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Db 1907
Barvard College Libraro
PROM TIOR GIFT_OPTII
DANTE SOCIETY
CAMBRIDGE, MASS
Nirsgat”
Gift of
the Dante Society]
gouno way: "1910
PROPRIETÀ LETTERARIA
ALL' ONOREVOLE
GUGLIELMO WARREN VERNON
AOCADEMICO CORRISPONDENTE DELLA CRUSCA
DOTTO TRADUTTORE E COMMENTATORE DI DANTE
AMICO MAGNANIMO E SINCERO
QUESTO UMILE LAVORO
IN SEGNO DI RIVERENZA, GRATITUDINE ED AMICIZIA
IL COMMENTATORE
PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
Nel mettere alla luce per la quarta volta la editio
minor, che della Divina Commedia riveduta nel testo è
commentata ci dette G. A. SCARTAZZINI, è naturale che
‘il primo pensiero e la prima parola siano per lui, che in
età non ancor grave ebbe tronca il 10 febbraio 1901 la
vita, e non potè dare a questa sua opera le nuove enre
che, pubblicandola la terza volta, prevedeva egli stesso
»arebbero state necessarie.
Non è questo il momento nè il Inogo di tessere una bio-
grafia!) del celebre uomo, o, tanto meno, di pronunziare
un giudizio assoluto e definitivo intorno a Ini e alla
varia opera sua; nè io mi sentirei in grado di farlo, sia
perchè vedo mancarmi troppi degli elementi necessarì
per ritrarre al vero la sua figura e portarne giudizio
equo e compiuto, sia perchè mal si converrebbe a chi è
gregario ® fra gli ultimi venuti nel campo degli studi
danteschi, l'erigersi a giudice di un nomo che vi fu Inn *
h 3) Della vita n delle opere dello Seartazzini vedanni anzitutto le to-
(lin cli'ogli dotte di sò nel Dante in Germania (Milano, Hoopli, 1881-83),
i nai articoli nocrologici di Pio Raya nel
dell 24 febbraio 1901, di A. Fraxotazzo nel Giornale Dan
ren ir X. Kraus nella Beflage sur Alle
| Zeltwmy del I cia e di.un anonimo nel giornale er
x PREFAZIONE ALLA QUARTA RDIZIONE
gamente e meritamente considerato fra i duci. Oltre di
che, a parlare in modo degno dello Scartazzini, si do-
yrebbe rappresentare e considerare l’attività sua sotto pa
recchi aspetti. Prima ancora che dantista, egli fu teologo,
e, în tale qualità, esercitò per la più gran parte della sua
vita l’afficio di pastore; e se degli studi danteschi fece
il centro, a così dire, della sua attività intellettuale, e ad
essi dovè la larga nominanza acquistata, sicchè solo del
dantista, o principalmente di esso, dura e durerà la fama,
ei mise volentieri il piede anche in altri campi della let-
teratura nostra; e di materie ancor più varie, come sareb-
bero storia dell’arte, storia politica, filosofia, e persino
selenze naturali, mostrò cognizioni sicure e si rivelò amo-
roso cultore nella sua opera di pubblicista e collaboratore
tli periodici letterari e scientifici. Come uomo poi e citta»
dino, benchè amasse la solitudine e il ritiro, propizîi agli
studi prediletti, 8" immischiò più d’una volta alle lotte
della vita pubblica del suo paese, e vi prese è vi tenne
Îl posto di combattente animoso ed ardito.
Ma, bisogna pur dirlo, la difficoltà maggiore che in-
contra chi voglia parlare di lui, proviene da certe qua-
lità poco simpatiche ch'egli spesso rivelò nella sua profes-
gione di scrittore e di critico. Baldo, sicuro di sè, assoluto
nel profferir giudizio intorno ad nomini e cose; insoffe-
rente di contraddizioni; disposto ad obbedire agl’ impulsi
del sentimento e della passione momentanea © alle îm»
pressioni, piuttostochè alla voce calma e severa della ra-
gione; facile, perciò, altrettanto a mutar giudizi e criterî
quanto ad ostinarsi in opinioni errate, pur di non cedere
agli avversari; lo Scartazzini si attirò di necessità molte
inimicizie, e si trovò impigliato in polemiche disgustose
èd astiose, nelle quali trascorse troppo spesso a modi
& 3 forme assai lontane non pure dall’urbanità, ma, ch'è
PREFAZIONE ALIA QUARTA EDIZIONE x
peggio, dalla giustizia. Eppure, gli attacchi insolenti, i
motti sdeguosi, i giudizî sgarbati sì leggono talora a breve
distanza da espressioni cortesi e rispettose! Come mait
Gli è che l'indole focosa e battagliera, nei momenti in
enti lo dominava, gli faceva, com'io eredo, parer naturale
Quella vivacità eccessiva di pensiero e di parola; e non
gli lasciava forse capire nè intravedere che altri, e con
tagione, potesse giudicare i suoi modi come segno di
animo maligno e proclive alla maldicenza. Così, per citare
Un esempio caratteristico, in fine del secondo volume del
Dunte in Germania, egli vuole scusare come frizzi e pia-
tevolezze * delle quali l'antore credette di dover condire
l'arida materia’, le frasi pungenti e irriverenti che si leg-
gono qua e là nel corso dell’opera, in ispecie nel primo vo-
lume, e si duole che altri abbiano considerate le sue parole
tome offensive, e dichiara che costoro non le hanno sapute
interpretare, come se fosse possibile un’altra interpreta-
zione per chi prenda le parole nel loro vero significato!
E che lo Scartazzini ne' suoi eccessi fosse piuttosto vit-
tima del proprio temperamento che maligno, m'induce
& erederlo un altro fatto. Sarebbe facilissima cosa, spigo-
lindo negli scritti di lui, formare un buon codicetto dei
Diù onesti, dei più savi principi di critica letteraria; nè
mino facile raccogliere assennati rilievi di mende è di-
feti d'opere altrui,
Eppure egli era il primo a violar nella pratica quei
Qrineipî; e a lui si potrebbero rinfacciare con le sue
@tesse parole le colpe — spesso accresciute ed aggravate —
the pur sapeva sì bene rilevare in altri. Come non av
Vedersi di sì stridente contraddizione? Come non temere
glie qualcano gli rivolgesse la domanda dell’evangelo:
e er tuî, et trabem in oculo tuo
So bene che i) Jettore mi potrebbe qui ricordare
n PREPAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
il famoso padre Zappata, e rammentarmi che altro è dire,
altro è fare; ma, quando Vuomo che dice e fa, ha in-
gegno e dottrina quali ebbe lo Scartazzini, un'altra ra-
gione ci vuole; e questa, nel caso nostro, io la vedo ap-
punto nell’indole impetuosa e scontrosa, che, sopraffacendo
il valentuomo, gl’impediva la retta e netta visione delle
cose, e lo portava agli eccessi che i suoi stessi amici più
volte deplorarono. Forse, come acutamente osservava
FF. X. Kraus, se lo Scartazzini si fosse tenuto meno ap-
partato dalla società, avrebbe finito con levigare la ru-
videzza naturale; la quale, del resto, com'ebbe ad osser
vare nel citato articolo necrologico il giornale Der Bund
di Berna, pare connaturata a quei della Val Bregaglia,
dove il nostro era nato e dove lungamente visse.
Ho insistito un po' a lungo sull’ indole dello Scartaz:
zini, perchè il suo. mi pare esempio notabile, se altro
mai, dell'intimo legame che, anche nell’esercizio della
eritiea, hanno le doti e tendenze dell'animo con le qualità
dell'intelletto, e della funesta azione che quelle possono
talora avere su queste. Giacchè niuno vorrà negare allo
Seartazzini un intelletto, che, robusto per natura e rin-
Wigorito da larghi è svariati studi e da assidue e mol-
teplici letture, era messo in moto da una volontà tenace
e da una mirabile laboriosità; e nn tale intelletto, se
ussistito da un temperamento più sereno e più calmo,
avrebbe dato frutti, non so se ugualmente copiosi o più
scarsi, ma certo migliori molte volte e più durevoli di
quelli che diede.
È un’altra dote non comune ebbe la mente di lui;
quella di saper concepire con larghezza e chiarezza il
piano delle sue opere, è tracciarne il disegno generale con
nettezza di contorni e bella armonia di parti. Consideri,
chi se ne voglia persuadere, il Dante-Handbuch, o i Prole
——e--
PREFAZIONE ALLA QUABTA EDIZIONE min
gomenti alla D. C. lipsiense, 0 la Dantologia, o questa stessa
edizione, della cui fortuna alcuno, è non a torto, vide una
forte ragione appunto nel nitido assetto generale, nella
intelaiatura, a così dire, entro cui è disposta la materia.
Anzi, per dire tutta la verità, l’amore della simmetria
generale arrivò talora nello Seartazzini tropp oltre; come
quando — non so se altri abbia mai rilevata la cosa — di-
rideva la Dantologia 1) in due parti, e ognuna di queste
in 4 capitoli, e ciascun capitolo in 9 paragrafi. Purtroppo
insieme con le ottime qualità di architetto egli non mo-
Strò sempre tutte quelle del buon costruttore
Comunque sia, chi cerchi di abbracciare con nn solo
&guardo i contributi che agli studi danteschi egli arrecò
in in periodo d’oltre trent'anni, dal volume Dante Ali-
ghierî, Seine Zoit, sein Leben und scine Werke (Biel, 1869)
fino alla poderosa per quanto difettosa Enciclopedia dan-
lttea e alla 2% edizione dell'Inferno lipsiense del 1900,
non può reprimere un sentimento d’ammirazione sì per
li mole di lavoro compiuta da questo solitario sdegnoso,
teche è prova d'un’ operosità grandissima e costante, è sì
Der gli aiuti e gli impulsi varii che alla critica dantesca
Ninnero da tale operosità. La quale fino a un certo tempo
li veramente — userò le belle ed efficaci parole di Fran-
testo dd’Ovidio 3)—; più sana, e ad ogni modo tornava
Utiliasina mi rinascenti studii italiani e al loro bisogno
ll momento. £ lavori tedeschi eran noti a pochi; degli
1) Di quest’ opera sta preparando una nuova edizione, rifasa in
modo da rispondere allo stato presonte degli stadi danteachi, l'egre-
Ho professor A. Frammazzo, il quale attende altresì a compilare tin
cana benvenuto, di supplemento all’ Encielopatia dan
| RStudii sulla D, È. (Palermo, R. Sandron, 1901), p. x11 della Pro-
xiv PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
studiosi nostrani, i più s'aggiravano per angiporti 0
s'eran cacciati in vie mozze; i Commenti al poema che si
pubblicavan qui, avevano il tanfò d'un’erndizione troppo
ristretta, d’un ordine d'idee angusto, d’un pettegolezzo
in famiglia; i commenti antichi rivedevan la luce a ri-
lento 6 spesso malconci, e ciasenno diveniva l'oggetto
d'una predilezione sistematica e fanatica. Il Commento
lipsiense divulgò a un tratto tante cose e tante chiose,
con uno spoglio largo degl’interpreti antichi e con un
travasamento repentino di erudizioni e speculazioni te
ilesche. Fece l’effetto d'un finestrone che si spalanchi è
lasci precipitar dentro molt’ aria fresca, benchè non senza
vento nè polvere; o l’effetto che in una città di provincia,
ton vecchie botteghe scarsamente fornite e impigliate in
tapine abitudini locali, farebbe l'apertura d’un bazar
pieno zeppo di roba forestiera e d’altre cose comunque
rare in commercio, In che modo e in che limiti abbia lo
Scartazzini giovato agli studi danteschi in Germania,
altri potranno dire; ma una brutta ingratitudine com-
metterebbe l’Italia 1), commetteremmo specialmente noi
1) A proposito della doppia opera compiuta dallo Scartazzini come
dantista italiano e come dantista tedesco, mi si permetta di riferire
alcune giuste © acute considerazioni di Pro Rasxa: ‘ Un’opporta»
nità.... derivava allo So. dalla nassita, La Bregaglia spetta geografi-
camente all'Italia, e se ne può dire un satellite anche sotto fl rispetto
linguistico. Siccome poi il giovane s'era educato nell’ Università di
Baslloa © di Berna, in terra tedesca, veniva ad essere molto adatto
a compiere upa di quelle funzioni mediatrici, a cui la Svizzera, tri
fronte, anzi quadrironto, così bene si presta. Dopo l’Italia, nessi
passe uguagliara la Germania nel calto per Dante; ed era di certo
desierabilissimo che divontasse quanto più si potense vivo in questo
flominio lo scambio intellettuale. Fatto sta che lo Scartazzini venne
alternando in tutta la «ua vita pubblicazioni tedesche e pubblicazioni
italiane, *
PBEFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE xv
della generazione che tramonta, se non ricordassimo e
non inculcassimo che si ricordino le non dubbie bene
merenze di luî.'* E per questo, e per le prove che pur
qualche volta egli dette, di essere « da sè stesso rimorso >,
possiamo bene immaginare col Rajna, che lo Scartazzini,
*incontrandosi nel regno delle ombre o degli spiriti con
toloro coi quali ebbe nimieizia, abbia, nel nome di Dante,
dlato e ricevuto il bacio della pace’, così come, tra i vi-
enti, tutti coloro che furono ingiusto bersaglio de) suoi
(lardi, glî avranno, credo, ormai perdonato.
SE
Bd ora una parola della presente edizione che, prega
tone dal benemerito comm. Ulrico Hoepli, ho accettato
ili curare. Nel frontespizio ho seritto * riveduta ’ senza
ggiungere ‘ corretta ’, perchè questa parola, messa là così
ola ed assoluta, mi pareva superba 6 troppo promettente,
anzi compromettente. Ma qui, dove ho agio di spiegarmi,
Mon posso non parlare di correzione, giacchè in corre
zione si risolve di necessità ogni opera di revisione. Quali
torrezioni adonque, quali mutamenti presenta la quarta
in confronto con la terza edizione? Basta osservare che
la paginatura è rimasta, tranne in pochi luoghi, la
essa, per comprendere che non può essere stata fatta
tma mutazione radicale, una vera e propria rielabora-
tiene. E nient'altro che una ristampa attentamente ri-
Veduta allo scopo di farne seomparire refusi © sviste
tipografiche, errori d’ ortografia e simili mende, che pur-
troppo erano numerose nella edizione terza, doveva essere
presente volume, secondo il primo concetto dell'editore,
xvi PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
mettere le mani nel commento per modificarlo secondo
muovi o rinnovati criteri. Ma, nel fatto, la revisione è
riuscita qualcosa che tramezza fra ciò che l'editore aveva
dapprima pensato e nna compiuta rielaborazione.
Tl testo, al quale è di necessità coordinato il commento,
mon tollerava, appunto per questo, modificazioni sostan=
ziali nè in una edizione scolastica ci è parso ancor
tempo d’introdurre certe innovazioni che le ricerche
© gli studî, cni attende la Società Dantesca Italiana,
ormai consigliano, ma che non hanno peranche quel
grado di certezza che occorre per essere ammesse nella
scuola. Ma la grafia, che di edizione in edizione s'era
vennta piuttosto corrompendo che migliorando, e mo-
strava un amalgama di criterì diversi — e ciò soprat:
tutto perchè le condi: della vista da più anni pro
bivano allo Scartazzini la revisione delle bozze 0 non
gliela consentivano attenta come avrebbe dovuto essere,
di modo che spesso ei si dovè rimettere alla discrezione
altrui —, avea bisogno di divenir più costante e uniforme;
© altrettanto dicasi della punteggiatura, qua sovrabbon»
dante, là scarsa; in una parte determinata da una ten-
denza a spezzare Il pensiero dantesco in periodi o in
membri di periodo fortemente disgiunti, in un’altra, in-
vece, dalla tendenza opposta. A tali inconvenienti ho
procurato di portar rimedio in questa ristampa; e, senza
presumere di aver fatto sempre bene, nè tutto, proprio
tutto quel che si sarebbe dovuto, credo di potere co-
scienziosamente affermare che la nuova edizione rappre-
Senta per questa parte, in confronto delle tre precedenti, e
fors'anche di altre edizioni della Commedia, un miglio-
tamento sensibile, Certamente mi è toccato in qualche
Inogo di lasciare, per quanto a malincuore, la vecchia pun-
teggiatura, costrettovi dall’ interpretazione che lo Scartaz:
Eviit PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
tazione di un’opera, Ma, avendo cominciato a far qual.
che riscontro di citazioni per assicurarmi della esattezza
loro, vidi che per questa parte lasciavano talora a de-
siderare, Che fare A riscontrar tutte, dalla prima al-
l’ultima, le citazioni numerosissime che occorrono nel
commento scartazziniano, io non potevo pensare anche
per difetto di tempo e di libri; ma di certe categorie
più importanti fra esse mi risolsi a far questo riscontro
perpetuo, dal quale è risultato buon numero di rettifiche.
Così ho riscontrato ogni rimando a luoghi della Com-
media o d’altre opere dantesche; ho verificato tutte le ci-
tazioni bibliche e della Summa theologica di San Tommaso;
mi sono assicurato di tutti i confronti con Virgilio, Orazio,
Lucano.... e la litania sarebbe ancora lunga, se la volessi
far compiuta. Chi ha pratica di tali lavori, sa per espe-
rienza come spesso un'indicazione fallace, per essere
corretta, richieda tempo e pazienza e l’uso di partico-
lari accorgimenti; e però giudicherà da sè « il quale e
il quanto » della mia fatica per rendere, sotto questo
rispetto, più fido indicatore il commento scartazziniano.
Ho altresì ricollazionati con le edizioni da cui erano stati
tolti, i passi di parecchi antichi commentatori, quali Ta-
copo della Lana, l’Ottimo, Benvenuto da Imola, e così
via dicendo; e dove ho corretta la lezione, dove comple:
tato il passo, dove fatti altri ritocchi; in taluni casi,
rarissimi per fortuna, ho rimediato allo scambio, non s0
come avvenuto, tra il nome d’uno e d’un altro commen-
tatore. Tutte queste 1), ed altre consimili, sono rettifica»
zioni di fatto, che, primo fra tutti, lo Scartazzini avrebbe
3) I rinvii all’opern di BasseRMann, Orme di Doute in Italia, è
parso conveniente farli sulla versione italiana di Egidio Gorra, uscita
fu quest'anno n Bologna coi tipi della Ditta Zanicbelli.
xx PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE
chè da una parte la critica aveva ripetutamente censurata
la erudezza inopportuna e volgaruecia di certe note, e
dall’altra lo Scartazzini, che aveva pur fatto nella edizione
terza qualche concessione alla eritica, si piegò ad essa
interamente nella seconda edizione dell'Inferno lipsiense,
uscita pochi mesi prima della sua morte. Quivi è tolta
ogni parola men che pura, ogni accenno men che nobile;
e la nota, in cui si esamina l'atteggiamento del Poeta di
fronte a ser Brunetto, termina con queste parole: Dante
parla con amore e riverenza di Brunetto Latini, perchè
lo amava e riveriva davvero; ma lo caccia nell’ Inferno
tra i sodomiti, perchè doveva essere generalmente noto
che Brunetto fosse stato macchiato di questo sozzo vizio,
&@ perchè Dante a tutti gli altri riguardi antepone la
verità.’
Si sono poi soppresse certe allusioni iraconde e ingiuste
a un egregio commentatore vivente, che si leggevano qua
# là; con che non si è fatto altro se non obbedire alla
ingiunzione che, preludendo al Paradiso lipsiense, lo Scar-
tazzini faceva a chi avesse avuto a ristampare dopo la
sua morte il eommento di Lipsia, ma che può ben valere
per le ristampe postume di ogn’altra opera sua),
Anche mi sono studiato di correggere espressioni o
fstentate o poco italiane, che il dantista svizzero non si
faceva serupolo di adoperare: solo mi preme avvertire che
la mia risciacquata, per usare un'immagine del Manzoni,
della lingua scartazziniana, non ha la pretesa di essere
compiuta; anzi si è limitata per solito a togliere le mac-
chie che mi pareva dessero più nell’occhio. E qualche
forma troppo dura può bene essermi sfuggita inosservata,
l) ‘Si cancelli’ così scriveva lo Scartazzini ‘ ogni parola, ogni
sillaba di polemion che si troverà nei tre volumi *.
PERFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE xx
perchè, a lungo andare, si fa l'abitudine anche a nna
lingua e a uno stile un po esotici.
T/Indice, infine, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso,
è stato per mezzo di una diligente revisione purgato da
parecchie sviste, che di edizione in edizione si ripetevano
immutate, e in più luoghi ha ricevuto aggiunte non ispre-
gevoli.
Per concludere, il libro si può dir che riappaia alius
di idem; e come idem, conserverà di certo il favore che
gode da dieci anni e che ne ha fatto già esanrire tre edi-
zioni copiosissime; come alius poi, ed alius per le nuove
tune che vi sono state spese attorno (cure anche tipo-
grafiche, per le quali, e non per esse soltanto, è mio caro
dovere ringraziare il sig. Alberto Landi), apparendo me-
glio degno di tale favore, non dovrebbe, dice 1’ Editore,
allargare la cerchia de suoi benevoli?
Firenze, 25 settembre 1902.
GIUSEPPE VANDELLI.
PER LA EDIZIONE QUINTA
Pochi mesi or sono il comm. U. Hoepli mi avvertiva
chiera ormai prossima ad esaurirsi la copiosissima edi-
zione quarta del commento scartazziniano, da me allestita
mal 1902, è soggiungeva essere necessario preparar gen»
Mindugio una edizione nuova per rispondere alle continue
tiehieste del pubblico. Tale notizia mi fn cagione di lieta
meraviglia; chè il successo librario aveva superato ogni
nia aspettazione, e nel mio animo, non lo nascondo, pro-
Rai un senso di viva compiacenza, potendo, senza peccare
PER LA EDIZIONE QUINTA
di presunzione, ritenere che a così buon successo avessero
contribuito anche le cure da me date all'opera del com-
pianto dantista svizzero. Comunque sia, accettai di buon
animo il non lieve carico della nuova edizione; al libro
ormai mi sentivo affezionato come a un figlio adottivo, e
di correggerne ancora, come sapessi, le pecche, sarei stato
ben contento. E questo per l'appunto mi proposi, in quei
limiti, 8° intende, e in quelle forme che consentivano la
ristrettezza del tempo assegnato al mio lavoro e i desi-
derii del solerte editore.
Il quale non nega che a una trasformazione profonda e
radicale del commento 8’ abbia ad arrivare; ma intende
arrivarci per gradi, senza scosse troppo violente, e rispet-
tando, in ogni caso, l'ossatura del lavoro, assai lodata
anche per pratica utilità nell’ insegnamento; tanto che
l'impronta di chi primo ideò l’opera e la eseguì, rimanga,
e il nome di lui possa essere a questa conservato senza
troppa sconvenienza. D'altra parte, in tanto e così vario
fervore di studii sul testo e sulla interpretazione della
Commedia, se molte questioni sono state risolute, non
sono in minor numero quelle la eni soluzione è solamente
ayyiata, e parecchio non è improbabile che si finirà con
l’abbandonarle del tutto, dimostrandone — e sarebbe già
una grande semplificazione e nn gran guadagno — l'in-
solubilità. Di certo non passeranno molti anni, e di molte
cose più definitive e sicure di quel che siano ora, si al-
lieteranno gli studii sul Poema; sarà allora il momento
di rimpastare, mi si passi la parola, il lavoro dello Scar-
tazzini e presentarlo sotto un aspetto che del primitivo
conserverà, forse, poco più che lo schema cni testà si al-
ludeva. E non è detto che questo non possa farsi, o tutto
o in gran parte, già nella edizione sesta, di cui fra pochi
anni, com'è facile prevedore, ci sarà il bisogno,
PER LA EDIZIONE QUISTA xx
Quali e quante siano le mutazioni da me ora introdotte
nel lavoro di rapida, ma diligente revisione, vedrà il let-
tore che si prenda il gusto ed abbia la pazienza di para-
gonare la nuova con la vecchia stampa. Se il testo rimane,
eceettuati pochissimi luoghi, immutato, non una sola pa-
gina del commento è rimasta senza ritocchi; ma, mentre
nella edizione quarta avevo tolto, aggiunto, rifuso solo in
taluni imoghi (vedi p. xx), essendo allora mio precipno
compito una correzione materiale d’errori e sviste minute
nocumulatesi nelle tre prime impressioni, questa volta ho
înyece ritoccato, di regola, togliendo, aggiungendo, rifon-
dendo. Ripeto che ho dovnto tenere in limiti ristretti la
mia opera di revisore, e, meglio che edizione quinta, avrei
xoluto chiamar questa una ristampa riveduta della quarta,
non differendo sostanzialmente le due fra loro; ma con-
fido che all'opera si farà buon viso, perchè nel mutare
ho tenuto presenti osservazioni e desiderii che la critica
Aveva espresso a proposito così delle tre prime come an-
tile della edizione quarta; e d'altra parte ho procurato
di non mutar mai se non su fondamenti sicuri,
Così non potrà non piacere che alla citazione del NAN-
Nuoo! io abbia o sostituita, od aggiunta quella del Pa-
RODI, il eni studio sulle parole usate da Dante in rima
è îl più solido e comprensivo, e il solo veramente meto-
îlico, che si abbia sin qui sulla lingua del poema; così a
Nessuno, spero, sarà discaro ch'io abbia più volte modifi-
«ati, per renderli meglio conformi alla contenenza del testo
ilantesco, i sunterelli che via via riepilogano una serie di
persi; così sarà lodata la soppressione de' caratteri ebraici,
di quasi tutto il greco e di molte varianti (di queste avrei
oppresso un maggior numero, se non mi fosse piaciuto
flare al lettore un'idea delle alterazioni varie subite dal
Diete dantesco); mè mi si farà rimprovero per aver pre
XXV PER LA EDIZIONE QUINTA
sentato come possibili lezioni ed opinioni già dichiarate,
senza forti ragioni e con sentenza e piglio un po’ troppo
da Minosse, inaccettabili. Ma Dio mi guardi dall’enume-
rar qui e giustificare tutte le specie di correzioni di s0-
stanza e di forma ora introdotte nell'opera: dirò solo che
la coscienza m'assienra di non aver tolto nulla di eni
non si potesse fare, e volentieri, a meno; di non aver
‘aggiunto nulla che non compisse è chiarisse spiegazioni
tanto o quanto oscure o monche, o non aiutasse a meglio
intendere e sentire e gustare la poesia; di non aver în-
fine mai rifuso, senza che soprattutto la chiarezza e la
esattezza lo richiedessero; e tutto questo senz’ alterare
la fisonomia del commento in nessuno dei suoi tratti più
caratteristici e più simpatici 1).
Per questa ragione revisore ed editore sono certi che
Îl libro continuerà a render buoni servigi e ad esser di-
letto compagno non pure agli studenti, ma a tutte le per-
sone colte che si accostano a Dante; e gioverà ancora,
unzi giorerà ora meglio di prima, a diffondere quella co-
noscenza del poema dantesco che non cesserà mai, per
aberrazioni ed eccessi di dantomani e dantofili, 0 per
smanie innovatrici di modernisti, d'essere elemento indi.
spensabile «i coltura ad ogni Italiano, e resterà sempre
tosa cara e desiderata a tutte le genti civili.
Firenze, 6 ottobre 1906.
GW
1) Ancho por questa ristampa mi è stata di valido niuto 1° aesl-
tenza cortess ed assidua del signor ALnerTo LaxpI, che a una sin-
golare aciés oculerum tipografica congiunge nn acume non minore nel
rilorare piccole inenerenze è aviste di forme e suoni è d'altro genere,
che a chi scrive possono facilmente sfuggire.
TAVOLA DELLE ABBREVIATURE
delta D. C. dichiarato cà illustrato da Gretio Acquatico,
l-8° pics).
del Viaggio Dantesco per Qrovaxmi AoxriLi. Milano,
sol. in-4° 000 15 tarole).
— Ellizioni AMics della D. C. dello quali abbiamo sott'occhio la prima dol
1402, la lane Lionas del 1502 è la 2> Aldina. Venezia, 1515.
Amat. — La D. C. di D. A. coi commento di Rarraxte Axpuroti. Napoli, 1854,
Nuove ediz. 1863, 1882, 1831, oca. (1 vol. in-6%).
Am. Comi Inf. — Commento alla cantica dell'Inferno di D. A. di AuTrORR axo-
Risto dex gee la prima velta dato in Inco per cara di Loro Vexxo. Fireaze,
Zia. (3 vol. ix-£9, È la traduzione del immbgi.).
dn. Fior, — Commento alla D, C, d'Aroxmo Fionastiso del we. 117 ora per a
prima volta stampato a cura di Pretno Faxraxr. Bologna, 1866-1574. (1 vo
tamni bo).
An, Sei. — Chioso suocime alla prima Cantiva delta D. C. di un contemporanee
dal Poeta, per Fuascasco Sn. Torino, 1885, (1 vol, ln-5%).
Amt. — Balle dottrine nitrenomiche della D. C. Ragionamenti di Q. ANTONELLI.
Firnnso, 1863, (1 fano, in.8%),
— Stadi particolari malla D. ©. di G. Awrox®tLI. Fireozo, 1871. (1 fano, in:39),
— Annotazioni netresomicha del P. G. AxrowzzLI, nella D. C. col commento del
Tommaso; ofr. Tom.
Arrivab. see. — I) scosio di Dante. Commento storico di Frunixasno AÙki
Vanene, Udlan, LAST. (3 vol. fn-69, cho forma la parto I del m voi. del Dante
Bartoliuino) efr, Viv.}
Matb. Wie — Vita di Danto scritta da Cruuxr Batvo, Edis, consetita dal-
L'astora, Firenze, 1853, (1 vol; la-35%),
Tiaimbgt. — Li Commento ati Inferno di Graziono pa' Bamnantioti, dal cosica
mrrvine a le Aggiunto è varianti del Senese per cura del prof. ANTONIO
Fraxazzo, Udine, 1892. {1 rol. to-S9.
È Biarg. — Lo Inferno della Commodia di D, A. ccì Comento di GUINIFORTO DELLI
Bauniar, tratto da dito Mazoseritti ined, dol seo, xv, cou |atrodusione 6 noto
MG. Zacmenost, Mrelglia, 138. (1 vol. {5-40 pico).
r— Critical, Aistorical asd philomophica) contribatione to tho stody
Me I}, O. by IL O, Bantow, Londra, S8V4 (1 vol. In8%.
TAVOLA DELLE ABBREVIATURE
Mart, — Storia della letteratura ftallana di ADOLFO BARTOLI, vol. 4-4. Firenze,
1881 e sog. (3 vol. in-3° pico.).
Mina. — ALFRED BassrRxaNnN, Orme di Danto in Italia. Opora tradotta sulla
2 adizione tedesca da K. Gonna. Bologna, Zanichelli, 1902, {1 vol. 1n-8%,
x Bennns.— La D.C. col commento eattolioo di Lurot BexsassuTI. Verona, 1804-88.
{0 Ol, 1-89)
Beny. — Baxvanri pi RaxmaLora ne TuoLa, Comontam super Dantis AM
gihoriy Comondiaza, none primum integre in lucem editum, sumptibus GuiLIRLMI
War Vxixos, onrante Tacono Pmuero Lacasta, Firenzo, 1887. 5 vol.
in-49 pioo.).
» Merth. — La D. C. con commenti secondo Ta acolnatica del P. Groscmoo Bar
mito. Frelburg, 1808 0 sogg. (1 vol. In-4° în corso di stampa).
Mettt — SaLvaroue Berti, Postillo alla D. C. ora per la prima voita edite di
nu il manoscritto dell'autore da Grusuere Cuaxoni. Città di Castello, L8R2.
(3 vol. in-8° pico.).
— Soritti Dantoschi in appendice allo postille del medesimo autore alla D. ©. rac-
colti da G. Cuosoni. Città di Castello, 1893. (1 vol. in-89 picc.).
Bing. — La D.C. col commento di Giosaratte BragioLi, Parigi, 1618-19, Ristam»
pato di pol molte volte. (3 vol. In-89).
Iame — Vocabolario Dantasco, ou Dictionnaire ritigne et ralnonnée de ta D, €.
da D. A. par L. G. Buaxo. Leiprig, 1859. (1 vol. in-6°), Trad. ital. di G. Cau
momz. Firenze, 1859, (1 vol. in-129).
— Varanch sinor dlon philologischen Xrklirang mohrerer dunklen und streltigen
Stellen der Gitrlichen Kombdio von Da. L. G. Buanc. Hallo, 1860-65. (2 parti
fo-89),
N) Riano — Die Gittiloho Komddia des D. A. ibersotat und erllatert von L Gi
Bixc. Halle, 1804. (1 vol. in.8° picc.).
Mace. — Il Comento di Giovansi Boosacci sopra la Commella con lo annotazioni
+ M. Satvini, per cura di Gaxraxo Mitanest. Fironze, 1863. (2 rel. in-129);
Mocet — Dizionario atorico, geografico, universale della D. ©. di Doxato Bock,
Torino, 1873, (1 vol, in-8° pico.).
© morgh, — La D. C. con novi argomenti @ noto di @. Boxam. Parigi, 184. (1
vol. 10129).
Morghint — Stadi anlla D, C. di Gal. Galilei, Vincenzo Boranivi ed altri, pubbl.
da Orr. Gioti. Firenze, 1855, (1 vol. 1n-199).
Mir. i. — La Commedia di D. A. novamente riveduta nel testo © dichiarata da
Beuxoxx Braxcwi. Nona edizione. Firenza, 1880, (1 vol. in-12°).
Bull, — Ballettino della Società dantesca Italiana. Serle 1°, 14 faso. Firenze, 1300.
09. Serio I13, Vol. I-XII, Fironzo, 1893-1905. Della 2% serio ai cita moltanto fl
numero del volame sanza Indicazione di merlo.
Buon. — Discorso di Vixo. Buoraxx sopra In prima cantica del divinissimo teo:
logo Dante d'Alighieri del Bello. Firenze, 1872, (L vol. in49 pice.):
Rinse, Cam. — Ainexto Buscanro Caxro, Stadi! Danteschì. Edirlone completa.
‘Trmpani, 1894. (1 vol. 1n-89).
È ati — Corimonto di Fraxcraco DA BUTI sepra la D.C. di D. A. pubbl. par
nta di Caxscxrimo Giassisi. Pina, 1858-02. (3 vol. in-89),
| Buti — The Holl, tho Porgatory and the Paradiso of D. A. edited with tramala-
ton and notes by ArricR Jomx RerLRk, Londra, 1880-92 (8 vol. in-8° pioe.).
WUam, — La D. C. di D. A. con note tratte dai migliori commenti per cara di
Evarzio Camin. Milano, 1908-00. (3 parti in.fol.).
Campi — La D. ©. ridotta a miglir lesione con l’aiuto di ottimi manosoritii a
corredata di noto edite ed inedite antiche e moderne per enza di Gromerra
Curi. Torino, 1888-41. (8 vol. 1n-89).
Ixvii TAVOLA DELLE ABBBEVIATUBE
DI siena — Commedia di D. A, con note di Gurcorio DI Stura. Taferno. Na-
poll, 1867-70. (1 vel. fo.89)
— La D. C. di nuavo alla ana vera lattino ridotta con lo atuto di motti enti»
Ghisaimi esemplari, con argomenti et allegorio per elascuu canto, at apostillo mel
margine, et indico copiosissimo di tutti 1 vocaboli più importanti usati dal Peota,
con la spostzion loro per Lopovico Dotex. Venoria, 1555, (1 vol. {n129),
Wa. Ane. — La D.C. Firenso, all'ixsroxa URLL'AxcORA, 1817-19, (4 vol. tn fol),
Rd. Pad, — La D. 0. col com. del P. B. Loxnaxbi, ora nuovamonte arricehito
di molte illuatrazioni edite ed inedite. Padova, Tip. della Minerva, 1628,
( vol. in-89).
Eneiel. — De. G. A, Scantazzisi, Enciclopodla Dantosca, Dizlomario critico 0
ragionato di quanto concerne la vita 0 lo opero di D. A. Milano, 1896-99.
(2 vol. kn-#9),
Pniso Boce, — Chioso sopra Dante. Testo inedito, ora per la prima volta pubbli
cato da @. G. Wanusx Lono Vrnxox. Firenze, 1246, (1 vol. in-#° gr.).
Fanf. — Stadi ed Osservazioni di Pietro Faxvaxi sopra fl testo dolle opere di
Dante, Firenze, 1873. (1 vol, 1n-139).
— Tadagini Dantesche, mosse inalemo da NiccoLa CAKTAOXA. Cit i dt Castello, 1808,
( vol. in-80 pios.),
2 Fiini. — Dante Alighiori's Gittliche Combdie. Metrisch fbertragen nnd mit kri-
tichen und bistorischea Erliatorungon versehen von PurLaLeruRs (Ro Gio-
sranni di Bassonia). Lipsia, 1805-06 (8 vol. in-8° gr.).
Pose. —La D. C. illustrata da Uco FoscoLo. Londra, 1842-43. {d vol. fa-8%).
drama. lat. — Fuaxorasti PaLatiNT della D. C. (Par. X, 21-XXXITI, 145), con
chiome latine, pubbl, da Fr, PaLtrMo nell'opera: «I Manosoritti Palatini di
renzo. » Yir,, 1800-68. (3 vol. in-4° gr. II, 716-880; ofr. TIT, 879-008),
| rane. — La D.C. di D. A. con note de' più celebri commentatori per GIOVABNI
Fxaxcesa. Torino, 1873, (4 rol. jn-100),
\/ Eranche — Dante Al'a Girtliche Komilio. Genan nach dem Vereto der
Origiunle in deutsche Roimo dbertragen und mit Anmerkungen vereben von
Tukiua Praxckt. Lipyia, 1869-85, (4 vol, in-8° gr.),
V rent. — La D.C, di D. A. col com, di P. FUATICRLLI. Firenze, 1805. (1 vol, tn-129),
int. — Loitore nn Dante Alighieri dol can. Canmore GALANTI, Ripatransone 0
Prato, 1873: -88, Borle I, lett. 1-36. Serio II, lett. 1-33. 109 fano, 1n-8%
Gatr. — G. Gauraxi, Saggio di xicuno postilla alla D.C. con prefaslone di Gio-
Vasi Fraxciosi. Città di Castello, 1804 (1 vol. in-8° pioo.).
| Gel. — Lotture edito 0 Inolita di G, IL Grttt sopra In ©. di D. raccolto per
‘cara di Caxro Neonosi. Firenzo, 1867. (2 vol. in:89).
Uilidem. — Dante'a Guttliche Comodio fibersotat von Orto Gruprmeistan. Ber
Rino, 1888, (1 vol. in-8° gr).
llutob. — La D. O. ridotta a miglior lezione ilagli Accadamiei dalla Cranoa con lo
Chios di Vexceszo GionerTi, Napoli, 1865. (1 vol. in-#9).
Giorn. Dmmt. Giornale Dantesco, diretto da G. L. Passrisi. Venezia 0 Fi
renzo, 1504 0 seg.
(iui. — Metodo di commantare la C. di D. A, proposto da G. 1. Giutiam. Più
menze, 1461, (1 vol. în:129).
— La Commedia rafformata nel testo giusta la ragiono © l'arte dell'autoro, Fi:
iosa, 1889. (1 rel. in-249),
U@rani — Danto Alighieri's Gitiliche Komidio In'a Dentecho fbortragen und
hlatoriseh, Sathotiach nnd vornohmlich thoologisch erikatert von Kaxt GRADI.
Eater thell. Dio Malo, Lolprig, 1849, {L vol. im 8%).
\/@reg. — La D. O. interpretata da Fruxezico Gumonerti, Venezia, 1868, (1 vol,
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sr TAVOLA DELLE ABBREVIATURE
Ionti — Postilie ni comenti del Lombardi © del Biagioli atlla D. C. Ferrara,
1879, (1 vol, in-89 gr.).
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— La D. C. di D. A. nuovamente riveduta nol testo dal Dr. %. Moonx, con in
dico dei nomi propri! compilato da Packr Torxuis M. A. Oxford, 1900. (1 vo
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Mossotti — O, F. Mossorti, Illustrazioni astronomiche a tre inoghi della D. ©.
raccolte da G. L. Passnuxi. Città di Castello, 1804. ( vol. In«8° pico).
Nannme. — Analisi critica doi rerdi Italiani del prof. Varc, Naxxuoci. Firenze,
1843, (1 vol, in-#9).
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Corti, 1840, {1 vol. fn-8°).
— Mannalo della letteratura del primo secolo della lingua italiana. 2* odia. Fi-
tanzo, 1856-68 (ristampato più volte: 2 vol. tu-8%.
Natott — La 1). U. esposta in tre tavole Illustrato nd uso delle scuole da Lusat
Naroti, Palermo, 1892. (1 opuso. in-8° gr.).
Noetti — G. A. Notti, Orario comploto dalla I}. ©, Cosonza, 1604, (opues. in-6%
ott. — Dante Allgh.'s Gittliche Komidie tibersotat und erlkutert von Futxmacm
Norrsn. Stutigurt, 1871-72. (2 vol. in-#° picc.).
ott. — L'Ormico Commento della D C. ed, da ALgssanoo Tonst. Pian, 1827-20.
(3 vol, knx89),
\Onam. — Dante et la philosophie catholique au xmi sidolo par A, P. Osamaxi.
Parlo, 1845. (1 vol. In-89).
— Le Purgatire. Traduction ot commentaîre. Paria, 1862, {1 vol. 1n-8%).
Pagnnini — Canto Pacaxo Panaxixi, Chioso a luoghi filosofici della D. ©. rac
colte e ristampate per cura di Giov. IFuanciost, Città di Castello, 1894, (1 vol.
in3° pico.).
Fapanti — Dante secondo Ja tradizione e 1 novellatori, Ricerche di Giovaxxi
Paraxti, Livoruo, 1878. (1 vol. în-8° gr.),
tPasa. — Le quatre giornate del Pargatorio di D. o lo quattro età dell' aomo,
mer Fraxcksco Pasquari00, Venezia, 1874, (1 vol, to-16%.
V dass. — La D. C. di D. A. noovamente annotata da G. L. Passwmxt, Firenze,
1867, (8 vol. in-109).
© Poraz. — Noto Iatin D.C, di Banr. Priazumi edito da Fit, Scotani nel
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RPorex — I setto cerchi dal Purg. di Dante. Saggio di studi di Paoo Perez
2A ediz. Vxnosa, 1807. (1 vol. in-8° picci).
V Petr. Dans. — PETRI ALLEGNERI super Dantis ipaine genitoria Comedia Com
mentariom, wune primum in tucam editum conadilo et simptibua G..T. Bar, VaR
ox, comute VixcestIo Nasxuoci. Firenze, 1845. (1 vol. 5u-8° gr).
iPieei — I Inoghi più oscuri è controversi della D. O, di D, dichiarati da Gru»
BiriE Iiocs. Brescia, 1843. (1 vol. 1n:8%.
Pinimp. — Tho Commedia and Canzoniere. A new tranalation with notes,
essays and a blographicai intreduotion by R. fl. Puuxerte. Londra, 1388-57.
{2 vel. 1ne8°).
og. — La D.C. già ridotta a miglior lozione dagli Accademici della Crusca,
‘ed ora aconrstam. emendata, sco. per Garraso Poourati, Livorno, 1807-12.
f@ vol to-89.
-. cicoria sopra quattro del più antoreve
sonna da CauLo WITTE. Berlino, 1882. (1 vol. in-4°%.
Al.'s Gittliche Komédie tibersetst von KagL WITTE. 3% edis. Berl
vol, in-89).
te-Forschungen. Altes und Neues von KARL WITTE. Hallo e H
79. (2 vol. in 89).
. = Vocabolario etimologico italiano di Fraxcxsco Zaxmatpi. Cit
No, 1889. (1 vol. 1n-89).
— Di varie lezioni da sostitnirel alle invalso nell'Inferno di D. A
MancavnzLIO Zani DE' FERRANTI. Bologna, 1855. (1 vol. {n-129).
LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA PRIMA
INFERNO
1 — Die. Comm, 52 odis.
4 (PROEMi0 GENER.]
+ 4-12
Eh, quanto a dir qual era è cosa dura
Questa selva selvaggia ed aspra e forte
Che nel pensier rinnova la puura!
Tanto è amara, che poco è più morte;
Ma per trattar del ben ch'ia vi trovai,
Dirò dell'altre cose ch'io v'ho scorte.
T'non so ben ridir com'io v'entrai,
Tanto era pien di sonno in su quel punto
Che la verace via abbandonai.
apiogano in cui, ma la diritta vîa non era
certo nolla selra oscura! AI. prendono Il
ehe per congiunzione, e spiegano talmen-
te che; ma la cagione dello unarrimento
della serace séa fu il sonno del poeta, non
già l'oscurità della nolra, nella quale Ja
diritta sfa non c'era. = DITTA via: vita
Tirtuosa, « Via nempe rocta vst ria vir-
tatum, qu recto ducit Lominem md bea-
tltodinem.Jt notanter diolt auctor smar-
rita, Most non perdita; nam quamvia
sasel ticiokus tuno, tamen poterat re-
diro fù viam roctam virtutam »; Benv.-
RA 1 «olo da totti comunemente smar-
perchè l
altabol , era generale +; Kos. =
Parecchi codd. Rhanno AVRA RMARRITÀ.
Accettando questa lezione lo amarrismen-
to al riferirobbe nl solo Poeta, Ma « om-
dhem? mit è la loziono del Witto. Al:
ANI, AN, E, 0. Riesco difficile Irok
quale uia Ja vera lezione. Secondo
mini più matarale în questo luogo
uselamazione; nitri Invece opinano
* ala da proferirai, @ perebè mautera
Rintrativa © anche perchè mettono In
i wtfragio di pochi codd. Ma
I'usa 10 altre volte nel Pi
x non ni trova che forse un'altra volta,
Twf. XVI, 28,> pura: ardua, difficile,
6 nello steaso tempo dolorosa.
5. BELVADOIA + fncolta o disubitate. =
anna; Jntricata e Inpida di pruni, —
Fanta: difficile a sperare.
xii FEXSIER! già pur pevsaniovi, -
Ta Fauna: del ginato giadizio di Dio,
Hloè delle pane temporali ed stern
FT. AMARA: prò rifariral a com, 0 a
delta, 0 n para cho lo precedono. In
Saroro di co09 sta la grammatica, apecio
| pone la correlazione tra tanto a quan-
#6, e oa tntamtono Dien., Lomb., Pert.,
Pogg., Rort., Vorn., coo. « Ma chi ebbe
animo di mettersi all'opera tolto più
dura di deseriver fondo a tutta l'untserso
(Inf. XXXII, 8), avrebbe sentito orrore
e amarezza di morto dol dire quale fosso
lusolva, puro avendovi trovato il bene»;
Puso-0, — Tutti gli antichi cd i più del
moderni riferiscono amara alla selva,
della qualo si continua a pariare nei
è valo fl dire che 1°2 amara
nocenza non a una paurosa ricordanma,
\ coma offottivamente pressato. Lo
rimento del Poeta apparteneva al
parato; lu selva ora ed è sempre com
effettivamonto presente. La concordia di
tutti gli antichi parta eloquentemente in
favore di quosta interprotaaione. Primo
foro a soostarseno fn ll Marg., il quale
intendo: « Tanto è amara quesia par,
poco più amare è la morte Co
pure Scolari, Fose., Cost., Buto.-0.; t0%,
il ore. leggo: TANTA x AMANA, cem
udo: « Per questa lezione i due age
gio iforendosi direttamente a paura,
41 principio del Poema ai libera dall at
tassi sconDessa © sonpoa è parpleasa»,
lex. dol Foss. ia per sà, tra nitro,
l'autorità di Zac. Dant., ma le manca
lì suffragio di vodd. autorevoli.
1 il rluveglio, principio della a
2. Atti: le cono che sagnono, ALALTR,
cioò : grandi o meravigliose.
19, nox #01 cfr, Giov, XII,38: lo ma pol
ridire Reatrico, Purg. XXX, 115 ugg:
IL. sonxo : dell'anima, nei linguaggio
rorittarase simbolo dal peosato; ofr.Zeria
XXIX, 10. Gerem. LI, 39, Row. XIII,
MU. Mer. V, 14, > rusto: em dunque
ènbrato, senza avvodersano, nella malva;
dop» avore nbbandonato la vernoe via,
ta quale non ora conseguentemente nella
molva.
12.vua: della pace (Fata LIX, 8. Rom.
TI, 19), dalla verità (LL Plate. 11, LI} a
È [mrormio GeNEN.]
Tur, 1 27-90
Cie vRE FIERE]
Che non lasciò giammai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
Ripresi via per la piaggia diserta,
Sì che il piè fermo sempre era il più basso.
27. cuR: soggetto, La nolva non lasciò
mai vivero porsona; ma l'aomo deve 6
ò Jusoiaro la selva. Tn altro parole:
ita peccaminosa mena infallibilmente
alla morte spirituale ed oterna; ma l'no-
mo dlove e può lasciarla, ed allora ni
salta.
28. Por ON° fi PORATO UN POCO: Al.
Poi cn'eni nirosato, Salle varianti]
di questo verso confronta Moore, Crit.,
351 ng. KI forma aronica per ebbi (tia
2), riaGoLa la parte Inferiore del pen»
dio di quel monte. — DISRIETA :
sione resondo tanto 1
Md Rom. ILL, 12.
20. ttt eoc.1 Paseo nasai controverso,
Alcuni credono ehe Il Porta desoriva Il
‘samminarene) piano, nol qual caso avevd-
be dotto nua cosa che a° intende d
Buse»O, prendo fermo neî significato di
deatro,piaggia per costa di monte alquanto
repente, o intendo che il Poeta volosme «sì.
gariticare cho fl sno salire qui, como pet
nel corriapondente monte del Fury., fosse
& diritta », Ja quale tn
rebboda preforisni a tu
al uvonsoro esempi di fermo per deutro. 9.
pludo di colui cho monta è quello di sotto,
@a'd quelo cho sempre al forma, e sopra
Quello si forma 0 conserva l'ossenza di co-
Tai che ra; cenì per l'umiltado,
Remmpre ' abaasa è fnelifwa, ad
@ atabiliaco atato di salato di colui che
lai pesatodo »; Famdgl. - « Pea aucto»
tia, lidest affeetio, in quo magis adiuo
erat Infimior, quod adhue
pe] ferrena rellota aliqasutalam
magie inolinabatur, qnamquam superior
es nd superiora ascendoret, et siont
Glandua shat »; Petr. Dant. = « Bimplici.
ter loquendo, quando homo ascendit
tiontom, pes Inferior mat illa super ovo
fundaturet firmator totum corpus anlien-
Hi; ideo diclt quod pes infertor semper
erat firmior. Sed, moralitor loquendo, pos
{nferior erat amor, qui trabobat Ipant
ad infertora terrena, qui erat firmior et
fortior abano ln 60 quam pes muperior,
idest amar, qui tendobat ad saperna. »
Pene. — Tutti gli autichi, che al fermano
‘#01 senso lotterale di questo iuogo, inten»
dono di un camminare in salita. Certo,
inteso rigidamente e nasolutamente alla
lottera, ll v. non patrebbe riforiral n non
alcamminareln piano; ma poiché pioggia
par che non posta interpretami se non
come pendio(ofe. Bardi, Bull. XII, 253) in
tenderemo 0 cha It r, significhi essoral lì
Poeta incamminato su por la pendiee de-.
serta con passo poritoso, timoroso; «he
ciod egli nulla 4ì, ma il piedo più alto,
{l piede che ni portava innanzi A tentar
l'altezza era il mon suldo (D'Oeidio nella
lanea per Norze Seherillo-Negri,
Milano, Hoepli, 1904); 0 che sempre, sad
ad ogni nuovo passo, Il piede fermo, eieà
quello n oni xi mggora la persona, sen
più basso del toogo cni era dirette e la
cul andava a posarsi Il plede maventend,
cun che il P. mirorebbe a rilevare eb'agli
ste ad ogni passo guadegoara dn
alt (Guerri, în Giorn. dant. XII,
p. IT7 agg), Nè è improbabile che la
piaggia debbusi distiuguare dall'erta del
7. 31; pioggia potrebbe significare mn
pendio dolce, a eni segua un'erta, cio
un penillo ripido.
V..31-00, Le tre flore. Montra il Ponta
s'ingegua di salire il monte, tre belve
ne lo impediscono, onde #' al vede, mal
suo grado, respinto indietro, La prim
una lonza (Linoe} Pantera} LeopantoTh
la seconda ua leono; la terza una
Questo tre fiore sono ovidentomente tolta
dn Gerem. V, 8. Por quente tro belro
che Impedilacono nl Poeta la salita det
collo, tutti gli antichi, sonea una sola
eccezione, Inteudono tre vizi capitali; |
più: lumsaria, anperbia od avarizià, Al
cuni posteriori : concupiscensa della cnr
nie, dogli occhi @ superbia dalla vitai
altri: incredulità, aupordia © filma dot:
trina. T moderni Interpreti politici vide
ro invece almbaleggiate qui tre potenze,
Firenzo, Iranela e Koma, che ni eppo-
Aoro alla pace del Posta. Altri ravesmano
io esse la soporbia, l'invidia e l'uvasb
8 [eROEMIO GENRE]
Tur. £ 46-60
[LE TRE FIBRE)
dv = Questi parea che contra me venesae
Con la test'alta e con rabbiosa fame,
Si che parea che l'aor no temesso =,
E d’una lupa, che di tutte bramo
Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fe’ già viver grame:
Quosta mi porse tanto di gravezza
Con la paura che uscia di sua vista,
Ch'io perdei la speranza dell'altezza.
E quale è quei che volentieri acquista,
E giugne il tempo che perd
lo face,
Che in tatti i suoi pensier piavge o s'attrista;
Tal mi fece la bestia senza pace,
Che, venendomi incontro, a poco a poro
Mi ripingova là dove il
sequela super
tax sorio». de peliica 31 leone rafigara la
Pranela.
46: ve:mane: voniaso; forma « tolta da.
più antiehò iîviei » Parodi, Bull. IIT, 139
AR: rianaR: Al v
retremare, loziono troppo sprovvista
di aatorità di cod. e comm. antichi..Cfr,
Moore, Orit., 2063-04.
ri la vista che mi apparve
Boec., Bene., Buti, Am. Fior., Serras.,
Barg., Land., Tal, Yell, Geiti, Dan.,
Chat, sce. Pet | commantatori storico»
‘moderni la Iuya è il simbolo di
ua, omala della Cora papalo; « La
Sompurea aimaltanoa del Leone e della
Liopa vale ud indicare la lega di Filippa
con Bonifacio, fomento di quel Gueli-
ano che fo' viver grame molto geuti, è
gramisaimo Dante»; Rors. Quando tutti
Quanti gli antichi vanno d' accordo, con-
Viene alare alla loro interpretazione, ore
men si posa dimestrare com documenti
sicuri 0 con argomenti indiscatibili che
tntil amarrireno la verace via.
10, spinta va: sembrava, essendo tanto
magra.
81, massi dolenti; Cfr, Jfatt. VII, 15.
Atti XX, 20.
1 tace,
52, MIT FORSE TANTO DI ONAVEZZA < ml
tarbò tanto.
58: CU USCÌ4 DI SUA VITA: che ineo-
di guadaguare la olma, Con questi versi
efr.i rimproveri cho Boatrioe fa più tardi
nl Poeta, Purg. XXX, 130 ogg: XXXIII,
#3 agg:
55. gu&I: l'avaro, desideroso di guar
dagnaro,
DI. mraxoR: «È dolore di aperanza por-
data, dolore che non si spande in în
ma contrista l'anima profonda-
monte È io questo senso Danno spesso
usato | poeti (come qui il nostro) Il verba
Daute, nello Rime: '' Como
pianga în lui (nel core)"
{Cans. 14). Cino da Pistola: ‘* Lasso! di
poi mi pianse ogni penalera Nella mente
dogliosa '’ (Rim. 18); e Guido Cavalean-
ti: L'anima mia dolente e paurosa
Piango ”' {Rim. autie.]. TI qual concettà
ritorna più volte nol Cavalcanti, o sem»
pre con forma naova è meatamente gen:
tile»; LL Vent, Simif., 303.
, TAL: cos dolente. - sExTIA 1 lapo,
s smza FACE: afr, Zaafa LVII 31, Ga
tati V, 19-22,
60. 1A: nella selva osoura. «TAUR: Dos
penetra e non fa seatiro la sua benetica
azione. Taluno vide qui, neo sappiamo
con qual fondamente, no' allusione ab
l'antica credenza, che il moto ilel solo
‘ dello afero protaca save o dolce ars
smonta
Luv spauui u1 pariar sì largo fiume ? »
Risposi lui con vergognosa fronte.
« O degli altri poeti onore e lume,
Vagliami il lungo studio e il grande amore
Che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e il mio autore;
Tu se’ solo colui da cui io tolsi
Lo bello stile che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cui io mi volsi;
Aiutami da lei, famoso saggio,
non avova ancora vedato Roma,
è onorarlo, come soleva onorare
uomini. Invece Bambgl.: « Quia
© tempore incarnationis divine,
vdldioset in fide et sio non fale-
vnatas pro salnto sua ». Ma Vir
rto prima dell'Incarnazione, sa-
to troppo presto, ansi che tardi,
‘acciare la fede.
am: nomo di alto valore. Cfr.
rbarossa, Purg. XVIII, 119.
sto: Ende, « quo iustior alter
rte fait nec bello maior et ai
r9., Aen. I, 544
ERBO: « Ceciditque mperbum
Virg., Aen. III, 2 8g. Cfr.
T, 61 ag.
‘dal lat, noria, pena, torme!
la, cloò alla selva selvaggi
ri: « Coloro che sanno, porgo-
oro buona ricchessa alli veri
8, Ha: Al: HAx; Il grande a
fatto cercare il libro per il lungx
- VOLUME: l'Eneide.
87. STILE: 1) dolos stil nuovo di
sie liriche; Purg. XXIV, 57.
88. BESTIA: lupa. Tre erano
che si opponevano alla sua salita:
ma dall'apparizione di Virgilio in
menziona più che la sola lupa. For
chè la lupa fa l'ostacolo più grav
8. © forse per farci intendere
sua descrizione poetica abbracci
un periodo della sua vita interio
voLsI: per ritornare nella selva
ofr. v. 58 egg.
89. raM0s0 saGaIO: alcuni codà.
Land , eco. FAMOSO E BAGGIO, let
dallo Z. F. 5 sg., ma troppo @
orità; eppoi l'aiuto è
acoauto alla quale ca
101-112
Tit verro]
E più saranno ancora, infin che.il Veltro,
Verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra nè peltro,
Ma sapienza e amore e virtute,
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell'u
ilo Italia fia saluto,
Per cui morì la vergino Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di forute:
Questi la caccerà per ogni villa,
Fin che l'avrà rimessa nello Inferno,
Là onde invidia prima dipartilla.
ine Ond'io per lo tuo me" penso è discerno
Fell., Gelli, Br, B., oc0.) Se pol In lpa
fosso simbolo dalla Corto romana, i molti
animali sarebbero altre corti, lo cul ar-
sal sogliono seaoro animali, como l'aquila,
fl envalo, il leone, eco,
101, veLTRO: cane da caccia relosie
simo.
103 vannà: dunque non ancora re
nuto! Ciò sembra escludere l' allualono
mporsono rîrenti net 1300,» COx DOGLIA!
Lo : tinco raffinato con nr
ggsuto vivo; francese autico prautre, Qui
pet argseuto ed oro, e metallo in generale.
108, nArIENZA | sl comfromti questo rer-
no com Tnf. LIT, 6-6, omerrando edo vir-
Tute è su per giù lo stesso ehe potestate.
105. TRA FALTEO: coloro che intendono
di Cristo vonture spiegano: tra olelo e
elet; oppure : «Inter aceleratorea Impioa
al psccutores +; Zambpl. Que' che inten»
deno di en personaggio indotertai
ai parenti lassi ed ours. Quo' che
ieodeno di Can Grande: tra Poltre, città
della Marca di Teovigi (ofr. Par. IX, 52),
è Monte Feltro nella Romagna. No! oi
amocinmo al-Bosc., il quale confessa in-
gencamonte di non Intendero.
196. UmitLR: « bumilerque vidomus
Italicm »5 Viry., den. LIL, 622 ag. Al.
libtendemo f' Italia Laziale. to bla
malate di tatto 1 rondo, non della sola
Italia; omte non sembra motto proba-
billo ehe uel Veltro Dante rafiguraaso
Oriato.
197, CAroninia | figlia di Metabo,ro dei
Folssî; vergine guerriera che mori com
battemito contro 1 'I'roiani, colebrata di
irgllio, Arm, VIT, 803; XI, 535 agg. ©
Tsosai.
108, Rukiato: giovine trolano, morto
combattendo contro i Volsci; den. IX,
179 agg. - TUnSO: principe dei Rotuli,
ucciso da Enea; en. XII,in fino.=N0:
Troiano, amico di Earialo, con oni mori}
den. IX, 176 agg. = PERUTE: forità,
111, rumas la prima iuvitia fa quella
che fl serpente antico portò ad Adamo
ed Eva; ofe. Sap. IL, D.= DIFARTILLA;
lo mandò fuori. Danquo la Inpa use dal:
l'Inferno a vonne in quasto mondo sin
dai tempi di Adamo, Questa circostanza,
menzionata espressamente dal Pot,
sembra osciudere ogni possibilità di ve:
dora nella lupa il simbolo della Corte Ro-
mana. Alcuni però intendono prima por
primamente. Ma quale invidia feoe uscire
primamente, cioò in origiue, la Corte ro-
mana dall Inferno!
V, 112-196, La ela della satenzione.
Dopo aver detto a Dante che la via sulla
quale sì è mosso, non è la veraoa, Vir
gilio gli dSchiara «ho sola via di walra«
zione è Wl viaggio per l'Inferno ed lì
Purgatorio, @ gli sl offro a guida. Bo poi
dial Purgatorio vorrà salire al regno del
bossi, un'asima beata vo lo guiderà.
Dante risponde professandosi pronto n
intraprendere il mistico viaggio; - L'ao-
mo si Iusinga di potorai salvare da ad,
mentre egli abbisogna di un doplioe di-
rettivo; efr. De Afon. TIT; 18. N la via
dolla satrazione è così fuoile, com' agi
sl figura; comm mena alla contrizione,
alla confesatano ed alla satisfazione | efr.
Thow, 47, Sum. throf. P. LIT; Q0. XO,
art. 2. Petr. Lomdand., Sentent. lib, DV.
Dist XVI, litt, A,
112. 3x0: meglio; pee Ta tun naluto: »
DiscsRTO 1 giudioo.
Trnoxmio Gexez.) Txf. 1. 118-134 Cna via veza] 18
Che ta mi seguî, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per loco eterno,
Ove ndirai le disperato strida,
Vedrai gli antichi spiriti dolenti,
Che la seconda morte ciascun grida;
E poi vedtai color che son contenti
Nel fuoco, perchè speran di veniro,
Quando che sia, alle beate genti.
Alle qua’ poi se tu vorrai suliro,
Anima fia a ciò di me più dogna:
Con lei ti lascerò nol mio partire;
Chè quello Imperador cho lassù regna,
Porch'io fui ribellante alla sua legge,
Non vuol cho in sua città per me si vegna,
Tn tutte parti impera, e quivi regge;
Quivi è la sua città e l'alto seggio:
0 felice colni cui ivi eleggo!»
Ed io a lui: « Posta, io ti richeggio
Por quello Iddio che tu non conoscesti,
Acciò ch'io fagga questo male e peggio,
Che ta mi meni là dove or dicesti,
Si ch'io veggia la porta di san Pietro,
&. Oater. da Gen, Trat. del Purg. C.
efe. Purg. XXD1, 78
122, AXDIA fTÙ Droxa: Beatrice.
123. com La: infatti Virgilio abbam-
duna Dante all'apparire iti Bentricor
ele. Purg; XXX, dî agg.
13. imrmapon: Dio; efr. Par. XII,
40} XXV, AL: — Lassò: nel Paradito.
135 mskraste: non arendoîo ado-
rato ‘dabitamento; cfr. Juf. IV, 38.
198. urrtà: il Paradiso; ofr. Srat
Xi. 10, 10. Apoosi. XXLII, 14.
127. ranmi: di verso, — KMIPRIA |
governo mediato, - MOL: goverso im-
mediato. « Il cielo è il trono di Dio, e la
terra è la scanne!lo de' usi piedi » ; Zaia
LXVI, 1:.et. ILI Rep. VIII, 27.
132, QUESTO» fl male temporale, = ro»
4103 Îl'ssalo eterno.
134 conta | del Purgatorio, ofr. Purg.
TX, 76 sgg., H col angelo portera è
detto Vicario di San Piotre. Al: La par-
ta itel Paradiso, cotmmessa alla
di San Pietro. Ma fl Paradiso dantesco
non ha varuna porta. Al1La porta dal
22 uve a ArROIIO, pat
-- ese vuo quelo di vedere. essa chiunque spera (ed è spera
satorio». Virgilio gli ha detto di di salire quando 7a ala allo be
terio guidare che sino al Purga- Cfr. Fnciel. 154
CANTO SECONDO
PROEMIO DELL'INFERNO
SGOMENTO UMANO E CONFORTO DIVINO
LE TRE DONNE BENEDETTE
Lo giorno se n’andava, e l’aer bruno
Toglieva gli animai che sono in terra,
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Sì del cammino e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente che non erra.
Preludio ed invonnsie=- ® È
18. [rRORMIO 1NP.
Tn. n. 57-72
Dil conroRTo]
Con angelica voce in sua favella:
‘O anima cortese mantovana,
Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il mondo lontana;
L'amico mio, e non della ventura,
Nella diserta piaggia è impedito
Sì nel cammin, che vòlto è per paura;
E temo che non sia già sì smarrito,
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel ch'io ho di lui nel ciel udito.
Or muovi, e con la
parola ornata
E con ciò c'ha mestieri al suo camparò,
L' aiuta sì, ch'io ne sia consolata.
To son Beatrico, che ti faccio andare :
Vegno di loco ove tornar disìo:
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
grazione, a piana, cioò modesta, e come
persona grave») Gelli.
; quale
Sta lesione. Probabilmente Dante vallo
diro: Dura nel mondo e durerà quanto
sato mondo (Metri), Ma potrebì
che aver detto: Dura ancor nel mondo
e digrerà: quanto @ moto, Dicono cho il
moto "inner fn eterno: anche la fama
di Virgilio non al spegnerà mal, almeno
Inf. IV,
nitro #ra Giort., Prot. I sulla G
«Le coso ehe futuno f prima creato,
como è lì cielo, gli angioli, gli el
Atarasino oternalmente; Il mavim
Il tempo no ». Cfr. sopra queato verso
2. P. 11 eg. Moore, Ont., 270-273.
primo propugna la feziono Moxno, il m-
‘condo oro, In realtà così dall'una come
dall'altra lezione ui ricava na ottimo
nenso.
&L L'amnco: amato da me, noi dalla
fortana, la quale infatti non fa molto
amica del Poeta, Altri: Mo ama, nem 4
beni estrinsechi a mo, Ma Beatrice afer=
mtrà più tardi per l'appunto il contrn-
rio, Purg. XXX, 1% agg., ofr. XXXI,
Bi ag. — Fanfani: « Amico è colui che
nina ». Ji anche colui che è amato.
62. miAGgIA cfr, Inf. 89, - FOTO:
of, Fry. I, 36.
04. sì amantIto : efe. Purg. XXX, 196
MER
Nella Commedia Bostrico è principal
‘nto personaggio allegorico. Chi ne Mm
nessi delta Teologia, chi dell'Intelti-
| attiva, chi dell'Anima tendente a
Bio collealidal'amore, chi della Sspienza
religiona, morale o civilo, chi della Vita
contemplativa, ehi della Vistono intima
dell'artista, chi della Rivelazione, chi
della Grazin perficiente, chi della Chie
simbolo
na, oco. Dal Paradiso tet
dolla bentitadino di questa vita (DeMon.
ILL, 15), Beatrice guida Dante al Para-
diso celeste, che figura la bentitudina di
rita oterna libid.). La guida a quest'al-
tima è l'antorità scolesiaatica (ibid. ott.
Cono, IV, 4-6) operò Beatrice può er
acre aimbolo dell'Autorità ecclesiastica,
Aa, dovendo l'autorità. dre
saro ’aomo allà felicità spirituale necop-
do le dottrino rivelate (ibid.), coma è ale
trusd la figuraziono In terra dalla Teo
logia. Ondo Beatrice, appunto perchè
simbolo della Spirituale Autorità, è para
simbolo della Scienza Rivelata. Ofe.
Kraus, p. 453 ® sog., dove nono esposta
bd essminato lo diverse opinioni.
72, Azioni è dunque lei ch ama, efr.
20 [rroEMIO IF.)
xp. 11. 92-105
[ik cosFoRTO]
Che la vostra miaeria non mi tange,
Nè fiamma d'esto incendio non m'assale.
Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Di questo impodimonto ov'io ti mando,
Si che duro giudicio lassù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando,
È disse: “ Or ha bisogno il tuo fedele
Di te, ed io a te lo raccomando. ”*
Lucia, nimica di ciascun orudele,
Si mosse, e venne al loco dov'io era,
Che mi sedea con l'antica Rachele,
Diase: “ Beatrice, loda di Dio vera,
Chà non soccorri quei che t' amò tanto,
Che uscio per te della volgare schiera?
92. TANGR: tocen, cioè travaglia o prn-
oi efr. Petr. Lomb., Sent. lib. IV, dint.
P. LIT, sappì. qu. XCIF, art. 2-5
XOVIÎI, art. 0, Secondo ‘gli Scolastici,
la giole doi beati non sono menomamente
turbate dall'aspetto delle pene del dan
nati, che esei, non vedati, possono vedere.
DI, MANDA 3 « La flammma aua non com-
Dbureb lantos »; Eeeles, XXVIII, 26, — ix
ciano : Beatrice parla del dannati e del-
l'Inferno In gonorale, non del solo Limbo,
XXXITI, 16 #g., simbolo, como si
visano 4 più antichi commentatori, del
(Grazia proveniente. Le tro donna beno-
l'antiteni delle tre
ile pota qual auctor nen nom
no lstam dominam primam, quia iuta uao
a advavit homin) scculte, quod non
Pendit »; Zeno. Taoo fi nome della V
igina como quello di Cristo in tatto l'In-
Jerno, perchd questi nomi nono troppo
Mori al profanersbbero pronnoziandoli
Tagratti mel Inogo del peccato,
9%. aumeo della divina Giontisia.
Gludicis valo Sentenza. yKanGK: piega.
WI. Lucia: probabilmente la martire
ui Simonsa, salia quale ofr. Brev, Rom.
‘84 19 Decerm, Secondo alouni, Santa Lu-
ela Ubaliini, sorella del cardialo, 7nf.
DX A50, Allogoricamestn: la Grazia (liu:
uuinanto. Cfr. Kraue, p. 447 4g.
DE. skbkLE: Jnota, ta Siracusano, mì
fnvosa da chi enffro mal d'occhi, et ae
‘obo Dante no eciferso dine volto (Y. N.
@ 39; Cone. III, 9), onda lo era form
particolarmente devoto. Secondo alcuni,
Dante al dirobba fedele di Lucia,
fo avverso alle dottrine det Pelagiani,
100. WMxica: <odio ogni oradeltà carme
quella cho sofferse ingiusto dolore »; Dom,
= «Ma questo sarebbo a dirsi di tutti i
inrtiri. Meglio, forso, perchè, secondo
Salomone, Dio darà grazia al manauoti»;
Pas: = «Gratia olmica cotastibet dospe-
rantin, qui non mdmittit gratia. Nullma
est anim oradeltor co qui deaperat de
gratia Del»; Hene, Varamento il Poeta
onfensa, 1, 34, che aveva pordato Îa ape:
‘acta non gli era certo nemica.
102. Racatutk: figliavla secondogenità
di Labano, moglie del patriarca Giasob-
de, almbolo della vita contemplativa,
mentre Lia, sa sorella maggiore, ves
moglie di Giacobbe, è almbalo della
sita atlva.
109. LODA: lode, « Quando passava per
la via, lepemone correvano per vederla...
ud
V. N. cap. 26, - « La santa Teologia, con
la groaia comperanto è consmmente me
compagnata vempre, leda Tddio vera
tento 6 nom Outemente, ovvero mel:
l'esercizio dello attività, ovearo nel ri
peso della contemplazione »; Butî.
105, nscìo: « foggì dalla pastura del
volgo »5 Come, 1, 1. LI Posta eraal dato
tutto quanto agli stadi per rendermi atdie
a pariare degnamento di Beatrico, dum
qua por amor scio, PN, n 42, E no pol
i suol stodi To traacinarono nella seloa
osura, rimanera pur sstupre fero ehe
vi si era dato per Healrico,
tì arzzan tutti aperti 1n loro stelo;
Tal mi fec'io di mia virtude stanca;
E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch’io cominciai come persona franca:
< O pietosa colei che mi soccorse !
E tu cortese, che ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse !
Tu m'hai con desiderio il cor disposto
Sì al venir con le parole tue,
Ch’io son tornato nel primo proposto.
Or va’, chè un sol volere è d’ambedw
Tu duca, tu signore e tu maestro. »
CURAN DI TE: son tae avvocate.
PaRLAR: If. I, 112 gg. - BEN:
reailo beato genti; Zny. I. 121 agg.
27-142, GUI offotti salutari del
to divino. Dopo che è stato no-
nente aanicurato del soccorso e del-
tenza celeste, lo smarrito riprende
fio. Egli esprime la sua gratitu-
+ V., © sli dichiara oramai pronto
deroso di intraprendere fl viaggio
stogl
quar: «è modo avverbiale, usato
te dal Poeta nelle comparazioni»;
né., Simil. 141. - NOTTUBXO ORLO:
tte figura l'ignoranza e l'errore;
XIII, 12 6 I Tess. V, 8; il gelo,
ncanza di fede e di carità ; Apocal.
5-16. La similitudine è quindi as-
riante.
Meranca : rischiara con la sua
i Inna mattinala. nf Peron TY
138. COLEI : quale delli
come si ha dal versi seg
altre due ebbero cura d
Beatrioo disoese dal Ciel
134. CORTESE: « corter
tatt' uno»; Come. II, 11
135. vanr: ofr. Par.
vers parole sono eviden
dei veral 61-66, onde Da:
qui le sue aberrazioni.
186. DESIDERIO: d'intr
stico viaggio da te pro;
137. PAROLE: ricorda
lente,
137. PROPOSTO : propor
Inf. 1, 130 184.
140. Duca: col seguirò
vo' nbbidiro. — MARATRO
ascolto. « Tu duce, quan
tu signore, quanto è al
nà a comendena: a der me.
DA [PORTA INFERNALE]
Txp. un, 9-22
[anvRaTA]
LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH' ENTRATE!
Queste parole di colore oscuro
Vid'io scritte al sommo d’ una porta;
Per ch'io: « Maestro, il senso lor m'è duro. »
Ed ogli a me, come persona accorta:
« Qui si convien lasciare ogni sospetto;
Ogni viltà convion che qui
sia morta.
Noi siam venuti al luogo ov'io t'ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose
C'hanno perduto il ben dello intelletto. »
E poi che la sua mano alla mia pose
Con lieto volto, ond’io mi confortai,
Mi mise dentro allo segreto coso.
DI) Quivi sospiri, pianti ed alti gnai
10, COLORE OSCURO: apparenza, 0 sn0-
no, Ingubre, Al,: scritte con inchiostro
nero. — «Le dettero în Inogo chi 5
ate, a voler oasoro ben vodnte, conve
gono essere di colore oscuro e nero, ma,
«n sono pesto în Inogo oscuro, conven:
gono essere di colore chiaro © blanco.
Taonde veggasi Dante como abbia fatto
bene a fare lo lettere osenre in Inogo
Gnenro par voler col senso loro spavon-
tara Ii lettore»; Cast.
31. scgitta: da «bi! Darante il sno
wlaggio per l'Inferno | demoni procurano
msspro di farlo tornare indietro; onde
dovremo arguiro che i demoni scrissero
questo parete, che vorsmante conter
una verità diabolica. Almeno per Dante,
Game par quel molti, Iw/.1W,01, il larciate
ogni speranza non era por niente
1) concetto: Non penetrare nolla con
templazione del peccato, della ua ve-
race natarm e delle sne conseguenze, non
è certo di origine divina,
12. DUNO: grave, penoso, che afliggo,
rattrista, angustia, sconforta l'animo.
«La santeosa importata per qu
alè anì è dura; nem dico dura, perch'io
non la Intendo, ma dura è, poreochè
dura cosa mi pare ndir che jo debba en-
Leare fn Inoxo di eterno dolore e Insciar
la speranza di uscirno mai fuori»; Barg.
Cfr. Be. & Giov. VI, 61: « Durus est hic
sommo ».
13. AcCMXTA + conoscendo le astozie in:
frati.
3 QUI! mel luogo del pescato e dell'in-
guano. - SORFETTO: timore, debitazione,
16. pero: nel Canto I, 114 agg.
18 1 DELLO INTRULITTO : la
cognizione è l'intalzione di Dio: elr.
Petr. Lomb. \b. V, dint. 49 A. Them.
49, Summae theolog. P. 11, suppl.
XOIT, art, 1-3. Gioe, XVII, 8, «Il
1l Beno dei
sero 1 nostri antichi il mondo
E perviò el Resh di Prancia ai died
(Ub. I, e, 64): E poîehè veduta l' aerò,
allegra io ierrò: è morendo gioriota,
vegreto com dell'altra rita andrò »;
V. 22.00, Igmans ed angoli neutri.
Appena entrato nol vestibolo, Ml Ponta
odo un gran tutanite di sospiri, di pianti,
di lamenti, di Iingao diverse, di favelle
spaventovoli. Qui sono 1 vili, minchinti
agli angeti neutri, Vodo è riconosce uno
d6' prismi, quindi non gli occorrono uil-
toriorì schisrimenti, Ignudi © stimolati
da monconi 6 da vespo, sono condannati
a correr dietro ad ma bandiora che non
resta forma tin momento, onde non ban:
no mai posa. Essi, che furono Indelenti
al malo come al bone, poltroni è buoni
a nulla, casi, che nel mondo si compine-
quero solo dal dolce fur niente, tn ciò
che ambirono, sono tormentati. La ban-
diora non a'arrosta mai, ed emi, che
vorrebbero sopra ogni altra cosa goder
quiete, devono correrlo dietro,
22. qual: dolorosi lamenti.
28 [vsstinoLo]
Tyre. ni, 87-54
n Mischiate sono a quel cattivo coro
Degli angeli che non furon ribelli,
Né fur fedeli a Dio, ma per sò foro.
Cacciarli i ciel por non osser men belli;
Nè lo profondo Inferno li riceve,
Chè alcuna gloria i rei avrebber d’elli.»
Ed io: « Maestro, che è tanto greve
A lor, che lamentar li fa sì forte? »
Rispose: « Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morto,
E la lor cieca vita è tanto bassa,
Che invidiosi son d'ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
Misericordia e ginstizia li adegna:
Non ragioniam di lor, ma, guarda o passa! »
Ed io, che riguardi:
Cho girando correva tanto
Che d’ogni posa mi pareva indegna;
89, xonO: furono; non À apocope di
farono, ma voce Intera in sò stoana. Foro
‘eSuoro)fu adoperato anticamente spesse
volte anche ta prosa; ofr. Parodi, Bull.
TIT, {81. - Suppone che, quando Luol-
fer ni ribellò contre Dio, alcuni
rimaneasero neutrali, volendo vader l'osi-
taddella lotta, prima di decidersi. Ta con-
‘cottonfflno fa espresso fin dal terzo
da Clomenta Alessandrino, Strora.,
‘qual fonte Dante attingomse, non ai
40, cacviAnti: gli soacclarono,
GLAM] chel gli diecacciarono una velta
per sempre; « Frolectna est draco file
magone, ob angeli eian cum illo mimi
munt »; Apoeaì. XII, 9. Ma lo profondi
ricuna continuamente dì ricer
hà, emnendo intidioni d'ogni altra sorte,
nudrebbera ih, si fuse loro concesso.
Oîe. ZF, 16,- MEX DELLI: non sared-
hero perfetti, = cmeri senza carattero
si aveasero albergo.
#3. ALcuxa: qualche, Al paragone di
questi dappoco gli scellerati energici po-
ro veramente glorlarai di ossero
di loro. AI: Ninna, Ma nolle opere
d adeuno non ha mai il sonto di
Miumo, efr. Inf. XII, 0, Inoltro, ne il
Inferno non Hi riceve, ciò non
pre che per non dar motivo al
swmntaral. > muut i lat. 4Ui;
Toro; re Bull TIT, 122 ag-
40, xox maxxo: non l' ha nessuno nol
ferree
dero con giola, A vendo la coscienza della
loro assoluta nullità, sarebbe por questi
poltroni © vili un gran conforto, se por
tessero sporare di ritornare quando che
sia nel loro elemento, nel nulla.
Ar
x, 58; XX:VIL 25, 0co. « La vità cli'eesì
conducono come clochi în quell'aria sen-
am atollo »; Betti
48. D'oos1 autIA sONTE: dunque anche
dolla sorto di quo' ehe sono nal profondo
Inferno, Vi andrebbero, ma asso nom lt
riceve.
49. Lasta: lascin: nel mondo men è
rimasta di loro alcuna memoria.
50, Ìmsemiconia : polehò non ll vuole
nè il Paradiso nò il Pargatorio; Grosri-
ma. perchè li ricuan anche l' Tuferno, =
aDBora: rigetta,
52 esnaxa: stendardo, bandiera. + Quia
omnes Anti ribaldi trabunt ad unum al:
pous, hoo discerountue aut distioga:
antor lnter so »; Zene. lar | mutaban-
diera ci volova la bandiera. Ema gira
sompro e mampre corre ; © gl'ignari dio-
tro! Il loro carattere è la loro pena
13, GIRASDO CORKEVA: correva ni
torno.
54. meoitoxa: allena, sdognante. Al:
Tnimeriterolo,
Tn. in, 65-80
28 [vestinoLo]
Erano ignudi e stimolati molto
Da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
Che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
Da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi che a riguardare oltre mi diedi,
Vidi gente alla riva d'un gran fiume;
Per ch'io dissi: « Maestro, or mì concedî
Ch*io sappia quali sono, e qual costume
Le fa di trapassar parer sì pronte,
Com'io discerno per lo fioco lume. »
Ed egli a me: « Le coso ti fien conte,
Quando noi fermerem li nostri passi
Su la trista riviera d’ Acheronte, »
C) Allor con gli occhi vergognosi a bassi,
Temendo no ’1 mio dir gli fosse grave,
Betrimento dico questo cotal riltssimo es
nere morto, parendo viro.... Veramente
morto Il malvagio uomo dire ai può.
Vivere nell'uomo è ragione nsare. Du
ju0 ae vivaro è l'onsere dell'uomo, e com
quello uso partire è partire da essere,
è con) è esuore morto, » Cone. IV, 7.
mala gonoran nr ex pulrofactiono et aa:
perfinitate, fdeo bene cruciant istos mi-
Reroa »; Bene, Per la bagsezza d'
mon occorrono grandi tormenti ; bastano
alcano puntaro, fonser puro di lingue
“volgari. La bunsorsa itei foro scopi è
simboleggiata noi vermi che raccolgono
fi loro sangue 6 lo loro lagrime.
09, veraci JI annuo di questi sommi
etoî, versato nolia terribile guerra con-
ro nemiol tanto formidubili, quali | mo-
Weoni è le vespe, non toraa a profitto
cho n rormi schifosi, 1 quali van serpog:
Rando a' loro piedi: Ond' essi, dei quali
mon o'è altro da diro, so non
fatti pato dei vermi, sono adoperati alla
secondo la loggo dell'economia
Maturile. Ofe. Graw, 19.
V. 70-136, Lt puaso dell'Acheronto.
gionti alla riva di un gran fame,
primo dal fiumi inforpali, LA conven»
tto quante le animo de perduti,
to da Caronte all'al:
«xl loro Inogo »
Ma Virgilio gli ricorda fl volere sopre-
mo, onde Caronte afoga l' impotente sna
ira ‘battendo lo anime dei dannati. Vir
gilio conforta fl suo alunno owserrando-
mi improvviso la terra è
acosma da tn terremoto: al terremoto
succede un baleno, 0 Dante cade tomo
n0 preso dal sonno.
riume + Acheronte, 0 fiume det do-
, per fl quale, secondo lo credente
antichità classiva, Je anime so ne
Îlo pen infernal! efr: Virg., Atti.
VI, 107, 295; VII, OI, 312, 6007
XI, 23 Dante uttinso amplomente alla
mitologia antica, fsoendone però uso da
poeta cristiano.
cOWruME: pooticam. per Ordine
stabilito, Prescrizione, Legge; ofr. Saf;
XIV, 21. Purg. I, 80.
TI. DISCO | #0 il lume ema fioco, ll
Poeta non poteva leggero loro ln volio.
Bisognerà dunqao supporre, che quelle
povere anime ai affolluasero gareggiando
pee entrare primo nella barca di Caronte.
-r1000 : dabole, languldo. « Como è oscura
al intender la voce fiocn, così aî può dite
lo lame foco, quando non è chiaro ; come
la voce floa, quando non è hara +; Butî.
70. core cognito, palerd; ofr.v.121 agg.
Ta. TUISTA: doloroma. — ACWERONTE :
è IT fiume del 7. 71.
80. TRMIEEDO NO "i! temendo che; Il
dat, vereor me. Al.: TEMINDO CIUL = GIA
vE: lnportono,
80 [vestIBoLO]
Cangiar colora e dibattero i denti,
Ratto che inteser le parole erude.
Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,
L'umana spezie, il luogo, îl tempo e il semo
Di lor semenza e di lor nascimenti,
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
Forte piangendo, alla riva malvagia,
Che attendo ciascun nom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
Loro accennando, tutte le raccoglie;
Butte col remo qualunque 8' adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
L’una appresso dell'altra, infin che il ramo
Vede alla terra tutte le sue spoglie;
Similemonte il mal seme d’Adamo
Gittansi di quel lito ad una ad una
lo»: Mlane, Cfr. 0, VIZl., Oron,
Pini x
FILI, 70; altri aveano fyura d'anime
igmude [noila rappresentazione dollo pene
ladernali, fatta aol ponte alla Carrnia 91
1 maggio 1304).
10î. Caxarkn cOLORR: tramortiron
T corpi aerei lnnno non solo la for
ma anche Il coloro del corpo material
Ge. Purg, III, 31 eg; XX
= binatmano: ofr. Matt XIII, 4: «ID
aelt.... atridor dontium ».
102. matto cuR! snbito che. — rarotn:
*, 8547.
109, Tuoro: conforme la dottrina sco-
Iastica, che 1 dannati iuvelmeo
più contre Dio, quanto più sono col
dalla Sna giustizia Cfr.
tdi 13, 11, 19, 4. Inoltre essi maleitcono
gli antonati, 1 genitori, tatti gli vomini,
3ì luogo ed Îl tempo iu eui, ed Il serse
adi cul furono gonarati e nacquero. L'idea
È tolta ila Giobbe ILL, 5 agg. è da Gere-
nia XX, 16 agg, Lì some di for semenza
mono È progenitori; il seme di lor nasci:
menti { genitori. Maledicono d' umana
Apecie, porchò vorrebbero tesoro bruti,
Ja 0a! anima muore col corpo. Vorreb:
bero Insomma non eror mal nati, vd
metere nati anfmali bruti.
108. urtuAMIER: AÎ.; RAGCOLARR. — tR-
Biba: non essendosi neparate dal corpo
Del medesimo Istante, eran venuto l'una
dopo l'altra.
108. ArTENOR: » la riva d' Acheron
Mipotta einseun che ton temo Dio. Chi
non temo Tddio è dannato, et ogni dan-
nato è aspettato da qulla riva »; Put.
nooesi d'ira,
nella sua nave
A motto fa posttera più
sono tanto pronta a tran
pi so, sproonei dalla divina
giustista, doslitorano di trapaszar lo rio,
7. 1% agz.. ose nom fanno certo nllagiò
ad ontrare nella barca. «Sadagia, a be
dere o in altra guisa»; Boce, = « Retar
re +, PI Non va tosto »; Ziuti.
« Poreutit remo quemeumque tandan-
Altri antichi n0n sl curano
apiogazioni.
112. com 1 aimilit, tolta da Vîrg., dem,
VE: 200 agg. Ctr. Tx Vent., Sim: 182/18
«Edi
nd ecelum ramie felleibus arbor Miratatr=
quo novss frovdes et pen sua poma. Al.
RESDK ALLA TRRRA, lezione che fl Mor-
‘82 [cromo rximo]
Typ. iv, 1-2
ThA mocaLitÀ]
doll'Acheronto.Como rÎ arrivò } Dal Puri
fn pol è opinione comune, «be durante Îl
tonno fl Poota fosse portato all'altra
lo, oplalone che dicono
passo tatto simile Inf.
Agg., come puro dal piso Piery.
nocondo al rasconta come Lacia traspor:
1ò in alto fl l'osta durante il suo nonni
Porshò in questo Inoge non al fa la mi
nima menzione di un angelof Non ni ha
fiiù cha vento, baleno è tuono, ma non
‘tn solo attributodogli angeli. Veramente,
delle primo Caronte «i rilatà di ti
tare ll Poeta, ma si acquetò poi, ndite
lo paroto di Virgilio; od i verai 97-09 po
trebbero far supporre ehe in fatti Jo tra»
gittanse. Se, dopo avor detto che Caronte
si noquetò, Dante aveame voluto necen-
mare ad on passaggio diverso dall'ordi-
mario, operato per mosso di un Angelo,
dovnammo veramente aspettare! qualehe
cos di più che terromoto, vento, baleno
olo stordimento dol Poota. Ma, dato Il
allanzio amolnto di Danto circa fl suo
passaggio, tatte le ipoteal fntte paiono
destinato a restar sempre ipotesi, © nulla
più. Allegoricamente, Gioe.
vento spira dove vuole
odi, ma non sai d'ondo venga, nò dove
vada: così avviono a chiunque è nato di
Apirito ». Il Poeta descrive qai 1 primordi
della ama nascita di apirito
CANTO QUARTO
CERCHIO PRIMO:
IL LIMBO
INNOCENTI, PATRIARCHI % DOMINI ILLUSTRI
(Non banno pene posilra, tn
olo privazione della beatitadinà
di cal mentono Il desilerio ma non la speranza)
Ruppemi l'alto sonno nella testa
Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi
V. 1-24. La località, Va greve toono
che rione dall'abiaso, m la eni proda |
Abe viandanti si ritrovano, sveglia il
Preta dal ano profondo sonno. SI guarda
ReBtcoa: e Hi aevgga di sere vello:
forno, Confortate da Virgilio, che non sa
nascondere Il proprio turtasmosto, pro
legna viaggio. alora nel primo cer
Infernale, cena nel Limba. Del dun
Litobi degli Scolaasici, limdue
‘patrusa (ofr. Thom, A9., Stura theot.
FT: 150, weppi, go, LEE. art 1 egg;
Bcf i Dante ne fece mm slo, ponendo i
restato dg ignis ITA
Poema rimandiamo uns volta per tali;
per l'Interpretazione cfr. erp n
Limbo Danterco, Studi flonofick &
Loi Frate 1898,
+ profondo, « supor alta »;
VII, 27.
3 [cerenio PRIMO] Tap. iv. 22A0
e Andiam, chè la via lunga ne sospigne! »
Così sì mise e così mi fe' entrare
Nel primo cercbio che l'abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto ma’ che di sospiri,
Che l'aura eterna facevan tremaro;
Ciò avvonia di duol senza martiri
Oh'avoan le turbo, ch'eran molte e grandi,
D'infanti o di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: « Tn non dimandi
Che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
Ch'ei non peccaro; e 8'elli hanno morcodì,
Non busta, perchè non ebbor battesmo,
Ch'è parto della fede che ta credi;
E so furon dinanzi al Cristianesmo,
Non adoràr debitamente a Dio;
E di questi cotai son io medesmo,
do Per tai difetti, e non per altro rio,
Dantazco, MII 1893. - PeR TRMA BRNTI:
interpreti, giudichi como timore.
28, sosriost: nd affrettarci,
28. com: vos) dicendo, = st win: en
Urò primo, Al.; MI MISE: #1 MOSSE, 006,
Ce. Aeore, Orit., 27
V, 2545, GU Innocenti, Sono nel
della Dentitndino, quindi sewpiri
denza martiri. Qui torbo molte e grandi
di morti senza battesimo, non per altro
etclusi dal elelo, che per mancanza di
fado, Sant'Agostino: «CI creanti, 0 Dio,
& to; ad loquieto è fl enor nostro, finchè.
Fipesi in to». Nel mondo di la questa
Juquietadine è eterna, Chi non consegui
It fino ano nel tempo, nell'eternità non
fo consegue più.
Î5, AICONDO CIIE PER ASCOLTARE: por
Ipoalicha sì potora giodicare ascoltando,
edero-non si poteva, eesendo troppa
l'oscurità.
6. Ma'cms: più obe; lat. magie quam ;
mat que. AL: PIANTO O Mal cats
Z. P, 10 ag. Batti, L 24
#0, moLTE: molto Je turbe, ed ogni
tarda grande, comprendono oguuna di
steso grando quantità di anime. Al: cui
RAN MOLTO ORAWUI; confe, £. P., 20 ag.
TT: lambini morti misura bat-
rada. « In Inogo di wo, nari, ma
stichi diceamo ando, amd
imo è detto janua racramentorum. Ma
E Dicono inoltre, che la
fedo do' erintiani non ha diverso parti.
ha diversi articoli ! « Gil articoli
dolla fede son dodiet, do' quali dodiei è
il battesimo uno»; Bee, = « Il batteistino
è uno degli articoli dalla fede »; An,
= Naptiamuo ont artieutos Adel,
4 por consequens pars» è Bene, Secondo
Ja gran magyziorenza dei codd. e dei 6om-
ment. antiohi, Dante serie PARTE. Sem-
bra anzì che nessun ced. abbia PORTA:
ctr. Moore, Crit,, 25, nt. 36, Pmotel, 1644,
IR. DEMTAMENTE: vendo credatò.
ia Cristo rentaro: Par. XXXII, 3
Cite. Giov. XIV, è, A IV, 13. — a Dio?
il verbo adorare tn antico reggeva il dan
tivoi v, Mardi, Bull. XXI, p. 890,
40. DIFETTI: mancanza dii battesinno e
dl debita adorazione di Dio, - nto: reltà,
colpa; ele. Purg. VIT, Togg., 25 agg.
menzione di un angelo! Non si ha
10 vento, baleno e tuono, ma non
vattribatodegli angeli. Veramente,
prime Caronte si rifiutò di tragit-
1 Poeta, ma si acquetò poi, udite
‘ole di Virgilio; ed | versi
più. Allegoricamente, Giov.
vento spira dor vuole; © i
odi, ma non ssi d'onde ven
vada: così avviene a chiangi
spirito ». Il Poeta descrive qu
della ona nascia di spirito.
CANTO QUARTO
CERCHIO PRIMO: IL LIMBO
INNOCENTI, PATRIARCHI E UOMINI ILLUSTRI
(Non hanno peno positiva, ma solo privazione della beatitué
di cui sentono 1) desidero ma nou la speranza)
Ruppemi l’alto sonno nella testa
Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi
1-24. La località, Un greve taono
viene dall'abisso, su la cul proda |
viandanti ai ritrovano, sveglia il
ta dal suo profondo sonno. Si guarda
rno, e si accorge di essero noll'In-
fortato da Virgilio, che non sa
Poema rimandiamo nina vo
tra i tanti, al lavoro già
Agnelli, Topo-cronografia
Dantesco, con XY tavole,
per l'interpretazione cfr.
Limbo Dantesco, Studi Al
88 fcxronto PRIMO]
Tre. av, 94-112
[iL nome cAsTELLO]
” Così vidi adunar la bolla scuola
Di quei signor dell’altissimo canto
Che sovra gli altri com’squila vola.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno;
Pil mio maestro sorrise di tanto:
E più d'onore ancora assai mi fonno,
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Si ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Così n'andammo infino alla lamiera,
Parlando cose che il tacere è bello,
SÌ com'era il parlar colà dov'era.
Vonimmo al più d'un nobile castello,
Sette volte cerchiato d’alte mura,
Difeso intorno
d'un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
Per sette porte entrai con questi savi;
Giugnemmo i in prato di fresca verdura.
ua Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
95. quat: cinquo poeti, Così 1
000d. è comme. antichi. Al. leggono q!
intendendo chi di Omer:
Mo; e Il senso non può non dira! sodiafa-
dente anche con tale lexione. Cfr. Mo.
Orit., 2i0 ag. n
00, cur: 1) qual canto. « Sicot enìm
‘aquila volnt altias, et videt noutt
uves, ta Inti ascndor
init ambiilius Inter poetas: » Slenv,
UT. RAGIONATO: È quattro chiadendo, @
Virgilio rendendo conto di Dante
D8. caso: malutendolo qual loro col-
19, sotitar: mostrando piacere, - Dì
TASTO: dell'onore fattomi da quei poeti.
102.46#10: loro pari. Profezianv orata.
103. LumizKA: efr. eT-B.
104 niLL0 : perché dicendole nscirebbe
troppo dal soggetto del pooma 0 nu-
direbbe par le langho: avranno parlato,
poniamo, di Jettera 0 di poosi
108. una: dello. = pov' ERA: dove il
artaro wi facera. Al: Dove fo mi ritro-
vara.
V. 100-114. Ti castello del Limbo, Ar
rivano a più d'un castollo, Kimbolo della
mapienza umaua, è fors'anche del tempio
della gloria. 1) castello è cerchiato setto
volte da alto mura, simboli delle sette
virtò, cloò delle morali: pruenza, giu-
atizin, fortesza e tem peranza,, e delle apo
culative: intelligenza, sofenza osapienta.
Secondo altri, lo mura figurano la mitte
parti della filosofia: fisica, metafisica,
stica, politica, ecanomica [cheoggi dîrob-
best economia), matematica, sillogistien.
Esso è difuso da un bel Bumioello, atm-
bolo probabilmente dell’eloquenza, con
ho lo notte virtà al insegnano e sl per-
sundono, cfr. Tn/.I, 79-80. Passano il Bu-
micelio & piedi asciutti, chè ai grandi 6
nobili ingegni non oceorronò eloquenti
porsunsioni per farloro esercitare e virtù
suddette. Entrano por netto porto, le
setto arti liberali del trivio e. quadrivio;
grammatica, dialettica, rettorion, muni-
ca, artlmotica, geometria ed astronomia.
Giungeno in un pruto verdeggiante, di
mora dogli spiriti magni.
100. xounr: In sapienza uobilita
L'uomo
100, pura: melutta.
210, sette: ognuna delle sette mura
aveva la sun porta,
111. eRATO: «almilitar Virgiliaia den.
VI, et Homerus Odys, XL fingunt viros
Îllotrea staro lo prato virenti »; Bent:
112, ranno x cavi. efr. Purg. VI GB
Proserbì XVII, d4.
40 foxgomio PRIMO)
Typ, 1v. 180-148
da Poi cho inalzai un poco più le ciglia,
Vidi il maestro di color che sanno
Seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor gli fanno:
Quivi vid’io Socrate e Platone,
Che innanzi agli altri più presso gli stanno;
Democrito, che il mondo a caso pone,
Diogonès, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
E vidi il buon accoglitor del quale,
Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
Tallio e Lino 6 Seneca moralo.
Euclide geomètra è Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna e Galteno,
Averroìs, che il gran commento feo.
To non posso ritrar di tutti appieno,
Però che sì mi caccia il lango tema,
Cho molte volte al fatto il dir vien meno.
La sosta compagnia in due si scema:
V.120-151. X saplenti. Vedo più ol-
tre gli nomini di acfenza. ed enumera
prima i filosofi teorettci, pol | sari di
storia natarale, ind! quelli d'aloquenza
® quelli di medicina. Dante e Virgilio
lasciano quindi gli altri quattro, con-
tinuano fi loro viaggio. Per più ampie
notizie dello perwno gni nominato efr.
1 relativi articoli doll’ Eneset.
18f. MARSTRO: Ariitotelo, e il map
atro dolla umana ragione +; Cone. IV,
8, ec.
183. LO ximax: così il più dei codd, o
comm, nnt. Al.: L'amma»,
185, PIÙ PRISSO : ensendo dopo Aristo-
tela più eccellenti filcooî
Daisocrito; di Addera, che inve-
i {i mondo essere stato fatto a raso
pel cloco concorso degli atomi.
197. Dioonsts: Diogene, 51 celebre ei.
unico di Binope, - Axamanora ; di Clazo-
meno, 5l colebre maestro di Periclo.
Ttk: Taloto milosto.
138. Eur&DOcLÉs: d'Agrigento, autore
di un poema su la natura pri
dello como. - ERACLITO : d' Efreo. — ZK-
30M: da Cirio ; stolco. Cfr, Cone. IV, 6.
DBA: ga tz dello quali odiato dell
e %
accolo. = Onrno : mnitico poota e ransico
greco,
MI. Tut.ro: Cicsrone. — Limo: mb
340. Totoro: celibe geografo sd
astronomo.
143. IrrockaTE: antico medico greco.
- AvicgexA: modico arabo, fiorito nal see
XI. - Gattexo » medico di Pergamo
noll'Asin minore;
14. Avumnoba: filosofo arabo del so
colo XII, celebre commentatore di Ari-
siotele.
14%. Urra: raccontate Cir. Znf, TT,
0. » rum: coloro che lo vidi colà.
146. caocia= apinge, sprona. Tantè
cose ho da dire, che tutte non possa.
147. vix sxo: non potendosi ester
dore a tutto l'asendoto.
168. srsra : di meli Omero, Orazio,
Oridio, Lacano, Virgilio e Dante. = x
DUN st Besa i al riduce » due: | quat
tro primi reatano ne) loro Inogo: i due
ultimi continuano il ditoene
dendo sempre a sinistra,
Inferno,
42 [oxRcHIo seconDo] Tur, v. 6-25
Giudica e manda, socondo che avvinghia.
Dico che quando l’anima mal nata
Gli vien dinanzi, tutta sì confessa;
E quel conoscitor delle peccata
Vede qual loco d’Inferno è da essa:
Cignosi colla coda tante volte,
Quantunque gradi vuol che giù sia mossa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono, e poi son giù volte.
«0 tu che vieni al doloroso ospizio, »
Disso Minos a me, quando mi vido,
Lasciando l'atto di cotanto uffizio;
« Guarda com'entri a di eni tu ti fide:
Non t'inganni l'amj
piezza dell'entrare!»
E il duca mio a lui: « Perchè pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
Vuolsi così colà, dove si puot
Ciò.che si vuole, e più non dimandare, »
ss Ora incomincian le dolenti note
G MANDA bel cerchio n cut al punisco
la relativa colpa. - avwrroma: rivolge
fa cada Intarno a sò stesso,
T. MAL NATA: nata prot n
ofr. Matt. XXVI, 24. Inf. 1
DVI, 70: XXX, 46
8, TUTTA: pienamente, Minosse sia-
Loleggia la comianza.
D. CONOSCITO! lndice înfaltibile; cfr.
Inf. XXIX, 130.
10. DA: per; sì conviono a quest'aniem
13. quartesque: quanti. -ORADI: cor-
sti dell'Iaferno. Cfr. Ing.XX VIT 124 agg
la. Moti: et. 2. III, 19 egg.
la a vicesna: l'una dopo l'altra.
1. itcoxor eonfessano i loro peccati.
= GbONO: la loro sentenza, proferita da
Minosse, e suggelista nello strano modo
fi diritto. - sox OIÒ vàLIE: preci-
Pitano nel cerchio infernale loro aue-
Raaio è vi ron portato da qualobe dia-
Foto (ofr. Inf. XXI, 20 agg.).
18. poLoraso OAriziO 1 Inferno, sede
dell'eterno dofor
elerato e terribile, di
i dannati.
rendo sospeso l'esor-
Gixio del suo terribile ministero, Minosse
non è qui più il simbolo della cosclemza,
ma soltanto fl domonio ehe, geloso (come
gli altri demoni) del auo regno, non ror-
rebbe che altri vl penetrnase 0 vi al ag:
ginusse, se non condotto dai diavoli e in
loro merrità.
20, L'axumnszza 1 ot. Matt, VIL 13.
Ving., den. VI, 126 agg.
21. run: anche ta, como Caronte, ofe.
22, varaut: volato dal destino; oft,
Taf. VEL, È neg.
V. 25-45. I uagurtosi in generale.
Tlussuriosi, tanto coloro che peccsrono
por isfogo di libidina, quanto coloro che
- peccarono por dobolomza, ossia per digor=
dinato amore, sono rapiti, fra lo tenobre,
continuamente lu giro da vento impo
tuoso, @ piangono dolorosamente. Le te-
nobre figurano l'offuscamento dell’ intel
letto, prodotto d
dello passioni e delle volabili voglie che
agitano è trascinano | peccatori carnali
fl pianto doloroso è la più conveniente
saprossione degli amanti. Cfr. Vîrp., dem.
VI, 460 agg.
25, OKa1 «Non si diko più dì Misde,
44 [csgenio atcoxno]
Tur. v. 41-55
[uossDRIORI]
Nel froddo tempo, a schiera larga e piona,
Così quel fiato gli spiriti mali:
Di qua, di là, di giù, di su lî mena;
Nulla speranza li conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in nere di sè langa riga;
Così vid'io venir, traendo guai,
Ombre portate dalla detta briga;
Per ch'io dissi: « Maostro, chi son quelle
Genti che l’aura nera sì gastiga? »
« La prima di color di cui novelle
Tu vuoi saper, » mi disse quegli allotta,
«Fu imperadrice di molte favello.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
Che
quei osttivi apiriti portati dal vento
Pon
AL: FREDDO TEMPO: inverno: = A scuue-
na: mostra la folla grando.«Quia maxima
at multitado istorum Juvenum discur-
rentium per contratas, ita quod vix por
nant vitari »; Ben
42. viato: vento. - ALI: malnati.
@ travagliati da perverso male, v. 93
Quel fato porta gli spiriti, como lo ali
portano gil stornelli.
43. DI QUA, DELA: « col anoni rutti di
non resta, è da ouì sono quegli spiriti
ogni parlo misoramento aggiruti »; L.
Vent., Siw., 412. -MEXA: senza osservare
alcan modo ed ordine. Qautro atapendo
dell'incostanza del Inarurioni.
Vd6-73 Lussertosi che peccarono
per bassa carnalità, ossia la schiera
sli Senmdrameiate, Como risalta chi
siente dal v. 85, il Poota dispone anche
il, come altrove nel suo Inferno, | dan»
mati a ssbiero, sseondo la gravità del
pescato. Qui duo schiere: a capo della
FLO 8) orlo bo provarono per
lassaria, sta Semiramide; a capo
dolta seconda, formata da qual che pro-
carsno por amore, sta [a gentile e aven-
atata Didone. Virgilio le nomina ambe-
dine pd altri Iussuriosi antichi.
#8: Lat; cauti monti 0 lognbri, pro:
vena. Lai, Lais, eco.
ito fe' licito in sua logge
(47. vactpO:* Ilse, elangore fagaci,
* Perviocchà stendono il
collo, lì quale essi hanno lungo, innanti,
lo gambo, lo quali similmente hanno
{D. anIGA: contrasto di venti; la du-
fera infernale del v. BL.
fnvorire la soconda interpretazione.
SÌ. L'AURA Nika i Ali 1'ARK NRIO,
‘pretto ainonlmo di bufera,
do sempre torbido Il cieto, quando
p Betti.
39, atLorta: allora; sì usa tattora
nella cs
‘64. YAVELLE: popoli parlanti diversi
linguaggi.
56. LINITO: ciò chia piace, lat. libitmm,
- ucito: locito, lat. lieitum. — LacoR:
* Procepit enìm ut inter parentes sé
fillo», alla dolata reverentia nature, de
contagia adpesendia, quod cUIQUE Lit
TUM ASAET, LICITUM FIEMT®; Pu. Orta,
Hit, I, 4. Danto cho area letto questo
puaso (ofr, De" Mon. IL, 9), traduco quasi
alla lottera.
46 (cERcHIo BEcONDO lsp, v. 74-91 DeAOLO e FRANOESCA] |
Parlerei a que' due che insieme vanno,
E paion sì al vento esser leggieri.»
Ed ogli nume: « Vedrai quando saranno
0 a noi; 6 tu allor li prega
Per quell’amor che i mena, e quei vorranno. »
Sì tosto come il vento a noî li piega,
Mossi la voce: « 0 anime affannate,
Venite a noi parlar, s'altri nol niega!»
Quali colombe dal dislo chiamate,
Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido
Vongon per l'nore dal voler portato;
Cotali necîr della schiora ov'è Dido,
A noi venendo por l'aer maligno,
Si forte fu l'affettuoso grido.
< O animal grazioso e benigno,
Che visitando
i per l’aer perso
Noi che tingammo il mondo di sanguigno;
o Se fosse amico il Re dell'universo,
te Bla prima anima cho pasla con Dante.
no par compassione, e cado come morto.
mesto non vanno come compagni, ma
moguenio l'impoto della bufera; or gli
tinî sugli altri, quasi nurola sn nuvola,
ora divisi o aparpagliati nell'aria a so.
di grano lanciato dal renti.
Jabro; or l'uno distro all'altro; solo due
mon si scomopagnano mal, quasi teanti
htrobti da un Jogamo lavisbilo. Il fat
singolare richinma l'atteozione el
ta». Mrano,
15. LEOGINRI: RON opposero verana re-
sistenza all'impeto della passione, qasndi
‘niatio possono epporreaquello del vento.
78. t segna: lì menni È por occorre
auebo alirovo in Dante; por ea, Inf.
VII, 53.
BI. abmgi: Dio; venite a parlarel, se
Mdio ve lo permette.
#2. quari: olr. Ving., den. V, 213 egg.
— GaLDImE: simbolo di nincerità; efr.
fatt, X, 10, virtà che Fraucesoa eser-
cita nel ano racconto, ma non esercitò
mella vita sun, avendo tradito il marito
o la cognata, ella sposi o madre.
#3 ALCATR: così Il più del c0dI. e com.
Mit, Als APRITE,
Bi. YEx00I; cos | più; Al: vOLAN. —
Per questa aitaliitadio i sogliono non
nonza ragione rammentare! versi di Virg.
è V, 213 agg. eppui
rodi, la almilitudine « non
originale, sia perchè com
senza che nulla si scorga d'uno forza
i mezzo esterno che li niuti ad
be, © questo di Dante pafono animate
da una volontà quasi timanà. »
85. scumena: particolare, che si nomina
da Dido (Didone), anfma nobile
glacquo a pansiono di ewor genti
86. staLioxO : contrapposto all'aore per
eni vengono al dolee nido lo colombe, ehe
è «l'aer dolce che dal vol allegra»; Zaf.
18.
nl rontR: tanto în essi potò ll mio
pregaro, v. 8081
Ri asueate ofr. Faf. 11,2. Purg. XXIX,
188, Par, XIX, 85,— GRAZIONO 5 corteno,
guriilo.
59, ransò: escuro; «II portò è in 60:
lare misto di purpureo e di nero, ma
vince SI nero, e da Jul si denomina »
Como, IV, 20.
30 TISGIMANO: SO nostro sangue aparso,
(1 410001 2 pl ne foste poll raf
di Dio, Vorrebbe pregare, ma ma che Id-
dio non ascolta le preghiere del damatt.
48 [ceRcH10 secondo]
[PAOLO E FRANCESCA]
dos Amor, che a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte,
Che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense. »
Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime offense,
Chinai il viso, €
tanto il tenni basso,
Fin che il poeta mi disse: « Che pense? »
Quando risposi, cominciai: « Oh lasso!
Quanti dolei pensier, quanto dislo
Menò costoro al doloroso passo!»
amanti accadde tra il 1283 e il 1286, È
il modo che offende tuttavia la sciagurata
Francesca. li modo è lo, del più; ofr.
Moore, Crit., 280 90.
109, PEKVONA | La sentenza non è sem»
pro vera, essendo molli gli amanti
riamati; ma Francesca, che, amata, ai
snuiì como soggiogata © trasci
idera 0 sento cd esprime qual che è no-
cadato a lei, como leggo gen
L IACRR: «dol piacer di amar 00-
siuli forse anche, come il Rigutink
vita, della costui avrononza; nel q
significato piacere 0 piacenza faruno co-
muni a° poeti di quel secolo »1 4
105, xOX al'Amsanpoxa: costui
niniti in eterno. Sollievo 6 nello
tempo aggravamento di pena; un
nell'Inferno!
166, una: ucelal Insiemo,
toripo, tuogo è modo. ù
Cala: bolgia del fratrichii, Inf.
xii cen Gianototto, Îl vradito ma-
rito. è Parchè tanta piotà per la coppia
d'Arimiho 0 nemmeno una scusa
condannare questo disgraziato, che i tri-
bunali d'oggi assoiverebbero, con una
frnse cruda e upictata ad osser tto nel
duro gelo dolla Guina, moutre al fra-
tello che l'oltraggiò noll'onare al cou-
cedo anche oltretemba di stare insiomo
& Franoescaî.,. La ntoria, oltre a farci
peutiro una certa compassione pel ma-
ita logtanato, Introduce altre pietoso 0
ben dolenti figure vella tragedia, dguro
che solo basterebbero a farvi parere più
edioso l'atto dei done cognati. Ma d'eme
Il Poeta non facendo ricordo,
sontribni, ala puro inconaciameni ;
dero acusatile Îl doloroso pazzo, Oltre al
marito, Francesca tradiva la cognata)
oltre ai fratello, Paolo tradiva la moglio.
L’adulterio era doppio! E no posa piotà
lestare Gianciotto, brutto, aspro
cati vo, immenanmente compamaio-
ci appare Orabile di Gblag-
| dol marito è perla
scellorata colpa rimanere orbati di padre
luo teneri figlivoli, mentre invano Con-
- rOkTE: dette.
9, orvess»: olfose, travagliato.
110, x
fonda meditazione » Parodi,
li. resa: pendi.
112. quaxno: non «a siuponder subito,
‘@ quando rispondo, non volge la parola
Virgilio, ma parla como continuando è
glo
penaiori dolai, benchè col
paroli! «Aqua fartisan dalolorse sunt, 6
panîa absconditua anavior»; Prev.1X,17,
— «I dolei peneteri menarono al dolo
questo menò alla colpa »; Frane.
114. DoLOMO8O rasao: morte violenta
0 dannazione eterna. Al: Al puuto di lar
aoiarsi vincere dalla passione, che poi fu
cagiono ad essì di dolore <Mortià violenti
cr infamia, ubi fuerunt turpites Sugulatt»a
Benso, Dall'amore oncato al disonesto
© dalla fuva all'infumta; e dalla vita alla
50 [cencuio seconpo] In. v. 130-142
[PAOLO R FRANCESCA]
130 Per più fiato gli occhi ci soapinse
Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disîato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da mo non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante,
Galeotto fa il libro e chi lo sorisse!
Quel giorno più non vi leggemmo avante. »
Mentre che l'uno spirto questo disse,
L'altro piangeva sì, che di pietade
To vonni men così com'io morisse;
ua È caddi come corpo morto cade.
120, s0RPIvARI A Agnardì amorcai.
138. iso: bocca sorridente tanto ama:
ta. Nel romanzo» « Kt la reina... lo pi»
glia por il mento, ot lo bacia davanti
Galohaalt assai langamonte ».
197. GALLOTTO: nel romanzo di Lan
gilotto Galchanlt, 0 italianamento G
Scotto, è colui che prega la regi;
nevra di baetar Lanoilotto, che se
timido © como sbigottito davanti a |
la Fegian lo Dacia. Cfr. la x. pi x
Sensorclò che per Ginevri otto
Galéotto,fu per nol il libro ed ilmo satore.
138. rIÒ NON vi LiogsNtO AVAST
«Con questo verno di molteplice signil
cato vollo Il Poota ndombrare d'un velo
onesto una com inoneata in sò, inoni
atissima in bocca d' una donna +; Giusti.
10; L'UNO KFTRTO: di Francosca.
140. L'autRO: di Paolo, Piango per 51
dolore, del quale nessuno è maggior
+. 121.122.
262. capDI: non per effotto
zionò, come è stato affermato, ma per
volte (V, 140 a VI, 2) în termini eapremi.
jualenno puda prima giunta parere
ci lì P. con l'arte son mirnbile abbia
troppo abbellita e con particolare indi
genan © complaconan attenuata ln dino
Regia Paesiono Je duo sognali {1 vero
ru quella tragica ator
Teese
‘concedono Amore ch'ella 6 Paolo cono-
motanero i dubbioni desiri,« si proponeva »
così hcutamonto il Parodi « di
a vantaggio di tutti una verità più pro-
Già «nelle primo parolo di
ncesca nl contrappongono terribil-
monte, l'uno all'altro, due versi: Amor,
liziono ingannevole pendio ». Go più
re, nella = formata dal v
erro dall'episodio, essa no
caprimo il profondo «ignificato morale,
altro legame chequello d'una ricoroa psi-
cologica naturale © pootica senza dub-
bio, ma inmfficlente 0 quasi ornifele.
Dante, che conosce la Ano della tragedia
ma non fl prineiplo; che alla sua Incl
piente esperienza, al auo urgente hiso=
gno di apiugere fo agnardo ben ndden-
tro nella atovia dall'infollcità nimana, per
recarno a tatti ammacstramenti di aa
late, sente mancare la cognizione più ne-
etesaria, quella dol primo pato alla col
pa, si ri rolgerà conia commossa ma ferme.
risoluzione di chi comple na dovere, a
quelle duo anime... ed esse gli apriamo
52 [cenonIo TERZO]
Tar. vi. 8-18
Che di tristizia tutto mi confuse,
Nuovi tormenti e nuovi tormentati
Mi voggio intorno, come ch'io mi muova
E ch'io mi volga, e come ch'io mi guati.
To sono al terzo cerchio, della piova
Eterna, maledetta, fredda e greve:
Regola e qualità mai non l'è nova.
Grandine grossa, e acqua tinta, 0 neve
Per l’aer tonebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
Con tre gole caninamente latra
Sovra la gente che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra,
E.il ventre largo, e unghiate le mani;
Graffia gli spir!
8, ruistiziar ole. Saf. V, 117. - cow-
xusk: Larbò gravomento.
4. xuovi: di genere diverso, Al.1strani,
Inandlti. Eran anche È tormentati trani,
inamditi, aramirandi 1 Dante non usò certo
fn roco nuovi in due divora sensi nello
ateo varso 6 In das espresfoni così
perfettamente parallele
5: comm: da qualunque parto fo ri ri-
volgn è guardi.
Gem'1O MI aUATI: Al: x comm R cu
1° GUATI. La voce guatare val qui nuò»
Valtro che guardare attentamente.
7. MovA: pioggia. « Eterno, perchè non
do' mai aver fino; maladeta,
par posta a nuocere e nom far pro,
quolla del mando ; reddecgona hò fa l'ao-
10, TINTA : aporca, sosta, Al: 9
Dal v. 100 risnita che fifa ha qui 51 senso
di nauseante, achifora.
IL: TaNmInOsO: Ja gola oMsca la ta-
gione non mono della lussuria.
12. QUERTO: miscaglio di grandino,
mequa sudicia e novo. « Convenientia:
Alina pena al dolitto, cho, eaendo Il pec-
tato delia gola villenimo, e chi i eseretta
lralle al porco, a guita di porri gli faocta
fuugeso pantano »: Dan. - «Si.
ut enim stiquando furtet terra propter
pluviazo, Sta corpus gulosi ftot, quod
assimilatue sepuloro aperto »3 Bene,
1 gli seuoia ed isquatra.
13, Cerskso: cano mostruoso a più te»
ate, frutto dell'unione di Echidna con
Tifone, secondo la mitologia antica il
guardiano dell'Inferno) cfr. Firg.,. Georg.
1V, 483, dem. VI, 417. Ovid., Met. IV,
410. Apparisce puro como cane infernala
in qualche documento di posata medie:
vale tadosca e in molti di poosta latlna,
DIVERRA : ALFANA, MOALFUOSA:
14. ru: per poter divorare fl pansato,
Hi presente ed _il future. « Le tro gole di
Cerbero possono significare tre cose pro
prio do' golosi : mangia troppo, mangiar
lnotamente, mangint ardentemente si dfe
guta sotto la pioggia violenta =: Pas
16. vanaionI: rosi poi fumi del vino.
Ami! nera. « l'erd che & golosì) man
giono Bruttamento et angensi, la darla
perla unzione ne diviene stra, eloò nera
et obscara »3 Ax. Fior.
17. tano: capace di moîta reba, =
vnantatE: per rapire 6 ritenere. = MAXI}
sampe.
18, sCUDIA scortica. Als nuota. Leg
gondo, et è lozione autorovollimima, graf-
Ja gli spiriti, ingota ed inquatra, uom nl
derono intendare caprease qui tre azlitti
che si anoseduno con nna specie di ere
scendo, quali sono il graffiare, lo eso
re, lo aquartare, mia solo indicate tre
differeati maniero con ent Cerbero pa
golcai.
[cERCHIO TERZO] Tar. vi, 8-62 [crAcco FIORENTINO]
Noi passavam su per l'ombre che adona
La greve pioggia, e ponevam le piante
Sopra lor vanità che par persona.
Ello giacean per terra tutte quante,
Fuor ch'una che a seder si levò, ratto
Ch’ella ci vide passarsi davante.
40 tu che se’ per questo Inferno tratto,
Mi disse, « riconoscimi, se sai:
Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto.»
Ed io a lei: « L'angoscia che tu hai,
Forse ti tira fuor della mia mente,
SÌ che non par ch'io ti vedessi mai.
Ma dimmi chi ta se’, che in si dolente
Loco se' messa, ed n sì fatta pona,
Che, altra è maggio, nulla è sì spiacente. »
Ed agli a me: « La tua città, ch'è piena
D'invidia el che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serona.
Voi, cittadini, mi chiamasto Ciacco:
toro, orasi, come egli atomso dice, dato
del tatto al vizio della gola. Era mor
ditore di parole, 0 lo suo nsante erano
aumpro co' gentili voratni tion mas
dta' quali as chiamato
v'andava, e atmilmente ne Invitato
Bufi, ripetendo Sl detto dal Fr
infame del vizio della gola ». I commen-
tatori anossalri non funno che ripetere
1 già dotto da altri. Il Cinco» dantesco
è forse la stessa pertona clw Clacco Del-
pena ritrae: Apcazitna dal mr
mi
danno voruna notisia del personaggio.
dgl.:« Fa
B6. vaxirà: corpi vani; ofe. Purg. IL
TO. Vedi però fas XXXII, 78 ag. —
PERSONA : sembra vero corpo wanno.
38.10, MATTO Cl'Inta sons tosto che
cl vido passaro daranti a n.
42. varto: nascenti prima che fo mo.
risi,
43. a Le: a quell'omibra. Al: a LUI;
efr. Afoore, Ort, 201 ug.
44, tia: il dolore altera i tuoi linea
menti în modo, che non so riomosserti
nò ricordarti di averti mat veduto.
48. x1ca1o : maggiore. Forma usitatla
dagli antiohi e tuttor vivente. Più
giù vi sono. pene maggiori ed anehe più
+ ma Dante non lo ha aticora
49. crv: Firenzo, —ruERA: elr. v, Th
«Avrenne che por la invidie si fncomîe»
ciarono tra cittadini Jo setto +; @. FA,
VIIL 39.
50. MANOCCA : « avvi tanta invidia fn
Fiorenza, che già esce fuori; ot rode
noll'opernzioni ») An, Fior.
81. euuNA : paragonata colla vita tra
magliona di laggit ae 1: XV, d0- Dal
di apregio, equivalsute a porco.
4 Cieoso dicono slquant, cho è some di
56. [osremio reRtO]
Inr. vi. 69-76 [FIORENTINI BENEMERITI]
Con la forza di tal che testà piaggia.
Alte terrà lungo tempo lo fronti,
Tenondo l’altra sotto gravi pesi,
Come che di ciò pianga e che ne adonti.
Giusti son duo, ma non vi sono intesi.
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville c'hanno i cori accesi. »
LT] Qui poso fine al lagrimabil suono.
nale 0 di una cronaca. o piattosto porehè
locondanne del Bisnchl prosegnironosino
all'ottobre del 1802. =1’AUTNA : dei Neri.
00; vat: Bonifacto VIII: ofr. Par.
XVII, 4 agg. Altri intendono di Carlo
di Valois. Ma questi vonne a Firenze noì-
l'autunno del 1361, o nel 1300 Bonifa-
olo VIII areva soltanto preso consiglio
di farlo ventre a Fironze; @. Vil. VIII,
43, 40, Di Carto di Valola, Cincco nella
primavera dol 1300 non potera dunque
diro: che teutà piaggia. - Tasth: ora,
questo momento, — PlaGgta:
toeno, procede ambiganmente. Infatti
mel 1300 Bonifacio VIII piaggiara; ofr.
@- Fill. VIII, 40 ag. « Dicoai appo |
Fiorentini colui pinggiare, Il quale mo-
atra di voler quello che egli non vuole,
‘© di cho egli non si cura che avvenga:
Ja qual cosa vogliono alcuni in questa di-
acordtia de' Bianchi o de' Neri di Firenze
aver fatta papa Tonifazio, cloò d'aver
montrnta egual tenerezza di cinacu
dolo parti »; Joce.
#0. TRERÀ: la parto dol Nori ina
hirà sopra i Blnnchi. Luxao TEX
dunque Dante dettò questi voral pi
chio tempo dopo il 1302
TI. L'ALTRA: la parto doi Bianchi.
rai: escinsione dagli uffici
sbandimenti, coniche dei beri
72. NR ADONTI: se no adiri. Al.: ne
vorgogol.
78. bo: avendone il Poeta taciuto il
momo, Il meglio è confessare che non ai
nia di chi agli intendesse parlare. Boce
4 Quali questi duo «i siono, sarebbe gra»
xo l'indovinare ». Si volle però indovi-
narlo: Dante e Dino Compagni; Dante
#@ Galdo Caralcanti; Hardoccio o Gio-
vanni da Vospiguano; la leggo divina e
la loggo umana; Guido Cavnioanti ed vu
altro Ennominato amico di Dant
= rms: aacoltati.
TA. SUPRENA | «Questa arroraità 0 po-
rioolo della nostra città non fu sanza giu»
dicîo di Dio, per molti peccati commosai
porla superbia e invidia e avarizia do’ no-
atri allora viventi cittadini, «
guidavano
quella comi
no»: G. YI « Por Jo peocata
dolla superbia e invidia e avarizia, e altri
vizi che regnavano tra loro, erano partiti
FIT, 98. Questi vonie non
gono solamente un gruppo d' imme
gioi bon disposto, ma una atorla di fatti
Sie: Sperbio di Grant avto volto
i
verso vicini, di nobiltà vecchia contro
10 subitaneo, di morcatanti contro
cotesti disordini, avea nomi»
per raccoglier fiorini
PE pace della olttà ai ora, per
na, porduta in un sentimento noi-
o dî malevolenza è d'odio, che
noi senso della parola più
iù. triato, chiama il Poota. »
ORIMLANIL SUONO: parole che in-
vitavano a spanger lagrime, vatioinando
a Firenzo tanta wclagora.
77.93. Fiorentini benomeriti, D.
de n Ciaooo dove siano altri bene
meriti Fiorentini, quali nomina al-
coni. Clacco risponde; « Sono più git.
parchè più colpevoli; ciascuno nel cer
chio che si guadagnò colle aua colpe, Se
torni al mondo, rinfresca la mia momo-
ria. Ora non ti dico nè tl rispondo più
altro», Volge quindi un ultimo sguardo
addolorato al Poeta, o ricado nel fange.
58. fosneinto 18820]
Txp. vi. 983-106
Cadde con essa a par degli altri ciechi.
Eil duca disse a mo: « Più non si desta
Di qua dal suon dell’angelica tromba,
Quando verrà la nimica podésta;
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba. »
Sì trapassammo per sozza mistura
Dell’ombre e della pioggia, a passi lenti,
Toccando nn poco la vita fatura.
Per ch'io dissi: « Maestro, esti tormenti
Crosceranno ei dopo la gran sentenza,
O fien minori, o saran sì cocenti? »
206
dolora. Nuoro dolore, nato dal tacito pa:
ragono tra la w "condiziono dol-
l''intertocatoro. 7
93, RaRA: testa, — a PAR: & livello dol
suoi compagni.- crreni: avendo chianto
la tenta prima di cadore, era di noccesità
In cul glaco come tutt gli altri di quest
carohio. Avendo il viso volto In giù n
fango, non possono naturalmente veder
Balla; sono quindi come ciechi. L'alle-
goris è qui chiara. Il goloso è eleco per
tutto sid che non è fungo.
V..94-115. Della condizione dei dan-
mati dopo la risurrestone, €
nuance Îl viaggio: «Costui non sl
più sino al dì del giudizio»
conio la dottrine aristoteliche. Così par-
lando arrivano là dova al discende al
quarto csreblo, sul cul tngresso vedono
Pluto, il demonio delle ricehezse.
#4. breTA: non si alza più da giacere,
08. DI qua: prima. - TROMRA | ofr.
Matt. XXIV, 31. I Corint. XV, 62,1
Tema. DV, 15. Elucid. e. 70: « Angoli
gruosm eins ferentes preelbunt, mortuos
Tab sà yose fa vevarsum es ezcite
98. ronftra1 podestà, possanza (V.
Parodi, Bull. ILL, 120), È Cristo e
Ed egli a me: « Ritorna a tua scienza,
mico al reprobi, colla podestà di giuitioo
otorno.
97. tiusra TOMBA: è triata, rinchia-
dendo qual corpo che fu ennna della loro
perdizione. Oppure: «Che chinde un cor-
po dannato a pona la qualo dopo la risur
rezione a' aggrava »; Tom.
99, quasi la sentenza finale, Matt.
« Via da mo, malndetti, al
fuoco ‘sterno, che fa preparato pel dia-
volo, @ po' anoi angeli ».
01. OMM: none anch'esso, © perchè
lordato da sozzo vizio, 0 perchè giacenti
nel fango.
102. TOCCANDO 200. Li cagieniado va
tua, parlando a Dante, la Filosofia ari-
stotelloni © cosa poteva nvere di
autorità la Filosofia ariatotelica nel ri-
solvere un dubbio appartenento a dot-
trina cristiani Tha scienza pertanto mi
par da intendersi ln Teologia, la quale
ben da Virgilio è dotta tua, non potendo
egli paguno dirla nostra mai ». Conotoe:
va Virgilio la teologia cristiana È non
acioglio agli {l dabbio di Dante nocura-
tamento conforme la filosofia ariutotelica?
Of, Anf, XI, #0, nel qual iuogo Virgilio,
Tur. vi. 107-115 C[nAmmATI] 59
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Più sonta il bono, 0 così la doglionza.
Totto che questa gente maledetta
In vera perfezion giammai non vada,
Di là, più che di qua, essere aspetta. »
Noi aggirammo a tondo quella strada,
Parlando più assai ch'io non ridico;
Venimmo al punto dove si digrada:
Quivi trorammo Pluto,
il gran nimico.
più sensibili © più pungenti quello dal
corpo risorto; pene, ilel resto, che anche
orasaffrono, sla puro più moderatamente,
col corpo aereo di che son provveduto.
Otr. Purg. XXV, 88 agg. 0 III, 31:33.
132, a toxbO; in elroolo, da destra a nî-
niotra, « Dopo parlato con Ciacco, non
10 per marzo il cerchio, ma sul
Tom.
114. DIGRADA : discende.
118, PLUTO : fl Dio dello riccheszo
della mitologia antica, figlio di Inrione w
dl Cerere, Al,: Plutono, Pluto, Dia, glio
di Saturno, imperatore dell'Ayerno, Ma
questi è Lucifero, cut. Dante ehlama
sapressamonte Ditet=Dis) Isf. XXXIV,
20. So Dite è laggiù contitte nella gino:
cla eterna, non paterano trerarlo qui
all'ingresso del quarto corehia. = ynaco:
della paco e follcità dell'uomo. Cfr. Meet.
V, 12. I Tim. VI, 9 Lomb.; + Onde n
Piuto stesso, come dello ricchezza distri»
dutore, grida Timoereone: Per té omnia
fater homines sala ».
60 [orEcRIO QUARTO]
Tnp. vu. 1-2
CANTO SETTIMO
CERCHIO QUARTO: AVARI E PRODIGHI
(Voltan pesi col petto e sì oltraggiano a vicenda)
PLUTO, PENA DEGLI AVARI E PRODIGHI, LA FORTUNA
CERCHIO QUINTÒ: IRACONDI
(immersi nelle acquo fangose dello Stigo)
« Papé Satan, papé Satan aleppe! »
Cominciò Pluto con la voce chioscia;
V.1-15. Pluto, fl cuptode del quarto
cerchio. Ad ogol serchio trovano nn
‘atioro tmitologioo, almbolo del vizio quivi
punito. Cerbero ata su i golosi, Pluto, dio
della ricchezza, su gli avari è prodighi.
1 domoni eustodi de' singoli cerchi si
forzano di impedire il viaggio del Poeta.
Pluto lo fa, sfogando la ema rabbia in no-]
menti strani 0 mal Intelligibili. Virzilio
gli rammenta il volere aupremo; 0 Pluto
mol'impatente ino rabbia cad
wono parolo a dal furore; dal ve.
5-8 e 10-12 risulta, cho lo scopo delle
telo è d'intimerire ll Poeta, Dal v. 8
ienbre dovarsi inforire che Virgilio to-
Bene auto ivano llagoaggio di Piuto,
Intene, clò vnol dire che è 0 vuoi
‘desco na loguaggio umano qualana
Ma le interpretazioni precla», che so
‘seno tentato, sono numerosisalme e mollo
Warke. «Hoc ost dicere, o satan, 0 sa-
fan demon, quale miram et novum eat
Istad quod tsti novi bospitos duo nese»
Guanti»; Bambgl. - «In lingua ebrea, ed
è tante a diro quanto: maravigiia, ma-
raviglia »; An, Sit « Papo è iutericetio
admirationte; quasi n diro che, quando
Plote vido Dante viro, chiamòe Satan
damonio sotto voos di maravigliarai e
dicendo: vob! vob! »; Lan, = « l'ape.
di Era parto di grammatica, che ha
‘a dimostrare quella afferione dell'animo,
cheò con stupore, e mararigliarali edue
volte il diaso, per più caprimere quello
maravigilaral; Satan 811 grando Demo-
nio; Aleppe è una dialone, cho ha a di»
mostrare l' affezione dell'animo quando
Ou..— +0 Satan, 0 Satan, ea
ops Diswonum, quid est boo
paper intericotio est admi-
aleph vero prima litera est He
ram » 5 Petr. Dant: = L Monti
ina Lezione ed interpretazione, oco.,
1494, nova ediz. amplinta,
1896) propose di Jogguro: Papà
mat garde, di Niwe, clod: OA?
/ ribelle; 6A! vdtiene. Inter.
todicamenta, cl pare la recente
Querri (Giorn. fant., XI, quad. 11»
}: « Letto, como si dove, secondo il
tocabolario del medio evo, queste verso
suoon 0A Satana, oh Satana Dio. Non
è un discorso, ma eno sfogo aubitanee,
col quale Pluto comincia a manifestare
i suoi mantimenti, ore nella sorpresa è
già la minnccha. «
2. ciocca: razca, sepra di suona.
Dal verbo ehoceîare © croeciare, Intino
glosire, franoeso glonaser, eco, Cfr, Die,
Mart. 13, 194.
62 [oxRcRIO QUARTO]
Typ. vin. 18-95
[AvARI ® PRODIGHI]
Che il mal dell'universo tutto insacca.
19 Ahi giusti:
di Dio! tante chi stipa
Nuove travaglie a pene quante io viddi?
E perchè nostra colpa sì ne scipa?
» Come fa l'onda là sovra Cariddi,
Che si frango con quella in cui s'intoppa,
Così convien che qui la gente riddi.
E] Qui vid'io gente più che altrove troppa,
E d’una parte e d’altra, con grand'urli %
Voltando pesi per forza di pop,
» Porcotoransi incontro, e poscia pur li
Si rivolgea ciascun, voltando a retro,
Gridando: « Perchè tioni? » e: « Perchè burli?»
n Così tornavan per lo cerchio tetro,
Da ogni mano all’opposito punto,
Gridandosi anche loro ontoso metro;
ETI Poi si volgea ciascun quando era giunto
Per lo sno mezzo cerchio all'altra giostra.
da prLL'UnvuRSO: anche degli angeli
mali. - neeacca 1 raduna e contiene.
Id. ripa: ntomassa, dal lat. scipare.
20, xuovs: inandita, - viutr: vidi, for-
mia regolare anticà.
31, verra: atrazia, lacera, malmena,
22, L'omna: che vieno dal Mare Jonio.
Là: nel Furo di Messina. » Cantor:
lat. Charybdie, voragino nol Faro di Mes-
nina, incontro a Sclila; ofr, Yirg., Aen.
IT, 420 agg, 638, VIL, 10%. Oulx, 991,
‘29, co QURLLA: che vien dal Tirreno,
Bi. aiopIi fascia la ridda; girt a ton-
do. Aida, dal vb. ridare, danzara In
piro, derivato dal ted. ant. ga-ridan, ted.
medio riden = volgero.
2E red: l'avariaia cd {1 «no contrario
Mano i viel più diffani nel mondo. - rROÈ-
FA: numerosa.
DE D'UNA PARTRI nvari. — D'ALTRA:
27.eRat: lericcherze sccumniateo sein:
quite. — roPPa ; qui per petto in genvrale,
Voltano | pesi co) petto, non collo bree-
cla, camendo 1) potto il ricettacolo del
euro, che agognò tanto lo riccheszo.
228, incosmio ; quando le duo nchiero,
‘dogli avari n ainietra, o del predighi
destra, #' incontravano, — rum 11: si
frunto midesimo dollo scontro. La pro-
munala parli (tuvece di pur 11) è licenza
pootior comune ni poeti antiebi. Licenza
conslmilo Inf. XXX, 87, eco,
20, voLTASDO: forse gli atoani past cho
averano voltati sin qui: od anche gli
uni 4 pest degli altri, gli avari quelli del
prodigbi © viceversa, per esprimaro che
dani di questo mondo, figurati net pesi,
girano continuamente; dalle mani ‘de
prodigo vanno in quello dell'avaro, e
dallo mani dell avaro in quello del pro-
digo.
80. TIRNI: ta avaro. - NURLIS tn pro:
digo, Buriare significò, paro, nppresio
gli antichi gettare, «porgere, sparpagliare
@ simili. « Burlî, ident prolicla, ot est
volgare lombardum 4 Leno. Cfr, d'arori,
Pull, 1It, 150,
3. TORKAYAX: giravano, = TRTÙO: tes
nebrcao.
32. MANO: parto: i prodigi dalla de-
ntra, gli avari dalla ministra del due
Poeti
33, axcWR: parimento, nel medesimo
modo. = MRTUO : Îl Perchè tieni! 0 Perch
Bud
25. arosmRA : Incontro, trio nel punto
apposto, Il gran cerchio è occupato l'unn
metà dagli arari, l'altra dai prodighiy è
pur essendo in continuo moto, non pare
20m però mal questi passare nol mezzo
cerchio di quelli, è vicereraa. S' incon.
ct
84 [cercmo quarto]
Txp. vin. 56-07
fAvARI E FRODIONN]
Questi risurgeranno del sepulero
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi.
Mal dare è mal tener lo mondo pulero
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
Qual ella sia, parole non ci appuloro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
Do' ben che son commessi alla Fortuna,
Per che l'umana gonto si rabbuffa;
Chè tutto l'oro ch'è sotto la luna
E che già fu, di queste anime stanche
Non poterebbe farne posar una. »
Li « Maestro, » diss'io lui, «or mi
50. questi: avari. Risorgeranmo come
meritono, ancora in atto di avari, + Sîni-
atra compresaie digitis tenxitatem
avariliam siguificat »; Diod, Seul.
GT. coL ruaxo cimuso: Al: co' ruoxt
citiusi.—e QeESTt prodighi.
avere, accondo un proverbio Italiano, dir
aipato sino a' capelli,
Sk. ruLORO: bello ; il efolo. II fulso neo
che focero de' beni terrestri ll ha eselani
dal cielo è procipitati in questo cerchio
diell' Inferno,
50, 2uiza 1 del duo sozzi nl due oppo-
niti punti del cerebio.
10. areuteho: non lo descrivo con
belle parole; tu atesso lo vedi. Cfr. Z.
Sud, 150 ag.
‘anità, inatabilità, como
il passò Loy. XXIT, 138,
nn, n
cati, Ma qui non wi tratta di un gii
anzi di cosm ben seria. Di Siena:
pool, figliuo) rodere quanto breve duri
l'aura della fortuna, on 101
petti nmanl». Cfr, porò Pr
IU, 149.
63, ren chE: por i qual! beni.
MUFRA: si prande pel eapolli @ viene
coutena, «Il algnifionto di questo voo
bolo rabbufa par ch' importi sempre al
cuna cos intervenuta per riotta o per
‘quisttono, siccome è l'essorai l'uno uomo
‘ieapigliato con l'altro, per la qual enpi-
glia i capelli sono rabbuftati, cioè disor-
dinati, © ancora | vestimanti talrolta; e
però ne vuole l'antore in questo parole
dissostrare lo quistioul, | piati, lo guerre
‘o molte altre malo venture, lo quali tutto
Walt gli nomini hanno inkiame per gli
anche:
crediti, per l'eredità, per le oconpartoni,
@ per i mal ragolati desideri ». Roce,
ve consumato, Il tempo cd i csì
no Renn sottratto non poco all' uso de-
gli nomini, Senuo: Tutte quanto le rio
Ghesxe terrestri del tempi passati 0 pro-
senti non varredbero ad ottenere ad una
sola di questo animo pur un istante di
requie.
87-90. La Portuna, Avendo Vir
accennato alla Fortuna, Dante Jo
frega di dirgli, che eta © onde avvunga
cho essa tono i deni del mondo in ana
Per booca di Virgilio egli ritratta
i ima opinione da lul espressa nel
Conedrio, dove nveva detto (IV, 11) dei
beni di questo mondo «che la loro fm-
perfezio primamente si può notare nel»
Ja indisorezione del loro avremimento,
vel quale nulla distribotiva giustizia ri
splende, ma tutta infquità quasi sem»
pre». La fortuna è anzi una intelligenza
celeste, ordinata da Dio ai gorerno del
" enna li distribuisce ginsto-
mento, sosendo il volere del Sapremo,
beata, non bada nile accuse è bestem-
icoome nella protasi è detto che Dio
ha preponto una intelligenza inotrico, o
delle intelligenze motrici, a tutti { eleli,
colla logge di muoverli “amento
în cireeio, così nall'apodosi devo inten»
dersi che almflmenta ogli abbia dato tu
potero di una intelligenza i vari beni di
‘quaggiù siffattamento che distribuendoli
fra lo genti debba far loro percorrere wa
giro perpetuo; cioè, da prima farle più e
più progredire nell'acquisto di quei beni,
fisebò aavivino al colmine della terrena
prosperità, è poi dar volta, e di infarto»
68 [oercmio quanto] — Inp. yin. 117-190
18
ma
Jar
130
Urracoxpi]
Ed anco vo’ che tu por certo credi,
Che sotto l’acqua ha gente che sospira,
E fanno pullular quest’acqua al summo,
Come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: ‘ Tristi fummo
Nell’aer dolce che dal sol s'allegra,
Portando dentro accidioso fammo:
Or ci attristiam nella belletta negra,’
Quest’inno si gorgoglian nella strozza,
Ohè dir nol posson con parola integra. »
Così girammo della lorda pozza
Grand'arco tra la ripa secca e il mézzo,
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza:
Venimmo al piè d’una torre al dassezzo.
117. GRRDI: oreda.
118. SOTTO e00.: C'è chi intendo trat-
tarnl di coloro che furono achiavi seso-
Jati della feroco loro passione. Altri io-
vece ravvisazo nol sommersi « coloro che
ehiudono # nutriscono l'ira nol fondo
del proprio cuore, ira tanto più terribile,
quanto più rattenota; onde la primm di-
vampa, © l'altra fuma». E questa so
conda interpretazione par preforibilo
ete. la nt. al v. 189.
119, rutcutan: gorgogiiare, norgero
bollo alla auporficio. « Por lo fiatare sotto
l'acqua venivano ll dollori suso »} Buti.
— AL ato: sulla supordiio.
ove che, dorunque,
: fango, poltiglia.
1 vita terrestre ; ofr. Inf.
VI, 88. Dal risponde qui alla
prep. e 0 de lat. che alenifica © cagione
a tempo; sicchè dal sol varrebbe e por
cagione del Bolo, 6 dopo cho SI Bulo nia
sorto #1 Di Siena,
123, DENTRO : nel cuore, - AGCIDIORO : 0
dento, oppure tristo 0 affunnoso, ontram-
bl algnifionti dal lat, anedia. « Acerdioso
Jumino non vuol die altro che lenta tra,
porchò l'ira presta o aubita (con ciò aîn
che f primi moti non sono in potestà di
no! medosimi) non è pescato »1 Dan, -
« Con la frase acerdioro fummo il Posta
significò vivamente il dispotto che cova-
rono nell'animo i tristi d'ira repressa
nol trattenersi dallo afogo della loro col-
lora »; Toderché
124. BELETTA: forma varia di meltetta ;
melma, pantano, fungo; deposito delle
acque torbide.
125.1xx0> perdronia, lamento, -G0nG0-
aula»: barbugliano, « Gorgogliare aupri-
me ll romore che uno fn gargarizzan
dosì; pronanzlare indistintamente come
farebbo uno che avesse dell'acqua nella
Blane. - sruozza: canna della
L rossor 1 essendo sommerai nel
‘Gzza | porzo, gora,
128.4ncO: gran porzione di quel quinto
cerebio, = mitzzo: con l'a stretto © le #
napres Il fradicio della paludo.
120. A CI ece.: n quello povere anime.
130, at nassizzo: da ultimo, Cfr. An
clol. 528 ag.
[cezoRIo QUINTO] Tue. vini. 1-8 [Le Dox riAMIETTE] 69
CANTO OTTAVO
CERCHIO QUINTO: TRACONDI
FLEGIÀS, FILIPPO ARGENTI, LA CITTÀ DI DITE
OPPOSIZIONE DEI DEMONI
To dico, seguitando, che assai prima
Che noi fussimo al piò dell'alta torre,
Gli occhi nostri n'andàr suso alla cima
Per due fiammette che i' vedemmo porre,
Ea un'altra da lungi render cenno
Manto, che appena il poten l'occhio tèrre.
Ea io mi volsi al mar di tutto il senno:
Dissi: « Questo che dice? E che risponde
rotto; cfr. Ariosto, Or. XVI, 5; XII,
DI
4. l': ivi Lo due fiummetto, porto
sulla soromità della prima torre, sono Il
seguo del fatto straordinario, che nn'ani-
ma viva discende nel profondo Inferno;
«siccome far ai suolo per le coni
nollo quali è guerra »; Boec. O « ad {mie
tazione di quello cho sì fa tra gli nomi-
ul, quando nel tempi sospetti l'una nl-
l'altra terra di di fa osuno coi famo, e di
notte, como ora allora, col fuoco »; Land.
5. DA Lum: cade fa necessaria rina
grande aggirato, +. 70. La fammetta da
fungi è neîla città di Dite, probabilmente
mill'alta torre alla cima: rovente, monzio=
nata î0 Fay. IX, 20. > LExDIK CANNO: ri»
ni delle dun fammotte,
To 1 togliere,
opperò,
è ii ringiliano: « iccam caplea
{inse Georg. 11, 250, Cir. Lucano, PAore:
fra Virgilio; efr. 2af. VII, 3.
Î, MAN ©00,. i oe. he
fi GUbsrO fuoco dello dee ammetto.
REL
HAI
16
1
{cencnto quisto]
xe. vit. 9-25
Ceuzords]
Quell’altro foco? E chi son quei che il fenno? »
Ed egli a me: « Su per le sucide onde
Già scorgere puoi quello che s'aspetta,
Se il fummo del pantan nol ti nasconde. »
Corda non pinse mai da sò saetta
Che si corresse via per l’aere snella,
Comhio vidi una nave piccioletta
Venir per l’acqua verso noi in quella,
Sotto il governo d'un sol galeoto,
Che gridava: « Or se’ giunta, anima folla! »
« Flegiàa, Flegiàs, tu gridi a voto, »
Disse lo mio signore, «a questa volta!
Più non ci avrai, che sol passando il loto. »
Quale colni che grande inganno ascolta
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca,
Fecesi Flegiha nell’ira accolta.
ss Lo duca mio discese nella barca,
9. wixnO: chi son coloro che fecero Il
fuoro qui e Ia!
10. scio»: fangose e sorso; Inf. VII,
134, 120,
Ti. S'ARPRTTA: sta por accadere, in
conseguenza del duo segni.
12. 11 PUMMO: la « nebbia folta » (Try.
TX, 6), che s'innalza dal pantano.
18. PIRSR: spinse; da pingere = lat.
impingere. Confr. Virg., Aen. XII, 856
agg.: « Ila volat celoriquo al terram
turbine fortor: Non necus no nervo per
bara Imprlaa nagitta, ecc, » & X, 247
Ag.: « Fugit fila por undaa Ocior et is
calo at vontos quanto sagitta », Ortd.,
Met. VII, 776 agg : «Non ocior illo Ha-
sta, nec sxonsss® contorto verbore glan.
dea, Noe Gortyniaco calamua loris exit
nb arca »,
18. N QUELLA: proprio in quel mo.
mento; d'uso frequonte. Qui vale: In
quel medesimo momanto cho Virgilio rì-
spondova a Dante.
17, GALROTO: galeotto, come Staco per
Facco, afige por afigge, Susi por fursi,
tana per ranna, 000, + Galootsi son chia
mati que' marinari, { quali servono alle
galeo: ma qui, licenza poetica, nomina
galootto;l governatore d'ana piccola bar-
chotta »; Boee Le duc lnmmette dettero
lî segno di qualche novità; | demoni di
Dite riaposaro con nna fiammotta d'aver
inteso; mentro Flagiha, nolla sus ploclo-
letta naro, viono relociaaimo come sot
vedere quale sia la novità annun:
xiuto, od a foramonto minacciare l'as
salitoro.
18. 0x 000,1 Anzichè intendere questo
parole come rivolte o al nolo Dante 0 sl
solo Virgilio, sono da considerare quale
un grido apontanos dell' iracondo ed lm
petuoso Flegiàs, che orede di vente #
prendero un nuovo dannato; è le parole
or #e' giunta ai dovranno interpretare
col Barbi (Bult, XII, 258): « Or-a0' rage
giunta, presa! ecco, se' în mio potere»,
ch'è Il senso del Tu sr giunto d' If.
XXII, 128, @ quello osa cui meglio x'ac-
di Virgilio (re, 19.20.
personaggio mitologico,
Irato contro Apollo, che gli area vio-
lata la figlia Coronido (madre di Baoo-
Iapio), mise fuoco nl tempio di Dello e
lo arto; ofr. Virg., den. VI, 018. Stat,
Theb, 1,713. Vol. Fi. IL 193 agg, Alceni
lo dicono presidento della città di Dito;
| più, meglio, evatode del quinto cerchio.
20, A QUESTA Volta Por questa volta,
21, PIÒ= per maggior tempo, = AYILAK:
in tao potere. — LOTO» fango dello, Sugo.
72 [oxkenio quinto]
Ixp. vr. 38-58
[FILIPPO ARGENTI]
E disse:
«Chi se’ tu, che vieni anzi ora?»
Eri Ed io a Iui: « Sio vegno, non rimango;
Ma tu chi se’, che se' sì fatto brutto?»
Risposi
Vedi che son un che piango, »
ELI Ed io a lui: « Con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani!
Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto.»
TO] Allora stese al legno ambo le mani;
Por cho il maestro accorto lo sospinse,
Dicondo: « Via costà con gli altri cani!»
“ Lo collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi il volto, e disse: « Alma sdegnosa,
Benedetta colei che in te s'incinse!
“ Quei fa al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi:
Così
‘è l'ombra sua qui furiosa.
da Quanti si tengon or lassù gran regi,
Che qui staranno come porci in brago,
Di sè lasciando orribili dispregi!»
sa Ed io: « Maestro, molto sarei vago
Di vederlo attuffaro in questa broda,
Lawr. XLII, 14.- L'An, Fior. copia il
Boce.; i comment. posteriori non aggiun-
gono nulla di muovo. - Avendo dato mo-
tiro anche a una novella (Bece., Dee.
TX, 8), è sogno cho l'Argenti si ora se-
gualato por il vizio dell' iracondia.
83. AHI ORA: prima di essere morto:
uotr, 7. 18
dI. RIMANGO: come tu. Sembra che
îrArgenti credoso di arere in Dante nn
nuovo compagno di pena.
#5, sauro: lordo di fango.
36. px: disdi nominarai ; ofr. Inf.
SX di rea
+ ancorchè.
40. #resE: per offendere Dante.
di. accoRTO: della rea intenzione di
Filippo Argenti.
di apgovoRA: altera. « Beno qui ai
contrappone lo segno dl Peeta all'or-
goglio @ burbanza [meglio all'ira) del-
l'Anpinti; nolla sendo a cotali nomini
pena che l'altrui disprezzo »;
45. cous: tua madre; efe. Tue. XI,
27-11 pegnitando il volgare antioo,
chò dicono molti d'una donna gravida;
Elia è incinta în uno fanciullo, cioè ell'è
1 An, Por,
gravi
46. oncoGLIOsA : dunque iraconda per
orgoglio. Nell'Inferno dantesco è punito
pet l'ira, della qualo la superdia fu la
Tadico,
45. cOn dtaque, perciò, per tal motivo.
40. LAssÙ: nel mondo. = omax Mxats
personaggi di gran conto.
50. nano: prov. brae, frano, ant. bri;
fango, molma, ofr, Purg. V, è,
DI. LASCIANDO : nel mondo, > DISTRRGI
memoria di aeloni degne di disprezzo, a
commettere le qual! furono traseiuati
dall'ira.
12, vaao: bramono, desideroso, + Se-
quitaranotor bunannm appotitum quasi
dicat: aleut delectabator distraciare et
Iudificari alios, ita vellem antequam re-
cedam hino, fieri destraciom eb Judi-
Uiriuo de #0»; Bene,
53, artUMARE: Denldera fl Poota di
vedere più chiaramente come {) vizio del-
l'irnabbia Il proprio gastigo, e, reduto ciò,
no ringrazia Iddio, — neonA : fanghiglia,
i
74 {cenonto quinro]
Tur. vitt. 71-83
CoA cITÀ DI Dire]
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
qa Fossero. » Ed ei mi disse: « Il foco eterno
Ch'entro le affoca, le dimostra rosse,
Come tu vedi in questo basso Inferno. »
to) Noi pur giugnemmo dentro all’alte fosse
Cho vallan quella terra sconsolata:
Lo mura mi parean che ferro fosse,
» Non senza prima far grande aggirata,
Venimmo in parte dove il nocchier forte
< Uscite!» ci gridò: « Qui è l'entrata,»
82 To vidi più di mille in su le porte
Da' ciel piovuti, che stizzosamente
71. ck&TO: chiaramente,» crRNO: lati
niamo, vedo. Chiama valle 31 aceto cer-
elio, Îl quale sembra giacere sopra lo
ntosso ripiano del quinto, ma no è sepa-
rato dallo fosse, mura 0 meschite, onde
offro l'aspetto di una città fortificata.
TÀ. FRRMIGLIR: tosse, Infoosto, come
le arche là dentro,
TI KARSO: fn cut at puniscono i peccati
dti mallizia 0 di beatialità, montre nell'alto
Inferno, fuori di Dite, seno puniti | peo-
cati d'Incontinenza, comeil Poota esporrà
più tardi nel canto XL
76. ru: ualmonte. - ALTE: profondo.
TI. vaLtax: circondano, difendono.
« Vallo, secondo Il suo proprio signif-
ato, è quello palancate, Îì quale a° tempi
di guerre xi fa d' Intorno alle terre, ac-
oloechà alano più forti, © che noi volgar-
mento chiamiamo steocato; e da que-
ato pare venga nominata ogni cosa la
quale fuorvelle mura si fa per afforza-
tento della terra ; e perciò dico l'antore,
ché gianso nelle fosse che rallano, cioè
fanno più furte quella terra »; Boce.
78. ronsx : fossero ; fl verbo accordato
al nome più vicino. La lezione ce reKKO
vossr.ò della gran maggioranza dei cod.
‘Alcuni pochi hanno cme russsu yossr.
TO. AGGIRATA : giro, "Nolla nare piceio-
letta avovano dunque percorso un lnngo
tratto del cerchio.
80, xoconTER : Flogiàs. E che fu poi di
Val? Rimase Îì nella sua nave ! Tornò in-
Metro ? Entrò nella città? La prima cosa
samba la più probabile, e pare chel'legiha
abbla 1ì, all'entrata di Dito, 1) auo posto,
che abbandonò eccezionalmente, come
più tardi furà Gerlono. L'opposizione dei
demoni all'entrata di Dite mal s'accorda
coll'idea che Flogihs vi entrasse, 0 mol-
to meno con l'altra cho no fonso fl pre.
sidente, polchè Flagih sapova già essore
vana ogni opposizione. I versi 1-18 di
quasto canto vietano di supporre che Fle-
giùa, abaronti i duo Poeti, ritornano in-
dietro, ron: fortemente, como 90
gliono faro gl'iracondi.
RI. L'ENTRATA : di Dite, Come il Pur-
gntorio propriamente detto, così anche
ì basso Inferno ha una sola porta, 0 an-
trata.
V. R3-110, OpposteTone del demoni.
Come altrove, anche qui i diavoli proce
rano di Impedire fl viaggio del Poeta. Ma
questa volta l'impodimento al fa più so
rio. Non è un sol diavolo | sono più di
mille. Nè cedono alla parole di Virgilio,
come fecero Caronte © gli altri, ma lo
costringono a ternare Indietro, L'amana
ragione non Dasta a vincere l'eresia; onde
Virgilio non può qui nulla: ci vuole il
Momo dol cielo.
83, pa' Al.i nati ma i cieli sono nora,
più l'Empireo, Cone, IF, 3, è corriapone
dono collo Gerarohio degli Angeli, tei,
II, 6. In tutto le Gerarchie vi furono
Angoli ribelli, Donque gii Angoli mali
caddero na! CIRLI, 0 non paL ereLO. Lag=
gendo nat curi si dovrebbe intendere
cho Dante parli del Paradiso compleni-
vamente; ma la lezione DAL CIRI. è troppo
ta di autorità. = PIOVETT: ca-
dono fa goeciale della pioggia sula terra;
Pete. Lue. X, 18. Apooaî, XII, 9.
Brano |
76 [corrono quinto]
Txr. v1i1,105-125 [DEMONI 8. PORTA DI TE]
100
109
12
115
us
Non ci può torre alcun: da Tal n'è dato!
Ma qui m'attendi, o lo spirito Insso
Conforta e ciba di speranza buona,
Ch'io non ti lascierò nel mondo basso. »
Così sen va, e quivi m’abbandona
Lo dolce padre, ed io rimango în forse;
Chè il si e il no nel enpo mi tenzona,
Udir non potei quello che a lor porse;
Ma ei non stette là con essi guari,
Chè ciascun dentro a prova si ricorse.
Chiuser le porte que’ nostri avversari
Nel petto al mio signor, che fuor rimase
E rivolsesi a me con passi rari.
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase
105, rònuE: Impodire. Tar: Dio, al
gui volero nessuno può restatere; ofr.
Rom. VIII, $1.
106, LASYO: « faticato per In paura » ;
Bree.
107. nuoxA: sicura; vi è ancho una
aperanza falsa è fallace.
108; EL MONDO DamsO : nell'Inferno ;
lo atesso che basso Inferno, v. T5.
| Mi0. nr forar: fn dabbio,
1. iL at x 1h x0: ritorue: no?
Chò i demoni hannodotto : Tu qui rimer-
| vai; Virgilio invece: To nonti lascerò. Op-
| spune 1 Gli rieseirà di vincore la rosiston-
| adi quel diavoli, aì 0 no? NEL CAPO MIL
TEXZONA 1 al combattono nolla mia mente,
113. cnr a Lor porse: che Virgilio
dimo a quei demoni. Al: cu» A LOR AL
roman. Non potè udire a motivo della
lontananza 1 O perchè Virg. parlò con
moce sommossa ! Naturalmente Virgilio
atrà detto su por giù quanto avea dotto
@ Caronte, III, 93 agg., a Minono, V,
#2 agg., a Tinto, VII, 8 agg.
TU 4 rROVA : a para. Ogunno dI quel
damoni si ritirò, più velocemente che
potà, dentro della porta.
D'ogni baldanza, a dicea ne' sospiri
< Chi m'ha negate le dolenti case
ma Ed a me disse: « Tu, perch'io m'adiri,
Non sbigottir, ch'io vincorò la prova,
Qual ch’alla difension dentro s’aggi
is Questa lor tracotanza non è nuova,
Chè già l'usaro a men segreta porta,
115. AVVERSARI : «Il diavolo vostro av-
versario »; I Petro V, B
117, Rari: lonti, come quegli che tor-
nava indietro di malvoglia, non avendo
potuto conseguiro il sno scopo; ’
118, nas: privo, mpogliato. « GIi or
caduta 0 sparita dagli occhi quell' ala-
orità e franchezza cho fa Fede d'un animo
forte a sicuro» 1 Rr, E.
120, rr: parole di «degno e di dolore.
Vedi chi 1a vletato l'entrare! Vedi
tracotanza | Al:cuà n'itax, che sarebbe
interrogazione, ofr.Z. F., 66. Penf. Stad.,
151 ag. - DOLENTI CASE: dimore dolorese,
cioè la città di Dite.
122. La ruova: la lotta per entrare
dantro alla città di Dite; ofr. Inf. IX, 7.
129. qua cco.: chiunque ala che den:
tro si opponga al nostro entrare, «en
chè dentro s'aggiri intorno alle sura per
quelli dentro alla aifuustone, come al fa
dalli navediati nello custella e nelle eit-
tadi »; Buti, Ma di/matene può igmòbear
qui impedire come la Inf. VIE, #1
125, rontA: d'Inferno, LET, 11. Allen
trata di questa porta dell'Luferno i de-
moni ai opposero, sesondo au'antica bea
80 [ronza i pere]
d0
ma
Tyre. 1x. 86:
rorte]
Véèr l'alta torre alla cima rovente,
Dove in un punto furon dritte ratto
Tre furie infernal di sangue tinto,
Che membra fomminili avoano ed atto,
E con idre verdissime eran cinte;
Serpentelli e ceraste avean per crine,
Onde le fiere tempie erano avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
Della regina dell'eterno pianto,
«Guarda » mi disso, « le faroci Prine,
Questa è Megera dal sinistro canto;
Quella che piange dal destro, è Aletto;
Tesifone è nel mezzo»; e tacque a tanto.
Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
Batteansi a palme; e gridavan si alto,
Ch'io mi strinsi al poeta per sospetto.
« Venga Medusa! Sì '] farem di smalto!»
In mia attenzione a ciò che mi mostrò
dall'alta torrò; ondo non foci più atten-
zione a Virgilio,
96, atta: esprito Il panto, al quale
vrano nttesi gli occhi del Poota. I più
aplogano alla = dalla,
37. DOVE: sulla cima rovente dolla tor-
me. rutox: Al: vini: Cfr, Z. F., 50.
RATTO: subitamente. Tatte è tre al ria
Aarono fn un punto.
38. tore: «quia Istis oparantitras de-
vemitur ad san guinia offasioneta »(7) Bene
«Erano sanguinoso »| Juri,
80. ATTO: portamento, attitadine. « Non
solamente avevano forma di femmina, ma
atte maniere famminili ancora; porcioe-
chè lo fommine più sovente ohio gli anmi-
ni n'adirano è maggiormente luscianei
ir dlal furore »; Daw.
40, tte: «fn orbo terrarom poloher- ©
riintm angufam genna cat, quod în aqua
ivit: hyedri vocantar, nolils serpentium
Raferlores veneno »} Plin., Mit. natur,
XXLX, 4 > coma: alla vita,
41. cEKASTR: serpenti commust; contr.
Prone. SaccA, Op. dit., 182. è Serpen
telli è renato doo valere quanto serpenti
piozioli e groeri; 1 piocioli por crine actol-
io, 1 greeat avvolti in trecce »; Lomb.-
< Aresn per orine, @ cerarte
piè trocco» (!); os. AI. : SKRFENTELLI
OititasTR, « eloè serpentolii, Yi quali erano
utoranto »1 Cast. Cfr. 2. F., Mag.
43, quat: Virgilio, » amine: ancel:
de 1aGota: Proserpioa, moglie di Pia-
tone re dell' Inferno, che è IT regno del
pianto eterno, « Sembra cho Dante ne
cordì a Satanno una moglie di cal que:
at Brine fossor Jo serrò, il cho non è
affatto; poichè una tal diavolesia Tiapo-
ratrico non sì trova per ombra nel mo
Inferno »; Row. Dante ni attiene san
plicemente alla mitologia; otr. Inf: X, 80.
45. RIN: plot. regolare di Arima, arie
tioament anche în prosa ; oggi: Erinnî.
(Otr. Porodi, Bull, III, 108), Le Krinni
figarano rimorsi delia coscienza.
40. Maia i ofr. Virg., dem. XII, 540,
«la nemica », = CANTO: lato della torno;
« quin est petor quantam nd scandalum
tn foto civilt» My Bene.
47. AUTO: «ehe non ha mal requio i
« Allooto lactlfica» Virg,, dem, VI
Ab ista omanat omnia causa planoini »;
Ben.
4 Testrone: «la vandicatrice del-
l'omicidio »: efr. Virg., Georg. TIT, 652.
Aen. VI, 556, 9711 X, 961, — a TANTO:
elò detto.
49, cox L'uncumer otr. Firg,, devi KV,,
orta.
50. 4 ratsen: collo palmo delle manl.
51, KORFETTO| timore.
E
58. Musa: la mloore dello tre Gor-
82 (ronta Di DITE] Typ. ix, 64-76 [nesso DEL CrELO]
“ E già venia su per le torbid'onde
Un fracasso d'un suon pien di spavento,
Per cui tremavano ambedue le spondo,
Non altrimenti fatto che d'un vento
Impetuoso per gli avversi ardori,
Che fier Ja selva, e senza alcun rattento
Li rami schianta, abbatte e porta fuori;
Dinanzi polveroso va superbo,
E fa faggir lo fiero 0 li pasto)
Gli occhi mi sciolse e disse: « Or drizza il nerbo
Del viso su per quella schiuma antica,
‘ove quel fammo è
iù acerbo, »
no Come le rane innanzi alla nimica
lo
al dubbio potrilcante (Volgiti indietro,
flen lo viso chiuse); ir
dubbio e della misoredenza, l'
itmperialo gli viene in aoccorno coll'
v. 58-00, cioè collo laggi co
toi. Sennonchè l'autorità imporiale non
basta per sò sola a guidare l'nom
do, Ma l'autorità ecclosiaa
ha soccoro (tal ne a'offerse) toi
la divina silaminazione (il Messo del cielo)
cho tinee e lo obblezioni de' miscredenti
col loro scherno (demoni), © gli ostacoli
Se
dalla mala coscienza (Srinni), 1
peteazione allegorico-politioa assai
uosa e dogna di esero consulta
Rost., Com. I, pp. 253-61. Ci
Tati. 1 D. AL, ver. 17, lott.
Ripateans., 1852. Negroni,
del Capo di Meduro, Bologn
84, oxpR: dollo Stige.
65. viacasso: « Et fuotus est repente
#8. Aupemt: per Il disequilibrio di ca-
lorico nell'atmosfera. « Secondo Aristo-
telo i calori vengono da parto avversa a
quella dov'è Ja materia propria de' renti i
ali sotto, quella di sopra »; Oa:
Perni, Ctr. Virg., den. LI, 4106-19,
yitit: forisce, poronote, «Iaterdum
rapido porourrens Lurbino campor Arbo-
sape e montisque supre-
verat flabris »; Zasoret.,
er nac-1, 29 pia fr, Zucca
+ ft, Virg., Georg,
- aifrio Quan: santini
ri dello franguntaue ferustgne e.
jxt; per portar Ì fiori non cl vuola
vento impetuoso, e porfare non piglia
to del lat. auferre, se non
ticella ne, 0 1' avverbio
ronta yvon Boco., Bene, Sernati,
00. uti ha ANRATTE PRONDI E
La lez. roxta rioni non sì trova
so verun Quattroceutteta.
73, 21 scioLari Virgilio, allontanan
dono lo mani colle quali me li tanca chit
ni, v. 60,» xEtDO: la potenza, l'acume
dell'occhio, È l'acies ocwlortem del latiat,
74. scuiuma: acqua sohiumosa dello
Stige.
75, ram 01: da quella parte. = FUMO:
esalazione del pantano, — PÒ AvERBO | più
denso, è però più moloato agli occhi.
84 [PORTA DI DITE]
Txp. tx. 90-108
Dirsso pet; orto]
L'aperse, che non ebbe alcan ritegno.
<0 cacciati del ciel, gente dispetta, »
Cominciò egli in su l’orribil soglia,
« Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
Perchè ricalcitrato a quella voglia,
A cui non puote il fin mai esser mozzo,
E che più volte v'ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. »
Poi si rivolse por la strada lorda,
E non fe’ motto a no
a fo' sembiante
D’uomo cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui ch
90. xox amuR: Al: NOx v'emn
DI. DISEETTA : apregovolo a Dio o agli
uomini.
DI. OLTRACOTANZA : orgoglio con cul
tesiatoto al volori mupromi, — at a
tatrA : sl acooglio, alberga; ef. Inf.
I, n
‘Di. voGLIA : voler divino; « Dura e
@ perte il rionloltrare contro ii pangolo »;
Att IX, 5,
29, tozzo: tronco, impedito, + Volan-
tati enîm efoa quis ruaisit! »; ad Tom.
IX. 19,
90. r1Ù YoLTR: ogni qualvolta voleste
opporvi al divin volere, » CUESCIUTA : sè
condo gli Scolastici lo peno dei dannati,
e specialmente del demoni, sono aumen-
tabili mino al di del giudizio finale. Se-
woudo 11 Sert, « allude }] Poeta è "peclai.
mento alla vittoria di Urinto nel
Anmentò questa vittoria la dogli
demoni? Furso piuttosto la rabbia ed Il
furore, E poi Cristo discose.
*olta nel Limbo, mentre qui si parla di
più volte.
DT. Fata: deoroli fatali, immotabili di
Dio. « Fatum da fari = parlare, è. Ja pa-
zola dell'Itoto imuatabile seritta in dia-
anantinì caratteri nell'etorno libro »; Di
Mena,» « Fatura est in 1psis causis orea-
îta, Tn quantun sunt ordinato a Deo ad
tua prodnoendos» ; Thom.
figa St. th, I, 118, 2. - par DI cozzo:
Mrtare, percuoter contro.
89. FALATO: quando Cerbero volle op-
porsi all'entrata di Ereolo nell' Inferno,
Voluta dal Fato, Ercole gli mise una ca-
gli è davante;
toa n) collo e lo trnacind ala foori delle
porta; oîr. Virg., den. VI, 302 ag.
100. stava LORDA: paludo Stigin.
101. xox n° ece.: non ci disse parcla.
Xl Messo del cielo non fn che eseguire
uanto Dio gli Da ordinato, o cià nel pre:
Virglito, nò a Dante, « Non feett
verbum nobia, quia nobia serviverat
opora a; Bent,
109. ALTRA CUmA: por il Memo è la
cura di ritornare iu. olelo; tr. Inf. IL
71, BA. - ATRINGA 3. e Animom patrie
sirinzit pietatia Imago»; Virg, des,
IX, 204. - omne 1e Bi itia materni cura
remonlot »; Firy., den, VII, 40%, e Gol
quali duo esampi di Virgilio n aplega
come nol Messo di Duote il pengioro di
tornare al cialo ala ad un tempo n sf
fetto che stringe, e neuto desiderio che
do»; L. Vent, Sim, :980,
1-133. Za regione degli orostar
vile domonl (VIII, 88), 10 St
>, Medusa = tutto è sparito; 1
Poeta nen ne redo più fracela, Guer
dandoal fntorno non scorge che wa yR-
sto cimitero, Oranque avolli, @ tra un
avello el'altro fvochi che funno gii avelli
eternamente roventi. 1 lare coperchi soma
lavati in alto, onde ai odono | duel la
menti di que che dentro vi sono, Mi
chiestuno, Virgilio insegna al Poota, ds
sero questa da regione infernale degli
ercalarchi.
86 [oxronio sesto] —Inp.1r. 119-152
Per lo quali eran sì del tutto accesi,
Che ferro più non chiedo veran'arte.
‘Tutti gli lor coperchì eran sospesi,
E fuor n'uscivan sì duri lamenti,
Che ben parean di miseri e d’offesi.
Pd io: « Maestro, quai son quelle genti
Che, soppellite dentro da quell’arche,
Si fan sentir con gli sospir dolenti?»
Ed ogli a mò: « Qui son gli orosiarche
Co' lor seguaci, d'ogni sotta; o molto
Più che non credi son le tombe carche,
Simile qui con simile è sepolto,
Ei monimenti son più e men caldi. »
E poi ch’alla man destra si
Li, osservando: «Il munsico d'alouni
s0dd. Okztragli fa risoluto în Che tra
laddove, tenendo conto della Ilneetta so
vrappossa all'e, rolea risolversì in Ch'en-
tagli». Dore sono i cold. che hanno
UAtragli, con «Iinestta sovrapposta al-
l'est È como fece Il Poota, appena en-
trato în quoste cerchio, nd accorgersi che
Del resto anche Gelli logge Cu'axtRO LI
AVELLI, 0 così pare che abblan letto Cet.
120, FEMRO eco. eg tr DI
accesi, clio nosan'arte di fubbro o di fo
disare calge cho, per lavorario, il ferr
Diù rovente.
139, ancne:
121) preci, è gni di fr
Alarche vuoi
Migiter al'orear groco quol eat prim
depe, ci dorenia quoi est ereria»; An.
Nor. — « Anctor fingit quo quilibet be-
Tesiarea babet hic fream magnam, in
Una sant simul secc In ‘pona ommes
Jaacen cina qui portinaciter tennerunt,
7 vata pi puledri retina
Gina erroucam >; Bene,
128. MOLTO: in ogni svelto vi sono ns-
eranì grando parte,
ladinì sì combatteva per la
questa malatizione tn
o molto tempo +; G. Vil, IV, 30.
d ogni classe di eretici
‘gnato un luogo speelale In questa
regione infornale, ed ogni singolo arelle
che più si somigliarone
IMISSTI : nopoleti. = PTÒ R AGE =
aatità dell'oreala od il grado
sono venuti sempre a ai
atra; per attravorsare il corchio de
vono di necessità fare una volta a destra.
i loro vfaggio per l'Inferno i due Poetl
volgono sempre n man siniatra. Soltanto
doo volte c' Imbattinmo In una eccezione
a questa regola, La prima volta aî vol:
gono a man destra entraudo nol cerchia
degli eretici, la seconda quando vanze
verso Gorlona, simbolo ili frode, UA
XVII, 31. Senza doblo questo fatto Ba,
secondo la mente di Dante, Îl ano sense
allegorico. Ma quale queato sonsoaia, nes
è facito indovinare. Può darsi che mel
presente Iuogo il Poeta voglia inkegnar:
di, cho 1 primi passi mulla via, 11 cut
termino è la misoredemta, non 400 par
sè inonî, la Toro radica cameo
ordinariamente la sete naturale di sa-
poro. Inoltre 0 la miscrodenza e }a free
sono î due peccati, le cul armi soglione
88 [ceRoBIO SESTO] Tnp. x. 4-21 [eREs:ARCHI]
CI < 0 virtù somma, che por gli empi giri
Mi volvi, » cominciai, « como a te piace,
Parlami e satisfammi a' miei dosiri.
La gente che per li sepolcri giace,
Potrebbesi veder? Già son levati
Tutti i coperchi, a nessun guardia face, »
Ed egli a me: « Tutti saran serrati,
Quando di Josafàt qui torneranno
Coi corpi che lassù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci,
Che l'anima col corr
Però alla Ria ch
Ed al disto ‘ancor che tu mi taci. »
Ed io: « Buon duca, non tegno riposto
A to mio cor, so non per die
on pur mo n ciò disposto. »
4. FIRTO NONA: sommamente vir 33. suor loro; elr, nf, XXII, Mb
Kuioso, » aut» cerchi dell' Inforno, riploni
11. JOKAVAT: vallo prosso Ge: 7 icon
m0, dove, secondo 1 libri nacri, Porti colata ne ponmiori.
3L NOx PUB MO: mon soltanto orni
Ainceptabo cum nia (bi...
“at ascondant gentes iu vallem Teti A
aàpbat dicitur vallis ludieli. Vailis est
mumpor luxta montem, Vallle eat hio
‘mons est colum. Tu valle ergo
i. », în lsto mundo, selli-
cat in fato adire, udi iusti ad dexteraci
ponentar ; Zlu-
E Ar “Bom. dd
firsioni sa COLI
90. [ceRcHIO SESTO]
Tvr, x, 94-43
s” l'avoa gi
il mio viso nol suo fitto;
EA ei s'ergon col petto e colla fronte,
Come avesse lo Inferno in gran dispitto.
n E l'animose man del duca e pronte
Mi pinser tra le sepolture a lui,
Dicendo: « Le parole tue sien conto. »
dò Com'io al più della sua tomba fui,
Guardommi un poco, © poi, quasi sdegnoso,
Mi dimandò; « Chi fur li maggior tui? »
s To, ch'era d'ubbidir desideroso,
Fariosta sulla scsna è apparocohiata în
inodò ch'egli è già grando nella nostra
Immaginazione, e non l'abbiamo ancora
rid veduto nò udito. Farinata è giù grando
per l'importanza che gli ha dato fl osta
© por l'alto ponto cho occupa nel ano pen-
Aloro. E non fo vedinino ancora e già co
lo figuriamo colossalo dalle parole di Vir-
glio: Dalla cintola in su TUTTO il vedrat.
Volnvi vederlo: eccolo TUITO fananzi a
da, » De Sanctit.
34. cià: appena udite lo parole; reti
tà Farinata, è prima ehe Virgilio a vense
finito, - yiso: occhi; fo fo rigusrdara
già fino.
26. a’ enomA: por alteresza © grandor-
ta d'aulmo.
30. DISEITTO: diupotto, disprezzo. Vivo
negò la vita futura, morto la disprezza.
« Falt onîm Farinata anporbua cum tota
sua stirpe»; Lenr.
I. Pinara: apiovero. - LUI: Farinata.
#9. cosrE: 0 dal lat. cognitua, 0 da
compia. I più intendono Parole chiaro,
precise @ simili; altri Parolo contato,
numerate; altri Parole ornato 0 corteal.
T più antichi (Bamdoî., An. Set, Tae.
Dant, Lan,, Ott, Petr, Dant., Cast,
Wuleo Boes.,, An. Fior.) non danno al:
cona interpretazione, Zoce., «Composto
dè ordinato a riupendoro; quasi voglia di-
nes ta non val a parlare nd ignorante ».
= Bene; « Quadi dicat: loquere cum into
familiaritor clare, quia iste novit ca de
tu via ciro et facere momoriazm ».
= dit: « Parla apertamente e ordinato»
merito », — Serrae.; « Loquero modoate ot
liuneste ». - Fary.: « Sien chiare, den in:
olligibili, Parlorai apertamente senz'al-
eun rispetto ».-Land.:v Chiaco ot aporte;
‘perobò <hi vuol osser fuor d' eresis, doro
merivore ot parlaro senz’ alcuna ambi-
Guità +,» Yell: « Maulfeste et chiare, et
non confe et oncur
ris ciare secam ». =
monto, come si conveniva far con un
uomo almilo ».- Dan.: « Manifanto a ehia-
re, e non amblgae 0 dubbie, perciò che a
parlare con Herutici, bisogna esser molto
accorto 0 riguardoso », = Cnat.: + Virgilio
dico questo a Dante e perchè area detto;
Buon duca, non tegno riposto mio dir, se
non per dicer poco, u perchè Virgilio are-
va voduto che temeva » (7). =Fent.: « Ma:
10 AItO @ Fl80,.»
inte è invoca di contate,
cioè numerate, quasi dicesse: Non le af-
fastellaro alla rinfusa, ma ben pemalo per
angoli Betti: « Modo poetico per
dire: Fa' ch'egli sappia Jo tno parol
cioò ciò che to vuol ». = Nova: « Fa' eli
{ sensi tuoi alen not. Conte è sincope
cognite ». = Tom.: « Chiare © nobili ». -
Br. E.: « Aporle @ franche », > And
= Adorno (lat, compia), nobili, com'ò de
gno di tanto collocutore ».- Chra,: « No-
bili e dogno di memoria ». — Campi?
« Parla chiaro o palesa liberamente le
tuo politiche opinioni ».- Bertà,3 + Ondl-
nato, dal lat, comptus e. — Pol. uta col
Buti. Con Farinata Dante parla un lin-
guaggio franco, chiaro @ preciso, ma và
particolarmente brove, nè
mente ornato © cortese (7. 51 0 85 agg).
40, coni At riti Al: TO8TO Cit'at PIÈ.
4l. cuAnDOMII : por ricononcertal,
sprasoso : Dante nou era nel suo ate.
riore un uomo imponente, «Sono vile ap-
parito agli occhi a molti, che fore got
alcuna fama în altra forma mi areamo
el cospetto de' quali.... sia
1 Cone, 1, 3. Cfr. Boee,,
43, musi 1 a Virgilio, 7. 88} 0 n Pa:
rinata, v. 421 Pià probabilmente a Vir
ggilio.
i
1 «Loqua
* Accorata-
92 [oxronto sesto]
Txp, x, 58-68.
[exvarcasti]
Avesse di veder s'altri era meco;
Ma poi che il sospocciar fu tutto spento,
se Piangondo disse: « Se per questo cieco
Carcero vai per altezza d'ingegno,
Mio figlio ov'è? E perchè non è teco? »
s Ed io a lui: « Da me stesso non vegno:
Colui che attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno, »
50, avete Guido sno figlio.
sonrEccIAR: sospetto, dubbio, dul
tt tg Inopleari, AL: susrican. Ofr. Purg.
Mppecmaeo: priva di laco è di crae-
0. ratio: Guido Cavalcanti, nato a
Firenzo verso fl 1250, morto ivi noll'ago-
ato del 1300, « quegli cul fo chiamo pri-
mo do' miei amico»; Vita N., &.
mo, so non ch' Aroppo
sato »i O. Vil: VIII, 42; efr. Bose, Dee.
@. VI, nov. 9. IM Vi, Vite. Hreole,
Guido O, e le sue Rime; studio storie:
Utterario seguito dal testo eritico delle
Rime con commento, Livorno, 1889. -
i0o: compagno del viaggio è partecipo
20: Cavaloanti suppone che per
fare un viaggio di tat natura basti l'al-
ingegno; nella una risposta Dante
necenna che ci vuol altro ancora.
#8: xuui: Il motivo del diudegno dt
Guido por Virgilio è un enimina Alcuni
Wpfogato: Porchò Guido non amuva Îlla-
tino, efr. Fita N. $ 30. Als Perchè Guido
stimava più la filosofia che non la poosia.
{tan era ugli stoaso poeta). Al.: Guido,
guello, bbe in dispetto Virgilio, non
Some poota 0 Glosefo, ma come cantore
entiiaatioo dall'impero: AL: Parebò al-
v Gallo, Virgilio éra troppo re-
‘0 perchò Virgilio rappresrata la
tagiono sommessa alla foto. - AL. rifo
rirono Il disdogno di Goido non a Vir
[gillo, imm a Iaatelco ect. Cfr. Del Lungo,
Dal secolo è dal poema di Dante, pp.3-61
a Dov Studît sulla D. 0., pp. 150
Guido olbe a disdegno qi
oa
Soorat
quod dediguatua
Hipnta gU parsa atte slo è, da
molto più che la poesia, ebbe a adegno
Virgilio © gli altri poeti. Boee
« Guido dispregiò Virgilio, oloè poosla
= Bent.s « Into Gaido non out deloctata
in poetici... non dignabatar lagere poo-
tua, quorom privcepe est Virgilina
Buti: «Guido dispregiava ll poeti, e Vir-
glio come li ultrl +, An, Mior.; « O por
chè Guido gli parosse ebo la scienza sua
fonso ai alta ch' ella avanzazie molto
quella do' posti, o c'agli mon leggi
mal loro MHbrl, h' egli adeguasso
1 bro di VIrgitio n=
Gelli: « Guido avera avuto la
poonta n dini vi avora mal
dato opa Dane «Dar
do opera alla filosofia, non gli erano pia-
ciuti È poeti ».- Ciat.i « Troppo segnano
parlaro è fl dire avere a adegni
ner sigalticare di non curario ». Che #
disdegno di Guido xa per Virgilio pot
ta, è l'opinione ora validamente difesa
pur dal D'Ovidio, il quale un
aveva pensato altrimenti. Egli nerive,
fra l'altro, questo giustiasimo parolo:
« La cultura 0 la tenionsa di Guido era
soprattutto da sclenziato © du pensato»
re, da dtosofo naturale è da laîco ; nella
poosia, nella lirlon soltanto, ni segnalò
perchè avova fino l'ingegno w l'antino,
toscannmonte temprato il gusto, mu ar
formato solo ani provenzali è sul Gulni-
celli. Fa una singoînrità dell no
vrano di Dante i xublimare fu sò code
nto medesime facoltà morcò l'acuto senno,
affatto ignoto stno a ul, dell'arte Di
è di spingersi fino alla ideazione d'un
poema classicamente romantico, rical-
cuudo l' Koeldo più di quel ch general
94 [cencnio sesto]
Isp. x. 81-95
Che tu saprai quanto quell'arto posa.
E se tu mai nel dolce mondo reggo,
Dimmi, perchè quel popolo è sì empio
Incontro a’ miei in ciascuna sua legge? »
Ond’io a lui: « Lo strazio è il grande scempio,
Oho fece l'Arbia colorata in rosso,
Tali orazion fa far nel nostro tempio. »
Poi ch’obbe sospirato e ’l capo scosso,
< A ciò non fui io sol, » disse, « nè certo
Senza cagion con gli altri anrei mosso.
Ma fu'io sol colà dove sofferto
Fu per ciascun di torre via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto. »
« Deh, so riposi mai vostra semenza, »
Prega'io lui, « solvetemi quel nodo,
1304, apoca a coi i alludo în
Dante jo spora troppo
nendo riusolti tatti gli aforzi del:
di rienteare in Firens
fafiuonza sul governo di
#9, roroto: Fiorentino.
dele, spiotato.
BA afaenti: agli Uberti. Lr0GR: + quia:
semper, quando fit aliqua reformatio Flo:
tinti do exulibus rebanziondia,
no: iii “dove solavanel tenere con:
hlgli del popoto orentino. Secom
Dante parla qui in modo vago n trasla-
ivo per significare ot fa adoperar così;
ofr, Mani, $tad., p. 53 agg.
s0ArRATO: per il dolore nell’ uilre
4 Fiorentini, dimentichi di Empoli,
Rerbano che Ia memoria di Mant'A-
cîvò soltanto del male da lui fatto
#0,A crò: alla battaglia di Mont. perti,
ra esule
combatteva contro i suoi hetmici. - Ae
iI: Ghidellin], - Mosso: n combattere
| Empoli; ofr. G. Veli. VI,
, dove Il eronista racconta avere Fa-
a tra l'altre coso detto che « "altri,
foma, montre oh' agli avesse
în corpo, colla apada ln mano 1a di-
CV. 96120.
F
prega
Guido vive ancora, come pure di
nare i suoi compagni. « Siamo » ri
spondo Fartnata, « più di mille; tra gii
è qui Peierigo II o Îl cardinale;
gli altei won vo' dir molla ». Oîr, Are
zio, Sulla teoria dantesca della proreien-
2a, Palermo, 1806 0 Buit. IV, dB
DA. Bir deprecativo ; com perità ripone
ro una voita la vostra discendenza ! Al:
So mal rimisi (riposi da riporre) in pa-
tria ecc. Quali discendenti di Parisata
(Guldo Cavalcanti non era tale) furono
da Danto richiamati dall' Li
n8. no001 dubbio dito.
lin
[okromo sesto]
Tnp. x. 119-120 [coNFORTO AD.
Qua dentro è lo secondo Federico,
E il Cardinale; e degli altri mì taccio. »
Indi a°azcose; ed io invér l'antico
Posta volsi i passi, ripensando
A quel parlar che mi parea nimico.
Egli si mosse; e poi, così andando,
Mi diss
Perchè soi tu sì smarrito?»
Ed io gli satisfoci al suo dimando.
«La mente tun conservi quel che udito
Hai contra te; » mi comandò quel saggio:
<Ed ora attendi qui! » e drizzò il dito,
119. FeDERICO: l'imperatore Federi-
ansi
go IL. Tu accusato di grave oreai
dl atelamo ed Incolpsto (a torto) di
autore ilel fumigorato libro: De eribue
dimpostoridua,
120. Canvixate: Ottaviano, 0 Atta-
iano, degli Ubaldini, Fiori verso f1 1200,
Fu vescovo di Bologna dal
eletto cardinalo nel 1245, morto ret 137
= a Non oredia che anima
venno a morte disse: So avima fosso,
dilti che per gli ghibellini io l'avenai
perduta »; An. Sal
uomo, lo qualo ebbe tanta cura di questo
mondane cose, che non par ch'el
desto che altra rita fosso che questa
Tu molto di parte d'imperio è fece
quellocho seppe la xv altari
meta, dimandolla all
o vero d’imperio, di Tr
tato; a) che costui Jamentaadori
parto È ‘gblbollina
M che mostrò In questo suo nn
diano se è anima, ch'e!
Fusso certo d'avero animn»: Les. Lo
Atonso ripotono Ott., Caez., .
= folt vir valentissimns tempore
Rigax et andar, qui carlam romanam
voruabat pro vello ano, et aliquando te-
mult sam in montibus Fioreatl in terris
nuormm per aliquot mense; et spo do-
Sondebat palam rebolles eccleslm contra
‘Papam ot Cardinales; fuit magune pro-
Sector et fautor ghibellnorm, et qu
obtinobat quidquid rolebat, Tpsa focit
primum Archiepiscopom de domo Vice.
comitum Modiolani, qui oxaltavit atir-
pom suam ad donnium illius eivitatia,
moltum honoratas ot furmidatna; idea,
quando dicobatur tane: * Cardimalia die
imalia focit afo*; Intellige=
batur "îo cardinali Ootartano de Ubale
eccola. Polk heenegi:
sia. ie ma Cacclaguida, Parad.
nindi è dne Porti contianano
o como Garalcante, ma iponear
a gincero, sempre dignitoso.
>. rantani allo paroîo di Farlnata,
127, coxservi; non dimenticare ciò
cho hai ndito; ma psr Intanto non ba-
darci troppo, dorendo attendere ad altro.
‘attenzionea quan
mostra in questo luogo, Al.: At-
quello che io ti vo' dire. Ma la
contemplazione delle peno dei dannati è
Il fine salndre dol miglio viaggiò dii Dune
te, più importante assai cho on la ven.
tura ana sorto n terra, — DeI&zÒ: vento
la ragione în eni si trovavano, dinotata
98 [cEEcHIO SESTO]
Tar. xt, 4-18
{PAPA ANASTASIO)
E quivi, per l’orribile soperchio
Del puzzo che il profondo abisso gitta,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D'un grande avello; ov'io vidi una seritta
Che diceva: « Anastasio papa guardo,
Lo qual trasse Fotin della via dritta. »
« Lo nostro scender conviene esser tardo,
Si che s'ausi prima un poco il senso
Al tristo fiato; e poi non fia riguardo. »
19 Così il maestro; ed io
prosa qui questa tal voce, metaforica
moute 0 per traslazione, dai Poeta por
ati o più gravi, ch
do' quali infino a qui
= Stipa, cioè serraglio,
cl vuol tanto ad indovinare
contiene più dolorosa fu
Ote. Inf. VII, 19; XXIV, &2.
4. BOPELCILIO 1 #00,
#5, azzo: mbolo del pro
spedì nel 497 due vescuv
ratoro groco, progandolo di toglier
aneri Dittici Îl nome di Acacio, e
‘vescovo di Cosaroa in Palestinn.
Niesto tempo vente a Roma Foti:
diacono di T'ossalonica e seguace di Al
olo, Anastawio IL lo accolse amorevol.
mente e comunicò con lni, il cho eccitò
"ira del clero di Roma. Quindi Graziano,
Deoret. diat. XIX, 8-0, diano, falnamento,
Anastasio LI condannato dalla Chiesa, e
dotti quanti gli atorie! eccleaiaatici sino
<Alonn compenso »
al secolo XVI, lo chiamarino a toria
uo snche quello che au ciò
Dollinger, Papefabeln, Monaco,
1609, p. 124 agg. Danto nogui in questo
luogo la tradizione erronea che a suol
mpi aveva valore di storia esatta.
‘AxDO: cuntedinco,
‘Lo Qua: quarto caso, = FOTI: die
Tessalonica, da non confondersi,
i quali accusarono per
iguoranza il Poeta di anacroniamo te nel
latoni storiche pr
viase nel nocolo V +; Bartolini, Studî
, 1, Blena, 1889, coi molto più co
sciato mbelliazo Fotino, rascore di
no. Per non perdere i
, Virgilio disegna a Tanto ecm'è fitto
bauo Inforno. VÌ sono tre altri cere
chi ‘ violenti, distinto in tre gi.
roni (violenti contro il promlmo, contre
nd stessi o contro Dio); fl: secondo del
frodolenti che usarono la fredo com ehi
non avera particolar ragione di Adardi
di ossì fdistiati in diecl'olassi & pan
in dieci fossi); l'altimo, o più profonito,
del frodolenti cho usarono la frode esa
chi avera particolar ragione di
«i loro, valo a dire del traditori,
fn quattro cisti,
100 [cxRorto sE8T0) XI. 81-47 CsAsso 1nFERNO]
si A Dio, a sè, al prossimo si puòne
Far forza, dico in sè ed in lor cose,
Come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose
Nel prossimo si dànno, e nel suo avere
Kuine, incendi e tollette dannose;
Onde omicide e ciascun che mal fiere,
Guastatori e predon, tutti tormenta
Lo giron primo per diverse schiere.
‘Puote uomo avere in sè man violenta
E ne’ suoi beni; e però nel secando
Giron convien che senza pro sì penta
Qualunque priva sè del vostro mondo,
Biscazza e fonde la sua facultade,
) pian love esser dee giocondo.
Puossi far forza nella Deitade,
Col cor negande estemmiando quella,
Atadpandol
PIOvA SÈ cos: è anfelda
‘AZRA: (da Disea © bisoszza ve
como Jene per fe’, 000; forme dell
toscano antico e moderno (l'arodi, Pull.
mn, 116). ns
32, 1 eh: nella persona. -1x Lo Cos:
nella roba.
forsa i abusa contro
il preasimo: o nella persona, necidendo
© furendo; 0 nella roba, guastando,
cendisado, rabando, predando. - PERUTE
ferito; da Jeruto, part. di fe
questa © molla forma di
goltiod raberio, estorsioni ed anche
menta determinata al malo, non per a ee
peto 0 per difosa.
38, avastatoni: colpevoli di ruino ed
incendi. - rRRDON : ladri, gli autori delle
tollette darnose.
39. acmiie: socondo la qualità della
violenza fatta.
yi0a gino pubblico) di
al giuoso.
«Quont la room discazza significa nella no-
stra ilngua un loogo nel quale n
ratterie va n giuocaro chiunche vuole,
senza esservi conosciuto @ senza aver 00-
nesconza di quel che vi giaocano; e nelle
| bische vanno a giuocar nolamonto quel
che ri hanno pratica 0 conoscenza +; Gele
Cfr. Mazzoni-Towelli, p. 82,
n
0 fn #pose snodato © pi
conì quello cosa che a
ciascuno dovrebbero essere cagiono di
giola © scala al paradiso, como la vila e Je
ricchezzo bene nsate, quello stasso gli
sono cagione di pianto è di dannazione,
unate male»: Fanf., Stud. 60, AL: Nol
mondo, dove doveva, vivendo bene, start
giocando ed allegro (1.
46. xRLLA Derranes contro Dia.
47. coL, con: con intimo deliberato nen
timento, « Dixit inlpiona in corde nuo:
Non cat Deus +; Poal. XIII, 1} LI È.
[oeRcHIO sesto] Typ. xr. 64-81 [DANNATI FUOR DI DITE]
Onde nel cerchio minor, ov' è il punto
Dell'universo in su che Dite siede,
Qualunque trade, in eterno è consunto. »
Ed io: « Maestro, assai chiaro procede
La tua ragione, ed assai ben distingue
Questo baratro e il popol che il possiede.
Ma dimmi: quei della palude pingue,
Che mena il vento, e che batte la pioggia,
E che s'incontran con sì aspre lingue,
Perchè non dentro dalla città roggia
Son ei puniti, se Dio gli
E se non gli ha, perchè sono a tal foggi:
Ed egli a me: « Perchè tanto delira »
Disse, « lo ingegno tuo da quel che suole?
Ovver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di. quelle parole
osizion che il ciel non vuole,
64. eUNtO: 1] centro della terra © del.
>. Cono.
60. quaLUNqUE TRADE: bralisce, i ira- ne, Il che manifestamente al vedo
ditorì di ogni genere, pero per quasto colore chiamate
V. 67-90, I amnati fuori della città
11 Dite Dante interroga l Maestro, pe
friondi, 1 lassuzioni, 1 golosi,
ed I prodighl. Peccarono d' ine
za, tinpunde Virgilio, o l'inconti
fendo seno Iddio pi
faina, cho non la malizia
Ità, Onda gl' incontinen
dagli altri dannati 0 puniti ori del
phorice parlando, in clancuna coma nuce»
do della diritinra e della ragione, ai può
dire @ diomi deliraro »; Boce.
78. DOYR: 0 è forwe Ia menta taa o0e0»
pata da altri penalori V Al.: LA MENTE TUA
e 10 abita, che lo empie. Al. cita Os: AUHOYA; forse corruiiane di ehi al me
BID, corse che quel dere alirore non suona
To.rxaue: fangosa; Inf. VIT, 106 agg. roramente troppo
Fl. cuR MEA IL YESTO: lussuriosi. —
RR DATTE LA PIOOGIA =
L'KNTIATTA : lt. pertraetat,
gratta disameote; at, dit BA.VIT,
VII, 30-38. #17 marosizioni dello spirito, vil
Ta. s'ixcostiA®i © prodighi. >
AAPER LINGUE: elr, entoso matro in Inf.
104 [cercHIO SESTO] Ixr. xi. 97-114
or « Filosofia, » mi disse, « a chi la intende,
Nota non pure in una sola parte,
Come natura lo suo corso prende
Dal divino intellotto e da sua arte;
E so tu ben la tua Fisica noto,
‘Tu troverai, non dopo molte carte,
Che l’arte vostra quella, quanto puote,
Segue, come il maestro fa il discente;
Sì che vostr'arte a Dio quasi è nipote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente
Lo Genesi dal principio, conviene
Prender sua vita ed ayanzar la gento.
E perchè l’usuriere altra via tiene,
a e per la sua seguace
în altro pon la spene.
ama, chè il gir mi piace;
neu iii
2 ‘gli altrui. dosi l'usarafo offende
ra, figlia di Dio, © l'arte, slpote
aumio: nel guadagno Îllecito
cho sostituisce l'arte di Dio.
101, 7uA: la Fistoa d'Aristote!
108. queLLA: la natara. }
la natara, como fl discepolo seg
smacatro. sa
105, quasi: l'arte è glia della natura;
questa è figlia di Dio, Quindi, per stili
mine; l'arto può dira nipote di DI
um nature od arto.
a 5:
otgo Dominus Devn ri
vum In paradiso rolnptatla,
itzonte; a
canta riftessi di accusativi greel, fre:
me negli o sorittori latini. Cfr, Parodi,
Fieno cho la gento ampi progrdisoa
far mezzo della natura © dell'arto,
100: ALTRA VIA: divoraa da que
merita da Dio. L'uaaralo campa
menta lo suo facoltà non colla natura 0
dell'arto, co) lavoro sno, ma col metallo
è col audori altraî.
110, FER Alt: in lol stossa, - suovack1
0 il Carro giace
di questo vento »3
Della Valle. =« Il vento Coro, lat. Cau
rus, la dal Groel dotto Arpete, voce cho
eoll'andar doi secoli ni è stu
trasformata in Maestro. Reso aplra fra
CANTO DECIMOSECONDO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE PRIMO: VIOLENTI CONTRO IL PROSSIMO
(Attalnti nel Flegotonte, riviera di sangue bollente)
IL MINOTAURO, LE ROVINE DELL'INFERNO
IL FLEGETONTE ED I CENTAURI,
DIVERSE CLASSI DI VIOLENTI CONTRO Il PROSSIMO
Era lo loco ove a scender la riva
Venimmo, alpestr
per quel ch'ivi er'anco, +
Tal, ch'ogni vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco
O per tremuoto 0 per sostegno manco;
V. 1.30, ZI Minotauro, I due Poet
sono gianti dove por una rulna ni
dal sento nl settimo cerchio. Cu
questo cerchio è il Minotauro,
della violenza Destialo. Tone v
foriare: frattanto 1 Poeti ti
co, Quindi, superata la difficoltà della
rovina scena, arrivano giù presso il
Flogetonte.
2. QUEL: Îl Minotauro; v. Il agg.
3. AL: tamente orto ed aspro, e tal-
itia (v. 19) cho vi stava n gum
4. gURA: frana. Secondo alcu
allude al varco apertosi dall'Adi
reso lo fulde del monte Pastol
Jogo detto la Chiana; secondo altri,
uno scoscendimento chiamato li Stardnî
alt Marco tra Marco # Mori; secondo al:
tri, alla rovina di Castel della Piotra a
morà di Rovereto, Bambgl: « quemal-
modam est ripa dirupta vnfusdazm mon-
tridentina quam Langit et perentit
qua cuiusdam fluminis veronenale qui
vocatar l'Adese qui product piscea qui
Tasche vocantur ». = Petr. Dant.: «Tn
SI rafnae quer et
dososnsnri, erat talis qualla eat illa quas
ost în ripa Athenin inter Tridentum et
Veronam; illa enim ripa, anteguam file»
ret fatod prvolpitàam maximam, ermt ita
rota et repens in modum must, quod
pnllua potuisset Ire a aummo ripie usque
ad fondum flumane infertoris; sed post
ruluam factam post nano aliqualiter
ici». Ofr. Bassermann, p. 419 agg. ®
649 ng. dove si mostra quanto ala prob
bile che D. alluda agli Slavini dii Marco,
fi, MANCO: mancato, camma |’ assidoo
rodero dol flame; Znf. XXXEW, 13L
fono. 7. eis. 1]
Ts, xi. 27-42
[rovine nveeRNALI]
Mentre ch'è in furia, è buon che tuti calo.»
Così prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietro, che spesso moviènsi
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
Io gia pensando; e queî disse: « Tu pensi
Forse a questa rovina, ch'è guardata
Da quell'ira bestial ch'io ora spensi.
Or vo’ che suppi che l'altra fiata
Ch'io discosi quaggiù nel basso Inferno,
Questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno,
Che venisse Colui che la gran proda
Levò a Dite del cerchio superno,
Da tutto parti
alta vallo feda
Tremò si, ch'io ponsai che l'universo
Sentisse amor, per lo qual è chi ereda
2. 1 cauR: Li cali, disconda.
28. scamco: scarico, od
quello piotre « lo quali erano dalla som-
mità di quello scoglio ondute, come cag=
gione lo comò cho tal volta si scaricano »
Bose,
30. carco: carico, poso
offizio, pigliava ad arto, ogni volta ch'e
do aesttazio i
la occasione, da la rovina di que-
è scesa, di mostrar cho olla cadde,
ch'ogli sceso dopo quella
e cavò | Santi Padri dal
a
Inferno,
PRIA: pochi momenti avanti.
remoto avrenne allo spirure del Res
0. atta: profonda — rita: brettà,
impura: latiniemo.
41. tRRaiÒ: Afaft. XXVII, Bi: «La ter
ra tromò, a lo pietro sì schiantarono»,
‘anchenell’ Inferno, suppone il Poeta, cfr:
AW. XXI, 113 agg.
43, sosta Axion: che gli: elementi
tornassaro in concordia. - è CUI CERDA:
lot, ast qui creda. Dante opmostora pu
babilmente l'opinione di Empedoele,
opore di Aristotele, il quale la ccmbalte
conse falsa.
{ceRo. 7. @1R, 1) Tr. x. 69-76
E della schiera tre si dipartiro
Con archi ed asticciuole prima elette.
E l'un gridò da lungi: « A qual martiro
Venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l'arco tiro. »
Lo mio maestro disse: « La risposta
Farem noi a Chiron costà di presso:
Mal fa la voglia tua sempre sì tosta.»
Poi mi tentò, 0 disse: « Quegli è Nesso,
Che morì per la bella Deianira,
E fe' di sè la vendetta egli stesso;
© quel di mezzo, che al
petto si mira,
È il gran Chirone, il qual nudrì Achille;
lo, che fu sì pien d'ira.
al f vanno a mille a mille,
do quale anima si svelle
Quell'altro è
dallo pietre rotte; v. 28 agg. Cfr. Viry.,
den. VI, 884 ag.
50, Tit: Nosso, Chirono e Folo, v. 07
© seguenti.
#0. AsTICOILOLIL: fresco,
te prima di staccarai
Tendant nervis melloribus arcu
fuit loctla phuretras implere
è Pre, VII, AL Ag
"UN: Neaao, v. 67. - MAUTÀRO
more di pena.
63: cosmincn: dalla Ingua viva de
[Plagio yaoi paziare pore a lu,
come al espo, ma altresì come
furioso della maledetta brigata. —
00. 3tAL: por to. - TOSTA: precipitosa.
Ctr, Ja nt. seg.
BI. XEXTÒ: toccò loggermente per re
darmi attento; tn Fnf. XXVII, 22
tend di cosà, = Nuss0: Il Centauro che
tantò di rapire Delacira, moglie di Pr
calo, onda questi lo ferì mortalmente con
ma freccia avvelenata. Cir, Mneict, 539
e lat,
È, pali sTRM0: benchè vinto e mo-
rette. Lasciò la ama vesto Insanguinata
e E
st ximi: aasorto în pesaleri, ee
mmdosi accorto che Dante è tattora vivo,
ninfa Fillira. Secondo la mitologia, fa fa-
dico, indovino, natronomo è ttit=
sico; fu puro aio, educatore di Achille,
, Ereole, oce. Cfr. Prerg. 1X,97.
nelio nosse di Piritoo con
Eton, violenta ; în Folo, il violente fa-
ore ») Tom,
73. vamso: i Contanri, dal quali È tre
narninati si sono dipartiti per venire fn-
contro ai due Posti, v. 50.
74. er svatui: al trno, esce fuors del
bollente sariguo.
76. SORTILLE: lo diedo ia mete, le di
stinò,
76. vin: Contauri, fiere dall''ombe-
Îlco ln git,= ssut.uit: perdite
nello gambo averano forma di cavallo,
Tx, x11. 97-107
112. [cezc.?. GIR. 1)
n Chiron si volse in su la destra poppa,
E disse a Nesso: « Torna, e sì li guida,
XE fa’ cansur, s'altra schiera v'intoppa. »
100 Noi ci movemmo con la scorta fida
Lungo la proda del bollor vermiglio,
Ove i bolliti facean alte strida.
109 To vidi gente sotto infino al ciglio;
E il gran Centauro dissa: « Ei son tiranni
Che dier nel sangue e nell'aver di piglio.
Jon Quivi si piangon gli spietati danni;
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero
N? roppa: mammella; sul destro lato;
eft. Inf. XVII, 31.
98. ronNa: indietro. Erano venuti in-
contro ni dino Pooti, dunque blsoguara
tornaro Indietro. - al: come Virgilio ha
dotto.
99, cammaR: discostare. - sonmeRA : di
Centauri, ofr. v. 73.» vsrorra: v'in-
contra. Al; s'iNtorFA: s'imbatte in voi.
tr. Inf. XXV, 2. Z. F., 75 ag.
V. 100-129. Diversi violenti contro
4 prossimo. Guidati da Nemso, i doe
‘Pooti continsiano Il loro viaggio lungo la
ririera, Vedono dapprima | tiranni che
diodoro di piglio nel sangue e nell'avere
@ che stanno in quel bulicamo sino al
eiglio ; e fl Centauro mostra loro Ales-
sandro, Dionisio, Arsolino, Obizzo da
Kate (così come dall'altra porte, nel pro-
fondo del bulicame, sono puniti Attila,
Pirro, Sesto ed | ladroni Rinter da Cor-
netoo RinierPazzo). Vedono quindi gente
che tiono fuori tata Îa testa, o fra que»
sti iì Centauro addita Guido conte di
Monfort: pol altri che lascian vedere to-
ata © petto, 0 così via via dannati che
d'olevno con tina parto sempre mag-
gote della persona fuori do sangue, fino
che questo è così basso da coprire |
goli piedi. Qui è il guado, che i Poeti
{ar dopo di che Nesso torna in-
leto,
100, ripa: sicura, But: « Parla quivi
per lo cantrario, cha non fu fido a Iela-
‘alta » (0, Barg.: «Con Nesso, allo fode
del quale eravamo raecomandati ». - In-
Veoa ili xor ci MoveNMO alcuni teeti
Manno om GI MOTKAIMO, los. difesa da
Z_P, 76.
106. anax: Nesso; ofr, v, 71.
100, APIBTATI: crudeli. — DANNI: recati
altraî.
107. Atmsaanpno: il Grande o quel di
Fere? I più intendono del Macedone,
veramente meritevole di ataro co' vio:
lenti è tîranni; ofr. Lucon, Phors. X,
19 ogg. Bene. mostra a lungo (I, 408
408) che Alessandro Magno fosse vio
lento « in Denso, în 40, in presi
et polus in suos quam in extransos ».
È vero che Dante no parla farorerel
mento altrove, De Mon. II, D, Come. IV,
11; ina ciò non significa che non le po-
tesse dannare, Altri intendono di Ales
sandro di Fere, che fuceva vestire gli
uomini di pelli forino e gettar)ì così ai
canì, o faceva purseppallire vivaingente;
ofr. Diod, Sieul. lib XV 6 XVI Pt,
Polop,, 27-29. Qarm. Nep,, Petopa 8, Gli
Alessandri essendo tanti, « com dielmaa
Alexandor (senza più) dobet intelllà per
ezcallentiam do Aloxandro Magno »;
Bene. Curiosa poi la chiosa dol Bambpl.:
< Into fuit Alexander rex lerasalem et
tirannua erudelisafmna, de quo dietttr
quod octingentos viros cum uxoribua et.
fillia una vica necari fecit». Ca
< Qui fa menzione d'Alossandre; 6 mon
mi distendo a dire chi a' fa, @ coma con-
quistò tatto il mondo ». = Zae. Pummt.s
<Il grande Alemandro di Macedonia il
quale tirannoggiando aignoroggiò le due
parti del mondo, cloè Asia e Africae,
“ Lan.: «Queato Aleandro fa nin ti
ranno Il quale vinse tatto il mondo, fe'
molte erudelitadi, com'è serdtto nella ana
vita; fra le quali n'è soritta una che mf
forno a far mortro di quelli di Taramalem
ad uno tratto LXXX mlia nomini colle
ano famiglia » (M). - Socci «Non dice l'an»
tore quale, conciossincosichè namal ti«
ranni atati aleno, | quali questo nome
binno avuto; è perocchè nel
mi contengono tutti | mali fatti
114 [cegc. 7. are.1] = Ixr. xt. 116-180
Sovrn una gente, che infino alla gola
Paron che di quel bulicame uscisse.
Mostrocci un'ombra dall'un canto sola,
Dicendo : « Colni fesse in grembo a Dio
Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola, »
Poi vidi gente che di fuor del rio
Tenea la testa ed ancor tutto il casso ;
E di costoro assai riconobb' io.
Così a più a più si fucea basso
Quel sangue, si cho cocea pur li piedi;
E quivi fu del fosso il nostro passo.
« Si come tu da questa parte vedi
Lo bulicame che sempre si scema, »
Disse il Centauro, « voglio che tu credi
Che da quest'altra a più a più già prema
super 000,1 omloldi, meno rel dl
tiranni, quindi meno fitti nel bulicame,
aloò nel lume di anugno bollento etr. Int,
XIV, 70.
118, #014: per l''euoriità del suo ra
sfatto.
viasri: da Sendere, trafisso.
oRRaDO: alieno, 5 ‘ora dol aacri-
Lei ‘gli antichi, DI cola da colere, nato
lo da' provenzali, ofr. Nenr 4
tas. Carni invesa con altri intendo;
unémoria dol delitto 0 il desilerio della
». Cos "1
Vil, VII, 30; + Kesendo Arrigo, fratello
{Mtdeardo I) aliuolo del re Rie-
elainto d' Inghilterra in una chicca (a Vi-
ferbo) nila messa, celobrandosi a quel
Tora È saeritizio del corpo di Cristo, Gal-
do, conte di Monforte, Il quale era per
lo re Carlo (Carlo I d'Angiò) vicario
padre, morto
ai lo ro d'Inghilterra... Adoardo,...
cuoro del detto muo fratello in una
d'oro fece porre In au una colonna in
105 cai
SETE, 1 el Gpl di ita
, appena.
136. rasso: ralloo.« quente fx iltnogo
dova noi valicammo îl fosso »3 Betti.
127. Da questa: dalla parte onde sia»
mo rennti,
120 cuzDe: creda; forma nata soventà
dagli antichi.
130. A PIÙ A PIÙ cos: vada sempre più
equecendo la ana profondità. < Yueì dire,
che di passo Sn passo va crescendo la
118 [oszc.7. GIR. 3)
Tyre. xi. 1-6
CANTO DECIMOTERZO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE SECONDO: VIOLENTI CONTRO DI SÌ
O CONTRO LE PROPRIE COSE
(t sufoldi sono mutati In piante;
gli nolalsoquatori fasoguiti e abranati da nero cagne bramose © correnti).
LA DOLOROSA SELVA, PIER DELLA VIGNA,
1 SUICIDI NEL MONDO DI LÀ, LANO DA SIENA
GIACOMO DA BANT'ANDREA, UN FIORENTINO SUICIDA
Non era ancor di là Nesso arrivato,
Quando noi
mettemmo per un bosco
Che da nessun sentiero era segnato.
Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e involti;
Non pomi w' eran, ma stecchi con tosco.
V. 1-31, La dolorosa selva. Fatti
di la dal fumo di sangue,
1, pi LÀ: dal guado, /wf. XIL, 130,
3. NIGAUN : non vi era mai venuta per-
mona viva, di cui al potessero dira] le
nto ni può comprendore, Il bosco dovere
pasore atato mal vatico, 0 per consegnente
erribilo; polchè nìcuna gente non anda-
VA per eso: peroechè se alcuni per caso
madiati fossero, erm di necessità il bosco
avere alcun sentiero >; Bore, - + Non ha-
bobat aliquam certam vinm, sed oporte»
segno alcumo di
via, 6 di sentlato >i Ratg.= DO 0ME
do, nà sentiero alcuno 4 scongyra ln
_ £&0,s0x mmosut: non al vedevano quiei
Srondi serdi, come negli altri boschi, ma
soltanto frondi di color forto, clod atarò,
quasi nero; l rami della selra non erano
diritit e linci (redietti), ma pieni di sodi
e introsolati Inodost e énveltit; nom vi ai
(pomò, ma spine vele
‘saggia.
il inogo di dimora di colare, ni
quat questo soon pon Pa ballo nba
\vendolo abbandonato arbitra»
riamente, prima che Iddio dicenso loro:
+ Ritornato, 0 figlioli degli tomlni »,
118 (cere. 7. GIR. 3]
Ise. xi. 22-42
TPIER DELLA VIGNA]
2 Io sentia da ogni parte tragger guai,
E non vedea persona che il facesse;
Per ch'io tutto smarrito m'arrestai.
To credo ch'ei credette ch'io credesse,
Che tante voci uscisser tra que’ bronchi
Da gente che per noi si nascondesse.
Però disse il maestro: « Se tu tronchi
Qualche fraschetta d'una d’'este piante,
Li pensier c'hai, si faran tutti monchi. »
Allor porsi ln mano un poco avante,
E colsi un ramicel da un gran pruno ;
E il tronco sno gridò: € Perchè mi schiante ? »
Da che fu fatto pi
Ricominoiò a grid
i sangue brano,
« Perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietate alcuno?
Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi:
Ben dovrebb'osser la tua man più pia,
So state fossim’anime di serpi. »
Come d'un stizzo verde, ch'arso sia
Dall'un de’ capi, che dall”
E cigola per vento che vi
Rpiri, @ non vedo persona. « Cogli una
sangue è parole. Parla l'antm
dalla Vigna, lagnandosi prima doll'
teatà fattagli, o raccontando poi,
"22, TRAGOKK GUAI! gomero, mandar
lamenti.
"M AMtARMITO: confoso, = Mi
duto bello dagli antichi.
20, npoxcat: grossi oterpî, tronchi ra-
moai ed fapidi. Dal lat. broccAus, ehe in
aloani codd, trovsal scritto dronehus.
27, RR xOI:0 per Amor di noi, 0 per
nom essere da noi veduta. « Ut scilicet
mpollarent nos +3 Per, -« Nom al vedosso
30, soxciti: saranno morzati, marmo
umontiti dal fatto.
acuianta: nebfanti, mi sembri}
ofe. Virp., den. ILI, ST egg. « Porò che
l'Autore non era ministro posto dalla di-
rina giustizia a tormentarli, però sì duole
sl tronco »; An,
nicompeciò; II tronco. — MORRIS
rompi, achianti.
37. srene1ì pianto silrestri, 7. 100,
98. PIA: pietona.
com: come esce l'umore (geme)
® lo atridore (eigola). « Comparatlo est
propria ox omni parte ui, quia de ramo
4 rameo, de amore pi sitio
de stridore rami nà clumorem rami, do
Siolvatta ardea n violenta dtecii
Bene. Cfe. Orid., Mat. IV, 122 app:
« Non alitor, quam cam vitlato fistula
120 [cerc. 7. ok. 2)
xii. 59-68
[tieR DELLA VIGNA]
Del cor di Federigo, e che le volsi,
Serrando e disserrando, sì soavi,
Ohe dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
Fedo portai al glorioso uffizio,
Tanto ch'io ne perdei lo sonno e i polsi.
La meretrice che mai dall'ospizio
Di Cesare non torse gli occhi putti,
Morte comune e delle corti vizio,
ramento, Pior della Vigua si nccine nel
carvere nol 1249. Fa celebre per la sua
eloquenza, di cul fanno prova lo suo let-
tore (pubblicato dall’Zueliue, 2 vol. Ba-
Milen, 1740). Cfr. De Masiis, Della vita
e delle opere di Pietro della Vigna, Nu-
Poli, 1851. 2uillard-. Simprzone Via at 00r>
Napoli, 1894-86, Vol. T, ©,
1607 egg. » « Lo *mparndore fboo nbbe:
Ginure Il savio nomo masatro Piero dallo
Vigne, lì buono dittatore, opponentogîi
tradigione; ma ciò gli fu fatto pe
ti datto sario per dolore
morire în pregiono, © ehi
medemo ei tl n vita
Plor
della Vigne provonno, precipltandosi a
terra du un molo su cui ora trat
atrocellandosi dispo e
D'onde fn che morism nel
Sant'Andrea in Brutto!
che tutti snoî segrot
fl tatto di lui fucoa e dint
anoi di ciò ebbero invidi
a torto; ma furono tani :
meradore lo fece abbacinare. E questi
sondo iu Pisa aportato, per disdegno e
eredando col morira acquistare fuma,
tanto 51 capo al muro, che esso
ucciso nà modesto ». — Tao. Dant.: « Me-
mato alcuna volta pressa da amininto
del ‘Tedesco a Pisa ia alcuno suo bor-
go nominato Arnonico, por fadegno di
sò, porcotendosi il capo a un muro,
finalmente so ucciso». - Rene.; « Nimia
folicitas provocavit eum in invidiam et
odium multoram ; nam coteri quami co-
rialos ct consiliarii videntea exaîtationem
intina vorgoro în depressionera ipsorum,
cemperunt, coniuratione fact, certatim
accuaaro ipsum fictia criminibua. Una
dicebat, quod ipse rat factus ditior pri
cipe; allus, qued ascribobat uibi quie
quid imperator fecerat prudentia ana
alius dioebat, quod ipse revelnbat seoreta
romano pontifici, et alc de alila («e cMi
dice che li fu apposto disonestà della im-
poradrico »; Bu), Imperator suepecten
et credulus focit ipaum exoculari, et har
cinari, et tradi carcori; in quo ipeo noe
valens forre tantam indigwitatora.... se
peo lotecfbatt n — ac fu pai
: del volore © non volere; del
l'amore e dell'odio,
60, serRANDO = chindendolo a cià obe lo
non voleva, et aprendolo a ciò che a me
piaceva. - sOAYI: con tanta dolcezza che
egli non se ne accorgera. Indica ie arti
piacevoli, onde mppe tssinuaral mell'a-
nimo del monaroa.
_ 61, rota: allontanali foel sì, che hi
solo foaai inesso a parte de' suol. î
Probabilmonte ciò. fx fa pro
gione della ana rovina.
10 soxx0: il riposo, 1 rotats la
vita. O, forno meglio, perdi 1) riporo do-
rante la notte, e di giorno il vigore è le
forzo mentali. Ali LE Va LiroLsi, led
in persona, la vita; ofr. Inf. I, DI. Salle
diverse losioni ed Interpretazioni di que
to in0go cfr, Moore, Orit., 304-7. & Pu
80.
MERETRICE: l'invidia, cfr, r, TR, Ali
la Corte di Roma; è forse la certo ro
mana morie comune e delle corti wizio?
— ospizio» corte imperiale.
65. rurti: moretrici, venderecol ; ft.
Purg. XI, 114
66. xoxt: « Patredo csdaro, invi:
dia »; Proverò. XIV, 30, « Invidia dia
124 (cero. 7. arr. 3)
Tsp. xim. 116-125
[ecianAcquaroRi]
Nudi e graffiati, fuggendo sl forte,
Che della solva rompiòno ogni rosta.
Quel dinanzi: « Ora accorri, accorri, morte 1»
E l’altro, a cui pareva tardar troppo;
Gridava: « Lano, sì non furo accorte
Le gambe tue alle giostre del Toppo!»
E poi che forae gli fallia la lena,
Di sò 6 d'un cespuglio feco un groppo.
Diretro a loro ora la selva piena
Di nere cagne, bramose è correnti
116, xvDI : avondo aclalacquato pernin
gli abiti. - GnavmiaTI: dallo cagne © dai
pruni della selra.
317. ROSTA: opponizione di frasche ©
rami, Rosta è ngratieciamonto di rami
18. XLII, XLVII
118. queL: Lano TArvolano Masoni)
da Siena, fl quale dol reato non sembra
fosse pol un grando scialacquatore, Cfr,
Mi
ri
Forno, 180: p.91-114. Si gittò a morto
alcura nella battaglia del Toppo del 1:
mella qualo 1 Sanesi farono scomfiti
RI Aretial. « Iste Lanus fuit quidam da-
- talcellun et Invenie do civitate Senarum
ton fat consumptor dissipator omnia
bonorum sorum - sel auto mortero na-
‘turaleza deficeret ipso Juveno axeante (1)
acontitti dagli Aretini, petendo faggio.
Ja1norte, volle auzi morire quivi ch
Dent. - « Utandivi a flo dignta de terra
40n, focit multas ridendss vanitatea. Se»
= tum non possot dormire, mandarit,
ut portarentur plarea petti pignolnti ci-
fuoti ia colla, ot Incerarentur a
in camora, ut nd litam stri»
dalum sonum provocaretursibi somuua...
Alla vico cum tret do Padua Venetina
per flumen Brente în navi cum allia în-
venibus soclix, querum aliqui puisabant,
aliqui cantabant, leto fatuoa, no solu vi-
dorotar inutili et otlosus, conpit acclpere
pecuniam, et denarion aln.gulutim delice-
re In aquam cum magno risn ommiata.
Cum somel est in rare smo, nodiri
quemdam magnatem onm comitiva tn
gua nobilium fre ad prandinm seonm
«et quia non erat provisna, neo potòrst
in brevissimo temporis spatio providere
sscuntam quod nm prodiguiitati vide:
datur convenire, snbito egregia camtela
usus est; nam fecit atatiz miti igm
in ompla tugoria villa sum satin apia
n paduanoram ; eb
Jens olivia istia, dixit, quod peli
hoc ud fostum et gandinm propter eoram
ipso» magnificentiua hora:
più veloce, gii
190. NOx FUND:
1à presso la Piove del Toppo, quando fuy-
pal avrosti potato nalvaro la vita @
qu io
del To) nd si Ica: quasi a corpo,
como o esc
darla.
122 VALLIA LA Lasa: mancava il
126 [caso 7. om, 2) Ixr. xii 143-151
Tux stica)
To fui dolla città che nel Batista
Mutò il primo padrone; ond’ si per questo
Sempre con l’arte sua la farà trista;
E se non fosse che in sul passo d’ Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,
Quei cittadin che poi la rifondarno
Sovra il coner che d’ Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno,
Isì To fei giubbetto a mo delle mie case.»
140, orrrà è Mirenzo.- BartstA: 8, Glo-
vanni Batista, patrono di Firenze.
Id. ruisto : Marte, » PEN 'QUISTO: por
Tundotta dl ripudio.
la città al cristianesimo, fl tempio
dicato a. Giovanni, è la atatoa di Marte
1° Riedifonta Ta cità ni tempi d
Magno, « diceai che gli antichi av
ppinione; che di rifrla non
ra, 80 prima non fu ritrovai
ir
per li primi edificatori pagani
manzia a Marti, la quale era
tala, la puosero in au nno piliere si
Na riva dol detto fiume, ov'è oggi il e
Nolla grande inondari
«cadde in Arno la statua di Marto, ch'era
ti au) pilastro a più del detto Ponte Vee
ehlo di qua, E nota di Marto che gli
atitichi diccano © lascfarono iu Iscritto,
cho quando la statan di Marte cadesse
0 fosso mossa, la città di Firenze avreb-
. VAL.
3 ID
101 stusmerto! 0 fr, patibolo; frano.
ant. gidet; cfr. Die, Wòrt, 13, 214. «In
domo saa cum quadam corigia elua dicto
loco #e ipaum munpondit. Jt
dicit= 70 feeî, ete. quia locua în quo mu-
spenduntur homines fi
cit, vocatar Subetà,
. da
È quale al da la qiesttta pur
la pubblica Signoria: M al Vento lo te
11 ai impleco, a procede
fattori
Seco delle suo caso A
che sl appiccò sà atenso »; Liam. — «Gili
bottum ost quedam tra a
| rlaliat)twbi bomimen amepenoni
= « Giubletto, oloè forche +; Bose. fai
both ta lingua gallica fdem Lato
ca, nivo loena ubi furea snaponduntar
feno, = + Questo glubbetto è soci
francesco, 0 algulfica luogo delle
perché così si chiama n Fari, at Ses.
— * Giubetto sono fuer! le forche
in PFranola »s An, Mor, — « Tubettam
Pariatia dicitur Sorea, loona mzapendil
aivo pattbuli » Serran, Cfr, Emetol. 918
128 [ogro. ?. rg. 3) = Imp. xiv. 10-24 {FioGAIA DI FT0C6]
10 La dolorosa selva l'è ghirlanda
Intorno, come il fosso trista ad ossa:
Quivi fermammo i passi a randa a randa.
Lo spazzo era un'arena arida e spessa,
Non d'altra foggia fatta che colei,
Cho fu da’ piè di Caton già soppressa.
O vendetta di Dio, quanto tu dèi
Esser temuta da ciascun che leggo
Ciò che fu manifesto agli occhi miei!
D'anime nude vidi molte gregge,
Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge.
Supin giaceva in terra alcuna gente;
Alcana si sodoa tutta raccolta,
Ed altra andava continuamente.
10, BELYA: del suieldi. — L'$ omIRLAN-
ma: elrconda questa lande, ri
viera dol sanguo, XII, 47 o
da la solva. « La dolorosa selva è qual _ Sas. III, 100; XITL, 110: XXHE, 118)
gbiriando nd e: XIV, 901 XK, 38, live scien
<omo fl Aristo fosso di sangue fa alla nel: torme.
va vi Ros. 21, rana 1 dal diversi Boro atti e sodi
11, rosso: 1l Flogetonto. datare, appariva che quell slime enzo
12. nuxna: dal ted. Kond, orlo, mar-
gino, onde a randa o randa valo vi-
ed immediata contre Dio. Vollaro dietro:
jaro Iddio onnipotente, © non poso
neppure muoror mò li. Dici
bestemmia contro Di
nie ricadono, "pra acco ata
Joro pornoma.
28. seDzA: violenti contro matura ed
i lavorare colle proprio mani,
loro vivere del frutto del e
rica a cona Inanimata. Tattavia esempi
mon mancano »; L, Vent., Sindi,, 89, Cfr. di farlo, - RACCOLTA: cssendo gente mom
Bull, TIL, 123 nt. compagnovole, non ad altro fatesì ehe
po che fu fl primo a metterviil al
piede; «Primua areas Ingrodinr, primo-
e pren ponam +; Lucan.,
304, — sorpresa: calcata,
16. vaRDETTA ri retributrioe;
str, Jaf. VII, 1
do, acum: Snda 1e-ioro altonsione cen
tanto più sparonterole. Nataralmente
Tatto lo animo sono nodo (ecesttuati gli
Mpreriti, e. XXITT, 61 agg.); ma fl Poeta
180 (cenc.7. om, 8) Iuy. xtv, 48-58
Io cominciai: « Maestro, tu che vinci
Tutte le cose, fuor che i demon duri
Ohe all’entrar della porta incontro uscînci,
Chi è quel grande che non par che curi
Lo incendio, è giace dispettoso e torto
Sì, che la pioggia non par che il maturi? »
E quel medesmo, che si fue accorto
Ch'io dimandava il mio duca di lui,
Gridò: « Qual io fui vivo, tal son morto!
Se Giovo stanchi il suo fabbro, da cui
Crucciato prese la folgore acuta
Onde l'ultimo di percosso fui;
O s’egli stanchi gli altri a muta a muta
In Mongibello alla fucina negra,
Chiamando: ‘ Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”,
Sì com'ei fece alla pugna di Flegra,
pla Snsaniam » ; Beno. Cfr. Mose
DI anche nel
mondo di 1À.- yansuO: Valoano, fi quale,
accondo la mitologia, fabbriara le
di Giove. Capaneo bestomenia pere
nuo bostemozla vi quae
4 parole anperbo.
34. L'uLto DE: della imla vba su mel
mondo,
85. ALmRI: sol fubbri, elod i a
A MUTA A MUTA! A riccoda, ano
‘altro, dando Joro la tm
56. Dr MONGIBRLIO: nelleusa ta Si
love, secondo la nitelogia, era la
dI Valea, = mmanà= pes: 109
AT aAsADO: grida cono fc ae
ta guerra cd Giganti, Vîrg., den. VIO,
ner
«Tollito eaneta ,,3nquit ‘© emplonque suerte
{tatore,
contro.
ponon e di Laodice, nno
Greoîa confederati con
Tebe, Salito anlle mura doi
aodinta, sîdò ampiamente Giov
fendorla od il Nume, adeguato,
di utaîlo. « Acerbi diconsi gli orgogliosi;
aterdo È contrario di maturo ; è la piog-
giu asumollisco lo fratta cadondo »; om.
Al.: atAxTUMt: da marturiare = marto-
riore. « Videtue quod ignis piuenx non
molifieot duritiem elus, et pinost elus
58, Fueoita; rallo ta
GI SE
gni, | ATOVARO
. ehi per daro In noslata ai
182 [ogno. 7. our. 35) —Ixr.xiv. 77-98
Fuor della selva un piccol fiumicello,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccis.
Quale del Bulicame esco ruscello
Che parton poi tra lor le peceatrici,
Tal per la rena giù sen giva quello.
Lo fondo suo ed ambo le pendici
Futt'eran pietra, e i margini da lato;
Per ch'io m'accorsi che il passo era lici.
« Tra tutto l’altro ch'io t'ho dimostrato,
Poscia che noi entrammo per la porta
Lo cui sogliare a nessuno è negato,
Cosa non fu dalli tuoi occhi scorta
Notabile, com’ è il presente rio,
Uhe sopra sè tutte fiammelle ammorta,»
Queste parole fur del duca mi
Per che il progai che mi largiaso il pasto
Di cui largito m'aveva il disto.
a sangue; ofr, Inf, XII, SI della canapa, lezkono sprovvi
TR. RORSORE
41, 76, 101. d a di anterità © oni contraddice la ato-
usicaxe: laghetto di ace
‘noralo bollente, altuato a duo
piscine con ape
ciali norme e sotto la vigilanza di un
rue,
RL INA: afocata del terzo piro: =
queLLO: cello.
82, PENDICI
olinata.
83, PATT RiAxi lat, Aneta erant, al es
el, quiel, coutia i sa. dini
anch ancheta prosa peri; qui, conte:
87, s00LIARE: soglia della porta tnfee
maloz Za/. TIT, 1 agg.
I, 51. AL intendon lo 90. AMMONTA: spegne tutte lo fis
‘como si partiva dal Bulicamo o molle che vi piovono toprm. Cfe. Tef.
to, dondo al derivava. Cfr. Bas- XV, 2 kg
201 egg. Aurari, Note Dante. 2-98. LANIER IL PASTO 006.3 i den
"I, Tteggio Emilio, 1905, Zult. Ly
n
138 [oero, 7. GIR. 3)
Tur. x1v. 132-142
Cetusr iseeBNALI)
E l’altro di' che si fa d'esta piova. »
<In tutte tue question certo mì piaci
i»
Rispose, «ma il bollor dell’acqua rossa
Dovea ben solver l'una che tu faci.
Letà vodrai, ma fuor di questa fossa,
Là ove vanno l’anime a lavarsi,
Quando la colpa pentuta è rimossa, »
Poi disse: « Omai è tempo da scostarsi
Dal bosco; fa' che diretro a me vegne:
Li margini fan via, che non son arsi;
ue E sopra loro ogni vapor si spegne. »
122, L'ALtmo: Il Flogetonte, - FIOYA:
pioggia, le lagrime del Veglio di Crota.
134. It, saLLON: Flogetonte venendo n
dire fiume bollente (da 9AEyw = andò,
ale. Viry., dem. VI, 50 ag.: « Que rapid ua
fiammis amblt torrentibus arie Tarta-
tous Phlogothon ». Sere, Ad den. VI,205,
dove è detto che Virgilio « Phlogethonta
vooat fuer »), Il bollore di questo fume
doveva farti accorto che osso è per l' ap-
panto Il Flogetonte. Per accorgersene
non occarrerm sspero di greco; bastara
nvero in mente il verso di Virgilio e co-
uoscere la glossa di Servio, oppure aver
piognzione che davano di PAle
gethon 1 leasici allora in uso. Cfr. Care
L 197 ug
Teyndee, Micerche e note danterche, so-
rie siconda, Bologi
Flagetonta? Ecoolo Dì. « Ta bene debe
das coniecturare ex ovidontimizis signia
qui fiavius erat Phlogethon, quando vb
disti urdorem et raborem aqui» bullion:
tis, nom Phlogethon Interpretatar ar
dona»; Bent,
130. vanni: otr. Purg. XXYL, 131
agg. - rossa; cavità infernale,
187. LÀ: nel Parudiso terrestre nulla
sominità della montagna del Purgaterio,
128. PROSTUTA: dall'ant. pentere, sconta.
taper penitenza; ofr. Purg. XXX, 88-87,
«Quando la colpa, di eni dl è avuto peo:
timonto in tempo, dallo pene deî pus
rto è rimossa, olcà tolta, lavata »}
10. pat nosco: dalla dolorosa palma
dol secondo giromo. - vRaNR: venga viti
dietro a ma
141, ast: coperti di arena infocata.
142. varor: fiamma; efr, w. 35, = st
per il motivo già toccato nel
© apiogato poi in af. XY, 13.
Tar, xv. 54-64 TenumetTO LATISI]
142 fosse, 7. air. 3)
È ridncemi a ca' per questo calle. »
Ed egli a me: «Se tu segui tua stella,
Non puoi fallire al glorioso porto,
So ben m'accorsi nella vita bella;
E s'io non fossi sì per tempo morto,
Veggondo il cielo a te così benigno,
Dato t'avrei all’ opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno,
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno,
si TTi si farà, per tuo ben far, nimico:
muli Virgilio, forno per roveronza, come
non nomina mai nè Ia Vergine, nè C'
sto. Lo nomina in tutto fl poema di
volte: la primi Bisso: per cesso n
che
palsib ita sil ati avi
Si può Aatendoro:
nentiero straordinario. —
V.55.00. Fioesde di Dan Ser Rro-
23 ag. Al: Se coltiveraî
0 la meditazione l'ingegno di che rei do-
lato, to me verrà somina gloria. Cfr. Co-
Tagrozso, La predizione di Brunetto La-
tini, Roma, 1500.
GT. w'accoNSI: al è dedotto da questi
veri che, nascendo Dante, Brunetto
Elena faces l'oroscopo, È vero che un
astrologo non congettura, ma spaccia per
infallibili Ie ana predizioni. Ma ora che
laggiù nel settimo cerelio, Ser Bro:
tto avrà lm] pe ‘a dubitare alquanto
bit. — asa 1 dal
68. ren TRINO: in rignardo & Dante,
Brunetto morì ao, Ò
. vaGorNDO : Brunetto fia + optimna
iI Bambpi.
daram genus»; Virg., Gesry. I, 6 =
« Multaquo por colum rolla vol rentià
laborum, Et documenta damos qua
masorigine salle; On Al. TA414
144 [ogre. 7. arr. 3) Typ. xv. 78-90 Torusetto LATINI]
Fa fatto il nido di malizia tauta, »
«Se fosse tutto pieno il mio dimando, »
Risposi lui, « voi non sareste ancora
Dell'umana natura posto in bando;
Chè in la mente m'è fitta, ed or m'accora,
La cara e buona imagine paterna
Di voi, quando nel mondo ad. ora ad ora
M'insegnavate come l'uom s’eterna:
E quant'io l'abbia in grado; mentre io vivo,
Convien che nella mia lingua si scérna.
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
E serbolo a chiosar con altro testo
A flonna che saprà, se a lei arrivo.
78. xDO! Firenze, « È nota, perchà
Miorent
# Fiosolant ruddi Lo aspri di guerra »i
@. FI, 38.
79, riso: sanodito. - DIMANDO: pro:
gblera. Sa ogni mia preghiera fonso osan-
dita, vol naresto ancor vivo; ofr. v. 58.
accora: vedendo eatto fl vontro
anpetto, abbruciato)l rostro riso,r. 20 La
AD ORA AD ORA: di guando
Wi ogol propizia occasione, Se $i
vate può far credore che Brunet: Cal
proprio di.
87. tosova: patolo. = AT ACERNA ; sl Hi
conosca. Ma non contradice il Poe
TESTE
tetto tra lomiti
sell'nferso e Ere padandone sos l no:
È ara alla posterità ? AI
ta pgravigliato di talo
pio conì rispondeva il. D'Oni-
to col pentimente almeno dell'altim'ora,
danna lrreparabilmente anche 1'namo
più virtuoso © nobile in tatto il resto,
Non pensa che è anzi da ammicare la
magnanimità è la relativa sprogiudica=
tezza di Danto, cho, senza ribellues, ad
(uvendosi banditore della divina gia
stizia verso tali vomîni, mantieiza però
virtd.
grosso
| vizio con la aporansa cho questo reati
| neutralizzato dalle vira avrete
al trovavan' uniti persana
con qualohe abito ronzo e barbare, » Si
efr. anche Com.
88. cano: vita futura. = somevo 1 mella
unta monte; ofr, Prov, VII, 8,
cmosan: farmelo
noia pale nic lesene De vasi
Farinata degli Uberit,
ng, eda
Ho Beatrice, dalla quato saprò
DO. DONDA:
di mia vita il dry. X, 188. ptt
di terminare questo
IX
so Dio mì
146: [oxnc, 7. 01.3] Inr.xv. 106-118 CaLmn: sobomiTi]
108 In somma sappi che tutti fur eherci,
E letterati grandi e di gran fama,
D'un peccato medesmo al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,
E Francesco d' Accorso anche; e vedervi,
Se avessi avuto di tal tigna brama,
Colui potéi che dal servo de' servi
Fa trasmutato d'Arno in Bacchiglione,
Dove lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi; ma il venir © il sermone
Più lungo esser non può, però ch'io veggio
Là surger nuovo fummo dal sabbione,
Gente vien, con la quale esser non deggio:
It, rioxa: malattia pedifona, ti csì
nomo è qui usato a designare quel semi
peccatori.
112. coLuI: Andrea da' Morri, fatto
canonico di Firenze nel 1272; veatoto
vi nel 1247 ; trasferito daì voscorado di
Firenze a quello di Vicenza nel 1298;
morto a Vicenza fl 28 agosto 1258 « Di
‘peccatore, e per malta
aciocchezzo che di Inì at tao
17, FUMMO: polverdo, per La resa sio
o»; sadiallo acalpitar di gente.
An. Se. -— + Lease in cattedra a Bologn: 113, aRNTE 600, « È un'altra molleca
Rel generale Studio tatti li di della vita di dannati, alla quale Brunetto non
Sita»; Ott.— « Fun... macnlato ancora micia qua
di questo viziodella sodomin »: An. Fior. por l'lstesna colpa di sodomia,
148. [ozsc. 7. ore. 9]
Tp. xvi. 1
CANTO DECIMOSESTO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE TERZO:
VIOLENTI CONTRO NATURA
GUIDO GUERRA, TEGGHIAIO ALDOBRANDI E IACOPO RUSTICUCCI
CATERATTA DEL FIUME, GERIONE
Già era în loco ove s'udia il rimbombo
Doll'acqua che cadea nell'altro giro,
Simile a quel che l’arnie fanno rombo;
Quando tre ombre insieme si partiro,
Correndo, d'una torma che passava
Sotto la pioggia dell'aspro martiro:
Venian vèr noi, e cinscuna gridava:
v. un. Altra schiera di sodomiti,
n
Lord: PAC
2. omo: seroblo ottavo,
viari, IL rimbombo dell'acqua cadente
Npparira simile, ne) luogo dove i posti.
Strano, sa «quel rombo ehe fanno lo api, aR-
re lograzone colla gran maggioranza dol
rusasi tutti | commenti (Bambpl...
my Lan, Cosa., Boce., Falso Boce.
Duli, An. Far., Serrae., Lond.,
Dan, Cast., coc.} e quasi tutte
CE:
Jo edla. Sas. Dant, leggo con pochi ced.
7, DM:
lamento arme è difficile decidere se
«abbia da loggero arnie oppure arme.
apî Virg., Georg. IV, 200-631
«Tom sonne anditar gravior tructimque We
[rarraat,
Frigidunot
Ut mare
Abutnal i elemsto rapido formaitaa Agnîke
4. rue: Guido Guerra,
dobrandi è Iacopo Ra
mino: al staccarono da' lore
5. comskxDo: non è lor concesso di
formacaî, ofr. Zof. XV, 37 seg. — TORMA:
truppa di porsove. Vose usata dagli n
tichi anche in prosa. Al.: TERRA.
, — BI PAR
foro. 7. or, 8] Imp. xvi. 24-87 Drax rioRENTINI)
Prima che sien tra lor battuti e punti,
Così rotando, ciascuna il visaggio
Drizzava a me, sì che în contrario il collo
Faceva a' piè continuo viaggio.
«E so miseria d'esto loco sollo
Rende în dispetto noi e nostri preghi, »
Cominciò l'uno, « e il tinto aspetto e brollo,
La fama nostra il tuo animo pieghi,
A dirne chi tu se”, che i vivi piedi
Così securo per lo Inferno freghi.
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi,
Tutto che nudo e dipelato vada,
Fu di grado maggior che tu non credi.
aT Nepote fu della buona Gualdrada;
prender l'avversario con va
seno pormenai ocalia,
sea rire locum eto.
758 ag.
BAGGIO | viso: forma antion,
26.19 CONTRARIO: correndo In corchio,
por poter vedere în viso Dante, fermo
sull'argine, erano costretti a volgere sem-
atto sforzato è, quando contro a v
ni va, chesi mostra în non guardare
Antichi. Cfr. 2. 250608
Vi 2R-4f ine dI
Parla uno "tg apiriti in bomo dei
«Quand'anohe il Inogo dove sie
nostro aupetto acorticnto
govoli, la nostra fara t'ind
“i ubi Questi cho mi prosede, è Galdo
Guerra ; quest'altro che mt v
Tegghialo Aldobrandi cà io sono Tacopo
. » Del secondo 0 del terzo
Dante arera dimandato a Clacco, cfr.
Inf. VI, TI seg.
Ngagca ent seho dato che. I tro non po.
torano ancora saperlo. Al.; sobbono (1);
Alix, sx E l'uno cominciò: se mise
TINTO: porohò cotto ed abbruclato,
‘agg. — BKOLLO + nudo @ dipo»
85; acorticato, ofr. Inf. XXXIV,
Enoiel.
nome Gnaldrada, la quale
Jaggiadi tor
soglie per ua ria, chele
fare nella cattedrale Chioma di
ad una festa, alla quale era Otto
poradoro. Era la fanciulla ia
152 (cERc. 7. GIR. 3] Tnp. xvi. 52-69 (RE FIORENTINI]
sn Poi cominciai: « Non dispetto, ma doglia
La vostra condizion dentro mi fisss
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
Tosto che questo mio signor mi disse
Parole per le quali io mi pensai
Che, qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono; e sempre mai
L’ovra di voi e gli onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
Lascio lo fele, e vo per dolci pomi,
Promessi a me per lo veraco duca;
Ma fino al centro pria convien ch'io tomi. »
< Se lungamente l’anima conduca
Le membra tue, » rispose quegli allora,
<E so la fama tua dopo te luca,
Cortesia è valor di' so dimora
Nella nostra città si come suole,
O se del tutto se n'è gita fuora;
52. viaverro: come vol sembrate sup. —dovoincertomodofare:ofr.Inf. XXKX1Y,
porre, ofr. v, 28 agg, - DOULIA» dolori n agg: Quanto dice l'antor moralsotto
la la viziosità, slgnifioata per
mo, che è amara più cho fiolo, e va
Impresso nel cuore,
4. pisrooLIa: si dilegua. La doglia
della vostra condizione durerà fun
tempo a dileguarsi dall'anîmo mie
36. TOSTO : subito che udil dire da o possa 0 eli
o alle Vitt, Burt
deprecativo; così ta viva lnn-
© co la ton
Nio, v. 15 agg. » remars inferi!
‘imero vomini ragguardevoli ‘quali vol
oggi a'usa Il contrario), al tal queste
| vocabolo dalle corti e fu tanto a dire cor
ar Prp. XXVIL 110) XII, TI ng vegnachè valore
Elaponde alia dimanda contenuta impli- 3 possa por più mod. qui aî prende va-
Siamente nel 7. 71 ver; Jore quasi potenza di natura, ovvere
02. tnoxmar: ote. Inf. I, 112-129. dont alla data »1 Gone. TV, e
Gi. catiO: dell''univarao, dova è Lu- crrtà: Fireme » svote: solova al
cifàro. = TOM: cada, discenda. Tomare
propriamente cauere a capo fn
ciò che Dante, arrivato al centro, l'una e l'altra
154 ([cgno. 7. Gik. 3) Typ. xvi. 81-94
Felice te, che si parli a tua posta!
Però, ae campi d'asti lochi bui,
E torni a riveder le belle stelle,
Quando ti gioverà dicere ‘Io fui’,
Fa' che di noi alla gente fivelle!»
Indi rappor la ruota, od a fuggirsi
Ale sembiàr le gambe loro snelle.
Un ammen non saria potuto dirsi
Posto così, com’ ei furon spariti;
Per che al maestro parvo di partirsi.
To lo seguiva; 6 poco eravam iti,
Ohe il suon dell’acqua n'era si vicino,
Che per parlar saremmo appena uditi.
Come quel fiume c'ha proprio cammino
86, rU»rRR> acloltaro f1 corchio che fa
covan di sò, v. 21, e fuggirono com tanta
fretta, como ne le veloci loro gambe for
goro stato ali.
87, ALE: « Pedibus timor addidst lu »;
vi VII, 2%.
«Jo un amesen neasi tot:
per dingrazia il parlar liberamente è di
rudo atto n safiz/are altrui. « Parento
gnere.
121 agg. «Sio alt et dioto citta tomsda
aequora placat»; Viry., dem, I, 14%
90, ramvni è Sl lat. vteum est; parve
opportuno,
136, La corda i
ai odo il rumore del
e ta giù nell'ottavo cerchio.
Quivi Dante al scioglie da una corda che
aveva cintaintorno, ola porge a Virgilio,
maniora a sus posta e qualunque volta il quale la butta giù noll'ottavo cerchio:
el voleva»; Gelli. A tel sogno vien sn nuotando par Paese
un orribile mostro, cho è Gerlane, Al cur
stodo del gran regno dol fredolenti
93. ik ranta: parlando el saremmo
appena nditi l'un l'altro, tanto grande
ossondo il fracnaso della camonta del Fle
Loss Ponto ll Montone, 0 pinttasto an
Acquacheta. -
rioFRIO CAMMINO: cho va direttamente
la momorsa; i soli traditori deri- + al mare, polchè tutti i fiumi tra it Po sd
di essere dol tutto dimenticati, stniatra.
LT, 94, onde nun al manifasta-
no che nella speranza di far infamare |
mozofoi | ofr. Inf, XXXII, 7 agg.
156 (orso. 7. ois.3) = Iwr. xvi, 107-198 [compa pi panta]
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che l’ebbi tutta da me sciolta,
Sì come il duca m'avea comandato,
Porsila a lui aggroppata e ravrolta.
Ond'ei si volse invèr lo destro lato,
Ed alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quell’alto burrato.
< E' pur convien che novità risponda»
Dicea fra mo medesmo, <al nuovo cenno,
Che il maestro con l'occhio sì seconda. »
Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno
Presso n color che non veggon pur l'opra,
Ma per ontro i ponsier miran col senno!
Ei disso a me: « Tosto verrà di sopra
Ciò ch'io attendo e che il tuo pensier sogna;
'Tosto convien ch’al tuo viso si scopra.»
Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna,
De' l'uom chinder le labbra quant'ei puote,
118, caUni: persino ne' loro pensieri
119, orna: atti eateriori e parole prof:
116. xUOTO: asche qui nel senso del
lat, nomus = lusolito, nox mai visto. Bia
(Seggono raccolti, tormentati dalla pioggia di fuco
GERIONE, SCROVIGNO, BUIAMON
DISCESA AL CERCHIO OTTAVO
«Ecco la fiera con la coda aguzza,
Che passa i monti, e rompe i muri e l’
Ecco colei che tutto il mondo appuzza
4 SÌ cominciò lo mio duca a parlarmi;
Ed accennolle che venisse a proda,
Vicino al fin de’ passeggiati marmi.
V. 1-33. Gerfone. Ecco Gerione, la acolei erant in caudis
sozza imagine di froda! Ha faccia d'uom —atas esram nocere ho
giusto, dne branche pelose, corpo dipinto —quingne. Et habebant
di nodi e di rotelle, coda agusza e vele. —Angelumabynal;» 4pr
nosa. È il simbolo della frode. Il Ge- Lanci. Della forma di
rione della mitologia, figlio di Crisaore ma, 1858. Betfi, Seritt
© dell'oceanica Calirroe, fa un gigante 89. Enciclop. 885 ag.
a tre teste 0 a tre corpi (Luer., Rer. 1. AGUZZA: apponti
nat. V, 28. Firg., den. VIII, 202. o- —2. FASSA: coi nulla
rat., Carm. II, 14.8. Ovid., Heroid.IX, in ogni luogo, vincen
91. Senec., Agam., 8%, ecc.). Descri- Contro la frode poco !
vendo la figura di Gerione, Dante si sco- difese della natara (1
sta dalla mitologia. Il suo Gerione no- — (imuri el'armò).-1M
piuttosto MURA Eb ARMI. «AVI
DI «mt. l'artfenlo a' monti. no
160 ([cerc.?. 018.3) = Ixe.xvi 20-83 Torrione]
Che parte sono in acqua @ parte în terra,
E come là tra li Tedeschi lurchî
Lo bivero s'assetta a far sua guerra;
Così la fiera pessima si stava.
Su l'orlo che, di piotra, il sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
Torcendo in su la venenosa forca,
Che, a guisa di scorpion, la punta armava.
Lo duca disse: « Or convien che si torca
La nostra via un poco infino a quella
Bestia malvagia che colà si corca, »
E dieci passi femmo ii in su lo stremo,
Por ben cessar Ja rena e la fiammella.
ieri et supra omnem virtutem
et nibil vobie nooebit »y Tare.
Val. VI, 75. Serrav,: « Uni spet
in partibua Alumanio, quo vocntur Lur-
SILA
22. pIvERO: caatoro. « Dicitur do bi. —
ne
guitoe ad modum. Tana
où veniunt, tunc se ravolvendo |
al allontanara dalla prima, e quin-
É% ar E
la pena. Diees sono | generi delle frodi
Ki de ri oe a ea
Iforeota, potendi
i'uomo nsar frode în chi al fida e in chi
mon si fida; otr. Inf. XI, 52 egg.
168 (oro. 7. n.3) Ixp.xvis. 105-119
E con le branche l'aere a sè raccolse.
Maggior paura non eredo che fosse,
Quando Fetonte abbandonò li freni,
Per che il ciel, come pare ancor, si cosse;
Né quando Icaro misero le reni
Sentl spennar per la scaldata cera,
Gridando il padre a lui: « Mala via tioni! >,
Che fa la mia, quando vidi ch'io era
Nell'aere d'ogni parte, e vidi spenta
Ogni veduta, fuor che della fiera.
Ella sen va nuotando lenta lenta;
Ruota e discende, ma non me n'accorgo,
Se non ch di sotto mi venta.
Io sentia già dalla man destra il gorgo
Far sotto noi un orribile stroscio;
sunu'arue: danquo Gerkeno nd
si
non seppe den dirigenti © frenarii, x noll’aria, non nell'acqua, come pre»
precipitò nell Eridano; o! Ò .
109. Teao: Giglio di Di
par fuggire da Creta,
all di ponno, appiocica
sera, Tearo volò troppo
comando del genitore; la cera | pigitando larghi gir.
Vicinauza del solo al liguefoco; ‘acqua del Flogetonte,
wtsccarono ed Loaro cadde nol mare | eft. antenato nll'ottavo e
Qoid., Met. VILE, 203 agg. Horat,Varm. chio. Gorgo, Int. gunpur, è propriammenita
Tati quella fosa che a ed cpio l'acqua
"ALI. ORIDARDO è < At pater infellz, nee
lam pater: Toaro, dixit, Learo, dixit, ubi Sk pacne stropito « amono dal ea
Tana Di rogito recolou Ione? di: Limited soda Bora Giri DURE
oebat; » Oeîd., Met. VITT, 231.32. 11°, 700. v. Troseia,
Corro. a. 50161) Ixp. xvmx 48-57
Porciò a figurarlo i piedi affissi;
E il dolce duca meco si ristotto,
Eà assentì che alquanto indietro gissi.
E quel frustato celarsi credette
Bassando il viso; ma poco gli valse;
Ch'io dissi: « Tu che l'occhio a terra gette,
Se le fazion che porti non son false,
Venedico se’ tu Caccianimico;
Ma che ti mena a si pungenti salse?»
Ed egli a me: « Mal volentier lo dico;
Ma sforzami la tua chiara favella,
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
To fui colui che la Ghisolabella
Condussi a far la voglia del Marcheso,
Come che suoni la sconcia novella.
43.1 rMett Avvissr: mi formal, Al: ori —dellaChiosatAn. Fior.,Tal., Boca, Benws,
0001; ma Virgilio con lui st ristett,
il cho non al fa cogli oechi.
44. DOLCE: « Îl duca è di
chè fa compiscente nol ristarui 6 per-
miettoro che Dante andasse alquanto in-
dietro »; Ross.
45. ixpretto : assondogli il dannato già
53. cutaRa ; precisa, chè Dante ni mor
10 informato dol peccatore e delle
egli, nobile cavali
Utto @ di trovarsi
nto, quod non
(ttlagito infamia Isbornt contra nu Betti.
talîu fraudia, et cat maxima pare BA. pa sovvexm ricordandomi lo salsa
prtmm »; Zeno, e chiamandomi per nome.» ANTICO: Ùl
#R ATRRRA ORTTR: gotti, abbansi gii mo di Tnsst, per mo pamato. Al: Il
sochi a terra. mondo degli antichi Romani ni quali $a
mi parl rassomigiiaro ().
56, 10 ut» Als 10 #0N | ef, Moore,
Ori
81. cme: il fatto non era accertato,
2 Altei vuol dira che 'l fuo non con au-
pula dal ditto, ed altri dice che non fa
nulla»; Lom. AL
(Ore.
174 [cerc.& BoLo. 1] Ine.xwmi. 67-84
n To mi raggiunsi con la scorta mi
Poscia con pochi passi divenimmo
Là "vo uno scoglio della ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo,
E, vòlti a destra su per la sua scheggia,
Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
Quando noi fammo là, dov'ei vaneggia
Di sotto, per dar passo agli sferzati,
Lo duca disse: « Attienti, e fa' che feggia
Lo viso in te di quest’altri mal nati,
A’ quali ancor non vedesti la faccia,
Porò che son con noi insieme anda
Del vecchio ponte guardavam la traccia
Che venia verso noi dall'altra banda,
E che la ferza similmente scaccia.
E/l buon maestro, senza mia dimanda,
Mi disse: « Guarda quel grande che viene,
E, per dolor, non par lagrima spanda.
87, RaaGrusni : ritornal da Virgili che
Nera formato, r. 44, mentro lo ornano
dato alquanto Indietro, v. 45.
68, cox rocmi: dopo aver fatto pochi
passi. — DIVENDONO: arrivamimo.
60. Là "vu: Al: Dov. = vecta: ofr, v.
der.
TO. LEORRAMENTE: agevolmente.
TL: ScImOLA | dorso arpro è mal ta-
ato quanto de' superiori cerchi
questa, che lasciavano ora
T' ultima. » Eterno è tutto
quindi ogni cerchio,
T8.x1: lo scoglio. - vawmcota
lasciando sotto di sò un vani ; per dar
posò al fruatati giù nella prodi
TG. ATTIENTI : soffermati.
lie, difona da 2, F., 107; cfr.
188. = yEcGOLA : forinon, cfr. Saf.
mati venga mn ‘colpirti, a posarsi anila tua
»1 Pass.
ITO. ALTRI: la mammada del seduttori
onto. Inquale cammina nello
itesso senso in cui Grano andati | Poeti
alno atto scoglio.
70. vaccmo: efr. Znf. III,7.- Lao
ora: la soblera di quei di tà, v. 297.
ADILIRNTR: nello atesro moda che
{ rufilani, — scaccia: Al: sonzaccra, I
demoni cacciano quel miseri, facendo ora
levar le derze, v. 37, onde fuggono senza
arpettar le seconde nè le terza, percomo,
vi 39, « Il vocabolo sehiacciare @ Il ano
ite, ro di Leno, e regina di
dopo l'accinfone del maschi; e seduttore
\bdio di Medea, la bella figlia del re
olchi, la qualo pot abbandonò
or di Crensa. Cfr. Par. II, 18.
Metam. VIE, 1-168. Qui paga ti flo della
00 sodiazioni, benchè ala altre eda
flossibilo, quasi come Capanoo, of. Inf.
an 40 ne
82. asza: Dante non avrebbe potuto
distinizuere Giasone che correra cogli
altri, se Virgilio non né lo avesse reso.
Bitento.
#3. quer onaxnsi Cr. Saf. XXV, 46,
86. T*R DOLOM: por cho sia ©
176 [crro. 8 soLo. 2) Inp. xvitr. 101-115
Con l'argine socondo s*inerocicchia,
E fa di quello ad un altr'arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa,
E #è medesma con le palme picchia.
Lo ripe eran grommate d’una muffa,
Per l'alito di giù che vi si appasta,
Che con gli occhi e col naso facea uffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
Loco a veder senza montare al dosso
Doll'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
Vidi gente attuffata in uno sterco,
Che dagli uman privati parea mosso.
us E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco,
coll'argino, perchò Îl medesimo sco; aoconda bolgia erano inorostate quasi di
draverna gii argini totti, © fn
tanti archi, L'argino è spalla cho rogge
gli archi, » Tom.
109. querm: dal erociochio.
conta: È più aplogano; Sì dolgo
Mentano; aggiungendo cho nirhire di
desi propriamente dei gemiti cho manda
Ja donna nelle doglie dol parte. Al: SI
104. 3ruso; txa questa voce perchè
‘adalatori Ieccano a mo' di cani. »snuvr.
«giont fucit porcus in cano, et bene di
èit, quia vitinm adolationie stat in ia:
Trib»; Leno.
108. riocnia: batte, perenote.
108. anommATE: lo ripo Snterno della
grama; ofr. Par. XII, 114, 51 qual verso
è commentato dal proverbio : ZI dwen vin
So gromma e il cattivo mufa.
107, ALITO: esaltazione densa è puszo-
ente che rien dal fondo 0 nl a;
alle ripe o muri laterali della bolgia.
odi
dure ai aggiangerano le puntare sonte
dell'amimoniaca calante ria questa bel-
gia, che aveva proprio l'aspetto ed il em
rettore d'una fogna di latrina,
109. curo: come îl cuore doll'adalatore;
<lo profondità di Satana; » Apoe, 11, 24.
110. Loco: Al: L'occmo. « Convien
jl più alto del ponte, giacchè per
011 raggio visualo dormo sooetata
dia in perpendicolare, sarebbe ito a ferire
no tr fondo, ma l'una o l'altra «panda del
foaso . Sign
vizi o'bisogna allontamarsene;
l'adiazione segontamente, onpa fnazse
© rohifona» 1 Tom.
119. aTRR0O: loro elemento fm vita
Cfr. Giobbe XX, 7: « Quart aterquili
nium ta fino perdetur.— Threa, IV, 5:
s Amplexati sunt atercora. »
114 rrivatii così, Parca calato lag-
giù dai comi di queato mondo. « Facit
meutionem pottus de stercore humano,
quam alterina animalia, quia adulari sat
proprium hominle, non alteriva untma-
lt »1 Beno,
V. 115-120, Alessio Intorminelti da
Tacena, Dante vede laggiù uno tntto lor
178° erro. s. soLo. 2] Tx, xvru. 182-198
[rampe]
Pd or s'accoscia, ed ora è în piede stante,
Tide è, la puttana che rispose
Al drudo suo, quando disse ‘ Ho io grazie
Grandi appo te? ':‘ Anzi meravigliose!"
136 E quinci sien le nostre viste sazie. »
{anctor]non poterat meltualoqui,conside.
rata persona de qua loquitur, quia sermo»
nes sunt formandi secundum aubiectam
materiam »; Bene, » « Omnia verba suis
locia optima ; etiam sordida dicuntur pro-
SÙ Quintiliano.
\0008crA : si pone sulle cosce.
Lobdiora Facciamo; e ora atosso iu
più ha la sua allegoria; ma meglio è le-
sciare invilappato nella ema oacarità quel-
lo che onestamente non si può esplicaro
ono: Il soldato Trasone, quando
lo ebbo mandato in dono una
Versuch 1, 169, IL Betti, Scritti dent..
25 ng, sl avvisa obo Dante, non avendo
lutto Terenzio, attingesso al seguente
Juogo di Cicarono, De Ammiest., 20: « Nulla
est igitur ho amicltia, cum alter verum
andire non vali, alter ad mentiendum
parotan est, Neo paraaitorum in comex-
ila amsontatio nobis faceta videtur, lai
casont mallites giorioai: Magnas vere age-
re gratiaa Thais miht? Satie erat re
spondere mayna2; ingenter inquit, Sem
por auget nasontator id quod la, cuina
Ad voluntatem dicitar, vult cas ma-
guom,» I il Betti osserra: « Usò Dante
nella Die. Com. la ricorlanza di questo
passo; © tolto facilmente, siccome è
chiaro, Il nominativo Thais per un voca-
tivo, tenno che il vano soldato parlasse
quelle parole non al paraasito Guatone,
alla donna: © ch'ella rispondesse a
lui quelia insoffribile placenteria. » Certo
dè più apiogabile {l piccolo abbaglio di Di,
se supponiamo ch'egli avesso in mente
non Ia commedia di Terenzio, ma la ol-
noe di Cicerone, - anazit 1 mertti,
Arro: lat. apud, appresso.
Da guier: di qui: gli cochi nostri
sinno sazi di quanto abbiam veduto di
queste sporche creature. Dante dedica
pochissimi versi a questo gonoro di pee-
catori, Per lo bolge del ruttiani e dei lu-
siugatori basta un solo cantò,
lsnmeosiaci] 179
wr =
CANTO DECIMONONO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA TERZA: SIMONIACI
(Confiti, col capo in,gib, dentro fori non iarghi, lasciano sporgere 1 piedi,
le piante de' quali sono accese, 0 parte dello gambo)
PAPA NICCOLÒ II
0 Simon mago, o miseri seguaci,
Uhe le cosa di Dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
Per oro e per argento adultera!
Or convien che per voi suo!
Però che nella terza bolgia state.
Già eravamo alla seguente tomba
“
î
|
21), Da lui si denomina fl far mercato
di naoro,
IDZIREE
il ;i
fil È;
pitti
FELE
I, 3 329 ag.
4. ADULTIRATE: fato. voatro illegitti
amento, comperandole come una merce,
aicchià la vostra unione a lore è adulto
L
DI
pati
182 [orre. 8, soLo. 3) Ine. x1x. 28-41 [xiccoLd in}
28 Qual suole il fiammeggiar delle cose unte
Muoversi pur su per l'estrema buocia,
Tal era li da’ calcagni allo punto.
< Chi è coluî, maestro, che si eruccia,
Guizzando più che gli altri suoi consorti, »
Diss'io, « e cui più rossa fiamma succia? »
Ed egli a me: « Se tu vuoi ch'io ti porti
Laggiù per quella ripa che più giace,
Da lui saprai di sè e de' suoi torti. »
Ed io: « Tanto m'è bel, quanto a te pinco:
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che sî taco. *
40 Allor venimmo in su l’argine quarto:
Volgemmo e discendemmo a mano stanca
quali rengon legate lo cnola di verso la -— 34 rontt: «quia ipso cura corpore nom
Le poterat ire por ripam arduam +; Bene.
quat 600,e 11 rentazi ata questi La ripa era por Dante troppo aconcena. I
Econ veral nascondono per avvantara un'al-
logorta quale. 1) rimproversre tomie
al giù capo della Chionn i vizi
Virgo "Arm. TL GR, — e Nec portato da Virgilio, cloò dalla nt»
Ifunt iguos ad toota domoram Et geleri — proma antorità secolare.
39, ite41 inferiore, che più piace, ciod
7 agire
30. Da 1ur: egli stesso ti dirà chi egli
0a) sia la ava colpa.
plant
da cai fino alle punte
V. 31-78. Papa Niccolò t
veda uno che gnisza coi pi : efe. Inf. X, 18: XYI, 118 meg.
altri. Ajotato da Virgilio, ki fl vixnoro | Dante portato da Virgi-
pi dimanda: « Chi seit » I
opi
potesso
‘un corpo reale, è inutile, Gli epl-
riti sono dotati, secondo la credenza po:
| polare, di forze fisiche, siochè possano por
è NI tare la ponte non meno dal diavolo, che
{un Oruinî che fa papa ilal 25 nov. 4 ini pare incorpereo: Certe deu e
2 mag. 1280), confessa lo suo col; nota, circa la densità è rosiatenza dell
ehilara a Danto la condizione ssa ombre, preti i
32, UIZAXDO : contorcendo lo ragioni dell'arto cl danno auiclente
COMORTI: nella colpa o nel Soppliio. apiegazione. - QUALTO: come che
3. suocia: « perocchè la fiamma di separa la terza dalla quarta ua
EE ca: quelo urta, pera gessi primo argine è la roccia, dal out imo al
non ardere Idea cpr er muovone gli scogli; Inf. XVII, 16,
ero la untura fuori della dotta 41, voLanuazo: dal ponte verso la bal
ine; Barg. gia » erANCA è sinistra.
184 [orso.a soa. 3] I
. xix. 66-70
[siocorà 1]
Ei Se' tu sì tosto di quell’aver sazio
Per lo qual non temesti torre a inganno
La bella donna, e poi di farne strazio ? »
Tal mi foc'io, quai son color che stanno,
non intender ciò ch'è lor riaposto,
Quasi scornati, e risponder non sanno.
Allor Virgilio disse; « Digli tosto:
* Non son colui, non son colui che credi
Ed io risposi come a me fu imposto.
Per che lo apirto tutti storse i piedi;
Poi, sospirando e con voce di pianto,
Mi disse: « Dunque che a mo richiedi ?
Se di saper ch'io sia ti cal cotanto,
E veramente fai figlinol dell’orsa,
56, avait: ricohorzo mal noguistato;
VU VID
CL L'issil
fuetig quiadi glepgere pupe (eh. VI
VII, 6)
BT. DONNA: Chiesa; ofr. fer. V, 27.
DRS A dita lo parole: « una « Pr
mea», Cont. VI, 8,
Jen, perfoota
Sileno alla Cluios. —TRAZIO : ali:
neggiando.« Nullomaggiore strazio pu:
momo faro della 4qu donna, ch
ut 1070. «Aoceplt autem qu lam via
nat potontiam et papalem maguificen-
tam filataro, Cata» processor Clo:
adinua miracula oporatua ent în vita ana
‘et post mortem, Ipse voro Honifacius fe-
ll walrabilla multa tu vita ana, sod olus
milrabilia in fine mirabiliter dofecerunt. »
a Laico Fit. sel XXIII
Artogana,
fi ateo crntemiiva8 >; dt Mereto
“Seript. XI, 1203.
88. TAL: Fimmal fi come ohi, men avendo
Gitmprimo ciò che gli è atato
acormsto, Don sa che debba
#2. X0K son: avando Niccolò ripetuto
la domanda; 8° fu, 000. v. 82 ug., Vr
gilio dico a Dante che ripeta lui pure la
rieposta.
Vi TUTTI: affatto; AL: TurTO. Off
Afoore, Orit., 826 ug. Inf. XXXI, 1b.=
store: In questo atto fatto per papa
iccola ai mostra, che ai pontissa delle
dotto di papa Bonlfazio; a daro
ad intendere, che l'uomo non idee essere
presuntuoso a dire malo d'altral +; Ott.
= « in niguum Iran ot doloria. Doluît erlia
quod iste nou esset Ionifacius, quia in
advento elua orat cooperiendus ab 00»;
Beno, Così pure Butt, Barg., Tal, Fall,
Gelli, eco. « Por vergogna d' aver par
Jato ad altri cho a complice suo »; Tom,
Pot., eco, Forse ha fi Rone.: «Il
papa Orani all' adîr da Danto ch'el non
era quel Bonifuzio da lui sì avidamonte
ttoso, nella aperanza di scersare al venir
di toi la propria pena (poichè a eolee
che van sotto al spagna la fiamma delle
pianto [1], tutti distoruo 1 piedi nel suo
dispetto. »
87. T1 cac: a ti promo tunto di wi
pere chi fo ein, che tu abbi per queste
scorma la ripa che è tra l'argino © que-
ato fosso.
19, DLANTO 1 papale; afr. Dese
TO. u&LL'ORRA : degli Oraini, elio fureno
ste agnieira che
vuole
Ft ho 4 Ippordo na emi nn
ni nazio » ; Buti,
190. fecero. 8. poro. 4]
Typ. xx. 1-9
CANTO VENTESIMO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA QUARTA:
INDOVINI
(Elanno il capo stravolto e camminano all'indietro)
ANFIARAO, TIRESIA, ARONTA, MANTO, ORIGINE DI MANTOVA,
EURIPILO, MICHELE SCOTTO, ABDENTE
[ INDOVINI MODERNI
ED AL
Di nuova pena mi convien far versi,
E dar materia al ventesimo cauto
Della prima canzon, ch'è de' sommersi.
Io era già disposto tutti
quanto
A riguardar nello scoperto fondo,
Che si bagnava d'angoscioso pianto;
È vidi gente per lo vallon tondo
Venir, tacendo 6 lagrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
Y. 1-30, La pena degl’ indovini.
Laggiù nolla quarta bolgia è una gente
cho vm piangendo n passi lenti e nbmorati,
vol capo stravolto, © però guanla lo o
eatuminando all'indietro, Sono,
vini che pretendono di vedere i!
è non vedono nemmeno fl pros
Teco in rita vedere troppo davanti, o
dopo morte sono costretti n gr
Indietro. Dante piango di compassiono;
mo dolla Sn Riustinia.
È. xuOTA FEXA: singolare castigo.
3. caxzox; la cantica dell'Laforno, che
Bralta dei dannati. - souxERS: nella vo
1 ga infernale.
4. biarostO: m'era già posto a riguar
dare colla massima nitenzioni
6. acorEatO 1 per 1 Poeti, che orano sul
olmo dell'aro, att. TN XX: 128. Tn:
veco Benv,: « Hoo pro tanto dicit, quia
simoniaci tn tertla bulgia sunt coperti
aub terra, et adalatorea fn seccmda bul«
gi
n non degli abitatori,
8, AT IAONAYA : tauto copione onsendo
lo lagrime dogli indovini,
8. TACKSNO : sembra che a motto dello
strano stravolgimento, gli indovini at
liano perduto la fncoltà della fuvella:
infetti nessuno di essi parta, Vollere par
lar troppo, o qui non ponson parlare, =
LiGUMAxDO: d'Inttii pentimento.
9. LETANR: gr, acdvrar, lat, bifanlai,
oggi comunemente Sapplicaxiont,
Espiazioni ; qui per Procsssioni. Vuol dire
cho ventrano lentamente 0 tacitamento.
192 [ogso. 5. HoLO. 4]
Tnp. xx. 28-37
[uvpoysnt ANTICHI]
28 Qui viva la pietà, quando è ben morta.
Chi è più scellerato che colui
Che al giudicio divin passion porta
3 Drizza la testa, drizza, e vodi a cni
S'aperse agli occhi de' Teban la terra!
Per ch'ei gridavan tutti: ‘ Dove roi,
sm Anfiarào ? Perchè lasci la guerra ?*
E non restò di ruinare a valle
Fino a Minòs, che ciascheduno afferra.
7 Mira che ha fatto petto delle spalle:
28, vryn: qui, nell'Inferno, è pietoso
il mostraral spietato. Gluoco di parole,
como Par. IV, 105. Dante mostrò com:
piuslone di Ciacco, di Franoesos, di Pier
della Vigna, occ., nò Virgilio gliene fe'
rimprovero, anzi egli pure mostrò com-
passione, Inf. IV, 10 ag. Que” che peo:
‘arono per incontinenza, son degni di
compasatone; gli altri no. Ma non sog-
gincolono anche i primi al giusto giudizio
di Dot = « Quelli ch'è pietoso è ginato;
© giustizia vole, secondo che l'uomo
aopera, abbia merito di bone 0 di male.
Adunquo, non deo uomo osser pietoso di
vedere punire i malfattori de la giustizia
che vuole Tddlo »; An. Sel. - « Non aver
pinta: dagli tulbenali è asse piatoso
ruti, — « L'anime de'bosti sono concorde
‘alla volontà di Dio, altrimenti non nareb-
tento di tale giatisia; et chi contradi-
coso coll'animo, discorderebbe dal vo-
loro di Dio »; An. Fior. = Dante sogue
qui 8. Tommaso, secondo tl quale «8unoti
do peenia im gandobont, » non giù
‘dello pone « por sò stesse » mo « per acci-
den», considerando in ele divinm juntitio
ordinem »; Sum. {A., LI, Suppl. 04, 3.
Utr. Della Torre, La pietà nell Inferno
Lantesco, Milano, 18%,
20, rABioN FOLTA: A. : 00MPASSION
PORTA 1 Al.: rAMION COMPORTA. Cfr. Bet-
Beritti Dast., 20 ag. Z. F., 116. Moore,
Orit., 320 ng. Bano, Versueh 1, 189 ag.
Qaalo ala la vera lezione, è difficile de-
‘adore. Circa il senso, ban voluto taluni
vedere nel vr. 29 ag., anzichè la conti-
mmazione del rimprovero virgMliano per
ia
l'inopportuna pietà, un' allusione alla
colpa del dannati della 4% bolgia; ma
noi pare che l'interpretazione più pro-
babile sia quella che unisce strettamente
1 vv. 30.31 al tro precedenti © che si può
formulare com: « Chi è più scellerato di
colui che aoffre movimenti di com)
no nel cuor suo, mirando gli effort della
divina ginatiziaî » Certamente Il verso è
dol più soggetti a discusatano: vedanal
io propoaito le dotte e finì considerazioni
del D'Ovidio è del negli epa-
acoli elt. nella nt. 10,
V. 31-39. dinytarao. Mostra V:
Dante 0 gli nomina alcani de' più famoni
indovini dell'antichità (alno al v. 114) 8
del tompl che per Dante erano moderni.
Il primo è Aufisrao, figlio di Olcleo è
di Ipermnestra, uno dei sette re chie ner
seillarno Tebe por rimettersi il re Po-
lince. Co'suoi indovinamenti esnobbe
che, prendendo parte alla spedizione dei
sotto, avrebbe perduto la vita, epporò
si pascose. Ma, tradito da sun moglie,
dovette andaro anch'egli alla guerra.
Xid un giorno, mentro armoggiava sul
ano carro, Giore apere la barra con un
fulmine, ed Anfiarao ne venne
tito sotto gli occhi doi Tebani (Stat,
Theb. VII, 000 agg.). Alemoone ano figlio
no vendicò la morte, uccidendo la ma-
dre; ofr. Purg. XII, 50 ag. Par, IV,
108 agg.
53. RUI: lat. rue, dove rovinit «Qui
prsceps per innne rus? » Parole deri-
sorio del Tebani amadiati, leti della di-
giù mell'Inderno, È
eni cerchi a0n0 detti tante volte ralliy
ofr. at, 1. e.
MIT Lde alt, DV, d — anvanal i
Rottraral al nuo
Frirori ole. Inf. V; 4 NEK.
n
[oerc. 8. BOLG. 4) = Inp. xx. 58-65 TmaxgovA]
Che tu non vedi, con le treccie sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre molte;
Poscia si pose là dove nacqu’io;
Onde un poco mi piace che m'ascolte.
Poscia che il padre suo di vita uscio,
E venne serva la città di Baco,
Questa gran tempo per lo mondo gio.
Saoso in Italia bella giace un laco
Appié dell’alpe che serra la Magna
Per mille fonti, aredo, e più si bagna,
Tra Garda e Val Camonica, Apennino
di
56 ‘
XXI, partorito da Somelo.
do per mol! 7 00, QUESTA: costel, Manto, andò fun»
aitvore Ta Lombariia.. o i errando per {l mondo.
50. co: lago, como preeo par pre-
29, 000. Il lugo di Garda.
(:
tempo
Là: a Mantova, Virgilio nacque 61. Lac
ad Andes promo Mantova.
V. 58.99. Origine di Mantova. La
menzione di Manto induce VI
no quanto mal placido © | Lo
tina digreanione per raccontare le origini
di Mantova. Descrive Il lago di Garda Alconi vogliono. che Wi acriva Sirollo,
trovandosi în doctmenti del medio ero
ta 0 1
\rotlia,
è lezione del più del codd., così Banno
Ott, Beno., Buti, An. Pior,, Sere
rav, Barg., Land. Tol, Vel, Gelli
Cast, eco., mentre TIROLLI non si trova
morte fossa ivi fondata la città 0
Manto fu denominata. « Qui 1]
‘boeca di Virgilio attribuisce alla Tebana
Manto, figlia di Tiresin, quello
81 mez, dol quali mì è tanto e tanto var
Timento disputato, efr. Ferrazsi, IV,
do ag.i V, Dé4 ag. — Blane, Fermich J,
165 sg. e lo memorie citate dal Fam:
Baliik ep. cit. pag. 56 nt., © ciò che il
Rambaldi atesso Ivi dicittamento osser
va e ragiona.
BA FADRR: Tieeala, - uscìo: mori.
59, sExrA: del tiranno Creonte.» Ba-
100: Bacco, come galeto per galeotte,
in nessuno degli antichi, tennne nel Dan.
qPrraco: Bemacwa, nome tico del lago
die
Sao ii A pprino di Regio
quoi monti della
© Val Camonica, al cul percio pria
fondo scorre il tiuma Oglio, ehe roeado a
formare il lago d'Ineo, Al: va
xica, lezione troppe
tac Ct; de CI ag, Loria, Li ec
lia Dir. Com. Mant., 1848, p, 80
198 (caro. a, BOLO. 4] Inr. xx. 114-121 [ixpovisi MODERNI]
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
Quell' altro, cho ne’ fianchi è così poco,
Michelo Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco.
us Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
Che avere inteso al cuoio ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente:
12L Vedi le tristo che lasciaron l'ago,
diam înforiorem »; De Fu70, ET., IT, 4. -
atcux Loco: TI, 112 agi
W,115-130. Endoriné me
avergli mostrato 6 nomini
chi, Virgilio mostra
cen; 0 queato virande dara alla ana
brigata, poi dopo pasto li contava: del
losso lo re di Franola fa nostro oste, del
rosto quel d' Taghilterra, ece. »; Lan.
Lo stesso raccontano pure Buti ed altri,
r. la lunga nota del FYlal. a quosto
tempi moderni, coma
si è testà nccennato, ai favoleggia nolla
cosle, n non ppi A questo famoso
Jogo è molto affezionato ‘al conte Guido
o da da Montafi Vivera verso In fino del
che gil noquistarono il ti-
tato di principe degli astrologbî, @. Fil.
VII, £1 lo dico « ricopritore di tetti, » DI
Bonatti seriro 180 l'anonime tore
magica Foroliviense: ; cfr. Murat.,
XII, 150, 283 ng, 297 ag. =
va costui di stare nol campanile
jaatra chiesa, e facoa armare tutta
del conte da Montefeltro, poi
l'ora, © quenti dava alla cam-
itti sallano a cavallo è naclano
li nomici »j Lan, Cos puro Ott., eco.
w. racconta di costai alcune partico»
140; XIT, 19, 0!
Faft valde peritas in magicis
bon ot selentia sugari qui cori
suis potisaime atetit
Imparatorts »; Bambpl.
Rrande rnestro d'arto
dn. Set, > SÌ ragiona ch'e
sendo In Bologna, a usand
nomini © cavalieri, e man,
ledit no totam divinationi,
a ventnra pradixit
d'apparecchiare, mai non faceta fare
cuma com di cucina în casa, ma avea
apiriti n nuo comandamento, che li fucea
levato lo leaso dalla cucina dello ro di
Francîn, lo rosto da quella del re d'In-
ilterra, lo tramomo di quella del ro
tro. Si pente trop-
po tardi di non nver badato x fare fl ela»
battino, luciando stare l'arte dell'in-
dovîno.
Îì Ciollia, lo pane d'un tnogo, e "l vino
un altro, confotti è frutta ta onde Il
131. miste 000,3 fstiuochiere. Non
ne nomina nessuna particolarmente.
200 [orRc. 8. HO. 5]
Tre. x. 1-9 [nanatTIERT]
CANTO VENTESIMOPRIMO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA QUINTA ! BARATTIERI
(ommersi nella poco bollente)
UN MAGISTRATO LUCCHESE, I DIAVOLI MALEBRANCHE
MALACODA, COMICA INFERNALE
Così di ponte in ponte, altro parlando
Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo; e tenevamo il colmo, quando
Ristemmo per veder l’altra fessura
Di Malebolge e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.
Quale noll'arsonà do' Viniziani
Bolle l'inverno la tenace pece
A rimpalmar li logni lor non sani,
V. 1-31 Za dolgia dei barattleri.
La quinta bolgia è an lago di pece, nel
quale sono sommersi | barattieri. Cor-
Gutvze in vita di operare nello tenebre
per maglio ricoprire | boro perftdi sntri-
glil; © qui nono così nascosti è coperti
da non potor aasor vedati. Non sì cara:
tono della ginatizia, della verità @ della
lealtà; e qui sono in balia di dinroli ba-
pianti è senza logge, slcali © erudoli.
t. ni rosta: da quel della quarta a
quello della quinta bolgia. - autmO: di
altre onse che qui non si registrano ; ofr.
ING IV, 106 6g
È marevano; eravamo sui punto più
alto dell'arco quiato,
4. prasunA : bolgia, quasi fenditara di
terreno, detta nlirove fossa,
5 vaxi: perchè nulla giovano.
Ti Amix4 | on 0% più codd.
od altri. I più anzaxa; ctr, XP, 152 ag.
« Cho debba diri arsend © non arzumò,
lo al rilern da molti documenti è dal
l'antica planta di Venazia..,. 00% seritto
chiaramente Arsenà »; Farozzi, D, e il
suo nec,, p. 801. Inveco Mutti, 1, 1081
«Arsanà è una voce da usarai, siccome
quella cho vieno da arsanar, che fn re-
noslano vuol dire arginare. Onde si è
fntto l'arasnà, cioè l'arginato, » Cfr.
Ilono, Verzuck I, 189 ag. Dante intende
dell'arsenalo vecchio eretto mel 1104,
ingrandito verso Il 1303, cossiderato ni
tearpi del Poeta come uno del più impor
tanti dell'Xuropa, Cfr. Seetari, Lettere
Alologtshe di marina, Ven 184 p. 4506.
. Sall'attmolagia della vece
Torno, 8. ROLG, 5) In. xx1. 27-39 [ANZIAN DI BANTA ZITA]
E cui paura sùbita sgagliarda,
Che, per vader, non indngia il partire;
E vidi dietro a noi un diavol nero
Correndo su per lo scoglio venire.
Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero!
E quanto mi parea nell'atto acerbo,
Con l'ale aperte e sovra i piò leggiero!
L'omero suo, ch'era acuto e superbo,
Carca
un peccator con ambo l’anche,
E quei tenea de' piò ghermito il nerbo.
Del nostro ponte diss
Ecco un degli anzian di
0 Malebranche,
Santa Zita!
Meottetel sotto, ch'io torno per anche
27.s04cLianDa | togllo lo
ros anbiralitt ipao timor »
roid. XIV, 182.
28, cite: Il quale, aebbeno guardi
rità però di fuggire, ma garda e
nello stesso tempo, stimolato dalla curio:
sità 6 dalla paura.
31. Arkure: per volare. - LeGerEto:
camminando o rolaudo insiemi
demonio è dipinto quale appunt
strano Infinite opere d'arte del medio
evo. Cfr, Graf, Demonologia di Dante,
D. 20 ag.
#4. L'ONERO: quarto ohao. - ACUTO:
nppintato e rialiato,
85, CANCAVA : gravava.
Il peocatar carcara l'om
dimonto, avend
nullo omero a guisa che fa Îl lopo a
(cora (1), et tenealo, avendo fitto gli
gioni ne" nerbi che
tra” piadi è le gambe
pecoitore con amb
cara 0 premea l'omoro del din
acomisato © sollevato per superbia di
rigoa preda; e quella brutta beatin gli
tons ghermito con quelle unghioce un:
cinnte il collo del pieda; 0 sia un peo-
catore era a cavalcioni sull'amore d'an
dttavolo, n
forrato pol piedi »; Ross. Al onta di
quanto da detto altrove, In. IMI, 121
251 egg) ta comune credraza do' tempi
puoi, secondo la qualo In arime malrago
sono portate via dal dinvoli, e qualche
volta anche 1 corpi.
: d'im anî ponte dovo
oraramo fo 6 Virgilio, Il damonio dissò.
pIRAE, * © MALEBRANCHE, » ciodi
‘0 Malebranche del nostro ponte. » Non
paro però che agni ponte abbla 1 moi
diavoli, 0 Malebranche, speciali, anzî dai
polchò ls Malebranche vanno coi duo
Poeti, nò queati incontrano altre Male
ranche. Un modo simil Inf, XXIY,971
Ja nostra proda, cioè dalla proda ov'era-
v ) Virgilio ed fo, Cfr. Alano, Vereuch,
192 ag. - MatemnancHE: nome gonmirico
dei demoni di questa bolgia, così chia
tati dai loro anghioni ed uncini, e dal-
l'essor custodi di que' che abbrancarono
con aranche male, cioò Ingiuate,
., AXziani | diocì magistrati sapromi
di Lucca, como $ Priori a Firenze, -Baxta
ZitA: Lucoa, conì chiamata dalla
trice dalla città. Santa Zita fu orinnda di
con villaggio su quel di Pontremoli, nata
nel 1218 da poveri genitori, morta fl 27
aprilo del 1272, Resa è «la Pamdln de la
ldgonde; c'étalt uno paure serrante que
son maître voulalt sdniro +: Asejadre. -
« La famiglia dei Fatinolli, nolta quale
avea vissato con officio di fanteroa, ne
conservò Îl corpo nolla la gentili
ala cbe possedora nella chiesa di $, Fre
disno a Lucca »; Vernon, If. vel. TIL,
p. 158, efr. Ivi tav. LXILI, Gerd, fem.
degli serittori della Tunigiano, Massa
1629, II, 222 agg. Monéreu® Sura, Vie
de Baînta Zita, Daria, 1845.
30. PER AxcuE: per altri, a prenderne
dogti altri. Al: To torno da capo,
[crkc. 8. OLA. 5]
INF. XXL 50-68 (ANZIAN DI SANTA ZETA]
Però, se tu non vuoi de’ nostri graffi,
Non far sovra la pegola soverchio. »
Poi l'addentàr con più di cento raffi,
Disser: « Coverto convien che qui balli,
Sì che, se puoi, nascosamente accaffi. »
Non altrimenti i cuochi a' lor vassalli
Fanno attuffare in mezzo la caldaîn
La carne cogli unein, perchè non galli.
Lo buon maestro « Acciò che non si paia
Che tu ci sii, » mi disse, « giù t'acquatta
Dopo uno scheggio, che alcun schermo t’àîn;
E per nulla offension che mi sia fatta,
Non tomer tu, ch'io ho le coso conte,
Perchè altra
Poscia passò di
E com'ei giun
Mestier gli fu d’
antichi Etruschi è Romani col
Znar. Cfr. Minutoli, 1. 0. »
coraunemonte ogul Lucchese
dutio >; Lan.
50.0n4rY1: graffintare de' nostri unoini.
31, NON PAR #00,: non sovorchiaro i
mon veniro a galla.
32. rt: polchè, — avrI 1 atramenti di
ferro con denti unolnati, dotti rampini
0 wncini.
53. COVRRTO: sotto la peco.
Ballo il dimonarai di quegli sclagurati
nel brociore »; Lamb.
nesato dietro uno schaggio, Intanto che
gli andrà n parlare coi diavoli, 0 di non
sian per qualsivoglia offesa che gii ala
lo egli come vanno To com.
edi
, Tafatti 1 demoni, apper
‘corrono asldesso a Virgilio eoî loro
(3h ma egli sl sobermisce, invitandoli
It ie ti di loro, li
pesa pula sa spazi ta ragione de
DE
RA on
ole aa VII oe ner
là dal è co del ponte;
la ripa sesta,
‘er secura fronte.
80, 1° ACQUATTA 1 per terra.
Sombra be nè lo Malebranche sto î
ponte, ud Il diavolo nero avessero sn-
cora veduto 1 duo Poeti, chèò altrimenti
uosto giù l'acquatta (= abbamati
aconditi) no avrebbe seno.
OA li quale alia Upea
VIRA e AIA: abbia; anticam,
10 «Par.
coxtti cognito; «qual dint: sa
fraudoa istorum baratariort
ndovi già stato, afr. Inf. Ly
si
© 63. nanarta: baruffe, contranto, con:
tea. «Quando duo vengono a contesta
insieme 0 #0 le som Et fr
lid
ai diavoli che vi suono a guar
04. co1 capo, efr. Ty. XX, 70, Purg.
ATI, 128. Par. III,
05, smsta 1 cho partiva fa quinta dalla
nesta bolgia.
00. ancuni v1OXTx anpotto fiero, dovò
mostrarsi coraggiono,
206 [ogkc, 3. noLO. 5) Inv. xxi. 83-100
[matkoraxcne]
Lasciane andar, chè nel cielo è voluto
Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro. »
Allor gli fa l'orgoglio sì caduto,
Che si lasciò cascar l'uncino ai piedi,
E disso agli altri: « Omai non sia feruto. »
E il duca mio a m
< O tu che siedi
Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
Securtamente omai a me ti riedi. »
Per ch'io mi mossi, ed a lui venni ratto;
Ei diavoli si fecer tutti avanti,
Sì ch'io temetti non tenesser patto.
E così vid'io già temer li fanti,
Che uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sè tra nimici cotanti.
To m'accostai con tutta la persona
Lungo il mio duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor, ch'era non buona.
Ei chinavan li raffi, e « Vuoi che il tocchi»
BI. ALTRUI! A Dante nascosto. — sti
VITRO: malvatico vd ride,
#3. CADUTO | a Malscoda venne meno
l'arroganza, tentò tanto grando; olr. Inf.
VII 13 ogg.
7. FRRUTO: ferito, Cfr. Nunnue, Verbi,
207, nt. 1.
Y.8-108, Spavento di Dante. Spenta
colle nno parolo Ia tracotansa di Mala-
seda è de' suol compagni, Virgilio chia-
mua Dante a sè. Ewendusi egli masso
igere Il maestro, 1 demoni sl
ammonisca | dinroti di star fermi.
RD. QUATTO QUATTO | * ehinato 0 come
nplanato in terra, e come fa Ja gatta
quando uccella, cho sl stiaccia in terra
per Don ceser veduta »; Barphini.
DÈ, FATTO: la promessa futta, v. #7,
+ Ri Rota quod anctur pulero hoc fugit,
quia rare vel namquam sti barstarii
servant quod proefttant, nial alt als une-
Nn manine»; Beue Al: TEMSCTI cH° Mi
TIMRANEK PATTO, che rimpondorebbo al
Raf, epreer ui 0 ch'è pur leniono ncoet-
dabilo, CM. More, Ord, 329 ng.
Md YID"10: ci fa dunque presente. L'opi-
Mena ch'al v'autazio non come milito,
ama par mora onriosità (arto, Letter.
V,Mag.), ven è punto probabide.
95 rarmanatAtII setto felo di capito
lazione. = Carnoxa: euatello del Pisani,
preso dal Moreatini è Lucchesi nell' age
ato del 1260; cfr. O, Vil. VII, 197: + Nel
detto anno 1240 del moss il'agosto, i Luo.
chiesi fociono vate sopra la città di Pisa
colla forza ila' Fiorentini, ehe v° asvta-
runo 40) cavalieri di cavallate o 2000
pedoni di Firenza © la taglia di loro v
doll'altro terre di parte guelfa di To-
acana e.... prosono il castello di Capro-
na, 0 guastario, » Il castello di Caprona
ora atato conquistato du Guido da Mon-
tefeltro, capitano del popalo e di guerra
6 poi auche pedestà det Pisani dal mar-
xo 1259 al 1280 (ele. VAL: VII, 128; VIII,
2). DI presidio di Caprena ni arrese e fa
lnxelato andaro Mboro: ma Gubto da
Montefeltro foco standire da lisa co-
store che non avevano saputo difendere
1 cagialo, Cft- Del Lungo, D. nei pi
di D., p. 27% ag.; Kraus, 38 ng.; Bass,
114 egg. Altrimenti narra la coma ii
ak venire Rio; gel TI A
con în conquista del Castello per
fatto di Guido.
#8. Lunuò» rasente; efr. Yuf. X, 13.
10, sIMINIANZA von: aitogziamento loro
miaaceliao.
E poi che si chiamaro, attesi come.
< 0 Rubicante, fa' che tu gli metti
Gli unghioni addosso; sì che tu lo seuoi! »
Gridavan tutti insiome i maladotti.
Ed io: «Maestro mio, fa’, se tu puoi,
Che ta sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degli nvvorsari suoî. »
Lo duca mio gli s'accostò allato;
Domandollo ond' e’ fosse, e quei rispose:
«Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d’un signor mi pose,
hè m'avea generato d'un ribaldo,
Distruggitor di sè 0 di sue coso.
Poi fui famiglio del buon re Tebaldo;
Quivi mi misi a far baratterla,
Di che rendo ragione in questo caldo. »
E Ciriatto, è cui di bocca uscia
D'ogni parte una sanna come a porco,
Gli fe' sentir come l'una sdrucin,
"Tra male gatto era venuto il sorco;
Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
Buti ribaldo tanto viono a dire, quanto
rio baldo, eloò andito a rio uomo (11) ».
SI, bisratGarTOR: dal bnaso lat. de
struetor, qui figaratamente per Disslpa-
tore do' sani beni e suicida. Cir. la notizia
di Ben, eltata più addietro v. 31-75 nt.
52. vimiotio: famigliare, nervo, Al:
\)
218. [caso, 4 noo, #] Inv, xx1t, 86-102
faicnzna zaxone]
Si com'ei dice;
negli altri uffici anche
Barattier fn non pieciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro; 0. a dir di Sardigna
Le lingu
(o lor non sì sentono stanche.
Omè! vedete l’altro che digrigna:
To direi anco; ma io temo ch’ ello
Non s’apparecchi a grattarmi la tigna, »
E il gran proposto, volto a Farfarello
Che stralunava gli occhi per feriro,
Disse: « Fatti in costà, malvagio uccello!»
«Se voi volete vedere o udire »
Ricominciò lo spaurato appresso,
«Toschi o Lombardi, io ne farò venire.
Ma stien le male branche un poco in cesso,
Sì ch'e' non teman delle lor vendette;
Ed io, sedendo in questo loco stesso,
riot rumpendo caroerem vel corrum pene
lo cantodea, alcnt solet allquando con-
Mogere, »
80. cON' xt nick: « ciò si riferisce al di
Betti, Ma di piano è ancho in altri dia-
letti; ssechò sarà da intendere pinttonto
o co li piano, 0 de plano, Clampolo ri-
cori sa ironia la parola con cui, ac
Stante alla ria procednrale negnita,
verea Frate Gomita di scolparai: « Li la.
ciò liberi con 3n procedimento somma-
rio, al cow' ei dico : un po' troppo somma»
rio {+ Mud. TX, 258. -ALTat: nOn solo nel-
Y'adfhro della liberazione del prigionieri,
#8, Una: pratica, - DONO : Don, Mes:
mro.
89, A Dix: non al stancano mai di par-
della
ci O DO tira #01 quando rinselva
di niro per cet preme 7. 201
della pegola a un asma, crnenate.
Noncatante l'opporizione di Cagnazzo,
che indovina l’astazia, 1 diavoli sl np-
piattano, 0 Ciampolo Testo @ pronto salia
giù e dispariaco nel lago, lasciando i dia-
voli ingannati è burlati.
DI L'autRo: domonio; Parfurello, 7. 04.
92. ANCO: ancora) contiuuerel a par
Inte, — pLLO: ogli, cloò l'altro.
DI. GNATTARMI La TIOXA: » maltrate
tarmi. Orattare la tigna, modo buaso,
anche nell'umo vivente, algnifica percao-
tere, battere senza misericordia, - TIUNA:
. conio: avendo alli ofr, v. 115,
237 166) SONATE, 8
08. arduaato: Impaarito, A torto al
tri danno Intero; tolto di paura, rassé
curato, smso chela parola non pad avere.
100. LE ALE mancIR: i Ma voli dagli
uncini nello branche. A. serirono Male
branche, nome collettivo di quel diavoli.
— ir orso: la disparte.
10). n°: quel Toschi o Lombardi che
reale drain
x0x mara, les. errata. AGtore, Orit., MI.
102. AKDRKDO | promessa ingaunovole
ge erre dirai nd ppi, ua
shò egli possa liberarel da'loro unolal.
220 [cERc.s. BOLO.
[rvoA Dei PORTI]
CANTO VENTESIMOTERZO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA SESTA : IPOCRITI
(Camiminano in Bla lantamento, vestiti sd oppressi da pesanti cappo di piombo,
esternamento dorato)
FRATI GODENTI CATALANO E LODERINGO, CAIFA8SO
Taciti, soli, e senza compagnia
N'andavam, l'un dinanzi e l’altro dopo,
Come frati minor vanno per via.
Volto arn in su la favola d'Isopo
V. 1-97. Fuga del Poeti. Mentre 1
diavoli sono Intent! al loro due compagni
lavischiati nella pece, Dante Virgilio si
allontanano da esi o continnano a cam-
mianro sa pee l'argine. Dante, tutto pau-
ape Nino dle trovi modo di
sottraral ai de irgilio lo prende
sai Wa sogno par per la pendente ripa giù
nella sesta bolgia. Vi sono appena giunti,
che i diaroli arrivano a quel punto del-
dove al souo calati; ma, non oa
genotmo ni demoni di abbandonare
L'EN Deaxzi: come sogliono an-
dare, Virgilio primo o Dante sotondo ;
fe, Inf. I, 1905 XI, 190; 1,15, Xx, 81
XI 118: EIV, Mb; XV, #7 63 XVI,
91; XVIII, 21,
i oGieRi cod rasolti e a aspo chino.
Al: « È naanza de' Frati mînori.... an
dare l'ano lnnanaî, quello di più auto-
rità, l'altro dirfetro ot neguitario »; An.
Fior. « Il quale costuma el doverano
avere In quel tempi, perchè oggi usowo
eglino di andaro al pari »; Gut,
4. D' Isoro; la favola non d di Reopo,
La passava per talo fo quel samp, Mwtt.
è Bene, affermano ehe si leggera « in un
Tlbello cho xi Toggre a' fanolulii
«Quando colloguebantur animalla brata,
Invitavii
ubi mali
quit, amiea rana. Post epulationem et
296. [orrc. 8. noro. 6] Tur. xtm. 81-99
(FRATI A0DRNTI]
E poi secondo il suo passo procedi.»
Ristetti, e vidi dne mostrar gran fretta
Dell’animo, col viso, d'esser meco;
Ma tardavagli il enrco e la via stretta.
Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola;
Poi si volsero in sè, e dicean geco:
« Costui par vivo all'atto della gola;
E s’ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoverti della grave stola?»
Poi disser me: «O Tosco, che al collegio
Degl'ipocriti tristi se’ vonuto,
Dir chi tn sei, non avere in dispregio. »
Ed io a loro: «Io fui
Sovra il bel fiume d' Arno alla gran villa,
E son col corpo ch' i' ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
Quant'io veggio, dolor giù per le gunnoe?
E che penna è in voi che sì sfavilla?»
BL. ANCONDO IL SI;0 FASO: com passo
pari al suo.
-82. MORTRAR: attoggiare Îl sembiante
In modo da rivelare ll desiderio Intenso
dl taggiangerimi. Cfr. Petrarca, In Vita,
Sor. 186 (107) « Ma spesso nella fronte
Il cor al loggo. » n
3, DELL'ANIMO, COL +10: così i piùs
nullo diverso nltre le. cfr. Moore, Orit..
228 ag. — cor, Viso: «onm appareatia
Tucioi »; Bene. = « Chè altrimenti nom la
poteano mostrare, olià non poteano uscire
Reepeeno soncetase e Buti.
86. smRIETTA | perchè larghe le cappe 0
agrardo la moltitadino degl' ipocriti.
e la cons è così, como Virgilio e Dar
Gamminavano senza ricarer impedimento
dalla via stretta? »; Cast. Non è dotto
fn alcun Inogo che non né ricuvessoro
Smpedimento, nè d'altra parto Dante e
Virgilio averano quello tall cappo.
85. NIRCO: atorto, come sogliono guar:
dare gli fpoorità, 0, fore' anche, dolenti
ali invidlioni, vedendo altri andar senza
oappa per la loro belgia, Al: l'erohè 1
Gippucci abbansati impedivano loro di
Sedie diament. E più ancora di
Set preh: l'uno r eni mil l’altro. Al: 1
MEA, cioò ad un tempo; cfr. 2. P., 139.
dacter, sta
85, aLt'aTtO: nÌ moto della gola pro.
dotto dalla respirazione; eft. Pur. 11,
67 ag. Al: Al dogintire, atto della vita
organica (1), « Et allegorloe quia auetor
non erat mortana in futo vitto, nec lo-
quebatur ad modum hypooritin, lmo am»
quod apo in vita fuit repu-
tatus nimde rigidas #3 Mime.
90. eroL4: cappa di piombo, Stola per
vesto în genorale, dissero serento gii
antichi; ofr, Foe. Or. Qui la voce è per
avventura scelta con intenzione, volendo
alludere all'abito fraterca
91. sex: n mo, Al: uisstatt: Als: wr
Iumen-COLLROIO: allunanza, Inogo dare
nono raccolti (collect) gli tpooriti.
98. NoN AvaRR: non disdegnaro di direl
chi ta sei, AL: t1' CILTU 81°) NON NATE
RR IN DIAPREOTO. Dante risponde settanta
di emer Fiorentino e vivo; e senza diro
chi agli è, domanda lore chi tì seno.
DA. YUI SATO: * nel doleiasimo seno di
Niorenza fui nato e nudrito fluo 21 colmo
di mia vita +; Cone. I, 3.
18. vinta: citrà: grande, porchè}a mag:
giore delle città mall'Arno,
98, poLone Andavano pian
gendo.
90. cia ra : anche ammesso che 0' al
fome giù acosrto ehe lo cappa erama di
228 [ceRc. 8. soLo. 6) Inp.xxin. 109-122 [canasso]
To cominciai: « O frati, i vostri mali...»
Ma più non dissi; chè all'occhio mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
Soffiando nella barba co’ sospiri:
E il frate Catalan, che a ciò s'accorse,
Mi disse: « Quel confitto che tu miri,
Consigliò i Farisei, che convenla
Porre un uom per lo popolo a' martiri.
Attraversato e nudo è nella via,
Come tu vedi, ed è mestier ch'e' senta
Qualanque passa, com’ ei posa, pria.
Ed a tal modo il suocero si stenta
In questa fossa, e gli altri del concilio
10
Y, 100-120, Calfasso sl Il suo suo-
cero. La parola che il Posta incomincia
arivolgere al frati Godenti, parola di rim-
pruvero 0 di duolo, g}1 muore sulle Inb-
dra alla vista di uno, che con tre pal!
A erocifinso In terra, è su eni tutto quanto
Vl popolo degl'ipooriti dere passare e che
orta quindi tatta l'ipoerinia del mondo.
È Calfauso, il grande ipocrita che con:
aigliò a' Giadei 1° nocisione di Cristo, Fra
Catalano lo nomina, aggiungendo che
nello temo tiodo sono puniti in quella
© Ansa, suocero di Caflasso, e gii
altri suol colleghi del gran ainedrio giu:
daloo; di che Virgilio mostra morari-
gliarai.
209, MALI: si può supplire: + vi stanno
deste; sono ben meritati »; oppure, preo-
dendo moli nel senso di colpe: « furon
canna della rovina della mia patria ». -
Buti, Land., ecc. si avvisano che Dante
Gesta «Nan voggo che cosa volesso dir
Dante I frati avevano sotto ipocrisia
Tngannoti 1 Morentini ed ncoellati | ghi-
bella! © distrutto lo caso intorno del
Gaardingo, e d'averlo fatto sotto ipoori-
l'avevano confessato. Adunquo
fierentino ed nomo lealo,
MI Cons: mi sì presentò; mi
veduto,
111. cnoctrisso: egli ed | anci degni col.
loghi, che focero crocltggere Cristo, qui
sono crocifissi. - TRE: mani, 0 | duo piedi
Insieme, - FAL :foveos de' chiodi, che nel
terreno non possono fare ninna forza.
112. ai bistona1 per il dolore di esser
veduto in tal condizione da un vivente
che poteva riportarno novelle su nel
mondo. Oppure: « perchè vedea Dante
ato, per la quale
116. a'Accomi
avera interrotto fl parlar neco,
110, consiotiò « Expedit vobis ut unna
moriator homo pro populo et non tota
gous peroat +; ZoA. XI, 50, « Erat matem
Caiphas qui conmilint dederat Ludinle,
quia expedit unut bominem mori pro
populo »; ibid. XVIIT, 1.
118. ATTILAVEBATO : posto & travorso,
un intoppo agli altri. « Pomulatl ut tere
rum corpus tun, et qual vlam tran
seuntibna »; Traia LI, 28. = NUDO: ili no-
lito Danto dice nude le anime, grando
vuol porre in evidenza la miseria di Joro
condizione. Ma in questo luogo le altre
amdme non sono nude. Ognona ba la sua
cappa; soltanto Caifuano ed î suot colle»
ghi non hanno cappe proprie, ma de-
vono sentire în eterno li peso di tntte
quante le altre.
120, quaLUNqua: chiunque passa di
qua, deve calpestario,
IÎl. 4U0CKRO: Anna, sommo ponte
fice; efr. IoA. XVIII, JR. BI STENTA:
è tormentato:
122. conciLio : de' Pontefici e Furieel,
che condannò Cristo; etr. Zed, XI, 47,
230 [oxre.s. noe. 6) Inr.xxm. 137-148 [ruRBAMENTO DI vIRO.]
Montar potrete su per la ruina,
Che giace in costa, e nel fondo soperchin. »
Lo Auca stette un poco a testa china;
Poi disse: « Mal contava la bisogna
Colui che i peccator di là uncina. »
E il frate: «Io udi’ già dire a Bologna
Del dinvol vizi assai, tra i quali udi’,
Ch'ogli è bugiardo, è padre di menzogna. »
Appresso il duca a gran passi
‘Turbato un poco dira nel sembiante;
Ond'io dagl’incarcati mi parti*
ILL) Dietro alle poste delle care piante.
138, cur: la qual ruina. Ai.: Perchè
costa: su per la
essa ruina giace.
Fipadoll'argino I nani giacciono rovinati,
e'giù nel fondo della bolgia essi fermano
mi rialso, quasi scala a sallro.
130. cuxA: accorgendosi dell'ingan-
no futtogli, cfr. Inf. XX1, 100 sgg.,
125 seg
TUR compiva: rasccntava, esponeva.
= LA Misoaxna 1 la cosa.
TAI. cotuT: Mulacoda Cfr. Inf. XXI,
100 egg. - DI LA: nell'altra, quinta
N82. UiÎ: udil. - a Boroawa : etr. 7.
108. «Argementim rt n loco, quia Bo:
tia» per
147. Incancati: caricati dello enppe di
piombo, Ali INCAPPATI.
pedate; AL: rosre.
— itaxti: de' piedi di Vingillo, Il « caro
doca mio »; Inf. VIII, 97,
Inp. may. 9-26 [coxeonTo]
232 Torre. 3, BOLO. +)
Biancheggiar tutta, ond'ei sì batte l’anca;
Ritorna în casa, o qua © là sì lagna,
Come il tapin che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna,
Veggendo il mondo aver cangiata faccia
In poco d'ora; e prende suo vineastro,
E fuor le pecorelle a pascer enccia;
Così mi fece sbigottir lo mastro,
Quand’io gli vidi sì turbar la fronte,
E così tosto al mal giunse l’empiastro.
Chè, come noi venimmo al guasto ponte,
Lo duca n mo si volso con quel piglio
Dolce, ch'io vidi prima a piò del monte.
Lo braccia aperse, dopo alcun consiglio
Eletto seco, riguardando prima
Ben la ruina; e diedemi di piglio.
E come quei che adopera ed estima,
Che sempre par che innanzi si provveggia;
9, RIANCHEGOIAW: « Neo prata canle al-
blcant proîuta »; Zoraz., Od. I, tV, 4.-
marra: por dolore, credendo che sia ne-
vicato.
12, LA RIURANZA RINGAVADIA : ripiglia
permea: propriamente Rimette nel ga-
unpno, cioò nella cesta a nol paniere.
Gategno 0 Caragno è dell'uso viverite,
mom soltanto în quelche dialetto toscano,
eft. 2. P., 342. Rane. Fersueh 1, 219. En:
vlel., 1671 ag.
38, CAXGIATA racciA: non più bianco,
DPA prpendoni tetta 1a br
Ù4. YINCASTRO: buochetta, verga.
16. MARTRO: macatro; Virgilio,
38. 008Ì TOSTO: coma al villanello. -
L'inertastROo : Il timedio, il confort:
Petr., Prionfo della fama, II, 12 »
Uto, Orl:VI, 40. «Traslazione prosa da' r$
pria ni fanno a' luoghi dova ala do-
Smplostro significa pro:
priazia gna Fipari lenitivi, cho sè usa-
no porre na'Inoghi ov'è dolore »; Gelli.
Ta. atasto: rotto. - PONTE: lo nooglio
Rmazionsto XXIII, 133 sgg.
Ria più pe MONTE: prima di en-
malt'Ioferno; Ta. I, 61 agg.; cfr.
, 20
V. 13-00. Salita sull'argine, Virgilio
onserva la rovina dello scoglio, © medita
fra sò ciroa 11 modo di arrampicarsi an
per osa; prende poi il suo Alonno, e
cominolano a salire faticosamente an per
la rovina dell'argino dentro, finchè arri:
vano sul ponte, e, per meglio vedere,
scendono aull'argine ottavo.
22. voro: costr, guardando prisa
ben la ruina, dopo eletto neco alcun cen-
digit. aperte le braceîa e diedems di pi
Gioà mi too di peso. Virgilio ce
— prima accaratamente la rulna por
accertarsi di nom ossore ingacnàlo
Catalano come fu dai disvoli; quimii de
libera fra sà olron Il modo di montar kt,
6, preso il mo partito, abbraocia Dantà
per di dietro por sespingornelo innanzi,
stano gii « ammneatramenti filosofici, »
De Mon. FIT, 15, ma ci vuole eziandio
a grana dell'autorità secolare.
tro esegui
fotte è Dn ln mente nl da farai
«Belt praterita, oî de faturin masimat;
Sepient. VIII, 8.
38, no an pre de a
cho da, ma nel che dlovrà fare fn seguito,
234 fosso. a. poro, 7] Ixr. xx1v. 45-61
Anzi mi assisi nella prima giunta.
«Omai convien che tu così ti spoltre, »
Disso il maestro; « chè, seggendo în piuma,
In fama non si vien, nè sotto coltre;
Senza la qual chi sua vita consuma,
Cotal vestigio in terra di sè lascia,
Qual fammo in aere ed in acqua la schiuma,
E però leva su! Vinci l'ambascia
Con l'animo che vince ogni battaglia,
Se col suo grave corpo non s'accascia!
Più lunga scala convien che si snglia;
Non basta da costoro esser partito:
Se tu m' intendi, or fa’ si che ti vaglia. »
Leva'mi allor, mostrandomi fornito
Meglio di lena ch'io non mi sentia;
E dissi: « Va’, ch'io son forte ed ardito!»
si Su por lo scoglio prendemmo la via,
48, 3&LhA PRIMA GIUNTA 1 appena giun-
to nulla sommità dell''argiuo.
40. sroLTIE: spoltrisos, vinca la pi
gorizia.
47. s0cixDO: vivendo nell'osio. Als
abaco, buona lezio:
aprovrista di autorità.
48 sorro corre: dormendo. Contr.i
Seggendo în piuma nom #î eine în fam
nd (ai rione lu fama stando o giacendo)
paio coltre. Com Ì più. Al.: per coltre in-
tendono baldacehino è aplegano:
Vine in fama nè sotto baldacehin
nl può acquistare nè fama nè ricohersa.
Ue. Honat., Ars. port., 412 ag.
40, LA quaLi fama,
50. COTAL: vemmuno.
rum: « Defiolentes quemadmo»
dlelioloni»; Prot XX
lelioît fumus, dedelant»; di
LXVI, 3, — « Tamquam fumue, qui
& procolla dispergitar
V, 16 — « Quasi spumam aupor faciomi
Aigua »3 Qree X, 7.
‘#2. amnasciai difficoltà di respirare,
malta a un senso di oppressione. Buti:
= La fation ».
#3, AxINO: volontà energica cho su
| cTbogaamed Purg. XVI IGT
1eVaccatfa 04 lascia an-
dar giù insismo col suo grave corpo =;
Dan. - « Chiamasi una persona acedsoia-
ta, quando por vecchierza 0 infermità è
molto mal condotta o quasi non ai reg-
go*: Morghink.
acata; an por { balal dol Purgatorio.
« Scala Purgatorii longissima, quia pèr
tingit n terra unquo ad conlum >»; Zeno,
BT. M'INTRNDI: sò ta vuoi arrivare a
veder Beatrice, non basta partiral da c0-
toro @ percorrere l'Iuforno. Non bauta
lasciare il male, bisogna purificarai, — TI
vantia: Al giovi quanto avvertimento.
38.Lxva' mi: mi levai da sedere, y. 45.
60. PORTE: a nontoner la Butlen, — Atl
vito: per affrontarla: < Formola elio
comprendo la farza del corpo è la fran-
cheeza dell'animo»; Biag.
V. 61-90, Ladri è loro pena, Usciti
fuor della nesta bolgia, i Poeti a' avviano
#0 per lo acoglio e vangono alla bolgia
settima, che è dei ladri, 1 quali Taggiti
besteramiano @ parlano o sufolano, se
condo la loro furma. Sono moraî da orri-
Dili serpenti; si inceneriscono © ripren-
dono quindi la figura umana ; si trami-
tano io serpenti o ridiventano nomini
per tornar di nuovo a tramutami, «La
serpe è natuta, e così il ladro. La serpe
sirisolando entra per ogol baco, ladro
s'amoltiglia per entrare par ogni luogo.
La serpe è fn odio a ognuno, il ladro il
simile. La serpo ascosa tra l'orde pugne,
236 [ceRc. a, sOLG. 7) Ixp.xxiv. 75-86
[PENA DEI LADRI]
Così giù veggio e niente affiguro. »
« Altra risposta » disso, « non ti rendo,
Se non lo fa
chè la dimanda onesta
Si dee seguir con l’opera tacendo.»
Noi discendemmo il ponte dalla testa,
Dova s'aggiungo con l'ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta;
E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti, e di sì diversa monn,
Che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena;
Chè, se chelidri, inculi e farde
76. AxFiSURO: raffiguro, disoervo. Odo
voci, manon intendo parola; vedo o guar
do giù, ma von distinguo gii oggetti.
18. ALTRA w00.: rispondo facendo ciò
«he vnoi, perchè, quando la dimanda è
giusta, convien rispondere co' fatti pint-
tanto che con parole, operando come è
atato chinsto.
STR AT DNE BRGUIR: « forme KI Dx' Rex
gui »i Betti. È chinro che qui { codd.
nom decidono; X più, 0 veramento quani
tntti, leggono s: Dux aRaUTI, che dà senso
ottimo.
T9TRATA: estremità, « Da qualla purte
del ponte cho sì aggiange con l'ottava
ripa, ciod con quella che ciuge Intorno
l'ottava bolgia»; Dan.
#1. R POI: quando fummo gianti sul-
Norlo dell'argino. Al.:
dara sotto il oxpo del ponto, in nno spo
gimento del muro an cul discandono, pe
ineneo di alcune pietro prominenti, chia-
mate più tardi (XXVI, 14) dorni, Hani
diensero nella seata bolgia, perchè vi
furono costretti dall'essero sporenti al
fondo tutti gli scogli che la trave
82. ertPA: congerie, folla. « Stipa è dotta
‘gui cosa che è calcata ot ristretta in-
giemo, ot questo è detto atipato»; An.
Pilor. = «Caveam sive gnblam, que alibi
Vleltur stia »; 1) Few.
ER. AKMPRSTI : « Capot sapldam suget,
ut cechilot eum lingua viparse »; 702 XX,
10 = « Serpentes nd vindiotam creati
CATO apo
manna, qualità ; cfr. Zaf. XVIT, 30.
Encta., 12%.
B4. sota: aggbincola. «La ricordanza
di quelli serpenti ancora mi divide Il ann
Ina da’laoghà voci; e; lo et
cuore come fn la paura
85. Linta : provinela stica a po
nonte dell' Egitto, con dewerti arenoni fn-
foatati da serpenti; ofr. Lasoan., Phare, I,
II, 417; 1X, 705 agg. Della Libia
Ortî., Moth, IV, 617 agg: « Camquo wu-
per Libyeas vietor pendoret arenaz, Gors
gonei capitis gnttm cecldore ornentm,
Quae humus exceptas vario animavit
fn angues: Unde frequena illa est inf
ataquo terra colubria. »
80, crt, sx: così la gran maggioranza
dal codd. n com. ant. Al: CITERAT, CIR
UIDRI, 1IACULI K Fante PuoDUORE, cIN-
cu, eco, Ma talo lezione, prefrrita da
taluni, perchè la serio dei nerpenti è così
più conforme a quella cho nl ba nel paso
di Lncano ehe Dante qui fmitò, non ha
autorità soffielente di codtel. Cfr. Dio-
nisi, Rondim. funebri, Padova, 1704,
n. 74 meg. Plano, Vermub, I, 234%E:
Barkore, Contributione, 140 ne. £. F.,
148.4. CINLIDIT, serponti velebosi ehe
stanno In tarra ed in acqua. « Sed quia
grit nobîa loerî pudor? inde petantor
Huo Libye® mortes, et fectmus aepida
Et semper reotolapenroa limite Conchrit;
Piariona ille notio variata irab
vum, Quam parvis tinotos
buona Ophites; Concolor ezuatia "ta
indisoretas arenia Hammodytes : spina-
quo vagi torquenta Cornatu; Bt Scytalo
288 [cezc.& noto. #] Ixr, xxry. 99-114
lrassi pucer)
Là dova il collo alle spalle s'annoda.
Nè ‘o’ sì tosto mai, nè ‘i’ si scrisse,
Com'ei s'uccese ed arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse;
E poi che fu a terra sì distratto,
La polver si raccolse por sè stessa,
E in quel medesmo ritornò di butto.
Così per li gran savi si confessa
Che la Fenice more e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa:
Erba nè biado in sua vita non pasce,
Ma sol d’incenso lagrime ed amomo;
E nardo e mirra son l’ultime fasce.
E qual è quei che cade, e non sa como,
Por forza di demon ch'a terra il tira,
O d'altra oppilazion che lega l'uomo,
99. LÀ eco.: nella gola.
100, n ' 0% « queste due lettere ‘0' ot
*i al torivono x uno tratto di penna; et
pertanto si scrivono più velocemente che
l'altro, cho con più tratti di penna è dato
loro forma »; Ax, Per.» « Mostra la colo-
rità del fatto con uno dei modi schietta-
mente proverbialidella lingua»; Li Fent.,
Den Agr
‘accRER: come ladro delle cose
NL'DIdy € «Deminco Deve gole consu-
mene ost »; Dewer. IV, 24.
108 pierRUTTO: disfatto.
105, maviSMO: cho era prima di ensore
trafitto dal serpente: riprese l'umana
forma.» DI DUTTO: di botto, subito, come
fin Purg. XVIL, dove la forma butto è
giure in rima; la Sw. XXIT, 190 x) ha
i batto. Virg., Georg. 1V, 440 eg.: « Iilo
(Proteus) sum centra non immemor ar
tia Omoîa trausformas sso [n mirecula
rerum, Ignomque borribllemquo feram
fiuytumque liquentem. Veram ubi nulla
Pagan reperti inilacia, rioto» Tn sese redit
atque bominia tandem ore lovutaa » ece.
306. sAvr: Ciaudiano, Akdyli,, 42: Pî
hpi
Metam. XV, 392 402; Brew. La»
selp. da Tono Giam_, VI, 261
Dauto aliudo sed altri Ancora.
COMPRA | si asseriace, La descrizione
da Ovidio L .: » Una me quae
neque ipsa reseminet, ndes: As-
Ryztil phoenica rocant, Non frmge neqne
Derbia, Sed taris [acrimis ot anoco vivit
| Haro ubi quinque suo compievit
venia vi, Tlicia fn ramîa vromula gi
cacumine palmas Unguibuset prro nicrm
sibi constroit ore. Quo «ima ne canta
et pardi lenla arietas Quassaque enm
fulva anbatravit cinnama myrrha, Se sa-
1 e v'axono. Ma 1 amome
non lagrima. È l'Ovidiano già cit e Sed
furia Iaerimis ot suoco vivit amomi » 3
Met. XY, 994 Questo Inogo di Ovidio
par dociaivo, ad onta di £. F., 140 ng.
do, « Acconna alla vita
Fenice rinasce »; Tom.
112. 00x01 come, lat. quomodo; forma
cositatissima promo gli antichi. Dante
l'usa soltanto due volte in rima, qui 6
Purg. XXIII, 80.
113. Di matox : se ossesso | fr, Mara,
+ + Et discerpens sum apîritoa
»- Luo. IV, 85 1a Et cum
arolecìasat iliud dnmoninm in medium,»
104. OPFTLAZION: rituramento è riser.
ramento de' mesti del corpo. « Oppitare
è uno verbo latino, che significa serrato
‘ chiudere. Luonde son chinmati dai me-
dici quegli cha buono di sorte chiuse n
240 [oexc, 8 nora. 7) Ixr. xxiv. 127-148
[vaxxi POCCI]
PEC] Ed io al duca: « Digli che non mucci,
E dimanda qual colpa quaggiù il pinse;
Chio il vidi uomo di sangue è di eruoci, »
E il peccator, che intese, non 8 infinse,
Ma drizzò verso me l'animo e il volto,
E di trista vergogna si dipinse;
Poi disso: «Più mi duol che tu m'hai còlto
Nella miseria dove tu mi vedi,
Che quando fui dall'altra vita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi
In giù son messo tanto, perch'io fui
Ladro alla sacrestia de' belli arredi;
E falsamente già fu apposto altrui.
Ma, perchè di tal vista tu non godi,
So mai sarai di fuor de'lochi bui,
i mio annunzio, e odi:
Pistoia in pria di Nori si dimagra,
127, xuccr: scappi. « Dicesi amueciare
di una comm che per In liacesza once di
mano, e che non wi può tenere forte, anzi
quanto più si stringe, pi
Da, è fugge di mano
sabolo fu od è fn più dialetti così del-
l' Tralla contralo come della settentrio»
ale; (Parodi, Duli TTI, 15%;
‘ende non sembra probabile che fosse lm-
piecato, come affermano alcuni antichi.
120. DI cuvccI | sanguinario e ri
vude dovrebbe Lrovarsi non qui, ma n
avttlma bolgia. Fa Vanni Fnool parti-
giano furibondo di parto Nera, ongiarò
contro Focaccia Cancellieri, ucotse ii
aller Iertino è comsiso molte altro vio-
leuse. Dante che dice ‘ jl midi”, potò co-
moscerlo durante la guerra contro Pisa,
nella quale Vanni Pucci ara fra i soldbti
di Firenze, come Dante, Cfr. Inf. XXI,
DU agg
130, ox s'mrucsr: non 4) dette ve
runa cura di celare la cosa, nò fu lento a
dirla semza verun riguardo, Ali Non fine
di non aver beno inteso l
231: iazzò: mi guardò attentamento
animos acria oculonque La-
300 eg.
138. GaESETA | diverna dla quella + che fa
iù domanda.
l' uom di perdon talvolta degno »,
V, 21. Non ai vergogna dol mala, ‘nante
tanto di essere scoperto.
185. TOLTO: accenna per avventora B
morte violenta.
136, NOx POsMO : I ta veduto
ui salta bolgia dl
DR' BELLI : Ohianoi in sagrestia di
Ban dn di Pistola, dove ni custodi:
vano 1 prozioni arredi, szereetia de’delli
arredì, circoserivendo con questa frase
Sì nome di Zesoro che ca
aveva. AI. contrulseono: Fuî ta
sacrestia
150, ALTRUI: è Rampino di Ramoocko
Fi
predice a Dante le calsnità del IMamohi
di Firenze dal 1300 al 1302, è 1908, è cià
nell'intento maligno, e maligramente
caprosso, di addolorare Il Poeta.
340. 1u1 Blanco, co' tao! correligionari
politici, - GODI: goda; elr. Vananie., Fer
di 260 ag
161, L0cHI: luoghi fufernali; efr. Inf:
VIII, 08: XIL, 86; XVI, s&;
343, nImaora pin,
2200 areas ia avion Piva i
Bianchi e Neri; cfr. @. Vil. VILI, 38.
Quindi nel maggio 1201 <la parto
di Pistola coll'aiato o favore e' Bianchi
cho goreruavano la città di Firenze, n
>
242 (cenc, & sore. 7) Imr.xxv.1-9
CANTO VENTESIMOQUINTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA SETTIMA : LADRI
CACO, CINQUE LADRI FIORENTINI E LORO TRASMUTAZIONI
Al fino dello sue parole il ladro
Le mani alzò con ambedue le fiche,
Gridando: « Togli, Iddio, ch'a te le squadrol»
Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
Perch'una gli s'avvolse allora al collo,
Come dicesse: « Io non vo' che più diche »;
Ea an'altra alle braccia, © rilegollo
Ribadendo sè stessa sì dinanzi,
Che non potea con esse dare un crollo.
V..î-d. Zestemmia punita. Appena
terminato 1) maligno + meo valicinio, Vanai
Facci si volge contro Dio stesso con un
atto disoneato di acherno, accompagnato
da parole sacriloghe. Immantinente no
warponto gli nl avvinghia al collo © un al-
Rro alle braccia; quello gl' impedisce di
Drziare, quasto di far gosti sl erond.
È vice: atto nconcio 6 villano che ai hi
Carmignano (Castello del territorio Pi
atolere preso dal Fiorentini nel 1228)
R. LK #QUADRO | Je mostro a te, lo in-
Qicano pinto pe per to, > Fà sperati ce
tn blasphemins ad Dear, bluphe-
mare nomen aina»: dpocol, XIIT, 6. -
« Nello atatuto di Prato chinnque fise
Socerkt vel monatraverit nates versus cos
ium vel verme fguram De 0 della Ver-
gino, paga disci lire per ogni volta; se
no, frustato »)
4. axromz: avendo prontamente pa-
unito Ul aacrilogo bestammiatore, « po
volle atque idom nolle, èa dem
Siicitia et », dice Catilina im Satta
De coniur. Out, 20.
lagò di nuovo, come
era già lognto prima di inconerirat per
ridlventar nom, att. Inf: XXEVY; dk
umaDEXDO: aggroppando cela 9
nl dinanzi, «ì da tener meglio logato
e fermo il dannato. Al: KIRATTRXDO]
otr. 2, P., 153, Moore, Oni, 330 ng. Una
norpe gli stefngu il collo, perchè più non
atutti invlti; un'altra gli rilega le brao-
cia, perchè più non faccia lo flebo.
0. esta: Draccia. = DARE US CROLLO!
fare il menomo morimento.
[oERc. 8. ROLO. 7) Tnr.xxv. 25-48 [uADBI FIORENTINI)
Lo mio maestro disse: «Quegli è Caco,
Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
Non va co’ suoi fratei per un cammino,
Per lo furar frodolente ch'e' face
Dol grande armento ch'egli ebbe a vicino;
Onde cessàr le sue opere biece
Sotto la mazza d'Ercole, che forse
Gliene diè cento, e non senti le dieco, »
Mentre che sì parlava, ed ci trascorse,
E tro spiriti venner sotto noi,
De' quai nè io nè il duca mio s'accorse,
Se non quando gridàr: « Chi siete voi?»
Per che nostra novella si ristette,
Ed intendemmo pure ad essi poi.
To non li conoscea; ma ei soguotte,
Comò suol seguitar per alcun caso,
Che l'un nomare un altro convenette,
4 Dicendo: « Cianfa dove fia rimaso?»
27. LAGO; aparso apeano tanto sangue
(degli armenti che rubava d'intorno e
quindi scannava) da formarno un lago.
28. mate: Centauri nel girone de' ti»
vanni y efr. Inf, XIL 58 apg.
20. FURAR: Al.: FUNTO. Pur avere ru»
hhato con astuzia 16 vacobe ad { tori di Ri
cole. Gli altri Centauri, suoi frate, n
usarono asturia, ma soltanto forza e rio-
Jonza.= PRODOLKNTX : tirato Il beatiame
rubato por ln coda, lo fece camminare nì-
l'indietro, affinchè Ercole non potense so-
guteno lo orme 6 scoprire il farto, Al
30.41NrESTO: che Ercole condus
Spagna dopo avere uosiso Gerione, =,
Micios In vicinanza.
Bi. oxniti per Il qual furto frodolente,
che fndurse Ercole a osrearlo ed neci-
BÈ. CENTO: percosse. - ox sunTÌ: ce
sendo forse già morto sotto | colpi tre-
mendi prima di averne ricevuti pur dieci,
V. 334-151, Ladri Fiorentini è loro
trasmutazioni. Vengono tre spiriti Flo-
rentini: Agvello Brunelleschi, Buoso de-
Abati è Pnocio Sc!ancato. Viano quin-
"tun quarto, Cianfa Donati, fu furma
di serpente x soi piadi, 0 s° incorpora in
Agnollo.Vieno finalmente FrancaneoCa-
valcante fn forma di serpentello, e tea»
amuta natora con Tuoro dagli Abati.
Cinque ladri Fiorentini, le ca! trasfor
mazioni sono incamparabilmente mira
DIlt; cfr. v. DE agi.
I. PARLAVA: Virgilio, — 81: Caso. —
rmasconst: passò oltre.
#6, tie! Agnello, Buoso © Pnodo, =
soTTO Ner: sotto quel punto dell'argino,
ove eravamo Virgilio ed fo.
26, #' accorsr: non avendo fatto at-
tenzione che a Caca.
NOVELLA: Sl dincorno tra nol due
cessò; tacemmo per far nttenzione agli
spiriti lapgià nella bolgia.
40. SEGUETTR: sOgui, avvenne.
AL srnurtaRI avrentoo.
42. vw unito: AlsALt'aLmmo, Al. ut
NOMINAR L'ALTRO.
43, Craxya= della nodilo famiglia del
Donnti (Petr. Dant. Jo dice dagli Abati).
< Fa graudo ladro di bestiame, è rompia
botteghe e vuotava lo comsetto »; An, fel.
sgondo 1 Vel; lasts 6 KOk soia:
gni, avendo in minno tl
Sabblica, convertirsno fa iso pai lo
pubbliche entrate, onde questi Floren-
tinì non sarebbero ladri comuni. Cianfa
n'ora trasformato in serpente a sel piedi.
246 [oxre.a. noLo. 7) Ixp.xxr. 66-78 CLADRI FIORENTINI]
Che non è nero ancora, e il bianco more.
Gli altri due riguardavano, e ciascuno
Gridava: «Omè, Agnèl, come ti muti!
Vedi che già non se'nè due nè uno.»
Già eran li due capi un divenuti,
Quando n’apparver due figure miste
In una faccia, ov'eran due perduti.
Férsi le braccia due di quattro liste;
Le cosce con le gambe, il ventre e il casso
Divenner membra che non fur mai viste.
Ogni primaio aspetto ivi era casso:
Due e nessun l’imagine perversa
Parea; e tal sen gia cor
431. Ti Rose: «O carta 0 lnciguolo, la
almilitadino va sempre beno. »
6. sor: svanisce, ai perde; non è più
blanco e non è ancor nero,
Dlica, no distrae lo rendito a propo
vantaggio. L'An. Se7. ba alouno
larità che non anranno forse di
ronzione: « Questo Agnello fa de” Bru-
nelleschi di Firenze; @ Sofino picciolo
srotava la borta al padre e a la madre,
poi votava la cumottà a la bottoga,
imbolara. Pol da grando entrava per lo
caso altrui, 0 vestinsi a modo
è faclual la barba di vecchio,
fa Dante così trasformare per li morsi di
quello serpente come fose per farare.»
69. x DUR: « non due, perchè |
gorpo: nà uno, perciò non aven
® fadfridualità o di sol sorpente CE tri
solo uomo »3 Di Stma.
72. FREDUI: misti, confuni inaiomo in
modo da aver porduto |
Irlanza. Al: Doe dannati. Era propi
Bocosario di dirlo!
93: FRASI: i fecero, divennero. — DI
QUATTIO: delle duo bencoia di Agnolo o
dei duo piodi lazio del serpente La
Shocohesata, chiama is braccia dell'aomo
903 4 piedi dol sla
Ta: TRIMAIO : di prima, umano 6 ser-
casato, cancellato.
pr: TDCI n esciegerano e pra sì scar
nto passo.
sora le dno natare, dell'nomo e del
sorponte. Cfr, Ovidio, Met. IV, 300 meg.
— ranvansa: tramutata,
78. TAL: così orribilmente trasformata.
Il Diritto Romano distingue tre apecie
natorali iure communia annt omefura,
quasdam untvoraitatia, quasdam nullins,
ploraquealngalorum.»Sembra che Dante
sinto pieno e fan CIRIE ZAR
ladro alla sagrestia, rubò
0 nfa ed Agnolo occuparo»
‘a quel che pare, cariche pubbliche a
robarono quindi negli uffici, cioò
coso pubbliche. Gli altri tro Fiorentini,
ricordati in questo canto, furono, per
quanto ne sappiamo, ladri di cose pri»
vate. Quindi la divorsità della pena,
1a seta
ignoto nl salacono; al abbraosto; di
fauvo uno in due; figara stupenda degli
impiegati infodoli che sé nniavono per de-
rubare Jo Stato, Gli altri rubano l'un
tutto ciò che capita lore alle cuni, mè
lasciano mai l'abito di rubare. Claamo 29;
248 [esgo.s. noLo. 7) Ir. xxy. 95-112 TLADRI FIORENTINI]
Del misero Sabello e di Nassidio;
Ed attenda a ndir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio;
Chè, se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, io non lo invidio;
Ché due nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò, sì ch’amendue le forme
A cambiar lor materia fosser pronte.
Insiemo si risposero a tai norme,
Che il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrinse insieme l’orme.
Le gambe con le cosco seco stesse
S'appieccar sì, che în poco la giontura
Non facea segno alcun cho si parosse.
Toglioa la coda fessa la figura
Che sì perdeva là, e la sua pelle
Si facea molle, 6 quella di là dura.
uz To vidi entrar le braccia per l’ascollo,
00. st SCOCCA: ni racconta, ai espone.
— «Quello eho manda fuori del suo arco,
parlando metaforicamente, lo îngegno è
larto sua »; Gelli
MN. Caparo: cangiato in serponte; ofr.
Orio, Mat, TV, 169.009. > AneTUAA : tre
aformata ln fontana; bid, V, 573-061,
99. xox LO InviDiO: poichè la meta»
morfoal che io ato per dosorivero, è di
ran lunga più stupenda di tutte quelle
Joi descritto; il'obe, per niro non
Gigaltica che Dante non ai giovamio così
di Lucano comu di Ovidio.
100, DUR: l'omana e la serpentina.
< GIà s'intende che forma nel linguaggio
scolastico non nignilica l'eateriore con-
Uorno & rilievo e apparenza de' corpi, ma
Pintima sostanza che fia essore gli Peng
materiali e gli oggetti spirituali eluache-
duno nella sua specie,
ohogli è. Intendo dunque il E
traaformazioni cantato da altri,
furmo, per osempio l'anima vivente del-
Pai prende la materia d'animale o
ai
ai nuovo, è la terribilità del mirabile che
ui vuolal notare »; Tom,
103. n RImPORERO: AÎ infiuisono reol-]
procamente, corriaposero l'una all'altra.
“4 TAI NORME: nel modo seguente,
‘106. rraux: divino la cota iu due parti
forca, parti cho doverano di-
n lo gambo 0 { piedi d'un uomo.
La confusione di Cianfa e di Aguoto in:
cominola dal capo; la trasformazione di
(tosti altri due dalla coda o dal piedi.
108, PeRUTO | ferito nell'ombalico. 1.8.
sig. Di Jeruto por ferito otr. Inf, XX1, 87.
Loan piedi l'tblo per ia usi
come | Lat. diagero vestigia
Prima si unlacono | piedi, qui fernni
si continua nella gambe e nella canoe, fn
bi l'unione è compinta; piedi, gambe
è cosce hanno preso la figura della coda
del serpente, îa giuntora dello gambe
non sd diattugne più, nò è più possibile
discernere clio quella coda è formata da
duo Histe,
107. br r0c0: tempo; in nu momento.
108, ai Pansa: appariaso, si poteste
250 [ceRc. 8. BOLO. 7) Ixr. xxv. 129-142 [LADRI FIORENTINI]
E le labbra ingrossò quanto convenne.
Quel che giacea, il muso innanzi caccia,
E gli orecchi ritira per la testa,
Come face le corna la lumaccia;
E la lingua, che avea unita e presta
Prima a parlar, si fende, e la forcuta
Nell’altro si richiude, e il fammo resta.
L'anima ch'era fiera divenuta,
Si fagge sufolando per la valle,
E l’altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia gli volse le novelle spalle,
E disse all'altro: « Io vo' che Buoso corra,
Com'ho fatt'io, carpon per questo calle. »
Così vid*io la settima zavorra
faccia. Il v. sg. prova che questo è l'in- o Sciancato, che non era ancora tra-
0 el convetine per prender Agura dilab:
dra d'uomo.
120, quKLI l'uomo trasformato fn ser-
pente.
Id. racs: fa. Cfe_Nannuo,, Verdi, 005
sfg-— LUMACETA: lumaca
133, AvrA: l'uomo trasfermantosi în
sorpe.
194. voncUTA + secondo le opîaionî del
tompo, « Tile quidem volt pi più
med liogua repente In partes rare, 0 forse compiuto l' ufficio, miss
dnax, neo verba rolenti Saffioim {n suo înogo,... messer Irancesco, vbla-
tleaquo aliquos parat stor
urox: da sorpente. « Super pe
etue tuom pradiori n, Gen. TIT, 14. =
ponan
‘mette nella sentina della nave per
Saia immongore quanto è necessario nel-
l'acqua, e renderla più atabilo. Qui per
darai vicondevolmante il seguo. bolgia. Così Vee, Or. col più. Ma ln bol-
gia non sl mnta © tensmata. Meglio Pwo-
AL; Manda bava dalla bocca, sputa namné: « Dico zavorra {1 contenuto, vioò
gli mpiriti ed 1 sorpenti. » R il Gelli; « La
settima zavorra, cioè quegti spiriti che
nono in queata settima bolgia; i quali el
chiama zavorra, perchè el 40n0 fl ripleno
Da diaoze soa ita uscito] teca
la natura dell' uno e dell'altro »; fonti.
189. GLI: Al nuoro serpente. - novEL- mercanzia,
tt: tostò formato. non è fatto mai troppa stima, © 1 ladri
140. ALL'ALTRO! al torso do' tre, Pno- sono sempre in obrobrio a olasoumo ».
252 [ceRc. a BOLO. 8]
Tur. xxvi. 1-9
CANTO VENTESIMOSESTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA OTTAVA: CONSIGLIERI FRODOLENTI
(Camminano interamente avvolti e chiust da una fiamma)
ULISSE E DIOMEDE, VIAGGI E MORTE DI ULISSE
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
Che per mara e per terra batti l'ali,
E per lo Inferno il tuo nome si spande!
"Tra li ladron trovai cinque cotali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna;
È tu in grande onranza non ne sali.
Ma, se presso al mattin del ver si sogna,
Tu sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna:
V. 1-12. Invettira contro Pirenze.
Con amarlasima ironia, 1 crale ped
Fitonzo, predicendole
delle ano colpe, od angurandolo cho ciò
avre to,
2. ATTI: voli famosa por mare è por
terra, « Erano allora i Florentini sparti
inolto fuor di Fiorenza per divorne pasti
«del mondo, et erano in mare et in terra,
di che foruo Il Fiorentini no ne gloria-
vano »; Buti,
3, 81 6PANDE: Fiorentini ee no trovano
cangiato di forma,
‘Pacco Sclancato, Gli nìtri due sono
Cianfa Donati 0 Francesco Cavalcanti.
1 Donati © Drunelleachi erano dei Neri,
Abati è Cavaloanti de Bianchi; oft.
Vel. VILI, 39. Dante dunque mostra
ti, come fa fanti altri Inoghi, d'aver
fatta parte per sò stesso.
5. vanioasa: essendo lo pure Floren»
tino. Cîe. Cone. IV, 97.
È. ONRARZA 1 Orramza, onoranza.
T. DEL van: oredttero gli antichi che
i presso al mattino anvunzianero
Iufallibilimento l'avvenire. « Namque aub
aororam iam dormitanto Luclna, Teme
Opi
ad ma iali voce Quirinua, Pont
noetera visns, quam somuia vera
rot., Sat, 1; x, 33 ng, Ce. Purg.
13 seg. Sembra che Dante finga ui di
aver veduto tn un sogno sul
SICILIA da Pel radiata ale patta
8. storm: proveral, « via
magna iubet. Rex ipso Latinne, Ni darò
coniogiam et dioto parere fatetur, Sen
tint et tandem Tarnom oxperiatur in
arms; Férg,, den. VII, 432 ngg. =
DI Qua: In breve, tra non molto.
0. qua: malo, > nato: 4 più inten
dome dol Feat, alora sii! dl LI
© malcontenti
Si ii cada Nico Prato che
254 [cesc.s. soLo. 8] Ixr.xxvr. 20-84 [(coxSIGL. FRODOLENTI]
Quand’io drizzo la mente a ciò ch'io vidi;
E più lo ingegno affreno ch’
non soglio,
Perchè non corra che virtù nol guidi:
Sì che, se stella buona o miglior cosa
M'ha dato il ben, ch'io stesso nol m'invidi,
Quante il villan che al poggio si riposa,
Nel tempo che colui che il mondo schiara,
La faccia sua a noi tien meno agcosa,
Come la mosca cede alla zanzara,
Vede Incciole giù per la vallea,
Forse colà, dove vendemmia ed ara;
Di tante fiamme tutta risplendea
L'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi,
Tosto ch'i
fui là ve il fondo parsa.
U E qual colui che si vengiò con gli orsi,
gno infuso in lul dalle atello o da Dio »;
Cart. Dovava, 0 probabilmente voleva
dire in xox usar male.
21, AMFRENO: tengo fa Grino più del
solito, avendo voluto come sono puniti
colaro che, dando astuti è malî consigli,
fecoro abuao doll'ingegno. A slfurta di:
chiarasione n proposito de' mall consi-
Elleri D. è tratto da una ragione parti»
colare e tutta sia, come notò giustamente
Ul D'Oridio (Studid, p. 89); dal fatto, cioà,
he D. «nell'eniglio diventò un uomo di
corte, vogoziatore politico, un con
gfllore di priocipi, e il consigliar frodi
ordire inganni sarebbe potato diventr
ln fuî un poccato professionale, un vizio
del mestiere. »
28, ATELLA : faluonza da' pianeti. — st-
Nuioa cos: la grazia divina.
84 WRN: ingegno, - ivi
domo. « Qui siti invidet, nihil eat slo
negniua, 1 hmo redditio est malitim ll
Jia »; Feel. XIV,
TALI, QUANDO; ef.
Il sentimento
Villano fn tempo di
della nera, dal collo in coi a! riposa,
nella vallo ovo ha forse la sua vigna
Ù ano campo; tante fiamme jo vidi
wpJendere in tutta l'ottava bolgin, ato.
xomo lo mi accordi, tosto cho fui slla
sommità del ponte, da dove Il fondo era
Fisibile. Ma per dir ciò ni vale jl Poeta
di vaghe pertirui, Eoco le sostituzioni :
in tempo di atate; nel tempo che coli
ehe € mondo sehiara (Il solo) la faccia
tuo © noi tien meno aecosa, - Come fn
nera: Come la mosca cede alla zanzara;
perchè fn quell'ora quest'insetto sbaca
è quello si ritira. "Ove ba forse la sua
vigna e Il suo campo: farse colà dove
vendemmia ed ara; porchò dal residui
della trebbja e dolla vendemenia, Impia»
guati di umidità, segliono sviluppare
20. TEMPO: solstinio estivo.
VEDR: Contra Quante, vede... Di
30, won: cos tutti, 2. P. (180 m.).
dorldendo questa lex, vnol l AR
si. - vixniomta 20 Arai lo due prim
cipali opero del contadina: efe. Tnf,
XX, 47.
SI, RIAPLENDRA 1 Incera. « Cotera com
funeque ingente credis acorvum Noe
numero neo honore cremant; tune une
dique vasti Cortattm crebria contuennt
98. ) ponte, - roKDO:
dell'ottava bolgia, — Parga: agpparieà,
24. coLui: Îl profeta Eliseo. « Cumque
ascondoroi per viam, punri parvì egrossi
sunt do civitato, et Niludebant el, dicem
tor: Ascande, calve! Assende, calvo!
Qui com reapezienet, ridt sca, at malo-
dixit eis io nomine Domini: egressigue
sunt duo uraî de saltu, ot laceraversint
«x elò quadraginta duos pueres »; IV
Reg. TT, 2924. - vanoiò» vendicò,
256 [cerc. 8, noLa. 5) Top. xxvi. 50-65 [uLisse E DIOMEDE]
Son io più certo; mn già m'era avviso
Che così fosse; e già volea dirti:
Chi è in quel fuoco, che vien sì diviso
Di sopra, che par surger della pira
Ov'Etedele col fratel fa miso?»
Risposemi: « Là ontro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
Alla vendetta vanno come all’ira;
E dentro dalla lor fiamma si geme
L'aguato del caval, che fe’ la porta
Ond'usci de' Romani il gentil some.
Piangevisi entro l'arto per che morta
Doidamia ancor si duo] d'Achille,
E del Palladio pena vi sì porta, »
«B'ei posson dentro da quelle faville
Parlar,» diss’ io, «maestri
60, a'uma avvmo: lat, mdhé visum
erat; m'era già immaginato.
52. DItIsO: « Eco iterum fratres: pri-
mus ut contigit artua Tguia edax, tro
nere rogî, et novus nd vena buwtia Pel
Iitur; eandant diviso vertico farm
Alternoagno apicsa abrapta luce coro:
menut =; Stat, Thod. XLI, 439 neg.
« Setoditor in partes, geminogue cacu
mine sorgit, Thebanos
Tucan., Phare., I, 581 sj
figli
Elipo ad esillaro da Tabe, ande
inadediszo, aogorando loro rieieiai
na. I due gomelli ai accordarono di re.
giunco ciascuno alla wma volta per
anno; ma, scorso Îl primo anno, Eteò-
ele non volla codere il regno al fratello.
Polinioo al recò allora nell'Angolido, vi
Rpowò Argia, figlia del ro Adrasto e ri-
a com nitri re Argivi ad assediare
Tube, Quivi s'incontrò col fratello e si
‘neeisero l'un l'altro. I loro cadaveri fh-
rono ponti aulio stesso rogo, mala fiamma
ni diviso anbito fn due. Cie.
IT, 439 agg. Mito: mosso, posto, col
dosato. Mis por messo, asarono gli an-
tichi anche in prosa: ofr. Namwue., Verdi,
Ml nt, T. Voci, ST ag.
67, vaspeTTA : divina; alla ponn.- At
R'ma: divina, Come farono uniti a pro
assai ten priego
vocare l'ira di Dio, così smo uniti
nd omperimentarno gli effetti. AI. luten-
dono delia propria ira dei due, a sfogure
la quale corsero ineleme, = « Vanno fn-
nemo aÎîa penn, come insieme corsaro
alla colpa, poichè la vendetta dirtua non
divido coioro che da ira dolorosa furono
congionti a danno altral »3 Jose.
58. st onu: el piange. + Armyel esatta
gomit»: Fing,, den, 1,221,
50. cavaL: di legno, per cui 1 Greol
entrarono In Troia ed Enea co' suol eom-
pagni no anch per recaral pol nel Lazio a
fondarsi Roma ;ofr. Virg:, den. IL. Dante
sqnbra supporre, ciò che Virgillo non
dico, che Enea usciane da Troîa per Ja
medesima apertura per la quale fa intro»
dotto fl cavallo di legno, Comunque alast,
V'astozia del cavallo di legno fa la canna
della distrazione di Troia, e quindi della
partenza di Knos © della sha venuta tu
Italia.
62. Drmamla + figlin di Licomede, ra
di Solro, sposa di Achille, che, grazie alte
natazio di Ullsso 6 Diomede, la abban-
donò per prender parte alla guerra di
"Troia. Cfr. Purg. XXIT, 116.
163, PALLADIO: statua di Palladi cn
ch'era golonamente conserrata
edalla. preme
la naluta della città, rapita pol con astu-
tin da Ulisso e Diomede; ofr. Quinta
Smyrn, X, 368 ug. Vérg., den. IT, 165 agg
1258 [cero.s. noLo.s] Inp.xxvt, 82-97
[vLisse]
» Quando nel mondo gli alti versi sorissi,
Non vi movete; ma l'un di voi dica,
Dove per lui perduto a morir gissì. »
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi; mormorando,
Pur como quella cui vento affatica;
Indi, la cima qua è Jà menando,
Come fosse la lingua che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: « Quando
Mi diparti’ da Circe, che sottrasse
Me più d'un anno là presso a Gaeta,
Prima che ai Enea la nominasse;
Nè dolcezza di figlio, nè la piùta
Del vecchio padre, nè il debito amore
Lo qual doven Penelope far lieta,
Di Vincer potèr dentro da me l’ ardore
Breno quid de ta morui »; den. IV, 317, -
roco: «loqnitar rorecunde, cum tamen
multum rmernerit >; Bene. - « Non #em-
pre Virgilio parla odioanmento di loro;
a ogui modo li eso immortali 5 Tom.
N Gt ALTI veRaL: I'
altrove aîta tragedia, XX, 112. ‘ner
301 Credo fo cho Virgilio inganni qui
Ulisse fingendo di essero Omero. » Ma
Virgilio non parlò greco, parlò lombar-
do; XXVII, 2091.
83. L'Ux: Ullssa. La dimanda non am-
mettera equizoco,
BA. PER LU: como af. 1,126, Dov'egli,
RS sangior: Ultise, più fumoso di Dia-
made. = ANTICA: | due si trovavano Ià da
altre ventiquattro secoli.
80. CROLLANSI : « quia lingua latona in-
terios primo merebatar sed non videba-
tir, at faciobat unum confunum s05Um »i
Bene.
RI. APPATICA : agita e combatte como
nè soffianilo è risoffiando la si it N
91 Ginone figlia pri Sola di erro ia
bella è famoaa maga, presso la quale Ulls-
ne si fermò un anno Intlero: ofr. Virp.,
Hem. VIT, 10 agg. 5 Ovéd. Met. XIV, 208.
Moret., Npod, XVII, 15 ag. Pwrg. XIV,
42. — SOTTRLMIR: celò, nascose,
92, LÀ: presso Il monte Circelo, tra
Gusta o Capo d'Anzio,
98 rupia: Enea la chiamò Gaeta della
ana nodrios Caleta, quivi morta enspolta.
« Ta quogue litoribua nostris Anela nu-
trix, Aternam morlen fumam, Calota,
godisti; Et nano sorrathonosesdem tum
Sogsqo nona Hesperia a magna ia:
ost en gloria, signant»; Virg., dem. V'
1 agg
94. norcrzzA : Sì desiderio di nequistar
osporienza del mando la vinse aui tre più
forti alletti di natura: amor:
ar
Firg » den. TI, 137 mt. Ole Wide XV; e
Secondo la tradisiono omerica, Ulleserim-
04. XI, 119 agg.— ribera = la piotà, + Quid
est pistas, nisi volontas grata ln paren=
tnat » Oicer., Pro Planeio.
05. neuro: la piotà figlialo a l'amor
paterno sono natarali ; l'amor conisgale
è un dovere. + Magis fils, inde patri,
postea uxori Incllnsmnr »; Petr. Dent,
260 [cERc.& BoLO, 5] Ixr, xxvi. 114-128
A questa tanto picciola vigilia
Do vostri sensi, ch'è del rimanente,
Non vogliate negar l’esperienza,
Diretro al sol, del mondo senza gente!
Considerato la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza. ’
Li miei compagni fec'io sì acuti,
Con questa orazion picciola, al cammino,
Che appona, poscia, gli avrei ritenuti.
E, vòlta nostra poppa nel mattino,
De' remi facemmo ale al folle volo,
Sempre acquistando dal lato mancino.
Tatte le stelle già dell'altro polo
Vedea la notte, e il nostro tanto basso,
314. viorLia : Îl poco vivere che ancora
vi resta; la vita senaltiva; ofr. Cono,
UL
a
Tif, CH'È DEL HIMANRETE: che antor
vi ritnano; quer de religuo rat. Al.: cn &
ni naziste: fr, ZF. 203, Blane,
Versuch, Mi.
117. DIETRO : segaltando 11 Sole; pro-
lendo da oriente ad lente, Al:
Ditre n dove il Sol cado, Bene.: ad
alîud bemlapertum Enferiua, ad quod soì
accedit quando recedit n nobia, » > BESZA
anste: secondo l'opinione del tempo. I
geogra dicevano l'altro aminfero casore
tatto coperto d' acqua.
118. sexaRzA: la dignità dell' amana
efr. Conv. LIT, 2. AI: Pennato
lio d el'ul-
ei
4 Homo, cum în honore ew
set, non intellexit: comparatus est lu-
mentin Inalpiontibus, et altilia fnctua
Pral, XLVILL 21,
121. ACUTI AL CAMMINO: acutamente
Bramoni di continuare Il viaggio.
‘126. NEL MATTINO: a lavanto; danque
Îla prora a ponente, lo verso co»
PETS
«Tomptamusquo viam et velorom pa
dina als.» Preper, IV, 0: « Claasia
centenio remiget alle, sat FOLLE VOLO!
allo sconsigliato vlaggio. Folle, perehà
ebbe caito Infelice; volo, per aver chiar
mato ale 1 remi. Cfr, Par. XXVII, 83,
120, acquisraxpo + piegando sempre
sinistra, dalla parto dol polo antartico.
<Il Poeta faceado giungere Ulluso alle
riats del monte del lurgatorio, apposte
sotto il meridiano di Gerusalemme, biso
guava sempre tener la sinistra, chi mo-
vesto da Gibilterra, cioò ‘vom
pre a lerante, quanto pvamo le
conto occidentali dell'Africa, per rigua»
daguar la distanza cho separa le coleane
d'Ercola da Gerusalemme, E cos viene
n diro anco In direzione di ostro levanto,
che dovevano arer quelle coste, aneloc«
chè, secondandolo, ai avanzasse sempre
a mancina. Quante ccso n un versi
Antonelli.
127, AUmiO roLO + antartico.
328. vena 5 fo. = La NOTTI: di notte,
Al La sOTTR venia -MOSTRO ; Il polo ar-
tico ora sceso tanto, che non s0rgove più
fori del mere, nd pi ol vede; iva rano
te astronomiche ehe
ice lt a pa ti
agì! antipedi mestei, în virtà di
268 [crRo. s. ROLO, =) Ixe, xxvm. 76-91
DI Gli necorgimenti è lo coperte vie
To seppi tutto; e si monai lor arto,
Ch'al fino della terra il suono uscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte
Di mia etade, ove ciascun dovrebbe
Calar le vele è raocoglier le sarte,
Ciò che pria mi piaceva, allor m' incrobba;
E pentuto e confasso mi rendei,
Ahi miser lasso!, a giovato sarebbe.
Lo principe de’ nuovi Farisei,
Avendo guerra presso a Laterano,
E non con Saracin, nè con Giudei,
Ohò cinsenn suo nimico era Cristiano,
E nessuno ern stato a vincer Acri,
Nè mercatante in terra di Soldano;
mn Nè sommo ufficio, nè ordini sacri
TI. eEPETI conobbi ogni sorta di frode
a d'inganno, 4 ne foci tal neo da rendermi
famoso fn tutto Il mondo.
FR, AL PINE n06.1 Al
finalmente la fama dol
de' miol maneggi, useì delle provi
d'Italia. Cfr. £. P., 108, Ma în realtà
{l samso dev'essere: * la fama nì esteso
‘gtata mu quolla dol Salmo. XVIII,
è Inomnem terram exivit sonne sornm
68 fn finoa terrne verba corum ». Ofr. nin-
#1, CALLE: «Ia naturale morte è quant
porto a noi di lunga navigazione e ri-
poso, I cod come il buono marinaro,
domo eano appropinqua al porto, cala le
‘vola, 0 sonvemonte con debile con-
Anofmento entra în quello; ccsì noi do-
remo calaro lo velo dello nostro mon-
diano operazioni, è tornare a Dio con
tatto nostro Intendimento e onore; slo
Uè w quello porto si vogna con tuita
Roarità e con tutta paoe»; Cone. IV, 28,
devo tra coloro cho « calaron lo vele delle
operazioni + è per l'appanto ri-
ordato + 11 hobilisimo nostro Latino
Poteri, 1 6974 <Ma lo mena vendo
pontato. » Secondo altri, mi rendeî
mi feci frate, ciò cho È già detto,
v. 67 ag.
V.85-111, Ya papa seduttore, Grido
racconta comp, nodotto con parole fallaci
da papa Bonifazio VIT, ricadesse nei
vecokio peccato, dando ni pontefice Îl
malvagio consigilo circa fl modo di pet:
taro a terra Pranestina:
non mantenor la promossa. 1 Rei ed
altri, fra col ll D'Ovidio, 10 che
questo particolare sta in venzion
te; altri, p. es 11 Torraco, che Dante se-
fuisse nia voce che corresse al ao term-
po: la questione è ancora suò fudiee,
85. rinvcree: Ronifazio VILL. - PAWI-
sur: cardinali € chericî cristiani.
#6. 0umrItA? col Colonnari nel 1997, cha
abitavano premo San Giovanni în Late-
rano; ofr, Murat,, Soript. 1X, 144, 969)
XI, 1218 ag.r XIV, 1115; XV, 964
XVIII, 301) XXTT, 178. 6. FALVINII.
87. Banc1s : Saraceni; cloò, non guer
reggiava per salo di religiono,
#0. Aca: Ban Giovanni d'Aeri, città
della Siria, nitlmo possesso det Cristiani
in Palestina, caduta io mano ai Sara-
toggiato noi paoai da' ‘Maomottani; erano,
anzi trtti aniicî della religione di Cristo,
274 [ceno.s. noe. 3) Ixr. xxvrti. 23-87
Com'io vidi un, così non si pertugia,
Rotto dal mento infin dove si trulla:
Tra le gambo pendevan le minugia;
La corata pareva, o il tristo sacco
Che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
Guardommi, a con le man s'aperse il petto,
Dicendo: « Or vedi come io mi dilacco!
Vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo All,
Fosso nol volto dal mento al ciuffetto.
E tutti gli altri che tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma
Fur vivi, e però son fessi così.
n Un diavolo è qua dietro, che n’accisma
‘0x1, como Îo vidi uno rutto, coe. - vas»
pia: botte; vece d'origine ignota; cfr.
Dies, Wèrr. 113, 78 Vezza © vezria por
Botta viceno nel Bergammaco, - Mtrzut,!
< li fondi dello botti sono di tro persi:
quello di mozzo è detto mezule, è li
estremi banno homo tulle »; Lon. Se-
condo Bene, mezzul è n parte modin
dol fondo della botto, dove casa rl apro,
è lulla « pura fuudi vegetta iuxta estre.
ma ad modur Innm. »
DM. ROTTO : portagiato, faaso. e TRULLA:
Bens.: « dest ab Sy sad anum »,
tr. Comm. Lipa, 1°, 482.
3. o D ‘interiora, budelia; da
Ware. 18,
nuo, Nome, 213 © 767.
parEva: appariva, al voleva. = TRISTO:
lordo, feteute, « Disaituit atringens nte-
Decoquit: in minimum mora contrabit
omnia virus. Vincula nervorum ot la-
derom textura.... efinunt »; Luean.,
Phare. IX, 773 agg. - sacco; dello ato-
anaso.
97, TRANUata | si manda giù, man-
giano è bevondo.
28. N'ATTACCO! m' affisso, sto miran-
dolo attentamento. « Dar atupot, obtu-
3 Dieret deficus in nno»; Virg,
ori propri aglio la leocho,
«ul por estens. son Incerato squarciato.
BI. ATOUIIATO: gunsto nello membra.
Ali SCOPPIATO, SCIMEIATO © BerPATO,
Ote, Z. F., 172.» MAOMETTO: ÎI fonda-
toro dell' Islaminmo n, a Mecon 40, m;
Ina 023, Al: MacometTo, Ha Ît cor-
fesso, per aver seminato seiama nel
sepali ctr sul: 1198,
dol Dio vincitore, e Murtadhi, cioò @rato
4 Dio, cugino o genero di Maomette, ed
uno do' primi mol seguael, n. 897, neci-
30 660, Discordando in alorni panti dalla
dottrina di Maomatto, foce una setta da
nè; ondo egli ha fesa sopaato fp
parte del corpo che Maometto ha
intiora,
3. PRASO: Al: ROTTO. = CIUPPRTTO?
ciocca di capelli sulla fronte; qui per
fronte.
35. scamato: discordie civili, ela
ic Inimiolzio, — actsatà;
da ozitew Gscindero, dividoro).
36. vivi: da vivi, montro vivevano su
37. qua purrno: in un punto della
Volgia, il quale, essendo esa olreolare,
resta di dietro dal Inogo, ove ai trevano
Dante Virgilio, onde non: possono vi=
Adicraa, abbiglia i è st ste |
tenuto in * neeoneta *; Al
glia. AL: Piaga,
280 [oxro. 3. BOLO. 0] Ixr. xxvitr. 112-125 [RERTRAM DAL BORS10]
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
E vidi cosa, ch'io avrei paura,
Senza più prova, di contarla solo;
Se nori che coscienza mi assicura,
La buona compagnia che l'uom francheggia
Sotto l’osbergo del sentirsi pura.
Io vidi certo, ed ancor par ch'io 'l veggia,
Un busto senza capo andar sì com
Andavan gli altri della trista greggia.
E il capo tronco tenea per le chiome,
Pésol con mano, a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e diceva: «O mel»
Di sè faceva a sò stesso lucerna,
Ed eran due in uno, e uno in due;
lo, condinso a tal martirio. Questi è 1
glabre trovatore Bartrandi
eavaliore, baon guerriero, buon amante,
buon trovatore; bene istruito nell'arte
dol bel dire, anpora sopportare la buona
ne;
taogenito dI Rinvio TI re d'Inghilterra,
# ribellarei al padro. Morto il ra giovane
mol 1183, Enrico assediò Bartrando
Manioliet; ma pol Eni gli
MM Scherilto, Bertrom dal Bornio, Ro-
mA, 1897.
112. sruoLo: sohlora del seminatori di
scandali.
114. FROYA: esperimento; sonza espe.
rimentaria
Ronferme che le mio pare. Ma qual mai
altra conferma del sao racconto ha {l
Posta, tranne lo que parclo? - soLO: avv.
4 temerei soltanto di raccon-
115. assicuna : sapondosi pura, mi ren-
de testimonianza che fo non he nulla a
‘temere di quello peno che vidi e deserivo,
checchè no dicano i miol nomiet.
116. maxcmoala : rende franco, di-
chiarandolo soerro di colpa. « Cansola
mona ut culque ana eat, ita conolplt intra
Peoto
pootico, interrotto dal rv. 112-117, A.veno
do detto che l'aura laggiù ora fon, v.
104, ed essendo clò che qui deserte co-
mi parre soltanto di vedere; vidi certa»
merita.
119. sì com: nello atesso modo, colla
sta sul busto,
122. PIRSOL: sompeso, pendnlò, Lea
modo cho, camminando nell'oscurità
tomo oe (asa e è la lastacna por
rischiararsi la vin
123. QUEL. Îl capo tronco. Al; quas.oft.
2, E, 176.= 0 x: cimà,
136. DI è di part di nd od dl o
fee: Coco < PagiARI A
fi quale DEI in mano, guidava i
282 [csxo.s. n0L0.9) Ixp.xxvin.140-142-xxix,1-3 [ammonizione]
Partito porto il mio corebro, lasso!,
Dal suo principio, ch'è in questo troncone.
13 Così s'osserva in me lo contrapasso. »
140, camkmRO + cervello; qui per capo, 142. commraramso: lat. contra pati;
la parto per il tutto. la leggo del taglione, vigente in tatto
141. ranvcreio : dal midoîlo spinale, di l'Inferno dantesco, la quale esige che tal
ul cervello doreduto (da Ariatoteli #Ia punito qual fece; ofr. Buod. XXI, 4.
Gallo e da Fisiologi moderni) easero ri: —"Levit. XXV, 20, Deuter. XIX, 31. Matt.
gonfiamento e aver origine dn esso. V, 38; VIL &
CANTO VENTESIMONON:
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA NONA: SEMINATORI DI DISCORDIE
GERI DEL BELLO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA DECIMA : FALSARI D'OGNI GENERE
\° FALBATORI DI METALLI
(Coperti di lobbre, puzzolenti, seduti per terra, sl grattano ferocemente com
le unghie 0 sono morsicati da altri spiriti)
GRIFFOLINO E CAPOCCHIO
La molta gonte è lo diverse piaghe
Avean le luci mie sì inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe;
V. 1-12, Ammonizione di Virgilio, 2. Luo: coshi; ofr. Purg. XV, Ski
Danlo, commomo fino alle lagrime, è an- XXXI, 19. Par. I, 06; XVII, 58:
‘cora tutto intento n guardare giù nella —"‘XII, 129, toc, » ixksuare: pregno di
Mona bolgia, quando Virglio gione fa lagrive per i dolore cagionato da qosll
pàtorno rimprovero, ricordandogli ca. vista miseranda. « te Incryma
stro omai tempo di continuare fl viaggio. Muta) Tata XVI. 8= beata ct do-
1, MOLTA: efr, Inf. XXVIII, 1-81. - ropdeboria »; Bscah, XXIII,39. Ott.
Tosrc. s. BoLa, 9] Ixr.xxix. 13-80 [GERI DEL BELLO]
«So tu avessi » rispos”io appresso,
«Atteso alla cagion per ch'io guardava,
Forse m’avresti ancor lo star dimesso. »
Parte sen gia, ed io retro gli andava,
Lo duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo: « Dentro a quella cava,
Dov'io teneva gli occhi sì a posta,
Credo che un spirto del mio sangue pianga
La colpa che laggiù cotanto costa. »
Allor disse il maestro: « Non si franga
Lo tuo pensier da qui innanzi sovr'ello:
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
©h'io vidi lui a piò del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
Ed udi"-1 nominar Geri del Bello.
Ta ori allor sì del tutto impedito
Sopra colui che
tenne Altaforte,
Che non guardasti in là; sì fu partito.»
è dagli nlbei figli di messer Clone, nel
"uali probabilmente rimasò estinta >:
1 11, p. 225. Tortolan,
1605. ME. Barbi, Bull. 1 0,
pra udito SI rime
vi
18. DtuIsS0: dal lat, dimiltere, por
mesmo di fermarmi sncora un
16. rantR: mentre, intanto (ef,
Perg. XXI, 19). Mentre cho Virgilio so
ne andava fn atto di aprire la bocea
rispondermi, fo gli tenera dii
pezzo nio giù ato o ego
tole, Oppure: io lo seguiva facendogii
1a risposta è soggiungendo. Costruzione
mon troppo chiara.
IR CAVA: fomsa, bolgia,
19. A rosta: appostati, afismati; cfr,
vet
20. CUR UN: AL: caRDO ERO
2. F., 176.
21. cosra: dei seminatori di scandali.
Tmranca: non «i rifletta; non pen»
mare più a luî. Al; Non W'iotenarisca è
sommmova. Al: Non ai distragga ed in-
torrompa. Probabilmente frangere ha
qui il valore di rifrangere = rilettere.
* Prende pienza dini raggi, i quall,
quando si frangono soprà una persona,
allora la Muminano. Dice: non
tod 200 sd sparga copra aisi Zi
tefort, 0 Altaforte, cioè Bertram dal
Bornio, nò ad altro badari,
30, IN LÀ: verso il oogo ove Geri pasr
mara. — sì gui sino a fu allonta
TorRo. è. 8OLG. 10) Txp. xx1x. 44-58 [FALSATORI DI METALLI]
Che di piotà ferrati avean gli strali
Ond'io gli orecchi con lo man copersi.
Qual dolor fora, se degli spodali
Di Valdichiana, tra il luglio a il settembre,
E di Maremma e di Sardigna i mali
Fossero in una fossa tutti insembre;
Tal era quivi; e tal puzzo n’usciva,
Qual suol venir delle marcite membre.
Noi discendemmo in su l’ultima riva
Del lango scoglio, pur da man sinistra;
Ed allor fa la mia vista più viva
Giù var lo fondo, lh "ve la miniatra
Dell'alto Sire, infallibil Giustizia,
Punisce i falsator che qui registra.
Non credo che a veder maggior tristizia
dd. PIETÀ : potrebbe qui valere dolore,
onda fl senso sarebbo, che quoi Inmenti
stano l'espressione di tnmnenso dalore
Oppure vnol dire, che quei lamenti ave»
van tanta fora da pungere f) tore a
pietà, «in Inogo di punta la qual aceì
amor di ferro, avevamo la pietà»: Cee
45, combat i forte al tnrd lo orecchio
par non esseri commosso a troppa pietà
@ non meritarsi di novo 1 rimproveri di
Virgilio, come se gli ora meritati altra
volta; efe. Saf. XX, 27 agg.
40. poLax; duolo, lamento; la causa
per l'effutto, » roRA | anrebbe; cfr. Nans
mme, Verbi, 473 ug. Al.: YUOR ERGE,
uso PUON, 600.; ofr. Moore, Orit.; 351 ag.
TI dolore quivi raccolto ora tale, qualo
marebbe, sè în un sol luogo fowsero riu-
nilti totti quanti 1 morbì che infestano
nell'estate lo regioni palndose della Val-
‘dichiana, della Maremma o della Sardi
gua. Questo jo è affine a quello
die alba in Jo XXVIII, 7 ge
47. Vatmenzaxa : la valle dolla Chia-
tepulclano, ai tempi di Dante paludosa o
tmaleana. «Inrta autem vallem latam
etnt illo tempore hospitale de Altapaasm,
bi solebant esso multi pauperos inile.
mikato, et per consequena magnus do-
dor pi Rene. Cfr. Hass., 208 egg
48. Mama: la Mare
deli, Jaf. XIII, ? agg) XXY, 10. Purg.
SW, 124), ln allora quasi spepoluta ol as
sal insaiubre } efr. Loria, L'Italia netta
D. ©, 4% ag. - Sanpiona; Sardegna
mA toscana
«ila molto tetra; como sa ciasrono
40. INRRIIRR peri. © freno.
emsemble, sicil. insembli, lat. in riznaal,
anticamento anche foor di rima; efr.
Die. Wart. 1°, 238. Paredi, Bull. IL,
Al: uscii. — pitti AÎ:
Of. 2, P, 178, = Mstemae tnt
bra. « Spiritns ore foras tintrum vol vedat.
oderem, Rancida quo peroloni probecta
cadavera ritu»; Zaseret., Rer. mat, VI,
1152 ag.
V.62-72. Falsatort di metalli e loro
pena. La prima classe è del fuleari ba
coso, in metalli (aleblmistti, Bono riso
porti di lebbra, o tormentati dalla sea:
bia, o paralitici. La fobbre ando loro ll
cervello, del quale abusarono, e pussazo
por l'immondorza del vilo.
52. DINCENDEMMO : per peter ben die
acornero Il fondo della bolgia. — mrvar
arzino; questo è l ultimo, perebè cnndina
co) profeado pesso, Inf. XVIII, &, dere
lo scoglio Bulk
Sd prva citare; ot. Prg. TV
ignoro, Dio et, Purg. XY,
n10, xDX, las. Par, XU, dé, con
57, Qui: ln querto mando, Tavese
Bene: « quos punît in leta Belgia de
clima; quando enla semtentia datare ec
tra reum, tune regiebrari walt. » (I =
nivotatha è nol Ibri delle colpa; ufe. De
nielè VII, 10. Apoeai. XX, 33.
68, OX CRKhO ecc.i costr: Nom creda
che a vedere in Rgina fl popolo tatto ln-
288. fogro. 3. noLe. 10) Imp. xxix. 78-89
Lo) To vidi due sedere a sò poggiati,
Come a scaldar si poggia tegghia n tegghia,
Dal capo al piè di schianze macalati;
non vidi giammai menare
Da ragazzo aspottato dal signorso,
Nè da colui che mal volentier vegghia,
Come ciascun menava spesso il morso
Dell’unghie sopra sè per la gran rabbia
Del pizzicor che non ha più soccorso;
E sì traevan giù l’unghie la scabbia,
Come coltel di scàrdova le scaglie,
O d’altro pesce che più larghe l'abbia.
< 0 tu che colle dita ti dismaglie, »
Cominciò il duca mio all’un di loro,
< E che fai d'esse talvolta tanaglio,
Dinne s'alcun Latino è tra costoro
Oho son quine' entro, se l'unghia ti basti
tus, dixit dioto Alberto: 90 seirem vo-
Tare, si vellem. Illo nutem Albortua ex fu-
ellitate ana boo credene, rognvit dictam
de Aretio ut doceret ipsa volar; ot
cum non potnieset hoc facere, accnsavit
cam apiacopo Senenal patri ano, ex quo
ictus Hal combustua fuit»; Fambgt. 8a
per giù lo stesso raccontano pure gli al-
tei antichi. L'An. Seî. dico cho Gridolino
6 All
Tuo. Dant. « riputandoa! {1 dette Alberto
da ini ingaonato, a nn certo Inquisitore
de' Paterini ia Firenzo ardero Jo fe
il quale inquisitore padre da) detto AL
berto certamente da molti era tennto. »
‘Sì crede che il fatto suosedesse al tempo
di Bonfiglio, cha fu vescovo di Siena dal
1216 ml 1252. Cfr. o, Dante în
Fieno, 5
Tè. A ab: l'uno @ ridosso dell'altro.
74. tesoma: teglia, raso di cucina.
TE SomAREE: macchie dela scabbia
a Sohtanza 0 stianze chlsmano
rulgnano Je macchie del legno »; Querne
SEI Lo orcete dello piagho disseccato,
SA
Dpr, gtriglia.
IT. RAGAZZO: qui por mozzo, 0 fumì-
di stalla. - sioxoMso: signore suo.
dell'uno antico o viva tuttora
mell'Itaiia meridionale 6 in parte della
centrale; afr. Dies, Gram. 11%, 487 0 Pa-
rodi, Bui. III, 12). Al: DA Stoxonso,
secondo
scacciare iî sonno, ala per terminare Il
ano luroro ed andarsene n letto.
79. arORSO : + quasi Î denti dell engibie,
cioè l’acuta © trinclante loro punta»
Lomb.
40, kavasta : prorito della scabbia, tane
to acuto da non trovare altro solliovro che
talo grattaral, Al,1 Smania feroce,
181. PIÙ n0cconsO: acta altro solijavo,
‘obo gnolo del grattami. com 1a
lo unghie traevano Ca lo
scabbia, como fl
dol cuoco lava via, raschiando, lo squame
scardora 0 di tro
ar pesca d'acqua dolce goa
molto ca ile, n levar lo quali occorre il
coltello; del Linneo,
as. mn pa u croati
collo unghie. Domir = divisi
disfaro lo maglio.
88, Larixo: Italiano; fr, Zgf. XXIT,
66, XXVII, 27, 89.
#9. quirc'aNTRO: dentro ln bolgia; att.
290 [ozro. 4 sora, 10) Inp. xxix. 111-127
Ma quel per ch'io morii, qui non mi mena.
Ver è ch'io dissi a lui, parlando a gioco:
“Io mi saprei levar per l’aere a volo *;
E quei, che avea vaghezza e senno poco,
Volle ch'io gli mostrassi l’arte; e solo
Perch'io nol feci Dedalo, mi fece
Ardere a tal che l'avea per figliuolo.
Ma nell’ ultima bolgia delle diece
Me per l'alchimia che nel mondo usai,
Dannò Minòs, a cui fallar non lece. »
Ed io dissi al poeta: «Or fu giammai
Gente sì vana come la Sanese?
Certo non la Francesca sì d'assail»
Onde l'altro lebbroso che m'intese,
Rispose.
Che seppe
tto mio: « Trammene Stricca,
le temperate spese;
17 E Niccolò, che la costuma ricca
111. qua: non sono dannato per quella
colpa che mi fia imputata e per la quale
fui arto, ma per altra, cioò como alchi-
mista, v. 119.
112. 4 GIOCO: «quia babobat solatiam
dio etus fatuitato +; Hene.
114. vaomEezzA: curiosità di coso nuora.
+ Diconi che quello Alberto era molto va»
di cotali traffo, 6 svevavi consumato
ol suo, @ però area poco senno »; Ott.
135, asta; di volare
. DinALO: che sapera volare; ofe.
pati VII, 106 "ER: Ovid., Mat, VIII,
208 egg.
Mfr a rat: da tale, od dl vescovo di
Biona, che lo tenca tn fuogo di
108, Atompta: arte di fre oro, dal
l'arabo al-Klm(4, afr. Diez, Wort.
Qui intende dell''alchimia ip "ate
fulan 1 motalii; ofr. Thom. Ap., Sum.
theol, II, 2,77 0 d'OL.
120. NON LxOK: Minosse non pnò fal-
Raro, como fallò il vescoro di Siena,
VW. 121-132. Pamitd def Sanesi, Il
ricono della fatuità di Alberto da Slo-
ma indueo Dante ad un'invettiva con-
#ro la vanità del Sanesi, maggiore della
vanità francese. lo seconda
Son amara ironia, nominando alcuni Sa
nosi che al resero famosi per la loro
vanità.
‘123. Fuaxci francese, eft. If.
XXXII, 115. « Galli non genoa vanta
simum omnium ab antiquo, alent patet
ampe apud Xullum Celsum {Cassaree 1
at bodio patet da facto»; Bene.
124, L'ALTRO: Capocchio, v. 13
125. TIMOGONR: Al.i TRANNE LO;
reironico, come Inf. XXI, di.= STRICOA:
probalillr, Stricca di Giovanni de' Sar
Ilmben!, podestà di Bologna nel 1276 è
1286; etr. Mazz.-Tos., Font a paasî, 134
Secondo altri, Stricca do' Tolomel o del
Marescotti. Cfr, Ltorgognoni fn Proga
gnatore I, 907-324, BT8-602, 048-664, «La
sotoîto Il padre ricco e ogni coma distras
no in paxzio, e in cattive»r
Am. Seî = « Homo do Curia »1 Petr.
Dent.
120. TamPERATE: continua |" frenta:
Qasistontem mundare sibi |
2 i i ca rg e
riofilo» in amsatia; sed lata non fislumet
292 [cerc. a. ROLG.10) In. 1xix. 188-199-xxx.1-2
13 SÌ vedrai ch'io son l'ombra di Capoechio,
Che falsai li metalli con alchimia;
E to dee ricordar, so bon t' adocchio,
an Com'io fui di natura buona scimia. »
138..aR MR: #6 l'oochio non m'inganna —139. scIMIA: contraffattore perfetto di
© tu sei veramente colui che mi sembri, cose di natura, «Snbtille et unlversalia
ofr. Inf. XXVIII, 72. Dante lo arera —magiator, aloni ost acimin, quo fucero ge-
dunque conosciuto personalmente. atit quos (quod!) fucero vidi »; Bambgl.
CANTO TRENTESIMO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA DECIMA : FALSARI D'OGNI GENERE
2° FALSATORI DI PERSONE
(Corrono disperati è rabbiosi, mordendo gli nìtri)
GIANNI SCHICCHI, MIRRAÀ
8° FALSATORI DI MONETE
(ono Idropici 6 tormentati da sete continua)
MAESTRO ADAMO, CONTI DI ROMENA
4° FALSATORI DI PAROLE
(sono consumati da continva nonta febbre)
LA MOGLIE DI IPARRE, SINONE DA TROTA
Nol tempo ché Giunone ora eracciata
Per Somelè contra il sangue tebano,
[UL 133, temente ariano Veleogo _ por prendere le maglio sedia fiale
Îlaro un'idea adeguata del furore e dol- —como fossero In od 1 Jeomelnli
l'insania della asconda clnase di (altari,
loè dei falastori di porseno, Dante ricor
10 alla mitologla, prondendo due esempi
da Ovidio. Il primo è di Atammanto, re
i Tebe, cho, divenuto furibondo per
spera di Gianone, foca tondore lo reti
294 [czRro.s, soLG. 10] Inr, xxx, 22-32
Torawsi scamconi)
» Ma nè di Tobe furie, nè troiane
Si vider mai în alcun tanto crude,
Non punger bestie, non che membra umane,
Quant’io vidi in due ombre smorte e nude,
Che mordendo correvan di quel modo,
Cho il porco, quando del porcil si schiude.
L'una giunso n Capocchio, od in sul nodo
Del collo l’assannò sì, che, tirando,
Grattar gli foce il ventre al fondo sodo.
E l’Aretin, che rimase tremando,
Mi disse: « Quel folletto è Gianni Schicchi,
V. 22-45. Falsatori di persone:
Gianni Sohiccht e Mirra. Più for
monnati è furibondi che non Atamante
ed Ecuba, i falsari în ntti, 0 fulsatori
dolla persona, corrono laggià nella bol-
gia © ui avventano furibondi mi dan-
|, ansi stossi falsati in eterno, per
di Mirra, l'incestuoma figlia del re di
Cipro.
73. MA x oco,: ma non si videro mai
farori, nè fu Atamante nè in Renba, nè
in belva nò in momo, così orudeli come
lo vidi în due ombrv, #00,
35. x DUE: Gianni Bchfoch! o Mirra
Ai: veni DuEI ma «NI quanto del v. tf
è nssolntamente, e devo essore relativo
del tanto dal v, 53, Stochè Svimto dello
« imilitadîno agnzianta, degna del laogo
a di quel danmati »: L, Vent., Sim, 681.
ne. L'uma: l'ombra di Giani Boliochi.
Capo si songiange nl busto. Cfr, averti,
«lo prosa sul nodo del
ollo con le sanno, stando ne la similita-
CHA ‘porco, del quale lo anne sono »;
ina: tirandoli
dole per fl duro fondi della. Bolgia
n0pO: daro, essendo tatto di piotra; fr.
Iw. XVII, 2
wi, L'ART: A Oriffolino | efr, Inf.
XXIX, 109, - tImiANDO: com giù tn
Inf. XXIX, 98,
32. FOLLETTO: propriamente nome di
certi spiriti maligni, che la superstizione
orodevne credo vadano errando perl
D'arda,
© Inquistando le abitazioni degl! nomini.
Qui chiama per almilittodino folletto l'orm-
bra trasvolante dello Schicchi. - G1ANsT
Scn1CORI forse Sticchi como nortrel'An.
Gianni
{o piuttosto f fitti,
rese il vecchio] il tenea a parola, per
ch'egli nol fnocaze : e tanto il pet
role, eh' ell! morì. Morto che fu, Stmane
1 Weboe celato è avna pasa Ala ae
tostamonto mentre ch' egli
ped t ogni vicino diem eS'egti
l'aven fatto. Simone, non sappiendo pi
gliaro conalglio, ai dolee con Giai Sile
chi et obiesegli consiglio, Sapea Di -
contraffuro ogni nomo, et colla veot
cogli atti, rn ii
no, ch'era uao con Tal. Dis n Slmeae:
Fa' venira uno notato, et di' che menver
Buoro veglia fare teatamente ; {o mmterrà
ne Letto mio, et aacceremo Îmi diriatro, 4
{a mi fasnerò dene, et metterommi la nap-
some tu vorral; è vero
Corse. s. ROLO. 10) Inr. xxx, 46-58
CathesTRO ADAMO]
Testando e dando al testamento norma. »
E poi che i due rabbiosi fur passati
Sovra eu' io avea l'occhio tenuto,
Rivolsilo a guardar gli altri mal nati.
To vidi un, fatto a guisa di liuto,
Pur ch'ogli avosso avuta l’anguinaia
‘Tronca dal lato che l’uomo ha forcuto.
La grave idropisia, che sì dispaia
Le mambra on l'umor che mal converte,
Che il viso non risponde alla ventraia,
Faceva a lui tener le labbra aperte,
Come l'etico fa, cho por la seto
L'un verso il mento, e l'altro in su rinverte.
<0 voi che senza alcuna pena siete,
raspendo fund al bano la
‘il Basso, che li notaio ne fa in-
Perchè Immisero immondizia nella mo-
noto, questi falmari hanno l'immondizia
3 propria persona, cssendo gravati
dall'idropisia. Rd hanno recato la loro
Insaainbilo sete anche nel mondo di 1À,
Mechà la loro immondizia è la loro set
dame,
di Nato, cho matodice È n ‘cont di
ma, anoî seduttori.
A6: UR: Gianni Echischi 0 Mirra, 1 dos
omo:
paguii
(le csscs nel solco inguinale), sarebbe
fatso un lato, polchè la ventrala sa-
robbo stata como Ia cassa dollo strumen-
to; ela testa, il collo 6 Il petto come il
manico di osso.
50. PUR Ci: solo che. — amauesATA:
2 quella parto del corpo uranno che è tra
a coscla = il ventre, allato allo parti
etgognose »; Or; 11 Bary. Jegge La tr
Glitmata. los. difuaa da Z. F., 182 ag., Ml
quale ruolo cho Leniquinola y'bbia da
Int. inguen. Gii
esempi addotti dalla Or. mostrano che
gli antichi dissero anguinata, forma de-
rivata dalla fantono dall'articolo col mo:
dall'omsarui în Zanguinaia cont-
dorata e sentita come articolo la sola.
51, Lato» dove ni biforcano le gambi.
52. anava: « quia reditit homer gra
vom, ita nt movari non possit »; Men,=
piPArA : disforma con la linfa non elt-
dorata le membra in tal modo, che skeane
intumidiscono ed altro dimagrano, sala
{i volte dimagrato non è più proporsie
nato alla gonDarza del venteoz cfr. dr
son, dti dell'Iatt. Ven., v, VI, mes, If,
p. 859.
56. armata: «per dovere l'aria che rin»
freschi « ristori lo ardenti se famei»;
vanta; efr. 2. FP, 19 ag
Gerem.,
In/-XXVIIT, 132.-saNza 006: « videtnt
enim Mo spiritua, quod batt duo nom da-
horabent aligquo morbo, sicut. cmtert de
bulgia SMa, non Jopra,
tod, non furia, sicut Et
Virgilio wrera dello) fi SI
DX, 9A meg.
2298 osso. & BOLO, 10) Ixp. xxx. 78-89
[MAERTRO ADAMO]
Per fonte Branda non darei la vista.
Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiato
Ombre che vanno intorno, dicon vero;
Ma che mi val, c'ho le membra legate?
8'io fossi pur di tanto ancor leggiero,
Ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia,
Io sarei messo già per lo sentiero,
Cercando lui tra questa gente sconcia,
Con tutto ch’ella volge undici miglia,
E men d'un mezzo di traverso non ci ha.
To son per lor tra sì fatta famiglia;
Pi m'indussero a battere i fiorini
figlio di Galdo I, conte di Romena. =
ALESBANDUO: ‘di questo nome, fra
telo di Guido 1 inrito di Caterina del
Fantolini di Faenza; ancor vivente nel
2I16.— FRATE: Aginolto, fratello doi due
suddetti, marito di Tdnna di Ruggero da
acavallo, cugina di Caterina, mo-
glio di Guido Novello da Polenta che
ospitò Dante a Ravenna. Testò nel 1128,
Cfr, Todeschini, Scritti Dant., 1, 211-50.
Del Lungo, Dino Comp. IT, 693.
#8. roxrE Ixaxbas di Romena, ora
fnaridita, da non confondarai con Funte-
Abtichi incominciando dal Bambgl., e co
mo hanno fatto molti moderni, Maestro
Adamo parla di Romena, o Sfena nol mo
preferirebbe
nello stesso tormento al piacoro di dis-
setarsi ad una fonte.
9. DENTRO: a questa bolgia. Tu
i Guido, poichè nel 1300 gli altri dn
fratelli vivorano ancora,
#0. oamur: dei falsatori di persone,
gti mare: per irta sont
non posso muovermi per andare
e: quell'anima trista,
83. LRGaTRRO : agile, npodito.
#3, uv'oncia: la dodicesima parte di
tit piodo, Sa tali dosidorii dei dannati
ale, Suao, Blehlein von der Welahott,
ave
cap. IX, dovo c'è un panso affine a que
ato di Dante. Secondo il Suso 1 dannati
dicono: « Wir begebrten nichta andores,
denn wiiro cin Miblateln so breit ala
alles Erdrelch und um sich s0 gross, dans
or don Himmo! allentbalben bortibeto,
und kme ein kletnos Vagleln fe tiber
bundorttansond Jahre und biso ab dem
Stein so groma, ala der solite Thell int
einos Hirekrnlolns, und aber aber h
derttansend Jabre no viel, also dara
In sebnbunderttausend Jahren no viel
‘ab dem Steln klaubto, nl groas ein Hire:
&rnleln ist: vir Armen begebrton nichta
andoroa, donn, s0 dea Steinea ein Bodo
wriire, diss anch dann unsere Marter ein
Eudo Liito; und das mag nicht seta! »
84. nani mi sarei già messo fn cam-
mino per Il fondo della
86, Lur: Guido II, conte
902. [exzc. $. noto. 10) Ixr, xxx. 138-148.
RIMPROVERO]
Sì che quel ch'è, come non fosse, agogna;
Tal mi fec'io, non potendo parlare,
Che desiava scusarmi e acusava
Mo tuttavia, e nol mi credea fare,
« Maggior difetto men vergogna lava,»
Disse il maestro, « che il tuo non è stato;
Però d'ogni tristizi
ti disgrava.
E fa' ragion ch'io ti sia sempre allato,
Se più avvien che Fortuna t’accoglia
Ove sien genti in simigliante piato;
ue ©hà voler ciò udire è bassa voglia. »
139, xon POTENDO: per la vergogna
© la confusione.
MO, ActRARMI: parlando, = SCuuAvA:
mostrandomi vergognoso.
Mi, curDRA; lo non oredeva che il mio
montrarmi piono di vergogna del fallo
commosso, fosse scusa auliciente agli 00-
6 de) mio duco, Pudore culpa minuitur.
142. xavgton: minor vergogna della
tua basta a lavaro, cioò a ncusaro, una
colpa maggiore «ho non a o
nol dilottarti della bara
cesso di que' vii.
Md. tuterizia: dolore, mestizia ; «Nuno
gaundeo, non quia contrintati eatis, sed
quin contristati estis nd penitentiam:
tontristati enim stia secundum Denm,
ut in malio detrimentata patiamini ex
tobis. Que enîm secundum Deum tri-
mitia est, pamitentiam în salute stabi
Jota oporatuz »; XL Cor. VIT, 9-10
DISGRAVA : allontana da te. « Triatitiam
Tonge repello n te»; Hol. XXX, 2.
145, 7a' nAorOX: fu' eonto, non dimen
tioare; ofr, Par. XXYI,
cada por avventura di trovarti un'altra
volta a simili contrasti, ricordati che fo
ti son sempre vicino prento a ripren-
derti come ho fatto adesso.
146, 1°AccOGLIA «Ul fancla capitare. AL:
Ti colga, ti trovi. La Fortuna non co-
glie l'nomo in flagranza di colpa; bensì
lo fa capitare in alcon Iuoge, dove ala
per lui gran tentazione di rendersi col-
porole.
147. PIATO: propriamente lite agiiata
Innanzi al giudici, dal lat. placitum ; efr.
Diez, Wort. 1°, 817; qui per Contrasto la
genere, @ specialmente di parolo ingin-
riso,
148. MASSA VOGLI
gato lndegno
d'una monte elevata o d' un mio segua»
co»; Br. B. Cîr. Prot. XVII, d; XX,8.
ll primo di questi passi sonni « Malui
obondit lingnao iniquse, et fallax ob:
temperat labiis mendaciboa. »
CERO. 5] Tp. xrxi. 1-3
CANTO TRENTESIMOPRIMO
DISCESA NEL NONO CERCHIO
I GIGANTI INTORNO AL POZZO
NEMBROTTO, FIALTE ED ANTÈO
Una medeama lingua pria mi morso,
Sì che mi tinse l'una o l’altra guancia,
E poi Ia medicina mi riporse:
Così od'io che soleva la lancia
D'Achille e del suo padrò esser cagione
Prima di trista 6 poi di buona mancia.
Noi demmo il dosso al misero vallone
Su per la ripa che il cinge d'intorno,
0. tuieTA + farendo, = m
do,- xaxcia : dono, regalo; «Una manna
robia vulnua opamque
Rom.
e lr Per 5/08
v
I giganti in generale. La-
quit l'ultima bolgia 0 saviano verso
{l gran pezzo, ll fondo del qualo forma
il nono ed ultimo orrchio, riserbato ai
traditori. S'ode il seno sparenterol-
monte forte di un corso. Danto guarda
n
ti
ghi
EL
iL
ge aos Dea
,mardaciter mo roprebendit »
nio {a preree rire è 1 cb
verso fl luogo d'onde viene il suono, @
eroda di vedere una terra fortificata da
molto alto torri. Virgilio lo dininganno,
dicendogli esser quelli { giganti, £ quall,
avendo eroduto di poter aupernre Dio ed
eeato far forza contro di tal, sono sullo=
gati qua e Tà latorno alle pareti del poro,
to mado da aver ricoperta dalla ripa la
metà inferiore del corpo. Alcani sono in-
entepati; l'uno parla un linguaggio con
Faso. Bai pianti la penoralo et. OMlA,
11 Fast. V,
DA voltammo lo patta aîla de-
chron bolgia,
PERI Per poter vedere là condizione
dall''nltima bolgia, 1 Peet! erano smdatt
giù por In scarpa dell'argino «ho la ne
812 [piscesa AL CERO. 0] Inp. xxx. 120-148
Però ti china, e non torcer lo grifo.
Ancor ti può nel mondo render fama;
Ch' ei viva, e lunga vita ancor aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama. »
Così disse îl maestro; e quegli in fretta
Lo man distese, e prose il duca mio,
Ond'Ercole senti già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio,
Disse a me: « Fatti în qua, sì ch'io ti prenda»;
Poi face sì, che un fascio er'egli ed io.
Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
Sovrr'ossa sì, che ella incontro ponda;
Tal parvo Antèo a me, che stava a bada
Di vederlo chinare, e fu tal ora,
Ch'io avrei volut’ir per altra strada:
(TE) Ma lievemente al fondo, che divora
Lucifero con Giuda, ci sposò;
136. non roncER: per superbo die:
gno. = onturo: muso, Il Posta dov
(Shell gigante toroeaso veramente
fl mano all'udir Virgilio, ciò che indosso
bosti:
questo a rinfacclargii
porbia ed a ripotore più
10, vivo, gli darebbe fama sn nel mondo.
188. LUNGA : altri 85 anni; efr. Inf.
2
/Conseruere ti
multo brachia pexa. Colla din gravibus
firuata tentata lacertia, Lmmotamque ca-
pus fixa cum fronte tenentar; Mirantor-
qua habule parom »; Luogn,, PAare.
TV, €17 sog. AL: osv'kI D'Encot sexi.
Ur. 2 P., 198-095. Com. Lipe.
Fany., Stu.
mich I, 274 ag.
"ns. 1mces mi abirnosiò dì, cho erava-
uno come legati intlema in un solo fascio.
= Quasi dieat : astrinxit mo sibi »; Bene.
bag Canmsevna | una delle doo famoso
[di Bologna, edificata nel 1110 da Fi-
na Odo ded Garknendi, AI presento
tun'altezza di metri 47,51, n verso le-
tompi di Danto ora assai più alta, casene
do stata mozsnta verso i} 1355 per ondine
del tiranno Giovanni Visconti da Oleg:
Inf. vol. III, pag, 219 ed mn tav. 8
« Quando le nuvole vanno all'oppostta
parte del piegare della torre, a chi vi
guarda par ch' ella ai chini »; Zam. =4Si-
cut Garisonda corrata videtur caderesti-
per reapicientem, et tamen non cadit, ita
Anthens velut alta turrle carratos vide-
batur nuno cadere anper Dantem respi-
cientem enm, ot tamen non esdebat +
Beno.
137. sorto: dalla parta ov'ess pende.
159, ATAVA A RADA | guardava attenta:
mente; cfr. Nannua., Verbi, 206.
140.k eu1 e fa nn momento così sparen-
tovolo per me, che perla panra avre w0-
luto essere per qualsiasi altro cammino.
141. CI'IÒ AVRRI VOLUT' ER: AL CHE
AVURI VOLUTO ANDAR: cfr, £. F., 198,
142. LIRVAMENTE: nea atriagorei 00
ino strinso Ercole, v, 183. = DIVORA i con-
tono nello suo buche, ingoia, chiude ti
sò 1 tradi Lacifero,
143, c1 a208ò : ci dopono, dal tema del
verbo eporre, Int, erponere, da now com
fondersi, come taluno face, con sposare
da qpondeo. Al.: CI FOR:
314 (ceRe, 9. omRO 1)
np. xxx, 3-16
[rs0rDi0]
Sovra il qual pontan tutte l'altre rocce,
To premersi di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch’io non l'abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco;
Chè non è impresa da pigliare a gabbo
Descriver fondo a tutto l'universo,
Nè da lingua che chiami mamma e babbo:
Ma quelle donne aiutino il mio verso,
Cho aiutaro Aufione a chiuder Tebg,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso.
O sovra tutte mal creata plebe,
Che stai nel loco onde parlare è duro,
Me' foste state qui pecore 0 zebo!
Come noi fammo
3, FONTAX: a' appoggiano come sul loro
punto 0 centro comune, tutti gli altri
‘oerchi infernali, «Quin ad contrum ter
nn tendantomnia pondora gravitatum »}
Beno.
4 risasiet: osprimere! più sompiata-
monte. Premere qui —apremore: quindi
‘esprimere cop parolo. Cfr, lar. IV, 112.
— iu BUCO: la sostanza.
3. anno: ho; dal lat. Ando; ofr. Nan
aspro © chiocce coma vorrei avaro,
7. A Ganpo: a giuoco, In ischerno.
&. xONDO: Il fondo; omesso l'articolo,
come usarono alle volte gli antichi; ef.
annue. Voci, 68 ag. Non è facile lm-
presa 11 desori vore li fondo © centro del-
l'unlrerto; cfr. Cono, 11, 5. V.to ca
aldernzioni del D'Osidio (Studik, p. 514),
mul falso senso che si molo attribulrò a
questo verso.
, LINGUA 600,1 v'ha chi Intendo ‘Il
pun dell'uno comune * cjoò volgare,
qualo è dettato Il poema; ofr. Fulg. BI. tt,
7. Ep. Kani, 10, Al: Lingua da bimbo,
«b’è forse l’interpretaziono migliore,
piignata anche dal D'Or., Stulit, p, 616
‘gg. Al: Lingua ancor bami
al tempi di Dante era la volgare. Per
Dante il volgare italiano non era una
Iagua ancor bambina. Il Betti: « cloò la
Îlugna umana, » Non fntraprendo Dante
dii deseriser fondo a furto l'universo per
d'appuote sa lingua umana |
sig Doxs=: le Muse, già invocate Znf.
Til. Axziona: figlio di Giove e di An-
nel pozzo souro
tiope. Sonava masatrevolmente la ce
tra; o, volendo elngere di mura la elttà
di Tebe, nò avendo a ciò altro messo,
sonò la sua cetra © le pistre vennero
giù dal monte Citerono, al accostarono
nl luogo loro assegnato, sì sovrapposaro
acconciamonte da sò l'una all'altra a
formarono Il muro; ofr. Marat, Are
Poet, 394 sg. Proper. III, 2,3,
12. el cita: così che lo zie parole abano
adeguato al soggetto; cfr. Py. IV,147.
13. MAL: « 0 popalo preditoruta ‘male
#1 infellciter unte ultra omnes damua
to» »; Bene,
14, DURO: diffiello, La condizione del
traditori è aì tremenda, cho a descrivarla
adeguatamente mancan modi alia
18. ak: meglio per vol} cdr,
XXVI, 24. - qui: nel mondo. = xke: dae
pre; voce tuttora vivente. «Zeba ramo li
capretti saltanti ; et sono dotti sebe, pot
cliò ranno sedeliado, cioè saltando»; Lan.
V.16-29. Calna, la regiona dai tra-
ditort de' congiunti, Il nono ed ultimo
cerchio è un gran lago gelato, che pane
verso Îl centro, ed è spartito în quattro
giri concentrici, in ognuno del LU)
punita una classe speciale di traditori.
X quattro giri non sono distinti che per
la maggiore o tinore grarità della pena.
Nel primo, ehe la il nomo da Calno, il
primo fratrielda, sono 1 traditori de' par
reati,ohe, fitti sino al viso, Iividi, battonò
{ denti @ hanno la facola rigata di la-
grime. Il ghiacelo, in cui 1 traditori wo-
no conditi, è la vera immagino della du-
[orro. s. oto 1]
Tx. xt. 81A7
Toowt: pr mANoONA]
E come a gracidar si sta la rana
Col muso fnor dell'acqua, quando sogna
Di spigolar sovente la villana;
Livide insin là dove appar vergogna
Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia,
Mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea vblta la faccia:
Da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia.
Quand’io ebbi d'intorno alquanto visto,
Volsimi a’ piedi, o vidi due sì stretti,
Che il pel dol capo avieno in
me misto.
« Ditemi, voi che sì stringete i petti,»
Diss'io, « chi siete? » E quei piegaro i colli;
E poi ch'ebber li visi a me eretti,
Gli occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,
Gocciàr su per le labbra, e il gelo strinse
22, quaro; nell'ostate. « Tuvat amo
abb uniia, Kt modo tota cava snbmerge.
te membra palude, Nono proferre caput,
summo modo gurgito naro, Sipo anper
tipa atagni conaletere.... Vox quoque
lam ranca ost»; Ovid., Afet. YI, 970 agg.
Sd. LIvIDE: la ombre livido © dolenti
etnno fitte nella ghisccia sino al viso,
dova xl mostra la vergogna col romore.
Quasta interpretarione è rera indicati»
Bilm dalla procedanto stmilitadino delle
no, Ciron le altre Interpretazioni ofr.
Gem. Lips. 1°, 501 ne.
30. MiTTANDO: battendo i denti por il
freddo @ facendoli sonaro al modo che
erepita {l rostro della olcogna, «Thi erit
Matos ot stridor dentluma »1 Matt. XITI,
42. - « Ipna sibi plandut crepitante eico-
persi Optd., Met. YI, 97.
h jon Volesito came venti
a risontacluti; ef. v.
88. DA nocca: col batter da’ denti la
icca rende testimoninnea del gran fred-
io che nolfrono quoi miseri: calle lagrime
gli occhi toro rendono testimonianza del»
a datore.
40-89. T conti di Mungona e Ca-
RElGIon dl Pareti Al moi plodi Dante
voto duo ombre cssl strettamente anito,
che la lore rome vino Insieme confuse.
Domanda chi seno. I due lo guardano,
pal abbassano ili nuovo il viso, ©, invece
dl siagondero, sorzano Ingiome..
traditore anche Inggià, Il nomina fngiu-
riandoli, e nomina tre altri anoî viefni, è
finaimento sè stesso, aggiungendo che
aspetta laggiù Carlino de' Pazzi, più nero
traditore di Tal.
41, votanti per vedere chi fon gno
gl! che mi avera indirizzata la
7. 19 agg. - #THETTI A « non
ex affeolione val dilsetione...
ritudino et arerbitate edil. quin se se
invicam atrinxcerunt quando se mutala
vuheribua interfecerant »; Bene,
43.18 Pit» «I vani poli del oso le-
gano In Inferno, cul neîla vita bella on
avrinsero { forti vincoli che fa natara.
Come sa Domenetidio nfferraamo inaleme
pel ciuffo. © tuffame tn Cosito, | fratelli
che di tradirono, » Di Siena.
43, stunantE: srano nella ghinecia
sino al espo; ma i ebiacelo tea traspare
rente coma vetro, v. 34, siorhà al poteva
vedare anche il petto.
ti. russano: Indietro, per guardare
320 {ogRe.9. GIRO 3)
Tar. xxx. 968-115
[nocca proLI ABATI]
Chè mal sai losingar per questa lamal»
Allor lo presi per la cuticagna,
E dissi: « E' converrà che tu ti nomi,
O che capel qui su non ti rimagnal»
Ond’egli a me: « Porchè tu mi dischiomi,
Nè ti dirò ch'io sia, nò mostrerolti,
Se mille fiate in sul capo mi tomi.»
To avea già i capelli in mano avvolti,
E tratti gli
avea più d'una ciocca,
Latrando lui cogli occhi in giù raccolti;
Quando un altro gridò: « Che hai tu, Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle,
Se tu non latri? Qual diavol ti tocca?»
« Omai » dissi, « non vo' che tu favelle,
Malvagio traditor! Chè alla tua onta
Io porterò di te vere novelle. »
< Va’ via, » rispose, « e ciò che tu vuoi, conta;
Ma non tacer, se tu di qua ontr'eschi,
Di quei ch'ebbo or così la lingua pronta.
nai Ei piange qui l'argento de' Franceschi:
tito, efr. +, 90.- LAnwa: motivo di 1a
goarmi, molostia, fastidio.
96, LusiTDAR : promettendo fama, mon-
ro nol tutti, quanti siamo in questo cer-
chio, desideriamo l'obilo, — Lama: ef.
Inf. XX, 79; Purg. VII, 00; chiatna così
la ghinccia di Cocito. + Intendi carami-
mando per questa cavità »; Betti
aoE Po
piombi. « Be sail
eppreeat ipo; ceo hai fuit co
dial piedi »;
105, srt mentre continuava a
Irosamente, cogli occhi sempre
ber non esa riconoaciato alzandoli,
107. s0xA®: battere i denti per i) fred.
ef. v. 80.
une: QUAL DAYOL: pare che Buoso
colloquio avvenuto tra
Dante o Beosa, ma che ndisme soltanto i
Iatrati di quest’ ultizzo e ai avrinasao cho
©' fosso tormentato da qualebo diavolo.
400, CIME TU: Al.; CIR PIÒ,
110, ALLA TUA ONTA: È too dispetto ed
Ippunta.
V.119-123. Buoso da Duera ed ale
tré traditori. Allo gridu di Bocca, quel:
l’altro, chiedendogli che com avessa ®
ini
vicini, Il primo è Buoso, della famigita di
Doera, 0 di Dovara, che col. marchese
Uberto Pallavicini tenne lungo tempo
a signoria di Cremona. Nel 12884 Ghi-
bellini di Lombardia lo poesro con bara
caereito no’ Inoghi verso Parma per fe
padire il passaggio dell'esercito frances
Pip alici
nari, non fece veruna.
passare liberamente È firme fr
TAI VII, 4, Murat, Seript, LX, 10%.
113. Rxcgi: esca; ove mal tu cosca di
qua © faccia riterno nl mondo,
114. Di quel: di costai elio fa così Leste
822 [orno. 0. erro 2) Inr.xxxn. 123-188 [vGoLMNO è RUGGIERI]
Che aprì Faenza, quando si dormia. »
Noi eravam partiti già da ello,
Oh'io vidi duo ghiacciati in una buca
Si, che l'un capo all’altro era cappello;
E come il pan per fame si manduca,
Così il sopran li denti all'altro pose,
Là ‘ve il corvel si giunge con la nuca.
Non altrimenti Tidoo sì rose
Le tempie a Menalippo per disdegno,
Che quei faceva il teschio e l'altre coso.
<0 tu che mostri per si bestial segno
Odio sovra colui che tu ti mangi,
Dimmi il porchè, » disg'io, « per tal convegno;
Che, se tu a ragion di lui ti piangi,
Sappiendo chi voi siete e la sua pocca,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi,
129, arnì: ni Bolognesi, - quasno : di
not. «Et nota, quod Jato proditor in
premium ace proditionie fuit fnotus mi»
ina a communi bononlenai; sed non diu
lintatus est lata victoria, Num post mo-
dicum tempus fuit trucidatus În strago
Gallorra fueta apud Forli vium per comi.
tom Guidonem do Montefeltro, + Iene.
V.13-139, Ugolino e Ruggieri. Pro
cisazmonte 11 sula fine estrema dell'An-
tenora (efr. Del Lungo, D nei tempi di
D., p. 371 agg.) Dante vedo due ghiao-
glati in una buca, l'uno del quali rode
i teschio dell'altro, A. queljo cho rode,
Dante dlmanda obi egli aia è porchè roda
quell'altro, promottendogil, se sian gia-
ate lo ragioni per cui rode, di rloambiare
il favor della risposta riferendo au nel
‘giori dogli Ubaldini, ren tliati Pio,
<ome ni dirà nol canto seguente.
124. DA KLLO: da nl, Boca, sensa de-
guarlo di tina risposta.
120. L'ux: i capo dell'uno (Ugolino)
atara topra a quallo dell'altro (Raggie-
Ti), sicchè pareva gli fosso cappello.
157, 60M: colla steana avidità. « Dovo-
tant plobem menm aicut necam pania »;
Paol, XIII, 4 - manpicai mangia.
120. LA'vi:didietro, ofr, Inf. XXXIII,
Ri - st ormai AL: s'AomuneR,
159, Tipo: re di Caledonia, uno dei
notte re che sasediarono Tebe, Ferito n
morte dal tebuno Menatippo, essendogli
rioscito di uoeidero il feritora, pregò 1
compagni di recargliene Il capo, a, come
l'abbo avato, cominolà, moribando, a
roderlo farlosamente col denti; ef. Stat.,,
Thed, VILI, 749 ngg- — st: « riompitivo,
ma cho rincalta »; Tom. Al.: #1 104R:
ofr. 2. P, 100 ag:
132. ALTRR com: I corvello e Jo ati
carnose del capo.
no. Le bestie sfognno l'odio ® l'ira nma-
Jondo co' denti, colle corna, coglì urti
gii, eco. Quindi Îl mordere © redero è atto
destiale | otr, Stat., Thed, IX, 15 egg.
nel mondo, dove tornar ini
gando lo tuo ragioni e |
Dante, che ha imparato da
omne. & arro 2) Ixr.xxxmn.189-xxx11. 1-2 [ne DI vaoLINO] 828
Se quella con ch'io parlo non si secca. »
per te né mento dell'eterna giualisia, ogli d là, ti-
condo vivente 0 appassionato del delitto
all’areivessovo Ruggiero. Il traditore
c'è, ma non è Ugolino; è quella testa
che gli ata sotto a' denti, che non dà wa
grido, doveogni espressiono dì vita è esm»
collata, l'idealo più porfotto dell'uomo
petriticato. Ugolino è il tradite he la di-
vina giuatizia ba attaccato a quel erinlo
na rimanga cetra
| nomo edleso cho vi
aggiungo di so l'odio è la vendetta. IÌ
enicotto dalla pena è aleggo del tagliano
0 il contrappasso, coma direbbe Danta:
R 10 11 fiere pasto di un o:
0a morto di fame, lat ed
fa B
Nuova Antologia, vol, XII, p. 608} e
Nori Saggi eri, 51 gg.
GANTO TRENTESIMOTERZO
CERCHIO NO! FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI
GIRO SECONDO—ANTENORA : TRADITORI DELLA PATRIA
LA MORTE DEL CONTE UGOLINO
GIRO TERZO TOLOMEA ; TRADITORI DE' COMMENSALI
(Dilstosi supimamento sotto la ghisecia, hasno a fior di essa il visa, volto
all’into, e gii occhi son coperti da lagrimo congelate)
FRATE ALBERIGO E BRANCA D'ORIA
La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a' capelli
rin della sin tragioa morte; ma, appena
l'ha fivita, ripéglia Ml teschio di Imggsert
Ml à n roserto con raddoppiata farere,
1, LA DOCCA: « Capet apumantina:
ora levavito; Zaan., Phare, VI TO, =
FOLLEVÒI Al: Mi LEVÒ:
826 [ceRc. 0. Giro 3] Inr.xxxrir. 26-38 [moRTE DI UGOLINO]
Più lune già, quand’io feci il mal sonno
Che del futuro mi aquarciò il velame.
Questi pareva a me maestro è donno,
Cacciando il lupo e i Jupicini al monte,
Per che i Pisan veder Lucca non ponno,
Con cagne magre, studiose e conte:
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
S'aven mossi dinanzi dalla fronte.
Tu picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con l’agute scano
Mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
Pianger sentii fra il sonno i misi figliuoli,
20. 1IÙ LUXR: più volte il sio
Ì
Blave,
tribuztione, 163 ag: Moore, Orit., 357-02.
= FCI IL MAL sonno: vidi in sogno la
sarta spaventevole che mi era preparata,
28. mamerro: della caccia. - DANNO :
dominus, signore della brigata.
29, LUPO: Ugolino. — LUFICINI: 1 Agli.
=xoxma: San Giuliano, «Che dalle cagne
fosso cacciato verno Il monta, situato tra
Pisa è Luosa, sigolficava, ch'egli avova
sa iperanza di soccorso in Lucchesi, al
30. PER Cn: por Îl qual mante. «Se
non fonne il monte pisano in mei
Pika o Lucca, sono tanto presso, cl
città vedrebbe l'altra »; Putî.
dI. cacuki 1 Pirani moguaci a
varcoro, Ghibellini, per cor
+ Pet ones muoilentes signiticator fa-
me qua pertorunt +; Bambpè. Cod pare
‘Bino, sco. « Questi sono o popolo tninuto
che comunemente è magro e povero »|
Bati.= coste: avvezzato a nimili cnccio.
32. GUALANDI | « Queste sono tro care
Mlgeoiorini dalla città di Fis, di
grade onore e di grande potenzia uol-
Manti, beothà anosra sieno, pur smo
mancata +; Busi. = Goalandi. Si
ost Lanfranchi ad ipaiar Archiepi-
acopi instantinmi accomaverunt et infa-
marerimt dominam comitem Ugotinam,
e quo bye et dii fnalitee poriorant in
39, d'AvzA: l'Aro, gli avea posti in-
nanzi agli altri. « DI loro area fatto bol
ciane contro il conte»; Puti.-<Ad ezen-
sationom svi tamquam funtorea et fneto-
rea lutua roi ad aui defensionera »1 Beno.
34 1x rioorot» dopo breve inseguinsem»
to, Prosentimento della vicina morte.
35:36, «Il sogno è un velo, dietro al
qualo è facilo vedere lo agitarioni della
veglia: Il realo al rivela sotto al farita
stico, Raggero, Gualandi, Sitmondi, Lan
franchi stanno presenti innanzi nl
niero, orudoli in sò e nel figli, li
appariacono in sogno cacciando fl lopo
® Ì lupicini; l'occhio vede animali; ma
l'anlima sente confusamente che al tratta
di sò e do' auci Aglinoli, e quel lapo e qui
Tapicin si trasformano con vocmbolenmar
no in padre e figli. » De Sametie, 1, è.
sensa sono li denti ‘pungenti del
galeoto per galootto, Inf. VIII, 17, eco.
Cfr. 2. F.,204.= Lor: al padro od ai Bigli.
+ Kt hlo nota, lootor, quod ai verum fult.
quod comes aio sombiaverit, mirabile
somolum fuit; al non alt verum, paleram
fictionem facit auctor valdo conveniene
tem facto. Non enim possumna solre we
ritatem huius fuoti, quia comea inclusa
nulli locutua eat postoa et mortumm sat. »
Bent.
87, nimanR: mattina. Dunque, un se
gno presso ll mattino ; ofr, Inf, KXVI,T.
@ domase
lo sogno
gnarono în quella notto, cd a cinsobe»
duno il suo sogno morte, @
#30 fosno. s. oro 2]
Txp. xxx. 76-84 [1MPRECAZ. CONTRO PISA]
Quand'obbe detto ciò, con gli oschi torti
Riprese il teschio misero co denti,
Che furo all'osso, come d'un can, forti.
Abi, P
, vituperio delle genti
Dol bel paese là, dove il sì suona;
Poi che i vicini a te punir son lenti,
Muovansi la Caprara e la Gorgona,
E faccian siepe ad Arno in su la foce,
Sì ch'egli anneghi in.te ogni persona!
Jmpodirmi che io più Il toconesi
tninasi.» Secondo Il Pol., Ugolino
se è non già el gl
do' anol, ma che, tratto dall' fstinto 6 00-
me fuor di sè, x'abbia fatto como un
tentativo,» Ugolino rnol raccontare come
da morte sua fu cruda ; ondo, dopo aver
dssoritto lo spaventeroli sofferenze
gli ultimi ano dì, conchiudo col dire:
‘potente ch non il doloro, del quale mi
mutrivo @ rirero, fu il diglono, il quale
ini condusse a morte.
0, ron: diochi. Il racconto dello mio
peas rinnovò în lui la disperazione dol
Motore e riacceso l'ira immensa contro
chi po fu l'autore
TT. tannO : + ch'egli avea diretro gun-
ato». 7.1. Mqsere le carni de' figli, v. 08;
misero sncho Il teacllo dol traditore, Mi-
seria per miseria.
Ta. cur voro: che nel rosicchiare il
sranio di Ruggieri forono forti come
quelli d'un cono. Al.: cu POR L'ORSO.
Gite, £. P., 208. Moore, Orit., 304 ax.
79-00. Imprecanione contro Pisa,
Uditala narrazione orribilmente dolorosa
della morto di Ugolino, Dante prorompe
lu una tremenda )mpresazione contro
Pisa, angurando a' anoì cittadini totale
aterminio, Non afferma e non nega che
conte Ugolino fosse colperole di
Wbexto appestogli; ma biasim
di aver termostato cos spaventorol:
niente giovani innocenti, quali
figli @ nipoti di Ugolino, Questa iImpre-
îzione rammenta quella contro Pistoia,
Inf. XXV, 10 eg.
TO, anir «La tenerezza e la piotà pa-
terna diventano ferocia © rabbin, le la-
prime diventano moral, con infinito ter-
rore e orrore dogli spettatori. Lo stesso
minimoto guadagna Dazto. È inforocito
anche lul; diresti quani, che se 11 avesso
Tbsanzi, i prunderebbe a mora), quel Pi-
sani, eitaperio dello genti. » De Somets.
80. panae: Thalia. = 1, sì: Ja lingoa ita»
liana; ofr. Vulg. Blog. I, &
81, vicini: Fiorentini e Lucehes.
LENTI: @ punirti di sì orrenda crudeltà.
« Quento peccato commesso per li Pimami
non rimase impunito »; @, Vil, VII, 198.
« Inta vindicta, qua vidobatar tantari
tempore autoris, videtur facta diebma no-
stria, Nam opora Florentinorum lata ci
vitas antiquisaima ot olita potentiesima
marl‘et terra, doduota est ad Infiaum et
poccatam fulsset fracta insolentia Pisa
liberta conculcata viribus
. Cariana: Caprara, 0 Capraia, a
Gorgona sono due fisolette nel mare Tir-
reno non Inngi dalla foea dell'Arno, am-
beduo ni tempi di Dante notto fi domi-
nio del Pianni. « Cotto imagination post
paraitre bizarre 0t forese aî l'on regande
la carto; car l'ilo de la Gorgone eat aumtg
loin de l'enrbouchuredel' Arno, et s'avaia
toujoura ponsé ainsi Juaqu'ag four, et
étunt monté sur Ja tour do Pise, jè fuù
frappé do l'aspect que, de la, mo peò
aontatt la Gorgone. Ello memblait fer-
mer l'Arno, Je comprie alors comment
Dante avait pu avoir naturellement ontta
idte, qui m'arnit semblée étrango, ot san
imaginatlon fut juxtifiée è mes yenxei
Ampòre, La Greco, Rome et D., 9% th,
237. Che. Mami, Sigilli 111, 109, Beat)
110 eg.
#8 surPR 5 cliluntira, sì che l'Arno, fl
qualo traversa la città di Pina poco prima
di versarni mel mare, al ee
allaghi: he cità a soc ecpniIi
sona. « Non 10 ge nia più feroce
che ha i denti infiuai ansi
Sl'imnoconti dì ona intera letti
i bgli oi figli dol Agli, Faroro
RDe Sanetir,
832. [oeRo.9. GIRO 8]
Tur. xxx1t3..94-108
s Lo pianto stesso li pianger non lascia,
E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo,
Si volve in entro a far crescer l'ambascia;
Chè le lagrime prime fanno groppo,
E sì, come visiere di cristallo,
Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
Ed avvegna che si, come d'un callo,
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo,
Già mi parea sentire alquanto vento;
Per ch'io: « Maestro mio, questo chi move?
Non è quaggiù ogni
|pore spento?»
Ed egli a me: « Avaccio sarai dove
Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
Vaggendo la cagion che il fiato piove. »
séetoro fecero | loro tradimenti guar.
dando amichevolmente in faccia alle loro
vittime
DI. wow Lascia: « però che, come lo
lagrime nacfrono fuori, ghiacolavono in
#u gli oschî, l'altre lagrimo non nvovo»
Mnge, perchè qui ai na quelli che
sotto pool di banavolenza @ d'amore
lianno teudito. Hanno dunque dimostro
sogno di carità, perchè meno sì guardi
chi vogliano tradire. Et queato eepri
lo star anpino, che è guardare în so
vanto Iì eiclo; ma non stanno in forma
chè quella finta carità nocresoe
mienito, onde merita maggior anpplizio. »
Land.
95; nuOt:: lagrime; la cagione per l'ef-
folto, - RINTOPTO : propr. urto Ju contra»
To; qui per impedimento materiale, cioè
di altre lagrime gelato.
97. ruIMI: primioramente versate, -
minori: nin nodo di ghitacelo.
98. vianmur: veli, bendo, cfr. v. 112.
Al: A nai vochinti : Îenv., Land., Yelt.,
Dan., Fenf., occ. Gli ocelitali al adopra-
ia per vedor meglio; qui inveoa le
fatte ghiaccio, impediscono la vi-
pete navi ‘iaieca dall alno pel; cre ouopre
(det guerriero, non ha qui che
pia 'Pirignie, sucoque otalorum n:
darai humor>; Ovid., Met, V, 282 ag. -
< Tei ritoa sani ee vit at gli
rit oryataliai ab hQUA:..
totaed se Rana tao Son, a
00. corro: apertura concava qui par
ia 'tavità. dell'occhiala. « Ceppo, in oe
acana, è vaso di terra cotta da riporti
Hquidi, La cavità dell'occhio è cose nu
coppo 0 una coppa, che tien dentro di
nè 0 conserva gli umori dell'occhio, +
Coserni.
100, avveiNA CHK 000.7 quantanque
por il freddo il mio viso avesse perduto
ogui scasibiiltà, como #0 fosso ateo tina
parto callosa, tattavia già mi pareva di
sentire alquanto vento.
108, eratto: dal basso fat. stalfumi
luogo di abitazione. Crsrar atollo me cer
saro di atare in un luogo; vale x dire, ni
fosso allontanato dal mio volto,
108, ALQUANTO VANTO: cho veniva
dallo all sempre mosso di Lucifero] ft.
If. XXXIV, 51.
104. qUENTO: vento,
105, quaocrÙ: « Ventas eat alleta flmena
anda... Nascltar cum fervor affendi* du-
morem, et Impotas fractlonte axprimalt tn
apiritan fiatum ») Fitrue. Quindi la do
manda: Como può easere vento qui, dova
non è sole che dilati a sollevi în vapore
una parto dell'aria!
106. avaocio: in breve, tasto; ef Ty
x, 116. Par. XVI, 70, Bmekek., 102.
107. Ti YAKÀ eco.: vedrai 69' toi ce
chi onde questo vento derivi,
10%. vanonwpo: efr. Try. AXXIF,
40 agg
834 [oxRc.3. otRO 3) Ine.xxxni. 119-193
[esare ALBERICO]
To son quel delle frutta del mal orto,
Cho qui riprendo dattero per figo, »
<0h;» dissi lui, « or se' tu ancor morto?»
Ed egli a me: « Come il mio corpo sten
Nel mondo su, nulla scienza porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolomoa,
Che sposso volto l’anima ci cade,
Innanzi ch' Atropòs mossa le dea.
E perchè tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,
Sappi che tosto che l'anima trade,
Come feo'io, il corpo suo l'è tolto
Da un dimonio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia vòlto:
na Ella ruina in sì fatta cisterna;
119. oct nurtA 1 « Dicitar prover-
fami de lo frutta di Fra Alberigo »;
Mierat., 1.0,» MAL ONTO: oreseluto nel-
l'orto del male, perchè furono il segnale
iloltradimento, Altri intendono di Faenza
<he produoe gente sì perversa. Fenv. ri-
sorda una tradizione, aecondo la qualo i
convito del 2 maggio 128% sì sarebbe futto
nell'orto della villa del Manfredi. + Frutte
del mal orto è proverbio tonoano »1 Tom.
180; iiri&nDO: mi è rendnto pan per
fecaccin: ricevo qui la pena del rulo tra
dimento, - F100: fico| Parodi, Pull. I1I,
108.
A81. 01: nel marzo del 1300 Fra Albe
rigo viveva ancora; quindi la moraviglia
di Danto il! trovarne l'anlma nell'Iy-
forno. = anco: già, non essandosene sin
qui pdita la notizia.
123. NULLA soruNzA+ che aln del mio
corpo las nel mondo, non 40. Giora
ricordare che i dannati ignorano lo eceo
Deosanti; ofr. Inf. X, 10î
Alberigo ignora se il ano corpo
di Branca d'Orta sembrino ancor vivi
#3 nol mondo.
124. VANTAGGIO: prerogativa. GII altri
orchi infernali non accolgono la aatmo
to dopo ln loro separazione dal corpo;
In Tolomea già prima.
128. ci CADE: quaggià nella Tolomon,
e Desconlant n Lufornut viventes »:
Paol, LIV, 16.
120. AtLOrÒS: quella dello tre Parcho
to ha l'ufficio di rocidere lo stame della
vita, Ma porchò racconta Sl dannato que.
ate cosof Se egli orede di parlare con
un'anima dantata alla Giudecca, pare
che dovrebbe supporre che quell' anima
ao lo sappia già. SI rispose» « Potrebbe
anche supporre che quell'anlina nén se
lo nappia. > 0. Marr. Ma ni stenta a
eroderio. Alberigo non poteva sapere
#0 queste anime non fossero osso pura
di quelle che scendono già nall'Infermo
prima di easorni separato dal corpo per
morte.
127, Ravi: rada, tolga To lagrime
plilacelato,
129, tuAD&: tradisce; da trasere, lati
namento, per tradire, come Fnf. XI, 66.
10, comm: dunque non a tutti i tea
ditori, ma soltanto al più neri tocsa tal
sorte. O forse solamente a quelli della
Tolomea! Dal voro 1% sembra verte
mento cho ala così. Ma avendo Datite
avidentemento preso Îl suo concert da
San Gioranni, XIII, 27 (<Rt post ne
celiam, tano fntroîvit in filum [Giudo]
Satanna »), al dovrebbe supporre che ar
che Ia Giudecca nvenno cotal
131, covatza: faonndo le veri
l'anima.
122. xkyTRE 000,1 per tutta quel tempo
che, secondo il destino, quel corpo deve
vivere. « Brevos dies hominis sont,
merza menalam lun apud te osti
stitalsti terminos eius, qui prsterii u00
potarunt »; Job, XIV, 8 — votato: pas
sato; ne sia compinto Il gico,
123, pi sl: in questo poazo infernale,
che è così fatto como tu vedi,
D GIRO 3) Tyr. xxxim. 134-150 {snANCA D'oRtA] 395
E forse pare ancor lo corpo sns0
Dell'ombra che di qua dietro mi verna.
Tu il dèi saper, se ta vien pur mo giuso:
Egli è sor Branca d' Oria, e son più anni
Poscia passati ch'oi fa si racchiuso. »
«Io credo » diss'io Ini, « che tu m'inganni;
Chè Branca d’ Oria non morì unquanche,
E mangia e bee e dorme e veste panni. »
«Nol fosso su» dias'ei, « di Malebranche,
Là dove bolle la tenaco pece,
Non era giunto ancora Michel Zanche,
Che questi lasciò un diavolo in sua vece
Nel corpo suo, ed un suo prossimano,
Che il tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano;
Aprimi gli occhi! » ; ed io non gliele apersi;
E cortesia fu in lui esser villano.
» casa dol diavolo prima di avervi mane
dato |) suocero,
146. xD UN: 0 un ano prossimano (pipa
VaRxA= è qui distro a mo nol te, dn. Aor., Beue.; © cngivo, Ot.) feto
tnlfermale, cioè nel ghiaccio della lo ntenso, Inariò cloù un diavolo im sta
196. ruR NO: In questo momente, solo
sora; ofr. If. X, Sì; XXVII, 20. nel corpo di quel ano parente? O prete
Jo stosso diavolo possesso di dee corpi,
facendo Je veci di dun anime! 1 ecdd.
banno adum, alcuni et ven; l'adum par
da leggero ed ven.
148, ONAMAL: Al: OMAI, GOMIMAT, 90.
Ora che ho (ntto quanto ehiedesti è più
nucora, ofr. v. 115 ng.
140, Armi: berandomi dal viso 1 dust
well, v, 112.-auieLE: cos dissero lnfinite
volte gli antichi invece di glieli, rome al-
uni leggono; ofr. Oimonlo, Partte., 192
Oortical 11,
10, coxtaRA: atto di cortesla, tled
di gratitadino verso Dio; efr. Inf. XX,
28, «Questo «i Intendo che Il mom fer
cortesia n frate Alberigo fia cortonia. lmi-
però cho non si dee fare villania ai mng-
giore, par faro certosia al minore cho
nera la merita; aprir li cechi a colni era,
secondo la finzione di Tunte, fure contro
mila giustiela di Dio, ha qual com anrebba
Al LUt. = YILLAWO: new mani
Ja promessa, v. 110 Agg:
836. [okno. o. Gmo 3) Ixy. xxxni. 151-157
15 Abi, Gonovesi, uomini diversi
D’ogni costume, e pien d’ogni magagna,
Perchè non siete voi dal mondo spersi?
Chò col peggiore spirto di Romagna
Trovai di voi un tal, che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna,
am Ed in corpo par vivo ancor di sopra,
V. 151-157. Invottiea contro è Geno-
west: Riponsandonl tradimento di Branca
d'Orla, Dante lnvolace contro | Geno-
veni èd augura loro lo sterminio, porchè
ento altona da ogui buon costume. Dello
atato e dei costumi di Genova verso il
1300 Zaonpo d'Oria nerive: « Quamvia
ila tomporibos civitas Lanum in tanta
emtot sublimitato, potontia, divitila et
bonore, nibilominna tamen în civitate
et extra homicidm, malofactoros, ot fa-
atltim contemtorea multiplicare empe-
ront. Nam tempore dicti l’otoatatis ma-
lofaotorea quamplarimi gladiis et incula
ad invicem dio noctuquo percutiobant,
no etiam perimebunt. » Murat., Serîpt.
I, 608; ofr. Vinz., Asm. XI, 700 ng.
351 DIVERSI! mstranol ad ogni costu-
mo ontato. « Alieni ab omnibus alile ho-
minibua in moribus, prwscipue în espi-
ditte quirendi et parcitato servandi.
Noli enim italici vivunt anisorsas, li-
cet in apparato et ornata extertori sint
Spioadii >; Bene Cfr... Ferretst.V,
tà agi
152. san4ona: visio. « Uno Noffa
Del,... pieno d'ogni magagna»; &. Vit
VII, 92.
153. srumsr: disporaî, steruinti; oîr.
(XXV, 10 agg.
154. sento: Alborigo dei Mxnfrodi,
da Faenza In Romagn
156. DI vor ux raL: Branca d' Oria,
rostro conclttadino. — ORA » malvagia;
in pona del suo tradimento.
156, naosA : 1a dove i peccatori stanno
freschi, In. XXXII, 117. Bagno freddo,
nello stagno gelato dol Cocito.
167. rar; appare, nì mostra, — Di 80-
rua: nel mondo. + Perchè secando la fa:
zione dell'A., ancora ara vivo quanto a)
corpo »; Butî.
Lerro, 0. GiRO 4) XXXIV. [xtotrERO) 397
CANTO TRENTESIMOQUARTO
CERCHIO Né ® FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI
GIRO QUARTO — GIUDECCA: TRADITORI DE' BENEFATTORI
{Intoramente confitti scîto la ghinccia în quattro diverse postare)
LUCIFERO E LA SUA STORIA
Ummerso nella ghizcela da mezzo petto in giò, e di forma mostruosa)
BOCCHE DI LUCIFERO: TRADITORI DELLA MAESTÀ
(Maekullati dai denti di Lucifero, è Gioda ane
GIUDA ISCARIOTTO, BRUTO E
DAL CENTRO DELL'UNIVERSO ALL ALTRO RMISFERO
« Verilla Regis prodeunt Inferni
Verso di noi: però dinanzi mira, »
Disso il maestro mio, « se tu il discerni. »
Come quando una grossa nebbia spira,
O quando l'emisperio nostro annotta,
Par da lungi un molin che il vento gira;
Vader mi parve un tal dificio allotta :
3. 6E TU IL DISCRkXI: se l'oscurità non
V impualaco di dieitngnerio;
4. cuossa: fitta. “arma : asala; 0 forse.
«appropria lo apirare che è dell'aria alla
nebbia, pereloschè è dall'aria pertata è
meosna »3 Lord.
5. AxsortA: quando incombe la ser.
8. rAR: appare, ai mostra, - CIER IL
vesto ama: un mulino a vente,
7.
Lorta: allore1 ott. Ii. V, 591 J0XIy
119; XXXI, 112
844 [aancra aL euro.) Ixp. rxxiv. 944-110 (capvra DI LUCIFRRO]
LI « Lévati su » disse il maestro, «in piede!
La via è lunga, e il cammino è malvagio,
E già il sole a mozza terza riedo. »
Non era camminata di palagio,
La 'v'eravam, ma natural burella,
Ch'avea mal suolo e di lume disagio.
< Prima ch’io dell’abisso mi divella,
Maestro mio, » diss'io, quando fui dritto,
«A trarmi d’erro un poco mi favella.
Ov'è la ghiaccia? E questi come è fitto
Si sottosopra? E come in sl poc'ora
Da sera a mano ha fatto il sol tragitto? »
Eà egli ame: «Tu imagini ancora
D'esser di là dal centro, ov'io mi presi
Al pel del vermo reo che il mondo féra.
Di là fosti cotanto, quant’io scesi;
Quando mi volsi, tu passasti il punto
tara ch'è 7 monte della espiazione»; An
fomelli. Cft. Oranam, D. et La phI.catAol.,
1645, pi 142 ngg. Agnelli, Topo.eronogr.
Ml ag.. 83 ag.
Md Levant: ofr. Inf. XXIV, 58, « Sed
Jam age, carpo vinm at susceptum perfic
miunus; Adoslererus, aît »; Viry., den.
VI, 6tà ag.
DI. LUNGA : lovendosi risnlire dal cen-
ti alla auperficlo della terra. -
101 dittictie, 1 calle essendo stretto,
sstoaro ad inaguale.
Di, Mizza TURZA: gli antichi divido.
raro JI giorno in quattro parti: Terza,
Vosporo. La Terza avera
‘nascita del Sole Sono dnn-
8 di mattina nell'emi
8 di sera nel boreale;
IV, 31. Nociti, Orari
a. Sell'apparunte contraliziane col
pei al vi 100 x
de' signeri sogliono essera bon pi
Dea tamnincee »s But. Propriamente è
da naîa con camino, Cfr. Bull. X, 6.
DA: ntmtita: da duro = buio, luogo
‘dacaro, carcere stretto e tonebroso. « Da
nai questo nome spacialmente ai sotter-
pamal dell'anfiteatro fiorentino, dove si
Or. Ofr.
sorio 2, Bologna, 1904, p, car: ha
09. sar: ineguale, orto 0 ronchiome. -
DIRAGIO: manco |< Arola via as;
ducit ad vitara »; Maét. VII,
109, amisso:1 Inferno
cnatodivano lo flero per gli metta;
o, Ricerche ©
mono, esc. L'erroro è quello già nocen-
nato, v. 88 agg.
104. roc' ona: Il tempo Implagato a
acondero © a aaliro per il. corpo di Dite,
105, Atita tor, v.68. -MAmE 001, 7. ML
107. pi LA: nella regione boreale. — att
ansi) mai
108. varo » Luciforo, etr. Inf: VISA
Vermo sì disno anticamente di egni fiara
sobifona, — rORA | passa da una parto al-
l'altra, cmendo confitto nel centro della
terra.
109, scrai: lungo Il corpo di Lucifero,
SALTI
110, rumro: il cestro della terra, lì
quate, secondo le opinioni del tempo, è
pure {1 centre della gravitazione soft.
1, p.307 ag, «Ea, quae sat media et nova
tellus, neque movetar, et infima srt, di
346 [sanira aL PuRO.] Ixp. xxxiv. 125-189
Per faggir Inî lasciò qui il luogo voto
Quella che appar di qua, è su ricorse.»
Luogo è laggiù da Bolzebù rimoto
Tanto, quanto la tomba si distende,
Che non per vista, ma per suono è noto
D'un ruscelletto che quivi discende
Per la buca d’un sasso, ch'egli ha roso
Col corso ch'egli avvolge, e poco pende.
Lo duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo;.
E, senza cura aver d'aloun riposo,
Salimmo su, ei primo ed io secondo,
Tanto ch'io vidi delle cose belle
Che porta il ciel, per un pertugio tondo;
198 E quindi uscimmo a riveder le stelle.
V. 127-190. Salita all'emiafero an-
strale. I duo Pueti escono per una ca
rità cho laggià per l'oscurità non mi
edo, ma che è attestata dal romoro
d'un ruscellotto che discendo por essa;
salgono mu all'emisforo australe, 0 rive
dano Il alelo @ lo ntello.
127. LAGArò + nali' interno della terra,
— Baiznsd: (Dews avverrunene museo
rum, Ul Zeòz "Aréuvios dei Greeî) no
me dato nol Nuovo Tastamento al prin
olpo dei domoni, cfr. Mare. XII, 24, 21
Afareo LIL, 23. Luos XI, 15, 18
1a. raso : dal centro dov” è Lucifero,
Ta cavità ni distende dalla parte dll'emi-
afro auxtrale tanto, quanto discende nel:
in parte dell'emisfero borealo la carità
Infernale sino a Lucifero, » roma : l'Im-
ferno, dotto altrove fosse, Taf. XIV,
136; XVII, 68. « Mortum vst aotom et
diven et sopnitus est in Inferno»;
xvi, 2
120, vista: non si può vedore per la
grande cecurità.
130. REMORLLETTO: Lete, che toglie allo
nnlme purilcato la ricordanza del poe-
ento; Purg. XXVIII 121 agg.; e travolge
1 peccati giù nel contre, como fanno dal-
l'altra parto i Onmi infernali ; ondo tatti
‘quanti i peccati ritornano finalmente al
loro principio che è Luclforo.
131. nuca: il foro fatto da Lucifere
ondendo dal elal
ve: è poco Incltasto, e per quento è pot-
aibilo di salire contro fl #a0 corso, quasi
per una scala a chiocciola, Ma ta salita
è, 6Iò nonostante, aunai malagovolo, eft.
v. 96
138. 2s0aso: privo di lusa è truvato
da pochi; etr. Matt. VIL, 14.
154. A RITORNAR: Al.: PRR TORNAR. =
la foren lunga e matagevolo. I
duo Porti impiegano a risalire prosa a
poco tanto tempo, quanto n° era loro ot
corso a discendere per la carità infor
une: circa 21 ora.
cosk met: Al sole a lo stella 3
oft. Ing. I, 87 agg. « Auche prima d'ete
sore ln cima del sotterraneo ascendente
cammino, vido il Poota all'apertera dell
32520 solntillar qualche stella. E dicendo
ch'egli nec) a riveder le atello, dice in
siemo che allora era notte, e bea prepara
alla della laon, » Antonelli.
138, rantvoro : la duea del r. 191.
139. QUINDI: por quel pertagio tende.
«sTRLLE: tatto 6 tro lo cantiche Sniscene
con questa parola oft. Ore. Lipe. I},
883. Vedi puro lant. a Patry. XXXIII, 148.
LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA SECONDA
PURGATORIO
CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PURGATORIO
LE QUATTRO STELLE, CATONE CUSTODE DEL PURGATORIO
Per correr miglior acqua alza le vele
Omni la navicella del mio ingegno,
Che lascia dietro a sè mar si orudole;
E canterò di quel secondo regno,
Ove l'umano spirito si purga,
E di saliro al ciel diventa degno,
Ma qui In morta poesi risurga,
0 sante Muse, poi che vostro sono;
V, 1-12, Prelulio ed invocazione. riîn, come quella trattata nella prima
Provenia
da proponete del ito cantica.
da trattarsi, Dante favoca Je Muse în go- —4 necso: del Porgnterlo, I dottori
serale wi ln particolare Calllopen, non della Chieta lo lmmaginarono nello re-
Ramta fora come Musa della possia epica, gîoni sotterra, confinante coll' Inferno;
ef. Petr, Lomb, 1 V, 45, Thowa, Ag., Sum.
MI, Suppl. 60, 10. Elueidar., 62 Ag.
Dante creò su iargatorio più protico @
Na ridente: una Ssoletta nell'oceano, e
aniemine, a'aìca a guba di cono tresonto
Wila cima, dove tinisce in mu'amenlssima
Pianura, chio è lì Paradiso terreatro, Cfr.
sivora cantò 11 regno del
ite, Daf. VILI, 85. Com I più,
Ali La poeeia, allora negletta, a peretò
merita, ciò è contro la storia. - pomal: per
poesia, sntio, anche in prosa; ofr. D'Ort-
o, At Purg, e i suo protudio, p. 10 egg:
8. YOSTRO: vostro doveto, coune portai
alt, Purg. XXLX, 37 agg. Horok, Od.
LIE, rv, SI ag
Pura. L 49-99
To duca mio allor mi diè di piglio,
È con parole e con mano e con cenni
Reverenti mi fe' le gambe e il ciglio.
Poscia rispose lui: « Da me non venni;
Donna scese del ciel, per li cui preghi
Della mia compagnia costui sovvenni.
Ma da ch'è tno voler che più si spieghi
Di nostra condizion, com'alla è vera,
Esser non puote il mio che a te si nieghi.
Questi non vide mai l'ultima sera;
Ma per la sua follia le fu sì presso,
Che molto poco tempo a volger era.
Si come io dissi, fui mandato ad esso
Perlni camparo; e non v'era altra via
Che questa per la quale io mi son messo.
Mostrato ho lui tutta la gente ria;
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
Che pargan eè sotto la tna balia,
Com'io l'ho tratto, sarla lungo a di;
Dell'alto scende virtù, che m' aiuta
Conducerlo a vederti ed a udirti.
REL ire pol nel Limbo com —«Litteralmente dice della morte corpo»
v Marzia. rale, et allagoricamente x' intendo della
morte spiritnalo »; Mwtk. Cfr. Gone. IV, 7.
39. voLtla : abbandonando la verana
via, partendosi dall'oso della ragione e
non considerando nè fl fino della sua
vita nè il cammino che doveva fare ott.
Dona, TY, 7, Inf. 1, 1 agg:
Hiocchi ctr. 108,
52. Da 30 to :
intuito. AL Per virtà mia, collo mio forra. #1. nABSLI T, TGA - MANDATO | da Bor
BI. poxna: Beatrice; eîr. Sf. II, 62 trico; or. Inf. IL, 58 agg.
rl 62, KON VERA ALTRA via: per mal
varlo tion vera altro moto che guidarlo
attraverso { regni della morta geato ; efe.
Inf 3,91 agg.. 112 agg
W. TUTTA: non ogni siagolo dunanto,
ma tutto lo divers olasel di danmmti. —
queste uiA: | dannati. Rio por reo anth-
camento anche In prosa.
#6. APIRTI: lo antroo del Pargatorso «qui
mundwatnr a poccatis In Purgatorio, e
Je tu om cuatos »; Bene,
88. ALTO: cielo. Nom avre! potmba gni
durto ata qui senza ainto del rina.
#0, UDERTT: n sapore da te ju qual modo
858 [rmoemo]
Puro. 1. 98-112
D'alenna nebbia, andar davanti al prîmo
Ministro, ch'è di quei di Paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
Laggiù colà dove la batte l'onda,
Porta de’ ginnchiî sopra il molle limo:
Null’altra pianta che facesse fronda,
O indarasse, vi puote aver vita,
Però ch’alle percosse non seconda,
Poscia non sia di qua vostra reddita;
Lo sol vi mostrerà, che surgo omai,
Prender lo monte a più lieve salita.»
Così sparì; ed io su mi levai
Senza parlare, e tutto mi ritrassi
Al duca mio, 6 gli occhi a lui drizzai.
Ei cominciò: « Figliuo], segui i miei passi:
sorpreso, afuacato dalla infernal nobbia.
Circa sorprizo par sorpreso cfr. Nannue.,
Verbi, 400 sg.
Sha Sencerno: l'angolo portiere del Par:
XX, 78 gg. Al: L'at-
‘fr. Purg.
gelo Tuc osceno. ‘Purg. 11,28 spg. Ma nò
ito e Virgilio gli andarono dinanzi, nò
quan'angolo badò punto a loro.
100, ab NO: nel punto più basso, ugo
la spiaggia; « quin fu loco baso rivit ot
viget humilitas tatior contra impotus ad
Fermorom, quam alta suporbia »; Zeno.
ALtirA sl " omiltà 4 fl solo
prinalpio di purgaziono. Bene, per lo al-
tre piante intendo lo altre rirtà, como
giustizia, magnanimità è fortezza, cho
non si piegano Innanzi al colpi delle nv-
versità. Invece 'An.Fior.:«Per la pianta
wuol diro ot mostrare l'uom superbo; et
dico che veruna pianta che induri o fno-
cla fronda quivi non può aver
et diventi ostinato non può quivi
logo.»
104. IxDuRARIE: divontasso dura.
Os rRRcORNI urti delle onde, v. 101,
@ dol turbine, ofe. Ly. XXVI, 187 ag.
= Nos Aecoxna: non cedo, phegandosi.
108. poscia; che Dante sarà cinto 0
lavato. — nanpira: ritorno; « quia homo
TRagresana Porgatorinm, idest panniten-
tim, non debet amptina redire rersus Tn:
farnuro, ldout vitia a quibus reosalt»;
ono.
107. moRtRRRÀ : efr, Inf. I, 18, X Poeti
dorono salire Il monte da levanto
a ponente accondo Il giro del solo. ume
ox: of, v. 19 agg. « La contemplazione
dol elolo, il colloquio con Catono, averan
già preso tanto di tempo, ch'era ormai
spuntata l'aurora, a al volger del Sole
mancava poco »; Antonelli.
108. FisDI: così con molti cadi.
Beno., Serrav., Lomd., 000. X più: Pia
DETR; ofr, Moore, Orit., 308. —A #7d ok-
7%: dove Îl monte ha ascesa mon ripida;
ete. Inf. XIX; 85. Prg. IL, 76.
109, così delto questo, scomparve.
Non sembra necessario ammettare ehe
Catone ai rendesse invisibile, como amp.
porgono Lomb. ed altri. Mt LEVALI dalle
im ginocchio; or. v, fl:
MI RITRASSI : nt strinat; of. fn
XXI, 97.
131. Distzzati « quasi dicerem: asce me
paratam facore obedienter omnia impo
rata»; Meno,
V. 112-130. Dante ricînto a Zevalo
da Virgilio, Scomparso Catone, 1 due
Pooti si accingono senz'altro nd emegrirt
ciò che egli ba loro imposto, Vanno due
que giù vorso la apiaggia, Virgilio lara
colle ano mani il volto del ano alittino è 0
cingo com un giuneo
di measo agli altri giuneht. XI rica:
200 sa dito là, di dove Virgilio lo ha nvelta
112, PIGLIVOL, AROUI T MU ASS) Ali
SIOUISCI LI MIRI FARSI
358 [eRoemt0] Puro. 1. 125-138 [oANTE x yIRGILIO]
Sonvomente il mio maestro pose:
Ond’ io, che fui accorto di sn° arte,
Porsi vèr lui le guance lagrimose:
Quivi mi fece tutto discoverto
Quel color che l'Inferno mi nascose.
Venimmo poi în sul lito diserto,
Che mai non vide navicar sue acque
Uomo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse, al come altrui piacque:
O maraviglia! Chè
qual egli scelse
L'umile pianta, cotal si rinacque
196 Subitamente là, onde
125. soavaanentE: efr. Inf. XIX, 130,
126. ANTE: intenzione; mnî accorsi che
rolora lavarmi $1 volto. Porchè al feco
Dante lavare il volto da Virgilio Invece
di lavarnalo da ad
127, LAORIMORE: dove &rano ancora |
elle lagrime veraate durante Ii
sogni
viaggio per l'Inferno, Alouni si avrisino
obo Dante piangosso în questo momon'
odi penitenza, 0 di tenorerza, o di giv
Sombra però che, uscito dall'Interno,
Dante non veranse più Incritno, tranne.
Purg. XIIL, 57, ad all'udire 1 rimpro-
Tert fttigit da Bantrioos fr, Purg. XXX,
UBI XXXI, 2
128 7eOE éoc.: «mi rendè, lavandomi, Il
natural colore,
119, colon: naturale, coperto d
sovrapposizioni caliginosa dell' Inferni
LI
stato un po' troppo presto
tuso Inutile Il viaggio xi
dolla purificazione ; ctr.
142 agg.
130, rusunto: cfr. v. 118
15à roRKAR: Indietro noll' emisfero
abitato, Il lido dell'isoletta, dov
Purg. XXXII,
l'avolse.
approdar navigando uomò alcuno, che
poi ritornasno indietro, chè Ulisse non
ritornò più; ofr. /nf. XXVI, 136 agg.
188. cus: con un giunco schietto. =
aLritut: a Catone; ofr. v. 94 agg Com
1 più. TI Buli leggo A LUL e mpiega: «A
Aut, cioè a Virgilio, »
194. scria: colto, acegliondola tra
altre.
195, KINACQUI! « Primo avuleo [il qual
avulso rendo ragione della lex. avete nel
v. 130) non deficit alter Aurona wt si
mill frondoscit virga metallo =; Fîrga
den. YI, 143 ag. - «Qui mostra che non
CÒ scema la graria di Dio por avere più
possossioni, ma cotanto come n'è tolto,
altrettanto si no rinnovella») Tax. Cas
puro Ott., Cuse., occ = « Non vuoi dive
la scienza eb la virtà,
ta al dia 0 a° insegni altruf, nom
| scemi et non manca al donatore, ma
> quella ch'oglidona, et più, se no trova»;
uno noto umilitatis nascitur ulius, st
| virtus est communia offerona se valente
quo valenti cam amploeti, st tramafun
ditor ex uno fn allum, neo recipit di-
minutionam »; Così puro Serrer., Landi,
Vell., ecc., ® parecchi moderni.
Pure, 1. 1-8
CANTO SECONDO
3 ISOLETTA
L'ANGELO NOCCHIERO, ANIME CHE ARRIVANO,
CASELLA, DI NUOVO CATONE
Già era il sole all'orizzonte giunto,
[AnTIP. ISOLETTA] Puro, u. 19-38 [Ax6ELO xoccniERO] 361
mm Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
L'occhio per dimandar Io duca mio,
Rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d'ogni lato ad esso m'appario
Ta non sapea che bianco; e di sotto
A poco a poco un altro a lui n’uscìo.
Lo mio maestro ancor non fece motto,
Mentre che i primi bianchi apparser ali;
Allor che ben conobbe il galeotto,
Gridò: « Fa' fa' che le ginocchia cali!
Ecco l''Angel di Dio! Piega le muni!
Omni vedrai di ui fatti officiali.
Vedi cho sdegna gli argomenti umani,
Si che ramo non vuol, nè altro velo
Che l’ali sue, tra liti sì lontani!
Vedi come le ha dritte verso il cielo,
Trattando l’aero con l’eterne penne,
Che non si mutan come mortal pelo, »
Poi, come più e più verso noi venne
L'uces] divino, più chiaro appariva;
20, pisana: ehe ame al fosso quello,
Ri, givrbit: lo rividi più tuoeate e più
Parchò già assal più vicino. 0, ‘ora innanzi, duranto Il tuo
mistico viaggio, vedrai molti di questi
ministri di Dio; con che non è uataral-
monte iletto cho questo fossa il primo
angelo vetuto dal Poeta: cfr. Inf. IX,
89 aghi
31. s020xa + non fa verun uso di quelli
acoumenti, di cui gli vomini si servono
per navigare è governare lo navi, come
tomi, velo, alberi, marte, cor
33. L'ALI: cho gli servono di somed
vole: e Remigiam slaram »: Vir, dem,
VI, 10. - LONTANI; dall’ano all'altro qui:
aturo, dalla fico del Tevere all'isola del
tl
I
asselì
tisi
ma uocel divine per averne manzionato
Je ale, come chilanò wosetli anco $ diavoli
Miati, Dyf. XXI, 081 XXXIV, 47; così
L
862. [ANTIP. SOLETTA] PURO.31. 39-51
[ANGRLO NOCCHIERO]
Per che l'occhio da presso nol sostenne,
Ma chinail ginso; o quei sen venne a riva
Con un vasello snelletto e leggiero
Tanto, che l’acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal, che farla beato pur desoripto;
E più di cento spirti entro sediero.
« In exitu Israel de Mgypto »
Cantavan tutti insieme ad una voce,
Con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
Ond'ei ai gittàr tutti in su la piaggia:
Ed ci son gì, come venne, veloce.
Stazio chiama Mercurio : « Volucer Te-
«Corti corpi] sono tanto vinosnti nella
pucità dol diafano, che diventano sì rag-
gianti, cho vincono l'armonia dell'oc-
«bio, © non si lnaclano vedore senza fa-
40. ouDNAIL: china l'occhio a terra.
dl. vasizio: rasoello, navicella; è
ll più Here dune di che avera parlato
non toccarlo neque, tattochè tanti fossero
| navigaoti sovra eso»; Tom, Le acque
le avrà pur toccate, ma come so non
DC)
wiga colle ali dritte verso fl cielo, l'attro
batto col remo qualunque anima sl ada-
gia: l'uno th fl segno della croce, l'altro
n'adlira 6 bontommin: l' aspetto dell'ano
è bntificanto, quello dell'altro
tavola, eoc.; tr. Inf, ILL, 2 agg. L'
Uteni mon è certo canale, ma moditata
© voluta.
U. Tar: in anpotto Gi atto sì divino,
to di
la descrizione, Al: ranza nato rm
@nolsi Interpotrare; Tal
45, CENTO: « quant dicat, molti; tamen
Charon habet matorero multitadinoza fn
qua navi continno, quia pro tmo qui fem
dit ad ponitentiam, mille sunt qui ten:
dunt ad poccandati >; Bene. - SIRO:
per sedevano. Cr. Parodi, Bull, III, 199
tende che nell’ uscita dell'anima dal pe
cato, essa al è fatta santa e libers fn au
puasiate OSE TIA Epiat, Kani,
Zarrro è Rarrro,
4 com
tutto intiero mesi Salmo.
49, veos: bonedicendoli e liconsis
gli; efe. Taf. XX, 00.
30, 61 lager
SL nta nest" nel eni
alzo 6 nl cal ll è att e ma
secco nce
[ANTIP. IS0LETTA] Pusa. u. 52-69
ss La turba che rimase lì, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno,
Come colui che nuove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
Lo s0], ch’avea colle saette conte
Di mezzo il ciel oneciato Capricorno,
Quando la nuova gente alzò la fronte
Vér noi, dicendo a noi: « Se voi sapete,
Mostratene la via di gire al monte. »
E Virgilio rispose: « Voi credete
Forse che siamo osporti desto loco;
Ma noi siam perogrin, como voi siete.
Dianzi vonimmo, innanzi a voi un poco,
Per altra via, che fu sì aspra e forte,
Che lo salire omai ne parrà gioco. »
L'anime che si far di me accorte,
Per lo spirar, che io era ancor vivo,
Marnvigliando divontaro smorte;
V. 62-75, Le amime novamente a
private. Gli spiriti or orm giunti si m
Mirano inesperti dol luogo, è chiedono
dine Poeti che Insagnino Jore la via per
sul al sale ti monte. Yirgilio rispondo
ani la santo, easezsio snc!
‘arrivati, ssbbano per altra via, 1n-
tanto gli mpiriti, accortiai che Danto è
ivo, gii si affollano fatorno e lo mirano
di stepore © di meraviglia.
[abe
‘essi
R'agesto di Cino da Pci
|: «selvaggia cioè truna
conoscere lo lose
lore
fi
saggio di nuove co.
quarto cam; il sole
A amoi raggi su tatte le parti
atntralo, devo si trovavano
— CONTE: chiaro:
‘ala vide quod, alcut
0] ortens osteadte-
ut ela Îter, ot ascendobut panliatito, ui»
cut et ipa necende Reno,
38, nuova; arrivata or ora, quindi
nuora In questo stato; Zaf. IV, 52,
(2. raristis conosonaiti, pratici del
Taogo. Al: aFTRTI.
63. rrteoni: stranleri. « È petogrino
eblunquo è Maori della son patria » i Fita
Nuovo, $ 41; ofr. Purg. XII, 86. Par.
VI, 138.
65. ALTRA: divoras dalla vostra, —
aspra: malagerolo ed orrida; eft. Taf
1,5; II, 2.
#6. 10001 falle è piscerole, in par
ragone colla via da moi tin qui percorsa.
05, LO srmnani ti renpiro, «l'atto della
gola » Inf. XXIII, 88.
0). xranavioniax0o : mararigliandcnt
884 [antir. isoLsTTA] Puro. 11, 70-82
EC) E come a messagger che porta olivo,
Tragge la gente per udir novello,
E di calcar nessun si mostra schivo;
Così al viso mio s'affissàr quelle
Auime fortunate tutte quante,
Quasi obbliando d’ire a farsi belle.
To vidi una di lor trarresi avanto,
Por abbracciarmi, con sì grande affetto,
Che mosse me a far lo simigliante.
O ombre vane, fuor che nell'aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esso al petto.
82 Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
70. OLIVO: antionmante per segno di
paco; ofr, Vàry., 4en. VILI, 110; XI, 101.
‘Stat., Theb, II, 380; al tempi di Dante
per segno di buone novelle in generale;
otr, @. Vul. XII, 105. Murat, Seript. IX,
128; XVIII, 462.
Timaoos accorre, gli sl folla intorno.
72. catcan: nesuno prendo cura, af-
follandosi, di non calcar l'altro.
TA. PORTUNATE : « porchè speraa di ve-
nre, Quando che sis, allo beate genti »;
Inf. 1 119 ag
75. OmuLIANDO : ofr. Inf: XXVIII, 52
Affir. = PARBI NRLLE: puridesra.
VW. 760-117. Casetta, Uno spirito si fa
Innanzi per abbraociar Dante, 0 questi
vuoî nbbracclar ini, ma invano. esa
quegli Incorpareo, Dopo un breve
quio, Dante lo prega d'intonare un can
® Omsolla canta +) dolcomente, cho tutti
reutano 1) ad udiclo, sensa pensare a al-
tro, DI questo Cansila si hanno poche no-
tizio, Nella Vaticana (cod. 3214) trovasi
un madrigale di Lermo da Pistola, cde
fiorì elrea il 1300, con questa indicazione:
2 Casolln diodo il suono », il
vba le parole di Lemmo orato stato messo
in mustonda Canella; cfr. , Poeria,
TLX, #21. Lan. (0 Ott.):<Fu nel tempo del
l'autore finiuaimo cantatore, e già intonò
canzone et dalialo, cho questi intonò; et
Danto dilestò forte l'adirio da lui. + Ed
il Faleo Boee.: « Rea jatatà Sinteaimno ma
stro di canto e di suono, intanto ebe assai
volte diode a Dante di gran piaceri a di-
lotti, E fa contui di qualli cho al fadagià
a pentere inaino alla fino dé maol di per
lo diletto di canta, »
TÙ. TRARKESI AYAXTR: farmisi Incontro,
T8. a YAR ec0.: a corrorie incontrò per
abbracelazla.
TO. vaxK: hanno forma corporea, mia
ovo i corpi de' beati non nono palpabili
che dopo la risurrezione; efr. hem, Ag.
Sum, theol, III, anppi. 30 ag. Comp. theel.
I, cap. 108. Eluotd., 09, 006
80. TR: * Tor conatua idi collo dara
3racchia vircom, Ter {rustra compressa
manu elfagit imago, Par loribus reatia
roluorique aimillima sommo»; Fîrg., det.
VI, 700 agg.-« Noll'Inforno non avera
tentato d'abbracelar ombre; mim Wirgs
lio, ombra anch' esso, l'avera portato la
Ispalin, Or perchò questa difforanza di
Virgilio, di Bocca al quale e'atrappa È
copogli, © doll'Argenti eh'el
nol faugo, da è dagli altri? Forme
perchè qui, como più pure, lo ombre nea
mono gravato della molo terrena, hanno
più sottili apparenze. Matelda però trae
Daote e Stazio per l'onda di Lete, e Vir
ggilio con Sordello a'abbracclano,
ta, a quel cho pare, fa l'ombre de" mon
Per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
Ed io, seguendo loi, oltre mi pinsi.
Soavomente disse ch'io posasse:
Allor conobbi chi era, e ’l pregai
Che, por parlarmi, un poco s'arrastasse.
Risposemi: « Così com'io t’ amai
Nel mortal corpo, così t'amo sciolta;
Però m'’arresto: ma tn perchè vai?»
« Casella mio, per tornare altra volta
Là dove son, fo iò questo viaggio; »
Dias'io: «ma a te com'è tant’ora tolta?»
Ed egli a me: « Nessun m'è fatto oltraggio,
Se quei che leva e quando # cui gli piace,
Più volte m'ha negato esto passaggio;
83, sorsist; del mio abupere, - st t-
DELI rs care» rirenda -
SCIOLTA? separata corpo.
PACK var: perehò fal questo
i pei Gall ce mo dal
Wi. ma TORNARE: fascio questo viag:
tolto tanto bal tempo per purgarti delle
ne colpo è per andare a] cielo ? Chi mai
ha tanto ritardati i momenti itelle toe
eterno boatitudini? I momenti d'andarti
bella? Par certo che Casella fosse
morte alona tempo fonanei n questo viag=
glo dì Dante, no non vaolai dare umaAti-
racohiata interpretazione alle parole del
torto, e non voglia dira che Dante abbia
fatto a Casella la poerile domanda: per-
ché to morto al tardi? E non voglia
supporsi una pnerile risposta fn Casella
atosso.>
24, ouma0aro: torto.
05. quat: l'angelo nocehiare, - LEVA:
prende lo animo per tragittario al Par
gatorio, « Secondo 11 Ponta, quel che
mnoiono riconellinti con Dio, per pas
naro al Pargatorio convengono alla foce
del Torero; ma l'angelo destinato a
trasportarii sulla ana navicella, prenilo
primi quelli che ruolo, 6 gli altri molla
ana giustizia lascia ni altro tempo, A
Carella ora stato nogato più volte lì par
51 ammette
che lo animo alano più o mono trattenato
aullo Stigo, prima di cusero tragittato al
l'altra ripa, vorso cui tesdono trumana:
mento Jo sani; ctr, Virg., Aem. VI, ZIA
ARR. »3 Rerlan, La più della pag, della
D, 0, A83. Cfr. Antoneltà, too, cit.
DALFIÙ VOLTRI + erano panunti più meal
el'egit era morto »; An. Por.
365 [axtip. isoLettA] Pure. 11. 97-118
9 Ohò di giusto voler lo suo si face;
Veramente da tre mosi ègli ha tolto
Ohi ha voluto entrar, con tutta pace.
Ond'io, che era ora alla marina vòlto,
Dove l’acqua di Tevero a'insala,
Benignamente fui da lui ricolto
A quella foco, ov'egli ha dritta l'ala,
Però che sempre quivi si raccoglie,
Qual verso d' Acheronte non si cala. »
Ed io: «Sa nuova legge non ti toglie
Memoria 0 uso all’amoroso canto,
Che mi solea quetar tutte mie voglie,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L'anima mia, ché, con la sun persona
Venendo qui, è affannata tanto!»
«Amor che nella mente mi ragiona »
Cominciò egli allor sì dolcemente,
#7, oruero von: divino. - avo: del-
l'angelo. L'angelo vuolo ciò che Dio
Teolo.
96. vanamsta: nondimeno, por nitro.
DA mukxerst e dal natale 1209, în cul era
cominciato Il Giabiloe di Bontfazio VIII,
secondo la cal Bolla anche lo animo del
defunti partecipavano per modum suf-
Jeagi all ttalganso dei GHubilo; ar
Borhmer, Corp. Jur. cam. 11, 1192. Bowr,
Kirehengeneh. LIL, 146 ag.
DO. com vurtA FACE: l'angelo ha no
colto nella sun nave le anime senza faro
alowma scelta, nò opporre aloma dif.
406. RnA.... YOLTO: atava attendendo
alla marina « Per quod intelligit quod
orai canversna nd ebosdientiam romarao
ovelosto vi Bene.
101, a'imtALA: intrat salum, antra in
mare è al fe salmo.
02. ICOLTO: preso dall'angalo
selle por sesere tragittato al
103, roc®i del Terare.-0v' xus1r
1, 1, Al: Aq
Mart L'ata; — Tutto le antme Gest:
tinta nl Purgatorio convengono da egni
parto del monto alla foce del Tevere, Ma
Casella dovstto aspettare alcon tempo,
chè l'angelo seo volle prenderlo nella
ana inve ; paro anzi che avrebbe dovuto
erge lat più, so non fosse stato
NOMbIl60, 11 perché di questo ampottare
alla foop dal Terore non el viun detto.
Of. Virg., dem. II, 202; W, #35 ag.
vai dimenticato, 0 sm, avendo per-
gli orgumi della
insi cos
sano da ogni operazione; el è l'antma fa-
tora quando l'edo, è la virtà di tueti (odi
pesta; 0 a ciascano che a qus' beti=
DI era timo cantalore e sumera
unico ed ebbo aa uaanza, » Otr, Palli,
Mem, 8 0.
102, pi eròd: di en tuo onto,
110. rantona : peso del corpo:
UIL, APPANSATA 1 dopo aver sestamito
« la guerra Sì del cammino 0 n della
plotate » /nf, IT, 4 ng., cd esser venuto
qui perceerendo l''Infarno.
312, Amor ece.: così Inceminela van
canzozio di Date, comporta verno (è 1394
è commentata nel trattato terno dol Cie
nirio. Probabilmeoto Casella l' avera
mensa In musica, como affermano Lan,
Ott, Memo, ose,
[oaroxe] 307
ra] Pure. n. 114-130
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro ed io e quella gente
Oh'eran con lui, parevan si contenti,
Com'a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tatti fissi ed attenti
Alle sue note; ed ecco il veglio onesto,
Gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
Qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scaglio
Ch'esser non lascia a voi Dio manifesto. »
Come quando, cogliendo biada o loglio,
Li colombi adunati alla pastura,
Queti, senza mostrar l'usato orgoglio,
Se cosa appare ond' elli abbian paura,
Subitamente lasciano star l'esca,
Parchè nasaliti son da maggior cura;
Così vid'io quella masnada fresca
did ancor: ofr. Par. XXTIF, 128 ag.:
l'integumeato del peccato; « Expallan:
doloe, Che mal da me non
tes vos voterem hominom eum aotibua
alba, et fodaentes noum, gum qui reno:
vatarin agnitionera secundum lmaginosa
eloa qui oreavit lam » 3 Colere, 111,9-10,=
« Deponendum saxam et onus vitioram,
avuta altra cura che di attendere a quel
dolea canto. Lo animo dimenticano
@ Sarai belle, | Poeti Il doro vinggio.
W, 118-153, di Ca-
doma,
du
il;
sit
LETTI
trpela
Lt
quod pergravat anlmam ad ima»; Pene,
123. xox Lancia: vi priva della visone
di Dio, «Iniquitates vestrm divisemnt
Inter ves ot Doum vestru
vestra absoonderant fnelem ei
mo axandîret >; Taio, LIX, 2
124. COM eos.: csstr.: Come i colombi,
adunati alla pastura, mentre stanno hee-
poccata
vobla
è senza roteare nè mormorare,
gliono fare quando non brecano, 10 ap-
ve cosa alcuna «be Il spaventi, Iaselnno
subito Il cibo € non al curano ehe di mot-
Rersi In malvo; così, ese.
126. QUITI: «monza Il mormorio e nensà
quella vivace allegrezza ci
ali colombi, Sano | loro do abiti apecla-
Abpcimmi vg L. Vent, Sivn., 420.
12%. L'rsca: () cibo.
199, cuni: di salvarai dal parieolo.
130, matvana; famiglin. La voro ma»
mad, propriamente la famiglia di un
manzo 0 Îrdere concesso da un signore,
mon aveva aniivamento I) senso eellome
che ba oggidi; cfr, In, XV, 41. Diez,
Wirt. 1,258. I più dicano che warmada
vale compagnia, Mu SI Mett(; « ILumada
868 [awmme. 1801] Puro. 11. 131-133.
1-8. [DANTE x visGizio]
Lasciar lo canto, e gire invèr la costa,
Com' uom che va, nè sa dove riesca:
133 Nè la nostra partita fu men tosta.
stà qui piuttosto in smao di famiglia |
1 che abblamo bol sempi net trecento,
‘to quella nova fomiglia, a:
senigna di nuovi digli elotti. tomaia
Der compagnia non è mat in buon seno,
purchè non ala prosa per termine milita»
re. Dante l'adopera pare Inf. XV.41,ma
per compagnia di reproti. » (fr. Pnciol.,
alb ag.» ratuca» Fecontemente nrriva
ta, la nuova gente, r. 8,
1g1. ca costa: l'erta dol monte.
192. povi KiBACA! dove arriverà so-
guendo la via cho ha prosa a caso. « MI
‘fucea stare quasi como coloi, che nem sa
per qual ria pigli Il 400 cammino, che
Suola anfire © non sa qnd si veda
7-8: « Vommone în guisa d'orbo sensa
Ince, Che non «a ovs ai vade, © pur si
128. La xostRA | né io e Virgilio fm
mo mono pronti a partirei.
CANTO TERZO
ANTIPURGATORIO: ISOLETTA
ANIME DI MORTI IN CONTUMACIA DELLA ORIESA
(Stanno fuori del vero Pargatorio
nn tempo corriapondente a trenta volte la durata della scomunica)
IL RE MANFREDI
Avvegna che la subitana faga
Disporgesse col.
Rivolti al monte ove ragion ne fraga,
V.i-îì. Corpi che nen fanno om-
bra; Mentre i dno Poeti vauno verso Îl
monto, Virgilio pare sentir rimorsi di
concienza a motiro del breve indugio.
Bplonde tì sole; e Dante, vedendo dinanzi
fa nd la nola sua ombra, ni volge psc ti-
more che Virgilio lo abbia abbandonato.
ANora Virgilio lo istruisce anlla natura
doi corpi delle ombre,
i. AYVRONA c0c,r sobbeno fu nagnlto
ni rimprovari di Catone gli apîriti ai fos:
nero dispersi per la campagna dell’ iso-
tetta, jo dal onnto mio. mit accomtai più
Uto. DC PZA
Tom., Ozan., oe La ragion
na libera dallo Sllustoni a be di
atimola alla pualtanani ES presi
fer
ungere, and
pata DEA condo te accettare da
prima interpretazione, n meno di Inter»
870 [anTIP. SOLETTA) Puro. mi. 19-93 TcoRPI SRNZ' OMBRA]
sw To mi volsi dallato con paura
D' esser abbandonato, quand'io vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
E'l mio conforto « Perchè pur diffidi?»
A dir mi cominciò tutto rivolto;
«Non credi tu me teco e ch'io ti guidi?
Vespero è già colà dov'è sepolto
Lo corpo, dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra,
Non ti maravigliar più che de' cieli,
Che l’uno all'altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
Simili corpi la Virtù dispone,
Che, come fa, non vuol ch'a noî si aveli.
«Quia ipso a0l habebat Inbirrentiam ra-
diorum suoraza in mo »; Bens = Al. fn:
anî era rotto dinansi con
alla figara che l'appoggio
aveva in mo»; Riag.
19. xt votet* vedo soltanto l'ombra
ana 6, non riflettendo che Vingilio è api-
rito e che gli spiriti non fanno ombra,
temo che fl dolce Maestro lo abbia ab-
bandomato, e al volge istintivamente a
dentra por voduro dove nia la sua guida.
22. convouto : Virgilio ; ofr. Purg.
TX, 48. - PUR: ancora.
23. TUTTO: rivoltosi a me con tutta la
ana persona, por farmi certo che non mi
areva abbandonato, Atto di paterna pro-
mura, Ali Movimento di chi si offende
di qualche cosa. Ma Virgilio non ai mo-
atra por niente offrso,
24. TECO: che lo ala ancora teco.
NE, VEarknO | « nopposto ele Il tempo
del vespero sia un'ora prima del tra-
monto, a Napoli correvano le ore Scirea
pom; a Gerualemme circa de oro 2 di
motto, ed al Purgatorio altrettante di
giorno; erano quindi lo 8 '/0 »; Agnetti,
Cfr. Deîta Valle, Sens, 39. Nociti, Ora-
rio, 13 ag.
27. Buixmmo: lat. Brundisium, è
Bruwtwsium, oggi Brindisi, dove Vir
illo morì l’anno 19 a. G. Per ordine di
vagusto ll ano corpo fu da Brindiai tra»
Spsrtato a Napoli è sepolto fo na tu-
animi enorato suila via di Porsuoli. « Qea
ins Neapolim tranalata sunt tumoloque
condita, qui est in vis puteolana intra
lapidot secandute »; Donat., Vita Viry.,
631 cfr. Comparetti, Virg. nei madio ere,
18, 45 ag.
28. e AbOWIA | è ombreggiato.
20. cune L'UNO ece.: amsando diafuni,
1 cieli lasciano paasar lberi £ raggi tu
mincai, così puro la forma corporea di
gliepiritistno alla risurrezione; efi.Thom.
49., Sum. tàeol. 11, Supp2. 18 ng. Comp.
theol, I, 176 ag. «Corti (corpi) nono che,
por essere del tutto diatunî, non nola
mento ricovono la luce, ma quella nos
impediscono »; Cone, I1T, 7.
3L catprs efe. Inf; III, ST.
32. corri forme corporee come quer
sta mia; ofr. Thom. dg, Sum.
corporee
trasparenti ospaci di solfilre dolori ma
toriali come Sl caldo è Il
#3. cosr ra: il modo del suo oprrate.
= na avRLI: « Non enim cogitatiomea mese,
cogitationes vostre: neque Vis veates,
rim mec, dicit Dominus »; Tanta LY, &
- «0 altitudo divitiarema sapinitim dt
solontie Dei: quam incomprerensibilia
sunt fudiola elua et fnvestigabilea wie
otust » Rom. XI, 38.
V. 3-45. Tdmiti dell'umano ma
gione. randa dal DA TE
che 11 modo del ano.
agli vomini, prende
esporre come pete E
na comprendere Sapri
divinità è debba contentarai di sapere
374. [Axrip. isoLemtA] Poro. 11. 84-108
(SCHIERA DI ANIME]
Semplici 6 quete, 6 lo 'mperchè non sanno;
Sì vid'io muovere a venir la tosta'
Di quella mandria fortunata allotta,
Pudica in faccia e nell’andar onesta.
Come color dinanzi vider rotta
La luce in terra dal mio destro canto,
Sì che l'ombra ora da me alla grotta,
Restaro, e trasser sè indietro alquanto;
E tutti gli altri che venieno appresso,
Non sapendo il perchè, fenno altrettanto.
< Senza vostra dimanda io vi confesso,
Che questo è corpo uman che voi vedete;
Per che il lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma crodeto,
Che non senza virti che dal ciel vegna,
Cerchi di soverchiar questa parete. »
Così il maestro; e quella gente degna
«Tornate!» disse; « Entrate innanzi dunque!»
Coi dossi delle man facendo insegna,
163 E un di loro incominciò: « Chiunque
#5, xvoveRe: muoverd por venire
frarno di nol. » 1a TESTA : la prima linea
di quella schiera.
8. MAXDKIA | gregge; voce scrittarale,
Gerem. XIII, IT. Tuc. X11, 32, Gion. X,
TIR diti XX, 28.1 Petr. V, 3, 2, 0cc.
Paragonò le nnimo allo pecore, avendo
Ordato chiamute aus pecore 1 anoi Sedoli,
Gioe. X, 8, 4, 15, 16, 27, oc, anda chi
tua mandrio in compagnia dî esse animo.
=vagruxara: ofr. Perg. II, 74.- attor-
Tai allora.
87. PUDICA: corrisponde n semplici €
quite dal v. BA. Cfr. Aeg., 52 ng.
MR, COLOR DINANZI: | primi, la testa,
+. 85. = nortA: dalla taia om
#9. DissTRO : 1 duo Pooti ai erano voltati
‘naloiatra per andare incontro alle antimo,
tondo avovano alla destra il monte ed alla
aitletea 11 solo; quindi l'ombra di Dante
ulatendova alla sua dontra, verso la mon-
tagna.
0. anorza: ele. Pury. I, 48.
questo non avevano potuto vedere l'ora:
bra del corpo di Dante, — rEVXO: fecero
lo atosso, cioò ai fermarono cani piare © al
ritirarono un po'indietro. Appunto come
lo pesorello, v. 82.
95. QUESTO: costui è ancor viro, e per
elò fa ombra.
96. vis: interrotto dall''amtira,
DT. NOS VI MANAVIGLIATE: + licet tà
utt valdo mirabilia, quae nomquam alias
fuit, quia iate wenit ex npeciali gratta
data aîbi n Deo »; Bene,
ai ai guest monte, erto come una
urta ‘para 1 di saliro'al cielo; confe.
1,6.
A),: Entrate în nostra compigata & ui
date innanzi. Ma orient
vano Jem v. 10-62, perchò
potenaero favitare I duo Posti aa sede
in foro compagnia.
102. co: possi; accennando, col rive
d'a ero ala cp
i i Rie Di RE]
it. cos: nello stato di salvasione.
= DIVIETO: la proibisione di entrare nel
Pargatorio prima che sia trascorso il
tempo deoretato, sempre che questo
tempo non sia abbreviato per le pre-
ghiere ed i saffragi del vivi.
145. qui: in Purgatorio si guadagna
molto per lo preghiere del viventi; ofr.
Purg. IV, 133-184; VI, 20 ag., XI, 34
agg., 000. « Suffragia vivorum mortula
s0a VALENT AD DIMDRI
aliquid hufusmodi, qt
non traamutat. » Thes
TI, Suppl. LXXI, 3.
ril est in supplement
qua non faerat pleue |
mata. Et ideo, quia op
valere alteri ad satisfa.
sive mortnns fuerit, no
suffragia per vivos fm
Purgatorio prosint »;1
Poio, rv. 1-7 [santa] 379
CANTO QUARTO
ANTIPURGATORIO: SALITA AL PRIMO BALZO
POSIZIONE DEL SOLE E NATURA DELLA MONTAGNA
ANTIPURGATORIO
BALZO PRIMO: NEGLIGENTI
SStamno nell Antipurgatorio tanti anni, quanti furono gli anni della vita)
BELACQUA
Quando per dilettanze ovver per doglio,
Che alcuna virtà nostra comprenda,
‘anima bene ad essa si raccoglie,
Par che a nulla potenza più intenda;
E questo è contra quello error, che crede
Che un'anima sovr’ altra in noi s'accenda.
E però, quando s'ode cosa 0 vede,
tre potenze, cloè rivera, sentire o ragio-
nare » (vegetativa, semaitiva ed Iutellet-
tira), « E quella anima che tutte queste
potenzio comprendo, è perfottiarima di
tutto lo altre e Os, LL, 3, efr. IF, 7.
= COMPRENDA : no ricava io sb le im
d,
8. AD pasa: virtà o potenza. - kt RAC
ra.
i dal Platonici, ole insegna»
vano l'anima senza essere triplice: ve-
gotativa, senaitiva ed intellettiva (efr.
Ariutot., De dn. I11), e del Manlcbal, che
nnmetterano l'esistenza di due anime.
vronlaso, ut beminora dana anima rabare
Impadenter dogmatisent. » Confr, Daf,
Dante Abigh., 00 ag. Ozanam, Pury,,
930 [ANTIPURGATOR:0]
Poro, tv. 8-21
TsALitA]
Cho tenga forte a sè l’anima vòlta,
Vassene il tempo, è l'uom non so n'arvede;
Ch'altra potenza è quella che l’ascolta,
Ed altra è quella c'ha l'anima intera:
Questa è quasi legata, e quella è sciolta.
Di ciò ebb'io esperienza vera,
Udendo quello spirto ed ammirando;
Chè ben cinquanta gradi salito era
Lo sole, ed io non m'era accorto, quando
Venimmo dove quell’anime ad una
Gridaro a noi: « Qui è vostro dimando. »
Maggiore aperta molte volte impruna
Con una forcatella di suo spino
L'uom della villa, quando l'uva imbrana,
8, taxoA: attîri a sò tutta quanta l'at-
tenzione dell'anima.
10. CN'ALTRA: « porch altra potenza
è quella che avverte il tempo (I' ascolta),
altra è quella a cal a’ raccolta l'ani-
sù fatern: l'anima è logata a quel ve-
dero © a quell'udire (r, 7), 0 non prosta
quindi ascolto alla potenza ché avverto
questa potenza opera aciolta
non è quindi nveortita da
eaaà +; Bardi, in ult. XII, 270; ma ofe,
Thom. Ag., Sum. theol. I, 96, 3. Conti,
în Dante e Gl suo ree., 308. Anvon, nol»
l'Albo Danterco Veronese, 201 ng. Busd.
dn Att dell'Istituto Veneto VI, m, 288
Rex. Liberatore nell'Omapgio a Dente,
303 ag. « Lo tre animo, vogetativa, sen:
altiva ed intellettiva, non sono cho tre
modi 0 oategorie delle operazioni d
l'atima, lo quali al van man man
genio l'una sopra dell' niten. Quoste tre
potenza pol sono fra ad di guisa, che
Tuna è fondamento dell'altra; la vogo-
tativa della nenaltiva è questa della în-
tallottiva »; Ruta., Stud. I, 59; efe. Cone.
MI, 2
Î. WPIRTO: Mavifredi, — AMIRANDO i
meravigliandomi di vederio in Inogo di
silvazione, è di ndire clò che ml andara
dicendo.
15, CINQUANTA | «1! sole, percorrendo
15 peudi La un'ora, implogherobbo più di
tre ore per salire 50 radi abbondanti;
uinido al possono contaro lo tre orme mezza
Ml sole, cioè lo 10 del mattino, Dante în
\apazioni Lampo, clod dalle 8 "fa felt.
III, 25 ag.) allo 10, avredbo per
corso più di duo mila pani, del quali una
motà molte lentemente, discorrendo con
Manfredi »1 Agnelli. Oft. Della Valle,
Senso, 39 eg. Antonelli in Dem. mppen»
dico al presente canto; Nositi, Orario, 13.
17. AD UNA: ad una vose, tutte inabt«
mo; ofr. Pury. XXI, 88,
unraxno : ciò di ehe voi chiedete,
cloò il nogo dove ni paò salire; edr. Purg.
sione di quasto alto, nol quale si prende
l'orta della montagna. Ma noi, connide-
rando che l'angelo deposita lo anime net
punto più orfentalo dell'isola, 6 ehe anche
la porta del vero Pargatotto al trova ail
oriente, crediamo di non scontarci froppò
dal vero ivettendo quel Iuogo verso mat
tiua 0 tn linca retta tra fl punto dora api.
prodano lo anime e la porta del Purgato
ro. Stando così lo cose, I Poeti, scostane
doni dalla inca da oriente a ponente dita,
moszo miglio verso messodì, rifanno pr
scia altrettanto cammino, ma us poso più
insiome alle anfine, nel
di nord, Salito faticoramesto Gn trata
doll'erta, i Posti arrivano ad na baluo,
dore al mettono a riparare ed a arie:
taruî, colla facela volta a lavanta.» Aguele
li, Topo-Oron., 2 ag:
19. APERTA: apertura più larga. = Bi
meuxa: serra con pronti, nelle
2). FORCATRILA + piccola prete
au: etr. Prov, XV, 19,
DiaRUNA e inoceizola a faral bra,
cioè a maturare,
‘886 [awtiP. sALZO 1] Pura. Iv. 96-118 TerLAcqua]
Più non rispondo, e questo so per vero.»
E com'egli ebbe sua parola detta,
Una voce di presso sonò: « Forso
Che di sedere in prima avrai distretta!»
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qual nè io, nè ei prima s'accorse.
Là ci traemmo; ed ivi eran persone
Che si stavano all'ombra dietro al sa880,
Com'uom per negligenza a star si pone.
Ed un di lor, che mi sembrava lasso,
Sedeva ed abbracciava le ginocchia,
Tenendo il viso giù tra osso basso.
<0 dolco signor
mio, » diss'io, « adocchia
Colui che mostra sè più negligente
Che se pigrizia fosse sua siroochia! »
Allor si volse a noi, e pose mente,
Movendo il viso pur su per la coscia,
09, et: perchè «lo per me più oltre
non disotrno », Purg. XXVII, 120.
V. 07-120. Appena Virgi-
Îio ha finito la sua dichisrazione elrra la
petrono di dove
la voce, vanno fin presso ad esso, Tra
tina compagnia di nogligenti, dietro al
Retro, te Belacqu, pigro nel mondo
ll Ja come era stato nel mondo di qua.
chitarre, ot era il più pigro
Domo che fome mai; et dice di îul,
gli'ogii vana la mattina a bottega, et
ponevaai a sedere, ct mal non si lovara
40 ton quando egli volera ire a destinare
wet a dormire. Ora l'Anttore fu forte suo
eporiba» mandi aloni In eporibue ani-
mam.» Reno. aggiunge che Iolacquaconm
magna cara sculpebat et Incidebat colla
ed capita cithararum, ot aliquando etiam
pulsabat. Ido Dantes familiaritor nove
rat cum, quia delectataa est in sono,»
Buti dico aho Belacqua «al fine sl pentà, »
| Berram, ripete 1) rnoconto dall'An. Fior.,
traduoendolo quasi alla lettera. Altre no-
pr nom al hanno, Confr. En
uc4 pe di arrivare lassh, dove ri
Doserai Il corpo alanco.- DIATRRTTA È no-
ato.
102, rana: di odir quella voro. 11 pe
trone, 0 gran mamo, era È vicino; mi
Dante o Virgilio non ss n'erano accorti
perchò arrivati lassù ni arano volti a le-
vanto,
103, rrasont: anime di persone che
differirono la ponitenza sino agg trtreti.
169, con'UON: sdralate per terra come
sogliono 1 templari Alia»
1888. [AniP. nALZO +] Pod. 1v. 180-199
CortAcqua]
0 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri
Di fuor da essa, quanto face in vita,
Perch'io indugiai al fine i buon sospiri,
Se orazione în prima non m'aita,
Che surga
su di cor che in grazia viva:
L'altra che val, che în ciel non è udita?»
E già il poeta innanzi mi saliva,
E dicea: « Vienne omai! Vedi ch'è tocco
Meridian dal sole, e dalla riva
19 Copre la notte già col piè Morrocco,»
solla gran maggioranza del codd. Am.
tilo Il ebiamar l'angelo useiere - Po)
‘ho conduce nl sette cerchi; ofr. Pury.
IX, 70 seg.
130, n° 400r1: giri futorno a mo qui,
noll'Antipurgnterio, tanto tempo, quan-
to mi girò intorno mentre visi.
ll, quanto PRCK: Al: QUANT’ 10 PECE,
apiognudo: Conviene che la giustizia di
Dio mi facela girare tanto, quanto lo fa-
diuigini la penitenza. Ma queste autme
non girano.
In, rancu' 10: perchò Jo indugiai |
buoni sseplri del pentimento nino agli
gatromi dalla mis vita,
280, onazione: del viventi; efe, Purp.
Al elelo, Iinansi al trono di
Dr ONAZIAL
(, Lacod.
"89. vorra; snnmlita. Al: ORADITA,
* Belnna antem quia Dens
non audit, sed aì quis Del cultor cat et
volantatom eius fucit, buno exmodit »;
Giov, IX, DI. Otr. Giobbe XXVII di
AXXV, 18, Puslm. LXV, LR Proo, XV,
30; XXVII 0, Isafa I, 15.
a adunque aveva atoso È anoi passi
fino agli eatromi confini » occldente, sex
gnati qui col regno o città di Maresco,
che oscopava una delle parti più ves
38, uva: del Gange; efr. Purg. IL,
468. La notte al aatenda dalla riva dal
ange sino al Marocco, osia #Q tutto
V'emiatero borma!
Pure. v. 1-11
CANTO QUINTO
ANTIPURGATORIO
BALZO SECONDO : NEGHITTOSI MORTI VIOLENTEMENTE
DUE MESSAGGERI, IACOPO DEL CASSERO
BUONCONTE DA MONTEFELTRO, PIA DE’ TOLOMEI
To era già da quell’ ombre partito,
E seguitava l'orme del mio duca,
Quando diretro a me, drizzando il dito,
Una gridò: « Ve'che non par che Inca
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
} come vivo par che si conduca!»
Gli occhi rivolsi al suon di questo motto,
È vidile guardar per maraviglia
Pur me, pur me, e il lume ch'era rotto.
Perchè l'animo tuo tanto s'impiglia, »
Disso il maestro, «che l'andare allenti?
bra, at In ciò apparea che era morte »;
Puti, - «Pas cheai muova ln modo come
se vira fosso; dando, a cagion d' esem-
pio, segno di gravezza col rumore che
nel eammizaro facevano | piedi perc
tendo i saolo, diversimento da quello
araramo gik partiti.
2. ru 3: solamento me, all'altro
cha me solo, « Ma, mo! adauto, qui feel,
merito mirabantar de Dante qui arat
vivas futer tot mortacs, qui ante tem
pas mortis venerat nd Purgatorium nd
omenduadam vitam vitiosam: mirmban-
tr etinm quot erat anpdone Inter tot
ignerautes » (1; ino,
10. 6° perdotzA : 8° Impact, al dh briga
Ai ciò che nitri diceno di te,
392 [antiP, nALZO 3] Puro. v. 48-64 [ecmmeRA DI ANIME]
«Questa gente, che preme a noi, è molta,
E vongonti a progar; » diase il poeta;
« Però pur va', èd in andando ascolta. »
<O anima che vai por osser lieta
Con quelle membra con le quai nascesti,»
Venian gridando, « un poco il passo quota!
Guarda se alcon di noi unque vedesti,
Si che di lui di Jà novelle porti!
Deb, perchè vai? Deh, perchè non t'arresti?
Noi fammo già tutti per forza morti,
E peccatori infino all'ultim’ora:
Quivi lume del ciol no fece accorti,
SI che, pentendo e perdonando, fuora
Di vita uscimmo a Dio pacificati,
Cho del dislo di sè veder n'accora. »
Ed io: « Perchè ne' vostri vii guati,
Non riconosco aloun; ma, se a voi piace
Cosa ch'io possa, api.
Voi dito, od io farò per quella pace,
Che, dietro ai piedi di al fatta guida,
Di mondo in mondo cercar mi si face.»
su Ed uno incomincid: «Ciascun si fida
Torta nou ne ricontece adenna, ma pro. «i enim dimisseitie hominibeun peccata
206860 I fa ld di che lo proghernono; di
4 piceace: fn pressa por arr) vare a noi. cusloetia dollota vostra»; Afart. VI, 1.
dB. vu rsuza LIETA: por puridenrti 50, racuricati: riconelilati con Dio è
ed andar poi dore l' momo À folico; Purg.
XXX, 76.
T. 20EIIRA 1 corporali, in oarne ed osan,
48. queta: dtrmali an poco. Seguendo fl
‘conalgiio di Virgilio, Dante non ai ferma
n parlar osllo animo, ma lo sacolta senza
Interrompere li eo cammino, Quindi le
EEE ana DA perio marina
dla quanto grande fosse 1) Jero desiderio
di parlare con lat è di raccomandargilel.
Uique: at: 6. Purg. 11T,105.Par.
VITI, 20. - vabestI: nella prima vita.
#3, MORTI: neclni violentemente, parto
4 ur perte per inlmiciale privato,
dia o0agianii, como si vedrà fn seguito.
"sk qu al momento della morto la
graeia (Ilaminanto ci trasuo a penitenra.
« Videntur dicero tacòto ; Detis non rolo- la scorta di niffatta guida, cleò di Vir-
MT d6-t4; Zacepo del Camere da
Nano, Udita la promasma di Dante,
(‘quelto animo Jo pregano a gara di ti.
Taxerie. naLZÒ 3) Puro. v. 117-181
Di nebbia, e il ciel di sopra foco intento
Si, che il pregno aero in acqua si converse:
La pioggia caddo, ed a' fossati venne
Di lei ciò la terra non sofferse;
E come a' rivi grandi si convenne,
Vér lo fiume rea) tanto veloce
Si ruinò, che nulla la ritonno.
Lo corpo mio gelato in su la foce
Trovò l'Archian rubesto; e quel sospinsa
Nell'Arno, e sciolse al mio petto la croce
Chio fai di me, quando il dolor mi vinse:
Voltommi per le ripe e per lo fondo;
Poi di sun preda mi coperso 6 cinso.»
< Deh, quando tu sarai tornato al mondo
È riposato della lunga via, »
[svoxconte] 397
periore dell'Appernino.» Cfr.
Bas... ca dat 106, - 01000 a catena
do' talal commesal errori » 3 Dam, Così
pure Lomò, Biag., Br. B., ace. Al: Il
ja man manco. ‘olore della ferita mortalo. Imduos forse
TIT. mi chis: AL: si Giri, ma Dante
Mico che fesso novicato. = INTENTO:
danso di vapori. « Morrida tem-
Puestaa colum contrarit, ot imbrea Ni:
è
îi tir
COME eee: è quando quell'acqua
rascoleo nel torrenti dei Casentino.
4 dolor fisico a fare la croce?
128. voLTOMNI: Îl soggetto è netmeml-
mento l'Arhiano del v, 195, » Le Kt
Al: Le Core.
preda,
portan con loro i fumi», Zisa, Als tt
sua ruta; cloò - cori E
emo: ini ricoperse di sopra e d'laterno.
V. 120-126. Pia de’ Totomei. Una
terza anima sì raccomanda n Dante, pre
gandolo di ricordusal di les, nata In Sbe-
na ® morta nella Maremusa, come sa Il
marito traditore, È Pia sanoso, nata della
fumiglia dei Tolomel (An. Fior., Bene,
200.), 3a qualo andò rposa a Nello,
Paganello, figlio d'Ingblramo de' Pane
neochieschi, signore de) castello della
Pieten a novo miglia a levante da Mans
Marittima, e di molti altri castelli di mi-
mor conto, pedostà di Volterra nel 1277,
di Lacoa nel 1913, capitano della taglia
guelfa di Toscana nel 1284, visuto nino
‘Al 1399, nel qual anno foco testamento,
Questa Pia non dda confondersi com Pla
Guaatelleni vedeva di Bale Tolomel,
vivente nel 1818, Nello, o ole la soglia
nvesss veramente commesso aloam falle
(Lan., Ott., Bai) o cde la sonpettanse sil-
tanto d'infedeltà (An. Fior., Bene, scé.h,
0 forse por desiderio di npomare la bolla
Margherita do' conti A)dedbrandeschi ve-
. BALZO 3] Pure. y. 182-136
Seguitò il terzo spirito al secondo,
[Ricorditi di me che son la Pia!
Siena mi fe’; disfecemi Maremma:
Sàlsi colui che innanellata pria,
isposando, m’avea con la sua gemma.»
di Montfort(Inf. XII, 118 suo santuario domestico, © prega il solo
la Pia nel suo castello di —Dante di ricordarsi di lei. Cfr. De Sanctis,
remma e la foce quivi mo- —Lett. ital. I, 218.
Jelò fare al segretamente, 134, SIENA MT PR° 600,: nacqui in Siena,
som morisse >; Lan.; così morii in Maremma.
it. Cas., Buti, Land., Vel, -—1185. coLut: Nello mio marito, Egli lo
ce l'An. Fior.; « Essendo unque altri no, Dunque anche Dan
re dano suo palagio sopra te non ne sapeva nolla, come il Lan.,
| Maremma, messer Nello l'Ott., ecc. - INSANELLATA: che mi diede
lo fante che la prese pe' pie- l'anello nuziale celebrando il matrimonio,
cacciolla a terra delle fine- ossia disposandomi: con che si accenna
valle profondissima, che ai due «atti simultanei, e l'uno compi-
Pn si seppe novelle. » Lo mento dell'altro » (Del Lungo, Dal see.
fa puro Benv. Dicono che e dal poema di D., p. ddl egg.) del dare
indichi tuttavia ana parte l'anello e della promessa di prendere e
quale sorgo Îl castello, col tenere per moglie. Pia vuol dire che fu
Cfr. Com. logittima moglie del suo nccisore, Altri
documento leggono disposala, 0 spiegano: Che
Tolomei, Siona, 1509. Pio m'avova diaposata dopo essere prima
Pia de' Tolomei, Torino, stata innanellata, cioè: che mi avera
B34 egg. Enciel., 1404 ag. sposata in seconde norze, Ma tale inter
im: Al: WICORDATI. Buon- —pretazione reggerebbe solo colla identi-
la ana Giovanna e gli altri arione, cho a' è visto essere im possibi-
brdati di lui; Manfredi vnol 00 Guastelloni,
o n Costanza, e Tacopo ni DISCOSANDO : Al.: DISPORATA ; off.
finchè preghino per lui. , Contrib, 200 sg. Moore, Crit.,
lena nome nel
408 tawrtr, paio 3) Posa. vi. 25-49
28 Come libero fui da tutte quante
Re che pregar pur ch'altri preghi,
'avacci il lor divenir santo,
Ta at « E' par che to mi nieghi,
0 luce mia, espresso in alcun testo,
Che decreto del cielo orazion pioghi;
E questa gente prega pur di questo:
Barebbe dunque loro speme vana,
O non m'è il detto tuo ben manifesto? »
Ed ogli a mo: « La mia serittura è piana,
E la speranza di costor non falla,
Se ben si guarda con la mente sana;
Chè cima di giudizio non s'avvalla,
Perchè fuoco d'amor compia in un punto
Ciò che dee satisfar chi qui s’astalla;
E là dov'io fermai cotesto punto,
Non si ammendava, per pregar, difetto,
Perchè il progo da Dio'era disgiunto.
Veramente a così alto sospetto
rio ai apra loro pela del tempo ntabi-
tte, per virtà delle preghiere è del auf:
fragi del viventi.
| 32NON x foce: 0 noa ho fo forse en
Re
ndo Dante lo prega di apiogargli
contradizione;
che lo
Earn
pregurun l'anpettazione, non è fallace.
avaCcI al adfretti il loro pur i cIta Di enzo
INNI RA Buia erro.
en
tali mapronal. - N ALCUN ENTO In qual-
del ino Pooma, 1A dove diei che
Palinoro, {1 quale pregava, la Sibilla
Maposo (Virg., den. VI, 37E agg): « Undo
Bibo, 0 Palinuro, tibi lar dira capito?
"Da Mtyygias Inbumatns aqoas amnemque
ripamive
adibia! Desine faro drum vosté
penare prosamdo. »
96. rixani: eh la proghiera abbia fsesn
di far mutare ciò cho in cielo è stabilito,
ML, Quanta: Al: x qUEsTE GRNTI PI
MAX. - UR: (elò noneetante, , meglio,
nilammente, come nol v. 26,
N, erguti che da porta del Pargato-
dire dh carità Gel Viventi
momento molo quell pierino
pira sensa tal alato in molto
aiuto ha stallo, af. XXXIII,
?, dora.
102,
40. LÀ: dove dimi cho Sata dedm non
4 pagano per preghiere; cfr. v. 29 nb
di Timo hi hi pregare = fo
molta grasia di Die,
Eateratgee sca adito bel date ce
IV, 133 agg.
43, VERAMENTE: però, — ALTO BORPRT
10: profonde e sottit dabido »; Vert,
404 [anmir. sALZo 3) Pura. vi. 58-75
[Li Ma vodi là un'anima, che, posta
Sola soletta, verso noi riguarda:
Quella ne insegnerà la via più tosta. »
Venimmo a lei. O anima lombarda,
Come ti stavi altera e disdegnosa,
E nel muover degli occhi onesta e tarda!
Ella non ci diceva alcuna cosa;
Ma lasciavane gir, solo sguardando
A guisa di leon quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
Che ne mostrasse la miglior salita;
E quella non rispose al suo dimando;
Ma di nostro paese e della vita
C'inchiese; e il dolce duca insominciava:
« Mantova... »; e l'ombra, tutta in sè romita,
Surso vèr lui del loco ove pria stava,
Dicendo: « 0 mantovano, io son Sordello
!»; el’un l'altro abbracciava.
formidatissimam hominum sul temporte,
rucamit ab eo, quem Eccirinue, ut qui-
dam forunt, focit postos truoidari. »
38, POSTA 1 # sodore. Al.: Separata dol
tatto dalle altro animo, Al
Aimamonte; efr. Inf. XXIX, 19, Ala
POSTA — nmente.
glio dirette » Sordello (Av
‘tolamazione del Poeta che ha presente
alla mente ana ll grave aspetto ed i1 di»
gnitoso contegno di quell’ antma.
chimma Guido Cavalcanti « cortosa è ae-
ito, ma mlognono o solitario e iutento
Nilo neolio sr 04 1l Batti osserva : « E0so
mmpagnia della cortesia. »
3 LIM/IY, 112.» Specchio
mento è la Qaeda; e gli costr, suabe
Racchano, confoesano |l segroti del
cuore »s Bart, da $, Cono,, Amm, Ant
VII, 1, 6.
0 wox CI DICEVA! <est tacena aclene
tompun aptom. Homo magione tnsebit
usque ad tempus »; Meeker. XX, 67. —
«Che differvaza tra la curiosità 0 Il dl
calcosio, degl sci spl questo mit;
atono silenzio di Sordello! »
o sous sorsi Dale
do i nostri movimenti.
66. row: « requiescene accubuinti ut
100, et quasi lesona, quis nascitabie varate
Genea. XLIX, 9. Cir. Pirg., dem. mt
10, vira: condizione, Sordello non
accorto che Dante è vivo, efr. res
#2 Maaoora leva dirvi mai ener,
0 fu mia patria, © wimili; nia men
"408 [axrie. mazzo 2) - Pero. vi. 992-106
E lasciar seder Cesare în In sella,
So beno intendi ciò che Dio ti nota,
Guarda com' esta fiera è fatta falla,
Per non esser corretta dagli sproni,
Poi che ponesti mano alla predella!
0 Alberto tedesco, che abbandoni
Costei, ch'è fatta indomita e selvaggia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni,
Giusto giudicio dalle stolle caggia
Sopra 'l tuo sangue, e sia nuovo ed aperto,
Tal che il tuo successor temenza n'aggia!
Chè avete tu 0 îl tuo padre sofferto,
Por cnpidigia di costà distretti,
Che il giardin dello imperio sia diserto.
106 Vieni a vader Montecchi e Cappelletti,
{Lan., Ott, Petr. Dawt.); altri della gonto
Italica (Buti, Land., Vall) e non (oli
02, eman i Insciare all'impertore Î'e-
sorolzio dall'antorità civile; « Regemque
dedit qui fadore corto Et premere et
lacna surebdaro tons babenaa»;Virg, 1 sapori
An. I, 82 ng. ch solo può puntrlo. 1
soon SOTA: nel Vangelo; efr. Matt
31. Zuca XXI, 29-20. Gios.
SVItt, 06, cee.
DI GUARDI : datti È rooderni intendono
"tito cevuatere io din uevio ne
peratore.
90. raeoeLLA : © Bridella, Ja parto del
fieno dove si attaccano Je redini © ai
mn 7
#7, ALMERTO: d'Austrla, figlio di Ro-
di
408 [anmiP, BALZO 2) Pura. vi. 126-140
Ogni villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digreasion che non ti tocca,
Mercè del popol tno che a"argomenta!
Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca,
Per non venir senza consiglio all'arco;
Ma il popol tuo l'ha in sommo della bocca!
Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma il popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida: «Io mi sobbarco!»
Or ti fa' lieta, chè tu hai ben onde:
Ta ricca, tu con pace, tu con senno!
Sio dico ver, l' effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
L'antiche leggi e furon al civili,
è caplisno (Ossa, Petr. Dant., Tand., Manno la gioatiala nel cuore, ma mon
Vell., e0e.); altri di ©. Claudio dfarcello, sullo Inblra, per non Iscagliane acomaî-
consolo, partigiano di l'ompeo e fiero ar. —deratamente uno atrale che nou sl ponta
voraario i Giulio Cesare, qui riconlato più ritirare.
172, 1 A0MMO riti. MOCCA | salle alb
dra, sa non in cuore nò nelle opens; ef.
Prov. XXIX, 20. Boeder, IV, d
î 139. COMUNE INcAROO : i paliblici nffiel.
186. vit4W: ogni nomo da nolla ehe 120, sxwza ciiamani: enna che al
al mostra partigiano zelante; efr. Inf.
XY, 01 agg. Par. XVI, 49 agg. dichiara pronto a sostenare il pesa degli
187-151. Lmoettloa contro Pi- uffici pubblici. — MI RONRARCO rima ne che
renze, Dopo aver fatto il tetro quadro rico. Bene: « subarco idem eat quod sb»
Gallo comlizioni dell'Italla fn genoralo, il
» Fironre, @ con
lo rinfnoola l'arro
tel. L'invettira è nn onpoluvoro di an-
lira eminentemente poetica. vioini è tra loro. - cox matto» lireala
127. xi} « oh misera, misora patrin continua.
mia! Quanta pietà mi ntringo per to, 188. #°10 nico vat ecc.» Quanto me
qual volta leggo, qual volta scrivo com ritate stano ei lodi, sì vede dagli ef
cho a reggimento eivila abbia rinpetto! » fotti, cioò dai continui tuoi mumtamentà
Qows. IV, 27. 139,
128. wox ri rocca: Mironzo era per
l'appunto 11 contre dei disordini che
Dato sin qui ha rinfreciati all'Italia in
Ott. Epiat.ad Her. VII, $7,
129, 4 ANCOMENTA: s'ingegna di non
tonritarsi questi rimproveri. Al Si prov-
veda. AL: st Anvomista, cioè, ragiona e
Quo per l'appto come acco fo. Cfr.
Com. Lips. II, #0. lnzesque rognrunt »;
130, scocca : si maniferta in parole. er. mat. V1, 1 egg. = CIVIL: « Cmecla
—=m
Tarenie. nALzo 3]
Puro. yi. 141-151 (coxtro rienza] 409
acero al viver bone un piccol cenno
Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, ch'a mezzo novembre
Non giugne quel che tn d'ottobre fili!
Quanto volte, del tempo che rimembre,
Logge, moneta, officio 6 costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre!
E se ben ti ricordi e vedi Iumo,
Vedrai te simigliante a quella informa,
Che non può trovar poss in su le piume,
Idi Ma con dar volta suo dolore scherma.
apra fortuzà victorea copit, et artes In-
tultt agresti Latio »; JForoî., Mplet. 11,
IIT, 401 XII, 19,97. © vedanni fe ov
servazioni di I.
meealo è dol porma di Dante, p. 130.
145. niegmar : di ui sorbi memoria;
miltimi anvi. Uno apecohio oro»
dello mntaxioni avvenuto a Fi-
mumnò dal 1248 al 139791 trova Cona, Lipo.
II, Reg
"M0. OrriCtO| « quia nono consoles,
147. semana: cfttadtri, enoctuti 0 ri
chiamati a rioenda, secondo fl prevalare
doll'ona 0 dell'altra fuziono. Cirea fl
plurale in 4 trattasi di forma neutra non
insolita, parallela a calesgne (Purg. XIT,
21) 0 a weatige (Por. XXXI, 81): ofr. Par
rodi, Bu. III, 323.
148, sr BRX 000. so non hai perdato
la momoria a l' intelletto, « R'al dice tra
noi Fiorentini uno antico proverbje è
materiale, clod: Mirenze mon si mmont,
#1 tutta non ri dale; e benchè lì provere
dio sla di grosso parolo e rima, par fap
rienza sl trova di vera sentemla #4 0,
Wil. XIL, 16. - LUN: no ti è rimmito
ancora un po'di Jume di ragione,
150, teovan poRd: e Neo inventt re-
quiom»: Loment, Jerem. I, $, =« Neo
habent requiem die ao mote »; Apetal.
xIY, 11.
351, CON DAR FOLTA | l'ammalata cerca
qualche sofllero a'suoi dolori, valgeniosi
qua e là alla coltrici; Firanzo cerca di
rimeIaro a' oi mali, mutando ogni so
Horat., Set. 1, 11,
tiro +3 808, Stat, Pron. VIT, ATO;
410 tAnrie. vaLeTTA] - Puro. vit, 1-10
CANTO SETTIMO
ANTIPURGATORIO: LA VALLETTA AMENA
PRINCIPI INTENTI A GLORIA TERRENA
UODOLFO IMPERATORE, OTTOCARO Il RE DI BOEMIA
FILIPPO INI RE DI FRANCIA, ARBIGO 1 DI NAVABBA
PIETRO HI E ALFONSO HI D'ARAGONA, CARLO 1 D'ANGIÒ
ABRIGO IH RX D'INONILTEBRA, GUGLIELMO Yit DI MONFERRATO
Poscia che l’accoglienze onesto 6 liete
Furo iterate tre 0 quattro volte,
Sordel si trasso, o disse: « Voi, chi siete?»
« Prima ch'a questo monte fosser vòlte
L'anime degno di saliro a Dio,
Far l'ossa mie per Ottavian sepolte.
To son Virgilio; e per null'altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fè.»
Così rispose allora il duca mio,
Qual è colui che cosa innanzi sò
V. 1-0. Sordello € Virgilio. Dopo -—4. rum: Als
le prime Mete accoglienze, Sordello, co» l'animo de' iu
moteiote Virzilo, lo riabbracola rispet- rio, eloò Inanti a Ja passtomo di Oriato }
(ommmente, è giì ahlede poi onde e come —imporò ehe innanti a quella tutte l'ani-
# perchè venga. Virgilio rispondo di- me de'lusti andavano al Litobo »; Buti.
aeailo le ragioni del ano visgglo o de |
sarivendo li luogo dare è stato messo Cfr, TAom, dg., Sum theol. 11I,62,5 ag:
Malla giuatizia di Dio, o acoruna fu five sy. 1, 70, Peg 1 ui 27, Vigilio morì
ehi stano | anoi compagui nel Limbo.
fl. mita x quarto: più volte; fl nu-
7. ur: peccato ; efr, LN, X, 124 Bgsi
1V,.87 seg
8. PIA NON AVER PÈ: per non avere 60-
noseluta led la fado cri
9, tds 1 al ritirò alquanto indie-
Uro, = CI AUETK: prima avera dorsan-
ato Dal’ passe « della vite, Purp. VI,
70 adtgno domata del nome,
Puao. vi. 11-29
Subita vedo, ond'ei si maraviglia,
Che crede e no, dicendo: « Ell'è.... Non è....»j
"Tal parve quegli; e poi chinò le ciglia,
Ed umilmente ritornò vér lui,
Ed abbracciollo ove il minor s'appiglia.
40 gloria de' Latin, » disse, « per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra, +
O pregio eterno del loco ond’io fui,
Qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S'io son d’udir le tue parole degno,
Dimmi se vien d'Inferno è di qual chiostra. »
«Per tatti i cerchi dol dolente regno»
Rispose lui, «son jo di qua venuto:
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non far ho perduto
Di veder l'alto Sol che tu desiri,
E che fu tardi da me conosciuto.
Loco è laggiù non tristo da martiri,
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
dl'improvriso cosa non preveduta, st no -—17. LisaUa»Intina, che ni tempi li Wir.
, © dubita se la cosa sin ve glio ediSSordello era quolladogli Tsadiank
18, Loco OxD' r0 rurs Mantova, patria
di Virgilio è di Bondelle.
19, MERITO: mfo, » GRAZIA divina.
D' Ixyansso: Virgilio gii ha detto
d'aver perduto {l etelo, v. 8, onde Sor-
dello sa ehe non può vanire che dall'In-
ferno, ma non «a da quale regione Îu-
foruale. » onuostrA : cerchio dell' Infer=
mor ofr. If. XXIX, 40,
22. ran rurni: non vengo da una sola
etilostra d'Ebferno, ma sono paesato per
case fnito, inuuso © ravvalorato du cs
Vosto virth: efr. Saf, IL, 52 agg. Purg.
1, 52 egg
25, ER YAN: NON per colpa com meta,
27. tanDI: dopo morte, alla disecen di
Cristo al Limbo, efr. I. IV, 53,
28 Loco: fl Limbo, Sw. IV, 35 agg:
« Doiorea nem sont ln Inferno patrum,
ln Inforuo puerersme, qui
nea propler pet
riginalo»; Thom, dg
Tetide
2a. rome + nel TV deîl'Sny.1l luogo
412 [awrie. vaLLetTA] Poro. vii. 30-44 [Le00E DEL
Non suonan como guai, ma son sospiri,
Quivi ato io coi parvoli innocenti,
Da' denti morsi della morte, avant
Che fosser dall'umana colpa esenti;
Quivi sto io con quei che le tre santé
Virtù non si vestiro, e senza vizio
Conobber l’altro 0 seguîr tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
Da’ noi, perchè venir possiam più tosto
Là dove Purgatorio ha dritto inizio. »
Rispose: « Loco certo non c'è posto:
Licito m'è andar suso ed intorno;
Per quanto îr posso, a guida mi t'accosto.
Ma vodi già come dichini
giorno,
EA andar su di notte non si puote;
laminoso è pe' soll apîriti Nastri e buoni,
nom giù por gli altri. Virgilio, che era
pure di quelli, dopo ascannato allo te-
nohire, dios: Quiei ato i0: quella Ince alla
Tom.
colanto ora tenob: Cfr. Thom,
Ag., Sw. thesl. ITT, Sappi. LXIX, 6.
30, QUALI ott. Inf; IV, 28 meg.
81. cor PaRVOLI: dunque nol Limbua
puerorum, « Limbus patruma et Limbus
puesorntm aluque dubio difurunt soenn-
dum qualitatem premi! vel paum Pao-
ria ani non alest «pos beat vite, que
patridoain Limboaderat; in quibusetiam
Jnmen fidei et gratim rofulgobat, Sed
quantom ad situm, probabiliter credi»
tne utroremque loona fdam fuimto; nisi
quod Limbus patrum erat în superiori
loco quam Limbos poetorum. » Thom.
Ag. Bum, theol. TIT, Sappi. LXIX, 0.
SÈ na'Dreri MORSI ose: passati di
questa rita. D « concepisce col volge In
mbrta a prima di un asimato e dentato
mmano selioletro, e în fa agire 20] morde
te ei Lomb, — « Morsua tuus ero, Infer-
mo »} Quea XIIL 3.
RI. UMANA corra: pecoato originale,
= RARNTI: lavati co) battesimo,
35 vinrù: teologali : fodo, speranza e
carità; cfr. Cone. II, 14.
30. L'aurue: lo virtù civili è naturali.
V.37-08. Legge del Purgatorio clroa
la salita, Virgilio proga Sordelio di mo
Ta via por salire al Purgatorio,
O llo espone ln legge colà vigente,
aecondo la quale, tramontato Sì Sale, non
è pomibila fare un solo passo in mi,
logge conforme alia sentenza di Cristo,
Giov. XII, 38.
ti è permemo di voniroela a mostrare.
38, xor: a noi; ofr, Purg, XXXI, 136.
39. DRITTO INIZIO: Îl ano vero prinoi-
pio. Sono ancora nell'Antipargatorio.
40. CERTO! fisso, - PORTO : assegnato.
« Non c'è nasognato nè diterminnto
«un luogo: noi siamo liberi d'andare
come et deve ci pare; ma ia: PREgninio
Jon possiamo entrare »1 Ax. Tn
Toro parmeano di girate attorno; der qual
poggi e di salire fino alia porta del vero
Purgatorio, ma non di ontrarvi; cià av-
verrà sol dopo certo tempo,
4Ì, ANDAR: Ali L'ANDAR,
42. Pim QUARTO: mi
mo guida Gn dove i è lcito Inoleraml,
cioò alno ail' ingresso del vero Purgato:
rio. La ragione più forte,
se non Ia sola, per la quale 1). acli per.
l'appantoSordello comm guida all'amena
vallotta, è da ricerearai nol futto che Ser-
dallo, serivendo fl piante par la maria
di awe mint | principi del ano
tempo, e pose «in mano fl fim
pollo per pietra mondo ». Sordello
Lo cit ci ll rm
418 (Arm. vaLteTTA] Poro, vis. 114-127
D'ogni valor portò cinta la corda;
E se re dopo lui fosse rimaso
Lo giovinetto che retro a lui siede,
Bono andava il valor di vaso in vaso;
Che non si puoto dir dell'altre rede:
Tacomo e Federigo hanno i reami;
Del retaggio-miglior nessun possiede,
Rado volte risurge per li rami
L’umana probitate; 6 questo vuolo
Quei che la dà, perchè da lui si chiami,
Anche al Nasuto vanno mie parole,
, Pier, che con lui canta,
ovensa già si duole.
inor la pianta,
malore, fn
Proe. XXXI, 17. ‘fata, XI, 5.
sa 156 agg. Vigo, Dar
12. L bità
ntsc: amina probità pasa
dt razlo da'gruitori ne' Aglio; af.
quale ancconse nel regno d'Aragona nel fachiae., Diso, 1, dl.
1283 © mon senza prolo nel 1291, Altri 133. quxt Dio cheladà («Omo datum
(D'Ancona, Leetura Dantie, p. 12) vo optiauzo et omne donmm
rinetto ravvisar tetro, sunsit est doscendena a
num »; Ep. Giae, I, 17) atfbohe ltio:
nosca che la virth dell'uomo è dano di
| Lal, non eredità naturale.
fule, et patri mimi 1% Nasuto: Carlo d'Angiò; conft.
IR RRDR: eredi. n. 113, — ranoLk: sui figli
1 135, eci 120, oxpe: per la quale degenerazione
det figli gli stati di Carto I, cioè la Puglia
lo- e In Provenza, sin d'ora ni delgono.
1 è tanto infe
Bianea; aio contro
fratello | usurpò Îi regno di
la merta di Sancho LV, ros. Ctr. Purg.
Î13, 115 eg. Par. XIX. 1200g.- Feok.
100; Foderigo 11 re di Sicilia, terzoge-
ulto di Pietro ITT, n. 1239, proclamato
re dl Sicilla mel 1298, m; sel 1253, prin
Hl quale forse non macitava | bi
420 Csore. vatzeetA] Puro. vin, 1-10
CANTO OTTAVO
ANTIPURGATORIO: LA VALLETTA AMENA
PRINCIPI INTENTI A GLORIA TERRENA
PREGHIERA DELLA SERA, DUE ANGELI GUARDIANI
NINO VISCONTI, IL SERPENTE, CORRADO MALASPINA
Era già l'ora che volge il disio
Ai naviganti e intonerisce il core
Lo di c'han detto a' dolci nmici addio;
E che lo novo peregrin d'amore
Punge, s0 ode squilla di lontano,
Cho paia il giorno pianger che si more;
Quand’io cominciai a render vano
L'udire, ed a mirare una dell'alme
Sorta, che l'ascoltar chiedea con mano,
» Ella giunse 6 levò ambo le palme,
V. 3.18 La preghiera della sera.
Sono elroa lo sel pomerbilazo. Un'anima
ti Alea, ginage lo palme ole lera, tenendo
l'ocolilo fiano verso l'oriente, ed Intuona
l'Inno che ni canta dalla Chioaa nell' nl.
tesa parte dell'uffizio divino, che dicesi
compiata; è tatte lo altro marine riepom-
4ea0. L'inno è questo:
Ta lode ante termiann,
Ctealer, peschi
Rorom
Ti tua pro cievaretia
Rik pramani et contodia.
Procnl receda:
1. L'om4: dolla sera, la qualo ora volge
Hi dieaio del naviganti nila patria ed inte
miao 1ì loro cuore il giorno stesso della
Jero parteuta dal dolci amici 0 congiunti,
gia quale oca dA alporogzino nevallo pm
tare di amore, se odo da iva
del completa, risvogliandosi in Tal I" amo
roso 0 molanconico desiderio dell' abban-
donata casa paterna.
3. LO pl: In quel giorno.
7. A RENDRE sco,: a non dir più voce
tatto intento » mirare una
rime, Sordello arova cessato
pariare: le anime avevano finito il canto.
D. sunta: levata wa in piedi; tutti la
quella valletta sedevano, eft. Bani VIL
ut sileutiava indicena s; Atti XLL, 36, =
« Voce manoque Murmara compresa»;
Ovkil., Met. 1,205 ug. - Signdfioatque atua:
nu ot magno simui Inelpit oro »i Prg
Aden, XII, 082.
pregnro; olr. Genent XIV, 22.
TL VIT, st SEI, Pr
LXXI, d. Firp., dem, X, BA Ag:
422 [anmip. vaLLeTtA] Puro. vii. 29-42
[1 DUE ANGELI]
Erano in veste, che da verdi penne
Percosse trasan distro e ventilate.
L’'un poco sovra noi a star sì venne,
E l'altro scese in l'opposita sponda,
Sì che la gonto în mezzo si contenne.
Ben discerneva in lor la testa bionda;
Ma nelle facce l'occhio si smarria,
Come virtù ch'a troppo si confonda,
<Ambo vegnon del grembo di Maria »
Disse Sordello, «a guardia della valle,
, ma eziandio ® recar loro fl con-
forto della speranza.
20. KRANO TX VINTE 060.1 di traovano
ttendol
della grazia di Dio, la qual
doll ot a'divoti affetti +; Am, Fior,
33, 51 CONTRNNR: fu contenuta, Hmana
in mezzo tra i due angel
37, DEL GREMSO: dall’ empireo, dor
Maria x
gg. « Figurando Dante la miagion Îe
Beati im Paradiso a modo di candita rosa
(Par. XXXI, 1), le foglie della qualo a'e-
no le sedie de' basti, in guisa disposte,
IGM Mal iene verso le eirccoserenta
della rosa vadano d'ordine in ordine
rialsandosi, quest di valle andando o
mente (tri, v. 121), © facendovi ln una
dello più alte sedio, posta alla cieconfe:
renza, assina Marin Vorgino, © festeg:
ginta dagli angeli: perchè non intende;
remo che come Poeta
N grembo appalla fi
Jscavitàdovesiodonoqueti ‘anime (Purg.
. GR), cos grembo di Maris assalti là
Mt apart
ria presieda, e per cni quasi in grembo
Gienni tutto Te animo ile' boati 1>(1) Zermò.
20. via vua: n momenti,
40, PER QUAL Calze: dovesse venlnà
serpente.
41. 201 votat: per guardare so mal le
vodosai venire.
42. TUTTO GRLato: aeghincolato &
panta. - araLce: di Vlngilio.
V. 43.84, Nino Visconti, Discer già
nella vallo Rorita, Dante vi ebete Nik
no,eioè Ugolino, Visconti, fl qualeai mar
raviglia ndondo che Dante è ancor vite,
© lo prega di raccomandnrio a Giovame
ma figlia, lagnandosi ca
id pasanta a seconde nosao. Questi. |
di Giovanni Vinconti @ di ma figita del
conte Ti data ee E
nane
a
428 [ANyir. vaLLerra] Pure. vui. 112-180 [CORRADO MALASPINA]
ur <Se la lucerna che ti mena in alto,
Trovi nel tuo arbitrio tanta cerà,
Quant’ è mestieri infino al sommo smalto; »
Cominciò ella, « se novella vora
Di Valdimacra o di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era.
Chiamato fui Carrado Malaspina;
Non son l'antico, ma di Ini discesi:
A'miei portai l'amor che qui raffina. »
i: «Perli vostri paosi
Giani non fui; ma dove si dimora
Per tutta Euro ch'ei non sien palesi?
‘e della spada.
privilegi n
F'assatto degli supe contro il serpente. salato ‘E; guorroggiaro ed acquistare
Loxuarda dv, eporando di | ioamonoerto, amore qui si ammenda e
go così 1a grozia Mamo pio
135, onma; celebra, pubblica md alta
ed il paese, cioè ln Luni
qual parso dice chiaramente
- per di sepra Danto intende Il Parmdito
| terrestre,
128, voemia : che quelli di casa vostra,
cessato
10; Vatoniacna: Vai di Magra fn Lu-
a virtà contrasta all'avarizia è
residenza del padre di Cor-
afaggito il vocabolo come presaico. La
120. gArvINA ; ni raffina, si purga; ofr.
urp. XXVI, 148 « Portat tanto nmore
#n'zalel, che fo ne Inscial la cara dell' aci:
una ed fodugia) l'opere weritorie della
TaniP. vALLETTA] | Puma. 1x. 1-8
[coxcvamA DI TIFANO]
CANTO NONO
ANTIPURGATORIO: LA NOTTE NELLA VALLETTA AMENA
SOGNO DI DANTE, L'AQUILA E LUCIA
ALLA PORTA DEL PURGATORIO
La concubina di 'Litan antico
Già s'imbiancava al balco d'oriente,
Fuor delle braccia del suo dolce amico;
V. 1-12, Za concubina di Titano.
Tì Poeta Incomincia con una descrizione
dminentemente poetica ed aminontemeri-
to oscura dell'ora in cui fa preso ul
sonno, È chiaro che Dante Intendo di
mandiamo per tatto ciò che concerne li
lettoratara 0 l' interprotaziono di questi.
vetal. Gli argomenti In contrario von
arendoci parsanso, ripetiamo la già data
Iaterprotazione, osservando però che casn
dlo ratite miglia lontana dal prot:
dì InfalIibilità. Il puuso è osenriasimo; è.
win unigma che, come tanti altri nel Por
ama xacro, aspolla per avventara ancoen
M suo Edipo. Vedi pure Pasquini, La
Qoneudina di Tuone ne 1X del Purg.
Vamaala, 1889. Agnetti, Popo-Cron., A
seg. Buscaino Campo, Stud, Trapani,
1894, p. 150 ag. Galant, Lettera, II, 5,7,
8,9 Noviti, Orar,, 14 Ag:
1. coxcumsa : Tetia, moglie doll'Ooes=
n0, ossia l'anda marina; efr. Fing., Bel,
92. Lueam., Phare,1, AL,
1, 717 eg. Afetam. XY, #0. Zueato,
Phore. VII, 1 ag. AL: Titano ‘gioni
Laomedonte, marito dell'Aurora. È nua
| moglio concubina? O ebbe fl. decrepito
tone una concubina accanto alla mo-
sua Arrera?
DIMANCAVA : era Mowinata, L'on
da onrina è opaca per sua natura; quindi
ao venga investita da raggi luoidi, coma
mbianca per effetto di quelli fr
mato: balcone, Al.: naLzo, che
ta Dente ha sempre fl senso di terzazzi
n0, 0 roosia sporgente ; el. Taf. XI, }153
XXIX, 95. Purg. IV, 42; VII, 88: 1%,
30, 88, sco,
3. ruon: so l'astto sorgente, pet cai
l'onda marina a' imbfanca, nom Tissio
allota Tetì + imbianca
a di iu, e quali ano
432. Canne. vaLteTTA] PoRO. 12, 13-27 [sooxo nr paste]
n Nell'ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria do' suoî primi guai,
E che la mente nostra, poregrina
Più dalla carne e men da' pensier presa,
Alle gue vision quasi è divina,
In sogno mi parea veder sospesa
Un'aquila nel ciel con penne d’oro,
Con l'ali aperto ed a calare intesa;
Ed esser mi paroa là dove foro
Abbandonati i suoî da Ganimede,
Quando fa ratto al sommo consistoro.
Fra mo pensava: € Forse questa fiede
Pur qui per uso, 0 forse d'altro loco
Disdegna di portarne suso in piodo. »
pià #'accendono dell'amore © la en 18. prvina: indovina; prevediando Ul
rità divina, più adfinono, et sono ascora futuro nelle ano visloni. «Si quis utatar
più cari, al aspra a tutti altri don, et non ad
procedono negli vomi
23. GaxprDR: figlio
Prola Mpiù bollo del mortai ate
Tî XX, 219 ag), Sl quale, sedatido &
scola nl monte Ida (Vérg., dem, W, 258
Horat. Stat, Thedi
cor notto »; Ton
TAR
tritati 2 liberi sunt, futura pro-.
Rpleiant»; Cia, De Seneet., 81, Cfr, Moo- ost” aq
re, Orit., 266, glia prede ss nom di queste
proci rogno poosuata dal nitidi 10) ac veri e i
pauaiori, de' quali sogliono darlematerin —guava di trova
£ sonsi. ML me riisti ved ili, coll'ariglo;
4% [AsTiP, VALLETTA] PURO.IX, 42-62 uveta]
Come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia,
Dallato m°era solo il mio conforto,
E il sole er'alto già più che dus ore,
E il viso m'era alla marina torto.
« Non aver tema!» disse il mio signore}
« Fàtti sicur, chè noi siamo a bnon punto:
Non stringer, ma rallarga ogni vigore!
Tu se' omai al Purgatorio giunto:
Vedi là il balzo che il chiude d'intorno;
Vedi l’entrata là "ve par disgiunto.
Dianzi, nell’ alba che precede al giorno,
Quando l'anima tua dentro dormia
Sopra li fiori onde Inggiù è adorno,
Venne una donna, e disse: ‘Io son Lucia:
Lasciatemi pigliar costui che dorme;
Sì l’agevolerò per la sua via.”
Sordel rimase, e l'altre gentil forme:
Ella ti tolse, 6 come il di fu chiaro,
Sen venne suso; ed io per le suo orme.
Qui ti posò; e pria mi dimostraro
Gli occhi suoi belli quell’entrata aperta;
51, LÀ ‘ve 000.1 1A dove {1 balzo sha
mata pe pater»; Nat., Thed, X,
Mlrzotoros Virgiio; ctr. Perg.3It,
i XX, 40,
46. ALTO: erano adanquo già pamate
lo 8 dl mattino.
45. TORTO: voltato remo il
n
au, Virgilio, che del sogno di Dante non
sembra saper nulla, gli racconta l'acca-
Quto, spiegandogii così il sogno: Lucia
venne all'alba, o, pigliato Dante, lo tra-
Aportò a fin quasi all' ingresso del vero
Pu . Virgilio Ja nego); gli altri,
Rordato, Sino @ Corrado, rimasero na»
taralimente indietro, dovendo ancora
udtr ciò, Dante si
48. os stuimomI: non diminuire, ssa
ncoresci la ina sporanta. Nella para i
guore ni ristringe, rimpiccolisce: mella
Rperanza si rallarga.
cluge 51 Purgatorio, sembra interrotto
da una nportura.
52, DIANZI: poco fa; ef, w. 1 agg. Cel
principio del canto questo verso nou ha
che fare, polchè qui si descrime nolò fl
tempo in cul Lucia venne a prendere e
portare su Îl Poeta che
56. LAGarÙ: quel Inogo laggià, efoò la
valletta del principi. pai qui usato
l
hi
CANTO DECIMO
GIRONE PRIMO: SUPERBIA
(Camminare rannicchiati sotto pesi più o meno gravi
SALITA AL PRIMO GIRONE, ESEMPI DI UMI
ESPIAZIONE DELLA SUPERBIA
Poi fummo dentro al soglio della porta,
Che il malo amor dell’anime disusa,
Perchè fa parer dritta la via torta,
Sonando la sentii esser richiusa;
E g'io avessi gli occhi vòlti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
V.1-11, Balita al primo girone. e- — l'uso pressogliantichi,ofr.
sendo entrati nel Purgatorio, Dante ode ILI*, 1018.
distro = sò il rumore stridente © forte -—’3.'AMOR: amore è, soco!
della porta che l'angelo richiude, ma sorgeate di ogni buona e «
mon csa guardarsi indietro, memore di zione umana; il retto ar
qual che l'angelo gli ha dotto, Purg. buone,il malomale operazi
TX, 181 ag. I duo XVII, 103 agg. - pisusa
ws ed mente ai apra, essendo DI
Puro, x. 7-2M [arzivo seL 1° GIR] dal
i) Noi salivam per una pietra fassa,
Che si moveva d'una e d'altra parte,
Bi come l'onda che fugge è 3'appressa,
* Qui sì convien usare un poco d'arte»
Cominciò il duca mio, « in accostarsi
Or quinei, or quindi, al lato che si parto.»
E ciò face li nostri passi scarsi
Tanto, che pria lo scemo della luna
‘Rigiunse al letto suo per ricorcarsi
Che noi fossimo fuor di quella cruna,
Ma quando fummo liberi ed aperti
Su, dovo il monte indietro si rauna,
To stancato, ed ambedue incerti
Di nostra via, ristemmo su in un piano,
Solingo più che strade per diserti.
Dalla sua sponda, ove confina il vano,
Al più dell'alta ripa che pur salé,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano;
mmul, essondeno stato ammonito; cfr.
B. RI MOVRYA: nou era rettilinea, ma
itarcovani in divora motì, descriveodo
figuro men lasimiti da quello che descriva
Fonda che rea Vieze. Conì la gran mag-
Cfr. Clo. Lipe, II, 104, Invece di senso
alcani cold. hanno atREMO; cfr. Moore,
Orit., 389. Lo sono è lee. della grati
maggioranza del tenti,
16 LETTO: orlazonta.
16. GEUNA : passo, adito anguato | elia»
ma coni, secondo Matt. XIX, M; Afore.
1 Zue, XVII, 54, quella strotia
e la quale erano saliti. Anche pro-
vetbialmunte al dice; « stretto come una
cruna di ago.»
17, cansissi 0 Art: Iberi dalle dif
coltà della via ed usciti fuori all' aperto,
38. su, povx: în luoge elevato, dere
I monte n restringe, lasciando un r
piano all'interno,
21. soLI%00 609: più aolltarlo che atr-
da nel deserto, «quia pavciantmi grudtut-
tar por letam rinm pernitantim, ot maxi»
mo auporbi, qui prime in venluntar n lata
vin vi Bene. — e Peet om nolitudo de-
sorti »; Feel. 11, è.
22, aPONDA: orlo eaterno. = Hi VANO:
ll vuoto « ando cader s pasto +; Purj,
XDI, sè;
20, Base la,
34 sosia: mivarerehibo: er, Van
mais.; Verdi, 3A ag. Dall'orto eetorno alla
corta ii ripiano era largo tre volte la
lunghorza di un uomo; dunquo crea cl
quo suetri.
4d4 [ormone PRIMO] Puzo. r. 48-65 Dm axdav0a)
Da quella parte onde il core ha la gente;
Per ch'io mi mossi col viso, e vedea
Diretro da Maria, da quella costa
Onde m'era colui che mi movea,
Un'altra storia nella roccia imposta;
Por ch'io varcai Virgilio, è femmi presso,
Acciò che fosse agli oochi mici disposta.
Per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
‘l'un « No », l’altro «Sì, canta».
al fummo degl'incensi
era imaginato, gli occhi e il naso
Fà al sì od al no discordi fensi.
FUMO DRAL'INCINAT: < 0 quan
jo portavano l'Arca del Bis
septem chori SIL ep. Vinte= DUE ERA
Pista ed ndito. L'orecchio non diva voce aqua ei
alcuna di canto; ma all'occhio la soniura ped
Puro. x, 76-05
Ei To dico di Traiano imperadore;
Ed una vedovella gli ora ‘al freno,
Di lagrime atteggiata o di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
Di cavalieri, e l’aquile nell'oro
Sovr'esso in vista al vento si movieno.
La miserella intra tatti costoro
Parsa dicer: « Signor, fammi vendetta
Del mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accorol»
Ed egli a lei rispondere: « Ora aspetta
Tanto ch'io torni! » È quella « Signor mio,»
Come persona in cui dolor s'affretta,
« Se tu non torni? » Ed ei: « Chi fin dov'io,
La ti farà. » E quella: «L'altrui bono
A te cho fin, so il tuo metti in obblio?»
Ond'elli: «Or ti conforta, chè conviene
©h”io solva il mio dovere anzi ch'io mo
Giustizia vuole, e pietà mi ritiena. »
Colui che mai non vide cosa nuova,
Produsse esto visibile parlare,
446 [otroxx PRIMO)
goril nd vitam fuarit rovocaton, et Ita
gratiam consecutus alt, per quam Seni
Thom. Ag.. Sum. rAeel. LIE. Suppl., T1,5.
Par, XX, M sgg., 100 ngg.
< undiquo totia
Taquo adlto torbatar agris. »
20, L'AQUILE xELL'ORO: la aquile ro-
pane siglato fo campo d'oro, Cost dn.
D
Hi. BOYR' EMO: sombrara a vederi
chè, agitate dal vento, si movossero sopi
| capo dall'imperatore. — at movinso:
na
reva che Tralano le rispondesse.
#7. cOMmN eoe.: insistendo con impa-
tieza, come chi è vinto dal dolore.
580, L'ALTRUI MINE ècc.: che gioverà
® te il beno fatto da aùtrì, so ta dimen»
tiahi 0 trascori di fare quel bone a cai
ho] obbligato per ragione del tua stero
Wiflato P
92. cu' ro soLva eto.: che, prima di
partire coll' esercito, jo adempia tì mio
dovere d' imperatoro, fasendoti,
93. att miriam: dal partire.
vuole che jo adempla Il mio dovere, e la
età che ho di te, m'tndnse a non dif-
fertrno l'adempimento.
4. CoLot coe.: Dio,"al quale seas
cosa può esser nuora, vedendo Egli ab
esterno tutto lo com. + Ad opox norum
sompiternum adhibot Deva conetlium ri
Aug., De Ole. Dei SIL. 2a. = «Dia,
sendo tutte le cose in lul, anzi essendo
egli tutto le cono, ed essendo fsori es
pra il tempo, le vedo tutte [malese nd un
tratto, in nn attimo
ni può diro ‘ii ma
tore vedea questo
scolpito, dico et chi
450 [ermose rano] =—Poro.m.1-11 [maremmana pa surenDi)
CANTO DECIMOPRIMO
GIRONE PRIMO: SUPERBIA
PREGHIERA DE’ SUPERBI, OMBERTO ALDOBRANDESCHI
ODERISI D'AGORBBIO, PROVENZAN SALVANI
<O Padre nostro, che ne'cieli stai,
| circonscritto, ma per più amore
DI wirn noi le (pace. del tuo roguo,
Ohè noi ad essa non potem da noi,
S'olla non vien, con tutto nostro ingegno!
Come del suo voler gli angeli tuoi
ificio a te, cantando ' Osanna ”,
alionbi est, continetar loco;
sontinetur, corpus est. Non
— Ape alicudi. » Aug De Cie, Deb
2FPETTI: creatore, como Cons, TL
lanciati superstiti In ter a %
mento bella carità, inîmioa a superbia,
pos:
Padre, pei nome ILiglio, pnt
nome N
Spirito Santo (Lond., Ve allo Dam cn
sir
lancazento
dae
20 essa nav ci è aponi
l'infinito comprendo »;
nni 1 sullo corporali loco
elauditur +; Thom Ag., Sum, theol. 1,11,
102,4. -« Deus non alicubi eat ; quod enim
10. avo; Toro, come Saf, X, 13, ef
2 pera di
cina n
Colui che del cammin si poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
Ed ora aj in Siena sen pispiglia,
Ond' era sire, quando fu distrutta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo, sì com'ora è putta.
La vostra nominanza è color d'erba,
Che viene e va, e quei la discolora
Per cui ell’euce della terra acerba. »
Ed jo a Ini: « Lo tuo ver dir m'incuora
Buona umiltà, 6 gran tumor m'appiani:
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora?»
4 Quogli è » rispose, « Provonzan Salvani;
Ed è qui, perchè fu presuntuoso
A recar Siena tutta alle sue mani.
Ito è così, e va senza riposo,
Poi che mori: cotal moneta rende
A gatiafar chi è di IA tropp'oso.»
Ed io: «Se quello spirito che attende,
Pria che si penta, l'orlo della vita,
Laggiù dimora e quassù non nacende,
10 diano | Anderni
n fia la più
sumo od egli, credendo averela vittoria
per quelle parole, è credendo rimanere
sopra tutti, non fece il punto alla
ro dilano: nimserai no, mor
quid, esc.» 0, Fil, VII, 81. Riavuto nello
reggimento di Siena, 1
dn Mena, 113 agg.
160. COLUI: caso obliquo; tntta la Te
Intama lo celebrava. - DEL CAMMUIS 5Ì rOCO
Ialia: cammina con ah brero e Jento
pusso.
Li. sondi + fis vomo ln Slen
Mino beopi dopo i eitorta ceti \
Le
dat,
eso 9 era molto
uba volontà »1 @. VU s
VIù2, suo: signore, non nel senso di
Pucan ma in quarto « Provenzano
"ema Il del pepolo di
Minma v)_@, FAL VI, TT. = DISTRUTTA?
eli, @. Vl. VI, T6.
114, rurta: vile, venalo è
115: xtuna: « Oronie caro
cinnie gloria elua quasi dor
XL, nia caro sicat
rasoet»; Boefes, XIV, 18, Vedi
LI, 12. Pual. LEXXIX, 6;
110, quan: il sole col
unotredalla terra l' rba tanera ed. imma
tara, la dissecca poi e discolora. Coal il
tempo fa nascere la fuma e la distraggy,
= Deootorayit
CANTO DECIMOSECONDO
GIRONE PRIMO: SUPERBIA
ESEMPI DI SUPERBIA PUNITA, L'ANGELO DELL’ UMILTÀ
BALITA AL GIRONE SECONDO
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
M'andava io con quell’anima carca,
Fin che il sofferse il dolce pedagogo;
Ma quando disse: « Lascia lui, 0 varca;
Ohò qui è buon con la vela e coi remi,
Quantunque può ciascun, pinger sua barca »;
Dritto, si come andar vuolsi, rife' mi
Con la persona, avvegna che i pensieri
Mi rimanessero e chinati e scemi.
mò To in'era mosso, o soguia volentieri
METAIII pnsro aivnlernio: Bn qui i vaaci i val dira passed SEE
Dante camminava chino aecanto nd Ofo- LA VILA ecc.i con ogni sforso
dall ee corpo. Pelia remiegue
contendere.
7. COMK ANDAR YUOLALI 6Ome è nab-
rali che l'aòmo vada.
S. avrenma sco, quaatengue dì snbel
1 Ci Sepresni ol
detto pato avrei provato Il
di pregare altrui » rispondono
(an, Ott, Am, Far, Pala Bove,
Bulk, Dan, ecc.), Ma non ara muova agli
rose coi tale erratI9y: XY,34}- AMI
dolla asperbia (Zend,
468 {omoye rrixo] =—"Pura.xir. 82-98 [AnorLo
n Di rivorenza gli atti è il viso adorna,
Sì che i diletti lo ‘nviarci in suso;
Pensa che questo di mai non raggiorna »
To era ben del suo ammonir uso
Pur di non perder tempo, sì che in quella
Materia non poten parlarmi chiuso.
A noi venia la creatura bella,
Biancovestita e nella faccia qualo
Par tremolando mattutina stella.
gebunt quasi splendor I st.
quaai atolli »; Donfela XIT, 8.
-92.10RADI: | gradini peroni al ande nil
secondo cerchio.
nò trattenuti circa tro ore in "pento | DI, AGEVOLEMENTI: domata la saper
cerchio. bia, è (nello l'uscema, I panni
#2. apowsa: «Fa'ta di adornare di sono ritrost, Purg. X, 12%: solamente
alto, Cfr, £ Bern,
"revimoi Al: netto) effe, Malt
CXIL, 14. Le parole di questa tere
pesecno:d ensero dall'angolo (Ott.. Dan,
Lomb., Cee. Tor, Fu, ect). o naleede
Buti, Pl, cor) &
por conseguire quella fama
sE
sacra gi smgell appariscono sempre
MAI di btavto; cfr. Met. XXVII ò x
Marco XVI, &. Lue, XXIV, 4. Gio. % latorade dell
Xx, 1 tagliata n modo dii acula qu an
DÒ. vuEMOLANDO | seintillando; «aldero ico; cdr. Purg. IV; $L
alorior»; Horet., Od. ILT,tx,21.- «Pub 98, sr marméo: mi erosese la fronte.
pegate. 1° 152%) Pure. xt, 117-186 Tsanima] 469
Ohe per lo pian non mi paréa davanti;
Ond’io: « Maestro, di’, qual cosa grevo
Levata s'è da me, che nulla quasi
Per me fatica andando si riceve? »
Rispose: « Quando i P che son rimasi
Ancor nel volto tuo presso ch' estinti,
Saranno, come l'un, del tutto rasi,
Fien li taoi piò dal buon voler sì vinti,
Che non pur non fatica sentiranno,
Ma fia diletto loro esser su pinti. »
Allor fec'io come color che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa,
Se non che i cenni altrui suspicar fanno;
Per che la mano ad accertar s° niuta,
E cerca, 0 trova, 0 quell'officio adempie
Che non si può fornir per la veduta;
E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettero che incise
Quel dalle chiavi a mo sopra le tempio:
136 A che guardando il mio duca sorrise.
porile nonoruzm, neccsse est ut, quando
una conta tenditar, etiam «mos all
tendantur, no la armonia fint dissonan-
Bomavent. 7,
‘altra cosa in capo, per
mtanti rideno, o dicono quai-
mano la capo ® cerca tartando, è lreva
quello perchè altr si movea, che prima
non vodoa»; Buti, etr. ZL, Venturi, Af-
nl 6:
sosricani sonpettare; ofr fufi
IRPICCIAN
190. La saxo: « Veli enim, flaamqua,
tn Imagino credena Fao fidem, digita
ad frontem ape relatis, Qu» vidit, te-
Hlgtt ei Oni, Afee, XV, 506 ape.
191, QUELL' OFFICIO ADRMELE 208, : fa
col tatto ciò ebo con la vista non si poò.
133, somorix: disgiutte, allnrgato.
190. som già (condoni. befa
dell' igooranza di Danto (Buti, Low,
Fall), ma plattosto « gratulambo quia
piace 04 feti Sheme. Cir, Tod.
ione sEcoNpo] Pure. xni. 1-9 [ASPETTO DEL GIRONE]
CANTO DECIMOTERZO
GIRONE SECONDO: INVIDIA
i in circolo col dorsi appoggiati alla costa del monte, e l'uno presso
br modo da reggersi senmbievolmente con le spalle, indossando un manto
6 avendo le palpebre oucite da un filo di ferro).
EMPI DI CARITÀ, SAPIA DA SIENA
oi eravamo al sommo della scala,
Ove secondamente si risega
Lo monte, che, salendo, altrui dismala:
vi così una cornice lega
D'intorno il poggio, come la primaia;
Se non che l’arco suo più tosto piega.
Ombra non gli è, nè segno che si pai
Parsi la ripa, 6 parsi la via schietta
Col livido color della petraia,
Quassi tra noi, se giù ritornar oredi? »
Ed io: « Costni ch'è meco, e non fa motto.
È vivo sono; e però mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io mova
Di là per te ancor li mortai piedi. »
<Oh, questa è ad udir sì cosa nuova, »
Rispose, «che gran segno è che Dio t'ami;
Porò col progo tuo talor mi giova!
E cheggioti per quel che tu più brami,
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
Che spera in Talamone, è perderàgli
ne pani pasal per la
n
cosa mertdionalo della Tracaza prose
Orbetallo, 1Sanesl lo coemprareno nel 1908
« dall'Abate di San Salratore (del fon
tamiata) © costò fiorini vito mila d'oro,
è potsadavanio 3 Conti di Santa Fiore,
6 per toro Jo tenovano »; Afurat., Seript..
XV, 46; ofr. Cron, Senert ad, Macon I,
00, «.... nol quale porto Il Bemenl han
grando meranza, eredendo per quello di
venire grandi omini în mare, farel cone
li Geaoveai 0 li Venoslant; ma quello
porto è poco neato, perchè non è la beo=
no alto di maro, et 4 in fermo, et è molla
è friezi Borentini. «Lo Stato ehi
età non voleva casero aaordito, bauagua=
va ampliasso 1 propri confini e al csteri-
dosan, e Slona, ricinta n satemtetono dal
dewinto fiorentino, 0 n levante, sotto
Montalolno, trovandosi serapre a dover
lottare con 1 Viorontini nvedealimi, ton
avova davanti a sò ovn al petomo an
Pilsre re ox de Maremma, VI aveva, è
vero, a combattere con È comi Aldo
deschi, co' quali a lungo ha comlattnto)
ma lo era par venuto fatto di potervisi
allargare malgrado la lore ostinata rest
atenza; 0 no memi Sella dimura di Dento
lm Sbenn (1), essa avora soquiatato Il parto
di Talameno dal monaci dali'Abbadia di
Bati Salvatore in Montamiata,,.. Rm di
ve lì Puota da gente, he qpera im Tali
soon, gÙl è porvbè lì ano viaggio we' tro
Somplosi nei 1508, nel qual tempo
1 Bannal tuttavia speruvano in qual pom
aodimento | ma sè nllora nò pol non si
monturon nat la Lesla dla voler vi costru
Più di speranza, che a trovar la Diana;
as Ma più vi metteranno gli ammiragli. »
te navi da guerra, o armarri flotte, è no-
minari ammiragli, Que porto ani de:
Jena dall' vi fu rigato
lmo i rato rono Da'
dl Slc vota mogga di grano
Jo fattorio del commercio di Mirens.»
Auarone, D, fn Siena, 70 0g. mapa”
Rion: vi perderà; ofr. Inf, XX1UI, 04.
198. Diana: Sumo notterranso cl
sotto
regolare quante più sorgenti al trova-
vano. E | vielai se ne facevano belle,
MESSE Sicaci arastero aporiano di
trovare cosa impossibile; cfr. Aquarone,
È Lt gra mi, Tradie.. 1, 60
"Com, Lipe. TT, 234. Base, 307 eg. 11
‘vuoi leggere disperanza in luogo
di di speranza, fotendondo: + È questa
tom, più disperata che già fosse quella
di trovare la Diana, It perderà. »
1b4, vi merTIASNO: del loro, vi soa
Miteriazo. Al: Al vi rantRArOIO. Cfr, Moo-
en) Bene. Che
rentini la pernistenza con cai miravano i
Sanesi allo maremmo, e Sì loro disegno di
avore un porto di mare fn Talamone, me
4 Fiorentini avevan fatto quante,
poternai nà impedire @. I
to.
Avrebbe egli per avventura avnto
motivi personali di mottero Slona in de-
rixione?
Temoxe secoxDo] Pugo. xv. 1-10 Cous sermimi) 481
CANTO DECIMOQUARTO
GIRONE SECONDO: INVIDIA
GUIDO DEL DUCA E RINIERI DA CALBOLI
LA ROMAGNA DEI MCCO, ESEMPI D'INVIDIA PUNITA
< Chi è costui che il nostro monte cerchia,
Prima che morte gli abbia dato il volo,
Ed apre gli occhi a sua voglia e coperchin?»
# Non so chi sia: ma so ch'ai non è solo:
Domanda] tu, che più gli t'avvicini,
È dolcemente, s! che parli, accòlo. »
Conì due spirti, l'ano all’altro chini,
Ragionavan di mo ivi a man dritta;
Poi fér li visi, per dirmi, supini;
EL] È disse l'uno: « 0 anima che fitta
7. 1.d, Colloquio dii due spiriti di leggono a coro, splogando: SI ch'egli
Doe spiriti, obe In seguito parli a perfezione (Porti. Onan, Petr,
Dant., Buli, Land., cee.); oppure: Parli
amorerolmente (Vell., ee.); od nnebior
Parli con riverenza (Dol., sco.) Ma nom
ni trovano esempi di a colo uusto la que:
mi pensi, Ctr, Nanmue:, Verbi, &4 Wp. 789
Pertisari, Dif. di Dante, 11, 27,
Pix ecc. alsazono | visi par gar
larmi, como giù foce Sapia; af. Pur
XI, 12,
V. 1034. Domanda e risposta. L'azo
dol deo, Guido del Duca tr, 61), rivolte
la parola a Dasto, pregandoto di lr loro
onde venga © chi egli ais. Daute rispon:
da alla prima domanda, dicando che vie»
ne dalla vallo dell'Arno, ma designa I]
fine 00m nna circoniocuzione. Alla sem
risponde naziîtmento cameo Inetila
ch'egli si nomini, prot Il smo none è
ancora ewouro,
10. virrA: rinchioma, confinata | of.
Pury. 11, #9.
484 [aroxe secoxno) Pura. xiv. 39-53
{corso
Del loco, 0 per mal uso che li fraga;
Ond’hanno sì mutata lor natura
Gli abitator della misera vallo,
Che par che Circe gli avesse in pastura.
Tra brutti porci, più degni di galle
Ohe d'altro cibo fatto in uman uso,
Dirizza prima il suo povero calle,
Botoli trova poi, venendo giuso,
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
E da lor, disdegnosa, torce il muso.
Vassi caggendo; e quanto ella più ingrossa,
Tanto più trova di can farsi Inpi
La maledetta e sventurata fossa.
Discesa poi por più
i, sì pieno di froda,
19, 7RUGA: sprona, eccita; ofr, Purg.
XY, 197 XVII 4
40. 0x8: © por luna 0 per l'altra delle
due dette cagioni.
42, Cino: la famosa maga che tramn-
tava gli nomini in bruti, ofr, Inf. XXVI,
#1, « Quos hominum ex fazio den anva
potente bara Induerat Ciro n val
ecc. volge
dapprima i eno abitanti
dell'alto Casentino, finchè tra Porclano
Romena Ja ana valle va dilatandosi n
de
antnati di Porclano (ofr, Inf: XXX,
Sendatari del Mi cme; ica
IL, 20, -
dB: POTRO: penrno di acque, Codì tut
Ri, tramno Il GNodertt, il qualo crodo «ele
Dante chiami porero ll calle di questo fn-
inn osa bel traslato morale, rispetto alla
ira volle per 0a tracorto.»
dd ROTOLI: « Beta seno cani pierali da
nbbalaro più altro »; Aut. Da
dà questo nomo aproguvele agli ‘aretini
« porebò banno maggiore l'anîmo che
pon wi richiedo alla forsa loro; et ancora
perchè d scolpito nel segno loro: A cane
Lion
i rale vi pr
47. roxas: rissosi più che non vo
gliano lo forse loro.
48. aanramosa : la detta riniera, v. Mi,
cloè l'Arno, che « fuxta A rettum delisotit
tris milliaria, ita quod videtue ad
lam indignantis dicrre: Nolo wi te
Bene.
52, ran PÒ reLLonI CUPI: D, pad pare
e di pù polaghi, qrantonua Di 00
nia anico, perchè, come bene omserva il
Puro. xiv. 189-151 [xs.p'ixvin. PUNITA] 491
«Io sono Aglauro che divenni 838801»;
Ed allor, per istringermi al posta,
Indietro feci e non innanzi il passo.
Già era l’aura d'ogni parto queta;
Ed ei mi disse: < Quel fu il duro camo,
Che dovria l’nom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete l’esca, «l che l'amo
Dell'antico avversaro a sò vi tira;
E però poco val freno o richiamo.
Chiamavi il cielo e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
E l'occhio vostro pure a terra mira;
18 Onde vi batte Chi tutto discerno, »
Pes erp ioni incalaa
ur Autavio: figlia di Cocrope, ra
d'Atese; invidiando la sorella Erso, che
i
<E oa ara ssomplo questa voce
fuggire la Invidia, pensando
ne rioerò chi è invidioso,
Maso, cioò freddo 6 duro,
‘ogni carità »; Buti,
ALcon eco: Daato a'/Impao-
avendo ancor udito nel Par
si terribili veci.
+ DX DmeTmO (I).
AURA...» QUETA 1 nom al udivano
[HE
5
i
bri
Eb
Fegari
di
= Hi
qu
HE
î
pillin; © conì fa lo dimento nb
o dimonio pilia
l'omo 4l è lo poceato; l’osca somo li beni
apparenti mondani © non edetenti, coi
quali cl tira nd ogni malo»; utt,
solt homo finom sonni; mel
capluntur hamo, ot alcut avea foca
comprebenduntur, alo capiuntar homi-
nes n temporo malo, com ola extomiplo
167. ruemo: esempi di viali. putti. —
utoniaxo : esempi di virth premiate,
148. tt CIKLO : «ad proci para
obie »; Bene.
uo, mecca sos e SU
XXXIV, 197.
"nhon qundaza varca ogni
rum clamat stquo Inorepat nquoscen:
am esse Creatorem » } & Aug, De td,
darò. III, 23.
150. # L'occuto eos,: nondimeno la
vostra mente è rivolta solo alle coso fer
coslamque tuori Tussit et orectos ad ale
dera tolloro vultoa »; Orid., Mat. I, BAxg.
151, cop eco.: perciò Tàdio, che fatto
copesce, vi punisce.
Puro. xv. 1-8
le SECONDO] [L'ORÀ DEL TEMPO]
CANTO DECIMOQUINTO
GIRONE
SECONDO : INVIDIA
DELL’AMOR FRATERNO, SALITÀ AL TERZO GIRONE
GIRONE TERZO: IRA
in mezzo a un fumo densissimo, che non lascia discernere nulla)
INI DI DOLCI MITEZZE, PENA DEGL'IRACONDI
nanto tra l'ultimar dell'ora terza
E il principio del di par della sper:
Che sempre a guisa di fanciullo 8
‘anto pareva già invèr la sera
Essere al sol del suo corso rimaso:
458 [oinowe renzo] | Puna.xv.86-105 [xs pi massoeronisE)
si Ivi mi parve in una visione
Estatica di subito esser tratto,
E vedere in un tempio più persone;
Ed una donna, in su l’entrar, con atto
Dolce di madre dicer: « Figlinol mio,
Porchè hai tu così verso noi fatto?
Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io
Ti cercavamo!» E come qui si tacque,
Ciò che parova prima, dispario.
Indi m'apparve un'altra con quelle acque
Giù per le gote, che il dolor distilla,
Quando per gran dispetto in altrui nacque,
E dir: «Se tu se’ sire della villa
Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite,
Ed onde ogni scienza disfavilla,
Vendica te di quelle braccia ardito
Cho abbracciar nostra figlia, o Pisistràto!»
Risponder lei con viso te
« Cho farem noi a chi mal ne desira,
Se quei che ci ama, è per noi condannato? »
massi fi vede cose naovs mi fecero am; omne! 1 girino andà quindi ip
mutelire. nto, ed ebbo fx laposa la functulla,
ET. 210 runsone: | dettori giudei, in ‘ti'ancddoto, tredcsdo Va:
rmeezo al quali il dodicazno Gorì stdo- lerio Massimo quaal ulla lettera,
va, macoltandoli ed interrogandoli: efr, —M. cn'astiA: donna, cin la mogli
TI, 40. di Pialatrato.- Acqua: lagrime,
Ù8, Una boma: Marla —1x su £'
Gbibe dette questo parole, la prima vi.
gione dieparre.
V.4-105. Platatrato, senomito cscwn-
dimarmertidine, Appena dilegua: si
socend + tra Nettano 0 Minerva per
atabilie da chi do'duo si dervane deno-
minare la ciità, che da Minorva fia pol
denominata Atone; efr. Qekd., Atet. VI,
70 seg
k i d 20. xD osp eco.: @ dalla qualo cità
Rar., 1653, Ratconta Valerio Mamimo di Ateo diffonde ogei lume di neletiza,
(Punta vt dista mem. VI, 1) che un gio» di arte a di civiltà.
ine, innameratcai di una figlia di Pin ea, 11 MIONOR: Plaletonto,
girata, la baciò in pubblico, 0 che, chie: —193.rIM"ELATO: mananeto, abteggiato
Mando la meglio di Plsiatrato vendotta = bella parlona e binignità.
V. 190-114. Sunto Stefumo, terso
quid bio Diclemus, quibua odio
500 [erowe renzo] Poro. xv. 115-182 tuntrstRAceTO)
16 Quando l'anima mia tornò di fuori
Alle cose che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, che mi potea vedere
Far sì com’uom che dal sonno si alega,
Disse: < Che hai, che non ti puoi tenere,
Ma se’ venuto più che mozza lega,
Velando gli occhi o con lo gambe avvolte,
A guisa di cui vino o sonno piega?»
«0 dolce padre mio, se tu m'ascolte,
To ti dirò » diss'io, «ciò che mi apparve,
Quando le gambe mi faron si tolte. »
Ed ci: < Se tn avessi cento larve
Sopra la faccia, non mi sarlen chiuse
Le tue cogitazion, quantunque parve.
Giò che vedesti, fa perchè non scuse
D'aprir lo core all’acque della pace,
Che dall'Eterno Fonte son di;
gettive, fmmagivandosi di vedere fuori
i ud elò cho è soltanto nel wuo interno,
Così, durante la sua catari, Danto avea
ereduto cho quanto agli vedova ed ndl-
7a, arventimo realmente fuori di ab, fos-
maro cioò futti oggettivamente veri e rune
Il; © questo è l'errore di cui al accorge,
200 appena l'anima sua è ritornata alla
porcezione delle coso oggettive. Ma egli
asserra ole | scioi orrori erano won falei,
Avendo Ja coscienza di nen essermi in-
gannato, di avere realmente veduto ciò
che gli apparve, quantonque fowsero im:
li golo esistenti, auazito
L'ecchio quo corporale non av
nulla; epporo lo cose gli erano ver
atate presenti, ed agli le avea realmente
velluto cell' occhio della monte, dell'ani-
ma, dello spirito,
16, TORÒ: al risvegliò dall' eateai,
nella quale l'anima, tntta sconpata delle
‘ove interne, spirituali, non percepisce
fill le cose saterne, = ni vot: alle. real:
tà oggettive, alla percezione dello ccm
saterseei.
130. PUOR DI LR: vi sono 006 vere
Frolma, MI rogando del fenomeni esterni,
Je verità oggettive.
117, 20x FALSI: oImne realià soggetti vo,
119, at ato: nl scloglia dal sonno, al
svegli
120, TRsmRR: reggere ln plodi.
122, varaxro: cogli occhi nocchiaal a
logambe vacillanti,a guisa di uomo vinto
vino e dal sonno, «Illo mero sommo-
quo gravia titubaro videtur, Vinge:
i »s Ovidio, Met, XIX, 008 nE = e!
quitor gravita mombrorum,
‘fur Crora vacillanti, tanderde
x Lucret,
Fat. LHL ATI agg.
26. roLmE: limpodite,
‘£- maschore;of, Par.X.XX,91,
versi
15, 12.-e Deraliquerane vero aqua rm
Tao Dominam »; ibkatere XVIL,
, 000.
Ù
602 (om. renzo] Pono. xe. 149-146 xvi, 1-8
Veîso di noi, come la notte, oscuro;
Nè da quello era loco da cansarsi:
mu Questo ne tolse gli occhi e l’aer puro.
143, oscuno + efr, Purg, TRL, Lame tile orli tl
Tdt. x Da QUELLO indignatione ocalnà mena»; Zob XYIT,
alonna parto, Prize liete 7, = oLI occut: Al.: AGLI OCCHI L' ARk
145. WR TOLAR oso. ; ci tolse l'aso de —rDRO.
CANTO DECIMOSESTO
GIRONE TERZO: IRA
MARCO LOMBARDO, DEL LIBERO ARBITRIO
DELLA CORRUZIONE DEL MONDO, CORRADO DA PALAZZO
GHRRARDO DA CAMINO, GUIDO DA CASTELLO, GAIÀ
D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Quant'essor può di nuvol tenebrata,
Non fece al viso mio sì grosso velo,
Como quel fummo ch'i
V, 1:15, Cammino attracerso
mo. Volendo dare na' idea della ; eb ìO
meurità che lo avvols nel terzo girone
del Purgatorio, Dante accenna alla por-
potea notte infernale alla notte terre-
niro raccogliendo tuti
‘oscarità di questa: mancanza
(ato laminoto, dendltà di nuvulo e ori
sante limitato di ehi ai trovi la una gola,
9 vallata profonda ed anguata, Virgilio
pi acccata » Dante, allinchè questo n'ap- poni pineta.
Poggi Alla sua spalla. (A pece di aiea "qulitri
1, iuio 0c0.: l' ancarità dol cerchi 1n- ite vuol daro un'idea
Formati, 0 della più cecura notte che possa
darsi ha terra, è iinore di qualla che mi
Avrolse qui. - rurvAta: sensa stello,
pata 311, DO: « Totidom alno al
dore nectos. +
2. nov: lu looge angusto, dove nl
604. (ormone renzo] -— Pono. xvi. 25-42
< Or tu chi se”, che il nostro fummo fendi,
E di noi parli pur, come se tuo
Partissi ancor lo tempo per calendi? »
Così per una voce detto fue;
Onde il maestro mio disse: « Rispondi,
E domanda so quinci sì va sue, »
Ed io: «O creatura che ti mondi
Per tornar bella a Colui che ti fece,
Maraviglia udirai, se mi secondi. »
«Io ti seguiterò quanto mi lace;»
Rispose; « e se veder fummo non lascia,
L'udir ci terrà giunti in quella vece.»
Allora incomineiai: « Con quella fascia
Cho la morte dissolve, men vo suso;
E venni qui per la infernale ambascia:
E se Dio m'ha in sua grazia richiuso
Tanto, che vuol ch'io vegga la sua corte
Per modo tutto faor del modern'uso,
toni che Dantoò ancor vito, perla doman- | fumo, mentre dal tuo modo di saprimerti
ila fatta a Virgilio, (chè un'anima pur
gunte non avrebbe fatto tale domanda), Lexni: calende (ofe. Parodi,
Deb epiito ehledo chi egli sta. Confer: 7
tato da Virgilio, Dante risponde che è —anoora il tempo per mesi: monito mer
tufatti ancor vivo, e pregn lo pico di wava divisione del tempo ha Inoge nel
ila bwo- regni dell'eternità.
sO. se quasci: se da questa parte è la
oprastante,
8, auso | non aul monte (Fenr., wee.),
(Buti, Land., Mim i
‘: pon più concodinte al
abeun “2010 da 8. Palo ka pai a, AV
11,13 agz.
Puro. xvi. 43-57 [Arco LomsARDÒ] 505
Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi, © dimmî
lo vo bene al varco;
È tue parole fion lo nostre scorte. »
< Lombardo fuî, e fui chiamato Marco;
Del mondo seppi, e quel valore amai,
Al quale ha or ciascun disteso l'arco.
Per montar su dirittamente vai. »
Così rispose, e soggiunae: «Io ti prego
Che por me preghi, quando su sarai. »
Ed io a Ini: « Per fede mi ti lego
Di far ciò che mi chiodi; ma io scoppio
Dentro a un dubbio, s'io non me ne spiego.
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio
Nella sentenza tua, che mi fa certo,
Qui ed altrove, quello ov"io l’accoppio.
È
di
morti: non dice chi sei, ricor
‘ciò che ba adito Purg, X}IK,
i
i
e dimmelo, — vancO:: per il
BILLO
HERAAAT
iti
i
mondo (Lomb., Cee., Bi,, ose}; Al: Quatte
Does.)
più ai
Il fatto della corruzione uni
quindi certo; ma qualo ne è il motivo]
Guido del Duca avera lasciate incerto,
no tomo per effotto di coloati Infiunal,
© della umana malizia. Tì dabbio ande
ciò avvenga, si fa più forte nella mente
di Danto, dopo aver udito lo parole di
Marco; epporò gliene chiedo la soli
zione,
52. ram FRDE MI TI 18001 ti Gbbligo
la mia fedo di pregare per te:
63. Ma fo scorto ese: song lanto
atretto da un dnbldo, cho, so nom We
ne libero, ne muoio,
Bb» all'udire Gallo del Duma, =
aciaersO: semplice.
66: NkkLA SENTENZA: per'lo too pa-
role, cho mon mi lasclano più dubitare
della universalo corruzione. «Quante più
rondosi certa l'ealatanza di un v@btto mar
ravigliose, tanto maggiormento a'soere-
sco uell'umm da brama dì 'separno i
corrasion
Reise capre veni anta HI mio
ibblo.
emoxx terzo]
Libero arbitrio, e non fora giustizia
Por bon letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia,
Non dico tutti; ma, posto ch'io il diea,
Lume v'è dato a bene ed a malizia,
E libero voler; cho, so fation
Nelle primo battaglio col ciol dura,
Poi vince tutto, se ben si nutrica.
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete; e quella cria
Puke. xvi, 71-81 [corruz. DEL MONDO] 507
La mente in voi, che il ciel non ha în sua cura.
nt ita sequeretar quod homo non esset
liberi arbitri, sed Laboret actionea de-
torininatas, aiout et ctero res natura.
Je; que maniftato nunt (alta »; Thom,
Stra. cheol. I, 115, 4; tr. sbid. I, 73,
Tag. Boît., Coms., V, 2.
TL wow rosa: non asrebbe giusto Il ro-
munerare il
É
ti
it
uomo è fornito di libero
fi quale può frenare gli
al bone, + Corpora
sant voluntatum nostraram
Intellectiva animso est..., SI igi-
‘corpore ccsleatia non peeaont lmprs-
direste ie Intelleotune novteum,
est, neque etinm fn volunta-
diroote
i
|
tan
.
Bri
ti
de icon: IV, da pe 31, Cose”
11, 260.
TT: 00% ct DERA: + de dura Sotto,
Giri ce rl ciali a E
tà de' sensi, a lo quali fl ci
pio lo pioga, vince poi tutto [Zed
Te, rutto: ogni lafiuao du'olett.. « Vo-
Junta» nou ex necsasitato sequitur fa
clinationem aqpetitua infertoris, Lioet
enim passionea, quie annt fn Iravelbili
‘ot comcupiscibili, habeant quamdara vim
ad inclinandam voluntatera, tamen fn
poteatate voluntatis remanet segui pas
ione, vel cas rufutaro, Et {deo impraa»
aio contenti um corporum, secandwm quam
Mamutari possnnt infuriorea virea, mintia
portingit ad voluotatem qi
ina eauss bamanorum nol
tor passionea, quae sunt motus aenaltivi
appetitua, ad quaa cooperuri ponsunt
sorpora cclestia; panel autem evnt sa
pientes qui huloamodi passionibua real
atant. Et ideo aatrologi, ut in pluriboa
«
TRom. Ag., Sum. theot. 1, 115, 4, = «SIhlk
probibet per voluatariam metionem im-
deliri elfestun colestium corporum, non
solum fn leo boriino, sed otinm in allîa
rebos sé quas hominam operatio n ax-
tondit »; ibid, I, 115, 6 — « Contra ine
alinationem certestium
latellettivo, la quale
movimenti de'eleùi. Cfr, Thom. dg., San.
Gheol. I, 75, 0, &. Ampi, Cip. Def V, 3.
Bi. IL OIL NON MA 600,1 « da mante
mnana che il Cialo nun da in sua era,
è l'anima In quanto è libera e ragione
[urroxe reRzo] Puro. xvi. 128-138 [oara] 511
Francescamente il semplice Lombardo.
Di'oggimai che la Chiesa di Roma,
Per confondere în sè due reggimenti,
Cade nel fango, e sè brutta e la soma.»
«O Marco mio, » diss’io, « beno argomenti;
Ed or discerno perchè dal retaggio
Li figli di Levi furono esenti:
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
Di’ch’ è rimaso della gente spenta,
In rimprovèrio del secol selvaggio? »
«O tuo parlar in’inganna, 0 e' mi tenta; »
Rispose a me; « chè, parlandomi tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta.
© moiti no rimise in cavalli ed
parati di
qua»; Ott « Fait vîr prudena et rectus,
t honoratus, quia
poteri,
‘e spirituale, precipita nol fan-
po, od Imbratta sò stouna ed fl suo carico,
cioè l'uno el'altro governo che presume
tanero, lo spiritualo e Il temporale.
139. CAD) « Ante omnia ergo dicimns,
uumquemque debero materie pondax
proprile humeris comquare, ne forte
bimereram nimio gravato
ecmum cespitaro att
Fiog. IL 4.
V. 190-145. Gata, figlia det Den
chi ala quel
1311. Il Lan. # l'Ott ambiguamente:
Fe donna di tale reggimento cir de
dolettazioni amorose, chi
sor sce pre tea i DA maia
Tuta onim erst fumosiasima in tota
vardia quod ubique pv
tibi poellas formonas. Multa jocosa selena
praterso de furmina ieta, quan dicere po-
dor probibet, » Altri la dicono îaveos ce
lebre por bellezza cd onestà (An. Aker.,
Buti
rozzi, ln DI 6 dî suo vee, pi 504 Fran
seni, Difera dell'onore di Gaia, nel aio
Studi vari sulla Die. Com., Fir., 1887,
P. Rajna, in Full, 349 agg:
131, piscro : comprendo la ragione
perchè $ Leriti furono esclusi dall'ere-
dità dî beni temporali ; ofr. Num. XVIIL
20, Gioruò XIII, 14) XXL, È mpg
124. GENTE SPENTA : del booni nomini
d'altri templi, v. 115-126
136. DA IDIPROVARIO vee. da rampogea
della generazione odierna, priva di valo
re e cortesla ; epparò selvaggia.
136. 0 TUO eco.: 0 io non ho inteso
tano jo tno parole, oppure ta hal par
Jato così per fadurmi & dire ancora al
tro coso amî conto del buon Gheranto.
137. rosco; toscano, Gherardo da Ca-
mino era conosciutisaimo in Poscamaz efr.
Del Lungo, Dino Comp., I, 566 ng.i
IL 47
Cei rr pamenicioslia.
parolo, che ta non ne esppia nulla.
NE TERZO] PURG. XVI. 189-145 -xVIT. 1 [USCITA DAL
er altro soprannome io nol conosco,
S'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi! Chè più non vegno vosco.
Vedi l’albér, che per lo fummo raia;
Già biancheggiare, e me convien partirmi
- L'angelo è ivi- prima ch'io gli appaia. »
Così tornò, e più non volle udirmi.
fox vEANO vosco : non essen-
di ascire da questo fumo,
Fenire più oltre con voi.
6:11 chiarore, non del sole
Dan., Lomb., 6c0.), ma del.
lo sta al passo del perdono e
del solo; ofr. Purg. XV, 10
raggia; cfr. Par. XV, 56;
BeLO : è questo l'angelo della
rg. XVII, 468g.- PIUMA: pri-
rirgli dinanzi, il che non mi è
GIRONE
TERZO:
lecito sino a tanto che non sia compiuto il
tempo della mia purificazione. AI.: PRIMA
cu’ EoLI PAIA; ma l'angelo non abban-
donail suo posto; ofr. Com. Lipe. II, 296.
145..008ì TORNÒ ece.: ciò detto,si rivolse
indietro e non volle udire oltre; efr. Inf.
XV, 121 agg. Al.: COSÌ PARLÒ; era pro-
prio necessario di dirlo ! Cfr. Com. Lips.
II, 296, Moore, Orit, 391, - x PIÙ: AL: &
POI. VOLLE UDIRMI: Al.: VOLLE DIRMI;
Marco non volle soltanto più dire, ma
nemmeno udire.
CANTO DECIMOSETTIMO
IRA
314 [omow® renzo] — Puro. xvit. 14-29
Talvolta sì di fuor, ch'uom non #'accorge,
Perchè d’intorno suonin mille tube,
Chi muove te, se il senso non ti porge?
Muoveti lume che nel ciel s'informa
Por sè, 0 per voler che giù lo scorge.
Dell'ompiezza di lei che mutò forma
Nell'uccel che a cantar più si diletta,
Nell’imagine mia apparve l’orma;
E qui fa la mia mente si ristretta
Dentro da sè, che di fuor non venia
Cosa che fosso allor da lei recotta.
Poi piovve dentro all'alta fantasia
Un crocifisso, dispettoso e fiero
Nella sua vista, e cotal si morla:
Tntorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa 6 il giusto Mardocheo,
nativa, ossia la fantasia, v, 25, « Ad ba- inerti empietà, erudeltà. — Lr:
tum autem formarum retentionom ant
som ordinatur phontaria, ale
va itaginaito, que idem sant; cet catm
phantasia siro Imaginatio quasi thormn=
tua quidam formarum por sensom ae
coi Thom. Aq. Sum. theol, I,
’rocal dablo opertet în vi imagi:
tha ponere non solum potontlam par
Mivam, sod cilazm activam +: did., 84, 0.
=» Imaginatio eat quidem aitior potentia
quam simnas exterior +; bid. KIT, 30, 3.-
x hus: ei rubi, cl rendi del tutto fa-
inabili allo Empresatoni esterno; efr.
Purg. IV, 1 ng. Siocc., Vila di D., 8,
(Dani scel i Wadi, 28, }
pa 5. Ore. Lipe. 11,
15, rIRCHE oco.: PT rivoo
(i) "IE
ALTA PANTABIA è Ato:
dallo cose terreno; 6fr,
e d 00, disegnò di
|?, xk cr 8° ieronatA: prendo sie ho tà | Old a pi o
caton. pueazine bd nvera fatto
Pure. xvil. 80-42 [ANGELO D. Pace] 515
Che fu al dire e al far così intero.
E come questa imagine rompeo
Sè por sè stessa, a guisa d'una bulla
Cui manca l’acqua sotto qual si feo,
Sorse.in mia visione una fanciulla
Piangendo forte, e diceva: « O regina,
Perchè per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina:
Or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
Madre, alla tua, pria ch'all’altrui ruina. »
Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto;
Dì, netsso: lategro, giusto in parole
ln fatti.
31-32, poxeRO Sè al ruppe, srant da
nd stona a di una bolla che ni roto:
tzncanil l'aoqua ondo è contpote
metttilianizo velo cho chiudo l'aria ine
ie » Darno, cfr. Viry., den. VII, MI
401 agg. «Nell'ira d'Amata paro
R'AlIghleri voglia ritrarre Pira di co-
ciao da Enea dopo che Amata aî era già
Impiccata.
V. 40-60, L'angelo della pece. Ape
piùdellascala peraaliro dal terzo a) quarto
girone sta ua altro angelo,
non puòsostenerala vista, è.
dotto ai due viandanti * qui ri monta, *
con un ventar d'ala cancella dalla frane
di un altro 2° o ennta Ia beatito=
rangellon: Beati € pacitl] a A
Ito ledendo
n sò stesso dov'ogli ala, alla Joce a'age
giasigo una voce, che, invitandolo doleg-
amento a saliro, 14 im dall'anima ogni
Ra lux
truce visione. 106 @ ln tore del
l'angelo della pace. Luce, ehe don sua
vivoaza può ben confondere 6 opprimere
gliocehi di colui che esse appena dal fumo
dell'ira; ma che presto, congiunta con
ana reco che pone sicurezza nol profom
do dll'anima, sehiara è aforsa l'iomo
nallo paci‘iche vio oro presporana | parl
de' manauoti. » Peres.
40, RE SUTTO (medi botto, Soy. XXIL
130; XXIV, 105), ad un tratto, repone
tinamento,
41. 11 viso camuno: gli ccchi chimel
43. murTo: Il qual acazo, rotto, al
aforna di rimetteril, pritox obo aranleoa
del into, auizza: » siccomo Nl post,
tentto fuor d'acqua, guizza primm ii m-
riro, così per eutacresi uppella
quello sforzo ehe l'interrotto sonno fx di
rimottora, prima ehe del Latto eranisom i
Lavabi. Del sonno ehe luconimola Firg.;
Zon, LL, 268 ag.i+ Tompua ernt quo prima
Così l'imaginar mio cadde giuso,
Tosto che lume il volto mi
Maggiore assai che quel ch'è in nostr'uso.
Io mi volgea per vedere ov'io fosse,
Quand’una voce disse: « Qui si monta »,
Che da ogni altro intento mi rimosso;
E foce la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,
Che mai non posa, so non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava
E per soverchio sua figura vela,
Così la mia virtù quivi mancava.
« Questi è divino spirito, che ne la
Via d'andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume sè modesmo cola.
Sì fa con noi, come l'uom si fa sego;
Chè quale aspetta prego e l’uopo vede,
Malignamente già si mette al nego.
[guisa mubriliboe mio Liciplt 4 dono Bl.rensovzIcRIO;soll'ncenaiva busti
serpit — Bd. VIRTÙ: visiva. « La Juice di
lol bondumte
vom
wi. t'imsotan ec0.1 la min visone
comò.
46 Lu: era lo splendore dell' angeto
Nl vicini
46. Quai: £ Inmo del solo.
pub voce: dell'angelo che invita a aa-
di, CRE 066: la qual voce mi rimosso —
dal pensare ad altro, facendomi tutto
attento a sì,
30. Cl na: » quia vex non sonnbat
soccorsa,
57. ORLA: sl fa Invisibile velandont del
nio abbagliante aplendore; « Axmîetna
lumine siont vestimonto ») Paol, CLIT,®
poro
wasi, noD N'acquiota, se non ri rafronta,
do non viene fronte colla con o parrona
58; at CONE eoe,: ma la mia virtù vi-
uirn era impotente ad affissarsi ln quel-
adbagliandola
col troppo suo aplendore, vela la propria
figura. - xava» e Sol etiam coat, con:
tendore
[ormone quanto] Puro. xvi. 118-182 [ranmz.p.euno.] 521
È chi podere, grazia, onore e fama
Teme di perder perch'altri sormonti ;
Onde s'attrista sì, che il contrario ama:
Ed è chi por ingiuria par ch'adonti
Sì, che si fa della vendetta ghiotto;
E tal convien che il male altrui impronti.
Questo triforme amor quaggiù di sotto
Si piange: or vo! che tu dell'altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bone apprende,
Nel qual si queti l'animo, e disira:
Perche di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore in Ini veder vi tira
O a Ini acquistar, questa cornice,
Dopo giusto pontér, ve ne martira.
(é0a: vÎ simo tali che temono —tattoil verso al riferisca al soli fraccndi,
potere, fa grazia, l'onore o par certo: non manca però chi, per es.
il Pel, ha eroduto di poterlo rifarimi
anché all’ invidi
134. raIPORIE: tre formo di amore ar
raato per malo obbietto, v. 95. = ba ROTTO
n
per poco, a per troppo di vigore, v, Wi.
120, CON ORUINE CORROTTO: malkmoni
pravamonte, amando poco 0 nulla Il verdi
bene, eccossiramonte i boni corruttibili,
terrontri ; ofr. v. 100 agg.
127. ciascux: egni nomo ha un' idoa
et iso precipuo do Sia bonia vaga, indistiota di un sommo bene, nel
tavident in quibus eet gioria, qualo si nequeti l' animo suo, © lo del:
n dora, al atbrza di conseguiro. Cfr, Boet.,
Cone. PMI. DII, 2,9.
128, #1 QUaTI « feclati 06, Domino, nd
te, ot inquietum est cor nostrum done
requioscat in te; & Amp,, Conf. 1, 1.
ppreso a del quale
famata] ma vaga, indotorminata.
130. LENTO: scemo di 2uo dover, v, RI
ug. Sa l'amor ventro è leato n cono:
re 1 Sorano Beao ed a consognltto, « Lo
parole vedere © aequistare seguano otib
mamento {| doppio termino grandioso
Jolla carità, la contompiaatono 0 l'opera,
è iusiomo la doppia cagione onde Rmmma-
Ilacontace e a'attedia l'aceiiloso *; Perez,
Sotto Qurehi, 7.
133, rivmezi peatimonto, L'acdldiono
ur
Ki
NE QUARTO] Pura, xvir. 133-139 [PARTIZIONE DEL PURG.]}
ltro ben è, che non fa l’uom felice;
Non è felicità, non è la buona
Essenza, d'ogni ben frutto e radice.
‘amor ch’ad esso troppo s'abbandona,
Di sopra noi si piange per tre cerchi;
Ma come tripartito si ragiona,
‘acciolo, acciò che tu per te ne cerchi. »
impenitente, non è ammesso visione di Dio è il premio che tocca ai
lo, ma condannato all’anti- buoni. Al.: D'OGNI BUON FRUTTO RADICE.
|. III, 34 agg. Vedi lo nostre —1135. AD Esso: a quell'altro bene che
in fondo al C. XI dell'In- non fa l' uom felice.
197. 81 PIANGE: si espia în tre cerchi
lo sx È eco.: il bene corrut- che sono sopra di noi, dove si purgano
lauo, che non basta a rendere gli avari, i golosi ed i Iuasuriosi.
mente felice. 198. COMR TRIPARTITO 1 RAGION.
Essenza: fl Sommo me si distingne in tre parti. Avarizi
gola © lussuria sono peccati carnali; sn-
ham essentiam »; Thom. Ag., perbia, invidia, ira cd accidia, peocati
I, 6, 3. - D'OGNI BEN ecc.: spirituali; ofr. Thom. Ag., Sum. theol.
que dicitar bonum bonitato I, m, 72, 2.
t primo principio exemplari —‘139. xE cRCHI: ti metta ad investi-
[inalitotius bonitatis»;Tliom. garlo per te stesso. « Omni per quello
heol. I, 6, 4. Dio è cagione che detto è, pnote vedere chi ha nobile
(radice) di ogni bene, ed è ingegno, nl quale è bello un poco di fa-
tto (rutto) di esso, perché la tica lasciare »; Conv. III,
Timone] 528
CANTO DECIMOTTAVO
GIRONE QUARTO: AOCIDIA
{Corrare di continuò con gran forrore è sollevitarà 1'un l'altro)
NATURA DELL'AMORE, AMORE E LIBERO ARBITRIO
ESEMPI DI SOLLECITUDINE, L'ABATE DI SAN ZENO
GLI SCALIGERI, ESEMPI DI ACCIDIA PUNITÀ, SONNO DI DANTE
Posto avea fine al suo ragionamento
L'alto dottoro, ed attento guardava
Nella mia vista, g'io parer contento ;
Ed io, cui nova sete ancor frugava,
Di fuor tacon, e dentro dioca: « Forse
Lo troppo domandar ch'io fo, gli grava.»
Ma quel padre verace, che s' accorse
Del timido voler che non s'apriva,
Parlando, di parlaro ardir mi porse.
Ond'io: « Maestro, il mio vedor a' avviva
Si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
Quanto la tua ragion porti o descriva;
1-39. La natura dell'amore, Pre Aneatra degli cechi non vogma la seme
bianza. » Cine. INT, #.
4. neTr: desiderio di mapero = pit
satimolava;etr, Purg. II, 8; XIV,
apiega In patara dell'amore, il
a movimento dell'animo vers» com
è ora anavA pil è molesto,
8, xow w'arneva: om ardiva di mm
guardava attentamento negli
vedtare se la ma esposizione mi
Vira granai
ru
Terli Masio entita die concecar a
een
[mella {passiene] pote l'uni-
pitt cho alla
Pura. xvint. 52-66 [L1sERO ARBITRIO] 527
La qual senza operar non è sentita,
Nè si dimostra ma' che per effotto,
Come per verdi fronde in pianta vita.
Però, là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, uomo non sape,
Nò de' primi appetibili l’ affetto,
sì come studio în ape
Di far lo mèle; 0 questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia,
Innata v'è la virtù che consiglia,
dell’assenso de’ tener la soglia.
Quest’ è il principio, là onde si piglia
Cagion di meritare in voi, secondo
Cho buoni 6 rei amori accoglie e viglia.
Veppenia È cime netbrato, i la dipo-
sizione particolare © naturale dell'an'ma
DET 04. (010 che ha rmgion di
‘non al può notificare per cos
dicò semplicemente cho nom al sa.
®I, x pal raise: AL: ® pe; Butk,
stiva dell'anima, come tè
prime motizie dell'intelletto, gli nanbomi,
fe forme logiche, eco., no costituiscono la
parte intellettiva. Donde ne venga tutto
ciò, è da noi ignorato. » Mioberfk,
58. sTUDIO : Inolinazione, lstinto: « Mo-
ud
ipse in saltibus omnia libant »i Zuoriti,
Rer, mat, LIT, 11, = « Stadiumque labuiria
Floriteri repetuns, eb sparal mellià amo-
rm n Lae., Phare. IX, 288;
50, voGLIA : questa inollmazione nati
ralo non capo, dioò non ammette alena
morito di leda, nò di bdastmo, non es
sendo lfbera,
61. rmonè: atlinchè a questa prima
voglia ni cloè ai accorili, certi-
sponda ogni altra voglia, vi è Innata fa
facoltà che vi consiglia © che dave vi
gilaro affinchè nun susentiate nì male
Sulle altro interprotazioni di questi verai
of. Cose. II, 223,
%, TEXER La soGLta: stara guardia,
. (fe. Cono, IV, 26
quis’ È n eumcImIO 000,1 È ea
norci questa rirtà, che consiglia e che
può e dove regolare gli atti umani, fa a
cho gli uomini merltino © tino,
scendo che eesaaccogio e distingno gii
amori beni e i eattiri. Cfr. Com, IV, 0
De Mem. 1,12.
95. caQIoNa Al: nAurOK,
66. viozta: sceglie, distinguo; da ri
gliare « varbum rasticormma pnrgantinim
frumantum in area ») Bene.
[scanionai] 581
Diretro a noi, 6 troverai la buca,
Noi siam di voglia a muoverci si pieni,
Che ristar non potem; però perdona,
So villania nostra giustizia tieni.
To fui abate in San Zeno a Verona
Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Milan ragiona,
E tale ha già l'un più dentro Ia fossa,
Che tosto piangerà quel monastero,
E tristo fia d'averne avuto possa;
Perchè suo figlio, mal del corpo intero,
E della mente peggio, e che mal nacque,
vivo ch'è D, 0 neppure mostrano di me-
16. nimETRO: da stuistra a destra. -
LA DUCA: li pertugio, cioè Il varco sca
"vato nel sano ctr. Parg. XIX, 48.
116. cu» xusrAN NON FOTDI: che non
possiamo fermarci.
117. BK VILLAXIA 000.1 se mal giudichi
scortesia la noatra sollecitudine di sod-
diatare alla divina giustizia, corrundo
monza pur fermarci a parlaro con voi.
uo. agua fait rirtnosna, stre-
131. sa atÀ eco.: nel 1300 Alberto dolla
Scala era vecchio; è quando Dante det-
ti DI eri esser ogli morta
122, rixanrà: quell''antma predlos Il
gianto di Alberto nell'Iaferno per l'in:
giuria recata a quel monastero avendo
letto o fatto eloggare abate {l mo figo
Maatardo, « Alberto della Scala mrara
“commesso un grando pescato, ciò ch'ello
Sera fatto abate di Sat Zeno da Verona
un ano figliuolo, Indogno di tale prelar
tara: imprima, ch'al! ora zoppo del ode
pos secondo, ch'elli era cos difettoso
dell'anima come del corpo; terzo, ch'ellì
era figliuolo naturale, alcchè avea qu-
nti tre grandi difetti»; Lan., Ott Gir
Levit XXI, 17-21.
124. xaL EL cOMsO tano: mad În-
tero, cioè didattoso, di osrpo; vrà nolan»
cato.
325, DELLA MENTE PRIOIO? * vie piro-
bus et lutegor a princigio, sed cansilio
medicorom taeta mullere, velut lnqui-
matoa pioo dinboli, fuotus eat
aiman, Nam oum Alboluns, qui succes
sorat Rartholommo in deminio, vellet ex
pusianimitato raducere comuites sane
Bovifacit in Veronam, abbaa, canque:
reate Cano, tanquam animesas inero-
pass amare Albolnam, armata mant vit,
at trociilavit multos ex diesis comltitua
ad viliom cornm, qua fnenia Comituia
primo, posten vosata ont inaula de ta Sen
1a... Erwt pravaw animo... impo raptor
fultentm Bomo violamtaa, da perte dimout=
CANTO DECIMONONO
GIRONE QUARTO? AOCIDIA
S0GNO SIMBOLICO DI DANTE, L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE
BALITA AL QUINTO GIRONE
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
(Pinmgero, disteai bocconi per terra © collo manì © coi pioti legati)
PAPA ADRIANO Y, ALAGIA
Nell'ora che non può il calor diurno.
Intepidar più il freddo della luna,
Vinto da terra, o talor da Saturno;
Vi 1-33. It sogno simbolico. Ssuo ha comanleate e, per così dire, acum»
fato sul anclo terrestre e nell'aria, val a
tomperare il freddo saturale della notte,
2.tL PaKUDO «la luna non è fredia ln
nd, ma è atfottiva di freddo coi raggi del
sole cbe peruzoteao in ossa, et ella Il ri.
Quest'erranea opiuieno darò sino al no»
stro secolo. DO
3. riro: estinto, cieò I) caler dimrno.
— DA TERZA! frigidenna netaralo
(lella terra, 0 a volte (yolehò questo più»
NE QUINTO] Puro. xrx. 126-142 [UMILTÀ PAPALE]
Tanto staremo immobili e distesi. »
‘o m'era inginocchiato, e volea dire;
Ma, com'io cominciai, ed ei s'accorse,
olo ascoltando, del mio riverire,
Qual cagion » disse, « in giù così ti torse?»
Ed io a lui: « Per vostra dignitate
Mia coscienza dritto mi rimorse. »
Drizza le gambe e lèvati su, frate!»
Rispose: « Non errar! Conservo sono
Teco e con gli altri ad una Potestate.
le mai quel santo evangelico suono,
Che dice ‘ Neque nubent” intendesti,
Ben puoi veder perch'io così ragiono.
Vattene omai: non vo’ che più t'arresti ;
Chè la tua stanza mio pianger disagia,
Col qual maturo ciò che tu dicesti.
Vepote ho io di là c' ha nome Alagia,
anto tempo, quanto piacerà anche un papa non chiama più pigli i fe-
loto conosce il termine della deli: tutti sono figli del Padre coleate,
zione. - Stak: ofr. Inf. tatti fratelli. Le parole che Dante pone
g.XV, 112. Par, XILT, fn bocca ad Ad: una perifrasi
di quelle det a San Giovan-
Umitta papale. All'adire ni, Apocal. 0: « Vide ne feceris
n cui parla, fu snecessore conserens tuns sum ot fratrom tiorum
Tonone quorro]. Puro. xix. 149-145-xx. 1-2
Teano] 548
Buona da sè, pur che la nostra casa
Non faocia lei per esemplo malvagia;
E questa sola di là m'è rimasa. »
tre
Snelet., 50, « Ebbo nome la gran donna
«1 gran valore ot di gran bontà ; el l'Ant-
padicam. Et vido quoi fate sacerdos lo-
quiter oneste et caate: dicit enim quod
Intelligi caute, quod muliorea iloruz da
Flixco fuerant noblles meretricas; qua
Us, ei fuma non mentitur, fui nxor Petri
do Russia de Parma, strecatosim! militts,
Quid dicam do Luabella, nxoro domini Lu:
chini, potentissira! ot iastlsximî tyranni
in Lombardia? » Bene.
145, s01A: «che preghi por mo: tm
perè che milano altre mio parente pregra
per me; 9 se pur proga, non è csaudito;
imperò che Iddio non esandisse i pre:
ghi do 1l iniuati, et elli sano tutti rieb, &n
fuor che questa » ; Buti, Cfr, Purg. IV,
138. = Dt LÀ: nel mondo.
CANTO VENTESIMO
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
ESEMPI DI POVERTÀ È DI LIBERALITÀ, UGO CAPETO
1 CAPETINGI, ESEMPI DI TURPE AVARIZIA
IL MONTE SI SCUOTE PER LA LIBERAZIONE DI UN'ANIMA
Contra miglior voler voler mal pugna;
Onde contra il piacer mio, per piacerli,
voleva Interrompere niteriorazente la soa
penitenza, - voLKR: di Dante, cho avreti=
be voluto discorrero più a
Adriano. Un volere ial Uto cou-
tro en volere migliore; «iperò ia, mo
soalerado, mi taoqui per far pese a
che m'avea detto di andarmano,
Purp. XIX, 199 agg.
2. PACRMIA: ad Adrtano 1 ott, Purg,
XIX, 159,
IONE QUINTO] Poro. xx. 8-21 [EsEMP} DI POVERTÀ]
Trassi dell'acqua non sazia la spugna.
fossimi; e il duca mio si mosse per li
Luoghi spediti pur lungo la roccia,
Come si va per muro stretto ai merli;
Chè la gente che fonde a goccia a goccia
Per gli occhi il mal che tutto il mondo occhpa,
Dall'altra parte în fuor troppo 8’ approccia.
Maledetta sio tu, antica lupa,
Che più di tutte l'altre bestie hai preda,
Per la tua fame senza fine cupa!
IO ciel, nel cui girar par che si creda
Le condizion di quaggiù trasmutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam co' passi lenti e scarsi,
Ed io attento all’ombre, chio sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi;
IE per ventura udi' ‘ Dolce Maria!’
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto,
Come fa donna che in partorir sia;
bco.: tacqui, qnantunque non 13. PAR e00,: si credeva che la ragione
mente soddisfatto. « Fa qui lei mutamenti delle cose terrestri fossero
cioè che la v era i rivolgimenti dei cieli, opinione aocet
he li desideri, ch'e tata da Dante solo in parte; ofr. Purg.
da quello sp XVI, 07 agg. « Della generazione su-
C'argone guisa]
Puno. xx. 22-34 es. Di rOvaRTÀ]
n E seguitar: « Povera fosti tanto,
Quanto veder si può per quell’ospizio >
Ove sponesti il tuo portato santo. »
Seguentemente intesi: « O buon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtute,
Che gran ricchezza posseder con vizio. »
Questo parole m'eran sì piaciute,
Ch'io mi trassi oltre, per aver contezza
Di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor della larghezza
Che fece Niccolao alle pulcelle,
Per condurre ad onor Jor giovinezza.
su <O anima che tanto ben favelle,
dolori comi dalla sporanza della
gioin ventura; «la donna, allorchè par-
torisco è in tristizia, perchè è giunto il
uo tempo; quando pol ha dato alla Iuco
il bambéno, von sl ricorda più dell'affan-
noamotirodell'allegrezza : perchè è na
al mondo un nomo »3 Gior. XVI, 21. La
stessa similitadino della donna parte»
rlenta occorra ripetute volto nella Sacra
Serittnra; etr. Isafa XXVI, 17. Apeoaî.
XII, 2.
30: uni certzoa la siae di Betlem»
mo, ofr. Lue. II,
MiCarcaseri nin; depone ooo
timmbino.
#5, Famizio | Calo Fabrizio Lusotnio,
romano, consolo l'anno 22 a
tà 1 doni del Sanniti, n quali
nitoa fatto accordare la paco, Duo anni
dopo, essendo stato invinte n Pirro por
trattare dello scambio de' prigionieri
32. ciK PECK NICCOLLO 000.: reKCOTO
di Mira nella Licia, santo comuna alle
due chiese, greca è latina, che ai dico
visanto anl Snîre dal
via ogons tra flina Jar nubfiea Ln mar
trimonio collocare non pouset carmimqua
pudicitlam prostituare cogitaret, re 0:
guita, Nlco)nus noete par fanertruza tati
tum pecanio in elundemim triecit, quan
tam unins virginia doti satls esset; quot
cnm iterum et tertlo forimet, tres illa
osta viria in matrimenfom
mnm projicens vitare volult bumamsem
tavorem »3 Thom. dg., Sem, theof. IT
u, 107, 8. Cfr. Puoiel., 124 agi
V. 3-60, Ugo Capeto. Accetto a
quell'anlima che propono esempi di pe:
chi tesa sia 0 perchè sola fra tutte ripeta
ad alta voce que’ fatti degni di lodo; la
compenso le promette di giovario, quan
de sarà tornato i mondo, quali 48;
n0 Ugo Capeto, la radice degli selitati
Cagetingi, » Dante sembra aver coni
qui Ugo Il Grado, duca ri Franola,
Borgegua ed Aquitania, cente di Parigi
0 di Orleana, capostipile del Capetluigi,
morto nol 964, ad il comini figlio Ugo Car
DA. in: sostantivo, cfr. v. 131 1 tanto
ten è quarto cano.
Temowe quinto]
Puzo. xx. 51-61
[uao capeTo] 547
Per cni novellamente è Francia retta.
Figliuo] fui d'un beconio di Parigi:
Quando li regi antichi vonner meno
Tutti, fuor ch'un, rendato in panni bigi,
Trova'mi stretto nelle mani il freno
Del governo del regno, 6 tanta possa
Di nuovo acquisto, e sl d'amici pino,
Ch'alla corona vedova promossa
La testa di mio figlio fa, dal quale
Cominciar di costor le sncrato ossa.
n Mentre ché la gran dote provenzale
DI, NOVELLAMESTE: dopo spenta la di-
ninatia del Carollagi.
Gt. maLitiok, vur: Ali roLio Fu' 10.
Tino Caprio discendeva dal potenti conti
luchi di Francia. Ma la lag:
diese dissenilente ora di Carlo
Magno, ora di Sant" Arnolfo, duca di Au-
itrasia e pol voscoro di Mota nella Lo-
reni (as. 040), ed Gra di un deecato (mer-
quant
ara iu vognoche si credeva gonoraltmento
storica. Sorirn, p. es.. Il Vit. IV, 4 del
progenitore doi Capettagi: « por li più
Ai dico <he"1 padre fu uno grande e rioso
borgheso di Parigi, strutto di nazione di
huecleri, ovvero moreatanto di bestie ».
Cite, Com. Lupe. 11, DIS eg.
8, 601 Axrrrcit | Carolingi.= vasxma
ao Anirono. Non wi dimentichi che
Pasto confonde qui iu un solo personag
Ugo il Grande ed Ugo Capeto, ndo
‘vue parole mal si psasono metter d'acv
corto cella storia,
Bd UN 06: morto senza prole Luigi V
doblo fl Neghittoso (987), non rimanova
cha an sole rampollo della èinuetia Caro»
Ninigia, Carlo, duca di Lorena,
di Lolgi XY; il quale, volendo «on-
Ul trozo de' snoî MILLI
‘€ consagnato nolle mani di Ugo
lla
ji
ii
naro o morì nal ehiostro, Altri apiapiro
renduto in panzi Bigi nel senzo di Ri
dotto in povera comîzione, în
atato, Cfr. Com. Lp, II, 307
SR TUOVA' 1 006. inî trovai colla re
dini dol governo in mano, ed în tanta pet
tenza per nuovi acquiati e pae quantità di
amici, che al treno vacante per la marta
di Luigi V fu promosso mio figlio, Wigo Ca
peto fece corunare re evo figlio Reberte
nel OR, l'anno dopo la SexSsve,
59. DAL QuaL&: da Roberto I figlio
di Ugo Capeto, incominciò la serto del
ro Capetingi, Jo cui persona simo delle
soerate ossa, perohò | re dì Franola si 00m:
ascravano con santa unzione, asma
atrata dall'arelvescoro nella cattedrale
di Balma Cos 1 pù USiet Buti, Am,
Fior., Vent, Pogg., Biag., Corta, Fw
Br. B., Prot, Andr., Gam., Senoe.,
Qorn., Guowpi, Pol., Pal. Witte, BI. ,o0e):
Sesanilo altri serate als in quarto luo
g0 erceramde iccal Oft., Lomb,, ace) MA
di eoerate per esceramde non sì hanno
csmpi, nò Danto potò pensare diro
che lo casa di tutti i socsemori di Ugo
Capoto, comprese San Lalgi, fosro ese
cramdl, cià maledette, nò ciò sta d'ao-
condo con quel ehe Ugo Capoto dico nel
vv. che immediatamente seguono, 01.4.
Gti, Burg; DX, 180, Par. XXIII, 68.
vi I Capetingi sine al 1300,
Gisiinta Ugo Capeto parlano de' amoî
disceodazti. Sino sila morte di Luigì LX
ernno nomini di pico valore, ma almeno
nen facevano del mala, Da Carte d'Are
giò è Filippo l'Anlito incominelò fa seri
del tradimenti © dello rapine, polthò fa
gran dote Provenzale tolea ni Capotiagi
ogni rossoro di mal ti rose nondaci
© afrontati,
1. anoereri | mint discondanti nom al
cnivero
[oroxa quinto]
Poxo. xx. 71-85
[caperinol] 549
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
Per far conoscer meglio e sò e i suoi.
Sonz'armo n’esco solo e con la lancia
Con la qual giostrò Giuda; è quella ponta
Sì, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato ed onta
Guadagnerà, per sè tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.
L'altro, cho già usci preso di nave,
Veggio vender sua figlia è patteggiarno.
Come fanno i corsar dell’ altre schiave,
O avarizi
che puoi tu più farne,
Poi c'hai il sangue mio a te sì tratto,
Che non si cura della propria carne?
Perchè men paia il mal futuro e il fatto,
nî muore fnorì delin Francia, per far
maglio conoscere la maligna è perversa
matura sus e dei suol. - Canto; Il mi-
tursbilo è diffaronto Senzaserra, fratello
di Pippo fl Bello, n, 1274, reuoto sotto
Il titolo di paelaro nel 1301 a Fireno,
dove si manifestò solenno spergiuro ©
fu autore della rovina dol Bianchi è di
Dante) ofr. @. VUL, VIT, 43, 40, Andò
quindi to Blellia per conquistarla, ma
mel novcsbre del 1302 dovette ritornare
Francia cndò < al diese per motto:
\corenato re di Franela
lat Incoralnelò IL raso
della diusatia doi Capstingi, dette dei
Valola,
Ta.dlaz'ausIn: seun'esercito, cioà «con
ron, e da cin
franoeschi In aua compagnia » ; 9.
FAL VILE, 44 — Laxora seo. l'arma del
tradimento e dela
76. quixpI: da questa sua spedizione in
Talla non si guadazuerà signoria di ferre
odi paasi, ma soltanto pescato od Infiumta
di apergiaro © traditore, guadagno tanta
più dannoso per Int,
coutandolo por nulli
penitenza,
19. L'avmno: Carlo IL d'As
dl Carlo d'Aajou, n. 1248, x. 1409; trat
to prigioniero dalia ana nave, combat
‘tendo nol olo di Napoli centro Rug:
gore di Lauria, ammiraglio di Pietro re
d'Aragona (giugno 1384, rimare priglo-
nero in Sieflin sino al 1288, Cir. @. Vil,
WIL, 03, 130, VINI, 108, Purg. VII, IST,
Figo, D. e la Sieît., 39.
#0. vespa: diede nel 190% sua figlia
Beatrioa ancor giovanissima ln mogiio
ud Agno VIII marsbane di Eaei vi
« cioè farne patto: lo
ne rollio tante milifala di fiorini, a' olii
la vuole
81 DaLL'ALtmE dute» delle mblave,
non figlie proprio ma altrui ; mentro Car:
le Nonelio vendo per denari la propiria
figlia.
1. CHx PUOI #09! qual peggior gover
no paoi tu oral fare do' miei discanden-
ti, dopo averli peraino traackunti a vene
dere a propria prolo! La risposta ata
nel re. 85 agg.
45, anca reca rata nine: mei
gravi appariscano fotte lare
azioni che i miei discendenti Danno fatto
(5) tenor quo) Porno. xx. 118-198
Lodiamo i calsi ch'ebbe Eliodoro;
Ed in infamia tutto il monte gira
Polinestor ch'ancise Polidoro;
Ultimamente ci si grida: ‘ Crasso,
Dicci, chè il sai: di che ssporo è l'oro??
Talor parla l’un alto e l’altro basso,
Secondo l’affezion ch'a dir ci sprona
Ora a maggiore ed ora a minor passo;
Però al ben che il di ci si ragiona,
Dianzi non er'io sol; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona.»
Noi eravam partiti già da esso,
È brigavam di soperchiar la strada
Tanto, quanto al poter n'era permesso;
127 Quand'io senti’, come cosa che cada,
Tremar lo monte; onde mi prese un gelo,
218, ELionOnO : inviato da Seleuco, re
PIZSA Santino; volle derubarne
idr it DI Liu
vallo mistico, che
tem, EEA dI sala ate LE u pts
1, 740.
XI4115: xD Dr IxvAMIA ceo.: Îl nome
Ai Polinestore gira Infamato atterno a
® genero
Ricindio " pipe, Polidoro, suo
rudarve le ricchease; on-
de Re Rena. n aooglto E tonde di
nuo Marco Lielia5o Crasso (n.
53 n, Ci), famoso per de auo rio-
1. Ola, De of. L ‘30, 11,
11, 465 ag. Non nl tratta qui per
altro di osare, chè quelle anime nom at
muovono, ofr. Purg. XIX, 124, ma del
parlare, v. 138, onde lì Calm 0 citanta
lai col. dovrà loggersi cu' a nu, elode
na z
Rip rlii
+ MINOR MASSO: 8 v0cs baasa,
Li bene, n pro;
porre I buoni esempi di mente povertà
© belle larghazzo, doi quali qui al fa mori=
sono daraate fl giorno, non era le poro
tnmolo, ma qui vicino nessuno dagli altri
io fucera nd alta voce, xl che potiase ea
vere udito da te; cfr. v: 85 WE
V. 124-151. 17 terremoto mel Prgue=
torto. Mentre | duo Posti continuano Il
loro viaggio, tatta quanta la montagna
trema fortomente, quindi risuona ovame
quo JI canto dell’ inne sagelico; I Poeti al
formano uo momento, poi vamno avant;
Dante arde di curionità ili conoscere
la ragione di quel terremoto 0 di quel
cento) che. Pupi NXT, 40 agg;
1
vetocità pomibile, per ginugere
varco.
124. aL roran: casesdo nemal steolta
Vinmane.
128, uan: oft, Prg, XXI, 40:78,
554 [ow.quorro] Poro: xx. 146-161-xz1. 1-8
Mi fe’ disideroso di
So In memoria mia in ciò non erra,
Quanta pare’ mi allor, pensando, avere;
Nè per la fretta domandarn' er'oso,
Nè per me li potoa cosa vedere:
191
146, m&mEIO8O : Ali DRAIDILANDO.=
Dt Rari Îl perchè di quel terremoto
è di quel grido maîversalo dello avimo.
148 QUANTA: Al: QUANTO.
risponde che, per non impedire la aolle»
CANTO VE
Così m'andava timido e pensoso.
oltudino dell'andaro, non no dimar
va.» Bulî, — n° 060: aro ardito, onu
of. Purg. XI, 190.
100, PRR WE: da mo atosno, sensa cancro
istruito da chi ne sapeva più di me.
151. IDO ecc; timoroso di doman-
dareetravagliato da pensieti intorno alle
coso veduto ed adito, ed alla ragione di
case
ESIMOPRIMO
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
BTAZIO, RAGIONE DEI TERREMOTO, STAZIO E VIRGILIO
La sete natural che mai non sazia,
Se non con l’acqua onde la femminetta
Sammaritana domandò la grazia,
Mi travagliava, e pungeami la fretta
Per la impacciata via retro al mio duca,
E condolenmi alla giusta vendetta.
derio di conoscere la ragione del terre
mio © del giubilo aniversate delle anime
porgnnti, appare au' ombra che li saluta
cortesomente ei alla quale Virgilio rende
Hi aaleto confimazndo di camere escluso
dalla boatituiina eterna; di che l'ombra
ni marariglia fortemente.
i. mer oco.: il desiderio naturale di
napornyeCr. Cone. 1, 1, Aratet., Met. I, 3.
= ION BAZIA ; « nell'acquisto della ecienza
cresce. Re] Jo desiderio di quella #1
Cono, IV, 1:
2. AOQUAL A verità, — FRWMINETTÀ!
of. Gioe, IV, 7-26.
4. ali TAVAGLIAVA: coll anare amor
ofe. Them. 4g., Sum. theot. I, 13, %, B
| — PUNORAMI: NRÙ SpTORATA, = LA FITTA
cfe. Purg. XX, 140,
S.IFACCIATA + lagumbrata dalle molte
animo cho giacevano por terra,
6. VEEDETTA: punizione, pena ; 0 00m
passtonara qualle anime per la pesa, del
resto giusta, che caso soliti vanà,
Pure. 3x1. 7-21 [sTAZIO N Vihonio] 855
Ed ecco, si come ne scrive Luca
Che Cristo apparve ai dno ch'erano in via,
Già surto fuor della sepuleral buca,
Ci apparve un'ombra, e rotro a noî venia
Da più guardando la turba che giace;
Nè ci addemmo di lei; si parlò pria,
Dicendo: « Frati miei, Dio vi den pace!»
Non ci volgemmo subito, e Virgilio
Rendégli il cenno ch'a ciò si conface.
Poi cominciò: « Nel beato concilio
"i ponga in pace la verace corte,
Che me rilega nell'eterno esilio!»
«Come!» diss'egli, è parte andavam forte:
«Se voi siete ombre che Dio su non degni,
Chi +'ha por la sua scala tanto scorte? »
GI rendette un ccano, o gesto, di saluto
cortose e riverento. Al Die ri dia pece
senza dubbio sé conface massi bano la
risposta St cwm spiriti fuo; ma ehe rivi
ne, da ed solo pensa sigasfear saluto dit
, ot fpeo Jesus appropin. pareîe, non è facile mì ammettaral.
Uli. » Tue. XXIV, 16, pori resogli W salato, Virgilio ri-
cominciò a parlare, Volera domandare
qualo fosse 1) metro del tarremoto 0 del
canto; ma, non appena ebbe incominela»
Wing
+ ofr. Inf. XXLX,
ANDAVAMI Ala AMAVA i oft, Ab9-
re, Ortî., 327 sg.
556 [ormone quinto] Pune.xxi. 22-85 [MIESIONE DI VIRGILIO] |
n E il dottor mio: « Se tu riguardi i segni
Che questi porta e che l’angel profila,
Ben vedrai che coi buon convien ch' ci regni.
Ma perchè loi che di 6 notte fila,
Non gli avoa tratta ancora la conocchia
Che Cloto impone a ciascuno e compila,
L'anima sua, ch'è tua e mia sirocchia,
Venendo su, non potea venir sola;
Però ch'al nostro modo non adocchia:
Ond’io fui tratto fuor dell'ampia gola
D'Inforno per mostrargli, è mostrerolli
Oltre, quanto il potrà menar mia scuola.
Ma dinne, se tu sai: perchè tai crolli
Diè dianzi il monte, e perchè tutti ad una
22.1 muori: 1 P descritti dall'Augelo
mella fronte di Danto, efr. Purg. IX, 112,
dei quali erano già cancellati quattro ©
nem glieno rimanerano più che tre.
pi: raoeita: disegna sulla fronte di
com
#5, Les: la Parca Lachas!, cho fila lo
atame della vita umana. Vuol dire: Per-
chò costui non avea ancor Énite Î1 corso
Mella ma vita, non era ancor morte. Salle
divorno lezioni di quasto resto efr. Witte,
volta per volta aulla reosa por filare,
27, CLoro: la più gioranodello tre Par-
che, quella che al nascere di cineono po.
wo lmpone su Ja resa di Lachesi quella
peralono di stare durnuta la Sistura del
quaio convieun cho duri Ja vita dell'uo-
Sa, of. Qrid., Mit. VIII, 452 ag. =
GONFIA: « doo atti st fuuno nol metter
della rocca Il penneechio: ii primo
dai $ dl seprsggorseto largamente, facto»
l'Aggirata rocca n poso n p40s
Sant, © quento appella Danto impor
gu Palkro 6 di aggirare intorno al pen
nosehlo medesimo Îa mano per untrie e
rentringerio, 0 questo appella compila
mu 03 Lomnd,
28. ainocciza : sorella fofr, Purg. 1V,
111), perchè uscita di mano allo stesso
luola del medesimo Dio;
IVI
= #0kA I
"De Men IT, 16. Cono,
corpo.
31, coL4 : del Limbo, 1] pelmo o pertiò
Si più ampio i corel l'Inno,
often ripieni
il terremoto non è per
ma che, quando un' anima frpese na or
scontata la ana pena © salo
totto Il monte ni commuove @ tutte la
altro animo purganti fatuonamo l'inno
Carrose quinto]
Puro. xXL 36-50 [BPIROAZ. D. TRRREM.
Parver gridare infino ni suoi più molli? +
Si mi diò, domandando, per Ia cruna
Del mio disio, ché pur con la speranza
Si face la mia sete men digiuna.
Quei cominciò: « Cosa non è che sanza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia fuor d’usanza.
Libero è qui da ogni alterazione:
Di quel che il ciel da sò in sè ricevo
Esser ci puote, e non d'altro, cagione;
Perchè non pioggia, non grando, non neve,
Non rugiada, non brina più su cade,
Che la scaletta di
re gradi breve.
Nuvole spesse non paion, nè rade,
Nè corrascar, nè figlia di Taumante,
86. ranver: | duo Poeti non aveano
naturalmente potuto distiaguore se gri-
dnasoro tutte lo anfmo, anche quelle det
cerchi inferiori è auparfori, ma cca
Jatù sembrato. - nemo 800.1 sino al pied
dal mont, bagnati dallo ondo dell'Oceano,
57. att Di cec.: fncondo tale domnuda,
Virgilio colso per l'appunto nol mio de:
alderio, di modo cho la sola speranza
d'ossera informato intorno a ciò eli io
Mania dI asporo aiminn)l'andore di
brama.
40. cos ecc.: rispondendo alla doman»
da di Vingitio circa la cavi dol terromo-
41: La nasrofost: il anoro regolamento
dol monte, « tam tam relligio paridor
torrebat agrestia Dira loci, iam tum mil
vam sarumque tremebant »; Ping, dem.
i v Abtberta alti Relligto »;
1 »g. Nel Purgatorio non
i straordinario @ fuori della
leggi cho lo governano.
4. LIRERO È QUI 600.1 queste Inogo dll
da ogni pertarbazionodegii elementi.
. DI QUEL 006,1 di cosa alcuna che
qui accada, non può mai quer cagione
ciò che fl cielo riceve altrondo (como av-
viene più giù, dove Il cielo rioere 1 vapori
cho esaluno dalla terra e cagionano tutte
lo «ve alterazioni), ma soltanto ssa
esso cialo da sò medesimo in sò riceva,
quale è l'anima che riterna al ctelo dove
fut oreata ed ande ni partàetr. Purg. XVI,
85, Gino, IV, 28, Com. Lapo, I, 808 Mc
48. D'ALTRO: conì i pri Ala D'ALTRA:
atr, Afosre, Orit., 460 ag.
40 rencotà: esendo lì Inogo libere da
ogni alterazione, nom vi può cere né
pioggia nò grandino (grando, latiniamo
dell'uso antico), nò mevo, nè rugimta, nò
brina più fn sa che la porta dol Porga=
tocio efr. Purg. 1X, 76 sg.
49, svtseRI dense, = XON FAION: nom
appariscono, non xi vedono,
‘60, conuuseax: lampeggiare, mpo, =
riatia eos,: arcobaleno. Irito, fila iti
Tanmante e di Elotira 1Teried, Theogu,
269), porsonificaziono dell’ arcobaleno,
era, ascondo Ia taitologia, la momaggara
degli Del, cho nato © ilbaveaito par l'at:
Tarrose quinto]
Poro, xx1. 63-75 [#FIKGAZ.D, TERBEM.] b59
L'alma sorprende, o di voler le giova.
Prima vuol ben; ma non lascia il talento
Che divina giustizia contra voglia,
Come fu al peccar, pone al tormento.
Ed.io, che son giaciuto a questa doglia
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Libera volontà di miglior soglia.
Però sentisti il tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte randor lode
A quel Signor, che tosto su gl'invii.»
Così ne disse; e però ch’ ei si gode
Tanto del ber, quant'è grande la sete,
Non saprei dir quant’ ei mi fece prode.
88, aiova: Îl volere giova all' antm
non ansordo un volere sterile, ma con
feto, neppire piora non significa sempli-
‘Gomente piace. Al.: DI VOLAR LA GIOVA?
è il rolera che giora all'anlma a volaro!
para est voluntaria, quia
to pot, uod veluateti contraria.
Aliò modo dioltar altquid volantarium
voluntaria propi
dam. Et aio aligua pona poteat esso vo
tuntaria ino medo, quia per
1
dn aattefactiono; vel etiam
Jet cam non os, alont vesidle fa martr-
rio: allo mote, quia quameis per peenam
nullum bonom nobis acorescat, tamen
sive porn nd bonmm perveniro non po»
pu
con quell'ardore con eni vuole Ja beati
dino; solo quando sentosi perfettamente
rimonda, non può più volerlo, non può
pur sentirio, perclò è già beata in Co:
Jalal quali perfattamente congiunta
Cfr. 2'erez, Sette Corehi, 60.
dà, cix è 11 qual talento, la velontà con»
dizionata. - cosmRA VOOLIA: centra la
ginmizia, quando fa
lontà semplice vuole il vizio, gli pone
l'incontro la volontà respettira, così
quanto vuole innanzi al tatupo usele dal
Purgatorio, gli oppone la medealima vo
68. CINQUICENTO | Stanio, morto vero
l'anno 06 dell'èra volgare, pasmò dodiel
secoli nol Purgaterio: cinque o più nel
cerchio degli arari, quattro o più tu quello
degli accidiosi. Purg. XXIL, 02 ag.1 Il
rimamonta nell'Antipurgatoria o nel tre
primi corchi
00.
TE. cu TOSTO ese.i Îl qual Signora
voglia presto Unviarli al cialo.
TR, xR Disse: Al. cut 1
DE 6001 © perchè dal sapere acquistato
l'uomo ni rallegra tanto maggiormenta,
quanto più intenso era ll sno deserte
di sapero, nom saprel osprimero quanta
aoddiataziono egli mi diede; ofr, Lung.
xy, 42.
Vi Î6-162, ta di Starto, Dopo avere
ringraziato Stazio do' mol insegnamenti.
Virgilio lo proga di mamifontarglisi.
580 [amoxe quisto] Puro, xx1. 76-89 [virA E OPERE DI
Lu) E il savio duca: « Omai veggio la rete
Che qui vi piglia, e come si scalappia,
Per che ci trema, e di che congaudete.
Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia,
È porchè tanti secoli ginciuto
Qui sei, nello parolo tue mi cappia. »
« Nel tempo che il buon Tito, con l’aiuto
Del Sommo Rege, vendicò le fora,
Ond'usci il Sangue per Giuda venduto,
Col nome che più dura e più onora
Era io di là » rispose quello spirto,
« Famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fn dolce mio vocale spirto,
Che, Tolosano, a sò mi trasse Roma,
Stazio rinpondo : « AI tempo di Veapasia-
Mo fmperatore (69.79 -d. ©), oro già fa
moso posta,ma non ancora cristiano Par
Ma fuma di poeta ful chiamato da Tolona
& Roma, e lv tenato degno di mirto. MI
ohilami Stazio. Cantal di Tebe e di Achil-
le, ma morîl prima di aver terminato
l'AehQteide. Le mio ispirazioni poetiche
le dero osdiusivamento all'Aneide, Sarel
contento di ataro nel Purgatorio nn no»
eleca 00 di C.) figlio di un gramma:
poeta omonimo, fa napoletano, como ri:
mita da parecchi passi dello nuo Selee. Col
suol osatemporanel, ia un #scolo fn oni
le Satee erano sconoseiute, Dante lo con-
fata col retore tolosano Lucio Stario Ur-
solo. Staio, uno del principali posti
quali; la Tedalde, porma epico In de-
canti, è l'AeMiletde, poema opico ri
tasto Incomplato.
76. La RETE: la volontà relativa, 0 c0n-
dlzlonata,
TINI FILA: vi coglio e tieno
gaterio, — at acatartta » ai spre fl calmp-
i, ai anoda. + Expandit rete padibna
mole, convertit ne retrorsam »; Loment.
uses) Fatondara rete oeam
tar ln sagona nia »:
RA. IT, 1a, è off: NXXEL, A Osa
VIL 19.
TA ran cnk: per qual moilro i monte
tremi, è di che vol vi rallogriato tatti
cantando Il Gloria in rncelnie Deo.
- ME CAPITA ala por sia ssa
ner comenuto. Pinclati ho io sappia chi
ta fosti nel mando, e che dalle tne pa-
role io rilevi pore per qual motire nel
giacioto qui tanto tipo,
83. vispicò: distenggondo Gerussiom:
mo, l'anno 70 dell'èra volgare. = roma 1
4 (ri dello mani, dal piu del ostato
di Cristo, por i quali suol it sangue
duto da Ginda Sl traditore; etr. “afate
ui
00 ed il mio nome di porta atei fumoso,
che, cesano lo di Tales (I Nes
Roma. Veramente Stazio fu Napoletano,
ud nl topi di Dante, sem (A Ren
Te
Tomtoxe quisTo)
Puxo, xx1, 90-104 ([1msaR, Di DANTE} 561
Dove mortai lo tempio ornar di mirto.
Stazio la gente ancor di là mi noma:
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
Ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio ardor fur seme le faville,
Che mi scaldar, della divina fiamma
Onde sono allumati più di mille;
Dell'Enaida dico, la qual mamma
Fammi, e fammi nutrice poetando:
Senz' essa non fermai peso di dramma.
E per esser vivuto di là quando
Visso Virgilio, aasentirei un sole
Più che non deggio al mio uscir di bando. »
Sii
Volser Virgilio a me queste parole
Con viso che, tacendo, dicea: « Taci!»
zia Urualo, retere doi bezopi di Nerone.
Gir; Mecseni, Difwa I, 087. Oronam,
Purg, p. 351. Com. Lipe, È
DO, Misarate moritat. La storia
‘nosco l'incoronazione di Stazio como poe-
RathA qui i dico che ft incoronato, ma
solanto che meritò di caserio.
DA. CADDI eco.: morti, mentre attendo.
Vo lia eeepinizone dell'AchiTalt.
ST
madre, ln quanto muscitò im me
l'amore della presto, nutrice, in Torre
mi edueò lol
foci du nleano. «at
idr 008 Juno,
RINO vicine osi pl
10) Clara 60 novi venti e oocita
dl Stazio.
ROL AI Ara
ia RON na posa rana oro
Vite, quam ut salma ni fratro4 #008 non
#0, — Div, Comm, 3A ediz.
pervanirel, ocatasi quadum charitatis ot
impotenti desiderio bani communia fnel-
De dignt.et tig.
Sekent. VIT, 1. Cfr. Com. Lipe, 11, 407
7 bal,
Dante non fiase ortadasso.
102. naxpo: dal Parmiiao,
Il presento, Dante, che fo ha compresa
aqnai bano, nen può tuttavia repelmene
unsorriso; Stazio, accortusene, tato» pol,
fissando în viso Il Posta, gîl ehlodo fl mò
tivo di quel sorriso. Dante è lmbaramzato,
non aapondo che 6 como rispondere 1 chè i
sottecfugi a Je buglo pon iaano angel
Purgatorio. Ma Virgilio lo toglie d' imiba-
raczo, permettendogli di divo la verttà,
@ Dante allora dico a Stazio cho qual Vir-
gilio è per l'appunto la sun guida & cla
nasa del eo sorriso seno Mate Je pa
role entualaetiche di Staxfo per fî porta
latino, presento ma da iui nom cmaselata,
103. vola: fosero veligore.
Questi parla di Tal con tanto encamlo,
362 [oroxe quinto] Posa. xx1 105-122 (1mAnAZZO DI DANTE]
Ma non può tutto la virtà che vuole;
Chè riso e pianto son tanto sogunoi
Alla passion da che ciascun si spicca,
Che men seguon voler nei più veraci.
To pur sorrisi, come l’uom ch'ammicca;
Per che l'ombra sì tacque, e riguardommi
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca;
E «Se tanto lavoro in bene assommi, »
Disse, « perchè la faccia tua testeso
Un Jampeggiar di riso dimostrommi ? »
Or son io d'una parte e d'altra preso;
L'una mi fa tacer, l’altra scongiura
Ch'io dica; ond’io sospiro, e sono inteso
Dal mio maestro, è « Non aver paura »
Mi disse, « di parlar; ma parla e digli
Quel ch ei domanda con cotanta cura. »
sn Ond'io: « Forse che tu ti maravigli,
Antico spirto, dol rider ch'io fei;
105, LA FIRTÙ ONE vuOLk: la volontà,
po
dit ab appetito conoupiscibili, st plan:
cus, qui movetar per îafuriam, procedit
abirnaclbili; et ambo isti appetiton sunt
da poleutin senaltiva, et alter sequitar
alterum. Rt appetituk tntelleotivae qui.
est volantas, et per quem rogulutur
petitonsensitiva», n0n semper est po
Aupra sonaitivum, quia non wnmper Ira
scibile at pinna obendit
107. ni aricca : deriva; (riso dall'alle-
griò, ll piauto dalla tristeeza.
108, cita xoot oce.; riso è plavto pale-
anto pi affetti interni. Più l' uumo è ve:
Tuco, © meno egli rm nascondere 0 dis-
frenare © regolare con
volontà, Il riso e lì pianto, pirata
riescono n far elò $ meno vernel, manalime
so banno giù fatto l'abito "I etiara.
109, rux: ad onta dol divioto di Vir.
più d'ogui altra parte del velto
l'impronta dell'animo; tr, Cone. THB
112. x « sat: com penaa tu finire babe
tanta fatica, quanta è la tua; di pers
reco col mortal | rognl
= mortai ero E I
. Anticamente anche fn piena,
1Î4 UN LAMPENGIAR UE RISO: un sot
rivo breve como 1] carrusenr del lampo.
115. OK Kox eco.: eccomi ora pento tra
l'uscio © Il muro! Da una parte Ping
to m' impono il allenzio, dall'altra Stazio
mi acongiura di parlare.
117. sosimno: nea sapeodo a che risl-
vermi; parlare | tacere? dire una bagla ?
dieokibedire Vingtiot en:
vete. CON COTANTA CURA! ©OIDI Mp-
Ma più
d’ammirazion vo' che ti pigli.
Questi, cho guida in alto gli occhi miei,
È quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forza a cantar degli uomini e de’ Dei.
Se cagione altra al mio rider eredesti,
Lasciala per non vera esser, e credi
Quello parole che di Ini dicesti. »
Già si chinava ad abbracciar li piodi
Al mio dottor; ma e'gli disse: « Frate,
Non far; chè tu se' ombra, ed ombra vedi.»
Ed si sorgendo: « Or puoi la quantitato
Comprender dell’amor ch'a to mi scalda,
Quando diamento nostra vanitate,
Trattando l’ombre come cosa salda. »
123. MA PIÙ sec: ma restera! ban più
verno la cima del
‘elelo; ma Davto sù
Pino Viegile non Jo avrubbe gui-
nino alla citan del monta sere.
ein
Cfr. Com, Zipe. IT, 410
Tir, ata» diversa da quella ho ora
Di ho detta. Bo stritalati e diversa co
ato reo; lasciala perciò non è
66 agg. Yingilio lo esorta a lasciare tali
dimeatrazioni di affetto, ricordandogii
che ambeduo imbro vano fude cha
nell'aspetto »; rg. XX, 79 agg. (ine
irgilio al abbracelano,
VII, 15). Stazio al alt,
Purg. VI
dicndo a Virgilio: « Vedi quanto grumié
è l'amore cho per to m° infiaroma è Lo d-
mantico pereino che siamo ombro vana
cd Impalpabili, 0 tratto Je ombre coma
cGrpi solidi.
131, xeA R' GL: Ali MA ata
152. OX YAN: « Et csehdi ante podor
olus, ut adorarem cum, Et diedt mb}:
Vido ne fearia Xi -
ama: «quasi diont: oterque nostrum
cat anlma separata intargibilia, (ntemal-
hille +) Bone,
138. KD xa sumaRsDO | e Stazko, leva:
doni fn piedi, dime. — La quanerrATEi
termine scolaatico = la grasdema, l'in
tonalità.
13. A TEMI NCALDA : tn acconde vor
no dite
135, DmbOErTO 1 dimentico, mi sconta.
Dal verbo dirmentare tecmtrazio di am
mentore, Or. Purg. XIV, 20) mata Wi Da
altre crem cha qpinto:= | VANITATRI
‘fr, 2af. VI, 90, Purg. 3T, 79.
Pure. xX11. 1-6 [ANGELO DELLA GIUSTIZIA]
‘ANTO VENTESIMOSECONDO
SALITA AL GIRONE SESTO
PECCATO E CONVERSIONE DI STAZIO
PERSONAGGI ILLUSTRI NEL LIMBO
GIRONE SESTO : GOLA
tire fame 6 sete, avendo innanzi agli occhi cibo e bevanda)
ALBERO MISTICO, MPI DI TEMPERANZA
Kià era l’angel retro a noi rimaso,
L’angel che n’avea vòlti al sesto g
Avendomi dal viso un colpo raso;
866 (sALTA] Poro. xxn, 26-40 Lezooaro DI svAstO)
Un poco a riso pria; poscia rispose:
< Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno.
Veramente più volte appaion cosè,
Che dAnno a dubitar falsa matera
Per le vere ragion che sono ascose.
La tua domanda tuo creder m'avvera
Esser ch'io fossi avaro în l'altra vita,
Forse per quella cerchia dov'io era:
Or sappi ch'avarizia fu partita
Troppo da me, e questa diamisura
Migliaia di lunari hanno punita.
E so non fosse ch'io drizzai mia cura,
Quand'io intesi là dove tu esclame,
Crucciato quasi all’umana natura:
Cu * Per che non reggi tu, 0 suora fame
28, ux e000: nel modo che al conviene
alnario, « Vir sapiona vix tacita ridobit»;
Beelet. XXT,23.= «SÌ conviene all'uomo,
a dinsoatrani la aaa anima noll'allogres:
2» moderata, moderatamente ridere con
prodigalità, Stazio racconta como debba
* Virgillo deasorsene pentito, Cià che
lo fece rientrare in sò e ravvoderai, fa
la sentenza: A QST dani RR ET
corì, Auri sora famest» Virp., Amm.
ma'onoata serorità e con poco movimento
dello sue membra»; Cone. IU, $.
Î. OaxI TUO eco.1 ogni ina parula mi
sogno dell'amore cha mi porti.
23. VENAMENTE 600,1 spesso volte appa
riscono coso che cl fanno senza ragione
dobiiaro, perchè non no conosciamo le
canse vere.
220, MATA: materia, argomento. Ma-
tera, como Purg. XVIIT, 97, anticamente
amehe în prosa | efr. Nasmueei, Nomi,
2 ag
ÙL Mavra: InÌ prova osero tun
, tan opinione, che nel mondo
io feaai avaro.
29. role: la tua opinione che lo fonsì
fivuro derira forse dall'overmi trovato
mel cecobio degli avari 0 IInll'avoro udito
she vi sono già stato por più i cinque
micoll; efr. Purp. XXI, 07 ag.
94 ranterA: divisa, lontana da mo.
25 MOrFO 1 alno all'altro stremo, aloò
alta prodigalità. - MIOORURA: cocco |
tc Fay, VII, 42. « Virtos sot medinm
vitto #4 utringue redactuma ») Horat.,
Bpiat. 1, xvi, D
DI MIGLAALA :
i
dove tu, quasi sdegnato contro
ruziono dell'amana natera, csolami, —
Puro. xxt1. 41-54 [PxxTDM. DI STAZIO] b67
Dell’oro, l'appetito de' mortali?*
Voltando sentirei le giostre grame.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
Potean le mani a spondero, e pente mi
Così di quol, como degli altri mali.
Quanti risurgeran coi crini scemi
Per ignoranza, che di questa pecca
Toglie il pentér vivendo e negli estremi!
È sappi che la colpa che rimbecca
Per dritta opposizione alcun peccato,
Con esso insieme qui suo verde secca:
Però, s'io son fra quella gente stato
Che piange l'avarizia, per purgarmi,
Per lo contrario suo m'è incontrato.»
2080; Dall'or0.... I" 1 cioè la vo
lontà dagli nominif» .8econdo questa
lnterprotazione Danto avrebbe dato alle
parole di Virgilio an sensoche pon hanno.
=9% Dite non Intese Virgilio, ma «forse
lnganmato da quell'opiteto s0er9, intese a
traverso tatta la sontenza, prendono il
anora famer por una virtù, di eni fosse
ofizio il regolare l'appetito dello rio-
cliente »; Bulgarint, Amp?re, Vent., To-
eco. Danta non ara corto tanto iguo-
Tom,
Questa interpretazione narvbbe tanto
lo, inquanto secondo 4 rietot.,
Be. TV, 3, così l'avaro como fl prodigo
hanno escoranda famo dell'oro. Ma c'è
Pfnizonei
RIUR:
s
della ragiono, è eolpavole. « ue
negligit habere vel Moeeta seta rosati
hnboro rel fusero, pescat peccato omie-
aionîa. Undo propter neglizentism igno-
rantia eorum quas aliquis molte towetur,
cet paccatum ; non autor imputatur ho-
mini sd negligeni nenciat em qui
solre non potest. va
Iavinelbilia dicitur, quia studio nuperari
noD potest. Et propter hoo talia (ghoran=
tia, com non sit volantaria, co quod non
catia potestate nostra cani ropellere, non
ost peccatam,. Rx quo patet qeod nulla
Ignoranti invincibilia eat pecsatumi ;
Ignoraatia antera vincibilia est peocattm
liquia sotre
I, m 76, 2.
49, niMARCCA | è dirottamento opposta.
t1. Cox raso: nello atesso Inoge @ mo-
do, dove e c0me è punito Îì peccato diret:
tamonte opposto, — auto VERI BROGA
568 [sALtrA] $
< Or quando tn cantasti lo crude armi
Della doppia tristizia di Toonsta, »
Disse il cantor de’ bucolici carmi,
« Por quello che Olid teco Il tasta,
Non par che ti facesse ancor fedele
La fè, senza la qual bon far non basta.
Se così è, qual sole o quai candele
Ti stenebraron sl, che tu drizzasti
Puro. xt. 55-87 [CONVERSIONE DI STAZIO]
Poscin diretro al pescator le vele?»
Ed ogli a lui: «Tu prima m'inviasti
Verso Parnaso a ber nollé suo grotte,
E poi, appresso Dio, m'alluminasti.
PRESTA avete, quenii Do-
rulaiano ll
pereaguli
rà termisata la Pubaide, ebbi battesimo.
Sà non che per paura ful cristiano 00-
culto a mi fina pagano, la qual tinpiderza
dovetti scontare correndo per altre quat-
trosento anni laggiù nel girone dogli se-
«filo. » LÌ bastenimo ed il oristianosimo
di Stazio sono una Suzione poetica alla
‘quale Dante potè essere indotto dall'op:
portunità di Stazio cristiano per far con
eno vedere * il transito di un giusto
trarero il regno della pena ', cosa at
tane nello visioni medievali dell'ottro-
tomba, di Stario, stato ammiratore fer-
vente e imitatore di Virgilio e carlasimo
al nostre Poeta; montre stimoli e ragioni
per far cristiano le serittere latino Dante
Ii potà trovare sà in racconti leggenda
til, sì hm certi passi Febaide, nei
quali sombra aleggiaro lo spirito del
Liri ft. D'Ovidlo, NR Purpa-
15, CANTANTI: nella Tubaide.-LM cav:
DR ASSI: la guerra fratricida.
TA. DOPFTA TRIRTIRIA è de due figli di
Giocssta, Eteocle e Politica: ofr. 1)
XXVI, $4.-Tocasta: figlinola di Crtom-
se re Eri moglio di Lalo, madre è
Rol moglie di Edipo, al quale partori
Xieocie e Polinios, Antigono ed Tameno.
ST, CANTON Da' aUcoLIEI CANI: Vir:
autore della Bueolica; « fn com-
pei orrori delle Febolite; 0 20°
villa
Rogno; varfetà che è sogno inaborme di
Facesti come quei che va di notte,
mante la quarta Ègloga, di pal pole na]
| Fors anco egli ha în
18, Chrò: la Mnaa della Storia, invo
ana.
Inf, KY, 3A ag. « Sino fide rmpesatbile
016 piscora Deo »; Fbref XI, &
Gi. x così eoe.ì e e
la Tedbaide tn erì ancora pagano,
me sprone
85. rracatoR: afr. Matt. 17,19. Morso
| Luea V, 10. Por. XVIII, 186,
83, Paxxarò; monto della orlo, se
cre ad Apollo ed nile Muse. = GRoTtRI
a Dio »; oppure, è moglie, depo
che è la osuss di tutte lo cause, Stazio
riconosco in Virgilio it mo macatro nella
possa, ©, dopo Dio, anche nella fslo.
OT. QUEI: 1 nervo ché,
Puro. xx11, 68-B4 [00ONVEBS. DI STAZIO]
Che porta il lume retro e sè non giova,
Ma dopo sè fa le persone dotte,
Quando dicesti : ‘ 600] si rinnova;
Torna giustizia è primo tempo umano,
E progenie discende dal ciol nuova, ”
Por te poeta fui, per te cristiano!
Ma, perchè veggi me’ ciò ch'io disegno,
A colorare stenderò la mano.
Già era il mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza, seminata
Per li messaggi dell'eterno regno;
Pla parola tua sopra toconta
Sì consonnva ai nuovi predicanti;
Ond'io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi,
Che, quando Domizian li perseguette,
Senza mio lagrimar non far lor pianti;
Il padrone, procedo portando la Te. vagano: ripiano; già la fede or
dietro, onde egli cammina ne) stima era diffusa per fatto Îl mando.
n TR. LI MISRAGOI DILL'KTERSO RINO:
gli Apontoli di Cristo, messaggeri del
regno del cieli.
TO. LA FANOLA e00.: il passo riferito
dolla quarta Egloga era conforme allo
3 prodioszioni dagli Apostoli ed Ri
|. 1817, 1, 120, lati è degli altri discegoti di Cristo,
® dilotro sè, Usa qui dopo -=——FL EMATA: nestisA
perchè Virgilio Uomind 82. voce: quanto più ll pratica,
ROTTE: ncorto, latralto del — otanto pih esnta i parveta vita dsin0o:
vi prodicanti. GIA ! SS. Padri, come Glm
atino
Martire, Atenngora, Origeno, avo...
addomero la santità di vita dei eriatiani
Recanati are
i e
11, Minne. Pel, 0. 31, 37,38. Orig, Conte,
Sl
eristiana, del Verbo divino in-
e Pe tere e alla
TA] Puna. xx11. 85-101 [ANIME ILL. DEL LIMBO]
mentre che di là per me si stette,
Io Ji sovvenni, e lor dritti costumi
Fir dispregiare a me tutte altre sette.
i pria ch'io conducessi i Greci ai fiumi
Di Tobe, poetando, ebb'io battesmo;
Ma, por paura, chiuso cristian fu’mi,
lungamente mostrando paganesmo;
E questa tiopidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fo’ più ch' al quarto centesn
n dunquo, che lovato hai il coperchio
Cho m'ascondova quanto bene io dico,
Mentre cho dol saliro avem soverchio,
Dimmi dov'è Terenzio nostro antico,
Cecilio, Plauto è Varro, se lo sai:
Dimmi ne son dannati, ed in qual vico. »
Costoro e Persio ed io e altri assai »
Risposo il duca mio, « siam con quel Greco
(svetta apostolico : « Flete poeta comico latino (nato a Cartagine
ne) Rom. XIT, 16. l'anno 192 a, C., morto verso il 159 a. C..),
|: 000.1 tutto il rimanente del quale ci restano sei commedie. Per
o 10 vinni nol suonde più umpie notizie dei personaggi qui enu
ALTRE AKTTR) tate lo altro merati ofr. Com, Lipe. II, 4:
he. TICO: così i più; AL
Ont,, 410 ag.
Che le Muse lattàr più ch'altro mai,
Nol primo cinghio del carcere cieco:
Spesso fiato ragioniam del monte
Euripide v'è nosco ed Antifonte,
Simonide, Agatone ed altri piùe
Greci, che già di lauro ornar la fronte.
Quivi si veggion delle genti tue
Antigone, Deifile ed Argia,
Ed Ismenò sì trista como fue.
Vedesi quella che mostrò Langia;
Evvi la figlia di Tiresia e Teti
Jos. curenro: cerehlo; ofr. Inf. XVIII,
# XIV, 78 - carcRRE cIRCO : ofr. Inf.
X, 58 sg. Anche Il Limbo è detto car-
sere, 1 TIE, 19, come 1' Inferno,
Aposal. XX. 7.
104, mostR; Parnaso, v. 65.
105. cune amurez na: AL: c'ma sr
psi Ale S' MA LE SUTKICI MOST SEM-
PRR ERCO, > NUTRICI | Jo Muno, notrici del
ponti (e. 108), hanno loro dimora sul Par-
gaso.
106, RumtrIDE: colobre poota tragico
da Salamina, n. 480, m. 400 a. C.,
muala ai hanno diciannove tragesite,=
Aurrirosta» tragico greco, ucciso da Die
mnlelo (1 Miranno. Altri leggono Asacuros-
TE, celebra poeta litio greco, m, verso Il
ATE a. ©. in otà di 83 anni.
107. Sntoxmibs: celebre poota lirico gre-
pi
gglvi, moglia di Tidoo (ett. Faf. XXXII,
190)@ madre di Diomede. = Anola 1 no»
rolla di Dello © sposa di Poltnice, Ad
usa appartenora « lo sventurato ador
namento » Purg. XII, 51.
111. Locer: figlia di Ralpo e di Gio-
casta, acrella di Antigono. = TRISTA | par
te gravi sventare che colsero lei è la atua.
famiglia, Vido morire tatti | suol some
gioni ed Il fidanzato Cirreo, e fu da
Creonte condannata a morte inaleme com
Aptigono.
112. quasia soci Taldià, confe, Jafi
XVIII 02, cho mostrò ni sette oro eho
guerreggiarono contro Tebe,il fonto Lett
gia prosso Nememi e@r. Purg. XXVI,
05 sgre
113. eve: nol carcere cieco, v. 108, =
ta mioLIA: Manto, fa; XX, 99, Alte,
tiforemdo evi al primo cinghio, vogliono
cleai parli qui di Dafne 0 di Istorisdo,
altre figlio di Tiresia; ma di questo altro
figlio di Tiroaia Dante non snpera certo
nulla; altrimenti non avrebbe dette
figila sensa più, e la sola Manto è men-
sonata ripetute volte da Stato no' sol
Llnen! ‘posto. op
Limbo, ma mella belgia degl'indovint: di-
ienticanza atruna, benchò non impenna
bla. Cfr, per tatto elò Omm. Tdpe, IL
#81 ag. Dicono
372 {ormone sesto] Pure. xt. 114-129 [ARRIVO AL 6° GIRONE]
E con le suore sue Deidamia. »
Tacovansi ambedue già li posti,
Di nuovo attenti a riguardare intorno,
Liberi dal saliro e dai pareti;
È già le quattro ancolle eran del giorno
Rimase addietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pure in su l'ardente corno;
Quando il mio duca: < To credo ch'allo estremo
Le destre spallo volger ci convegna,
Girando il monte come far solemo, »
Così l'usanza fa lì nostra insegna;
E prendemmo la via con men sospetto
Per l’assentir di quell'anima degna.
Elli givan dinanzi, ed io soletto
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni,
Ch'a postar mi davano intelletto.
Mia. avona: sorelle, - Darpawta: figlia
(tì Licomede re di Sciro, amante di Achil
1oz ate. DV; XXVI, 02. Tot, Deldamia e
personaggi cantati
PROAI Mò AVIV I eno dalia Sl,
@ sl trorano nel cerchio sato. L'espo.
tenza Da insegnato & Virgilio che se-
Jondo sù per la montagna del Pargatorio
convian tenore sempre n dostra e polchè
Stazio acconsente tacendo, ranno tutti e
tre in talo direzione. Stasto è Virgilio
camminano vanti, discorrendo ineleme ;
Dante va distro ad om, ascoltando si
lenziono 1 loro ragionamenti.
ILT. DAL SALELE: ensendi
sotmmità dolla scalo. — pat
aponido della reccla în cui la acala era
marzia.
118. axceLLE: ore, eft. Purp. XII, 81.
Ia rear pedivò ire del giorno (8 an
Um.) nrerano Il loro servizio, ed
eran mono eee ta.
122. &oLAMO1 sogliamo; come abbiamo
fntto aln qui.
136 rusmanca: guldmy ctr. Purg.LIT, 162.
125, x PRENDRMMO 006.1 0 ci mettermmo
giunti sulla.
uri + delle
in via con minor esitanza chenow alirore,
perchè Stazio, cui Il coltate istinto de-
127. xUUI: aglino, Virgilio © Stazio.
128. DIKiTIO: questo tenor dietro al
è bolla, spo
to» lo arerano fatto «della loro nehiera»,
Inf. IV, 94-102, Aosusto alla modestia
non manca però lì sentimento del pro-
prio valore. Dante ha la coscienza di e»
yitot rominavit dicta Virgilli et Statil,
rulta didicit postare ab niroque eo-
ram; Keo nom Lagratun reddit ba delie
un'acqua limpida che si sparge an per la
dell' albero. E quando Vingiltio
itazio al avvicinano, al edo per antro le
frondi una voce che grida: «DI questo
cibo avrete penuria ». I'iù ln là srorerno=
no un altro albero conalmile, del quale al
dirà che deriva da quello della conoscenza
NE SESTO] = Pure. xxit. 143-154 [ESEMPI DI TEMPER.]
le Romane antiche, per lor bere,
Contente furon d’acqua; e Daniello
Dispregiò cibo ed acquistò sapere.
0 secol primo, che quant’ èr fu bello,
Fe’ savorose con fame le ghiande,
E nèttare con sete ogni ruscelli
èle e locuste faron le vivande
Che nudriro il Batista nel diserto;
Per ch'egli è glorioso e tanto grande,
uanto per l’ Evangelio v'è aperto. »
lix: nei tempi della repub- —1153. GRANDE: « Non surrexit inter na-
vano dal vino; « secundum —tos mullerum maior Toanne Baptista
|. 1, 8 mulieres apud Roma- Matt. XI, 11. « Maior inter natos mn-
4 non bibebant vinum »; lierum propheta Ioanne Baptista nemo
Sum. theot, IL, n . ost»; Zuo, VII, 28,
le vivande della tavol 154. v'è APERTO: vi è fatto manifosto.
nin, Nabucodonosor, con- «I semplici frutti © ruscelli, onde si
legami e d'acqua; efr. Dan. ailetta il secolo d'oro, e il male e le
locuste onde nel deserto si nutre il Bat.
1. PRIMO: l'atà dell'oro; tiata, ravvicinano e raggiungono età lon-
et, 1, 89-112. Virg., Aen. tanissimo: l'età della primitiva inno
V. XIV, 06. Tasso, Aminta, cenza, a cui anco non era guasto l'ap-
Guarini, Pastor fido, A. petito dell''avvelonata natura, © l'età
santa generazione che lo virtà
losk: saporite; afr. Ovid., tive riconquista a avanza con più
00. che umana signoria sopra l’ appetito fal-
Re: la bovanda Ince. ni liberi amatori
0, 111-112. dolla va no di Firenze, Gio.
Pure. xx1n. 1-10 [PENA DEI coLosi] S75
CANTO VENTESIMOTERZO
GIRONE SESTO: GOLA
L'ASPETTO DEI GOLOSI, FORESE DONATI, NELLA
RIMPROVERO ALLE DONNE FIORENTINE
Mentre che gli occhi per la fronda verde
Ficcava io così, come far suole
Chi retro agli uccellin sua vita perde,
Lo più che padre mi dicen: « Figliuole,
Vienne oramni, chè il tempo che c'è imposto,
Più utilmente compartir si vnole. »
To volsi il viso, 6 il passo non men tosto,
Ap, ni savi, cho parlavan sie,
Che l'andar mi facean di nullo costa.
Ed ecco piangere e cantar s'udie
4, PIÙ cin raDnst: altrove chiama Vle
gilio sovento padre 0 deter padre: qui,
per maggior affetto, a proposito dell’'aum»
monialone di non perder tempo, pid ehe
5. imposto; assegnato por vialtare Il
Pargatorio,
R. savir Virgilio ® Staaio, — nie al,
Cantano così; «sì bone 0 di conì belle cose»; Dan,
lo labbra; © la mia boca ®. cus L'axpan sce, : Il loro partaro
tua lode» (Sales. L, 17), faceva sì cho io non sentiva ln gravenza
della via, « Comes faeandue in via pro
vehicalo ast » dico Publio Siro, + Io vi
porterò, gran parto dalla via cha ad ale
dare abbiamo, a cavallo, con nna delle
bello novello del mando »; Brer., Dre,
VI, L
10, #' ente: a’ dl. « Piangerano por
nt vero pentimonto del peo-
[erroxe sesto] -— Pure. xxm. 11-25 [PENA DEI GOLOSI]
« Labia mea, Domine » per Dio)
Tal, che diletto 8 doglia
«0 dolce padre, che è quel ch'i lodo?»
Comincia’ io; ed egli: « Ombre che vanno
Forso di lor Rover solvendo il nodo. »
Sì come i perogrin pensosi fanno,
Giugnendo per cammin gente non nota,
Che si volgono ad essa e non ristanno;
Così diretro a noi, più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci ammirava
D'anime turba tacita 0 dovota.
Negli occhi era ciascuna oscnra e cava,
Pallida nolla faccia, e tanto scema,
Che dall’ossa la pelle s'informava.
» Non credo che così a buccia estrema
qui desiderano soltanto fl cibo spiritante
nel mondo lo loro labbra furono agerte
agli abbistti piaceri del guato od all'offeaa
di Dio, qui atanno chiuse a cibo od a be-
wanda, nò at aprono che alle lodi di Dio.
11, Lanta: «Domino, labla men npo-
rioa: et 08 moum nnnunoladit laudem
tnam »; Prot. L, 17,
12. rantunit: partorì, produsse, IL
canto è la divozione ganeravano diletto,
{l pianto doglia, scoltondo a profonda
compassione.
18. cum È oec.: non vedova ancora nes-
auno, nè sapora ancora che fossero le
anime purganti che piangevano e can-
jcho Virgilio non è : none
allenzio a gravità d'atti è bella roddint
zione a un vizio, ondo precede tanta ad
bendanza di parole 0 datti ran, e tanto
icomaal Ml decoro al pumo 0 a tatta la
persona »; Peres.
17, GFVaXEXDO: quando per via rag:
Rgiangono geuto sconoseluta. Lo animo
andavano dunque nella medesima diro-
zione, cioè n destra, como | tro Poeti,
19, MOTA: das più vedecemente, cam»
ininaailo con passo più coloro del nostro.
21: racrra» «pareho contrudica è quel
chela dolo di nipea dba do pie
cantare; ma il Poeta vool
che suol far chi lodi
mino, che lasela ogni altra cara, a sola»
mento attendo n trar da quelli la inten»
aiono, © buona 0 ra vj Vell., Diam, Prg,
Tom., ecc. Le animo cantavano e piango
ano * solamente quando nell' aggira
pel halzo pervenivano al misterioai Al-
i, Easendo adunque tra Poeti paasati
oltre Il divisato aldoro, ma non di
poterono porclò mentire olò che Ivi Me ti
trovegnenti animo ai dictasaro, e Lod,
Costa, 84. Pad., Ot, Br. Bi
+ Amdr., ecc, Questa seconda intar-
pretazione è confortata dai pas
x
pi
Job XIX, 20,=< A reco gomitas niet
Muoait ca menm carni men »s Pal:
Ù
578 [amoNE sESTO]
‘Pure. xxitr. 88-58
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza e di lor trista aquama;
Ed ecco del profondo della testa
Volse a mo gli occhi un'ombra, e guardò fiso;
Poi gridò forte: « Qual grazia m'è questa?»
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
Ma nella voce sua mi fu palese
Ciò che l'aspetto in sò avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la faccia di Forese.
« Deh, non contendere all’asciutta scabbia
Che mi scolora » pregava, « la pelle,
Nè a difetto di carne ch'io abbia!
Ma dimmi il ver di to, 6 chi son quelle
Duo anime che là ti fanno scorta:
Non rimaner che tu non mi favellel»
« La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
Mi dà di pianger mo non minor doglia, »
glia, qual cos lo smagrasse tanto; efr.
Perg. XXV, 20 ng.
90. squara: pelle Inaridita.
0. OL PROPOXDO BELLA TEATA: of.
vi 22. Dipioge con tereSbilo evidenza gii
desi atfosati, co' quali quell' anima 10
ma ri,
#, questa: al rederti qui.
6. CosquIRO: chi splaga guasto, è chi
somipulatato, osservando che la eta
tem soco distrazione 0 ruina; n
Tipo, TI, 4Kt sg. Il senso è del resto
Iadubbio: Perla terribilo sua magrenan
num l'avrei mal riconcsciuto nil' aspetto,
ma lo ricomubbi al suono della voce.
44 raviia: la voce. Al: vavxiza. Il
nuiao della voso di quell'ambra fu come
che riaceese in mo la conoscon-
48 RAYvisaTi ratfigaral, riconobbi.
di. costenpana: non badare alla sola
aedlatta è seolorsta come ila scab-
Ti contendere per Por mente, Ba-
daro è simili si hanno altri esempi nogli
antlohbsotr, Cos. Lipe, II, 447, AI. prem-
dano contendere nel renzo di negare, nie
fare, spiognudo: Nen nognrmai Il vero di
te por motivo della nta pello «colorata ($,
=scansia: Foreso «fu nol rino mollomenb:
piono di grusolo »: Lam., AM,
Fior, "cea aba tape V'.untore came lì
goloni erano scabblosi ; imperò che como
Danno ben passiute lo corpo, por farlo
bon grasso è Inceicante, comi finge din
por lo dolore 0 per la contiene ars sla
porehò l'abutinenzia disoalore
ga lo corpo,
pelle, cioè la soablita mi fu pallida 0 meo:
Jarità lu pollo »; But.
52. IL vini: come 0 perobò tia tl trovi
qui, Poreso 0 lo altre antimo si mono già
accorti che Dante è ancor vivo, eee
rimalta ad evidenza dal vers 119-114
riterebbo per avventara fa
Rispos'io luî, « veggendola si torta.
Però mi di', per Dio, che sl vi sfoglia;
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio;
Chè mal può dir chi è pien d'altra voglia. »
Ed ogli a mo: « Dell'eterno consiglio
Cado virtà nell'acqua e nella pianta
Rimasa a dietro, ond’io si m'assottiglio.
Tutta esta gente che piangendo canta,
Per seguitar la gola oltra misura,
In fame e in sete qui si rifà santa.
Di bere 6 di mangiar n'accende cura
L'odor ch' osce del pomo e dello sprazzo
Che si distende su per la verdura.
E non pure una volta, questo spazzo
Girando, si rinfresca nostra pena...
Puro. xx. 57-71 [ronsse noxATI] 579
Ei
Como. Lipe: TI, 448 ag), vo lì seg: divino volere, che comi dispone; è tefaua
tarta del v. seguente non par- nell’acqua e mell' albero fa virtù che mi
troppo fortemente in furore della —dimagra a tal segno.
i
J
la cario
mon è ancora capace di par
0, luveco di rispondere alla
‘amico, ebiesle & Jul la ca-
aparentorole dimagramento
di queste cerchio. Forese glì
*inposta. Lo anime che vanno
per questo cioghio, ai fermano
ogni volta che giongemo
frutti 2 alla frosca vena,
possono arrivare nè con labbra
mano ai pomi 0 all' anqua; 0 dalla
© dalîn fragranza del pomi e dello
pira una segrota virtà olio sem-
accendo
E
$
Ia
srt}
|
ii
uti
Mrosiza : dimagra; prosa l'immma-
gine 0 dall'albero che perdendo le foglio
ni disscona, oppure dagli strati musco-
Tari © milpeal cho, come fogli in libro,
08. rimane: erano già pasti oltre,
— al' AMOTTIOLIO 1 dimagro,
questa. = PLANQINDO CANTA!
0 quando arriva presso l'amo degli alberi
siatorical, oppure Inosanaatamento, Ma
almeno Foroso, che nou è più premso ale
laibero ed all'acqua ehe cado dall'alta
rocoîa, non piange 6 non canta, nò di nn
piangere o cantare altrovo che presò gli
Alberi, Dante fa sonno,
85. TRR REOUITARI por aver signltato
vivendo. - OLTRA MisuRA : « Hot slim
pertinot ud gulam, quod alignis propter
somoupiscentiani cibi deleetatilia seleestar
saoeda mensoram fn odendo #; Dhew,
4%, Sum. tAeol. IT, t1, 148, 1,
00, 81 xiPÀ sasTA: sotfreado fame o
sete ni purga dal peccato dalla gotà.
07. coma: destderio, La fumo è îm mod
suscitata dal soave odore del frutti dial
l’albaro, la sete da quello dell'acqua che
casca giù dalla roccia e al npargo In apirwe-
ri sn per lo foglie dell'altero.
08. roato: ef, Inf. XVI, 63.
Spargo sa per
lo vendi foglie dell'albero; etr. Purg,
XXI, 186.
Tè. arAzzo: melo, Di XIV. 18
Horghind, Stud, pd. Mpli, WA,
TI, AT MUIFBICA | HA rimase, Lan ad
580 [erosz sesto]
Pure. xxm1, 72-79
hat.
To dico pena
e dovrei dir sollazzo;
Chè quella voglia all'arbore ci mona,
Che monò Cristo lieto a dire ‘ EN',
Quando ne liberò con la sua vena.»
Ed io a lui: « Forese, da quel di
Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqu'anni non son vòlti infino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
(girano senza requio, e quante volte case
arrivano eta l'albero, altrettante si
rinnova fl supplizio. Da questo verso al-
tini (Buti, Br. B., Frat., Andr., oc.)
inferirono, easervì in queste girono non
pur duo, ma più alberi consimili. Pò
vat; gna di duo noli Dante fa menzione.
79. AOLLAZIO : 10 anime purganti s0p-
portano lo loro pone non solo con calma
‘ con decoro, ma le desiderano 6 se ne
sompiacelono, cononcendone lo scopo ed
essendo lì loro volere già conforme al
volere di Dio, « Gioriamur in tribula-
Aloniban » ; Rem. V, 3. = « IUI, qui sunt
fn Purgatorio, scinnt se non posse per-
ventre 4d gloriam, nisi prius puninotar:
ergo volant puniti »; Thom. 47.,, Sw.
theol, ILL, Suppl. App. 2, 2. — « Non
credo che al possa trovare contentezza
da comparare a quella d'un' anima del
Purgatorio, cosetto quella do' santi nel
Tarsitino +; S. Cat. di Gen. Frati. dal
Purg, ©. 2
TR vOaLIA: di conformare nostra
alla volontà di Dio, Se la voglia mena la
anima ull'albero, il loro girare a soffrire
4 volontario 0 nosessario insieme : rolon-
danke, porchè volato ed amato dalle ani.
Mm; necamario, perchè volnte da Di
Ta. A pie *ELt'1 a soffrire la morto
della crocs © sentirai abbandonato di
Dio; efr. Matt. XXVII, 46. Marco XY,
dd Snten XXI, 2. ET algnilica: Dio mie.
Il Poeta rammenta il grido di Cristo
mella eroses + Ri, XII, lamma sabaotha-
mi; hoe cet i» mona, Deos mene, nt
quit dereligutati mel » ricontento con
nb i momento fl più doloreso e più tre-
mento lella passione del Salvatore.
0. CON LA UA VIDA: 001 sumgoe delle
nuò reno, mpargendo il sno sangro.
V. 70.93 Uma maglie e radova nin
tuiosa: Nella Donati. Vivendo ancora
Forrse, nella ricordata tenzone di ro-
metti, Daute così avera seritto anlla tri-
ata condizione futta alla moglio ma da
Foreso:
(CH disse toerle la mai Patata
Moglie di Ésicci, rocato Forese,
Potrebbe dir che 1a fonda vermata
Osa sì fa 1 cristaiio 1h quel pame.
Di mezio agosto la srori infredéata è
Or sappà che do' fur d'ogat altro mesa!
È nos la val perchè dorma calzata,
Mercé dal apparso! 9" Ra cortonena
La sone, Il freddo e l' nìtra mala veglia
Xen la addivien per umor ch'abbla veethi,
Ata per dielto chrelta nente ni abba
1a più dana Gogida,
sendo : « Lasa, che par Lehi pedali
Marna l'avre' in casa © conte Golele
Gome nel rimavento del colloquio cen
Forese, Dante deplora pentita il ano
contegno verse l'amico 0 parento, v.
sqm. così In questi vers egli ritentta
ciò che la tempi dol tutto diven avera
scritto di poco rigunedoro contro la pe
vera Nella, la quale è qui non sala re
preghiere « sorgenilo an di cor-ole la
ne», L'urp. 1V,124, (ramo wie
Ju cielo ed accorciasono a marito de
funto $1 tempe che avrebbe dovuto start
nell''Antiporgatorio, Intorno a Nellk
(Nella è aocorciamento di Giosanmella]
non mapplamo storicamente nulla, ed mm;
<ho | eomm. ant. non fanno chie
© paraftazare | veral di Dante, né, A
elele, 1317 hg
TE. vÒLTI: non sono ancora paaali
cinque anni dalla taa morte. Storicnmen=
te osatto, l'arese essendo merto il 28 la
gilo 1596 ed avendolo Dante, ocio la
fiurione poetica, trovato mel sento giri
ta primarora del 1300, MA pere mon
disse quattr'anmi ln reco di cimpu'ammtf
TO, ne rRIMa coo.1 se ladagiasti la per
ritenta a quando ori ormal
È peccare, cloò agli aetremi di bua vita.
4 E quoste coso na bena l'A; er
Pura. xxini. 80-94 [NgLLA DONATI] 581
i peccar più, che sorrenisse l'ora
Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,
Come se' to quassù venuto? Ancora
To ti oredea trovar laggiù di sotto,
Dove tempo per tempo si ristora. »
Ond'egli a me: « Si tosto m'ha condotto
A ber lo dolce nasenzio do’ martiri
La Nella mia! Con suo pianger dirotto,
Con suoi preghi devoti e con sospiri
Tratto m'ha della costa ove s’aspetta,
E liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più dilotta
La vedovella mia, che tanto amni,
Quanto in bone operare è più soletta;
vs
ognversazione continora ch'elli ave-
Fottso; od esso Autore fa
per cho nveva in 1ul
lo indisse alla confoa-
2 Dio anzi l'ultimo
i
poso»: fl dolore del penti.
cl ricongiunge con Dio.
Bi, ANCORA ecc.i lo credeva di tro.
aggià noll'Antipargatorio,
giò la penitenza sino agli
Ablendero tanto tempo
i of, Purg. IV, 150 agg.)
; Balle diverso lezioni e in-
‘di questo vareo ofr, Com.
Asa
La
Spiiiale
ui
si
“e
db’ Robi: Al: 50 att.
MI. A ninoso ET tea!
Go, tn md atenei Lara rep mal
acono lolcd, pervbò sali
gia cena fel Antipergatore, Ab:
Yad; oe da primi
Purgatorio,
Chò la Barbagia di Sardigua assai
d'itata, solenno ritrattazione del sonotti
contro Parere.
V. QU-111. 27 rovescio della meda=
glia: le donne fiorentina, Allo dell-
cato lodi dato a Nella, rogue ana tra:
menda invettiva contro lo ufucelnte done
ne fioreutino, più Impadiche detle donne
della afucciato a segno da @0-
atringer le autorità ud interdir loro certe
mode lascivo @ da attirare sopra loro
tremendo lo pantzloni del cielo. Sema
dabblo Dante obbe le sno buone raelest
di invelro così terribilmente ccatro losno
coneittadine ; ma è pure com certa, ehid
agli generalizza un po' troppo, e che Jo
«toune ferentine del 1300 non eno pot
tntto quanto corrotta wi ecossiona della
vedova di Forvse, Non è crediile ehe
questi verui vadano all'indirizzo di Gear
ma Donati, moglie di Dante, ta cui otà,
par tacere d'altro, nel tempo che Dante
dettava questi versi, aveva già
espresso
tuttavia rummontare, cho bon ò maneeto
chi affennasse senza prove, ché la mo-
glio di Dante fn « una dornacela fredia
di evere, avana, golosa © Immnurione »
(Neetti, Orar., 17).
di, Buuuota: ragiona alpestro della
Sardagna, del eul abitanti $. Gregnelo
(Rp, 111,34, 37) blvoa dire che ivernna
tuti come anbesali Iaacussti, e Mantanta
get... La qua dabitat gens atrestrisalna
tego, sino religione vera: qam dieltar
remamalsse Ibi, quando invala fuit rent
Tomowe sx870]
Puro. xxttr. 109-128 [conrssione] 588
1 Chè, se l'antiveder qui non m'inganna,
Prima fien triste che le guance impelî
Coluî che mo si consola con nanna.
Deb, frato; or fa’ che più non mi ti celi!
Vedi che non pur io, ma questa gento
Tutta rimira là dove il sol veli.»
Per ch'io a lui: «Se ti riduci a mente
Qual fosti meco e quale io teco fui,
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
Cho mi va innanzi, l’altrier, quando tonda
Vi si mostrò la suora di colui »
(© il sol mostrai). « Costui per la profonda
Notte menato m'ha da’ veri morti,
Con questa vera carne che il seconda.
109. L'axrivaDe: la provisione degli
eventi futuri; ofr. In. XXVIII Ta
XI0. PRIMA FIRN TRINTR 600,: saranno
rima cho | faniclullini adesro
vominolno a mettere la barba.
dolenti
Inttanti
Pat quindi che al allada a fatti posteriori
callando per sddormentare { bambini.
Y. 112-123. Peccato confessato. Ri-
pregato da Fort di dirgli oramai il
pero di nè of. v. 50), Dante prima rt
da tale vita, lo guidasse attraverso I' In-
ferno nin qui, o prometta di guidarlo ol-
tre, ninchò Beatrice gli vorrà incontro.
Ultimo fa la presentazione di Vingi-
Dante 6 Forese, al contegno non dello
dell'ano verso l' altro, quanto a vita Il-
oenziona, peccaminosa, è provato dad v,
118 ‘ Di quella vita ese", È documente
di vita viziona sono realmente È sonetti
della tenzone fra Dante è Forese.
117, axcon ria amava: Îl Lett vuol in-
tandore: «Se ti rammenti to cara
fosse la nostra amicizia, pnoî ben crederò
quanto mi pesi Î1 dover dire che, rima
nendo ta in queste pene, fo tra poso
n'andrò a vedere lo Baattogiat gle
radiso. » Ma il Zettt non eonoscera la
tenzone di Dante con Foreso, la quale
chiarisce a che alluda l memorar pre:
sente © perchè osso riesca molesto,
118, vira: loggiora o spensierata, coma
dovette intatti casore quella del duo ambo
neì tempo cho si scamblavano qual s0-
noti. Dante Idontifica qui tal vil colla
selva oscuro, dalla quale Virgilio be brano
per condario streverzo,l regni dell
ta
e cain su: olnque giorni fa =
rosa: ofr. Inf. XX, 127.
12, La RUORA; la Ina (Diana) sorella
delsolo CA pollo); e@r. Purg. XX, 190 8g.
131, rROFONDA NOTTE: l' Inferno) ef.
Purg. T, dt
122. pa' viti Ala pe' yaa, Chinma |
dannati veri merti, perchè privi nea sole
della vita corporea, ma esiandio Sella di-
rina grazia è divenuti preda della « no
seada morto », Inf. I, 117. Cfr, Panden,
preti LS
198 YuILA CARNE: 00 quesio curgo
ONE SESTO] Pura. xxirt. 124-183 [coNFESsIONE]
Indi m'han tratto su li suoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi che il mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sua compagna,
Ch'io sarò là, dove fin Bestrice:
Quivi convien che senza lui rimagna.
Virgilio è questi che così mi dice »
(E addita’lo); «6 quest'altro è quell’ ombra,
Per cui scosse dianzi ogni pendice
Lo vostro regno che da sè lo sgombra. »
la ombra e tien dietro a Vir- © carne, il corpo, sarebbe una vera stirac-
jecoxpA : efr. Inf. IV, 15. chiatura,
+ dalla profonda notte, con. 129. QuIVI: giunto che sarò dove è
iti, sono vennto quassù, sa- Beatrice, Virgilio mi lnacerà (ofr. Inf.
lale della montagna che sono I, 128), onde mi converrà rimanere senza
l' altro balzo e rigirando in- lui; ofr. Purg. XXX
ni 130. VIROILIO: ri
PRIZZA VOI ecc.: che raddrizza manda di Forese: « Chi son quelle due
‘torture. cioè vi purifica dallo anime cholà ti fanno scorta?» v. 52 ag.
ita terrena. Sì potrebbe forse -—131. ApITA"LO: lo additai, lo mostrai
re nel senso di indiri ol dito. ESI' ALTRO: non nomina
re, od il senso sarebbo: che Stazio, ma dice soltanto che l'altro sno
Dio, da cui 1 monda vi fe compagno è quegli, la cui liberazione fu
la orti per deviati, o fuorviati, | annonziata teatà dal terremoto. È dif
‘anO, cile indovinare per qual motivo Dante
ofr, Inf. 1, 112-123. Purg. neabbia taciuto il nome; ofr. Com. Lips,
comaGra : compagnia; ofr. II, 461 sg
101, Purg, IMI, 4 utoNO: il Purgatorio; cfr, Purg.
CANTO VENTESIMOQUARTO
GIRONE SESTO: GOLA
DONATI, PICCARDA, DONAGIUNTA DA LUCCA, PAPA MARTINO IV
UBALDIN DALLA PILA, BONIFAZIO, MESSER MARCHESE
GENTUCCA, CORSO DONATI, BECONLO ALBRRO MISTICO
ESEMPI DI GOLOBITÀ, L'ANGELO DELL'ABTINENZA
Nò il dir l'andar, nè l’andar Ini più lento
Facea; ma, ragionando, andavam forte,
Si come nave pinta da buon vanto.
E l'ombro, che parean cose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione
Traean di me, di mio vivere accorte.
, continuando il mio sermone,
Diasi: « Ella sen va su forse più tarda
V. 1.16. Piecarda Donati, Conti-
nuando insieme Îl enmemino par Si gireno,
Dante domanda dovosia Piccarda e pro:
ga l'amico di dirgli 46 tra quella gente vi
nin persone notorole, Faresoriponieche
ata sorella è già in Paradiso, Piosarda fu
figlia di Simone © sorella di Porese 0 di
Corso Donall. Vattas} monaca di Santa
Ghiara, fu tratta violentomante dal mo-
ataro o data n meglio n Resslino della
Toma; ofr. Por. III, 34-31, 109-108, To
I
È AMDAVAM FOSTR: per Dante vivo;
pur la melme troppo loxtamento, cfr, vr.
0, DI egg
dorma: Addnos la simiiita»
che fertomanie come la
mato quand'ella epizta dal bnon vento,
0 così nol ch' oraramo condutti su dal
boan volare, guidati dalla grazia di Die»:
Bufi.-e Acconcia similitudine, ha quanto
l'idon del suon cente che spivgo la nave
cousuona motafuricamento al buon deal-
dorio che è nel Poeta di giunger presto
nl termine del misterioso viaggio; o tu
Yorese, di complere I° espiazione »; Zi,
Vent, Simnit., 102.
4.ixoxra: morte per la seconda rela,
tanto erano pallide è muallida, È il bl
blico: «alteri.... morti du tolte» Ole
7 quoGA.I
gechi profandamente inca rat fer; Purg,
XXIII, 23,31) mostravano maraviglia e
Puro. xv. 9-22
Che non farebbe, per
l'altrui cagione.
Ma dimmi, se tu 'l sai, dov'è Piccarda;
Dimmi 8’ io veggio da notar persona
"Tra questa gente che si mi riguarda. »
«La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più, trionfa lieta
Nell'alto Olimpo già di sun corona.»
Sì disse prima; e poi: € Qui non si vieta
Di nominar ciascun, da ch'è sì munta
Nostra sembianza via per la dieta.
Questi» 6 mostrò col dito, « è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; è quella faccia
Di là da lui, più che l’altro trapunta,
= Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
È. PRA L'ALTRUI CAGIONE: per amor
Ri Virgilio, « per trovarsi con lol 6 star
più con tal»: Buti
11, DA soTAR: degna di nota; ofr. Inf.
XX, 104.
19. MIRA DELLA eco.) « alla domanda
natlaficendo, dico Forese cho Piocarda,
la quale fu molto bella del corpo e molto
intera dell'anima, o sì ehe non sa so In
bontade nvanzò la ballerza, 0 ]a bellezza
Ja bontado, già dolla ma vittoria eh'ebbe
sontro al mondo, trionfa nel Cielo »; Oft.
V. 1038. Persone moteroti nel
rone dei yolost, Rispondendo all'altra
domanda di Dante, Fares gli nddita è
‘nato como operaio della Chiema di San Mi-
chelo, SI hanno Ìdi lo molte poeele eo
suoatrano mervile imitatore del proven«
ani, assolutamente privo di originaità
© renzo nella lingua e nello font
Jo menzio blsaémo ani
De Vul.
4 61 auo veo., 222 ag. Lusoheaink,
‘ Dare per serre ria VASO
di Luoea IX, 63 ng. Motel, 272 ng
« Fuit vit bonorabilla, Iucalentas armo
in lingua materna, 6t fucilia tuventor
rbytbmorum, nod facilior vizsrnza, qui
novernt autorem în vita, ot aMyaamdo
scripeerai sibi
gulositatun.
XII, 1), bezohè fosso troppe ligio a Carlo,
588 (amoye sesto) -— Puna. xxiv. 82-46
Già di bere a Forlì con men secchezza,
E sì fu tal, che non si sentì sazio.
Ma, come fa chi guarda e poi s'apprezza
Più d'un che d'altro, folio a quel da Lucca,
Che più paroa di mo voler contezza.
Ei mormorava, e non #0 che ‘ Gontucea ”
Sentiva io là, ov'ei sentla la piaga
Della giustizia che sl li pilucca.
«0 anima» diss'io, « che par sì vaga
Di parlar moco, fu' sì ch'io t'intenda,
E to 0 me col tuo parlare appaga.»
« Femmina è nata, è non porta ancor benda, »
Cominciò si, « che ti farà piacere
La mia città, come ch'uom la riprenda.
Tu te n'andrai con questo antivedere;
fsciti alsi bere"; dizlt riden- zia, © concessa quella protezione ospitale
* Et quare numquam dicunt, quod — di cal egli aveva bisogno, Cod è negli
splogato anche l'effotto di rendere
cerolo la città al porta (7, dt ag).
2. d'arenezza c0e.: fa stima di wo
#0, o nondimeso fa tal Devitore, che con — più chodi altri, Als va riezzà 1 Prezsa È
tatto fl ano bere non riuscì ad estinguere lo stesso che Prezzo, attma, conto.
36. cme PIù rana scie
Jet
Bonagizni
mostra di aver cognizione di Date più
che l'altro anime; ma i vw. 42 è 40 el
fanno propendare per la variante VOLE.
88, LÀ: in boeca, RE
forto sentiva Il tormento della fumo.
30, La PILUOSA = li dtlemaggra, comantanià A
L Un lr atralte Purg.
doro usaai il verbo gfogkant.
TE 8 ir: Bonagiunta desiderava di
avor contesza di Danto, è questi di sapere
com Bonagiunta elesse dire vom quel.
norm di Centucca mormorato tra i denti;
43. viouza: così chiama Dante la
madre Bra, Purg. XXLX, 20, lo ditta
Lucca, virtuose auticho, £nf. IV, 29, ed anal
aqui (ho pare, Intorno al 1315, quando —Marta, Oowe. JT, 61 « Maria Vergice
nas cella cinquantina; ma dereni — femmina veramente, »=NON PONTA Gti.
niziobe osservaro che far partar Dante di è ancora zitella, Soltanto lo ammo une
smiia cosa mel regno della puriNoazione
è raramente an assurdo, 1)' altrondo in
platonico pl
tutto quel cho vi si dice della donna lnc-
Gdina, Lora bonisalmo auch na ella abbia
dlimentento n Dantesolo cortesia sd amici»
590 [ormone sesto]
Non vede più dall’uno
Pura, xxry. 62-78
all'altro stilo»;
E, quasi contentato, si tacette.
Come gli angei che vernan lungo il Nilo,
Alcnna volta in nere fanno schiera,
Poi volan più in fretta e vanno în filo;
Cosi tutta la gente che li era,
Volgendo il viso, raffrettò suo passo,
E per magrezza e per voler leggiera.
E come l’uom che di trottare è lasso,
Lascia andar li compagni, e sì passoggia
Fin che si sfoghi l'affollar dol casso;
Si lasciò trapassar la santa greggia
83. CONTENTATO: del suo colloquio con
Dante.
V. GLBI. Donte e Forese. Bona
altri spiriti purgunti vanno
‘avanti; soltanto Forvso si trat-
tieno ancora a parare, caruminando più
Motamente coll'antico amico, © gli do-
tnanda quando lo rivedrà. «Non so,» ri-
aponde Danto, «ma desidero che sia pre»
ato, perchè V'irenze sì corrompo stpro
più, 0 par disposta a rovina. » Se Forese
Rapotta di rivedere Dante e questi non
usura nulla in contrario, 1 nostro Poota
#'aspettava anche înl di dover tornare
la questo corohio. In altri termini Dante
In questi versi si confassa cotporsie dol
peccato della gola.
Mi OLI AVSKI 110 gr, cho passano l'in-
verno lango il Nilo. « Aves, nbi frigituo
amnus Trans pontam figas et terràe in-
miltiit apricia »; Viry. den, VI, 11 ag.
= teymona aio gelidom, brama palten
ta, ralinquunt Potara te, Nile, gruon
primogne volata Kihingant vara, © casa
ibomabrante, Aguras +; Laccan., Phare,V,
Tit agg. - LUNGO: RSO.
65: 15 amo Al
Bi. n no: l'uno dopo ri
gui ott, If. V, 47. Par. XVIII, 79-76
48, voLogNDO } vorso man destra, nolla
direzione del boro cammino; fn qui nvo-
yane tannto gli cechi rivolti a Dante,
#, ded, = MAVTRETTÒ: « por risteraro lo
alato al avenno fatto «i Judi
0. vor: desblorio di continoare la
Proltonza è la portbeaxione.
Po. tmorrann: correre | lo Alce tattora
Ul popolo anche dell'uomo) cfr, Ieet.,
Dee. 11,2, Damansoti, Annali X, 19: « tì
Gigtimolo del legrate trettato a difeastorli. »
TI. at rassaoora: solo è
. #1 ar0GHI | cessì la foga, l'im
Ovid., Met. X, 683, = + Qui è da
notars che la radice di questo verbo com
tione In germe ui
buoni vecchi, 0 per la valvola, come leo:
no ì moderni; è l'animale per Ja bosoa.
& come l'aria scendo, pe la gravità naa,
dentro 1 mantioe, Lin! ell'aprinsì
più capace; così, per la gravità, acmmdà
l'aria, aprendosi il toraoe, gi nel pel
mono. E como, stringendo, il 1amilse sal
così striagendosi il l'animale
hi ternoa,
| respira. Ma benchè Dazite a Il pope x
scano chiamassero, gran tempo inmaza,
mantico Îl petto, nonostanto, la mori
glianuo pertotta dell'oprar dell'uso @
dell'altro sull'aria, non fu dimostrata
che nel necolo XYII da uno macare di
Gallleo. Yu il Bore il primo n file»
etrare che non eutra l'aria nol palmo:
per sncclamento, come În nam
clò cho orederaai comunemente da
ma per effetto del peso dell'aria, glnato
pae mi Mi mn 2 Great Len
palmazii n IVEOXÙ, xu tar i 2%
XXV, 74
73. ki così Parese Involò passare;
la santa greggia delle pete
[amoxs sesto]
74-88 [corso posati] 591
Foréese, e retro meco sen veniva,
Dicendo: « Quando fia ch'io ti riveggia?»
<Non so» rispos'io lui, « quant'io mi viva;
Ma già non fia il tornar mio tanto tosto,
©Ch'io non sia col voler prima alla riva:
Però che il loco, u' fui a viver posto,
Di giorno in giorno più di ben si spolpa,
Ed a trista ruina par disposto. »
< Or va'; > diss'
< chè quei che più n'ha colpa,
Vegg'io a coda d'una bestia tratto
Invèr la valle ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogni passo va più ratto,
Crescendo sempre, fin ch'ella il porcuote,
E lascia il corpo vilmente disfatto.
sm Non hanno molto a volger quelle ruote, »
To. quaxnorieco.: quando ti rivadròf
TT. GRA NOS PIA nt, TORNAR ose: Dante
è desideroso di morir presto, per non
veder più x lango î mal) dolla aa patria.
MO. BI RPOLPA: ni priva. « Spolpare è
lavare la polpa, © porò si piÙln «polpare
per Buti.
lar Dante, Foreso predice, in molo un
pol oscuro, la Tragica fino del proprio
fratallo Carso, enpo del Neri e principal
ni ta mali di Firenzo; otr. @. VUl
29, 43, 0& Sulla morte di Corso
Tron, Gintanni Villani, che dorea pur
diede d' una lancia por in gola d'an colpo
mortalo, 0 Iasciaronlo per morto: | mo-
maci ilol dotto monîstero il ne portare
nella badia, 6 obi disso cho invanei be
morisao al rimlao nello manî di Lore fn
tuogo di penitenzia, o chi disse che ll tro-
vir morto, o l'altra mattina fu moppellito
in San Salvi con piscole onore © peoa
geoto, per tema del comme. » Cor para
Ott, An. Fior., Bent, eco, Atri riestom
tano il fatto un_po' diversamento; ft.
Com. Lipr. LI, 478 ng. Danto ni attenne
ad una di quelle tradizioni cha nell'esl-
gio erano venute a sua notizia,
#2. va': comsolate.= quasi Caro.
#ì. tratto: trascinato a coda di ca
vallo.
Mis eviti Alt VERSO. — La VALLE:
l'Inferno, efr. Taf. IV, 8. Par, XVII
LIT, dove le colpe non al rimettono ln
aterno. Invesa il Betti: » Non oredio che
Dante abbia volute dire che Mi. Ciro
fosse Lento a coda di cavallo all'Inferno,
La cos sarebbe amai puorila. Silmo dune
que cho la valle ore mai non ai ssolpa, sin
appunto Virenze, ramomigliata all'infer-
no. E la seguente terzina lo indica chia
ramente, - Ove non st scolpa, cioè dova
nono può mal purgars dello colpo che
gli sono apposte, Ji Dante lì mgara! e
#5, La nerTIA: Îl cavallo va ed equi
puaso più relece, socresnmdo sempre più
lena ni precipiteso sno corno, finchè lo par
ometo e Jolascia Iguomtmeenmanto ncols,
RE. xUOTR: le ufeco vetonti, Vuol dira:
nen passeranno molti anni.
592 [emone srsto] Pure. xxrv. 89-108
(E drizzò gli occhi al ciel) « che ti fia chiaro
Giò che il mio dir più dichiarar non puote.
"l'a ti rimani omai; chè il tempo è caro
In questo regno sì, ch'io perdo troppo,
Venendo teco sì a paro a paro.»
Qual ssce alenna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
E va por farsi onor del primo intoppo;
Tal si parti da noi con maggior valchi;
Ed io rimasi in via con esso i due,
Che fur del mondo sì gran maliscalchi.
E quando innanzi a noi eutrato fue,
Che gli occhi rbiei si fàro a lui seguaci,
Come la mente alle parole sue,
Parvormi i rami gravidi e vivaci
D'un altro pomo, e non molto lontani,
Per esser pure allora vòlto in Jàci.
Vidi gente sott'esso alzar le mani,
E gridar non so che verso le fronde,
Quasi bramosi fantolini e vanî,
26, ciò mx 20,1 quello che lo non pos
20 diohiararti a parole più apertamente.
91-09. rt aMANI ece.: fndietro eoi tuo!
duo cempagol, giscchò qui nel Pargato-
rlo Il tempo è W prezioso, che, conti»
nunmdo a venir teco a pari paso, no
perderai troppo.
Y. M:120, LI secondo albero andsti-
10» Voroes ni parte frettolosa per rag.
Ellmgore I anol compagni ; efr. Snf. XY,
J3K-34 I tre poeti arrivano presso nu
alliro albero, e vedono sotto esm punte
Altar lo sani, e gridar come fantolini
che Juvaro teutino allerrare spa com
gradita ch'è loro mostrata ma non me
‘oontatia, © pol partirsi. Tra lo frasche al
odo tina voce ehe esceta | viandanti a
tnpumar oltre, ricontanto che l'albere
tire ma origine da quello della comsscen-
xa nel giandìso di Xin, il col frutto
prflito fa gustato da Era.
Di: QuaL teca sco. : como Interviene
nicana volta che, cavalcando schlera di
soblati per Incontrare {l nemico, alone
de più artist ssoe dalla schiera di galop-
po Incontro sì nemico per avor egli l'ono-
i di basere 11 primo a conbattore, cos
partì da noi com past maggiori
dal nostri.
96, iyrorro: secmtro csì nemico.
97. raLCHI: per sincope dia malte} i.
Dias. Wart. 11°, 7R,
8. com ao 1 neri Virglila Ses,
altra compagnia; et, Purg: AN ato
MALTECALONI 1 miarverelleh.
7 qui valo sommi manent. DI
parola d'origine tedesca, e alguificà, da
principio, mamatro nel euenre 1 cavalli,
poi attargò ed levò pruprlo galli)
100. ® quanno eee: ed allora Fiora
il fa tanto dilangato da nol, ele ln da
redeva solo confosamente, com come là
min mente nvova inteso sole confusi
mente le parole collo quali mi aveva pre
detto la morte di Corsa Donati,
103, ranvemu: mi apgorvero, vitil=
aa vIDI: carichi di frutta e verdeggianti.
104. atto» diverso dal prtmo, ani
Purg, XXTE, 190 agg; = LONTANE: dal fe
g0 ore eravamo:
105, rien mena eco, : perché nedamene
te allora avove gireto la omrva del monte
oltre la quale al poteva vederquall'ilbero
= Lot: è il lat, Stio, 1a.
106 ceste: ankmo prurganti, — ALZAR
LE MAMI: per prendere, 60 forte atta
posslbito, di quello frutta,
108. quani: como pdoooli Snell base
Nei nuvoli formati, che, satolli,
"Teseo combattàr coi doppi petti;
E degli Ebrei, ch'al ber si mostràr molli,
Per che non gli ebbe Godeon compagni,
Quando invàr Madiàn discese i colli. »
Sì, accostati all'un de' due vivagni,
Passammo, ndendo colpe della gola,
Seguite già da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola,
Ben mille passi e più ci portàr oltre,
Contemplando ciascun senza parola.
< Che andate pensando si voi sol tre?»
Bhbita voce disse; ond'io mi scossi,
Come fun bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa por voder chi fossi;
È giammai non si videro in fornace
Vetri o metalli sì lucenti e rossi,
123, wr wtoLI: scendo la mitologia,
1 Centauri erano figli di Lesione e della
Narola.
123. DOFTI: d' nemo e di cavallo.
125. wow alt isbn: Al: NO 1 VOLLE:
Mi rolena sì, ma Dro non volle,
Godeono
Ga o ed vc Den i
nerrari cho, s0 è vero
segnare a Gedoone como
son eni andar a vincere
porge
Ribbla doro ai dice
Godeono, pre;
«auanom reliquam multitadinem
priseepit in taboruacala
senttitudo è
Anche la lea. NO 1 VOLL
dà danquo un buon senso.
126. mscest: «il campo de'Madlaviti
Bra disotto di Ini nolla valle» ; Oiwdiet,
ALL'UN pal DUE TIVAGNI: ad uno
Ggit erli (all
198. coLtE: esempi di colpevoli golo-
sità, negolto da quatighi. danni o peno.
V. 190-154. L'angelo dell'astinena,
X Feoti vanno avanti silenziosi © medi:
Nando valle cose vedute od udite. Fate
altre millo presi, arrivano al varce, dere
tin naugelo di colore noceso ll fa montare
uu, toglie dalla frunto di Dante, venti.
lando, 1} muto P e canta una delle beati.
tudini evangeliche, adattandola alle and-
ralo qui
esaendori, da questa infuori, aletm'
stendo.
‘i ronràu; efe. Purg, XXVII,
N francesiemo
Trecento,
132. comtRsmrLAStO 800, : avendo cla:
scuno di noi tre fl pensiero fiaso mille
cose vedute © udite.
Yor sor run: roi tre selii elfi,
II, 23. Purg. XX, d
lì — ook: del
Spaventate, ombromo.
Arios., Ort, Per, XXIII, DO, Qaro, nek
de, 6. Buekal., 1598,
159. rossi: fas; ef. rus IV. 64 de
sivensa antica regol Ancora PIPA
sia. nos anattro ceti acini
CANTO VENTESIMOQUINTO
SALITA AL SETTIMO GIRONE
TEORICA DELLA GENERAZIONE DELL'UOMO
INFUSIONE DELL'ANIMA NEL CORPO, CORPI AEREI DOPO LA MORTE
GIRONE SETTIMO: LUSSURIA
lo fiamme, divini in due sebiere cho vamno tn
piangendo @ cantando inni è salutandosi quel dell'ana ca
aohisra, ogni volta che a' incontrano, con baci è grida ammoniteleli,
ESEMPI DI CASTITÀ
Ora era onde il salir non volea storpio,
Chè il sole aveva il cerchi
e la notte allo Scorpio;
Lasciato al Tanro,
di merigge
Per che, como fa l'uom che non s'affigge,
Ma vnssi alla via sua, checchè gli appaia,
V. 1-0. J/ora della natita. Sona be
Que pomeridiane, opperò } viandanti
nica hanno tempo da perdere. Si avvia
no quindi wa per Ja scala che motto al
girano det Jansurioxi, ch' è it 7° od ul-
rino,
(o Qua pna cane: ara tel ora, perla
Wet. 13, 403. SParodk, Sud. 1LT, 155.
afera celento, cho pasa per i pell è per
lo senit a che Sl role tocca n mossodì,
«fr. Purg. XXXIII, 104.
2 sOmRPIO: scorpione. Comò altrevo,
dato punto di un amiaforo, quella Menia
© punto diametralmente opposto del
Valtro; efr. Della Valle, Sento, (3
4. row s'AprmoR: nom al ferme af,
I. XII, 145, Lory. XI, Bebe i
XXX, 7; XXXIII, 106.
3. ancouà eot.: no coma gli
vi rst dina gi sca
598 [aALITA]
Si consumò al consumar d'un stizzo,
Non fora » disse, « questo a te sl agro;
E so pensassi come, al vostro guizzo,
Guizza dentro allo specchio vostra image,
Ciò che par duro, ti parrebbe vizzo.
Ma perchè dentro a tuo voler t'adage,
Ecco qui Stazio ; ed io lui chiamo e prego,
Che sia or sanator delle tue piage. »
«Se In veduta eterna gli dislego, »
Rispose Stazio, « là dovo tu si 0,
Discolpi mo non potert'io far niogo. »
Poi cominci
« Se le parole mie,
Figlio, la mente tua guarda e riceve,
Qanto, re di Catodonia, e di Altea, alla
dai nascita Je Fato stabilirono che agli
vivredbe quanto tempo an tizzone, get-
tato nel fuoco al momento della sua na-
acita, impioghorebbo a braciaro. Altea
si affrettò mi estinguere Îl tizzone fatala,
#10 conservò aconratamente, Insorta più
tardi una contesa tra Maleagro ed | suoi
all, questi farono
uleguata, gottò Il tissono nel fuoco,
Moleagro morì quasi nel mertosimo int
te; ole. Ovid., Met. VIII, 200-546,
par tutt’ nìtra cagione che Il noi
ufutto bisogno del nutrimento, Una po
24 4Gbo: duro, diffollo a compren
dero,
28, uetzzo: oscillazione; qui por fa-
piùo movimento: cfr. Cu
milo parlar voglio emer mapro»; v, 43,
Il corpo nereo delle anime purgauti è
la mocchio di case animo. Or come lo
rappresenta fedolmento ogni
chi vi ni npacolita, così Il corpo
p al di fuori I moti © Ja mf:
11%, 39, - biaax: imagine. « Bt quamria
nabito, quovia In tempore, quazzigtie Ri
Lucrato Rer; nat. IV, Lise
chè La posa Satendore pienamente ll
fatto, » r'anaon: ti adagi.
20. 5000: non potova Dante mettere
bocca & Virgilio pagano l'asponiaione
ingho, Iut. plager, 1l dal»
mente, la quale À sam
allorchè. vi trova în possesso del voro,
guanti. Al
pena Infiltta a dall'Rtoca RITI
1 Lod VRMIRITA. IPRIANA, od:
nifosto. Dilizare sere Al latino
taplicare.
32. LÀ DOVE TU RIK: te presente, cul
l'uffinlo di mpiogare starobbe sueglio ce
Ax x1200: die di n0; parlo. por
ciò sul serva di nemmm
Puno. xxv, 36-60 [arweR. DELL'UOMO] 599
Lume ti fieno al come che tu dia.
Sangue perfetto, che mai non si beve
Dall’assotate vone e si rimane
Quasi alimento che di mensa leve,
Prendo nel cuore a tutte membra umano
Virtute informativa, come quello
Ch'a farsi quelle per le vene vàno.
Ancor digesto, scende ov è più bollo
‘l'acer che dire; e quindi poscia geme
Sovr' altrui sangue in natural vasello.
Ivi s'accoglio l'uno e l’altro insieme,
L’un disposto a patire e l'altro a fare,
Per lo perfetto loco onde si preme;
E, giunto lui, comincia ad operare,
Coagulando prima, e poi avviva
30, LUME TI FINO AL COME: tl chis
tiranno del dubbio da to mont, come
lo anime possano ossero consunte per
magrenza. - pUE: dici; otr. Parodî, Pull
IMI, 150,
ITA wauR FERFISTTO: fo sperma, «San-
gala, qui digestione quadam est pravpara-
tun nd concoptora, es purlor et por fvotlor
allo annguine ») Thom. 4g., Sum. heel.
Tu, ur, s.
38. et inmasi: «quando lo vene banto
suociata tanto di sangue, che basta per
uuteimento è a ristorare le parti por-
date, elleno non ha aucelano più, non
altrimenti che nn modesto nomo e tem-
parato, proso il bisogno mo dal cibo, Ia
sola Îl rimanente, © però dieno £ sl rima-
me, cioè resta 0 avanza, quari oliumento,
non altramente eho fl cido »; Varchi.
0. LEVRI to Jovi.
ALL INFORMATIVA : cho dà l’ensenza e Tn
tintara a tutte le membra umano.-COME :
non altrimenti elio quello cho va por lo
vono a diventare esso membra.
43, vlxR: va, come fane per fa (Par.
XXVII, 33), cos. Cfr. Nannue., Ferbi,
528. « Allmentum convertitur in verita»
Md. quisni i dal val seminali, 08M :
ptilla, gpsdolola | efr, Tafi XIII, dl.
A aLraui della fommina. — YARBELO :
matrloe, Cfr, Cor, IV, 21. « Fiomina ad
conceptionem prolis materiam minlstrat
rn), x qua ta
prolie formatar»;
40, Sem task 1IL.33,4.- «Al formati
corporia.... requirebatur matua loc
Ha quo stugninco. nà Iocam peserligni
congruum pervenirent », ibid. IT, 33, 1.
46, 1v:: nolla matrice lo sperma ed dl
tere ovvero agente cho lo
gli dia forma, se non il ame
sebio +; Varehé. = L'ALTRO: lo sperma
dol maschio, il quale è attlro e dà la
farma « La penerattone diasiagnir
ratto ngentis ot pattentie. Unde rellg
toe quod tota virtue neiva sit ex parte
marie, pasalo autem ox parte funmiînit, »
Tiem. Aq., Sum. theol. 11, 53, 4.
10001 Îl euore fafr. v,
00 [sALtTA]
Ciò che per sua matera fe’ constare.
Anima fatta la virtute attiva
Qual d'una pianta, in tanto differente,
Che questa è în via, e quella è già a riva,
Tanto ovra poî, che già si movi
Come fungo marino; ed ine
Ad organar le posso ond' è semente.
Or si spiega, figlinolo, or si distende
La virtù ch'è dal cuor del generante,
Ove natura a tutte membra intende.
lo sanguo»; Buti.- « Non poteva trovare
più segnalato voonbolo nò che meglio
seprimesso ln mento sun; perchè talo
è proprio 11 semo dell' uomo al mostruo,
quale è il congulo, che poi chiamiamo gi
glio ovvero prosamo, al latte»; Varchi.
« Nonno aiout ino mulsisti me, et alcnt
galonm mo conguinatits Jod X, 10. -
« Docem mensam tempore ecagnlstua
Muto in saviguine, ex semine horminie »;
Sapien, VII, 2.-Avvrv,
SÌ. Fu SUA: como
alano vu OONSTARRI COngulà,
reso solido e consistente, « Formmilo cor.
porta fit per potentiam gonerativam, non
fe qui gonorntar, sed ipalus genorantis,
x aemino, in quo operatur via formativa
Nb htlema patria derivata »; Zhwes. dg.,
Shan, theed. TIT, 39, 13 ofr, 22, 4. Artotit.,
Ple, 11, 35. i x
Lig rcai vegotati, vibritki del
1 ef, Them. 4g, Sum.
h 181
urta QUAL 606: come l'anima d'una |
pinnin, ciò vegotativ, con questa diff
renea, però, che l'antusa dolla péasi
già a riva, gionta cioè
perfezione cella vita vegetativa, mos
îre nell'uman feto la vita vegetativa
mon è che un avviamento, doveado pas
Saro alla vita sensitiva. © quindi alla
Ù18,3.- QUESTA: l'anima vogetativa di
feto mmano è al principio, tI
n) termine del smo eriuppo.
paro che Danto fn queste parole
Ron voglia, che tra l’anima veg
Vialde pianto e quella dagli uomini:
trm differenza, so uso cho quella
punto è compita 0 formata, nea napet-
tanto allea anima, nò sensitiva, cme |
uè razionale, come gli uomini;
però credore, cho egli vo-
tesse dire questo olo, e che non sspesse
che l'anima vogetativa della pianto è
dollo fiere e degli nomini sono di dimarse
apezio»; Yarehî. Infatti Dante lo sapeva
assai bene; ofr. Como, XV, T.
55. oviA: opera. La virnà aitica, futia
anima vegetativa, continva ad operare,
tanto che quella materia anîmata al muo:
vo 0 sente, Il mota proprio a Il semtlmesto
cono earattori essenziali della vita anima:
la, alla quale dice qui cho Il foto perviene.
ruxno xamxo: zeodito. Si aredeva
che | funghi marini fesoro dotati di
un'anima più che semplicemente vege
tatlva; ofr, Plin., Mist. naf, VII, 48,=
ini: da questo stato la virth attiva del
germo incominela a formare gii eran
dello cinque potenze, visiva, aditiva, 00,
dello quali essa virth è predattrico.
58 om st arma 0ec.: la virtù infor
ra ai allarga, spiego, cd ora al al
tunga, distendo, secondo Il bisogno the a
sanovo per la formazione delle membra
par cuon: che deriva dal
Sustono
signiate net corpo, L'origina dell'antma
uniana è problema aì pda. (ei
stenza, insegnarono che tatte quante lt
anime furono create da Dio ain dal pia
cipio del mondo, © vengono ccafisuim nel
prima dell'infstono nei estensi, diet
trina condannata dalla Chiesa comm dire
tica, Tertalliano ed | emol segna
pugnarono Il traduefaminno, Ul
qualo nol momento stesso che lì compa
[sactrA] Puxo. xv. 69-82. [ANIMA DOPO LA MONTE]
L'articular dol cerebro è perfetto,
Lo Motor Primo a lui si volge lieto
Sovra tant'arte di natura, e spira
Spirito nuovo, di virtù repleto,
Che ciò che trova attivo quivi, tira
In sua sustanzia, e faasi un'alma sola,
Cho vive è sento, è sè in sè rigira.
E porchè mono ammiri la parola,
Guarda il calor del sol che si fa vino,
Giunto all'umor che dalla vite cola!
E quando Lachesla non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Ne porta seco e l'umano e il divino:
si L'altro potonze tutto quante mute;
69. L'ANtICULAR: l'organiazazione.
70, Moro Piro: Dio; ofr. Thom, Ag.
Mum theoî. I, 105, 2. « A LUI: al foto. —
muto | « Lostabitur Deminus în cperibus
tà»; Pal. CITI, 21; efr. Purg, XVT, 69,
faclem eine spiracalom vita
II, fi ofe, Sap. XV, 11.
Ta. sritiTO NUOVO la nora anima ra-
aionalo. — RRPLETO : regdetus, ripieno.
TI. CÒ cit TuOVA | l’anitoa vegetativa
wla sonnitiva. - QUIFI: nel fi
intellettiva, novellamente creata, tiro,
Meutifioa sella propria sostanza l'anf-
una vogetatira @ sensitiva, e fort di n
@ di osso an'anfma sola con ire potenze
Vegotaliva, sensitiva ed intellettiva. —
4. noLa: ofr. Purg. IV,
dom est quat eadem numero est anîm
la hotine, snaitiva ot fatellecti va et nu:
dritiva.... Prius embrio habet antmam,
ue dat nenaitiva tantum, qua ablata.
advonit porfeottor anima, qui cat sil:
sensitivi
#5, mamar ridottando n nd stessa,
moquiata la coscienza della propria osi:
stenta. + (um (anima) cum secta duos mo-
fam glomeravit in ocbea, In semet redi-
tima ineat montemque profondam Cir-
Gult et simili 00a vertit imagine colum »;
Molti, Omm, PA, LIL Poco. IX, 15 sgg.
TE A0OMRI La PANOLA : Mi maravigli di
el chè or” era ti ho detto ; eft, Inf. IT, 43,
TI. UCARDA oce.: come Il eatore del role
giunto, eloò unito, all'amor acqueo della
vito, la converte in vino, così 10 spirito
novellamento da Dio creato ® spirato,
inito all'anima vegetativa o nensitiva,
no fa pn'anfma sola, che vive, sento è
pensa. Dell'ura Oeér., De Sendet, XW,
321€ Qum et auoso terra et calore solle
goscena, prima est poracerba puma,
ndo maturata dulceeit. »
78. aiuto: congiunto, unite,
V. 79-87. Iosistenza dell'anima
dopo la morte. Continuando il miò re
gionamento, Stazio espone fn qual modo
‘niata l'anima dopo la morte del corpi
Quando l'anima si evesta dell'imvelinero
corporeo, Je potenze onganiche realta
composto, quello ciod della
dol senso, restano in Tat npante
‘atte, e solo scsalatono nella
gli organi ima in leî sola, non prose meio.
soperstiti, ma sequisiano
maggior onorgia, per la ava separazione
dai corpo. Ofr. Liberatore In Omapini
@ Dante, su LA
79. Lacamsts : In Parea che fa lo mine
we della vita; cfr. Purg, XXI, 85 Vuol
dire: quando l' nomo è pervenuto al fer
mino delli vita, l'aniora totelletttva
ai scioglio dal corpo, portando anto vir
Vaslmente 1a potenso campana ae
doali, . Wirp., Aom, IV, MA
#2. 'ALtAR? lo facoltà topeltivo; di
atrotti i loro organi, restan tutto wuto,
Uioè inerti, — rUmTR quasate coi i
Ale rwrta quant, ale, Com Ages
sanita), Puro. xxy, 83-96 Tconpi ArmE1] 608
Memoria, intelligenza e volontade,
In atto molto più che prima acute.
Senz'arrestarsi, por sè stessa cade
Mirabilmento all'una delle rive:
Quivi conosce prima la sue strade.
Tosto che luogo lì la circonscrive,
La virtù formativa raggia intorno
Così e quanto nelle membra vivo;
E come l'aere, quand'è ben piorno,
Por l'altrui raggio, che in sè si riflette,
Di diversi color diventa adorno;
Così l’aere vicin quivi si metto
Tn quella forma che în Jai suggella,
Virtualmento, l'alma che ristette;
RI, simonia: le frooltà spirituali, li fl corpo nervo rivela gli affotti lntimi
doll anima.
88. TORTO CHE e00.: l'anima ul riveste
d'un corponareo, non appena all'una della
dae rive essa è circonoritta da luogo; ft,
Thom. Ag, Sum. Aeod, ILE, Sup 00, de
89. La viRTÙ vonmarivA: cho è nel
l'anima, cfr. v. BAGGIA 1 8° fran
dia, fa senti vità nell'aria cho
le sta Intorno.
91. MONNO® piororno, che è voce po
polare doll' uno = piovoso, pregno di va:
mente, cioò per interno divino impalso, peri, « Velut aspoetum arcos cum fiori
@ alla riva dell’Achetonte, Inf. IL, 132 in mube in dio plavia»; Eseoh. 1, 28
+ 9 nlla foce del Tevere, Pury. IL, —92 L'ALTRUI: del sale. 11 corpe nereò
sig ios. ni forma nello stesso mod che al forma
87. QUITI: all'una delle duo rive. - l'arcobaleno.
dî, pevaNTA 1 Ali KI MOSTRA,
DI. così: lu egual modo l'aria elre.
luogo fa cal l'anima al è fer-
tteggia, quasi materia, lu quella
dex:
allo anlo, Danto conteudiice a 9. Tom
maso {« Anima separsta a corpore non
habet aliquod corpus >; Stum. theol. IT,
Suppl, 60, 1; ofr. Méd., 70, 1/6 2, o sk
accosta alla dottrian di Clemente Ale
NE SETTIMO] PurG. Xxv. 129-189 [ESEMPI DI CASTITÀ]
Indi ricominciavan l’inno bassi.
'înitolo, anche gridavano: « Al bosco
Si tenne Diana, ed Elice caccionne,
Che di Venere avea sentito il tosco, »
ndi al cantar tornavano; indi donne
Gridavano e mariti che fur casti,
Come virtute e matrimonio imponne.
questo modo credo che lor basti
Per tutto il tempo che il foco gli abbrucia:
Con tal cura convien, con cotai pasti
Che la piaga dassezzo si ricucia.
: a voce bassa e sommesaa, ricordando esempi di donne e di nomini
lo preghiera. che vissero castamente.
e: di naovo. 185. MATRIMONIO : « anco nel matri-
NE: Al.: coRSE; ma quando —monio logittimo 6 fedele può non essere
lo di Elice, Diana era per castità »; Tom. - IMPONNK: no impone,
1 bosco, onde non le abbiso- . prescrive a noi nomini.
rervi. Il Poeta vuol dire che 1196. mopo: di alternare Îl canto colle
‘onservarsi pura o casta, si grida. nAsTI: duri, continui invariabile.
0, dilettandosi do' faticosi 198, CONCOTAT:A].:ECON TAI;
la caccia, Cfr. 3 futtostimolo e sollecitudine, cantando tal
Calisto, ninfa del seguito di inno, e con tai pasti, e ricordando tali
ta da Giovo, discacciata da esempi, quali son quelli che veduti ab
iunone trasformata in orsoe biamo»; Dan, Meglio forse sarà inten-
locata poi in ciel dere come cura le famme, e ritenere che
fr, Ovid., Met. IT, 401.540. con pasti sì accenni all'inno che sempre
2. Diana, discacciando Eli- si ricanta e alle grida che n'interpongono
i volere che fosse incontami- fra cantata © cantata.
Caron serr1M0]
Poz. xxri. 1-11
[uussuzIO8I) 807
CANTO VENTESIMOSESTO
GIRONE SETTIMO: LUSSURIA
DUE SCHIERE OPPOSTE DI LUSSURIOSI
ESEMPI DI LUSSURIA, GUIDO GUINIZELLI, ARNALDO DANIELLO
Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro,
Ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
Diceva: « Guarda! Giovi ch'io ti scaltro! »,
Ferlami il solo in su l'omero destro,
Che già, raggiando, tutto l'occidente
Matava in bianco aspetto di cilestro;
Ed io facea con l'ombra più rovente
Paror la fiamma; 0 puro a tanto indizio
Vidi molt'ombre, andando, ponor monte.
Questa fu la cagion che diede inizio
Loro a parlar di me; e cominciarsi
1-24, Maroniglia delle amime
nerganti. 1 Posti procedono l'un do-
l'altro per Ji sentiero atretto che le
vero il vano. Aven-
solo che gii splonde a destra 0 la
fiamma alla ainintra, Danto coll'ombra
wuo fa parere più rovente la
famma; 0 lo anto, arendo fatto atteo-
ai insolita cssa, segno certo di
pomeridiane ; Isole, già mollo abbamato,
ferinco Dante alla spalla.
® quando i solo è mn
lancheggia pe la Ince
00x L' omma 1 ehe ll mio campo pet
tavn n alnietra. - ROVANTR: vira, rosani
N ante rendo cella sua luce men roma la
Summa; ma dove nano Intorcettati dal
corpo di Dante i raggi del sole, ivl La fiutas
sa apparisce di un cctar rosso più vivo.
8. Rumi: 0 solamente x così piocolo
tndizio, quale era quello del gialieme dell
{uoso che tornava in rosso all'ombra mit.
Altri latendono; Ed anche qui, como al
ireve; afr. Com. Lipe. IL, 619,
19, ItziO1 ecossione, argomenta.
È, COMDIELLIERI A Dini: ni comnelie
reno a diro tra Jero,
NE SETTIMO) Puro. xxv1, 12-28 [LussvRIOsI]
A dir: « Colui non par corpo fittizio » ;
oi verso me, quanto potevan farsi,
Certi si feron, sempre con riguardo
Di non uscir dove non fossero arsi.
O tu che vai, non per esser più tardo,
Ma forse reverente, agli altri dopo,
Rispondi a me, che in sete ed in foco ardo!
è solo a me la tua risposta è uopo;
Chè tutti questi n'hanno maggior sete,
Che d’acqua fredda Indo o Etidpo.
inne com’è che fai di te parete
AI sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete. »
ì mi parlava un d’essi; ed io mi fora
Già manifesto, s'io non fossi atteso
Ad altra novità ch'apparse allora;
‘hè per lo mezzo del cammino acceso
10: nerso, come quello dell fai ombra, como se tu fossì ancor
on impedisce {l libero pas- vivo? cfr, Purg. III, 88 Agg.
\ggi solari; cfr. Purp. ILI, 24. RETE: « mors enim piscatur in ma-
gno mari mortalium, »t omnia genera
lo POTEYAN FARSI: cioè sé animantium capît» ; Bent.
lla fiamma per non int 30. Incontro delle due schiere
momento solo la loro per urtosi. Mentre Dante è lì per ri
icazione «Rondere e manifestarai, ecco un'altra
Puro. xxvi.141-148-xxyn,1-2 [asorLo) 617
Qu'ieu no me puesc, ni-m voill a ros cobrire,
Icu sui Arnaut, que plor e van cantan;
Consiros vei la passada folor,
E vei jausen lo jorn, qu' esper, denan.
Ara us prec, per aquella valor
Que vos guida al som d'esta escalina,
Sovenha vos a temps de ma dolor!»
Ma Poi s'ascose nel fuoco che gli affina.
sione stabilita dal Renier ci siamo qui
I I
testo, I versi al possono tradurre: vecchio colpe, mi contorta il pensiero del:
la beatitudino eterna cho mi attende.
146 mizar: dinanei n me, nell'av-
ventre.
147.10 EIA e00.: vi sovvengn del mio
dolore, epperò pregate per me.
148. arvurA: purifica delle loro colpe;
etr. Purg, VIII, 130.
CANTO VENTESIMOSETTIMO
GIRONE SETTIMO: LUSSURIA
L'ANGRLO DELLA PURITÀ, PASSO ATTRAVERSO LE FIAMME
SALITA AL PARADISO TERRESTRE
ULTIME PAROLE DI VIRGILIO
Si come quando i primi raggi vibra
Là dove il suo Fattore il sangue sparso,
Oggi porrà in pace le tue fami. »
Virgilio inverso me queste cotali
Parole usò; e mai non faro strenne
Che fosser di piacere a queste eguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
Dell’esser su, ch'ad ogni passo poi
AI volo mi sentia erescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
Fu corsa, a fummo in su "] grado superno,
In mo ficcò Virgilio gli occhi suoi,
E disse: « Il temporal fuoco a l'eterno
Vedato haî, figlio, e sei venuto in parto
Dov'io per me più oltre non discerno.
Tratto t'ho qui con ingeguo e con arte;
Lo tuo piacere omai prendi per duce:
Fuor sei dell'orto vie, fuor aci dell’arte.
ua Vedi là il sol che in fronte ti riluce;
TIP. roRrd in racm sco.1 appaghork, Ibune im eupplicitm
nequeterà È tuo destderil. gatorins iguis est temporali... interna
119, x xAr: è nessun dono fa mal ri. quantom ad nubatantiazo, sed tempora
corutecon lanto piacere, quantofa quello lì quantum ad effectum pu
hè fo prova all
nel torruatro,
beatitudine di questa vita,
quale l'uomo pervieno per gli am
rando
professa di Virgili
Pars, LV, DI mgg.i EL, 121 ape Ofr.
Por. XVITI, 53 agg.
Vi 124-142, Ultime paroto i Vin-
ih n
ora giunto in Inogo, doro fo non so più
mmmert guida. Li tuo progeio volere ti ala
pertanto gaia nino all'apparizione di
Bealtrico. Da mo non aspettar più parole
è conol; oramai tn nei plenamento pa
dreno di to.»
125, 1x su" anaDo aurra»O | sall''ul-
Umo scaglione, all'entrata del Paradiso
terrestro,
180. riccò : mi guantò fimamente, cfr,
o UA +0 Pury, X1T1,43, 000.
+ Pena dam solo alle mpatlo, ‘quasto Masera)
uxt rotorna, ut dicitar Mats, XXV, 40: cominelarono n salire la senla, giumti in
Pure. xxvi. 184-142 [coxeDO DI FIRG.]
Vedi l'arbetta, i fiori e gli arbuscelli,
Chie qui la terra sol da sè produce.
Montre che vegnan lieti gli cechi belli,
Cho, lagrimando, a te venir mi fenno,
Seder ti puoi e puoi andar tra olli.
Non aspettar mio dir più, nè mio cenno:
Libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno:
12 Per ch'io te sopra te corono e mitrîo, »
clima ni enna poco dopo ll songare di quel-
l'astro, doveva questo emer loro în pro-
vedo
ricevere del sno beneficio, tanto larga
menta in quella no motto, quanto appa.
recchinta è a ricovorno»; Cons, IV, 21.
185. sot. na sh: senza some; (cfr, Purg.
XXVILI, 69),0 menza man lavoro, «Ipes
quoque fmumnla rastroque intacta nes
ollla Sancia romeribue per x dabat om-
nia tellue »; Ovid., Met. I, 101 ag. Se-
coodo la Genesi 1, 19 Dio postit bo
in paradiso voluptatia, ut opera.
alata eat Mart: » MA: secondo
gli acolaatici, quel facorò nen era fatica,
era anei diletto, « Nec tamen lla opera:
Thom, Aq, Sme, chest. I, 102, &, Com.
Lips. TL, 600.
176. Joe cIsk: finchè. - inerte della
187, caonneanno: efr, Inf. IT, HA
Tan, srDRR: vita contemplativa, v. 10%
ANDAR: Vita attiva, y, 10}. > TRA Rio
11: tra l'ordetta, i fiori 0 gli arboscelli,
186
130. uno sq: Virgo non abbandaa
Danto che all'apparira di Beatrice, ott,
na LORI I eg XXIE, 8
43 ‘agg; ma om gii parla
tot fatt più gli fa slonn cenno; & d'of
innanri un compagno tutto pasa ro.
140, Limo: da qualetaai infinenza di
nppetiti psccaminosi ; oîr, Cine. IV, 2.
De Mon, 1, 12.- DATO: conformantenti
a quella giustizia = la qualo ardiaa nol sl
amare ed operare dirittara In tatto lo
tm»; Cono, IV, 19. —RANO : moti più li
pedito nelle auo operazioni.
141. RYALLO s0c.: 0 sarebbe orrore nen
agire segnondo l'arbitrio proprio, or el'à
della
L'inveoaro in favore dell'interprotazione
"TI affido ia direzione palittos ed Il go=
verso spirituale di Le atesso', 1 passì
aeritiurali Aponal, I, 6; Y 10, 066. d i
socrilagio. Cato ne fa re o ancerdetii
ma Virgilio non è Cristo, Beira queta
verso efr. Com. Lipa, IF, 970-972, Tl nonno
del reato è eblaro e sicuro ti dileliluro lie
CANTO VENTESIMOTTA VO
PARADISO TERRESTRE
IL PIUME LETÈ, LA DONNA SOLETTA
ORIGINE DELL'ACQUA E DEL VENTO NELLA DIVINA SELVA
CONDIZIONE DEL LUOGO
Vago già di corcar dentro è dintorno
divina foresta spessa o viva,
Ch
agli occhi temperava il nuovo giorno,
Senza più aspettar, lasc
la riva,
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo suol che d’ogni parte oliva.
Un'aura dolce, senza mutamento
Avere in sè, mi ferla per la fronte
V. 1-31. Endrata nella divina fo
nerta. È Îa mattina dol settimo od nl-
nol
oestorolo, dovo Il anolo olezza d'ogni
parto 0 spira un'aura dolce © sompre
tiganla, Como fu tanto altre cose, Dante
ul montra fodoliantmo discepolo dl 8. Tom-
maso anche nella topografia del Paradiso
terrestre, {1 quale, secondo l'Aquinste,
è situato ju luogo altissimo nelle parti
urlentali della terra. «Cum autem oriena
ult dextora certi, dextera autera eat noti.
Tor quam stulatea: conventona fait nt in
tali parto paradise terronna fnati.
Unetetur a Dos... Pertingit umuo ad Ju-
nare cirealom.... Secluaug est a nostra
Îintieno aliquibus Smpedituentis vel
montinm, volmarinz, vel alicaloe matno-
mt rogloats, que pertraalri son patest. »
dun: (Aes, 1, 103, 1: cfr. Jedor., Sym.
XIV, 3. Petr. Lomb., Sent. IL, 17, cos.
oh, Damase., De ortbed. Fid. XI, 11.
E Arp, In Gomes. VIII, 7.
1. VAGO: dasileroso, a cana dee pn
nolo di Virgilio, Purp. XXVII, Mib agg. -
DENTRO: nel meno. = DINTORXO : la giro,
2. Drvnva: piantata da Dio « Pluntave-
rat autem Dominus Derus paredistim vo
luptatis a principio »; Gen. II, 8. Rie
na: folta (1.108) di arde, fiori
ipora”
no vivi agli cechi miel (a motivo de' anel
frendoni razmi) | raggi del nolo rosate
monte sorto.
4, ABPRTTAR conalgiio 0 ovino di Wi:
Fastremità di quel piano; l'ingresso deli
Parediao
È MASSDRXDO 6001 avriandomi lenta
mento per quella planara. « Fra
dollzlo pen poteva aver rogia di cer
® OLIVA: oleszara, mandava gradilti
odori, ceendo smaltato di Bari, di ut
betta e di arboncelti ; ofr. Purg, XXVII,
seuraMESTO AVI De #R: sami di
moda, noo soggetta nl alterazioni.
porturbuicai, comwe l'aria sulla nera
terra,
szazester]) Pons. xxvni 114-130
Di diversa virià diverse legna.
Non parret là poi maraviglia,
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s'appiglia.
E saper dè la campegna santa
Ove tu sei, d'ogni semenza è piena,
E frutt che di là non si schianta.
L'acqua che vedi, non surge na,
Che ristori vapor che gel converta,
Come fiume ch’acquista e perde lena;
Ma esce di fontana salda e certa;
Che tanto dal voler di Dio riprende,
Quant’ ella da due parti aperta.
Da questa parte, con virtà discende
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall'altra, d’ogni ben fatto la rende.
Quinci Letà; così dall’
ha ins
Itro lato
mente da Dio; efr. Gene,
Da una nte scalo
rrono în dirnzione
Letò, fa di
I altro,
ia tutte le bucme
a patto però che el bea
di questa
a: secondo ls qualità di
ndo. opposta dell’ m
letto, ln mia di- E
TERE.) Pugo. sxyis, 148-148. xx1x. 1-4 [MATREDA]
Qui primavera sempre ed ogni fratto;
Nèttare è questo, di che ciascun dice. »
Io mi rivolsi a dietro allora tutto
A’ miei poeti, e vidi che con riso
Udito avevan l'ultimo costrutto;
[Poi alla bella donna tornai ’1 viso.
lavana suarenii: qui è som-
330 tempo stagione dei fiori
primavera ed autunno, « Ver
im >; Orid., Met. 1, 107.
cane: fr. Purg. XXII, 150.
di quelli che anticamonte
VOLSI A DIETRO: cor Ì più,
lost A meio | il Witte loggo
F. Croce: MI YOLSI DI RETRO.
CANTO VEN
PARADISO
LUNGO L
Vuol vedere quale impreasione lo ultime
parole di Matelda abbiano fatto sui sno
duo compagni, che sono ambedue di
« quelli che anticamente poetaro ».
146. RISO: di com pincenza che approva
tacitamento le coso ndite.
147. L'ULTIMO COSTRUTTO: l'ultima
conclusione, le ultime parole di Matelda.
148. TORNAI "L vIsO: rivolel nnovs-
mento gli occhi a Mateld
ESIMON
TERRESTRE
‘TrareatRE] Puro. txix. 5-22 [LUCK E MELODIA] 699
Per le salvatiche ombre, disiando
Qual di veder, qual di fuggir lo solo;
Allor si mosse contra il fiumo, andando
Su per la riva, ed io pari di lei,
Piociol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra i suo’ passi e i miei,
Quando le ripe igualmente dier vòlta
Per modo, ch'a levanto mi rendei.
Nè anco fu così nostra via molta,
Quando la donna tutta a me si torse,
Dicendo: « Frate mio, guarda ed ascolta!»
Ed ecco un lustro subito trascorse
Da tutto parti per la gran foresta,
Tal, che di balenar mi miso in forse;
Ma perchè il balenar, come vien, resta,
E quel, durando, più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: « Che cosa è questa? »
Ed una melodia dolce correva
que sororea, Centum ques sileaa, centom
que fiamina serrant +; Virp., Grorg., IV,
cl
CA
‘8: aaLvaTICHE camme: ombre dello set
ve, «Ibant obrcari sola and nocte per
unobraza »3 Virp., den. VI, 268
6: quat, tos.: io uno In cerca di più
aprico luego per sedere il s0l0, le altre tn
corea di più spesse ombro per fuggirto.
®. commna IL mumx: nella direzione
verno menzudì.
9. riccIOGI ofr, Pury. XX VIII, 54, <8o-
uitargne patrora non paesiLua quit»;
dem. IL, 734,
10. ‘ma 1 so” ece.: sommati inviemo,
no, fecero an gomito.
V. 1-36. Luce n melontia ammn-
atatrtetella gran proceeri
l'umanità è privata di tanta dolcezza. Il
Inatro intanto diviene facce, o la mekeria,
cante. Sulla visione finalo del Purynterio
efr., oltre la letteratara
Lips, II, 618 ng, principalmeni
rardini, Vinione di D. net Par. ferre.
stre nel Propugnatore di Holognn, X, 11,
198.227; XI, I, 27-76.
13, NÈ ANCO! ® MOD SFRVAMO RIMOFA
andati altrottanto dopo esuereì volti a
lovante.
16, poxxA: Matella, - ni tom: M
volto tutta a mo, Alln les.: QUANDO LA
DOSEA MIA AME #1 TONE comtrmeta il
fatto «bo Dante chiama Donna méa 1
sola Beatrice,
10, LosTRo 6UNITO : un Tute subitameo,
provaniento dai sette candetabiri, v, 1,
18 get solar Dy FomsE : mi foco dettare
cho linfenasse, « Ho primum nora înx
ocalta oMibalt eb Ingena Vismx ale Amrora
cafone trnsenrrere nimbur »: Virg.,
den. DX, 119 ng.
19, RIATA: coma, qpariace colla miele
sima velbeltà colla quale narcò,
20. QUEL: quel Pustro durava al nre
vivnea sempre più,
20, XK MIO PRMRAR | fra uo etnso, X1
pensare è wa: parts Interno.
22, atmionta 1 1 canto dal ventiquattro
seniori, v, 85 ag.
Puro. 1xx. 1-9 CerELUDIO] 649
CANTO TRENTESIMO
PARADISO TERRESTRE
APPARIZIONE DI BEATRICE, SCOMPARSA DI VIRGILIO
RIMPROVERI DI BEATRICE A DANTE
Quando il settentrion del primo cielo,
Che nò occaso mai seppe nè èrto,
Nè d'altra nebbia, che di colpa, velo,
E che faceva lì ciascuno accorto
Di suo dover, come il più basso face
Qual timon gira per venire a porto,
Fermo s'affiase; la gente vernce,
Venuta prima tra il Grifone ed esso,
Al carro volse sè, come a sua paco;
tore che quello Settentrione, cioé li mita
doni
fa parte la atella polare, fa accorto del ino
derore chionquo gira one pie venire
sizhiti
E l’altro ciel di bel sereno adorno;
as E la faccia del sol nascere ombrata
Sì, che, per temperanza di vapori,
L'occhio la sostenoa lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva
E ricadeva in giù dentro e di fuori,
Sopra candido vel cinta d'oliva,
Donna m' apparve, sotto verde manto
Vostita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato, che alla sua presenza
Non era di stupor, tramando, affranto,
Senza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù che da lei mosse,
D'antico amor senti la gran potenza.
Tosto che nella vista mi percosse
L'alta virtù che già m'aven trafitto
Prima ch'io fuor di pnerizia fosse,
Volsimi alla sinistra col rispitto
nm aurora movetar»; Orîd., Met. VI, Beatrice morta nel 1598; efr. Purg.
AT ag. XXXII, 2.
4. L'ALTRO CIEL: LÌ reato dol cielo. 35. CNR ALLA BUA: Al: COS LA SUA,
20, PNR TRMPERAXZA: per essere a
38. xuvoLA: cemmuona all'immagine
uapini ao vulamo fi polka Fuleita
fat?
Li
1 altra, conoscenza.
38. OCCULTA YISTÒ: virtò nrcama già
sperimentata în vita di Beatrice,
40. neLLA vista: negli occhi e lodo
cho la vidi [benchè non la soncsceini
ancora).
Tir
IH
dl, INAVITTO: « Valnorsati cor mento,
sorer men, spansa, valzerssti car memi
la uno ocolorum tuorum, et In uno ortne
DE,
PE:
frapaDiso TERRESTRE] Pono. xxx. 24-48 [nearBIck] 651
ti P — — c@—@—@@@@@ii ms
[rAraniso reRRESTRE] Pono. xxx. 59-74 fanmrovani] 858
Viene a veder la gente che ministra
Por gli altri legni, ed a ben far l'incuora;
In su la sponda del carro sinistra,
Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si rogistra,
Vidi la donna che pria m'appario
Velata sotto l'angelica festa,
Drizzar gli occhi var me di qua dal rio.
Tutto che il vel che le scendea di testa,
Corchiato dalla fronde di Minerva,
Non la lasciasse parer manifesta;
Regalmento nell'atto ancor protorva
Continuò, come colui che dice,
E il più caldo parlar dietro sì serva:
« Guardaci ben! Ben sem, ben sem Beatrice!
Come degnasti d'accedere al monte?
ano, mostrn che dagli atti e dallo agnardo > 65, axaxtica resta: nuvola di fiori
trasparira
di ‘altezza d'affetto. | gittati degli angeli; er, v. 28 agg:
Aricho il carro saluteziono, au cui alla si 90. na uro: dal fumo Letà.
posa, ha qualche analogia con la nave Gè. ron nr xnvA : rami dell'ali»
ovo l'ammiraglio rialode. » vo fefr. v. 31) sacro a Minurra,
"Simi, 850. Cfr. Come. IV,
89, atiuettA! morrò, fa suo ufficio; - — rROTRAVA: altioea @ rigida. «Dnl peli
cipio ema filosofia parea a me, quanto
dalla parto dol wo corpo, cioò magiienaia,
quella di nove»;
mera» alla alnintra
pre quello che ite
de lo dicitore, sì dee riservare dl) dietro;
pervechò quello che nitimamento al den,
più rimane nell'animo dell’ nditaro »}
Own. II, &
73. uti alamo, Loatrice paria nel
659 (Par. vegRestRE] Puro. xxx. 125-188
Di mia seconda etade, e mutai vita,
Questi si tolse n mo, o diossi altruî.
Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza e virtù cresciuta m° era,
Fu'io a lui men cara e men gradita;
E volse i uoi per via non vera,
Imagini di bon seguendo false,
Che nulla promission rendono intera.
Nè l’impetraro spirazion mi valso,
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
Lo rivocai; sì poco a Ini ne calse!
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,
Fuor che mostrargli le perdute genti.
125. NUTAI vitA : morendo passi dalla |
ita terrestre alla caloste.
126. ALTRAT: pd altca «donna gratia»
tr. a: N., 3039. si
alla scienza divina ea dard e tutto
alla scienza nmana. come vaole
Il Gelli (IT, 9), soguito da molti, comin
al e nd aver qualche dnbblo de gli ar
ticoli della religion erlatiana.»
donna immortale. N
128. NELLEZZA eco,: «quia anima beata
ber
40 © 45, lo quali, ae non rimasero mnza
effetto, come nî comprende dal racconto
dolla Vita A ni altro,
uan
“a _58 sipeoreri di Beto
fesaioni di Dante anlla
non disoarno (2'urg. XXVII, 129), a da
| dove in lì Dante dove attomeril alla sala
imagine mpert
Ram baia dare mortalibns videntui
rum Antem siqao perfeetum
ferre non possant ; » ibid. 111,
Com. Lipe. IL, 653.
188. semazioni allude senza dobblo
Mito visioni raccontata nella Vita Nuone,
copolienti.
187. ORTI: lavefficinti, Inellicnei,
A7À. LE FASDUTE GANTTI lì peccalto mella
(rarapiso rennistRE) Puro. tx. 187-145
CreaviamenTiI] 659
1 Per questo visitai l'uscio dei morti,
Ed a colui che l'ha quassù condotto,
Li preghi miei, piangendo, faron porti.
Alto fato di Dio sarobbe rotto,
Se Letò si passasse, o tal vivanda
Fosse gustata senza alcuno scotto
145 Di pentimento che lagrime spanda, »
ana vera natura 0 nello sue ultime conso-
tri
Tute, ed io voleva por aalvarlo. = vrstrAT
otr. Inf. XI, 52 agg. - L'usCIO: ofr. Inf.
III, Lagg.-x0nm1: danvati. « Morto dice
privaziono »; Cone, XY, 8; 1 dannati non
privati er stpre del Bomino Bano, che
[rar dormi Visgllio.
di. ruumaio: cfr, Inf. IT, 115 seg.
142, YaTo bt Dio: volere di Dio 0, me-
ancore, ordinamento, legge voluta
Dio. + Fatura eat ondinatio secanila»
rum cansarum ad effostos divinita» pro-
visos, Quineumqne hzitur causis secandis
aobdontur, sa subduntar at fato,.., PA
tura refertar ad voluntatem et poteata»
tem Del aicot al primum prinol
o Sum. theol., I, 116, 4. -e Ty
vel fat nomine
potestaa,
Mipelitoy et dig.” Oi. Del: 8,
« Providontia est ipsa illa divina ratio
ta summo omniom principe constitata
que cuneta disponit: futum vero inbso.
rena rebus mobilitua dispositio per quam
providentia aula quaque neetit ordini.
bus. Providentia namque cuneta pariter,
quarmvia diversa, quamvie invita, com-
piectitar; fatum vero ningula dn
catio in divine mentis adunata prospeotia
providentia sit; eadem voro adamatio di-
grata atque explicata temporiban fatam
Boet., Cona. phit. IV, pr. 6.
lato.
16, vivamna: lo neque del Lotò, che
fanno dimenticare Il malo commessa,
144. scottO1 compenso. + Prima di
bero l'acqua cho porta l'abbilo dalle
0010, è mestieri piangerle con profimé@
dolore: questo è lo scotte, cioò Il prete
da pagarl du ch vuo! bere tale a0qua n;
Orrn.- « Viva la fano: Papare lo scatto
di alcuna cosa, per soffrirma la pena it
ritata ed il danno »; Camerné,
[cosressIoNE)]
ANTO TRENTESIMOPRIMO
PARADISO TERR!
TRE
IONI DI DANTE, IMMERSIONE NEL FIUME LET
NOELLE DI BEATRICE, BEATRICE SVELATA
tu che sei di là dal fiume sacro, »
Yolgendo suo parlare a me per punta,
he pur per taglio m'era paruto acro,
‘ominciò, seguendo senza cunta,
Di’, di’ se questo è vero! A tanta accusa
ua confession conviene esser congiunta, »
la mia virtù tanto confusa,
®he la voce si mosse, e pria sì spense,
he dagli organi snoi fosse dischiusa.
6; poi disse: « Che pense?
ErarADiso TERRESTRE] Pupo, sxx1. 102-117 [Axcenne DI B.] 667
Ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi.
Indi mi tolse, e bagnato m' offerse
Dentro alla danza delle quattro belle;
E ciascuna del braccio mi coperse.
« Noi sem qui ninfo, o nel ciel semo stelle:
Pria che Bentrice discendesse al mondo;
Fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti agli occhi suoi; ma nel gioconda
Lame ch'è dentro, aguzzeranno i tuoi
Le tre di là, che miran più profondo. »
Così cantando cominciaro; e poi
AI petto del Grifon 800 menàrmi,
Ove Beatrice vòlta stava a noi.
Disser: < Fa' che le viste non risparmi
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi
Onde Amor già ti trasse le suo armi. »
autorità ccclosisatica già prima della
fondazione della Chiesa.
100. MERKENTI | par merrenedi 0 mer=
cioè ti meneremo,
110. pierro: agli occhi di Neatrloe, =
. ITUOI: occhi.
Pol chie la dottrina et antorità sacer: 111. LE TR nre Seal
dotale hac munditeato © lavato l'omo —Purg. XXIX per le quali si
de l'atto e dal fomite del peccato ache ale Biosafare a quella Atene coloniale;
l'ha renduto Janoseste, co lavato lo dove gli Stolei © Poripatetiei ed Eplom:
dontro da Ja dansa dele quattro rel, per l'arte della Verità otorna, în um
volore concordovolmonte concorremo +}
Cone. 117, 14, 0 efr. fl cap. 18:
114 vò&TA : tando ul carro, Beatrico
ormai vèlta a guardare Sl Grifone che lo
tirava, v. #0 aga © però Danto, volte
al petto del Grifone, arova Bamrice i
frovte a sà
118, ra'cue cos.: non risparmiare git
agoandi,
216. RMEBZALDI: cochi di Bentrico, dati
amoratà! perì toro splendore, Ott. Purg.
JIL-16:-reiurcolerandopevtssionene
Più
‘eochi porta la mia dona Amore»,
no sitre:
Dagli cechi della rala derma si more
668 (raw. menzere) Pono. xxx. 118-188 ’*(ocom
na Mille disiri più che fiamma caldi
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti;
Ohe pur sopra il Grifone stavan saldi. |
Come in lo specchio il'sol, non altrimenti
La doppia Fiera dentro vi raggiuva,
Or con uni, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, s'io mi maravigliava,
Quando vedea la'coss in'iò star queta;
E nell'idolo suo gi trasmutava.
Mentre che, piena di stupore e lieta,
L’anima mia gustava di quel cibo,
Che, saziando di sè, di sè asseta;
Sè dimostrando di più alto tribo
Negli atti, l'altro tro sì -fèro avanti,
Danzando a) loro angelico caribo.
v. Tib-I%6. GI occhi di Beatrice,
del Grifone. Dante guarda
Beatrice, | cul occhi riluoenti sono ancora
Jmanobilmente fisai aì Grifone, ‘arodade
Umana, od ora con quelli dell'aquila, cioè
della matara divina; di che Dante forte:
mante si maraviglia.
219. sranesEmaai : m'indoi
Tmnled occhi negli occhi
trice. x
10. rus: s0lament
mente. «I miol occhi’
vero il Signoro r) Sulm. XXIV,
121, come: 1° fa
Onid., Mat. TV, 248
quam cam paro ni do Op
nta npoculi referitar imagi: Phodu
Cir. Cono. INI, 15.
123. aagoseesTI: atti,
IMI, FL IV. 261)
v ile
terità ecclesi,
vialbilmento, ora pih
secondo la matura umani
128. La cos: 5 Grifone, Ca
Minato nei sonso Lunga È
reale; idole è l'imagin
lar ferma el immobile nella
126. x xeLL'IDOLO oco.: è nell" timna-
gia ana, rifleana agli cochi di Bonte)on,
arlara lo na0 forme, Cfr. Tlwm. 4g
Simo. theet. TLT, 10, 4, 5.
V.127-145. Loatricesnelata. Pregata
dalle tro Virtà Toologali di mostrare nl
fodele la propria seconda bellezza,
Beatrice si srola ag! occhi. di Dante, il
qualo xi confessa incapace di diserimerme
lo calestinli bellezza.
137. storoRk: vedendo da. Wramanta
'cchidi anita
L
112-128, Gino. 604,1. del mire Pal
trice ed Il Grifone » (Dani), di che DD, mem,
00 canto», operò « cantò che ni
danzando pesi accompagiamniO [Aa
musica », interpretazioni et.
Com. eta IL vien. Nol santo di Cate
TrAnaDiso tenResTRE) Poro. xrri, 198-145 [sea svanAtA] 669
ist < Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi »
Era la sua canzone, « al tuo fedele,
Cho, por vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa' noi grazia che disvele
A lui la bocca tua, si che discerna
La seconda bellezza cho tu cole!»
O isplendor di viva luce eterna,
Chi pallido si fece sotto l'ombra
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
Cho non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te, qual tu parosti
Là dove armonizzando il ciel t'adombra,
14 Quando nell’aere aperto ti solvesti?
zone a ballo sembra usasse la 100s sarido
giù prima di Dante, Giacomo Pugliese;
oîr. D'Ancona e Comparetti, Antiche rime
wolp. I, 388; Y; 241. La voco doveva cs-
auto conoseiutiasima nel Treceato, non
essendosi alcan commentatore nino a
dorato di darne una apiogazione
uo.
N06. Soa: Ali LOR. - YRORLE: com
obiamano Danto wi onta del rimproveri
Tattigli da Neatrico; eér, Inf. IT, 61. «Fe-
dolo d'amore a di dealdorio se non d'ope-
me: Tom.
139, passi TANTI: par l'Inferno e su
per } gironi del Purgatorio,
136; va' xos: Ali vamve.
197. La nooca: ll dolce riso. L'anima
= dimostrasi nella bosca, quasi sicovmo
colore dopo vetro... Abi, mirabile viso
di che
statie, ot Imago bonitatis Iliaa +; Sep.
VII, 20. Cfr. Fita N., 2, 20, 30, 000.
140, CHI FALLIDO sco chi mni sl nfr
faticò tante nello atudio della poesia}
141.0 neve: fl farei pallido all'ombra
di Purnaso al riforisco agli atadi, Il devere
alla sua fonte al riferisce al dono naturale:
dell' immaginazione, I sento è n
Chi ai affaticò mal tanto negli O
ohi fu mai dotato di tanta eloquenma e
forza d'immaginazione, chenon sorabraa:
se avere la monte odfaszata tentando di
doscriror te quale t mostrati velata
MU T'apoamma: ti simboleggia, ti rag»
presenta; «là dove fl elelo, ammoniemaz.
do con la terra dell'innocenza, appena
con la noa bolleaza rendo Imagine di uo
beltozze di
gia
della acionza, della quale tu sel fl nio
Leto »; così Diem, Sis, Ano, Md. Pot
Borg., Triet., esc.
145, xuzt'Axnk 606: quando tl svela»
mostranti lo tao bellezze ell'aere
RRESTRE] Puro. xxti. 1-12
TO TRENTESIMOSECONDO
PARADISO TERRESTRE
DEL SACRO CARRO, ALBERO SIMBOLICO, L'AQUILA
IL DRAGO, TRASFORMAZIONE MOSTRUOSA DEL CARRO
LÀ MEBETRICE ED IL GIGANTE
to eran gli occhi mioi fissi ed attenti
disbramarsi la decenne sete,
bhe gli altri sensi m'eran tutti spenti;
essi quinci e quindi avenn parete
Di non caler, così lo santo riso
sè trae’li con l'antica rete
ando per forza mi fu vèlto îl viso
lar la sinistra mia da quelle Deo,
erch'io udia da lor un « Troppo fiso! »
Hfiztome rcanetiz) Pons. rxast. 18-90 (raccmasions]/ 671
1a Ma poi che al poco il viso riformossi
(To dico ‘al poco”, per rispetto al molto
Sensibile, onde a forza mi rimossi),
Vidi in sul braccio destro esser rivolto
Lo glorioso esercito, o tornarsi
Col sole 6 con le sotto fiamme al volto.
Come sotto gli scudi per salvarsi
Volgesi schiera, e sè gira col segno,
Prima che possa tutta in 36 mutarsi;
Quella milizia del celeste regno
Che precedeva, tutta trapassonne,
Prin che piogasso il carro il primo legno.
Indi alle ruoto si tornar le donne;
E il Grifon mosse il benedetto carco
Sì, che però nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco,
E Stazio ed io seguitavam la rota
Che fe' l'orbita sua con minor arco.
le. Matokda, Dante 6 Stazio aogoono alla
sero, pol In schiera de' santi, © nitimo,
ruota destra del carro.
U mere. Vent, Stmil., 966.
13. AL 1000: tanto grando lo splendore
dl Beatrico che, al paragono, quello dello
altre cose celesilali era poco, — RIPOR-
xonar; al abited di nuovo,
M16. pre
52, QUELLA MiLezia : i ventiquattro nb
niori, Purg. XXIX, 33, ohe precedono
4) carro, come la lego ed i profeti pro-
colottaro alla Chioma.
34. IL PRINO L6OxO: fl Almone, Trim
ho il carro piegaano a destra il timone,
25. ALLE NUOTE st roRKAx eco. lo tra
dalla destra è lo quattro dalla aluietea
27. Rd: 'nencoatesA Groove GONE
non per questo al nesso pur mna dellasno
penne d'aquila, «ala "DN da divialtate
tuatatom em, quamvia mutaretur forma
occbontm >; Tiene, Cristo non guida la un
Chlosa con messi esterni, ma colla au
RI sco epirita sh reggaodale,
Mi si affatto
28, La niLLa DogIA | Matelda, «ho
mi face varcare Sì fiume Lotd; ft; Purg,
XXXI, dI agg.
3. WOTA 1 delta, cho med volgare! del
carro n destra avea demeritto un so
minore che la stnietra,
[PARADISO rennestR*) Pono. xxtn. 75-91 [urarRIca] 075
E perpetuo nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
E vinti, ritornaro alla parola
Dalla qual furon maggior sonni rotti;
E videro scemata loro scuola
Così di Moisè, come d'Elia,
Ed al Maestro suo cangiata stola;
Tal torna' io, e vidi quella pia
Sovra me starsi, che conducitrice
Fa de' miei passi lungo il fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: « Ov'è Beatrice?»
Ond'olla: « Vedi lei sotto la fronda
Nuova sedere in su la sua radice;
Vedi la compagnia che la circonda:
Gli altri dopo il Grifon sen vanno suso
Con più dolce canzone 6 più profonda. »
pi E so più fu lo suo parlar diffaso,
unsiggio.«amort: bramosi di vedere;
«in quem (Bpiritum sanotum) desi derant
angoli, prospioero »; I Petr. I, 12,
"6. mozzr: festa; ofr, Man XX11, 2,
Apocal. DI
TI. visti: dallo aplendore di Cristo
idoli gueola aio, cao
suscitato da Cristo colla parola sua, come
parsa, Lazzaro) efr. Luca VII, 14. lor.
Tan fa, detta scuola
ì, ROVOLA la
n suor del divin Mesatro; tt. lat.
XVII, A
RI. UO: loro. = sroLA: vento ; non più
RA. Fat: On lo mi tiarogliai alle pa-
gola: Swrgi: ade fai!» QUELLA : Matolda.
83. KOVRA EI levata ln piedi promo
mo
pra: Latò, efr. Purg, XXIX,
«49. Deatrice seduta in terra,
«Depia Bosiiatschlote Dania, nas ope
Pena dleto. R Matolda :* Eocola che aledo
antla radio» dell'albero, chreandata itallo
netto ninfe, ineatre gli altri s6 no ritor
mano: A) ciodo. + Beatrice siedo
metto la fronda od fm ru la reitice dell’ al-
doro, figura dell'Impero, la cul radice è
Roma, dova risledo l'antorità occtesit
tica all'ombea © sotto la protezione del:
l'Impero. Interno ad slire interprete
zioni dell'allogoria di questi vers ef.
Com. Lie: 1L, 743 sg.
85. TUTTO DN DURO: fatlo partes
di essere novamente abbandonate da
Beatrica.
#6. OND' RULA: Al: ND AULA
ET. KUOVA: novamente prodotta.= BUA |
le radio dell'albero è pare la ue della
pron dollo sette ninfe, slo
dello nette Virtà, che tengonolu manoeia»
gui sunt Chriati, qui io mdventa ele
erodidoront »j (bid, v. 23, — atomo: al
prfonda al
salire del Grifone al clelo sembra cho It
Posta abbia volato figurare l'ascenslona
di Crinto,
91, ER FEÒ co: so dimo alive, non wi,
perché lo era già di bel nuovo tatto quante
680 (ras. rerrestRE] Puro. xtxrt. 148-160
Sicura, quasi ròcoa in alto monte,
Seder sopr’ esso una puttana sciolta
M'apparve, con le ciglia intorno pronte;
E come perchè non gli fosso tolta,
Vidi di costa a lei dritto un gigante;
E baciavansi insieme alcuna volta.
Ma, perchè l'occhio cupido e vagante
A me rivolse, quel feroce drudo
La fiagellò dal capo infin le piante.
Poi, di sospetto pieno e d’ ira erudo,
Disciolso il mostro, trasse! per la selva
Tanto, che sol di lei mi fece scudo
Alla puttana ed alla nuova belva.
è bito fl Bello parevano essere d'ac
“ila vini muti; quia Boni
cina nolebat amplina pati serritutem
Philippi»; Bene. fe. Od. Raymald, An.
tocì, ada. 1903, n. 2.ag., Sa.
156 0 a ogni Ra a RARA E
eriatiso,
fat
1-18; XVII, 2 agg.
168, arcuna ; negno di grande sfccla-
faggio. - MONT: « Non potest olvitaa
abrcondi supra montem poslta »; Matt.
V,34.- « Falricaati lupasar tonm în
pite omnis vim, et excelsom tonm
Glati in omni platea »; Bsceh. XVI,
cechi n qua e in là. « Forniosto
riatn axtollentia oculoruna et eta paipebria
Ultae agnossetar » Booker XX
Aicona volta omino VITE
[raraniso reRRESTRE) Pero. xxxiti, 1-10 [caNTo E sospiro] 681
CANTO TRENTESIMOTERZO
PARADISO TERRESTRE
VATICINIO DI BEATRICE, IL CINQUECENTO DIECE E CINQUE
ULTIMA PURIFICAZIONE DI DANTE, IL FIUME EUNOÈ
« Deus, venerunt gentes », alternando
Or tre or quattro dolce salmodia,
Le donne incominciaro, e lagrimando;
E Beatrice sospirosa 6 pia
Quelle ascoltava sì fatta, che poca
Più alla croce si cambiò Maria.
Ma poi che l'altro vergini dier loco
A loi di dir, levata dritta in piò,
Rispose, colorata come foco:
do « Modicum, et non videbitis me,
Vi. 1elî, Canto e sospiro, Allo ntea- Cinto, Il divin uno figlio, in oroca, a Quo-
modo... mutatoa est color opiimaua »i
Loment. Ter. IV, 1.
7-8. L'ALTE: le tro e le quattro ninto,
— tikk LOCO A Lt DE 1; avendo finito
dii
imeRREsTRE] Puro. xxxur, 11-31 [DANTE E BEATETCR]
Et iterum, sorelle mie dilette,
Modicum, et vos videbitis me.»
‘oi le si mise innanzi tutte a sette,
E dopo sè, solo accennando, mosse
Me e la donna e il savio che ristette.
‘osì sen giva, e non credo che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto,
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse;
, con tranquillo aspetto, « Vien più tosto, »
Mi disse, «tanto che, s'io parlo teco,
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto. »
i com’io fui, com'io doveva, 5600,
Dissemi: « Frate, perchè non ti attenti
A domandarmi omai venendo meco?»
lome a color che troppo reverenti
Dinanzi a’ suoi maggior parlando sono,
Che non traggon la voce viva ai denti,
vvenne a me, che senza intero suono
Incominciai: « Madonna, mia bisogna
Voi conoscete e ciò ch'ad essa è buono.»
< Da tema e da vergogna
d ella a me:
a sun forma. Queati versi psse (ofr. Purg. XXX, 40 seg.)
aperanza della restituzione hi miei collo splendore de' suol.
[FARADISO TERRESTRE] Puno.xxxiti. 62-64 [PIANTA sACEA] 685
sa Tu nota; 6 sì, come da me son porte,
Così queste parole sogna ai vivi
Del viver ch'è un correre alla morte;
Ed aggi a mente, quando tu le scrivi,
Di non celar qual hai vista la pianta,
Ch'è or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella 0 quella schianta,
Con bestemmia di fatto offende a Dio,
Che solo all'uso suo la creò santa.
Per morder quella, in pena ed in digio
Cinquemili anni e più l'anima prima
Bramò Colui che il morso în sè punio.
Dorme lo ingegno tuo, se non istima
V. 53-57. La missione di Dante.
Pnaicica prope Dante di fare attenzione
ba detto ed a ciò che ancor
prima
SETA pn avete al Co
doman abbi; etr. Dies, Roman,
’arodi,
nima di Adano vttto are cinguenia
anni nel Limbo, aspettando Colui ehe,
morendo snlla erose, espiò tale colpa. È
non sensa una particolare ragione l'al-
bero è tanto alto e travolto nella cima,
valo ® dire si dilata quanto più a'fn-
maîea. Solamente per tali 6 s gravi ef
costanzo si può conoscare la giusta di
Dio e gli alti anoì fini nell'intendetto
futto in rignardo dell'albero, sppostane
dono il sanso morale.
58. uma: ruba la pinnta ehi la togila
{1 carro, come fece Il gigante; chiunque
al uanrpa cosò è diritti ehe apparteri.
gono nll' Impero, come fa ta pento clin
dovrebbo osser diveta è lasciae aeder
Cesnre nella sella (urp. VI, SL Agi).
Solista lalbaro chi atozaall'antrià
Imporiate.
GP. DI VATTO 1 beatemmia più grave
amal che di parole,
I. IV, et
63. ciSqUaMItI' ANNI: GIR, iod 030
xiano dl mando, Cir. Com. Lp. IT, TRS
— IAMIIA PRIA è
93. Cogtm: rt mer morto per ceplura
N piosato di
RL Dora: 1 nmroine ed tosti 0%
però Incapaoe di pensare e comprendere.
— INTIMA: argomenta,
. TERRESTRE] Pura. xxXut, 65-78 [PIANTA SACEA]
Per singular cagione essere eccelsa
Lei tanto, e sì travolta nella cima.
E se stati non fossero acqua d’ Elsa
Li pensier vani intorno alla tua mente,
E il piacer loro un Piramo alla gelsa,
Per tante circostanze solamente
La giustizia di Dio, nello interdetto,
Conosceresti all’arbor moralmente.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto
Fatto di pietra, ed impietrato, tinto
Sì, che t'abbaglia il lume del mio detto,
Voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
Che il te ne porti dentro a te, per quello
Che si reca il bordon di palma cinto. »
Lea: altà; ofr. Purg. XXXII, dettato ciò cha Dio volle sulla inviola:
bilità ed integrità dell'Impero, e sul rt-
ATI: © se 1 vani pensieri non spetto ed ossequio dovutigli.
durato la fun monto. — ACQUA TL. INTERDETTO: di manomettere l'a}
he, essendo sutura di moido bero,
lo di sotto-carbonato di calce, 2. MORALMKSTE
jotà d'inorostare i corpi che 74. FATTO DI riletna: indurito come
lrgono. L' Elsa è nn flamicello pietra: « Induraveront fucien suna sa
hna che esce dal fianco occi- pra petram »; Zerem. V, 3. - « Auferam
or lapidenra de carne vestra »; Ezetà.
Saneso è pi ol XXXVI, 26, — KD IMPIKTRATO, TINTO.
teggia ln ntrada > > indurito na nnohe oacurate
ofr. Cone. IL, 1
ranApiso rarReSTRE] Pura. xxxits. 79-92 [vero eerov.] 687
» Ed io; «Si come cera da suggello,
Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perchè tanto sopra mia veduta
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde, quanto più s'aiuta?»
< Perchè conoschi » disse, « quella scuola
C' hai soguitata, 0 veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra il ciel che più alto fostina. »
Ond'io risposi lei: « Non mi ricorda
Ch'io straniassi me giammai da voi,
10 di loi + {tmalzi cotanto al disopra del
sto intendimento, « Ciò avviene » gli ri-
mponde Beatrior, «par farti conossrol'in-
sufficienza di quella souola flosatica alla
qualo tutto ti desti, e per farti compren»
dere quasto laferiore è la «ua alla mia
dottrina. » « Ma fo non wi ricordo di
FULCI Lath che dante La meniria
male; ma appunto la ta dimenti-
cauza prova la tua co'pa. Però da ora
pol la mie parole saranno chiare quan»
ntcsantio
Lemma i tr, Purg. X, 45, Come.
Dy Afen. LT, 2, Come la cora
per caste compreso
corta vedota del tao {n-
via non vera; cfr, Purg. XXX, 124-1#t
#7. COME: quanto casa è incapaci ci
Inetta n rollevari alla contemplazione
dol miatarì della doltrima sacra 0 riso
Iata. « Non cognorit mundan per smpleri»
tam Deom »; X Cor. X, 215 confe, Kb
IL lb
fi. voenta | Umana € mondana. = VIA È
2 in generala dice nostra ela, non leg
scONDA: è distante, « Nom ent
cagitatienos mer, cogitalbenoa vetrm ;
sequo vie vestro, rim mero, dieit De
minva. Quia aieab axaltantar cali a ter-
rm, slo exnliat® sunt vie uneee a ila Yo-
atrin, ob cogitatianes moss a cogltalbeal=
bus ventris. » Tania LV, 3-9, = + Botaca
terna Ut dietant, 6 Mamma mari, alo
nitila recto»; Zacan., PAara. VAIL, 487.
Impulso di questo totti 1 obeti ttt
morsudosi inalorme nil
Pitrrnrezi
contro oso sarà I più voleor. » Ae
orERRESTRE] Puro. xxtits. 140-145 [auxok] 691
. Ordite a questa cantica seconda,
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte.
To ritornai dalla santiasim’onda
Rifatto sì, come pianto novelle
Rinnovellato di novella fronda,
145 Puro e disposto a salire alle stelle.
aveaso fiaaato anticipatamente persino
numero appromimativo del veraì di ogni
cantioa
140. Onbtre: predisposte, como l'or-
dito alla tela.
Ma. Lo ran» neLL'ARTR: la norma del-
l'arto, la quale richiedo la proporzione,
vuole che fo ponga qui fine a_questa
tantica, « Sed nos immensum
apatila confeolmms mquor, Et fam tem-
porequim fumantia solvero colla»; Viry.,
Georg. 11, 541 ng.
142, RITORNAI: là dovo Beatrico era
rimasta ad aspettarmi, v. 128
D4I. MIPATTO: + Pont ubi colleotam ro-
Rrar vitesguo refocta »; Virg., Georg. III,
225,-« Armisanimisque refooti »; Virg.,
Aem. XIT, 788,
MIA AINOVELLATE: riavordito alla pri-
mavera, «Renovamini autem spirito men-
tia vestrm »; Afea, IV, 23.» « Rursna noe
novari ad penitentiam >; Wabr. VI, 8,
Virgilio deì ramo d'oro svelto da Ent
: © Quale solot silvia Tera»
malì frigore riscum Fronde virere novi
Aen., VI, 205 ag. Cfr, Purg, XXXII,
52 egg.
145. ATELLR: con questa parola fini-
scono tutte 0 tre lo cantiche del piò-
ma, forse x 2ccennare dove l'ocebio
dell' uomo deve mirare, etr. Purg. XIV,
148 agg., 0 dovo egli trova Ì' ultima paso
© ln vera beatituiino. È come l'emr
tazione del Segnori, Pred, X: « A) clelo!
al ciolo! + Del resto Dante ni conforma
all'uno del poeti del teropo, che amavano
terminare colla stessa parola più cammit
formanti um elelo,
LA
DIVINA COMMEDIA
OANTICA TERZA
PARADISO
CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PARADISO
INTROITO ED INVOCAZIONE, SALITA ALLA SFERA DEL FUOCO
MODO DEL SALIRE, ORDINE DELL'UNIVERSO
La gloria di Colui che tutto move,
Por l'universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove.
Nel ciol che più della sua luce prendo,
Fu'io; e vidi cose che ridire
Nè sa, nè può chi di lassù discende;
clolo, il qualo tutto le cceo genera e dal
quale ogni movimento è prinetpiato e
mosso»: Con. ILL, 16
3. rocerza « poncirei quantum sii
‘quantura ad css 1
Pola. do Ros” 0 O dal SEVATI 88
CKXXVII, 7-18, Bolo, XLI i
pi
dell'universo, Iluminato dalla Juco di
Dio, Lansd fai jo © vidi coso che non s0
nè posso ridire; perubé, appressandori
al fine di tatti i suoi desidezti, fl noatro
{enozm10] Par, 1. 42-59 [SALITA] 699
Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sora
Tal foce quasi, e tutto era là bianco
Quello emisperio, e l’altra parte nera;
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel sole:
Aquila sì non gli s' affisso unquanco.
E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo e risalire in suso,
Pur come peregrin che tornar vuole;
Così dell'atto suo, per gli occhi infuso
Nell'imagine mia, il mio si fece;
E fissi gli occhi al sole oltre a nostr uso.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercà del loco
Fatto per proprio dell'umana spece.
To no] soffersi molto, nè si poco
Ch'io nol vedessi afavillar d’intorno,
materia, la forma è l'attività della torro, quello diretto 0 d'incitenza, o rinalo, n
o dal sola. guisa di pellagrino che, ginuto alla méta
43, 14 LÀ: noll’omisforo del Pargato. del suo viaggio vol tornare fudietroy
rio.» Di qua: nel nostro emiatoro, « Por
mano ni Intendo lo npazio che corre
dalla levata del solo fino » monsogierno,
me pos dere quello comprese tnx Dl me: Quede. IV. 3. + nom indica qui
è T'eocaso »; Agnelli, 127. frequenza di sito, ma costanza. Ogni
4. TAL FOCE QUANT, RE TUTTO: Al: TAL volta che un reggio di loco cade sopra un
YOGE, n Quasi TUTTO. Cf. Bartow, Cone
trid. 319 reg. «Un emiafero por osare
fulte blanco, cioè, secondol'intensione del _—de ed 1 fisici di riterzione, © rifieazo.
Poeta, tutto illuminato, è necessario ar —51.ronwAn: In patria,efr, Cone. 1Y,12.
solulamente che il solo batta i nol raggi —53, ArTo 6uO: di riguardare il sole, =
direttamente sal meridiano cho divide
in duo parti eguali quell'emisforo stesso ;
vale n dire: è assolutamente necessario
cho nia mexregiorno, è quanto mono im-
miuenilesiimo »; Agnetti, 128, Ole, Anto-
nelli, Shudk, 22 sg.
40; AIMINTRO: prima guardava verso le-
vnnte, ora ni volge verso settentrione;
or. Agnetti, 181 ng.
48, AQUILA : fl onf oschio può patire il
mole; efr. Par, XX, 31 ag. Arfatot., De
animal., .inJoan, tr. 3I. Brun,
Phars, LX, 098
sep penso giammai ott. Purg,
49, comm RtconDO 1 Al. comm ‘i necos-
Par. 1.77-90 [nunbio sciolto) 701
Desiderato, a sè mi fece atteso
Con l'armonia che tempori e discerni,
Parvemi tanto allor del ciolo acceso
Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
La novità del suono e il grande lume
Di lor cagion m'accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acumo;
Ond'ella, che vedea mo sì com'io,
A quietarmi l'animo commosso,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
E cominciò: « Tu stesso ti fai grosso
Col falso imaginar, sì che non vedi
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso.
aticne non parlarsi qui di tale afora, ma
solo, così come suona letteralmente là
parola di Dante, dell'aria aocesa dal ante,
<h'è ora men lontano.
V. 82-09. Un dubbto sclolto, Non sa-
sondosi accorto del velocianizo atto salite
in alto e oredonio di anore tuttora nola
sommità del Monte Sacro, 1) Poeta non
sà Indovinate la cagione Sla dolce ar-
monia ch'agli ada, e di qui
mo aumento di luce, E Baatrica, che gli
leggs nel cuore, gli dico che nom è più
in terra, ma che, voloce più del Jauupo, è
salito in alto.
Ra, svoxo; delle aferà mono tatto
nuoro, perchè în terra non si ode.
sente»; Cone, 17,23,-«
non pertingenten, novum eToetnm ctr
cla somma cet, qui interrallie contanota» —muniter admiramur »; De Mom, XX, 3.
REETETA Di lma Pata pertica B6, DI COTANTO ACUME: tanto fbrio,
distinetie, li tante mate, quante lo non avora mal
rum orbiam coufeli sentito.
8 30: l'andmo mio cd | milal più le
tira) pemeieri.
grandi è
cose vedere, 0 udine, è per
rp satiro ») Come. XV, he
sett,
terra.
#9, scono 1 ne tt avenni rinvonno da te
Immagionre.
Come a terra quieto fuoco vivo.»
Quinei rivolse invèr lo cielo il viso.
F
i
ton di acne ferma terra; AL CONE
TERRA QUIETE IN YOCO VIVO: il nonno
areb bolo fosso. Cfr Moore, Ori, 4308g
* Pertootto ignle est, secundum quod n
loso wo quiescit»; Thom. 4g., Sum.
Hi
ilti
CANTO SECONDO
(CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
AMMONIMENTO AI LETTORI, SALITA AL PRIMO CIELO
LE MACCHIE DELLA LUNA, INFLUENZE DEI CIELI
O voi she siete in ioletta barca,
nl presente csuto. La navicella del suo.
Mogugio, Purp, I, 2, è drenata on Jo
+ Vol che mon vl alete datl allo stadio.
della vera anpienza Aiosctica e teologica, oi
‘, leggendo, mi aroto negnito fia qui nel contentatevi
Pose aoviaggi ocmato dal seguimi, “tura dello L due prio CasMebio
man Intendereste più clò ehe lo canto, o procal este, profani »; Wing,
Rognitami iveco rl pochi che vi dele: VI, 158
ate di baon'ora allo studio del vere, e vi -—5 xOx vi meTTiTR eco: mom vi sette
TotkLò rato)
Par. ts. 6-18
TAmxoniento] 707
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua che io prendo, giammai non sì corse:
Minerva spira, è conducemi Apollo,
E novo Muse mi dimostran l' Orso.
Voi altri pochi, che drizzaste il collo -
Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui ma non sen vien satollo,
Motter potete ben per l'alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna agnale.
Quei gloriosi che passaro a Colco,
Non s'ammiraron come voi farete,
Quando Giagon vider fatto bifoloo.
goto alla iettara di questa tera cantlon,
perchè, non futendendo le dottrine pro-
pri
sorso sofficianti a segultaro emia traccia.
T.L'Aoqua eoo.1 la materia che ora lm-
& cantaro, non fu alnora trat
tata mai poeticamente. Nou uancano de-
serigioni poeticho dol Parndiso e delle
quo giolo prima di Dauto; ma 0 egli no
le conoscere, oppure nen avevano agli
occhi suoi nessun valore.
È, Mixenva: la aclonza divina è Il
vento che mi spinge; Apollo è il mio ti-
moniere; lo Mame, bed lo Arti, somo îa
mala bussola. » AFDLA : oft, Opi, Afetam,
1,93
D, nove: tanto essendo le Muse. Nore
per anmore dolla Muse intendono La,
0%, An Fior., Postit. Qua, Petr, Dans,
Pulio Boce., Îene., Buti, Lawd., Yell,
Tarchi Veni, Lem. Pol, geo Sscondo
altri nose è qui Il plar. di nova (suora),
ed ll Poeta parla di Mus novelle, cioò
Poota spinto da
Apollo? =L'Omme:
10, roomie tte at x, 16. Cone.
I, 1. Thom, dg., Sum. cont. Gent. Td.
= izzaste eco.i alzmato di baon'ora la
mente alla solenza dello cose divino; of.
Prov. VILI, 17.
Il. FAX DMILI ANORLI : selanza ancra;
cfr. Salm. LAXVIL, 20, Sapien. XYly
20, Cone, I, 1.
12. riva eco.: del qual pana wpiri-
tnaie il savio vive in terra, ma no pr
maziariono a voglia ana, non
che ben poco di quel che varrebbe, te
apotto a Dio; efr. Cone, 1Y, 22, Bali
XVI, 1 Ul Or. VT.
13, sat: lat. solum, t! profondo sarò;
ole. Horat., Eyod. XYIt, bi ag.
14. saviGO è + non dime barehetti, ma
nmanigio, per dimostrato che, assndo in
gran loguo e saldo, eloò uaati a apeote
lare, von portano pericolo di rimanere
Indietro è amarrirui como quel prime
VoreMi. Clr, Virg., Am. JL, 711, 75%
suuvanno; tenando divtro al aulo dellla
mola nave, Accenoa nila forte e oputl
musa attonsione necessaria al letturi di
questa cantià.
15. Dimaxzii prima che la da
Pelli nto
Tata cda Argeanoti,
ne Piera
Pei, "Ml Vallo d'ero,
17. n'AMmmimARON: sl smarnvigliareno ;
Sala EE
18, Gianox di
Inf. XYTIT, 86.» Mrotco 1 arataro. Pet
copquiniare lì Vollo d'ero, Qiuaima de-
atte are un tupo con due bek ih
Tri divani, | rag ria]
mari; afr, ‘Ort papere legnal
CANTO TERZO
CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
VISIONE DI ANIME BEATE, PIOCARDA DONATI
QRADI DI BEATITUDINE, COSTANZA IMPERATRICE
Quel sol che pria d'amor mi scaldò il petto,
Di bella vorità m'avea scoverto,
Provando e riprovando, il dolce aspetto;
Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto quanto si convenne,
Levai lo capo a profferer più erto.
Ma visione spparve che ritenne
A sè me tanto stresto, per vedersi,
Vx 333. Tolone di apieitt-Mentrol — Que; 173, & Thom. dr, Quei Abi
35, L
raovazno: la opinione ana, la vera,
— xirsovanDo | confulando la eplulent
maia, falsa) ofr, Come. 1I, 2.
4. COMMETTO: del mio errere, » CKKtOI
della verità di quanto Beatrice mi nrera
dimostrato.
5, conv: leral i capo quanto era
necsssario per pariaro, « sì ch'lo nom
passa lo molo»; Mutti. AI riferiscono il
lorenò PriMò] Pag.t11.124-130-1v.1-2 [vussI DI DANTE) 727
sù La vista mia, ché tanto la segulo
Quanto possibil fu, poi che la perse,
Volsesi al seguo di maggior disio,
Ed a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Sì, che da prima il viso non sofforse;
E ciò mi fece a domandar più tardo,
& poco, Cfr. Virg,, den. VI, 100 eg.;
VIII, G02
126. PEKKE: « pol che la mia vieta pare
dotto ache non la pototi più vadis
= =
del vero che li illumina e riscalda (Par.
XV, 10; XXI, 65). Quindi è, che non
Rppent. inimeno di conteniazio. nello
duo sapremo 0 tacite voglio,
tacendo Figi
che soppono, tra lo splendore
ritorno allo proprio ima della Luna e quello di Ben
sedi loro destinate nel sommo clelo, » trice»; Lom.
Giu. 429, now sorta: non potò lm sul
124, agovto: disparro dunque a poco principio sostenere tanto splendore,
CANTO QUARTO
CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA
MANCANTI AT VOTI DI CASTITÀ
LA SEDE DEI BEATI, IL RITORNO DELLE ANIME ALLE STELLE
IL LIBERO ARBITRIO, VOTI INFRANTI E LORO RIPARAZIONE
Intra due cibi, distanti e moventi
D'un modo, prima si morrìa di fame,
VW. 1-9, Dubbd di Dante, Udito (1 ra
}
hi
Fa
ti
723 [oneko rRIMO] Par: mv. 819
Che liber uomo l'un recasse ai denti;
Si si starebbe un agno intra due brame-
Di fiori lupi, egualmente temendo;
Sì si starebbe un cano intra due dame.
Per che, s'io mi tacoa, me non riprendo,
Dalli miei dubbi d'un modo sospinto,
Poi ch'era necessario, nè commendo,
To mi tacen; ma il mio disir dipinto
M'ora nel viso, e il domandar con ello,
Più caldo assai, che per parlar distinto.
Fe' si Beatrice, qual fe Denfello,
Nabuccodonosor levando d'ira,
Che l’avea fatto ingiustamente fèllo;
E diase: «Io veggio ben come ti tira
Uno ed altro disîo, si che tua cura
Sè stessa lega sì, che fuor non spira.
Tn argomenti: ‘Se il buon voler dura,
È Lthun ; dotato di libero arbitrio, -st- 200 la natara dell'anima
IL 'bitrso.
IX, 388; X, 94. - DUE MRAMK: tra duo
faumolioi bopi, non sapendo da quale del
oe più tosto fnggiro, « Tigria ut aoditin
divorsa vallo duorum Extimulata fune
n armentorum Neacit, utro po
Ulma roat, et ruere antet wtroquo; Sie
Cori Porseus e; Onid,, Met. V,104 agg.
Masio è lede, pol Guia esssado io egual
tento spluto da' we! due dubbi, doveva
meseazarSamente tacero, Soltanto ciò che
l'home fn ((beramente, può meritar lode
0 Mano,
V. 10-27. I dubbi (ndorinati ed
muponti: Dante tace; ma sul ano volte
È enprosna la domanda «bo Je labbra
mon profferiscono."Bentrice che, vedendo
mtello; l'altro intorno a clè che esatitui-
[Lo PRIMO] Par. iv. 88-106 [vori rNFRANTI)
per queste parole, se ricolte
L'hai come devi, è l'argomento casso
Che t’avria fatto noia ancor più volte.
‘a or ti s'attraversa un altro passo
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso
Non usciresti; pria saresti lasso.
o t'ho per certo nella mente messo,
Ch'alma beata non poria mentire,
Però che sempre al Primo Vero è presso;
poi potesti da Piccarda udire
Che l’affezion del vel Costanza tenne;
Sì ch'ella par qui meco contradire.
Molte fiate già, frate, addivenne
Che per fuggir periglio, contro a grato
Si fe’ di quel che far non si convenne;
‘ome Almeone, che, di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense,
Per non perder pietà si fe’ spietato.
A questo punto voglio che tu pense,
le hai ben comprose, onde, zione fosse reale, è
debira uttenzior non rento, l'una o l'altra di noi
\MgSTO:il dubbio enuncinto du ‘ebbe dal vero.
CAsso: cancellato, distrut- 101. CONTRO A GuATO: a malgrado, di
la voglia. $ or paura d'un male
viene. «Qui tocca
nriapettiva, ch'è mezzo tra lo
Corno remi) “ Pam.iv.188-142Drvovopoesio) 787
n Questo m'invita, questo m' assicura
Con riverenza, donna, a domandarvi
D'un'altra verità che m°è oscura.
To vo' saper se l'uom può aatisfarvi
Ai véti manchi sì con altri beni,
Ch'alla vostra statora non sien parvi. »
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
Di faville d' amor, con sì divini,
Che, vinta, mia virtù diede le reni,
1a E quasi mi perdei con gli occhi chini.
nsarono gli antichi; oft. Nanwue., di sapere, ne al ammette In elelo commti«
Nomi, 107, 109, 11%, 740. « Vedere sì tazi
prote ehe mno desiderabile ata dinanzi
all'altro agli occhi della nostra
per modo quasi piramide, ch Triaime
H sopre prime fuit, od è quasi
dell’ ul
Slo dltusl. Blechò quanto sani pento
nér la baso più ni procedo, magi
Hi desideradili; è varato la
ragione perchè, acquistando, li desideri
tin nl amo più Miopi Paro appresso
FAV TV, 18; cfr. Poet. Ome,
IV, pr. è.
i. mato; tutto questo regioni; Ja
virtù rislva, vinta dal
trico, dovette cedere,
vero, mmirar lei; 11 qual
bio mato dentro di mo, - tutto ciò m'in- tolta dal ingosggio della
rita © m' Incoraggia & faro ina nuova espresso con dar le reni, vale a dire
alla fuga, AL, malamente; IRDI,
| masconta. 142, xa ranba: perdetti quand l' so
136-137. 10 vo' saran eco.: desidéro del sensi.
[Amor Divino]
CANTO QUINTO
CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA
MANCANTI AT VOTI DI CASTITÀ
TTÀ DEL VOTO E POSSIBILITÀ DI PERMUTAZIONE
SALITA AL SECONDO CIELO
CIELO SECONDO 0 DI MERCURIO
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI
GIUSTINIANO IMPERATORE
« S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
Di là dal modo che in terra si vede,
Sì che degli occhi tuoi vinco il valore,
Non ti maravigliar; chè ciò procede
Tcrezo rEntO] Pax. v. 8-23 [SANTITÀ DEL voro] 739
Nello intelletto tuo l' Eterna Luce,
Che, vista sola, sempre amore accende;
E s'altra cosa vostro amor seduce,
Non è so non di quella aleun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper se con altro servigio,
Per manco véto, si può render tanto,
Che l’anima sicuri di litigio. »
Sì cominciò Beatrice questo canto;
E, sl com'uom che suo parlar non spezza,
Continuò così il processo santo:
< Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Fésse creando, ed alla sua bontate
Più conformato, e quel ch’ Ei più apprezza,
Fu della volontà la libertate;
Di cho lo creatore intelligenti
8. Luon: «lo lnme del sommo bano e
lo sam del eoro, lo qualo cresce quando
Jotateliotto s'osereita ia considerare, in«
è lo sommo bene, lo
nno oggetto di necessità, sì che eterno
cose siano quelle ch'egli uma »; Cone.
ld
è quindi quale partecipazione (reatigro)
del sommo bene; il quale è tale, cioò som-
mo bene, alla volontà, ot è eterna l'uae al:
18, CUI soc. 1 renda sicura, Iberi da
ogai contrasto colla divina giustizia, na
paro, come altri vuote, non si accenua al
contraati cho alta morte dell’ uomo seno
suscitati dai demoni come ml narra In Fnfy.
XXVII, 0 Purg V. (0. Bull VITE MQ):
V.16-13, La auneità stel voto, 1 mme
nino dono fatto da Dio all uomo è da il
bertà del volere, il libero arbitro, Mar
condo Îl vote, l'nomo smerlfica pertanto
a Diu il massimo az0 bene: quel compari
sasione potrebbe egli denque dare)
17. sòx arzzA + non laterrompe,
memso inverso Virg,, Lem, IV, 2882 « Ma
medium dictla sermonem abrumpit »,
18. raocisso 1 dal discorso) vontintiò.
altro il ano sunto ragionamento.
19, LO MADGION DON eco.1 « Prinan
prinelplum nostra libertatia sat Wertan
arbiteit.... ico libertas, al ve prinelphum,
ho totina libortatia nostrao, est mart
mm demos Aumanse notre 0 Deo est:
lotum ; quia per Ipenza tto felieltumeme
ut homines, per ipsum alibi feltoltamor
at Dil: » De Men, 1, 13.
21. CONFORMATO : catidarmo, « Dios cha
quento è lî dono più conforme alta divina
, perchò reramunte ÎÌ poter peosmino
A inaleno fa fuoeltà di ben maritare, la
possibilità del dolore è ha pomsitilità della
globa e; Tom. Gr, Those, dg., Sum. rAeed,
"uh ipo 108 18 tg
LO PRIMO] Par. v. 24-87 [SANTITÀ DEL VOTO]
E tutte e sole furo e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
L'alto valor del véto, 58è sì fatto,
Che Dio consenta, quando tu consenti;
Chè, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro,
Tal qual io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c' hai offerto,
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro.
Tu se’ omai del maggior punto certo;
Ma, perchè Santa Chiesa in ciò dispensa,
Che par contra lo ver ch'io t' ho scoperto,
Convienti ancor sedere un poco a mensa,
allarationalis creatara, quin In qua perficitur ratio voti. Superad
as adsit arbitri»; Boet,Cons. dautar vero quandoqne et alla duo
quamdam voti conflrmationem, seilicet
rsoLk: tutto quante lo crea. — pronontiatiooris, et iteram teatimoniam
[genti, ma soltanto maso, le al- alforam. > Thom. Ag., Sum, theol. IT, n.
ko Eos: furono dotate, quan- 88,1
dotate anchi di
primo padre s cfr. Thom. Ag., Do l'm
I, 59, 3; 8%, 2; 1,11, 1, 1 o ugnazli, nnlia essendovi così
LIL, iLl'ag prezioso come la libera volontà?
RA Ci si manifosterà, = QUIS 3. BK CHIEDI oc. : se credi bene
che ti ho detto cireu la li sunta la libertà a
re, che casa è il maggior fare buon laeore
[ciezo Panto) Pag. v. 38-55 = [PeRmurazione] 741
Però che il cibo rigido c'hai preso,
Richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mento a quel ch'io ti paleso,
E fermalvi entro; chè non fa scienza,
Senza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convengono all’ essenza
Di questo sacrificio: l'una è quella
Di che si fa; l'altra è la convonenza,
Quest'ultima giammai non si cancella,
Se non servata; ed intorno di lei
Sì preciso di sopra si favella.
Però necessità fu agli Ebrei
Pur l'offerére, ancor che alcuna offerta
Si permutasse, come saper dèi.
L'altra, che per materia t° è aperta,
Puote bene esser tal, che non si falla,
Se con altra materia ai converta.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
pane degli angoli ai mangia! » ru. Presso il popolo Ebreo l'offerta era
LL
L6n nosemaria, parchè presoritia dalla bapge
in modo amsetuto; lecita la commutaiio=
no: ofr_ Lari. XXVII, 1-99
10. ALCUNA! mon tadte, Prodbita ema ha
porratazione di animali raedi, votati al
Signore, di emi cosa consacrata per fne
togiato, dll deslioe dl peatiame; 694
et. Levit. XXVII,
#8 naino | dure, dificile a digertrsi,
1 Johamnes 71,8!
FRAMALVI: Benzio beaa dentro la
monte, = NOX NA os: sententa piatoni-
cai sapere non è altro che ritenere lo no
Bieio ricoruta di cosa slenoa « Pib suol
prode, ss tu ritiani fn memoria po»
‘comandamenti’di sapere, ed averti
lo sso, cho se to Smpari
Tolto @ 200 teasesi a mente nivate »;
sa L'area e del
convengono all' esse
Danto sl mostra più severo di 8. Tum
snuso, (1 qualo ammetta ob ka corti enel
si pesa lepanenco to torazsente del ai
to, mentre Danto sembra nun orwber le
dla questa dispenna assoluta, = ATMRTÀ?
cditara, manifeata.
$8. pata: congiantivo da fattare i
poggi: falli; cfr, Nannme., Verbi, 291
742. [cigLo PRIMO]
Pax. v. 56-06
Per suo arbitrio alcun, senza la vòlta
E della chiave bianca e della gialla;
Ed ogni permutanza credi stolta,
Se la cosa dimessa in la
Come il quattro nel sei, non è raccolta.
Però, qualunque cosn tanto pesa
Per suo valor, che tragga ogni bilancia,
Satisfar non si può con altra spesa.
Non prondan li mortali il véto a ciancia!
Siato fedeli, ed a ciò far non bioci,
Come Teptà alla sua prima mancia;
sono due cos: l'una è l'autoritade del
pastore che abbia a ciò potestade; e però
ice ob'alli deo cere talo, che
aciogliore @ l gni
non ha questa so © dice, che negmno
fica: per suo arbitrio parmutarai il
voto: l'altra è cho la coma, nella quale
tn permuti la cosa votata, sia maggiore
dì quella, sì che contenga ia sò quella,
è la metà di quella; ad come il
del sel contiene fl anmero del q'
almeno sia maggiore
on
Là VOLTA: senno la girata
dallo Chiari, eloè senza 11 coni
l'autorità ccclasiavtica.
87,
clò ce ha prezzo minore, sl perdo iì me
rita cha al acquisteredbo coll'offorta
it asorifisio maggiore.
Bi. TRAOGA! fuoria trecollare, Be la com
rotaia è di sl grave poso 0 valore, d
poter essere contrappeaata da nicun' al
10m avdr, cioè, equivalente, ogni
pormi
He è Il veto di verginità, È la dottri
di 5. Torizaso, ma fondata sopra un mr
gomento che all'Aquinate sembrava lo-
mafficiento, Cfr, Thom. 4g., Sum. fAeol.
I, Sarto
Serfetà dei voti. Consido
mixcti bieobl ofr. pe LA
se VI 16, Biceo, dal Int, obliguan,
dogti occhi. Quardar baco è guar
dar torve o a traverso, Chi guarda bieco,
considerati, paco noonrati mel.
ditoraro 10 com, Quindi ll Poeta i
diro: Siato fodoll in egni com; ma now
ponsato ad ogni cocasiona di dovr mi
nifostare In vostra fodeltà fuoemdo income
sideratamento un veto,
60. come Tarrà: AL: comm MU lo 1}
Terre.» Inrrà: Tolto, Brraiirico
la cul storia è raccontata Giudiet XI,
1:XII, 7. Fe' voto che, ta fosso
vincitore degli Ammoniti, avrebbe
flcato al Ssgnore ciò cho prima nwelrebbe
dall'oscio di = (e Lan ad i
fa l'unica san quale egli,
hà addoloratisaimo, 1600 PAT
ch'egli avova tto ci dei Gen
nata
cino. «Ipno fliazn inmecentem
i
"[one1o sxcoxno] Pag. v. 126-159 [aPIREEI OPERANTI] 747
Perch' ei corruscan sì, come tu ridi;
Ma non so chi tu se', nò perchè aggi,
Anima degna, il grado della spora
Che si vela ai mortal con altrui raggi.»
Questo diss'io, diritto alla lumiera
Che pria m’avea parlato; ond’ ella f&ssi
Lucento più assai di quel ch' ell’era.
Sì come il sol, che si cola egli stessi
Per troppa luce, come il caldo ha rése
Le temperanze dei vapori spessi;
Per più letizia s] mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa;
E, così chiusa chiusa, mi rispose
Nel modo che il seguente canto canta.
180; ranon'I CORMUSCARI Ali FAR: 188. crt e quando i vapori, fili par
en’ »'corRisca. Paro che siano gil occhi
chie corruscano {=-sclatillano, brillano),
mon il lume. - « To veggo bono, che tu ti
(l'amnidi), come nella tua nicchia,
riposi
nel lume di carità che hai dotto teetà, e
che è ora tuo proprio. Ora, segue Dante,
di ciò m'accorgo io bene, al segno che
mo ue itanno 4 taoi ccchi, per li quali su
trat dal cuore {l fuoco dell'amor tao don:
tro; ond'essi <orruacano © brilinvo ne
‘condo la tu Jetixta ovvero Il ridera della
Laggo
nole, polchò Mereario
va velata de' raggi dol 40]o, che mull'al-
tem stella »; Cone. IL, 14.
130. pruTTO: indirizzandomi a quel-
l'anima rispondente.
asa ni Aesali per la spola di poter
ouoroitàro la sua carità, rispondendo al
Pag. vi, 1-4
[erusrimiaso]
LO BECONDO]
CANTO SESTO
CIELO SECONDO 0 DI MERCURIO
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI
GIUSTINIANO IMPERATORE, STORIA DELL'AQUILA ROMANA
INVETTIVA CONTRO I GHIBELLINI
PIRITI BEATI NEL SECONDO CIELO, ROMEO DA VILLANOVA
«Poscia che Costantin l'aquila volse
Contra il corso del ciel, ch' ella seguio
Dietro all'antico che Lavinia tolse,
Cento e cent'anni e più l’uccel di Dio
Vita di Giustintano. Nelle in Ttaliam venit com corea cali, quia
l'V. 42 agg, erano contena- «davero felt reportata phr Costaztinem
lande: «Chi seit» 6: « Perchè — de Italia in n jvit contra cur-
la prima 4i risponde in questi sim coli, q licet ab occidente in
[ergo secosno] Pan. vi, 1-9
CANTO SETTIMO
CIELO SECONDO, 0 DI MERCURIO
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI
LA MORTE DI CRISTO, LA REDENZIONE E L'IMMORTALITÀ DELL'ANIMA
< Osanna, sanctus Deus sabaoth,
Superillustrans claritate tua
Felices ignes horum malachoth! »
Così, volgendosi alla nota sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza,
al doppio lume s'addua;
tro mossero a sua danza;
E, quasi velocissime favillo,
Mi sì velar di sùbita distanza.
V. 1-0. I canto d'addio, fon
renna tnt e
egli o gli witri beati si allontanano como
velocissime fhvlla. L'inao è in latino, fl
- 3Ér:
Hani
ROTH — regnorum ; ma, non sapendo di
Pau, vis. 119-184 [rumonTALATÀ) 707
Alla giustizia, se il Figlinol di Diò
Non fosse umiliato ad inoarnarsi.
Or, per empierti bono ogni disio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco,
Porchè tu voggi lì così com'io.
Tu dici:*Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
L'aere, la terra, e tutte lor misturo
Venire a corruzione e durar poco;
E queste cose pur fur creature!
Per che, se ciò ch'è detto, è stato vero,
r dovrien da corruzion sicure.’
Gli angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu se', dir si posson creati,
Si come sono, in loro essere intero;
Ma gli elementi che tu hai nomati,
E quelle cose che di lor si fanno,
mon, se Reli teso per sola ma cortosta
perdonate ll peosato, - sà stRato: «Tra
didit semet ipanm pro me »; Gal. II, 20.
117. ppIsO: perdonato.
8 scams: Inadoguati n sodisfare la
divina giustizia.
120. UMILIATO : A
ipsum facts obediena naque nd mortem,
mortem autem cracia »; Philigp. IÎ, &
Ù
creature incorruttibiti, Loatrice a
va dotto (r. 07 egg.) che tutto ciò che è
puro
renttibili? In vorità gli elementi
non farono creati da Dio jmmediusamen-
te, ma sano effetto di create virià; €
però si corrompamo. Invece l'anima uma-
na, che deriva immediatamente da Dio,
sona alcona di cause se-
conde, è di necemità immortale. Anche
122. RITORNO A DICHIARARE 060.; ml
rifaccio midietro per aggiungere dici
mazioni su un certo punto, v. 97 agg.
123. ul: fa tal materia, — comi con
quella stessa chiarorza.
124, TU DICI: « potes dicera et oblicare
mihi »; Bene. » « Accenna Dante a com
«ho sono sotto l'uomo, è dice: queste
cose, perchè create da Dio, dovettero
eesere immutabili: come danque vanno
[curo renzo)
Pag. vil, 146-148- vm. 1-2
[vexere] 769
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come l'umana carne fèssi allora,
Che li primi parenti intrambo fansi.»
» Ape
ai corpi dei discendenti di Adamo, che
non sano cresti immediatamente da Dio,
il Land. omerva: « Tddio fece Il corpo
del primo uomo senza messo, e per que-
ato sarà perpetuo; 0 di quello fece In
prima femmina: sdonque dove esser per-
patno; 6 così i nostri che nono da quelli. »
147. vinat: fa fatta quando fenat, ni fo.
vero, furono oreati ambedue È primi pa-
renti, Adamo ed Eva. « Se rifiottiamo
alla rmassima cho ciò che è fatto imme:
per argomentare
alla risurrezione doi morti. Poichè la go.
spesi dell'osso non ta agua a qulla de
Sramatisdamente Sese Lerro di Amin
© di Eva, ‘oreò le loro
Immediatamente.
animo, immediatamente, da principio,
148 mermammo; ambedue,
ote. Inf. XIX, 25
CANTO OTTAVO
CIELO TERZO © DI VENERE; SPIRITI AMANTI
IL NOME DEL PIANETA
GLI SPIRITI AMANTI, CARLO MARTELLO, ROBERTO RE DI NAPOLI
CAGIONE DELLE VARIE INDOLI PERSONALI
Solea creder lo mondo in ano periclo
Che la bella Ciprigna il folle amore
V, 12. Origine del nome di Fe
nere pianeta. Sul puuto di entrare nel
RIA RN Pegi epertior diconda
Gu pina Vere la paricniar cò be
è atato detta dei pianeti
Par. IV, 61 agg. a
ia bella Venare, volgondomi nell'
isti
lo; 0
2, Cirniona: Venere, nata în Cipro
efr, Ovid,, Mot, X, 370, rO6.LA: sommato,
Raggiasso, vòlta nel terzo epiciclo;
Per che non puro a loi facean onore
Di sacrificio e di votivo grido
Le genti antiche nell'antico errore,
Ma Dione onoravano e Cupido,
Questa per madre sua, questo per figlio;
E dicean ch'ei sedette in grembo a Dido;
E da costei, ond’io principio piglio,
Pigliavano il vocnbol della stella
Che il sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
Io non m'accorsi del salire in ella;
Ma d'esservi entro mi fece assai fede
La donna mia, ch'io vidi far più bella.
E come in famma favilla si vede,
E come in voce voce si discerne,
Quando una è ferma, e l'altra va e riede;
mm Vid'io in essa luce altre lucerne
Moversi in giro più e men correnti,
Ri. aDotamaE: fa londose co'smoì raggi.
« Diko anche, che queato spirito viene per
Mi raggi dellaatelta; perchè sapere ai vuole
cls li raggi di ciascuno elelo sono la via
por la quale discende la loro virtà in
meo, i pianeti facevano Î loro movimenti
fn direzione opposta al moto diarno della
respottiva spera, fn um eiroolo partico-
are, che appellavano epfeieto, 0
to al circolo chismato eceent
ve, nulla olroonferenza del quale sem
$. VOTIVO QnIDO: preghiera congiunta
con votk.
4 prnork: del paganosimo,
7. Dio: madre di Venere; dr vie
dom. TIE, 19 npg. Stat., Sp
uma: figilo di Venere, il o dal'amo
reset: Conv, 11, 6.
9 nituerra: efe, Firo., den. 1, 957 #gg.
Mib agg.- Dino: ofr. Inf. V, 81, 86.
10. x DA COSTRI ecc: e da Vetro, omile
fo sce
Georg. IV, 516. den. TV, 3
12. na corra: dalla parte posteriore
{Inf XXV, 22), la cora (Sigperof.=tia ee
aio: dalla parte anteriore, la suabtina
(Diana 0 Lucifero).
_V. 12-90. Spodeeità nmanvili. Tante nem
51 accorge dol suo salire mella ntellà di
Venere, ma la crescinta belletan di
trice lo rende accarto che vi è
, Come nl vedo favilla nella
coro i distingas voce in voce, ecaì
| quella Tuc tre ine suse
velocissimo li
tenza forma la nota, e l' altra,
al disverno questa da quella. »
Simi, T
1a ietonre: animo lucenti,
loreto renzo]
Pan. vini. 21-36
foaRrrà cetaama) 771
Al modo, credo, di lor viste eterne.
Di fredda nube non disceser venti,
O visibili 0 no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti
A chi avesso quei lumi divini
Vedati a noi venir, lasciando il giro
Pria cominciato in gli alti Serafini.
E dentro a quei che più innanzi appariro,
Sonava « Osanna » 8Ì, che unque poi
Di riudir non fi
senza disiro.
Indi si fece l'un più prosso a noî,
E solo incominciò: « Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi Principi celesti
D'un giro e d’un girare è d'una sete,
Ai quali tu del mondo già dicesti:
31.10 secondo Il loro più o meno
“vedere in Dio, Il qual vedero darerà in
terza regionodell'aria, Lfeermo troni su
sita csvendo percossi dn fredde muvolo;
quindi il vento.
#3. visemati: al caceiar che fanno lu
nanzi n sò la polvere 0 le nuvolo, - re
wrivi: rapidi; efr. Par. TIT, 61. Virg.,
dem. VW, 19; VII. 800 ex.; VIII, 2335
XII, 793. Horat., Od. IT, xv
20. vaDUTI: Al: YEDUTO.= MANDO ©
«interrompendo la danza, cho ba il spo
prinolpio Iosiome coll'altissimocieto, det:
to il Primo Mobile, pressdnto dal caro
det Serafial. lqualo cielo aggira seco totti
gli altri oleli sottoposti. Que' santi aun-
que, che nel cielo Kmpireo dansavano
inziome coi Seratint ( più sabllmi degli
Apiriti henti), discesi im Venero per nson-
trare Danto e fungli omaste o Îleto sco
glianza, continuavano ancora la loro dan
2a, © non la lnselarono, se non quando
SII VI da ghento.» Mariotk Ali Tamten:
Al aggirarsi sen Venere i),
STENO DIS PSI oasi
ara dietro, mn dentro, in ivano n quello
20, onaxota» eftr, Par. VIE, L.-vatquer
mali ofr. Purg. INI, 105; Y, 40. D'allora
in poî non fui mal senza tl desiderio di
riadine quel canto lm elelo,
v. 3 Curttà colento.
gli spiriti (Carlo Martello) al fa avi
dicendo a Dante ebo
ad appagaro | suol dealitori,
preada gioie di loro, La
azioia por le anime beate:
Sum. thest. TIE, Sugo,
88. GIO: prenda, sunta gioia, Gol da
gioiare, usarono gii autichi in rima ed
in prosa; ofr. Nammuè,, Perdé 10.
34 co? Pxix0rr1: cel coro angelica del
Pripolpati, moteri del elolo di Venere.
Secondo Dante, n elascuna dei nove cleli
materiali è preposto tino dei nove cori
angelici, che sono i motori, elussuna dell
uno elolo; efr, Par. XXVIIT, 40-180
Com. Lipo, TIT, 188, 701 ng.
35. D'UN omo: reclare,
conforme a Ten.
96 AI QUALI | Priseipi celevti fr, Conti
ZI, 2, 0,- nu, MODO | AÎ,1 NRL MONO.
Toizuo trazo) Pax. vii, 107-125 [vante Ipo] 777
Producerebbe sì li suoi affetti,
Che non sarebbero arti, ma ruine;
E ciò esser non può, se gl'intelletti
Che muovon queste stelle, non son manchi,
E manco il Primo, che non gli ha perfetti.
Vuoi tu che questo ver più imbianchi? »
Ed io: « Non già; perchè impossibil veggio
Che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi. »
Onà' egli ancora: « Or di': sarebbe il peggio
Per l’uomo in terra, s'e’ non fosse cive?»
«81!» rispos'io: « E qui ragion non cheggio.»
«E può agli esser, se giù non si vive
Diversamente per diversi offici?
No, so il maestro vostro ben vi sorivo.»
Sì venne deducendo infino a quici;
Poscia conchiuse: « Dunque esser diverse
Convien dei vostri effetti le radici:
Per che un nasce Solone, ed altro Serse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
unto non sarebbero effetti woll'arto di-
acompaginato. - camuxe: camini.
190, INTARLETTI: Intelligenze motrici.
prodscma» dimordino
nigorsaen Faniverso» 0 abo serobie
"it pe emao Dio etr-Rp, Komi 20
perfezionati: cfr. Finy., der.
122, senta Ivar: + A_ban vivono
ln sociotà ocosrrono uffici diversi, por
4 quali si riehioggono diverse attua
alle diverse attitudini oscorrane,
tura
110, IL 1R00501 sarebbe mn malo, s
l'uomo nia femme in ssoietà?
119, ctvma clttadiso în senso di vi-
vente in pocletà con altri, Purp. XXXII,
RE Ata Peli: Lo do: 2,110,
117. RAdTON Now GuEGUIO | pan chiede
edo tu me ne dimostri la vartià, entonto
evidente.
Toiz1o teso]
ts6
Ma perchè sappi che
AR, Vitt. 186-148 [NATURA x FORTUNA] 779
Or quel che t'ora retro, t'è davanti:
te mi giova,
Un corollario voglio che t'ammanti.
Sempre natara, se fortuna trova
Discorde a sè, come ogni altra somento
Fuor di sua region, fa mala prova:
E se il mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natura pone,
Seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete alla religione
Tal, cho fia nato a cingersi la spada;
© fato re di tal, ch'è da sermone:
Onde la traccia vostra è fuor di strada, »
4 quegli uffici a cul Il dispone la nata»
ra, si avrebbero ottimi filomf, guerrio-
A sacordoti, artisti, 0 così vin dicendo
gli nomini non considerano
lo inclinasieni naturali, © fano prete
chi ha attitudine ad ossero soldato, e vi-
caverna, vanno foer di strada.
130. OR: porta questa dottrina, tu In-
tandi oramai ciò che ta pon comprende.
vi, radi chiaramente quel che diansi non
rodevi; ofr. v. 90.
187. att o10vA: ho piacere d' intratto-
nermi teso e guldarti alla conoscenza
delta verità.
138, conoiLano: etr, Purg. XXVII,
136. Zoet., Cone. phil. ILL, pr. 10. - "ax
MANTI: riceva, prenda a compimento.della
‘erudizione della monte tua. come sì manto
tara: male facoltà uaturali, no sembattate
dis condisioni di abate w di furtama, tri.
stiscono como semenza in elima non com-
ona L. Vent, Simil. LA
ui pr. di e Cone, IU,
Danno
siivstamente,
no richiede; © però vedomo certe piatte
Tenge Juegno quasi smapre confini >
corto
certe
li giegdi dello montagne, e
lo pisggo © a piè de' monti, îe
quali, so al trnumutano, è muoiono del
tatto a vivono quasi triste, siccome c0s6
disgiunto dal loso amico »
149, at roxpaMmantO : alle natorali ha
altnazioni delle singolo pertone.
144. SEZUESDO cor: regolandosi e nel-
l'educazione e nolla scelta dello stato A
norma di q dolo natarata nell'no-
00 dalla vir del coll la gente tarelib&
buona, como era non è, tr, Ola, De
of. ti 31
145, TObCETE ALLA nenmitosi fite
monsco, prete, ecclesiastico ebi natuim
dispose invoco a fare il soldato. Allude
forse a Lodovico, figlio di Carto IL ® fra-
tello di Koborto, che antrò nell'ondiima del
frati minori, fu aasuato al racerdonto e da
Bonifuelo VILI conaaorato rescero di To-
per predicare che per govwrnar popell.
Afaa senza dubbio a Koberto rodi Mes
poli, il quala si dilettara di comporre ser
monì sacri o d'altra specie, infureîti d'ero.
dizione varia, @ che non seno davvare
vat. xt 18 Bet
stor. ital., ser. LIL, 316 ag. dv
Aatur hoe dicere pro rego Roberto qui ba-
no faclobat sermonem et moltom delcota-
batur +) Semr. Cr. Com, Zipo. LEI, 210ng.
148. pe stmana: della
Corno regzo] Par, n. 7-25 ‘ouxizzA] 781
È già la vita di quel lume santo
Rivolta s'era al Sol che Ja riempie,
Come quel ben ch’ad ogni cosa è tanto.
Abi, animo ingannato e fatturo empie,
in si fatto ben tarcete i cori,
Drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
Vèr me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
Gli occhi di Beatrice, ch' eran formi
Sopra me come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato farmi.
« Doh, motti al mio voler tosto compenso,
Boato spirto, » dissi; « e fammi prova
Ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso!»
Onde la lace che m’era ancor nuova;
Del suo profondo, ond'ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
» «In quella parte della terra prava
fore perché al converiì in otà provetta, 15. sar cimaum Di ruoni: nel sò
coma affermano nlcnni antichi, © fermo esterno splendore, negno di leilata ® di
per altri motivi a nol ignoti. Cfr, Relan ardente e pronta carità; eîr. Par, V,
Ohron. In Murat. 106 egg. 131 ang; VILL 48 nege
17-18, occ musa; come quando le ehka=
al Sì permesso di parlare a Carlo Mar
tello, Par. VIIL, d0 agg.mDi CANO AS
mamo e00.: mi fecero ogrto che Beatri
ink, Studi dantereni, T, 151 sgg. Martoli, co duva fl denidernto consenso al mbb
Latt. (ta, VIS, 164 agg. Com. Lipa, TIT, — dettario di volgore la parota a quell' nti
218 beata.
ma
FU Eai era | d'anima dee: di Curio. ""20.Mtpii AL IO vos son
noddisfazione al mio
indi rai mento col
Piana, cemprssa rai murgo
da Fiavea quei dendlo acombe la Tirvnia
da uma parto, © dall'altra lì tarritora iti
dea origina ristretto nil'incla di
le RATA Por
Fer Perg; VI
Corro reRzo]
Pax, 1, 40-50
TrroraziA] 783
so Questo centesim’anno ancor gincinqua:
Vedi se far gi dee l’uomo eccellente,
Sì ch'altra vita la p
a relinqua !
A ciò non pensa la turba presente
Che Tagliamento ed Adice richiude;
Nè, per esser battuta, ancor si pente.
Ma tosto fia che Padova al Palude
Cangerà l’acqua che Vicenza bagna,
Per esser al dover le genti crude.
dove Sile e Cagnan s'accompagna,
Tal signoreggia a va con la test'alta,
NCIXQUA | sì quintuplica = pas-
seranzo ancora cinque secoli. Usa il nu
aero determinato per l' indeterminato,
volendo dire: la fama di Folco darerà
per molti secoli. Cod Lan., An. Fior,
Post. Oass., Petr. Dant., Bene., Buti,
Tuin., Dr. B., Prat,, Andr., Pilot, Wil
te, eco. Al.: SI fa Il quinto osntestao
Trirà cioè ancora duecento anni (dal 1900
#1 1500); comò Velî., Bennas., Carerni, sco.
Invoco l'Andenelli Intendo; Prima che
41. ECCELLENTE: con opere virtoose o
magnanimo: ctr. Virg., den. VI, 306,
43, RELINQUA 1 al che la vita del corpo
lasci (Int. relimguar) dop» sò la vita del
nome.
42. A CIÒ: all'acquistarai fama, fcen
dor) eccellente.
di. TAGLIAMENTO: con8no della Marca
Trivigiana all'oriento. - Amor: confine
dalla dotta Marca all'occidente.
43. PRE xssER: quantunque afiitta da
Queer; otr. Tonio, I, 51 IX, 13.11. Ge
fem. IT. 20,
V.46-63. Profezia di Cuntssa. Come
Carlo Martello, uvche Cantesa termiza
lî auo ragionamento con una profezia di
prossimo sciagure dello native contrade,
alludendo alle stragi sofferto dai Pado-
“ani, alla morte vistenta di Riccardo da
Gamino, alla perSlia e crudeltà del re-
posrodi Paltre. Cfr. Mereuri, Nwovierima
ale! Terzento del I. TX del Par.
e Ma torto fa, ecc Roma, 1853. Todewed:
ni, Seritti mo D., I 106 eg. Zamella, Di
Ferrete de' Ferreri, Vicenza, 1931. Rjusd.
Lia Dente e Padera, 253 egg. Larapertico
interpret, della terz. 16 nel ©, TX dal Por.
Venozia, 1870. Gloria, Tuterne oi passo
delta D. Cata tosto fa, »00s, Pad... 1800,
Bjusd., Ulteriori consideraz., 0se., Ibbl.,
1870, Ajusd., Un errore netta edi. della
g SI CLETO), 176 sg. Ferreto
Viceut. la Murat., Serigt. X, 1065 mpg.
AÎD, Mfussato lm Afurat, Seript. X, 365
agi dll ag. O. Vil, TX, 14, 63,
Mist Porro: 1 più tnteepretamo Ma
presto accadrà che i Padorani, per
arudi al dovere, cioò sscinati contro la
giustizia, cangeranno fa rosse, faranno
sanguigno lo acque del paludo che 1) Bac-
chiglione forma presso Fioenta.-Mereurii
«I Piovani dovieranno le neque del Bag
chiglione rompendo be dighe come fecero
per innondare Vicenza a motivo ché le
genti, cioè | guelfi padorani, sono ormai
reati al dover, cioà alla soggezione sd
Arrigo VIT ed al uo Vicario Cane ella
Beala, +— Gloris: « Presto secadrà che
1 Padovani cangino al Palodé di Brass:
gana. con ln sostitazione dell'acqua del
Brenta, l'aequa del Racehiglisno [tata
deviata a Longare dai nemdzi Vicentini]
per continuare la guerra, cieà per mea
Gssero costretti dalia mazoanza dell’ao-
quan venire a pace co' Vicentini. » Cf,
Oron. Tipo. TIT, 223 ag.
49. rovr: a Treviso, dere al congiuti-
gono insieme i due fiumi Sile o Car
gras,
50. taL: Rissardo da Camino, figlia del
buon Gherardo (Purg. XVI, 134, cul mo-
cemo sel Capitannto di Trevigi, avendo
ozinndio Pafficio di Vioario Imperiale. Fx
usciso proditoriamentà (l 5 aprile 1813,
mentre giorara agli seacchi. Cfr. Ferret.
Vicent. tm Aferat., Seripf, XIL, TRS Net
@. B. Rambotdi, Dante e Trevigi, 3 ME;
forsro renzo] Par. rx. 64-88 [POLCO DA MARSIGLIA] 785
Qui si tacetto; e focemi sembiante
Che fosse ad altro vblta, per la rota
In che si mise, com'era davante.
L'altra letizia, che m'era già nota
Preclara cosa, mi si fece in vista
Qual fin balascio in che lo sol percota.
Per lotiziar lassù fulgor s'aequista,
Si como riso qui; ma giù a'abbuia
L'ombra di fuor, come la mente è trista,
« Dio vede tutto, e tuo voler s'inluia, »
Dias’ io, « beato spirto, sì, che nulla
Voglia di sà a te puote esser fuia.
Dunque la voce tua, che il ciel trastolla
Sempre col canto di quei fuochi pii
Che di sei ali fannosi cucolla,
Perchè non satisface ai miei disii?
Già non attendervi io tua domanda,
S'io m’intuassi, come tu t'immii.»
«La maggior valle in che l’acqua si spanda »
Incominciaro allor le sue parole,
eo di Pd Ere Bologna, 1899; esserti calato, » ria: ofr, Lay, XII, #0,
Purg. XXXIII, dd. Non può esser ladlem
di sà, cioò non ti ai può cosultare, Cit,
cere a me. Cfr. Inf. TX, 101 ag.
05, ROTA: cerchio di animo baato; ef
Par. X, MG: XIV, 29: XXV, 107.
100, nAYANTE: oft. Par, VILL 10 ag:
07. LirtRIA : anima Îiota, perchè hoata.
= pOTA: la quale lo sapora già, per lo pa-
role di Ceniaea, 7, 37 egg, casere per
Soi di prvilara Runa, quaatengne non
‘I propriamente foue
RaLascto apeole di Tea =
Ovid., Met. TI, 108 ag. Pulet, Mo
XIV, 4.
TL. Qui: in questo mondo. Nel Paradiso
la letizia al munifuyia co) crescere dello
788 [creto terzo] Pax. tr. 84-98 roca
« Fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
Tra discordanti liti, contra il sole
‘Tanto sen va, che fa meridiano
Là dove l'orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu' io littorano
Tra Ebro e Magra, che, per cammin corto,
Lo Genovese parte dal Toscano.
Ad un ocenso quasi e ad un orto
Biggea siedo o la terra ond'ii io foî,
Che fe’ dol sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
Fu noto il nome mio; e questo cielo
Di me s'imprenta, com’ io fei di lui;
Ché più non arse la figlia di Bolo,
Noiando ed a Sichoo ed a Creusa,
39. Marniglia è ja messo tra la Magra
è l' Ebreo.
20, ranmi divide.
rittima dell'Africa
: 43 Folchette comò daratara (Y.
egli parla invece di ed
la cui fama rimase
90. DI MR s00
5'impronta della mola
vita m'improntal di lol, sentii It emo
fiusso. « Nel mondo segultal l° tifi
| di questo pianeto, riveado mineresa:
torna la loda del talo vivere n ta
ti:
[cizLo TERZO]
Pap. sx. 99-108 [roLco na MARSIGLIA] 787
Di me, infin ché si convonno al polo;
Nè quella Rodopeii
ja che delusa
Fu da Demofoonte, nè Alcide,
Quando Iole nel cor ebbe rinchiusa.
Non però qui si pente, ma si ride,
Non della colpa, ch'a mente non torna,
Ma del Valore ch'ordinò e provvide.
Qui si rimira nell'arte che adorna
Con tanto affetto, e discernesi il bene
Per che al mondo di su quel di giù torna.
den, I, 790 npg.: IV, 558, Inf. V, 62.
De Mon. 11, 3.
90, AL tRLO: all'otà giovanile.
100, Roporaia: Fillide, figlia di Sitono
ro della Tracia, la quale abitara preeso
fi monte Iodope, ondo il auo soprannome.
re in Atene sua patria, nò essendo ritor
nato al tempo stabilito, Filide a impicoò
ad un albero @ fa trasformata in man-
deiovofr, Oni, Eeroid. IL. Fin, Feog.
Nos,
fodosaata la qualo egli mort; efr. Tn.
XII, 69 agg. Ovid., fee. IX, 154-128.
fonsoro soggetti
de'ciell è ii mnervita sieve cele
+. Blagg.=na rioR: ef. Salo. CXXV, 3.
104. A MESTE RUX TORXA: essendone
spenta la memoria dlaì Let; efe. Purg.
XXVII, 157 agg, XCXILI, SL egg.
105, Varone: : divino, = 0RMNÒ: Tin
adorna; ea]
doll' amore, oloò 11
Pit comunemente loggeal nel 7. 107 /0ò:
piente provvidenza par cul fl mondo di
#u (otoò i cleli), infivendo sue vistà nel
mondo di giù, viene in certo modo a rÌ-
divino 6 la divina provvidenza ordinò,
come {u fine ottimamente inter da Did,
gl'influnai amoroni di questa stella alla
propagazione ordinata del genero tema-
no, quantunque prevedesse, che per piro=
pria rew volontà, molti avrebbero tra
scor i limiti delle divine leggi che nella
sociotà canlagaloreatringevano mplente
mente le animali tendenze, Dalle udme
qui beato si rimira Parte divina che
prevede In tal modo alla molti
degli uorini, e Il beso che deriva dal
premo movimento del eleli alla comò
dofortori.» Cfr. Com. Lipe, LIT, 200-328,
VW. 100 196, Atamd, fa prima malta
tra lo anime del terno cieto,
questa stella sonori lb te
eositate. Tu deutieri sapere qual anda
è dentro questo splendore clio qui a mo
vicino fammeggia eco raggio la acqua
limpida, È Raab, la meretrica di Qorieo
ho nnecee e saivò gli seplratat dell
terra promessa, masdati da Giorod (ofr.
quem I LB6 IVI 1T30 Pak TUA;
ato, in Lpprtalupdatizio iii.
11m prose di Gioanò ko quella
na Yalta quaie i papa poco seni.
788 [creo vénzo] —Paz.iz 109-126
Ma perchè le tue voglie tutta piene
Ten porti, che son nate în questa spera,
Procedere ancor oltre mi conviene.
‘Ta vuoi saper chi è in questa lumiorà,
Che qui appresso me così scintilla,
Come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che là entro si tranquilla
Raab; od a nostr'ordine congiunta,
Di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui l'ombra s'
Che il vostro mondo face, pria ch'altr'alma
Del trionfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcun cielo dell'alta vittoria, n2
Che s'acquistò con l'una è l'altra palma,
Perch'ella favorò la prima gloria
Di Giosuè in su la Terra Santa,
Che poco tocca al papa la memoria.
100-110; rahonè 000 affinehò alano
médintatti tutti i tool deslderii, pati ta
questo elelo di Vonero.
113, soneriLA: efr. Virp., Aes. VIL, 9.
JUL socia: ienpidi er. Qokd,, Are nem.
TI TI: Zueret., Rer, mat. TY, 212 agg.
116, ni masquizza: godo Im beasito-
dino della paco intera ed eterna. Cfr.
Au, Cie. Dei, XIX, 18: Thom. 4g;
3,
nÌ nostro
coro, como plepdore di
Jei ebe è nel più alto grado di beatitodì.
no. fr. Them. 4g., Sum. fAeol.
118. a'AFFUSTA: (nbace n
nta, Che
nel elelo di Vanero termini con
punta ll osno oabreso ode fa la
Tn dottrina, come ha mostrato Il Toyn-
do, di Altragano: efr. Bull. V, 28.
T20, rmoxpo: ele. Inf. IV, 40 03, Per.
XXIII, 10 agg. Them. Ag., Sueoo, ibeot.
Ur, 52, s
121, rALUA: segnalo. ;
23. virTORIA : riportata da ionuà con
Ja prosa di Gerico.
128, cox L'UNA ece.; colle mani giunte,
di Criato; ma e tutte quante le altro ani:
mo beate, di qual vittoria sono segno | E
accondo qual alaterza dommatlos ripartà
Cristo l'alla vittoria «ccm l'unnol' lim
patma»! Tutti i beati simo palma della
rittoria di Crinto: mn Ran è mollo atene
H
ti
tl
poso
Ionifneli, qui tuno sedobat nl
guerreza eun cdiriatine, mom en
conle [ofr. Inf. XXVIL, 86 nerd
#3
men ilntaiesot facere bella om
tile, quia habebat tune materna:
ti
[ciLo Terza] Par. 1x. 127-142 Tavanizia] 789
127 La tua città, che di colui è pianta
Cho pria volse lo spalle al suo Fattoro
E di cuî è la invidia tanto pianta,
Produce e spande il maladetto fiore
Cha disviate le pecore e gli agni,
Però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l'Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti; e solo ai Decretali
Si studia, sì che pare ai lor vivagni.
A questo intende il papa e i cardinali:
Non vanno i lor pensier a Nazzarette,
Là dove Gabriollo aperse l'ali.
Ma Vaticano e l'altre parti oletto
Di Roma che son state cimiterio
Alia milizia che Pietro seguette,
UCI ‘Posto libere fien dell’adulterio. »
0 cardinali atut- — contium ri È satoro del com»
Imorosi. Per esso è
rinoquisto di Toren mento al Decretali di Stragerie TERE
t'altro pensano che
Santa. Ma Itoma 6 In Chiesa naranno
presto liberate da tale adulterio.
197-128 Di COLUI È FANTA eco.1 fon-
data dal diavolo. Marte, patrono di Fi-
renzo (fnf. XIII, 144 sgg.), ora per 1
85, Padri an demonio come tutte lo al-
tro divinità pagano; er. I Cor. X, 20,»
rRia: che fa Il primo ribelle a Dio.
129, 8 DI OUI 600:
cagione di tette lo misor
monte di tutti i pianti dol gonore umano.
TANTO PIANTA + Al: TUTTA QUANTA.
Otr. Te. T, 111; VI, 74. Moore, Oni,
‘6 conseguente»
gone agrelli; ofr. Por. IV, 4.
ov. XXI, 16:17. « LI grandi n 1) pio»
coli»; Buti
latibolle; incot du
gustivus: sbicotua Dionyalua, Dumarco:
Swe a Beda 08 pesco quod speri
[oto aaa: Barsate: sta
m
Por. XIT, 89). Cor ent? III Deom
quarrolani, ut finom et optimmna ; ati
consos et beneficia consegumutar, +
i
giunse un sesto libro, Le Deeretadi intro.
duesero muovosiatema i disciplina, unita
all'igneranza e miseria del tempi, » Latni.
190. a quasto: a guadagnare ll malla-
detto fiore,
137, A Naxzaxartt: dove Crbito noe
quo poraro od umile. Pass qui la parto
per il tatto, volendo dire Terra
128, Gamrnios ele, Lues, XL. 20 agg.
Purg: X,34. Par. IV, 47.= aramsx L'ALt:
OTELO QUARTO 0 DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
DIO SUPREMO ARTEFICE, ORDINE DELLA CREAZIONE
SALITA AL QUARTO CIELO, SPIRITI SAPIENTI
TEOLOGI E FILOSOFI SCOLASTICI ED ANTICHI
Guardando nel suo Figlio con l'Amore
Che l'uno e l’altro eternalmente spirà,
Lo Primo ed Ineffabile Valore,
Quanto per mente o per loco si gira,
Con tanto ordino f«
Senza gustar d
V. 1-6. La creazione, Opora de
wîna intelligenza © dell'.
l'umivarso fa cenato ilal Padre per
alore, Il Veebo dal Pudro, è pren
lalla norma del croare fo
n guetare
ul Dio, Ole. (embullari, Or-
lo, fa Prose,torent, IT, DI-S4,
1, 0vARDANO: Dio Il Padrecreò lì mon-
die mediante (1 Figlio: ofr. Gior, I,3, 10,
Colon, I, 18. Forei I, 2. Thow 4q., Sv.
that. 1, 45, 0. Conn. Tape. LIL, 245 Ag»
*, ch essor non puote
chi ciò rimira,
1'uno x L'aumeo: de Spirito Sante:
precede dal Paro e dal Figlio s ef Ap,
De Trkm. 1V°. DO; W,28, 34,38, d'Aomodig
Sum rAeot, I, 39, d
opposti, il diurno o pitre Da
vanto a povente, 0 11 planetario
Sala da ponente a MET
geom a
pr era ESA
792 {creLo quaRTO] Par. x. 16-98
sé E se Ja strada lor non fosse torta,
Molta virtù nol ciol sarebbe invano,
E quasi ogni potenza quaggiù morta;
E se dal dritto più o men lontano
Fosse il partire, assai sarebbe manco,
E giù 6 au, dell'ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco,
Dietro pensando a ciò che si preliba,
S'esser vuoi lioto assai prima ché stanco.
Mosso t'ho innanzi; omai per te ti ciba!
Uhè a sè torce tutta la mia cura
Quella materia ond’io son fatto scriba.
Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo imprenta,
E col sno lume il tempo ne misura,
Con quella parte che su si rammenta
Congiunto, si girava per le spire
In che più tosto ognora s'appresenta;
19 srRaDA: lo sodinco. - TORTA: obi
qua, elr. Onid., Mat. IT, 150.
TÒ. DAL DRITTO: Ali DA MERITO: #0 lo
Tadinco Aivergone più © meno di quel
che diverge, dall'equatore.
compiace @ avute celeste
2a nen fl Solo, « luminare sia
nel Sole. Confoma di mon saper
uu' Mea adeguata di quel che
Bolo è nel uno Intorno, dove lo cose
disoernerazo nom per diveraltà aieuna
Cerco quarto] Pax. x. 84-51 [satira] 798
Ed io era con lui: ma del salire
Non m' accors'io, se non com' nom s' accorge,
Anzi il primo pensior, del suo venire.
È Bentrice quella che sì scorge
Di bene in meglio si subitamente,
Che l'atto suo per tempo non si sporge.
Quant' esser convenia da sè Incente
Quel ch'era dentro al sol dov'io entra' mi,
Non per color, ma per lume parventa!
Perch'io lo ingegno, l’arte e l'uso chiami,
Sì nol direi, che mai s'imaginagse;
Ma creder puossi, a di veder si brami!
E se le fantasie nostre son baase
A tanta altezza, non è maraviglia;
Chè sopra il sol non fu occhio ch'andasse.
Tal ora quivi la quarta famiglia
Dell'Alto Padre, che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia,
soritto In medo che altri se lo figuri,
ben «i può eredore che esso è, a deve
desiderare di vederlo da noi in Parma.
794 [creo QUARTO] Par. x. 52-67
n E Beatrice cominciò: « Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli angeli, ch'a questo
Sensibil t' ha levato per sua grazia!»
Cnor di mortal non fu mai sì di;
A devozione ed a rendersi a Dio
Con tutto il suo gradir cotanto presto,
Come a quelle parole mi foo'io;
E sl tutto'il mio amore in Lui sì miso,
Che Beatrice eclissò nell'obblio.
Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
Che lo splendor degli cechi suoi ridenti
Mia mente unita in più cose divise.
Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro e di sè far corona,
Più dolci in voce, che in vista lucenti.
Così cinger la figlia di Latona
theol. TII, Suppi., 86, 7. Camtano fmal, la
cu dolcezza sopera la vivacità del loro
splendore. Dansano elroolarzmezia tri
volte intorno a Dante 0 Beatrice; quindi
quarto Cielo,
Apparisoono gli apiriti dei dotti im divi:
nibtà, tatti veatiti di ardentisalmo rpton-
dore, secondo la sentenza scrittnrale,
Damdrle, XIF, 2; cfr. Fhem. Ag., Sum.
Tereo quanto) Par. x. 68-85 (vorroRi] 795
Vedem talvolta, quando l'aore è pregno
Sì, che ritenga il fil che fa la zona.
Nella corte del ciel, ond’io rivegno,
Si trovan molte gioie care e belle
Tanto, che non si posson trar del regno;
Ril canto di quei Inmi ora di quelle:
Chi non s'impenna sì, che lassù voli,
Dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sì cantando, quegli ardenti soli
Si far girati intorno a noi tre volte,
Come stelle vicine ai fermi poli,
Donne mi parver, non da ballo sciolte,
Ma che s'arrestin tacite, ascoltando
Fin che le nuove note hanno ricolte;
E dentro all’un senti cominciar: « Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Veraco amore, e che
Maltiplicato, in te tanto risplende,
70, score: non ancor del tutto fer-
guaggio umano; eft. Par. I 6. « Non l
deserivere alonni misteri più se
del
metafora più raro,
pittare, statno, ed altri lavori di celebri
artedoi, le quali per la loro preziosità
mona lecito esportare neri di passo.» o
Mia ten e di aio di penne;
gnindi nec di all «Qui speraat In Do:
, Remment penna abeut aquile »:
Imation Cfr. Thom dq., Sum. theol,
LIT, Suppi., 84,2. Chi non ai dispone, vi.
vendo secondo virtò, s sallro un di fn
Paradiso, non potrà mal toemara! un'idea
di questo canto 0 sarà como chi aspet-
tanto noti de un mato:
101: poichè ; afr. Purg. X, 1. -sott:
anime splendenti più del Sole.
TB. POLI: interzo a mei che eravamo
fermi, comelentolie Intorno al poll, «Bum:
mie... que fica tenentar prime,
Lasam., Pare. V, 103.- «Nella cus (dat dal
Page prete 13-85. ALL'ux ; dentro all'uno dol dotti
mero poli fermi »; Ome. LIT, 5. splendori. - quanbo sco: palchè lì raggio
bi
tou
[orgLo quaRTO]
Par. x. 100-115
[vorrom:] 797
100 Se si di tutti gli altri esser ynoi certo,
Diretro al mio parlar ten vion col viso
Girando sn per lo beato serto.
Quell'altro fiammeggiar esce del riso
Di Grazian, che l’uno e l’altro foro
Ajutò sì, che piace in Paradiso.
L'altro, ch’appresso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fa che con la poverella
Offorso n Santa Chiesa suo tesoro.
La quinta luce, ch'è tra noî più bella,
spira di tale amor, che tutto il mondo
Laggiù ne gola di saper novella:
Entro v'è l'alta mente u' sì profondo
Saper fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo,
mo Appresso vedi il lume di quel cero
Hiut. de 8. TA., 4% od. Lovan., 1862.
Oicognani; Vita ed op. di $. Tom. Vo-
monia, 1876, Com. Lipe, 1I, 372 ag.
III, 300 ng. ProArehammer, Die Phito.
sophie der Them. v, A7. Lipsia, 1889 #00.
401. co viso: gnarda via via quelli
chefo nominerò ordinatamente dalia mia
dostra nino al primo che mi è a sinlutea.
102. sato MesTo: efr. v. 28.
109. ssampROGIAR: aplendoro fia
mesggianie. pezeo: dele gioie sta,
106.GRAZIAN: Francaaco Ormelano, c0-
lobre canonista, dorito nel secolo decimo»
mocondo, nativo di Chiuni In Doscana, fu
colto civili. Cfr. “get Di ala
(rohkpym. Tonon, pref. Boi., 1860,
1, 190 ag. — SLA Bani {l elvito
gui nominato canto» Graziana, avendo
fatto per la dormsatica ciò che ruzia-
Du:
gasophytacium Domini
fere, ardua scandero e6 opa» nupra vb
rea nostra agero prasaumpelmme, »
100. quISTA | Salomone, re il’ Tarwalo,
Î10. AMOR: come sotere del sentito,
che pel medio evo era i Inzo nuziale
della Chiesa.
Sit gota dela e PA
perchò | teologi dispatavano so
tairo o dannato, a motivo di si bed
Reg: EL
uo li ore, Ott, Mosre, Oil 486 #Ee
ALR RE IL, VRRO : me La Sera
Che, giuso în carno, più addentro vide
L'angelica natura e il ministaro.
Nell’altra piccioletta luce ride
Quell’avvocato dei tempi cristiani,
Del latino Augustin si provvide.
Or, se tu l'occhio della mente trani
Di luce în Inco dietro alle mie lode,
Già dell'ottava con sete rimani
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond'ella fa cacciata, giace
Giuso in Cieldanro; ed essa da martìro
E da esilio venne a questa puoo,
130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
tando di Dionigi l'Areopagita, converti- | etr. a] Wet. 1°, 631, Qarerni, Fool a
to da S. Paolo al Criatianesimo tele. Atti
XVII, 34) oreduto erroneamente autore
della colobre opera De casleati Nierarehia.
Otr. Fuerb., Hist. ceol. ILL, D3 1V, 23.
Conat. Apost. VII, 46. Baumgarten-Orw-
nin, De Dion, Arcoag. Jena. 1823, Dar-
Bey. Guerer de S. Denya l'Ardop, Par.,
1846. Nkameger, Diom, Arvop doctr, piè:
les. el theol. Hallo, 1309, sco.
uo. vie: conobbe 0 splozò meglio
d'oga' altro la matura e l'ufficio degli
angeli.
119, Avvocato: Paolo Oreslo, prete
Goti; onde Teodorico lo fisoe,
e dopo sel mesi veokdero. Prigione
acrimeo
o adire,
den adire; ofr, Come. XI, 18;
und. D., iL. reo.
"128. Cruvatno: Ciel d'oro; ebifna di
* Ban Pietro in Pavia; ofr, Boemte,,
dodo fare fananti, per avere pol mono fa Xx, 9.
toa a ritrovaro Je storie ») Muek, 120, raca: ofr, Par, XV, 148. vere
351, Tanz; muovi oltre. Pranare = mi dal martiro a questa pata e ‘em.
trainare, frane. tralner, prov. trabnar; -—47., Sv, theot, I, Il, 70, Mo —
ToreLo quarto]
Par. x, 181-188
[orrori] 799
D'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
Che a considerar fu più che viro,
Questo, onde a me ritorna il tuo riguardo,
È il lame d'uno spirto, che în pensieri
Gravi a morir gli parve venir tardo:
Essa è la luce eterna di Sigieri,
Che, leggendo nel vico degli strami,
Sillogizzò invidiosi veri.»
di Siviglia (eletto pro»
babilmente l'anno 600) ed timo dal: più
dotti nomini del tempo, venerato come
l'oracolo della Spagna. Scrisse più opere,
Qt bero i buono pregio. Gt, FIA,
Otriett.oritm. 455 agg.; Jo mono-
gratio di Cajcnno placa, 1610), Dumee
nil (1845), © Oollombat (1846); dert,
Obrintt, lat, Lit: 1,858 ag. - RrDa: Fota
Venerabilia, n. 674 n Weremouth in in-
Tana vita alla preghiera ed agli atodi.
Le prinelpaliana opero sono: Hiut. Ecler.
gentie Britonmn, compiuta nei 731; De
anda 1 De mat. rerum, 66%.
Cte. Bahr, 1. 0., 475 agg. Werner, Beda
der Rirvw, Vionna, 1875. - RiccanDo:
Riccardo da Ban Vittore, li Agnus Gen
templator, teologo mistico del wo, XIL,
dal 1182 Da pol priore del Costro di San
Vittore presso Parigi, m. verso il 117,
autore di parecchie opore teclogicho. Cfr.
6 Richard vB Vigor, clan
i
mondo, « Qui sl dichiara la morto del
filosofo, nen la morto dell’uomo che pe-
mari
198, Storti; Sigleri di nba
non ceafonderai con Siglori di Cou:
tte fe uno de fondato dlla Sorbona
colera flonofo arorrolata del secolo XII,
n. verso ll 1220, m, di morte violoota
per mano di an chierico, suo segretario,
tra il 1282 © Îl 1284 n Orvieto, dove ni
trovava allora la Caria, alla quale Sigiari
ora ricorso in appello contro le nocuso
dottrine
er
loto».
| Quartionea naturaler cd
ia. Civ. Mint Ult. da da Pronso XXI;
096-127, Cipolla, nel Giorn. stor, dalla
ta a “ace. 29-23 (vol. VIE, 10
Paris, vella Romania, XVI,
LL articoli dl Teseo La Ilio VI
101 neg.i VII, 38 agg. è 4 nag.i veda
inoltro Ztl. VIII, 10 0.8 De One,
Laet, Dantis, 33 agg.
137. vico poni erRami: la rue de
Feurre, o du Ponorre n Parigi, vicina
Indi come orologio, che ne chiami
Nell'ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perchè l'ami,
Che l'una parte l’altra tira ed urge,
Tin tin sonando con sì dolce nota,
Che il bon disposto spirto d'amor turge;
Così vid'io la gloriosa rota J
Muoversi, e render voce a voce in tempra
Ed in dolcezza, ch'esser non può nota,
Se non colà dove gioir s'insempra.
ne desti ed inviti al Mattutino, lana
Rino. — rosa: la Chiesa; ofr. Par. XI,
93; XII, 438, XXVII, 40; XXXI, 3;
XXXII, 128. Giov, TLT, 20, 4poral.XXI,
3, 01 XXIT, IT.
141 A mArrivane a dire Il Mattutino,
apiogano | più, Mattinare è propriumente
mattinata, eloò fl cantare e sonaro
‘be fano gli amanti In sa! mattino da-
vanti alla casa della di
Duute la musica sora
peroinata della Chiesa al sno sposo Cri-
ul perehà l'ami, cioò per meoritarai
[omsLO quarto] Pag. x1.1-9 [cone reRRestAr] 801
CANTO DECIMOPRIMO
CIELO QUARTO 0 DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
VANITÀ DELLE CURE TERRESTRI, DUE DUBBI
VITA DI BAN FRANCESCO, RIMPROVERO Aî DOMENICANI
O insensata cura dei mortali,
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter l'ali!
Chi dietro a iura, e chi ad aforismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza 0 per sofiami,
E chi rabare, e chi civil negozio,
Chi, nel diletto della carne involto,
S'affaticava, e chi si dava all'ozio;
V. 1-12 Cure terrestri è gioîa stadio della medicina, demignata por mes
10 degli Aforiemi di Ippocrate,
5, RACERDOZIO = Inorwa, « nica preaiby:
tori ot pruslati qui sequuntur Ira embe.
nice: vi iti querant mngna Beauola
et prenda n vivaot espe reti:
Bri +; Pene.
6. x cur dce.: @ obi badava a regnare
ario di sperniazione emer con pogmono +|
è. s'arraricava: per seddinlare ln nasa
presicai, Conì i più. Ma il Betti: «Se co
atoro erano già involti nel dilutta della
carne, dunquo acano giunti già al pravi
loro desiari. Afaticarei qui sta per trar
“altra mpioguelone,
liceo quARTO]
Pan, x1 27-99 [camPiosi D. cattesa] 808
E qui è uopo che ben si distingua.
La Provvidenza che governa il mondo
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria che vada al fondo,
Porò che andasse vér lo suo Diletto
La Sposa di Colui ch'ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In sè sicura ed anco a lui più fida,
Due principi ordinò in suo favore,
Che quinei e quindi le fosser per guida,
L'un fu tutto serafico in ardore;
L'altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
dalesione ha por sà la gran maggioranza
dol codieb; efr. Moore, Orit., 400 ag. Ma
Ji sugar dei doo luoghi Par. X, 114 ®
XLII, 106, e il rimandure esplicitamente
al 19 di queati ci sericarano che è da
adottare la prima. Cfr. A. Bertoldi, Lect.
Dantia, p. 47.
questi doo dubbi è
arriti a penetrare i profondi smernti della
divina Provvidenza; afr. Rem. XI,38 4g.
Theon. Ag., Sum, theot. I, 12,7, Comm.
IV, Gi
Ri. PRRÒ cum: affinchè. - Ditarto È
Cristo.
32. Srosa : la Chions; etr. Par, X, 14
= ona : alludo alle dotto da Cri»
ato n erose; ofr. Matt. XXVII, 4, B8,
Marco XV, D4, 37. Lue. XXIIE, 46
Giov. XIX, 26-20. Bbrei V, 7.
DIRFOSÒ 100.: 4.1, rogere Keckleslum
Dol quam acquinivit aunguine sto»; Al-
ti, XX, 28.
fadelo allo sposo sto, Cristo.
3t, eiluctri: capi, condattort: 8. Pram
ogaco 0 8. Domenico, - IN SUO FAVORE?
‘@ piro delle Chiesa.
24. quisei R QUINDI: « guinel, ele in
rondergliola più fda; e questo è 8. Fran=
cesco mediante Î) noo serafico amare, per=
ché allora è fedele Ia apona nilo #poso,
quando si vedo eanor accenna nel ano amo
re. E quindi, eleè in rendergliela sicura;
e quosto è 8. Domenico mediante la wa
grandisima sagienza 6 profondiadma
dottrina che la difeado da ogni oretlon ®
Ban
39. CRRUDIVA: « Cherwbin ietarpro»
tatur permitada entention... % no patet
quest Chorablu desaminotur a retentia »
Thom. Ag, Sum thent. Ue,
[omo quasto] Pas. x1,188-189-x11.1-8 [secomna con.) 811
E vedrai il corregger che argomenta,
‘U’ben s'impingua, so non si vaneggia.'»
tnteso, vedrai onde In pianta dell'Ordine
(la pianta) si va assottigliando e perden- Ù
do della sun prina bontà, com Vent,, dei Duane
Torel., Tom., Frat,, Prane., eco. 0 così —misani), ora acheggiandosi sl amottiglia
anche not; v, nella ut. sog. le parole del e minaccia di romporni, ed in conseguen=
Beccaria. sa vedrai qual csan argomenti, od ar
130, 1, connzoosai Al, lessro com, galest, o Sapia Ni correggere, cde lo
nrogitn, che narebbe forma parallela a ta nto Ganci + BRANN]
cordigliero, © como questa franescano,
cod quella significherebbe domenicano.
Ma dopo le argomentazioni specialmente
dol Beccaria (DI ale. luoghi ecc. 207 sgg.ì,
cul altriaggionsero boni rincalzi,a'erà
a ritornare all'infinito correggere © ai
dovrà pur col Beccaria (ofr, Parodi, Bult.
CANTO DECIMOSECONDO
CIELO QUARTO 0 DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
SECONDA CORONA DI VIVI SPLENDORI
VITA DI SAN DOMENICO, RIMPROVERO AI FRANCESCANI
BONAVENTURA ED I SUOI COMPAGNI
SÌ tosto come l'ultima parola
La benedetta finmma per dir tolao,
A rotar cominciò la santa mola;
gem tripudio o frta Intorno a Danke e
2. mao 6Ér, Par, XIV, 40 XXYT,
: falso a
Peet aggiango di enbito, concem
‘altrn corona di dodici vivi aplem-
dot la quale le gira intorno cantando
Sat para Seal ai tod all de
n
ghirlando di
CoreLo quarto] Par. xl 21-34 [B. FONAVENTURA] 818
E sì l'estrema all'ultima risposo.
Poi che il tripudio e l'alta festa grande,
Sì del cantare o sì del fiammeggiarsi
Luce con Inco gaudiose e blande,
Insieme a punto ed a voler quetarai,
Pur come gli occhi, ch'al piacer che i move,
Conviene insieme chiudere è levarsi;
Del cor dell'una delle luci nuove
Si mosse voce che l'ago alla stella
Parer mi fece in volgormi al suo dove;
E cominciò: « L'amor che mi fa bella,
Mi traggo a ragionar dell'altro duca,
Per cui del mio sì ben ci si favella.
s Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca;
21. L’esmRRIa | quella di fori, l'este- sa. «E vuoi dire, cho mi traaso a sò cc
: & quella di dentro. —ierealstibile forza, cioò che lo non nvrni
potato non rivolgermi od css; tauto era
nol &l rapimento di quella voce »;
V.22-30, Il pamegirista di san Do- —V.31-45. Introduelone alla wlta di
mentco, Cessato instome Sl tripudio ed
il cauto, una delle anime della seconda
San Bonaventura francescano
{ofr, v. 127), ulza la voce per cantare lo
lodi di San Domenioe. All’ udire quella
voce, Dante sì rivolge aubito verso il
luogo dove lo wpirito ni trova, come l'ago
calamitato x rolgo alla stella
72-28.
HI: GAUDIOSK ® iiuxDe: pleno, eme
Juoi, di guadio @ di atfetto.
3Ò. A PUNTO 200.1 sl fermarono tutte in-
Coreno quaRTO]
Pan, sit. 51-68
fa. pomemco] 815
Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde;
Siede la fortunata Calaroga,
Sotto la protezion del grande scudo
Tn che soggiace il leone e soggioga.
Dentro vi nacque l’amoroso drudo
Della Fede cristiana, il santo atleta,
Benigno ai suoi ed ai nemici crudo;
E come fu creata, fu repleta
Sì la sua mente di viva virtute,
Che, nella madre, lei fece profeta.
Poi che le aponsalizie far compiute
AI sacro fonte intra lui è la Fedo,
U' si dotàr di mutua salute;
La donna che per lui l'assenso diede,
Vide nel sonno il mirabile fratto
Ch°uscir dovea di lui e delle rede.
E perchè fosse qual era, in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
51. taLvoLTA= Interno al solatizio di
nando siamo verso 1] colmo
perciò non sempre (talvol-
1a), rispetto all' Italia ll ole andando por
la Îunga sua foga © corso, si nasconde al
di 1A dell'acqua dell'Oceano nella diro-
alono del lito, nom lungi dal qunlo siede
Callaroga » {1}; Corn.
62. YGATUSATA: per caservi nato San
Domenico. - CALaR09A elttadina della
Onatiglia, detta fortanata, perché patria
di 8. Domenico.
53, s0uno : l'armo del re di Castiglia
è uno sendo dove a'inquartano duo ca-
naupo : l'amante fodelo della Polo, cloò
Ban Domenico, La voos drudo aon aveva
antioamento a cattiva signi Q0aione che
Raggi ft, Die, W9rk 1 250ag; Oo.
Topo. na
1a
G7.A18001: a quelli della sum fedo, =
crtuDo : erudele, avendo messo & ferro
* fuoco gii Albigeat
G6 nareL&ra: ripbema 1007. Inf, XVIIK,
24. Prog, XXV, T2 Luo, 1, 19,- + No
get arodemiam aÎiqarse albe dute ifcatoa
ose ta Utoro do quibua Seriptura meti-
Uomo not (nelb»; TAom, Ag, Sum, tAmol
ATTACCA
00, cur: ehe agli, cied la sua mento
MÒ piena di visa mirtute — Lu: Îa mbe
re. Al. intendono | La rità foco profeta
la mente. Profota non fu Il bambino, ma
Ja madre 1 er, Luc: 1, dl. Com. i
314 ag. Dicono che la madro di San De
menico, essondo di ini imelata, sognano
di partorire uu cano blanco 4 nuro fesderi
della Pete»; Dan.-* Domenico mel
4imo promise è alla Fede; la Fedo n lat
vita eterza »| Tone.
GA La para ila adrina che di per
Tai l'assenno alla fedo, vide la sogno che
egli avera una stalla in nesso alla fronte,
segno eh'ogli avrebbe Muminato | po
polti atr, det. Sanet. Aug, I, 970,
08, orLR ueDR: degli oredi, del frati
dell'Ordine da In) fondato; ofr, Par. XI,
NLLIILI
son santità e dottrina (Vett, not):
97. De cOrTRUTTO: dlla beni
"Ol Corti quid, dl lle set
[cisLo quasto] Par. xt. 84-97 fs. DOMENICO] 817
Ma per.amor della verace manna,
In picciol tempo gran dottor si fe0;
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se il vignaio è reo;
Ed alla sedia che fu già benigna
Più ai poveri giusti, non per lei,
Ma per colui che siede, che traligna,
Non dispensare o due 0 tre per sei,
Non la fortuna di prima vacanto,
Non decimas, que sunt pauperum Dei,
Addomandò; ma contro al mondo errante
Licenza di combatter per lo seme
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
n Poi con dottrina e con volere insieme
tali; oft. Murat., Seript.XI, 1159. Tap:
ueo: | più intendono di Taddeo d'Alde
rotto foneutiuo (12:51-1295) medico é0-
leberrimo ed autore di molte opere ne’
loro tempi e anche di pai famose,
ViM, VILI, 88. Tiradocehi, Lat. del. IV,
287 ug.) cfr, Murat, Seript. XIV, 1112. Je rendite del primo banoficlo vaantuta,
Coe Oti., Past. Cass., Petr. Dant., Falso —93, xox picneAs eco.: non domandi
Poco. Bene., Lond., Vell., oe. Altri iu» lo decimo cho sno del poveri del'Bi-
tendono di Taddeo Pegal, giareconentto
bolognese contemporaneo < ante. Così
Lan., dn, Fior, Buti, Dan, Peg,
Tom., sco. Cfr, Com. Lipe. TII, 919 ag.
BAL TRLLA VERLOE MANNA : del clio api
rituale, opposto al beni terveatri al quali
gli nomini sogliouo correre dietro e yer
amor del quali studiano iure e afori
I
ate, Ionîo, V, 1,9, 4; XXVII, è. Afott.
XX, 1 agg
87. roeTO nimaxcA: perdo rapidamente
il ano verde, ni secca. - VIoXAIO: fl pa-
store della Chiesa. - xo: di pigriala, no
gligeuza, 0 d'altro vizio, Gtr.; per l'im
miagino della vigna, Gere. II, ZL
88. spia : pontificla. Domenteo andò a
vel 1305,
Con l'officio apostolico sì mosse,
Quasi torrente ch' alta vena preme,
E nogli sterpi eretici percosse
L’impeto suo, più vivamente quivi
Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde l'orto cattolico si riga,
Si che i suoi arbuscelli stan più vivi.
Se tal fu l'una ruota della biga
In che la Santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga,
Ben ti dovrebbe assai esser palese
L'eccellenza dell'altra, di cnì Tomma,
per convertire gli Albigosi, prima — fedoli alla Chiesa la opportlona
colla dottina è coll’eloquanza, quindi
colla violenza, coi fuoco © colin spada,
98. CON L'OFFICIO APOSTOLICO i
Paotorità conforitagli da |
20, QUASI TONKENTE 006; € quasi fiume
Francesco, Par. XI, 43-117,
145. moss: al tripudio descritto mel
CANTO DECIMOTERZO
CIELO QUARTO 0 DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E "EOLOGIA
NUOVA DANZA E NUOVO CANTO
IL SAPERE DI SALOMONE, DI ADAMO ® DI CRISTO
LEGGEREZZA UMANA NEL GIUDICARE DI COSE ANCO PROFONDE
X 1N ISPECIE DELLA SORTE OLTERMONDANA
Imagini chi bene intender cupo
Quel ch'io or vidi (a ritenga l'image,
Mentre ch'io dico, come ferma rupe),
Quindici stelle che in diverse plage
mantera. Coma di solito
dantesco, deve colloqui a alternano nol
canti @ con le danze del
Bonaventara ha finito
ventiquattro spiriti formanti le duo ghir-
lando di viventi Inci ritornano alli
«Immagini danque il lettore » così il
Poeta, « calle mette stello dell’ Orna mag-
[giore le duo più grand! dell'Orsa minore
e quindici altre dello più aplondenti stelle
del clelo, Immagini che queste venti.
quattro atello formino in clelo due co-
Pag. xms. 7-28 [oAnze x cANTI)
Basta del nostro cielo e notte a giorno,
Sì ch'al volger del temo non vien meno;
Imagini la bocca di quel corno
Che si comincia in punta dello stelo
A cui la prima rota va d’intorno,
Aver fatto di sè due sogni în ciolo,
Qual fece la figliuola di Minoi
Allora che senti di morta il gelo;
E l'un nell'altro aver li raggi suoi,
Ed ambedue girarsi per. maniera,
Che l'uno andasso al prima e l'altro al poi;
Ed avrà quasi l'ombra della vera
Costellazion e della doppia danza
Che circulava il punto dov'io era;
Poi ch'è tanto di là da nostra usanza,
Quanto di là dal muover della Chiana
7. Canno: teen ein) be i
|, IIK, 107.
loro giro
nel nostro &miafero intorno alla stella po-
Jaro. Beet.. Cons. pAd. IV, metr. 6.
9. T1169 1 timone ofr, Purg. XX1T, 119;
XXXII, 40, 140, Par. XXXI, 124.<x0x
viy: nen el toglie alla vista nossana
dello ano stelle, giacehò si aggirano fn-
torno alla stella polare cod darvicino,
che restano notte 6 giorno sopra l'orie-
a0pte.
10, La nOcca DI QUEL coRKO) le due
ultimo stelle dell'Orsa minore, la quale
ai può pur assomigliare ud un corno ri-
ourro.
11-12 tS IUNTA DILLO #TRLO 000.1 nel-
l'Ora minore lo atello non disposto a
mo' di corno cho Incomincia presso 1a
prnta dall'asse (in punta elio ato),
tatorno al quale i aggira a prisa ret,
St Area ttmagioiche osatentttto
AvER:
formino in eleto dae costellazioni, ela
nonna di dodici stella disposto a cerco.
= stasi: centellazioni ; cfr. Firy., Oeory.
costellazione;
Ovkd., Met. VIII, 174 Fast. V, DLL
= Muto: Minosse (afr. MAE
Gltto a) fiast nau, nec
DURARE
perdo
on
[cteto quaRTO]
Si trasse per formar la bella guancia
Tl cui palato a tutto il mondo costa,
Ed in quel che, forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto satisfece,
Che d'ogni colpa vince la bilancia,
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosso infuso
Da quel Valor che l'uno e l’altro fece;
E però ammiri ciò ch'io dissi suso,
Quando narrai che non ebbe il secondo
Lo ben che nella quinta luce è chiuso.
Or apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo;
E vedrai il tuo credere e il mio dire
Nel vero farsi come centro în tondo.
Ciò che non muore, e ciò che può morire,
Non è se non splendor di quella Idea
Che partorisce, amando, il nostro Sire;
08. cvancta: di Eva, che mangiò del
frutto proibito © ne diede anche nd Ada-
mos efr. Gen. III,
29. costa: essondo cagione dei mali
dell'omanità; e0r. XXLX, 24 seg
40, xD DI QUEL 0ec.: 0 nel patto di Cri-
ato.- rORATO1 + Unna rallitum lancen
Intno elma aparult »; Gios. XIX, 34.
Ai. FOSCIA R PIA : dopo essere stato
forate e prima. « Poi che fa forato, dince-
ditado ll Limbo a trarno 1 santi Padri; e
prima che ferato fosse, per li graviincom-
edi sofferti al mondo treatatrà anni che
viene »3 Pell; 0 cos Bee, DES
vince continuamente, fa cel
ano maggior peso altare a bilancia d'egni
opa in eterno,
49, ott 0ccatt: + della ragione n dello
intelletto »; Putt Così 1 più, Invece Betti
+ Nom gli cochi della monte, ma quell del
ii
Lens
I
Ì
i
E leguo vidi già dritto e veloce
Correr lo mar por tutto suo
Perire alfine all'antrar della foco.
Non creda donna Berta o ser Martino,
Por vedere un furare, altro offerére,
Vodorli dentro al consiglio divino;
ur Chè quel può surgere, e quel può endere. »
116. e Liawo ee0.; e vidi già navo che,
dopo aver vologgiato folicamento e re
Jocemonte durante tatto 1l viaggio, nf
Spiri
Der tulle 1 'viaggio che doveva fra:
138. rocR: porto.
180. posa : Al.: a0sma. - Barr.
ogni rie faomioalla ed ogni anielattalo.
Cone. 1,8: «Ono anolo dire Marti
Pamav , Specchio di pen 1,400: «De no-
ugo, che sono dal ciolo, cioè dalla inflaen-
iu delle stelle 0 dolio pinete e dalla di
sposizione 6 impressione degli elementi,
è’ nono buoni filonofi @ buoni anttologhi,
«ho possono fur buona Interpretazione,
una e* son ben pochi que' cotali. E quelli
tanti, cho bono nano, dI dabitorebbono
cho gll altri di giudicare, temend
f
tosta iromzizione
Cone, TV, &
Può smrpere,
jeig?
NIRO
fi
Bi
foriro, far pio offerte.
[nuss:0] 838
CANTO DECIMOQUARTO
CIELO QUARTO 0 DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
LO SPLENDORE DEI BEATI DOPO LA RISURREZIONE DE! CORPI
TERZA GHIRLANDA DI VIVENTI LUCI, SALITA AL CIELO DI MARTE
CIELO QUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
LA CROCE DI MARTE, ARMONIA DI CONCENTI, RBTASI DI DANTE
Dal centro al corchio, e sì dal cerchio al contro,
Movesi l'acqua in un ritondo vaso,
Secondo ch'è percossa fuori o dentro.
Nolla mia mente fe'anbito caso
neita mente di Dante; ma Beatrice de
prevedo 0 lo espone.
3.0 memo: AL: x DaxTRO, Se ll vada
obo contiene l'aoqna è perccssoal
l'acqua ai muove dal cerehia al cmmtre,
andando In circoli di maggiori in minori;
no l'acqua è percossa noi centro, esa al
dal centro muove in circoli di minori in maggiori
atggetiacano al Poeta dal centre al cerchio.
una simiiitadine nuova, che risponde n
884 [omo quanto] —Par. xiv.
Questo ch'io dico, sì come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
Per la similitudine che ue
Del suo parlare a di quel di Beatrice,
A cui sì comineiar, dopo Ini, piacque:
<A costui fa mestieri, e nol vi dico
Nè con la voce, nè pensando ancora,
D'un altro vero andare alla radice,
Ditegli se la luce onde a'infiora
ostra sustanzia, rimarrà con woî
Eternalmente al com'ella è ora;
[ome quieto] Par. xiv. 184-189-xv, 14 ([ern. D. BEATI] 848
D'ogni bellezza più fanno più suso,
È ch'io non m'era li rivolto a quelli;
Escusar puommi di quel ch'io m’acenso
Per escusarmi, 0 vedermi dir vero;
Chè il piacer santo non è qui dischinso,
139 Perchè si fa, montando, più sincero.
134. riò rano FIÙ suso: si manifo-
ancor rivolto a guardare la mia donna.
97. TIR ANCUMAMIO : A mila acum, per
aver desto try, 127 sgg.) di non aver
mai guatato tanto diletto, quanto all'udi-
ro quel dolcissimo canto nel cielo di Mar-
CANTO DECIMOQUINTO
CACCIAGUIDA, L'ANTICA FIRENZE ROLL ANTENATI DI DANTE
Bonignn volontade, in cui si liqua
Sempre l'amor che drittamente spira,
Come cupidità fa nell’iniqua,
Silenzio pose a quella dolce lira,
Indi, ad udire ed a veder giocondo,
Giunse lo spirto al suo principio cose
Ch'io non intesi, sì parlò profondo;
Nè per elezion mi si nascose,
Ma per necessità; chè il suo concetto
Al sogno dei mortal si sovra,
E quando l'arco dell’ ardente affetto
Fu sì sfocato, che il parlar discese
Invér lo segno del nostro intelletto,
La prima cosa che per me s'intese,
< Benedetto sie Tu» fu, « Trino ed Uno,
Che nel mio seme se' tanto cortese!»
E seguitò: « Grato e lontan digiuno,
Tratto leggendo nel Magno Volume
U non si muta mai bianco nè brano,
Soluto hai, figlio, dentro a questo lume
In ch'io ti parlo, mercò di colei
Ch'all'alto volo ti vesti le piume.
nÒ al aggionge) che un giorno cl sareati
‘ora, pormso che fo vedo e
lagro | tuoi destderit tn Dio, stimi mper-
fino dimandarmi dell'esser mio e della
ragione per cho lo mostri tanta giola in
vederti. Veramente tntti | beati, qua-
lanque nîa fl grado della loro beatitu-
dine, mirando în Dîo, vedono ivi come
riflessi in uno npecebio tutti gli umani
pensieri. Tattaria, DI
per sualibora volontà, ma perché, in quel
momonto, Cacciagnida, tutto ardonte di
aubilme amor divino, pensava © diceva
cose anporiori all'omana inteliloniza.
42. ai sortartosz: volò più alto.
48. L'ARCO; V'ardore della infaromata
carità.
di. RPOCATO 1 Al: arogATO, - pesca :
Al abbassò al grado dell minano intelletto.
@ ran x: da mo,
#3 conviaz; cfr, Par. VII, dI
[orRLo quinto] Par. xvi. 124-136 [raMiOLIE DI FIR.]
Io dirò cosa incrodibile o vera:
Nel picciol cerchio 8° entrava per porta
Che si nomava da quei della Pera.
Ciascun che della bella insegna porta
Del gran barone il eni nome e il cui pregio
La festa di Tommaso riconforta,
Da esso obbe milizia 6 privilegio;
Avvegna che col popol si raduni
Oggi colni cho la fascia col fregio.
Già eran Gualterotti ed Importuni;
Ed ancor sarla Borgo più quieto,
Se di nuovi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto,
Sitora i peri che alora di ol tl tal
di Firenze, la qualo con molte altre tdi.
ficò, al fanno solenni erazioni a Dio per
fangati » di parte ghibellina; la suaanima »; Oft.Ofr. Puecinalli, Tator,
Ge FLIV, 186 Vo obo Vi, 96, — « Que
mil sono busal in onoreo poohiIn numero;
sono Ghibellini disdegnosi »; Ott.
126-120, 10 DIRÒ #06.5 « Dice l'Autore:
Chi orederebbe che quelli della Pera fos-
nono antichi 1 To dica ch'elli sono sì anti-
della
di pù
fanale Dante di deprimerai
fa, nello parole i ul besten
erano di parte quella
9. Fil. Y, 39. I Qualterotti « sono pochi
in numero, e mano fu onore i di costoro
185, vion| olttadini; 1
nobili è antichi
[eno quinto]
Par, xvi. 154-xvit, 1-5
104 Nè per division fatto vermiglio. »
poro bellerum civili; quia aiquando
Ghibellini corpulat ineiguia tn.
tranoorom; et qubvartebant In oppro:
drium Guelphorum,et.o contrario»
154, veRMIOLIO: l'antica armo di Fi
renzo era un giglio bianco in campo ros-
no. Dopo la guerra contro Pistoia nel
1251 i Quel@i focero loro arme un giglio
rosso in osmpo bianco, mentre | Ghibel-
lini conservarono l'arma antica. « Oso-
cinti 1 caporali do' Ghibellini di Firenze,
il popolo è gli Gual@ che dimoraro alla
mente sî portava il campo roaso 0 "lgi-
glio bianco, a foclono per cantrario 11
campo bianco è "l giglio romo, e' Ghi-
bollint sì ritennero în prima insegna; ma
la insegna antica del Comune dimeszata
bianca e rossa, cioè î0 stendale «h' sa
dava pell'osto in «uì earrocsio, non al
mutò mai»; @. FAT. VI, 43. Sopra altre
tradizioni o leggende ofr, Com, Lipe,
III, 451 sg.
CANTO DECIMOSETTIMO
CIELO QUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
1 DOLORI DELL’ESIGLIO, SVENTURE E SPERANZE DI DANTR
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
Qual venne a Climenè, per accertarsi
Di ciò ch'avea incontro a sè udito
Quei ch' ancor fa li padri a' figli scarsi;
Talò ora io, e tale era sentito
E da Boatrico 0 dalla santa lampa
tiva; confortato da Beatrice, prega di tal
Masa
eMosa Caocinguita.
1. Cutaor macio de Potente i qual
corse da Ji a chiederle se egli fbano
tamento figlio di Apollo, “dò cho paso,
‘ig di Giove, avora negate: ct. Ori
Mot. I, T60-IT, 238,
3. qua: Fetonte. - Pia capro a
nell ded figli: e
como ana lampo i Mer Par. xv
18 ang.
ToraLo quinto] Pan. xviL 25-57 [LIBERO ARBITRIO] 867
s Per che la voglia mia narla contenta
D'intender qual fortuna mi s'approssa;
Chè saetta previsa vien più lenta. »
Così diss'io a quella luce stessa
Che pria m'avea parlato; e, come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Nè per ambage, in che la gente folle
Già s'inviscava, pria che fosse anciso
L'Agnel di Dio che le peccata tolle,
Ma per chiare parole 6 con preciso
Latin rispose quell’amor paterno,
Chiuso e parvente del suo proprio riso:
«La contingenza, che fuor del quaderno
figura che ha quattro —tricato, osenro, equiroco, esme quello
degli oracoli pagnni. « Hoerandaa cani
ambages »; Firg., Am. YI, 69, » Imi
pagnna. - FOLLE: « Dicentee etilzi po nano
saplantes, stulti faoti sunt» | Jom. I, 3%
ra prendere
82. N'INVISCAVA : al lascia
da quattro angoli solidi. 11 concetto e il —cemel’accello al visebio; etr, Inf, XII,
fatto della stabilità di un'opara materinlo 07; XXI, 18; XXIL 164 = ANCO: we
avente questa forma deriva da questo, cio; prima della merta di Cristà.
che il centro di gravità di una pirmmsde —23 L'AGxRL toe.: + Esce Aguut Del,
è ad un quarto della retta che unisce îl
intom, Ufr, Artet., BYAlo., 1, Adat,
Herat., Sat. 1L. vu, 83 sg.- COLPE:
do
[cmLo quorro]
Par. xvI. 52-64
[estoLIo] 869
La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol; ma la vendetta
Fia testimonio al vor che la dispensa.
Tu lascorai ogni cosa diletta
Più caramente; e questo è quello strale
Che l’arco dell'esilio pria saetta.
Tu proverai sì como sa di sale
Lo pano altrui, e com'è duro calle
Lo scendere e il salir per l'altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia
Con la qual ta cadrai in questa valle;
su Che tutta ingrata, tutta matta od empia
V. 53-06). GU aganni dell'esigito.
Alla profozia dello sbandimento di Dante
segue l’annunzio delle dolorove umilia.
zioni ch'ei dovrà aubiro nell' enlglio,
«In primo laogo, si darà tatta la colpa
agli oppressi, secondo lì scllito, chè chi ne
tocca, ba sempre torto; ma È mali che
seguiranno, faran vedere che la ragione
stava dalla parta del vinti. în secondo
ad abbando-
Banoscenza
peggio anrà por te fl contegno e' tuoi
compagni di ateatura. » Cfr. Cono. I,
sione » 1 Inf. VI, 61. Per ofenss in luo»
go di offesa cfr. Inf. V, 108 è Purg.
XXXI, 12, « La voce sarà che Dante,
Tipe. TIT, 469, In sostanza; «La colpa
ai darà a to ed a'tuoi compagni; ma
Dio pamîrà i veri colpevoli. »
65. 0GxI coma eco.: patria, finmiglia,
[crxo quinto] Pan. xvit 104-120 [puseto] 878
Dubitando, consiglio da persona
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama:
< Ben veggio, padre mio, sì come sprona
Lo tempo verso me, por colpo darmi
Tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona;
Per che di provvedenza è buon ch'io m'armi,
Sì che, se luogo m'è tolto più caro,
Io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte del cui bol vacume
Gli occhi della mia donna mi Jevaro,
E poscia per lo ciel di lume in lume
Ho io appreso quel, che sio ridico,
A molti fia savor di forte agrume;
E #'io al voro son timido amico,
Temo di perder viver tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico. »
(vuol
no a dice cosi ama)
108, aprona : «i avanza in
ehi.
sarai pese
È
ssf
i
« Non
pini
redito ei udito. È bex vero che molti, la
[bee
EE,
Toro qunero] Pan. xvit. 186-142 ToorAe@io] 875
1» Però ti son mostrate in queste rote,
Nel monte e nolla valle dolorosn
Pur l'anime che son di fama note;
Chè l'animo di quel ch'ode, non posa,
Nè ferma fede per esemplo ch'àia
La sua radice incognita e nascosa,
ua Nè per altro argomento che non paia. »
colpo aziandio a' primi e potenti, fa ‘seno veramente tute 44 Jona nat
“anto tenere delta virt nerioo del vi: _ Lo oscure non gl farosa mesrate; (i
nio 0 dI E pt A SN Cet.
tri intendono: n.
Mi. RADICE: ne gli esempi sono ‘totti
da persono osenre © sconoseftte.
142. NON PAIA ; non appariaca, nom ala
evidente, « Non al pnò Insegnare la cosa
non sapnta per la non #3 Batk=
+ Rocar onvmpi di caatighi toccati a per-
none volgari pon muove i detteri; | quali
Nieto ‘ana paco ein Cir
LO QUINTO] Par, xvi. 1-6 [DANTE k BEATRICE)
CANTO DECIMOTTAVO
JUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
TRITI RISPLENDENTI NELLA CROCE DI MARTE
SALITA AL CIELO DI GIOVE
SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI
IUSTITIAM, L'AQUILA IMPERIALE, AVARIZIA PAPALE
Già si godeva solo del suo verbo
Quello specchio beato, ed io gustava
Lo mio, temprando il dolce con l’acerbo;
E quella donna ch'a Dio mi menava,
Disse: « Muta pensier: pensa ch'io sono
Presso a Colui ch’ ogni torto disgrava.»
2 ela gle
enza quin dara
LO SESTO] Par. xvui. 129-136 [AVARIZIA PAPALÈ]
Lo pan che il Pio Padre a nessun serra.
Ma tu, che sol per cancellare scrivi,
Pensa che Pietro e Paolo, che moriro
Per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: « I ho fermo il disiro
Sì a colui che volle viver solo,
E che per salti fu tratto al martiro,
Ch’ io non conosco il Pescator nè Polo»!
x: {l pane spirituale, la gra- gli apostoli di Cristo, ma gli ricorda che
’adro Celeste non nega a nes- © Pietro © Paolo son vivi.
corda a chiunque la cerca; 1132. viaxa: la Uhiesa; efr. Par. XII
[LLI, 122 eg. 80. Teaia, III, 14.- VIVI: « quasi dica
c.: apostrofa papa Giovanni elli ti rimuneranno di tne opere, però
faorsino (1816-1334), schiavo ch'elli vivono, cioè possono »; Ott.
a (cfr. G. Vill. XI, 20), fl cui —193. prax: ridendotela delle minacce e
fu una serie si può dire non bmrlandoti di Pietro e di Paolo. — 1° no
i acomanicazioni e ricomuni- —"FENAIO e0c.: io sono tanto assorto nel vi
ivere © cancellare); cfr. Vi. gboggiare S. Gianni Battista, cioè i
, 144, 171, 227, 246, 264,278, fiorini d'oro della repubblica fiorentina
‘78, 184, eco. Altri intondono nei quali egli è effigiato, che non cono-
oiei papi in generale. Ma è sco più nè San Pietro nè San Paolo
nte parla di un personaggio —Acerbissima ironia.
Altri intendono di Bonifa 134. COLUI sco.: Giovanni Battista -
nte Vi ma ambedine s0L0: nel deserto. « Erat in desertis»
la un pezzo, quando Dante Luca, I, 8!
voraî, @ l'opoca fittiz 135. PER SALTI: în premio del ballo che
n ha qui che vodere. Cfr. la figliuola di Erodiade foce alla prose
100 ag. - SCRIVI: consu- di Erode: cfr. Mart. XIV, 1-12. Mare
VI, 21-:
#0 x PAOLO: nel v. 136 130, IL PESCATOR: San Pietro. ch
Par x1x. 1-10 [AQUILA PARLANTE] 887
CANTO DECIMONONO
CIELO SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI
L'AQUILA PARLANTE, NECESSITÀ DELLA FEDE
IMPERSORUTABILITÀ DELLA DIVINA GIUSTIZIA
LA FEDE E LE OPERE
Parea dinanzi a me con l’ali aperto
La bella image, che nel dolce frui
Liste facevan l'anime conserte.
lascuna rubinetto in cui
di sole ardesse si acceso,
Che nei miei occhi rinfrangesse Ini.
E quel che mi convien ritrar testeso,
Non portò voce mai, nè scriase inchiostro,
Nè fu per fantasia giammai compreso;
Chio vidi ed anche udii parlar lo rostro,
stantio, « Quod est impliciter alti,
‘aliquie deloetator alont in
FisE-HEFTILI
II
Torto sesto) Pax, xx. 56-72 [orusTIZIA DIVINA] 891
ss Non può da sua natura esser possente
Tanto, che suo Principio non discerna
Molto di là da quel che l'è parvente.
Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
Com’occhio per lo mar, entro s'interna;
Che, ben che dalla proda veggia il fondo,
In pelago nol vedé; e nondimeno
È lì, ma cola lui l’esser profondo.
Lume non è, se non vien dal Sereno
Che non si turba mai; anzi è tendbra;
Od ombra della carno, 0 sno veleno.
Assai t'è mo aperta la latebra
Che t'ascondeva la giustizia viva,
Di che facéi question cotanto erebra;
Chè tu dicevi: ‘Un nom nasce alla riva
Dell'Indo, e quivi non è chi ragioni
Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva;
55, DA SUA SATURA 000: «La intelli- -— 63. & ut: AL: mart: cho il fundo ent
gonzia umana Don può per sna matura
comprendere delle coso di Dio tanto, che
non no sla ancor più ; Buti.
56. rico: Ja Mente divina, ch' è
principio dell'intelletto reato.
57. DI Là emperiore 4 quall'apparenza
sotto la quale gli ai mostra. -cueL' &
HU
tri È
[creo sesto] Par. x1x. 115-127 [PRINCIPI INGIDATI] ss
18 Li ai vedrà, tra l’opere d' Alberto,
Quella che tosto moverà la
Per che il regno di Praga fia disorto;
Li si vedrà il duol che sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta,
Quei che morrà di colpo di cotenna ;
Lì si vedrà la superbia ch”
Che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
Sì che non può soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria 6 il viver molle
Di quel di Spagna e di quel di Buemme,
Che mai valor non conobbe, nè volle;
127 Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
dalle isole. fia iobe all ee 121. ASSKTA : accendo di amoderata sode
forregla alla di demo < Ol'asseta, che rondo
ser.
116, queLLA | l'invasione della Boemin
mel 13061 ofr. Palacky, Storia della Boe nin Oîr, Barlow, 485-A0G.
mia, 1. IV, 0, T.-MOVERÀ LA rawoca 1 di — Com. Lipe, ILL, 538 og: Purp. VE, Mt
Dio @ seri vere in quel volume: efr. Da- —123.L0SCOTTO: ire di Scozia, = L' IX
miele, V, 5 ng. anita: (I re d'Inghilterra,
uî. lia
quo ti Phana: pri confioi.
Mi ne pot ero 125. quaL DI Sraosa: Ferdinando IV,
Farigi Fuippo li Ballo facendo contare re di Caetiglia (110-131, che lele Gis
biltrra al Mori © ne 1212 foca morire
eso grosso, ch'era a undici once è merce
di fine, tanto Il feon peggiorare, che tornò
quasi a metado, e simila la monala prima ;
£ cost qualle dall'ore, ebe di ventitre
mento carati le roeò a ca
CASINA ncrgire pes nani a man re:
leano: endo Il ro avanzava ogni dì libbre
selmila di parigini, è più, ma gnastò e di-
n Li palle del cheghiato,
120. comuna : pelle qui
pre ciogalalo la parto perl rotto, «Hal
l'anno 1324 del mese di noverstre, il
Par, xs. 1-10
CANTO VENTESIMO
CIELO SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI
CANTO DEI GIUSTI
PRINCIPI GIUSTI NELL'IMMAGINE DELL'AQUILA
FEDE E SALVAZIONE, ARCANI DELLA DIVINA PREDESTINAZIONE
Quando colni che tutto il mondo alluma,
Dell'emisperio nostro sì discende,
Che il giorno d'ogni parta si consuma,
Lo ciel, che sol di lui prima s'accende,
Subitamente si rifà parvente
Per molte luci, in che una risplende,
E quest'atto del ciel mi venne a mente,
Come il segno dol mondo è de' suoi duci
Nel benedetto rostro fu tacente;
10 Però che tutte quelle vive luci,
V. 1-15, Canto det giusti. Come l'a-
quita, Insegna del mondo e
taoque nol benedetto rostro, tutte quello
vivo Inci vioppiù lucendo comineiareno
anti divini, la cul doloesza vità:
mon si può esprimere ni 7
umano, lumi beati che formani
Jamagine, al mostrano vieppiù seintil-
lanti per ardore di carità, in quei modo
che, calando 1l selo, It cielo si arriva
di stelle.
1, COLUI 6at.: il solo, dal quale, secondo
l'opluione del tempo, lo atelle rioorone
tutto 1) loro lume, efr. Cone. IL, 14; IL,
19, Cona. XI (« To son recuto al punto
della rota »), 1 agg.
2, nl pasciwnr: diamonta talmente.
3. D'00s1 FANTR: del nostro embafero.
= Ri cONsEMA: tion meno; + consumpta
monte»; Virg., Amm. IT, 795,
4. Cit a0x, sc0.1 che aveva var tune,
por funalo unicamente V. vado, mentire di
notte | lami vengino È wulipicarà ven
[creto sesto]
Pan. xx. 11-26
Vie più lucendo, cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
O dolce amor che di riso t'ammauti,
Quanto parevi ardente in quei flailli
Ch'avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia che i cari 6 lucidi lapilli
Ond'io vidi ingemmato il sesto lume,
Poser silenzio agli angelici squilli,
Udir mi parve un mormorar di fiume,
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
— Mostrando l'ubertà del suo cacume.
E come suono al collo della cetra
Pronde sun forma, e sì come al
Della sampogna vento che penttra;
as Così, rimosso d'aspettare indugio,
Il. LUCEXDO: Al: LUCKNTI. — comi:
cmarox: «la similitudine è în clò, ehe 00»
ze all'unioa luce dal solo suosede la mol-
13, RAnILIs afaggenti ; « nostro Diu
Ialatur pectore voltus +; Viry., Zelog.
1, 63. - capuct: « non di possibilità, ma
d'atto ») Tom.
amor: divino, = r'ammanti : ti fai
manto di ridente luos; centr. Sale.
chia, Costantino, Guglielmo e Rifto, for-
mano fl ciglio dell'aquila.
10. LariLLA: Int. Lapilins; grumo, pl-
tre presioao ; et. Par. XV, 22; XVIII,
115, sco.
17, rL santo LUME: Giove, 11 seato pia-
meta.
18 rosen anzio : ammatolisce Il
cune dal agndi pe der og di parta
all'aquila. - squicti: canti armanlost.
19. uN monmoRAR: tim mormorio di né»
quo che scendono balzando di pietra in
“21, cabtira: cima, ovo ha la sorgente)
ofr. Per. XVII, 113. Con queata ricebora
di acque lì Poeta vuol dare un'idea delia
vigorosità di quel ssano,
SE. AL COLLO r al manico dalla cetra, ilo»
voll nocaatere fasteggia. «Come io ascnò
[creo se870] Par. xx. 48-58 [occHio DELL'AQUILA] 901
4 Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
Colui che più al becco mi g'accosta,
La vedovella consolò del figlio:
Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo, per l’esperienza
Di questa dolce e dell'opposta.
E quel che segue in la circonferenza
Di che ragiono, per l'arco superno,
Morto indugiò per vera ponitonza:
Ora conosce che il giudizio eterno
Non si tramuta, quando degno preco
Fa crastino laggiù dell'odierno.
L'altro che segue, con le leggi 6 moco,
Sotto buona intenzion che fo mal frutto,
Per codero al Pastor, si foco greco:
se Ora conosce come il mal dedutto
43, PER cIGLIO: » mo' di ciglio.
noguente, come Il peccato commesto, alla
44. COLUI eco.: fl lume che sta anll'arco
mus gonrigione. Paro che Il Peota peo
del ciglio più vicino nl mio beeco
Traiano, che foco giantizia alla
Wtato morto ©
Setior ott. Perp. E: 7-0.
cososor: essendo stato più necoli
nell'inferno, sa per osperianza qualo sia
la pena di eli nom seguo Cristo. + Quia,
ncilfont, atetit in informali anguetia per
quingentoa anne » ; Bene, Cfr. la at. al
7. 106,
uff quieta: bosta. - orrorta: infor
40. quas, cos? Ranchia, re di Giada, al
, Reg: X. mm
val. XXXII; 3 Tenia, XXXVIIT, 1-22.
50, 11 cum della quale otreomferenta,
0 cerchio, 7. 43, - arco aurRRIrO; la par-
to anperiore ilel ciglio.
BI. men vira PReiTRRIA | la preghiora
Rc a e bi ie i pl
chase qui di anneroninmo.
5% quaxno 1 Alt rec.
proghiora; ofr. Inf. XXVIII, #0.
DI. va CASTIRO ecc. fa di venire cos
0 fatto del domani ciò cho dorera ew
sale impre, e) Ai
te Jo eda dello legis dele rm, dele
Voguita è particotarmento Ins:
ctr, Inf. XIX, 115 agga XXVIL
84 sog. Por | DAG = on ca net
« ‘dalle leggi © dal mio so
no »; Buti.
14. nooxa: efr. De Mon, IL 12, 12,»
siena»
Torno sesto) Pan. xx. 100-118 [rep R saLure] 905
100 La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi
La region degli angoli dipinta.
Dei corpi suoi non useîr, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede,
Quel de’ passuri, e quel de passi piedi.
Chè 1 l'una dello Inferno, u' non si reds
iammai . buon no tornò all'onse
ia ehi er suscitarla,
fr» ia esger mossa,
100. iti Pe DLL
' ‘ pi
- 108, LA REATO DEGLI amara: 4 eloli.
praegrai Erea) 1 cieli sono la re-
gione
per opera di Di Gregis Toh,
nomini beati, Vit. 8, Oreg. M. IL, d4. 0. Porte,
um. tAeol, eita la lon rc1070 RE E
8: 102,2; 1, u, 47, 3; LI
rita; facendo parto dell'aquila [vi di-
pinta da Dio; ofr. Par. XVIII, 109,
109. auoti loro,
105: quat: lo spieito di Rifeo uscì del
corpo in farma fede nella fatara, lo spi-
Si, mentro che parlò, sì mi ricorda.
Ch'io vidi le due luci bonedette,
Pur come batter d'occhi si concorda,
Con le parole muover le fiammette.
146, LE Dux Loci masanerta: le due
anime dente
CANTO VENTESIMOPRIMO
CIELO SETTIMO 0 DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI
SALITA AL SETTIMO CIELO, LA SCALA CELESTE
PIER DAMIANO, CONTRO IL LUSSO DEI PRELATI
Già eran gli occhi miei rifissi al volto
Della mia donna, e l'animo con essi,
E da ogni altro intento s'ora tolto.
E quella non ridea; ma «S'io ridessi,»
Mi cominciò, « tu ti farosti quale
Fu Semelè, quando di cener fessi;
V.1-. Salita al elelo di Saturno,
Tarminato Il discerso dell'aquila coleste,
Dante volge di suora lo agardo 0 la
peli n Deaiico; a qual più noe ride,
Splantere di tal cia. Bantico li aan
tia che al sono già elevati al cielo di Sa-
|
ii
} yer] prontezza ul nbbbdire.
celo di Saturno etr. Cone, IT, 14.
[cizLo setmiMo] Pan. xx1. 41-54 [our pomAnDE] 911
In quello sfavillar che insieme venne,
Si come in certo grado si percosse;
E quel che presso più ci si ritenne,
Si fe’ si chiaro, ch'io dice: ponsando :
«Io veggio ben l'amor che tu m'accenne. »
Ma quella ond’io aspotto il come e il quando
Del dire e del tacer, si sta; ond'io
Contra il disìo fo ben ch'io non domando:
Per ch’ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di Colui che tutto vedo,
_ Mi disse: « Solvi il tuo caldo disio!»
d cominciai: « La mia mercede
Ra mi fa degno della tua risposta;
Ma, per colei che il chieder mi concede,
41-42. nente è00.: «imperò cho quelli egli debba parlare @ tacere, non gli fà
i Insieme
n Bentrico, che
mîrando in Dio vedo tutto ctò che pasa
nell’antmo del Poeta, pli dice: «Sazia pa-
rel'ardento tna brama »; e allota, rivolta
venuti, è niquanti andorono altre’, e al- a quel vivo lame, Dante dice: « 11 mio
quanti restarono quivi»; Buti, = « Et aio
vide quomodo anotor reprassentat diver-
104 discurane animarmm per di vorsca vo-
tua luce, per qual cagione
tu sei venuta sì presso a mo, più che le
altro, © perchè la sinfonia, che suon M
tatem et velocitatem; et inter ceteraa
antmas anime CL regia nnt
reloces, levos et expert grava 5
tuo a carne, non fmpedim ab occnpatio- rv. d1-6î, Comincia dalla s6comdi, soma
di gran lunga più importante.
4G. 11 cOMR #11 quanno v Il modo ad
il tempo del parlare o del tacore,
47. st STA: nom fa alenn cenno,
AR. CONTRA IL Disto ace: fo ano n
vea domandare, denrhò senta vivo de
siderso di domnodare. Così 1 più. Invece
Biag.: « Fo certo contra il mulo dota
Prondendo il cibo di
Or voglion quinci e quindi ehi
Li moderni pastori, e chi li menî
(Tanto son gravi!), e chi di dietro gli alzi.
Cuopron de’ manti loro i palafreni,
SÌ che due bestio van sott’ una pello;
O pazienza, che tanto sostieni T»
A questa voce vid'io più fiammelle
Di grado i in grado scendere 6 girarsi,
£d ogni giro le facea più belle:
D'intorno a questa vennero, 0 fermarsi,
E féro un grido di si alto suono,
Che non potrebbe qui assimigliarsi :
Nè io lo intesi; si mi vinse il tuono,
199. ruaNDINDO: secondo Îl preostto esenò
portolico, 1 Cor. X. 27, of inalesca ©appa»; Ott. Cfr, Cie. IL,
REpLLt, 7. TV. XV, 783 IEXTV, 120. for
135.0 PAZIENZA è veramente infinita di
Dio; cfr. Rom. IX, 22,
lp.
non volendolo furo da sò modesimi, per
superbia, tonendo camerieri a seri
Betti.
Alla finmmella di
si ammmaniava l'anima boata di eta
140. Ux 0nDO: Jen Cromite di nissta
coleato adegno © Insieme
giusta vendetta; ofr. Par,
ato ad alonm
dar
TNTIERI 1 grido, ma nes m
Inteal li n
tp O qu
Pag. xxm. 1-9 (vANTE ® BRATRICE] 919
CANTO VENTESIMOSECONDO
CIELO SETTIMO 0 DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI
SAN BENEDETTO, CORRUZIONE DEI MONASTERI
CIELO OTTAVO 0 STELLATO : SPIRITI TRIONFANTI
IL SEGNO DEI GEMINI
SGUARDO Al PIANETI ED ALLA TERRA
Oppresso di stupore, alla mia guida
Mi volsi, come parvol che ricorre
Sempre colà dove più si confida;
E quella, come madre che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
Con la sua voce, che il suol ben disporre,
Mi disse: « Non sai tu che tu se' in cielo?
E non sai tu che il cielo è tutto santo,
E ciò che ci si fa, vion da buon zelo?
V.1e21, Ragione del grido det Gon-
tempiativi. L'altiesimo grido, assordan-
te cose tuono, fa stapiro ll Poeta, dhe
ansioso, al volge a Ileatrioe, come ll fan
ciullo alla madro. Beatrice gli rammenta
cho è In elelo, dove tatto è asuto, e tatto
ciò che vi si fa, precede da buon solo,
Quindi gli dà Ia apiogazione di quel grido.
Rete ma rei iesele prole gia eco»
la rendotta, che veti
1. orrumano; vinto; «sed te, ut video,
atepae oppromit o: Deck, Gens pA
» Beatrice.
| Artor., Or. XLIV, 92.
"i cOLÀ: alla mire, nella qualo 1 baei-
Dino pone la maggior fiànela.
4. come anke 000.; af, Snf. XXIII,
37 egg. Purg. XXX, T0, Par, I, 100 agigi
0. mx pIsrorxE: «non solo fargli enore,
ma indurre ogni disposizione haona nel-
l'animo sno »; Tor.
T. im cino: dove non éè nulla da te-
[oreLo serrato) Pag. xxt. 23-48 [s. nexeDETTO] 921
E vidi cento sperule, che insieme
Più s'abbellivan coi mutui rai.
To stava como quei che in sè ripreme
La punta del disio, e non s'attenta
Del dimandar, si del troppo si teme.
E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margarite innanzi faagi,
Per far di sè la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': «So tn vedessi,
Com'io, la carità che tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi;
Ma perchè tu, aspettando, non tarde
All’alto fine, io ti farò risposta
Pure al pensier di che sì ti riguurde.
Quel monte a cui Casino è nella costa,
Fa frequentato già in su la cima
Dalla gonto ingannata o mal disposta.
E quel son io, che su vi portai prima
Lo nome di Colui che in terra adduase
Lu verità che tanto ci sublima;
E tanta grazia sovra me rilusse,
Ciosto: moltissime; |l numero de —20. ruari
tato di raggi Iucenti.
DM. N'ABRELLITAN 001 MUTUI RAT: ra-
[cero sentito] Pas. xt. 56-72 agzi84) 928
» Così m'ha dilatata mia fidanza,
Come il sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien, quant'ell’ha di possanza:
Però ti prego; e tu, padre, m'accerta
S'io posso prender tanta grazia, ch'io
Ti voggia con imagine scovorta.»
Ond' ogli « Frato, il tuo alto disio
S’'adempierà in su l’ultima spera,
Dove s'adempion tutti gli altrî e il mio,
Ivi è perfetta, matura ed intera
Ciascuna disianza; in quella sola
È ogni parto lì dovo sompr' ora;
Porchè non è in Inogo, è non s'impola,
E nostra scala infino ad essa varca;
Onde così dal viso ti s'invola.
Infin lassù la vide il patriarca
Tacob porgere la superna parto,
Quando gli apparve d’angeli si carca.
87. QUANT uLL' A+ quanto essa i può
aprire. « Diviene così bella e grossa, come
pr lla divealro, dopo he si è npert@
2106 Go tan sconta Eva più
stocegto palle Ieoe ha N cineemia, © LA
vi pensano tatto l'ala coco
Priore Il Greci dicono
Plinio ta 01 baro o
n poll sopra i quali giri» se
pare che elancnno cielo, di sotto del Ori:
stallino, ha doo peli fermi, quasto a sò;
ripete
And A POT n rn a a no accendo alcuno. Cone, IL, d,
uiori li vealaso in questo Inogo » (0; Buti -—66-99.
® Land.
(CA Tu Longo Par, LEI, 70;
Pan. xxn. 89-102 = [newepertin) 925
Ed io con orazioni e con digiuno,
E Francesco umilmente il suo convento.
E so guardi il principio di ciascuno,
Poscia riguardi là dov'è trascorso,
Ta vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Giordan vòlto retrorso
Più fu, e’1 mar foggir, quando Dio volse,
Mirabile a veder, che qui il soccorso. »
Così mi disse, ed indi si ricolse
Al suo collegio, e il collegio si strinse;
Poi, come turbo, tutto in su s'accolse.
La dolce donna dietro 8 lor mi pinse
Con un sol cenno su per quella scala,
Sì sua virtù ls mia natura vinse;
craLo sETT1MO]
Li
Così Velt, Lomb., ‘Quo, eco. Al. logge
golo. « Petraa autem dixit: Argovtam
DO: VERAMENTE GIORDAN VOLTO È ik
et sorom non eat mihî e; Aft IL, 6.
#0, CONVENTO: adunanza, congrega-
alone; oîr, Purg. XXI, 93.
ÎI. DI CIASCUNO: del tre conventi or
ora nominati.
03. TRAACORIO: nol auscemsori e di.
0. DEL MAXCO FATTO mRUNO: le vir-
tir tranmutate nel vizii opposti. « Qui
tonauriezanti fn terra. To Benedetto cen
orazioni a con digiuno; vol neri © bian
chi monsel seguitato can orlo o con £hlet-
MORBO! PIÙ PU IL MAN PUOSIK QUANDO
Dio voLeg,oco, e spiegano; Lo cose ranuo
veramente a rovescio come Il Giordano;
matl fuggir del mare, quando Dio velle,
fu così più mirabile a vedere, che qui il
soccorso. Così Bufi, Land., Dan., Yent.,
SB: COLLESIO1 Prarmia
Purg. XXVI, 190,
ET
100, poxna: Baatriea,
N02, LA MIA MATURA: ln gravita nale
rale del mio corpo, the mi mera) vuo,
[orLo orrAYO] Pan. xx. 148-154 [sevARDO ALL'UNIV.] 929
Tra il padre e il figlio; e quindi mi fa chiaro
1 variar che fanno di lor dove.
E tutti e sette mi si dimostraro
Quanto son grandi, e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
L’aiuola che ci fa tanto feroci,
Volgendom'io con gli eterni Gemelli,
si sil)
148. TUTTI R erre: 1 pianeti: Luna,
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove,
Batarno, fr. Dela Vatle, Senso, 113 ag.
130 ng: Sppl,, 52 ag. Nuone Giuatraz.,
80 2g.
160. # comK ce».1 @ nolla propria di-
ch'è tra lo dimore del singoli pia:
lo quali gil astronomi chiamano ew
ne, è Dante ripari. « Quantità di corpo,
velooità di corso ® dimanzia di loco gli
fuo per tale vinta nota »; An. Por., Lam.
181, L'ArDOLA: la Terra, piccola ala,
riaperto al cioli. Dal nogno dei Gemini, tol
#0. — Die. Comma. BA vlle.
logata chiaramente ed approvata
l'Anpettri In Bull. IX, 164 agg.
156, OCCHI netti : di Bentricos # mt
soîret quid omeî agenda >;
980 [omo orravo]
CANTO VENTESIMOTERZO
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
TRIONFO DI CRISTO ED INCORONAZIONE DI MARIA
Come l'augello, intra le amate fronde,
Posato al nido de' suoi dolci nati
La notte che le cose ci nasconde,
Che, per veder gli aspetti disiati
E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi labor gli sono aggrati,
Previene il tempo in su l’aperta frasca,
E con ardente affetto il sole anpetta
Fiso guardando, par che l'alba nasca;
Così la donna mia si stava eretta
Ed attenta, rivolta invèr la plaga
V, 1-15: Dante e Beatrice, Boatrioo 7. ranvimRRi bbandona mme veunpo,
prima Die
1. L'avoRLLO: eft. Virg.
agg: — AnatE: « per li
naso novello vba nidi
tot, Aehet, I, 212 nek.
413 ag.
ESSAELI
put
b, Rped. 1, 10 agg. — xATI
AN Virp., Georg. LI, 008; III, 178. demi
XI, 188; IV, 38
È. La NOTTR occ. : durante la notte,
the ci impedisce di vedero gli oggetti.
4. Gli ARPETTI: de' anol dolci nati.
#14 cun: neila qual rica del cibo
Hi
graditi, delci. «In co quot amutur, aut
non nt labor matt si Aug,
De Bon, Vià. 2.
{[cizLo orravo] Pag. xxtr. 12-25 [TRIONFO DI CBIBTO) 931
Sotto la quale il sol mostra men fretta:
Sì che, veggendola io sospesa e vaga,
Fecimi quale è quei che, disiando,
Altro vorrla 0, sperando, s' appaga.
Ma poco fu tra uno ed altro quando,
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo ciel ve iù e più: rischiarando.
E Beatrice dii « Ecco le achiere
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutto
Ricolto del girar di queste spero!»
Parcami che il suo viso ardesse tutto,
E gli occhi avea di letizia sì pieni,
Che passar mi convien senza costrutto.
v Quale nei plenilunîi sereni
ni rapprosentino nelelelo ottavo. tra'qua- tore che vanisse Cristo co la preda ehe
1iCristoapiondera come 6 più che*l solo; —mreva tolto al dimonio, o sì do' ansità pa
filochà degna cosa è che elli fnga cho —dri del Limbo, e sì dei aenti erintlani.ha
Criato ai rapproseatanse nel merzodì, no»
clò soprastesse sopra tutti ll benti, como
lo noto nta sopra noi, quando è al mert-
diano»; Buti. Cfr, Oem. Lipe. ILL, 014.
19, sosrEna: in ostatton anpettazion
Vaa4: doxldorona. Sorsera e paga rinpoi
do a eretta sd aftenta, v, 10,11, e s' illa»
strano mutuamente.
18. ALTRO eco: molte più 000 di quello raccolta, per seguire il trionfo di Cristo,
che non ha, ed incomincia ad appagaral da tutte la afere, ov" l'era aparma È Conì
spornudo. sembrano aver inteso Lan, Oi, Am.
V, 16-46, LI trionfo di Ortato. Dopo Dont
© nella luoe di quel Sola
cento l’omanità di Crinto, A tal vista
sa rammentarsi quel cho foce, nè, tanto
meno, può narrarlo.
16, TIA ©X0 KO ALTRO QuaNDo 1 tra
pei con parola.
10, LR scan: «Come li Romani, Etemlno Rtl estoie el rara SALON
nando triunfuno, mesano Inanti al enrro wi LIM
pre Ang lame 29, QUALE Bio.) e Quid mula, univa
[omo ottavo] Pam. xXitt. 70-88 [MILIZIA CELESTE] 935
s0 < Perchè la faccia mia sì t'
Che tu non ti rivolgi al bel giardino
Che sotto i raggi di Cristo a'infiora?
Quivi è la rosa in che il Verbo divino
Carne si fece; quivi son lì gigli
Al cui odor sì prese il buon cammino, »
Così Beatrice; ed io, ch'a’ suoi consigli
Tutto era pronto, ancora mî rendeî
Alla battaglia doi dobili cigli.
Come a raggio di sol che puro mei
Per fratta nube, già prato di fiori
Vider, coperti d'ombra, gli occhi miei ;
Vid'io così più turbe di splendori
Falgorati di su di raggi ardenti,
nare collo aguardo alla contemplazione esa ot odorem notitis ana manifostat
della mirabilo viaiono. GIÀ Cristo è asee- per nea In omni Îoco;
E coll’antico e col nuovo
1 Colui che tien le chiavi di tal gloria.
Tani eroe 1 dns di quo vaso
molte dubbio, così com'è dubbia la le-
gono. Cfr. Com. Lips. ILL, 7
13%. coLL'axtico cos.: coll' assemblea
CANTO VENTESIMOQUARTO
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI 'PRIONPANTI
BAN PIETRO, DANTE ESAMINATO CIRCA LA FEDE
<0 sodalizio eletto alla gran cena
Del Banedetto Agnollo, il qual vi ciba
Sì, che la vostra voglia è sempre piena;
Se per grazia di Dio questi proliba
Di quel che cade della vostra mensa,
Anzi che morte tempo gli prescriba,
Ponote mente nll' affezione immensa,
E roratelo alquanto! Voi bevete
atura del volgo a'plodi di
Iicdpee ZIE, 0. in
VOGLIA: ito, seguitando la me»
tafora dalla cena. = roca: soddiutatto;
off, P’ar. LX, 100. Apeeal. VIT, 10-17.
4. PRELIBA : progunta; efr. Par. X, 59,
Conv. I, 1: «Bio munque, ce nen maga
Alla beata mensa, ua, fuggito dalla pu
Par. xxiv. 146-154
LO OTTAVO] [BENEDIZIONE]
Che si dilata in fiamma, poi, vivace,
E, come stella in cielo, in me scintilla. »
Come il signor ch’ascolta quel che i piace,
Da indi abbraccia il servo, gratulando
Per la novella, tosto ch’ei si tace;
Cosi benedicendomi cantando,
Tre volte cinse me, sì com'io tacqui,
L’ apostolico lume al cui comando
To avea detto; sì nel dir gli piacqui!
lsl mio credere în Dio nno e preso da timore e rimproverato da Vir
I fonte dal quale attinsi que- gilio, usò la stessa immagine (XVII, 58)
lenza, è il semo della fede Là, servo dignitosamente vergognoso
più altre cose si estende che in faccia alla scienza umana che lo cor
dere; la coi professione fo regge; qui, în cielo, servo umilmente
lente.» Cfr. Zhom. Aq., Sum. lieto rimpetto alla divina che lo bene
dice»; Z. Vent., Sii
LANDO
a dal Poeta della 1151. BENEDICENDOMI CANTANDO: « csn-
la vita di San Pietro, lì pre- tandomi benedizioni »; Lomo.
’ma di splendonte fiaccola, per 152. cINSK: al girò tre volte (all
l sno contenta gli fn tre giri alla SS. Trinità) intorno alla mia fronte
isieme, cantando, lo benedice. coronandomi così della sua Inc»: efr. Per
i Altegoria della D. 0,212 ag. XXV, 12. Alcuni intendono che 8. Pie
Ck: i vale gli n loi; cfr. Inf. tro abbracviasse tre volte fl Poeta (0
XXXIII, 15 AI:CIOCBKPIA- Land. Velt., Vent., 6co.), Come fa u
Rervo racconta deve lume nd abbracciare un uomo?
unto al ano sig #0 4. DETTO: parlato per prufeaare la
sItri, è cosu del mia fede. - ALI FIACQUI: trattandosi della
irerente me ciò cuE foto, {l lodaro sò stesso è lecito, «In
può pertanto stare hoc gloriotur, qui gloriatar. scire e
[ctLo orrAvO) Paz. rtv. 182-139 [occHIO anmiat.] 961
Che si facea del suon del trino spiro,
Si come, per cessar fatica e rischio,
Li remi, prin nell'acqua ripercossi,
Tutti sî posan al sonar d'an fischio.
Ahi, quanto nella mente mi commossi,
Quando mi volsi per veder Beatrice,
| Per non poter vederla, bench'io fossi
Presso di lei e nel mondo falice {
190, AL sONAR: of.
us, pan
sare a dacto reavoraz voi ad quissces:
do, vel ad vitandani aigood parioe:
Jam Imminena, facit usum albilam, ad
quer subito omnes quissunt; neò cat
rox vel dux in mundo, coi tam cito par
"o bag lacneli
tor a an . Ad pro ergo
avotor Indicat festinar obedientiam apo-
tlam nsutarum, qui atatim quistantar
ad sibili patroni, Volebat enim Tohan-
nos omnes quiescero, ut logueroter cum
auotoro, » Bene.
CANTO VENTESIMOSESTO
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
ESAME INTORNO ALLA CARITÀ, ADAMO
IL PRIMO PECCATO, IL PRIMO TEMPO, LA PRIMA LINQUA
LA PRIMA DIMORA
Montr'io dubbiava per lo viso spento,
Della falgida fiamma che lo spense,
Usci uno spiro che mi fece attento,
Dicendo: « Intanto che tu ti risensa
Della vista che hai in me consanta,
Ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque; e di'ove s'appunta
L'anima tua, e fa' ragion che sia
La vista in te smarrita e non defanta;
10 Perchè la donna che per questa dia
V..1-18. L'oggetto della carità, San
Giovanni Incomincia l'esamo dal Porta
nolla.
l'oggetto della carità. « Charitaa eat amor
Dei quo diligitur ut beatitudinia eble
otum, sd quod ordinamur per fidem ot
mpomi >; Thom, 4g., Sus. teol. I, 11,65,
Bi ef. id, II, 11, 29-27.
1 OUMMAVA : temeva d'aver pardato Il
sento della vista.-L0 Ya#0: Al.
12, XXV, 81. Spirare è usato por Il pare
lare degli opiriti.
4. TI ureman: Li risomai, riacquieti 1
manzo della riata,
© CONSUNTA : cho è ieimata ablbar
tagliata A
<d aspira l'anima Una, come n ene oltlmo
fino»; Vall,- «Dore fl toa amura lim vue
riposo o mo fandamento »j Pam,
CANTO VENTESIMOSETTIMO
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
PREDICA DI SAN PIETRO CONTRO I PONTEFICI ROMANI
DOLORE CELESTE, SALITA AL NONO CIRLO
CIELO NONO 0 CRISTALLINO: GERARCHIE ANGELIORE
NATURA DEL PRIMO MOBILE
BELLEZZA CELESTE E CORRUZIONE TERRESTRE
<A) Padre, al Figlio, allo Spirito Santo »
Cominciò « gloria!» tutto il Paradiso,
Sì che m'inebbrinva il dolce canto.
Ciò ch'io vedeva, mi sembrava un riso
Dell'universo; per che mia ebbrezza
Entrava per l'udire e per lo viso.
O gioia! O ineffabile allegrezza!
O vita intera d'amore e di pace!
O senza brama sicura ricchezza !
3. 'onaniava: ofr. Salm. KXXV,
9: « Inebriabontur ab nbertate doma
{creLo soxo]
Pan. xxvin. 88-100
[aALiTA] 979
AB La mente innamorata, che donnea
Con la mia donna sempre, di ridure
Ad essa gli occhi, più che mai, ardea;
E se natura od arte fe' pasturo
Da pigliar occhi, per aver la monte,
_ Incarnoumanno nelle sue pinture,
Tutte adunate, parrebber niente
Var lo piacer divin che mi rifulse,
- Quando mi volsi al suo viso ridente,
E la virtù che lo aguardo m’indulss,
Del bel nido di Leda mi divelso,
E nel ciel velocissimo m'impalse.
Lo parti sue vicissimo cd occelse
più di nn sogno zodiacale, eiod (ofr. nt.
pres.) più di trenta gradi verso ponente.
Danta era noi Gewslli, il solo nell'Arie-
te; fra questi duo segni sta il Toro.
‘aghoggia la mia donna,
R8. DomKRA
di compiace in lol; afr. Par. XXIV, 118
89. nouxR: ricondarto, riafflasare, Pi
dure con una r da riducere, come fare
da Jacere, dire da dicere; sulla qual for-
ma, indigena nell'alta Italia, ma ueata,
oltre che da Dant
to, da altri poeti toscani,
Paredì, Pull
XLI, 109.
n
«Mii mon favenali ardodat amo»
II, 160.
DI. xaruIA ODARTE: ele. Purg. XXXI,
40, La. Vent,, Simi, 1 CARTURI I
ate. Par, XXI, 19. Contr.: E me natura
in caro amaua, cd arto nello sue rap
presentazioni fe' pastura con cui nllet-
tar gli occhi 0 conquistar quindi l'ani-
mo, tatto adonate Inaiemo sarebbero us
nulla verso in bellensa divina che vidi
risplendere velgendomi al vis rideato
di Beatrice,
0î. ric AVI: « quia amor tranalt per
Bene.
oculo» ad anlmam À
nolla faccia di
paragone del. - wi ni
1 et, Por, IX, 83, 031
97. rxpuUtaR : dal lat, indulgente, ml com
cnsse, mi largì,
98, 100 Dì Lamia: la Costollazione dei
Gemelli. Alluda alîa favole, pecomte la
99. sEL CIEL vaLociamIo: nel elolo
oristallizo, 0 primo mobile, salle eni ves
locità afr. Cono, IX, d. Della Vatle, Nus
ne illustraz., 120 ag. an" marunar i dal dat,
Smpellere, mi apinse dentro.
V. 100-120, Natrera del mono stelo.
Xoo potendosi denlgnare un faoge me nori
nalcho difforenca che past tra est
fermo ‘NoNo]
Par. xxvil. 148-148-xxyitt, 1-2
[ronro] 983
Per la centesma ch'è laggiù negletta,
Ruggeran si questi cerchi superni,
Che In fortuna che tanto s'aspetta,
Lo poppe volgerà u’ son lo prore,
Si che la classe correrà diretta;
14 E vero frutto verrà dopo il fiore.»
vot tosto avvenire, molte volte diciamo
gl
di circa 13 minuti [iirea la centealma
giorno] dall'anno vero; er-
corretto da papa Gregorio
SKILL (1088) =; Llano,
ofr. Gerem. XXV, 80.
Gioele ILI, 10, Amos 1,3,
« Faranno scondere anlla terra îndunal co-
ul tempestosi e fieri, che la fortuna (la bur-
rusca) cotanto altera, porchò neccasaria,
cum bierà fatto la direzione dall'italtana
naro»; Belli.
145, LA FORTUNA: « Dip Valtri
qui dobet extirparo cupiditatera de mune
do, qui multani expootatar gt desidera
Bena. Cfr. Purg. XX, 16.
"°Tda.veronzi rioventtantalo vatocate
tivo del mondo farà agli nomini mutar
vi, = U'#0N LE FROM: Ali 1X BU Li PIRO-
ns, lesione che importerebbe
uomini andranno diritti al bene,
148. VERO YLUTTO èco.: torna Alla Wi
militudino dei fiori @ delle sustue vere
(vv. 124-120) por dire cha gli nomini nomi
nolo vorranno, ma anche Opererammo 00%
aulino fermo I bene,
CANTO VENTESIMOTTAVO
CIELO NONO 0 CRISTALLINO: GERARCHIN ANGELICHE
LÀ DIVINA ESSENZA E GLi ORDINI ANGELICI
CONCORDANZA DEL BISTRMA DE'CIELI COLL'ORDINE DE'NOVE CERCHI
LE ORRARCHIR CRLESTI
Poscia che contro alla vita
Dei miseri mortali aporso il vero
Pol
prensione della vita preseato, gli ha nper:
to il vere, Date, guardando ne' begli 00-
chi di let, vi vodo spoothiato un punto di
scatlnime Ino. Sl ivelgo perciò
cde aveva redoto ne
gl Dennn. Il Panto è
figura della indivisibile divialtà, etr,
Lotexo xox0] Pag. cxviti. di-G4 [Nove ortomi] 987
È sappi che il suo movere è si tosto
Per l’affocato amore ond'egli è punto. »
Ed io a lei: «Se il mondo fosso posto
Con l'ordine ch'io veggio in quelle rote,
__Sazio m'avrobbo ciò che m'è proposto;
Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le vòlte tanto più divine,
Quant’ elle son dal centro più remote:
Onde, se il mio disio dee aver fine
Tn questo miro ed angelico templo,
Che solo amore 6 luce ha por confine,
Udir convienmi ancor come l’osemplo
E l'esemplare non vanno d'un modo;
Chè io per me indarno ciò contemplo. »
< Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficionti, non è maraviglia;
Tanto, per non tentare, è fatto sodo!»
Così la donna mia; poi disse: « Piglia
Quel ch'io ti dicerò, s0 vuoi saziarti;
Ed intorno da esso t'assottiglia,
s“ Li cerchi corporaî sono ampi ed arti
45, mon: ole, Come. LL, d. Rip, Kan, —Saerell cielo, ofr, TI ep. XXI, 3.
timolato, X.6, Miehea, 1,3. Apoo. VIL, 38; XL, 194
(LI
47. ix QUELLE: Al: DI QUITI. - RO:
tx: nel nove serehi ehe giruno intorno
al Punto luminoso.
4R sazio N'AVRRUNE : mi avrobibe con
tentato © non ti chiederei altro. = ro
10eTO: « mokso innanzi por cibe) presa
la figura della tavola spparcechiata, ©
51. NAL cserno: dalla terra, elio nel
slstoma di Tolomeo è Il contro dell' uni»
verso.
aver Ano so non più sopra, in Die»; Ande,
13. mino: ammienbilo; efr, Par. XIV,
BI XXIV, 36; XXX, 6 — trerto:
tempio chiammasi sovente nelle Borittare
{creto xoxò)
Pan, xxvm. 77-88 [intra 1n10m.] 989
Di maggio a più e di minore a meno,
In ciascun cielo, a sua Intelligenza.»
Come rimane splendido e sereno
L’emisporio dell'aere, quando soffia
- Borea da quella guancia ond* è più leno,
Per che sì purga e risolve la roffia
Che pria turbava, sì che il ciel ne ride
Con le bellezze d’ogni sua parroffia;
Così fec'io, poi che mi provvide
La donna mia del suo risponder chiaro,
E, come stella in cielo, il ver si vide.
sa E poi che le parole sue restaro,
angioli che sono più presso a Dio, hanno
n governare. quegli que’ coli che sono
rosso a Dio; © pol, di
a in ordine degli angioli, disgra-
dando ciascuno o dilungando Il cerchio
suo più da Dio, tanto più ai dilunga al
vt,
ui ba n governare il più basso pinneto di
tatti 1 nove pianeti. R dice Beatrice al-
l’altore: Slesome la nona spera volge 0
muore tulta l'altre spore, così il prima
cerelto d'angoli, cioè { Serafiui, guida 0
volge gli altri, © così si conforma into»
mo l'uno coll' altro »; Patto Roer.
TI, MAGGIO!
Intelligonza, di minore a minore.
18. SUA: ehe lo muove; etr. Par. VIII,
dal destro (ond'è più Zeno) fl maestrale
agombra ell i
pp
non i
fa è d' uo tuttora, benchè
Ù
{emo Nono] Par. sxviis. 128-189 forsanonia] 988
E di giù vincon sì, che verso Dio
Tatti tirati sono, e tutti tirano.
E Dionisio con tanto dislo
A contemplar questi ordini si mise,
Che li nomò e distinse com'io;
Ma Gregorio da Ini poi si divise;
Onde, sì tosto come l'occhio aporse
__In questo ciel, di sè medesmo riso.
E se tanto segreto vor profferse
Mortale in terra, non voglio ch'ammiri;
Chè chi il vide quassù, gliel discoverse
139. Con altro assai del ver di questi giri.»
tirano è muovono, è agiscono Xx 135, oredato autore del De coleuti
sopra pri inferiori, onde tutti somo tirati —Merarchia,
vario fl Punto è tutti tirano 1 soggviti | 193. cono: che-ne parlo pie veduta.
verso il Ponto che tatti ll tira. 139, Gamoonio: Magna, afr. Purg. E:
cente "taglio, non d' un articolo di fede,
130, TANTO AmIRKTO Vin: verità così
nascoste, - morra: manifestò; EÉr,
Por, ILL, 0, XXVI, 10%,
nlelo, montro viveva In terra, rivelò agli
000hi degli nomini verità al coculte, quale
Uboga, in Ru ui ed tertbamo e00-
um oretta, Ibkdeza rapena i Parmlli
magnua, ioqnara, 101 Diem. Le cond,
hier. 6 - nascovmRsE : rivelò.
139. COS ALTRO sco. con molte altre
verità concernenti questi elrvoli, cessa
ordini angelloi.
vai
Pepi menta
Lita
o ito
TeaeiRzo]
Pan. xxx, 124-186 [rosa ortesta] 1018
1% Nel giallo della rosa sempiterna,
Che si dilata e digrada e redole
Odor di lode al Sol che sempre verna,
Qual è colui che tace e dicer vuole,
Mi trasso Bontrico, o disso: « Mira
Quanto è il convento delle bianche stole!
Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi li nostri seanni si ri)
Che poca gente. omai ci si distra!
In quel gran seggio a che tu gli cechi tieni
Per la corona che già v'è su posta,
Prima che tu a questo nozze ceni,
136 Sederà l’alma, che fia giù agosta,
da, quasi ano olezzo, un concento di lode
all'Eterno. Mira, dico, quanto è grande
l'adunanza del ‘bonti, quanto vasta la
città eterna o como popolata! Già gli
soanni sono ripiani talmente, «he poca
gente manca ancora por compiore Il pre-
destioxto numore degli eletti. Tu quel
gran seggio vuoto che trao a n gli aguar-
di tuoi, per easeevi sopra una corona Îm-
portalo, sederò, prima cho tu, morendo,
vengn a questa deatitadino, l'anitna che
marà nognsta, di Arrigo VII, il quale
verrà per driszare l'Italia prima cho ssa
ala a ciò divposta. La cieca cupidigia ehe
affascina vol mortali, vi ha fatti simili al
bambino che muore di famo è caccia la
dalla lungi da sò, Sarà allora capo della
Chiana talo [ClomentoY), che occultamen-
Jo caceierà giù nell” Inferno, nella
del Simoniaci, e Bontfazlo VII, che
enuto il pantidicato di luî sarà rimasto on:
tro il foro dovo tu vedenti Nlosolò IXT,
presipiterà più giù per cedere il poste al
nuovo venuto,
126. xEL GLALLO 006 : nel mozzo, dove
120. Ar Bor.1 n Dio, — vana e (dal int.
ver= primavera) forma Ivi primavera
eterna; « sempre diletta col sno splen»
doro la ana corte »; Buti,
127. quaL eos.: mentre jo ara simile a
colul che, pur sterno di para
allenafoso per la gran mi
ami trasse, ece. Cfr, Jgf. PER
LX. 100, 1 più riferissono
tudino a Beateico, che sen dece, ima die
ciò che der ruote
CANTO TRENTESIMOPRIMO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
LA CANDIDA ROSA E LE API ANGELICHE, SAN BERNARDO
ORAZIONE A BEATRICE, GLORIA DELLA VERGINE MARIA
In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa
Che nel sno sanguo Uristo fece sposa;
Ma l'altra, che volando vede e canta
La gloria di Colui che la innamora,
E la bontà che la fece cotanta,
SÌ come schiera d'api, che s'infiora
Una fiata od una si ritorna
Là dove suo lavoro s'insapora;
Nel gran fior discendeva che s'adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là dove il Suo Amor sempre soggiorna.
ofr, Par. XXX, 129, - nona: efr, Fumrà
III, Seme. 18, Dom. latere,
2 au: efr. Par. XXX, 43 neg.
3. yROR Bros: acquistò os propeta
magno; efr. Atti, XX, 23, Par, XI, 50,
4. L'autRA: la sebiora degli angoli, -
Yotaspo: nen sedendo come | desti.
0. PROR: AL: PACE. - COTANTA | N balla,
figura è candido più che novo. nedilo, numerosa 0 gloriosa.
acandono nelle foglie della rosa comuni- d. o'temona: N profonda el dari par
eatrarno il suoso | ofr. Ving., dem. YI,
107 agg:
8. xD Una: Al: so avra, La mist,
pondiplago l'incostante vagare, ma l'im
pretore
reatadivordine delle due cperazioni di
morgorni no' fiori a far ritorno il'alveara.
9, Lavono | il raccalito 10000 del fiori. =
n'Dmarona: nì ceaverte in miebo; er.
Virp., Georg. IV, 108
1, CANDEDA ; | benti cho compongono la 12. i Suo Axor: Dio, Cfr. Perre, Fra-
rosa celeste sono vestiti di bianche stole; —granze, GI, Com. Liga. IXL, 6
[rxPIRE0)
Pag. xxx1, 84-97 (ADDIO A neATRICE] 1021
Riconosco la grazia e la virtute.
Tu m'hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutti i modi,
Che di ciò fare avéi la potestato.
La tua magnificenza in me custodi
Sì, che l’anima mia, che fatta hai sana,
Piacente a te dal corpo si dianodil»
Così orai; ed ella, sì lontana
Como parea, sorrise e riguardommi;
Poi si tornò all' Eterna Fontana.
E il santo sene « Acciò che tu assommi
Perfettamente » disse, «il tuo cammino,
A che prego ed amor santo mandommi,
Vola con gli occhi per questo giardino;
86, arRvo: del peccato. Cfr. Thom.
A9., Sum, theok, IT, 11,189, 4. Purg. L 71.
87, Avi: avevi; efr. Inf. XXX, 110,
Nonnue., Ve
rum et exbortatiene pruni
vin ot qui modi poterant liberare mo a
sorvitute»: Reno. La lezione Avrax è
inaccettabile,
: la liberazione da esso, guarigione;
ofr. Purg. XXVIî, 140,
20. rIACKSTE A TR: in intato di grazia.
— ai uteoni: al dimololiga.
02. ranza: al Poeta, anoer mortale;
moptro in verità nell’ Empîteo non v'ba
più misura alcuna, nò di tempo nò di spa
riguar
zio, - somusx: quel sorridere @
daro fl Poeta che Ia avec, è sogno tacito
è benigne ch'egli è ndito ed esandito.
19. ni roRtò; si velso novamente a
Dio; er. Perg. XXVIII, 148.» Emma
FOSTARA! « npud to ent fon viti; et
ln lamino tue videbimoe iumen +; Pani.
XXXY, 10, Cfr. Gere, IL 13. Par.
î
pensaro a Bostrice, Dan
cora aurato «li cotni cb ulla gil da man
dato n terminare &l suo diniro, Per San
Dernando ngi non ha avnte che una pa-
sula: Ela 09/27 1) once nno mon aveva
luogo ne ton per Beatrice; e non np-
pena ndita In risposta, ha rivolti sen-
n'altro A lei gli cochi o la menta, Pie
Paz. xxxil. 1-6 [ROSA CELESTE] 1025
CANTO TRENTESIMOSECONDO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
ARTIFICIO DELLA ROSA CELESTE, PARGOLI BEAMI
MARIA E GABRIELE
1 GRANDI PATRIZI DELLA CELESTE GERUSALEMME
Affotto al suo piacer, quel contemplante
Libero officio di dottore assunse,
E cominciò queste parole sante:
< La piaga che Maria richiuso od | UDRO,
Quella ch'è tanto bella da' suoi piedi,
È colei che l'aperse 0 che la punso,
V, 1-99, 4i della resa cele
ate, Tatto intento x vaghoggiare Maria,
oggatto del suo amore, Sl contemplasite
#0, Sotto Marla, dinposto in fia di gra-
dino lu gradiuo l'una sotto l' alten, seg:
gono va, Rachelo, Sara, Rebecos, Lat,
© così di seguito altro donne ebree non
to
So Patto. 841 più nl liv i a ferire
@ Marla, «lede Giovani Battista,
Piena
Matt, XI, 13); sotto di lai San France
nco, poi San Benedetto, Sant' Agoetino, ed
alti 0 Damlesti di quad ta grade
no, | quali da questa parte fermano
toda di Alviano ta” beat dd sue e
03. — Die. Come, 3A illa
quei del vecoliio Patto, como fanno dal-
donne ebree, Alla de
‘così tutto Il gemere mato.
Sn tiatarativo 1 prosatto di Die sd “
sedarre Adlnmo fa tatt’ una così, ma fi»
reso duo cose ban diverse; eîr. Ameri
III, 6 Seoando il Ronch., | duo verbi
{axeiRz0] Par, xoxin 54-70 [PAROLI BRATI] 1029
Se non come tristizia, 0 sete, 0 fame;
Chè per eterna leggo è stabilito
Quantanque vedi, sì che giustamente
Ci si rispondo dall’anello al dito.
E però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa
Intra sè qui più e meno eccellente.
Lo Rege per cni questo regno pausa
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla volontà è di più ansa,
Diversamente; e qui basti l’ effetto.
E ciò espresso e chiaro vi si nota
Nella Scrittura santa in quei gemelli
Che nella madre ebber l’ira commota.
co) Però, secondo il color dei capelli
me non vi hanno luoge nò tristezza, nè
mete, pè famo. Ofr. Thom. dg., Sum.
Theok. III, 69,
54. raxcn: ele. Iooîo, XLIX, 10. Apo
cul. VII, 16, XXI, 4
B507. CHÈ PRR RTRRXA Lanon o00.:
tutto ciò che {guantunque) vedi in que-
ato celoste regno, sino alle più piccole
coso, è prestabilito ab eterno per modo
che il fatto corrisponde nl volore di Dio,
ll grado della gloria al grado del marito
* della grani, come l'anaio corrisponde
al dito.
GB. FASTINATA GITE: gente che n'è
affrettata tetr, Purp. XXXIII, 90), ch'è
venuta prima del sataral quo tempo alla
vora vita celeste. Chiama così i bambini
morti avanti l' età della ragione ed ne-
coll in clelo,
69. suse CAUSA : senza cagione. Non a
caso, non senza ragione | bambini sono
diatioti in gradi più o meno cocelni di
gioria ® beatitudine,
60. INTRA KR: por rinpotto di sò me-
desimo, cioè tra loro, cloè abe l'uno ha
più bentitudine che l'altro »; But. Sulla
lezione INTRASI, ENTRABI, che veramente
è di molti codd., ediz, è comm. aot, ofr,
Gom. Lips. TLT, 540 ag. Qui notiamo solo
che, data quoata lex., |mottero dn
punti dopo causa 6 che il senso ovm-
Plosslvo della terzina non mita.
61. Rim: Dio.«Pausa: riposa, ba pot,
[eatP1RE0]
E drizzeremo gli occhi al Primo Amore,
Sì che, guardando verso luî, penòtri,
Quant’ è possibil, per lo suo fulgore,
Veramente, nè forse tu t'arretri,
Movendo l’ali tue, credendo oltrarti,
Orando, grazia convien che s'impetri;
Grazia da quella che può aiutarti;
E tu mi segui con l’ affezione,
Sì che dal dicer mio lo cor non parti.»
151 E cominciò questa santa orazione:
142, Panto Axonr: Dio. In Inf. LTT, 6
e Par. VI, 11 Primo Amore è lo Spirito
Santo. Sui punto di elovarul alla visione
dolla 88, Trinità, chiama così Dio Uno e
Trino.
+ t'adilontei, &' inetoul.
el
avvenga per avvantura che ta, tentando
d'inoltrarti, non abbla n retroeadare,
oredendo di andare in su, ti rimani
Di nà forse per afinchè non, alla lat
non manoano altri esnmpi nell’ antico ii
liano; ofr. Com. Zipe. LIS, BS0,-« Ne
forte tu retrosedaa et elongeris a fino
intento... qual dicnt: no temere tentes
cum perieulo tue ruinme volare ud tan-
tam altitodinem proprila viribua tale eb
eum toto studio theologim, quia tune
magia olomgarerie a algno quanto magia
accedere fastinarea »; Bene.
148. MOvRNDO L'aLI TUR: per tua pro:
pria visit; « movondo lo ingegno fee la
alto co la ragione e ce lo ini
potendo mantalmente la preghiera, al’ fo
verrò diond.
150. PARTI: divida, diagianga, + Be
guimi con l'afferione sì futtamento, che
ta non diparti il tuo coore dal mio par
lare»; Dan. — « Appropinguat
fate ore suo ot Iabila aula giorificat mo,
cor sotom elus longe est a me») Trade
XXIX, 13; ofr. Maat. XV, B, 9. Marco
VII, 0, 7.
151, onazione: colla quale Incominela
41 canto seguonte ed ultimo,
[axemo)
Par. xxxtti. 4-21
Tu se' colei che l' umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farai sua fattura.
Nel ventro tuo si raccese l'amore
Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore.
î noi meridiana face
Di caritate; e giuso, intra i mortali,
Se”
speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia ed a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz'alî.
La tua bonignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente ul domandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
In to niagnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontate!
quel deoreto. Termine fisso d'rterieo com.
creto
accenti così marcati n distanze uguali,
danno efficacia Insaperi
solennità joratica al verso gravissimo @
piano, che fa ripenanre - tante cose com-
prendo-a quel varsi Kschilel che sulla
bilancia dell'antico comico vincerano
sompre. »
5,800: dell'amana natura, il Fattoro,
della quale è il divim Verbo necondo
Giov, 1, 3, Oslose. I, 18, Ebrei I, 2.
dell” owgrtev bl) Dgliuolo
2
1 tra Dio e gli uomini.
#0, PRRLO CUI CALDO e00.: por il quale
amore tante anime sono fatto degno dl
easore nel Paradiso, © farmarei quento
fioro. = GERMINATO: prodotto,
10, MEXIDIANA FACE e00.: fiacco ardente
como il sole n mezsedì a che accendo
la carità; « altieimo elogio sopra tutti
è quasi Iperbolico, che Maria infami
l’amore dei Mati, clvo pur vedono Dio»;
Piateiti, &. 0, pi Bo
12. vivaok: fonte sempre riva, inasma-
ribile, di apornnza,
14. QUAL: qualunque, chiangne,
16, pintamza | desiderio; come ln Par.
XXI, 68; XXIIT, 30, 11 desiderio di
eenguo mer graga o non iooetai ft
è vano ed ilinsarto, some quello di chi
non avendo ali, volessa velaro; vale a
diro; desidara 1' impossibità, Ogni grana
vien da Dio pee l' intercessione di Maria.
18 LIMENAMINTE 200,1 apontanmamione
te previene la preghiera,
20, 19 TR MASIIPPORNZA 1 « non el fig:
ga quella parola * maguifiesaza ebo ta
fi senso di ' potenea
grandi cose operato ' serbata da Dante
al tre momenti astannì, qsando dice
l'elogio di Can Granito [Far, XVII, 86},
i Dentice (Par. XXXT, 0), di
TUNgER
parsvIII. 103 e00, «Quaaal diont: quod aln-
virtute dietriba:
dignisaimo ln hta; ita quod custa virgi:
nllas quan est la spiritibuebuaaribaa, pri
dens operositas mercurialiuio, boniguitax
vol benigna carita» venereorum, elura
piontie solariano, nodax fortitudo martia=
liom, Inetita tastitia fovintiura, solitaria
datbaa.
Uaalina è Ita nedor
Cartzo] Pax. xxtmtt 58-72 [soccorso pIyrNo] 1041
88 Qual è colui che somniando vede,
E dopo il sogno la passione impressa
Rimane, e l’altro alla mente non riede;
Cotal son io; chè quasi tutta cossa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Nel cuor lo dolce che nacque da ossa:
Così la neve al sol si disigil):
Così al vento nelle foglie
Si perdea la sentenza di Sibilla,
0 Somma Luce che tanto ti levi
Dai concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi,
È fa'la lingua mia tanto possente,
Ch'uns favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla futura gente;
tallatto nostro, L'altra sì è che fisumeata testo è quasl tntto spinto Sl ricono
della beata visione, ma dara tuttavia nel
dopo di aguardaro, diavinin ciascona stia
operazione, »
chè del ano fulgore vincente ogni frmimie-
gine umana, se case torni na poco alla
memoria dei Poeta 0 sia da lui comun-
quo descritto, n avrà dalla geate più
chiaro concetto.
BR AOMNEANDO: Al: SOGNANDO 3 A0%-
waxpo. +Sul fine della visione beatifica
ai spenge nol Posta la memoria delle ce-
Jeati cose vedute, ma gii resta In core
l' impressieze della dolcozza che gliene
venno; come l'aumo ehe destatosi con-
tinua a provare la passione (sla d'affanmo
ala d'allegrann cogianabo da pr sog.
benchè di questo più son sì »i
L. Vend,, Stmik, 226. Cfr, Daw. 1%, 1
50, La rasstosiz il commovimanto del:
gno: afr. Por. XXI11, 48 sg. + Qui per
esempio dice odo tanto gli è rimaro di vi:
{extrrzo] Pan, sxxris. 196-148
Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva come si convenne
L’imago al cerchio, e come vi s'indova;
Ma non eran da ciò le proprie penne;
So non che la mia mento fu percossa
un fulgore in cho sun voglia venne.
alta fantasia qui mancò possa;
già volgeva il mio disiro e il velle,
prenderlo, un fulgore di Înce divino gli
‘penetra negli occhi @ gli rivela Il vero,
Qui la mente ana, per quanto subilina»
ta, non paò veder più oltre, La visone
coma. Ma di tale cessazione, perchè vo:
il Poeta
uniformità «formale ad cato beato ame »
(Par.III, 79), mostra che ogli ha già teo:
cata l'ultima perfezione 0 l'altima bea-
titadino.
(341: rutoRRI de un lampi della gr
divina, a cut renne ta voptia della
zala mento, cioà, m' apparvo quei cho la
unla monte roleva conoscere : obi la mpie-
per pora bonaceta,
| che dallo braccia
[ìta ha sì gran braccia,
Rmbo le bracela.
itume con o braccia,
fau con la sue braccia
tesa in lo ene braccia
ndo in Te sue braccia,
ndo andare a caccia.
balla caccia
vd correndo in cacca
reggendo la caccia,
o 8° pascor caccia
si contacola.
h' altri "1 disfacota.
piaccia,
nÎo, non t
t alla Yacos
n gu l'ardita (eci
dalla nocia
È giazinai va sl videro in fornace
e Lo eurpo, ondella fu cocciata giace
|" Conteril la memoria ila. che giace
Dappiè guardando îa torha ©
Libor di tutto s00 cs
È 1 Carro tutto sovra ‘1 Co
Quando disantimat
D'aprir lo cuore
Dentro dal clal della
dita, ed 10
E venni
E da sel
Tal ti foco in bestia Senza
i carro Volst si atto © sat pata
in iui vedere ba la «ia pico
pata ‘en pre
-
Nol pregheremmmo I
INDICE
DEI NOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI
CONTENUTE
NELLA DIVINA COMMEDIA
INDICE
DEI NOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI
CONTENUTE
NELLA DIVINA COMMEDIA
INDICE
MI PROPRII E DI COSE NOTABILI
CONTENUTE
{ HEDA DIVINA COMMEDIA
A
Abati (degli fail Tof., 0. 82, v.
0. dv 78814
Purg., 0.3, v. 105.
f., 0, Gv, 691 0 1, Ti
si, v. &. Pang, 6.9;
20, v. 40) 022, #. 37: e Sd,
+67, 130, 80, 108) 0119,
its a, 26, 7; #3, DI, 10050
136,
romelano. Inf; a. 30, vs Gi;
è Adige, fiume, Tot, 0. 13,
v. 5. Parg., e. 10, v. 115, Par,, e.
d ind, fumigio. Pur
ramo, lito, Par., &
té, vi dis.
Love 189,
Adriano 1V. Parg., 0.19, v, Wong,
Adrintieo, mare. InC, è. 6, v.
Purg. o. 14, v, 92, Par., 0; 21, v. 19%
Adulatori, Int, c. 18, v. 160 agg.
Atfricano Scipione. Purg, ©, 29,
v. 110. Y. Solpione,
ARA Agnpito I, Par., 0, 9,
Fedza 41.0,
Agnione, perdi po © 22, 7.107,
Agiaure. Purg: a 1 FU
Agmet, Intontono alcuni detto per Ati
gelo. © per Agmallo Bruseliechlo n
© 25, Y.
Agobbio,o Gubbio, Porg.,0.11,v; 10,
Agostino (5.), Par, ©, 10, 7. 190} &
33, v.
Pra so , frato min, Par. è. 12, , 190.
cento, meno, Perg, 1, Y. 1
Afugtione. V
ASTI V. Anguato Ollavisno.
Fieschi, org, è. 19, 1,16%
Ala mn o Ammgmt, chità, Purg, 0,80,
vi 86. Par, 0, 98, v, 148,
Alardo, Inf, e. 28, v. IR
Albn Lumgn, Pur, ©. 8, v. 37,
Alberichi, fumigiia. Var, 0. 18, 7.8
Atberiae dei Manfredi, irato
ro. Pirg., 0. 17, v. 38.
Astri, Dabblo di Dante sulla tnfinenza
di cm: Parg., 0, 10, v. 61 agg:
Atamante. Inf., 6. 39, v. d
12, v. 17. Parg.;0. &,
car mie riot
vi 14.
reg
Daoto. Par., è. 28, v. 197.
Amamato, per Federigo 1 Inf, 13,
Alga astaviamo pi Istiesta
v. 71 Purg, 06.7, r. 010, 20, 7. M&
Par., e. 8, v. Tè,
Autide, ciftà, Inf, o. 20, v. IL
Anrorn. Parg., c, 2, y. & Cencabina
di Ditono: Purg., e. 9, v. or ©
UG
Austro. Porg., 6.30, v.89,0.3ì, v. 78;
Avari pauiti. Tof., è. 7, v, 25 egg.
Porg.. ©. 19, v. 76 agg:
Avarizia. Inf., e. Ì, v, dd,
Aventino, colle, InL., 0. 15, 7. 36;
Averrete, è Averroe, Int, e. &
Annone VITI d' Este Inf, 0.18, f,
1% 0). Purg., 0. 5, v. 77
© Kee, detto per Bice, sincope di
Beatrice, Par., o. 7, v, 34,
Madin di S Benedetto. Lul,, 2.10, 7.100.
Magnecavatto, catelio: Parg:; 0: 1
v. 1)
Bagnoregio, 0 Hngnorea, elttà,
Par., 6. 12, v. 198
Baldo d'Aguglione. Par., 0. 16, v, 36,
marnitieri, Inf, e, 21 e &
Barbagia, insgo in Sardegna. Purg,
© 29, v, dI
Baebare (tone), più prdiehe delle flo»
rentine, Purg, ©. 29, v. 109,
Barbari settentrionali. Par., 6, 31,
v. ti
ISDICE DEI NOMI PEOPBII E DI COSR NOTABILI dor
Cincinnnato. Par., e. 15, y. 12. FL
Quinzio.
Gionedo' Tarlali, accennate. Purg. 6.
ci do di Gerusalemme, per iti o
Geroaalemmo, Y. Carlo IT.
datori fraudolenti pasti, Inf.. 0.
20, v. 3 agg.
Conte Guido. Par., o. 10, 48,
Par., e. 30,
7.19
1, 618, v. 1977
Corneto, drag 1
famiglia
Par,, 6, 10, v, I
Coscienza para. Inf., 0. 24, v. 1là
Cosenza, città, Purg., 6. d, vr. 1%.
Centaittno Mague-Tot 618 7 200;
027, 7. dl ne E 7
ab vo ALLA
Costantinopoli. Pare. dr,
Costanza, V.
Crnaso. Parg., è. 20, v. 116,
reti, 0 Creta, Isola, Taf., 6, 13, v. 1%;
maminta, cllià. Tal, e, 14, +, 10%,
Cee
Pat € 4, v. 181 0, 20, v. BB
Dynielto, Arnibo, rosta prorvasala;
Purg., è. 20, v. 115, MI
Duannti, scoscono Je com arvenIÀ,
è ton de presenti. Tul., m. 10, -v, 101
agg
panota, por Daanbio. Tuf., 0.33, Y. 20,
ei Beetricoi
108. P'arg., e, 16, v. 65. Parn 0, 20, 15,
25, v. 72: 0.33, da
Beet, arci romani, Par., o. 6, +, 47,
Deeretnii (libro dello), Par., e. 9, yy
16
Deodato. Inf., e 17, v. 111) 0,29, Y
Betania. Inf, 300.01 Prg,
53, v. Md.
a i TR
ila Lena. Paget
INDICE DEI NOMI PROPRI! E DI COSE NOTABILI
Jeità, Apollo, Par,; o. 1,v.32. | Ebro, fiume. Par., c. 9, v. 89. 7.11
la, Purg., 0. 20, v. 130. Feo, Par., o. 12, v. 14.
ito. Inf., o. 4, v. 150. Ecloga RW di Virgillo, sccem
inte. Par., 0. 9, v. 101. Porg., 0. 22, v. 70.
loa. Parg., 0. 20, v. 132; 0.25, | Eeuba, regina. Inf., ©. 20, 7. 18
Egiaio, frate. Par., e. 11, r. &
iviera. Purg., c. 13, v. 163. | Elina, isoletta. Inf., ©. 29, v. sì
0 Dido, Inf., 0,5, v. 61,85. | Egitto. Parg., c. 2, v. 46. Par.
8, v. 9. v.
a (Esempi di). Purg., 0. 18, o. 5, v. G
Xiettra, figlia di Agamennone In
tà e Trinità di). Par., o. 39, v. 14, v. 121.
EM, nome d' Iddio. Par., e.
in, o Diogene, Inf., 0. 4, v. | Elta, profeta. Inf., ©. 28, 7. i
v. 80.
. Inf, 0. 26, v. 50, Elie», Purg., 0. 25, v. 131. Pare
v. 32, 33
Jr Venero, dea, Par., 0, 8, v. Orsa maggiore
Venere, pianeta, 0. 22, v. 144, | Elfeoma, monte. Parg., c. 29, ©.
Areopagita. Par., 0. 10, v. | Ellodoro. P v. I
8, v. 190, Elios, 0 Eccelno. Par., c. 14 r
tiranno. Inf., 0. 19, v. 107. | Ellanbetta (Santa), madre di S
jade Anarzabeo. Inf., 0, 4, v. | Battista. Purg., ©. 18, v. 100.
Etisèo, profeta. Inf., ©. 26, v
là infernale. Inf., 0, 8, v. 68; | Etinào, antenato di Daute. Par. e
0. 12, v.89: e. 34, v. 20.
città, Parg., 0. 20, v. 40,
frate. Inf., 0, 28, v. 5
ni. Par
0 (San). Par
pe sd tto
n 1
sediacale. Purg. 0. 32.
1, 7. 4016. 8, v, I.
Aliizo v.impi Pari,
Arrice T1 imp, Purg. €. #, *.
Tv. 610. 39 v. 49 ( Persei:
"82,027, e. 631, Begio preparato
per alta paruico» Put, BO/V: 119:
Arr 108.
dI (kltarra. Tak, ‘049,1. 62.
rannà, 0 Arsenate de' Venegiani.
Tot, e. 21, +. 7,
Azonii & Gatal SMR ri
ie cantello, Inf., ©. 29, +. 131,
Asdonte, caltolato, Inf., ©, 20. 7, 11k
Asopo, finme. Purg,, 6. 18, v. di,
Asatri. Porg., e. 12, r. #0.
Ammuero, re. Parg., 0, 17, v,
Astinenza (emmpi dii POPE; ©; 38,
ds
Astri. Debbie di Dante sulla inffneme
È Purg...
vi 139; a 10, +. Aimee T d
tropde, Parea. Inf., è. 33, vr, 126,
SRI RI, 13; e 1h
Avgunto, per Federigo IL. int, 0.18
Ateusto ottariace, imp. ht DES
v. Ti, Parg., T,v.6; e. 2, v. 116.
Par., e. 6. v. TR
Antide, cità; Il, 0.3 7. mi
Aurora. Purg., e. 2, vr.
di Titano: Purg., o. 9, v. 1 M.
Ausomin, o Italia, Par,, e. A, v. 81.
Austria 0 Austerriceh, o Outer
rice. Int, c. 33, r. Wi
Astro. Purg., c. 3d, 7.82; e. 3, vr. 72;
0: 33, 7. dA
Avanti pente Tot, 0. 9: v 301000
Averreta, 0 Averroe. Inf, o &
v. 1
Avicenna, Taf., e. 4. v, 13.
Macennti. Parg., è, 18, v. 9,
tomo, dune. Inf, 6 tà, 1:
n.
Marbariceia.
VEDI
Marburosan.
Nouin, Pur.
marueei, tuniglia, Pur. 0 VM 3
IT, v. Th
Traversaro Piero, Pary., 6. 14,v.38,
Trentino Pastore. Int.,0. 20, v. 07.
Trento, Int, o. 13, r. 6.
mo, terra, Par., e. 10, v. 54
Ubaldini, famiglia. Parg., 0,
Ubaldini” (degli Ottavio; clicmato
Ii Cardinale. Iuf., 0, 10, v, 190,
A (degli) Rugpgiori. Inf e, 33.
Pila. Parg., e. 24, v. 28.
Vocetintoto, monte, Par.,e, 18, v, 130.
Ughi, famiglia. Par,, o, 16, v. 88
Uxrodi Brandimborgo. Par., 6. 16, 7, 12%
‘Anno. Purg, c. 14, v. 105.
Ugottno della Gherardesca, Int., e 83,
v. 17 agg.
Ugottno do' Fautolin, Purg., e.
12,
Usguocione della Gherardesca. Inf, ©,
23, Y. Bd
Uttaso, Inf, 0. 30, Y. vat 1
r. 22. Por.
tinzherin. Par.,c. 8, 7.84 6.19, 7.142,
Urania, moss. Porg., 0. 29, 7. dl.
Vrbano L. Par., e 27, v. sd
Urbieiani, V. Orbisunt,
trbino, cità. Inf., 0, 17, r.38.
Urbisngiia, cità divireita, Par..c.19,
v
Unurn. Int, 0. 11, 7, 05
Usurai punti. Inf,
Vatbona (dl) Lizlo, V, Lizio,
Vatenmonien, nel Bresciano. Tnf., è.
20, +. 65,
Valdarno. Parg., 0. LA, v. 30, 41.
Vatdiohinan, i; s.
Vnidigreve. Par., 0. 10, 7.
Valdimagra, 0 Lunigiana, Tof.,
0. 34, v. 148 Purg, 6. B, V. Did;
Vai di rado, Par., e. 18, v. IT.
Vnngelleti quattro, Purg., c. 2, 7.82.
Vanni della Monna. Inf, 0.84, r.5nk
Vnuni Fuoei, Inf., €. 24, v. 125.
Varo, fiume. Pan, e. 6, v. 6&
Varro,o Varrone. Parg., 0.33, vl,
Yatieano, celle. Par., ©. 188,
Vecchio (del), famiglia, Par,, a 19, Y.
LUI
Vegiio di Creta. Inf, e, 14, v, 108
ser.
Veùlo d’oro; ana storia,
sairazione () nel sora
di nine
Par., 0,33, Y.
8, 7.3 ng.10. 9, v, 108
Veononianb, 5 KImAGe lat, 28h
vt.
Vareelt; o Vereetto, cià TuL;
28,
Vordo, fiume, l' edierno Garigliano.
Parg., ©. 3, v. 131. Par., 0. 8; v.
Verona, città. Lal., 6, 10, v. 123, Parg,
cv, 118,
Veronese, Inf, 0. 30, vr. 8.
Veronien, Par., 0. 33, v. 106,
Verrueenio, cartello, Inl., e, 27, 1,46
Vekpro sicîlluzò. Par., 0, 8, 1, TR
Vetro inplombato,
2,7, 38,
INDICE DEI NOMI PROPRII B DI COSE NOTABILI
o degli Strami, strada in Parigi.
lar., ©. 10, v. 197.
me (delle) Piero, Inf., c. 13, v. 58.
jeislao di Boemia. Purg., o. 7, y.
1. Par., 0. 19, v, 125.
legia, 0 Venezia. Par., 0. 19, v.
lo
Menti puniti. Inf., o. 12 sgg.
ea, insegna de' Visconti, signori di
lano. Parg., 0. 8, v. 80.
nto, poeta. Inf... 1, v. 79. Purg.
83; 0.21,
| 195. Par., 0. 15, v. 26; 0. 17, v.19
Jeonti di Pisa. V. Nino Visconti.
|, famiglia. Par,, 0.16,v.119,
del Dente. Inf., 0. 17, v. 88.
tore (monastero di San). Par., e. 12,
183. V. Riccardo e Ugo.
to santo. Inf., c. 21, v. 48.
Vot
©, 5.
Vulen:
non adempiti. Par., e 41
. Inf., 0. 14, v. 52.57.
x
Xerse, 0 Serne, re di Persia. Pu
28, v. TI. Par., e. 8, v. 1%.
Zama. Inf., c. 31, v. 115.
zanehe Michele, siniscalco. Inf.
v. 88; 0. 83, v. 14.
Zesiro, vento, Par., e. 12, 7
Zeno, 0 Zenone (San) di Y
Purg., 0. 18, v. L1&.
Zenone Cittico. Inf., e. 4, 7.1
mita, santa. Inf., o. 21, v.
Purg., c. 4, v. &4. Par
| Edizioni - ULRICO HOEPLI —- Milano
Biblioteca Dantesca
vite, Scienza e Fede ai giorni di Dante, Conferenze Dantesche
tenute a cura del Comitato Milanose della Società Dantesca Itallana
nel MDCCCO, 1901. In-16, di pag. xxx1-324 con illustr, e nn ritr.
inedito
ntt ed altre INastraz. di Iapono Dai Luxco. 1891.
di pag. vin
arteggio Dantesco del Duca di Sxnsoxera, con 6. B. Giuttaxi,
lonni, ed altri insigni dantof. In-16, di pag. 179. 8 —
on Dante e per Dante. Discorsi è conferenze tenute a cura del
Comitato Milanese della Società Dantesca. 1900. Un vol, di p. 368
con molte illustrazioni e un ritratta Inedito a colori .... 6.50
Logato în tutta pergamena
Va Bonifazio VIII ad Arrigo VII, di 1. Dsr Luxco. Pegiee di
atoria fiorentina per la vita dî Dante, 1899, dl pag. vuA47a. 5 —
Vai tempi antichi ai tempi moderni — Da Dante al Leo-
pardi, raccolta di studi erit., di riecrebe ator., filologiche e lotter.,
con facsimili e tavole. Per le nozze Seherillo-Negri. Un magnifico vol,
in-4, di pag. xvi-782. Ediz. «di sole 300 copie +... 8
il Re, La commedia col sommonto inedito ill 8, Ta»
da Ricaldone, pubblicato per eum di V, Promis è di G. Nm
1. Seconda ediz., 1888. ‘Tre vol. in-8, su carta n mano, con rl-
0 ined., giudicato da una commis, govern., il più sutent. 25 —
dante in Germania, di G. A. Scantazzivi. Storla letteraria e bi-
bliogratia Duntesca alemanna. Parte I. Storia critica della Inttera-
tura Dantesea alemanna dal sccolo XIV sino ni giorni nostri. Purte tf.
Bibliografia Dantesca con cenni biografici degli nutori è bfhlografin
sistematica, 1881-1883, 2 vol. in-4, di pog. rv-312 è 360, 22 —
Dante nell'arte tedesca, dol prof. G. Loogtta, 1891. Un vol, tn-fal.,
di pag. vitr-30, con 25 tavolo, logatura ili Ina , . , .., 60 —
Dantologia. Vita ed opere ti Danto Alighieri per G. A, BcaxtAzzisi
0 N, Scanaxo. 9* ediz, 1906 di pag, xvi-417 a
Dolle manifestazioni plasticho del sentimento nel perso
uaggi della Divina Commedia, di M. Poresa, con 2 apipen-
diei, 1902, in-16, di pag. x1-192 . .., + nad
Del ritratto di Dante Alighieri, & ©, Naanoet pr con
Documenti e un'Inclalono uil'aoquaforte, 1888, tu-d, su carta a mino,
gbleri, a cum di L. Poracco, In-18, di pagino wu-9i , ,
egnapagine danteschi è Tavola sinottico della Dicino
Commedia formata dal medestioi, a cor di L. Popacco. » —
8089, LL CONE NI
Trovasi in corso di stampa l’Appen
Tavole sehematiche della Divina
ghieri di L. l'orcco. »
litografia disegnate da 6. AGNELLI. 1
Galleria dantesca microscopica,‘
F. SCARAMUZZA, con testo di C. FENI
IO, E ET
Il Dante illustrato. La Divina Comme
persone da C. Ricci che ha riprodoti
tutti i luoghi ai quali Dante accenna.
Un vol, in-4 gr., di pag. xL-743. Leg
Il Dante minuscolo hoepliano, la
e cenni introduttivi ad uso delle letti
cura di R. FoRNacIARI, 1905, Un vol. ir
Legato în pelle... ...... È
I primi influssi di Dante, del P
sulla letteratura Spagnuola, di
di documenti inediti, 1902... ...
La pietà nell'Inferno di Dante, è
interpretazione, 1893. In-8, di pag. >
L’ influsso del pensiero latino sop
medio evo, di F. Novati, ?* ed. rived
in-16, di pag. xVI-288 .......
rIuMi
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