  Come  dunque  per  fare 
una  bella  immagine  si  richiede  buon  sigillo  e  buona  cera,  ossia  buona 
materia  e  buona  forma  ;  cosi  per  fare  un  bello  amore  si  richiede  bontà 
nella  cosa  amata,  e  bontà  nell'atto  amante. 

»o  Le  tue  parole  e  il  ecc.  La  tua  istruzione,  e  il  mio  ingegno  che 
attentamente  l'ha  seguita.  Non  basta  la  dottrina  del  maestro;  oc- 
corre inoltre  un  corrispondente  ingegno  ed  attenzione  nel  discente. 

-'  M'hanno  amor  discoperto.  M'hanno  scoperto  che  cosa  è  amore 
e  quali  sono  i  suoi  atti,  e  quale  di  questi  atti  (il  solo  terzo)  può 
esser  lodevole  o  biasimevole. 

22  Ma  db  m'ha  fatto  ecc.  Ma  ciò  mi  ha  suscitato  nella  mente  un 
dubbio  più  grande. 

or» 


386  PURGATORIO 

Che  s' amore  è  di  fuori  a  noi  offerto,98 
E  l'anima  non  va  con  altro  piede, 
Se  dritto  o  torto  va,  non  è  suo  merto. 

Ed  egli  a  me  :  Quanto  ragion  qui  vede  ** 
Dir  ti  posa' io;  da  indi  in  là  t'aspetta 
Pure  a  Beatrice,  ch'è  opra  di  fede. 

Ogni  forma  sostanziai,  che  setta39 
M-         È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita,16 
Specifica  virtude  ha  in  sé  colletta,37 

**  Che  s^  amore  è  di  fuori  ecc.  Questo  si  riferisce  alla  terrina  : 
Vostra  apprensiva  da  esser  verace  ecc.  Dice  dunque  il  poeta:  le 
tue  parole  mi  hanno  suscitato  un  grandissimo  dubbio.  Perciocché 
(Che)  se  amore  è  offerto  a  noi  dal  di  fuori,  ossia  da  esser  verace 
fuori  di  noi,  spiegato  poi  in  immagine  dentro  a  noi  dalla  nostra  ap- 
prensiva, in  modo  che  costringe  l'animo  a  volgersi  a  quell'oggetto 
reale,  e  anche  a  piegarsi  verso  di  lui;  e  se  l'anima  nostra  non  opera 
che  dietro  la  impressione  che  le  viene  dagli  oggetti  esterni  (ET a* 
nima  non  va  con  altro  piede);  ne  viene  di  conseguenza  che  il 
nostro  amore  non  ha  né  merito  nò  colpa,  se  va  dritto  o  torto ,  es- 
sendo egli  fonato  dall'oggetto  esterno:  quindi  non  é  libero,  quindi 
non  ha  merito  di  premio  o  castigo  nel  suo  agire.  Il  dubbio  adun- 
que è  sulla  libertà  dell'amore,  che  pare  esser  distrutta  dall'azione 
esterna  dell'oggetto,  e  quindi  le  nostre  azioni,  tutte  procedenti  dal* 
l'amore  (come  si  é  dimostrato  di  sopra),  non  sarebbero  più  degne  né 
di  premio  né  di  castigo.  Il  che  ripugna  e  alla  natura  dell'uomo,  e 
alla  giustìzia  che  punisce  e  premia. 

34  Quanto  ragion  qui  vede  ecc.  Virgilio  non  può  dire  che  quello 
che  insegna  Ragione,  di  cui  é  sempre  rappresentante.  Ma  la  Ragione 
non  é  sufficiente  a  sciogliere  questo  dubbio  :  essa  può  dare  una  so- 
luzione conforme  ai  suoi  lumi,  e  nulla  più.  A  questi  si  terrà  Vir- 
gilio. La  soluzione  completa  non  può  darla  che  la  Rivelazione  (Da 
indi  in  là  t'aspetta  —  Pure  (solo)  a  Beatrice. 

ss  Ogni  forma  sustanzial.  Ogni  spirito.  Che  setta  è  da  mater  S". 
Che  é  senza  materia,  che  é  puro  spirito,  come  l'angelo. 

26  Ed  è  con  lei  unita.  Come  l'uomo,  che  é  spirito  e  materia. 

H  Specifica  virtute  ecc.  Ha  in  sé  una  proprietà;  essa  é  il  cosi 
detto  appetito  d'animo  naturale,  ossia  il  concupiscibile:  nelle  bestie 
questo  si  chiamerebbe  istinto. 


CINTO  XVm.  387 

La  qual  senza  operar  non  è  sentita,  ** 
Né  si  dimostra  ma'  che  per  effetto, 
Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita. 

Però  là  onde  vegna  lo  intelletto59 
Delle  prime  notizie,  nomo  non  sape, 
E  de'  primi  appetibili  V  affetto, 

Che  sono  in  voi,  sì  come  studio  in  ape 
Di  far  lo  mele;  e  questa  prima  voglia 
•o.        Merto  di  lode,  o  di  biasmo  non  cape. 

Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia  *° 
Innata  v'è  la  virtù  che  consiglia, 
E  dell'assenso  de'  tener  la  soglia. 

28  La  qual  senza  operar  ecc.  Essendo  sola  virtù, e  non  atto,  non  può 
meglio  sentirsi  e  dimostrarsi  che  per  i  suoi  effetti,  come  la  vita  delle 
piante  non  si  manifesta  meglio  che  per  V  effetto  della  verdezza  delle 
frondi. 

W  Però  là  onde  ecc.  Non  potendosi  conoscere  in  sé  stessa  quella 
specifica  virtù,  che  nell'uomo  è  appetito  d'animo  naturale,  nel  bruto 
è  istinto,  nelle  piante  è  vita,  non  si  può  per  conseguenza  sapere 
onde  derivino  altre  cose  simili  a  quella  prima  virtù  specifica,  come 
sarebbero  le  prime  notizie  dello  intelletto,  che  sembrano  innate,  o 
l'affetto  dei  primi  appetibili,  che  sembra  pur  esso  innato,  come  si 
può  veder  in  un  bambino,  che  sa  poppare  senza  che  nessuno  glielo 
abbia  insegnato.  Queste  cotali  appendici  della  virtù  specifica  del- 
l'uomo, che  si  confondono  quasi  con  essa  virtù,  sono  in  voi,  con- 
tinua il  poeta,  come  nelle  api  lo  studio  o  la  disposizione  di  fare  il 
mele:  si  sa  ch'esse  sono  inerenti  e  connaturate  con  noi,  e  che  non 
dipendono  da  noi,  né  siamo  liberi  ad  averle  o  no  :  e  perciò  questo 
primo  affetto  o  questi  prima  voglia  é  incapace  di  lode  e  biasimo. 

30  Or  perchè  a  questa  ecc.- A  intender  bene  questa  e  l'altra  terzina 
che  segue,  ricordiamoci  di  quel  che  disse  il  poeta  nel  C.  XVII: 

Né  Creator,  né  creatura  mai, 
Cominciò  ei,  figliuol,  fu  senza  amore, 
0  naturale,  o  d' animo  ;  e  tu  '1  sai. 

Lo  naturai  fu  sempre  senza  errore. 

Premesso  ciò,  ecco  quello  che  qui  vuol  dire  il  poeta:  Io  vi  ho 
detto  nel  C.  XVII,  che  c'è  un  amor  naturale,  che  è  sempre  senza 


388  PURGATORIO 

Quest'è  '1  principio  là  onde  si  piglia 3I 
Cagion  di  meritare  in  voi,  secondo 
Che  buoni  e  rei  amori   accoglie  e  viglia, 

Color,  che  ragionando  andaro  al  fondo, 3i 
S'accorser  d'està  innata  libertate  ; 38 
Però  moralità  lasciaro  al  mondo. 34 
W-     Onde  pognam  che  di  necessitate35 

errore;  vi  ho  detto  testé  in  que3to  Canto  XVIII,  che  c'è  una  prima 
voglia  che  metto  di  lode,  o  di  biasmo  non  cape,  il  che  vuol  dire, 
che  è  sempre  senza  errore,  come  si  disse  dell'amor  naturale.  Ma  voi 
dopo  questo  amor  naturale;  che  e  quanto  dire,  dopo  questa  prima 
voglia,  avete  anche  l'amore  che  abbiamo  detto  di  animo,  e  avete 
altre  voglie  di  seguito  alle  prime.  Ebbene  ogni  altra  voglia  che  spunti 
in  voi  dopo  quella  prima  dovete  ridurla  alla  natura  della  prima.  La 
prima  fu  senza  errore,  e  senza  errore  dovete  voi  fare  che  sia  ogni 
altra.  E  qual  mezzo  vi  fu  dato  per  ciò?  Vi  fu  data  la  virtù  che  con- 
siglia, cioè  l'intelletto  per  conoscere  il  valore  de' vostri  affetti  se 
buoni  o  rei,  e  vi  fu  data  la  virtù,  che  dee  tener  la  soglia  dell'as- 
senso, ossia  la  libera  volontà  per  dare  o  negar  l'assenso  come  vi 
pare.  La  virtù  che  consiglia,  e  la  virtù  che  assente  o  dissente,  ossia 
l'intelletto  e  la  volontà,  dicesi  innata  perchè  nasce  con  noi,  e  solo 
se  ne  differisce  l'uso  sino  all'età  della  discrezione,  quando  appunto 
abbisogniamo  di  mettere  in  pratica  la  virtù  innata. 

3t  QuesWl  principio  ecc.  Dal  punto  che  voi  potete  esercitare  la 
virtù  dell'intelletto  e  del  libero  arbitrio,  03sia  da  queste  due  virtù 
in  atto  si  piglia  cagione  di  meritare  in  voi  (qui  il  meritare  è  in 
senso  di  bene,  e  di  male),  secondo  che  il  libero  arbitrio  accoglie  e 
rigetta  (viglia  o  vaglia  da  vagliare)  amori  buoni  o  rei. 

32  Color  che  ragionando  ecc.  I  grandi  filosofi. 

33  S'acoorser  ecc.  Insegnarono  che  l'uomo  ò    libero  naturalmente. 

34  Però  moralità  ecc.  Lasciarono  al  mondo  insegnamenti  per  re- 
golar moralmente  le  nostre  azioni.  Ciò  non  avrebbero  fatto  gè  l'uomo 
non  fosse  libero. 

35  Onde  pognam  che  di  vcccsdtate.  Virgilio  ripiglia  nella  conclu- 
sione l'obbiezione  di  Dante  mossa  nel  ver.  43  e  scg.  e  dice:  Voglio 
supporre  con  te  che  ogni  amore  che  in  voi  s'accende  sorga  in  voi 
di  necessità  per  la  forza  proponderante  dell' obbietto  esterno-,  voi  però 
col  vostro  libero  arbitrio  siete  padroni  di  ritenerlo,  e  per  conseguenza 
anche  di  lasciarlo. 


CANTO  XVII r.  38<) 

Surga  ogni  amor  che  dentro  a  voi  s'accende, 
Di  ritenerlo  è  in  voi  la  potestate. 

La  nobile  virtù  Beatrice  intendi36 
Per  lo  libero  arbitrio,  e  però  guarda 
Che  l'abbi  a  niente  s'a  parlar  ten  prende. 

La  luna  quasi  a  mezza  notte  tarda,37 

W  La  nobile  virth  ecc.  Beatrice,  per  dir  il  libero  arbìtrio,  dice 
in  quella  v<ce:  la  nobile  virth.  Ricordati  dunque  bene  questa  dif- 
ferenza di  termini  «e  mai  ella  te  ne  parlasse.  Ma  et  me  sapea  Vir- 
gilio che  Beatrice  avrebbe  chiamato  il  libero  arbitrio  col  nome  di 
nobile  virtù?  Non  veggo  altra  ragione  che  l'uso  delle  scuole  teolo- 
giche del  medio  evo  di  chiamarlo  ceti,  cosa  che  Virgilio  avrebbe 
potuto  conoscere  da  qualche  grnnd'uomo  del  Limbo  conoscitore  di 
quelle  scuole,  p.  e.  Averrois,  cho  cogli  altri  spiriti  magni  s'intrat- 
teneva in  gravi  ragionamenti. 

31  La  luva  quasi  a  mezta  votte  tarda.  In  questo  verso  dice  due  cose: 

I.  Che  nel  10  <  ttobre,  rispondente  all'I l  Aprile  in  cui  saremmo 
B6  fossimo  nel  nostro  emisfero,   erri  quasi  mezza  notte. 

IL  Che  colà  in  questo  medesimo  dì  la  luna  levava  a  quasi 
mezza  notte. 

La  I  parte  non  li  a  bisogno  di  prova.  E  un  fatto  che  bisogna 
accettarlo  com'è.  Erano  dunque  quasi  le  12  di  notte.  Solo  è  da  no- 
tare una  cosa,  che  Dante  in  tutte  le  sue  espressioni  va  sempre 
all'ultimo  grado  dell*  esattezza,  come  si  e  sempre  veduto  fin  qui  in 
tutto,  e  specialmente  nel  calcolo  delle  ore.  dove  si  mettono  a  conto 
fino  i  minuti;  il  che  abbiamo  potuto  osservare  ogni  qual  volta  il 
Poeta  determina  lWa  in  cui  si  trova  qui  e  colà.  Questo  sia  detto 
contro  quei  commentatori  che  parlando  di  questo  quaai,  ritirano 
l'ora  fino  alle  11,  e  dicono  che  era  circa  un'ora  prima  di  mezza 
notte.  IV  ora  prima  di  mezza  notte  non  e  mui  quasi  mezza  notte, 
presso  ne^uno,  e  molto  meno  presso  Dante  tanto  scrupoloso  ed 
esatto  calcolatore.  Dovrà  dunque  essere  un  tempo  molto  più  vicino 
a  mezza  notte  clic  non  sono  hi  nudici,  e  vedremo  in  fatti  che  que- 
sto quati  ci  porta  vicin  vicino  alle  IL  tanto  da  potersi  dire  che  se 
era  un  tantino  più  in  là,  si  sarebbe  caduto  nelle  1*2. 

La  II  parte  stabilisce  un  altro  fatto,  che  ha  bisogno  di  prova, 
ed  inchiudc  la  finale  e  precisa  determinazione  del  quasi.  Come  dicesse 
Dante:  Io  vi  ho  detto  in  generale  che  era  quasi  mezza  notte,  ma 
con  questa   espressione  generica  non  potete  sapere  quanti  minuti 


390  PURGATO  RTO 

Facea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade38 

intenda  io  prima  di  mezza  notte.  Questo  lo  faccio  passando  ora  dal 
generale  -al  particolare,  dicendovi  che  quella  era  l' ora  e  il  momento 
in  cui  levava  la  luna  a  me  che  era  antipode  di  Gerusalemme.  Sta 
a  voi  adesso  il  trovare  coi  vostri  calcoli  in  qual  ora  e  minuto  mi 
levasse  la  luna,  e  allora  saprete  quanti  minuti  ci  mancassero  a  mezza 
notte,  e  se  aveva  io  ragione  la  più  rigorosa  di  dire  che  allora  era 
quasi  mezzanotte.  Ecco  dunque  i  calcoli  semplicissimi. 

Quando  Dante  la  notte  dal  giovedì  al  venerdì  santo  era  nella  selva, 
allora  correva  il  plenilunio  pel  nostro  emisfero  ;  notate  bene  pel  no- 
stro emisfero^  nel  quale  plenilunio  nasce  la  luna  quando  il  sole  tramonta, 
(  vedetelo  nella  Tav.  VII  Purg.  cui  vi  prego  ad  avere  sottocchio) 
ed  allora  erano  li  7  aprile,  come  ho  dimostrato  nella  Tav.  II  dell'In- 
ferno. Ebbene,  saputo  in  qual*  ora  tramonta  il  sole  addi  7  aprile,  si 
sa  pure  in  qual*  ora  leva  la  luna.  Ma  il  sole  tramonta  alle  6.33,  per 
istare  all'  ultima  precisione.  Dunque  alle  ore  6.33  leva  pure  la  luna* 

Ora  si  sa  che  la  luna  dopo  il  plenilunio  ritarda  a  levare  13  gradi, 
ossia  52  minuti  al  giorno,  secondo  il  calcolo  di  15  gradi  per  ora 
(vedi  questi  ritardi  nella  mia  Tav.  VII  Purg.)\  e  si  sa  pure  che 
nel  giorno  in  cui  siamo  (notte  tra  lunedi  e  martedì  dopo  Pasqua) 
la  luna  conta  già  5  giorni  e  6  ore  dal  plenilunio,  come  ho  notato 
nella  Tav.  Ili  del  Purg.  nel  casellino  della  Lunazione.  Dunque  la 
luna  presente  ritarda  a  levare  cinque  volte  52  minuti,  più  minuti  13 
per  le  6  ore:  il  che  importa  un  ritardo  complessivo  di  ore  4.33. 

Aggiungete  adesso  questo  ritardo  di  ore  4.33  alle  6.33  in  cui 
levava  nel  plenilunio,  ed  avrete  la  giusta  sua  levata  presente  pel 
nostro  emisfero,  che  sarà  alle  ore  11.6  pomeridiane. 

Ma  noi  con  Dante  non  siamo  più  nel  nostro  emisfero,  siamo  in- 
vece ai  nostri  antipodi.  Ora  i  nostri  antipodi  hanno  il  plenilunio, 
un  giorno  prima  di  noi,  e  quindi  alle  11.6  trovate  dobbiamo  ag- 
giungere altri  52  minuti,  che  sono  il  ritardo  della  luna  in  un  gior- 
no; e  cosi  avremo  ore  11.58,  ossia  2  minuti  prima  di  mezzanotte. 
Ecco  il  quasi  a  mezzanotte  di  Dante,  ed  ecco  quanto  Dante  sia 
preciso  ne'suoi  calcoli,  e  nelle  sue  espressioni. 

Si  crede  comunemente  di  spiegar  Dante  abbastanza  prendendolo 
all'ingrosso;  ma  il  detto  da  noi  fa  vedere,  che  ogni  accuratezza 
non  è  mai  soverchia.  Se  Dante  volle  essere  sì  sottile  e  scrupoloso, 
sottili  e  scrupolosi  dobbiamo  esser  pur  noi. 

ss  Facea  le  stelle  ecc.  Le  ore  di  notte  in  cui  risplende  la  luna 
si  veggono  meno  stelle  che  quando  essa  non  risplende,  e  ciò  per- 
chè il  chiaro  della  luna  vince  il  chiaro  di  molte  stelle. 


CANTO  XVHI.  391 

Fatta  com'un  secchione  che  tutt'  arda. 39 
E  correa  contra  '1  ciel  per  quelle  strade,  *° 
*>•        Che  il  sole  infiamma  allor  che  quel  da  Roma 
Tra'  Sardi  e'  Corsi  il  vede  quando  cade. 


w  Fatta  com'un  secchione  ecc.  Il  secchione  è  rotondo  nel  fondo 
ma  è  piano  nella  sua  parte  superiore.  Tale  è  l'aspetto  della  luna 
nel  quinto  giorno  dacché  si  scema  dopo  il  plenilunio,  nel  quale  è 
perfettamente  rotonda.  Essa  poi  è  paragonata  ad  un  secchion  che 
tutto  arda,  perchè  essa  appena  levata,  pei  vapori  della  terra,  sem- 
brava tutta  rossiccia  e  infiammata. 

*0  E  correa  contra  7  del.  Perchè  correa  contra  '1  ciel  ?  Secondo 
l'astronomia  di  quei  tempi,  gli  otto  cieli  hanno  ciascuno  due  moti, 
uno  da  occidente  in  oriente  che  è  loro  proprio,    l'altro   da  oriente 
in  occidente  trattivi  dal  primo  mobile. 

Dice  dunque  che  la  luna  col  primo  di  questi  moti,  ossia  col  moto 
suo  propri,  ocorreva  contro  il  moto  che  ha  il  cielo  dal  primo  mobile. 

Per  quelle  strade  —  Che  il  sole  infiamma  ecc.  Queste  strade 
sono  il  segno  del  Zodiaco.  Osserva  la  mia  Tav.  VII.  Purg. 

Nel  e.  XVII,  Tav.  Ili  abbiam  veduto  la  luna  dopo  5  giorni  dal 
plenilunio  nel 5° grado  di  Sagittario.  Ora  abbiamo  6  ore  di  più  che  im- 
portano gradi  3  ifi ,  i  quali  aggiunti  ai  5  fanno  8  */i  .  Dunque  la  luna 
è  in  gradi  8  */i .  E  in  questo  segno  che  Roma  vede  cadere  il  sole 
tra  la  Sardegna  e  la  Corsica.  Anche  la  luna  allora  percorrea  questa 
strada,  cioè  quella  strada  che  ha  il  sole  ai  29  di  novembre  e  poco 
più .  Il  che  è  un  dire  che  la  luna  pasquale  (qual'è  la  presente)  nel 
suo  quinto  giorno  dopo  il  plenilunio  sorge  e  tramonta,  dove  sorge  e 
tramonta  il  sole  nel  29  Novembre  quand'esso  è  ad  8  gradi  del  Sagit- 
tario. Dante  notò  e  vide  questo  tramonto  del  sole  cadere  precisa- 
mente nello  stretto  che  divide  le  due  isole,  il  notò,  dissi,  e  vide  quando 
fu  a  Roma  ambasciato  di  Firenze  a  papa  Bonifacio  Vili,  quando 
lo  ritenne  a  Roma  facendo  ritornare  a  Firenze  gli  altri  suoi  compa- 
gni d'ambasciata.Egli  vi  andò  in  Ottobre  e  vi  stette  almeno  tutto 
novembre  1 301.  L'epoca  storica  che  troverete  nella  vita  di  Dante  del 
Balbo,  lib.  1,  e.  12,  è  cosi  confermata,  anzi  perfezionata,  in  ciò  che 
lasciava  d1  incerto,  dalla  osservazione  che  qui  fa  Dante,  determinando 
con  essa  indirettamente  che  ai  29  di  Novembre  si  ritrovava  ancora  in 
Roma  ritenuto  da  Bonifacio  mentre  la  sua  patria  Firenze  era  in  mano 
e  alla  balla  de'  suoi  nemici  Carlo  di  Valois  (entratovi  il  1  Novem- 
bre 1301  )  ed  i  Neri. 


90. 


392  PURGATORIO 

E  quell'ombra  gentil,  per  cui  si  noma 
Pietola  più  che  villa  Mantovana,  4i 
Del  mio  carcar  diposto  avea  la  soma.  4f 

Perch'io,  che  la  ragion  aperta  e  piana 
Sovra  le  mie  quistioni  avea  ricolta, 
Stava  com'uom  che  sonnolento  vana. 43 

Ma  questa  sonnolenza  mi  fu  tolta 
Subitamente  da  gente,  che  dopo  u 
Le  nostre  spalle  a  noi  era  già  volta. 

E  quale  Ismeno  già  vide,  ed  Asopo  45 
Lungo  di  sé  di  notte  furia  e  calca,       # 
Pur  che  i  Teban  di  Bacco  avesser  uopo  ; 

Tale  per  quei  giron  suo  passo  falca.  46 


ti  Pietola.\h  lo  stesso  che  Andes,  patria  di  Virgilio.  È  più  che 
villa  per  la  fama  e  gloria  che  le  vien  da  Virgilio. 

**  Del  mio  carcar  diposto  ecc.  Avea  deposto  il  peso,  che  io  met- 
tea  sopra  lui,  de'  miei  dubbi  e  questioni. 

*3  Stava  com'uom  ecc.  Non  avendo  altri  dubbi  da  farmi  dichia- 
rare, e  perciò  trovandomi  senza  pensieri,  tra  per  la  quiete  dell'animo, 
e  per  l'ora  avanzata  (quasi  mezza  notte),  mi  dava  al  vaneggio  del 
sonno. 

**  Da  gente.  Accidiosa.  Che  dopo  —  Le  nostre  spalle.  I  poeti 
stavano  nella  facciata  del  monte  volta  ad  ovest,  dove  gli  abbiam 
condotti  al  sommo  della  scala,  e  dove  stavano  seduti  colla  faccia 
volta  ad  ovest  com'è  naturale.  Quindi  le  anime  venivano  tra  le  spalle 
dei  poeti  e  la  ripa.  Vedi  il  mio  Disegno  Tav.  VI,  Purg. 

**  Ismeno  ecc.  Fiumi  della  Beozia  dov'  era  Tebe  e  dove  si  vene- 
rava qual  n  ome  tutelare  il  Dio  Bacco.  Quei  popoli  nei  loro  bisogni 
correvano  a  torme  lungo  quei  fiumi  di  notte  invocando  il  loro  Dio, 
Questo  esempio  di  gente  che  corre  di  notte  pregando,  era  proprio  a 
quei  caso  degli  accidiosi,  che  correan  essi  pure  di  notte  pregando. 

*6  Falca,  Piega  a  modo  di  falco,  dice  il  Cesari,  e  dice  ottima- 
mente. Chi  corre  per  un  tondo,  se  questo  tondo  è  di  ristretta  pe- 
riferia, dee,  correndo,  restringere  ed  arcare  il  passo  al  centro,  come 
fanno  i  cavalli  che  corrono  in  un  torneo,  da' quali  il  poeta  prese 
questa  immagine.  Ed  a  ragione  dice  Dante  che  qui  le  anione  falcano 


CANTO  XVIII.  303 

Per  quel  ch'io  vidi  di  color,  venendo  4" 
Cui  buon  volere,  e  giusto  ajnor  cavalca. <8 
Tosto  fur  sovra  noi,  perchè  correndo49 
Si  movea  tutta  quolla  turba  magna  ;  50 
E  duo  dinanzi  gridavan  piangendo  :  3I 
100.   Maria  corse  con  fretta  alla  montagna  ; 5J 

il  passo,  perchè  qui  il  girone  e  assai  ristretto,  a  proporzione  degli  altri 
sotto,  meno  arcuati  e  molto  più  larghi,  dove  non  si  avrebbe  potuto 
dire  che  Io  anime  falcassero  il  passo.  Vedi  il  mio  Disegno  alla  circon- 
ferenza di  miglia  2  lft.  Col  verbo  falca  Dante  ci  fa  conoscere  la  ri- 
strettezza del  monte  a  che  Siam  giunti. 

*7  Per  quel  ch'io  vidi  di  color,  venendo.  Per  quanto  a  cagion 
delle  tenebre  (rischiarate  però  dnlla  luna,  e  questa  è  la  ragione  per 
cui  il  poeta  nominò  la  luna  poco  prima),  mi  fu  permesso  di  osser- 
varli nella  loro  venuta.  Dice  venendo,  o  nella  loro  venuta,  e  non 
quand'erano  già  passati  dinanzi  a  Ini,  pcrchò  quando  veggiamo  correr 
molte  persone  l'una  dietro  l'altra  noi  guardiamo  sempre  ai  vegnenti 
non  ai  passati.  Dicendo  venendo  vuol  dir  anche  ch'egli  si  voltò  subito 
per  veder  chi  erano  quelli  che  venivano,  essendosi  già  accorto  che 
venivano  dal  gridar  ch'essi  facevano. 

**  Cui  buon  volere  ecc.  Insistei  sulP  idea  che  gli  fé'  usare  il  verbo 
falca.  Siccome  questo  e  proprio  della  cavallerizza  in  un  torneo,  per- 
ciò paragona  quelle  anime  a  tinti  cavalli,  che  corrono  in  circolo  ;  e 
come  quei  cavalli  hanno  chi  li  cavalca,  cosi  quello  anime  sono  ca- 
valcate da  buon  volere  e  giusto  amore,  contrariamente  a  quando 
erano  al  mondo  ;  che  per  la  loro  accidia  erano  cavalcate  dal  mal 
volere,  e  dal  non  giusto  amore.  —  Anche  qui  in  questa  pena  si 
vede  che  Lo  fren  vnol  wer  drl  contrario  suono. 

49  Tosto  fur  povra  noi.  I  poeti  stavano  sempre  fissi  in  capo  alla 
scala ,  non  potendo  passar  di  là  per  la  notte  che  toglie  le  gambe 
come  si  disse.  Correndo.  Questo  moto  accelerato  ò  contrario  alla 
loro  pigrizin  nel  bene  avuti  al  mondo. 

M  Turba  magna.  K  la  prima  volta  the  nel  Purgatorio  troviamo 
tanta  gente:  ed  a  rnginne  troviamo  qui  una  turba  magna,  perchè  il  più 
di  quei  che  si  salvano  son  stati  accidiosi,  o  poco  fervorosi  nel  bene, 

*i  Gridavan  piangendo.  La  prima  pena  fu  quella  di  correre 
(n.  49);  la  seconda  è  gridar  esempi  ed  esortazioni  di  fervore;  la 
terza  ò  piangere. 

M  Maria  corse  ecc.  È  un  esempio  scritturale  di  Maria  Vergine 
che  ab  Ut  cum  feslinatione  in  montana  per   far   del   bene  a  tutta 


394  PURGATORIO 

E  Cesare  per  soggiogare  Ilerda  ** 

Punse  Marsilia,  e  poi  corse  in  Ispagna.    " 

Batto,  ratto,  che  il  tempo  non  si  perda 
Per  poco  amor,  gridavan  gli  altri  appresso:  55 
Che  studio  di  ben  far  grazia  rinverda.  *6 

O  gente,  in  cui  fervore  acuto  adesso  87 
Ricompie  forse  negligenza  e  indugio  ** 
Da  voi  per  tepidezza  in  ben  far  messo, 

Questi  che  vive  (e  certo  io  non  vi  bugio) 59 


la  famiglia  di  S.  Elisabetta.  Secondo  il  solito  prima  si  mette  un 
esempio  sacro  e  poi  uno  profano,  e  sarà  quello  di  Cesare.  Per  dare 
a  questi  una  varietà  dagli  altri  se  ne  mettono  due  soli  gridati 
non  da  tutte,  ma  da  due  anime  sole,  e  in  luogo  dei  più  che  si  trala- 
sciano si  fa  che  le  altre  anime  di  dietro  eccitino  quelle  davanti  a  cor- 
rere sempre  più,  ed  a  compensar  cosi  il  tempo  perduto  in  tiepidezza. 

**  Ilerda.  Ora  Lerida,  città  di  Spagna,  ove  Afranio  e  un  figlio 
di  Pompeo  ristauravano  la  guerra. 

tu  Punse  Marsiglia  e  poi  ecc.  Lasciò  assedio  intorno  a  Marsi- 
glia, dov'erano  altri  partigiani  di  Afranio  e  Pompeo,  e  corse  in 
Ispagna  dov'era  il  nucleo  principal  de'nemici.  Anche  dai  figli  del 
mondo  deono  imparare  i  figli  di  Dio,  come  ne  insegna  il  vangelo. 

w  Per  poco  amor.  Per  accidia.  Gridavan  gli  altri.  Cosi  i  primi 
eccitavano  i  secondi  cogli  esempi,  ed  i  secondi  eccitavano  i  primi  di- 
mostrando i  mali  della  accidia  (che  il  tempo  non  ti  perda)  ed  i  beni 
che  provengono  dalla  sua  virtù  contraria  (Che  studio  di  ben  far 
grazia  rinverda). 

36  Che  studio  ecc.  Che  il  fervore  nel  bene  mantien  viva  la 
grazia,  e  la  arricchisce  di  nuovi  meriti. 

81  Fervore  acuto.  E  la  virtù  contraria  all'accidia,  che  qui  si  punisce. 

38  Ricompie.  Ricompensa,  risarcisce.  Negligenza  e  indugio  -  Da 
voi  ecc.  È  ìa  vera  definizione  dell'accidia. 

Dice  forse,  perchè  non  è  ancor  affatto  certo  che  questo  sia  il 
girone  dell'accidia,  ma  solo  il  conchiuse  dietro  la  parole  udite,  e 
perchè  pregandoli  egli  di  una  grazia,  era  suo  dovere  di  astenersi 
dalla  loro  pecca  più  che  poteva.  Tale  è  la  legge  di  chi  prega. 

*»  Che  vive.  Tocca  loro  subito  questa  circostanza  nuova  e  ma- 
ravigliosa  per  indurle  ad  arrestarsi  più  facilmente.  Aon  vi  bugio. 
Non  vi  dico  bugia. 


CANTO  XVIII.  305 

HO.      Vuole  andar  su,  purché  il  sol  ne  riluca  ;  °° 
Però  ne  dite  ond'è  presso  il  pertugio.01 
Parole  furon  queste  del  mio  duca  : 
Ed  un  di  quegli  spirti  disse  :  Vieni  °*2 

60  Vuole  andar  su  purché  ecc.  Abbiamo  drtto  altre  volte  che 
nessun  di  notte  avrebbe  potuto  salire  anche  sola  una  riga.  Si  po- 
teva però  di  notte  girare  il  monte.  Ma  i  poeti  noi  fecero,  perchè 
non  sapevano  da  qu:ii  parte  si  fosse  trovata  la  scala  se  a  destra  o  a 
ministra,  e  però  si  stavano  ancora  fermi  in  capo  alla  loro  scala,  aspet- 
tando indirizzo  dalle  anime.  Ecco  che  le  anime  son  giunte,  e  richieste. 

**  Ond'è  pre$hO.  Questo  onde  non  e  ove.  Esso  vuol  dire  :  da 
qual  parte,  se  a  destra  od  a  sinistra.  I  poeti  sapeano  che  o  da 
una  parte  o  dall'altra  ci  dovca  essere  il  pertugio  della  salita,  e  se 
anche  avessero  errato  strada,  a  forza  di  girare  il  monte  l'avreb- 
bero trovato.  Vogliono  dunque  sapere  da  qual  parte  il  pertugio  è 
più  vicino:  perciò  Virgilio  dice:  Ond'è  premo \  e  ciò  per  non  get- 
tare il  tempo  inutilmente. 

•*  Vieni  -  Diretro  a  noi  ecc.  Ricordatevi  che  noi  siamo  nella  fac- 
ciata del  monte  che  guarda  ad  ovest,  come  vi  dice  la  Tav.  VI  ; 
ricordatevi  pure  che  le  anime  degli  accidiosi  venivano  da  nord  a 
sud;  e  cosi  intenderete  qual  direzione  venga  indicata  con  queste 
parole:  Vieni  diretro  a  noi  ;  cioè  vieni  da  nord  a  sud. 

Va  senza  dire  che  i  poeti  aiutati  allo  splendor  della  luna,  segui- 
rono tosto  quegli  spiriti  più  che  potevano,  correndo  anch'essi  con  loro 
lungo  il  ciglio  della  strada,  e  cosi  girando  il  resto  di  questa  facciata 
volta  ad  ovest,  poi  tutta  la  facciata  volta  a  sud  e  un  tratto  dell'altra 
ad  est,  come  vedremo  più  sotto  e.  XIX,  v.  39»  per  la  qual  gita  rendesi 
necessaria  anche  la  facciata  del  monte  volta  a  sud,  Tav.  Vili,  (solo 
perchè  è  percorsa  anche  dai  poeti  insieme  cogli  accidiosi,  e  per  po- 
ter coal  render  ragione  del  come  si  trovi  Dante  nel  e.  XIX  per  la 
seconda  fiata  nella  facciata  di  est,  e  precisamente  alla  metà  di  essa 
faccia  sopra  la  porta  del  Purgatorio,  ond'era  partito  dopo  la  con- 
fessione fatta  ai  piò  dell'Angelo. 

Notate  tre  cose:  1.  Che  Dante  si  fa  più  girare  in  questa  cornice 
che* nel r altre  per  torgli  meglio  l'accidia,  peccato  tanto  comune; 
2.  Che  la  facciata  di  sud  non  ha  qui  altri  fotti  che  il  passaggio, 
essendo  essa  e  quella  di  est,  come  migliori,  riserbate  al  Paradiso 
terrestre  ;  3.  Che  i  disegni  comuni  sono  tutti  errati,  mettendovi 
tutte  le  salite  nella  sola  facciata  di  est,  e  quindi  confondendovi  il 
disegno  sì  ragionato  di  Dante. 


39G  PURGATORIO 

Diretro  a  noi,  che  troverai  la  buca:  (J* 
Noi  siam  di  voglia  a  moverci  s\  pieni,  6i 
Che  ristar  non  potem  ;  però  perdona, 
Se  villania  nostra  giustizia  tieni.,65 
r  fui  Abate  in  San  Zeno  a  Verona  6G 
Sotto  r  imperio  del  buon  Barbarossa,  ^ 
120«      Di  cui  dolente  ancor  Meian  ragiona. 

63  Buca*  Per  la  strettezza  dell'  imboccatura  della  scala  tra  i  duri 
massi  del  monte. 

6i  Noi  siam  di  voglia  ecc.  Quegli  spiriti  fin  ch'erano  in  vita 
erano  tutto  il  contrario  di  quel  che  sono  presentemente.  In  vita 
erano  di  voglia  a  moverei  si  vuoti,  che  andar  non  potevano:  ora 
invece  sono  si  pieni  di  voglia  a  muoversi,  che  non  possono  ristare. 
Avvertite  che  questa  era  la  loro  pena,  mediante  la  quale  si  pnr- 
gavan  del  lor  peccato. 

68  Nostra  giustizia.  La  condizion  nostra  impostaci  dalla  divina 
giustizia,  come  dicesse  :  Se  tieni  per  atto  scortese  il  nostro  non  fer 
marci  datoci  in  pena  dalla  giustizia  di  Dio,  perdonacelo. 

M  /*  fui  Abate  ecc.  Gherardo  II.-  In  San  Zeno  a  Verona.  Cele- 
bre ed  antica  Abazia  del  medio  evo,  durata  sin  presso  al  morire 
dei  secolo  XVIII,  onde  uscirono  vescovi  e  papi.  Accanto  havvi  la 
famosa  basilica  di  S.  Zeno  incominciata  a  spese  di  re  Pipino,  con- 
tinuata dai  Carlovingi  e  dagli  Ottoni,  e  compita  dal  vescovo  d  i 
Verona  Ognibene.  Custodisce  il  corpo  del  vescovo  S.  Zeno  in  un 
vastissimo  sotterraneo  dove  fu  traslatato  dall'attigua  chiesetta  che 
riesce  sotto  la  sacristia,  la  quale  chiesetta  era  quella  dove  predicava 
il  santo,  e  dove  avvenne  il  prodigio  dell'acqua,  raccontato  da 
S,  Gregorio  Magno.  Dante  avea  visitato  questo  monastero  nella 
sua  prima  venuta  a  Verona  sotto  Bartolomeo  della  Scala.  Allora 
era  in  un  borgo  della  città;  ampliata  questa  rimase  compreso  entro  la 
cinta. 

67  Sotto  V  imperio  ecc.  In  questo  verso  si  assegna  l'epoca  pre- 
cisa in  cui  iu  Abate  Gherardo  II.  Esso  vi  fu  Abate  quando  Ve- 
rona, dopo  la  destituzione  dei  consoli,  fu  governata  dai  pqdestà 
posti  dall' ir  iperadore  Federico,  detto  Barbarossa,  dalla  rossa  sua 
barba.  Ma  questo  governo  del  Barbarossa  designerebbe  un  tempo 
troppo  generico,  perchè  si  estenderebbe  dal  1155  sino  al  1190,  cioè 
dalla  sua  occupazion  di  Verona  sino  alla  sua  morte,  occupando  cosi 
un  periodo  di  35  anni.   Dante   non  ha  il  costume  di   esser   troppo 


canto  xvm  ss: 

E  tale  ha  già  Tun  pie  dentro  la  fossa.  w 

generico  in  nessuna  sua  cosa,  e  oé  nenuLt^o  in  questa.  Per 
tirare  quest'epoca  dal  genere  alla  ssa  specie  vi  pose  l'aggiunta  dei 
buon  £j  risarcita.  -Dì  mi  dzltnU.  anc:<r  Meìz-t  raci.ra.  e  così  ci 
ha  specificalo  in  quali  di  pe=ti  S5  sud:  il  <.*L*rard:-  fosse  Abate  : 
«oè  il  Gherardo  fu  A  Vaie  in  quel!'ep-.«a.  che  Barbaro»:*  tra  •«ul-'s:. 
e  dopo  Tanno  delh  dir; radon  di  filano,  che  fu  nel  1102.  A  Lag- 
gior  chiarezza  della  casa  sappiasi  chi:  li  vita  di  Birlirossa  può 
dividerei  in  tre  epoche:  la  prin.*.  buona,  e  onesta  e  cai  1I5J  anni- 
in  che  fn  innalzato  all'  i ap^ro-  sinn  a  tuli j  il  55  :  la  secónda,  rea. 
e  questa  è  dal  1156  sin:*  al  1177  anno  della  sua  sottomissione  al 
Papa  in  Venezia):  !a  terza  ei  n  tin,  ancor  buona,  dal  1177  sino 
al  1190.  in  coi  il',  ri  nella  croci  ita  di  terra  santa.  Da  insti  cenni 
risolta  chiarissimo  l  ~  che  Gherardo  fu  Abate  quandi  Barbarossa 
era  buono:  2r  che  ii  Abate  non  nella  prima  epoca  buona,  ma 
nefla  terza  pur  biona.  perche  il  Gherardo  stesso  fi  riporta  ad  una 
epoca  dopo  la  distruzion  di  MiUuo.  Dun-jue  Dante  o  per  Ini  Ghe- 
rardo ci  dice,  ch'egli  ra  Ab  ite  tra  il  1 177  e  U  11M,  in  cai  p«otevasi 
appellar  buor,z  il  Birb  crossa  in  se~:?o  propri:  di  questa  piarola.  e 
non  in  serico  traslto  ed  ironico,  come  vogliono  p*r  errore  tutti 
i  commini  ato  ri.  i  quali  non  sap«eiidj  sp/ egire  questo  epiteto  di 
buono  dar-  ai  Barbar  .-=5*.  se  la  cavano  dicendolo  usato  in  senso 
d'ironia,  che  in  questo  luojo  e  in  bocca  di  tal  p*erK>na  sarebbe  la 
cosa  h  più  insulsa,  e  la  n.en  concludente,  e  distruggerebbe  i  pensi 
dotti  e  profondi  de  noi  vi  abbiamo  scorti,  e  eh*  sodo  secondo  lo 
ingegno  e  l'arte  di  Dinte.  Da  ciò  si  raccoglie  che  l'Abate  Ghe- 
rardo ri  trovava  al  Purgatorio  da  circa  110  anni,  a  contarlo 
dalla  morte  di  Fé  ieri  go  sino  al  13ó0.  nel  quale  qui  Dante  lo  vede. 
Questa  lunghezza  di  pena  ed  a  tre  che  sappiamo  anc-r  più  lunghe  sono 
basate  sulle  credenze  cattoliche,  e  sulle  asserzioni  dei  cattolici  dottori. 
€»  E  tal*.  E  v'La  un  cotale,  che  è  secchio,  vicino  a  morire.  Era 
Alberto  della  Scala,  già  prima  podestà  di  Mantova,  indi  signor  di 
Verona,  success  i  al  fratello  Masi  no  I  dall'anno  1-77  al  1-01  in  cui 

m 

mori  Siccome  il  viaggio  di  Dante  nell*  altro  mondo  si  p  ^ne  ne!  loO.\ 
e  Ai'oerV,  mori  nel  li 01.  perciò  a  ragione  si  dice  che  h.i  eia  .""».« 
pie  detti  :'j  fossa.  Trattandosi  dei  signori  delia  mia  jàtria.  trat- 
tar.-dosi  d  cilici  ed  ospiti  di  L'ante,  p.resso  i  quJi  scrisse  buona 
parte  del  suo  traina,  e  trattandosi  finalmente  di  uno  di  Ito  Sastino  1. 
eh*-  prima  di  e^nr  podestà  di  Verona  fu  podestà  di  Cerea,  mia  pia- 
'occhia,  credo  fa:  cosa  degna  di  offrir  1"  aibero  genealogico  di  questa 
iUu-tic  fami g Uh.  ka  porremo  in  fine  del  Canto. 


398  PURGATORIO 

Che  tosto  piangerà  quel  monistero, 6f 
E  tristo  fia  d'avervi  avuta  possa  ; 70 

te  Che  tosto  piangerà  ecc.  Che  (nominativo)  tosto  (per  la  sua 
morte  che  avverrà  in  breve)  piangerà  quel  monistero  o  il  mal  che 
fece  a  quel  monistero.  Non  si  dice  dove  dovià  Alberto  piangere  i 
guai  di  cui  fu  egli  cagione  a  quel  monistero,  se  in  Inferno  o  nel 
Purgatorio.  Pare  che  il  poeta  accenni  all'  Inferno,appunto  per  aver 
avuto  riguardo  a  specificarlo.  Se  si  fosse  trattato  di  solo  Purga- 
torio questi  riguardi  non  avrebbero  avuto  luogo.  Si  deduce  questo 
anche  dall'  aggiunto  tristo,  che  calza  più  ai  dannati  che  ai  purganti, 
della  terzina  più  sotto:  Io  non  so  se  piò  disse  ecc.,  dove  il  poeta 
per  non  inimicarsi  il  figliuolo  Can  Grande  (nel  cui  tempo  egli  scrivea 
questi  versi)  lascia  la  cosa  pendente. 

70  E  tristo  fia  ecc.  £  fia  dolente.  Avvertite  che  Dante  quando 
dice  tristo  lo  intende  sempre  applicare  a'  dannati.  -••  D'avervi  avuta 
possa.  L'autorità  che  godette  Alberto  in  Verona  (dice  la  storia)  non 
fu  di  capo  di  republica,  o  di  semplice  capitano  del  popolo,  quaL 
era,  qual  venne  eletto,  e  qual  doveva  essere,  ma  era  di  padrone 
assoluto  e  monarchico.  Infatti  sotto  di  lui  cominciò  a  sparir  affatto 
il  governo  del  popolo,  ed  a  introdursi  il  potere  assoluto.  Anche  la 
elezione  del  podestà  la  riservò  a  so  medesimo.  Non  è  quindi  mara- 
viglia che  voleste  dominare  anche  per  entro  ad  un  monastero,  e  domi* 
narvi  con  tanto  scandalo  e  pregiudizio  del  fervore  monastico.  Questa 
è  la  ragione  perchè  tanto  di  lui  si  duole  l'Abate  Gherardo.  Egli 
che  ornai  conosce  il  male  dell'accidia,  cagion  funesta  della  perdita  del 
vero  spirito  monastico,  non  può  non  detestare  quelle  influenze  mon- 
dane, che  portano  la  tiepidezza  e  lo  scandalo  nei  chiostri.  Ricor- 
diamoci che  questa  fu  la  causa  della  dissoluzione  monastica  in  altri 
tempi  vicini  a  noi.  Dante  gran  conoscitore  di  spirito,  pose  ottima- 
mente in  bocca  dell'abate  Gherardo  questa  giusta  censura  della 
prepotenza  Albertina.  L' influenza  preponderante  degli  Scaligeri  in 
poco  più  di  un  secolo  che  signoreggiarono  Verona,  non  si  limitava 
in  fatto  ecclesiastico  al  solo  monastero  di  S.  Zeno,  ma  si  estendeva 
anche  nel  vescovado,  ed  è  notevole  che  in  un  secolo  Verona  ebbe 
ben  cinque  vescovi,  tutti  Scaligeri,  e  sono  i  seguenti  : 

1.  Guido  1274-1275. 

2.  Bartolomeo  1278-1290. 

3.  Pietro  1290-1295. 

4.  Bartolomeo  II  1338  (prima  abate  di  S.  Zeno  1321-1330). 

5.  Pietro  li,  passato  a  Lodi  nel  1387. 


CANTO  XYIU.  S» 

Perchè  suo  figHo.  mal  del  corpo  intero.  T* 
£  della  mente  peggio,  e  che  mal  nacque. 
Ha  posto  in  luogo  di  suo  pastor  vero.  ** 
Io  non  so  se  più  disse,  o  s'ei  si  tacque.  ' 
Tant'era  già  di  là  da  noi  trascorso  :  ~* 
Ma  questo  intesi,  e  ritener  mi  piacque.  7& 
***■    E  quei  che  m?era  ad  ogni  uopo  soccorso,  w 

:  Volgiti  in  qua,  vedine  due"7 


71  Pente  tuo  figli*  ecc.  Area  nome   Giuseppe,  di  cui  ai 

qui  tre  brutte  qualità:  1.  storpio  [mal  del  corpo  intere' r.  2.  Boemo 
di  monte  più  che  noi  fesse  di  corpo  'E  detti  mente  peggio j:  3.  ba- 
stardo (e  cke  mal  r*arqvi  .  Lo  troreni  zKlTalbero  genealogico  in 
fine  del  canto  :  dove  troverai  che  onesto  bastardo  fa  esso  pare  pa- 
dre di  bastardi  I  vizi  dei  padri  passano  nei  figlinoli.  GÈ  Scalìgeri 
ebbero  mi  turpe  vasto  in  questa  specie  di  «^arì^mT; 

74  Ha  pò  fi:1  in  lu:*?:.  Per  prepotenza  lo  fece  eleggere  abate  del 
convento.  Sicetcne  il  monastero  non  dipendeva  dalla  giurisdizione 
Tescovik.  perciò  ì  monaci  aveano  per  vero  pastore  l'abate  e  non  il 
vescovo,  a  differenza  degli  altri  fedeli.  Per  questo  si  dice  qui  «a 
postar  vero.  Grande  sventura  per  qnel  monastero,  e  grande  respon- 
sabilità per  chi  ne  fa  causa. 

H  Io  non  *o  se  più  diète  ecc.  Assai  fino  artificio  poetico  per  far 
intendere  che  altre  cose  più  gravi  ancora  si  vogliono  con  questa 
specie  di  reticenza  nascondere,  ebe  Dante  gHeTavrebbe  fatte  dir  vo- 
lentieri; se  non  avesse  avuto  giusti  fini  di  tacerle,  come  vedremo 
che  per  giusti  fini  anche  nel  Paradiso,  parlando  dello  stesso  Can- 
grande.  tacerà  di  molte  ignominie  per  non  pregiudicar  troppo  alla 
propria  persona  e  famiglia. 

"*  Tant'era  già  di  là  ecc.  Correndo  gli  spiriti  più  di  quel  che 
potesse  correr  Dante,  essi  gli  erano  trascorsi  molto  innanzi 

75  jtfa  questj  intuì  e  ritener  mi"  piacque.  Come  per  saggio  di 
quel  peggio  che  forse  avrà  detto,  e  eh  lo  non  ho  potuto  intendere- 

'*  E  quei  ecc.  Virgilio. 

~  Volgiti  in  qua.  vedine  due.  Questa  schiera  di  accidiosi  aveano 
due  di  loro  per  avanguardia,  e  quegli  gridavano  esempi  di  fervore 
premiato,  come  abbiam  veduto,  e  due  ne  aveano  per  retroguardia,  e 
questi  gridavano  esempi  di  accidia  punita.  Cosi  secondo  il  solito  i 
perca  tori  stanno  tra  due  freni,  e  da  entrambi  è  loro  incuorata  la 
virtù  di  cui  mancavano  in  vita, 


400  PURGATORIO 

All'accidia  venir  dando  di  morso.  78 
Diretro  a  tutti  dicean  :  Prima  fue  7a 
Morta  la  gente,  a  cui  il  mar  s'aperse, 
Che  vedesse  Giordan  le  rede  sue.  *° 
E  quella  che  l'affanno  non  sofferse  81 
Sino  alla  fine  col  figliuol  d'Ànchise, 
Sé  stessa  a  vita  senza  gloria  offerse. 
Poi  quando  fur  da  noi  tanto  divise  82 

• 

78  Dando  di  morso.  Rimbeccando  l'accidia  col  suo  contrario, 
ossia  facendo  guerra  all'accìdia  col  loro  correre  fervoroso  in  con- 
trarietà al  torpore  e  tiepidezza  ch'ebbero  in  vita. 

79  Prima  fue  morta  ecc.  Tranne  Giosuè  e  Caleb,  tutti  gli  Ebrei 
che  uscirono  d'Egitto,  e  pel  mar  che  s'  aperse  vennero  nei  deserto, 
vi  perirono  prima  di  giungere  al  Giordano,  ch'era  il  fiume  di  con- 
fine della  terra  promessa  ad  oriente,  e  vi  perirono  in  pena  d'esser 
tardi  al  bene,  ossia  in  pena  della  loro  accidia. 

80  Le  rede  sue.  I  suoi  eredi  legittimi,  i  quali  erano  i  discendenti 
di  Abramo  per  Isacco,  alla  posterità  del  quale  Dio  fece  la  promessa 
di  dare  in  retaggio  la  Palestina. 

81  E  quella  che  V affanno  ecc.  Una  parte  dei  seguaci  di  Enea 
stanchi  degli  affanni  del  mare,  come  giunsero  alla  spiaggia  occiden- 
tale di  Sicilia,  preferirono  il  riposo  di  quelle  terre  alla  conquista  di 
Italia,  onde  colà  rimasti  col  loro  capo  Aceste,  lasciarono  seguire 
Enea  la  sua  gloriosa  carriera  in  Italia.  Anche  qui  secondo  il  solito  ad 
un  primo  esempio  sacro  vedete  aggiunto  un  esempio  profano  d'accidia 
per  mostrare  che  la  religione  e  la  società  abborrono  questo  vizio. 

M  poi  quando  fur  da  noi  ecc.  Quantunque  i  poeti  corressero 
anch'essi  dietro  all'ombre,  pure  essi  correvano  assai  meno  che  le 
ombre,  e  perciò  queste  li  trapassavano,  tanto  che  i  poeti  più  non 
le  videro.  Ma  intanto  a  forza  di  correre,  i  poeti  aveano  trascorsa 
tutta  la  facciata  del  monte  volta  ad  ovest  (vedi  Tav.  VI),  più 
tutta  la  facciata  volta  a  sud  (vedi  Tav.  Vili),  e  quasi  mezzo 
giro  della  facciata  volta  ad  est  (vedi  Tav.  IV) ,  per  cui  senza  sa- 
perlo erano  vicinissimi  alla  scala  ed  all'Angelo,  che  stava  a  piombo 
della  porta  d' ingresso  del  Purgatorio.  E  questo  è  quello  che  l'abate 
Gherardo  avea  detto  a  Virgilio,  quando  gli  disse:  Vieni  diretro  a 
noi  che  troverai  la  buca.  Ecco  in  fatti  che  la  buca  era  là  dove  gli 
ultimi  due  spiriti  trapassarono  i  poeti. 


CANTO  XVIII.  401 

14°-       Quell'ombre,  che  veder  più  non  potersi, 
Nuovo  pensier  dentro  di  me  si  mise, 83 

Dal  qual  più  altri  nacquero  e  diversi  : 8fc 
E  tanto  d' uno  in  altro  vaneggiai,  ** 
Che  gli  occhi  per  vaghezza  ricopersi,  w 

E  il  pensamento  in  sogno  trasmutai. 


87 


83  Nuovo  pensier  ecc.  Se  ne  andarono  da  me  i  pensieri  gravi  che 
tengono  l'anima  svegliata,  e  dacché  altro  d'interessante  non  si  of- 
friva più  a'  miei  sensi  per  tenerli  desti,  mi  si  mise  dentro  nuovo 
pensiero,  uno  di  quei  pensieri  leggeri  leggeri  che  ci  vengono  quando 
sonniferiamo,  e  siamo  li  ìì  per  abbandonarci  al  sonno. 

**  Dal  qual  piU  altri  ecc.  Appunto  il  corpo  si  dispone  al  sonno, 
ed  all'  abbandono  o  meglio  concentramento  dell'  anima  mediante 
molti  pensieri  vaghi  e  diversi,  l'uno  dei  quali  nasce  dall'altro; 
senta  però  concatenazione  d' idee  dell'  uno  dall'  altro. 

M  E  tanto  d'uno  in  ecc.  I  pensieri  in  questo  stato  non  possono 
essere  che  vaneggi,  ossia  cose  vane,  e  sempre  più  vane  a  tenore 
che  l'anima  si  concentra  al  cuore  ed  abbandona  la  mente. 

tt  Che  gli  occhi  per  ecc.  Che  mi  diedi  al  sonno  per  non  esser 
ornai  più  la  mente  occupata  in  pensieri  fìssi,  ma  solo  in  idee  sì  vaghe, 
da  poterle  dire  la  stessa  vaghezza. 

87  E  il  pensamento  in  ecc.  E  quando  proprio  fui  preso  dal  sonno, 
allora  i  molti  e  vani  e  vaghi  mici  pensieri  mi  si  trasmutarono  in 
un  sogno  ;  che  per  essere  un  sogno  messo  da  Dio,  era  ragionato  e 
significativo,  e  non  vano  come  i  precedenti  pensieri. 

Essendo  il  sonniferare  (che  e  indicato  dai  vaneggi  precedenti) 
esteso  sino  al  principio  del  vero  sonno  (che  è  indicato  dal  verso: 
che  gli  occhi  per  vaghezza  ricopersi  )  ;  e  sapendosi  che  al  principio 
di  questo  sonno  i  pensieri  si  cambiarono  in  sogno,  che,  come  dice 
nel  Canto  seguente,  avvenne  presso  l'alba,  ne  segue  per  conseguenza 
che  il  sonniferare  o  la  sonnolenza  fu  lunga  tanto  quanto  è  dalla 
mezza  notte  fin  presso  all'  alba.  Al  principio  del  canto  seguente 
diremo  di  quest'alba.  Intanto  basta  che  sappiamo  die  Dante  non 
ha  veramente  dormito  che  cominciando  da  poco  prima  dell'  alba,  e 
che  il  reato  da  questo  punto  sino  alla  mezzanotte  indietro  non  fu 
che  una  sonnolenza. 


86 


Airi 


PURGATORIO 

ALBERO  GENEALOGI 

ISSARLH 


1.°  dalla  Borgogna,  secondo  alcuni.  dovT  erano  assai 
2.°  da  Scalimburg,  secondo  altri,  donde  seguirono  Bi 

Jacopino  Broc 


I    T 

Mastino  I. 

primi  podestà  di  Cerea  verone** . 
1158.  poi  podestà  di  Verona  1J6*. 
finalmente  quasi  signore  assolalo  ; 
m.  1317  uccìso. 


I 

Bartolomeo 

sema  figli  legittimi;  m. 
1804.  —  Prima  venata  dì 
Dante  in  Verona,  nella 
quale  die  principio  al- 
l' Inferno. 


Alberto   II. 


I 
Alberto  I. 

signore  assoluto  di  Veron 
uccisione  di  Mattino;  m.  i 


Canqrande  II 

detto   Canrabbioso    fatto 
uccidere  da  Cansignono. 


/ 


/ 


I 
Alboino 

1311. 


m 


I 


I 


Mastino  II 

manto  di   Tarìrtea 
Carrara  ;  m.    1331. 


Legittimi  | 


Illegittimi 


I 

Paolo  Alboino 

fatto  chiudere  nel  1365  da  C'insignorir) 
nella  rocca  di  Peschiera  e  da  lui  fatto 
strangolare  poco  prima  del  1375. 


CANTO  XVIII. 

FAMIGLIA  SCALIGERA. 

>ua  moglie 

donde  esularono  per  salvarsi  dalla  vendetta  del  Duca, 
militarono,  e  cessato  il  servizio  si  fermarono  in  Verona. 

ECCAFIGA 


4(KJ 


I 

Manfredo 

•  storico  Dalla  Corte 
tcovo  di  Verona.  Dee 
Ilo  che  noi  abbiamo 
juido  (D.  70;. 


Bocca    . 

ucciflo  dai  suoi  domestici 
presso  Viiiafranca. 


Corrado        Aimonte 


Francesco 
an  Grande 

i.  1329  senza  figli  la- 
Seconda  venuta    di 
a  Verona  nella  quale 
>ltre  la  mela  del  Pa- 
ti ùuo  ai  C.  XVII. 


Giuseppe 

abate  in  San  Zeno  m  Verona  nel  1292,  m.  1309. 


I 
5SIGN0RI0 
ixa  figli  legittimi. 

Ille    gittimi 


Fregnano 


Bartolomeo 

abate  d>  S.  Zeno  di  Verona 
4321-1336  poi  vescovo  di 
Verona,  ucciso  da  Masti- 
no Il  noi  1338. 


I 


>LOMEO 
?  re  dal  fra- 
ilo  m.  1381. 


I 

Antonio 

cacciato  dal  Visconti,  1881.  Alorto 
di  veleno  sulla  montagna  di  Forlì 
1387.  Sotto  di  Antonio  si  estinse 
la  signoria  degli  Scaligon  in  Ve- 
rona. 

I 

Can  Francesco 

senza  signoria. 


Quest'albero  genealo- 
gico ò  tratto  dalla  Storia 
di  Verona  del  Dalla  Cor- 
te e  del  Venturi.  —  I 
vescovi  di  questa  fami- 
glia sono  tutti  riportati 
in  questo  Canto,  u.  70. 


CANTO  XIX 


Argomento. 

• 

Sogna  Dante  presso  V  alba  una  donna  brutta  e  falsa,  ed 
un'  altra  bella  e  santa.  Si  sveglia.  I  poeti  vanno  in  cerca  della 
scala.  L'angelo  custode  di  quella  gli  invita  a  salire.  Salgono  t 
ragionano.  Giungono  intanto  al  quinto  giro  degli  Avari.  Dante 
li  vede  e  ne  descrive  la  pena.  Virgilio  li  dimanda  del  cammino 
per  salire.  Un'ombra  risponde,  e  Dante  va  sopra  lei  chieden- 
dola chi  fosse  stata.  Era  V  ombra  di  Papa  Adriano  F,  che  di  sé 
e  del  suo  peccato  e  della  sua  pena  parla  a  Dante,  Dante  *'  in- 
ginocchia per  riverenza,  ma  V  ombra  noi  consente,  e  gliene  dice 
il  perchè.  Adriano  V  licenzia  finalmente  il  poeta,  e  nel  licenziarlo 
gli  tocca  di  Alagìa  sua  nipote,  la  sola  rimastagli  al  mondo. 

NB.  Vedi  tutti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  Tav.lJl  Purg.,o  la  Taf.  IV  Purg. 


.Nell'ora  che  non  può  il  calor  diurno4 
Intepidar  più  il  freddo  della  luna, 

*  Neil7  ora  che  ecc.  Neil'  ora  nella  quale  ecc.  Quest'  ora  è  circa 
r  ultima  della  notte,  quella  che  precede  l' alba.  L'  alba  negli  11  ott. 
del  Purgatorio  rispondenti  ai  12  apr.  di  Gerusalemme  nasce  alle  4:84. 
Dunque  un'  ora  prima  sono  le  3:34.  —  Non  può  il  calor  diurno  — 
Intepidar  ecc.  Il  calor  diurno  prodotto  dai  raggi  solari,  durante  il 
giorno,  non  si  spegne  affatto  col  partir  del  sole  e  de'  suoi  crepu- 
scoli, ma  continua  benché  scemando  gradatamente,  anche  durante 
la  notte,  e  cosi  intiepidisce  il  freddo  della  luna.  Ma  v'  ha  un'  ora 
della  notte,  in  cui  il  calore  prodotto  dal  sole  del  di  innanzi  non 
può  intiepidir  il  freddo  raggio  binare,  e  quest1  ora  è  appunto  l'ul- 
tima della  notte,  nella  quale  esso  calore  è  vinto  dal  freddo  naturai 
della  terra,  rimasta  molte  ore  senza  sole,  ed  anche  è  talora  vinto 
da  Saturno,  altro  freddo  pianeta,  quand'osso  si  ritrova  sull'orizzonte, 
che  non  sempre  avviene,  e  perciò  si  dice  talora. 

96  a 


406  PURGATORIO 

Vinto  da  Terra  o  talor  da  Saturno; 
Quando  i  geomanti  lor  maggior  fortuna  * 
Veggiono  in  oriente,  innanzi  all'  alba, 8 
Surger  per  via  che  poco  le  sta  bruna  ; 4 

*  Quando  %  geomanti  ecc.  I  geomanti  sono  indovini  che  segnano 
in  terra  i  loro  punti  superstiziosi,  secando  che  indica  la  parola 
greca;  come  i  chiromanti  sono  quelli  che  li  segnano  sulla  mano. 
Questi  geomanti  hanno  un  punto  di  maggior  fortuna,  ed  è  quando 
facendo  alcuni  segni  a  caso  nella  sabbia  riesce  loro  di  delinear 
l'Acquario  ed  il  principio  dei  Pesci,  che  sono  le  due  costellazioni 
che  precedono  l'Ariete,  a  22  gradi  del  quale  abbiamo  presentemente 
il  sole.  (Vedi  la  mia  Tav.  Vili). 

*  Innanzi  alV  alba.  Abbiamo  veduto  (n.  1)  che  oggi  è  alba  alle 
4:34.  Da  qui  ad  ore  1:40,  che  saranno  le  6:14  nascerà  il  soie  che 
ora  è  nel  22  grado  di  Ariete  verso  il  Toro  dove  puoi  conside- 
rarlo per  te  nella  mia  Tav.  VII,  Purg.  Ma  se  il  sole  è  nel  22  grado 
di  Ariete  verso  il  Toro,  quanti  gradi  ci  saranno  tra  il  sole  e  il  29 
grado  dei  Pesci  ?  Ci  saranno  gradi  22  +  29  che  formano  51.  Questi 
51  gradi  (a  15  gradi  per  ora)  quante  ore  ci  portano  indietro  dalla 
nascita  del  sole  ?  Ci  portano  ad  ore  3:24  ;  che  sono  appunto  ore 
1:10  minuti  prima  dell'  alba.  Questa  precisamente  è  l'  ora  indicata 
qui  dal  poeta.  Colla  prima  terzina  ha  indicato,  secondo  il  suo  so- 
lito, in  modo  generico,  che  Torà  di  cui  parla  è  l'ultima  della  notte; 
e  con  questa  terzina,  secondo  il  suo  solito,  in  modo  più  speciale  e 
preciso,  ha  indicato  qual'  ora  sia  questa,  cioè  le  3:24  minuti,  ossia 
ore  1:10  minuti  innanzi  all'  alba-,  nella  qual' ora  stanno  sull'  oriz- 
zonte i  Pesci  per  un  grado,  e  tutto  l'Acquario,  entrambi  i  quali 
segni  cosi  posti  formano  la  maggior  fortuna  dei  geomanti.  (Vedi  la 
mia  Tav,  VII). 

*  Surger  per  via  ecc.  Questa  maggior  fortuna  (ossia  tutto  l'Ac- 
quario ed  una  piccola  parte  dei  Pesci)  la  veggon  sorgere  ancora 
notturna,  o  bruna;  ma  per  poco,  perchè  da  qui  ad  ore  1:10  la  via 
del  cielo  non  istà  più  bruna  alla  maggior  fortuna  dei  geomanti, 
perchè  da  quel  punto  comincia  1'  alba,  e  finisce  quindi  la  notte, 
della  quale  si  giovano  i  geomanti.  Geomanzia,  Necromanzia  e  simili 
scienze  erano  dilette  a  molti  del  medio  evo.  Dante  seguendo  1'  indole 
dei  tempi,  si  vale  anche  di  questi  per  abbellire  la  sua  poesia,  e  per 
conservare  cosi  le  cognizioni,  sebbene  false,  dell'  antichità.  Fin  qui 
il  poeta  per  esprimere  le  3:24  antim.  Vedete  che  ingegno,  che  dot- 
trina e  che  studio  ! 


CANTO  XIX.  407 

Mi  venne  in  sogno  una  femmina  balba, K 
Con  gli  occhi  guerci  e  sovra  i  pie  distorta, 

s  Mi  venne  in  sogno  una  femmina.  È  questo  il  sogno  che  accennò 
nelT  ultimo  verso  del  Canto  precedente.  A  che  questo  sogno  ?  Questo 
sogno  serve  a  disporlo  alla  visita  dei  tre  gironi  che  ancora  restano > 
nei  quali  si  piange  di  aver  posto  il  cuore  in  tre  specie  di  beni  falsi, 
che  costituiscono  la  falsa  felicità  mondana  e  sono  tre  piaceri,  delle 
ricchezze,  della  crapula  e  della  lussuria.  Questa  falsa  felicità  mon- 
dana gli  viene  mostrata  sotto  l' immagine  poetica  di  una  femmina 
tutta  difettosa  per  sé  medesima;  come  per  sé  medesima  è  difettosa 
la  felicita  mondana;  la  qual  femmina  diventa  poi  bella  in  apparenza, 
ma  perchè  è  fatta  diventar  tale  da  Dante  col  suo  mirarla;  come 
la  mondana  felicità  diventa  apparentemente  pregevole  sol  perchè 
noi  vi  poniamo  1'  ocehio  ed  il  cuore  che  fa  parer  belle  anche  le  cose 
brutte:  la  femmina  tutta  cangiata,  di  brutta  in  bella,  ma  sempre 
in  apparenza,  incatena  col  suo  fascino  Dante  sedotto,  il  quale  pare 
non  possa  più  vivere  senza  di  lei,  tanto  ella  gli  piace  ;  come  la  mon- 
dana felicità  una  volta  che  sia  stata  gustata  dall'  uom  sedotto,  lo 
incatena  e  lo  fa  suo.  Mi  ecco  che  nel  maggior  pericolo  di  Dante 
viene  una  donna  santa  e  presta,  che  facendo  dioudare  da  Virgilio 
la  infinta  bella,  fa  vedere  e  sentire  a  Dante  tutto  il  suo  errore. 
Cosi  la  grazia  misericordiosa  di  Dio  avendo  compassione  del  pec- 
catore vittima  di  questi  inganni,  col  mezzo  di  un'altra  donna  santa, 
e  pronta  alla  salute  dei  traviati  (la  santa  Chiesa  simboleggiata 
sempre  in  S.  Lucia)  fa  scoprire  anche  col  mezzo  della  retta  ragione 
al  peccatore  tutta  la  nefandezza  d-3lla  mondana  felicità,  e  cosi  lo 
salva  dalle  sue  lusinghe.  Questo  è  tutto  il  sogno  di  Dante,  ed  il 
suo  concetto  allegorico.  Il  sogno  ed  il  concetto  è  opera  stupendis- 
sima. Li  verità  non  fu  mai  meglio  spiegata.  Questa  spiegazione 
basta  ad  intender  lutto.  Chi  volesse  dirne  di  più  correrebbe  peri- 
colo di  sparger  tenebre  sulla  luce.  Solo  dirò,  che  Dante  in  questo 
simbolo  della  falsa  felicità  ebbe  un  precursore  in  S.  Giovanni  Gri- 
sostomo,  e  forse  da  lui  tolse  l'immagine.  Ecco  le  parole  di  questo 
Dottore  n^l  libro  Quod  nemo  labditqr  nisi  a  seipso  «  Ut  enim 
pulcritudo  ìiieretricum  fucis  et  pigmenti 8  comparata,  pulcritudine 
destituta,  turpem  ac  deformem  faciem,  pulcram  et  formosam  esse 
facit  illis,  qui  ca  decipiuntur,  cum  palerà  non  sit  :  ita  etiam  di' 
vitiae  fuciunt .....  Ac  si  quando  indutam  larvam  superveniens 
mutatio  rerum  sustulerit,  ac  detexerit,  quemadmodum  vultus  ilio* 
sol  missia  radiis  calidioribus,  tum  sic  dare  videbis  ecc.  » 


408  PURGATORIO 

Con  le  man  monche  e  di  colore  scialba. 6 
10-    Io  la  mirava;  e,  come  il  sol  conforta7 

Le  fredde  membra  che  la  notte  aggrava, 
Così  lo  sguardo  mio  le  facea  scorta 

La  lingua,  e  poscia  tutta  la  drizzava 
In  poco  d'ora,  e  lo  smarrito  volto, 
Com'  amor  vuol,  così  le  colorava. 

Poi  ch'ella  avea  il  parlar  così  disciolto,  8 
Cominciava  a  cantar  sì  che  con  pena 
Da  lei  avrei  mio  intento  rivolto. 

Io  son,  cantava,  io  son  dolce  sirena,9 
2°-         Che  i  marinari  in  mezzo  al  mar  dismago  ; 
Tanto  son  di  piacer  a  sentir  piena. 

Io  volsi  Ulisse  del  suo  cammin  vago 

&  Scialba.  Di  color  cadaverico.  In  tutta  questa  terzina  si  adom- 
bra la  schifezza  della  mondana  felicità,  qua!  ch'ella  sia. 

i  Io  la  mirava  ecc.  In  questa  e  nell'  altra  terzina  seguente  si 
dimostra  che  la  mondana  felicità  non  avendo  pregio  reale  in  sé 
stessa,  anzi  avendo  tutti  i  difetti,  noi  colla  nostra  immaginativa,  e 
colle  nostre  passioni  ce  la  fingiamo  bella  e  perfetta. 

s  Poich'  ella  avea  il  parlar  ecc.  In  questa  terzina  e  nell'  altre 
due  seguenti  si  dimostra  che  quando  la  falsa  felicità  mondana  si 
è  aperto  l'adito  al  nostro  cuore,  allora  ci  affascina  con  ogni  sua 
lusinga,  e  e1  incatena  tanto  a  so  stessa,  da  parer  impossibile  di  farne 
senza. 

9  Io  son,  cantava,  io  son  ecc.  In  questa  terzina  e  nell'  altra  se- 
guente si  adombrano  le  tre  specie  di  piaceri  ond'  è  costituita  la 
mondana  felicità:  ricchezze,  crapole,  lascivie,  tutte  con  le  loro  con- 
seguenze funeste.  Le  ricchezze,  che  si  acquistano  principalmente  colla 
navigazione,  hanno  per  conseguenza  le  perdite  (che  i  marinari  ecc.) 
Le  crapole  a  cui  si  affeziona  massimamente  la  vita  degli  avventu- 
rieri, hanno  per  conseguenza  l'obesità,  e  la  natura  bestiale  alla 
quale  appunto  ridusse  Circe  i  compagni  di  Ulisse.  Vedi  Inferno, 
Canto  XXVI  v.  47  (Io  volsi  Ulisse  ecc.)  Le  lascivie,  che  il  poeta 
esprime  con  tanto  riserbo  e  castigatezza  con  quel  suo  meco  s*  ausa, 
hanno  per  conseguenza  la  ostinazione  nel  peccato  (E  qual  meco  ecc.) 


CANTO  XIX.  409 

ÀI  canto  mio  ;  e  qual  meco  s'  ausa 
Rado  sen  parte,  sì  tutto  V  appago. 

Ancor  non  era  sua  bocca  richiusa, 
Quando  una  donna  apparve  santa  e  presta  l0 
Lunghesso  me  per  far  colei  confusa. 

0  Virgilio,  Virgilio,  chi  è  questa?  u 
Fieramente  dicea  :  ed  ei  veniva  ls 


*o  Una  donna  ecc.  S.  Lucia  che  simboleggia  la  Chiesa,  che  è 
santa,  e  che  è  presta  al  soccorso  de1  suoi  fedeli  in  perìcolo.  Errò 
chi  intese  la  Filosofia,  la  quale  non  è  personaggio  da  Purgatorio, 
e  la  quale  finalmente  non  è,  e  non  può  essere  il  rifugio  e  la  difesa 
dei  penitenti  confessi,  quale  è  qui  Dante.  Il  primo  ed  il  più  grande 
sostegno  dei  penitenti  è  la  S.  Chiesa  figurata  in  S.  Lucia,  perciò 
noi  1*  abbiamo  veduta  finora  interessarsi  per  Dante  due  volte  ;  la 
prima,  quando  Dante  era  nella  selva  dei  vizi  (/»/.  C.  II),  la  se- 
conda quando  Dante  già  pentito  dovea  esser  portato  al  tribunal  di 
penitenza  per  la  sua  confessione  a'  pie  dell'Angelo  sulla  soglia  di 
ingresso  al  vero  Purgatorio  (Purg.  C.  IX).  Questa  dunque  sarebbe 
la  terza  volta  che  la  Chiesa  a'  interessa  pel  suo  penitente,  e  dav- 
vero che  ci  avea  ben  onde  interessarsi,  perchè  chi  ha  ricuperato  la 
grazia  colla  contrìzion  perfètta,  e  poi  coli'  assoluzione  sacramentale, 
non  è  perciò  impeccabile,  anzi  il  tempo  della  penitenza  è  d'ordinario 
il  tempo  della  tentazione,  secondo  quel  detto:  Fili  accede™  ad 
tervitutem  Dei  praepara  animarti  tuam  ad  tentationem  :  nei  quali 
bisogni  la  Chiesa  accorre  pronta  in  aiuto  de*  suoi  tentati  figliuoli 
Tutto  ci  vien  dalla  Chiesa. 

H  0  Virgilio,  Virgilio  ecc.  S.  Lucia,  o  la  Chiesa,  visto  il  peri- 
colo del  suo  fedele,  si  volge  a  Virgilio  o  alla  Ragione  sua  guida,  e 
lo  provoca  a  disingannare  il  pericolante,  essendo  la  materia  di  que- 
sto inganno  tutta  cosa  di  ragione. 

4*  Ed  ei  veniva  —  Con  gli  occhi  fitti  ecc.  Virgilio,  o  la  Ragione, 
venendo  a  S.  Lucia  e  tenendo  gli  occhi  fissi  solo  in  lei  mostra  di 
dipendere  da  lei  e  di  riceverne  la  missione.  Ottimamente.  Perchè 
quantunque  la  Ragione  possa  convincere  l'uomo,  non  lo  può  muovere 
perfettamente  ad  abbonire  i  falsi  beni  mondani.  Virgilio  intanto  o 
la  Ragione  cosi  mossa  da  un  essere  soprannaturale  mostra  la  fallacia 
dei  beni  mondani  colla  terzina  :  L'altra  prendeva  ecc.  Rivedi  qui 
li  sette  ultimi  versi  del  Canto  XVII:  Altro  ben  è  che  ecc.,  ai  quali 

26  b 


410  PURGATORIO 

3°-        Con  gli  occhi  fitti  pure   in  quella  Onesta. 

L'  altra  prendeva,  e  dinanzi  1'  apriva 
Fendendo  i  drappi,  e  mostravano  il  ventre  : 
Quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  n'usciva. 

F  volsi  gli  occhi  ;  e  il  buon  Virgilio:  Almen  tre" 
Voci  t'  ho  messe,  dicea  :  sorgi  e  vieni,  u 

si^  riferisce  questo  sogno,  il  quale  altro  non  è  che  una  spiegazione  di 
quei  versi,  che  compisce  cosi  il  trattato  lasciato  allora  da  Virgilio 
in  sospeso,  perchè  Dante  lo  cercasse  da  sé. 

**  /'  volti  gli  occhi.  Li  volsi  a  Virgilio  —  Almen  tre  —  Voci  ecc. 
Ti  ho  chiamato  almen  tre  volte,  perchè  nasceva  il  sole,  e  alla  na- 
scita del  sole  dee  finire  ogni  sonno.  Da  qui  a  poco  vedremo  che 
il  sole  era  già  tutto  nato,  ossia  tutto  sopra  1*  orizzonte.  Del  resto 
queste  tre  chiamate  hanno  pur  relazione  al  sogno  stesso,  ed  al  pe- 
ricolo che  pò  tea  venirne  a  Dante  stesso  nel  sogno  per  causa  di 
quella  femminaccia,  giacché  Dante  sebbene  pentito,  coufesso  e  già 
buon  penitente  non  era  per  questo  confermato  in  grazia  e  potea 
benissimo  cadere  nei  lacci  della  tentazione.  E  vero  però  che  Vir- 
gilio, conoscitor  degli  interni  moti  di  Dante,  avrebbe  dovuto  scuo- 
terlo prima,  cioè  al  principio  del  sogno,  giacché  il  pericolo  cominciò 
fin  dal  principio,  che  è  quanto  dire  3:24,  invece  non  lo  scuote  che 
alla  levata  del  sole.  Perchè?  Ricordatevi  del  rimprovero  che  la 
donna  santa  e  presta  diede  a  Virgilio  per  la  sua  lentezza  d' insor- 
gere alla  difesa  del  suo  guidato,  e  lo  saprete.  Questo  vuol  dire  che 
la  Ragione  è  insufficiente  a  tanto  uopo.  Ma  quando  la  Ragione  è 
mossa  dalla  Fede,  o  dalla  Chiesa  che  la  possiede,  allora  subilo  la 
Ragione  entra  in  campo  vigorosa  e  vince.  Confrontando  ora  il  ter- 
mine del  sogno  col  suo  principio,  vediamo  esser  durato  dalle  3:24 
alle  6:14,  che  è  la  presente  nascita  del  sole  :  ha  durato  cioè  ore  2:50. 

**  Surgi  e  vieni,  —  Troviam  ecc.  Surgi  ;  da  dove  ?  Da  dove  era 
rimasto  quando  le  due  ultime  anime  accidiose  sparirono  agli  occhi 
suoi.  £  dov'era  allora  precisamente?  Attenti  bene.  Dante  si  tro- 
vava presso  T  orlo  esterno  del  girone,  cosi  che  Virgilio  era  proprio 
rasente  Torlo,  e  Daute  accanto  a  lui  aldi  dentro.  (Vedi  il  mio  di- 
segno Tav.  IV,  cornice  IV,  altezza  migl.  94  3j8,  metà  della  fac- 
ciata). Ivi  trovate  Virgilio  al  di  fuori  suIP  orlo  della  strada,  Dante 
accamto  a  lui  al  di  dentro,  e  la  scala  dirimpetto.  Come  si  prova 
che  Dante  è  in   questo  punto  preciso  ?   Si  prova  cosi  :  È  presso 


CANTO  XIX  411 

Troviam  la  porta  per  la  qual  tu  entre. 
Su  mi  levai,  e  tutti  erari  già  pieni  " 
Dell'alto  di  i  giron  del  sacro  monte, 

all'  orlo,  perchè  appunto  presso  P  orlo,  ossia  subito  dopo  che  i  poeti 
posero  il  piò  dalla  scala  alla  cornice  dell'accidia,  furono  colti  dalla 
notte  (C.  XVII,  n.  33,  v.  76),  al  cui  spuntare  nessuno  avrebbe 
potuto  salire  oltre  ad  una  riga,  come  disse  Bordello  (C.  VII,  v.  55). 
Però  se  non  poteano  salire,  poteano  girare  intorno,  e  girarono  in- 
fatti insieme  coli'  anime  degli  accidiosi,  tenendosi  sempre  nel  giro 
presso  Torlo,  ov' erano  giunti  dopo  la  salita  "della  scala  correndo 
gli  accidiosi  tra  i  poeti  ed  il  monte,  andando  però  Virgilio  sempre 
al  di  fuori,  e  Dante  al  di  dentro  per  sua  sicurezza.  Cosi  è  provato, 
che  i  poeti  dovean  sempre  trovarsi  presso  T  orlo  della  strada.  Provo 
poi  che  questo  punto  era  precisamente  nella  metà  della  facciata  del 
monte,  che  guarda  ad  oriente,  perchè  neh' attraversare  che  ora  fa- 
ranno la  strada,  larga,  come  si  sa,  15  piedi,  essi  hanno  alle  reni, 
ossia  alla  schiena,  il  sole  appena  spuntato,  il  che  non  sarebbe  loro 
avvenuto,  se  non  fossero  stati  precisamente  nel  mezzo  della  facciata. 
Qui  senza  eh'  essi  il  sapessero  si  trovarono  in  faccia  alla  scala.  (Vedi 
il  mio  disegno  Tav.  IV,  altezza  migl.  94  3[8).  Dunque  quell'abate 
di  S.  Zeno  avea  parlato  con  tutta  precisione  quando  disse  a  Vir- 
gilio, che  dietro  ad  esse  anime  accidiose  avrebbe  trovato  la  buca, 
perchè  infatti  essendosi  fermati  i  poeti  dietro  alli  due  ultimi  spiriti, 
colà  appunto  era  la  scala   (Vedi  Q.  XVIII,  n.  62.  63). 

Per  la  qual  tu  entre.  Dice  :  tu  entre  perchè  Dante  dall'  in- 
gresso del  vero  Purgatorio  in  su  dovette  sempre  essere  il  primo  ad 
entrare  alla  salita.  Eppure,  a  chi  tutto  non  considera,  poteva  sembrare 
indifferente:  per  la  qual  tu  entre,  o  per  la  quale  noi  entriamo. 
Dunque  attenti  a  tutto. 

45  Tutti  eran  già  pieni  —  Dell1  alto  dì  ecc.  Alcuni  presero  un 
facile  abbaglio  in  questa  determinazione  di  tempo.  Presero  queste 
parole  come  dinotanti  il  sole  levato  da  lunga  pezza.  No  :  esse  non 
vogliono  dir  altro  se  non  che  il  sole  era  tutto  montato  sulT  oriz- 
zonte. Quando  il  sole  comincia  a  spuntare  sull'orizzonte,  allora 
esso  illumina  le  vette  dei  monti;  e  quand'è  tutto  sulP  orizzonte, 
allora  esso  illumina  i  monti  dalla  cima  al  fondo,  ficco  il  tutti  eran 
già  pieni  —  Dell'alto  dì  i  giron.  Queste  gradazioni  della  luce  e 
delle  ombre  il  poeta  le  avea  notate  anche  nelT  ultimo  tramonto 
(Canto  XVII,  n.  8)  dove  avea  detto  che  tramontando  il  sole,  egli, 
eh*  era  all'altezza  di  94  miglia  godeva  ancor  de' suoi  raggi,  mentre 


412  PURGATORIO 

E  andavam  col  sol  nuovo  alle  reni.  " 
40.     Seguendo  lui,  portava  la  mia  fronte41 

Come  colui  che  V  ha  di  pensier  caroa, 
Che  fa  di  sé  un  mezzo  arco  di  ponte; 

i  bassi  lidi  erari  di  già  coperti  dalle  ombre,  perchè  il  disco  solare 
col  suo  lembo  inferiore  cominciava  a  nascondersi  sotto  l'orizzonte. 
Forse  le  parole  alto  di  foron  quelle  che  più  cagionarci!  l' errore, 
sulla  supposizione  che  non  si  possa  dire  alto  dì  quando  il  sole  è 
appena  tutto  sorto  sulT  orizzonte.  Ma  osservate,  che  anche  parlando 
a  tutto  rigore  si  può  dire  alto  di  anche  in  questo  caso.  Perciocché 
il  di  comincia  coi  crepuscoli.  Ora  i  crepuscoli  spuntano  nel  di  che 
abbiamo  alle  4:34,  e  il  sole  nasce  alle  6:14.  Dunque  è  già  da  ore 
1:40  che  abbiamo  il  di;  e  quind  si  può  dir  alto  dì  quanto  si  vuol 
Notate  che  altro  è  dire  alto  dì  ed  altro  alto  sole;  ma  certi  commen- 
tatori hanno  confuso  una  cosa  con  P  altra.  Intanto  notiamo  che  es- 
sendo qui  il  sole  tutto  uscito  dall'orizzonte,  invece  di  avere  ore  6:14 
ne  abbiamo  6:15. 

*6  E  andavam  eoi  sol  ecc.  Andavano  dal  di  fuori  al  di  dentro 
della  strada,  cioè  P  attraversavano  pel  tratto  di  15  piedi  quanti  ne 
avea  di  larghezza  (Vedi  Tav.  IV).  Cosi  dovea  no  avere  precisamente 
il  sole  dietro  alla  schiena.  Si  dice  sol  nuovo,  perchè  appena  levato. 
E  perchè  attraversavano  cosi  la  strada  ?  Perchè  là  ci  dovea  esser 
la  scala,  secondo  che  avea  accennato  V  abate  di  S.  Zeno.  Secondo 
quelle  parole  (Canto  XVIII,  n.  62,  63)  i  poeti  dovevano  andare 
dietro  alle  anime  accidiose,  ed  avrebbero  trovato  la  scala.  Ma  sino 
a  quel  punto  dove  allor  si  trovavano  i  poeti  tirava  la  processione 
di  quelle  anime.  Dunque  la  scala  non  potea  esser  che  da  quel  punto 
innanzi,  e  quindi  doveano  attraversar  la  strada  direttamente  e  non  per 
la  diagonale,  perchè  avrebbero  potuto  passar  via  la  scala  senza  av- 
vedersene. Siccome  il  poeta  attende  alle  più  minute  particolarità,  cosi 
ad  esse  bisogna  che  attendiamo  anche  noi,  perchè  da  quelle  ne  risulta 
la  precisione  dei  fatti,  che  tanto  piace  quand'  è  trovata.  Osservaste 
poco  sopra  che  Virgilio  per  eccitar  Dante  a  muoversi  usa  perfino 
le  stesse  parole  dette  a  lui  dall'abate  di  S.  Zeno  ?  Questi  avea  detto  : 
Vieni  diretro  a  noi  che  troverai;  e  Virgilio  dice:  Vieni —  Troviam. 

17  Seguendo  lui,  portava  ecc.  —  Notate  bene  questo  artifizio  di 
fare  che  Dante  attraversando  il  picciol  tratto  della  strada,  1.  abbia 
dinanzi  Virgilio  (seguendo  lui)  ;  2.  vada  colla  fronte  tutta  china,  e 
colla  persona  molto  curvata  a  terra  Queste  due  circostanze  rendono 
ragione  perchè  Dante  pur  si  vicino  all'  angelo,  non  l'abbia  veduto 


CANTO  XIX.  '413 

QuancT  io  udi'  :  Venite,  qui  si  varca,  l8 
Parlare  in  modo  soave  e  benigno, 
Qual  non  si  sente  in  questa  mortai  marca.  *° 

Con  l' ale  aperte,  che  parean  di  cigno,  * 
Volseci  in  su  colui  che  sì  parlonne, 
Tra  i  duo  pareti  del  duro  macigno.11 

Mosse  le  penne  poi  e  ventilonne,  M 


prima  che  gli  fosse  a'  panni.  Cosi  queste  due  circostanze  messe  qui 
tanto  sapientemente  fanno  doppio  servigio.  Prima  spiegano  perchè 
Dante  non  si  fosse  accorto  innanzi  dell1  angelo  che  avea  a  soli  15 
piedi  di  distanza.  Poi  tengono  Dante  «secondo  che  vuol  natura,  tutto 
preso  ed  occupato  del  sogno  avuto  per  trovarne  la  spiegazione,  se- 
condo quello  che  gli  avea  detto  Virgilio  nelT  ultimo  verso  del  Canto 
CX VII;  giacché  anche  Dante  riteneva  per  la  esperienza  di  altri 
sogni  su  questo  stesso  monte,  che  il  sogno  testé  avuto  significasse 
quello  che  gli  restava  a  vedere.  Che  finezza  di  tocchi  in  queste 
pitture!  Ma  chi  ha  inteso  questo  traverso  di  strada  ? 

1*  QuancT  io  udì1  :  Vtniit  ecc.  Dal  partire  dall'  orlo  della  strada 
all'  arrivare  alla  scala,  passò  un  brevissimo  istante  quanto  conve- 
niva a  15  piedi,  e  questo  istante  ò  espresso  chiarissimamente  da 
questo  modo  di  parlare,  perciocché  appena  Dante  segue  Virgilio, 
eccoti  la  voce  dell* Angelo,  che  gli  invita. 

to  Marca.  Terra. 

90  Dì  cigno.  Dunque  bianche. 

a<  Tra  i  duo  pareti  ecd.  Questa  scala,  come  si  può  vedere  sul 
Disegno  Tav.  IV,  è  a  filo  sopra  1'  altra  che  dalla  porta  d*  ingresso 
al  Vero  Purgatorio  mette  alla  prima  cornice  dei  superbi.  Però  è 
differente  da  quella  in  alcune  cose.  1.  è  più  corta,  perchè  lo  spazio 
tra  una  cornice  e  V  altra  ascendendo,  è  gradatamente  più  corto,  se- 
condo che  si  è  detto  nel  Canto  X,  n.  18  e  nel  Canto  XI,  n.  24; 
2.  non  è  a  onda  di  mare,  ma  retta,  come  tutte  le  altre  dopo  la 
prima;  3.  è  più  incliti ata  e  quindf  più  agevole,  perchè  il  monte  mano 
mano  che  sale  va  sempre  più  convergendo  le  rive  al  centro,  come 
si  vede  nel  Disegno. 

93  Mosse  le  penne  ecc.  Notate  che  gli  angeli  delle  scale  non  ven- 
tano colle  lor  penne  in  faccia  a  Dante,  se  non  quando  trattasi  di 
peccati  che  Dante  aveva,  per  cui  nel  Canto  XV,  v.  34,  dove  Dante 
parte  dalla  cornice  dell'  invidia,  perchè   questo  peccato  non  era  di 


414  PURGATORIO 

&>•         Qui  lugent  affermando  esser  beati,  * 
Ch*  avran  di  consolar  Y  anime  donne.  u 

Che  hai  che  pure  in  ver  la  terra  guati?  Tj 
La  guida  mia  incominciò  a  dirmi, 
Poco  ambedue  dall'  angel  sormontati.  ** 

Ed  io:  Con  tanta  suspizion  fa  irmi 
Novella  vision  eh'  a  sé  mi  piega,  w 
Sì  ch'io  non  posso  dal  pensar  partirmi. 

Vedesti,  disse,  queir  antica  strega, M 

Dante,  V  angelo  non  gli  ventila  la  fronte.  Per  1'  accidia  invece,  per- 
chè Dante  conosceva  d'averne  (e  ne  hanno  qualche  dose  anche 
tutti  i  buoni),  si  fa  ventilare  la  fronte  dall'angelo  come  perla  su- 
perbia e  per  l'ira. 

M  Qui  lugent  affermando  ecc.  Gli  accidiosi  sono  lrnti  al  bene 
perchè  amano  piuttosto  i  comodi,  il  riso,  ed  i  divertimenti  piace- 
voli. Ma  T  angelo  predica  il  contrario,  e  chiama  invece  beati  coloro 
che  piangono,  cioè  coloro  che  pongono  tatto  il  buo  gusto  e  piacere 
non  già  nei  piaceri  terreni,  ma  nella  mortificazione  e  nel  pianto 
della  vita  cristiana.  L'  angelo  dice  questo  a  proposito  della  vita  di 
Dante,  che  in  questa  cornice  si  è  purgato  della  sua  accidia,  e  perciò 
lo  felicita  con  sì  bello  augurio,  che  e  una  dello  sette  beatitudini 
insegnate  dal  nostro  Signor  G.  C. 

*i  CV  avran  ecc.  Ch'  avranno  P  anime  padrone,  o  posseditrici  di 
consolazione  (consolar).  E  la  versione  delle  parole  evangeliche  :  Beati 
qui  lugent  quoniam  ipsi  consolabuntur, 

35  Pure,  Solamente  o  continuamente. 

96  Poco  ambedue  ecc.  Con  questo  ordine,  Dante  avanti  e  Virgilio 
dope.  Questo  ci  indica  il  poeta  colla  dimanda  che  fece  Virgilio.  Per- 
ciocché è  naturale  che  se  Virgilio  vedeva  Dante  guardare  alla  terra, 
gli  fosse  di  dietro  e  non  dinanzi. 

97  Novella  vision.  La  visione  testò  avuta  della  rea  femmina  e  della 
santa  donna,  e  di  lui  stesso  Virgilio.  La  chiama  novella,  perché 
prima  ne  avea  avute  delle  altre,  come  abbiamo  veduto. 

A  «è  mi  piega.  È  naturale  che  quando  uno  rumini  nella  sua 
mente  gravi  pensieri  vada  piegato  e  chino  della  persona,  ed  e  quasi 
il  pensiero  stesso  che  a  sé  lo  china. 

2»  Vedesti,  ecc.  Virgilio  gli  dice  la  sua  visione  senza  aspettare 
che  Dante  gliela  manifesti,  per  fargli  vedere  ch'egli  conosce  anche 


CANTO  XIX.  415 

Che  sola  sovra  noi  ornai  si  piagne  ?  * 
•o.         Vedesti  come  1"  uom  da  lei  si  slega  ?  * 
Bastiti,  e  batti  a  terra  le  calcagne, di 
Gli  occhi  rivolgi  al  logoro,  che  gira  a- 
Lo  rege  eterno  con  le  rote  magne. 
Quale  il  falcon  che  prima  a'  pie  si  mira,  M 

i  suoi  pensieri,  come  gli  ha  dichiarato  altra  volta.  —  QuelV  antica 
strega.  La  falsa  felicità  mondana  e  detta  strega,  perchè  le  streghe 
fanno  vedere  quel  che  non  è.  od  è  menzogna.  La  dice  poi  antica, 
perchè  la  falsa  felicità  è  tanto  antica  quanto  il  mondo.  Anche  Adamo 
ed  Eva  furono  da  lei  ammaliati. 

*9  Che  sola  sovra  noi  ecc.  L'amore  a  questa  falsa  felicità  è  quel 
peccato  che  solo  resta  a  piangere  nelle  tre  cornici  di  sopra,  se- 
condo il  vario  oggetto  di  questo  amore  fallace. 

30  Vedesti  come  ecc.  Così  Virgilio  gli  dice  il  principio  ed  il  fine 
di  quella  visione,  e  cosi  lo  dispone  a  detestare  i  falsi  amori.  —  Si 
slega.  Si  libera. 

si  Bastiti,  e  batti  ecc.  Eccitamento  a  non  perder  tempo,  di  cui 
Virgilio  mostra  si  spesso  aver  gran  cura. 

**  Gli  occhi  rivolgi  al  logoro  ecc.  Eccitamento  ad  amare  le  cose 
eterne  e  del  cielo,  ed  a  pascersi  di  quei  puri  piaceri  ;  il  che  si 
dice  per  far  opposizione  all'amore  sensuale  dei  beni  e  dei  piaceri 
terreni,  che  si  purga  nei  tre  giri  di  sopra.  Cosi  Virgilio  dispone 
Dante  alla  penitenza  di  quei  tre  peccati.  Virgilio  poi  per  eccitar 
Dante  all'  amore  dei  beni  eterni  gliene  mostra  un  saggio  nelle  bel- 
lezze dei  cieli,  che  Dio  fece  appunto  si  belli  per  innamorarci  di  quei 
piaceri  che  stanno  sopr'  essi  cieli.  Dice  perciò  che  il  re  eterno  gi- 
rando intorno  a  noi  le  rote  magne  degli  otto  cieli,  fa  con  noi  come 
il  falconiere,  che  quando  vuol  richiamare  a  so  il  suo  falcone  gli 
mostra  il  logoro,  ossia  un  finto  uccello,  girandolo  intorno,  e  a  quel 
cenno  il  falcone  lascia  i  campi  aerei,  e  discende  fra  le  mani  del 
suo  padrone.  Veramente  l'aspetto  vaghissimo  dei  cieli  è-  un  forte 
richiamo  ai  nostri  amori.  Anche  la  Ragione  ha  conosciuto  questo 
argomento,  e  con  esso  S.  Paolo  confonde  i  gentili. 

33  Quale  il  falcon  ecc.  Siccome  ha  paragonato  Dio  che  attrae 
l'uomo  all'amore  dei  beni  eterni,  mostrandogli  il  logoro  dei  cieli; 
così  ora  paragona  1'  uomo  al  falcone,  dicendo,  che  come  il  falcone 
prima  si  mira  a'  piò  per  vedere  se  è  sciolto,  e  poi  si  volge  e  alancia 
dietro  la  preda,  di  cui  ha  udito  il  grido,  tiratovi  dai  desiderio  di 


38 
39 


41C  PURGATORIO 

Indi  si  volge  al  grido,  e  si  protende 
Per  lo  disio  del  pasto,  che  là  il  tira: 

Tal  mi  fec'  io,  e  tal,  quanto  si  fende 34 
La  roccia  per  dar  via  a  chi  va  suso, 
N'andai  infili  dove  il  cerchiar  si   prende. 3* 
70-     Com'  io  nel  quinto  giro  fui  dischiuso  36 
Vidi  gente  per  esso  che  piangea,  ** 
Giacendo  a  terra  tutta  volta  in  giuso. 

Adhaesit  pavimento  anima  mea, 
Sentia  dir  lor  con  sì  alti  sospiri, 

cibarsene;  cosi  Dante  prima  si  mirò  a*  pie,  ossia  guardò  s'era  Bciolto 
dal  basso  amore  delle  cose  terrene;  e  poi  al  grido  di  Virgilio  che 
gli  mostrò  nei  cieli  un  saggio  dei  beni  eterni,  ad  essi  si  volse  e 
protese  pel  desiderio  di  acquistarli  e  con  essi  di  rendersi  felice  della 
vera  felicità. 

UE  tal  ecc.  £  con  queste  disposizioni  d'amore  alle  cose  celesti. 
E  modo  prediletto  di  Dante,  simile  a  quello  :  E  tal  sen  già  con 
Unto  passo  (Inf.  Canto  XXV). 

Quanto  si  fende  —  La  roccia  ecc.  Per  quanto  .si  fende  la  roc- 
cia, ossia  per  tutta  la  scala  incavata  nella  roccia. 

tt  Dove  il  cerchiar  ai  prende.  Dove  termina  la  scala,  e  comincia 
la  cornice,  Dunque  tutta  la  scala  sino  al  girone. 

36  Fui  dischiuso.  Della  scala  disse  di  sopra:  Tra  i  duo  pareti 
del  duro  macigno.  Alludendo  a  questo,  ora  si  dice  dischiuso  per 
uscito  al  quinto  giro. 

87  Vidi  gente  ecc.  Vidi  dall'  una  e  dall'altra  parte  le  anime  che 
furono  degli  avari,  de'  quali  si  nota  qui  la  pena  che  e  1.°  pian- 
gere, 2.°  giacere,  ossia  essere  distesi  a  terra,  perche  Dante  usa 
questo  verbo  sempre  in  senso  di  aver  tutta  distesa  a  terra  la  per- 
sona, 3.°  giacer  bocconi. 

*8  Adhaesit  ecc.  Con  questo  versetto  del  salmo  1 18,  le  anime  di- 
chiarano ad  un  tempo  la  loro  colpa,  e  la  pena  corrispondente.  La 
colpa  fu  attacco  alla  terra,  e  la  pena  la  prostrazione  intera  alla 
terra.  Notate  che  il  salmo  118  ò  tutto  dedicato  alla  vera  felicità 
dell1  uomo  innamorato  di  Dio  e  della  santa  sua  legge.  Bel  contrap- 
posto alla  falsa  felicità  che  qui  si  piange. 

99  Con  sì  alti  sospiri.  Questi  sospiri  hanno  per  quest'anime  una 
proprietà  peculiare.  Tutti  i    penitenti  sospirano,   ma  specialmente 


CANTO  XIX.  41 

Che  la  parola  appena  s' intendea. 

O  eletti  di  Dio.  li  cai  soffrili 
E  giustizia  e  speranza  fan  men  duri,  *° 
Drizzate  noi  verso  gli  alti  satiri. 41 

Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri, 4t 
**•         E  volete  trovar  la  via  più  tosto,  M 


deoDO  sospirare  quelli  d*  essi  che  sospirarono  dietro  la  rarità  della 
terra.  È  molto  più  conveniente  ch'essi  sospirino  ai  veri  beni  del 
cielo. 

*o  E  giustizia  e  speranza  ecc.  La  giustizia  divina  voluta  ed 
amata  por  da  quelle  anime,  a  differenza  delle  anime  dannate,  che 
veggono  e  sentono  la  giustizia  di  Dio,  ma  non  la  vorrebbero,  e  non 
T  amano,  e  la  speranza  del  paradiso  che  otterranno  per  quelle  pene, 
rendono  meno  duri  i  loro  tormenti. 

*t  Drizzate  noi  ecc.  Insegnateci  a  salire,  o  dove%  la  salita.  Dice 
alti  perchè  noi  ormai  siamo  air  altezza  di  miglia  94  5/8  dal  livello 
del  mare,  non  rimanendo  che  3/8  di  miglio  per  essere  sulla  cima 
del  montagnone.  (Vedi  il  mio  Disegno,  V  cornice  degli  avari.  T.  IV). 

4*  Se  voi  venite  ecc.  Un*  anima  risponde,  ma  senza  alzarsi  me- 
nomamente della  persona,  per  la  voglia  che  ha  essa  e  tutte  di  sod- 
disfar la  divina  giustizia  colla  lor  pena.  Come  l'ultimo  accidioso 
r  abate  Gherardo  di  S.  Zeno,  parlava,  ma  senza  punto  arrestarsi 
per  la  stessa  ragione,  cosi  qui  (Vedi  Canto  XVIII;  n.  64).  E  cosi 
è  sempre  di  tutte  le  anime.  Non  movendosi  dunque  quest'anima 
dalla  sua  positura,  non  vedeva  chi  fossero  li  due  forastieri,  e  quindi 
non  potè  conoscere  che  l'uno  de'  due  era  il  vivo,  il  che  avrebbe 
benissimo  conosciuto  se  almeno  avesse  mosso  il  viso  a  mirarlo,  giac- 
che Dante  era  molto  vicino  a  quest'anima,  che  gli  stava  in  faccia 
al  di  dentro  della  strada,  roentr'  egli  stava  ancora  sul  principio  della 
strada  al  di  fuori  in  capo  alla  scala,  e  noi  già  sappiamo  che  tutta 
la  larghezza  della  strada  non  è  maggiore  di  1 5  piedi.  —  Dal  giacer 
sicuri.  Esenti  dalla  nostra  pena. 

*3  E  volete  trovar  la  via  ecc.  E  volete  trovar  la  scala  dalla 
parte  che  si  fa  più  presto  ad  entrarvi.  Da  qualunque  parte  fossero 
andati,  V  avrebbero  trovata  girando  intorno.  Se  la  scala  qui  richiesta 
fosse  stata  nella  giusta  metà  del  cerchio,  che  è  quanto  dire  alla 
metà  della  facciata  del  monte  che  prospetta  ad  occidente,  sarebbe 
stato  indifferente  andarvi  perla  destra o  per  lo  manca;  ma  essendo 

27 


418  PURGATORIO 

Le  vostre  destre  sien  sempre  di  furi. u 
Così  pregò  il  poeta,  e  sì  risposto 

Poco  dinanzi  a  noi  ne  fu  ;  perch*  io i5 

Nel  parlare  avvisai  V  altro  nascosto  :  " 
E  volsi  gli  occhi  allora  al  signor  mio  ;  i7 

Ond'  elli  m' assentì  con  lieto  cenno  ** 

invece  nel  semicerchio  che  guarda  settentrione  (Vedi  Tav.  V  Purg.), 
c'era  quindi  una  direzione  per  raggiungerla  più  tosto. 

4*  Le  vostre  destre  ecc.  E  Io  stesso  che  dire  andate  a  destra, 
ossia  verso  settentrione.  Vedi  il  mio  Disegno,  cornice  V,  Tav.  IV 
ed  osserva  bene  i  poeti  che  sono  ancora  presso  Torlo  della  scala  in 
feccia  all'anima  con  cui  parlavano,  e  ricorda  che  siamo  agli  antipodi. 
—  Furi,  Antiquato  di  fuori. 

**  Poco  dinanti  a  noi.  Ecco  dichiarato  il  reciproco  collocamento 
dei  poeti,  e  di  quello  spirito.  I  poeti  appena  sopra  la  scala  nel 
principio  della  suwìa  colla  faccia  volta  ad  occidente:  e  quello  spi- 
rito in  faccia  ad  essi  al  di  dentro  del:a  strada.  Dicemmo  di'»  la 
strada  era  larga  15  piedi;  perciò  la  distanza  tra  i  poeti  e  quello 
spirito  era  poca,  cioè  meno  di  15  piedi,  perche  un  tratto  di  questi 
15  piedi  ne  occupava  Dante,  ed  un  tratto  era  libera  tra  lo  spirito 
e  il  monte,  lasciando  coti  da  quella  parte  un  sentiero,  di  cui  presto 
vedremo  Dante  approfittarsi  per  non  camminare,  al  di  fuori  della 
strada  con  suo  pericolo.  Questa  ò  la  ragione  dell'  artifizio  poetico 
di  Dante,  di  farsi  rispondere  da  uno  spirito  in  faccia,  per  avere 
cosi  buono  in  mano  da  passar  al  sentiero  che  costeggia  il  monte  al 
di  là  degli  spiriti.  Pare  che  il  poeta  non  dica  tutte  queste  cose, 
eppure  le  dice.  (Vedi  ed  osserva  sempre  la  mia  Tav.  IV,  cornice  V). 

M  Nel  parlare  avvisai  ecc.  Conobbe  dalla  direzione  del  suono 
della  voce,  che  quella  era  voce  di  uno  spirito  a  quel  tal  punto 
dinanzi,  che  si  dice  nascosto,  perche  non  si  era  punto  mosso  nem- 
men  colla  faccia. 

*7  E  volsi  gli  occhi  ecc.  Anche  noi  in  certi  incontri,  e  con  ceitc 
persone  con  solo  volger  loro  gli  occhi  facciamo  intendere  quel  che 
vogliamo.  È  questa  una  di  quelle  naturalez.c  che  sono  proprie  di 
Dante.  Con  ciò  egli  dimandava  a  Virgilio  (che  ben  sapea  che  volea 
dir  lo  muto)  di  passare  avanti  per  poter  favellare  a  quello  spirito. 

t*  Ond' elli  m*  assentì  eec.  Come  con  un  cenno  degli  occhi  Dante 
domandò,  cosi  con  un  cenno  di  sorriso  Virgilio  concesse.  Che  bella 
semplicità  di  natura,  e  di  delicatezza  di  sentire  ! 


CANTO  XIX.  419 

Ciò  che  chiedea  la  vista  del  disio. 

Poich'  io  potei  di  me  fare  a  mio  senno, 
Trassimi  sopra  quella  creatura, 
90         Le  cui  parole  pria  notar  mi  fenno. 

Dicendo  :  Spirto,  in  cui  pianger  matura  * 
Quel,  senza  il  quale  a  Dio  tornar  non  puossi, 
Sosta  un  poco  per  me  tua  maggior  cura.  w 

Chi  fosti,  e  perchè  volti  avete  i  dossi  8I 
Al  su,  mi  di',  e  se  vuoi  eh'  io  t' impetri  w 
Cosa  di  là,  ond'  io  vivendo  mossi.  b3 

&  Matura  —  Quel  senza  il  quale  ecc.  Matura  o  perfeziona  Io 
stato  di  grazia  o  di  perfetta  mondezza,  senza  il  quale  stato  non  si 
entra  in  cielo.  Allude  al  nihil  inquinatimi  in  eam  incurrit  della 
Sapienza,  VII,  25. 

50  Tua  maggior  cura.  Quella  di  pianger  la  propria  colpa,  che  è 
il  sommo  dei  desideri  di  queir  anime  sante. 

st  Chi  fosti.  Non  dice  chi  sei\  perchè  altra  volta  dimandando  tal 
cosa  in  texpo  presente,  la  sua  dimauda  venne  rettificata  dall'anima. 
Ali1  altro  mondo  tutti  siamo  ugu  ili,  non  avendoci  differenza  che  nei 
meriti.  Quindi  dimandando  di  qualche  anima  bisogna  riportarsi  allo 
stato  prima  di'lla  morte.  E  perchè  volti  avete  i  dossi  —  Al  su. 
Dante  fa  questa  domanda  perchè  non  è  ben  certo  della  colpa  che 
si  punisce  in  quella  cornice.  Egli  non  sa  altro  che  quel  resto  di  monte 
è  destinato  a  purgare  il  disordinato  amore  ai  piaceri  della  terra,  che 
come  dicemmo  ha  tre  oggetti,  la  roba,  gli  alimenti,  la  carne,  ma 
non  sa  per  quale  di  questi  amori  qui  si  punisce.  Virgilio  gli  avea 
detto  nella  fine  del  Canto  XVII  :  L9  amor  che  ad  esso  troppo  s1  ab- 
bandona, —  Di  sovra  a  noi  si  piange  per  tre  cerchi  ;  —  Ma  come 
tripartito  si  ragiona  —  Taccioloy  acciocché  tu  per  te  ne  cerchi. 
Ecco  infatti  che  Dante,  il  quale  mai  non  dimentica  niente,  ne  cerca 
per  sé  quest'anima.  Ritornando  ora  alla  dimanda  di  Dante  osserva 
eh'  egli  avea  forte  ragione  di  maravigliarsi  che  le  anime  sante  tanto 
desiderose  del  cielo  gli  volgessero  le  spalle  e  la  faccia.  Ma  questo 
era  una  pena  ben  degna  a  chi  in  vita  volse  le  spalle  al  cielo  per 
attaccarsi  alla  terra.  .* 

sa  Se  vuoi  ch'io  t'impetri  ecc.  L'unica  dimanda  lusinghiera  che 
si  potesse  fare  a  queir  anime. 

w  Ond?  io  vivendo  mossi.  Siccome  era  molto  difficile  l'ottener  da 


480  PURGATORIO 

Ed  egli  a  me  :  Perchè  i  nostri  diretri  *4 
Rivolga  il  cielo  a  sé,  saprai  :    ma  prima  M 
Scias  quod  ego  fui  successor  Petri.  w 
100.  Intra  Siestri  e  Chiaveri  s1  adima 57 

Una  fiumana  bella,  e  del  suo  nome  ** 
Lo  titol  del  mio  sangue  fé'  sua  cima.  B9 

queir  anima  che  sospendesse  il  suo  pianto  e  colloquiasse  un  poco 
con  lai  (e  Dante  n'  ebbe  la  prova  nel  veder  che  nessuna  si  mosse 
per  osservare  i  due  forestieri)  cosi  cerca  con  ragioni  che  valgano 
a  muoverla;  la  prima,  il  suo  vantaggio  spirituale  detto  di  sopra; 
la  seconda,  la  convenienza  di  favorire  uno  che  è  tanto  favorito  da 
Dio  col  privilegio  di  andar  vivo  a  quei  luoghi. 

M  Diretti.  I  nostri  dossi. 

M  Rivolga  il  cielo  a  «è.  Con  questo  modo  di  dire,  queir  anima 
attribuisce  la  sua  pena  alla  giustizia  da  cui  la  tiene,  e  con  ciò  si 
fa  vedere  rassegnatissima  agli  alti  decreti  divini.  Osservo  che  chi 
è  preso  da  un  desiderio,  qualunque  cosa  esprima  la  esprimo  coi  co- 
lorì di  quel  desiderio.  Quest*  anima  eh'  era  dolentissima  di  aver  vol- 
tate le  spalle  al  cielo  per  la  terra,  e  che  ora  unicamente  a  questo 
cielo  sospirava,  per  dire  del  suo  stato  di  prostrazione,  si  esprime 
col  cielo.  Questi  tocchi  hanno  una  immensa  filosofìa. 

*&  Scias  quod  ecc.  Sappi  che  fui  papa.  Perchè  glielo  dice  in 
latino?  Perchè  il  latino  è  la  lingua  della  Chiesa,  ed  era  convenien- 
ti*8Ìmo  metterlo  in  bocca  ai  suo  capo,  che  quando  parla  ai  fedeli 
parla  sempre  in  latino.  Questo  papa  era  Adriano  V  genovese  detto 
prima  Ottobono  de'  Fieschi  eletto  il  12  luglio  127G.  In  agosto  se- 
guente egli  morendo  rispose  a*  suoi  parenti  che  lo  felicitavano  per 
la  sua  dignità:  Avrei  più  a  caro  che  mi  vedeste  cardinal  sano  che 
papa  moribondo. 

87  Intra  Siestri  e  Chiaveri.  Chiaveri  al  nord,  Siestri  ora  Sestri 
al  sud,  due  terre  del  genovesato  sulla  riviera  di  levante. 

**  Una  fiumana.  Il  fiumicelletto  Lavagna,  presso  la  terra  di  La- 
vagno. 

»  Lo  titol  del  mio  sangue.  Li  Fieschi  (che  è  il  titolo  dei  sangue 
della  famiglia)  si  denominavano  conti  di  Luvagno,  e  cosi  dal  fiume 
aveano  l'appellativo  della  lor  nobiltà,  che  è  la  cima,  o  il  perfezio- 
namento fatto  al  cognome  della  famiglia.  Mi  piace  adottare  la  le- 
zione di  Benvenuto  che  legge  /e1,  perchè  non  sorvivendo  allora  di 
questa  famiglia  che  una  nipote,  Alagia,  come  dirà  appresso,  e  questa 


CANTO  XIX.  421 

Un  mese  e  poco  più  prova9  io  come  *° 
Pesa  il  gran  manto  a  chi  dal  fango  il  guarda,61 
Che  piuma  sembran  tutte  l'altre  some. 

La  mia  conversione,  ohimè!  fu  tarda:  ** 
Ma  come  fatto  fui  Roman  Pastore,  • 
Così  scopersi  la  vita  bugiarda. 

Vidi  che  li  non  si  quetava  il  core, 
110-        Né  più  salir  poteasi  in  quella  vita; 

Perchè  di  questa  in  me  s'accese  amore. 

Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 
Da  Dio  anima  fui,  del  tutto  avara: 


essendosi  ammogliata  a  Moroello  Malaspina,  uvea  lasciato  anch'essa 
il  suo  titolo  e  la  sua  cima;  e  cosi  quel  sopranome  di  onore  (conti 
di  Lavagna)  avea  cessato  di  essere.  L'  estinzione  di  questi  conti 
torna  molto  opportuna  al  soggetto  presente  che  è  inteso  al  disprezzo 
delle  grandezze  terrene. 

co  Un  mese  e  poco  più.  Papa  Adriano  V  eletto  ai  12  di  Luglio 
1276,  morì  ai  28  del  seguente  Agosto,  quindi  poco  più  d*  un  mese 
dalla  sua  elezione. 

61  Pesa  il  gran  manto  ecc.  Gran  concetto  si  è  questo  sulla  gran- 
dezza e  responsabilità  del  Papato.  Pare  che  il  poeta  accenni  qui 
lo  zelo  del  breve  pontificato  di  Adriano,  zelo  che  gli  costò  la  vita. 

te  La  mia  conversione  ecc.  Dunque  papa  Adriano,  secondo  Dante, 
deve  aver  passato  alcun  tempo  de'  suoi  24  anni  dalla  morte  nei- 
l' Atrio  del  Purgatorio  tra  coloro  che  differirono  la  loro  conver- 
sione per  essersi  troppo  occupati  delle  mondane  grandezze,  che, 
come  vi  ricorda,  stanno  nella  valletta  in  cima  dell'Atrio  presso  la 
porta  del  vero  Purgatorio. 

w  Ma  come  fatto  fui  ecc.  In  questo  verso,  e  negli  altri  sette 
seguenti  narra  1 .  quando  fu  che  si  converti  (come  fatto  fui  Roman 
Pastore)^  2.  come  si  converti,  cioè  dietro  al  vuoto  del  suo  cuore, 
non  ostante  l' occupazione  del  posto  più  alto  del  mondo  (Così  sco- 
persi ecc.),  3.  qual  fosse  il  suo  peccato,  cioè  l'  attacco  alle  cose 
terrene  (Fino  a  quel  punto  ecc.),  4.  qual  divenne  dopo  la  conver- 
sione, cioè  solo  amante  delle  cose  del  cielo  k  Perchè  di  questa  in 
me  ecc.),  5.  la  pena  del  suo  peccato,  ma  solo  indicata,  rimetten* 
done  ai  versi  dopo  la  spiegazione. 


422  PURGATORIO 

Or,  come  vedi,  qui  ne  son  punita. 

Quel  eh'  avarizia  fa,  qui  si  dichiara  64 
In  purgazion  dell'  anime  converse, 
E  nulla  pena  il  monte  ha  più  amara. 

Sì  come  P  occhio  nostro  non  s'  aderse  65 
In  alto,  fisso  alle  cose  terrene, 
12°-       Così  giustizia  qui  a  terra  il  merse. 

Come  avarizia  spense  a  ciascun  bene  66 
Lo  nostro  amore,  onde  operar  per  desi, 
Così  giustizia  qui  stretti  ne  tiene 

Ne' piedi,  e  nelle  man  legati  e  presi; 
E  quanto  fia  piacer  del  giusto  Sire, 
Tanto  staremo  immobili,  e  distesi. 

Io  m'era  inginocchiato,  e  volea  dire;  ti7 
Ma  com'  io  cominciai,  ed  ei  sT  accorse, tts 

64  Quel  eh1  avarizia  ecc.  Dante  gli  avea  dimandato  per  seconda 
cosa:  Perchè  volti  avete  i  dossi  —  Al  su  ?  Ebbene  dopo  soddisfatta 
la  prima  dimanda,  ora  soddisfa  questa  seconda,  facendogli  vedere 
la  convenienza  che  passa  tra  la  colpa  e  la  pena;  dichiarando  questa 
gli  effetti  e  la  proprietà  di  quella,  il  tutto  a  purgazion  dell-ì  anime 
converse,  ossia  bocconi  al  suolo. 

65  Sì  come  l'occhio  ecc.  Prima  proprietà  dell'  avarizia  ò  guardar 
a  terra  e  non  guardare  il  ciclo.  Ebbene,  1  a  pena  fa  qui  guardar  la 
terra,  e  non  guardare  il  cielo. 

66  Come  avarizia  spense  ecc.  Seconda  proprietà  dell'avarizia  e 
l'inoperosità  d'ogni  bene.  Così  la  pena  è  immobilità  che  esclude 
ogni  opera.  Le  pene  che  Dante  dà  a'  suoi  purganti  si  possono  sem- 
pre ragionare  a  questo  modo.  Lascio  ciò  allo  studio  dei  lettori;  dove 
non  l'abbia  fatto  io  stesso. 

67  Volea  dire;  — Ma  com1  io  cominciai.  Reticenza,  che  lascia  però 
chiaramente  intendere  quel  che  avrà  incominciato  a  dire  il  poeta 
a  quel  papa,  cioò  scuse  di  non  averlo  così  riverito  prima,  per  non 
averlo  conosciuto. 

<*8  Ed  ei  «'  accorse  —  Solo  ascoltando  ecc.  Dice  nolo  ascoltando 
perchè  queir  anima  non  volea  nemmeno  piegare  un  po'  il  viso  per 
amor  della  pena. 


CANTO  XJX.  (  t  423 

Solo  ascoltando,  del  mio  riverire; 
130.   QUal  cagion,  disse,  in  giù  così  ti  torse? 
Ed  io  a  lui  :  Per  vostra  dignitate  * 
Mia  coscienza  dritta  mi  rimorse. 
Drizza  le  gambe,  e  levati  su,  frate,  10 
Rispose;  non  errar,  conservo  sono 
Teco,  e  con  gli  altri  ad  una  potestate. 
Se  mai v  quel  santo  evangelico  suono, 
Che  dice  Neque  nubent>  intendesti, 71 

Come  Adriano  s'accorse  dall'udito,  che  Dante  gli  si  era  ingi- 
nocchiato? Perchè  chi  sY  inginocchia  si  fa  più  basso,  e  da  più  basso 
parla  :  e  l' altro  che  ode  questo  cangiamento  s' accorge  dell'  inchino 
della  persona:  perchè  inoltre  Dante  essendo  vivo,  nelT  inginocchiarsi 
dovette  aver  fatto  quel  po'  di  romore,  che  fanno  le  ginocchia  toc- 
cando il  suolo.  E  bellissimo  ed  è  al  tutto  secondo  natura  questo 
intreccio  sì  nuovo. 

od  ptr  vostra  dignitate  —  Mia  ecc.  Per  cagione  della  vostra 
dignità,  la  mia  coscienza,  che  è  retta,  mi  ha  fatto  sentire  rimorso. 
Ma  di  che?  Di  non  essermi  inginocchiato  prima,  e  di  aver  parlato 
con  voi  come  si  usa  con  qualunque  altro. 

io  Drizza  le  gambe  ecc.  Adriano  che  s'accorse  di  quello  che  volea 
dir  Dante  in  seguito  alla  parola  rimorse,  cioè,  come  dicemmo,  mi 
rimorse  di  non  essermi  inginocchiato  prima,  e  di  non  aver  parlato 
altrimenti  con  voi,  gli  tronca  la  parola  in  bocca,  e  gli  dice:  Driz- 
zati, e  mi  tratta  da  uguale,  perch*  io,  come  tutti  gli  altri,  sono 
servo  a  Dio,  unico  signor  nostro.  Questo  tratto  è  tolto  da  S.  Gio- 
vanni (Apoc.  XIX),  dove  essendosi  8.  Giovanni  inginocchiato  al- 
l' angelo,  questi  gli  disse  :  Vide  ne  feceris,  conservus  tuus  sum,  et 
fratrum  tuorum  hahenlium  te  stimo  nium  Jesu. 

71  Neque  nvbenL  Questo  testo  di  S.  Mat.  XXII  è  di  G.  C.  in 
risposta  ai  Sadducei  che  gli  avevano  dimandato:  A  qual  marito 
dopo  la  risurrezione  si  unirebbe  quella  donna,  che  avesse  avuto  più 
mariti.  G.  C.  rispose  loro:  Erratis  ne  sciente  8  scripturas  neque  tur- 
tutem  Dti%  In  resurrectione  enim  neque  nubent  neque  nubentur, 
sed  erunt  sicut  angeli  Dei  in  coelo,  e  così  venne  ad  insegnar  loro 
che  nell'altra  vita,  gli  stati  avuti  in  questa  spariscono,  onde,  come 
non  esistono  più  relazioni  matrimoniali,  ma  tanto  l'uomo  quanto 
la  donna  non  si  differenziano;  cosi  non  esistono  più  quelle  prero- 


71 


424  PURGATORIO 

Ben  puoi  veder  perch'  io  così  ragiono. 
Vattene  ornai  ;  non  vo  che  più  t'  arresti, 
14°«       Che  la  tua  stanza  mio   pianger  disagia, 

Col  qual  maturo  ciò  che  tu  dicesti.  73 
Nepote  ho  io  di  là  ch'ha  nome  Alagia,  " 

Buona  da  sé,  purché  la  nostra  casa  w 

Non  faccia  lei  per  esemplo  malvagia;  76 
E  questa  sola  m'  è  di  là  rimase 

gative  del  matrimonio  spirituale  contratto  tra  me  e  la  chiesa  quando 
fui  papa. 

7*  Che  la  tua  stanza  mio  ecc.  Perchè  la  tua  dimora  disturba  il 
mio  pianto  che  tinto  amo. 

73  Col  qual  maturo  ecc.  Vedi  la  nota  49. 

7i  Alagia.  Dicemmo  già  ch'era  maritata  a  Moroello  Malaspina 
marchese  di  Lunigiana,  munifico  mecenate  di  Dante,  al  quale  de- 
dicò il  suo  Purgatorio,  e  presso  il  quale  compose  quasi  tutto  V  In* 
ferno. 

75  La  nostra  casa.  La  casa  Fieschi. 

76  Per  esemplo.  Non  per  esemplo  di  persona  vivente,  perchè  tutta 
la  discendenza  Fieschi  di  Lavagna,  era  già  spenta  tranne  questa 
nipote,  ma  per  tristo  esemplo  degli  antenati.  Pur  troppo  le  opere 
malvagie  di  questi,  sono  una  specie  di  contagio  pei  superstiti. 

Un  dubbio.  Perchè  Adriano  non  risponde  alla  terza  dimanda 
di  Dante,  la  quale  era:  E  se  vuoi  ch'io  t'impetri  —  Cosa  di  là 
onoV  io  vivendo  mossi. 

Rispondo  che  Adriano  se  accennò  a  Dante  l' unica  e  buona  sua 
nipote  Alagia,  non  per  altro  gliel'accennò,  che  perchè  Dante  si  avesse 
a  rivolgere  a  lei  per  animarla  a  suffragare  lo  papa  zio.  Non  gli  ha 
risposto  dunque  direttamente,  ma  indirettamente  gli  ha  risposto 
quanto  basta. 


CANTO  XX 


Argomento. 

Dante  licenziato  da  papa  Adriano  V,  contro  suo  grado  sen 
parte  con  Virgilio,  camminando  lentamente  pel  sentiero  tra  Vom- 
bre  ed  il  monte.  Dante  così  andando  atttndea  al  pianto  ed  alle 
parole  dell'ombre  degli  avari  prostesi  e  conversi^  una  delle  quali 
rammentava  la  povertà  di  Maria  SS.,  di  Fabrizio,  e  la  bella 
elemosina  di  S.  Nicola.  Si  trae  tosto  su  quell'anima  e  le  dimanda 
chi  sia  e  perchè  parli  ella  sola,  promettendole  ricompensa  di  su/' 
fragi.  Quell'ombra  gli  risponde  esser  Ugo  Capeto,  capo  stipite  dei 
Capetingi,  dei  quali  narra  le  infami  anioni  con  ordine  cronolo- 
gico sin  presso  il  1300.  Risposto  così  alla  prima  domanda  di  Dante, 
gli  risponde  alla  seconda,  in/ormandolo  d'avvantaggio  ch'esse  om- 
bre ripetono  di  giorno  esempi  di  povertà  e  generosità,  e  di  notte 
poi  esempi  oV  avarizia,  e  che  quanoV  una  parla  e  tutte  parlano, 
sebben  non  tutte  si  fan  sentire,  come  nel  caso  di  lui  quando  fu 
udito  da  Dante.  I  poeti  partono  finalmente  da  Ugo  e  vanno  non 
più  lenti,  ma  a  gran  passi.  Intanto  sentono  un  colpo  terribile  di 
tremuoto,  come  per  cosa  che  cada,  e  tutte  Vombre  gridano:  gloria 
in  excelsis  deo.  I  poeti  a  questo  colpo  e  grido  s'arrestano  e 
Dante,  esterrefatto  ;  indi  tosto  proseguono  il  lor  cammino,  dub- 
biando Dante  fortemente  sulV  accaduto,  ma  non  avendo  ardire  di 
palesare  il  suo  dubbio. 


NB.  Vedi  tutti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  Tav.III  Purg.,t  laTar.  IV  J>urf. 

Contra  miglior  voler,  voler  mal  pugna  ;  * 
Onde  contra  il  piacer  mio,  per  piacerli, 

i  Contra  miglior  voler.  Papa  Adriano  gli  avea  comandato  di 
andarsene,  dicendo:  Vattene  ornai  ecc.  allegando  per  ragione  :  Che 
la  tua  stanza  mio  pianger  disagia  —  Col  qual  maturo  ciò  ohe  tu 
dicesti.  Questo  volere  di  Adriano  era  migliore  del  volere  di  Dante, 


426  PURGATORIO 

Trassi  dell'  acqua  non  sazia  la  spugna.  * 
Mossimi,  e  il  duca  mio  si  mosse ,  per  li 3 
Luoghi  spediti  pur  lungo  la  roccia  A 
Come  si  va  per  muro  stretto  a'  merli;  5 
Che  la  gente  che  fonde  a  goccia  a  goccia  6 


che  avrebbe  voluto  continuare  il  colloquio  per  sapere  altre  cose: 
il  voler  del  primo  era  molto  più  santo,  che  il  voler  del  secondo  ;  il 
meno  santo  mal  pugna  col  più  sauto,  e  dal  più  santo  e  vinto. 

3  Traisi  delV acqua  ecc.  Allegoria  per  indicare  :  Ho  dovuto  par- 
tire senza  appagare  appieno  il  mio  desiderio,  che  era  di  sapere  da 
lui  altre  cose.  Cosi  non  è  sazia  d'acqua  una  spugna,  che  si  trae 
dall'acqua  prima  del  tempo  necessario  per  inzuppamela. 

3  Mommi,  e  il  duca  ecc.  Prima  nomina  il  muover  suo,  e  poi  quello 
del  suo  duca,  perchè  Dante  era  dinanzi  e  Virgilio  di  dietro.  Fu 
Dante  che  passò  il  primo  la  strada  dal  sommo  della  scala,  dove  i 
poeti  si  trovavano,  per  andare  al  di  dentro  di  essa  sopra  l'ombra 
di  papa  Adriano.  Vedi  qui  C.  XIX;  n.  45.  E  per  qual  direzione 
si  mosse?  Si  mosse  verso  nord,  e  cosi  avevano  i  poeti  le  destre 
all'  infuori,  secondo  l' avviso  di  Adriano:  Le  vostre  destre  den  sem- 
pre di  furi.  Ricordatevi  che  noi  siamo  nella  facciata  del  monte 
volta  ad  est,  e  così  è  facile  intendere  che  chi  va  da  sud  a  nord 
ha  la  destra  all' infuori.  (Vedi  Tav.  IV,  cornice  V). 

*  Luoghi  spediti.  Quel  sentiero  libero  dalle  ombre,  che  correva 
tra  le  ombre  ed  il  monte. 

Pur  lungo  la  roccia.  Solo  lungo  la  roccia  perche  il  resto  della 
strada,  era  coperto  dalle  ombre. 

3  Per  muro  stretto  a'  merli.  Le  fortezze  murate  del  medio  evo 
avevano  nell'interno  vicino  ai  merli  uu  corritoio  capace  di  conte- 
nere un  uomo.  La  fila  de'  soldati  che  camminava  per  quello  si  do- 
veva tenere  stretta  ai  merli  per  non  cader  dal  corritoio. 

e  Che.  Perchè.  La  gente.  Gli  avari  prostesi  e  conversi.  Che  fonde 
a  goccia  a  goccia  Che  piange  :  vedemmo  già  che  il  pianto  era  una 
delle  lor  pene.  Ma  notate  bene  il  fonde  a  goccia  a  gocciaì  che  dà 
la  seguente  bellissima  idea,  cioè  che  la  pena  decretata  l'avessero  già 
tutta  dentro  di  sé  postavi  dalla  divina  giustizia,  e  l'andavano  sce- 
mando ogn'  ora  versandola  fuori  pel  pianto,  come  un  vaso  pieno 
d'acqua  si  va  gradatamente  scemando  a  misura  delle  goccie  d'acqua 
che  n'escono. 


CANTO  XX  427 

Per  gli  occhi  il   mal  che  tutto  il  mondo 

(occupa, 7 
Dall'altra  parte  in  fuor  troppo  s'approccia. 8 
10-     Maledetta  sie  tu  antica  lupa,9 

Che  più  che  tutte  1'  altre  bestie  bai  preda, i0 
Per  la  tua  fame  senza  fine  cupa!  u 

7  //  mal  che  tutto  il  mondo  occupa.  L*  avarizia,  ossia  1*  attacco 
ai  beni  terreni,  che  è  il  peccato  comune  a  tutti,  universale.  Ram- 
mentatevi la  Lupa  del  Canto  I  dell'  Inferno,  e  la  sua  terrìbile  de- 
scrizione, quale  immagine  dell'  avarizia,  e  vedrete  meglio  la  ragione 
di  questo  verso. 

8  Dall'altra  parte  in  fuor  ecc.  Le  ombre  degli  avari  sono  tante 
che  occupano  tutto  lo  spazio  della  strada  sino  all'orlo  esterno,  meno 
il  viottolo  interno  che  dicemmo.  È  naturale  che  essendo  molti,  per 
non  dir  tutti,  gli  infetti  da  questo  vizio  questa  cornice  sia  più  ri- 
piena di  penitenti  che  l'altre  fin  qui  vedute. 

^  9  Antica  lupa.  La  lupa  è  stata  sempre  il  simbolo  dell'  avarìzia, 
E  detta  antica  per  indicar  che  fin  dalla  più  rimota  antichità,  e  dai 
primordi  del  mondo  sorse  tra  gli  uomini.  Per  questo  allorquando 
parla  il  poeta  degli  avari  dannati  {Inf.  Canto  Vfl)  e  dà  loro  il  de- 
monio Pluto  a  guardiano,  lo  fa  parlare  colla  lingua  più  antica,  che 
si  conosca  cioè  coli' ebraica,  mettendogli  in  bocca  quelle  parole2 
Pape  ecc.  volendo  indicare  coir  antichità  della  lingua  l'antichità 
del  vizio.  È  questa  quella  lupa,  terza  delle  tre  fiere,  in  che  s'in- 
contrò il  poeta  la  mattina  del  venerdì  santo  ascendendo  il  Calvario  ; 
quella  che  gli  porse  tanto  di  gravezza,  con  la  paura  eh'  liscia  di  sua 
vista,  che  perde  la  speranza  dell'altezza;  non  già  perchè  il  poeta 
avesse  in  so  stesso  questo  vizio  dell'  avarizia,  che  anzi  ne  fu  alieno 
le  mille  miglia,  ma  perchè  rappvescntando  egli  l' umanità  peccatrice, 
ed  essendo  l'umanità  peccatrice  più  dedita  a  questo  vizio,  per  ciò 
fu  da  quella  atterrito  e  indietreggiato  più  che  dall'altre. 

io  Che  più  che  tutte  ecc.  Hai  preda  di  anime,  fai  strage  di  anime 
più  che  ogni  altro  vizio.  In  fatto  questo  girone  è  più  pieno  di 
ombre  che  gli  altri.  Ricordavi  del  verso  detto  di  questa  lupa: 
E  molte  genti  fé9  già  viver  grame  (Inf.  Canto  I)  e  degli  altri: 
Che  questa  bestia  per  la  qual  tu  gride  —  Non  lascia  altrui 
passar  per  la  sua  via,  —  Ma  tanto  lo  impedisce  che  l'uccide  (Inf, 
Canto  I)  che  combina  perfettamente  con  questo. 

1<  Per  la  tua  fame  ecc.  Anche  questo  risponde  a  quel  dell'/?//. 


428  PURGATORIO 

0  ciel  nel  cui  girar  par  che  si  creda  1* 
Le  condizion  di  quaggiù  trasmutarsi,  " 
Quando  verrà  per  cui  questa  disceda  ?  u 

Canto  I  :  E  d'una  lupa  ohe  di  tutte  brame  —  Sembrava  earea 
con  la  sua  magre%%a%  In  particolare  l'aggiunto  di  cupa  risponde 
a  quel  dell'  Inf.  Canto  I  :  Che  venendomi  incontro  a  poco  a  pocof 
che  è  l'indole  capa  di  certe  bestie  più  feroci:  e  l'altro  aggiunto 
di  senza  fine  risponde  a  quel  dell'/»/.  Canto  I  ;  Che  dopo  il  pasto 
ha  più  fame  ohe  pria. 

t*  0  ciel  nel  cui  girar  ecc.  Bisogna  che  ci  riportiamo  alle  cre- 
denze del  medio  evo.  Il  medio  evo  poneva  una  virtù  intelligente, 
ossia  un  angelo,  motore  di  ciascun  cielo,  e  credeva  che  il  girar  dei 
cieli  e  le  speciali  proprietà  delle  loro  intelligenze  comunicate  ai  cieli 
stessi,  facessero  sentire  i  loro  influssi  sulla  terra,  variandone  gli 
avvenimenti  non  solo  fisici  ma  e  morali.  Perciò  qui  veggiamo  che 
nelT  attribuire  al  girar  del  cielo  i  cangiamenti  morali  della  terra, 
ossia  degli  uomini  abitatori  della  terra,  non  dice  che  tale  è  il  suo 
pensiero,  ma  piuttosto  che  tale  par  che  sia  il  credere  della  gente, 
la  cui  opinione  egli  qui  adotta  parlando  più  da  poeta  che  da  filo- 
sofo, come  si  usti  negli  impeti  di  una  grande  passione. 

**  Le  condizion  di  ecc.  Lo  stato  delle  cose  umane. 
Notate  che  il  poeta,  quando  scriveva  queste  cose,  era  in  Italia, 
venutovi  per  la  calata  dell'  imparadore  Arrigo  VII,  il  quale  dopo 
di  aver  trovato,  per  le  discordie,  intoppi  dovunque,  mossigli  mas- 
Bimamente  dall'  empio  ed  avaro  Filippo  il  Bello  re  di  Francia,  nelle 
cui  unghie  spietate  si  trovava  già  ad  Avignone  Papa  Clemente  V, 
finalmente  senza  nulla  ottenere,  mori,  secondo  l'opinione  di  alcuni, 
seguita  anche  da  Dante,  d' un'Ostia  avvelenata  a  Boucon vento  in 
Toscana  addì  25  agosto  1313.  Sotto  la  impressione  di  tali  avveni- 
menti Dante  scrivea. 

U  Quando  verrà  ecc.  Fa  voti  perche  presto  venga  il  nemico 
dell'  avarizia  per  liberar  il  mondo  da  lei,  e  da  tutto  le  sue  conse- 
guenze. Questi  è  il  famoso  Veltro  preconizzato  nel  Canto  I  dell' /n- 
ferno.  Quando  colà  lo  preconizzava,  esso  era  già  venuto,  ed  era 
S.  Benedetto  XI;  ma  in  quel  mese  stesso  che  il  poeta  scrivea  di 
lui,  esso  mori  (Vedi  il  Canto  1  In/.).  Ma  il  poeta  non  abbandonò 
mai  questa  sua  idea,  e  se  sperava  un  rimedio  ai  mali  morali  e  re- 
ligiosi lo  sperava  unicamente  dal  papato,  cora'  è  naturale  ;  giacché 
nessun'  altra  potenza  può  esser  da  ciò.  L'  aspettazione  di  un  Papa 


GANTI»  XX.  429 

Noi  andavam  co"  passi  lenti  e  scarsi,  " 
Ed  io  attento  all'ombre,  ch'i'sentia 
Pietosamente  piangere  e  lagnarsi: 

E  per  ventura  udi*  :  Dolce  Maria.  " 
So-        Dinanzi  a  noi  chiamar  eoa  nel  pianto, 
Come  fa  donna  che  in  partorir  sia  : 1T 

E  seguitar:  Povera  fosti  tanto,  f* 

noto  e  fendente  m  Roma  e  non  ad  Avignone,  coxn*  era  al  tempo 
che  il  poeta  scrive»,  quale  unico  rimedio  ai  mali  d'Italia  e  del 
mondo,  è  ritoccata    nche  nel  P-fraaV*».  Canto  XXVII.  142  seg. 

ts  Ltnti  e  izarà.  li  passo  potrebbe  esser  lento,  ma  lungo,  che 
è  il  contrario  di  scarso  :  i  passi  presenti  aveano  le  dne  qualità  che 
ai  faceano  in  più  tempo,  e  che  preadeano  meno  strada.  Questo  sa- 
rebbe contrario  alla  cura  del  tempo,  e  alla  fretta  tanto  raccoman- 
data da  Virgilio  :  ma  osservatene  la  ragione  nel  verso  seguente,  ed 
era,  che  Dante,  il  quale  andava  innanzi  a  Virgilio,  attendeva  al- 
l'' ombre  'ed  io  attento  air  ombre)  per  poter  raccogliere  le  loro 
parole,  perchè  sentiva  bensì  il  loro  piangere  e  Lagnarsi,  ma  non 
potea  ben  cap're  le  loro  parole.  Ciò  era  naturale  per  parole  che 
uscivano  da  bocche  tutte  volte  alla  terra;  rim  con  questa  atten- 
zione di  Dante  all'  ombre  si  vuole  indirettamente  far  comprendere 
queir  adhatsit  pavimento  nel  senso  più  rigoroso  della  frase.  Così 
Dante  per  una  cosa  ne  dice  due,  e  bisogna  seguirlo  anche  in  questi 
parlari.  Notate  pure  che  il  parlare  di  quelle  ombre  in  alcune  era 
aasai  basso,  e  in  qualcuna  era  un  po'  più  alto,  come  dirassi  ap- 
presso. In  tal  caso  le  ombre  che  parlavano  più  basso  servivano  di 
impedimento  a  intender  quella  che  parlava  più  alto.  Se  le  voci  basse 
non  avessero  mormorato  la  stessa  parola.  Dante  avrebbe  inteso  la 
voce  più  alta  che  fosse  stata  tra  loro.  Bisogna  dire  tutte  queste 
cose  per  intender  il  valor  di  questa  terzina.  Notate  che  dicendosi 
passi  lenti  e  scarsi  si  accenna  un  molto  scarso  a  vantare. 

<6  E  per  ventura  udì1  ecc.  Intesa  bene  la  nota  15,  s'  intenderà 
benissimo  la  fona  che  ha  questo:  per  ventura.  Fra  tanti  bassi  e 
cupi  rumori  fu  assai  coglier  chiara  la  parola  che  diase  un'ombra  un 
pò1  dinanzi.  Notate  che  le  parole  erano  anche  accompagnate  dal 
pianto,  e  quando  parliamo  e  piangiamo,  poco  ci  facciamo  intendere. 

ti  Come  fa  donna  ecc.  H  pianger  della  donna  in  sul  partorire  si 
dice  nicchiare,  ed  è  un  guaio  a  bocca  chiusa  che  stride  nella  gola. 

<*  E  seguitar:  —  Fovera  ecc.  La  prima  parola  intesa  fa  strada 


430  PURGATORIO 

Quanto  veder  si  può  per  quell'ospizio, 
Ove  sponesti  il  tuo  portato  santo. 

Seguentemente  intesi  :  O  buon  Fabrizio, Ia 
Con  povertà  volesti  anzi  virtute, 
Che  gran  ricchezza  posseder  con  vizio. 

Queste  parole  m'  eran  sì  piaciute, 20 
Ch1  i'  mi  trassi  oltre  per  aver  contezza 
30«         Di  quello  spirto,  onde  parean  venute. 

Esso  parlava  ancor  della  larghezza, 2I 
Che  fece  Nicolao  alle  pulcelle  ** 

a  intender  le  altre.  Qui  Dante  a  gran  fortuna  intese  dapprima  — 
Dolce  Maria,  e  queste  parole  gli  facilitarono  la  intelligenza  delle 
altre  :  Povera  fosti  ecc.  Notate  pure  queste  gradazioni  che  sono 
appunto  intere  da  Dante  nella  descrizione  di  gente,  che  parla  in 
quella  giacitura.  Questo  è  il  primo  esempio  in  lode  della  povertà, 
secondo  il  metodo  fin  qui  seguito  di  porre  prima  esempi  di  virtù, 
e  poi  esempi  di  vizio  contrario  a  quella  virtù.  Prima,  secondo  l'uso, 
si  dicono  esempi  sacri  e  poi  profani.  La  povertà  di  Maria  non  si 
mostra  più  che  nella  capanna  di  Betlemme. 

*9  0  buon  Fabrizio  ecc.  Fabrizio  general  romano  rifiutò  le  ric- 
chezze di  Pirro  offertegli  perche  tradisse  la  patria,  ed  elesse  piuttosto 
di  morir  povero  servendo  a  lei.  Anche  la  storia  profana  condanna 
l'avarizia,  Perciò  si  allega  questo  esempio. 

20  Si  piaciute.  Avvertite  che  la  virtù  della  povertà  contraria  al- 
l' attacco  ai  beni  terreni  era  la  virtù  prediletta  di  Dante,  per  amor 
della  quale  e'  sentiva  un'  affezioni  maggiore  per  l'Ordine  di  S.  Fran- 
cesco d'Assisi  che  per  qualunque  altro,  ed  egli  stesso  si  fece  membro 
di  quest'Ordine  nei  Terziari.  Quindi  non  è  maraviglia  se  tanto  si 
sia  compiaciuto  di  questi  due  esempi. 

*t  Esso  parlava  ancor  ecc.  Terzo  esempio  che  rimbecca  1'  ava- 
rizia, ed  è  la  generosità  o  la  liberalità  ad  essa  contraria.  Per  Dante 
che  avea  perduto  e  patria  e  ricchezze,  e  che  viveva  della  liberalità 
de'  grandi  signori  suoi  amici,  dovea  servire  di  eccitamento  ad  amare 
sopratutte  questa  virtù,  la  sua  medesima  condizione. 

**  Che  feee  Nicolao  ecc.  S.  Nicola  vescovo  di  Mira  saputo  il  pe- 
rìcolo di  tre  povere  fanciulle  passò  a  nuoto  di  notte  alla  loro  casa, 
e  vi  gettò  dentro  tanto  quanto  bistava  a  collocarle  in  onesto  ma- 
trimonio. 


CANTO  XX.  431 

Per  condurre  ad  onor  lor  giovinezza.  w 
O  anima,  che  tanto  ben  favelle,  " 
Dimmi  chi  fosti,  dissi,  e  perchè  sols^  M 
Tu  queste  degne  lode  rinnovelle? 
Ntn  fia  senza  mercè  la  tua  parola,  * 

S' io  ritorno  a  compier  lo  cammin  corto  r 
Di  quella  vita  ch'ai  termine  vola. 
*°-     Ed  egli  :  Io  ti  dirò,  non  per  conforto  a 

ss  Per  condurre.  Per  collocare  in  onorato  connubio  la  lor  giovi- 
nezza, campandole  dal  perìcolo  di  disonorarsi. 

2*  Che  tanto  ben  favelle.  Chi  è  molto  avverso  all'avarizia,  come 
Dante,  sente  con  gran  piacere  i  begli  esempi  della  virtù  della  po- 
vertà, e  loda  volentieri  chi  li  racconta.  Avremo  occasione  altre 
volte  di  notare  quanto  Dante  amasse  il  distacco  dalle  cose  terrene, 
e  come  trattasse  sempre  con  maggior  gusto  e  migliore  riuscita  gli 
argomenti  in  lode  della  povertà  e  della  liberalità.  Questo  è  quel 
genere  in  cui  Dante,  se  così  m*  è  lecito  esprìmermi,  si  trovava  pro- 
prio nella  sua  beva.  Di  qui  la  migl  or  prova  che  fece  nella  vita  di 
S.  Francesco,  che  in  quella  di  S.  Domenico  nel  Paradiso:  di  qui 
le  sue  ire  contro  la  Lupa  nel  Canto  1  dell'  Inferno  ed  in  questo  del 
Purgatorio,  che  si  fanno  sentire  per  qualche  cos%  di  più  dell'ordinario. 

*5  Perchè  sola  — »  Tu  ecc.  La  crede  sola  a  dir  quelle  lodi  perchè 
non  udì  che  lei  sola.  Del  resto  anche  l'altre  lediceano,  ma  a  bassa 
voce,  come  vedremo.  Così  con  questa  nuova  specie  di  malintesa  si 
vengono  creando  scene  novelle. 

96  Non  fia  senza  mercè  ecc.  Senza  ricompensa  di  suffragi  che  ti 
farò  fare  al  mio  ritorno,  essendo  io  ancora  vivo. 

27  Cammin  corto  —  Di  quella  ecc.  È  la  massima  di  S.  Paolo: 
Tempii 8  breve  est  ecc.  che  dovrebbe  essere  la  continua  considera- 
zione di  tutti,  come  la  era  di  Dante. 

Pio  IX  nel  sabato  santo  dell'  anno  1863  accogliendo  una  folla 
immensa  di  forestieri  nella  gran  sala  delle  carte  geografiche  prese 
ad  argomento  questo  medesimo  testo  accennando  le  due  conseguenze 
contrarie  che  ne  cavano  gli  uomini;  gli  uni  di  mortificazione,  di 
piaceri  gli  altri,  e  quanto  questi  la  sbagliano,  facendo  tutti  pian- 
gere gli  astanti  per  tenerezza  e  piangendo  lui  stesso;  tanto  riuscì 
patetico  quel  discorso  (Arm.  Apr.  10), 

**  Non  per  conforto  —  Ch*  io  attenda  di  là.  Questo   dice  non 


432  PURGATORIO 

Uh'  io  attenda  di  là,  ma  perchè  tanta 
Grazia  in  te  luce  prima  che  sie  morto. 
F  fui  radice  della  mala  pianta,  * 
Òhe  la  terra  cristiana  tutta  aduggia  *° 


già  perchè  non  desideri  e  non  apprezzi  i  suffragi,  ma  perchè  sa  di 
avere  un  parentado  tristo,  i  coi  suffragi  a  nulla  gioverebbero.  Di 
qui  T  ombra  comincia  l'invettiva  contro  la  sua  discendenza,  che  erano 
i  reali  di  Francia. 

<9  r fui  radice  ecc.  Fui  capo  stipite  di  una  malvagia  famiglia 
reale,  detta  allegoricamente  mala  pianta.  L' albero  ò  allegorìa  più 
propria  e  naturale  della  famiglia:  perciò  è  costume  inalterabile  che 
quando  si  vuol  disegnare  una  discendenza  genealogica  di  famiglia, 
si  adotta  una  pianta  (albero). 

30  Che  la  terra  cristiana  ecc.  Che  ombreggia  con  ombra  funesta 
tutta  la  Chiesa  cattolica.  Fuori  di  allegoria  sarebbe  che  la  mia  di- 
scendenza è  di  danno  a  tutta  la  cristianità.  Presa  prima  l'allegoria 
della  pianta  per  la  famiglia,  per  continuare  l'allegoria  si  esprimono 
i  danni  che  fa  questa  famiglia  coi  danni  che  fa  la  pianta  cella  sua 
ombra.  Nessun9  ombra  delle  piante  è  benefica  alla  terra,  prova  ne 
sia  che  dove  l'ombra  si  stende,  poco  o  molto  resta  impedito  il  frut- 
tar della  terra.  Ma  v'hanno  delle  piante  la  cui  ombra  è  più  ma- 
lefica, e  sono  le  salvatane,  le  parassite,  e  quelle  che  producono  tristi 
frutti.  Tale  è  la  pianta  di  cui  quest'ombra  fu  radice.  Come  è  poi 
che  i  reali  di  Francia  pregiudicavano  a  tutta  la  cristianità?  Ciò 
sarà  spiegato  in  seguito  di  questo  Canto.  Solo  mi  piace  di  avver- 
tire la  bella  e  vera  analogia  che  passa  tra  il  vizio  della  pianta,  e 
.  il  vizio  dei  reali  di  Francia.  Come  la  pianta  mette  a  solo  suo  pro- 
fitto tutta  la  terra  ad  essa  sottoposta,  il  che  è  una  cotale  avarizia 
della  pianta;  cosi  la  vera  avarizia  dei  reali  metteva  ad  unico  loro 
profitto  la  Chiesa  tutta. 

Altro  che  avarizia  di  papi,  altro  che  dominio  temporale  della 
santa  Sede  !  Il  Canto  è  fatto  contro  Filippo  il  Bello  ed  i  suoi  parenti . 
Questi  aduggiavano  tutta  la  terra  cristiana,  non  il  papa  col  suo  do- 
minio temporale.  Il  papa  ed  il  dominio  suo,  anche  secondo  Dante, 
n'era  una  vittima  come  gli  altri  italiani.  Questo  sia  detto  perchè  certi 
commentatori  fin  dal  principio  del  Canto  ci  presentano  la  lupa  per 
il  papa  o  la  santa  Sede,  quasi  non  vedessero  dove  questa  lupa,  o 
quell'avarizia  vada  a  parare,  come  a  mira  principalissima  od  unica, 
cioè  ai  reali  di  Francia,  e  massime  a  Filippo  il  Bello,  la  vera  lupa 


CANTO  XX.  «3 

Sì,  che  buon  tratto  rado  se  ne  schianta. S1 
Ma  se  Doagio.  Guanto.  Lilla  e  Bruggia11 
Potesser,  tosto  ne  saria  vendetta  ;  ** 
Ed  io  la  cheggio  a  lui  che  tutto  giuggia.  w 
Chiamato  fui  di  là  Ugo  Ciapetta  :  M 

intesa  da  Dante,  e   (.con  altra  allegorìa)  vera  pianta  funesta  alla 
Chiesa  cattolica. 

31  Si  che  buoi  frutto  ecc.  Contìnui  l'allegoria  della  famiglia  o 
discendenza  sempre  nella  pianta.  Li  frutti  della  pianta  sono  i  figliuoli 
della  famiglia.  Li  frutti  buoni  sono  i  figliuoli  buoni,  li  frutti  cattivi 
sono  i  figliuoli  cattivi.  Questi  reali  di  Francia  ebbero  di  rado  qual- 
che buon  figlio.  Il  poeta  allude  ai  due  re.  Roberto  e  S.  Luigi  che 
vedrem  nella  nota  35  nella  genealogia  Capetinga.  11  secondo  è  noto 
abbastanza.  Del  primo  basti  dire  eh*  egli  cercò  sempre  la  felicità 
de*  suoi  popoli  e  pacificandone  le  turbolenze  e  promovendo  le  scienze 
e  le  lettere,  ed  innalzando  ovunque  chiese  magnifiche,  componendo 
per  fino  degli  inni  sacri  che  tutt"  ora  si  cantano  nella  liturgia. 

32  Doagioì  ecc.  Città  di  Fiandra  occupate  ingiustamente  da  Fi- 
lippo  il  Bello  nel  1299;  sono  espresse  all' italiana. 

33  Potc8ser,  tetto.  Ciò  fa  vedere  l'avversione  di  quello  città  a 
Filippo,  che  se  potessero  sarebbero  pronte  ad  insorgere  e  vendicarsi. 
Si  vendicarono  infatti  come  scrive  Villani  (Ltb.  Vlll.òth  ribellan- 
dosi ed  uccidendo  una  parte  dell'esercito  di  Filippo  il  Bello.  Ma 
Dante  che  scrìve  i  fatti  sino  al  1300  non  potea  che  predirlo. 

34  Ed  io  la  eheggio  ecc.  A  Dio  che  giudica  (giuggia)  tutti. 

ss  Ugo  Ciapetta.  Detto  oggidì  Capetto,  capo  stipite  dei  Gape- 

tingi  dopo   l'estinzione  dei  Cario vingi.  Avvertasi  che  due  furouo 

i  Ciapetta:  Ugo  Magno,  che  è  il  presente  spirito  qui  trovato  da 

Dante,  e  l'altro  detto  semplicemente  Ugo  Ciapetta  suo  figlio. 

Credo  qui  utile  di  dar  dapprima  un  albero  genealogico  dei  Carlo- 

vingi  che  ci  conduca  sino  ai  Capetingi,  e  poi  l'albero  di  questi. 

I 
Carlo  Magno  763814 

Lodovico  il  Buono 

Carlo  il  Calvo 

Lodovico  il  Bello       877-87  9  <^  J    i:arloinano  ^ìt\  arancia 

28 


434  PURGATORIO 

|  Interregno  per  osurpuion*. 

Carlo  il  Semplice  895-929 

|  Interregno  per  a  sur  pallone. 

Lodovico  d'oltre  mare  936-954 

i 

Lotario  951-986 

I 

Lodovico  il  Neghittoso  986-987.  Ultimo  senza  figli,  marito 

di  Rianca,  Dopo  la  di  lui  morte,  il  regno  apparteneva  per  diritto 
a  Carlo  suo  zio,  duca  di  Lorena  inferiore,  e  figlio  di  Lodovico  o 
Luigi  d' oltre  mare,  ma  essendo  questo  principe  reso  odioso  ai  Fran- 
cesi, Ugo  Capeto  Magno  &'  impossessò  del  governo  di  Francia.  Dico 
del  governo  e  non  della  corona,  che  cominciò  a  portarla  solo  suo 
figlio.  Cosi  cominciò  la  serie  dei  Capetingi  sino  a  Filippo  il  Bello, 
ove  con  Dante  conviene  che  ci  arrestiamo. 

Ugo  Ciapetta  il  Magno,  conte  di  Parigi  figlio  di  uno  che  il 
poeta  chiama  beccaio  di  Parigi.  Ebbe  il  governo,  ma  non  la  corona 
di  Francia. 
Ugo  Ciapetta  987-996.  Il  primo  a  portare  la  corona  di  Francia. 

I 
Roberto  (il  Divoto,  il  Dritto,  il  Saggio)  996-1031 

I 
Arrigo  I  1031-1060 

I 

Filippo  I  1060-1108 

I 
Luigi  il  Grosso  1108-1137 

Luigi  VII  1137-1180 

I 
Filippo  Augusto  detto  il  Conquistatore  e  Diodato   11 80- 1223 

I 
Luigi  Vili  il  Lione  1223-122G 

I 
Luigi  IX  (S.)  1226  1270 

I 
Filippo  III  P Ardito    1270-1285 

I 

Filippo  il  Bello  1285-1313. 


CANTO  XX.  435 

H>-        Di  me  son  nati  i  Filippi  e  i  Luigi,  u 
Per  cui  novellamente  è  Francia  retta.  I7 
Figliuol  fui  d' un  beccai  di  Parigi.  ** 
Quando  li  regi  antichi  venner  meno  * 
Tutti,  fuor  eh'  un  renduto  in  panni  bigi,  * 

*  /  Filippi  e  i  Luigi.  Quattro  Filippi,  e  quattro  Luigi,  sino 
a  Dante,  come  si  pnò  vedere  nella  genealogia  dei  Capetingi  della 
nota  35.  Quegli  che  si  dicea  Lodovico  nei  Carlovingi,  ai  dicea  Luigi 
nei  Capetingi. 

87  Per  cui  novellamente  ecc.  Pei  Capetingi  schiatta  novella  e 
diversa  dai  Carlovingi  antecedenti. 

**  Beccai  di  Parigi.  To  Ugo  Ciapetta  Magno  foi  figlinolo  d'  un 
beccaio  di  Parigi.  11  padre  di  Ugo  Magno  fu  invece  conte  di  Pa- 
rigi, grande  uomo  di  Btato,  ricco  e  potente.  ConT  è  dunque  che  Dante 
lo  dice  beccaio  di  Parigi?  Dice  cosi,  perchè  tal  era  l'opinione  dei 
suoi  tempi,  narrata  anche  da  alcuni  scrittori,  come  dal  Villani.  Ma 
ora  nessun  più  s' attiene  a  questa  credenza,  poiché  è  provato  il  con- 
trario. Del  resto  la  voce  beccaio  potrebbe  avere  altro  senso  dal  co- 
mune che  gli  viene  attribuito  di  macellaio:  potrebbe  significare  un 
prefetto  o  provveditor  dell'annona  in  questo  ramo  di  publica  am- 
ministrazione, senza  escludere  ch'egli  fosse  anche  conte  di  Parigi. 
A  proposito  della  parola  beccai  avvertite  essere  stato  costume 
dei  trecentisti  di  non  pronunciare  mai  la  o  della  terminazione  aio 
ed  ciò. 

39  Quando  li  regi  antichi  ecc.  Cioè  la  seconda  schiatta  dei  re 
di  Francia.  La  prima  fu  quella  dei  Merovingi /la  seconda  dei  Carlo- 
vingi, la  terza  dei  Capetingi.  —  Venner  meno.  Si  estinsero.  Vedi  la 
nota  35  al  nome  di  Lodovico  il  Neghittoso. 

*o  Tutti,  fuor  eh*  un  ecc.  Questi  non  può  esser  che  Carlo  I  duca 
di  Lorena  fratello  del  re  Lotario.  Perchè  apparisca  il  vero  senso 
di  questo  verso,  e  si  vegga  a  un  colpo  d'occhio  e  questi  dai  panai 
bigi,  e  la  sua  discendenza,  credo  cosa  utile  di  aggiungere  alle  due 
genealogie  della  nota  35  la  genealogia  di  questo  ramo  particolare 


436 


PURGATORIO 


Lodovico  III  d'Oltremare 
936-954 

I 


secondo  I  genito 
Carlo  I  duca  di  Lorena 
figliuolo  secondogenito  di  Lodovico  III  d'Oltra- 
mare  e  fratello  del  re  Lotario.  Nacque  a  Lione 
nel  958,  e  fece  omaggio  de'  suoi  stati  all'  Impe- 
ratore Ottone  II  suo  cugino;  e  si  diede  a  vita 
umile  e  solitaria  dopo  di  aver  avuto  dal  suo 
matrimonio  due  maschi  e  due  femmine  che  si 
possono  ypder  sotto  descrìtte.  Essendo  morto  frat- 
tanto Lodovico  il  Neghittoso  suo  nipote;  venne 
eccitato  ad  uscire  dalla  sua  solitudine  ed  occupare 
il  trono.  Rifiutò  dapprima  :  ma  poi  pentitosi  fece 
guerra  ad  Ugo  Magno.  Fu  sconfitto,  preso  nel 
2  aprile  991,  e  rinchiuso  in  una  torre  di  Orléans, 
ove  mori  dopo  3  anni  nel  994.  Il  renduto  in  panni 
bigi,  ossia  il  fattosi  monaco  non  può  essere  che 
questo  Carlo,  che  come  dicemmo  avea  rinunziato 
ai  suoi  Btati,  e  s'era  dato  a  vita  umile  e  solitaria; 
non  ostando  niente  a  questo  il  suo  posteriore 
pentimento.  Seguono  ora  i  4  figli,  2  maschi  e  2 
femmine  di  questo  Carlo,  i  quali  si  uniscono  a 
solo  fine  di  far  meglio  vedere  V  estinzione  ma- 
scolina dei  reali  Carlovingi,  e  il  seguito  della 
femminina,  la  quale  col  tempo  andò  a  congiun- 
gersi  coi  Capetingi. 


primo  I  genito 
Lotario 
954-986 

I 
Lodovico  IV 

il  Neghittoso 

986-987 

ultimo  e  senza 

figli. 


Lodovico Carlo 

Non  essendo  questi  2  ma- 
sebi  che  semplicemente  men- 
zionati dalla  storia,  e  poi 
taciuti  del  tutto,  è  da  con- 
chiudere ch'essi  sieno  morti 
in  tenera  età,  e  prima  del 
padre. 


I 
Arvidk 


I 


Menarda 

! 


maritata  al  Conte  di  Namdr. 

I 
Baldovino 

I 
Isabella 

maritata  a  FiLirio  Augusto 

detto  Diodato,  Capetingo. 

I 
Luigi  Vili 

Luigi  IX  il  Santo.  —  Cosi 
S.  Luigi  che  per  parte  ma- 
schile discende  da  Ugo  C  apeto, 
per  parte  femminile  discende 
da  Carlo  Magno. 


CANTO  XX.  43T 

Trova7mi  stretto  nelle  mani  il  freno41 
Del  governo  del*  regno,  e  tanta  possa  tó 
Di  nuovo  acquisto,  e  sì  (T  amici  pieno, 

Ch'  alla  corona  vedova  promossa  u 
La  testa  di-  mio  figlio  tu.  dal  quale  u 
*°-         Cominciar  di  costor  le  sacrate  ossa. 

Mentre  che  la  gran  dote  Provenzale  *5 

M  Trovaci  stretto  e«.  Questo  modo  di  dire  in  Dante,  sempre 
cattissimo  nelle  sue  espressioni,  addimostra  che  causa  del  ano  in- 
nalzamento al  supremo  potere  fu  sola  la  estinzione  dei  re  Cariovingi 
da  un  lato,  e  dall'altro  l' esser  egli  a  quel  tempo  impiegato  in  grandi 
cariche  governative  sostenute  con  universale  soddisfazione,  senza 
che  si  abbia  a  sospettare  d*  intrighi  a  suo  carico.  Fu  in  somma  una 
buona  ventura  che  talora  incontrano  le  persone  di  merito. 

*a  E  tanta  possa  di  nuovo  acquisto  ecc.  £  trova* mi  tanta  possa 
di  nuovo  acquisto,  e  si  pieno  di  amici.  Questo  accenna  all'esser  egli 
stato  fatto  in  termalmente  capo  provvisorio  del  regno,  come  sarebbe 
un  presidente  d'una  repubblica  sorta  dalla  caduta  di  un  regno,  e 
all'aver  egli  ottenuto  per  governare  da  capo  un  suffragio  univer- 
sale, e  un  valido  sostegno  nei  grandi  del  reame. 

43  Ch'alia  corona  vedova  protnos$a  —  La  tuta  di  mio  figlio  fu. 
Dunque  Ugo  Magno  Ciapctta  gettò  le  fondamenta  del  poter  reale 
della  sua  famiglia,  reggendo  da  semplice  capo  di  uno  stato  elet- 
tivo, e  indi  tosto  in  grazia  de'  suoi  meriti,  ed  a  suo  guiderdone 
gli  stati  generali  di  Francia  pensarono  di  perennare  il  potere  nella 
sua  discendenza  con  decretare  al  suo  figlio  Ugo  Ciapetta,  pieno  esso 
pure  di  meriti,  la  corona  rimasta  vedova  colla  morte  di  Lodovico  IV 
il  Neghittoso,  e  cosi  fu  assicurato  il  regno  alla  sua  discendenza. 

U  Dal  quale  —  Cominciar  ecc.  I  re  di  Francia  si  consacravano 
con  una  santa  unzione,  che  faceva  l' arcivescovo  di  Roims  nella  sua 
cattedrale.  —  Ossa  per  persone.  Da  Ugo  Capeto  figlio  del  presente 
Magno  Ugo  venne  nominata  la  terza  echiatta  dei  reali  di  Francia 
detti  Capetingi. 

*3  Mentre  che.  Finche.  — La  gran  dote  Proveniate.  Nel  1245  Carlo 
d'Angiò  fratello  di  S.  Luigi  sposò  la  figlia  ereditiera  di  Raimondo 
Berlinghici!  conte  di  Provenza,  la  quale  gli  portò  in  dote  questa 
provincia.  Già  prima  (1228)  una  figlia  del  conte  di  Tolosa  sposata 
ad  Alfonso,  altro  fratello  di  S.  Luigi,  gli  avea  portato  in  dote  la 
contea  di  Tolosa. 


438  PURGATORIO 

Al  sangue  mio  non  tolse  la  vergogna,  M 
Poco  valea,  ma  puf  non  facea  male. 47 

Lì  cominciò  con  forza  e  con  menzogna  ** 
La  sua  rapina;  e  poscia  per  ammenda  *° 
Fonti  e  Normandia  prese,  e  Guascogna. 

Carlo  venne  in  Italia,  e  per  ammenda80 
Vittima  fé'  di  Curradino  ;  e  poi  M 
Ripinse  al  ciel  Tommaso  per  ammenda.  * 

46  Al  sangue  mio  non  tolte  la  vergogna.  La  vergogna  dell'oscura 
nascita.  Allude  al  beccaio  di  sopra,  secondo  l'opinione  allora  cor- 
Tenie. 

47  poco  valea,  ma  ecc.  Il  mio  sangue  era  poco  potente,  ma  pure 
era  buono,  che  è  il  più,  o  almeno  non  si  dava  al  male.  Ecco  un 
effetto  del  possedere  assai,  vizi  e  prepotenze,  ed  ecco  un  effetto  del 
poco  avere,  almeno  non  far  male. 

48  Lì  cominciò.  Dal  tempo  che  la  mia  discendenza  ingrandi  per 
la  dote  Provenzale,  cominciarono  le  sue  prepotenze  ed  inganni,  che 
si  fecero  Bubito  sentire  nella  Provenza.  Poi  si  allargarono  in  Pio- 
cardia,  beccandosi  il  Ponthieu  (.Ponti),  e  in  Normandia,  ripiglian- 
dola dagli  Inglesi ,  e  finalmente  in  Guascogna.  Sicché  l' acquisto 
legittimo  della  Provenza  servi  d' incentivo  alle  usurpazioni  qui  no- 
minate. 

49  Per  ammenda  ecc.  Per  far  la  satira  più  amara  il  poeta  la 
espone  in  modo  d'  ironia,  dicendo  che  per  far  penitenza  d'un  pec- 
cato, quei  reali  ne  comraetteano  un  altro.  {Per  ammenda). 

N>  Carlo  venne  ecc.  Carlo  d'Angiò  fratello  di  S.  Luigi  venne  alla 
conquista  del  reame  di  Napoli  e  di  Sicilia. 

s*  Vittima  /e'  di  Curradino.  Curradino  figliuolo  di  Currado,  e 
legittimo  re  di  Puglia,  fatto  decapitare  da  Carlo  dopo  la  battaglia 
di  Tagliacozzo  (1268). 

**  Ripinse  al  del  ecc.  Fece  avvelenare  S.  Tommaso  d'Aquino 
mentre  andava  al  Concilio  di  Lione,  sospettandolo  contrario  a*  suoi 
desideri.  Bello  quest' indicar  la  morte  dell'Angelico  Dottore  con 
ripingerlo  al  cielo,  volendo  significare  l'anima  tutta  celeste  di  questa 
aquila  degli  ingegni.  Sulla  verità  storica  di  questo  fatto  ecco  il  giu- 
dizio del  Muratori  {Ann.  d'Italia  an.  1274)  :  «  Io  non  so  qual  fede 
ri  possa  prestare  a  Dante,  che  cel  rappresenta  tolto  dal  mondo  con 
lento  veleno,  fattogli  dare  dal  re  Carlo  per  timore,  che  non  facesse 


CANTO  XX.  439 

TO-    Tempo  vegg'io,  non  molto  dopo  ancoi,  w 

Che  tragge  un  altro  Carlo  fuor  di  Francia,*4 
Per  far  conoscer  meglio  e  sé  e  i  suoi.  M 

Senz'  arme  n'  esce,  e  solo  con  la  lancia  * 
Con  la  qual  giostrò  Giuda;  e  quella  ponta  ** 
Sì,  eh'  a  Fiorenza  fa  scoppiar  la  pancia. 

Quindi  non  terra,  ma  peccato  ed  onta  M 
Guadagnerà  per  sé  tanto  più  grave, 
Quanto  più  lieve  simil  danno  conta. 

L'altro,  che  già  usci  preso  di  nave,89 

dei  mali  uffizii  alla  corte  pontiGeia  a  cagione  della  persecuzione  dm 
lui  fatta  ai  conti-  d'Aquino  suoi  fratelli  ». 

h  Tempo  vegg'io  ecc.  Un  anno  e  mezzo  dopo  il  di  presente  12 
aprile  1300. 

«  Un  altro  Carlo.  Carlo  di  Valois  fratello  di  Filippo  il  Bello. 

w  E  $è  e  i  suoi.  La  malvagità  propria  e  di  quelli  della  eoa  casa. 

M  Senz'arme  n'esce.  Usci  di  Francia  con  soli  500  cavalli. 
E  solo  con  la  lancia  —   Con   la  qual  ecc.   Col  tradimento. 
Carlo  di  Valois  fn  chiamato  da  papa  Bonifacio  Vili  a  solo  questo 
fine  di  pacificare  Firenze.  Invece  di  paciere,  egli  ne  fu  tiranno  e 
borsaiuolo. 

57  E  quella  ponta  —  Sì  eh'  a  Fiorenza  ecc.  Fé'  scoppiar  la  pan- 
da a  Firenze,  perchè  trasse  da  lei  d'un  colpo  e  la  parte  Bianca  che 
bandi,  e  una  bella  somma  d' oro. 

58  Quindi  non  terra,  ma  ecc.  Non  guadagnerà  terra  per  sé  (onde 
fu  chiamato  Senta  terra)  ma  peccato  e  vergogna,  non  avendo  ri- 
mediato alle  discordie  di  Firenze,  di  che  non  si  curava,  e  avendola 
spogliata  invece  di  danaro  e  di  cittadini  :  e  questo  peccato  e  quest'onta 
sarà  tanto  più  grave,  quanto  meno  egli  se  ne  fa  coscienza.  I  danni 
che  dall'esilio  patiscono  gli  esuli  (e  Dante  era  fra  loro)  sono  incal- 
colabili. Parlando  del  solo  Dante  (ch'era  di  parte  Bianca)  dovette 
coli' esilio  soffrir  la  confisca  dei  beni,  ed  errare  ramingo  per  tanti 
anni  elemosinando  la  vita. 

*9  V altro  che  già  uscì  ecc.  Carlo  II  il  Novello  figlio  di  Carlo'.I 
d'Angiò.  Andando  egli  all'  acquisto  della  Sicilia,  come  fu  da  Na- 
poli poco  lungi,  assalito  da  Buggeri  d'Oria  ammiraglio  del  re  Già- 
copo  d'Aragona,  fu  fatto  prigione,  e  condotto  a  Messina  (1283), 
onde  usci  nel  1388. 


440  PURGATORIO 

*°*         Veggio  vender  sua  figlia,  e  patteggiarne,60 
Come  fan  li  corsar  dell'altre  schiave. 

O  avarizia,  che  puoi  tu  più  farne, 

Poi  eh'  hai  il  sangue  mio  a  te  sì  tratto, 
Che  non  si  cura  della  propria  carne? 

Perchè  men  paia  il  mal  futuro  e   il  fatto,  6I 
Veggio  in  Alagna  entrar  lo  fiordaliso,  w 

60  Veggio  vender  ecc.  Vendette  sua  figlia  Beatrice  ad  Azzo  Vili 
da  Este,  e  per  questo  matrimonio  pretese  e  ricevette  da  Azzo  non 
si  sa  bene  se  30,  50,  o  100  mila  ducati.  Dice  veggio,  cioè  veggio 
in  ispirìto  profetico,  essendo  successo  questo  contratto  matrimoniale 
dopo  il  ÌÌ00. 

61  II  mal  futuro  e  il  fatto.  Il  mal  futuro,  come  le  avare  gesta 
di  Carlo  Valois,  e  di  Carlo  Novello  già  detto  di  sopra:  il  fatto, 
come  l'alti  e  avare  gesta  dette  prima. 

63  Veggio  in  Alagna  ecc.  Veggio  entrar  in  Anngni  i  commis- 
sari di  Filippo  il  Bello  e  i  loro  congiurati  (Nogarete  e  Sciarra  Co- 
lonna ed  altri  al  loro  soldo  per  catturare  il  Papa  Bonifacio  Villi 
cui  il  Bello  non  volea  più  riconoscer  per  papa,  e  lo  volea  far  con- 
dannare come  intruso.  Si  dice  :  entrar  lo  fiordaliso ,  per  indicare  le 
armi  francesi,  essendo  il  fiordaliso  lo  stemma  impresso  sulle  ban- 
diere militari  di  Francia  in  quel  tempo. 

Bellissima  ammenda  del  nostro  poota  all'  onta  fatta  altre  volte 
a  questo  gran  papa,  u  Bonifazio  Vili  (dice  il  chiariss.  Ab.  Giara- 
battista  Marcucci  nell'Omaggio  a  Dante  Alighieri;  Roma  18G5, 
pag.  216  e  seg.),  è  tra'pontefici,  die  più  sono  presi  di  mira  a  furia 
d' ingiurie  e  di  calunnie  dagli  eretici,  che  le  pigliano  Tua  dall'altro 
di  netto,  senza  darsi  pensiero  di  vedere  se  a-  primi,  da  cui  gli  altri 
le  ricevono,  fece  prò'  il  dirle  ;  anzi  con  voglia  di  crescer  quelle  delle 
proprie,  come  il  Gibbon  tra  gli  altri,  l'Hallan  ed  il  Sismondi,  che 
intinsero  volentieri  la  penna  loro  nel  fiele,  onde  in  Francia  scrisse 
i  libelli  quel  Nogareto  che  fu  uno  dei  due  capi  della  cattura  di  Bo- 
nifazio, o,  come  dice  Dante,  ladroni  a  posta  di  Filippo  il  Bello. 
Alquanti  nondimeno  anche  tra'  cattolici,  dove  loro  avvenga  d' in- 
contrarsi in  pontefici,  che  più  con  vigore  sostennero  i  diritti  della 
santa  cattedra  contro  potenti  avversari,  credendo  più  a  coloro,  che 
ne  provarono  la  severità,  ne  parlano  con  animo  grosso  ;  lo  che  è 
disposizione  a  sentir  di  scemo  nella  fede.  Non  sono  mancati  però 
anche  fra  gli  eretici,  la  Dio  merco,  difensori  de*  calunniati  pontefici. 


CAX7V'  XX.  441 


bx  zzaciasser?  :l  :h&ux  cm  mbsc  ara*  a  ne? 
g-tiàa  t  L£s»  ii"  aiti  cìst-ms-  Gr»r-r.-:  VTI  ex*  xa  aìcbkv» 
Tiiea  zèL  Torlr:-  >_lTfirr  II  reTE.xk.  Iraxe»-:  IH  atTHctt?; 
l£:  Vili  ?€■:•:•=  ttì  ri:  a*  ari  cmroci  a  Xicv£a  Wìsmaan.  c*r- 
Scu  Cr«.:  1  :saie   ce'  5xxmes.Ti    ali*,  mas?  ha 


e  li  rriTlàfm  La  fan:  si  ìs*  *-  sart;  jvcitó*.  S 


di  chi  mal  pznz-  'a  -pezi-xas*  x  pr^rrì  peceatL  e  Ì05*  neri*  di 
chi  ora  nàr^iri'j  al*  f&»  o>;e  e  predire  virrL  «a*  KtiKai  e 
aDo  WMEptri:  àej»  c:»e  :-r.:c-«  £  ,»  metto.  «  »3i  stù*  fie* 
rea  il  m>I:£  fra  : -arili  ci  yaLi  ebbe  c-be  tir*,  ha  fitto  sì  cb* 
risponda  dal  sesoìero  alie  esimie.  * 

Equi  Marcieei  ii  la ser^s»  n.  41  :  —  StaSa Wì«wan.  Difesa 
dà  Tiri  pvnn  •■*»-*  visi  d.  &?b_xìz:3  Vili.  Escono  ietto  neiT  Ac- 
cademia di  Eeilrl:«  europea  in  Roma  a  £  4  Giorno  1540.  Annali 
deBe  sàenze  recgùee  crcspCaù  dall' Ab.  Ani*  De-Laea.  rotarne  XI. 
Roma.  Tiporrana  delle  BeJ»  Arti  1>40.  — 

«  0  Sissc-ndi,  sull'autorità  dei  Ferreto.  ne  racconta  che  il  Papa 
per  rabbia  diventò  dopo  il  suo  arrivo  in  Roma  rre&etico;  ed  avendo 
cacciato  fuori  della  sua  stanza  ratti  ì  famigliari  la  quale  poi  in* 
ehiavicehiò  al  di  dentro,  dopo  essersi  battati  il  capo  al  mur\\  dì 
modo  eh?  tatti  i  «noi  eanuà  capelli  fossero  intrisi  di  sangue,  «  •af- 
focò furibondo,  sotto  le  coperte  del  letto.»  Favole,  aumogne dalla 
prima  ail" ultima ma  che  diremo  de*  capelli  imbrattati  dì  san- 
gue, delle  ferite  trovate  in  testo,  e  come  altri  ci  narrano,  nelle  mani 
lacerate  da'  suoi  propri  denti  ':  11  Sìsmondi  par  ci  dice  che  rosicato 
da  questi  fn  trovato  il  suo  bastone.  Or  udite  come  In  divina  Pro» 
vìdenza  hi  saputo  convincere  di  menzogna  tali  calunnie»  Nell'anno 
1605.  setto  il  pontificato  di  Paolo  V,  fu  necessario  di  demolire  nella 
Basilica  Vaticana  la  cappella,  che  Bonifazio  aveva  fabbricata  per 
sua  sepoltura.  Prima  di  portarlo  alla  nuova  sepoltura  destinatagli 
nelle  grotte  vaticane,  fu  aperta  la  di  lui  cassa  in  presenta  di  molti 
prelati  e  signori,  e  fu  fatto  rogito  di  quest'apertura  con  minutis- 
sima descrizione  del  tutto  rinvenuto  dal  notare  Grimaldi.  Ora  dopo 
trecento  anni,  neppure  un  sol  giorno  più  nò  meno  dopo  la  morte 
del  Pontefice,  fu  trovato  il  suo  corpo  iutiero  ed  incorrotto.  Fu  mi- 
nutamente esaminato  da'professori  ed  altri,  ed  esattamente  descritto; 
vi  si  vedevano  le  vene  ed  ogni  piccolo  segno.  La  natura,  ognuno 
il  sa.  non  guarisce  nò  cicatrixza  le  ferite  dopo  la  morte:  perlochè 
queste,  se  accaddero  pochi  momenti  prima  della  morte,  dovevano 
rimanere  nel  cadavere  impresse.  Eppure  non  se  ne  rinvenne  segno 
alcuno  {.4p.  Rub.  Boni/.  Vili  Bomae  1657).  La* pelle  del  capo  era 


449  PURGATORIO 

E  nel  Vicario  suo  Cristo  esser  catto.  w 
Veggiolo  un'altra  volta  esser  deriso; 
Veggio  rinnovellar  l'aceto  e  il  fele,  M 
Sk        E  tra  nuovi  ladroni  essere  anciso.  w 
Veggio  il  nuovo  Pilato  sì  crudele, 

Che  ciò  noi  sazia,  ma  senza  decreto,  M 
Porta  nel  Tempio  le  cupide  vele.  67 


sanissima,  le  mani  perfette  adeo  ut  summam  videntìbus  iniiceret 
admirationem.  Ma  il  sangue  almeno  poteasi  lavare  in  modo  che  più 
non  tingesse  i  capelli.  Neppur  questo;  poiché  il  Pontefice  invece  di 
esser  canuto,  era  quasi  del  tutto  calvo. 

W  E  nel  Vicario  suo  ecc.  Bonifazio  Vili  è  detto  qui  molto  pen- 
satamente Vicario  di  Cristo,  in  opposizione  all'  empia  protesta  di 
Filippo,  che  Io  volea  dannato  quale  intruso  e  nullo. 

6*  Veggio  rinnovellar  ecc.  A  Bonifacio  Vili  tornò  si  amara  questa 
onta,  che  di  là  ritiratosi  poscia  a  Roma,  perdette  la  mente,  e  poco 
dopo  spirò  d'angoscia  li  12  ottobre  1303. 

65  E  tra  nuovi  ladroni  essere  anciso.  I  congiurati  di  Filippo  il 
Bello  per  la  cattura  de)  Papa  in  Anagni  furono,  oltre  il  resto,  an- 
che grandi  ladroni,  perchè  vuotarono  il  tesoro  del  papa,  che  era 
grande  e  da  molto  tempo  accumulato  per  assoldare  una  crociata 
contro  i  Saraceni. 

66  Senza  decreto.  Senza  decreto  del  papa  alla  giurisdizione  della 
quale  e  non  alla  sua  era  soggetto  l'Ordine  dei  tempiali. 

67  Porta  nel  Tempio  ecc.  Contro  l'Ordine  dei  templari  porta  la 
sua  ingordigia.  Filippo  confiscò  a  suo  profìtto  gl'immensi  beni  che 
possedevano,  e  questi  erano  la  vera  causa  della  sua  guerra  contro 
di  loro;  non  le  pretese  mene  rivoluzionarie  contro  lo  Stato,  o  l'ac- 
cusa di  eresia,  che  non  ne  furono,  che  un  palliato  pretesto.  Le 
catture,  i  processi,  le  torture,  le  morti  si  eseguirono  nel  modo  il 
più  barbaro.  Il  fatto  avvenne  nel  1307  per  tutta  la  Francia.  I 
templari  erano  un  Ordine  di  cavalieri  che  per  professione  doveano 
difendere  l'innocenza  oppressa.  Se  alcuni  o  molti  tralignarono  dal  loro 
Istituto,  il  che  pare,  Filippo  non  era  per  ciò  in  diritto  di  giudicarli, 
e  molto  meno  di  tormentarli  a  quel  segno.  E  vero  che  la  finale  abo- 
lizione di  quest'Ordine  cavalleresco  venne  fatta  da  Clemente  V  di 
comune  accordo  con  Filippo  nel  1311;  ma  allora  le  usurpazioni,  le 
rapine  e  le  stragi  erano  belle  e  consumate. 


CANTO  XX.  443 

O  Signor  mio,  quando  sarò  io  lieto  " 
A  veder  la  vendetta,  che  nascosa 
Fa  dolce  Tira  tua  nel  tuo  segreto! 

Ciò  ch'io  dicea  di  quell'unica  Sposa60 
Dello  Spirito  Santo,  e. che  ti  fece™ 
Verso  me  volger  per  alcuna  chiosa,71 
10°-   Tant'  è  disposto  a  tutte  nostre  prece  n 

68  0  Signor  mio,  quando  ecc.  O  Signor,  quando  avrò  la  conso- 
lazione di  veder  piombare  terribile  sul  mio  Filippo  la  tua  vendetta, 
quella  vendetta  che  tu  tieni  rinserrata  ancora  nelT  imperscrutabile 
tuo  cuore,  e  che  per  esser  sicura,  e  immanchevole  non  turba  la  tua 
ira,  ma  la  conserva  si  dolce,  come  se  colla  vendetta  ti  fossi  già  sod- 
disfatto. Noi  quando  ci  vogliam  vendicare  siamo  inquieti  nell'  ira 
nostra,  perchè  limitati,  come  siamo,  temiamo  ci  sfugga  l'occasione 
di  vendicarci.  Ma  Dio  che  è  onnipotente  ed  eterno  non  teme  di 
questo,  e  perciò  la  sua  ira  è  tranquilla. 

69  Ciò  ch'io  divea  ecc.  Fin  qui  il  Ciapetta  rispose  con  una  giunta 
maggior  della  derrata  alla  prima  dimanda  di  Dante,  la  quale  fu: 
Chi  fosti.  —  Ora  risponde  alla  seconda  che  era  :  E  perchè  sola  — 
Tu  queste  degne  lode  r innovelle  t  —  Unica  Spota  dello  Spirito 
Santo.  Maria  SS.  perchè  concepì  e  partorì  G.  C.  fecondata  solo 
dallo  Spirito  Santo,  secondo  quel  dell'Evangelio:  Firtus  Altissimi 
obumbrabit  tibi.  Le  parole  che  di  Maria  diceva  il  Ciapetta  quando 
Dante  gli  s'appressò  erano  :  Dolce  Maria  —  Povera  ecc. 

io  E  che  ti  fece  —  Verso  me  ecc.  Allude  a  quel  che  disse  Dante: 
Queste  parole  m'cran  sì  piaciute  —  Ch'i'mi  trassi  oltre  per  aver 
contezza  —  Di  quello  spirto  onde  parean  venute. 

7i  Per  alcuna  chiosa.  Questo  alcuna  è  una  gemma,  ed  una  sa- 
tira la  più  sanguinosa  dell'altre  prime  dette  contro  ai  reali  di  Fran- 
cia, perchè  Ugo  Ciapetta  con  ciò  dichiara  che  il  tanto  che  ha  detto 
a  carico  de1  suoi  discendenti  non  è  che  una  minima  parte  di  quél 
più  che  avrebbe  potuto -dire;  dichiara  insomma,  che  il  detto  da  lui 
non  è  che  alcuna  chiosa.  Che  sarebbe  stato  se  avesse  esposte  a 
Dante  tutte  le  chiose  necessarie? 

to  TanVt  disposto  ecc.  Le  lodi  della  virtù  della  povertà  contraria 
al  vizio  dell'avarizia  sono  recitate  di  giorno  a  modo  di  preghiera; 
all'  incontro  i  biasimi  e  castighi  dell'avarizia,  che  sono  il  suono  con- 
trario, sono  recitati  di  notte.  Bellissimo  questo  riserbare  il  ricordo 


444  PURGATORIO 

Quanto  il  di  dura  ;  ma  quando  s'  annotta 
Contrario  suon  prendendo  in  quella  vece. 

Noi  ripetiam  Pigmalione  allotta,  73 
Cui  traditore,  e  ladro  e  parricida 
Fece  la  voglia  sua  dell'oro  ghiotta  ; 

E  la  miseria  dell'avaro  Mida,  n 

Che  seguì  alla  sua  dimanda  ingorda, 
Per  la  qual  sempre  convien  che  si  rida. 

Del  folle  Acam  ciascun  poi  si  ricorda, 7* 
no.        Come  furò  le  spoglie,  sì  che  l'ira 

Di  Giosuè  qui  par  che  ancor  lo  morda. 

Indi  accusiam  col  marito  Safira  : 76 


del  bene  alla  luce,  e  del  male  alle  tenebre,  convenendo  alla  luce  il 
bene,  ed  alle  tenebre  il  male,  secondo  quel  detto  allegorico  di  G.  C.  : 
Ambulate  dura  lueem  habctis,  ne  vos  tenrbrae  comprehendant.  Fu 
da  questo  ammaestramento  evangelico  che  Dante  si  fa  qui  render 
impossibile  il  salir  di  notte,  che  è  un  bene.  Dante  per  mettere  più 
in  onore  la  virtù  della  povertà  ne  mette  le  lodi  di  giorno,  e  per 
mettere  in  disonore  il  vizio  dell'avarizia  ne  mette  i  biasimi  di  notte. 
Questo  in  sostanza  risponde  a  quello  che  Dante  ha  fatto  nel  primo 
giro  per  gli  e  sempi  dell'  umiltà  e  della  superbia  ;  dove  gli  esempi 
dell'umiltà  gli  pose  in  alto,  e  quelli  della  superbia  in  basso.  Cosi 
per  onorare  la  virtù  e  disonorare  il  vizio  opposto,  Dante  prende 
sempre  il  partito  di  nominar  prima  la  virtù  e  poi  il  vizio  opposto. 

73  Pigmalione  ecc.  Figmalione  uccise  Sichco  suo  zio  e  marito  di 
sua  sorella  Didone  per  impadronirsi  delle  sue  ricchezze. 

1*  Mida  ecc.  Questi  chiese  agli  Dei  che  si  cambiasse  in  oro  quanto 
fosse  toccato  da  lui.  Fu  esaudito,  e  vide  quindi  cambiarsi  in  oro 
anche  gli  alimenti:  onde  morì  di  fame  in  mezzo  all'oro. 

75  Acam  ecc.  Poi  si  biasima  l'avarizia  di  Acam,  che  contro  il  di- 
vieto di  Giosuè  s'impossessò  d'una  parte  della  preda  nella  conquista 
di  Gerico,  per  cui  tanto  si  adirò  Giosuè,  e  per  cui  fu  dannato  a 
morte. 

76  Safira.  Anania  e  Safira  che  depositando  ai  piedi  di  S.  Pietro 
i  propri  beni,  se  ne  ritennero  parte  affermando  che  li  aveano  de- 
positati tutti,  e  cosi  morirono  sull'istante. 


CANTO  XX.  445 

Lodiamo  i  calci  eh'  ebbe  Eliodoro  :  ~ 
Ed  in  infamia  tutto  il  monte  gira 
Polinestor  che  ancise  Polidoro.  TS 
Ultimamente  ci  si  grida  :  Crasso.  ?* 
Dicci,  chè'l  sai.  di  che  sapore  è  Toro- 
Talor  parliam  1"  un  alto  e  Y  altro  basso.  *° 
Secondo  Y  affezion.  che  a  dir  ci  sprona  *f 
120.        Ora  a  maggiore,  ed  ora  a  minor  passo. 


77  Eliodoro.  Empio  panerai  di  Selenio  mandato  a  rapire  i  tesori 
dal  tempio  di  Gerusalemme.  Eutrato  appena  sulla  soglia,  un  angelo 
a  cavallo  gli  fu  sopra  atterrandolo  a  calci. 

~»  Polinestor  ecc.  Polinestor  re  di  Tracia  ebbe  in  custodia  da 
Priamo  durante  l'assedio  di  Troia  il  tulio  Polidoro,  e  suoi  tesori. 
Egli  uccise  questo  figlio  per  impadronirsi  dei  tesori.  Così  il  nome 
di  Polinestor  gira  infame  per  tutto  il  monte  sulla  bocca  dell'anime. 
Dicendosi  tutto  il  monte  si  viene  a  dichiarare  che  le  anime  degli  avari 
occupavano  tutto  il  giro,  e  che  quindi  erano  molte,  indicando  cosi 
quanto  comune  sia  questo  vizio. 

«9  Crasso  ecc.  Generale  romano  avarissimo  e  ricchissimo  Dopo 
spogliato  il  tempio  di  Gerusalemme  andò  contro  i  Parti.  A  Cam 
fu  disfatto.  Trovatone  il  cadavere  gli  fu  tronco  il  capo,  e  tuffatolo 
nell'oro  liquefatto  gli  si  diceva  a  strazio:  Anrum  sitist\y  aurum  bibe. 
Dante  rese  questo  testo  ancora  più  acuto  e  satirico. 

*°  Tutor  parliam  l'un  alto  ecc.  Dante  nella  sua  dimanda  al  Cia- 
petta  disse:  Perchè  sola  —  Tu  queste  degne  lode  rinnovellef  Dun- 
que Dante  credette  che  solo  il  Ciapctta  parlasse:  ma  ciò  era  falso, 
perchè  quel  che  diceva  una  lo  dicevan  tutte,  colla  differenza  che 
talora  una  alzava  la  voce,  e  qualche  altra  no.  Di  qui  il  creder  che 
fosse  sol  una  che  avesse  parlato. 

*f  Secondo  l' affezion  che  ecc.  Appunto  come  avviene  tra  noi  nel 
mondo  dove  chi  prega  più  alto  e  chi  più  basso  secondo  che  il  passo 
della  preghiera  lo  colpisce  più  o  meno.  E  siccome  l'avarìzia  è  tanto 
varia  quanto  sono  vari  gli  oggetti  a  cui  mira  e  di  cui  si  pasce! 
perciò  alcuna  di  quelle  anime  sarà  più  colpita  da  un  esempio,  che 
conoscerà  esser  suo  proprio,  e  alcuna  da  un  altro.  Por  questa  ra- 
gione stessa  della  moltiplicitù  dell'avarizia,  si  pose  qui  una  molti- 
tudine di  esempi  più  che  in  altri  gironi. 


446  PURGATORIO 

Però  al  ben  che  il  di  ci  si  ragiona,  M 
Dianzi  non  er'io  sol;  ma  qui  da  presso 
Non  alzava  la  voce  altra  persona. 

Noi  eravam  partiti  già  da  esso,  ** 
E  brigavam  di  soverchiar  la  strada  8i 
Tanto,  quanto  al  poder  n'  era  permesso  ; 

Quand'io  senti9,  come  cosa  che  cada,  ** 
Tremar  lo  monte  :  onde  mi  prese  un  gelo, 
Qual  prender  suol  colui  che  a  morte  vada. 
13°*   Certo  non  si  scotea  A  forte  Delo  w 

*9  Però  al  ben  ecc.  Perciò  dianzi  quando  tu  mi  t'appressasti,  e 
che  per  noi  si  recitavano  le  lodi  della  povertà  che  si  dicon  di  giorno. 

M  Partiti.  Virgilio  andava  sempre  dietro  a  Dante  ;  ma  qui  cam- 
bia posto  ed  è  Dante  che  va  dietro  a  Virgilio,  come  vedremo.  I 
poeti  girano  per  trovar  la  scala.  È  al  tutto  necessario  tener  d'oc- 
chio ogni  mossa  per  avere  un'idea  esatta  del  loro  cammino  (Vedi 
Tav.  IV  Purg.). 

**  E  brigavam  ecc.  Ci  davamo  fretta  il  più  che  potevamo;  pure 
con  ciò  si  indica  che  andavano  poco  avanti.  Dice  così  perch'essi 
camminavano  per  un  viottolo  stretto!  rasentato  a  sinistra  dal  monte, 
e  a  destra  dalle  prostese  anime  degli  avari;  colle  quali  non  si  for- 
meranno più, 

w  Quand'io  senti',  come  cosa  ecc.  La  ragione  di  questo  tremuoto 
è  detta  distesamente  nel  seguente  Canto  XXL  Intanto  si  sappia 
che  quando  un'anima  ha  compito  il  tempo  assegnato  al  suo  Purga- 
torio, e  si  leva  per  andarsene,  succede  nel  monte  un  tremuoto,  che 
è  come  il  segnale  dato  a  tutte  le  anime  perchè  sappiano  che  una 
di  loro  va  in  Paradiso.  A  quel  segnale  poi  le  anime  di  tutto  il  Pur- 
gatorio lodano  Dio,  come  vedremo.  Vi  ricordate  che  nelP  Inf.  C.  HI, 
v.  130,  abbiamo  veduto  qualche  cosa  di  simile?  Ebbene,  come  il 
tremuoto  che  succede  colà  giù  è  segno  di  anime  che  arrivano  al- 
l'Inferno, cosi  qui  il  tremuoto  è  segno  di  anime  che  partono  dal 
Purgatorio.  Inoltre  il  tremuoto  infernale  era  seguito  da  fierìssimo 
vento,  da  lampi  vermigli  e  spaventosi  e  da  urli  de'  disperati  ;  men- 
tre questo  del  Purgatorio  non  ha  altra  conseguenza  che  le  sante 
grida  di  gioia  che  levano  le  anime  per  tutto  il  monte. 

**  Certo  non  si  scotea  ecc.  L1  isola  di  Delo,  secondo  che  narra 
Virgilio,  soffriva  scosse  tali  da  farsi  fin  natante  per  Tacque.  Questi 


CAXTO  XX.  44T 

Pria  che  Latona  in  lei  £aeese  il  nido 

À  partorir  li  due  occhi  del  cielo. 
Poi  cominciò  da  ratte  parti  un  grido  r 

TaL  che  "1  mastro  in  ver  di  me  a  fco,* 

Dicendo  :  Non  dubbiar  mentr*  io  #ti  guida 
Gloria  in  ezcthh  tatti  Deo.  * 

Dicean,  per  qnel  eh*  io  da  vicin  compresi. 

Onde  intender  lo  grido  si  potea 
Noi  ci  restammo  immobili  e  sospesi,* 
14°-       Come  i  pastor  che  prima  udir  quel  canto,  * 

Fin  che  "1  tremar  cessò,  ed  ei  compièsL 
Poi  ripigliammo  nostro  cammin  santo 

Guardando  l'ombre  che  giaceanper  terra, 

Tornate  già  in  su  Y  usato  pianto.  tt 
Nulla  ignoranza  mai  con  tanta  guerra 

Mi  fé'  desideroso  di  sapere. 

tremuoti  si  arrestarono  quando  ri  si  fermò  Latona   a  partorirvi 
Apollo  e  Diana,  ossia  il  sole  e  la  luna. 

**  Un  grido  —  Taf  ecc.  Un  grido  universale  die  per  quanto 
tanto  e  lieto  egli  sia.  quand*  è  improvviso  e  se  ne  ignora  la  ca- 
gione, come  in  questo  caso,  mette  sempre  l'animo  in  gran  sospen- 
sione. 

**  Invtr  di  me  $i  feo.  Virgilio  ti  rivolse  indietro  a  Dante.,  al 
quale  egli  allora  andava  innanzi  per  guida.  Ecco  la  prova  del  can» 
giamento  di  posto,  che  vedremo  confermato  esplicitamente  il\  XXI. 
▼.  5).  Tenet  e  velo  ben*  a  mente. 

89  G  Ieri  a  ecc.  Inno  cantato  d:igli  Angeli  alla  nascita  del  Reden- 
tore. Le  anime  purganti  lodano  Dio  per  la  liberazione  dì  un'anima, 

*>  Noi  ei  restammo  ecc.  Dante  e  Virgilio,  il  quale  ne  sapea  ancor 
meno  di  Daiite.  Dante  almeno  saprà  l'origine  di  quell'inno.  Im- 
mobili e  sospesi.  Ecco  il  senso  prodotto  da  queste  parole,  una  santa 
sospensione. 

9*  Come  i  pastor  ecc.  1  pastori  di  Betlem  furono  i  primi  a  udir 
queir  inno,  e  neppur  essi  né  sapeano. 

91  Tornate  già  ecc.  Tornate  dal  canto  al  pianto,  e  non  che  ai 
fosser  levate  e  poi  riprostrate. 


448  PURGATORIO 

Se  la  memoria  mia  in  ciò  non  erra,  M 
Quanta  pare'mi  allor,  pensando,  avere  :  " 

Né  per  la  fretta  dimandare  er'oso, 
1B<>.       Né  per  me  lì  potea  cosa  vedere. 95 
Così,  m'andava  timido  e  pensoso. 

&  Se  la  memoria  ecc.  E  proprio  delle  cose  che  ci  sbalordiscono 
lasciarci  poca  memoria  di  sé. 

9*  Quanta  pare'mi  ecc.  Dice  ch'egli  non  ebbe  mai  tanta  curio- 
sita  quanta  n'ebbe  allor  di  sapere  la  cagione  di  quel  tremuoto  e  di 
quelle  grida. 

95  A7è  per  me  H  potea  ecc.  Non  vedendo  comparire  alcuna  novità 
dopo  il  tremuoto  e  le  grida,  ma  restatosi  tutto  nello  stato  di  prima, 
non  potea  darsene  una  spiegazione  :  e  d'  altra  parte  non  avea  ar- 
dire di  chiederne  a  Virgilio  per  la  fretta  che  si  avea.  La  novità 
che  scioglierà  ogni  dubbio  comparirà  nell'altro  Canto. 


CANTO  XXI 


Argomento. 

Mentre  Dante  dubitava  sul  tremuoto  del  Purgatorio,  e  cam- 
minava a  gran  fretta  dietro  a  Virgilioì  e  si  condolea  alia  pena 
degli  ovari,  furono  i  poeti  raggiunti  da  un'ombra.  Questa  saluta 
i  poeti,  e  Virgilio  rende  il  saluto  dichiarando  ch'egli  era  dell'In- 
ferno. L'ombra  crede  <:he  sieno  dell'Inferno  tu4  ti  t  due  %  poeti,  e 
se  ne  maraviglia.  Ma  Virgilio  le  dice  che  V  altro  è  vivo,  e  le 
spiega  com'egli  sia  in  sua  compagnia.  Filato  questo,  Virgilio,  an- 
cora ignoto  a  quell'ombra,  le  dimanda  la  ragione  del  tremuoto  e 
delle  grida.  L'ombra  gliela  dice.  Finita  la  risposta  delV ombra, 
Virgilio  le  dimanda  chi  ella  sia,  e  questa  gli  risponde  essere  Sta- 
zio poeta,  dichiarando  d'essersi  ispirato  all'Eneide  di  Virgilio,  e 
che  per  conoscer  Virgilio  torrebbe  di  sture  ancora  al  Purgatorio 
qualche  tempo.  A  questo  punto  Virgilio  sogguarda  a  Dante,  e  Dante 
sorride.  L'ombra  allora  s'accorge  di  qualche  novità,  e  la  chiede 
a  Dante.  Dante  non  sa  che  si  fare;  ma  Virgilio  gli  dice  che  ri- 
sponda il  vero:  perciò  Dante  dice  a  Stasio  che  appunto  la  sua 
guida  è  il  Virgilio  tanto  da  lui  ammirato  e  desiderato.  Stazio 
allora  per  un  trasporto  d'amore  vuole  abbracciar  i  piedi  di  Vir- 
gilio, ma  Virgilio  noi  consente. 


NB.  Vedi  tutti  i  casetlini  di  questo  Canto  nella  Tirili  Purg.,t  la  Tar.  IV  Pur§. 

La  sete  naturai,  che  mai  non  sazia  1 

Se  non  con  l'acqua,  onde  la  femminetta  * 

*  La  sete  naturai.  È  il  desiderio  innato  di  sapere  e  di  intendere.  — 
Che  mai  non  sazia.  Che  mai  non  si  sazia. 

3  Se  non  con  V acqua,  onde  ecc.  Se  non  colla  visione  beatifica  di 
Dio  in  cielo  che  si  acquista  mediante  la  grazia  divina  in  questo 
mondo,  grazia  che  dimandò  la  donna  Samaritana  a  G.  C,  dicen- 
dogli: Da  mihi  hane  aquam,  cioè  queir  acqua  della  quale  G.  C.  le 

29 


450  PURGATORIO 

Samaritana  dimandò  la  grazia, 
Mi  travagliava,  e  punge'mi  la  fretta 
Per  la  impacciata  via  retro  al  mio  duca, f 
E  condole'mi  alla  giusta  vendetta.  4 
Ed  ecco,  sì  come  ne  scrive  Luca,  * 

Che  Cristo  apparve  a' duo,  ch'erano  in  via, 
Già  surto  fuor  della  sepulcral  buca, 
10-     Ci  apparve  un'ombra  (e  dietro  a  noi  venia  * 

ayea  detto  prima:  Qui  biberit  ex  aqua  hac  non  axtiet  in  aeternum. 
Solo  m  cielo  sarà  sazio  ogni  nostro  desiderio,  e  a  questo  cielo  si 
va  coll'acqua  chiesta  dalla  Samaritana. 

1  Per  la  impacciata  via.  Le  ombre  distese  occupavano  quasi  tutta 
la  strada  meno  una  stretta  viuzza  verso  il  monte:  perciò  si  dice  via 
impacciata.  —  Retro  al  mio  Duca.  Dante  è  secondo;  tenetelo  bene 
a  mente,  e  vedetelo  nella  Tav.  IV. 

*  E  condole'mi  ecc.  Guardando  gli  appenati,  cioè  i  puniti  dalla 
giustizia  di  Dio,  n'aveva  dolore  esso  pure,  purgando  cosi  quel  qua- 
lunque attacco  alla  terra  che  Dante  avesse  potuto  avere,  sebbene 
questo  non  fosse  stato  il  peccato  dì  che  Dante  dovesse  temere. 

B  Sì  come  ne  scrive  Luca.  E  noto  il  fatto  de'due  discepoli  (S.  Luca, 
C.  aXXÌIV)  che  dopo  la  risurrezione  di  G.  C.  da  loro  ancora  igno- 
rata, andavano  al  castello  di  Emmaus,  e  che  furono  raggiunti  per 
istrada  da  G.  C.  sotto  forma  di  viaggiatore. 

Da  tutta  la  storia  sacra  e  profana  non  si  poteva  scegliere  un 
fatto  più  proprio  al  presente  caso. 

6  E  dietro  a  noi  venia  —  Dappiè  guardando  ecc.  Nessuno,  che 
io  mi  sappia,  ha  inteso  questo  passo,  anzi  tutti  V  hanno  inteso  a 
rovescio.  Hanno  inteso  che  l' ombra  sopraggiunta  fosse  quella  che 
dietro  ai  poeti  venia  guardando  a* pie  la  turbi  che  giace.  Invece 
il  caso  è  tutto  contrario.  Non  era  la  nuova  ombra  quella  che  guar- 
dasse la  turba  prostesa,  erti  all'  incontro  la  turba  prost  !sa  quella 
che  guardava  la  nuova  ombra.  Sicché  i  commentatori  hanno  rove- 
sciato tutto;  quello  che  era  soggetto  o  nominativo  (la  turba)  Io 
hanno  fatto  oggetto  o  accusativo,  e  non  si  accorsero  che  il  loro 
senso  era  impossibile,  e  di  più  veniva  a  distruggere  il  bellissimo 
senso  del  poeta. 

Dissi  prima  che  il  senso  dei  commentatori  è  impossibile.  Infatti 
come  potea  saper  Dante  e  dire  che  un'ombra  di  cui  i  poeti  non  se 


CANTO  XXL  461 

Dappiè  guardando  la  turba  che  giace); 

n'erano  ancora  accorti,  si  guardava  dietro  ai  poeti  dappiè  la  turba 
che  giace?  Sarebbe  questa  un*  aperta  contraddizione.  I  poeti  non 
hanno  ancora  veduto  quest'ombra,  eppure  hanno  veduto  ch'ella 
guardavasi  a' pie  i  prostesi.  Ritum  teneatis,  amici!  Ciò  non  può 
venir  in  mente  a  nessuno  che  abbia  fW  di  senno  in  capo.  Dissi 
in  secondo  luogo  che  quel  senso  travolto  dai  commentatori  distrugge 
il  bellissimo  senso  del  poeta.  Il  poeta  vuol  dire  in  questo  verso  e 
meno  cinque  cose:  1.*  com'erano  allogate  le  ombre,  le  une  rispetto 
alle  altre  ;  2.*  che  cosa  facessero  in  sulTappressarai  dell'ombra  nuova; 
3.»  per  qual  ragione  facessero  cosi;  4.»  che  cosa  facessero  i  due 
poeti  mentre  andavano  a  gran  fretta  pel  loro  viottolo  tra  l'ombre 
e  il  monte;  5.*  come  i  poeti  sospettarono  già  di  qualche  novità  dal 
contegno  dell'ombre  prostese.  Tutte  queste  cinque  cose  sono  com- 
prese in  questo  verso  e  mezzo.  Vediamolo. 

l.a  Ci  dice  com'erano  allogate  le  ombre  le  une  rispetto  alle  altre. 
Infatti  esse  guardavano  dietro  ai  poeti,  non  inninzi  a  loro,  e  guar- 
davano dappiè,  cioè  dalla  parte  dei  piedi  di  esse  ombre,  e  non  dalla 
parte  onde  avevano  il  capo.  Ebbene  con  questo  Dante  viene  a  dire 
precisamente  la  loro  rispettiva  collocazione,  la  quale  il  poeta  non 
ci  aveva  ancor  detto.  Ci  aveva  detto  bensì  che  erano  tutte  boc- 
coni e  distese  per  terra,  ma  gli  restava  a  dire  da  qual  parte  aves- 
sero il  capo  o  le  gambe,  ossia  se  Dante  girando  quella  cornice 
trovasse  prima  la  testa  e  poi  i  piedi  delle  prostese,  ovvero  trovasse 
invece  tutto  il  contrario,  cioè  prima  i  loro  pie,  e  poi  la  testa 
Dice  adunque  Dante  che  appunto  prima  trovava  i  loro  pie,  e  poi 
la  loro  testa,  perch'  esse  si  guardavano  indietro  verso  la  parte  dei 
piedi,  e  cosi  venivano  a  guardare  dietro  alla  strada  già  percorsa 
dai  poeti,  e  verso  quella  parte  dove  Dante  avea  parlato  con  Cia- 
pelta,  dove  Dante  avea  parlato  con  papa  Adriano  V,  e  dove  ap- 
punto c'era  la  scala  nella  giusta  metà  del  monte  che  prospetta  oriente. 
Vedi  qui  a  maggior  chiarezza  il  mio  Disegno  Tav.  IV,  Cornice  V 
degli  avari.  Da  tutto  questo  è  chiaro  che  non  è  indifferente  nel  Di- 
segno del  monte  collocar  le  anime  volte  o  da  una  parte  o  dtll'altra 
a  nostro  arbitrio,  ma  bisogna  collocarle  precisamente  come  vuol 
Dante,  altrimenti  non  si  potrà  conoscere  o  spiegar  questo  passo, 
come  non  l'hanno  conosciuto,  e  perciò  l' hanno  spiegato  a  rovescio 
i  commentatori,  i  disegni  dei  quali,  se  pur  ne  hanno,  sono  tutti  sba- 
gliati. 

2.t  Ci  dice  che  cosa  facessero  le  ombre  cosi  prostese  in  sull'ap- 
pressarsi  dell'ombra  nuova.  Esse  torcendo  la  testa  si  guardavano 


452  PURGATORIO 

Né  ci  addemmo  di  lei,  si  parlò  pria, 

verso  i  loro  piò,  e  precisamente  alla  via  dietro  Dante,  ossia  percorsa 
da  Dante.  Notate  bene  eh*  io  dissi,  torcendo  la  testa,  perchè  una 
persona  cosi  tutta  prostesa,  se  vuol  guardarsi  dietro  ad  essa  verso 
i  suoi  pie,  dee  volgere  e  torcere  alquanto  il  capo  con  qualche  sfòrzo. 
Aiutati  col  mio  Disegno  Tav.  IV. 

3.t  Ci  dice  per  qual  ragione  guardassero  le  ombre  verso  quella 
parte  dei  loro  pie  e  della  via  percorsa  dai  poeti,  perchè  cioè  da 
quella  parte  appunto  dovea  spuntare  o  venire  un'anima  libera  ormai 
dalla  pena  del  Purgatorio,  quell'anima,  in  grazia  della  quale  avea 
testé  tremato  il  monte,  ed  aveano  gridato  le  anime  tut  te  :  Gloria 
in  excelsis.  Quest'anime  prostese  stavano  dunque  cosi  in  sull'avviso 
di  vederla  spuntare,  ed  è  nobilissimo,  e  naturalissimo  sentimento  di 
quelle  anime  di  conoscere  una  loro  compagna  si  fortunata.  E  questa 
anima  già  purgata  dovea  pur  venire  da  quella  parte,  perchè  da 
quella  parte,  come  vedesi  nel  mio  Disegno  ci  avea  la  scala,  che  mette 
il  V  girone  degli  avari  in  comunic Azione  coi  gironi  di  sotto,  e  per 
passare  all'altra  scala  che  sale  dal  V  al  Vi  girone,  bisognava  pro- 
prio prendere  la  stessa  via  presa  dai  poeti,  e  che  venne  loro  indi- 
cata al  principio  del  girone  da  papa  Adriano  in  quella  terzina  del 
Canto  XIX  :  Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri,  —  E  volete  trovar 
la  via  più  tosto,  —  Le  vostre  destre  sieri  sempre  di  furi.  E  poi 
chiaro  che  l'anima  la  quale  anela  di  andar  presto  al  Paradiso,  non 
prenda  la  via  più  lunga,  ma  la  più  corta. 

4.a  Ci  dice  che  cosa  fecero  i  due  poeti,  mentre  andavano  a  gran 
fretta  tra  l'ombre  e  il  monte  pel  loro  viottolo.  Essi  camminavano 
e  guardavano  la  turba,  che  giace,  e  così  poterono  vedere  che  tutta 
quella  turba  avea  levato  un  po'  il  capo,  e  tortolo  indietro.  Se  i 
poeti  non  avessero  ciò  osservato,  Dante  non  l'avrebbe  potuto  de- 
scrivere. 

5.a  Questo  verso  e  mezzo  ci  dice  finalmente  che  i  poeti,  ve- 
dendo quella  turba  giacente  bocconi  torcerai  cosi  indietro  e  guardare, 
dovettero  necessariamente  maravigliarsi  di  quella  novità,  la  quale 
sapeano  che  non  era  fatta  per  essi,  ina  per  altra  cosa  che  i  poeti 
allor  non  sapeano  né  potea  no  immaginare.  Ora  i  commentatori,  in- 
tendendo a  rovescio,  tolsero  dal  Canto  una  scena  sì  bella  e  si  na- 
turale, ed  introdussero  un  senso  vuoto  e  contradditorio.  Se  un 
pittore  avesse  voluto  dipingere  la  scena  di  questo  verso  e  mezzo 
dietro  la  scorta  dei  commentatori,  gli  sarebbe  riuscita  una  copia 
tutta  diversa,  anzi  contraria  all'originale.  Eppure  l'originale  e  una 
delle  più  care  cose  che  siano  giammai  uscite  da  umana  fantasia. 


CANTO  XXI.  453 

Dicendo  :  Frati  miei,  Dio  vi  dea  pace.  7 
Noi  ci  volgemmo  subito,  e  Virgilio8 
Bendò  lui  1  cenno  che  a  ciò  si  conface.  9 

Da  tutto  questo  potete  anche  conchiudere  che  quando  Dante 
disse:  Ci  apparve  un'ombra,  intese  dire  :  Ci  apparve  dopo  le  spalle, 
e  senza  che  noi  sapessimo  di  averla  dopo  le  spalle,  non  essendoci 
noi  accorti  di  lei  se  non  quando  già  ci  era  vicina  e  ci  parlò,  che 
è  il  eì  parlò  pria,  ossia  sinché  parlò  pria. 

Noto  finalmente  per  la  punteggiatura,  che  quel  verso  e  mezzo 
che  riguarda  l' atteggio  delle  anime,  va  chiuso  fra  parentesi,  come 
lo  vedete  nel  mio  testo.  Questa  graziosissima  scena  ebbe  luogo 
ttutto  esaminato)  tra  il  fine  della  facciata  di  est  ed  il  principio 
della  facciata  di  nord,  giacché  dopo  l 'abboccamento  dei  poeti  con 
quest'ombra  ci  troviamo  alla  scala  della  facci  .ita  di  nord.  (Vedi  il 
mio  Disegno  Tav.  IV  e  V,  Cornice  V). 

?  Frati  miei,  Dio  vi  dea  pace.  Li  prende  per  anime  che  vadano 
al  cielo  come  lui.  Lo  potea  anche  credere,  perchè  potea  credere 
che  il  tremuoto  e  le  grida  avvenute  pochi  istanti  prima  non  fos- 
sero per  lui  solo,  ma  anche  per  quelli  due  Virgilio  e  Dante.  Questo 
sbaglio  farà  presto  un  bellissime  contrasto  coll'altro  sbaglio  di  cre- 
derli due  dell'Inferno.  Questi  due  sbagli  sono  naturalissimi.  Il  dif- 
ficile era  combinarli  in  modo  che  fossero  naturalissimi.  Notate  che 
quando  quest'ombra  parlò  ai  poeti  non  vedea  che  le  loro  terga  :  Se 
avesse  veduto  lo  spirar  di  Dante  non  avrebbe  parlato  cosi,  ma 
avrebbe  conosciuto  che  Dante  era  vivo.  Di  rasai  :  Ma  non  sentiva 
il  calpestio  dei  piedi  che  dovea  far  Dante,  e  da  questo  segno  co- 
noscere ch'egli  non  er  a  un'ombra  ?  Rispondo  che  il  mormorio  delle 
preghiere  degli  avari  le  impediva  di  potersi  accorger  di  questo. 
Osservo  finalmente  che  questo  saluto  è  quello  che  era  solito  dar 
G.  C.  af  suoi  discepoli. 

8  Noi  ci  volgemmo  subito.  Se  i  poeti  si  volsero  solo  adesso,  dun- 
que è  contradditorio  il  dirsi  dai  commentatori  nella  terzina  antece- 
dente, che  essi  videro  l'ombra  che  venia  guardando  la  turba  che 
giace,  ed  è  vero  quanto  dicemmo  nella  n.  6.  Notate  che  il  ci  vol- 
gemmo indica  qui  due  cose  :  l.a  il  volgersi  della  loro  faccia  all'om- 
bra, 2.»  il  volgersi  di  sito,  venendo  Virgilio  al  di  qua  di  Dante, 
secondo  che  gli  troviamo  appresso,  dovendo  esso  Virgilio  discorrer 
colTombra. 

9  Rendè  lui  ecc.  Questo  dovette  esser  un  semplice  inchino,  per- 
chè non  fu  che  un  cenno,  od  un  gesto.  Le  parole  vengono  poi. 


454  PURGATORIO 

Poi  cominciò  :  Nel  beato  concilio  l0 
Ti  ponga  in  pace  la  verace  corte,  u 
Che  me  rilega  nell'eterno  esilio.  " 

Come  !  diss'egli  (e  parte  andavam  forte)  " 

*0  Poi  cominciò  ecc.  Questo  poi  è  il  correlativo  del  pria  detto 
innanzi,  il  quale  pria  sembrava  starsi  da  sé  solo.  —  Nel  beato 
concilio  —  Ti  ponga  ecc.  Da  queste  parole  non  si  creda  che  Vir- 
gilio avesse  già  conosciuto,  che  quell'anima,  finita  la  sua  pena,  se 
ne  andasse  dritta  al  cielo.  E  nn  felice  angario  che  potea  fare  a 
qualunque  altra  anima  del  Purgatorio.  Virgilio  con  queste  parole 
ricambia  precisamente  lo  stesso  saluto  ricevuto  prima  dall'ombra, 
alla  quale  avea  risposto  prima  con  solo  cenno  o  gesto. 

*<  Verace  corte  ecc.  Il  Paradiso.  Quando  Dante  usa  il  termine 
verace  intende  sempre  con  esso  l'ultimo  grado  di  perfezione. 

i*  Che  me  rilega  ecc.  Rettifica  lo  sbaglio  della  nuova  ombra,  di- 
cendo di  sé  che  era  un'anima  bandita  dal  cielo.  Queste  parole  danno 
occasione  ad  un  secondo  inganno  dell'ombra,  passando  essa  a  cre- 
dere di  que'  due  tutto  l'opposto  di  prima.  Prima  li  ha  tolti  per 
eletti,  ora  li  toglie  per  presciti,  ritenendo  che  il  compagno  di  Vir- 
gilio sia  della  slessa  sua  condizione.  Ma  come  mai  l'ombra  potè 
prendere  quest'abbaglio?  Lo  vedremo  alla  n.  13. 

**  Come  !  disi  egli  ecc.  A  intender  bene  tutta  la  scena  di  questo 
atto  notiamone  tutti  i  movimenti,  avendo  sempre  dinanzi  agli  occhi  il 
luogo  strettissimo  dove  siamo,  e  perciò  vi  consiglio  ad  osservar  bene 
il  mio  Disegno  Tav.  IV,  Cornice  V. 

Vedrete  1.°  Che  nel  viottolo  andavano  prima  soli  i  due  poeti, 
Virgilio  innanzi  e  Dante  dietro,  mentre  le  anime  prostese  guarda- 
vano indietro  ad  un'ombra  che  dovea  venire,  senza  che  i  poeti  sa- 
pessero perchè  'quest'ombre  cosi  guardassero. 

2.°  Che  l' ombra  a  qualche  distanza  vide  li  due  poeti  a  lei 
sconosciuti,  e,  camminando  sempre  forte,  quasi  li  raggiunse,  ed  a 
poca  distanza  da  essi  li  salutò,  credendoli  anime  elette. 

3.°  Li  due  poeti  a  questo  saluto  si  fermano,  e  con  loro  sor- 
presa si  veggono  poco  lontuna  un'anima  che  viene  dietro  ad  essi: 
e  allora  Virgilio  si  ritira  al  di  qua  di  Dante,  in  modo  che  Virgilio 
resta  in  mezzo  tra  Dante  e  l'ombra,  e  in  questo  stesso  momento 
fa  un  cenno  di  riverenza,  e  poi  subito  restituisce  a  parole  il  saluto, 
e  manifesta  ch'egli  non  è  degli  eletti. 

4.°  Mentre  Virgilio  cosi  risponde,  l'ombra  compie  il  po'  di  tratto 


CANTO  XXI.  455 

*°-        Se  voi  siete  ombre  che  Dio  su  non  degni,  u 

Chi  v'ha  per  la  sua  scala  tanto  scorte?  " 

E  il  dottor  mio:  Se  tu  riguardi  i  segni,4* 

Che  questi  porta,  e  che  l'angel  proffila,  47 

Ben  vedrai  che  co'buon  convien  chV  regni.18 


di  strada,  che  la  divideva  dai  poeti,  e  continua  il  suo  frettoloso 
cammino  trapassandoli,  e  cosi  viene  a  trovarsi  in  un  tratto  cam- 
biata la  scena  in  questo  modo  :  l'ombra  nuova  dinanzi,  Virgilio  dopo 
l'ombra,  e  Dante  dopo  Virgilio,  e  in  questo  medesimo  punto  di 
istantanea  traslocazione  intende  o  crede  intendere  che  entrambi  non 
sono  anime  elette,  e  ne  fa  le  maraviglie  andando  sempre  a  gran 
passi,  ed  i  poeti,  pure  a  gran  passi,  dietro.  La  velocità  con  che  si 
compiono  tutti  questi  movimenti,  e  il  desiderio  di  giunger  presto 
alla  sua  beatitudine  fé*  si  che  non  adocchiò  sottilmente  li  due  poeti. 
Se  l'ombra  avesse  guardato  bene  l'uno  e  l'altro  si  sarebbe  accorta 
che  Dante  era  ben  diverso  da  Virgilio,  cioò  vivo  e  spirante,  e  con 
alcuni  P  nella  fronte,  il  che  è  segno  di  anima  eletta.  —  E  parte 
andavam  forte.  E  intanto  tutti  e  tre  andavamo  forte.  Chi  ha  letto 
tutta  questa  nota  13  comprende  subito  che  il  testo  genuino  no  n 
può  esser  che  questo.  Andando  forte  l'ombra  sopraggiunta,  doveano 
andar  forte  anche  i  poeti. 

u  Se  voi  siete  ombre  ecc.  Queste  parole  di  maraviglia  sono  dette 
dall'ombra  già  passata  innanzi  ai  poeti,  e  andante  a  gran  passi  coi 
poeti  correnti  dietro  ad  essa. 

u  Per  la  sua  scala.  Questa  del  Purgatorio.  —  Tanto  scorie. 
Fino  a  questo  punto  che  è  presso  al  fine  del  Purgatorio,  essendo 
noi  già  all'altezza  di  miglia  94  5/8,  e  non  rimanendo  per  giungere 
alla  cima  che  3/8  di  miglio. 

*<*  Se  tu  riguardi.  Dice  riguardi,  ossia  retroguardi,  perchè,  come 
dicemmo,  l'ombra  era  avanti  di  tutti,  e  ultimo  era  Dante,  andando 
tutti  e  tre  un  dietro  all'altro  per  ragion  della  strada  si  stretta.  — 
/  segni.  Li  P  che  rimangono  ancora  sulla  fronte  di  Dante.  Di  7  che 
ne  avea,  4  erano  già  cancellati  nei  4  giri  di  sotto.  Ne  rimanevano 
dunque  ancora  3. 

*i  Che  VAng  ti  proffila.  Appiana  all'eguaglianza  della  fronte.  Que- 
sto si  fa  da  un  angelo  prima  di  monti r  ogni  scala. 

*8  Ben  vedrai  ecc.  Vedrai  che  il  mio  compagno  non  è  qua!  io. 
Egli  è  un  eletto  al  cielo,  e  questi  P  ne  sono  il  segno. 


456  PURGATORIO 

Ma  po'  colei  che  di  e  notte  fila,  10 
Non  gli  avea  tratta  ancora  la  conocchia, 
Che  Cloto  impone  a  ciascuno  e  compila, 
L'anima  sua,  eh' è  tua  e  mia  s  ir  occhia,20 
Venendo  su  non  potè  a  venir  sola,  1! 
30-         Però  ch'ai  nostro  modo  non  adocchia  :  ** 


*9  Ma  po\  Ma  poiché.  Vedete  qui  un'  olissi  simile  al  sì  parlò 
del  v.  12.  Il  si  stava  per  sinché^  e  questo  pò1  sta  per  poiché.  Al 
sì  mancava  la  n  del  sin;  e  al  po'  manca  la  t  del  poiì  oltre  il  che, 
che  manca  e  si  sottintende  ad  entrambi.  —  Colei  che  di  e  notte 
fila.  Le  favole  inventarono  che  la  vita  dell'uomo  fosse  in  mano  di 
tre  parche:  Cloto,  Lachesi  ed  Atropo.  Cloto  imponeva  e  raggirava 
intorno  alla  rocca  lo  stame  della  vita.  Ecco  l'impone  a  ciascuno  e 
compila.  Lachesi  filava  di  e  notte  quello  stame,  e  fin  che  c'era  da 
filare,  s'intendeva  che  l'uomo  di  cui  era  quello  stame  continuava 
a  vivere.  Finalmente  Atropo,  quando  lo  stame  appartenente  alla 
vita  del  tale  era  finito,  tagliava  il  filo,  e  l'uomo  allora  dovea  mo- 
rire. Colei  dunque  che  dì  e  notte  fila  è  la  parca  Lachesi,  e  questa 
non  avea  tratto  ancora  tutto  lo  stame  della  conocchia  appartenente 
alla  vita  di  Dante,  e  quindi  si  vuol  dire  che  Dante  era  ancor  vivo. 
Per  questo  qui  non  si  parla  della  terza  ed  ultima  parca,  la  quale 
con  uno,  che  dee  ancor  vivere,  non  ha  che  fare. 

*>  Tua  e  mia  sirocchia.  Ogni  anima  in  quanto  alla  creazione  è 
uguale,  ossia  l'una  sorella  dell'altra,  perchè  ognuna  è  figlia  d'uno 
stesso  padre. 

21  Non  potea  venir  sola.  Non  pò  tea  venir  senza  una  guida. 

ss  Però  ch'ai  nostro  ecc.  Dice  che  Dante  non  adocchia  al  modo 
dell'ombre,  che  non  hanno  vero  corpo  ;  ma  non  vuol  dire  il  solo 
adocchiare  :  dice  l'aziono  di  un  senso  principale  intendendole  tutte. 
Sicché  si  dice  adocchia,  per  opera  in  generale  con  qualunque  degli 
altri  sensi,  ossia  non  vede,  non  ode,  non  gestisce,  non  odora,  non 
sente  al  modo  di  noi  che  non  abbiamo  quel  corpo,  e  che  perciò  ab- 
biamo altri  modi  di  operare.  Dante  per  avere  anche  il  corpo  era 
perciò  soggetto  a  quelle  passioni  e  fiacchezze,  alle  quali  non  anda- 
vano soggette  le  anime  senza  corpo;  e  per  quelle  sue  passioni  e 
fiacchezze  bisognava  per  venir  su  che  avesse  un  aiuto  nella  mia 
guida.  Noi  abbiam  già  veduto  infatti  quanti  aiuti  e  conforti  diede 
Virgilio  a  Dante  in  tutto  questo  viaggio. 


CANTO  XXI.  457 

Ond'  io  fui  tratto  fuor  dell'ampia  gola  n 
D'Inferno  per  mostrarli,  e  mostrerolli  '* 
Oltre,  quanto  il  potrà  menar  mia  scuola,35 

Ma  dinne,  se  tu  sai,  perchè  tai  crolli  * 
Die  dianzi  il  monte,  e  perchè  tutti  ad  una  r 
Parver  gridare  infino  a'  suoi  pie   molli  ?  ** 

Sì  mi  die  dimandando  per  la  cruna  * 

Del  mio  disio,  che  pur  con  la  speranza  *° 
Si  fece  la  mia  sete  men  digiuna. 31 

2»  Dell'ampia  gola  d'Inferno.  Dice  ampia  gola  d'Inferno  perchè 
il  luogo  dove  stava  rilegato  Virgilio  (il  castello  dei  savi  al  Limbo) 
era  nel  primo  cerchio  d'Inferno  cbe  è  il  maggiore  di  tutti  i  cerchi 
inferiori,  ed  è  come  gli  avesse  detto  :  io  sono  al  Limbo.  Noi  abbiamo 
notato  nella  Tavola  II  dell" Inferno  che  la  circonferenza  di  questo 
cerchio  era  di  miglia  209. 

2*  Per  mostrarli.  Questo  prova  che  gli  ordini  precisi  di  Beatrice, 
che  solo  in  termini  generali  si  dicono  nel  secondo  Canto  dell'  In- 
ferno, furono  questi  di  condur  Dante  pei  luoghi  dell'altro  mondo 
come  luoghi  atti  ad  emendarlo. 

2*  Oltre  quanto  ecc.  Essendo  limitata  la  Ragione  rappresentata 
in  Virgilio,  perciò  non  a  tutto  il  viaggio  Virgilio  sarà  buono. 

&  Se  tu  sai.  Di  grazia. 

37  Tutti  ad  una.  Tutti  gli  spiriti  concordemente. 

28  Infino  a'  suoi  pie  molli.  Fino  alle  radici  del  monte  che  pescano 
in  mare. 

29  Cruna.  Forellino  dell'ago  per  cui  passa  il  filo.  Per  dire  che 
Virgilio  ha  colto  precisamente  nel  desiderio  di  Dante,  si  prende  la 
similitudine  del  sartore,  che  colla  punta  del  suo  filo  coglie  nella  cruna. 
E  modo  tutto  Dantesco. 

30  Che  pur  con  la  speranza  ecc.  Che  con  la  sola  speranza.  S'in- 
tende colla  sola  speranza  che  già  si  sarebbe  soddisfatto  al  mio  de- 
siderio di  saper  la  cagion  del  tremuoto  e  delle  grida. 

31  La  mia  sete  men  digiuna.  Questo  è  proprio  conoscere  i  più 
sottili,  e  quasi  impercettibili  moti  del  cuore.  E  un  fatto  che  quando 
noi,  od  altri  per  noi,  a  persona  proba  e  capace  facciamo  dimanda 
di  spiegazione  di  un  dubbio  che  fortemente  ci  agita,  ci  sentiamo 
come  sollevati  prima  ancora  ch'ella  ci  risponda,  per  la  speranza  che 
presto  saremo  appagati. 


458  PURGATORIO 

4°-     Quei  cominciò:  Cosa  non  è  che  ganza n 
Ordine  senta  la  religione 
Della  montagna,  o  che  sia  fuor  d'usanza. 
Libero  è  qui  da  ogni  alterazione:  *8 
Di  quel  che  il  cielo  in   sé  da  sé  riceve  u 
Esserci  puote,  e  non  d'altro,  cagione. 

W  Cosa  non  è  che  èanza  —  Ordine  ecc.  Ogni  cosa  che  qui  av- 
viene o  che  sente  la  religiosa  montagna  (la  religione  della  mon- 
tagna) è  mossa  da  un  ordine  superiore  e  divino,  ed  è  un  uso  che 
qui  tutti  sanno.  Con  questo  si  dice  abbastanza  che  il  tremuoto  di 
quel  monte  non  fu  originato  da  quelle  cause  fisiche  dalle  quali  sono 
mossi  quelli  del  nostro  mondo  ;  e  si  dice  abbastanza,  che  gli  abita- 
tori del  Purgatorio  conoscono  l'uso  a  che  servono  quei  tremuoti, 
cioè  ad  indicare  la  liberazione  di  un'anima,  come  meglio  si  spie* 
gherà  appresso,  e  che  appunto  perchè  si  sa  a  qual  uso  essi  tremuoti 
son  destinati,  gridano  le  anime  il  Gloria  in  excelsit  Deo,  esprimendo 
cosi  la  gioia  che  tutti  sentono  pel  bene  dei  loro  fratelli. 

>3  Libero  è  qui  ecc.  Il  Vero  Purgatorio  che  sorge  sopra  l'Atrio 
cominciando  alla  porta  d'ingresso  dove  abbiam  veduto  seder  V an- 
gele confessore  (osaerva  qui  l'Atrio  ed  il  Vero  Purgatorio,  ossia 
Tav.  U  e  Tav.  IV)  è  libero  da  ogni  fisica  alterazione.  A  meglio 
inteuder  ciò  sappiasi  che  gli  antichi  distinguevano  tre  regioni  sulla 
terra,  o  riferenti  si  alla  terra,  sotto  la  sfera  del  fuoco  sublunare  :  la 
prima  e  la  più  bassa  è  la  regione  terrestre  deve  si  formano  i  tre- 
muoti, e  le  evaporazioni  alla  superficie  sino  a  certa  altezza:  la  se- 
conda sopra  questa  è  la  regione  dove  si  formano  i  fulmini,  i  tuoni, 
i  lampi,  la  pioggia,  la  grandine;  e  questa,  secondo  sempre  gli  an- 
tichi, arriva  a  92  miglia  dal  livello  marino;  la  terzi  regione  sopra 
la  seconda,  è  la  purissima  ed  esente  da  ogni  alterazione.  In  questa 
terza  è  collocato,  ovvero  ha  il  suo  principio  il  Vero  Purgatorio  per 
il  tratto  di  3  miglia  di  altezza,  dove  quanto  più  si  ascende  e  tanto 
la  regione  si  fa  più  pura,  sinché  sulla  cima  si  ha  il  massimo  grado 
di  purezza,  dove  appunto  il  poeta  ha  collocato  il  Paradiso  terre- 
stre, del  quale  discorreremo  più  a  lungo  quando  ci  saremo.  Alquanto 
più  alto  di  questa  terza  regione  l'uomo  naturalmente  non  potrebbe 
più  respirare,  senza  un  miracolo  di  Dio,  qual  fu  concesso  a  Dante. 

si  Di  quel  che  il  cielo  ecc.  Costruisci  e  intendi  cosi:  Quindi  nel 
Vero  Purgatorio  non  da  altro  ci  puote  essere  o  venir  cagione  di 
■Iterazione  che  da  quello  che  il  cielo  da  sé  riceve  in  sé  stesso,  cioè 


CANTO  XXI.  459 

Perchè  non  pioggia,  non  grondo,  non  neve,  n 
Non  rugiada,  non  brina  più  su  cade, 
Che  la  scaletta  de'  tre  gradi  breve.  M 

Nuvole  spesse  non  paion,  né  rade, 
*°-        Né  corruscar,  né  figlia  di  Taumante, v 
Che  di  là  cangia  sovente  contrade.  * 

Secco  vapor  non  surge  più  avante  w 
Ch'ai  sommo  de9  tre  gradi  ch'io  parlai, 
Ov'ha  il  Vicario  di  Pietro  le  piante.  *• 

Trema  forse  più  giù  poco  od  assai  ; 41 

dalle  sfere  Celesti  e  dai  loro  motori  che  sono  le  intelligenze  ange- 
liche, le  quali  danno  alle  sfere  le  proprietà  della  loro  natura,  e  quindi 
è  Io  stesso  che  dire,  che  le  alterazioni  del  Vero  Purgatorio  sono 
mosse  dai  motori  dei  cicli,  e  dai  loro  cieli. 

W  Perchè  non  pioggia  ecc.  Vedi  nota  38.  Queste  meteore  vanno 
al  più  sino  al  primo  grado  della  scaletta.  (Vedi  il  Disegno  Tav.  IV). 

*6  Nuvole  spesse..  Quindi  quella  nuvola  di  folta  nebbia  che  noi 
abbiamo  veduto  avvolgere  gli  irosi  nella  III  Cornice  non  era  effetto 
fisico. 

Ji  Figlia  di  Taumante.  L'Iride.  Iride  messaggera  di  Giunone 
era  figlia  di  Taumante. 

**  Che  di  là  cangia  ecc.  Perchè  è  sempre  in  opposizione  al  sole  ; 
quindi  ora  si  vede  in  oriente,  ora  in  occidente. 

M  Secco  vapor.  Il  fuoco  ed  i  fulmini,  che  s' innalzano  bensì  sopra 
la  pioggia,  la  grandine  ecc.  dette  di  sopra,  ma  non  arrivano  che 
fino  al  sommo  dei  3  gradi  della  porta  del  Vero  Purgatorio  (Vedi 
Tav.  IV). 

M  II  Vicario  di  Pietro.  L'angelo  confessore  (Vedi  C.  IX,  n.  63). 

ài  Trema  forse  ecc.  Dice  forse,  perchè  (parlo  sempre  secondo  gli 
antichi)  quantunque  l'Atrio  sia  nella  regione,  nella  quale  sono  tutte 
la  altre  terre,  e  gli  altri  monti  più  elevati  del  nostro  emisfero,  e 
quindi  possa  andar  soggetto  alle  stesse  alterazioni  ed  agli  stessi 
tremuoti,  pure,  per  esser  molto  più  alto  di  tutti,  e  per  esser  posto 
nell'altro  emisfero,  e  come  in  un  altro  mondo,  e  per  esser  destinato 
a  sostanze  ultramondiali,  potrebbe  esser  che  poco  o  molto  più  giù 
dei  tre  gradi  Dio  l'avesse  fatto  esente  da  tali  vicende.  Da  ciò  si 
vede  che  il  tremuoto  è  bensì  un  segno  della  liberazione  dell'  anime 
che  dal  Vero  Purgatorio  vanno  al  cielo;  ma  non  è  il  segno  della 


460  PURGATORIO 

• 

Ma,  per  vento  che  in  terra  si  nasconda,  " 
Non  so  come,  quassù  non  tremò  mai  :  ** 
Tremaci  quando  alcuna  anima  monda  u 
Si  sente  si,  che  surga,  o  che  si  muova  ** 
*°.        Per  salir  su,  e  tal  grido  seconda. 
Della  mondizia  il  sol  voler  fa  pruova,  ** 
Che,  tutto  libero  a  mutar  convento, 
L'alma  sorprende,  e  di  voler  le  giova. 

liberazione  dell'anime,  che  dall'Atrio  passano  al  Vero  Purgatorio  : 
perchè  se  anche  queste  avessero  il  detto  segno,  l'anima  presente  che 
è  quella  di  Stazio,  e  che  è  stata  tanto  tempo  essa  pure  nell'Atrio 
tra  i  primi  procrastinanti,  come  vedremo  al  Canto  XXII,  nu  55, 
non  direbbe:  Trema  forse,  ma  saprebbe  se  sì  o  no  trema. 

4*  Per  vento  che  ecc.  Accenna  la  cagione  fisica  del  tremuoto. 

tt  Quassù  non  tremò  mai.  Perchè  appunto  il  Vero  Purgatorio 
è  nella  regione  purissima  non  soggetta  ad  alterazioni  fisiche,  ossia 
a'  venti  sotterranei.  Ma  perchè  dice  :  Non  so  come,  mentre  nel  verso 
innanzi  avea  detto  che  il  Vero  Purgatorio  non  avea  venti  sotter- 
ranei che  sono  la  causa  del  tremuoto?  Dice  non  so  come,  perche 
essendo  il  Vero  Purgatorio  la  continuazione  dello  stesso  monte,  non 
si  sa  comprendere  come  possa  tremar  l'Atrio,  senza  che  questo  co- 
munichi le  sue  scosse  anche  al  Vero  Purgatorio  con  cui  è  congiunto. 

M  Tremaci.  Trema  quassù,  cioè  nel  Vero  Purgatorio,  dal  punto 
dove  sta  il  Vicario  di  Pietro,  ossia  quell'angelo  che  ha  confessato 
Dante,  in  su,  che  è  quanto  dire  per  le  tre  ultime  miglia  del  monte, 
dalle  92  alle  95  d'altezza  dal  livello  del  mare.  Vedi  il  mio  Disegno 
Tav.  IV.  —  Quando  alcuna  anima  ecc.  La  causa  dunque  del  tre- 
muoto non  è  nella  terra,  nò  è  fìsica,  ma  estranea  a  quanto  sa  dì 
natura,  ed  è  al  tutto  soprannaturale,  essendo  essa  non  altro  che 
la  virtù  angelica  motrice  del  cielo,  come  avea  detto  prima,  la  qua! 
virtù  dà  questo  segno  perchè  tutti  gli  spiriti  abitatori  del  Vero 
Purgatorio  sappiano  che  uno  di  loro  ha  mondata  la  sua  anima,  ed 
ha  finita  la  sua  pena,  e  ne  ringrazino  Iddio. 

45  0  che  si  muova.  Non  ogni  sorgere,  ma  il  sorgere  per  salire 
alla  beatitudine. 

46  Della  mondizia  ecc.  Come  conosce  l'anima  di  essersi  affatto 
purificata,  e  di  aver  così  terminata  la  sua  pena?  Lo  conosce,  ri- 
sponde Dante,  dalla  volontà  assoluta  di  salire,  che  improvvisamente 
assale  l'anima. 


CANTO  XXI.  461 

Prima  vuol  ben;  ma  non  lascia  il  talento,  i7 
Che  divina  giustizia  contro  voglia, 
Come  fu  al  peccar,  pone  al  tormento. 

Ed  io  che  son  giaciuto  a  questa  doglia  4S 
Cinque  cent'  anni  e  più,  pur  mo'sentii  * 

47  Prima  vuol  ben  ecc.  Dante  si  fa  un'obbiezione.  Ma  l'anima 
non  ha  sempre  la  volontà  di  andare  a  Dio?  Sì,  risponde  Dante, 
ella  ha  la  volontà  di  salire  a  Dio  sin  dal  momento  che  comincia  la 
sua  pena,  ma  questa  volontà  non  è  assoluta,  è  condizionata,  cioè 
vuole  salire  a  Dio  colla  condizione  però  di  purgarsi  prima  di  sa- 
lire, e  così  ha  bensì  la  volontà  di  salire,  ma  ha  eziandio  il  talento, 
ossia  la  voglia  di  penare  per  rendersi  monda,  perchè  così  vuole  il 
suo  Dio,  al  quale  unicamente  intende  piacere.  Ma  che  cosa  è  questo: 
Jfon  lascia  il  talento?  Spieghiamolo.  Talento  è  quella  propensione 
od  atto  della  volontà  per  il  quale  l'anima  si  dà  volentieri  alle  cose 
che  le  piaciono.  Questa  propensione  alle  cose  piacevoli  l'ha  messa 
Dio  nell'anima.  Sta  poi  all'anima  di  valersene  in  bene  o  in  male* 
Se  l'anima  dirige  questo  suo  talento  o  propensione  alle  cose  piace- 
voli peccaminose,  Dio,  sebbene  contro  sua  voglia,  perchè  si  tratta 
di  peccato,  lascia  all'anima  il  1  ibero  esercizio  di  questo  buo  talento, 
che  le  ha  posto  sin  da  principio.  Ma  quando  quest'anima  parte  dal 
mondo,  la  Divina  Giustizia  pone  ossia  continua  a  porre  ed  a  con- 
servare  nell'anima  il  detto  talento,  colla  differenza  che  prima  era 
talento  di  peccare,  e  nel  Purgatorio  è  talento  di  penare,  il  che  riesce 
all'anima  cosa  piacevole,  non  già  per  sé  stessa,  che  il  penare  è  sem- 
pre cosa  ripugnante,  ma  per  l'uniformità  perfetta  ai  voleri  di  Dio. 

48  Sojì  giaciuto  a  questa  doglia.  Dicendo  giaciuto,  indica  preci- 
samente  la  pena  di  quel  girone  dove  erano  allora  i  poeti,  e  non 
qualunque  altra  pena  degli  altri  gironi  di  sotto,  dove  neasun'anima 
può  dir  che  giace.  Il  giacere  in  senso  di  Dante,  e  della  lingua,  è 
esser  propriamente  e  del  tutto  distesi  a  terra,  il  che  non  si  può 
dire  che  dell'anime  di  questa  V  Cornice. 

49  Cinque  cent'anni  e  più.  Di  tutte  le  anime  trovate  fin  qui  nel 
Purgatorio,  questa  è  quella  che  ha  superate  tutte  nella  durazion 
della  pena  :  essa  ha  superato  anche  la  durata  di  pena  del  Ciapetta, 
che  fu  di  oltre  a  200  anni  (Vedi  Canto  XX  Purg  ),  e  chi  sa  quanti 
ancora  gliene  restano  a  compimento.  Intanto  notiamo  che  le  pene 
più  diuturne  Dante  le  ha  messe  nel  cerchio  degli  avari,  indicando 
cosi  che  se  l'avarìzia  ha  maggior  pena  nella  estensione,  deve  pur 


461  PURGATORIO 

Libera  volontà  di  miglior  soglia.  M 
70-     Però  sentisti  il  tremuoto,  e  li  pii 

Spiriti  per  lo  monte  render  lode 

A  quel  Signor,  che  tosto  su  gì'  invìi.  " 
Così  gli  disse  ;  e  però  che  si  gode  M 

Tanto  del  ber  quant'  è  grande  la  sete. 

Non  saprei  dir  quant'  ei  mi  fece  prode. 
E  il  savio  duca:  Ornai  veggio  la  rete  n 

Che  qui  vi  piglia,  e  come  si  scalappia,  * 

Perchè  ci  trema,  e  di  che  congaudete. 


esser  maggior  colpa,  se  non  in  sé  stessa,  almeno  nelle  «ne  conse- 
guenze. Certo  l'avarizia  è  il  peccato  più  aborrito  da  Dante,  e  perciò 
qui  calca  la  mano  più  che  altrove.  Ricordiamoci  sempre  il  ritratto 
orribile  dell'avarizia,  che  Dante  fece  nella  lupa  del  Canto  I  dell' Jn/. 
perchè  quello  giustifica  i  rigori  presenti.  Vedremo  poi  chi  sia  questa 
anima  dai  600  anni  e  più,  perchè  il  poeta  a  grand'arte  ci  fa  saper 
le  cose  un  po'  alla  volta,  e  con  bellissima  sospensione. 

Pur  mo\  Solo  da  pochi  istanti.  Dunque  il  tremuoto  pur  mo 
avvenuto,  era  proprio  per  lui. 

so  Libera  volontà  ecc.  Volontà  libera  da  ogni  condizione,  volontà 
assoluta,  quella  volontà  che  è  senza  il  talento  della  pena,  che  ornai 
ai  sente  già  finita  per  la  intera  mondezza  dell'anima,  come  dicemmo 
a  nota  47. 

Di  miglior  soglia.  Del  Cielo. 

si  Che  tosto  su  gl'invìi.  Bellissimo  e  gentilissimo  tratto  di  amore 
di  quest'anima  verso  le  sue  sorelle  tuttor  peuanti. 

w  E  però  che  si  gode  —  Tanto  ecc.  Bellissima  similitudine  dei 
gusto  ohe  si  prova  nel  bere  a  proporzione  della  grandezza  della 
sete,  applicato  al  gusto  che  si  prova  nel  conoscere  a  proporzione 
del  desiderio  che  se  n'ha. 

88  Ornai  veggio  la  rete  —  Che  qui  vi  piglia.  Veggo  come  non 
ostante  il  voler  che  avete  di  salire  a  Dio,  vi  rimane  il  talento  di 
soddisfare  la  pena,  come  aveste  il  talento  di  soddisfarvi  nella  colpa. 
Questa  è  la  rete  che  vi  piglia. 

M  &t  scalappia.  Si  scappi  dalla  rete  per  la  mondezza  perfetta 
dell'anima,  alla  quale  segue  immediatamente  la  volontà  assoluta  di 
saHre,  e-  si  Mie  infatti. 


CANTO  XXI.  463 

Ora  chi  fosti,  piacciati  eh'  io  sappia,  w 
80*        E,  perchè  tanti  secoli  giaciuto  M 

Qui  se',  nelle  parole  tue  mi  cappia.  S7 
Nei  tempo  che  il  buon  Tito  con  l'aiuto  S8 

S5  Ora  chi  fosti  ecc.  Il  poeta  ha  condotto  passo  passo  la  narra- 
zione delle  cose  riguardanti  quest'ombra  a  tale  un  segno  da  stuz- 
zicare nel  modo  il  più  acuto  la  curiosità  di  essi  poeti  per  saper  chi 
ella  si  fosse,  e  noi  non  possiamo  a  meno  di  esser  curiosi  con  loro. 
Le  circostanze  che  servivano  di  fomite  a  questa  naturale  curiosità 
erano  1.°  un'ombra  in  piedi  e  moventesi  fra  tutte  le  altre  ch'eran 
prostese,  2.Q  un'ombra  ch'era  stata  la  causa  del  tremuoto  e  grida 
che  recarono  tanta  maraviglia  e  tanti  dubbi  ai  poeti,  3.°  un'ombra 
che  era  la  pi  ima  che  trovassero  in  tutto  il  suo  viaggio  in  tal  punto 
che  avesse  pur  mo'  compito  il  suo  Purgatorio,  4.°  un'ombra  si  an- 
tica da  aver  passato  oltre  500  anni  nel  Purgatorio.  Chi  non  sarebbe 
stato  curioso  di  sapere  chi  ella  fosse?  Eppure  le  circostanze  più 
maravig'iose  e  più  atte  a  suscitare  la  curiosità  sono  quelle  che  re- 
stano. L'arte  di  rendere  interessante  un  racconto  non  fu  mai  tanto 
grande,  quanto  qui. 

fó  Tanti  secoli.  Cinquecent'anni  di  pena  sorprendono  veramente, 
e  ingrandiscono  nel  concetto  il  rigore  delta  divina  giustizia.  Eppure 
questo  non  è  altro  che  il  sentimento  cattolico  sulla  diuturnità  di 
quelle  pene. 

H  Mi  cappia.  Costruisci  così:  Piacciati  ch'io  mi  cappia  (ossia 
ch'io  mi  capisca  o  sia  capnee  di  intendere  per  mezzo  delle  tue  pa- 
role) nelle  tue  parole,  perchè  qui  se' giaciuto  tanti  secoli. 

38  Nel  tempo.  Intorno  all'auno  settanta  dell'era  volgare.  Il  buon 
Tito.  Figlio  di  Vespasiano.  Vespasiano  col  figlio  Tito  facea  la  guerra 
in  Giudea  quando  fu  acclamato  imperatore.  Egli  allora  incaricò  il 
figlio  Tito  a  dar  fine  a  quella  guerra  colla  distruzione  di  Gerusa- 
lemme. È  detto  il  buono  perchè  si  fece  talmente  amare  per  la  sua 
clemenza  e  dolcezza  che  fu  chiamato  la  delizia  del  genere  umano: 
la  sua  1  b  ralità  era  bì  grande  che,  avendo  gassato  un  giorno  senza 
aver  donato  alcuna  cosa,  disse  queste  belle  parole,  rivolto  a'  suoi 
cortigiani:  Amici  miei  abbiamo  perduto  questo  giorno.  Successe  aj 
padre  nell'anno  79  di  G.  C. 

Con  Vaiuto  del  gommo  Rege.  Tito  fu  veramente  aiutato  da  Dio 
nella  presa  di  Gerusalemme,  perchè  mentre  Tito  coU'armi  l'assediava 
si  di  fuori,  Dio  colla  fame,  colle  discordie  e  cogli  spaventi  la  la- 
cerava al  di  dentro. 


464  PURGATORIO 

Del  sommo  Rege  vendicò  le  fora,  • 
Ond'usoì  '1  sangue  per  Giuda  venduto,  *° 

Col  nome  che  più  dura,  e  più  onora  61 
Er'  io  dì  là,  rispose  quello  spirto,  • 
Famoso  assai,  ma  non  con  fede  ancora.  ° 

Tanto  fu  dolce  mio  vocale  spirto,  a 


99  Vendicò  le  /ora.  Vendicò  U  passione  dei  nostro  Signore  G.  C. 
tutto  fòri  o  piaghe  per  le  spine,  flagelli  e  chiodi.  Questa  vendetta 
era  stata  predetta  da  6.  C.  medesimo,  e  gli  Ebrei  già  se  V  aveaa 
chiamata  sul  capo  dicendo  a  Pilato  quelle  memorabili  parole:  Sa  ri- 
gidi ejus  super  noe  et  super  filios  nostro*. 

60  Per  Giuda  venduto.  È  noto  che  Giuda,  il  discepolo  traditore, 
ha  venduto  a*  Giudei  per  trenta  danari  il  sangue  del  suo  Maestro. 

6t  Col  nome  che  ecc.  Col  nome  di  poeta.  Il  nome  di  poeta  più 
dura  e  più  onora.  Infatti  nò  a  filosofi,  né  a  storici,  né  ad  altri  scien- 
ziati furono  da  Roma  decretati  quei  publici  onori  che  si  decretarono 
e  si  diedero  ai  poeti. 

<3  Er'  io  di  là.  Nuova  cagione  per  accrescere  lo  Btupore  dei  due 
poeti.  Essi  erano  sorpresi  di  que'  500  anni  detti  prima,  ed  ora  ai 
500  veggono  di  doverne  aggiungere  oltre  a  700.  Dunque  essi  do- 
veano  dire:  chi  sarà  mai  costui,  e  dove  avrà  passati  gli  altri  700 
che  adesso  saltano  fuori?  In  questa  parte  di  narrazione  l' interesse 
maggiore  dovea  esser  di  Dante,  che  non  di  Virgilio,  perchè  si  parla 
di  un  uomo  e  di  una  età  posteriore  di  un  secolo  a  Virgilio  ed  an- 
teriore a  Dante  di  12  secoli. 

63  Ma  non  con  fede  ancora.  Altra  cagion  di  maraviglia  per  Dante 
più  che  per  Virgilio  :  un  poeta  famoso,  non  cristiano  prima,  e  cri- 
stiano appresso.  Chi  sarà  mai  costui?  Dante  che  sapea  la  storia 
avrà  creduto  certo  d' indovinar  chi  fosse  quel  poeta  dal  tempo  in 
cui  visse,  e  dalla  sua  fama  di  poeta;  e  avrà  detto  nel  suo  cuore: 
Questi  non  potrebbe  essere  che  Stazio,  se  Stazio  fosse  stato  cri- 
stiano. Ma  Stazio  non  fu  cristiano.  Dunque  chi  sarà  mai?  Tutte 
queste  circostanze  sbucciano  dal  racconto,  e  dall'arte  ond'è  condotto. 
Intanto  è  solo  Dante  che  qui  può  prendere,  e  prende  infatti  un  in- 
teresse particolare  verso  quell'ombra  che  parla.  Vedremo  poi  come 
verrà  la  sua  volta  anche  a  Virgilio. 

64  jlft'o  vscalt  spirto.  Il  mio  spirito  poetico,  la  mia  poesia,  i  miei 
canti. 


CANTO  XXL  465 

Che,  Tolosano,  a  sé  mi  trasse  Roma, e* 
90-        Dove  mertai  le  tempie  ornar  di  mirto.  66 

Stazio  la  gente  ancor  di  là  mi  noma;  67 
Cantai  di  Tebe,  e  poi  del  grande  Achille, 
Ma  caddi  in  via  con  la  seconda  soma.  ** 

Al  mio  ardor  fur  seme  le  faville,  69 

6*  Che,  Tolosano.  Che  sebben  di  Tolosa,  «ebben  fossi  Tolosano. 
Qui  8'  intende  Tolosa  delle  Gallio,  e  non  Tolosa  di  Spagna,  perchè 
Tolosa  di  Spagna  nella  Biscaglia  fu  fondata  molti  secoli  dopo  il 
primo  dell'era  volgare,  essendo  essa  stata  fabbricata  da  Alfonso  il 
Savio  re  di  Castiglia  poco  dopo  il  1252.  Vedremo  tosto  come  qui 
Dante  prese  un  abbaglio  nel  determinar  la  patria  di  questo  poeta. 
Ma  lo  sbaglio  più  che  suo  era  del  tempo  e  della  necessità. 

6*  Mirto.  Era  questa  la  ghirlanda  serbata  ai  poeti  erotici  :  quella 
di  lauro  era  riserbata  agli  epici.  Qui  il  mirto  sta  non  per  indicare 
che  quel  fosse  un  poeta  erotico,  ma  per  indicare  che  era  grande 
bensì,  ma  inferiore  agli  epici  antichi. 

67  Stazio  ecc.  Publio  Tapini o  Stazio  celebre  poeta  latino  in  sul- 
l'ultimo scorcio  del  I  secolo,  era  Napoletano,  e  figlio  di  Stazio. 
Egli  si  acquistò  la  buona  grazia  di  Domiziano  ch'era  successo  a 
Tito  suo  fratello  nell'anno  81  dopo  6.  C.  e  gli  dedicò  i  suoi  poemi 
la  Ttbaide  e  V  Achilleide.  Mori  a  Napoli  verso  Fanno  100  di  G.  C. 
Oltre  la  sua  Tebaide  iu  12  libri,  e  la  sua  Achilleide  in  2  libri,  noi 
abbiamo  ancora  le  sue  Selve  in  5  libri,  lo  stile  delle  quali  ò  più 
puro,  più  piacevole,  e  più  naturale  di  quello  della  Tebaide  e  del- 
V Achilleide.  Nel  III  delle  Selve  Stazio  medesimo  si  appalesa  Napo- 
letano; ma  le  Selve  al  tempo  di  Dante  non  erano  conosciute  ;  esse 
furono  scoperte  circa  un  secolo  dopo  di  Dante.  Ma  al  tempo  di 
Dante  tutti  faceano  Stazio  di  Tolosa;  e  l'origine  di  questo  errore 
è  dovuta  a  Placido  Lattanzio,  commentatore  di  Stazio,  che  lo  fa 
Tolosano,  dicendo  ch'egli  insegnò  rettori  ca  in  Gallici  con  molta 
celebrità  ;  ma  poscia  venuto  in  Roma  si  diede  a  jìoesia. 

t*  Ma  caddi  in  via  con  ecc.  Non  ultimai  V Achilleide,  sorpreso 
dalla  morte.  Dante  non  nominando  che  queste  due  opere  di  Stazio, 
e  tacendo  le  Selve,  che,  come  dicemmo,  sono  migliori,  fa  chiara 
mostra  che  non  le  conosceva;  e  già  egli  non  pò  tea  conoscerle,  per- 
chè furono  scoperte  dopo,  come  dicemmo. 

69  Al  mio  ardor  ecc.  Al  mio  ardor  poetico  furono   eccitamento 
le  faville  infuocate  della  divina  fiamma  (Eneida),  dalla  quale  ven- 
do 


466  PURGATORIO 

Che  mi  scaldar,  della  divina  fiamma, 
Onde  sono  allumati  più  di  mille  ; 
Dell'  Eneida  dico,  la  qual  mamma  ™ 
Fummi,  e  fummi  nutrice  poetando  : 
Senz'  essa  non  fermai  peso  di  dramma.  7f 
100.   E,  per  esser  Vivuto  di  là  quando 

Visse  Virgilio,  assentirei  un  sole  7i 

gono  illuminati  moltissimi.  Notate  la  differenza.  L' Eneida  taluni  in- 
fiamma, talaltri  illumina:  infiamma  i  grandi,  illumina  i  mediocri» 
che  sono  molti. 

70  Za  qual  mamma  —  Fummi  ecc.  La  qual  mi  fu  madre  e  nu- 
trice ogni  qual  volta  poetai,  il  che  ò  un  dire  :  Da\V  Eneida  riconosco 
il  principio  ed  il  seguito  delle  mie  poesie  immaginate  dapprima  sul 
modello  di  Virgilio,  e  condotte  poscia  al  suo  compimento,  tenendo 
sempre  d'occhio  il  modello  detto. 

71  Senz'essa  ecc.  Vuol  dire  che  ogni  più  piccolo  pensiero  delle 
sue  poesie  cercò  sempre  di  ragguagliarlo  al  pensiero  dell1  Eneida, 
e  non  si  chiamava  mai  pago  finché  la  roba  sua,  per  piccola  che 
fosse,  pesata  con  quella  di  Virgilio  non  riuscisse  a  pari,  come  si 
fa  appunto  delle  cose  che  si  pesano  sulle  bilance,  sur  un  bacile  delle 
quali  si  mette  la  merce,  e  sull'altro  il  peso,  ed  allora  la  merce  cor- 
risponde al  peso  e  il  peso  alla  merce,  quando  levando  la  bilancia, 
e  merce  e  peso  restano  uguali.  Nel  caso  nostro  il  peso  sarebbe 
V Eneida,  la  merce  la  poesia  di  Stazio.  Questo  però  Stazio  intende 
quanto  alla  imitazione,  dichiarando  di  aver  imitato  a  capello  V Eneida, 
non  quanto  al  merito  intrinseco  della  cosa,  dichiarando  lo  stesso 
Stazio  in  fine  della  Tebaìde,  e  della  sua  Teòaide  parlando,  quanto 
egli  fosse  inferiore  a  Virgilio,  dicendo:  Vive  precor:  nec  tu  divi' 
nam  iEneida  tenta}  —  Sed  longe  sequere,  et  vestigia  semper  adora. 

Avvertite  che  nel  discorso  àeìY  Eneida  maestra  di  Stazio  in  tutto 
e  per  tutto  comincia  ad  essere  interessato  anche  Virgilio,  che  dap- 
prima non  lo  potea  esser  troppo,  trattandosi  di  persona  a  lui  po- 
steriore. Qui  dunque  viene  la  sua  volta  anche  per  Virgilio,  ed  è 
ammirabile  l'arte  del  poeta  di  aver  introdotto  circostanze  tali  da 
ravvicinar  due  soggetti,  che  si  amavano  senza  conoscersi. 

7*  Un  $ole.  Un  sole  potrebbe  esser  preso  per  un  anno,  e  anche 
per  un  giorno.  A  me  piacerebbe  che  fosse  preso  per  un  giorno,  cioè 
per  quel  giro  che  il  sole  compie  in  24  ore,  e  non  il  corso  annuo 
del  sole.  Perciocché  a  me  pare  che  quanto  meno   tempo  si  dice,  e 


CANTO  XXI.  467 

Più  eh'  i'  non  (leggio  al  mio  uscir  di  bando. 
Volser  Virgilio  a  me  queste  parole  73 

Con  viso  che,  tacendo,  dicea:  Taci; 

Ma  non  può  tutto  la  virtù  che  vuole:  7i 
Che  riso  e  pianto  son  tanto  seguaci  7* 

Alla  passion,  di  che  ciascun  si  spicca, 

tanto  più  s'ingrandisce  il  concetto  delle  pene  del  Purgatorio.  Chi 
concede  un  ritardo  nella  pena  per  un  anno,  mostrerebbe  chela  pena 
è  assai  piccola;  ma  chi  concede  il  ritardo  in  essa  pena  di  un  giorno, 
credendo  di  concedere  assai  assai,  mostrerebbe  che  la  pena  è  pure 
assai  grande.  Anche  concedendo  solo  un  giorno  di  più  nel  Purga- 
torio sarebbe  un'iperbole  sterminata,  ma  starebbe  nei  limiti  della 
probabilità  poetica,  e  non  diminuirebbe  di  troppo  il  concetto  delle 
pene  del  Purgatorio:  all'incontro,  credendo  un  anno,  si  eccedono  i 
limiti  della  probabilità  poetica,  e  si  rendono  spregevoli  quelle  pene 
che  tanto  si  esagerarono  sin  qui,  e  che  secondo  le  credenze  catto- 
liche, seguite  appuntino  da  Dante,  sono  sì  gravi  che  un  minuto  ti 
pare  un  anno.  Non  credo  dunque  che  s'abbia  da  ingrandire  l'iper- 
bole più  del  dovere,  e  a  danno  del  concetto  della  pena;  onde  fissiamo 
che  assentire  un  sole  sia  assentire  un  giorno.  Che  poi  Dante  prenda 
un  sole  per  un  giorno,  fra  gli  altri  passi  che  lo  provano,  basti  il 
verso  39  del  Canto  XIX  del  Purg.  dove  Dante  disse  :  E  andavam 
col  sol  nuovo  alle  reni.  Se  era  nuovo  il  sole  allora  appena  levato: 
dunque  non  era  quello  del  giorno  innanzi,  era  un  altro  sole,  e  per- 
ciò Dante  contava  un  sole  per  un  giorno. 

73  Volser  Firgilio  ecc.  Virgilio  si  compiacque  dei  sentimenti  di 
Stazio;  ma  siccome  voleva  continuare  la  scena,  e  godersela  più  a  lungo, 
perciò  temendo  che  Dante  lo  svelasse  (ed  era  infatti  da  aspettarsela), 
gli  disse  che  si  tacesse.  Ma  come  dirglielo  senza  che  se  ne  accorgesse 
Stazio?  Glielo  disse  Con  viso  che,  tacendo,  dicea  :  Taci,  ossia  glielo 
disse  con  un  tale  sguardo,  che  esprimeva  abbastanza  quello  che  avreb- 
be espresso  il  labbro.  Chi  sa  quante  volte  noi  stessi  ci  siamo  fatti 
intendere  in  questa  maniera?  Notate  che  Dante  camminava  dietro  a 
Virgilio,  onde  si  disse  che  Virgilio  si  volse  anche  per  questa  ragione. 

74  La  virtù  che  vuole.  La  volontà. 

w  Che  riso  e  pianto  ecc.  Si  può  ben  dire  ad  un  uomo  d' indole 
aincera,  che  non  manifesti  quel  che  dentro  prova,  sia  di  gaudio  che 
di  dolore,  che  tutto  è  inutile  :  egli  riderà  e  piangerà  secondo  quello 
che  sente,  perchè  appunto  è  sincero,  e  quanto  lo  è  più,  tantomeno 


468  PURGATORIO 

Che  meri  seguon  voler  nei  più  veraci. 
Io  pur  sorrisi,  come  l1  uom  che  ammicca  ;  7e 
no.       Perchè  l'ombra  si  tacque,  e  riguardommi w 
Negli  occhi,  ove  il  sembiante  più  si  ficca.78 

sarà  capace  di  ritenersi.  Tale  era  l'indole  di  Dante;  e  perciò  non 
potè  tenersi  dal  sorrìdere. 

76  lo  pur  sorrisi.  Io  feci  solo  un  sorriso,  s' intende  però  accom- 
pagnato da  quella  leggera  gesticolazione  degli  occhi,  che  natural- 
mente si  unisce  al  sorriso,  e  che  è  appunto  l' ammiccare ,  ossia  il 
fare  un  cenno  cogli  occhi  che  mostrano  di  aver  capito.  E  come  il 
poeta  ci  avesse  detto  :  Io  pur  sorrìsi  ammiccando,  o  ammiccai  sorri- 
dendo. Notate  qui  una  cosa  di  gran  rilievo.  Sapete  che  i  tre  poeti 
camminavano  a  gran  passi  per  una  strettissima  vìa  con  quest'or- 
dine. Innanzi  era  Stazio,  e  dopo  Stazio  Virgilio,  e  dopo  Virgilio, 
Dante.  Tenete  sempre  d'occhio  il  mio  disegno  Tav.  IV  Purg.  Nes- 
suno dunque  di  questi  tre  vedea  la  faccia  dell'altro.  Intanto  Stazio 
manifesta  il  suo  immenso  desiderio  di  aver  potuto  conoscere  Virgilio, 
e  per  questa  fortuna  mostra  vasi  anche  disposto  ad  un  grandissimo 
sacrificio.  In  questo  incidente,  Virgilio  teme  che  Dante  scopra  il 
secreto,  onde  si  volge  a  Dante,  che  avea  di  dietro,  accennando 
che  tacesse.  Questo  piccolo  volgimento  portava  necessariamente  un 
tantino  di  ritardo  in  Virgilio,  e  per  conseguenza  anche  in  Dante, 
e  questo  bastò  perchè  Stazio  si  rivolgesse  a  veder  che  era.  Si  volse 
infatti  in  quel  punto  che  Dante  sorrise  ed  ammiccò,  e  cosi  Stazio 
colse  Dante  in  quell'atto,  e,  come  si  direbbe,  in  fragranti.  Egli  non 
colse  Virgilio  in  quel  punto,  perchè  avea  la  faccia  a  Dante,  e  quindi 
ascosa  a  Stazio.  La  scena  sarebbe  stata  bellissima  anche  se  i  tre 
poeti  fossero  stati  fermi  in  un  crocchio,  ma  diventa  arcibellissima 
considerata  la  circostanza  del  luogo  angusto,  del  frettoloso  cam- 
mino, e  dell'ordine  con  cui  andavano  i  poeti.  Se  in  Dante  si  tien 
conto  di  tutto,  si  comprenderanno  tutte  le  sue  bellezze  :  facendo 
altrimenti,  crederemo  di  averle  colte  tutte,  e  non  ci  accorgeremo 
che  il  meglio  va  perduto.  I  pittori  tentino  di  colorire  una  scena 
cosi  magnifica.  Lo  stesso  facciano  gli  scultori.  Imparerebbero  molto. 

•"  Perchè.  Per  la  qual  cosa.  L'ombra  si  tacque.  E  naturale  che 
Stazio,  accortosi  che  gatta  ci  cova,  si  taccia  e  pensi.  Riguardommi. 
Perchè  Stazio  guardava  indietro  si  dovea  appunto  dir:  riguardommi, 
essendo  Dante  in  ultimo  luogo. 

78  Negli  occhi  ecc.  Sempre  quando  ci  volgiamo  ad  uno  lo  guai- 


CANTO  XXI.  469 

E,  se  tanto  lavoro  in  bene  assommi,  79 
Disse,  perchè  la  facoia  tua  testeso  80 
Un  lampeggiar  di  riso  dimostrommi  ? 

Or  son  io  d'una  parte  e  d'altra  preso  :  81 
L'una  mi  fa  tacer,  l'altra  scongiura 
Ch'i'  dica;  ond'io  sospiro,  e  sono  inteso.85 

Di',  il  mio  Maestro,  e  non  aver  paura,  M 
Mi  disse,  di  parlar;  ma  parla,  e  digli 
12°-       Quel  eh'  ei  domanda  con  cotanta  cura. 

Ond' io:  Forse  che  tu  ti  maravigli,  •* 

diamo  negli  occhi;  il  resto  della  faccia  lo  vediamo  per  concomitanza. 
Qui  poi  c'era  una  ragion  particolare  perchè  Stazio  mettesse  i  suoi 
occhi  su  quei  di  Dante,  ed  era  perchè  gli  occhi  di  Dante  aveano 
ammiccato,  e  con  questo  aveano  messo  Stazio  in  qualche  sospetto, 
ed  in  voglia  di  sapere  il  perchè  di  quei  cenni. 

™  Se.  Non  è  condizione,  ma  augurio.  —  Tanto  lavoro.  Tanto  viag- 
gio, che  per  esser  viaggio  a  prò  dello  spirito,  riusciva  ed  era  un 
vero  lavoro,  e  lavoro  faticosissimo.  —  Assommi .  Compi,  termini. 

«0  Testeso.  Testé. 

81  D'una  parte  e  d'altra.  Da  Virgilio  che  vuol  eh* io  taccia,  da 
8tazio  che  vuol  eh1  io  parli. 

89  Sospiro,  e  sono  inteso.  Avvien  più  volte  che  si  faccia  trape- 
lare il  secreto  senza  dirlo,  ed  è  se  si  pena  a  rispondere  quando  si 
dovrebbe  rispondere  prontamente.  Dante  appunto  era  in  questa 
angustia  che  Stazio  sospettasse  già  che  la  terza  persona  fosse  Vir- 
gilio, e  lo  sospettasse  per  sua  cagione,  e  perciò  temeva  che  il  fatto 
riuscisse  poco  gradito  al  suo  maestro,  che  gli  aveva  tanto  racco- 
mandato di  tacere. 

83  Dl'9  ecc.  Ad  arte  si  pongono  qui  in  bocca  di  Virgilio  tanti 
eccitamenti  della  stessa  cosa,  per  assecurar  Dante,  che  con  dirla 
non  gli  facea  dispiacere,  quatunque  poco  prima  gli  avesse  racco- 
mandato il  contrario.  E  quello  che  sempre  facciamo  per  dar  ansa 
di  parlare  ad  una  persona  che  conosciamo  troppo  timida. 

84  Forse.  Dico  forse  e  non  certo,  quantunque  Dante  fosse  certo, 
ma  cosi  parlano  le  persone,  che  sono  timide  e  riverenziali:  esse 
non  azzardano  mai  con  ostinazione  le  loro  opinioni,  sebbene  ne  sieno 
convìnte,  ma  le  presentano  con  aria  di  dubitazione,  quasi   dichia- 


470  PURGATORIO 

Antico  spirto,  del  rider  eh'  io  fei  ;  85 
Ma  più  d'ammirazion  vo'  che  ti  pigli. 

Questi  che  guida  in  alto  gli  occhi  miei,  w 
È  quel  Virgilio,  dal  qual  tu  togliesti 
Forze  a  cantar  degli  uomini  e  de'  Dei.  87 

Se  cagion  altra  al  mio  rider  credesti, 
Lasciala  per  non  vera  ;  ed  esser  credi 
Quelle  parole  che  di  lui  dicesti.  *" 
180.   G&  gi  chinava  ad  abbracciar  li  piedi  *° 

rando  con  ciò  di  sottomettersi  al  giudizio  altrui,  e  di  esser  pronte 
a  ricredersi.  Questo  ò  quel  modo  che  si  tiene  dalle  persone  molto 
educate  colle  persone  di  alta  portata.  Se  io,  a  cagion  d'esempio, 
parlo  con  un  principe  che  e  in  qualche  errore,  io  non  gli  dico  :  Certo 
vostra  Maestà  s'inganna:  ma  dico  invece:  Forse  V.  M.  s'inganna. 

85  Antico  spirto.  Perch'era  al  nostro  mondo  da  1200  anni  prima. 

86  Gli  occhi  mici.  Siccome  Virgilio  guidava  Dante  verso  la  cima 
di  quel  monte,  e  siccome  quando  si  va  su  per  un  monte,  massime 
se  questo  è  altissimo  e  faticosissimo,  gli  occhi  corrono  sempre 
avanti  a  veder  quanto  resti  ancor  di  cammino,  perciò  è  molto  me- 
glio detto  gli  occhi  miei,  che  i  passi  miei.  Notammo  altra  volta 
l'avidità  degli  occhi  di  Dante  a  veder  l'altezza  del  monte  per  la 
voglia  di  guadagnarla,  come  nel  C.  IV,  v.  85  dove  Dante  dice  :  Ma 
8c  a  te  piace,  volentier  saprei  —  Quanto  avemo  ad  andar,  che  il 
poggio  sale  —  Più  che  salir  non  posson  gli  occhi  miei. 

87  Forze  a  cavtar.  A  cantar  con  robustezza  poetica. 

88  Quelle  parole  ecc.  E  per  esser  vivuto  di  là  quando  ecc. 

89  Già  si  chinava  ecc.  Solamente  qui  si  fermano  un  istante  li 
tre  poeti  per  Tatto  di  omaggio,  che  in  una  invasione  di  forte  en- 
tusiasmo Stazio  vuol  fare  a  Virgilio.  Anche  qui  come  feci  alla  n.  76 
non  posso  a  meno  di  eccitar  pittori  e  scultori  a  tentar  lo  studio 
di  questo  gruppo  maraviglioso.  Forse  alcuno  potrebbe  trovar  qui 
una  esagerazione.  La  trovo  anch'io,  e  prima  di  me  e  di  tutti  la 
dovette  sentir  Dante  che  la  scrìsse.  E  una  iperbole  di  fatto,  come 
l'altra  spiegata  nella  nota  72  era  un'  iperbole  di  parole.  Ma  se  Dante 
sapeva  che  questa  era  un'esagerazione,  e  dirò  anche  esagerazione  tale 
che  travalica  i  limiti  della  credenza  per  un  cattolico,  per  cui  è  fatta 
la  Divina  Comedia,  come  la  dettò  ?  Rispondo  :  Perchè  conoscea 
l'effetto  che  dovea   produrre  generalmente.   Dico   generalmente  e 


CANTO  XXI.  471 

Al  mio  dottor;  ma  egli  disse:  Frate, 
Non  far,  che  tu  se'  ombra,  e  ombra  vedi.  *> 

Ed  ei  surgendo:  Or  puoi  la  quantitate 
Comprender  dell'amor  che  a  te  mi  scalda, 
Quando  dismento  nostra  vanitate, 

Trattando  l'ombre  come  cosa  salda. 


quindi  escludo  i  teologi  rigoristi.  Quando  un  grande  poeta  descrive 
scene  di  una  immensa  commozione,  egli  sa  che  il  calcolo  della  ra- 
gione negli  spettatori  o  nei  lettori  ha  da  far  ben  poco  in  quei  mo- 
menti, e  ch'essi  sono  disposti  a  berne  di  grosse.  In  questi  casi  il 
grande  poeta  ti  lancia  in  mezzo  un  pensiero  che  per  sé  stesso  è 
esagerato,  ma  per  il  complesso  delle  circostanze  sa  che  riesce  gra- 
dito, che  produce  un  magico  effetto,  che  viene  applaudito,  e  che  si 
tiene  per  il  vero  colpo  di  scena.  Tale  e  il  brano  di  quel  figlio  d'Ugo- 
lino che  offre  le  sue  carni  al  padre  perchè  le  mangi  e  si  disfami. 
Anche  questo  è  troppo  esagerato,  ma  fa  colpo  ed  effetto  ammirabile; 
e  tanto  basta.  H  brano  presente  sa  di  quello. 

9°  Non  far,  che  tu  ecc.  Si  sa  che  le  ombro  non  avendo  vero  corpo 
non  si  potevano  stringere  né  abbracciare.  Ricordati  di  Dante  nel 
Canto  II,  dove  in  un  trasporto  di  amicizia  e'si  gettò  sopra  Casella 
per  abbracciarlo,  e  gli  sforzi  inutili  di  quell'atto. 


CANTO  XXII 


Argomento. 

Li  tre  poeti  Virgilio,  Sfatto  e  Dante  panando  dinnanzi 
all'angelo  che  rade  un  P  dalla  fronte  di  Dante,  salgono  la  scala 
che  mette  al  VI  giro,  e  odono  frattanto   alcune  parole   allusive  M 

dell'angelo,  e   Dante  dietro  loro  sale  più  leggermente  di  prima.  tv 

Nella  salita  Virgilio  ohe  andava  dietro  Stazio  gli  manifesta  l'a- 
more ch'egli  ha  per  lui  già  da  gran  tempo,  e  come  gli  abbia  preso 
quell'affezione.  Indi  gli  muove  il  dubbio  come  mai  egli  sì  savio 
fosse  stato  avaro.  Stazio  gli  risponde  che  il  suo  peccato  fu  anzi 
il  contrario  dell'avarizia^  e  che  per  esso  sarebbe  caduto  all'In- 
ferno se  un  passo  di  Virgilio  non  l'avesse  corretto,  e  gli  manifesta 
che  nella  V  cornice  insieme  cogli  avari  sono  anche  %  prodighi. 
Virgilio  gli  muove  poi  un  altro  dubbio  dicendogli  che  dalla  sua 
Tebaide  apparisce  ch'egli  fosse  vissuto  pagano  ;  gli  chiede  dunque 
come  fu  che  entrò  nella  vera  fede.  Stazio  gli  risponde  che  la  prima 
sua  guida  alla  fede  fu  appunto  Virgilio  con  un  altro  passo  delle 
Egloghe,  e  la  seconda  sua  guida  fu  la  santa  vita  dei  cristiani: 
per  cui  egli  fu  cristiano  innanzi  la  Tebaide,  ma  fu  cristiano  di 
solo  cuore,  mostrando,  per  paura,  di  esser  pagano,  e  che  per  que- 
sta paura  stette  tanti  anni  nel  IV  cerchio  dell'accidia.  Finito 
questo,  Stazio  chiede  nuove  a  Virgilio  di  tanti  antichi  personaggi, 
e  Virgilio  gU  risponde  che  sono  al  Limbo  con  sé.  Intanto  con  que- 
sti discorsi  arrivano  alla  fine  della  salita  del  VI  giro.  Volgono 
a  destra  secondo  il  solito,  e  poco  dopo  trovano  un  albero  con  frutta 
in  mezzo  la  strada,  ed  un  ruscelletto  che  dalla  roccia  vi  piove  so- 
pra. Da  quell'albero  esce  una  voce  che  divieta  di  mangiarne,  e  che 
fa  l'elogio  della  sobrietà  e  dell'astinenza. 


NB.  Vedi  tutti  i  casellini  di  questo  Canto  nella  Ta?.  Ili  Pura.,  e  la  Tav.V  Purg- 

dia  era,  l'angel  dietro  a  noi  rimaso,  * 
L'angel  che  n'avea  volti  al  sesto  giro,9 

i    Già  era  l'angel  ecc.  L'angelo  custode  della  scala  che  dalV  giro 
degli  avari  mette  al  VI  dei  golosi. 
9   Al  sesto  giro.  Al  giro  dei  golosi. 


474  PURGATORIO 

Avendomi  dal  viso  un  colpo  raso:  3 
E  quei  eh1  hanno  a  giustizia  lor  disiro  4 
Detto  n'avea  Beati,  e  le  sue  voci 
Con  sitiunt,  senz'altro,  ciò  fornirò. 
Ed  io  più  lieve,  che  per  l'altre  foci,  8 
M'andava  sì,  che  senza  alcun  labore 
£  Seguiva  in  su  gli  spiriti  veloci  :  6 

10*     Quando  Virgilio  cominciò  :  Amore  7 

Acceso  di  virtù  sempre  altro  accese, 
Pur  che  la  fiamma  sua  paresse  fuore. 8 
Onde,  d'allora  che  tra  noi  discese  9 

3  Un  colpo  raso.  Col  ventilar  dello  sue  ali  secondo  il  solito.  U 
colpo  era  un  P  impresso  cogli  altri  dal  primo  angelo  col  punton 
della  spada.  L'azione  si  accenna  di  passaggio,  perche  l'avarizia  non 
era  peccato  proprio  di  Dante. 

*  E  quei  ch'hanno  ecc.  Secondo  il  solito  l'angelo  ora  che  Dante 
è  purgato  dal  peccato  di  questa  cornice,  recita  la  beatitudine  con- 
traria a  detto  peccato.  Beati  qui  esuriunt  et  titiunt  iustitiam. 

$  Ed  io  più  lieve  ecc.  Perchè  essendogli  stato  levato  un  altro  P 
(peccato)  aveva  un  peso  di  meno  da  portare. 

Foci.  Sono  propriamente  gli   sbocchi  dei  fiumi  nel  mare,  come 
la  scala  è  uno  sbocco  da  una  cornice  ad  altra. 

6  Seguiva  in  su  ecc.  Con  quest'ordine  :  Dante  in  ultimo  luogo, 
indi  Virgilio,  indi  Stazio. 

?  Amore  acceso  di  virtù  ecc.  Notate  bene  di  qual  amore  si  parli. 
Amore  virtuoso.  Chi  ama  di  questo  amore  si  fa  sempre  riamare  : 
ma  chi  ama  di  amor  vizioso  non  si  fa  sempre  riamare  ;  ed  è  per- 
chè la  virtù  piace  a  tutti,  e  il  vizio  a  pochi. 

8  Pur  che  ecc.  Solo  che  ecc.  S' intende  che  per  riamare  un  amante 
virtuoso  bisogna  prima  che  l'amore  di  questo  apparisca.  Ma  qui  ai 
vuol  dire  una  cosa  più  precisa  ancora;  bì  vuol  dire  che  basta  solo 
avere  un  sentore  che  altri  abbia  per  noi  questo  amor  virtuoso, 
perchè  tosto  noi  siam  portati  a  riamarlo. 

Paresse.  Apparisse. 

9  D'allora  ohe.  Dal  128  di  G.  C.  nel  qual  anno  morì  Giovenale 
poeta  satirico,  che,  essendo  d'Aquila,  venne  a  Roma,  come  Stazio, 
e  sorvisse  a  Stazio  28  anni.  Giovenale  dunque  pò  tea  benissimo  co- 
noscere Stazio. 


CANTO  XXII.  475 

Nel  limbo  dell'  inferno  Giuvenale, 
Che  la  tua  affezioni  mi  fé'  palese,  10 

Mia  benvoglienza  inverso  te  fu  quale 
Più  strinse  mai  di  non  vista  persona,  " 
Sì  ch'or  mi  parran  corte  queste  scale.  * 

Ma  dimmi  (e  come  amico  mi  perdona 
20-        Se  troppa  sicurtà  m'allarga  il  freno, 
E  come  amico  ornai  meco  ragiona), 

Come  poteo  trovar  dentro  al  tuo  seno  " 
Luogo  avarizia,  tra  cotanto  senno, 
Di  quanto  per  tua  cura  fosti  pieno? 

Queste  parole  Stazio  muover  fenno 
Un  poco  a  riso  pria  ;  poscia  rispose  :  u 
Ogni  tuo  dir  d'amor  m'è  caro  cenno.  IS 

Veramente  più  volte  appaion  cose, iù 
Che  danno  a  dubitar  falsa  matera,  " 

i0  dffezion.  Amandomi  nelle  mie  opere,  e  per  esse  prendendo  affe- 
zione alla  mia  persona. 

<*  Piò,  strinse  mai  di  ecc.  Più  non  strinse  mai  amante  di  non 
vista  persona. 

is  Mi  parran  corte  queste  scale.  Queste  scale,  sebbene  di  molto 
accorciate  dalle  prime,  pare  sono  lunghette  anzi  che  no.  La  scala 
p.  e.  dove  sono  li  tre  poeti  presentemente  è  lunga  quasi  2/8  di 
miglio.  Vedilo  nella  Tav.  V,  tra  V  e  VI  cornice. 

43  Come  poteo  ecc.  Virgilio  crede  Stazio  essere  stato  avaro,  e  avea 
ragione  di  crederlo  perch'era  stato  a  penar  tra  gli  avari  più  di  500 
anni,  secondo  che  gli  avea  confessato  Stazio  medesimo.  Or  Virgilio 
si  maraviglia  ch'egli  avesse  avuto  questo  vizio,  egli,  uomo  di  tanto 

senno. 

n  Un  poco  a  riso  pria.  E  naturalissimo,  essendo  quello  che  ap- 
punto succede  in  tali  incontri. 

43  Ogni  tuo  dir  d'amor  ecc.  Chi  ama  parla  così. 

46  Appaion  cose.  Come  quella  di  essere  Stazio  giaciuto  più  di 
500  anni  tra  gli  avari  senza  esser  avaro. 

n  Falsa.  Perchè  questa  materia  è  falsa?  E  falsa  perchè  non  è 
appoggiata  alle  vere  cagioni  che  si  dicono  nell'altro  verso.  Appli- 


476  PURGATORIO 

3°-        Per  le  vere  cagion  che  son  nascose. 
La  tua  dimanda  tuo  creder  m'avvera 
Esser,  eh'  io  fossi  avaro  in  l'altra  vita, 
Forse  per  quella  cerchia  dov'io  era. 
*    Or  sappi  ch'avarizia  fu  partita  i8 
Troppo  da  me,  e  questa  dismisura 
Migliaia  di  lunari  hanno  punita.  " 
E,  se  non  fosse  eh'  io  drizzai  mia  cura,  *° 
Quand'  io  intesi  là  dove  tu  chiami,  sl 
Crucciato  quasi  all'umana  natura: 

chiamo  la  teoria  al  fatto.  La  materia  nel  caso  di  Stazio  sarebbe  che 
egli  giacque  cogli  avari  per  tanti  anni.  Dunque  Stazio  fu  avaro 
(così  conchiuse  Virgilio).  Ma  conchiuse  male;  perch'egli  crede  che 
cogli  avari  non  ci  sieno  che  avari,  mentre  ci  sono  quelli  che  noi 
sono,  almeno  che  noi  sono  nel  senso  comune  della  parola.  Ma  questa 
circostanza  Virgilio  non  la  sapeva,  e  perciò  non  sapeva  la  vera  ca- 
gione che  tenne  Stazio  in  quel  luogo  insieme  cogli  avari,  e  quanto 
giustamente  fosse  punito  colà  quantunque  alieno  dall'avarizia.  Dietro 
questa  osservazioni  s'intenderà  facilmente  la  terzina  seguente. 

48  Avarizia  fu  partita  —  Troppo  da  me.  Avarizia  fu  divisa 
(lontana)  troppo  da  me,  cioè  peccai  per  l'eccesso  contrario.  La  virtù 
è  sempre  in  mezzo  a  due  vizi  fra  lor  contrari  ;  e  la  liberalità  è  in 
mezzo  all'avarizia  da  una  parte,  e  alla  prodigalità  dall'altra.  Onde 
l'adagio:  In  medio  stat  virtus  Ora  tanto  l'avarizia  quanto  la  pro- 
digalità si  oppone  alla  stessa  virtù  della  liberalità,  l 'una  per  difetto, 
l'altra  per  eccesso  :  e  questa  e  la  ragione  perchè  suppone  sapiente- 
mente Dante  e  nell'Inferno  e  qui  che  avari  e  prodighi  sieno  puniti 
in  un  medesimo  cerchio.  Stazio  dunque  vuol  dire  ch'egli  era  stato 
prodigo  e  non  avaro,  e  Io  dice  con  una  espressione  quasi  identica 
a  quella  dell'in/.  C.  VII,  dove  per  dir  di  quelli  ch'ebbero  il  vizio 
della  prodigalità  si  espresse  cosi  :  In  cui  usa  avarizia  il  stio  soperchio. 

49  Migliaia  di  lunari  ecc.  Stazio  getta  in  lune  o  in  mesi  i  500 
anni  della  sua  pena  detta  prima. 

20  E  «e  non  fosse  ecc.  E  se  non  fosse  ch'io  regolai  la  mia  pas- 
sione della  prodigalità. 

**  QuanoVio  intesi  là  ecc.  Quand'io  appuntai  le  mie  considera- 
■ioni  a  quel  passo  dove  tu  esclami. 


CANTO  XXN.  477 

40-     Per  che  non  reggi  tu,  o  sacra  fame  M 
Dell'oro,  l'appetito  de' mortali  ? 
Voltando  sentirei  le  giostre  grame,  M 
Allor  m'accorsi  che  troppo  aprir  l'ali  * 
Fotean  le  mani  a  spendere,  e  peritemi 
Così  di  quel,  come  degli  altri  mali. 
Quanti  risurgeran  co'  crini  scemi,  ** 


»  Per  che  non  reggi  ecc.  È  la  traduzione  di  quel  passo  di  Virgilio 
En.  Ili  :  Quid  non  mortalia  pectora  cogis  —  Auri  sacra  farnesi 
che  taluno,  come  il  Venturi  ed  il  Bianchi,  vorrebbe  pretendere,  che 
Dante  non  l'abbia  inteso,  facendo  così  di  Dante  un  ignorantello  da 
disgradarne  gli  asini  delle  scuole.  Anzi  Dante  l'ha  inteso  più  e  me- 
glio di  qual  si  fosse  sapu  tissimo  Virgiliano  :  e  credo  che  la  prima 
gloria  di  aver  difeso  Dante  in  questo  punto  vadi  al  nostro  P.  Cesari, 
e  la  seconda  al  Tommaseo.  Il  Cesari  nelle  sue  bellezze  di  Dante 
spiega  cosi:  Per  che  (per  quanto  e  quali  vie  distorte)  non  reggi 
(non  signoreggi  tu)  l'appetito  degli  uomini,  o  esecrata  fame  dell'oro? 
Il  Tommaseo  nel  suo  Commento  imparando  dal  Cesari  spiega  cosi  : 
Per  che  non  reggi?  Per  quali  opere  non  traggi?  —  Or  io  dico  che 
questo  è  propoio  dare  nel  segno,  indicando  che  la  sacra  o  maledetta 
fame  dell'oro  può  trascinare  a  vie  del  tutto  opposte,  a  vizi  che  fanno 
a9  pugni  tra  loro,  quali  sarebbero  l'avarizia  e  la  prodigalità. 

**  Voltando  ecc.  Sarei  dannato  coi  prodighi  dell1  Jn/.,  C.  VII. 

**  Che  troppo  apri  r  Vali  —  Potean  ecc.  Conobbi  che  come  po- 
teano  chiudersi  troppo  le  mani  per  tenacità,  e  cosi  poteano  troppo 
aprirsi  per  prodigalità  ;  e  cosi  conobbi  la  mia  prodigalità  essere  un 
vizio  né  più  né  meno  che  la  tenacità,  onde  me  ne  pentii,  e  pentito 
di  questo  ch'era  il  mio  vizio  principale  facilmente  mi  potei  pentire 
anche  degli  altri  Va  senza  dire  che  qui  si  parla  di  un  pentimento 
solamente  naturale,  che  si  può  trarre  anche  dalle  osservazioni  filo- 
sofiche, e  che  serve  di  buon  principio  al  pentimento  soprannaturale 
che  giustifica.  E  questo  io  dico  contro  que' tali  che  hanno  riso  di 
questo  pentimento  primo  di  Stazio,  e  della  sua  cagione. 

s*  Quanti  risurgeran  ecc.  Quanti  vanno  dannati  per  la  prodiga- 
Età.,  e  quindi  al  di  del  giudizio  risurgeranno  coi  crini  scemi,  o  mozzi! 
Allude  al  v.  57  del  Canto  VII  dell'/»/.  :  Col  pugno  chiuso  (gli  avari), 
e  questi  co'crin  motti.  , 


478  PURGATORIO 

Per  r  ignoranza,  che  di  questa  pecca  K 
Toglie  il  pentir  vivendo,  e  negli   estremi! 

E  sappi  che  la  colpa,  che  rimbecca  *7 
so*        Per  dritta  opposizione  alcun  peccato, 

Con  esso  insieme  qui  suo  verde  secca.  ** 

Però  81  io  son  tra  quella  gente  stato  * 
Che  piange  l'avarizia,  per  purgarmi 
Per  lo  contrario  suo  m'ò  incontrato. 

Or  quando  tu  cantasti  le  crude  armi  *° 
Della  doppia  tristizia  di  Giocasta,  3t 
Disse  il  cantor  de1  bucolici  carmi,  M 

*6  Per  V  ignoranza.  Colpevole,  s' intende. 

*1  E  sappi  che  la  colpa  ecc.  Sappi  che  i  peccati  direttamente 
opposti,  come  avarizia  e  prodigalità,  si  puniscono  al  Purgatorio 
colla  stessa  pena,  e  nello  stesso  luogo.  Ciò  non  va  detto  solo  di 
questa  cornice,  ma  e  di  qualunque  altra.  Il  poeta  ci  fa  solamente  qui 
questa  osservazione  perchè  noi  l'applichiamo  anche  agli  altri  peccati. 

*s  Suo  verde  secca.  Modo  proverbiale  :  sconta  il  suo  reato. 

*9  Però  s'io  son  ecc.  Perciò  s' io  son  giaciuto  cogli  avari  fu  non 
per  purgarmi  dell'avarizia,  ma  della  prodigalità. 

30  Or  quando  tu  cantasti  ecc.  Passa  ora  Virgilio  a  chiedere  a 
Stazio  la  soluzione  di  un  altro  dubbio.  Notate  qui  che  i  dubbi  di 
Virgilio  son  pur  quelli  di  Dante,  in  cui  Virgilio  vede,  come  in  sé 
stesso,  e  ne  chiede  la  soluzione  più  per  Dante  che  per  sé.  Dalla 
soluzione  dei  primo  dubbio  conchiuse  Virgilio  che  dunque  Stazio 
non  dovea  esser  dannato,  ma  per  questo  non  ne  veniva  ch'egli  do- 
vesse esser  beato,  ma  solo  confinato  al  Limbo  cogli  altri  grandi  che 
non  avevano  peccato,  ma  non  ebbero  la  fede  necessaria  a  salute. 
Ora  vede  che  Stazio  venne  prima  qui  a  salvamento,  ed  ora  se  ne 
va  alla  gloria  del  cielo,  eppure  apparisce  egli  dalle  suo  opere  pa- 
gano, e  quindi  mancante  della  fede  necessaria  a  salute.  Come  dun- 
que, conchrude  Virgilio,  si  può  combinar  tutto  questo  f 

31  Della  doppia  tristizia  ecc.  Et  co  do  e  Polinice  due  figliuoli  di 
Giocasta,  che  per  ambizione  di  regno  si  uccisero  a  vicenda,  e  quindi 
furono  la  doppia  tristizia  di  Giocasta.  Questo  è  il  soggetto  della 
Tebaide  di  Stazio. 

39  II  cantor  ecc.  Della  Bucolica,   poesie  pastorali   di   Virgilio. 


CANTO  XXII.  479 

Per  quel  che  Clio  lì  con  teco  tasta, 33 
Non  par  che  ti  facesse  ancor  fedele  3i 
6°-        La  fé,  senza  la  qual  ben  far  non  basta. 

Se  così  è,  qual  sole  o  quai  candele  M 
Ti  stenebraron  sì,  che  tu  drizzasti 
Poscia  di  retro  al  Pescator  le  vele?36 

Ed  egli  a  lui:  Tu  prima  m'inviasti37 

Perchè  accenna  Virgilio  dalla  Bucolica?  Perchè  la  soluzione  a  que- 
sto secondo  dubbio  sarà  presa  dalla  Bucolica,  come  vedremo. 

33  Per  quel  che  Clio  ecc.  Per  quanto  si  raccoglie  dai  pensieri 
poetici  sparsi  in  quel  poema,  Virgilio  nomina  Clio,  perchè  questa  è 
la  musa  invocata  da  Stazio  al  principio  del  poema.  La  musa  tasta 
o  strimpella  le  corde  della  poetica  cetra  insieme  col  poeta  :  cosi  si 
indica  l'aiuto  delle  muse  ai  poeti. 

3*  Non  par  che  ti  facesse  ecc.  Perchè  parlasti  di  numi,  dei  loro 
sacrifizi,  e  delle  superstizioni  pagane  con  quel  rispetto,  onde  è  com- 
preso un  pagano,  che  non  abbia  ancora  ricevuto  la  fede  di  G.  C, 
senza  la  quale,  operar  bene  non  basta  a  salute. 

35  Qual  sole  o  quai  candele.  La  luce  del  sole  è  luce  propria,  la 
luce  delle  candele  è  luce  acquisita.  Cosi  Dio  è  luce  propria;  i  mi- 
nistri di  Dio  sono  luce  acquisita.  Con  queste  metafore  è  come  Vir- 
gilio dicesse  :  Fu  Dio  immediatamente  che  ti  converti,  o  Dio  ti 
convertì  mediante  i  suoi  ministri? 

30  Dietro  al  Pescator  le  vele  ?  Così  che  tu  drizzasti  la  tua  vita 
secondo  le  norme  della  vita  cristiana,  che  non  può  esser  tale  se  non 
seguendo  il  Vicario  di  G.  C,  Pietro  e  i  suoi  successori.  Ah  se  ascol- 
tassero questo  bel  documento  tanti  eretici  e  tanti  libertini  peggiori 
di  tutti  gli  eretici,  i  quali  pretendono  di  essere  cristiani  e  salvarsi 
anche  senza  il  Papa!  La  necessità  di  stare  col  Papa  è  un  punto 
che  a  Dante  stava  sommamente  a  cuore.  Dante  prese  l'unione  col 
Papa  come  il  perno  della  nostra  fede,  e  come  la  regola  della  nostra 
condotta.  Ogni  professione  infatti  che  manca  di  questa  unione  e  di 
questa  sommissione  ò  nulla.  Perciò  questo  punto  Dante  lo  ripete 
più  di  una  volta,  e  non  contento  d'accennarlo,  come  qui,  passa  a 
raccomandarlo  caldamente,  come  fa  nel  Paradiso,  Canto  V.  Avete  il 
vecchio,  e  il  nuovo  Testamento  (questo  lo  hanno  anche  gli  eretici 
ed  i  scismatici,  ma  non  basta)  —  E  il  Pastor  della  Chiesa,  che  vi 
guida  :  —  Questo  vi  basti  a  vostro  salvamento. 
■    37  Tu  prima  ecc.  Tu  mi  recasti  prima  a  poesia,  e  poi  a  Dio  col 


480  PURGATORIO 

Verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte,  ** 
E  poi  appresso  Dio  m' illuminasti.  * 
Facesti  come  quei  che  va  di  notte,40 
Che  porta  il  lume  dietro,  e  sé  non  giova, 
Ma  dopo  sé  fa  le  persone  dotte, 
70-     Quando  dicesti:  Secol  si  rinnova;  4i 

meno  della  poesia.  Ecco  lo  scopo  sublime  della  grande  poesia,  e 
dei  grandi  poeti.  Il  dilettar  non  &  che  un  mezio,  il  fine  è  d'innal- 
zare l'uomo  a  Dio.  I  poetastri  non  sanno  questa  cosa  ;  ma  Dante, 
per  dir  dei  nostri,  la  seppe  e  la  praticò,  usando  sopra  tutti  della 
poesia  per  la  salute  delle  anime,  co  me  un  missionario  si  vale  a  que- 
sto fine  delle  sue  prediche.  Vedi  a  questo  proposito  la  Tav.  ì  del- 
l' Inferno  e  il  discorso  preliminare  relativo,  dove  ho  sviluppato  tutto 
il  concetto  cattolico  della  D.  C. 

*8  Parnaso.  Monte  presso  Elicona  famoso  per  il  sno  fonte  Pegaseo, 
le  cui  acque,  secondo  la  mitologia  facevano  i  poeti. 

39  appresto  Dio  m'illuminasti.  S' intende  sempre  quel  lume  na- 
turale, che  serve  di  buon  principio  alla  vera  fede. 

40  Facesti  come  ecc.  Bella  e  molto  espressiva  similitudine.  Vir- 
gilio vivendo  un  poco  prima  di  G.  C.  visse  nelle  tenebre  del  paga- 
nesimo, ma  retto  e  probo  come  era,  par  che  travedesse  la  prossima 
venuta  del  promesso  riparatore,  e  nell'Egloga  IV  della  sua  Bucolica 
l'accennò.  Di  questo  accenno  Stazio,  che  visse  dopo  il  compimento 
della  predizion  Virgiliana,  si  giovò  più  che  non  se  ne  fosse  giovato 
Virgilio;  onde  Virgilio  fece  come  quel  dal  lume  descritto  nella  si- 
militudine troppo  chiara  per  so. 

M  Secol  si  rinnova  ecc.  Magmi*  ab  integro  eaeclorum  nascitur 
ordo.  Jam  redit  et  Virgo,  redeunt  Saturnia  regna;  Jam  nova 
progenie*  coelo  dimittitur  alto.  Virgilio  trasse  questa  predizione 
dai  versi  della  Sibilla  Cumana.  11  Venturi  ha  qui  una  bella  nota 
per  testimonianza  di  S.  Agostino  a  tal  proposito  :  Nonne  (  S.  Ag. 
contra  JudaeosJ  quando  poetatile facundissimus  inter  sua  carmina 
jam  nova  progenie*  ecc.  dicebat,  Christo  teHimonium  perhibebut  t 
Poi  in  altro  passo  contro  Marciano  lo  stesso  S.  Ag.  scriveva  :  Te 
duce,  si  qua  manent  sceleri*  vestigia  nostri  irrita  perpetua  sol- 
vent  formidine  terrai^  quod  ex  antheo,  ide*t  ex  sibyllino  carmine 
se  fassus  est  transtulisse  Virgilius1  quoniam  for tasse  eiiam  illa 
vaie*  aliquid  de  unico  Salvatore  in  spiritu  audierat  quod  ne. 
cesse  habuit  confiteri. 


CANTO  XXII.  481 

Torna  giustizia,  e  primo  tempo  umano, 
£  progenie  discende  dal  ciel  nuova. 

Per  te  poeta  fui,  per  te  cristiano:  4a 

Ma  perchè  veggi  me*  ciò  eh'  io  disegno,  w 
A  colorar  distenderò  la  mano. 

Già  era  il  mondo  tutto  quanto  pregno  AÀ 
Della  vera  credenza  seminata 
Per  li  messaggi  dell'eterno  regno  ; 45 

£  la  parola  tua  sopra  toccata  46 
**°-         Si  consonava  a'  nuovi  predicanti  ;  47 

45  Per  te  cristiano.  Sempre  in  Benso  di  naturai  predisposizione. 

*3  jffe\  Meglio.  —  Ciò  eh*  io  disegno  —  A  colorar  ecc.  Il  disegno 
serve  di  profilo  al  colorito  che  poi  si  pone.  Il  colorito  dunque  com- 
pie il  disegno.  Questo  vale  un  dire  :  Se  finora  ti  ho  solo  accennato 
come  fu  la  mia  conversione,  ora  te  la  narrerò  per  disteso. 

U  Già  era  il  mondo  ecc.  Già  la  fede  di  G.  C.  era  sparsa  per 
tutto  il  mondo.  Infatti  Tertulliano  vicino  a  Stazio  potea  dire  dei 
cristiani:  Noi  siamo  di  jeri,  eppure  occupiamo  ogni  luogo  dell' im» 
pero  romano. 

**  Per  li  messaggi  ecc.  Sparsa  ovunque  dagli  Apostoli  poco  prima, 
e  subito  dopo  continuata  a  spargere  dai  successori  degli  Apostoli, 
ai  quali  era  stato  detto  da  G.  C.  (ed  essi  adempirono  fedelmente 
con  mirabil  successo)  :  Euntes  in  mundum  universum,  praedicate 
E  vangeli  uni  omni  creaturae. 

Gli  apostoli  e  gli  uomini  apostolici  si  dicono  messaggi,  perchè 
furono  messi  o  mandati  da  G.  C.  :  sicut  misit  me  Pater,  et  ego  mitto 
vos.  Si  dicono  dell'eterno  regno,  perchè  il  regno  di  G.  C.  non  è  peri- 
turo, come  i  regni  di  questo  mondo  :  sulla  terra  non  ha  che  il  prin- 
cipio, e  poi  ha  nel  cielo  la  sua  eterna  continuazione. 

*s  Sopra  toccata.  Vedi  n.  41. 

*7  si  consonava  ecc.  Si  combinava  appunto  con  quello  che  inse- 
gnavano i  predicatori  di  G.  C.  e  della  vera  fede.  Essi  predicavano 
un  nuovo  ordine  di  cose  avvenuto  in  terra  mediante  una  riforma 
radicale  del  disordine  antico  :  Magntts  ab  integro  saeclorum  na~ 
ncitur  or  do.  Predicavano  le  grandezze  di  una  Vergine  e  lo  stabili- 
mento del  regno  della  grazia  e  dell'innocenza  per  la  rigenerazione 
dell'uomo,  una  età  veramente  dell'  oro  :  Redit  et  Virgo,  redeunt 
Saturnia  regna.    Predicavano  già  disceso  in  terra  un  bambine  di 


4Ai  PURGATORIO 

Dimmi  dov'è  Terenzio,  nostro  antico,  M 
Cecilio,  Plauto,  e  Varrò,  se  lo  sai:  59 
Dimmi   se  son  dannati,  ed  in  qual  vico.  *° 
100.   Costoro,  e  Persio,  ed  io,  ed  altri  assai, fil 

che  dal  V  mette  al  VI  giro.  Dicemmo  ch'era  lunga  2/8  di  miglio, 
come  potete  vedere  nella  mia  Tav.  V. 

58  Terenzio,  nostro  u ìttico,  Cecilio,  Plauto  ecc.  Tre  poeti  comici 
latini  più  antichi  di  Virgilio,  ai  quali  tutti  è  comune  l'aggiunto 
nostro  antico,  come  Dante  dicesse  in  plurale  :  Nostri  antichi  Te- 
renzio, Cecilio  e  Plauto.  Terenzio,  elegantissimo,  mori  verso  il  159 
av,  G.  C.  Cecilio  anteriore  a  Terenzio.  Cicerone  lo  chiama  malum 
latinitatis  auctorem  ;  ma  ch'egli  fosse  perito  nell'arto  della  Come- 
dia  appare  da  ciò  che  lo  stesso  Terenzio  non  dubitava  di  consal- 
tarlo. Plauto,  anch'esso  elegantissimo,  morì  nel  184  av.  G.C.  Varrò 
o  Vairone,  il  più  dotto  ed  il  più  erudito  tra  i  Romani  in  Gram- 
matica, Storia  e  Filosofìa,  visse  tra  il  116  e  il  28  av.  G.  C.  Desso 
era  contemporaneo  a  Virgilio,  perciò  questo  quarto  ò  separato  dagli 
altri  tre  primi,  ed  a  lui  non  si  estende  l'epiteto  di  nostro  antico  come 
ai  primi. 

t>9  Se  lo  sai.  Dice  se  lo  sai,  perchè  stando  Virgilio  nel  Limbo 
non  pò  tea  sapere  precisamente  che  di  quelli  che  fossero  al  Limbo; 
degli  altri  avrebbe  potuto  saperlo  parte  per  induzione,  poiché,  non 
trovandosi  al  Limbo,  si  potea  conchiudere  che  fossero  dannati,  e 
parte  per  poterli  anche  aver  veduti  nel  discendere  con  Dante  all'In» 
ferno:  poiché  già  nel  Canto  XXT  Virgilio  gli  avea  detto  :  Ond'io  fui 
tratt>>  fuor  dell'ampia  gola  —  D%  Inferno  per  mostrarli,  e  tno- 
stremili  —  Oltre  quauto  il  potrà  menar  mia  scuola:  il  che  era 
un  dire  a  Stadio,  ch'egli  (Virgilio)  avea  mostrato  a  Dante  l'inferno, 
e  quanto  si  può  vedere  nella  discesa,  ed  una  parte  del  Purgatorio. 
Poteva  dunque  Virgilio  uella  discesa  dell'Inferno  essersi  abbattuto 
in  qualcuno  dei  menzionati,  se  non  erano  al  Limbo,  od  averne  in- 
lesi i  nomi  da  altri  dannati,  così  passando  di  cerchio  in  cerchio. 

*>o  in  qual  vico.  In  qual  contrada,  o  cerchio  dell'Inferno. 

61  Persio.  Poeta  satirico  latiuo  assai  stimato,  ma  oscuro  ed  osceno, 
quantunque  la  sua  vita  non  fosse  oscena,  ma  di  buoni  costumi. 
Nacque  nel  34  dopo  G.  C.  e  morì  nel  G2  di  28  anni.  Egli  fu  dun- 
que contemporaneo  di  Stazio,  sebbene  morto  prima  di  Stazio,  e. 
vivendo  insieme  nella  stessa  Homa.  debbono  questi  due  poeti  essersi 
conosciuti.  Perciò  Virgilio  aggiunge  anche  questo  ni  nomi  richiesti 


CANTO  XXII.  486 

Rispose  il  duca  mìo,  siam  con  quel  Greco.  tt 
Che  le  Muse  lattar  più  ch'altro  mai. 

Nel  primo  cerchio  del  carcere  cieco. 6à 
Spesse  fiate  ragioniam  del  monte,  ** 
Ch'ha  le  nutrici  nostre  sempre  seco. 

Euripide  v'  è  nosco,  e  Anacreonte,  6b 
Simonide,  Agatone,  e  altri  piue 
Greci,  che  già  di  lauro  ornar  la   fronte.  ** 

Quivi  si  veggion  delle  genti  tue  67 

da  Stazio,  quasi  volendo  supplire  alla  dimenticali  za  di  lui.  E  forte 
ehi  sa  che  Dante  l'abbia  fatto  a  Stazio  tacere  a  bello  studio  per 
indicare  che  i  poeti  osceni  non  meritano  nemmeno  d'esser  nominati. 
Virgilio  però  lo  nominò  in  grazia  di  Stazio.  Osservo  ancora  che 
Persio,  siccome  Stazio,  vivevano  in  tempo  e  in  luogo  che  erano  ob- 
bligati ad  aver  la  fede  di  G.  C.  per  salvarsi.  Sicché  Dante  inclinò 
a  un  po'  di  troppa  indulgenza  verso  di  Persio,  per  quanto  a  me  pare* 
Ma  torna  qui  in  proposito  l'argomento  che  abbiamo  altre  volte  toc- 
cato in  simili  propositi,  doversi  cioè  concedere  al  poeta  una  tanta 
libertà  in  confronto  del  Teologo. 

6*  Con  qvel  Greco  ecc.  Omero,  principe  di  tutti  i  poeti  antichi. 
Dico  antichi,  perchè  Dante  sorpassò  di  gran  lunga  lo  stesso  Omero, 
per  la  fortuna  d'aver  potuto  attingere  dalla  vera  fede  il  più  grande 
soggetto  che  mai  si  possa  concepire,  e  di  averlo  saputo  trattare 
con  una  poesia  d.'gua  di  queir  altezza.  Ricordatevi  qui  del  IV  Canto 
dell'/»/*,  dove  di  Omero,  venuto  con  altri  ad  incontrar  Virgilio,  si 
dice:  Questi  è  Omero  poeta  sovrano.  Con  Omero  bì  apre  In  via  a 
dir  dei  Greci. 

63  AeJ  primo.  Nel  Limbo,  che  era  nel  primo  cerchio  dell'Inferno. 
Noi  abbiam  veduto  che  folte  tenebre  circondassero  la  città  dei 
Savi.  Canto  IV. 

64  Del  monte  ecc.  Del  Parnaso,  dove  abitano  sempre  le  muse 
maestre  e  madri  dei  poeti. 

65  Euripide  ecc.  Tutti  poeti  greci.  Euripide  tragico,  visse  dal 
480  av.  C;  Anacreonte  erotico,  visse  dal  532  av.  C.  ;  Simonide  ele- 
giaco, visse  dal  480  av.  C;  Agotone  tragico  e  comico,  visse  ai  tempi 
di  Socrate  e  di  Platone. 

W  Di  lauro  ecc.  Per  esser  poeti. 

6"»  DeUe   gtnti  tue.  Cantate  nella   tua   !/eòa»d<?   ed   Achilleide. 


4*6  PURGATORIO 

uo-        Antigone,  Deifile,  ed  Argia, 
Ed  Ismene  sì  trista  come  fu  e. 

Vedesi  quella  che  mostrò  Langia  ; M 
Evvi  la  figlia  di  Tiresia,  e  Teti,  w 
E  con  le  suore  sue  Deidamia.  70 

Tacevansi  ambedue  già  li  poeti, 7t 

Di  nuovo  attenti  a  riguardare  intorno, 
Liberi  dal  salire  e  da'  pareti;  7* 

E  già  le  quattro  ancelle  eran  del  giorno7' 
Rimase  addietro,  e  la  quinta  era  al  temo, 
120.       Drizzando  pure  in  su  l'ardente  corno, 74 

Antigone  figlia  di  Edippo  re  di  Tebe  ;  Deifile  figlia  di  Adrasto  re  di 
Argo;  Argia  altra  figlia  di  Adrasto;  I amene  figlia  di  Edippo.  La 
dice  «4  trista  come  fueì  alludendo  a  quei  versi  della  Tebaide  XI  : 
Stride n te m  pectore  plagam  Ismene  collapsu  super  lacrymisque  co- 
misque  —  Siocahat  plangens. 

W  Vedesi  quella.  Issifile  che  mostrò  la  fonte  Langia  agli  assetati 
Argivi. 

69  Figlia  di  Tiresia.  Non  Manto,  ma  o  Dafne  o  Istoriade,  ambo 
le  quali  furono  anch'esse  figlie  di  Tiresia.  Teti.  Madre  di  Achille, 
personaggio  fe\V  Achillei  de. 

70  Deidamia.  Principessa  trovata  alla  corte  del  re  Licomede  da 
Achille  quando  visse  colà  travestito  da  donna.  Scoperto  da  Ulisse, 
l'abbandonò,  lasciandola  gravida  di  Pirro.  E  un  personaggio  deK 
Wéehilleide  nel  I, 

71  Taoevansi.  Naturalmente,  all'apparir  di  nuovi  luoghi,  per  un 
momento  si  tace.  E  quel  momento  in  cui  la  mente  si  consiglia  per 
qual  via  si  debba  volgere  in  caso  che  più  ce.  ne  sieno,  come  qui., 
dov'era  a  dritta  e  a  sinistra. 

72  Liberi  ecc.  Tutto  questo  Canto  sin  qui  passò  per  la  scala  che 
dal  V  mette  al  VI  giro  dei  golosi.  Eccoci  dunque  nel  VI  giro,  nella 
facciata  che  guarda  nord.  Vedi  la  mia  Tav.  V. 

73  E  già  le  quattro.  L'ultimo  orario  fu  nel  Canto  XIX  n.  15. 
Allora  avevamo  le  6:15,  cioè  1  minuto  dopo  la  nascita  del  sole. 
Aggiunte  le  4  ore  che  qui  si  registrano,  abbiamo  10:15  antim.  del 
martedì  dopo  Pasqua.  Le  ancelle  del  giorno,  che  fanno  il  servizio  di 
tirare  il  carro  del  soli?,  sono  le  ore,  come  abbiamo  notalo  altre  volte. 

74  Drizzando  pitre  in  su.    Mancando   ore   1:4.-  al    mezzogiorno. 


CANTO  XXII.  487 

Quando  1  mio  duca:  Io  credo  eh  allo  stremo15 
Le  destre  spalle  volger  ci  convegna, 
Girando  il  monte  come  far  solerne  " 

Così  l'usanza  lì  fu  nostra  insegna,  n 
E  prendemmo  la  via  con  men  sospetto74 
Per  l'assentir  di  quell'anima  degna. 

Elli  givan  dinanzi,  ed  io  soletto 
Diretro,  ed  ascoltava  i  lor  sermoni, 
Ch'a  poetar  mi  davano  intelletto.  w 
180.   jfa  tosto  ruppe  le  dolci  ragioni*0 

Un  alber  che  trovammo  in  mezza  strada," 

ossia  al  ponto  più  alto  dell*  arco  che  fa  il  iole  nel  suo  corso  diarno, 
l*  punta  estrema  del  timone  del  cario  del  sole,  doveva  ancora  driz- 
zarsi all' insù.  Questa  punta  estrema  del  limone  è  l'ardente  eorno 
del  temo. 

7*  Io  credo  eh'a'lo  stremo  ecc.  Secondo  che  hanno  fatto  sempre 
sin  qui,  che,  salita  ogni  scala,  si  volsero  sempre  a  destra.  Cosi  la 
spalla  destra  fu  sempre  volta  al  di  fuori  della  strada,  o  allo  stremo 
di  essa.  Anche  l'ultima  volta,  per  l'altro  girone  di  sotto,  Adriano  V 
disse  ai  poeti:  Le  vostre  destre  sien  sempre  di  furi.  Cosi  i  poeti 
presero  una  direzione  da  est  ad  ovest,  camminando  per  la  facciata 
«lei  monte  volta  a  nord.  Vedi  la  mia  Tav.  V,  cornice  VI. 

?6  Girando  ti  morite  ecc.  Vedi  Tav.  V,  cornice  VI. 

77  Così  l'usanza.  L'usanza  di  andar  sempre  a  destra,  in  contrario 
all'Inferno,  dove  si  andò  sempre  a  sinistra. 

Nostra  insegna.  Metafora  presa  dalle  pietre  migliane  o  indici 
delle  strade. 

T*  Con  men  sospetto.  —  Per  ecc.  Per  simil  modo  si  erano  assi- 
curati della  vera  strada,  quando  i  poeti  si  trovavano  nella  cornice 
degli  invidiosi,  dove  si  disse  :  Xoi  sapevam  che  queir  anime  care  — 
Ci  lasciavano  andar;  però  tacendo  —  Facevan  noi  del  cammin 
confidare. 

~9  Mi  davano  intelletto.  Mi  davano  intelligenza,  conoscenza,  o 

istruzione,  o  scuola* 

so  Le  dolci  ragioni.  I  dolci  ragionamenti.  La  vista  di  cose  nuove 
e  straordinarie  interrompe  sempre  i  colloquii. 

**  Un  alber.  Un  albero  carico  di  frutta.  Ricordiamoci  di  essere 


488  PURGATORIO 

Con  pomi  ad  odorar  soavi  e  buoni.  M 
E  come  abete  in  alto  si  digrada  ** 

Di  ramo  in  ramo,  così  quello  in  giuso; 

Cred'  io  perchè  persona  su  non  vada. 
Dal  lato,  onde  il  cammin  nostro  era  chiuso,  " 

Cadea  dall'alta  roccia  un  liquor  chiaro,  ** 

tìellà  cornice  dei  golosi,  ai  quali  per  pena  si  offre  un  albero  pien 
di  frutta,  tali  che  anche  al  solo  odore  solleticano  l'appetito  di  anime 
affamatissime,  senza  che  se  ne  possano  cibare.  —  In  mezza  strada. 
Nel  mezzo  della  strada.  Era  nel  mezzo  avente  perciò  piedi  7  1/2 
di  strada  per  parte,  e  ciò  perchè  le  anime  affiniate  lo  potessero 
veder  tutto  intorno,  e  oosi  servisse  loro  di  maggior  tormento.  Es- 
sendo nel  mezzo,  le  anime  giunte  ad  essa  si  dividevano,  trapassan- 
dolo, metà  per  parte,  e  cosi  sia  le  une  che  le  altre  ne  sentivano  i 
medesimi  influssi. 

32  Con  pomi.  Alla  latina,  con  frutta.  —  Ad  odorar.  Cosi  oltre  la 
vista  dei  pomi,  l'odore  stesso  di  essi  tormentava.  La  gola  si  serve 
a  peccare  dei  sentimenti  del  corpo.  Ebbene,  tutti  i  sentimenti  del 
corpo  son  qui  puniti.  Intanto  si  comincia  dalla  vista,  e  dall'odorato. 

W  E  come  abete  ecc.  Perchè  sia  punito  il  tatto  dei  golosi  si 
diede  all'albero  forma  tale  che  non  può  essere  asceso.  Esso  è  dira- 
mato a  rovescio  d'un  abete.  L'abete  nel  fondo  verso  terra  ha  li 
rami  più  espansi,  e  mano  mano  che  sale,  più  ristretti  finché  nella 
cima  termina  in  sola  punta.  L'abete  così  fatto  ò  facile  a  salire.  Eb- 
bene, l'albero,  che  qui  troviamo,  è  bensì  piantato  in  terra  come  gli 
altri,  ma  la  massima  espansione  dei  rami  la  ha  in  alto  sulla  cima, 
e  mano  mano  che  discende,  li  ristringe,  Bieche  non  resta  in  fondo 
che  T  ignudo  fusto.  In  conseguenza  quest'albero  non  ò  accendibile. 
E  se  non  è  ascendibile,  ecco  che  la  mano  non  può  coglier  frutta. 

W  Dal  lato  onde  ecc.  Questo  non  vuol  già  dire  che  tra  l'albero 
e  il  monto  non  vi  avesse  strada  ;  perciocché  gtò  vedemmo  che  v'era 
di  piedi  7  1/2  :  ma  vuol  dire  dal  lato  del  monte  al  quale  confinava 
la  strada,  ossia  dal  monte  stesso,  il  quale  colà  non  aveva  salita,  e 
quindi  chiudeva  il  cammin  dei  poeti. 

W  Cadea  dall'alta  roccia.  Come  le  frutta  si  posero  visibili  ma 
inaccessibili,  così  la  fontana  si  pose  visibile  ma  inaccessibile  :  perciò 
la  si  fa  spicciare  dall'alta  roccia.  Siccome  però  le  acque  pure  inac- 
oetsibili  alla  sorgente,  poteano  farsi  accessibili  e  pr  «abili  dopo  discese: 


CANTO  XXII.  4SJ 

E  a  spandeva  per  le  foglie  suso». 
L:  due  poeti  alìalhcr  s'appressare*  : 
*4"        Ed  una  voce  per  entro  le  fronde 

Gridò  :  Di  questo  cibo  avrete  caro.  "* 
Poi  disse  :  Più  pensava  Maria,  onde  *~ 

F^sser  le  nozze  orrevoli  ed  inten\ 


eoa  a  far  eh*  ri  reggane,  seni*  che  poi  se  ne  possa  tx*ara,  si  ranno 
cascare  carne  pioggia  salì' ombrello  dell'albeio.  per  cui  sì  spandano 
e  perdano  parte  lunro  i'sibero.  e  parte  a  terra  ù:.  rette  in  cvcic. 
Co*:  tré  fame  ir  mìe  pu"«  esfer  *">vata  awawawur.onto  ;  ani;  così 
viene  l'oca  e  i'*Itra  inaqfrln  V'ha  di  pH.  Vacqaa  slargando  dal 
sw»  e  cadendo  amli'albet»  si  iacea  «dii*  dagli  assetati,  e  così  era 
tonuentato  acche  rndàte.  L'adito  «aia  tmnta»  «ache  dalle  voci 
che  uscivan  dalla,  fiuta,  cua*  vedremo, 

^  Gridò  ecc.  IN  questo  a  fitto  wualia.  «saia  leanmnra,  o*>ìa 
ood  potrete  cibarvi.  Cori  la  gola  era  piatta  aaéaa  per  l'udito  :  e 
c*si  tatti  i  sentimenti  del  goloso,  il  <]ual  dì  tatti  si  vale  alla  sua 
gola.  Tediamo  che  qui  sono  paniti.  Notate  che  queste  paiole  uscite 
dall'albero,  e  le  altre  che  si  diranno,  non  aaao  unieimente  direte 
ai  tre  poeti  :  ma  esse  veng-mo  recitate  tempre  ohe  passano  anime 
lunghesso  la  pianta. 

&  poi  dine:  Più  puntava  eco.  Sono  questi  ì  soliti  esempi  dì 
virtù  che  noi  abbiamo  sempre  vedito  in  ogni  cornice  per  ogni  vì- 
zio. Prima  si  posero  sempre  eli  e>.:»pi  di  quella  virtù,  la  cui  man- 
con  .a  si  puniva  in  ogui  «ingoia  cornice,  p*i  si  trovavano  le  anime 
punite  per  aver  seguito  il  vizio  contrario,  e  finalmente  si  chiudeva 
«»ogli  esempi  di  castighi  al  detto  vizio.  Ma  questo  si  foco  sempre 
variandone  il  modo,  secondo  che  ci  ricorda  di  aver  noi  osservato 
di  volta  in  volta.  Il  modo  che  veliamo  qui,  varia  dagli  altri;  per- 
chè la  voce  di  un  ignoto  e  fatta  ir  ciré  dall'albero,  il  che  non  ab- 
biamo mai  veduto.  Prov.i  di  sterminata  riccheiia  di  fantasìa  Per 
tanto  la  virtù  che  si  loda  contraria  alla  gola  è  la  sobrietà  o  l'asti - 
nenzi.  Il  primo  esempio  e^  di  Maria  SS.  che  Dante  mette  sempre 
a  maestra  principale  d'ogni  virili,  e  quando  può  dirne  qualche  fatto 
noi  lascia  mai,  anzi  e  sempre  il  primo  che  gli  esco,  dalla  penna. 
L'abbiamo  sempre  veduto,  e  lo  vedremo  sempre.  Prova  della  divo- 
zione di  Dante  a  sì  gran  Donna.  T  letterati  che  ammirano  Dante 
nella  poesia,  e  torrebbero  a  gran  merce,  di  poterlo  imitare,  lo  imi* 


> 


490  PURGATORIO 

Ch'alia  sua  bocca,  ch'or  per  voi  risponde.  w 
E  le  romane  antiche  per  lor  bere  *9 

Contente  furon  d'acqua,  e  Daniello  M 

Dispregiò  cibo,  ed  acquistò  savere. 
Lo  secol  primo  quant'oro  fu  bello  ;  9i 

Fé  savorose  con  fame  le  ghiande, 
150,       E  nettare  con  sete  ogni  ruscello. 
Mele  e  locuste  furon  le  vivande,91 

Che  nudriro  il  Battista  nel  deserto  ; 


tino  pure  in  questi  tjel  sentimenti,  che,  come  fanno  grande  onore  a 
Dante,  cosi  farebbero  pas9  onore  ad  e&sb  nqedesUai.  L' esempio  di 
Maria  SS.  &  il  f»U»  abbMUnza  noto  ddtiìCflremura  ch'ebbe  Maria 
per  l'onore  delle  notte  altrui,  e  non  par  «e  slot» 

**  Ch'or  per  voi  rftpttMfr  Prega  ©  guarenttaee  per  voi.  È  bel- 
lissimo questo  rùpondb,  ohe  espone  r  ira  di  Dio  che  ci  vuol  pu- 
nire pei  nostri  peccati,  e  eke  viene  arrestato  dalle  guarentigie  che 
gli  fa  in  cielo  Ilaria  per  la  nostra  conversione. 

**  E  le  romane  ecc.  È  nota  la  sobrietà  degli  antichi  romani  tnnto 
lodati  da  Salustio  nel  principio  della  sua  Storia  di  Roma.  Questo 
fatto  prof t> no  succede  al  sacro,  secondo  il  solito  delle  altre  conrei, 
che  hanno  sempre  quest'ordine. 

90  Daniello  cec.  Daniello  ed  altri  fauchilli  ebrei  dovean  secondo 
le  regolo  di  corte  esser  tutti  nutriti  di  cibo  regio.  Ma  perchè  que- 
sto era  vietato  dalla  legge,  ottennero  di  soppiato  dì  cibarsi  di  soli 
legumi.  Questa  astinenza  in  ossequio  alla  religione  gli  valse  l'acqui- 
sto del  savere,  ossia  della  sapienza,  e  della  intelligenza  dei  sogni  e 
dei  misteri.  Vedi  il  libro  di  Daniele. 

9*  Lo  secai  primo  ecc.  Fu  tanto  bello,  quanto  bello  è  l'oro  :  per- 
ciò la  prima  età  del  mondo  si  chiama  il  secol  d'oro.  È  il  quarto 
esempio  in  lode  della  sobrietà  contraria  alla  gola  tratto  dalla  mito- 
logia. Secondo  questa,  allora  gli  uomini  si  cibavano  di  ghiande,  e 
spegnevano  la  sete  coll'acqua,  ed  erano  tanto  sobri  che  mangiavano 
a  tarda  fame,  e  bevevano  a  tarda  sete,  perciò  riuscivano  loro  sa- 
porite le  ghiande,  e  nettare  o  vin  prelibato  l'acqua  dei  ruscelli. 

92  Mele  e  locuste  ecc.  È  noto  abbastanza  dal  Vangelo.  Si  sa  che 
nella  Palestina  ci  hanno  locuste  assai  più  grandi  delle  nostre,  e 
che  possono  servire  di  cibo,  sebbene  assai  triviale  e  misero. 


CANTO  XXH.  491 

Perch'egli  è  glorioso,  e  tanto  grande,  w 
Quanto  per  l'Evangelio  v'è  aperto. 

tt  Perch'  egli  t  ecc.  G.  C  medesimo  disse  di  lui  :  Joannes  nec 
manducane  panerà ,  nec  bibens  vinum.  Lue.  VII,  33  (questo  quanto 
alla  sua  astinenza  ;  e  poi  disse  di  lui  medesimo  :  .Voti  surrexit  inur 
nato*  mulierum  maior  Joanue  Baptist  a  (  questo  quanto  alla  sua 
gloria).  Hat.  XI.  11. 


1 


XXIII 


A  sgomento. 

Dante  mjtftrmu'ùii  «//* albero  guarda  liso  p*r  entro  te  fronde. 
Virgilio  lo  eccita  a  partirete*.  Dante  segue  tosto  i  poeti.  Ani*** 
preganti  vengono  di  dietro  a  loro.  Frani*  i  golosi.  Si  descrive  la 
loro  magrezza.  A  Dante  vìe  a  vojìia  dì  saperne  la  cagione.  Per 
fortuna  gli  vie  i  fatto  ni  conoscer  un'ombra.  Era  quella  di  Forese 
suo  arnica  e  parente,  ìf  spiale  *ra  t'ato  il  prioi  >  a  riconoscer 
Dante.  Forese  chìed*  a  Dan* e  due  cosci  l.<*  come  mai.  vivente 
ancora,  egli  sia  cola  :  2.*1  chi  sie*o  li  due  suoi  compagni.  Ma 
Dante  s'impiglia  a  voler  prima  saper  da  Forese  la  cagione  della 
magrezza,  forese  t'addita  nella  proprietà  delTacqra  e  della  pianta, 
e  con  questa  occasione  gli  manifesta  che  r anime  di  quella  cor- 
nice furon  golose,  e  che  girano  e  rigirano  a  quella  pianta,  sebbene 
d-i  quella  venga  la  lor*>  pena.  Sciolto  un  dubbio.  Dante  gliene  pr«>« 
pone  un  secondo,  come  mai  egli  morto  da  5  an*i.  e  come  rt itosi 
tolo  in  morte  non  è  accora  nelT Atrio  del  Purgatorio?  Forese 
risponde  tenendo  la  tua  liberazione  daW Atrio  e  dagli  altri  giri, 
dalla  sua  buona  vedova  Xella.  Presa  occasione  dalla  bontà  della 
tua  donna,  inveiste  con'ro  la  scostumatezza  delle  donne  fiorentine. 
e  predice  che  *i  griderà  dal  pergamo  contro  di  loro,  e  che  saranno 
punite  di  là  a  non  molto.  Contentata  ch'ebbe  F*rr*e  ogni  dimanda 
di  Dante,  chiede  che  gli  soddisfi  la  sua.  Dante  gli  spiega  di  tè  e 
de  suoi  due  compagni. 


AH.  Vedi  tolti  i  c*s«UJai  «li  questo  **nto  o«lla  T*v.  IH  Pufj.,  e  U  fa%.  \  Purg. 

Mentre  che  gli  occhi  per  la  fronda  verde  ! 
Ficcava  io  cosi,  come  far  suole 

*  Mentre  che  ecc.  Essendo  i  poeli  gii  mossi  dall'albero  e  partiti, 
1  tante  s'era  arrestato  alquanto,  agallando  rocchio  per  entro  le  fronde, 
come  chi  attende  alla  presa  di  qualche  uccellino  colà  nascosto.  Per- 
chè Dante  si  soffermò  cosi?  Per  veder,  se  gli  era  Dosàbile,  chi 
avesse  date  quelle  toci  fuor  dell'albero 


494  PURGATORIO 

Chi  dietro  all'  uccellili  sua  vita  perde  ; 

Lo  più  che  padre  mi  dicea  :  Figliuole, 
Vienne  oramai,  che  '1  tempo  che  c'è  imposto  * 
Più  utilmente  compartir  si  vuole. 3 

I1  volsi  il  viso,  e  il  passo  non  men  tosto  4 
Appreso  a'  savi,  che  parla  van  si  e, 5 
Che  l'andar  mi  facén  di  nullo  costo. 
w-     Ed  ecco  piangere  e  cantar  s'udie.6 
Labia  mea,  Domine,  per  modo  * 
Tal,  che  diletto,  e  doglia  parturie. g 

0  dolce  padre,  che  è  quel  ch'i'  odo  ?  * 

*  Vienne  ecc.  È  il  solito  eccitamento  alla  cura  del  tempo. 

*  Più  utilmente  ecc.  Perchè  il  volere  Dante  veder  l'autore  di 
quel  divieto:  Di  questo  cibo  avrete  caro,  era  vana  curiosità  più 
che  altro. 

*  /'  volsi  il  viso.  Fu  tutt'uno  l'eccitamento  alla  fretta  che  fé  Vir- 
gilio e  il  muoversi  di  Dante  dietro  quell'eccitamento.  Però  si  può 
notare  differenza  in  una  simultaneità  di  azioni:  quando  ci  moviamo 
dietro  un  invito,  prima  si  volge  il  viso,  e  poi  il  passo,  non  mai 
prima  il  passo  e  poi  il  viso.  In  Dante  scrittor  di  natura  convien 
osservare  anche  le  cose  più  piccole. 

s  Parlavan  rie  —  Che  ecc.  Nel  Canto  XXII  disse  che  i  sermoni 
dei  due  poeti  eran  tali  CKa  poetar  mi  davano  intelletto.  Si  capisce 
dunque  che  erano  discorsi  poetici. 

6  Piangere  e  cantar  s^udie.  Notate  che  tanto  il  piangere  quanto 
il  cantare  si  udiva.  Dunque  il  piangere  non  è  qui  il  solo  lagrimare. 
il  quale  si  vede,  ma  non  si  ode:  quel  piangere  era  un  gemito,  o 
piuttosto  un'aria  patetica  e  piagnolenta  con  che  si  esprime  talora 
il  canto,  sì  che  quando  si  canta  ti  par  sentir  di  piangere.  Lezione 
ai  maestri  di  musica  per  esprimere  colle  note  i  veri  sensi  della  pa- 
rola, e  le  varie  passioni  del  cuore. 

7  Labia  me  a  Domine.  Dante  scelse  e  sceglie  ora  molto  a  propo- 
sito i  versetti  scritturali.  Questo  del  salmo  50  pei  golosi  è  il  più 
calzante. 

&  Diletto  e  doglia.  Diletto  pel  canto,  doglia  pel  pianto. 
9  Che  è  quel  ch'i' odo  ì  Notate  bene    che   Dante  udiva  bensì  il 
cantar  patetico  e  le  stesse  parole,   ma  non  vedeva   però  ancor  le 


r.'i. 


10 


CANTO  XXIII.  495 

Comincia' io:  ed  egli:  Ombre  che  vanno 
Forse  di  lor  dover  solvendo  il  nodo. 

Sì  come  i  peregrin  pensosi  fanno. 

Giugnendo  per  cammin  gente  non  nota. 
Che  si  volgono  ad  essa,  e  non  ristanno; 

Così  diretro  a  noi  più  tosto  mota,  " 

20.         Venendo  e  trapassando,  ci  ammirava  ls 

D'anime  turba  tacita  e  devota.  " 


persone.  Lo  stesso  Virgilio  udiva,  ma  non  vedeva,  ed  è  perciò  che 
nella  sua  risposta  dice:  For$e.  Eppure  se  era  per  Torà  del  giorno, 
vi  si  vedeva  molto  bene,  perchè  erano  di  poco  passate  le  10  1/4 
antimeridiane,  e  se  era  per  la  distanza  dei  cantanti,  questi  erano 
si  poco  distanti,  che  appena  fatta  la  dimanda  di  Dante,  e  la  ri- 
sposta di  Virgilio,  quei  cantanti  erano  già  sopra  i  tre  poeti.  Che 
ci  vuol  dir  dunque  il  poeta  con  questo  modo  di  descrivere?  Ci  vuol 
dire,  ed  ecco  l'arte  finissima  del  poeta,  che  il  monte  in  quella  VI 
cornice,  aveva  una  periferia  ristrettissima,  cotal  che  le  ombre  ai  fa- 
cevano udire  senza  vedere,  e  poi  in  un  baleno  poteano  raggiungere 
i  poeti,  passando  assai  poco  dal  non  vederle  al  vedersele  appresso. 
Chi  crederebbe  imper tanto  che  il  poeta,  dicendo  cosi,  ci  desse  già 
i  cenni  belli  e  chiari  della  ristrettezza  della  circonferenza  in  quella 
VI  cornice?  Eppure  è  così.  Vedi  il  mio  Disegno  Tav.  V,  coni.  VI, 
dove  riscontrerai  che  la  circonferenza  della  presente  cornice  è  di 
soli  5/8  di  miglio. 

*o  Giugnendo.  Raggiungendo  essi  peregrini  (Nominativo)  gente 
non  nota  (Accusativo). 

H  Diretro  a  noi.  Dalla  parte  ove  i  poeti  aveano  lasciato  l'al- 
bero. —  Più  toiio  mota.  Con  passo  più  frettoloso  del  nostro. 

**  Trapassando.  Per  la  voglia  di  ritornare  all'albero  onde  veniva 
la  loro  pena.  Dunque  per  lo  desiderio  di  pena.  —  Ci  ammiravo. 
Ammirava  tutti  e  tre  i  poeti  qual  per  una,  qual  per  altra  ragione. 
Essa  ammirava  Dante  perchè  lo  conosceva  vivo  dall'ombra  che 
gittava.  Ammirava  gli  altri  due,  che  sebbene  fossero  ombre  non 
erano  della  loro  schiera,  e  non  sapea  chi  potessero  essere 

<3  Tacita.  I  canti  e  i  gemiti  erano  stati  già  sospesi  appena  le 
ombre  s'accorsero  dei  tre  forestieri.  E  natorale,  e  noi  il  notammo 
poco  sopra,  che  all'improvviso  apparire  di  cose  nuove,  s' interrompe 
sempre  il  parlare  che  si  facea  dapprima. 


496  PURGATORIO 

Negli  occhi  era  ciascuna  oscura  e  cava,  u 
Pallida  nella  faccia,  e  tanto  scema,  " 
Che  dall'ossa  la  pelle  s' informava. 

Non  credo  che  così  a  buccia  strema  l6 
Erisiton  si  fosse  fatto  secco  l7 
Per  digiunar,  quando  più  n>.bbe  téma. 

Io  dicea,  fra  me  stesso  pensando:  Ecco  4H 

i*  Negli  occhi  ecc.  Sia  pel  bratto  che  pel  bello  gli  occhi  tengono 
sempre  il  primo  luogo.  Perc'ò  Dell'imprendere  la  descrizione  di 
quest'ombre  distrutte  dalla  fame  meritamente  si  comincia  dagli 
occhi.  —  Oscura,  perchè  essendo  gli  occhi  addentrati,  l'osso  superiore 
sporgente  e  le  sopracciglia  vi  diffondono  la  loro  ombra.  —  Cava.  Gli 
occhi  nelle  malattie  di  consunzione  perdono  loro  d' intorno  la  parte 
carnea,  e  diminuiscono  i  loro  umori,  per  cui  dove  prima  era  protu- 
beranza si  fa  cavità. 

**  Pallida  ecc.  Il  pallore  è  uno  degli  effetti  della  fame,  che  spe- 
gne la  vivacità  del  sangue,  il  qual  colora  la  pelle.  Tanto  scema  — 
Che  ecc.  La  distruzione  della  carne  è  anch'essa  effetto  evidente  della 
fame.  Nel  nostro  caso  la  consunzione  era  ridotta  a  pelle  ed  ossa, 
cotalchè  Tossa  e  non  le  carni  informavano  la  pelle ,  ossia  la .  pelle 
non  era  che  leggier  velo  teso  lungo  le  ossa,  le  quali  cosi  spicca* 
vano  quasi  fossero  ignudc,  e  di  scheletro. 

*fi  A  buccia  strema.  Fino  all'ultima  delle  tre  pelli  che  vestono 
la  carne,  quasi  dica  che  le  tre  pelli  superiori  si  fossero  già  dissec- 
cate e  consunte,  e  che  non  restasse  che  l'ultima  a  vestir  tesamente 
le  ossa,  in  sul  punto  anch'essa  di  smagliarsi  se  la  faine  fosse  cre- 
sciuta d'un  sol  tantino. 

<7  Erisiton.  Secondo  Ovidio  nell'Vill  delle  Metamorfosi,  era  di 
Tessaglia,  sprezzò  il  culto  dei  numi,  onde  fu  punito  a  consumarsi 
dalla  fame.  Perciò  dopo  aver  mangiato  tutto  il  suo,  e  di  aver  per 
fame  venduta  la  figlia,  non  avendo  più  altro,  si  rosicchiava  da  sé 
stesso  le  carni,  e  così  mentre  in  esse  cercava  la  vita  vi  trovò  la 
morte.  È  su  quest'ultimo  stadio  della  fame  di  Erisiton  che  il  poeta 
chiama  la  nostra  attenzione.  Prima  di  quest'ultimo  fatto  egli  ebbe 
téma,  o  cagion  ili  digiunare  ;  ma  giuuto  a  quest'ultimo  punto  ebbe 
più  téma  o  cagion  di  digiuno  che  tutte  le  altre  volto,  perchè  non 
aveva  più  nò  sostanze  né  figlia  da  vendere,  onde  il  digiuno  e  la 
fame  fu  portata  agli  eccessi. 

18  Ecco  la  gente   che   ccc     Ecco   la   vera    imagiue    degli    Ebrei 


CANTO  XXIII.  497 

La  gente  che  perde  Gerusalemme, 
30-        Quando  Maria  nei  figlio  die  di  becco. 

Parean  le  occhiaie  anella  senza  gemme:  i9 
Chi  nel  viso  degli  uomini  legge  omo,  *° 
Ben  avria  quivi  conosciuto  l'emme. 

Chi  crederebbe  che  l'odor  d'un  pomo11 
Sì  governasse,  generando  brama, 
E  quel  d'un' acqua,  non  sappiendo    corno? 

Già  era  in  ammirar  che  sì  gli  affama, 
Per  la  cagione  ancor  non  manifesta 
Di  lor  magrezza,  e  di  lor  trista  squama  ;  ** 

quando  furono  si  orrìbilmente  affamati  da  Tito  entro  Gerusalemme; 
ma  degli  ebrei  in  quel  punto  che  perderono  Gerusalemme  cioè  la 
vigilia  o  il  giorno  stesso  della  sua  presa,  quando  la  lor  fame  era 
giunta  al  suo  massimo  grado,  grado  che  si  conosce  da  quel  bar- 
baro partito  preso  da  quella  madre  che  avea  nome  Maria,  la  quale 
arrosti  il  proprio  bambino,  non  avendo  altro  da  mangiare,  fatto  il 
patto  con  una  sua  vicina  di  mangiarsi  appresso  il  figlio  di  questa. 
Fatti  che  avvennero  in  fine  dell'assedio,  quando  la  fame  arrivò  al 
sommo. 

19  Parean  le  occhiaie  ecc.  Le  occhiaie  o  le  casse  degli  occhi  pa- 
rean senza  occhi,  tanto  erano  approfonditi.  Per  far  intender  meglio 
questa  cosa,  prende  la  similitudine  delle  anella,  che  nel  castone  hanno 
una  gemma,  e  dice:  supponete  che  il  castone  non  abbia  gemma. 
Ebbene  ;  tali  parean  quelle  occhiaie. 

*o  Chi  nel  viso  ecc.  In  un  viso  inagrissimo,  e  affatto  scarno  che 
somigliasse  ad  un  teschio  da  morto  voi  vedete  li  due  0  nelle  oc- 
chiaie, e  vedete  in  mezzo  a  questi  1*  M  formato  dal  filo  del  naso,  e 
dalle  due  ossa  arcuate  che  si  protendono  dai  lati  del  naso  soprale 
mascelle  superiori.  L'emme  sarebbe  nel  viso  la  seguente  figura^.. 

a*  Chi  crederebbe  ecc.  È  detto  questo  per  anticipazione.  Il  poeta 
lo  intenderà  tra  poco  da  Forese.  Dio  a  castigo  dei  golosi  pone  nelle 
frutta  di  quell'albero,  e  nell'acqua  che  su  vi  cade  una  virtù  spe- 
ciale in  fòrza  della  quale  l'odor  delle  frutta  e  dell'acqua  genera  in 
essi  la  fame  e  la  sete  che  li  strugge,  senza  che  si  sappia  come  ciò 
avvenga. 

tt  Trista  squama.  Metafora:  è  propriamente  la  veste,  che  avvolge 

32 


498  PURGATORIO 

40.     Ed  ecco  dal  profondo  della  testa53 

Volse  a  me  gli  occhi  un'ombra,  e  guardò  fiso; 
Poi  gridò  forte:  Qual  grazia  m' è  questa?*4 

Mai  non  l'avrei  riconosciuto  al  viso;*5 
Ma  nella  voce  sua  mi  fu  palese 
Ciò  che  l'aspetto  in  sé  avea  conquiso. 

Questa  favilla  tutta  mi  raccese  *6 

Mia  conoscenza  alla  cambiata  labbia,  *7 
E  ravvisai  la  faccia  di  Forese,  28 

Deh!  non  contendere  all'asciutta  scabbia,29 
50-         Che  mi  scolora,  pregava,  la  pelle, 
Né  a  difetto  di  carne  ch'io  abbia; 

la  carne  di  certi  pesci,  ma  è  detta  per  la  pelle  di  quelle  ombre 
affamate,  la  quale  appunto  per  effetto  naturale  della  inedia  si  fa 
incallita  e  squamosa,  come  si  può  vedere  nei  pellagrosi,  che  d'  or- 
dinario divengono  tali  per  cibo  manco. 

23  Dal  profondo  della  testa.  Dal  fondo  delle  occhiaie,  li  cui  occhi 
s' internavano  profondamente  nella  testa.  Questa  scena  meriterebbe 
lo  studio  di  un  valente  pennello. 

24  Qual  grazia  m'è  questa  t  L'ombra  avea  già  riconosciuto  Dante 
alle  fazioni  del  volto. 

25  Mai  non  l'avrei  riconosciuto  al  viso  ecc.  Dante  non  poteva 
riconoscer  l'ombra  che  alla  voce,  perchè  l'eccessiva  magrezza  distrugge 
affatto  i  lineamenti. 

96  Questa  favilla.  Questo  indizio  della  sua  voce. 
«f  Cambiata  labbia.  Labbia  per  faccia. 

28  Forese.  Nobile  fiorentino,  amico  e  parente  di  Dante.  Forese 
era  dei  Donati,  fratello  di  Corso  e  di  Piccarci  a  :  era  poi  parente  di 
Dante,  perchè  questi  spos*ò  una  Gemma  Donati.  Dante  però  in  po- 
litica era  avversario  dei  Donati. 

29  tfon  contendere.  Qui  non  vuol  dire  contrastare,  ma  vuol  dir  : 
fissar  con  tensione,  ossia  tendere  con  molta  forza  le  ciglia,  come 
si  fa  in  un  eccesso  di  maraviglia.  Dante  era  tutto  fuori  di  sé  per 
lo  stupore,  come  disse  prima,  e  ripeterà  poi,  e  ciò  dovea  impedirlo 
dal  secondar  subito  la  curiosità  di  Forese.  Forese  dunque  gli  vuol 
torre  questo  impedimento  per  farlo  subito  parlare.  —  All'asciutta 
scabbia.  Alla  pellagra. 


CANTO  XXin.  499 

Ma  dimmi  il  ver  di  te,  e  chi  son  quelle  * 
Due  anime  che  là  ti  fanno  scorta  ;  *f 
Non  rimaner  che  tu  non  mi  favelle. 

La  faccia  tua,  chv  io  lagrimai  già  morta,  ** 
Mi  dà  di  pianger  mo  non  minor  doglia, 
Risposi  lui,  veggendola  sì  torta.  ** 

Però  mi  di',  per  Dio  >  che  A  vi  sfoglia  ; u 
Non  mi  far  dir  mentr'io  mi  maraviglio;15 
*°.        Che  mal  può  dir  chi  è  pien  d'altra  voglia. 

Ed  egli  a  me  :  Dell'eterno  consiglio  " 
Cade  virtù  nell'acqua,  e  nella  pianta 
Rimasa  addietro,  ond1  io  sì  mi  sotti  glie 

Tutta  està  gente,  che  piangendo  canta. 
Per  seguitar  la  gola  oltre  misura, 
In  fame  e  in  sete  qui  si  rifa  santa. 

Di  bere  e  di  mangiar  n'accende  cura 

L'odor  ch'esce  del  pomo,  e  dello  sprazzo, 
Che  si  distende  su  per  la  verdura. 
70-     E  non  pure  una  volta,  questo  spazzo  " 

*>  Ma  dimmi  il  ver  di  te.  Non  già  chi  tu  sia,  ma  come  sia  quassù 
mentre  sei  vivo. 

31  Che  là.  Da  ciò  non  si  creda  che  Dante  e  Forese  fossero  fermi. 
No,  essi  andavano;  ma  pegli  atti  del  riconoscimento  e  delle  pa- 
role dovettero  aver  alquanto  allentato  il  passo,  si  che  li  due  altri 
poeti  s'erano  nn  po'  discostati  innanzi.  (Vedi  la  collocazione  di  que- 
sti quattro  personaggi  nel  mio  disegno  Tav.  V,  tra  li  due   alberi). 

3*  Ch'io  lagrimai.  ecc.  Per  essere  stato  suo  amico,  come  dicemmo. 

33  Si  torta.  Sì  contrafatta. 

34  Per  Dio.  Per  amor  di  Dio.  Sfoglia.  Emunge,  dimagra. 

3*  Non  mi  far  ecc.  Nota  l'arte  e  l'astuzia  che  usa  Dante  per 
saper  primo  le  cose.  Egli  non  sa  se  poi  le  potrà  saper  più.  Questo 
verso  spiega  il  contendere  del  verso  49. 

36  Dell'eterno  ecc.  Vedi  la  nota  21. 

37  E  non  pure  una  volta.  E  non  solo  una  volta  girando  questo 
spazzo.  La  nostra  pena  si  rinnova  ogni  volta  che  facciamo  un  gire 


o 


600  PURGATORIO 

Girando,  si  rinfresca  nostra  pena; 

Io  dico  pena,-  e  dovre'  dir  sollazzo  ;  M 
Che  quella  voglia  all'arbore  ci  mena,  " 

Che  menò  Cristo  lieto  a  dire  Eli,  *° 

Quando  ne  liberò  con  la  sua  vena.  41 
Ed  io  a  lui:  Forese,  da  quel  dì  Aa 

:  el  qual  mutasti  mondo  a  miglior  vita, 

Cinqu'  anni  non  son  volti  insino  a  qui.  " 
Se  prima  fu  la  possa  in  te  finita  " 
8°-        Di  peccar  più,  che  sorvenisse  Torà 

Del  buon  dolor,  ch'a  Dio  ne  rimarita, 


del  monte,  e  che  passiamo  dinanzi  all'albero,  e  di  questi  giri  e  di 
questi  ritorni  all'albero,  causa  del  nostro  sfacimento,  ne  facciamo 
molti.  L'amor  della  pena  è  cagione  che  ritorniamo  all'albero  con 
velocità,  e  la  brevità  del  giro,  che  è  di  soli  5/8  di  miglio,  come 
si  vede  nella  mia  Tav.  V,  è  cagione  che.  di  questi  giri  ne  dobbiamo 
far  molti. 

88  Stillano.  Stupendissima  correzione. 

39  Quella  voglia  ecc.  Siccome  Cristo  fu  menato  all'albero  della 
croce  dalla  voglia  di  soddisfare  alla  divina  giustizia,  così  queir  anime 
son  menate  all'albero  delle  frutta  dalla  stessa  voglia:  dunque  come 
Cristo  amò  la  sua  croce,  così  noi  amiamo  il  nostro  albero. 

*o  A  dire  Eli.  A  dir  Dio  mto,  Dio  mio  perchè  mi  avete  abban- 
donato? parole  dette  da  Cristo  in  croce.  Eli  (Dio  mio)  è  il  principio 
di  quelle  parole. 

u  Con  la  sua  vena.  Col  suo  sangue. 

*2  Forese,  da  quél  dì  ecc.  Dante  dimanda  a  Forese  la  soluzione 
di  un  altro  dubbio.  Il  dubbio  era  questo,  come  mai  egli  morto  da 
soli  5  anni  (1295),  e  convertitosi  solo  in  morte,  non  era  coi  procra- 
stinanti della  sua  classe  nell'Atrio,  dove  Dante  credea  di  trovarlo, 
e  non  qui.  Da  ciò  si  vede  che  Forese  era  durato  nella  impenitenza 
più  di  5  anni. 

43  Insino  a  qui.  Insino  al  1300.  Da  ciò  apparisce  che  Forese 
era  morto  dopo  il  12  aprile  1295,  perchè  se  fosse  morto  prima  di 
questo  giorno,  sarebbero  già  volti  5  anni. 

**  Se  prima  fu  la  possa  ecc.  Se  prima  di  convertirti  tu  fosti 
colto  dall'ultima  tua  malattia  nella  quale  ti  convertisti  e  moristi. 


v.** 


CANTO  XXIII.  501 

Come  se*  tu  quassù  venuto  ?  Àncora  ** 
Io  ti  credea  trovar  laggiù  di  sotto,46 
Dove  tempo  per  tempo  si  ristora.  41 

Ed  egli  a  me  :  Sì  tosto  m'  ha  condotto 
A  ber  io  dolce  assenzio  de'  martiri  " 
La  Nella  mia  coi  suo  pianger  dirotto.  " 

Con  suoi  p neghi  devoti,  e  con  sospiri50 
Tratto  m'  ha  della  costa  ove  s'aspetta,  M 
9°-        E  liberato  m'ha  degli  altri  giri.  M 

Tant'è  a  Dio  più  cara,  e  più  diletta 

48  Ancora,  Io  ti  credea  trovar  ancora,  ecc, 

46  Laggiù  di  sotto.  Nell'Atrio  del  Purgatorio. 

tf  Dove  tempo  per  tempo  ecc.  Dove  si  sta  in  bando  tanto  tempo 
quanto  si  ritardò  la  conversione.  Dunque  Forese  fu  procrastinante 
convertito  in  morte;  ma  senza  scomunica,  perchè  quelli  dalla  sco- 
munica deono  esulare  nell'Atrio  30  volte  il  tempo  vissuti  in  con- 
tumacia. 

48  A  ber  lo  dolce,  ecc   A  scontare  le  pene  del  Purgatorio. 

49  Nella  mia.  Già  moglie  di  Forese,  che  passò  poi  il  tempo  in 
santa  vedovanza,  come  prima  Pavea  passato  santamente  nel  coniugio. 

80  Con  tuoi  prieghi  ecc  Spiega  la  natura  del  pianger  dirotto 
detto  prima. 

81  Della  eosta  ove  ecc.  Dall'Atrio.  Vedi  il  mio  disegno  Tav.  II 
Purgatorio. 

83  E  liberato  m'ha  ecc.  Forese  oltre  la  gola  avea  dunque  di  altri 
peccati,  giacché  per  essi  era  stato  in  altri  giri  alla  pena,  e  di  là 
liberato  dalla  sua  Nella.  Generalmente  parlando  quanti  vanno  al 
Purgatorio  vi  portano  macchie  per  tutti  i  giri,  sebbene  abbia  cia- 
scuno la  sua  macchia  principale,  proveniente  dalla  sua  passione 
predominante,  in  forza  della  quale  più  facilmente  cade  in  quella 
specie  di  peccati,  e  quindi  più  a  lungo  deve  stare  in  quel  giro  che 
è  proprio  al  suo  principal  peccato.  Vedemmo  infatti  che  Dante  il 
qual  pur  diceva  d'aver  la  superbia,  e  di  questa  temeva  assai,  e  poco 
di  qualche  altro  peccato,  nondimeno  ebbe  tutti  i  7  P  nella  fronte, 
e  dovette  purgarsi  di  tutti.  Noto  finalmente  che  avendo  Dante  pre- 
ferito di  trovar  Forese  nel  giro  dei  golosi,  piuttosto  che  in  qualun- 
que altro,  venne  a  dirci  con  ciò  che  il  vizio  predominante  di  Forese 
era  la  gola. 


502  PURGATORIO 

La  vedovella  mia,  che  tanto  amai, 
Quanto  in  bene  operare  è  più  soletta;  " 

Che  la  Barbagia  di  Sardigna  assai  M 
Nelle  femmine  sue  è  più  pudica, 
Che  la  Barbagia  dov'  io  la  lasciai.  " 

O  dolce  frate,  che  vuoi  tu  eh'  io  dica  ? 
Tempo  futuro  m'è  già  nel  cospetto, 
Cui  non  sarà  quest'ora  molto  antica,  " 
100.    Nel  qual  sarà  in  pergamo  interdetto  57 

**  Quanto  in  bene  operare  e  più  Moietta,  L'esser  soli  a  far  il  bene 
fra  tutti  che  fanno  il  male,  è  un  grande  argomento  di  virtù.  Da 
questa  ragione  trasse  appunto  il  Signore  l'elogio  di  Noè,  chiaman- 
dolo tur  iuttus  in  generationibus  suis.  Lo  stesso  fu  di  Giob,  di  To- 
bia e  di  altri.  Dante  cosi  condanna  apertamente  la  cosi  detta  opinion 
publica,  che  oggi  si  vorrebbe  erigere  a  criterio  di  moralità,  e  ad  un 
santo  principio.  L'opinion  publica,  qual  ch'ella  sia,  non  vale  un 
frullo  se  contraddice  al  Decalogo. 

54  Che  la  Barbagia  di  Sardigna  ecc.  Valga  a  chiarir  questo 
passo  la  seguente  noterella  di  Cesare  Balbo  nella  vita  di  Dante, 
VoL  I,  Cap,  Vili,  pag.  161  :  In  insula  Sardiniue  est  montana 
alta9  quae  dicitur  la  Barbagia,  et  quando  lanuenses  retraxeruni 
dictam  insulam  de  manibus  infide  li  um}  nunquam  potuerunt  retra- 
here  dictam  montanàm,  in  qua  habitat  gens  barbara  et  sine  civi- 
litate;  et  foeminae  suae  vadunt  indutae  suolili  pergolato,  ita  quod 
omnia  membra  ostendunl  inhoneste.  Nam  est  ibi  magnus  calor. 
Cosi  il  postillator  Caietano. 

M  La  Barbagia  dov  io  ecc.  Per  istrazio  chiama  Barbagia,  e  peg- 
gio di  Barbagia,  Firenze,  per  esser  le  femmine  fiorentine  più  im- 
pudiche nel  vestire  che  le  Barbagiane. 

86  Cui  non  sarà  quest'ora  ecc.  Non  molto  dopo  il  1300,  epoca 
odierna. 

37  A'el  qual  sarà  in  pergamo  ecc.  Questa  è  la  prova,  che  le 
fiorentine  sono  peggiori  delle  Barbagiane,  il  doversi  parlare  sino  in 
chiesa  e  dai  pulpiti  di  quelle  nefandezze,  che  non  si  dovrebbero  nem- 
meno nominare  in  privato,  secondo  il  precetto.  Segno  dunque  che 
le  disonestà  erano  gravi  ed  universali,  e  facilmente  portate  sino 
entro  il  tempio.  Le  parole  in  pergamo  interdetto,  possono  signifi- 
care le  prediche  contro  lo  scandaloso  vestir  delle  femmine,  ma  più 


CANTO  XXni.  603 

Alle  sfacciate  donne  fiorentine 

L'andar  mostrando  con  le   poppe  il   petto. 

Quai  Barbare  fur  mai,  quai  Saracine,  " 
Cui  bisognasse,  per  farle  ir  coverte, 
O  spiritali,  o  altre  discipline?  59 

Ma  se  le  svergognate  fosser  certe 
Di  quel  che  il  ciel  veloce  loro  ammanna,  *° 
Già  per  urlare  avrian  le  bocche  aperte.  6I 

Che  se  l'antiveder  qui  non  m'inganna, 
no.       Prima  fien  triste,  che   le  guance   impeli  M 
Colui  che  mo  si  consola  con  nanna.  ** 

Deh!  frate,  or  fa  che   più  non  mi  ti  celi;  * 

e  meglio  i  decreti  vescovili  e  le  pene  canoniche,  che  si  bandivano 
dal  pergamo  contro  si  afacciate  usanze.  Questo  è  il  senso  più  gè . 
auino  della  parola  interdetto,  il  quale  nel  senso  canonico  indica 
censura,  e  legge  d'interdizione,  che  è  un  atto  di  giurisdizione  epi- 
scopale, e  non  un  privato  divieto  di  predicatore,  il  quale  atto  di 
giurisdizione  è  sempre  accompagnato  da  pene  contro  i  violatori.  11 
seguito  prova  che  tale  è  il  senso.  (Vedi  v.  105). 

58  Quai  barbare  ecc.  Quali  donne  di  Barberia  (co9ta  settentrio- 
nale d'Africa)  o  quali  donne  maomettane.  Di  tutte  queste  si  sanno 
abbastanza  i  costumi  lascivi  autenticati  dai  falsi  principii  di  re- 
ligione. 

39  0  spiritali  ecc.  O  esorcismi,  o  censure  penali. 

co  11  ciel  veloce  loro  ammutiva.  Loro  prepara  in  punizione.  // 
citi  veloce  è  il  primo  mobile  che  va  più  veloce  di  tutti,  e  parte- 
cipa della  sua  velocitò  agli  altri,  affrettando  gli  avvenimenti.  Forese 
usa  questo  modo  d'indicare  la  provvidenza  di  Dio  per  accennare 
che  il  castigo  non  è  lontano. 

*t  Già  per  urlare  ecc.  Come  si  fa  quando  i  castighi  sono  gravi» 
e  stanno  per  incoglierci. 

63  Prima  fien  ecc.  Saranno  punite  entro  20  anni. 

63  Colui  ohe  mo  ecc.  Colui  che  ora  è  bambino  da  culla.  Dante, 
si  pudico,  mostra  in  tutta  questa  invettiva  quanto  apprezzi  la  pudi- 
cizia, e  quanto  gli  dolga  che  la  si  offenda.  Infamia  ai  poeti  lascivi  ! 

w  Non  mi  ti  cJi.  Non  già  nel  nome,  che  ti  conosco,  ma  nella 
ragione  perchè  sei  qui. 


604  PURGATORIO 

Vedi  che  non  pur  io,  ma  questa  gente 
Tutta  rimira  là  dove  il  sol  veli.  65 

Perch'  io  a  lui  :  Se  ti  riduci  a  mente 
Qual  fosti  meco,  e  quale  io  teco  fui,  M 
Ancor  fia  grave  il  memorar  presente.  67 

Di  quella  vita  mi  volse  costui,  M 

Che  mi  va  innanzi,  l'altr'ier,  quando  tonda69 


65  Rimira  là  dove  il  sol  veli.  Alla  tua  sinistra.  Infatti  Dante, 
ben  notato  il  luogo  dove  era,  gettava  l'ombra  cosi.  Imperciocché 
egli  avea  girato  un  tratto  della  facciata  che  guarda  nord  (Vedi  la 
mia  Tav.  V,  corn.  VI),  ed  era  ancora  in  quella,  ed  allora  erano 
circa  le  11  meridiane.  Egli  dunquo  avea  la  spalla  destra  volta  al 
sole,  e  quindi  gettava  l'ombra  dalla  spalla  sinistra.  Prego  il  lettore 
a  star  molto  atteso  a  questi  ultimi  tratti  di  monte,  perchè  il  poeta 
ci  indica  i  siti  con  sottilissimi  cenni,  e  guai  se  li  perdiamo.  Abbiate 
anche  sempre  fra  le  mani  le  Tavole  che  verremo  accennando, 
perchè  qui  più  forse  che  altrove,  sono  necessarissime,  attesa  la  ri- 
strettezza dello  spazio. 

66  Qual  fosti  meco  ecc.  Cioè  tu  a  me,  ed  io  a  te  cagion  di  pec- 
cato, ossia  fummo  complici  nel  peccare,  e  fu  per  purgarmi  da  esso 
che  ottenni  a  gran  privilegio  il  viaggio  ch'io  faccio, 

67  Ancor  fia  ecc.  Ci  sarà  anche  adesso  increscioso  il  ricordarci 
d'esserci  stati  a  vicenda  cagion  di  colpa,  perchè  e  tu  ed  io  ne  siam 
pentiti;  e  tu  ed  io  ne  paghiamo  la  pena,  tu  per  giustizia  di  Dio, 
io  per  sua  misericordia,  la  qua'e  mi  concesse  questo  viaggio  ultra- 
mondiale per  ricondurmi  a  virtù. 

68  Di  quella  vita  ecc.  Da  quella  vita  peccaminosa  che  ci  era  co- 
mune ad  ammendue  volse,  o  mi  tolse  Virgilio.  Allude  al  I  ed  al 
Il  Canto  dell'Inferno. 

69  Che  mi  va  innanzi.  Vedi  come  son  poste  le  quattro  persone 
nella  Tav.  V,  corn,  VI,  tra  li  due  alberi,  e  con;  ■  con  questa  collo- 
cazione si  viene  qui  a  indicare  precisamente  Virgilio,  che  andavi 
innanzi  a  Danti»,  come  Stazio  andava  innanzi  a  Forese.  Ma  come 
sappiamo  che  Dante  era  al  di  dentro  della  strada,  e  non  al  di  fuori  ? 
Lo  sappiamo  dall'csser  questo  stato  sempre  il  suo  sito,  e  lo  dovea 
esser  per  fuggir  il  pericolo  di  cader  giù  dalla  strada.  Per  questo 
quando  Dante  era  solo  con  Virgilio,  Virgilio  gli  si  metteva  sempre 
dall'orlo  della  cornice:  ce  l'ha  detto  altra  volta,  Canto  XIII,  v.  79: 


CANTO  XXUI.  505 

120.       Vi  si  mostrò  la  suora  di  colui  70 

(E  il  sol  mostrai).  Costui  per  la   profonda  7! 
Notte  menato  m'ha  de9  veri  morti, 
Con  questa  vera  carne  che  il  seconda. 
Indi  m' han  tratto  su  gli  suoi  conforti,  n 
Salendo,  e  rigirando  la  montagna,  n 


Virgilio  mi  venia  da  quella  banda  —  Della  cornice  onde  cader 
si  puote  —  Perchè  da  nulla  sponda  s'inghirlanda.  Che  se  c'era 
perìcolo  nei  cerchi  più  bassi,  quanto  più  nei  superiori? 

L'altr'icry  quando  tonda  —  Vi  si  mostrò  ecc.  Queste  parole 
ValtrHer  non  indicano  precisamente  due  giorni  "innanzi  al  giorno 
presente,  perchè  se  indicassero  questo,  si  cadrebbe  in  domenica  di 
Pasqua,  essendo  noi  oggi  nel  martedì  dopo  Pasqua  verso  le  11  an- 
timeridiane. Ma  ciò  non  può  essere  perchè  sappiamo  che  l'appari- 
zione di  Virgilio  a  Dante  avvenne  la  mattina  del  venerdì  santo, 
dopo  di  aver  Dante  passata  la  notte  dal  giovedì  al  venerdì  nella 
selva,  dov'ebbe  appunto  la  luna  tonda  o  il  plenilunio.  Sicché  V altro 
ier  altro  non  indica  che  un  giorno  qualunque  anteriore  al  presente. 
A  determinar  poi  qual  fosse  questo  giorno  soggiunge  subito  Dante  : 
quanoV  era  la  luna  tonda  o  plenilunio.  Laonde  è  come  Danto  avesse 
detto  :  Costui  mi  tolse  dalla  vita  rea  alcuni  giorni  sono  e  precisa- 
mente il  giorno  dopo  il  plenilunio.  (Vedi  il  disegno  della  mia  Tav. , 
Inf.  —  Selva  e  luna  tonda). 

70  Vi  si  mostrò.  Quando  a  voi  si  mostrò  il  plenilunio,  perchè  le 
medesime  fasi  lunari  sono  tanto  per  noi  quanto  pei  nostri  antipodi, 
sebbene  operate  in  ore  diverse.  —  Suora  di  colui.  La  luna  sorella 
del  sole. 

71  Costui  ecc.  Ha  condotto  me  vivente  ancora  per  l'Inferno.  (Vedi 
Tav.  I  Inf.  Emisf,  Inf.). 

75  Indi  ecc.  Dall'  Inferno    (Vedi  Tav.  1  Inf  Emisf.  Inf.). 

73  Salendo.  In  queste  due  parole,  salendo  e  rigirando  c'è  in  epi- 
logo tutto  il  viaggio  dell'Atrio  e  del  Vero  Purgatorio  fatto  sin  qui 
da  Dante.  Nel  salendo  e*  è  il  viaggio  dell'Atrio  per  salita  diritta 
(Vedi  Tav.  II  Purg.)\  nel  rigirando  c'è  il  viaggio  del  Vero  Purga- 
torio, con  di  più  l'altra  idea  che  ora  è  dietro  a  fare  il  secondo 
giro  della  montagna,  perchè  si  dice  rigirando  e  non  girando.  (Vedi 
Tav.  III  Purg.  casellino  degli  aggiramenti).  Di  questi  epiloghi  cosi 
precisi  di  viaggio,  ne  farà  anche  nel  Paradiso,  come  vedremo, 


606  PURGATORIO 

Che  drizza  voi  che  il  mondo  fece  torti.  " 
Tanto  dice  di  farmi  sua  compagna,  15 
Ch'io  sarò  là  dove  fia  Beatrice: 
Quivi  convien  che  senza  lui  rimagna.  7* 
130.   Virgilio  è  questi  che  così  mi  dice  v 

(E  additalo);  e  quest'altro  è  quell'ombra, 
Per  cui  scosse  dianzi  ogni  pendice  " 
Lo  vostro  regno,  che  da  sé  la  sgombra.  w 

7*  Che  dritta  voi  ecc.  Che  vi  parifica  dai  peccati  fatti  seguendo 
le  massime  torte  del  mondo. 

7»  Tanto  dice  di  farmi  ecc.  Virgilio  gli  avea  assicurato  questo 
sin  dal  Canto  I  dell'/n/.  dove  gli  avea  detto  :  AUe  qua*  poi  se  tu 
vorrai  salire  —  Anima  fia  a  ciò  di  me  più  degna  :  —  Con  lei  ti 
lascierò  nel  mio  partire.  E  poi  tante  volte  in  altri  modi  lo  avea 
accertato  della  stessa  cosa,  nominando  espressamente  Beatrice. 

76  Convien.  Perchè  in  quel  punto  che  troverà  Beatrice,  la  scuola 
della  Ragione  rappresentata  da  Virgilio,  dee  cedere  alla  scuola  della 
Rivelazione  rappresentata  da  Beatrice,  e  dee  cedere  quella  a  questa 
porche  appunto  d'allora  in  poi  si  tratterà  di  cose,  che  appartengono 
non  alla  Ragione,  ma  alla  Fede,  come  in 'atti  vedremo. 

77  Virgilio  è  questi  ecc.  Daute  dice  i  nomi  finor  taciuti  dell'uno, 
e  dell'altro  per  soddisfare  compiutamente  alla  dimanda  di  Forese. 
Dicendo  questi  e  quest'altro,  indica  che  si  trovavano  di  poco  in- 
nanzi a  Daute.  ed  a  Forese.  £  dovea  esser  così,  perchè  Virgilio  a 
cui  fu  da  Beatrice  raccomandato  e  consegnato  Dante,  vuole  sem- 
pre fargli  da  vera  guida. 

••8  Ptr  cui  scosse  ecc,  Per  cui  fece  il  tremuoto.  Nota  pendice,  per- 
chè il  tremuoto  soprannaturale  fu  all'altezza  del  Vero  Purgatorio,  che 
sono  le  tre  ultime  miglia  della  montagna.  Qui  dunque  non  si  parla 
dell'Atrio. 

79  Lo  vostro  regno.  Il  Vero  Purgatorio.  —  Che  da  sé  la  sgom- 
bra» Che  la  manda  via  da  sé,  non  per  mandarla  a  purgarsi  in  altri 
giri  superiori,  ma  per  mandarla  al  cielo,  essendo  già  perfettamente 
purificata.  Il  tremuoto  avviene  solo  in  questo  caso. 


CANTO  XXIV 


Argomento. 

Dante  continua  la  tua  ttrada  con  Forese  e  Poltre  anime  am- 
mirate di  lui,  compiendo  il  tuo  discorso  sopra  di  Statio.  Indi 
chiede  a  Forese  novelle  di  Piccar  da,  e  di  alcuni  tuoi  compagni. 
Forese  gli  dice  prima  di  Riccarda,  e  poi  gli  nomina  e  addita 
alcuni  di  tua  compagnia.  Dante  più  che  tugli  altri  pone  gli  occhi 
su  Bonagiunta,  e  que'  gli  predice  l'affezione  che  avrà  per  certa 
Gentucca.  Bonagiunta  gli  chiede  te  sia  egU  quel  Dante  autor 
della  Vita  Nuova,  e  Dante  gli  risponde  d'esser  un  poeta  che  scrive 
dietro  la  ispirazione  d'amore.  Bonagiunta  da  ciò  conosce  perchè 
esso  ed  altri  sieno  rimasi  indietro  da  lui  nel  valore  poetico.  Par- 
tono tutti  quegli  spiriti 9  meno  Forese  che  continua  andar  con 
Dante,  e  gli  dimanda  quando  avrà  il  bene  di  rivederlo  al  Pur- 
gatorio.  Dante  risponde  di  non  saperlo,  ma  di  desiderar  che  sia 
presto,  pei  mali  ognor  crescenti  della  sua  patria.  Forese  gli  pre* 
dice  la  fine  infelice  di  Corso  Donati  principale  autore  dei  mali 
di  Firenze.  Anche  Forese  lascia  Dante  per  ripigliare  un  passo 
più  accelerato,  e  Dante  resta  coi  due  poeti.  Guardandosi  innanzi 
vede  un  altro  albero,  e  genti  so U' esso  alzar  le  mani.  Queste  genti 
partono,  e  sopraggiungono  i  poeti.  Una  voce  per  entro  all'albero 
gli  avverte  ad  andarsene  senza  apprettarsi  all'albero.  Allora  i 
poeti  si  ristringono  al  lato  del  monte.  La  voce  intanto  continuava 
'da  quell'albero  a  ricordar  esempi  di  castighi  di  gola.  Poi  vanno 
innanzi  mille  passi,  Dante  precedendo  i  poeti.  Dopo  questa  cam- 
minata eccoti  l'angelo  e  la  scala,  che  dal  ri  mette  al  VII  giro. 
Quest'angelo  gli  venta  in  fronte,  e  gli  cancella  il  P  della  gola, 
recitando  la  beatitudine  relativa,  e  i  poeti  salgono. 


HB.  Vedi  tatti  i  casellini  di  questo  Canto  ne  a  T.  Ili  Purg  ,  e  le  T.  V  e  VI  Pur Q 

Né  il  dir  l'andar,  né  l'andar  lui  più  lento  f 
Facea;  ma  ragionando  andavano  forte, 

*  A'è  il  dir  ecc.  Ordinariamente  quando  si  parla  ai  allenta  l'an- 
dare, e  quando  ai  va  si  allenta  il  parlare.  Qui  non  fu  cosi.  Perchè? 
Perchè  Dante  avea  per  regola  al  suo  passo  il  passo  dei  due  poeti. 


508  PURGATORIO 

Sì  come  nave  pinta  da  buon  vento. 

E  l'ombre,  che  parean  cose  rimorte,  * 
Per  le  fosse  degli   occhi  ammirazione  * 
Traén  di  me,  di  mio  vivere  accorte. 4 

Ed  io,  continuando  il  mio  sermone,  * 
Dissi:  Ella  sen  va  su  forse  più  tarda6 
Che  non  farebbe,  per  altrui  cagione. 
10«     Ma  dimmi,  se  tu  sai,  dov'è  Piccarda;7 
Dimmi  s' io  veggio  da  notar  persona 
Tra  questa  gente  che  sì  mi  riguarda. 8 

La  mia  sorella,  che  tra  bella  e  buona 


E  per  questo  che  fa  qui  un'eccezione  alla  regola  di  natura,  essendo 
questa  vinta  da  un'altra  preponderante. 

*  Cose  rimorte.  Morte  e  più  che  morte  pel  colore  e  nella  con- 
sunzione che  avrebbe  un  corpo  non  già  appena  morto,  ma  il  se- 
condo o  terzo  o  quarto  giorno  della  sua  morte. 

3  Per  le  fosse  ecc.'  E  sempre  rocchio  che  dimostra  gli  inferni 
affetti  più  che  altra  parte  della  faccia,  massime  poi  trattandosi  di 
occhi  tali. 

*  Di  mio  vivere  accorte.  Per  l'ombra,  pel  respiro,  pel  suono  dei 
piedi  ecc. 

3  Continuando  ecc.  A  dir  di  Stazio,  che  fu  la  chiusa  del  Canto 
precedente. 

6  Ella  $en  va  ecc.  L'ombra  di  Stazio  forse  per  riguardo  di  Vir- 
gilio ritarda  la  sua  salita.  Si  sa  poi  che  Virgilio  la  ritardava  per 
amore  di  Dante,  che  aveva  il  peso  del  corpo,  e  dovea  prendere 
cognizione  del  luogo  e  delle  persone,  e  dovea  aver  campo  di  pur- 
garsi. Sicché  Stazio  in  ultima  analisi  ritardava  per  Dante. 

7  Piccarda.  Sorella  di  Forese,  e  di  Corso  Donati,  che  prese  il 
velo  di  S.  Chiara  in  Firenze,  onde  la  trasse  a  violenza  il  fratello 
Corso,  scalandone  il  monastero  con  più  sicari.  Se  la  trasse  a  casa, 
le  stracciò  le  bende,  la  vesti  alla  mondana,  e  a  forza  la  die  moglie 
a  Rosellino  della  Rosa.  La  troveremo  nel  Canto  III  del  Paradiso 
n'jl  cielo  della  luna. 

*  Mi  riguarda.  Intendi  o  guardare  replicatamente,  o  guardar 
retro,  perchè  le  ombre  per  adocchiar  Dante,  itegli  un  po'  innanzi, 
si  rivolgevano  a  lui  continuando  a  mirarlo. 


CANTO  XXIV.  50* 

Non  80  qual  fosse  più,  trionfa  lieta  • 
Nell'alto  Olimpo  già  di  sua  corona. 

Si  disse  prima;  e  poi:  Qui  non  ai  vieta40 
Di  nominar  ciascun,  dacch'è  sì  munta 
Nostra  sembianza  via  per  la  dieta. 

Questi  (e  mostrò  col  dito)  è  Buonagiunta,  " 
20*        Buonagiunta  da  Lucca:  e  quella  faccia  if 
Di  là  da  lui,  più  che  l'altre  trapunta,  " 

Ebbe  la  Santa  Chiesa  in  le  sue  braccia:  " 
Dal  Torso  fu,  e  purga  per  digiuno  1S 

•  Trionfa  lieta  —  Ne  IT  alto  Olimpo  ecc.  Tra  quelle  di  gloria 
minore  per  non  essere  state  veramente  fedeli  al  loro  voto. 

io  E  poi  :  Qui  non  n  vieta  ecc.  Risponde  alla  seconda  dimanda 
di  Dante,  dicendo  che  non  è  vietato  di  dir  chi  sia  ciascuno,  per- 
chè altrimenti  non  lo  si  potrebbe  conoscere,  essendo  smarrita  ogni 
sembianza,  ossia  le  naturali  fattezze  per  la  dieta,  ossia  per  il  digiuno 
che  dimagra  e  distrugge  la  vera  fisonomia. 

**  Buonagiunta  ecc.  Degli  Orbiciani,  rimatore  mediocre  e  di  stile 
negletto,  nominato  da  Dante  nel  suo  Vulg.  Eloquio.  Forese  lo  no- 
mina a  Dante  ripetendo  il  nome.  Non  è  oziosa  questa  ripetizione, 
ed  ha  più  senso  che  non  si  crede.  In  sostanza  Forese  vuole  che 
Dante  ponga  la  sua  attenzione  più  su  questo,  che  sugli  altri,  come 
infatti  Dante  gliela  pone,  e  lo  vedremo  poi,  e  serve  di  ottimo  ri- 
chiamo alle  cose  che  verranno,  e  che  dirà  questo  Bonagiunta! 

t<  E  quella  faccia.  Bellissimo  il  dir  quella  faccia  per  quell'altra 
Ombra. 

1*  Trapunta.  Tutte  le  protuberanze  ossee  in  una  faccia  assai 
dimagrata,  e  per  poco  distrutta,  risa  ltano  e  fanno  com«  tante  punte. 

u  Ebbe  la  Santa  ecc.  Fu  Papa,  ossia  sposo  della  Chiesa. 

<s  Dal  Torao  fu.  Martino  IV  francese  di  Tours.  Per  delicatezza, 
dicono,  si  facea  cuocere  le  celebri  anguille  del  lago  di  Bclsena.  fatte 
morir  prima  nella  vernaccia,  perchè  riuscissero  più  gustose.  La  ero- 
nica  di  Francesco  Pipino  (Muratori  T.  9,  Rerum  Ital.)  attribuisce 
la  sua  ultima  infermità  e  morte  ad  eccesso  in  mangiar  delle  anguille, 
cibo  a  lui  troppo  ghiotto.  Del  resto  il  Muratori  (An.  d'/É.,  1285, 
epoca  della  morte  di  Martino  IV)  lo  dice  pontefice  degno  di  lode 
si  pel  suo  zelo  ecclesiastico,  come  per  lo  staccamento  dall'amore  dei 
suoi  parenti,  che,  nati  poveri,  non  volle  mai  esaltare. 


510  PURGATORIO 

L'anguille  di  Bolsena,  e  la  vernaccia. 

Molti  altri  mi  mostrò  ad  uno  ad  uno  ; 
E  nel  nomar  parean  tutti  contenti,  " 
Sì  eh'  io  però  non  vidi  un  atto  bruno. 

Vidi  per  fame   a  vuoto  usar  li  denti i7 
Ubaldin  dalla  Pila,  e  Bonifazio  18 
30-         Che  pasturò  col  rocco  molte  genti. {9 

Vidi  messer  Marchese,  ch'ebbe  spazio*0 
Già  di  bere  a  Forlì  con  men  secchezza, 
E  si  fu  tal  che  non  si  sentì  sazio. 21 

Ma,  come  fa  chi  guarda,  e  poi  fa  prezza32 

*6  Parean  tutti  contenti  ecc.  Questa  pennellata  è  di  una  bellezza 
impareggiabile.  Quanti  bei  sorrisi  non  ci  fa  ella  immaginare  !  £  per- 
che  tanta  contentezza?  Per  la  speranza  di  buone  preci  che  ne  pò- 
teano  e  doveano  sperare.  Questo  tocco  forma  un  bel  contrasto  con 
qualche  altro  tocco  tutto  contrario  che  vedemmo  n^W Inferno.  Per 
esempio  nel  Canto  XXI V  Dante  conosce  il  ladro  Vanni  Facci,  il 
quale  dolente  d'essere  stato  scoperto  manifesta  cosi  il  suo  dispia- 
cere :  Poi  dine  :  —  Più  mi  duol  che  tu  m'hai  coito  —  Nella 
miseria  dove  tu  mi  vedi,  —  Che  quando  Vfui  dell'altra  vita  tolto, 

47  Per  fame  a  vuoto  usar  li  denti.  Un  affamato  per  impulso  di 
natura  ya  masticando  senza  aver  di  che. 

*8  Ubaldin  della  Pila.  Ubaldino  degli  Ubaldini  che  possedeano 
la  Pila  castello  di  Monte  Senario.  Bonifazio  de*  Fieschi  di  Lavagna 
della  riviera  orientale  di  Genova. 

*9  Che  pasturò  ecc.  Che  fu  Arcivescovo  di  Ravenna.  Tutti  sanno 
che  i  Vescovi  si  dicono  pastori,  ed  hanno  perciò  il  rocco  o  pasto- 
rale. Si  dice  che  pasturò  molte  genti  per  essere  non  solo  vescovo, 
ma  arcivescovo,  e  quindi  con  più  estesa  giurisdizione  che  quella  di 
un  vescovo. 

*o  Marchese.  Rigogliosi. 

3t  E  si.  Risponde  al  latino  etsi .  Accenna  al  seguente  aneddoto  : 
Narranio  un  giorno  al  Marchese  un  suo  servo,  che  la  gente  sparlava 
di  lui,  dicendo  ch'era  sempre  a  bere,  il  marchese  ripigliò:  E  tu 
di'  loro  che  ho  sempre  sete. 

^  Chi  guardale  poi  fa  prezza.  Quando  parliamo  con  molti  suc- 
cede sempre  questo,  che  dopo  non  molto  ci  affisiamo  più  su  di  uno 


CANTO  XXIV.  511 

Più  d'un  che  d'altro,  fé'  io  a  quel  da  Lucca,*1 
Che  più  parea  di  me  aver  contezza.  * 
Ei  mormorava;  e  non  so  che  Gentucca*5 
Sentiva  io  là  ov'el  sentia  la  piaga16 
Della  giustizia  che  si  gli  pilucca.  " 

che  su  di  un  altro,  e  ciò  naturalmente  per  il  maggior  pregio  che 
facciamo  di  quello,  o  per  certi  speciali  bisogni,  che  di  quello  abbiamo. 
Sono  similitudini  naturalissime,  ma  che  sfuggono  facilmente  all'oc- 
chio dei  più  grandi  osservatori  di  natura,  meno  Dante. 

*3  A  quel  da  Lucca.  A  Buonagiunta  di  sopra.  Ecco  l'effetto  della 
ripetizione,  che  fu  un  marcare  questa  persona  più  che  le  altre.  Dante 
osservandolo  meglio,  s'accorse  a  certi  tratti  che  il  Buonagiunta  pren- 
deva in  lui  più  interesse  che  gli  altri,  ma  non  sapeva  ancora  di  che. 
**  Che  più  parea  di  me  aver  contezza.  Vedremo  appresso  qual 
contezza  ne  avea. 

Ma  onde  parea  che  Buonagiunta  avesse  di  Dante  più  con- 
tezza degli  altri? 

Ciò  parea,  o  appariva  da  quel  non  so  che  di  J.ria  e  di  tratto 
che  si  manifesta  nel  viso  ad  una  persona  che  crede  di  conoscerci, 
ma  nel  medesimo  tempo  non  è  affatto  certa.  Questa  persona  ci  guarda 
massimamente  con  tale  un  occhio  che  dice  abbastanza,  lui  aver  di 
noi  qualche  contezza.  Il  notar  dirò  così  queste  sfumature  di  natura 
è  cosa  da  solo  Dante. 

25  Ei  mormorava.  Appunto  come  fanno  le  persone  che  credono 
di  aver  dati  sufficienti  per  dir  di  riconoscere  già  un  foraetiero,  che 
si  para  loro  dinanzi,  che  van  mormorando  fra"  denti  certe  circostanze 
spettanti  a  lui. 

E  non  so  che  Genlucca.  Buonagiunta  nel  suo  moimorar  fra  i 
denti,  tra  le  parole  che  non  facea  capire,  ce  n'era  una  che  bene  o 
male  faceva  intendere,  ed  era  il  nome  di  Gen tacca,  gentil  donna 
Lucchese,  della  quale  diremo  più  sotto. 

26  Sentiva  io  là  ov1  el  ecc.  Dante  sentiva  che  Buonagiunta  bor- 
bottava questo  nome,  ov' egli  sentia  la  piaga  della  fame,  ossia  fra  i 
denti.  Disse  prima  che  vedea  questi  affamati  usar  a  vuoto  li  denti. 
Anche  Buonagiunta  li  usava  cosi,  e  nel  dibatterli  parlava,  e  par- 
lando per  tal  guisa  le  parole  uscivano  mozzicate;  non  cobi  però  che 
non  s'intendesse  quella  di  Gentucca. 

*?  Che  sì  gli  pilucca.  Pilucca  vale  spicca  a  poco  a  poco.  La  giu- 
stizia divina,  dimagrandoli  per  fame,  veniva  come  a  spiccar  loro  a 
poco  a  poco  le  earni. 


612  PURGATORIO 

*0-     O  anima,  diss' io,  che  par  A  vaga* 

Di  parlar  meco,  fa  sì  ch'io  t'intenda, 
E  te  e  me  col  tuo  parlare  appaga.  " 
Femmina  è  nata,  e  non  porta  ancor  benda,  *° 
Cominciò  ei,  che  ti  farà  piacere." 

*•  Che  par  ti  vaga  —  Dì  parlar  meco.  Appunto  perchè  Bno- 
nagiunta  avea  di  Dante  più  contezza  che  gli  altri  (e  ne  vedremo 
subito  la  pova)  perciò  appariva  più  vogliosa  di  parlar  con  Ini. 

W  E  te  e  me  ecc.  Appaga  te,  che  certo  parlando  desideri  d'es- 
sere intesa  :  appaga  me,  che  udendo  un  tal  nome  senza  sapere  a  che 
si  riferisca,  sono  desideroso  di  sapere  a  qual  fine  tu  me  lo  nomini. 

*o  Femmina  è  nata.  Ora  (1800)  è  già  nata  una  cotal  giovane, 
la  Gentucca. 

E  non  porta  ancor  benda.  Le  maritate  e  le  vedove  portavano 
una  benda  o  velo  dinanzi  agli  occhi  scendente  dal  capo,  di  vario 
colore  però,  secondo  ch'erano  maritate  o  vedove.  Per  le  vedove  il 
velo  era  bianco.  Parlandosi  qui  non  di  vedova  o  maritata,  ma  di 
donzella,  il  dir  che  non  porta  ancor  benda,  significa  che  è  ancor 
nubile,  quantunque  in  età  di  esser  maritata  ;  e  significa  inoltre  che 
ella  in  appresso  non  rimase  nubile,  ma  si  maritò.  Con  ciò  vengono 
indienti  approssimativamente  gli  anni  che  Gentucca  avea  nel  1300, 
vale  a  dire  almeno  15,  non  potendosi  supporre  minore  età  in  una 
giovane,  della  quale  si  noti  la  circostanza  che  non  porta  ancor  benda* 

M  Che  ti  farà  piacere  —  La  mia  città.  Non  v'  ha  dubbio  che 
questa  è  profezia  del  soggiorno  prolungato  che  Dante  fece  in  Lucca 
nel  1314,  dopo  il  14  di  giugno  presso  Gentucca,  quando  essa  doveva 
avere  circa  30  anni.  Se  Gentucca  fosse  allor  maritata  con  uno  degli 
Antelminelli  Allucinghi,  o  no,  resta  ancora  ignoto.  Quanto  a  me 
inclino  a  credere  che  lo  fosse,  attesa  la  sua  età  di  30  anni,  e  il  dirsi 
di  sopra  ch'ella,  non  porta  ancor  benda,  accennando  cosi  che  poi  la 
portò,  ossia  fu  maritata.  Ma  dunque  Dante  sì  onesto  e  pudico, 
nella  sua  età  di  50  anni,  dopo  tante  avversità,  e  in  momenti  che 
dava  al  publico  un'opera  tendente  a  richiamare  il  mondo  dai  vizi, 
e  massime  da  quello  degli  impuri  affetti,  forse  vivente  ancora  sua 
moglie  Gemma  Donati,  la  cui  fine  resta  ancor  da  sapersi,  colla  cura 
di  più  figliuoli  alle  spalle,  si  sarà  perduto  dietro  ad  amori,  *?d  amori 
illeciti,  quali  son  quelli  verso  a  maritata,  e  quel  che  è  peggio  se  li 
farà  predire  da  un'anima  santa  in  aria  di  compiacenza,  come  cosa 
a  lui  non  disdicevole,  anzi  lodevole,  e  lodevole  per  la  donna  amata  ? 


CANTO  XXIV.  513 

Questo  è  quanto  credono  i  commentatori  ed  i  biografi,  non  escluso 
il  Balbo,  il  qual  però  si  contenta  di  sol  dubitarne.  M:i  oh  buona 
pace  di  tutti  io  non  credo,  nò  posso  credere  a  relazioni  men  che 
oneste  di  Dante  per  Gentucca,  e  ciò  per  le  ragioni  su  in  mento  va  te, 
ed  anche  perchè  il  contesto  sembra  ad  esse  affatto  contrario,  par- 
lando esso  di  amore  a  città,  e  non  di  amore  a  donna.  Quello  che 
posso  credere,  e  che  è  assolutamente  conforme  a  tutte  le  circostante 
del  poeta  si  ò,  che  come  prima  Uguccione  della  Faggiola,  e  Moroello 
Malaspina,  e  poi  Can  Grande,  cosi  Gentucca  in  mezzo  a  questi  be* 
nefattori  di  Dante,  volle  prendere  anch'eliti  il  muo  posto  onorevole 
di  generosa  benefattrice  albergandolo  in  casa  sua,  e  sopperendogli 
i  mezzi  e  la  pace  necessaria  per  compire  il  suo  Purgatorio;  quel 
Purgatorio  cominciato  a  Parigi  (1308)  tra  gli  studi  della  Sorbona, 
e  colà  continuato  certo  sino  al  Canto  XV,  come  vedemmo  (1310) 
e  sospeso  nei  2  anni  che  corsero  dal  ritorno  da  Parigi  (1312)  alla 
morte  del  suo  caro  Arrigo  VII,  avvenuta  nel  25  agosto  1313,  poi 
ripigliato  dal  Canto  XVI  e  in  men  d'un  anno  condotto  al  Canto  XXIV, 
abitando  Dante  in  questo  frattempo  ora  a  Pisa  presso  l'amico  Uguc- 
cione, ora  in  Luuigiana  presso  Moroello.  Cosi  Dante  altro  non  in- 
dicherebbe qui  che  di  pagare  un  debito  tributo  di  gratitudine  ad 
una  donna,  che  a  vergogna  di  tanti  uomini,  gli  fu  larga  di  aiuto 
per  li  suoi  studi,  accennando  perfino  di  quanto  egli  era  debitore  a 
tal  donna,  cioè  almeno  dell'ultima  terza  parte  del  suo  Purgatorio, 
vale  a  dira  dal  Canto  XX IV  in  giù.  Chi  poi  volesse  sapere  l'epoca 
precisa  della  venuta  di  Dante  a  Luco,  non  avrà  che  a  leggere  il 
seguente  brano  della  vita  di  Dante  per  Cesare  Balbo,  voi.  II,  C.  XII, 
pag.  23G  : 

«  In  Lucca  aldi  11  giugno  dì  quell'anno  (1314)  entrò  Uguc- 
cione co' Pisani,  cacciò  i  Guelfi,  e  il  vicario  del  re  Roberto,  e  lasciò 
saccheggiare  otto  dì  la  città  e  il  tesoro  fattovi  recare  da  Roma  da 
papa  Clemente.  Quindi  Lucca  fu  signoreggiata  da  Pisa,  e  Lucca  e 
Pisa  da  Uguccione;  il  quale  mise  podestà  a  Lucca  Francesco  della 
Faggiola  uno  de'  suoi  figliuoli,  mentre  Neri,  un  altro  di  essi,  insi- 
gnorivasi  di  Borgo  S.  Sepolcro  ....  E  sotto  lo  schermo  dell'amico 
potò  quindi  senza  pericolo  entrar  Dante  in  Lucca,  quantunque  da 
lui  ingiuriata  ne\V Inferno.  Certo  non  prima;  scudo  Lucca  fino  al- 
lora rimasta  avversaria  caldissima  de1  Bianchi,  de'  Ghibellini  e  d'Ar- 
rigo VII.  Ma  entratovi  così  e  dimoratovi,  trovò  Dante  costi  chi  lo 
fece  ricredere  di  questo  almeno  fra  i  tanti  vituperi  saettati  contro 
le  città  italiane.  Terminando  poco  appresso,  anzi  appunto  nel  re- 
stante di  quell'auno  1314  la  Cantica  del  Purgatorio,  v'  introducca 
quel  Buonagiuuta  da  Lucca,  ecc.  *». 

33 


OH  PURGATORI'» 

La  mia  città,  come  ch'uom  la  riprenda.  K 
Tu  te  n'andrai  con  queàto  antivedere:  " 
8e  nel  mio  mormorar  prendenti  errore.  u 

Dante  reato  in  Lucca  presso  la  famosa  Gen tacca  almes:-  sino 
al  compimento  del  =uo  Purgatorio,  che  è  quanto  c:re  da  &:<  *»  dopo 
UH  giugno  1311  sino  ve  rio  il  fit-ì  il  noverare  dei  »-t:o  a  uno. 
Ma  e  probabile  ch'egli  vi  si  fermasi  anche  pi'i.  eoe  =inj  al  1316 
quando  si  muto  a  Verena  presso  Cai  Grande. 

Io  re^to  nvir  viglialo  co.ne  tanti  scriu.-ri  di  cose  Dantesche 
non  abbiano  mai  nenimen  s-js^ettato  eh?  Dante  in  queiio  luogo  di 
Geutucca  abbia  volato  s-  -g^alare  in  questi  gran  donna  una  sua 
ospite  gen^oa-i.  no:*  diverga  dagli  U  za  teloni,  da'.  Moroelli  e  da^li 
Scaligeri:  e  si  sieno  piuttosto  incaponii  a  credere  eh  r  Dante  abbia 
voluto  presen'arti  a  modello  di  corruzione  e  di  ;ikZzo  innamorato, 
con  aperta  contraddizione  non  fosse  altro)  all'argomen'.o  stesso  che 
avea  tra  mano,  ed  alla  santa  persona  che  gli  faceva  la  predizione. 

«  Com e  ch'uom  la  riprenda.  Quantunque  alcuno  la  riprenda. 
Accenna  a  Dante  stesso  che  la  riprese  nel  Cant>  XXI  à?\Y  Inferno, 
dove  avea  detto  dei  Lucchesi  ch'eiauo  tutti  barattieri  e  falsari: 
Ogni  vom  «'  è  bar atti er,  fuor  che  Bui  ut  tiro  :  —  Del  i»o,  per  li 
denar,  vi  èi  fa  ila.  Dante,  che  allora  era  ospi'ato  in  Lucca,  avea 
bisogno  di  amicarci  i  Lucchesi. 

w  Tu  te  n'andrai.  Nel  resto  di  tua  vita  avrai  sempre  presente 
questa  predizione.  Questo  gli  raccomanda  quasi  un  fa:  muco  alle 
sue  sventure.  L'asilo  che  gli  offrirà  Geutucca  nel  1314  sarà  vera- 
mente tale. 

**  Se  nel  mio  mormorar  ecc.  Pare  proprio  che  Dante  abbia  pre- 
veduto l'errore  in  che  doveano  cadere  tutti  gli  studiosi  della  sua 
Divina  Come  dia,  prendendo  per  tresche  amorose  quelle  nobili  affé* 
zioni  che  passano  tra  benefattrice  e  beneficato.  Dante  fa  dunque 
dire  qui  a  Buonagiunta:  Se  udendomi  pronunciar  fra  i  d<  nti  certa 
Gcntucca,  tu  credesti  eh1  io  aversi  fatto  allusione  a  cose  male  di 
te,  tu  prendesti  certo  un  grande  errore.  Io  parlo  cose  buone  di  te, 
e  te  le  do  per  un  conforto.  Chi  juò  credere,  che  un'anima  del  Pur- 
gatorio, che  è  santa,  volesse  consolar  Dante,  che  è  in  grazia  di 
Dio,  e  tinto  ama  Dio.  che  gli  concede  per  singolar  privilegio  un 
viaggio  tale,  chi  può  credere,  dico,  che  quell'anima  consolasse  Dante 
promettendogli  che  a  Lucca  coll'andar  del  tempo,  farebbe  pazzie 
per  una  donna  ?  Bisogna  esser  molto  sori  per  crederlo  Nuovn  prova 
che  noi  alla  nota  31  abbiamo  colto  nel  vero. 


CANTO  XXIV.  515 

Dichiarar anti  ancor  le  cose  vere.  M 
Ma  di'  s'io  veggio  qui  colui  che  fuore  w 
30«         Trasse  le  nuove  rime,  cominciando  : 87 

Donne  ch'avete  intelletto  d'amore. 88 
Ed  io  a  lui  :  I'  mi  son  un  che,  quando  " 

tt  Dichiareranti  ancor  ecc.  Il  fatto  stesso  quando  avverrà  ti  pro- 
verà quanto  sia  vera  la  mia  predizione.  Anche  qui  l'anima  santa 
mostra  affetto  alle  cose  vere  che  cleono  succedere  a  Dante,  e  gliele 
dice  con  un'aria  di  compiacenza,  ch'ella  non  avrebbe  che  per  avve- 
nimenti di  vero  merito  e  bontà.  Ma  se  fossero  quelle  relazioni  amo- 
rose sempre  intese  da  tutti  i  commentatori,  sarebbero  esse  degne 
della  compiacenza  di  un'anima  santa,  che  come  l'altre  tutte  sin  qui 
trovate,  d'altro  abbiam  veduto  non  curarsi  che  del  bene?  o  non  sa- 
rebbero invece  iudegn:ssime  di  lei,  e  non  avrebbe  q'ii  Dante  man- 
cato ad  ogni  regola  d'arte,  e  persino  al  senso  comune? 

36  Ma  di*  s'io  veggio  qui  ecc.  Questo,  chi  ben  osserva,  non  ò  un 
dubbio  che  abbia  Buonagiunta  sulla  persona  di  Dante.  Come  infatti 
poteva  avere  dubbi  sulla  persona  di  Dante  colui  che  seppe  predire  a 
Dante  fatti  che  gli  dovean  succedere  14  anni  dopo?  Anche  questo 
passo  non  fu  inteso.  Lo  si  intese  per  un  vero  dubbio,  per  un'  ignoranza 
di  Buonagiunta  su  Daute.  Ma  se  ciò  fosse,eccoti  Dante  contraddirsi, 
supponendo  prima  che  Buonagiunta  lo  conosca,  e  poi  non  lo  conosca. 
Ecco  pertanto  il  netto.  Questa  non  e  una  dimanda  che  accenni  a  dub- 
bio o  ad  ignoranza;  è  solo  una  espressione  enfatica  che  noi  pure 
diciamo  a  persona  cara,  che  contro  ogni  nostra  aspettazione  abbiamo 
la  sorte  di  vedere.  Cosi  un  padre  avendo  ornai  tra  le' braccia  un 
figlio  che  si  tenea  già  perduto,  quantunque  lo  conosca,  e  lo  stringa, 
e  lo  baci,  gli  va  dicendo:  Ma  sei  tu  proprio  il  mio  caro  figlio? 
*  37  £jt  nuove  rime.  Le  poesie  della  Vita  Nuova ,  fatte  in  morte  di 
Beatrice. 

38  Donne  ecc.  È  una  bellissima  canzone  della  Vita  Nuova  che 
codi  comincia.  Notate  che  Buonagiunta  era  stato  testimonio  aurico- 
lare quando  il  poeta  al  fine  dell'altro  Canto  avea  fatto  cenno  di 
Beatrice.  Dunque  sapea  di  certo  ch'egli  era  Dante.  Nuova  ragione 
per  non  credere  che  egli  lo  interrogasse  per  essere  certo  di  sua 
persona. 

39  p  mi  ioti  un  ecc.  Dante,  comprendendo  appunto  che  la  di- 
manda di  Buonagiunta  non  era  volta  a  sapere  s'egli  era  veramente 
Dante  o  un  altro,  ma  piuttosto  a  esternare  un  atto  di  ammirazione 


516  PURGATORIO 

Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 
Che  detta  dentro,  vo'  significando. 

per  lai  quale  autore  di  poesie  di  un  pregio  tanto  nuovo,  nella  ri- 
sposta che  gli  dà,  altro  non  fa  ehe  chiarirlo  del  motivo  onde  le  sue 
poesie  riuscirono  tali.  11  motivo  si  era  ch'egli  scriveva  dietro  l'ispi- 
razione dell'amore  che  tutto  dentro  lo  infiammava;  di  quell'amore, 
che  e  unico  maestro  ed  ispiratore  di  passionata  e  verace  poesia,  la 
quale  piglia  poi  qualità  di  giustizia,  onestà,  generosità,  o  del  con- 
trario dall'oggetto  che  la  ispira  e  dal  fine  che  la  muove.  Spieghiamo 
più  largamente  le  poche  parole  di  questa  terzina. 

1.°  Quando  amore  spira.  Ecco  qual  dee  essere  il  maestro  della 
poesia  ;  e  dicendo  poesia  intendi  pure  qualunque  scrittura  anche  in 
prosa,  o  qualunque  discorso  anche  di  prediche,  anzi  intendi  pure 
qualunque  arte  bella,  qual  sarebbe  la  musica,  la  pittura,  la  scultura, 
che  sono  sorelle  della  poesia,  e  che  deono  avere  a  maestro,  a  mo- 
vente, ad  ispiratore,  a  padre,  l'amore,  quale  si  è  detto  di  sopra, 
altrimenti  i  parti  riusciranno  languidi  o  morti.  Da  ciò  si  deduce  che 
un  poeta,  o  un  predicatore,  o  un  artista,  prima  di  trattare  un  sog- 
getto, deve  consultare  sé  stesso  se  ha  amore  per  quel  soggetto,  ossia 
se  quel  soggetto  gli  piace,  e  se  gli  piace,  cercare  ogni  mezzo  d'in- 
namorarsene vieppiù.  Quando  il  compositore  non  ama,  e  non  ama 
assai  il  soggetto  che  dee  trattare,  è  inutile  ch'egli  si  metta  a  com- 
porre. È  in  altri  termini  il:  Si  vie  me  fiere,  dolendum  —  Primum 
ip8Ì  Hbi,  di  Orazio.  Dante,  che  lo  sapea  meglio  di  tutti,  non  iscrisse 
mai  che  ispirato  dall'amore  al  suo  soggetto. 

2.°  Noto.  Con  ciò  si  indica  l'attenzione  del  discepolo  al  maestro 
amore,  che  dentro  gli  parla,  ed  alla  sua  cura  di  non  perdere  cosa 
alcuna  che  amor  gl'insegna,  notandone  i  punti  che  più  lo  accendono- 

3.°  -4  quel  modo  —  Che  detta  ecc.  Con  ciò  si  indica  che  quando 
un  compositore  si  sente  portato  da  forte  passione  al  suo  soggetto, 
e  ne  ha  già  notato  come  in  abbozzo  i  colpi  più  risentiti,  altro  pen- 
siero non  si  ha  da  prendere  che  scrivere,  o  comporre  sotto  la  det- 
tatura di  questa  passione,  che  altro  non  ò  che  un  forte  amore  al 
suo  soggetto,  certo  e  sicuro  che  le  parole  o  i  segni  esterni  ch'egli 
userà  per  esprimere  quel  che  sente,  riusciranno  una  copia  fedele 
dell'originale  ch'egli  porta  impresso  nel  cuore.  Anche  questo  è  pre- 
cetto d'Orazio  De  Arie  poetica:  —  Cui  leda  potentcr  erit  res,  — 
Nec  facundia  deseret  hunc,  nec  lucidus  ordo. 

Applichiamo  tutto  questo  ad  un  caso  di  Pittura.  Chi  non  si 
sente  rapire  alle  linee,  ai  colori,  alle  figure  da  Paradiso  del  Beato 


CANTO  XXIV.  517 

0  frate,  issa  vegg'io,  di  ss' egli,  il  nodo,  *° 

Angelico,  ed  alla  convenienza  di  tutto  al  soggetto  che  trattava?  Ma 
di  grazia  si  legga  nella  sua  viti  quanta  cura  poneva  per  innamo- 
rarsi, e  infiammarsi  del  suo  soggetto  prima  di  prendere  in  mano  o 
la  matita,  o  i  pennelli.  Egli  prima  di  mettersi  a  disegnare  o  a  co- 
lorire un  quadro  faceva  punto  di  sua  profonda  meditazione  il  sog- 
getto che  dovea  trattare,  e  j>er  iscaldarsi  viemmaggiormente  in  esso, 
la  mattina  stessa  che  metteva  la  mano  all'opera,  non  mancava  mai 
di  accostarsi  alla  sacra  mensa  degli  Angeli,  dalla  quale  tutto  acceso 
di  sacro  fuoco  passava  alla  sua  tavolozza. 

40  Issa,  Ora.  Voce  lombarda,  ossia  di  Lucca  di  Lombardia,  come 
la  chiamavano  anticamente.  Dante  la  prese  da  quel  dialetto  e  la 
fece  volgare  italiana,  come  usò  con  tante  altre  voci.  Parlando  qui 
un  Lucchese  (Bnonagiunta),  la  voce  issa,  come  ognun  vede,  gli  sta 
molto  bene  in  bocci,  ed  è  arte,  forse  non  osservata,  del  nostro'poeta. 
Da  qui  si  conosce  che  quando  Guido  da  Montefeltro  nel  Canto  XX  VII 
dell' Infer no  disse  a  Dante:  ....  0  tu  a  cui  io  drizzo  —  La  voce, 
e  che  parlavi  mo  lombardo,  —  Dicendo  :  Issa  ten  va ,  più  non 
t'aizzo,  la  voce  lombardo  di  questa  terzina  si  deve  prendere  in  senso 
stretto  e  proprio  di  lombardo,  e  non  di  italiano  in  generale,  come 
altri  spiegò.  Cosi  l'uno  e  l'altro  passo  si  chiarisce  a  vicenda. 

VeggHo,  diss'egli,  il  nodo  ecc.  Notate  bene  queste  tre  terzine 
in  cui  parla  Buonagiunta.  Non  so  se  sieno  state  mai  ben  comprese 
prima  d'ora.  È  chiaro,  e  in  ciò  vanno  d'accordo  tutti,  che  queste 
tre  terzine  parlano  di  due  classi  di  poeti,  cioè  dei  poeti  di  progetto, 
quali  sarebbero  il  Notajo,  Guittone  e  Buonagiunta,  e  dei  poeti  di 
Amore  quale  sarebbe  qui  Dante,  ed  altri  con  lui.  Ma  non  è  chiaro 
a  tutti,  che  i  poeti  di  progetto  a  detta  di  Dante  si  suddividono  in 
due  altre  specie,  secondo  il  peccar  ch'essi  fanno  per  difetto  o  per 
eccesso.  E  queste  due  spec  e  sono  qui  nominate  distintamente  da 
Dante,  mettendo  la  specie  virtuosa  dei  poeti  nella  terzina  di  mezzo 
e  delle  peccaminose,  quella  per  difetto,  mettendola  nella  prima  ter- 
zina, e  quella  per  eccesso  mettendola  nella  terza.  Per  tal  modo  come 
la  virtù,  secondo  il  filosofo,  sta  in  mezzo  a  due  vizj  tra  loro  opposti* 
per  difetto  Tu  no  e  per  eccesso  l'altro,  cosi  la  vera  poesia  (terzina 
di  mezzo)  sta  in  mezzo  a  due  false,  l'una  delle  quali  è  falsa  per 
difetto  (terzina  prima),  l'altra  è  falsa  per  eccesso  (terzina  terza)- 
Quella  per  difetto  resta  troppo  indietro,  quella  per  eccesso  va  troppo 
innanzi  al  vero  maestro  di  poesia  che  è  l'amore.  La  prima  riesce 
gretta,  e/éroppo  semplice;  ammanierata  ed  esagerata  la  seconda.  E 


..» 


518  PURGATORIO 

Che  il  Notaio,  e  Guittone,  e  me  ritenne  A! 

Di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  eh'  i'  odo. 
Io  veggio  ben  come  le  vostre  penne  w 

Diretro  al  dittator  sen  vanno  strette,4* 
6°'         Che  delle  nostre  certo  non  avvenne. 
E  qual  più,  a  gradir  oltre  si  mette,  A* 


tutto  questo  perchè?  Perchè  non  si  va  di  pari  passo  coli' Amore, 
come  fa  la  vera  Poesia,  la  quale  si  tiene  stretta  al  suo  maestro,  e 
non  dice  né  più  né  meno  di  quello  ch'egli  le  insegna,  e  quando  le 
insegna,  e  come  le  insegua,  perchè  essendogli  si  dappresso  le  è  facile 
intendere  da  lui  precisamente  ogni  cosa. 

Questa  nota  serva  di  sguardo  generico  a  tutte  le  tre  terzine, 
che  così  vengono  collegate  con  un  ordine  ammirabile  e  veramente 
poetico.  Se  ne  potrebbe  infatto  fare  un  gruppo  pittoresco  che  riu- 
scirebbe di  una  vaghezza  originale.  Tutto  questo  è  precisamente 
secondo  l'indole  della  mente  di  Dante,  che  è  simmetrica  e  pittorica 
in  ogni  sua  creazione. 

*<  Notaio.  Jacopo  da  Lenti  no,  detto  il  Notaio  per  la  sua  perizia 
nell'arte  notarile. 

Guittone.  Fra  Guitton^  d'Arezzo. 

Questi  furono  i  viziosi  per  difetto,  e  risponderebbero  a  quella 
classe  nominata  da  Orazio,  da  cui  evidentemente  il  nostro  poeta, 
etrasse  questa  triplice  divisione:  Serpìt  humi  tutus  nimicum,  timi- 
dusque  procella  e,  (De  Arte  poetica). 

**  Le  vostre  penne.  Di  Dante  e  di  Virgilio.  Buonagiunta  era  pre- 
sente quando  Dante  disse  a  Forese,  che  il  suo  compagno  dinnanzi 
era  Virgilio.  Dunque  di  questo,  e  non  de'  contemporanei  di  Dante 
egli  parla. 

*3  Dittator.  Colui  che  detta,  il  quale  nel  nostro  caso  è  l'amore. 
Questi  sono  i  veri  poeti,  perciò  posti  in  mezzo  ai  falsi. 

tt  E  qual  più  a  gradir  ecc.  Questi  sono  i  poeti  che  peccano  per 
ccesso,  e  sono  gli  ammanierali,  o  esagerati,  conosciuti  sotto  il  nome 
di  sentimentalisti,  o  romantici  ;  i  quali  sono  affatto  contrari  a  quei 
primi  gretti,  e  troppo  semplici,  che  abbiam  veduto  peccar  per  di- 
fetto. Questa  tei  za  specie  di  poeti  viziosi  per  eccesso  sono  anch'essi 
fulminati  e  derisi  da  Orazio  nella  sua  Poetica,  là  dove  dice  :  Qui 
variare  cupit  rem  prodiglalitcr  unam  Delfinum  silvis  appingit, 
fluetibus  aprum:  e  già  fin  dal  principio  del  libro  li  avea  messi  in 


CANTO  XXIV.  519 

Non  vede  più  dall'uno  all'altro  stilo: 
E  quasi  contentato  si  tacette. 

canzone  colla  vaga  similitudine  di  quello  stranissimo   pittore:  IIu- 
mano  capiti  cervicem  pictor  equinam^  ecc. 

Gradir.  Da  gradior,  gradi.  Andar  avanti,  camminare.  E  que- 
sta Tunica  lezione  che  sia  buona  perchè  la  sola  che  leghi  bene  col 
concetto  poetico  di  Dante.  Chi  legge:  E  qua? più  a  guardare  oltre 
«t  mette:  Chi  legge  pur  gradir,  ma  inteso  per  compiacere,  aggra- 
dire: chi  è  indifferente  a  leggere  tanto  gradir  per  camminare,  quanto 
gradir  per  aggradire:  chi  (e  questi  peggio  di  tutti)  legge:  E  quale 
a  riguardar  oltre  ai  mette,    lo   ripeto,  nessuna  di  queste  ò  buona 
tranne  quella  del  gradir  per  andare  avanti.  Proviamolo.  Come  di- 
ciamo in  fine  della  nota  40,  queste  tre  cl4*i  di  poeti,  secondo  che 
ce  le  presenta  Dante,  formano  un  gruppo  dei  più  magnifici  e  pit- 
toreschi. In  mezzo  c'è  Amore,  tutto  vita  e  bellezza,  che  fa  da  mae- 
stro, d*  dittatore,  da  ispiratore:  e  la  vera  Poesia,  anch'essa  trftta 
vita  e  bellezza  lo  segue  d'accanto,  stretta  a'  panni,  bevendo  coll'oc- 
chio  e  colle  orecchie  le  sue  lezioni.  A  questi  tien  dietro    a  qualche 
distanza  un'altra,  che  è  la  Poesia,  che  pecca  per  difetto,  semplice, 
ma  troppo,  della  persona,   immatura  d'anni  e  corta  ne' suoi  passi. 
Essa  non  può,  è  vero,  scaldarsi  alle  fiamme  d'Amore ,  perchè  gli  sta 
troppo  discosta,  ma  raggiunge  almeno  col  guardo  quel   gran  mae* 
stro,  e  almeno  ritrae  da  lui  qualche  parte  della  sua  bella  semplicità* 
Ma  la  poesia,  che  pecca  per  eccesso  e  per  intemperanza,  vedetela  là 
più  attempata  dell'altre,   tutta   vispa  e   tutta  bizzarra  nelle  vesti, 
correr  tanto  innanzi  e  lontano  da  Amore  e  dalla  vera  Poesia,  e  più 
ancora  dalla  Poesia  peccante  per  difetto,  ch'ella  non  sente   più  né 
l'una  né  l'altra,  e,  se  si  volge  anche  indietro,  è  pur  tanto  lontana? 
che  non  sa  più  raffigurarle,  e  più  non  vede  la  distanza  che  separa 
l'una  dall'altra,  e  per  conseguenza  i  passi  che  resterebbero  alla  dif- 
fettosa  per  raggiungere  la  perfetta,  e  farsi  così  perfetta  ella  stessa. 
Per  tal  modo  scambia  facilmente  l'una  per  l'altra,  perchè  si  distant- 
le  paiono  unite  :  onde  le  disprezza  entrambi,  e  vaga  di  sola  sé  stessa 
corre  sempre  più  innanzi,  fin  che  perde  affatto  di  vista  e  la  sempli- 
cità della  più  lontana,  tutto  che  incolta,  e  le  vere  bellezze  della  p.ù 
vicinai  tutto  che  si  ammirande. 

Ecco  un  quadro  de'  più  imaginosi,  de'  più  dotti,  e  de'  più  gentili 
che  sieno  usciti  mai  da  mano  umana,  a  petto  del  quale  gii  stili  di- 
pinti  da  Orazio  nella  sua  Poetica,  come  che  degni  d'altissima  lode, 
perdono  assai.  Eppure  chi  1'  ha  inteso  ?  e  chi  ha   mai  creduto  che 


f>20  PURGATORIO 

Come  gli  augei  che  vernan  verso  il  Nilo,  i5 
Alcuna  volta  di  lor  fanno  schiera,  u 
Poi  volan  più  in  fretta  e  vanno  in  filo:  A" 

Cosi  tutta  la  gente  che  11  era,  4* 
Volgendo  il  viso,  raffrettò  suo  passo, 
E  per  magrezza,  e  per  voler  leggiera.  *9 
"0.     E  come  l'uom,  che  di  trottare  è  lasso,  • 

Lascia  andar  li  compagni,  e  si  passeggia 
Fin  che  si  sfoghi  l'affollar  del  casso; 

Sì  lasciò  trapassar  la  santa  greggia 

dentro  a  si  pochi  versi  ci  fosse  un  trattato  cosi  compito  e  cosi  pit- 
toresco di  tutti  gli  stili  ?  Oh  quanto  sarei  vago  di  vedere  un  sog- 
getto si  grazioso  trattato  da  qualche  valente  pennello  ! 

Il  gradir  usato  da  Dante  nel  senso  sopt accennato  lo  troviamo 
anche  nel  Par  ad.,  Canto  X,  ver.  57,  n.  37. 

**  Augei.  Le  gru.  —  Vernan.  Vanno  a  passare  il  verno  venendo 
dal  settentrione  d'Europa.  —  ferito  il  Silo.  Nella  calda  Africa 
Si  dice  verso  il  yiloy  perchè  soffereudo  l'Africa  quasi  dappertutto, 
meno  nella  linea  dell'Egitto  e  della  Nubia,  penuria  d'acqua,  questi 
uccelli  passando  all'Africa  si  tengono  in  que.la  direzione  del  Nilo 
'per  non  patir  la  sete  nel  tempo  che  dimorano  in  Africa.  Perciò 
taluni  in  luogo  di  verso  leggono  lungo.  Ma  le  gru  non  solo  sono 
lungo  il  Nilo,  ma  anche  verso  il  Nilo.  Sicché  la  lezione  verso  è  mi- 
gliore. 

**  Fanno  schiera.  Si  uniscono  roteando  e  avanzando  poco,  e  que- 
sto è  come  il  loro  fermarsi. 

47  poi  volan  ecc.  Quando  le  gru  si  sono  date  quella  specie  di 
riposo,  poi,  quasi  a  ristorare  il  tempo  perduto,  affrettano  più  di 
prima  il  loro  volo,  e  vanno  in  filo,  cioè  a  cono  orizzontale  colla 
punta  d'innanzi.  L'andar  in  filo  è  questo,  non  l'andar  in  una  sol  fila. 

**  Cos)  tutta  la  gente  ecc.  Quella  gente  fece  rome  le  gru  :  prima 
si  uni  a  schiera  intorno  a  Dante,  e  poi  coree  via  a  maggior  fretta 
di  prima  per  compensare  il  tempo  perduto,  gli  uni  andando  dietro 
agli  altri. 

**  E  per  voler.  Ricordatevi  della  n.  39    Canto  XXIII. 

so  E  come  Vuom  ecc.  Similitudine  per  indicare  che  Forese  non 
corse  coi  compagni,  ma  andò  col  passo  di  Dante,  affrettato  si,  ma 
di  passeggio. 


CANTO  XXIV.  521 

Forese,  e  dietro  meco  sen  veniva,  M 

Dicendo:  Quando  fia  ch'i' ti  riveggia?  M 
Non  so,  risposi  lui,  quant'io  mi  viva  ;  * 

Ma  già  non  fia  '1  tornar  mio  tanto  tosto,  "  ; 

Ch'io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva.59 
Perocché  il  luogo,  u'  fui  a  viver  posto  M 
80-        Di  giorno  in  giorno  più  di  ben  si  spolpa, 57 

E  a  trista  ruina  par  disposto.  w 

**  Dietro.  Non  dietro  a  Dante,  ma  dietro  all'anime  sue  compagne. 
Con  Dante  andava  a  paro,  perciò  si  aggiunge  meco  (Vedi  il  dise- 
gno Tav.  V  Purg.). 

52  Quando  fia  eh'  i9  ecc.  Al  Purgatorio,  in  questo  cerchio  dei 
golosi.  Evidentemente  questa  dimanda  è  ratta  per  veder  Dante  assai 
patito  ;  e  lo  era  veramente,  come  confessa  Dante  stesso  nel  Parad 
Canto  XXV,  v.  3. 

5»  Non  90  ecc.  Dio  non  me  l'ha  rivelato,  quantunque  m'abbia 
privilegiato  a  questo  segno  che  tu  vedi. 

8*  Il  tornar  ecc.  Per  quanto  presto  sia  il  mìo  ritorno  a  questo 
luogo  è  sempre  tardo  in  confronto  del  mio  desiderio.  Bella  aspira- 
zione a  salute  1 

35  Alla  riva.  Già  sappiamo  che  il  Purgatorio  dantesco  è  un'  isola 
antipode  a  Gerusalemme,  e  già  noi  abbiamo  veduto  la  sua  riva  sin 
dal  principio. 

36  Perocché  il  luogo  ecc.  Firenze:  egli  parla  supponendosi  nel  1300, 
epoca  poetica.  È  maraviglioso  questo  passaggio  e  successione  da 
cosa  in  cosa,  da  cosa  sì  cara,  qual'  era  la  dimanda  di  Forese  e  la 
risposta  di  Dante,  a  cosa  sì  orribile,  quale  si  era  lo  stato  reo  di 
Firenze,  e  il  castigo  del  suo  primo  colpevole.  Il  saper  distribuire 
le  ombre  nei  quadri  così  a  proposito,  è  solo  proprietà  dei  grandi 
poeti  e  dei  grandi  pittori. 

*7  Di  giorno  in  giorno  ecc.  Firenze  perde  di  virtù  ogni  giorno 
colla  guerra  che  dai  Neri  si  fa  ai  Bianchi  (tra  i  Bianchi  Dante). 
E  bello  il  dir  questo  pensiero  ritraendone  l' immagine  dagli  oggetti 
stessi  che  avea  dinanzi,  cioè  dallo  spolparsi  continuo  dei  golosi.  E 
naturale  che  gli  oggetti  che  ci  circondano  informino  le  nostre  idee, 
e  noi  volendo  dir  qualche  cosa,  prendiamo,  anche  senza  avvertirlo, 
dagli  oggetti  stessi  le  nostre  immagini. 

W  E  a  trista  ecc.  Si  predice  la  cacciata  dei  Bianchi  (Dante, 
con  essi).  Il  poeta  vede  in  questa  cacciata  la  ruina  della  sua  città. 


l'A  PURGATOUU.i 

Or  va.  ditfs'ei,  che  quei  che  più  olia  colpa.  :* 
Vegg'  io  a  coda  d'una  bestia  tratto  *° 
Verso  la  valle,  ove  mai  non  si  scolpa.  <f 


M  Quei  che  più  n'hm  colpa.  Corso  Donati  capo  della  parte  Nera. 
Secondo  gli  storici  contemporanei  fa  grande  nei  vizi  e  nel  valore. 
Forese  noi  nomina  per  riguardo  di  sangue,  essendo  Corso  suo  fra- 
tello. Ma  è  pnr  darà  per  Corso,  che  lo  stesso  sao  fratello  si  consoli, 
e  consoli  anche  Dante,  anch'esso  imparentai  j  coi  Donati  per  via  di 
moglie,  colla  vinta  della  sua  Une  infelice.  Al  mondo  è  una  bestia 
che  ne  disfà  il  corpo,  e  al  Purgatorio  è  un  fratello  che  lo  predice 
qual  meritato  castigo.  Non  potea  Corso  esser  punito  più  di  cosi. 

tt  A  coda  d'una  bestia  ecc.  La  storia  di  questa  catastrofe  è  in 
poche  parole  la  seguente.  Corso  ornai  troppo  grande  e  prepotente 
venne  in  sospetto  de1  suoi.  Fatto  tumulto  lo  assalirono  nelle  sue 
case.  Egli  fuggi  a  cavallo,  ma  cadd-?,  rimastogli  un  pie  nella  staffa. 
Fn  cosi  trascinato  per  lungo  tratto.  Intanto  fu  sopraggiunto  da  al- 
cuni soldati  cataUoi,  e  forae  in  sul  boccheggiare  finirono  di  ammaz- 
xarlo.  La  predizione  di  Forese  varia  alquanto  dalla  storia  :  e  dovea 
esser  cosi,  altrimenti  sarebbe  stata  storiale  non  profezia.  La  so- 
stanza però  è  la  stessa.  Questo  eia  detto  per  iscagionar  Dante  che 
qui  alterò  alcune  circostanze.  Egli  le  doveva  alterare;  ed  è  bello 
quel  prendere  la  coda  per  la  staffa;  ed  è  più  bello  tacer  de'soldati 
e  de*  loro  stocchi,  e  di  parlare  invece  di  bestia  e  di  calci.  Notate 
bestia  per  cavallo.  Anche  questo  a  maggior  vergogna  di  Corso. 

6*  Verso  la  valle,  ove  ecc.  Verso  l'Inferno,  ove  resta  sempre  la 
colpa,  e  non  è  come  il  Purgatorio,  dov'essa  si  purga.  Notate  che 
Corso  tratto  cosi  dalla  bestia,  andava  a  certa  morte,  e  siccome  que- 
sta lo  ghermiva  carico  di  colpe  e  impenitente,  perciò  egli  andava 
verso  la  valle  d'Inferno.  Ma  qui  è  da  scavare  una  gemma  nascosta. 
Eccola.  La  bestia  trascinava  Corso  verso  la  valle  8.  Salvi,  a  poco 
più  di  un  miglio  da  Firenze:  ebbene,  il  poeta  coglie  anche  questa 
circostanza  del  luogo  verso  il  quale  era  volta  la  bestia,  per  ferire 
con  una  acutissima  antifrasi  il  suo  avversario,  notando  ch'egli,  seb- 
bene sia  tratto  alla  valle  S,  Salvi,  pure  più  veramente  si  può  dire 
che  è  tratto  alla  valle  di  dannazione.  Cosi,  come  prima  la  coda  in- 
vece della  staffa,  e  la  bestia  invece  del  cavallo  si  dissero  per  ag- 
gravare più  l'iguominia  della  morte  di  Cordo;  a  questo  stesso  fine 
si  cangia  la  valle  di  saluto  in  valle  di  dannazione.  Tutto  divien 
terribile  quando  Dante  vuol  punire. 


CANTO  XXIV.  523 

La  bestia  ad  ogni  passo  va  più  ratto  ** 
Crescendo  sempre,  in  fin  ch'ella  il  percuote, 
E  lascia  il  corpo  vilmente  disfatto. •* 

Non  hanno  molto  a  volger  quelle  ruote,  6i 
(E  drizzò  gli  occhi  al  ciel)  eh1  a  te  Ha  chiaro65 
90-         Ciò  che  il  mio  dir  più  dichiarar  non  puote. 

Tu  ti  rimani  ornai,  che  il  tempo  è  caro*6 

6*  Va  più  ratto  —  Crescendo  sempre.  Quello  appunto  che  avviene 
di  un  cavallo,  che  accortosi  di  esser  senza  cavalier  che  lo  infreni, 
e  sentendosi  battere  da  un  iasolito  peso,  corre  ognor  più  furibondo, 
menando  calci. 

63  Vilmente  disfatto.  Morto  vilmente.  Questo  e  quello  a  che  mira 
sempre  Dante  in  totta  questa  descrizione  della  morte  di  Corso: 
egli  mira  a  farne  risaltar  l' ignominia;  non  solo  morte  violenta,  ma 
e  ignominiosa. 

G*  Fon  hanno  molto.  11  tempo  è  segnato  dai  rivolgimenti  delle 
sfere  celesti.  La  morte  di  Corso  avvenne  il  6  ottobre  1308.  Ricor- 
diamoci che  oggi  siamo  col  nostro  poema  ai  12  aprile  1300.  Sicché 
dalla  predizione  della  morte,  alla  morte  stessa,  passarono  anni  8, 
mesi  5,  e  giorni  24. 

63  A  te  fia  chiaro  —  Ciò  ecc.  Il  fatto  stesso,  che  allora  avverrà,  ti 
chiarirà  di  tutte  l'altre  circostanze,  che  io  ora  non  posso  dire.  Dante 
intese  la  morte  di  Corso  quand'era  presso  Moroello  in  Lunigiana, 
quando  già  avea  finito  l'Inferno,  e  stava  per  muovere  alla  volta 
di  Parigi  agli  studi  della  Sorbona.  Se  quella  morte  fossa  avvenuta 
durante  la  composizione  del  suo  Inferno,  Dante  non  avrebbe  di- 
menticato di  farsi  predire  questa  fine  miseranda  del  massimo  tra 
suoi  avversari  da  qualche  anima  dannata.  Questa  circostanza  è  no- 
tevole per  accertare  il  fine  dell'  Inferno  di  Dante  e  asserire  ch'egli 
l'avea  già  finito  prima  del  6  ottobre  1308,  la  qual1  epoca  combina 
precisamente  colle  notizie  storiche  della  vita  di  Dante.  Cosi  per 
riguardo  alla  composizione  dell'  Inferno  noi  abbiamo  due  date  di 
grande  importanza  ;  la  data  del  principio  e  la  data  del  fine.  La  prima 
è  accennata  nell'/n/.  Canto  I,  nel  discorco  del  Veltro  in  fine,  ed  è 
fissata  tra  il  7  giugno  1304  ed  il  7  luglio  pur  1304,  La  seconda  è 
accennata  qui,  ed  è  di  poco  anteriore  ai  6  ottobre  1308.  Secondo 
queste  date  la  composizione  dell'//»/*,  sarebbe  durata  anni  4,  mesi  4. 

66  Ti  rimani.  Non  già  férmo,  ma  del  tuo  passo  come  vai  adesso, 
perch'io  debbo  andare  a  maggior  fretta. 


524  PURGATORIO 

In  questo  regno,  al  eh9  io   perdo  troppo  ** 
Venendo  teco  sì  a  paro  a  paro. 

Qual  esce  alcuna  volta  di  galoppo 
Lo  cavalier  di  schiera  che  cavalchi, 
E  va  per  farsi  onor  del  primo  intoppo  ;  "* 

Tal  si  partì  da  noi  con  maggior  valchi; 69 
Ed  io  rimasi  in  via  con  esso  i  due, 
Che  fur  del  mondo  sì  gran   maliscalchi.  70 
100.  £  quando  innanzi  a  noi  sì  entrato  fue, 7f 
Che  gli  occhi  miei  si  fero  a  lui  seguaci, 
Come  la  mente  alle  parole  sue  ;  " 

Parvermi  i  rami  gravidi  e  vivaci71 

*7  Ch'io  perdo  troppo  ecc.  Perch'io  perdo  la  mia  pena  che  tanto 
desidero;  e  noi  già  sappiamo  che  la  pena  era  di  andare  all'albero 
che  aveva  la  virtù  di  accrescere  la  loro  fame  per  le  fratta,  e  la  loro 
sete  per  l'acqua  che  vi  pioveva,  senta  potere  né  mangiare  né  bere. 

ss  Del  primo  intoppo.  Del  primo  scontro,  del  primo  attacco.  — 
Da  noi.  Da  me  e  dai  due  poeti  miei  compagni.  Dunque  erano  questi 
di  poco  avanti  a  Dante,  da  essere  in  sua  compagnia. 

69  Con  maggior  valohi.  Con  maggior  passi.  Contratto  di  valichi. 

70  Maliscalchi.  Suona  governatore  di  corte,  o  di  eserciti.  I  poeti 
(gli  epici)  sono  i  governatori  del  mondo,  in  questo  senBO  ch'essi 
danno  al  mondo  la  direzione  per  le  grandi  virtù  ;  Dante  sopratutti 
e  per  concetto  esplicito.  Poi  siccome  i  maliscalchi  sono  i  primi  e  i 
più  onorati  nell'esercito,  cosi  i  poeti  nel  mondo  appartengono  a  quella 
professione  che  è  superiore  a  tutte.  Onde  Stazio  nel  Canto  XXI 
per  dire  a  Virgilio  ch'egli  fu  al  mondo  poeta,  dice  :  Col  nome  cht 
piò  dura  e  piò  onora. 

71  E  quando  innanni  ecc.  Questo  non  vuol  dire  quand'egli  fu 
molto  innanzi  a  noi,  ma  il  contrario,  appena  che  fu  innanzi  a  noi, 
perchè  rocchio  comincia  ad  essere  seguace  d'uno  appena  che  questi 
gli  va  innanzi. 

73  Come  la  mente  ecc.  A  tutti  i  suoi  discorsi,  ma  specialmente 
all'ultimo  col  qual  predisse  la  fine  funesta  di  Corso  Donati,  l'autor 
principale  della  mina  di  Firenze. 

7»  Parvermi.  Mi  apparvero.  —  Gravidi.  Carichi  di  frutta  — 
Vivaci.  Nella  piena  lor  vita  e  verdura. 


*% 


CANTO  XXIV.  525 

D'un  altro  popò,  e  nqo  molto,  lontani,74 
Per  esser  pur  allora  voltò  m  laci. 
Vidi  gente  so  W  esso  alzar  le  mani,15 

7^  ZJ'mh  afrro  pomo.  D'un  altro  albero  fruttifero ,  dal  latino  pò- 
mum  che  suona  qualunque  albero  fruttifero.  A  che  quest'altro  pomo 
oltre  il  primo?  Perchè  la  gola  pecca  nei  cibi  in  due  modi:  1.  man- 
giando troppo  di  cibi  permessi  ;  2.  mangiando  cibi  vietati.  Col  primo 
modo  si  pecca  per  via  di  quantità  ;  col  secondo  per  via  di  qualità. 
Perciò  il  primo  albero  serve  a  punire  i  golosi  in  quanto  mangia- 
rono o  bevvero  troppo  ;  e  questo  secondo  serve  a  punirli  in  quanto 
anche  sol  gustarono  cibi  vietati.  Su  questo  secondo  albero  non  cade 
liquore  alcuno,  perchè  il  precetto  ecclesiastico  di  astenersi  da  certi 
cibi,  non  comprende  anche  le  bevande:  onde  sorse  anche  il  proverbio 
dei  moralisti:  liquida  non  frangunt.  Vedremo  poi  più  sotto  altre 
ragioni  per  ritenere  che  questo  secondo  albero  non  è  che  a  punì- 
zion  della  gola  rea  dei  cibi  vietati.  1  commentatori  sul  vero  perchè 
di  questo  secondo  albero  o  non  fiatano  punto,  o  dicono  delle  stram- 
bellerie.  Eppure  la  cosa  è  chiara,  sol  che  si  mediti  un  poco.  Questo 
albero  era  necessario  quanto  il  primo,  e  oso  dire  più  che  il  primo, 
perchè  è  maggior  atto  di  gola  mau giare  il  vietato,  che  esagerare 
alquanto  nel  permesso. 

E  non  molto  lontani.  Se  non  erano  molto  lontani,  perchè  non 
li  ha  veduti  prima?  Rispondo  :  Non  li  ha  veduti  prima  non  già 
perchè  questo  pomo  fosse  dietro  alla  svolta  del  monte,  e  quindi  fuori 
della  prospettiva  di  Dante,  come  errando  credono  alcuni,  ma  per 
la  sola  ragione  che  dice  nel  verso  che  segue,  cioè  per  aver  solo  in 
quel  punto  guardato  innanzi.  Dunque  se  avesse  guardato  prima, 
anche  prima  lo  avrebbe  veduto.  E  quando  fu  che  Dante  si  mise  a 
guardare  innanzi  ?  Fu  dal  solo  momento  che  Forese  si  spiccò  da 
lui,  e  che  Dante  gli  tenne  dietro  coll'occhio.  Dunque  (ecco  che  cosa 
ci  vuol  dire  il  poeta)  per  tutto  il  tempo  che  Dante  fu  con  Forese, 
egli  gli  tenne  sempre  l'occhio  addosso,  e  si  glielo  tenne  fisso,  da  non 
veder  punto  le  cose  innanzi  a  lui.  Questa  fissazione  pur  si  natu- 
rale, Dante  non  ce  l'avea  notata  prima  d'ora,  ed  era  cosa  che 
tanto  gli  premeva  di  notarla.  Perciò  la  nota  qui  facendocela  stu- 
diare secondo  il  suo  solito.  Ed  ora  che  noi  l'abbiamo  trovata  col 
nostro  studio  ci  pare  ancora  più  bella,  e  quasi  ringraziamo  il  poeta 
di  avercela  fatta  trovare  a  punta  di  fatica,  perchè  così  sentiamo  il 
piacere  che  sente  chi  ha  il  merito  di  qualche  scoperta. 

"5  ridi  gente  ecc.  Cioè  quella  sola  gente   che   a  questo  mondo 


526  PURGATORIO 

E  gridar  non  so  che  verso  le  fronde, 76 
Quasi  bramosi  fantolini  e  vani, 77 

avesse  violato  il  precetto  ecclesiastico  del  digiuno  e  dell'astinenza 
dalle  carni,  che  ha  fatto  perciò  un  peccato  di  specie  diversa  dai 
primi  golosi,  che  abbiam  veduto.  Si  noti  la  coscienza  di  Dante  ben 
diversa  da  quella  di  tanti  cattolici,  che  mangiano  impudentemente 
cibi  vietati  dalla  Chiesa.  Dante  qui  li  ha  serviti  come  meritano.  Mi 
preme  assai  di  fermar  questo  punto  anche  colla  autorità  di  Dante, 
che  non  era  certo  uomo  di  pregiudizi,  e  che  pure  riconosceva  e 
rispettava  nel>a  Chiesa  il  diritto  di  vietar  certi  cibi,  e  quindi  rico- 
nosceva nei  fedeli  l'obbligo  rigoroso  di  obbedirla.  Almeno  l'autorità 
di  Dante  farà  vergognare  gli  sprezza  tori. 

Aitar  le  mani.  Come  facevano  a  questo  mondo,  che  stende- 
vano le  mani  ai  cibi  vietati.  Ma  come  alzavano  le  mani  a  questo 
cibo  se  sapevano  che  era  vietato  ?  Rispondo  :  Dante  non  dice  che 
lo  sapessero,  anzi  da  quel  che  segue  appare  che  non  lo  sapessero, 
perchè  più  sotto  si  dice  che  quella  gente  partiva  ricreduta.  Ma  come, 
ripiglio,  quella  gente  noi  sapeva,  se  girando  sempre  intorno  a  quel 
sesto  giro  sf  incontrava  più  volte  al  giorno  in  quelle  due  piante  ? 
Rispondo  :  che  ciò  nulla  ostante  non  lo  sapevano,  e  così  ha  voluto 
supporre  e  imagiuare  il  poeta,  il  quale  con  ciò  ci  fa  intendere  aper- 
tamente che  nel  giro  che  facevano  pai  tendo  dall'albero  e  ritornan- 
dovi perdevano  affatto  la  memoria,  cosi  volendolo  Dio,  a  rinnova- 
zione della  loro  pena.  £  veramente  non  c'era  Litro  mezzo  che  questo 
per  rinnovargliela  continuamente.  Ila  rinnovato  qui  Dante  per  la 
memoria  dei  golosi  quello  che  ha  supposto  pel  corpo  dei  scismatici 
e  degli  scandalosi  nel  Canto  XX Vili  dell'Inferno.  Colà  d.ssc:  Un 
diavolo  è  qua  dietro  che  rìaccisma  —  Sì  crudelmente,  al  taglio 
della  spada  —  Rimettendo  ciascun  di  questa  risma,  —  Quando 
avem  volta  la  dolente  strada  ;  —  Perocché  le  ferite  son  richiuse 
—  Prima  ch'altri  dinanzi  li  rivada.  Ebbene  a  simigliatila  di  ciò, 
queste  anime  golose,  quando  partono  dall'albero,  hanno  la  conoscenza 
di  lui,  e  questa  conoscenza  nel  tratto  che  fa  ano  per  ritornarci  la 
si  chiude  e  cancella.  Questo  ritrovato  è  stupendo,  e  Dante  ce  lo 
dice  chiaro  d*  tutto  il  contesto,  ma  è  sempre  mancata  la  pazienza 
d'investigarlo,  e  si  vide  qui  questo  nuovo  albero,  e  questa  nuova 
gente,  senza  curarsi  di  saperne  il  perchè. 

76  Non  so  che.  L'occbio  vede  a  maggior  distanza  che  non  sente 
l'udito.  Perciò  Dante  vide  li  gesti,  ma  non  udì  il  senso  delle  parole. 

77  Quasi  bramosi  ecc.  Questa  similitudine  è  molto   a  proposito 


CANTO  XXIV.  527 

Che  pregano,  e  il  pregato  non  risponde; 
n0-       Ma  per  fere  esser  ben  lor  voglia  acuta. 
Tien  alto  lor  disio,  e  noi  nasconde. :* 

Poi  si  partì  sì  come  ricreduta  ; w 

E  noi  venimmo  al  grande  arbore,  ad  esso  *° 
Che  tanti  preghi  e  lagrime  rifiuta.  8I 

Trapassate  oltre  senza  farvi  presso:  ** 

perchè  gli  atti  di  quella  gente  sono  quelli  che  noi  sempre  vediamo 
avverarsi  nei  fantolini  del  caso  detto  qui  dal  poeta. 

78  Lor  dii\o.  La  cosa  desiderata. 

79  Screduta.  Disingannata.  Questo  prova  che  quelle  anime  nel 
far  il  giro  per  tornare  alta  pianta  perdevano  la  memoria  della  natura 
dell'albero  e  de'suoi  frutti,  cioè  perdevano  la  memoria  che  fosse  cibo 
proibito.  Questo,  come  notammo,  era  disposto  dalla  divina  provvi- 
denza per  loro  pena. 

*°  Al  grande  arbore.  Perchè  questo  si  dice  grande,  ciò  che  non 
fu  detto  dell'ai :ro  ?  Per  accennare  che  grande  è  il  numero  di  coloro 
che  mangiano  cibi  vietati.  —  Ad  uso.  Questa  è  la  vera  lesione, 
non  adesso  «ora),  che  non  ha  nessun  senso.  Sta  per  quello  stesso. 

**  Che  tanti  preghi  ecc.  Ài  Purgatorio,  non  al  mondo.  Qui  (al 
mondo)  si  mangia  indifferentemente  quel  che  è  vietato;  ma  al  Pur- 
gatorio se  ne  sconta  la  pena  a  qui»st*albero  che  rifiuta  e  preghi  e 
lagrime,  negando  ai  golosi  i  suoi  pomi.  Ripeto  che  su  quest'  albero 
non  piove  umore,  perchè  i  liquidi  nel  divieto  ecclesiastico  non  sono 
contemplati.  Nel  divieto  si  dice:  non  mangiare,  ma  nou  si  dice: 
non  bere. 

**  Trapassate  oltre  senta  ecc.  Notate  la  differenza  delle  voci  ehe 
escono  dall'uno  e  dall'altro  di  questi  due  alberi.  Dal  primo  la  voce 
dicea  :  Di  questo  cibo  avrete  caro,  ossia  carest'a,  il  che  non  ìndica 
assoluta  mancanza  di  esso,  ma  solo  scarsezza,  accennando  così  alla 
sobrietà  nella  quantità,  e  tormentando  cosi  quei  golosi  che  trasmo- 
darono mangiando  troppo  cibi  permessi.  Invece  la  voce  che  esce  da 
questa  seconda  pianta  dice:  Trapassate  oltre  senza  farvi  presso, 
il  che  indica  assoluta  e  totale  privazione  di  quelle  frutta,  perchè 
frutta  proibite,  accennando  cosi  alla  qualità  non  permessa;  e  tor- 
mentando così  quei  golosi  che  la  gustarono.  E  per  cessare  anche 
il  pericolo  di  mangiarne  un  tantino,  si  ordina  persin  l'allontanamento 
dall'albero.  Per  questo  Dio  ogni  qual  volta  vieta  il  peccato,  vieta 
anche  l'occasion  di  peccato. 


588  PURGATORIO 

Legno  è  più  su  che  fu  morso  da  Eva,  " 
E  questa  pianta  si  levò  da  eaao.  M 
Sì  tra  le  frasche  non  so  chi  diceva  :  ** 
Perchè  Virgilio,  e  Stazio,  ed  io  ristretti, 
12°-       Oltre  andavam  dal  lato  che  si  leva.  87  * 


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**  Legno  è  più  su  ecc.  L' albero  che  troveremo  sulla  cima  del 
monte,  situato  in  mezzo  del  Paradiso  terrestre  colà  locato.  Quei 
legno  fu  morso  da  Eva,  perennila  mangiò  del  suo  frutto  che  le  era 
•tato  vietato,  con  dirle  Dio,  mangerai  di  tutti  gli  altri  frutti,  ma 
non  di  questo.  L'eccezione  che  fa  la  Chiesa  de1  cibi  grassi  in  certi 
giorni  non  è  che  una  rinnovazione  di  quella  prima  che  Dio  fece  ad  Eva. 

**  E  questa  pianta  ai  levò  da  essa.  Dunque  è  della  stessa  na- 
tura. Dunque  questa  pianta  è  la  pianta  dei  cibi  vietati  che  qui  si 
introduce  a  castigo  non  dei  golosi  che  oltrepassano  la  misura  nei 
cibi  permessi,  ma  a  castigo  di  quei  tali  golosi  che  non  rispettano 
la  legge  ecclesiastica  dei  cibi  vietati  :  e  quindi  la  gente  che  vedemmo 
sotto  quest'albero  non  è  quella  che  si  dimagra  a  quell'altro,  a  meno 
che  eerte  anime  nel  peccare  non  abbiano  violato  e  la  quantità  eia 
qualità  dei  cibi.  In  somma  anche  qui  havvi  due  sorta  di  peccatori, 
come  due  sorta  ne  abbiamo  veduto  nel  cerchio  degli  avari,  dove 
stavano  alla  stessa  pena  avari  e  prodighi,  tra  i  quali  ultimi  era  Stazio. 

•*  Sì  tra  le  frasche.  Come  dal  primo  albero,  così  da  questo  se- 
condo esce  una  voce,  e  come  Dante  non  potè  sapete  chi  parlasse 
dal  primo,  cosi  nemmeno  da  questo  secondo.  Tra  le  fronde  del  primo 
avea  spiato,  ma  tra  le  fronde  di  questo  non  Tosa,  memore  della 
riprension  di  Virgilio,  e  più  memore  delle  parole:  Trapassate  ecc. 

**  Virgilio  e  Stazio  ed  io.  Tenete  conto  anche  di  questo,  che 
tutto  è  buono,  e  tutto  giova.  Qui  Dante,  senza  che  ce  n'accorgiamo, 
accenna  l'ordine  in  che  si  posero  i  poeti  l'un  dietro  l'altro,  rasente 
il  monte,  e  ristretti  l'uno  all'altro.  Quest'ordine  è  il  seguente:  In 
nanzi  Virgilio,  dietro  a  Virgilio  Stazio,  Dante  in  fine.  Così  passato 
Palbero,  quando  questi  tre  s'allargheranno  per  la  strada,  Virgilio 
riuscirà  di  fuori,  Stazio  in  mezzo  e  Dante  al  di  dentro  della  strada 
lungo  il  monte  (Vedi  Tav.  V,  Purg.).  Notate  anche  il  ristretti.  Vale 
ristretti  tra  loro  e  ristretti  al  monte.  E  ciò  è  naturale,  e  perchè 
quando  tre  viaggiatori  prima  un  po' divisi  odono  cosa  di  qualche, 
paura,  sempre  si  restringono  tra  loro,  e  perche  la  strada  non  era 
larga  che  piedi  7  1/2,  dall'albero  al  monte. 

*7  Dal  lato  che  si  leva.  Era  il  più  sicuro  per  Danto. 


CANTO  XXIV.  529 

Ricordivi,  di  ce  a,  de'  maledetti 88 
Ne'  nuvoli  formati,  che  satolli 
Teseo  combatter  co'  doppi i  petti  ;  89 

E  degli  Ebrei  ch'ai  ber  si  mostrar  molli,  ^ 
Perchè  non  gli  ebbe  Gedeon  compagni, 
Quando  in  ver  Madian  discese  i  colli.  9! 

Sì,  accostati  all'un  de' duo  vivagni,99 
Passammo,  udendo  colpe  della  gola, 
Seguite  già  da  miseri  guadagni. 93 
130.    pGj    rallargati  per  la  strada  sola, 9A 

ss  Ricordivi  ecc.  La  voce  del  primo  albero  disse  esempi  di  tem- 
peranza e  de'  suoi  premi  ;  questa  del  secondo  dice  esempi  d' intem- 
peranza, e  de*  suoi  castighi.  Cosi  abbiam  sempre  veduto  io  tutto 
il  Purgatorio  :  prima  esempi  di  virtù,  poi  anime  purganti,  e  final- 
mente esempi  di  vizio.  —  De'  maledetti.  Centauri,  secondo  la  fa- 
vola, figli  d'Iasione  e  d'una  donna  aerea  da  Giove  composta  di  nubi 
e  avente  l'immagine  di  Giunone:  esseri  di  doppia  natura,  mezzi 
uomo  e  mezzi  cavallo.  Questi,  dopo  una  crapola,  vollero  rapire  Ip- 
podamia  a  Piritoo,  ed  ebbero  perciò  a  combattere  con  Teseo  ed 
Ercole. 

89  Co'doppi  petti.  Petti  d'uomo  e  petti  di  cavallo  che  si  univano 
e  confondevano  noi  dinanzi. 

so  E  degli  Ebrei  ecc.  È  il  fatto  del  e.  VII  dei  Giudici  Gedeone, 
secondo  l'ordine  di  Dio,  a  combattere  i  Madianiti  dovea  prender 
con  se  soli  quei  soldati,  che  condotti  al  fiume  per  bere,  avessero 
bevuto  recandosi  l'acqua  alla  bocca  colla  mano,  e  non  quelli  che 
si  fossero  inginocchiati  per  tuffare  la  bocca  nel  fiume,  perchè  que- 
sti avrebbero  con  ciò  mostrato  troppa  mollezza,  e  ingordigia  di  berne 
molta.  Soli  300  bevvero  alla  sfuggita,  bevendo  l'acqua  colle  mani  : 
questi  furono  ritenuti,  e  gli  altri  licenziati. 

91  /  colli.  I  colli  che  li  dividevano  dai  Madianiti. 

9*  Vivagni.  Orli  o  estremità  del  panno.  Qui,  orli  della  strada.  — 
JlVun  de*  duo.  All'interno. 

93  Seguite  già  ecc.  Colpe  seguite  già  dalle  lor  pene.  Misero  gua- 
dagno è  perifrasi  di  pena,  perchè  la  pena  è  quel  che  si  guadagna 
colla  colpa. 

94  Poi  rallargati  per  ecc.  E  naturale  che  tolta  la  causa  se  ne 
tolga  l'effetto,  La  causa  che  li  fece  andar  rasentando  il  monte  fa 

34 


580  PURGATORIO 

Ben  mille  passi,  e  più  ci  portar  oltre,  9S 

l'albero  in  mezza  strada,  ol trapassato  questo,  la  strada  era  sgombra. 
Cosi  Virgilio  riusci  al  vivagno  esteriore,  Stazio  al  mezzo  della  strada, 
e  Dante  al  vivagno  interiore,  e  quindi  più  comodo  alla  salita  dove 
l'avessero  trovata. 

Strada  sola.  Sola,  perchè  senz'albero  e  senza  golosi, 
w  Ben  mille  passi  ecc.  Questo  accenno  geometrico  di  circonfe- 
renza è  di  una  importanza  incalcolabile.  Attenti  bone.  Prima  di 
tutto  bisogna  ebe  noi  indaghiamo  quanti  pa-si  fa  un  miglio.  Per 
conoscere  questo  basta  che  noi  consultiamo  Giovanni  Villani  al  258 
del  IX  libro  delle  sue  cronache  fiorentine.  In  quel  luogo  dove  il 
Villani  misura  la  periferia  di  Firenze  fa  il  miglio  di  braccia  3000 
(tre  mille)  le  quali  corrispondono  a  circa  5000  passi  grandi  o  £ 000 
piccoli.  Noi  atteniamoci  a  questi  ultimi  per  le  ragioni  che  diremo 
in  line.  Ora  prendete  in  mano  la  mia  Tavola  VI,  osservando  in 
essa  la  VI  cornice  dei  golosi.  Voi  vedete  che  essa  ha  la  circonfe- 
renza di  5/8  di  miglio  in  tutto  il  suo  cerchio,  vale  a  dire  che  tutto 
il  giro  intorno  al  monte  a  quella  altezza  è  di  passi  3750,  essendo  1/8 
di  miglio  passi  750.  Ora  essendo  4  le  facciate  del  monte,  quanti 
passi  fnrà  ogni  facciata?  È  chiaro  che  ogni  facciata  sarà  la  quarta 
parte  di  3750  passi,  ossia  sarà  di  passi  938  circa  che  si  possono 
computare  dalla  metà  di  una  facciata  all'altra  metà  e  che  la  metà 
di  ogni  facciata  sarà  469.  Ma  Dante  dice  qui  che  dal  secondo  al- 
bero fino  alla  scala  ha  fatto  1000  passi  <jl  poco  di  più  trascuria- 
molo), e  la  scala  che  subito  troveremo  e  nella  giusta  metà  della 
facciata  che  guarda  ovest,  come  si  proverà  appresso.  Dunque  il  se- 
condo albero,  da  cui  cominciano  questi  mille  passi,  si  trova  prima 
di  arrivare  alla  metà  della  facciata  che  guarda  nord,  venendo  dal 
primo  al  secondo  albero;  ossia  si  troverà  62  passi  prima  di  giun- 
gere alla  metà  della  facciata  anzidetta  (Vedi  qui  la  mia  Tav.  V, 
corn.  VI).  E  quindi  questi  mille  passi  che  fecero  i  poeti,  parte  li 
fecero  nella  facciata  che  guarda  nord,  dal  secondo  albero  in  poi,  e 
parte  li  fecero  nella  facciata  che  guarda  ovest  ;  ossia  per  venire  al- 
l'ultima deterininaziouc ,  passi  62  +  4G9  fatti  nella  facciata  che 
guarda  nord,  ed  altri  passi  469  nella  facciata  che  guarda  ovest  per 
giungere  al  punto  di  mezzo  di  quella  facciata.  Si  vede  chiaro  che 
sommando  62  +  469  +  469  si  hanno  i  1000  passi  di  Dante,  e  con 
questi  già  siamo  al  giusto  mezzo  della  facciata  a  ponente  (Vedi 
Tav.  VI,  corn.  VI). 

Ma  Dante  con  questi  1000  passi  che  qui  ci  dice  non  solamente 
ci  è  venuto  a  determinare  il  punto  preciso  dove  si  deve    col'ocaro 


CANTO  XXIV.  S31 

il  secondo  albero,  ma  ci  è  venuto  a  determinare  ancora  il  punto 
preciso  dove  vuol  essere  allogata  la  scala  che  dalla  V  mette  alla  VI 
cornice,  che  è  appunto  il  luogo  dove  noi  l'abbiam  posta;  perciocché 
tra  questa  scala  e  il  primo  dei  1000  passi  dei  poeti,  ci  devono  stare 
a  qualche  distanza  separate  tra  loro  le  due  piante,  la  prima  delle 
quali  si  trova  quasi  subito  dopo  finita  la  scala  e  la  seconda  si  trova 
a  62  passi  prima  di  giungere  al  punto  di  mezzo  della  facciata  che 
guarda  nord. 

Non  basta  ancora.  Dante  con  questi  suoi  1000  passi  avendoci 
determinato  il  punto  preciso  della  scala  dal  V  al  VI  giro  e  delle 
due  piant-%  ci  ha  determinato  anche  quanti  passi  la  prima  pianta  e 
distante  dalla  seconda.  Perciocché  se  la  scala  smonta  al  principio 
delfa  facciata  volta  a  nord  (Vedi  Tav.  V,  coni.  VI)  e  già  ci  avea 
detto  che  li  vicino  si  trova  la  prima  pianta;  e  se  la  seconda  pianta 
è  distante  62  passi  dal  punto  di  mozzo  della  facciata  stessa,  sapen- 
dosi ornai  che  mezza  facciata  è  passi  469.  basterà  da  questi  detrarre 
i  passi  62;  per  avere  la  distanza  tra  una  pianta  e  l'altra,  che  sarà 
di  passi  407. 

Non  basta  ancora.  Questi  1000  passi  provano  ancora  esser  vera 
ed  esatta  la  misura  di  circonferenza  che  uoi  abbiamo  assegnato  a 
questa  VI  cornice,  che  come  sapete  è  di  5/8  di  miglio,  ossia  di 
pas*i  3750.  Infatti  se  tutta  la  circonferenza  è  di  passi  3750,  cia- 
scuna delle  4  facciate  sarà  la  quarta  parte  di  3750,  ossia  938  passi 
circa.  Ma  noi  abbiamo  appunto  veduto  che  coi  1000  passi  abbrac- 
ciamo Ìj2  facciata  di  nord  (469  passi)  e  i/2  facciata  di  ovest  (469 
passi)  computate  esse  due  mezze  per  una  facciata,  oltre  la  rimanenza 
di  62  passi,  per  giungere  dalla  metà  al  secondo  albero.  Dunque  la 
misura  che  noi  abbiamo  dato  alla  circonferenza  di  tutta  la  VI  cor- 
nice, è  veramente  quella  intesa  da  Dante,  altrimenti  la  mia  misura 
non  si  combinerebbe  con  questi  1000  passi. 

Non  basta  ancora.  Questi  stessi  1000  passi  che  fin  qui  hanno 
fatto  vedere  vero  ed  esatto  il  posto  della  scala  dalla  V  alla  VI 
cornice,  vero  ed  esatto  il  collocamento  degli  alberi,  vera  ed  esatta 
tutta  la  circonferenza  di  passi  3750  assegnati  «Ila  VI  cornice,  pro- 
vano, per  induzione  infallibile,  vera  ed  esatta  la  misura  di  circon- 
ferenza assegnata  a  tutte  le  cornici  inferiori  ed  all'altre  superiori, 
non  essendo  possibile  immaginare  che  qui  si  trovi  l'esattezza  se 
altrove  ci  fosse  lo  sbaglio.  Anzi  questo  prova  la  verità  ed  esat- 
tezza anche  della  circonferenza  delle  radici  del  Purgatorio,  perchè 
se  colà  giù  ci  fosse  uno  sbaglio;  non  ci  darebbe  infine  del  Purga- 
torio un  risultato  di  tanta  verità  ed  evidenza.  E  siccome  tutto 
questo  monte  altro  non  è  che  il  cono  solido  corrispondente  al  cono 


532  PURGATORIO 

vuoto  di  tutto  il  vero  Inferno,  cosi  accertate  le  misure  del  Purga- 
torio,  vengono  accecate  anche  quelle  del  Vero  Inferno,  oltre  la  prova 
che  abbiamo  colà  recata,  traendola  dai  due  Canti  XXIX  e  XXX, 
ai  quali  questo  serve  di  controprova.  Comprendo  che  la  solidità  di 
tutte  queste  argomentazioni  e  calcoli  dipende  da  due  supposti, 
l.o  dall' aver  adottato  i  6000  passi  piccoli  per  un  miglio,  2.o  dal 
porre  la  scala,  dove  va  a  finire  l'ultimo  dei  1000  passi,  nel  giusto 
mezzo  della  facciata  del  monte  che  guarda  ovest. 

Ma  ques'i  due  supposti  sono  verissimi.  E  verissimo  il  2.o,  e 
noi  lo  vedremo  presto  a  suo  luogo  colla  prova  del  sole  allegata  da 
Dante,  Canto  XXVI,  n.  4,  5.  E  verissimo  poi  anche  il  l.o  per  le 
ragioni  seguenti  : 

1.*  Perchè  Dante  ci  ha  fatto  conoscere  più  di  una  volta  che 
quando  non  aveva  ragione  che  lo  costringesse  al  contrario  egli  cam- 
minava sempre  con  passo  dignitoso  e  gravo.  (Ptirg.  Canto  [II,  v.  10). 
Quando  li  piedi  miei  lasciar  la  fretta  —  Che  l'onesta  de  ad  ogni 
atto  dismaga  ; 

2. a  perchè  Dan! e,  come  tutti,  quando  cammina  occupato  nel- 
l'osservare  o  nel  pensare,  va  sempre  a  pa^si  scarsi.  Lo  disse  nel 
Canto  XX  del  Purg.}  1G:  Noi  andavam  compassi  scarsi  e  lenti  — 
Ed  io  attento  all'ombre  e  ce.  Nel  caso  nostro  egli,  come  anche  i  due 
suoi  compagni,  era  attento  e  profondato  in  gravi  pensieri,  portando 
anche  bassa  la  testa;  perciò  dice:  Contemplando  ciascun  senza  pa- 
rola :  e  poi  Drizzai  la  tetta.  Chi  va  a  testa  così  bassa  non  può 
far  passi  così  lunghi,  o  non  li  fa  solitamente; 

3.»  perchè  Dante  dichiara  che  quando  camminava  con  Forese, 
il  suo  passo  era  di  passaggio,  onde  portò  li  similitudine:  E  come 
Vuom  che  di  trottare  è  lasso  —  Lascia  andar  gli  compagni,  e  si 
passeggia  (Canto  XXIV,  v.  70).  Il  passo  del  passeggio  non  è  lungo, 
ma  piccolo; 

4.»  perchè  Dante,  a  indicare  che  i  suoi  passi  erano  brevi,  si 
fa  dire  a  Forese  così:  Tu  ti  rimani  ornai  che  il  tempo  è  caro  — 
fn  questo  regno  sì  ch'io  perdo  troppo  —  lenendo  teco  sì  a  paro 
a  paro.  (Canto   XXIV,  v.  91); 

5.»  perchè  i  passi  che  si  fanno  intorno  ad  un  cerchio  assai  ri- 
stretto scemano  anche  più  per  doversi  falcare.  La  poca  circonfe- 
renza ci  e  nota.  E  se  Dante  osservò  (Canto  XVIII,  v.  94)  che 
nella  IV  cornice  degli  accidiosi  che  rur  avea  miglia  2  1/2  di  cir- 
conferenza, le  anime  doveano  falcare  il  passo;  quanto  più  in  questa 
cornice  VI  che  ha  la  sola  circonferenza  di  0/8  di  miglio. 

Forse  taluno  anche  dopo  tante  ragioni  potrebbe  dirci  che  Dante 
quando  intende  di  misurare  a  passi  la  sua  strada,  è  da  presumere 


CANTO  XXIV.  53S 

Contemplando  ciascun  senza  parola.  w 
Che  andate  pensando  si  voi  sol  tre  ? 97 

Subita  voce  disse;  ond'io  mi  scossi, 

Come  fan  bestie  spaventate,  e  poltre. 
Drizzai  la  testa  per  veder  chi  fossi  ;  9* 

E  giammai  non  si  videro  in  fornace 

ch'egli  adotti  i  passi  come  vanno  intesi  geometricamente  a  rigor  di 
arte.  Ma  io  rispondo  che  Dante  intende  e  vuol  intendere  non  dei 
passi  determinati  dall'arte,  ma  dei  passi  suoi  propri.  Come  si  sa? 
Si  sa  perchè  Io  dice  egli  stesso  n-jl  Canto  III  del  Purgatorio,  v.  68: 
r  dico  dopo  ì  nostri  mille  passi.  Dove  si  noti  bene  quel  nostri, 
che  determina  passi  speciali  e  propri  di  una  persona,  e  non  di  un'al- 
tra; e  i  passi  appn  ito  a  cui  allora  acceunava  Dante  erano  passi 
scarsi  anche  perchè  seguivano  alia  stanchezza  d'una  gran  corsa.  Al 
qual  proposito  dei  1000  passi  trovati  nel  Canto  III  del  Purg.,  io 
prego  il  lettore  a  considerar  bene  il  tratto  che  possono  aver  misurato 
alle  falde  del  Purgatorio  quei  1090  passi,  ed  a  raffrontarlo  col  tratto 
misurato  dagli  altri  1000  passi  della  VI  cornice  (il  che  può  vedere 
sui  mici  disegni)  e  vedrà  che  i  due  tratti  combinano  perfettamente. 
Ci  portar  ol  re.  Fanno  veramente  piacere  le  osservazioni  del 
P.  Cesari  su  questo  poetar.  Leggetele.  Invece  quelle  del  Tomma- 
seo, che  vuol  dare  una  lezione  al  Cesari  in  fatto  di  purezza  di  lin- 
gua, ci  disgustano.  Leggete  anche  questo  se  \i  piace.  E  simile 
all'altro  passo  del  Pwg  ,  Canto  XXVI II.  v.  22:  Giò  m*  avean 
trasportato  i  lenti  passi, 

96  Ciascun.  Ciascun  di  noi  (nominativo).  Non  intendete  adunque: 
Contemplando  noi  ciascun'  anima,  che  in  quei  1000  passi  non  se  ne 
videro.  Già  prima  il  poeta  l'avea  espresso  quando  nel  primo  verso 
di  questa  terzina  avea  detto  che  la  strada  era  sola,  ossia  libera  da 
ogni  cosa  e  persona.  Che  dunque  i  poeti  andavano  contemplando? 
Andavano  contemplando  V  affar  di  quell'albero  che  ultimo  aveau 
veduto  e  udito,  albero  veramente  maraviglioso,  che  solo  per  esser 
figlio  dell'albero  ri' Eva,  ne  aveva  per  dare  il  fatto  suo  a  tutti  e  tre. 

97  Che  andate  ecc.  Si  vede  chiaro  che  tutti  e  tre  portavano  la 
testa  bassa,  altrimenti  avrebbero  veduto  prima  l'angelo  che  sì  par- 
lava a  sol  pochi  pissi  di  distanza.  Tanto  li  facea  pensosi  quell'al- 
bero, origine  di  tutti  i  guai! 

98  Drizzai  la  testa.  Ecco  la  ragione  dell'esser  andati  fin  sotto 
l'angelo,  senza  avvedersi.  Fu  il  pensate  a  testa  bassa. 


99 
100 


534  PURGATORIO 

Vetri  o  metalli  si  lucenti  e  rosai, 
Com'  io  vidi  un  che  dicea  :  S' a  voi  piace 
140-       Montare  in  su,  qui  si  convien  dar  volta; 

Quinci  si  va  chi  vuole  andar  per  pace. 
L'aspetto  suo  m'  avea  la  vista  tolta  : 

Perch'io  mi  volsi  indietro  a' miei  dottori,101 

Com'uoiu  che  va  secondo  ch'egli  ascolta. 
E  quale,  annunziatrice  degli  albori,  m 

L'aura  di  maggio  movesi  ed  olezza, 

Tutta  impregnata  dall'erbe,  e,  da'  fiori  ; i03 
Tal  mi  sentì'  un  vento  dar  per  mezza  m 

La  fronte,  e  ben  sentì'  muover  la  piuma. 
150.        Ohe  fé'  sentir  d'ambrosia  l'orezza  ; 105 


99  Qui  si  convien  dar  volta.  Convien  volgerei  a  sinistra,  dov'è  la  scala. 

*oo  Chi  vuole  andar  per  pace.  Chi  vuole  andare  al  cielo,  che  è 
pace.  La  parola  pace  indica  ogni  contento.  Va  senza  dire  che  Dante 
■enz'altri  complimenti  prese  la  scala.  Egli  fa  il  primo  a  salirla,  per- 
chè le  era  più  vicino,  come  noi  abbiamo  notato,  e  come  potete  os- 
servare sulla  mia  Tav.  VI,  corn.  VI. 

*0I  Perch'io  mi  volsi  indietro  ecc.  Ecco  provato  l'ordine  dei  tre 
poeti  eh* io  dissi.  Prima  Dante,  poi  Stazio,  poi  Virgilio,  secondo 
l'ordine  che  avevano  camminando  per  la  strada.  Perchè  Dante  si 
volse  a" suoi  dottori?  Si  volse  appena  posto  l' un  de' piedi  sul  primo 
gradino,  e  bì  volse  loro  affinchè  parlassero  nella  salita;  perciocché 
mancando  in  quel  momento  della  vista,  facea  per  vista  servir  l'udito, 
e  cosi  potea  salir  più  sicuro,  e  in  lor  compagnia  senza  esserne  diviso. 

402  Annunziatrice  degli  albori.  In  sul  far  del  giorno,  che  annunzi 
una  bell'alba,  con  che  si  esclude  il  giorno  procelloso,  perchè  in  tal 
caso  nemmen  l'aura  di  maggio  ha  le   qualità  dette    qui  dal  poeta 

*03  Tutta  impregnata  ecc.  L'erbe  ed  i  fiori  in  quel  mese,  e  mas- 
sime in  quell'ora,  e  in  tempo  sereno,  spargono  fragranze  più  che 
in  ogni  loro  altra  età,  essendo  nella  prima  e  più  vigorosa  lor  viti. 

*04  Un  vento  ecc.  E  il  solito  ventilar  dell'ali  angeliche  nella  fronte 
di  Dante  per  la  cancellazione  di  un  P;  del  P  della  gola. 

105  D'ambrosia  l'orezza.  Il  profumo  fragrante  di  quest'erba,  che 
i  poeti  fanno  il  cibo  de'  Numi. 


CANTO  XXIV.  685 

E  sentì'  dir  :  Beati  cui  alluma  m 

Tanto  di  grazia,  che  l'amor  del  gusto  ,07 
Nel  petto  lor  troppo  disir  non  fuma, 10g 

Esuriendo  sempre  quanto  è  giusto.  4<* 

l°6  Beati  cui  alluma  ree.  È  in  più  parole  una  delle  solite  bea- 
titudini che  vengono  dette  dall'angelo  custode  della  scala,  a  felici- 
tazione  delle  anime  purgate  di  quel  tal  vizio  Questa  beatitudine 
appartenente  al  l'in  frenamento  della  gola,  è  il  compimento  del  si  ti  un  t 
detto  sopra  al  Canto  XXII:  Con  sitiuut  senz'altro  ciò  fornirò.  La, 
intera  beatitudine  sarebbe:  Beati  qui  esuriunt  et  sitivnt  institi  a  vi 
quoniam  ipsi  saturabuntur. 

* oi  L'amor  del  gusto.  L'appetenza  dei  cibi  e  delle  vivande. 

*08  AW  petto  lor  troppo  ecc.  Non  valica  i  debiti  confini. 

*°9  Esuriendo  sempre  ecc.  Desiderando  solo  quel  tanto,  e  tal  cibo, 
che  si  può  prendere  senza  peccato. 


CANTO   XXV 


Argomento. 

Determina  scientificamtnte  l'ora  ed  il  minuto,  in  cui  i  poeti 
cominciarono  a  salire  la  scala  che  dalla  VI  cornice  dei  golosi 
mette  alla  VII  dei  lussuriosi.  Ma  Dante  salendo  è  travagliato 
da  un  dubbio  che  è  lì  per  dirlo  e  non  s'attenta,  Virgilio  lo  sa, 
ed  eccita  Dante  a  manifestarlo,  allora  Dante  lo  dice,  ed  è:  come 
mai  si  può  dimagrare  un  corpo  che  non  ha  bisogno  di  nutrirti, 
accennando  alla  magrezza  veduta  velie  ombre.  Virgilio,  se  non 
impiega,  chiarisce  il  dubbio  suo  con  esempi  consimili  di  Meleagro, 
e  della  immagine  dello  specchio;  ma  poi  perchè  Dante  avesse  in 
ciò  anche  una  spiegazione,  scientifica,  gliela  fa  dare  da  Statio. 
che  prende  la  cosa  ab  ovo.  appena  finita  la  scientifica  e  lunga 
spiegazione  di  Stazio,  terminano  la  hcala  e  giungono  sulla  F' li  cor- 
nice dei  lussuriosi.  Voltano  secondo  il  solito  a  destra,  e  si  descrive 
il  fuoco  che  vi  ha  di  tormento,  dal  qual  fuoco  però  è  Hb-.ro  il 
viottolo  che  va  lunghesso  l'orlo  esterno  della  strada. per  cui  cam- 
minano i  poeti,  e  Dante  con  gran  cautela  e  pericolo.  Odono  can- 
tarsi un  inno  dalle  anime  in  me-  zo  al  /woco,  interpolandone  le 
strofe  con  qualche  esempio  di  castità. 


XB   Vedi  tulli  i  caudini  di  questo  Canto  nella  Ta?.  Ili  Purg.,  e  la  Tav.  VI  l*urg , 

Ora  era  che  'i  salir  non  volea  storpio, * 
Che  '1  sole  avea  lo  cerchio  di  merigge  * 

*  Ora  era  che  ecc.  Era  quell'ora  nella  quale  non  ci  vogliono  storpi, 
o  tardi  a  salire  la  scala.  Le  ore  pomeridiane,  secondo  la  solita  sen- 
tenza del  poeta,  sono  ore  in  cui  bisogna  affrettarsi  più  che  al  mat- 
tino. E  ciò  e  naturale  ovunque,  che  per  ragione  del  tempo  che  fuggr, 
e  del  quale  è  ornai  passato  una  gran  parte,  ma  è  naturale  special- 
mente al  Purgatorio,  dove  giunta  la  notte,  non  si  può  più  salire, 
ma  bisogna  arrestarsi  dov'ella  coglie  :  e  ciò  per  le  ragioui  dette  nel 
Purg.,  Canto  VII,  n.  32,  33  e  34. 

*  ('he  7  sole  avea  ecc.  Qual' ora  ci  viene  qui  indicata?  Sono  I" 
due  pom.,  dice  il  Velutello.  Sono  le  due  pom.,dico  il  Venturi.  Sono 


538  PURGATORIO 

Lasciato  al  tauro,  e  la  notte  allo  scorpio. 3 

le  due  pomeridiane,  dice  il  Cesari.  Tutti  sono  in  errore.    Il   poeta 
dice  in  quella  vece  che  erano  32  minuti  dopo  mezzodì.  A  restarne 
persuasi  prendete  subito  la  Tav.  VII,  Purg  ,  dove  osservate  il  sole 
starsene  all'orizzonte  con  Ariete:  sotto  Ariete  vedete  il  Toro  e  in 
faccia  al  Toro  lo  Scorpione,  sopra  il   sole  i  Pesci.    Ebbene,  il  sole 
che  là  nella  Tav.  è  messo  precisamente  nel  primo  grado  di  Ariete, 
e  propriamente  al  suo  vero  posto  nel  giorno  in  cui  siamo?  Mainò; 
perciocché  il  sole  oggimai  (Vedi  Tav.  Ili,  capellini  del  tempo)  è  nel 
22.°  grado  di  Ariete,  essendo  noi  ai  12  di  aprile,  e  contandosi  quindi 
22  giorni  da  21  marzo  (esclusive)  al  12  aprile  (esclusive).  Perciò  il 
sole   pel   dì   in    cui   siamo,  bisogna  trasportarlo  verso  il    Toro  per 
gradi  22.  Cosi  resterebbero  soli  8  gradi  di  distanza  tra    Ariete,  e 
il  primo  grado  di  Toro.  Adesso  che  abbiamo  posto  il  sole  nel  suo 
vero  punto,  che  ha  nel  12  aprile,  facciamolo  girare  con  tutte  le  co- 
stellazioni dalla  parte  dei  Pesci,  e  facciamolo  girar  tanto  che  il  Toro 
col  suo  primo  grado  si  trovi  sul  meridiano.  Ora,  dimando  io,  dove 
abbiamo  il  sole  presentemente  ?    Lo  abbiamo    8  gradi  al  di  là  del 
meridiano,  ossia  dal  Toro  che  ora  e    sul   meridiano,   come  pure  8 
gradi  era  distante  dal  Toro  quando  il  sole  era  all'orizzonte.  E  dove 
è  andato  lo  Scorpione  col  suo  primo  grado  ?  Lo  Scorpione  si  man- 
tien  sempre  in  giusta  opposizione  al  Toro;  essendo  il  primo  grado 
del  Toro  sul  meridiano,  pure  sul  meridiano  in  parte  diametralmente 
opposta  è  ito  a  porsi  lo  Scorpione  col  suo  primo  grado.    Afferrate 
bene  (sempre  nella  mia  Tav.  VII)  tutte  queste    collocazioni,  rifac- 
ciamoci al  sole,  che  abbiamo  lasciato  8  gradi  dopo  passato  il  meri- 
diano. Qual'ora  dunque  abbiamo?  Quando  il  sole  era  sul  meridiano, 
faceva  mezzogiorno  in  punto  ;  ora  che  è  passato  8  gradi  più  in  la , 
farà  mezzo  giorno  e  qualche  cosa  di  più.  Quanto    di  più  ?    Quello 
che  portano  8  gradi.  E  8  gradi  quanto  tempo  portano  ?  Trovatelo 
colla  seguente  regola  del  tre  semplicissima.  Se  30  gradi  portano  120 
minuti,  8  gradi  quanti  minuti  porteranno  ?  Eseguite  il  calcolo  e  vedrete 
che  il  risultato  sarà  32  minuti.  Dunque  veramente  sono  32  minuti 
pomeridiani,  e  non  due  ore  pomeridiane,  come  tutti  dicono  per  errore. 
8  E  la  notte  ecc.  E  la  notte  (nominativo)   avea  lasciato  il  mede- 
simo cerchio  meridiano  allo  Scorpione    primo   grado.  (Vedi  la  mia 
Tav.  VII,  secondo  le  nuove  collocazioni  fatte  nella  nota  precedente). 
Raffrontiamo  adesso  questo  orario  coll'ultimo  trovato  al  Canto  XXII, 
n.  73.  Che  cosa  risulta  ?    Risulta  che  dalle    IO  :  15   antim.    trovate 
allora,  ai  32  min.  pom.  trovati  adesso  passarono  ore  2:17.   Quando 


CANTO  XXV.  539 

Perchè,  come  faTuom  che  non  s'affigge,  * 
Ma  vassi  alla  sua  via,  checché  gli   appaia, 
Se  di  bisogno  stimolo  il  trafigge  ; 5 

Così  entrammo  noi  per  la  callaia 6 

Uno  innanzi  altro,  prendendo  la  scala,  7 
Che  per  artezza  i  salitor  dispaia. 8 
10-     E  quale  il  cicognin,  che  leva  V  ala 9 

Per  voglia  di  volare,  e  non  s'attenta 
D'abbandonar  lo  nido,  e  giù  la  scala; 

Tal  era  io  con  voglia  accesa,  e  spenta  10 
Di  domandar,  venendo  infino  all'atto  u 

si  aveva  10:1")  ant,  i  poeti  avevano  terminata  la  scala  che  dalla 
V  va  alla  VI  cornice:  ora  che  si  hanno  32  min.  dopo  mezzodì,  i 
poeti  cominciano  la  scala  che  mette  dalla  VI  alla  VII  cornice.  Dun- 
que ore  2:17  precisamente  impiegarono  a  visitare  la  cornice  VI  dei 
golosi. 
*  Non  s'affigge.  Non  s'arresta. 

5  Se  dì  bisogno  ecc.  Se  è  stimolato  dal  bisogno  di  qualche  cosa. 
Qui  il  bisogno  era  di  far  più  strada  che  fosse  possibile  prima  che 
annottasse,  perche  di  notte  nel  Purgatorio  non  si  può  salire. 

6  Callaia.  Scala  o  via  incavata  nella  pietra  del  monte.  General- 
mente via  stretta. 

7  Uno  innanzi  altro.  Dante  innanzi  Virgilio,  infine  Stazio  nel 
mezzo  ad  entrambi  (Vedi  Tav.  VI). 

8  Ter  artezza  ecc.  Era  tanto  ristretta,  che  i  sa  li  tori  doveano  di- 
spaiarsi, ossia  non  andare  a  paro,  ossia  disgiungersi.  Le  scale  erano 
tutte  tali,  perchè  non  dovevano  servire  che  per  quell'anima  che  ad 
ogni  tempo  finita  la  sua  pena  saliva  :  e  questo  caso  non  era  né  di 
egni  momento,  né  di  ogni  giorno,  mi  raro  :  onde  una  scala  per  una 
sola  persona  serviva. 

$  Il  cicognin.  Il  figlio  della  cicogna,  ancor  da  nido.  —  Leva  l'ala  ecc. 
Tutti  gli  uccelli,  quando  pare  loro  di  sentirsi  abili  al  volo,  fanno 
di  queste  prove.  Qui  il  poeta  prende  un  uccello  grande,  perchè  la 
similitudine  applicandosi  all'uomo  s^rba  più  proporzione.  Sono  simi- 
litudini per  natura  e  semplicità  inarrivabili. 

*°  Coti  voglia  accesa  e  spenta.  Con  voglia  prima  risoluta,  poi 
soffocata,  che  nella  similitudine  era  il  levare  ed  il  calar  dell'ala. 

H  Venendo  in  fino  ali1  atto  —  Che  ecc.  Non  si  potea  esprimere 


540  PURGATORIO 

Che  fa  colui  eh9  a  elicer  s'argomenta. 
Non  lasciò  per  l'andar  che  fosse  ratto,  " 
Lo  dolce  padre  mio,  ma  disse  :  Scocca  u 
L'arco  del  dir,  che  insirto  al  ferro  bai  tratto.14 

meglio  il  desiderio  che  ave*  Dante  di  manifestare  uo  suo  debbio,  che 
Cucendolo  prorompere  sino  a  quel  gesto,  che  fa  naturalmente  chi  è 
in  sai  punto  di  parlare,  e  vi  bi  scnU*  sforzato,  o  si  sforza.  Dico  si 
sforza  (s'argomenta),  e  questo  atto  è  più  che  in  altri,  visibilissimo 
nei  balbuzienti,  i  quali  avendo  graude  difficoltà  di  parlare,  deside- 
rosi come  sono  di  esprimersi,  ranno  precedere  alla  loro  parola  un 
tal  atto  di  sforzo,  onde  altri  subito  capisce  ch'essi  voglion  dire  qual- 
che cosa.  Ma  perchè  Dante  aveva  tanta  difficolta  ad  esporre  il  suo 
dubbio?  Ne  troverai  la  ragione  alia  nota  18  di  questo  Canto,  ra- 
gione che  ci  scopre  nuove  gemme  di  fino  artifizio  poetico. 

f*  jVon  lasciò  ecc.  Non  lanciò  di  dire,  non  ostante  l'andar  fret- 
toloso, ma  disse,  ecc.  Notate  che  dal  principio  di  questa  scala,  che 
hanno  preso  a  salire,  sino  alla  prossima  cima  del  Purgatorio,  non 
abbiamo  in  tutto  che  1/8  di  miglio,  osai  a  750  passi  di  altezza,  come 
vi  potete  convincere  dando  uno  sguardo  alla  Tav.  VI  dalla  corn  Vi 
in  su.  Questi  passi  750  che  anrora  rimangono  per  arrivare  alla  cima, 
sono  scompartiti  per  una  metà  (375)  a  tutta  questa  scala  che  dalla 
VI  mette  alla  VII  cornice,  e  per  l'altra  metà  dalla  VII  cornice  in  su, 
come  potete  vedere,  osservando  la  detta  Tav.  VI.  Sicché,  quando 
qui  udite  dire  al  poeta  che  andavano  ratto,  non  bisogni  che  vi 
immaginiate  lunghi  tratti  di  via,  non  potendosi  dir  lungo  tratto  quello 
che  è  di  soli  passi  375.  Osservate  però  che  qui  si  sale,  e  che  la 
accennata  rapidità  e  sempre  in  relazione  di  quella  che  si  può  avere 
salendo:  e  osservate  infine  che  questo  andar  ratto  fu  di  pochi  istanti, 
cioè  fino  allo  scoccare  del  dubbio;  cominciando  da  questo  in  poi, 
qucll'andar  non  fu  ratto  pei  gravi  discorsi  ch'ivi  si  fecero,  e  che 
udiremo. 

*3  Scocca  —  L'arco  del  dir  ecc.  La  parola  è  lo  strale,  la  bocca 
e  l'arco,  la  volontà  che  dirige  la  bocca  e  la  parola  ò  la  mano  che 
scocca.  Immensa  similitudine,  che  fuor  di  metafora  vuol  dire:  Caccia 
pur  fuori  la  parola,  che  hai  sulla  punta  della  lingua. 

**  Inaino  al  ferro  hai  tratto.  Lo  strale  è  ferrato  sulla  punta. 
Quando  si  vuole  scoccarlo  con  forza,  tanto  si.  tira  l'arco  chj  la  punta 
dello  strale  e  già  addentrata  sino  all'arco.  Quello  è  il  vero  punto 
in  cui  si  scocca.  Ricordatevi  qui  l'ordina  con  cui  procedevano  i  poeti  : 


CANTO  XXV.  .  541 

Allor  sicuramente  aprii  la  bocca,  l8 
20-         E  cominciai  :  Come  si  può  far  magro  le 
Li\  dove  l'uopo  di  nutrir  non  tocca  ? {1 
Se  Rammentassi  come  Meleagro  18 

avanti  Dante,  poi  Stazio,  poi  Virgilio.  Di  qui  nasce  un  dubbio. 
Come  sapea  Virgilio  che  Dante  volea  parlare,  e  che  avea  le  parole 
sulla  punta  della  lingua,  non  osando  mandarla  fuori,  mentre  Dante, 
che  era  davanti,  avea  volta  la  schiena  a  Virgilio? 

Rispondo,  che  già  si  disse  più  di  una  volta  che  Virgilio  vedeva 
anche  i  più  secreti  pensieri  di  Dante.  Perciò  Virgilio  gli  avea  detto 
in  altro  caso  simile  (Inf.,  Canto  XXIII):  &'io  fossi  d'impiombato 
vetro  —  L'imagine  di  fuor  tua  non  trarrei  —  Più  tosto  a  me 
che  quella  dentro  impetro.  Ed  altra  volta  lo  stesso  Virgilio  gli  avea 
detto:  Se  tu  avessi  cento  larve  —  Sovra  la  facci  a  ^  non  mi  sarien 
chiuse  —  Le  tue  cogitazion  quantunque  parve. 

i»  Sieuramen'e.  Senza  tema.  Sicuro  viene  da  «ine  cura. 

**  Come  si  può  far  magro.  Impersonale  passivo.  Come  può  suc- 
cedere magrezza. 

*7  Là  dove  l'uopo  ecc.  In  un  soggetto  (ombra)  nel  quale  non  ha 
luogo  il  bisogno  di  nutrirsi.  Accenna  alle  ombre  che  si  dimagrano 
alla  vista  degli  alberi,  come  s'è  veduto  nel  Canto  XXIII  e  XXIV. 

M  Come  Meleagro.  Si  ha  da  Ovidio,  1.  8  delle  Metam.  che  Me- 
leagro, Bgliuolo  di  Eneo  re  di  Caledonia,  tanto  dovea  vivere  quanto 
ardesse  e  si  consumasse  un  ramo  d'albero  gettato  dalle  fate  sul 
foco.  Virgilio  non  intende  di  aver  porto  con  tale  esempio  una  ra- 
gionata spiegazione  al  dubbio  di  Dante.  Solo  intese  dire  che  casi 
di  tal  natura  si  hanno  anche  dalle  storie  e  dalla  Mitologia,  che  pegli 
ant'ehi  era  come  una  storia  sacra,  confermando  cosi  colla  sola  ra- 
gione, quello  che  altrimenti  va  spiegato  colla  ragione  aiutata  dalla 
rivelazione.  Ed  è  per  questo  che  Virgilio,  solo  rappresentante  di 
Ragione,  nella  sua  risposta  si  attiene  al  fatto  di  Meleagro  ed  al- 
l'altro che  verrà  dello  specchio,  lasciandone  la  perfetta  spiegazione 
ad  uno  superiore  di  sé,  qual  è  Stazio,  dove  si  unisce  la  ragione  av. 
valorata  dalla  fede.  Questo  ci  dà  la  chiave  per  conoscere  il  motivo 
che  dapprima  riteneva  Dante  dall' esporre  il  suo  dubbio,  sebbene 
scoppiasse  dalla  voglia  e  venisse  fino  all'atto,  che  prende  la  parola. 
Il  motivo  era  il  seguente.  Dante  sapeva  già  che  quel  dimagramento 
era  effetto  di  una  causa  soprannaturale.  Come  lo  sapeva?  Perchè 
Forese  gliela  aveva  dichiarato,  quando  gli    disse   (Canto  XX Ili;  : 


542  PURGATORIO 

Si  consumò  al  consumar  d'un  tizzo, 
Non  fora,  disse,  questo  a  te  sì  agro.  i9 

E  se  pensassi  come  al  vostro  guizzo  *° 

Guizza  dentro  allo  specchio  vostra   image, 
Ciò  che  par  duro  ti  parrebbe  vizzo. 21 

Ma  perchè  dentro  al  tuo  voler  t'adage,  ** 

Dell'eterno  consiglio  —  Cade  virtù  nell'acqua  e  nella  pianta  — 
Rimane  addietro,  ond'  io  sì  mi  tot  ti  gì  io.  Di  questo  fatto  duuque 
soprannaturale  desiderava  Dante,  una  spiegazione  quanta  aver  si 
l?  *  (  '  •  poteva.  Egli  avea  due  maestri  da  chiederne,  Virgilio  e  Stazio.  Vir- 
gilio era  veramente  il  suo  primo  maestro,  assegnatogli  a  guida  dalla 
misericordia  di  Dio:  a  lui  dunque  doveva  rivolgersi:  ma  in  questo 
fatto  era  insufficiente.  Stazio  era  più  adatto,  ma  non  era  il  suo  mae- 
stro, e  rivolgendosi  a  questo  maestro  per  lui  avveniticcio,  temeva 
far  onta  al  suo  maestro  vero.  Di  qui  le  titubanze  di  Dante  ad 
esporre  il  suo  dubbio.  Di  qui  la  cura  di  Virgilio  per  animare  il  di- 
scepolo. Di  qui  la  spiegazione  che  dà  Virgilio,  secondo  le  deboli  sue 
forze.  Di  qui  il  rimetter  la  decisione  di  materia  sì  ardua  a  chi  aveva 
gli  aiuti  della  rivelazione.  Così  Dante  ottenne  il  suo  intento  senza 
offesa  del  suo  maestro.  Considerate  bene  l'intreccio  delle  cose,  e  ve- 
drete e  gusterete  l'arte  maravìgliosa  di  lavorarle. 

*9  Sì  agro.  Metafora  tolti  dalle  frutta  immature.  Vale  :  Non  ti 
sarebbe  sì  difficile  la  intelligenza  di  questo  fatto,  dietro  il  fatto  con- 
simile che  t'  ho  recato. 

20  Vostro  guizzo  ecc.  Dice  vostro,  non  nostro,  perchè  le  ombre 
non  avendo  corpo,  non  avrebbero  gettato  nello  specchio  la  loro  imma- 
gine. Vedeste  infatti  che  non  gettavano  nemmeno  ombra  quando 
il  sole  le  percuoteva?  Secondo  esempio  che  rischiara  l'avvenimento 
della  magrezza  al  Purgatorio.  L'immagine  dello  specchio  ò  una  cosa 
tutto  vana  e  insussistente,  eppure  guizza  al  nostro  guizzo,  in  so 
riceve  gli  atti  nostri,  come  s'ella  avesse  corpo.  L'immagine  dello  spec- 
chio sarebbe  nel  nostro  caso  le  ombre  vane  ;  e  la  persona  stessa 
che  guizzando  fa  guizzare  l' immagine  sarebbe  l'albero  e  l'acqua  colla 
sua  virtù. 

2*  Ciò  che  ecc.  È  la  stessa  metafora  delle  frutta  molto  mature, 
e  vale  facile  a  comprendersi. 

2*  Ma  perchè  dentro  ecc.  Ma  perchè  la  tua  volontà  si  riposi  con 
esser  saziata  compiutamente.  Bellissima  similitudine  tolta  da  chi  si 
mette  a  letto,  e  nou  pensa  ad  altro,  che  a  darsi  riposo. 


30. 


CANTO  XXV.  )*"    °,'">'   543 

Ecco  qui  Stazio,  ed  io .  lui  ^chiamo  e  prego  2* 
Che  sia  or  sanator  delle  tue  piage.  **\  . ,  , ..#  ,„ 
be  la  veduta  eterna  gli  dispiego," 


23  Ecco  qui  Stazio.  Ora  si  vede  la  ragione  sapientissima  di  col- 
locare Stazio  tra  Dante  e  Virgilio  nella  salita  della  scala:  la  ra- 
gione era  che  per  la  scala  Stazio  dovea  essere  il  primo  maestro  di 
Dante.  Quanto  non  va  cauto  in  tutto  il  nostro  poeta,  e  quanto  non 
è  necessario  osservar  anche  tutto,  perchè  nihil  aine  rattorte  suffi- 
cienti! Per  questo  fino  dal  primo  dei  mille  passi,  Dante  ebbe  il 
posto  della  scala,  Stazio  in  mezzo  della  strada,  e  Virgilio  all'orlo 
estremo  di  essa.  Così  ni  momento  della  salita  non  si  ebbero  a  cam- 
biare minimamente,  t»  così  serbarono  lo  stesso  ordine  anche  per  la 
scala  (Vedi  la  mia  Tav.  VI  cornice  VI  e  scala  dalla  VI  alla  VII). 
Ed  io  lui  chiamo  e  prego.  Bellissimo  !  Io  (sola  Ragione)  chiamo 
in  mio  aiuto  e  prego  lui  (Ragione  sussidiata  dalla  Rivelazione). 

2*  Che  sia  or  ecc.  Che  medichi  e  sani  la  piaga  della  tua  igno- 
ranza. I  mali  portati  dal  peccato  originale  (tra  i  quali  havvi  l'igno- 
ranza) si  dicono  comunemente  piaghe  dai  padri  e  dai  teologi.  Così 
Virgilio  dispone  bellamente  il  suo  Dante  ad  avvezzarsi  pel  bello  a 
dipendere  da  altri  a  sé  superiori,  giacché  per  poco  ancora  gli  dee 
seguire  di  guida,  non  potendo  la  Ragione,  rappresentata  da  Vigi- 
lio, fare  da  maestra  là  dove  cominciano  cose,  che  appartengono  alla 
Rivelazione.  Stazio  diventa  come  un  anello  di  congiunzione  tra  la 
Ragione  e  la  Rivelazione. 

23  Se  la  veduta  eterna  ecc.  Cosi  legge  anche  il  cod.  Fontaniano 
del  Seminario  di  Verona.  Ceduta  eterna  è  lo  stesso  che  provvi- 
denza eterna,  entrambi  le  quali  parole  (veduta  e  provvidenza)  hanno 
comune  l'origine  del  verbo  vedere.  Alcuni  testi  leggono  :  vendetta 
eterna.  I  letterati  se  ne  danno  per  indifferenti,  e  dicono  che  il  senso 
vien  bene  sia  coll'una  che  coll'altra  lezione.  Adngio  a  ma'  passi.  Ma 
il  poeta  deve  essersi  appigliato  all'unsi  o  all'altra.  Trattandosi  di 
cose  di  Dante  (che  è  uno  scrittore  che  fa  parte  da  sé  stesso)  nou 
ammetto  si  facilmente  la  indifferenza  sui  termini  da  hii  usati.  Dun- 
que egli  certo  avrà  dettato  o  veduta  eterna  o  vendetta  eterna^  non 
e'  è  mezzo.  Ora  io  dico  che  la  più  esatta  di  queste  due  sarà  quella 
adottata  da  Dante.  Dico  la  più  esatta,  perchè  Dante  è  la  esattezza 
in  persona.  Ma  la  più  esatta  è  veduta  eterna.  Dunque  atteniamoci 
a  questa  che  ha  a  sua  conferma  de'  buoni  codici,  come  tra  gli  altri 
il  più  celebre  della  Marciana,  N.  276,  Clas.  IX,  e  il  codice  di  frate 
Stefano  della  Capitolare  di  Verona.  Come  poi   sia  la  più  esatta, 


544  PURGATORIO     - 

Rispose  Stazio,  là  dove  tu  sie, 


'  4-i 
I     '.       '  *     •      . 

46 


»      /:'  V 


vediamolo.  La  dimanda  che  mosse  Dante,  alla  quale  qui  si  accenna, 
è  volta  alla  ricerca  di  un  perchè  nell'ordine  della  divina  Provvi- 
denza. È  tanto  chiaro  che  mira  a  quest'ordine  colla  sua  dimanda, 
che  appunto  perchè  Danto  sapeva  che  Virgilio  non  ce  l'avrebbe  ca- 
vata, come  materia  superiore  alle  sue  cognizioni,  piuttosto  che  fare 
un  torto  al  suo  primo  maestro  ricorrendo  a  Stazio,  toglieva  di  re- 
stare col  suo  dubbio  in  corpo,  e  cosi  mantenere  illeso  l'onore  del 
suo  Virgilio.  Questa  osservazione  l'abbiamo  provata  alla  nota  18 
Virgilio  conoscendo  la  sua  insufficienza,  quale  rappresentante  dì 
pura  ragione,  prudentemente  si  rimise  a  Stazio,  che  oltre  di  avere 
la  ragione,  come  Virgilio,  avea  anche  il  lume  della  fede,  e  perciò 
in  tal  materia  era  giudice  assai  più  competente  che  Virgilio.  Che 
cosa  dunque  dovea  dire  Stazio  in  seguito  di  questi  avvenimenti? 
Egli  doveva  dire  veduta  eterna  e  non  vendetta  eterna,  perchè  la 
prima  lezione  e  non  la  seconda,  balte  noi  segno  in  cui  batteva  la 
dimanda  di  Dante,  e  perchè  la  prima  lozione  e  non  la  seconda  vi 
rende  ragione  dell'appello  che  Virgilio  fa  a  Stazio.  Invece  la  lezione 
vendetta  eterna,  ne  batte  il  punto  di  Dante,  né  rende  ragione  del- 
l'appello,  e  per  sopra  più  mi  dà  un  senso  ambiguo  (che  non  è  mai 
il  fare  di  Dante)  applicabile  al  Purgatorio  ed  all'Inferno,  e  un  senso 
stiracchiato  se  si  prende  vendetta  ettrna  per  vendetta  dell'Eterno, 
nel  qual  senso  debbono  intendere  la  cosa  quelli  dalla  vendetta  eterna. 
Sicché  fatta  ragione  di  tutto  è  da  leggersi  veduta  eterna,  e  non 
vendetta  eterna,  anche  perchè  questa  lite  è  decisa  da  Stazio  poco 
dopo  là  dove  dice  :  Lume  ti  fieno  al  come  che  tu  die.  Notate  bene 
infatti  questo  come.  Il  come  non  indica  la  vendetla,  ma  la  ragione 
ed  il  modo  della  vendetta,  che  è  appunto  la  provvidenza,  o  la  ve- 
duta eterna.  Questo  è  quello  che  dimandava  Dante  ;  non  dimandava 
il  fatto  che  già  bello  e  lampante  se  V  avea  veduto  sotto  gli  occhi, 
ma  dimandava  ragion  del  fatto,  e  questa  è  provvidenza  o  veduta 
eterna.  Dante  dimandò  il  come,  e  il  come  ù  ripetuto  da  Stazio. 

Gli  dispiego.  Anche  qui  chi  legge  dispiego,  e  chi  dislego.  Ma 
basterà  un  poco  di  buon  senso  per  preferire  dispiego  a  dislego.  Dis- 
legare la  provvidenza,  non  mi  ha  quella  naturalezza,  che  sento  avere 
dispiegare  la  provvidenza.  E  di  ciò  basti. 

26  Là  dove  tu  sie  —  Discolpi  ecc.  Notate  che  Stazio  è  un  discepolo 
di  Virgilio,  ed  è  un  atto  d'omaggio  che  fa  il  minore  al  maggiore. 
In  questo  complimento  non  è  tanto  da  badare  alle  doti  presenti  dello 
stato  d'entrambi  quanto  alle  relazioni  della  lor  professione. 


CANTO  XXV,  546 

-T  ' 

Discolpi  me  non  poter  io  far  niego/    '  "* 
Poi  cominciò:  Se  le  parole  mie, 

Figlio,  la  mente  tua  guarda  e  riceve, 

Lume  ti  fieno  al  come  che  tu  die. t7 
Sangue  perfetto  che  mai  non  si  beve  w 

Dall'assetate  vene,  e  si  rimane, 

Quasi  alimento  che  di  mensa  leve, 
40-     Prende  nel  cuore  a  tutte  membra  umane  w 

Virtute  informativa,  come  quello  w 
v  Oh*  a  farsi. quelle  per  le  vene  $àne, 
Ancor  digesto  scende  ov'  è  più  belio  8i 

Tacer  che  dire,  e  quindi  poscia  geme 

37  Al  come.  Dante  aveva  chiesto:  Come  si  può  far  magro  ecc. 
A  questo  come  allude  Stazio  ;  il  qual  come  non  indica  il  fatto,  ma 
il  modo  del  fatto  ;  e  questo  modo  non  è  la  vendetta,  ma  il  modo 
di  eseguirla,  il  che  importa  provvidenza  eterna,  o  veduta  eterna, 
come  si  provò  alla  n.  25. 

98  Sangue  perfetto  ecc.  Quel  sangue  che  serve  alla  generazione 
umana  è  la  parte  più  pura  di  lui,  il  qual  sangue  se  va  ad  iscor- 
rere  per  le  vene  come  il  resto,  di  cui  il  corpo  ha  bisogno  per  la 
vita,  non  è  però  destinato  a  saziar  le  vene,  ma  si  rimane  separato 
da  quello,  e  come  in  serbo,  a  somiglianza  di  quegli  alimenti  ohe 
avanzano  sulla  tavola,  e  che  non  furono  necessari  al  sostentamento 
della  vita.  La  similitudine  non  poteva  essere  joèqpiù  propria,  uè  più 
evidente.  Quanto  si  dice  qui  è  dottrina  filosofica  di  S.  Tommaso. 
Som.  I  p.,  q,  119,  art.  2. 

29  Prende  nel  cuore  ecc.  Questo  sangue  perfetto,  mentre  se  ne 
sta  al  cuore,  gran  vaso  di  ogni  sangue,  prende^  dal  cuore  stesso, 
che  è  sede  degli  affetti,  una  speciale  virtù  od  abilità  a  diventar 
membra  umane,  mediante  altre  operazioni  di  natura,  e  questo  si 
chiama  virtù  informativa  a  tutte  membra  umane. 

30  Come  quello  — -  Che  ecc.  Siccome  quello  che  se  ne  va  per  le 
vene  a  formare  le  dette  membra. 

**  Ancor  digesto  ecc.  Questo  sangue  dopo  la  sua  partenza  da1 
cuore,  purificatosi  sempre  più,  strada  racendft,  discende  cosi  purifi- 
cato in  altro  luogo,  ove  da  natura  si  tiene  iniierbo  finché  avvenga 
che  si  mescoli  con   altro  sangue,  de'  quali  l'Uno  ha  virtù,  attiva, 

l'altro  passiva.  ■"  vv 

85 


646  PURGATORIO 

Sovr'  altrui  sangue  in  naturai  vasello. 
Ivi  s'accoglie  l'uno  e  l'altro  insieme, 
L'un  disposto  a  patire,  e  l'altro  a  fare, 
Per  lo  perfetto  luogo  onde  si  preme  :  '* 
E,  giunto  lui,  comincia  ad  operare,  " 
•nilioft"* *"" **•         Coagulando  primate  poi  avviva14 
Sut^  ~  CttTcke  per  sua  dateria  fé  constare. 

Anima  fatta,  la  virtute  attiva, ,5 
Qual  d'una  pianta,  in  tanto  differente, 
«.•suu  in  ^e  <lue8t  ^  ™  ,v?a>  e  quella  è  già  a  riva,  M 

S8J?llT*#,il"         Tanto  ovra  poi,  che  giàTsi  muove  e  sente, ,T 

»  Per  lo  perfetto  ecc.  In  fona  del  cuore  (luogo  perfetto)  che  è 
il  vaso  più  nobile  di  tutti  gli  umani,  e  perciò  ritenuto  la  sede  prin- 
cipale dell'anima.  —  Onde  ti  preme.  Dal  qual  cuore  scaturisce. 

tt  E  giunto  lui  ecc.  £  unito  (il  sangue  attivo)  a  lui  (al  sangue 
passivo).  —  Comincia  ad  operare,  cioè  a  informar  la  materia,  cha 
dovrà  col  tempo  diventar  corpo  umano. 

M  Coagulando  prima.  Ecco  la  prima  operazione,  quella  di  coa- 
gulare, o  consolidare. 

E  poi  avviva  ecc.  Ecco  la  seconda  operazione,  quella  di  avvi- 
vare,  o  dar  vita  vegetativa.  A  chi?  —  A  ciò  che  per  sua  materia  ecc. 
Al  coagulato  o  consolidato,  perchè  fosse  corpo  di  un'anima  che  ora 
non  si  può  chiamtoe,  che  vita  vegetativa. 

*8  Anima  fatta ,  la  virtute  attiva.  La  virtù  attiva  eccola  dive- 
nuta anima  (non  la  vera  anima  umana,  la  quale  non  viene  dall'uomo, 
ma  da  Dio)  ;  essa  è  divenuta  solamente  quell'anima  che  hanno  an- 
che le  piante,  la  quale  dicesi  vita  vegetativa. 

**  Che  questa  è  in  via  ecc.  Questa  e  quella,  vale  l'una  e  l'altra. 
Questa,  ossia  l'anima  di  quella  materia  che  poi  sarà  corpo  umano.  — 
Quella  è  già  a  riva,  ossia  l'anima  delle  piante,  non  ammette  né  at- 
tende altra  perfezione.  Finora  dunque  l'anima  di  questa  materia 
umana  è  la  sola  vita  vegetativa,  che  però  è  in  via  di  perfeziona- 
mento, perch'  essa  è  destinata  non  ad  avvivare  una  pianta,  ma  un 
corpo  umano. 

•7  Tanto  ovra  poi  che  ecc.  La  virtù  attiva  divenuta  anima,  qual 
d'una  pianta,  continua  la  sua  operazione,  e  fa  che  quel  corpo  passi 
dall'essere  vegetativo  ad  un  principio  di  essere   sensitivo ,  cioè  ad 


CANTO  XXV.  647 


I    V 


f'*>»    .-.-.-.  a; 


l'  •    »  - 


Come  fungo  marino  ;  ed  ivi  imprende  M 
ioSJjJX  Ad  organar  le  posse  ond'  è  semente.  w 

.•suio.iea-         Or  si  piega,  figliuolo,  or  si  distende40 
Bl*-  La  virtù  eh'  è  dal  cuor  del  generante, 4i 

6°.         Dove  natura  a  tutte  membra  intende.  4t 

ano  stato  che  è  mezzo  tra  le  creature  vegetative  e  sensitive,  quale 
si  è  il  fungo  marino,  o  spugna,  che  occupa  uno  stato  di  mezzo  tra 
i  vegetabili  e  gli  animali,  non  essendo  né  tutto  vegetabile,  né  tutto 
animale,  e  però  esso  ed  altri  esseri  suoi  pari  sono  detti  plantari- 
malia,  o  zoofili.  Pertanto  il  poeta,  ad  indicare  questo  terzo  stato, 
dice:  già  si  muove  e  sente;  si  muove  per  essere  vegetativo,  sente 
per  essere  sensitivo;  ma  egli  però  non  é  un  essere  sensitivo  per- 
fetto, non  avendo  che  un  principio  di  senso,  come  appunto  il  fungo 
marino,  e  per  ora  non  é  che  un  anello  di  congiunzione  tra  gli  esseri 
vegetativi  e  sensitivi. 

*•  Ed  ivi  imprende  -  Ad  organar  ecc.  La  virtù  attiva,  condotto 
che  ha  il  corpo  allo  stato  come  di  fungo  marino,  non  desiste  dal- 
l'opera, anzi  continua  a  lavorarlo  per  condurlo  a  vero  stato  sensi- 
tivo, e  in  questo  lavoro  si  occupa  a  fare  in  lui  gli  organi  sensori 
(ad  organar  le  posse),  occhi,  orecchi,  ecc. 

39  Ond'è  semente.  Delle  quali  essa  virtù  attiva  è  semente.  Dun- 
que le  posse  o  gli  organi  sono  i  frutti,  e  la  virtù  attiva  è  semente 
di  essi  frutti  Ora  il  frutto  è  della  natura  del  seme.  Per  indicar 
dunque  che  la  virtù  attiva  fabbrica  gli  organi  sensori  non  di  qua- 
lunque sorta  essi  sieno,  ma  solo  propri  della  specie  umana,  il  poeta 
dice  che  la  virtù  attiva  organa  quelle  tali  posse,  che  rispondano  alla 
natura  della  virtù  attiva,  la  quale  è  umana. 

*o  Or  ai  piega  ecc.  Alcuni  leggono  spiega,  ma  non  va  bene,  per- 
ché sarebbe  lo  stesso  che  distende.  Quelli  che  leggono  spiega,  danno 
al  si  spiega  e  al  si  distende  questo  senso:  si  allarga  e  si  allunga. 
Ma,  chi  ben  mira,  il  verbo  distendersi  significa  ambedue  questi 
verbi:  allargarsi  e  allungarsi.  In  questo  verso  si  accenna  il  lavoro 
delle  parti  ossee,  e  delle  parti  molli  del  corpo.  Nelle  ossee  la  virtù 
attiva  sì  piega,  ossia  si  stringe,  nelle  molli  si  distende,  o  si  allarga 
in  ogni  direzione. 

**  La  virtù  ohe  ecc.  La  virtù  attiva  detti  di  sopra,  la  quale 
per  indicare  che  fa  il  lavoro  di  un  corpo  umano,  e  non  di  un  bruto, 
•i  dice  che  ne  prende  le  forme  dal  cuore  umano,  ed  é  chiaro  che  il 
cuore  umano  non  può  dare  che  forme  umane,  ossia  organi  umani. 

42  Dove  natura  a  ecc.  È  dal  cuore  che  la  natura  prende  l'archetipo, 


i 


648  PURGATORIO 

Ma,  come  d' animai  divenga  fante  " 
Non  vedi  tu  ancor  :  quest'  è  tal  punto, 
Che  più.  savio  di  te  già  fece  errante  ; u  r 

Sì  ohe  per  sua  dottrina  fé  disgiunto 
Dall'anima  il  possibile  intelletto/45 
Perchè  da  lui  non  vide  organo  assunto.  " 


.\  *. 


o  il  modello  pel  lavoro  delle  membra  a  lui  corrispondenti.  Essendo 
il  generante,  uomo,  ó  quindi  d'uomo  anche  il  cuore  ;  e  il  cuor  d'uomo 
non  può  intendere  che  a  formar  membra  d'uomo. 

**  Come  d'animai  divenga  fante.  Come  da  sensi tiyo  divenga  in- 
tellettivo. Questo  stato  intellettivo  è  espresso  dalla  parola  fante, 
che  vuol  dire  parlante,  ossia  atto  a  parlare,  il  che  è  dell'uomo,  e 
non  dei  bruti,  ed  è  dell'uomo  in  quanto  che.  ha  l'intelletto,  non  in 
quanto  ha  il  solo  senso,  essendo  la  parola  frutto  dell'intelletto. 

U  Che  più  savio  di  te  già  fece  errante %  Chi  è  quest'uomo  che 
Stano  fa  più  savio  di  Dante,  e  che  pure  fu  errante  in  tal  punto? 
Tutti  credono  essere  Averroe,  sottilissimo  filosofo  arabo  di  Cordova, 
che  visse  alla  metà  del  secolo  XII  dell'era  volgare,  e  che  tradusse 
in  arabo  e  commentò  Aristotele,  filosofo  greco,  capo  della  setta  dei 
Peripatetici,  nato  in  Stagi ra  nel  384  avanti  Q.  C.  Ma  come  è  pos- 
sibile che  Stazio,  vissuto  nel  primo  secolo  dell'era  volgare,  parli  di 
Averroe  posteriore  a  lui  di  undici  secoli,  e  di  cui  né  in  vita  nò  dopo 
morte  ebbe  mai  contezza  alcuna?  Tutti  dunque  i  commentatori  pre- 
sero qui  un  granchio  a  secco   dei   più  madornali;  e  me  ne  duole 
molto  pel  Tommaseo  caduto  anch'esso  in  questo  errore,  il   quale, 
aggiungendo  errore  ad  errore,  dice  cosi  nella  nota  del  suo  commento 
alla  parola  possibile  :  «  Aristotile  (de  anima  Ili)  e  Averroe  com- 
battuti da  Agostino!!!  da  Tommaso  e  da  Scoto.  Come  mai S,  Ago- 
stino tra  il  IV  e  V  secolo  potea  combattere  Averroe  del  secolo  XII? 
Stazio  dunque  non  può  parlare  che  di   Aristotele,  il  quale  iniziò 
l'errore  raddoppiato  poscia  da  Averroe.  Aristotele  infatti  insegnò 
essere  V intelletto  possibile  cosa  distinta  da  noi,  ma  nel  medesimo 
tempo  lo  dice  anche  cosa  congiunta  all'anima  :  mentre  Averroe  am- 
mette la  prima,  e  non   la  seconda  sentenza   di  Aristotele,  e  cosi 
distrugge  affatto  la  natura  dell'anima  razionale,  facendola  sussistere 
senza  il  possibile  intelletto. 

45  II  possibile  intelletto.  E  la  facoltà  d'intendere,  negata   dagli 
antichi  all'intelletto  agente. 
*•  Perchè  da  lui  non  vide  organo  assunto.  La  facoltà  di  vedere 


CANTO  XXV.  549 

Apri  alla  verità  che  viene  il  petto,  -, 

E  sappi  che,  sì  tosto  come  al  feto  ?'IN 

,%*rfèuT  L'articolar  del  cerebro  è  perfetto, 4T 

70.     Lo  Motor  primo  a  lui  si  volge ì lieto,  tt  *o ■  *■« 


assume  per  suo  organo  gli  occhi,  quella  di  udire,  gli  orecchi.  Ari- 
stotele (che  si  conosceva  e  studiava  sui  commenti  d'Averroe,  e  que- 
sto è  quello  che  trasse  in  errore  i  commentatori  di  Dante  prendendo 
Averroe  in  luogo  di  Aristotele),  Aristotele  dunque  negò  all'anima 
come  cosa  di  sua  essenza,  ossia  fé' disgiunto  dall'anima  il  possìbile 
intelletto,  perchè  questa  potenza  intellettiva  non  vide  che  si  avesse 
assunto  un  suo   organo  speciale,  come  le   altre   potente  sensitive, 
onde  non  riconosceva  che  un   intelletto  universale  disgiunto  dal- 
l'anima. La  sentenza  d'Averroe,  desunta  da  Aristotele  è  confutata 
da  S.  Tommaso,  p.  I,  q.  76,  a.  2,  e  da  Scoto  in  4  dist.  43,  q,  2, 
che  censuravano  questa  sentenza  (sono  parole  del  Venturi),  come  as- 
surda ed  eretica,  la  quale  fu  poi  condannata  dal  Conc.  Later.  sotto 
Leone  X,  ses.  8.  Il  Tommaseo  qui  aggiunse  che  questo  errore  è 
insegnato  oggidì  nella  scuola  di  M.  Cousin.   Da  queste  tre  ultime 
note  sì  deduce  che  la  questione  presentata  prima  da  Dante:  come 
si  può  far  magro  ecc.,  non  si  pò  tea  sciogliere  da  Virgilio  (sola  Ra* 
gione),  ma  ci  voleva  uno  (Stazio)  che  alla  ragione  unisse  anche  i 
lumi  della  fede,  giacché  un  tal  punto  non   fu  deciso,  che  dietro  la 
scorta  di  questi  lumi,  ed  ecco  come  Stazio  serve  di  anello  di  con- 
giunzione tra  la  Ragione  e  la  Fede.  Le  quali  cose  stando  cosi, 
emerge  chiara  la  ragione,  per  cui  Dante  voleva,  e  non  voleva  esporre 
il  suo  dubbio,  cioè  per  non  fare  un  torto  a  Virgilio,  già  insufficiente 
a  scioglierlo. 

*7  L'articolar  d*l  cerebro  è  per/elio.  Nel  cerebro  vanno  ad  unirsi 
le  articolazioni  di  tutti  gli  organi,  e  quindi  il  dirsi  perfetto  l'arti- 
colar del  cerebro  è  lo  stesso  che  dirsi  perfetta  l' articolazione  di  tutti 
gli  organi  ;  e  intanto  qui  si  nomina  il  cerebro,  in  quanto  esso  è  il 
punto  di  unione  di  tutti  loro,  e  il  punto  da  cui  ogni  articolazione 
dipende.  Dunque  è  lo  stesso  che  dire:  appena  il  corpo  è  perfezio- 
nato in  tutte  le  sue  parti,  il  che  avviene  quando  l'articolar  del  ce- 
rebro è  perfetto. 

tt  Lo  Motor  primo.  Dio.  —  A  Lui.  Al  feto ,  ornai  ridotto  alla 
sua  perfezion  sensitiva. 

Si  volge  lieto.  Nel  Canto  XVI  del  Purg.,  Dante  avea  detto, 
parlando  dell'anima,  ch'ella  è  mossa  da  lieto  fattore,  ossia  da  Dio, 
che  è  beato  di  sé  medesimo,  e  che  non  può  non  amare,  o  non  mirare 


0  ♦£ 


660  PURGATORIO 

Sovra  tent'arta  di  natura,  e  spira  49 

T  Stalo  in-  o    •    •,  ™    ***%.        .    AV  1    A 

leiiettiTo.  bpinto  nuovo  di  virtù  repleto, 


a  rv\  ^^   A 


anima. 


Che  ciò  che  truova  attivo '^ùivi  tira  *° 
seutito^Mnll"  In  sua  sustanzia,  e  fassi  un'alma  sola,  81 

tiro,  intelletti™,  z^i  •  ,  \     •         *       •     •  ■« 

uniti  in  una  soia  Une  vive  e  sente,  e  se  in  se  rigira.  M 

£  perchè  meno  ammiri  la  parola,  ** 

con  occhio  lieto  l'opera  di  natura,  che  è  opera  sua.  Onde  quando 
Dio  creava  il  mondo,  ad  ogni  cosa  creata,  si  dice  nella  Genesi: 
Vìdit  Deus  quod  esset  bonum  :  e  per  questo  stesso  si  dice  nei  salmi  : 
Laetabitur  Dominus  in  operibus  tuia, 

49  Sovra  tanVarte  di  natura.  E  la  spiegazione  di  queir  a  lui, 
detto  nel  verso  antecedente.  Si  volge  lieto  a  lui,  a  tant'arte  di  na- 
tura, a  questo  corpo,  che  è  detto  un  piccolo  mondo  nel  mondo  grande, 
e  da  altri  e  meglio,  un  grande  mondo  a  confronto  del  materiale. 

Spira  —  Spirito  nuovo  ecc.  Quello  che  ha  fatto  Dio  col  primo 
uomo  dopo  la  creazione  del  corpo,  lo  fa  Dio  con  ogni  altra  crea- 
tura umana  appena  il  corpo  è  perfezionato  nel  sen  materno.  Perciò 
come  Dio  volto  al  corpo  di  Adamo,  la  S.  Scrittura  dice  nel  II,  7 
della  Genesiche  per  farlo  un  essere  intellettivo:  Inspirava  infacicm 
ejus  spiraculum  vitae;  cosi  fa  Dio  con  tutti  gli  altri  esseri  umani.  Si 
dice  spirito  nuovo,  perchè  questo  è  spirito  intellettivo,  diverso  dal  sen- 
sitivo, ond'era  già  prima  animato  il  feto.  Si  dice  di  virtù  repleto, 
perchè  questo  spirito  è  pieno  della  bontà  e  della  grazia  di  Dio; 
sicché  virtù,  in  questo  caso,  non  ha  senso  generico  di  principio,  o  di 
forza,  com'era  la  virtù  informativa  detta  di  sopra,  ma  ha  un  senso 
particolare  di  vero  bene  morale. 

*0  Che.  Il  quale  spirito  nuovo,  di  virtù  repleto. 
Ciò  che  truova  attivo.  L'anima  vegetativa  e  sensitiva. 
Quivi.  A  sé,  a  quello  spirito  nuovo. 

Tira  in  sua  sus tamia.  Identifica  quelle  varie  sostanze   attive 
nella  sua. 

ai  Fassi  un'alma  sola.  Delle  tre  anime  vegetativa,  sensitiva,  e 
intellettiva  o  razionale,  si  fa  una  sol'  anima,  e  quindi  non  restano 
già  separate  le  une  dalle  altre,  ma  tutte  unite   formano   una  sola. 

M  Che  vive  e  sente,  e  sé  in  sé  rigira.  L'anima  sola  che  è  il  ri- 
sultato di  tre  unite  insieme,  gode  e  partecipa  delle  qualità  proprie 
a  ciascuna,  onde  vive  perchè  vegetativa,  sente  perchè  sensitiva,  in- 
tende perchè  intellettiva. 

M  E  perchè  meno  ammiri  la  parola.  E  perchè  il   fatto  che  io 


-    /    •. 


CANTO  XXV.  551 

Guarda  il  calor  del  sol,  che  si  fa  vino  " 
Giunto  all'umor  che  dalla  vite  cola. 
E  quando  Lachesis  non  ha  più  lino,  M 
80-        Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute  M 
.  Seco  ne  porta  e  l'umano,  e^  il^  divino  ;  ** 
L'altre  potenzie  tutte  quante  mute;  »Wr 


/  Memoria,  intelligenzia,  e  volontade,    \ 

In  atto  molto  più  che  prima  acute*. 
Senza  ristarsi,  per  sé  stèssa  caae "**K  c^ 

esposi  in  parole  della  unione  di  più  sostanze,  che  si  fanno  una  so- 
stanza sola,  abbia  a  recarti  meno  maraviglia,  eccoti  un  fatto  pu- 
ramente materiale,  che  rischiara  il  mio  detto. 

Si  Guarda  il  calor  del  sol  che  ecc.  Il  vino  è  unaeosa  che  risulta 
dall'unione  di  due,  cioè  dal  calor  del  sole  e  dall'umor  della  vite. 
Cosi  nel  caso  eh1  io  ti  dissi;  di  tre  anime  si  &  un'anima  sola.  La 
similitudine  è  immensa  per  la  sua  proprietà  al  fatto  della  genera- 
zione dell'uomo,  dove  concorrono  cose  che  molto  s'assomigliano  al 
sole  ed  alla  vite. 

w  E  quando  Lachegis  ecc.  £  quando  si  muore.  Lachesis,  una 
delle  tre  parche  che  filano  la  nostra  vita  secondo  la  mitologia.  Fi- 
nito il  lino  è  finita  la  vita. 

M  Solvesi  dalla  carne.  Quest'anima  che  fu  il  risultato  di  tre.  — 
In  virtute,  in  potenza,  o  virtualmente. 

87  Seco  ne  porta  e  l'umano  e  il  divino.  L'umano,  ossia  il  suo 
stato  vegetativo  e  sensitivo.  Il  divino,  ossia  il  suo  stato  intellettivo. 

**  L'altre  potenzie  ecc.  Capovolgi  e  costruisci  :  Memoria,  intelli- 
genzia e  volontade,  —  In  atto  molto  più  che  prima  acute; —  L'altre 
potentie  tutte  quante  mute.  Qnesta  è  la  spiegazione  dell'umano  e 
divino  detta  testé;  col  quale  si  congiungerebbe  mediante  un  cioè, 
dicendosi  :  Seco  ne  porta  l'umano  e  il  divino,  cioè  Memoria,  intel- 
ligenna  ecc.  Dante  disse  prima  le  potenze  sensitive,  e  poi  le  intel- 
lettive, e  perchè  quelle  furono  le  prime  nel  tempo,  e  perchè  nel  verso 
antecedente  prima  si  disse  rumano  e  poi  il  divino.  Le  potenze  sen- 
sitive si  dicono  mute,  perchè  prive  dei  loro  organi  sensori;  e  invece 
le  potenze  intellettive  o  razionali,  memoria,  intelligenza,  e  volontade 
si  dicono  in  atto  più  acute  di  prima,  perchè  non  sono  più  distratte 
dagli  organi  sensori. 

»  Senza  fiatarti.  Nel  punto  stesso  della  sua  uscita  dal  corpo,  — • 


*a> 


"• 


6» 


552  PURGATORIO  )  ^' 

Mirabilmente  all'una  delle  rive  :  Cl°  '    ' 
Quivi  conosce  prima  le  sue  strade. 6i 
Tosto  chejuogojì  là  cirponscrive,  XM 
La  virtù  formativa  "raggia  intórno,  " 
90-         Così,  e  quanto/nelle  membra  vive.     , 
come  1  aere  quand  è  ben  'piorno,  64 
Per  T  altrui  raggio  che  in  sé  riflette, 
Di  diversi  color  si  mostra  adorno  ; 


Per  sé  stessa.  Per  natura,  per  inclinazione  sua  propria,  e  senza 
bisogno  che  altri  ve  la  porti. 

W  Mirabilmente.  In  modo  che  non  si  sa  comprendere,  in  modo 
misterioso. 

All'una  delle  rive.  Queste  rive  sono  due  :  l'una  dove  cadono 
le  anime  destinate  all'Inferno,  e  questa  è  la  riva  di  Acheronte  : 
l'altra  dove  cadono  le  anime  che  vanno  a  salvamento,  e  questa  è 
la  foce  del  Tevere  sul  quale,  e  non  lungi  da  essa  foce  è  Roma, 
centro  di  unione  cattolica  e  di  salute. 

6*  Quivi  conosce  prima  ecc.  L'anima  ita  alla  riva  d'Acheronte 
per  mezzo  del  giudice  Minosse  conosce  le  sue  strade,  cioè  a  qual 
cerchio  ella  deve  andare  in  Inferno,  e  lo  conosce  dai  giri  della  coda 
che  Minosse  s'avvolge  intorno  al  corpo.  L'anima  ita  alla  foce  del 
Tevere  conosce  le  sue  strade,  cioè  in  qual  parte  del  Purgatorio 
ella  deve  andare  a  purgarsi,  o  se  debba  prima  esulare  nell'Anti- 
purgatorio, per  mezzo  dell'Angelo  che  va  colà  a  prenderla  colla  barca. 

63  Tosto  che  luogo  li  ecc.  Tosto  che  è  giunta,  e  posata  e  ferma 
su  una  di  queste  due  rive.  Lì  si  riferisce  al  quivi  detto  prima. 

6*  La  virtù  formativa  ecc.  E  quella  virtù  formativa  detta  al 
verso  41,  n.  29.  Avendosi  l'anima  uscita  dal  corpo  portato  seco  in 
virtute  e  l'umano  e  il  divino,  per  conseguenza  si  ha  portato  seco 
la  virtù  informativa  che  abbiam  veduto  appartenere  all'umano,  ed 
è  quella  abitudine  a  formarsi  un  corpo  corrispondente  alla  sua  spe- 
cie. —  Raggia  intorno  —  Così,  e  ecc.  La  virtù  formativa  in  forza 
della  sua  tendenza  di  formare  all'anima  un  corpo,  si  mette  in  fatti 
a  formarglielo  raggiando  intorno  a  sé  quel  tratto  d'aria  che  occu- 
perebbe il  suo  corpo  se  ancor  l'avesse. 

6*  Piorno.  Molto  piovoso. 

w  Per  Valtrui  raggio  ecc.  Pel  raggio  del  sole  opposto  e  riflet- 
tuto nella  pioggia,  onde  awien  l'iride. 


t  -K-tr*^ 


CANTO  XXV.  553 

Così  l'aer  vicinA  quivi  si  mette  * 
In  quella  forma,  che  in  lui  suggella 
Virtualmente  l'alma  che  ristette. 
E  simigliante  poi  alla  fiammella  67 

Che  segue  il  fuoco  là  'vunque  si  muta, 
Segue  _al}o  spirto  sua  forma  novella. 
100.   per5  che  quindi  tìa*  poscia  sua  parata,  M 
,    i  a^V    E  chiamat'  ombra  ;  e  quindi  organa'  poi  M 
(%     >  v" ìiK   Ciascun  sentire*  msino  alla  veduta.  70 
c  wk  fa*     Quindi  parliamo,  e  quindi  ridiam  noi, n 

Quindi  facciam  le  lagrime  e  i  sospiri, 
Che  per  lo  monte  aver  sentiti  puoi.  n 

6i  Così  l'aer  vicin  ecc.  Cosi  Taer  circostante  ai  raggi  emaaati 
dalla  virtù  formativa  si  mette  in  quella  forma  o  parvenza,  che 
l'anima  colà  fermatasi  virtualmente  in  Ini  suggella  e  stampa. 

OT  E  simigliante  poi  ecc.  Ora  il  poeta  dà  moto  a  quel  corpo  che 
l'anima  s' è  formato  d'aere  mediante  la  virtù  formativa;  e  per  farci 
intendere  com'egli  secondi  i  moti  dell'anima,  r*?ca  la  similitudine 
della  fiammella  che  va  ovunque  si  muove  il  suo  fuoco  che  la  ge- 
nerò. Come  il  fuoco  ha  per  corpo  la  fiammella,  cosi  il  nuovo  spi- 
rito ha  per  corpo  l'aere  :  e  come  non  è  il  fuoco  che  segue  la  fiam- 
mella, ma  la  fiammella  che  segue  il  fuoco,  cosi  non  è  lo  spirito 
che  segue  il  corpo  aereo,  ma  il  corpo  aereo  che  segue  lo  spirito. 
Precisamente  come  avviene  anche  nei  viventi,  nei  quali  è  l'anima 
quella  che  si  muove,  e  che  si  trae  dietro  il  suo  corpo. 

<8  Quindi.  Dal  corpo  aereo. 

69  È  chiamata  ombra.  Perchè  il  corpo  è  fatto  di  aere  sottile  a 
guisa  di  ombra,  perciò  l'anima  che  ha  un  tal  corpo  è  detta  ombra  : 
non  già  è  detta  ombra  perchè  faccia  ombra. 

Quindi  organa  poi  ecc.  Di  questo  stesso  aere  si  fa  poscia  tutti 
gli  organi,  o  sensi  corporali. 

i°  Ciascun  sentire.  Ogni  senso  dall'infimo,  che  sarebbe  il  tatto, 
sino  al  sommo,  che  sarebbe  la  vista. 

7*  Quindi  parliamo,  e  quindi  ecc.  Con  questo  corpo  aereo  par- 
liamo, ridiamo,  piangiamo,  sospiriamo. 

72  Per  lo  monte.  11  Purgatorio  che  tu  hai  salito  sin  qui,  e  dove 
puoi  aver  sentito  tutto  questo, 


e 


J 


654  PURGATORIO 

Secondo  che  ci  affiggon  li  disiri,  n 
E  gli  altri  affetti,  l'ombra  si  figura;  v  AVr 
E  questa  è  la  oagion  di  che  tu  /miri. n/   -^ 

E  già  venuto  all'ultima  tortura18  ^  ^>w>^' 
no.       S'era  per  noi,  e  volto   alla  man   destra,  7i 

1'  Seeondo  ohe  oi  affiggon.  Secondo  la  natura  degli  affetti  che 
ci  pungono,  quali  sarebbero  di  desiderio  o  di  orrore,  di  speranza 
o  di  timore,  di  gioia  o  di  tristezza,  dì  mangiare  o  di  bere,  ecc. 

74  E  questa  è  la  ecc.  E  questo  è  quello  di  che  tu  ti  sei  mara- 
vigliato, e  tuttora  ti  maravigli. 

Miri.  Dal  Latino  mirati. 

Or  che  è  finita  questa  trattazione  dello  stato  dell'uomo  in  que- 
sta e  nell'altra  vita,  ognuno  può  aver  veduto  per  sé  stesso,  che 
non  furono  mai  dette  cose  si  difficili  con  tauta  esattezza  e  con  tanta 
poesia.  Per  me  questo  lungo  brano  è  uno  dei  più  maraviglioei,  se 
più  o  meno  si  può  dire  di  Dante. 

7*  All'ultima  tortura.  Alla  settima  cornice  dei  lussuriosi.  Dunque 
il  discorso  durò  tutta  la  scala  (che  vedemmo  essere  375  passi)  quasi 
dal  suo  principio.  Appunto  il  tratto  di  quasi  375  passi  darebbe 
agio  a  tenere  quel  lungo  discorso;  onde  il  discorso  è  molto  bene 
proporzionato  al  tempo. 

Tortura.  La  specie  per  il  genere,  tortura  per  pena. 
(  76  E  volto  alla  man  deetra.  E  8'  era  volto  per  noi  alla  man  de- 
stra. Erauo  certi  i  poeti  che  si  dovea  voltare  a  destra  dalla  espe- 
rienza di  tutti  i  cerchi  inferiori,  e  quindi  non  ne  dubitaron  nemmeno, 
ma  senz'altro  voltarono  a  quella  parte.  Aveano,  oltre  V  esperienza, 
anche  un  altro  argomento  per  voltarsi  a  destra,  ed  era  ch'essi, 
come  avevano  fatto  tutto  un  giro  dalla  I  alla  IV*  cornice,  cosi  sta- 
vano per  fornire  il  secondo  giro  di  tutto  il  monte,  di  cui  non  man- 
cava che  mezza  facciata  di  ponente,  tutta  la  facciata  di  mezzodì, 
e  mezza  facciata  di  levante.  Per  compiere  dunque  anche  questo 
secondo  giro,  doveano  tenersi  a  destra  e  non  a  sinistra.  Ma  con 
qual  ordine  andavano  essi?  L'ordine  per  la  cornice  è  diverso  dal- 
l'ordine tenuto  per  la  scala.  Per  la  scala  abbiamo  veduto  Dante 
avanti,  dopo  Dante  Stazio,  dopo  Stazio  Virgilio.  Invece  per  la  cor- 
nice procede  prima  Virgilio,  secondo  Stazio,  terzo  ed  ultimo  Dante, 
il  quale  cosi  era  diviso  da  Virgilio  mediante  Stazio  di  mezzo.  (Vedi 
la  Tav.  IV  Purg.).  La  prova  che  tale  è  l'ordine  delle  persone,  la 
troveremo  nel  Canto  XXVII,  v.  46,  47  e  48. 


CANTO  XXV.  555 

Ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura.  77  -"    ■  f        / 

Quivi  la  ripa  fiamma  in  fuor  balestra, 78 
E  la  cornice  spira  fiato  in  suso,  79 

ti  Ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura.  Finora  fummo  attenti  al 
discorso,  chi  per  farlo  come  Stazio,  chi  per  adirlo  come  Virgilio  e 
Dante.  Ora  eravamo  attenti  al  fuoco  della  strada,  per  evi  il  cam- 
minare si  renderà  pericolosissimo.  Per  questo  il  cammino  sarà  assai 
lento.  Si  tenga  bene  a  mente  questa  circostanza,  perchè  rende  ra- 
gione del  tempo  molto  che  b'  impiega  in  un  tratto  che  è  pur  cor- 
tissimo. 

7»  La  ripa.  Quella  eosta  di  monte,  che  è  tra  una  cornice  e  l'altra, 
ossia  tra  un  cerchio  e  l'altro,  dicesi  ripa.  Essendo  che  poi  noi  siamo 
nell'ultimo  cerchio,  ossia  nel  VII,  sopra  del  quale  si  eleva  il  Para- 
diso terrestre,  perciò  la  ripa  in  questo  luogo  ò  quella  costa  di 
monte  che  giace  tra  la  VII  cornice  ed  il  Paradiso  terrestre  (Vedi 
la  mia  Tav.  VI,  corn.  VII).  —  Fiamma  in  fuor  balestra.  Getta, 
o  vibra,  o  scaglia  fiamme  per  attraverso  la  strada,  che  vanno  per- 
correndo le  anime  dei  lussuriosi,  le  quali  perciò  restano  sempre  av- 
volte da  quelle  fiamme  orizzontali. 

79  La  cornice.  La  cornice  VII,  ossia  tutto  il  piano  di  strada,  che 
forma  il  VII  cerchio  ;  sicché  questo  vento  spira  da  sotto  i  piedi  dei 
lussuriosi.  Tutti  i  commentatori  non  la  intesero  cosi,  ma  per  cor- 
nice hanno  inteso  Torlo  di  fuori  della  cornice,  cotal  che  il  vento 
venisse  dalla  ripa  posta  tra  la  VI  e  la  VII  cornice.  Questo  è  un 
errore.  Il  poeta  non  dice  esser  Torlo  della  cornice,  ma  propriamente 
a  cornice  quella  che  spiri  fiato  in  suso:  e  quando  il  poeta  dice 
cornice  intende  sempre  tutta  la  strada  di  ciascun  cerchio,  e  non 
mai  Torlo  di  esso  cerchio.  Se  il  vento  fosse  venuto  dal  di  fuori  di 
quella  strada,  in  tal  caso  sarebbe  la  ripa  sottoposta,  che  spira  questo 
fiato,  e  non  mai  la  cornice,  come  vuole  ed  ha  imaginato  il  poeta, 
ed  in  tal  caso  il  poeta  non  avrebbe  detto  che  la  cornice  spira  fiato 
Un  suso,  ma  bensì  che  la  ripa  sottoposta  spira  fiato  in  suso. 

In  questo  errore  sono  caduti  i  commentatori  forse  perchè  sem- 
brava lor  duro  che  il  piano  di  una  strada  spirasse  vento,  e  perchè 
sembrava  lor  più  naturale  che  il  vento  venisse  dal  di  fuori,  e  perchè 
le  parole  non  ben  considerate  cosi  fanno  credere  a  prima  vista.  Ma 
dal  momento  che  il  poeta  suppose, -che  una  ripa  di  pietra  avesse  la 
proprietà  di  balestrar  fiamme  orizzontali,  e  si  ammirò  la  sua  fan- 
tasia nelTimaginare  tal  cosa,  non  veggo  perchè  egli  non  possa 
anche  supporre  che  il  piano  per  cui  camminano  i  lussuriosi  possa 


556  PURGATORIO 

Che  la  riflette,  e  via  da  lei  sequestra.  *° 

avere  ed  abbia  infatti  la  proprietà  di  spirar  fiato  verticale.  Chi  gli 
concede  quello  gli  dee  concedere  anche  questo.  Ad  ogni  modo,  con- 
ceda o  non  conceda,  il  poeta  vuole  che  sia  la  cornice  e  non  la  sot- 
toposta ripa  quella  che  spiri  il  fiato  in  suso.  Ma  forse  si  dirà:  se  è 
la  cornice  così  intesa  quella  che  spira  fiato  in  suso,  questo  fiato, 
spirando  da  tutta  la  strada  non  avrebbe  ollontauato  da  lei  anche 
tutta  la  fiamma,  e  quindi  rese  immuni  le  anime  dal  fuoco?  Rispondo: 
la  forza  verticalmente  ascendente  del  fiato  non  era  molta  corno  in- 
dicano le  parole,  e  air  incontro  era  molta  la  forza  orizzontale  delle 
fiamme,  come  indicano  le  stesse  parole:  onde  veniva,  che  il  fiato 
sottospirante  non  desse  alle  fiamme,  che  quell'urto  il  quale  fosse 
necessario  a  far  descrivere  ad  esse  quella  curva  che  rendeva  im- 
mune l'estremità  esterna  della  strada.  Se  non  era  così,  per  quanto 
vento  fosse  soffiato  dalla  ripa  sottoposta,  anche  il  viottolo  che  ser- 
viva di  strada  a  Dante  avrebbe  dovuto  essere  ardente.  Anzi  pare 
naturalmente  che  se  il  vento  fosse  venuto  dalla  ripa  sottoposta 
attraverso  Torlo  della  cornice,  quel  vento  ad  altro  non  avrebbe  ser- 
vito che  a  ritorcere  la  fiamma  con  più  impeto  sopra  tutta  la  strada 
sino  all'orlo  stesso  della  cornice,  presso  il  quale  camminavano  i  poeti; 
e  cosi  Dante,  lungi  dall' essersi  procurato  un*  immunità  col  suo 
ritrovato,  altro  non  avrebbe  fatto  che  accrescersi  l'ardore.  Almeno 
i  suoi  piedi  avrebbero  dovuto  restarne  abbruciati. 

w  Che  la  riflette,  e  via  ecc.  Il  fiato  (abbi  sott'  occhio  la  Tav.  V 
Purg.)  cominciando  a  spirare  da  pie  della  ripa  fiammifera  (giacahè 
è  la  cornice  o  la  strada  quella  che  secondo  vuole  il  poeta,  spira 
fiato)  e  spirando  da  tutto  il  traverso  della  strada,  dal  principio  al 
fine  premeva  in  su  la  fiamma.  Minima  era  la  riflessione  che  il  fiato 
ottenea  sulla  fiamma  nel  suo  primo  balestramene,  attesa  la  forza 
con  cui  usciva  dalla  ripa,  ma  la  riflessione  si  facea  massima  presso 
Porlo  esterno  della  strada ;  e  ciò  era  naturale;  perchè  ad  ogni  tratto 
•  del  traverso  della  strada  la  fiamma  perdeva  di  forza,  mentre  il  fiato 
conservava  sempre  la  sua;  e  cosi  doveva  seguire  necessariamente, 
che  dove  il  vento  trovava  la  minima  forza  della  fiamma,  il  che  av- 
veniva nella  sua  punta  presso  al  termine  della  strada,  esso  veniva  a 
rifletterla  costringendola  a  percorrere  un  semicerchio  verticale,  e  libe- 
rando così  dalle  fiamme  il  viottolo  per  cui  camminavano  i  nostri  poeti. 
E  via  da  lei  sequestra.  La  caccia  da  lei,  e  la  va  cacciando 
grado  a  grado  per  tutto  il  traverso  della  strada  dalla  ripa  all'orlo, 
finché  presso  Torlo  la  vince  intéramente  e  riflette. 


CANTO  XXV.  ,  557 

Ond'  ir  ne  convenìa  dal  lato  schiuso, 81 
Ad  uno  ad  uno,  ed  io  temeva  il  fuoco  " 
Quinci,  e  quindi  temeva  il  cader  giuso.  M 

Lo  duca  mio  dicea:  per  questo  loco84 
Si  vuol  tenere  agli  occhi  stretto  il  freno  M 
120.       Però  eh'  errar  potrebbesi  per  poco. *6 

Summae  Deus  ci  ementi  a  e  nel  seno  87 
Del  grand'  ardore  allora  udì'  cantando, 
Che  di  volger  mi  fé  caler  non  meno.  8s 

•I  Dal  lato  schiuso.  Non  dal  lato  della  ripa  interna  che  par  sale, 
ma  dal  lato  opposto  presso  Torlo  esterno,  che  da  nulla  sponda  si 
inghirlanda,  avea  detto  altra  volta,  e  perciò  schiuso. 

M  Ad  uno  ad  uno.  Perchè  la  via  senza  foco  era  un  sentieruzzo 
da  non  capire  che  sol  ano. 

L'ordine  è  questo:  ultimo  Dante,  in  mezzo  Stazio,  Virgilio 
davanti,  come  si  vede  nel  Canto  XXVI,  v.  15,  16,  e  si  proverà 
presto. 

M  Quinci,  e  quindi  ecc.  Il  fuoco  a  sinistra,  e  il  cadere  a  destra 
Ricordatevi  che  siamo  all'altezza  di  miglia  94  +  7/8  +  1/16,  altezza 
sterminatissima.  (Vedi  la  mia  Tav.  VI). 

84  Dicea  :  Per  questo  ecc.  Virgilio  diceva  questo  per  farlo  inten- 
dere a  Dante,  ed  è  bello  questo  ammonirlo,  come  di  rimbalzo,  senza 
volgersi  a  lui. 

8*  Si  vuol  tenere  ecc.  Si  deono  tenere  molto  raccolti  gli  occhi. 

w  Per  poco.  Facilmente. 

87  Summae  Deus.  È  l'inno  bellissimo  che  canta  la  Chiesa  nel 
mattutino  del  sabbato  per  ottenere  la  continenza.  Non  c'era  orazione 
che  fosse  più  a  proposito  di  questa.  Eccola  per  intero: 


Summae  Parens  clementiae 
Mundi  regis  qui  machinam, 
Vnius  et  substantiae 
Trinusque  personis  Deus; 

Nostros  pius  cum  canticis 
Fletus  benigne  suscipe; 
Ut  corde  puro  sordium 
Te  perfruamur  largius. 


Lumbos  jecurque  morbidum 
Flammis  adure  congruis; 
Accincti  ut  artus  exeubent 
Luxu  remoto  pessimo. 

Quicumque  ut  horas  noctium 
Nunc  concinendo  rumpimus, 
Ditemur  omnes  affatim 
Donis  beatae  patriae. 


ss  Che  di  volger  ecc.  Le  parole  di  Virgilio  lo  invitavano  a  tenere 


568  PURGATORIO 

E  vidi  spirti  per  la  fiamma  andando;  " 
Perch'io  guardava,  ai  loro,  ed  a'  miei  passi  M 
Compartendo  la  vista  a  quando  a  quando. 

Appresso  il  fine  eh9  a  queir  inno  fassi,  " 
Grida van  alto:    Virum  non  cognosco;9* 
Indi  ricominoiavan  V  inno  bassi.  * 
180.   Finitolo,  anche  gridavano  :  Al  bosco  u 
Si  tenne  Diana,  ed  Elice  cacci  orme,  " 
Che  di  Venere  avea  sentito  il  tòsco. 

Indi  al  cantar  tornavano  ;  indi  donne  * 

gli  occhi  a'  piedi  :  il  canto  delle  anime  per  entro  il  foco  lo  invita- 
vano a  volgere  gli  occhi  al  foco. 

*9  E  vidi  ecc.  Notate  il  vidi  qui,  e  il  guardava  poi.  Il  vidi  in* 
dica  atto  accidentale,  il  guardava  atto  volontario.  Sta  molto  bene 
questa  gradazione. 

*>  J%  loro,  ed  a'  miti  pasti  ecc.  Avanti  ai  loro  è  proprio  neces- 
saria una  virgola  per  maggior  chiarezza.  Questa  pittura  fa  vedere 
l'estremo  pericolo  di  quella  viuzza. 

tt  Appresso  il  fine.  Dopo  il  fine. 

99  Virum  non  cog nosco.  Parole  di  Maria  SS.  all'Arcangelo  Ga- 
briele, dichiaranti  la  sua  virginità. 

**  Bassi.  In  tono  più  basso.  Questa  variazione  di  toni  serve  a 
variare  la  poesia,  ma  potrebbe  anche  essere  conseguenza  della  ri- 
cordanza delle  loro  pratiche  ree  dietro  le  ultime  parole  :  virum  non 
eognosco.  Si  sa  che  le  anime  purganti  provano  anch'esse  diverse 
affezioni,  e  secondo  esse  condizionano  i  loro  cauti  or  alto  or  bassi, 
come  disse  quell'ombra  nel  Canto  XX  del  Purg.:  Talor  parham 
l'un  alto  e  V altro  basso,  —  Secondo  l'affetion  che  a  dir  ci  sprona,  — 
Ora  a  maggiore,  ed  ora  a  minor  passo. 

9*  Anche  gridavano.  Interpolavano  continuamente  all'  inno  anzi- 
detto un  esempio  di  castità ,  prima  sacro  e  poi  profano  secondo 
l' usato. 

95  Diana.  Diana  si  tenne  al  bosco,  ossia  elesse  il  bosco  a  sua 
dimora,  come  luogo  più  opportuno  a  serbare  virginità.  —  Elice* 
Una  delle  seguaci  di  Diana,  cacciata  dalla  Dea  per  lascivia. 

9*  Indi  al  cantar  ecc.  Al  canto  dell'inno  e  al  grido  d' esempi 
di  casti  coniugati.  Gli  esempi  primi  erano  di  vergini,  gli  ultimi  di 
maritati,  tutti  casti  secondo  il  loro  stato. 


1 


CANTO  XXV.  569 

Gridavano  e  mariti  che  fur  casti, 

Come  virtù  te,  e  matrimonio  imponne. 
E  questo  modo  credo  che  lor  basti  w 

Per  tutto  il  tempo  che  il  fuoco  gli  abbrucia. 

Con  tal  cura  conviene,  e  con  tai  .pasti  w 
Che  la  piaga  d  asse  zzo  si  ricucia.99 

vi  E  questo  modo  ecc.  Questo  modo  di  avvicendare  all'inno  gli 
esempi,  credo  che  sia  e  debba  essere  il  loro  costume  finché  duri  la 
pena.  Questo  appunto  credette  per  udir  l'anime  ripigliar  le  coso 
con  quest'ordine. 

•*  Con  tal  cura  ecc  Similitudine  presa  dai  medici  che  curano 
gì' infermi  di  piaghe,  prescrivendo  ricette  di  due  sorta,  la  prima 
d'impiastri  alle  piaghe,  la  seconda  di  farmachi  alla  bocca, 

w  La  piaga.  Dell'  incontinenza.  Dassenzo.  Da  ultimo. 


CANTO  XXVI 


Argomento. 

/  poeti  continuano  il  loro  cammino  per  l'orlo  della  settima 
cornice,  e  Virgilio  avverte  spesso  Dante  a  procedere  con  gran  ri- 
guardo. Si  nota  Vora  che.  allor  faceva,  e  l'ombra  che  Dante  git- 
tava  sulla  fiamma.  Alcune  ombre  di  lussuriosi  che  vengono  entro 
al  foco  dietro  a  Dante  s'accorgono  dell'ombra,  e  una  di  esse  chiede 
a  Dante  il  perchè.  Mentre  Dante  stava  per  manifestarsi,  gli  rompe 
la  parola  in  bocca  un'altra  turba  di  anime  purganti,  che  venia 
di  contro.  Dante  osserva  quel  che  fanno  tra  loro,  e  ascolta  quel 
ohe  dicono  finché  le  vede  continuare  ciascuna  il  suo  viaggio  op- 
posto. Le  prime  anime  tornano  a  rivolgersi  a  Dante  per  aver  da 
lui  risposta  alla  domanda  già  fatta  prima.  Dante  dice  loro  che 
è  vivo,  e  perchè  fa  quel  viaggio,  e  da  chi  ottenne  quella  grazia. 
Indi  chiede  chi  sieno  esse  di  quella  turba  e  gli  spirti  dell'  altra 
già  partita.  Le  ombre  prima  di  tutto  fanno  atti  di  grande  stu- 
pore alla  novità  di  quel  vivo  :  poi  la  prima  che  avea  parlato 
felicita  Dante,  e  lo  chiarisce  delle  due  turbe  opposte,  del  loro 
peccato,  e  della  ragione  perchè  una  gridò  un  esempio,  e  un  esem- 
pio un'altra.  Finalmente  quest'ombra  gli  si  manifesta  per  nome, 
e  dice  essere  Guido  Guìnicelli.  Dante  mostra  la  sua  contentata 
di  conoscere  un  tanto  uomo,  che  fu  poeta  amoroso,  e  gli  si  offre 
a  giovarlo  in  quel  che  può.  Guido  mostra  gradire  le  sue  parole, 
e  gli  chiede  onde  mai  avvenga  eh'  egli  abbia  sì  cara  la  sua  per- 
sona. Dante  gli  risponde,  che  ciò  è  in  causa  delle  sue  rime,  ma 
Guido  gliene  addita  avanti  un  altro  miglior  di  sé,  e  fa  di  quest'al- 
tro somme  lodi  rampognando  quelli  che  non  hanno  buon  gusto,  e, 
detto  questo,  gli  si  raccomanda  per  preci  a  suo  favore  quando  sarà 
in  cielo  davanti  G.  ('.  Dopo  questa  preghiera  Guido  dispare  pel 
fuoco,  e  Dante  si  fa  innanzi  all'indicato  miglior  poeta  ;  e  lo  prega 
a  dirgli  il  suo  nome.  Questi  gli  si  manifesta  per  Arnaldo  proven- 
zale, parlandogli  in  versi  provenzali.  Ed  anche  questo  dopo  la  sua 
risposta  s'asconde  pel  foco,  e  va  a  raggiungere  i  suoi  compagni. 


NB.  Vedi  tatti  i  casellini  di  qneito  Canto  nella  Tat.  IH  Purg.,  e  U  Ti?.  VI  Purg. 

36 


662  PURGATORIO 

Mentre  che  sì  per  l'orlo,  uno  innanzi  altro 4 
Ce  n'andavamo,  spesso  il  buon  Maestro  * 
Diceva:  Guarda:  giovi  ch'io  ti  scaltro.  •. 

Feriami  il'sole  in  su  l'omero  destro,4 
Che  già,  raggiando,  tutto  l'occidente  8 
MUtava  in  bianco  aspetto  di'cilestro: 


*  Per  l'orlo.  Rasente  Torlo.  —  Uno  innanzi  altro.  Dante  dietro 
Stano,  Virgilio  davanti.  Lo  dice  al  Canto  XXVII,  v.  46  seg. 

*  Sputo  ecc.  Fa  vedere  la  gran  cara  di  Virgilio  per  Dante  e  la 
difficoltà  del  cammino.  Per  questa  difficoltà,  a  fornir  poca  strada 
si  porrà  gran  tempo,  e  lo  vedremo  e  lo  noteremo. 

»  Guarda.  Guarda  a' tuoi  ed  ai  miei  piedi.  —  Giovi  ch'io  ti 
scaltro.  Ti  sia  giovevole  l'insegnamento  che  io  ti  fo  del  dove  tu 
abbia  a  porre  i  piedi. 

*  Ftriami  il  sole  ecc.  Se  Dante  era  ferito  dal  sole  nell'omero  o 
spalla  destra,  e  il  sole  era  allora  alia  metà  del  suo  corso  tra  mei* 
sodi  e  il  tramonto,  come  dimostreremo  spiegando  il  verso  che  segue, 
dunque  Dante  camminava  per  la  facciata  del  monte,  che  guarda 
ponente  :  e  precisamente  egli  camminava  nella  seconda  metà  di  quella 
facciata,  cioè  non  in  quella  dalla  parte  di  settentrione,  ma  in  quella 
dalla  parte  di  mezzogiorno,  dirigendo  egli  il  suo  passo  da  nord  a 
sud.  In  questa  terzina  havvi  la  prova,  che  la  scala  testé  passata, 
che  ci  ha  messi  dalla  VI  alla  VII  cornice,  è  nel  mezzo  della  fac- 
ciata del  monte  volta  ad  ovest,  come  si  era  supposto  nel  Canto  XXIV 
verso  la  fine  della  nota  95,  alla  quale  questa  serve  di  compimento. 
Raffronta  insieme  runa  e  l'altra,  ed  abbi  anche  sotto  gli  occhi  la 
mia  Tav.  VI  in  questo  luogo. 

*  Che  già  raggiando  ecc.  Con  questo  e  ooll'altro  verso  che  se- 
gue si  esprime  l'ora  precisa,  che  correva  in  quel  punto  :  impercioc- 
ché si  dice,  che  il  sole  era  alla  metà  del  suo  corso  tra  il  mezzogiorno 
e  il  suo  tramonto.  Come  si  viene  a  dir  questo?  ecco  come.  Guar- 
date il  sole  quand'è  a  mezzogiorno:  voi  vedrete  che  per  un  gran 
tratto  ad  est  e  ad  ovest  di  lui  il  cielo  è  tutto  biancastro,  e  che  al 
di  là  di  questi  due  tratti  il  cielo  per  esser  troppo  lungi  d:il  sole 
è  cilestro.  Ebbeue;  come  si  farebbe  ad  ottenere,  che  tutto  ii  cielo 
di  occidente,  che  è  il  tratto  da  mezzodì  a  sera  si  cangiasse  di  cile- 
stro in  bianco?  Como  vedete,  altro  non  ci  vorrebbe  che  collocare 
il  sole  alla  giusta  metà  di  quel  tratto.  Per  collocarlo  poi  alla  giusta 


»  ■>. 


CANTO  XXVI.  668 

Ed  io  facea  con  l'ombra  più  roveri  te  •,  :%  a  ,' 
Parer  la  fiamma,  e  pur  a  tanto  indizio  7 
Vidi  molt'  ombre  andando  poner   mente. f 
io.     Questa  fu  la  cagion  che  diede  inizio  • 
Loro  a  parlar  di  me  ;  e  cominciarsi i0 

metà  bisogna  conoscere  i  due  ponti  estremi  di  quel  tratto.  L'ano 
si  conosce  per  sé,  per  esser  sempre  lo  stesso,  ed  è  il  mezzogiorno, 
o  le  12  meridiane,  e  l'altro,  eh' è  il  tramonto,  si  conosce  dagli  alma- 
nacchi agli  11  di  ottobre  in  cai  siamo  al  Purgatorio,  corrispondente 
ai  12  aprile  nel  nostro  emisfero,  dove  per  ora  del  tramonto  del  sole 
è  assegnato  5:20.  Prendete  adesso  la  metà  di  5:20,  ed  avrete  l'ora 
precisa  indicata  qui  dal  poeta,  cioè  avrete  le  2:40  pomeridiane. 

Così  dall'ultimo  orario,  che  fu  di  32  minati  dopo  mezzodì,  al- 
l'orario presente  passarono  ore  2:8,  nel  qual  tempo  fecero  la  salita 
della  scala  ragionando  a  lungo,  e  un  po'  di  tratto  di  questa  cor- 
nice difficilissimo  a  farsi. 

0  Ed  io  facea  ecc.  L'ombra  colla  oscurità  che  getta  dove  cade, 
cadendo  sulla  fiamma  la  fa  apparir  più  rossa.  Un  medesimo  incen- 
dio, se  avvien  di  giorno,  non  si  fa  apparir  troppo  rovente,  e  se  av- 
vien  di  notte  appar  roventassimo.  E  tutto  effetto  delle  tenebre  o 
dell'oscurità.  Perciò  avrete  osservato  che  accendendo  un  lume  in 
una  stanza  in  tempo  di  giorno  par  che  non  luca  ;  chiudete  le  finestre 
e  fate  oscurità ,  e  vedrete  che  la  stessa  lucerna  non  par  più  quella. 

i  E  pur  a  tanto  indizio  ecc.  E  solo  a  si  picciolo  indizio.  Alcuni 
prendono  a  tanto  inditio  per  a  sì  grande.  Ma  ciò  non  è.  Il  poeta 
vuol  far  rilevare  quanto  poco  bastò  alle  anime  purganti  per  so- 
spettare che  Dante  fosse  vivo,  pei  ciò  egli  vi  premette  il  pur  (solo, 
eolamente)  che  male  starebbe  accompagnato  a  tanto,  se  tanto,  qui, 
volesse  dire:  si  grande, 

8  andando.  Quest'ombre  venivano  da  dietro  a  Dante,  ossia  dalla 
parte  della  scala  rimasa  addietro,  sicché  facevano  lo  stesso  cam- 
mino di  Danto:  da  nord  a  sud.  Giunte  esse  a  paro  di  Dante,  lo 
trapassavano  alquanto,  e  Dante  allor  si  accorgeva  di  esse  ed  esse 
della  sua  ombra. 

9  Questa  fu  la  cagion  che  ecc.  Dante  vedeva  i  loro  atti,  e  adiva 
le  loro  parole,  E  bellissima  questa  conversazione  che  per  conto  di 
Dante  tengono  le  anime  in  mezzo  alle  fiamme.  Che  immensa  fantasia! 
Qual  pennello  potrebbe  mai  colorirla  ?  Meriterebbe  che  fosse  tentato. 

*o  Cominciarsi.  Verbo  riflessivo.  Si  cominciarono,  ovvero  comin- 
ciarono a  dirai  tra  loro. 


PURGATORIO 

^  A  dir  :  poltri  non  par  corpo  fittizio. 

Poi  verso 'me,  quanto  "potevan  farsi. 
Certi  si  feron,  sempre  con  riguardo  u 
Di  non  uscir  dove  non  fosser  arsi.  " 

Oh  tu  che  vai,  non  per  esser  più  tardo,  " 
Ma  forse  reverente,  agli  altri  dopo,  u 
Rispondi  a  me,  che  in  sete  e  in  fuoco  ardo: 

Né  solo  a  me  la  tua  risposta  è  uopo  ; 
2°*         Che  tutti  questi  n'hanno  maggior  sete 
Che  d'acqua  fredda  Indo  o  Etiopo.  " 

Dinne  com'è  che  fai  di  te  parete46 

ii  Sempre  con  riguardo  —  Di  ecc.  Questo  fa  vedere  quanto  amino 
la  loro  pena  per  le  ragioni  abbastanza  note.  Tutte  l'anime  fin  qui 
trovate  hanno  manifestato  questa  premura. 

13  Dove  non  fosser  arsi.  Presso  al  viottolo  per  cui  camminavano 
i  poeti. 

*8  Non  per  esser  più  tardo.  Si  sa  che  Dante  diventava  vieppiù 
leggiero  di  mano  in  mano  che  guadagnava  le  cornici,  perchè  ad 
ognuna  si  scaricava  di  un  P,  ossia  di  un  peccato  capitale,  o  me- 
glio della  sua  pena.  Ornai  non  gli  restava  che  l'ultimo  P,  e  anche 
questo  molto  illanguidito,  perchè  non  si  cancella  mai  un  vizio  senza 
indebolire  la  forza  degli  altri.  Perciò  Dante  andava  leggiero  quasi 
come  i  poeti.  Da  ciò  egli  potea  raccogliere  d'essere  presso  al  fine 
del  Purgatorio,  secondo  che  Virgilio  gli  avea  predetto,  Purgatorio, 
Canto  IV,  in  quei  versi:  Questa  montagna  e  tale  —  Che  sempre 
al  cominciar  di  sotto  è  grave,  —  E  qvanVuom  piò,  va  su,  e  men 
fa  male.  —  Però  quand'ella  ti  parrà  soave  —  Tanto  che  il  su 
andar  ti  sia  leggiero,  —  Come  a  seconda  giù  Vandar  per  nave,  — 
AUor  sarai  al  fin  d'esto  sentiero. 

*i  Agli  altri  dopo.  Ecco  qui  dichiarato  l'ordine  delle  persone  che 
noi  dicevamo  prima.  Solo  resterebbe  il  dubbio  se  Virgilio  fosse 
avanti  di  Stazio,  o  Stazio  avanti  di  Virgilio.  Ma  questo  dubbio  è 
tolto  al  Canto  XXVII,  v.  46  e  seg. 

<*  Indo  o  Etiopo.  L'India  e  l'Etiopia  sono  paesi  assai  caldi  perchè 
più  vicini  all'equatore. 

tfi  Dinne  com'  è  ecc.  Non  dubita  del  fatto,  cioè  dell'ombra  che 
Dante  getta  sulla  fiamma,  facendo  cosi  parete  al  sole,  come  (anno 


CANTO  XXVL  566 

Al  sol;  come  se  tu  non  fossi  ancora  " 
Di  morte  entrato  dentro  delia  rete. 

Sì  mi  parlava  un  d'essi,  ed  io  mi  fora  " 
Già  manifesto,  s' i'  non  fossi  atteso 
Ad  altra  novità  eh"  apparse  allora.  " 

Che  per  lo  mezzo  del  cammino  acceso  " 
Venia  gente  col  viso  incontro  a  questa,  " 

i  corpi  dei  viventi,  ma  per  questo  non  è  affatto  certo  che  tanto 
avvenga  perchè  Dante  sia  ancora  vivo,  come  ei  rileva  dagli  altri 
due  verri,  e  perciò  ne  chiede  schiarimento. 

*?  Come  et  tu  non  fotti  ancora.  —  Di  morte,  ecc.  Come  se  tu 
non  fossi  ancora  morto. 

*'  Ed  io  mi  fora  --  Già  manifesto.  Per  uno  ancor  vivente, 
non  già  per  Dante. 

*•  Ad  altra  novità,  ecc.  Era,  come  vedrassi,  un*  altra  schiera  di 
lussuriosi,  diversi  dalla  prima,  che  sopraggiungono  all'insaputa  per 
ragion  delle  fiamme  fra  cai  camminano,  le  quali  non  lasciavano  ve- 
derli, che  quando  erano  vicini. 

30  Per  lo  mezto,  ecc.  Il  traverso  della  cornice  è  di  piedi  15,  quanti 
abbiamo  determinati  dietro  l' accenno  di  Dante  in  quel  verso  del 
Purg.,  Canto  X  :  Jiieurrebbe  in  tre  volte  un  corpo  umano ,  che  vale 
per  tutte  le  cornici.  Di  questo  traverso  circa  3  piedi  ne  prendeva 
Dante  fuor  delle  fiamme.  Dunque  alle  fiamme  non  restavano  che  12 
piedi.  La  metà  di  questi  12  è  appunto  il  messo  del  cammino  acceso. 
La  nuova  schiera  che  sopraggiunge  si  teneva  dunque  a  6  piedi  di 
distanza  dalla  ripa  interna,  che  balestrava  le  fiamme,  e  perciò  l'al- 
tra schiera  che  prima  s'era  avvicinata  a  Dante  più  che  poteva,  oc- 
cupava gli  altri  sei  piedi,  che  di  fiamme  restavano  dal  mezzo  sino 
a  Dante.  Alcuni  le  diranno  minuzie,  ma  non  lo  sono.  Dante,  scru- 
poloso calcolatore  del  minuto  riguardo  al  tempo,  lo  è  pure  anche 
di  poche  oncie  riguardo  al  luogo,  e  noi  dobbiamo  tener  conto  di  tutto, 
perchè  di  tutto  tiene  conto  anche  Dante,  e  perchè  dove  meno  si 
crede,  quel  minuto  o  quell'oncia  ci  spiega  una  frase  che  altrimenti 
parrebbe  oziosa  ed  oscura.  Per  il  minuto  ne  vedemmo  l'esempio  nel 
tempo,  che  impiega  il  sole,  a  levar  tutto  sull'orizzonte  dal  lembo 
superiore  all'inferiore  del  suo  disco  (Purg.,  Canto  II,  n.  39),  e  per 
l'oncia  l'esempio  l'abbiamo  (fra  gli  altri)  in  questo  sentieruzzo  dove 
un'oncia  sola  di  sbaglio  può  costare  a  Dante  la  vita. 

n  Incontro  a  questa,  E  perciò  veniva  anche  rincontro  a  Dante* 


M6  PURGATORIO 

8°-         La  qual  mi  fece  a  rimirar  sospeso.  w 
Lì  veggio  d'ogni  parte  farsi  presta 
Ciascun'ombra,  e  baciarsi  una   con  una,  ** 
Senza  ristar,  contente  a  breve  festa. 
Così  per  entro  loro  schiera  bruna 
S' ammusa  l'una  con  l'altra  formica,  u 
Forse  a  spiar  lor  via  e  lor  fortuna. 
Tosto  che  pàrton  l'accoglienza  amica,  " 
Prima  che  il  primo  passo  lì  trascorra, 
Sopragridar  ciascuna  s'affatica  :  *6 
*°-     La  nuova  gente  :  Soddoma  e  Gomorra  ;  r 


Dante  e  i  primi  lussuriosi  camminavano  da  nord  a  sud,  e  questi  se- 
condi lussuriosi  camminavano  da  sud  a  nord,  calcolando  però  qui 
\\  sola  facciata  del  monte  in  cui  siamo,  la  quale,  co ne  sappiamo,  e 
volta  ad  ovest.  (Vedi  Tav.  VI  Purg9ì  cornice  VII). 

**  A  rimirar  sospeso.  Notate  questa  fermata   di   Dante,  perchè 
essa  ed  il  lentissimo  andare  per  si  pericolo  io    sentiero,  giustificano 
il  molto  tempo  che  s*  impiega  in  un  cammino  per  so  cortissimo, 
giacché  tutta  questa  cornice    non  volge  che  5/16  di  miglio,  ossia 
passi  1875  calcolando  il  miglio  6000  passi  piccoli  come  già  dicemmo, 
e  quindi  ogni  facciata  conta  passi  469  circa,  ed  ogni  metà  di  fac- 
ciata passi  234  circa.  (Vedi  la  mia  Tav,  VI,  cornice  VII). 
**  Baciarsi.  Baci  casti  a  punizione  dei  baci  lascivi. 
34  S'ammusa  Vuna  ecc.  È  un  fatto  che  le  formiche  che  vanno  e 
vengono  spesso  s'ammusano,  o  si  toccano  mu*o  a  muso,  come  se  vo- 
lessero parlarsi,  o  diremmo  meglio,  come  se  voles    ro  indettarsi  del 
luogo  dove  si  trova  più  ben  di  Dio,  e  da  far  fortuna. 

**  Tosto  che  partorì  ecc.  Tosto  che  dividono  o  finiscono  l'acco- 
glienza amica  —  Partire  (attivo)  è  separare,  dividere.  Dunque  ap- 
pena che  hanno  finite  le  accoglienze  e  prima  di  muovere  il  primo 
passo  a  partirsi.  Questo  viene  dichiarato  più  sotto,  dove  si  dice: 
Quando  partiamei. 
M  Sopragridar.  Gridar  con  forza. 

*7  Tua  nuova  gente.  L'ultima  venuta.  Questa  grida  esempi  di  Sod- 
domia.  La  Pentapoli  era  infame  per  questo  vizio.  Si  sa  che  i  Sod- 
domiti  volean  abusare  per  fin  dei  due  angeli  iti  figura  di  giovani 
che  andarono  a  salvare  la  famiglia  di  Lot. 


CANTO  XXVL  667 

E  l'altra  :  Nella  vacca  entrò  Pasife,  M 
Perché  il  torello  a  sua  lussuria  corra. 

Poi  come  gru,  ch'alle  montagne  Rife  *9 
Volasser  parte,  e  parte  in  ver  l'arene,  M 
Queste  del  gel,  quelle  del  sole  schifa;  " 

L'una  gente  sen  va,  l'altra  sen  viene, 
E  tornan  lagrimando  a' primi  canti,  w 
E  al  gridar  che  più  lor  si  conviene  :  M 

E  raccostarsi  a  me,  come  davanti,  u 
*°-        Essi  medesmi  che  m'  avean  pregato  ; 
Attenti  ad  ascoltar  ne'  lor  sembianti.  " 

Io,  che  due  volte  avea  visto  lor  grato,  w 

S*  Nella  vacca  entrò  Pa$ife  ecc.  Con  questo  fatto  si  accenna 
al  vizio  della  bestialità.  Il  primo  esempio  sacro,  questo  profano,  se- 
condo l'ordine  solito.  -  Entrò  (passato)  sta  meglio  che  entra  (pre- 
sente) di  alcuni  testi. 

39  Montagne  Rife.  Montagne  russe  al  nord. 

so  In  ver  l'arene.  Dell'Africa.  Questo  determina  vera  la  nostra 
lezione  del  verso  64,  nel  Canto  XXIV  Purg.y  dove  dicemmo  verso 
il  iFtfo,  non  lungo  il  Nilo. 

*i  Queste  del  gel  ecc.  Queste  che  vanno  in  Africa,  nemiche  del 
gelo  ;  quelle  che  vanno  in  Russia,  nemiche  del  sole.  Il  poeta  sup- 
pone che  avvenga  questo  caso,  e  lo  dà  solo  come  immaginario,  non 
reale,  sapendo  già  che  ciò  non  avviene.  Ma  è  un  caso  che  appunto 
si  può  supporre. 

s*  A' primi  canfi.  Al  canto  dell'inno:  Summae  Deus  clementiae 
(Canto  XXV). 

M  Al  gridar  che  ecc.  Al  gridar  esempi  che  più  si  conranno  al 
loro  peccato,  coll'ordine  espresso  al  fine  del  Canto  XXV. 

84  E  raccostarti  ecc.  Si  ripiglia  il  fatto  interrotto  per  l'arrivo 
della  nuova  gente. 

ss  Attenti  ad  ascoltar  ecc.  Il  non  farli  ripetere  la  domanda  di 
prima,  come  quella  già  bastasse,  e  farli  solamente  attenti  alla  ri- 
sposta è  un'arte  tale  che  vince  natura.  Che  bella  maniera  per  far 
di  due  fatti  un  fatto  solo!  Notate  che  ne' lor  sembianti  si  vedeva 
l'attenzione  ad  ascoltare.  È  proprio  là  che  apparisce.  Par  di  vederli, 

16  Due  volte.  La  prima  quando  dimandarono  di  lui,  la  seconda, 
ora  che  stanno  attenti  alla  risposta. 


Yf 


568  PURGATORIO 

Incominciai:  O  anime  sicure 
D'aver,  quando  che  sifr,  di  pace  stato,  " 
Non  son  rimase  acerbe,  né  mature  38 

Le  membra  mie  di  là,  ma  son  qui  meco  w 
•*  ^jVa\CJ[(\^i'^t^%^  Col  sangue  suo  e  con  le  sue  giunture. 

Qùinèi  su  vo  per  non  esser  più  cieco:  *° 
Donna  è  di  sopra  che  n'acquista  grazia,  4i 

17  d%  pace  stato.  Beatitudine. 

**  Non  son  rimase,  ecc.  Nel  1300,  epoca  poetica  di  questo  viaggio, 
Dante  contava  35  anni.  Siccome  era  ancor  vivo,  le  sue  membra  né 
giovanili  né  vecchie  le  aveva  con  sé,  e  non  le  aveva  lasciate  al 
mondo  come  gli  altri  che  muoiono.  Notate  che  ci  troviamo  nello 
stesso  globo  terrestre  sebbene  noi  siamo  al  Purgatorio.  Tuttavia 
questo  luogo  del  Purgatorio  ha  ragione  di  un  altro  mondo,  massime 
nel  medio  evo,  quando  nulla  si  conoscea  dell'emisfero  inferiore. 

>9  Di  là.  Nell'altro  emisfero  opposto  a  questo.  —  Bla  son  qui 
meco  —  Col  ecc.  Dunque  sono  ancor  vivo. 

*o  Quinci  tu  vo  per  ecc.  Da  questi  luoghi  vo  so  fino  al  sommo 
cielo  per  correggermi  de'  miei  errori  passati,  e  per  non  ricadérvi 
più  in  avvenire.  Ecco  il  fine  bello  e  spiattellato  del  poema.  Chi  ne 
sogna  un  altro  da  questo,  contradice  al  poeta,  e  non  sa  che  si  dica. 
Questo  è  tutto  il  concetto  cattolico  che  noi  abbiamo  esposto  in 
un'apposita  Tavola,  che  è  la  prima  dell'  Inferno  e  nel  suo  relativo 
Discorso  Preliminare. 

Da  ciò  si  vede  quanto  debbono  fare  pietà  le  chiaccberate  di 
coloro  che  hanno  scattolicizzato  Dante,  e  d'un  missionario  e  d'un 
ascetico  eminente  ne  hanno  fatto  o  un  poeta  politico,  o  peggio,  un 
rivoluzionario.  Si  sa  che  Dante  si  propose  co  la  sua  Divina  Co- 
media  anche  la  felicità  temporale  delle  nazioni  ;  ma  questo  è  un  fine 
secondario  ;  il  primo  è  sempre  la  felicità  eterna,  che  si  acquista  colla 
liberazione  dal  peccato  e  coll'esercizio  delle  virtù.  Perciò  questo  è 
il  punto  preso  di  mira  in  tutto  il  poema  ;  ed  a  ragione,  perchè  otte- 
nuto questo,  la  felicità  temporale» viene  da  sé.  Pare  incredibile  che 
non  la  si  sia  ancora  intesa  ! 

^  Donna  è  di  sopra  ecc.  Non  è  questa  Beatrice,  ma  Maria  SS. 
di'  cui  avea  detto  Beatrice  stessa  nel  Canto  li  dell'/n/,:  Donna  è 
gentil  nel  del,  che  ai  compiange  —  Di  questo  impedimento  ov'io 
ti  mando.  —  Sì  che  duro  giudicio  lassù  frange.  Questa  e  non 
altra  è  la  donna  qui  accennata,  perciocché  tutta  la  grazia  di  questo 


i 


A 


CANTO  XXVI.  569 

*>•        Perchè  '1  mortai  pel  vostro  mondo  reco,  41 
Ma  se  la  vostra  maggior  voglia  sazia  " 
Tosto  divenga,  sì  che  il  ciel  v'alberghi,  u 
Ch'è  pien  d'amore  e  più  ampio   si  spazia, 
Ditemi,  acciocché   ancor  carte  ne  verghi,  4S 
Chi  siete  voi,  e  chi  è  quella  turba 
Che  sì  ne  va  di  retro  a' vostri  terghi?  46 
Non  altrimenti  stupido  si  turba  47 

Lo  montanaro,  e  rimirando  ammuta,     ^? 
( Quando  rozzo  e  selvatico  s'inurba  ]"*  °H ^ 
7*    <Che  ciascun'ombra  fece  in  sua  partita  "P1 
Ma  poi  che  furon  di  stupore  scarche^ 
Lo  qual  negli  alti  cuor  tosto  s'attuta,' 49 

▼Saggio  venne  da  questa.  Beatrice  non  ne  fa  che  mandatario.  Quindi 
di  «opra  indica  in  cielo.  Questa  donna  la  si  è  presa  per  Beatrice 
perchè  Beatrice  si  farà  vedere  sulla  cima  di  questo  monte. 

**  II  mortai.  Il  corpo. 

4*  Ma  se  ecc.  Ma  per  quanto  io  desidero  che  la  vostra  maggior 
voglia  ecc.  Il  se  non  è  qui  condizionale,  ma  vale  per  cosi,  oppure  : 
per  quanto  io  desidero  che.  Modo  toscano  assai  prediletto  a  Dante.  — 
Maggior  voglia.  È  la  voglia  del  cielo. 

**  II  ciel  v'alberghi  ecc.  Il  cielo  empireo,  sede  di  Dio  e  dei 
beati,  superiore  al  primo  mobile  e  quindi  più  ampio  di  tutti  i  cieli 
inferiori. 

**  Carte  ne  verghi.  Scriva  i  vostri  nomi,  scrìva  di  voi. 

**  Sì  ne  va.  Per  tal  modo  ne  va.  Accenna  alle'aceoglienze  fatte, 
ed  alle  grida  degli  esempi  come  dicesse:  che  dopo  d'aver  fatto  quegli 
atti  con  voi,  ne  va  dietro  voi  gridando. 

*7  Stupido  si  turba  —  Lo  montanaro  ecc.  È  proverbialo  lo  stu- 
pore che  s'appiglia  al  montanaro  quando#la  prima  volta  dalle  sue 
selve  viene  a  citta.  Egli  guarda  le  cose  come  estatico,  cogli  occhi 
sbarrati,  colla  bocca  aperta  e  senza  fiato  di  proferir  parola  :  tanto 
T  incantano  le  cose  nuove.  Che  bel  quadro  fiammingo  non  verrebbe 
da  questa  terzina! 

**  Parufa.  Sembianza. 

*9  Lo  qual  negli  alti  ecc.  Le  persone  bene  educate  e  civili  de- 
pongono tosto  lo  stupore  concetto,  e  non  lo  serbano   tenacemente 


,»    '-V 


570  PURGATORIO 

Beato  te  che  delle  nostre  marche,  *° 
Ricominciò  colei,  che  pria  ne  chiese, 
Per  viver  meglio  esperienza  .imbarche!  M 

La  gente  che  non  vien  con  noi,  offese/" 
Di  ciò,  per  che  già  Cesar  trionfando, 
Regina  contra  sa  chiamar  s'intese: 

Però  si  parton  Soddoma  gridando, 
*>•        Rimproverando  a  sé,  com'  hai  udito, 
E  aiutanti  arsura  vergognando.  8I      ' 

Nostro  peccato  fu  ermafrodito  ; ** '  ^ ■   ;  . 
Ma  perchè  non  servammo'  lituana  leggesi  ' 
Seguendo  come  bestie  l'appetito, 

come  il  montanaro  rozzo  e  salvatico.  La  differenza  tra  quello  e  que- 
sto procede  appunto  dall'educazione  che  sa  moderare  i  propri  affetti, 

tf&  Marche.  Contrade  e  paesi.  —  lmbarehe  (prendi)  etperien** 
(conoscenza)  delle  nostre  marche. 

Vi  Per  viver  meglio.  Non  già  civilmente  o  politicamente,  che  que- 
sto non  era  il  luogo  da  ciò,  né  queste  erano  le  persone  cui  ne 
calesse,  né  per  questo  l'avrebbero  detto  beato,  ma  moralmente  e 
religiosamente.  Si  conferma  il  concetto  e  il  fine  cattolico  del  viaggio 
di  Dante.  Tornino  ad  osservarlo  bene  gli  studiosi  per  legger  Dante 
col  fine  inteso  ed  espresso  da  Dante.  (Vedi  la  mia  Tav.  I  dell'/n/., 
e  il  Discorso  relativo. 

**  Offese  di  eia  ecc.  Peccò  di  quel  peccato  per  il  quale,  quando 
Cesare  trionfò  delle  Gallio,  i  suoi  licenziosi  soldati  gli  davano  il 
titolo  di  Regina,  perchè  quando  da  giovane  fu  alla  corte  di  Nico* 
mede  si  diceva  che  quel  Ile  abusasse  di  lui.  Perciò  i  soldati  can- 
tavano: Gallio»  Caesar  8ubegit>  Nicomedes  Cacearem.  Dunque  la 
gente  partita  avea  peccato  di  Soddomia. 

**  E  aiutan  V anitra  ecc.  Col  loro  rossore  accrescono  il  rosso 
delle  fiamme.  Espressione  enfatica. 

M  Ermafrodito.  Il  nostro  peccato  fu  tra  i  due  sessi,  a  differenza 
di  quello  dell'altra  schiera,  pel  quale  essa  gridava  Soddoma. 

M  Ma  perchè  ecc.  Rende  ragione  del  gridar  ch'essi  fanno  l'esem- 
pio di  Paiife,  e  dice  che  questo  gridano  non  perchè  abbiano  essi 
abusato  delle  bestie,  come  quella  moglie  di  Minos,  ma  perchè  hanno 
imitato  le  bestie. 


CANTO  XXVI.  571 

In  obbrobrio  di  noi  per  noi  si  legge  * 

Quando  partiamci  il  nome  di  colei  n -■■-/,  ,/— ^   K 

Che  s'imbestiò  nell'imb  estiate  schegge.  ** 
Or  sai  nostri  atti,  e  di   che  fummo  rei: 


Se  forse  a  nome  vuoi   saper  chi  senio,  , 
*°-        Tempo  non  è  da  dire,  e  non  saprei!  w 


OA-VM 


M  Per  noi  si  legge.  Da  noi  si  grida. 

'7  Qua/ido  partiamci.  Quando  ci  separiamo. 

88  Che  sHmbestiò.  Che  si  fece  bestia  mettendosi  entro  al  legno 
fatto  bestia,  o  lavorato  a  figura  di  bestia. 

•9  Tempo  non  è  da  dire.  Perchè  è  sera,  dicono  alcuni.  Ma  ciò 
non  può  essere,  prima  perchè  non  era  sera,  poi  perchè  i  nomi  1* 
avrebbe  potato  dire  sia  di  sera  che  di   notte.    Quello  che  non  si 
poteva  [fere  dopo  il  sol  partito  era  il   salire,  ma  parlare  si  poteva 
a  qualunque  ora,  ed  a  qualunque  ora  si  poteva  girare  intorno  se- 
condo il  noto  supposto  di  Dante  che  abbiam  più  volte  toccato.  La 
vera  ragione,  che  non  c'era  tempo  da  spendere  in  dire  i  nomi  di  tutti 
si  era  quella  medesima  che  giù  nell'Inferno  allegò  a  Dante  Brunetto 
Latini,  reo  di  questi  medesimi  peccati,  e  non  pentito  prima  di  mo- 
rire, e  condannato  eternamente  a  fiamme  di  foco,  a  simiglianza  di 
questi.  Brunetto  dunque  diceva  allora  a  Dante  cosi:  Di  più  direi; 
ma  il  venire  e  il  sermone  —  Più  lungo  esser  non  può,  però  ch'io 
veggio  —   IA   surger  nuovo  fumo    dal   sabbione.  —  Gente  vien 
con   la  quale  esser  non  deggio.  (Canto  XV,  v.  1  \b).  Ebbene,  anche 
qui  al  Purgatorio  i  peccatori,   secondo  il  loro   peccato,   andavano 
separati  in  turbe  diverse,   alcune  delle  quali  si  venivano  incontro 
per   indicare  il  loro  peccato  al   tutto  opposto  a  quello  di  altri,  e 
alcune  andavano  le  une  dietro  le  altre,  per  non  avere  peccati  op* 
posti  ma  solo  differenti.  E  siccome  questa  VII   cornice  aveva  un 
giro  assai  piccolo,  essendo  di  soli  5/16  di  miglio,  ossia  passi  1876, 
come   abbiam   detto  poco  fa,  e  come  potete  vedere  nella  mia  Ta- 
vola VI,  perciò  la  turba  che  seguiva  questa  colla  quale  non  si  dovea 
essere,  era  certo  poco  lontana,  anzi  vicina,  e  questa  è  Tunica  ra- 
gione per  cui  l'ombra  presente  non  avea  tempo  di  dire.  —  E  non  sa- 
prei. Certo  perchè  non  le  conosceva. 

Questo  tocco  ci  sta  molto  bene.  Esso  vorrebbe  indicare  che  or* 
dinariamente  cadono  in  questo  vizio,  che  avea  quella  turba,  persone 
basse  e  vulgati,  che  non  fecero  parlare  di  sé  la  fama,  tranne  qualche 
piccola  eccezione,  che  or  dirà.  La  lussuria,  e  più  certe  lussurie,  sono 


679  PURGATORIO     y 


A  1 17  '  '   '■    *  "  '    v% 


F arotti  ben  di  me  volere  scemo  ;  M 

Son  Guido  Guinipelli,  e  già  mi  purgo, èl 
Per  ben  dolermi  prima  ch'alio  stremo.  M 

Quali  nella  tristizia  di  Licurgo  w    •    ■«'**  *"■*«■•  [ 
Si  fer  duo  figli  ari  veder  la  madre,     vvr    J",; 

infatti  si  malefiche,  che  togliendo  all'uomo  le  forie  fisiche,  gli    tol- 
gono eziandio  perfino  le  forte  intellettuali,  e  lo  abbrutiscono. 

•o  Farotti  ecc.  Ti  dirò  chi  son  io,  e  cosi  il  desiderio  che  hai  di 
saper  chi  noi  siamo  te  lo  avrò  fatto  scemo  di  uno. 

fi*  Son  Guido  Guinicelli.  Buon  poeta  Bolognese,  caposcuola  di 
buon  gusto,  uno  dei  più  corretti  padri  di  nostra  lingua,  lodato  molto 
da  Dante  nel  volgare  Eloquio,  e  nel  Convito;  morì,  secondo  il  fo- 
raboschi, IV.  408,  nell'anno  1276,  quando  Dante  era  in  sugli  un- 
dici anni,  e  quindi  era  al  Purgatorio  da  24  a  ani.  La  poesia  italiana, 
e  in  generale  le  lettere  italiane,  ebbero  per  sede  vari  punti  più 
prediletti  :  prima  la  Sicilia,  poi  la  Puglia,  Bologna  e  alcuni  altri 
luoghi  di  Romagna,  ultima  la  Toscana,  che  poi  superò  tutti.  I  più 
antichi  poeti  italiani  furono  Federigo  II;  Pier  dalle  Vigne,  poi 
Cirillo  d'Alcamo,  Pier  d'Aitino  ed  altri  parecchi  tutti  siciliani.  Ma 
anche  nel  resto  d'Italia,  non  l'alta,  erano  poeti:  S.  Francesco  d'As- 
sisi, autore  del  rosso  ma  bello  inno  al  sole:  fra  Pacifico  seguace  di 
lui  in  religione  e  poesia, ,  Qui  ttone  il  Notaio,  e  Jacopo  da  Lentmo, 
ed  alcuni  altri  ;  superati  tutti  poi  da  Guido  G ubiceli i  di  quella  Bo- 
logna dov'era  antico  già  uno  studio  di  tutte  lettere. 

6*  Per  ben  dolermi  prima  ecc.  Non  fu  dunque  tra  quelli  ohe 
hanno  differita  la  loro  conversione  alla  morte,  e  quindi  non  fu  trat- 
tenuto con  loro  nell'antipurgatorio.  Il  modo  ond'ò  espresso  questo 
concetto,  farebbe  pensare  che  appunto  per  non  aver  differita  la  sua 
conversione  potè  effettuarla,  quasi  voglia  dire  che  chi  è  impeciato 
di  questo  vizio,  se  crede  di  potersi  convertire  in  morte,  non  l'ot- 
tiene. Io  ritengo  che  Guido  voglia  dire  così,  e  cosi  è  infatti J[dei 
lussuriosi  ;  la  lussuria  è  un  vizio  che  difficilmente  si  lascia  davvero 
ih  punto  di  morte  ;  o  prima  o  mai . 

68  Quali  nella  tristizia  di  ecc.  Il  fatto  mitologico  è  questo:  Gia- 
sone ed  l8sifile  ebbero  due  figliuoli,  Toante  ed  Eumenio.  Issifile 
intanto  fu  rapita  dai  corsari,  e  i  figli  l'andarono  cercando.  Dai 
corsari  la  comperò  Licurgo  re  di  Nemea  in  Tracia,  e  la  fé  sua 
schiava,  datole  a  nutrire  il  suo  figlio  Ofelle  od  Archemoro.  Assente 
la  nutrice,  il  detto  figlio  fu  morso  da  una  serpe,  e  mori.  Infuriato 


CANTO  XXVI.  573 

Tal  mi  fec'io,  ma  non  a  tanto  insurgò,  u 
Quand'io  udì'  nomar  sé  stesso  il  padre  w  '     '  '' 
Mio,  e  degli  altri  miei  miglior,  che  mai  " 
Rime  d'amore   usar  dolci  e  leggiadre. 
100.  E  senza  udire  e  dir  pensoso  andai  w 

Licurgo,  s'avventa  per  uccidere  Issifile,  ma  in  quella  eccoti  i  figli 
di  lei,  Toante  ed  Eumenio,  che  riconoscendola,  la  salvano  dall'ira 
di  Licurgo.  Il  Tommaseo  non  trova  la  similitudine  troppo  acconcia, 
ma,  tutto  ben  calcolato,  ella  è  convenientissima. 

6*  Ma  non  a  tanto  insurgo.  I  figli  di  Issifile,  appena  l'ebbero 
riconosciuta,  le  ri  precipitarono  tra  le  braccia,  cosa  che  non  fece 
Dante  per  tema  delle  fiamme,  ma  cosa  che  avrebbe  fatto  senza 
quella  tema.  Perciò  dice  :  non  a  tanto  insurgo,  cioè  non  mi  slanciai 
a  Goinicelli  come  quei  figli  alla  lor  madre.  Ricordiamoci  il  caso 
simile  di  Dante  con  Brunetto ,  pur  suo  maestro,  nel  Canto  XV, 
v.  43,  e  l'altro  più  simile  ancora  nel  Canto  XVI,  pure  dell' /n/emo, 
v.  46,  successo  a  Dante  nello  stesso  cerchio  di  Brunetto,  dov'egli 
dice:  S'io  fossi  stato  dal  fuoco  coperto  —  Gittato  mi  sarei  tra  lor 
di  sotto,  —  E  credo  che  H  dottor  V avvia  sofferto.  —  Ma  perch'io 
mi  sarei  bruciato  e  cotto  —  Vinse  paura  la  mia  buona  voglia  — 
Che  di  loro  abbracciar  mi  facea  ghiotto, 

**  Il  padre  —  Mio  ecc.  Nelli)  stile  e  nella  poesia.  Ecco  perchè 
ha  portato  la  similitudine  del  v.  94 

M  E  degli  altri  miei.  E  degli  altri  miei  italiani.  —  Miglior.  Che 
meglio  riuscirono,  che  ebbero  maggior  vanto.  Già  dicemmo  che 
Goinicelli  a  Bologna  fu  caposcuola,  onde  era  una  gloria  il  poter 
dire  :  io  sono  della  scuola  di  Guinicelli.  Insomma  fino  alla  comparsa 
delle  poesie  di  Dante  nella  sua  Vita  Nuova,  quelle  di  Guinicelli 
avevano  il   primato. 

67  Senta  udire.  Perchè  Guinicelli  taceva,  osservando  invece  l'ef- 
fetto che  produceva  in  Dante  la  sua  manifestazione.  —  E  dir.  Ta- 
ceva anche  Dante  tutto  intenerito  pel  suo  Guinicelli.  Ricordatevi  del 
v.  60,  Canto  XXIII  :  Che  mal  può  dir  chi  è  pien  d'altra  voglia. 
—  Pensoso  andai.  Dante  si  moveva,  sebben  con  passi  assai  tardi 
pel  pericolo  quinci  del  fuoco,  quindi  della  caduta,  onde  la  strada 
che  prendeva  era  assai  poca  ;  ma  andava  pensoso,  pensando  cioè  a 
quel  grand'uomo  ch'egli  stesso  avea  lodato  in  più  luoghi  delle  sue 
opere,  avendolo  chiamato  nel  IV  del  Convito  :  Quel  nobile  Guido 
Guinicelli,  e  nel  Folgar  Eloquio  :  Maximus  ille  Guido  ;  e  pen- 
sando al  suo  peccato,  ed  all'acerba  sua  pena. 


/  ' 


574  PURGATORIO 

Lunga  fiata  rimirando  lui,  u 

Né  per  lo  fuoco  in  là  più  m'appressai.  * 

Poiché  di  riguardar  pasciuto  fui,  70 
Tutto  m'offersi  pronto  ai  suo  servigio,  7I 
Con  l'affermar  che  fa  credere  altrui.  7* 

Ed  egli  a  me  :  Tu  lasci  tal  vestigio, 
Per  quel  ch'i'  odo,  in  me,  e  tanto  chiaro, 
Che  Lete  noi  può  torre,  né  far  bigio.  n 

Ma,  se  le  tue  parole  or  ver  giuraro,  74 


M  Lunga  fiata.  Lungo  tempo.  La  vista  inaspettata  d'una  persona 
amatissima,  congiunta  al  dolore  di  vederla  in  pena,  soffoca  per  lungo 
tratto  le  parole  in  gola.  Rammentatevi  del  lungo  silenzio  degli  amici 
di  Giob.  Con  ciò  si  rende  pure  ragione  del  lungo  tempo  che  pasta 
in  si  breve  tratto  di  cammino  quanto  sappiamo  che  n'ha  questa  VII 
cornicd,  come  potete  vedere  nella  mia  Tav.  VI.  —  Rimirando  lui. 
Si  dice  rimirando,  o  tornando  a  mirare,  perchè  Dante  ora  per  ne- 
cessità mirava  a'  suoi  pàssi;  ed  ora  mirava  a  Guinicelli. 

••  Jfè  per  lo  fuoco  ecc.  Rivedi  la  mia  nota  64  di  questo  Canto. 
Con  ciò  esprime  quello  che  Dante  avrebbe  fatto  sensa  la  paura 
del  fuoco,  e  con  ciò  si  accenna  al  suo  grande  amore  per  GuinictUi. 

70  Riguardar.  Nota  quel?  che  fu  notato  ai  rimirando  nella  n.  68. 
Danto  è  di  una  esattezza  la  più  sottile.  —  Pasciuto  fui.  Anche  questo 
indica  affetto  immenso  a  Guinicelli.  Chi  ama  non  si  stanca  mai  di 
guardare  la  persona  amata,  e  si  può  dir  che  si  pasce  di  sguardi. 

il  Al  tuo  servigio.  Al  servigio  di  calde  preghiere  per  lui. 

7*  Con  l'affermar  che  ecc.  Col  giuramento.  Con  questo  e  con 
tutti  gli  altri  atti  di  amor  fatti  prima,  Dante  gittò  in  Guinicelli  il 
sospetto,  ch'egli  avea  delle  ragioni  particolarissime  per  essergli  tanto 
affezionato,  e  cosi  sorge  in  Guinicelli  il  desiderio  ben  naturale  di 
sapere  onde  provenga  in  Dante  si  grande  affetto  per  lui,  come  ve- 
drassì.  Così  le  scene  si  preparano,  e  l'una  all'altra  s'intreccia. 

?*  Lete.  Fiume  che  troveremo  sulla  cima  del  Purgatorio.  Qui  è 
preso  nel  senso  poetico  dei  classici,  che  appoggiati  alla  mitologia, 
ritenevano  che  l'acqua  di  Lete  avesse  la  proprietà  di  far  dimenti- 
care i  fatti  passati.  —  Tè  far  bigio.  Nò  tare  oscuro.  Duuque  nò  torlo 
né  oscurarlo. 

7 *  Ma  se  le  (uè  parole  ecc.  (Vedi  la  nota  72). 


CANTO  XXVI.  576 

no.       Dimmi  che  è  ca gioii  perchè  dimostri 
Nel  dire  e  nel  guardar  d'avermi  caro? 

Ed  io  a  lui:  Li  dolci  detti  vostri,  n 
Che  quanto  durerà  l'uso  moderno,  76 
Faranno  cari  ancora  i  loro  inchiostri. 

O  frate,  disse,  questi  ch'io  ti  scerno 
Col  dito  (e  additò  un  spirto  innanzi) 

tt  Li  dolci  detti  «ostri.  Le  rime  d'amor  dolci  e  leggiadre  dette 
di  sopra  e  scrìtte  in  Tolgare  italiano. 

7*  L'uso  moderno.  L'oso  della  lingua  italiana.  A  quest'ora  esso 
conta  intorno  a  settecent' anni.  Allora  dunque  l'uso  del  volgare  ita- 
liano si  poteva  dire  moderno,  perchè  di  poco  introdotto.  Bisogna 
però  in  ciò  distinguere  l'uso  del  parlare  in  volgare  e  l'uso  di  scri- 
vere :  quello  avvenne  prima,  questo  dopo,  e  a  questo  accenna  qui 
Dante.  L'uso  di  scrivere  ha  un'epoca  pia  o  meno  determinata:  in- 
vece indeterminata  è  quella  del  parlare:  solo  si  può  dire  che  essa 
monta  innanzi  al  mille,  ma  di  quanto  non  si  potrebbe  definire: 
e  ciò  è  naturale  perchè  formandosi  il  volgare  dal  latino,  mano  mano 
che  questo  si  venia  corrompendo  e  obliterando  dal  popolo,  sbuc- 
ciava l'altro  :  e  questo  lavoro  dovette  etser  lungo.  Esso  poi  fu  più 
lungo  in  una  parte  che  in  un'altra  d'Italia  per  molte  e  varie  ra- 
gioni, ma  principalmente  per  tre  :  1 .»  per  l'indole  varia  dei  popoli  ; 
2.*  per  la  varietà  delle  invasioni  e  dominazioni  straniere  ;  3.t  pel  clima. 
Queste  tre  ragioni,  riuscendo  più  favorevoli  al  mezzodì  che  al  set- 
tentrione d'Italia,  ne  anticipa ron  colà  la  nascita  sopra  tutte  le  altre 
parti  :  onde  Sicilia  e  Puglia  furono  le  prime  a  parlare  italiano  : 
ed  ultima  la  Lombardia  e  l'alta  Italia  intorno  al  Po.  La  dolcezza 
che  si  trova  avere  questo  volgare  più  in  una  parte  che  in  un'altra 
d'Italia  vuoisi  attribuire  alla  primitiva  origine  di  ciascun  popolo 
venuto  in  antico  ad  abitare  l'Italia,  ed  al  grado  di  coltura  che  vi 
portò  o  che  vi  accrebbe.  La  dolcezza  greca  portata  nella  bassa  Ita- 
lia, o  Magna  Grecia,  e  nella  Sicilia  fu  la  causa  precipua  che  colà 
uscisse  la  dolcezza  italiana.  La  dolcezza  etnisca  fu  pur  causa  in 
Toscana  della  dolcezza  italiana.  Nell'alta  Italia  osservate  una  mezza 
dolcezza  nel  Veneto  ed  una  crudezza  nella  Lombardia,  e  nell'altro 
paese  verso  le  Gallie.  Attribuitelo  precipuamente  alla  varia  deriva- 
sione  dei  loro  popoli  in  antico,  i  Veneti  dall'Asia  molle,  il  resto 
dall' Alemagna. 


576  PUKGATORIO 

Fu  miglior  fabbro  del  parlar  materno.  77 
Versi  d'amore  e  prose  di  romanzi 78 

Soverchiò  tutti,  e  lascia  dir  gli  stolti, 
120-       Che  quel  di  Lemosì  credon  ch'avanzi.  n 
A  voce  più  eh'  al  ver  drizzan  li  volti,  w 

E  cosi  ferman  sua  opinione 

Prima  ch'arte  o  ragion  per  lor  s'ascolti.  8i 
Così  fer  molti  antichi  di  Guittone,  w 

77  Parlar  materno.  Lingua  volgare,  ben  inteso  però  che  parlan- 
dosi qui  di  un  provenzale,  per  lingua  materna  e  volgare  s'intende 
la  provenzale.  Questi  due  volgari  italiano  e  provenzale  aveano  tra 
loro  tanta  affinità,  che  anche  gli  scrittori  italiani  componevano  in 
provenzale.  Lo  stesso  Dante  compose  in  provenzale  qualche  cosa 
sua.  Lo  stesso  maestro  di  Dante,  Brunetto  Latini,  secretano  del 
Comune  di  Firenze,  scrisse  in  provenzale  il  suo  Tesoro.  Si  sarebbe 
detto  che  l'Italia  e  la  Provenza  ambissero  di  far  di  due  lingue  una 
sola  lingua.  La  Provenza  ebbe  il  merito  di  far  progredire  la  poesia 
più  sollecitamente  che  l'Italia  in  grazia  delle  splendide  corti  di  To- 
losa e  Provenza,  a  cui  s'accogUeano  i  poeti  da  tutte  partile  dove 
trovavano  accoglienze  amiche  e  liberali.  Ma  l'Italia  una  volta  che 
con  Dante  le  furò  la  mano,  non  se  la  lasciò  più  torre.  L'additato 
è  Arnaldo,  o  Arnault  Daniello,  di  cui  Dante  fa  cenno  nel  Volgare 
Eloquio.  Vivea  prima  di  Guinicelli.  Di  Arnaldo  diremo  qualche  cosa 
più  sotto. 

78  Versi  d'amore  ecc.  Soverchiò  tutti  versi  d'amore  ecc. 

79  Quel  di  Lemosì.  Gerault  de  Berneil  di  Limoges.  Dante  parla 
anche  di  questo  nel  Volgare  Eloquio. 

80  A  voce  ecc.  Questi  stolti  nel  giudicar  degli  autori,  dicono  quel 
che  sentono  dire,  e  non  guardano  al  vero  merito  che  si  desume 
dallo  studio  di  essi  autori.  Quanti  lodano  Dante  perchè  sentono  che 
tutti  lo  lodano,  e  forse  essi  non  avranno  mai  letto  che  la  fran- 
e-esca e  V Ugolino] 

8t  Ch'arte  o  ragion.  Il  Tommaseo  reca  assai  bene  queste  due 
parole  nelle  due  altre:  pratica  e  teoria. 

M  Così  fer  molti  antichi  ecc.  Di  questo  Guittone  avea  Dante 
fatto  parlar  prima  B nonaggiunta  da  Lucca  nel  Canto  XXIV  del 
Purgatorio,  quando  Buonaggiunta,  lodator  esso  pure  di  Guittone, 
ma  ormai  ricreduto  dietro  le  osservazioni  fattegli    da  Dante,  disse 


CANTO  XXVI.  577 

Di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio,  M 
Fin.  che  l'ha  vinto  il  ver  con  più  persone.  u 
Or  se  tu  hai  sì  ampio  privilegio, 

Che  licito  ti  sia  1'  andare  al  chiostro,  " 

di  lui:  0  frate,  issa  vegg'io,  diesagli,  il  nodo,  —  Che  il  Notaio 
e  Guitton* ,  e  me  ritenne  —  Di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  ch'i*  odo; 
Guitlone  d'Arezzo,  dice  il  Balbo,  è  tenuto  per  primo,  e  fu  certo 
de'  primi  poeti  toscani  posteriori  a'  primi  Siciliani.  Balbo  però  non 
par  che  dia  nel  segno  quando  di  Guittone  aggiunge:  Contempora- 
neo di  Guido  Guinicelli  Bolognese,  mori  poco  prima  o  poco  dopo 
la  nascita  di  Dante.  Perchè  Guinicelli,  che  è  quegli  che  qui  parla, 
lo  fa  antico  riguardo  di  sé,  il  che  non  direbbe  se  Guittone  fosse 
stato  suo  contemporaneo.  Di  Guittone,  come  di  altri  molti,  tocca 
il  Petrarca  nel  Tìionfo  d'amore  dicendo: 

Ecco  Dante  e  Beatrice,  ecco  Selvaggia, 
Ecco  Cin  da  Pistoia,  Guitton  d'Arezzo, 
Che  di  non  esser  primo  par  ch'ira  aggia. 

Ed  in  quel  sonetto  : 

Sennuccio  mio,  benché  doglioso  e  solo, 

dice: 

Ma  ben  ti  prego  che  in  la  terza  spera 
Guitton  saluti  e  me&ser  Cino  e  Dante. 

&s  Di  grido  in  grido.  Correndosi  dietro  la  gente,  dice  il  Cesari, 
come  i  paperi,  a  dargli  nome  di  primo  poeta.  —  Pur  lui.  Solo  a  lui. 

84  Fin  che  V  ha  vinto  ecc.  Cioè  la  verità  fu  conosciuta  e  confes- 
sata da'  più,  spiega  il  Cesari,  ma  è  poco:  bisognava  aggiungere  che 
questi  più  l'hanno  provata  col  fatto  delle  loro  opere,  come  p.  e. 
Guinicelli,  ed  altri. 

M  Al  chiostro.  Al  Paradiso  empireo.  Come  lo  seppe  Guinicelli? 
Lo  dedusse  dal  fine  del  viaggio  accordato  a  Dante  e  dal  cenno, 
che  gliene  fece  Dante  medesimo  in  quelle  parole  :  Donna  è  di  sopra 
che  n'acquista  grazia,  intendendo  di  Maria  SS.  beata  in  cielo.  Qual- 
che profanissimo  commentatore  (e  di  questi  ce  n'ha  a  iosa)  nell'udire 
chiostro  per  Paradiso,  fa  il  niffolo,  quasi  gli  putisca  il  naso  di  sito 
fratesco.  Questa  è  conseguenza  del  senso  cattolico  ornai  guasto. 
Dante  non  pensava  dei  chiostri  come  i  libertini  moderni  :  egli  li 
considerava  una  immagine  del  cielo.  I  cristiani,  o  non  hanno  poesia, 
o  l'hanno  Cristian.;. 

57 


578  PURGATORIO 

Nel  quale  è  Cristo  abate  del  coll'egio,  M 
180.    Fagli  per  me  un  dir  di  paternostro,  87 

Quanto  bisogna  a  noi  di  questo  mondo, 
Ove  poter  peccar  non  è  più  nostro. 
Poi  forse  per  dar  luogo  altrui  secondo,  M 
Che  presso  avea,  disparve  per  lo  fuoco, 
Come  per  l'acqua  il  pesce  andando  al  fondo.89 

W  Abatt.  Parola  d'origine  ebraica,  che  significa  padre.  Essendosi 
chiamato  chiostro  il  Paradiso,  bisognava  chiamar  Cristo,  abate. 

•7  Fagli  per  me  ecc  Guinicelli  si  vale  dell'  offerta,  che  gli  avea 
fatto  Dante  quando  disse  : 

Tutto  m'offersi  pronto  al  suo  servigio 
Con  l'affermar  che  fa  credere  altrui. 

Guinicelli  dunque  lo  prega,  che  pervenuto  in  cielo  si  ricordi  di  lui , 
chiedendo  a  Cristo  in  suo  favore,  quanto  delle  sette  petizioni  del 
Pater  notter  può  dirsi  per  le  anime  che  sono  dell'altro  mondo.  Dun- 
que 8*  intendono  le  sole  prime  cinque  petizioni,  le  quali  possono 
farsi  anche  per  le  anime  purganti  ;  escluse  le  duo  ultime  che  non 
ponno  farsi,  che  per  quelli  che  vivono  ancora,  quali  sarebbero  :  et 
ne  no*  induca»  in  tentalionem}  e  l'altra:  sed  libera  non  a  malo; 
le  quali  suppongono  che  l'anima  per  cui  si  recitano  possa  peccare, 
il  che  non  è  delle  anime  purganti,  che  sono  già  confermate  in  gra- 
zia. Ricordatevi  qui  del  Pa'er  noster  che  recitavano  i  superbi  della 
prima  cornice  nel  principio»tlel  Canto  XI,  dove  delle  due  ultime 
petizioni  congiunte  in  una  dicevano  quelle  anime  : 

Quest'ultima  preghiera,  Signor  caro, 
Già  non  si  fa  per  noi,  che  non  bisogna, 
Ma  per  co!or  che  dietro  a  noi  restaro. 

w  Poi  forse  per  dar  luogo  ecc.  Non  fa  partir  Guinicelli  se  non 
unisce  alla  sua  partenza  un  fine  gentile.  Cosi  fin  la  partenza  di 
Guinicelli  diviene  un  atto  di  cortesia  verso  Dante,  e  verso  di  un 
suo  compagno.  Questo  ò  veramente  cavar  luce  dalle  tenebre,  cioè 
faro  che  gli  atti  per  so  sterili  producano  anch'essi    le  lor  bellezze. 

89  Come  per  l'acqua  ecc.  Non  c'era  similitudine  in  natura  più 
propria  di  questi,  eebbene  sia  cavata  dal  suo  contrario.  Anzi  il  con- 
trario stesso,  quile  si  è  l'acqua  al  fuoco,  mi  fa  sentir  più  le  pro- 
prietà di  quel  fuoco,  perchè  mi  dice  che  come  il  ;waoe  è  nell'acqua , 


CANTO  XXVI.  679 

lo  mi  feci  al  mostrato  innanzi  un  poco, 
E  dissi  ch'ai  suo  nome  il  mio  desire  * 
Apparecchiava  grazioso  loco. 

Ei  cominciò  liberamente  a  dire  :  9! 
140.        Tan  m'abelhis  vostre  cortes  deman,  M 

Qiiieu  no  m puesc  ni  m  voti  a vos  cobrire. 

leu  sui  Arnautz  que  plor  e  vai  chantan  : 
Consiros  vei  la  passada  folor, 
E  vei  jauzen  lo  joi  qu'esper  denan. 

Ara  us  prcc  per  aquella  valorì 


così  quelle  animo  sono  nel  foco;  e  come  sparito  il  pesce,  P imsgina» 
tiya  continua  a  supporlo  nell'acqua,  e  non  può  supporlo  altrimenti 
ovunque  egli  vada,  sebben  non  lo  vegga  ;  coel  qui  una  tal  simili* 
tudine  nell'atto  che  ci  fa  perder  l'anima  di  vista,  ce  la  fa  supporre 
sempre  annegata  nel  suo  fuoco. 

w  E  di 8 si  ch'ai  suo  nome  ecc.  Dissi  che  io  desiderava  che  per 
sua  gentile sza  mi  dichiarasse  il  suo  nome.  Non  fu  mai  detta  cosa 
con  tinta  grazia  come  questa.  Essa  ne  ha  tanta  che  sembra  per- 
fino troppo  artificiosa  e  cortigiana.  Io  credo  però  che  Dante  abbia 
esposto  questo  pensiero  con  tanta  raffinatezza,  e,  lasciatemi  dire,  per 
poco  affettazione,  a  bello  studio.  Imperciocché  egli  sapeva  da  quel 
che  gliene  disse  prima  il  Guinicelli,  che  il  mostrato  doveva  essere 
un  Provenzale.  Ebbene,  i  Provenzali  si  piccavano  di  questi  modi, 
presso  poco  come  fanno  i  francesi  moderni,  i  quali  tutto  vogliono 
detto  con  ispiri  to,  e  con  tal  gentilezza,  che  per  altre  nazioni  sa- 
prebbe di  ammanierato,  e  per  loro  non  è.  Questa,  cred'  io,  è  la  ra- 
gione, ch'ebbe  qui  Dante.  Egli  adattò  il  suo  parlare  all'indole  del 
soggetto,  al  quale  lo  dirigeva. 

91  Liberamente*  Cortesemente. 

M  Tan  ecc.  Accetto  volentieri  la  nota  del  Bianchi,  che  è  la  pi  A 
giusta  ch'io  conosca.  Eccola:  *  Lasciata  a  parte  ogni  altra  lezione, 
io  do  questi  versi  provenzali  secondo  la  correzione  del  signor  Ray  - 
nouard,  e  vi  appongo  la  interpretazione  che  n'  ha  data  il  professor 
Vannucci  nella  sua  Analisi  dei  verbi  italiani  a  pag.  20.  —  --Tanto 
m'abbellisce  (m' aggrada)  il  vostro  cortese  dimando,  che  io  non  mi 
posso,  nò  mi  voglio  a  voi  coprire  (uascoudere).  To  seno  Arnaldo,  che 
ploro  e  vo  cantando  :  consiroso  (pensieroso,  afflitto)  veggio  il  passato 


680  PURGATORIO 

Que  usguia  al  som  sensfreich  e  sens  colina^ 
Sovenha  us  atemprar  ma  dolor. 
Poi  s'ascose  nel  fuoco,  che  gli  affina. 

follore  (follia);  e  veggio  gaudente  la  gioia  che  spero  dinanti  (tosto, 
presto).  Ora  vi  prego  per  quel  valore  (virtù)  che  vi  guida  al  sommo 
(alla  sommità,  alla  cima;  senza  freddo  e  senza  caldo,  sov?egnavi  di 
attemperare  il  mio  dolore.  *n 


•m 


CANTO  XXVII 


Argomento. 

Determinata  l'ora  siti  presso  del  tramonto  del  sole,  i  poeti  si 
trovano  alla  presenza  dell* angelo,  che  gli  invita  a  passare  per 
attraverso  il  fuoco.  Di  qui  i  brividi  di  Dante  che  si  descrivono  : 
di  qui  le  esortazioni  di  Virgilio  per  persuader  Dante  al  gran 
passaggio.  Virgilio  poi,  vedendo  riuscire  a  nulla  le  sue  esorta- 
zioni, lo  vince  finalmente  coli'  argomento  di  Beatrice,  che  vedrà 
dopo  passato  il  fuoco.  Passano  adunque  per  le  fiamme,  Virgilio 
innanzi,  Stazio  indietro,  e  Dante  nel  mezzo  di  loro.  Si  descrive 
il  brucior  delle  fiamme;  ma  Dante  è  animalo  per  esse  e  da  Vir- 
gilio che  gli  continua  parlar  di  Beatrice,  e  da  un'angelica  voce 
che  si  facea  sentire  al  di  là  delle  fiamme.  Escono  finalmente  dal 
fuoco  all'imboccatura  della  scala,  ed  eccoti  un  Angelo  che  fa  loro 
V  invito  degli  eletti,  e  gli  eccita  a  salir  frettolosamente  per  la 
scala,  di  cui  si  descrive  la  postura.  Salgono  pochi  gradi,  ed  eccoti 
tramontare  il  sole  dietro  la  schiena  dei  poeti.  Essi  allora  si  co- 
ricano sulla  sca1<i  a  passarvi  la  notte.  Si  descrive  questa  loro 
fermata.  Intanto  Panie  si  addormenta.  Prima  dell'alba  egli  ha 
un  sogno  significativo  di  quello  che  poco  dopo  gli  succederà.  In- 
tanto spunta  l'alba  e  cessa  il  sonno.  Allora  Dante  si  leva,  vedendo 
i  maestri  levati.  Virgilio  accerta  Dante  che  in  quel  giorno  stesso 
egli  sarà  compiutamente  felice.  Questa  nuova  lo  accende  di  straor- 
dinario ardore  a  salire  il  resto  della  scala.  La  salgono  e  la  fini- 
scono. Allora  Vigilio  voltosi  a  Dante  lo  avvisa  di  aver  compilo 
il  suo  incarico  traendolo  sino  a  quel  punto  dove  la  sua  assistenti 
non  gli  era  più  necessaria,  ne  egli  gliela  poteva  piò,  continuare: 
perciò  lo  avverte  a  far  d'ora  innanzi  da  sé  stesso.  Gli  addila  il 
sol  nascente,  gli  addita  il  luogo  ameno,  dove  gli  dice  che  presto 
verrà  Beatrice,  e  che  intanto  egli  poieva  o  passeggiare  o  stare, 
come  più  gli  piaceva,  senza  più  dipender  da  lui. 


SU   Voili  tulli  i   capellini  di  qn^lo  Canio  Belisi  Tritola    II!    htrgatoiio,  e  la 
TarnU  VI,  cornice  VII,  Purgatorio, 


tó'i  PURGATORIO 

Oì  come  quando  i  primi  raggi  vibra  f 
Là  dove  il  suo  Fattore  il  sangue  sparse, 
Cadendo  Ibero  * 

4  Sì  come  quando  i  primi  ecc.  Tutti  dicono  che  il  poeta  in  questi 
primi  quattro  versi  e  mezzo  annuii  ri  il  tramonto  del  sole.  Ma  ciò 
è  falso,  perchè  il  tramonto  del  sole  è  scguato  al  verso  G8  di  questo 
medesimo  Canto,  dicendosi  cola: 

Che  il  sol  corcar  per  l'ombra  cho  si  spense 
Sentimmo  dietro  ed  io,  e  li  mici  saggi, 

e  avvenendo  prima  di  que3to  tramonto  molti  fatti.  Pare  incredibile 
che  nessuno  abbia  avvertita  questa  oircostan za  così  lampante!  Que- 
sto basta  per  rovesciare  la  sentenza  finora  invalsa.  Qual  ora  dunque 
viene  qui  indicata?  Vengono  indicati  7  gradi  prima  del  tramonto, 
ossia  28  minuti  avanti  di  esso.  Per  dimostrar  questa  tesi  con  una 
evidenza  che  salti  subito  all'occhio,  senza  logorar  troppa  la  mento 
in  astrazioni,  eccovi  l'aiuto  di  uu 'apposita  Tavola  comparativa,  che 
sarà  la  IX  del  Purgatorio;  dissi  comparativa,  perchè  in  essa  ho 
messo  a  confronto  in  due  apposite  sfere  le  due  posizioni  astrono* 
mico-geografiche  di  cui  qui  parli  il  poeta,  1' una  d^lle  quili  è  la 
reale  del  Purgatòrio,  l'altra  ò  solo  supposta  per  provar  la  reale. 
Veniamo  dunque  alla  spiegazione  «Sì  come  qumdo  %  primi  ecc. 
Siccome  quando  nasce  il  sole  a  Gerusalemme,  dova  Q.  C.  ha  patito 
ed  è  morto  per  noi.  (Vedi  Tav.  IX  Purg,t  emisfero  N.  II). 

*  Ibero.  Ibero  è  un  fiume  vrso  nord  della  Spagna,  che  scorrendo 
da  ovest  ad  est  va  a  cader  nel  Medita rraueo  poco  sotto  a  Tortosa, 
nella  costa  orientale  della  Spagna  medesima.    (Vedi  la   Tavola  V, 
Par.),  dove  puoi  appuntarlo  alla  L  di  Cai  la  roga.  Questo  fiume  è  stato 
preso  per  la  Spagna  intera  da  tutti  quei  commentatori,  che  vollero 
vedere  in  esso  indicato  il  confine  occidentale  dell'emisfero  di  Geru- 
salemme contrappiede  del  Purgatorio.  Niente  di  più  erroneo  :   per- 
chè quando  fosse  pur  vero,  ciò  che  non  è,  che  qui  il  poeta  volesse 
indicare  il  confine  occidentale  dell' emisferio   di  Gerusalemme,  non 
l'avrebbe  indicato  né  nell'  Ibero,  nò  in  tutta  la  Spagna,  nò  in  tutta 
la  Occidental  Lusitania,  ma  l'avrebbe  indica  o  ben  più  oltre,  cioè  a 
gradi  65  1/2  al  di  là  della  foce   dell'  Jbero,  ovvero    (ciò  che  torna 
lo  stesso)  a  gradi  4o  lontano  dalla  Lusitauia  verro  ovest  nell'oceano 
Atlantico,  Colà  infatti  lo  pone  nel  Parad.,  Canto  XXVII,  v.  79  e 
seg.,  come  si  può  vedere  nel  mio  Commento.  Dante  non  parla  mai 
così  alla  larga,  e  qui  specialmente  dove  intende  di  fare  un  calcolo 


CANTO  XXVn.  583 

sotto  l'alta  Libra,  ' 
E  in  Tonde  Gange  da  nona  riarse;  * 

astronomico- geografi  co  in  tutta  regola.  Dunque  il  cader  dell' Ibero 
altro  non  vnol  dire  cho  Li  precisa  foce  dell'  Ibero,  la  quale  è  a 
gradi  1  1/2  dal  primo  meridiano  di  Parigi,  ossia  gradi  34  1/2  dal 
primo  meridiano  di  Gerusalemme,  s  condo  il  sistema  geografico  di 
Dante,  che  là  lo  pone,  al  quilc  noi  dobbiamo  attenerci.  Le  carte 
geografiche  e  la  sfera  terrestre,  anche  moderna,  ti  comproveranno 
quanto  è  qui  detto.  Lo  trovi  anche  segnato  nella  mia  Tav.  IX 
comparativa,  Num.  II.  Osserva  e  nota. 

*  Sotto  l'alta  Libra.  La  foce  dell' Ibero  in  questa  ipotesi  astro* 
nomico-geografica  giace  a  perpendicolo  sotto  la  Libra  ;  non  basta, 
ma  aggiungi  col  poeta:  sotto  l'alta  Libra.  Dice  sotto  la  Libra,  in- 
dicando cosi  precisamente  che  la  Ijibra  è  metà  di  qua,  metà  di  là 
dalla  detta  foce.  Dice  alta,  indicando  così  che  essa  è  nella  sommità 
del  cielo,  avendo  ni  suo  orizzonte  orientale  il  Gange.  (Vedilo  nella 
mia  Tav.  comp.  N.  II).  In  fatti  dalla  Libra  in  mezzo  al  cielo  sino 
al  Gange,  suo  orizzonte  orientale,  corrono  90  interi  gradi,  ossia  un 
quadraute  di  cerchio,  il  cui  Iato  perpendicolare  cade  sulla  foce  del- 
l' Ibero;  e  il  cui  lato  orizzontale  va  a  colpire  la  foce  del  Gauge. 
In  somma  la  Libra  in  questo  punto  che  nota  il  poeta  è  nel  meri- 
diano che  ha  il  Gange  al  suo  orizzonte  di  est.  Tenetevi  dunque 
bene  a  mente  che  la  Libra  è  metà  per  parte  della  foce  dell' Ibero, 
ossia  15  gradi  di  essa  ad  est,  e  15  gradi  ad  ovest,  e  che  è  meri- 
diano di  quell'orizzonte  dov*  è  il  Gange  orientale. 

*  E  in  Vondt  Gange  da  nona  riarse.  Lasciate  le  altre  lezioni, 
atteniamoci  a  questa  che  è  l'unica  vera,  come  sarà  dimostrato.  In- 
tendi dunque  così:  £  cadendo  Gange  in  Fonde  riarse  da  nona.  Come 
il  cadendo  dell' Ibero  indicava  la  foce  dell 'Ibero  nel  Mediterraneo, 
così  il  cadendo  di  Gange  indica  la  foce  del  Gange  nell'Oceano  In- 
diano. Si  dirà:  ma  il  cadendo  ce  lo  mettete  voi.  Appunto,  perchè 
è  troppo  chiaro  che  il  primo  serve  a  tutti  e  due.  Dice  dunque  il 
poeta  che  la  foce  del  Gange  ha  l'ora  delle  9  antim.  quando  nasce 
il  Bole  a  Gerusalemme,  e  la  Libra  sta  a  perpendicolo  dell' Ibero  nel 
mezzo  del  cielo;  vedete  anche  questo  nella  mia  Tav.  IX,  dove  io 
vi  sarò  di  guida  a  facilitarvi  le  osservazioni  nel  modo  seguente. 
Adocchiate  prima  la  Libra  posta  a  perpendicolo  dell'Ibero.  Chi  sta 
alla  foce  del  Gange,  e  guarda  la  Libra,  la  vcd.?  nel  punto  più  alto 
del  cielo,  metà  per  parte  deUlbero  stesso,  ed  equidistante  dal  Ca- 
pricorno verso  oriente,  e  dal  Granchio  verso  occidente.  Tra  Ibero, 


584  PURGATORIO 

sottoposto  giustamente  alla  Libra,  e  Gerusalemme,  abbiamo,  siccome 
è  detto,  gradi  34  1/2.  Dunque  per  andare  al  r«ange  a  compire  i 
90  gradi  del  quadrante,  abbiamo  gradi  55  1/2. 

Questi  tre   punti  marcateli  bene.  Ma  c'è  un  quarto  punto  da 
marcare,  ed  è  il  punto  della  nascita  del  sole  per  quelli  che  stanno 
a  Gerusalemme.  Come  farete  a   trovarlo?   Basterà   che   tiriate   un 
orizzonte  che  divida  in  due  giuste    metà  gli  emisferi  dei  due  anti- 
podi, Gerusalemme  e  Purgatorio.  Fatto  questo,  all'estremità  di  questa 
linea  orizzonte  di  Gerusalemme  e  del  Purgatorio,  collocate  il  sole 
rivolto   col   suo    viaggio  al  Gange  ed  a  Gerusalemme,  avvertendo 
però    che,  come   l'Ibero   divide  per  metà  la  sovraposta  Libra,  cosi 
il  punto  del  cerchio  della  terra  intersecato  dall'orizzonte,  che   vi 
abbiamo  condotto,  divida  per   metà  quel  segno  zodiacale,  dove  sta 
il  sole  nascente  per  Gerusalemme.  (Vedi  la  mia  Tav.  IX,  N.  II). 
Ebbene  in  quanti  gradi  di  quel  segno    sarebbe  il  sole  quando  nasce 
a  Gerusalemme?  Sarebbe  in  15  gradi  di  quel  segno,  contando  cia- 
scun  segno    gradi  30.  Or  bene,  dice  il  poeta,  come  nel  caso  sup- 
posto avete  il  sole  nascente  a  Gerusalemme  noi  grado  15  del  suo 
segno;  così  nel  grado  15  di  Ariete,  supponete  pure  che  sia  il  3ole 
quand'io  mi  trovava  in  faccia  all'angelo   della   VII   cornice.  (Vedi 
Tav.  IX,  Furg.,  N.  1).  Fin  qui  tuito  è  ipotesi.  11  caso  invece  reale 
è  forse  questo  per  Dante,  che  si  trovava    al    Purgatorio   addì    12 
aprile?   No:    il   sole  per  Dante  (come  abbiamo  nella  Tav.  Ili  del 
Purg.)  si  trovava  invece  nel   grado   22  di  esso  Ariete,   nel  qual 
grado  realmente   tramonterà  al  Purgatorio.  (Vedi  Tav.  IX,  N.  I). 
Confrontando  ora  il  caso  ipotetico  col  caso  reale,  quanti  gradi  man- 
cano al  vero  tramonto  del  sole  al  Purgatorio?    Quanti    ce   ne  vo- 
gliono per  andar  dal  15  al  22.  Ma  dal  15  al  22  sono  7  gradi;  dun- 
que mancano  7   gradi  al   tramonto.  (Vedi  Tav.  IX,  N.  I).    Ma  il 
corso  di  7  gradi  importa  28  minuti  ;  dunque  mancano  28  minuti  al 
tramonto:  e  tanti  almeno  ne  occorrono  per   fare   e  dire  quanto  si 
disse  e  si  fece  dai  poeti  prima  che  questo  tramena  »  giungesse,  e  lo 
si  notasse  nel  verso  68  di  questo  medesimo  Canto.  K  siccome  il  sole 
addi  12  aprile,  che  qui  però  bisogna  calcolar  11  ottobre,  per  esser 
agli  antipodi,  tramonta  alle  5:20,  perciò  abbiamo  4:52  pomer. 

Ora  rifacciamoci  un  poco  al  verso  :  E  in  l'onde  Gange  da  nona 
riarse,  e'  vediamo  come  siano  le  9  ant.  alla  foce  del  Gange,  quando 
il  sole  vibra  i  suoi  primi  raggi  o  nasce  a  Gerusalemme,  standosene 
però  la  Libra  sopra  lbero,  e  il  Capricorno  sopra  :ange,  come  nella 
fig.  della  Tav.  IX,  N.  11.  Rispondo  dunque  così,  ed  io  vi  prego  ad 
aver  sempre  sott'occhio  la  mia  Tav.  IX.  Dal  meridiano  di  Geru- 
salemme al  suo  orizzonte  abbiamo  90  gradi.   Se  il  Gange  fosse  nel 


CANTO  XXVII.  585 

segno  dove  nasce  il  sole,  quando  na«ce  per  Gerusalemme,  egli 
avrebbe  giù  avuto  6  ore  di  sole,  quando  appunto  il  sole  nasce  a 
Gerusalemme  ;  ma  siccome  egli  è  distante  da  Gerusalemme  non  già 
90  gr.  ma  soli  55  1/2  ;  perciò  egli  ha  avuto  di  sole  quanto  portano 
questi  gradi  55  1/2.  Ciò  posto,  quante  ore  di  sole  fanno  gradi  55  1/2? 
Se  15  gradi  fanno  l  ora,  55  1/2  quante  ore  faranno?  Troverete 
ore  3:42.  Dunque  la  foce  del  tfange  ha  il  sole  sino  da  ore  3:42. 
Ora  nascendo  il  sole  nel  giorno  in  cui  siamo,  12  aprile,  rispondente 
a  11  ottobre,  alle  ore  5:18,  minuto  più,  minuto  meno,  aggiun- 
gendo alle  5:18  le  3:42  trovate,  avremo  9  ore  antimerid.  in  punto. 
Dunque  la  nona  detta  qui  da  Dante  non  è  mezzogiorno,  come  in- 
tesero tutti,  ma  è  Torà  nona  antimeridiana,  contando  da  mezzanotte. 
Se  alcuno  poi  si  maravigliasse,  perchè  negli  orari  ora  ci  regoliamo  su 
aprile,  ora  sull'opposto  ottobre,  sappia  ch^  appunto  si  dee  fare  cosi, 
regolandosi  su  aprile  per  l'orario  di  Gerusalemme,  e  su  ottobre  per 
l'orario  del  Purgatorio,  trovandoci  noi  in  aprile,  se  siamo  in  quel- 
l'emisfero, ed  in  ottobre,  se  siamo  in  questo.  (Vedi  su  ciò  la  mia 
Tav.  I  e  III,  Tempo  del  Purgatorio).  Da  tutto  questo  appar  chia- 
ramente,  che  la  lezione  da  noi  adottata,  che  è  pur  quella  del  P. 
Cesari  in  appoggio  a  buoni  testi  a  penna,  è  la  sola  vera  e  genuina 
lezione  che  si  dee  tenere,  esclusane  ogni  altra.  Le  principali  false 
lezioni  sono  le  seguenti   tre: 

La  1.»  ha  cosi:  En  l'onde  in  Gange  da  nona  riarse; 

La  2.a  ha  cosi:  En  Vondc  in  Gange  di  nuovo  riarse; 

La  3.2  ha  così:  E  in  l'onde  il  flange  da  nona   riarse. 

Esaminiamo  un  poco  la  prima.  È  evidente  che  di  due  parole 
poste  dal  poeta  E  inf  oppure  E  V,  se  ne  fece  dai  copisti  una  sola. 
Allora  si  è  studiato  su  questo  En,  saltato  fuori  per  miracolo,  e  si 
volle  crederlo  posto  per  Ennò,  antico  plurale  di  è;  sono,  sunt;  come 
per  tale  lo  prese  il  P.  Sorio,  sbagliando  tutto.  (Lezione  Accademica, 
pag.  84).  Fatta  questa  scoperta,  cosi  dannosa,  necessariamente  si 
dovette  porre  un  in  avanti  a  Gange,  e  cosi  eccoti  ito  in  dileguo  v 
povero  Dante.  Secondo  la  nostra  vera  lezione,  le  onde  accennate 
da  Dante  sono  le  onde  del  mare  indiano,  e  invece  in  questa  sono 
le  onde  di  Gange.  Vi  pare  piccola  cosa?  Piccoli ,  si  dirà,  perchè  il 
senso  e  lo  stesso.  Ed  io  dico  invece  che  il  senso  è  tutt'altro,  e  che 
Dante  non  può  assolutamente  avere  scritto:  En  l'onde  in  Gange, 
Ragione:  Il  Gange  è  un  fiume  famoso  dell'India,  che  ha  un  corso 
di  ben  15  gradi  da  occidente  verso  oriente.  Ora,  secondo  la  lezione 
dell'anno,  tutte  le  onde  di  queati  15  gradi  sarebbero  riarse  da  nona. 
Il  che  ognuno  vede  essere  impossibile  :  e  in  oltre  sarebbero  tolti  l 
veri  due  punti  estremi  del  quadrante  Ibero  e  Gange,  i  quali  nella 


586  PURGATORIO 

sentenza  di  Dante  sono  veri  punti,  e  non  estensione,  come  abbiamo 
provato;  e  inoltre  ancora  sparirebbe  l'idea  delle  due  foci  chiara- 
mente indicate  da  Dante,  e  finalmente  si  farebbe  parlar  Dante  in 
un  calcolo  aslronomico-geografico,  che  richiede  la  massima  esattezza 
di  tempo  e  di  luogo,  in  termini  cosi  generali,  che  sono  affatto  alieni 
dal  suo  modo  di  dire  anche  nelle  cose  più  vaghe. 

Esaminiamo  un  poco  anche  la  seconda.  Questa  ha  un  male  più 
della  prima,  perchè  oltre  i  difetti  della  prima,  vi  aggiunge  anche 
di  nuovo,  per  da  nona  viarie.  Ci  vuol  poco  a  vedere,  che  questo  di 
nuovo  non  vuol  dir  niente,  ed  e  affatto  inutile;  e  Dante  non  mette 
mai  cose  inutili.  Ragione:  Se  nasceva  il  sole  a  Gerusalemme,  vedi 
anche  un  cieco,  che  da  più  ore  doveva  esser  nato  al  Gange,  e  quindi 
non  era  bisogno  di  dirlo.  Inoltre  questa  lezione  farebbe  supporre 
nient'altro  che  Terrore  massiccio  di  porre  al  medesimo  luogo  Geru- 
salemme e  il  Gange,  quando  invece  distailo  tra  loro  gradi  55  1/2. 
Finalmente  non  farebbe  che  ripetere  il  senso  di  riarie,  perchè  riarse 
vuol  dire  arse  di  nuovo ,  dunque  si  verrebbe  a  dire  di  nuovo  arte 
di  nuovo.  Il  che  quanto  sia  ridicolo  ognun  lo  vede. 

La  terza  non  ha  di  male  che  l'articolo  il  preposto  a  Gange, 
il  quale  vuol  esser  soppresso,  perchè  nemmeno  Ibero  lo  ha.  Questo 
è  il  solo  errore  (piccolo  per  verità)  che  ha  il  Cesari  nella  sua  le- 
sione. Dante  in  questa  sua  ipotesi  astronomi  co -geografica  intavolò 
un  vero  problema  a  tre  termini  cogniti  e  ad  uno  incognito.  Li  tre 
termini  cogniti  sono  1 .°  Ibero  su  cui  cade  la  Libra  metà  per  parte; 
il  che  importa,  che  il  punto  dove  si  fa  nascere  il  sole  divida  anche 
•  •  .'.esso  per  metà  la  sua  costellazione.  2  o  Gerusalemme  a  cui  nasce  il 
sole.  3.o  Foce  del  Grange  riarsa  da  nona.  Con  questi  tre  termini 
noti  si  vuol  trovare  il  quarto  ignoto,  che  è:  in  quale  distanza  era 
il  sole  vespertino  dall'orizzonte  comune  tra  Gerusalemme  ed  il  Pur- 
gatorio per  quelli  che  stanno  al  Purgatorio. 

Si  noti  che  il  secondo  termine  cognito  rende  il  problema  un 
paradosso,  perchè  se  nasce  il  sole  a  Gerusalemme  par  che  debba 
tramontar  al  Purgatorio,  mentre  anzi  si  suppone  che  non  tramonti. 
£•  ''Questa  fu  la  causa  che  f  ce  tutti  deviare.  Il  caso  in  vero  sarebbe 
contradditorio  se  si  supponesse  nei  medesimo  giorno,  ma  perchè  si 
suppone  in  giorni  diversi,  la  contraddizione  non  è  che  apparente. 

In  conclusione  è  come  il  poeta  avesse  detto  osi ,  esponendo  il  caso 
in  una  forinola  di  proporzione:  Se  il  sole  supposto  nel  15o  grado  di 
Ariete  sarebbe  nel  tramonto;  quanto  gli  sarebbe  lontano  standosene 
egli  veramente  nel  grado  22  di  esso  Ariete?  La  risposta  al  quesito 
sarebbe  la  differenza  tra  15  e  22,  cioè  7. 

Il   Galileo,  maestro  massimo,  avrebbe  sciolto  questo  problema 


Canto  xxvii.  4S7 

meglio  degli  altri;  ma  non  ci  ri  usci,  come  tutti;  no»  già  perchè  non 
sapesse  (che  basta  il  suo  nome  per  crederlo  capacissimo),  ma  perch'egli 
parti  da  un  dato  erroneo,  messogli  in  mente  da  tutti  i  commentatori, 
e  questo  dato  si  fu  il  supporre  che  Dante  parlasse  qui  del  tramonto 
del  sole  del  Purgatorio.  Egli  merita  veramente  ogni  scusa,  se  a 
questo  punto,  non  trovandoci  il  suo  conto  giunto,  non  si  lodò  troppo 
di  Dante  in  fatto  di  astronomia,  e  usci  in  quella  censura:  quan- 
doque  bonus  itormibat  H'vmcrus.  La  colpa  è  tu  ita  dei  commentatori, 
che  gli  piantarono  come  assioma  infallibile  questo  lor  farfallone  del 
tramonto.  Egli  dovea  essere  più  astronomo  che  Dantista.  Ad  ogni 
modo  se  non  per  lui,  certo  per  chi  lo  trasse  in  errore  sta  bene  la 
terzina  di  Dante  del  Canto  precedente  dove  dice: 

A  voce  più  che  al  ver  drizzan  li  volti, 
E  cosi  ferman  sua  opinione 
Prima  ch'arte  o  ragion  per  lor  s'ascolti. 

Perchè  avendo  letto  nei  due  primi  versi  che  il  sole  nasceva  a 
Gerusalemme,  tolsero  quella  nascita  pel  tramonto  del  sole  al  Pur- 
gatorio, non  badando  che  quella  nascita  è  solo  un  supposto  e  non 
una  reaTtà,  uno  dei  termini  del  problema  e  non  il  problema. 

Più  però,  che  contro  ogni  altro,  io  mi  sento  stizzito,  contro  il 
P.  Venturi,  che  a  questo  problema  astronomieo-geografico  comincia 
la  sua  nota  cosi:  «Grande  imbroglio  di  parole  e  di  cose,  non  volen- 
dosi pur  dir  alto  se  non  che  tramontava  il  sole*.  Cosi  se  la  cava 
magnificamente.  Ognuno  però  vede  se  questo  sia  un  imbroglio  di 
parole  e  di  cose,  e  non  piuttosto  un  grande  problema  degno  delle 
menti  più  colte  ed  acute,  intavolato  in  poesia,  con  una  mirabile 
chiarezza,  in  soli  quattro  versi  e  mezzo.  Se  non  ci  fosse  altro  in 
Dante,  questi  pochi  versi  basterebbero  a  predicarlo  sommo  astro- 
nomo, sommo  geometra,  sommo  geografo,  sommo  matematico  e  sommo 
poeta.  Non  posso  finir  questa  nota  senza  far  avvertire  una  cosa  im- 
portantissima, che  sbuccia  dalla  soluzione  del  proposto  problema  Dan- 
tesco, ed  è  che  se  sono  veri  i  28  minuti  che  mancano  al  tramonto 
del  sole  al  Purgatorio;  duuque  è  vero  eh,»,  il  sole  era  nel  22<>  grado 
di  Ariete,  vero  che  oggi  cori  e  al  Purgatorio  il  di  12  aprile;  veri 
tutti  i  giorni  antecedenti  Bino  al  primo  (8  aprile),  in  cui  sulla  sera 
si  cominciò  da  Dante  il  suo  viaggio  poetico. 

Dante  ci  ha  fatto  sudare  a  trovar  questi  28  minu'i  precedenti 
il  tramonto  del  sole;  ma  egli  ce  ne  compenserà  al  vero  tramonto, 
perchè  questo  ce  lo  dirà  in  termini  tali  che  si  faranno  intendere 
anche  dai  bimbi. 


588  PURGATORIO 

Sì  stava  il  sole;  onde  il  giorno  sen  giva  * 
Quando  l'angel  di  Dio  lieto  ci  apparse.  6 
Fuor  della  fiamma  stava  in  su  la  riva, 7 
E  cantava:  Beati  mundo  corde,  8 
In  voce  assai  più  che  la  nostra  viva. 
10-     Poscia  :  Più  non  si  va,  se  pria  non  morde, f 

8  Sì  stava  il  iole.  U  sole  stava,  come  ho  detto,  a  28  minuti  sopra 
il  mio  orizzonte  di  occidente,  ossia  a  7  gradi  di  distanza  da  quello, 
cioè  stava  in  quella  distanza  tra  lui  e  l'orizzonte,  che  corre  tra  il 
grado  22°  d'Ariete,  in  cui  ho  veramente  il  sole,  e  il  grado  15°  di  un 
altro  segno  in  cui  tramontasse  il  sole,  secondo  il  caso  ipotetico,  o 
problema  che  ho  presentato  di  sopra. 

Onde  il  giorno  sen  giva.  Non  già  perchè  in  quel  momento  tra- 
montasse il  sole,  che  tramonterà  più  tardi,  ma  perchè  era  presso 
a  fuggire  dalla  vista  di  lui.  Cosi  si  dice  che  una  persona  muore, 
quando  è  vicina  a  morire,  o  che  va  all'altro  mondo,  quando  manca 
poco  ad  andarvi.  Notate  ancora  che  il  sole  quando  è  si  basso  ha 
già  scemato  molto  alla  luce  del  giorno;  e  in  tutte  l'altre  parti,  ove 
non  è  il  sole,  si  fa  una  luce  smorta  e  cupa,  perchè  il  cielo  da  oc- 
cidente in  oriente  è  diventato  tutto  azzurro  ;  onde  anche  per  questo 
si  può  dire  a  tutta  ragione  fisica,  che  il  giorno  sen  giva. 

•  '    .  •  Quando  l'angel  ecc.  L'angelo  custode   dello  sbocco  di  quella 

*  cornice.  Notate  però  che  questo  sbocco  non  ha  un  angelo  solo,  ma 
.  due,  uno  di  qua  dalle  fiamme,  ed  è  il  presente,  e  l'altro  di  là,  e  lo 

vedremo,  e  allora  diremo  la  ragione  di  porne  due. 

1  Fuor  della  fiamma.  Non  per  il  pericolo  di  abbruciarsi,  che 
Beatrice  già  disse  a  Virgilio,  e  lo  ponno  dire  anche  gli  angeli: 

Io  son  fatta  da  Dio,  sua  mercè,  tale 
Che  la  vostra  miseria  non  mi  tauge, 
Né  fiamma  d'esto  incendio  non  m'assale  : 

ma  stava  fuor  della  fiamma  per  la  sua  dignità  e  pel  suo  ufficio.  — 
In  su  la  riva.  In  su  l'orlo  estremo  di  questa  cornice  VII,  che  forma 
la  linea  più  alta  della  riva  sottoposta.  In  qual  facciata  del  monte? 
In  quella  che  guarda  ovest,  dovt;  ancora  sono  i  poeti,  e  precisa- 
mente nella  parte  meridionale  di  essa  facciata. 

8  Beati  mundo  corde.  Purgandosi  qui  il  peccato  dell'immondezza 
carnale,  si  canta  la  beatitudine  a  lei  contraria, 

9  fiu  non  si  va}  se  ecc.  Ogn'anima  dunque  dee  passare  per  que 


CANTO  XXVII.  589 

Anime  sante,  il  fuoco  ;  entrate  in  esso,  l0 
E  al  cantar  di  là  non  siate  sorde.  " 

Sì  disse,  come  noi  gli  fummo  presso, 
Perch'io  divenni  tal  quando  lo  'ntesi, 
Qual  è  colui,  che  nella  fossa  è  messo.  " 

In  su  le  man  commesse,  mi  protesi  " 

Guardando  il  fuoco,  e  immaginando  forte  u 
Umani  corpi  già  veduti  accesi.  '* 

Volsersi  verso  me  le  buone  scorte;  !* 

fuoco  quantunque  santa  eli*  sia.  Perchè?  Perchè  è  troppo  facile  offen- 
dere la  virtù  della  santa  purità,  che  è  più  delicata  d'ogni  altra  virtù. 

*o  Anime  sante.  Questo  si  dice  per  Dante  e  Stazio,  non  per  Vir- 
gilio, coi  sapea  l'angelo  non  esser  del  Purgatorio.  Si  dicono  sante, 
non  già  nel  senso  delle  anime  sante  del  Paradiso,  ma  nel  senso  delle 
anime  sante  del  Purgatorio,  le  quali  fin  che  non  sono  uscite  di  là, 
quantunque  sante,  hanno  ancor  qualche  neo,  che  si  toglie  col  fuoco. 

*l  E  al  cantar  ecc.  Di  qua  cantava  quest'angelo,  di  là  cantava 
un  altro.  Raccomandò  loro  di  non  esser  sorde  a  quel  canto,  ossia 
di  ascoltarlo  attentamente,  perchè  quel  canto  dovea  servir  loro  di 
filo  a  trovar  la  imboccatura  della  scala,  e  non  perdersi  per  il  fuoco. 
La  imboccatura  non  era  in  faccia  al  luogo,  dove  allora  stava  l'an- 
gelo ed  i  poeti,  ma  stava  molto  più  indietro  come  vedremo.  (Vedi '. 
anche  la  mia  Tav.  VI  Purg.). 

43  Nella  fo$*a  è  messo.  Si  può  intendere  o  il  condannato  a  morir 
nella  fossa;  o  un  morto  che  viene  calato  nella  fossa.  Forse  il  se- 
condo sta  meglio  del  primo. 

*s  In  su  le  man  ecc.  Commesse  le  mani  in  su  (è  ablativo  asso- 
luto) piegai  la  vita  innanzi  verso  le  mie  guide,  come  fa  chi  supplica 
aiuto  da  qualche  persona  in  momento  d'estremo  bisogno,  e  spinto 
da  grande  affetto. 

**  Guardando  il  fuoco.  Dopo  il  guardo  supplichevole  alle  sue 
guide,  subito  guardò  il  fuoco,  cagione  di  sua  paura.  Un  guardo 
alle  giide,  un  guardo  al  fuoco.  È  tutto  natura, 

ìs  Umani  corpi  ecc.  Era  il  supplizio,  che  anche  dalle  leggi  co- 
munali si  dava,  specialmente  agli  eretici,  nel  medio  evo. 

*6  Volsersi  verso  ecc.  Stazio  (che  era  immediatamente  innanzi  a 
Dante)  e  Virgilio  che  era  innanzi  a  Stazio,  il  qual  ordine  di  persone 
verrà  conf  rinato  da  qui  a  poco  ai  v.  46,  47  e  48  di  questo  Canto. 


690  PURGATORIO 

20.         E  Virgilio  mi  disse:  Figliuol  mio, 

Qui  puote  esser  tormento,  ma  non  morte.  47 

Ricordati,  Ricordati ...  e,  se  io  l8 
Sovr'esso  Gerion  ti  guidai  salvo,  l9 
Che  farò  or  che  son  più  presso  a  Dio?  * 

Credi  per  certo  che,  se  dentro  all'alvo 
Di  questa  fiamma  stessi  ben  m ili' anni, 
Non  ti  potrebbe  far  d'un  capei  calvo.  *! 

E  se  tu  credi  forse  ch'io  t'inganni, 
Fatti  ver  lei,  e  fatti  far  credenza  w 
*o.         Con  le  tue  mani  al  lembo  de'  tuoi  panni 

Pon  giù  ornai,  pon  giù  ogni  temenza  ; 
Volgiti  in  qua,  e  vieni  oltre   sicuro.  ** 

n  Qui  puote  esser  ecc.  Concede  la  difficoltà  del  passo,  ma  la 
attenua  da  buon  oratore. 

*8  Ricordati  ecc.  Le  noie  core,  i  miei  benefìci. 

1*  Sovr'esso  Gerion  ecc.  Quel  dragone  che  calò  i  roeti  alla  visita 
dei  frodolenti,  giù  in  malebolge.  Fu  questo  uno  dei  passi  più  ter 
ribili  per  Dante. 

*o  Che  farò  or  ecc.  Se  tanto  feci  per  te  in  Inferno,  lontano  da 
Dio,  che  farò  ora  che  gli  son  più  vicino,  e  quasi  sotto  i  suoi  occhi? 
V-W  Di  un  capei  calvo  ecc.  Gli  facilita  l'andata  con  un  altro  ar- 
gomento, tolto  dal  lato  di  una  impotenza  di  quel  fuoco,  che  ab- 
brucia ma  non  consuma;  e  non  consuma  nemmeno  un  capello.  Esso 
è  spirituale,  perciò  si  farà  sentire,  e  non  più. 

**  Fatti  ver  lei  ecc.  Bellissimo  questo  dirci  che  fu  Dante  le  cose 
indirettamente.  Indirettamente  ci  dice  ch'egli  avea  volte  le  spalle 
alle  fiamme,  come  fanno  i  fanciulli  ostinati,  che  si  volgono  in  parte 
contraria  a  quella  che  sono  ordinati  di  andare.  —  Fatti  far  ecc.  Prendi 
il  lembo  de'  tuoi  panni,  e  mettilo  nel  fuoco.  Vedrai  che  non  brucia. 

*•  Volgiti  in  qua  ecc.  L'aver  detto  prima  fatti  ver  leif  o  volgiti 
a  lei,  e  il  ripeter  qui  in  altri  termini  la  stessa  cosa,  prova  che  Dante 
si  manteneva  sempre  ostinato,  colla  schiena  al  fuoco,  senza  punto 
muoversi.  Il  tutto  è  preso  dall'ostinazioni  de'  fanciulli,  ed  è  pur  cosa 
dolce  il  vedere  un  Dante  divenuto  fanciullo.  —  Fieni  oltre  sicuro 
Vieni  pel  fuoco  senza  paura.  Sicuro,  sì  ne  cura. 


CANTO  XXVII.  691 

Ed  io  pur  fermo,  e  contra  coscienza.  u 
Quando  mi  vide  star  pur  fermo  e  duro, 
Turbato  un  poco  disse:  Or  vedi,  figlio,  w 
Tra  Beatrice  e  te  è  questo  muro.  * 
Com'al  nome  di  Tisbe  aperse  il  ciglio  r 
Piramo  in  su  la  morte,  e   riguardolla, 
Allor  che  il  gelso  diventò  vermiglio  ; 
*0-     Così  la  mia  durezza  fatta  solla,  ** 

Mi  volsi  al  savio  duca,  udendo  il  nome, 


M  Contro  cosci  enta  ecc.  Come  dicesse  :  so  tatto,  credo  tatto,  ma . .. 

*3  Turbalo  un  poco  ecc.  Quel  che  fauno  i  padri  coi  figli  ostinati, 
che  prima  gli  prendono  con  calma,  poi  con  un  po'  di  alterazione. 
Tutta  questa  pittura  è  presa  dai  padri  quando  hanno  da  far  con 
fanciulli  ostinati. 

26  Tra  Beatrice  e  te  ecc.  Ultimo  e  pia  potente  argomento,  e 
perirò  serbato  in  fine  a  grancTarte.  Il  nome  di  Beatrice  allegato  qui 
da  Virgilio  a  Dante  prova  quali  fossero  le  relazioni  tra  Beatrice 
e  Dante  in  vita,  cioè  relazioni  tutte  caste  e  sante,  altrimenti  in 
luogo  si  santo  e  a  fine  si  santo,  Virgilio  non  gliela  ricorderebbe. 
Questo  passo  serve  di  conferma  al  Convito,  scritto  evidentemente  a 
provare  ch'egli  per  Beatrice  intendeva  un  essere  astratto  e  celeste, 
incarnato  però  in  Beatrice,  che  lo  invitava  alle  più  nobili  applica* 
«ioni  dell'animo.  Notate  l'arte  somma  che  c'è  nel  dir  muro  le  fiamme. 
Le  fiamme  spaventano,  ma  il  muro  no.  À  toglier  dunque  lo  spa- 
vento le  chiama  muro. 

*7  Tube  ecc.  Giovinetta  Babilonese,  che  vedendo  trafitto  di  pu- 
gnale a  piò  d'un  gelso  ramato  suo  Piramo,  esclamando  :  Ahi  Tisbe 
infelice!  s'uccise  anch'essa  sullo  stesso  amante.  Cosi  Piramo  pria 
di  spirare  potè  conoscere  che  Tisbe  era  viva,  mentitegli  s'era  uè* 
ciao  per  averla  creduta  morta.  Il  sangue  di  questi  due  amanti  cangiò 
in  rossi  i  frutti  bianchi  del  gelso.  Il  poeta  applica  a  sé  ed  alla  sua 
Beatrice  qupsta  similitudine  in  quanto  egli  era  in  sul  morire  di 
paura,  come  Piramo  di  ferita  amorosa,  quando  udì  quel  caro  nome. 
Gli  effetti  si  rassomigliano  in  questo,  che  Piramo  lasciò  la  vita  dopo 
adito  il  nome  di  Tisbe,  e  Dante  lasciò  la  sua  volontà  dopo  udito  il 
nome  di  Beatrice 

»  Solla.  Soffice,  molle,  contraria  alla  darà  ed  ostinata  di  prima. 


.:*• 


592  PURGATORIO 

Che  nella  mente  sempre  mi  rampolla.  w 
Ond'ei  crollò  la  testa  e  disse  :  Come  !  w 
Volemci  star  di  qua?  indi  sorrise,  3I 
Com'al  fanciul  si  fa  ch'è  vinto  al  pome. 
Poi  dentro  ai  fuoco  innanzi  mi  si  mise  3* 
Pregando  Stazio  che  venisse  retro, 
Che  pria  per  lunga  strada  ci  divise. 
Come  fui  dentro,  in  un  bogiiente  vetro  3S 
50-         Gittato  mi  sarei  per  rinfrescarmi; 

*•  Mi  rampolla.  Che  ho  sempre  in  mente, 

80  Ond'ei  crollò  la  testa  ecc.  È  quel  naturai  movimento  del  capo 
a  destra  ed  a  manca,  che  facciamo  con  uno,  dopo  che  ci  ha  facto 
sudar  troppo  a  persuaderlo  d'una  cosa.  Allora,  come  a  prenderlo  un 
poco  a  beffa,  gli  offriamo  che  faccia  pure  la  sua  volontà  di  prima, 
perchè  sappiamo  che  ornai  egli  è  vinto  e  non  la  farebbe.  Sono  tratti 
di  poesia  improntati  d'un  bello  inarrivabile,  e  che  a  volerli  spiegare 
s'illanguidiscono. 

M  Indi  ibrrise,  —  Come  ecc.  Carissima  similitudine  tolta  dai 
bimbi  nel  caso  seguente:  Quando  la  madre  vuole  usare  il  suo  bimbo 
a  camminare  da  sé,  lo  impianta  dritto  al  muro  ;  indi,  ritiratasi  al- 
quanto da  lui,  lo  invita  a  venire  da  sé  nelle  sue  braccia.  Il  bimbo 
teme  di  cadere,  e  non  osa  muoversi  dal  suo  muro.  La  madre  invita, 
e  torna  ad  invitare,  ma  del  muoversi  il  bimbo  è  nulla,  che  ha  troppa 
«paura.  Allora  la  madre  trae  di  saccoccia  un  bel  pomo,  e  mostran- 
dolo al  bimbo  gli  dice  :  Te1  questo  bel  pomo.  Ecco  vinto  il  fanciul* 
lino  :  egli  si  spicca  dal  muro,  e  barcollando  e  stendendo  le  mani  si 
getta  in  sen  della  madre,  che  a  tanta  vittoria  non  sa  tenersi,  e 
sorride,  e  fa  festa  al  suo  bravo  figliuolo.  Tutto  questo  è  detto  dal 
poeta  in  quattordici  sillabe  ! 

l*  Innanzi  mi  si  mise  ecc.  Nuovo  e  necessario  ordine  di  persone. 
Dico  nuovo,  perchè  Stazio  camminò  tra  Virgilio  e  Dante  per  lunga 
strada,  cioè:  dal  stcondo  albero  dei  golosi  nel  Canto  XXIV  sino  a 
qui,  come  puoi  vedere  osservando  attentamente  le  mie  Tav.  V  e  VI. 
Dico  necessario,  perchè  trattandosi  di  camminar  per  il  fuoco,  il  fidarsi 
dei  buoni  proponimenti  di  Dante  era  bene,  ma  il  non  fidarsi  era 
meglio. 

w  In  un  Dogliente  ecc.  Similitudine  assai  espressiva  a  fare  in- 
tendere l'eccessivo  bruciore  d.  quelle  Gamme. 


CANTO  XXVIL  598 

Tant'er'  ivi  lo  incendio  senza  metro.  u 
Lo  dolce  padre  mio,  per  confortarmi, 
Pur  di  Beatrice  ragionando  andava,  M 
Dicendo  :  Gli  occhi  euoi  già  veder  parmi. 

**  Senta  metro.  Senza  misura. 

M  Pur  di  Beatrice  ecc.  Non  faceva  discorsi  che  di  Beatrice  nel- 
Tatto  che  andava,  essendo  stato  il  nome  di  Beatrice  l'argomento 
che  vinse  Dante,  e  lo  persuase  a  passare  pel  fuoco.  Gli  teneva  dun- 
que sempre  a  mente  questo  argomento  trionfante  per  animarlo  con 
tal  memoria.  Questi  ragionamenti,  e  l'altre  ragioni  che  seguono, 
dimostrano  ad  evidenza,  che  il  passaggio  pel  fuoco  durò  alquanto 
tempo.  Ma  come  ciò,  se  il  traverso  della  strada  non  era  che  di  15 
soli  piedi,  come  abbiam  dimostrato  nella  I  cornice?  Rispondo,  che 
i  poeti  attraversarono  il  fuoco,  non  già  pel  corto  traverso  della  cor- 
nice, ossia  'pe'  suoi  quindici  piedi,  ma  lo  attraversarono  tornando 
indietro  sino  al  punto  in  faccia  alla  scala  per  cui  erano  prima  saliti 
dal  VI  al  VII  cerchio,  e  percorrendo  cosi  la  diagonale  sottoposta 
ad  un  angolo  retto.  Imagina  questa  linea,  e  il  suo  triangolo  nella 
mia  Tav.  VI,  da  un  angolo  all'altro.  Ma  come  si  sa  che  tale  fu  la 
direzione  che  presero  i  poeti,  passando  per  il  fuoco  ?  Ce  lo  fa  sapere 
Dante  medesimo  coi  seguenti  argomenti: 

1.°  Perchè  il  ragionar  di  Virgilio  mal  s'addice  ad  un  passaggio 
di  soli  15  piedi,  pei  quali  stieno  tre  persone  l'ima  dietro  l'altra. 
Dissi  15  piedi:  ma  invece  doveva  dire  12,  perchè  tre  piedi  della 
strada  non  erano  arsi  dal  fuoco,  come  vedemmo,  essendo  quei  3 
piedi  di  strada  non  arsa,  che  diedero  via  dapprima  ai  poeti.  Quei 
12  piedi  adunque  sarebbero  stati  poco  più  che  sufficienti  a  disten- 
dersi in  filo  i  tre  poeti,  e  non  già  a  ragionare  mentre  andavano 
pel  fuoco.  Questa  considerazione  induce  a  i  magio  are  necessariamente 
un  tratto  più  lungo,  che  non  sono  li  12  piedi  di  traverso. 

2.°  Perchè  se  il  traverso  del  foco  fosse  stato  di  soli  12  piedi, 
quan t'era  larga  la  strada  infuocata,  non  sarebbe  stato  uopo  della 
guida  di  una  voce  al  di  là,  stante  che  Virgilio  avrebbe  già  toccato 
il  punto  di  là.  quando  Stazio,  ch'era  ultimo,  fòsse  entrato  nel  fuoco. 
3.°  Perchè  il  punto  (e  questo  è  l'argomento  decisivo)  dove  ri- 
escono i  poeti  dopo  il  passaggio  pel  fuoco,  è  precisamente  alla  metà 
della  facciata  che  guarda  ovest,  dove  sono  attualmente,  proprio  in 
faccia  alla  scala,  che  dalla  VI  ha  messo  alla  VII  cornice,  concios- 
siachè  poco  appresso  si  dirà,  che  finita  l'ultima  scala,  che  dalla  VII 
cornice  mette  alla  cuna  del  monte,  i  poeti  si  trovarono  precisamente 

88 


594  PURGATORIO 

Guidavaci  una  voce,  che  cantava  H 
Di  là,  e  noi  attenti  pure  a  lei,  87 
Venimmo  fuor  là,  ove  si  montava. 

Venite  benedicli  Patris  mei,  88 


colla  faccia  volta  ad  oriente.  Quindi  e  manifesto  che  se  in  questa 
cornice  non  ci  fosse  stato  il  fuoco,  i  poeti  appena  salita  la  scala, 
che  li  pose  Bulla  VII  comico,  avrebbero  veduta  anche  l'altra  scala 
in  cerca  della  quale  essi  movono  ora  pel  fuoco. 

Quanti  passi  (dico  passi  non  piedi),  era  lunga  la  diagonale  che 
dovean  percorrere  i  poeti  in  mezzo  al  fuoco  per  arrivare  dall'an- 
gelo alla  scala  ?  Rispondo  :  pochi  passi  di  più  di  quello  che  porta 
il  tratto  dall'angelo  all'ultima  scala  già  fatta.  Questi  passi  si  tro- 
vano facilmente  co  4:  qui  abbiamo  una  circonferenza  di  5/16  di  miglio, 
che  fanno  1875.  Ognuna  dunque  delle  quattro  facciate  avrà  un  arco 
di  passi  469,  ed  ogni  «crii". facciata  un  arco  di  passi  234.  Dunque 
fecero  poco  più  di  231  passi  nel  fuoco,  avendo  percorso  la  diago- 
nale. Abbi  sempre  sotto  gli  occhi  la  mia  Tav.  VI,  perchè  cosi  queste 
cose  s'intendono  anche  senza  volerlo.  Queste  cognizioni  sono  neces- 
sarissime per  ispiegarc  i  passi  topografici  di  Dante  qui,  e  altrove 
appresso. 

Notate  qui  l'ingegno  eminentemente  simmetrico  di  Dante.  Vi 
ricordate  che  alle  radici  di  questa  montagna,  dopo  che  i  poeti  spa- 
ventati da  Catone  cornerò  al  monte,  essi  *i  trovarono  in  taccia  della 
salita  senza  vederla,  e  che  allora  andarono  un  tratto  verso  mezzodì 
per  farsela  indicare  da  alcune  anime  che  venivano,  e  che  poi  con 
queste  anime  (Manfredi  tra  esse)  ritornarono  al  punto  di  prima,  e 
qui  fu  accennata  la  salita?  Cosa  ammirabile!  in  principio  e  in  fine 
della  montagna  abbiamo  lo  stesso  giro  e  rigiro,  abbiamo  una  scala 
che  non  si  vede,  quantunque  se  l'abbia  dinanzi  alla  faccia. 

Così  questi  due  estremi  sono  ottimamente  e  simmetricamente 
legati  insieme.  Fa  questo  confronto  sulla  Tav.  II  o  sulla  Tav,  VI. 

86  Guidavaci  una  voce.  Era  la  voce  di  un  angelo  che  stava  al 
di  là  del  fuoco  presso  la  scala  che  era  precisamente  in  faccia  al- 
l'ultima già  ascesa,  distante  luna  dall'alcra,  quant'è  il  traverso  della 
cornice,  ossia  15  piedi.  (Vedi  la  inia  Tav.  VI,  cornice  VII). 

87  attenti  pure  a  lei.  Attenti  aolo  a  lei,  come  loro  avea  tanto 
raccomandato  l'angelo  al  di  qua  del  fuoco. 

38  Fenile  benedirti  ecc.  Finito  il  Purgatorio,  eccoti  l'invito  alla 
gloria. 


CANTO  XXVII.  595 

Sonò  dentro  da  un  lame,  che  lì  era,  * 
60.         Tal  che  mi  vinse,  e  guardar  noi  potei. 
Lo  sol  sen  va,  soggiunse,  e  vien  la  sera;  m 

Non  v'arrestate,  ma  studiate  il  passo, 

Mentre  che  l'occidente  non  s'annera.  41 
Dritta  salia  la  via  per  entro  il  sasso  4a 

Verso  tal  parte,  ch'io  toglieva  i  raggi  a 

M  Da  un  lume  ecc.  Dal  chiarore  del  Pan  gelo.  —  Che  lì  era.  Sulla 
ripa  presso  la  scala,  come  l'angelo  al  di  qua  del  fuoco,  ma  faori 
del  fuoco,  come  appunto  l'altro  angelo.  (Vedi  il  preciso  colloca- 
mento nella  mia  Tav  VI). 

M  Lo  sol  sen  va  ecc.  Mancavano  forse  uno  o  due  minuti  al  tra- 
monto. Dante  procede  con  esattezza  matematica  ;  egli  calcola  il  mi- 
nuto. Calcoliamolo  dunque  anche  noi,  e  non  facciamo  come  tutti 
che  fecero  tramontare  il  sole  in  principio  di  questo  Canto,  ingan- 
nati dai  due  primi  versi.  Intanto  l'angelo  gli  eccita  a  darsi  fretta. 
Essi  hanno  ancora  Ì/U)  di  miglio  di  altezza,  ossia  375  passi,  spar- 
titi così:  2S0  per  tutta  la  scala:  95,  che  è  l'altezza  del  piano  in- 
clinato, che  formerà  il  Paradiso  terrestre,  il  quale  così  nel  suo  centro 
s'eleva  dalla  scala  passi  95.  (Vedi  Tav.  VI,  misure  d'altezza).  — 
Vien  la  sera.  Il  tempo  dei  crepuscoli  tra  il  tramonto  e  la  notte. 

*4  Mentre  che  l'occidente  tee.  Finché  non  venga  notte,  la  quale 
succede  immediatamente  al  termine  dei  crepuscoli. 

tt  Dritta  ecc.  Perpendicolare.  Dunque  anche  la  ripa  era  perpen- 
dicolare. Perchè  quest'ultima  ripa  non  e  inclinata  come  l'altre  sotto, 
ma  è  perpendicolare?  Perchè  questa  fu  presa  dalla  tomba  presso 
Lucifero,  la  quale  lunghesso  il  corpo  di  Lucifero  disceso  dai  poeti 
era  perpendicolare  sino  all'orlo  del  pozzo,  su  cui  Dante  si  assise,  e, 
sul  quale  posò  il  piede  del  suo  Maestro.  (Vedi  In/.,  Canto  XXXIV, 
v.  85  seg.  e  127  seg.).  Obbietto:  Come  potea  salir  Dante  per  una 
scala  perpendicolare?  Prima  no,  ed  ora  sì,  perchè  non  ha  più  alcun 
peso  di  peccato,  ed  è  divenuto  leggiero  come  le  ombre.  Questo  ci 
dispone  ad  intender  il  volo  alle  sfere  celesti,  che  farà  nel  Paradiso, 
il  quale  è  più  che  salire  una  scala  perpendicolare. 

4*  Verso  tal  parte  ecc.  Perchè  la  scala  era  nel  mezzo  della  fac- 
ciata volti  ad  ovest,  perciò  chi  la  saliva  avea  la  schiena  in  faccia 
al  sole  presso  al  tramonto,  e  il  viso  in  faccia  ad  oriente.  Qui  si 
determina  precisamente  il  posto  della  scala,  che  è  quello  che  abbiam 
detto  di  sopra.  Se  la  scala  non  fosse  stata  nel  giusto  mezzo  della 


590  PURGATORIO 

Dinanzi  a  me  del  Boi  ch'era  giù  basso.  u 
E  di  pochi  scaglion  levammo  i  saggi,  *5 
Che  il  sol  corcar,  per  l'ombra  che  si  spende,  u 
Sentimmo  dietro,  ed  io,  e  gli  miei   Saggi. 
70-     E  pria  che  in  tutte  le  sue  parti  immense  47 

facciata  volta  ad  ovest,  il  corpo  di  Dante  non  avrebbe  gettata  l'om- 
bra dinanzi  a  sé.  Un'altra  prova  l'avremo  infine  della  scala,  dove 
si  troverà  colla  faccia  e  colla  vista  al  sol  levante. 

44  Sol  ch'era  giù  lasso.  Dunque  il  sole  è  basso  bensì,  ma  è  an- 
cora sopra  l'orizzonte,  perchè  ancora  getta  l'ombra  di  Dante.  Perchè 
dunque  i  commentatori  farcelo  tramontare  tanto  prima?  Ottimi  co- 
dici (dice  il  P.  Cesari)  hanno  giù  basso.  Ed  io  tengo  questa  legione, 
perchè  più  precisa  ed  astronomica,  al  che  Dante  mira,  rigettata 
l'altra  di  già  lasso.  Quelli  che  cangiarono  il  basso  in  lasso,  certo 
hanno  cangiato  il  giù  in  già,  che  col  lasso  sta  meglio.  Dante  ha 
per  certo  scritto  giù  basso,  e  a  questa  lezione  io  m'attengo  senza 
altro.  Era  troppo  facile  cangiare  il  giù  dantesco  in  un  già  dai  si- 
gnori copisti.  Qui  non  si  dice  che  né  l'uno  né  l'altro  dei  due  angeli, 
che  stanno  di  qua  e  di  la  dal  fuoco,  abbia  cancellato  l'ultimo  P 
della  lussuria  dalla  fronte  di  Dante.  Perchè?  Perchè  una  tal' ope- 
razione questa  volta  la  fece  il  fuoco,  che  ha  un'  immensa  attività  a 
purificare. 

48  E  di  pochi  scaglion  ecc.  Salimmo  pochi  gradi  della  scala, 
quanti  portava  un  minuto. 

46  Che  il  sol  corcar  ecc.  Ecco  finalmente  il  tramonto  del  sole, 
troppo  anticipato  dai  commentatori.  Io  non  so  corno  non  l'abbiano 
veduta.  È  inutile  dire  che  qui  si  parla  della  sola  ombra  di  Dante, 
perchè  gli  altri  due  poeti  non  gettavano  ombra,  ma  l'uno  e  l'altro 
s'accorse  che  Dante  da  un  momento  all'altro  non  gettò  più  la  so- 
lita ombra.  S'accorse  Virgilio,  quantunque  dinanzi,  perchè  l'ombra, 
che  di  una  persona  getta  il  sol  cadente,  è  lunga  lunga,  sicché  an- 
dava innanzi  a  Virgilio  :  meglio  s'accorse  Stazio,  che  veniva  dietro 
a  Dante.  Questo  tramonto  è  quello  dei  12  aprile,  ma  volto  in  II 
ottobre,  perchè  noi  siamo  agli  antipodi  di  Gerusalemme.  Agli  11 
ottobre  il  sole  tramonta  alle  5:20,  come  si  ha  dagli  almanacchi. 

47  E  pria  che  in  tutte  ecc.  Pria  che  fossero  terminati  i  crepu- 
scoli. Questi  nella  sera  degli  11  ottobre  finiscono  alle  7  in  punto, 
durando  perciò  lo  spazio  di  ore  1:40.  Veramente  finche  durano  i 
crepuscoli,   secondo  il  sistema  di  Dante,  si  potè  sempre  salir  la 


CANTO  XXVlt.  597 

Fusse  orizzonte  fatto  d'un  aspetto, 
E  notte  avesse  tutte  sue  dispense, 

Ciascun  di  noi  d'un  grado  fece   letto; 
Che  la  natura  del  monte  ci  affranse48 
La  possa  del  salir  più  che  il  diletto.  49 

Quali  si  fanno  ruminando  manse  50 


montagna.  Qui  invece  fa  un'eccezione  alla  legge,  e  suppone  che  non 
si  possa  salire  anche  prima  del  termine  dei  crepuscoli,  non  es?endo 
conveniente  di  andare  nel  Paradiso  terrestre  in  tempo  di  oscurità. 
Noi  vedremo  quanto  si  gioverà  il  poeta  di  questo  riposo. 

48  La  natura  ecc.  (Vedi  Purg.,  Canto  VII,  n.  33). 

49  La  possa  ecc.  Possa  e  diletto  sono  accusativi.  Por  la  voglia 
e  piacere,  che  tutti  prendevano  a  salir  quella  scala,  sebbene  fosse 
perpendicolare,  l'avrebbero  continuità,  a  salirò  con  tutta  facilità  an- 
corché fosse  9 tata  lunga  le  mille  miglia;  ma  la  natura  del  monte 
portava  cosi  :  esso  in  quel  punto  e  a  quell'ora  avea  la  virtù  di  tor 
le  gambe  più  che  la  volontà,  e  perciò  bisognava  arrestarsi.  Questa 
fermata  è  opportuna  per  disporre  Dante  ade  cose  che  verranno,  per- 
chè egli  verrà  disposto  al  resto  con  una  visione  seeondo  il  metodo 
di  Dante,  cominciato  ad  usare  sino  dalla  ameni  valletta  dei  principi 
nella  fine  dell'  Antipurgatorio  quando  fu  portato  da  Santa  Lucia 
presso  la  porta   del  Purgatorio,  come  viene  narrato  nel  Canto  IX. 

50  Quali  fi  fanno  ruminando  ecc.  Il  poeta  vuol  dire  due  cose,  una 
per  ciascuna  delle  due  similitudini,  che  ha  in  queste  quattro  ter- 
zine. La  prima  si  è  la  cura  ch'ebbero  di  lui  nel  giorno  i  due  poeti. 
La  seconda  la  cura  ch'ebbero  di  lui  nella  notte.  La  prima  simili- 
tudine serve  per  la  cura  ch'ebbero  di  lui  durante  il  giorno.  La 
seconda  similitudine  serve  per  la  cura  ch'essi  ebbero  di  Ini  durante 
la  notte.  Li  due  poeti  sono  paragonati  ai  pastori.  Dante  si  para- 
gona alla  Capra.  Alla  Capra,  dico,  e  non  alle  agnelle:  perchè  sono 
le  capre  e  non  le  agnelle  che  vanno  peglì  altissimi  greppi  delle 
montagne,  sopra  tali  precipizi,  dove  non  ci  andrebbero  che  gli  au- 
gelli. Questo  è  un  ottimo  ritrovato  pel  punto  dove  si  trovava  Dante. 
Dante  si  trovava  su  di  una  montagna  alta  tanto,  quanto  vedata 
non  se  n'ebbe  alcuna,  e  allora  precisamente  era  a  presso  05  miglia 
della  sua  altezza.  Adunque  questa  capra  di  Dante  fu  menata  a 
pascere  per  quelle  alte  pendici,  da  solo  Virgilio  prima,  e  poi  da 
Virgilio  e  Stazio.  Ogni  giro  che  faceva,  ogni  cosa  che  vedeva,  ogni 


5* 


598  PURGATORIO 

Le  capre,  state  rapide  e  proterve  u 
Sopra  le  cime  prima  che  sien  pranse,  " 

Tacite  all'ombra  mentre  che  il  sol  ferve, 
80-         Guardate  dal  pastor,  che  in  sulla   verga 
Poggiato  s'è,  e  lor,  poggiato,  serve;  S4 

E  quale  il  mandrian  che  fuori  alberga,  w 
Lungo  il  peculio  suo  queto  pernotta, 
Guardando  perchè  fiera  non  lo  sperga; 

Tali  eravamo  tutti  e  tre  allotta, 
lo  come  capra,  ed  ei  come  pastori, 
Fasciati  quinci  e  quindi  dalla  grotta.  ** 

persona  con  cui  parlava  era  per  lai  una  pastura;  e  li  poeti  guar- 
darlo e  custodirlo  mentre  prendeva  quel  pascolo.  Quando  poi  Dante 
avea  finito  di  pascersi  di  qualche  curiosità,  allora  si  univa  coi  suoi 
poeti,  e  questo  serviva  a  lui  di  riposo  diurno,  ascoltando  le  loro 
ragioni,  che  a  poetar  gli  davano  intelletto.  Questa  e  tutta  la  prima 
similitudine.  La  seconda  poi  riguarda  precisamente  il  luogo  dove 
erano  allogati  tutti  e  tre  in  quella  notte.  Usano  i  pastori  delle  al- 
tissime montagne  passar  la  notte  colle  loro  greggi  al  sereno,  dor- 
mendo le  greggi,  e  vegliando  i  pastori.  Ebbene  ;  nota  qui  Dante, 
che  standosene  egli  (capra)  al  sereno,  per  suo  amore  stavano  al 
sereno  anche  i  suoi  pastori,  sulla  scala  incavata  nel  vivo  masso. 
Questa  è  la  spiegazione  più  propria  di  queste  quattro  terzine,  e  di 
queste  due  similitudini,  le  quali  voglion  dire  due  cose  diverse,  e 
non  quell'unica  cosa  (che  sarebbe  stata  una  confusione  bella  e  buona) 
che  vollero  far  dire  a  Dante  tutti  i  commentatori. 

**  Rapide.  E  nota  la  rapidità  della  capra  pei  precipizi  i  più  alti 
delle  montagne.  —  Proterve.  E  Vhaedique  petulci  di  Virgilio. 

M  Prima  che  sien  pranse.  Prima  che  siano  satolle. 

53  In  sulla  verga  —  Poggiato  s'è.  Tale  è  l'usata  positura  dei 
pastori,  mentre  riposa  il  gregge. 

**  E  lor,  poggialo  serve.  Non  può  esser  che  questa  la  vera  le- 
zione, perchè  ci  mantiene  il  fine  della  similitudine,  che  è  la  cura 
che  ha  il  pastor  della  sua  greggia  anche  quando  pare  che  egli  ri- 
posi ;  anzi  quel  riposo  è  una  guardia  alla  greggi  : . 

53  Fuori  alberga  —  Lungo.  Mandriano  e  peculio  (greggia)  eu« 
trambi  fuori  alla  aperta  campagna. 

W  Grotta.  Monte  dov'era  incavata  le  scala. 


CANTO  XXVII.  599 

Poco  potea  parer  li  del  di  fuori  ;  57 
Ma  per  quel  poco  vedev'io  le   stelle  88 
w-         Di  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori.  59 

Sì  ruminando,  e  sì  mirando  in  quelle  60 
Mi  prese '1  sonno;  il  sonno,  che  sovente 
Anzi  che  il  fatto  sia  sa  le  novelle.  61 

Nell'ora,  credo,  che  dell'oriente  62 

57  Poco  potea  ecc.  Poco  potca  apparire,  perchè  la  scala  era  in- 
cavata profondamente  nel  masso  della  ripa. 

*>*  Per  quel  poco.  Per  quel  poco  spazio  tra  l'una  e  l'altra  parete 
della  nostra  scala. 

39  Di  lor  solere  più  chiare  e  maggiori.  Perchè  per  regola  di 
ottica  gli  oggetti  che  si  mirano  lunghesso  a  qualunque  pia  piano, 
che  ce  li  isoli  alla  nostra  vista,  ci  appariscono  sempre  e  più  chiari 
e  maggiori.  Ossei  vate  questo  fenomeno  aila  levata  della  Luna,  che 
allora  vi  par  più  grande  e  più  risplendente  per  vederla  lunv?o  il 
piano  della  terra. 

60  Sì  ruminando.  H  pensando  alla  simiglianza  nostra  colle  capre 
e  pastori.  -  Sì  mirando  in  quelle.  SI  guardando  in  quelle  poche 
stelle,  che  aveano  per  me  un  fenomeno  fisico  particolare. 

6*  Anzi  che  il  fatto  sia  ecc.  Per  qualche  sogno,  che  si  fa  dor- 
mendo, e  che  smesso  ci  annunzia  ciò  che  ci  sarà  per  succedere. 
Tale  se  vi  ìicorda,  fu  il  sonno  od  il  so^no  nel  sonno,  che  ebbe  il 
poeta  la  notte  che  pa»sò  nella  valletta  dei  principi,  dove  sogoò  del- 
l'aquila, che  rapi  Ganimede  al  sommo  concistoro,  sogno  allusivo  al 
trasporto  che  fé'  di  lui  S.  Lucia  sin  presso  alla  porta  del  Purga- 
torio Canto  IX.  (Vedi  il  mio  disegno,  Tav.  IV,  Purg.),  E  tale  fu 
sempre  ogni  altro  sogno  che  fece,  come  quello  della  strega  del 
Canto  XIX  del  Purg.y  allusivo  alla  falsa  felicità  mondana,  cui  egli 
era  per  visitare  nella  persoua  de'  suoi  amanti  Avari,  Gol  «si  e  Lus- 
suriosi. .Anche  il  sogno  di  questo  Canto  gli  predirà  l'avvenimento 
della  prossima  dimane.  Lo  si  inette  presso  alla  mattina,  perchè  è 
in  quell'ora 

Che  la  mente  nostra  pellegrina, 

Più  dalla  carne,  e  men  da'  ppnsier  presa, 
Alle  sue  vision  quasi  è  divina. 

{Purg.,  Canto  IX,  v.  16,  n.  12). 

62  bell'or  a  ecc.   Nell'ora  che  forse  Venere  dall'oriente.  Venere 


600  PURGATORIO 

Prima  raggiò  nel  monte  Citerea,  M 
Che  di  fuoco  d'amor  par  sempre  ardente,  •* 
Giovane  e  bella  in  sogno  mi  parea 
Donna  vedere  andar  per  una   landa,  •* 
Cogliendo  fiori,  e  cantando  dicea: 
10°-    Sappia,  qualunque  il  mio  nome  dimanda, 

Cb'io  mi  son  Lia,  e  vo  movendo  intorno  w 
Le  belle  mani  a  tarmi  una  ghirlanda. 

nasce  coi  Pesci,  come  abbiamo  veduto  (Purg.  Canto  I,  n.  15).  Ma 
i  Pesci  precedono  Ariete  di  30  gradi  ossia  2  ore.  Dunque  Venere 
nasce  2  ore  prima  di  Ariete.  Ha  il  sole  non  è  nel  lo  grado  di  Ariete, 
esso  è  invece  nel  grado  22°,  di  tanto  ritirato  verso  il  Toro  che  vien 
dopo  Ariete.  Dunque  Venere  precede  la  nascita  del  sole  di  52  gradi, 
ossia  di  ore  3:28.  In  qual'  ora  nascerà  il  sole  del  12  ottobre,  che 
abbiamo  al  Purgatorio,  corrispondente  al  13  aprii  in  Gerusalemme? 
Esso  nascerà  alle  6:15.  Togliamo  dunque  dalle  6:15  le  ore  3:28  ed 
avremo  la  precisa  ora  antimeridiana  presente  della  nascita  di  Ve- 
nere. Fatto  questo  calcolo,  vedremo  che  Venere  nascerà  alle  3:27 
antimeridiane.  —  Credo*  Dice  credo,  perchè  trattandosi  di  un  sogno 
avuto  nel  sonno  non  può  esser  certo  dell'ora  precisa. 

W  Prima  raggiò  ecc.  Per  accennar  l'ora  del  giorno  13  aprile, 
rispondente  a  12  ottobre  al  Purgatorio,  la  piglia  (che  è  lo  stesso, 
ma  assai  meglio)  dalla  prima  volta  che  Venere  o  Citerea  raggiò 
sulla  terra,  dopo  la  creazione  del  mondo.  La  sentenza  comune  si  è 
che  il  mondo  abbia,  pel  nostro  emisfero,  cominciato  dalla  primavera, 
che  è  la  più  bella  stagione  dell'anno.  A  questa  opinione  s'attiene 
pur  Dante,  e  vi  aggiunge  anche  il  giorno  e  l' ora  dacché  comincia- 
rono a  correre  le  stagioni.  Dunque,  secondo  Dant<\  quando  il  mondo 
fu  creato,  dovette  cominciar  a  contarsi  primavera  13  aprile,  ore  3:27 
antim.,  nel  qual  momento  torse  d'oriente  por  la  prima  volta  la  stella 
Venere  a  raggiar  nel  monte  e  nel  Paradiso  terrestre.  Quanta  erudi- 
zione in  questo  semplice  orario!  e  quanta  vaghezza  e  quanta  novità! 

•*  Che  di  fuoco  d'amor.  La  stella  Venere  è  la  più  amabile  del  ciclo. 

63  Landa.  Campagna. 

*6  Lia.  Lia  e  Rachele  furono  due  sorelle;  Lia  fu  sempre  presa  a 
aimbolo  della  vita  attiva,  e  Rachele  a  simbolo  della  contemplativa 
in  punto  di  ascetica  cristiana.  Vedete  che  Lia,  perchè  era  simbolo 
della  vita  attiva,  la  si  descrive  in  questo  sogno    dedicata  all'opera 


CANTO  XXVII.  601 

Per  piacermi  allo  specchio  qui  m'adorno  ; i7 
Ma  mia  suora  Rachel  mai  non  si  smaga  6* 

delle  mani.  A  questi  simboli  danteschi  s'  inspirò  Michelagnolo  nella 
■cultura  di  due  statue  che  ornano  il  mausoleo  di  Giulio  II  a  Roma. 
Ecco  come  le  descrive  il  Vasari  :  «  In  una  nicchia  messe  Lia,  figlinola 
di  Laban,  per  la  vita  attiva,  con  uno  specchio  in  mano  per  la  con- 
siderazione si  deve  avere  per  le  azioni  nostre;  e  nell'altra  una  ghir- 
landa di  fiori,  per  le  virtù  che  ornano  la  vita  nostra  in  vita,  e  dopo 
la  morte  la  fanno  gloriosa.  L'altra  fu  Rachel  sua  sorella,  per  la  vita 
contemplati  va,  con  le  mani  giunte,  con  un  ginocchio  piegato,  e  col 
volto  par  che  stia  elevata  in  ispirito.  »  Vita  di  Buonarroti.  Cosi 
Michelangelo,  dal  Minosse  di  Dante,  nel  Canto  V  dell1  /n/*.,  prese 
il  suo  nel  famoso  Giudizio  universale  della  Sistina:  e  cosi  in  tanti 
suoi  concetti,  dipinti  o  sculti,  copiò  le  idee  da  Dante,  di  cui  fa  tanto 
studioso,  che  disegnò  in  un  esemplare  ben  marginoso  i  più  bei  con- 
cetti del  gran  poeta  :  e  fu  gran  peccato  che  un  tanto  volume  pe- 
risse in  mare  con  chi  lo  portava. 

67  Per  piacermi  allo  specchio  qui  m'adorno.  Perchè  io  possa 
essere  contenta  di  me  stosa  innanzi  a  Dio,  quando  gli  andrò  di- 
nanzi, mi  occupo  in  questa  vita  attiva.  Si  vede  chiaramente  che 
specchio  in  questa  allegoria  è  Dio  medesimo.  Ogni  cristiano,  nel- 
l'adempire  i  suoi  santi  doveri  della  vita  attiva,  se  vuole  che  le  sue 
opere  gli  valgano  a  vita  eterna ,  supposto  sempre  il  fondamento  della 
grazia  santificante,  dee  avere  in  mira  di  piacer  con  esse  al  suo  spec- 
chio, ossia  a  Dio,  a  cui  ogni  nostra  buona  azione  dee  esser  diretta. 

**  Mai  non  si  smaga  ecc.  Mai  non  diparte  dal  suo  specchio,  dal 
suo  Dio,  e  siede  tutto  giorno  a  contemplarlo.  In  Rachele,  come  ai 
vede,  è  delineata  la  vita  contemplativa,  che,  lasciate  l'opere  proprie 
dell'apostolato,  attende  continuamente  alla  meditazione  ed  alla  con- 
templazione di  Dio.  Si  crede  comunemente,  che  queste  due  vite 
dell'ascetica  cristiana  sieno  proprie  dei  soli  religiosi,  secondo  che 
porta  la  lor  varia  professione,  e  non  facciano  menomamente  pei 
laici.  Questo  è  un  errore,  e  Dante  non  la  pensava  così.  Li  due  per- 
sonaggi, che  prende  a  simbolo  di  queste  due  vite,  sono  persone  laiche 
e  maritate,  e  Matilde  che  troveremo  nell'altro  Canto,  alla  quale  al- 
lude la  Lia  del  sogno,  era  pur  essa  laica  e  principessa  e  maritata.  Colle 
debite  differenze  dagli  ordini  religiosi,  tutti  i  fedeli  cristiani  per 
salvarsi  devono  appartenere  o  all'una,  o  all'altra  di  queste  vite,  o 
o  ad  un  cotale  temperamento  di  tutte  e  due.  Dante  la  intese  cosi 
e  la  intese  bene. 


602  PURGATORIO 

Dal  suo  miraglio,  e  siede  tutto  giorno.  i9, 
EU'è  de'  suoi  begli  occhi  veder  vaga,  70 
Com'io  dell' adornarmi  colle  mani  ;  7i 
Lei  lo  vedere,  e  me  lovrare  appaga.  7* 
E  già,  per  li  splendori  antelucani,  n 
HO-        Ohe  tanto  ai  peregrin  surgon  più  grati,  74 

*9  Miraglio.  Specchio. 

70  EWh  de'  suoi  begli  occhi  ecc.  Rachele  non  ama  che  contem- 
plare allo  specchio  i  suoi  begli  occhi,  ovvero,  fuori  d'allegoria,  la 
vita  contemplati  va  a  sola  questa  occupazione  è  consecrata  di  con- 
templare in  Dio  (suo  specchio)  i  suoi  begli  occhi,  ossia  la  santità 
della  sua  vita  contemplativa,  per  veder  di  piacere  con  essa  al  suo 
Dio,  rendendo  belli  i  suoi  occhi,  ossia  tutta  so  stessa,  tanto  quanto 
possibilmente  è  dato  a  creatura  d'assomigliarsi  alla  bellezza  di  Dio. 
E  siccome  la  vita  contemplativa  è  per  so  più  eccellente  della  attiva, 
perciò  ella  viene  paragonata  agli  occhi,  che  sono  la  parte  più  bella 
del  corpo.  E  siccome  la  vita  contemplativa  ha  per  fine  di  vedere  e 
considerare  le  perfezioni  di  Dio,  perciò  essa  si  coltoci  negli  occhi, 
che  hanno  per  fine  di  vedere.  E  si*  come  finalmente  la  vita  con- 
templativa prende  direttamente  da  Dio  il  m .dello  alle  sue  perfe- 
zioni, né  mai  si  contenta  finché  non  le  esempli  in  sé  compiutamente, 
perciò  agli  occhi  si  pone  l'aggiunto  di  belli. 

71  Com'io  dell1  adornarmi  ecc.  Come  Rachele  e  dedita  alla  vita 
contemplativa,  cosi  io  alla  vita  attiva  significata  dall'adornarsi  colle 
mani.  Come  l'occhio,  che  vede,  e  s;mbolo  del  contemplare,  cosi  la 
mano  che  opera  è  simbolo  dell'operare 

72  Lei  io  vedere,  e  me  ecc.  Ella  trova  tutto  il  su  )  contento  nella 
vita  contemplativa  (vedere),  ed  io  trovo  tutto  il  mio  contento  nella 
vita  attiva  (ovrare).  Dio  mette  negli  uomini  le  varie  vocazioni  al- 
l'una, o  all'altra  di  queste  vite,  secondo  le  indoli  e  propensioni  par- 
ticolari di  ciascuno,  e  cosi  ciascuno  si  trova  contento  in  quella  che 
aegue  per  sua  propria  elezione,  perchè  si  l'una  che  l'altra  mira  a  Dio. 

173  Splendori  antelucani.  L'alba  addi  12  ottobre  al  Purgatorio, 
rispondente  a\13  aprile  a  Gerusalemme,  spuntava  alle  ore  4:35 
antim.  Sicché  il  sogno  durò  dalle  3-27  alle  4:35,  ossia  ore  1:8. 

7*  Ai  peregria  ecc.  Qual  era  Dante,  il  quale  anch'esso,  come  gli 
altri  pellegrini  nel  ritorno  alla  patria,  pensava  che  movendosi  al- 
l'alba, alla  sera  di  quel  giorno  avrebbe  albergato  più  vicino  alla 
patria,  che  per  lui  era  il  Paradiso.  Per  questo  gli  splendori  antelucani 


CANTO  XXVII.  «03 

Quanto  tornando  albergali  men  lontani, 

Le  tenebre  fuggian  da  tutti  i  lati, 

E  il  sonno  mio  con  esse;  ond'io  leva'mi, 
Veggendo  i  gran  maestri  già  levati.  75 

Quel  dolce  pome,  che  per  tanti  rami  76 
Cercando  va  la  cura  de'  mortali, 
Oggi  porrà  in  pace  le  tue   fami: 

Virgilio  in  verso  me  queste  cotali 

Parole  usò,  e  mai  non  furo  strenne,  77 
12o.       Ohe  fosser  di  piacere  a  queste  iguali. 

Tanto  voler  sovra  voler  mi  venne 
Dell'esser  su,  ch'ad  ogni  passo  poi 
Al  volo  mi  sentia  crescer  le  penne.  7g 

soii  tanto  più  grati  ai  pellegrino,  che  agli  altri  tutti  Notate  che  qui 
si  parla  dei  pellegrini,  non  quando  partono,  ma  quando  ritornano, 
perchè  è  allora  che  si  avvera  questo  caso  Anche  Dante  tornava,  e 
non  partiva, 

75  Già  levati.  Virgilio  e  Stazio,  che  si  erano  bensì  coricati,  ma 
non  ave  in  dormito,  avendo  fatto  in  quella  notte  da  pastori  alla 
buona  capra  di  Dante,  il  quale  veramente  ha  dormito,  perchè  avendo 
egli  corpo,  a  differenza  delle  due  ombre,  esso  era  tuttor  soggetto 
a  quel  bisogno  di  natura,  al  quale  non  eran  soggette  le  ombre. 

76  Quel  dolce  pome.  Quella  felicità.  L'uomo  tende  naturalmente 
ad  una  felicità  ;  ma  spesso  va  a  cercarla  dove  non  è.  Co9Ì  fecero 
Adamo  ed  Eva  pei  primi,  che  andarono  a  cercarla  in  un  pomo  vie- 
tato. L'allegoria  si  fonda  su  questo  malaugurato  principio.  —  Per 
tanti  rami.  Ogni  sorta  di  falsa  felicità  mondana,  che  si  riduce  alle 
tre  concupiscenze  degli  onori,  della  roba,  della  carne,  sono  come 
tanti  rami  fallaci,  pei  quali  l'uomo  ingannato  va  in  cerca  di  ciò  che 
lo  appaghi  compiutamente:  ma  il  vero  ramo,  che  ha  il  veramente 
dolce  frutto  della  soda  felicità,  non  è  che  un  solo,  e  Virgilio  pro- 
mette a  Dante,  che  lo  troverà  oggi  stesso  nel  Paradiso  terrestre» 
dove  regnò  per  poco  ogni  vera  felicità  per  la  innocenza  della  vita, 
innocenza  che  Dante  aveva  ornai  acquistato  dopo  lavata  ogni  mac- 
chia nel  Purgatorio. 

77  Strenne.  Doni,  regali. 

78  Al  volo.  Era  veramente  un  volo  l'ascesa  per  la  scala,  la  quale,  per 


604  PURGATORIO 

Come  la  scala  tutta  sotto  noi 
Fu  corsa,  e  fummo  in  su'i  grado  superno,  7f 
In  me  ficcò  Virgilio  gli  occhi  suoi, 

E  disse  :  li  temporal  fuoco  e  l'eterno  ®° 
Veduto  hai,  figlio,  e  se' venuto  in  parte 
Ov'io  per  me  più  oltre  non  discerno.  8I 
130.    Tratto  t'ho  qui  con  ingegno,  e  con  arte  :  w 
Lo  tuo  piacere  ornai  prendi  per  duce;  M 
Fuor  se' dell'erte  vie,  fuor  se'  dell'arte.  84 

esser  perpendicolare,  non  avrebbe  potuto  salirla  ebe  un  corpo  dive- 
unto  tanto  leggiero  quanto  uno  spirito.  Dante  era  infatti  divenuto  tale. 

79  In  sul  grado  superno.  Eccoli  giunti  al  Paradiso  terrestre. 

80  il  temporal  fuoco  e  l'eterno.  11  Purgatorio  e  l'Inferno,  en- 
trambi i  quali  luoghi  aveauo  qualche  peccato  che  si  puniva  nel  fuoco. 
Virgilio  qui  capovolge  l'ordine,  come  l'avca  capovolto  anche  Dante 
nell'/n/.  Canto  I,  v.  133,  quando  così  lo  richiese: 

Che  tu  mi  meni  là  dov'or  dicesti, 
Sì  ch'io  vegga  la  porta  di  San  Pietro, 
E  color  che  tu  fai  cotanto  mesti. 

Ora  Virgilio  gli  rende  la  pariglia. 

*i  Ov'io  per  me  ecc.  La  sola  ragione  rappresentata  da  Virgilio 
non  può  vedere  e  discorrere  esattamente  di  quel  luogo  felice,  e  delio 
stato  de'  suoi  felici  abitatori,  perchè  questa  materia  è  cosa  che  senza 
della  Rivelazione  non  si  sarebbe  potuta  sapere.  In  prova  di  ciò  ab- 
biamo i  farfalloni  della  mitologia  in  questa  materia.  Tutta  l'antichità 
non  illuminata  dalla  Rivelazione  conobbe  bensì  l'esistenza  primitiva 
di  uno  stato  felice,  ma  sempre  errò  nel  definirlo. 

tt  Con  ingegno  e  con  arte.  Arte  od  ingegno  puramente  umani, 
perchè  di  sola  Ragione. 

**  Lo  tuo  piacere.  Il  tuo  gusto,  la  tua  inclinazione,  la  tua  vo- 
lontà, che  ornai  non  può  suggerirti  che  bene. 

8i  Fuor  se'  ecc.  Non  incontrerai  più  alcuna  difficoltà  in  cosa  che 
sia.  La  metafora  è  tolta  dalle  difficoltà  che  si  trovano  in  un  cam- 
mino, il  quale  può  riuscir  malagevole  per  esser  le  vie,  o  erte  o 
strette.  Di  queste  ne  trovò  Dante  moltissime  in  questo  viaggio  sia 
dell'Inferno  che  del  Purgatorio.  Ora  invece  ha  sol  dinanzi  un  piano 
aperto  e  dolcissimamente  inclinato. 


CANTO  XXVII.  605 

Vedi  là  il  sol,  che  in  fronte  ti  riluce;  w 
Vedi  l'erbetta,  i  fiori  e  gli  arboscelli, 
Che  questa  terra  sol  da  sé  produce.  w 

Mentre  che  vegnon  lieti  gli  occhi  belli,  87 
Che  lagrimando  a  te  venir  mi  ferino,  ** 
Seder  ti  puoi,  e  puoi  andar  tra  elli. 

Non  aspettar  mio  dir  più  né  mio  cenno: 
li0-       Libero,  dritto,  sano  è  tuo  arbitrio,  89 
E  fallo  fora  non  fare  a  suo  senno:  90 

Perch'  io  te  sopra  te  corono  e  mitrio.  9! 

&*  Vedi  là  il  sol  ecc.  Nascita  del  sole.  Nel  12  ottobre  in  cui 
siamo,  rispondente  a'  13  aprile,  il  sole  leva  alle  6:15; 

w  Sol  da  sé  produce.  Senza  bisogno  di  coltura.  Adamo  fu  posto 
a  lavorare  il  Paradiso  terrestre  non  per  bisogno  di  questo,  ma  per 
piacere  di  lui  stesso. 

87  Gli  occhi  belli.  Beatrice.  Gli  occhi  per  tutta  la  persona.  S. 
dice  gli  occhi,  perchè  la  più  bella  parte.  È  l'uso  di  Dante. 

88  Che  lagrimando  ecc.  Alludi  a  quei  due  versi  del  Canto  II 
dell'  inferno: 

Gli  occhi  lucenti  lagrimando  volse, 
Perchè  mi  fece  del  venir  più  presto. 

89  Libero  ecc.  Come  quel  di  Adano  nello  stato  dell'innocenza, 
nel  giardin  del  quale  or  Dante  si  trova, 

90  E  fallo  fora.  Il  non  secondare  la  coscienza  retta,  è  peccato. 
Adamo  peccò  perchè  non  l'ascoltò. 

di  Te  sopra  U.  Ti  taccio  donno  e  signore  di  te  stesso. 

Fine  del  Vero  Purgatorio  e  quindi  della  Via  purgativa. 

Da  questo  punto  il  Purgatorio  diventa  il  prodromo 
della  Via  illuminativa,  mediante  l'anello  del  Paradiso  terrestre. 


CANTO  XXVIII 


Argomento. 

Descrive  il  Paradiso  terrestre,  che  trova  cinto  da  una  bella 
foresta.  Lentamente  s'  inoltra  per  essa  fin  che  trova  un  ruscello 
chtt  V arresta.  Il  ruscello  scorre  da  sud  a  nord,  e  si  descrive.  Dante 
dalla  sponda  sinistra  mira  al  di  là  la  bella  campagna,  ed  ecco 
che  gli  vicn  veduto  una  bella  donna,  che  cantava  e  coglieva  fiori. 
Egli  la  prega  ad  avanzarsi  verso  il  ruscello  per  intendere  i  suoi 
canti.  Descrive  la  venuta  di  questa  donna,  e  indi  la  donna  stessa. 
Questa  dice  ai  tre  poeti  la  causa  del  suo  riso,  e  poi  in  partico- 
lare s'offre  a  Dante  ad  appagarlo  in  ogni  sua  dimanda,  dicen- 
dogli che  per  qncHo  è  venuta.  Dante  allora  le  espone  un  suo  dubbio 
sull'acqua  e  sul  vento  trovati  nel  Paradiso  terrestre,  mentre  egli 
eapea  che  tali  cose  non  poteano  oltrepassare  la  porta  del  Fero 
Purgatorio,  secondo  che  gli  avea  prima  spiegato  Stazio., La  donna 
gli  scioglie  questo  dubbio,  mostrandogli  la  causa  che  muove  il  vento 
nel  Paradiso  terrestre,  e  la  causa  che  produce  il  ruscello.  Gli 
dice  che  il  tuscello  è  biparti'o,  e  che  il  ramo  dov'erano,  si  chia- 
mava Lete,  e  l  altro  Eunoè;  che  il  primo  cancella  la  memoria 
del  peccato,  ed  il  secondo  dà  la  memoria  del  ben  fatto,  dietro  il 
gusto  che  se  ve  fa,  il  quale  supera  in  dolcezza  ogni  altra  cosa. 
Finalmente  deride  le  follìe  dei  poeti  antichi,  che  posero  l'età  del- 
l'oro e  lo  stato  felice  in  Parnaso,  mentre  non  fu  che  in  quel  luogo 
dov'erano,  i  ornando  queste  parole  in  frizzo  a  Virgilio  e  Stazio, 
Dante  ti  volfje  a  veder  l1  impressione,  che  in  essi  hanno  prodotto, 
e  li  trova  che  ridano.  Indi  si  volge  ancora  alla  donna  al  di  là 
del  ruscello. 


Avvertimento 

SUL   SITO  DEL   PARADISO   TERRESTRE. 

Dante,  nel  porre  il  Paradiso  terrestre  in  sito  cosi  elevato,  non 
fece  elio  >.  ,:uire  l'opinione  corrente  fino  a' suoi  tempi,  convalidata 
dall'*,  test -i»  «>uianze  di  gravi  jiutori  Al  qual  proposito  è  bello  leg- 
gere la  (  iv.^à  Cattolica,  Quad.  297  del  2  agosto  I8fi2,  pag.  313. 
dove  si  dicf  cosi  :  «  Alcuni  vecchi  scrittori  hanno  posto  il  Para- 
li diso  terrestre  in  luogo  affatto   remoto,  e  l'hanno  innalzato  fino 


608  PURGATORIO 

«  al  globo  lunare.  S.  Basilio  lo  colloca  in  regione  cosi  elevata,  che 
«  non  soffrisse  mai  tenebre.  In  luogo  eccelsissimo  lo  credettero  ezian- 
«  dio  S.  Giovanni  Damasceno.  Mosè  Barcefa,  il  quale  cita  Filo— eno 
«  vescovo  di  Mabuga,  e  con  essi  Leon  te,  prete  di  Parigi,  ohe  scrisse 
«in  versi  le  istorie  deWJnlico  Testamento;  ecco  i  versi: 

«  Ip$e  voluptatis  jam  tunc  oriente  remoto 
«  Montibus  in  summit  hortum  plantavit  amoenum. 

«  Alessandro  di  Ales,  e  il  Tostato  lo  pongono  sopra  la  media  re- 
«  gione  dell'aria,  e  cosi  lo  salvano  dall'acqua  del  diluvio.  S.  Bona- 
«  ventura  e  il  Durando  credettero  che  fosse  sotto  la  linea  equinoziale. 
«  Queste  autorità  sono  sufficienti  a  giustificar  Dante,  il  quale  collocò 
«•  quel  delizioso  soggiorno  di  là  dall'equatore,  e  sulla  cima  del  più 
«  alto  dei  monti,  superiore  a  tutte  le  nuvole,  e  libero  da  ogni  alte- 
«  razione  prodotta  dalle  esalazioni  dell'  acqua  e  della  terra.  » 

Rivedi  a  questo  proposito  il  nostro  Discorso  Preliminare  (/*/!, 
pag.  23-32)  dove  noi  dicevamo  che  Tertulliano  e  S.  Tomaso  pon- 
gono il  Paradiso  terrestre  al  sud  dell'equatore.  Meglio  di  tutti  spiega 
queste  cose  Rabano  Mauro,  abate  di  Fulda  del  IX  secolo,  uno  degli 
scrittori  più  cari  a  Dante,  che  lo  collocò  nel  sole  fra  i  più  famosi 
teologi.  Egli  nel  tomo  I  de  Universo,  lib.  XII,  cap,  III,  dice  cosi  : 
Septus  (paradisusj  est  enim  undique  romphaea  flammea  {gladi** 
igneus  atout  versatili*,  dice  la  BibbiaJ,  idest  muro  igneo  aecineius 
ita  ut  ejus  coelo  pene  iungat  incendium  (ecco  l'equatore,  dal  quale 
Dante  fa  circondare  il  Paradiso  terrestre,  come  puoi  vedere  nella 
mia  Tav.  I  In/.).  Dante  poi  a  questa  prima  cinta  lontana,  ne  pone 
un'altra,  pure  di  fuoco,  affatto  vicina  al  Paradiso  terrestre,  come 
puoi  vedere  nella  mia  Tav.  VI  del  Purg.,  precisamente  nell'ultima 
cornice,  dove  si  purgano  i  lussuriosi,  ed  è  a  questa  seconda  cinta 
ch'egli  pone  i  Cherubini  a  eustodi,  seguendo  anche  in  ciò  l'anzidetto 
Rabano,  loco  citato  :  Cherubin  quoque,  idest  angelorum  praesidium 
arcendis  spiritibus  malis  super  romphaea  flagranti  ordinatum  e*tt 
ut  komines  flammaey  angelos  vero  malos  angtli  summoveant,  ne  cui 
earni  vel  spiritili  transgressionis  aditus  Paradisi  pateat.  E  con 
ciò  si  ha  bella  e  netta  tutta  la  credenza  del  medio  evo  intorno  al 
Paradiso  terrestre,  tanto  per  il  sito,  quanto  per  la  simbolica  spada 
che  lo  circonda,  e  per  i  Cherubini  che  lo  custodiscono. 


KB.  Vedi  tatti     euellioi  di  questo  Cauto  uolla  Ta*.  X  Purg.%  e  la  Ta?.  XI  Purg, 


CANTO  xxvin.  tot 


/•• 


Vago  già  di  cercar  dentro  e  dintorno  l 
La  divina  foresta  spessa  e  vìva, 
Ch'agli  occhi  temperava  il  nuovo  giorno, 

Senza  più  aspettar  lasciai  la  riva,  ' 
Prendendo  la  campagna  lento  lento 
Su  per  lo  suol  che  d'ogni  parte  oliva.  * 

Un'aura  dolce,  senza  mutamento 
Avere  in  sé,  mi  feria  per  la  fronte 
Non  di  più  colpo  che  soave  vento: 

i  Vago  già  ecc.  È  inchiostro  gettato  volere  spiegare  queste  «ette 
prime  terzine,  che  sono  chiare  abbastanza,  e  che,  chiosate,  corre- 
rebbero pericolo  di  scadere  dalla  loro  originale  bellezza.  Spiegheremo' 
solo  qualche  parola. 

2  Riva.  L'orlo  della  riva,  o  cinghia,  che  vedemmo  innalzarsi  per* 
pendicolare  dalla  VII  cornice  al  Parad.  terr.  (Vedi  Tav.  XI  Purg.). 

>  Su  per  lo  suol.  Il  Paradiso  terrestre,  dove  siamo,  è  anch'esso 
un  cono  da  lati  i  più  aperti  che  si  possano  imaginare,  e  quindi  di 
una  dolcissima  salita.  La  sua  circonferenza  è  5/16  di  miglio,  ossia 
passi  1875,  e  la  sua  altezza  nel  punto  culminante  del  centro  è  passi  75 
più  che  l'altezza  dell'orlo  intorno.  (Vedi  la  mia  Tav.  XI)  Perciò 
si  dice:  Su  per  lo  tuoi.  Perchè  la  cima  di  questa  montagna  ha 
questo  cono  tanto  spalancato  da  formare  un  dolcissimo  pendio  da! 
più  alto  punto  alla  circonferenza?  Perchè,  come  dicemmo,  è  tatto 
di  quella  terra,  che  partitasi  dal  centro  di  essa  quando  vi  cadde 
Lucifero,  lasciò  colà  giù  il  luogo  vuoto.  Ma  noi  vedemmo  net 
Canto  XXXIV  dell'Inferno,  che  appunto  l'ultimo  luogo  dell'In- 
ferno formava  un  cono  moltissimo  aperto  dov'era  la  ghiacciaia, 
quindi  un  piano  assai  poco  inclinato,  e  che  tal*;  era  la  sua  faccia 
di  rincontro,  faccia,  che  prima  di  Lucifero,  era  occupata  da  questa 
terra  che  serve  di  cima  del  Purgatorio.  Dunque  tale,  e  non  altra, 
è  la  sua  figura  nella  cima  del  Purgatorio.  Essa  ritrasse  lo  stampo 
del  luogo,  che  lasciò  vuoto  al  centro  della  terra,  come  si  può  con- 
vincersi leggendo  gli  ultimi  versi  del  Canto  XXXIV  dell'Inferno. 
Di  qui  pure  si  trae  la  prova  dell'altezza  del  Purgatorio,  il  quale, 
secondo  Dante,  dee  esser  tanto  alto  quant'è  profondo  il  Vero  In- 
ferno, o  tomba,  di  cui  parla  appunto  nell'ultimo  Canto  deu"/i»/ern*, 
in  fine:  Luogo  è  laggiù  da  Behebu  rimoto  eco. 


610  PURGATORIO 

la-     Per  cui  le  fronde,  tremolando  pronte, 
Tutte  quante  piegavano  alla  parte 
IT  la  prim  ombra  gitta  il  santo  monte;  * 

Non  però  dal  lor  esser  dritto  sparte 
Tanto  che  gli  augelletti  per  le  cimo 
Lasciasser  d'operare  ogni  lor  arte  ;  * 

Ma  con  piena  letizia  Tore  prime, 6 
Cantando,  ricevieno  intra  le  foglie, 
Che  tenevan  bordone  alle  sue  rime,  7 

Tal,  qual  di  ramo  in  ramo  si  raccoglie 
20,         per  la  Pineta  in  sui  lito  di  Chiassi, 8 
Quand'Eolo  Scirocco  fuor  discioglie.  9 

Già  m'avean  trasportato  i  lenti  passi  10 
Dentro  all'antica  selva  tanto,  ch'io  u 

*  II  tanto  monte,  U  monte  del  Purgatorio.  Dunque  l'aura  veniva 
da  oriente  verso  occidente.  La  prima  ombra  è  quella  della  mattina^ 

3  Lasciasser  d'operare  ecc.  Lasciasse r  di  cantaro  nei  lor  vari 
metri.  Il  troppo  vento  fa  tacere  gli  augelli,  il  soave  li  fa  cantare. 

<>  Ore.  Aure, 

?  Che  tenevan  bordone  ecc.  Il  mormorio  dell*  aura  pei  rami,  ser- 
viva d'accompagnamento  musicale  al  canto  degli  augelli. 

8  Pinata.  Questa  Pineta  e  presso  Eavenua,  in  quelh  due  miglia 
occupate  anticamente  dal  mare,  ed  ora  lasciate  in  secco  dal  mare, 
che  di  tanto  si  ritirò.  Chiassi  ò  un  luogo  di  questa  Pineta. 

9  Quand'Eelo  ecc.  Quand'Eolo,  re  dei  venti,  sprigiona  il  vento 
detto  Scirocco,  che  6  tiepido. 

*o  I  lenii  pissi.  Nota  lenti  passi,  che  il  poeta  ripete  qui  dopo 
averlo  anche  detto  di  sopra  colle  parole  :  Prendendo  la  campagna 
lento  lento.  Questa  lentezza  ha  la  sua  ragione,  e  nella  novità  sor- 
prendente del  luogo,  o  nella  ristrettezza  dello  spazio  in  cui  si  fa 
succedere  questa  e  tante  altre  scene  dei  G  ultimi  Canti  del  Purga- 
torio. (Vedi  la  Tav.  XI). 

*'  Antica  selva.  Perchè  quella  stessa  goduta  da  Adamo  ed  Eva 
al  principio  del  mondo.  —  Tanto  ch'io  —  Noi  potea  tee.  Per  sa- 
pere quanti  passi  s'era  inoltrato  Dante  da  occidente  direttamente 
verso  oriente,  passando  per  mezzo  la  selva,  ò  necessario  ricorrere 


CANTO  XXVm.  611 

Non  potea  rivedere  ond'  i'  m'entrassi  : 

Ed  ecco  più  andar  mi  tolse  un  rio, 

Che  in  ver  sinistra  con  sue   piccioronde  i% 
Piegava  l'erba  che  in  sua  ripa  uscio. 

Tutte  l'acque,  che  son  di  qua  più   monde, 
Farri  eno  avere  in  sé  mistura  alcuna 
8°«         Verso  di  quella  che  nulla  nasconde; 

Avvegnacchè  si  muova  bruna  bruna 
Sotto  l'ombra  perpetua,  che  mai 
Raggiar  non  lascia  sole  ivi,  né  luna. 

Co'  pie  ristetti,  e  con  gli  occhi  passai 
Di  là  dal  fiumicello  per  mirare 
La  gran  varì'azion  de'  freschi  mai:  4I 

E  là  m'apparve,  sì  com'egli  appare 

al  dettaglio  che  ne  fa  al  principio  del  Canto  XXIX,  dove  la  so- 
mifacciata,  che  all'orlo  estremo  del  Paradiso  terrestre  era  di  passi  234 
di  circonferenza,  al  punto  dove  ora  pervenne,  la  riduce  a  poco  men 
che  50,  quindi  Varco  intero  della  facciata  di  ovest  sarebbe  di  100, 
ed  essendo  4  le  facciate,  tutta  la  circonferenza  del  monte,  nel  punto 
in  cui  giunse  il  poeta,  sarebbe  di  passi  400,  mentre  la  circonfe- 
renza dell'orlo  donde  parti,  era  di  passi  1875.  Ebbene  su  questi  dati 
e  sull'altro  del  diametro,  che  conosciamo,  facciamo  ora  il  nostro 
calcolo  cosi:  Sta  la  grande  circonferenza  (passi  1875)  alla  piccola 
testé  trovata  (passi  400)  come  il  diametro  della  grande  (passi  595) 
al  diametro  della  piccola  (a?).  Troveremo  che  questo  diametro  è 
di  passi  127,  meno  qualche  cosa  che  non  monta  :  e  quindi  il  semi- 
diametro, o  raggio,  sarebbe  di  passi  63.  Ora  dibattete  questo  semi- 
diametro della  piccola  dal  semidiametro  (pesai  298)  della  grande 
circonferenza,  ed  il  residuo  sar  anno  tutti  i  passi  che  fece  il  poeta 
per  arrivare  al  punto  in  cui  siamo,  ossia  sino  al  fiume  Lete.  Ma 
questo  residuo  vi  dà  passi  235.  Dunque  il  poeta  dice  di  aver  fatto  235 
passi  verso  il  centro  del  Paradiso  terrestre.  (Vedi  la  miaTav.XI). 

tf  In  ver  sinistra.  Mettendoci  come  Dante,  che  stando  nella  fac- 
ciata di  ovest,  guardava  est,  il  rio  scorreva  da  sud  a  nord. 

43  Mai.  Fronda  di  primavera,  che  i  fidanzati  fiorentini  del  con- 
tado mettevano  sulla  porta  della  fidanzata  il  primo  giorno  di  maggio. 
Qui  sta  per  la  bella  e  varia  verzura  in  generale. 


61*  PURGATORIO 

Subitamente  cosa  che  disvia  u 
Per  maraviglia  tutt'altro  pensare, 
*°.     Una  donna  soletta,  che  si  già  " 

Cantando,  ed  iscegliendo  fior  da  fiore, 
Ond'era  pinta  tutta  la  sua  via. 

Deh!  bella  donna,  chV  raggi  d'amore  ,6 
Ti  scaldi,  s'i'  vo'  credere  a'  sembianti,  i7 
Che  soglion  esser  testi  mon  del  cuore, 

Vegnati  voglia  di  trarreti  avanti, 
Diss'io  a  lei,  verso  questa  riviera, 
Tanto  ch'io  possa  intender  che  tu  cauti. 

Tu  mi  fai  rimembrar  dove,  e  qual'  era  18 

H  Disvia  tult 'altro  pensare.  Disvia  a  pensar  tutt 'altro. 

M  Dna  donna  ecc.  Matilde,  la  celebre  contessa  di  Toscana,  la 
pia  difenditrice  di  S.  Gregorio,  la  generosa  donatrice  di  molti  Stati 
alla  Chiesa  Romana,  il  modello  delle  regine  di  tatti  i  tempi.  Lo 
strumento  della  donazione  di  Matilde,  tuttavia  esistente,  si  legge  in 
fine  del  poema  di  Donizone,  ed  è  una  conferma  della  donazione  fatta 
prima  a  Gregorio  VII.  (Vedi,  se  vuoi,  Muratori,  An.  d'Italia,  al- 
l'anno 1102).  Alcuni  non  vogliono  che  sia  dessa,  ma,  o  un  perso- 
naggio ideale,  o  un'altra  Matilde,  che  non  san  dire  ;  ma  queste  son 
pretese  ridicole,  se  non  sapessero  anche  di  empie.  Imperciocché  la 
ragione  precipua  per  non  voler  qui  collocata  la  più  gran  donna  del 
medio  evo,  si  è  ch'ella  ha  ingrandito  la  Chiesa  di  Stato  terreno  colle 
sue  famose  donazioni;  e  questa,  per  alcuni  de* nostri  moderni,  6  tale 
una  colpa  da  meritarsi  poco  men  che  l'Inferno.  Intanto  è  notevole, 
e  fa  onore  alla  imparzialità  di  Dante,  il  vedere  [che  chi  diede  alla 
Chiesa  Romana  dominii  temporali,  e  posto  da  lui  in  Paradiso.  Vi 
porrà  anche  Costantino  e  Carlo  Magno. 

M  A'  raggi  d'amore.  D'amore  santo,  d'amore  divino,  che  qui  non 
han  luogo  altri  amori. 

*7  A1  sembianti.  Sembianti  d'infervorata.  Il  fervore  dell'anima  tra- 
spare al  di  fuori  in  tinte  più  calde  dell'ordinario. 

18  Dove  e  qual1  era  —  Proserpina  ecc.  Proserpina,  figlia  di  Cerere, 
raccoglieva  i  fiori  in  un  amenissimo  prato,  presente  la  madre.  In 
quel  tempo  venne  Plutone  a  rapirla,  invaghitosi  di  tanta  bellezza, 
e  la  fé  regina  de' luoghi  inferni.  Tanto  fu  lo  spavento  in  vedendo 


CANTO  XXVnt.  613 

r>0         Proserpina  nel  tempo  che  perdette 
La  madre  lei,  ed  ella  primavera. 

Come  si  volge  con  le  piante  strette  l9 
A  terra  ed  intra  sé,  donna  che  balii, 
E  piede  innanzi  piede  appena  mette; 

Volsesi  in  su'  vermigli,  ed  in  su'  gialli 
Fioretti  verso  me,  non  altrimenti 
Che  vergine  che  gli  occhi  onesti  avvalli; 

E  fece  i  prieghi  miei  esser  contenti, 
Sì  appressando  sé,  che  il  dolce  suono 
60-         Veniva  a  me  co'  suoi  intendimenti.  *° 

Tosto  che  fu  là  dove  l'erbe  sono 
Bagnate  già  dall'onde  del  bel  fiume, 
Di  levar  gli  occhi  suoi  mi  fece  dono. 

Non  credo  che  splendesse  tanto  lume 
Sotto  le  ciglia  a  Venere  trafitta  5I 
Dal  figlio,  fuor  di  tutto  suo  costume. 

l' assalitore,  che  correndo  per  salvarsi  alla  madre,  lasciò  cadere  il 
grembiale  di  fior!,  ossia  la  primavera,  o  i  frutti  della  primavera! 
alludendo  cosi  il  poeta  ad  Ovidio,  nel  5.°  delle  Metamorfosi,  dove 
racconta  questo  ratto. 

*9  Come  si  vulge  ecc.  Da  qui  per  sei  versi  seguenti  si  fa  l'elogio 
delia  leggerezza,  prontezza  e  modestia  verginale  di  quella  donna; 
perciò  alla  legge  della  danza,  che  vuole  piante  strette  a  terra,  e 
tra  loro,  e  passi  corti,  accoppia  la  modestia  del  tratto  d'una  vergine, 
modestia  che  si  manifesta  specialmente  nell'abbassamento  degli  occhi. 

£0  Co*  suoi  intendimenti.  Col  senso  delle  sue  parole. 

?!  Sotto  le  ciglia.  Negli  occhi.  Oli  occhi  sono  sempre  quella  parte 
del  corpo  dove  la  bellezza  di  una  persona  più  si  manifesta.  Il  no- 
stro poeta  ricorre  sempre  agli  occhi.  —  A  Venere  ecc.  Mentre  Ve- 
nere si  stringeva  al  seno  il  fanciullo  Cupido,  armato  di  strali,  questi, 
senza  saperlo,  trafisse  con  uno  di  essi  la  madre,  ond'ella  arse  d'amore 
per  Adone.  Allora  gli  occhi  di  Venere,  tanto  belli  per  sé  medesimi, 
accrebbero  più  del  solito  la  loro  bellezza.  Le  parole  fuor  di  tutto 
tuo  costume,  più  che  a  Cupido,  stanno  bene  a  Venere.  L'insaputa 
di  Cupido  non  ha  che  fare  col  nostro  caso. 


6H  PURGATORIO 

Ella  riclea  dall'altra  riva  dritta,  M 

Trattando  più  color  con  le  sue  mani,  *• 
Che  l'alta  terra  senza  seme  gitta.  ** 
70.     Tre  passi  ci  facea  '1  fiume  lontani;  M 
Ma  Ellesponto,  là  've  passò  Serse,  *6 
Ancora  freno  a  tutti  orgogli  umani,  *7 
Più  odio  da  Leandro  non  sofferse  M 

2)  Ella  ridea.  Questo  ridere  non  è  che  un'aria  di  contento  e  di 
Paradiso,  diffusa  per  tutta  la  faccia  di  Matilde.  —  Dritta  è  riferito  a 
Fenere  e  non  a  riva,  la  quale  è  determinata  abbastanza  con  altra. 

23  Più  color.  Varie  sorta  di  fiori  raccolti  prima.  Li  trattava  come 
chi  è  in  atto  di  fare  con  essi  una  ghirlanda.  È  questa  l' immagine  della 
vita  attiva,  che  gode  occuparsi  in  varie  opere  del  divino  servizio. 

**  L'alta  terra.  Il  Paradiso  terrestre,  aito  95  miglia  sul  livello 
del  mare.  (Vedi  Tav.  XI  e  l'Avvertimento  premesso  a  questo  Canto. 
Vedi  anche  le  note  3  e  40  di  questo  Canto.  —  Senza  seme.  Senza 
umana  seminagione  o  cultura.  Prima  avea  detto  :  Che  quella  terra 
sol  da  $è  produce. 

25  2  re  passi  ecc.  Dunque  il  fiumicello  era  largo  tre  soli  passi. 

20  Ellesponto.  Famoso  canale,  o  stretto,  che  separa  l'Europa  dal- 
l'Asia, che  è  indifferentemente  chiamato  dai  moderni  Braccio  di 
S.  Giorgio,  Bocche  di  Costantinopoli,  Stretto  di  Gallipoli,  o  Stretto 
di  Dardanelli.  Gli  antichi  lo  chiamavano  Ellesponto,  da  Elle,  figlia 
d'Atamas,  la  quale,  traversandolo  per  fuggire  nella  Colchide  col 
fratello  Frisso,  avente  il  vello  d' oro,  cadde  sventuratamente  in  quel 
'mare  e  vi  peri.  Questo  stretto  non  ha  più  di  3  miglia  di  larghezza 
alla  sua  entrata,  ed  in  seguito  non  ne  ha  che  un  mìglio  e  mezzo 
al  più.  Serse,  re  di  Persia,  lo  passò  con  700  mila  uomini  su  di  un 
ponte  di  barche  perfinire  la  guerra  colla  Grecia,  incominciata  da  Da- 
rio; ma  fu  rotto  da  un  pugno  di  pi  odi,  capitanato  da  Temistocle.  Nella 
fuga  non  trovo  più  il  suo  ponte,  ed  ebbe  a  gran  ventura  di  ripas- 
sarlo su  di  una  barca  peschereccia,  mentre  i  suoi  erano  fatti  a  pizzi. 

27  Ancora  freno  ecc.  Ellesponto,  con  ricordare  il  pacsaggio  di 
un  fioritissimo  esercito  dapprima,  e  la  sua  disfatta  dappoi,  serve 
ancora  di  freno  a  qualunque  orgoglioso  che  confidi  nelle  grandi  sue 
posse,  che  oggi  sono  e  domani  non  sono  più.  Foivc  il  poeta  ebbe 
di  mua  una  cosa  più  particolare,  i  Saraceni,  trattenuti  accora  dal- 
l'invadere  l'Europa  dall  Ellesponto.  Oggi  non  diiebbe  più  cosi. 

ss  Fili  odio  da  Leandro  ecc.  Il  fatto  è  narrato  da  Ovidio  nelle 


CANTO  XXVin.  615 

r 

Per  mareggiare  intra  Sesto  e  Abido, 
Che  quél  da  me,  perchè  allor  non  s'aperse. 

Voi  siete  nuovi,  e  forse  perch'io  rido,  M 
Cominciò  ella,  in  questo  luogo  eletto  *° 
All'umana  natura  per  suo  nido, 

Maravigliando  tienvi  alcun  sospetto; 
80«         Ma  luce  rende  il  salmo  Delectasti  81 

Che  puote  disnebbiar  vostro  intelletto. 

E  tu  che  se'  dinanzi,  e  mi  pregasti,  w 
Di'  s'altro  vuoi  udir,  ch'io  venni  presta 
Ad  ogni  tua  question,  tanto  che  basti. 

epistole.  Abido  era  un  luogo  d'Asia  sull'Eli  esposto,  o  Sesto  altro 
luogo  sulla  spiaggia  di  rincontro  in  Europa.  Leandro  era  d' Abido: 
Ero,  giovane  da  lui  amata,  era  di  Sesto.  Leandro  veniva  a  trovarla 
a  nuoto.  Ma  un  giorno,  mentre  lo  passava,  il  mare  si  fece  grosso 
per  tempesta  (mareggiò),  e  Leandro  si  sommerse.  Intendi  dunque: 
Leandro  non  ebbe  tanta  avversione  a  quel  braccio  di  mare,  che  lo 
divideva  per  sempre  dalla  sua  amata,  quanta  n'aveva  io  a  que'  tre 
passi  di  fiume  che  mi  dividevano  da  quella  donna. 

29  Nuovi.  Nuovi  di  questo  luogo,  stranieri,  appena  giunti.  — 
Perch'io  rido.  Perch'io  sono  e  mi  mostro  si  contenta  e  felice. 

80  in  questo  luogo  eletto  all'umana  ecc.  In  questo  Paradiso  ter- 
restre, che  fu  scelto  ad  esser  nido  dell'umana  stirpe,  avendo  accolto 
i  nostri  progenitori  Adamo  ed  Eva.  Appellar  nido  dell'umana  natura 
il  Paradiso  terrestre,  ha  una  grazia  ed  una  proprietà  sorprendente, 
perchè  come  il  nido  è  la  stnnza  di  poco  tempo  degli  augelli,  ed  è 
molto  piccolo,  eoa  quel  luogo  per  Adamo  ed  Eva,  e  in  essi  per 
tutti  noi. 

31  Ma  luce  rende  ecc.  Il  salmo  91  che  comincia:  Bonum  est  confi- 
teri  Domino,  nel  cui  5.°  verso  ci  sono  queste  parole:  Delectasti  me 
Domine,  in  factura  tua,  et  in  opzribus  matiuum  tuarum  exultabo; 
questo  salmo  spiega  il  perchè  del  mio  ridere.  Io  rido  perchè  vivo  in 
un  luogo  di  felicità,  tutto  pieno  delle  opere  maravigliose  di  Dio. 

32  Tu.  Dante.  —  Che  se'  dinanzi.  Dante  licenziato  ornai  a  far  da 
sé,  veniva  innanzi,  e  dietro  lui  a  paro  i  due  poeti.  (V  edi  Tav.  XI). 
—  E  mi  pregasti.  Quando  pregò  la  donna  a  farsi  presso  il  fiume 
per  intendere  i  suoi  canti. 


ti*  PURGATOttìÒ 

L'acqua,  diss'io,  e  il  suon  della  foresta  M 
Impugnan  dentro  a  me  novella  fede  '* 
Di  cosa,  ch'io  udi9  contraria  a  questa. 

On  d'ella:  F  dicerò  come  procede  85 
Per  sua  cagion,  ciò  ch'ammirar  ti  face  : 
*°.        E  purgherò  la  nebbia  che  ti  fiede. 

Lo  sommo  Bene,  che  solo  a  sé  piace,  *6 
Fece  Tuoni  buono  ;  e  il  ben  di  questo  loco  l7 
Diede  per  arra  a  lui  d'eterna  pace.  ** 

Per  sua  diffalta  qui  dimorò  poco;  * 

**  L'acqua,  diss*io,e  il  suon  della  foresta.  L'acqua  ed  il  vento. 

**  Impugnan  ecc.  Fanno  a  pugni  dentro  di  me  con  quello  che 
poco  fa  mi  fu  insegnato  per  cosa  certa,  e  che  perciò  sarebbe  contraria 
all'acqua  che  qui  vedo,  ed  al  venticello  che  qui  sento.  Allude  a  quello 
che  gli  avea  insegnato  Stazio  nel  Canto  XXI,  quando  gli  disse: 

Libero  è  qui  da  ogni  alterazione .  • . 
Perchè  non  pioggia,  non  grando,  non  neve 
Non  rugiada,  non  brina  più  su  cade 
Che  la  scaletta  de*  tre  gradi  breve,  ecc. 

Ma  Pacqua  ed  il  vento  trovato  lassù,  pare  che  distruggano  l'asserto 
di  Stazio,  che  negava  le  alterazioni,  mentre  ed  acqua  e  vento  sono 
alterazioni. 

M  P  dicerò  come  procede  ecc.  lo  ti  dirò  da  qual  causa  procede 
qui  l'acqua  ed  il  vento,  e  cosi  ti  rischiarerò  questo  punto. 

M  Lo  sommo  Bene.  Dio.  —  Che  solo  a  sé  piace.  Le  creature,  per 
esser  finite  e  dipendenti,  sentono  bisogno  di  un  altro  bene,  fuor  di 
sé  stesse,  che  le  soddisfi.  Invece  Dio,  per  esser  infinito  e  indipendente, 
non  ha  a  cercare  fuori  di  sé  un  bene,  che  gli  piaccia  e  lo  soddisfi  ;  egli 
lo  trova  tutto  e  solo  in  sé  stesso,  e  quindi  egli  solo  piace  a  sé  stesso. 

*7  Fece  Vuom  buono.  Lo  fece  a  sua  immagine  e  somiglianza,  e 
quindi  non  potè  farlo  che  buono.  —  Il  ben  di  questo  loco.  Le  de- 
fizie  del  Paradiso  terrestre. 

**  Diede  per  arra  ecc.  Queste  delizie  terrene  le  diede  all'uomo 
'per  caparra  dell'eterne  in  cielo,  se  gli  fosse  sta'o  fedele. 

•»  Per  sua  diffalta.  Per  sua  mancanza,  per  sua  colpa.  —  Qui 
dimorò  poco.  Furono  sole  sei  ore  tra  innocente  e  peccatore,  come 
dirassi  nel  Par.,  Canto  XXVI,  v.  139. 


CANTO  XXVIII.  617 

Per  sua  diffalta  in  pianto  ed  in  affanno 
Cambiò  onesto  riso  e  dolce  giuoco. 
Perchè  il  turbar,  che  sotto  da  sé  fanno  A0 
L'esalazion  dell'acqua,  e  della  terra, 
Che,  quanto  posson,  dietro  al  calor  vanno, 
100    All'uomo  non  facesse  alcuna  guerra, 

Questo  monte  salio  ver  lo  ciel  tanto, 
E  libero  è  da  indi,  ove  si  serra. 
Or,  perchè  in  circuito  tutto  quanto  4I 

*>  Perche  il  turbar  ecc.  Affinchè  l'uomo,  collocato  nel  Paradiso 
terrestre,  non  fosse  disturbato  menomamente  dai  turbamenti  prò 
dotti  di  sotto  a  lui  dalle  esalazioni  dell'acqua  e  della  terra,  esala- 
zioni che  tendono  quanto  possono  all'ulto,  dov'è  la  sfera  del  calore 
e  del  fuoco;  perciò  questo  monte  si  è  innalzato  verso  il  cielo  tanto 
quanto  fu  mestieri,  e  precisamente  esso  comincia  ad  esser  libero  da 
quelle  esalazioni  dal  punto  in  su  dov'è  la  porta  e  la  cinta  che  se- 
para l' Antipurgatorio  dal  Vero  Purgatorio,  che  è  quanto  dire  da  92 
miglia  d'altezza  sino  a  95  dove  siamo.  Stazio  adunque  aveva  inse- 
gnato bene  a  Dante  quando  gli  diede  la  lezione  del  Canto  XXI: 
Libero  è  qui  da  ogni  alterazione,  ma  lo  scolare  Dante  non  aveva 
allora  ben  compreso,  oppure  per  restasi  di  tante  cose,  si  era  di- 
menticato la  eccezione,  che  subito  dopo  vi  aggiunse  Stazio  dicendo: 

Di  quel  che  il  cielo  in  sé  da  sé  riceve. 
Esserci  puote,  e  non  d'altro,  cagione. 

La  qual  eccezione  di  Stazio  è  appunto  quella  che  si  spiega  da  Ma- 
tilde. In  sostanza  dunque  ella  dice,  che  l'acqua  ed  il  vento,  che  Dante 
trova  qui,  non  ha  la  sua  cagione  cUl  di  sotto,  ma  dal  di  sopra,  come 
spiegherà  tosto. 

*i  Or,  perchè  in  circuito  ecc.  Spiega  la  cagione  del  vento.  Il 
primo  mobile  (ossia  la  prima  sfera  celeste,  più  grande  di  tutte,  e 
che  tutte,  contiene)  girando  fa  girare  anche  l'aere  sottoposto.  Cosi 
l'aere  di  ogni  pianeta,  che  ad  una  certa  altezza  dal  pianeta  sarebbe 
immobile,  come  sarebbe  immobile  nnche  qui  al  Purgatorio,  comin- 
ciando alla  sua  altezza  di  miglia  92,  o  alla  porta  del  Vero  Purga- 
torio, per  la  ragione  del  moto  che  ha  l'aere  del  primo  mobile,  esso 
aero  a  qualunque  sia  altezza  si  muove  in  circuito  da  oriente  in 
occidente.  Bisogna  riportarsi  al  sistema  fisico  di  quei  tempi.  Allora 


«18  PURGATORIO 

L'aer  si  volge  con  la  prima  volta, 

Se  non  gli  è  rotto  il  cerchio  d'alcun  canto  ;  tt 

In  questa  altezza,  che  tutta  è  disciolta  tt 
Nell'aer  vivo,  tal  moto  percuote,  4* 
E  fa  sonar  la  selva  perch'è  folta;  4S 

E  la  percossa  pianta  tanto  puote,  46 
110-       Che  della  sua  virtute  l'aura  impregna, 
E  quella  poi  girando  intorno  scuote:  i7 

E  l'alta  terra,  secondo  eh 'è  degna  4* 

per  esempio  l'aere  si  faceva  arrivare  a  92  miglia  di  altezza,  ed  oggi 
a  sole  40  miglia.  Allora  si  faceva  la  Terra  centro  fisso  del  sistema 
planetario,  oggi  invece  non  è  così. 

4*  Se  non  gli  è  rotto  ecc.  Per  esempio  da  qualche  combinazione 
miracolosa,  quale  sarebbe  stata  la  fermata  del  sole  operata  ai  prieghi 
di  Giosuè, 

43  In  questa  altezza.  Nell'altezza  che  ha  il  monte  dalla  porta  del 
Purgatorio  in  su. 

44  Neil' aeravo.  Nell'aere  purissimo,  perchè  non  soggetto  a  nessun 
influsso  terrestre.  —  Tal  moto.  Il  moto  circolare  del  primo  mobile. 

43  Perche  folta.  E  noi  ci  accorgiamo  del  moto,  che  ha  l'aere  in 
questa  nostra  altezza,  per  esser  folta  la  selva ,  perchè  offrendo  resi- 
stenza colla  sua  spessezza  in  tutti  i  punti,  perciò  in  tutti  i  punti 
fa  un  piccolo  mormorio,  che  unito  insieme,  forma  il  suono  di  tutta 
la  selva. 

46  e  la  percossa  pianta  ecc.  La  piantatosi  accarezzata  dal  ven- 
ticello, acquista  tale  e  tanta  virtù,  che  ne  impregna  l'aura  circostante, 
diffondendo  cosi  per  essa  le  mollccole  svaporate  da  essa  pianta. 

47  E  quella  poi  ecc.  E  quell'aura,  cosi  impregnata  di  essenze, 
girando  intorno  le  scuote,  o  depone  qua  e  là.  Per  questo  lo  sposo 
nel  IV  dei  Cantici  invoca  i  venti  all'orlo  della  sposa,  perchè  vi  fac- 
ciano stillare  gli  aromi. 

45  E  Valta  terra,  secondo  ecc.  Io  leggo  alta  col  cod.  Fontani  ano 
del  Seminario  di  Verona,  che  legge  benissimo;  ma  i  più  leggono 
altra  intendendo  Li  terra  che  noi  abitiamo  diversa  da  quella  del 
Paradiso  terrestre:  Il  poeta  non  fa  parlar  qui  che  della  terra  del 
Paradiso  terrestre,  quando  parlerà  di  un'altra  terra  ce  lo  dirà,  come 
qui  appresso:  ma  per  ora  non  parla  e  non  può  parlare,  secondo 
il  contesto  ed  il  senso,  che  del  Paradiso  terrestre.  Ritenuto  dunque 


CANTO  XXVIII.  619 

Per  sé  o  per  suo  ciel,  concepe  e  figlia 
Di  diverse  virtù  diverse  legna. 

Non  parrebbe  di  là  poi  maraviglia,  a 
Udito  questo,  quando  alcuna  pianta 
Senza  seme  palese,  vi  s'appiglia. 

E  saper  dei  che  la  campagna  santa, 
Ove  tu  se',  d'ogni  semenza  è  piena,  w 
120*       E  frutto  ha  in  sé  che  di  là  non  si  schianta.  8I 

L'acqua  che  vedi  non  surge  di  vena  M 

alta,  eccone  la  spiegazione:  E  Valla  terra  (Paradiso  terrestre,  alto 
95  miglia  dal  mare)  secondo  la  sua  attitudine  —  (secondo  ch'è  degna) 
che  ha  in  sé,  o  acquistata  dall'  influsso  del  suo  purissimo  cielo  — 
(Per  «è  o  per  suo  ciel)  accogliendo  in  sé  quelle  essenze  mollecolari 
scosse  su  di  lei  dall'aura  che  si  è  impregnata,  concepisce  e  produce 
diverse  piante  di  diverse  qualità. 

*9  Non  parrebbe  di  là  ecc.  Quel  che  succede  qui  per  metodo 
costante,  che  la  terra  germoglia  senza  coltura  di  sorta,  ma  solo  per 
l'aura  che  prende  dalle  piante,  e  sparge  i  semi  ovunque,  avviene 
per  caso  eccezionale  talvolta  anche  di  là,  cioè  nel  nostro  emisfero, 
dove  vediamo  sorger  delle  piante  senza  che  alcuno  v'abbia  prima 
sparso  o  piantato  il  seme.  Fu  il  vento  che  ve  lo  portò  senza  che 
noi  lo  sapessimo.  Il  seme  non  fu  palese,  ma  il  seme  vi  fu  sparso. 
Onde  non  dobbiamo  maravigliarci  se  vediamo  appigliarsi  qualche 
pianta  così. 

*°  D'ogni  semenza  è  piena.  Si  sa  dalla  Genesi  che  il  Paradiso 
terrestre  conteneva  ogni  sorta  di  semi  di  erbe,  fiori  e  piante. 

*i  E  frutto  ha  in  sé  ecc.  Ed  ha  tali  frutti  sì  saporosi  e  perfètti, 
che  quelli  dell'altro  emisfero  sono  un  nulla  a  pareggio  di  questi. 

52  L'acqua  che  vedi  ecc.  Quest'è  la  seconda  parte  della  dimanda. 
La  prima  era  di  saper  la  cagion  del  vento,  e  questa  fu  sciolta  con 
una  giunta  alla  derrata,  perchè  dopo  detta  la  vera  causa  del  vento 
nel  Paradiso  terrestre,  disse  anche  che  quel  vento  era  il  semina* 
tore  di  quell'alto  terreno.  Or  fa  lo  stesso  anche  coli* acqua,  dicen- 
done la  cagione,  e  aggiungendo  anche  qui  un  corollario  di  sopra 
più.  Dice  dunque,  che  come  il  venticello  del  Paradiso  terrestre,  avea 
una  cagione  affatto  diversa  dal  vento  delle  regioui  più  basse,  quali 
sono  tutte  quelle  del  nostro  emisfero,  e  anche  del  Purgatorio  dalla 
porta  in  giù,  cosi  l'acqua  di  quel  luogo  avea  una  cagione  affatto 


620  PURGATORIO 

Che  ristori  vapor  che  gel  converta, 
Come  fiume  ch'acquista  o  perde  lena;      * 

Ma  esce  di  fontana  salda  e  certa, 
Che  tanto  dal  voler  di  Dio  riprende, 
Quant'ella  versa  da  duo  parti  aperta. 

Da  questa  parte  con  virtù  discende, 
Che  toglie  altrui  memoria  del  peccato; 
Dall'altra,  d'ogni  ben  fatto  la  rende. 
130    Quinci  Lete,  così  dall'altro  lato 

Eunoè  si  chiama,  e  non  adopra, 

Se.  quinci  e  quindi  pria  non  è  gustato. 

A  tutt'altri  sapori  esto  è  di  sopra.  M 
E  avvegna  ch'assai  possa  esser  sazia 
La  sete  tua,  perchè  più  non  ti  scopra,  at 

Dnrotti  un  corollario  ancor  per  grazia; 
Nò  credo  che  il  mio  dir  ti  sia  men  caro, 
Se  oltre  promission  teco  si  spazia. 

diversa  dall'acqua  degli  altri  luoghi.  Gli  altri  luoghi  della  terra 
hnnuo  i  fiumi,  che  derivano  da  vena  tale,  che  per  riempirsi  hanno 
bisogno  di  pioggie,  e  perciò  noi  vediamo  i  fiumi  andar  ora  gonfi, 
ora  scemi  per  sovrabbondanza,  o  per  mancanza  di  pioggie  alla  loro 
sorgente.  Quest'acqua  invece  ha  una  fontana  indeficiente ,  perchè 
non  dipende  (falle  pioggie,  ma  da  Dio  che  cosi  vuole  ;  e  perciò  sem- 
pre una  tal  fontana  tanto  riceve  quanto  versa  per  due  bocche,  dalle 
quali  partono  due  rami  di  fiume,  che  hanno  diversi  nomi  e  pro- 
prietà. Il  fiume  dove  tu  sei  presentemente  è  Lete  (in  greco  oblìo), 
ed  ha  la  proprietà,  gustato  che  sia,  di  far  dimenticare  il  peccato: 
l'altro  braccio  si  chiama  Eunoè  (in  greco  buona  menlé),  ed  ha  la 
proprietà,  gustato  anch'esso  che  sia,  di  richiamar  alla  memoria  il 
ben  fatto. 

83  A  tutt'altri  sapori  ecc.  Come  le  frutta  del  Paradiso  terrestre, 
si  disse,  che  vincevano  in  sapore  tutte  le  altre,  cosi  si  dice  pure 
di  quest'acqua,  la  quale  vince  in  sapore,  il  sapore  di  tutti  gli  altri 
l:quori  del  nostro  mondo. 

*»4  Perchè  più,  non  ecc.  Per  non  dirli  io  di  più,  avendo  soddisfatto 
alla  tiri  dimandi  più  oltre  d<  quello  ch'essa  esigeva 


CANTO  XXVIII.  621 

Quelli  ch'anticamente  poetaro 
l4°-        L'età  dell'oro,  e  suo  stato  felice,  M 

Forse  in  Parnaso  esto  loco  sognaro.  bQ 
Qui  fu  innocente  l'umana  radice;  b7 

Qui  primavera  sempre  ed  ogni  frutto; 

Nettare  è  questo  di  che  ciascun  dice. 
Io  mi  rivolsi  addietro  allora  tutto  58 

A'  miei  poeti,  e  vidi  che  con  riso  yj 

Udito  avevan  l'ultimo  costrutto:  co 
Poi  alla  bella  donna  tornai  '1  viso. 

»s  L'età  dell'oro  ecc.  I  poeti  distinsero  per  metalli  le  età  del 
mondo,  assegnando  alla  prima  Toro,  il  più  prezioso  dei  metalli,  per 
essere  stata  quella  l'età  felice,  Matilde  veniva  cosi  a  pungere  Stazio 
e  Virgilio. 

N>  Forse  in  Parnaso  ecc.  Forse  standosene  in  Parnaso,  o  per  le 
notizie  attinte  in  Parnaso,  sognarono  questo  luogo  altrove,  cioè  in 
Creta,  descrivendolo  con  una  fantasia  capricciosa 

*7  Qui  f a  ecc.  Non  dove,  e  come  dice  il  Parnaso,  ma  qui.  e  come 
ai  vede  qui,  fu  la  vera  età  dell'oro. 

38  fo  mi  rivolsi  ecc.  Per  vedere  che  impressioni»  avea  fatto  nei 
due  antichi  poeti  questo  disinganno.  E  un  bellissimo  colpo  di  scena, 
che  chiuie  con  grande  semplicità  e  natura  questo  Canto. 

*9  Con  riso  ecc.  Ridendo  della  lor  dabbenaggine. 

60  L'ultimo  costrutto  ere  I.e  ult:me  p-irole  che  accennavano  ai 
sogni  dei  poeti  sul  collocamento  dell  età  dell'oro. 


CANTO  XXIX 


Argomento. 

Matilde,  standosi  ancor  ferma  sulla  sua  riva  destra  di  Lete, 
canta.  Poi  si  muove  contro  il  corso  del  fiume,  e  Dante  e  i  suoi 
compagni  con  essa.  Dopo  quasi  50  passi,  fatti  nella  facciata  di 
ovest,  si  trovano  al  principio  della  facciata  di  sud,  e  perciò  vanno 
col  viso  volto  ad  est,  sempre  contro  il  fiume, che  qui  ha  il  canale 
da  ovest  ad  est,  come  prima  Vavea  da  sud  a  nord.  Non  sono  ancor 
giunti  alla  metà  della  facciata  di  sud,  cioè  non  hanno  fatto  ancor 
50  passi,  che  Matilde  lo  invita  a  guardare  e  ascoltare  dinanzi 
lungo  il  fiume  verso  oriente.  Dante  guarda,  e  vede  per  tutta  la 
foresta  una  gran  luce.  Dante  ascolta  e  ode  una  dolcissima  melodia, 
tale,  che  più  gli  increbbe  il  peccato  d'Eva,  per  avere  ella,  e  seco 
tutti  i  suoi  discendenti,  perduto  quelle  delizie.  Intanto  il  chiarore 
più  s'avvicina,  da  sembrar  fuoco  sotto  i  rami,  e  il  suono  si  fa 
più  distinto  da  intendere  che  esso  è  canto.  Qui  prega  le  muse  di 
un  aiuto  particolare  per  espor  degnamente  la  sua  visione.  Si  fa 
un  poco  più  avanti,  e  quel  chiarore  gli  pare  essere  sette  alberi 
d'oro.  Si  avvicina  ancor  più,  e  apprende  che  il  chiarore  sono  sette 
candelabri,  e  che  le  voci  cantano  Osanna.  Allora  Dante  ammirato, 
si  volge  a  Virgilio,  e  lo  trova  ammirato  pari  a  lui.  Tosto  torna 
gli  occhi  ai  sette  candelabri,  e  la  donna  lo  sgrida  perchè  guardi 
sol  questi,  e  non  anche  quello  che  viene  dietro  a  questi.  Dante 
guarda  come  dicea  la  donna,  e  vede  genti  vestite  di  bianco.  Tutto 
questo  spettacolo  si  stendeva  lunghesso  la  riva  destra,  onde  l'acqua 
dalla  parte  di  Dante,  ch'era  alla  sinistra  del  fiume,  splendeva 
tanto,  che  come  specchio  gli  rende  a  il  suo  fianco  sinistro*  Intanto 
i  candelabri  giungono  dirimpetto  a  Dante,  e  Dante  allora  si  ferma 
per  veder  meglio  quell'incanto.  Le  fiammelle  continuavano  ad  an- 
dare segnando  nell'aere  sette  liste  luminose  dei  colori  dell'iride. 
Queste  sette  liste  erano  così  lunghe  che  non  ne  vede  il  fine;  os- 
serva  però  che  le  liste  laterali  erano  distanti  Vuna  dall'altra  dieci 
passi.  Sotto  questa  tenda  di  luce  venivano  24  seniori  a  due  a  due 
coronali  di  gigli,  ed  essi  cantavano  le  lodi  di  Maria  Santissima- 
Passati  li  24  seniori,  vengono  4  animali  coronati  di  verde  fronda, 
e  ciascuno  aveva  sei  ali  occhiute,  tali  quali  li  descrive  Ezechiele, 
tranne  le  penne,  che  sono  quelle  descritte  da  S.  Giovanni.  Lo  ipo- 
ciò  di  mezzo  a  questi  4  animali  è  occupato  da  un  carro  trionfale 


624  PURGATORIO 

a  due  ruotff  tirato  da  un  grifone.  Questo  grifone  avea  l'afe  aperte 
e  dritte  al  cielo,  e  le  spingeva  su  d'ambo  i  lati  della  luta  lumi- 
nosa di  mezzo  fino  al  cielo,  senza  però  romper  quei  raggi.  Questo 
grifone  era  d'oro  velie  parti  dov'era  uccellot  e  nel  resto  era  un 
misto  di  bianco  e  vermiglio.  Mia  destra  ruota  del  carro  danza- 
vano in  giro  tre  donne,  Vuna  rossa,  Valtra  verde  e  la  terza  bianca, 
dirigendo  la  danza  ora  la  bianca,  ora  la  rossa;  la  rosta  poi  era 
la  sola  che.  cantasse,  e  che  col  canto  allentasse  o  affrettasse  la 
danza.  Dalla  ruota  sinistra  danzavano  quattro  altre  donne  rosso 
vestite,  la  principal  delle  quali  avea  tre  occhi  in  testa.  Dietro  al 
carro  veni  ano  due  vecchi  vestiti  diversamente,  ma  ugualmente  gravi, 
Vuno  appariva  esser  medico,  l'altro  armigero,  e  dietro  a  questi 
veniano  4  altri,  lutto  umili  e  dimessi.  Finalmente  chiudeva  il 
corteo  un  veglio  che  veniva  solo,  in  faccia  dormiente  ed  arguta* 
Questi  sette  erano  bianco  vestiti  come  i  primi  24,  solo  che  intorno 
al  rapo,  invece  di  ghirlanda  di  gigli  Vaveano  di  ro$e,  e  altìi  fiori 
vermigli.  Quando  il  carro  è  in  faccia  a  Dante  s'ode  un  tuono,  e 
tutii  ristanno  a  quel  segno. 


AvVEKTIMKNTO  GENERALE  SUL  CANTO. 

Questo  Canto  è  tatto  mistico:  perciò  le  cose  si  hanno  da  in* 
tendere  in  senso  spirituale. 


SB.  Vedi  (Dtli  i  easellini  di  questo  Canto  uella  T.  X  Purg..  e  le  T.  XI  e  XII  Ptirp. 

Latitando  come  donna  innamorata.  ! 
Continuò  col  fin  di  sue  parole:  * 
Beati,  quorum  tecta  sunt  peccata.  8 

*  Innamorala.  Di  Dio. 

*  Continuò  col  fin  ecc.  Alle  sue  ultime  parole  dette,  aggiunse 
quest'altre.  Le  ultime  parole  furono:  Nettare  è  questo  ecc. 

3  Meati  quorum  ecc.  Sono  parole  dol  primo  versetto  del  Salmo  31  : 
Beati  guorum  remissae  sunt  iniquità  tee  et  quorum  tecta  sunt  pec- 
cata, con  che  Matilde  allude  alla  purgazione  delle  colpe  fatte  da 
l>ante  nel  Purgatorio. 


CANTO  XXIX.  «25 

E  come  ninfe  che  si  givan  sole  l 
Per  le  selvatich'ombre,  disiando 
Qual  di  fuggir,  qual  di  veder  lo  sole, 

Allor  si  mosse  contr'al  fiume,  andando  * 
Su  per  la  riva,  ed  io  pari  di  lei, 
Picciol  passo  con  picciol  seguitando. 
10-     Non  eran  cento  tra  suoi  passi  e  i  miei,  • 
Quando  le  ripe  igualmente  dier  volta,  7 

*  E  come  ninfe  ecc.  Per  ingentilire  più  che  fosso  possibile  l'  an- 
data di  Matilde  lunghesso  il  fiume  contro  la  corrente,  e  sotto  lt 
ombre  del  bosco,  paragona  quell'andata  all'andata  delle  ninfe  per 
le  foreste,  ove  amavano  aggirarsi  sole. 

*  .Iridando  —  Su  per  la  riva  ecc.  Osservate  sulla  Tav.  XI  che  noi 
siamo  nella  facciata  che  guarda  ovest,  e  perciò  andando  ora  contro 
il  fiume,  che  veniva  da  sud  a  nord,  noi  andiamo  da  nord  a  sud. 

6  JYon  eran  cento  ecc.  Non  eran  cinquanta  i  passi  di  Dante.  In- 
vece di  nominar  la  distanza  dai  suoi  soli  passi,  il  poeti  la  nomina 
dai  passi  di  lei  uniti  ai  suoi,  e  ciò  per  riverenza  a  Matilde,  ch'era 
allor  la  sua  guida.  Matilde,  come  dicemmo,  è  figura  della  vita  attiva 
alla  quale  appartiene  disporre  le  anime  per  la  attiva,  e  per  la  con- 
templativa. Perciò  Dante,  che  dee  darsi  all'una  ed  all'altra  di  queste 
vite,  dee  tener  dietro  alla  sua  maestra,  ovunque  essa  il  conduca, 
badando  bene  di  misurare  i  suoi  coi  passi  di  lei,  il  che  vuol  dire 
tenersi  stretto  ai  suoi  insegnamenti,  facendone  gran  conto,  quantun- 
que piccoli  essi  appaiano.  Con  questi  quasi  50  passi  pervennero  al 
fine  del  giro  d-lla  facciata  di  ovest  verso  sud.  (Vedi  Tav.  XI). 

7  Quando  le  ripe  igualmente  ecc.  Due  linee  circolari  concentri- 
che, quali  sono  le  due  ripe  del  fiume,  voltano  egualmente,  a  diffe- 
renza delle  lince  quadrate,  dove  voltando  la  minore  non  volta  anche 
la  maggiore.  Dunque  con  questo  si  vuol  diro  che  il  corso  del  fiume 
era  in  figura  circolare,  e  non  quadrata.  La  figura  circolare  è  la 
più  perfetta  ;  e  qui  sta  molto  bene  la  scelta  della  più  perfetta,  sia 
pel  luogo  perfetto  dove  siamo,  sia  per  la  perfezione  alla  quale  si 
vuol  condur  Dante,  dopo  la  purgazione.  È  per  questo  che  qui  si 
cambia  anche  plaga,  e  che  si  scelgono  le  due  plaghe  migliori,  quella 
di  mezzogiorno,  e  quella  di  oriente;  quella  di  mezzogiorno,  perchè 
le  persone  vanno  appunto  a  porsi  in  quella  facciata  ;  quella  di  oriente, 
perchè  andando  per  la  facciata  di  mezzogiorno,  hanno  la  faccia  ri- 
volta ad  orieute    i  Vedi  Tav.  Xlfy 

40 


626  PURGATORIO 

Per  modo  ch'a  levante  mi  rendei. 8 
Né  anche  fu  cobi  nostra  via  molta,  9 
Quando  la  donna  tutta  a  me  si  torse,  l0 
Dicendo:  Frate  mio,  guarda  ed  ascolta. 
Ed  ecco  un  lustro  subito  trascorse  u 
Da  tutte  parti  per  la  gran  foresta, 
Tal  che  di  balenar  mi  mise  in  forse.  '* 
Ma  perchè  il  belenar,  come  vien,    resta,  " 

8  A  levante  mi  rendei  ecc.  Comincisi  ad  aver  la  faccia  volta  a 
levante,  perchè  andando  per  la  facciata  di  sud  da  ovest  ad  est, 
si  ha  la  faccia  ad  est.  É  questa  la  seconda  volta  che  Dante  viene 
nella  facciata  di  mezzogiorno.  La  prima  volta  che  ci  passò  fu  nella 
cornice  degli  Accidiosi,  ed  allora  ci  passò  di  notte,  come  si  può 
vedere  nella  Tav.  Vili,  e  come  venne  descrìtto  nel  Canto  XVIII, 
dopo  il  verso  115:  e  fu  per  sola  necessità  di  passare  alla  facciata 
di  levante.  La  seconda  volta  che  ci  passa  è  questa,  nella  quale  ci 
viene  di  giorno:  e  questa  volta  la  facciata  è  destinata  a  scena  di 
un  fatto  assai  più  importante,  che  non  sono  i  fatti  del  Purgatorio. 
Da  ciò  risulta  che  questa  facciata  meridionale  fu  riservata  ad  azioni 
di  maggior  perfezione  che  non  sono  le  azioni  delle  pene  del  Pur- 
gatorio. (Confronta  la  Tav.  Vili  colla  Tav.  XII). 

9  Ne  anche  fu  così  ecc.  I  passi  che  facemmo  per  la  facciata  d, 
sud  verso  est  furono  meno  che  i  passi  fatti  per  venire  dalla  metà 
della  facciata  di  ovest  al  principio  della  facciata  di  sud,  che,  come 
vedemmo,  furono  meno  di  50,  che  noi  per  rotondità  di  numero  ab- 
biamo ritenuto  50,  perchè  parlando  Dante  in  quella  maniera  volle 
dire  quasi  50,  o  tra  il  49  e  il  50.  Se  dunque  in  questa  facciata 
di  sud  avessero  fatto  50  passi,  sarebbero  giunti  alla  metà  di  essa 
facciata.  Avendone  fatto  meno,  restano  ancora  al  di  qua  della  metà 
ma  di  pochi  passi,  tale  essendo  il  senso  di  questo  verso.  (Vedi  la 
mia  Tav.  XII). 

io  Tutta  a  me  ti  torse.  Si  rivolse  a  me  con  tutta  la  persona, 
come  facciamo  quando  vogliamo  avvisare  un  compagno  tutto  intento 
a  noi,  della  comparsa  di  cosa  straordinaria.  La  cosa  straordinaria 
spuntava  qui  dalla  facciata  di  est  che  mette  a  quella  di  sud,  dove 
erano  i  poeti.  (Vedi  la  mia  Tav.  XII). 

M  Un  lustro  subito.  Un  improvviso  chiarore. 

**  Tal  che  di  balenar.  Tal  che  ho  sospettato  essere  un  lampo. 

*•  Sfa  perchè  il  balenar  ecc.  Ma  perchè  il  lam^o  appena  comparso 


CANTO  XXIX.  627 

20-        E  quel  durando  più  e  più  splendeva, 

Nel  mio  pensar  dicea:  Che  cosa  è  questa? 

Ed  una  melodia  dolce  correva  u 
Per  i'aer  luminoso;  onde  buon  zelo 
Mi  fé  riprender  l'ardimento  d'Eva,  i5 

Che  là  dove  ubbidia  la  terra  e  il  cielo, 
Femmina  sola,  e  pur  testé  formata, 
Non  sofferse  di  star  sotto  alcun  velo;  *• 

Sotto  '1  qual,  se  divota  fosse  stata, 
Avrei  quelle  ineffabili  delizie 
30-         Sentite  prima,  e  poi  lunga  fiata, 

Mentr'io  m'andava  tra  tante  primizie  IT 
Dell'eterno  piacer,  tutto  sospeso, 
E  disposo  ancora  a  più  letizie, 

Dinanzi  a  noi,  tal  quale   un  fuoco   acceso,  " 
Ci  si  fé  l'aer,  sotto  i  verdi  rami, 
E  il  dolce  suon  per  canto  era  già  inteso. 


scompare,  e  quello  invece  durava  e  si  facea  più  splendente.  Ciò  era 
naturale,  perchè  era  infatti  un  chiarore  che  si  avvicinava  dalla 
parte  di  oriente. 

t*  Ed  una  melodia  ecc.  Prima  la  luce  e  poi  la  melodia,  perche 
la  luce  è  più  pronta  e  veloce  del  suono. 

*s  L'ardimento  d'Eva.  La  quale  non  osservò  il  divino  divieto,  e 
cosi  fu  causa  ch'ella,  e  noi  tutti,  perdessimo  le  delizie  del  Paradiso 
terrestre. 

*  e  Non  sofferse  di  ecc.  11  velo  misterioso  della  ragione  che  avea  Dio 
per  vietarle  un  frutto,  ragione  ch'essa  dovea  contentarsi  d'ignorare 
e  di  rispettare,  li  demonio  l'attaccò  appunto  su  questa  ragione,  sti- 
molando così  la  sua  curiosità,  e  poi  ingannandola. 

47  Mentr'io  m'andava  ecc.  Dante  guardava,  ascoltava,  ma  anche 
camminava,  sebbene  lentissimamente. 

48  Dinanzi  a  noi  tal  ecc.  Avvicinandosi  Dante  agli  oggetti  nuov 
o  gli  oggetti  nuovi  a  lui,  quello  che  era  chiarore  comprende  esserei 
un  fuoco  acceso,  e  il  dolce  suono  comprende  essere  un  canto.  Tutto 
effetto  della  minor  distanza  degli  oggetti. 


«8  PURGATORIO 

O  sacrosante  vergini,  se  fami,  i9 

Freddi,  o  vigilie  mai  per  voi  soffersi, 
Cagion  mi  sprona  ch'io  mercè  ne  chiami.  * 
*°-     Or  convien  ch'Elicona  per  me  versi,  *! 
E  Urania  m'ajuti  col  suo  coro,  w 
Forti  cose  a  pensar,  mettere  in  versi.  n 

Poco  più  oltre  sette  alberi  d'oro  u 
Falsava  nel  parere  il  lungo  tratto 
Del  mezzo,  ch'era  ancor  tra  noi  e  loro 

Ma  quando  i'  fui  sì  presso  di  lor  fatto,  1S 

t?  0  sacrosante  vergini.'  Invocazione  alle  muse  di  uno  speciale 
aiuto  rispondente  all'altezza  del  nuovo  soggetto.  Invoca  nou  le  pro- 
fane, ma  le  sacre. 

30  Ch'io  mercè  ne  chiami.  Ch'io  implori  il  vostro  soccorso  in 
premio  delle  fatiche  sostenute  per  voi.  Ne  ho  sostenute  pel  mio  solo 
poema  51  che  m'ha  fatto  per  più  anni  macro. 

*l  Ch'Elicona  per  me  versi.  Invocazione  al  giogo  di  Parnaso, 
perché  versi  tutto  il  suo  fiume  per  lui  non  dividendolo  ad  altri, 
perch'egli  ha  bisogno  di  tutte  quelle  acque  del  fiume  Pegasco,  ossia 
di  tutto  il  valore  poetico. 

3*  Urania.  Musa  delle  cose  celesti,  come  esprime  il  suo  stono 
nome,  e  musa  principale,  alla  quale  è  soggetto  il  coro  delle  altre 
muse.  Trattandosi  di  cose  celesti  ottimamente  s'invoca  specialmente 
questa  musa. 

33  Forti  cose  ecc.  A  concepir  cose  sì  difficili  ed  a  metterle  in  versi. 

3*  Poco  più  oltre  ecc.  Avvicinatomi  più  alla  mete  del  monte  nella 
facciata  di  sud.  (Vedi  Tav.  XII).  —  Sette  alberi  d'oro  —  Falsava  eoe- 
Costruisci  cosi  :  Il  lungo  tratto  del  mezzo,  ch'era  ancor  tra  noi  e  loro, 
nel  parere  falsava  setto  alberi  d'oro.  Cioè:  la  distanza,  che  ancor 
rimaneva  tra  me  e  quegli  esseri  luminosi,  me  li  facea  parere,  falsa- 
mente però,  sette  alberi  d'oro.  Intanto  vediamo,  che  per  la  minor 
distanza,  quello  che  prima  era  un  indistinto  chiarore,  e  poi  un  fuoco 
acceso,  ora  più  distintamente  appare  essere  sette  alberi  d'oro.  Ma 
non  erano  3ette  alberi  d'oro,  orano  essi  ben  altro,  ma  per  la  di- 
stanza pareano  tali.  Appresso,  quando  saranno  vicini  affatto,  appa- 
riranno quel  che  erano  realmente. 

33  Sì  presso  di  lor  giunto.  Alla  metà  della  facciata  del  monte 
che  guarda  sud.  (Vedi  Tav.  XII), 


CANTO  XXIX.  689 

Che  l'obbietto  comun,  che'l  senso  inganna,  stt 
Non  perdea  per  distanza  alcun  suo  atto;  *7 

La  virtù  ch'a  ragion  discorso  a m manna  ** 
W-         Siccom'egli  eran  candelabri  apprese, 
E  nelle  voci  del  cantare,   Osanna.  w 

Di  sopra  fiammeggiava  il  bello  arnese  *° 
Fiù  chiaro  assai,  che  luna  per  sereno  " 
Di  mezza  notte  nel  suo  mezzo  mese. 

Io  mi  rivolsi  d'ammirazion  pieno 

Al  buon  Virgilio,  ed  esso  mi   rispose  M 
Con  vista  carca  di  stupor  non  meno. 

Indi  rendei  l'aspetto  all'alte  cose, 

Che  si  movieno  incontro  a  noi  sì  tardi, 

**  Che  l'obbietto  comun  ecc.  L'obbietto  comune  è  quello  che  una 
cosa  ha  comune  ad  un'altra  veduta  a  certa  distanza.  Per  esempio 
nel  caso  nostro  i  sette  candelabri,  quali  erano  veramente,  sembravano 
in  distanza  sette  alberi  d'oro,  perchè  tanto  gli  alberi  d'oro,  quanto 
i  candelabri  lucenti  paiono  la  stessa  cosa  in  distanza,  perchè  hanno 
lo  stesso  obbietto  comune  di  rassomiglianza.  Ognun  vede  poi  che  è 
questo  obbietto  comune  quello  che  inganna  i  sensi. 

si  Non  perdea  ecc.  L'obbietto  comune,  non  essendoci  ornai  che  a 
poca  distanza,  si  ristringeva  a  far  veder  candelabri  quelli  che  in  più 
distanza  falsava  per  alberi. 

*8  La  virtù  ecc.  L'apprensiva  che  appresta  la  materia  del  discono 
alla  ragione. 

29  E  nelle  voc>  ecc.  E  apprese  nelle  voci  prima  confuse  del  can- 
tare che  quelle  voci  erano  tanti  Osanna. 

30  11  bello  arnese.  Quei  sette  candelabri.  Riserviamo  al  fine  del 
canto  il  senso  mistico  di  tutto  questo  spettacolo  religioso,  per  non 
interrompere  qui  il  corso  della  descrizione. 

31  Più  chiaro  assai  che  luna  ecc.  La  luna  allora  è  più  chiara  quando 
concorrono  queste  tre  circostanze  :  1  .*  che  il  cielo  sia  sereno;  2.*  che  sia 
in  mezzo  del  cielo  :  3.a  che  sia  plenilunio;  tutte  circostanze  notate  qui. 

32  Mi  rispose.  Non  già  che  Virgilio  abbia  risposto  con  parole,  ma, 
come  dicesi  qui,  colla  vista  piena  di  stupore.  Virgilio  rappresentante 
della  sola  ragione,  non  può  intendersi  di  queste  cose,  che  sono  sopr 
ragione,  e  che  appartengono  a  rivelazione. 


630  PURGATORIO 

6°,         Che  foran  vinte  da  novelle  spose.  M 
La  donna  mi  sgridò  :  Perchè  pur  ardi  u 

Sì  nell'affetto  delle  vive  luci, 

E  ciò  che  vien  di  retro  a  lor  non  guardi  ? 
Gente  vid'io  allor,  conTa  lor  duci.  35 

Venire  appresso  vestite  di  bianco; 

E  tal  candor  giammai  di  qua  non  fuci. 
L'acqua  splendeva  dal  sinistro  fianco,  w 

E  rendea  a  me  la  mia  sinistra  costa,  Z1 

S'io  riguardava  in  lei,  come  specchio  anco.  u 
70«     Quand'io  dalla  mia  riva  ebbi  tal  posta,  M 

Che  solo  il  fiume  mi  facea  distante, 

Per  veder  meglio  a'  passi  diedi  sosta  ;  40 

sa  Novelle  spose.  Le  spose  quand'escono  dal  tempio,  dopo  la  ce- 
rimonia nuziale,  hanno  un  passo  assai  lento,  come  si  può  vedere, 
più  che  altrove  nelle  spose  di  contado.  La  verecondia  n'è  la  causa 
principale,  oltre  il  corteggio,  che  si  le  arresta  colle  gratulazioni. 

3*  Sgridò.  Non  è  in  senso  di  rimproverò,  ma  di  parlò  forte. 

33  Come  a  lor  duci.  Le  sette  fiammelle,  in  testa  alla  processione 
che  segue,  erano  le  regolatrici  del  moto  di  essa  processione.  Le  per- 
sone, che  vernano  subito  dopo  le  dette  fiammelle,  erano  24  seniori, 
come  si  dirà  appresso,  ma  qui  si  accennano  perchè  le  prime  vedute 
dopo  le  sette  fiamme. 

36  Dal  sinistro  fianco.  Dal  sinistro  fianco  di  Dante.  Dunque  li 
sette  candelabri  colla  processione  erano  alla  destra  del  fiume. 

37  E  rendea  a  me  ecc.  S'intende  da  sé,  che  splendendo  Tacqui 
dalla  parte  di  Dante,  esso  dovea  specchiarvi^  col  fianco  sinistro. 

38  Come  specchio,  anco.  Tanta  era  la  luce  e  la  chiarezza  dell'acqua 
che  questa  gli  scusava  tersissimo  specchio. 

39  Ebbi  lai  posta  —  Che  ecc.  Ciò  vuol  dire  che  Dante  ed  i  can- 
delabri si  raggiunsero,  ciascuno  dalla  propria  riva,  l'uno  in  faccia 
all'altro.  Sicché  candelabri  e  Dante  erano  giunti  in  mezzo  alla  fac- 
ciata del  monte  che  guarda  sud. 

*o  A* passi  diedi  sosta.  Si  fermò  dirimpetto  ai  can «Glabri,  i  quali  non 
sostarono,  come  Dante,  ma  continuarono  il  lento  loro  cammino.  Solo  al- 
lora Dante  potè  vedere  l'effetto  che  lasciavano  indietro  le  fiammelle. 
Prima  Don  pò  tea.  perchè  vedea  il  dinanzi  delle  fiammelle  non  il  di  dietro 


CANTO  XXIX.  681 

E  vidi  le  fiammelle  andare  avante, 
Lasciando  dietro  a  sé  l'aer  dipinto,  4I 
E  di  tratti  pennelli  avean  sembiante; 

Sì  che  di  sopra  rimanea  distinto  is 
Di  sette  liste,  tutte  in  quei  colori,  ** 
Onde  fa  l'arco  il  sole,  e  Delia  il  cinto. 

Questi  stendali  dietro  eran  maggiori  u 
**•         Che  la  mia  vista,  e,  quanto  a  mio  avviso, 
Dieci  passi  distavan  quei  di  fuori.  " 

Sotto  così  bel  ciel,  com'io  diviso, 
Ventiquattro  seniori,  a  due  a  due,  * 
Coronati  venian  di  fiordaliso,  47 

4*  Lasciando  ditiro  ecc.  Le  7  fiammelle  per  tutto  l'aere  per  col 
passavano,  lasciavano  vìva  traccia  di  sé  stampandovi  una  lista  lu- 
minosa. Sicché  non  erano  come  le  nostre  fiammelle,  che  uoq  lasciano 
strisele  luminose  dopo  di  sé;  esse  avean  la  virtù  d'imprimer  nel- 
Paria  un  effetto  stabile,  come  un  acceso  tratto  di  pennello.  Cosi 
venivano  a  formare  un  padiglione  di  luce  alla  processione  che  sotto 
incedeva. 

tt  Di  sopra.  Nell'aria,  all'altezza  delle  fiammelle. 

43  Tutte  in  quei  colori  —  Onde  ecc.  Ogni  lista  avea  sette  colori, 
o  dell'iride,  o  dell'alone  della  luna. 

44  Questi  stendali  ecc.  Gli  sette  candelabri,  con  lasciar  dietro 
dipinta  l'aria  di  sette  striscie  lucenti,  venìano  ad  esser  simili  agli 
stendardi,  il  drappo  de'  quali  va  sventolando  indietro.  Quelle  striscie 
lucenti  si  prolungavano  oltre  la  vista,  perchè  dovendo  essi  coprire 
tutta  la  processione,  e  la  processione  non  essendo  ancora  spuntata 
tutta  dalla  facciata  d'oriente,  Dante  non  ne  potea  vedere  il  fine. 
(Vedi  la  mia  Tav.  XII,  che  bisogna  aver  sempre  sottocchio,  per 
presentarsi  alla  mente,  e  goder  meglio  questa  scena). 

43  Dieci  passi  ecc.  Fra  le  due  liste  estreme  correva  il  tratto  di 
dieci  passi.  Era  dunque  un  padiglione  largo  dieci  passi,  quanti  ba- 
stavano a  coprire  il  corteo,  anche  dove  era  più  largo,  e  sarà  più 
largo  al  punto  del  carro  che  vedremo. 

46  Ventiquattro  ecc.  Ventiquattro  venerabili  vecchi  dell'antico 
Testamento,  facilmente  agiografi.  —  A  due  a  due.  Qui  la  processione 
era  ristretta. 

4?  Di  fiordaliso-  Di  gigli. 


U32  PURGATORIO 

Tutti  cantavan  :  Benedetta  tue  *• 
Nelle  figlie  d'Adamo,  e  benedette 
Sieno  in  eterno  le  bellezze  tue. 

Poscia  che  i  fiori,  e  l'altre  fresche  erbette,  4* 
A  rimpetto  di  me  dall'altra  sponda, 
0°.         Libere  fur  da  quelle  genti  elette, 

Sì  come  luce  luce  in  ciel  seconda,  50 
Vennero  appresso  lor  quattro  animali,  5i 
Coronato  ciascun  di  verde  fronda.  w 

Ognuno  era  pennuto  di  sei  ali,  5* 

Le  penne  piene  d'occhi  ;  e  gli  occhi  d'Argo, 
Se  fosser  vivi  sarebber  colali. 

A  descriver  lor  forma  più  non  spargo 
Rime,  lettor;  ch'altra  spesa  mi  strigne  u 
Tanto,  che  in  questa  non  posso  esser  largo. 
100.    Ma  leggi  Ezechiel  che  li  dipigne  53 

*#  Tutti  canlavan.  Ecco  onde  veniva  la  melodia,  che  da  lontano 
sentiva  Dante.  —  Benedetta  tue  ecc.,  che  sono  parole  di  S.  Elisa- 
betta a  Maria,  ed  a  Maria  vanno  dirette  anche  qui. 

*9  Poscia  che  i  fiori  ecc.  Dopo  che  i  24  seniori  mi  trapassarono. 

50  Sì  come  luce  ecc  Come  appare  in  cielo  una  stella  dopo  uu'altra. 

51  Quattro  animali.  Onde  Dante  li  abbia  presi,  e  che  figura 
avessero,  lo  dice  appresso.  (Vedi  n.  05  e  50.  Vedi  pure  in  fine  del 
Canto  il  loro  mistico  significato). 

52  DI  verde  fronda^  A  differenza  dei  "24  seniori  che  l'avean  candida. 
M  Di  sei  ali.  Aveva  sei  ali  sparse  d'occhi  come  quelli  della  coda 

del  pavone,  in  cui  Argo  dai  cen t'occhi,  fu  trasmuta  to,  secondo  uarra 
Ovidio  nel  XVI. 

s*  Ch'altra  spesa  ecc.  Similitudine  tratta  dagli  spenditori,  che 
non  avendo  da  spendere  che  una  certa  somma  determinata,  in  al- 
cune cose  secondarie  sono  più  econonvei,  e  in  quelle  principali  sono 
più  larghi. 

N  Ezechiel  ecc.  Le  parole  di  E/.ochielo  (Cap.  I),  Fono  le  seguenti  : 
Et  vidi,  et  ecce  ventus  turbini*  veniebut  ab  aqu<ì>nc,  nubes  magna 
et  igni*  involvens  ....  Et  ex  medio  ejus  similitudo  quatuor  anima- 
lium  ....  Simili  ludo  autem  vultus  porum  facies  hominis,  et  facies 
Uonis  a  dextris   ip&orum  quatuor.  Facies    autem  bovis  a   sinistrti 


CANTO  XXIX.  638 

Come  li  vide  dalla  fredda  parte 

Venir  con  vento,  con  nube,  e  con  igne; 

E  quai  li  troverai  nelle  sue  carte, 
Tali  eran  quivi,  salvo  ch'alle  penne  M 
Giovanni  è  meco,  e  da  lui  si  diparte. 

Lo  spazio  dentro  a  lor  quattro  contenne  l7 
Un  carro,  in  su  duo  rote,  trionfale, 
Che  al  collo  d'un  grifon  tirato  venne.  w 

Ed  esso  tende  a  su  l'una  e  l'alt  r' ale  M 
110-        Tra  la  mezzana  e  le  tre  e  tre  liste,  *° 
Sì  ch'a  nulla,  fendendo,  facea  male.  6I 

ìptorum  quatuor,  et  facies  aquilae  ipsorum  quatuor  .Et  facies  eorum 
et  pennae  eorum  exientae  desuper t  duae  pennae  singulorum  iun- 
gebantury  et  duae  tegebant  corporei  eorum. 

36  .Me  penne  Giovanni  ecc.  Ezechiele  ai  suoi  animali  dà  solo 
quattro  ale,  S.  Giovanni  sei.  Le  parole  di  S.  Giovanni,  che  prendo 
un  po'  addietro;  per  far  vedere  onde  Dante  attinse  una  gran  parte 
di  questa  scena  religiosa,  sono  le  seguenti  deWApoc,  IV,  4:  Et  in 
circuiiu  sedis  sedili  a  viginti  quatuor,  et  super  thronos  vigiliti  qua- 
tuor  seniores  sedentes,  circumamicti  vestimenlis  a  Ibis,  et  in  capi- 
tibus  eorum  coronae  aureae.  Et  de  throno  procedebant  fulgura.  et 
voces  et  tonitrua  et  septem  lampades  ardente 8  ante  thronum,  qui 
sunt  septem  spiri tus  Dei,  et  in  conspeclu  sedis  tamquam  mare  vi- 
treum  simile  crystallo,  et  in  medio  sedis  quatuor  ammalia  piena 
oculis  ante  et  retro.  Et  animai  primum  simile  leoni,  et  secundum 
animai  simile  vitulo,  et  tertium  animai  habens  faciem  quasi  ho- 
minis,  et  quartum  animai  simile  aquilae  volanti.  Et  quatuor  ani - 
malia:  Ungula  eorum  habens  alas  senas:  et  in  circuito,  et  intus 
piena  sunt  oculis.  et  requiem  non  habebant  die  ac  nocte  dicentia: 
Sanctus,  Sanctus,  Sanctus  Dominus  Deus  omnipotens%  qui  erat}  et 
qui  est,  et  qui  venturus  est. 

57  Lo  spazio  dentro  ecc.  Lo  spazio  (nominativo). 

ss  Grifon.  Mezzo  uccello  e  mezzo  leone. 

59  L'una  e  Valtr'ale.  Alt  singolare  di  ali. 

co  Tra  la  mezzana  ecc.  Così  che  le  due  ali  prendevano  in  mezzo 
la  lista  luminosa  mediana. 

61  Sì  eh* a  nulla  ecc.  Le  ali  passavano  sopra  le  liste  lumiuose 
senza  toccarle  o  interromperle. 


634  PURGATORIO 

Tanto  salivari,  che  non  eran  viste;  w 

Le  membra  d'oro  avea  quanto  era  uccello,  M 
E  bianche  l'altre  di  vermiglio  miste. 

Non  che  Roma  di  carro  così  bello  64 
Rallegrasse  Africano,  ovvero  Augusto; 
Ma  quel  del  sol  saria  pò  ver  con  elio; 

Quel  del  sol  che  sviando  fu  combusto,  M 
Per  Torazion  della  terra  devota,  66 

6*  Che  non  eran  viste.  Che  non  se  ne  vedeva  il  fine. 

t*  Le  membra  d'oro  ecc.  La  parte  superiore  era  uccello,  e  questa 
parte  era  d'oro,  il  resto  era  leone,  e  questa  parte  era  d'un  misto 
bianco  e  rosso,  ossia  color  di  carne  umana. 

M  Non  che  Roma  ecc.  Paragona  la  bellezza  di  questo  carro  trion- 
fale coi  carri  trionfali  che  fece  Roma  a  Scipione  Africano,  cosi  ap- 
pellato dall'Africa,  per  lui  domata,  e  ad  Ottaviano  Angusto,  quando 
trionfò  tre  giorni  continui  per  tre  conquiste  diverse:  e  col  medesimo 
carro  che  i  poeti  fingono  avere  il  sole,  sul  quale  esso  corre  pel  firma- 
mento, e  dice  che  quei  tre  carri  sono  una  miseria  a  confronto  di 
questo. 

68  Sviando.  Per  opera  del  presuntuoso  Fetonte  che  lo  guidava. 
~  Fu  combusto.  Da  un  fulmine  di  Giove.  Perchè  il  poeta  al  carro 
del  sole  appone  la  circostanza  del  suo  guasto  in  causa  dello  sviarsi, 
e  ciò  per  opera  di  Giove  medesimo  mosso  alle  preghiere  della  Terra, 
circostanza  che  a  prima  vista  parrebbe  superflua?  Perchè  quel  carro 
è  qui  portato  per  similitudine  d'un  altro  carro  (quel  della  Chiesa) 
che  fu  anch'esso  guastato  pel  suo  sviarsi  da  Roma  in  Francia,  e 
da  altre  cause  avvenute  prima,  come  toccherà  il  poeta  nei  Canti 
seguenti.  Sicché  questa  circostanza  del  guasto,  che  pareva  superflua» 
è  invece  conveniente  al  concetto,  ed  introdotta  con  avvedutezza  am- 
mirabile. 

6G  Per  Voration  ecc.  La  terra  sentendosi  ardere  improvvisamente 
per  quel  deviamento  del  carro  del  sole,  pregò  Giove  di  salvarla,  e 
Giove  accondiscese  :  come  dicesse  :  cosi,  dietro  le  preghiere  cristiane, 
Dio  colpirà  de' suoi  fulmini  il  carro  della  Chiesa  sviato  da  Roma 
in  Francia  da  Clemente  V,  che  nella  similitudine  verrebbe  ad  essere 
il  Fetonte  del  carro  del  sole.  E  evidente  che  il  poeta  alludeva,  con 
ciò  alla  morte  di  Clemente  V,  già  avvenuta  addi  10  aprile  del  1314, 
e  quindi  si  conferma  l'epoca  reale  della  nostra  Tav.  X  Purg.  Dopo 


CANTO  XXIX.  685 

12°-       Quando  fu  Giove  arcanamente  giusto.  *7 
Tre  donne  in  giro  dalla  destra  ruota,  68 
Veniali  danzando;  l'una  tanto  rossa, 
Ch'a  pena  fora  dentro  al  fuoco  nota.  fl9 
L'altr'era,  come  se  le  carni  e  Tossa 
Fossero  state  di  smeraldo  fatte;  70 
La  terza  parea  neve  testé  mossa:  7I 
Ed  or  parevan  dalla  bianca  tratte,  7* 
Or  dalla  rossa,  e  dal  canto  di  questa  78 

la  morte  di  Clemente  V,  in  quel  medesimo  anno  addi  29  novembre 
avveniva  pare  la  morte  dell'empio  Filippo  il  Bello,  complice,  anzi 
primo  autore  tiranno,  dello  sviamento  del  carro  della  Chiesa,  e  perciò 
il  poeta  ne  parlerà  da  qui  a  poco  nel  Canto  XXXIII  del  Purg., 
dove  nei  versi  44  e  45  unirà  queste  due  morti.  Ciò  confermerà  l'epoca 
reale  della  nostra  Tav.  X  anche  per  conto  di  Filippo,  confermerà 
cioè  che  il  line  del  Purgatorio  fu  scritto  dopo  la  morte  di  quel  re, 
e  sotto  l'impressione  recente  di  essa. 

67  Quando  fu  Giove  arcanamente  giusto.  Fulminando  lo  stesso 
figlio  del  sole,  che  veniva  perciò  ad  essere  suo  nipote,  e  spezzando 
in  mille  frantumi  un  carro  tanto  prezioso,  mostrando  così  quanto 
egli  sia  nemico  della  presunzione,  e  come  per  essa  distrugge  le  cose 
a  lui  p  ù  care,  e  come  sia  pronto  a  far  giustizia  agli  innocenti  dan- 
neggiati dalla  prepotenza,  da  qualunque  parte  essa  venga.  Questi 
motivi,  che  guidarono  Giove  in  quel  castigo  di  Fetonte,  fecero  dire 
al  poeta  arcanamente.  (Rivedi  le  note  65  e  66  che  ti  serviranno 
di  guida  all'applicazione  della  similitudine  coll'assimigliato.) 

68  Tre  donne.  Presso  la  destra  mota,  che  è  la  più  nobile,  dan- 
zavano. Qui  la  processione  s'allarga:  ecco  il  bisogno  dei  10  passi 
di  padiglione. 

69  Ch'  a  pena  fora  ecc.  Il  suo  colore  era  tanto  rosso,  che  si  con- 
fondeva con  quello  del  fuoco;  onde  se  fosse  stata  nel  fuoco  non  si 
sarebbe  distinta. 

70  Di  smeraldo.  Lo  smeraldo  è  di  color  verde.  Dunque  V  altra 
era  tutta  verde. 

71  La  terza  ecc.  Era  bianca  come  la  neve  testé  caduta. 

7*  Dalla  bianca  tratte.  Or  parea,  che  la  prima  a  muoversi  e  a 
trar  l'altre  alla  danza,  fosse  la  bianca. 

73  Or  dalla  rotsa.  Or  parea  che  fosse  la  rossa  quella  che  principiaste 


77 


68*  PURGATORIO 

L'altre  toglièn  l'andare  e  tarde  e  ratte. 
130.    Dalla  sinistra  quattro  facean  festa,  lk 
In  porpora  vestite,  dietro  al  modo 
D'una  di  lor,  ch'avea  tre  occhi  in  testa. 

Appresso  tutto  il  pertrattato  nodo,  75 
Vidi  duo  vecchi  in  abito  dispari,  7* 
Ma  pari  in  atto  ed  onestato  e  sodo. 

L'un  si  mostrava  alcun  de'  famigliari  7i 
Di  quel  sommo  Ippocrate,  che  natura 
Agli  animali  fé'  ch'eli'  ha  più  cari. 

Mostrava  l'altro  la  contraria  cura  79 
14°-        Con  una  spada  lucida  ed  acuta, 

Tal  che  di  qua  dal  rio  mi  fé  paura. 

Poi  vidi  quattro  in  umile  parata,  *° 

la  danza,  e  traesse  l'altre.  —  Dal  canto  di  questa  ecc.  La  sola  delle 
tre  che  cantasse,  e  che  col  canto  di  tempo  largo  o  stretto,  dirigesse 
la  danza,  o  celere  o  lenta,  era  la  rossa. 

74  Dalla  sinistra  ecc.  Dalla  sinistra  ruota,  che  è  la  meno  no- 
bile, danzavano  quattro  donne.  Tutte  erano  vestite  di  porpora.  — 
Esse  facean  festa,  o  danzavano;  dietro  al  modo,  secondo  che  ve- 
deano  fare  a  quella  di  loro  che  avea  tre  occhi  in  testa  ;  la  quale 
venia  cosi  ad  essere  la  regolatrice  della  danza. 

7«  Appresso  tutto.  Dopo  tutto  questo  gruppo  di  persone,  e  di  cose 
di  che  abbiamo  trattato.  Li  due  vecchi,  in  ordine  di  tempo,  ven- 
nero dopo  i  fatti  rappresentati  dalle  persone  e  dalle  cose  sin  qui 
vedute;  quindi  si  pongono  dopo. 

76  In  abito  dispari.  Perchè  l'un  d'essi,  come  si  dirà,  dapprima 
fu  medico,  e  l'altro  fu  dapprima  guerriero. 

77  Onestato  e  sodo.  Dignitoso  e  grave. 

78  Alcun  de' famigliari  ecc.  Alcun  de' seguaci  del  famoso  me- 
dico Ippocrate,  che  natura  (Dio)  diede  agli  uomini  che  sono  gli 
animali,  ch'ella  ha  più  cari,  perchè  essendo  dotati  di  ragione  supe- 
rano a  gran  pezza  tutti  gli  altri. 

79  Mostrava  l'altro  ecc.  L'altro  vecchio,  stringendo  una  spada, 
strumento  di  morte,  mostrava  avere  intendimenti  contrarli  a  quelli 
di  1  vecchio  suo  compaguo. 

80  Quattro  in  umile  ecc.  Quattro  vestiti  umilmente,  poveramente. 


CANTO  XXIX.  6S7 

E  di  retro  da  tutti  un  veglio  solo  8I 
Venir,  dormendo,  con  la  faccia  arguta. 

E  questi  sette  col  primaio  stuolo  M 
Erano  abituati;  ma  di  gigli 
Dintorno  al  capo  non  facevan  brolo; 

Anzi  di  rose,  e  d'altri  fior  vermigli: 
Giurato  avria  poco  lontano  aspetto, 
150-        Che  tutti  ardesser  di  sopra  dai  cigli. 

E  quando  il  carro  a  me  fu  a  rimpetto,  M 
Un  tuon  s'udì,  e  quelle  genti  degne  u 
Parvero  aver  l'andar  più  interdetto. 

Fermandosi  ivi  con  le  prime  insegne.  8* 

si  Un  veglio  solo.  Chiudeva  la  processione  un  vecchio,  che  aveva 
in  sé  due  particolarità:  la  prima,  che  era  dormiente  sebben  cammi- 
nasse; la  seconda,  che  aveva  la  faccia  arguta,  cioè  una  faccia  che 
mostrava  di  aver  la  mente  assorta  in  altissima  contemplazione,  tal 
quale  la  dovette  avere  quello  sposo  dei  sacri  cantici,  che  disse  :  Ego 
dormio  et  cor  mentri  vigilai.  Cantica  V,  2. 

82  Col  primaio  stuolo  ecc.  Coi  24  Seniori  che  vennero  immediate 
dopo  i  7  candelabri  e  ch'erano  vestiti  di  bianco.  Questi  ultimi  sette 
erano  abituati  con  quelli,  ossia  vestiti  come  quelli  ;  solo  differivano 
nella  ghirlanda  intorno  la  testa,  perchè  in  luogo  di  averla  di  gigli 
l'aveano  di  roso  ed  altri  fiori  rossi,  e  tanto  rossi,  che  a  poca  lon- 
tananza, si  sarebbe  giurato  che  avessero  una  ghirlanda  di  fiamme 
dai  cigli  in  su. 

83  E  quando  il  carro  ecc.  Quando  il  carro  fu  in  faccia  a  Dante, 
ossia  quando  esso  giunse  alla  metà  della  facciata  di  sud,  dov'era 
Dante.  (Vedi  Tav.  XII). 

tu  Un  tuon  s'udì.  Era  queBto  il  segnale  della  fermata  di  tutta  la 
processione.  Il  fermarsi  degli  altri  dipendeva  dal  fermarsi  del  carro. 

M  Con  le  prime  insegne.  Coi  sette  candelabri,  o  stendali.  Tutti 
si  fermarono  come  si  fermarono  le  prime  insegne,  che  guidavano  il 
corteo. 


ITO 


PUKGATOBIO 


APPENDICE  AL  CANTO  XXIX 


Senso  mistico  rispondente  al  letterale  di  tutte  le  cose 

contenute  in  questo  canto. 

(A)  La  Chiesa  cattolica  e  la  tua  oostituioae. 


1 


3 


7 

8 


fi 


SENSO   LBTTBRALB 


Matilde. 


Matilde  pronta  ai  bisogni  di 
Dante. 

Matilde  gode  che  Dante  sia 
puigato:  Beati  ecc. 


Matilde  conduce  Dante  da 
ovest  a  sud. 


Luce  e  melodia  per  la  fo- 
resta. 


Dante  rimprovera  il  peccato 
d'Eva  e  le  sue  conseguenze. 

Processione  nel  Paradiso  ter- 
restre. 

Processione  verso  Dante,  e 
Dante  verso  processione. 


SSNSO  MISTICO  CORBISPOXDBKTB 


La  vita  attiva,  o  il  ministro 
ecclesiastico  della  vita  at- 
tiva. 

La  vita  attiva,  o  il  suo  mi- 
nistro, pronto  al  perfezio- 
namento dell'anime. 

La  vita  attiva,  o  il  suo 
ministro,  gode  degli  avan- 
zamenti delle  anime  dallo 
stato  di  penitenti  a  quello 
di  profìcienti. 

La  vita  attiva,  o  il  suo  mi- 
nistro, conduce  l'anima  in 
miglior  parte,  cioè  alla  so- 
litudine, secondo  quel  detto  : 
Ducam  eam  in  aolitudintm 
et  loquar  ad  cor  ejus,  dove 
l'anima  può  abilitarsi  dalla 
vita  purgativa  alla  illumi- 
nativa. Il  sud  è  miglior 
plaga,  ed  è  solitudine.  Dan- 
te riservò  il  sud  al  Parade 
terr.  (Vedi  Tav.  Vili). 

Presagi  dello  stato  felice  che 
si  acquista  da  chi  vera- 
mente vuol  passare  dalla 
purgativa  alla  illuminativa. 

Deve  sempre  crescere  1*  av- 
versione al  peccato  in  chi 
vuol  darsi  a  stato  perfetto. 

Chiesa  cattolica  cominciata 
nel  Paradiso  teirestre. 

La  chiesa  si  muove  verso 
il  fedele,  e  il  fedele  deve 
muoversi  verso  la  chiesa, 
dalla  qual  sola  può  essere 
abilitato  a  vita  perfetta. 


I 


CANTO  XXIX. 


639 


10 


11 


12 


13 


SENSO   LBTT1BALB 


Sette  candelabri  andanti  da 
sé  e  guidanti. 


Dante  specchia  il  sinistro  suo 
fianco,  nell'acqua  illuminata 
dalla  sua  parte. 

Li  7  candelabri  fanno  dietro 
a  bò  e  da  sé  il  tetto  o  il 
ciel  della  Chiesa. 


14 


Il  cielo  che  copre  la  proces- 
sione proviene  immediata- 
mente dai  candelabri. 


Sette  liste,  ciascuna  con  tutti 
i  sette  colori  dell'iride. 


Queste  sette  liste  sono  più 
luughe  della  vista. 


SBKSO  MISTICO  COBBISPOXDBNTB 


Lo  Spirito  Santo  da  sé  sus- 
sistente e  moventesi  co'suoi 
sette  doni,  guida  tutta  la 
Chiesa. 

Dante  guarda  alla  sua  vita 
passata  nel  peccato  mostra- 
tagli in  tutta  Ih  sua  nudità 
dal  lume  dello  Spirito  Santo. 

Lo  Spirito  Santo  fa  da  sé 
che  sia  immacolatamente 
concetta  Maria  Vergine  che 
é  il  cielo  della  Chiesa,  se- 
condo il  Gris.  Ave  coelum 
loffie  12  sett.),  e  secondo 
8  Germano:  Toliu$  orbii 
propitiatorium,  coelumque 
Dei  gloriata  enarrane  (ul- 
timo off.  della  Uoncez.)  e 
eecondo  S.  Epifanio:  Ma- 
ria roelum  templum  et 
thronus  Diviniiatis...  Ave 
gratta  piena ,  quae  et 
iplendidum  coelum.  (Ult. 
off.  della  Conce».)  Questo 
cielo  contiene  sotto  di  sé 
tutta  la  Chiesa,  secondo 
S.  Germano:  Dei  sumtni 
Regis  palalium,  omnesque 
hospitio  recipiens.  (TJltim. 
off.  della  Concez.) 

La  grazia  per  cui  Maria  Ver- 
gine  é   come   il  cielo  che  ) 
copre  e  difende  la  Chiesa 
proviene     immediatamente 
dallo  Spirito  Santo. 

Sette  grazie  singolari  e  tutte 
eminenti  e  perfette  fatte 
dallo  Spirito  banto  a  Maria, 
alla  quale  si  applica  quello 
della  Sapienza:  Sapientia 
a  edificavi  t  sibi  domum, 
excidi t  columnat  $eplem. 

Le  grazie  concesse  a  Maria 
sono  inarrivabili  da  mente 
umana;  oppure  la  prote- 
zione di  Maria  sulla  Chiesa 
si  estende  dal  principio  del 
mondo  sino  alla  fine. 


PURGATORIO 


N. 
15 

SEX  SO    LE TI IH A LI 

SRKSO  MISTICO  CORaiSPONDBXTB 

Dieci  passi  disiano  tra  loro 

Chi   b   nella    Chiesa    è   sog- 

le estreme  liste. 

getto  ai   IO   ruin^ndamenli 
adempiti  da  Maria  SS.  con 
tutta  la  più  gran  perfezione. 

IG 

Ventiquattro  seniori. 

Agiografi  e  santi  dell'antico 

17 

Questi  24  a  due  a  due. 

Mirabile    accordo    tra    loro 
nella  dottrina  6  nella  vita. 

18 

Questi  24   sono   vestiti    di 

Purità   e   santità  della   loro 

bianco. 

vita. 

19 

Questi  24  sono  coronati  di 

Purità  e    attutita  della  loro 

gigli. 

dottrina. 

20 

Questi  24  lodano  una  donna 

Gli    Mgkrgr.Uì     dell'  Antico 

chiamandola  Btnedetta  lue 

Testamento  preconizzarono 
Maria   SS.    e  ne  cantarmi 
le  glorie.  Ma  dov'è  questa 
donna,  se  poi   non  compa- 
risce che  Beatrice  ?  Questa 

donna  e  nel    cielo    già  de- 

scritto, e  queste   parole  ei 

dicono  jicr  iIi.'Utiiiìiihv'  '-he 

coaa  si  volle  intendere  pel 

cielo  delle  1  liste.  Le  pa- 

role dirotte  a  Beatrice,  che 

verrà  poi,  non  sono  queste, 

ì 

e  non   lo  poasono  ewra; 

spentati   J.tóano.cantaado, 

Cauto    XXX,  v.   11,  colle 

qunlì  sì  fa  a  lei  l'invito  di 

venire  come  infatti   subito 

dopo  verri.  Maria  SS.  era 

già  venuta.                           ; 

21 

Quattro  animali  a  due  a  due. 

Quattro  evangeli    concordi 
tra  loro.                                    ! 

!  22 

Questi  quattro   animali  scn 

Trionfo    dell'Evangelio  sui 

coronati  d'alloro. 

vizj,  e  sugli  errori. 
La  dottrina  evangelica  vola 

•23 

Questi  quattro  animali  avean 

ciascuno  gei  ali,  a  differenza 

al  passato,  presente,  e  fu- 

di  quei  d'Ezechiele,  che  ne 

turo,  a  differenza  della  dot- 

avi:  vari  soltanto  quattro. 

trina  dell'  Antico    Testata, 
che  non  dovea  guardare  il 

!  24 

Questi  quattro  animali  aventi 

Vista  acuta    della  dottrina 

penne  tutte  occhi. 

evangelica,  che    tratti»  dei  ' 
più  alti  misteri. 
Chiesa  che  trionfa  colla  sua 

15 

Carro  trionfale  tra  i  quattro 

animali. 

dottrina  evangelica. 

CANTO  XXIX. 


N. 

.»«.    UT..ML. 

.„„»„™»c..,»om™ 

2G 

Questo  carro  è  su  due  ruote. 

La  Chiesa  e  sulla  giustìzia 
e  sulla  misericordia. 

27 

Questo  carro  fc  tirato  da  un 

La   Chiesa   e    condotta  da 

grifone. 
Il  grifone  ha  due  ali,  che  ai 

Gesù  Cristo. 

28 

Q.  C.  è  il  Verbo  eterno  vo- 

elevano sino  al  cielo. 

lato  dal  cielo  a  guidar  in 

per?  un  a  la  sua  Chiesa. 
Il  Verbo  etomo  disceso  dal  j 

29 

Le  al!   sebbene   passino  per 

il  rido  delle  sette  liste  non 

cielo  in  terra,  ed  incarna-  . 

le  offendono. 

tosi  in  Maria  non  ne  offeso  I 
la  virginità.  Cosi   al  N.   Il  1 
abbiamo   la  Imm.  Concez.. 

e  qui  abbiamo  Maria  Ver- 
g'ne   nel    parto,  e  innanzi 
al  parto,  e  dopo  il  parto. 

30 

I.e   ali  passano  pel    mezzo 

Il    Verbo    etemo   passa  pel  1 

delle  liste. 

seno  di  Maria. 

31 

Queste  duo  ali  tanto  salgo- 

Il   Verbo  eterno   viene  dal  l 

no,   die   non   ne  si  vede  il 

Padre,  infinitamente  a  noi  J 

fine. 

lontano,    percbfc   Dio  come  : 
il  Padre. 

32 

Due   nature   del  grifone,  dì 

Due  nature  in  Cristo.  Quella  | 

uccello  e  di  leone. 

d'uccello  è  la  divina,  ijiiella 

di  leone  è  l'umana.  lYiyml;i  | 
prima  e  superiore,  è  d'oro.  ; 
[a  seconda  ed  inferiore,  è 

leonina.    Non  prese  per  la 

seconda    altra    carne     che 

quella  del   leone,  peri ■!»'  sic-  ! 

come   il    leone    e    re  degli 

animali,  cosi    G.  C.  anche  | 

in  quanto  alla  sua  umanità  '■ 

è  re;  Ego  antera  conflitti-  ; 

lui   tutti  rex  ab   to   mper  ì 

Sioti  moniti»  luneium  ejui.  j 

Asta  B). 

33 

Tre    dunne    danzano    dalla 

Le  tre  più  nubili  virtù  le  teo- 

ruota destra,  o  dalla  ruota 

logali,  o  infuse,  ornano  tri- 

più nobile. 

pudiane  la  Chiesa  dalla  sua  : 
parte  più  nobile. 

31 

Donna  rossa. 

La  Canta. 

,   33 

Donna  verde. 

La  Speranza. 

36 

Donna  bianca. 

La  Pede- 

37 

La  donna  venie  non  è  mai 

La  Speranaa  non  è  mai  la 

la  prima  a  damare,  e  a  trar 

prima  ad  essere  infusa,  e  a 

.l'altro  olla  danza. 

trar  seco  l'altre. 

33 

É  or  la  bianca,  or  la  rossa 

La   Fede   era   la  virtù  che  1 

che  comincia   la  danza. 

primeggiava  prima  di  Gesù 

642 


PURGATORIO 


N. 


39 


40 


41 


42 


43 


44 


45 


46 


47 


SKKSO   LBTTIBALI 


11  maggior  o  minor  moto 
della  danza  è  sempre  preeo 
dal  canto  della  rosea. 

Qua  tiro  donne  danzano  dalla 
ruota  sinistra. 


Queste  quattro  donne  sono 
vestite  di  porpora. 


Una  di  queste  quattro  donne 
ha  tre  occhi  in  testa  e  di- 
rige le  altre. 

Due  vecchi. 


Questi   due  vecchi  sono  in 
abito  dispari. 


Questi  due  vecchi  sono  pari 
in  atto,  onestato  e  sodo. 


L'uno  ha  ordigni  medici,  e 
l'altro  guerreschi. 


Quattro  altri  in  umile  paruta. 


SRXSO  MISTICO  COBRlSrONDlUVTB 


Cristo.  La  Carità  è  la  virtù 
che  primeggia  dopo  Gesù 
Cristo. 

Lo  zelo  con  cui  operano  la 
Fede  e  la  Speranza  è  in  ra- 
gione della  Carità. 

Le  quattro  virtù  morali  Pru- 
denza, Giustizia,  Tempe- 
ranza e  Fortezza,  ornano 
anch'esse  la  Chiesa.  Sono 
inferiori  in  pregio  alle  teo- 
logali, quindi  stanno  dalla 
ruota  sinistra. 

Le  quattro  virtù  u  orali,  dac- 
ché si  uniscono  alla  Chiesa, 
acquistano  molto  più  splen- 
dore e  dignità  che  non  avean 
dapprima. 

Alla  Prudenza  appartiene  di- 
rigere le  altre  virtù  sue  so- 
relle, e  quindi  dee  avere  oc- 
chi per  so,  e  per  le  altre. 

S.  Luca,  in  quanto  è  scrit- 
tore degli  Atti,  e  S.  Paolo, 
in  quanto  è  scrittore  di  let- 
tere ai  popoli,  Ebraico,  Gre- 
co e  Romano. 

S.  Paolo  meglio  vestito  che 
S.  Luca:  egli  superiore  e 
maestro,  questi  dipendente 
e  discepolo. 

Tanto  S.  Paolo,  quanto  S. 
Luca  sono  scrittori  egual- 
mente ispirati,  e  di  eguale 
autorità. 

Luca  era  medico  (Salutai  vo$ 
Luca*  medicu8>  S.  Paolo). 
Paolo  guerriero.  Il  primo 
divenne  medico  dell'anime  ; 
il  secondo  guerriero  contro 
gli  errori  ed  i  vizi. 

Sono  quattro  tra  i  primi  pon- 
tefici romani  vissuti  oscuri 
nelle  catacombe,  e  nominati 
da  Dante  nel  Canto  XX VII 
del  Parad.y  dicendo  :  E  Si- 
slo  e  Pio,  Callisto  e  Ur- 
tano. Sono  in  umile  paruta 


CANTO  XXIX. 


643 


■R! 


48 


41) 


'50 


51 


52 


53 


54 


Un  veglio. 


Questo  veglio  è  solo. 


Questo    veglio    è    dietro    a  j 
tutti. 


Quest'ali  imo  vecchio  dorme. 


Ila  la  faccia  arguta  o  intel- 
ligente. 


Questi  ultimi  eette  sono  tutti 
bianco  vestiti  come  i  24  pri- 
mi seniori. 


Questi  ultimi  sette  uon  avrà- 
ito  in  capo  corone  di  gigli, 
come  i  24  primi,  ma  di  rose 
e  di  altri  fiori  vermigli. 


8BJ*S0  MISTICO  CORHISPOKDINTB 


perchè  da  meno  degli  apo- 
stoli. Vengono  dopo  S.  Luca 
e  S.  Paolo,  perchè  infatti 
vissero  dopo  gli  apostoli. 
S.  Giovanni  Evangelista  che 
visse  sino  al  101  dell'era 
volgare,  e  mori  decrepito 
di  90  anni. 

S,  Giovanni  rimase  solo  degli 
aposto  i  che  morirono  molto 
prima.  Questo  era  stato  già 
predetto  da  G.  C. 
Non  perchè  Giovanni  fosse 
inferiore  a  tutti,  ma  perchè 
nella  sua  Apocalisse  scrisse 
gli  avvenimenti  futuri  della 
Chieia,  sino  alla  fine  del 
mondo,  e  perciò  egli  incerto 
qual  modo  viene  a  chiudere 
1  óra  della  Chiesa  militante. 
S.  Giovanni  dormi  sul  petto 
di  G.  C,  ond'ebbe  rivela- 
zioni più  che  gli  altri  apo- 
stoli. 

8.  Giovanni  è  paragonato 
all'aquila  per  la  elevazione 
della  sua  mente.  Il  princi- 
pio del  suo  Vangelo  e  VA- 
poc aliate  ne  fanno  fede. 
Nessuno  seppe  decifrare  an- 
cora auest'ultimo  libro. 
La  infallibilità  della  dottrina 
del  Nuovo  Testamento,  os- 
sia la  sua  autorità,  è  pari 
all'autorità  dell'Antico,  es- 
sendo stati  tutti  inspirati 
dallo  Spirito  Santo.  Lo  eon 
anche  i  Papi  quando  par- 
lano come  capi  della  Chiesa. 
Perchè  nei  Santi  del  Nuovo 
Testamento  spiccò  la  Ca- 
rità pù  che  la  Fede;  o  in 
quelli  dell'Antico  spiccò  la 
Fede  più  che  la  Carità. 
Perchè  inoltre  questi  sette 
furono  martiri  a  differenza 
dei  24  primi  seniori.  Per- 
ciò dei  4  anzidetti  Dante 


644 


PURGATORIO 


55      II  carro  si  -ferma  in  faccia  a 
Dante. 


56  Al  fermarsi  del  carro  un 
tuono  dà  il  segnale  per  la 
fermata  di  tutti. 


81*60  MISTICO  COHRISrO!tOEKTE 


nel  Canto  XXVII  del  Par. 
cantò:  Ma  per  l'acquisto 
d'esto  viver  lieto  —  E  Si- 
sto e  Pio,  Callisto  e  Ur- 
bano —  Sparser  lo  sangue 
dopo  molto  fleto.  Anche  gli 
altri  tre  si  sa  che  furono 
martiri.  Cosi  si  prelude  al- 
l'epoca dei  martiri  durata 
per  300  anni. 

Perchè  la  Chiesa  dee  abilitar 
questo  purgato  alla  via  il- 
luminativa, che  segue  la 
purgativa. 

Perchè  tutta  la  Chiesa  con- 
corre alla  perfezione  del- 
l'anima, tanto  la  Chiesa 
prima  di  Q.  C-  quanto 
quella  che  fu  con  Q.  C.  e 
dopo  di  G.  C,  formando 
tutti  e  tre  questi  membri 
un  solo  corpo  di  Chiesa. 


CANTO  XXX 


Argomento. 

Nel  momento,  che  si  fermarono  i  sette  candelabri,  li  24  seniori 
si  rivolsero  tutti  al  carro.  Un  di  loro  intvonò  un'antifona,  che  è 
cantata  tre  volte  da  tutti.  A  quel  canto  una  gran  moltitudine  di 
angeli  si  levò  in  aria  sopra  il  carro,  cantando  e  spargendo  fiori 
d' ogni  parte.  In  quella  nube  di  fiori  scese  una  donna.  Dante 
tenti  ch'ella  era  Beatrice.  Allora  si  volse  a  Virgilio  per  dirgli 
lo  spavento  di  quella  vista,  ma  non  vide  più  il  suo  Virgilio,  che 
poco  prima  era  sparito ,  senza  sua  sapula,  e  si  die  al  pianto.  Al- 
lora Beatrice,  chiamalo  Dante  per  nome,  in  tuono  severo,  gli  disse 
che  riservi  il  suo  pianto  per  altre  cose  più  degne.  Dante  aitò  gli 
occhi  a  Beatrice,  e  la  vide  starsene  dritta  alla  sponda  sinistra 
del  carro,  rivolta  a  lui.  Qui  Beatrice  lo  sgridò  ironicamente,  e 
Dante  abbassò  gli  occhi,  ma  vedendosi  nell'acqua,  e  mal  compor- 
tando la  vista  di  sé  stesso,  gli  trasse  all'erba.  Allora  gli  angeli 
cantarono  un  tratto  del  salmo  30:  e  dopo  quel  canto  Dante  si  die 
ad  un  dirottissimo  pianto  e  singulto;  e  Beatrice  ritiratasi  alla 
sponda  destra  del  carro,  narrò  a  tutti  gli  astanti,  ascoltandolo 
Dante,  tutto  il  processo  della  vita  colpevoli  di  lui,  dopo  la  sua 
partenza  dalla  terra,  e  quanto  ella  fece  per  richiamarlo  sul  buon 
sentiero  senza  venir  mai  corrisposta.  Finalmente  Beatrice  espose 
d'esser 8 i  appigliata  all'ultimo  partito,  di  scendere  all'Inferno,  e 
di  pregar,  piangendo,  Firgilio,  che  lo  conducesse  sino  a  quel  punto 
passando  per  V  Inferno.  Beatrice  chiuse  le  sue  parole  dicendo  esser 
decreto  di  Dio,  che  prima  che  Dante  abbia  a  passar  Lete,  egli 
dee  piangere  i  suoi  traviamenti, 

(B)    I  mirabili  effetti  della  Chiesa  Cattolica  tulle  anime, 
il  maggior  de'  quali  è   la    confeition  publioa    in   perfetto    grado. 


NO.  Vedi  tulli  i  cascllini  di  questo  Canto  nella  Taf.  X  Purg  .  e  la  Ta?.  XII  Purg. 


446  PURGATORIO 

Quando  il  settentrion  del  primo  cielo,  * 
Che  né  occaso  mai  seppe  nò  orto,  3 
Nò  d'altra  nebbia,  che  di  colpa  velo,  * 

E  che  faceva  11  ciascuno  accorto  4 
Di  suo  dover,  come  il  più  basso  face 
Qual  timon  gira  per  venire  a  porto, 

Fermo  s'affisse,  la  gente  verace,  8 
Venuta  prima  tra  il  Grifone  ed  esso, 

*  Il  settentrion.  I  sette  candelabri.  Li  chiama  col  nome  di  set- 
tentrione dalle  nostre  sette  stelle  dell'orsa,  che  a  noi  non  tramontano 
mai  per  la  loro  elevazione,  ma  si  aggirano  intorno  ad  una  di  loro 
che  è  il  polo  sempre  fisso,  e  guardato  però  dai  naviganti  per  loro 
norma.  Chiama  poi  li  sette  candelabri  col  nome  di  settentrione  per 
rufficio  che  fanno  di  guidar  la  Chiesa,  come  il  nostro  settentrione 
guida  i  marinai.  —  Del  primo  cielo.  Del  cielo.,  empireo,  dove  abita 
lo  Spirito  Santo  (che  è  Dio)  rappresentato  qui  da  questi  sette  can- 
delabri. La  terza  persona  della  Ss.  Trinità,  Dio,  come  il  Padre  ed 
il  Figliuolo,  in  cielo  è  lo  Spirito  Santo,  nella  sua  Chiesa  è  il  settem-  ' 
plice  lume,  per  i  sette  suoi  doni,  di  cui  è  largo  alla  Chiesa. 

*  Che  né  occaso  eofeA  somiglianza  del  nostro  pettentrione.  Lo 
Spirito  Santo  siccome  Dio  immenso,  infinito,  eterno,  non  ebbe  mai 
né  nascita,  né  tramonto. 

*  Né  d'altra  nebbia.  Lo  Spirito  Santo,  dacché  guidò  la  Chiesa, 
cominciata  nel  Paradiso  terrestre,  non  vide  in  ter  porsi  tra  lui  e  la 
Chiesa,  sua  guidata,  nebbia  d'altra  sorta  che  di  colpa.  Accenna  alla 
colpa  dei  nostri  progenitori  prendendo  similitudine  dalla  nebbia  ma- 
teriale, che  s'interpone  talora  tra  noi  e  il  settentrione,  per  cui  ci 
resta  nascosto  allo  sguardo.  Ma  come  tra  noi  la  nebbia  materiale 
non  offende  le  sette  stelle  del  polo  e  solo  offende  noi,  cosi  la  nebbia 
spirituale  del  peccato  non  offese  lo  Spirito  Santo,  ma  solo  la  Chiesa, 
o  più  veramente  la  umanità,  tra  la  quale  e  lo  Spirito  Santo  per  il 
peccato  Adamitico  si  stese  il  velo  della  colpa.  Immensi  pensieri! 

4  E  che  faceva  lì  ecc.  Vedi  la  nota  1.*  Allo  Spirito  Santo  ap- 
partiene guidar  la  Chiesa,  ed  i  suoi  vari  movimenti. 

5  La  gente  verace.  Li  24  seniori  dell'Antico  Testamento,  che  de- 
vono rivolgersi  al  Nuovo,  dove  in  G.  C.  si  appuntano  lor  desideri 
e  speranze. 


CANTO  XXX.  647 

Al  carro  volse  so,  come  a  sua  pace: 
10-     E  un  di  loro,  quasi  dal  ciel  messo, 

Veni,  sponsa,  de  Libano,  cantando,  6 
Gridò  tre  volte,  e  tutti  gli  altri  appresso. 

Quali  i  beati  al  novissimo  bando  7 

Surgeran  presti  ognun  di  sua  caverna,  8 
La  rivestita  voce  alleluiando;  9 

Co  tali,  in  su  la  divina  basterna,  40 
Si  levar  cento,  ad  vocem  tanti  senis}  u 
Ministri  e  messaggier  di  vita  eterna. 

Tutti  dicean:  Benedictus  qui  venis;  " 
2°.         E,  fior  gittando  di  sopra  e  d'intorno, 

6  Veni  sponsa  ecc.  Parole  dirette  a  Beatrice,  quale  rappresen- 
tante della  Rivelazione,  la  qual  Rivelazione  è  messaggera  di  Maria. 
Sicché  gli  onori,  che  si  fanno  con  questo  invito  a  Beatrice,  rica- 
dono su  Maria,  la  quale  fu  quella  che  placò  la  collera  di  Dio  contro 
Dante,  e  che  mandò  Beatrice  a  salvarlo  (Vedi  il  Canto  II  dell' In  f., 
dal  verso  52).  Badate  bene,  di  non  confondere  la  direzione  delle 
lodi  dell'altro  Canto:  Benedetta  tue  ecc,,  colla  direzione  dì  queste. 
Quelle  veramente  andavano  a  Maria,  perchè  di  lei,  ossia  del  cielo 
della  Chiesa  colà  si  parlava,  e  infatti  esse  s'in tuonano  appena  nomi- 
nato il  cielo:  Sotto  così  bel  ciel  ecc.;  queste  invece,  vanno  dirette  a 
Beatrice,  perchè  di  Beatrice  qui  si  parla,  la  quale  è  in  sul  comparire. 

7  Al  novissimo  bando.  Allo  squillo  dell'angeliche  trombe,  che  in. 
fine  del  mondo  faranno  risuscitare  i  morti. 

8  Di  sua  caverna.  Di  sua  sepoltura. 

•  La  rivestita  ecc.  Ablativo  assoluto.  Mentre  la  voce  riacquistata 
da  quei  corpi  coll'anima  intuonerà  cantici  d'alleluia. 

W  Basterna.  Carro  dignitoso  e  grave.  Era  quello  su  cui  le  Ve- 
stali portavano  in  processione  le  cose  sicre.  È  divina,  perchè  a  il 
carro  della  Chiesa  opera  divizia. 

*t  Si  levar  cento  Ministri.  Si  levaron  per  l'aere  al  di  sopra  del 
carro  moltissimi  angeli.  —  Ad  vocem  tanti  senis.  All'invito  di  quel 
seniore. 

1*  Benedictus  qui  venis.  Sono  parole  prese  dagli  evviva  che  fe- 
cero gli  Ebrei  al  solenne  ingresso  di  Cristo  in  Gerusalemme.  Chi 
le  dice  rivolte  a  Dante,  chi  a  Beatrice:  io  credo  che  né  a  Beatrice 


648  PURGATORIO 

Manibus  o  date  Mia  plenis.  iZ 

lo  vidi  già  nel  cominciar  del  giorno  u 
La  parte  orientai  tutta  rosata, 
E  l'altro  ciel  di  bel  sereno  adorno, 

E  la  faccia  del  sol  nascere  ombrata, 
SI  che  per  temperanza  di  vapori 
L occhio  lo  sostenea  lunga  fiata: 

Così  dentro  una  nuvola  di  fiori, 
Che  dalle  mani  angeliche  saliva,  " 
30-         E  ricadeva  giù  dentro  e  di  fuori,  *6 

Sovra  candido  vel  cinta  d'oliva, l7 

Donna  m'apparve,  sotto  verde  manto,  l8 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva.  i9 


nò  a  Dante,  ma  al  Grifone,  figura  di  G.  C,  al  quale  inneggiano 
dopo  di  aver  inneggiato  a  Beatrice,  ossia  Rivelazione,  che  da  Cristo 
dipende. 

13  Mani  bus  ecc.  Parole  prese  da  Virgilio  per  la  solennità  del- 
l'esequie  di  Marcello  nel  VI.  Sono  un  omaggio  al  Grifone  ed  a 
Beatrice. 

u  lo  vidi  già  ecc.  Similitudine  per  dire  come  se  gli  presentò 
Beatrice.  Come  si  vede  il  sole  nascere  in  un  ciel  rosato,  e  come 
allora  si  può  mirarlo  per  un  pò*  di  vapori  che  l'adombrano;  così 
m'apparve  allora  una  donna. 

*3  Saliva.  Gli  angeli  spargevano  in  alto,  verso  Beatrice,  i  loro 
fiori,  come  si  fa  quando  s'incensa  al  Venerabile. 

iti  Dentro  e  di  fuori.  Dentro  delia  basterna  e  di  fuori  da  essa. 

<7  Sovra  candido  ecc.  Beatrice  aveva  in  testa  e  giù  per  la  faccia 
un  candido  velo,  e  sovra  questo  era  cinta  di  un  ramo  d'olivo,  segno 
di  pace. 

*&  Sotto  verde  manto.  11  munto,  o  mantello,  è  un  gran  drappo 
sovraposto  alla  tonaca,  che  si  portava  dagli  antichi  con  un  tal  quale 
ordine  disordinato,  che  dava  maestà  e  grazia.  Questo  di  Beatrice 
era  verde. 

*9  Vestita  ecc.  La  tonaca,  o  la  vera  veste,  era  rossa  come  la  viva 
fiamma.  Cosi  Beatrice  aveva  il  velo  bianco,  il  manto  verde,  la  gonna 
rossa.  Così  eli' era  vestita  delle  tre  virtù  teologali. 


CANTO  XXX.  649 

E  lo  spirito  mio,  che  già  cotanto  *° 
Tempo  era  stato,  ch'alia  sua  presenza 
Non  era  di  stupor  tremando  affranto,  *l 

Senza  degli  occhi  aver  più  conoscenza,  M 
Per  occulta  virtù  che  da  lei  mosse,  M 
D'antico  amor  senti  la  gran  potenza.  n 
40-     Tosto  che  nella  vista  mi  percosse  M 

L'alta  virtù,  che  già  m'avea  trafitto  K 
Prima  ch'io  fuor  di  puerizia  fosse, 

Volsimi  alla  sinistra  col  rispitto  *7 

Col  quale  il  fantolin  corre  alla  mamma, 
Quando  ha  paura,  o  quando  egli  è  afflitto,  ** 

Per  dicere  a  Virgilio:  Men  che  dramma59 

20  Cotanto  tempo  ecc.  Dieci  anni,  dal  1290,  epoca  della  morte  di 
Beatrice,  al  1300. 

21  Stupor.  Della  sua  bellezza.  —  Tremando  affranto.  Per  tre- 
mito d'amore  e  di  riverenza. 

22  Senza  degli  occhi  ecc.  Non  avendo  più  conoscenza  de*  suoi 
occhi,  o  non  conoscendola  agli  occhi  per  esser  velata. 

£3  Per  occulta  virtù  ecc.  Ma  facendosi  ella  stessa  a  me  sentire 
senza  ch'io  sappia  come. 

a*  D'antico  amor  ecc.  Il  mio  spirito  fu  tutto  invaso  dalla  gran 
forza  dell'antico  amore. 

23  Nella  vista  mi  percosse  ecc.  Tosto  che  quella  donna,  o  l'alta 
sua  virtù,  mi  colpì  gli  occhi. 

26  Che  già  mf  avea  trafitto  ecc.  Che  m*avea  di  sé  innamorato 
quand'  io  contava  soli  9  anni. 

27  Alla  sinistra.  Virgilio  stava  prima  un  po'  indietro  alia  sinistra 
di  Dante,  ed  alla  destra  Stazio.  (Vedi  Tav.  XII  PurgX 

28  Quando  ha  paura.  Come  Dante  avea  paura  di  Beatrice,  sa- 
pendo d'aver  condotto  una  vita  poco  gradevole  a  lei.  Questa  simi- 
litudine, collocata  nel  punto  dell'abbandono  di  Virgilio,  ingrandisce 
nel  concetto  il  dolore  che  Dante  dovette  provare  al  primo  accor- 
gersi d'aver  perduto  Virgilio,  e  cosi  si  dispone  assai  bene  il  colpo 
di  scena  che  verrà. 

29  Men  che  dramma  ecc.  Lo  sconcertarsi  del  sangue  per  un  im- 
peto di  grandi  affetti,  i  poeti  lo  dicono  il  tremar  del  sangue. 


650  PURGATORIO 

Di  sangue  m' è  rimasta  che  non  tremi; 

Conosco  i  segni  dell'  antica  fiamma.  w 
Ma  Virgilio  n'avea  lasciati  scemi31 
50.         Di  sé,  Virgilio  dolcissimo  padre, 

Virgilio,  a  cui  per  mia  salute  diurni  : w 
Né  quantunque  perdeo  V  antica  madre,  M 

Valse  alle  guance  nette  di  rugiada,  " 

Che  lagrimando  non  tornasser'adre. 8S 
Dante,  perchè  Virgilio  se  ne  vada,  ** 

so  Conosco  i  segni  ecc.  Sento  dentro  di  me  che  questa  è  colei 
di  cai  arsi  un  tempo,  sonto  ch'eli'  è  Beatrice- 
si  Ma  Virgilio,  Ma  Virgilio  non  e'  era  più.  Notate  l'affetto  e  la 
pietà  che  ispira  questa  terrina.  Non  ci  fu  mai  ripetizione  usata  tanto 
a  proposito,  quanto  questa.  Virgilio  è  partito,  perchè  la  Ragione 
cessa  dove  comincia  la  Rivelazione.  Fin  che  c'era  Matilde  sola 
Virgilio  ci  stette  sebben  taciturno.  Ora  che  è  venuta  con  Beatrice 
la  Rivelazione,  la  pura  Ragione  ha  da  cessare  del  tutto,  corno  impo- 
tente ad  aiutare. 

**  A  cui  per  mia  salute  dièmi.  Al  quale  Beatrice  mi  consegnò, 
(Inf.,  Canto  II)  per  ravviarmi  a  salute. 

**  Né  quantunque  ex  e.  Nò  tutte  le  delizie  ch'Eva  perdette,  e  ch'io 
allora  godeva,  mi  poterono  frenar  dal  pianto  pel  dolore  di  tanta  perdita. 

3i  Nette  di  rugiada.  Ch'erano  state  pulite  e  lavate  di  rugiada 
da  Virgilio  stesso  alle  radici  della  montagna,  Pntg ,  Canto  I  :  Va 
dunque  e  fa  ecc.  —  Quando  noi  fummo  dove  la  rugiada  ecc.  A 
quei  passi  Dante  allude  in  questo  luogo  ;  ed  è  bellissimo  il  ricordar 
qui  il  paterno  servigio,  che  con  tanto  amore  gli  prestò  Virgilio.  Chi 
intende  nette  di  rugiada  per  nette  di  lagrime,  o  asciutte,  toglie 
il  vero  e  graziosissimo  senso  di  queste  parole. 

33  Che  lagrimando  non  torna$ser  adre.  Che  colle  lagrime  anco* 
si  lordassero.  Le  lagrime  correnti  per  le  guancie  le  lasciano  succide, 
e  attaccatele  (adre  o  atre).  Dice  tornassero ,  alludendo  al  bisogno 
ch'egli  ebbe  di  pulirne  la  faccia  colla  rugiada  alle  falde  del  Pur- 
gatorio. Anche  questo  tornasser  prova  la  verità  della  mia  interpre- 
tazione nella  n.  34.  Come  infatti  potrebbe  il  poeta  dire  tornassero, 
se  col  verso  antecedente  non  alludesse  alla  prima  pulitura  fatta  da 
Virgilio  colla  rugiada? 

36  Dante,  perchè  ecc.  Dante,  per  questo  che  Virgilio,  ecc.  Pa- 
role di  Beatrice  a  Dante. 


60. 


CANTO  XXX.  661 

Non  pianger    anco,  non  pianger  ancora;  *7 
Che  pianger  ti  convien  per  altra  spada.  ** 

Quasi  ammiraglio,  che  in  poppa  ed  in  prora  89 
Viene  a  veder  la  gente  che  ministra 
Per  gli  altri  legni,  ed  a  ben  far  la  incuora, 

In  su  la  sponda  del  carro  sinistra,  *• 
Quando  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio, 
Che  di  necessità  qui  si  registra,  4I 

Vidi  la  donna,  che  pria  m'appario 
Velata  sotto  l'angelica  festa,  41 
Drizzar  gli  occhi  ver  me  di  qua  dal  rio. 

Tuttoché  il  vel,  che  le  scendea  di  testa, 
Cerchiato  dalla  fronde  di  Minerva,  ** 
Non  la  lasciasse  parer  manifesta; 

ti  Xan  pianger  a\>co  ecc.  Ripete  la  proibizione  per  pungerlo  mng- 
glormentf». 

38  Che  pianger  ti  convien  ecc.  Ti  convien  piangere  per  altre  per- 
dite molto  più  gravi. 

39  Ammiraglio.  Duce  supremo  d'un  infero  naviglio.  —  Che  in 
poppa  ed  ecc.  Che  sale  ora  in  poppa,  ora  in  prora  della  sua  nave 
ammiraglia,  per  veder  come  si  diportino  i  suoi  soldati  sparsi  per 
gli  altri  legni,  e  colla  sua  presenza  li  anima  al  valore.  Chi  legge 
altri  e  chi  alti.  Pare*  che  altri  quadri  meglio,  perchè  come  Tarn- 
miraglio  guarda  fuori  della  sua  nave  alle  altre  navi  dalla  sua  dipen- 
denti, così  Beatrice  guarda  fuori  del  suo  carro  a  Dante  da  lei 
dipendente. 

*o  Sinistra.  Porche  la  sinistra  era  quella  dalla  parte  di  Dante. 
(Vedi  Tav.  XII).  Trattandosi  poi  che  Dante  dee  esser  qui  rimpro- 
verato per  mala  vita,  la  sinistra  ha  un  senso  mistico  molto  adatto. 

u  Che  di  necessità  ecc.  Chiede  scusa  d'essersi  nominato,  non  es- 
sendo cosa  dicevole  parlar  di  se  stessi  senza  necessità.  Per  altro  si 
osservi  che  Dante  si  nomina  in  un  momento  che  è  rimproverato 
qual  reo. 

**  relata  sotto  ecc.  Sotto  il  velo  di  tanti  fiori,  che  a  mani  piene 
spargeano  gli  angeli. 

*3  Dalla  fronde  di  Minerva.  Dalla  ghirlanda  di  olivo,  come  ve- 
demmo. L'olivo  6  sacro  a  Minerva. 


652  PUKGATORIO 

70-     Regalmente,  nell'atto  ancor  proterva,  u 
Continuò,  come  colui  che  dice,  4* 
E  il  più  caldo  parlar  dietro  riserva  :  M 

Guardami  ben  :  ben  son,  ben  son  Beatrice  :  47 
Come  degnasti  d' accedere  al  monte  ?  w 
Non  sapei  tu,  che  qui  è  l'uom  felice?  49 

Gli  occhi  mi  cadder  giù   nel  chiaro  fonte;  *° 
Ma  veggendomi  in  esso  i  trassi  all'erba:  5I 

**  Regalmente  ecc.  In  maestà  regale  e  in  atto  severo,  cose  tutte 
che  si  vedevano  in  lei,  sebben  velata. 

Dice  ancor ,  accennando  alla  severità  delle  sue  prime  parole: 
Dante,  perchè  Virgilio  se  ne  vada  ecc. 

45  Continuò.  Continuò  il  discorso  incominciato  con  quella  terzina: 
Dante,  perchè  Virgilio  ecc. 

46  E  il  piU  caldo  ecc.  Mostrandosi  sempre  più  severa,  dicendo 
dopo  cose  più  forti  di  prima. 

47  Guardami  ben  ecc.  Dante  guardava  Beatrice,  e  aguzzava 
Tocchio  in  lei  per  ravvisarla  più  che  potesse  di  sotto  al  velo.  Di 
qui  Beatrice  prende  cagione  per  appiccare  una  seconda  castigatola  : 
dicendo:  guardami  ben,  lo  rimprovera  perch'abbia  tanto  ardir  di 
guardarla,  dopo  d'averne  per  tanto  tempo  dimenticato  gli  esempi 
e  le  insinuazioni. 

Ben  son,  ben  son.  Queste  ripetizioni  sono  tante  stoccate.  — 
Beatrice.  L'espressione  di  questo  nome,  UDa  volta  si  caro,  è  per 
sé  stesso  un  cumulo  di  rimproveri. 

48  Come  degnasti  ecc.  Acerba  ironia.  Dante  avea  fatti  già  passi 
235  dall'orlo  del  Paradiso  terrestre  al  fiume  Lete,  come  si  vede  nella 
Tav.  XI;  e  poi  altri  100  passi  circa  di  giro  per  esso  dalla  metà 
della  sua  facciata  d'ovest,  alla  metà  della  sua  facciata  di  sud,  come 
si  vede  nelle  due  Tav.  XI  e  XII.  Pure  Beatrice  dice  solo  accedere, 
per  continuar  meglio  la  ironia  del  degnasti,  per  cui  bisognava  ado- 
perare un  verbo  che  indicasse  il  meno  possibile, 

49  Non  sapei  tu  ecc.  La  trafittura  di  questa  ironia  mena  sangue 
a  rivi.  È  come  Beatrice  gli  avesse  detto  :  Tu  che  hai  paura  d'esser 
felice,  e  che  godi  d'essere  infelice  pel  tuo  peccato,  perchè  venir  qui 
dove  sai  che  regna  felicità  ed  innocenza? 

so  Gli  occhi  mi  cadder  ecc.  Per  la  vergogna  d'essermi  meritato 
quell'acerbo  rimprovero. 

M  i"  trassi,  ecc.  Li  trassi  all'  erba.  Trassi  gii  occhi  all'erba  per  non 


CANTO  XXX.  C53 

Tanta  vergogna  mi  gravò  la  fronte. 
Così  la  madre  al  figlio  par  superba, 
80-         Com'ella  parve  a  me;  perchè  d'amaro  5* 

Sente  il  sapor  della  pietate  acerba. 
Ella  si  tacque,  e  gli  angeli  cantaro  58 

Di  subito:  In  te,  Domine,  speravi; 

Ma  oltre  pedes  meos  non  passaro. 
Sì  come  neve  tra  le  vive  travi  u 

Per  lo  dosso  d' Italia  si  congela  55 

Soffiata  e  stretta  dalli  venti  Schiavi;  M 
Poi  liquefatta  in  sé  stessa  trapela, b7 

Pur  che  la  terra,  che  perde  ombra,  spiri, 

veder  nello  specchio  dell'acqua  la  mia  confusione.  /  è  la  vera  le- 
zione, e  non  io,  perchè  Dante  allor  non  si  messe;  ma  mosse  solo 
gli  occhi.  /  legge  anche  il  cod.  Fontaniano  del  Seminario  di  Verona. 

32  Perchè  d'amaro  —  Sente  ecc.  Per  questo  che  il  sapor  della 
pietà  che  puoge  sa  di  amaro. 

53  Ella  si  tacque.  E  per  dar  tempo  alla  salutare  vergogna  di 
Dante,  a  pentirsi  sempre  più  della  sua  mala  vita  passata,  cosa  ne- 
cessaria prima  di  ammetterlo  alla  via  illuminativa,  e  per  lasciar 
campo  agli  angeli,  sospesi  per  aria  intorno  a  lei,  di  cantare  quella 
bellissima  preghiera  del  Salmo  30,  che  i  SS.  Padri,  dice  Martini, 
appropriarono  a  Cristo  ed  alla  sua  Chiesa  perseguitati,  e  che  gli 
ascetici,  in  senso  tropologico,  adattano  air  anima  che  in  Dio  con- 
fida per  essere  liberata  dai  suoi  spirituali  nemici.  Gli  otto  primi 
versetti  del  Salmo,  che  si  chiudono  colle  parole  pedes  meos,  com- 
prendono la  preghiera  per  essere  liberato  dai  mali,  e  la  sua  csau* 
dizione,  per  cui  non  occorreva  cantar  più  oltre. 

8*  Vive  travi.  Alberi  delle  foreste. 

33  Per  lo  dosso  a"  Italia.  La  catena  degli  Apennini,  che  formano 
il  dosso  d'Italia  da  nord  a  sud. 

36  Balli  venti  Schiavi.  Da  quei  venti  che  vengono  di  Schiavonia, 
paese  all'oriente  dell'Adriatico. 

37  Poi  liquefatta  ecc.  Poi  dentro  a  sé  stessa  liquefatta  dal  sei- 
rocco,  che  spira  da  mezzodì,  dove  la  terra  perde  ombra,  perchè 
essendo  il  sole  perpendicolare,  o  quasi,  l'ombra  che  getta  dei  corpi, 

-  è  poca  o  nulla,  essa  trapela  o  goccia  giù  dai  rami  degli  alberi. 


634  PURGATORIO 

90-         SI  che  par  fuoco  fonder  la  candela; 
Cosi  fui  senza  lagrime  e  sospiri b8 
Anzi  il  cantar  di  quei  che  notan  sempre  59 
Dietro  alle  note  degli  eterni  giri. 
Ma  poi  che  intesi  nelle  dolci  tempre  co 
Lor  compatire  a  me,  più  che  se  detto  6I 
Avesser:  Donna,  perchè  sì  lo  stempre? 62 
.  Lo  gel,  che  m'era  intorno  al   cuor  ristretto, 63 

38  Coti  fui  senza  lagrime  ecc.  Dante  prima    di  passare  alla  via 
illuminativa,  che  è  più  perfetta  della  purgativa  testé   compita,  dee 
rinnovare  con  maggior  perfezione,  sotto  la  guida   di  Matilde,  o  di 
Beatrice,  esseri  divini,  tre  atti  perii  perfetto  pulimento  dell'anima, 
quali  sono  vergognarsi,  pentirsi,  confessarsi.  Di  questi    tre  atti,  il 
primo  fu  già  eseguito.  (Vedi  la  mia  nota  51  di  questo  Canto).  Qui 
si  eseguisce  il  secondo,  che  è  il  pentirsi.  Da  qui  a  un  poco  si  ese- 
guirà anche  il  terzo.  In  questa  terzina  vuol  dire:  Cosi  io  fui  duro 
come  la  neve  agghiacciata,  prima  che  gli  angeli  cantassero    quel 
salmo.  Il  canto  ecclesiastico  ha  per  istituzione  sua  propria  tra  gli 
altri  fini  anche  quello  di  disporre  ad  ammollire  il  cuore  doi  pecca* 
tori.  Perciò  nella  missioni  si  fa  precedere   sempre  il  canto,  perchè 
questo  dispone  l'anima  a  calma  e  tranquillità,  e  la  prepara  ad  ascoltar 
volentieri  la  voce  di  Dio. 

59  Di  quei  che  notan  sempre  —  Dietro.  Degli  angeli  che  can- 
tano dietro  quelle  note  musicali  medesime  (notan)  che  fanno  pure 
le  sfere  girando,  il  qual  suono  è  effetto  dalle  altissime  intelligente 
angeliche  date  da  Dio  a  movitrici  dei  Cieli,  secondo  quello  che  si 
tenea  pegli  Antichi. 

tt>  Selle  dolci  tempre.  Nelle  dolci  armonie  del  salmo. 

6<  Lor  compatire  a  me.  Il  lor  compatire  a  me,  perchè  quel  salmo 
sono  gli  sfoghi  di  un'anima  che  tutta  in  Dio  si  affida  nei  propri 
bisogni,  e  pericoli,  e  lo  ringrazia  di  averla  salvata. 

W  Perche  si  lo  slempre?  Perchè  tu,  o  donna,  coi  tuoi  rimpro- 
veri lo  tratti  come  un'anma  dura,  mentre  è  tutto  liquefatto  di  do- 
lore delle  sue  colpe?  Non  c'è  nessuna  opposizione  tra  gli  angeli  e 
Beatrice,  ma  è  Dante,  o  il  peccatore  medesimo,  che  per  voglia  di 
veder  placata  la  sua  corretrice,  vede  in  quel  canto  una  raccoman- 
dazione a  suo  favore. 

&J  Io  gel  che  ecc.  Applica  il  suo  caso  alla  similitudine  della  neve 


CANTO  XXX,  655 

Spirito  ed  acqua  fessi,  e  con  angoscia 
Per  la  bocca,  e  per  gli  occhi  uscì  del  petto, 
too.   Ella,  pur  ferma  in  su  la  destra  coscia64 
Del  carro  stando,  alle  sustanze  pie  M 

gelata.  Dante  era  gelo,  perchè  ancor  non  piangeva  e  sospirava,  ma 
dopo  il  canto,  il  gelo  si  mutò  in  sospiri  e  lagrime  —  ^Spirito  ed 
acqua  fessi),  che  traboccarono  per  la  bocca  i  sospiri,  i  singulti,  e 
i  gemiti,  e  per  gli  occhi  le  lagrime.  Ecco  eseguito  anche  il  secondo 
atto,  che  è  pentirsi.  Resta  il  terzo  che  è  confessarsi. 

<>l  Ella  pw  férma  ecc.  I  commentatori  veggono  qui  una  con- 
traddizione. Dante  avea  detto  poco  fa  che  Beatrice  stava  In  su  la 
sponda  del  carro  sinistra,  ed  osa  ci  dice  ch'ella  sta  sulla  destra. 
Per  aggiustarla,  il  Bianchi  sostituisce  (forse  sull'autorità  del  codice 
Marciano,  N.  276,  classo  IX,  che  legge  detta),  alla  voce  destra,  la 
voce  detta,  e  cosi  cangia  la  destra  in  sinistra,  e  suppone  che  Bea- 
trice non  si  sia  punto  mossa  dal  suo  posto.  A  me  pare  che  la  cosa 
sia  tanto  chiara  da  non  esserci  bisogno  alcuno  né  di  questionare, 
né  di  mutare.  Dante  dice  che  Beatrice  come  prima  era  ferma  sulla 
sinistra  coscia  del  carro,  ora  é  pur  ferma,  ma  sulla  destra.  Che 
contrassenso  e'  é  qui  ?  Se  era  sulla  destra,  dunque  ella  s' era  riti- 
rata a  quella  parte.  Ma  c'era  bisogno  di  ritirarsi  alla  destra?  Ap- 
punto, perchè  come  prima  per  parlare  a  Dante,  che  Pera  sotto, 
ragion  voleva  che  stesse  sulla  sinistra  sponda,  cosi  ora  per  parlare 
agli  angeli,  che  le  stanno  sopra  sospesi,  ragion  vuole  che  si  ritiri 
alla  destra  per  avere  cosi  almeno  un  poco  avanti  di  sé  il  suo  udi- 
torio. Appunto  a  questo  mutarsi  di  luogo  accennava  Dante  nella 
similitudine  dell'ammiraglio,  che  va  in  poppa  ed  in  prora.  Quella 
similitudine  ha  qui  il  suo  compimento.  Il  senso  dunque  vuol  destra 
e  non  detta  o  sinistra;  e  cosi  legge  il  cod.  Fontani  ano  del  Semi- 
nario di  Verona.  Ma  come  potea  saper  Dante  che  Beatrice  s'era 
ferma  sulla  destra  del  carro,  egli  che  ttne%  gli  occhi  all'erba  per 
la  vergogna?  Rispondo:  lo  potea  raccogliere  benissimo  dal  suono 
della  voce  che  sentia  essersi  da  lui  allontanato  alquanto.  Sebbene 
il  codice  Marciano  sopracitato,  sia  de'  più  riputati  che  esistano,  tut- 
tav'a  non  è  qui  da  seguire,  ma  invece  è  da  seguire  la  lezione  del 
codice  L,  Catalogo  Zanetti,  che  si  trova  nella  Marciana  medesima, 
e  legge:  destra. 

65  Alle  sustanze  pie  —  Volse  ecc.  Questo  appello  di  Beatrice  agli 
angeli,  raccontando  loro  la  ingratitudine  di  Daute  ai  favorì  divini, 


656  PURGATORIO 

Volse  le  sue  parole  così  poscia: 
Voi  vigilate  nell'eterno  die,  66 

SI  che  notte,  né  sonno  a  voi  non  fura 

Passo,  che  faccia  il  secol  per  sue  vie: 
Onde  la  mia  risposta  è  con  più  cura, 67 

Che  m'intenda  colui  che  di  là  piagne, 

Perchè  sia  colpa  e  duol  d'una  misura. 
vNon  pur  per  ovra  delle  rote  magne,  M 
110-        Che  drizzan  ciascun  seme  ad  alcun  fine, 

Secondo  che  le  stelle  son  compagne  ; 
Ma  per  larghezza  di  grazie  divine, 69 

Che  sì  alti  vapori  hanno  a  lor  piova,  70 

è  tolto  da  Geremia,  II,  12,  13,  dove  si  dice:  Obstupescite  coeli 
super  hoc,  et  porlae  ejus  desola  mini  vehementer,  dicit  Dominua. 
Duo  enim  mala  ftc'it  pjpulus  meus:  me  dereligwrunt  fontem 
aquae  viva  e,  et  foderunt  sibi  cisternasì  cisternas  dissipata*,  quae 
eontinere  non  valcnt  aquas. 

66  Voi  vigilale  ecc.  Voi  sapete  tutto  perchè  sempre  vegliate  nel 
Paradiso  empireo  innanzi  a  Dio  che  tatto  sa,  e  in  cui  voi  tutto 
vedete,  che  fa  il  mondo. 

67  La  mia  risposta.  La  risposta  che  faccio  al  vostro  salmo  di 
compassione,  non  è  per  informar  voi  dell'avvenuto,  ma  perchè  prenda 
un  maggior  dolore,  e  tanto  che  risponda  alla  colpa  colui  che  di  là 
piagne.  Dire  colui  che  di  là  piagne^  e  non  appellarlo  dal  suo  nome 
è  una  nuova  stoccata. 

68  JV<m  pur  per  ovra  ecc.  Qui  comincia  il  processo  della  vita  di 
Dante,  fondato  sui  benefici  di  natura,  e  di  grazia  a  lui  largiti,  e 
sulle  sue  ingratitudini.  Comincia  qui  dai  benefici  di  natura,  quali 
sono  indole  egregia,  e  ingegno  sommo,  che  secondo  il  pensare  del 
medio  evo,  si  fanno  provenire  dal  giro  dei  cieli,  che  comunicano 
al  soggetto  gli  influssi  loro  propri  secondo  la  destinazione  del  sog- 
getto stesso,  mediante  la  varia  combinazione  delle  stelle  zodiacali. 

69  Ma  per  larghezza  ecc.  Non  solo  per  abbondanza  di  doni  na- 
turali, ma  anche  per  abbondanza  di  doni  soprannaturali. 

70  Che  sì  alti  vapori  ecc.  Dei  quali  doni  soprannaturali  non  si 
sa  la  ragione,  perchè  è  nascosa  nella  profondità  dei  giudizi  di  Dio 
che  li  dà  a  chi.  quando,  e  come  vuole,  sì  che  gl'intelletti  creati  uon 


CANTO  XXX.  657 

Che  nostre  viste  là  non  van  vicine; 

Questi  fu  tal  nella  sua  vita  nuova  7i 
Virtualmente,  ch'ogni  abito  destro  72 
Fatto  averebbe  in  lui  mirabil  pruova. 73 

Ma  tanto  più  maligno,  e  più  Silvestro74 
Si  fi  il  terren  col  mal  seme,  e  non  colto, 
12°-        Quant'egli  ha  più  di  buon  vigor  terrestro. 

Alcun  tempo  il  sostenni  col  mio  volto;73 
Mostrando  gli  occhi  giovinetti  a  lui, 
Meco  il  menava  in  dritta  parte   volto. 

ne  Sanno  il  perchè.  La  fci  mi  li  tu  dine  dei  vapori  e  della  piova,  per 
iudicare  la  impenetrabilità  di  questo  mistero,  è  bellissima.  La  piova 
ò  effetto  di  una  causa  naturale,  che  sono  i  vapori  ;  così  la  infusione 
delle  grazie  soprannaturali  è  effetto  d' una  causa  soprannaturale.  Nella 
piova  di  natura  si  vede  e  si  conosce  la  causa,  perchè  le  nostre  viste 
vi  possono  andar  vicine;  ma  nella  piova  soprannaturale  la  causa 
non  si  vede  e  non  si  conosce,  perchè  fin  là  non  giungono  le  nostre 
deboli  viste. 

71  Sella  sua  vila  nuova  ecc.  Nella  sua  prima  età,  nella  puerizia 
fu  si  arricchito  di  buone  disposizioni  naturali  e  soprannaturali. 

72  Ogni  abito  destro.  Ogni  abito  buono,  ogni  buona  disposizione 
che  gii  fu  largamente  concessa. 

73  Fatto  averebbe.  ecc.  Colla  sua  coopcrazione  ad  ogni  abito  buono, 
l'abito  buono  avrebbe  reso  frutti  ammirabili. 

74  Ma  tanto  2)ih  maligno  ecc.  Il  terren  che  ha  buon  vigor  ter- 
restro, ossia  il  terren  buono  è  qui  posto  a  significare  l'animo  ar- 
ricchito a  dovizia  di  doni  naturali  e  soprannaturali.  Ciò  posto,  ecco 
la  similitudine:  come  il  buon  terreno  diventa  terren  cattivo  non 
coltivandolo,  o  seminandolo  di  mal  seme,  così  l'animo  buono  diventa 
cattivo  lasciandolo  inoperoso,,  o  facendogli  operare  il  male.  Anzi  vi 
ha  di  più;  che  come  la  stessa  bontà  del  terreno  influisce  a  farlo 
diventar  peggiore  di  ogni  altro  terreno,  non  coltivandolo,  o  semi- 
nandolo di  mal  seme,  cosi  la  stessa  bontà  dell'animo,  abusata,  o  per 
mema,  o  per  atti  malvagi,  influisce  a  farlo  diventar  peggiore  di 
tutti  gli  altri  che  non  ebbero  quei  doni, 

7*  Alcun  tempo  il  sostenni  ecc.  Beatrice,  come  sappiamo,  consi- 
derata quale  vivente,  è  simbolo  della  filosofia,  e  quale  beata  è  simbolo 
della  Rivelazione  con  tutte  lo  sue  dolci  attrattive.  Alle  prime  allude 

43 


# 


658  PURGATORIO 

SI  tosto  come  in  su  la  soglia  fui 7e 
Di  mia  seconda  etade,  e  mutai  vita,77 
Questi  si  tolse  a  me,  e  diessi  altrui. 78 

Quando  di  carne  a  spirto  era  salita, 79 
E  bellezza  e  virtù  cresciuta  m'era,  M 

qui  Beatrice  Dice  dunque  che  Dante,  buono  virtualmcutc  iu  pue- 
rizia, fu  buono  anche  per  atto  nella  sua  gioventù  per  merito  di  lei, 
che  invaghitolo  delle  sue  bellezze  intellettuali  e  filosofiche,  per  essa  lo 
guidava  al  bene,  perchè  la  stessa  Filosofia  indegna  all'uomo  a  vivere 
virtuosamente.  Questo  è  il  soggetto  del  Convito. 

76  In  su  la  soglia  fui  —  Di  mia  secondi  elade.  Appena  io  fui 
uscita  di  puerizia,  e  fui  in  sull'ingresso  della  gioventù.  Beatrice, 
vivente  e  fanciulla  di  puerizia,  è  la  Filosofia.  Ottimamente;  perchè 
infatti  la  Filosofia,  in  confronto  della  Rivelazione,  è  una  maestra 
fanciulla  e  ancora  in  puerìzia.  Invece  Beatrice,  beata,  e  giovane 
matura,  e  la  Rivelazione. 

77  E  mutai  vita.  Beatrice  mori  in  sull'ingresso  della  gioventù. 
Da  quel  punto  in  poi  Beatrice  non  è  più  la  rappresentante  delU 
Filosofia,  ma  per  esser  ita  a  bearsi  di  Dio,  è  divenuta  rappresen- 
tante della  Rivelazione.  I  due  personaggi  sostenuti  da  Beatrice, 
secondo  le  varie  epoche,  non  sono  in  nessun  luogo  meglio  chiariti 
che  in  questo. 

78  Questi  si  tolse  a  me.  Non  intender  qui  il  matrimonio  di  Dante 
con  Gemma  Donati,  che  nulla  ha  da  fare  col  senso  voluto  da  Dante; 
né  intender  nemmeno  che  Beatrice  si  lagni  con  Dante  d'essersi  dato 
agli  studi  teologici,  abbandonati  i  filosofici  ;  che  neppur  questo  ha 
da  fare  c>l  nostro  senso,  anzi  sarebbe  contrario  al  nostro  senso, 
perchè  ripugna  che  la  Rivelazione  si  lagni  che  altri  studi  la  Teo- 
logia, dalla  quale,  meglio  che  dilla  Filosofia,  si  può  apprender  a 
viver  bene,  e  la  quale  è  la  scienza  della  Rivelazione.  Intendi  in- 
vece, che  Dante,  abbandonata  la  virtù  che  gì'  insegnava  la  Filosofìa 
per  mezzo  di  Beatr  ce  vivente,  in  luogo  di  darsi  subito  alla  Teo- 
logia, che  era  la  scienza  di  Beatrice  beata,  si  diede  a  parteggiare 
e  a  ingolfarsi  nei  maneggi  politici,  il  che  lo  corruppe  e  sviò  dal 
suo  ultimo  fine.  Questa  è  pretta  stori*  biografica  di  Dante. 

75)  Quando  di  carne  ecc  Quando  di  Filosofia  io  m'era  innalz<ta 
ad  essere  Rivelazione.  La  Filosofia  ò  carne,  la  Rivelazione  è  spirito. 

80  E  bellezza  e  virtù  ecc.  Bellezza  e  virtù  tanto  cresciuta,  quanto 
la  Rivelazione  è  più  bella  e  virtuosa  della  Filosofia. 


130. 


rn 


CANTO  XXX.  659 

Fu' io  a  lui  men  cara  e  men  gradita:84 
E  vol>e  i  passi  suoi  per  via  non  vera,  M 

Immagini  di  ben  seguendo  false; 

Che  nulla  promission  rendono  intera. 
Nò  T  impetrare  spirazion  mi  valse, 

Con  le  quali  e  in  sogno,  ed  altrimenti88 

Lo  rivocai;  sì  poco  a  lui  ne  calse. 
Tanto  giù  cadde,  che  tutti  argomenti 84 

Alla  salute  sua  eran  già  corti, 

Fuor  che  mostrargli  le  perdute  genti. 


**i  FtC  io  a  lui  men  ecc.  Perchè  non  praticò  più  nemmeno  lo  virtù 
insegnatogli  dalla  Filosofia  col  mezzo  mio.  Bachi  bv'nc  cho  Dante, 
so  parla  di  so,  non  intende  so  solo,  anzi  più  che  sé  intende  l'uomo 
in  generale,  a  cui  cerca  di  esser  utile,  mentre  parla  di  sé  stesso. 
Ciascuno  infitti  applichi  a  se  queste  cose,  e  dal  più  al  meno  le  tro- 
verà vere  e  reali.  Le  tre  terzine  che  seguono  battono  appunto  il 
caso  ed  il  bisogno  dell'umanità  in  gencrale3  e  sono  chiare  per  sé 
stesse. 

8Ì  E  volse  l  passi  suoi  ecc.  Notate  che,  storicamente  parlando, 
qui  Dante  si  fa  rimproverar  da  Beatrice  per  essersi  dato  con  tanto 
calore  alle  parti  politiche  :  e  sebben  Dante  con  esse  mirasse  al  bene 
della  sua  patrh  e  deiritalia,  puro  chiama  questo  pa-^siper  via  non 
vera,  t  false  immagini  di  bene. 

83  E  in  sogno.  Si  sa  che  talora  i  sogni,  in  mano  di  Dio,  sono 
mezzi  di  richiamo  dai  peccato  alla  virtù. 

8&  Tanto  giù  cadde.  Divenne  un  tale  e  tanto  peccatore  che  niente 
valeva  a  convertirlo,  tranne  il  fargli  vedere  coi  suui  propri  occhi 
le  t  riibili  peno  dell'Inferno,  e  tentar  di  scuoterlo  a  quella  vista. 
Questo  infitti  è  il  mezzo  più  potente  per  la  conversione  dell'anime, 
adoperato  d-.igli  ascetici  negli  Spirituali  Eserciti,  la  meditazione  al- 
meno delle  massime  eterne,  non  potendosi  condur  le  anime  veramente 
nell'Inferno,  come  immaginò  d'esservi  condotto  Dante.  Beatrice  non 
accenna  che  il  viaggio  dell'Inferno,  non  già  per  escludere  l'altro  del 
Purgatorio,  ma  perche  posto  quello,  questo  s' intendo  da  so,  non 
essendo  il  Purgatorio  che  la  continuazione  della  Via  purgativa  co- 
minciata nell'Inferno.  Del  resto  del  Purgatorio  parla  implicitamente 
nella  terzina  che  segue. 


660  PURGATORIO 

Per  questo  visitai  l'uscio  de'  morti,  M 
140.       E  a  colui  che  V  ha  quassù  condotto, stì 

Li  prieghi  miei,  piangendo,  furon   porti.  87 

L' alto  fato  di  Dio  sarebbe  rotto, 88 
Se  Lete  si  passasse,  e  tal  vivanda  89 
Fosse  gustata  senza  alcuno  scotto 

Di  pentimento  che  lagrime  spanda. 

M  Per  questo  visitai  ecc.  Accenna  alla  sua  discesa  al  Limbo, 
primo  cerchio  dell'Inferno.  (Vedi  Canto  II  dell'Inferno).  —  Morti. 
Dannati  nell'Inferno  dove  oono  i  morti  alla  grazia  eternamente. 

86  A  colui  che  Vha  ecc.  A  Virgilio  che  dall'Inferno  l'ha  condotto 
su  pel  Purgatorio  a  questa  cima.  Parla  di  Virgilio  come  assente, 
essendo  infatti  egli  partito  poco  prima  dell'arrivo  di  Beatrice,  non 
essendo  conveniente  che  la  Ragione  si  metta  a  fronte  della  Rive- 
lazione! restando  quella  soggiogata  da  questa. 

87  Li  prieghi  miei  ecc.  Riferisce  per  soli  accenni  l' incarico  dato 
da  Beatrice  a  Virgilio  per  la  salute  di  Dante;  incarico  che  già  fu 
narrato  distesamente  da  Virgilio  stesso  a  Dante,  quando  nel  lì  Canto 
deli'/n/.  lo  volle  persuadere  a  seguirlo;  e  perciò,  come  cosa  già  nota 
a  Dante,  Beatrice  la  tocca  semplicemente. 

88  L'alto  fato  di  Dio  ecc.  Beatrice  si  giustifica  in  faccia  agli  an- 
geli di  aver  trafìtto  Dante  colle  sue  parole  a  tal  segno,  da  farlo 
scoppiare  in  dirottissimo  pianto,  e  dice  che  questo  appunto  esige 
l'alto  decreto  di  Dio,  il  quale  ha  stabilito,  che  nessuno  possa  pas- 
sare il  fiume  Lete  senza  rinnovar  prima  il  pentimento  dolorosissimo 
delle  sue  colpe,  per  la  ragione  che  abbiamo  detto  altre  volte.  Que- 
sto, che  par  diretto  agli  angeli,  ò  con  più  cura  che  venga  inteso 
da  Dante. 

M  E  tal  vivanda  —  Fosse  ecc.  Siccome  Dante  dovrà  bere  del- 
l'acqua di  Lete,  per  obliar  con  essa  i  suoi  peccati,  corno  si  è  detto, 
cosi  quest'acqua,  che  ha  un  sapore  al  di  sopra  di  tutt'altri  sapori, 
si  dice  vivanda.  Inaino  a  qui  Dante,  dei  tre  atti  che  deve  fare  prima 
di  passar  Lete,  ne  ha  eseguiti  due,  vergognarsi  e  pentirsi.  Rimane 
ll  terzo  che  è  confessar  la  sua  colpa. 


CANTO  XXXI 


Argomento. 

Beatrice  continua  i  suoi  rimproveri  a  Dante  per  eccitarlo  al 
terzo  atto,  che  è  confessare  i  suoi  torti,  dopo  d'essersene  prima  ver- 
gognato e  pentito.  Dante  vuol  parlare  per  confessare  i  suoi  falli, 
ma  tale  e  i7  suo  sbigottimento,  che  la  voce  gli  muore  sulle  labbra. 
Insìste  Beatrice  per  aver  da  Dante  la  sua  confessione;  e  Dante, 
tra  la  confusione  e  la  paura,  esprime   a  gran  fatica  un  sì,  poco 
sensibile,  non  già  perche  non  fosse  persuaso   di  confessarsi,  ma 
perchè  non  poteva  pel  crepacuore.  Beatrice  non  si  contenta  a  questa 
confession  sì  generica  di  Dante,  espressa  con  una  affermativa  alle 
accuse  di  Beatrice,  ma  vuole  una  confessione  piò,  esplicita  :  perciò 
lo  continua  a  battere  con  nuoci  argomenti,  e  prima  colV argomento 
della  amabilità  di  lei,  che  non  valse  a  tenerselo  fedele;  poi  col- 
l'argomento  contrario  della  schifezza  degli  oggetti  di  cui  egli  si 
innamorò.  Allora  Dante,  sebbene  con  gran  fatica  per  l'eccessivo 
dolore  delle  sue  colpe ,  fa  piangendo  una  più  esplicita  confessione. 
Beatrice  se  ne  chiama  contenta,  ma  non  tralascia  perciò  di  bat- 
terlo ancora,  e  perchè  Dante  si  penta    nel  maggior  grado  possi- 
b  le,  e  per  meglio  guarentirlo  contro  i  futuri  pericoli.  Per  questo 
Beatrice  gli  torna  a  parlar  di  sé  prima  vivente  in  terra,    e  poi 
beata  in  Cielo,  mostrandogli  che  Dio  glieV  aveva  data  nell'uno  e 
nell'altro  stato  per  sua  vera  amante  e  guida  alla  virtù.  Di  qui 
ella  deduce  il  sommo  torto  di  Dante  nel  darsi  ad  altra  cosa  mor- 
tele; poi  accresce  questo  suo  torto  colla  ricordanza  della  moltepli- 
ci tà  delle  tue  ricadute,  e  lo  confonde  col  confronto  degli  augelletti 
che  807)0  più  cauli  di  lui.  Da  ciò   cresce  vieppiù  la  vergogna  e 
il  dolore  in  Dante.  Cresciuto  così  il  dolore  per  le   parole  di  Bea* 
trice,  essa  vuole  che  cresca  ancora  per  la  sua  vista  :  perciò  invita 
Dante  ad  alzare  il  viso,  e  mirarla.  Dante  a  gran  pena  leva  gli 
occhi  in  Beati  ice,  e  vede  die  gli  angeli  non  gettano  più  fiori  sovra 
Beatrice,  vede  Beatrice  piegala  verso  il  grifone,  e  sebben  coperta 
ancora  dal  velo,  la  vede  tanto  bella  da  superare  infinitamente  la 
bellezza  di  lei  quand'era  al  mondo.  Per  questa  veduta  Dante  ac- 
cresce tanto  il  suo  pentimento,  che*  sente  somma  avversione  alle 
cose  che  pria  più  gli  piaceano,  ed  eccolo0  nel  vero   dolore  voluto 
da  Beatrice,  allora  Matilde  ordina  a  Dante  di  appigliarsi  a  lei, 


662  PURGATORIO 

ed  ella  trat  così  Dante  per  entro  il  fiume  Lete  fitto  alla  gola,  tra- 
scinandolo un  tratto,  e  scivolando  essa  a  fior  d'acqua  sino  all'altra 
riva;  presso  alla  quale,  come  giunge  Dante,  ode  cantar  dolce' 
mente:  Asperges  me.  Matilde  prende  allor  Dante  per  la  testa  e 
gliela  sommerge  perchè  beva.  Poi  lo  toglie  dal  fiume,  e  così  ba- 
gnato lo  pone  in  mezzo  alle  quattro  donne  danzanti,  le  quali  lo 
ricoprono  del  loro  braccio.  Esse  danzando  e  cantando  gli  dichia- 
rano che  sono  ancelle  di  Beatrice.  Gli  promettono  di  condurlo  a 
vedere  i  suoi  occhi,  ma  dicono  che  occorre  per  questo  l'aiuto  delle 
altre  tre  donne.  Passano  quindi  con  Dante  al  petto  del  Grifone 
ove  Beatrice  avea  volta  la  faccia.  Qui  le  donne  eccitano  Dante 
a  saziare  i  suoi  sguardi  in  Beatrice.  Gli  occhi  di  Dante  allora 
guardano  negli  occhi  di  Beatrice,  ma  gli  occhi  di  Beatrice  non 
guardano  ancora  Dante,  essi  guardano  il  Grifone,  il  quale  raggia 
negli  occhi  di  Beatrice  immagini  stupcid*  di  sé  slesso,  in  modo 
che  gli  occhi  di  Beatrice  sembravano  gli  oerhi  stessi  di  Dio.  Dante 
va  in  un'estasi  di  delizie  vedendo  gli  occhi  di  Beatrice,  ma  Bea- 
trice ancor  non  li  volge  a  lui.  Allora  s'avanzano  le  tre  donne 
danzando,  e  si  accompagnano  a  Dante.  Qui  le  tre  do n+e  cantando 
pregano  Beatrice  a  degnarsi  di  mirare  anch'essa  il  suo  fedele,  ed 
a  mostrargli  anche  la  sua  bocca.  Allor  Beatrice  si  leva  il  velo, 
e  mostra  a  Dante  gli  occhi  e  la  bocca, 

(C)  81  continua  a  trattare  dei  mirabili  effetti  della  Chiesa  Cattolica 
tulle  anime,  il  maggior  de1  quali  è  In  oonfession  puLlica  in 
perfetto  grado. 


Sii.  Vedi  lutti  i  caiellini  di  questo  Canto  nella  T.u.  X  Purg  ,  e  la  Tav.  MI  Ptirg. 

0  tu  che  se1  di  là  dal  fiume  sxero,  1 
(Volgendo  suo  parlare  a  me  per  punta,  * 
Che  pur  per  taglio  m'era  parut'acro) 

*  0  tu  che  se*  di  là.  0  Dante.  Cesi  si  appella  taluno,  quando  ai 
ha  per  lui  qualche  risentimento,  —  Fiume  sacro.  Lete. 

2  Per  punta.  Parlando  a  mo  direttamente.  Prima  avea  parlato 
a  Dante  indirettamente  (per  taglio),  quando  av  a  parlato  di  Dante 
agli  Angeli  giustificandosi  in  faccia  a  loro  del  trattarlo  rubesta. 


CANTO  XXXI.  663 

Ricominciò,  seguendo  senza  cunta, 8 

Di',  di'  se  questo  è  vero:  a  tanta  accusa4 
Tua  confession  conviene  esser  congiunta. 

Era  la  mia  virù  tanto  confusa, 5 

Ohe  la  voce  si  mosse,  e  pria  si  spense6 
Che  dagli  organi  puoi  fosse  dischiusa. 
10-     Poco  sofferse;  poi  disse:  Che  pense?  7 

Rispondi  a  me;  che  le  memorie  triste  8 
In  te  non  sono  ancor  dall'acqua  offense. 9 

Confusione,  e  paura  insieme  miste 
Mi  pinsero  un  tal  sì  fuor  della  bocca, 
Al  quale  intender  fur  mestier  le  viste. i0 

Come  balestro  frange,  quando  scocca  u 
Da  troppa  tesa  la  sua  corda  e  l'arco, 
E  con  men  foga  l'asta  il  segno  tocca; 

*  Senza  cunta.  So  ìza  ritardo,  dal  latino  cunctor. 

*  Di'  di'  se  ecc.  Beatrice  vuol  trar  da  Dante  il  terzo  atto  neces- 
sario ad  una  purgazione  perfettissima;  eonf  ssarai. 

$  La  mia  virtù  ecc.  Il  mio  spirito. 

6  Che  la  voce  si  mosse  ecc.  In  altri  termini  d'use  Dante  la  stessa 
cosa  quando  a  cavallo  di  Gerìone  volea  dire  a  Virgilio  che  io  te- 
li 's^e,  ma  non  potè  dirlo  per  la  paura  che  gli  fece  morir  la  parola 
in  gola.  —  Sì,  volli  dir,  ma  la  voce  non  venne  —  Cora  io  credetti  : 
Fa  che  tu  m'abbracce   (//;/.,  Canto  XVII,  v.  92  e  93). 

7  Poco  sofferse,  ecc.  Un  poco  attese. 

8  Che  le  memorie  triste.  La  memoria  dei  mali  commessi. 

9  In  te  non  sono  ecc  L'acqua  di  Lete  bevuta  era  quella  che  facca 
dimenticare  i  peccati.  Tu  non  l'hai  anco:a  bevuta,  e  quindi  serbi 
ancora  la  memoria  di  loro. 

W  Al  quale  internar  ecc.  Un  sì  cosi  languido,  cosi  poco  sensibile, 
che  per  accertarsi  ch'era  un  s),  bisognò  raccoglierlo  dai  moti  del 
lihbro,  come  si  farebbe  per  in'endere  la  parola  di  un  muto 

il  Come  balestro  ecc.  Cono  un  dardo  quand'esce  (scocca)  da 
troppa  tensione  (tesa)  frange  la  sua  corda  e  il  suo  arco,  e  cosi  per 
quella  frattura  va  il  ferro  del  da'do  (Vasta)  a  toccar  la  meta  con 
minor  impeto. 


664  PURGATORIO 

Sì  scoppia'  io  sott'esso  grave  carco,  *- 
20-         Fuori  sgorgando  lagrime  e  sospiri, 
E  la  voce  allentò  per  lo  suo  varco. 
Ond'ella  a  me:  Per  entro  i  miei  disiri,13 
Che  ti  menavano  ad  amar  lo  Bene 
Di  là  dal  qual  non  è  a  che  s'aspiri, 

**  Sì  scoppia'  io  ecc.  Applicazione  della  similitudine.  La  troppa 
tensione  e  il  grave  peso  od  oppressione  che  fanno  sul  suo  cuore  le 
parole  di  Beatrice.  La  frattura  dell'arco  e  dell;*»  corda  sono  lo  sgor- 
gare lagrime  e  eospìri.  L'asta  che  scocca  e  va  lenta  alla  muta  è  il 
al  appena  sensibile  uscito  di  bocca,  l'ale  ò  l'idea  che  danno  gli 
ascetici  di  certi  dolori  straordinari,  chiamandoli  perciò  contrizione, 
ossia  spezzamento  o  strittolimanto,  il  quale  però,  sebbene  sia  sempre 
dolor  perfetto,  pure  ha  anch'esso  i  suoi  gradi  di  maggior  perfe* 
zione;  ed  è  per  questo  che  Beatrice,  in  riguardo  alla  contrizione 
di  Dante,  non  si  contenta  d'una  perfezione  qualunque,  ma  cerca  di 
innalzarla  al  massimo  grado,  chiamando  e  richiamando  e  tornando 
a  chiamare  il  tuo  penitente  sempre  a  nuove  considerazioni,  che  per- 
fezionano la  contrizione.  Di  queste,  parte  abbiamo  veduto,  e  parte 
vedremo.  Da  tutto  ciò  ò  manifesto  quanta  importanza  ponga  Dante 
nel  dolore  dei  nostri  peccati  quando  andiamo  a  confessarsi,  per  esser 
questo  l'atto  più  nobile,  più  sostanziale,  più  necessario  della  con- 
fessione; ed  anche  in  questo  Dante  s'accorda  coi  teologi  e  cogli 
ascetici.  Leggi  il  Daponte,  p.  I,  medit.  31,  e  lo  vedrai. 

*3  Ond'ella  a  me.  Beatrice  vuole  da  Dante  una  confessione  più 
esplicita  che  non  è  un  sì  quasi  impercettibile,  perciò  continna  a 
tartassarlo.  —  Per  entro  i  miei  desivi  —  Ci. e  ecc.  Beatrice  parla 
di  sé  a  Dante  cosi:  Dentro  ai  miei  desiri,  cioè  dentro  ai  desideri 
che  tu  dovevi  avere  per  me  beata,  e  che  ti  menavano  ad  amar 
Dio,  bene  infinito  e  solo,  quali  ostacoli  o  quai  ritegni  tu  trovasti, 
perche  dovessi  tu  disperare  di  passare  innanzi?  11  volgere  i  tuoi 
desideri  a  me  beata  era  forse  una  impossibilità?  Ovvero  contene- 
vano essi  una  impossibilità?  Notate  il  jìissarc  iìinanzi,  come  Bea- 
trice dicesse  a  Dante  :  Io  viva  (Beatrice  viva  ò  la  Filosofia)  ti  feci 
dare  i  primi  passi  al  bene  :  dopo  la  mia  morte,  quando  fui  beata 
(Beatrice  beata  e  la  Rivelazione),  io  dovea  servirti  perciò  tu  pro- 
cedessi molto  più  innanzi  nel  bene.  Invece  ti  arrestasti  disperato 
come  a  cosa  impossibile,  quasi  che  l'amarmi  beata  fosse  più  difficile 
che  l'amarmi  mortale. 


CANIO  XXX7.  GG5 

Quai  fosse  attraversate,  o  quai  catene 
Trovasti,  perchè  del  passare  innanzi 
Dovessiti  cosi  spogliar  la  spene? 

E  quali  agevolezze,  o  quali  avanzi  u 
Nella  fronte  degli  altri  si  mostraro, 
;w-         Perchè  dovessi  lor  passeggiare  anzi?  IS 

Dopo  la  tratta  d'un  sospiro  amaro, 
A  pena  ebbi  la  voce  che  rispose,  ,c 
E  le  labbra  a  fatica  la  formare 

Piangendo  dissi:  Le  presenti  cose*7 
Col  falso  lor  piacer  volser  miei  passi, 
Tosto  che  il  vostro  viso  si  nascose. 

Ed  ella:  Se  tacessi,  o  se  negassi18 
Ciò  che  confessi,  non  fora  men  nota 
La  colpa  tua:  da  tal  giudice  sassi.19 
40-     Ma  quando  scoppia  dalla  prepria  gota 


20 


t*  E  quali  agevolezze  ecc.  Se  Ini  dunque  abbandonato  me  quando 
più  tu  dovevi  seguirmi,  e  ti  sci  dato  ad  altri,  perdio  facesti  cosi? 
Forse  per  trovare  negli  altri  un  bene  assai  maggiore  che  non  in  me? 

*•'»  Perchè  doversi  lor  passeggiare  ami.  Allude  al  costume  degli 
amanti,  che  passeggiano  spesso  innanzi  alla  persona  amata. 

**»  fja  voce  che  rispose,  —  E  le  lahbra  ecc.  La  voce  ha  origine 
dal  petto,  ina  si  foima  in  parole  mediante  gli  organi  gutturali,  pa- 
latini, labbiali  e  linguali.  Ecco  il  maggior  dolore  in  questa  terzina. 

i?  Piangendo  dissi  ecc.  Ecco  in  questa  terzina  la  confessione  più 
esplicita. 

,?*  Se  tacessi  o  se  negassi  ecc.  Con  questo  vuol  dire  Beatrice  che 
la  confessione,  ordinata  e  voluta  da  Dio,  non  ha  per  fine  le  cogni- 
zioni altrui,  ma  il  solo  vantaggio  spirituale  del  penitente. 

•'•>  Da  tal  giudice  sassi.  Da  Di.»  che  sa  tutto,  e  nel  quale  noi 
tutto  conosciamo. 

*>  Ma  quando  scoppia  ecc.  Ma  quando  taluno  conferà  con  veia 
«»  perfetta  contrizione  il  proprio  peccato.  Nella  vocs  scoppia,  si 
esprime  il  dolore  perfettissimo  dui  penitente;  nelle  voci  dalla  pro- 
pria gota  (bocca)  v  espresso  l'altro  atto  che  è  confessare  il  peccato 
di  cui  si  ha  quel  dolore. 


COC  PURGATORIO 

L'accusa  del  peccato,  in  nostra  corte,  ,f 
Rivolge  se  contro  il  taglio  la  rota.  u 

Tuttavia,  p?rchò  nic'  vergogna  porte  M 
Del  tuo  errore,  e  perdio  altra  volta 
Udendo  le  sirene  si»  più  forte, 2i 

Poh  giù  il  seme  del  piangere,  ed  ascolta;  a5 

21  In  nostra  corte  ecc.  In  cielo  Qvaecumque  solwritU  super  ter- 
ram,  erunt  soluta  et  in  coelo  (Mat.  XVIII,  18). 

2*  Rivolge  sé  ecc.  La  giustizia,  divina  si  chiama  soddsfattft,  per- 
dona e  rimette  il  peccato.  La  simili  udine  per  dir  questo  è  di  una 
grazia  ed  evidenza  ammirabili.  Per  es.*a  si  vede  la  Giustizia  divina 
arruotar  la  spada  alla  cote,  e  cosi  pr  pararla  a  ferir  meglio  il  pec- 
catore quando  che  sia,  caso  che  non  si  convertii.  Ma  ecco  la  con- 
fessione dolorosissima,  l.i  quale  fa  che  la  Giustizia  divina  non  più 
attenda  ad  aguzzare  la  spada,  ma  attenda  invece  al  contrario,  cioè 
a  rintuzzar  sulla  rota  il  tiglio  già  prima  affila  o. 

23  Tuttavia,  perchè  me1  (meglio)  eoe.  Osservisi,  quel  che  gi;\  si  è 
detto  alla  nota  12,  che  Beatrice,  non  ostante  la  contrizione  già  per- 
fetti ;  e  la  perfetta  confessione  del  suo  penitente,  ella  non  si  rhiami 
ancor  pa.ra,  ma  cerchi  d'accrccccvc  d'avvantnggio  quella  contrizione 
pure  perfetta,  e  di  consolidare  co*ì  la  volontà  del  penitente  nel  bene 
contro  i  futuri  pericoli  che  mai  non  mancano  a  chi  vive  sulla  terra. 
Quest'ultimo  colpo  di  Boat  ice  risponderebbe  a  quelle  considerazioni, 
esortazioni,  e  precauzioni  che  danno  sempre  i  confessori  ai  lor  peni- 
tenti dopo  ch'essi  hanno  confessato  amaramente  i  loro  peccati  per 
i stabilirli  sempre  più  nei  buoni  proponi -renti.  Si  vede  che  Dante 
sapeva  molto  di  confessione  e  che  da  buon  cristiano  si  confessava 
egli  stesso. 

2*  Le  sirene.  Le  sirene  sono  i  pericoli  di  peccarci.  È  tolto  dalla 
favola  di  Ulisse  e  de'  suoi  compagni,  cui  egli  fece  legare  agli  alberi 
della  nave  perchè  non  si  lisciassero  traviare  dai  canti  delle  sirene, 
mostri  marini  favolosi,  mezzo  donne,  e.  mezzo  pesci 

*'*>  ron  g  h  il  srme  ecc.  Ces.*a  dal  piangere.  E  i1  lacrymas  ptlle 
di  Virg  Ho.  Ma  la  donna  dice  il  seme  del  piangere.  Questo  seme 
e  la  fonte  intcrm  d<*i  vasi  ottici,  che  da  all'occhio  le  lagrime.  Pon 
giù  dunque  questo  seme,  perchè  tolta  la  caiua  è  tolto  l'effetto.  Il 
Bianchi  spiega:  Pon  giù  la  confusione  e  la  piura  ;  ma  que-t:>  è  con- 
trario a  quello  che  intende  Beatrice,  aveudo  ella  detto  tes-ò:  Tut- 
tavia perchè  me'  vergogna  porle. 


CANTO  XXXI.  607 

*  SI  udirai  come  in 'Contraria  parte  %ì 
Muover  doventi  mia  carne  sepolta.27 

Mai  non  t'apprcsentò  natura  ed  arte  M 
r'°-         Piacer,  quanto  le  belle  membra  in  ch'io  2J 
Rinchiusa  fui,  e  che  son  terra  sparte:30 

E  se  il  sommo  piacer  sì  ti  fallio  3I 

Per  la  mia  morte,  qual  cosa  mortale  32 
Dovea  poi  trarre  te  nel  suo  disio?  33 

2C  Sì.  Vezzo  di  lingua. 

27  Mutwr  doveati  ecc.  Beatrice  fa  il  confronto  tra  la  potenza 
ch'eli' ebbe  da  viva,  e  quella  maggiore  che  doveva  avere  da  morta, 
sul  cuor  di  Dante.  Se  vivendo  in  terra  mortale  ti  condussi  al  bene  ; 
quando  cominciai  a  vivere  in  e.;  lo,  d  >vea  condurti  al  bene  di  più: 
se  coinè  Filosofìa  ti  condussi  al  bene,  come  Rivelazione  vi  ti  dovea 
condurre  di  più.  Invece  tu  andasti  in  contraria  parte. 

28  Natura  ed  arte.  Naturi,  die  mi  die  al  mondo;  arte,  che  mi 
dio  educazione. 

***  Piacer.  In  vedermi,  e  in  udirmi. 

>o  E  che  son  terra  sparte.  E  che  sparte  e  slogate  ora  son  terra. 

31  II  sommo  piacer.  Quel  sommo  piacer  di  vedermi  e  di  udirmi. 
Badate  sempre  che  Beatrice  vivente  è  la  rappresentante  della  Filo- 
sofia, che  insegna  la  virtù  nel  modo  a  lei  dato,  e,  per  quanto  ella 
può,  vi  couduce  l'uomo.  Chi  l'ascolta  e  l'ama,  riceve  da  lei  un 
sommo  piacere.  Il  poeta  però,  nello  sviluppare  questo  concetto  uni- 
versale, per  dargli  più  evidenza  lo  particolareggia  in  so  e  Beatrice, 
in  modo  che,  se  non  si  sta  sull'  avviso,  si  potrebbe  frantendere  il 
suo  pensiero,  e  trarlo  a  senso  carnale;  il  che,  come  ognun  vede, 
sarebbe  affatto  contrario  al  tema  proposto.  Questa  fu  la  ragione 
perchè  alcuni  perfino  dubitarono  della  esistenza  di  una  vera  Bea- 
trice, e  la  dissero  solo  personaggio  immaginato  da  Dante,  cosa  che 
io  non  credo,  che  troppo  ripugna  alla  storia,  e  che  raffredderebbe 
di  molto  le  poesie  dantesche.  È  meglio  credere  che  Dante,  di  una 
vera  e  reale  featrice,  abbia  fatto  prima  la  Filosofia,  e  poi  la  Rive- 
lazione, potendosi  ad  Ut  ir  bene  l'uua  e  Pai  tra  ai  due  stati  di  Bea- 
trice, mortale  e  beata. 

y*  Qual  coia  mortale  ecc.  Infatti  non  e'  e  cosa  naturale  e  tran- 
sitoria che  possa  uguagliare  in  bellezza  la  verità,  anche  sol  filosofica. 

33  Nel  suo  disio  Nel  dialo  di  sé,  coinè  sopra  avea  detto:  per  entro 
i  miei  desiri,  significando  per  entro  i  disiri  diretti  a  me,  o  di  me. 


6(33  PURGATORIO 

Ben  ti  dovevi,  per  lo  primo  strale  34 
Delle  cose  fallaci,  levar  suso 
Diretro  a  me,  che  non  era  più  tale. 

Non  ti  dovea  gravar  le  penne  in  giuso, 35 
Ad  aspettar  più  colpi,  o  pargoletta, 3G 
*;°-         O  altra  vanità  con  sì  brev' uso. 

Nuovo  augelletto  due  o  tre  aspetta;37 
Ma  dinanzi  dagli  occhi  de'  pennuti 3* 
Rete  si  spiega  indarno,  o  si  saetta. 

Quale  i  fanciulli  vergognando  muti, 30 

Con  gli  occhi  a  terra,  stannosi  ascoltando, 
E  sé  riconoscendo,  e  ripentuti  ; 40 

31  Ben  fi  dovevi  ecc.  Almeno  dopo  la  prima  caduta  {per  lo  primo 
strale  delle  cose  fallaci)  dovevi  levarti  suso,  riconoscendo  ornai 
anche  da  quella  prima  volta,  che  le  cose  fallici  non  danno  felicità  ; 
e  dovevi  assorgere  dietro  a  me  che  non  era  più  fallace  (non  era 
più  tuie).  La  Filosofia,  per  quanto  savia  C3sa  sia,  non  ha  però  il 
dono  della  infallibilità,  come  Io  hi  la  Rivelazione. 

33  Non  ti  dovea  gravar  ecc.  Similitudine,  o  allegoria  prosa  dagli 
uccelli  stolti  che  si  lasciano  accalappiare  più  volte  agli  agguiti  degli 
uccellatori. 

3t>  Ad  aspettar  più  colpi.  Di  rete  o  di  saelta. 

0  pargoletta  o  altra  vanità  ecc.  Queste  cose  fallaci  rispon- 
dono ai  richiami  ingannatori  che  tengono  gli  uccellatori  presso  alle 
panie  o  alle  reti. 

37  JVuovo  augelletto  ecc.  Accenna,  continuando  l'allegoria ,  agli 
augellctti  di  passaggio,  che  semplici  ancora,  e  di  poco  usciti  di 
nido,  non  sanno  dei  tranelli  tesi  digli  uccellatori,  i  quali  s'arrestano 
due  o  tre  volte  entro  ai  pericoli,  ma  poi  ammaestrati  dall'esperienza 
non  vi  si  arrestano  più,  e  paion  sordi  ai  richiami. 

3»  Pennuti.  Uccelli  vecchi,  come  sci  tu,  o  Dante.  Eppure  per  tua 
vergogna  ti  sei  lasciato  cogliere  tinte  volto  come  fossi  nuovo  au- 
gelletto. 

89  Quale  i  fanciulli*  Similitudine  la  più  propria  del  caso.  Dante 
fanciullo,  in  quanto,  sebbene  adulto,  imitò  i  fanciulli  ghiotti  di  cose 
vane  e  appariscenti,  lasciate  le  grandi  e  di  merito  intrinseco.  Ma 
Dante  si  dà  per  fanciullo  pentito. 

M  E  se  riconoscendo.  E  riconoscendo  eè  colpevoli.  —  lìipcnluii. 


CANTO  XXXI.  G69 

Tal  mi  stav'io.  Ed  ella  disse:  Quando  4I 
Per  udir  se'  dolente,  alza  la  barba, 
E  prenderai  più  doglia  riguardando. 
70-     Con  men  di  resistenza  si  dibarba 4J 

Robusto  cerro,  ovvero  a  nostral  vento, 43 
Ovvero  a  quel  della  terra  di  Iarba,  u 

Ch'  io  non  levai  al  suo  comando  il  munto  : 
E  quando  per  la  barba  il  viso  chiese, 
Ben  conobbi  il  velen  dell'argomento. 

E  come  la  mia  faccia  si  distese, i3 
Posarsi  quelle  prime  creature  40 
Da  loro  aspersion  l'occhio  comprese  : 47 

Pentiti  e  ripentì'. i.  Vedi  quanta  volte  ha  mostrato  Dante  il  suo 
pentimento  in  solo  questo  Canto!  E  tale  appunto  era  il  fine  che 
avea  Beatrice  coi  suoi  rimproveri,  eccitar  Dante  alla  frequenza  degli 
atti  di  contrizioni»,  tentando  di  raffinarli  sempre  più  secondo  il  con- 
siglio degli  ascetici  ai  penitenti. 

*i  Quando  —  Per  udir  se  dolente  ecc.  Poiché  con  solo  udirmi 
Bt*'  tu  venuto  in  tanta  contrizione,  vedi  di  accrescerla  ancora  con 
guardarmi  e  riguardarmi  in  faccia,  perchè  cosi  tu  vedrai  in  effetto 
da  qual  bene  tu  ti  sia  allontanato  coi  tuoi  peccati.  E  notevole  qui 
la  frase,  alza  la  barba,  por  alta  la  faccia.  Così  parlando  vuol 
dire  Beatrice  che  Dante  fece  le  sue  pazzie  non  già  da .  fanciullo, 
ma  da  uomo  fatto,  il  che  ò  peggio  ;  ed  6  argomento  pien  di  veleno, 
come  seppe  a  Dante  e  come  dirà, 

**  Con  men  di  resistenza  ecc.  Bella  iperbole. 

te  A  nostral  vento  —  Ovvero  ecc.  Da  vento  Borea  o  da  Austro, 
che  sono  entrambi  venti  fortissimi. 

4i  Iarba.  Ile  di  Numidia  in  Africa. 

M  E  come  la  mia  faccia  ecc.  E  in  quell'  istante  stesso  che  la 
mia  fa  :cia  si  alzò.  Li  faccia  si  distende  quando  guarda  in  alto. 

N>  Quelle  prime  creature.  Gli  angeli  che  corteggiavano  in  alto 
Beatrice,  prime  creature,  perche  le  prime  uscite  dalla  mano  di  Dio. 

*~  Posarsi  —  Va  loro  aspersion  ecc.  Desistere  dallo  sparger 
fiori  coi  quali  velavano  Beatrice.  Dante  comprese  che  desistettero 
in  quel  punto  che  levò  la  faccia  perchè  vide  gli  ultimi  fiori  cader 
sotto  Beatrice. 


670  PURGATORIO 

E  le  mie  luci,  ancor  poco  sicure,48 
80  Vider  Beatrice  volta  in  su  la  fiera, 49 

di' è  sola  una  persona  in  duo  nature. 

Sotto  suo  velo,  ed  oltre  la  riviera50 
Verde,  pareami  più  so  stessa  antica  5I 
Vincer,  che  l'altre  qui  quand'ella  c'era. 

Di  penter  sì  mi  punse  ivi  l'ortica, 52 

**  Poco  sicure.  Perchè  fiuo  allora  Dante  avea  tenuto  gli  occhi 
abbassati  all'erba.  Gli  occhi,  passando  repente  da  un  corpo  opaco 
ad  un  corpo  luminoso,  sono  poco  sicuri,  o  abbagliati. 

W  Volta  in  su  la  fiera.  Non  più  volta  a  me,  ma  volta  al  Gri- 
fone, a  cui  si  vedeva  inclinata  con  tutta  la  persona.  Dante  la  vide 
dunque  solo  in  profilo  e  velata.  Beatrice  si  mostrerà  a  Dante  uu 
pò*  alla  volta,  secondo  che  saia  degno,  e  vuol  dire  che  la  Rivela- 
zione ci  illustrerà  a  seconda  de*  nostri  meriti,  e  delle  nostre  dispo- 
sizioni. Beatrice  è  vvlta  in  su  la  fiera,  perchè  la  Rivelazione,  sia 
antica,  sia  nuova,  ha  per  sua  meta  G.  C.  che  è  persona  divina  in 
due  nature,  umana  e  divina,  come  due  nature  ed  una  sola  perdona, 
ha  pure,  secondo  le  favolo,  il  Grifone. 

50  Sotto  suo  velo  ecc.  Il  velo  che  le  scendea  di  te-tn,  il  quale  era 
suo,  e  non  era  come  il  velo,  già  cessato,  dei  fiori  angelici ,  che  non 
era  suo.  La  Rivelazione  è  misteiiosa;  perciò  ha  il  suo  velo  —  Ri- 
viera. Lete.  E  ancora  un  po'  rimossa  (tre  passi)  dal  pcn'ten'e,  per- 
chè il  penitente  non  ha  aucora  raggiunto  V  ilt  ino  e  più  perfetto 
grado  di  dolore,  il  quale  tosto  verrà. 

51  Pareami  più  sé  slessa  antica  ecc.  Beatrice,  sebben  in  profilo, 
sebbeu  velata,  sebben  rimossa,  pure  parca  tanto  bella,  che  tra  la 
bellezza  presente  e  la  sua  antica,  che  avea  quand'era  mortalo,  c'è 
molto  più  differenza,  che  tra  la  bellezza  di  lei  mortale  e  le  altre 
bellezze  pur  mortili,  tutte  già  superate  da  lei  quand'era  viva.  Ciò 
vuol  dire,  che  tra  la  Filosofia  e  la  Rivelazione  havvi  una  distanza 
infinita,  e  quindi  che  la  Rivelazione  viuco  as«ai  più  la  Filosofia,  di 
quello  che  la  Filosofia  vinca  le  altro  scienze  minori  ;  perchè  tra  la 
Filosofia  o  le  altre  scienze  minori,  il  paragone  è  tra  finito  e  finito, 
mentre  il  paragone  tra  la  Filosofia  e  la  Rivelazione  è  tra  finito  ed 
infinito. 

ss  Di  penter  sì  mi  punse  ecc.  Ecco  finalmente  il  grado  ultimo  e 
più  perfetto  di  contrizione,  ad  elicere  il  quale  da  Dante,  Beatrice, 
o  li  Rivelazione,  tanto  si  adoperò. 


CANTO  XXXI.  G7t 

Che  di  tu  tt' altre  cose,  qual  mi  torse  M 

Più  nel  suo  amor,  più  mi  si  fé  nimica. 
Tanta  riconoscenza  il  cuor  mi  morse,  5l 

Ch'io  caddi  vinto,  e  quale  allora  fonimi  55 
90-         Salsi  colei  che  la  cagion  mi  porse. 

Poi,  quando  il  cor  virtù  di  fuor  renckinmi  5<J 

La  donna  ch'io  avea  trovata  sola,  57 

w  Che  di  tutValtre  cose  ecc.  Siccome  il  peccato  è  aversio  a  Deo 
el  conversili  ad  creatnraat  così  la  vera,  la  perfetta  contrizione  del 
peccato  è  conversio  ad  Deum  et  aversio  a  creaturis. 

54  Riconoscenza.  Ecco  il  scuso  di  questa  voce  che  è  tanto  male 
aiata  per  gratitudine. 

Essa  non  vuol  dir  altro  che  il  riconoscimento,  o  materiale,  o 
spirituale  di  so  stessi,  o  d'altri.  Qui  è  riconoscimento  spirituale, 
ovvero  dell'anima  propria  e  delle  proprie  colpe,  che  è  un  atto  dcl- 
l'intcllet'o,  il  quale  muove  tosto  anche  Tatto  delia  volontà  al  dolore. 

55  Ch?  io  caddi  vinto  ecc.  Dante  cadde  rcalment?  colla  persona 
a  terra  per  effetto  d'intensità  di  dolore.  —  E  ([vale  allora  femmi  ecc. 
Dante  noi  può  dire  perchè  svenuto  sotto  il  deliquio  cagionatogli 
dal  dulore.  Ora  che  e  fatta  anche  questa  seconda  confessione,  con 
quanto  ò  richiesto  alla  sua  perfezione,  si  potrebbe  accampare  un 
dubbio.  Dante  avci  fatta  la  sua  confessione  alla  porta  del  Purga- 
torio, a*  piò  dell'angelo;  che  bisogno  dunque  c'era  di  questa?  Di 
tante  risposte  che  potrei  dare,  b:\sti  una  sola:  La  confessione  fatta 
all'angelo  alla  porta  del  Purgatorio  fu  privata  e  meno  perfetta.  Ma 
la  chiesa,  oltre  la  confessione  privata  e  mono  perfetta,  usò  anche 
la  publica  e  più  perfetta,  davanti  all'adunanza  dei  fedeli.  Questa 
non  è  più  in  uso,  è  vero,  quanto  alle  pene  canoniche,  ma  è  in  uso 
o  lo  sarà  sempre,  quanto  al  riparare  gli  scandali  dati  coi  propri 
peccati,  almeno  con  un  contegno  tale  in  faccia  al  pubblico  che  di- 
chiari il  proprio  dolore  e  la  propria  conversione.  Ebbene,  questa 
e  nfessiono  si  dolorosa  clv3  fa  Dante  davanti  a  Beatrice  (Rivela- 
zione) e  a  tutta  la  Chiesa  cattolica  lì  presente,  tien  luogo  di  quella 
publica  confessione  e  penitenza  elm  si  usava  in  antica,  e  di  quel 
risarcimento  agli  scandali  che  si  devo  usare  anche  al  presente. 

56  Poi  quando  ecc.  Poi  quando  rinvenni  dal  mio  svenimento.  Lo 
svenimento  richiama  il  sangue  al  cuore;  e  la  cessazione  dvllo  sve- 
nimento il  rimanda  d.  il  cuore  a' suoi  corei  naturali. 

57  La  donna  ch'io  ecc.  Matilde  cui  trovò  soletta  come  s'appressò 


672  PURGATORIO 

Sopra  me  vidij  e  cìicea  :  Tienimi,  tienimi.  b* 
Tratto  rn'avea  nel  fiume  infino  a  gola,  w 
E,  tirandosi  me  dietro,  sen  giva G0 
Sovr'esso  l'acqua,  lieve  come  spola.  6I 
Quando  fui  presso  alla  beata  riva, Ci 
Asperges  me  sì  dolcemente  udissi, 63 
Ch'io  noi  so  rimembrar,  non  ch'io  lo  scriva. 
100.   La  bella  donna  nelle  braccia  aprissi  ; 

Abbracciommi  la  testa,  e  mi  sommerse,  Gi 
Ove  convenne  ch'io  l'acqua  inghiottissi. 

a  Lete.  Ella  fa  da  ancella  alla  Rivelazione;  e  bene  le  sta,  giacche 
casa  è  la  rappresentante  della  vita  attiva,  alla  quale  è  commessa 
la  cura  dell'anime. 

w  Sopra  me  vidi  ecc.  Sospesa  sopra  di  ine  alla  sinistra  sponda 
di  Lete.  Ella  stava  prima  sulla  destra,  e  dalla  destra  passò  alla 
sinistra  per  aria  come  un  uccello.  —  Tiemmi,  tiemmi%  Stringi  lo 
tue  mani  alla  mia. 

59  Tratto  ìnavea  nel  fiume  ecc.  Questo  fiume  fa  un  doppio  ef- 
etto.  Esso,  in  quanto  è  bagno,  fa  il  medesimo  effetto  del  bagna 
sacramentale  di  penitenza,  che  è  un  seguito  del  battesimo  che  monda 
l'anima  perfettamente  e  la  dispone  alla  vita  illuminativa:  e  in  quanto 
è  bevanda,  esso  toglie  la  memoria  del  male  commesso. 

M  Sen  giva  —  Sovr  esso  ecc.  Matilde  non  dovea  toccar  l'acqua, 
perchè  non  ne  aveva  bisogno. 

oi  Lieve  come  spola.  .Spola  ò  quella  navicella  die  adoperano  i 
tessitori  per  trarre  il  filo  da  una  parte  ad  altra  entro  l'ordito,  e 
che  scorre  con  uua  leggerezza  inesprimibile. 

62  Mia  beala  riva.  Alla  riva  destra  dove  stavano  i  beati,  e  tra 
questi  anche  Matilde,  beata  pur  essa,  ma  qui  faci  ente  l'ufficio  di 
attuffar  l'anime  nel  fiume  Lete,  come  ministra  della  Rivelazione. 

63  Asperges  me  ecc.  E  l'antifona  che  usa  la  Chiesa  cattolica  ogui 
qual  volta  ha  da  benedire  oggetti  all'uso  sacro,  nell'atto  di  asper- 
gerli coll'acqua  santa.  Questa  antifona  6  cantata  dagli  Angeli,  e, 
secondo  mio  avviso,  anche  da  tutta  la  Chiesa  lì  presente,  perchè 
la  consccrazione  di  Dante  e  di  gaudio  al  ciclo  ed  alla  Chiesa. 

6i  Mi  sommerse.  Mi  sommerse  la  testa,  perche  bevessi  di  quel- 
l'acqua, la  (inalo  noti  prova  se  pria  non  è  gustata,  come  si  disse 
di  sopra. 


CANTO  XXXI.  673 

Indi  mi  tolse,  e  bagnato  m'offerse  6b 
Dentro  alla  danza  delle  quattro  beile,66 
E  ciascuna  col  braccio  mi  coperse. 

Noi  sem  qui  ninfe,  e  nel  ciel  semo  stelle  :  67 
Pria  che  Beatrice  discendesse  al  mondo,  68 

63  Bagnato.  Bugnato  dentro  e  fuori,  ossia  purgato  e  mondo  per- 
fettamente da  colpe  interne  ed  esteme,  e  fino  privo  della  memoria 
di  esse. 

(Fine  della  Via  Purgativa 

k  principio  della  vla  illuminativa). 

60  Dentro  alla  danza  ecc.  Ripulito  Dante  perfettamente  dalle 
colpe,  e  dalla  memoria  di  esse,  dovea  passare  ad  abbellirsi  di  tutte 
le  virtù.  Comincia  dalle  4  morali,  ed  inferiori.  L'acquisto  di  esse 
è  indicato  dall'entrar  in  mezzo  alla  loro  danza,  mentr'esse  gli  girano 
intorno  strìngendo  le  loro  mani  sopra  la  testa  di  Dante,  e  cosi  span- 
dendo su  Dante  i  loro  benefici  influssi. 

67  AToi  sem  qui  ninfe.  Donne  o  vergini  sacre.  —  E  nel  ciel  semo 
sielle.  Dante  le  avea  vedute  nella  plaga  di  sud,  quando  sbucò  dal- 
l'Inferno  al  Purgatorio,  standosene  nella  facciata  del  monte,  che 
prospetta  ad  oriente,  quando  disse  nel  Canto  I:  E  vidi  quattro 
stelle  —  Non  viste  mai  fuor  ch'alia  prima  gente,  È  come  queste 
quattro  dicessero  a  Dante  :  Quelle  quattro  stelle  che  tu  innanzi  al- 
l'alba della  domenica  di  Pasqua  hai  veduto  ed  ammirato  nel  cielo 
di  sud,  sbucato  appena  dall'  Inferno,  quelle  quattro  stelle  siam  noi. 

68  Pria  che  Beatrice  ecc.  Fummo  da  Dio  ordinate  ad  abbellire 
Beatrice  prima  che  la  sua  anima  dalle  mani  di  Dio  discendesse  al 
mondo.  Questo  si  avvera  di  Beatrice  mortale  e  di  Beatrice  beata, 
in  quanto  che  Beatrice  mortale  è  simbolo  della  Filosofia,  che  in- 
segna e  pratica  quelle  quattro  virtù ,  e  Beatrice  beata  è  simbolo 
della  Rivelazione,  che  insegna  e  pratica  quelle  quattro  virtù  con 
molto  maggior  perfezione.  Ma  esse  quattro  virtù  erano  prima  di 
Beatrice  mortale  e  di  Beatrice  beata,  osa' a  prima  della  Filosofia  e 
della  Rivelazione,  perchè  il  cislo,  dove  fur  messe,  fu  creato  prima 
dell'uomo,  ed  esse  furono  poste  nel  cielo  appena  creato,  e  prima 
ancora  che  fossero  poste  nel  cielo,  esse  esistevano  in  Dio  da  cui 
furono  emanate  al  momento  della  creazione.  Perciò  si  dice  ordinate 
e  non  create. 

43 


674  PURGATORIO 

Fummo  ordinate  a  lei  per  sue  ancelle. 

Menrenti  agli  occhi  suoi;  ma  nel  giocondo  w 
,10-       Lume  ch'è  dentro,  aguzzerai!  li  tuoi70 
Le  tre  di  là  che  miran  più  profondo. 

Cosi  cantando  comi  nei  aro;  e  poi 
Al  petto  del  Grifon  seco  menarmi, 
Ove  Beatrice  volta  stava  a  noi* 1[ 

Disser  :  Fa  che  le  viste  non  risparmi  : 7i 
Posto  t'avem  dinanzi  agli  smeraldi, 7a 
O nei' Amor  già  ti  trasse  le  sue  armi.  7i 

69  Menrenti  agli  occhi  suoi  ecc.  Ti  meneremo  in  faccia  agli  occhi 
suoi,  ossia  innanzi  al  Grifone,  tiratore  del  carro  al  quale  s'era  volta 
Beatrice.  Dante,  come  si  vede,  non  è  qui  solo  guidato  da  Matilde, 
ina  anche  dalle  quattro  virtù,  anzi  da  queste  più  che  da  quella, 

70  Agutzcran  li  tuoi  —  Le  tre  ecc.  Noi  solo  possiamo  condurti 
in  faccia  alla  Rivelazione  (Vedi  Tav.  XI,  che  ti  mette  sulla  faccia 
del  luogo),  ma  non  possiamo  darti  valore  per  affisar  co'tuoi  gli  occhi 
di  lei,  perchè  questa  è  opera  di  altre  virtù  superiori  a  noi,  cioè 
delle  tre  virtù  teologali  che  sono  alla  destra  ruota  del  carro  della 
Chiesa.  È  infatti  cosi,  che  1  >  virtù  morali  possono  disporre  l'anima 
alla  Rivelazione,  ponendola  solo  in  faccia  a  questa,  e  a  questa  ve- 
lata, ma  dare  all'anima  la  virtù  di  vederla  in  tutta  la  sua  bellezza, 
e  di  attraine  tutti  i  suoi  benefici  influssi,  non  è  opera  che  delle 
sole  tre  virtù  teologali. 

71  Ove  Beatrice  stava  ecc.  Cosi  Dante,  coll'aiuto  e  guidi  delle 
quattro  virtù  cardinali  può  veder  Beatrice,  o  la  Rivelazione,  sebben 
velata,  non  più  di  profilo  come  prima,  ma  di  fronte.  Cosi  si  avanca, 

72  Fa  che  le  viste  non  risparmi.  Mira  e  rimira  più  che  puoi, 
per  trar  di  sotto  al  velo  quanto  di  volto  ti  sani  dato. 

73  Posto  l'aveni  dinanzi  ecc.  Ecco  il  più  che  hanno  potuto  fare 
le  quattro  virtù  morali,  por  Dante  in  faccia  alla  Rivelazione  ve- 
lata, e  vederne  quanto  sia  bella  ancor  velata;  ma  questo  non  è  il 
farla  vedere  interamente;  un  tal  compito  sarà  delle  tre  virtù  teo- 
logali come  si  disse.  —  Smeraldi.  Occhi  di  Beatrice. 

"»  OndJmor  ecc.  Dai  quali  Amore  ti  feri.  È  inutile  il  ripetere 
che  qui  non  si  può  intendere  Amor  profano  o  carnale,  ma  sunto  e 
spirituale.  Danto,  nelle  bellezze  della  sui  Beatrice  vivente,  non  v  de 
por  lui  che  un  oggetto  di  attrative  e  di  eccitamenti  alla  Filosofia. 


CANTO  XXXI.  675 

Mille  disiri  più  cbe  fiamma  caldi 

Strinsermi  gli  occhi  agli  occhi  rilucenti,  7S 
12°-       Che  pur  sovra  il  Grifone  stavan  saldi. 76 

Come  in  lo  specchio  il  sol,  non  altrimenti  77 
La  doppia  fiera  dentro  vi  raggiava, 

Alcuni  de'  suoi  tempi  noi  vollero  credere,  ma  sospettarono  lui  ve- 
ramente innamorato  d'amor  carnale.  Appunto  per  difendersi  da  qua* 
sta  taccia  compose  il  suo  Convito  ;  e  se  anche  non  ci  fosse  il  Convito 
a  smentir  l'accusa,  non  basterebbe  a  smentirla  il  parlarsi  qui  con 
lode  di  quell'amore  tanto  da  Beatrice  beata,  quanto  dalle  stesse 
quattro  virtù?  Si  noti  ancora  a  prova  di  ciò,  che  Dante,  per  avere 
ornai  bevuto  l'acqua  di  Lete,  ebbe  cancellata  perfin  la  memoria  dei 
mali  commessi.  Se  dunque  qui  gli  si  rammenta  l'antico  amore,  ap- 
punto per  questo  gli  si  rammenta  che  queir  amore  non  era  effetto 
di  concupiscenze  carnali,  ma  vero  dono  e  benefizio  del  cielo,  che  si 
valea  di  quel  mezzo  per  trarre  Dante  a  virtù. 

™  Slrinaermi  gli  occhi.  Dietro  l'eccitamento  delle  quattro  virtù, 
Dante  già  tutto  infiammato  d'amore;  ficcò  gli  occhi  per  attraverso 
il  velo  più  che  potò  sugli  occhi  di  Beatrice.  Non  dice  qui  che  li 
abbia  veduti  nettamente,  ch'egli  non  era  ancora  tanto  avvalorato 
per  ciò:  dice  solo  che  i  suoi  occhi  si  affisarono  in  quelli  di  Bea- 
trice, e  che  si  vedeauo  rilucere  non  ostante  che  il  velo  ancor  li 
coprisse. 

76  Che  pur  sovra  il  Grifone  ecc.  Beatrice  di  sotto  al  velo  non 
volgeva  i  suoi  occhi  a  Dante,  ma  al  Grifone,  che  Dante,  non  es- 
sendo ancora  avvalorato  e  abbellito  da  tutta  la  forza  e  grazia  delle 
tre  virtù  teologali,  né  egli  in  lei,  né  ella  in  lui  poteano  compiuta- 
mente mirare.  Sicché  alla  perfetta  visione  degli  occhi  di  Beatrice 
restano  ancora  due  cose  a  farsi:  1.*  che  cali  il  velo;  2.a  che  Bea- 
trice guardi  Dante.  Beatrice  poi  tiene  gli  occhi  saldi  sul  Grifone, 
perchè  la  Rivelazione  ha  per  suo  oggetto  Gesù  Cristo,  e  a  questo 
mira  continuamente,  sia  nel  Testamento  vecchio  che  nel  nuovo. 

77  Come  in  lo  specchio  il  sol  ecc.  Dicemmo  che  la  Rivelazione 
ha  per  suo  oggetto  Gesù  Cristo,  e  perciò  qui  Beatrice  tiene  gli  occhi 
saldi  sul  Grifone.  Questo  non  è  altro  che  un  dire  che  la  Rivelazione 
ama  Gesù  Cristo,  e  di  lui  vive  e  B'abbella.  Or  bene,  se  la  Rivelazione 
ama  Gesù  Cristo,  anche  Gesù  Cristo  ama  la  Rivelazione.  Questo 
amore  di  Gesù  Cristo  alla  Rivelazione  è  il  soggetto  che  trattasi  in 
queste  due  terziuo.  Come  dunque  Gesù  Cristo  mostra  il  suo  amore 


676  PURGATORIO 

Or  con  uui,  or  con  altri  reggimenti.  ro 
Pensa,  lettor,  s'io  mi  maravigliava, 

Quando  vedea  la  cosa  in  sé  star   queta,  *• 
£  nell'idolo  suo  si  trasmutava. 
Mentre  che,  piena  di  stupore,  e  lieta, 
L'anima  mia  gustava  di  quel  cibo, 
Che,  saziando  di  sé,  di  sé  asseta  ;  *° 
,3°-   Sé  dimostrando  del  più  alto  tribo81 

alla  Rivelazione?  Raggiando  esso  negli  occhi  di  lei  tutta  la  bellezza 
e  la  varietà  delle  sue  due  nature  divina  ed  umana,  e  quindi  comu- 
nicando a  lei  tutti  i  suoi  pregi,  e  quasi  facendola  un  altro  lui,  in 
quella  guisa,  che  il  sole  raggiando  nello  specchio  vi  fa  un  altro  sole. 

78  Or  con  uni,  or  ecc.  Ora  raggiando  negli  occhi  di  Beatrice 
(Rivelazione)  le  proprietà  ed  i  pregi  della  sua  natura  umana,  ora 
le  proprietà  ed  i  pregi  della  sua  natura  divina.  Infatti  la  Rivela- 
zione ora  è  piena  di  dogmi  sulla  divinità  di  Gesù  Cristo,  ed  ora  è  piena 
di  dogmi  sulla  sua  umanità,  arabo  i  quali  sono  di  pari  import  ansa. 

70  Quando  vedea  la  cosa  ecc.  In  questa  terzina  si  stabilisce  il 
dogma  dell'unità  di  persona  divini  in  Gesù  Cristo,  come  nell  altra 
terzina  di  sopra  si  stabilì  il  dogma  della  duplicità  delle  nature  in 
Gesù  Cristo,  ed  anche  questa  unità  di  persona,  come  la  duplicità 
delle  nature,  venia  trasmutata  o  raggiata  nella  Rivelazione,  perchè 
la  Rivelazione,  come  è  piena  di  dogmi  riguardatiti  la  natura  divina 
ed  umana  di  Gesù  Cristo,  coai  ò  pur  piena  di  dogmi  riguardanti  la 
unità  di  persona  divina  iu  Gesù  Cristo  medesimo.  Questa  unità  di 
persona  è  espressa  nel  verso  :  Quando  vedea  la  cosa  (il  Grifone)  tu 
se  star  queta,  cioè  non  divìdersi  mai,  ma  esser  sempre  quella  stessa 
perdona.  Questa  unità  di  persona  poi,  raggiata  o  trasmutata  nella 
Rivelazione,  è  espressa  nel  verso:  E  nell1  idolo  suo  si  trasmutava. 
La  Rivelazione  è  l'idolo  di  Gesù  Cristo  in  quanto  che  Gesù  Cristo 
nella  Rivelazione,  come  in  sua  immagine,  imprime  e  trasmuta  tutto 
*ò  stesso. 

so  Che  saziando  di  tè  ecc.  Perchè  era  cibo  divino,  o  Dio  stesso, 
clic  solo  ha  la  proprietà  di  saziare,  e  nel  medesimo  tempo  sempre 
assetar  di  se. 

*i  Del  più  alto  tribo.  Della  più  alti  tribù,  o  schiera,  o  gerar* 
ch'in  celeste.  Infatti  solo  presso  il  fine  del  Paradiso  empireo  Dante 
sarà  esaminato  intorno  a  queste  tre  virtù  teologali. 


CANTO  XXXI.    .  677 

Negli  atti,  l'altre  tre  si  fero  avanti, 82 
Danzando  al  loro  angelico  caribo. 83 

Volgi,  Beatrice,  volgi  gli  ocelli  santi, 8t 
Era  la  sua  canzone,  al  tuo  fedele, 85 
Che,  per  vederti,  ha  mossi  passi  tanti. 

Per  grazia  fa  noi  grazia  che  disvele 
A  lui  la  bocca  tua,  sì  che  discerna 
La  seconda  bellezza,  che  tu  C6le. 

O  isplendor  di  viva  luce  eterna,86 
14°-       Chi  pallido  si  fece  sotto  l'ombra87 

Sì  di  Parnaso,  o  bevve  in  sua  cisterna, 

Che  non  paresse  aver  la  mente  ingombra, 
Tentando  a  render  te  qual  tu  paresti 


8*  V altre  ire  si  fero  avanti.  Per  aguzzar  gli  occhi  di  Dante, 
e  farli  capaci  di  sostener  lo  splendore  degli  occhi  e  del  viso  della 
Rivelazione,  comurveando  a  Dante  la  loro  proprietà  di  mirar  più 
profondo  che  non  le  quattro  virtù  morali,  come  queste  avean  detto. 
(Vedi  nota  70;.  Così  Danto  ora  viene  ad  avere  tre  guide,  Matilde, 
le  quattro  vi*  tu  morali,  e  le  tre  teologali. 

83  Danzando  al  loro  angelico  caribo.  Danzando  dietro  a  quelle 
note  di  ballo,  o  a  quella  musica  alla  quale  usano  danzare  in  cielo. 
Caribo  e  music*  da  ballo  piena  di  grazia  (Xy.pt;)  da  cui  trae  il  nome. 

8*  Volgi,  Beatrice,  volgi  ecc.  Pregano  Beatrice  di  due  cose,  che 
abbiam  toccate  di  sopra  alla  nota  76;  e  che  restano  ancora  a  Dante 
per  conseguire  tutto  il  suo  desiderio,  cioè  che  Beatrice  volga  gli 
occhi  (che  ora  ha  sul  Grifone)  a  Dante,  e  che  si  sveli.  La  prima 
grazia  si  dimanda  in  questa  terzina  ;  la  seconda  nell'altra  che  segue. 

83  Al  tuo  fedele.  Come  fedele,  se  prima  fu  Dante  tanto  rimpro- 
verato per  infedeltà?  Rispondo  che  la  bevanda  di  Lete  non  lascia 
più  parlare  né  ramni  ntar  di  mali.  Questi  ormai  sono  come  non  fos- 
sero mai  successi. 

86  o  isplendor  ecc.  Ecco  Beatrice  già  svelata  e  fissa  in  Dante. 
Dante,  dall'estasi  oad'e  preso,  non  ce  lo  può  dire  che  con  una  escla- 
mazione che  ci  lascia  intendere  le  due  grazie  fatto  da  Beatrice. 

87  Chi  pallido  si  fece  ecc.  Qual  sarebbe  poeta  si  grande  che  non 
paresse  al  tutto  ignorante  tentando  ecc. 


678  PURGATORIO 

Là,  dove  armonizzando  il  ciel  t'adombra,  ** 
Quando  nell'aere  aperto  ti  solvesti  ?  89 

**  Là  dove  armonizzando  ecc.  Accenna  ai  canti  già  notati  di 
quella  celeste  assemblea  venata  nel  Paradiso  terrestre,  ed  a  quel 
cielo  mirabile  di  sette  liste  sotto  cui  tutti  stavano. 

#>  Quando  neWaere  ecc.  Quando  mi  ti  manifestasti  apertamente. 


CANTO  XXXII 


Argomento. 

Dante  sazia  la  sua  vista  nell'aspetto  di  Beatrice.  Le  tre  virtù 
teologali  lo  scuotono.  Dante  si  volge  a  loro,  e  vede  la  processione 
già  mossa  a  destra  tornarsi  indietro.  Allora  le  quattro  virtù  tor- 
nano alla  loro  ruota  sinistra,  e  le  ti  e  alla  ruota  destra,  e  il 
Grifone  volge  il  carro  senza  muover  l'ali.  Matilde  con  Stazio  e 
Dante  prendono  posto  alla  ruota  destra  colle  tre  virtù  teologali. 
La  processione  va  a  passo  di  musica  degli  angeli.  Dopo  un  tratto 
di  tre  voli  di  saetta,  eccoli  alla  metà  delta  facciata  d'oriente. 
Allora  Beatrice  scende  dal  carro.  Tutti  gridano:  Adamo,  e  si 
pongono  in  giro  intorno  ad  un'altissima  pianta  tutt  i  spoglia  di 
fiori  e  di  fronde,  come  le  piante  oV  inverno.  Questa  pianta  si  di- 
lata di  mano  in  mano  che  sale.  Tutti  fanno  orazioni  al  Grifone 
perche  nulla  toglie  di  quella  pianta,  e  il  Grifone  conferma  quelle 
felicitazioni  dicendo  che  è  così  che  la  giustizia  si  serba.  Ciò  detto, 
il  Grifone  trae  il  timone,  che  è  legno  di  quella  pianta,  alla  pianta 
stessa,  e  lo  lascia  a  Iti  legalo.  Per  quella  unione  la  pianta  si  co- 
lora e  si  veste  di  fronde.  Allora  tutti  cantano  un  inno,  che  il  poeta, 
per  esser  molto  misterioso,  non  intende.  Qui  Dante  è  preso  dal 
sonno.  Poi  uno  splendore  ed  un  invito  a  sorgere  glielo  rompe. 
L'invito  era  di  Matilde,  e  lo  splendore  abbagliante  era  del  Gri- 
fone e  di  quasi  tutta  la  processione  che  salivano  al  cielo.  Panie 
riscosso  dal  sonno,  dimanda  ove  sia  Beatrice,  e  Matilde  gliela  ad- 
dita seduta  a'  pie  della  rinverdita  pianta,  mentre  le  fanno  corona 
le  sette  virtù,  che  adesso  portano  i  7  candelabri.  Dante  si  dà 
tutto  a  contemplar  Beatrice,  e  Beatrice  lo  assicura,  che,  dopo 
alquanto  di  dimora  nella  chiesa  militante,  egli  verrebbe  ad  abitar 
con  lei  per  sempre  nella  chiesa  trionfante:  ma  intanto  gliord'na 
di  osservar  bete  quanto  colaseli  gli  sarà  dato  vedere  affine  di 
scriverlo,  e  di  ripeterlo  al  mondo.  Allora  Dante  guarda  ove  gli 
addita  Beatrice,  e  vede  un'aquila  impetuosa  scender  dall'alto  lun- 
ghesso V albero  e  rompergli  della  scorza,  de' fiori  e  delle  foglie; 
indi  vede  quell'aquila  urtar  nel  carro  con  forza  e  tutto  farlo 
barcollare.  Poi  vede  un}orribil  volpe  avventarsi  nella  cuna  del 
carro;  ma  Beatrice  la  riprende,  e  la  volge  in  precipitosa  fuga. 
Dopo  cacciata  la  volpe,  eccoti  di  nuovo  l'aquila,  che  venendo  lungo 


680  PURGATORIO 

l'albero,  come  prima  discende  ma  non  precipitosa,  nella  cuna  del 
carro,  e  vi  lascia  molte  sue  penne.  Allora  una   mesta  voce  si  fa 
sentir  dal  cielo,  che  piange  il  carco  di  quelle  penne    lasciale  al 
carro,  siccome  un  peso  pcricolono.  Appresso  questo  Dante  vede  aprirti 
la  terra  di  sotto  al  carro  tra  le  due  ruote,  uscirne  un  dragone,  e 
questo  dragone  torcer  la  coda  contro  il  fondo  del  carrot  e  por- 
tarsene  via  una  parte  qua  e  là  per  la  foresta.  La  parte  di  carro 
rimasta,  si  ricopre  allor  tutta  in  tutte  sue  parti  di  quella  piuma 
già  cresciuta,  come  la  gramigna,  cotalchè  vanno  in  poco  tempo 
coperti  di  piuma,  e  carro  e   ruote  e  timone.  Allora  quel  carro, 
già  voto,  manda  fuori  teste  da  per  tutto,  tre  sul  timone  a  due 
corna  come  di  bue,  ed  una  per  ciascun  canto  da  un  solo  corno,  e 
così  il  carro  diventa  un  mostro  non  pia  veduto.  Allora  apparisce 
a  Dante,  tcdu'a  con  fronte  sicura  entro  il  carro,  una  meretrice, 
sciolta  nelle  vesti,  e  cupida  negli  sguardi;  e  di  costa  a  lei  un  gi- 
gante come  a  sua  guardia.  Questi  due  si  baciano  talora  insieme; 
ma  perche  una  volta  la  cortigiana  ardì  volgere  a  Dante  il  suo 
sguardo,  quel  feroce  gigante,  suo  drudo,  la  flagella  da  capo  a1  pie. 
Finalmente  il  gigante,  pieno  di  sospetto  e  d'ira,  scioglie  il  mostro 
dall'albero,  e  lo  trae  lungi  di  là  per  la  selva,  tanto  che  la  selva 
taglie  u  Dante  di  vista  e  la  cortigiana  ed  il  mostro, 

(0)  Continuazione  dei  mirabili  effetti  della  Chiesa  Cattolica  tolte 
anime  preti  in  generale  carne  prima  furono  preti  in  particolare. 
Rinnovazione  del  mondo  operata  da  Gesù  Cristo  col  meno 
della  tua  Passione  e  della  Chiesa  Cattolica,  e  storia  o  vicende 
dì  està  Chiesa. 


SD.  Vedi  talli  i  cascltini  di  questo  Canio  uolta  T.  X  Purg  ,  e  lo  T.  MI  e  XIII  Purf. 

lant'eran  gli  ocelli  miei  fissi  ed  attenti 
A  disbramarsi  la  decenne  sete, l 
Che  gli  altri  sensi  m'eran  tutti  spenti  ;  * 

Ed  essi  quinci,  e  quindi  av<?n  parete8 

*  La  decenne  sete.  Beatrice  mori  nel  1290. 

*  Che  (/li  altri  sensi  ecc.  Gli  occhi  soli  erano  i  sensi  che  in  me 
operavano;  gli  altri  era  come  se  non  li  avessi. 

a  Ed  essi  quinci  ecc.  Gli  occhi  stessi  poi   chi   soli  erano  attivi, 


CANTO  XXXII.  681 

Di  non  caler;  così  lo  santo  riso 

A  sé  traèli  con  l'antica  rete; 
Quando  per  forza  mi  fu  volto  il  viso 

Ver  la  sinistra  mia  da  quelle  Dee, 4 

Perch'io  udia  da  loro  un  :  Troppo  6so. s 
10-     E  la  disposizion  eh'  a  veder  èe  6 

Negli  occhi  pur  testé  dal  sol  percossi; 

Senza  la  vista  alquanto  esser  mi  fee; 
Ma  poi  ch'ai  poco  il  viso  riformossi,  7 

(lo  dico  al   poco  per  rispetto  al  molto  8 

non  erano  attivi  che  ad  un  punto  solo,  alla  faccia  di  Beatrice,  cosi 
che  le  altre  cose,  fuori  di  lei,  essi  non  le  avvertivano,  e  non  caleva 
loro  di  avvertirle,  come  se  lo  spazio  tra  gli  occhi  di  Dante  e  quelli 
di  Beatrice  fosse  stato  fiancheggiato    da  due  strette  pareti. 

*  Ver  la  sinistra  ecc.  Dante,  ch'era  volto  a  Beatrice,  guardava 
ad  oriente.  La  sinistra  dunque  di  Dante  era  il  nord,  dalla  cui  parte 
era  la  cima  del  monte.  (Vedi  Tav.  XII,  Purg.)  —  Da  quelle  Dee. 
Dalle  tre  virtù  teologali. 

8  Troppo  fiso.  Cioè  tu  guardi  troppo  fiso  negli  occhi  e  nella  bocca 
di  Beatrice,  e  cosi  non  avverti  che  la  processione  si  muove  e  ritorna, 
colla  quale  noi  pure  tutti  dobbiamo  muoverci  e  ritornare.  (Abbi 
spesso  rocchio  alla  Tav.  XII  Purg.). 

e  E  la  disposizion  ecc.  Dopo  che  noi  abbiamo  mirato  il  sole,  re- 
stiamo per  un  po'  di  tempo  abbagliati,  e  non  possiamo  vedere  gli 
oggetti  che  ci  circondano.  Tale  è  stata  l' impressione  che  restò  negli 
occhi  di  Dante  dopo  aver  tanto  mirato  il  viso  risplendentissimo  di  Bea- 
trice. La  Rivelazione  è  si  piena  di  divinità  che  abbaglia  ogni  viatore. 

7  Ma  poi  eh1  al  poco  ecc.  Quando  siamo  abbagliati  dal  sole,  per 
riformare  la  nostra  potenza  visiva  sconcertata,  dobbiamo  posare  gli 
occhi  su  corpi  di  poca  luce,  e  cosi  a  poco  a  poco  gli  occhi  riven- 
gono dal  loro  abbagliamento.  Così  fece  Dante,  che  guardando  alle 
Dee  e  ad  altri  oggetti,  minori  in  luce  di  quella  di  Beatrice,  si  ri- 
formò la  vista. 

8  Io  dico  al  poco  ecc.  La  luce  degli  altri  oggetti  era  molta  a 
vero  dire,  ma  poca  a  rispetto  di  quella  di  Beatrice.  Rammentiamo 
che  le  stesse  quattro  virtù  cardinali  si  dissero  ancelle  di  Beatrice. 
Tanto  deve  dirsi  anche  delle  tre  virtù  teologali,  sebbene  di  ordine 
superiore  alle  quattro. 


682  PURGATORIO 

Sensibile,  onde  a  forza  mi  rimossi), 
Vidi  in  sul  braccio  destro  esser  rivolto  9 
Lo  glorioso  esercito,  e  tornarsi 
Col  sole  e  con  le  sette  fiamme  al  volto.  f0 
Come  sotto  gli  scudi  per  salvarsi  l! 
Volgesi  schiera,  e  sé  gira  col  segno. 
Prima  che  possa  tutta  in  sé  mutarsi: 


*m  Jm 


*  Sul  braccio  destro  ecc.  A  de3tra  di  esso  esercito.  (.Vedi  Tav.  XII 
Purg.).  Dunque  la  processione  non  volse  dalla  parie  di  Lete,  ma 
dalla  parte  contraria,  e  tornava  in  direzione  quasi  opposta  a  quella 
per  la  quale  era  venuta.  Prima  era  venuta  da  est  ad  ovest,  ed  ora 
torna  da  ovest  ad  est,  o  più  veramente  a  nord -est,  perchè  andava 
al  centro  del  Paradiso  terrestre,  traversando  la  facciata  di  sud  e 
di  est,  come  tosto  vedremo.  (Vedi  Tav.  XII  e  XIII  Purg.). 

">  Col  sole  ecc.  Essendo  il  sole  non  già  presso  alla  nascita,  ma 
piuttosto  presso  il  meriggio,  il  dirsi  qui  che  l*  esercito  tornava  col 
sole  al  volto  indica  chiaramente  che  esso  andava  ad  est-nord  dove 
appunto  si  trovava  il  .sole.  Da  ciò  si  vede  che  la  processione  nel 
ritorno  percorreva  la  diagonale  per  innalzarsi  verso  la  cima,  o  centro 
del  Paradiso  terrestre,  rimettendosi  cosi  dalla  facciata  di  sud  a  quella 
di  est.  Puoi  immaginarti  da  ta  stesso  questo  ritorno  ponendo  l'oc- 
chio sulla  mia  Tav.  XTI  e  XIII.  —  E  con  le  tette  fiamme  al  volto. 
Andava  dietro  ai  7  candelabri  come  quando  era  venuto.  Si  dice 
che  aveva  al  volto  le  sette  fiamme  a  dinoti  re  che  l'esercito  si  era 
già  voltato  dalla  sua  postura  che  avea  mentr'era  fermo,  essendo 
prima  tutti  volti  colla  faccia  al  carro.  Lo  Spirito  Santo  che  è  sim- 
boleggiato da  questi  7  candelabri,  è  sempre  quello  che  guida  la 
Chiesa  ne'  suoi  movimenti,  e  con  lo  Spirito  Santo  la  guida  anche 
Maria  SS.  che  dallo  Spirito  Santo  in  certo  qual  modo  procede  per 
sette  liste  che  formano  il  cielo. 

Notate  bene  che  i  sette  candelabri  si  muovono  da  sé,  e  non 
sono  portati  da  nessuno,  perchè  lo  Spirito  Santo  non  ha  bisogno 
di  nessuno  per  guidar  la  sua  Chiesa^  II  disegno  del  Velutello  ha  7 
angeli  portatori  dei  candelabri.  Errore. 

**  Come  sotto  gli  scudi  ecc.  Una  schiera  che  sia  stata  sorpresa 
inopinatamente  dal  nemico,  secondo  i  metodi  guerreschi  di  quel 
tempo,  alza  tosto  gli  scudi  facendo  un  tetto  sopra  le  teste,  e  la 
bandiera  davanti  dà  volta;  e  le  file  de'  soldati  voltano  anch'esse 
dietro  al  loro  vessillo,  restando  frattanto  le  file  indietro  tutte  ferme, 


iì 


CANTO  XXXII.  683 

Quella  milizia  del  eeleste  regno, 
Che  precedeva,  tutta  trapassonne 
Pria  che  piegasse  il  carro  il  primo  legno. 

Indi  alle  rote  si  tornar  le  donne,  ls 

E  il  Grifon  mosse  il  benedetto  carco,  n 
SI  che  però  nulla  penna  crollonne.  I5 

La  bella  donna  che  mi  trasse  al  varco,  i6 
E  Stazio,  ed  io  seguitavani  la  rota 
30-         Che  fé  l'orbita  sua  con  minor  arco.  *7 

Sì  passeggiando  l'alta  selva  vota,  u 
Colpa  di  quella  ch'ai  serpente  crese,  19 
Temprava  i  passi  un'angelica  nota. 


20 


e  voltando  soltanto  quando  si  volta  la  fila  anteriore.  L'imagine  della 
ritirata,  cogli  sondi  in  capo,  fu  suggerita  dal  cielo,  o  padiglion  di 
luce,  che,  come  vedemmo,  copriva  tutta  quella  processione;  e  che 
era  Maria  SS. 

*2  II  primo  legno.  Il  timone. 

13  Indi  alle  rote  ecc.  Le  tre  alla  destra,  le  quattro  alla  sinistra. 

f*  Il  benedetto  earco.  Il  carro  e  Beatrice,  ch'era  il  santo  carico 
di  quel  carro.  Gesù  Cristo  trae  seco  la  Rivelazione,  perchè  tutta  la 
Rivelazione  è  per  lui. 

*3  Kulla  penna  erollonne.  Perchè  il  Grifone  è  Gesù  Cristo  che  è 
Dio,  e  non  ha  bisogno  di  sforzi  per  condurre  il  carro  della  sua  Chiesa  : 
e  poi  qui  si  conferma  la  nessuna  lesione  delle  ali  alle  liste,  che  ve- 
demmo indicare  Maria  Vergine  u\  concepimento  e  nel  parto  del 
suo  Divin  Figliuolo. 

4G  La  bella  donna  ecc.  Matilde. 

17  Che  fé  l'orbita  ecc.  La  rota  destra,  che  facea  minor  giro,  per- 
chè il  carro  voltava  alla  destra.  Da  questa  parte  si  pose  Matilde, 
Stazio  e  Dante  dietro  alle  tre  virtù  teologali,  di  cui  Dante  prima 
era  già  stato  vestito,  e  però  dovoa  seguir  queste  e  tenersi  alla  de- 
stra, che  è  la  parte  migliore  più  dicevole  al  suo  nuovo  stato  di 
perfezione. 

<8  Vota.  Di  abitatori. 

w  Colpa  di  quella  ecc.  Di  Eva. 

so  Temprava  i  passi  ecc.  Andavano  tutti  a  passo  di  battuta  die- 
tro il  canto  degli  angeli.  Che  bella  armonia  non  ha  la  Chiesa! 


684  PURGATORIO 

Forse  in  tre  voli  tanto  spazio  prese  al 
Disfrenata  saetta,  quanto  eramo 
Rimossi,  quando  Beatrice  scese.  n 

Io  senti'  mormorare  a  tutti:  Adamo!  M 
Poi  cerchiaro  una  pianta  dispogliata  M 
Di  fiori,  e  d'altra  fronda  in  ciascun  ramo. 

21  Forse  in  tre  voli  ecc.  Sarebbero  stati  soli  cento  passi  se  la 
processione,  senza  alzarsi  verso  il  centro,  si  fosse  recata  dalla  meta 
della  facciata  di  sud,  onde  parti,  sino  alla  metà  della  facciata  di 
e3t,  o v'era  diretta.  Ma  poiché  in  questo  ritorno  si  tenne  anche  verso 
la  cima,  ossia  andò  verso  est-nord,  come  è  dichiarato  prima  con  dire 
che  andava  a  dritto  filo  del  sole  che  era  più  presso  al  meriggio  che 
all'orizzonte,  perciò  occorrevano  assai  più  di  cento  passi  ;  il  che  va 
appunto  a  rispondere  ai  tre  voli  di  saetta  Da  questo  punto  in  poi 
si  dee  aver  presente  la  mia  Tav.  XIII.  Una  ricerca.  Perchè  dalla 
plaga  di  sud  va  la  proesssione  alla  plaga  di  est?  Perchè  questa 
plaga  orientale  ò  il  luogo  dove  si  suppone  creato  Adamo  ed  Eva, 
presso  la  pianta  alla  quale  si  peccò.  Gesù  Cristo  (Grifone)  volendo 
rimediare  al  mal  di  Adamo  doveva  andare  alla  radice  del  male,  a 
quella  pianta  malaugurata,  facendo  a  lei  tutto  il  contrario  di  quello 
che  fecero  Adamo  ed  Eva. 

**  Quando  Beatrice  scese.  Scese  Beatrice,  o  la  Rivelazione,  per 
dar  luogo  alle  opere  che  era  sarà  per  fare  il  Grifone  (Gesù  Cristo) 
per  la  redenzione  dell'uomo,  e  per  la  sua  totale  rinnovazione.  Quando 
Gesù  Cristo  venne  al  mondo  per  effettuare  la  redenzione  dell'uman 
genere,  la  figura  dovette  dar  luogo  al  figurato  (Gesù  Cristo),  la- 
sciando a  lui  tutta  intera  l'azione  dell'umano  rise  itto,  che  qui  tosto 
succederà.  Qui  la  Rivelazione  non  ha  a  far  altro  che  essere  spetta- 
trice degli  avvenimenti  ch'ella  stessa  predisse  ed  insegnò. 

23  Adamo.  Ecco  la  pianta  di  Adamo,  ecco  a  che  fu  ridotta  pel 
suo  peccato. 

2i  Poi  cerchiaro  una  pianta  ecc  La  pianta,  prima  frondosa  e 
fiorita,  poi  dispogliata  di  fiori  e  di  fronde,  è  l'umanità,  prima  inno- 
cente, poi  peccatrice,  a  redintegrar  la  quale  venne  Gesù  Cristo, 
come  qui  a  rinnovar  quolla  pianta  si  dispogliata  venne  il  Grifone. 
Si  sa  che  Adamo  ed  Eva,  in  cui  era  concentrata  da  principio  l'uma- 
nità tutta  quanta,  furono  creati  nella  giustizia  originale,  arricchiti 
d'ogni  tesoro  di  natura  e  di  grazia,  belli  della  bellezza  di  l>io,  per- 
ciò paragonati  ad  una  piauta  incantevole. 


CANTO  XXXII.  685 

*o      La  chioma  sua,  che  tanto  si  dilata  *3 
Più,  quanto  più  è  su,  fora  dagl'Indi 
Ne' boschi  lor  per  altezza  ammirata. 

Beato  se',  Grifon,  che  non  discindi  M 
Col  becco  d'esto  legno  dolce  al  gusto, 
Posciachè  mal  si  torse  il  ventre  quindi.  27 

Così  d'intorno  all'arbore  robusto 

Gridaron  gli  altri;  e  l'animai  binato:  u 

ss  La  ohi  orna  sua,  che  ecc.  Di  questa  pianta  si  descrive  qui 
l'altezza,  la  larghezza  e  la  forma.  Per  altezza  essa  supera  le  più 
alte  piante  dell'India,  le  quali  superano  tutte  l'altre  della  terra. 
Per  larghezza  essa  pur  si  dilata  più  che  tutte  l'altre.  Per  la  sua 
forma  ò  essa  fatta  in  guisa  che  rappresenta  un  cono  rovesciato 
col' a  punta  in  giù.  Tutto  questo  conviene  all'umanità.  Essa  è  alta 
per  la  sua  derivazione  che  è  dal  cielo:  essa  è  larga  per  l'ampiezza 
delle  grazie  in  lei  versate:  essa  è  dilatata  in  cima  e  stretta  in 
fondo,  perchè  tutta  l'umanità,  quanl'  ella  è  viista,  poggia  come  in 
un  punto  su  Adamo  ed  Eva  uniti  in  un  solo  connubio.  Che  im- 
mensità di  concetti  e  di  poesia! 

26  Beato  se'  ecc.  La  rovina  di  si  bella,  di  si  alta,  di  si  grande 
umanità,  provenne  dall'avere  Adamo  ed  Eva  beccato  di  quella 
pianta,  i  cui  frutti  stuzzicarono  la  gola  dei  nostri  progenitori,  quan- 
tunque avessero  il  divieto  di  gustarne.  Ebbene;  Gesù  Cristo  per 
riparare  a  quel  male  dovea  comportarsi  verso  quella  pianta  in  modo 
tutto  cantrario  a  quello  che  tennero  i  nostri  primi  parenti.  Essi  pec- 
carono per  mangiarne,  e  Gesù  Cristo  dovea  rimediare  al  loro  pec- 
cato con  non  mangiarne.  In  altri  termini  se  essi  disubbidirono  a 
Dio,  e  codi  ci  rovinarono;  Gesù  Cristo,  con  obbedire  all' Etcì  no  suo 
divin  Padre,  dovea  ristorare  le  perdite  Adamitiche,  Quest'obbedienza 
di  Cristo  ai  decreti  del  padre,  è  Unto  proclamata  dalle  sante  scrit- 
ture, e  massime  da  S.  Paolo. 

27  Posàachè  mal  si  torse  ecc.  Perchè  essendo  quello  un  cibo 
vietato,  Adamo  ed  Eva  che  ne  gustarono  partirono  d  i  quella  pianta 
con  nel  ventre  il  velino  e  la  morte  per  sé  e  per  tutti  i  lor  discen- 
denti. In  questo  il  poeta  prende  la  similitudine  da  que'  sciaurati, 
che  per  aver  mangiato  un  frutto  gusto jo,  ma  avvelenato,  si  dibat- 
tono poscia  per  atroci  dolori  di  ventre,  e  vi  l  ascian  la  vita. 

28  L'animai  binato.  Il  Grifone  che  era  biforme  o  di  due  nature, 
uccello  e  leone. 


686  PURGATORIO 

Si  si  conserva  il  seme  d'ogni  giusto.  * 
E  volto  al  temo  ch'egli  avea  tirato,'30 
50-         Trasselo  a  pie  della  vedova  frasca;  3I 
E  quel  di  lei  a  lei  lasciò  legato.  32 
Come  le  nostre  piante,  quando  casca 

29  Sì  si  conserva  ecc.  Così  si  osserva  giustizia;  che  è  il  seme 
d'ogni  cosa  giusta.  Allude  all'obbedienza  che  Gesù  Cristo  ebbe  alla 
legge  divina,  alla  quale  volle  sottomettersi  per  rimediare  air  ingiusti- 
zia della  disobbedienza  Adamitica.  E  evidente  che  queste  parole  del 
Grifone  (Gesù  Cristo)  rispondono  a  quella  protesta  che  fece  Gesù 
Cristo  (S.  Mat,,  III,  15),  quando,  chiesto  il  battesimo  a  S.  Giovanni, 
questi  per  umiltà  gli  si  rifiutava;  ed  allora  Gesù  Cristo  gli  disse: 
Sine  modo:  sic  enim  decet  nos  implere  omnem  iustitiam:  e  rispon- 
dono pure  a  quell'altra  protesta  di  Gesù  Cristo  quando  disse  (Mat., 
V,  17):  JVvn  veni  solvere  legem,  sed  adimplcre. 

30  Temo.  Timone.  Questo  è  la  croce  di  Gesù  Cristo  sulla  quale 
egli  compi  la  redenzione  dell'uomo. 

Ch'egli  avea  tirato.  Come  il  Grifone  avea  tirato  il  timone,  cosi  Gedù 
Cristo  ha  portato  la  croce  sulle  sue  spalle  nell'ascesa  del  monte  Calvario. 

**  Trasselo  a  pie  ecc.  Gesù  Cristo  applicò  la  sua  croce  alla  uma- 
nità peccatrice.  L'immagine  è  tolta  dal  bellissimo  poema  di  Rabano 
De  laudibus  Sanotae  Crucis,  dove  anch'egli  applica  la  Croce  a  tutte 
cose  per  santificarle.  Rabano  era  l'autore  prediletto  di  Dante. 

32  E  quel  di  lei  a  lei  ecc.  E  quel  timone,  ch'era  figlio,  o  ram- 
pollo di  lei,  lasciò  legato  a  lei  stessa,  vale  a  dire  che  Gesù  Cristo 
strinse  la  sua  croce  all'umanità  peccatrice,  comunicando  così  a  questa 
la  bua  virtù  redentrice,  ed  applicandole  tutto  il  merito  infinito  della 
sua  Passione  che  su  di  lei  consumò.  Su  questo  legame  del  timone 
all'albero  sono  incredibili  gli  spropositi  di  certi  interpreti  alla  mo- 
derna. Questo  legno  poi  aveva  a  sé  attaccato  il  carro,  perchè  alla 
croce  di  Gesù  Cristo  fu  sempre  attaccata  la  Chiesa,  sia  del  Testamento 
vecchio,  che  nuovo.  È  evidente  che  il  poeta  nell' immaginare  la  no- 
biltà e  l'efficacia  di  questo  santo  timone  su  quel  graud'arbore,  ve- 
dovo d'ogni  onore,  ossia  nell' immaginare  la  nobiltà  d'efficacia  della 
santa  croce  di  Gesù  Cristo  sulla  umanità  viziata,  prese  le  sue  ispira- 
zioni dagli  inni  che  la  Chiesa  canta  in  lode  del  santo  legno  della  croce 
nel  tempo  della  Passione,  presso  le  cui  bellezze  sono    cose  ridicole 

pensieri  di  Orazio  in  lode  del  legno  della  sua  nave.  Ne  daremo 
un  saggio.  Nell'inno  del  sabbato  avanti  la  domenica  di  Passione, 
la  Chiesa  in  lode  della  Croce  canta  cosi: 


CANTO  XXXII.  687 

VexiUa  Regia  prodcunt,  ImpUla  sunl  quae  concinit 

Fulget  Crucis  myaterium,  David  fideli  Carmine, 

Qua  vita  mortem  perlulil,  Dicendo  nationibus  : 

Et  morie  vitata  protulit.  Regnuvil  a  Ugno  Deus. 

Quae  vulnerata  lanceae  Arbor  decora,  et  fulgida, 

Mucrone  diro,  criminum  Ornata   Regia  pnrpura, 

Ut  no8  lavarci  aordibus.  Electa  digno  alipile 

M ari  avi  l  unda  et  sanguine.  Tarn  sancta  membra  tangere. 

Beata,  cuius  brachiis 
Pretium  pepe n di i  aaeculi% 
Staterà  faci  a  corpo  ria9 
Tulitque  praedam  tartari. 

Nell'inno  poi  di  mattutino  della  domenica  di   Passione  a  lode 
della  stessa  Croce  si  canta: 

Pange  lingua  gloriosi  De  parcntis  prò  topi  aiti 

Lauream  certaminis,  Fraude  Factor  condole  ns, 

Et  super  crucis  trophaeo  Quando  pomi  noxialis 

Die  triumphum  nobilem:  In  neccm  morsu  ruit: 

Qualiter  Rclemptor  orbis  Ipse  Ugnarti  lune  notuvit, 

ImmolaLus  viccrit*  Damna  Ugni  ut  solver  et. 

Hoc  opus  nostrae  salutis 
Ordo  dopoposcerat, 
Multiformi 8  proditoris 
Ars  ut  artem  fallerete 
Et  medelam  ferret  inde. 
Hostis  un  de  laeseratt 

E  nell'inno  delle  laudi  della  stessa  domenica,  tra  le  altre  belle 
lodi  alla  Croce,  si  hanno  pur  queste  di  una  impareggiabile  poesia  : 

Crux  fideli s  inter  nmnes  Flecte  ramoa  arbor  alta, 
Arbor  una  nobilis:  Tensa  laxa  viscera, 

Silva  talem  nulla  profeit  Et  rigor  lentescat  Me, 

Fronde,  flore,  genuine  :  Quem  dedit  nativilas; 

Dnlce  ferrum,  didce  lignum,       Et  superni  membra  Regia. 
Dulce  pondua  suslinent.  Tende  miti  stipite. 

Sola  digna  tu  fuisli. 
Ferre  mundi  Victimam; 
Atque  porlum  praeparare 
Arca  mundo  naufrago, 
Quam  sacer  cruor  perunxit 
Fusua  Agni  corpore. 


688  *      PURGATORIO 

Giù  la  gran  luce  mischiata  con  quella  M 
Che  raggia  dietro  alla  celeste  lasca, 

Turgide  fansi,  e  poi  si  rinnovella 

Di  suo  color  ciascuna,  pria  che  '1  sole 
Giunga  li  suoi  corsier  sott'altra  stella; 

Men  che  di  rose,  e  più  che  di  viole,  34 
Colore  aprendo,  s'innovò  la  pianta,  M 
60-         Che  prima  avea  le  ramora  sì  sole. 

*3  La  gran  luce  ecc.  La  luce  del  sole.  —  Mischiata  con  quella  ec. 
Il  sole  nasce  e  tramonta  or  con  uno  or  con  altro  segno  zodiacale, 
mischiando  cosi  i  suoi  coi  raggi  di  quel  segno.  Dal  21  marzo  al  21 
aprile  il  sole  nasc<s  e  tramonta  in  Ariete,  che  è  quel  segno  del  zo- 
diaco che  ticn  dietro  ai  Pesci  (lasca)  coi  quali  il  sole  nasce  e 
tramonta  il  mese  avanti,  cioè  dal  21  febbraio  al  21  marzo.  (Vedi 
Tav.  VII  Purg).  Qui  il  poeta  prende  il  primo  tempo,  quello  cioè 
dal  21  marzo  al  21  aprile,  quando  il  sole  na9ce  e  tramonta  in  Ariete, 
che  è  quanto  dire  il  principio  di  primavera,  nel  quale  le  piante, 
irrigidite  nel  verno,  sentendo  i  tepori  della  nuova  stagione,  si  fanno 
turgide  e  gravide,  e  poi  pria  che  il  sole  passi  dall'Ariete  nel  Toro, 
cioè  pria  che  venga  il  21  aprile  si  rivestono  anche  di  frondi. 

**  Men  che  di  rote,  t  più  che  di  viole.  Questo  colore  è  preci- 
samente il  colore  del  sangue  già  uscito  dalle  vene,  che  ha  un  rosso 
carico  o  cupo,  ed  è  un  colore  di  mezzo  tra  quel  della  rosa  e  della 
viola.  Attenti  bene  a  questo  colore  che  è  il  colore  del  Sangue  Pre- 
ziosissimo di  Gesù  Cristo  sparso  per  noi  sulla  Croce. 

3*  S'innovò  la  pianta  ecc.  Ecco  l'umanità  redenta  dal  sangue  di 
Gesù  Cristo,  mediante  la  diffusione  del  suo  sangue  dalla  Croce  su  tutta 
la  umanità  raffigurata  nella  pianta,  la  quale  perciò  prende  il  color 
di  quel  preziosissimo  sangue.  Che  altezza  e  chiarezza  e  sautità  di 
concetti!  Eppure  anche  il  buono  e  bravo  Cesare  Balbo  non  intese 
verbo  di  queste  cose,  e  perchè  non  le  intese  lui,  gli  parea  impos- 
sibile che  le  intendessero  gli  altri,  onde,  stizzito  di  Dante,  ebbe  il 
coraggio  di  eh  amar  questi  ultimi  canti,  canti  infelici,  e  poi  ag- 
giungere: u  L'animo  di  nuovo  abbuiato  (forse  dalla  composizione 
della  Monarchia)  produsse  in  lui  questi  abbuiamenti  d'i  magi  ni,  di 
stile,  di  parole,  e  di  lettere  stravolte.  »  (Vita  di  Dante,  v.  IT, 
cap.  XI l  in  fine),  Certo  quanto  a  bellezza,  maestà,  e  chiarezza  di 
imagini,  al  tutto  profetiche,  non  era  da  dare  un  tal  giudizio. 


CANTO  XXXII.  689 

Io  non  lo  intesi,  ni  quaggiù  si  canta  8G 
L'inno  che  quella  gente  allor  cantaro, 
Nò  la  nota  soffersi  tutta  quanta.  37 

S'io  potessi  ritrar  come  assonnaro  3S 
Gli  occhi  spietati,  udendo  di  Siringa,  a9 
Gli  occhi,  a  cui  più  vegghiar  costò  sì  caro; /,D 

36  lo  non  /.)  intesi  ecc.  E  imitato  dall',  /poculissc  nel  Canto  XIV 
dove  si  parisi  di  un  e  mto  speciale  e  nuovo  che  non  e  concesso  can- 
tare in  cielo  a  tutti  i  beati,  ma  ai  soli  vergini. 

3"  Né  la  noia  soffersi  ecc.  Come  non  intese  il  senso  dell'  inno, 
cosi  non  potè  raccogliere  tutto  il  metro  del  canto,  tanto  erano  en- 
trambi superiori  alla  sua  capacità.  Questo  ranto  dovea  essere  il 
canto  di  esultanza  e  di  ringraziamento  degli  Angeli  e  dei  Santi  per 
b.  Redenzione  testé  eseguita. 

3*  S'io  potessi  ritrar  come  ecc.  Dante  s'addormentò,  ma  non  sa 
dir  come.  A  che  questo  sonno,  che  non  si  può  spiegare,  e  sonno 
in  questi  momenti  si  lieti?  Questo  sonno  è  Dio  che  glielo  mette, 
porche  Dante  è  ancora  incapace  di  veder  la  trasformazione,  che 
intanto  succederà,  del  Grifone  simbolico  nella  persona  reale  di  Gesù 
Cristo.  Dante  potrà  fissarsi  in  Gesù  Cristo  reale  e  non  simbolico 
nell'ultimo  Canto  del  Paradiso,  e  non  qui,  dove  appena  e  noi  prin- 
cipio della  Via  Illuminativa.  (Vedi  la  nota  seguente), 

39  Gli  occhi  spietati  ecc.  Certa  Io  era  amata  da  Giove.  Per  que- 
sto la  gelosa  Ginno  la  facea  custodire  da  Argo,  mostro  da  cen t'occhi. 
Ma  Mercurio,  messo  di  Giove,  si  presentò  al  vigile  custode,  e  fat- 
tolo assonnare  con  raccontargli  l.i  favola  della  ninfa  Siringa,  l'uccise 
e  rapi  lo.  Si  dicono  occhi  spietati,  perche  senza  nessuna  pietà  cu- 
stodivano la  donzella  rigorosamente.  Siccome  dopo  il  bonno  di  Dante 
avviene  il  rapimento  di  ima  donna  e  del  carro  su  cui  siede,  perciò 
il  poeti  rassomigliò  il  suo  sonno  al  sonno  di  Argo,  che  ebbe  simili 
conseguenze. 

*o  Più  vegghiar  costò  sì  caro.  È  qui  una  contraddizione,  ma  solo 
apparente.  Parrebbe  che  avesse  dovuto  dire  il  poeta  :  A  cui  non 
vegghiar  costò  sì  carof  parche  fu  in  causa  d'aver  dormito,  ch'egli 
fu  morto:  ma  se  si  osservi  che  appunto  la  sui  oculatissima  vigi- 
lanza fu  e.iusa  del  decreto  fatai  di  Giove  di  farlo  assonnare,  e  poi 
uccidere,  si  vedrà  che  la  causa  prima  e  determinai r ice  della  sua 
morte  fu  il  suo  troppo  vegghiare.  Il  sonno  non  fu  che  un  mezzo 
per  la  sua  morte;  la  sua  rigorosa  vigilanza  ne  fu  la  causa  motrice. 

44 


6D0  PURGATORIO 

Come  pintor  che  con  esemplo  pingu,  4| 
Disegnerei  coni'  io  m'addormentai  ;  ;i 
Ma  qual  vuol  sia  che  l'assonnar  ben  finga. 
70-     Però  trascorro  a  qusmdo  mi  svegliai,  u 

E  dico  eh  un  splendor  mi  squarciò  il  velo  n 
Dei  sonno,  ed  un  chiamar:  Surgi,  che  fai?  4:> 

Quale  a  veder  de'  fioretti  del  melo  4,i 

Che  del  suo  pomo  gli  angeli    fa   ghiotti;  47 
E  perpetue  nozze  fa  nel  cielo, 

*•  Come  pintor  ecc.  Come  un  pittore  che  ritrae  copie  da  mi  ori- 
ginale. 

to  Dibcgnercl  ecc.  Perchè  anch'io  mi  debbo  uvei*  s.ddoiiuuit  ito 
come  Argo.  Argo  pur  sì  vigilante  e  premuroso  «li  tener  gli  rechi 
sulla  giovinetta  lo,  s'addormentò  all'udire  un  racconto  maraviglio^, 
e  Dante  anch'egli  si  addormentò  all'udire  cose  maravigliose,  cioè: 
L'inno  che  quella  gmte  allor  cantaro. 

W  Pero  trascorro  ecc.  Si  vuol  accenuare  così  che  questo  sonno 
fa  di  assai  breve  durata.  Egli  non  potè  infatti  esser  souno  che  di 
qualche  minuto.  Imperciocché  se  nel  Canto  XX  Vili,  n.  85  eravamo 
alle  6:16  antiro.,  cioè  un  minuto  dopo  la  nascita  del  sole,  v  nei 
Canto  XXXIII  die  segue,  avremo  il  meriggio  di  questo  stesso, 
sapendo  quanti  fatti  avvennero  in  questi  più  che  quattro  Canti,  e 
in  questo  periodo  di  sole  ore  5:i4,  s»  concili ude  a  tutta  prova  che 
quel  sonno  non  potò  essere  che  di  pochi  minuti. 

**  Un  splendor  mi  squarciò  ccc.  Lo  splender  lontano  di  Cristo 
e  dei  beati  che  ritornavano  al  cielo. 

**  Ed  un  chiamar  tee.  Il  chiamar  è  di  Matilde. 

■'•*>  Quale  a  veder  ecc.  11  poeta  vuol  dare  uuidea  del  come  si  trovò, 
appena  svegliato,  e  dice  che  si  trovò  come  si  trovarono  li  tic  apo- 
stoli Pietro,  Giovanni  e  Giacomo  dopo  l.t  trasfigurazione  di  Gcmì 
Cristo  sul  Taborre.  La  similitudine  è  tutta  propria  al  caso  di  itati  te. 
Lo  vedremo  a  parte  a  parte. 

* 

Melo.  Albero  pomi  fero.  E  Gesù  Cristo.  Di  quest'albero  si  ac- 
cennano solo  i  fioretti,  che  sono  un  saggio  delle  frutta  che  poi  ver- 
ranno a  suo  tempo,  perchè  li  tre  apostoli,  nella  Trasfigur. -.zirno  di 
Gesù  Cristo  furono  ammes-i  a  godere  solo  un  maggio  de' la  t'ìoiia 
di  Gesù  Cristo. 

*"  Che  del  6iu>  punì-  tee.  Il  gedim  nto  della  gloria  del  eie!*.1  non 


CANTO  XXX IL  691 

Pietro  e  Giovanni  e  Giacopo  condotti, 
E  vinti  ritornalo  alla  parola,  4* 
Dalla  qual  furon  maggior  sonni  rotti,  49 

E  videro  scemata  loro  scuola» 50 
80-         Così  di  Moisè,  come  d'Elia, 

E  al  maestro  suo  cangiata  stola  ;  M 

Tal  torna'  io,  e  vidi  quella  pia  l- 
Sovra  me  starsi,  clic  conducitrice 
Fu  de'  miei  passi  lungo  il  fiume  pria; 

E  tutto  in  dubbio  dissi:  Ov' è  Beatrice?  53 

è  soltanto  un  saggio  (fioretti)  come  quello  ch'ebbero  gli  Apostoli, 
ma  è  una  cosa  compita,  come  il  pomo  è  un  frutto  compito  dell'al- 
bero. In  terra  dunque  al  più  i  soli  fiori,  in  cielo  i  frutti. 

48  E  vinti  ritornaro  ecc.  Intendi  così:  E  dopo  di  essere  stati 
vinti  ed  oppressi  all'eccessivo  splendore  della  gloria  di  Gcaù  Cristo, 
poi  ritornarono  ìà  sensi  chiamativi  dalla  parola  di  Gesù  Cristo  me- 
desimo, che  disse  loro:  Surgitr ;  noliie  timerc. 

fc*  Dalla  qual  furon  ecc.  I  sonni  di  morte,  come  in  Lazzaro,  e 
in  t-.nli  altri. 

M  E  videro  scemala  ecc.  Non  videro  più  né  Mosè  né  Elia.  AIosò 
in  quella  occasione  faceva  da  rappresentante  della  Chieda  dell'  an- 
tico Testamento,  ed  Elia  della  Chiesa  del  nuovo,  perch'esso  dovrà 
venire  alla  fine  del  mondo  a  combattere  contro  l'Anticristo. 

si  E  al  maestro  suo  ecc.  Cioè  ritornato  alle  sue  vesti  di  prima, 
lasciate  le  candidissime  e  splendenti  della  Trasfigurazione. 

S2  Tal  tomaio  ecc.  Io.  che  come  quei  tre  apostoli,  mi  trovava  su 
un  monte,  com'easi  gustava  un  saggio  della  gloria  celeste,  com'essi 
vedea  Gesù  Cristo  e  le  due  Chiese,  coni'  essi  caddi  privo  de"  sensi 
al  trasformarsi  del  Grifoncda  simbolo  di  Gesù  Cristo  in  Gesù  Cristo 
reale,  e  glorioso,  pure,  coin'cssi,  mi  svegliai  riscosso  dalle  parole: 
Surgi  che  fui,  come  gli  apostoli  furono  riscossi  dal  Sur  gite,  noliie 
timere,  non  vedendo  più  la  processione  o  le  due  Chiese  di  prima,  come 
essi  più  non  videro  Mosè  ed  Elia,  e  vedendomi  star  sopra  una  persona, 
qual  era  Matilde,  come  gli  apostoli  videro  starsi  sopra  Gesù  Cristo. 

M  Ove  Beatrice?  Come  fa  chi  si  sveglia,  e  non  vede  tosto  tutti 
gli  oggetti  che  io  circondano.  Egli  chiede  della  sola  Beatrice,  come 
il  figliuolino,  quando  si  sveglia,  chiede  tosto  della  sua  madre.  TI 
vero  fedele  ricorre  sempre  alla  Rivelazione. 


692  PURGATORIO 

Ed  elht  :  Vedi  lei  sotto  1:\  fronda  :,i 
Nuova  sedersi  in  su  la  sua  radice.  *5 

Vedi  la  compagnia  clic  la  circonda;  hù 

Gli  altri  'dopo  il  Grifon  seti  vanno  suso,  •,,7 
9(ì-         Con  più  dolce  canzone,  e   più    profonda.  hs 

E  so  fu  più  lo  suo  parlar  diffuso  59 

Non  so,  però  che  giìi  negli  occhi  m'era 
Quella,  ch'ad  altro  intender  ru'avca  chiuso. 

Sola  sedeasi  in  su  la  terra  vera,  °° 

Come  guardia  lasciata  11  del  plaustro,  6I 
Che  Iettar  vidi  alla  biforme  fiera.  6* 


^»  iVrfi  /  t  s'A'g  fa  fronda  ecc.  C^me  Beatrice  siede  tra  il  carro 
e  la  pi  iuta  rinnovellat-i,  cosi  li  Rivelazione  siede  tra  la  Chiesa  e 
t'urn  tnità  redenta,  al  cui  servigio  ella  resta. 

^  In  su  Li  sua  radice.  La  Rivelazione  sic  le  in  Roma,  radice 
del  monÙM  cattolico. 

^  La  iOinpagnia  ecc.  Le  Ire  virtù  teologali  e  le  quattro  morali, 
che  stanno  sempre  colla  Uivelazionc.  e  Io  fannj  ouorc,  come  nncellc 
a  signora.  Chi  duuque  le  vuole  deve  ricorrere  alla  Rivelazione. 

57  CU  altri  dopo  il  Grifon  ecc.  E  Gesù  Cristo  che  nella  sua  glo" 
rioii  a*ceiis:oue  ritorna  al  Padre  onduccndodi  dietro  tanti  >anij 
dell'antica  e  dell i  nuova  Chiesa,  ai  quali  e^li  aperse  per  la  prima 
volta  le  porte  del  Celo. 

:,8  Cvit  pia  dolci  ecc.  Perche  vanno  alla  gloria  e  CV.po  e  Membia. 

w  E  se  fu  più  lo  suo  ecc.  Dante  e  tutto  inteso  alla  Rivelazione, 
perchè  des.'a  è  la  fola  guida  e  maestra  dell'uomo.  Ipsatn  audite 
Matilde  uc  è  il  suo  ministro,  che  rivolge  l'uomo  siila    Rivelazione. 

•>n  &>la  itdeasi  ecc.  Perchè  sola  ?  Perche  e  1 1  sola  maestra  del 
mondo.  Perchè  sed-.u  ?  Per  indicar  appunto  ch'ella  è  maestra,  e  clu* 
siede  colà  come  in  sua  e  Ut*  dra  Perche  la  sua  cattedra  è  la  t«.'ira, 
luogo  basso?  Perchè  la  Rivelazione  diede  dapprima  i  aioi  oracoli 
nella  povertà  delle  catacombe  e  delle  prigioni.  Perchè  è  tv  ria  vera? 
Perchè  la  sua  cattedra  è  cUtedra  di  verità. 

*'  Conie  guardia  ecc.  La  Rivelazione  veglia  sulla  Ch:c.-a  h  1  o- 
IcTL'iata.  come  dicemmo,  nel  carro 

*-  Che  le-'ir  cidi  ecc.  Gqù  Cristo  ha  legato  1  Chieda  colliiaia- 
cita  mediante  la  sua  croco. 


CANTO  XXXII.  693 

In  cerchio  le  facevan  di  se  claustro  03 
Le  sette  ninfe,   con  que'  lumi  in  mano,  ci 
Ohe  son  sicuri   d'aquilone  e  d'austro. 
100.    Qui  sarai  tu  poco  tempo  silvano,  r,i 
E  sarai  meco  senza  fine  ci  ve  6tì 
Di  quella  lioma  onde  Cristo  è  Komano:(JT 

63  In  cerchio  le  facevan  ecc.  Ornamento  della  Rivelazione,  come 
dicemmo,  sono  le  7  vii  tu.  Chi  sprezza  qu-lla,  sprezza  anche  queste. 

*>s  Con  qua'  lumi  in  mano  ecc.  Colla  Chiesa  fu  lasciata  da  Cristo, 
nel  suo  partire,  la  Rivelazione,  le  7  virtù,  e  lo  Spirito  Santo  che 
la  illumina  Questo  lume  dello  Spirito  Santo  inni  non  si  spegne  per 
forza  di  Vinti  anche  più  furiosi,  perchè  sempre  Io  Spirito  Santo 
illumina  e  dirige  la  Chiosa  eolla  sua  Rivelazione,  colle  sue  virtù, 
e  coi  sette  doni  di  lui.  Li  7  candelai);  i,  quando  il  Grifone  o  Gesù 
Cristo  era  in  terra,  non  erano  portati  da  nessuno,  ed  ora  non  por- 
titi dalle  7  virtù,  perchè  quand'era  in  terra  Gesù  Crbto,  lo  Spi- 
rito Santo  era  con  lui  ed  in  lui  e  per  lui  ;  ma  dopo  la  sua  partenza 
da  questo  mondo,  lo  consegnò  o  depose  hi  altre  inani,  nelle  mani 
de' ì:uoì  Apostoli,  sova  i  quali  per  mandato  di  Gesù  Cripto,  discese 
noi  giorno  della  Pentecoste. 

*W  Qui  earai  lu  ecc  Vivrai  tu  ancor  poco  tempo  in  questo  mondo 
eli*  è  diventato  ornai  una  solva  d'errori  e  di  vi/.;.  Dante  presentiva 
non  lontana  la  sua  morte.  Egli  avei  ragione,  perdi'  ebbe  appena 
tempo  di  comporre  la  terza  Cantica  dopo  la  quale  spirò  nel  132 L 
Egli  scrivea  questo  penultimo  Canto  (LA  Purgatorio  appena  dopo 
il  novembre  del  1311,  probabilmente  in  Lucca,  presso  la  fumosa 
Gentucca,  sua  ospite  generosa.  (Vedi  Purg.,  Canto  XXIV.  v.  *M, 
e  vedi  auchc  il  Canto  scg.,  v.  43), 

&»  E  8arui  meco  ecc.  Dopo  vorrai  con  me  eternamente  in  Para- 
diso ad  esservi  citfadino  perpetuo. 

«7  Di  qu.-lla  Roma  ecc.  La  Roma  del  Paradiso.  Secondo  Dante 
v'  hanno  due  Rome,  una  in  terra,  un'altra  in  ciclo,  a  quella  guisa 
medesima  die  sccorid-.»  S.  Paolo  v'hanno  due  Gerusalemme,  Tuna 
terrena  e  l'altra  celeste.  Ora  che  la  città  santa  non  è  più  Gerusa- 
lemme ma  Roma,  è  naturale  sostituir  R;ina  a  Gerusalemme,  clic 
più  non  C:iite  e  fu  ribelle. 

Onde  Crùio  è  Romano.  Di  cui  Cristo  è  capo  dei  cittadini.  Es- 
sendo la  Roma  celeste  la  sede  dell'Imperatore  cele  ite,  perciò  egli 
può  chiamarsi  colassù  il  vero  Imperatore  Romano. 


«9i  PURGATORI» 

Però,  in  prò  del  mondo  che  mai  vive,  cs 
Al  carro  tieni  or  gli  occhi,  e,  quel  che  vedi, 
Ritornato  di  là,  fa  che  tu  scrive. 

Così  Beatrice:  ed  io,  che  tutto  a'  piedi,  Ù'J 
De'  suoi  comandamenti  era  devoto, 
La  mente  e  gli  occhi,  ov'ella  volle,  diedi. 

Non  scese  mai  con  sì  veloce  moto  70 

,w  In  prò  ihl  mondo  ecc.  Alcune  delie  cose  che  IJanto  sarà  per 
dire,  Bono  veramente  in  prò  del  mondo  :  ma  alcune  altre  sono  piut- 
tosto il  frutto  di  un*  ira  ed  avversion  ghibellina  contro  la  Santa 
Sede,  colpa  le  «ne  idee  politiche,  le  quali  in  fatto  di  impero  Ro- 
mano, o  di  monarchia  universale,  non  erano  troppo  rette,  né  certo 
le  accetterebbero  presentemente,  anzi  essi  meno  di  tutti,  i  più  ac- 
caniti nemici  del  pot?r  temporale  dei  papi.  Bi-  gna  però  confessare, 
come  avremo  occasione  di  notarlo  con  più  diffusione  a  suo  luogo 
in  questo  medesimo  Canto,  che  un  grandissimo  male7  anzi  una  sor- 
gente di  mille  mali,  che  poscia  avvennero,  era  sorto  da  circa  dieci 
anni  nella  Chiesa,  od  era  il  trasporto  della  Santa  S*de  da  Roma  in 
Avignone  tri  gli  artigli  dispotici  dell'empio  Filippo  il  Bello.  Quando 
si  cousidcra  questo  fatto,  tatto  terribile  p?r  li  Chiesa,  e  gravido 
di  funestissime  conseguenze,  non  si  può  a  mei  ,>  di  usare  un  po'  di 
indulgenza  all'ira  Dantesca,  ed  alle  sue  aberrazioni.  Per  un  animo 
generoso,  e  disgustato,  è  una  gran  tentazione  lo  scandalo.  Ciò  pre- 
messo veniamo  alla  spiegazione.  Dante,  per  dar  maigior  peso  ed 
autorità  alle  cose  acerbe  che  tara  per  dire,  se  ne  fa  dar  il  mandato 
di  missione  da  Beatrice,  ossia  dalla  Rivelazione.  Questo  è  il  conte- 
nuto della  presente  terzina. 

fo»  Ed  lo  che  iutt*  a  pìcJi  ecc.  Non  ti  par  di  veder  qui  un  mis- 
sionario che  prendo  in  gin  kvIiìo  dalle  mani  del  Papa  la  bem  dizione 
e  le  patenti  por  ire  alii  conversione  del  mondo?  Questo  fa  il  Vv-ro 
fine  che  si  proti -se  Dant.*  nello  scrivere  la  Min  7>i"riw  i  Co'ncdia 
ritrar  il  umido,  che  md  vive,  dal  disordine  dei  pece  ito  qual  che 
egli  sia.  come  abbiamo  svolto  in  un'apposita  Tavoli,  la  prima  ùeì- 
V  Fnfm.'\  e  chi  dini?nt:ci  o  non  coirli^  nues*.>  fiue  genernle  rollo 
studio  di  quest'opera,  e  ne  sostituisco  un  suo  rart"co!nre,  falso  e 
mesch'no.  cono  fanno  ergili  tanti  po!ir"c.ì>tri.  u"*n  si  co:. forma  a  il»" 
vere,  infiiilor.i  d  1  poeti,  ne  perì''  a.f.ttf»  lo  sririt.».  e  n*»  di»gy:da 
nrsera-r.euio  la  dignità. 

"'■*  .V  -*ì  ,nv:»-"  -j-i"  cee.  Cor:ì'n%:a  oul  iì  r-oefc»  ^  far  *-\  >lori.-:  ,Vj!c 


CANTO  XXX IL  69* 

ilo.       Fuoco  di  spessa  uube,  quando  piove 
Da  quel  contine,  che  più  è  remoto. 

Coni' io  vidi  calar  l'uccel  di  Giove 

Per  l'arbor  giù,  rompendo  della    scorza,  7I 
Non  che  de?  fiori,  e  delle  foglie  nuove;  ri 

E  ferio  '1  carro  di  tutta  sua  forza,  73 

vicende  della  Chiosa.  La  prima  vicenda  sono  le  persecuzioni  degli 
impcrndori  romani  contro  di  lei.  persecuzioni  che  durarono  per  beu 
tre  secoli,  e  che  formano  l'èra  dei  martiri  sino  all'Imperador  Co- 
stantino. Secondo  l'uso  poetico,  questo  impero  romano  e  pagano. 
6  simboleggiato  nell'aquila  che  fu  lo  stemma  dell'  impero  romano. 
Per  indicare  la  furia  <;  la  ferocia  onde  si  persegli  tò  la  Chiesa  dai 
mostri  coronati  di  Roma  pagai -i,  si  paragona  l'aquila  romana  (uccel 
di  Giove)  al  fulmine,  ma  al  fulmine  che  ha  maggior  forza  distrug- 
gitrice,  che  ìì  quando  scende  dallo  più  alte  regioni  dell'aeie. 

71  Per  l'arbor  yih.  eco..  L'arbore  quale  lo  abbiamo  qui,  verdeg- 
giante e  fiorito  è,  corno  dceniuio,  la  umanità,  rigenerata  da  Gesù 
Cristo  mediante  la  unione  di  lei  al  carro  della  Chiesa.  Or  bene,  gli 
imperatori  romani  si  avventarono  per  tre  secoli  contro  questa  re- 
denta umanità;  e  contro  la  Chiesa  che  la  redenso,  e  fecero  ogni 
sforzo  per  istcrin'uarc  luna  e  Pulirà  del  mondo.  Perciò  si  dice  prima 
che  l'aquila  calò  giù  per  l'arbore,  e  dall'arbore  pnssò  ad  urtar  nel 
enrro.  Non  si  poteva  assolutamente  presentare  con  più  magnifiche, 
e  più  precise  idee  questo  san  Miinoso  periodo  della  storia  ecclesiastica. 
lì'ompmcio  della  scorsa.  —  Kon  che  ecc.  Si  dice  che  l'aquila 
rompe  non  già  tutta  la  scorza,  tutti  i  liori;  e  tutte  le  foglie,  ma 
I  arte  della  scorza,  dei  fiori  e  delle  foglie,  perchè  i  persecutori  ro- 
mani, sebbene  si  proponessero  di  affogar  tutti  i  cristiani  nel  loro 
sangue,  pure  non  ci  riuscirono  che  in  parte,  avvenendo  poi  per 
divina  disposizione  il  contrario  ai  loro  divisamenti,  perchè  quel 
mezzo  stesso  ch'esci  adoperavano  per  togliere  i  cristiani  dal  mondo, 
quello  serviva  invi  ce  ad  accrescerne,  il  numero:  ciò  che  fece  dire 
a  Tertulliano:  sangui;  martyru.m  semen  christianorum.  11  grande 
destino  dcl'a  cristianità  ò  di  essere  indefettibile,,  e  durar  se  mpre  sino 
alla  consumazione  de'  secoli. 

7*  Xuove.  Perchè  i  tre  secoli  di  persecuzioni  avvennero  nel  prin- 
cipio dell  a  cristianità,  e  si  scatenarono  contro  di  lei  fui  dalle  fasce. 

"3  E  fe.riol-  carro  ecc.    Perchè    i   persecutori  romani  nella  loro 
sete  di  sangue  cristiano  prendevano  massimamente  di  mira  il  corpo 


60G  PURGATORIO 

Ond'ei  piegò,  come  nave  in  fortuna,  74 
Vinta  dall'onde,  or  da  poggia,  or  da  orza. 
Poscia  vidi  avventarsi  nella  cuna  7S 
Del  trionfai  veicolo  una  volpe, 
12°-        Che  d'ogni  pasto  buon  parea  digiuna. 

ecclesiastico,  la  Chiesa  docente;  e  più  di  tutti  il  suo  supremo  pastore, 
il  romano  pontefice,  e  la  cattedra  romana,  sperando  chr  -penti  i  capi 
ed   i  condottieri,  facilmente  resterebbe  spento  il  cristiano  esercito. 

7i  Ona"ei  piego  come  ecc.  Con  queste  parole  ed  imigini  si  ac- 
cenna all'evidente  pericolo  che  corse  allora  la  Chiesa  di  and. ir  di- 
strutta dalla  violenza  cesarea,  e  sarebbe  stata  distrutta  in  effetto, 
s'ella  fosse  stata  opera  umana,  impotente  a  reggere  contro  assalti 
sì  replicati  e  feroci.  Ma  eli*  era  invece  opera  divina,  che  poteva 
e  doveva  bensì  essere  combattuta,  vinta  non  umi:  oppugnati  poteat, 
vinci  non  potest,  come  disse  un  santo  padre.  Perciò  il  poeti  pren- 
dendo l'imagine  dalla  navicella  evangelica,  ci  descrive  qui  la  Chieda 
in  pericolo  come  quel  mistico  legno  su  cui  giacca  Geeù  Cristo  dor- 
miente, anch'esso  flagellato  dai  marosi  a  destra  ed  a  manca,  anche 
caso  in  evidente  pericolo  di  affondare,  c/m.e  credeano  allora  gli 
apostoli  di  poca  fede,  dicendo  al  divino  Mastro:  Salva  nos  peri* 
mus.  E  Gesù  Cristo  li  ha  salvati,  come  salvò  la  sua  Chicca  dalle 
prime  persecuzioni,  ridonandole,  dopo  tre  secoli  di  continuo  sangue, 
la  pace:  ci  faci  a  est  tranquUlitas  magna.  Fin  qui  la  prima  vicenda 
od  il  primo  pericolo  della  Chiesa. 

7!>  Poscia  vidi  avvallarsi  ecc.  Pas3a  ali  i  seconda  vicenda,  o  al 
secondo  pericolo  della  Chiesa,  che  fu  l'eresia.  Perchè  l'eresia  e  rap- 
presentata da  una  volpe?  Perchè  la  volpe  è  ladra,  astuta,  ed  in- 
gorda; e  queste  qualità  sono  proprie  dell'eresia  e  degli  eretici.  Essi 
sono  ladri,  perchè  rubano  i  figli  alla  madre  loro,  la  Chiesa;  sono 
astuti  e  ingannatori,  perchè  per  rubare  i  figli  alla  Chiesa  si  atteg- 
giano in  atto  di  pietà,  e  di  amore  alla  verità  ed  alla  fede;  :ono 
ingordi,  perchè  poi  fanno  strage  di  quei  semplicioni  che  loro  si  affi- 
dano, strage  temporale  e  poi  eterni,  e  perchè  il  principio  che  li 
muove  e  sempre  un  loro  interesse,  e  non  ma"  -m  vero  intcre3=c  dei 
credenti.  Perchè  si  dice  che  la  volpe  si  avventa  nella  cuna  del 
carro?  Perchè  l'eresia  e  gli  eretici  nascono  nel  tcno  della  Chiesa, 
che  qui  si  chiama  trionfai  veicolo,  pei  trionfi  già  riportati  sugli 
imperatori  pagani.  Perchè  si  dice  che  parti  digiuna  d'ogni  buon 
pasto?  Perchè  l'eresia  si  pasce  di  «oli  errori  e  menzogne.  Il  poeta 


CANTO  XXXII.  G97 

Ma  riprendendo  lei  di  laide  colpe,  76 
La  donna  mia  la  volse  in  tanta  futa,  77 

pone  l'eresia  dopo  l'èra  dei  martiri,  perchè  appena  la  Chiesa  ebbe 
la  paca  sotto  Costantino,  sorse  l'eresia  di  Ario,  la  più  terribile  delle 
eresie,  perchè  ini  acci  va  la  divinità  del  Verbo  incarnato  fondator 
della  Chiesa. 

"<*  Ma  riprendendo  lei  ecc.  Veramente  la  Chiesa  non  avrebbe  a 
far  altro  per  confondere  e  debellare  l'eresia,  e  gli  eretici,  che  rin- 
facciare ad  essi  la  loro  vita,  lorda  di  laide  colpe,  fra  le  quali  seni- 
prò  primeggia  V  incontinenza.  E  questo  infatti  è  quello  che  ha  fatto 
la  Chiesa,  oltre  le  definizioni  dogmatiche  ne'  suoi  ecumenici  concilii. 
Qui  si  allude  al  Concilio  ecumenico  di  Nicca  dove  furono  condan- 
nati gli  errori  di  Ario.  Ma  per  questa  eresia  e  per  questo  Concilio 
s'intendono  tutte  l'altre  eresie,  e  gli  altri  Concilii;  perchè  al  poeta 
basta  un  accenno. 

77  La  donna  mia  ecc.  La  Rivelazione.  Quando  la  Chiesa  com- 
batte gli  eretici  e  stabilisce  la  verità  ai  loro  errori  contraria,  essa 
oppone  loro  la  K ivelazione.  Io  non  posso  tollerare  che  qui  e  per 
tutto  altrove  i  Commentatori  riconoscano  in  Beatrice  la  Teologia. 
Altro  è  Teolog'a  ed  altro  Rivelazione.  La  Teologia  è  la  scienza 
delh  Rivelazione.  Quella  6  il  risultato  dello  studio,  questa  è  un 
sacro  deposito  lasciato  dallo  Spirito  Santo  alla  sua  Chiesa  prima 
ancora  della  Teologia.  La  Teologia  è  nelle  Scuole,  la  Rivelazione 
è  nella  Chiesa.  La  Teologia,  non  ostante  i  suoi  profondi  studi,  po- 
trebbe errare,  ed  errò  talvolta  anche  in  qualche  padre  famoso,  e 
persino  santo  e  persino  martire;  ma  la  Rivelazione  non  errò  mai, 
ne  mai  po'ra  errare.  La  Rivelazione  è  la  maestra  della  Teologia, 
e  questa  non  può  che  estendere  la  parole  ed  in  principii  quello  che 
le  viene  da  essa  insegnato.  Finalmente  ncn  è  alla  scienza  Teologica 
che  si  attribuisce  l'autorità  delle  definizioni  dogmatiche  e  morali, 
che  si  devono  tenere  infallibili,  ma  questa  autorità  si  attribuisce 
soltanto  alla  Rivelazione,  ovvero  al  custode  di  essa,  il  Romano  Pon- 
tefice. Supponete,  come'  caso  solo  ipotetico  che  un  Romano  Ponte- 
fice non  avesse  mai  sludiato  la  Teologia;  sarebbe  egli  pjr  questo 
fallibile  quando  parla  come  capo  della  Chiesa?  No;  perchè  avrebbe 
sempre  a  maestra  la  Rivelazione  che  noi  lascerebbe  errare  giammai. 
Da  tutto  questo  si  vede  con  quanta  poca  precisione  parlino  i  com- 
mentatori quando  a  Beatrice  danno  la  rappresentanza  della  Teologia, 
mentre  invece  devono  darle  la  rappresentanza  della  Rivelazione,  come 
è  chiaro  da  tutti  i  passi  Danteschi,  e  da  questo  che  abbinili  \ter 
mano.  —  In  tanta  futa.  Tu  tanta  fuga. 


698  PURGATORIO 

Quanto  sofferson  Tossa  senza  polpe.  T8 
Poscia,  per  indi  ond'era  pria  venuta,  7D 
L'aquila  vidi  scender  giù  nell'arca  *° 
Del  carro,  e  lasciar  lei  di  so  pennuta.  81 

78  Quanto  tofferson  ecc.  Dunque  una  fuga  la  più  precipitosa, 
perchè  non  impedita  dalla  pinguedine,  ma  invece  aiutata  dalla  ma- 
grezza. 

L'eresia  e  gli  eretici  si  dipingono  mngii.  perchè  non  si  cibano 
di  cibi  sostanziosi,  quali  sono  il  latte  della  propria  madre  che  sono 
le  verità  della  Chiesa,  ma  si  cibano  di  vento,  o  d'altre  cose  simili 
vane,  alle  quali  si  rassomiglia  Terrore  e  la  menzogna. 

Quindi  è  che  l'eresia  è  dannata  fin  dal  suo  nascere  a  morire 
di  etisia,  mentre  la  verità  non  muore  mai,  e  si  rinforza  quand'è 
combattuta.  Seconda  vicenda,  o  secondo  pericolo  dell*  Chiesa. 

79  Poscia  per  indi  ecc.  Dal  cielo  per  essere  la  stessa  aquila  del- 
l'impero  romano.  Viene  alla  terza  vicenda  o  pericolo  della  Chiesa, 
lo  donationi  ed  i  domini  temporali.  Qui  è  dove  la  passion  del  poeta 
si  manifesta. 

80  L'aquila  vidi  ecc.  Prima  l'aquila  urtò  il  carro  al  di  fuori  senza 
penetrar  nell'arca  del  carro,  perchè  quando  l'impero  romano  per  tre 
secoli  perseguitò  la  Chiesa  fu  pagano,  e  da  pagano  la  perseguitò 
vivendosene  egli  fuor  della  Chiesa.  Ma  ora  l'aquila  entra,  ed  entra 
amica  nell'arca  del  carro,  perchè  l'impero  romano  nella  persona  di 
Costantino  il  grande  entrò  come  fedele  nella  Chiesa,  e  si  fece  di 
lei  seguace.  Fu  allora  che  fu  approvato  lcgalmen-  e  il  eulto  cristiano, 
e  sol  tollerato  il  pagano. 

8t  E  lasciar  lei  di  sé  pennuta.  L'aquila  entrata  nella  Chiesa  vi 
lasciò  delle  suj  penne,  ossia  in  senso  allegorico,  ma  primieramente 
inteso,  Costantino  facendosi  cristiano  donò  alla  Chiesa  ciò  che  ap- 
parteneva all'imparo  romano.  Non  si  crede  comunemente  che  queste 
donazioni  costantiniane  fodero  diritti  sovrani,  ma  è  certo  almeno 
che  furono  possessioni  e  tesori  muniflcentissiini.  Dissi  testé  :  dona- 
zioni, ma  lo  dissi  abusivamente,  perchè  Costantino  medesimo  non 
le  intese  per  donazioni,  ma  per  necessarie  restituzioni  e  giusti  com- 
pensi, sebbene  in  ragione  assai  scarsi,  alla  Chiesa  per  quel  molto 
più  di  che  l'ave i  spogliata  prima  pel  corso  di  tre  secoli  l'impeio 
pagano.  Esiste  ancora  un  decreto  di  Costantino  che  attcsta  queste 
sue  intenzioni  di  giustizia  nel  dare  alla  Chiesa.  Dissi  anche  di  sopra 
che  non  si  crede  comunemente  che  queste  cosi  dette  donazioni  fos- 
sori» diritti  sovrani  ma   possessi  priv.ìti,  porcile   tubini    non  sono  di 


canto  xxxrr.  G9<» 

E  qual  esce  di  cuor  che  si  ram  marca,  *2 
Tal  voce  u.scl  dal  cielo,  e  cotal  disse:83 
O  navicella  mia,  corri'  mal  se'  carca!81 

• 

questa  comune,  sentenza,  ma  opinano  che  nel  lasciato  vi  avessero 
anche  diritti  regi,  secondo  l'atto  di  donazione,  che  si  teneva  auten- 
tico nei  medio  evo.  Forse  questi  hauno  più  ragione  degli  altri  se  non 
iu  principio  della  conversione  di  Costantino,  almeno  in  seguito  quando 
trasportò  la  sede  dell'impero  da  Roma  a  Bisanzio;  cosa  che  non 
si  può  spiegare  in  politica  in  quel  grand' uomo,  che  pure  era  tanto 
politico,  senza  supporre  in  lui  una  v -tonta  che  il  papa  governasse 
almen  quella  Roma  che  gli  lasciava.  Certo  che  di  questo  parere  era 
pur  Dante,  quando  scrisse  nel  Canto  XX  del  Paradiso  che  Costan- 
tino: Per  cedere  al  Pastor  si  fece  greco.  Noi  aderiamo  alla  sen- 
tenza di  Dant»1,  tanto  più  che  spigando  Dante,  dobbiamo  ritenerlo 
nel  suo  concetto,  e  non  attribuirgli  i  concetti  moderni.  Chi  vuol  qualche 
lume  di  più  in  questa  materia  legga  le  bellissime  considerazioni  di 
monsignor  Nardi,  che  si  trovano  neir./rmo/iia  17  aprile  1862;  ed 
oltre  di  questo  il  V  secolo  del  Cristianesimo  di  Osannun,  dove  poco 
dopo  Costantino  si  trova  il  clero  a  capo   di   amministrazioni  civili. 

**  E  qual  esce  ecc.  Qual  ò  quella  voce  che  esce  da  un  cuor  do- 
lente per  una  qualche  sciagura. 

83  Tal  voce  uscì  dal  cielo  ecc.  II  poeta  fa  uscir  dal  cielo  la 
disapprovazione  alle  cosi  dette  donazioni  costantiniane,  per  dare  ad 
essa  disapprovazione  più  di  autorità,  una  autorità  divina. 

M  O  navicella  mia  ecc.  Souo  parole  che  il  poe.a  fa  dire  a  Gesù 
Cristo  medesimo  dal  cielo.  Gebù  Tristo  appella  la  Chiesa  la  navi- 
cella sua,  perchè  egli  stesso  ce  la  volle  rappresentare  sotto  questa 
figura  sul  mare  di  Tiberiade.  —  Com'mil  se  carca!  Quanto  ti  sta 
male  questo  peso  terreno!  Si  sa  che  le  ricchezze  ed  i  domini  tem- 
porali sono  pe^  so  stessi  un  pericolo,  pericolo  pei  secolari  e  pericolo 
pngli  ecclesiastici.  Si  vorrebbe  forse  conchiuder  da  questo  che  dun- 
que gli  ecclesiastici  devono  ppogliusene  ?  In  tal  caso  dovrebbono 
spogliarsene  per  la  medesima  ragù  ne  anche  i  secolari:  anzi  più 
questi  che  quelli,  per  il  maggiore  percolo,  e  per  il  maggiore  abuso,  e 
per  la  minore  utilità  publica  che  è  nei  secolari  ricchi  o  dominauti,  che 
non  negli  ecclesiastici  dominanti  o  ricchi.  Bisognerebbe  rinnegare  tutta 
la  storia  per  non  riconoscere  gl'infiniti  vantaggi  che  vennero  al  mondo 
dai  domini  temporali  della  Chiesa,  e  specialmente  da  quello  della  Santa 
Sede,  non  ostante  che  si  suppongano  alcuni  abuù  inseparabili  dal- 
l'umana fragilità.  Quantunque  S.  Bernardo  riconoscesse  un  pe.  ieolo 


700  PURGATORIO 

130.    p0i  parve  a  me  che  la  terra  s'aprisse  ** 

TV  ambo  le  ruote,  e  vidi  uscirne  un  drago, 
Che  per  lo  carro  su  la  coda  tìsse  : 

nei  domini  temporali  del  papa,  come  Io  riconosceva  in  qualuuque 
dominio;  pure  non  consigliò  mai  il  papa  a  spogliarsene,  anzi  lo  ec- 
citò a  tener  fermo.  Per  questo  scrivea  a  Corrado,  imperador  te- 
desco, di  venire  in  Italia  a  sottomettere  al  papa  colle  armi  i  faziosi 
romani,  invitandolo  colle  pare  le  del  salmo  44,  ¥3:  «  Cingi  a*  taci 
fianchi  la  taa  spada,  o  potentissimo.  La  vittoria,  come  in  Dio  con- 
fidiamo, sarà  tai.  La  superbia  e  l'arroganza  de*  Romani  è  mag- 
giore della  loro  fortezza»  (epist.  241).  E  nel  Lib  4,  c&p.  3  de 
Contidera tione  scrivea  cosi  :  «  La  Chiesa  dunque  ha  dne  spade  (po- 
deotà),  i'una  spirituale,  e  l'altra  materiale  *.  —  E  Bernardo  che 
parla  cosi  è  quegli  stesso  che  Dante  prendo  a  sua^uidapiù  santa 
e  più  efficace,  a  intercessor  più  potente  per  ottener  le  grazie  più 
elette  in  fine  del  Paradiso.  Del  resto,  per  giudicar  rettamente  le 
opinioni  di  Dante  in  questa  materia,  convien  sempre  avere  presenti 
due  regole  di  criterio:  l.*  che  egli  colpisce  l'abu3o  ;  2.*  che  il  mo- 
tivo specialissimo,  per  cui  Dante  inveisce  talvolta  contro  il  potere 
temporale  dei  Papi,  si  è  non  già  la  disapprovazione  del  loro  po- 
tere territoriale  considerato  in  sé  stesso,  ma  il  fuLo  timore  che  egli 
avea,  non  forse  i  Papi,  giovandosi  del  pottre  territoriale  si  usur- 
passero il  potere  politico  universale,  che  egli  lamentava  trascurato 
in  gran  parte  dagli  Imperatori  ;  come  abbiamo  già  provato  con  ra- 
gioni ed  autorità  nel  commento  al  Canto  XIX  di  questa  Cantica , 
al  qu-ile  preghiamo  i  lettori  di  aver  l'occhio  e  per  questo  e  per  altri 
simili  luoghi. 

W  Poi  p'irve  a  me  che  la  terra  ecc.  Viene  alla  quarta  vicenda 
amarissima  che  sostenne  la  Chiesa  per  la  introduzione  del  Maomet- 
tismo nel  VII  secalo  eli 5  tolse  al  cristianesimo  una  gran  parte  del- 
l'Asia, tutta  l'Africa,  ed  una  parte  d'Europa  nella  Scagna  e  nella 
Sicilia,  colla  minicela  del  resto.  Per  descrivere  Maometto  e  le  sue 
opere  sozzo: 

a)  Lo  fa  uscir  dalla  tìrra  che  a'ap  e.  Poi  pur  ve  a  me  che  la 
terra  s'aprisse,  e  non  dalla  cuna  del  carro,  come  l'eresìa,  per  in- 
dicare che  il  Maomettismo  non  è  propriamente  un'eresia  sorta  da 
un  uomo  appartenente  alla  Chiesa,  ma  è  un  sistema  di  religione 
tutto  nuovo,  creato  da  u  i  uomo  estraneo  alla  Chiesa,  uomo  che  non 
può  essere  stato  vomitato  su  questa  tirra  che  dalle  voragini  d'abisso. 

h)  Lo  fa  userò  tr'ambo  h  rnot*\    perche    Maometto    e   il   suo 


CANTO  XXXII.  701 

E,  come  vespa  che  ritragge  1'  ago, 
A  sé  traendo  la  coda  maligna, 
Trasse  del  fondo,  e  gissen  vago  vago. 

maomettismo  si  stabili  dapprima  tra  la  Chiesa  d  Oriente  e  quella 
d'Occidente,  occupando  il  centro  dei  mondo,  che  secondo  la  geo- 
grafìa D.uitejoa  sarebbe  Gerusalemme  e  ìe  parti  intorno  a  quel  meri- 
diuio  e  a  quelle  latitudini.  La  Mecca,  patria  di  Maometto  in  Arabia, 
è  pic3so  a  poco  nella  stessa  longitudine  di  Gerusalemme,  e  le  imprese 
di  Maometto  e  de'  suoi  si  tennero  dapprincipio  su  questa  direzione 
centralo  tra  l'Oriente  e  1'  Occidente  invadendo  l'Egitto  e  la  Siria. 
e)  CV  Io  presenta  sotto  la  figura  di  un  drago  o  serpente  alato, 
e  vidi  uscirne  un  drago,  per  indicare  quattro  proprietà  del  mao- 
mettismo rispondenti  alle  quattro  proprietà  del  dragone. 

I.  Il  dragone  è  un  serpente  velenosissimo.  Quest'è  il  veleno 
dv'IIa  dottrina  maomettana. 

II.  Il  dragone  è  un  serpente  alato,  che  striscia  e  che  vola, 
e  cosi  è  un  mostro.  Quest'è  la  mostruosità  del  maomettismo,  si- 
stema religioso  il  più  empio,  composto  di  priucipii  più  ripugnanti, 
un  amalgamcnto  di  credenze  tolte  dal  cristianesimo,  dall'ebraismo, 
e  dal  pagaueiimo,  corrompendo  il  buono  e  peggiorando  il  cattivo. 

III.  Il  dragone,  in  quanto  striscia  come  rettile  al  suolo,  è 
simbolo  della  bassa  carnalità  a  cui  il  maomettismo  trascina  il  mondo. 

IV.  Il  dragone,  in  quanto  e  volatile,  e  simbolo  della  rapi- 
dità con  cui  il  maomettismo  si  propagò  allcttando  coi  piaceri,  e 
spaventando  con  inesorabile  scimitarra. 

dj  Gli  fa  torcer  la  coda  contro  il  fondo  del  cirro,  e  per  lo 
cairo  su  la  coda  fisse.  Il  fondo  della  Chiesa  è  il  luogo  ov'ella  co- 
minciò, che  è  l'Asia  occidentale;  e  appunto  Maometto  contro  questa 
patte  volse  i  suoi  fanatici  furori. 

e)  Lo  rassomiglia  alla  vespa,  e  come  ve*pa  per  la  ferocia  e 
rabbia  di  quella  setta  che  si  proponeva  la  morte  e  la  distruz  one 
di  quanti  e  di  quanto  si  opponeva  al  maomettismo. 

fj  Lo  rassomiglia  alla  vespa  nell'atto  che  adopra  il  suo  pun- 
g  gl'ione  contro  la  gente,  e  lo  ritragge,  per  indicare  che  l'argomento 
di  persuasione  adoperato  dal  maomettismo,  fu  la  sciabola  stermi- 
natrice, colla  quale  punse  il  cristianesimo. 

gj  II  drago  ritrae  la  coda,  e  parte  del  fondo  che  .i  attaccò  alla 
coda,  per  indicar  che  il  maomettismo,  col  fanatico  furore  delle  sue  armi, 
trasse  alla  sua  setta  uua  parte  del  fondo  della  Chiesa  cristìaua,  ossia 
dapprima  una  parte  dell'Asia  occidentale  e  d'altri  luoghi  circostanti. 


.j 


702  PURGATORIO 

Quel  che  rimase,  coinè  di  gramigna  s; 
Vivace  terra,  della  piuma  offerta 
Forse  con  ititenzioci  casta  e  benigna, 

h)  II  dr.i^o  dopo  quoiU  r  ipiua  va  girovagando  qua  e  là,  e 
giòsen  vago  vago,  per  indicare  i  molti  progressi  del  maomettismo 
lino  ai  tem^i  di  Dante  quando  i  maomettani  s'erano  già  scarsi  per 
la  massima  parte  dell'Asia,  p-;r  tutta  r Africa  allor  conosciuta,  per 
una  parte  di  Spagna,  e  minacciane  d'invadere  molte  altre  parti 
del  continente  europeo,  come  di  fatto  avvenne  circa  due  secoli  dopo 
Dante,  non  ostante  le  immense  sollecitudini  di  tutti  i  papi  per  ar- 
restarne i  malaugurati  progressi,  agli  sforzi  di  soli  i  quali  dobbiam 
saper  grado  se  in  oggi  l'Europa  non  e  tutta  barbara  e  mussulmana. 
Non  vuoisi  passar  sotto  s  lenzio  per  la  piena  intelligenza  delle  pa- 
role: A  st  traendo  la  coda  maligna, —  Trasse  del  fondo,  cc<\,  che 
Dante  tolse  questo  concetto  dall'. ipocalisse,  XI!.  4,  dove,  parlan- 
dosi di  un  fatto  simile,  cioè  di  aver  Lucifero  tirato  con  sé  una  parte 
di  angeli,  si  dice  :  Et  cauda  eitis  (rhaebat  tertiam  par  Lem  ttlellu- 
rum  coeli.  La  coda  di  Lucifero  fece  in  cielo  quello  che  in  tena  foce 
poi  la  coda  di  Maomett  >. 

*»  Quel  che  rimale  ecc.  Costruisci  cosi:  Come  vivai  e  terra  si 
copre  di  gramigna,  cosi  quel  che  rimase  del  carro  dopo  il  distac- 
camento di  una  parte  del  suo  fondo,  si  ricoperse  della  piuma  of- 
ferta ecc.  Queàt'è  la  quinta  vicenda  della  Chiesa.  La  piuma  'asceta 
prima  nell'arca  del  carro,  era,  come  dicemmo,  la  com  detta  dona- 
zione costantiniana,  che  al  più  poteva  comprender  Roma,  ed  altre 
poche  parti  a  Homi  circonvicine,  conosc'ute  sotto  il  nome  di  Pa- 
trimonio di  8.  Pietro.  Or  bene  :  a  quei  primi  domini  tempora' i  non 
andò  guari  eh  2  se.  ne  aggiunsero  degli  altri  tanto  alla  Chic. a  ro- 
mana, quanto  ad  altre  Chiese  in  Italia  e  fuori  specialmente  in  Cìe.- 
mania.  Per  quel  che  riguarda  la  nuova  cstensiou  di  diurni  della 
Chiesa  romana,  s'  intendono  le  Romagne,  le  Marche  e  1  Umbria, 
conosciute  dipo  l'estinzion  dell'impero  romano  in  recidente,  sotto 
il  nome  di  Esareao  di  Rivenna.  sul  quale  gli  imperad  ri  greci  ac- 
campavano, è  vero,  pretese  di  proprietà,  senza  volerne  sostenere  i 
pesi  relativi,  per  cui  queste  parti  erano  lasciate  esposte  al  furore 
delle  grandi  emigrazioni  barbariche:  ondt\  come  Sta'i  abbandonati, 
necessariamente  dovettero  rivolgersi  al  papa,  che  solo  li  poteva  in 
qualche  modo  dif  ndcre,  parte  col  poso  della  sua  divina  autorità 
rispettata  fino  da;  barbari,  e  parte  coll'eftieacia  organizzatrice  ed  u.;i- 
flcatrice  delle  forze  disgregate,  eh».1  cola  è  propria  del  cristi;. uec-iuio 


CANTO  XXXII.  7n3 

Si  ricoperse,  e  futine  ricoperta 
140.        E  l'uria  e  l'altra  ruota,  e  il  temo   intanto, 
Che  piti  tiene  un  sospir  la  bocca  aperta. 

per  la  carità  che  Io  informa.  Da  questi  bisogni  dei  popoli  per 
una  parte,  e  dalla  sola  forza  .soccorritrice  del  papato,  sorsero  alla 
Chiesa  romana  nuovi  domini  nel  centro  d'Italia.  Dietro  questo  esem- 
pio, felice  per  le  popolazioni  romane,  s' invogliarono  altre  popola- 
zioni d' Italia  a  fare  lo  stesso,  perchè  anch'esce  erano  abbandonate 
e  lisciate  preda  dei  barbari  dagli  impotenti,  e  sacrileghi  impera- 
dori  d'oriente;  onde  la  marsina  parte  d'Italia,  compresa  la  Sicilia 
ed  altre  isole  del  Mediterraneo,  si  diedero,  o  direttamente  come  veri 
budditi,  o  indirettamente  come  vaselli  e  protetti  sotto  il  dominio 
papale.  Ognun  vede,  che  pei  tempi  calamitosi  che  allor  correvano, 
i  papi,  accettando  dai  popoli  il  loro  governo,  non  solamente  fecero 
opera  caritatevole,  e  di  sommo  interesse  religioso  e  civile,  ma  opera 
pur  di  giustizia,  non  potendo  i  papi  rifiutare  senza  grave  detrimento 
della  religione  e  dell'anime  dall'assumernc  le  necessarie  difese.  Tanto 
più  che  all'abbandono  in  cui  erano  lasciati  i  popoli  d'Italia  dagli 
imperadori  d'oriente,  si  aggiungeva  la  guerra  aperta  che  gl'impe- 
radori  medesimi  facevano  da  Costantinopoli  alla  religione  cattolica 
in  Italia,  onde  i  popoli  anche  per  principio  religioso  si  straniarono 
H-tnpre  più  da  quegli  iniqui  padroni,  e  sentivano  uu  prepotente 
bisogno  per  la  salvezza  delle  loro  animi-,  di  farsi  sudditi  o  almeu 
vassalli  del  primo  pastor  delle  anime,  il  Rumano  Pontefice. 

Intanto  in  Italia  alle  prime  invasioni  di  barbari  succedevano 
le  seconde,  e  le  terze  lino  ai  Longobardi,  ed  ognuna  di  queste  in- 
vasioni rincalzava  maggiormente  il  bisogno  nei  popoli  di  strìngersi 
sempre  più  al  Roun.no  Pontefice.  Verso  T800  il  dominio  temporale 
della  S.  Sede  era  già  tanto  consolidato  che  Pipino  e  Carlo  Magno 
bono  chiamati  in  Italia  dal  papa  per  toglie,  e  ai  Longobardi  gli 
stati  alla  Chieda  rapiti  ;  onde  Pipino  e  Carlo  Magno  non  d<  nano 
ma  restituiscono,  e  svi  donano,  non  donano  se  non  quello  che  ancora 
al  pipa  non  si  era  assoggettato  nei  tempi  anteriori. 

Intanto  nell'800  si  crea  da  papa  Leone  l'impero  romano,  e  lo 
si  crea  senza  pregiudizio  de'  i?uoi  temporali  domini,  anzi  si  dà  )>er 
fine  a  questa  gigantesca  istituzione  prima  di  tutto  la  difesa  della 
religione,  e  poi  la  difesa  della  giustizia  in  tutte  le  parti  del  romano 
impero  e  specialmente  del  dominio  temporale  della  fc>.  Sede.  Questo 
e  il  secolo  in  cui  anche  le  altre  chiese  figliali  di  Roma  (prima  delle  quali 
fu  Aquileja,  secondo  il  Muratori)  sono  dotate  di  temporali  domiui,  con 


704  PITKGATOMO 

Trasformato  cosi  il  difìeio  s:intu  *T 
Mise  fiK»r  teste  per  le  parti  sue.  s^ 
Tre  sovra  il  temo,  ed  ima  in  ciascun  canto.   ' 


diritti  sovrani,  diritti  clic  in  Italia  cessarono  di  n:ai;u  in  mano  che  iA 
venne  sviluppando  il  municipale:!. o  intorno  al  eccolo  XII.  e  che  con- 
tinuarono più  a  lungo  in  Germania,  caduti  nella  massima  parte  sotto 
le  zanne  della  liifoima,  e  il  resto  sotto  l'impero  del  primo  Napoleone. 
Questo  è  quanto  volle  accennar  Daute  quando  disse  che  quel 
che  rimase  del  carro  si  ricoperse  di  piuma.  E  vero  ch'egli  ci  vede 
un  male  per  la  Chiesa,  come  più  aperto  dirà  da  qui  a  poco,  e  comò 
indi  rettamente  accenna  in  questo  luogo  medesimo  colla  similitudine 
della  gramigna,  erba  perniciosa  alla  terra,  o  col  giudizio  ch'egli  fa 
dolia  forse  buona  in  tenzono  di  Costantino;  ina  il  male  che  ci  ved^ 
Dante  non  è  che  effetto  di  parte,  e  il  suo  pregiudizio  non  può  di- 
strugger la  Storia.  Questo  ami  dev'essere  un  argomento  per  tutti 
a  guardarsi  di  non  dar  luogo  a  passioni,  che  rendono  ciechi  perfino 
gli  uomini  più  intelligenti.  Quauto  poi  alla  rapidità  onde  la  Chiesa 
in  tutte  parti  divien  sovrana,  E  fu  une  ricoperta  —  E  Vuna  e  l'altra 
ruota,  e  il  temo  in  tanto  —  Che  piò,  iie/i*  un  sospir  la  bocca  t. perla: 
essa  rapidità  non  fu  veramente  sì  breve  quanto  è  breve  un  sospiro, 
ma  bi  dà  questa  similitudine  solo  per  uua  iperbole,  cioè  per  dire 
assai  presto,  perchè  la  Chiesa  romana,  e  le  altre  vescovili  in  quei 
secoli  oscuri  si  trovarono  al  possesso  del  governo  civile  por  un  vero 
bisogno  ed  uno  slancio  istantantaneo  dei  popoli,  i  quali  vedevano 
o  di  non  poter  ecser  governati  da  nessuno  o  sol  dalla  Chiedi. 

*"  Trasformato  ecc.  Per  questa  coperta  di  piuuc,  o  di  temporali 
domini  in  tutte  sue  parti,  che  noi  facevano  più  conoscere  pel  carro 
di  prima. 

*s  Mite  fuor  teste  ecc.  Sesta  vicenda  della  Chiesa,  (biacche  tutto 
il  carro  diventò  pennuto,  culle  penne  dell'aquila  romano,  che  sini- 
boli'ggiano  i  temporali  domini,  quel  carro,  o  quella  chieda,  era  dive- 
nuto come  un'unione  confusa  di  molte  aquile  senza  testa.  Ebbene, 
il  poeti  gliele  dà,  ma  invece  di  dargliele  di  aquila,  gliele  dà  di 
mostro,  perchè,  sconcio  lui,  la  chiesa  coi  domini  temporali  divenne 
mostruosa.  Già  dicemmo  invece  che*  gu:ii  ai  popoli,  alla  lor  religione 
ed  alla  lor  civiltà,  se  il  governo  di  essi  in  quei  secoli  si  barbari 
nou  fosse  passato  in  man  della  Chiesa  <>  in  tutto  o  in  parte. 

w  Tre  sovra  il  'emo  cc\  La  direzione  di  tutta  la  Chic- a  sta  nella 
Santa  Sede  romana,  ernie  sta  ini  limone  la  direzione  del  carro. 
Ebbene,  il  timone  si  prende  qui  per  Udina  papale,  e  i  quattro  cauti 


C  ANTO  XXXII.  705 

Le  prime  eran  cornute  come  bue;  w 

Ma  le  quattro  un  sol  corno  avean  per  fronte  : 
Simile  mostro  visto  mai  non  fue,  91 

Sicura,  quasi  rocca  in  alto  monte, 92 
Seder  sovr'esso  una  puttana  sciolta  93 

del  carro  si  pi  endono  per  le  altre  chiese  figliali  Siccome  la  Chiesa 
romana  era  quella  clic  possedea  più  che  le  altre  Chiese,  così  il  poeta 
fa  spuntar  sul  timone  tre  teste,  ed  una  per  ciascun  canto. 

^0  Le  prime  eran  cornute  ecc.  Tanto  le  tre  teste  del  timone, 
quanto  le  quattro  dei  quattro  canti,  erano  tutte  teste  di  bue,  per- 
chè il  bue  è  il  simbolo  dei  sacerdoti,  e  dei  ministri  del  santuario, 
dei  quali  appunto  qui  si  parla;  oppure  è  il  simbolo  dell1  autorità 
sacerdotale  che  è  nella  Chiesa,  la  quale  qui  si  rappresenta  nella 
sua  trasformazione  subita  dal  momento  che  ebbe  temporali  domini. 
Ma  le  tre  teste  del  timone  aveano  due  corna  per  indicare  la  mag- 
giore potenza  temporale  della  prima  Chiesa  madre  di  tutte  l'altre: 
e  le  quattro  dei  quattro  canti  non  aveano  che  un  corno  salo  per 
indicare  la  minore  potenza  temporale  che  aveano  le  minori  Chiese. 

'Ji  Simile  mostro  ecc.  Un  mostro  simile  fu  visto  da  S.  Giovanni 
Evangelista,  dal  quale  pare  averlo  imitato  il  poeta.  La  descrizione 
6  nel  XVII  deU'^poc.  :  Et  vidi  mulierem  sedentem  super  Òestiam 
coccineaia  plenam  vominibus  blasphemiae.  habentem  capita  sepiem 
et  comua  decem. 

92  Sicura,  quasi  rocca  ecc.  La  persona  che  si  fa  sedere  in  mezzo 
al  carro  rappresenta  il  papa,  il  papa  dil  momento  ch'ebbe  tempo- 
rali domini  in  poi,  cioè  almeno  dall' 800  in  poi;  nei  quali  secoli 
suppone,  e  suppone  a  torto  il  poeta,  che  il  papa  facesse  vita  grande 
e  superba,  tutto  fidato  nella  sua  potenza  temporale,  e  perciò  para- 
gonato ad  una  rocca  in  alto  monte,  come  usavano  avere  i  grandi 
baroni  e  signori  del  medio  Evo. 

98  Seder  8t>vr'  esso  una  ecc.  Irriverente  ed  empia  al  sommo  è  qui 
la  poesia  di  Dante,  quantunque  sia  impareggiabile  nel  merito  come 
poesia.  Ma,  ripetiamolo,  la  passione  eccessiva  di  parte  lo  accecò,  e 
si  uni  ad  accrescerne  l'accecamento,  la  perdita  della  patria,  il  rigore 
pur  giusto  con  lui  di  un  grande  pontefice  qual  fu  Boufacio  Vili, 
la  vita  d'accatto  che  dove  a  condurre,  la  parte  guelfa  non  buona, 
la  parte  ghibellina  pessima,  e  per  giunta  a  tanti  mali  un  Filippo 
il  Bello,  che  tiene  il  papa  e  la  Chiesa  tutta  a  bacchetta,  e  la  Santa 
Sede  svelta  da  Roma   e  piantata  in  Aviguone  fra  gli   artigli  del 

45 


706  PURGATORIO 

150.        M'apparve  con  le  ciglia  intorno  pronte. 

E,  come  perchè  non  gli  fosso  tolta,  9i 
Vidi  di  costa  a  lei  dritto  un  gigante,  95 
E  baciavansi  insieme  alcuna  volta.  9Ó 

Ma  perchè  l'occhio  cupido  e  vagante  97 

Bello,  Intanto  in  questa  terzina  il  poeta  comprende  e  descrive  la 
Chiesa  in  tutti  i  secoli  del  suo  temporale  dominio,  senza  parlare  dei 
tempi  suoi,  dei  quali  parlerà  nelle  terzine  seguenti. 

9*  E,  come  perchè  non  ecc.  Eccoci  alla  descrizion  della  Chiesa 
romana  e  del  suo  capo  ai  tempi  di  Dante  da  Bonifacio  Vili  sino 
a  tutto  il  pontificato  di  Clemente  V,  cioè  dal  24  dicembre  1294  al 
10  aprile  1314.  E  siccome  l'epoca  fittiza  del  poema  è  il  1300,  per* 
ciò  le  cose  che  qui  si  narrano,  parte  sono  storia,  parte  profezia. 
Profezia  per  altro  poetica,  perchè  Dante  scrisse  veramente  queste 
cose  ad  avvenimenti  già  compiuti,  avendole  scritte  poco  dopo  la 
morte  di  Clemente  e  di  Filippo  il  Bello,  la  quale  avvenne  addi  29 
novembre  1314. 

Nelle  parole:  Come  perchè  non  gli  fosse  tolta,  è  espressa   la 
padronanza  che  voleva  avere  Filippo  il  Bello  sulla  S.  Sede  e  sul  papa 

35  Vidi  di  costa  a  lei  ecc.  Così  si  esprime  con  tutta  la  preci- 
sione storica  il  regno  di  Filippo  contemporaneo  al  regno  di  Boni- 
facio. Filippo  cominciò  a  regnare  nel  1285.  Filippo  sorge  di  costa 
a  Bonifacio  perche  regnarono  nello  stesso  tempo. 

Si  dice  gigante  e  per  l'indole  sua  prepotente  e  feroce,  e  perchè 
infatti  era  più  potente  degli  altri  re  di  quel  tempo. 

9fi  E  baciavansi  ecc.  Accenna  ai  buoni  ed  amichevoli  accordi, 
che  dapprincipio  passavano  tra  Bonifacio  e  Filippo.  Bonifacio  però 
non  tradì  mai  la  sua  coscienza  per  amor  di  Filippo:  egli  fino  che 
potè  lo  trattò  con  quei  riguardi  paterni,  con  cui  i  padri  trattano 
i  figli  pericolosi,  e  nulla  più.  Ma  a  Dante,  ch'era  tutto  imperadore, 
incresceva  sul  vivo  di  vedere  un  papa  non  passare  in  buona  armo- 
nia col  tedesco,  e  passare  invece  in  buona  armonia  col  francese. 
Bisognava  che  Dante  fosse  spassionato,  ed  allora  avrebbe  reso  giu- 
stizia alla  prudente  condotta  di  Bonifacio. 

97  Ma  perchè  l'occhio  cupido  ecc.  Accenna  qui  alle  rotture  a  che 
finalmente  dovette  venire  Bonifacio  con  Filippo,  la  cui  condotta 
cominciava  ornai  a  compromettere  gF  interessi  del  catolicismo,  « 
della  società.  £  pretta  storia.  Ora  le  botte  che  Bonifacio  dava  a 
Filippo  con  le  sue  Bolle,  sia  a  motivo  della  crociata  progettata  da 


CANTO  XXXII.  707 

A  me  rivolse,  quel  feroce  drudo  w 
La  flagellò  dal  capo  iris  in  le  piante. 
Poi,  di  sospetto  pieno,  e  d'ira  crudo,  " 

Bonifacio  e  impedita  da  Filippo,  sia  a  motivo  della  erezione  di  ve- 
scovadi, sia  a  motivo  della  collazione  dei  benefizi,  sia  finalmente 
a  motivo  di  angherie  sai  popolo  francese,  ed  altro,  erauo  indiret- 
tamente tante  occhiate  benevole  all'  imperadore  di  Germania.  Bo- 
nifacio però  non  odiava  V  imperador  di  Gennania,  ma  solo  voleva, 
e  giustamente,  ch'egli  riconoscesse  il  diritto  del  papa  sull*  impero, 
giacche  l'impero  era  creazione  papale,  e  dal  papa  dipendente  fino 
dalla  sua  istituzione.  Ora,  era  questa  dipendenza  che  solitamente 
non  si  volea  riconoscere  nò  dagli  imperadori,  né  dai  loro  partigiani, 
tra  i  quali  Dante,  i  quali  vedevano  in  questi  diritti  papali  una 
usurpazione  ed  una  guerra  all'  impero,  ciò  che  non  era.  Ma  Bo- 
nifacio tenne  forte  e  vinse.  Quando  p.  e.  Bonifacio  non  volea  ricor 
noscere  la  elezione  di  Alberto,  allegando  la  violazione  dei  diritti 
della  S.  Sede  in  quella  elezione,  Alberto,  se  volle  essere  imperadore 
legittimo,  dovette  umiliarsi  al  papa,  chiedergli  grazia  e  misericordia, 
e  dichiarare  di  riconoscere  i  diritti  del  papa  sull1  impero.  Fu  in 
quella  occasione  che  Bonifacio  si  riamicò  coli'  impero,  e  questi  più 
direttamente  sono  gli  sguardi  benevoli  che  la  donna  del  carro  volge 
a  Dante  o  alla  parte  seguita  da  Dante  (Rohrbacher,  t.  XIX,  1,  77). 

9*  Quel  feroce  drudo  ecc.  Si  allude  alla  congiura  ordita  da  Fi- 
lippo il  Bello  contro  Bonifacio  Vili  in  Anagni  per  rapirlo  e  trarlo 
prigioniero  in  Francia  in  mano  al  suo  nemico,  e  nemico  della  Chiesa. 
L'empietà  di  questi  attentati  di  Filippo,  e  le  minacce  e  i  mali  trat- 
tamenti che  si  fecero  dai  suoi  emissari  Nogareto  e  Sciarra  Colonna 
a  Bonifacio  Vili  in  quella  occasione,  infiammarono  di  tanto  zelo 
il  nostro  poeta,  il  quale  nel  Canto  XX  del  Purgatorio  difende 
Bonifacio,  e  fa  coatar  caro  all'empio  Filippo  il  suo  assassinio  sa- 
crilego. 

99  Poi  di  sospetto  pieno  ecc.  Si  allude  al  trasporto  della  S.  Sede 
da  Roma  in  Avignone,  opera  infame  e  funesta  di  Filippo  il  Bello. 
Questi,  non  riuscitogli  il  progetto  sotto  Bonifacio,  lo  eseguì  dopo 
la  morte  di  San  Benedetto  XI  nel  1305,  non  lasciando  andare  a 
Roma  Clemente  V,  obbligato  questo  a  lui  con  dichiarazione  scritta, 
qual  condizione  alla  sua  eie/Jone,  distaccando  cosi  il  capo  della  cri- 
stianità dal  suo  corpo  cattolico,  raffigurato  nella  pianta,  e  interpo- 
nendo tra  le  membra  e  il  capo,  la  selva  che  cinge  il  Paradiso 
terrestre,  e  che,  fuori  d'allegoria,  sarebbe  la  selva  d' Italia  per  cui 


708  PURGATORIO 

Disciolse  il  mostro,  e  trassel  per  hi  selva 
Tanto,  che  sol  di  lei  ini  fece  scudo 
160.    Alla  puttana,  ed  alla  nuova  belva. 

egli  rimase  invisibile  ed  inaccessibile  al  resto  del  mondo  cattolico, 
e  tutto,  anima  e  corpo,  in  poter  di  Filippo,  clic  diventava  cosi  i 
capo  della  Chiesa  sovra  lo  stesso  papa.  Tale  dovea  esser  tenuto 
Filippo  ed  il  papa  dal  mondo  cattolico:  e  da  ciò  appunto  il  poeta, 
se  fosse  slato  fuor  di  passione,  dovea  facilmente  conchiuder  che 
dunque  al  papa  e  n<  cesjario  uno  stato  temporale,  che  non  io  renda 
suddito  di  nessun  principe  per  essere  e  venir  creduto  indipendente. 


CANTO   XXXIII 


Argomento. 

Le  sette  donne  delle  sette  virtù  cantano  il  salmo  78.  Beatrice 
le  ascolta  tutta  dolente.  Finito  quel  canto  si  leva  Beatrice,  e  spi- 
rante fiamme  dal  volto,  recita  alcune  parole  di  Gesù  Cristo  eolle 
quali  annunzia  che  si  allontana  per  un  poco,  e  che  dopo  quel  poco 
ritornerà.  Poi  Beatrice  si  muove  facendosi  precedere  aUe  sette, 
donne,  e  seguire  da  Dante,  da  Matilde,  e  da  Stano.  Cammina  al 
più  dieci  passi,  e  volta  indietro  a  Dante,  lo  fa  avanzar  pari  di 
lei.  Allora  Beatrice  lo  anima  a  far  quelle  dimande  che  vuole, 
riferendosi  alla  spi*  %/ azione  delle  cose  simboliche  vedute  prima. 
Dante  si  rimette  a  Beatrice,  per  saper  ella  i  suoi  bisogni.  Allora 
Beatrice,  fatto  prima  animo  a  Dante,  gli  dà  alcune  spiegazioni  della 
scena  simbolica  dell'altro  Canto,  Gli  dice  che  la  sede  del  capo  della 
Chiesa  non  è  dove  deu1  essere,  ma  gli  vaticina  le  vendette  di  Dio 
sui  colpevoli,  cioè  la  morte  di  Clemente  V  e  di  Filippo  il  Bello, 
questi  autore,  quegli  complice  del  trasporto  della  S.  Sede  da  Roma 
ad  Avignone,  e  qual  ne  sarà  l'esecutore  a  punì  zio  n  del  papa  e 
di  Filippo  il  Bello.  Gli  raccomanda  di  notar  tutte  le  sue  parole, 
e  di  scriverle  ad  insegnamento  dei  posteri,  non  ommeitendo  di 
dire  qual  era  e  quale  è  divenuta  la  pianta  per  altrui  colpa.  Qui 
Beatrice  si  eleva  nel  suo  parlare  tanto  ch'ella  ben  s'accorge  che 
Dante  poco  ne  intende;  perciò  gli  promette  di  abbassarsi  alla  sua 
capacità.  Dante  si  appresta  ad  ascoltarla,  ma  in  pari  tempo  le 
chiede  perchè  gli  abbia  prima  parlato  sì  astruso.  E  Beatrice  gli 
risponde  che  così  alto  ella  parlò  per  fargli  vedere  la  differenza 
infinita  che  passa  tra  le  scienze  umane  da  lui  seguite  finora  con 
abbandono  di  lei,  e  le  divine  alle  quali  dovrà  appigliarsi  d'ora 
in  avanti.  Ma  Dante  risponde  che  non  si  ricorda  d'averla  mai 
abbandonata,  e  Beatrice  ripiglia  che  appunto  non  se  ne  ricorda 
per  aver  lui  bevuto  i  i  quella  mattina  di  Lete  che  fa  dimenticare 
il  mal  pa^sj.to.  Intanto  il  sole  giunge  al  punto  di  mezzodì, e  tutti 
si  fermano  xil  fermarsi  delle  sette  donne,  che  *'  arrestarono  alla 
fonte  ond'  escono  bipartiti  due  fiumi,  che  al  poeta  sembrano  Eu- 
frate e  Tigri.  Dante  chiede  a  Beatrice  che  fiumi  sien  quelli  che 
usciti  d'una  sol  fonte  poi  si  partono  in  direzione  contraria.  Bea- 
trice rivolge  Dante  per  la  spiegazione  a  Matilde.  Matilde  risponde 


710  PURGATORIO 

di  aver  già  spiegata  fa  cosa  prima  d'ora.  4llora  Beatrice,  fa  le 
scuse  dell* ignoranza  di  Dante,  ed  ordini  a  Matilde  di  condur 
Dante  a  bere  di  Eunoe^  Vuno  dei  due  fiumi  anzidetti,  che  ha  la 
proprietà  di  far  ricordare  il  ben  passato  e  di  avvalorare  la  fiac- 
chezza umana.  Matilde  conduce  Dante  e  Stazio  a  quell'acqua*  e 
Dante  ne  beve  con  tanto  diletto,  che  non  si  sarebbe  mai  distac- 
cato dall'onda.  Da  quell'onda  egli  partì  lutto  disposto  al  viaggio 
del  Paradiso. 

(E)  Consegaense  fa  ne*  te  derivate  «Ila  Chiesa  latta  dal  trasporto 
della  S.  Sede  in  Avignone,  e  vaticinio  del  loro  prcnto  ri  a»  ed  o 
col  castigo  ai  colpevoli.  Storia  della  Chiesa  sino  a  tatto  il  1314. 


>«    Vedi  talli  i  casellini  di  questo  doto  nei:»  Ja»  X.  Purg  ,eliT;f  XIII  P*r$. 

Ueusy  venerunt  gente*,  alternando, f 

Or  tre  or  quattro,  dolce  salmodia  * 
Le  donne  incominciare,  lngriraando: 
E  Beatrice  sospirosa  e  pia 

Quelle  ascoltava  sì  fatta,  die  poco 
Più  alla  croce  sì  cambiò  Maria. 


i  Deus  venctupt  ecc.  Siccome  il  carro  della  Chiesa  fu  rubiti 
dall'empio  Filippo  il  Bello,  svellendo  a  forza  la  à\  Sed*  da  Roma 
in  Avignone,  profanando  per  tal  medo  la  Cinema,  e.  quanto  cri  da 
Ini.  distruggendola:  co?ì  opportunamente  sì  iecitan  qui  ì  lanr.eisti 
del  snlmo  78.  nel  qui  le  Davide  predice  le  abominazioni  e  la  ru:ra 
del  tempio  di  Gerusalemme,  e  il  castigo  degli  empì  profanator". 

*  Or  tre  or  quattro  ecc.  Le  tre  virtù  teologai:,  cantando  ?n>.  t 
rispondendo  ad  esse  le  quattro  cardinali,  facendo  co>i  due  cri.  Taxi* 
queste  e  le  seguenti  sono  invenzioni  poetiche,  c:«n  mi  si  m;"  in- 
grandire il  male  prodotto  dalla  cattività  Avi^nese,  ma  non  ?i  vovù 
inscenare  d.  ^miticamente  che  la  Ch:esa  sia  dfcttbìV.  j  -rciv'-  c:v 
sarebbe  un'aperti  eresia  contraria  .  ile  J\:."aia-.i  i:i  S.\  Gv*ù  Cr  >• 
che  disse  :  Prrtae  inffi  n^n  pa?valtbnr::  ali'crs-f  ?j~ì.  e.  E'cf 
e  70  vtbiscvn  suv*  e  l'ìibus  dl'bìi*  ì;*ji.*  ud  r. ■■■;<»••  "..ifi-ri'-i  «-,?.-*  i. 
le  quali  Panie  ben  sapeta  e  credeva. 


CANTO  XXXIII.  711 

Ma  poiché  l'altre  vergini  dier  loco  8 
A  lei  di   dir,  levata  dritta  in  pie,  4 
Rispose,  colorata  come  fuoco  :  * 
*°-     Modicum,  et  non  tndebitis  me,  6 
Et  iterum,  sorelle  mie  dilette, 
Modicum,  et  vos  videbitis  me. 

Poi  le  si  mise  innanzi  tutte  e  sette,  7 
E  dopa  sé,  solo  accennando,  mosse 
Me  e  la  donna,  e  il  Savio  che  ristette.  8 

a  Ma  poiché  l'altre  ecc.  Ma  poiché  le  sette  virtù  finirono  di' 
cantare. 

*  Levata  dritta  in  pie.  Dunque  Beatrice  ascoltò  seduta  a'  pie 
dell'albero  il  canto  del  salmo. 

5  Rispose  ecc.  Rispose  ai  lamenti  sui  mali  della  Chiesa.  E  colo- 
rata come  fuoco  pel  suo  sdegno  contro  i  colpevoli. 

ti  Modicum  ecc.  Parole  di  Gesù  Cristo  agli  Apostoli  annunziando 
loro  la  partenza  da  questo  mondo  dopo  un  po'  di  tempo,  e  dopo 
un  altro  po'  di  temp^  il  suo  ritorno  per  giudicare  tutti  gli  uomini 
(S.  Joan.y  XVI,  16,  e  XVII,  19).  Queste  parole  qui  alludono  al 
ritorno  dei  Pontefici  da  Avignone  a  Roma,  sperato  prossimo  da 
Dante.  E  chiaro  che  Dante  scrivea  questo  vaticinio  in  sede  vacante 
tra  Clemente  V,  morto  li  10  aprile  1314,  e  Giovanni  XXII  suc- 
cessogli li  7  agosto  13(6.  Dante  sperava  che  Clemente  V  fosse  U 
primo  e  l'ultimo  Papa  residente  in  Avignone.  Sventuratamente  si 
ingannò  Nel  Pa*ad..  Canto  XXVII,  v.  142  e  seg.,  che  è  quanto 
dire  al  fine  del  1319  (Vedi  Tay.  VI  Farad.),  quando  cioè  vedeva 
che  Giovanni  XXII,  neppur  egli  pensava  a  ritornare  alla  sua  sede, 
vedremo  che  anche  allora  il  poeta  predirà  il  ritorno  a  tempo  inde- 
terminato d»n  Papi  a  Roma,  ma  lo  predirà  in  modo  enigmatico,  per 
aversi  veduto  ingannato  nella  sua  prima  previsione. 

7  Poi  le  si  mise  innanzi  ecc.  Beatrice  con  tutte  le  sette  virtù 
parte  dalla  pianta,  che  come  dicemmo  è  il  simbolo  dell'umanità  pria 
peccatrice,  poi  rigenerata. 

8  La  donna  e  il  Savio.  Matilde  e  Stazio.  Noi  vedemmo  Stazio 
sin  dal  principio  del  Paradiso  terrestre  fare  una  parte  muta.  Però 
anch'egli  come  purgato  nei  giri  del  monte  di  sotto  dee  subire  quelle 
prove  che  sono  comuni  a  tutte  l'anime,  meno  le  cose  particolaris- 
sime che  riguardano  Dante  e  Beatrice,  per  le  loro  relazioni  affatto 


712  PURGATORIO 

Così  sen  giva,  e  non  credo  che  fosse 
Lo  decimo  suo  passo  in  terra  posto,  9 
Quando  con  gli  occhi  gli  occhi  mi  percosse  ; ,0 

E  con  tranquillo  aspetto:  Vien  più  tosto,  n 
20-         Mi  disse,  tanto  che  s' io  parlo  teco,  '  * 
Ad  ascoltarmi  tu  sie  ben  disposto. 

Sì  com'  i'  fui,  com'  io  doveva,  seco, 
Dissemi:  Frate,  perchè  non  t'attenti 
A  dimandare  ornai  venendo  meco? 

Come  a  color,  che  troppo  reverenti 
Dinanzi  a'  suoi  maggior  parlando  sono, 
Che  non  traggon  la  voce  viva  a' denti, 

Avvenne  a  me,  che  senza  in! ero  suono 
Incominciai:  Madonna,  mia  bisogna  l3 
3()-         Voi  conoscete,  e  ciò  eh'  ad  essa  è  buono. 

singolari.  Le  cose  comuni  sono  il  bere  prima  ni  fiume  Lete,  e  poi 
ni  fiume  Eunoè,  come  vedremo.  In  questo  due  pratiche  Stazio  è  pa- 
reggiato a  Dante.  Perciò  se  ne  farà  un  cenno  ni  fiume  Eunoè.  Del 
resto  egli  dee  starsene  muto,  come  parte  riatto  secondari:),  per 
non  confondere  la  primaria  che  è  Dante. 

9  Lo  decimo  suo  passo  ecc.  Dei  63  pasù  che  correano  dalla  riva 
di  Lete,  al  centro  dove  sedeva  Beatrice,  ne  avea  fatti  quasi  dieci, 
andando  appunto  dalla  pianta  verso  la  porgente  di  Lete,  che  è 
quanto  dire  da  ovest  ad  est.  (Vedi  la  mia  Tav.  ^JIT). 

io  Quando  con  gli  occhi  ecc.  Quando  si  vn^se  indietro  a  guar- 
darmi. Il  poeta  si  esprimo  con  questa  frase  perchè  ogni  qualvolta 
noi  parliamo  ad  uno  lo  guardiani  negli  occhi.  Beatrice  avea  le  per- 
sone di  dietro  con  quest'ordine:  Dante  dietro  la  destra  di  Beatrice, 
Stazio  dietro  la  sinistra,  Matilde  in  mezzo  rd  entrambi. 

*'  E  con  tranquillo  aspetto.  Essendosi  rabbonacciata  dallo  sdegno 
santo  che  avea  prima,  quando  disse:  Modicum  ecc.  —  Vien  jriìt  tosto. 
Vieni  innanzi,  e  cammina  al  mio  fianco. 

te  S'io  parlo  teco  —  Ad  ascoltarmi  tu  ecc.  Con  que.^'e  parole 
Beatrice  cerca  di  levare  o<xni  timore  soverchio  a  Doliti*,  eh»1  se.  ne 
veniva  dietro  a  lei  taciturno,  e  Io  incoraggia  a  parlare. 

13  Madonna,  mia  bisogna  ecc.  Voi  che  vedete  quello  che  mi  bi- 
sogna sapere,  voi  compiacetevi  di  dirmelo. 


CANTO  XXXIII.  713 

Ed  ella  a  me  :  Da  tema  e  da  vergogna 
Voglio  che  tu  ornai  ti  disviluppe, 
Sì  che  non  parli  più  com'uom  che  sogna.  u 

Sappi  che  il  vaso,  che  il  serpente  ruppe,  *s 
Fu,  e  non  ò;  ma   chi  n'ha  colpa  creda  i6 
Ohe  vendetta  di  Dio  non  teme  suppe.  i7 

Non  sarà  tutto  tempo  senza  reda  18 

1'»  Com'uom  che  sogna.  Chi  parla  dormendo  frastaglia  le  parole: 
tuie  è  chi  parla  con  troppo  timore  riverenziale. 

13  II  vaso  che  il  serpente  ruppe.  Il  carro  della  Chiesa  della  cui 
cima  trasse  il  drago  (Maometto)  una  parte,  e  cosi  lo  ruppe. 

'6  Fu  e  non  è.  Sarebbe  apert  i  eresia  affermare,  che  la  Chiesa 
possa  venir  meno  anche  solo  un  istante,  contro  l'infallibile  promessa 
di  Cristo:  nò  potrcbbesi  a  Dante  rispiarmiare  severo  giudizio  di 
questa  sua  sentenza,  che  avendo  riguardo  alla  violenza  della  sua 
passione  politica,  e  supponendo  che  intendesse  parlare  di  una  cotale 
falsa  apparenza,  non  mai  della  reale  e  visibile  esistenza  della  Chiesa. 
Oppure  si  potrebbe  (e  forse  meglio)  intendere  cosi:  Fu,  al  suo  posto, 
dove  l'avea  collocata  Dio,  cioè  :i  Roma,  sede  propria,  e  providen- 
zkile:  non  è,  al  posto  ove  dovrebbe,  per  essere  stata  allora  rapita 
altrove.  P>co  le  strette,  alle  quali  anche  i  più  gran  genii  possono 
ridursi  quando  il  Papi  6  suddito  altrui.  -  Chi  n' ha cdpa.  Filippo, 
ma  oltre  Filippo,  il  Para  e  i  cardinali. 

*7  Che  vendetta  di  Dio  non  teme  suppe.  La  voce  suppe  è  dal 
francese  soupe,  fettoìina  di  pane,  qual  sarebbe  quella  che  si  usa 
noi  Santo  Sacrific'o,  la  quale  aiiOia  per  i  principi  si  usava  ancora 
intingere  nel  vino  consecrato.  Il  poeta  allude  con  ciò  all'Ostia  av- 
velenata che  trasse  a  morte  il  suo  Arrigo  VII  a  Buoncon vento, 
quasi  volesse  dire:  Dio  non  è  come  l'uomo  che  tema  i  vostri  veleni 
nelle  Ostie,  e  che  rosti  ucciso  di  quelle  come  il  mio  buono  Ar- 
rigo VII  fu  avvelenato  da  te,  o  Filippo.  Parlandosi  contro  ai  fran- 
cesi quali  erano  re,  Papa  e  carcVnali,  il  termine  calza  per  bene. 

18  Tutto  tempo.  Sempre.  —  Senza  reda  —  L'aquila  ecc.  Il  trono 
imperiale  non  sarà  vacante  per  sempre,  dopo  la  morte  di  Arrigo  VII 
avvenuta  addi  2i  agosto  1313.  Dante  si  sbagliò  nel  predire  che  il 
trono  imperiale  non  dovesse  Btar  molto  senza  erede,  perchè  invece 
esso  dopo  Arrigo  VII  rimase  vacante  sino  al  1346,  frutto  anche 
questo  della  Sede  romana  trasportata  in  Francia ,  e  cosi  Arrigo  VII 


«4  PURGATORIO 

L'aquila  che  lasciò  le  penne  al  carro,  ** 
Perdio  divenne  mostro,  e  poscia  preda  ;  * 
40-     Ch'io  veggio  certamente,    e  però  '1  narro,  2I 
A  darne  tempo  già  stelle  propinque, 
Sicuro  d'ogni  intoppo,  e  d'ogni  sbarro; 
Nel  quale  un  cinquecento  dieci  e  cinque,  ** 

non  ebbe  reda  che  25  anni  dopo  la  morte  del  poeta.  Qui  eonfida 
il  poeta  di  trovare  in  breve  un  vendicatore  dei  mali  fatti  alla  Chiesa, 
collo  avere  strappato  il  Papa  da  Roma  in  Francia,  in  un  succes- 
sore deirimperadore  Arrigo.  Ma  siccome  successori  di  questo  im- 
perador^  non  ve  n'ebbero  né  allora  né  poi  per  molt'anni,  cioè  fino 
a  25  anni  dopo  U  morte  del  poeta,  e  d'altra  parte  il  poeta  dichiara 
apertamente  di  conoscere  questo  soggetto,  come  dirà  da  qui  a  poco, 
perciò  qui  intende  propriamente  non  un  imperadore,  ma  un  rspprc- 
sen tante  di  esso,  quali  erano  i  vicari  imperiali  in  Italia,  i  quali  per 
la  loro  rappresentanza  si  potevano  e  si  dovevano  riguardare  come 
imperadori.  Di  questi  ve  n'aveano  allora  due  principali,  quali  erano 
Can  Qrande  di  Verona  e  Uguccione  della  Faggiuola,  il  primo  per 
la  sponda  sinistra  del  Po,  il  secondo  per  la  sponda  destra.  Vedremo 
in  quali  di  questi  due  ponga  Dante  le  sue  presenti  speranze,  e  qual 
d'essi  qui  accenni. 

19  L'aquila  che  lasciò  ecc.  L'aquila  imperiale,  che  dapprincipio 
fu  quella  che  diede  terreni  domini  alla  Chiesa.  L'aquila  é  presa  per 
la  potenza  o  il  trono  imperiale. 

20  Mostro  e  poscia  preda.  Allude  alle  varie  trasformazioni  del 
carro  narrate  di  sopra. 

21  Ch'io  veggio  certamente.  L'uso  poetico,  massime  del  medio  evo, 
era  di  leggere  l'avvenire  n»lla  varia  combinazione  delle  stelle.  Il 
volgo  allora  dava  gran  peso  a  queste  cose,  e  il  poeta  ne  seconda 
l'andazzo.  Intanto  notate  che  qui  le  stelle  pronosticano  con  certezza 
il  tempo,  e  tempo  vicino,  perchè  le  stelle  sono  propinque,  tempo 
che  nessuno  può  arrestare  o  differire.  Dante  parlava  con  tanta  cer- 
tezza di  questo  tempo,  perchè  era  appunto  tra  il  fine  del  1314  e 
la  metà  del  1315,  in  cui  già  avea  veduto  e  vedeva  le  prodezze  del 
suo  Vicario  Imperiale,  prodezze  tali  da  vincere  di  gran  lunga  quelle 
di  Arrigo.  Sicché  Dante  qui  nou  fa  altro  che  narrare  quello  che 
succedeva  sotto  i  suoi  occhi  in  quello  scorcio  di  tempo,  quand'era 
in  Lucca  sotto  l'egida  del  figlio  di  Uguccione,  e  in  tanto  si  prono- 
stica in  quanto  che  l'epoca  fittizia  del  poema  è  fissata  al  1300. 

22  Un  cinquecento  dieci  ecc.  Con  queste  parole  enigmatiche  viene 


CANTO  XXXIII.  715 

indicato  certamente  un  personaggio,  al  quale  si  possa  adattare  quel 
numero,  e  la  impresa  allegata,  e  questo  personaggio,  come  dicemmo 
alla  nota  18,  altri  non  può  essere  e  non  è  certamente  che  V  uno  o 
l'altro  de' due  vicari  imperiali,  Can  Grande  della  Scaldi  di  Verona, 
e  Uguccione  della  Faggiuola.  Alcuni  stanno  per  Cane,  ed  altri  per 
Uguccione.  Chi  di  loro  ha  ragione  ?  Quelli  che  stanno  per  Uguc- 
cione. Come  si  adatta  il  numero  ad  Uguccione?  Gli  si  adatta  nel 
modo  il  più  semplice.  Il  cinquecento  dieci  e  cinque  risponde  alle 
seguenti  lettere:    D  X  V. 

Le  due  prime  esprimono  la  professione  del  personaggio  che 
sarà  DVX. 

L'ultima  è  la  iniziale  del  nome  di  Uguccione. 

L'  U,  come  si  sa,  nelle  epigrafi  si  scrive  colla  V.  È  vero  che 
queste  stesse  lettere  bì  potrebbero  anche  applicare  a  Can  Grande 
signor  di  Verona,  leggendo  DVX  VERONAE.  Ma  io  faccio  osser- 
vare che  se  a  Cane  si  possono  applicare  le  lettere  come  ad  Uguc- 
cione, ne  contrasta  però  l'applicazione  il  tempo  e  le  imprese,  che 
punto  non  favoriscono  il  veronese.  Quanto  al  tempo,  si  sa  che  Dante 
dopo  la  sua  visita  a  Verona  sotto  Bartolomeo,  non  vi  ritornò  se 
non  verso  il  1316,  dopo  la  caduta  di  Uguccione;  e  si  sa  che  questo 
Canto  Dante  V  ha  scritto  prima  di  venire  a  Verona,  dove  quando 
giunse,  il  Purgatorio  era  bello  e  finito,  e  dove  diede  mano  al  Pa- 
radiso. Come  dunque  Dante  poteva  mettere  tutte  le  sue  speranze 
in  uno  che  da  tanti  anni  non  visitava,  e  che  starà  ancora  qualche 
tempo  prima  di  vedere? 

Quanto  poi  alle  imprese,  quelle  di  Can  Grande  avevano  più 
appetto  di  dilatare  la  signoria  a  proprio  profitto,  che  a  profitto  del- 
l'impero, e  ad  ogni  modo  esse  si  limitavano  alla  riva  sinistra  del 
Po  ;  e  Dante  qui  accenna  evidontemente  ad  uno,  le  cui  imprese 
tendevano  all'Italia  centrale.  Sicché,  parte  perchè  sono  ancora  im- 
maturi i  tempi  per  indicare  Can  Grande,  e  parte  perchè  quelle 
imprese  non  eran  tali  da  somministrargli  co.4  preciso  e  certo  il  suo 
vaticinio,  quelle  lettere  non  possono  convenire  a  Can  Grande.  Can 
Grande  avrà  la  sua  parte  nel  Paradiso,  cominciato  e  condotto  bene 
innanzi  in  Verona;  ma  per  questo  noi  dovremo  aspettare  ancora 
circa  u»  anno,  cioè  sino  al  1316.  Al  presente  Danle  aveva  ben  altro 
personaggio  su  cui  fondare  ogni  più  bella  speranza  per  la  riduzione 
di  tutla  Italia  all'impero,  e  questi  era  appunto  Uguccione  della 
Faggiuola.  Ecco  le  prove  in  succinto: 

I.  Uguccione  era  un  vero  capitano  (DVX),  prima  capitano 
del  popolo  in  Arezzo  e  in  Gubbio,  e  in  quella  qualità  già  molto 
prima   di   Arrigo   operatore  di  grandi  imprese;  poi  capitano    di 


716  PURGATORIO 

ventura,  e  in  que3ta  seconda  qualità  assai  più  conosciuto  che  nella 
prima. 

II.  Uguccione  avei  sempre  seguito  Arrigo  nel  suo  giro  di 
Italia,  ed  avea  combattuto  per  lui  e  con  lui. 

HI.  Uguccione  fu  fatto  prima  da  Arrigo  suo  Vicario  in  Ge- 
nova (1313). 

IV.  Uguccione,  morto  Arrigo  a  Buoncon vento  (24  ag.  1313), 
si  riduce  a  PÌ3a,  en'ò  fatto  signore,  e  intorno  a  lui  si  aduna  l'eser- 
cito che  fu  di  Arrigo,  e  l'esercito  ed  altri  molti  che  a  quello  si  uni- 
rono, lo  riguardano  qual  successore  di  lui  nella  impresa  d'Italia,  e 
a  lui  si  giurano  per  compire  l'opera  di  Arrigo,  che  tendeva  a  due 
punti  principali,  Firenze  e  Roma. 

V.  Uguccione,  mirando  sempre  all'impresa  di  tutta  Italia,  si 
assicura  prima  di  tutto  le  spalle  assoggettandosi  Lucca  e  Borgo 
S.  Sepolcro  (li  giugno  1314),  ponendo  a  podestà  suo  figlio  Fran- 
cesco in  Lucca,  e  Neri  in  Borgo.  Qui  Dante,  sotto  gli  auspici  di 
Uguccione,  entra  e  dimora  in  Lucca,  attende  a  compire  il  Purgatorio, 
consolandoci  della  morte  d'Arrigo  colle  vittorie  che  va  ogni  di  ri- 
portando il  suo  amico  Uguccione, 

VL  Uguccione,  appunto  quando  Dante  in  sul  termine  del 
1314,  o  in  sui  principio  del  1315,  attendeva  a  scrivere  la  fine  del 
Purgatorio,  attendeva  anch'  egli  a  fare  i  suoi  grandi  preparativi 
per  la  conquista  di  Firenze  e  di  Roma  ;  e  Dante  in  Lucca  ne  aveva 
sempre  novelle  una  più  buona  dell'altra;  cotal  che  non  solo  Dante, 
ma  tutti  i  ghibellini,  e  tutti  gli  esuli,  aveano  già  in  Uguccione  ri- 
posto ogni  loro  speranza.  In  quest'epoca  nessuno  parlava  di  Can 
Grande,  come  esecutore  dell'opera  incominciata  da  Arrigo  ;  tutti  di 
Uguccione,  che  veramente  era  tutto  in  quell'opera. 

VII.  Fu  dietro  i  timori  che  ispirava  Uguccione,  e  le  sue 
note  aspirazioni  a  soggiogar  tutta  Italia  all'impero,  che  appunto 
mentre  Dante  scriveva  gli  ultimi  Canti  del  Purgatorio,  si  fece  con- 
tro di  lui  la  gran  lega  dei  Fiorentini,  di  tre  principi  di  Puglia,  di 
molte  città  di  Romagna  e  di  Toscana,  oste  numerosissima,  ma  che 
Uguccione  tutta  sbaragliò  a  Monte  Catini  con  valore,  facendo  due 
mila  morti  (tra' quali  i  tre  principi  di  Puglia)  e  cencinquanta  pri- 
gioni. Uguccione,  come  dice  il  Balbo,  all'apice  della  sua  potenza, 
pareva  presso  ad  effettuare  le  predizioni  di  Dante. 

Bastano  quosti  cenni  per  giudicare  con  tutta  critica  che  il  cin* 
queecuto  dieci  e  cinque  non  e  già  Cane,  come  pretesero  alcuni  per 
anacronismo  e  per  imperizia  di  storia,  ma  b.  il  capitano  Ugucciono. 
Caduto  Uguccione  dopo  tanta  fortuna  e  belle  impreso.  Uguccione 
e  Dante  si  riducono  in  corte  a  Can  Grande  verso  il  13 1G,  e  questo 


CANTO  XXXIII.  717 

allora  sarà  il  solo  punto  d'appoggio  che  avrà  Dante,  al  quale  farà 
le  sue  lodi  sebbene  ambigue  nel  Paradiso. 

Non  sarebbe  però,  almeno  come  par  mi,  da  disprezzare  l'opinione 
che  or  sono  per  soggiungere  intorno  alle  lettere  D  X  V.  Potrebbe 
essere  che  Dante  nel  1315,  quando  scrivea  questo  finale  del  Pur- 
gatorio, non  sapesse  di  qual  più  dei  due  duci  (Uguccione  e  Cane) 
egli  avesse  dovuto  aver  bisogno  nelle  sue  pressanti  strettezze;  e  che 
perciò  egli  con  arte  finissima  avesse  scelto  quelle  tre  lettere,  che 
potrebbero  significare  si  l'uno  che  l'altro.  Certo  quando  Danto  le 
scrivea,  esse  erano  più  proprie  di  Uguccione  ;  ma  siccome  vera  stima 
di  Uguccione  Dante  non  ebbe,  e  non  potè  aver  mai,  ma  solo  stima 
della  sua  momentanea  fortuna,  restando  però  sempre  col  timore 
della  sua  caduta,  come  infatti  avvenne  di  li  a  poco,  perciò  è  pos- 
sibile che  Dante  intendesse  che  Can  Grande  le  appropriasse  a  sé 
stesso,  caso  mai  che  fosse  caduto  Uguccione,  come  forte  dovea  te- 
mere il  poeta;  e  cosi  esso  si  aperse  da  sé  la  via  al  rifugio  di  Ve- 
rona presso  quello  Scaligero. 

Ad  altri  piacque  scioglier  l'enigma  numerico  coli' applicazione 
a  Cristo,  cosi:  Dominus  Xptus  Victor,  facendo  che  Cristo  compia 
l' impresa  qui  indicata.  (Borsa,  di  Napoli.  Anno  II,  num.  146).  Ma 
questa  soluzione,  che  a  prima  vista  par  fidare  il  piede  sul  vero, 
ben  ponderata,  non  tiene,  e  non  può  legare  coi  versi  antecedenti: 
Non  sarà  tutto  tempo  senza  reda  ecc.,  le  quali  parole  accennano 
chiaramente  che  la  predizione  colpisce  un  personaggio  laico,  impe- 
ratore, o  vicario  di  lui.  Peggio  poi  quando  l'articolista  citato  sup- 
pone che  Dominus  Xptus  Victor,  sia  lo  stesso  che  il  Veltro  del 
I  Canto  dell'  In/.,  che  noi  abbiamo  detto  e  provato  essere  S.  Be- 
nedetto XI,  personaggio  già  mancato  alle  sperante  di  Dante  appena 
comparso,  e  appena  ch'egli  ne  scrisse  quel  bellissimo  elogio,  cosi 
circostauziato;  ragion  per  cui  egli  appresso  ne  tacque. 

Finalmente  il  chiarissimo  P.  Bartolomeo  Sorio  in  un  suo  dot- 
tissimo opuscolo  intitolato:  Balano  Mauro  abate  di  Fulda  e  Dante 
Alighieri  nell'uso  dell'arte  cabalistica  —  Modena  1867,  unisce  due 
spiegazioni  del  numero  cinquecento  dieci  e  cinque,  che  ambedue 
trova  convenire,  non  avvisando  che  convenga  ancora  al  duce  Uguc- 
cione, senza  contrasto  delle  sue  due  spiegazioni. 

La  prima  è  questa,  e  sarebbe  un  monogramma  simile  a  quello 
della  Croce  Costantiniana:  In  hoc  signo  vinces: 

500  D  Dominus 
10  X  Xptus 
5  V  Vinoet. 


718  PURGATORIO 

La  seconda  porta  il  cinquecento  dicci  e  cinque  a  indicar  l'anno 
1315  di  grazia,  allor  corrente,  che  sarebbe  il  515  dell'esistenza  del 
Sacro  Romano  Impero.  Imperciocché  il  Sacro  Romano  Impero  fa 
ricostituito  ncll'800  da  Papa  Leone  III;  dalla  qual' epoca  al  1315, 
anno  immediatamente  successo  alla  morte  di  Clemente  V,  primo 
Papa  Avignonese,  e  di  Filippo  il  Bello  re  di  Francia,  primi  avver- 
sari dei  Ghibellini,  e  quindi  della  parte  imperiale,  corrono  515  anni: 
volendo  indicare  con  ciò  che  questo  anno  sarà  Tanno  providenziale, 
in  cui  Domimi»  Xctus  (della  prima  spiegazione)  vincet,  cioè  libererà 
l'Impero  dai  due  suoi  maggiori  opponenti  (morti  nel  1314),  e  quindi 
il  tutto,  Chiesa  e  società,  ritornerà  nell'ordine  primitivo. 

Questa  seconda  spiegazione  è  ingegnosa,  ma  anch'essa  ha  il 
difetto  della  prima,  perchè  e  l'una  e  l'altra  non  ci  danno  netto  il 
personaggio  imperiale  annunciato  poco  prima  colle  parole: 

Non  sarà  tutto  tempo  sema  reda 
L'aquila  che  lasciò  le  penne  al  carro, 

personaggio  imperiale,  che  il  poeta  subito  dopo  avvolge  nel  numero 
misterioso  (composto  a  similitudine  di  quello  dell'eoo.,  XIII,  18) 
cinquecento  dieci  e  cinque.  Bisogna  dunque  ad  ogni  modo  che  esci 
dall'accennato  numero  il  preconizzato  personaggio,  altrimenti  tutto 
resta  sull'aria.  Il  chiaro  P.  Sorio,  senza  accorgersi,  sente  anch'egli 
questa  necessità  ;  e  perciò,  continuando  la  sua  spiegazione  del  come 
sia  che  Dominus  Xptus  Viticci ,  e  che  l'anno  515  del  Sacro  Ro- 
mano Impero  sarebbe  l'anno  felice  del  riordinamento  universale, 
supposta  la  morte  della  futa  (sede  Romana,  non  più  Romana  per 
Clemente  V)  e  del  gigante  (Filippo  il  Bello)  avvenuta  in  ambedue 
nel  1314,  segue  narrando  le  grandi  e  clamorose  imprese  di  Uguc- 
cioue  vicario  Imperiale,  che  restauravano  il  Sacro  Romano  Impero 
su  grande  scala  in  Italia,  e  la  parte  Ghibellina  con  esso,  eebbeue 
il  dotto  Sorio  ci  un:sca  anche  le  simili  imprese,  ma  assai  men  grandi 
e  clamorose  di  un  altro  vicario  imperiale,  ossia  di  Cau  Grande, 
venendo  cosi  ad  inforsare  il  soggetto  preconizzato  in  quel  numero, 
cioè  Ugucciouc,  eh'  è  il  punto  a  cui  con  Dante  si  deve  mirare,  e 
dal  quale  pur  troppo  ci  frastorna  il  chiaro  opuscolista,  eh'  è  solo 
fisso  al  Dominus  Xptus  Vincet,  ed  al  515  del  Sacro  Romano  Im- 
pero. —  Dopo  tutto  questo  io  sarei  anche  con  tonto  delle  belle  spie- 
gazioni Soriane,  a  condizione  però  che  riuscissero  al  personaggio 
che  certo  è  preconizz  ito,  e  che  non  può  essere  altro  che  Uguccione, 
ed  ecco  come  combinerei:   Dominus  Xotus  Vi ncct  nel  515  del  Sacro 

i 

Romano  Impero,  clic  sarebbe  il   1315  di  grazia,  col  mezzo  del  Pax 
Cguccio,  onde  uscirebbe  questo  prospetto  : 


50 


CANTO  XXXIII.  7J9 

Messo  di  Dio,  inciderà  la  fuia,  23 

E  quel  gigante  che  con  lei  delinque.  u 

E  forse  che  la  mia  narrazion  buia,  M 
Qual  Temi  e  Sfinge,  men  ti  persuade,  M 
Perchè  a  lor  modo  lo  intelletto  attuia  ;  a7 

Ma  tosto  tìen  li  fatti  le  Naiade,  *8 

Che  solveranno  questo  enigma  forte,  *9 
Senza  danno  di  pecore,  e  di  biade.  80 

Tu  nota;  e,  sì  come  da  me  son  porte 


500  ^  D  =  Dominus  (  =  Dx  .^  ^ 


10  =  X  =  Xptua 
6  =  V  =  Vincet  =x  Vguccio. 


515  anno  corrente  dall'istituzione  del  Sacro  Romano  Impero. 
800  epoca  dell*  istituzione  del  Sacro  Romano  Impero. 


1315  anno  di  grazia  corrente  al  tempo  di  Dante. 

Ma  non  si  dica  mai,  come  dice  il  chiarissimo  P.  Sorio,  e  con 
lui  cento  altri,  che,  in  tutto  questo,  Danto  ritorna  sull'allegoria  d«l 
Veltro  che  era  solo  per  Benedetto  XI,  mentre  qui  non  si  parla  che 
di  un  personaggio  imperiale,  cioè  del  più  gran  vicario  dell'impe- 
ratore; che  conquistava  a  nome  dell'impero,  e  che  forse  i  ghibellini 
speravano  che  riuscisse  Imperatore. 

M  La  futa»  Ladra. 

2*  E  quel  gigante  ecc.  Filippo  il  Bello. 

25  La  mia  narrazion  buia.  La  predizione  delle  gesta  d* Uguccione 
che  uccideranno  moralmente  in  Italia  Clemente  V  e  Filippo  il  Bello. 
Erano  già  morti,  il  primo  addì  19  aprile  1314,  il  secondo  addi  29 
novembre  1314  e  appunto,  perchè  già  morti,  potè  predirlo. 

26  Qual  Temi  e  Sfinge  men  ti  persuade.  Temi,  dea  favoTos*  che 
dava  oracoli  ambigui.  Sfinge,  mostro  presso  a  Tebe  che  proponeva 
enigmi,  uccidendo  chi  non  li  decifrasse. 

27  Attuta.  Offusca. 

2*  Ma  tosto  fieii  ecc.  Li  fatti  che  presto  succederanno  serviranno 
di  Naiadi  o  di  spiegatrici  della  mia  narrazione  enigmatica.  Le  Naiadi, 
secondo  Ovidio,  davano  oracoli. 

*>  Enigma  forte.  Enigma  difficile.  Allude  al  DXV,  ossia  Dux 
Uguecio. 

*°  Senta  danno  di  ecc.  Secondo  Ovidio.  Perchè  le  Naiadi,  secondo 


720  PURGATORIO 

Queste  parole,  sì  le  insegna  a'  vivi  31 
Del  viver  ch'è  un  correre  alla  morte; 

Ed  haggi  a  mente,  quando  tu  le  scrivi, 
Di  non  celar  qual  hai  vista  la  pianta,  3* 
Ch'è  or  due  volte  dirubata  quivi.  33 

Qualunque  ruba  quella,  o   quella   schianta,  " 
Con  bestemmia  di  fatto  offende  Dio,  33 
60-         Che  solo  all'  uso  suo  la  creò  santa. 3lì 

Per  morder  quella,  in  pena  ed  in  disio  37 

Ovidio,  davano  chiari  responsi,  Temi  mandò  contro  Tebe  una  belva 
che  distruggeva  i  bestiami  e  le  biadi*.  Dice  il  poeta  che  le  Naiadi 
dei  fatti,  che  sono  la  più  bella  conferma  o  spiegazione  delle  predi- 
zioni, non  avranno  per  conseguenza  danni  di  pecore  o  di  biade, 
come  i  responsi  delle  Naiadi  antiche. 

31  Queste  parole.  Questa  mia  predizione  enigmatica:  dilla  coro 'io 
te  la  dico,  cioè  con  quel  numero  e  colle  parole  che  sono  negli  altri 
due  versi.  —  Sì  le  insegna.  Dante  nel  suo  poema  si  fa  dare  spesso 

v  dai  celesti  la  missione  di  correggere  i  grandi.  —  A1  vivi  —  Del 
viver  ecc.  Ài  vivi  del  mondo,  la  cui  vita  ò  un  corso  alla  morte;  a 
differenza  dei  vivi  della  eternit:1),  che  non  muoiono  mai 

32  La  pianta.   La  pianta,  che  è  simbolo  dell'umanità  universale. 

33  Ch'è  or  due  volte  ecc.  Sarebbero  tre  con  quella  di  Adamo.  Ma 
qui  non  si  contano  eh  2  i  dirubamenti  dopo  la  sua  rigenerazione 
fatta  da  Gesù  Cristo  coll'applicarvi  la  sua  croce;  e  perciò  fi  dice: 
or  dirubata.  La  prima  di  queste  due  volte  è  il  dirubamento  del- 
l'aquila imperiale  ;  la  seconda  è  il  dirubamento  fatto  da  Filippo. 

3*  Qualunque  ruba  quella  ecc.  Qualunque  ruba  quella,  come 
gl'imperatori  pagani  che  la  rubarono  per  tre  secoli  con  dieci  atro- 
cissime persecuzioni;  e  qualunque  quella  schianta,  come  Filippo  il 
Bello,  che  ne  schiantò  da  lei  il  carro  fatto  del  legno  di  lei,  come  disse 
Dante  in  quel  verso:  E  quel  di  lei  a  lei  lasciò  legato  (Canto  XXXII). 

35  Bestemmia  d  fatto.  Supponendo  che  li  umanità  rigenerata  fosse 
cosa  malefica,  come  la  credevano  i  gentili;  o  che  la  umanità  rigenerata 
possa  sussistere  senza  la  Chiesa,  come  credeva  in  fatto  Filippo  il  Bello. 

36  Che  solo  ali  Uso  ecc.  Creò  Dio  l'umanità  santa  in  Adamo,  e  la 
ricreò  santa  in  Uc3Ù  Cristo.  All'uso  suo,  cioè  al  suo  santo  servizio. 

37  Ptr  morder  quella  ecc.  Adamo  mangiando  del  suo  frutto  morse 
quella  pianta.  —  In  pena  a  questo  mondo,  in  disio  nell'altro. 


CANTO  XXXIII.  721 

Cinquemiir  anni  e  più,  1'  anima  prima  *6 
Bramò  Colui  che  il  morso  in  sé  punio.  3J 

Dorme  lo  ingegno  tuo,  se  non  istima  *° 
Per  singular  cagione  essere  eccelsa 
Lei  tanto,  e  ai  travolta  nella  cima. 

E,  se  stati  non  fossero  acqua  d'Elsa  4< 
Li  pensier  vani  intorno  alla  tua  mente, 

»8  CinquemilVanni  e  più.  Nel  Parad.,  Canto  XXVI,  118  e  seg., 
Adamo  stesso  dice  a  Dante  di  essere  stato  al  Limbo  4302  anni. 

Quindi,  onde  mosse  tua  donna  Virgilio, 
Quattro  mila  trecento  e  duo  volumi 
Di  sol  desiderai  questo  concilio. 

Ora  aggiungete  a  questi  anche  gli  anni  della  vita  di  Adamo  a  questo 
inondo,  che  furono  930,  passati  in  pena,  ed  eccovi  i  cinquemiir  anni 
e  più.  (Vedi  nel  detto  Canto  XXVI  la  cronologia  di  Dante  sugli 
anni  del  mondo). 

39  Bramò  Colui  ecc.  Siccome  ad  Adamo  appena  peccò  fu  pro- 
messo un  riparator  del  suo  fallo,  così  da  quel  punto  in  poi  egli  lo 
sospirò.  Questo  riparatore  punì  in  sé  il  morso  adamitico,  perchè 
Gesù  Cristo  si  offerse  alla  morte,  e  morte  di  croce,  per  soddisfare 
la  divina  Giustizia  offesa  dal  peccato  di  Adamo. 

40  Dorme  lo  ingegno  tuo.  Tu  hai  una  mente  ottusa,  non  capisci 
niente,  se  non  capisci  che  la  pianta  è  sì  alta  e  sì  travolta  per  un 
fine  speciale  avuto  da  Dio  quando  la  pose.  Dio  la  pose  sì  alta  per 
renderne  più  difficile  lo  spiccarne  le  frutta  ;  e  pel  medesimo  fine  la 
fece  travolta  nella  cima,  cioè  larghissima  in  cima,  e  strettissima  in 
fondo,  perchè,  come  disse  altrove,  persona  su  non  vada.  Sicché  nel- 
l'altezza e  nella  forma  della  pianta  si  può  benissimo  conoscere  l' in- 
terdetto di  mangiarne. 

4i  Se  stati  non  fossero  ecc.  L'Elsa,  piccolo  confluente  dell'Arno, 
dicevasi  aver  virtù  d'impietrare  o  tignere  di  un  tartaro  petrigno 
quanto  vi  s'immergeva.  A  quest'acqua  si  paragonano  i  vani  pen- 
sieri che  avea  Dante;  pensieri  dunque  oscuri,  che  stando  intorno 
alla  sua  mente  la  oscuravano.  Quando  a  Dante  avvenne  questo 
caso?  Nel  Canto  XXII,  v.  135,  quando  veduto  l'albero  dei  golosi 
fatto  come  questo,  giudicò  che  così  fosse  perchè  le  anime  di  quei 
golosi  non  salissero  sull'albero  a  cibarsene,  e  perciò  disse  allora: 
Cred'io  perchè  persona  su  non  vada.  Beatrice  riferendosi  a  quel 
caso,  dice  a  Dante  ch'egli,  se  non  fosse  stato  allora  ottuso  di  mente, 

46 


722  PURGATORIO 

E  il  piacer  loro  un  Piramo  alla  gelsa,  i! 
70-     Per  tante  circostanze  solamente  i3 

La  giustizia  di  Dio  nello  interdetto 
Conosceresti  all'alber  moralmente. 

Ma,  perch'io  veggio  te  nello  intelletto  4* 
Fatto  di  pietra,  ed  in  petrato  tinto. 
Sì  che  t'abbaglia  il  lume  del  mio  detto, 

Voglio  anche,  e  se  non  scritto,  almen  dipinto, 
Che  'I  te  ne  porti   dentro  a  te   per   quello 

avrebbe  potato  conoscere,  che  ciò  non  era  perchè  quei  golosi  non 
vi  salissero  (ehe  certo  non  ne  aveano  nò  poteano  avere  questa  vo- 
glia), ma  perchè  altri,  cioè  Adamo,  non  vi  fosse  salito  prima  di 
loro:  e  così  si  faceva  a  que'  golosi  comprendere  che  la  gola  fu  la 
causa  della  rovina  universale,  perchè  la  detestassero  sempre  più. 

**  E  il  piacer  loro  ecc.  Questo  significa  la  stessa  cosa  che  ci 
Volle  significare  coll'acqua  d'Elsa.  Quell'effetto  che  fa  l'acqua  d'Elsa 
sugli  oggetti  immersi,  che  è  oscurarli  di  petrigno,  quell'effetto  me- 
desimo produsse  alla  gelsa  il  sangue  di  Piramo,  oscurando  in  san- 
guigno le  bianche  frutta  del  &elso.  Ebbene  i  tuoi  pensieri  vani  e 
il  lor  piacere  produsser  lo  stesso  effetto  alla  tua  mente. 

48  Per  tante  ecc.  Dietro  queste  sole  circostanze  si  gravi  cono- 
sceresti in  senso  morale  la  giustizia  di  Dio  nell'interdetto  all'albero, 
cioè  quanto  Dio  fosse  giusto  quando  vietò  ad  Adamo  di  spiccar 
frutti  da  quella  pianta,  perchè  Dio  gli  fece  conoscere  quel  suo  di- 
vieto, non  solamente  a  parole,  ma  anche  a  fatti,  facendo  la  pianta 
di  quell'altezza  e  di  quella  forma.  Da  questo  deduce  Dante  il  gran 
peccato  che  fanno  coloro  che  rubano  da  quella  pianta. 

44  Ma  perch'io  veggio  te  ecc  Ma  perch'io  ti  veggo  d'intelletto 
ancor  duro,  ed  oh  curo  tanto  che  il  mio  dir  ti  abbaglia.  E  lo  stesso 
che  dire:  Ma  poiché  sei  ancora  incapace  di  comprender  tutto  il  senso 
profondo  di  ogni  cosa,  che  qui  hai  tu  veduto,  come  mostri  chiara- 
mente dallo  stupore  che  hai  pe'  miei  detti  ;  voglio  che  ti  tenga  a 
mente  com'abbia  tu  veduto  questa  pianta,  e  che  intenda  qualche 
cosa  se  non  tutto  di  essa;  e  che  questo  poco  che  hai  inteso  di  lei 
(che  è  la  giustizia  di  Dio  nello  interdetto  all'albero)  te  lo  porti  teco 
quando  ritornerai  al  mondo,  come  colui  che  da  un  pellegrinaggio 
in  Terra  Santa,  s'altre  cognizioni  non  sa  riportare  di  quelle  terre, 
ne  riporta  almeno  un  indizio  nella  palma  attaccata  al  suo  bastone: 
e  cosi  da  questo  segno  la  gente  conosce  che  visitò  quelle  terre, 


CANTO  XXXilI.  V23 

Che  si  reca  il  bordon  di  palina  ciato. 
Ed  io:  Sì  come  cera  da  suggello,  ** 
80-         Che  la  figura  impressa  non  trasmuta, 
Segnato  è  or  da  voi  lo  mio  cervello. 
Ma  perchè  tanto  sovra  mia  veduta  4li 
Vostra  parola  disiata  vola, 
Che  più  la  perde  quanto  più  s'aiuta? 
Perchè  conoscili,  disse,  quella  scuola  K1 
Ch'hai  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina 
Come  può  seguitar  la  mia  parola; 
E  veggi  vostra  via  dalla  divina 

Distar  cotanto,  quanto  si  discorda  M 
9°.         Da  terra  il  ciel  che  più  alto  festina. 

'3  Sì  come  cera  da  suggello.  Con  questa  similitudine  Dante  di- 
chiara di  avere  inteso  perfettamente  il  senso  delle  parole  di  Bea- 
trice, riguardo  alla  pianta  ed  al  suo  senso  morale;  ma  non  già 
riguardo  all'enigma  del  nome  indicato  numericamente,  V  ignoranza 
del  quale  gli  sta  fitta  in  mente  come  un  tormento,  e  non  se  ne 
darà  pace  finché  non  l'esponga  a  Beatrice  nei  versi  seguenti.  Il  poeta 
insiste  sul  doppio  senso  delle  lettere  DXV,  come  abbiamo  detto  in 
fine  della  nota  22:  Dux  Uguccio,  ovvero  Dux  Veronae. 

M  Ma  perchè  t.tnto  ecc.  Accenna  all'arcano  del  nome  dell'eroe 
indicato  numericamente:  e  siccome  si  lambiccava  il  cervello  per  ri- 
trovarne la  soluzione,  e  quanto  più  pensava,  tanto  meno  gli  riu- 
sciva, perciò  la  richiede  della  ragione  di  tanta  sua  profondità  di 
parlare. 

*7  Perchè  conoschi  ecc.  Perchè  conoschi  quanto  la  scuola  della 
filosofia  da  te  seguita  sinora  sia  inferiore  alla  mia  scuola  della  Ri- 
velazione. Dunque  certe  oscurità  che  si  trovano  in  questa  fine  del 
Purgatorio  sono  fatte  ad  arte,  per  far  conoscere  la  distanza  inBnita 
che  corre  tra  la  Ragione  e  la  Rivelazione  nel  regno  della  quale 
siamo  ornai  giunti.  Perchè  dunque  certuni,  come  il  Balbo,  hanno 
censurato  questa  oscurità,  ed  hanno  tacciato  Daute  di  essere  riu- 
scito molto  infelice  in  questi  ultimi  Canti,  se  qualche  oscurità  che 
qui  si  trova  è  fatta  ad  arte  così  sapiente,  e  se  quella  stessa  oscu- 
rità si  dirada  tanto  bene  al  lume  della  Storia? 

*8  Quanto  si  discorda  —  Da  terra  ecc.  Quanto  dalia   terra  è 


724  PURGATORIO 

OncTio  risposi  lei:  Non  mi  ricorda  i9 
Ch'io  straniassi  me  giammai  da  voi,  w 
Né  honne  coscienzia  che  rimorda. 

E,  se  tu  ricordar  non  te  ne  puoi, 
Sorridendo  rispose,  or   ti  rammenta  51 
Sì  come  di  Lete  beesti  ancoi;  5i 

E,  se  dal  fummo  fuoco  s'argomenta, 
Cotesta  oblivion  chiaro  conchiude  53 
Colpa  nella  tua  voglia  altrove  attenta.  H 
100    Veramente  oramai  saranno  nude  M 
Le  mie  parole,  quanto  converrassi 

distante  il  cielo  più  alto,  il  quale  appunto  per  essere  il  più  alto, 
dee  girare  in  tomo  alla  terra  con  moto  più  veloce  di  tutti  gli  altri 
cieli  inferiori. 

*9  Non  mi  ricorda.  Certamente  che  non  se  ne  potea  più  ricor- 
dare, perchè  avea  bevuto  di  Lete,  che  h  a  la  proprietà  di  cancellare 
ogni  memoria  del  male. 

*o  Ch'io  siraniassi  ecc.  Ch'io  mi  sia  mai  dipartito  dai  dettami 
della  Rivelazione.  Allude  alle  parole  dette  prima  da  Beatrice:  Quella 
scuola  —  Ch'hai  seguitata. 

M  Sorridendo  rispose.  Perchè  sorridendo?  Per  la   felice  dimen- 
ticanza che  avea  Dante,  senza  saperlo.  —  Or  li  rammenta  —  Sì  ecc. 
Questo  si  che  Dante  potea  rammentare  ;  perche  il  bere  di  Lete    era 
un  bene  e  n  n  un  male. 

8*  Ancoi.  Oggi,  in  questo  giorno.  Dante  avea  bevuto  di  Lete 
poco  prima. 

»8  Oblivion.  Non  si  può  concepii  e  l'obli vion  di  una  cosa,  senza 
supporre  esser  prima  esistita  la  cosa  obliata;  come  non  si  può  con- 
cepire resistenza  del  fummo  senza  la  precedente  esistenza  del  fuoco 

M  Colpa  nella  tua  voglia.  Esser  prima  esistita  una  colpa  nella 
tua  volontà  straniata  da  me. 

M  Veramente.  È  il  verumtamen  dei  latini.  -  Nude.  Aperto  e 
chiare.  Anche  da  ciò  si  vede  che  l'oscurità  posta  in  bocca  di  Bea- 
trice, non  fu  d'fetto  del  poeta,  com1  altri  asserì,  ma  arte  bella  e 
buona  per  provare  a  Dante  la  superiorità  d -Ila  Rivelazione  sulla 
Ragione.  Tanto  è  vero,  che  ottenuto  cosi  da  Beatrice  il  suo  intento, 
promette  chiarezza  per  l'avvenire. 


CANTO  XXXIII.  725 

Quelle  scovrire  alla  tua  vista  rude.  *tì 
E  più  corrusco,  e  con  più  lenti  passi  b7 
Teneva  il  sole  il  cerchio  di  merigge,  M 
Che  qua  e  là,  come  gli  aspetti,  fassi,  "9 
Quando  s' affisser,  sì  come  s'  affigge  M 
Chi  va  dinanzi  a  schiera  per  iscorta,  6I 
Se  trova  novitate  in  sue  vestigge,  6* 
Le  sette  donne  al  fin  d'un'onibra  smorta,  63 


sr>  rista  rude.  Intelletto  rozzo,  in  proporzion  della  sublimità  della 
Rivelazione,  della  quale  si  dimostra  qui  la  sterminata  eccedenza. 

37  E  piò,  corrusco.  Più  luminoso,  quale  mostra  essere  il  sole  giunto 
al  meridiano  per  minor  intoppo  di  vapori.  —  Con  piò,  lenti  passi. 
Veramente  il  sole  cammina  sempre  colla  stessa  velocità  in  qualun- 
que punto  della  sua  orbita;  ma  notauo  però  gli  astronomi  che  nelle 
sue  massime  elevazioni  pare  a  noi  che  vada  più  a  rilento  per  es- 
sere a  noi  meno  sensibile  il  suo  procedere,  e  ne  danno  l'esempio 
ponendo  un  uomo  al  centro  di  una  ruota  di  carrozza,  in  atto  di 
guardare  e  di  accompagnar  col IV echio  un  oggetto  posto  sulla  cir- 
conferenza, e  andante  colla  circonferenza  stessa,  che  nelle  parti 
somme  lo  vede  andar  più  a  rilento. 

&**  Il  cerchio  di  merigge.  Il  meridiano.  Dunque  era  mezzogiorno 
in  punto.  Tenetelo  bene  a  mente,  perchè  ci  sarà  da  discorrere  sa 
questo  anche  nel  Par  ad.  y  Canto  I,  n.  43. 

39  Che  qua  e  là  ecc.  Il  qual  meridiano  non  è  mai  lo  stesso  per 
qualunque  punto  della  terra,  ma  varia  secondo  gli  aspetti,  secondo 
il  vario  punto  di  chi  lo  guarda.  Ogni  volta  che  si  cambia  orizzonte 
si  cambia  pur  meridiano.  Che  se  è  il  sole,  e  non  il  cerchio,  il  sog- 
getto di  fassi,  come  si  potrebbe  anche  intendere,  allora  vorrebbe 
dire  che  il  sole  altera  il  suo  colorito,  come  lo  alterano  le  faccie  umane, 
ora  liete  e  ridenti,  ora  cupe  e  meste,  ora  rosse,  ora  pallide,  ecc. 

60  S'affisser.  Si  fermarono. 

61  Per  iscorta.  Per  guida 

62  Se  trova  novitate  ecc.  Li  novità  che  colà  trovarono  era  la 
fonte  d<i  due  fiumi,  Lete  ed  Eunoè. 

63  Le  sette  donne.  Le  tre  virtù  teologali,  e  le  quattro  cardinali 
che  portavano  li  sette  candelabri. 

Al  fin  oV un'ombra  smorta  —   Qual  ecc.  Al  termine  di  un'om- 
bra smorta,  dove  cioè  terminava  la  conca  della  fonte,  in  quel  punto 


726  PURGATORIO 

110-        Qual  sotto  foglie  verdi  e  rami  nigri 
Sovra  suoi  freddi  rivi  l'Alpe  porta. 
Dinanzi  ad  esse  Eufrates  e  Tigri  w 
Veder  mi  parve  uscir  d'una  fontana, 
E  quasi  amici  dipartirsi  pigri.  G5 

ove  da  essa  fonte  sgorgavano  due  fiumicelli.  (Vedi  Tav.  XIII).  Ras- 
somiglia quella  fonte  e  la  sua  ombra  all'ombra  ed  alle  fonti  delle 
nostre  alpi,  perchè  appunto  dove  colà  son  fonti,  ed  esse  sono  più 
fresche  che  nel  piano,  ed  hanno  intorno  degli  arboscelli  che  vi  por- 
tano una  smorta  ma  gratissim'ombra. 

6*  Dinanzi  ad  eeee  ecc.  Tutti  quei  personaggi,  venendo  dall'  al- 
bero verso  la  fonte,  avevano  la  faccia  rivolta  ad  est.  (Vedi  Tav.  XIII). 
In  capo  alla  processione  erano  le  sette  virtù,  che  si  arrestarono  al 
fin  della  fonte  colà  dove  sboccavano  i  due  fiumi.  Quindi  Dante  che 
era  indietro  vedeva  innanzi  alle  donne  uscir  dalla  fonte  due  fiumi, 
che,  per  esser  egli  nel  Paradiso  terrestre,  li  prese  pei  due  fiumi, 
Eufrate  e  Tigri,  dai  quali,  come  dice  la  S.  Scrittura,  era  irrigato 
il  terren  Paradiso  da  quella  parte  di  est  dove  ora  noi  siamo.  Da 
ciò  si  vedo,  che  secondo  l'opinione  di  Dante,  che  punto  non  con- 
tradice, alla  Santa  Scrittura,  li  qualuor  capita  in  cui  si  diramava 
Punica  fonte  del  Paradiso  terrestre,  altro  non  erano  che  due  fiumi - 
celli  indi  partiti  ad  irrigare  le  quattro  plaghe  di  esso  Paradiso.  Eu- 
frate, che  sarebbe  secondo  Dante,  il  Lete,  volge  di  là  a  mezzogiorno, 
e  il  Tigri,  che  secondo  lui,  sarebbe  Eunoè,  volge  di  là  a  setten- 
trione Nella  plaga  settentrionale  poi  questi  due  fiumi  s'incontrano 
ed  hanno  colà  la  loro  foce,  entro  le  viscere  della  terra.  Ed  ò  per 
questo  che  Dante  li  fa  spicciare  appunto  dopo  un  corso  di  filtra- 
zione  nel  sasso ,  li  fa  spicciare,  dico,  nella  facciata  di  nord  dalla  ripa 
sopra  la  cornice  VI  dei  golosi  per  ispruzzarc  la  pianta  che  colà 
abbiamo  veduta.  (Vedi  Tav.  V,  Faccia  verso  nord,  Cornice  VI). 
Lete  percorre  cosi  molto  più  spazio  che  Eunoè,  percorrendo  esso 
tutta  la  facciata  di  ovest,  dove  l'abbiamo  trovato  la  prima  volta 
nel  Canto  XXVIII,  quella  di  sud,  e  metà  di  quella  di  est  e  di  nord, 
mentre  Eunoè  non  percorre  che  metà  di  facciata  di  est  e  metà  di 
nord,  e  ciò,  cred'  io,  ad  indicare  che  abbiamo  molto  più  bisogno  di 
dimenticarci  del  male,  che  di  ricordarci  del  bene. 

63  E  quasi  amici  ecc.  Andar  tranquilli  e  cheti  in  parte  contraria, 
Lete  verso  mezzodì,  Eunoè  verso  settentrione.  (Vedi  Tav.  XIII). 
Cosi  fanno  gli  amici  nel  dipartirsi:  essi  si  dividono  a  lenti  passi 
pel  dispiacer  di  lasciarsi. 


CANTO  XXXIII.  727 

O  luce,  o  gloria  della  gente  umana,  66 
Che  acqua  è  questa  che  qui  si  dispiega 
Da  un  principio,  e  sé  da  sé  lontana?  67 

Per  cotal  prego  detto  mi  fu:  Prega  68 
Matelda  che  il  ti  dica.  E  qui  rispose,  * 
120.       Come  fa  chi  da  colpa  si  dislega, 70 

La  bella  donna:  Questo,  ed  altre  cose  7I 
Dette  li  son  per  me  ;  e  son  sicura 
Che  l'acqua  di  Lete  non  gliel  nascose.  n 

E  Beatrice:  Forse  maggior  cura,  n 
Che  spesse  volte  la  memoria  priva, 
Fatto  ha  la  mente  sua  negli  occhi  oscura. 

Ma  vedi  Eunoè  che  là  deriva  : 

Menalo  ad  esso,  e,  come  tu  se'  usa,  74 


*»  O  luce  ecc.  La  Rivelazione,  Beatrice,  merita  veramente  questi 
appellativi.  E  veramente  non  altri  che  la  Rivelazione  seppe  dirci 
di  questi  fiumi  del  Paradiso  terrestre, 

&  E  «è  da  se  lontana  ?  Perchè  uno  va  a  sud,  l'altro  a  nord. 

68  Detto  mi  fu.  Da  Beatrice. 

69  Matelda  che  il  ti  dica.  Quale  ministra  della  Rivelazione  sic- 
come è  chi  attende  alla  vita  attiva,  che  è  tutta  [in  servizio  dell'uomo. 
Quest'  è  la  professione  che  abbiam  già  detto  rappresentata  da  Ma- 
tilde. 

70  Come  fa  chi  da  colpa  ecc.  Matilde  avea  istruito  Dante  già 
prima,  cioè  nel  Canto  XXVIII.  intorno  a  questi  due  fiumi  ed  alle 
lor  proprietà  in  quelle  parole:  L'acqua  che  vedi  ecc.,  versi  121*. 
Ma  la  dimanda  di  Dante  facea  credere  che  Matilde  avesse  mancato 
d'istruirlo. 

7*  Questo  ed  altre  cose.  Da  questa  risposta  di  Matilde,  Dante  com- 
prende che  fiumi  son  questi,  cioè  i  discorsi  da  lei  nel  Canto  XXVIII. 

72  Non  gliel  nascose.  Perchè  Lete  fa  dimenticare  i  soli  mali,  e 
il  saper  di  questi  due  fiumi  non  è  un  male, 

73  Forse  maggior  cura.  Allude  ai  rimproveri  ch'ella  fece  a  Dante, 
rimproveri  che  lo  gettarono  in  tanta  costernazione. 

74  Conte  tu  sé1  usa.  Se'  usa  di  fare  con  tutte  l'anime  purgate  nei 
giri  del  Purgatorio. 


728  PURGATORIO 

La  tramortita  sua  virtù  ravviva.  7* 
*80.   Com'anima  gentil,  che  non  fa  scusa, 

Ma  fa  sua  voglia  della  voglia  altrui, 
Tosto  com' ft  per  segno  fuor  dischiusa; 
Così,  poi  che  da  essa  preso  fui, 
La  bella  donna  mossesi,  ed  a  Stazio  7G 
Donnescamente  disse  :  Vien  con  lui.  77 
S'io  avessi,  lettor,  più  lungo  spazio 
Da  scrivere,  io  pur  cantere'  in  parte 
Lo  dolce  ber  che  mai  non  m'avria  sazio. 
Ma  perchè  piene  son  tutte  le  carte  78 
140.       Ordite  a  questa  Cantica  seconda, 

Non  mi  lascia  più  ir  lo  fren  dell'arte. 

75  La  tramortita  ecc.  Con  dargli,  mediante  il  ber  di  Eunoè  (buona 
mente)  la  memoria  del  ben  ratto  che  ravviva  e  racconsola  la  nostra 
fralezza. 

76  A  Stazio.  Anche  Stazio  dovea  bere  ad  Eunoe,  come  dovette 
bere  a  Lete,  sebbene  non  sia  stato  detto.  Certe  cose  Dan  e  le  fa 
intender  ad  un  solo  accenno  ch'egli  pone  qui  o  cola;  e  questo  va 
assai  bene  per  non  confondere  le  parti  principali,  e  alle  quali  si  vuol 
tutta  trarre  l'attenzion  dei  lettori,  colle  parti  secondarie.  Il  bere  di 
Stazio  è  qui  fatto  intendere  così  dalla  lungi,  che  appena  si  conosco 
da  chi  vi  presta  attenzione.  Arte  mirabile  del  poeta  per  non  prò- 
giudicare  al  soggetto  principale. 

77  Donnescamente.  In  atto  matronale. 

78  Ma  perchè  piene  son  tutte  le  earte  ecc.  Dante  è  simmetrico 
anche  nella  materiale  quantità  dei  Canti  e  dei  versi,  oltre  l'altra 
simmetria  materiale  che  osservò  in  tutte  le  parti  del  suo  poema, 
simmetria  che  abbiamo  avuto  occasione  d'ammirare  altre  volte,  mas- 
sime nella  forma  e  misura  dei  luoghi  percorsi.  Le  grandi  menti  at- 
tendono molto  a  questa  simmetria,  che  è  molto  utile  a  dar  chiarezza 
ed  unità;  simmetria,  che  applicata  alle  arti  della  pittura,  scultura 
ed  architettura,  di*>de  loro  tanta  aria  di  sublime  semplicità  fino  agli 
artisti  del  500,  i  quali  se  ebbero  il  merito  di  dare  all'arte  uno  slan- 
cio, sino  allor  non  tentato,  ebbero  però  il  demerito  di  crear  cosi  la 
scuola  dei  licenziosi  e  degli  ammanierati  che  vennero  poscia.  Gli 
artisti  del  500,  o  non  doveano  mai  nascere,  o  non  doveano  poi  morire* 


CANTO  XXXIII.  729 

Io  ritornai  dalla  santissim'onda 
Rifatto  sì,  come  piante  novelle 
Rinnovellato  di  novella  fronda, 

Puro  e  disposto  a  salire  alle  stelle.  7ìl 

"i>  Stelle,  Per  amore  alla  stessa  simmetria,  termina  la  seconda 
Cantica  coni*  la  prima,  e  cosi  terminerà  pure  la  terza.  Io  suppongo 
che  dal  mezzodì,  notato  alla  nota  58,  insino  al  termine  del  bere  in 
Eunoc,  sieno  passati  Iti  minuti,  che  pare  tanti  abbiano  dovuto  oc- 
correre per  fare  quello  che  si  fece  dal  mezzogiorno  in  poi.  Cosi 
Danto  si  fa  stare  nel  Paradiso  terrestre  G  ore,  quante  egli  suppone 
nel  Canto  XXVI  del  Paradiso ,  che  ci  sia  stato  Adamo,  sebbene 
in  modo  contrario  a  quello  di  Adamo.  Adamo,  come  dice  Dante, 
ci  stette  G  ore  tra  innocente  e  colpevole.  Dante  ci  stette  pure  G  ore 
tra  bisognoso  di  mondezza  ed  al  tutto  purificato. 


Fine  del  T  croato  rio. 


47 


APPENDICE 


al  PURGATORIO  cinto  I,  verso  75,  hota  li. 


Impedito  una  fiata  di  correggere  da  me  iteiso  la  stampa  di 
quest'opera,  m'accorsi  troppo  tardi  che,  senza  mia  saputa,  non  so  come, 
si  aveva  alterato  sostanzialmente  la  soprascritta  nota  del  mio  Com- 
mento; sicché,  dov'io  difendeva,  si  veniva  invece  a  condannare  il 
poeta,  o  almeno  a  lasciarlo  ingiustificato.  Ecco  pertanto  la  mia  nota 
nella  sua  genuina  integrità, 

4*  La  veste  che  ecc.  La  veste  del  tuo  corpo,  che  nel  di  del  giu- 
dizio risorgerà  glorioso.  Dunque,  secondo  queste  parole,  Catone 
è  lodato  del  suo  suicidio,  quale  un  atto  glorioso.  D'altra  parte  noi 
troviamo  i  suicide  condannati  nel  Canto  XIII  àe\V  Inferno  e  puniti 
colà  giù,  come  vedemmo.  Se  è  un  peccato  degno  d'inferno,  perchè 
Catone  non  è  fra  i  dannati  per  suicidio  ?  £  se  non  è  tal  peccato, 
perchè  far  dannati  tutti  quegli  altri?  Bisogna  sciogliere  questa  con- 
traddizione. 

Intanto  vuoisi  notare  per  sentenza  di  Dante,  che  il  suicidio  per 
sé  stesso  è  peccato  e  peccato  gravissimo.  Né  questa  è  dottrina  di 
solo  Dante,  ma  la  è  pur  di  Virgilio,  a  cui  Dante  fa  dire  nel  Can- 
to XI  dell'/Ti/.; 

e  però  nel  secondo 

Giron  convien  ohe  senza  prò  si  penta 
Qualunque  priva  sé  del  vostro  mondo. 

Virgilio  stesso  nella  sua  Eneide  condanna  i  suicide  alle  pene  di 
averno,  come  Dante.  Dante  poi,  come  cristiano  e  teologo  tomista, 
lo  sapeva  ancor  meglio.  Sicché  non  è  a  dubitare  che  si  Dante,  come 
Virgilio  ritenessero  il  suicidio  per  peccato  gravissimo. 

Ma  perchè  il  suicidio  è  per  sé  peccato  gravissimo,  dunque  ogni 
suicidio  sarà  sempre  tale  peccato,  che  non  si  sia  mai  potuto  e  che 
mai  non  si  possa  giustificare  od  esimerlo  da  peccato?  Il  punto 


732  APPENDICE 

dunque  della  questione  per  riguardo  a  Dante  che  pone  Catone  a 
custode  dell'antipurgatorio,  e  per  riguardo  a  Virgilio  che  lo  enco- 
mia, si  riduce  a  questo  :  Se  il  suicidio  di  Catone  nell'atto  pratico, 
ossia  soggettivamente,  fossa  essere  giustificato  ed  anche  lodato,  Vir- 
gilio e  Dante  tengono  per  la  sentenza  affermativa.  Hanno  essi  ra- 
gione? 

Rispondo  :  Potrebbero  aver  torto,  ma  potrebbero  anche  aver 
ragione.  Potrebbero  aver  torto,  e  l'avrebbero,  nella  ipotesi  che  Catone 
avesse  saputo  di  fare,  uccidendosi,  un'azione,  che  per  nessun  caso  gli 
passava  per  lecita  la  legge  di  natura.  Ma  potrebbero  anche  aver 
ragione  nella  ipotesi  che  Catone  avesse  creduto  in  buona  coscienza, 
sebbene  erronea,  di  poter  fare  lecitamente  in  quel  caso  quella  azione, 
quantunque  generalmente  vietata. 

E  evidente  che  Dante  e  Virgilio  stanno  qui  per  la  seconda  ipo- 
tesi, ammessa  la  quale,  non  veggo  che  sia  troppo  da  scandolezzarsi 
di  questi  due  poeti  pel  fatto  di  Catone.  Anche  san  Gian  Crisostomo 
e  sant'Agostino,  parlando  di  cèrti  delitti  che  qui  non  occor  nomi- 
nare, sebbene  per  so  stessi  li  ritengono  veri  delitti,  pure,  per  lo 
stesso  principio  di  Dante,  trovano  di  scusarli.  Imperciocché  può  darsi 
il  caso  che  un  peccato  che  potrebbe  esser  formale,  ossia  imputabile, 
resti  soltanto  materiale,  e  quindi  non  imputabile.  Tale  è  il  senti- 
mento dei  nostri  poeti  su  Catone.  Essi  ritengono  che  egli  abbia 
commesso  un  peccato  puramente  materiale,  e  perciò  lo  assolvono 
da  ogni  colpa.  Che  poi  la  cosa  sia  passata  veramente  così,  que- 
sto è  un  altro  discorso.  Basta  ch'essi  abbiano  ritenuto  il  principio 
della  colpabilità  generica  di  siffatta  azione,  senza  voler  preten- 
dere da  essi  quello  che  non  si  può  uè  in  filosofia,  nò  in  mo- 
rale, cioè  che  veramente  Catone  abbia  commesso  in  quel  caso  un 
peccato  formale,  e  non  ci  sia  verso  da  potorio  per  nessun  modo 
giustificare.  Chi  negherà  che  la  passion  della  patria  non  sia  gran- 
dissima? Chi  negherà  ch'ella  possa  talora  turbare  siffattamente  lo 
intelletto  da  creder  lecito  quel  che  non  è?  Chi  negherà  che  non 
possa  entrare  in  qualche  anima  generosa  in  date  circostanze  di  ca- 
tastrofi politiche  fin  l'idea  del  dovere  di  dar  la  sua  vita  perchè  la 
si  crede  l'unico  mezzo  di  salvar  tutte  l'altre?  Io  non  affermo,  lo 
ripeto,  che  tale  precisamente  fosse  il  caso  di  Catone  quando  si  uc- 
cise, ma  dico  soltanto  che  lo  potea  essere,  e  questo  basta  al  mio  uopo. 

Aggiungo  che  Dante,  a  giustificazione  del  suicidio  di  Catone, 
poteva  esser  mosso  da  un  esempio  simile  che  abbiamo  nelle  Divine 
Scritture,  l'esempio  di  Razia,  narratoci  nel  I  Machab,  XIV,  37. 
Razia  fu  accusato  davanti  a  Nicànore  governatore  della  Giudea  da 


PURGATORIO  733 

Demetrio:  Razias  quidem  de  senioribus  ab  Hitrosolymis  delatus 
est  Nicanori.  E  questi  per  dare  un  segno  publico  dell'odio  che  por- 
tava a' Giudei,  inviò  cinquecento  soldati  per  disfarsi  di  lui.  Razia, 
vedendo  di  non  poter  iscappare  dalle  loro  inani,  si  diede  un  colpo 
di  spada,  amando  meglio  morire  coraggiosamente,  che  vedersi  sot- 
toposto a  peccatori,  e  soffrire  oltraggi  indegni  della  sua  nascita. 
Ma  non  essendo  mortale  quel  colpo,  quando  egli  vide  i  soldati  en- 
trare in  folla  nella  sua  casa,  corse  sul  muro,  e  spiritosamente  si 
precipitò  dall'alto  al  basso.  Non  avendolo  quella  caduta  fatto  mo- 
rire, fece  un  nuovo  sforzo,  si  raddrizzò;  e  strappandosi  le  intestina 
dal  corpo,  le  gittò  colle  sue  mani  sopra  del  popolo,  invocando  il 
Dominatore  della  vita  e  dell'anima,  acciocché  se  gli  rendesse  un 
giorno,  e  co9Ì  fini  di  vivere  :  Jnvocans  Dominatorem  vitee  et  spi- 
rittts*  ut  ìuec  UH  iterum  redderet,  atque  ita  vita  defunctus  est. 

I  Giudei  mettono  Razia  nel  numero  dei  loro  più  illustri  martiri, 
e  riguardano  la  sua  morte  come  una  ispirazione  straordinaria  di 
Dio.  Que9t'ì»  ancora  il  giudizio  che  ne  fanno  alcuni  interpreti  cat- 
tolici, che  Io  paragonano  a  Sansone,  non  ostante  la  sentenza  con- 
traria di  sant'Agostino.  Certo  la  Scrittura,  se  non  loda  apertamente 
la  sua  morte,  nemmeno  la  biasima,  e  con  ciò  solo  ha  lasciato  una 
cotal  libertà  di  giudizio  sul  fine  di  Rnzia.  Ecco  le  parole  della  santa 
Scrittura,  sulle  quali  si  sono  fatti  forti  gl'interpreti:  Eligens  nobi- 
li ter  mori,  potius  quam  snòdi tum  fieri  peccatoribus,  et  con  tra  «a- 
tales  8V08  indignis  injuriis  agi.  Io  non  sarò  mai  quegli  che  pre- 
suma decidere  in  tanta  lite;  ma  posso  sempre  supporre  che  Dante 
peritissimo  della  Bibbia,  abbia  avuto  presente  Razia  quando  s'in- 
dusse a  metter  salvo  Catone.  È  vero  che  Catone  non  era  Razia, 
ma  appunto  per  questo,  cioè  per  il  difetto  dei  lumi  che  poteano 
guidarlo  nella  sua  final  decisione,  meriterebbe  d'esser  più  giustifi- 
cato Catone  che  Razia. 

Del  resto,  mentre  tutti  credono  che  Dante  abbia  trattato  troppo 
generosamente  Catone,  collocandolo  alle  falde  dell'antipurgatorio 
senza  calcolar  la  sua  colpa,  io  trovo  invece  che  l'ha  trattato  con 
alquanta  severità.  Imperciocché  ammesso  che  Catone  fosse  in  vita 
quell'uomo  che  si  poteva  dar  per  modello  delle  quattro  virtù  car~ 
dinali  (nel  che  pare  che  con  Dante  si  accordino  molti,  se  non  tutti 
gli  storici);  ammesso  puro  ch'egli  si  possa  scusar  di  reato  nel  sui- 
cidio, perchè,  dico,  noi  pose  in  cielo  dove  pur  collocò  Traiano,  prin- 
cipe gentile,  senza  che  ne  rèsti  perciò  scandolezzato  nessuno  ?  Mj 
si  dira:  Perchè  Catone  non  adorò  debitamente  Iddio.  Ma  io  rispondo  : 
Neppur  Traiano  lo  adorò  debitamente;  ma  per  rimediare  a  tal  colpa 


734  APPENDICE 

Dante  lo  fa  tornare  al  corpo,  e  salvarsi.  Soggiungo  poi  che  se  fosse 
veramente  per  questo,  Dante  avrebbe  collocato  Catone  nella  città 
dei  Savi  al  primo  cerchio  d'inferno,  insieme  con  Virgilio  e  con  altri 
grandi  Vedendo  che  non  l'ha  collocato  nel  limbo,  dunque  Dante 
non  riconobbe  in  lui  nemmeno  questo  peccato.  Dunque,  a  ben  pen- 
sare, Catone  per  Dante  avrebbe  dovuto  trovarsi  in  cielo.  Invece  lo 
pianta  là  alle  falde  dell'antipurgatorio,  e,  a  quel  che  pare,  senza 
nessuna  speranza  di  salire  al  cielo  quando  che  sia,  non  ostante  lo 
splendor  del  suo  corpo  nella  universale  risurrezione.  Perchè  è  bensì 
vero  che  si  tocca  della  sua  gloriosa  risurrezione,  dove  ò  detto  : 

La  veste  che  al  gran  di  sarà  si  chiara: 

ma  prima  quelle  parole  Dante  le  pone  in  bocca  a  Virgilio,  il  quale 
trovando  in  quel  luogo  e  in  quell'ufficio,  e  in  tanta  chiarezza,  il  suo 
Catone,  è  indotto  a  crederò  necessariamente,  ch'egli  sia  destinato 
all'immortalità  dei  beati.  In  secondo  luogo  non  è  si  manifesto  che 
quelle  parole  determinino  una  vera  risurrezione  gloriosa,  quale  la 
acquisteranno  i  veri  beati,  mentre  si  può  intendere  (e  cosi  infatti 
va  inteso)  anche  una  chiarezza  di  corpo,  quale  l'aveva  allor  la  sua 
ombra,  cosi  raggiata  dalle  quattro  virtù  cardinali;  il  che  sarebbe 
una  chiarezza  puramente  naturale,  ben  diversa  da  quella  dei  veri 
corpi  gloriosi  e  beati.  Adunque  con  tutta  la  indulgenza  di  Dante 
verso  Catone,  eccotelo  al  purgatorio  in  tristissime  condizioni. 

Prima  condizione,  escluso  per  sempre  dalla  vista  di  Dio. 

Seconda  condizione,  condannato  a  vivere  solo  ;  e  chi  può  misurar 
questa  pena? 

Terza  condizione,  messo  alla  oustodia  d'un  luogo,  ove  l'anime  si 
purificano  per  ire  al  cielo,  senza  ch'egli  vi  possa  mai  metter  piede 
per  mondarsi  egli  stesso,  e  cosi  giungere  con  esse  alla  beatitudine. 

Quarta  condizione,  accogliere  e  vedere  continuamente  le  anime 
elette  passargli  davanti,  senza  ch'egli  si  possa  mai  unire  con  loro. 

Quinta  condizione,  eccitarle  ad  acceleiare  la  loro  beatitudine,  e 
intanto  non  poter  mai  accelerarla  a  so  stesso. 

Sicché  tutto  esaminato,  la  condizione  di  Catone  alle  falde  del  pur- 
gatorio, se  è  migliore  di  quella  che  hanno  i  Savi  nel  I  cerchio  di 
inferno,  non  par  migliore  di  troppo.  Si  conosce  a  tutta  evidenza 
che  Dante  intronato  le  orecchie  per  tante  lodi  prodigate  a  Catone 
da  tutta  l'antichità,  da  Virgilio  (Eri.  LVI),  da  Lucano  (Fars.  IX), 
da  Sallustio,  da  Seneca  e  da  tanti  altri,  lodi  che  formarono  anche 
l'opinione  del  medio  evo  su  quel  soggetto,  come  apparisce  e  da 
Dante  stesso  nel  suo  Convivio,  e  da  Pietro  figliuolo  di  Dante  nei 


PURGATORIO  735 

suoi  commenti,  e  da  un  commento  inedito  della  Laurenziana,  si 
conosce,  dico,  da  tutto  questo  che  Dante  in  servigio  di  Catone  volle 
creare  uno  stato  intermedio  tra  quello  che  hanno  i  Savi  del  I  cer- 
chio d'inferno,  e  le  anime  purganti  destinate  all'eterna  e  beata  im- 
mortalità. 

Così  noi  veniamo  ad  avere,  o  meglio  a  supporre,  per  effetto  della 
ricca  immaginazione  di  Dante,  una  copiosa  gradazione  di  stati  ul- 
tramondiali tra  gli  umani,  come  la  vedemmo  da  lui  trovata  tra  gli 
angeli  ;  stati  che  comprendono  tutti  i  casi  possibili,  senza  che  per 
essi  venga  ad  intaccarsi  la  credenza  cattolica.  Noi  cattolici  crediamo 
che  ci  sieno  dannati,  purganti  e  beati  :  riteniamo  pure  che  la  classe 
dei  dannati  si  suddivida  in  due,  in  quella  dei  bambini  morti  senza 
battesimo,  aventi  il  peccato  originale,  senza  gli  attuali,  e  in  quella 
degli  adulti  con  o  senza  il  peccato  originale,  ma  sempre  con  pec- 
cati attuali  gravi:  i  primi  con  la  sola  pena  del  danno,  ed  i  se* 
condi  anche  con  quella  del  senso.  Sicché  al  più  noi  abbiamo  notizia 
di  quattro  stati,  1  o  di  dannati  alia  sola  pena  del  danno  ;  2,°  di  dannati 
a  qmella  del  danno  e  a  quella  del  senso  ;  3.°  di  purganti  ;  4.o  di  beati. 
Dante  ritenne  questi,  e  ve  ne  aggiunse  degli  altri.  Ai  dannati  alla 
sola  pena  del  danno  vi  aggiunse  i  sospesi  che  vivono  nel  castello 
ameno  dei  Savi,  in  una  cotale  felicità  naturale  letteraria  e  civile. 
Ecco  una  modificazione  supposta  da  Dante,  e  non  supposta  dai  teo- 
logi. Forse  non  ci  sarà  questo  stato,  ma  è  possibile,  e  tanto  basta 
per  il  poeta  teologo.  Così  ai  purganti  aggiunse  il  solo  Catone  pel 
merito  singolare  delle  sue  quattro  virtù  cardinali.  Ecco  un'altra  mo- 
dificazione dello  stesso  genere.  Questi  stati  non  ci  saranno;  ciò  poco 
importa  ;  basta  che  sian  possibili  perchè  al  poeta  sia  lecito  di  adot- 
tarli, anche  per  un  solo  individuo,  qual  fu  Catone,  il  quale  non  dee 
esser  beato,  perchè  non  ebbe  la  fede  ;  non  dee  esser  purgante,  perchè 
non  può  esser  tale  se  non  chi  è  eletto  alla  gloria;  non  dee  essere 
dannato  alla  pena  del  senso,  perchè  si  suppone  senza  peccati  attuali. 
Dunque  dovrebbe  esser  nel  castello  cogli  altri  Savi  e  con  Virgilio. 
Ma  essendo  egli  spiccato  più  di  tutti  questi  per  le  virtù,  ragione 
voleva  che  non  fosse  con  lor  confuso,  ma  che  fosse  trovato  un  altro 
stato  degno  di  lui.  Questo  stato  è  appunto  il  luogo  e  la  condi- 
zione in  che  Dante  lo  pose. 

Credo  che  questo  brevissimo  discorso  possa  valere  sufficientemente 
a  togliere  ogni  maraviglia  ed  ogni  scandalo  prodotto  in  chi  legge 
dal  trovare  Catone  posto  a  custode  del  purgatorio,  o,  per  meglio 
dire,  delle  sue  falde,  senza  bisogno  per  giustificar  Dante  di  creare 
un  Catone  allegorico,  come  fece  il  canonico  Brunone  Bianchi  nei 


736  APPENDICE 

suoi  commenti.  Dante  ci  dà  Catone  per  quel  che  è,  e  per  questo  lo 
definisce  con  tutti  i  particolari  di  luì.  Si  sa  che  in  questo  perso- 
naggio c'è  della  poesia;  ma  la  poesia  non  consiste  nello  spacciarlo 
per  allegorico.  Se  Dante  avesse  errato  nella  scelta  di  Catone,  tanto 
avrebbe  errato  facendolo  storico,  quanto  facendolo  allegorico.  Ma 
il  fatto  non  è  cosi,  come  abbiam  dimostrato. 


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