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Full text of "La divina commedia"

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Db 1907 


Barvard College Libraro 





PROM TIOR GIFT_OPTII 
DANTE SOCIETY 


CAMBRIDGE, MASS 














Nirsgat” 
Gift of 


the Dante Society] 
gouno way: "1910 


PROPRIETÀ LETTERARIA 





ALL' ONOREVOLE 


GUGLIELMO WARREN VERNON 


AOCADEMICO CORRISPONDENTE DELLA CRUSCA 
DOTTO TRADUTTORE E COMMENTATORE DI DANTE 
AMICO MAGNANIMO E SINCERO 


QUESTO UMILE LAVORO 


IN SEGNO DI RIVERENZA, GRATITUDINE ED AMICIZIA 


IL COMMENTATORE 





PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 


Nel mettere alla luce per la quarta volta la editio 
minor, che della Divina Commedia riveduta nel testo è 
commentata ci dette G. A. SCARTAZZINI, è naturale che 
‘il primo pensiero e la prima parola siano per lui, che in 
età non ancor grave ebbe tronca il 10 febbraio 1901 la 
vita, e non potè dare a questa sua opera le nuove enre 
che, pubblicandola la terza volta, prevedeva egli stesso 
»arebbero state necessarie. 

Non è questo il momento nè il Inogo di tessere una bio- 
grafia!) del celebre uomo, o, tanto meno, di pronunziare 
un giudizio assoluto e definitivo intorno a Ini e alla 
varia opera sua; nè io mi sentirei in grado di farlo, sia 
perchè vedo mancarmi troppi degli elementi necessarì 
per ritrarre al vero la sua figura e portarne giudizio 
equo e compiuto, sia perchè mal si converrebbe a chi è 
gregario ® fra gli ultimi venuti nel campo degli studi 
danteschi, l'erigersi a giudice di un nomo che vi fu Inn * 


h 3) Della vita n delle opere dello Seartazzini vedanni anzitutto le to- 
(lin cli'ogli dotte di sò nel Dante in Germania (Milano, Hoopli, 1881-83), 

i nai articoli nocrologici di Pio Raya nel 
dell 24 febbraio 1901, di A. Fraxotazzo nel Giornale Dan 
ren ir X. Kraus nella Beflage sur Alle 
| Zeltwmy del I cia e di.un anonimo nel giornale er 





x PREFAZIONE ALLA QUARTA RDIZIONE 





gamente e meritamente considerato fra i duci. Oltre di 
che, a parlare in modo degno dello Scartazzini, si do- 
yrebbe rappresentare e considerare l’attività sua sotto pa 
recchi aspetti. Prima ancora che dantista, egli fu teologo, 
e, în tale qualità, esercitò per la più gran parte della sua 
vita l’afficio di pastore; e se degli studi danteschi fece 
il centro, a così dire, della sua attività intellettuale, e ad 
essi dovè la larga nominanza acquistata, sicchè solo del 
dantista, o principalmente di esso, dura e durerà la fama, 
ei mise volentieri il piede anche in altri campi della let- 
teratura nostra; e di materie ancor più varie, come sareb- 
bero storia dell’arte, storia politica, filosofia, e persino 
selenze naturali, mostrò cognizioni sicure e si rivelò amo- 
roso cultore nella sua opera di pubblicista e collaboratore 
tli periodici letterari e scientifici. Come uomo poi e citta» 
dino, benchè amasse la solitudine e il ritiro, propizîi agli 
studi prediletti, 8" immischiò più d’una volta alle lotte 
della vita pubblica del suo paese, e vi prese è vi tenne 
Îl posto di combattente animoso ed ardito. 

Ma, bisogna pur dirlo, la difficoltà maggiore che in- 
contra chi voglia parlare di lui, proviene da certe qua- 
lità poco simpatiche ch'egli spesso rivelò nella sua profes- 
gione di scrittore e di critico. Baldo, sicuro di sè, assoluto 
nel profferir giudizio intorno ad nomini e cose; insoffe- 
rente di contraddizioni; disposto ad obbedire agl’ impulsi 
del sentimento e della passione momentanea © alle îm» 
pressioni, piuttostochè alla voce calma e severa della ra- 
gione; facile, perciò, altrettanto a mutar giudizi e criterî 
quanto ad ostinarsi in opinioni errate, pur di non cedere 
agli avversari; lo Scartazzini si attirò di necessità molte 
inimicizie, e si trovò impigliato in polemiche disgustose 
èd astiose, nelle quali trascorse troppo spesso a modi 
& 3 forme assai lontane non pure dall’urbanità, ma, ch'è 





PREFAZIONE ALIA QUARTA EDIZIONE x 


peggio, dalla giustizia. Eppure, gli attacchi insolenti, i 
motti sdeguosi, i giudizî sgarbati sì leggono talora a breve 
distanza da espressioni cortesi e rispettose! Come mait 
Gli è che l'indole focosa e battagliera, nei momenti in 
enti lo dominava, gli faceva, com'io eredo, parer naturale 
Quella vivacità eccessiva di pensiero e di parola; e non 
gli lasciava forse capire nè intravedere che altri, e con 
tagione, potesse giudicare i suoi modi come segno di 
animo maligno e proclive alla maldicenza. Così, per citare 
Un esempio caratteristico, in fine del secondo volume del 
Dunte in Germania, egli vuole scusare come frizzi e pia- 
tevolezze * delle quali l'antore credette di dover condire 
l'arida materia’, le frasi pungenti e irriverenti che si leg- 
gono qua e là nel corso dell’opera, in ispecie nel primo vo- 
lume, e si duole che altri abbiano considerate le sue parole 
tome offensive, e dichiara che costoro non le hanno sapute 
interpretare, come se fosse possibile un’altra interpreta- 
zione per chi prenda le parole nel loro vero significato! 

E che lo Scartazzini ne' suoi eccessi fosse piuttosto vit- 
tima del proprio temperamento che maligno, m'induce 
& erederlo un altro fatto. Sarebbe facilissima cosa, spigo- 
lindo negli scritti di lui, formare un buon codicetto dei 
Diù onesti, dei più savi principi di critica letteraria; nè 
mino facile raccogliere assennati rilievi di mende è di- 
feti d'opere altrui, 

Eppure egli era il primo a violar nella pratica quei 
Qrineipî; e a lui si potrebbero rinfacciare con le sue 
@tesse parole le colpe — spesso accresciute ed aggravate — 
the pur sapeva sì bene rilevare in altri. Come non av 
Vedersi di sì stridente contraddizione? Come non temere 
glie qualcano gli rivolgesse la domanda dell’evangelo: 

e er tuî, et trabem in oculo tuo 
So bene che i) Jettore mi potrebbe qui ricordare 








n PREPAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 


il famoso padre Zappata, e rammentarmi che altro è dire, 
altro è fare; ma, quando Vuomo che dice e fa, ha in- 
gegno e dottrina quali ebbe lo Scartazzini, un'altra ra- 
gione ci vuole; e questa, nel caso nostro, io la vedo ap- 
punto nell’indole impetuosa e scontrosa, che, sopraffacendo 
il valentuomo, gl’impediva la retta e netta visione delle 
cose, e lo portava agli eccessi che i suoi stessi amici più 
volte deplorarono. Forse, come acutamente osservava 
FF. X. Kraus, se lo Scartazzini si fosse tenuto meno ap- 
partato dalla società, avrebbe finito con levigare la ru- 
videzza naturale; la quale, del resto, com'ebbe ad osser 
vare nel citato articolo necrologico il giornale Der Bund 
di Berna, pare connaturata a quei della Val Bregaglia, 
dove il nostro era nato e dove lungamente visse. 

Ho insistito un po' a lungo sull’ indole dello Scartaz: 
zini, perchè il suo. mi pare esempio notabile, se altro 
mai, dell'intimo legame che, anche nell’esercizio della 
eritiea, hanno le doti e tendenze dell'animo con le qualità 
dell'intelletto, e della funesta azione che quelle possono 
talora avere su queste. Giacchè niuno vorrà negare allo 
Seartazzini un intelletto, che, robusto per natura e rin- 
Wigorito da larghi è svariati studi e da assidue e mol- 
teplici letture, era messo in moto da una volontà tenace 
e da una mirabile laboriosità; e nn tale intelletto, se 
ussistito da un temperamento più sereno e più calmo, 
avrebbe dato frutti, non so se ugualmente copiosi o più 
scarsi, ma certo migliori molte volte e più durevoli di 
quelli che diede. 

È un’altra dote non comune ebbe la mente di lui; 
quella di saper concepire con larghezza e chiarezza il 
piano delle sue opere, è tracciarne il disegno generale con 
nettezza di contorni e bella armonia di parti. Consideri, 
chi se ne voglia persuadere, il Dante-Handbuch, o i Prole 





——e-- 


PREFAZIONE ALLA QUABTA EDIZIONE min 


gomenti alla D. C. lipsiense, 0 la Dantologia, o questa stessa 
edizione, della cui fortuna alcuno, è non a torto, vide una 
forte ragione appunto nel nitido assetto generale, nella 
intelaiatura, a così dire, entro cui è disposta la materia. 
Anzi, per dire tutta la verità, l’amore della simmetria 
generale arrivò talora nello Seartazzini tropp oltre; come 
quando — non so se altri abbia mai rilevata la cosa — di- 
rideva la Dantologia 1) in due parti, e ognuna di queste 
in 4 capitoli, e ciascun capitolo in 9 paragrafi. Purtroppo 
insieme con le ottime qualità di architetto egli non mo- 
Strò sempre tutte quelle del buon costruttore 
Comunque sia, chi cerchi di abbracciare con nn solo 
&guardo i contributi che agli studi danteschi egli arrecò 
in in periodo d’oltre trent'anni, dal volume Dante Ali- 
ghierî, Seine Zoit, sein Leben und scine Werke (Biel, 1869) 
fino alla poderosa per quanto difettosa Enciclopedia dan- 
lttea e alla 2% edizione dell'Inferno lipsiense del 1900, 
non può reprimere un sentimento d’ammirazione sì per 
li mole di lavoro compiuta da questo solitario sdegnoso, 
teche è prova d'un’ operosità grandissima e costante, è sì 
Der gli aiuti e gli impulsi varii che alla critica dantesca 
Ninnero da tale operosità. La quale fino a un certo tempo 
li veramente — userò le belle ed efficaci parole di Fran- 
testo dd’Ovidio 3)—; più sana, e ad ogni modo tornava 
Utiliasina mi rinascenti studii italiani e al loro bisogno 
ll momento. £ lavori tedeschi eran noti a pochi; degli 


1) Di quest’ opera sta preparando una nuova edizione, rifasa in 
modo da rispondere allo stato presonte degli stadi danteachi, l'egre- 
Ho professor A. Frammazzo, il quale attende altresì a compilare tin 

cana benvenuto, di supplemento all’ Encielopatia dan 


| RStudii sulla D, È. (Palermo, R. Sandron, 1901), p. x11 della Pro- 





xiv PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 





studiosi nostrani, i più s'aggiravano per angiporti 0 
s'eran cacciati in vie mozze; i Commenti al poema che si 
pubblicavan qui, avevano il tanfò d'un’erndizione troppo 
ristretta, d’un ordine d'idee angusto, d’un pettegolezzo 
in famiglia; i commenti antichi rivedevan la luce a ri- 
lento 6 spesso malconci, e ciasenno diveniva l'oggetto 
d'una predilezione sistematica e fanatica. Il Commento 
lipsiense divulgò a un tratto tante cose e tante chiose, 
con uno spoglio largo degl’interpreti antichi e con un 
travasamento repentino di erudizioni e speculazioni te 
ilesche. Fece l’effetto d'un finestrone che si spalanchi è 
lasci precipitar dentro molt’ aria fresca, benchè non senza 
vento nè polvere; o l’effetto che in una città di provincia, 
ton vecchie botteghe scarsamente fornite e impigliate in 


tapine abitudini locali, farebbe l'apertura d’un bazar 
pieno zeppo di roba forestiera e d’altre cose comunque 
rare in commercio, In che modo e in che limiti abbia lo 
Scartazzini giovato agli studi danteschi in Germania, 
altri potranno dire; ma una brutta ingratitudine com- 
metterebbe l’Italia 1), commetteremmo specialmente noi 


1) A proposito della doppia opera compiuta dallo Scartazzini come 
dantista italiano e come dantista tedesco, mi si permetta di riferire 
alcune giuste © acute considerazioni di Pro Rasxa: ‘ Un’opporta» 
nità.... derivava allo So. dalla nassita, La Bregaglia spetta geografi- 
camente all'Italia, e se ne può dire un satellite anche sotto fl rispetto 
linguistico. Siccome poi il giovane s'era educato nell’ Università di 
Baslloa © di Berna, in terra tedesca, veniva ad essere molto adatto 
a compiere upa di quelle funzioni mediatrici, a cui la Svizzera, tri 
fronte, anzi quadrironto, così bene si presta. Dopo l’Italia, nessi 
passe uguagliara la Germania nel calto per Dante; ed era di certo 
desierabilissimo che divontasse quanto più si potense vivo in questo 
flominio lo scambio intellettuale. Fatto sta che lo Scartazzini venne 
alternando in tutta la «ua vita pubblicazioni tedesche e pubblicazioni 
italiane, * 





PBEFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE xv 


della generazione che tramonta, se non ricordassimo e 
non inculcassimo che si ricordino le non dubbie bene 
merenze di luî.'* E per questo, e per le prove che pur 
qualche volta egli dette, di essere « da sè stesso rimorso >, 
possiamo bene immaginare col Rajna, che lo Scartazzini, 
*incontrandosi nel regno delle ombre o degli spiriti con 
toloro coi quali ebbe nimieizia, abbia, nel nome di Dante, 
dlato e ricevuto il bacio della pace’, così come, tra i vi- 
enti, tutti coloro che furono ingiusto bersaglio de) suoi 
(lardi, glî avranno, credo, ormai perdonato. 


SE 


Bd ora una parola della presente edizione che, prega 
tone dal benemerito comm. Ulrico Hoepli, ho accettato 
ili curare. Nel frontespizio ho seritto * riveduta ’ senza 


ggiungere ‘ corretta ’, perchè questa parola, messa là così 
ola ed assoluta, mi pareva superba 6 troppo promettente, 
anzi compromettente. Ma qui, dove ho agio di spiegarmi, 
Mon posso non parlare di correzione, giacchè in corre 
zione si risolve di necessità ogni opera di revisione. Quali 
torrezioni adonque, quali mutamenti presenta la quarta 
in confronto con la terza edizione? Basta osservare che 
la paginatura è rimasta, tranne in pochi luoghi, la 
essa, per comprendere che non può essere stata fatta 
tma mutazione radicale, una vera e propria rielabora- 
tiene. E nient'altro che una ristampa attentamente ri- 
Veduta allo scopo di farne seomparire refusi © sviste 
tipografiche, errori d’ ortografia e simili mende, che pur- 
troppo erano numerose nella edizione terza, doveva essere 
presente volume, secondo il primo concetto dell'editore, 





xvi PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 





mettere le mani nel commento per modificarlo secondo 
muovi o rinnovati criteri. Ma, nel fatto, la revisione è 
riuscita qualcosa che tramezza fra ciò che l'editore aveva 
dapprima pensato e nna compiuta rielaborazione. 

Tl testo, al quale è di necessità coordinato il commento, 
mon tollerava, appunto per questo, modificazioni sostan= 
ziali nè in una edizione scolastica ci è parso ancor 
tempo d’introdurre certe innovazioni che le ricerche 
© gli studî, cni attende la Società Dantesca Italiana, 
ormai consigliano, ma che non hanno peranche quel 
grado di certezza che occorre per essere ammesse nella 
scuola. Ma la grafia, che di edizione in edizione s'era 
vennta piuttosto corrompendo che migliorando, e mo- 
strava un amalgama di criterì diversi — e ciò soprat: 
tutto perchè le condi: della vista da più anni pro 
bivano allo Scartazzini la revisione delle bozze 0 non 
gliela consentivano attenta come avrebbe dovuto essere, 
di modo che spesso ei si dovè rimettere alla discrezione 
altrui —, avea bisogno di divenir più costante e uniforme; 
© altrettanto dicasi della punteggiatura, qua sovrabbon» 
dante, là scarsa; in una parte determinata da una ten- 
denza a spezzare Il pensiero dantesco in periodi o in 
membri di periodo fortemente disgiunti, in un’altra, in- 
vece, dalla tendenza opposta. A tali inconvenienti ho 
procurato di portar rimedio in questa ristampa; e, senza 
presumere di aver fatto sempre bene, nè tutto, proprio 
tutto quel che si sarebbe dovuto, credo di potere co- 
scienziosamente affermare che la nuova edizione rappre- 
Senta per questa parte, in confronto delle tre precedenti, e 
fors'anche di altre edizioni della Commedia, un miglio- 
tamento sensibile, Certamente mi è toccato in qualche 
Inogo di lasciare, per quanto a malincuore, la vecchia pun- 
teggiatura, costrettovi dall’ interpretazione che lo Scartaz: 








Eviit PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 





tazione di un’opera, Ma, avendo cominciato a far qual. 
che riscontro di citazioni per assicurarmi della esattezza 
loro, vidi che per questa parte lasciavano talora a de- 
siderare, Che fare A riscontrar tutte, dalla prima al- 
l’ultima, le citazioni numerosissime che occorrono nel 
commento scartazziniano, io non potevo pensare anche 
per difetto di tempo e di libri; ma di certe categorie 
più importanti fra esse mi risolsi a far questo riscontro 
perpetuo, dal quale è risultato buon numero di rettifiche. 
Così ho riscontrato ogni rimando a luoghi della Com- 
media o d’altre opere dantesche; ho verificato tutte le ci- 
tazioni bibliche e della Summa theologica di San Tommaso; 
mi sono assicurato di tutti i confronti con Virgilio, Orazio, 
Lucano.... e la litania sarebbe ancora lunga, se la volessi 
far compiuta. Chi ha pratica di tali lavori, sa per espe- 
rienza come spesso un'indicazione fallace, per essere 
corretta, richieda tempo e pazienza e l’uso di partico- 
lari accorgimenti; e però giudicherà da sè « il quale e 
il quanto » della mia fatica per rendere, sotto questo 
rispetto, più fido indicatore il commento scartazziniano. 
Ho altresì ricollazionati con le edizioni da cui erano stati 
tolti, i passi di parecchi antichi commentatori, quali Ta- 
copo della Lana, l’Ottimo, Benvenuto da Imola, e così 
via dicendo; e dove ho corretta la lezione, dove comple: 
tato il passo, dove fatti altri ritocchi; in taluni casi, 
rarissimi per fortuna, ho rimediato allo scambio, non s0 
come avvenuto, tra il nome d’uno e d’un altro commen- 
tatore. Tutte queste 1), ed altre consimili, sono rettifica» 
zioni di fatto, che, primo fra tutti, lo Scartazzini avrebbe 


3) I rinvii all’opern di BasseRMann, Orme di Doute in Italia, è 
parso conveniente farli sulla versione italiana di Egidio Gorra, uscita 
fu quest'anno n Bologna coi tipi della Ditta Zanicbelli. 








xx PREFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE 





chè da una parte la critica aveva ripetutamente censurata 
la erudezza inopportuna e volgaruecia di certe note, e 
dall’altra lo Scartazzini, che aveva pur fatto nella edizione 
terza qualche concessione alla eritica, si piegò ad essa 
interamente nella seconda edizione dell'Inferno lipsiense, 
uscita pochi mesi prima della sua morte. Quivi è tolta 
ogni parola men che pura, ogni accenno men che nobile; 
e la nota, in cui si esamina l'atteggiamento del Poeta di 
fronte a ser Brunetto, termina con queste parole: Dante 
parla con amore e riverenza di Brunetto Latini, perchè 
lo amava e riveriva davvero; ma lo caccia nell’ Inferno 
tra i sodomiti, perchè doveva essere generalmente noto 
che Brunetto fosse stato macchiato di questo sozzo vizio, 
&@ perchè Dante a tutti gli altri riguardi antepone la 
verità.’ 

Si sono poi soppresse certe allusioni iraconde e ingiuste 
a un egregio commentatore vivente, che si leggevano qua 
# là; con che non si è fatto altro se non obbedire alla 
ingiunzione che, preludendo al Paradiso lipsiense, lo Scar- 
tazzini faceva a chi avesse avuto a ristampare dopo la 
sua morte il eommento di Lipsia, ma che può ben valere 
per le ristampe postume di ogn’altra opera sua), 

Anche mi sono studiato di correggere espressioni o 
fstentate o poco italiane, che il dantista svizzero non si 
faceva serupolo di adoperare: solo mi preme avvertire che 
la mia risciacquata, per usare un'immagine del Manzoni, 
della lingua scartazziniana, non ha la pretesa di essere 
compiuta; anzi si è limitata per solito a togliere le mac- 
chie che mi pareva dessero più nell’occhio. E qualche 
forma troppo dura può bene essermi sfuggita inosservata, 


l) ‘Si cancelli’ così scriveva lo Scartazzini ‘ ogni parola, ogni 
sillaba di polemion che si troverà nei tre volumi *. 








PERFAZIONE ALLA QUARTA EDIZIONE xx 





perchè, a lungo andare, si fa l'abitudine anche a nna 
lingua e a uno stile un po esotici. 

T/Indice, infine, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso, 
è stato per mezzo di una diligente revisione purgato da 
parecchie sviste, che di edizione in edizione si ripetevano 
immutate, e in più luoghi ha ricevuto aggiunte non ispre- 
gevoli. 

Per concludere, il libro si può dir che riappaia alius 
di idem; e come idem, conserverà di certo il favore che 
gode da dieci anni e che ne ha fatto già esanrire tre edi- 
zioni copiosissime; come alius poi, ed alius per le nuove 
tune che vi sono state spese attorno (cure anche tipo- 
grafiche, per le quali, e non per esse soltanto, è mio caro 
dovere ringraziare il sig. Alberto Landi), apparendo me- 
glio degno di tale favore, non dovrebbe, dice 1’ Editore, 


allargare la cerchia de suoi benevoli? 
Firenze, 25 settembre 1902. 


GIUSEPPE VANDELLI. 


PER LA EDIZIONE QUINTA 


Pochi mesi or sono il comm. U. Hoepli mi avvertiva 
chiera ormai prossima ad esaurirsi la copiosissima edi- 
zione quarta del commento scartazziniano, da me allestita 
mal 1902, è soggiungeva essere necessario preparar gen» 
Mindugio una edizione nuova per rispondere alle continue 
tiehieste del pubblico. Tale notizia mi fn cagione di lieta 
meraviglia; chè il successo librario aveva superato ogni 
nia aspettazione, e nel mio animo, non lo nascondo, pro- 
Rai un senso di viva compiacenza, potendo, senza peccare 





PER LA EDIZIONE QUINTA 





di presunzione, ritenere che a così buon successo avessero 
contribuito anche le cure da me date all'opera del com- 
pianto dantista svizzero. Comunque sia, accettai di buon 
animo il non lieve carico della nuova edizione; al libro 
ormai mi sentivo affezionato come a un figlio adottivo, e 
di correggerne ancora, come sapessi, le pecche, sarei stato 
ben contento. E questo per l'appunto mi proposi, in quei 
limiti, 8° intende, e in quelle forme che consentivano la 
ristrettezza del tempo assegnato al mio lavoro e i desi- 
derii del solerte editore. 

Il quale non nega che a una trasformazione profonda e 
radicale del commento 8’ abbia ad arrivare; ma intende 
arrivarci per gradi, senza scosse troppo violente, e rispet- 
tando, in ogni caso, l'ossatura del lavoro, assai lodata 
anche per pratica utilità nell’ insegnamento; tanto che 
l'impronta di chi primo ideò l’opera e la eseguì, rimanga, 
e il nome di lui possa essere a questa conservato senza 
troppa sconvenienza. D'altra parte, in tanto e così vario 
fervore di studii sul testo e sulla interpretazione della 
Commedia, se molte questioni sono state risolute, non 
sono in minor numero quelle la eni soluzione è solamente 
ayyiata, e parecchio non è improbabile che si finirà con 
l’abbandonarle del tutto, dimostrandone — e sarebbe già 
una grande semplificazione e nn gran guadagno — l'in- 
solubilità. Di certo non passeranno molti anni, e di molte 
cose più definitive e sicure di quel che siano ora, si al- 
lieteranno gli studii sul Poema; sarà allora il momento 
di rimpastare, mi si passi la parola, il lavoro dello Scar- 
tazzini e presentarlo sotto un aspetto che del primitivo 
conserverà, forse, poco più che lo schema cni testà si al- 
ludeva. E non è detto che questo non possa farsi, o tutto 
o in gran parte, già nella edizione sesta, di cui fra pochi 
anni, com'è facile prevedore, ci sarà il bisogno, 





PER LA EDIZIONE QUISTA xx 


Quali e quante siano le mutazioni da me ora introdotte 
nel lavoro di rapida, ma diligente revisione, vedrà il let- 
tore che si prenda il gusto ed abbia la pazienza di para- 
gonare la nuova con la vecchia stampa. Se il testo rimane, 
eceettuati pochissimi luoghi, immutato, non una sola pa- 
gina del commento è rimasta senza ritocchi; ma, mentre 
nella edizione quarta avevo tolto, aggiunto, rifuso solo in 
taluni imoghi (vedi p. xx), essendo allora mio precipno 
compito una correzione materiale d’errori e sviste minute 
nocumulatesi nelle tre prime impressioni, questa volta ho 
înyece ritoccato, di regola, togliendo, aggiungendo, rifon- 
dendo. Ripeto che ho dovnto tenere in limiti ristretti la 
mia opera di revisore, e, meglio che edizione quinta, avrei 
xoluto chiamar questa una ristampa riveduta della quarta, 
non differendo sostanzialmente le due fra loro; ma con- 
fido che all'opera si farà buon viso, perchè nel mutare 
ho tenuto presenti osservazioni e desiderii che la critica 
Aveva espresso a proposito così delle tre prime come an- 
tile della edizione quarta; e d'altra parte ho procurato 
di non mutar mai se non su fondamenti sicuri, 

Così non potrà non piacere che alla citazione del NAN- 
Nuoo! io abbia o sostituita, od aggiunta quella del Pa- 
RODI, il eni studio sulle parole usate da Dante in rima 
è îl più solido e comprensivo, e il solo veramente meto- 
îlico, che si abbia sin qui sulla lingua del poema; così a 
Nessuno, spero, sarà discaro ch'io abbia più volte modifi- 
«ati, per renderli meglio conformi alla contenenza del testo 
ilantesco, i sunterelli che via via riepilogano una serie di 
persi; così sarà lodata la soppressione de' caratteri ebraici, 
di quasi tutto il greco e di molte varianti (di queste avrei 
oppresso un maggior numero, se non mi fosse piaciuto 
flare al lettore un'idea delle alterazioni varie subite dal 
Diete dantesco); mè mi si farà rimprovero per aver pre 





XXV PER LA EDIZIONE QUINTA 


sentato come possibili lezioni ed opinioni già dichiarate, 
senza forti ragioni e con sentenza e piglio un po’ troppo 
da Minosse, inaccettabili. Ma Dio mi guardi dall’enume- 
rar qui e giustificare tutte le specie di correzioni di s0- 
stanza e di forma ora introdotte nell'opera: dirò solo che 
la coscienza m'assienra di non aver tolto nulla di eni 
non si potesse fare, e volentieri, a meno; di non aver 
‘aggiunto nulla che non compisse è chiarisse spiegazioni 
tanto o quanto oscure o monche, o non aiutasse a meglio 
intendere e sentire e gustare la poesia; di non aver în- 
fine mai rifuso, senza che soprattutto la chiarezza e la 
esattezza lo richiedessero; e tutto questo senz’ alterare 
la fisonomia del commento in nessuno dei suoi tratti più 
caratteristici e più simpatici 1). 

Per questa ragione revisore ed editore sono certi che 
Îl libro continuerà a render buoni servigi e ad esser di- 
letto compagno non pure agli studenti, ma a tutte le per- 
sone colte che si accostano a Dante; e gioverà ancora, 
unzi giorerà ora meglio di prima, a diffondere quella co- 
noscenza del poema dantesco che non cesserà mai, per 
aberrazioni ed eccessi di dantomani e dantofili, 0 per 
smanie innovatrici di modernisti, d'essere elemento indi. 
spensabile «i coltura ad ogni Italiano, e resterà sempre 
tosa cara e desiderata a tutte le genti civili. 

Firenze, 6 ottobre 1906. 
GW 

1) Ancho por questa ristampa mi è stata di valido niuto 1° aesl- 
tenza cortess ed assidua del signor ALnerTo LaxpI, che a una sin- 
golare aciés oculerum tipografica congiunge nn acume non minore nel 
rilorare piccole inenerenze è aviste di forme e suoni è d'altro genere, 
che a chi scrive possono facilmente sfuggire. 





TAVOLA DELLE ABBREVIATURE 


delta D. C. dichiarato cà illustrato da Gretio Acquatico, 
l-8° pics). 
del Viaggio Dantesco per Qrovaxmi AoxriLi. Milano, 
sol. in-4° 000 15 tarole). 
— Ellizioni AMics della D. C. dello quali abbiamo sott'occhio la prima dol 
1402, la lane Lionas del 1502 è la 2> Aldina. Venezia, 1515. 

Amat. — La D. C. di D. A. coi commento di Rarraxte Axpuroti. Napoli, 1854, 
Nuove ediz. 1863, 1882, 1831, oca. (1 vol. in-6%). 

Am. Comi Inf. — Commento alla cantica dell'Inferno di D. A. di AuTrORR axo- 
Risto dex gee la prima velta dato in Inco per cara di Loro Vexxo. Fireaze, 
Zia. (3 vol. ix-£9, È la traduzione del immbgi.). 

dn. Fior, — Commento alla D, C, d'Aroxmo Fionastiso del we. 117 ora per a 
prima volta stampato a cura di Pretno Faxraxr. Bologna, 1866-1574. (1 vo 
tamni bo). 

An, Sei. — Chioso suocime alla prima Cantiva delta D. C. di un contemporanee 
dal Poeta, per Fuascasco Sn. Torino, 1885, (1 vol, ln-5%). 

Amt. — Balle dottrine nitrenomiche della D. C. Ragionamenti di Q. ANTONELLI. 
Firnnso, 1863, (1 fano, in.8%), 

— Stadi particolari malla D. ©. di G. Awrox®tLI. Fireozo, 1871. (1 fano, in:39), 

— Annotazioni netresomicha del P. G. AxrowzzLI, nella D. C. col commento del 
Tommaso; ofr. Tom. 

Arrivab. see. — I) scosio di Dante. Commento storico di Frunixasno AÙki 
Vanene, Udlan, LAST. (3 vol. fn-69, cho forma la parto I del m voi. del Dante 
Bartoliuino) efr, Viv.} 

Matb. Wie — Vita di Danto scritta da Cruuxr Batvo, Edis, consetita dal- 
L'astora, Firenze, 1853, (1 vol; la-35%), 

Tiaimbgt. — Li Commento ati Inferno di Graziono pa' Bamnantioti, dal cosica 
mrrvine a le Aggiunto è varianti del Senese per cura del prof. ANTONIO 

Fraxazzo, Udine, 1892. {1 rol. to-S9. 

È Biarg. — Lo Inferno della Commodia di D, A. ccì Comento di GUINIFORTO DELLI 
Bauniar, tratto da dito Mazoseritti ined, dol seo, xv, cou |atrodusione 6 noto 
MG. Zacmenost, Mrelglia, 138. (1 vol. {5-40 pico). 

r— Critical, Aistorical asd philomophica) contribatione to tho stody 
Me I}, O. by IL O, Bantow, Londra, S8V4 (1 vol. In8%. 





TAVOLA DELLE ABBREVIATURE 


Mart, — Storia della letteratura ftallana di ADOLFO BARTOLI, vol. 4-4. Firenze, 
1881 e sog. (3 vol. in-3° pico.). 

Mina. — ALFRED BassrRxaNnN, Orme di Danto in Italia. Opora tradotta sulla 
2 adizione tedesca da K. Gonna. Bologna, Zanichelli, 1902, {1 vol. 1n-8%, 


x Bennns.— La D.C. col commento eattolioo di Lurot BexsassuTI. Verona, 1804-88. 


{0 Ol, 1-89) 
Beny. — Baxvanri pi RaxmaLora ne TuoLa, Comontam super Dantis AM 
gihoriy Comondiaza, none primum integre in lucem editum, sumptibus GuiLIRLMI 
War Vxixos, onrante Tacono Pmuero Lacasta, Firenzo, 1887. 5 vol. 
in-49 pioo.). 
» Merth. — La D. C. con commenti secondo Ta acolnatica del P. Groscmoo Bar 
mito. Frelburg, 1808 0 sogg. (1 vol. In-4° în corso di stampa). 

Mettt — SaLvaroue Berti, Postillo alla D. C. ora per la prima voita edite di 
nu il manoscritto dell'autore da Grusuere Cuaxoni. Città di Castello, L8R2. 
(3 vol. in-8° pico.). 

— Soritti Dantoschi in appendice allo postille del medesimo autore alla D. ©. rac- 
colti da G. Cuosoni. Città di Castello, 1893. (1 vol. in-89 picc.). 

Bing. — La D.C. col commento di Giosaratte BragioLi, Parigi, 1618-19, Ristam» 
pato di pol molte volte. (3 vol. In-89). 

Iame — Vocabolario Dantasco, ou Dictionnaire ritigne et ralnonnée de ta D, €. 
da D. A. par L. G. Buaxo. Leiprig, 1859. (1 vol. in-6°), Trad. ital. di G. Cau 
momz. Firenze, 1859, (1 vol. in-129). 

— Varanch sinor dlon philologischen Xrklirang mohrerer dunklen und streltigen 
Stellen der Gitrlichen Kombdio von Da. L. G. Buanc. Hallo, 1860-65. (2 parti 
fo-89), 


N) Riano — Die Gittiloho Komddia des D. A. ibersotat und erllatert von L Gi 


Bixc. Halle, 1804. (1 vol. in.8° picc.). 
Mace. — Il Comento di Giovansi Boosacci sopra la Commella con lo annotazioni 
+ M. Satvini, per cura di Gaxraxo Mitanest. Fironze, 1863. (2 rel. in-129); 

Mocet — Dizionario atorico, geografico, universale della D. ©. di Doxato Bock, 

Torino, 1873, (1 vol, in-8° pico.). 
© morgh, — La D. C. con novi argomenti @ noto di @. Boxam. Parigi, 184. (1 
vol. 10129). 

Morghint — Stadi anlla D, C. di Gal. Galilei, Vincenzo Boranivi ed altri, pubbl. 
da Orr. Gioti. Firenze, 1855, (1 vol. 1n-199). 

Mir. i. — La Commedia di D. A. novamente riveduta nel testo © dichiarata da 
Beuxoxx Braxcwi. Nona edizione. Firenza, 1880, (1 vol. in-12°). 

Bull, — Ballettino della Società dantesca Italiana. Serle 1°, 14 faso. Firenze, 1300. 
09. Serio I13, Vol. I-XII, Fironzo, 1893-1905. Della 2% serio ai cita moltanto fl 
numero del volame sanza Indicazione di merlo. 

Buon. — Discorso di Vixo. Buoraxx sopra In prima cantica del divinissimo teo: 
logo Dante d'Alighieri del Bello. Firenze, 1872, (L vol. in49 pice.): 

Rinse, Cam. — Ainexto Buscanro Caxro, Stadi! Danteschì. Edirlone completa. 
‘Trmpani, 1894. (1 vol. 1n-89). 

È ati — Corimonto di Fraxcraco DA BUTI sepra la D.C. di D. A. pubbl. par 

nta di Caxscxrimo Giassisi. Pina, 1858-02. (3 vol. in-89), 

| Buti — The Holl, tho Porgatory and the Paradiso of D. A. edited with tramala- 
ton and notes by ArricR Jomx RerLRk, Londra, 1880-92 (8 vol. in-8° pioe.). 

WUam, — La D. C. di D. A. con note tratte dai migliori commenti per cara di 
Evarzio Camin. Milano, 1908-00. (3 parti in.fol.). 

Campi — La D. ©. ridotta a miglir lesione con l’aiuto di ottimi manosoritii a 
corredata di noto edite ed inedite antiche e moderne per enza di Gromerra 
Curi. Torino, 1888-41. (8 vol. 1n-89). 








Ixvii TAVOLA DELLE ABBBEVIATUBE 


DI siena — Commedia di D. A, con note di Gurcorio DI Stura. Taferno. Na- 
poll, 1867-70. (1 vel. fo.89) 

— La D. C. di nuavo alla ana vera lattino ridotta con lo atuto di motti enti» 
Ghisaimi esemplari, con argomenti et allegorio per elascuu canto, at apostillo mel 
margine, et indico copiosissimo di tutti 1 vocaboli più importanti usati dal Peota, 
con la spostzion loro per Lopovico Dotex. Venoria, 1555, (1 vol. {n129), 

Wa. Ane. — La D.C. Firenso, all'ixsroxa URLL'AxcORA, 1817-19, (4 vol. tn fol), 

Rd. Pad, — La D. 0. col com. del P. B. Loxnaxbi, ora nuovamonte arricehito 
di molte illuatrazioni edite ed inedite. Padova, Tip. della Minerva, 1628, 
( vol. in-89). 

Eneiel. — De. G. A, Scantazzisi, Enciclopodla Dantosca, Dizlomario critico 0 
ragionato di quanto concerne la vita 0 lo opero di D. A. Milano, 1896-99. 
(2 vol. kn-#9), 

Pniso Boce, — Chioso sopra Dante. Testo inedito, ora per la prima volta pubbli 
cato da @. G. Wanusx Lono Vrnxox. Firenze, 1246, (1 vol. in-#° gr.). 

Fanf. — Stadi ed Osservazioni di Pietro Faxvaxi sopra fl testo dolle opere di 
Dante, Firenze, 1873. (1 vol, 1n-139). 

— Tadagini Dantesche, mosse inalemo da NiccoLa CAKTAOXA. Cit i dt Castello, 1808, 
( vol. in-80 pios.), 

2 Fiini. — Dante Alighiori's Gittliche Combdie. Metrisch fbertragen nnd mit kri- 
tichen und bistorischea Erliatorungon versehen von PurLaLeruRs (Ro Gio- 
sranni di Bassonia). Lipsia, 1805-06 (8 vol. in-8° gr.). 

Pose. —La D. C. illustrata da Uco FoscoLo. Londra, 1842-43. {d vol. fa-8%). 
drama. lat. — Fuaxorasti PaLatiNT della D. C. (Par. X, 21-XXXITI, 145), con 
chiome latine, pubbl, da Fr, PaLtrMo nell'opera: «I Manosoritti Palatini di 
renzo. » Yir,, 1800-68. (3 vol. in-4° gr. II, 716-880; ofr. TIT, 879-008), 

| rane. — La D.C. di D. A. con note de' più celebri commentatori per GIOVABNI 
Fxaxcesa. Torino, 1873, (4 rol. jn-100), 

\/ Eranche — Dante Al'a Girtliche Komilio. Genan nach dem Vereto der 
Origiunle in deutsche Roimo dbertragen und mit Anmerkungen vereben von 
Tukiua Praxckt. Lipyia, 1869-85, (4 vol, in-8° gr.), 

V rent. — La D.C, di D. A. col com, di P. FUATICRLLI. Firenze, 1805. (1 vol, tn-129), 

int. — Loitore nn Dante Alighieri dol can. Canmore GALANTI, Ripatransone 0 
Prato, 1873: -88, Borle I, lett. 1-36. Serio II, lett. 1-33. 109 fano, 1n-8% 

Gatr. — G. Gauraxi, Saggio di xicuno postilla alla D.C. con prefaslone di Gio- 
Vasi Fraxciosi. Città di Castello, 1804 (1 vol. in-8° pioo.). 

| Gel. — Lotture edito 0 Inolita di G, IL Grttt sopra In ©. di D. raccolto per 

‘cara di Caxro Neonosi. Firenzo, 1867. (2 vol. in:89). 

Uilidem. — Dante'a Guttliche Comodio fibersotat von Orto Gruprmeistan. Ber 
Rino, 1888, (1 vol. in-8° gr). 

llutob. — La D. O. ridotta a miglior lezione ilagli Accadamiei dalla Cranoa con lo 
Chios di Vexceszo GionerTi, Napoli, 1865. (1 vol. in-#9). 

Giorn. Dmmt. Giornale Dantesco, diretto da G. L. Passrisi. Venezia 0 Fi 
renzo, 1504 0 seg. 

(iui. — Metodo di commantare la C. di D. A, proposto da G. 1. Giutiam. Più 
menze, 1461, (1 vol. în:129). 

— La Commedia rafformata nel testo giusta la ragiono © l'arte dell'autoro, Fi: 
iosa, 1889. (1 rel. in-249), 

U@rani — Danto Alighieri's Gitiliche Komidio In'a Dentecho fbortragen und 
hlatoriseh, Sathotiach nnd vornohmlich thoologisch erikatert von Kaxt GRADI. 
Eater thell. Dio Malo, Lolprig, 1849, {L vol. im 8%). 

\/@reg. — La D. O. interpretata da Fruxezico Gumonerti, Venezia, 1868, (1 vol, 
dn-89 pics). 





sr TAVOLA DELLE ABBREVIATURE 





Ionti — Postilie ni comenti del Lombardi © del Biagioli atlla D. C. Ferrara, 
1879, (1 vol, in-89 gr.). 

Moore — To time:reforenoes in the D, ©. by E. Moons. Londra, 1887. (1 vo- 
lume 1n-100), 

— Contribationa to te textual oriticiam of the D. ©, Cambridge, 1889. (1 vol. tn:6%. 

— Stadies in Dante. Firet Sarles. Soripture and claasica] authors iu Danta. Oxford, 
1806. (1.101. 5-80). 

— La D. C. di D. A. nuovamente riveduta nol testo dal Dr. %. Moonx, con in 
dico dei nomi propri! compilato da Packr Torxuis M. A. Oxford, 1900. (1 vo 
Jam in-89), 

Mossotti — O, F. Mossorti, Illustrazioni astronomiche a tre inoghi della D. ©. 
raccolte da G. L. Passnuxi. Città di Castello, 1804. ( vol. In«8° pico). 
Nannme. — Analisi critica doi rerdi Italiani del prof. Varc, Naxxuoci. Firenze, 

1843, (1 vol, in-#9). 

— Teorica del nomi della 1ingua Italiana. Firenze, 1847. (1 vol. fn-8%. 

— Ititorno allo voci usato da Dante secondo 1 commentatori în grazia della rima» 
Corti, 1840, {1 vol. fn-8°). 

— Mannalo della letteratura del primo secolo della lingua italiana. 2* odia. Fi- 
tanzo, 1856-68 (ristampato più volte: 2 vol. tu-8%. 

Natott — La 1). U. esposta in tre tavole Illustrato nd uso delle scuole da Lusat 
Naroti, Palermo, 1892. (1 opuso. in-8° gr.). 

Noetti — G. A. Notti, Orario comploto dalla I}. ©, Cosonza, 1604, (opues. in-6% 

ott. — Dante Allgh.'s Gittliche Komidie tibersotat und erlkutert von Futxmacm 
Norrsn. Stutigurt, 1871-72. (2 vol. in-#° picc.). 

ott. — L'Ormico Commento della D C. ed, da ALgssanoo Tonst. Pian, 1827-20. 
(3 vol, knx89), 

\Onam. — Dante et la philosophie catholique au xmi sidolo par A, P. Osamaxi. 
Parlo, 1845. (1 vol. In-89). 

— Le Purgatire. Traduction ot commentaîre. Paria, 1862, {1 vol. 1n-8%). 

Pagnnini — Canto Pacaxo Panaxixi, Chioso a luoghi filosofici della D. ©. rac 
colte e ristampate per cura di Giov. IFuanciost, Città di Castello, 1894, (1 vol. 
in3° pico.). 

Fapanti — Dante secondo Ja tradizione e 1 novellatori, Ricerche di Giovaxxi 
Paraxti, Livoruo, 1878. (1 vol. în-8° gr.), 

tPasa. — Le quatre giornate del Pargatorio di D. o lo quattro età dell' aomo, 
mer Fraxcksco Pasquari00, Venezia, 1874, (1 vol, to-16%. 

V dass. — La D. C. di D. A. noovamente annotata da G. L. Passwmxt, Firenze, 
1867, (8 vol. in-109). 

© Poraz. — Noto Iatin D.C, di Banr. Priazumi edito da Fit, Scotani nel 
ano lavoro « Intorno alle epiut. Int. di Dante ». Venezia, 1844, p. 71192. 

RPorex — I setto cerchi dal Purg. di Dante. Saggio di studi di Paoo Perez 
2A ediz. Vxnosa, 1807. (1 vol. in-8° picci). 

V Petr. Dans. — PETRI ALLEGNERI super Dantis ipaine genitoria Comedia Com 
mentariom, wune primum in tucam editum conadilo et simptibua G..T. Bar, VaR 
ox, comute VixcestIo Nasxuoci. Firenze, 1845. (1 vol. 5u-8° gr). 

iPieei — I Inoghi più oscuri è controversi della D. O, di D, dichiarati da Gru» 
BiriE Iiocs. Brescia, 1843. (1 vol. 1n:8%. 

Pinimp. — Tho Commedia and Canzoniere. A new tranalation with notes, 
essays and a blographicai intreduotion by R. fl. Puuxerte. Londra, 1388-57. 
{2 vel. 1ne8°). 

og. — La D.C. già ridotta a miglior lozione dagli Accademici della Crusca, 
‘ed ora aconrstam. emendata, sco. per Garraso Poourati, Livorno, 1807-12. 
f@ vol to-89. 





-. cicoria sopra quattro del più antoreve 
sonna da CauLo WITTE. Berlino, 1882. (1 vol. in-4°%. 

Al.'s Gittliche Komédie tibersetst von KagL WITTE. 3% edis. Berl 
vol, in-89). 


te-Forschungen. Altes und Neues von KARL WITTE. Hallo e H 
79. (2 vol. in 89). 

. = Vocabolario etimologico italiano di Fraxcxsco Zaxmatpi. Cit 

No, 1889. (1 vol. 1n-89). 

— Di varie lezioni da sostitnirel alle invalso nell'Inferno di D. A 

MancavnzLIO Zani DE' FERRANTI. Bologna, 1855. (1 vol. {n-129). 








LA 


DIVINA COMMEDIA 


CANTICA PRIMA 


INFERNO 


1 — Die. Comm, 52 odis. 





4 (PROEMi0 GENER.] 


+ 4-12 


Eh, quanto a dir qual era è cosa dura 
Questa selva selvaggia ed aspra e forte 
Che nel pensier rinnova la puura! 

Tanto è amara, che poco è più morte; 

Ma per trattar del ben ch'ia vi trovai, 
Dirò dell'altre cose ch'io v'ho scorte. 

T'non so ben ridir com'io v'entrai, 

Tanto era pien di sonno in su quel punto 
Che la verace via abbandonai. 


apiogano in cui, ma la diritta vîa non era 
certo nolla selra oscura! AI. prendono Il 
ehe per congiunzione, e spiegano talmen- 
te che; ma la cagione dello unarrimento 
della serace séa fu il sonno del poeta, non 
già l'oscurità della nolra, nella quale Ja 
diritta sfa non c'era. = DITTA via: vita 
Tirtuosa, « Via nempe rocta vst ria vir- 
tatum, qu recto ducit Lominem md bea- 
tltodinem.Jt notanter diolt auctor smar- 
rita, Most non perdita; nam quamvia 
sasel ticiokus tuno, tamen poterat re- 
diro fù viam roctam virtutam »; Benv.- 

RA 1 «olo da totti comunemente smar- 

perchè l 

altabol , era generale +; Kos. = 
Parecchi codd. Rhanno AVRA RMARRITÀ. 
Accettando questa lezione lo amarrismen- 
to al riferirobbe nl solo Poeta, Ma « om- 


dhem? mit è la loziono del Witto. Al: 
ANI, AN, E, 0. Riesco difficile Irok 
quale uia Ja vera lezione. Secondo 
mini più matarale în questo luogo 
uselamazione; nitri Invece opinano 
* ala da proferirai, @ perebè mautera 
Rintrativa © anche perchè mettono In 


i wtfragio di pochi codd. Ma 
I'usa 10 altre volte nel Pi 
x non ni trova che forse un'altra volta, 
Twf. XVI, 28,> pura: ardua, difficile, 
6 nello steaso tempo dolorosa. 

5. BELVADOIA + fncolta o disubitate. = 
anna; Jntricata e Inpida di pruni, — 
Fanta: difficile a sperare. 

xii FEXSIER! già pur pevsaniovi, - 
Ta Fauna: del ginato giadizio di Dio, 
Hloè delle pane temporali ed stern 

FT. AMARA: prò rifariral a com, 0 a 
delta, 0 n para cho lo precedono. In 

Saroro di co09 sta la grammatica, apecio 
| pone la correlazione tra tanto a quan- 
#6, e oa tntamtono Dien., Lomb., Pert., 


Pogg., Rort., Vorn., coo. « Ma chi ebbe 
animo di mettersi all'opera tolto più 
dura di deseriver fondo a tutta l'untserso 
(Inf. XXXII, 8), avrebbe sentito orrore 
e amarezza di morto dol dire quale fosso 
lusolva, puro avendovi trovato il bene»; 
Puso-0, — Tutti gli antichi cd i più del 
moderni riferiscono amara alla selva, 
della qualo si continua a pariare nei 
è valo fl dire che 1°2 amara 
nocenza non a una paurosa ricordanma, 
\ coma offottivamente pressato. Lo 
rimento del Poeta apparteneva al 
parato; lu selva ora ed è sempre com 
effettivamonto presente. La concordia di 
tutti gli antichi parta eloquentemente in 
favore di quosta interprotaaione. Primo 
foro a soostarseno fn ll Marg., il quale 
intendo: « Tanto è amara quesia par, 
poco più amare è la morte Co 
pure Scolari, Fose., Cost., Buto.-0.; t0%, 
il ore. leggo: TANTA x AMANA, cem 
udo: « Per questa lezione i due age 
gio iforendosi direttamente a paura, 
41 principio del Poema ai libera dall at 
tassi sconDessa © sonpoa è parpleasa», 
lex. dol Foss. ia per sà, tra nitro, 
l'autorità di Zac. Dant., ma le manca 
lì suffragio di vodd. autorevoli. 
1 il rluveglio, principio della a 


2. Atti: le cono che sagnono, ALALTR, 
cioò : grandi o meravigliose. 

19, nox #01 cfr, Giov, XII,38: lo ma pol 
ridire Reatrico, Purg. XXX, 115 ugg: 

IL. sonxo : dell'anima, nei linguaggio 
rorittarase simbolo dal peosato; ofr.Zeria 
XXIX, 10. Gerem. LI, 39, Row. XIII, 
MU. Mer. V, 14, > rusto: em dunque 
ènbrato, senza avvodersano, nella malva; 
dop» avore nbbandonato la vernoe via, 
ta quale non ora conseguentemente nella 
molva. 


12.vua: della pace (Fata LIX, 8. Rom. 
TI, 19), dalla verità (LL Plate. 11, LI} a 











È [mrormio GeNEN.] 


Tur, 1 27-90 


Cie vRE FIERE] 





Che non lasciò giammai persona viva. 

Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, 
Ripresi via per la piaggia diserta, 
Sì che il piè fermo sempre era il più basso. 


27. cuR: soggetto, La nolva non lasciò 
mai vivero porsona; ma l'aomo deve 6 
ò Jusoiaro la selva. Tn altro parole: 
ita peccaminosa mena infallibilmente 
alla morte spirituale ed oterna; ma l'no- 
mo dlove e può lasciarla, ed allora ni 
salta. 

28. Por ON° fi PORATO UN POCO: Al. 
Poi cn'eni nirosato, Salle varianti] 
di questo verso confronta Moore, Crit., 
351 ng. KI forma aronica per ebbi (tia 


2), riaGoLa la parte Inferiore del pen» 
dio di quel monte. — DISRIETA : 

sione resondo tanto 1 

Md Rom. ILL, 12. 

20. ttt eoc.1 Paseo nasai controverso, 
Alcuni credono ehe Il Porta desoriva Il 
‘samminarene) piano, nol qual caso avevd- 
be dotto nua cosa che a° intende d 
Buse»O, prendo fermo neî significato di 
deatro,piaggia per costa di monte alquanto 
repente, o intendo che il Poeta volosme «sì. 
gariticare cho fl sno salire qui, como pet 
nel corriapondente monte del Fury., fosse 
& diritta », Ja quale tn 
rebboda preforisni a tu 


al uvonsoro esempi di fermo per deutro. 9. 


pludo di colui cho monta è quello di sotto, 
@a'd quelo cho sempre al forma, e sopra 
Quello si forma 0 conserva l'ossenza di co- 
Tai che ra; cenì per l'umiltado, 
Remmpre ' abaasa è fnelifwa, ad 
@ atabiliaco atato di salato di colui che 
lai pesatodo »; Famdgl. - « Pea aucto» 
tia, lidest affeetio, in quo magis adiuo 
erat Infimior, quod adhue 
pe] ferrena rellota aliqasutalam 
magie inolinabatur, qnamquam superior 
es nd superiora ascendoret, et siont 
Glandua shat »; Petr. Dant. = « Bimplici. 
ter loquendo, quando homo ascendit 
tiontom, pes Inferior mat illa super ovo 
fundaturet firmator totum corpus anlien- 
Hi; ideo diclt quod pes infertor semper 
erat firmior. Sed, moralitor loquendo, pos 


{nferior erat amor, qui trabobat Ipant 
ad infertora terrena, qui erat firmior et 
fortior abano ln 60 quam pes muperior, 
idest amar, qui tendobat ad saperna. » 
Pene. — Tutti gli autichi, che al fermano 
‘#01 senso lotterale di questo iuogo, inten» 
dono di un camminare in salita. Certo, 
inteso rigidamente e nasolutamente alla 
lottera, ll v. non patrebbe riforiral n non 
alcamminareln piano; ma poiché pioggia 
par che non posta interpretami se non 
come pendio(ofe. Bardi, Bull. XII, 253) in 
tenderemo 0 cha It r, significhi essoral lì 
Poeta incamminato su por la pendiee de-. 
serta con passo poritoso, timoroso; «he 
ciod egli nulla 4ì, ma il piedo più alto, 
{l piede che ni portava innanzi A tentar 
l'altezza era il mon suldo (D'Oeidio nella 
lanea per Norze Seherillo-Negri, 
Milano, Hoepli, 1904); 0 che sempre, sad 
ad ogni nuovo passo, Il piede fermo, eieà 
quello n oni xi mggora la persona, sen 
più basso del toogo cni era dirette e la 
cul andava a posarsi Il plede maventend, 
cun che il P. mirorebbe a rilevare eb'agli 
ste ad ogni passo guadegoara dn 


alt (Guerri, în Giorn. dant. XII, 


p. IT7 agg), Nè è improbabile che la 
piaggia debbusi distiuguare dall'erta del 
7. 31; pioggia potrebbe significare mn 
pendio dolce, a eni segua un'erta, cio 
un penillo ripido. 

V..31-00, Le tre flore. Montra il Ponta 
s'ingegua di salire il monte, tre belve 
ne lo impediscono, onde #' al vede, mal 
suo grado, respinto indietro, La prim 
una lonza (Linoe} Pantera} LeopantoTh 
la seconda ua leono; la terza una 
Questo tre fiore sono ovidentomente tolta 
dn Gerem. V, 8. Por quente tro belro 
che Impedilacono nl Poeta la salita det 
collo, tutti gli antichi, sonea una sola 
eccezione, Inteudono tre vizi capitali; | 
più: lumsaria, anperbia od avarizià, Al 
cuni posteriori : concupiscensa della cnr 
nie, dogli occhi @ superbia dalla vitai 
altri: incredulità, aupordia © filma dot: 
trina. T moderni Interpreti politici vide 
ro invece almbaleggiate qui tre potenze, 
Firenzo, Iranela e Koma, che ni eppo- 
Aoro alla pace del Posta. Altri ravesmano 
io esse la soporbia, l'invidia e l'uvasb 








8 [eROEMIO GENRE] 


Tur. £ 46-60 


[LE TRE FIBRE) 





dv = Questi parea che contra me venesae 

Con la test'alta e con rabbiosa fame, 
Si che parea che l'aor no temesso =, 

E d’una lupa, che di tutte bramo 
Sembiava carca nella sua magrezza, 
E molte genti fe’ già viver grame: 

Quosta mi porse tanto di gravezza 
Con la paura che uscia di sua vista, 
Ch'io perdei la speranza dell'altezza. 

E quale è quei che volentieri acquista, 


E giugne il tempo che perd 


lo face, 


Che in tatti i suoi pensier piavge o s'attrista; 
Tal mi fece la bestia senza pace, 
Che, venendomi incontro, a poco a poro 


Mi ripingova là dove il 


sequela super 
tax sorio». de peliica 31 leone rafigara la 
Pranela. 

46: ve:mane: voniaso; forma « tolta da. 
più antiehò iîviei » Parodi, Bull. IIT, 139 

AR: rianaR: Al v 
retremare, loziono troppo sprovvista 
di aatorità di cod. e comm. antichi..Cfr, 
Moore, Orit., 2063-04. 

ri la vista che mi apparve 


Boec., Bene., Buti, Am. Fior., Serras., 
Barg., Land., Tal, Yell, Geiti, Dan., 
Chat, sce. Pet | commantatori storico» 
‘moderni la Iuya è il simbolo di 
ua, omala della Cora papalo; « La 
Sompurea aimaltanoa del Leone e della 
Liopa vale ud indicare la lega di Filippa 
con Bonifacio, fomento di quel Gueli- 
ano che fo' viver grame molto geuti, è 
gramisaimo Dante»; Rors. Quando tutti 
Quanti gli antichi vanno d' accordo, con- 
Viene alare alla loro interpretazione, ore 
men si posa dimestrare com documenti 
sicuri 0 con argomenti indiscatibili che 
tntil amarrireno la verace via. 
10, spinta va: sembrava, essendo tanto 


magra. 
81, massi dolenti; Cfr, Jfatt. VII, 15. 
Atti XX, 20. 


1 tace, 


52, MIT FORSE TANTO DI ONAVEZZA < ml 
tarbò tanto. 
58: CU USCÌ4 DI SUA VITA: che ineo- 


di guadaguare la olma, Con questi versi 
efr.i rimproveri cho Boatrioe fa più tardi 
nl Poeta, Purg. XXX, 130 ogg: XXXIII, 
#3 agg: 

55. gu&I: l'avaro, desideroso di guar 
dagnaro, 

DI. mraxoR: «È dolore di aperanza por- 
data, dolore che non si spande in în 

ma contrista l'anima profonda- 
monte È io questo senso Danno spesso 
usato | poeti (come qui il nostro) Il verba 
Daute, nello Rime: '' Como 
pianga în lui (nel core)" 
{Cans. 14). Cino da Pistola: ‘* Lasso! di 
poi mi pianse ogni penalera Nella mente 
dogliosa '’ (Rim. 18); e Guido Cavalean- 
ti: L'anima mia dolente e paurosa 
Piango ”' {Rim. autie.]. TI qual concettà 
ritorna più volte nol Cavalcanti, o sem» 
pre con forma naova è meatamente gen: 
tile»; LL Vent, Simif., 303. 
, TAL: cos dolente. - sExTIA 1 lapo, 
s smza FACE: afr, Zaafa LVII 31, Ga 
tati V, 19-22, 

60. 1A: nella selva osoura. «TAUR: Dos 
penetra e non fa seatiro la sua benetica 
azione. Taluno vide qui, neo sappiamo 
con qual fondamente, no' allusione ab 
l'antica credenza, che il moto ilel solo 
‘ dello afero protaca save o dolce ars 
smonta 








Luv spauui u1 pariar sì largo fiume ? » 
Risposi lui con vergognosa fronte. 

« O degli altri poeti onore e lume, 
Vagliami il lungo studio e il grande amore 
Che m'ha fatto cercar lo tuo volume. 

Tu se’ lo mio maestro e il mio autore; 
Tu se’ solo colui da cui io tolsi 
Lo bello stile che m'ha fatto onore. 

Vedi la bestia per cui io mi volsi; 
Aiutami da lei, famoso saggio, 


non avova ancora vedato Roma, 
è onorarlo, come soleva onorare 
uomini. Invece Bambgl.: « Quia 
© tempore incarnationis divine, 
vdldioset in fide et sio non fale- 
vnatas pro salnto sua ». Ma Vir 
rto prima dell'Incarnazione, sa- 
to troppo presto, ansi che tardi, 
‘acciare la fede. 
am: nomo di alto valore. Cfr. 
rbarossa, Purg. XVIII, 119. 
sto: Ende, « quo iustior alter 
rte fait nec bello maior et ai 
r9., Aen. I, 544 
ERBO: « Ceciditque mperbum 
Virg., Aen. III, 2 8g. Cfr. 
T, 61 ag. 

‘dal lat, noria, pena, torme! 
la, cloò alla selva selvaggi 
ri: « Coloro che sanno, porgo- 
oro buona ricchessa alli veri 





















8, Ha: Al: HAx; Il grande a 
fatto cercare il libro per il lungx 
- VOLUME: l'Eneide. 

87. STILE: 1) dolos stil nuovo di 
sie liriche; Purg. XXIV, 57. 

88. BESTIA: lupa. Tre erano 
che si opponevano alla sua salita: 
ma dall'apparizione di Virgilio in 
menziona più che la sola lupa. For 
chè la lupa fa l'ostacolo più grav 
8. © forse per farci intendere 
sua descrizione poetica abbracci 
un periodo della sua vita interio 
voLsI: per ritornare nella selva 
ofr. v. 58 egg. 

89. raM0s0 saGaIO: alcuni codà. 
Land , eco. FAMOSO E BAGGIO, let 
dallo Z. F. 5 sg., ma troppo @ 

orità; eppoi l'aiuto è 
acoauto alla quale ca 








101-112 


Tit verro] 


E più saranno ancora, infin che.il Veltro, 

Verrà, che la farà morir con doglia. 
Questi non ciberà terra nè peltro, 

Ma sapienza e amore e virtute, 

E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. 


Di quell'u 


ilo Italia fia saluto, 


Per cui morì la vergino Cammilla, 
Eurialo e Turno e Niso di forute: 
Questi la caccerà per ogni villa, 
Fin che l'avrà rimessa nello Inferno, 
Là onde invidia prima dipartilla. 
ine Ond'io per lo tuo me" penso è discerno 


Fell., Gelli, Br, B., oc0.) Se pol In lpa 
fosso simbolo dalla Corto romana, i molti 
animali sarebbero altre corti, lo cul ar- 
sal sogliono seaoro animali, como l'aquila, 
fl envalo, il leone, eco, 

101, veLTRO: cane da caccia relosie 
simo. 

103 vannà: dunque non ancora re 
nuto! Ciò sembra escludere l' allualono 
mporsono rîrenti net 1300,» COx DOGLIA! 


Lo : tinco raffinato con nr 
ggsuto vivo; francese autico prautre, Qui 
pet argseuto ed oro, e metallo in generale. 

108, nArIENZA | sl comfromti questo rer- 
no com Tnf. LIT, 6-6, omerrando edo vir- 
Tute è su per giù lo stesso ehe potestate. 

105. TRA FALTEO: coloro che intendono 
di Cristo vonture spiegano: tra olelo e 
elet; oppure : «Inter aceleratorea Impioa 
al psccutores +; Zambpl. Que' che inten» 
deno di en personaggio indotertai 
ai parenti lassi ed ours. Quo' che 
ieodeno di Can Grande: tra Poltre, città 
della Marca di Teovigi (ofr. Par. IX, 52), 
è Monte Feltro nella Romagna. No! oi 
amocinmo al-Bosc., il quale confessa in- 
gencamonte di non Intendero. 

196. UmitLR: « bumilerque vidomus 
Italicm »5 Viry., den. LIL, 622 ag. Al. 
libtendemo f' Italia Laziale. to bla 
malate di tatto 1 rondo, non della sola 
Italia; omte non sembra motto proba- 
billo ehe uel Veltro Dante rafiguraaso 
Oriato. 

197, CAroninia | figlia di Metabo,ro dei 
Folssî; vergine guerriera che mori com 
battemito contro 1 'I'roiani, colebrata di 
irgllio, Arm, VIT, 803; XI, 535 agg. © 
Tsosai. 


108, Rukiato: giovine trolano, morto 
combattendo contro i Volsci; den. IX, 
179 agg. - TUnSO: principe dei Rotuli, 
ucciso da Enea; en. XII,in fino.=N0: 
Troiano, amico di Earialo, con oni mori} 
den. IX, 176 agg. = PERUTE: forità, 

111, rumas la prima iuvitia fa quella 
che fl serpente antico portò ad Adamo 
ed Eva; ofe. Sap. IL, D.= DIFARTILLA; 
lo mandò fuori. Danquo la Inpa use dal: 
l'Inferno a vonne in quasto mondo sin 
dai tempi di Adamo, Questa circostanza, 
menzionata espressamente dal Pot, 
sembra osciudere ogni possibilità di ve: 
dora nella lupa il simbolo della Corte Ro- 
mana. Alcuni però intendono prima por 
primamente. Ma quale invidia feoe uscire 
primamente, cioò in origiue, la Corte ro- 
mana dall Inferno! 

V, 112-196, La ela della satenzione. 
Dopo aver detto a Dante che la via sulla 
quale sì è mosso, non è la veraoa, Vir 
gilio gli dSchiara «ho sola via di walra« 
zione è Wl viaggio per l'Inferno ed lì 
Purgatorio, @ gli sl offro a guida. Bo poi 
dial Purgatorio vorrà salire al regno del 
bossi, un'asima beata vo lo guiderà. 
Dante risponde professandosi pronto n 
intraprendere il mistico viaggio; - L'ao- 
mo si Iusinga di potorai salvare da ad, 
mentre egli abbisogna di un doplioe di- 
rettivo; efr. De Afon. TIT; 18. N la via 
dolla satrazione è così fuoile, com' agi 
sl figura; comm mena alla contrizione, 
alla confesatano ed alla satisfazione | efr. 
Thow, 47, Sum. throf. P. LIT; Q0. XO, 
art. 2. Petr. Lomdand., Sentent. lib, DV. 
Dist XVI, litt, A, 

112. 3x0: meglio; pee Ta tun naluto: » 
DiscsRTO 1 giudioo. 





Trnoxmio Gexez.) Txf. 1. 118-134 Cna via veza] 18 


Che ta mi seguî, ed io sarò tua guida, 

E trarrotti di qui per loco eterno, 
Ove ndirai le disperato strida, 

Vedrai gli antichi spiriti dolenti, 

Che la seconda morte ciascun grida; 

E poi vedtai color che son contenti 
Nel fuoco, perchè speran di veniro, 
Quando che sia, alle beate genti. 

Alle qua’ poi se tu vorrai suliro, 
Anima fia a ciò di me più dogna: 

Con lei ti lascerò nol mio partire; 

Chè quello Imperador cho lassù regna, 
Porch'io fui ribellante alla sua legge, 
Non vuol cho in sua città per me si vegna, 

Tn tutte parti impera, e quivi regge; 
Quivi è la sua città e l'alto seggio: 

0 felice colni cui ivi eleggo!» 

Ed io a lui: « Posta, io ti richeggio 
Por quello Iddio che tu non conoscesti, 
Acciò ch'io fagga questo male e peggio, 

Che ta mi meni là dove or dicesti, 

Si ch'io veggia la porta di san Pietro, 


&. Oater. da Gen, Trat. del Purg. C. 
efe. Purg. XXD1, 78 

122, AXDIA fTÙ Droxa: Beatrice. 

123. com La: infatti Virgilio abbam- 
duna Dante all'apparire iti Bentricor 
ele. Purg; XXX, dî agg. 

13. imrmapon: Dio; efr. Par. XII, 
40} XXV, AL: — Lassò: nel Paradito. 

135 mskraste: non arendoîo ado- 
rato ‘dabitamento; cfr. Juf. IV, 38. 

198. urrtà: il Paradiso; ofr. Srat 
Xi. 10, 10. Apoosi. XXLII, 14. 

127. ranmi: di verso, — KMIPRIA | 
governo mediato, - MOL: goverso im- 
mediato. « Il cielo è il trono di Dio, e la 
terra è la scanne!lo de' usi piedi » ; Zaia 
LXVI, 1:.et. ILI Rep. VIII, 27. 

132, QUESTO» fl male temporale, = ro» 
4103 Îl'ssalo eterno. 

134 conta | del Purgatorio, ofr. Purg. 
TX, 76 sgg., H col angelo portera è 
detto Vicario di San Piotre. Al: La par- 
ta itel Paradiso, cotmmessa alla 
di San Pietro. Ma fl Paradiso dantesco 
non ha varuna porta. Al1La porta dal 





22 uve a ArROIIO, pat 
-- ese vuo quelo di vedere. essa chiunque spera (ed è spera 
satorio». Virgilio gli ha detto di di salire quando 7a ala allo be 
terio guidare che sino al Purga- Cfr. Fnciel. 154 





CANTO SECONDO 


PROEMIO DELL'INFERNO 


SGOMENTO UMANO E CONFORTO DIVINO 
LE TRE DONNE BENEDETTE 


Lo giorno se n’andava, e l’aer bruno 
Toglieva gli animai che sono in terra, 
Dalle fatiche loro; ed io sol uno 

M'apparecchiava a sostener la guerra 
Sì del cammino e sì della pietate, 
Che ritrarrà la mente che non erra. 


Preludio ed invonnsie=- ® È 





18. [rRORMIO 1NP. 


Tn. n. 57-72 


Dil conroRTo] 





Con angelica voce in sua favella: 
‘O anima cortese mantovana, 
Di cui la fama ancor nel mondo dura, 
E durerà quanto il mondo lontana; 
L'amico mio, e non della ventura, 
Nella diserta piaggia è impedito 
Sì nel cammin, che vòlto è per paura; 
E temo che non sia già sì smarrito, 
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata, 
Per quel ch'io ho di lui nel ciel udito. 


Or muovi, e con la 


parola ornata 


E con ciò c'ha mestieri al suo camparò, 
L' aiuta sì, ch'io ne sia consolata. 

To son Beatrico, che ti faccio andare : 
Vegno di loco ove tornar disìo: 
Amor mi mosse, che mi fa parlare. 


grazione, a piana, cioò modesta, e come 
persona grave») Gelli. 


; quale 
Sta lesione. Probabilmente Dante vallo 
diro: Dura nel mondo e durerà quanto 
sato mondo (Metri), Ma potrebì 

che aver detto: Dura ancor nel mondo 
e digrerà: quanto @ moto, Dicono cho il 
moto "inner fn eterno: anche la fama 
di Virgilio non al spegnerà mal, almeno 

Inf. IV, 


nitro #ra Giort., Prot. I sulla G 
«Le coso ehe futuno f prima creato, 
como è lì cielo, gli angioli, gli el 
Atarasino oternalmente; Il mavim 

Il tempo no ». Cfr. sopra queato verso 
2. P. 11 eg. Moore, Ont., 270-273. 
primo propugna la feziono Moxno, il m- 
‘condo oro, In realtà così dall'una come 
dall'altra lezione ui ricava na ottimo 


nenso. 

&L L'amnco: amato da me, noi dalla 
fortana, la quale infatti non fa molto 
amica del Poeta, Altri: Mo ama, nem 4 
beni estrinsechi a mo, Ma Beatrice afer= 
mtrà più tardi per l'appunto il contrn- 
rio, Purg. XXX, 1% agg., ofr. XXXI, 
Bi ag. — Fanfani: « Amico è colui che 
nina ». Ji anche colui che è amato. 

62. miAGgIA cfr, Inf. 89, - FOTO: 
of, Fry. I, 36. 


04. sì amantIto : efe. Purg. XXX, 196 
MER 


Nella Commedia Bostrico è principal 
‘nto personaggio allegorico. Chi ne Mm 
nessi delta Teologia, chi dell'Intelti- 

| attiva, chi dell'Anima tendente a 

Bio collealidal'amore, chi della Sspienza 
religiona, morale o civilo, chi della Vita 
contemplativa, ehi della Vistono intima 
dell'artista, chi della Rivelazione, chi 


della Grazin perficiente, chi della Chie 
simbolo 


na, oco. Dal Paradiso tet 
dolla bentitadino di questa vita (DeMon. 
ILL, 15), Beatrice guida Dante al Para- 
diso celeste, che figura la bentitudina di 
rita oterna libid.). La guida a quest'al- 
tima è l'antorità scolesiaatica (ibid. ott. 
Cono, IV, 4-6) operò Beatrice può er 
acre aimbolo dell'Autorità ecclesiastica, 
Aa, dovendo l'autorità. dre 
saro ’aomo allà felicità spirituale necop- 
do le dottrino rivelate (ibid.), coma è ale 
trusd la figuraziono In terra dalla Teo 
logia. Ondo Beatrice, appunto perchè 
simbolo della Spirituale Autorità, è para 
simbolo della Scienza Rivelata. Ofe. 
Kraus, p. 453 ® sog., dove nono esposta 
bd essminato lo diverse opinioni. 

72, Azioni è dunque lei ch ama, efr. 











20 [rroEMIO IF.) 


xp. 11. 92-105 


[ik cosFoRTO] 





Che la vostra miaeria non mi tange, 

Nè fiamma d'esto incendio non m'assale. 
Donna è gentil nel ciel, che si compiange 

Di questo impodimonto ov'io ti mando, 

Si che duro giudicio lassù frange. 
Questa chiese Lucia in suo dimando, 

È disse: “ Or ha bisogno il tuo fedele 

Di te, ed io a te lo raccomando. ”* 
Lucia, nimica di ciascun orudele, 

Si mosse, e venne al loco dov'io era, 

Che mi sedea con l'antica Rachele, 
Diase: “ Beatrice, loda di Dio vera, 

Chà non soccorri quei che t' amò tanto, 

Che uscio per te della volgare schiera? 


92. TANGR: tocen, cioè travaglia o prn- 
oi efr. Petr. Lomb., Sent. lib. IV, dint. 


P. LIT, sappì. qu. XCIF, art. 2-5 
XOVIÎI, art. 0, Secondo ‘gli Scolastici, 
la giole doi beati non sono menomamente 
turbate dall'aspetto delle pene del dan 
nati, che esei, non vedati, possono vedere. 
DI, MANDA 3 « La flammma aua non com- 
Dbureb lantos »; Eeeles, XXVIII, 26, — ix 
ciano : Beatrice parla del dannati e del- 
l'Inferno In gonorale, non del solo Limbo, 


XXXITI, 16 #g., simbolo, como si 

visano 4 più antichi commentatori, del 

(Grazia proveniente. Le tro donna beno- 
l'antiteni delle tre 


ile pota qual auctor nen nom 
no lstam dominam primam, quia iuta uao 
a advavit homin) scculte, quod non 
Pendit »; Zeno. Taoo fi nome della V 
igina como quello di Cristo in tatto l'In- 
Jerno, perchd questi nomi nono troppo 
Mori al profanersbbero pronnoziandoli 
Tagratti mel Inogo del peccato, 

9%. aumeo della divina Giontisia. 
Gludicis valo Sentenza. yKanGK: piega. 

WI. Lucia: probabilmente la martire 
ui Simonsa, salia quale ofr. Brev, Rom. 
‘84 19 Decerm, Secondo alouni, Santa Lu- 
ela Ubaliini, sorella del cardialo, 7nf. 
DX A50, Allogoricamestn: la Grazia (liu: 
uuinanto. Cfr. Kraue, p. 447 4g. 

DE. skbkLE: Jnota, ta Siracusano, mì 
fnvosa da chi enffro mal d'occhi, et ae 
‘obo Dante no eciferso dine volto (Y. N. 
@ 39; Cone. III, 9), onda lo era form 


particolarmente devoto. Secondo alcuni, 
Dante al dirobba fedele di Lucia, 
fo avverso alle dottrine det Pelagiani, 
100. WMxica: <odio ogni oradeltà carme 
quella cho sofferse ingiusto dolore »; Dom, 
= «Ma questo sarebbo a dirsi di tutti i 
inrtiri. Meglio, forso, perchè, secondo 
Salomone, Dio darà grazia al manauoti»; 
Pas: = «Gratia olmica cotastibet dospe- 
rantin, qui non mdmittit gratia. Nullma 
est anim oradeltor co qui deaperat de 
gratia Del»; Hene, Varamento il Poeta 
onfensa, 1, 34, che aveva pordato Îa ape: 
‘acta non gli era certo nemica. 
102. Racatutk: figliavla secondogenità 
di Labano, moglie del patriarca Giasob- 
de, almbolo della vita contemplativa, 
mentre Lia, sa sorella maggiore, ves 
moglie di Giacobbe, è almbalo della 
sita atlva. 
109. LODA: lode, « Quando passava per 
la via, lepemone correvano per vederla... 
ud 


V. N. cap. 26, - « La santa Teologia, con 
la groaia comperanto è consmmente me 
compagnata vempre, leda Tddio vera 
tento 6 nom Outemente, ovvero mel: 
l'esercizio dello attività, ovearo nel ri 
peso della contemplazione »; Butî. 

105, nscìo: « foggì dalla pastura del 
volgo »5 Come, 1, 1. LI Posta eraal dato 
tutto quanto agli stadi per rendermi atdie 
a pariare degnamento di Beatrico, dum 
qua por amor scio, PN, n 42, E no pol 
i suol stodi To traacinarono nella seloa 
osura, rimanera pur sstupre fero ehe 
vi si era dato per Healrico, 





tì arzzan tutti aperti 1n loro stelo; 
Tal mi fec'io di mia virtude stanca; 

E tanto buono ardire al cor mi corse, 

Ch’io cominciai come persona franca: 
< O pietosa colei che mi soccorse ! 

E tu cortese, che ubbidisti tosto 

Alle vere parole che ti porse ! 
Tu m'hai con desiderio il cor disposto 

Sì al venir con le parole tue, 

Ch’io son tornato nel primo proposto. 
Or va’, chè un sol volere è d’ambedw 

Tu duca, tu signore e tu maestro. » 





CURAN DI TE: son tae avvocate. 
PaRLAR: If. I, 112 gg. - BEN: 
reailo beato genti; Zny. I. 121 agg. 
27-142, GUI offotti salutari del 
to divino. Dopo che è stato no- 
nente aanicurato del soccorso e del- 
tenza celeste, lo smarrito riprende 
fio. Egli esprime la sua gratitu- 
+ V., © sli dichiara oramai pronto 
deroso di intraprendere fl viaggio 








stogl 
quar: «è modo avverbiale, usato 
te dal Poeta nelle comparazioni»; 





né., Simil. 141. - NOTTUBXO ORLO: 
tte figura l'ignoranza e l'errore; 
XIII, 12 6 I Tess. V, 8; il gelo, 
ncanza di fede e di carità ; Apocal. 
5-16. La similitudine è quindi as- 
riante. 


Meranca : rischiara con la sua 
i Inna mattinala. nf Peron TY 


138. COLEI : quale delli 
come si ha dal versi seg 
altre due ebbero cura d 
Beatrioo disoese dal Ciel 

134. CORTESE: « corter 
tatt' uno»; Come. II, 11 

135. vanr: ofr. Par. 
vers parole sono eviden 
dei veral 61-66, onde Da: 
qui le sue aberrazioni. 

186. DESIDERIO: d'intr 
stico viaggio da te pro; 

137. PAROLE: ricorda 
lente, 

137. PROPOSTO : propor 
Inf. 1, 130 184. 

140. Duca: col seguirò 
vo' nbbidiro. — MARATRO 
ascolto. « Tu duce, quan 
tu signore, quanto è al 


nà a comendena: a der me. 











DA [PORTA INFERNALE] 


Txp. un, 9-22 


[anvRaTA] 


LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH' ENTRATE! 
Queste parole di colore oscuro 

Vid'io scritte al sommo d’ una porta; 

Per ch'io: « Maestro, il senso lor m'è duro. » 
Ed ogli a me, come persona accorta: 

« Qui si convien lasciare ogni sospetto; 


Ogni viltà convion che qui 


sia morta. 


Noi siam venuti al luogo ov'io t'ho detto 
Che tu vedrai le genti dolorose 
C'hanno perduto il ben dello intelletto. » 
E poi che la sua mano alla mia pose 
Con lieto volto, ond’io mi confortai, 
Mi mise dentro allo segreto coso. 
DI) Quivi sospiri, pianti ed alti gnai 


10, COLORE OSCURO: apparenza, 0 sn0- 
no, Ingubre, Al,: scritte con inchiostro 
nero. — «Le dettero în Inogo chi 5 
ate, a voler oasoro ben vodnte, conve 
gono essere di colore oscuro e nero, ma, 
«n sono pesto în Inogo oscuro, conven: 
gono essere di colore chiaro © blanco. 
Taonde veggasi Dante como abbia fatto 
bene a fare lo lettere osenre in Inogo 
Gnenro par voler col senso loro spavon- 
tara Ii lettore»; Cast. 

31. scgitta: da «bi! Darante il sno 
wlaggio per l'Inferno | demoni procurano 
msspro di farlo tornare indietro; onde 
dovremo arguiro che i demoni scrissero 

questo parete, che vorsmante conter 
una verità diabolica. Almeno per Dante, 
Game par quel molti, Iw/.1W,01, il larciate 
ogni speranza non era por niente 
1) concetto: Non penetrare nolla con 
templazione del peccato, della ua ve- 
race natarm e delle sne conseguenze, non 
è certo di origine divina, 

12. DUNO: grave, penoso, che afliggo, 
rattrista, angustia, sconforta l'animo. 
«La santeosa importata per qu 
alè anì è dura; nem dico dura, perch'io 
non la Intendo, ma dura è, poreochè 
dura cosa mi pare ndir che jo debba en- 
Leare fn Inoxo di eterno dolore e Insciar 
la speranza di uscirno mai fuori»; Barg. 
Cfr. Be. & Giov. VI, 61: « Durus est hic 
sommo ». 

13. AcCMXTA + conoscendo le astozie in: 
frati. 

3 QUI! mel luogo del pescato e dell'in- 
guano. - SORFETTO: timore, debitazione, 


16. pero: nel Canto I, 114 agg. 
18 1 DELLO INTRULITTO : la 
cognizione è l'intalzione di Dio: elr. 
Petr. Lomb. \b. V, dint. 49 A. Them. 
49, Summae theolog. P. 11, suppl. 
XOIT, art, 1-3. Gioe, XVII, 8, «Il 

1l Beno dei 


sero 1 nostri antichi il mondo 

E perviò el Resh di Prancia ai died 

(Ub. I, e, 64): E poîehè veduta l' aerò, 

allegra io ierrò: è morendo gioriota, 
vegreto com dell'altra rita andrò »; 


V. 22.00, Igmans ed angoli neutri. 
Appena entrato nol vestibolo, Ml Ponta 
odo un gran tutanite di sospiri, di pianti, 
di lamenti, di Iingao diverse, di favelle 
spaventovoli. Qui sono 1 vili, minchinti 
agli angeti neutri, Vodo è riconosce uno 
d6' prismi, quindi non gli occorrono uil- 
toriorì schisrimenti, Ignudi © stimolati 
da monconi 6 da vespo, sono condannati 
a correr dietro ad ma bandiora che non 
resta forma tin momento, onde non ban: 
no mai posa. Essi, che furono Indelenti 
al malo come al bone, poltroni è buoni 
a nulla, casi, che nel mondo si compine- 
quero solo dal dolce fur niente, tn ciò 
che ambirono, sono tormentati. La ban- 
diora non a'arrosta mai, ed emi, che 
vorrebbero sopra ogni altra cosa goder 
quiete, devono correrlo dietro, 

22. qual: dolorosi lamenti. 











28 [vsstinoLo] 


Tyre. ni, 87-54 





n Mischiate sono a quel cattivo coro 

Degli angeli che non furon ribelli, 

Né fur fedeli a Dio, ma per sò foro. 
Cacciarli i ciel por non osser men belli; 

Nè lo profondo Inferno li riceve, 

Chè alcuna gloria i rei avrebber d’elli.» 
Ed io: « Maestro, che è tanto greve 

A lor, che lamentar li fa sì forte? » 

Rispose: « Dicerolti molto breve. 
Questi non hanno speranza di morto, 

E la lor cieca vita è tanto bassa, 

Che invidiosi son d'ogni altra sorte. 
Fama di loro il mondo esser non lassa; 

Misericordia e ginstizia li adegna: 

Non ragioniam di lor, ma, guarda o passa! » 


Ed io, che riguardi: 


Cho girando correva tanto 
Che d’ogni posa mi pareva indegna; 


89, xonO: furono; non À apocope di 
farono, ma voce Intera in sò stoana. Foro 
‘eSuoro)fu adoperato anticamente spesse 
volte anche ta prosa; ofr. Parodi, Bull. 


TIT, {81. - Suppone che, quando Luol- 
fer ni ribellò contre Dio, alcuni 
rimaneasero neutrali, volendo vader l'osi- 
taddella lotta, prima di decidersi. Ta con- 
‘cottonfflno fa espresso fin dal terzo 
da Clomenta Alessandrino, Strora., 
‘qual fonte Dante attingomse, non ai 
40, cacviAnti: gli soacclarono, 
GLAM] chel gli diecacciarono una velta 
per sempre; « Frolectna est draco file 
magone, ob angeli eian cum illo mimi 
munt »; Apoeaì. XII, 9. Ma lo profondi 
ricuna continuamente dì ricer 
hà, emnendo intidioni d'ogni altra sorte, 
nudrebbera ih, si fuse loro concesso. 
Oîe. ZF, 16,- MEX DELLI: non sared- 
hero perfetti, = cmeri senza carattero 
si aveasero albergo. 
#3. ALcuxa: qualche, Al paragone di 
questi dappoco gli scellerati energici po- 
ro veramente glorlarai di ossero 
di loro. AI: Ninna, Ma nolle opere 
d adeuno non ha mai il sonto di 
Miumo, efr. Inf. XII, 0, Inoltro, ne il 
Inferno non Hi riceve, ciò non 
pre che per non dar motivo al 
swmntaral. > muut i lat. 4Ui; 
Toro; re Bull TIT, 122 ag- 


40, xox maxxo: non l' ha nessuno nol 
ferree 
dero con giola, A vendo la coscienza della 
loro assoluta nullità, sarebbe por questi 
poltroni © vili un gran conforto, se por 
tessero sporare di ritornare quando che 
sia nel loro elemento, nel nulla. 


Ar 
x, 58; XX:VIL 25, 0co. « La vità cli'eesì 
conducono come clochi în quell'aria sen- 
am atollo »; Betti 

48. D'oos1 autIA sONTE: dunque anche 
dolla sorto di quo' ehe sono nal profondo 
Inferno, Vi andrebbero, ma asso nom lt 
riceve. 

49. Lasta: lascin: nel mondo men è 
rimasta di loro alcuna memoria. 

50, Ìmsemiconia : polehò non ll vuole 
nè il Paradiso nò il Pargatorio; Grosri- 
ma. perchè li ricuan anche l' Tuferno, = 
aDBora: rigetta, 

52 esnaxa: stendardo, bandiera. + Quia 
omnes Anti ribaldi trabunt ad unum al: 
pous, hoo discerountue aut distioga: 
antor lnter so »; Zene. lar | mutaban- 
diera ci volova la bandiera. Ema gira 
sompro e mampre corre ; © gl'ignari dio- 
tro! Il loro carattere è la loro pena 

13, GIRASDO CORKEVA: correva ni 
torno. 

54. meoitoxa: allena, sdognante. Al: 
Tnimeriterolo, 








Tn. in, 65-80 


28 [vestinoLo] 





Erano ignudi e stimolati molto 
Da mosconi e da vespe ch'eran ivi. 
Elle rigavan lor di sangue il volto, 
Che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi 
Da fastidiosi vermi era ricolto. 
E poi che a riguardare oltre mi diedi, 
Vidi gente alla riva d'un gran fiume; 
Per ch'io dissi: « Maestro, or mì concedî 
Ch*io sappia quali sono, e qual costume 


Le fa di trapassar parer sì pronte, 
Com'io discerno per lo fioco lume. » 
Ed egli a me: « Le coso ti fien conte, 
Quando noi fermerem li nostri passi 
Su la trista riviera d’ Acheronte, » 
C) Allor con gli occhi vergognosi a bassi, 
Temendo no ’1 mio dir gli fosse grave, 


Betrimento dico questo cotal riltssimo es 
nere morto, parendo viro.... Veramente 
morto Il malvagio uomo dire ai può. 
Vivere nell'uomo è ragione nsare. Du 
ju0 ae vivaro è l'onsere dell'uomo, e com 
quello uso partire è partire da essere, 
è con) è esuore morto, » Cone. IV, 7. 


mala gonoran nr ex pulrofactiono et aa: 
perfinitate, fdeo bene cruciant istos mi- 
Reroa »; Bene, Per la bagsezza d' 

mon occorrono grandi tormenti ; bastano 


alcano puntaro, fonser puro di lingue 


“volgari. La bunsorsa itei foro scopi è 
simboleggiata noi vermi che raccolgono 
fi loro sangue 6 lo loro lagrime. 

09, veraci JI annuo di questi sommi 
etoî, versato nolia terribile guerra con- 
ro nemiol tanto formidubili, quali | mo- 
Weoni è le vespe, non toraa a profitto 
cho n rormi schifosi, 1 quali van serpog: 
Rando a' loro piedi: Ond' essi, dei quali 
mon o'è altro da diro, so non 
fatti pato dei vermi, sono adoperati alla 

secondo la loggo dell'economia 

Maturile. Ofe. Graw, 19. 
V. 70-136, Lt puaso dell'Acheronto. 
gionti alla riva di un gran fame, 
primo dal fiumi inforpali, LA conven» 
tto quante le animo de perduti, 
to da Caronte all'al: 
«xl loro Inogo » 


Ma Virgilio gli ricorda fl volere sopre- 
mo, onde Caronte afoga l' impotente sna 
ira ‘battendo lo anime dei dannati. Vir 
gilio conforta fl suo alunno owserrando- 


mi improvviso la terra è 

acosma da tn terremoto: al terremoto 

succede un baleno, 0 Dante cade tomo 
n0 preso dal sonno. 

riume + Acheronte, 0 fiume det do- 

, per fl quale, secondo lo credente 

antichità classiva, Je anime so ne 

Îlo pen infernal! efr: Virg., Atti. 

VI, 107, 295; VII, OI, 312, 6007 

XI, 23 Dante uttinso amplomente alla 

mitologia antica, fsoendone però uso da 

poeta cristiano. 
cOWruME: pooticam. per Ordine 


stabilito, Prescrizione, Legge; ofr. Saf; 


XIV, 21. Purg. I, 80. 
TI. DISCO | #0 il lume ema fioco, ll 
Poeta non poteva leggero loro ln volio. 
Bisognerà dunqao supporre, che quelle 
povere anime ai affolluasero gareggiando 
pee entrare primo nella barca di Caronte. 
-r1000 : dabole, languldo. « Como è oscura 
al intender la voce fiocn, così aî può dite 
lo lame foco, quando non è chiaro ; come 
la voce floa, quando non è hara +; Butî. 
70. core cognito, palerd; ofr.v.121 agg. 
Ta. TUISTA: doloroma. — ACWERONTE : 
è IT fiume del 7. 71. 
80. TRMIEEDO NO "i! temendo che; Il 
dat, vereor me. Al.: TEMINDO CIUL = GIA 
vE: lnportono, 








80 [vestIBoLO] 


Cangiar colora e dibattero i denti, 

Ratto che inteser le parole erude. 
Bestemmiavano Iddio e i lor parenti, 

L'umana spezie, il luogo, îl tempo e il semo 

Di lor semenza e di lor nascimenti, 
Poi si ritrasser tutte quante insieme, 

Forte piangendo, alla riva malvagia, 

Che attendo ciascun nom che Dio non teme. 
Caron dimonio, con occhi di bragia 

Loro accennando, tutte le raccoglie; 

Butte col remo qualunque 8' adagia. 
Come d'autunno si levan le foglie 

L’una appresso dell'altra, infin che il ramo 

Vede alla terra tutte le sue spoglie; 
Similemonte il mal seme d’Adamo 

Gittansi di quel lito ad una ad una 


lo»: Mlane, Cfr. 0, VIZl., Oron, 


Pini x 
FILI, 70; altri aveano fyura d'anime 
igmude [noila rappresentazione dollo pene 


ladernali, fatta aol ponte alla Carrnia 91 
1 maggio 1304). 

10î. Caxarkn cOLORR: tramortiron 
T corpi aerei lnnno non solo la for 
ma anche Il coloro del corpo material 
Ge. Purg, III, 31 eg; XX 
= binatmano: ofr. Matt XIII, 4: «ID 
aelt.... atridor dontium ». 

102. matto cuR! snbito che. — rarotn: 
*, 8547. 

109, Tuoro: conforme la dottrina sco- 
Iastica, che 1 dannati iuvelmeo 
più contre Dio, quanto più sono col 
dalla Sna giustizia Cfr. 
tdi 13, 11, 19, 4. Inoltre essi maleitcono 
gli antonati, 1 genitori, tatti gli vomini, 
3ì luogo ed Îl tempo iu eui, ed Il serse 
adi cul furono gonarati e nacquero. L'idea 
È tolta ila Giobbe ILL, 5 agg. è da Gere- 
nia XX, 16 agg, Lì some di for semenza 
mono È progenitori; il seme di lor nasci: 
menti { genitori. Maledicono d' umana 
Apecie, porchò vorrebbero tesoro bruti, 
Ja 0a! anima muore col corpo. Vorreb: 
bero Insomma non eror mal nati, vd 
metere nati anfmali bruti. 

108. urtuAMIER: AÎ.; RAGCOLARR. — tR- 
Biba: non essendosi neparate dal corpo 
Del medesimo Istante, eran venuto l'una 
dopo l'altra. 

108. ArTENOR: » la riva d' Acheron 
Mipotta einseun che ton temo Dio. Chi 


non temo Tddio è dannato, et ogni dan- 
nato è aspettato da qulla riva »; Put. 
nooesi d'ira, 
nella sua nave 
A motto fa posttera più 


sono tanto pronta a tran 
pi so, sproonei dalla divina 
giustista, doslitorano di trapaszar lo rio, 
7. 1% agz.. ose nom fanno certo nllagiò 
ad ontrare nella barca. «Sadagia, a be 
dere o in altra guisa»; Boce, = « Retar 
re +, PI Non va tosto »; Ziuti. 

« Poreutit remo quemeumque tandan- 


Altri antichi n0n sl curano 
apiogazioni. 

112. com 1 aimilit, tolta da Vîrg., dem, 

VE: 200 agg. Ctr. Tx Vent., Sim: 182/18 


«Edi 
nd ecelum ramie felleibus arbor Miratatr= 
quo novss frovdes et pen sua poma. Al. 
RESDK ALLA TRRRA, lezione che fl Mor- 








‘82 [cromo rximo] 


Typ. iv, 1-2 


ThA mocaLitÀ] 





doll'Acheronto.Como rÎ arrivò } Dal Puri 
fn pol è opinione comune, «be durante Îl 
tonno fl Poota fosse portato all'altra 
lo, oplalone che dicono 

passo tatto simile Inf. 

Agg., come puro dal piso Piery. 


nocondo al rasconta come Lacia traspor: 
1ò in alto fl l'osta durante il suo nonni 
Porshò in questo Inoge non al fa la mi 
nima menzione di un angelof Non ni ha 
fiiù cha vento, baleno è tuono, ma non 
‘tn solo attributodogli angeli. Veramente, 
delle primo Caronte «i rilatà di ti 
tare ll Poeta, ma si acquetò poi, ndite 
lo paroto di Virgilio; od i verai 97-09 po 


trebbero far supporre ehe in fatti Jo tra» 
gittanse. Se, dopo avor detto che Caronte 
si noquetò, Dante aveame voluto necen- 
mare ad on passaggio diverso dall'ordi- 
mario, operato per mosso di un Angelo, 
dovnammo veramente aspettare! qualehe 
cos di più che terromoto, vento, baleno 
olo stordimento dol Poota. Ma, dato Il 
allanzio amolnto di Danto circa fl suo 
passaggio, tatte le ipoteal fntte paiono 
destinato a restar sempre ipotesi, © nulla 
più. Allegoricamente, Gioe. 

vento spira dove vuole 

odi, ma non sai d'ondo venga, nò dove 
vada: così avviono a chiunque è nato di 
Apirito ». Il Poeta descrive qai 1 primordi 
della ama nascita di apirito 


CANTO QUARTO 


CERCHIO PRIMO: 


IL LIMBO 


INNOCENTI, PATRIARCHI % DOMINI ILLUSTRI 


(Non banno pene posilra, tn 


olo privazione della beatitadinà 


di cal mentono Il desilerio ma non la speranza) 


Ruppemi l'alto sonno nella testa 
Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi 


V. 1-24. La località, Va greve toono 
che rione dall'abiaso, m la eni proda | 
Abe viandanti si ritrovano, sveglia il 
Preta dal ano profondo sonno. SI guarda 
ReBtcoa: e Hi aevgga di sere vello: 
forno, Confortate da Virgilio, che non sa 
nascondere Il proprio turtasmosto, pro 
legna viaggio. alora nel primo cer 
Infernale, cena nel Limba. Del dun 
Litobi degli Scolaasici, limdue 
‘patrusa (ofr. Thom, A9., Stura theot. 
FT: 150, weppi, go, LEE. art 1 egg; 
Bcf i Dante ne fece mm slo, ponendo i 


restato dg ignis ITA 


Poema rimandiamo uns volta per tali; 


per l'Interpretazione cfr. erp n 
Limbo Danterco, Studi flonofick & 
Loi Frate 1898, 
+ profondo, « supor alta »; 
VII, 27. 








3 [cerenio PRIMO] Tap. iv. 22A0 





e Andiam, chè la via lunga ne sospigne! » 
Così sì mise e così mi fe' entrare 
Nel primo cercbio che l'abisso cigne. 
Quivi, secondo che per ascoltare, 
Non avea pianto ma’ che di sospiri, 
Che l'aura eterna facevan tremaro; 
Ciò avvonia di duol senza martiri 
Oh'avoan le turbo, ch'eran molte e grandi, 
D'infanti o di femmine e di viri. 
Lo buon maestro a me: « Tn non dimandi 
Che spiriti son questi che tu vedi? 
Or vo' che sappi, innanzi che più andi, 
Ch'ei non peccaro; e 8'elli hanno morcodì, 
Non busta, perchè non ebbor battesmo, 
Ch'è parto della fede che ta credi; 
E so furon dinanzi al Cristianesmo, 
Non adoràr debitamente a Dio; 
E di questi cotai son io medesmo, 
do Per tai difetti, e non per altro rio, 


Dantazco, MII 1893. - PeR TRMA BRNTI: 
interpreti, giudichi como timore. 

28, sosriost: nd affrettarci, 

28. com: vos) dicendo, = st win: en 
Urò primo, Al.; MI MISE: #1 MOSSE, 006, 
Ce. Aeore, Orit., 27 

V, 2545, GU Innocenti, Sono nel 


della Dentitndino, quindi sewpiri 

denza martiri. Qui torbo molte e grandi 
di morti senza battesimo, non per altro 
etclusi dal elelo, che per mancanza di 


fado, Sant'Agostino: «CI creanti, 0 Dio, 
& to; ad loquieto è fl enor nostro, finchè. 
Fipesi in to». Nel mondo di la questa 
Juquietadine è eterna, Chi non consegui 
It fino ano nel tempo, nell'eternità non 
fo consegue più. 

Î5, AICONDO CIIE PER ASCOLTARE: por 
Ipoalicha sì potora giodicare ascoltando, 

edero-non si poteva, eesendo troppa 
l'oscurità. 

6. Ma'cms: più obe; lat. magie quam ; 

mat que. AL: PIANTO O Mal cats 
Z. P, 10 ag. Batti, L 24 

#0, moLTE: molto Je turbe, ed ogni 
tarda grande, comprendono oguuna di 
steso grando quantità di anime. Al: cui 
RAN MOLTO ORAWUI; confe, £. P., 20 ag. 


TT: lambini morti misura bat- 


rada. « In Inogo di wo, nari, ma 
stichi diceamo ando, amd 


imo è detto janua racramentorum. Ma 
E Dicono inoltre, che la 
fedo do' erintiani non ha diverso parti. 
ha diversi articoli ! « Gil articoli 
dolla fede son dodiet, do' quali dodiei è 
il battesimo uno»; Bee, = « Il batteistino 
è uno degli articoli dalla fede »; An, 
=  Naptiamuo ont artieutos Adel, 
4 por consequens pars» è Bene, Secondo 
Ja gran magyziorenza dei codd. e dei 6om- 
ment. antiohi, Dante serie PARTE. Sem- 
bra anzì che nessun ced. abbia PORTA: 
ctr. Moore, Crit,, 25, nt. 36, Pmotel, 1644, 
IR. DEMTAMENTE: vendo credatò. 
ia Cristo rentaro: Par. XXXII, 3 
Cite. Giov. XIV, è, A IV, 13. — a Dio? 
il verbo adorare tn antico reggeva il dan 
tivoi v, Mardi, Bull. XXI, p. 890, 
40. DIFETTI: mancanza dii battesinno e 
dl debita adorazione di Dio, - nto: reltà, 
colpa; ele. Purg. VIT, Togg., 25 agg. 





menzione di un angelo! Non si ha 
10 vento, baleno e tuono, ma non 
vattribatodegli angeli. Veramente, 
prime Caronte si rifiutò di tragit- 
1 Poeta, ma si acquetò poi, udite 
‘ole di Virgilio; ed | versi 











più. Allegoricamente, Giov. 
vento spira dor vuole; © i 
odi, ma non ssi d'onde ven 
vada: così avviene a chiangi 
spirito ». Il Poeta descrive qu 
della ona nascia di spirito. 











CANTO QUARTO 


CERCHIO PRIMO: IL LIMBO 


INNOCENTI, PATRIARCHI E UOMINI ILLUSTRI 


(Non hanno peno positiva, ma solo privazione della beatitué 
di cui sentono 1) desidero ma nou la speranza) 


Ruppemi l’alto sonno nella testa 
Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi 


1-24. La località, Un greve taono 
viene dall'abisso, su la cul proda | 
viandanti ai ritrovano, sveglia il 
ta dal suo profondo sonno. Si guarda 
rno, e si accorge di essero noll'In- 
fortato da Virgilio, che non sa 





Poema rimandiamo nina vo 
tra i tanti, al lavoro già 
Agnelli, Topo-cronografia 
Dantesco, con XY tavole, 
per l'interpretazione cfr. 
Limbo Dantesco, Studi Al 











88 fcxronto PRIMO] 


Tre. av, 94-112 


[iL nome cAsTELLO] 





” Così vidi adunar la bolla scuola 
Di quei signor dell’altissimo canto 
Che sovra gli altri com’squila vola. 
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, 
Volsersi a me con salutevol cenno; 
Pil mio maestro sorrise di tanto: 
E più d'onore ancora assai mi fonno, 
Ch'essi mi fecer della loro schiera, 
Si ch'io fui sesto tra cotanto senno. 
Così n'andammo infino alla lamiera, 
Parlando cose che il tacere è bello, 
SÌ com'era il parlar colà dov'era. 
Vonimmo al più d'un nobile castello, 
Sette volte cerchiato d’alte mura, 


Difeso intorno 


d'un bel fiumicello. 


Questo passammo come terra dura; 
Per sette porte entrai con questi savi; 
Giugnemmo i in prato di fresca verdura. 


ua Genti v'eran con occhi tardi e gravi, 


95. quat: cinquo poeti, Così 1 
000d. è comme. antichi. Al. leggono q! 
intendendo chi di Omer: 

Mo; e Il senso non può non dira! sodiafa- 
dente anche con tale lexione. Cfr. Mo. 
Orit., 2i0 ag. n 

00, cur: 1) qual canto. « Sicot enìm 
‘aquila volnt altias, et videt noutt 
uves, ta Inti ascndor 
init ambiilius Inter poetas: » Slenv, 

UT. RAGIONATO: È quattro chiadendo, @ 
Virgilio rendendo conto di Dante 

D8. caso: malutendolo qual loro col- 

19, sotitar: mostrando piacere, - Dì 
TASTO: dell'onore fattomi da quei poeti. 

102.46#10: loro pari. Profezianv orata. 

103. LumizKA: efr. eT-B. 

104 niLL0 : perché dicendole nscirebbe 
troppo dal soggetto del pooma 0 nu- 
direbbe par le langho: avranno parlato, 
poniamo, di Jettera 0 di poosi 

108. una: dello. = pov' ERA: dove il 
artaro wi facera. Al: Dove fo mi ritro- 
vara. 

V. 100-114. Ti castello del Limbo, Ar 
rivano a più d'un castollo, Kimbolo della 
mapienza umaua, è fors'anche del tempio 
della gloria. 1) castello è cerchiato setto 
volte da alto mura, simboli delle sette 


virtò, cloò delle morali: pruenza, giu- 
atizin, fortesza e tem peranza,, e delle apo 
culative: intelligenza, sofenza osapienta. 
Secondo altri, lo mura figurano la mitte 
parti della filosofia: fisica, metafisica, 
stica, politica, ecanomica [cheoggi dîrob- 
best economia), matematica, sillogistien. 
Esso è difuso da un bel Bumioello, atm- 
bolo probabilmente dell’eloquenza, con 

ho lo notte virtà al insegnano e sl per- 
sundono, cfr. Tn/.I, 79-80. Passano il Bu- 
micelio & piedi asciutti, chè ai grandi 6 
nobili ingegni non oceorronò eloquenti 
porsunsioni per farloro esercitare e virtù 
suddette. Entrano por netto porto, le 
setto arti liberali del trivio e. quadrivio; 
grammatica, dialettica, rettorion, muni- 
ca, artlmotica, geometria ed astronomia. 
Giungeno in un pruto verdeggiante, di 
mora dogli spiriti magni. 

100. xounr: In sapienza uobilita 
L'uomo 

100, pura: melutta. 

210, sette: ognuna delle sette mura 
aveva la sun porta, 

111. eRATO: «almilitar Virgiliaia den. 
VI, et Homerus Odys, XL fingunt viros 
Îllotrea staro lo prato virenti »; Bent: 

112, ranno x cavi. efr. Purg. VI GB 
Proserbì XVII, d4. 





40 foxgomio PRIMO) 


Typ, 1v. 180-148 





da Poi cho inalzai un poco più le ciglia, 
Vidi il maestro di color che sanno 
Seder tra filosofica famiglia. 

Tutti lo miran, tutti onor gli fanno: 
Quivi vid’io Socrate e Platone, 
Che innanzi agli altri più presso gli stanno; 

Democrito, che il mondo a caso pone, 
Diogonès, Anassagora e Tale, 
Empedoclès, Eraclito e Zenone; 

E vidi il buon accoglitor del quale, 
Dioscoride dico; e vidi Orfeo, 
Tallio e Lino 6 Seneca moralo. 

Euclide geomètra è Tolommeo, 
Ippocrate, Avicenna e Galteno, 


Averroìs, che il gran commento feo. 


To non posso ritrar di tutti appieno, 

Però che sì mi caccia il lango tema, 

Cho molte volte al fatto il dir vien meno. 
La sosta compagnia in due si scema: 


V.120-151. X saplenti. Vedo più ol- 
tre gli nomini di acfenza. ed enumera 
prima i filosofi teorettci, pol | sari di 
storia natarale, ind! quelli d'aloquenza 
® quelli di medicina. Dante e Virgilio 
lasciano quindi gli altri quattro,  con- 
tinuano fi loro viaggio. Per più ampie 
notizie dello perwno gni nominato efr. 
1 relativi articoli doll’ Eneset. 

18f. MARSTRO: Ariitotelo, e il map 
atro dolla umana ragione +; Cone. IV, 


8, ec. 

183. LO ximax: così il più dei codd, o 
comm, nnt. Al.: L'amma», 

185, PIÙ PRISSO : ensendo dopo Aristo- 
tela più eccellenti filcooî 

Daisocrito; di Addera, che inve- 
i {i mondo essere stato fatto a raso 
pel cloco concorso degli atomi. 

197. Dioonsts: Diogene, 51 celebre ei. 
unico di Binope, - Axamanora ; di Clazo- 
meno, 5l colebre maestro di Periclo. 
Ttk: Taloto milosto. 

138. Eur&DOcLÉs: d'Agrigento, autore 
di un poema su la natura pri 
dello como. - ERACLITO : d' Efreo. — ZK- 
30M: da Cirio ; stolco. Cfr, Cone. IV, 6. 

DBA: ga tz dello quali odiato dell 

e % 


accolo. = Onrno : mnitico poota e ransico 


greco, 
MI. Tut.ro: Cicsrone. — Limo: mb 


340. Totoro: celibe geografo sd 
astronomo. 

143. IrrockaTE: antico medico greco. 
- AvicgexA: modico arabo, fiorito nal see 

XI. - Gattexo » medico di Pergamo 
noll'Asin minore; 

14. Avumnoba: filosofo arabo del so 
colo XII, celebre commentatore di Ari- 
siotele. 

14%. Urra: raccontate Cir. Znf, TT, 
0. » rum: coloro che lo vidi colà. 

146. caocia= apinge, sprona. Tantè 
cose ho da dire, che tutte non possa. 

147. vix sxo: non potendosi ester 
dore a tutto l'asendoto. 

168. srsra : di meli Omero, Orazio, 
Oridio, Lacano, Virgilio e Dante. = x 
DUN st Besa i al riduce » due: | quat 
tro primi reatano ne) loro Inogo: i due 
ultimi continuano il ditoene 
dendo sempre a sinistra, 

Inferno, 








42 [oxRcHIo seconDo] Tur, v. 6-25 





Giudica e manda, socondo che avvinghia. 
Dico che quando l’anima mal nata 
Gli vien dinanzi, tutta sì confessa; 
E quel conoscitor delle peccata 
Vede qual loco d’Inferno è da essa: 
Cignosi colla coda tante volte, 
Quantunque gradi vuol che giù sia mossa. 


Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: 
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio; 
Dicono e odono, e poi son giù volte. 

«0 tu che vieni al doloroso ospizio, » 
Disso Minos a me, quando mi vido, 
Lasciando l'atto di cotanto uffizio; 

« Guarda com'entri a di eni tu ti fide: 


Non t'inganni l'amj 


piezza dell'entrare!» 


E il duca mio a lui: « Perchè pur gride? 
Non impedir lo suo fatale andare: 
Vuolsi così colà, dove si puot 


Ciò.che si vuole, e più non dimandare, » 
ss Ora incomincian le dolenti note 


G MANDA bel cerchio n cut al punisco 
la relativa colpa. - avwrroma: rivolge 
fa cada Intarno a sò stesso, 

T. MAL NATA: nata prot n 
ofr. Matt. XXVI, 24. Inf. 1 
DVI, 70: XXX, 46 

8, TUTTA: pienamente, Minosse sia- 
Loleggia la comianza. 

D. CONOSCITO! lndice înfaltibile; cfr. 
Inf. XXIX, 130. 

10. DA: per; sì conviono a quest'aniem 

13. quartesque: quanti. -ORADI: cor- 
sti dell'Iaferno. Cfr. Ing.XX VIT 124 agg 

la. Moti: et. 2. III, 19 egg. 

la a vicesna: l'una dopo l'altra. 

1. itcoxor eonfessano i loro peccati. 

= GbONO: la loro sentenza, proferita da 
Minosse, e suggelista nello strano modo 
fi diritto. - sox OIÒ vàLIE: preci- 
Pitano nel cerchio infernale loro aue- 
Raaio è vi ron portato da qualobe dia- 
Foto (ofr. Inf. XXI, 20 agg.). 

18. poLoraso OAriziO 1 Inferno, sede 
dell'eterno dofor 

elerato e terribile, di 
i dannati. 
rendo sospeso l'esor- 
Gixio del suo terribile ministero, Minosse 


non è qui più il simbolo della cosclemza, 
ma soltanto fl domonio ehe, geloso (come 
gli altri demoni) del auo regno, non ror- 
rebbe che altri vl penetrnase 0 vi al ag: 
ginusse, se non condotto dai diavoli e in 
loro merrità. 

20, L'axumnszza 1 ot. Matt, VIL 13. 
Ving., den. VI, 126 agg. 

21. run: anche ta, como Caronte, ofe. 


22, varaut: volato dal destino; oft, 
Taf. VEL, È neg. 

V. 25-45. I uagurtosi in generale. 
Tlussuriosi, tanto coloro che peccsrono 


por isfogo di libidina, quanto coloro che 
- peccarono por dobolomza, ossia per digor= 


dinato amore, sono rapiti, fra lo tenobre, 
continuamente lu giro da vento impo 
tuoso, @ piangono dolorosamente. Le te- 
nobre figurano l'offuscamento dell’ intel 
letto, prodotto d 


dello passioni e delle volabili voglie che 
agitano è trascinano | peccatori carnali 
fl pianto doloroso è la più conveniente 
saprossione degli amanti. Cfr. Vîrp., dem. 


VI, 460 agg. 
25, OKa1 «Non si diko più dì Misde, 





44 [csgenio atcoxno] 


Tur. v. 41-55 


[uossDRIORI] 





Nel froddo tempo, a schiera larga e piona, 
Così quel fiato gli spiriti mali: 
Di qua, di là, di giù, di su lî mena; 
Nulla speranza li conforta mai, 
Non che di posa, ma di minor pena. 
E come i gru van cantando lor lai, 
Facendo in nere di sè langa riga; 
Così vid'io venir, traendo guai, 
Ombre portate dalla detta briga; 
Per ch'io dissi: « Maostro, chi son quelle 
Genti che l’aura nera sì gastiga? » 
« La prima di color di cui novelle 
Tu vuoi saper, » mi disse quegli allotta, 
«Fu imperadrice di molte favello. 
A vizio di lussuria fu sì rotta, 


Che 


quei osttivi apiriti portati dal vento 
Pon 


AL: FREDDO TEMPO: inverno: = A scuue- 
na: mostra la folla grando.«Quia maxima 
at multitado istorum Juvenum discur- 
rentium per contratas, ita quod vix por 
nant vitari »; Ben 

42. viato: vento. - ALI: malnati. 

@ travagliati da perverso male, v. 93 
Quel fato porta gli spiriti, como lo ali 
portano gil stornelli. 

43. DI QUA, DELA: « col anoni rutti di 


non resta, è da ouì sono quegli spiriti 
ogni parlo misoramento aggiruti »; L. 
Vent., Siw., 412. -MEXA: senza osservare 
alcan modo ed ordine. Qautro atapendo 
dell'incostanza del Inarurioni. 

Vd6-73 Lussertosi che peccarono 
per bassa carnalità, ossia la schiera 
sli Senmdrameiate, Como risalta chi 
siente dal v. 85, il Poota dispone anche 
il, come altrove nel suo Inferno, | dan» 
mati a ssbiero, sseondo la gravità del 
pescato. Qui duo schiere: a capo della 
FLO 8) orlo bo provarono per 

lassaria, sta Semiramide; a capo 
dolta seconda, formata da qual che pro- 
carsno por amore, sta [a gentile e aven- 
atata Didone. Virgilio le nomina ambe- 
dine pd altri Iussuriosi antichi. 

#8: Lat; cauti monti 0 lognbri, pro: 
vena. Lai, Lais, eco. 


ito fe' licito in sua logge 


(47. vactpO:* Ilse, elangore fagaci, 


* Perviocchà stendono il 
collo, lì quale essi hanno lungo, innanti, 
lo gambo, lo quali similmente hanno 


{D. anIGA: contrasto di venti; la du- 
fera infernale del v. BL. 


fnvorire la soconda interpretazione. 
SÌ. L'AURA Nika i Ali 1'ARK NRIO, 
‘pretto ainonlmo di bufera, 
do sempre torbido Il cieto, quando 
p Betti. 

39, atLorta: allora; sì usa tattora 
nella cs 

‘64. YAVELLE: popoli parlanti diversi 
linguaggi. 

56. LINITO: ciò chia piace, lat. libitmm, 
- ucito: locito, lat. lieitum. — LacoR: 
* Procepit enìm ut inter parentes sé 
fillo», alla dolata reverentia nature, de 
contagia adpesendia, quod cUIQUE Lit 
TUM ASAET, LICITUM FIEMT®; Pu. Orta, 
Hit, I, 4. Danto cho area letto questo 
puaso (ofr, De" Mon. IL, 9), traduco quasi 
alla lottera. 





46 (cERcHIo BEcONDO lsp, v. 74-91 DeAOLO e FRANOESCA] | 
Parlerei a que' due che insieme vanno, 
E paion sì al vento esser leggieri.» 
Ed ogli nume: « Vedrai quando saranno 
0 a noi; 6 tu allor li prega 
Per quell’amor che i mena, e quei vorranno. » 
Sì tosto come il vento a noî li piega, 
Mossi la voce: « 0 anime affannate, 
Venite a noi parlar, s'altri nol niega!» 
Quali colombe dal dislo chiamate, 
Con l'ali alzate e ferme, al dolce nido 
Vongon per l'nore dal voler portato; 
Cotali necîr della schiora ov'è Dido, 
A noi venendo por l'aer maligno, 
Si forte fu l'affettuoso grido. 
< O animal grazioso e benigno, 


Che visitando 


i per l’aer perso 


Noi che tingammo il mondo di sanguigno; 


o Se fosse amico il Re dell'universo, 
te Bla prima anima cho pasla con Dante. 


no par compassione, e cado come morto. 


mesto non vanno come compagni, ma 
moguenio l'impoto della bufera; or gli 
tinî sugli altri, quasi nurola sn nuvola, 
ora divisi o aparpagliati nell'aria a so. 

di grano lanciato dal renti. 
Jabro; or l'uno distro all'altro; solo due 
mon si scomopagnano mal, quasi teanti 
htrobti da un Jogamo lavisbilo. Il fat 
singolare richinma l'atteozione el 
ta». Mrano, 

15. LEOGINRI: RON opposero verana re- 
sistenza all'impeto della passione, qasndi 
‘niatio possono epporreaquello del vento. 

78. t segna: lì menni È por occorre 
auebo alirovo in Dante; por ea, Inf. 
VII, 53. 

BI. abmgi: Dio; venite a parlarel, se 
Mdio ve lo permette. 

#2. quari: olr. Ving., den. V, 213 egg. 
— GaLDImE: simbolo di nincerità; efr. 
fatt, X, 10, virtà che Fraucesoa eser- 
cita nel ano racconto, ma non esercitò 
mella vita sun, avendo tradito il marito 
o la cognata, ella sposi o madre. 

#3 ALCATR: così Il più del c0dI. e com. 
Mit, Als APRITE, 

Bi. YEx00I; cos | più; Al: vOLAN. — 
Per questa aitaliitadio i sogliono non 


nonza ragione rammentare! versi di Virg. 
è V, 213 agg. eppui 

rodi, la almilitudine « non 

originale, sia perchè com 


senza che nulla si scorga d'uno forza 
i mezzo esterno che li niuti ad 


be, © questo di Dante pafono animate 


da una volontà quasi timanà. » 


85. scumena: particolare, che si nomina 
da Dido (Didone), anfma nobile 
glacquo a pansiono di ewor genti 

86. staLioxO : contrapposto all'aore per 
eni vengono al dolee nido lo colombe, ehe 
è «l'aer dolce che dal vol allegra»; Zaf. 

18. 
nl rontR: tanto în essi potò ll mio 
pregaro, v. 8081 

Ri asueate ofr. Faf. 11,2. Purg. XXIX, 
188, Par, XIX, 85,— GRAZIONO 5 corteno, 
guriilo. 

59, ransò: escuro; «II portò è in 60: 
lare misto di purpureo e di nero, ma 
vince SI nero, e da Jul si denomina » 
Como, IV, 20. 

30 TISGIMANO: SO nostro sangue aparso, 

(1 410001 2 pl ne foste poll raf 
di Dio, Vorrebbe pregare, ma ma che Id- 
dio non ascolta le preghiere del damatt. 





48 [ceRcH10 secondo] 


[PAOLO E FRANCESCA] 





dos Amor, che a nullo amato amar perdona, 
Mi prese del costui piacer sì forte, 
Che, come vedi, ancor non m'abbandona. 
Amor condusse noi ad una morte: 
Caina attende chi vita ci spense. » 
Queste parole da lor ci fur porte. 
Da che io intesi quelle anime offense, 


Chinai il viso, € 


tanto il tenni basso, 


Fin che il poeta mi disse: « Che pense? » 
Quando risposi, cominciai: « Oh lasso! 

Quanti dolei pensier, quanto dislo 

Menò costoro al doloroso passo!» 


amanti accadde tra il 1283 e il 1286, È 


il modo che offende tuttavia la sciagurata 
Francesca. li modo è lo, del più; ofr. 
Moore, Crit., 280 90. 

109, PEKVONA | La sentenza non è sem» 
pro vera, essendo molli gli amanti 
riamati; ma Francesca, che, amata, ai 
snuiì como soggiogata © trasci 


idera 0 sento cd esprime qual che è no- 


cadato a lei, como leggo gen 


L IACRR: «dol piacer di amar 00- 
siuli forse anche, come il Rigutink 
vita, della costui avrononza; nel q 
significato piacere 0 piacenza faruno co- 
muni a° poeti di quel secolo »1 4 

105, xOX al'Amsanpoxa: costui 
niniti in eterno. Sollievo 6 nello 
tempo aggravamento di pena; un 
nell'Inferno! 

166, una: ucelal Insiemo, 
toripo, tuogo è modo. ù 

Cala: bolgia del fratrichii, Inf. 

xii cen Gianototto, Îl vradito ma- 
rito. è Parchè tanta piotà per la coppia 
d'Arimiho 0 nemmeno una scusa 


condannare questo disgraziato, che i tri- 
bunali d'oggi assoiverebbero, con una 
frnse cruda e upictata ad osser tto nel 
duro gelo dolla Guina, moutre al fra- 
tello che l'oltraggiò noll'onare al cou- 
cedo anche oltretemba di stare insiomo 
& Franoescaî.,. La ntoria, oltre a farci 
peutiro una certa compassione pel ma- 
ita logtanato, Introduce altre pietoso 0 
ben dolenti figure vella tragedia, dguro 
che solo basterebbero a farvi parere più 
edioso l'atto dei done cognati. Ma d'eme 


Il Poeta non facendo ricordo, 
sontribni, ala puro inconaciameni ; 
dero acusatile Îl doloroso pazzo, Oltre al 
marito, Francesca tradiva la cognata) 
oltre ai fratello, Paolo tradiva la moglio. 
L’adulterio era doppio! E no posa piotà 
lestare Gianciotto, brutto, aspro 
cati vo, immenanmente compamaio- 
ci appare Orabile di Gblag- 


| dol marito è perla 
scellorata colpa rimanere orbati di padre 
luo teneri figlivoli, mentre invano Con- 


- rOkTE: dette. 
9, orvess»: olfose, travagliato. 
110, x 
fonda meditazione » Parodi, 
li. resa: pendi. 
112. quaxno: non «a siuponder subito, 


‘@ quando rispondo, non volge la parola 


Virgilio, ma parla como continuando è 


glo 

penaiori dolai, benchè col 

paroli! «Aqua fartisan dalolorse sunt, 6 

panîa absconditua anavior»; Prev.1X,17, 

— «I dolei peneteri menarono al dolo 
questo menò alla colpa »; Frane. 

114. DoLOMO8O rasao: morte violenta 

0 dannazione eterna. Al: Al puuto di lar 

aoiarsi vincere dalla passione, che poi fu 

cagiono ad essì di dolore <Mortià violenti 

cr infamia, ubi fuerunt turpites Sugulatt»a 

Benso, Dall'amore oncato al disonesto 

© dalla fuva all'infumta; e dalla vita alla 





50 [cencuio seconpo] In. v. 130-142 


[PAOLO R FRANCESCA] 





130 Per più fiato gli occhi ci soapinse 
Quella lettura, e scolorocci il viso: 
Ma solo un punto fu quel che ci vinse. 
Quando leggemmo il disîato riso 
Esser baciato da cotanto amante, 
Questi, che mai da mo non fia diviso, 
La bocca mi baciò tutto tremante, 
Galeotto fa il libro e chi lo sorisse! 
Quel giorno più non vi leggemmo avante. » 
Mentre che l'uno spirto questo disse, 
L'altro piangeva sì, che di pietade 
To vonni men così com'io morisse; 
ua È caddi come corpo morto cade. 


120, s0RPIvARI A Agnardì amorcai. 

138. iso: bocca sorridente tanto ama: 
ta. Nel romanzo» « Kt la reina... lo pi» 
glia por il mento, ot lo bacia davanti 
Galohaalt assai langamonte ». 

197. GALLOTTO: nel romanzo di Lan 
gilotto Galchanlt, 0 italianamento G 
Scotto, è colui che prega la regi; 
nevra di baetar Lanoilotto, che se 
timido © como sbigottito davanti a | 
la Fegian lo Dacia. Cfr. la x. pi x 
Sensorclò che per Ginevri otto 
Galéotto,fu per nol il libro ed ilmo satore. 

138. rIÒ NON vi LiogsNtO AVAST 
«Con questo verno di molteplice signil 


cato vollo Il Poota ndombrare d'un velo 


onesto una com inoneata in sò, inoni 
atissima in bocca d' una donna +; Giusti. 
10; L'UNO KFTRTO: di Francosca. 
140. L'autRO: di Paolo, Piango per 51 
dolore, del quale nessuno è maggior 
+. 121.122. 
262. capDI: non per effotto 
zionò, come è stato affermato, ma per 


volte (V, 140 a VI, 2) în termini eapremi. 


jualenno puda prima giunta parere 
ci lì P. con l'arte son mirnbile abbia 
troppo abbellita e con particolare indi 
genan © complaconan attenuata ln dino 
Regia Paesiono Je duo sognali {1 vero 
ru quella tragica ator 
Teese 
‘concedono Amore ch'ella 6 Paolo cono- 
motanero i dubbioni desiri,« si proponeva » 
così hcutamonto il Parodi « di 
a vantaggio di tutti una verità più pro- 


Già «nelle primo parolo di 
ncesca nl contrappongono terribil- 
monte, l'uno all'altro, due versi: Amor, 


liziono ingannevole pendio ». Go più 
re, nella = formata dal v 


erro dall'episodio, essa no 
caprimo il profondo «ignificato morale, 


altro legame chequello d'una ricoroa psi- 
cologica naturale © pootica senza dub- 
bio, ma inmfficlente 0 quasi ornifele. 
Dante, che conosce la Ano della tragedia 
ma non fl prineiplo; che alla sua Incl 
piente esperienza, al auo urgente hiso= 
gno di apiugere fo agnardo ben ndden- 
tro nella atovia dall'infollcità nimana, per 
recarno a tatti ammacstramenti di aa 
late, sente mancare la cognizione più ne- 
etesaria, quella dol primo pato alla col 
pa, si ri rolgerà conia commossa ma ferme. 
risoluzione di chi comple na dovere, a 
quelle duo anime... ed esse gli apriamo 








52 [cenonIo TERZO] 


Tar. vi. 8-18 





Che di tristizia tutto mi confuse, 
Nuovi tormenti e nuovi tormentati 
Mi voggio intorno, come ch'io mi muova 
E ch'io mi volga, e come ch'io mi guati. 
To sono al terzo cerchio, della piova 
Eterna, maledetta, fredda e greve: 
Regola e qualità mai non l'è nova. 
Grandine grossa, e acqua tinta, 0 neve 
Per l’aer tonebroso si riversa: 
Pute la terra che questo riceve. 
Cerbero, fiera crudele e diversa, 
Con tre gole caninamente latra 
Sovra la gente che quivi è sommersa. 
Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra, 
E.il ventre largo, e unghiate le mani; 


Graffia gli spir! 


8, ruistiziar ole. Saf. V, 117. - cow- 
xusk: Larbò gravomento. 

4. xuovi: di genere diverso, Al.1strani, 
Inandlti. Eran anche È tormentati trani, 
inamditi, aramirandi 1 Dante non usò certo 
fn roco nuovi in due divora sensi nello 
ateo varso 6 In das espresfoni così 
perfettamente parallele 

5: comm: da qualunque parto fo ri ri- 
volgn è guardi. 

Gem'1O MI aUATI: Al: x comm R cu 
1° GUATI. La voce guatare val qui nuò» 
Valtro che guardare attentamente. 

7. MovA: pioggia. « Eterno, perchè non 
do' mai aver fino; maladeta, 
par posta a nuocere e nom far pro, 
quolla del mando ; reddecgona hò fa l'ao- 


10, TINTA : aporca, sosta, Al: 9 
Dal v. 100 risnita che fifa ha qui 51 senso 
di nauseante, achifora. 

IL: TaNmInOsO: Ja gola oMsca la ta- 
gione non mono della lussuria. 

12. QUERTO: miscaglio di grandino, 
mequa sudicia e novo. « Convenientia: 
Alina pena al dolitto, cho, eaendo Il pec- 
tato delia gola villenimo, e chi i eseretta 
lralle al porco, a guita di porri gli faocta 

fuugeso pantano »: Dan. - «Si. 
ut enim stiquando furtet terra propter 
pluviazo, Sta corpus gulosi ftot, quod 
assimilatue sepuloro aperto »3 Bene, 


1 gli seuoia ed isquatra. 


13, Cerskso: cano mostruoso a più te» 
ate, frutto dell'unione di Echidna con 
Tifone, secondo la mitologia antica il 
guardiano dell'Inferno) cfr. Firg.,. Georg. 
1V, 483, dem. VI, 417. Ovid., Met. IV, 
410. Apparisce puro como cane infernala 
in qualche documento di posata medie: 
vale tadosca e in molti di poosta latlna, 
DIVERRA : ALFANA, MOALFUOSA: 

14. ru: per poter divorare fl pansato, 
Hi presente ed _il future. « Le tro gole di 
Cerbero possono significare tre cose pro 
prio do' golosi : mangia troppo, mangiar 
lnotamente, mangint ardentemente si dfe 


guta sotto la pioggia violenta =: Pas 

16. vanaionI: rosi poi fumi del vino. 
Ami! nera. « l'erd che & golosì) man 
giono Bruttamento et angensi, la darla 
perla unzione ne diviene stra, eloò nera 
et obscara »3 Ax. Fior. 

17. tano: capace di moîta reba, = 
vnantatE: per rapire 6 ritenere. = MAXI} 
sampe. 

18, sCUDIA  scortica. Als nuota. Leg 
gondo, et è lozione autorovollimima, graf- 
Ja gli spiriti, ingota ed inquatra, uom nl 
derono intendare caprease qui tre azlitti 
che si anoseduno con nna specie di ere 
scendo, quali sono il graffiare, lo eso 

re, lo aquartare, mia solo indicate tre 
differeati maniero con ent Cerbero pa 


golcai. 





[cERCHIO TERZO] Tar. vi, 8-62 [crAcco FIORENTINO] 





Noi passavam su per l'ombre che adona 
La greve pioggia, e ponevam le piante 
Sopra lor vanità che par persona. 

Ello giacean per terra tutte quante, 
Fuor ch'una che a seder si levò, ratto 
Ch’ella ci vide passarsi davante. 

40 tu che se’ per questo Inferno tratto, 
Mi disse, « riconoscimi, se sai: 

Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto.» 

Ed io a lei: « L'angoscia che tu hai, 
Forse ti tira fuor della mia mente, 

SÌ che non par ch'io ti vedessi mai. 

Ma dimmi chi ta se’, che in si dolente 
Loco se' messa, ed n sì fatta pona, 
Che, altra è maggio, nulla è sì spiacente. » 

Ed agli a me: « La tua città, ch'è piena 
D'invidia el che già trabocca il sacco, 
Seco mi tenne in la vita serona. 


Voi, cittadini, mi chiamasto Ciacco: 


toro, orasi, come egli atomso dice, dato 
del tatto al vizio della gola. Era mor 
ditore di parole, 0 lo suo nsante erano 
aumpro co' gentili voratni tion mas 


dta' quali as chiamato 
v'andava, e atmilmente ne Invitato 


Bufi, ripetendo Sl detto dal Fr 

infame del vizio della gola ». I commen- 
tatori anossalri non funno che ripetere 
1 già dotto da altri. Il Cinco» dantesco 
è forse la stessa pertona clw Clacco Del- 
pena ritrae: Apcazitna dal mr 


mi 
danno voruna notisia del personaggio. 
dgl.:« Fa 


B6. vaxirà: corpi vani; ofe. Purg. IL 


TO. Vedi però fas XXXII, 78 ag. — 
PERSONA : sembra vero corpo wanno. 

38.10, MATTO Cl'Inta sons tosto che 
cl vido passaro daranti a n. 

42. varto: nascenti prima che fo mo. 
risi, 

43. a Le: a quell'omibra. Al: a LUI; 
efr. Afoore, Ort, 201 ug. 

44, tia: il dolore altera i tuoi linea 
menti în modo, che non so riomosserti 
nò ricordarti di averti mat veduto. 

48. x1ca1o : maggiore. Forma usitatla 

dagli antiohi e tuttor vivente. Più 
giù vi sono. pene maggiori ed anehe più 
+ ma Dante non lo ha aticora 


49. crv: Firenzo, —ruERA: elr. v, Th 
«Avrenne che por la invidie si fncomîe» 
ciarono tra cittadini Jo setto +; @. FA, 
VIIL 39. 

50. MANOCCA : « avvi tanta invidia fn 
Fiorenza, che già esce fuori; ot rode 
noll'opernzioni ») An, Fior. 

81. euuNA : paragonata colla vita tra 
magliona di laggit ae 1: XV, d0- Dal 


di apregio, equivalsute a porco. 
4 Cieoso dicono slquant, cho è some di 





56. [osremio reRtO] 


Inr. vi. 69-76 [FIORENTINI BENEMERITI] 





Con la forza di tal che testà piaggia. 
Alte terrà lungo tempo lo fronti, 
Tenondo l’altra sotto gravi pesi, 
Come che di ciò pianga e che ne adonti. 
Giusti son duo, ma non vi sono intesi. 
Superbia, invidia ed avarizia sono 
Le tre faville c'hanno i cori accesi. » 
LT] Qui poso fine al lagrimabil suono. 


nale 0 di una cronaca. o piattosto porehè 
locondanne del Bisnchl prosegnironosino 
all'ottobre del 1802. =1’AUTNA : dei Neri. 

00; vat: Bonifacto VIII: ofr. Par. 
XVII, 4 agg. Altri intendono di Carlo 
di Valois. Ma questi vonne a Firenze noì- 
l'autunno del 1361, o nel 1300 Bonifa- 
olo VIII areva soltanto preso consiglio 
di farlo ventre a Fironze; @. Vil. VIII, 
43, 40, Di Carto di Valola, Cincco nella 
primavera dol 1300 non potera dunque 
diro: che teutà piaggia. - Tasth: ora, 
questo momento, — PlaGgta: 
toeno, procede ambiganmente. Infatti 
mel 1300 Bonifacio VIII piaggiara; ofr. 
@- Fill. VIII, 40 ag. « Dicoai appo | 
Fiorentini colui pinggiare, Il quale mo- 
atra di voler quello che egli non vuole, 
‘© di cho egli non si cura che avvenga: 
Ja qual cosa vogliono alcuni in questa di- 
acordtia de' Bianchi o de' Neri di Firenze 
aver fatta papa Tonifazio, cloò d'aver 
montrnta egual tenerezza di cinacu 
dolo parti »; Joce. 

#0. TRERÀ: la parto dol Nori ina 
hirà sopra i Blnnchi.  Luxao TEX 
dunque Dante dettò questi voral pi 
chio tempo dopo il 1302 

TI. L'ALTRA: la parto doi Bianchi. 
rai: escinsione dagli uffici 
sbandimenti, coniche dei beri 

72. NR ADONTI: se no adiri. Al.: ne 
vorgogol. 

78. bo: avendone il Poeta taciuto il 
momo, Il meglio è confessare che non ai 
nia di chi agli intendesse parlare. Boce 
4 Quali questi duo «i siono, sarebbe gra» 
xo l'indovinare ». Si volle però indovi- 
narlo: Dante e Dino Compagni; Dante 
#@ Galdo Caralcanti; Hardoccio o Gio- 
vanni da Vospiguano; la leggo divina e 
la loggo umana; Guido Cavnioanti ed vu 
altro Ennominato amico di Dant 
= rms: aacoltati. 

TA. SUPRENA | «Questa arroraità 0 po- 
rioolo della nostra città non fu sanza giu» 


dicîo di Dio, per molti peccati commosai 
porla superbia e invidia e avarizia do’ no- 
atri allora viventi cittadini, « 
guidavano 
quella comi 
no»: G. YI « Por Jo peocata 
dolla superbia e invidia e avarizia, e altri 
vizi che regnavano tra loro, erano partiti 
FIT, 98. Questi vonie non 
gono solamente un gruppo d' imme 
gioi bon disposto, ma una atorla di fatti 
Sie: Sperbio di Grant avto volto 


i 
verso vicini, di nobiltà vecchia contro 
10 subitaneo, di morcatanti contro 


cotesti disordini, avea nomi» 
per raccoglier fiorini 


PE pace della olttà ai ora, per 
na, porduta in un sentimento noi- 
o dî malevolenza è d'odio, che 
noi senso della parola più 

iù. triato, chiama il Poota. » 


ORIMLANIL SUONO: parole che in- 
vitavano a spanger lagrime, vatioinando 
a Firenzo tanta wclagora. 
77.93. Fiorentini benomeriti, D. 
de n Ciaooo dove siano altri bene 
meriti Fiorentini, quali nomina al- 
coni. Clacco risponde; « Sono più git. 
parchè più colpevoli; ciascuno nel cer 
chio che si guadagnò colle aua colpe, Se 
torni al mondo, rinfresca la mia momo- 
ria. Ora non ti dico nè tl rispondo più 
altro», Volge quindi un ultimo sguardo 
addolorato al Poeta, o ricado nel fange. 





58. fosneinto 18820] 


Txp. vi. 983-106 





Cadde con essa a par degli altri ciechi. 
Eil duca disse a mo: « Più non si desta 
Di qua dal suon dell’angelica tromba, 
Quando verrà la nimica podésta; 
Ciascun ritroverà la trista tomba, 
Ripiglierà sua carne e sua figura, 
Udirà quel che in eterno rimbomba. » 
Sì trapassammo per sozza mistura 
Dell’ombre e della pioggia, a passi lenti, 
Toccando nn poco la vita fatura. 
Per ch'io dissi: « Maestro, esti tormenti 
Crosceranno ei dopo la gran sentenza, 
O fien minori, o saran sì cocenti? » 


206 


dolora. Nuoro dolore, nato dal tacito pa: 
ragono tra la w "condiziono dol- 
l''intertocatoro. 7 

93, RaRA: testa, — a PAR: & livello dol 
suoi compagni.- crreni: avendo chianto 
la tenta prima di cadore, era di noccesità 


In cul glaco come tutt gli altri di quest 
carohio. Avendo il viso volto In giù n 
fango, non possono naturalmente veder 
Balla; sono quindi come ciechi. L'alle- 
goris è qui chiara. Il goloso è eleco per 
tutto sid che non è fungo. 

V..94-115. Della condizione dei dan- 
mati dopo la risurrestone, € 


nuance Îl viaggio: «Costui non sl 
più sino al dì del giudizio» 


conio la dottrine aristoteliche. Così par- 
lando arrivano là dova al discende al 
quarto csreblo, sul cul tngresso vedono 
Pluto, il demonio delle ricehezse. 

#4. breTA: non si alza più da giacere, 

08. DI qua: prima. - TROMRA | ofr. 
Matt. XXIV, 31. I Corint. XV, 62,1 
Tema. DV, 15. Elucid. e. 70: « Angoli 
gruosm eins ferentes preelbunt, mortuos 
Tab sà yose fa vevarsum es ezcite 

98. ronftra1 podestà, possanza (V. 
Parodi, Bull. ILL, 120), È Cristo e 


Ed egli a me: « Ritorna a tua scienza, 


mico al reprobi, colla podestà di giuitioo 
otorno. 

97. tiusra TOMBA: è triata, rinchia- 
dendo qual corpo che fu ennna della loro 
perdizione. Oppure: «Che chinde un cor- 
po dannato a pona la qualo dopo la risur 
rezione a' aggrava »; Tom. 

99, quasi la sentenza finale, Matt. 

« Via da mo, malndetti, al 
fuoco ‘sterno, che fa preparato pel dia- 
volo, @ po' anoi angeli ». 

01. OMM: none anch'esso, © perchè 
lordato da sozzo vizio, 0 perchè giacenti 
nel fango. 

102. TOCCANDO 200. Li cagieniado va 


tua, parlando a Dante, la Filosofia ari- 
stotelloni © cosa poteva nvere di 
autorità la Filosofia ariatotelica nel ri- 
solvere un dubbio appartenento a dot- 
trina cristiani Tha scienza pertanto mi 
par da intendersi ln Teologia, la quale 
ben da Virgilio è dotta tua, non potendo 
egli paguno dirla nostra mai ». Conotoe: 
va Virgilio la teologia cristiana È non 
acioglio agli {l dabbio di Dante nocura- 
tamento conforme la filosofia ariutotelica? 
Of, Anf, XI, #0, nel qual iuogo Virgilio, 





Tur. vi. 107-115 C[nAmmATI] 59 


Che vuol, quanto la cosa è più perfetta, 

Più sonta il bono, 0 così la doglionza. 
Totto che questa gente maledetta 

In vera perfezion giammai non vada, 

Di là, più che di qua, essere aspetta. » 
Noi aggirammo a tondo quella strada, 

Parlando più assai ch'io non ridico; 

Venimmo al punto dove si digrada: 


Quivi trorammo Pluto, 


il gran nimico. 


più sensibili © più pungenti quello dal 
corpo risorto; pene, ilel resto, che anche 
orasaffrono, sla puro più moderatamente, 
col corpo aereo di che son provveduto. 
Otr. Purg. XXV, 88 agg. 0 III, 31:33. 
132, a toxbO; in elroolo, da destra a nî- 
niotra, « Dopo parlato con Ciacco, non 
10 per marzo il cerchio, ma sul 
Tom. 


114. DIGRADA : discende. 

118, PLUTO : fl Dio dello riccheszo 
della mitologia antica, figlio di Inrione w 
dl Cerere, Al,: Plutono, Pluto, Dia, glio 
di Saturno, imperatore dell'Ayerno, Ma 
questi è Lucifero, cut. Dante ehlama 
sapressamonte Ditet=Dis) Isf. XXXIV, 
20. So Dite è laggiù contitte nella gino: 
cla eterna, non paterano trerarlo qui 
all'ingresso del quarto corehia. = ynaco: 
della paco e follcità dell'uomo. Cfr. Meet. 
V, 12. I Tim. VI, 9 Lomb.; + Onde n 
Piuto stesso, come dello ricchezza distri» 
dutore, grida Timoereone: Per té omnia 
fater homines sala ». 





60 [orEcRIO QUARTO] 


Tnp. vu. 1-2 





CANTO SETTIMO 


CERCHIO QUARTO: AVARI E PRODIGHI 
(Voltan pesi col petto e sì oltraggiano a vicenda) 


PLUTO, PENA DEGLI AVARI E PRODIGHI, LA FORTUNA 


CERCHIO QUINTÒ: IRACONDI 
(immersi nelle acquo fangose dello Stigo) 


« Papé Satan, papé Satan aleppe! » 
Cominciò Pluto con la voce chioscia; 


V.1-15. Pluto, fl cuptode del quarto 
cerchio. Ad ogol serchio trovano nn 
‘atioro tmitologioo, almbolo del vizio quivi 
punito. Cerbero ata su i golosi, Pluto, dio 
della ricchezza, su gli avari è prodighi. 
1 domoni eustodi de' singoli cerchi si 
forzano di impedire il viaggio del Poeta. 


Pluto lo fa, sfogando la ema rabbia in no-] 


menti strani 0 mal Intelligibili. Virzilio 
gli rammenta il volere aupremo; 0 Pluto 
mol'impatente ino rabbia cad 


wono parolo a dal furore; dal ve. 
5-8 e 10-12 risulta, cho lo scopo delle 
telo è d'intimerire ll Poeta, Dal v. 8 
ienbre dovarsi inforire che Virgilio to- 
Bene auto ivano llagoaggio di Piuto, 
Intene, clò vnol dire che è 0 vuoi 
‘desco na loguaggio umano qualana 
Ma le interpretazioni precla», che so 
‘seno tentato, sono numerosisalme e mollo 
Warke. «Hoc ost dicere, o satan, 0 sa- 
fan demon, quale miram et novum eat 
Istad quod tsti novi bospitos duo nese» 
Guanti»; Bambgl. - «In lingua ebrea, ed 
è tante a diro quanto: maravigiia, ma- 
raviglia »; An, Sit « Papo è iutericetio 
admirationte; quasi n diro che, quando 
Plote vido Dante viro, chiamòe Satan 
damonio sotto voos di maravigliarai e 
dicendo: vob! vob! »; Lan, = « l'ape. 
di Era parto di grammatica, che ha 


‘a dimostrare quella afferione dell'animo, 
cheò con stupore, e mararigliarali edue 
volte il diaso, per più caprimere quello 
maravigilaral; Satan 811 grando Demo- 
nio; Aleppe è una dialone, cho ha a di» 
mostrare l' affezione dell'animo quando 
Ou..— +0 Satan, 0 Satan, ea 

ops Diswonum, quid est boo 

paper intericotio est admi- 

aleph vero prima litera est He 

ram » 5 Petr. Dant: = L Monti 

ina Lezione ed interpretazione, oco., 
1494, nova ediz. amplinta, 

1896) propose di Jogguro: Papà 


mat garde, di Niwe, clod: OA? 
/ ribelle; 6A! vdtiene. Inter. 


todicamenta, cl pare la recente 
Querri (Giorn. fant., XI, quad. 11» 

}: « Letto, como si dove, secondo il 
tocabolario del medio evo, queste verso 
suoon 0A Satana, oh Satana Dio. Non 
è un discorso, ma eno sfogo aubitanee, 
col quale Pluto comincia a manifestare 
i suoi mantimenti, ore nella sorpresa è 
già la minnccha. « 

2. ciocca: razca, sepra di suona. 
Dal verbo ehoceîare © croeciare, Intino 
glosire, franoeso glonaser, eco, Cfr, Die, 
Mart. 13, 194. 


























62 [oxRcRIO QUARTO] 


Typ. vin. 18-95 





[AvARI ® PRODIGHI] 





Che il mal dell'universo tutto insacca. 





19 Ahi giusti: 


di Dio! tante chi stipa 


Nuove travaglie a pene quante io viddi? 
E perchè nostra colpa sì ne scipa? 
» Come fa l'onda là sovra Cariddi, 
Che si frango con quella in cui s'intoppa, 
Così convien che qui la gente riddi. 
E] Qui vid'io gente più che altrove troppa, 
E d’una parte e d’altra, con grand'urli % 


Voltando pesi per forza di pop, 





» Porcotoransi incontro, e poscia pur li 

Si rivolgea ciascun, voltando a retro, 

Gridando: « Perchè tioni? » e: « Perchè burli?» 
n Così tornavan per lo cerchio tetro, 

Da ogni mano all’opposito punto, 

Gridandosi anche loro ontoso metro; 
ETI Poi si volgea ciascun quando era giunto 

Per lo sno mezzo cerchio all'altra giostra. 


da prLL'UnvuRSO: anche degli angeli 
mali. - neeacca 1 raduna e contiene. 

Id. ripa: ntomassa, dal lat. scipare. 

20, xuovs: inandita, - viutr: vidi, for- 
mia regolare anticà. 

31, verra: atrazia, lacera, malmena, 

22, L'omna: che vieno dal Mare Jonio. 
Là: nel Furo di Messina. » Cantor: 
lat. Charybdie, voragino nol Faro di Mes- 
nina, incontro a Sclila; ofr, Yirg., Aen. 
IT, 420 agg, 638, VIL, 10%. Oulx, 991, 

‘29, co QURLLA: che vien dal Tirreno, 

Bi. aiopIi fascia la ridda; girt a ton- 
do. Aida, dal vb. ridare, danzara In 
piro, derivato dal ted. ant. ga-ridan, ted. 
medio riden = volgero. 

2E red: l'avariaia cd {1 «no contrario 
Mano i viel più diffani nel mondo. - rROÈ- 
FA: numerosa. 

DE D'UNA PARTRI nvari. — D'ALTRA: 















27.eRat: lericcherze sccumniateo sein: 
quite. — roPPa ; qui per petto in genvrale, 
Voltano | pesi co) petto, non collo bree- 
cla, camendo 1) potto il ricettacolo del 
euro, che agognò tanto lo riccheszo. 

228, incosmio ; quando le duo nchiero, 
‘dogli avari n ainietra, o del predighi 
destra, #' incontravano, — rum 11: si 
frunto midesimo dollo scontro. La pro- 
munala parli (tuvece di pur 11) è licenza 











pootior comune ni poeti antiebi. Licenza 
conslmilo Inf. XXX, 87, eco, 

20, voLTASDO: forse gli atoani past cho 
averano voltati sin qui: od anche gli 
uni 4 pest degli altri, gli avari quelli del 
prodigbi © viceversa, per esprimaro che 
dani di questo mondo, figurati net pesi, 
girano continuamente; dalle mani ‘de 
prodigo vanno in quello dell'avaro, e 
dallo mani dell avaro in quello del pro- 
digo. 

80. TIRNI: ta avaro. - NURLIS tn pro: 
digo, Buriare significò, paro, nppresio 
gli antichi gettare, «porgere, sparpagliare 
@ simili. « Burlî, ident prolicla, ot est 
volgare lombardum 4 Leno. Cfr, d'arori, 
Pull, 1It, 150, 

3. TORKAYAX: giravano, = TRTÙO: tes 
nebrcao. 

32. MANO: parto: i prodigi dalla de- 
ntra, gli avari dalla ministra del due 
Poeti 

33, axcWR: parimento, nel medesimo 
modo. = MRTUO : Îl Perchè tieni! 0 Perch 
Bud 

25. arosmRA : Incontro, trio nel punto 
apposto, Il gran cerchio è occupato l'unn 
metà dagli arari, l'altra dai prodighiy è 
pur essendo in continuo moto, non pare 
20m però mal questi passare nol mezzo 
cerchio di quelli, è vicereraa. S' incon. 











ct 


84 [cercmo quarto] 


Txp. vin. 56-07 


fAvARI E FRODIONN] 





Questi risurgeranno del sepulero 

Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi. 
Mal dare è mal tener lo mondo pulero 

Ha tolto loro, e posti a questa zuffa: 

Qual ella sia, parole non ci appuloro. 
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa 

Do' ben che son commessi alla Fortuna, 

Per che l'umana gonto si rabbuffa; 
Chè tutto l'oro ch'è sotto la luna 

E che già fu, di queste anime stanche 

Non poterebbe farne posar una. » 


Li « Maestro, » diss'io lui, «or mi 


50. questi: avari. Risorgeranmo come 
meritono, ancora in atto di avari, + Sîni- 
atra compresaie digitis tenxitatem 
avariliam siguificat »; Diod, Seul. 

GT. coL ruaxo cimuso: Al: co' ruoxt 
citiusi.—e QeESTt prodighi. 
avere, accondo un proverbio Italiano, dir 
aipato sino a' capelli, 

Sk. ruLORO: bello ; il efolo. II fulso neo 
che focero de' beni terrestri ll ha eselani 
dal cielo è procipitati in questo cerchio 
diell' Inferno, 

50, 2uiza 1 del duo sozzi nl due oppo- 
niti punti del cerebio. 

10. areuteho: non lo descrivo con 
belle parole; tu atesso lo vedi. Cfr. Z. 

Sud, 150 ag. 
‘anità, inatabilità, como 


il passò Loy. XXIT, 138, 
nn, n 
cati, Ma qui non wi tratta di un gii 

anzi di cosm ben seria. Di Siena: 
pool, figliuo) rodere quanto breve duri 
l'aura della fortuna, on 101 
petti nmanl». Cfr, porò Pr 

IU, 149. 

63, ren chE: por i qual! beni. 
MUFRA: si prande pel eapolli @ viene 
coutena, «Il algnifionto di questo voo 
bolo rabbufa par ch' importi sempre al 
cuna cos intervenuta per riotta o per 
‘quisttono, siccome è l'essorai l'uno uomo 
‘ieapigliato con l'altro, per la qual enpi- 
glia i capelli sono rabbuftati, cioè disor- 
dinati, © ancora | vestimanti talrolta; e 
però ne vuole l'antore in questo parole 
dissostrare lo quistioul, | piati, lo guerre 
‘o molte altre malo venture, lo quali tutto 
Walt gli nomini hanno inkiame per gli 


anche: 


crediti, per l'eredità, per le oconpartoni, 
@ per i mal ragolati desideri ». Roce, 


ve consumato, Il tempo cd i csì 
no Renn sottratto non poco all' uso de- 
gli nomini, Senuo: Tutte quanto le rio 
Ghesxe terrestri del tempi passati 0 pro- 
senti non varredbero ad ottenere ad una 
sola di questo animo pur un istante di 
requie. 
87-90. La Portuna, Avendo Vir 
accennato alla Fortuna, Dante Jo 
frega di dirgli, che eta © onde avvunga 
cho essa tono i deni del mondo in ana 
Per booca di Virgilio egli ritratta 
i ima opinione da lul espressa nel 
 Conedrio, dove nveva detto (IV, 11) dei 
beni di questo mondo «che la loro fm- 
perfezio primamente si può notare nel» 
Ja indisorezione del loro avremimento, 
vel quale nulla distribotiva giustizia ri 
splende, ma tutta infquità quasi sem» 
pre». La fortuna è anzi una intelligenza 
celeste, ordinata da Dio ai gorerno del 
" enna li distribuisce ginsto- 
mento, sosendo il volere del Sapremo, 
beata, non bada nile accuse è bestem- 


icoome nella protasi è detto che Dio 
ha preponto una intelligenza inotrico, o 
delle intelligenze motrici, a tutti { eleli, 
colla logge di muoverli “amento 
în cireeio, così nall'apodosi devo inten» 
dersi che almflmenta ogli abbia dato tu 
potero di una intelligenza i vari beni di 
‘quaggiù siffattamento che distribuendoli 
fra lo genti debba far loro percorrere wa 
giro perpetuo; cioè, da prima farle più e 
più progredire nell'acquisto di quei beni, 
fisebò aavivino al colmine della terrena 
prosperità, è poi dar volta, e di infarto» 














68 [oercmio quanto] — Inp. yin. 117-190 


18 


ma 


Jar 


130 





Urracoxpi] 





Ed anco vo’ che tu por certo credi, 

Che sotto l’acqua ha gente che sospira, 

E fanno pullular quest’acqua al summo, 
Come l'occhio ti dice, u' che s'aggira. 

Fitti nel limo dicon: ‘ Tristi fummo 
Nell’aer dolce che dal sol s'allegra, 
Portando dentro accidioso fammo: 

Or ci attristiam nella belletta negra,’ 
Quest’inno si gorgoglian nella strozza, 
Ohè dir nol posson con parola integra. » 

Così girammo della lorda pozza 
Grand'arco tra la ripa secca e il mézzo, 
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza: 

Venimmo al piè d’una torre al dassezzo. 





117. GRRDI: oreda. 

118. SOTTO e00.: C'è chi intendo trat- 
tarnl di coloro che furono achiavi seso- 
Jati della feroco loro passione. Altri io- 
vece ravvisazo nol sommersi « coloro che 
ehiudono # nutriscono l'ira nol fondo 
del proprio cuore, ira tanto più terribile, 
quanto più rattenota; onde la primm di- 
vampa, © l'altra fuma». E questa so 
conda interpretazione par preforibilo 
ete. la nt. al v. 189. 

119, rutcutan: gorgogiiare, norgero 
bollo alla auporficio. « Por lo fiatare sotto 
l'acqua venivano ll dollori suso »} Buti. 
— AL ato: sulla supordiio. 
ove che, dorunque, 

: fango, poltiglia. 

1 vita terrestre ; ofr. Inf. 
VI, 88. Dal risponde qui alla 
prep. e 0 de lat. che alenifica © cagione 
a tempo; sicchè dal sol varrebbe e por 
cagione del Bolo, 6 dopo cho SI Bulo nia 
sorto #1 Di Siena, 

123, DENTRO : nel cuore, - AGCIDIORO : 0 
dento, oppure tristo 0 affunnoso, ontram- 
bl algnifionti dal lat, anedia. « Acerdioso 
Jumino non vuol die altro che lenta tra, 












porchò l'ira presta o aubita (con ciò aîn 
che f primi moti non sono in potestà di 
no! medosimi) non è pescato »1 Dan, - 
« Con la frase acerdioro fummo il Posta 
significò vivamente il dispotto che cova- 
rono nell'animo i tristi d'ira repressa 
nol trattenersi dallo afogo della loro col- 
lora »; Toderché 

124. BELETTA: forma varia di meltetta ; 
melma, pantano, fungo; deposito delle 
acque torbide. 

125.1xx0> perdronia, lamento, -G0nG0- 
aula»: barbugliano, « Gorgogliare aupri- 
me ll romore che uno fn gargarizzan 
dosì; pronanzlare indistintamente come 
farebbo uno che avesse dell'acqua nella 
Blane. - sruozza: canna della 











L rossor 1 essendo sommerai nel 


‘Gzza | porzo, gora, 
128.4ncO: gran porzione di quel quinto 
cerebio, = mitzzo: con l'a stretto © le # 
napres Il fradicio della paludo. 
120. A CI ece.: n quello povere anime. 
130, at nassizzo: da ultimo, Cfr. An 
clol. 528 ag. 





[cezoRIo QUINTO] Tue. vini. 1-8 [Le Dox riAMIETTE] 69 


CANTO OTTAVO 


CERCHIO QUINTO: TRACONDI 


FLEGIÀS, FILIPPO ARGENTI, LA CITTÀ DI DITE 
OPPOSIZIONE DEI DEMONI 


To dico, seguitando, che assai prima 
Che noi fussimo al piò dell'alta torre, 
Gli occhi nostri n'andàr suso alla cima 
Per due fiammette che i' vedemmo porre, 
Ea un'altra da lungi render cenno 
Manto, che appena il poten l'occhio tèrre. 
Ea io mi volsi al mar di tutto il senno: 
Dissi: « Questo che dice? E che risponde 


rotto; cfr. Ariosto, Or. XVI, 5; XII, 
DI 
4. l': ivi Lo due fiummetto, porto 
sulla soromità della prima torre, sono Il 
seguo del fatto straordinario, che nn'ani- 
ma viva discende nel profondo Inferno; 
«siccome far ai suolo per le coni 
nollo quali è guerra »; Boec. O « ad {mie 
tazione di quello cho sì fa tra gli nomi- 
ul, quando nel tempi sospetti l'una nl- 
l'altra terra di di fa osuno coi famo, e di 
notte, como ora allora, col fuoco »; Land. 
5. DA Lum: cade fa necessaria rina 
grande aggirato, +. 70. La fammetta da 
fungi è neîla città di Dite, probabilmente 
mill'alta torre alla cima: rovente, monzio= 
nata î0 Fay. IX, 20. > LExDIK CANNO: ri» 
ni delle dun fammotte, 
To 1 togliere, 


opperò, 

è ii ringiliano: « iccam caplea 
{inse Georg. 11, 250, Cir. Lucano, PAore: 
fra Virgilio; efr. 2af. VII, 3. 

Î, MAN ©00,. i oe. he 
fi GUbsrO fuoco dello dee ammetto. 


REL 
HAI 






























16 


1 


{cencnto quisto] 


xe. vit. 9-25 





Ceuzords] 





Quell’altro foco? E chi son quei che il fenno? » 


Ed egli a me: « Su per le sucide onde 

Già scorgere puoi quello che s'aspetta, 

Se il fummo del pantan nol ti nasconde. » 
Corda non pinse mai da sò saetta 

Che si corresse via per l’aere snella, 

Comhio vidi una nave piccioletta 
Venir per l’acqua verso noi in quella, 

Sotto il governo d'un sol galeoto, 

Che gridava: « Or se’ giunta, anima folla! » 
« Flegiàa, Flegiàs, tu gridi a voto, » 

Disse lo mio signore, «a questa volta! 

Più non ci avrai, che sol passando il loto. » 
Quale colni che grande inganno ascolta 

Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca, 

Fecesi Flegiha nell’ira accolta. 


ss Lo duca mio discese nella barca, 


9. wixnO: chi son coloro che fecero Il 
fuoro qui e Ia! 

10. scio»: fangose e sorso; Inf. VII, 
134, 120, 

Ti. S'ARPRTTA: sta por accadere, in 
conseguenza del duo segni. 

12. 11 PUMMO: la « nebbia folta » (Try. 
TX, 6), che s'innalza dal pantano. 

18. PIRSR: spinse; da pingere = lat. 
impingere. Confr. Virg., Aen. XII, 856 
agg.: « Ila volat celoriquo al terram 
turbine fortor: Non necus no nervo per 
bara Imprlaa nagitta, ecc, » & X, 247 
Ag.: « Fugit fila por undaa Ocior et is 
calo at vontos quanto sagitta », Ortd., 
Met. VII, 776 agg : «Non ocior illo Ha- 
sta, nec sxonsss® contorto verbore glan. 
dea, Noe Gortyniaco calamua loris exit 
nb arca », 

18. N QUELLA: proprio in quel mo. 
mento; d'uso frequonte. Qui vale: In 
quel medesimo momanto cho Virgilio rì- 
spondova a Dante. 

17, GALROTO: galeotto, come Staco per 
Facco, afige por afigge, Susi por fursi, 
tana per ranna, 000, + Galootsi son chia 
mati que' marinari, { quali servono alle 
galeo: ma qui, licenza poetica, nomina 
galootto;l governatore d'ana piccola bar- 
chotta »; Boee Le duc lnmmette dettero 
lî segno di qualche novità; | demoni di 
Dite riaposaro con nna fiammotta d'aver 












inteso; mentro Flagiha, nolla sus ploclo- 
letta naro, viono relociaaimo come sot 
vedere quale sia la novità annun: 
xiuto, od a foramonto minacciare l'as 
salitoro. 

18. 0x 000,1 Anzichè intendere questo 
parole come rivolte o al nolo Dante 0 sl 
solo Virgilio, sono da considerare quale 
un grido apontanos dell' iracondo ed lm 
petuoso Flegiàs, che orede di vente # 
prendero un nuovo dannato; è le parole 
or #e' giunta ai dovranno interpretare 
col Barbi (Bult, XII, 258): « Or-a0' rage 
giunta, presa! ecco, se' în mio potere», 
ch'è Il senso del Tu sr giunto d' If. 
XXII, 128, @ quello osa cui meglio x'ac- 
di Virgilio (re, 19.20. 
personaggio mitologico, 
Irato contro Apollo, che gli area vio- 
lata la figlia Coronido (madre di Baoo- 
Iapio), mise fuoco nl tempio di Dello e 
lo arto; ofr. Virg., den. VI, 018. Stat, 
Theb, 1,713. Vol. Fi. IL 193 agg, Alceni 
lo dicono presidento della città di Dito; 
| più, meglio, evatode del quinto cerchio. 

20, A QUESTA Volta Por questa volta, 

21, PIÒ= per maggior tempo, = AYILAK: 
in tao potere. — LOTO» fango dello, Sugo. 


























72 [oxkenio quinto] 


Ixp. vr. 38-58 


[FILIPPO ARGENTI] 





E disse: 





«Chi se’ tu, che vieni anzi ora?» 


Eri Ed io a Iui: « Sio vegno, non rimango; 
Ma tu chi se’, che se' sì fatto brutto?» 





Risposi 


Vedi che son un che piango, » 


ELI Ed io a lui: « Con piangere e con lutto, 
Spirito maledetto, ti rimani! 
Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto.» 

TO] Allora stese al legno ambo le mani; 
Por cho il maestro accorto lo sospinse, 
Dicondo: « Via costà con gli altri cani!» 

“ Lo collo poi con le braccia mi cinse, 
Baciommi il volto, e disse: « Alma sdegnosa, 
Benedetta colei che in te s'incinse! 


“ Quei fa al mondo persona orgogliosa; 





Bontà non è che sua memoria fregi: 


Così 





‘è l'ombra sua qui furiosa. 


da Quanti si tengon or lassù gran regi, 
Che qui staranno come porci in brago, 
Di sè lasciando orribili dispregi!» 

sa Ed io: « Maestro, molto sarei vago 
Di vederlo attuffaro in questa broda, 


Lawr. XLII, 14.- L'An, Fior. copia il 
Boce.; i comment. posteriori non aggiun- 
gono nulla di muovo. - Avendo dato mo- 
tiro anche a una novella (Bece., Dee. 
TX, 8), è sogno cho l'Argenti si ora se- 
gualato por il vizio dell' iracondia. 
83. AHI ORA: prima di essere morto: 
uotr, 7. 18 
dI. RIMANGO: come tu. Sembra che 
îrArgenti credoso di arere in Dante nn 
nuovo compagno di pena. 
#5, sauro: lordo di fango. 








36. px: disdi nominarai ; ofr. Inf. 
SX di rea 


+ ancorchè. 

40. #resE: per offendere Dante. 

di. accoRTO: della rea intenzione di 
Filippo Argenti. 

di apgovoRA: altera. « Beno qui ai 
contrappone lo segno dl Peeta all'or- 
goglio @ burbanza [meglio all'ira) del- 
l'Anpinti; nolla sendo a cotali nomini 

pena che l'altrui disprezzo »; 


45. cous: tua madre; efe. Tue. XI, 
27-11 pegnitando il volgare antioo, 


chò dicono molti d'una donna gravida; 
Elia è incinta în uno fanciullo, cioè ell'è 
1 An, Por, 








gravi 

46. oncoGLIOsA : dunque iraconda per 
orgoglio. Nell'Inferno dantesco è punito 
pet l'ira, della qualo la superdia fu la 
Tadico, 

45. cOn  dtaque, perciò, per tal motivo. 

40. LAssÙ: nel mondo. = omax Mxats 
personaggi di gran conto. 

50. nano: prov. brae, frano, ant. bri; 
fango, molma, ofr, Purg. V, è, 

DI. LASCIANDO : nel mondo, > DISTRRGI 
memoria di aeloni degne di disprezzo, a 
commettere le qual! furono traseiuati 
dall'ira. 

12, vaao: bramono, desideroso, + Se- 
quitaranotor bunannm appotitum quasi 
dicat: aleut delectabator distraciare et 
Iudificari alios, ita vellem antequam re- 
cedam hino, fieri destraciom eb Judi- 
Uiriuo de #0»; Bene, 

53, artUMARE: Denldera fl Poota di 
vedere più chiaramente come {) vizio del- 
l'irnabbia Il proprio gastigo, e, reduto ciò, 
no ringrazia Iddio, — neonA : fanghiglia, 


i 

















74 {cenonto quinro] 


Tur. vitt. 71-83 


CoA cITÀ DI Dire] 





Là entro certo nella valle cerno 
Vermiglie, come se di foco uscite 

qa Fossero. » Ed ei mi disse: « Il foco eterno 
Ch'entro le affoca, le dimostra rosse, 
Come tu vedi in questo basso Inferno. » 

to) Noi pur giugnemmo dentro all’alte fosse 
Cho vallan quella terra sconsolata: 

Lo mura mi parean che ferro fosse, 

» Non senza prima far grande aggirata, 
Venimmo in parte dove il nocchier forte 
< Uscite!» ci gridò: « Qui è l'entrata,» 

82 To vidi più di mille in su le porte 
Da' ciel piovuti, che stizzosamente 


71. ck&TO: chiaramente,» crRNO: lati 
niamo, vedo. Chiama valle 31 aceto cer- 
elio, Îl quale sembra giacere sopra lo 
ntosso ripiano del quinto, ma no è sepa- 
rato dallo fosse, mura 0 meschite, onde 
offro l'aspetto di una città fortificata. 

TÀ. FRRMIGLIR: tosse, Infoosto, come 
le arche là dentro, 

TI KARSO: fn cut at puniscono i peccati 
dti mallizia 0 di beatialità, montre nell'alto 
Inferno, fuori di Dite, seno puniti | peo- 
cati d'Incontinenza, comeil Poota esporrà 
più tardi nel canto XL 

76. ru: ualmonte. - ALTE: profondo. 

TI. vaLtax: circondano, difendono. 
« Vallo, secondo Il suo proprio signif- 
ato, è quello palancate, Îì quale a° tempi 
di guerre xi fa d' Intorno alle terre, ac- 
oloechà alano più forti, © che noi volgar- 
mento chiamiamo steocato; e da que- 
ato pare venga nominata ogni cosa la 
quale fuorvelle mura si fa per afforza- 
tento della terra ; e perciò dico l'antore, 
ché gianso nelle fosse che rallano, cioè 
fanno più furte quella terra »; Boce. 

78. ronsx : fossero ; fl verbo accordato 
al nome più vicino. La lezione ce reKKO 
vossr.ò della gran maggioranza dei cod. 
‘Alcuni pochi hanno cme russsu yossr. 


TO. AGGIRATA : giro, "Nolla nare piceio- 
letta avovano dunque percorso un lnngo 
tratto del cerchio. 

80, xoconTER : Flogiàs. E che fu poi di 
Val? Rimase Îì nella sua nave ! Tornò in- 
Metro ? Entrò nella città? La prima cosa 
samba la più probabile, e pare chel'legiha 
abbla 1ì, all'entrata di Dito, 1) auo posto, 





che abbandonò eccezionalmente, come 
più tardi furà Gerlono. L'opposizione dei 
demoni all'entrata di Dite mal s'accorda 
coll'idea che Flogihs vi entrasse, 0 mol- 
to meno con l'altra cho no fonso fl pre. 
sidente, polchè Flagih sapova già essore 
vana ogni opposizione. I versi 1-18 di 
quasto canto vietano di supporre che Fle- 
giùa, abaronti i duo Poeti, ritornano in- 
dietro, ron: fortemente, como 90 
gliono faro gl'iracondi. 

RI. L'ENTRATA : di Dite, Come il Pur- 
gntorio propriamente detto, così anche 
ì basso Inferno ha una sola porta, 0 an- 
trata. 

V. R3-110, OpposteTone del demoni. 
Come altrove, anche qui i diavoli proce 
rano di Impedire fl viaggio del Poeta. Ma 
questa volta l'impodimento al fa più so 
rio. Non è un sol diavolo | sono più di 
mille. Nè cedono alla parole di Virgilio, 
come fecero Caronte © gli altri, ma lo 
costringono a ternare Indietro, L'amana 
ragione non Dasta a vincere l'eresia; onde 
Virgilio non può qui nulla: ci vuole il 
Momo dol cielo. 

83, pa' Al.i nati ma i cieli sono nora, 
più l'Empireo, Cone, IF, 3, è corriapone 
dono collo Gerarohio degli Angeli, tei, 
II, 6. In tutto le Gerarchie vi furono 
Angoli ribelli, Donque gii Angoli mali 
caddero na! CIRLI, 0 non paL ereLO. Lag= 
gendo nat curi si dovrebbe intendere 
cho Dante parli del Paradiso compleni- 
vamente; ma la lezione DAL CIRI. è troppo 

ta di autorità. = PIOVETT: ca- 


dono fa goeciale della pioggia sula terra; 
Pete. Lue. X, 18. Apooaî, XII, 9. 


Brano | 





76 [corrono quinto] 


Txr. v1i1,105-125 [DEMONI 8. PORTA DI TE] 





100 


109 


12 


115 


us 





Non ci può torre alcun: da Tal n'è dato! 
Ma qui m'attendi, o lo spirito Insso 

Conforta e ciba di speranza buona, 

Ch'io non ti lascierò nel mondo basso. » 
Così sen va, e quivi m’abbandona 

Lo dolce padre, ed io rimango în forse; 

Chè il si e il no nel enpo mi tenzona, 
Udir non potei quello che a lor porse; 

Ma ei non stette là con essi guari, 

Chè ciascun dentro a prova si ricorse. 
Chiuser le porte que’ nostri avversari 

Nel petto al mio signor, che fuor rimase 

E rivolsesi a me con passi rari. 
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase 


105, rònuE: Impodire. Tar: Dio, al 
gui volero nessuno può restatere; ofr. 


Rom. VIII, $1. 
106, LASYO: « faticato per In paura » ; 
Bree. 


107. nuoxA: sicura; vi è ancho una 
aperanza falsa è fallace. 
108; EL MONDO DamsO : nell'Inferno ; 
lo atesso che basso Inferno, v. T5. 
| Mi0. nr forar: fn dabbio, 
1. iL at x 1h x0: ritorue: no? 
Chò i demoni hannodotto : Tu qui rimer- 
| vai; Virgilio invece: To nonti lascerò. Op- 
| spune 1 Gli rieseirà di vincore la rosiston- 
| adi quel diavoli, aì 0 no? NEL CAPO MIL 
TEXZONA 1 al combattono nolla mia mente, 
113. cnr a Lor porse: che Virgilio 
dimo a quei demoni. Al: cu» A LOR AL 
roman. Non potè udire a motivo della 
lontananza 1 O perchè Virg. parlò con 
moce sommossa ! Naturalmente Virgilio 
atrà detto su por giù quanto avea dotto 
@ Caronte, III, 93 agg., a Minono, V, 
#2 agg., a Tinto, VII, 8 agg. 
TU 4 rROVA : a para. Ogunno dI quel 
damoni si ritirò, più velocemente che 
potà, dentro della porta. 































D'ogni baldanza, a dicea ne' sospiri 
< Chi m'ha negate le dolenti case 
ma Ed a me disse: « Tu, perch'io m'adiri, 
Non sbigottir, ch'io vincorò la prova, 
Qual ch’alla difension dentro s’aggi 
is Questa lor tracotanza non è nuova, 
Chè già l'usaro a men segreta porta, 











115. AVVERSARI : «Il diavolo vostro av- 
versario »; I Petro V, B 

117, Rari: lonti, come quegli che tor- 
nava indietro di malvoglia, non avendo 
potuto conseguiro il sno scopo; ’ 

118, nas: privo, mpogliato. « GIi or 
caduta 0 sparita dagli occhi quell' ala- 
orità e franchezza cho fa Fede d'un animo 
forte a sicuro» 1 Rr, E. 

120, rr: parole di «degno e di dolore. 
Vedi chi 1a vletato l'entrare! Vedi 
tracotanza | Al:cuà n'itax, che sarebbe 
interrogazione, ofr.Z. F., 66. Penf. Stad., 
151 ag. - DOLENTI CASE: dimore dolorese, 
cioè la città di Dite. 

122. La ruova: la lotta per entrare 
dantro alla città di Dite; ofr. Inf. IX, 7. 

129. qua cco.: chiunque ala che den: 
tro si opponga al nostro entrare, «en 
chè dentro s'aggiri intorno alle sura per 
quelli dentro alla aifuustone, come al fa 
dalli navediati nello custella e nelle eit- 
tadi »; Buti, Ma di/matene può igmòbear 
qui impedire come la Inf. VIE, #1 

125, rontA: d'Inferno, LET, 11. Allen 
trata di questa porta dell'Luferno i de- 
moni ai opposero, sesondo au'antica bea 

















80 [ronza i pere] 


d0 


ma 





Tyre. 1x. 86: 





rorte] 


Véèr l'alta torre alla cima rovente, 

Dove in un punto furon dritte ratto 
Tre furie infernal di sangue tinto, 

Che membra fomminili avoano ed atto, 

E con idre verdissime eran cinte; 
Serpentelli e ceraste avean per crine, 
Onde le fiere tempie erano avvinte. 

E quei, che ben conobbe le meschine 
Della regina dell'eterno pianto, 
«Guarda » mi disso, « le faroci Prine, 

Questa è Megera dal sinistro canto; 
Quella che piange dal destro, è Aletto; 
Tesifone è nel mezzo»; e tacque a tanto. 

Con l'unghie si fendea ciascuna il petto; 
Batteansi a palme; e gridavan si alto, 
Ch'io mi strinsi al poeta per sospetto. 

« Venga Medusa! Sì '] farem di smalto!» 














In mia attenzione a ciò che mi mostrò 
dall'alta torrò; ondo non foci più atten- 
zione a Virgilio, 

96, atta: esprito Il panto, al quale 
vrano nttesi gli occhi del Poota. I più 
aplogano alla = dalla, 

37. DOVE: sulla cima rovente dolla tor- 
me. rutox: Al: vini: Cfr, Z. F., 50. 
RATTO: subitamente. Tatte è tre al ria 
Aarono fn un punto. 

38. tore: «quia Istis oparantitras de- 
vemitur ad san guinia offasioneta »(7) Bene 
«Erano sanguinoso »| Juri, 

80. ATTO: portamento, attitadine. « Non 
solamente avevano forma di femmina, ma 
atte maniere famminili ancora; porcioe- 
chè lo fommine più sovente ohio gli anmi- 
ni n'adirano è maggiormente luscianei 

ir dlal furore »; Daw. 





40, tte: «fn orbo terrarom poloher- © 


riintm angufam genna cat, quod în aqua 
ivit: hyedri vocantar, nolils serpentium 
Raferlores veneno »} Plin., Mit. natur, 
XXLX, 4 > coma: alla vita, 

41. cEKASTR: serpenti commust; contr. 
Prone. SaccA, Op. dit., 182. è Serpen 
telli è renato doo valere quanto serpenti 
piozioli e groeri; 1 piocioli por crine actol- 
io, 1 greeat avvolti in trecce »; Lomb.- 
< Aresn per orine, @ cerarte 
piè trocco» (!); os. AI. : SKRFENTELLI 
OititasTR, « eloè serpentolii, Yi quali erano 
utoranto »1 Cast. Cfr. 2. F., Mag. 


43, quat: Virgilio, » amine: ancel: 


de 1aGota: Proserpioa, moglie di Pia- 
tone re dell' Inferno, che è IT regno del 
pianto eterno, « Sembra cho Dante ne 
cordì a Satanno una moglie di cal que: 
at Brine fossor Jo serrò, il cho non è 
affatto; poichè una tal diavolesia Tiapo- 
ratrico non sì trova per ombra nel mo 
Inferno »; Row. Dante ni attiene san 
plicemente alla mitologia; otr. Inf: X, 80. 

45. RIN: plot. regolare di Arima, arie 
tioament anche în prosa ; oggi: Erinnî. 
(Otr. Porodi, Bull, III, 108), Le Krinni 
figarano rimorsi delia coscienza. 

40. Maia i ofr. Virg., dem. XII, 540, 
«la nemica », = CANTO: lato della torno; 
« quin est petor quantam nd scandalum 
tn foto civilt» My Bene. 

47. AUTO: «ehe non ha mal requio i 
« Allooto lactlfica» Virg,, dem, VI 
Ab ista omanat omnia causa planoini »; 


Ben. 
4 Testrone: «la vandicatrice del- 
l'omicidio »: efr. Virg., Georg. TIT, 652. 
Aen. VI, 556, 9711 X, 961, — a TANTO: 
elò detto. 
49, cox L'uncumer otr. Firg,, devi KV,, 
orta. 
50. 4 ratsen: collo palmo delle manl. 
51, KORFETTO| timore. 








E 





58. Musa: la mloore dello tre Gor- 





82 (ronta Di DITE] Typ. ix, 64-76 [nesso DEL CrELO] 





“ E già venia su per le torbid'onde 
Un fracasso d'un suon pien di spavento, 
Per cui tremavano ambedue le spondo, 
Non altrimenti fatto che d'un vento 
Impetuoso per gli avversi ardori, 
Che fier Ja selva, e senza alcun rattento 
Li rami schianta, abbatte e porta fuori; 
Dinanzi polveroso va superbo, 
E fa faggir lo fiero 0 li pasto) 
Gli occhi mi sciolse e disse: « Or drizza il nerbo 
Del viso su per quella schiuma antica, 


‘ove quel fammo è 


iù acerbo, » 


no Come le rane innanzi alla nimica 


lo 
al dubbio potrilcante (Volgiti indietro, 


flen lo viso chiuse); ir 


dubbio e della misoredenza, l' 
itmperialo gli viene in aoccorno coll' 

v. 58-00, cioè collo laggi co 

toi. Sennonchè l'autorità imporiale non 
basta per sò sola a guidare l'nom 


do, Ma l'autorità ecclosiaa 

ha soccoro (tal ne a'offerse) toi 

la divina silaminazione (il Messo del cielo) 
cho tinee e lo obblezioni de' miscredenti 


col loro scherno (demoni), © gli ostacoli 
Se 


dalla mala coscienza (Srinni), 1 


peteazione allegorico-politioa assai 
uosa e dogna di esero consulta 
Rost., Com. I, pp. 253-61. Ci 
Tati. 1 D. AL, ver. 17, lott. 
Ripateans., 1852. Negroni, 
del Capo di Meduro, Bologn 
84, oxpR: dollo Stige. 
65. viacasso: « Et fuotus est repente 


#8. Aupemt: per Il disequilibrio di ca- 
lorico nell'atmosfera. « Secondo Aristo- 
telo i calori vengono da parto avversa a 
quella dov'è Ja materia propria de' renti i 
ali sotto, quella di sopra »; Oa: 
Perni, Ctr. Virg., den. LI, 4106-19, 


yitit: forisce, poronote, «Iaterdum 


rapido porourrens Lurbino campor Arbo- 


sape e montisque supre- 
verat flabris »; Zasoret., 
er nac-1, 29 pia fr, Zucca 


+ ft, Virg., Georg, 
- aifrio Quan: santini 

ri dello franguntaue ferustgne e. 
jxt; per portar Ì fiori non cl vuola 
vento impetuoso, e porfare non piglia 
to del lat. auferre, se non 

ticella ne, 0 1' avverbio 


ronta yvon Boco., Bene, Sernati, 
00. uti ha ANRATTE PRONDI E 
La lez. roxta rioni non sì trova 
so verun Quattroceutteta. 


73, 21 scioLari Virgilio, allontanan 
dono lo mani colle quali me li tanca chit 
ni, v. 60,» xEtDO: la potenza, l'acume 
dell'occhio, È l'acies ocwlortem del latiat, 

74. scuiuma: acqua sohiumosa dello 
Stige. 

75, ram 01: da quella parte. = FUMO: 
esalazione del pantano, — PÒ AvERBO | più 
denso, è però più moloato agli occhi. 





84 [PORTA DI DITE] 


Txp. tx. 90-108 


Dirsso pet; orto] 


L'aperse, che non ebbe alcan ritegno. 
<0 cacciati del ciel, gente dispetta, » 

Cominciò egli in su l’orribil soglia, 

« Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta? 
Perchè ricalcitrato a quella voglia, 

A cui non puote il fin mai esser mozzo, 

E che più volte v'ha cresciuta doglia? 
Che giova nelle fata dar di cozzo? 

Cerbero vostro, se ben vi ricorda, 

Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. » 
Poi si rivolse por la strada lorda, 


E non fe’ motto a no 


a fo' sembiante 


D’uomo cui altra cura stringa e morda, 


Che quella di colui ch 


90. xox amuR: Al: NOx v'emn 

DI. DISEETTA : apregovolo a Dio o agli 
uomini. 

DI. OLTRACOTANZA : orgoglio con cul 
tesiatoto al volori mupromi, — at a 
tatrA : sl acooglio, alberga; ef. Inf. 
I, n 

‘Di. voGLIA : voler divino; « Dura e 
@ perte il rionloltrare contro ii pangolo »; 
Att IX, 5, 

29, tozzo: tronco, impedito, + Volan- 
tati enîm efoa quis ruaisit! »; ad Tom. 
IX. 19, 

90. r1Ù YoLTR: ogni qualvolta voleste 
opporvi al divin volere, » CUESCIUTA : sè 
condo gli Scolastici lo peno dei dannati, 
e specialmente del demoni, sono aumen- 
tabili mino al di del giudizio finale. Se- 
woudo 11 Sert, « allude }] Poeta è "peclai. 
mento alla vittoria di Urinto nel 
Anmentò questa vittoria la dogli 
demoni? Furso piuttosto la rabbia ed Il 
furore, E poi Cristo discose. 

*olta nel Limbo, mentre qui si parla di 
più volte. 

DT. Fata: deoroli fatali, immotabili di 
Dio. « Fatum da fari = parlare, è. Ja pa- 
zola dell'Itoto imuatabile seritta in dia- 
anantinì caratteri nell'etorno libro »; Di 
Mena,» « Fatura est in 1psis causis orea- 
îta, Tn quantun sunt ordinato a Deo ad 

tua prodnoendos» ; Thom. 
figa St. th, I, 118, 2. - par DI cozzo: 
Mrtare, percuoter contro. 

89. FALATO: quando Cerbero volle op- 
porsi all'entrata di Ereolo nell' Inferno, 
Voluta dal Fato, Ercole gli mise una ca- 


gli è davante; 


toa n) collo e lo trnacind ala foori delle 
porta; oîr. Virg., den. VI, 302 ag. 
100. stava LORDA: paludo Stigin. 
101. xox n° ece.: non ci disse parcla. 
Xl Messo del cielo non fn che eseguire 
uanto Dio gli Da ordinato, o cià nel pre: 


Virglito, nò a Dante, « Non feett 
verbum nobia, quia nobia serviverat 
opora a; Bent, 

109. ALTRA CUmA: por il Memo è la 
cura di ritornare iu. olelo; tr. Inf. IL 
71, BA. - ATRINGA 3. e Animom patrie 
sirinzit pietatia Imago»; Virg, des, 
IX, 204. - omne 1e Bi itia materni cura 
remonlot »; Firy., den, VII, 40%, e Gol 
quali duo esampi di Virgilio n aplega 
come nol Messo di Duote il pengioro di 
tornare al cialo ala ad un tempo n sf 
fetto che stringe, e neuto desiderio che 

do»; L. Vent, Sim, :980, 

1-133. Za regione degli orostar 


vile domonl (VIII, 88), 10 St 
>, Medusa = tutto è sparito; 1 
Poeta nen ne redo più fracela, Guer 
dandoal fntorno non scorge che wa yR- 
sto cimitero, Oranque avolli, @ tra un 
avello el'altro fvochi che funno gii avelli 
eternamente roventi. 1 lare coperchi soma 
lavati in alto, onde ai odono | duel la 
menti di que che dentro vi sono, Mi 
chiestuno, Virgilio insegna al Poota, ds 
sero questa da regione infernale degli 
ercalarchi. 





86 [oxronio sesto] —Inp.1r. 119-152 





Per lo quali eran sì del tutto accesi, 

Che ferro più non chiedo veran'arte. 
‘Tutti gli lor coperchì eran sospesi, 

E fuor n'uscivan sì duri lamenti, 

Che ben parean di miseri e d’offesi. 
Pd io: « Maestro, quai son quelle genti 

Che, soppellite dentro da quell’arche, 

Si fan sentir con gli sospir dolenti?» 
Ed ogli a mò: « Qui son gli orosiarche 

Co' lor seguaci, d'ogni sotta; o molto 

Più che non credi son le tombe carche, 
Simile qui con simile è sepolto, 

Ei monimenti son più e men caldi. » 

E poi ch’alla man destra si 


Li, osservando: «Il munsico d'alouni 
s0dd. Okztragli fa risoluto în Che tra 

laddove, tenendo conto della Ilneetta so 
vrappossa all'e, rolea risolversì in Ch'en- 
tagli». Dore sono i cold. che hanno 
UAtragli, con «Iinestta sovrapposta al- 
l'est È como fece Il Poota, appena en- 
trato în quoste cerchio, nd accorgersi che 


Del resto anche Gelli logge Cu'axtRO LI 
AVELLI, 0 così pare che abblan letto Cet. 


120, FEMRO eco. eg tr DI 


accesi, clio nosan'arte di fubbro o di fo 
disare calge cho, per lavorario, il ferr 
Diù rovente. 


139, ancne: 


121) preci, è gni di fr 
Alarche vuoi 
Migiter al'orear groco quol eat prim 
depe, ci dorenia quoi est ereria»; An. 
Nor. — « Anctor fingit quo quilibet be- 
Tesiarea babet hic fream magnam, in 
Una sant simul secc In ‘pona ommes 
Jaacen cina qui portinaciter tennerunt, 

7 vata pi puledri retina 
Gina erroucam >; Bene, 

128. MOLTO: in ogni svelto vi sono ns- 


eranì grando parte, 
ladinì sì combatteva per la 


questa malatizione tn 
o molto tempo +; G. Vil, IV, 30. 

d ogni classe di eretici 
‘gnato un luogo speelale In questa 


regione infornale, ed ogni singolo arelle 


che più si somigliarone 


IMISSTI : nopoleti. = PTÒ R AGE = 
aatità dell'oreala od il grado 


sono venuti sempre a ai 

atra; per attravorsare il corchio de 
vono di necessità fare una volta a destra. 
i loro vfaggio per l'Inferno i due Poetl 
volgono sempre n man siniatra. Soltanto 
doo volte c' Imbattinmo In una eccezione 


a questa regola, La prima volta aî vol: 


gono a man destra entraudo nol cerchia 
degli eretici, la seconda quando vanze 
verso Gorlona, simbolo ili frode, UA 
XVII, 31. Senza doblo questo fatto Ba, 
secondo la mente di Dante, Îl ano sense 
allegorico. Ma quale queato sonsoaia, nes 
è facito indovinare. Può darsi che mel 
presente Iuogo il Poeta voglia inkegnar: 
di, cho 1 primi passi mulla via, 11 cut 
termino è la misoredemta, non 400 par 
sè inonî, la Toro radica cameo 
ordinariamente la sete naturale di sa- 
poro. Inoltre 0 la miscrodenza e }a free 
sono î due peccati, le cul armi soglione 





88 [ceRoBIO SESTO] Tnp. x. 4-21 [eREs:ARCHI] 





CI < 0 virtù somma, che por gli empi giri 

Mi volvi, » cominciai, « como a te piace, 
Parlami e satisfammi a' miei dosiri. 

La gente che per li sepolcri giace, 
Potrebbesi veder? Già son levati 
Tutti i coperchi, a nessun guardia face, » 

Ed egli a me: « Tutti saran serrati, 
Quando di Josafàt qui torneranno 
Coi corpi che lassù hanno lasciati. 

Suo cimitero da questa parte hanno 
Con Epicuro tutti i suoi seguaci, 
Che l'anima col corr 

Però alla Ria ch 


Ed al disto ‘ancor che tu mi taci. » 
Ed io: « Buon duca, non tegno riposto 
A to mio cor, so non per die 


on pur mo n ciò disposto. » 


4. FIRTO NONA: sommamente vir 33. suor loro; elr, nf, XXII, Mb 
Kuioso, » aut» cerchi dell' Inforno, riploni 


11. JOKAVAT: vallo prosso Ge: 7 icon 
m0, dove, secondo 1 libri nacri, Porti colata ne ponmiori. 
3L NOx PUB MO: mon soltanto orni 


 Ainceptabo cum nia (bi... 
“at ascondant gentes iu vallem Teti A 


aàpbat dicitur vallis ludieli. Vailis est 
mumpor luxta montem, Vallle eat hio 
‘mons est colum. Tu valle ergo 

i. », în lsto mundo, selli- 

cat in fato adire, udi iusti ad dexteraci 


ponentar ; Zlu- 
E Ar “Bom. dd 
firsioni sa COLI 




















90. [ceRcHIO SESTO] 


Tvr, x, 94-43 











s” l'avoa gi 


il mio viso nol suo fitto; 


EA ei s'ergon col petto e colla fronte, 
Come avesse lo Inferno in gran dispitto. 

n E l'animose man del duca e pronte 
Mi pinser tra le sepolture a lui, 
Dicendo: « Le parole tue sien conto. » 

dò Com'io al più della sua tomba fui, 
Guardommi un poco, © poi, quasi sdegnoso, 
Mi dimandò; « Chi fur li maggior tui? » 

s To, ch'era d'ubbidir desideroso, 


Fariosta sulla scsna è apparocohiata în 
inodò ch'egli è già grando nella nostra 
Immaginazione, e non l'abbiamo ancora 
rid veduto nò udito. Farinata è giù grando 
per l'importanza che gli ha dato fl osta 
© por l'alto ponto cho occupa nel ano pen- 
Aloro. E non fo vedinino ancora e già co 
lo figuriamo colossalo dalle parole di Vir- 
glio: Dalla cintola in su TUTTO il vedrat. 
Volnvi vederlo: eccolo TUITO fananzi a 
da, » De Sanctit. 

34. cià: appena udite lo parole; reti 
tà Farinata, è prima ehe Virgilio a vense 
finito, - yiso: occhi; fo fo rigusrdara 
già fino. 

26. a’ enomA: por alteresza © grandor- 
ta d'aulmo. 

30. DISEITTO: diupotto, disprezzo. Vivo 
negò la vita futura, morto la disprezza. 
« Falt onîm Farinata anporbua cum tota 
sua stirpe»; Lenr. 

I. Pinara: apiovero. - LUI: Farinata. 

#9. cosrE: 0 dal lat. cognitua, 0 da 
compia. I più intendono Parole chiaro, 
precise @ simili; altri Parolo contato, 
numerate; altri Parole ornato 0 corteal. 
T più antichi (Bamdoî., An. Set, Tae. 
Dant, Lan,, Ott, Petr, Dant., Cast, 
Wuleo Boes.,, An. Fior.) non danno al: 
cona interpretazione, Zoce., «Composto 
dè ordinato a riupendoro; quasi voglia di- 
nes ta non val a parlare nd ignorante ». 
= Bene; « Quadi dicat: loquere cum into 
familiaritor clare, quia iste novit ca de 

tu via ciro et facere momoriazm ». 
= dit: « Parla apertamente e ordinato» 
merito », — Serrae.; « Loquero modoate ot 
liuneste ». - Fary.: « Sien chiare, den in: 
olligibili, Parlorai apertamente senz'al- 
eun rispetto ».-Land.:v Chiaco ot aporte; 
‘perobò <hi vuol osser fuor d' eresis, doro 
merivore ot parlaro senz’ alcuna ambi- 
Guità +,» Yell: « Maulfeste et chiare, et 





























non confe et oncur 
ris ciare secam ». = 
monto, come si conveniva far con un 
uomo almilo ».- Dan.: « Manifanto a ehia- 
re, e non amblgae 0 dubbie, perciò che a 
parlare con Herutici, bisogna esser molto 
accorto 0 riguardoso », = Cnat.: + Virgilio 
dico questo a Dante e perchè area detto; 
Buon duca, non tegno riposto mio dir, se 
non per dicer poco, u perchè Virgilio are- 
va voduto che temeva » (7). =Fent.: « Ma: 
10 AItO @ Fl80,.» 
inte è invoca di contate, 
cioè numerate, quasi dicesse: Non le af- 
fastellaro alla rinfusa, ma ben pemalo per 
angoli Betti: « Modo poetico per 
dire: Fa' ch'egli sappia Jo tno parol 
cioò ciò che to vuol ». = Nova: « Fa' eli 
{ sensi tuoi alen not. Conte è sincope 
cognite ». = Tom.: « Chiare © nobili ». - 
Br. E.: « Aporle @ franche », > And 
= Adorno (lat, compia), nobili, com'ò de 
gno di tanto collocutore ».- Chra,: « No- 
bili e dogno di memoria ». — Campi? 
« Parla chiaro o palesa liberamente le 
tuo politiche opinioni ».- Bertà,3 + Ondl- 
nato, dal lat, comptus e. — Pol. uta col 
Buti. Con Farinata Dante parla un lin- 
guaggio franco, chiaro @ preciso, ma và 
particolarmente brove, nè 
mente ornato © cortese (7. 51 0 85 agg). 
40, coni At riti Al: TO8TO Cit'at PIÈ. 
4l. cuAnDOMII : por ricononcertal, 
sprasoso : Dante nou era nel suo ate. 
riore un uomo imponente, «Sono vile ap- 
parito agli occhi a molti, che fore got 
alcuna fama în altra forma mi areamo 
el cospetto de' quali.... sia 
1 Cone, 1, 3. Cfr. Boee,, 


43, musi 1 a Virgilio, 7. 88} 0 n Pa: 


rinata, v. 421 Pià probabilmente a Vir 
ggilio. 


i 





1 «Loqua 


* Accorata- 














































































92 [oxronto sesto] 








Txp, x, 58-68. 


[exvarcasti] 





Avesse di veder s'altri era meco; 
Ma poi che il sospocciar fu tutto spento, 
se Piangondo disse: « Se per questo cieco 
Carcero vai per altezza d'ingegno, 
Mio figlio ov'è? E perchè non è teco? » 
s Ed io a lui: « Da me stesso non vegno: 
Colui che attende là, per qui mi mena, 
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno, » 


50, avete Guido sno figlio. 
sonrEccIAR: sospetto, dubbio, dul 
tt tg Inopleari, AL: susrican. Ofr. Purg. 
Mppecmaeo: priva di laco è di crae- 


0. ratio: Guido Cavalcanti, nato a 
Firenzo verso fl 1250, morto ivi noll'ago- 
ato del 1300, « quegli cul fo chiamo pri- 
mo do' miei amico»; Vita N., &. 








mo, so non ch' Aroppo 
sato »i O. Vil: VIII, 42; efr. Bose, Dee. 
@. VI, nov. 9. IM Vi, Vite. Hreole, 
Guido O, e le sue Rime; studio storie: 
Utterario seguito dal testo eritico delle 
Rime con commento, Livorno, 1889. - 
i0o: compagno del viaggio è partecipo 





20: Cavaloanti suppone che per 

fare un viaggio di tat natura basti l'al- 
ingegno; nella una risposta Dante 

necenna che ci vuol altro ancora. 

#8: xuui: Il motivo del diudegno dt 
Guido por Virgilio è un enimina Alcuni 
Wpfogato: Porchò Guido non amuva Îlla- 
tino, efr. Fita N. $ 30. Als Perchè Guido 
stimava più la filosofia che non la poosia. 
{tan era ugli stoaso poeta). Al.: Guido, 
guello, bbe in dispetto Virgilio, non 
Some poota 0 Glosefo, ma come cantore 
entiiaatioo dall'impero: AL: Parebò al- 
v Gallo, Virgilio éra troppo re- 

‘0 perchò Virgilio rappresrata la 
tagiono sommessa alla foto. - AL. rifo 
rirono Il disdogno di Goido non a Vir 
[gillo, imm a Iaatelco ect. Cfr. Del Lungo, 
Dal secolo è dal poema di Dante, pp.3-61 
a Dov Studît sulla D. 0., pp. 150 














Guido olbe a disdegno qi 
oa 
Soorat 


quod dediguatua 
Hipnta gU parsa atte slo è, da 


molto più che la poesia, ebbe a adegno 
Virgilio © gli altri poeti. Boee 

« Guido dispregiò Virgilio, oloè poosla 
= Bent.s « Into Gaido non out deloctata 
in poetici... non dignabatar lagere poo- 
tua, quorom privcepe est Virgilina 
Buti: «Guido dispregiava ll poeti, e Vir- 
glio come li ultrl +, An, Mior.; « O por 
chè Guido gli parosse ebo la scienza sua 
fonso ai alta ch' ella avanzazie molto 
quella do' posti, o c'agli mon leggi 
mal loro MHbrl, h' egli adeguasso 
1 bro di VIrgitio n= 














Gelli: « Guido avera avuto la 
poonta n dini vi avora mal 
dato opa Dane «Dar 
do opera alla filosofia, non gli erano pia- 
ciuti È poeti ».- Ciat.i « Troppo segnano 
parlaro è fl dire avere a adegni 
ner sigalticare di non curario ». Che # 
disdegno di Guido xa per Virgilio pot 
ta, è l'opinione ora validamente difesa 
pur dal D'Ovidio, il quale un 

aveva pensato altrimenti. Egli nerive, 
fra l'altro, questo giustiasimo parolo: 
« La cultura 0 la tenionsa di Guido era 
soprattutto da sclenziato © du pensato» 
re, da dtosofo naturale è da laîco ; nella 
poosia, nella lirlon soltanto, ni segnalò 
perchè avova fino l'ingegno w l'antino, 
toscannmonte temprato il gusto, mu ar 
formato solo ani provenzali è sul Gulni- 
celli. Fa una singoînrità dell no 
vrano di Dante i xublimare fu sò code 
nto medesime facoltà morcò l'acuto senno, 
affatto ignoto stno a ul, dell'arte Di 
è di spingersi fino alla ideazione d'un 


poema classicamente romantico, rical- 
cuudo l' Koeldo più di quel ch general 


























94 [cencnio sesto] 


Isp. x. 81-95 





Che tu saprai quanto quell'arto posa. 

E se tu mai nel dolce mondo reggo, 
Dimmi, perchè quel popolo è sì empio 
Incontro a’ miei in ciascuna sua legge? » 

Ond’io a lui: « Lo strazio è il grande scempio, 
Oho fece l'Arbia colorata in rosso, 

Tali orazion fa far nel nostro tempio. » 

Poi ch’obbe sospirato e ’l capo scosso, 
< A ciò non fui io sol, » disse, « nè certo 
Senza cagion con gli altri anrei mosso. 

Ma fu'io sol colà dove sofferto 
Fu per ciascun di torre via Fiorenza, 
Colui che la difesi a viso aperto. » 

« Deh, so riposi mai vostra semenza, » 
Prega'io lui, « solvetemi quel nodo, 


1304, apoca a coi i alludo în 
Dante jo spora troppo 
nendo riusolti tatti gli aforzi del: 


di rienteare in Firens 


fafiuonza sul governo di 

#9, roroto: Fiorentino. 
dele, spiotato. 

BA afaenti: agli Uberti. Lr0GR: + quia: 
semper, quando fit aliqua reformatio Flo: 
tinti do exulibus rebanziondia, 


no: iii “dove solavanel tenere con: 
hlgli del popoto orentino. Secom 

Dante parla qui in modo vago n trasla- 

ivo per significare ot fa adoperar così; 

ofr, Mani, $tad., p. 53 agg. 

s0ArRATO: per il dolore nell’ uilre 

4 Fiorentini, dimentichi di Empoli, 

Rerbano che Ia memoria di Mant'A- 


cîvò soltanto del male da lui fatto 


#0,A crò: alla battaglia di Mont. perti, 
ra esule 

combatteva contro i suoi hetmici. - Ae 

iI: Ghidellin], - Mosso: n combattere 


| Empoli; ofr. G. Veli. VI, 

, dove Il eronista racconta avere Fa- 
a tra l'altre coso detto che « "altri, 
foma, montre oh' agli avesse 

în corpo, colla apada ln mano 1a di- 


CV. 96120. 
F 


prega 
Guido vive ancora, come pure di 
nare i suoi compagni. « Siamo » ri 
spondo Fartnata, « più di mille; tra gii 
è qui Peierigo II o Îl cardinale; 
gli altei won vo' dir molla ». Oîr, Are 
zio, Sulla teoria dantesca della proreien- 
2a, Palermo, 1806 0 Buit. IV, dB 
DA. Bir deprecativo ; com perità ripone 
ro una voita la vostra discendenza ! Al: 
So mal rimisi (riposi da riporre) in pa- 
tria ecc. Quali discendenti di Parisata 
(Guldo Cavalcanti non era tale) furono 


da Danto richiamati dall' Li 
n8. no001 dubbio dito. 





lin 


[okromo sesto] 


Tnp. x. 119-120 [coNFORTO AD. 





Qua dentro è lo secondo Federico, 

E il Cardinale; e degli altri mì taccio. » 
Indi a°azcose; ed io invér l'antico 

Posta volsi i passi, ripensando 

A quel parlar che mi parea nimico. 
Egli si mosse; e poi, così andando, 


Mi diss 


Perchè soi tu sì smarrito?» 


Ed io gli satisfoci al suo dimando. 

«La mente tun conservi quel che udito 
Hai contra te; » mi comandò quel saggio: 
<Ed ora attendi qui! » e drizzò il dito, 


119. FeDERICO: l'imperatore Federi- 
ansi 


go IL. Tu accusato di grave oreai 
dl atelamo ed Incolpsto (a torto) di 
autore ilel fumigorato libro: De eribue 
dimpostoridua, 

120. Canvixate: Ottaviano, 0 Atta- 
iano, degli Ubaldini, Fiori verso f1 1200, 
Fu vescovo di Bologna dal 
eletto cardinalo nel 1245, morto ret 137 
= a Non oredia che anima 
venno a morte disse: So avima fosso, 
dilti che per gli ghibellini io l'avenai 
perduta »; An. Sal 
uomo, lo qualo ebbe tanta cura di questo 
mondane cose, che non par ch'el 
desto che altra rita fosso che questa 
Tu molto di parte d'imperio è fece 
quellocho seppe la xv altari 


meta, dimandolla all 
o vero d’imperio, di Tr 
tato; a) che costui Jamentaadori 


parto È ‘gblbollina 


M che mostrò In questo suo nn 
diano se è anima, ch'e! 

Fusso certo d'avero animn»: Les. Lo 
Atonso ripotono Ott., Caez., . 
= folt vir valentissimns tempore 
Rigax et andar, qui carlam romanam 
voruabat pro vello ano, et aliquando te- 
mult sam in montibus Fioreatl in terris 
nuormm per aliquot mense; et spo do- 
Sondebat palam rebolles eccleslm contra 
‘Papam ot Cardinales; fuit magune pro- 
Sector et fautor ghibellnorm, et qu 
obtinobat quidquid rolebat, Tpsa focit 
primum Archiepiscopom de domo Vice. 
comitum Modiolani, qui oxaltavit atir- 
pom suam ad donnium illius eivitatia, 


moltum honoratas ot furmidatna; idea, 
quando dicobatur tane: * Cardimalia die 
imalia focit afo*; Intellige= 

batur "îo cardinali Ootartano de Ubale 
eccola. Polk heenegi: 


sia. ie ma Cacclaguida, Parad. 
nindi è dne Porti contianano 


o como Garalcante, ma iponear 
a gincero, sempre dignitoso. 
>. rantani allo paroîo di Farlnata, 


127, coxservi; non dimenticare ciò 
cho hai ndito; ma psr Intanto non ba- 
darci troppo, dorendo attendere ad altro. 

‘attenzionea quan 

mostra in questo luogo, Al.: At- 

quello che io ti vo' dire. Ma la 
contemplazione delle peno dei dannati è 
Il fine salndre dol miglio viaggiò dii Dune 
te, più importante assai cho on la ven. 
tura ana sorto n terra, — DeI&zÒ: vento 
la ragione în eni si trovavano, dinotata 





98 [cEEcHIO SESTO] 


Tar. xt, 4-18 


{PAPA ANASTASIO) 


E quivi, per l’orribile soperchio 
Del puzzo che il profondo abisso gitta, 
Ci raccostammo dietro ad un coperchio 
D'un grande avello; ov'io vidi una seritta 
Che diceva: « Anastasio papa guardo, 
Lo qual trasse Fotin della via dritta. » 
« Lo nostro scender conviene esser tardo, 
Si che s'ausi prima un poco il senso 
Al tristo fiato; e poi non fia riguardo. » 


19 Così il maestro; ed io 


prosa qui questa tal voce, metaforica 
moute 0 per traslazione, dai Poeta por 


ati o più gravi, ch 
do' quali infino a qui 


= Stipa, cioè serraglio, 
cl vuol tanto ad indovinare 


contiene più dolorosa fu 
Ote. Inf. VII, 19; XXIV, &2. 
4. BOPELCILIO 1 #00, 
#5, azzo: mbolo del pro 


spedì nel 497 due vescuv 
ratoro groco, progandolo di toglier 
aneri Dittici Îl nome di Acacio, e 

‘vescovo di Cosaroa in Palestinn. 

Niesto tempo vente a Roma Foti: 
diacono di T'ossalonica e seguace di Al 
olo, Anastawio IL lo accolse amorevol. 
mente e comunicò con lni, il cho eccitò 
"ira del clero di Roma. Quindi Graziano, 
Deoret. diat. XIX, 8-0, diano, falnamento, 
Anastasio LI condannato dalla Chiesa, e 
dotti quanti gli atorie! eccleaiaatici sino 


<Alonn compenso » 


al secolo XVI, lo chiamarino a toria 
uo snche quello che au ciò 
Dollinger, Papefabeln, Monaco, 
1609, p. 124 agg. Danto nogui in questo 
luogo la tradizione erronea che a suol 
mpi aveva valore di storia esatta. 
‘AxDO: cuntedinco, 
‘Lo Qua: quarto caso, = FOTI: die 
Tessalonica, da non confondersi, 
i quali accusarono per 
iguoranza il Poeta di anacroniamo te nel 
latoni storiche pr 


viase nel nocolo V +; Bartolini, Studî 


, 1, Blena, 1889, coi molto più co 
sciato mbelliazo Fotino, rascore di 


no. Per non perdere i 
, Virgilio disegna a Tanto ecm'è fitto 

bauo Inforno. VÌ sono tre altri cere 
chi ‘ violenti, distinto in tre gi. 
roni (violenti contro il promlmo, contre 
nd stessi o contro Dio); fl: secondo del 
frodolenti che usarono la fredo com ehi 
non avera particolar ragione di Adardi 
di ossì fdistiati in diecl'olassi & pan 
in dieci fossi); l'altimo, o più profonito, 
del frodolenti cho usarono la frode esa 
chi avera particolar ragione di 
«i loro, valo a dire del traditori, 
fn quattro cisti, 





100 [cxRorto sE8T0) XI. 81-47 CsAsso 1nFERNO] 





si A Dio, a sè, al prossimo si puòne 
Far forza, dico in sè ed in lor cose, 
Come udirai con aperta ragione. 
Morte per forza e ferute dogliose 
Nel prossimo si dànno, e nel suo avere 
Kuine, incendi e tollette dannose; 
Onde omicide e ciascun che mal fiere, 
Guastatori e predon, tutti tormenta 
Lo giron primo per diverse schiere. 
‘Puote uomo avere in sè man violenta 
E ne’ suoi beni; e però nel secando 
Giron convien che senza pro sì penta 
Qualunque priva sè del vostro mondo, 
Biscazza e fonde la sua facultade, 
) pian love esser dee giocondo. 
Puossi far forza nella Deitade, 
Col cor negande estemmiando quella, 


Atadpandol 
PIOvA SÈ cos: è anfelda 
‘AZRA: (da Disea © bisoszza ve 


como Jene per fe’, 000; forme dell 
toscano antico e moderno (l'arodi, Pull. 
mn, 116). ns 

32, 1 eh: nella persona. -1x Lo Cos: 
nella roba. 

forsa i abusa contro 

il preasimo: o nella persona, necidendo 
© furendo; 0 nella roba, guastando, 
cendisado, rabando, predando. - PERUTE 
ferito; da Jeruto, part. di fe 


questa © molla forma di 
goltiod raberio, estorsioni ed anche 


menta determinata al malo, non per a ee 
peto 0 per difosa. 

38, avastatoni: colpevoli di ruino ed 
incendi. - rRRDON : ladri, gli autori delle 
tollette darnose. 

39. acmiie: socondo la qualità della 
violenza fatta. 


yi0a gino pubblico) di 


al giuoso. 
«Quont la room discazza significa nella no- 
stra ilngua un loogo nel quale n 


ratterie va n giuocaro chiunche vuole, 

senza esservi conosciuto @ senza aver 00- 

nesconza di quel che vi giaocano; e nelle 

| bische vanno a giuocar nolamonto quel 

che ri hanno pratica 0 conoscenza +; Gele 
Cfr. Mazzoni-Towelli, p. 82, 


n 
0 fn #pose snodato © pi 
conì quello cosa che a 
ciascuno dovrebbero essere cagiono di 
giola © scala al paradiso, como la vila e Je 
ricchezzo bene nsate, quello stasso gli 
sono cagione di pianto è di dannazione, 
unate male»: Fanf., Stud. 60, AL: Nol 
mondo, dove doveva, vivendo bene, start 
giocando ed allegro (1. 
46. xRLLA Derranes contro Dia. 
47. coL, con: con intimo deliberato nen 
timento, « Dixit inlpiona in corde nuo: 
Non cat Deus +; Poal. XIII, 1} LI È. 








[oeRcHIO sesto] Typ. xr. 64-81 [DANNATI FUOR DI DITE] 





Onde nel cerchio minor, ov' è il punto 
Dell'universo in su che Dite siede, 
Qualunque trade, in eterno è consunto. » 

Ed io: « Maestro, assai chiaro procede 
La tua ragione, ed assai ben distingue 
Questo baratro e il popol che il possiede. 

Ma dimmi: quei della palude pingue, 

Che mena il vento, e che batte la pioggia, 
E che s'incontran con sì aspre lingue, 

Perchè non dentro dalla città roggia 
Son ei puniti, se Dio gli 
E se non gli ha, perchè sono a tal foggi: 

Ed egli a me: « Perchè tanto delira » 

Disse, « lo ingegno tuo da quel che suole? 
Ovver la mente dove altrove mira? 
Non ti rimembra di. quelle parole 


osizion che il ciel non vuole, 


64. eUNtO: 1] centro della terra © del. 
>. Cono. 


60. quaLUNqUE TRADE: bralisce, i ira- ne, Il che manifestamente al vedo 
ditorì di ogni genere, pero per quasto colore chiamate 
V. 67-90, I amnati fuori della città 
11 Dite Dante interroga l Maestro, pe 


friondi, 1 lassuzioni, 1 golosi, 
ed I prodighl. Peccarono d' ine 

za, tinpunde Virgilio, o l'inconti 

fendo seno Iddio pi 

faina, cho non la malizia 

Ità, Onda gl' incontinen 

dagli altri dannati 0 puniti ori del 


phorice parlando, in clancuna coma nuce» 
do della diritinra e della ragione, ai può 
dire @ diomi deliraro »; Boce. 
78. DOYR: 0 è forwe Ia menta taa o0e0» 
pata da altri penalori V Al.: LA MENTE TUA 
e 10 abita, che lo empie. Al. cita Os: AUHOYA; forse corruiiane di ehi al me 
BID, corse che quel dere alirore non suona 
To.rxaue: fangosa; Inf. VIT, 106 agg. roramente troppo 
Fl. cuR MEA IL YESTO: lussuriosi. — 
RR DATTE LA PIOOGIA = 


L'KNTIATTA : lt. pertraetat, 
gratta disameote; at, dit BA.VIT, 
VII, 30-38. #17 marosizioni dello spirito, vil 


Ta. s'ixcostiA®i © prodighi. > 
AAPER LINGUE: elr, entoso matro in Inf. 





104 [cercHIO SESTO] Ixr. xi. 97-114 





or « Filosofia, » mi disse, « a chi la intende, 
Nota non pure in una sola parte, 
Come natura lo suo corso prende 
Dal divino intellotto e da sua arte; 
E so tu ben la tua Fisica noto, 
‘Tu troverai, non dopo molte carte, 
Che l’arte vostra quella, quanto puote, 
Segue, come il maestro fa il discente; 
Sì che vostr'arte a Dio quasi è nipote. 
Da queste due, se tu ti rechi a mente 
Lo Genesi dal principio, conviene 
Prender sua vita ed ayanzar la gento. 
E perchè l’usuriere altra via tiene, 
a e per la sua seguace 
în altro pon la spene. 
ama, chè il gir mi piace; 
neu iii 


2 ‘gli altrui. dosi l'usarafo offende 
ra, figlia di Dio, © l'arte, slpote 


aumio: nel guadagno Îllecito 


cho sostituisce l'arte di Dio. 
101, 7uA: la Fistoa d'Aristote! 


108. queLLA: la natara. } 
la natara, como fl discepolo seg 
smacatro. sa 

105, quasi: l'arte è glia della natura; 
questa è figlia di Dio, Quindi, per stili 
mine; l'arto può dira nipote di DI 

um nature od arto. 

a 5: 
otgo Dominus Devn ri 
vum In paradiso rolnptatla, 


itzonte; a 
canta riftessi di accusativi greel, fre: 
me negli o sorittori latini. Cfr, Parodi, 


Fieno cho la gento ampi  progrdisoa 
far mezzo della natura © dell'arto, 


100: ALTRA VIA: divoraa da que 
merita da Dio. L'uaaralo campa 


menta lo suo facoltà non colla natura 0 
dell'arto, co) lavoro sno, ma col metallo 
è col audori altraî. 

110, FER Alt: in lol stossa, - suovack1 


0 il Carro giace 
di questo vento »3 
Della Valle. =« Il vento Coro, lat. Cau 
rus, la dal Groel dotto Arpete, voce cho 
eoll'andar doi secoli ni è stu 
trasformata in Maestro. Reso aplra fra 








CANTO DECIMOSECONDO 


CERCHIO SETTIMO 


GIRONE PRIMO: VIOLENTI CONTRO IL PROSSIMO 
(Attalnti nel Flegotonte, riviera di sangue bollente) 


IL MINOTAURO, LE ROVINE DELL'INFERNO 
IL FLEGETONTE ED I CENTAURI, 
DIVERSE CLASSI DI VIOLENTI CONTRO Il PROSSIMO 


Era lo loco ove a scender la riva 


Venimmo, alpestr 


per quel ch'ivi er'anco, + 


Tal, ch'ogni vista ne sarebbe schiva. 
Qual è quella ruina che nel fianco 


O per tremuoto 0 per sostegno manco; 


V. 1.30, ZI Minotauro, I due Poet 
sono gianti dove por una rulna ni 

dal sento nl settimo cerchio. Cu 
questo cerchio è il Minotauro, 

della violenza Destialo. Tone v 


foriare: frattanto 1 Poeti ti 
co, Quindi, superata la difficoltà della 
rovina scena, arrivano giù presso il 
Flogetonte. 

2. QUEL: Îl Minotauro; v. Il agg. 

3. AL: tamente orto ed aspro, e tal- 


itia (v. 19) cho vi stava n gum 
4. gURA: frana. Secondo alcu 
allude al varco apertosi dall'Adi 
reso lo fulde del monte Pastol 
Jogo detto la Chiana; secondo altri, 


uno scoscendimento chiamato li Stardnî 


alt Marco tra Marco # Mori; secondo al: 
tri, alla rovina di Castel della Piotra a 
morà di Rovereto, Bambgl: « quemal- 


modam est ripa dirupta vnfusdazm mon- 
tridentina quam Langit et perentit 

qua cuiusdam fluminis veronenale qui 
vocatar l'Adese qui product piscea qui 
Tasche vocantur ». = Petr. Dant.: «Tn 
SI rafnae quer et 


dososnsnri, erat talis qualla eat illa quas 
ost în ripa Athenin inter Tridentum et 
Veronam; illa enim ripa, anteguam file» 
ret fatod prvolpitàam maximam, ermt ita 
rota et repens in modum must, quod 
pnllua potuisset Ire a aummo ripie usque 
ad fondum flumane infertoris; sed post 
ruluam factam post nano aliqualiter 
ici». Ofr. Bassermann, p. 419 agg. ® 
649 ng. dove si mostra quanto ala prob 
bile che D. alluda agli Slavini dii Marco, 
fi, MANCO: mancato, camma |’ assidoo 
rodero dol flame; Znf. XXXEW, 13L 





fono. 7. eis. 1] 


Ts, xi. 27-42 


[rovine nveeRNALI] 





Mentre ch'è in furia, è buon che tuti calo.» 
Così prendemmo via giù per lo scarco 
Di quelle pietro, che spesso moviènsi 
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco. 
Io gia pensando; e queî disse: « Tu pensi 
Forse a questa rovina, ch'è guardata 
Da quell'ira bestial ch'io ora spensi. 
Or vo’ che suppi che l'altra fiata 
Ch'io discosi quaggiù nel basso Inferno, 
Questa roccia non era ancor cascata. 
Ma certo poco pria, se ben discerno, 
Che venisse Colui che la gran proda 
Levò a Dite del cerchio superno, 


Da tutto parti 


alta vallo feda 


Tremò si, ch'io ponsai che l'universo 
Sentisse amor, per lo qual è chi ereda 


2. 1 cauR: Li cali, disconda. 

28. scamco: scarico, od 
quello piotre « lo quali erano dalla som- 
mità di quello scoglio ondute, come cag= 
gione lo comò cho tal volta si scaricano » 
Bose, 

30. carco: carico, poso 


offizio, pigliava ad arto, ogni volta ch'e 
do aesttazio i 


la occasione, da la rovina di que- 
è scesa, di mostrar cho olla cadde, 


ch'ogli sceso dopo quella 
e cavò | Santi Padri dal 


a 
Inferno, 


PRIA: pochi momenti avanti. 
remoto avrenne allo spirure del Res 


0. atta: profonda — rita: brettà, 
impura: latiniemo. 

41. tRRaiÒ: Afaft. XXVII, Bi: «La ter 
ra tromò, a lo pietro sì schiantarono», 
‘anchenell’ Inferno, suppone il Poeta, cfr: 
AW. XXI, 113 agg. 

43, sosta Axion: che gli: elementi 
tornassaro in concordia. - è CUI CERDA: 
lot, ast qui creda. Dante opmostora pu 
babilmente l'opinione di Empedoele, 
opore di Aristotele, il quale la ccmbalte 
conse falsa. 





{ceRo. 7. @1R, 1) Tr. x. 69-76 





E della schiera tre si dipartiro 

Con archi ed asticciuole prima elette. 
E l'un gridò da lungi: « A qual martiro 

Venite voi che scendete la costa? 

Ditel costinci; se non, l'arco tiro. » 


Lo mio maestro disse: « La risposta 
Farem noi a Chiron costà di presso: 
Mal fa la voglia tua sempre sì tosta.» 

Poi mi tentò, 0 disse: « Quegli è Nesso, 
Che morì per la bella Deianira, 

E fe' di sè la vendetta egli stesso; 


© quel di mezzo, che al 


petto si mira, 


È il gran Chirone, il qual nudrì Achille; 
lo, che fu sì pien d'ira. 
al f vanno a mille a mille, 
do quale anima si svelle 


Quell'altro è 


dallo pietre rotte; v. 28 agg. Cfr. Viry., 
den. VI, 884 ag. 
50, Tit: Nosso, Chirono e Folo, v. 07 
© seguenti. 
#0. AsTICOILOLIL: fresco, 
te prima di staccarai 
Tendant nervis melloribus arcu 
fuit loctla phuretras implere 
è Pre, VII, AL Ag 
"UN: Neaao, v. 67. - MAUTÀRO 
more di pena. 
63: cosmincn: dalla Ingua viva de 


[Plagio yaoi paziare pore a lu, 
come al espo, ma altresì come 
furioso della maledetta brigata. — 

00. 3tAL: por to. - TOSTA: precipitosa. 
Ctr, Ja nt. seg. 

BI. XEXTÒ: toccò loggermente per re 
darmi attento; tn Fnf. XXVII, 22 
tend di cosà, = Nuss0: Il Centauro che 
tantò di rapire Delacira, moglie di Pr 
calo, onda questi lo ferì mortalmente con 
ma freccia avvelenata. Cir, Mneict, 539 
e lat, 

È, pali sTRM0: benchè vinto e mo- 
rette. Lasciò la ama vesto Insanguinata 





e E 


st ximi: aasorto în pesaleri, ee 
mmdosi accorto che Dante è tattora vivo, 


ninfa Fillira. Secondo la mitologia, fa fa- 
dico, indovino, natronomo è ttit= 

sico; fu puro aio, educatore di Achille, 
, Ereole, oce. Cfr. Prerg. 1X,97. 

nelio nosse di Piritoo con 


Eton, violenta ; în Folo, il violente fa- 
ore ») Tom, 

73. vamso: i Contanri, dal quali È tre 
narninati si sono dipartiti per venire fn- 
contro ai due Posti, v. 50. 

74. er svatui: al trno, esce fuors del 
bollente sariguo. 

76. SORTILLE: lo diedo ia mete, le di 
stinò, 

76. vin: Contauri, fiere dall''ombe- 
Îlco ln git,= ssut.uit: perdite 
nello gambo averano forma di cavallo, 








Tx, x11. 97-107 





112. [cezc.?. GIR. 1) 





n Chiron si volse in su la destra poppa, 
E disse a Nesso: « Torna, e sì li guida, 
XE fa’ cansur, s'altra schiera v'intoppa. » 
100 Noi ci movemmo con la scorta fida 
Lungo la proda del bollor vermiglio, 
Ove i bolliti facean alte strida. 
109 To vidi gente sotto infino al ciglio; 
E il gran Centauro dissa: « Ei son tiranni 
Che dier nel sangue e nell'aver di piglio. 
Jon Quivi si piangon gli spietati danni; 
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero 


N? roppa: mammella; sul destro lato; 
eft. Inf. XVII, 31. 

98. ronNa: indietro. Erano venuti in- 
contro ni dino Pooti, dunque blsoguara 
tornaro Indietro. - al: come Virgilio ha 
dotto. 

99, cammaR: discostare. - sonmeRA : di 
Centauri, ofr. v. 73.» vsrorra: v'in- 
contra. Al; s'iNtorFA: s'imbatte in voi. 
tr. Inf. XXV, 2. Z. F., 75 ag. 

V. 100-129. Diversi violenti contro 
4 prossimo. Guidati da Nemso, i doe 
‘Pooti continsiano Il loro viaggio lungo la 
ririera, Vedono dapprima | tiranni che 
diodoro di piglio nel sangue e nell'avere 
@ che stanno in quel bulicamo sino al 
eiglio ; e fl Centauro mostra loro Ales- 
sandro, Dionisio, Arsolino, Obizzo da 
Kate (così come dall'altra porte, nel pro- 
fondo del bulicame, sono puniti Attila, 
Pirro, Sesto ed | ladroni Rinter da Cor- 
netoo RinierPazzo). Vedono quindi gente 
che tiono fuori tata Îa testa, o fra que» 
sti iì Centauro addita Guido conte di 
Monfort: pol altri che lascian vedere to- 
ata © petto, 0 così via via dannati che 
d'olevno con tina parto sempre mag- 
gote della persona fuori do sangue, fino 
che questo è così basso da coprire | 
goli piedi. Qui è il guado, che i Poeti 


{ar dopo di che Nesso torna in- 
leto, 


100, ripa: sicura, But: « Parla quivi 
per lo cantrario, cha non fu fido a Iela- 
‘alta » (0, Barg.: «Con Nesso, allo fode 
del quale eravamo raecomandati ». - In- 
Veoa ili xor ci MoveNMO alcuni teeti 
Manno om GI MOTKAIMO, los. difesa da 
Z_P, 76. 

106. anax: Nesso; ofr, v, 71. 

100, APIBTATI: crudeli. — DANNI: recati 
altraî. 














107. Atmsaanpno: il Grande o quel di 
Fere? I più intendono del Macedone, 
veramente meritevole di ataro co' vio: 
lenti è tîranni; ofr. Lucon, Phors. X, 
19 ogg. Bene. mostra a lungo (I, 408 
408) che Alessandro Magno fosse vio 
lento « in Denso, în 40, in presi 
et polus in suos quam in extransos ». 
È vero che Dante no parla farorerel 
mento altrove, De Mon. II, D, Come. IV, 
11; ina ciò non significa che non le po- 
tesse dannare, Altri intendono di Ales 
sandro di Fere, che fuceva vestire gli 
uomini di pelli forino e gettar)ì così ai 
canì, o faceva purseppallire vivaingente; 
ofr. Diod, Sieul. lib XV 6 XVI Pt, 
Polop,, 27-29. Qarm. Nep,, Petopa 8, Gli 
Alessandri essendo tanti, « com dielmaa 
Alexandor (senza più) dobet intelllà per 
ezcallentiam do Aloxandro Magno »; 
Bene. Curiosa poi la chiosa dol Bambpl.: 
< Into fuit Alexander rex lerasalem et 
tirannua erudelisafmna, de quo dietttr 
quod octingentos viros cum uxoribua et. 
fillia una vica necari fecit». Ca 
< Qui fa menzione d'Alossandre; 6 mon 
mi distendo a dire chi a' fa, @ coma con- 
quistò tatto il mondo ». = Zae. Pummt.s 
<Il grande Alemandro di Macedonia il 
quale tirannoggiando aignoroggiò le due 
parti del mondo, cloè Asia e Africae, 
“ Lan.: «Queato Aleandro fa nin ti 
ranno Il quale vinse tatto il mondo, fe' 
molte erudelitadi, com'è serdtto nella ana 
vita; fra le quali n'è soritta una che mf 
forno a far mortro di quelli di Taramalem 
ad uno tratto LXXX mlia nomini colle 
ano famiglia » (M). - Socci «Non dice l'an» 
tore quale, conciossincosichè namal ti« 
ranni atati aleno, | quali questo nome 
binno avuto; è perocchè nel 

mi contengono tutti | mali fatti 














114 [cegc. 7. are.1] = Ixr. xt. 116-180 
Sovrn una gente, che infino alla gola 
Paron che di quel bulicame uscisse. 
Mostrocci un'ombra dall'un canto sola, 
Dicendo : « Colni fesse in grembo a Dio 
Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola, » 
Poi vidi gente che di fuor del rio 
Tenea la testa ed ancor tutto il casso ; 
E di costoro assai riconobb' io. 
Così a più a più si fucea basso 


Quel sangue, si cho cocea pur li piedi; 
E quivi fu del fosso il nostro passo. 
« Si come tu da questa parte vedi 
Lo bulicame che sempre si scema, » 
Disse il Centauro, « voglio che tu credi 
Che da quest'altra a più a più già prema 


super 000,1 omloldi, meno rel dl 
tiranni, quindi meno fitti nel bulicame, 
aloò nel lume di anugno bollento etr. Int, 
XIV, 70. 

118, #014: per l''euoriità del suo ra 
sfatto. 


viasri: da Sendere, trafisso. 
oRRaDO: alieno, 5 ‘ora dol aacri- 


Lei ‘gli antichi, DI cola da colere, nato 
lo da' provenzali, ofr. Nenr 4 
tas. Carni invesa con altri intendo; 


unémoria dol delitto 0 il desilerio della 
». Cos "1 


Vil, VII, 30; + Kesendo Arrigo, fratello 

{Mtdeardo I) aliuolo del re Rie- 
elainto d' Inghilterra in una chicca (a Vi- 
ferbo) nila messa, celobrandosi a quel 
Tora È saeritizio del corpo di Cristo, Gal- 


do, conte di Monforte, Il quale era per 
lo re Carlo (Carlo I d'Angiò) vicario 


padre, morto 
ai lo ro d'Inghilterra... Adoardo,... 
cuoro del detto muo fratello in una 
d'oro fece porre In au una colonna in 


105 cai 
SETE, 1 el Gpl di ita 


, appena. 

136. rasso: ralloo.« quente fx iltnogo 
dova noi valicammo îl fosso »3 Betti. 

127. Da questa: dalla parte onde sia» 
mo rennti, 

120 cuzDe: creda; forma nata soventà 
dagli antichi. 

130. A PIÙ A PIÙ cos: vada sempre più 
equecendo la ana profondità. < Yueì dire, 
che di passo Sn passo va crescendo la 





118 [oszc.7. GIR. 3) 


Tyre. xi. 1-6 


CANTO DECIMOTERZO 


CERCHIO SETTIMO 
GIRONE SECONDO: VIOLENTI CONTRO DI SÌ 


O CONTRO LE PROPRIE COSE 


(t sufoldi sono mutati In piante; 
gli nolalsoquatori fasoguiti e abranati da nero cagne bramose © correnti). 


LA DOLOROSA SELVA, PIER DELLA VIGNA, 
1 SUICIDI NEL MONDO DI LÀ, LANO DA SIENA 
GIACOMO DA BANT'ANDREA, UN FIORENTINO SUICIDA 


Non era ancor di là Nesso arrivato, 


Quando noi 


mettemmo per un bosco 


Che da nessun sentiero era segnato. 
Non frondi verdi, ma di color fosco; 

Non rami schietti, ma nodosi e involti; 

Non pomi w' eran, ma stecchi con tosco. 


V. 1-31, La dolorosa selva. Fatti 
di la dal fumo di sangue, 


1, pi LÀ: dal guado, /wf. XIL, 130, 
3. NIGAUN : non vi era mai venuta per- 
mona viva, di cui al potessero dira] le 


nto ni può comprendore, Il bosco dovere 
pasore atato mal vatico, 0 per consegnente 
erribilo; polchè nìcuna gente non anda- 
VA per eso: peroechè se alcuni per caso 
madiati fossero, erm di necessità il bosco 
avere alcun sentiero >; Bore, - + Non ha- 
bobat aliquam certam vinm, sed oporte» 


segno alcumo di 
via, 6 di sentlato >i Ratg.= DO 0ME 
do, nà sentiero alcuno 4 scongyra ln 


_ £&0,s0x mmosut: non al vedevano quiei 
Srondi serdi, come negli altri boschi, ma 
soltanto frondi di color forto, clod atarò, 
quasi nero; l rami della selra non erano 
diritit e linci (redietti), ma pieni di sodi 
e introsolati Inodost e énveltit; nom vi ai 

(pomò, ma spine vele 


‘saggia. 

il inogo di dimora di colare, ni 

quat questo soon pon Pa ballo nba 
\vendolo abbandonato arbitra» 


riamente, prima che Iddio dicenso loro: 
+ Ritornato, 0 figlioli degli tomlni », 





118 (cere. 7. GIR. 3] 


Ise. xi. 22-42 


TPIER DELLA VIGNA] 


2 Io sentia da ogni parte tragger guai, 
E non vedea persona che il facesse; 
Per ch'io tutto smarrito m'arrestai. 

To credo ch'ei credette ch'io credesse, 
Che tante voci uscisser tra que’ bronchi 
Da gente che per noi si nascondesse. 

Però disse il maestro: « Se tu tronchi 
Qualche fraschetta d'una d’'este piante, 
Li pensier c'hai, si faran tutti monchi. » 

Allor porsi ln mano un poco avante, 

E colsi un ramicel da un gran pruno ; 
E il tronco sno gridò: € Perchè mi schiante ? » 


Da che fu fatto pi 
Ricominoiò a grid 


i sangue brano, 


« Perchè mi scerpi? 


Non hai tu spirto di pietate alcuno? 

Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi: 
Ben dovrebb'osser la tua man più pia, 
So state fossim’anime di serpi. » 


Come d'un stizzo verde, ch'arso sia 
Dall'un de’ capi, che dall” 
E cigola per vento che vi 


Rpiri, @ non vedo persona. « Cogli una 


sangue è parole. Parla l'antm 
dalla Vigna, lagnandosi prima doll' 
teatà fattagli, o raccontando poi, 


"22, TRAGOKK GUAI! gomero, mandar 
lamenti. 
"M AMtARMITO: confoso, = Mi 


duto bello dagli antichi. 

20, npoxcat: grossi oterpî, tronchi ra- 
moai ed fapidi. Dal lat. broccAus, ehe in 
aloani codd, trovsal scritto dronehus. 

27, RR xOI:0 per Amor di noi, 0 per 
nom essere da noi veduta. « Ut scilicet 
mpollarent nos +3 Per, -« Nom al vedosso 


30, soxciti: saranno morzati, marmo 
umontiti dal fatto. 
acuianta: nebfanti, mi sembri} 
ofe. Virp., den. ILI, ST egg. « Porò che 
l'Autore non era ministro posto dalla di- 
rina giustizia a tormentarli, però sì duole 
sl tronco »; An, 
nicompeciò; II tronco. — MORRIS 
rompi, achianti. 
37. srene1ì pianto silrestri, 7. 100, 
98. PIA: pietona. 
com: come esce l'umore (geme) 
® lo atridore (eigola). « Comparatlo est 
propria ox omni parte ui, quia de ramo 
4 rameo, de amore pi sitio 
de stridore rami nà clumorem rami, do 
Siolvatta ardea n violenta dtecii 
Bene. Cfe. Orid., Mat. IV, 122 app: 
« Non alitor, quam cam vitlato fistula 





120 [cerc. 7. ok. 2) 


xii. 59-68 


[tieR DELLA VIGNA] 


Del cor di Federigo, e che le volsi, 
Serrando e disserrando, sì soavi, 
Ohe dal segreto suo quasi ogni uom tolsi: 
Fedo portai al glorioso uffizio, 
Tanto ch'io ne perdei lo sonno e i polsi. 
La meretrice che mai dall'ospizio 
Di Cesare non torse gli occhi putti, 
Morte comune e delle corti vizio, 


ramento, Pior della Vigua si nccine nel 
carvere nol 1249. Fa celebre per la sua 
eloquenza, di cul fanno prova lo suo let- 
tore (pubblicato dall’Zueliue, 2 vol. Ba- 
Milen, 1740). Cfr. De Masiis, Della vita 
e delle opere di Pietro della Vigna, Nu- 
Poli, 1851. 2uillard-. Simprzone Via at 00r> 


Napoli, 1894-86, Vol. T, ©, 

1607 egg. » « Lo *mparndore fboo nbbe: 
Ginure Il savio nomo masatro Piero dallo 
Vigne, lì buono dittatore, opponentogîi 
tradigione; ma ciò gli fu fatto pe 


ti datto sario per dolore 
morire în pregiono, © ehi 
medemo ei tl n vita 


Plor 
della Vigne provonno, precipltandosi a 
terra du un molo su cui ora trat 
atrocellandosi dispo e 

D'onde fn che morism nel 
Sant'Andrea in Brutto! 


che tutti snoî segrot 

fl tatto di lui fucoa e dint 

anoi di ciò ebbero invidi 

a torto; ma furono tani : 
meradore lo fece abbacinare. E questi 
sondo iu Pisa aportato, per disdegno e 
eredando col morira acquistare fuma, 
tanto 51 capo al muro, che esso 
ucciso nà modesto ». — Tao. Dant.: « Me- 
mato alcuna volta pressa da amininto 
del ‘Tedesco a Pisa ia alcuno suo bor- 
go nominato Arnonico, por fadegno di 
sò, porcotendosi il capo a un muro, 


finalmente so ucciso». - Rene.; « Nimia 
folicitas provocavit eum in invidiam et 
odium multoram ; nam coteri quami co- 
rialos ct consiliarii videntea exaîtationem 
intina vorgoro în depressionera ipsorum, 
cemperunt, coniuratione fact, certatim 
accuaaro ipsum fictia criminibua. Una 
dicebat, quod ipse rat factus ditior pri 
cipe; allus, qued ascribobat uibi quie 
quid imperator fecerat prudentia ana 
alius dioebat, quod ipse revelnbat seoreta 
romano pontifici, et alc de alila («e cMi 
dice che li fu apposto disonestà della im- 
poradrico »; Bu), Imperator suepecten 
et credulus focit ipaum exoculari, et har 
cinari, et tradi carcori; in quo ipeo noe 
valens forre tantam indigwitatora.... se 
peo lotecfbatt n — ac fu pai 
: del volore © non volere; del 
l'amore e dell'odio, 

60, serRANDO = chindendolo a cià obe lo 
non voleva, et aprendolo a ciò che a me 
piaceva. - sOAYI: con tanta dolcezza che 
egli non se ne accorgera. Indica ie arti 
piacevoli, onde mppe tssinuaral mell'a- 
nimo del monaroa. 

_ 61, rota: allontanali foel sì, che hi 
solo foaai inesso a parte de' suol. î 
Probabilmonte ciò. fx fa pro 
gione della ana rovina. 

10 soxx0: il riposo, 1 rotats la 
vita. O, forno meglio, perdi 1) riporo do- 
rante la notte, e di giorno il vigore è le 
forzo mentali. Ali LE Va LiroLsi, led 
in persona, la vita; ofr. Inf. I, DI. Salle 
diverse losioni ed Interpretazioni di que 

to in0go cfr, Moore, Orit., 304-7. & Pu 

80. 


MERETRICE: l'invidia, cfr, r, TR, Ali 
la Corte di Roma; è forse la certo ro 
mana morie comune e delle corti wizio? 
— ospizio» corte imperiale. 

65. rurti: moretrici, venderecol ; ft. 
Purg. XI, 114 

66. xoxt: « Patredo csdaro, invi: 
dia »; Proverò. XIV, 30, « Invidia dia 











124 (cero. 7. arr. 3) 


Tsp. xim. 116-125 


[ecianAcquaroRi] 


Nudi e graffiati, fuggendo sl forte, 
Che della solva rompiòno ogni rosta. 

Quel dinanzi: « Ora accorri, accorri, morte 1» 
E l’altro, a cui pareva tardar troppo; 
Gridava: « Lano, sì non furo accorte 

Le gambe tue alle giostre del Toppo!» 

E poi che forae gli fallia la lena, 
Di sò 6 d'un cespuglio feco un groppo. 

Diretro a loro ora la selva piena 
Di nere cagne, bramose è correnti 


116, xvDI : avondo aclalacquato pernin 
gli abiti. - GnavmiaTI: dallo cagne © dai 
pruni della selra. 

317. ROSTA: opponizione di frasche © 
rami, Rosta è ngratieciamonto di rami 

18. XLII, XLVII 


118. queL: Lano TArvolano Masoni) 
da Siena, fl quale dol reato non sembra 
fosse pol un grando scialacquatore, Cfr, 

Mi 


ri 
Forno, 180: p.91-114. Si gittò a morto 
alcura nella battaglia del Toppo del 1: 
mella qualo 1 Sanesi farono scomfiti 
RI Aretial. « Iste Lanus fuit quidam da- 
- talcellun et Invenie do civitate Senarum 


ton fat consumptor dissipator omnia 
bonorum sorum - sel auto mortero na- 
‘turaleza deficeret ipso Juveno axeante (1) 


acontitti dagli Aretini, petendo faggio. 
Ja1norte, volle auzi morire quivi ch 


Dent. - « Utandivi a flo dignta de terra 
40n, focit multas ridendss vanitatea. Se» 
= tum non possot dormire, mandarit, 
ut portarentur plarea petti pignolnti ci- 
fuoti ia colla, ot Incerarentur a 

in camora, ut nd litam stri» 

dalum sonum provocaretursibi somuua... 


Alla vico cum tret do Padua Venetina 
per flumen Brente în navi cum allia în- 
venibus soclix, querum aliqui puisabant, 
aliqui cantabant, leto fatuoa, no solu vi- 
dorotar inutili et otlosus, conpit acclpere 
pecuniam, et denarion aln.gulutim delice- 
re In aquam cum magno risn ommiata. 
Cum somel est in rare smo, nodiri 
quemdam magnatem onm comitiva tn 
gua nobilium fre ad prandinm seonm 
«et quia non erat provisna, neo potòrst 
in brevissimo temporis spatio providere 
sscuntam quod nm prodiguiitati vide: 
datur convenire, snbito egregia camtela 
usus est; nam fecit atatiz miti igm 
in ompla tugoria villa sum satin apia 


n paduanoram ; eb 
Jens olivia istia, dixit, quod peli 
hoc ud fostum et gandinm propter eoram 
ipso» magnificentiua hora: 


più veloce, gii 
190. NOx FUND: 
1à presso la Piove del Toppo, quando fuy- 
pal avrosti potato nalvaro la vita @ 
qu io 


del To) nd si Ica: quasi a corpo, 
como o esc 


darla. 
122 VALLIA LA Lasa: mancava il 





126 [caso 7. om, 2) Ixr. xii 143-151 


Tux stica) 





To fui dolla città che nel Batista 
Mutò il primo padrone; ond’ si per questo 

Sempre con l’arte sua la farà trista; 
E se non fosse che in sul passo d’ Arno 
Rimane ancor di lui alcuna vista, 

Quei cittadin che poi la rifondarno 
Sovra il coner che d’ Attila rimase, 
Avrebber fatto lavorare indarno, 

Isì To fei giubbetto a mo delle mie case.» 


140, orrrà è Mirenzo.- BartstA: 8, Glo- 
vanni Batista, patrono di Firenze. 

Id. ruisto : Marte, » PEN 'QUISTO: por 
Tundotta dl ripudio. 


la città al cristianesimo, fl tempio 
dicato a. Giovanni, è la atatoa di Marte 


1° Riedifonta Ta cità ni tempi d 

Magno, « diceai che gli antichi av 

ppinione; che di rifrla non 
ra, 80 prima non fu ritrovai 


ir 
per li primi edificatori pagani 
manzia a Marti, la quale era 


tala, la puosero in au nno piliere si 
Na riva dol detto fiume, ov'è oggi il e 


Nolla grande inondari 

«cadde in Arno la statua di Marto, ch'era 
ti au) pilastro a più del detto Ponte Vee 
ehlo di qua, E nota di Marto che gli 
atitichi diccano © lascfarono iu Iscritto, 
cho quando la statan di Marte cadesse 


0 fosso mossa, la città di Firenze avreb- 
. VAL. 


3 ID 

101 stusmerto! 0 fr, patibolo; frano. 
ant. gidet; cfr. Die, Wòrt, 13, 214. «In 
domo saa cum quadam corigia elua dicto 
loco #e ipaum munpondit. Jt 
dicit= 70 feeî, ete. quia locua în quo mu- 
spenduntur homines fi 
cit, vocatar Subetà, 


. da 
È quale al da la qiesttta pur 
la pubblica Signoria: M al Vento lo te 
11 ai impleco, a procede 
fattori 


Seco delle suo caso A 
che sl appiccò sà atenso »; Liam. — «Gili 
bottum ost quedam tra a 
| rlaliat)twbi bomimen amepenoni 
= « Giubletto, oloè forche +; Bose. fai 
both ta lingua gallica fdem Lato 
ca, nivo loena ubi furea snaponduntar 
feno, = + Questo glubbetto è soci 

francesco, 0 algulfica luogo delle 

perché così si chiama n Fari, at Ses. 
— * Giubetto sono fuer! le forche 
in PFranola »s An, Mor, — « Tubettam 
Pariatia dicitur Sorea, loona mzapendil 
aivo pattbuli » Serran, Cfr, Emetol. 918 








128 [ogro. ?. rg. 3) = Imp. xiv. 10-24 {FioGAIA DI FT0C6] 


10 La dolorosa selva l'è ghirlanda 
Intorno, come il fosso trista ad ossa: 
Quivi fermammo i passi a randa a randa. 
Lo spazzo era un'arena arida e spessa, 
Non d'altra foggia fatta che colei, 
Cho fu da’ piè di Caton già soppressa. 
O vendetta di Dio, quanto tu dèi 
Esser temuta da ciascun che leggo 
Ciò che fu manifesto agli occhi miei! 
D'anime nude vidi molte gregge, 
Che piangean tutte assai miseramente, 
E parea posta lor diversa legge. 
Supin giaceva in terra alcuna gente; 
Alcana si sodoa tutta raccolta, 
Ed altra andava continuamente. 


10, BELYA: del suieldi. — L'$ omIRLAN- 

ma: elrconda questa lande, ri 

viera dol sanguo, XII, 47 o 

da la solva. « La dolorosa selva è qual _ Sas. III, 100; XITL, 110: XXHE, 118) 

gbiriando nd e: XIV, 901 XK, 38, live scien 

<omo fl Aristo fosso di sangue fa alla nel: torme. 

va vi Ros. 21, rana 1 dal diversi Boro atti e sodi 
11, rosso: 1l Flogetonto. datare, appariva che quell slime enzo 
12. nuxna: dal ted. Kond, orlo, mar- 

gino, onde a randa o randa valo vi- 


ed immediata contre Dio. Vollaro dietro: 
jaro Iddio onnipotente, © non poso 
neppure muoror mò li. Dici 
bestemmia contro Di 
nie ricadono, "pra acco ata 
Joro pornoma. 
28. seDzA: violenti contro matura ed 


i lavorare colle proprio mani, 
loro vivere del frutto del e 

rica a cona Inanimata. Tattavia esempi 
mon mancano »; L, Vent., Sindi,, 89, Cfr. di farlo, - RACCOLTA: cssendo gente mom 
Bull, TIL, 123 nt. compagnovole, non ad altro fatesì ehe 

po che fu fl primo a metterviil al 

piede; «Primua areas Ingrodinr, primo- 
e pren ponam +; Lucan., 
304, — sorpresa: calcata, 

16. vaRDETTA ri retributrioe; 
str, Jaf. VII, 1 

do, acum: Snda 1e-ioro altonsione cen 
tanto più sparonterole. Nataralmente 
Tatto lo animo sono nodo (ecesttuati gli 
Mpreriti, e. XXITT, 61 agg.); ma fl Poeta 





180 (cenc.7. om, 8) Iuy. xtv, 48-58 


Io cominciai: « Maestro, tu che vinci 

Tutte le cose, fuor che i demon duri 

Ohe all’entrar della porta incontro uscînci, 
Chi è quel grande che non par che curi 

Lo incendio, è giace dispettoso e torto 

Sì, che la pioggia non par che il maturi? » 
E quel medesmo, che si fue accorto 

Ch'io dimandava il mio duca di lui, 

Gridò: « Qual io fui vivo, tal son morto! 
Se Giovo stanchi il suo fabbro, da cui 

Crucciato prese la folgore acuta 

Onde l'ultimo di percosso fui; 
O s’egli stanchi gli altri a muta a muta 

In Mongibello alla fucina negra, 

Chiamando: ‘ Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”, 
Sì com'ei fece alla pugna di Flegra, 


pla Snsaniam » ; Beno. Cfr. Mose 


DI anche nel 
mondo di 1À.- yansuO: Valoano, fi quale, 
accondo la mitologia, fabbriara le 
di Giove. Capaneo bestomenia pere 
nuo bostemozla vi quae 


4 parole anperbo. 
34. L'uLto DE: della imla vba su mel 
mondo, 
85. ALmRI: sol fubbri, elod i a 
A MUTA A MUTA! A riccoda, ano 
‘altro, dando Joro la tm 
56. Dr MONGIBRLIO: nelleusa ta Si 
love, secondo la nitelogia, era la 
dI Valea, = mmanà= pes: 109 


AT aAsADO: grida cono fc ae 
ta guerra cd Giganti, Vîrg., den. VIO, 
ner 


«Tollito eaneta ,,3nquit ‘© emplonque suerte 
{tatore, 


contro. 


ponon e di Laodice, nno 

Greoîa confederati con 

Tebe, Salito anlle mura doi 
aodinta, sîdò ampiamente Giov 
fendorla od il Nume, adeguato, 


di utaîlo. « Acerbi diconsi gli orgogliosi; 
aterdo È contrario di maturo ; è la piog- 


giu asumollisco lo fratta cadondo »; om. 
Al.: atAxTUMt: da marturiare = marto- 
riore. « Videtue quod ignis piuenx non 
molifieot duritiem elus, et pinost elus 


58, Fueoita; rallo ta 
GI SE 
gni, | ATOVARO 
. ehi per daro In noslata ai 





182 [ogno. 7. our. 35) —Ixr.xiv. 77-98 


Fuor della selva un piccol fiumicello, 
Lo cui rossore ancor mi raccapriccis. 

Quale del Bulicame esco ruscello 
Che parton poi tra lor le peceatrici, 

Tal per la rena giù sen giva quello. 

Lo fondo suo ed ambo le pendici 
Futt'eran pietra, e i margini da lato; 
Per ch'io m'accorsi che il passo era lici. 

« Tra tutto l’altro ch'io t'ho dimostrato, 
Poscia che noi entrammo per la porta 
Lo cui sogliare a nessuno è negato, 

Cosa non fu dalli tuoi occhi scorta 
Notabile, com’ è il presente rio, 

Uhe sopra sè tutte fiammelle ammorta,» 

Queste parole fur del duca mi 
Per che il progai che mi largiaso il pasto 
Di cui largito m'aveva il disto. 


a sangue; ofr, Inf, XII, SI della canapa, lezkono sprovvi 


TR. RORSORE 
41, 76, 101. d a di anterità © oni contraddice la ato- 
usicaxe: laghetto di ace 
‘noralo bollente, altuato a duo 


piscine con ape 
ciali norme e sotto la vigilanza di un 
rue, 


RL INA: afocata del terzo piro: = 
queLLO: cello. 
82, PENDICI 
 olinata. 
83, PATT RiAxi lat, Aneta erant, al es 


el, quiel, coutia i sa. dini 
anch ancheta prosa peri; qui, conte: 
87, s00LIARE: soglia della porta tnfee 
maloz Za/. TIT, 1 agg. 
I, 51. AL intendon lo 90. AMMONTA: spegne tutte lo fis 
‘como si partiva dal Bulicamo o molle che vi piovono toprm. Cfe. Tef. 
to, dondo al derivava. Cfr. Bas- XV, 2 kg 
201 egg. Aurari, Note Dante. 2-98. LANIER IL PASTO 006.3 i den 
"I, Tteggio Emilio, 1905, Zult. Ly 


n 








138 [oero, 7. GIR. 3) 


Tur. x1v. 132-142 


Cetusr iseeBNALI) 





E l’altro di' che si fa d'esta piova. » 


<In tutte tue question certo mì piaci 


i» 


Rispose, «ma il bollor dell’acqua rossa 

Dovea ben solver l'una che tu faci. 
Letà vodrai, ma fuor di questa fossa, 

Là ove vanno l’anime a lavarsi, 

Quando la colpa pentuta è rimossa, » 
Poi disse: « Omai è tempo da scostarsi 

Dal bosco; fa' che diretro a me vegne: 

Li margini fan via, che non son arsi; 

ue E sopra loro ogni vapor si spegne. » 


122, L'ALtmo: Il Flogetonte, - FIOYA: 
pioggia, le lagrime del Veglio di Crota. 
134. It, saLLON: Flogetonte venendo n 
dire fiume bollente (da 9AEyw = andò, 
ale. Viry., dem. VI, 50 ag.: « Que rapid ua 
fiammis amblt torrentibus arie Tarta- 
tous Phlogothon ». Sere, Ad den. VI,205, 
dove è detto che Virgilio « Phlogethonta 
vooat fuer »), Il bollore di questo fume 
doveva farti accorto che osso è per l' ap- 
panto Il Flogetonte. Per accorgersene 
non occarrerm sspero di greco; bastara 
nvero in mente il verso di Virgilio e co- 
uoscere la glossa di Servio, oppure aver 
piognzione che davano di PAle 

gethon 1 leasici allora in uso. Cfr. Care 


L 197 ug 
Teyndee, Micerche e note danterche, so- 
rie siconda, Bologi 


Flagetonta? Ecoolo Dì. « Ta bene debe 
das coniecturare ex ovidontimizis signia 
qui fiavius erat Phlogethon, quando vb 
disti urdorem et raborem aqui» bullion: 
tis, nom Phlogethon Interpretatar ar 
dona»; Bent, 

130. vanni: otr. Purg. XXYL, 131 
agg. - rossa; cavità infernale, 

187. LÀ: nel Parudiso terrestre nulla 
sominità della montagna del Purgaterio, 

128. PROSTUTA: dall'ant. pentere, sconta. 
taper penitenza; ofr. Purg. XXX, 88-87, 
«Quando la colpa, di eni dl è avuto peo: 
timonto in tempo, dallo pene deî pus 
rto è rimossa, olcà tolta, lavata »} 

10. pat nosco: dalla dolorosa palma 
dol secondo giromo. - vRaNR: venga viti 
dietro a ma 

141, ast: coperti di arena infocata. 

142. varor: fiamma; efr, w. 35, = st 

per il motivo già toccato nel 
© apiogato poi in af. XY, 13. 














Tar, xv. 54-64 TenumetTO LATISI] 


142 fosse, 7. air. 3) 
È ridncemi a ca' per questo calle. » 

Ed egli a me: «Se tu segui tua stella, 
Non puoi fallire al glorioso porto, 

So ben m'accorsi nella vita bella; 

E s'io non fossi sì per tempo morto, 
Veggondo il cielo a te così benigno, 
Dato t'avrei all’ opera conforto. 

Ma quello ingrato popolo maligno, 

Che discese di Fiesole ab antico, 
E tiene ancor del monte e del macigno, 


si TTi si farà, per tuo ben far, nimico: 


muli Virgilio, forno per roveronza, come 
non nomina mai nè Ia Vergine, nè C' 
sto. Lo nomina in tutto fl poema di 
volte: la primi Bisso: per cesso n 


che 
palsib ita sil ati avi 
Si può Aatendoro: 


nentiero straordinario. — 
V.55.00. Fioesde di Dan Ser Rro- 


23 ag. Al: Se coltiveraî 
0 la meditazione l'ingegno di che rei do- 
lato, to me verrà somina gloria. Cfr. Co- 
Tagrozso, La predizione di Brunetto La- 
tini, Roma, 1500. 

GT. w'accoNSI: al è dedotto da questi 
veri che, nascendo Dante, Brunetto 
Elena faces l'oroscopo, È vero che un 
astrologo non congettura, ma spaccia per 


infallibili Ie ana predizioni. Ma ora che 
laggiù nel settimo cerelio, Ser Bro: 
tto avrà lm] pe ‘a dubitare alquanto 
bit. — asa 1 dal 


68. ren TRINO: in rignardo & Dante, 
Brunetto morì ao, Ò 
. vaGorNDO : Brunetto fia + optimna 
iI Bambpi. 


daram genus»; Virg., Gesry. I, 6 = 
« Multaquo por colum rolla vol rentià 


laborum, Et documenta damos qua 
masorigine salle; On Al. TA414 





144 [ogre. 7. arr. 3) Typ. xv. 78-90 Torusetto LATINI] 
Fa fatto il nido di malizia tauta, » 

«Se fosse tutto pieno il mio dimando, » 
Risposi lui, « voi non sareste ancora 
Dell'umana natura posto in bando; 

Chè in la mente m'è fitta, ed or m'accora, 

La cara e buona imagine paterna 

Di voi, quando nel mondo ad. ora ad ora 
M'insegnavate come l'uom s’eterna: 

E quant'io l'abbia in grado; mentre io vivo, 

Convien che nella mia lingua si scérna. 
Ciò che narrate di mio corso scrivo, 

E serbolo a chiosar con altro testo 

A flonna che saprà, se a lei arrivo. 


78. xDO! Firenze, « È nota, perchà 
Miorent 


# Fiosolant ruddi Lo aspri di guerra »i 
@. FI, 38. 

79, riso: sanodito. - DIMANDO: pro: 
gblera. Sa ogni mia preghiera fonso osan- 
dita, vol naresto ancor vivo; ofr. v. 58. 

accora: vedendo eatto fl vontro 
anpetto, abbruciato)l rostro riso,r. 20 La 


AD ORA AD ORA: di guando 

Wi ogol propizia occasione, Se $i 

vate può far credore che Brunet: Cal 
proprio di. 


87. tosova: patolo. = AT ACERNA ; sl Hi 
conosca. Ma non contradice il Poe 
TESTE 
tetto tra lomiti 
sell'nferso e Ere padandone sos l no: 
È ara alla posterità ? AI 
ta pgravigliato di talo 


pio conì rispondeva il. D'Oni- 


to col pentimente almeno dell'altim'ora, 
danna lrreparabilmente anche 1'namo 

più virtuoso © nobile in tatto il resto, 
Non pensa che è anzi da ammicare la 
magnanimità è la relativa sprogiudica= 

tezza di Danto, cho, senza ribellues, ad 
(uvendosi banditore della divina gia 
stizia verso tali vomîni, mantieiza però 
virtd. 


grosso 
| vizio con la aporansa cho questo reati 
| neutralizzato dalle vira avrete 


al trovavan' uniti persana 
con qualohe abito ronzo e barbare, » Si 
efr. anche Com. 
88. cano: vita futura. = somevo 1 mella 
unta monte; ofr, Prov, VII, 8, 
cmosan: farmelo 


noia pale nic lesene De vasi 
Farinata degli Uberit, 


ng, eda 
Ho Beatrice, dalla quato saprò 

DO. DONDA: 
di mia vita il dry. X, 188. ptt 
di terminare questo 


IX 


so Dio mì 





146: [oxnc, 7. 01.3] Inr.xv. 106-118 CaLmn: sobomiTi] 


108 In somma sappi che tutti fur eherci, 
E letterati grandi e di gran fama, 
D'un peccato medesmo al mondo lerci. 
Priscian sen va con quella turba grama, 
E Francesco d' Accorso anche; e vedervi, 
Se avessi avuto di tal tigna brama, 
Colui potéi che dal servo de' servi 
Fa trasmutato d'Arno in Bacchiglione, 
Dove lasciò li mal protesi nervi. 
Di più direi; ma il venir © il sermone 
Più lungo esser non può, però ch'io veggio 
Là surger nuovo fummo dal sabbione, 
Gente vien, con la quale esser non deggio: 


It, rioxa: malattia pedifona, ti csì 
nomo è qui usato a designare quel semi 
peccatori. 

112. coLuI: Andrea da' Morri, fatto 
canonico di Firenze nel 1272; veatoto 
vi nel 1247 ; trasferito daì voscorado di 
Firenze a quello di Vicenza nel 1298; 
morto a Vicenza fl 28 agosto 1258 « Di 


‘peccatore, e per malta 
aciocchezzo che di Inì at tao 


17, FUMMO: polverdo, per La resa sio 
o»; sadiallo acalpitar di gente. 

An. Se. -— + Lease in cattedra a Bologn: 113, aRNTE 600, « È un'altra molleca 

Rel generale Studio tatti li di della vita di dannati, alla quale Brunetto non 

Sita»; Ott.— « Fun... macnlato ancora micia qua 

di questo viziodella sodomin »: An. Fior. por l'lstesna colpa di sodomia, 








148. [ozsc. 7. ore. 9] 


Tp. xvi. 1 





CANTO DECIMOSESTO 


CERCHIO SETTIMO 


GIRONE TERZO: 


VIOLENTI CONTRO NATURA 


GUIDO GUERRA, TEGGHIAIO ALDOBRANDI E IACOPO RUSTICUCCI 
CATERATTA DEL FIUME, GERIONE 


Già era în loco ove s'udia il rimbombo 
Doll'acqua che cadea nell'altro giro, 
Simile a quel che l’arnie fanno rombo; 

Quando tre ombre insieme si partiro, 
Correndo, d'una torma che passava 
Sotto la pioggia dell'aspro martiro: 

Venian vèr noi, e cinscuna gridava: 


v. un. Altra schiera di sodomiti, 
n 


Lord: PAC 
2. omo: seroblo ottavo, 


viari, IL rimbombo dell'acqua cadente 
Npparira simile, ne) luogo dove i posti. 
Strano, sa «quel rombo ehe fanno lo api, aR- 
re lograzone colla gran maggioranza dol 
rusasi tutti | commenti (Bambpl... 
my Lan, Cosa., Boce., Falso Boce. 
Duli, An. Far., Serrae., Lond., 
Dan, Cast., coc.} e quasi tutte 


CE: 


Jo edla. Sas. Dant, leggo con pochi ced. 


7, DM: 
lamento arme è difficile decidere se 
«abbia da loggero arnie oppure arme. 


apî Virg., Georg. IV, 200-631 
«Tom sonne anditar gravior tructimque We 
[rarraat, 
Frigidunot 
Ut mare 
Abutnal i elemsto rapido formaitaa Agnîke 


4. rue: Guido Guerra, 
dobrandi è Iacopo Ra 
mino: al staccarono da' lore 

5. comskxDo: non è lor concesso di 
formacaî, ofr. Zof. XV, 37 seg. — TORMA: 
truppa di porsove. Vose usata dagli n 
tichi anche in prosa. Al.: TERRA. 


, — BI PAR 





foro. 7. or, 8] Imp. xvi. 24-87 Drax rioRENTINI) 
Prima che sien tra lor battuti e punti, 
Così rotando, ciascuna il visaggio 
Drizzava a me, sì che în contrario il collo 
Faceva a' piè continuo viaggio. 
«E so miseria d'esto loco sollo 
Rende în dispetto noi e nostri preghi, » 
Cominciò l'uno, « e il tinto aspetto e brollo, 


La fama nostra il tuo animo pieghi, 
A dirne chi tu se”, che i vivi piedi 
Così securo per lo Inferno freghi. 
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, 
Tutto che nudo e dipelato vada, 
Fu di grado maggior che tu non credi. 
aT Nepote fu della buona Gualdrada; 


prender l'avversario con va 
seno pormenai ocalia, 
sea rire locum eto. 

758 ag. 


BAGGIO | viso: forma antion, 

26.19 CONTRARIO: correndo In corchio, 
por poter vedere în viso Dante, fermo 
sull'argine, erano costretti a volgere sem- 


atto sforzato è, quando contro a v 
ni va, chesi mostra în non guardare 


Antichi. Cfr. 2. 250608 
Vi 2R-4f ine dI 
Parla uno "tg apiriti in bomo dei 
«Quand'anohe il Inogo dove sie 
nostro aupetto acorticnto 
govoli, la nostra fara t'ind 
“i ubi Questi cho mi prosede, è Galdo 
Guerra ; quest'altro che mt v 
Tegghialo Aldobrandi cà io sono Tacopo 
. » Del secondo 0 del terzo 
Dante arera dimandato a Clacco, cfr. 
Inf. VI, TI seg. 
Ngagca ent seho dato che. I tro non po. 
torano ancora saperlo. Al.; sobbono (1); 
Alix, sx E l'uno cominciò: se mise 


TINTO: porohò cotto ed abbruclato, 

‘agg. — BKOLLO + nudo @ dipo» 

85; acorticato, ofr. Inf. XXXIV, 
Enoiel. 


nome Gnaldrada, la quale 
Jaggiadi tor 


soglie per ua ria, chele 

fare nella cattedrale Chioma di 
ad una festa, alla quale era Otto 
poradoro. Era la fanciulla ia 








152 (cERc. 7. GIR. 3] Tnp. xvi. 52-69 (RE FIORENTINI] 


sn Poi cominciai: « Non dispetto, ma doglia 
La vostra condizion dentro mi fisss 
Tanto, che tardi tutta si dispoglia, 
Tosto che questo mio signor mi disse 
Parole per le quali io mi pensai 
Che, qual voi siete, tal gente venisse. 
Di vostra terra sono; e sempre mai 
L’ovra di voi e gli onorati nomi 
Con affezion ritrassi ed ascoltai. 
Lascio lo fele, e vo per dolci pomi, 
Promessi a me per lo veraco duca; 
Ma fino al centro pria convien ch'io tomi. » 
< Se lungamente l’anima conduca 
Le membra tue, » rispose quegli allora, 
<E so la fama tua dopo te luca, 
Cortesia è valor di' so dimora 
Nella nostra città si come suole, 
O se del tutto se n'è gita fuora; 


52. viaverro: come vol sembrate sup. —dovoincertomodofare:ofr.Inf. XXKX1Y, 
porre, ofr. v, 28 agg, - DOULIA» dolori n agg: Quanto dice l'antor moralsotto 


la la viziosità, slgnifioata per 
mo, che è amara più cho fiolo, e va 


Impresso nel cuore, 

4. pisrooLIa: si dilegua. La doglia 
della vostra condizione durerà fun 
tempo a dileguarsi dall'anîmo mie 

36. TOSTO : subito che udil dire da o possa 0 eli 
o alle Vitt, Burt 

deprecativo; così ta viva lnn- 

© co la ton 
Nio, v. 15 agg. » remars inferi! 
‘imero vomini ragguardevoli ‘quali vol 


oggi a'usa Il contrario), al tal queste 
| vocabolo dalle corti e fu tanto a dire cor 


ar Prp. XXVIL 110) XII, TI ng vegnachè valore 
Elaponde alia dimanda contenuta impli- 3 possa por più mod. qui aî prende va- 
Siamente nel 7. 71 ver; Jore quasi potenza di natura, ovvere 
02. tnoxmar: ote. Inf. I, 112-129. dont alla data »1 Gone. TV, e 
Gi. catiO: dell''univarao, dova è Lu- crrtà: Fireme » svote: solova al 
cifàro. = TOM: cada, discenda. Tomare 
propriamente cauere a capo fn 
ciò che Dante, arrivato al centro, l'una e l'altra 





154 ([cgno. 7. Gik. 3) Typ. xvi. 81-94 


Felice te, che si parli a tua posta! 
Però, ae campi d'asti lochi bui, 

E torni a riveder le belle stelle, 

Quando ti gioverà dicere ‘Io fui’, 
Fa' che di noi alla gente fivelle!» 

Indi rappor la ruota, od a fuggirsi 

Ale sembiàr le gambe loro snelle. 
Un ammen non saria potuto dirsi 

Posto così, com’ ei furon spariti; 

Per che al maestro parvo di partirsi. 
To lo seguiva; 6 poco eravam iti, 

Ohe il suon dell’acqua n'era si vicino, 

Che per parlar saremmo appena uditi. 
Come quel fiume c'ha proprio cammino 


86, rU»rRR> acloltaro f1 corchio che fa 
covan di sò, v. 21, e fuggirono com tanta 
fretta, como ne le veloci loro gambe for 
goro stato ali. 

87, ALE: « Pedibus timor addidst lu »; 
vi VII, 2%. 

«Jo un amesen neasi tot: 


per dingrazia il parlar liberamente è di 
rudo atto n safiz/are altrui. « Parento 


gnere. 
121 agg. «Sio alt et dioto citta tomsda 
aequora placat»; Viry., dem, I, 14% 
90, ramvni è Sl lat. vteum est; parve 
opportuno, 
136, La corda i 


ai odo il rumore del 

e ta giù nell'ottavo cerchio. 
Quivi Dante al scioglie da una corda che 
aveva cintaintorno, ola porge a Virgilio, 
maniora a sus posta e qualunque volta il quale la butta giù noll'ottavo cerchio: 
el voleva»; Gelli. A tel sogno vien sn nuotando par Paese 
un orribile mostro, cho è Gerlane, Al cur 

stodo del gran regno dol fredolenti 

93. ik ranta: parlando el saremmo 

appena nditi l'un l'altro, tanto grande 
ossondo il fracnaso della camonta del Fle 


Loss Ponto ll Montone, 0 pinttasto an 
Acquacheta. - 


rioFRIO CAMMINO: cho va direttamente 
la momorsa; i soli traditori deri- + al mare, polchè tutti i fiumi tra it Po sd 
di essere dol tutto dimenticati, stniatra. 
LT, 94, onde nun al manifasta- 
no che nella speranza di far infamare | 
mozofoi | ofr. Inf, XXXII, 7 agg. 





156 (orso. 7. ois.3) = Iwr. xvi, 107-198 [compa pi panta] 


E con essa pensai alcuna volta 
Prender la lonza alla pelle dipinta. 
Poscia che l’ebbi tutta da me sciolta, 
Sì come il duca m'avea comandato, 
Porsila a lui aggroppata e ravrolta. 
Ond'ei si volse invèr lo destro lato, 
Ed alquanto di lungi dalla sponda 
La gittò giuso in quell’alto burrato. 
< E' pur convien che novità risponda» 
Dicea fra mo medesmo, <al nuovo cenno, 
Che il maestro con l'occhio sì seconda. » 
Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno 
Presso n color che non veggon pur l'opra, 
Ma per ontro i ponsier miran col senno! 
Ei disso a me: « Tosto verrà di sopra 
Ciò ch'io attendo e che il tuo pensier sogna; 
'Tosto convien ch’al tuo viso si scopra.» 
Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna, 
De' l'uom chinder le labbra quant'ei puote, 


118, caUni: persino ne' loro pensieri 
119, orna: atti eateriori e parole prof: 


116. xUOTO: asche qui nel senso del 
lat, nomus = lusolito, nox mai visto. Bia 








(Seggono raccolti, tormentati dalla pioggia di fuco 


GERIONE, SCROVIGNO, BUIAMON 
DISCESA AL CERCHIO OTTAVO 


«Ecco la fiera con la coda aguzza, 
Che passa i monti, e rompe i muri e l’ 
Ecco colei che tutto il mondo appuzza 
4 SÌ cominciò lo mio duca a parlarmi; 
Ed accennolle che venisse a proda, 
Vicino al fin de’ passeggiati marmi. 


V. 1-33. Gerfone. Ecco Gerione, la acolei erant in caudis 
sozza imagine di froda! Ha faccia d'uom —atas esram nocere ho 
giusto, dne branche pelose, corpo dipinto —quingne. Et habebant 
di nodi e di rotelle, coda agusza e vele. —Angelumabynal;» 4pr 
nosa. È il simbolo della frode. Il Ge- Lanci. Della forma di 
rione della mitologia, figlio di Crisaore ma, 1858. Betfi, Seritt 
© dell'oceanica Calirroe, fa un gigante 89. Enciclop. 885 ag. 
a tre teste 0 a tre corpi (Luer., Rer. 1. AGUZZA: apponti 
nat. V, 28. Firg., den. VIII, 202. o- —2. FASSA: coi nulla 
rat., Carm. II, 14.8. Ovid., Heroid.IX, in ogni luogo, vincen 
91. Senec., Agam., 8%, ecc.). Descri- Contro la frode poco ! 
vendo la figura di Gerione, Dante si sco- difese della natara (1 
sta dalla mitologia. Il suo Gerione no- — (imuri el'armò).-1M 
piuttosto MURA Eb ARMI. «AVI 
DI «mt. l'artfenlo a' monti. no 











160 ([cerc.?. 018.3) = Ixe.xvi 20-83 Torrione] 


Che parte sono in acqua @ parte în terra, 
E come là tra li Tedeschi lurchî 
Lo bivero s'assetta a far sua guerra; 
Così la fiera pessima si stava. 
Su l'orlo che, di piotra, il sabbion serra. 
Nel vano tutta sua coda guizzava, 
Torcendo in su la venenosa forca, 
Che, a guisa di scorpion, la punta armava. 
Lo duca disse: « Or convien che si torca 
La nostra via un poco infino a quella 
Bestia malvagia che colà si corca, » 


E dieci passi femmo ii in su lo stremo, 
Por ben cessar Ja rena e la fiammella. 


ieri et supra omnem virtutem 
et nibil vobie nooebit »y Tare. 


Val. VI, 75. Serrav,: « Uni spet 
in partibua Alumanio, quo vocntur Lur- 
SILA 

22. pIvERO: caatoro. « Dicitur do bi. — 


ne 
guitoe ad modum. Tana 
où veniunt, tunc se ravolvendo | 


al allontanara dalla prima, e quin- 

É% ar E 
la pena. Diees sono | generi delle frodi 

Ki de ri oe a ea 


Iforeota, potendi 
i'uomo nsar frode în chi al fida e in chi 
mon si fida; otr. Inf. XI, 52 egg. 











168 (oro. 7. n.3) Ixp.xvis. 105-119 


E con le branche l'aere a sè raccolse. 
Maggior paura non eredo che fosse, 
Quando Fetonte abbandonò li freni, 
Per che il ciel, come pare ancor, si cosse; 
Né quando Icaro misero le reni 
Sentl spennar per la scaldata cera, 
Gridando il padre a lui: « Mala via tioni! >, 
Che fa la mia, quando vidi ch'io era 
Nell'aere d'ogni parte, e vidi spenta 
Ogni veduta, fuor che della fiera. 
Ella sen va nuotando lenta lenta; 
Ruota e discende, ma non me n'accorgo, 
Se non ch di sotto mi venta. 
Io sentia già dalla man destra il gorgo 
Far sotto noi un orribile stroscio; 


sunu'arue: danquo Gerkeno nd 


si 
non seppe den dirigenti © frenarii, x noll’aria, non nell'acqua, come pre» 
precipitò nell Eridano; o! Ò . 


109. Teao: Giglio di Di 

par fuggire da Creta, 

all di ponno, appiocica 

sera, Tearo volò troppo 

comando del genitore; la cera | pigitando larghi gir. 

Vicinauza del solo al liguefoco; ‘acqua del Flogetonte, 

wtsccarono ed Loaro cadde nol mare | eft. antenato nll'ottavo e 

Qoid., Met. VILE, 203 agg. Horat,Varm. chio. Gorgo, Int. gunpur, è propriammenita 

Tati quella fosa che a ed cpio l'acqua 
"ALI. ORIDARDO è < At pater infellz, nee 

lam pater: Toaro, dixit, Learo, dixit, ubi Sk pacne stropito « amono dal ea 

Tana Di rogito recolou Ione? di: Limited soda Bora Giri DURE 

oebat; » Oeîd., Met. VITT, 231.32. 11°, 700. v. Troseia, 














Corro. a. 50161) Ixp. xvmx 48-57 





Porciò a figurarlo i piedi affissi; 
E il dolce duca meco si ristotto, 
Eà assentì che alquanto indietro gissi. 
E quel frustato celarsi credette 
Bassando il viso; ma poco gli valse; 
Ch'io dissi: « Tu che l'occhio a terra gette, 
Se le fazion che porti non son false, 
Venedico se’ tu Caccianimico; 
Ma che ti mena a si pungenti salse?» 
Ed egli a me: « Mal volentier lo dico; 
Ma sforzami la tua chiara favella, 
Che mi fa sovvenir del mondo antico. 
To fui colui che la Ghisolabella 
Condussi a far la voglia del Marcheso, 
Come che suoni la sconcia novella. 
43.1 rMett Avvissr: mi formal, Al: ori —dellaChiosatAn. Fior.,Tal., Boca, Benws, 


0001; ma Virgilio con lui st ristett, 
il cho non al fa cogli oechi. 


44. DOLCE: « Îl duca è di 
chè fa compiscente nol ristarui 6 per- 
miettoro che Dante andasse alquanto in- 
dietro »; Ross. 
45. ixpretto : assondogli il dannato già 
53. cutaRa ; precisa, chè Dante ni mor 
10 informato dol peccatore e delle 


egli, nobile cavali 
Utto @ di trovarsi 





nto, quod non 
(ttlagito infamia Isbornt contra nu Betti. 
talîu fraudia, et cat maxima pare BA. pa sovvexm ricordandomi lo salsa 
prtmm »; Zeno, e chiamandomi per nome.» ANTICO: Ùl 
#R ATRRRA ORTTR: gotti, abbansi gii mo di Tnsst, per mo pamato. Al: Il 
sochi a terra. mondo degli antichi Romani ni quali $a 
mi parl rassomigiiaro (). 
56, 10 ut» Als 10 #0N | ef, Moore, 
Ori 


81. cme: il fatto non era accertato, 
2 Altei vuol dira che 'l fuo non con au- 
pula dal ditto, ed altri dice che non fa 
nulla»; Lom. AL 

(Ore. 








174 [cerc.& BoLo. 1] Ine.xwmi. 67-84 





n To mi raggiunsi con la scorta mi 
Poscia con pochi passi divenimmo 
Là "vo uno scoglio della ripa uscia. 
Assai leggeramente quel salimmo, 
E, vòlti a destra su per la sua scheggia, 
Da quelle cerchie eterne ci partimmo. 
Quando noi fammo là, dov'ei vaneggia 
Di sotto, per dar passo agli sferzati, 
Lo duca disse: « Attienti, e fa' che feggia 
Lo viso in te di quest’altri mal nati, 
A’ quali ancor non vedesti la faccia, 
Porò che son con noi insieme anda 
Del vecchio ponte guardavam la traccia 
Che venia verso noi dall'altra banda, 
E che la ferza similmente scaccia. 
E/l buon maestro, senza mia dimanda, 
Mi disse: « Guarda quel grande che viene, 
E, per dolor, non par lagrima spanda. 


87, RaaGrusni : ritornal da Virgili che 
Nera formato, r. 44, mentro lo ornano 
dato alquanto Indietro, v. 45. 

68, cox rocmi: dopo aver fatto pochi 
passi. — DIVENDONO: arrivamimo. 

60. Là "vu: Al: Dov. = vecta: ofr, v. 
der. 

TO. LEORRAMENTE: agevolmente. 

TL: ScImOLA | dorso arpro è mal ta- 


ato quanto de' superiori cerchi 
questa, che lasciavano ora 
T' ultima. » Eterno è tutto 
quindi ogni cerchio, 

T8.x1: lo scoglio. - vawmcota 
lasciando sotto di sò un vani ; per dar 
posò al fruatati giù nella prodi 

TG. ATTIENTI : soffermati. 

lie, difona da 2, F., 107; cfr. 
188. = yEcGOLA : forinon, cfr. Saf. 


mati venga mn ‘colpirti, a posarsi anila tua 
»1 Pass. 
ITO. ALTRI: la mammada del seduttori 
onto. Inquale cammina nello 
itesso senso in cui Grano andati | Poeti 
alno atto scoglio. 


70. vaccmo: efr. Znf. III,7.- Lao 
ora: la soblera di quei di tà, v. 297. 
ADILIRNTR: nello atesro moda che 
{ rufilani, — scaccia: Al: sonzaccra, I 
demoni cacciano quel miseri, facendo ora 
levar le derze, v. 37, onde fuggono senza 
arpettar le seconde nè le terza, percomo, 
vi 39, « Il vocabolo sehiacciare @ Il ano 


ite, ro di Leno, e regina di 
dopo l'accinfone del maschi; e seduttore 
\bdio di Medea, la bella figlia del re 
olchi, la qualo pot abbandonò 
or di Crensa. Cfr. Par. II, 18. 
Metam. VIE, 1-168. Qui paga ti flo della 
00 sodiazioni, benchè ala altre eda 
flossibilo, quasi come Capanoo, of. Inf. 
an 40 ne 
82. asza: Dante non avrebbe potuto 
distinizuere Giasone che correra cogli 
altri, se Virgilio non né lo avesse reso. 
Bitento. 
#3. quer onaxnsi Cr. Saf. XXV, 46, 
86. T*R DOLOM: por cho sia © 








176 [crro. 8 soLo. 2) Inp. xvitr. 101-115 


Con l'argine socondo s*inerocicchia, 
E fa di quello ad un altr'arco spalle. 
Quindi sentimmo gente che si nicchia 
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa, 
E #è medesma con le palme picchia. 
Lo ripe eran grommate d’una muffa, 
Per l'alito di giù che vi si appasta, 
Che con gli occhi e col naso facea uffa. 
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta 
Loco a veder senza montare al dosso 
Doll'arco, ove lo scoglio più sovrasta. 
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso 
Vidi gente attuffata in uno sterco, 
Che dagli uman privati parea mosso. 


us E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco, 


coll'argino, perchò Îl medesimo sco; aoconda bolgia erano inorostate quasi di 


draverna gii argini totti, © fn 

tanti archi, L'argino è spalla cho rogge 

gli archi, » Tom. 

109. querm: dal erociochio. 

conta: È più aplogano; Sì dolgo 

Mentano; aggiungendo cho nirhire di 
desi propriamente dei gemiti cho manda 

Ja donna nelle doglie dol parte. Al: SI 


104. 3ruso; txa questa voce perchè 
‘adalatori Ieccano a mo' di cani. »snuvr. 
«giont fucit porcus in cano, et bene di 
èit, quia vitinm adolationie stat in ia: 
Trib»; Leno. 

108. riocnia: batte, perenote. 

108. anommATE: lo ripo Snterno della 


grama; ofr. Par. XII, 114, 51 qual verso 
è commentato dal proverbio : ZI dwen vin 
So gromma e il cattivo mufa. 

107, ALITO: esaltazione densa è puszo- 
ente che rien dal fondo 0 nl a; 
alle ripe o muri laterali della bolgia. 


odi 
dure ai aggiangerano le puntare sonte 


dell'amimoniaca calante ria questa bel- 
gia, che aveva proprio l'aspetto ed il em 
rettore d'una fogna di latrina, 
109. curo: come îl cuore doll'adalatore; 
<lo profondità di Satana; » Apoe, 11, 24. 
110. Loco: Al: L'occmo. « Convien 
jl più alto del ponte, giacchè per 
011 raggio visualo dormo sooetata 
dia in perpendicolare, sarebbe ito a ferire 
no tr fondo, ma l'una o l'altra «panda del 
foaso . Sign 


vizi o'bisogna allontamarsene; 
l'adiazione segontamente, onpa fnazse 
© rohifona» 1 Tom. 

119. aTRR0O: loro elemento fm vita 
Cfr. Giobbe XX, 7: « Quart aterquili 
nium ta fino perdetur.— Threa, IV, 5: 
s Amplexati sunt atercora. » 

114 rrivatii così, Parca calato lag- 
giù dai comi di queato mondo. « Facit 
meutionem pottus de stercore humano, 
quam alterina animalia, quia adulari sat 
proprium hominle, non alteriva untma- 
lt »1 Beno, 

V. 115-120, Alessio Intorminelti da 
Tacena, Dante vede laggiù uno tntto lor 








178° erro. s. soLo. 2] Tx, xvru. 182-198 


[rampe] 





Pd or s'accoscia, ed ora è în piede stante, 
Tide è, la puttana che rispose 
Al drudo suo, quando disse ‘ Ho io grazie 
Grandi appo te? ':‘ Anzi meravigliose!" 
136 E quinci sien le nostre viste sazie. » 


{anctor]non poterat meltualoqui,conside. 
rata persona de qua loquitur, quia sermo» 
nes sunt formandi secundum aubiectam 
materiam »; Bene, » « Omnia verba suis 
locia optima ; etiam sordida dicuntur pro- 
SÙ Quintiliano. 

\0008crA : si pone sulle cosce. 
Lobdiora Facciamo; e ora atosso iu 
più ha la sua allegoria; ma meglio è le- 
sciare invilappato nella ema oacarità quel- 
lo che onestamente non si può esplicaro 


ono: Il soldato Trasone, quando 
lo ebbo mandato in dono una 


Versuch 1, 169, IL Betti, Scritti dent.. 
25 ng, sl avvisa obo Dante, non avendo 
lutto Terenzio, attingesso al seguente 
Juogo di Cicarono, De Ammiest., 20: « Nulla 
est igitur ho amicltia, cum alter verum 


andire non vali, alter ad mentiendum 
parotan est, Neo paraaitorum in comex- 
ila amsontatio nobis faceta videtur, lai 
casont mallites giorioai: Magnas vere age- 
re gratiaa Thais miht? Satie erat re 
spondere mayna2; ingenter inquit, Sem 
por auget nasontator id quod la, cuina 
Ad voluntatem dicitar, vult cas ma- 
guom,» I il Betti osserra: « Usò Dante 
nella Die. Com. la ricorlanza di questo 
passo; © tolto facilmente, siccome è 
chiaro, Il nominativo Thais per un voca- 
tivo, tenno che il vano soldato parlasse 
quelle parole non al paraasito Guatone, 
alla donna: © ch'ella rispondesse a 
lui quelia insoffribile placenteria. » Certo 
dè più apiogabile {l piccolo abbaglio di Di, 
se supponiamo ch'egli avesso in mente 
non Ia commedia di Terenzio, ma la ol- 
noe di Cicerone, - anazit 1 mertti, 
Arro: lat. apud, appresso. 

Da guier: di qui: gli cochi nostri 
sinno sazi di quanto abbiam veduto di 
queste sporche creature. Dante dedica 
pochissimi versi a questo gonoro di pee- 
catori, Per lo bolge del ruttiani e dei lu- 
siugatori basta un solo cantò, 





lsnmeosiaci] 179 


wr = 


CANTO DECIMONONO 
CERCHIO OTTAVO 


BOLGIA TERZA: SIMONIACI 


(Confiti, col capo in,gib, dentro fori non iarghi, lasciano sporgere 1 piedi, 
le piante de' quali sono accese, 0 parte dello gambo) 


PAPA NICCOLÒ II 


0 Simon mago, o miseri seguaci, 
Uhe le cosa di Dio, che di bontate 
Deono essere spose, voi rapaci 

Per oro e per argento adultera! 

Or convien che per voi suo! 
Però che nella terza bolgia state. 

Già eravamo alla seguente tomba 


“ 


î 
| 


21), Da lui si denomina fl far mercato 
di naoro, 


IDZIREE 
il ;i 
fil È; 
pitti 
FELE 


I, 3 329 ag. 

4. ADULTIRATE: fato. voatro illegitti 
amento, comperandole come una merce, 
aicchià la vostra unione a lore è adulto 


L 
DI 


pati 











182 [orre. 8, soLo. 3) Ine. x1x. 28-41 [xiccoLd in} 


28 Qual suole il fiammeggiar delle cose unte 
Muoversi pur su per l'estrema buocia, 
Tal era li da’ calcagni allo punto. 
< Chi è coluî, maestro, che si eruccia, 
Guizzando più che gli altri suoi consorti, » 
Diss'io, « e cui più rossa fiamma succia? » 
Ed egli a me: « Se tu vuoi ch'io ti porti 
Laggiù per quella ripa che più giace, 
Da lui saprai di sè e de' suoi torti. » 
Ed io: « Tanto m'è bel, quanto a te pinco: 
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto 
Dal tuo volere, e sai quel che sî taco. * 
40 Allor venimmo in su l’argine quarto: 
Volgemmo e discendemmo a mano stanca 
quali rengon legate lo cnola di verso la -— 34 rontt: «quia ipso cura corpore nom 
Le poterat ire por ripam arduam +; Bene. 
quat 600,e 11 rentazi ata questi La ripa era por Dante troppo aconcena. I 
Econ veral nascondono per avvantara un'al- 


logorta quale. 1) rimproversre tomie 
al giù capo della Chionn i vizi 


Virgo "Arm. TL GR, — e Nec portato da Virgilio, cloò dalla nt» 
Ifunt iguos ad toota domoram Et geleri — proma antorità secolare. 
39, ite41 inferiore, che più piace, ciod 


7 agire 
30. Da 1ur: egli stesso ti dirà chi egli 
0a) sia la ava colpa. 


plant 
da cai fino alle punte 
V. 31-78. Papa Niccolò t 
veda uno che gnisza coi pi : efe. Inf. X, 18: XYI, 118 meg. 
altri. Ajotato da Virgilio, ki fl vixnoro | Dante portato da Virgi- 
pi dimanda: « Chi seit » I 

opi 


potesso 
‘un corpo reale, è inutile, Gli epl- 

riti sono dotati, secondo la credenza po: 
| polare, di forze fisiche, siochè possano por 
è NI tare la ponte non meno dal diavolo, che 
{un Oruinî che fa papa ilal 25 nov. 4 ini pare incorpereo: Certe deu e 
2 mag. 1280), confessa lo suo col; nota, circa la densità è rosiatenza dell 
ehilara a Danto la condizione ssa ombre, preti i 

32, UIZAXDO : contorcendo lo ragioni dell'arto cl danno auiclente 
COMORTI: nella colpa o nel Soppliio. apiegazione. - QUALTO: come che 
3. suocia: « perocchè la fiamma di separa la terza dalla quarta ua 
EE ca: quelo urta, pera gessi primo argine è la roccia, dal out imo al 
non ardere Idea cpr er muovone gli scogli; Inf. XVII, 16, 
ero la untura fuori della dotta 41, voLanuazo: dal ponte verso la bal 
ine; Barg. gia » erANCA è sinistra. 








184 [orso.a soa. 3] I 


. xix. 66-70 


[siocorà 1] 


Ei Se' tu sì tosto di quell’aver sazio 
Per lo qual non temesti torre a inganno 
La bella donna, e poi di farne strazio ? » 
Tal mi foc'io, quai son color che stanno, 
non intender ciò ch'è lor riaposto, 
Quasi scornati, e risponder non sanno. 
Allor Virgilio disse; « Digli tosto: 
* Non son colui, non son colui che credi 
Ed io risposi come a me fu imposto. 
Per che lo apirto tutti storse i piedi; 
Poi, sospirando e con voce di pianto, 
Mi disse: « Dunque che a mo richiedi ? 
Se di saper ch'io sia ti cal cotanto, 


E veramente fai figlinol dell’orsa, 


56, avait: ricohorzo mal noguistato; 
VU VID 


CL L'issil 
fuetig quiadi glepgere pupe (eh. VI 
VII, 6) 

BT. DONNA: Chiesa; ofr. fer. V, 27. 


DRS A dita lo parole: « una « Pr 


mea», Cont. VI, 8, 


Jen, perfoota 
Sileno alla Cluios. —TRAZIO : ali: 


neggiando.« Nullomaggiore strazio pu: 
momo faro della 4qu donna, ch 


ut 1070. «Aoceplt autem qu lam via 
nat potontiam et papalem maguificen- 
tam filataro, Cata» processor Clo: 
adinua miracula oporatua ent în vita ana 
‘et post mortem, Ipse voro Honifacius fe- 
ll walrabilla multa tu vita ana, sod olus 
milrabilia in fine mirabiliter dofecerunt. » 
a Laico Fit. sel XXIII 
Artogana, 
fi ateo crntemiiva8 >; dt Mereto 
“Seript. XI, 1203. 
88. TAL: Fimmal fi come ohi, men avendo 
Gitmprimo ciò che gli è atato 
acormsto, Don sa che debba 


#2. X0K son: avando Niccolò ripetuto 


la domanda; 8° fu, 000. v. 82 ug., Vr 
gilio dico a Dante che ripeta lui pure la 
rieposta. 


Vi TUTTI: affatto; AL: TurTO. Off 
Afoore, Orit., 826 ug. Inf. XXXI, 1b.= 
store: In questo atto fatto per papa 
iccola ai mostra, che ai pontissa delle 
dotto di papa Bonlfazio; a daro 


ad intendere, che l'uomo non idee essere 


presuntuoso a dire malo d'altral +; Ott. 
= « in niguum Iran ot doloria. Doluît erlia 
quod iste nou esset Ionifacius, quia in 
advento elua orat cooperiendus ab 00»; 
Beno, Così pure Butt, Barg., Tal, Fall, 
Gelli, eco. « Por vergogna d' aver par 
Jato ad altri cho a complice suo »; Tom, 
Pot., eco, Forse ha fi Rone.: «Il 
papa Orani all' adîr da Danto ch'el non 
era quel Bonifuzio da lui sì avidamonte 
ttoso, nella aperanza di scersare al venir 
di toi la propria pena (poichè a eolee 
che van sotto al spagna la fiamma delle 
pianto [1], tutti distoruo 1 piedi nel suo 
dispetto. » 

87. T1 cac: a ti promo tunto di wi 
pere chi fo ein, che tu abbi per queste 
scorma la ripa che è tra l'argino © que- 

ato fosso. 


19, DLANTO 1 papale; afr. Dese 
TO. u&LL'ORRA : degli Oraini, elio fureno 

ste agnieira che 

vuole 

Ft ho 4 Ippordo na emi nn 
ni nazio » ; Buti, 














190. fecero. 8. poro. 4] 


Typ. xx. 1-9 





CANTO VENTESIMO 


CERCHIO OTTAVO 


BOLGIA QUARTA: 


INDOVINI 


(Elanno il capo stravolto e camminano all'indietro) 


ANFIARAO, TIRESIA, ARONTA, MANTO, ORIGINE DI MANTOVA, 
EURIPILO, MICHELE SCOTTO, ABDENTE 
[ INDOVINI MODERNI 


ED AL 


Di nuova pena mi convien far versi, 
E dar materia al ventesimo cauto 
Della prima canzon, ch'è de' sommersi. 


Io era già disposto tutti 


quanto 


A riguardar nello scoperto fondo, 

Che si bagnava d'angoscioso pianto; 
È vidi gente per lo vallon tondo 

Venir, tacendo 6 lagrimando, al passo 

Che fanno le letane in questo mondo. 


Y. 1-30, La pena degl’ indovini. 
Laggiù nolla quarta bolgia è una gente 
cho vm piangendo n passi lenti e nbmorati, 
vol capo stravolto, © però guanla lo o 
eatuminando all'indietro, Sono, 
vini che pretendono di vedere i! 

è non vedono nemmeno fl pros 

Teco in rita vedere troppo davanti, o 
dopo morte sono costretti n gr 
Indietro. Dante piango di compassiono; 


mo dolla Sn Riustinia. 

È. xuOTA FEXA: singolare castigo. 

3. caxzox; la cantica dell'Laforno, che 
Bralta dei dannati. - souxERS: nella vo 
1 ga infernale. 

4. biarostO: m'era già posto a riguar 
dare colla massima nitenzioni 

6. acorEatO 1 per 1 Poeti, che orano sul 


olmo dell'aro, att. TN XX: 128. Tn: 

veco Benv,: « Hoo pro tanto dicit, quia 
simoniaci tn tertla bulgia sunt coperti 
aub terra, et adalatorea fn seccmda bul« 
gi 


n non degli abitatori, 

8, AT IAONAYA : tauto copione onsendo 
lo lagrime dogli indovini, 

8. TACKSNO : sembra che a motto dello 
strano stravolgimento, gli indovini at 
liano perduto la fncoltà della fuvella: 
infetti nessuno di essi parta, Vollere par 
lar troppo, o qui non ponson parlare, = 
LiGUMAxDO: d'Inttii pentimento. 

9. LETANR: gr, acdvrar, lat, bifanlai, 
oggi comunemente Sapplicaxiont, 
Espiazioni ; qui per Procsssioni. Vuol dire 
cho ventrano lentamente 0 tacitamento. 














192 [ogso. 5. HoLO. 4] 


Tnp. xx. 28-37 


[uvpoysnt ANTICHI] 


28 Qui viva la pietà, quando è ben morta. 
Chi è più scellerato che colui 


Che al giudicio divin passion porta 





3 Drizza la testa, drizza, e vodi a cni 
S'aperse agli occhi de' Teban la terra! 
Per ch'ei gridavan tutti: ‘ Dove roi, 
sm Anfiarào ? Perchè lasci la guerra ?* 
E non restò di ruinare a valle 
Fino a Minòs, che ciascheduno afferra. 
7 Mira che ha fatto petto delle spalle: 


28, vryn: qui, nell'Inferno, è pietoso 
il mostraral spietato. Gluoco di parole, 
como Par. IV, 105. Dante mostrò com: 
piuslone di Ciacco, di Franoesos, di Pier 
della Vigna, occ., nò Virgilio gliene fe' 
rimprovero, anzi egli pure mostrò com- 
passione, Inf. IV, 10 ag. Que” che peo: 
‘arono per incontinenza, son degni di 
compasatone; gli altri no. Ma non sog- 
gincolono anche i primi al giusto giudizio 
di Dot = « Quelli ch'è pietoso è ginato; 
© giustizia vole, secondo che l'uomo 
aopera, abbia merito di bone 0 di male. 
Adunquo, non deo uomo osser pietoso di 
vedere punire i malfattori de la giustizia 
che vuole Tddlo »; An. Sel. - « Non aver 
pinta: dagli tulbenali è asse piatoso 
ruti, — « L'anime de'bosti sono concorde 
‘alla volontà di Dio, altrimenti non nareb- 





tento di tale giatisia; et chi contradi- 
coso coll'animo, discorderebbe dal vo- 
loro di Dio »; An. Fior. = Dante sogue 
qui 8. Tommaso, secondo tl quale «8unoti 
do peenia im gandobont, » non giù 
‘dello pone « por sò stesse » mo « per acci- 
den», considerando in ele divinm juntitio 
ordinem »; Sum. {A., LI, Suppl. 04, 3. 
Utr. Della Torre, La pietà nell Inferno 
Lantesco, Milano, 18%, 

20, rABioN FOLTA: A. : 00MPASSION 
PORTA 1 Al.: rAMION COMPORTA. Cfr. Bet- 
Beritti Dast., 20 ag. Z. F., 116. Moore, 
Orit., 320 ng. Bano, Versueh 1, 189 ag. 
Qaalo ala la vera lezione, è difficile de- 
‘adore. Circa il senso, ban voluto taluni 
vedere nel vr. 29 ag., anzichè la conti- 
mmazione del rimprovero virgMliano per 





ia 





l'inopportuna pietà, un' allusione alla 
colpa del dannati della 4% bolgia; ma 
noi pare che l'interpretazione più pro- 
babile sia quella che unisce strettamente 
1 vv. 30.31 al tro precedenti © che si può 
formulare com: « Chi è più scellerato di 
colui che aoffre movimenti di com) 
no nel cuor suo, mirando gli effort della 
divina ginatiziaî » Certamente Il verso è 
dol più soggetti a discusatano: vedanal 
io propoaito le dotte e finì considerazioni 
del D'Ovidio è del negli epa- 
acoli elt. nella nt. 10, 

V. 31-39. dinytarao. Mostra V: 
Dante 0 gli nomina alcani de' più famoni 
indovini dell'antichità (alno al v. 114) 8 
del tompl che per Dante erano moderni. 
Il primo è Aufisrao, figlio di Olcleo è 
di Ipermnestra, uno dei sette re chie ner 
seillarno Tebe por rimettersi il re Po- 
lince. Co'suoi indovinamenti esnobbe 
che, prendendo parte alla spedizione dei 
sotto, avrebbe perduto la vita, epporò 
si pascose. Ma, tradito da sun moglie, 
dovette andaro anch'egli alla guerra. 
Xid un giorno, mentro armoggiava sul 
ano carro, Giore apere la barra con un 
fulmine, ed Anfiarao ne venne 
tito sotto gli occhi doi Tebani (Stat, 
Theb. VII, 000 agg.). Alemoone ano figlio 
no vendicò la morte, uccidendo la ma- 
dre; ofr. Purg. XII, 50 ag. Par, IV, 
108 agg. 

53. RUI: lat. rue, dove rovinit «Qui 
prsceps per innne rus? » Parole deri- 
sorio del Tebani amadiati, leti della di- 


giù mell'Inderno, È 
eni cerchi a0n0 detti tante volte ralliy 
ofr. at, 1. e. 
MIT Lde alt, DV, d — anvanal i 
Rottraral al nuo 
Frirori ole. Inf. V; 4 NEK. 





n 


[oerc. 8. BOLG. 4) = Inp. xx. 58-65 TmaxgovA] 





Che tu non vedi, con le treccie sciolte, 

E ha di là ogni pilosa pelle, 
Manto fu, che cercò per terre molte; 

Poscia si pose là dove nacqu’io; 

Onde un poco mi piace che m'ascolte. 
Poscia che il padre suo di vita uscio, 

E venne serva la città di Baco, 

Questa gran tempo per lo mondo gio. 
Saoso in Italia bella giace un laco 

Appié dell’alpe che serra la Magna 


Per mille fonti, aredo, e più si bagna, 
Tra Garda e Val Camonica, Apennino 


di 
56 ‘ 
XXI, partorito da Somelo. 
do per mol! 7 00, QUESTA: costel, Manto, andò fun» 
aitvore Ta Lombariia.. o i errando per {l mondo. 

50. co: lago, como preeo par pre- 
29, 000. Il lugo di Garda. 

(: 


tempo 
Là: a Mantova, Virgilio nacque 61. Lac 


ad Andes promo Mantova. 
V. 58.99. Origine di Mantova. La 
menzione di Manto induce VI 


no quanto mal placido © | Lo 
tina digreanione per raccontare le origini 
di Mantova. Descrive Il lago di Garda Alconi vogliono. che Wi acriva Sirollo, 


trovandosi în doctmenti del medio ero 
ta 0 1 


\rotlia, 
è lezione del più del codd., così Banno 
Ott, Beno., Buti, An. Pior,, Sere 
rav, Barg., Land. Tol, Vel, Gelli 
Cast, eco., mentre TIROLLI non si trova 


morte fossa ivi fondata la città 0 
Manto fu denominata. « Qui 1] 
‘boeca di Virgilio attribuisce alla Tebana 
Manto, figlia di Tiresin, quello 


81 mez, dol quali mì è tanto e tanto var 
Timento disputato, efr. Ferrazsi, IV, 
do ag.i V, Dé4 ag. — Blane, Fermich J, 
165 sg. e lo memorie citate dal Fam: 
Baliik ep. cit. pag. 56 nt., © ciò che il 
Rambaldi atesso Ivi dicittamento osser 


va e ragiona. 
BA FADRR: Tieeala, - uscìo: mori. 
59, sExrA: del tiranno Creonte.» Ba- 

100: Bacco, come galeto per galeotte, 


in nessuno degli antichi, tennne nel Dan. 
qPrraco: Bemacwa, nome tico del lago 
die 


Sao ii A pprino di Regio 
quoi monti della 
© Val Camonica, al cul percio pria 


fondo scorre il tiuma Oglio, ehe roeado a 
formare il lago d'Ineo, Al: va 
xica, lezione troppe 

tac Ct; de CI ag, Loria, Li ec 
lia Dir. Com. Mant., 1848, p, 80 














198 (caro. a, BOLO. 4] Inr. xx. 114-121 [ixpovisi MODERNI] 





Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta. 
Quell' altro, cho ne’ fianchi è così poco, 

Michelo Scotto fu, che veramente 
Delle magiche frode seppe il gioco. 

us Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, 
Che avere inteso al cuoio ed allo spago 
Ora vorrebbe, ma tardi si pente: 

12L Vedi le tristo che lasciaron l'ago, 


diam înforiorem »; De Fu70, ET., IT, 4. - 
atcux Loco: TI, 112 agi 
W,115-130. Endoriné me 
avergli mostrato 6 nomini 
chi, Virgilio mostra 


cen; 0 queato virande dara alla ana 
brigata, poi dopo pasto li contava: del 
losso lo re di Franola fa nostro oste, del 
rosto quel d' Taghilterra, ece. »; Lan. 
Lo stesso raccontano pure Buti ed altri, 


r. la lunga nota del FYlal. a quosto 

tempi moderni, coma 
si è testà nccennato, ai favoleggia nolla 
cosle, n non ppi A questo famoso 


Jogo è molto affezionato ‘al conte Guido 
o da da Montafi Vivera verso In fino del 


che gil noquistarono il ti- 
tato di principe degli astrologbî, @. Fil. 
VII, £1 lo dico « ricopritore di tetti, » DI 
Bonatti seriro 180 l'anonime tore 
magica Foroliviense: ; cfr. Murat., 

XII, 150, 283 ng, 297 ag. = 

va costui di stare nol campanile 
jaatra chiesa, e facoa armare tutta 

del conte da Montefeltro, poi 

l'ora, © quenti dava alla cam- 

itti sallano a cavallo è naclano 

li nomici »j Lan, Cos puro Ott., eco. 

w. racconta di costai alcune partico» 


140; XIT, 19, 0! 
Faft valde peritas in magicis 

bon ot selentia sugari qui cori 

suis potisaime atetit 

Imparatorts »; Bambpl. 

Rrande rnestro d'arto 


dn. Set, > SÌ ragiona ch'e 
sendo In Bologna, a usand 
nomini © cavalieri, e man, 


ledit no totam divinationi, 
a ventnra pradixit 


d'apparecchiare, mai non faceta fare 
cuma com di cucina în casa, ma avea 
apiriti n nuo comandamento, che li fucea 
levato lo leaso dalla cucina dello ro di 
Francîn, lo rosto da quella del re d'In- 
ilterra, lo tramomo di quella del ro 


tro. Si pente trop- 
po tardi di non nver badato x fare fl ela» 
battino, luciando stare l'arte dell'in- 
dovîno. 


Îì Ciollia, lo pane d'un tnogo, e "l vino 
un altro, confotti è frutta ta onde Il 


131. miste 000,3 fstiuochiere. Non 
ne nomina nessuna particolarmente. 








200 [orRc. 8. HO. 5] 


Tre. x. 1-9 [nanatTIERT] 





CANTO VENTESIMOPRIMO 
CERCHIO OTTAVO 


BOLGIA QUINTA ! BARATTIERI 
(ommersi nella poco bollente) 


UN MAGISTRATO LUCCHESE, I DIAVOLI MALEBRANCHE 
MALACODA, COMICA INFERNALE 


Così di ponte in ponte, altro parlando 
Che la mia commedia cantar non cura, 


Venimmo; e tenevamo il colmo, quando 
Ristemmo per veder l’altra fessura 

Di Malebolge e gli altri pianti vani; 

E vidila mirabilmente oscura. 
Quale noll'arsonà do' Viniziani 

Bolle l'inverno la tenace pece 

A rimpalmar li logni lor non sani, 


V. 1-31 Za dolgia dei barattleri. 
La quinta bolgia è an lago di pece, nel 
quale sono sommersi | barattieri. Cor- 
Gutvze in vita di operare nello tenebre 
per maglio ricoprire | boro perftdi sntri- 
glil; © qui nono così nascosti è coperti 
da non potor aasor vedati. Non sì cara: 
tono della ginatizia, della verità @ della 
lealtà; e qui sono in balia di dinroli ba- 
pianti è senza logge, slcali © erudoli. 

t. ni rosta: da quel della quarta a 
quello della quinta bolgia. - autmO: di 
altre onse che qui non si registrano ; ofr. 
ING IV, 106 6g 

È marevano; eravamo sui punto più 
alto dell'arco quiato, 

4. prasunA : bolgia, quasi fenditara di 
terreno, detta nlirove fossa, 

5 vaxi: perchè nulla giovano. 

Ti Amix4 | on 0% più codd. 


od altri. I più anzaxa; ctr, XP, 152 ag. 
« Cho debba diri arsend © non arzumò, 
lo al rilern da molti documenti è dal 
l'antica planta di Venazia..,. 00% seritto 
chiaramente Arsenà »; Farozzi, D, e il 
suo nec,, p. 801. Inveco Mutti, 1, 1081 
«Arsanà è una voce da usarai, siccome 
quella cho vieno da arsanar, che fn re- 
noslano vuol dire arginare. Onde si è 
fntto l'arasnà, cioè l'arginato, » Cfr. 
Ilono, Verzuck I, 189 ag. Dante intende 
dell'arsenalo vecchio eretto mel 1104, 
ingrandito verso Il 1303, cossiderato ni 
tearpi del Poeta come uno del più impor 
tanti dell'Xuropa, Cfr. Seetari, Lettere 
Alologtshe di marina, Ven 184 p. 4506. 

. Sall'attmolagia della vece 





Torno, 8. ROLG, 5) In. xx1. 27-39 [ANZIAN DI BANTA ZITA] 





E cui paura sùbita sgagliarda, 

Che, per vader, non indngia il partire; 
E vidi dietro a noi un diavol nero 
Correndo su per lo scoglio venire. 


Ahi, quanto egli era nell'aspetto fiero! 
E quanto mi parea nell'atto acerbo, 
Con l'ale aperte e sovra i piò leggiero! 
L'omero suo, ch'era acuto e superbo, 


Carca 


un peccator con ambo l’anche, 


E quei tenea de' piò ghermito il nerbo. 


Del nostro ponte diss 
Ecco un degli anzian di 


0 Malebranche, 
Santa Zita! 


Meottetel sotto, ch'io torno per anche 


27.s04cLianDa | togllo lo 
ros anbiralitt ipao timor » 
roid. XIV, 182. 

28, cite: Il quale, aebbeno guardi 
rità però di fuggire, ma garda e 
nello stesso tempo, stimolato dalla curio: 
sità 6 dalla paura. 

31. Arkure: per volare. - LeGerEto: 
camminando o rolaudo insiemi 
demonio è dipinto quale appunt 
strano Infinite opere d'arte del medio 
evo. Cfr, Graf, Demonologia di Dante, 
D. 20 ag. 

#4. L'ONERO: quarto ohao. - ACUTO: 
nppintato e rialiato, 

85, CANCAVA : gravava. 

Il peocatar carcara l'om 

dimonto, avend 

nullo omero a guisa che fa Îl lopo a 
(cora (1), et tenealo, avendo fitto gli 
gioni ne" nerbi che 
tra” piadi è le gambe 
pecoitore con amb 
cara 0 premea l'omoro del din 
acomisato © sollevato per superbia di 
rigoa preda; e quella brutta beatin gli 
tons ghermito con quelle unghioce un: 
cinnte il collo del pieda; 0 sia un peo- 
catore era a cavalcioni sull'amore d'an 
dttavolo, n 
forrato pol piedi »; Ross. Al onta di 
quanto da detto altrove, In. IMI, 121 


251 egg) ta comune credraza do' tempi 
puoi, secondo la qualo In arime malrago 
sono portate via dal dinvoli, e qualche 
volta anche 1 corpi. 

: d'im anî ponte dovo 


oraramo fo 6 Virgilio, Il damonio dissò. 


pIRAE, * © MALEBRANCHE, » ciodi 
‘0 Malebranche del nostro ponte. » Non 
paro però che agni ponte abbla 1 moi 
diavoli, 0 Malebranche, speciali, anzî dai 


polchò ls Malebranche vanno coi duo 
Poeti, nò queati incontrano altre Male 

ranche. Un modo simil Inf, XXIY,971 

Ja nostra proda, cioè dalla proda ov'era- 
v ) Virgilio ed fo, Cfr. Alano, Vereuch, 
192 ag. - MatemnancHE: nome gonmirico 
dei demoni di questa bolgia, così chia 
tati dai loro anghioni ed uncini, e dal- 
l'essor custodi di que' che abbrancarono 
con aranche male, cioò Ingiuate, 

., AXziani | diocì magistrati sapromi 

di Lucca, como $ Priori a Firenze, -Baxta 
ZitA: Lucoa, conì chiamata dalla 
trice dalla città. Santa Zita fu orinnda di 
con villaggio su quel di Pontremoli, nata 
nel 1218 da poveri genitori, morta fl 27 
aprilo del 1272, Resa è «la Pamdln de la 
ldgonde; c'étalt uno paure serrante que 
son maître voulalt sdniro +: Asejadre. - 
« La famiglia dei Fatinolli, nolta quale 
avea vissato con officio di fanteroa, ne 
conservò Îl corpo nolla la gentili 
ala cbe possedora nella chiesa di $, Fre 
disno a Lucca »; Vernon, If. vel. TIL, 
p. 158, efr. Ivi tav. LXILI, Gerd, fem. 
degli serittori della Tunigiano, Massa 
1629, II, 222 agg. Monéreu® Sura, Vie 
de Baînta Zita, Daria, 1845. 

30. PER AxcuE: per altri, a prenderne 
dogti altri. Al: To torno da capo, 








[crkc. 8. OLA. 5] 


INF. XXL 50-68 (ANZIAN DI SANTA ZETA] 





Però, se tu non vuoi de’ nostri graffi, 
Non far sovra la pegola soverchio. » 

Poi l'addentàr con più di cento raffi, 
Disser: « Coverto convien che qui balli, 
Sì che, se puoi, nascosamente accaffi. » 

Non altrimenti i cuochi a' lor vassalli 
Fanno attuffare in mezzo la caldaîn 
La carne cogli unein, perchè non galli. 

Lo buon maestro « Acciò che non si paia 
Che tu ci sii, » mi disse, « giù t'acquatta 
Dopo uno scheggio, che alcun schermo t’àîn; 

E per nulla offension che mi sia fatta, 

Non tomer tu, ch'io ho le coso conte, 


Perchè altra 
Poscia passò di 
E com'ei giun 
Mestier gli fu d’ 


antichi Etruschi è Romani col 
Znar. Cfr. Minutoli, 1. 0. » 
coraunemonte ogul Lucchese 

dutio >; Lan. 

50.0n4rY1: graffintare de' nostri unoini. 

31, NON PAR #00,: non sovorchiaro i 
mon veniro a galla. 

32. rt: polchè, — avrI 1 atramenti di 
ferro con denti unolnati, dotti rampini 
0 wncini. 

53. COVRRTO: sotto la peco. 


Ballo il dimonarai di quegli sclagurati 
nel brociore »; Lamb. 


nesato dietro uno schaggio, Intanto che 
gli andrà n parlare coi diavoli, 0 di non 
sian per qualsivoglia offesa che gii ala 


lo egli come vanno To com. 
edi 


, Tafatti 1 demoni, apper 
‘corrono asldesso a Virgilio eoî loro 
(3h ma egli sl sobermisce, invitandoli 


It ie ti di loro, li 
pesa pula sa spazi ta ragione de 
DE 


RA on 
ole aa VII oe ner 


là dal è co del ponte; 


la ripa sesta, 


‘er secura fronte. 


80, 1° ACQUATTA 1 per terra. 
Sombra be nè lo Malebranche sto î 
ponte, ud Il diavolo nero avessero sn- 
cora veduto 1 duo Poeti, chèò altrimenti 

uosto giù l'acquatta (= abbamati 
aconditi) no avrebbe seno. 


OA li quale alia Upea 
VIRA e AIA: abbia; anticam, 
10 «Par. 


coxtti cognito; «qual dint: sa 
fraudoa istorum baratariort 
ndovi già stato, afr. Inf. Ly 


si 
© 63. nanarta: baruffe, contranto, con: 
tea. «Quando duo vengono a contesta 
insieme 0 #0 le som Et fr 


lid 
ai diavoli che vi suono a guar 


04. co1 capo, efr. Ty. XX, 70, Purg. 
ATI, 128. Par. III, 

05, smsta 1 cho partiva fa quinta dalla 
nesta bolgia. 

00. ancuni v1OXTx  anpotto fiero, dovò 
mostrarsi coraggiono, 








206 [ogkc, 3. noLO. 5) Inv. xxi. 83-100 


[matkoraxcne] 





Lasciane andar, chè nel cielo è voluto 

Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro. » 
Allor gli fa l'orgoglio sì caduto, 

Che si lasciò cascar l'uncino ai piedi, 

E disso agli altri: « Omai non sia feruto. » 


E il duca mio a m 


< O tu che siedi 


Tra gli scheggion del ponte quatto quatto, 
Securtamente omai a me ti riedi. » 

Per ch'io mi mossi, ed a lui venni ratto; 
Ei diavoli si fecer tutti avanti, 
Sì ch'io temetti non tenesser patto. 

E così vid'io già temer li fanti, 
Che uscivan patteggiati di Caprona, 
Veggendo sè tra nimici cotanti. 

To m'accostai con tutta la persona 
Lungo il mio duca, e non torceva gli occhi 
Dalla sembianza lor, ch'era non buona. 


Ei chinavan li raffi, e « Vuoi che il tocchi» 


BI. ALTRUI! A Dante nascosto. — sti 
VITRO: malvatico vd ride, 

#3. CADUTO | a Malscoda venne meno 
l'arroganza, tentò tanto grando; olr. Inf. 
VII 13 ogg. 

7. FRRUTO: ferito, Cfr. Nunnue, Verbi, 

207, nt. 1. 
Y.8-108, Spavento di Dante. Spenta 
colle nno parolo Ia tracotansa di Mala- 
seda è de' suol compagni, Virgilio chia- 
mua Dante a sè. Ewendusi egli masso 
igere Il maestro, 1 demoni sl 


ammonisca | dinroti di star fermi. 

RD. QUATTO QUATTO | * ehinato 0 come 
nplanato in terra, e come fa Ja gatta 
quando uccella, cho sl stiaccia in terra 
per Don ceser veduta »; Barphini. 

DÈ, FATTO: la promessa futta, v. #7, 
+ Ri Rota quod anctur pulero hoc fugit, 
quia rare vel namquam sti barstarii 
servant quod proefttant, nial alt als une- 
Nn manine»; Beue Al: TEMSCTI cH° Mi 
TIMRANEK PATTO, che rimpondorebbo al 
Raf, epreer ui 0 ch'è pur leniono ncoet- 
dabilo, CM. More, Ord, 329 ng. 

Md YID"10: ci fa dunque presente. L'opi- 
Mena ch'al v'autazio non come milito, 
ama par mora onriosità (arto, Letter. 

V,Mag.), ven è punto probabide. 


95 rarmanatAtII setto felo di capito 
lazione. = Carnoxa: euatello del Pisani, 
preso dal Moreatini è Lucchesi nell' age 
ato del 1260; cfr. O, Vil. VII, 197: + Nel 
detto anno 1240 del moss il'agosto, i Luo. 
chiesi fociono vate sopra la città di Pisa 
colla forza ila' Fiorentini, ehe v° asvta- 
runo 40) cavalieri di cavallate o 2000 
pedoni di Firenza © la taglia di loro v 
doll'altro terre di parte guelfa di To- 
acana e.... prosono il castello di Capro- 
na, 0 guastario, » Il castello di Caprona 
ora atato conquistato du Guido da Mon- 
tefeltro, capitano del popalo e di guerra 
6 poi auche pedestà det Pisani dal mar- 
xo 1259 al 1280 (ele. VAL: VII, 128; VIII, 
2). DI presidio di Caprena ni arrese e fa 
lnxelato andaro Mboro: ma Gubto da 
Montefeltro foco standire da lisa co- 
store che non avevano saputo difendere 
1 cagialo, Cft- Del Lungo, D. nei pi 

di D., p. 27% ag.; Kraus, 38 ng.; Bass, 
114 egg. Altrimenti narra la coma ii 
ak venire Rio; gel TI A 

con în conquista del Castello per 
fatto di Guido. 

#8. Lunuò» rasente; efr. Yuf. X, 13. 

10, sIMINIANZA von: aitogziamento loro 
miaaceliao. 

















E poi che si chiamaro, attesi come. 

< 0 Rubicante, fa' che tu gli metti 
Gli unghioni addosso; sì che tu lo seuoi! » 
Gridavan tutti insiome i maladotti. 

Ed io: «Maestro mio, fa’, se tu puoi, 

Che ta sappi chi è lo sciagurato 
Venuto a man degli nvvorsari suoî. » 

Lo duca mio gli s'accostò allato; 
Domandollo ond' e’ fosse, e quei rispose: 
«Io fui del regno di Navarra nato. 

Mia madre a servo d’un signor mi pose, 
hè m'avea generato d'un ribaldo, 
Distruggitor di sè 0 di sue coso. 

Poi fui famiglio del buon re Tebaldo; 
Quivi mi misi a far baratterla, 

Di che rendo ragione in questo caldo. » 

E Ciriatto, è cui di bocca uscia 
D'ogni parte una sanna come a porco, 
Gli fe' sentir come l'una sdrucin, 

"Tra male gatto era venuto il sorco; 

Ma Barbariccia il chiuse con le braccia, 


Buti ribaldo tanto viono a dire, quanto 
rio baldo, eloò andito a rio uomo (11) ». 
SI, bisratGarTOR: dal bnaso lat. de 
struetor, qui figaratamente per Disslpa- 
tore do' sani beni e suicida. Cir. la notizia 
di Ben, eltata più addietro v. 31-75 nt. 
52. vimiotio: famigliare, nervo, Al: 











\) 
218. [caso, 4 noo, #] Inv, xx1t, 86-102 


faicnzna zaxone] 





Si com'ei dice; 


negli altri uffici anche 


Barattier fn non pieciol, ma sovrano. 
Usa con esso donno Michel Zanche 


Di Logodoro; 0. a dir di Sardigna 


Le lingu 


(o lor non sì sentono stanche. 


Omè! vedete l’altro che digrigna: 
To direi anco; ma io temo ch’ ello 
Non s’apparecchi a grattarmi la tigna, » 
E il gran proposto, volto a Farfarello 
Che stralunava gli occhi per feriro, 
Disse: « Fatti in costà, malvagio uccello!» 
«Se voi volete vedere o udire » 
Ricominciò lo spaurato appresso, 
«Toschi o Lombardi, io ne farò venire. 
Ma stien le male branche un poco in cesso, 
Sì ch'e' non teman delle lor vendette; 
Ed io, sedendo in questo loco stesso, 


riot rumpendo caroerem vel corrum pene 
lo cantodea, alcnt solet allquando con- 
Mogere, » 

80. cON' xt nick: « ciò si riferisce al di 


Betti, Ma di piano è ancho in altri dia- 
letti; ssechò sarà da intendere pinttonto 
o co li piano, 0 de plano, Clampolo ri- 
cori sa ironia la parola con cui, ac 
Stante alla ria procednrale negnita, 
verea Frate Gomita di scolparai: « Li la. 
ciò liberi con 3n procedimento somma- 
rio, al cow' ei dico : un po' troppo somma» 
rio {+ Mud. TX, 258. -ALTat: nOn solo nel- 
Y'adfhro della liberazione del prigionieri, 
#8, Una: pratica, - DONO : Don, Mes: 


mro. 
89, A Dix: non al stancano mai di par- 
della 


ci O DO tira #01 quando rinselva 
di niro per cet preme 7. 201 


della pegola a un asma, crnenate. 
Noncatante l'opporizione di Cagnazzo, 
che indovina l’astazia, 1 diavoli sl np- 
piattano, 0 Ciampolo Testo @ pronto salia 
giù e dispariaco nel lago, lasciando i dia- 
voli ingannati è burlati. 

DI L'autRo: domonio; Parfurello, 7. 04. 

92. ANCO: ancora) contiuuerel a par 
Inte, — pLLO: ogli, cloò l'altro. 

DI. GNATTARMI La TIOXA: » maltrate 
tarmi. Orattare la tigna, modo buaso, 
anche nell'umo vivente, algnifica percao- 
tere, battere senza misericordia, - TIUNA: 


. conio: avendo alli ofr, v. 115, 
237 166) SONATE, 8 
08. arduaato: Impaarito, A torto al 
tri danno Intero; tolto di paura, rassé 
curato, smso chela parola non pad avere. 
100. LE ALE mancIR: i Ma voli dagli 
uncini nello branche. A. serirono Male 
branche, nome collettivo di quel diavoli. 
— ir orso: la disparte. 
10). n°: quel Toschi o Lombardi che 


reale drain 
x0x mara, les. errata. AGtore, Orit., MI. 
102. AKDRKDO | promessa ingaunovole 
ge erre dirai nd ppi, ua 
shò egli possa liberarel da'loro unolal. 











220 [cERc.s. BOLO. 


[rvoA Dei PORTI] 


CANTO VENTESIMOTERZO 


CERCHIO OTTAVO 


BOLGIA SESTA : IPOCRITI 


(Camiminano in Bla lantamento, vestiti sd oppressi da pesanti cappo di piombo, 
esternamento dorato) 


FRATI GODENTI CATALANO E LODERINGO, CAIFA8SO 


Taciti, soli, e senza compagnia 
N'andavam, l'un dinanzi e l’altro dopo, 
Come frati minor vanno per via. 

Volto arn in su la favola d'Isopo 


V. 1-97. Fuga del Poeti. Mentre 1 
diavoli sono Intent! al loro due compagni 
lavischiati nella pece, Dante Virgilio si 
allontanano da esi o continnano a cam- 
mianro sa pee l'argine. Dante, tutto pau- 
ape Nino dle trovi modo di 
sottraral ai de irgilio lo prende 
sai Wa sogno par per la pendente ripa giù 
nella sesta bolgia. Vi sono appena giunti, 
che i diaroli arrivano a quel punto del- 

dove al souo calati; ma, non oa 
genotmo ni demoni di abbandonare 


L'EN Deaxzi: come sogliono an- 
dare, Virgilio primo o Dante sotondo ; 
fe, Inf. I, 1905 XI, 190; 1,15, Xx, 81 


XI 118: EIV, Mb; XV, #7 63 XVI, 
91; XVIII, 21, 

i oGieRi cod rasolti e a aspo chino. 
Al: « È naanza de' Frati mînori.... an 
dare l'ano lnnanaî, quello di più auto- 
rità, l'altro dirfetro ot neguitario »; An. 
Fior. « Il quale costuma el doverano 
avere In quel tempi, perchè oggi usowo 
eglino di andaro al pari »; Gut, 

4. D' Isoro; la favola non d di Reopo, 

La passava per talo fo quel samp, Mwtt. 

è Bene, affermano ehe si leggera « in un 
Tlbello cho xi Toggre a' fanolulii 


«Quando colloguebantur animalla brata, 
Invitavii 


ubi mali 
quit, amiea rana. Post epulationem et 














296. [orrc. 8. noro. 6] Tur. xtm. 81-99 


(FRATI A0DRNTI] 





E poi secondo il suo passo procedi.» 
Ristetti, e vidi dne mostrar gran fretta 
Dell’animo, col viso, d'esser meco; 
Ma tardavagli il enrco e la via stretta. 
Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco 
Mi rimiraron senza far parola; 
Poi si volsero in sè, e dicean geco: 
« Costui par vivo all'atto della gola; 
E s’ei son morti, per qual privilegio 
Vanno scoverti della grave stola?» 
Poi disser me: «O Tosco, che al collegio 
Degl'ipocriti tristi se’ vonuto, 
Dir chi tn sei, non avere in dispregio. » 


Ed io a loro: «Io fui 


Sovra il bel fiume d' Arno alla gran villa, 
E son col corpo ch' i' ho sempre avuto. 

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, 
Quant'io veggio, dolor giù per le gunnoe? 
E che penna è in voi che sì sfavilla?» 


BL. ANCONDO IL SI;0 FASO: com passo 
pari al suo. 

-82. MORTRAR: attoggiare Îl sembiante 
In modo da rivelare ll desiderio Intenso 
dl taggiangerimi. Cfr. Petrarca, In Vita, 
Sor. 186 (107) « Ma spesso nella fronte 
Il cor al loggo. » n 

3, DELL'ANIMO, COL +10: così i piùs 
nullo diverso nltre le. cfr. Moore, Orit.. 
228 ag. — cor, Viso: «onm appareatia 
Tucioi »; Bene. = « Chè altrimenti nom la 
poteano mostrare, olià non poteano uscire 
Reepeeno soncetase e Buti. 

86. smRIETTA | perchè larghe le cappe 0 
agrardo la moltitadino degl' ipocriti. 
e la cons è così, como Virgilio e Dar 
Gamminavano senza ricarer impedimento 
dalla via stretta? »; Cast. Non è dotto 
fn alcun Inogo che non né ricuvessoro 
Smpedimento, nè d'altra parto Dante e 
Virgilio averano quello tall cappo. 

85. NIRCO: atorto, come sogliono guar: 
dare gli fpoorità, 0, fore' anche, dolenti 
ali invidlioni, vedendo altri andar senza 
oappa per la loro belgia, Al: l'erohè 1 

Gippucci abbansati impedivano loro di 
Sedie diament. E più ancora di 


Set preh: l'uno r eni mil l’altro. Al: 1 
MEA, cioò ad un tempo; cfr. 2. P., 139. 


dacter, sta 


85, aLt'aTtO: nÌ moto della gola pro. 
dotto dalla respirazione; eft. Pur. 11, 
67 ag. Al: Al dogintire, atto della vita 
organica (1), « Et allegorloe quia auetor 
non erat mortana in futo vitto, nec lo- 
quebatur ad modum hypooritin, lmo am» 
quod apo in vita fuit repu- 
tatus nimde rigidas #3 Mime. 

90. eroL4: cappa di piombo, Stola per 
vesto în genorale, dissero serento gii 
antichi; ofr, Foe. Or. Qui la voce è per 
avventura scelta con intenzione, volendo 
alludere all'abito fraterca 

91. sex: n mo, Al: uisstatt: Als: wr 
Iumen-COLLROIO: allunanza, Inogo dare 
nono raccolti (collect) gli tpooriti. 

98. NoN AvaRR: non disdegnaro di direl 
chi ta sei, AL: t1' CILTU 81°) NON NATE 
RR IN DIAPREOTO. Dante risponde settanta 
di emer Fiorentino e vivo; e senza diro 
chi agli è, domanda lore chi tì seno. 

DA. YUI SATO: * nel doleiasimo seno di 
Niorenza fui nato e nudrito fluo 21 colmo 
di mia vita +; Cone. I, 3. 

18. vinta: citrà: grande, porchè}a mag: 


giore delle città mall'Arno, 

98, poLone Andavano pian 
gendo. 

90. cia ra : anche ammesso che 0' al 
fome giù acosrto ehe lo cappa erama di 








228 [ceRc. 8. soLo. 6) Inp.xxin. 109-122 [canasso] 





To cominciai: « O frati, i vostri mali...» 
Ma più non dissi; chè all'occhio mi corse 
Un, crocifisso in terra con tre pali. 

Quando mi vide, tutto si distorse, 
Soffiando nella barba co’ sospiri: 

E il frate Catalan, che a ciò s'accorse, 

Mi disse: « Quel confitto che tu miri, 
Consigliò i Farisei, che convenla 
Porre un uom per lo popolo a' martiri. 

Attraversato e nudo è nella via, 

Come tu vedi, ed è mestier ch'e' senta 
Qualanque passa, com’ ei posa, pria. 

Ed a tal modo il suocero si stenta 

In questa fossa, e gli altri del concilio 


10 


Y, 100-120, Calfasso sl Il suo suo- 
cero. La parola che il Posta incomincia 
arivolgere al frati Godenti, parola di rim- 
pruvero 0 di duolo, g}1 muore sulle Inb- 
dra alla vista di uno, che con tre pal! 
A erocifinso In terra, è su eni tutto quanto 
Vl popolo degl'ipooriti dere passare e che 

orta quindi tatta l'ipoerinia del mondo. 
È Calfauso, il grande ipocrita che con: 
aigliò a' Giadei 1° nocisione di Cristo, Fra 
Catalano lo nomina, aggiungendo che 
nello temo tiodo sono puniti in quella 
© Ansa, suocero di Caflasso, e gii 
altri suol colleghi del gran ainedrio giu: 
daloo; di che Virgilio mostra morari- 
gliarai. 

209, MALI: si può supplire: + vi stanno 
deste; sono ben meritati »; oppure, preo- 
dendo moli nel senso di colpe: « furon 
canna della rovina della mia patria ». - 
Buti, Land., ecc. si avvisano che Dante 


Gesta «Nan voggo che cosa volesso dir 
Dante I frati avevano sotto ipocrisia 
Tngannoti 1 Morentini ed ncoellati | ghi- 
bella! © distrutto lo caso intorno del 
Gaardingo, e d'averlo fatto sotto ipoori- 
l'avevano confessato. Adunquo 
fierentino ed nomo lealo, 


MI Cons: mi sì presentò; mi 
veduto, 
111. cnoctrisso: egli ed | anci degni col. 


loghi, che focero crocltggere Cristo, qui 
sono crocifissi. - TRE: mani, 0 | duo piedi 
Insieme, - FAL :foveos de' chiodi, che nel 
terreno non possono fare ninna forza. 
112. ai bistona1 per il dolore di esser 
veduto in tal condizione da un vivente 
che poteva riportarno novelle su nel 
mondo. Oppure: « perchè vedea Dante 


ato, per la quale 

116. a'Accomi 
avera interrotto fl parlar neco, 

110, consiotiò « Expedit vobis ut unna 
moriator homo pro populo et non tota 
gous peroat +; ZoA. XI, 50, « Erat matem 
Caiphas qui conmilint dederat Ludinle, 
quia expedit unut bominem mori pro 
populo »; ibid. XVIIT, 1. 

118. ATTILAVEBATO : posto & travorso, 

un intoppo agli altri. « Pomulatl ut tere 
rum corpus tun, et qual vlam tran 
seuntibna »; Traia LI, 28. = NUDO: ili no- 
lito Danto dice nude le anime, grando 
vuol porre in evidenza la miseria di Joro 
condizione. Ma in questo luogo le altre 
amdme non sono nude. Ognona ba la sua 
cappa; soltanto Caifuano ed î suot colle» 
ghi non hanno cappe proprie, ma de- 
vono sentire în eterno li peso di tntte 
quante le altre. 

120, quaLUNqua: chiunque passa di 
qua, deve calpestario, 

IÎl. 4U0CKRO: Anna, sommo ponte 
fice; efr. IoA. XVIII, JR. BI STENTA: 
è tormentato: 

122. conciLio : de' Pontefici e Furieel, 
che condannò Cristo; etr. Zed, XI, 47, 





230 [oxre.s. noe. 6) Inr.xxm. 137-148 [ruRBAMENTO DI vIRO.] 





Montar potrete su per la ruina, 
Che giace in costa, e nel fondo soperchin. » 
Lo Auca stette un poco a testa china; 
Poi disse: « Mal contava la bisogna 
Colui che i peccator di là uncina. » 
E il frate: «Io udi’ già dire a Bologna 
Del dinvol vizi assai, tra i quali udi’, 
Ch'ogli è bugiardo, è padre di menzogna. » 
Appresso il duca a gran passi 
‘Turbato un poco dira nel sembiante; 
Ond'io dagl’incarcati mi parti* 
ILL) Dietro alle poste delle care piante. 
138, cur: la qual ruina. Ai.: Perchè 
costa: su per la 


essa ruina giace. 
Fipadoll'argino I nani giacciono rovinati, 
e'giù nel fondo della bolgia essi fermano 


mi rialso, quasi scala a sallro. 
130. cuxA: accorgendosi dell'ingan- 
no futtogli, cfr. Inf. XX1, 100 sgg., 


125 seg 
TUR compiva: rasccntava, esponeva. 
= LA Misoaxna 1 la cosa. 


TAI. cotuT: Mulacoda Cfr. Inf. XXI, 
100 egg. - DI LA: nell'altra, quinta 


N82. UiÎ: udil. - a Boroawa : etr. 7. 
108. «Argementim rt n loco, quia Bo: 


tia» per 

147. Incancati: caricati dello enppe di 
piombo, Ali INCAPPATI. 

pedate; AL: rosre. 

— itaxti: de' piedi di Vingillo, Il « caro 


doca mio »; Inf. VIII, 97, 





Inp. may. 9-26 [coxeonTo] 


232 Torre. 3, BOLO. +) 





Biancheggiar tutta, ond'ei sì batte l’anca; 
Ritorna în casa, o qua © là sì lagna, 
Come il tapin che non sa che si faccia; 
Poi riede, e la speranza ringavagna, 
Veggendo il mondo aver cangiata faccia 
In poco d'ora; e prende suo vineastro, 
E fuor le pecorelle a pascer enccia; 
Così mi fece sbigottir lo mastro, 
Quand’io gli vidi sì turbar la fronte, 
E così tosto al mal giunse l’empiastro. 
Chè, come noi venimmo al guasto ponte, 
Lo duca n mo si volso con quel piglio 
Dolce, ch'io vidi prima a piò del monte. 
Lo braccia aperse, dopo alcun consiglio 
Eletto seco, riguardando prima 


Ben la ruina; e diedemi di piglio. 
E come quei che adopera ed estima, 
Che sempre par che innanzi si provveggia; 


9, RIANCHEGOIAW: « Neo prata canle al- 
blcant proîuta »; Zoraz., Od. I, tV, 4.- 
marra: por dolore, credendo che sia ne- 
vicato. 


12, LA RIURANZA RINGAVADIA : ripiglia 
permea: propriamente Rimette nel ga- 
unpno, cioò nella cesta a nol paniere. 
Gategno 0 Caragno è dell'uso viverite, 
mom soltanto în quelche dialetto toscano, 


eft. 2. P., 342. Rane. Fersueh 1, 219. En: 
vlel., 1671 ag. 
38, CAXGIATA racciA: non più bianco, 
DPA prpendoni tetta 1a br 
Ù4. YINCASTRO: buochetta, verga. 
16. MARTRO: macatro; Virgilio, 
38. 008Ì TOSTO: coma al villanello. - 
L'inertastROo : Il timedio, il confort: 
Petr., Prionfo della fama, II, 12 » 
Uto, Orl:VI, 40. «Traslazione prosa da' r$ 
pria ni fanno a' luoghi dova ala do- 
Smplostro significa pro: 
priazia gna Fipari lenitivi, cho sè usa- 
no porre na'Inoghi ov'è dolore »; Gelli. 
Ta. atasto: rotto. - PONTE: lo nooglio 
Rmazionsto XXIII, 133 sgg. 
Ria più pe MONTE: prima di en- 
malt'Ioferno; Ta. I, 61 agg.; cfr. 


, 20 
V. 13-00. Salita sull'argine, Virgilio 


onserva la rovina dello scoglio, © medita 
fra sò ciroa 11 modo di arrampicarsi an 
per osa; prende poi il suo Alonno, e 
cominolano a salire faticosamente an per 
la rovina dell'argino dentro, finchè arri: 
vano sul ponte, e, per meglio vedere, 
scendono aull'argine ottavo. 

22. voro: costr, guardando prisa 
ben la ruina, dopo eletto neco alcun cen- 


digit. aperte le braceîa e diedems di pi 


Gioà mi too di peso. Virgilio ce 
— prima accaratamente la rulna por 
accertarsi di nom ossore ingacnàlo 
Catalano come fu dai disvoli; quimii de 
libera fra sà olron Il modo di montar kt, 
6, preso il mo partito, abbraocia Dantà 
per di dietro por sespingornelo innanzi, 


stano gii « ammneatramenti filosofici, » 
De Mon. FIT, 15, ma ci vuole eziandio 
a grana dell'autorità secolare. 


tro esegui 
fotte è Dn ln mente nl da farai 
«Belt praterita, oî de faturin masimat; 


Sepient. VIII, 8. 
38, no an pre de a 


cho da, ma nel che dlovrà fare fn seguito, 








234 fosso. a. poro, 7] Ixr. xx1v. 45-61 


Anzi mi assisi nella prima giunta. 
«Omai convien che tu così ti spoltre, » 
Disso il maestro; « chè, seggendo în piuma, 
In fama non si vien, nè sotto coltre; 
Senza la qual chi sua vita consuma, 
Cotal vestigio in terra di sè lascia, 
Qual fammo in aere ed in acqua la schiuma, 
E però leva su! Vinci l'ambascia 
Con l'animo che vince ogni battaglia, 
Se col suo grave corpo non s'accascia! 
Più lunga scala convien che si snglia; 
Non basta da costoro esser partito: 
Se tu m' intendi, or fa’ si che ti vaglia. » 
Leva'mi allor, mostrandomi fornito 
Meglio di lena ch'io non mi sentia; 
E dissi: « Va’, ch'io son forte ed ardito!» 
si Su por lo scoglio prendemmo la via, 


48, 3&LhA PRIMA GIUNTA 1 appena giun- 
to nulla sommità dell''argiuo. 

40. sroLTIE: spoltrisos, vinca la pi 
gorizia. 

47. s0cixDO: vivendo nell'osio. Als 
abaco, buona lezio: 
aprovrista di autorità. 

48 sorro corre: dormendo. Contr.i 
Seggendo în piuma nom #î eine în fam 
nd (ai rione lu fama stando o giacendo) 
paio coltre. Com Ì più. Al.: per coltre in- 
tendono baldacehino è aplegano: 
Vine in fama nè sotto baldacehin 
nl può acquistare nè fama nè ricohersa. 
Ue. Honat., Ars. port., 412 ag. 

40, LA quaLi fama, 

50. COTAL: vemmuno. 

rum: « Defiolentes quemadmo» 
dlelioloni»; Prot XX 
lelioît fumus, dedelant»; di 
LXVI, 3, — « Tamquam fumue, qui 


& procolla dispergitar 
V, 16 — « Quasi spumam aupor faciomi 
Aigua »3 Qree X, 7. 

‘#2. amnasciai difficoltà di respirare, 
malta a un senso di oppressione. Buti: 
= La fation ». 

#3, AxINO: volontà energica cho su 


| cTbogaamed Purg. XVI IGT 
1eVaccatfa 04 lascia an- 


dar giù insismo col suo grave corpo =; 
Dan. - « Chiamasi una persona acedsoia- 
ta, quando por vecchierza 0 infermità è 
molto mal condotta o quasi non ai reg- 
go*: Morghink. 

acata; an por { balal dol Purgatorio. 
« Scala Purgatorii longissima, quia pèr 
tingit n terra unquo ad conlum >»; Zeno, 

BT. M'INTRNDI: sò ta vuoi arrivare a 
veder Beatrice, non basta partiral da c0- 

toro @ percorrere l'Iuforno. Non bauta 
lasciare il male, bisogna purificarai, — TI 
vantia: Al giovi quanto avvertimento. 

38.Lxva' mi: mi levai da sedere, y. 45. 

60. PORTE: a nontoner la Butlen, — Atl 
vito: per affrontarla: < Formola elio 
comprendo la farza del corpo è la fran- 
cheeza dell'animo»; Biag. 

V. 61-90, Ladri è loro pena, Usciti 
fuor della nesta bolgia, i Poeti a' avviano 
#0 per lo acoglio e vangono alla bolgia 
settima, che è dei ladri, 1 quali Taggiti 
besteramiano @ parlano o sufolano, se 
condo la loro furma. Sono moraî da orri- 
Dili serpenti; si inceneriscono © ripren- 
dono quindi la figura umana ; si trami- 
tano io serpenti o ridiventano nomini 
per tornar di nuovo a tramutami, «La 
serpe è natuta, e così il ladro. La serpe 
sirisolando entra per ogol baco, ladro 
s'amoltiglia per entrare par ogni luogo. 
La serpe è fn odio a ognuno, il ladro il 
simile. La serpo ascosa tra l'orde pugne, 





236 [ceRc. a, sOLG. 7) Ixp.xxiv. 75-86 


[PENA DEI LADRI] 





Così giù veggio e niente affiguro. » 
« Altra risposta » disso, « non ti rendo, 


Se non lo fa 


chè la dimanda onesta 


Si dee seguir con l’opera tacendo.» 
Noi discendemmo il ponte dalla testa, 
Dova s'aggiungo con l'ottava ripa, 
E poi mi fu la bolgia manifesta; 
E vidivi entro terribile stipa 
Di serpenti, e di sì diversa monn, 
Che la memoria il sangue ancor mi scipa. 
Più non si vanti Libia con sua rena; 
Chè, se chelidri, inculi e farde 


76. AxFiSURO: raffiguro, disoervo. Odo 
voci, manon intendo parola; vedo o guar 
do giù, ma von distinguo gii oggetti. 

18. ALTRA w00.: rispondo facendo ciò 
«he vnoi, perchè, quando la dimanda è 
giusta, convien rispondere co' fatti pint- 
tanto che con parole, operando come è 
atato chinsto. 

STR AT DNE BRGUIR: « forme KI Dx' Rex 
gui »i Betti. È chinro che qui { codd. 
nom decidono; X più, 0 veramento quani 
tntti, leggono s: Dux aRaUTI, che dà senso 
ottimo. 

T9TRATA: estremità, « Da qualla purte 
del ponte cho sì aggiange con l'ottava 
ripa, ciod con quella che ciuge Intorno 
l'ottava bolgia»; Dan. 

#1. R POI: quando fummo gianti sul- 
Norlo dell'argino. Al.: 


dara sotto il oxpo del ponto, in nno spo 
gimento del muro an cul discandono, pe 
ineneo di alcune pietro prominenti, chia- 
mate più tardi (XXVI, 14) dorni, Hani 
diensero nella seata bolgia, perchè vi 
furono costretti dall'essero sporenti al 
fondo tutti gli scogli che la trave 

82. ertPA: congerie, folla. « Stipa è dotta 
‘gui cosa che è calcata ot ristretta in- 
giemo, ot questo è detto atipato»; An. 
Pilor. = «Caveam sive gnblam, que alibi 
Vleltur stia »; 1) Few. 

ER. AKMPRSTI : « Capot sapldam suget, 
ut cechilot eum lingua viparse »; 702 XX, 
10 = « Serpentes nd vindiotam creati 
CATO apo 

manna, qualità ; cfr. Zaf. XVIT, 30. 
Encta., 12%. 


B4. sota: aggbincola. «La ricordanza 
di quelli serpenti ancora mi divide Il ann 
Ina da’laoghà voci; e; lo et 
cuore come fn la paura 

85. Linta : provinela stica a po 
nonte dell' Egitto, con dewerti arenoni fn- 
foatati da serpenti; ofr. Lasoan., Phare, I, 

II, 417; 1X, 705 agg. Della Libia 
Ortî., Moth, IV, 617 agg: « Camquo wu- 
per Libyeas vietor pendoret arenaz, Gors 
gonei capitis gnttm cecldore ornentm, 
Quae humus exceptas vario animavit 
fn angues: Unde frequena illa est inf 
ataquo terra colubria. » 

80, crt, sx: così la gran maggioranza 
dal codd. n com. ant. Al: CITERAT, CIR 
UIDRI, 1IACULI K Fante PuoDUORE, cIN- 
cu, eco, Ma talo lezione, prefrrita da 
taluni, perchè la serio dei nerpenti è così 
più conforme a quella cho nl ba nel paso 
di Lncano ehe Dante qui fmitò, non ha 
autorità soffielente di codtel. Cfr. Dio- 
nisi, Rondim. funebri, Padova, 1704, 
n. 74 meg. Plano, Vermub, I, 234%E: 
Barkore, Contributione, 140 ne. £. F., 
148.4. CINLIDIT, serponti velebosi ehe 
stanno In tarra ed in acqua. « Sed quia 
grit nobîa loerî pudor? inde petantor 
Huo Libye® mortes, et fectmus aepida 


Et semper reotolapenroa limite Conchrit; 
Piariona ille notio variata irab 
vum, Quam parvis tinotos 

buona Ophites; Concolor ezuatia "ta 
indisoretas arenia Hammodytes : spina- 
quo vagi torquenta Cornatu; Bt Scytalo 








288 [cezc.& noto. #] Ixr, xxry. 99-114 


lrassi pucer) 


Là dova il collo alle spalle s'annoda. 
Nè ‘o’ sì tosto mai, nè ‘i’ si scrisse, 
Com'ei s'uccese ed arse, e cener tutto 
Convenne che cascando divenisse; 
E poi che fu a terra sì distratto, 
La polver si raccolse por sè stessa, 
E in quel medesmo ritornò di butto. 
Così per li gran savi si confessa 
Che la Fenice more e poi rinasce, 
Quando al cinquecentesimo anno appressa: 
Erba nè biado in sua vita non pasce, 
Ma sol d’incenso lagrime ed amomo; 
E nardo e mirra son l’ultime fasce. 
E qual è quei che cade, e non sa como, 
Por forza di demon ch'a terra il tira, 
O d'altra oppilazion che lega l'uomo, 


99. LÀ eco.: nella gola. 

100, n ' 0% « queste due lettere ‘0' ot 
*i al torivono x uno tratto di penna; et 
pertanto si scrivono più velocemente che 
l'altro, cho con più tratti di penna è dato 
loro forma »; Ax, Per.» « Mostra la colo- 
rità del fatto con uno dei modi schietta- 
mente proverbialidella lingua»; Li Fent., 
Den Agr 

‘accRER: come ladro delle cose 
NL'DIdy € «Deminco Deve gole consu- 
mene ost »; Dewer. IV, 24. 

108 pierRUTTO: disfatto. 

105, maviSMO: cho era prima di ensore 
trafitto dal serpente: riprese l'umana 
forma.» DI DUTTO: di botto, subito, come 
fin Purg. XVIL, dove la forma butto è 
giure in rima; la Sw. XXIT, 190 x) ha 
i batto. Virg., Georg. 1V, 440 eg.: « Iilo 
(Proteus) sum centra non immemor ar 
tia Omoîa trausformas sso [n mirecula 
rerum, Ignomque borribllemquo feram 
fiuytumque liquentem. Veram ubi nulla 
Pagan reperti inilacia, rioto» Tn sese redit 
atque bominia tandem ore lovutaa » ece. 

306. sAvr: Ciaudiano, Akdyli,, 42: Pî 


hpi 
Metam. XV, 392 402; Brew. La» 
selp. da Tono Giam_, VI, 261 


Dauto aliudo sed altri Ancora. 
COMPRA | si asseriace, La descrizione 
da Ovidio L .: » Una me quae 
neque ipsa reseminet, ndes: As- 
Ryztil phoenica rocant, Non frmge neqne 


Derbia, Sed taris [acrimis ot anoco vivit 
| Haro ubi quinque suo compievit 

venia vi, Tlicia fn ramîa vromula gi 
cacumine palmas Unguibuset prro nicrm 
sibi constroit ore. Quo «ima ne canta 
et pardi lenla arietas Quassaque enm 
fulva anbatravit cinnama myrrha, Se sa- 


1 e v'axono. Ma 1 amome 
non lagrima. È l'Ovidiano già cit e Sed 
furia Iaerimis ot suoco vivit amomi » 3 
Met. XY, 994 Questo Inogo di Ovidio 
par dociaivo, ad onta di £. F., 140 ng. 

do, « Acconna alla vita 

Fenice rinasce »; Tom. 
112. 00x01 come, lat. quomodo; forma 
cositatissima promo gli antichi. Dante 
l'usa soltanto due volte in rima, qui 6 

Purg. XXIII, 80. 

113. Di matox : se ossesso | fr, Mara, 
+ + Et discerpens sum apîritoa 
»- Luo. IV, 85 1a Et cum 
arolecìasat iliud dnmoninm in medium,» 
104. OPFTLAZION: rituramento è riser. 
ramento de' mesti del corpo. « Oppitare 
è uno verbo latino, che significa serrato 
‘ chiudere. Luonde son chinmati dai me- 
dici quegli cha buono di sorte chiuse n 





240 [oexc, 8 nora. 7) Ixr. xxiv. 127-148 


[vaxxi POCCI] 





PEC] Ed io al duca: « Digli che non mucci, 
E dimanda qual colpa quaggiù il pinse; 
Chio il vidi uomo di sangue è di eruoci, » 
E il peccator, che intese, non 8 infinse, 
Ma drizzò verso me l'animo e il volto, 
E di trista vergogna si dipinse; 
Poi disso: «Più mi duol che tu m'hai còlto 
Nella miseria dove tu mi vedi, 
Che quando fui dall'altra vita tolto. 
Io non posso negar quel che tu chiedi 
In giù son messo tanto, perch'io fui 
Ladro alla sacrestia de' belli arredi; 
E falsamente già fu apposto altrui. 
Ma, perchè di tal vista tu non godi, 
So mai sarai di fuor de'lochi bui, 
i mio annunzio, e odi: 
Pistoia in pria di Nori si dimagra, 


127, xuccr: scappi. « Dicesi amueciare 
di una comm che per In liacesza once di 
mano, e che non wi può tenere forte, anzi 
quanto più si stringe, pi 
Da, è fugge di mano 
sabolo fu od è fn più dialetti così del- 
l' Tralla contralo come della settentrio» 
ale; (Parodi, Duli TTI, 15%; 


‘ende non sembra probabile che fosse lm- 
piecato, come affermano alcuni antichi. 

120. DI cuvccI | sanguinario e ri 
vude dovrebbe Lrovarsi non qui, ma n 
avttlma bolgia. Fa Vanni Fnool parti- 
giano furibondo di parto Nera, ongiarò 
contro Focaccia Cancellieri, ucotse ii 
aller Iertino è comsiso molte altro vio- 
leuse. Dante che dice ‘ jl midi”, potò co- 
moscerlo durante la guerra contro Pisa, 
nella quale Vanni Pucci ara fra i soldbti 
di Firenze, come Dante, Cfr. Inf. XXI, 
DU agg 

130, ox s'mrucsr: non 4) dette ve 
runa cura di celare la cosa, nò fu lento a 
dirla semza verun riguardo, Ali Non fine 
di non aver beno inteso l 

231: iazzò: mi guardò attentamento 

animos acria oculonque La- 


300 eg. 
138. GaESETA | diverna dla quella + che fa 


iù domanda. 


l' uom di perdon talvolta degno », 
V, 21. Non ai vergogna dol mala, ‘nante 
tanto di essere scoperto. 

185. TOLTO: accenna per avventora B 
morte violenta. 

136, NOx POsMO : I ta veduto 
ui salta bolgia dl 

DR' BELLI : Ohianoi in sagrestia di 

Ban dn di Pistola, dove ni custodi: 
vano 1 prozioni arredi, szereetia de’delli 
arredì, circoserivendo con questa frase 
Sì nome di Zesoro che ca 
aveva. AI. contrulseono: Fuî ta 


sacrestia 
150, ALTRUI: è Rampino di Ramoocko 
Fi 


predice a Dante le calsnità del IMamohi 
di Firenze dal 1300 al 1302, è 1908, è cià 
nell'intento maligno, e maligramente 
caprosso, di addolorare Il Poeta. 

340. 1u1 Blanco, co' tao! correligionari 
politici, - GODI: goda; elr. Vananie., Fer 
di 260 ag 

161, L0cHI: luoghi fufernali; efr. Inf: 
VIII, 08: XIL, 86; XVI, s&; 


343, nImaora pin, 
2200 areas ia avion Piva i 


Bianchi e Neri; cfr. @. Vil. VILI, 38. 
Quindi nel maggio 1201 <la parto 

di Pistola coll'aiato o favore e' Bianchi 
cho goreruavano la città di Firenze, n 





> 


242 (cenc, & sore. 7) Imr.xxv.1-9 


CANTO VENTESIMOQUINTO 


CERCHIO OTTAVO 
BOLGIA SETTIMA : LADRI 


CACO, CINQUE LADRI FIORENTINI E LORO TRASMUTAZIONI 


Al fino dello sue parole il ladro 


Le mani alzò con ambedue le fiche, 

Gridando: « Togli, Iddio, ch'a te le squadrol» 
Da indi in qua mi fur le serpi amiche, 

Perch'una gli s'avvolse allora al collo, 

Come dicesse: « Io non vo' che più diche »; 
Ea an'altra alle braccia, © rilegollo 

Ribadendo sè stessa sì dinanzi, 

Che non potea con esse dare un crollo. 


V..î-d. Zestemmia punita. Appena 
terminato 1) maligno + meo valicinio, Vanai 
Facci si volge contro Dio stesso con un 
atto disoneato di acherno, accompagnato 
da parole sacriloghe. Immantinente no 
warponto gli nl avvinghia al collo © un al- 
Rro alle braccia; quello gl' impedisce di 
Drziare, quasto di far gosti sl erond. 

È vice: atto nconcio 6 villano che ai hi 


Carmignano (Castello del territorio Pi 
atolere preso dal Fiorentini nel 1228) 


R. LK #QUADRO | Je mostro a te, lo in- 
Qicano pinto pe per to, > Fà sperati ce 
tn blasphemins ad Dear, bluphe- 


mare nomen aina»: dpocol, XIIT, 6. - 
« Nello atatuto di Prato chinnque fise 
Socerkt vel monatraverit nates versus cos 
ium vel verme fguram De 0 della Ver- 
gino, paga disci lire per ogni volta; se 
no, frustato ») 

4. axromz: avendo prontamente pa- 
unito Ul aacrilogo bestammiatore, « po 
volle atque idom nolle, èa dem 
Siicitia et », dice Catilina im Satta 
De coniur. Out, 20. 


lagò di nuovo, come 
era già lognto prima di inconerirat per 
ridlventar nom, att. Inf: XXEVY; dk 
umaDEXDO: aggroppando cela 9 
nl dinanzi, «ì da tener meglio logato 
e fermo il dannato. Al: KIRATTRXDO] 
otr. 2, P., 153, Moore, Oni, 330 ng. Una 
norpe gli stefngu il collo, perchè più non 
atutti invlti; un'altra gli rilega le brao- 
cia, perchè più non faccia lo flebo. 
0. esta: Draccia. = DARE US CROLLO! 
fare il menomo morimento. 





[oERc. 8. ROLO. 7) Tnr.xxv. 25-48 [uADBI FIORENTINI) 





Lo mio maestro disse: «Quegli è Caco, 
Che sotto il sasso di monte Aventino 
Di sangue fece spesse volte laco. 

Non va co’ suoi fratei per un cammino, 
Per lo furar frodolente ch'e' face 
Dol grande armento ch'egli ebbe a vicino; 

Onde cessàr le sue opere biece 
Sotto la mazza d'Ercole, che forse 
Gliene diè cento, e non senti le dieco, » 

Mentre che sì parlava, ed ci trascorse, 

E tro spiriti venner sotto noi, 
De' quai nè io nè il duca mio s'accorse, 


Se non quando gridàr: « Chi siete voi?» 
Per che nostra novella si ristette, 
Ed intendemmo pure ad essi poi. 
To non li conoscea; ma ei soguotte, 
Comò suol seguitar per alcun caso, 
Che l'un nomare un altro convenette, 
4 Dicendo: « Cianfa dove fia rimaso?» 


27. LAGO; aparso apeano tanto sangue 
(degli armenti che rubava d'intorno e 
quindi scannava) da formarno un lago. 

28. mate: Centauri nel girone de' ti» 
vanni y efr. Inf, XIL 58 apg. 

20. FURAR: Al.: FUNTO. Pur avere ru» 
hhato con astuzia 16 vacobe ad { tori di Ri 
cole. Gli altri Centauri, suoi frate, n 
usarono asturia, ma soltanto forza e rio- 
Jonza.= PRODOLKNTX : tirato Il beatiame 
rubato por ln coda, lo fece camminare nì- 
l'indietro, affinchè Ercole non potense so- 
guteno lo orme 6 scoprire il farto, Al 


30.41NrESTO: che Ercole condus 
Spagna dopo avere uosiso Gerione, =, 
Micios In vicinanza. 

Bi. oxniti per Il qual furto frodolente, 
che fndurse Ercole a osrearlo ed neci- 


BÈ. CENTO: percosse. - ox sunTÌ: ce 
sendo forse già morto sotto | colpi tre- 
mendi prima di averne ricevuti pur dieci, 

V. 334-151, Ladri Fiorentini è loro 
trasmutazioni. Vengono tre spiriti Flo- 
rentini: Agvello Brunelleschi, Buoso de- 

Abati è Pnocio Sc!ancato. Viano quin- 

"tun quarto, Cianfa Donati, fu furma 

di serpente x soi piadi, 0 s° incorpora in 


Agnollo.Vieno finalmente FrancaneoCa- 
valcante fn forma di serpentello, e tea» 
amuta natora con Tuoro dagli Abati. 
Cinque ladri Fiorentini, le ca! trasfor 
mazioni sono incamparabilmente mira 
DIlt; cfr. v. DE agi. 

I. PARLAVA: Virgilio, — 81: Caso. — 
rmasconst: passò oltre. 

#6, tie! Agnello, Buoso © Pnodo, = 
soTTO Ner: sotto quel punto dell'argino, 
ove eravamo Virgilio ed fo. 

26, #' accorsr: non avendo fatto at- 
tenzione che a Caca. 

NOVELLA: Sl dincorno tra nol due 
cessò; tacemmo per far nttenzione agli 
spiriti lapgià nella bolgia. 

40. SEGUETTR: sOgui, avvenne. 

AL srnurtaRI avrentoo. 

42. vw unito: AlsALt'aLmmo, Al. ut 
NOMINAR L'ALTRO. 

43, Craxya= della nodilo famiglia del 
Donnti (Petr. Dant. Jo dice dagli Abati). 
< Fa graudo ladro di bestiame, è rompia 
botteghe e vuotava lo comsetto »; An, fel. 
sgondo 1 Vel; lasts 6 KOk soia: 
gni, avendo in minno tl 
Sabblica, convertirsno fa iso pai lo 
pubbliche entrate, onde questi Floren- 
tinì non sarebbero ladri comuni. Cianfa 
n'ora trasformato in serpente a sel piedi. 








246 [oxre.a. noLo. 7) Ixp.xxr. 66-78 CLADRI FIORENTINI] 





Che non è nero ancora, e il bianco more. 
Gli altri due riguardavano, e ciascuno 

Gridava: «Omè, Agnèl, come ti muti! 

Vedi che già non se'nè due nè uno.» 
Già eran li due capi un divenuti, 

Quando n’apparver due figure miste 

In una faccia, ov'eran due perduti. 
Férsi le braccia due di quattro liste; 

Le cosce con le gambe, il ventre e il casso 

Divenner membra che non fur mai viste. 
Ogni primaio aspetto ivi era casso: 

Due e nessun l’imagine perversa 


Parea; e tal sen gia cor 


431. Ti Rose: «O carta 0 lnciguolo, la 
almilitadino va sempre beno. » 

6. sor: svanisce, ai perde; non è più 
blanco e non è ancor nero, 


Dlica, no distrae lo rendito a propo 
vantaggio. L'An. Se7. ba alouno 

larità che non anranno forse di 
ronzione: « Questo Agnello fa de” Bru- 


nelleschi di Firenze; @ Sofino picciolo 
srotava la borta al padre e a la madre, 
poi votava la cumottà a la bottoga, 
imbolara. Pol da grando entrava per lo 
caso altrui, 0 vestinsi a modo 
è faclual la barba di vecchio, 
fa Dante così trasformare per li morsi di 
quello serpente come fose per farare.» 
69. x DUR: « non due, perchè | 
gorpo: nà uno, perciò non aven 
® fadfridualità o di sol sorpente CE tri 
solo uomo »3 Di Stma. 
72. FREDUI: misti, confuni inaiomo in 
modo da aver porduto | 
Irlanza. Al: Doe dannati. Era propi 
Bocosario di dirlo! 
93: FRASI: i fecero, divennero. — DI 
QUATTIO: delle duo bencoia di Agnolo o 
dei duo piodi lazio del serpente La 


Shocohesata, chiama is braccia dell'aomo 
903 4 piedi dol sla 
Ta: TRIMAIO : di prima, umano 6 ser- 
casato, cancellato. 


pr: TDCI n esciegerano e pra sì scar 


nto passo. 


sora le dno natare, dell'nomo e del 
sorponte. Cfr, Ovidio, Met. IV, 300 meg. 

— ranvansa: tramutata, 
78. TAL: così orribilmente trasformata. 
Il Diritto Romano distingue tre apecie 


natorali iure communia annt omefura, 
quasdam untvoraitatia, quasdam nullins, 
ploraquealngalorum.»Sembra che Dante 
sinto pieno e fan CIRIE ZAR 
ladro alla sagrestia, rubò 

0 nfa ed Agnolo occuparo» 
‘a quel che pare, cariche pubbliche a 
robarono quindi negli uffici, cioò 
coso pubbliche. Gli altri tro Fiorentini, 
ricordati in questo canto, furono, per 
quanto ne sappiamo, ladri di cose pri» 
vate. Quindi la divorsità della pena, 


1a seta 
ignoto nl salacono; al abbraosto; di 
fauvo uno in due; figara stupenda degli 
impiegati infodoli che sé nniavono per de- 
rubare Jo Stato, Gli altri rubano l'un 


tutto ciò che capita lore alle cuni, mè 
lasciano mai l'abito di rubare. Claamo 29; 








248 [esgo.s. noLo. 7) Ir. xxy. 95-112 TLADRI FIORENTINI] 





Del misero Sabello e di Nassidio; 
Ed attenda a ndir quel ch'or si scocca. 
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio; 
Chè, se quello in serpente, e quella in fonte 
Converte poetando, io non lo invidio; 
Ché due nature mai a fronte a fronte 
Non trasmutò, sì ch’amendue le forme 
A cambiar lor materia fosser pronte. 
Insiemo si risposero a tai norme, 
Che il serpente la coda in forca fesse, 
E il feruto ristrinse insieme l’orme. 
Le gambe con le cosco seco stesse 
S'appieccar sì, che în poco la giontura 
Non facea segno alcun cho si parosse. 
Toglioa la coda fessa la figura 
Che sì perdeva là, e la sua pelle 
Si facea molle, 6 quella di là dura. 
uz To vidi entrar le braccia per l’ascollo, 


00. st SCOCCA: ni racconta, ai espone. 
— «Quello eho manda fuori del suo arco, 
parlando metaforicamente, lo îngegno è 
larto sua »; Gelli 

MN. Caparo: cangiato in serponte; ofr. 
Orio, Mat, TV, 169.009. > AneTUAA : tre 
aformata ln fontana; bid, V, 573-061, 

99. xox LO InviDiO: poichè la meta» 
morfoal che io ato per dosorivero, è di 

ran lunga più stupenda di tutte quelle 

Joi descritto; il'obe, per niro non 
Gigaltica che Dante non ai giovamio così 
di Lucano comu di Ovidio. 

100, DUR: l'omana e la serpentina. 
< GIà s'intende che forma nel linguaggio 
scolastico non nignilica l'eateriore con- 
Uorno & rilievo e apparenza de' corpi, ma 
Pintima sostanza che fia essore gli Peng 
materiali e gli oggetti spirituali eluache- 
duno nella sua specie, 
ohogli è. Intendo dunque il E 
traaformazioni cantato da altri, 
furmo, per osempio l'anima vivente del- 
Pai prende la materia d'animale o 


ai 
ai nuovo, è la terribilità del mirabile che 
ui vuolal notare »; Tom, 
103. n RImPORERO: AÎ infiuisono reol-] 


procamente, corriaposero l'una all'altra. 
“4 TAI NORME: nel modo seguente, 
‘106. rraux: divino la cota iu due parti 
forca, parti cho doverano di- 
n lo gambo 0 { piedi d'un uomo. 
La confusione di Cianfa e di Aguoto in: 
cominola dal capo; la trasformazione di 
(tosti altri due dalla coda o dal piedi. 
108, PeRUTO | ferito nell'ombalico. 1.8. 
sig. Di Jeruto por ferito otr. Inf, XX1, 87. 
Loan piedi l'tblo per ia usi 
come | Lat. diagero vestigia 
Prima si unlacono | piedi, qui fernni 
si continua nella gambe e nella canoe, fn 
bi l'unione è compinta; piedi, gambe 
è cosce hanno preso la figura della coda 
del serpente, îa giuntora dello gambe 
non sd diattugne più, nò è più possibile 
discernere clio quella coda è formata da 
duo Histe, 
107. br r0c0: tempo; in nu momento. 
108, ai Pansa: appariaso, si poteste 








250 [ceRc. 8. BOLO. 7)  Ixr. xxv. 129-142 [LADRI FIORENTINI] 


E le labbra ingrossò quanto convenne. 
Quel che giacea, il muso innanzi caccia, 

E gli orecchi ritira per la testa, 

Come face le corna la lumaccia; 
E la lingua, che avea unita e presta 

Prima a parlar, si fende, e la forcuta 

Nell’altro si richiude, e il fammo resta. 
L'anima ch'era fiera divenuta, 

Si fagge sufolando per la valle, 

E l’altro dietro a lui parlando sputa. 
Poscia gli volse le novelle spalle, 

E disse all'altro: « Io vo' che Buoso corra, 

Com'ho fatt'io, carpon per questo calle. » 
Così vid*io la settima zavorra 


faccia. Il v. sg. prova che questo è l'in- o Sciancato, che non era ancora tra- 


0 el convetine per prender Agura dilab: 
dra d'uomo. 

120, quKLI l'uomo trasformato fn ser- 
pente. 

Id. racs: fa. Cfe_Nannuo,, Verdi, 005 
sfg-— LUMACETA: lumaca 

133, AvrA: l'uomo trasfermantosi în 


sorpe. 
194. voncUTA + secondo le opîaionî del 
tompo, « Tile quidem volt pi più 
med liogua repente In partes rare, 0 forse compiuto l' ufficio, miss 
dnax, neo verba rolenti Saffioim {n suo înogo,... messer Irancesco, vbla- 
tleaquo aliquos parat stor 
urox: da sorpente. « Super pe 
etue tuom pradiori n, Gen. TIT, 14. = 


ponan 
‘mette nella sentina della nave per 

Saia immongore quanto è necessario nel- 

l'acqua, e renderla più atabilo. Qui per 

darai vicondevolmante il seguo. bolgia. Così Vee, Or. col più. Ma ln bol- 
gia non sl mnta © tensmata. Meglio Pwo- 

AL; Manda bava dalla bocca, sputa namné: « Dico zavorra {1 contenuto, vioò 
gli mpiriti ed 1 sorpenti. » R il Gelli; « La 

settima zavorra, cioè quegti spiriti che 

nono in queata settima bolgia; i quali el 

chiama zavorra, perchè el 40n0 fl ripleno 


Da diaoze soa ita uscito] teca 
la natura dell' uno e dell'altro »; fonti. 
189. GLI: Al nuoro serpente. - novEL- mercanzia, 
tt: tostò formato. non è fatto mai troppa stima, © 1 ladri 
140. ALL'ALTRO! al torso do' tre, Pno- sono sempre in obrobrio a olasoumo ». 





252 [ceRc. a BOLO. 8] 


Tur. xxvi. 1-9 





CANTO VENTESIMOSESTO 


CERCHIO OTTAVO 


BOLGIA OTTAVA: CONSIGLIERI FRODOLENTI 
(Camminano interamente avvolti e chiust da una fiamma) 


ULISSE E DIOMEDE, VIAGGI E MORTE DI ULISSE 


Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, 
Che per mara e per terra batti l'ali, 
E per lo Inferno il tuo nome si spande! 
"Tra li ladron trovai cinque cotali 
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna; 
È tu in grande onranza non ne sali. 
Ma, se presso al mattin del ver si sogna, 
Tu sentirai di qua da picciol tempo 
Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna: 


V. 1-12. Invettira contro Pirenze. 
Con amarlasima ironia, 1 crale ped 
Fitonzo, predicendole 
delle ano colpe, od angurandolo cho ciò 
avre to, 

2. ATTI: voli famosa por mare è por 
terra, « Erano allora i Florentini sparti 
inolto fuor di Fiorenza per divorne pasti 
«del mondo, et erano in mare et in terra, 
di che foruo Il Fiorentini no ne gloria- 
vano »; Buti, 

3, 81 6PANDE: Fiorentini ee no trovano 


cangiato di forma, 

‘Pacco Sclancato, Gli nìtri due sono 

Cianfa Donati 0 Francesco Cavalcanti. 

1 Donati © Drunelleachi erano dei Neri, 

Abati è Cavaloanti de Bianchi; oft. 

Vel. VILI, 39. Dante dunque mostra 

ti, come fa fanti altri Inoghi, d'aver 
fatta parte per sò stesso. 


5. vanioasa: essendo lo pure Floren» 
tino. Cîe. Cone. IV, 97. 
È. ONRARZA 1 Orramza, onoranza. 
T. DEL van: oredttero gli antichi che 
i presso al mattino anvunzianero 
Iufallibilimento l'avvenire. « Namque aub 
aororam iam dormitanto Luclna, Teme 


Opi 
ad ma iali voce Quirinua, Pont 
noetera visns, quam somuia vera 
rot., Sat, 1; x, 33 ng, Ce. Purg. 
13 seg. Sembra che Dante finga ui di 
aver veduto tn un sogno sul 
SICILIA da Pel radiata ale patta 
8. storm: proveral, « via 
magna iubet. Rex ipso Latinne, Ni darò 
coniogiam et dioto parere fatetur, Sen 
tint et tandem Tarnom oxperiatur in 
arms; Férg,, den. VII, 432 ngg. = 
DI Qua: In breve, tra non molto. 
0. qua: malo, > nato: 4 più inten 
dome dol Feat, alora sii! dl LI 


© malcontenti 
Si ii cada Nico Prato che 








254 [cesc.s. soLo. 8] Ixr.xxvr. 20-84 [(coxSIGL. FRODOLENTI] 


Quand’io drizzo la mente a ciò ch'io vidi; 


E più lo ingegno affreno ch’ 


non soglio, 


Perchè non corra che virtù nol guidi: 
Sì che, se stella buona o miglior cosa 
M'ha dato il ben, ch'io stesso nol m'invidi, 
Quante il villan che al poggio si riposa, 
Nel tempo che colui che il mondo schiara, 
La faccia sua a noi tien meno agcosa, 
Come la mosca cede alla zanzara, 
Vede Incciole giù per la vallea, 
Forse colà, dove vendemmia ed ara; 
Di tante fiamme tutta risplendea 
L'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi, 


Tosto ch'i 


fui là ve il fondo parsa. 


U E qual colui che si vengiò con gli orsi, 


gno infuso in lul dalle atello o da Dio »; 
Cart. Dovava, 0 probabilmente voleva 
dire in xox usar male. 

21, AMFRENO: tengo fa Grino più del 
solito, avendo voluto come sono puniti 
colaro che, dando astuti è malî consigli, 
fecoro abuao doll'ingegno. A slfurta di: 
chiarasione n proposito de' mall consi- 
Elleri D. è tratto da una ragione parti» 
colare e tutta sia, come notò giustamente 
Ul D'Oridio (Studid, p. 89); dal fatto, cioà, 
he D. «nell'eniglio diventò un uomo di 
corte, vogoziatore politico, un con 
gfllore di priocipi, e il consigliar frodi 
ordire inganni sarebbe potato diventr 
ln fuî un poccato professionale, un vizio 
del mestiere. » 

28, ATELLA : faluonza da' pianeti. — st- 
Nuioa cos: la grazia divina. 

84 WRN: ingegno, - ivi 
domo. « Qui siti invidet, nihil eat slo 
negniua, 1 hmo redditio est malitim ll 
Jia »; Feel. XIV, 

TALI, QUANDO; ef. 
Il sentimento 


Villano fn tempo di 

della nera, dal collo in coi a! riposa, 
nella vallo ovo ha forse la sua vigna 

Ù ano campo; tante fiamme jo vidi 
wpJendere in tutta l'ottava bolgin, ato. 
xomo lo mi accordi, tosto cho fui slla 
sommità del ponte, da dove Il fondo era 
Fisibile. Ma per dir ciò ni vale jl Poeta 
di vaghe pertirui, Eoco le sostituzioni : 


in tempo di atate; nel tempo che coli 
ehe € mondo sehiara (Il solo) la faccia 
tuo © noi tien meno aecosa, - Come fn 
nera: Come la mosca cede alla zanzara; 
perchè fn quell'ora quest'insetto sbaca 
è quello si ritira. "Ove ba forse la sua 
vigna e Il suo campo: farse colà dove 
vendemmia ed ara; porchò dal residui 
della trebbja e dolla vendemenia, Impia» 
guati di umidità, segliono sviluppare 


20. TEMPO: solstinio estivo. 
VEDR: Contra Quante, vede... Di 


30, won: cos tutti, 2. P. (180 m.). 
dorldendo questa lex, vnol l AR 
si. - vixniomta 20 Arai lo due prim 
cipali opero del contadina: efe. Tnf, 
XX, 47. 

SI, RIAPLENDRA 1 Incera. « Cotera com 
funeque ingente credis acorvum Noe 
numero neo honore cremant; tune une 
dique vasti Cortattm crebria contuennt 


98. ) ponte, - roKDO: 
dell'ottava bolgia, — Parga: agpparieà, 

24. coLui: Îl profeta Eliseo. « Cumque 
ascondoroi per viam, punri parvì egrossi 
sunt do civitato, et Niludebant el, dicem 
tor: Ascande, calve! Assende, calvo! 
Qui com reapezienet, ridt sca, at malo- 
dixit eis io nomine Domini: egressigue 
sunt duo uraî de saltu, ot laceraversint 
«x elò quadraginta duos pueres »; IV 
Reg. TT, 2924. - vanoiò» vendicò, 








256 [cerc. 8, noLa. 5) Top. xxvi. 50-65 [uLisse E DIOMEDE] 





Son io più certo; mn già m'era avviso 
Che così fosse; e già volea dirti: 

Chi è in quel fuoco, che vien sì diviso 
Di sopra, che par surger della pira 
Ov'Etedele col fratel fa miso?» 

Risposemi: « Là ontro si martira 
Ulisse e Diomede, e così insieme 
Alla vendetta vanno come all’ira; 

E dentro dalla lor fiamma si geme 
L'aguato del caval, che fe’ la porta 
Ond'usci de' Romani il gentil some. 

Piangevisi entro l'arto per che morta 
Doidamia ancor si duo] d'Achille, 

E del Palladio pena vi sì porta, » 

«B'ei posson dentro da quelle faville 
Parlar,» diss’ io, «maestri 


60, a'uma avvmo: lat, mdhé visum 
erat; m'era già immaginato. 

52. DItIsO: « Eco iterum fratres: pri- 
mus ut contigit artua Tguia edax, tro 
nere rogî, et novus nd vena buwtia Pel 
Iitur; eandant diviso vertico farm 
Alternoagno apicsa abrapta luce coro: 
menut =; Stat, Thod. XLI, 439 neg. 

« Setoditor in partes, geminogue cacu 
mine sorgit, Thebanos 
Tucan., Phare., I, 581 sj 


figli 
Elipo ad esillaro da Tabe, ande 
inadediszo, aogorando loro rieieiai 
na. I due gomelli ai accordarono di re. 
giunco ciascuno alla wma volta per 
anno; ma, scorso Îl primo anno, Eteò- 
ele non volla codere il regno al fratello. 
Polinioo al recò allora nell'Angolido, vi 
Rpowò Argia, figlia del ro Adrasto e ri- 
a com nitri re Argivi ad assediare 
Tube, Quivi s'incontrò col fratello e si 

‘neeisero l'un l'altro. I loro cadaveri fh- 
rono ponti aulio stesso rogo, mala fiamma 
ni diviso anbito fn due. Cie. 
IT, 439 agg. Mito: mosso, posto, col 
dosato. Mis por messo, asarono gli an- 
tichi anche in prosa: ofr. Namwue., Verdi, 
Ml nt, T. Voci, ST ag. 

67, vaspeTTA : divina; alla ponn.- At 
R'ma: divina, Come farono uniti a pro 


assai ten priego 


vocare l'ira di Dio, così smo uniti 
nd omperimentarno gli effetti. AI. luten- 
dono delia propria ira dei due, a sfogure 
la quale corsero ineleme, = « Vanno fn- 
nemo aÎîa penn, come insieme corsaro 
alla colpa, poichè la vendetta dirtua non 
divido coioro che da ira dolorosa furono 
congionti a danno altral »3 Jose. 

58. st onu: el piange. + Armyel esatta 
gomit»: Fing,, den, 1,221, 

50. cavaL: di legno, per cui 1 Greol 
entrarono In Troia ed Enea co' suol eom- 
pagni no anch per recaral pol nel Lazio a 
fondarsi Roma ;ofr. Virg:, den. IL. Dante 
sqnbra supporre, ciò che Virgillo non 
dico, che Enea usciane da Troîa per Ja 
medesima apertura per la quale fa intro» 
dotto fl cavallo di legno, Comunque alast, 
V'astozia del cavallo di legno fa la canna 
della distrazione di Troia, e quindi della 
partenza di Knos © della sha venuta tu 
Italia. 

62. Drmamla + figlin di Licomede, ra 
di Solro, sposa di Achille, che, grazie alte 
natazio di Ullsso 6 Diomede, la abban- 
donò per prender parte alla guerra di 
"Troia. Cfr. Purg. XXIT, 116. 

163, PALLADIO: statua di Palladi cn 
ch'era golonamente conserrata 
edalla. preme 
la naluta della città, rapita pol con astu- 
tin da Ulisso e Diomede; ofr. Quinta 
Smyrn, X, 368 ug. Vérg., den. IT, 165 agg 





1258 [cero.s. noLo.s] Inp.xxvt, 82-97 


[vLisse] 





» Quando nel mondo gli alti versi sorissi, 
Non vi movete; ma l'un di voi dica, 
Dove per lui perduto a morir gissì. » 
Lo maggior corno della fiamma antica 
Cominciò a crollarsi; mormorando, 
Pur como quella cui vento affatica; 
Indi, la cima qua è Jà menando, 
Come fosse la lingua che parlasse, 
Gittò voce di fuori, e disse: « Quando 
Mi diparti’ da Circe, che sottrasse 
Me più d'un anno là presso a Gaeta, 
Prima che ai Enea la nominasse; 
Nè dolcezza di figlio, nè la piùta 
Del vecchio padre, nè il debito amore 
Lo qual doven Penelope far lieta, 
Di Vincer potèr dentro da me l’ ardore 


Breno quid de ta morui »; den. IV, 317, - 
roco: «loqnitar rorecunde, cum tamen 
multum rmernerit >; Bene. - « Non #em- 
pre Virgilio parla odioanmento di loro; 
a ogui modo li eso immortali 5 Tom. 
N Gt ALTI veRaL: I' 
altrove aîta tragedia, XX, 112. ‘ner 
301 Credo fo cho Virgilio inganni qui 
Ulisse fingendo di essero Omero. » Ma 
Virgilio non parlò greco, parlò lombar- 
do; XXVII, 2091. 
83. L'Ux: Ullssa. La dimanda non am- 
mettera equizoco, 
BA. PER LU: como af. 1,126, Dov'egli, 


RS sangior: Ultise, più fumoso di Dia- 
made. = ANTICA: | due si trovavano Ià da 
altre ventiquattro secoli. 

80. CROLLANSI : « quia lingua latona in- 
terios primo merebatar sed non videba- 
tir, at faciobat unum confunum s05Um »i 


Bene. 
RI. APPATICA : agita e combatte como 
nè soffianilo è risoffiando la si it N 


91 Ginone figlia pri Sola di erro ia 
bella è famoaa maga, presso la quale Ulls- 
ne si fermò un anno Intlero: ofr. Virp., 
Hem. VIT, 10 agg. 5 Ovéd. Met. XIV, 208. 
Moret., Npod, XVII, 15 ag. Pwrg. XIV, 
42. — SOTTRLMIR: celò, nascose, 

92, LÀ: presso Il monte Circelo, tra 
Gusta o Capo d'Anzio, 

98 rupia: Enea la chiamò Gaeta della 


ana nodrios Caleta, quivi morta enspolta. 
« Ta quogue litoribua nostris Anela nu- 
trix, Aternam morlen fumam, Calota, 
godisti; Et nano sorrathonosesdem tum 
Sogsqo nona Hesperia a magna ia: 
ost en gloria, signant»; Virg., dem. V' 
1 agg 

94. norcrzzA : Sì desiderio di nequistar 
osporienza del mando la vinse aui tre più 
forti alletti di natura: amor: 


ar 
Firg » den. TI, 137 mt. Ole Wide XV; e 
Secondo la tradisiono omerica, Ulleserim- 


04. XI, 119 agg.— ribera = la piotà, + Quid 
est pistas, nisi volontas grata ln paren= 
tnat » Oicer., Pro Planeio. 

05. neuro: la piotà figlialo a l'amor 
paterno sono natarali ; l'amor conisgale 
è un dovere. + Magis fils, inde patri, 
postea uxori Incllnsmnr »; Petr. Dent, 











260 [cERc.& BoLO, 5] Ixr, xxvi. 114-128 





A questa tanto picciola vigilia 
Do vostri sensi, ch'è del rimanente, 
Non vogliate negar l’esperienza, 
Diretro al sol, del mondo senza gente! 
Considerato la vostra semenza: 
Fatti non foste a viver come bruti, 
Ma per seguir virtute e conoscenza. ’ 
Li miei compagni fec'io sì acuti, 
Con questa orazion picciola, al cammino, 
Che appona, poscia, gli avrei ritenuti. 
E, vòlta nostra poppa nel mattino, 
De' remi facemmo ale al folle volo, 
Sempre acquistando dal lato mancino. 
Tatte le stelle già dell'altro polo 
Vedea la notte, e il nostro tanto basso, 


314. viorLia : Îl poco vivere che ancora 
vi resta; la vita senaltiva; ofr. Cono, 
UL 


a 
Tif, CH'È DEL HIMANRETE: che antor 
vi ritnano; quer de religuo rat. Al.: cn & 
ni naziste: fr, ZF. 203, Blane, 
Versuch, Mi. 
117. DIETRO : segaltando 11 Sole; pro- 
lendo da oriente ad lente, Al: 
Ditre n dove il Sol cado, Bene.: ad 
alîud bemlapertum Enferiua, ad quod soì 
accedit quando recedit n nobia, » > BESZA 
anste: secondo l'opinione del tempo. I 
geogra dicevano l'altro aminfero casore 
tatto coperto d' acqua. 
118. sexaRzA: la dignità dell' amana 
efr. Conv. LIT, 2. AI: Pennato 


lio d el'ul- 


ei 

4 Homo, cum în honore ew 

set, non intellexit: comparatus est lu- 

mentin Inalpiontibus, et altilia fnctua 

Pral, XLVILL 21, 

121. ACUTI AL CAMMINO: acutamente 
Bramoni di continuare Il viaggio. 

‘126. NEL MATTINO: a lavanto; danque 

Îla prora a ponente, lo verso co» 

PETS 


«Tomptamusquo viam et velorom pa 
dina als.» Preper, IV, 0: « Claasia 
centenio remiget alle, sat FOLLE VOLO! 
allo sconsigliato vlaggio. Folle, perehà 
ebbe caito Infelice; volo, per aver chiar 
mato ale 1 remi. Cfr, Par. XXVII, 83, 

120, acquisraxpo + piegando sempre 
sinistra, dalla parto dol polo antartico. 
<Il Poeta faceado giungere Ulluso alle 
riats del monte del lurgatorio, apposte 
sotto il meridiano di Gerusalemme, biso 
guava sempre tener la sinistra, chi mo- 
vesto da Gibilterra, cioò ‘vom 
pre a lerante, quanto pvamo le 
conto occidentali dell'Africa, per rigua» 
daguar la distanza cho separa le coleane 
d'Ercola da Gerusalemme, E cos viene 
n diro anco In direzione di ostro levanto, 
che dovevano arer quelle coste, aneloc« 
chè, secondandolo, ai avanzasse sempre 
a mancina. Quante ccso n un versi 
Antonelli. 

127, AUmiO roLO + antartico. 

328. vena 5 fo. = La NOTTI: di notte, 
Al La sOTTR venia -MOSTRO ; Il polo ar- 
tico ora sceso tanto, che non s0rgove più 
fori del mere, nd pi ol vede; iva rano 


te astronomiche ehe 
ice lt a pa ti 
agì! antipedi mestei, în virtà di 














268 [crRo. s. ROLO, =) Ixe, xxvm. 76-91 





DI Gli necorgimenti è lo coperte vie 

To seppi tutto; e si monai lor arto, 
Ch'al fino della terra il suono uscie. 

Quando mi vidi giunto in quella parte 
Di mia etade, ove ciascun dovrebbe 
Calar le vele è raocoglier le sarte, 

Ciò che pria mi piaceva, allor m' incrobba; 
E pentuto e confasso mi rendei, 
Ahi miser lasso!, a giovato sarebbe. 


Lo principe de’ nuovi Farisei, 


Avendo guerra presso a Laterano, 
E non con Saracin, nè con Giudei, 
Ohò cinsenn suo nimico era Cristiano, 
E nessuno ern stato a vincer Acri, 
Nè mercatante in terra di Soldano; 
mn Nè sommo ufficio, nè ordini sacri 


TI. eEPETI conobbi ogni sorta di frode 
a d'inganno, 4 ne foci tal neo da rendermi 
famoso fn tutto Il mondo. 

FR, AL PINE n06.1 Al 
finalmente la fama dol 
de' miol maneggi, useì delle provi 
d'Italia. Cfr. £. P., 108, Ma în realtà 
{l samso dev'essere: * la fama nì esteso 


‘gtata mu quolla dol Salmo. XVIII, 
è Inomnem terram exivit sonne sornm 
68 fn finoa terrne verba corum ». Ofr. nin- 


#1, CALLE: «Ia naturale morte è quant 
porto a noi di lunga navigazione e ri- 
poso, I cod come il buono marinaro, 
domo eano appropinqua al porto, cala le 

‘vola, 0 sonvemonte con debile con- 
Anofmento entra în quello; ccsì noi do- 
remo calaro lo velo dello nostro mon- 
diano operazioni, è tornare a Dio con 
tatto nostro Intendimento e onore; slo 
Uè w quello porto si vogna con tuita 
Roarità e con tutta paoe»; Cone. IV, 28, 
devo tra coloro cho « calaron lo vele delle 

operazioni + è per l'appanto ri- 
ordato + 11 hobilisimo nostro Latino 


Poteri, 1 6974 <Ma lo mena vendo 
pontato. » Secondo altri, mi rendeî 
mi feci frate, ciò cho È già detto, 
v. 67 ag. 

V.85-111, Ya papa seduttore, Grido 
racconta comp, nodotto con parole fallaci 
da papa Bonifazio VIT, ricadesse nei 
vecokio peccato, dando ni pontefice Îl 
malvagio consigilo circa fl modo di pet: 
taro a terra Pranestina: 
non mantenor la promossa. 1 Rei ed 
altri, fra col ll D'Ovidio, 10 che 
questo particolare sta in venzion 
te; altri, p. es 11 Torraco, che Dante se- 
fuisse nia voce che corresse al ao term- 
po: la questione è ancora suò fudiee, 

85. rinvcree: Ronifazio VILL. - PAWI- 
sur: cardinali € chericî cristiani. 

#6. 0umrItA? col Colonnari nel 1997, cha 
abitavano premo San Giovanni în Late- 
rano; ofr, Murat,, Soript. 1X, 144, 969) 
XI, 1218 ag.r XIV, 1115; XV, 964 
XVIII, 301) XXTT, 178. 6. FALVINII. 

87. Banc1s : Saraceni; cloò, non guer 
reggiava per salo di religiono, 

#0. Aca: Ban Giovanni d'Aeri, città 
della Siria, nitlmo possesso det Cristiani 
in Palestina, caduta io mano ai Sara- 


toggiato noi paoai da' ‘Maomottani; erano, 
anzi trtti aniicî della religione di Cristo, 











274 [ceno.s. noe. 3) Ixr. xxvrti. 23-87 


Com'io vidi un, così non si pertugia, 

Rotto dal mento infin dove si trulla: 
Tra le gambo pendevan le minugia; 

La corata pareva, o il tristo sacco 

Che merda fa di quel che si trangugia. 
Mentre che tutto in lui veder m'attacco, 

Guardommi, a con le man s'aperse il petto, 

Dicendo: « Or vedi come io mi dilacco! 
Vedi come storpiato è Maometto! 

Dinanzi a me sen va piangendo All, 

Fosso nol volto dal mento al ciuffetto. 
E tutti gli altri che tu vedi qui, 

Seminator di scandalo e di scisma 

Fur vivi, e però son fessi così. 


n Un diavolo è qua dietro, che n’accisma 


‘0x1, como Îo vidi uno rutto, coe. - vas» 
pia: botte; vece d'origine ignota; cfr. 
Dies, Wèrr. 113, 78 Vezza © vezria por 
Botta viceno nel Bergammaco, - Mtrzut,! 
< li fondi dello botti sono di tro persi: 
quello di mozzo è detto mezule, è li 
estremi banno homo tulle »; Lon. Se- 
condo Bene, mezzul è n parte modin 
dol fondo della botto, dove casa rl apro, 
è lulla « pura fuudi vegetta iuxta estre. 
ma ad modur Innm. » 

DM. ROTTO : portagiato, faaso. e TRULLA: 
Bens.: « dest ab Sy sad anum », 
tr. Comm. Lipa, 1°, 482. 

3. o D ‘interiora, budelia; da 

Ware. 18, 
nuo, Nome, 213 © 767. 


parEva: appariva, al voleva. = TRISTO: 
lordo, feteute, « Disaituit atringens nte- 


Decoquit: in minimum mora contrabit 
omnia virus. Vincula nervorum ot la- 
derom textura.... efinunt »; Luean., 
Phare. IX, 773 agg. - sacco; dello ato- 
anaso. 

97, TRANUata | si manda giù, man- 
giano è bevondo. 

28. N'ATTACCO! m' affisso, sto miran- 
dolo attentamento. « Dar atupot, obtu- 
3 Dieret deficus in nno»; Virg, 

ori propri aglio la leocho, 
«ul por estens. son Incerato squarciato. 


BI. ATOUIIATO: gunsto nello membra. 
Ali SCOPPIATO, SCIMEIATO © BerPATO, 
Ote, Z. F., 172.» MAOMETTO: ÎI fonda- 
toro dell' Islaminmo n, a Mecon 40, m; 
Ina 023, Al: MacometTo, Ha Ît cor- 
fesso, per aver seminato seiama nel 
sepali ctr sul: 1198, 


dol Dio vincitore, e Murtadhi, cioò @rato 
4 Dio, cugino o genero di Maomette, ed 
uno do' primi mol seguael, n. 897, neci- 
30 660, Discordando in alorni panti dalla 
dottrina di Maomatto, foce una setta da 
nè; ondo egli ha fesa sopaato fp 
parte del corpo che Maometto ha 
intiora, 

3. PRASO: Al: ROTTO. = CIUPPRTTO? 
ciocca di capelli sulla fronte; qui per 
fronte. 


35. scamato: discordie civili, ela 
ic Inimiolzio, — actsatà; 


da ozitew Gscindero, dividoro). 
36. vivi: da vivi, montro vivevano su 


37. qua purrno: in un punto della 
Volgia, il quale, essendo esa olreolare, 
resta di dietro dal Inogo, ove ai trevano 
Dante Virgilio, onde non: possono vi= 


Adicraa, abbiglia i è st ste | 
tenuto in * neeoneta *; Al 
glia. AL: Piaga, 














280 [oxro. 3. BOLO. 0] Ixr. xxvitr. 112-125 [RERTRAM DAL BORS10] 





Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, 
E vidi cosa, ch'io avrei paura, 
Senza più prova, di contarla solo; 

Se nori che coscienza mi assicura, 

La buona compagnia che l'uom francheggia 
Sotto l’osbergo del sentirsi pura. 

Io vidi certo, ed ancor par ch'io 'l veggia, 
Un busto senza capo andar sì com 
Andavan gli altri della trista greggia. 

E il capo tronco tenea per le chiome, 
Pésol con mano, a guisa di lanterna, 

E quel mirava noi, e diceva: «O mel» 

Di sè faceva a sò stesso lucerna, 

Ed eran due in uno, e uno in due; 


lo, condinso a tal martirio. Questi è 1 
glabre trovatore Bartrandi 


eavaliore, baon guerriero, buon amante, 
buon trovatore; bene istruito nell'arte 
dol bel dire, anpora sopportare la buona 


ne; 
taogenito dI Rinvio TI re d'Inghilterra, 
# ribellarei al padro. Morto il ra giovane 
mol 1183, Enrico assediò Bartrando 
Manioliet; ma pol Eni gli 


MM Scherilto, Bertrom dal Bornio, Ro- 
mA, 1897. 

112. sruoLo: sohlora del seminatori di 
scandali. 


114. FROYA: esperimento; sonza espe. 

rimentaria 
Ronferme che le mio pare. Ma qual mai 
altra conferma del sao racconto ha {l 
Posta, tranne lo que parclo? - soLO: avv. 
4 temerei soltanto di raccon- 


115. assicuna : sapondosi pura, mi ren- 
de testimonianza che fo non he nulla a 
‘temere di quello peno che vidi e deserivo, 
checchè no dicano i miol nomiet. 

116. maxcmoala : rende franco, di- 
chiarandolo soerro di colpa. « Cansola 
mona ut culque ana eat, ita conolplt intra 
Peoto 


pootico, interrotto dal rv. 112-117, A.veno 
do detto che l'aura laggiù ora fon, v. 
104, ed essendo clò che qui deserte co- 


mi parre soltanto di vedere; vidi certa» 
merita. 
119. sì com: nello atesso modo, colla 


sta sul busto, 

122. PIRSOL: sompeso, pendnlò, Lea 
modo cho, camminando nell'oscurità 
tomo oe (asa e è la lastacna por 
rischiararsi la vin 

123. QUEL. Îl capo tronco. Al; quas.oft. 
2, E, 176.= 0 x: cimà, 

136. DI è di part di nd od dl o 
fee: Coco < PagiARI A 
fi quale DEI in mano, guidava i 








282 [csxo.s. n0L0.9) Ixp.xxvin.140-142-xxix,1-3 [ammonizione] 





Partito porto il mio corebro, lasso!, 
Dal suo principio, ch'è in questo troncone. 
13 Così s'osserva in me lo contrapasso. » 


140, camkmRO + cervello; qui per capo, 142. commraramso: lat. contra pati; 
la parto per il tutto. la leggo del taglione, vigente in tatto 

141. ranvcreio : dal midoîlo spinale, di l'Inferno dantesco, la quale esige che tal 
ul cervello doreduto (da Ariatoteli #Ia punito qual fece; ofr. Buod. XXI, 4. 
Gallo e da Fisiologi moderni) easero ri: —"Levit. XXV, 20, Deuter. XIX, 31. Matt. 
gonfiamento e aver origine dn esso. V, 38; VIL & 


CANTO VENTESIMONON: 


CERCHIO OTTAVO 
BOLGIA NONA: SEMINATORI DI DISCORDIE 


GERI DEL BELLO 


CERCHIO OTTAVO 
BOLGIA DECIMA : FALSARI D'OGNI GENERE 


\° FALBATORI DI METALLI 


(Coperti di lobbre, puzzolenti, seduti per terra, sl grattano ferocemente com 
le unghie 0 sono morsicati da altri spiriti) 


GRIFFOLINO E CAPOCCHIO 


La molta gonte è lo diverse piaghe 
Avean le luci mie sì inebriate, 
Che dello stare a piangere eran vaghe; 


V. 1-12, Ammonizione di Virgilio, 2. Luo: coshi; ofr. Purg. XV, Ski 
Danlo, commomo fino alle lagrime, è an- XXXI, 19. Par. I, 06; XVII, 58: 
‘cora tutto intento n guardare giù nella —"‘XII, 129, toc, » ixksuare: pregno di 
Mona bolgia, quando Virglio gione fa lagrive per i dolore cagionato da qosll 
pàtorno rimprovero, ricordandogli ca. vista miseranda. « te Incryma 
stro omai tempo di continuare fl viaggio. Muta) Tata XVI. 8= beata ct do- 

1, MOLTA: efr, Inf. XXVIII, 1-81. - ropdeboria »; Bscah, XXIII,39. Ott. 





Tosrc. s. BoLa, 9]  Ixr.xxix. 13-80 [GERI DEL BELLO] 





«So tu avessi » rispos”io appresso, 
«Atteso alla cagion per ch'io guardava, 
Forse m’avresti ancor lo star dimesso. » 





Parte sen gia, ed io retro gli andava, 
Lo duca, già facendo la risposta, 
E soggiungendo: « Dentro a quella cava, 
Dov'io teneva gli occhi sì a posta, 
Credo che un spirto del mio sangue pianga 
La colpa che laggiù cotanto costa. » 
Allor disse il maestro: « Non si franga 
Lo tuo pensier da qui innanzi sovr'ello: 
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 
©h'io vidi lui a piò del ponticello 
Mostrarti, e minacciar forte col dito, 
Ed udi"-1 nominar Geri del Bello. 
Ta ori allor sì del tutto impedito 


Sopra colui che 


tenne Altaforte, 


Che non guardasti in là; sì fu partito.» 


è dagli nlbei figli di messer Clone, nel 
"uali probabilmente rimasò estinta >: 
1 11, p. 225. Tortolan, 


1605. ME. Barbi, Bull. 1 0, 
pra udito SI rime 


vi 

18. DtuIsS0: dal lat, dimiltere, por 
mesmo di fermarmi sncora un 

16. rantR: mentre, intanto (ef, 
Perg. XXI, 19). Mentre cho Virgilio so 
ne andava fn atto di aprire la bocea 
rispondermi, fo gli tenera dii 
pezzo nio giù ato o ego 

tole, Oppure: io lo seguiva facendogii 

1a risposta è soggiungendo. Costruzione 
mon troppo chiara. 

IR CAVA: fomsa, bolgia, 

19. A rosta: appostati, afismati; cfr, 
vet 

20. CUR UN: AL: caRDO ERO 

2. F., 176. 
21. cosra: dei seminatori di scandali. 
Tmranca: non «i rifletta; non pen» 

mare più a luî. Al; Non W'iotenarisca è 
sommmova. Al: Non ai distragga ed in- 
torrompa. Probabilmente frangere ha 
qui il valore di rifrangere = rilettere. 
* Prende pienza dini raggi, i quall, 
quando si frangono soprà una persona, 


allora la Muminano. Dice: non 
tod 200 sd sparga copra aisi Zi 


tefort, 0 Altaforte, cioè Bertram dal 
Bornio, nò ad altro badari, 

30, IN LÀ: verso il oogo ove Geri pasr 
mara. — sì gui sino a fu allonta 








TorRo. è. 8OLG. 10) Txp. xx1x. 44-58 [FALSATORI DI METALLI] 





Che di piotà ferrati avean gli strali 
Ond'io gli orecchi con lo man copersi. 
Qual dolor fora, se degli spodali 
Di Valdichiana, tra il luglio a il settembre, 
E di Maremma e di Sardigna i mali 
Fossero in una fossa tutti insembre; 
Tal era quivi; e tal puzzo n’usciva, 
Qual suol venir delle marcite membre. 
Noi discendemmo in su l’ultima riva 
Del lango scoglio, pur da man sinistra; 
Ed allor fa la mia vista più viva 
Giù var lo fondo, lh "ve la miniatra 
Dell'alto Sire, infallibil Giustizia, 
Punisce i falsator che qui registra. 
Non credo che a veder maggior tristizia 


dd. PIETÀ : potrebbe qui valere dolore, 
onda fl senso sarebbo, che quoi Inmenti 
stano l'espressione di tnmnenso dalore 
Oppure vnol dire, che quei lamenti ave» 
van tanta fora da pungere f) tore a 
pietà, «in Inogo di punta la qual aceì 
amor di ferro, avevamo la pietà»: Cee 

45, combat i forte al tnrd lo orecchio 
par non esseri commosso a troppa pietà 
@ non meritarsi di novo 1 rimproveri di 
Virgilio, come se gli ora meritati altra 
volta; efe. Saf. XX, 27 agg. 

40. poLax; duolo, lamento; la causa 
per l'effutto, » roRA | anrebbe; cfr. Nans 
mme, Verbi, 473 ug. Al.: YUOR ERGE, 
uso PUON, 600.; ofr. Moore, Orit.; 351 ag. 
TI dolore quivi raccolto ora tale, qualo 
marebbe, sè în un sol luogo fowsero riu- 
nilti totti quanti 1 morbì che infestano 
nell'estate lo regioni palndose della Val- 
‘dichiana, della Maremma o della Sardi 

gua. Questo jo è affine a quello 
die alba in Jo XXVIII, 7 ge 

47. Vatmenzaxa : la valle dolla Chia- 


tepulclano, ai tempi di Dante paludosa o 
tmaleana. «Inrta autem vallem latam 
etnt illo tempore hospitale de Altapaasm, 
bi solebant esso multi pauperos inile. 


mikato, et per consequena magnus do- 
dor pi Rene. Cfr. Hass., 208 egg 

48. Mama: la Mare 
deli, Jaf. XIII, ? agg) XXY, 10. Purg. 
SW, 124), ln allora quasi spepoluta ol as 
sal insaiubre } efr. Loria, L'Italia netta 
D. ©, 4% ag. - Sanpiona; Sardegna 


mA toscana 


«ila molto tetra; como sa ciasrono 


40. INRRIIRR peri. © freno. 
emsemble, sicil. insembli, lat. in riznaal, 
anticamento anche foor di rima; efr. 
Die. Wart. 1°, 238. Paredi, Bull. IL, 


Al: uscii. — pitti AÎ: 

Of. 2, P, 178, = Mstemae tnt 
bra. « Spiritns ore foras tintrum vol vedat. 
oderem, Rancida quo peroloni probecta 
cadavera ritu»; Zaseret., Rer. mat, VI, 
1152 ag. 

V.62-72. Falsatort di metalli e loro 
pena. La prima classe è del fuleari ba 
coso, in metalli (aleblmistti, Bono riso 
porti di lebbra, o tormentati dalla sea: 
bia, o paralitici. La fobbre ando loro ll 
cervello, del quale abusarono, e pussazo 
por l'immondorza del vilo. 

52. DINCENDEMMO : per peter ben die 
acornero Il fondo della bolgia. — mrvar 
arzino; questo è l ultimo, perebè cnndina 
co) profeado pesso, Inf. XVIII, &, dere 
lo scoglio Bulk 

Sd prva citare; ot. Prg. TV 

ignoro, Dio et, Purg. XY, 
n10, xDX, las. Par, XU, dé, con 

57, Qui: ln querto mando, Tavese 
Bene: « quos punît in leta Belgia de 
clima; quando enla semtentia datare ec 
tra reum, tune regiebrari walt. » (I = 
nivotatha è nol Ibri delle colpa; ufe. De 
nielè VII, 10. Apoeai. XX, 33. 

68, OX CRKhO ecc.i costr: Nom creda 
che a vedere in Rgina fl popolo tatto ln- 





288. fogro. 3. noLe. 10) Imp. xxix. 78-89 


Lo) To vidi due sedere a sò poggiati, 
Come a scaldar si poggia tegghia n tegghia, 
Dal capo al piè di schianze macalati; 
non vidi giammai menare 
Da ragazzo aspottato dal signorso, 
Nè da colui che mal volentier vegghia, 
Come ciascun menava spesso il morso 
Dell’unghie sopra sè per la gran rabbia 
Del pizzicor che non ha più soccorso; 
E sì traevan giù l’unghie la scabbia, 
Come coltel di scàrdova le scaglie, 
O d’altro pesce che più larghe l'abbia. 
< 0 tu che colle dita ti dismaglie, » 
Cominciò il duca mio all’un di loro, 
< E che fai d'esse talvolta tanaglio, 
Dinne s'alcun Latino è tra costoro 
Oho son quine' entro, se l'unghia ti basti 


tus, dixit dioto Alberto: 90 seirem vo- 
Tare, si vellem. Illo nutem Albortua ex fu- 
ellitate ana boo credene, rognvit dictam 
de Aretio ut doceret ipsa volar; ot 
cum non potnieset hoc facere, accnsavit 
cam apiacopo Senenal patri ano, ex quo 
ictus Hal combustua fuit»; Fambgt. 8a 
per giù lo stesso raccontano pure gli al- 
tei antichi. L'An. Seî. dico cho Gridolino 
6 All 


Tuo. Dant. « riputandoa! {1 dette Alberto 
da ini ingaonato, a nn certo Inquisitore 
de' Paterini ia Firenzo ardero Jo fe 

il quale inquisitore padre da) detto AL 
berto certamente da molti era tennto. » 
‘Sì crede che il fatto suosedesse al tempo 
di Bonfiglio, cha fu vescovo di Siena dal 


1216 ml 1252. Cfr. o, Dante în 
Fieno, 5 
Tè. A ab: l'uno @ ridosso dell'altro. 
74. tesoma: teglia, raso di cucina. 
TE SomAREE: macchie dela scabbia 
a Sohtanza 0 stianze chlsmano 
rulgnano Je macchie del legno »; Querne 
SEI Lo orcete dello piagho disseccato, 
SA 
Dpr, gtriglia. 
IT. RAGAZZO: qui por mozzo, 0 fumì- 
di stalla. - sioxoMso: signore suo. 
dell'uno antico o viva tuttora 
mell'Itaiia meridionale 6 in parte della 


centrale; afr. Dies, Gram. 11%, 487 0 Pa- 
rodi, Bui. III, 12). Al: DA Stoxonso, 
secondo 


scacciare iî sonno, ala per terminare Il 
ano luroro ed andarsene n letto. 

79. arORSO : + quasi Î denti dell engibie, 
cioè l’acuta © trinclante loro punta» 
Lomb. 

40, kavasta : prorito della scabbia, tane 
to acuto da non trovare altro solliovro che 
talo grattaral, Al,1 Smania feroce, 

181. PIÙ n0cconsO: acta altro solijavo, 


‘obo gnolo del grattami. com 1a 
lo unghie traevano Ca lo 


scabbia, como fl 


dol cuoco lava via, raschiando, lo squame 


scardora 0 di tro 


ar pesca d'acqua dolce goa 
molto ca ile, n levar lo quali occorre il 
coltello; del Linneo, 

as. mn pa u croati 
collo unghie. Domir = divisi 
disfaro lo maglio. 


88, Larixo: Italiano; fr, Zgf. XXIT, 
66, XXVII, 27, 89. 
#9. quirc'aNTRO: dentro ln bolgia; att. 








290 [ozro. 4 sora, 10) Inp. xxix. 111-127 


Ma quel per ch'io morii, qui non mi mena. 
Ver è ch'io dissi a lui, parlando a gioco: 
“Io mi saprei levar per l’aere a volo *; 
E quei, che avea vaghezza e senno poco, 
Volle ch'io gli mostrassi l’arte; e solo 
Perch'io nol feci Dedalo, mi fece 
Ardere a tal che l'avea per figliuolo. 
Ma nell’ ultima bolgia delle diece 
Me per l'alchimia che nel mondo usai, 
Dannò Minòs, a cui fallar non lece. » 
Ed io dissi al poeta: «Or fu giammai 
Gente sì vana come la Sanese? 


Certo non la Francesca sì d'assail» 
Onde l'altro lebbroso che m'intese, 


Rispose. 
Che seppe 


tto mio: « Trammene Stricca, 
le temperate spese; 


17 E Niccolò, che la costuma ricca 


111. qua: non sono dannato per quella 
colpa che mi fia imputata e per la quale 
fui arto, ma per altra, cioò como alchi- 
mista, v. 119. 

112. 4 GIOCO: «quia babobat solatiam 
dio etus fatuitato +; Hene. 

114. vaomEezzA: curiosità di coso nuora. 
+ Diconi che quello Alberto era molto va» 

di cotali traffo, 6 svevavi consumato 
ol suo, @ però area poco senno »; Ott. 
135, asta; di volare 
. DinALO: che sapera volare; ofe. 
pati VII, 106 "ER: Ovid., Mat, VIII, 


208 egg. 
Mfr a rat: da tale, od dl vescovo di 


Biona, che lo tenca tn fuogo di 


108, Atompta: arte di fre oro, dal 
l'arabo al-Klm(4, afr. Diez, Wort. 
Qui intende dell''alchimia ip "ate 


fulan 1 motalii; ofr. Thom. Ap., Sum. 


theol, II, 2,77 0 d'OL. 

120. NON LxOK: Minosse non pnò fal- 
Raro, como fallò il vescoro di Siena, 

VW. 121-132. Pamitd def Sanesi, Il 
ricono della fatuità di Alberto da Slo- 
ma indueo Dante ad un'invettiva con- 
#ro la vanità del Sanesi, maggiore della 
vanità francese. lo seconda 


Son amara ironia, nominando alcuni Sa 


nosi che al resero famosi per la loro 
vanità. 

‘123. Fuaxci francese, eft. If. 
XXXII, 115. « Galli non genoa vanta 
simum omnium ab antiquo, alent patet 
ampe apud Xullum Celsum {Cassaree 1 
at bodio patet da facto»; Bene. 

124, L'ALTRO: Capocchio, v. 13 

125. TIMOGONR: Al.i TRANNE LO; 
reironico, come Inf. XXI, di.= STRICOA: 
probalillr, Stricca di Giovanni de' Sar 
Ilmben!, podestà di Bologna nel 1276 è 
1286; etr. Mazz.-Tos., Font a paasî, 134 
Secondo altri, Stricca do' Tolomel o del 
Marescotti. Cfr, Ltorgognoni fn Proga 
gnatore I, 907-324, BT8-602, 048-664, «La 
sotoîto Il padre ricco e ogni coma distras 
no in paxzio, e in cattive»r 
Am. Seî = « Homo do Curia »1 Petr. 
Dent. 

120. TamPERATE: continua |" frenta: 


Qasistontem mundare sibi | 
2 i i ca rg e 
riofilo» in amsatia; sed lata non fislumet 





292 [cerc. a. ROLG.10) In. 1xix. 188-199-xxx.1-2 


13 SÌ vedrai ch'io son l'ombra di Capoechio, 
Che falsai li metalli con alchimia; 
E to dee ricordar, so bon t' adocchio, 
an Com'io fui di natura buona scimia. » 


138..aR MR: #6 l'oochio non m'inganna —139. scIMIA: contraffattore perfetto di 
© tu sei veramente colui che mi sembri, cose di natura, «Snbtille et unlversalia 


ofr. Inf. XXVIII, 72. Dante lo arera —magiator, aloni ost acimin, quo fucero ge- 
dunque conosciuto personalmente. atit quos (quod!) fucero vidi »; Bambgl. 


CANTO TRENTESIMO 


CERCHIO OTTAVO 
BOLGIA DECIMA : FALSARI D'OGNI GENERE 


2° FALSATORI DI PERSONE 
(Corrono disperati è rabbiosi, mordendo gli nìtri) 
GIANNI SCHICCHI, MIRRAÀ 


8° FALSATORI DI MONETE 
(ono Idropici 6 tormentati da sete continua) 
MAESTRO ADAMO, CONTI DI ROMENA 


4° FALSATORI DI PAROLE 
(sono consumati da continva nonta febbre) 
LA MOGLIE DI IPARRE, SINONE DA TROTA 


Nol tempo ché Giunone ora eracciata 
Per Somelè contra il sangue tebano, 


[UL 133, temente ariano Veleogo _ por prendere le maglio sedia fiale 
Îlaro un'idea adeguata del furore e dol- —como fossero In od 1 Jeomelnli 
l'insania della asconda clnase di (altari, 
loè dei falastori di porseno, Dante ricor 
10 alla mitologla, prondendo due esempi 
da Ovidio. Il primo è di Atammanto, re 
i Tebe, cho, divenuto furibondo per 
spera di Gianone, foca tondore lo reti 








294 [czRro.s, soLG. 10] Inr, xxx, 22-32 


Torawsi scamconi) 





» Ma nè di Tobe furie, nè troiane 
Si vider mai în alcun tanto crude, 
Non punger bestie, non che membra umane, 
Quant’io vidi in due ombre smorte e nude, 
Che mordendo correvan di quel modo, 
Cho il porco, quando del porcil si schiude. 
L'una giunso n Capocchio, od in sul nodo 
Del collo l’assannò sì, che, tirando, 
Grattar gli foce il ventre al fondo sodo. 
E l’Aretin, che rimase tremando, 
Mi disse: « Quel folletto è Gianni Schicchi, 


V. 22-45. Falsatori di persone: 
Gianni Sohiccht e Mirra. Più for 
monnati è furibondi che non Atamante 
ed Ecuba, i falsari în ntti, 0 fulsatori 
dolla persona, corrono laggià nella bol- 
gia © ui avventano furibondi mi dan- 

|, ansi stossi falsati in eterno, per 


di Mirra, l'incestuoma figlia del re di 
Cipro. 

73. MA x oco,: ma non si videro mai 
farori, nè fu Atamante nè in Renba, nè 
in belva nò in momo, così orudeli come 
lo vidi în due ombrv, #00, 

35. x DUE: Gianni Bchfoch! o Mirra 
Ai: veni DuEI ma «NI quanto del v. tf 
è nssolntamente, e devo essore relativo 
del tanto dal v, 53, Stochè Svimto dello 


« imilitadîno agnzianta, degna del laogo 
a di quel danmati »: L, Vent., Sim, 681. 
ne. L'uma: l'ombra di Giani Boliochi. 


Capo si songiange nl busto. Cfr, averti, 

«lo prosa sul nodo del 
ollo con le sanno, stando ne la similita- 
CHA ‘porco, del quale lo anne sono »; 


ina: tirandoli 
dole per fl duro fondi della. Bolgia 


n0pO: daro, essendo tatto di piotra; fr. 
Iw. XVII, 2 

wi, L'ART: A Oriffolino | efr, Inf. 
XXIX, 109, - tImiANDO: com giù tn 
Inf. XXIX, 98, 

32. FOLLETTO: propriamente nome di 
certi spiriti maligni, che la superstizione 
orodevne credo vadano errando perl 


D'arda, 
© Inquistando le abitazioni degl! nomini. 
Qui chiama per almilittodino folletto l'orm- 
bra trasvolante dello Schicchi. - G1ANsT 
Scn1CORI forse Sticchi como nortrel'An. 

Gianni 


{o piuttosto f fitti, 
rese il vecchio] il tenea a parola, per 
ch'egli nol fnocaze : e tanto il pet 
role, eh' ell! morì. Morto che fu, Stmane 
1 Weboe celato è avna pasa Ala ae 
tostamonto mentre ch' egli 
ped t ogni vicino diem eS'egti 
l'aven fatto. Simone, non sappiendo pi 
gliaro conalglio, ai dolee con Giai Sile 
chi et obiesegli consiglio, Sapea Di - 
contraffuro ogni nomo, et colla veot 
cogli atti, rn ii 
no, ch'era uao con Tal. Dis n Slmeae: 
Fa' venira uno notato, et di' che menver 
Buoro veglia fare teatamente ; {o mmterrà 
ne Letto mio, et aacceremo Îmi diriatro, 4 
{a mi fasnerò dene, et metterommi la nap- 


some tu vorral; è vero 





Corse. s. ROLO. 10) Inr. xxx, 46-58 


CathesTRO ADAMO] 





Testando e dando al testamento norma. » 
E poi che i due rabbiosi fur passati 

Sovra eu' io avea l'occhio tenuto, 

Rivolsilo a guardar gli altri mal nati. 
To vidi un, fatto a guisa di liuto, 

Pur ch'ogli avosso avuta l’anguinaia 

‘Tronca dal lato che l’uomo ha forcuto. 
La grave idropisia, che sì dispaia 

Le mambra on l'umor che mal converte, 

Che il viso non risponde alla ventraia, 
Faceva a lui tener le labbra aperte, 

Come l'etico fa, cho por la seto 

L'un verso il mento, e l'altro in su rinverte. 
<0 voi che senza alcuna pena siete, 


raspendo fund al bano la 
‘il Basso, che li notaio ne fa in- 


Perchè Immisero immondizia nella mo- 
noto, questi falmari hanno l'immondizia 
3 propria persona, cssendo gravati 
dall'idropisia. Rd hanno recato la loro 
Insaainbilo sete anche nel mondo di 1À, 
Mechà la loro immondizia è la loro set 


dame, 
di Nato, cho matodice È n ‘cont di 
ma, anoî seduttori. 
A6: UR: Gianni Echischi 0 Mirra, 1 dos 


omo: 


paguii 
(le csscs nel solco inguinale), sarebbe 
fatso un lato, polchè la ventrala sa- 
robbo stata como Ia cassa dollo strumen- 
to; ela testa, il collo 6 Il petto come il 
manico di osso. 

50. PUR Ci: solo che. — amauesATA: 
2 quella parto del corpo uranno che è tra 
a coscla = il ventre, allato allo parti 
etgognose »; Or; 11 Bary. Jegge La tr 
Glitmata. los. difuaa da Z. F., 182 ag., Ml 


quale ruolo cho Leniquinola y'bbia da 
Int. inguen. Gii 
esempi addotti dalla Or. mostrano che 
gli antichi dissero anguinata, forma de- 
rivata dalla fantono dall'articolo col mo: 
dall'omsarui în Zanguinaia cont- 
dorata e sentita come articolo la sola. 
51, Lato» dove ni biforcano le gambi. 
52. anava: « quia reditit homer gra 
vom, ita nt movari non possit »; Men,= 
piPArA : disforma con la linfa non elt- 
dorata le membra in tal modo, che skeane 
intumidiscono ed altro dimagrano, sala 
{i volte dimagrato non è più proporsie 
nato alla gonDarza del venteoz cfr. dr 
son, dti dell'Iatt. Ven., v, VI, mes, If, 
p. 859. 
56. armata: «per dovere l'aria che rin» 
freschi « ristori lo ardenti se famei»; 


vanta; efr. 2. FP, 19 ag 
Gerem., 


In/-XXVIIT, 132.-saNza 006: « videtnt 
enim Mo spiritua, quod batt duo nom da- 
horabent aligquo morbo, sicut. cmtert de 
bulgia SMa, non Jopra, 

tod, non furia, sicut Et 


Virgilio wrera dello) fi SI 
DX, 9A meg. 








2298 osso. & BOLO, 10) Ixp. xxx. 78-89 


[MAERTRO ADAMO] 





Per fonte Branda non darei la vista. 
Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiato 

Ombre che vanno intorno, dicon vero; 

Ma che mi val, c'ho le membra legate? 
8'io fossi pur di tanto ancor leggiero, 

Ch'io potessi in cent'anni andare un'oncia, 

Io sarei messo già per lo sentiero, 
Cercando lui tra questa gente sconcia, 

Con tutto ch’ella volge undici miglia, 

E men d'un mezzo di traverso non ci ha. 
To son per lor tra sì fatta famiglia; 

Pi m'indussero a battere i fiorini 


figlio di Galdo I, conte di Romena. = 
ALESBANDUO: ‘di questo nome, fra 
telo di Guido 1 inrito di Caterina del 
Fantolini di Faenza; ancor vivente nel 
2I16.— FRATE: Aginolto, fratello doi due 
suddetti, marito di Tdnna di Ruggero da 
acavallo, cugina di Caterina, mo- 
glio di Guido Novello da Polenta che 
ospitò Dante a Ravenna. Testò nel 1128, 
Cfr, Todeschini, Scritti Dant., 1, 211-50. 
Del Lungo, Dino Comp. IT, 693. 
#8. roxrE Ixaxbas di Romena, ora 
fnaridita, da non confondarai con Funte- 


Abtichi incominciando dal Bambgl., e co 
mo hanno fatto molti moderni, Maestro 
Adamo parla di Romena, o Sfena nol mo 


preferirebbe 
nello stesso tormento al piacoro di dis- 
setarsi ad una fonte. 

9. DENTRO: a questa bolgia. Tu 
i Guido, poichè nel 1300 gli altri dn 
fratelli vivorano ancora, 

#0. oamur: dei falsatori di persone, 

gti mare: per irta sont 


non posso muovermi per andare 
e: quell'anima trista, 
83. LRGaTRRO : agile, npodito. 
#3, uv'oncia: la dodicesima parte di 
tit piodo, Sa tali dosidorii dei dannati 
ale, Suao, Blehlein von der Welahott, 


ave 


cap. IX, dovo c'è un panso affine a que 
ato di Dante. Secondo il Suso 1 dannati 
dicono: « Wir begebrten nichta andores, 
denn wiiro cin Miblateln so breit ala 
alles Erdrelch und um sich s0 gross, dans 
or don Himmo! allentbalben bortibeto, 
und kme ein kletnos Vagleln fe tiber 
bundorttansond Jahre und biso ab dem 
Stein so groma, ala der solite Thell int 

einos Hirekrnlolns, und aber aber h 
derttansend Jabre no viel, also dara 
In sebnbunderttausend Jahren no viel 
‘ab dem Steln klaubto, nl groas ein Hire: 
&rnleln ist: vir Armen begebrton nichta 
andoroa, donn, s0 dea Steinea ein Bodo 
wriire, diss anch dann unsere Marter ein 
Eudo Liito; und das mag nicht seta! » 

84. nani mi sarei già messo fn cam- 
mino per Il fondo della 

86, Lur: Guido II, conte 











902. [exzc. $. noto. 10) Ixr, xxx. 138-148. 


RIMPROVERO] 


Sì che quel ch'è, come non fosse, agogna; 
Tal mi fec'io, non potendo parlare, 
Che desiava scusarmi e acusava 
Mo tuttavia, e nol mi credea fare, 
« Maggior difetto men vergogna lava,» 
Disse il maestro, « che il tuo non è stato; 


Però d'ogni tristizi 


ti disgrava. 


E fa' ragion ch'io ti sia sempre allato, 
Se più avvien che Fortuna t’accoglia 
Ove sien genti in simigliante piato; 
ue ©hà voler ciò udire è bassa voglia. » 


139, xon POTENDO: per la vergogna 
© la confusione. 

MO, ActRARMI: parlando, = SCuuAvA: 
mostrandomi vergognoso. 

Mi, curDRA; lo non oredeva che il mio 
montrarmi piono di vergogna del fallo 
commosso, fosse scusa auliciente agli 00- 
6 de) mio duco, Pudore culpa minuitur. 

142. xavgton: minor vergogna della 
tua basta a lavaro, cioò a ncusaro, una 
colpa maggiore «ho non a o 
nol dilottarti della bara 
cesso di que' vii. 

Md. tuterizia: dolore, mestizia ; «Nuno 
gaundeo, non quia contrintati eatis, sed 
quin contristati estis nd penitentiam: 
tontristati enim stia secundum Denm, 
ut in malio detrimentata patiamini ex 
tobis. Que enîm secundum Deum tri- 
mitia est, pamitentiam în salute stabi 
Jota oporatuz »; XL Cor. VIT, 9-10 
DISGRAVA : allontana da te. « Triatitiam 
Tonge repello n te»; Hol. XXX, 2. 


145, 7a' nAorOX: fu' eonto, non dimen 
tioare; ofr, Par. XXYI, 
cada por avventura di trovarti un'altra 
volta a simili contrasti, ricordati che fo 
ti son sempre vicino prento a ripren- 
derti come ho fatto adesso. 

146, 1°AccOGLIA «Ul fancla capitare. AL: 
Ti colga, ti trovi. La Fortuna non co- 
glie l'nomo in flagranza di colpa; bensì 
lo fa capitare in alcon Iuoge, dove ala 
per lui gran tentazione di rendersi col- 
porole. 

147. PIATO: propriamente lite agiiata 
Innanzi al giudici, dal lat. placitum ; efr. 
Diez, Wort. 1°, 817; qui per Contrasto la 
genere, @ specialmente di parolo ingin- 
riso, 

148. MASSA VOGLI 


gato lndegno 
d'una monte elevata o d' un mio segua» 
co»; Br. B. Cîr. Prot. XVII, d; XX,8. 
ll primo di questi passi sonni « Malui 
obondit lingnao iniquse, et fallax ob: 
temperat labiis mendaciboa. » 





CERO. 5] Tp. xrxi. 1-3 


CANTO TRENTESIMOPRIMO 
DISCESA NEL NONO CERCHIO 
I GIGANTI INTORNO AL POZZO 


NEMBROTTO, FIALTE ED ANTÈO 


Una medeama lingua pria mi morso, 
Sì che mi tinse l'una o l’altra guancia, 
E poi Ia medicina mi riporse: 
Così od'io che soleva la lancia 
D'Achille e del suo padrò esser cagione 
Prima di trista 6 poi di buona mancia. 
Noi demmo il dosso al misero vallone 
Su per la ripa che il cinge d'intorno, 
0. tuieTA + farendo, = m 


do,- xaxcia : dono, regalo; «Una manna 
robia vulnua opamque 
Rom. 


e lr Per 5/08 


v 


I giganti in generale. La- 
quit l'ultima bolgia 0 saviano verso 
{l gran pezzo, ll fondo del qualo forma 
il nono ed ultimo orrchio, riserbato ai 
traditori. S'ode il seno sparenterol- 
monte forte di un corso. Danto guarda 


n 
ti 


ghi 


EL 
iL 


ge aos Dea 
,mardaciter mo roprebendit » 
nio {a preree rire è 1 cb 


verso fl luogo d'onde viene il suono, @ 
eroda di vedere una terra fortificata da 
molto alto torri. Virgilio lo dininganno, 
dicendogli esser quelli { giganti, £ quall, 
avendo eroduto di poter aupernre Dio ed 
eeato far forza contro di tal, sono sullo= 
gati qua e Tà latorno alle pareti del poro, 
to mado da aver ricoperta dalla ripa la 
metà inferiore del corpo. Alcani sono in- 
entepati; l'uno parla un linguaggio con 
Faso. Bai pianti la penoralo et. OMlA, 
11 Fast. V, 
DA voltammo lo patta aîla de- 
chron bolgia, 
PERI Per poter vedere là condizione 
dall''nltima bolgia, 1 Peet! erano smdatt 
giù por In scarpa dell'argino «ho la ne 











812 [piscesa AL CERO. 0] Inp. xxx. 120-148 





Però ti china, e non torcer lo grifo. 
Ancor ti può nel mondo render fama; 
Ch' ei viva, e lunga vita ancor aspetta, 
Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama. » 
Così disse îl maestro; e quegli in fretta 
Lo man distese, e prose il duca mio, 
Ond'Ercole senti già grande stretta. 
Virgilio, quando prender si sentio, 
Disse a me: « Fatti în qua, sì ch'io ti prenda»; 
Poi face sì, che un fascio er'egli ed io. 
Qual pare a riguardar la Carisenda 
Sotto il chinato, quando un nuvol vada 
Sovrr'ossa sì, che ella incontro ponda; 
Tal parvo Antèo a me, che stava a bada 
Di vederlo chinare, e fu tal ora, 
Ch'io avrei volut’ir per altra strada: 
(TE) Ma lievemente al fondo, che divora 
Lucifero con Giuda, ci sposò; 


136. non roncER: per superbo die: 
gno. = onturo: muso, Il Posta dov 

(Shell gigante toroeaso veramente 

fl mano all'udir Virgilio, ciò che indosso 
bosti: 


questo a rinfacclargii 
porbia ed a ripotore più 

10, vivo, gli darebbe fama sn nel mondo. 

188. LUNGA : altri 85 anni; efr. Inf. 
2 


/Conseruere ti 
multo brachia pexa. Colla din gravibus 
firuata tentata lacertia, Lmmotamque ca- 
pus fixa cum fronte tenentar; Mirantor- 
qua habule parom »; Luogn,, PAare. 
TV, €17 sog. AL: osv'kI D'Encot sexi. 
Ur. 2 P., 198-095. Com. Lipe. 

Fany., Stu. 


mich I, 274 ag. 

"ns. 1mces mi abirnosiò dì, cho erava- 
uno come legati intlema in un solo fascio. 
= Quasi dieat : astrinxit mo sibi »; Bene. 

bag Canmsevna | una delle doo famoso 

[di Bologna, edificata nel 1110 da Fi- 
na  Odo ded Garknendi, AI presento 
tun'altezza di metri 47,51, n verso le- 


tompi di Danto ora assai più alta, casene 
do stata mozsnta verso i} 1355 per ondine 
del tiranno Giovanni Visconti da Oleg: 


Inf. vol. III, pag, 219 ed mn tav. 8 

« Quando le nuvole vanno all'oppostta 
parte del piegare della torre, a chi vi 
guarda par ch' ella ai chini »; Zam. =4Si- 
cut Garisonda corrata videtur caderesti- 
per reapicientem, et tamen non cadit, ita 
Anthens velut alta turrle carratos vide- 
batur nuno cadere anper Dantem respi- 
cientem enm, ot tamen non esdebat + 
Beno. 


137. sorto: dalla parta ov'ess pende. 

159, ATAVA A RADA | guardava attenta: 
mente; cfr. Nannua., Verbi, 206. 

140.k eu1 e fa nn momento così sparen- 
tovolo per me, che perla panra avre w0- 
luto essere per qualsiasi altro cammino. 

141. CI'IÒ AVRRI VOLUT' ER: AL CHE 
AVURI VOLUTO ANDAR: cfr, £. F., 198, 

142. LIRVAMENTE: nea atriagorei 00 
ino strinso Ercole, v, 183. = DIVORA i con- 
tono nello suo buche, ingoia, chiude ti 
sò 1 tradi Lacifero, 

143, c1 a208ò : ci dopono, dal tema del 
verbo eporre, Int, erponere, da now com 
fondersi, come taluno face, con sposare 
da qpondeo. Al.: CI FOR: 





314 (ceRe, 9. omRO 1) 


np. xxx, 3-16 


[rs0rDi0] 


Sovra il qual pontan tutte l'altre rocce, 
To premersi di mio concetto il suco 

Più pienamente; ma perch’io non l'abbo, 

Non senza tema a dicer mi conduco; 
Chè non è impresa da pigliare a gabbo 

Descriver fondo a tutto l'universo, 

Nè da lingua che chiami mamma e babbo: 
Ma quelle donne aiutino il mio verso, 

Cho aiutaro Aufione a chiuder Tebg, 

Sì che dal fatto il dir non sia diverso. 
O sovra tutte mal creata plebe, 

Che stai nel loco onde parlare è duro, 

Me' foste state qui pecore 0 zebo! 


Come noi fammo 


3, FONTAX: a' appoggiano come sul loro 
punto 0 centro comune, tutti gli altri 
‘oerchi infernali, «Quin ad contrum ter 
nn tendantomnia pondora gravitatum »} 
Beno. 

4 risasiet: osprimere! più sompiata- 
monte. Premere qui —apremore: quindi 
‘esprimere cop parolo. Cfr, lar. IV, 112. 
— iu BUCO: la sostanza. 

3. anno: ho; dal lat. Ando; ofr. Nan 


aspro © chiocce coma vorrei avaro, 

7. A Ganpo: a giuoco, In ischerno. 

&. xONDO: Il fondo; omesso l'articolo, 
come usarono alle volte gli antichi; ef. 
annue. Voci, 68 ag. Non è facile lm- 
presa 11 desori vore li fondo © centro del- 
l'unlrerto; cfr. Cono, 11, 5. V.to ca 
aldernzioni del D'Osidio (Studik, p. 514), 
mul falso senso che si molo attribulrò a 
questo verso. 

, LINGUA 600,1 v'ha chi Intendo ‘Il 
pun dell'uno comune * cjoò volgare, 
qualo è dettato Il poema; ofr. Fulg. BI. tt, 
7. Ep. Kani, 10, Al: Lingua da bimbo, 
«b’è forse l’interpretaziono migliore, 
piignata anche dal D'Or., Stulit, p, 616 
‘gg. Al: Lingua ancor bami 
al tempi di Dante era la volgare. Per 
Dante il volgare italiano non era una 
Iagua ancor bambina. Il Betti: « cloò la 
Îlugna umana, » Non fntraprendo Dante 
dii deseriser fondo a furto l'universo per 
d'appuote sa lingua umana | 
sig Doxs=: le Muse, già invocate Znf. 

Til. Axziona: figlio di Giove e di An- 


nel pozzo souro 


tiope. Sonava masatrevolmente la ce 
tra; o, volendo elngere di mura la elttà 
di Tebe, nò avendo a ciò altro messo, 
sonò la sua cetra © le pistre vennero 
giù dal monte Citerono, al accostarono 
nl luogo loro assegnato, sì sovrapposaro 
acconciamonte da sò l'una all'altra a 
formarono Il muro; ofr. Marat, Are 
Poet, 394 sg. Proper. III, 2,3, 

12. el cita: così che lo zie parole abano 
adeguato al soggetto; cfr. Py. IV,147. 

13. MAL: « 0 popalo preditoruta ‘male 
#1 infellciter unte ultra omnes damua 
to» »; Bene, 

14, DURO: diffiello, La condizione del 
traditori è aì tremenda, cho a descrivarla 
adeguatamente mancan modi alia 

18. ak: meglio per vol} cdr, 
XXVI, 24. - qui: nel mondo. = xke: dae 
pre; voce tuttora vivente. «Zeba ramo li 
capretti saltanti ; et sono dotti sebe, pot 
cliò ranno sedeliado, cioè saltando»; Lan. 

V.16-29. Calna, la regiona dai tra- 
ditort de' congiunti, Il nono ed ultimo 
cerchio è un gran lago gelato, che pane 
verso Îl centro, ed è spartito în quattro 
giri concentrici, in ognuno del LU) 
punita una classe speciale di traditori. 
X quattro giri non sono distinti che per 
la maggiore o tinore grarità della pena. 
Nel primo, ehe la il nomo da Calno, il 
primo fratrielda, sono 1 traditori de' par 
reati,ohe, fitti sino al viso, Iividi, battonò 
{ denti @ hanno la facola rigata di la- 
grime. Il ghiacelo, in cui 1 traditori wo- 
no conditi, è la vera immagino della du- 





[orro. s. oto 1] 


Tx. xt. 81A7 


Toowt: pr mANoONA] 





E come a gracidar si sta la rana 
Col muso fnor dell'acqua, quando sogna 
Di spigolar sovente la villana; 

Livide insin là dove appar vergogna 
Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, 
Mettendo i denti in nota di cicogna. 

Ognuna in giù tenea vblta la faccia: 

Da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo 
Tra lor testimonianza si procaccia. 

Quand’io ebbi d'intorno alquanto visto, 

Volsimi a’ piedi, o vidi due sì stretti, 


Che il pel dol capo avieno in 


me misto. 


« Ditemi, voi che sì stringete i petti,» 
Diss'io, « chi siete? » E quei piegaro i colli; 
E poi ch'ebber li visi a me eretti, 

Gli occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli, 
Gocciàr su per le labbra, e il gelo strinse 


22, quaro; nell'ostate. « Tuvat amo 
abb uniia, Kt modo tota cava snbmerge. 
te membra palude, Nono proferre caput, 
summo modo gurgito naro, Sipo anper 
tipa atagni conaletere.... Vox quoque 
lam ranca ost»; Ovid., Afet. YI, 970 agg. 

Sd. LIvIDE: la ombre livido © dolenti 
etnno fitte nella ghisccia sino al viso, 
dova xl mostra la vergogna col romore. 
Quasta interpretarione è rera indicati» 
Bilm dalla procedanto stmilitadino delle 
no, Ciron le altre Interpretazioni ofr. 
Gem. Lips. 1°, 501 ne. 

30. MiTTANDO: battendo i denti por il 
freddo @ facendoli sonaro al modo che 
erepita {l rostro della olcogna, «Thi erit 
Matos ot stridor dentluma »1 Matt. XITI, 
42. - « Ipna sibi plandut crepitante eico- 

persi Optd., Met. YI, 97. 
h jon Volesito came venti 
a risontacluti; ef. v. 

88. DA nocca: col batter da’ denti la 
icca rende testimoninnea del gran fred- 
io che nolfrono quoi miseri: calle lagrime 
gli occhi toro rendono testimonianza del» 
a datore. 

40-89. T conti di Mungona e Ca- 

RElGIon dl Pareti Al moi plodi Dante 

voto duo ombre cssl strettamente anito, 

che la lore rome vino Insieme confuse. 

Domanda chi seno. I due lo guardano, 

pal abbassano ili nuovo il viso, ©, invece 
dl siagondero, sorzano Ingiome.. 


traditore anche Inggià, Il nomina fngiu- 
riandoli, e nomina tre altri anoî viefni, è 
finaimento sè stesso, aggiungendo che 
aspetta laggiù Carlino de' Pazzi, più nero 
traditore di Tal. 

41, votanti per vedere chi fon gno 
gl! che mi avera indirizzata la 
7. 19 agg. - #THETTI A « non 
ex affeolione val dilsetione... 
ritudino et arerbitate edil. quin se se 
invicam atrinxcerunt quando se mutala 
vuheribua interfecerant »; Bene, 

43.18 Pit» «I vani poli del oso le- 
gano In Inferno, cul neîla vita bella on 
avrinsero { forti vincoli che fa natara. 
Come sa Domenetidio nfferraamo inaleme 
pel ciuffo. © tuffame tn Cosito, | fratelli 
che di tradirono, » Di Siena. 

43, stunantE: srano nella ghinecia 
sino al espo; ma i ebiacelo tea traspare 
rente coma vetro, v. 34, siorhà al poteva 
vedare anche il petto. 

ti. russano: Indietro, per guardare 








320 {ogRe.9. GIRO 3) 


Tar. xxx. 968-115 


[nocca proLI ABATI] 





Chè mal sai losingar per questa lamal» 
Allor lo presi per la cuticagna, 
E dissi: « E' converrà che tu ti nomi, 
O che capel qui su non ti rimagnal» 
Ond’egli a me: « Porchè tu mi dischiomi, 
Nè ti dirò ch'io sia, nò mostrerolti, 
Se mille fiate in sul capo mi tomi.» 
To avea già i capelli in mano avvolti, 


E tratti gli 


avea più d'una ciocca, 


Latrando lui cogli occhi in giù raccolti; 
Quando un altro gridò: « Che hai tu, Bocca? 
Non ti basta sonar con le mascelle, 
Se tu non latri? Qual diavol ti tocca?» 
« Omai » dissi, « non vo' che tu favelle, 
Malvagio traditor! Chè alla tua onta 
Io porterò di te vere novelle. » 
< Va’ via, » rispose, « e ciò che tu vuoi, conta; 
Ma non tacer, se tu di qua ontr'eschi, 
Di quei ch'ebbo or così la lingua pronta. 
nai Ei piange qui l'argento de' Franceschi: 


tito, efr. +, 90.- LAnwa: motivo di 1a 
goarmi, molostia, fastidio. 

96, LusiTDAR : promettendo fama, mon- 
ro nol tutti, quanti siamo in questo cer- 
chio, desideriamo l'obilo, — Lama: ef. 
Inf. XX, 79; Purg. VII, 00; chiatna così 
la ghinccia di Cocito. + Intendi carami- 
mando per questa cavità »; Betti 


aoE Po 
piombi. « Be sail 
eppreeat ipo; ceo hai fuit co 
dial piedi »; 
105, srt mentre continuava a 
Irosamente, cogli occhi sempre 
ber non esa riconoaciato alzandoli, 
107. s0xA®: battere i denti per i) fred. 
ef. v. 80. 
une: QUAL DAYOL: pare che Buoso 
colloquio avvenuto tra 
Dante o Beosa, ma che ndisme soltanto i 


Iatrati di quest’ ultizzo e ai avrinasao cho 
©' fosso tormentato da qualebo diavolo. 

400, CIME TU: Al.; CIR PIÒ, 

110, ALLA TUA ONTA: È too dispetto ed 
Ippunta. 

V.119-123. Buoso da Duera ed ale 
tré traditori. Allo gridu di Bocca, quel: 
l’altro, chiedendogli che com avessa ® 


ini 

vicini, Il primo è Buoso, della famigita di 
Doera, 0 di Dovara, che col. marchese 
Uberto Pallavicini tenne lungo tempo 
a signoria di Cremona. Nel 12884 Ghi- 
bellini di Lombardia lo poesro con bara 
caereito no’ Inoghi verso Parma per fe 
padire il passaggio dell'esercito frances 
Pip alici 
nari, non fece veruna. 
passare liberamente È firme fr 
TAI VII, 4, Murat, Seript, LX, 10%. 

113. Rxcgi: esca; ove mal tu cosca di 
qua © faccia riterno nl mondo, 

114. Di quel: di costai elio fa così Leste 





822 [orno. 0. erro 2) Inr.xxxn. 123-188 [vGoLMNO è RUGGIERI] 


Che aprì Faenza, quando si dormia. » 
Noi eravam partiti già da ello, 

Oh'io vidi duo ghiacciati in una buca 

Si, che l'un capo all’altro era cappello; 
E come il pan per fame si manduca, 

Così il sopran li denti all'altro pose, 

Là ‘ve il corvel si giunge con la nuca. 
Non altrimenti Tidoo sì rose 

Le tempie a Menalippo per disdegno, 

Che quei faceva il teschio e l'altre coso. 
<0 tu che mostri per si bestial segno 

Odio sovra colui che tu ti mangi, 

Dimmi il porchè, » disg'io, « per tal convegno; 
Che, se tu a ragion di lui ti piangi, 

Sappiendo chi voi siete e la sua pocca, 

Nel mondo suso ancor io te ne cangi, 


129, arnì: ni Bolognesi, - quasno : di 
not. «Et nota, quod Jato proditor in 
premium ace proditionie fuit fnotus mi» 
ina a communi bononlenai; sed non diu 
lintatus est lata victoria, Num post mo- 
dicum tempus fuit trucidatus În strago 
Gallorra fueta apud Forli vium per comi. 
tom Guidonem do Montefeltro, + Iene. 

V.13-139, Ugolino e Ruggieri. Pro 
cisazmonte 11 sula fine estrema dell'An- 
tenora (efr. Del Lungo, D nei tempi di 
D., p. 371 agg.) Dante vedo due ghiao- 
glati in una buca, l'uno del quali rode 
i teschio dell'altro, A. queljo cho rode, 
Dante dlmanda obi egli aia è porchè roda 
quell'altro, promottendogil, se sian gia- 
ate lo ragioni per cui rode, di rloambiare 
il favor della risposta riferendo au nel 


‘giori dogli Ubaldini, ren tliati Pio, 
<ome ni dirà nol canto seguente. 

124. DA KLLO: da nl, Boca, sensa de- 
guarlo di tina risposta. 

120. L'ux: i capo dell'uno (Ugolino) 
atara topra a quallo dell'altro (Raggie- 
Ti), sicchè pareva gli fosso cappello. 

157, 60M: colla steana avidità. « Dovo- 
tant plobem menm aicut necam pania »; 
Paol, XIII, 4 - manpicai mangia. 

120. LA'vi:didietro, ofr, Inf. XXXIII, 
Ri - st ormai AL: s'AomuneR, 

159, Tipo: re di Caledonia, uno dei 
notte re che sasediarono Tebe, Ferito n 


morte dal tebuno Menatippo, essendogli 
rioscito di uoeidero il feritora, pregò 1 
compagni di recargliene Il capo, a, come 
l'abbo avato, cominolà, moribando, a 
roderlo farlosamente col denti; ef. Stat.,, 
Thed, VILI, 749 ngg- — st: « riompitivo, 
ma cho rincalta »; Tom. Al.: #1 104R: 
ofr. 2. P, 100 ag: 

132. ALTRR com: I corvello e Jo ati 
carnose del capo. 


no. Le bestie sfognno l'odio ® l'ira nma- 
Jondo co' denti, colle corna, coglì urti 
gii, eco. Quindi Îl mordere © redero è atto 
destiale | otr, Stat., Thed, IX, 15 egg. 


nel mondo, dove tornar ini 


gando lo tuo ragioni e | 
Dante, che ha imparato da 





omne. & arro 2) Ixr.xxxmn.189-xxx11. 1-2 [ne DI vaoLINO] 828 





Se quella con ch'io parlo non si secca. » 


per te né mento dell'eterna giualisia, ogli d là, ti- 
condo vivente 0 appassionato del delitto 
all’areivessovo Ruggiero. Il traditore 
c'è, ma non è Ugolino; è quella testa 
che gli ata sotto a' denti, che non dà wa 
grido, doveogni espressiono dì vita è esm» 
collata, l'idealo più porfotto dell'uomo 
petriticato. Ugolino è il tradite he la di- 
vina giuatizia ba attaccato a quel erinlo 


na rimanga cetra 
| nomo edleso cho vi 

aggiungo di so l'odio è la vendetta. IÌ 
enicotto dalla pena è aleggo del tagliano 
0 il contrappasso, coma direbbe Danta: 
R 10 11 fiere pasto di un o: 
0a morto di fame, lat ed 


fa B 
Nuova Antologia, vol, XII, p. 608} e 
Nori Saggi eri, 51 gg. 


GANTO TRENTESIMOTERZO 


CERCHIO NO! FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI 


GIRO SECONDO—ANTENORA : TRADITORI DELLA PATRIA 
LA MORTE DEL CONTE UGOLINO 


GIRO TERZO TOLOMEA ; TRADITORI DE' COMMENSALI 
(Dilstosi supimamento sotto la ghisecia, hasno a fior di essa il visa, volto 
all’into, e gii occhi son coperti da lagrimo congelate) 

FRATE ALBERIGO E BRANCA D'ORIA 


La bocca sollevò dal fiero pasto 
Quel peccator, forbendola a' capelli 


rin della sin tragioa morte; ma, appena 
l'ha fivita, ripéglia Ml teschio di Imggsert 
Ml à n roserto con raddoppiata farere, 

1, LA DOCCA: « Capet apumantina: 
ora levavito; Zaan., Phare, VI TO, = 
FOLLEVÒI Al: Mi LEVÒ: 








826 [ceRc. 0. Giro 3] Inr.xxxrir. 26-38 [moRTE DI UGOLINO] 


Più lune già, quand’io feci il mal sonno 
Che del futuro mi aquarciò il velame. 
Questi pareva a me maestro è donno, 
Cacciando il lupo e i Jupicini al monte, 
Per che i Pisan veder Lucca non ponno, 
Con cagne magre, studiose e conte: 
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi 
S'aven mossi dinanzi dalla fronte. 
Tu picciol corso mi pareano stanchi 
Lo padre e i figli, e con l’agute scano 
Mi parea lor veder fender li fianchi. 
Quando fui desto innanzi la dimane, 
Pianger sentii fra il sonno i misi figliuoli, 


20. 1IÙ LUXR: più volte il sio 
Ì 


Blave, 

tribuztione, 163 ag: Moore, Orit., 357-02. 
= FCI IL MAL sonno: vidi in sogno la 
sarta spaventevole che mi era preparata, 

28. mamerro: della caccia. - DANNO : 
dominus, signore della brigata. 

29, LUPO: Ugolino. — LUFICINI: 1 Agli. 
=xoxma: San Giuliano, «Che dalle cagne 
fosso cacciato verno Il monta, situato tra 
Pisa è Luosa, sigolficava, ch'egli avova 
sa iperanza di soccorso in Lucchesi, al 


30. PER Cn: por Îl qual mante. «Se 
non fonne il monte pisano in mei 
Pika o Lucca, sono tanto presso, cl 
città vedrebbe l'altra »; Putî. 

dI. cacuki 1 Pirani moguaci a 
varcoro, Ghibellini, per cor 


+ Pet ones muoilentes signiticator fa- 
me qua pertorunt +; Bambpè. Cod pare 
‘Bino, sco. « Questi sono o popolo tninuto 
che comunemente è magro e povero »| 
Bati.= coste: avvezzato a nimili cnccio. 
32. GUALANDI | « Queste sono tro care 
Mlgeoiorini dalla città di Fis, di 
grade onore e di grande potenzia uol- 
Manti, beothà anosra sieno, pur smo 
mancata +; Busi. = Goalandi. Si 

ost Lanfranchi ad ipaiar Archiepi- 
acopi instantinmi accomaverunt et infa- 
marerimt dominam comitem Ugotinam, 
e quo bye et dii fnalitee poriorant in 


39, d'AvzA: l'Aro, gli avea posti in- 
nanzi agli altri. « DI loro area fatto bol 
ciane contro il conte»; Puti.-<Ad ezen- 
sationom svi tamquam funtorea et fneto- 
rea lutua roi ad aui defensionera »1 Beno. 

34 1x rioorot» dopo breve inseguinsem» 
to, Prosentimento della vicina morte. 

35:36, «Il sogno è un velo, dietro al 
qualo è facilo vedere lo agitarioni della 
veglia: Il realo al rivela sotto al farita 
stico, Raggero, Gualandi, Sitmondi, Lan 
franchi stanno presenti innanzi nl 
niero, orudoli in sò e nel figli, li 
appariacono in sogno cacciando fl lopo 
® Ì lupicini; l'occhio vede animali; ma 
l'anlima sente confusamente che al tratta 
di sò e do' auci Aglinoli, e quel lapo e qui 
Tapicin si trasformano con vocmbolenmar 
no in padre e figli. » De Sametie, 1, è. 

sensa sono li denti ‘pungenti del 


galeoto per galootto, Inf. VIII, 17, eco. 
Cfr. 2. F.,204.= Lor: al padro od ai Bigli. 
+ Kt hlo nota, lootor, quod ai verum fult. 
quod comes aio sombiaverit, mirabile 
somolum fuit; al non alt verum, paleram 
fictionem facit auctor valdo conveniene 
tem facto. Non enim possumna solre we 
ritatem huius fuoti, quia comea inclusa 
nulli locutua eat postoa et mortumm sat. » 

Bent. 
87, nimanR: mattina. Dunque, un se 
gno presso ll mattino ; ofr, Inf, KXVI,T. 
@ domase 


lo sogno 
gnarono în quella notto, cd a cinsobe» 


duno il suo sogno morte, @ 








#30 fosno. s. oro 2] 


Txp. xxx. 76-84 [1MPRECAZ. CONTRO PISA] 





Quand'obbe detto ciò, con gli oschi torti 
Riprese il teschio misero co denti, 
Che furo all'osso, come d'un can, forti. 


Abi, P 


, vituperio delle genti 


Dol bel paese là, dove il sì suona; 

Poi che i vicini a te punir son lenti, 
Muovansi la Caprara e la Gorgona, 

E faccian siepe ad Arno in su la foce, 

Sì ch'egli anneghi in.te ogni persona! 


Jmpodirmi che io più Il toconesi 
tninasi.» Secondo Il Pol., Ugolino 

se è non già el gl 

do' anol, ma che, tratto dall' fstinto 6 00- 
me fuor di sè, x'abbia fatto como un 
tentativo,» Ugolino rnol raccontare come 
da morte sua fu cruda ; ondo, dopo aver 
dssoritto lo spaventeroli sofferenze 
gli ultimi ano dì, conchiudo col dire: 
‘potente ch non il doloro, del quale mi 
mutrivo @ rirero, fu il diglono, il quale 
ini condusse a morte. 


0, ron: diochi. Il racconto dello mio 


peas rinnovò în lui la disperazione dol 
Motore e riacceso l'ira immensa contro 
chi po fu l'autore 

TT. tannO : + ch'egli avea diretro gun- 
ato». 7.1. Mqsere le carni de' figli, v. 08; 
misero sncho Il teacllo dol traditore, Mi- 
seria per miseria. 

Ta. cur voro: che nel rosicchiare il 
sranio di Ruggieri forono forti come 
quelli d'un cono. Al.: cu POR L'ORSO. 
Gite, £. P., 208. Moore, Orit., 304 ax. 

79-00. Imprecanione contro Pisa, 
Uditala narrazione orribilmente dolorosa 
della morto di Ugolino, Dante prorompe 
lu una tremenda )mpresazione contro 
Pisa, angurando a' anoì cittadini totale 
aterminio, Non afferma e non nega che 
conte Ugolino fosse colperole di 
Wbexto appestogli; ma biasim 
di aver termostato cos spaventorol: 
niente giovani innocenti, quali 
figli @ nipoti di Ugolino, Questa iImpre- 
îzione rammenta quella contro Pistoia, 
Inf. XXV, 10 eg. 

TO, anir «La tenerezza e la piotà pa- 
terna diventano ferocia © rabbin, le la- 
prime diventano moral, con infinito ter- 
rore e orrore dogli spettatori. Lo stesso 
minimoto guadagna Dazto. È inforocito 
anche lul; diresti quani, che se 11 avesso 
Tbsanzi, i prunderebbe a mora), quel Pi- 
sani, eitaperio dello genti. » De Somets. 


80. panae: Thalia. = 1, sì: Ja lingoa ita» 
liana; ofr. Vulg. Blog. I, & 

81, vicini: Fiorentini e Lucehes. 
LENTI: @ punirti di sì orrenda crudeltà. 
« Quento peccato commesso per li Pimami 
non rimase impunito »; @, Vil, VII, 198. 
« Inta vindicta, qua vidobatar tantari 
tempore autoris, videtur facta diebma no- 
stria, Nam opora Florentinorum lata ci 
vitas antiquisaima ot olita potentiesima 
marl‘et terra, doduota est ad Infiaum et 


poccatam fulsset fracta insolentia Pisa 
liberta conculcata viribus 


. Cariana: Caprara, 0 Capraia, a 
Gorgona sono due fisolette nel mare Tir- 
reno non Inngi dalla foea dell'Arno, am- 
beduo ni tempi di Dante notto fi domi- 
nio del Pianni. « Cotto imagination post 
paraitre bizarre 0t forese aî l'on regande 
la carto; car l'ilo de la Gorgone eat aumtg 
loin de l'enrbouchuredel' Arno, et s'avaia 
toujoura ponsé ainsi Juaqu'ag four, et 
étunt monté sur Ja tour do Pise, jè fuù 
frappé do l'aspect que, de la, mo peò 
aontatt la Gorgone. Ello memblait fer- 
mer l'Arno, Je comprie alors comment 
Dante avait pu avoir naturellement ontta 
idte, qui m'arnit semblée étrango, ot san 
imaginatlon fut juxtifiée è mes yenxei 
Ampòre, La Greco, Rome et D., 9% th, 
237. Che. Mami, Sigilli 111, 109, Beat) 
110 eg. 

#8 surPR 5 cliluntira, sì che l'Arno, fl 
qualo traversa la città di Pina poco prima 
di versarni mel mare, al ee 
allaghi: he cità a soc ecpniIi 
sona. « Non 10 ge nia più feroce 
che ha i denti infiuai ansi 


Sl'imnoconti dì ona intera letti 
i bgli oi figli dol Agli, Faroro 
RDe Sanetir, 





832. [oeRo.9. GIRO 8] 


Tur. xxx1t3..94-108 





s Lo pianto stesso li pianger non lascia, 
E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo, 
Si volve in entro a far crescer l'ambascia; 
Chè le lagrime prime fanno groppo, 
E sì, come visiere di cristallo, 
Riempion sotto il ciglio tutto il coppo. 
Ed avvegna che si, come d'un callo, 
Per la freddura ciascun sentimento 
Cessato avesse del mio viso stallo, 
Già mi parea sentire alquanto vento; 
Per ch'io: « Maestro mio, questo chi move? 


Non è quaggiù ogni 


|pore spento?» 


Ed egli a me: « Avaccio sarai dove 
Di ciò ti farà l'occhio la risposta, 
Vaggendo la cagion che il fiato piove. » 


séetoro fecero | loro tradimenti guar. 
dando amichevolmente in faccia alle loro 
vittime 

DI. wow Lascia: « però che, come lo 
lagrime nacfrono fuori, ghiacolavono in 
#u gli oschî, l'altre lagrimo non nvovo» 


Mnge, perchè qui ai na quelli che 
sotto pool di banavolenza @ d'amore 
lianno teudito. Hanno dunque dimostro 
sogno di carità, perchè meno sì guardi 
chi vogliano tradire. Et queato eepri 

lo star anpino, che è guardare în so 

vanto Iì eiclo; ma non stanno in forma 


chè quella finta carità nocresoe 
mienito, onde merita maggior anpplizio. » 
Land. 


95; nuOt:: lagrime; la cagione per l'ef- 
folto, - RINTOPTO : propr. urto Ju contra» 
To; qui per impedimento materiale, cioè 
di altre lagrime gelato. 

97. ruIMI: primioramente versate, - 
minori: nin nodo di ghitacelo. 

98. vianmur: veli, bendo, cfr. v. 112. 
Al: A nai vochinti : Îenv., Land., Yelt., 

Dan., Fenf., occ. Gli ocelitali al adopra- 
ia per vedor meglio; qui inveoa le 
fatte ghiaccio, impediscono la vi- 
pete navi ‘iaieca dall alno pel; cre ouopre 
(det guerriero, non ha qui che 
pia 'Pirignie, sucoque otalorum n: 
darai humor>; Ovid., Met, V, 282 ag. - 


< Tei ritoa sani ee vit at gli 
rit oryataliai ab hQUA:.. 
totaed se Rana tao Son, a 

00. corro: apertura concava qui par 
ia 'tavità. dell'occhiala. « Ceppo, in oe 
acana, è vaso di terra cotta da riporti 
Hquidi, La cavità dell'occhio è cose nu 
coppo 0 una coppa, che tien dentro di 
nè 0 conserva gli umori dell'occhio, + 
Coserni. 

100, avveiNA CHK 000.7 quantanque 
por il freddo il mio viso avesse perduto 
ogui scasibiiltà, como #0 fosso ateo tina 
parto callosa, tattavia già mi pareva di 
sentire alquanto vento. 

108, eratto: dal basso fat. stalfumi 
luogo di abitazione. Crsrar atollo me cer 
saro di atare in un luogo; vale x dire, ni 
fosso allontanato dal mio volto, 

108, ALQUANTO VANTO: cho veniva 
dallo all sempre mosso di Lucifero] ft. 
If. XXXIV, 51. 

104. qUENTO: vento, 

105, quaocrÙ: « Ventas eat alleta flmena 
anda... Nascltar cum fervor affendi* du- 
morem, et Impotas fractlonte axprimalt tn 
apiritan fiatum ») Fitrue. Quindi la do 
manda: Como può easere vento qui, dova 
non è sole che dilati a sollevi în vapore 
una parto dell'aria! 

106. avaocio: in breve, tasto; ef Ty 
x, 116. Par. XVI, 70, Bmekek., 102. 

107. Ti YAKÀ eco.: vedrai 69' toi ce 
chi onde questo vento derivi, 

10%. vanonwpo: efr. Try. AXXIF, 
40 agg 





834 [oxRc.3. otRO 3) Ine.xxxni. 119-193 


[esare ALBERICO] 





To son quel delle frutta del mal orto, 
Cho qui riprendo dattero per figo, » 
<0h;» dissi lui, « or se' tu ancor morto?» 
Ed egli a me: « Come il mio corpo sten 
Nel mondo su, nulla scienza porto. 
Cotal vantaggio ha questa Tolomoa, 
Che sposso volto l’anima ci cade, 
Innanzi ch' Atropòs mossa le dea. 
E perchè tu più volentier mi rade 
Le invetriate lagrime dal volto, 
Sappi che tosto che l'anima trade, 
Come feo'io, il corpo suo l'è tolto 
Da un dimonio, che poscia il governa 
Mentre che il tempo suo tutto sia vòlto: 
na Ella ruina in sì fatta cisterna; 


119. oct nurtA 1 « Dicitar prover- 
fami de lo frutta di Fra Alberigo »; 
Mierat., 1.0,» MAL ONTO: oreseluto nel- 
l'orto del male, perchè furono il segnale 
iloltradimento, Altri intendono di Faenza 
<he produoe gente sì perversa. Fenv. ri- 
sorda una tradizione, aecondo la qualo i 
convito del 2 maggio 128% sì sarebbe futto 
nell'orto della villa del Manfredi. + Frutte 
del mal orto è proverbio tonoano »1 Tom. 

180; iiri&nDO: mi è rendnto pan per 
fecaccin: ricevo qui la pena del rulo tra 
dimento, - F100: fico| Parodi, Pull. I1I, 
108. 

A81. 01: nel marzo del 1300 Fra Albe 
rigo viveva ancora; quindi la moraviglia 
di Danto il! trovarne l'anlma nell'Iy- 
forno. = anco: già, non essandosene sin 
qui pdita la notizia. 

123. NULLA soruNzA+ che aln del mio 
corpo las nel mondo, non 40. Giora 
ricordare che i dannati ignorano lo eceo 
Deosanti; ofr. Inf. X, 10î 
Alberigo ignora se il ano corpo 
di Branca d'Orta sembrino ancor vivi 
#3 nol mondo. 

124. VANTAGGIO: prerogativa. GII altri 
orchi infernali non accolgono la aatmo 
to dopo ln loro separazione dal corpo; 
In Tolomea già prima. 

128. ci CADE: quaggià nella Tolomon, 
e Desconlant n Lufornut viventes »: 
Paol, LIV, 16. 

120. AtLOrÒS: quella dello tre Parcho 
to ha l'ufficio di rocidere lo stame della 
vita, Ma porchò racconta Sl dannato que. 


ate cosof Se egli orede di parlare con 
un'anima dantata alla Giudecca, pare 
che dovrebbe supporre che quell' anima 
ao lo sappia già. SI rispose» « Potrebbe 
anche supporre che quell'anlina nén se 
lo nappia. > 0. Marr. Ma ni stenta a 
eroderio. Alberigo non poteva sapere 
#0 queste anime non fossero osso pura 
di quelle che scendono già nall'Infermo 
prima di easorni separato dal corpo per 
morte. 

127, Ravi: rada, tolga To lagrime 
plilacelato, 

129, tuAD&: tradisce; da trasere, lati 
namento, per tradire, come Fnf. XI, 66. 

10, comm: dunque non a tutti i tea 
ditori, ma soltanto al più neri tocsa tal 
sorte. O forse solamente a quelli della 
Tolomea! Dal voro 1% sembra verte 
mento cho ala così. Ma avendo Datite 
avidentemento preso Îl suo concert da 
San Gioranni, XIII, 27 (<Rt post ne 
celiam, tano fntroîvit in filum [Giudo] 
Satanna »), al dovrebbe supporre che ar 
che Ia Giudecca nvenno cotal 

131, covatza: faonndo le veri 
l'anima. 

122. xkyTRE 000,1 per tutta quel tempo 
che, secondo il destino, quel corpo deve 
vivere. « Brevos dies hominis sont, 
merza menalam lun apud te osti 
stitalsti terminos eius, qui prsterii u00 
potarunt »; Job, XIV, 8 — votato: pas 
sato; ne sia compinto Il gico, 

123, pi sl: in questo poazo infernale, 
che è così fatto como tu vedi, 





D GIRO 3) Tyr. xxxim. 134-150 {snANCA D'oRtA] 395 





E forse pare ancor lo corpo sns0 
Dell'ombra che di qua dietro mi verna. 
Tu il dèi saper, se ta vien pur mo giuso: 
Egli è sor Branca d' Oria, e son più anni 
Poscia passati ch'oi fa si racchiuso. » 
«Io credo » diss'io Ini, « che tu m'inganni; 
Chè Branca d’ Oria non morì unquanche, 
E mangia e bee e dorme e veste panni. » 
«Nol fosso su» dias'ei, « di Malebranche, 
Là dove bolle la tenaco pece, 
Non era giunto ancora Michel Zanche, 
Che questi lasciò un diavolo in sua vece 
Nel corpo suo, ed un suo prossimano, 
Che il tradimento insieme con lui fece. 
Ma distendi oramai in qua la mano; 
Aprimi gli occhi! » ; ed io non gliele apersi; 
E cortesia fu in lui esser villano. 


» casa dol diavolo prima di avervi mane 
dato |) suocero, 
146. xD UN: 0 un ano prossimano (pipa 
VaRxA= è qui distro a mo nol te, dn. Aor., Beue.; © cngivo, Ot.) feto 
tnlfermale, cioè nel ghiaccio della lo ntenso, Inariò cloù un diavolo im sta 


196. ruR NO: In questo momente, solo 
sora; ofr. If. X, Sì; XXVII, 20. nel corpo di quel ano parente? O prete 
Jo stosso diavolo possesso di dee corpi, 
facendo Je veci di dun anime! 1 ecdd. 
banno adum, alcuni et ven; l'adum par 
da leggero ed ven. 

148, ONAMAL: Al: OMAI, GOMIMAT, 90. 
Ora che ho (ntto quanto ehiedesti è più 
nucora, ofr. v. 115 ng. 

140, Armi: berandomi dal viso 1 dust 
well, v, 112.-auieLE: cos dissero lnfinite 
volte gli antichi invece di glieli, rome al- 
uni leggono; ofr. Oimonlo, Partte., 192 
Oortical 11, 


10, coxtaRA: atto di cortesla, tled 
di gratitadino verso Dio; efr. Inf. XX, 
28, «Questo «i Intendo che Il mom fer 
cortesia n frate Alberigo fia cortonia. lmi- 
però cho non si dee fare villania ai mng- 
giore, par faro certosia al minore cho 
nera la merita; aprir li cechi a colni era, 
secondo la finzione di Tunte, fure contro 
mila giustiela di Dio, ha qual com anrebba 


Al LUt. = YILLAWO: new mani 
Ja promessa, v. 110 Agg: 





836. [okno. o. Gmo 3) Ixy. xxxni. 151-157 


15 Abi, Gonovesi, uomini diversi 
D’ogni costume, e pien d’ogni magagna, 
Perchè non siete voi dal mondo spersi? 
Chò col peggiore spirto di Romagna 
Trovai di voi un tal, che per sua opra 
In anima in Cocito già si bagna, 
am Ed in corpo par vivo ancor di sopra, 


V. 151-157. Invottiea contro è Geno- 
west: Riponsandonl tradimento di Branca 
d'Orla, Dante lnvolace contro | Geno- 
veni èd augura loro lo sterminio, porchè 
ento altona da ogui buon costume. Dello 
atato e dei costumi di Genova verso il 

1300 Zaonpo d'Oria nerive: « Quamvia 
ila tomporibos civitas Lanum in tanta 
emtot sublimitato, potontia, divitila et 
bonore, nibilominna tamen în civitate 
et extra homicidm, malofactoros, ot fa- 
atltim contemtorea multiplicare empe- 
ront. Nam tempore dicti l’otoatatis ma- 
lofaotorea quamplarimi gladiis et incula 
ad invicem dio noctuquo percutiobant, 
no etiam perimebunt. » Murat., Serîpt. 
I, 608; ofr. Vinz., Asm. XI, 700 ng. 

351 DIVERSI! mstranol ad ogni costu- 
mo ontato. « Alieni ab omnibus alile ho- 
minibua in moribus, prwscipue în espi- 
ditte quirendi et parcitato servandi. 


Noli enim italici vivunt anisorsas, li- 
cet in apparato et ornata extertori sint 
Spioadii >; Bene Cfr... Ferretst.V, 
tà agi 

152. san4ona: visio. « Uno Noffa 
Del,... pieno d'ogni magagna»; &. Vit 
VII, 92. 

153. srumsr: disporaî, steruinti; oîr. 

(XXV, 10 agg. 

154. sento: Alborigo dei Mxnfrodi, 
da Faenza In Romagn 

156. DI vor ux raL: Branca d' Oria, 
rostro conclttadino. — ORA » malvagia; 
in pona del suo tradimento. 

156, naosA : 1a dove i peccatori stanno 
freschi, In. XXXII, 117. Bagno freddo, 
nello stagno gelato dol Cocito. 

167. rar; appare, nì mostra, — Di 80- 
rua: nel mondo. + Perchè secando la fa: 
zione dell'A., ancora ara vivo quanto a) 
corpo »; Butî. 





Lerro, 0. GiRO 4) XXXIV. [xtotrERO) 397 





CANTO TRENTESIMOQUARTO 


CERCHIO Né ® FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI 


GIRO QUARTO — GIUDECCA: TRADITORI DE' BENEFATTORI 
{Intoramente confitti scîto la ghinccia în quattro diverse postare) 


LUCIFERO E LA SUA STORIA 
Ummerso nella ghizcela da mezzo petto in giò, e di forma mostruosa) 


BOCCHE DI LUCIFERO: TRADITORI DELLA MAESTÀ 
(Maekullati dai denti di Lucifero, è Gioda ane 
GIUDA ISCARIOTTO, BRUTO E 


DAL CENTRO DELL'UNIVERSO ALL ALTRO RMISFERO 


« Verilla Regis prodeunt Inferni 

Verso di noi: però dinanzi mira, » 

Disso il maestro mio, « se tu il discerni. » 
Come quando una grossa nebbia spira, 

O quando l'emisperio nostro annotta, 

Par da lungi un molin che il vento gira; 
Vader mi parve un tal dificio allotta : 


3. 6E TU IL DISCRkXI: se l'oscurità non 
V impualaco di dieitngnerio; 

4. cuossa: fitta. “arma : asala; 0 forse. 
«appropria lo apirare che è dell'aria alla 
nebbia, pereloschè è dall'aria pertata è 
meosna »3 Lord. 

5. AxsortA: quando incombe la ser. 

8. rAR: appare, ai mostra, - CIER IL 
vesto ama: un mulino a vente, 

7. 


Lorta: allore1 ott. Ii. V, 591 J0XIy 
119; XXXI, 112 











844 [aancra aL euro.) Ixp. rxxiv. 944-110 (capvra DI LUCIFRRO] 
LI « Lévati su » disse il maestro, «in piede! 
La via è lunga, e il cammino è malvagio, 
E già il sole a mozza terza riedo. » 
Non era camminata di palagio, 
La 'v'eravam, ma natural burella, 
Ch'avea mal suolo e di lume disagio. 
< Prima ch’io dell’abisso mi divella, 
Maestro mio, » diss'io, quando fui dritto, 
«A trarmi d’erro un poco mi favella. 
Ov'è la ghiaccia? E questi come è fitto 
Si sottosopra? E come in sl poc'ora 
Da sera a mano ha fatto il sol tragitto? » 
Eà egli ame: «Tu imagini ancora 
D'esser di là dal centro, ov'io mi presi 
Al pel del vermo reo che il mondo féra. 


Di là fosti cotanto, quant’io scesi; 
Quando mi volsi, tu passasti il punto 


tara ch'è 7 monte della espiazione»; An 
fomelli. Cft. Oranam, D. et La phI.catAol., 
1645, pi 142 ngg. Agnelli, Topo.eronogr. 
Ml ag.. 83 ag. 

Md Levant: ofr. Inf. XXIV, 58, « Sed 
Jam age, carpo vinm at susceptum perfic 
miunus; Adoslererus, aît »; Viry., den. 
VI, 6tà ag. 

DI. LUNGA : lovendosi risnlire dal cen- 
ti alla auperficlo della terra. - 

101 dittictie, 1 calle essendo stretto, 
sstoaro ad inaguale. 

Di, Mizza TURZA: gli antichi divido. 
raro JI giorno in quattro parti: Terza, 

Vosporo. La Terza avera 
‘nascita del Sole Sono dnn- 
8 di mattina nell'emi 
8 di sera nel boreale; 


IV, 31. Nociti, Orari 
a. Sell'apparunte contraliziane col 
pei al vi 100 x 


de' signeri sogliono essera bon pi 

Dea tamnincee »s But. Propriamente è 

da naîa con camino, Cfr. Bull. X, 6. 
DA: ntmtita: da duro = buio, luogo 

‘dacaro, carcere stretto e tonebroso. « Da 

nai questo nome spacialmente ai sotter- 

pamal dell'anfiteatro fiorentino, dove si 


Or. Ofr. 
sorio 2, Bologna, 1904, p, car: ha 

09. sar: ineguale, orto 0 ronchiome. - 
DIRAGIO: manco |< Arola via as; 
ducit ad vitara »; Maét. VII, 

109, amisso:1 Inferno 


cnatodivano lo flero per gli metta; 
o, Ricerche © 


mono, esc. L'erroro è quello già nocen- 
nato, v. 88 agg. 


104. roc' ona: Il tempo Implagato a 
acondero © a aaliro per il. corpo di Dite, 

105, Atita tor, v.68. -MAmE 001, 7. ML 

107. pi LA: nella regione boreale. — att 
ansi) mai 

108. varo » Luciforo, etr. Inf: VISA 
Vermo sì disno anticamente di egni fiara 
sobifona, — rORA | passa da una parto al- 
l'altra, cmendo confitto nel centro della 
terra. 


109, scrai: lungo Il corpo di Lucifero, 
SALTI 

110, rumro: il cestro della terra, lì 
quate, secondo le opinioni del tempo, è 
pure {1 centre della gravitazione soft. 


1, p.307 ag, «Ea, quae sat media et nova 
tellus, neque movetar, et infima srt, di 





346 [sanira aL PuRO.] Ixp. xxxiv. 125-189 


Per faggir Inî lasciò qui il luogo voto 

Quella che appar di qua, è su ricorse.» 
Luogo è laggiù da Bolzebù rimoto 

Tanto, quanto la tomba si distende, 

Che non per vista, ma per suono è noto 
D'un ruscelletto che quivi discende 

Per la buca d’un sasso, ch'egli ha roso 

Col corso ch'egli avvolge, e poco pende. 
Lo duca ed io per quel cammino ascoso 

Entrammo a ritornar nel chiaro mondo;. 


E, senza cura aver d'aloun riposo, 
Salimmo su, ei primo ed io secondo, 
Tanto ch'io vidi delle cose belle 
Che porta il ciel, per un pertugio tondo; 
198 E quindi uscimmo a riveder le stelle. 


V. 127-190. Salita all'emiafero an- 
strale. I duo Pueti escono per una ca 
rità cho laggià per l'oscurità non mi 
edo, ma che è attestata dal romoro 
d'un ruscellotto che discendo por essa; 
salgono mu all'emisforo australe, 0 rive 
dano Il alelo @ lo ntello. 

127. LAGArò + nali' interno della terra, 
— Baiznsd: (Dews avverrunene museo 
rum, Ul Zeòz "Aréuvios dei Greeî) no 
me dato nol Nuovo Tastamento al prin 
olpo dei domoni, cfr. Mare. XII, 24, 21 
Afareo LIL, 23. Luos XI, 15, 18 

1a. raso : dal centro dov” è Lucifero, 
Ta cavità ni distende dalla parte dll'emi- 
afro auxtrale tanto, quanto discende nel: 
in parte dell'emisfero borealo la carità 
Infernale sino a Lucifero, » roma : l'Im- 
ferno, dotto altrove fosse, Taf. XIV, 
136; XVII, 68. « Mortum vst aotom et 
diven et sopnitus est in Inferno»; 

xvi, 2 

120, vista: non si può vedore per la 
grande cecurità. 

130. REMORLLETTO: Lete, che toglie allo 
nnlme purilcato la ricordanza del poe- 
ento; Purg. XXVIII 121 agg.; e travolge 
1 peccati giù nel contre, como fanno dal- 
l'altra parto i Onmi infernali ; ondo tatti 
‘quanti i peccati ritornano finalmente al 
loro principio che è Luclforo. 


131. nuca: il foro fatto da Lucifere 
ondendo dal elal 


ve: è poco Incltasto, e per quento è pot- 
aibilo di salire contro fl #a0 corso, quasi 
per una scala a chiocciola, Ma ta salita 
è, 6Iò nonostante, aunai malagovolo, eft. 
v. 96 

138. 2s0aso: privo di lusa è truvato 
da pochi; etr. Matt. VIL, 14. 

154. A RITORNAR: Al.: PRR TORNAR. = 


la foren lunga e matagevolo. I 
duo Porti impiegano a risalire prosa a 
poco tanto tempo, quanto n° era loro ot 
corso a discendere per la carità infor 
une: circa 21 ora. 
cosk met: Al sole a lo stella 3 

oft. Ing. I, 87 agg. « Auche prima d'ete 
sore ln cima del sotterraneo ascendente 
cammino, vido il Poota all'apertera dell 
32520 solntillar qualche stella. E dicendo 
ch'egli nec) a riveder le atello, dice in 
siemo che allora era notte, e bea prepara 
alla della laon, » Antonelli. 

138, rantvoro : la duea del r. 191. 

139. QUINDI: por quel pertagio tende. 
«sTRLLE: tatto 6 tro lo cantiche Sniscene 
con questa parola oft. Ore. Lipe. I}, 
883. Vedi puro lant. a Patry. XXXIII, 148. 





LA 


DIVINA COMMEDIA 


CANTICA SECONDA 


PURGATORIO 


CANTO PRIMO 


PROEMIO DEL PURGATORIO 


LE QUATTRO STELLE, CATONE CUSTODE DEL PURGATORIO 


Per correr miglior acqua alza le vele 
Omni la navicella del mio ingegno, 
Che lascia dietro a sè mar si orudole; 

E canterò di quel secondo regno, 

Ove l'umano spirito si purga, 
E di saliro al ciel diventa degno, 

Ma qui In morta poesi risurga, 

0 sante Muse, poi che vostro sono; 


V, 1-12, Prelulio ed invocazione. riîn, come quella trattata nella prima 
Provenia 


da proponete del ito cantica. 
da trattarsi, Dante favoca Je Muse în go- —4 necso: del Porgnterlo, I dottori 
serale wi ln particolare Calllopen, non della Chieta lo lmmaginarono nello re- 
Ramta fora come Musa della possia epica, gîoni sotterra, confinante coll' Inferno; 
ef. Petr, Lomb, 1 V, 45, Thowa, Ag., Sum. 
MI, Suppl. 60, 10. Elueidar., 62 Ag. 
Dante creò su iargatorio più protico @ 
Na ridente: una Ssoletta nell'oceano, e 


aniemine, a'aìca a guba di cono tresonto 
Wila cima, dove tinisce in mu'amenlssima 
Pianura, chio è lì Paradiso terreatro, Cfr. 


sivora cantò 11 regno del 

ite, Daf. VILI, 85. Com I più, 

Ali La poeeia, allora negletta, a peretò 

merita, ciò è contro la storia. - pomal: per 

poesia, sntio, anche in prosa; ofr. D'Ort- 

o, At Purg, e i suo protudio, p. 10 egg: 

8. YOSTRO: vostro doveto, coune portai 

alt, Purg. XXLX, 37 agg. Horok, Od. 
LIE, rv, SI ag 








Pura. L 49-99 


To duca mio allor mi diè di piglio, 
È con parole e con mano e con cenni 
Reverenti mi fe' le gambe e il ciglio. 
Poscia rispose lui: « Da me non venni; 
Donna scese del ciel, per li cui preghi 
Della mia compagnia costui sovvenni. 
Ma da ch'è tno voler che più si spieghi 
Di nostra condizion, com'alla è vera, 
Esser non puote il mio che a te si nieghi. 
Questi non vide mai l'ultima sera; 
Ma per la sua follia le fu sì presso, 
Che molto poco tempo a volger era. 
Si come io dissi, fui mandato ad esso 
Perlni camparo; e non v'era altra via 
Che questa per la quale io mi son messo. 
Mostrato ho lui tutta la gente ria; 
Ed ora intendo mostrar quegli spirti 
Che pargan eè sotto la tna balia, 
Com'io l'ho tratto, sarla lungo a di; 
Dell'alto scende virtù, che m' aiuta 
Conducerlo a vederti ed a udirti. 


REL ire pol nel Limbo com —«Litteralmente dice della morte corpo» 
v Marzia. rale, et allagoricamente x' intendo della 
morte spiritnalo »; Mwtk. Cfr. Gone. IV, 7. 
39. voLtla : abbandonando la verana 
via, partendosi dall'oso della ragione e 
non considerando nè fl fino della sua 
vita nè il cammino che doveva fare ott. 
Dona, TY, 7, Inf. 1, 1 agg: 


Hiocchi ctr. 108, 
52. Da 30 to : 
intuito. AL Per virtà mia, collo mio forra. #1. nABSLI T, TGA - MANDATO | da Bor 
BI. poxna: Beatrice; eîr. Sf. II, 62 trico; or. Inf. IL, 58 agg. 
rl 62, KON VERA ALTRA via: per mal 
varlo tion vera altro moto che guidarlo 
attraverso { regni della morta geato ; efe. 
Inf 3,91 agg.. 112 agg 
W. TUTTA: non ogni siagolo dunanto, 
ma tutto lo divers olasel di danmmti. — 
queste uiA: | dannati. Rio por reo anth- 
camento anche In prosa. 
#6. APIRTI: lo antroo del Pargatorso «qui 
mundwatnr a poccatis In Purgatorio, e 
Je tu om cuatos »; Bene, 
88. ALTO: cielo. Nom avre! potmba gni 
durto ata qui senza ainto del rina. 
#0, UDERTT: n sapore da te ju qual modo 








858 [rmoemo] 


Puro. 1. 98-112 





D'alenna nebbia, andar davanti al prîmo 

Ministro, ch'è di quei di Paradiso. 
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, 

Laggiù colà dove la batte l'onda, 

Porta de’ ginnchiî sopra il molle limo: 
Null’altra pianta che facesse fronda, 

O indarasse, vi puote aver vita, 

Però ch’alle percosse non seconda, 
Poscia non sia di qua vostra reddita; 

Lo sol vi mostrerà, che surgo omai, 

Prender lo monte a più lieve salita.» 
Così sparì; ed io su mi levai 

Senza parlare, e tutto mi ritrassi 

Al duca mio, 6 gli occhi a lui drizzai. 
Ei cominciò: « Figliuo], segui i miei passi: 


sorpreso, afuacato dalla infernal nobbia. 
Circa sorprizo par sorpreso cfr. Nannue., 


Verbi, 400 sg. 
Sha Sencerno: l'angolo portiere del Par: 
XX, 78 gg. Al: L'at- 


‘fr. Purg. 
gelo Tuc osceno. ‘Purg. 11,28 spg. Ma nò 
ito e Virgilio gli andarono dinanzi, nò 

quan'angolo badò punto a loro. 
100, ab NO: nel punto più basso, ugo 

la spiaggia; « quin fu loco baso rivit ot 

viget humilitas tatior contra impotus ad 

Fermorom, quam alta suporbia »; Zeno. 


ALtirA sl " omiltà 4 fl solo 
prinalpio di purgaziono. Bene, per lo al- 
tre piante intendo lo altre rirtà, como 
giustizia, magnanimità è fortezza, cho 
non si piegano Innanzi al colpi delle nv- 
versità. Invece 'An.Fior.:«Per la pianta 
wuol diro ot mostrare l'uom superbo; et 
dico che veruna pianta che induri o fno- 
cla fronda quivi non può aver 


et diventi ostinato non può quivi 
logo.» 

104. IxDuRARIE: divontasso dura. 

Os rRRcORNI urti delle onde, v. 101, 
@ dol turbine, ofe. Ly. XXVI, 187 ag. 
= Nos Aecoxna: non cedo, phegandosi. 

108. poscia; che Dante sarà cinto 0 
lavato. — nanpira: ritorno; « quia homo 
TRagresana Porgatorinm, idest panniten- 
tim, non debet amptina redire rersus Tn: 


farnuro, ldout vitia a quibus reosalt»; 


ono. 

107. moRtRRRÀ : efr, Inf. I, 18, X Poeti 
dorono salire Il monte da levanto 
a ponente accondo Il giro del solo. ume 
ox: of, v. 19 agg. « La contemplazione 
dol elolo, il colloquio con Catono, averan 
già preso tanto di tempo, ch'era ormai 
spuntata l'aurora, a al volger del Sole 
mancava poco »; Antonelli. 

108. FisDI: così con molti cadi. 
Beno., Serrav., Lomd., 000. X più: Pia 
DETR; ofr, Moore, Orit., 308. —A #7d ok- 
7%: dove Îl monte ha ascesa mon ripida; 
ete. Inf. XIX; 85. Prg. IL, 76. 

109, così delto questo, scomparve. 
Non sembra necessario ammettare ehe 
Catone ai rendesse invisibile, como amp. 
porgono Lomb. ed altri. Mt LEVALI dalle 

im ginocchio; or. v, fl: 
MI RITRASSI : nt strinat; of. fn 
XXI, 97. 

131. Distzzati « quasi dicerem: asce me 
paratam facore obedienter omnia impo 
rata»; Meno, 

V. 112-130. Dante ricînto a Zevalo 
da Virgilio, Scomparso Catone, 1 due 
Pooti si accingono senz'altro nd emegrirt 
ciò che egli ba loro imposto, Vanno due 
que giù vorso la apiaggia, Virgilio lara 
colle ano mani il volto del ano alittino è 0 
cingo com un giuneo 
di measo agli altri giuneht. XI rica: 
200 sa dito là, di dove Virgilio lo ha nvelta 

112, PIGLIVOL, AROUI T MU ASS) Ali 
SIOUISCI LI MIRI FARSI 





358 [eRoemt0] Puro. 1. 125-138 [oANTE x yIRGILIO] 





Sonvomente il mio maestro pose: 

Ond’ io, che fui accorto di sn° arte, 
Porsi vèr lui le guance lagrimose: 

Quivi mi fece tutto discoverto 

Quel color che l'Inferno mi nascose. 
Venimmo poi în sul lito diserto, 


Che mai non vide navicar sue acque 
Uomo, che di tornar sia poscia esperto. 
Quivi mi cinse, al come altrui piacque: 


O maraviglia! Chè 


qual egli scelse 


L'umile pianta, cotal si rinacque 


196 Subitamente là, onde 
125. soavaanentE: efr. Inf. XIX, 130, 
126. ANTE: intenzione; mnî accorsi che 

rolora lavarmi $1 volto. Porchè al feco 

Dante lavare il volto da Virgilio Invece 

di lavarnalo da ad 
127, LAORIMORE: dove &rano ancora | 

elle lagrime veraate durante Ii 


sogni 
viaggio per l'Inferno, Alouni si avrisino 
obo Dante piangosso în questo momon' 


odi penitenza, 0 di tenorerza, o di giv 
Sombra però che, uscito dall'Interno, 
Dante non veranse più Incritno, tranne. 
Purg. XIIL, 57, ad all'udire 1 rimpro- 
Tert fttigit da Bantrioos fr, Purg. XXX, 
UBI XXXI, 2 

128 7eOE éoc.: «mi rendè, lavandomi, Il 
natural colore, 


119, colon: naturale, coperto d 
sovrapposizioni caliginosa dell' Inferni 
LI 


stato un po' troppo presto 
tuso Inutile Il viaggio xi 
dolla purificazione ; ctr. 
142 agg. 

130, rusunto: cfr. v. 118 


15à roRKAR: Indietro noll' emisfero 


abitato, Il lido dell'isoletta, dov 


Purg. XXXII, 


l'avolse. 


approdar navigando uomò alcuno, che 
poi ritornasno indietro, chè Ulisse non 
ritornò più; ofr. /nf. XXVI, 136 agg. 

188. cus: con un giunco schietto. = 
aLritut: a Catone; ofr. v. 94 agg Com 
1 più. TI Buli leggo A LUL e mpiega: «A 
Aut, cioè a Virgilio, » 

194. scria: colto, acegliondola tra 
altre. 

195, KINACQUI! « Primo avuleo [il qual 
avulso rendo ragione della lex. avete nel 
v. 130) non deficit alter Aurona wt si 
mill frondoscit virga metallo =; Fîrga 
den. YI, 143 ag. - «Qui mostra che non 
CÒ scema la graria di Dio por avere più 
possossioni, ma cotanto come n'è tolto, 
altrettanto si no rinnovella») Tax. Cas 
puro Ott., Cuse., occ = « Non vuoi dive 

la scienza eb la virtà, 

ta al dia 0 a° insegni altruf, nom 

| scemi et non manca al donatore, ma 
> quella ch'oglidona, et più, se no trova»; 


uno noto umilitatis nascitur ulius, st 
| virtus est communia offerona se valente 
quo valenti cam amploeti, st tramafun 
ditor ex uno fn allum, neo recipit di- 
minutionam »; Così puro Serrer., Landi, 
Vell., ecc., ® parecchi moderni. 





Pure, 1. 1-8 





CANTO SECONDO 


3 ISOLETTA 


L'ANGELO NOCCHIERO, ANIME CHE ARRIVANO, 
CASELLA, DI NUOVO CATONE 


Già era il sole all'orizzonte giunto, 








[AnTIP. ISOLETTA] Puro, u. 19-38 [Ax6ELO xoccniERO] 361 





mm Dal qual com'io un poco ebbi ritratto 
L'occhio per dimandar Io duca mio, 
Rividil più lucente e maggior fatto. 

Poi d'ogni lato ad esso m'appario 
Ta non sapea che bianco; e di sotto 
A poco a poco un altro a lui n’uscìo. 

Lo mio maestro ancor non fece motto, 
Mentre che i primi bianchi apparser ali; 
Allor che ben conobbe il galeotto, 

Gridò: « Fa' fa' che le ginocchia cali! 
Ecco l''Angel di Dio! Piega le muni! 
Omni vedrai di ui fatti officiali. 

Vedi cho sdegna gli argomenti umani, 
Si che ramo non vuol, nè altro velo 
Che l’ali sue, tra liti sì lontani! 

Vedi come le ha dritte verso il cielo, 
Trattando l’aero con l’eterne penne, 
Che non si mutan come mortal pelo, » 

Poi, come più e più verso noi venne 
L'uces] divino, più chiaro appariva; 


20, pisana: ehe ame al fosso quello, 
Ri, givrbit: lo rividi più tuoeate e più 
Parchò già assal più vicino. 0, ‘ora innanzi, duranto Il tuo 
mistico viaggio, vedrai molti di questi 
ministri di Dio; con che non è uataral- 
monte iletto cho questo fossa il primo 
angelo vetuto dal Poeta: cfr. Inf. IX, 
89 aghi 
31. s020xa + non fa verun uso di quelli 
acoumenti, di cui gli vomini si servono 
per navigare è governare lo navi, come 
tomi, velo, alberi, marte, cor 
33. L'ALI: cho gli servono di somed 
vole: e Remigiam slaram »: Vir, dem, 
VI, 10. - LONTANI; dall’ano all'altro qui: 
aturo, dalla fico del Tevere all'isola del 


tl 


I 


asselì 
tisi 


ma uocel divine per averne manzionato 
Je ale, come chilanò wosetli anco $ diavoli 
Miati, Dyf. XXI, 081 XXXIV, 47; così 


L 





862. [ANTIP. SOLETTA] PURO.31. 39-51 


[ANGRLO NOCCHIERO] 





Per che l'occhio da presso nol sostenne, 
Ma chinail ginso; o quei sen venne a riva 
Con un vasello snelletto e leggiero 
Tanto, che l’acqua nulla ne inghiottiva. 
Da poppa stava il celestial nocchiero, 
Tal, che farla beato pur desoripto; 
E più di cento spirti entro sediero. 
« In exitu Israel de Mgypto » 
Cantavan tutti insieme ad una voce, 
Con quanto di quel salmo è poscia scripto. 
Poi fece il segno lor di santa croce; 
Ond'ei ai gittàr tutti in su la piaggia: 
Ed ci son gì, come venne, veloce. 


Stazio chiama Mercurio : « Volucer Te- 


«Corti corpi] sono tanto vinosnti nella 
pucità dol diafano, che diventano sì rag- 
gianti, cho vincono l'armonia dell'oc- 
«bio, © non si lnaclano vedore senza fa- 


40. ouDNAIL: china l'occhio a terra. 
dl. vasizio: rasoello, navicella; è 
ll più Here dune di che avera parlato 


non toccarlo neque, tattochè tanti fossero 

| navigaoti sovra eso»; Tom, Le acque 

le avrà pur toccate, ma come so non 
DC) 


wiga colle ali dritte verso fl cielo, l'attro 
batto col remo qualunque anima sl ada- 
gia: l'uno th fl segno della croce, l'altro 
n'adlira 6 bontommin: l' aspetto dell'ano 
è bntificanto, quello dell'altro 
tavola, eoc.; tr. Inf, ILL, 2 agg. L' 
Uteni mon è certo canale, ma moditata 
© voluta. 

U. Tar: in anpotto Gi atto sì divino, 

to di 


la descrizione, Al: ranza nato rm 
@nolsi Interpotrare; Tal 


45, CENTO: « quant dicat, molti; tamen 
Charon habet matorero multitadinoza fn 
qua navi continno, quia pro tmo qui fem 
dit ad ponitentiam, mille sunt qui ten: 
dunt ad poccandati >; Bene. - SIRO: 
per sedevano. Cr. Parodi, Bull, III, 199 


tende che nell’ uscita dell'anima dal pe 

cato, essa al è fatta santa e libers fn au 

puasiate OSE TIA Epiat, Kani, 
Zarrro è Rarrro, 


4 com 
tutto intiero mesi Salmo. 

49, veos: bonedicendoli e liconsis 
gli; efe. Taf. XX, 00. 

30, 61 lager 


SL nta nest" nel eni 
alzo 6 nl cal ll è att e ma 


secco nce 








[ANTIP. IS0LETTA] Pusa. u. 52-69 





ss La turba che rimase lì, selvaggia 
Parea del loco, rimirando intorno, 
Come colui che nuove cose assaggia. 
Da tutte parti saettava il giorno 
Lo s0], ch’avea colle saette conte 
Di mezzo il ciel oneciato Capricorno, 
Quando la nuova gente alzò la fronte 
Vér noi, dicendo a noi: « Se voi sapete, 
Mostratene la via di gire al monte. » 
E Virgilio rispose: « Voi credete 
Forse che siamo osporti desto loco; 
Ma noi siam perogrin, como voi siete. 
Dianzi vonimmo, innanzi a voi un poco, 
Per altra via, che fu sì aspra e forte, 
Che lo salire omai ne parrà gioco. » 


L'anime che si far di me accorte, 
Per lo spirar, che io era ancor vivo, 
Marnvigliando divontaro smorte; 


V. 62-75, Le amime novamente a 
private. Gli spiriti or orm giunti si m 
Mirano inesperti dol luogo, è chiedono 
dine Poeti che Insagnino Jore la via per 
sul al sale ti monte. Yirgilio rispondo 

ani la santo, easezsio snc! 

‘arrivati, ssbbano per altra via, 1n- 

tanto gli mpiriti, accortiai che Danto è 

ivo, gii si affollano fatorno e lo mirano 
di stepore © di meraviglia. 


[abe 
‘essi 


R'agesto di Cino da Pci 
|: «selvaggia cioè truna 


conoscere lo lose 
lore 
fi 


saggio di nuove co. 

quarto cam; il sole 

A amoi raggi su tatte le parti 
atntralo, devo si trovavano 


— CONTE: chiaro: 
‘ala vide quod, alcut 
0] ortens osteadte- 


ut ela Îter, ot ascendobut panliatito, ui» 
cut et ipa necende Reno, 


38, nuova; arrivata or ora, quindi 
nuora In questo stato; Zaf. IV, 52, 

(2. raristis conosonaiti, pratici del 
Taogo. Al: aFTRTI. 

63. rrteoni: stranleri. « È petogrino 
eblunquo è Maori della son patria » i Fita 
Nuovo, $ 41; ofr. Purg. XII, 86. Par. 
VI, 138. 

65. ALTRA: divoras dalla vostra, — 
aspra: malagerolo ed orrida; eft. Taf 
1,5; II, 2. 

#6. 10001 falle è piscerole, in par 
ragone colla via da moi tin qui percorsa. 

05, LO srmnani ti renpiro, «l'atto della 
gola » Inf. XXIII, 88. 

0). xranavioniax0o : mararigliandcnt 





884 [antir. isoLsTTA] Puro. 11, 70-82 


EC) E come a messagger che porta olivo, 
Tragge la gente per udir novello, 
E di calcar nessun si mostra schivo; 
Così al viso mio s'affissàr quelle 
Auime fortunate tutte quante, 
Quasi obbliando d’ire a farsi belle. 
To vidi una di lor trarresi avanto, 
Por abbracciarmi, con sì grande affetto, 
Che mosse me a far lo simigliante. 
O ombre vane, fuor che nell'aspetto! 
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, 
E tante mi tornai con esso al petto. 
82 Di maraviglia, credo, mi dipinsi; 


70. OLIVO: antionmante per segno di 
paco; ofr, Vàry., 4en. VILI, 110; XI, 101. 
‘Stat., Theb, II, 380; al tempi di Dante 
per segno di buone novelle in generale; 
otr, @. Vul. XII, 105. Murat, Seript. IX, 
128; XVIII, 462. 

Timaoos accorre, gli sl folla intorno. 

72. catcan: nesuno prendo cura, af- 
follandosi, di non calcar l'altro. 

TA. PORTUNATE : « porchè speraa di ve- 
nre, Quando che sis, allo beate genti »; 
Inf. 1 119 ag 

75. OmuLIANDO : ofr. Inf: XXVIII, 52 
Affir. = PARBI NRLLE: puridesra. 

VW. 760-117. Casetta, Uno spirito si fa 
Innanzi per abbraociar Dante, 0 questi 
vuoî nbbracclar ini, ma invano. esa 
quegli Incorpareo, Dopo un breve 
quio, Dante lo prega d'intonare un can 
® Omsolla canta +) dolcomente, cho tutti 
reutano 1) ad udiclo, sensa pensare a al- 
tro, DI questo Cansila si hanno poche no- 
tizio, Nella Vaticana (cod. 3214) trovasi 
un madrigale di Lermo da Pistola, cde 
fiorì elrea il 1300, con questa indicazione: 

2 Casolln diodo il suono », il 
vba le parole di Lemmo orato stato messo 
in mustonda Canella; cfr. , Poeria, 
TLX, #21. Lan. (0 Ott.):<Fu nel tempo del 
l'autore finiuaimo cantatore, e già intonò 


canzone et dalialo, cho questi intonò; et 
 Danto dilestò forte l'adirio da lui. + Ed 


il Faleo Boee.: « Rea jatatà Sinteaimno ma 
stro di canto e di suono, intanto ebe assai 
volte diode a Dante di gran piaceri a di- 
lotti, E fa contui di qualli cho al fadagià 
a pentere inaino alla fino dé maol di per 
lo diletto di canta, » 

TÙ. TRARKESI AYAXTR: farmisi Incontro, 

T8. a YAR ec0.: a corrorie incontrò per 
abbracelazla. 

TO. vaxK: hanno forma corporea, mia 


ovo i corpi de' beati non nono palpabili 
che dopo la risurrezione; efr. hem, Ag. 
Sum, theol, III, anppi. 30 ag. Comp. theel. 
I, cap. 108. Eluotd., 09, 006 

80. TR: * Tor conatua idi collo dara 
3racchia vircom, Ter {rustra compressa 
manu elfagit imago, Par loribus reatia 
roluorique aimillima sommo»; Fîrg., det. 
VI, 700 agg.-« Noll'Inforno non avera 
tentato d'abbracelar ombre; mim Wirgs 
lio, ombra anch' esso, l'avera portato la 
Ispalin, Or perchò questa difforanza di 
Virgilio, di Bocca al quale e'atrappa È 
copogli, © doll'Argenti eh'el 
nol faugo, da è dagli altri? Forme 
perchè qui, como più pure, lo ombre nea 
mono gravato della molo terrena, hanno 
più sottili apparenze. Matelda però trae 
Daote e Stazio per l'onda di Lete, e Vir 
ggilio con Sordello a'abbracclano, 
ta, a quel cho pare, fa l'ombre de" mon 





Per che l'ombra sorrise e si ritrasse, 

Ed io, seguendo loi, oltre mi pinsi. 
Soavomente disse ch'io posasse: 

Allor conobbi chi era, e ’l pregai 

Che, por parlarmi, un poco s'arrastasse. 
Risposemi: « Così com'io t’ amai 

Nel mortal corpo, così t'amo sciolta; 

Però m'’arresto: ma tn perchè vai?» 
« Casella mio, per tornare altra volta 

Là dove son, fo iò questo viaggio; » 

Dias'io: «ma a te com'è tant’ora tolta?» 
Ed egli a me: « Nessun m'è fatto oltraggio, 

Se quei che leva e quando # cui gli piace, 

Più volte m'ha negato esto passaggio; 


83, sorsist; del mio abupere, - st t- 


DELI rs care» rirenda - 


SCIOLTA? separata corpo. 
PACK var: perehò fal questo 
i pei Gall ce mo dal 


Wi. ma TORNARE: fascio questo viag: 


tolto tanto bal tempo per purgarti delle 
ne colpo è per andare a] cielo ? Chi mai 
ha tanto ritardati i momenti itelle toe 
eterno boatitudini? I momenti d'andarti 

bella? Par certo che Casella fosse 
morte alona tempo fonanei n questo viag= 
glo dì Dante, no non vaolai dare umaAti- 
racohiata interpretazione alle parole del 
torto, e non voglia dira che Dante abbia 
fatto a Casella la poerile domanda: per- 
ché to morto al tardi? E non voglia 
supporsi una pnerile risposta fn Casella 
atosso.> 

24, ouma0aro: torto. 

05. quat: l'angelo nocehiare, - LEVA: 
prende lo animo per tragittario al Par 
gatorio, « Secondo 11 Ponta, quel che 
mnoiono riconellinti con Dio, per pas 
naro al Pargatorio convengono alla foce 
del Torero; ma l'angelo destinato a 
trasportarii sulla ana navicella, prenilo 
primi quelli che ruolo, 6 gli altri molla 
ana giustizia lascia ni altro tempo, A 
Carella ora stato nogato più volte lì par 


51 ammette 
che lo animo alano più o mono trattenato 
aullo Stigo, prima di cusero tragittato al 
l'altra ripa, vorso cui tesdono trumana: 
mento Jo sani; ctr, Virg., Aem. VI, ZIA 
ARR. »3 Rerlan, La più della pag, della 
D, 0, A83. Cfr. Antoneltà, too, cit. 

DALFIÙ VOLTRI + erano panunti più meal 
el'egit era morto »; An. Por. 





365 [axtip. isoLettA] Pure. 11. 97-118 





9 Ohò di giusto voler lo suo si face; 
Veramente da tre mosi ègli ha tolto 
Ohi ha voluto entrar, con tutta pace. 

Ond'io, che era ora alla marina vòlto, 
Dove l’acqua di Tevero a'insala, 
Benignamente fui da lui ricolto 

A quella foco, ov'egli ha dritta l'ala, 
Però che sempre quivi si raccoglie, 
Qual verso d' Acheronte non si cala. » 

Ed io: «Sa nuova legge non ti toglie 
Memoria 0 uso all’amoroso canto, 
Che mi solea quetar tutte mie voglie, 

Di ciò ti piaccia consolare alquanto 
L'anima mia, ché, con la sun persona 
Venendo qui, è affannata tanto!» 

«Amor che nella mente mi ragiona » 
Cominciò egli allor sì dolcemente, 


#7, oruero von: divino. - avo: del- 
l'angelo. L'angelo vuolo ciò che Dio 
Teolo. 


96. vanamsta: nondimeno, por nitro. 
DA mukxerst e dal natale 1209, în cul era 
cominciato Il Giabiloe di Bontfazio VIII, 
secondo la cal Bolla anche lo animo del 
defunti partecipavano per modum suf- 
Jeagi all ttalganso dei GHubilo; ar 

Borhmer, Corp. Jur. cam. 11, 1192. Bowr, 
Kirehengeneh. LIL, 146 ag. 

DO. com vurtA FACE: l'angelo ha no 
colto nella sun nave le anime senza faro 
alowma scelta, nò opporre aloma dif. 


406. RnA.... YOLTO: atava attendendo 
alla marina « Per quod intelligit quod 
orai canversna nd ebosdientiam romarao 
ovelosto vi Bene. 

101, a'imtALA: intrat salum, antra in 
mare è al fe salmo. 

02. ICOLTO: preso dall'angalo 
selle por sesere tragittato al 

103, roc®i del Terare.-0v' xus1r 
1, 1, Al: Aq 
Mart L'ata; — Tutto le antme Gest: 
tinta nl Purgatorio convengono da egni 
parto del monto alla foce del Tevere, Ma 
Casella dovstto aspettare alcon tempo, 
chè l'angelo seo volle prenderlo nella 
ana inve ; paro anzi che avrebbe dovuto 
erge lat più, so non fosse stato 
NOMbIl60, 11 perché di questo ampottare 


alla foop dal Terore non el viun detto. 
Of. Virg., dem. II, 202; W, #35 ag. 


vai dimenticato, 0 sm, avendo per- 
gli orgumi della 


insi cos 
sano da ogni operazione; el è l'antma fa- 
tora quando l'edo, è la virtà di tueti (odi 


pesta; 0 a ciascano che a qus' beti= 

DI era timo cantalore e sumera 
unico ed ebbo aa uaanza, » Otr, Palli, 
Mem, 8 0. 

102, pi eròd: di en tuo onto, 

110. rantona : peso del corpo: 

UIL, APPANSATA 1 dopo aver sestamito 
« la guerra Sì del cammino 0 n della 
plotate » /nf, IT, 4 ng., cd esser venuto 
qui perceerendo l''Infarno. 
312, Amor ece.: così Inceminela van 
canzozio di Date, comporta verno (è 1394 
è commentata nel trattato terno dol Cie 
nirio. Probabilmeoto Casella l' avera 
mensa In musica, como affermano Lan, 
Ott, Memo, ose, 





[oaroxe] 307 


ra] Pure. n. 114-130 


Che la dolcezza ancor dentro mi suona. 
Lo mio maestro ed io e quella gente 
Oh'eran con lui, parevan si contenti, 
Com'a nessun toccasse altro la mente. 
Noi eravam tatti fissi ed attenti 
Alle sue note; ed ecco il veglio onesto, 
Gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 
Qual negligenza, quale stare è questo? 
Correte al monte a spogliarvi lo scaglio 
Ch'esser non lascia a voi Dio manifesto. » 
Come quando, cogliendo biada o loglio, 
Li colombi adunati alla pastura, 
Queti, senza mostrar l'usato orgoglio, 
Se cosa appare ond' elli abbian paura, 
Subitamente lasciano star l'esca, 
Parchè nasaliti son da maggior cura; 
Così vid'io quella masnada fresca 


did ancor: ofr. Par. XXTIF, 128 ag.: 


l'integumeato del peccato; « Expallan: 
doloe, Che mal da me non 


tes vos voterem hominom eum aotibua 
alba, et fodaentes noum, gum qui reno: 
vatarin agnitionera secundum lmaginosa 
eloa qui oreavit lam » 3 Colere, 111,9-10,= 
« Deponendum saxam et onus vitioram, 


avuta altra cura che di attendere a quel 
dolea canto. Lo animo dimenticano 
@ Sarai belle, | Poeti Il doro vinggio. 

W, 118-153, di Ca- 
doma, 


du 
il; 


sit 
LETTI 
trpela 
Lt 


quod pergravat anlmam ad ima»; Pene, 
123. xox Lancia: vi priva della visone 
di Dio, «Iniquitates vestrm divisemnt 
Inter ves ot Doum vestru 
vestra absoonderant fnelem ei 
mo axandîret >; Taio, LIX, 2 
124. COM eos.: csstr.: Come i colombi, 
adunati alla pastura, mentre stanno hee- 


poccata 
vobla 


è senza roteare nè mormorare, 
gliono fare quando non brecano, 10 ap- 

ve cosa alcuna «be Il spaventi, Iaselnno 
subito Il cibo € non al curano ehe di mot- 
Rersi In malvo; così, ese. 

126. QUITI: «monza Il mormorio e nensà 
quella vivace allegrezza ci 
ali colombi, Sano | loro do abiti apecla- 
Abpcimmi vg L. Vent, Sivn., 420. 

12%. L'rsca: () cibo. 

199, cuni: di salvarai dal parieolo. 

130, matvana; famiglin. La voro ma» 
mad, propriamente la famiglia di un 
manzo 0 Îrdere concesso da un signore, 
mon aveva aniivamento I) senso eellome 
che ba oggidi; cfr, In, XV, 41. Diez, 
Wirt. 1,258. I più dicano che warmada 
vale compagnia, Mu SI Mett(; « ILumada 





868 [awmme. 1801] Puro. 11. 131-133. 


1-8. [DANTE x visGizio] 


Lasciar lo canto, e gire invèr la costa, 
Com' uom che va, nè sa dove riesca: 
133 Nè la nostra partita fu men tosta. 


stà qui piuttosto in smao di famiglia | 
1 che abblamo bol sempi net trecento, 


‘to quella nova fomiglia, a: 
senigna di nuovi digli elotti. tomaia 
Der compagnia non è mat in buon seno, 
purchè non ala prosa per termine milita» 
re. Dante l'adopera pare Inf. XV.41,ma 
per compagnia di reproti. » (fr. Pnciol., 
alb ag.» ratuca» Fecontemente nrriva 
ta, la nuova gente, r. 8, 
1g1. ca costa: l'erta dol monte. 


192. povi KiBACA! dove arriverà so- 
guendo la via cho ha prosa a caso. « MI 
‘fucea stare quasi como coloi, che nem sa 
per qual ria pigli Il 400 cammino, che 
Suola anfire © non sa qnd si veda 


7-8: « Vommone în guisa d'orbo sensa 
Ince, Che non «a ovs ai vade, © pur si 

128. La xostRA | né io e Virgilio fm 
mo mono pronti a partirei. 


CANTO TERZO 


ANTIPURGATORIO: ISOLETTA 


ANIME DI MORTI IN CONTUMACIA DELLA ORIESA 


(Stanno fuori del vero Pargatorio 
nn tempo corriapondente a trenta volte la durata della scomunica) 


IL RE MANFREDI 


Avvegna che la subitana faga 


Disporgesse col. 


Rivolti al monte ove ragion ne fraga, 


V.i-îì. Corpi che nen fanno om- 
bra; Mentre i dno Poeti vauno verso Îl 
monto, Virgilio pare sentir rimorsi di 
concienza a motiro del breve indugio. 
Bplonde tì sole; e Dante, vedendo dinanzi 
fa nd la nola sua ombra, ni volge psc ti- 
more che Virgilio lo abbia abbandonato. 
ANora Virgilio lo istruisce anlla natura 
doi corpi delle ombre, 

i. AYVRONA c0c,r sobbeno fu nagnlto 
ni rimprovari di Catone gli apîriti ai fos: 
nero dispersi per la campagna dell’ iso- 


tetta, jo dal onnto mio. mit accomtai più 
Uto. DC PZA 


Tom., Ozan., oe La ragion 

na libera dallo Sllustoni a be di 

atimola alla pualtanani ES presi 
fer 


ungere, and 
pata DEA condo te accettare da 
prima interpretazione, n meno di Inter» 








870 [anTIP. SOLETTA) Puro. mi. 19-93 TcoRPI SRNZ' OMBRA] 





sw To mi volsi dallato con paura 
D' esser abbandonato, quand'io vidi 
Solo dinanzi a me la terra oscura: 
E'l mio conforto « Perchè pur diffidi?» 
A dir mi cominciò tutto rivolto; 
«Non credi tu me teco e ch'io ti guidi? 
Vespero è già colà dov'è sepolto 
Lo corpo, dentro al quale io facea ombra: 
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto. 
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra, 
Non ti maravigliar più che de' cieli, 
Che l’uno all'altro raggio non ingombra. 
A sofferir tormenti, caldi e geli 
Simili corpi la Virtù dispone, 
Che, come fa, non vuol ch'a noî si aveli. 


«Quia ipso a0l habebat Inbirrentiam ra- 
diorum suoraza in mo »; Bens = Al. fn: 


anî era rotto dinansi con 
alla figara che l'appoggio 
aveva in mo»; Riag. 

19. xt votet* vedo soltanto l'ombra 
ana 6, non riflettendo che Vingilio è api- 
rito e che gli spiriti non fanno ombra, 
temo che fl dolce Maestro lo abbia ab- 
bandomato, e al volge istintivamente a 
dentra por voduro dove nia la sua guida. 

22. convouto : Virgilio ; ofr. Purg. 
TX, 48. - PUR: ancora. 

23. TUTTO: rivoltosi a me con tutta la 
ana persona, por farmi certo che non mi 
areva abbandonato, Atto di paterna pro- 
mura, Ali Movimento di chi si offende 
di qualche cosa. Ma Virgilio non ai mo- 
atra por niente offrso, 

24. TECO: che lo ala ancora teco. 

NE, VEarknO | « nopposto ele Il tempo 
del vespero sia un'ora prima del tra- 
monto, a Napoli correvano le ore Scirea 
pom; a Gerualemme circa de oro 2 di 
motto, ed al Purgatorio altrettante di 
giorno; erano quindi lo 8 '/0 »; Agnetti, 
Cfr. Deîta Valle, Sens, 39. Nociti, Ora- 
rio, 13 ag. 

27. Buixmmo: lat. Brundisium, è 
Bruwtwsium, oggi Brindisi, dove Vir 
illo morì l’anno 19 a. G. Per ordine di 
vagusto ll ano corpo fu da Brindiai tra» 
Spsrtato a Napoli è sepolto fo na tu- 
animi enorato suila via di Porsuoli. « Qea 
ins Neapolim tranalata sunt tumoloque 


condita, qui est in vis puteolana intra 
lapidot secandute »; Donat., Vita Viry., 
631 cfr. Comparetti, Virg. nei madio ere, 
18, 45 ag. 

28. e AbOWIA | è ombreggiato. 

20. cune L'UNO ece.: amsando diafuni, 
1 cieli lasciano paasar lberi £ raggi tu 
mincai, così puro la forma corporea di 
gliepiritistno alla risurrezione; efi.Thom. 
49., Sum. tàeol. 11, Supp2. 18 ng. Comp. 
theol, I, 176 ag. «Corti (corpi) nono che, 
por essere del tutto diatunî, non nola 
mento ricovono la luce, ma quella nos 
impediscono »; Cone, I1T, 7. 

3L catprs efe. Inf; III, ST. 

32. corri forme corporee come quer 
sta mia; ofr. Thom. dg, Sum. 


corporee 
trasparenti ospaci di solfilre dolori ma 
toriali come Sl caldo è Il 

#3. cosr ra: il modo del suo oprrate. 
= na avRLI: « Non enim cogitatiomea mese, 
cogitationes vostre: neque Vis veates, 


rim mec, dicit Dominus »; Tanta LY, & 
- «0 altitudo divitiarema sapinitim dt 
solontie Dei: quam incomprerensibilia 
sunt fudiola elua et fnvestigabilea wie 
otust » Rom. XI, 38. 

V. 3-45. Tdmiti dell'umano ma 
gione. randa dal DA TE 
che 11 modo del ano. 
agli vomini, prende 
esporre come pete E 
na comprendere Sapri 
divinità è debba contentarai di sapere 








374. [Axrip. isoLemtA] Poro. 11. 84-108 


(SCHIERA DI ANIME] 


Semplici 6 quete, 6 lo 'mperchè non sanno; 

Sì vid'io muovere a venir la tosta' 

Di quella mandria fortunata allotta, 
Pudica in faccia e nell’andar onesta. 

Come color dinanzi vider rotta 
La luce in terra dal mio destro canto, 

Sì che l'ombra ora da me alla grotta, 

Restaro, e trasser sè indietro alquanto; 

E tutti gli altri che venieno appresso, 

Non sapendo il perchè, fenno altrettanto. 
< Senza vostra dimanda io vi confesso, 

Che questo è corpo uman che voi vedete; 

Per che il lume del sole in terra è fesso. 

Non vi maravigliate, ma crodeto, 

Che non senza virti che dal ciel vegna, 
Cerchi di soverchiar questa parete. » 

Così il maestro; e quella gente degna 
«Tornate!» disse; « Entrate innanzi dunque!» 
Coi dossi delle man facendo insegna, 

163 E un di loro incominciò: « Chiunque 


#5, xvoveRe: muoverd por venire 
frarno di nol. » 1a TESTA : la prima linea 
di quella schiera. 

8. MAXDKIA | gregge; voce scrittarale, 
Gerem. XIII, IT. Tuc. X11, 32, Gion. X, 
TIR diti XX, 28.1 Petr. V, 3, 2, 0cc. 
Paragonò le nnimo allo pecore, avendo 
Ordato chiamute aus pecore 1 anoi Sedoli, 
Gioe. X, 8, 4, 15, 16, 27, oc, anda chi 
tua mandrio in compagnia dî esse animo. 
=vagruxara: ofr. Perg. II, 74.- attor- 
Tai allora. 

87. PUDICA: corrisponde n semplici € 
quite dal v. BA. Cfr. Aeg., 52 ng. 

MR, COLOR DINANZI: | primi, la testa, 
+. 85. = nortA: dalla taia om 

#9. DissTRO : 1 duo Pooti ai erano voltati 
‘naloiatra per andare incontro alle antimo, 
tondo avovano alla destra il monte ed alla 
aitletea 11 solo; quindi l'ombra di Dante 
ulatendova alla sua dontra, verso la mon- 


tagna. 
0. anorza: ele. Pury. I, 48. 
questo non avevano potuto vedere l'ora: 


bra del corpo di Dante, — rEVXO: fecero 
lo atosso, cioò ai fermarono cani piare © al 


ritirarono un po'indietro. Appunto come 
lo pesorello, v. 82. 

95. QUESTO: costui è ancor viro, e per 
elò fa ombra. 

96. vis: interrotto dall''amtira, 

DT. NOS VI MANAVIGLIATE: + licet tà 
utt valdo mirabilia, quae nomquam alias 
fuit, quia iate wenit ex npeciali gratta 
data aîbi n Deo »; Bene, 


ai ai guest monte, erto come una 
urta ‘para 1 di saliro'al cielo; confe. 
1,6. 


A),: Entrate în nostra compigata & ui 
date innanzi. Ma orient 
vano Jem v. 10-62, perchò 
potenaero favitare I duo Posti aa sede 
in foro compagnia. 

102. co: possi; accennando, col rive 
d'a ero ala cp 


i i Rie Di RE] 








it. cos: nello stato di salvasione. 
= DIVIETO: la proibisione di entrare nel 
Pargatorio prima che sia trascorso il 
tempo deoretato, sempre che questo 
tempo non sia abbreviato per le pre- 
ghiere ed i saffragi del vivi. 

145. qui: in Purgatorio si guadagna 
molto per lo preghiere del viventi; ofr. 
Purg. IV, 133-184; VI, 20 ag., XI, 34 
agg., 000. « Suffragia vivorum mortula 


s0a VALENT AD DIMDRI 
aliquid hufusmodi, qt 
non traamutat. » Thes 
TI, Suppl. LXXI, 3. 

ril est in supplement 
qua non faerat pleue | 
mata. Et ideo, quia op 
valere alteri ad satisfa. 
sive mortnns fuerit, no 
suffragia per vivos fm 
Purgatorio prosint »;1 


Poio, rv. 1-7 [santa] 379 





CANTO QUARTO 


ANTIPURGATORIO: SALITA AL PRIMO BALZO 


POSIZIONE DEL SOLE E NATURA DELLA MONTAGNA 


ANTIPURGATORIO 


BALZO PRIMO: NEGLIGENTI 
SStamno nell Antipurgatorio tanti anni, quanti furono gli anni della vita) 


BELACQUA 


Quando per dilettanze ovver per doglio, 
Che alcuna virtà nostra comprenda, 
‘anima bene ad essa si raccoglie, 
Par che a nulla potenza più intenda; 
E questo è contra quello error, che crede 
Che un'anima sovr’ altra in noi s'accenda. 
E però, quando s'ode cosa 0 vede, 


tre potenze, cloè rivera, sentire o ragio- 

nare » (vegetativa, semaitiva ed Iutellet- 

tira), « E quella anima che tutte queste 

potenzio comprendo, è perfottiarima di 

tutto lo altre e Os, LL, 3, efr. IF, 7. 

= COMPRENDA : no ricava io sb le im 
d, 


8. AD pasa: virtà o potenza. - kt RAC 


ra. 

i dal Platonici, ole insegna» 
vano l'anima senza essere triplice: ve- 
gotativa, senaitiva ed intellettiva (efr. 
Ariutot., De dn. I11), e del Manlcbal, che 
nnmetterano l'esistenza di due anime. 


vronlaso, ut beminora dana anima rabare 
Impadenter dogmatisent. » Confr, Daf, 
Dante Abigh., 00 ag. Ozanam, Pury,, 





930 [ANTIPURGATOR:0] 


Poro, tv. 8-21 


TsALitA] 





Cho tenga forte a sè l’anima vòlta, 
Vassene il tempo, è l'uom non so n'arvede; 
Ch'altra potenza è quella che l’ascolta, 
Ed altra è quella c'ha l'anima intera: 
Questa è quasi legata, e quella è sciolta. 
Di ciò ebb'io esperienza vera, 
Udendo quello spirto ed ammirando; 
Chè ben cinquanta gradi salito era 
Lo sole, ed io non m'era accorto, quando 
Venimmo dove quell’anime ad una 
Gridaro a noi: « Qui è vostro dimando. » 
Maggiore aperta molte volte impruna 
Con una forcatella di suo spino 
L'uom della villa, quando l'uva imbrana, 


8, taxoA: attîri a sò tutta quanta l'at- 
tenzione dell'anima. 

10. CN'ALTRA: « porch altra potenza 
è quella che avverte il tempo (I' ascolta), 
altra è quella a cal a’ raccolta l'ani- 
sù fatern: l'anima è logata a quel ve- 
dero © a quell'udire (r, 7), 0 non prosta 
quindi ascolto alla potenza ché avverto 

questa potenza opera aciolta 

non è quindi nveortita da 

eaaà +; Bardi, in ult. XII, 270; ma ofe, 
Thom. Ag., Sum. theol. I, 96, 3. Conti, 
în Dante e Gl suo ree., 308. Anvon, nol» 
l'Albo Danterco Veronese, 201 ng. Busd. 
dn Att dell'Istituto Veneto VI, m, 288 
Rex. Liberatore nell'Omapgio a Dente, 
303 ag. « Lo tre animo, vogetativa, sen: 
altiva ed intellettiva, non sono cho tre 
modi 0 oategorie delle operazioni d 
l'atima, lo quali al van man man 
genio l'una sopra dell' niten. Quoste tre 
potenza pol sono fra ad di guisa, che 
Tuna è fondamento dell'altra; la vogo- 
tativa della nenaltiva è questa della în- 
tallottiva »; Ruta., Stud. I, 59; efe. Cone. 
MI, 2 

Î. WPIRTO: Mavifredi, — AMIRANDO i 
meravigliandomi di vederio in Inogo di 
silvazione, è di ndire clò che ml andara 
dicendo. 

15, CINQUANTA | «1! sole, percorrendo 
15 peudi La un'ora, implogherobbo più di 
tre ore per salire 50 radi abbondanti; 
uinido al possono contaro lo tre orme mezza 
Ml sole, cioè lo 10 del mattino, Dante în 

\apazioni Lampo, clod dalle 8 "fa felt. 
III, 25 ag.) allo 10, avredbo per 


corso più di duo mila pani, del quali una 
motà molte lentemente, discorrendo con 
Manfredi »1 Agnelli. Oft. Della Valle, 
Senso, 39 eg. Antonelli in Dem. mppen» 
dico al presente canto; Nositi, Orario, 13. 
17. AD UNA: ad una vose, tutte inabt« 
mo; ofr. Pury. XXI, 88, 
unraxno : ciò di ehe voi chiedete, 
cloò il nogo dove ni paò salire; edr. Purg. 


sione di quasto alto, nol quale si prende 
l'orta della montagna. Ma noi, connide- 
rando che l'angelo deposita lo anime net 
punto più orfentalo dell'isola, 6 ehe anche 
la porta del vero Pargatotto al trova ail 
oriente, crediamo di non scontarci froppò 
dal vero ivettendo quel Iuogo verso mat 
tiua 0 tn linca retta tra fl punto dora api. 
prodano lo anime e la porta del Purgato 
ro. Stando così lo cose, I Poeti, scostane 
doni dalla inca da oriente a ponente dita, 
moszo miglio verso messodì, rifanno pr 
scia altrettanto cammino, ma us poso più 
insiome alle anfine, nel 

di nord, Salito faticoramesto Gn trata 
doll'erta, i Posti arrivano ad na baluo, 
dore al mettono a riparare ed a arie: 
taruî, colla facela volta a lavanta.» Aguele 
li, Topo-Oron., 2 ag: 

19. APERTA: apertura più larga. = Bi 
meuxa: serra con pronti, nelle 

2). FORCATRILA + piccola prete 
au: etr. Prov, XV, 19, 

DiaRUNA e inoceizola a faral bra, 

cioè a maturare, 

















‘886 [awtiP. sALZO 1] Pura. Iv. 96-118 TerLAcqua] 


Più non rispondo, e questo so per vero.» 
E com'egli ebbe sua parola detta, 

Una voce di presso sonò: « Forso 

Che di sedere in prima avrai distretta!» 
Al suon di lei ciascun di noi si torse, 

E vedemmo a mancina un gran petrone, 

Del qual nè io, nè ei prima s'accorse. 
Là ci traemmo; ed ivi eran persone 

Che si stavano all'ombra dietro al sa880, 

Com'uom per negligenza a star si pone. 


Ed un di lor, che mi sembrava lasso, 
Sedeva ed abbracciava le ginocchia, 
Tenendo il viso giù tra osso basso. 


<0 dolco signor 


mio, » diss'io, « adocchia 


Colui che mostra sè più negligente 

Che se pigrizia fosse sua siroochia! » 
Allor si volse a noi, e pose mente, 

Movendo il viso pur su per la coscia, 


09, et: perchè «lo per me più oltre 
non disotrno », Purg. XXVII, 120. 

V. 07-120. Appena Virgi- 
Îio ha finito la sua dichisrazione elrra la 


petrono di dove 
la voce, vanno fin presso ad esso, Tra 
tina compagnia di nogligenti, dietro al 


Retro, te Belacqu, pigro nel mondo 
ll Ja come era stato nel mondo di qua. 


chitarre, ot era il più pigro 
Domo che fome mai; et dice di îul, 
gli'ogii vana la mattina a bottega, et 
ponevaai a sedere, ct mal non si lovara 
40 ton quando egli volera ire a destinare 
wet a dormire. Ora l'Anttore fu forte suo 


eporiba» mandi aloni In eporibue ani- 
mam.» Reno. aggiunge che Iolacquaconm 


magna cara sculpebat et Incidebat colla 
ed capita cithararum, ot aliquando etiam 
pulsabat. Ido Dantes familiaritor nove 
rat cum, quia delectataa est in sono,» 


Buti dico aho Belacqua «al fine sl pentà, » 
| Berram, ripete 1) rnoconto dall'An. Fior., 


traduoendolo quasi alla lettera. Altre no- 
pr nom al hanno, Confr. En 


uc4 pe di arrivare lassh, dove ri 
Doserai Il corpo alanco.- DIATRRTTA È no- 


ato. 

102, rana: di odir quella voro. 11 pe 
trone, 0 gran mamo, era È vicino; mi 
Dante o Virgilio non ss n'erano accorti 
perchò arrivati lassù ni arano volti a le- 
vanto, 

103, rrasont: anime di persone che 
differirono la ponitenza sino agg trtreti. 

169, con'UON: sdralate per terra come 
sogliono 1 templari Alia» 





1888. [AniP. nALZO +] Pod. 1v. 180-199 


CortAcqua] 


0 Prima convien che tanto il ciel m'aggiri 
Di fuor da essa, quanto face in vita, 
Perch'io indugiai al fine i buon sospiri, 
Se orazione în prima non m'aita, 


Che surga 


su di cor che in grazia viva: 


L'altra che val, che în ciel non è udita?» 
E già il poeta innanzi mi saliva, 
E dicea: « Vienne omai! Vedi ch'è tocco 
Meridian dal sole, e dalla riva 
19 Copre la notte già col piè Morrocco,» 


solla gran maggioranza del codd. Am. 


tilo Il ebiamar l'angelo useiere - Po) 
‘ho conduce nl sette cerchi; ofr. Pury. 
IX, 70 seg. 

130, n° 400r1: giri futorno a mo qui, 
noll'Antipurgnterio, tanto tempo, quan- 
to mi girò intorno mentre visi. 

ll, quanto PRCK: Al: QUANT’ 10 PECE, 
apiognudo: Conviene che la giustizia di 
Dio mi facela girare tanto, quanto lo fa- 


diuigini la penitenza. Ma queste autme 


non girano. 
In, rancu' 10: perchò Jo indugiai | 
buoni sseplri del pentimento nino agli 
gatromi dalla mis vita, 
280, onazione: del viventi; efe, Purp. 


Al elelo, Iinansi al trono di 


Dr ONAZIAL 


(, Lacod. 


"89. vorra; snnmlita. Al: ORADITA, 


* Belnna antem quia Dens 
non audit, sed aì quis Del cultor cat et 
volantatom eius fucit, buno exmodit »; 
Giov, IX, DI. Otr. Giobbe XXVII di 
AXXV, 18, Puslm. LXV, LR Proo, XV, 
30; XXVII 0, Isafa I, 15. 


a adunque aveva atoso È anoi passi 
fino agli eatromi confini » occldente, sex 
gnati qui col regno o città di Maresco, 
che oscopava una delle parti più ves 


38, uva: del Gange; efr. Purg. IL, 
468. La notte al aatenda dalla riva dal 
ange sino al Marocco, osia #Q tutto 

V'emiatero borma! 





Pure. v. 1-11 


CANTO QUINTO 


ANTIPURGATORIO 
BALZO SECONDO : NEGHITTOSI MORTI VIOLENTEMENTE 


DUE MESSAGGERI, IACOPO DEL CASSERO 
BUONCONTE DA MONTEFELTRO, PIA DE’ TOLOMEI 


To era già da quell’ ombre partito, 
E seguitava l'orme del mio duca, 
Quando diretro a me, drizzando il dito, 
Una gridò: « Ve'che non par che Inca 
Lo raggio da sinistra a quel di sotto, 
} come vivo par che si conduca!» 
Gli occhi rivolsi al suon di questo motto, 
È vidile guardar per maraviglia 
Pur me, pur me, e il lume ch'era rotto. 
Perchè l'animo tuo tanto s'impiglia, » 
Disso il maestro, «che l'andare allenti? 


bra, at In ciò apparea che era morte »; 
Puti, - «Pas cheai muova ln modo come 
se vira fosso; dando, a cagion d' esem- 
pio, segno di gravezza col rumore che 
nel eammizaro facevano | piedi perc 
tendo i saolo, diversimento da quello 


araramo gik partiti. 
2. ru 3: solamento me, all'altro 
cha me solo, « Ma, mo! adauto, qui feel, 


merito mirabantar de Dante qui arat 
vivas futer tot mortacs, qui ante tem 
pas mortis venerat nd Purgatorium nd 
omenduadam vitam vitiosam: mirmban- 
tr etinm quot erat anpdone Inter tot 
ignerautes » (1; ino, 

10. 6° perdotzA : 8° Impact, al dh briga 
Ai ciò che nitri diceno di te, 








392 [antiP, nALZO 3] Puro. v. 48-64 [ecmmeRA DI ANIME] 


«Questa gente, che preme a noi, è molta, 
E vongonti a progar; » diase il poeta; 
« Però pur va', èd in andando ascolta. » 
<O anima che vai por osser lieta 
Con quelle membra con le quai nascesti,» 
Venian gridando, « un poco il passo quota! 
Guarda se alcon di noi unque vedesti, 
Si che di lui di Jà novelle porti! 
Deb, perchè vai? Deh, perchè non t'arresti? 
Noi fammo già tutti per forza morti, 
E peccatori infino all'ultim’ora: 
Quivi lume del ciol no fece accorti, 
SI che, pentendo e perdonando, fuora 
Di vita uscimmo a Dio pacificati, 
Cho del dislo di sè veder n'accora. » 
Ed io: « Perchè ne' vostri vii guati, 
Non riconosco aloun; ma, se a voi piace 
Cosa ch'io possa, api. 
Voi dito, od io farò per quella pace, 
Che, dietro ai piedi di al fatta guida, 
Di mondo in mondo cercar mi si face.» 
su Ed uno incomincid: «Ciascun si fida 
Torta nou ne ricontece adenna, ma pro. «i enim dimisseitie hominibeun peccata 
206860 I fa ld di che lo proghernono; di 
4 piceace: fn pressa por arr) vare a noi. cusloetia dollota vostra»; Afart. VI, 1. 
dB. vu rsuza LIETA: por puridenrti 50, racuricati: riconelilati con Dio è 


ed andar poi dore l' momo À folico; Purg. 
XXX, 76. 
T. 20EIIRA 1 corporali, in oarne ed osan, 
48. queta: dtrmali an poco. Seguendo fl 
‘conalgiio di Virgilio, Dante non ai ferma 
n parlar osllo animo, ma lo sacolta senza 
Interrompere li eo cammino, Quindi le 
EEE ana DA perio marina 
dla quanto grande fosse 1) Jero desiderio 
di parlare con lat è di raccomandargilel. 
Uique: at: 6. Purg. 11T,105.Par. 
VITI, 20. - vabestI: nella prima vita. 
#3, MORTI: neclni violentemente, parto 
4 ur perte per inlmiciale privato, 
dia o0agianii, como si vedrà fn seguito. 
"sk qu al momento della morto la 
graeia (Ilaminanto ci trasuo a penitenra. 
« Videntur dicero tacòto ; Detis non rolo- la scorta di niffatta guida, cleò di Vir- 


MT d6-t4; Zacepo del Camere da 
Nano, Udita la promasma di Dante, 
(‘quelto animo Jo pregano a gara di ti. 











Taxerie. naLZÒ 3) Puro. v. 117-181 
Di nebbia, e il ciel di sopra foco intento 
Si, che il pregno aero in acqua si converse: 
La pioggia caddo, ed a' fossati venne 
Di lei ciò la terra non sofferse; 
E come a' rivi grandi si convenne, 
Vér lo fiume rea) tanto veloce 
Si ruinò, che nulla la ritonno. 
Lo corpo mio gelato in su la foce 
Trovò l'Archian rubesto; e quel sospinsa 
Nell'Arno, e sciolse al mio petto la croce 
Chio fai di me, quando il dolor mi vinse: 
Voltommi per le ripe e per lo fondo; 
Poi di sun preda mi coperso 6 cinso.» 
< Deh, quando tu sarai tornato al mondo 
È riposato della lunga via, » 


[svoxconte] 397 





periore dell'Appernino.» Cfr. 
Bas... ca dat 106, - 01000 a catena 


do' talal commesal errori » 3 Dam, Così 
pure Lomò, Biag., Br. B., ace. Al: Il 


ja man manco. ‘olore della ferita mortalo. Imduos forse 


TIT. mi chis: AL: si Giri, ma Dante 
Mico che fesso novicato. = INTENTO: 
danso di vapori. « Morrida tem- 

Puestaa colum contrarit, ot imbrea Ni: 


è 
îi tir 


COME eee: è quando quell'acqua 
rascoleo nel torrenti dei Casentino. 


4 dolor fisico a fare la croce? 

128. voLTOMNI: Îl soggetto è netmeml- 
mento l'Arhiano del v, 195, » Le Kt 
Al: Le Core. 


preda, 

portan con loro i fumi», Zisa, Als tt 
sua ruta; cloò - cori E 
emo: ini ricoperse di sopra e d'laterno. 

V. 120-126. Pia de’ Totomei. Una 
terza anima sì raccomanda n Dante, pre 
gandolo di ricordusal di les, nata In Sbe- 
na ® morta nella Maremusa, come sa Il 
marito traditore, È Pia sanoso, nata della 
fumiglia dei Tolomel (An. Fior., Bene, 
200.), 3a qualo andò rposa a Nello, 
Paganello, figlio d'Ingblramo de' Pane 
neochieschi, signore de) castello della 
Pieten a novo miglia a levante da Mans 
Marittima, e di molti altri castelli di mi- 
mor conto, pedostà di Volterra nel 1277, 
di Lacoa nel 1913, capitano della taglia 
guelfa di Toscana nel 1284, visuto nino 
‘Al 1399, nel qual anno foco testamento, 
Questa Pia non dda confondersi com Pla 
Guaatelleni vedeva di Bale Tolomel, 
vivente nel 1818, Nello, o ole la soglia 
nvesss veramente commesso aloam falle 
(Lan., Ott., Bai) o cde la sonpettanse sil- 
tanto d'infedeltà (An. Fior., Bene, scé.h, 
0 forse por desiderio di npomare la bolla 
Margherita do' conti A)dedbrandeschi ve- 





. BALZO 3] Pure. y. 182-136 


Seguitò il terzo spirito al secondo, 
[Ricorditi di me che son la Pia! 

Siena mi fe’; disfecemi Maremma: 
Sàlsi colui che innanellata pria, 
isposando, m’avea con la sua gemma.» 


di Montfort(Inf. XII, 118 suo santuario domestico, © prega il solo 
la Pia nel suo castello di —Dante di ricordarsi di lei. Cfr. De Sanctis, 
remma e la foce quivi mo- —Lett. ital. I, 218. 
Jelò fare al segretamente, 134, SIENA MT PR° 600,: nacqui in Siena, 
som morisse >; Lan.; così morii in Maremma. 
it. Cas., Buti, Land., Vel, -—1185. coLut: Nello mio marito, Egli lo 
ce l'An. Fior.; « Essendo unque altri no, Dunque anche Dan 
re dano suo palagio sopra te non ne sapeva nolla, come il Lan., 
| Maremma, messer Nello l'Ott., ecc. - INSANELLATA: che mi diede 
lo fante che la prese pe' pie- l'anello nuziale celebrando il matrimonio, 
cacciolla a terra delle fine- ossia disposandomi: con che si accenna 
valle profondissima, che ai due «atti simultanei, e l'uno compi- 
Pn si seppe novelle. » Lo mento dell'altro » (Del Lungo, Dal see. 
fa puro Benv. Dicono che e dal poema di D., p. ddl egg.) del dare 
indichi tuttavia ana parte l'anello e della promessa di prendere e 
quale sorgo Îl castello, col tenere per moglie. Pia vuol dire che fu 
Cfr. Com. logittima moglie del suo nccisore, Altri 
documento leggono disposala, 0 spiegano: Che 
Tolomei, Siona, 1509. Pio m'avova diaposata dopo essere prima 
Pia de' Tolomei, Torino, stata innanellata, cioè: che mi avera 
B34 egg. Enciel., 1404 ag. sposata in seconde norze, Ma tale inter 
im: Al: WICORDATI. Buon- —pretazione reggerebbe solo colla identi- 
la ana Giovanna e gli altri arione, cho a' è visto essere im possibi- 
brdati di lui; Manfredi vnol 00 Guastelloni, 
o n Costanza, e Tacopo ni DISCOSANDO : Al.: DISPORATA ; off. 
finchè preghino per lui. , Contrib, 200 sg. Moore, Crit., 
lena nome nel 





408 tawrtr, paio 3) Posa. vi. 25-49 


28 Come libero fui da tutte quante 
Re che pregar pur ch'altri preghi, 
'avacci il lor divenir santo, 
Ta at « E' par che to mi nieghi, 
0 luce mia, espresso in alcun testo, 
Che decreto del cielo orazion pioghi; 
E questa gente prega pur di questo: 
Barebbe dunque loro speme vana, 
O non m'è il detto tuo ben manifesto? » 
Ed ogli a mo: « La mia serittura è piana, 
E la speranza di costor non falla, 
Se ben si guarda con la mente sana; 
Chè cima di giudizio non s'avvalla, 
Perchè fuoco d'amor compia in un punto 
Ciò che dee satisfar chi qui s’astalla; 
E là dov'io fermai cotesto punto, 
Non si ammendava, per pregar, difetto, 
Perchè il progo da Dio'era disgiunto. 
Veramente a così alto sospetto 
rio ai apra loro pela del tempo ntabi- 
tte, per virtà delle preghiere è del auf: 


fragi del viventi. 
| 32NON x foce: 0 noa ho fo forse en 


Re 


ndo Dante lo prega di apiogargli 
contradizione; 


che lo 
Earn 
pregurun l'anpettazione, non è fallace. 
avaCcI al adfretti il loro pur i cIta Di enzo 
INNI RA Buia erro. 
en 


tali mapronal. - N ALCUN ENTO In qual- 
del ino Pooma, 1A dove diei che 
Palinoro, {1 quale pregava, la Sibilla 
Maposo (Virg., den. VI, 37E agg): « Undo 
Bibo, 0 Palinuro, tibi lar dira capito? 
"Da Mtyygias Inbumatns aqoas amnemque 


ripamive 
adibia! Desine faro drum vosté 
penare prosamdo. » 
96. rixani: eh la proghiera abbia fsesn 
di far mutare ciò cho in cielo è stabilito, 
ML, Quanta: Al: x qUEsTE GRNTI PI 
MAX. - UR: (elò noneetante, , meglio, 
nilammente, come nol v. 26, 
N, erguti che da porta del Pargato- 


dire dh carità Gel Viventi 


momento molo quell pierino 
pira sensa tal alato in molto 


aiuto ha stallo, af. XXXIII, 
?, dora. 


102, 

40. LÀ: dove dimi cho Sata dedm non 
4 pagano per preghiere; cfr. v. 29 nb 

di Timo hi hi pregare = fo 
molta grasia di Die, 
Eateratgee sca adito bel date ce 
IV, 133 agg. 

43, VERAMENTE: però, — ALTO BORPRT 
10: profonde e sottit dabido »; Vert, 








404 [anmir. sALZo 3) Pura. vi. 58-75 





[Li Ma vodi là un'anima, che, posta 
Sola soletta, verso noi riguarda: 
Quella ne insegnerà la via più tosta. » 
Venimmo a lei. O anima lombarda, 
Come ti stavi altera e disdegnosa, 
E nel muover degli occhi onesta e tarda! 
Ella non ci diceva alcuna cosa; 
Ma lasciavane gir, solo sguardando 
A guisa di leon quando si posa. 
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando 
Che ne mostrasse la miglior salita; 
E quella non rispose al suo dimando; 
Ma di nostro paese e della vita 
C'inchiese; e il dolce duca insominciava: 
« Mantova... »; e l'ombra, tutta in sè romita, 
Surso vèr lui del loco ove pria stava, 
Dicendo: « 0 mantovano, io son Sordello 
!»; el’un l'altro abbracciava. 


formidatissimam hominum sul temporte, 
rucamit ab eo, quem Eccirinue, ut qui- 
dam forunt, focit postos truoidari. » 

38, POSTA 1 # sodore. Al.: Separata dol 
tatto dalle altro animo, Al 
Aimamonte; efr. Inf. XXIX, 19, Ala 
POSTA — nmente. 


glio dirette » Sordello (Av 
‘tolamazione del Poeta che ha presente 
alla mente ana ll grave aspetto ed i1 di» 
gnitoso contegno di quell’ antma. 


chimma Guido Cavalcanti « cortosa è ae- 
ito, ma mlognono o solitario e iutento 
Nilo neolio sr 04 1l Batti osserva : « E0so 
mmpagnia della cortesia. » 

3 LIM/IY, 112.» Specchio 
mento è la Qaeda; e gli costr, suabe 
Racchano, confoesano |l segroti del 


cuore »s Bart, da $, Cono,, Amm, Ant 
VII, 1, 6. 

0 wox CI DICEVA! <est tacena aclene 
tompun aptom. Homo magione tnsebit 
usque ad tempus »; Meeker. XX, 67. — 
«Che differvaza tra la curiosità 0 Il dl 
calcosio, degl sci spl questo mit; 
atono silenzio di Sordello! » 

o sous sorsi Dale 
do i nostri movimenti. 

66. row: « requiescene accubuinti ut 
100, et quasi lesona, quis nascitabie varate 
Genea. XLIX, 9. Cir. Pirg., dem. mt 

10, vira: condizione, Sordello non 
accorto che Dante è vivo, efr. res 


#2 Maaoora leva dirvi mai ener, 
0 fu mia patria, © wimili; nia men 





"408 [axrie. mazzo 2) - Pero. vi. 992-106 


E lasciar seder Cesare în In sella, 

So beno intendi ciò che Dio ti nota, 
Guarda com' esta fiera è fatta falla, 

Per non esser corretta dagli sproni, 

Poi che ponesti mano alla predella! 
0 Alberto tedesco, che abbandoni 

Costei, ch'è fatta indomita e selvaggia, 

E dovresti inforcar li suoi arcioni, 
Giusto giudicio dalle stolle caggia 

Sopra 'l tuo sangue, e sia nuovo ed aperto, 

Tal che il tuo successor temenza n'aggia! 
Chè avete tu 0 îl tuo padre sofferto, 

Por cnpidigia di costà distretti, 

Che il giardin dello imperio sia diserto. 

106 Vieni a vader Montecchi e Cappelletti, 


{Lan., Ott, Petr. Dawt.); altri della gonto 
Italica (Buti, Land., Vall) e non (oli 


02, eman i Insciare all'impertore Î'e- 
sorolzio dall'antorità civile; « Regemque 
dedit qui fadore corto Et premere et 
lacna surebdaro tons babenaa»;Virg, 1 sapori 
An. I, 82 ng. ch solo può puntrlo. 1 
soon SOTA: nel Vangelo; efr. Matt 
31. Zuca XXI, 29-20. Gios. 


SVItt, 06, cee. 
DI GUARDI : datti È rooderni intendono 


"tito cevuatere io din uevio ne 
peratore. 


90. raeoeLLA : © Bridella, Ja parto del 
fieno dove si attaccano Je redini © ai 


mn 7 
#7, ALMERTO: d'Austrla, figlio di Ro- 
di 





408 [anmiP, BALZO 2) Pura. vi. 126-140 
Ogni villan che parteggiando viene. 


Fiorenza mia, ben puoi esser contenta 

Di questa digreasion che non ti tocca, 

Mercè del popol tno che a"argomenta! 
Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca, 

Per non venir senza consiglio all'arco; 

Ma il popol tuo l'ha in sommo della bocca! 
Molti rifiutan lo comune incarco; 

Ma il popol tuo sollecito risponde 

Senza chiamare, e grida: «Io mi sobbarco!» 
Or ti fa' lieta, chè tu hai ben onde: 

Ta ricca, tu con pace, tu con senno! 

Sio dico ver, l' effetto nol nasconde. 
Atene e Lacedemona, che fenno 

L'antiche leggi e furon al civili, 


è caplisno (Ossa, Petr. Dant., Tand., Manno la gioatiala nel cuore, ma mon 
Vell., e0e.); altri di ©. Claudio dfarcello, sullo Inblra, per non Iscagliane acomaî- 
consolo, partigiano di l'ompeo e fiero ar. —deratamente uno atrale che nou sl ponta 
voraario i Giulio Cesare, qui riconlato più ritirare. 
172, 1 A0MMO riti. MOCCA | salle alb 
dra, sa non in cuore nò nelle opens; ef. 
Prov. XXIX, 20. Boeder, IV, d 
î 139. COMUNE INcAROO : i paliblici nffiel. 
186. vit4W: ogni nomo da nolla ehe 120, sxwza ciiamani: enna che al 
al mostra partigiano zelante; efr. Inf. 
XY, 01 agg. Par. XVI, 49 agg. dichiara pronto a sostenare il pesa degli 
187-151. Lmoettloa contro Pi- uffici pubblici. — MI RONRARCO rima ne che 


renze, Dopo aver fatto il tetro quadro rico. Bene: « subarco idem eat quod sb» 
Gallo comlizioni dell'Italla fn genoralo, il 


» Fironre, @ con 
lo rinfnoola l'arro 


tel. L'invettira è nn onpoluvoro di an- 
lira eminentemente poetica. vioini è tra loro. - cox matto» lireala 
127. xi} « oh misera, misora patrin continua. 
mia! Quanta pietà mi ntringo per to, 188. #°10 nico vat ecc.» Quanto me 
qual volta leggo, qual volta scrivo com ritate stano ei lodi, sì vede dagli ef 
cho a reggimento eivila abbia rinpetto! » fotti, cioò dai continui tuoi mumtamentà 
Qows. IV, 27. 139, 
128. wox ri rocca: Mironzo era per 
l'appunto 11 contre dei disordini che 
Dato sin qui ha rinfreciati all'Italia in 
Ott. Epiat.ad Her. VII, $7, 
129, 4 ANCOMENTA: s'ingegna di non 
tonritarsi questi rimproveri. Al Si prov- 
veda. AL: st Anvomista, cioè, ragiona e 
Quo per l'appto come acco fo. Cfr. 
Com. Lips. II, #0. lnzesque rognrunt »; 
130, scocca : si maniferta in parole. er. mat. V1, 1 egg. = CIVIL: « Cmecla 





—=m 


Tarenie. nALzo 3] 


Puro. yi. 141-151 (coxtro rienza] 409 





acero al viver bone un piccol cenno 
Verso di te, che fai tanto sottili 

Provvedimenti, ch'a mezzo novembre 

Non giugne quel che tn d'ottobre fili! 
Quanto volte, del tempo che rimembre, 

Logge, moneta, officio 6 costume 

Hai tu mutato, e rinnovato membre! 
E se ben ti ricordi e vedi Iumo, 

Vedrai te simigliante a quella informa, 

Che non può trovar poss in su le piume, 

Idi Ma con dar volta suo dolore scherma. 


apra fortuzà victorea copit, et artes In- 
tultt agresti Latio »; JForoî., Mplet. 11, 


IIT, 401 XII, 19,97. © vedanni fe ov 
servazioni di I. 


meealo è dol porma di Dante, p. 130. 
145. niegmar : di ui sorbi memoria; 
miltimi anvi. Uno apecohio oro» 
dello mntaxioni avvenuto a Fi- 
mumnò dal 1248 al 139791 trova Cona, Lipo. 
II, Reg 
"M0. OrriCtO| « quia nono consoles, 


147. semana: cfttadtri, enoctuti 0 ri 
chiamati a rioenda, secondo fl prevalare 
doll'ona 0 dell'altra fuziono. Cirea fl 
plurale in 4 trattasi di forma neutra non 
insolita, parallela a calesgne (Purg. XIT, 
21) 0 a weatige (Por. XXXI, 81): ofr. Par 
rodi, Bu. III, 323. 

148, sr BRX 000. so non hai perdato 
la momoria a l' intelletto, « R'al dice tra 
noi Fiorentini uno antico proverbje è 
materiale, clod: Mirenze mon si mmont, 
#1 tutta non ri dale; e benchè lì provere 
dio sla di grosso parolo e rima, par fap 
rienza sl trova di vera sentemla #4 0, 
Wil. XIL, 16. - LUN: no ti è rimmito 
ancora un po'di Jume di ragione, 

150, teovan poRd: e Neo inventt re- 
quiom»: Loment, Jerem. I, $, =« Neo 
habent requiem die ao mote »; Apetal. 
xIY, 11. 

351, CON DAR FOLTA | l'ammalata cerca 
qualche sofllero a'suoi dolori, valgeniosi 
qua e là alla coltrici; Firanzo cerca di 
rimeIaro a' oi mali, mutando ogni so 


Horat., Set. 1, 11, 
tiro +3 808, Stat, Pron. VIT, ATO; 





410 tAnrie. vaLeTTA] - Puro. vit, 1-10 


CANTO SETTIMO 
ANTIPURGATORIO: LA VALLETTA AMENA 
PRINCIPI INTENTI A GLORIA TERRENA 


UODOLFO IMPERATORE, OTTOCARO Il RE DI BOEMIA 
FILIPPO INI RE DI FRANCIA, ARBIGO 1 DI NAVABBA 
PIETRO HI E ALFONSO HI D'ARAGONA, CARLO 1 D'ANGIÒ 
ABRIGO IH RX D'INONILTEBRA, GUGLIELMO Yit DI MONFERRATO 


Poscia che l’accoglienze onesto 6 liete 
Furo iterate tre 0 quattro volte, 
Sordel si trasso, o disse: « Voi, chi siete?» 
« Prima ch'a questo monte fosser vòlte 
L'anime degno di saliro a Dio, 
Far l'ossa mie per Ottavian sepolte. 
To son Virgilio; e per null'altro rio 
Lo ciel perdei, che per non aver fè.» 
Così rispose allora il duca mio, 
Qual è colui che cosa innanzi sò 


V. 1-0. Sordello € Virgilio. Dopo -—4. rum: Als 
le prime Mete accoglienze, Sordello, co» l'animo de' iu 
moteiote Virzilo, lo riabbracola rispet- rio, eloò Inanti a Ja passtomo di Oriato } 
(ommmente, è giì ahlede poi onde e come —imporò ehe innanti a quella tutte l'ani- 
# perchè venga. Virgilio rispondo di- me de'lusti andavano al Litobo »; Buti. 
aeailo le ragioni del ano visgglo o de | 
sarivendo li luogo dare è stato messo Cfr, TAom, dg., Sum theol. 11I,62,5 ag: 
Malla giuatizia di Dio, o acoruna fu five sy. 1, 70, Peg 1 ui 27, Vigilio morì 
ehi stano | anoi compagui nel Limbo. 

fl. mita x quarto: più volte; fl nu- 


7. ur: peccato ; efr, LN, X, 124 Bgsi 
1V,.87 seg 

8. PIA NON AVER PÈ: per non avere 60- 
noseluta led la fado cri 


9, tds 1 al ritirò alquanto indie- 
Uro, = CI AUETK: prima avera dorsan- 
ato Dal’ passe « della vite, Purp. VI, 
70 adtgno domata del nome, 





Puao. vi. 11-29 


Subita vedo, ond'ei si maraviglia, 

Che crede e no, dicendo: « Ell'è.... Non è....»j 
"Tal parve quegli; e poi chinò le ciglia, 

Ed umilmente ritornò vér lui, 

Ed abbracciollo ove il minor s'appiglia. 
40 gloria de' Latin, » disse, « per cui 

Mostrò ciò che potea la lingua nostra, + 

O pregio eterno del loco ond’io fui, 
Qual merito o qual grazia mi ti mostra? 

S'io son d’udir le tue parole degno, 

Dimmi se vien d'Inferno è di qual chiostra. » 
«Per tatti i cerchi dol dolente regno» 

Rispose lui, «son jo di qua venuto: 

Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 
Non per far, ma per non far ho perduto 

Di veder l'alto Sol che tu desiri, 

E che fu tardi da me conosciuto. 
Loco è laggiù non tristo da martiri, 


Ma di tenebre solo, ove i lamenti 


dl'improvriso cosa non preveduta, st no -—17. LisaUa»Intina, che ni tempi li Wir. 
, © dubita se la cosa sin ve glio ediSSordello era quolladogli Tsadiank 

18, Loco OxD' r0 rurs Mantova, patria 
di Virgilio è di Bondelle. 

19, MERITO: mfo, » GRAZIA divina. 

D' Ixyansso: Virgilio gii ha detto 
d'aver perduto {l etelo, v. 8, onde Sor- 
dello sa ehe non può vanire che dall'In- 
ferno, ma non «a da quale regione Îu- 
foruale. » onuostrA : cerchio dell' Infer= 
mor ofr. If. XXIX, 40, 

22. ran rurni: non vengo da una sola 
etilostra d'Ebferno, ma sono paesato per 
case fnito, inuuso © ravvalorato du cs 
Vosto virth: efr. Saf, IL, 52 agg. Purg. 
1, 52 egg 

25, ER YAN: NON per colpa com meta, 


27. tanDI: dopo morte, alla disecen di 
Cristo al Limbo, efr. I. IV, 53, 

28 Loco: fl Limbo, Sw. IV, 35 agg: 

« Doiorea nem sont ln Inferno patrum, 

ln Inforuo puerersme, qui 

nea propler pet 


riginalo»; Thom, dg 
Tetide 
2a. rome + nel TV deîl'Sny.1l luogo 





412 [awrie. vaLLetTA] Poro. vii. 30-44 [Le00E DEL 


Non suonan como guai, ma son sospiri, 
Quivi ato io coi parvoli innocenti, 

Da' denti morsi della morte, avant 

Che fosser dall'umana colpa esenti; 
Quivi sto io con quei che le tre santé 

Virtù non si vestiro, e senza vizio 

Conobber l’altro 0 seguîr tutte quante. 
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio 

Da’ noi, perchè venir possiam più tosto 

Là dove Purgatorio ha dritto inizio. » 
Rispose: « Loco certo non c'è posto: 

Licito m'è andar suso ed intorno; 

Per quanto îr posso, a guida mi t'accosto. 


Ma vodi già come dichini 


giorno, 


EA andar su di notte non si puote; 


laminoso è pe' soll apîriti Nastri e buoni, 
nom giù por gli altri. Virgilio, che era 
pure di quelli, dopo ascannato allo te- 


nohire, dios: Quiei ato i0: quella Ince alla 
Tom. 


colanto ora tenob: Cfr. Thom, 
Ag., Sw. thesl. ITT, Sappi. LXIX, 6. 

30, QUALI ott. Inf; IV, 28 meg. 

81. cor PaRVOLI: dunque nol Limbua 
puerorum, « Limbus patruma et Limbus 
puesorntm aluque dubio difurunt soenn- 
dum qualitatem premi! vel paum Pao- 
ria ani non alest «pos beat vite, que 
patridoain Limboaderat; in quibusetiam 
Jnmen fidei et gratim rofulgobat, Sed 
quantom ad situm, probabiliter credi» 
tne utroremque loona fdam fuimto; nisi 
quod Limbus patrum erat în superiori 
loco quam Limbos poetorum. » Thom. 
Ag. Bum, theol. TIT, Sappi. LXIX, 0. 

SÈ na'Dreri MORSI ose: passati di 
questa rita. D « concepisce col volge In 
mbrta a prima di un asimato e dentato 
mmano selioletro, e în fa agire 20] morde 
te ei Lomb, — « Morsua tuus ero, Infer- 

mo »} Quea XIIL 3. 

RI. UMANA corra: pecoato originale, 
= RARNTI: lavati co) battesimo, 

35 vinrù: teologali : fodo, speranza e 
carità; cfr. Cone. II, 14. 

30. L'aurue: lo virtù civili è naturali. 

V.37-08. Legge del Purgatorio clroa 
la salita, Virgilio proga Sordelio di mo 

Ta via por salire al Purgatorio, 
O llo espone ln legge colà vigente, 
aecondo la quale, tramontato Sì Sale, non 


è pomibila fare un solo passo in mi, 
logge conforme alia sentenza di Cristo, 
Giov. XII, 38. 


ti è permemo di voniroela a mostrare. 

38, xor: a noi; ofr, Purg, XXXI, 136. 

39. DRITTO INIZIO: Îl ano vero prinoi- 
pio. Sono ancora nell'Antipargatorio. 

40. CERTO! fisso, - PORTO : assegnato. 
« Non c'è nasognato nè diterminnto 
«un luogo: noi siamo liberi d'andare 
come et deve ci pare; ma ia: PREgninio 

Jon possiamo entrare »1 Ax. Tn 

Toro parmeano di girate attorno; der qual 
poggi e di salire fino alia porta del vero 
Purgatorio, ma non di ontrarvi; cià av- 
verrà sol dopo certo tempo, 

4Ì, ANDAR: Ali L'ANDAR, 

42. Pim QUARTO: mi 
mo guida Gn dove i è lcito Inoleraml, 
cioò alno ail' ingresso del vero Purgato: 
rio. La ragione più forte, 
se non Ia sola, per la quale 1). acli per. 
l'appantoSordello comm guida all'amena 
vallotta, è da ricerearai nol futto che Ser- 
dallo, serivendo fl piante par la maria 
di awe mint | principi del ano 
tempo, e pose «in mano fl fim 
pollo per pietra mondo ». Sordello 


Lo cit ci ll rm 














418 (Arm. vaLteTTA] Poro, vis. 114-127 


D'ogni valor portò cinta la corda; 
E se re dopo lui fosse rimaso 
Lo giovinetto che retro a lui siede, 
Bono andava il valor di vaso in vaso; 
Che non si puoto dir dell'altre rede: 
Tacomo e Federigo hanno i reami; 
Del retaggio-miglior nessun possiede, 
Rado volte risurge per li rami 
L’umana probitate; 6 questo vuolo 
Quei che la dà, perchè da lui si chiami, 


Anche al Nasuto vanno mie parole, 
, Pier, che con lui canta, 


ovensa già si duole. 
inor la pianta, 


malore, fn 
Proe. XXXI, 17. ‘fata, XI, 5. 
sa 156 agg. Vigo, Dar 


12. L bità 
ntsc: amina probità pasa 
dt razlo da'gruitori ne' Aglio; af. 
quale ancconse nel regno d'Aragona nel fachiae., Diso, 1, dl. 
1283 © mon senza prolo nel 1291, Altri 133. quxt Dio cheladà («Omo datum 
(D'Ancona, Leetura Dantie, p. 12) vo optiauzo et omne donmm 
rinetto ravvisar tetro, sunsit est doscendena a 
num »; Ep. Giae, I, 17) atfbohe ltio: 
nosca che la virth dell'uomo è dano di 
| Lal, non eredità naturale. 
fule, et patri mimi 1% Nasuto: Carlo d'Angiò; conft. 
IR RRDR: eredi. n. 113, — ranoLk: sui figli 
1 135, eci 120, oxpe: per la quale degenerazione 
det figli gli stati di Carto I, cioè la Puglia 
lo- e In Provenza, sin d'ora ni delgono. 
1 è tanto infe 


Bianea; aio contro 
fratello | usurpò Îi regno di 
la merta di Sancho LV, ros. Ctr. Purg. 
Î13, 115 eg. Par. XIX. 1200g.- Feok. 
100; Foderigo 11 re di Sicilia, terzoge- 
ulto di Pietro ITT, n. 1239, proclamato 
re dl Sicilla mel 1298, m; sel 1253, prin 
Hl quale forse non macitava | bi 





420 Csore. vatzeetA] Puro. vin, 1-10 


CANTO OTTAVO 


ANTIPURGATORIO: LA VALLETTA AMENA 
PRINCIPI INTENTI A GLORIA TERRENA 


PREGHIERA DELLA SERA, DUE ANGELI GUARDIANI 
NINO VISCONTI, IL SERPENTE, CORRADO MALASPINA 


Era già l'ora che volge il disio 

Ai naviganti e intonerisce il core 

Lo di c'han detto a' dolci nmici addio; 
E che lo novo peregrin d'amore 

Punge, s0 ode squilla di lontano, 

Cho paia il giorno pianger che si more; 


Quand’io cominciai a render vano 
L'udire, ed a mirare una dell'alme 
Sorta, che l'ascoltar chiedea con mano, 
» Ella giunse 6 levò ambo le palme, 


V. 3.18 La preghiera della sera. 
Sono elroa lo sel pomerbilazo. Un'anima 
ti Alea, ginage lo palme ole lera, tenendo 
l'ocolilo fiano verso l'oriente, ed Intuona 
l'Inno che ni canta dalla Chioaa nell' nl. 
tesa parte dell'uffizio divino, che dicesi 
compiata; è tatte lo altro marine riepom- 
4ea0. L'inno è questo: 


Ta lode ante termiann, 
Ctealer, peschi 


Rorom 

Ti tua pro cievaretia 
Rik pramani et contodia. 
Procnl receda: 


1. L'om4: dolla sera, la qualo ora volge 
Hi dieaio del naviganti nila patria ed inte 
miao 1ì loro cuore il giorno stesso della 
Jero parteuta dal dolci amici 0 congiunti, 


gia quale oca dA alporogzino nevallo pm 
tare di amore, se odo da iva 
del completa, risvogliandosi in Tal I" amo 
roso 0 molanconico desiderio dell' abban- 
donata casa paterna. 
3. LO pl: In quel giorno. 
7. A RENDRE sco,: a non dir più voce 
tatto intento » mirare una 
rime, Sordello arova cessato 
pariare: le anime avevano finito il canto. 
D. sunta: levata wa in piedi; tutti la 
quella valletta sedevano, eft. Bani VIL 


ut sileutiava indicena s; Atti XLL, 36, = 
« Voce manoque Murmara compresa»; 
Ovkil., Met. 1,205 ug. - Signdfioatque atua: 
nu ot magno simui Inelpit oro »i Prg 
Aden, XII, 082. 


pregnro; olr. Genent XIV, 22. 
TL VIT, st SEI, Pr 
LXXI, d. Firp., dem, X, BA Ag: 








422 [anmip. vaLLeTtA] Puro. vii. 29-42 


[1 DUE ANGELI] 


Erano in veste, che da verdi penne 

Percosse trasan distro e ventilate. 
L’'un poco sovra noi a star sì venne, 

E l'altro scese in l'opposita sponda, 

Sì che la gonto în mezzo si contenne. 
Ben discerneva in lor la testa bionda; 

Ma nelle facce l'occhio si smarria, 

Come virtù ch'a troppo si confonda, 
<Ambo vegnon del grembo di Maria » 

Disse Sordello, «a guardia della valle, 


, ma eziandio ® recar loro fl con- 
forto della speranza. 
20. KRANO TX VINTE 060.1 di traovano 
ttendol 


della grazia di Dio, la qual 
doll ot a'divoti affetti +; Am, Fior, 

33, 51 CONTRNNR: fu contenuta, Hmana 
in mezzo tra i due angel 


37, DEL GREMSO: dall’ empireo, dor 
Maria x 


gg. « Figurando Dante la miagion Îe 

Beati im Paradiso a modo di candita rosa 

(Par. XXXI, 1), le foglie della qualo a'e- 

no le sedie de' basti, in guisa disposte, 

IGM Mal iene verso le eirccoserenta 
della rosa vadano d'ordine in ordine 
rialsandosi, quest di valle andando o 
mente (tri, v. 121), © facendovi ln una 


dello più alte sedio, posta alla cieconfe: 
renza, assina Marin Vorgino, © festeg: 
ginta dagli angeli: perchè non intende; 
remo che come Poeta 


N grembo appalla fi 
Jscavitàdovesiodonoqueti ‘anime (Purg. 


. GR), cos grembo di Maris assalti là 
Mt apart 
ria presieda, e per cni quasi in grembo 
Gienni tutto Te animo ile' boati 1>(1) Zermò. 

20. via vua: n momenti, 
40, PER QUAL Calze: dovesse venlnà 


serpente. 
41. 201 votat: per guardare so mal le 
vodosai venire. 

42. TUTTO GRLato: aeghincolato & 
panta. - araLce: di Vlngilio. 

V. 43.84, Nino Visconti, Discer già 
nella vallo Rorita, Dante vi ebete Nik 
no,eioè Ugolino, Visconti, fl qualeai mar 
raviglia ndondo che Dante è ancor vite, 
© lo prega di raccomandnrio a Giovame 

ma figlia, lagnandosi ca 
id pasanta a seconde nosao. Questi. | 
di Giovanni Vinconti @ di ma figita del 


conte Ti data ee E 
nane 


a 














428 [ANyir. vaLLerra] Pure. vui. 112-180 [CORRADO MALASPINA] 





ur <Se la lucerna che ti mena in alto, 
Trovi nel tuo arbitrio tanta cerà, 
Quant’ è mestieri infino al sommo smalto; » 
Cominciò ella, « se novella vora 
Di Valdimacra o di parte vicina 
Sai, dilla a me, che già grande là era. 
Chiamato fui Carrado Malaspina; 
Non son l'antico, ma di Ini discesi: 
A'miei portai l'amor che qui raffina. » 
i: «Perli vostri paosi 
Giani non fui; ma dove si dimora 
Per tutta Euro ch'ei non sien palesi? 


‘e della spada. 
privilegi n 


F'assatto degli supe contro il serpente. salato ‘E; guorroggiaro ed acquistare 
Loxuarda dv, eporando di | ioamonoerto, amore qui si ammenda e 
go così 1a grozia Mamo pio 


135, onma; celebra, pubblica md alta 
ed il paese, cioè ln Luni 


qual parso dice chiaramente 

- per di sepra Danto intende Il Parmdito 

| terrestre, 

128, voemia : che quelli di casa vostra, 
cessato 


10; Vatoniacna: Vai di Magra fn Lu- 


a virtà contrasta all'avarizia è 
residenza del padre di Cor- 


afaggito il vocabolo come presaico. La 


120. gArvINA ; ni raffina, si purga; ofr. 
urp. XXVI, 148 « Portat tanto nmore 
#n'zalel, che fo ne Inscial la cara dell' aci: 
una ed fodugia) l'opere weritorie della 





TaniP. vALLETTA] | Puma. 1x. 1-8 


[coxcvamA DI TIFANO] 


CANTO NONO 


ANTIPURGATORIO: LA NOTTE NELLA VALLETTA AMENA 


SOGNO DI DANTE, L'AQUILA E LUCIA 


ALLA PORTA DEL PURGATORIO 


La concubina di 'Litan antico 
Già s'imbiancava al balco d'oriente, 
Fuor delle braccia del suo dolce amico; 


V. 1-12, Za concubina di Titano. 
Tì Poeta Incomincia con una descrizione 
dminentemente poetica ed aminontemeri- 
to oscura dell'ora in cui fa preso ul 
sonno, È chiaro che Dante Intendo di 


mandiamo per tatto ciò che concerne li 
lettoratara 0 l' interprotaziono di questi. 
vetal. Gli argomenti In contrario von 
arendoci parsanso, ripetiamo la già data 
Iaterprotazione, osservando però che casn 
dlo ratite miglia lontana dal prot: 
dì InfalIibilità. Il puuso è osenriasimo; è. 
win unigma che, come tanti altri nel Por 
ama xacro, aspolla per avventara ancoen 
M suo Edipo. Vedi pure Pasquini, La 
Qoneudina di Tuone ne 1X del Purg. 
Vamaala, 1889. Agnetti, Popo-Cron., A 
seg. Buscaino Campo, Stud, Trapani, 


1894, p. 150 ag. Galant, Lettera, II, 5,7, 
8,9 Noviti, Orar,, 14 Ag: 
1. coxcumsa : Tetia, moglie doll'Ooes= 
n0, ossia l'anda marina; efr. Fing., Bel, 
92. Lueam., Phare,1, AL, 


1, 717 eg. Afetam. XY, #0. Zueato, 
Phore. VII, 1 ag. AL: Titano ‘gioni 
Laomedonte, marito dell'Aurora. È nua 
| moglio concubina? O ebbe fl. decrepito 
tone una concubina accanto alla mo- 
sua Arrera? 
DIMANCAVA : era Mowinata, L'on 
da onrina è opaca per sua natura; quindi 
ao venga investita da raggi luoidi, coma 
mbianca per effetto di quelli fr 


mato: balcone, Al.: naLzo, che 
ta Dente ha sempre fl senso di terzazzi 
n0, 0 roosia sporgente ; el. Taf. XI, }153 
XXIX, 95. Purg. IV, 42; VII, 88: 1%, 
30, 88, sco, 

3. ruon: so l'astto sorgente, pet cai 
l'onda marina a' imbfanca, nom Tissio 
allota Tetì + imbianca 
a di iu, e quali ano 











432. Canne. vaLteTTA] PoRO. 12, 13-27 [sooxo nr paste] 


n Nell'ora che comincia i tristi lai 
La rondinella presso alla mattina, 
Forse a memoria do' suoî primi guai, 

E che la mente nostra, poregrina 
Più dalla carne e men da' pensier presa, 
Alle gue vision quasi è divina, 

In sogno mi parea veder sospesa 
Un'aquila nel ciel con penne d’oro, 
Con l'ali aperto ed a calare intesa; 

Ed esser mi paroa là dove foro 
Abbandonati i suoî da Ganimede, 
Quando fa ratto al sommo consistoro. 

Fra mo pensava: € Forse questa fiede 
Pur qui per uso, 0 forse d'altro loco 
Disdegna di portarne suso in piodo. » 


pià #'accendono dell'amore © la en 18. prvina: indovina; prevediando Ul 
rità divina, più adfinono, et sono ascora futuro nelle ano visloni. «Si quis utatar 
più cari, al aspra a tutti altri don, et non ad 

procedono negli vomi 


23. GaxprDR: figlio 

Prola Mpiù bollo del mortai ate 

Tî XX, 219 ag), Sl quale, sedatido & 

scola nl monte Ida (Vérg., dem, W, 258 
Horat. Stat, Thedi 


cor notto »; Ton 
TAR 


tritati 2 liberi sunt, futura pro-. 
Rpleiant»; Cia, De Seneet., 81, Cfr, Moo- ost” aq 
re, Orit., 266, glia prede ss nom di queste 
proci rogno poosuata dal nitidi 10) ac veri e i 
pauaiori, de' quali sogliono darlematerin —guava di trova 
£ sonsi. ML me riisti ved ili, coll'ariglo; 





4% [AsTiP, VALLETTA]  PURO.IX, 42-62 uveta] 
Come fa l'uom che, spaventato, agghiaccia, 
Dallato m°era solo il mio conforto, 
E il sole er'alto già più che dus ore, 
E il viso m'era alla marina torto. 
« Non aver tema!» disse il mio signore} 
« Fàtti sicur, chè noi siamo a bnon punto: 
Non stringer, ma rallarga ogni vigore! 
Tu se' omai al Purgatorio giunto: 
Vedi là il balzo che il chiude d'intorno; 
Vedi l’entrata là "ve par disgiunto. 
Dianzi, nell’ alba che precede al giorno, 
Quando l'anima tua dentro dormia 
Sopra li fiori onde Inggiù è adorno, 
Venne una donna, e disse: ‘Io son Lucia: 
Lasciatemi pigliar costui che dorme; 
Sì l’agevolerò per la sua via.” 
Sordel rimase, e l'altre gentil forme: 
Ella ti tolse, 6 come il di fu chiaro, 
Sen venne suso; ed io per le suo orme. 
Qui ti posò; e pria mi dimostraro 
Gli occhi suoi belli quell’entrata aperta; 


51, LÀ ‘ve 000.1 1A dove {1 balzo sha 


mata pe pater»; Nat., Thed, X, 


Mlrzotoros Virgiio; ctr. Perg.3It, 
i XX, 40, 
46. ALTO: erano adanquo già pamate 
lo 8 dl mattino. 
45. TORTO: voltato remo il 


n 
au, Virgilio, che del sogno di Dante non 
sembra saper nulla, gli racconta l'acca- 
Quto, spiegandogii così il sogno: Lucia 
venne all'alba, o, pigliato Dante, lo tra- 
Aportò a fin quasi all' ingresso del vero 
Pu . Virgilio Ja nego); gli altri, 
Rordato, Sino @ Corrado, rimasero na» 
taralimente indietro, dovendo ancora 


udtr ciò, Dante si 


48. os stuimomI: non diminuire, ssa 

ncoresci la ina sporanta. Nella para i 
guore ni ristringe, rimpiccolisce: mella 
Rperanza si rallarga. 


cluge 51 Purgatorio, sembra interrotto 
da una nportura. 

52, DIANZI: poco fa; ef, w. 1 agg. Cel 
principio del canto questo verso nou ha 
che fare, polchè qui si descrime nolò fl 
tempo in cul Lucia venne a prendere e 
portare su Îl Poeta che 

56. LAGarÙ: quel Inogo laggià, efoò la 
valletta del principi. pai qui usato 





l 
hi 


CANTO DECIMO 


GIRONE PRIMO: SUPERBIA 
(Camminare rannicchiati sotto pesi più o meno gravi 


SALITA AL PRIMO GIRONE, ESEMPI DI UMI 
ESPIAZIONE DELLA SUPERBIA 


Poi fummo dentro al soglio della porta, 
Che il malo amor dell’anime disusa, 
Perchè fa parer dritta la via torta, 

Sonando la sentii esser richiusa; 

E g'io avessi gli occhi vòlti ad essa, 
Qual fora stata al fallo degna scusa? 


V.1-11, Balita al primo girone. e- — l'uso pressogliantichi,ofr. 
sendo entrati nel Purgatorio, Dante ode ILI*, 1018. 

distro = sò il rumore stridente © forte -—’3.'AMOR: amore è, soco! 
della porta che l'angelo richiude, ma sorgeate di ogni buona e « 
mon csa guardarsi indietro, memore di zione umana; il retto ar 
qual che l'angelo gli ha dotto, Purg. buone,il malomale operazi 
TX, 181 ag. I duo XVII, 103 agg. - pisusa 
ws ed mente ai apra, essendo DI 





Puro, x. 7-2M [arzivo seL 1° GIR] dal 





i) Noi salivam per una pietra fassa, 
Che si moveva d'una e d'altra parte, 
Bi come l'onda che fugge è 3'appressa, 
* Qui sì convien usare un poco d'arte» 


Cominciò il duca mio, « in accostarsi 
Or quinei, or quindi, al lato che si parto.» 
E ciò face li nostri passi scarsi 
Tanto, che pria lo scemo della luna 
‘Rigiunse al letto suo per ricorcarsi 
Che noi fossimo fuor di quella cruna, 
Ma quando fummo liberi ed aperti 
Su, dovo il monte indietro si rauna, 
To stancato, ed ambedue incerti 
Di nostra via, ristemmo su in un piano, 
Solingo più che strade per diserti. 
Dalla sua sponda, ove confina il vano, 
Al più dell'alta ripa che pur salé, 
Misurrebbe in tre volte un corpo umano; 


mmul, essondeno stato ammonito; cfr. 


B. RI MOVRYA: nou era rettilinea, ma 
itarcovani in divora motì, descriveodo 
figuro men lasimiti da quello che descriva 
Fonda che rea Vieze. Conì la gran mag- 


Cfr. Clo. Lipe, II, 104, Invece di senso 
alcani cold. hanno atREMO; cfr. Moore, 
Orit., 389. Lo sono è lee. della grati 
maggioranza del tenti, 

16 LETTO: orlazonta. 

16. GEUNA : passo, adito anguato | elia» 
ma coni, secondo Matt. XIX, M; Afore. 

1 Zue, XVII, 54, quella strotia 

e la quale erano saliti. Anche pro- 
vetbialmunte al dice; « stretto come una 
cruna di ago.» 

17, cansissi 0 Art: Iberi dalle dif 
coltà della via ed usciti fuori all' aperto, 

38. su, povx: în luoge elevato, dere 
I monte n restringe, lasciando un r 
piano all'interno, 

21. soLI%00 609: più aolltarlo che atr- 
da nel deserto, «quia pavciantmi grudtut- 
tar por letam rinm pernitantim, ot maxi» 
mo auporbi, qui prime in venluntar n lata 
vin vi Bene. — e Peet om nolitudo de- 
sorti »; Feel. 11, è. 

22, aPONDA: orlo eaterno. = Hi VANO: 
ll vuoto « ando cader s pasto +; Purj, 
XDI, sè; 

20, Base la, 

34 sosia: mivarerehibo: er, Van 
mais.; Verdi, 3A ag. Dall'orto eetorno alla 
corta ii ripiano era largo tre volte la 
lunghorza di un uomo; dunquo crea cl 
quo suetri. 








4d4 [ormone PRIMO] Puzo. r. 48-65 Dm axdav0a) 


Da quella parte onde il core ha la gente; 
Per ch'io mi mossi col viso, e vedea 
Diretro da Maria, da quella costa 
Onde m'era colui che mi movea, 
Un'altra storia nella roccia imposta; 
Por ch'io varcai Virgilio, è femmi presso, 
Acciò che fosse agli oochi mici disposta. 


Per che si teme officio non commesso. 
Dinanzi parea gente; e tutta quanta, 


‘l'un « No », l’altro «Sì, canta». 
al fummo degl'incensi 


era imaginato, gli occhi e il naso 
Fà al sì od al no discordi fensi. 


FUMO DRAL'INCINAT: < 0 quan 
jo portavano l'Arca del Bis 


septem chori SIL ep. Vinte= DUE ERA 
Pista ed ndito. L'orecchio non diva voce aqua ei 
alcuna di canto; ma all'occhio la soniura ped 





Puro. x, 76-05 


Ei To dico di Traiano imperadore; 
Ed una vedovella gli ora ‘al freno, 
Di lagrime atteggiata o di dolore. 
Intorno a lui parea calcato e pieno 
Di cavalieri, e l’aquile nell'oro 
Sovr'esso in vista al vento si movieno. 
La miserella intra tatti costoro 
Parsa dicer: « Signor, fammi vendetta 
Del mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accorol» 
Ed egli a lei rispondere: « Ora aspetta 
Tanto ch'io torni! » È quella « Signor mio,» 
Come persona in cui dolor s'affretta, 
« Se tu non torni? » Ed ei: « Chi fin dov'io, 
La ti farà. » E quella: «L'altrui bono 
A te cho fin, so il tuo metti in obblio?» 
Ond'elli: «Or ti conforta, chè conviene 
©h”io solva il mio dovere anzi ch'io mo 
Giustizia vuole, e pietà mi ritiena. » 
Colui che mai non vide cosa nuova, 
Produsse esto visibile parlare, 


446 [otroxx PRIMO) 


goril nd vitam fuarit rovocaton, et Ita 
gratiam consecutus alt, per quam Seni 
Thom. Ag.. Sum. rAeel. LIE. Suppl., T1,5. 
Par, XX, M sgg., 100 ngg. 


< undiquo totia 
Taquo adlto torbatar agris. » 
20, L'AQUILE xELL'ORO: la aquile ro- 
pane siglato fo campo d'oro, Cost dn. 
D 


Hi. BOYR' EMO: sombrara a vederi 
chè, agitate dal vento, si movossero sopi 
| capo dall'imperatore. — at movinso: 


na 
reva che Tralano le rispondesse. 
#7. cOMmN eoe.: insistendo con impa- 
tieza, come chi è vinto dal dolore. 
580, L'ALTRUI MINE ècc.: che gioverà 
® te il beno fatto da aùtrì, so ta dimen» 
tiahi 0 trascori di fare quel bone a cai 
ho] obbligato per ragione del tua stero 
Wiflato P 


92. cu' ro soLva eto.: che, prima di 
partire coll' esercito, jo adempia tì mio 
dovere d' imperatoro, fasendoti, 

93. att miriam: dal partire. 
vuole che jo adempla Il mio dovere, e la 

età che ho di te, m'tndnse a non dif- 
fertrno l'adempimento. 

4. CoLot coe.: Dio,"al quale seas 
cosa può esser nuora, vedendo Egli ab 
esterno tutto lo com. + Ad opox norum 
sompiternum adhibot Deva conetlium ri 
Aug., De Ole. Dei SIL. 2a. = «Dia, 
sendo tutte le cose in lul, anzi essendo 
egli tutto le cono, ed essendo fsori es 
pra il tempo, le vedo tutte [malese nd un 
tratto, in nn attimo 


ni può diro ‘ii ma 
tore vedea questo 
scolpito, dico et chi 





450 [ermose rano] =—Poro.m.1-11 [maremmana pa surenDi) 


CANTO DECIMOPRIMO 


GIRONE PRIMO: SUPERBIA 
PREGHIERA DE’ SUPERBI, OMBERTO ALDOBRANDESCHI 
ODERISI D'AGORBBIO, PROVENZAN SALVANI 


<O Padre nostro, che ne'cieli stai, 
| circonscritto, ma per più amore 


DI wirn noi le (pace. del tuo roguo, 
Ohè noi ad essa non potem da noi, 
S'olla non vien, con tutto nostro ingegno! 
Come del suo voler gli angeli tuoi 
ificio a te, cantando ' Osanna ”, 


alionbi est, continetar loco; 
sontinetur, corpus est. Non 


— Ape alicudi. » Aug De Cie, Deb 
2FPETTI: creatore, como Cons, TL 


lanciati superstiti In ter a % 
mento bella carità, inîmioa a superbia, 
pos: 


Padre, pei nome ILiglio, pnt 
nome N 
Spirito Santo (Lond., Ve allo Dam cn 
sir 
lancazento 


dae 


20 essa nav ci è aponi 


l'infinito comprendo »; 
nni 1 sullo corporali loco 
elauditur +; Thom Ag., Sum, theol. 1,11, 
102,4. -« Deus non alicubi eat ; quod enim 


10. avo; Toro, come Saf, X, 13, ef 
2 pera di 
cina n 

















Colui che del cammin si poco piglia 
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta; 
Ed ora aj in Siena sen pispiglia, 

Ond' era sire, quando fu distrutta 
La rabbia fiorentina, che superba 
Fu a quel tempo, sì com'ora è putta. 

La vostra nominanza è color d'erba, 
Che viene e va, e quei la discolora 
Per cui ell’euce della terra acerba. » 

Ed jo a Ini: « Lo tuo ver dir m'incuora 
Buona umiltà, 6 gran tumor m'appiani: 
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora?» 

4 Quogli è » rispose, « Provonzan Salvani; 
Ed è qui, perchè fu presuntuoso 
A recar Siena tutta alle sue mani. 

Ito è così, e va senza riposo, 

Poi che mori: cotal moneta rende 
A gatiafar chi è di IA tropp'oso.» 

Ed io: «Se quello spirito che attende, 
Pria che si penta, l'orlo della vita, 
Laggiù dimora e quassù non nacende, 


10 diano | Anderni 


n fia la più 
sumo od egli, credendo averela vittoria 
per quelle parole, è credendo rimanere 
sopra tutti, non fece il punto alla 
ro dilano: nimserai no, mor 
quid, esc.» 0, Fil, VII, 81. Riavuto nello 
reggimento di Siena, 1 


dn Mena, 113 agg. 

160. COLUI: caso obliquo; tntta la Te 
Intama lo celebrava. - DEL CAMMUIS 5Ì rOCO 
Ialia: cammina con ah brero e Jento 


pusso. 
Li. sondi + fis vomo ln Slen 
Mino beopi dopo i eitorta ceti \ 


Le 
dat, 

eso 9 era molto 

uba volontà »1 @. VU s 

VIù2, suo: signore, non nel senso di 

Pucan ma in quarto « Provenzano 
"ema Il del pepolo di 

Minma v)_@, FAL VI, TT. = DISTRUTTA? 

eli, @. Vl. VI, T6. 


114, rurta: vile, venalo è 

115: xtuna: « Oronie caro 
cinnie gloria elua quasi dor 
XL, nia caro sicat 
rasoet»; Boefes, XIV, 18, Vedi 
LI, 12. Pual. LEXXIX, 6; 

110, quan: il sole col 
unotredalla terra l' rba tanera ed. imma 
tara, la dissecca poi e discolora. Coal il 
tempo fa nascere la fuma e la distraggy, 
= Deootorayit 








CANTO DECIMOSECONDO 


GIRONE PRIMO: SUPERBIA 


ESEMPI DI SUPERBIA PUNITA, L'ANGELO DELL’ UMILTÀ 
BALITA AL GIRONE SECONDO 


Di pari, come buoi che vanno a giogo, 
M'andava io con quell’anima carca, 
Fin che il sofferse il dolce pedagogo; 

Ma quando disse: « Lascia lui, 0 varca; 
Ohò qui è buon con la vela e coi remi, 
Quantunque può ciascun, pinger sua barca »; 

Dritto, si come andar vuolsi, rife' mi 
Con la persona, avvegna che i pensieri 
Mi rimanessero e chinati e scemi. 

mò To in'era mosso, o soguia volentieri 
METAIII pnsro aivnlernio: Bn qui i vaaci i val dira passed SEE 


Dante camminava chino aecanto nd Ofo- LA VILA ecc.i con ogni sforso 
dall ee corpo. Pelia remiegue 
contendere. 


7. COMK ANDAR YUOLALI 6Ome è nab- 
rali che l'aòmo vada. 

S. avrenma sco, quaatengue dì snbel 
1 Ci Sepresni ol 


detto pato avrei provato Il 
di pregare altrui » rispondono 
(an, Ott, Am, Far, Pala Bove, 
Bulk, Dan, ecc.), Ma non ara muova agli 
rose coi tale erratI9y: XY,34}- AMI 
dolla asperbia (Zend, 











468 {omoye rrixo] =—"Pura.xir. 82-98 [AnorLo 


n Di rivorenza gli atti è il viso adorna, 
Sì che i diletti lo ‘nviarci in suso; 
Pensa che questo di mai non raggiorna » 
To era ben del suo ammonir uso 
Pur di non perder tempo, sì che in quella 
Materia non poten parlarmi chiuso. 
A noi venia la creatura bella, 
Biancovestita e nella faccia qualo 
Par tremolando mattutina stella. 


gebunt quasi splendor I st. 

quaai atolli »; Donfela XIT, 8. 
-92.10RADI: | gradini peroni al ande nil 

secondo cerchio. 

nò trattenuti circa tro ore in "pento | DI, AGEVOLEMENTI: domata la saper 

cerchio. bia, è (nello l'uscema, I panni 
#2. apowsa: «Fa'ta di adornare di sono ritrost, Purg. X, 12%: solamente 
alto, Cfr, £ Bern, 


"revimoi Al: netto) effe, Malt 

CXIL, 14. Le parole di questa tere 

pesecno:d ensero dall'angolo (Ott.. Dan, 

Lomb., Cee. Tor, Fu, ect). o naleede 
Buti, Pl, cor) & 


por conseguire quella fama 


sE 


sacra gi smgell appariscono sempre 
MAI di btavto; cfr. Met. XXVII ò x 
Marco XVI, &. Lue, XXIV, 4. Gio. % latorade dell 
Xx, 1 tagliata n modo dii acula qu an 
DÒ. vuEMOLANDO | seintillando; «aldero ico; cdr. Purg. IV; $L 
alorior»; Horet., Od. ILT,tx,21.- «Pub 98, sr marméo: mi erosese la fronte. 








pegate. 1° 152%) Pure. xt, 117-186 Tsanima] 469 
Ohe per lo pian non mi paréa davanti; 
Ond’io: « Maestro, di’, qual cosa grevo 
Levata s'è da me, che nulla quasi 
Per me fatica andando si riceve? » 
Rispose: « Quando i P che son rimasi 
Ancor nel volto tuo presso ch' estinti, 
Saranno, come l'un, del tutto rasi, 
Fien li taoi piò dal buon voler sì vinti, 
Che non pur non fatica sentiranno, 
Ma fia diletto loro esser su pinti. » 
Allor fec'io come color che vanno 
Con cosa in capo non da lor saputa, 
Se non che i cenni altrui suspicar fanno; 
Per che la mano ad accertar s° niuta, 
E cerca, 0 trova, 0 quell'officio adempie 
Che non si può fornir per la veduta; 
E con le dita della destra scempie 


Trovai pur sei le lettero che incise 
Quel dalle chiavi a mo sopra le tempio: 
136 A che guardando il mio duca sorrise. 


porile nonoruzm, neccsse est ut, quando 
una conta tenditar, etiam «mos all 
tendantur, no la armonia fint dissonan- 

Bomavent. 7, 


‘altra cosa in capo, per 
mtanti rideno, o dicono quai- 


mano la capo ® cerca tartando, è lreva 
quello perchè altr si movea, che prima 
non vodoa»; Buti, etr. ZL, Venturi, Af- 
nl 6: 
sosricani sonpettare; ofr fufi 
IRPICCIAN 
190. La saxo: « Veli enim, flaamqua, 
tn Imagino credena Fao fidem, digita 
ad frontem ape relatis, Qu» vidit, te- 
Hlgtt ei Oni, Afee, XV, 506 ape. 

191, QUELL' OFFICIO ADRMELE 208, : fa 
col tatto ciò ebo con la vista non si poò. 
133, somorix: disgiutte, allnrgato. 

190. som già (condoni. befa 
dell' igooranza di Danto (Buti, Low, 
Fall), ma plattosto « gratulambo quia 
piace 04 feti Sheme. Cir, Tod. 
















ione sEcoNpo] Pure. xni. 1-9 [ASPETTO DEL GIRONE] 





CANTO DECIMOTERZO 


GIRONE SECONDO: INVIDIA 
i in circolo col dorsi appoggiati alla costa del monte, e l'uno presso 


br modo da reggersi senmbievolmente con le spalle, indossando un manto 
6 avendo le palpebre oucite da un filo di ferro). 









EMPI DI CARITÀ, SAPIA DA SIENA 


oi eravamo al sommo della scala, 
Ove secondamente si risega 
Lo monte, che, salendo, altrui dismala: 
vi così una cornice lega 
D'intorno il poggio, come la primaia; 
Se non che l’arco suo più tosto piega. 
Ombra non gli è, nè segno che si pai 
Parsi la ripa, 6 parsi la via schietta 
Col livido color della petraia, 




















Quassi tra noi, se giù ritornar oredi? » 
Ed io: « Costni ch'è meco, e non fa motto. 
È vivo sono; e però mi richiedi, 
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io mova 
Di là per te ancor li mortai piedi. » 
<Oh, questa è ad udir sì cosa nuova, » 
Rispose, «che gran segno è che Dio t'ami; 
Porò col progo tuo talor mi giova! 
E cheggioti per quel che tu più brami, 
Se mai calchi la terra di Toscana, 
Che a' miei propinqui tu ben mi rinfami. 
Tu li vedrai tra quella gente vana 
Che spera in Talamone, è perderàgli 


ne pani pasal per la 
n 


cosa mertdionalo della Tracaza prose 
Orbetallo, 1Sanesl lo coemprareno nel 1908 
« dall'Abate di San Salratore (del fon 
tamiata) © costò fiorini vito mila d'oro, 
è potsadavanio 3 Conti di Santa Fiore, 
6 per toro Jo tenovano »; Afurat., Seript.. 
XV, 46; ofr. Cron, Senert ad, Macon I, 
00, «.... nol quale porto Il Bemenl han 
grando meranza, eredendo per quello di 
venire grandi omini în mare, farel cone 
li Geaoveai 0 li Venoslant; ma quello 
porto è poco neato, perchè non è la beo= 
no alto di maro, et 4 in fermo, et è molla 


è friezi Borentini. «Lo Stato ehi 
età non voleva casero aaordito, bauagua= 
va ampliasso 1 propri confini e al csteri- 
dosan, e Slona, ricinta n satemtetono dal 
dewinto fiorentino, 0 n levante, sotto 
Montalolno, trovandosi serapre a dover 
lottare con 1 Viorontini nvedealimi, ton 
avova davanti a sò ovn al petomo an 
Pilsre re ox de Maremma, VI aveva, è 
vero, a combattere con È comi Aldo 
deschi, co' quali a lungo ha comlattnto) 
ma lo era par venuto fatto di potervisi 
allargare malgrado la lore ostinata rest 
atenza; 0 no memi Sella dimura di Dento 
lm Sbenn (1), essa avora soquiatato Il parto 
di Talameno dal monaci dali'Abbadia di 
Bati Salvatore in Montamiata,,.. Rm di 
ve lì Puota da gente, he qpera im Tali 
soon, gÙl è porvbè lì ano viaggio we' tro 
Somplosi nei 1508, nel qual tempo 
1 Bannal tuttavia speruvano in qual pom 
aodimento | ma sè nllora nò pol non si 
monturon nat la Lesla dla voler vi costru 





Più di speranza, che a trovar la Diana; 
as Ma più vi metteranno gli ammiragli. » 


te navi da guerra, o armarri flotte, è no- 
minari ammiragli, Que porto ani de: 


Jena dall' vi fu rigato 
lmo i rato rono Da' 
dl Slc vota mogga di grano 


Jo fattorio del commercio di Mirens.» 
Auarone, D, fn Siena, 70 0g. mapa” 

Rion: vi perderà; ofr. Inf, XX1UI, 04. 
198. Diana: Sumo notterranso cl 
sotto 


regolare quante più sorgenti al trova- 
vano. E | vielai se ne facevano belle, 
MESSE Sicaci arastero aporiano di 
trovare cosa impossibile; cfr. Aquarone, 
È Lt gra mi, Tradie.. 1, 60 
"Com, Lipe. TT, 234. Base, 307 eg. 11 
‘vuoi leggere disperanza in luogo 
di di speranza, fotendondo: + È questa 
tom, più disperata che già fosse quella 
di trovare la Diana, It perderà. » 
1b4, vi merTIASNO: del loro, vi soa 
Miteriazo. Al: Al vi rantRArOIO. Cfr, Moo- 


en) Bene. Che 


rentini la pernistenza con cai miravano i 
Sanesi allo maremmo, e Sì loro disegno di 
avore un porto di mare fn Talamone, me 
4 Fiorentini avevan fatto quante, 

poternai nà impedire @. I 


to. 

Avrebbe egli per avventura avnto 
motivi personali di mottero Slona in de- 
 rixione? 





Temoxe secoxDo] Pugo. xv. 1-10 Cous sermimi) 481 





CANTO DECIMOQUARTO 


GIRONE SECONDO: INVIDIA 


GUIDO DEL DUCA E RINIERI DA CALBOLI 
LA ROMAGNA DEI MCCO, ESEMPI D'INVIDIA PUNITA 


< Chi è costui che il nostro monte cerchia, 
Prima che morte gli abbia dato il volo, 
Ed apre gli occhi a sua voglia e coperchin?» 

# Non so chi sia: ma so ch'ai non è solo: 
Domanda] tu, che più gli t'avvicini, 
È dolcemente, s! che parli, accòlo. » 

Conì due spirti, l'ano all’altro chini, 
Ragionavan di mo ivi a man dritta; 
Poi fér li visi, per dirmi, supini; 

EL] È disse l'uno: « 0 anima che fitta 


7. 1.d, Colloquio dii due spiriti di leggono a coro, splogando: SI ch'egli 
Doe spiriti, obe In seguito parli a perfezione (Porti. Onan, Petr, 
Dant., Buli, Land., cee.); oppure: Parli 
amorerolmente (Vell., ee.); od nnebior 
Parli con riverenza (Dol., sco.) Ma nom 
ni trovano esempi di a colo uusto la que: 
mi pensi, Ctr, Nanmue:, Verbi, &4 Wp. 789 
Pertisari, Dif. di Dante, 11, 27, 
Pix ecc. alsazono | visi par gar 
larmi, como giù foce Sapia; af. Pur 
XI, 12, 


V. 1034. Domanda e risposta. L'azo 
dol deo, Guido del Duca tr, 61), rivolte 
la parola a Dasto, pregandoto di lr loro 
onde venga © chi egli ais. Daute rispon: 
da alla prima domanda, dicando che vie» 
ne dalla vallo dell'Arno, ma designa I] 
fine 00m nna circoniocuzione. Alla sem 

risponde naziîtmento cameo Inetila 
ch'egli si nomini, prot Il smo none è 
ancora ewouro, 

10. virrA: rinchioma, confinata | of. 
Pury. 11, #9. 








484 [aroxe secoxno) Pura. xiv. 39-53 


{corso 


Del loco, 0 per mal uso che li fraga; 
Ond’hanno sì mutata lor natura 

Gli abitator della misera vallo, 

Che par che Circe gli avesse in pastura. 
Tra brutti porci, più degni di galle 

Ohe d'altro cibo fatto in uman uso, 

Dirizza prima il suo povero calle, 
Botoli trova poi, venendo giuso, 

Ringhiosi più che non chiede lor possa, 

E da lor, disdegnosa, torce il muso. 
Vassi caggendo; e quanto ella più ingrossa, 

Tanto più trova di can farsi Inpi 

La maledetta e sventurata fossa. 


Discesa poi por più 


i, sì pieno di froda, 


19, 7RUGA: sprona, eccita; ofr, Purg. 
XY, 197 XVII 4 

40. 0x8: © por luna 0 per l'altra delle 
due dette cagioni. 

42, Cino: la famosa maga che tramn- 
tava gli nomini in bruti, ofr, Inf. XXVI, 
#1, « Quos hominum ex fazio den anva 
potente bara Induerat Ciro n val 


ecc. volge 

dapprima i eno abitanti 
dell'alto Casentino, finchè tra Porclano 
Romena Ja ana valle va dilatandosi n 
de 


antnati di Porclano (ofr, Inf: XXX, 
Sendatari del Mi cme; ica 


IL, 20, - 

dB: POTRO: penrno di acque, Codì tut 
Ri, tramno Il GNodertt, il qualo crodo «ele 
Dante chiami porero ll calle di questo fn- 
inn osa bel traslato morale, rispetto alla 
ira volle per 0a tracorto.» 

dd ROTOLI: « Beta seno cani pierali da 

nbbalaro più altro »; Aut. Da 
dà questo nomo aproguvele agli ‘aretini 
« porebò banno maggiore l'anîmo che 
pon wi richiedo alla forsa loro; et ancora 
perchè d scolpito nel segno loro: A cane 


Lion 


i rale vi pr 


47. roxas: rissosi più che non vo 
gliano lo forse loro. 

48. aanramosa : la detta riniera, v. Mi, 
cloè l'Arno, che « fuxta A rettum delisotit 


tris milliaria, ita quod videtue ad 
lam indignantis dicrre: Nolo wi te 
Bene. 


52, ran PÒ reLLonI CUPI: D, pad pare 
e di pù polaghi, qrantonua Di 00 
nia anico, perchè, come bene omserva il 














Puro. xiv. 189-151 [xs.p'ixvin. PUNITA] 491 





«Io sono Aglauro che divenni 838801»; 
Ed allor, per istringermi al posta, 
Indietro feci e non innanzi il passo. 

Già era l’aura d'ogni parto queta; 

Ed ei mi disse: < Quel fu il duro camo, 
Che dovria l’nom tener dentro a sua meta. 

Ma voi prendete l’esca, «l che l'amo 
Dell'antico avversaro a sò vi tira; 

E però poco val freno o richiamo. 

Chiamavi il cielo e intorno vi si gira, 
Mostrandovi le sue bellezze eterne, 

E l'occhio vostro pure a terra mira; 
18 Onde vi batte Chi tutto discerno, » 


Pes erp ioni incalaa 


ur Autavio: figlia di Cocrope, ra 
d'Atese; invidiando la sorella Erso, che 


i 


<E oa ara ssomplo questa voce 


fuggire la Invidia, pensando 
ne rioerò chi è invidioso, 
Maso, cioò freddo 6 duro, 
‘ogni carità »; Buti, 

ALcon eco: Daato a'/Impao- 
avendo ancor udito nel Par 
si terribili veci. 

+ DX DmeTmO (I). 
AURA...» QUETA 1 nom al udivano 


[HE 
5 
i 


bri 


Eb 

Fegari 
di 
= Hi 


qu 


HE 


î 


pillin; © conì fa lo dimento nb 
o dimonio pilia 

l'omo 4l è lo poceato; l’osca somo li beni 

apparenti mondani © non edetenti, coi 

quali cl tira nd ogni malo»; utt, 

solt homo finom sonni; mel 

capluntur hamo, ot alcut avea foca 

comprebenduntur, alo capiuntar homi- 

nes n temporo malo, com ola extomiplo 


167. ruemo: esempi di viali. putti. — 
utoniaxo : esempi di virth premiate, 
148. tt CIKLO : «ad proci para 
obie »; Bene. 
uo, mecca sos e SU 
XXXIV, 197. 


"nhon qundaza varca ogni 
rum clamat stquo Inorepat nquoscen: 
am esse Creatorem » } & Aug, De td, 
darò. III, 23. 
150. # L'occuto eos,: nondimeno la 
vostra mente è rivolta solo alle coso fer 


coslamque tuori Tussit et orectos ad ale 
dera tolloro vultoa »; Orid., Mat. I, BAxg. 

151, cop eco.: perciò Tàdio, che fatto 
copesce, vi punisce. 




















Puro. xv. 1-8 





le SECONDO] [L'ORÀ DEL TEMPO] 





CANTO DECIMOQUINTO 


GIRONE 





SECONDO : INVIDIA 


DELL’AMOR FRATERNO, SALITÀ AL TERZO GIRONE 


GIRONE TERZO: IRA 


in mezzo a un fumo densissimo, che non lascia discernere nulla) 


INI DI DOLCI MITEZZE, PENA DEGL'IRACONDI 


nanto tra l'ultimar dell'ora terza 
E il principio del di par della sper: 
Che sempre a guisa di fanciullo 8 
‘anto pareva già invèr la sera 

Essere al sol del suo corso rimaso: 

















458 [oinowe renzo] | Puna.xv.86-105 [xs pi massoeronisE) 


si Ivi mi parve in una visione 
Estatica di subito esser tratto, 
E vedere in un tempio più persone; 

Ed una donna, in su l’entrar, con atto 
Dolce di madre dicer: « Figlinol mio, 
Porchè hai tu così verso noi fatto? 

Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io 
Ti cercavamo!» E come qui si tacque, 
Ciò che parova prima, dispario. 

Indi m'apparve un'altra con quelle acque 
Giù per le gote, che il dolor distilla, 
Quando per gran dispetto in altrui nacque, 

E dir: «Se tu se’ sire della villa 
Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite, 

Ed onde ogni scienza disfavilla, 

Vendica te di quelle braccia ardito 

Cho abbracciar nostra figlia, o Pisistràto!» 


Risponder lei con viso te 
« Cho farem noi a chi mal ne desira, 
Se quei che ci ama, è per noi condannato? » 


massi fi vede cose naovs mi fecero am; omne! 1 girino andà quindi ip 
mutelire. nto, ed ebbo fx laposa la functulla, 
ET. 210 runsone: | dettori giudei, in ‘ti'ancddoto, tredcsdo Va: 
rmeezo al quali il dodicazno Gorì stdo-  lerio Massimo quaal ulla lettera, 
va, macoltandoli ed interrogandoli: efr, —M. cn'astiA: donna, cin la mogli 
TI, 40. di Pialatrato.- Acqua: lagrime, 
Ù8, Una boma: Marla —1x su £' 


Gbibe dette questo parole, la prima vi. 


gione dieparre. 
V.4-105. Platatrato, senomito cscwn- 
dimarmertidine, Appena dilegua: si 
socend + tra Nettano 0 Minerva per 
atabilie da chi do'duo si dervane deno- 
minare la ciità, che da Minorva fia pol 
denominata Atone; efr. Qekd., Atet. VI, 
70 seg 
k i d 20. xD osp eco.: @ dalla qualo cità 
Rar., 1653, Ratconta Valerio Mamimo di Ateo diffonde ogei lume di neletiza, 
(Punta vt dista mem. VI, 1) che un gio» di arte a di civiltà. 
ine, innameratcai di una figlia di Pin ea, 11 MIONOR: Plaletonto, 
girata, la baciò in pubblico, 0 che, chie: —193.rIM"ELATO: mananeto, abteggiato 
Mando la meglio di Plsiatrato vendotta = bella parlona e binignità. 
V. 190-114. Sunto Stefumo, terso 


quid bio Diclemus, quibua odio 





500 [erowe renzo]  Poro. xv. 115-182 tuntrstRAceTO) 


16 Quando l'anima mia tornò di fuori 
Alle cose che son fuor di lei vere, 
Io riconobbi i miei non falsi errori. 
Lo duca mio, che mi potea vedere 
Far sì com’uom che dal sonno si alega, 
Disse: < Che hai, che non ti puoi tenere, 
Ma se’ venuto più che mozza lega, 
Velando gli occhi o con lo gambe avvolte, 


A guisa di cui vino o sonno piega?» 
«0 dolce padre mio, se tu m'ascolte, 
To ti dirò » diss'io, «ciò che mi apparve, 
Quando le gambe mi faron si tolte. » 
Ed ci: < Se tn avessi cento larve 
Sopra la faccia, non mi sarlen chiuse 
Le tue cogitazion, quantunque parve. 
Giò che vedesti, fa perchè non scuse 
D'aprir lo core all’acque della pace, 
Che dall'Eterno Fonte son di; 


gettive, fmmagivandosi di vedere fuori 
i ud elò cho è soltanto nel wuo interno, 
Così, durante la sua catari, Danto avea 
ereduto cho quanto agli vedova ed ndl- 
7a, arventimo realmente fuori di ab, fos- 
maro cioò futti oggettivamente veri e rune 
Il; © questo è l'errore di cui al accorge, 
200 appena l'anima sua è ritornata alla 
porcezione delle coso oggettive. Ma egli 
asserra ole | scioi orrori erano won falei, 
Avendo Ja coscienza di nen essermi in- 
gannato, di avere realmente veduto ciò 
che gli apparve, quantonque fowsero im: 
li golo esistenti, auazito 
L'ecchio quo corporale non av 
nulla; epporo lo cose gli erano ver 
atate presenti, ed agli le avea realmente 
velluto cell' occhio della monte, dell'ani- 
ma, dello spirito, 

16, TORÒ: al risvegliò dall' eateai, 
nella quale l'anima, tntta sconpata delle 
‘ove interne, spirituali, non percepisce 
fill le cose saterne, = ni vot: alle. real: 
tà oggettive, alla percezione dello ccm 
saterseei. 


130. PUOR DI LR: vi sono 006 vere 
Frolma, MI rogando del fenomeni esterni, 


Je verità oggettive. 
117, 20x FALSI: oImne realià soggetti vo, 


119, at ato: nl scloglia dal sonno, al 
svegli 
120, TRsmRR: reggere ln plodi. 
122, varaxro: cogli occhi nocchiaal a 
logambe vacillanti,a guisa di uomo vinto 
vino e dal sonno, «Illo mero sommo- 
quo gravia titubaro videtur, Vinge: 
i »s Ovidio, Met, XIX, 008 nE = e! 
quitor gravita mombrorum, 
‘fur Crora vacillanti, tanderde 
x Lucret, 


Fat. LHL ATI agg. 
26. roLmE: limpodite, 
‘£- maschore;of, Par.X.XX,91, 


versi 

15, 12.-e Deraliquerane vero aqua rm 

Tao Dominam »; ibkatere XVIL, 
, 000. 





Ù 


602 (om. renzo] Pono. xe. 149-146 xvi, 1-8 


Veîso di noi, come la notte, oscuro; 
Nè da quello era loco da cansarsi: 
mu Questo ne tolse gli occhi e l’aer puro. 
143, oscuno + efr, Purg, TRL, Lame tile orli tl 
Tdt. x Da QUELLO indignatione ocalnà mena»; Zob XYIT, 


alonna parto, Prize liete 7, = oLI occut: Al.: AGLI OCCHI L' ARk 
145. WR TOLAR oso. ; ci tolse l'aso de —rDRO. 


CANTO DECIMOSESTO 


GIRONE TERZO: IRA 
MARCO LOMBARDO, DEL LIBERO ARBITRIO 
DELLA CORRUZIONE DEL MONDO, CORRADO DA PALAZZO 


GHRRARDO DA CAMINO, GUIDO DA CASTELLO, GAIÀ 


D'ogni pianeta sotto pover cielo, 
Quant'essor può di nuvol tenebrata, 

Non fece al viso mio sì grosso velo, 
Como quel fummo ch'i 


V, 1:15, Cammino attracerso 
mo. Volendo dare na' idea della ; eb ìO 
meurità che lo avvols nel terzo girone 
del Purgatorio, Dante accenna alla por- 
potea notte infernale alla notte terre- 
niro raccogliendo tuti 


‘oscarità di questa: mancanza 
(ato laminoto, dendltà di nuvulo e ori 
sante limitato di ehi ai trovi la una gola, 
9 vallata profonda ed anguata, Virgilio 
pi acccata » Dante, allinchè questo n'ap- poni pineta. 
Poggi Alla sua spalla. (A pece di aiea "qulitri 
1, iuio 0c0.: l' ancarità dol cerchi 1n- ite vuol daro un'idea 
Formati, 0 della più cecura notte che possa 
darsi ha terra, è iinore di qualla che mi 
Avrolse qui. - rurvAta: sensa stello, 
pata 311, DO: « Totidom alno al 
dore nectos. + 
2. nov: lu looge angusto, dove nl 








604. (ormone renzo] -— Pono. xvi. 25-42 


< Or tu chi se”, che il nostro fummo fendi, 
E di noi parli pur, come se tuo 
Partissi ancor lo tempo per calendi? » 

Così per una voce detto fue; 

Onde il maestro mio disse: « Rispondi, 
E domanda so quinci sì va sue, » 

Ed io: «O creatura che ti mondi 
Per tornar bella a Colui che ti fece, 
Maraviglia udirai, se mi secondi. » 

«Io ti seguiterò quanto mi lace;» 
Rispose; « e se veder fummo non lascia, 
L'udir ci terrà giunti in quella vece.» 

Allora incomineiai: « Con quella fascia 
Cho la morte dissolve, men vo suso; 

E venni qui per la infernale ambascia: 

E se Dio m'ha in sua grazia richiuso 
Tanto, che vuol ch'io vegga la sua corte 
Per modo tutto faor del modern'uso, 


toni che Dantoò ancor vito, perla doman- | fumo, mentre dal tuo modo di saprimerti 
ila fatta a Virgilio, (chè un'anima pur 
gunte non avrebbe fatto tale domanda), Lexni: calende (ofe. Parodi, 
Deb epiito ehledo chi egli sta. Confer: 7 
tato da Virgilio, Dante risponde che è —anoora il tempo per mesi: monito mer 
tufatti ancor vivo, e pregn lo pico di wava divisione del tempo ha Inoge nel 
ila bwo- regni dell'eternità. 
sO. se quasci: se da questa parte è la 
oprastante, 


8, auso | non aul monte (Fenr., wee.), 
(Buti, Land., Mim i 


‘: pon più concodinte al 
abeun “2010 da 8. Palo ka pai a, AV 
11,13 agz. 





Puro. xvi. 43-57 [Arco LomsARDÒ] 505 


Non mi celar chi fosti anzi la morte, 


Ma dilmi, © dimmî 


lo vo bene al varco; 


È tue parole fion lo nostre scorte. » 
< Lombardo fuî, e fui chiamato Marco; 
Del mondo seppi, e quel valore amai, 
Al quale ha or ciascun disteso l'arco. 
Per montar su dirittamente vai. » 
Così rispose, e soggiunae: «Io ti prego 
Che por me preghi, quando su sarai. » 
Ed io a Ini: « Per fede mi ti lego 
Di far ciò che mi chiodi; ma io scoppio 
Dentro a un dubbio, s'io non me ne spiego. 
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio 
Nella sentenza tua, che mi fa certo, 
Qui ed altrove, quello ov"io l’accoppio. 


È 
di 


morti: non dice chi sei, ricor 
‘ciò che ba adito Purg, X}IK, 


i 
i 


e dimmelo, — vancO:: per il 


BILLO 
HERAAAT 
iti 
i 


mondo (Lomb., Cee., Bi,, ose}; Al: Quatte 
Does.) 


più ai 

Il fatto della corruzione uni 

quindi certo; ma qualo ne è il motivo] 
Guido del Duca avera lasciate incerto, 
no tomo per effotto di coloati Infiunal, 
© della umana malizia. Tì dabbio ande 
ciò avvenga, si fa più forte nella mente 
di Danto, dopo aver udito lo parole di 
Marco; epporò gliene chiedo la soli 
zione, 

52. ram FRDE MI TI 18001 ti Gbbligo 
la mia fedo di pregare per te: 

63. Ma fo scorto ese: song lanto 
atretto da un dnbldo, cho, so nom We 
ne libero, ne muoio, 

Bb» all'udire Gallo del Duma, = 
aciaersO: semplice. 

66: NkkLA SENTENZA: per'lo too pa- 
role, cho mon mi lasclano più dubitare 
della universalo corruzione. «Quante più 
rondosi certa l'ealatanza di un v@btto mar 
ravigliose, tanto maggiormento a'soere- 
sco uell'umm da brama dì 'separno i 


corrasion 
Reise capre veni anta HI mio 
ibblo. 








emoxx terzo] 

Libero arbitrio, e non fora giustizia 
Por bon letizia, e per male aver lutto. 

Lo cielo i vostri movimenti inizia, 
Non dico tutti; ma, posto ch'io il diea, 
Lume v'è dato a bene ed a malizia, 

E libero voler; cho, so fation 
Nelle primo battaglio col ciol dura, 
Poi vince tutto, se ben si nutrica. 

A maggior forza ed a miglior natura 
Liberi soggiacete; e quella cria 


Puke. xvi, 71-81 [corruz. DEL MONDO] 507 


La mente in voi, che il ciel non ha în sua cura. 


nt ita sequeretar quod homo non esset 
liberi arbitri, sed Laboret actionea de- 
torininatas, aiout et ctero res natura. 
Je; que maniftato nunt (alta »; Thom, 
Stra. cheol. I, 115, 4; tr. sbid. I, 73, 
Tag. Boît., Coms., V, 2. 
TL wow rosa: non asrebbe giusto Il ro- 
munerare il 


É 


ti 
it 


uomo è fornito di libero 
fi quale può frenare gli 
al bone, + Corpora 

sant voluntatum nostraram 


Intellectiva animso est..., SI igi- 
‘corpore ccsleatia non peeaont lmprs- 

direste ie Intelleotune novteum, 

est, neque etinm fn volunta- 
diroote 


i 
| 


tan 
. 
Bri 
ti 


de icon: IV, da pe 31, Cose” 
11, 260. 
TT: 00% ct DERA: + de dura Sotto, 


Giri ce rl ciali a E 
tà de' sensi, a lo quali fl ci 
pio lo pioga, vince poi tutto [Zed 
Te, rutto: ogni lafiuao du'olett.. « Vo- 
Junta» nou ex necsasitato sequitur fa 
clinationem aqpetitua infertoris, Lioet 
enim passionea, quie annt fn Iravelbili 
‘ot comcupiscibili, habeant quamdara vim 
ad inclinandam voluntatera, tamen fn 
poteatate voluntatis remanet segui pas 
ione, vel cas rufutaro, Et {deo impraa» 
aio contenti um corporum, secandwm quam 
Mamutari possnnt infuriorea virea, mintia 
portingit ad voluotatem qi 
ina eauss bamanorum nol 


tor passionea, quae sunt motus aenaltivi 

appetitua, ad quaa cooperuri ponsunt 

sorpora cclestia; panel autem evnt sa 

pientes qui huloamodi passionibua real 

atant. Et ideo aatrologi, ut in pluriboa 
« 


TRom. Ag., Sum. theot. 1, 115, 4, = «SIhlk 
probibet per voluatariam metionem im- 
deliri elfestun colestium corporum, non 
solum fn leo boriino, sed otinm in allîa 
rebos sé quas hominam operatio n ax- 
tondit »; ibid, I, 115, 6 — « Contra ine 
alinationem certestium 


latellettivo, la quale 

movimenti de'eleùi. Cfr, Thom. dg., San. 

Gheol. I, 75, 0, &. Ampi, Cip. Def V, 3. 
Bi. IL OIL NON MA 600,1 « da mante 

mnana che il Cialo nun da in sua era, 

è l'anima In quanto è libera e ragione 











[urroxe reRzo] Puro. xvi. 128-138 [oara] 511 





Francescamente il semplice Lombardo. 
Di'oggimai che la Chiesa di Roma, 
Per confondere în sè due reggimenti, 
Cade nel fango, e sè brutta e la soma.» 
«O Marco mio, » diss’io, « beno argomenti; 
Ed or discerno perchè dal retaggio 
Li figli di Levi furono esenti: 

Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio 
Di’ch’ è rimaso della gente spenta, 
In rimprovèrio del secol selvaggio? » 

«O tuo parlar in’inganna, 0 e' mi tenta; » 

Rispose a me; « chè, parlandomi tosco, 
Par che del buon Gherardo nulla senta. 


© moiti no rimise in cavalli ed 
parati di 

qua»; Ott « Fait vîr prudena et rectus, 
t honoratus, quia 


poteri, 
‘e spirituale, precipita nol fan- 


po, od Imbratta sò stouna ed fl suo carico, 
cioè l'uno el'altro governo che presume 
tanero, lo spiritualo e Il temporale. 
139. CAD) « Ante omnia ergo dicimns, 
uumquemque debero materie pondax 
proprile humeris comquare, ne forte 
bimereram nimio gravato 
ecmum cespitaro att 
Fiog. IL 4. 
V. 190-145. Gata, figlia det Den 
chi ala quel 


1311. Il Lan. # l'Ott ambiguamente: 
Fe donna di tale reggimento cir de 
dolettazioni amorose, chi 
sor sce pre tea i DA maia 
Tuta onim erst fumosiasima in tota 
vardia quod ubique pv 


tibi poellas formonas. Multa jocosa selena 
praterso de furmina ieta, quan dicere po- 
dor probibet, » Altri la dicono îaveos ce 
lebre por bellezza cd onestà (An. Aker., 
Buti 


rozzi, ln DI 6 dî suo vee, pi 504 Fran 
seni, Difera dell'onore di Gaia, nel aio 
Studi vari sulla Die. Com., Fir., 1887, 
P. Rajna, in Full, 349 agg: 

131, piscro : comprendo la ragione 
perchè $ Leriti furono esclusi dall'ere- 
dità dî beni temporali ; ofr. Num. XVIIL 
20, Gioruò XIII, 14) XXL, È mpg 

124. GENTE SPENTA : del booni nomini 
d'altri templi, v. 115-126 

136. DA IDIPROVARIO vee. da rampogea 
della generazione odierna, priva di valo 
re e cortesla ; epparò selvaggia. 

136. 0 TUO eco.: 0 io non ho inteso 
tano jo tno parole, oppure ta hal par 
Jato così per fadurmi & dire ancora al 
tro coso amî conto del buon Gheranto. 

137. rosco; toscano, Gherardo da Ca- 
mino era conosciutisaimo in Poscamaz efr. 
Del Lungo, Dino Comp., I, 566 ng.i 
IL 47 

Cei rr pamenicioslia. 
parolo, che ta non ne esppia nulla. 











NE TERZO] PURG. XVI. 189-145 -xVIT. 1 [USCITA DAL 





er altro soprannome io nol conosco, 

S'io nol togliessi da sua figlia Gaia. 

Dio sia con voi! Chè più non vegno vosco. 
Vedi l’albér, che per lo fummo raia; 

Già biancheggiare, e me convien partirmi 
- L'angelo è ivi- prima ch'io gli appaia. » 
Così tornò, e più non volle udirmi. 
















fox vEANO vosco : non essen- 
di ascire da questo fumo, 
Fenire più oltre con voi. 

6:11 chiarore, non del sole 
Dan., Lomb., 6c0.), ma del. 
lo sta al passo del perdono e 
del solo; ofr. Purg. XV, 10 
raggia; cfr. Par. XV, 56; 





BeLO : è questo l'angelo della 
rg. XVII, 468g.- PIUMA: pri- 
rirgli dinanzi, il che non mi è 


GIRONE 


TERZO: 


lecito sino a tanto che non sia compiuto il 
tempo della mia purificazione. AI.: PRIMA 
cu’ EoLI PAIA; ma l'angelo non abban- 
donail suo posto; ofr. Com. Lipe. II, 296. 

145..008ì TORNÒ ece.: ciò detto,si rivolse 
indietro e non volle udire oltre; efr. Inf. 
XV, 121 agg. Al.: COSÌ PARLÒ; era pro- 
prio necessario di dirlo ! Cfr. Com. Lips. 
II, 296, Moore, Orit, 391, - x PIÙ: AL: & 
POI. VOLLE UDIRMI: Al.: VOLLE DIRMI; 
Marco non volle soltanto più dire, ma 
nemmeno udire. 








CANTO DECIMOSETTIMO 





IRA 


314 [omow® renzo] — Puro. xvit. 14-29 


Talvolta sì di fuor, ch'uom non #'accorge, 
Perchè d’intorno suonin mille tube, 

Chi muove te, se il senso non ti porge? 
Muoveti lume che nel ciel s'informa 
Por sè, 0 per voler che giù lo scorge. 

Dell'ompiezza di lei che mutò forma 
Nell'uccel che a cantar più si diletta, 
Nell’imagine mia apparve l’orma; 

E qui fa la mia mente si ristretta 
Dentro da sè, che di fuor non venia 
Cosa che fosso allor da lei recotta. 

Poi piovve dentro all'alta fantasia 
Un crocifisso, dispettoso e fiero 
Nella sua vista, e cotal si morla: 

Tntorno ad esso era il grande Assuero, 
Ester sua sposa 6 il giusto Mardocheo, 


nativa, ossia la fantasia, v, 25, « Ad ba- inerti empietà, erudeltà. — Lr: 


tum autem formarum retentionom ant 
som ordinatur phontaria, ale 
va itaginaito, que idem sant; cet catm 
phantasia siro Imaginatio quasi thormn= 
tua quidam formarum por sensom ae 
coi Thom. Aq. Sum. theol, I, 
’rocal dablo opertet în vi imagi: 
tha ponere non solum potontlam par 
Mivam, sod cilazm activam +: did., 84, 0. 
=» Imaginatio eat quidem aitior potentia 
quam simnas exterior +; bid. KIT, 30, 3.- 
x hus: ei rubi, cl rendi del tutto fa- 
inabili allo Empresatoni esterno; efr. 
Purg. IV, 1 ng. Siocc., Vila di D., 8, 
(Dani scel i Wadi, 28, } 
pa 5. Ore. Lipe. 11, 
15, rIRCHE oco.: PT rivoo 
(i) "IE 


ALTA PANTABIA è Ato: 
dallo cose terreno; 6fr, 


e d 00, disegnò di 
|?, xk cr 8° ieronatA: prendo sie ho tà | Old a pi o 
caton. pueazine bd nvera fatto 





Pure. xvil. 80-42 [ANGELO D. Pace] 515 


Che fu al dire e al far così intero. 
E come questa imagine rompeo 
Sè por sè stessa, a guisa d'una bulla 
Cui manca l’acqua sotto qual si feo, 
Sorse.in mia visione una fanciulla 
Piangendo forte, e diceva: « O regina, 
Perchè per ira hai voluto esser nulla? 
Ancisa t'hai per non perder Lavina: 
Or m'hai perduta! Io son essa che lutto, 
Madre, alla tua, pria ch'all’altrui ruina. » 
Come si frange il sonno, ove di butto 
Nuova luce percote il viso chiuso, 
Che fratto guizza pria che muoia tutto; 


Dì, netsso: lategro, giusto in parole 
ln fatti. 
31-32, poxeRO Sè al ruppe, srant da 
nd stona a di una bolla che ni roto: 
tzncanil l'aoqua ondo è contpote 
metttilianizo velo cho chiudo l'aria ine 


ie » Darno, cfr. Viry., den. VII, MI 
401 agg. «Nell'ira d'Amata paro 
R'AlIghleri voglia ritrarre Pira di co- 


ciao da Enea dopo che Amata aî era già 
Impiccata. 

V. 40-60, L'angelo della pece. Ape 
piùdellascala peraaliro dal terzo a) quarto 
girone sta ua altro angelo, 
non puòsostenerala vista, è. 
dotto ai due viandanti * qui ri monta, * 
con un ventar d'ala cancella dalla frane 
di un altro 2° o ennta Ia beatito= 

rangellon: Beati € pacitl] a A 


Ito ledendo 

n sò stesso dov'ogli ala, alla Joce a'age 

giasigo una voce, che, invitandolo doleg- 

amento a saliro, 14 im dall'anima ogni 
Ra lux 


truce visione. 106 @ ln tore del 
l'angelo della pace. Luce, ehe don sua 
vivoaza può ben confondere 6 opprimere 
gliocehi di colui che esse appena dal fumo 
dell'ira; ma che presto, congiunta con 
ana reco che pone sicurezza nol profom 
do dll'anima, sehiara è aforsa l'iomo 
nallo paci‘iche vio oro presporana | parl 
de' manauoti. » Peres. 

40, RE SUTTO (medi botto, Soy. XXIL 
130; XXIV, 105), ad un tratto, repone 
tinamento, 


41. 11 viso camuno: gli ccchi chimel 
43. murTo: Il qual acazo, rotto, al 
aforna di rimetteril, pritox obo aranleoa 
del into, auizza: » siccomo Nl post, 
tentto fuor d'acqua, guizza primm ii m- 
riro, così per eutacresi uppella 
quello sforzo ehe l'interrotto sonno fx di 
rimottora, prima ehe del Latto eranisom i 
Lavabi. Del sonno ehe luconimola Firg.; 
Zon, LL, 268 ag.i+ Tompua ernt quo prima 





Così l'imaginar mio cadde giuso, 
Tosto che lume il volto mi 
Maggiore assai che quel ch'è in nostr'uso. 
Io mi volgea per vedere ov'io fosse, 
Quand’una voce disse: « Qui si monta », 
Che da ogni altro intento mi rimosso; 
E foce la mia voglia tanto pronta 
Di riguardar chi era che parlava, 
Che mai non posa, so non si raffronta. 
Ma come al sol che nostra vista grava 
E per soverchio sua figura vela, 
Così la mia virtù quivi mancava. 
« Questi è divino spirito, che ne la 
Via d'andar su ne drizza senza prego, 
E col suo lume sè modesmo cola. 
Sì fa con noi, come l'uom si fa sego; 
Chè quale aspetta prego e l’uopo vede, 
Malignamente già si mette al nego. 


[guisa mubriliboe mio Liciplt 4 dono Bl.rensovzIcRIO;soll'ncenaiva busti 
serpit — Bd. VIRTÙ: visiva. « La Juice di 
lol bondumte 


vom 
wi. t'imsotan ec0.1 la min visone 
comò. 


46 Lu: era lo splendore dell' angeto 
Nl vicini 

46. Quai: £ Inmo del solo. 
pub voce: dell'angelo che invita a aa- 


di, CRE 066: la qual voce mi rimosso — 
dal pensare ad altro, facendomi tutto 
attento a sì, 

30. Cl na: » quia vex non sonnbat 


soccorsa, 

57. ORLA: sl fa Invisibile velandont del 
nio abbagliante aplendore; « Axmîetna 
lumine siont vestimonto ») Paol, CLIT,® 


poro 
wasi, noD N'acquiota, se non ri rafronta, 
do non viene fronte colla con o parrona 

58; at CONE eoe,: ma la mia virtù vi- 
uirn era impotente ad affissarsi ln quel- 


adbagliandola 
col troppo suo aplendore, vela la propria 
figura. - xava» e Sol etiam coat, con: 
tendore 














[ormone quanto] Puro. xvi. 118-182 [ranmz.p.euno.] 521 





È chi podere, grazia, onore e fama 
Teme di perder perch'altri sormonti ; 
Onde s'attrista sì, che il contrario ama: 
Ed è chi por ingiuria par ch'adonti 
Sì, che si fa della vendetta ghiotto; 
E tal convien che il male altrui impronti. 
Questo triforme amor quaggiù di sotto 
Si piange: or vo! che tu dell'altro intende, 
Che corre al ben con ordine corrotto. 
Ciascun confusamente un bone apprende, 
Nel qual si queti l'animo, e disira: 
Perche di giugner lui ciascun contende. 
Se lento amore in Ini veder vi tira 
O a Ini acquistar, questa cornice, 
Dopo giusto pontér, ve ne martira. 
(é0a: vÎ simo tali che temono —tattoil verso al riferisca al soli fraccndi, 


potere, fa grazia, l'onore o par certo: non manca però chi, per es. 
il Pel, ha eroduto di poterlo rifarimi 
anché all’ invidi 


134. raIPORIE: tre formo di amore ar 
raato per malo obbietto, v. 95. = ba ROTTO 


n 
per poco, a per troppo di vigore, v, Wi. 
120, CON ORUINE CORROTTO: malkmoni 


pravamonte, amando poco 0 nulla Il verdi 
bene, eccossiramonte i boni corruttibili, 
terrontri ; ofr. v. 100 agg. 

127. ciascux: egni nomo ha un' idoa 
et iso precipuo do Sia bonia vaga, indistiota di un sommo bene, nel 
tavident in quibus eet gioria, qualo si nequeti l' animo suo, © lo del: 

n dora, al atbrza di conseguiro. Cfr, Boet., 
Cone. PMI. DII, 2,9. 
128, #1 QUaTI « feclati 06, Domino, nd 
te, ot inquietum est cor nostrum done 
requioscat in te; & Amp,, Conf. 1, 1. 


ppreso a del quale 
famata] ma vaga, indotorminata. 

130. LENTO: scemo di 2uo dover, v, RI 
ug. Sa l'amor ventro è leato n cono: 
re 1 Sorano Beao ed a consognltto, « Lo 
parole vedere © aequistare seguano otib 
mamento {| doppio termino grandioso 
Jolla carità, la contompiaatono 0 l'opera, 
è iusiomo la doppia cagione onde Rmmma- 
Ilacontace e a'attedia l'aceiiloso *; Perez, 
Sotto Qurehi, 7. 

133, rivmezi peatimonto, L'acdldiono 


ur 
Ki 





NE QUARTO] Pura, xvir. 133-139 [PARTIZIONE DEL PURG.]} 


ltro ben è, che non fa l’uom felice; 
Non è felicità, non è la buona 
Essenza, d'ogni ben frutto e radice. 
‘amor ch’ad esso troppo s'abbandona, 
Di sopra noi si piange per tre cerchi; 
Ma come tripartito si ragiona, 

‘acciolo, acciò che tu per te ne cerchi. » 


impenitente, non è ammesso visione di Dio è il premio che tocca ai 
lo, ma condannato all’anti- buoni. Al.: D'OGNI BUON FRUTTO RADICE. 
|. III, 34 agg. Vedi lo nostre —1135. AD Esso: a quell'altro bene che 
in fondo al C. XI dell'In- non fa l' uom felice. 

197. 81 PIANGE: si espia în tre cerchi 
lo sx È eco.: il bene corrut- che sono sopra di noi, dove si purgano 
lauo, che non basta a rendere gli avari, i golosi ed i Iuasuriosi. 
mente felice. 198. COMR TRIPARTITO 1 RAGION. 

Essenza: fl Sommo me si distingne in tre parti. Avarizi 
gola © lussuria sono peccati carnali; sn- 
ham essentiam »; Thom. Ag., perbia, invidia, ira cd accidia, peocati 
I, 6, 3. - D'OGNI BEN ecc.: spirituali; ofr. Thom. Ag., Sum. theol. 
que dicitar bonum bonitato I, m, 72, 2. 
t primo principio exemplari —‘139. xE cRCHI: ti metta ad investi- 
[inalitotius bonitatis»;Tliom. garlo per te stesso. « Omni per quello 
heol. I, 6, 4. Dio è cagione che detto è, pnote vedere chi ha nobile 
(radice) di ogni bene, ed è ingegno, nl quale è bello un poco di fa- 
tto (rutto) di esso, perché la tica lasciare »; Conv. III, 





Timone] 528 





CANTO DECIMOTTAVO 


GIRONE QUARTO: AOCIDIA 
{Corrare di continuò con gran forrore è sollevitarà 1'un l'altro) 


NATURA DELL'AMORE, AMORE E LIBERO ARBITRIO 
ESEMPI DI SOLLECITUDINE, L'ABATE DI SAN ZENO 
GLI SCALIGERI, ESEMPI DI ACCIDIA PUNITÀ, SONNO DI DANTE 


Posto avea fine al suo ragionamento 
L'alto dottoro, ed attento guardava 
Nella mia vista, g'io parer contento ; 
Ed io, cui nova sete ancor frugava, 
Di fuor tacon, e dentro dioca: « Forse 
Lo troppo domandar ch'io fo, gli grava.» 
Ma quel padre verace, che s' accorse 
Del timido voler che non s'apriva, 
Parlando, di parlaro ardir mi porse. 
Ond'io: « Maestro, il mio vedor a' avviva 
Si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro 
Quanto la tua ragion porti o descriva; 
1-39. La natura dell'amore, Pre Aneatra degli cechi non vogma la seme 
bianza. » Cine. INT, #. 
4. neTr: desiderio di mapero = pit 
satimolava;etr, Purg. II, 8; XIV, 


apiega In patara dell'amore, il 
a movimento dell'animo vers» com 


è ora anavA pil è molesto, 
8, xow w'arneva: om ardiva di mm 


guardava attentamento negli 
vedtare se la ma esposizione mi 
Vira granai 
ru 
Terli Masio entita die concecar a 


een 
[mella {passiene] pote l'uni- 
pitt cho alla 











Pura. xvint. 52-66 [L1sERO ARBITRIO] 527 





La qual senza operar non è sentita, 
Nè si dimostra ma' che per effotto, 
Come per verdi fronde in pianta vita. 
Però, là onde vegna lo intelletto 
Delle prime notizie, uomo non sape, 
Nò de' primi appetibili l’ affetto, 
sì come studio în ape 
Di far lo mèle; 0 questa prima voglia 
Merto di lode o di biasmo non cape. 
Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia, 
Innata v'è la virtù che consiglia, 
 dell’assenso de’ tener la soglia. 
Quest’ è il principio, là onde si piglia 
Cagion di meritare in voi, secondo 
Cho buoni 6 rei amori accoglie e viglia. 


Veppenia È cime netbrato, i la dipo- 
sizione particolare © naturale dell'an'ma 


DET 04. (010 che ha rmgion di 


‘non al può notificare per cos 


dicò semplicemente cho nom al sa. 
®I, x pal raise: AL: ® pe; Butk, 


stiva dell'anima, come tè 
prime motizie dell'intelletto, gli nanbomi, 
fe forme logiche, eco., no costituiscono la 
parte intellettiva. Donde ne venga tutto 


ciò, è da noi ignorato. » Mioberfk, 
58. sTUDIO : Inolinazione, lstinto: « Mo- 
ud 


ipse in saltibus omnia libant »i Zuoriti, 
Rer, mat, LIT, 11, = « Stadiumque labuiria 
Floriteri repetuns, eb sparal mellià amo- 
rm n Lae., Phare. IX, 288; 

50, voGLIA : questa inollmazione nati 
ralo non capo, dioò non ammette alena 
morito di leda, nò di bdastmo, non es 
sendo lfbera, 

61. rmonè: atlinchè a questa prima 
voglia ni cloè ai accorili, certi- 
sponda ogni altra voglia, vi è Innata fa 
facoltà che vi consiglia © che dave vi 
gilaro affinchè nun susentiate nì male 
Sulle altro interprotazioni di questi verai 
of. Cose. II, 223, 

%, TEXER La soGLta: stara guardia, 

. (fe. Cono, IV, 26 

quis’ È n eumcImIO 000,1 È ea 
norci questa rirtà, che consiglia e che 
può e dove regolare gli atti umani, fa a 
cho gli uomini merltino © tino, 
scendo che eesaaccogio e distingno gii 
amori beni e i eattiri. Cfr. Com, IV, 0 
De Mem. 1,12. 

95. caQIoNa Al: nAurOK, 

66. viozta: sceglie, distinguo; da ri 
gliare « varbum rasticormma pnrgantinim 
frumantum in area ») Bene. 











[scanionai] 581 


Diretro a noi, 6 troverai la buca, 

Noi siam di voglia a muoverci si pieni, 
Che ristar non potem; però perdona, 
So villania nostra giustizia tieni. 

To fui abate in San Zeno a Verona 
Sotto lo imperio del buon Barbarossa, 
Di cui dolente ancor Milan ragiona, 

E tale ha già l'un più dentro Ia fossa, 
Che tosto piangerà quel monastero, 

E tristo fia d'averne avuto possa; 

Perchè suo figlio, mal del corpo intero, 
E della mente peggio, e che mal nacque, 


vivo ch'è D, 0 neppure mostrano di me- 


16. nimETRO: da stuistra a destra. - 
LA DUCA: li pertugio, cioè Il varco sca 
"vato nel sano ctr. Parg. XIX, 48. 

116. cu» xusrAN NON FOTDI: che non 
possiamo fermarci. 

117. BK VILLAXIA 000.1 se mal giudichi 
scortesia la noatra sollecitudine di sod- 
diatare alla divina giustizia, corrundo 
monza pur fermarci a parlaro con voi. 

uo. agua fait rirtnosna, stre- 


131. sa atÀ eco.: nel 1300 Alberto dolla 
Scala era vecchio; è quando Dante det- 
ti DI eri esser ogli morta 

122, rixanrà: quell''antma predlos Il 
gianto di Alberto nell'Iaferno per l'in: 
giuria recata a quel monastero avendo 
letto o fatto eloggare abate {l mo figo 

Maatardo, « Alberto della Scala mrara 
“commesso un grando pescato, ciò ch'ello 
Sera fatto abate di Sat Zeno da Verona 
un ano figliuolo, Indogno di tale prelar 
tara: imprima, ch'al! ora zoppo del ode 
pos secondo, ch'elli era cos difettoso 


dell'anima come del corpo; terzo, ch'ellì 


era figliuolo naturale, alcchè avea qu- 
nti tre grandi difetti»; Lan., Ott Gir 
Levit XXI, 17-21. 

124. xaL EL cOMsO tano: mad În- 
tero, cioè didattoso, di osrpo; vrà nolan» 
cato. 

325, DELLA MENTE PRIOIO? * vie piro- 
bus et lutegor a princigio, sed cansilio 
medicorom taeta mullere, velut lnqui- 
matoa pioo dinboli, fuotus eat 
aiman, Nam oum Alboluns, qui succes 
sorat Rartholommo in deminio, vellet ex 
pusianimitato raducere comuites sane 
Bovifacit in Veronam, abbaa, canque: 
reate Cano, tanquam animesas inero- 
pass amare Albolnam, armata mant vit, 
at trociilavit multos ex diesis comltitua 
ad viliom cornm, qua fnenia Comituia 
primo, posten vosata ont inaula de ta Sen 
1a... Erwt pravaw animo... impo raptor 
fultentm Bomo violamtaa, da perte dimout= 








CANTO DECIMONONO 


GIRONE QUARTO? AOCIDIA 


S0GNO SIMBOLICO DI DANTE, L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE 
BALITA AL QUINTO GIRONE 


GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ 
(Pinmgero, disteai bocconi per terra © collo manì © coi pioti legati) 


PAPA ADRIANO Y, ALAGIA 


Nell'ora che non può il calor diurno. 
Intepidar più il freddo della luna, 
Vinto da terra, o talor da Saturno; 


Vi 1-33. It sogno simbolico. Ssuo ha comanleate e, per così dire, acum» 
fato sul anclo terrestre e nell'aria, val a 
tomperare il freddo saturale della notte, 

2.tL PaKUDO «la luna non è fredia ln 
nd, ma è atfottiva di freddo coi raggi del 
sole cbe peruzoteao in ossa, et ella Il ri. 


Quest'erranea opiuieno darò sino al no» 
stro secolo. DO 


3. riro: estinto, cieò I) caler dimrno. 
— DA TERZA! frigidenna netaralo 
(lella terra, 0 a volte (yolehò questo più» 

















NE QUINTO] Puro. xrx. 126-142 [UMILTÀ PAPALE] 


Tanto staremo immobili e distesi. » 
‘o m'era inginocchiato, e volea dire; 
Ma, com'io cominciai, ed ei s'accorse, 
olo ascoltando, del mio riverire, 
Qual cagion » disse, « in giù così ti torse?» 
Ed io a lui: « Per vostra dignitate 
Mia coscienza dritto mi rimorse. » 
Drizza le gambe e lèvati su, frate!» 
Rispose: « Non errar! Conservo sono 
Teco e con gli altri ad una Potestate. 
le mai quel santo evangelico suono, 
Che dice ‘ Neque nubent” intendesti, 
Ben puoi veder perch'io così ragiono. 
Vattene omai: non vo’ che più t'arresti ; 
Chè la tua stanza mio pianger disagia, 
Col qual maturo ciò che tu dicesti. 
Vepote ho io di là c' ha nome Alagia, 


anto tempo, quanto piacerà anche un papa non chiama più pigli i fe- 
loto conosce il termine della deli: tutti sono figli del Padre coleate, 
zione. - Stak: ofr. Inf. tatti fratelli. Le parole che Dante pone 
g.XV, 112. Par, XILT, fn bocca ad Ad: una perifrasi 

di quelle det a San Giovan- 

Umitta papale. All'adire ni, Apocal. 0: « Vide ne feceris 
n cui parla, fu snecessore conserens tuns sum ot fratrom tiorum 





Tonone quorro]. Puro. xix. 149-145-xx. 1-2 


Teano] 548 


Buona da sè, pur che la nostra casa 
Non faocia lei per esemplo malvagia; 
E questa sola di là m'è rimasa. » 


tre 


Snelet., 50, « Ebbo nome la gran donna 
«1 gran valore ot di gran bontà ; el l'Ant- 


padicam. Et vido quoi fate sacerdos lo- 
quiter oneste et caate: dicit enim quod 


Intelligi caute, quod muliorea iloruz da 
Flixco fuerant noblles meretricas; qua 
Us, ei fuma non mentitur, fui nxor Petri 
do Russia de Parma, strecatosim! militts, 
Quid dicam do Luabella, nxoro domini Lu: 
chini, potentissira! ot iastlsximî tyranni 
in Lombardia? » Bene. 

145, s01A: «che preghi por mo: tm 
perè che milano altre mio parente pregra 
per me; 9 se pur proga, non è csaudito; 
imperò che Iddio non esandisse i pre: 
ghi do 1l iniuati, et elli sano tutti rieb, &n 
fuor che questa » ; Buti, Cfr, Purg. IV, 
138. = Dt LÀ: nel mondo. 


CANTO VENTESIMO 


GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ 


ESEMPI DI POVERTÀ È DI LIBERALITÀ, UGO CAPETO 
1 CAPETINGI, ESEMPI DI TURPE AVARIZIA 
IL MONTE SI SCUOTE PER LA LIBERAZIONE DI UN'ANIMA 


Contra miglior voler voler mal pugna; 
Onde contra il piacer mio, per piacerli, 


voleva Interrompere niteriorazente la soa 
penitenza, - voLKR: di Dante, cho avreti= 
be voluto discorrero più a 
Adriano. Un volere ial Uto cou- 
tro en volere migliore; «iperò ia, mo 
soalerado, mi taoqui per far pese a 
che m'avea detto di andarmano, 

Purp. XIX, 199 agg. 

2. PACRMIA: ad Adrtano 1 ott, Purg, 
XIX, 159, 





IONE QUINTO] Poro. xx. 8-21 [EsEMP} DI POVERTÀ] 


Trassi dell'acqua non sazia la spugna. 
fossimi; e il duca mio si mosse per li 

Luoghi spediti pur lungo la roccia, 

Come si va per muro stretto ai merli; 
Chè la gente che fonde a goccia a goccia 

Per gli occhi il mal che tutto il mondo occhpa, 

Dall'altra parte în fuor troppo 8’ approccia. 
Maledetta sio tu, antica lupa, 

Che più di tutte l'altre bestie hai preda, 

Per la tua fame senza fine cupa! 
IO ciel, nel cui girar par che si creda 

Le condizion di quaggiù trasmutarsi, 


Quando verrà per cui questa disceda? 
Noi andavam co' passi lenti e scarsi, 
Ed io attento all’ombre, chio sentia 
Pietosamente piangere e lagnarsi; 
IE per ventura udi' ‘ Dolce Maria!’ 
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto, 


Come fa donna che in partorir sia; 


bco.: tacqui, qnantunque non 13. PAR e00,: si credeva che la ragione 
mente soddisfatto. « Fa qui lei mutamenti delle cose terrestri fossero 
cioè che la v era i rivolgimenti dei cieli, opinione aocet 

he li desideri, ch'e tata da Dante solo in parte; ofr. Purg. 


da quello sp XVI, 07 agg. « Della generazione su- 





C'argone guisa] 


Puno. xx. 22-34 es. Di rOvaRTÀ] 





n E seguitar: « Povera fosti tanto, 
Quanto veder si può per quell’ospizio > 
Ove sponesti il tuo portato santo. » 
Seguentemente intesi: « O buon Fabrizio, 
Con povertà volesti anzi virtute, 
Che gran ricchezza posseder con vizio. » 
Questo parole m'eran sì piaciute, 
Ch'io mi trassi oltre, per aver contezza 
Di quello spirto onde parean venute. 
Esso parlava ancor della larghezza 
Che fece Niccolao alle pulcelle, 
Per condurre ad onor Jor giovinezza. 
su <O anima che tanto ben favelle, 


dolori comi dalla sporanza della 
gioin ventura; «la donna, allorchè par- 
torisco è in tristizia, perchè è giunto il 
uo tempo; quando pol ha dato alla Iuco 
il bambéno, von sl ricorda più dell'affan- 
noamotirodell'allegrezza : perchè è na 
al mondo un nomo »3 Gior. XVI, 21. La 
stessa similitadino della donna parte» 
rlenta occorra ripetute volto nella Sacra 
Serittnra; etr. Isafa XXVI, 17. Apeoaî. 
XII, 2. 

30: uni certzoa la siae di Betlem» 
mo, ofr. Lue. II, 

MiCarcaseri nin; depone ooo 
timmbino. 


#5, Famizio | Calo Fabrizio Lusotnio, 
romano, consolo l'anno 22 a 
tà 1 doni del Sanniti, n quali 

nitoa fatto accordare la paco, Duo anni 
dopo, essendo stato invinte n Pirro por 
trattare dello scambio de' prigionieri 


32. ciK PECK NICCOLLO 000.: reKCOTO 
di Mira nella Licia, santo comuna alle 
due chiese, greca è latina, che ai dico 
visanto anl Snîre dal 


via ogons tra flina Jar nubfiea Ln mar 
trimonio collocare non pouset carmimqua 
pudicitlam prostituare cogitaret, re 0: 
guita, Nlco)nus noete par fanertruza tati 
tum pecanio in elundemim triecit, quan 
tam unins virginia doti satls esset; quot 
cnm iterum et tertlo forimet, tres illa 

osta viria in matrimenfom 


mnm projicens vitare volult bumamsem 
tavorem »3 Thom. dg., Sem, theof. IT 
u, 107, 8. Cfr. Puoiel., 124 agi 

V. 3-60, Ugo Capeto. Accetto a 
quell'anlima che propono esempi di pe: 


chi tesa sia 0 perchè sola fra tutte ripeta 
ad alta voce que’ fatti degni di lodo; la 
compenso le promette di giovario, quan 
de sarà tornato i mondo, quali 48; 
n0 Ugo Capeto, la radice degli selitati 
Cagetingi, » Dante sembra aver coni 

qui Ugo Il Grado, duca ri Franola, 
Borgegua ed Aquitania, cente di Parigi 
0 di Orleana, capostipile del Capetluigi, 
morto nol 964, ad il comini figlio Ugo Car 


DA. in: sostantivo, cfr. v. 131 1 tanto 
ten è quarto cano. 





Temowe quinto] 


Puzo. xx. 51-61 


[uao capeTo] 547 


Per cni novellamente è Francia retta. 
Figliuo] fui d'un beconio di Parigi: 
Quando li regi antichi vonner meno 
Tutti, fuor ch'un, rendato in panni bigi, 
Trova'mi stretto nelle mani il freno 
Del governo del regno, 6 tanta possa 
Di nuovo acquisto, e sl d'amici pino, 
Ch'alla corona vedova promossa 
La testa di mio figlio fa, dal quale 
Cominciar di costor le sncrato ossa. 
n Mentre ché la gran dote provenzale 


DI, NOVELLAMESTE: dopo spenta la di- 
ninatia del Carollagi. 
Gt. maLitiok, vur: Ali roLio Fu' 10. 
Tino Caprio discendeva dal potenti conti 
luchi di Francia. Ma la lag: 
diese dissenilente ora di Carlo 
Magno, ora di Sant" Arnolfo, duca di Au- 
itrasia e pol voscoro di Mota nella Lo- 
reni (as. 040), ed Gra di un deecato (mer- 


quant 

ara iu vognoche si credeva gonoraltmento 
storica. Sorirn, p. es.. Il Vit. IV, 4 del 
progenitore doi Capettagi: « por li più 
Ai dico <he"1 padre fu uno grande e rioso 
borgheso di Parigi, strutto di nazione di 
huecleri, ovvero moreatanto di bestie ». 
Cite, Com. Lupe. 11, DIS eg. 

8, 601 Axrrrcit | Carolingi.= vasxma 
ao Anirono. Non wi dimentichi che 
Pasto confonde qui iu un solo personag 

Ugo il Grande ed Ugo Capeto, ndo 

‘vue parole mal si psasono metter d'acv 
corto cella storia, 

Bd UN 06: morto senza prole Luigi V 
doblo fl Neghittoso (987), non rimanova 
cha an sole rampollo della èinuetia Caro» 
Ninigia, Carlo, duca di Lorena, 

di Lolgi XY; il quale, volendo «on- 

Ul trozo de' snoî MILLI 

‘€ consagnato nolle mani di Ugo 
lla 


ji 


ii 


naro o morì nal ehiostro, Altri apiapiro 
renduto in panzi Bigi nel senzo di Ri 
dotto in povera comîzione, în 
atato, Cfr. Com. Lp, II, 307 
SR TUOVA' 1 006. inî trovai colla re 
dini dol governo in mano, ed în tanta pet 
tenza per nuovi acquiati e pae quantità di 
amici, che al treno vacante per la marta 
di Luigi V fu promosso mio figlio, Wigo Ca 
peto fece corunare re evo figlio Reberte 
nel OR, l'anno dopo la SexSsve, 
59. DAL QuaL&: da Roberto I figlio 
di Ugo Capeto, incominciò la serto del 
ro Capetingi, Jo cui persona simo delle 
soerate ossa, perohò | re dì Franola si 00m: 
ascravano con santa unzione, asma 
atrata dall'arelvescoro nella cattedrale 
di Balma Cos 1 pù USiet Buti, Am, 
Fior., Vent, Pogg., Biag., Corta, Fw 
Br. B., Prot, Andr., Gam., Senoe., 
Qorn., Guowpi, Pol., Pal. Witte, BI. ,o0e): 
Sesanilo altri serate als in quarto luo 
g0 erceramde iccal Oft., Lomb,, ace) MA 
di eoerate per esceramde non sì hanno 
csmpi, nò Danto potò pensare diro 
che lo casa di tutti i socsemori di Ugo 
Capoto, comprese San Lalgi, fosro ese 
cramdl, cià maledette, nò ciò sta d'ao- 
condo con quel ehe Ugo Capoto dico nel 
vv. che immediatamente seguono, 01.4. 
Gti, Burg; DX, 180, Par. XXIII, 68. 

vi I Capetingi sine al 1300, 
Gisiinta Ugo Capeto parlano de' amoî 
disceodazti. Sino sila morte di Luigì LX 
ernno nomini di pico valore, ma almeno 
nen facevano del mala, Da Carte d'Are 
giò è Filippo l'Anlito incominelò fa seri 
del tradimenti © dello rapine, polthò fa 
gran dote Provenzale tolea ni Capotiagi 
ogni rossoro di mal ti rose nondaci 
© afrontati, 

1. anoereri | mint discondanti nom al 


cnivero 








[oroxa quinto] 


Poxo. xx. 71-85 


[caperinol] 549 


Che tragge un altro Carlo fuor di Francia, 

Per far conoscer meglio e sò e i suoi. 
Sonz'armo n’esco solo e con la lancia 

Con la qual giostrò Giuda; è quella ponta 

Sì, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 
Quindi non terra, ma peccato ed onta 

Guadagnerà, per sè tanto più grave, 

Quanto più lieve simil danno conta. 
L'altro, cho già usci preso di nave, 

Veggio vender sua figlia è patteggiarno. 

Come fanno i corsar dell’ altre schiave, 


O avarizi 


che puoi tu più farne, 


Poi c'hai il sangue mio a te sì tratto, 
Che non si cura della propria carne? 
Perchè men paia il mal futuro e il fatto, 


nî muore fnorì delin Francia, per far 
maglio conoscere la maligna è perversa 
matura sus e dei suol. - Canto; Il mi- 
tursbilo è diffaronto Senzaserra, fratello 
di Pippo fl Bello, n, 1274, reuoto sotto 
Il titolo di paelaro nel 1301 a Fireno, 
dove si manifestò solenno spergiuro © 
fu autore della rovina dol Bianchi è di 
Dante) ofr. @. VUL, VIT, 43, 40, Andò 
quindi to Blellia per conquistarla, ma 
mel novcsbre del 1302 dovette ritornare 

Francia cndò < al diese per motto: 


\corenato re di Franela 

lat Incoralnelò IL raso 

della diusatia doi Capstingi, dette dei 
Valola, 

Ta.dlaz'ausIn: seun'esercito, cioà «con 

ron, e da cin 

franoeschi In aua compagnia » ; 9. 

FAL VILE, 44 — Laxora seo. l'arma del 

tradimento e dela 


76. quixpI: da questa sua spedizione in 
Talla non si guadazuerà signoria di ferre 
odi paasi, ma soltanto pescato od Infiumta 
di apergiaro © traditore, guadagno tanta 
più dannoso per Int, 
coutandolo por nulli 
penitenza, 

19. L'avmno: Carlo IL d'As 


dl Carlo d'Aajou, n. 1248, x. 1409; trat 
to prigioniero dalia ana nave, combat 
‘tendo nol olo di Napoli centro Rug: 
gore di Lauria, ammiraglio di Pietro re 
d'Aragona (giugno 1384, rimare priglo- 
nero in Sieflin sino al 1288, Cir. @. Vil, 
WIL, 03, 130, VINI, 108, Purg. VII, IST, 
Figo, D. e la Sieît., 39. 

#0. vespa: diede nel 190% sua figlia 
Beatrioa ancor giovanissima ln mogiio 
ud Agno VIII marsbane di Eaei vi 


« cioè farne patto: lo 
ne rollio tante milifala di fiorini, a' olii 
la vuole 

81 DaLL'ALtmE dute» delle mblave, 
non figlie proprio ma altrui ; mentro Car: 
le Nonelio vendo per denari la propiria 
figlia. 

1. CHx PUOI #09! qual peggior gover 
no paoi tu oral fare do' miei discanden- 
ti, dopo averli peraino traackunti a vene 
dere a propria prolo! La risposta ata 
nel re. 85 agg. 

45, anca reca rata nine: mei 
gravi appariscano fotte lare 
azioni che i miei discendenti Danno fatto 








(5) tenor quo) Porno. xx. 118-198 


Lodiamo i calsi ch'ebbe Eliodoro; 
Ed in infamia tutto il monte gira 
Polinestor ch'ancise Polidoro; 
Ultimamente ci si grida: ‘ Crasso, 
Dicci, chè il sai: di che ssporo è l'oro?? 
Talor parla l’un alto e l’altro basso, 
Secondo l’affezion ch'a dir ci sprona 
Ora a maggiore ed ora a minor passo; 
Però al ben che il di ci si ragiona, 
Dianzi non er'io sol; ma qui da presso 
Non alzava la voce altra persona.» 
Noi eravam partiti già da esso, 
È brigavam di soperchiar la strada 
Tanto, quanto al poter n'era permesso; 
127 Quand'io senti’, come cosa che cada, 
Tremar lo monte; onde mi prese un gelo, 


218, ELionOnO : inviato da Seleuco, re 

PIZSA Santino; volle derubarne 

idr it DI Liu 
vallo mistico, che 


tem, EEA dI sala ate LE u pts 
1, 740. 

XI4115: xD Dr IxvAMIA ceo.: Îl nome 

Ai Polinestore gira Infamato atterno a 


® genero 
Ricindio " pipe, Polidoro, suo 


rudarve le ricchease; on- 
de Re Rena. n aooglto E tonde di 


nuo Marco Lielia5o Crasso (n. 


53 n, Ci), famoso per de auo rio- 


1. Ola, De of. L ‘30, 11, 


11, 465 ag. Non nl tratta qui per 


altro di osare, chè quelle anime nom at 
muovono, ofr. Purg. XIX, 124, ma del 
parlare, v. 138, onde lì Calm 0 citanta 
lai col. dovrà loggersi cu' a nu, elode 


na z 
Rip rlii 
+ MINOR MASSO: 8 v0cs baasa, 


Li bene, n pro; 
porre I buoni esempi di mente povertà 
© belle larghazzo, doi quali qui al fa mori= 
sono daraate fl giorno, non era le poro 
tnmolo, ma qui vicino nessuno dagli altri 
io fucera nd alta voce, xl che potiase ea 
vere udito da te; cfr. v: 85 WE 

V. 124-151. 17 terremoto mel Prgue= 
torto. Mentre | duo Posti continuano Il 
loro viaggio, tatta quanta la montagna 
trema fortomente, quindi risuona ovame 
quo JI canto dell’ inne sagelico; I Poeti al 
formano uo momento, poi vamno avant; 

Dante arde di curionità ili conoscere 
la ragione di quel terremoto 0 di quel 
cento) che. Pupi NXT, 40 agg; 

1 


vetocità pomibile, per ginugere 
varco. 
124. aL roran: casesdo nemal steolta 


Vinmane. 
128, uan: oft, Prg, XXI, 40:78, 





554 [ow.quorro] Poro: xx. 146-161-xz1. 1-8 


Mi fe’ disideroso di 


So In memoria mia in ciò non erra, 
Quanta pare’ mi allor, pensando, avere; 
Nè per la fretta domandarn' er'oso, 

Nè per me li potoa cosa vedere: 


191 
146, m&mEIO8O : Ali DRAIDILANDO.= 

Dt Rari Îl perchè di quel terremoto 

è di quel grido maîversalo dello avimo. 
148 QUANTA: Al: QUANTO. 


risponde che, per non impedire la aolle» 


CANTO VE 


Così m'andava timido e pensoso. 


oltudino dell'andaro, non no dimar 
va.» Bulî, — n° 060: aro ardito, onu 
of. Purg. XI, 190. 

100, PRR WE: da mo atosno, sensa cancro 
istruito da chi ne sapeva più di me. 

151. IDO ecc; timoroso di doman- 
dareetravagliato da pensieti intorno alle 
coso veduto ed adito, ed alla ragione di 
case 


ESIMOPRIMO 


GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ 


BTAZIO, RAGIONE DEI TERREMOTO, STAZIO E VIRGILIO 


La sete natural che mai non sazia, 
Se non con l’acqua onde la femminetta 
Sammaritana domandò la grazia, 

Mi travagliava, e pungeami la fretta 
Per la impacciata via retro al mio duca, 
E condolenmi alla giusta vendetta. 


derio di conoscere la ragione del terre 
mio © del giubilo aniversate delle anime 
porgnnti, appare au' ombra che li saluta 
cortesomente ei alla quale Virgilio rende 
Hi aaleto confimazndo di camere escluso 
dalla boatituiina eterna; di che l'ombra 
ni marariglia fortemente. 

i. mer oco.: il desiderio naturale di 
napornyeCr. Cone. 1, 1, Aratet., Met. I, 3. 
= ION BAZIA ; « nell'acquisto della ecienza 


cresce. Re] Jo desiderio di quella #1 
Cono, IV, 1: 


2. AOQUAL A verità, — FRWMINETTÀ! 
of. Gioe, IV, 7-26. 

4. ali TAVAGLIAVA: coll anare amor 
ofe. Them. 4g., Sum. theot. I, 13, %, B 

| — PUNORAMI: NRÙ SpTORATA, = LA FITTA 

cfe. Purg. XX, 140, 

S.IFACCIATA + lagumbrata dalle molte 
animo cho giacevano por terra, 

6. VEEDETTA: punizione, pena ; 0 00m 
passtonara qualle anime per la pesa, del 
resto giusta, che caso soliti vanà, 





Pure. 3x1. 7-21 [sTAZIO N Vihonio] 855 


Ed ecco, si come ne scrive Luca 
Che Cristo apparve ai dno ch'erano in via, 
Già surto fuor della sepuleral buca, 
Ci apparve un'ombra, e rotro a noî venia 
Da più guardando la turba che giace; 
Nè ci addemmo di lei; si parlò pria, 
Dicendo: « Frati miei, Dio vi den pace!» 
Non ci volgemmo subito, e Virgilio 
Rendégli il cenno ch'a ciò si conface. 
Poi cominciò: « Nel beato concilio 
"i ponga in pace la verace corte, 
Che me rilega nell'eterno esilio!» 
«Come!» diss'egli, è parte andavam forte: 
«Se voi siete ombre che Dio su non degni, 
Chi +'ha por la sua scala tanto scorte? » 


GI rendette un ccano, o gesto, di saluto 
cortose e riverento. Al Die ri dia pece 
senza dubbio sé conface massi bano la 
risposta St cwm spiriti fuo; ma ehe rivi 
ne, da ed solo pensa sigasfear saluto dit 
, ot fpeo Jesus appropin. pareîe, non è facile mì ammettaral. 
Uli. » Tue. XXIV, 16, pori resogli W salato, Virgilio ri- 
cominciò a parlare, Volera domandare 
qualo fosse 1) metro del tarremoto 0 del 
canto; ma, non appena ebbe incominela» 


Wing 
+ ofr. Inf. XXLX, 
ANDAVAMI Ala AMAVA i oft, Ab9- 
re, Ortî., 327 sg. 





556 [ormone quinto] Pune.xxi. 22-85 [MIESIONE DI VIRGILIO] | 


n E il dottor mio: « Se tu riguardi i segni 
Che questi porta e che l’angel profila, 
Ben vedrai che coi buon convien ch' ci regni. 

Ma perchè loi che di 6 notte fila, 
Non gli avoa tratta ancora la conocchia 
Che Cloto impone a ciascuno e compila, 
L'anima sua, ch'è tua e mia sirocchia, 
Venendo su, non potea venir sola; 
Però ch'al nostro modo non adocchia: 
Ond’io fui tratto fuor dell'ampia gola 
D'Inforno per mostrargli, è mostrerolli 
Oltre, quanto il potrà menar mia scuola. 
Ma dinne, se tu sai: perchè tai crolli 
Diè dianzi il monte, e perchè tutti ad una 


22.1 muori: 1 P descritti dall'Augelo 
mella fronte di Danto, efr. Purg. IX, 112, 
dei quali erano già cancellati quattro © 
nem glieno rimanerano più che tre. 

pi: raoeita: disegna sulla fronte di 


com 
#5, Les: la Parca Lachas!, cho fila lo 
atame della vita umana. Vuol dire: Per- 
chò costui non avea ancor Énite Î1 corso 
Mella ma vita, non era ancor morte. Salle 
divorno lezioni di quasto resto efr. Witte, 


volta per volta aulla reosa por filare, 
27, CLoro: la più gioranodello tre Par- 
che, quella che al nascere di cineono po. 
wo lmpone su Ja resa di Lachesi quella 
peralono di stare durnuta la Sistura del 
quaio convieun cho duri Ja vita dell'uo- 
Sa, of. Qrid., Mit. VIII, 452 ag. = 
GONFIA: « doo atti st fuuno nol metter 
della rocca Il penneechio: ii primo 
dai $ dl seprsggorseto largamente, facto» 
l'Aggirata rocca n poso n p40s 
Sant, © quento appella Danto impor 
gu Palkro 6 di aggirare intorno al pen 
nosehlo medesimo Îa mano per untrie e 
rentringerio, 0 questo appella compila 
mu 03 Lomnd, 


28. ainocciza : sorella fofr, Purg. 1V, 

111), perchè uscita di mano allo stesso 

luola del medesimo Dio; 
IVI 

= #0kA I 


"De Men IT, 16. Cono, 


corpo. 

31, coL4 : del Limbo, 1] pelmo o pertiò 

Si più ampio i corel l'Inno, 
often ripieni 


il terremoto non è per 

ma che, quando un' anima frpese na or 
scontata la ana pena © salo 

totto Il monte ni commuove @ tutte la 
altro animo purganti fatuonamo l'inno 





Carrose quinto] 


Puro. xXL 36-50 [BPIROAZ. D. TRRREM. 





Parver gridare infino ni suoi più molli? + 
Si mi diò, domandando, per Ia cruna 
Del mio disio, ché pur con la speranza 
Si face la mia sete men digiuna. 
Quei cominciò: « Cosa non è che sanza 
Ordine senta la religione 
Della montagna, o che sia fuor d’usanza. 
Libero è qui da ogni alterazione: 

Di quel che il ciel da sò in sè ricevo 
Esser ci puote, e non d'altro, cagione; 
Perchè non pioggia, non grando, non neve, 

Non rugiada, non brina più su cade, 


Che la scaletta di 


re gradi breve. 


Nuvole spesse non paion, nè rade, 
Nè corrascar, nè figlia di Taumante, 


86. ranver: | duo Poeti non aveano 
naturalmente potuto distiaguore se gri- 
dnasoro tutte lo anfmo, anche quelle det 
cerchi inferiori è auparfori, ma cca 
Jatù sembrato. - nemo 800.1 sino al pied 
dal mont, bagnati dallo ondo dell'Oceano, 

57. att Di cec.: fncondo tale domnuda, 
Virgilio colso per l'appunto nol mio de: 
alderio, di modo cho la sola speranza 
d'ossera informato intorno a ciò eli io 
Mania dI asporo aiminn)l'andore di 


brama. 
40. cos ecc.: rispondendo alla doman» 
da di Vingitio circa la cavi dol terromo- 


41: La nasrofost: il anoro regolamento 
dol monte, « tam tam relligio paridor 
torrebat agrestia Dira loci, iam tum mil 
vam sarumque tremebant »; Ping, dem. 

i v Abtberta alti Relligto »; 

1 »g. Nel Purgatorio non 

i straordinario @ fuori della 
leggi cho lo governano. 

4. LIRERO È QUI 600.1 queste Inogo dll 

da ogni pertarbazionodegii elementi. 

. DI QUEL 006,1 di cosa alcuna che 
qui accada, non può mai quer cagione 
ciò che fl cielo riceve altrondo (como av- 
viene più giù, dove Il cielo rioere 1 vapori 
cho esaluno dalla terra e cagionano tutte 
lo «ve alterazioni), ma soltanto ssa 
esso cialo da sò medesimo in sò riceva, 
quale è l'anima che riterna al ctelo dove 
fut oreata ed ande ni partàetr. Purg. XVI, 
85, Gino, IV, 28, Com. Lapo, I, 808 Mc 

48. D'ALTRO: conì i pri Ala D'ALTRA: 
atr, Afosre, Orit., 460 ag. 

40 rencotà: esendo lì Inogo libere da 
ogni alterazione, nom vi può cere né 
pioggia nò grandino (grando, latiniamo 
dell'uso antico), nò mevo, nè rugimta, nò 
brina più fn sa che la porta dol Porga= 
tocio  efr. Purg. 1X, 76 sg. 

49, svtseRI dense, = XON FAION: nom 
appariscono, non xi vedono, 

‘60, conuuseax: lampeggiare, mpo, = 
riatia eos,: arcobaleno. Irito, fila iti 
Tanmante e di Elotira 1Teried, Theogu, 
269), porsonificaziono dell’ arcobaleno, 
era, ascondo Ia taitologia, la momaggara 
degli Del, cho nato © ilbaveaito par l'at: 








Tarrose quinto] 


Poro, xx1. 63-75 [#FIKGAZ.D, TERBEM.] b59 


L'alma sorprende, o di voler le giova. 
Prima vuol ben; ma non lascia il talento 

Che divina giustizia contra voglia, 

Come fu al peccar, pone al tormento. 
Ed.io, che son giaciuto a questa doglia 

Cinquecento anni e più, pur mo sentii 

Libera volontà di miglior soglia. 
Però sentisti il tremoto, e li pii 

Spiriti per lo monte randor lode 

A quel Signor, che tosto su gl'invii.» 
Così ne disse; e però ch’ ei si gode 

Tanto del ber, quant'è grande la sete, 

Non saprei dir quant’ ei mi fece prode. 


88, aiova: Îl volere giova all' antm 
non ansordo un volere sterile, ma con 
feto, neppire piora non significa sempli- 
‘Gomente piace. Al.: DI VOLAR LA GIOVA? 
è il rolera che giora all'anlma a volaro! 


para est voluntaria, quia 
to pot, uod veluateti contraria. 


Aliò modo dioltar altquid volantarium 


voluntaria propi 

dam. Et aio aligua pona poteat esso vo 

tuntaria ino medo, quia per 
1 


dn aattefactiono; vel etiam 


Jet cam non os, alont vesidle fa martr- 
rio: allo mote, quia quameis per peenam 
nullum bonom nobis acorescat, tamen 
sive porn nd bonmm perveniro non po» 


pu 


con quell'ardore con eni vuole Ja beati 
dino; solo quando sentosi perfettamente 
rimonda, non può più volerlo, non può 
pur sentirio, perclò è già beata in Co: 
Jalal quali perfattamente congiunta 
Cfr. 2'erez, Sette Corehi, 60. 

dà, cix è 11 qual talento, la velontà con» 
dizionata. - cosmRA VOOLIA: centra la 


ginmizia, quando fa 
lontà semplice vuole il vizio, gli pone 
l'incontro la volontà respettira, così 
quanto vuole innanzi al tatupo usele dal 
Purgatorio, gli oppone la medealima vo 


68. CINQUICENTO | Stanio, morto vero 
l'anno 06 dell'èra volgare, pasmò dodiel 
secoli nol Purgaterio: cinque o più nel 
cerchio degli arari, quattro o più tu quello 
degli accidiosi. Purg. XXIL, 02 ag.1 Il 
rimamonta nell'Antipurgatoria o nel tre 
primi corchi 
00. 


TE. cu TOSTO ese.i Îl qual Signora 
voglia presto Unviarli al cialo. 

TR, xR Disse: Al. cut 1 
DE 6001 © perchè dal sapere acquistato 
l'uomo ni rallegra tanto maggiormenta, 
quanto più intenso era ll sno deserte 
di sapero, nom saprel osprimero quanta 
aoddiataziono egli mi diede; ofr, Lung. 
xy, 42. 
Vi Î6-162, ta di Starto, Dopo avere 
ringraziato Stazio do' mol insegnamenti. 
Virgilio lo proga di mamifontarglisi. 





580 [amoxe quisto] Puro, xx1. 76-89 [virA E OPERE DI 
Lu) E il savio duca: « Omai veggio la rete 
Che qui vi piglia, e come si scalappia, 
Per che ci trema, e di che congaudete. 
Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia, 
È porchè tanti secoli ginciuto 
Qui sei, nello parolo tue mi cappia. » 
« Nel tempo che il buon Tito, con l’aiuto 
Del Sommo Rege, vendicò le fora, 
Ond'usci il Sangue per Giuda venduto, 


Col nome che più dura e più onora 

Era io di là » rispose quello spirto, 

« Famoso assai, ma non con fede ancora. 
Tanto fn dolce mio vocale spirto, 

Che, Tolosano, a sò mi trasse Roma, 


Stazio rinpondo : « AI tempo di Veapasia- 

Mo fmperatore (69.79 -d. ©), oro già fa 
moso posta,ma non ancora cristiano Par 

Ma fuma di poeta ful chiamato da Tolona 


& Roma, e lv tenato degno di mirto. MI 
ohilami Stazio. Cantal di Tebe e di Achil- 
le, ma morîl prima di aver terminato 


l'AehQteide. Le mio ispirazioni poetiche 
le dero osdiusivamento all'Aneide, Sarel 
contento di ataro nel Purgatorio nn no» 


eleca 00 di C.) figlio di un gramma: 

poeta omonimo, fa napoletano, como ri: 
mita da parecchi passi dello nuo Selee. Col 
suol osatemporanel, ia un #scolo fn oni 
le Satee erano sconoseiute, Dante lo con- 
fata col retore tolosano Lucio Stario Ur- 
solo. Staio, uno del principali posti 


quali; la Tedalde, porma epico In de- 
canti, è l'AeMiletde, poema opico ri 
tasto Incomplato. 

76. La RETE: la volontà relativa, 0 c0n- 
dlzlonata, 


TINI FILA: vi coglio e tieno 
gaterio, — at acatartta » ai spre fl calmp- 
i, ai anoda. + Expandit rete padibna 
mole, convertit ne retrorsam »; Loment. 
uses) Fatondara rete oeam 
tar ln sagona nia »: 
RA. IT, 1a, è off: NXXEL, A Osa 
VIL 19. 
TA ran cnk: per qual moilro i monte 


tremi, è di che vol vi rallogriato tatti 
cantando Il Gloria in rncelnie Deo. 
- ME CAPITA ala por sia ssa 


ner comenuto. Pinclati ho io sappia chi 
ta fosti nel mando, e che dalle tne pa- 
role io rilevi pore per qual motire nel 
giacioto qui tanto tipo, 

83. vispicò: distenggondo Gerussiom: 
mo, l'anno 70 dell'èra volgare. = roma 1 
4 (ri dello mani, dal piu del ostato 
di Cristo, por i quali suol it sangue 
duto da Ginda Sl traditore; etr. “afate 

ui 


00 ed il mio nome di porta atei fumoso, 

che, cesano lo di Tales (I Nes 

Roma. Veramente Stazio fu Napoletano, 

ud nl topi di Dante, sem (A Ren 
Te 





Tomtoxe quisTo) 


Puxo, xx1, 90-104 ([1msaR, Di DANTE} 561 


Dove mortai lo tempio ornar di mirto. 
Stazio la gente ancor di là mi noma: 
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille; 
Ma caddi in via con la seconda soma. 
Al mio ardor fur seme le faville, 
Che mi scaldar, della divina fiamma 
Onde sono allumati più di mille; 
Dell'Enaida dico, la qual mamma 
Fammi, e fammi nutrice poetando: 
Senz' essa non fermai peso di dramma. 
E per esser vivuto di là quando 
Visso Virgilio, aasentirei un sole 
Più che non deggio al mio uscir di bando. » 


Sii 


Volser Virgilio a me queste parole 


Con viso che, tacendo, dicea: « Taci!» 


zia Urualo, retere doi bezopi di Nerone. 
Gir; Mecseni, Difwa I, 087. Oronam, 
Purg, p. 351. Com. Lipe, È 

DO, Misarate moritat. La storia 

‘nosco l'incoronazione di Stazio como poe- 

RathA qui i dico che ft incoronato, ma 
solanto che meritò di caserio. 

DA. CADDI eco.: morti, mentre attendo. 
Vo lia eeepinizone dell'AchiTalt. 


ST 
madre, ln quanto muscitò im me 
l'amore della presto, nutrice, in Torre 
mi edueò lol 


foci du nleano. «at 
idr 008 Juno, 


RINO vicine osi pl 
10) Clara 60 novi venti e oocita 
dl Stazio. 

ROL AI Ara 
ia RON na posa rana oro 
Vite, quam ut salma ni fratro4 #008 non 


#0, — Div, Comm, 3A ediz. 


pervanirel, ocatasi quadum charitatis ot 
impotenti desiderio bani communia fnel- 

De dignt.et tig. 
Sekent. VIT, 1. Cfr. Com. Lipe, 11, 407 
7 bal, 


Dante non fiase ortadasso. 
102. naxpo: dal Parmiiao, 


Il presento, Dante, che fo ha compresa 
aqnai bano, nen può tuttavia repelmene 
unsorriso; Stazio, accortusene, tato» pol, 
fissando în viso Il Posta, gîl ehlodo fl mò 
tivo di quel sorriso. Dante è lmbaramzato, 
non aapondo che 6 como rispondere 1 chè i 
sottecfugi a Je buglo pon iaano angel 
Purgatorio. Ma Virgilio lo toglie d' imiba- 
raczo, permettendogli di divo la verttà, 
@ Dante allora dico a Stazio cho qual Vir- 
gilio è per l'appunto la sun guida & cla 
nasa del eo sorriso seno Mate Je pa 
role entualaetiche di Staxfo per fî porta 
latino, presento ma da iui nom cmaselata, 
103. vola: fosero veligore. 


Questi parla di Tal con tanto encamlo, 





362 [oroxe quinto] Posa. xx1 105-122 (1mAnAZZO DI DANTE] 


Ma non può tutto la virtà che vuole; 

Chè riso e pianto son tanto sogunoi 
Alla passion da che ciascun si spicca, 
Che men seguon voler nei più veraci. 

To pur sorrisi, come l’uom ch'ammicca; 
Per che l'ombra sì tacque, e riguardommi 
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca; 


E «Se tanto lavoro in bene assommi, » 
Disse, « perchè la faccia tua testeso 
Un Jampeggiar di riso dimostrommi ? » 

Or son io d'una parte e d'altra preso; 
L'una mi fa tacer, l’altra scongiura 
Ch'io dica; ond’io sospiro, e sono inteso 

Dal mio maestro, è « Non aver paura » 
Mi disse, « di parlar; ma parla e digli 
Quel ch ei domanda con cotanta cura. » 

sn Ond'io: « Forse che tu ti maravigli, 
Antico spirto, dol rider ch'io fei; 


105, LA FIRTÙ ONE vuOLk: la volontà, 


po 
dit ab appetito conoupiscibili, st plan: 
cus, qui movetar per îafuriam, procedit 
abirnaclbili; et ambo isti appetiton sunt 
da poleutin senaltiva, et alter sequitar 
alterum. Rt appetituk tntelleotivae qui. 
est volantas, et per quem rogulutur 

petitonsensitiva», n0n semper est po 

Aupra sonaitivum, quia non wnmper Ira 
scibile at pinna obendit 


107. ni aricca : deriva; (riso dall'alle- 
griò, ll piauto dalla tristeeza. 

108, cita xoot oce.; riso è plavto pale- 
anto pi affetti interni. Più l' uumo è ve: 
Tuco, © meno egli rm nascondere 0 dis- 


frenare © regolare con 
volontà, Il riso e lì pianto, pirata 


riescono n far elò $ meno vernel, manalime 
so banno giù fatto l'abito "I etiara. 
109, rux: ad onta dol divioto di Vir. 


più d'ogui altra parte del velto 
l'impronta dell'animo; tr, Cone. THB 

112. x « sat: com penaa tu finire babe 
tanta fatica, quanta è la tua; di pers 


reco col mortal | rognl 
= mortai ero E I 


. Anticamente anche fn piena, 

1Î4 UN LAMPENGIAR UE RISO: un sot 
rivo breve como 1] carrusenr del lampo. 

115. OK Kox eco.: eccomi ora pento tra 
l'uscio © Il muro! Da una parte Ping 
to m' impono il allenzio, dall'altra Stazio 
mi acongiura di parlare. 

117. sosimno: nea sapeodo a che risl- 
vermi; parlare | tacere? dire una bagla ? 
dieokibedire Vingtiot en: 


vete. CON COTANTA CURA! ©OIDI Mp- 





Ma più 


d’ammirazion vo' che ti pigli. 


Questi, cho guida in alto gli occhi miei, 

È quel Virgilio, dal qual tu togliesti 
Forza a cantar degli uomini e de’ Dei. 

Se cagione altra al mio rider eredesti, 
Lasciala per non vera esser, e credi 
Quello parole che di Ini dicesti. » 

Già si chinava ad abbracciar li piodi 
Al mio dottor; ma e'gli disse: « Frate, 
Non far; chè tu se' ombra, ed ombra vedi.» 

Ed si sorgendo: « Or puoi la quantitato 
Comprender dell’amor ch'a to mi scalda, 
Quando diamento nostra vanitate, 

Trattando l’ombre come cosa salda. » 


123. MA PIÙ sec: ma restera! ban più 


verno la cima del 

‘elelo; ma Davto sù 

Pino Viegile non Jo avrubbe gui- 

nino alla citan del monta sere. 

ein 
Cfr. Com, Zipe. IT, 410 

Tir, ata» diversa da quella ho ora 

Di ho detta. Bo stritalati e diversa co 

ato reo; lasciala perciò non è 


66 agg. Yingilio lo esorta a lasciare tali 
dimeatrazioni di affetto, ricordandogii 
che ambeduo imbro vano fude cha 
nell'aspetto »; rg. XX, 79 agg. (ine 
irgilio al abbracelano, 

VII, 15). Stazio al alt, 


Purg. VI 
dicndo a Virgilio: « Vedi quanto grumié 


è l'amore cho per to m° infiaroma è Lo d- 
mantico pereino che siamo ombro vana 
cd Impalpabili, 0 tratto Je ombre coma 
cGrpi solidi. 


131, xeA R' GL: Ali MA ata 

152. OX YAN: « Et csehdi ante podor 
olus, ut adorarem cum, Et diedt mb}: 
Vido ne fearia Xi - 
ama: «quasi diont: oterque nostrum 
cat anlma separata intargibilia, (ntemal- 
hille +) Bone, 

138. KD xa sumaRsDO | e Stazko, leva: 
doni fn piedi, dime. — La quanerrATEi 
termine scolaatico = la grasdema, l'in 
tonalità. 


13. A TEMI NCALDA : tn acconde vor 
no dite 

135, DmbOErTO 1 dimentico, mi sconta. 
Dal verbo dirmentare tecmtrazio di am 
mentore, Or. Purg. XIV, 20) mata Wi Da 
altre crem cha qpinto:= | VANITATRI 
‘fr, 2af. VI, 90, Purg. 3T, 79. 








Pure. xX11. 1-6 [ANGELO DELLA GIUSTIZIA] 
















‘ANTO VENTESIMOSECONDO 





SALITA AL GIRONE SESTO 
PECCATO E CONVERSIONE DI STAZIO 
PERSONAGGI ILLUSTRI NEL LIMBO 


GIRONE SESTO : GOLA 


tire fame 6 sete, avendo innanzi agli occhi cibo e bevanda) 





ALBERO MISTICO, MPI DI TEMPERANZA 


Kià era l’angel retro a noi rimaso, 
L’angel che n’avea vòlti al sesto g 
Avendomi dal viso un colpo raso; 








866 (sALTA] Poro. xxn, 26-40 Lezooaro DI svAstO) 


Un poco a riso pria; poscia rispose: 
< Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno. 

Veramente più volte appaion cosè, 

Che dAnno a dubitar falsa matera 
Per le vere ragion che sono ascose. 

La tua domanda tuo creder m'avvera 
Esser ch'io fossi avaro în l'altra vita, 
Forse per quella cerchia dov'io era: 

Or sappi ch'avarizia fu partita 
Troppo da me, e questa diamisura 
Migliaia di lunari hanno punita. 

E so non fosse ch'io drizzai mia cura, 
Quand'io intesi là dove tu esclame, 
Crucciato quasi all’umana natura: 

Cu * Per che non reggi tu, 0 suora fame 


28, ux e000: nel modo che al conviene 
alnario, « Vir sapiona vix tacita ridobit»; 
Beelet. XXT,23.= «SÌ conviene all'uomo, 
a dinsoatrani la aaa anima noll'allogres: 
2» moderata, moderatamente ridere con 


prodigalità, Stazio racconta como debba 
* Virgillo deasorsene pentito, Cià che 
lo fece rientrare in sò e ravvoderai, fa 

la sentenza: A QST dani RR ET 
corì, Auri sora famest» Virp., Amm. 


ma'onoata serorità e con poco movimento 
dello sue membra»; Cone. IU, $. 
Î. OaxI TUO eco.1 ogni ina parula mi 
sogno dell'amore cha mi porti. 
23. VENAMENTE 600,1 spesso volte appa 
riscono coso che cl fanno senza ragione 
dobiiaro, perchè non no conosciamo le 
canse vere. 
220, MATA: materia, argomento. Ma- 
tera, como Purg. XVIIT, 97, anticamente 
amehe în prosa | efr. Nasmueei, Nomi, 


2 ag 
ÙL Mavra: InÌ prova osero tun 
, tan opinione, che nel mondo 
io feaai avaro. 

29. role: la tua opinione che lo fonsì 
fivuro derira forse dall'overmi trovato 
mel cecobio degli avari 0 IInll'avoro udito 
she vi sono già stato por più i cinque 
micoll; efr. Purp. XXI, 07 ag. 

94 ranterA: divisa, lontana da mo. 

25 MOrFO 1 alno all'altro stremo, aloò 
alta prodigalità. - MIOORURA: cocco | 
tc Fay, VII, 42. « Virtos sot medinm 
vitto #4 utringue redactuma ») Horat., 
Bpiat. 1, xvi, D 

DI MIGLAALA : 


i 
dove tu, quasi sdegnato contro 
ruziono dell'amana natera, csolami, — 





Puro. xxt1. 41-54 [PxxTDM. DI STAZIO] b67 


Dell’oro, l'appetito de' mortali?* 
Voltando sentirei le giostre grame. 
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali 
Potean le mani a spondero, e pente mi 
Così di quol, como degli altri mali. 
Quanti risurgeran coi crini scemi 
Per ignoranza, che di questa pecca 
Toglie il pentér vivendo e negli estremi! 
È sappi che la colpa che rimbecca 
Per dritta opposizione alcun peccato, 
Con esso insieme qui suo verde secca: 
Però, s'io son fra quella gente stato 
Che piange l'avarizia, per purgarmi, 
Per lo contrario suo m'è incontrato.» 


2080; Dall'or0.... I" 1 cioè la vo 
lontà dagli nominif» .8econdo questa 
lnterprotazione Danto avrebbe dato alle 
parole di Virgilio an sensoche pon hanno. 
=9% Dite non Intese Virgilio, ma «forse 
lnganmato da quell'opiteto s0er9, intese a 
traverso tatta la sontenza, prendono il 
anora famer por una virtù, di eni fosse 
ofizio il regolare l'appetito dello rio- 
cliente »; Bulgarint, Amp?re, Vent., To- 

eco. Danta non ara corto tanto iguo- 


Tom, 

Questa interpretazione narvbbe tanto 
lo, inquanto secondo 4 rietot., 

Be. TV, 3, così l'avaro como fl prodigo 
hanno escoranda famo dell'oro. Ma c'è 


Pfnizonei 
RIUR: 


s 


della ragiono, è eolpavole. « ue 
negligit habere vel Moeeta seta rosati 
hnboro rel fusero, pescat peccato omie- 
aionîa. Undo propter neglizentism igno- 
rantia eorum quas aliquis molte towetur, 
cet paccatum ; non autor imputatur ho- 
mini sd negligeni nenciat em qui 
solre non potest. va 

Iavinelbilia dicitur, quia studio nuperari 
noD potest. Et propter hoo talia (ghoran= 
tia, com non sit volantaria, co quod non 
catia potestate nostra cani ropellere, non 
ost peccatam,. Rx quo patet qeod nulla 
Ignoranti invincibilia eat pecsatumi ; 
Ignoraatia antera vincibilia est peocattm 

liquia sotre 


I, m 76, 2. 
49, niMARCCA | è dirottamento opposta. 
t1. Cox raso: nello atesso Inoge @ mo- 
do, dove e c0me è punito Îì peccato diret: 
tamonte opposto, — auto VERI BROGA 





568 [sALtrA] $ 


< Or quando tn cantasti lo crude armi 
Della doppia tristizia di Toonsta, » 
Disse il cantor de’ bucolici carmi, 
« Por quello che Olid teco Il tasta, 
Non par che ti facesse ancor fedele 
La fè, senza la qual bon far non basta. 
Se così è, qual sole o quai candele 
Ti stenebraron sl, che tu drizzasti 


Puro. xt. 55-87 [CONVERSIONE DI STAZIO] 


Poscin diretro al pescator le vele?» 
Ed ogli a lui: «Tu prima m'inviasti 

Verso Parnaso a ber nollé suo grotte, 

E poi, appresso Dio, m'alluminasti. 


PRESTA avete, quenii Do- 
rulaiano ll 


pereaguli 

rà termisata la Pubaide, ebbi battesimo. 
Sà non che per paura ful cristiano 00- 
culto a mi fina pagano, la qual tinpiderza 
dovetti scontare correndo per altre quat- 
trosento anni laggiù nel girone dogli se- 
«filo. » LÌ bastenimo ed il oristianosimo 
di Stazio sono una Suzione poetica alla 
‘quale Dante potè essere indotto dall'op: 
portunità di Stazio cristiano per far con 
eno vedere * il transito di un giusto 

trarero il regno della pena ', cosa at 

tane nello visioni medievali dell'ottro- 
tomba, di Stario, stato ammiratore fer- 
vente e imitatore di Virgilio e carlasimo 
al nostre Poeta; montre stimoli e ragioni 
per far cristiano le serittere latino Dante 
Ii potà trovare sà in racconti leggenda 
til, sì hm certi passi Febaide, nei 
quali sombra aleggiaro lo spirito del 
Liri ft. D'Ovidlo, NR Purpa- 

15, CANTANTI: nella Tubaide.-LM cav: 
DR ASSI: la guerra fratricida. 

TA. DOPFTA TRIRTIRIA è de due figli di 
Giocssta, Eteocle e Politica: ofr. 1) 
XXVI, $4.-Tocasta: figlinola di Crtom- 
se re Eri moglio di Lalo, madre è 
Rol moglie di Edipo, al quale partori 
Xieocie e Polinios, Antigono ed Tameno. 

ST, CANTON Da' aUcoLIEI CANI: Vir: 

autore della Bueolica; « fn com- 
pei orrori delle Febolite; 0 20° 


villa 
Rogno; varfetà che è sogno inaborme di 


Facesti come quei che va di notte, 


mante la quarta Ègloga, di pal pole na] 


| Fors anco egli ha în 
18, Chrò: la Mnaa della Storia, invo 


ana. 
Inf, KY, 3A ag. « Sino fide rmpesatbile 
016 piscora Deo »; Fbref XI, & 
Gi. x così eoe.ì e e 
la Tedbaide tn erì ancora pagano, 
me sprone 


85. rracatoR: afr. Matt. 17,19. Morso 
| Luea V, 10. Por. XVIII, 186, 

83, Paxxarò; monto della orlo, se 

cre ad Apollo ed nile Muse. = GRoTtRI 


a Dio »; oppure, è moglie, depo 
che è la osuss di tutte lo cause, Stazio 
riconosco in Virgilio it mo macatro nella 
possa, ©, dopo Dio, anche nella fslo. 
OT. QUEI: 1 nervo ché, 





Puro. xx11, 68-B4 [00ONVEBS. DI STAZIO] 


Che porta il lume retro e sè non giova, 
Ma dopo sè fa le persone dotte, 
Quando dicesti : ‘ 600] si rinnova; 
Torna giustizia è primo tempo umano, 
E progenie discende dal ciol nuova, ” 
Por te poeta fui, per te cristiano! 
Ma, perchè veggi me’ ciò ch'io disegno, 
A colorare stenderò la mano. 
Già era il mondo tutto quanto pregno 
Della vera credenza, seminata 
Per li messaggi dell'eterno regno; 
Pla parola tua sopra toconta 
Sì consonnva ai nuovi predicanti; 
Ond'io a visitarli presi usata. 
Vennermi poi parendo tanto santi, 
Che, quando Domizian li perseguette, 
Senza mio lagrimar non far lor pianti; 


Il padrone, procedo portando la Te. vagano: ripiano; già la fede or 
dietro, onde egli cammina ne) stima era diffusa per fatto Îl mando. 
n TR. LI MISRAGOI DILL'KTERSO RINO: 
gli Apontoli di Cristo, messaggeri del 
regno del cieli. 
TO. LA FANOLA e00.: il passo riferito 
dolla quarta Egloga era conforme allo 
3 prodioszioni dagli Apostoli ed Ri 
|. 1817, 1, 120, lati è degli altri discegoti di Cristo, 
® dilotro sè, Usa qui dopo -=——FL EMATA: nestisA 
perchè Virgilio Uomind 82. voce: quanto più ll pratica, 
ROTTE: ncorto, latralto del — otanto pih esnta i parveta vita dsin0o: 
vi prodicanti. GIA ! SS. Padri, come Glm 
atino 


Martire, Atenngora, Origeno, avo... 
addomero la santità di vita dei eriatiani 
Recanati are 

i e 
11, Minne. Pel, 0. 31, 37,38. Orig, Conte, 


Sl 


eristiana, del Verbo divino in- 
e Pe tere e alla 





TA] Puna. xx11. 85-101 [ANIME ILL. DEL LIMBO] 


mentre che di là per me si stette, 
Io Ji sovvenni, e lor dritti costumi 
Fir dispregiare a me tutte altre sette. 
i pria ch'io conducessi i Greci ai fiumi 
Di Tobe, poetando, ebb'io battesmo; 
Ma, por paura, chiuso cristian fu’mi, 
lungamente mostrando paganesmo; 
E questa tiopidezza il quarto cerchio 
Cerchiar mi fo’ più ch' al quarto centesn 
n dunquo, che lovato hai il coperchio 
Cho m'ascondova quanto bene io dico, 
Mentre cho dol saliro avem soverchio, 
Dimmi dov'è Terenzio nostro antico, 
Cecilio, Plauto è Varro, se lo sai: 
Dimmi ne son dannati, ed in qual vico. » 
Costoro e Persio ed io e altri assai » 
Risposo il duca mio, « siam con quel Greco 


(svetta apostolico : « Flete poeta comico latino (nato a Cartagine 
ne) Rom. XIT, 16. l'anno 192 a, C., morto verso il 159 a. C..), 
|: 000.1 tutto il rimanente del quale ci restano sei commedie. Per 
o 10 vinni nol suonde più umpie notizie dei personaggi qui enu 
ALTRE AKTTR) tate lo altro merati ofr. Com, Lipe. II, 4: 
he. TICO: così i più; AL 
Ont,, 410 ag. 





Che le Muse lattàr più ch'altro mai, 
Nol primo cinghio del carcere cieco: 
Spesso fiato ragioniam del monte 


Euripide v'è nosco ed Antifonte, 
Simonide, Agatone ed altri piùe 
Greci, che già di lauro ornar la fronte. 

Quivi si veggion delle genti tue 
Antigone, Deifile ed Argia, 

Ed Ismenò sì trista como fue. 

Vedesi quella che mostrò Langia; 
Evvi la figlia di Tiresia e Teti 


Jos. curenro: cerehlo; ofr. Inf. XVIII, 
# XIV, 78 - carcRRE cIRCO : ofr. Inf. 
X, 58 sg. Anche Il Limbo è detto car- 
sere, 1 TIE, 19, come 1' Inferno, 


Aposal. XX. 7. 

104, mostR; Parnaso, v. 65. 

105. cune amurez na: AL: c'ma sr 
psi Ale S' MA LE SUTKICI MOST SEM- 
PRR ERCO, > NUTRICI | Jo Muno, notrici del 
ponti (e. 108), hanno loro dimora sul Par- 


gaso. 
106, RumtrIDE: colobre poota tragico 
da Salamina, n. 480, m. 400 a. C., 
muala ai hanno diciannove tragesite,= 
Aurrirosta» tragico greco, ucciso da Die 
mnlelo (1 Miranno. Altri leggono Asacuros- 
TE, celebra poeta litio greco, m, verso Il 

ATE a. ©. in otà di 83 anni. 
107. Sntoxmibs: celebre poota lirico gre- 


pi 


gglvi, moglia di Tidoo (ett. Faf. XXXII, 
190)@ madre di Diomede. = Anola 1 no» 
rolla di Dello © sposa di Poltnice, Ad 
usa appartenora « lo sventurato ador 
namento » Purg. XII, 51. 

111. Locer: figlia di Ralpo e di Gio- 
casta, acrella di Antigono. = TRISTA | par 
te gravi sventare che colsero lei è la atua. 
famiglia, Vido morire tatti | suol some 
gioni ed Il fidanzato Cirreo, e fu da 
Creonte condannata a morte inaleme com 
Aptigono. 

112. quasia soci Taldià, confe, Jafi 
XVIII 02, cho mostrò ni sette oro eho 
guerreggiarono contro Tebe,il fonto Lett 
gia prosso Nememi e@r. Purg. XXVI, 
05 sgre 
113. eve: nol carcere cieco, v. 108, = 
ta mioLIA: Manto, fa; XX, 99, Alte, 
tiforemdo evi al primo cinghio, vogliono 
cleai parli qui di Dafne 0 di Istorisdo, 
altre figlio di Tiresia; ma di questo altro 
figlio di Tiroaia Dante non snpera certo 
nulla; altrimenti non avrebbe dette 
figila sensa più, e la sola Manto è men- 
sonata ripetute volte da Stato no' sol 


Llnen! ‘posto. op 
Limbo, ma mella belgia degl'indovint: di- 
ienticanza atruna, benchò non impenna 
bla. Cfr, per tatto elò Omm. Tdpe, IL 
#81 ag. Dicono 





372 {ormone sesto] Pure. xt. 114-129 [ARRIVO AL 6° GIRONE] 


E con le suore sue Deidamia. » 

Tacovansi ambedue già li posti, 

Di nuovo attenti a riguardare intorno, 
Liberi dal saliro e dai pareti; 

È già le quattro ancolle eran del giorno 
Rimase addietro, e la quinta era al temo, 
Drizzando pure in su l'ardente corno; 

Quando il mio duca: < To credo ch'allo estremo 


Le destre spallo volger ci convegna, 

Girando il monte come far solemo, » 
Così l'usanza fa lì nostra insegna; 

E prendemmo la via con men sospetto 

Per l’assentir di quell'anima degna. 
Elli givan dinanzi, ed io soletto 

Diretro, ed ascoltava i lor sermoni, 

Ch'a postar mi davano intelletto. 


Mia. avona: sorelle, - Darpawta: figlia 
(tì Licomede re di Sciro, amante di Achil 
1oz ate. DV; XXVI, 02. Tot, Deldamia e 

personaggi cantati 


PROAI Mò AVIV I eno dalia Sl, 
@ sl trorano nel cerchio sato. L'espo. 
tenza Da insegnato & Virgilio che se- 
Jondo sù per la montagna del Pargatorio 
convian tenore sempre n dostra e polchè 
Stazio acconsente tacendo, ranno tutti e 
tre in talo direzione. Stasto è Virgilio 
camminano vanti, discorrendo ineleme ; 
Dante va distro ad om, ascoltando si 
lenziono 1 loro ragionamenti. 

ILT. DAL SALELE: ensendi 
sotmmità dolla scalo. — pat 
aponido della reccla în cui la acala era 
marzia. 

118. axceLLE: ore, eft. Purp. XII, 81. 
Ia rear pedivò ire del giorno (8 an 
Um.) nrerano Il loro servizio, ed 
eran mono eee ta. 


122. &oLAMO1 sogliamo; come abbiamo 
fntto aln qui. 
136 rusmanca: guldmy ctr. Purg.LIT, 162. 
125, x PRENDRMMO 006.1 0 ci mettermmo 


giunti sulla. 
uri + delle 


in via con minor esitanza chenow alirore, 
perchè Stazio, cui Il coltate istinto de- 


127. xUUI: aglino, Virgilio © Stazio. 
128. DIKiTIO: questo tenor dietro al 
è bolla, spo 


to» lo arerano fatto «della loro nehiera», 
Inf. IV, 94-102, Aosusto alla modestia 
non manca però lì sentimento del pro- 
prio valore. Dante ha la coscienza di e» 


yitot rominavit dicta Virgilli et Statil, 
rulta didicit postare ab niroque eo- 


ram; Keo nom Lagratun reddit ba delie 


un'acqua limpida che si sparge an per la 
dell' albero. E quando Vingiltio 

itazio al avvicinano, al edo per antro le 

frondi una voce che grida: «DI questo 
cibo avrete penuria ». I'iù ln là srorerno= 
no un altro albero conalmile, del quale al 
dirà che deriva da quello della conoscenza 





NE SESTO] = Pure. xxit. 143-154 [ESEMPI DI TEMPER.] 


le Romane antiche, per lor bere, 
Contente furon d’acqua; e Daniello 
Dispregiò cibo ed acquistò sapere. 

0 secol primo, che quant’ èr fu bello, 
Fe’ savorose con fame le ghiande, 

E nèttare con sete ogni ruscelli 

èle e locuste faron le vivande 

Che nudriro il Batista nel diserto; 
Per ch'egli è glorioso e tanto grande, 
uanto per l’ Evangelio v'è aperto. » 


lix: nei tempi della repub- —1153. GRANDE: « Non surrexit inter na- 
vano dal vino; « secundum —tos mullerum maior Toanne Baptista 
|. 1, 8 mulieres apud Roma- Matt. XI, 11. « Maior inter natos mn- 
4 non bibebant vinum »; lierum propheta Ioanne Baptista nemo 
Sum. theot, IL, n . ost»; Zuo, VII, 28, 
le vivande della tavol 154. v'è APERTO: vi è fatto manifosto. 
nin, Nabucodonosor, con- «I semplici frutti © ruscelli, onde si 
legami e d'acqua; efr. Dan. ailetta il secolo d'oro, e il male e le 
locuste onde nel deserto si nutre il Bat. 
1. PRIMO: l'atà dell'oro; tiata, ravvicinano e raggiungono età lon- 
et, 1, 89-112. Virg., Aen. tanissimo: l'età della primitiva inno 
V. XIV, 06. Tasso, Aminta, cenza, a cui anco non era guasto l'ap- 
Guarini, Pastor fido, A. petito dell''avvelonata natura, © l'età 
santa generazione che lo virtà 
losk: saporite; afr. Ovid., tive riconquista a avanza con più 
00. che umana signoria sopra l’ appetito fal- 
Re: la bovanda Ince. ni liberi amatori 
0, 111-112. dolla va no di Firenze, Gio. 





Pure. xx1n. 1-10 [PENA DEI coLosi] S75 


CANTO VENTESIMOTERZO 


GIRONE SESTO: GOLA 


L'ASPETTO DEI GOLOSI, FORESE DONATI, NELLA 
RIMPROVERO ALLE DONNE FIORENTINE 


Mentre che gli occhi per la fronda verde 
Ficcava io così, come far suole 
Chi retro agli uccellin sua vita perde, 

Lo più che padre mi dicen: « Figliuole, 
Vienne oramni, chè il tempo che c'è imposto, 
Più utilmente compartir si vnole. » 

To volsi il viso, 6 il passo non men tosto, 
Ap, ni savi, cho parlavan sie, 
Che l'andar mi facean di nullo costa. 

Ed ecco piangere e cantar s'udie 


4, PIÙ cin raDnst: altrove chiama Vle 
gilio sovento padre 0 deter padre: qui, 
per maggior affetto, a proposito dell’'aum» 
monialone di non perder tempo, pid ehe 


5. imposto; assegnato por vialtare Il 
Pargatorio, 
R. savir Virgilio ® Staaio, — nie al, 
Cantano così; «sì bone 0 di conì belle cose»; Dan, 
lo labbra; © la mia boca ®. cus L'axpan sce, : Il loro partaro 
tua lode» (Sales. L, 17), faceva sì cho io non sentiva ln gravenza 
della via, « Comes faeandue in via pro 
vehicalo ast » dico Publio Siro, + Io vi 
porterò, gran parto dalla via cha ad ale 
dare abbiamo, a cavallo, con nna delle 
bello novello del mando »; Brer., Dre, 


VI, L 
10, #' ente: a’ dl. « Piangerano por 
nt vero pentimonto del peo- 





[erroxe sesto] -— Pure. xxm. 11-25 [PENA DEI GOLOSI] 





« Labia mea, Domine » per Dio) 
Tal, che diletto 8 doglia 

«0 dolce padre, che è quel ch'i lodo?» 
Comincia’ io; ed egli: « Ombre che vanno 
Forso di lor Rover solvendo il nodo. » 

Sì come i perogrin pensosi fanno, 
Giugnendo per cammin gente non nota, 
Che si volgono ad essa e non ristanno; 

Così diretro a noi, più tosto mota, 
Venendo e trapassando, ci ammirava 
D'anime turba tacita 0 dovota. 

Negli occhi era ciascuna oscnra e cava, 
Pallida nolla faccia, e tanto scema, 
Che dall’ossa la pelle s'informava. 

» Non credo che così a buccia estrema 


qui desiderano soltanto fl cibo spiritante 
nel mondo lo loro labbra furono agerte 
agli abbistti piaceri del guato od all'offeaa 
di Dio, qui atanno chiuse a cibo od a be- 
wanda, nò at aprono che alle lodi di Dio. 

11, Lanta: «Domino, labla men npo- 
rioa: et 08 moum nnnunoladit laudem 
tnam »; Prot. L, 17, 

12. rantunit: partorì, produsse, IL 


canto è la divozione ganeravano diletto, 


{l pianto doglia, scoltondo a profonda 
compassione. 

18. cum È oec.: non vedova ancora nes- 
auno, nè sapora ancora che fossero le 
anime purganti che piangevano e can- 


jcho Virgilio non è : none 


allenzio a gravità d'atti è bella roddint 
zione a un vizio, ondo precede tanta ad 
bendanza di parole 0 datti ran, e tanto 

icomaal Ml decoro al pumo 0 a tatta la 
persona »; Peres. 

17, GFVaXEXDO: quando per via rag: 
Rgiangono geuto sconoseluta. Lo animo 
andavano dunque nella medesima diro- 
zione, cioè n destra, como | tro Poeti, 

19, MOTA: das più vedecemente, cam» 
ininaailo con passo più coloro del nostro. 

21: racrra» «pareho contrudica è quel 


chela dolo di nipea dba do pie 
cantare; ma il Poeta vool 
che suol far chi lodi 
mino, che lasela ogni altra cara, a sola» 
mento attendo n trar da quelli la inten» 
aiono, © buona 0 ra vj Vell., Diam, Prg, 
Tom., ecc. Le animo cantavano e piango 
ano * solamente quando nell' aggira 
pel halzo pervenivano al misterioai Al- 
i, Easendo adunque tra Poeti paasati 
oltre Il divisato aldoro, ma non di 
poterono porclò mentire olò che Ivi Me ti 
trovegnenti animo ai dictasaro, e Lod, 
Costa, 84. Pad., Ot, Br. Bi 
+ Amdr., ecc, Questa seconda intar- 
pretazione è confortata dai pas 
x 


pi 
Job XIX, 20,=< A reco gomitas niet 
Muoait ca menm carni men »s Pal: 








Ù 


578 [amoNE sESTO] 


‘Pure. xxitr. 88-58 


Per la cagione ancor non manifesta 
Di lor magrezza e di lor trista aquama; 
Ed ecco del profondo della testa 
Volse a mo gli occhi un'ombra, e guardò fiso; 
Poi gridò forte: « Qual grazia m'è questa?» 
Mai non l'avrei riconosciuto al viso; 
Ma nella voce sua mi fu palese 
Ciò che l'aspetto in sò avea conquiso. 
Questa favilla tutta mi raccese 
Mia conoscenza alla cambiata labbia, 
E ravvisai la faccia di Forese. 
« Deh, non contendere all’asciutta scabbia 
Che mi scolora » pregava, « la pelle, 
Nè a difetto di carne ch'io abbia! 
Ma dimmi il ver di to, 6 chi son quelle 
Duo anime che là ti fanno scorta: 
Non rimaner che tu non mi favellel» 
« La faccia tua, ch'io lagrimai già morta, 
Mi dà di pianger mo non minor doglia, » 


glia, qual cos lo smagrasse tanto; efr. 
Perg. XXV, 20 ng. 

90. squara: pelle Inaridita. 

0. OL PROPOXDO BELLA TEATA: of. 
vi 22. Dipioge con tereSbilo evidenza gii 
desi atfosati, co' quali quell' anima 10 
ma ri, 

#, questa: al rederti qui. 

6. CosquIRO: chi splaga guasto, è chi 
somipulatato, osservando che la eta 
tem soco distrazione 0 ruina; n 
Tipo, TI, 4Kt sg. Il senso è del resto 
Iadubbio: Perla terribilo sua magrenan 
num l'avrei mal riconcsciuto nil' aspetto, 
ma lo ricomubbi al suono della voce. 

44 raviia: la voce. Al: vavxiza. Il 
nuiao della voso di quell'ambra fu come 

che riaceese in mo la conoscon- 


48 RAYvisaTi ratfigaral, riconobbi. 
di. costenpana: non badare alla sola 
aedlatta è seolorsta come ila scab- 
Ti contendere per Por mente, Ba- 
daro è simili si hanno altri esempi nogli 
antlohbsotr, Cos. Lipe, II, 447, AI. prem- 
dano contendere nel renzo di negare, nie 


fare, spiognudo: Nen nognrmai Il vero di 
te por motivo della nta pello «colorata ($, 
=scansia: Foreso «fu nol rino mollomenb: 
piono di grusolo »: Lam., AM, 

Fior, "cea aba tape V'.untore came lì 
goloni erano scabblosi ; imperò che como 
Danno ben passiute lo corpo, por farlo 
bon grasso è Inceicante, comi finge din 
por lo dolore 0 per la contiene ars sla 
porehò l'abutinenzia disoalore 


ga lo corpo, 
pelle, cioè la soablita mi fu pallida 0 meo: 
Jarità lu pollo »; But. 

52. IL vini: come 0 perobò tia tl trovi 
qui, Poreso 0 lo altre antimo si mono già 
accorti che Dante è ancor vivo, eee 
rimalta ad evidenza dal vers 119-114 


riterebbo per avventara fa 





Rispos'io luî, « veggendola si torta. 

Però mi di', per Dio, che sl vi sfoglia; 
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio; 
Chè mal può dir chi è pien d'altra voglia. » 

Ed ogli a mo: « Dell'eterno consiglio 
Cado virtà nell'acqua e nella pianta 
Rimasa a dietro, ond’io si m'assottiglio. 

Tutta esta gente che piangendo canta, 
Per seguitar la gola oltra misura, 

In fame e in sete qui si rifà santa. 

Di bere 6 di mangiar n'accende cura 
L'odor ch' osce del pomo e dello sprazzo 
Che si distende su per la verdura. 

E non pure una volta, questo spazzo 
Girando, si rinfresca nostra pena... 


Puro. xx. 57-71 [ronsse noxATI] 579 


Ei 


Como. Lipe: TI, 448 ag), vo lì seg: divino volere, che comi dispone; è tefaua 
tarta del v. seguente non par- nell’acqua e mell' albero fa virtù che mi 
troppo fortemente in furore della —dimagra a tal segno. 


i 


J 


la cario 
mon è ancora capace di par 
0, luveco di rispondere alla 

‘amico, ebiesle & Jul la ca- 
aparentorole dimagramento 
di queste cerchio. Forese glì 
*inposta. Lo anime che vanno 
per questo cioghio, ai fermano 
ogni volta che giongemo 
frutti 2 alla frosca vena, 

possono arrivare nè con labbra 
mano ai pomi 0 all' anqua; 0 dalla 
© dalîn fragranza del pomi e dello 
pira una segrota virtà olio sem- 
accendo 


E 
$ 


Ia 
srt} 
| 


ii 


uti 


Mrosiza : dimagra; prosa l'immma- 
gine 0 dall'albero che perdendo le foglio 
ni disscona, oppure dagli strati musco- 
Tari © milpeal cho, come fogli in libro, 


08. rimane: erano già pasti oltre, 
— al' AMOTTIOLIO 1 dimagro, 

questa. = PLANQINDO CANTA! 

0 quando arriva presso l'amo degli alberi 

siatorical, oppure Inosanaatamento, Ma 

almeno Foroso, che nou è più premso ale 

laibero ed all'acqua ehe cado dall'alta 

rocoîa, non piange 6 non canta, nò di nn 

piangere o cantare altrovo che presò gli 
Alberi, Dante fa sonno, 

85. TRR REOUITARI por aver signltato 
vivendo. - OLTRA MisuRA : « Hot slim 
pertinot ud gulam, quod alignis propter 
somoupiscentiani cibi deleetatilia seleestar 
saoeda mensoram fn odendo #; Dhew, 
4%, Sum. tAeol. IT, t1, 148, 1, 

00, 81 xiPÀ sasTA: sotfreado fame o 
sete ni purga dal peccato dalla gotà. 

07. coma: destderio, La fumo è îm mod 
suscitata dal soave odore del frutti dial 
l’albaro, la sete da quello dell'acqua che 
casca giù dalla roccia e al npargo In apirwe- 
ri sn per lo foglie dell'altero. 

08. roato: ef, Inf. XVI, 63. 


Spargo sa per 
lo vendi foglie dell'albero; etr. Purg, 
XXI, 186. 

Tè. arAzzo: melo, Di XIV. 18 
Horghind, Stud, pd. Mpli, WA, 
TI, AT MUIFBICA | HA rimase, Lan ad 





580 [erosz sesto] 


Pure. xxm1, 72-79 


hat. 





To dico pena 


e dovrei dir sollazzo; 


Chè quella voglia all'arbore ci mona, 
Che monò Cristo lieto a dire ‘ EN', 
Quando ne liberò con la sua vena.» 

Ed io a lui: « Forese, da quel di 
Nel qual mutasti mondo a miglior vita, 
Cinqu'anni non son vòlti infino a qui. 

Se prima fu la possa in te finita 


(girano senza requio, e quante volte case 
arrivano eta l'albero, altrettante si 
rinnova fl supplizio. Da questo verso al- 
tini (Buti, Br. B., Frat., Andr., oc.) 
inferirono, easervì in queste girono non 
pur duo, ma più alberi consimili. Pò 

vat; gna di duo noli Dante fa menzione. 

79. AOLLAZIO : 10 anime purganti s0p- 
portano lo loro pone non solo con calma 
‘ con decoro, ma le desiderano 6 se ne 
sompiacelono, cononcendone lo scopo ed 
essendo lì loro volere già conforme al 
volere di Dio, « Gioriamur in tribula- 
Aloniban » ; Rem. V, 3. = « IUI, qui sunt 
fn Purgatorio, scinnt se non posse per- 
ventre 4d gloriam, nisi prius puninotar: 
ergo volant puniti »; Thom. 47.,, Sw. 
theol, ILL, Suppl. App. 2, 2. — « Non 
credo che al possa trovare contentezza 
da comparare a quella d'un' anima del 
Purgatorio, cosetto quella do' santi nel 
Tarsitino +; S. Cat. di Gen. Frati. dal 
Purg, ©. 2 

TR vOaLIA: di conformare nostra 
alla volontà di Dio, Se la voglia mena la 
anima ull'albero, il loro girare a soffrire 
4 volontario 0 nosessario insieme : rolon- 
danke, porchè volato ed amato dalle ani. 
Mm; necamario, perchè volnte da Di 

Ta. A pie *ELt'1 a soffrire la morto 
della crocs © sentirai abbandonato di 
Dio; efr. Matt. XXVII, 46. Marco XY, 
dd Snten XXI, 2. ET algnilica: Dio mie. 
Il Poeta rammenta il grido di Cristo 
mella eroses + Ri, XII, lamma sabaotha- 
mi; hoe cet i» mona, Deos mene, nt 
quit dereligutati mel » ricontento con 
nb i momento fl più doloreso e più tre- 
mento lella passione del Salvatore. 

0. CON LA UA VIDA: 001 sumgoe delle 
nuò reno, mpargendo il sno sangro. 

V. 70.93 Uma maglie e radova nin 
tuiosa: Nella Donati. Vivendo ancora 
Forrse, nella ricordata tenzone di ro- 
metti, Daute così avera seritto anlla tri- 


ata condizione futta alla moglio ma da 

Foreso: 

(CH disse toerle la mai Patata 

Moglie di Ésicci, rocato Forese, 

Potrebbe dir che 1a fonda vermata 

Osa sì fa 1 cristaiio 1h quel pame. 

Di mezio agosto la srori infredéata è 

Or sappà che do' fur d'ogat altro mesa! 
È nos la val perchè dorma calzata, 
Mercé dal apparso! 9" Ra cortonena 

La sone, Il freddo e l' nìtra mala veglia 
Xen la addivien per umor ch'abbla veethi, 
Ata per dielto chrelta nente ni abba 

1a più dana Gogida, 

sendo : « Lasa, che par Lehi pedali 
Marna l'avre' in casa © conte Golele 


Gome nel rimavento del colloquio cen 
Forese, Dante deplora pentita il ano 
contegno verse l'amico 0 parento, v. 

sqm. così In questi vers egli ritentta 
ciò che la tempi dol tutto diven avera 
scritto di poco rigunedoro contro la pe 
vera Nella, la quale è qui non sala re 


preghiere « sorgenilo an di cor-ole la 
ne», L'urp. 1V,124, (ramo wie 

Ju cielo ed accorciasono a marito de 
funto $1 tempe che avrebbe dovuto start 
nell''Antiporgatorio, Intorno a Nellk 
(Nella è aocorciamento di Giosanmella] 
non mapplamo storicamente nulla, ed mm; 
<ho | eomm. ant. non fanno chie 
© paraftazare | veral di Dante, né, A 
elele, 1317 hg 

TE. vÒLTI: non sono ancora paaali 
cinque anni dalla taa morte. Storicnmen= 
te osatto, l'arese essendo merto il 28 la 
gilo 1596 ed avendolo Dante, ocio la 
fiurione poetica, trovato mel sento giri 
ta primarora del 1300, MA pere mon 
disse quattr'anmi ln reco di cimpu'ammtf 

TO, ne rRIMa coo.1 se ladagiasti la per 
ritenta a quando ori ormal 
È peccare, cloò agli aetremi di bua vita. 
4 E quoste coso na bena l'A; er 





Pura. xxini. 80-94 [NgLLA DONATI] 581 





i peccar più, che sorrenisse l'ora 

Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, 
Come se' to quassù venuto? Ancora 

To ti oredea trovar laggiù di sotto, 

Dove tempo per tempo si ristora. » 
Ond'egli a me: « Si tosto m'ha condotto 

A ber lo dolce nasenzio do’ martiri 

La Nella mia! Con suo pianger dirotto, 
Con suoi preghi devoti e con sospiri 

Tratto m'ha della costa ove s’aspetta, 

E liberato m'ha degli altri giri. 
Tant'è a Dio più cara e più dilotta 

La vedovella mia, che tanto amni, 

Quanto in bone operare è più soletta; 


vs 


ognversazione continora ch'elli ave- 
Fottso; od esso Autore fa 
per cho nveva in 1ul 
lo indisse alla confoa- 
2 Dio anzi l'ultimo 


i 


poso»: fl dolore del penti. 
cl ricongiunge con Dio. 

Bi, ANCORA ecc.i lo credeva di tro. 
aggià noll'Antipargatorio, 
giò la penitenza sino agli 
Ablendero tanto tempo 
i of, Purg. IV, 150 agg.) 

; Balle diverso lezioni e in- 

‘di questo vareo ofr, Com. 
Asa 

La 


Spiiiale 
ui 


si 


“e 
db’ Robi: Al: 50 att. 

MI. A ninoso ET tea! 
Go, tn md atenei Lara rep mal 
acono lolcd, pervbò sali 

gia cena fel Antipergatore, Ab: 


Yad; oe da primi 
Purgatorio, 


Chò la Barbagia di Sardigua assai 


d'itata, solenno ritrattazione del sonotti 
contro Parere. 

V. QU-111. 27 rovescio della meda= 
glia: le donne fiorentina, Allo dell- 
cato lodi dato a Nella, rogue ana tra: 
menda invettiva contro lo ufucelnte done 
ne fioreutino, più Impadiche detle donne 
della afucciato a segno da @0- 
atringer le autorità ud interdir loro certe 
mode lascivo @ da attirare sopra loro 
tremendo lo pantzloni del cielo. Sema 
dabblo Dante obbe le sno buone raelest 
di invelro così terribilmente ccatro losno 
coneittadine ; ma è pure com certa, ehid 
agli generalizza un po' troppo, e che Jo 
«toune ferentine del 1300 non eno pot 
tntto quanto corrotta wi ecossiona della 
vedova di Forvse, Non è crediile ehe 
questi verui vadano all'indirizzo di Gear 
ma Donati, moglie di Dante, ta cui otà, 
par tacere d'altro, nel tempo che Dante 
dettava questi versi, aveva già 


espresso 
tuttavia rummontare, cho bon ò maneeto 
chi affennasse senza prove, ché la mo- 
glio di Dante fn « una dornacela fredia 
di evere, avana, golosa © Immnurione » 
(Neetti, Orar., 17). 
di, Buuuota: ragiona alpestro della 
Sardagna, del eul abitanti $. Gregnelo 
(Rp, 111,34, 37) blvoa dire che ivernna 
tuti come anbesali Iaacussti, e Mantanta 
get... La qua dabitat gens atrestrisalna 
tego, sino religione vera: qam dieltar 
remamalsse Ibi, quando invala fuit rent 








Tomowe sx870] 


Puro. xxttr. 109-128 [conrssione] 588 


1 Chè, se l'antiveder qui non m'inganna, 
Prima fien triste che le guance impelî 
Coluî che mo si consola con nanna. 

Deb, frato; or fa’ che più non mi ti celi! 
Vedi che non pur io, ma questa gento 
Tutta rimira là dove il sol veli.» 

Per ch'io a lui: «Se ti riduci a mente 
Qual fosti meco e quale io teco fui, 
Ancor fia grave il memorar presente. 

Di quella vita mi volse costui 
Cho mi va innanzi, l’altrier, quando tonda 
Vi si mostrò la suora di colui » 

(© il sol mostrai). « Costui per la profonda 
Notte menato m'ha da’ veri morti, 

Con questa vera carne che il seconda. 


109. L'axrivaDe: la provisione degli 
eventi futuri; ofr. In. XXVIII Ta 

XI0. PRIMA FIRN TRINTR 600,: saranno 
rima cho | faniclullini adesro 
vominolno a mettere la barba. 


dolenti 
Inttanti 
Pat quindi che al allada a fatti posteriori 


callando per sddormentare { bambini. 

Y. 112-123. Peccato confessato. Ri- 
pregato da Fort di dirgli oramai il 
pero di nè of. v. 50), Dante prima rt 


da tale vita, lo guidasse attraverso I' In- 
ferno nin qui, o prometta di guidarlo ol- 
tre, ninchò Beatrice gli vorrà incontro. 

Ultimo fa la presentazione di Vingi- 


Dante 6 Forese, al contegno non dello 
dell'ano verso l' altro, quanto a vita Il- 
oenziona, peccaminosa, è provato dad v, 
118 ‘ Di quella vita ese", È documente 
di vita viziona sono realmente È sonetti 
della tenzone fra Dante è Forese. 

117, axcon ria amava: Îl Lett vuol in- 
tandore: «Se ti rammenti to cara 
fosse la nostra amicizia, pnoî ben crederò 
quanto mi pesi Î1 dover dire che, rima 
nendo ta in queste pene, fo tra poso 
n'andrò a vedere lo Baattogiat gle 
radiso. » Ma il Zettt non eonoscera la 
tenzone di Dante con Foreso, la quale 
chiarisce a che alluda l memorar pre: 
sente © perchè osso riesca molesto, 

118, vira: loggiora o spensierata, coma 
dovette intatti casore quella del duo ambo 
neì tempo cho si scamblavano qual s0- 
noti. Dante Idontifica qui tal vil colla 
selva oscuro, dalla quale Virgilio be brano 
per condario streverzo,l regni dell 
ta 


e cain su: olnque giorni fa = 
rosa: ofr. Inf. XX, 127. 
12, La RUORA; la Ina (Diana) sorella 
delsolo CA pollo); e@r. Purg. XX, 190 8g. 
131, rROFONDA NOTTE: l' Inferno) ef. 
Purg. T, dt 
122. pa' viti Ala pe' yaa, Chinma | 
dannati veri merti, perchè privi nea sole 
della vita corporea, ma esiandio Sella di- 
rina grazia è divenuti preda della « no 
seada morto », Inf. I, 117. Cfr, Panden, 
preti LS 
198 YuILA CARNE: 00 quesio curgo 





ONE SESTO] Pura. xxirt. 124-183 [coNFESsIONE] 





Indi m'han tratto su li suoi conforti, 

Salendo e rigirando la montagna, 

Che drizza voi che il mondo fece torti. 
Tanto dice di farmi sua compagna, 

Ch'io sarò là, dove fin Bestrice: 

Quivi convien che senza lui rimagna. 
Virgilio è questi che così mi dice » 

(E addita’lo); «6 quest'altro è quell’ ombra, 

Per cui scosse dianzi ogni pendice 
Lo vostro regno che da sè lo sgombra. » 


la ombra e tien dietro a Vir- © carne, il corpo, sarebbe una vera stirac- 
jecoxpA : efr. Inf. IV, 15. chiatura, 
+ dalla profonda notte, con. 129. QuIVI: giunto che sarò dove è 
iti, sono vennto quassù, sa- Beatrice, Virgilio mi lnacerà (ofr. Inf. 
lale della montagna che sono I, 128), onde mi converrà rimanere senza 
l' altro balzo e rigirando in- lui; ofr. Purg. XXX 
ni 130. VIROILIO: ri 
PRIZZA VOI ecc.: che raddrizza manda di Forese: « Chi son quelle due 
‘torture. cioè vi purifica dallo anime cholà ti fanno scorta?» v. 52 ag. 
ita terrena. Sì potrebbe forse -—131. ApITA"LO: lo additai, lo mostrai 
re nel senso di indiri ol dito. ESI' ALTRO: non nomina 
re, od il senso sarebbo: che Stazio, ma dice soltanto che l'altro sno 
Dio, da cui 1 monda vi fe compagno è quegli, la cui liberazione fu 
la orti per deviati, o fuorviati, | annonziata teatà dal terremoto. È dif 
‘anO, cile indovinare per qual motivo Dante 
ofr, Inf. 1, 112-123. Purg. neabbia taciuto il nome; ofr. Com. Lips, 
comaGra : compagnia; ofr. II, 461 sg 
101, Purg, IMI, 4 utoNO: il Purgatorio; cfr, Purg. 





CANTO VENTESIMOQUARTO 


GIRONE SESTO: GOLA 


DONATI, PICCARDA, DONAGIUNTA DA LUCCA, PAPA MARTINO IV 
UBALDIN DALLA PILA, BONIFAZIO, MESSER MARCHESE 
GENTUCCA, CORSO DONATI, BECONLO ALBRRO MISTICO 
ESEMPI DI GOLOBITÀ, L'ANGELO DELL'ABTINENZA 


Nò il dir l'andar, nè l’andar Ini più lento 
Facea; ma, ragionando, andavam forte, 
Si come nave pinta da buon vanto. 

E l'ombro, che parean cose rimorte, 

Per le fosse degli occhi ammirazione 

Traean di me, di mio vivere accorte. 
, continuando il mio sermone, 

Diasi: « Ella sen va su forse più tarda 


V. 1.16. Piecarda Donati, Conti- 
nuando insieme Îl enmemino par Si gireno, 
Dante domanda dovosia Piccarda e pro: 
ga l'amico di dirgli 46 tra quella gente vi 
nin persone notorole, Faresoriponieche 
ata sorella è già in Paradiso, Piosarda fu 
figlia di Simone © sorella di Porese 0 di 
Corso Donall. Vattas} monaca di Santa 
Ghiara, fu tratta violentomante dal mo- 
ataro o data n meglio n Resslino della 

Toma; ofr. Por. III, 34-31, 109-108, To 

I 


È AMDAVAM FOSTR: per Dante vivo; 
pur la melme troppo loxtamento, cfr, vr. 
0, DI egg 

dorma: Addnos la simiiita» 

che fertomanie come la 
mato quand'ella  epizta dal bnon vento, 


0 così nol ch' oraramo condutti su dal 
boan volare, guidati dalla grazia di Die»: 
Bufi.-e Acconcia similitudine, ha quanto 
l'idon del suon cente che spivgo la nave 
cousuona motafuricamento al buon deal- 
dorio che è nel Poeta di giunger presto 
nl termine del misterioso viaggio; o tu 
Yorese, di complere I° espiazione »; Zi, 
Vent, Simnit., 102. 

4.ixoxra: morte per la seconda rela, 
tanto erano pallide è muallida, È il bl 
blico: «alteri.... morti du tolte» Ole 


7 quoGA.I 
gechi profandamente inca rat fer; Purg, 
XXIII, 23,31) mostravano maraviglia e 





Puro. xv. 9-22 


Che non farebbe, per 


l'altrui cagione. 


Ma dimmi, se tu 'l sai, dov'è Piccarda; 
Dimmi 8’ io veggio da notar persona 
"Tra questa gente che si mi riguarda. » 

«La mia sorella, che tra bella e buona 
Non so qual fosse più, trionfa lieta 
Nell'alto Olimpo già di sun corona.» 

Sì disse prima; e poi: € Qui non si vieta 
Di nominar ciascun, da ch'è sì munta 
Nostra sembianza via per la dieta. 

Questi» 6 mostrò col dito, « è Bonagiunta, 
Bonagiunta da Lucca; è quella faccia 
Di là da lui, più che l’altro trapunta, 

= Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia: 


È. PRA L'ALTRUI CAGIONE: per amor 
Ri Virgilio, « per trovarsi con lol 6 star 
più con tal»: Buti 

11, DA soTAR: degna di nota; ofr. Inf. 
XX, 104. 

19. MIRA DELLA eco.) « alla domanda 
natlaficendo, dico Forese cho Piocarda, 
la quale fu molto bella del corpo e molto 
intera dell'anima, o sì ehe non sa so In 
bontade nvanzò la ballerza, 0 ]a bellezza 
Ja bontado, già dolla ma vittoria eh'ebbe 
sontro al mondo, trionfa nel Cielo »; Oft. 

V. 1038. Persone moteroti nel 
rone dei yolost, Rispondendo all'altra 
domanda di Dante, Fares gli nddita è 


‘nato como operaio della Chiema di San Mi- 
chelo, SI hanno Ìdi lo molte poeele eo 
suoatrano mervile imitatore del proven« 

ani, assolutamente privo di originaità 
© renzo nella lingua e nello font 
Jo menzio blsaémo ani 

De Vul. 

4 61 auo veo., 222 ag. Lusoheaink, 

‘ Dare per serre ria VASO 
di Luoea IX, 63 ng. Motel, 272 ng 
« Fuit vit bonorabilla, Iucalentas armo 
in lingua materna, 6t fucilia tuventor 
rbytbmorum, nod facilior vizsrnza, qui 
novernt autorem în vita, ot aMyaamdo 
scripeerai sibi 

gulositatun. 


XII, 1), bezohè fosso troppe ligio a Carlo, 





588 (amoye sesto) -— Puna. xxiv. 82-46 


Già di bere a Forlì con men secchezza, 
E sì fu tal, che non si sentì sazio. 
Ma, come fa chi guarda e poi s'apprezza 
Più d'un che d'altro, folio a quel da Lucca, 
Che più paroa di mo voler contezza. 
Ei mormorava, e non #0 che ‘ Gontucea ” 
Sentiva io là, ov'ei sentla la piaga 
Della giustizia che sl li pilucca. 
«0 anima» diss'io, « che par sì vaga 
Di parlar moco, fu' sì ch'io t'intenda, 
E to 0 me col tuo parlare appaga.» 
« Femmina è nata, è non porta ancor benda, » 
Cominciò si, « che ti farà piacere 
La mia città, come ch'uom la riprenda. 
Tu te n'andrai con questo antivedere; 


fsciti alsi bere"; dizlt riden- zia, © concessa quella protezione ospitale 
* Et quare numquam dicunt, quod — di cal egli aveva bisogno, Cod è negli 
splogato anche l'effotto di rendere 
cerolo la città al porta (7, dt ag). 
2. d'arenezza c0e.: fa stima di wo 
#0, o nondimeso fa tal Devitore, che con — più chodi altri, Als va riezzà 1 Prezsa È 
tatto fl ano bere non riuscì ad estinguere lo stesso che Prezzo, attma, conto. 
36. cme PIù rana scie 
Jet 


Bonagizni 
mostra di aver cognizione di Date più 
che l'altro anime; ma i vw. 42 è 40 el 
fanno propendare per la variante VOLE. 

88, LÀ: in boeca, RE 

forto sentiva Il tormento della fumo. 

30, La PILUOSA = li dtlemaggra, comantanià A 

L Un lr atralte Purg. 

doro usaai il verbo gfogkant. 

TE 8 ir: Bonagiunta desiderava di 

avor contesza di Danto, è questi di sapere 

com Bonagiunta elesse dire vom quel. 

norm di Centucca mormorato tra i denti; 

43. viouza: così chiama Dante la 

madre Bra, Purg. XXLX, 20, lo ditta 

Lucca, virtuose auticho, £nf. IV, 29, ed anal 

aqui (ho pare, Intorno al 1315, quando —Marta, Oowe. JT, 61 « Maria Vergice 

nas cella cinquantina; ma dereni — femmina veramente, »=NON PONTA Gti. 

niziobe osservaro che far partar Dante di è ancora zitella, Soltanto lo ammo une 
smiia cosa mel regno della puriNoazione 
è raramente an assurdo, 1)' altrondo in 


platonico pl 
tutto quel cho vi si dice della donna lnc- 
Gdina, Lora bonisalmo auch na ella abbia 
dlimentento n Dantesolo cortesia sd amici» 








590 [ormone sesto] 


Non vede più dall’uno 


Pura, xxry. 62-78 


all'altro stilo»; 


E, quasi contentato, si tacette. 

Come gli angei che vernan lungo il Nilo, 
Alcnna volta in nere fanno schiera, 
Poi volan più in fretta e vanno în filo; 

Cosi tutta la gente che li era, 

Volgendo il viso, raffrettò suo passo, 
E per magrezza e per voler leggiera. 

E come l’uom che di trottare è lasso, 
Lascia andar li compagni, e sì passoggia 
Fin che si sfoghi l'affollar dol casso; 

Si lasciò trapassar la santa greggia 


83. CONTENTATO: del suo colloquio con 
Dante. 

V. GLBI. Donte e Forese. Bona 
altri spiriti purgunti vanno 

‘avanti; soltanto Forvso si trat- 
tieno ancora a parare, caruminando più 
Motamente coll'antico amico, © gli do- 
tnanda quando lo rivedrà. «Non so,» ri- 
aponde Danto, «ma desidero che sia pre» 
ato, perchè V'irenze sì corrompo stpro 
più, 0 par disposta a rovina. » Se Forese 
Rapotta di rivedere Dante e questi non 
usura nulla in contrario, 1 nostro Poota 
#'aspettava anche înl di dover tornare 

la questo corohio. In altri termini Dante 
In questi versi si confassa cotporsie dol 
peccato della gola. 

Mi OLI AVSKI 110 gr, cho passano l'in- 
verno lango il Nilo. « Aves, nbi frigituo 
amnus Trans pontam figas et terràe in- 
miltiit apricia »; Viry. den, VI, 11 ag. 
= teymona aio gelidom, brama palten 
ta, ralinquunt Potara te, Nile, gruon 
primogne volata Kihingant vara, © casa 
ibomabrante, Aguras +; Laccan., Phare,V, 
Tit agg. - LUNGO: RSO. 

65: 15 amo Al 

Bi. n no: l'uno dopo ri 
gui ott, If. V, 47. Par. XVIII, 79-76 

48, voLogNDO } vorso man destra, nolla 
direzione del boro cammino; fn qui nvo- 
yane tannto gli cechi rivolti a Dante, 
#, ded, = MAVTRETTÒ: « por risteraro lo 
alato al avenno fatto «i Judi 

0. vor: desblorio di continoare la 
Proltonza è la portbeaxione. 

Po. tmorrann: correre | lo Alce tattora 
Ul popolo anche dell'uomo) cfr, Ieet., 
Dee. 11,2, Damansoti, Annali X, 19: « tì 
Gigtimolo del legrate trettato a difeastorli. » 


TI. at rassaoora: solo è 
. #1 ar0GHI | cessì la foga, l'im 


Ovid., Met. X, 683, = + Qui è da 
notars che la radice di questo verbo com 
tione In germe ui 


buoni vecchi, 0 per la valvola, come leo: 
no ì moderni; è l'animale per Ja bosoa. 
& come l'aria scendo, pe la gravità naa, 
dentro 1 mantioe, Lin! ell'aprinsì 
più capace; così, per la gravità, acmmdà 
l'aria, aprendosi il toraoe, gi nel pel 
mono. E como, stringendo, il 1amilse sal 

così striagendosi il l'animale 


hi ternoa, 
| respira. Ma benchè Dazite a Il pope x 


scano chiamassero, gran tempo inmaza, 
mantico Îl petto, nonostanto, la mori 
glianuo pertotta dell'oprar dell'uso @ 
dell'altro sull'aria, non fu dimostrata 
che nel necolo XYII da uno macare di 
Gallleo. Yu il Bore il primo n file» 
etrare che non eutra l'aria nol palmo: 
per sncclamento, come În nam 

clò cho orederaai comunemente da 

ma per effetto del peso dell'aria, glnato 
pae mi Mi mn 2 Great Len 


palmazii n IVEOXÙ, xu tar i 2% 
XXV, 74 

73. ki così Parese Involò passare; 
la santa greggia delle pete 





[amoxs sesto] 


74-88 [corso posati] 591 


Foréese, e retro meco sen veniva, 

Dicendo: « Quando fia ch'io ti riveggia?» 
<Non so» rispos'io lui, « quant'io mi viva; 

Ma già non fia il tornar mio tanto tosto, 

©Ch'io non sia col voler prima alla riva: 
Però che il loco, u' fui a viver posto, 

Di giorno in giorno più di ben si spolpa, 

Ed a trista ruina par disposto. » 


< Or va'; > diss' 


< chè quei che più n'ha colpa, 


Vegg'io a coda d'una bestia tratto 
Invèr la valle ove mai non si scolpa. 
La bestia ad ogni passo va più ratto, 
Crescendo sempre, fin ch'ella il porcuote, 
E lascia il corpo vilmente disfatto. 
sm Non hanno molto a volger quelle ruote, » 


To. quaxnorieco.: quando ti rivadròf 

TT. GRA NOS PIA nt, TORNAR ose: Dante 
è desideroso di morir presto, per non 
veder più x lango î mal) dolla aa patria. 

MO. BI RPOLPA: ni priva. « Spolpare è 
lavare la polpa, © porò si piÙln «polpare 
per Buti. 


lar Dante, Foreso predice, in molo un 
pol oscuro, la Tragica fino del proprio 
fratallo Carso, enpo del Neri e principal 
ni ta mali di Firenzo; otr. @. VUl 

29, 43, 0& Sulla morte di Corso 
Tron, Gintanni Villani, che dorea pur 


diede d' una lancia por in gola d'an colpo 
mortalo, 0 Iasciaronlo per morto: | mo- 
maci ilol dotto monîstero il ne portare 
nella badia, 6 obi disso cho invanei be 
morisao al rimlao nello manî di Lore fn 
tuogo di penitenzia, o chi disse che ll tro- 
vir morto, o l'altra mattina fu moppellito 
in San Salvi con piscole onore © peoa 
geoto, per tema del comme. » Cor para 
Ott, An. Fior., Bent, eco, Atri riestom 
tano il fatto un_po' diversamento; ft. 
Com. Lipr. LI, 478 ng. Danto ni attenne 
ad una di quelle tradizioni cha nell'esl- 
gio erano venute a sua notizia, 

#2. va': comsolate.= quasi Caro. 

#ì. tratto: trascinato a coda di ca 
vallo. 

Mis eviti Alt VERSO. — La VALLE: 
l'Inferno, efr. Taf. IV, 8. Par, XVII 
LIT, dove le colpe non al rimettono ln 
aterno. Invesa il Betti: » Non oredio che 
Dante abbia volute dire che Mi. Ciro 
fosse Lento a coda di cavallo all'Inferno, 
La cos sarebbe amai puorila. Silmo dune 
que cho la valle ore mai non ai ssolpa, sin 
appunto Virenze, ramomigliata all'infer- 
no. E la seguente terzina lo indica chia 
ramente, - Ove non st scolpa, cioè dova 
nono può mal purgars dello colpo che 
gli sono apposte, Ji Dante lì mgara! e 

#5, La nerTIA: Îl cavallo va ed equi 
puaso più relece, socresnmdo sempre più 
lena ni precipiteso sno corno, finchè lo par 
ometo e Jolascia Iguomtmeenmanto ncols, 

RE. xUOTR: le ufeco vetonti, Vuol dira: 
nen passeranno molti anni. 








592 [emone srsto] Pure. xxrv. 89-108 





(E drizzò gli occhi al ciel) « che ti fia chiaro 
Giò che il mio dir più dichiarar non puote. 
"l'a ti rimani omai; chè il tempo è caro 
In questo regno sì, ch'io perdo troppo, 


Venendo teco sì a paro a paro.» 
Qual ssce alenna volta di galoppo 
Lo cavalier di schiera che cavalchi, 
E va por farsi onor del primo intoppo; 
Tal si parti da noi con maggior valchi; 
Ed io rimasi in via con esso i due, 
Che fur del mondo sì gran maliscalchi. 
E quando innanzi a noi eutrato fue, 
Che gli occhi rbiei si fàro a lui seguaci, 
Come la mente alle parole sue, 
Parvormi i rami gravidi e vivaci 
D'un altro pomo, e non molto lontani, 
Per esser pure allora vòlto in Jàci. 


Vidi gente sott'esso alzar le mani, 
E gridar non so che verso le fronde, 
Quasi bramosi fantolini e vanî, 


26, ciò mx 20,1 quello che lo non pos 
20 diohiararti a parole più apertamente. 

91-09. rt aMANI ece.: fndietro eoi tuo! 
duo cempagol, giscchò qui nel Pargato- 
rlo Il tempo è W prezioso, che, conti» 
nunmdo a venir teco a pari paso, no 
perderai troppo. 

Y. M:120, LI secondo albero andsti- 
10» Voroes ni parte frettolosa per rag. 
Ellmgore I anol compagni ; efr. Snf. XY, 
J3K-34 I tre poeti arrivano presso nu 
alliro albero, e vedono sotto esm punte 
Altar lo sani, e gridar come fantolini 
che Juvaro teutino allerrare spa com 
gradita ch'è loro mostrata ma non me 
‘oontatia, © pol partirsi. Tra lo frasche al 
odo tina voce ehe esceta | viandanti a 
tnpumar oltre, ricontanto che l'albere 
tire ma origine da quello della comsscen- 
xa nel giandìso di Xin, il col frutto 
prflito fa gustato da Era. 

Di: QuaL teca sco. : como Interviene 
nicana volta che, cavalcando schlera di 
soblati per Incontrare {l nemico, alone 
de più artist ssoe dalla schiera di galop- 
po Incontro sì nemico per avor egli l'ono- 
i di basere 11 primo a conbattore, cos 
partì da noi com past maggiori 
dal nostri. 


96, iyrorro: secmtro csì nemico. 

97. raLCHI: per sincope dia malte} i. 
Dias. Wart. 11°, 7R, 

8. com ao 1 neri Virglila Ses, 

altra compagnia; et, Purg: AN ato 
MALTECALONI 1 miarverelleh. 

7 qui valo sommi manent. DI 
parola d'origine tedesca, e alguificà, da 
principio, mamatro nel euenre 1 cavalli, 
poi attargò ed levò pruprlo galli) 

100. ® quanno eee: ed allora Fiora 
il fa tanto dilangato da nol, ele ln da 
redeva solo confosamente, com come là 
min mente nvova inteso sole confusi 
mente le parole collo quali mi aveva pre 
detto la morte di Corsa Donati, 

103, ranvemu: mi apgorvero, vitil= 
aa vIDI: carichi di frutta e verdeggianti. 

104. atto» diverso dal prtmo, ani 
Purg, XXTE, 190 agg; = LONTANE: dal fe 
g0 ore eravamo: 

105, rien mena eco, : perché nedamene 
te allora avove gireto la omrva del monte 
oltre la quale al poteva vederquall'ilbero 
= Lot: è il lat, Stio, 1a. 

106 ceste: ankmo prurganti, — ALZAR 
LE MAMI: per prendere, 60 forte atta 
posslbito, di quello frutta, 

108. quani: como pdoooli Snell base 





Nei nuvoli formati, che, satolli, 
"Teseo combattàr coi doppi petti; 

E degli Ebrei, ch'al ber si mostràr molli, 
Per che non gli ebbe Godeon compagni, 
Quando invàr Madiàn discese i colli. » 

Sì, accostati all'un de' due vivagni, 
Passammo, ndendo colpe della gola, 
Seguite già da miseri guadagni. 

Poi, rallargati per la strada sola, 

Ben mille passi e più ci portàr oltre, 
Contemplando ciascun senza parola. 

< Che andate pensando si voi sol tre?» 
Bhbita voce disse; ond'io mi scossi, 
Come fun bestie spaventate e poltre. 

Drizzai la testa por voder chi fossi; 

È giammai non si videro in fornace 
Vetri o metalli sì lucenti e rossi, 


123, wr wtoLI: scendo la mitologia, 
1 Centauri erano figli di Lesione e della 
Narola. 
123. DOFTI: d' nemo e di cavallo. 
125. wow alt isbn: Al: NO 1 VOLLE: 
Mi rolena sì, ma Dro non volle, 


Godeono 
Ga o ed vc Den i 


nerrari cho, s0 è vero 
segnare a Gedoone como 
son eni andar a vincere 


porge 
Ribbla doro ai dice 
Godeono, pre; 
«auanom reliquam multitadinem 
priseepit in taboruacala 
senttitudo è 
Anche la lea. NO 1 VOLL 
dà danquo un buon senso. 
126. mscest: «il campo de'Madlaviti 
Bra disotto di Ini nolla valle» ; Oiwdiet, 


ALL'UN pal DUE TIVAGNI: ad uno 
Ggit erli (all 
198. coLtE: esempi di colpevoli golo- 
sità, negolto da quatighi. danni o peno. 
V. 190-154. L'angelo dell'astinena, 
X Feoti vanno avanti silenziosi © medi: 
Nando valle cose vedute od udite. Fate 
altre millo presi, arrivano al varce, dere 
tin naugelo di colore noceso ll fa montare 
uu, toglie dalla frunto di Dante, venti. 
lando, 1} muto P e canta una delle beati. 


tudini evangeliche, adattandola alle and- 


ralo qui 
esaendori, da questa infuori, aletm' 
stendo. 
‘i ronràu; efe. Purg, XXVII, 
N francesiemo 


Trecento, 
132. comtRsmrLAStO 800, : avendo cla: 
scuno di noi tre fl pensiero fiaso mille 
cose vedute © udite. 
Yor sor run: roi tre selii elfi, 
II, 23. Purg. XX, d 
lì — ook: del 


Spaventate, ombromo. 
Arios., Ort, Per, XXIII, DO, Qaro, nek 
de, 6. Buekal., 1598, 
159. rossi: fas; ef. rus IV. 64 de 
sivensa antica regol Ancora PIPA 
sia. nos anattro ceti acini 





CANTO VENTESIMOQUINTO 


SALITA AL SETTIMO GIRONE 


TEORICA DELLA GENERAZIONE DELL'UOMO 
INFUSIONE DELL'ANIMA NEL CORPO, CORPI AEREI DOPO LA MORTE 


GIRONE SETTIMO: LUSSURIA 


lo fiamme, divini in due sebiere cho vamno tn 
piangendo @ cantando inni è salutandosi quel dell'ana ca 
aohisra, ogni volta che a' incontrano, con baci è grida ammoniteleli, 


ESEMPI DI CASTITÀ 


Ora era onde il salir non volea storpio, 


Chè il sole aveva il cerchi 
e la notte allo Scorpio; 


Lasciato al Tanro, 


di merigge 


Per che, como fa l'uom che non s'affigge, 
Ma vnssi alla via sua, checchè gli appaia, 


V. 1-0. J/ora della natita. Sona be 
Que pomeridiane, opperò } viandanti 
nica hanno tempo da perdere. Si avvia 
no quindi wa per Ja scala che motto al 
girano det Jansurioxi, ch' è it 7° od ul- 
rino, 

(o Qua pna cane: ara tel ora, perla 


Wet. 13, 403. SParodk, Sud. 1LT, 155. 


afera celento, cho pasa per i pell è per 


lo senit a che Sl role tocca n mossodì, 
«fr. Purg. XXXIII, 104. 
2 sOmRPIO: scorpione. Comò altrevo, 


dato punto di un amiaforo, quella Menia 
© punto diametralmente opposto del 
Valtro; efr. Della Valle, Sento, (3 

4. row s'AprmoR: nom al ferme af, 
I. XII, 145, Lory. XI, Bebe i 
XXX, 7; XXXIII, 106. 

3. ancouà eot.: no coma gli 
vi rst dina gi sca 








598 [aALITA] 


Si consumò al consumar d'un stizzo, 
Non fora » disse, « questo a te sl agro; 

E so pensassi come, al vostro guizzo, 
Guizza dentro allo specchio vostra image, 
Ciò che par duro, ti parrebbe vizzo. 

Ma perchè dentro a tuo voler t'adage, 
Ecco qui Stazio ; ed io lui chiamo e prego, 
Che sia or sanator delle tue piage. » 

«Se In veduta eterna gli dislego, » 

Rispose Stazio, « là dovo tu si 0, 
Discolpi mo non potert'io far niogo. » 


Poi cominci 


« Se le parole mie, 


Figlio, la mente tua guarda e riceve, 


Qanto, re di Catodonia, e di Altea, alla 
dai nascita Je Fato stabilirono che agli 
vivredbe quanto tempo an tizzone, get- 
tato nel fuoco al momento della sua na- 
acita, impioghorebbo a braciaro. Altea 
si affrettò mi estinguere Îl tizzone fatala, 
#10 conservò aconratamente, Insorta più 
tardi una contesa tra Maleagro ed | suoi 
all, questi farono 

uleguata, gottò Il tissono nel fuoco, 
Moleagro morì quasi nel mertosimo int 
te; ole. Ovid., Met. VIII, 200-546, 


par tutt’ nìtra cagione che Il noi 
ufutto bisogno del nutrimento, Una po 


24 4Gbo: duro, diffollo a compren 
dero, 

28, uetzzo: oscillazione; qui por fa- 
piùo movimento: cfr. Cu 

milo parlar voglio emer mapro»; v, 43, 

Il corpo nereo delle anime purgauti è 

la mocchio di case animo. Or come lo 

rappresenta fedolmento ogni 

chi vi ni npacolita, così Il corpo 

p al di fuori I moti © Ja mf: 


11%, 39, - biaax: imagine. « Bt quamria 
nabito, quovia In tempore, quazzigtie Ri 


Lucrato Rer; nat. IV, Lise 


chè La posa Satendore pienamente ll 
fatto, » r'anaon: ti adagi. 
20. 5000: non potova Dante mettere 
bocca & Virgilio pagano l'asponiaione 


ingho, Iut. plager, 1l dal» 
mente, la quale À sam 
allorchè. vi trova în possesso del voro, 


guanti. Al 
pena Infiltta a dall'Rtoca RITI 


1 Lod VRMIRITA. IPRIANA, od: 


nifosto. Dilizare sere Al latino 
taplicare. 

32. LÀ DOVE TU RIK: te presente, cul 
l'uffinlo di mpiogare starobbe sueglio ce 


Ax x1200: die di n0; parlo. por 
ciò sul serva di nemmm 





Puno. xxv, 36-60 [arweR. DELL'UOMO] 599 


Lume ti fieno al come che tu dia. 
Sangue perfetto, che mai non si beve 
Dall’assotate vone e si rimane 
Quasi alimento che di mensa leve, 
Prendo nel cuore a tutte membra umano 
Virtute informativa, come quello 
Ch'a farsi quelle per le vene vàno. 
Ancor digesto, scende ov è più bollo 
‘l'acer che dire; e quindi poscia geme 
Sovr' altrui sangue in natural vasello. 
Ivi s'accoglio l'uno e l’altro insieme, 
L’un disposto a patire e l'altro a fare, 
Per lo perfetto loco onde si preme; 
E, giunto lui, comincia ad operare, 
Coagulando prima, e poi avviva 


30, LUME TI FINO AL COME: tl chis 
tiranno del dubbio da to mont, come 
lo anime possano ossero consunte per 
magrenza. - pUE: dici; otr. Parodî, Pull 
IMI, 150, 

ITA wauR FERFISTTO: fo sperma, «San- 
gala, qui digestione quadam est pravpara- 
tun nd concoptora, es purlor et por fvotlor 
allo annguine ») Thom. 4g., Sum. heel. 
Tu, ur, s. 

38. et inmasi: «quando lo vene banto 
suociata tanto di sangue, che basta per 
uuteimento è a ristorare le parti por- 
date, elleno non ha aucelano più, non 
altrimenti che nn modesto nomo e tem- 
parato, proso il bisogno mo dal cibo, Ia 
sola Îl rimanente, © però dieno £ sl rima- 
me, cioè resta 0 avanza, quari oliumento, 
non altramente eho fl cido »; Varchi. 

0. LEVRI to Jovi. 

ALL INFORMATIVA : cho dà l’ensenza e Tn 
tintara a tutte le membra umano.-COME : 
non altrimenti elio quello cho va por lo 
vono a diventare esso membra. 

43, vlxR: va, come fane per fa (Par. 
XXVII, 33), cos. Cfr. Nannue., Ferbi, 
528. « Allmentum convertitur in verita» 


Md. quisni i dal val seminali, 08M : 
ptilla, gpsdolola | efr, Tafi XIII, dl. 
A aLraui della fommina. — YARBELO : 


matrloe, Cfr, Cor, IV, 21. « Fiomina ad 
conceptionem prolis materiam minlstrat 
rn), x qua ta 

prolie formatar»; 
40, Sem task 1IL.33,4.- «Al formati 
corporia.... requirebatur matua loc 
Ha quo stugninco. nà Iocam peserligni 
congruum pervenirent », ibid. IT, 33, 1. 
46, 1v:: nolla matrice lo sperma ed dl 


tere ovvero agente cho lo 
gli dia forma, se non il ame 
sebio +; Varehé. = L'ALTRO: lo sperma 
dol maschio, il quale è attlro e dà la 
farma « La penerattone diasiagnir 
ratto ngentis ot pattentie. Unde rellg 
toe quod tota virtue neiva sit ex parte 
marie, pasalo autem ox parte funmiînit, » 
Tiem. Aq., Sum. theol. 11, 53, 4. 

10001 Îl euore fafr. v, 





00 [sALtTA] 


Ciò che per sua matera fe’ constare. 
Anima fatta la virtute attiva 

Qual d'una pianta, in tanto differente, 

Che questa è în via, e quella è già a riva, 
Tanto ovra poî, che già si movi 

Come fungo marino; ed ine 

Ad organar le posso ond' è semente. 
Or si spiega, figlinolo, or si distende 

La virtù ch'è dal cuor del generante, 

Ove natura a tutte membra intende. 


lo sanguo»; Buti.- « Non poteva trovare 
più segnalato voonbolo nò che meglio 
seprimesso ln mento sun; perchè talo 
è proprio 11 semo dell' uomo al mostruo, 
quale è il congulo, che poi chiamiamo gi 
glio ovvero prosamo, al latte»; Varchi. 
« Nonno aiout ino mulsisti me, et alcnt 
galonm mo conguinatits Jod X, 10. - 
« Docem mensam tempore ecagnlstua 
Muto in saviguine, ex semine horminie »; 
Sapien, VII, 2.-Avvrv, 

SÌ. Fu SUA: como 
alano vu OONSTARRI COngulà, 
reso solido e consistente, « Formmilo cor. 
porta fit per potentiam gonerativam, non 
fe qui gonorntar, sed ipalus genorantis, 
x aemino, in quo operatur via formativa 
Nb htlema patria derivata »; Zhwes. dg., 
Shan, theed. TIT, 39, 13 ofr, 22, 4. Artotit., 
Ple, 11, 35. i x 

Lig rcai vegotati, vibritki del 

1 ef, Them. 4g, Sum. 
h 181 

urta QUAL 606: come l'anima d'una | 
pinnin, ciò vegotativ, con questa diff 
renea, però, che l'antusa dolla péasi 
già a riva, gionta cioè 
perfezione cella vita vegetativa, mos 
îre nell'uman feto la vita vegetativa 
mon è che un avviamento, doveado pas 
Saro alla vita sensitiva. © quindi alla 


Ù18,3.- QUESTA: l'anima vogetativa di 
feto mmano è al principio, tI 
n) termine del smo eriuppo. 


paro che Danto fn queste parole 


Ron voglia, che tra l’anima veg 
Vialde pianto e quella dagli uomini: 
trm differenza, so uso cho quella 

punto è compita 0 formata, nea napet- 

tanto allea anima, nò sensitiva, cme | 

uè razionale, come gli uomini; 

però credore, cho egli vo- 


tesse dire questo olo, e che non sspesse 
che l'anima vogetativa della pianto è 
dollo fiere e degli nomini sono di dimarse 
apezio»; Yarehî. Infatti Dante lo sapeva 
assai bene; ofr. Como, XV, T. 

55. oviA: opera. La virnà aitica, futia 
anima vegetativa, continva ad operare, 
tanto che quella materia anîmata al muo: 
vo 0 sente, Il mota proprio a Il semtlmesto 
cono earattori essenziali della vita anima: 
la, alla quale dice qui cho Il foto perviene. 

ruxno xamxo: zeodito. Si aredeva 
che | funghi marini fesoro dotati di 
un'anima più che semplicemente vege 
tatlva; ofr, Plin., Mist. naf, VII, 48,= 
ini: da questo stato la virth attiva del 
germo incominela a formare gii eran 
dello cinque potenze, visiva, aditiva, 00, 
dello quali essa virth è predattrico. 
58 om st arma 0ec.: la virtù infor 
ra ai allarga, spiego, cd ora al al 
tunga, distendo, secondo Il bisogno the a 
sanovo per la formazione delle membra 
par cuon: che deriva dal 


Sustono 
signiate net corpo, L'origina dell'antma 
uniana è problema aì pda. (ei 


stenza, insegnarono che tatte quante lt 
anime furono create da Dio ain dal pia 
cipio del mondo, © vengono ccafisuim nel 


prima dell'infstono nei estensi, diet 
trina condannata dalla Chiesa comm dire 
tica, Tertalliano ed | emol segna 

pugnarono Il traduefaminno, Ul 
qualo nol momento stesso che lì compa 





[sactrA] Puxo. xv. 69-82. [ANIMA DOPO LA MONTE] 
L'articular dol cerebro è perfetto, 
Lo Motor Primo a lui si volge lieto 
Sovra tant'arte di natura, e spira 
Spirito nuovo, di virtù repleto, 
Che ciò che trova attivo quivi, tira 
In sua sustanzia, e faasi un'alma sola, 
Cho vive è sento, è sè in sè rigira. 
E porchè mono ammiri la parola, 
Guarda il calor del sol che si fa vino, 





Giunto all'umor che dalla vite cola! 
E quando Lachesla non ha più lino, 
Solvesi dalla carne, ed in virtute 
Ne porta seco e l'umano e il divino: 
si L'altro potonze tutto quante mute; 


69. L'ANtICULAR: l'organiazazione. 
70, Moro Piro: Dio; ofr. Thom, Ag. 
Mum theoî. I, 105, 2. « A LUI: al foto. — 
muto | « Lostabitur Deminus în cperibus 
tà»; Pal. CITI, 21; efr. Purg, XVT, 69, 


faclem eine spiracalom vita 
II, fi ofe, Sap. XV, 11. 
Ta. sritiTO NUOVO la nora anima ra- 
aionalo. — RRPLETO : regdetus, ripieno. 
TI. CÒ cit TuOVA | l’anitoa vegetativa 
wla sonnitiva. - QUIFI: nel fi 
intellettiva, novellamente creata, tiro, 
Meutifioa sella propria sostanza l'anf- 
una vogetatira @ sensitiva, e fort di n 
@ di osso an'anfma sola con ire potenze 
Vegotaliva, sensitiva ed intellettiva. — 
4. noLa: ofr. Purg. IV, 
dom est quat eadem numero est anîm 
la hotine, snaitiva ot fatellecti va et nu: 
dritiva.... Prius embrio habet antmam, 
ue dat nenaitiva tantum, qua ablata. 
advonit porfeottor anima, qui cat sil: 
sensitivi 


#5, mamar ridottando n nd stessa, 
moquiata la coscienza della propria osi: 
stenta. + (um (anima) cum secta duos mo- 
fam glomeravit in ocbea, In semet redi- 
tima ineat montemque profondam Cir- 
Gult et simili 00a vertit imagine colum »; 
Molti, Omm, PA, LIL Poco. IX, 15 sgg. 

TE A0OMRI La PANOLA : Mi maravigli di 
el chè or” era ti ho detto ; eft, Inf. IT, 43, 

TI. UCARDA oce.: come Il eatore del role 


giunto, eloò unito, all'amor acqueo della 
vito, la converte in vino, così 10 spirito 
novellamento da Dio creato ® spirato, 
inito all'anima vegetativa o nensitiva, 
no fa pn'anfma sola, che vive, sento è 
pensa. Dell'ura Oeér., De Sendet, XW, 
321€ Qum et auoso terra et calore solle 
goscena, prima est poracerba puma, 
ndo maturata dulceeit. » 

78. aiuto: congiunto, unite, 

V. 79-87. Iosistenza dell'anima 
dopo la morte. Continuando il miò re 
gionamento, Stazio espone fn qual modo 

‘niata l'anima dopo la morte del corpi 
Quando l'anima si evesta dell'imvelinero 
corporeo, Je potenze onganiche realta 

composto, quello ciod della 
dol senso, restano in Tat npante 
‘atte, e solo scsalatono nella 


gli organi ima in leî sola, non prose meio. 

soperstiti, ma sequisiano 

maggior onorgia, per la ava separazione 

dai corpo. Ofr. Liberatore In Omapini 
@ Dante, su LA 

79. Lacamsts : In Parea che fa lo mine 

we della vita; cfr. Purg, XXI, 85 Vuol 


dire: quando l' nomo è pervenuto al fer 


mino delli vita, l'aniora totelletttva 
ai scioglio dal corpo, portando anto vir 
Vaslmente 1a potenso campana ae 
doali, . Wirp., Aom, IV, MA 

#2. 'ALtAR? lo facoltà topeltivo; di 
atrotti i loro organi, restan tutto wuto, 
Uioè inerti, — rUmTR quasate coi i 
Ale rwrta quant, ale, Com Ages 





sanita), Puro. xxy, 83-96 Tconpi ArmE1] 608 


Memoria, intelligenza e volontade, 
In atto molto più che prima acute. 
Senz'arrestarsi, por sè stessa cade 
Mirabilmento all'una delle rive: 
Quivi conosce prima la sue strade. 
Tosto che luogo lì la circonscrive, 
La virtù formativa raggia intorno 
Così e quanto nelle membra vivo; 
E come l'aere, quand'è ben piorno, 
Por l'altrui raggio, che in sè si riflette, 
Di diversi color diventa adorno; 
Così l’aere vicin quivi si metto 
Tn quella forma che în Jai suggella, 
Virtualmento, l'alma che ristette; 


RI, simonia: le frooltà spirituali, li fl corpo nervo rivela gli affotti lntimi 
doll anima. 

88. TORTO CHE e00.: l'anima ul riveste 
d'un corponareo, non appena all'una della 
dae rive essa è circonoritta da luogo; ft, 
Thom. Ag, Sum. Aeod, ILE, Sup 00, de 

89. La viRTÙ vonmarivA: cho è nel 
l'anima, cfr. v. BAGGIA 1 8° fran 
dia, fa senti vità nell'aria cho 
le sta Intorno. 


91. MONNO® piororno, che è voce po 

polare doll' uno = piovoso, pregno di va: 

mente, cioò per interno divino impalso, peri, « Velut aspoetum arcos cum fiori 
@ alla riva dell’Achetonte, Inf. IL, 132 in mube in dio plavia»; Eseoh. 1, 28 

+ 9 nlla foce del Tevere, Pury. IL, —92 L'ALTRUI: del sale. 11 corpe nereò 

sig ios. ni forma nello stesso mod che al forma 

87. QUITI: all'una delle duo rive. - l'arcobaleno. 
dî, pevaNTA 1 Ali KI MOSTRA, 

DI. così: lu egual modo l'aria elre. 

luogo fa cal l'anima al è fer- 

tteggia, quasi materia, lu quella 


dex: 

allo anlo, Danto conteudiice a 9. Tom 
maso {« Anima separsta a corpore non 
habet aliquod corpus >; Stum. theol. IT, 
Suppl, 60, 1; ofr. Méd., 70, 1/6 2, o sk 
accosta alla dottrian di Clemente Ale 






















NE SETTIMO] PurG. Xxv. 129-189 [ESEMPI DI CASTITÀ] 





Indi ricominciavan l’inno bassi. 
'înitolo, anche gridavano: « Al bosco 
Si tenne Diana, ed Elice caccionne, 
Che di Venere avea sentito il tosco, » 
ndi al cantar tornavano; indi donne 
Gridavano e mariti che fur casti, 
Come virtute e matrimonio imponne. 
questo modo credo che lor basti 

Per tutto il tempo che il foco gli abbrucia: 
Con tal cura convien, con cotai pasti 
Che la piaga dassezzo si ricucia. 


: a voce bassa e sommesaa, ricordando esempi di donne e di nomini 
lo preghiera. che vissero castamente. 
e: di naovo. 185. MATRIMONIO : « anco nel matri- 
NE: Al.: coRSE; ma quando —monio logittimo 6 fedele può non essere 
lo di Elice, Diana era per castità »; Tom. - IMPONNK: no impone, 
1 bosco, onde non le abbiso- . prescrive a noi nomini. 
rervi. Il Poeta vuol dire che 1196. mopo: di alternare Îl canto colle 
‘onservarsi pura o casta, si grida. nAsTI: duri, continui invariabile. 
0, dilettandosi do' faticosi 198, CONCOTAT:A].:ECON TAI; 
la caccia, Cfr. 3 futtostimolo e sollecitudine, cantando tal 
Calisto, ninfa del seguito di inno, e con tai pasti, e ricordando tali 
ta da Giovo, discacciata da esempi, quali son quelli che veduti ab 
iunone trasformata in orsoe biamo»; Dan, Meglio forse sarà inten- 
locata poi in ciel dere come cura le famme, e ritenere che 
fr, Ovid., Met. IT, 401.540. con pasti sì accenni all'inno che sempre 
2. Diana, discacciando Eli- si ricanta e alle grida che n'interpongono 
i volere che fosse incontami- fra cantata © cantata. 












Caron serr1M0] 


Poz. xxri. 1-11 


[uussuzIO8I) 807 


CANTO VENTESIMOSESTO 


GIRONE SETTIMO: LUSSURIA 


DUE SCHIERE OPPOSTE DI LUSSURIOSI 
ESEMPI DI LUSSURIA, GUIDO GUINIZELLI, ARNALDO DANIELLO 


Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro, 
Ce n'andavamo, e spesso il buon maestro 
Diceva: « Guarda! Giovi ch'io ti scaltro! », 

Ferlami il solo in su l'omero destro, 

Che già, raggiando, tutto l'occidente 


Matava in bianco aspetto di cilestro; 
Ed io facea con l'ombra più rovente 
Paror la fiamma; 0 puro a tanto indizio 
Vidi molt'ombre, andando, ponor monte. 
Questa fu la cagion che diede inizio 
Loro a parlar di me; e cominciarsi 


1-24, Maroniglia delle amime 
nerganti. 1 Posti procedono l'un do- 
l'altro per Ji sentiero atretto che le 
vero il vano. Aven- 

solo che gii splonde a destra 0 la 
fiamma alla ainintra, Danto coll'ombra 
wuo fa parere più rovente la 

famma; 0 lo anto, arendo fatto atteo- 
ai insolita cssa, segno certo di 


pomeridiane ; Isole, già mollo abbamato, 
ferinco Dante alla spalla. 


® quando i solo è mn 
lancheggia pe la Ince 


00x L' omma 1 ehe ll mio campo pet 
tavn n alnietra. - ROVANTR: vira, rosani 
N ante rendo cella sua luce men roma la 
Summa; ma dove nano Intorcettati dal 
corpo di Dante i raggi del sole, ivl La fiutas 
sa apparisce di un cctar rosso più vivo. 

8. Rumi: 0 solamente x così piocolo 
tndizio, quale era quello del gialieme dell 
{uoso che tornava in rosso all'ombra mit. 
Altri latendono; Ed anche qui, como al 
ireve; afr. Com. Lipe. IL, 619, 


19, ItziO1 ecossione, argomenta. 
È, COMDIELLIERI A Dini: ni comnelie 
reno a diro tra Jero, 

























NE SETTIMO) Puro. xxv1, 12-28 [LussvRIOsI] 





A dir: « Colui non par corpo fittizio » ; 
oi verso me, quanto potevan farsi, 

Certi si feron, sempre con riguardo 

Di non uscir dove non fossero arsi. 

O tu che vai, non per esser più tardo, 

Ma forse reverente, agli altri dopo, 
Rispondi a me, che in sete ed in foco ardo! 
è solo a me la tua risposta è uopo; 

Chè tutti questi n'hanno maggior sete, 
Che d’acqua fredda Indo o Etidpo. 

inne com’è che fai di te parete 

AI sol, come se tu non fossi ancora 

Di morte entrato dentro dalla rete. » 

ì mi parlava un d’essi; ed io mi fora 

Già manifesto, s'io non fossi atteso 

Ad altra novità ch'apparse allora; 

‘hè per lo mezzo del cammino acceso 





10: nerso, come quello dell fai ombra, como se tu fossì ancor 
on impedisce {l libero pas- vivo? cfr, Purg. III, 88 Agg. 
\ggi solari; cfr. Purp. ILI, 24. RETE: « mors enim piscatur in ma- 
gno mari mortalium, »t omnia genera 
lo POTEYAN FARSI: cioè sé animantium capît» ; Bent. 
lla fiamma per non int 30. Incontro delle due schiere 
momento solo la loro per urtosi. Mentre Dante è lì per ri 
icazione «Rondere e manifestarai, ecco un'altra 



























Puro. xxvi.141-148-xxyn,1-2  [asorLo) 617 


Qu'ieu no me puesc, ni-m voill a ros cobrire, 
Icu sui Arnaut, que plor e van cantan; 
Consiros vei la passada folor, 
E vei jausen lo jorn, qu' esper, denan. 
Ara us prec, per aquella valor 
Que vos guida al som d'esta escalina, 
Sovenha vos a temps de ma dolor!» 
Ma Poi s'ascose nel fuoco che gli affina. 
sione stabilita dal Renier ci siamo qui 
I I 
testo, I versi al possono tradurre: vecchio colpe, mi contorta il pensiero del: 
la beatitudino eterna cho mi attende. 
146 mizar: dinanei n me, nell'av- 
ventre. 
147.10 EIA e00.: vi sovvengn del mio 


dolore, epperò pregate per me. 
148. arvurA: purifica delle loro colpe; 


etr. Purg, VIII, 130. 


CANTO VENTESIMOSETTIMO 


GIRONE SETTIMO: LUSSURIA 


L'ANGRLO DELLA PURITÀ, PASSO ATTRAVERSO LE FIAMME 


SALITA AL PARADISO TERRESTRE 


ULTIME PAROLE DI VIRGILIO 


Si come quando i primi raggi vibra 
Là dove il suo Fattore il sangue sparso, 











Oggi porrà in pace le tue fami. » 

Virgilio inverso me queste cotali 
Parole usò; e mai non faro strenne 
Che fosser di piacere a queste eguali. 

Tanto voler sopra voler mi venne 
Dell’esser su, ch'ad ogni passo poi 
AI volo mi sentia erescer le penne. 

Come la scala tutta sotto noi 
Fu corsa, a fummo in su "] grado superno, 
In mo ficcò Virgilio gli occhi suoi, 

E disse: « Il temporal fuoco a l'eterno 
Vedato haî, figlio, e sei venuto in parto 
Dov'io per me più oltre non discerno. 

Tratto t'ho qui con ingeguo e con arte; 
Lo tuo piacere omai prendi per duce: 
Fuor sei dell'orto vie, fuor aci dell’arte. 

ua Vedi là il sol che in fronte ti riluce; 


TIP. roRrd in racm sco.1 appaghork,  Ibune im eupplicitm 
nequeterà È tuo destderil. gatorins iguis est temporali... interna 
119, x xAr: è nessun dono fa mal ri. quantom ad nubatantiazo, sed tempora 
corutecon lanto piacere, quantofa quello lì quantum ad effectum pu 
hè fo prova all 


nel torruatro, 

beatitudine di questa vita, 

quale l'uomo pervieno per gli am 
rando 


professa di Virgili 

Pars, LV, DI mgg.i EL, 121 ape Ofr. 
Por. XVITI, 53 agg. 

Vi 124-142, Ultime paroto i Vin- 


ih n 
ora giunto in Inogo, doro fo non so più 
mmmert guida. Li tuo progeio volere ti ala 
pertanto gaia nino all'apparizione di 
Bealtrico. Da mo non aspettar più parole 
è conol; oramai tn nei plenamento pa 
dreno di to.» 

125, 1x su" anaDo aurra»O | sall''ul- 
Umo scaglione, all'entrata del Paradiso 
terrestro, 


180. riccò : mi guantò fimamente, cfr, 
o UA +0 Pury, X1T1,43, 000. 


+ Pena dam solo alle mpatlo, ‘quasto Masera) 
uxt rotorna, ut dicitar Mats, XXV, 40: cominelarono n salire la senla, giumti in 





Pure. xxvi. 184-142 [coxeDO DI FIRG.] 


Vedi l'arbetta, i fiori e gli arbuscelli, 
Chie qui la terra sol da sè produce. 
Montre che vegnan lieti gli cechi belli, 
Cho, lagrimando, a te venir mi fenno, 
Seder ti puoi e puoi andar tra olli. 
Non aspettar mio dir più, nè mio cenno: 
Libero, dritto e sano è tuo arbitrio, 
E fallo fora non fare a suo senno: 
12 Per ch'io te sopra te corono e mitrîo, » 


clima ni enna poco dopo ll songare di quel- 
l'astro, doveva questo emer loro în pro- 


vedo 
ricevere del sno beneficio, tanto larga 
menta in quella no motto, quanto appa. 
recchinta è a ricovorno»; Cons, IV, 21. 
185. sot. na sh: senza some; (cfr, Purg. 
XXVILI, 69),0 menza man lavoro, «Ipes 
quoque fmumnla rastroque intacta nes 
ollla Sancia romeribue per x dabat om- 
nia tellue »; Ovid., Met. I, 101 ag. Se- 
coodo la Genesi 1, 19 Dio postit bo 
in paradiso voluptatia, ut opera. 
alata eat Mart: » MA: secondo 
gli acolaatici, quel facorò nen era fatica, 
era anei diletto, « Nec tamen lla opera: 


Thom, Aq, Sme, chest. I, 102, &, Com. 
Lips. TL, 600. 
176. Joe cIsk: finchè. - inerte della 


187, caonneanno: efr, Inf. IT, HA 
Tan, srDRR: vita contemplativa, v. 10% 
ANDAR: Vita attiva, y, 10}. > TRA Rio 


11: tra l'ordetta, i fiori 0 gli arboscelli, 
186 


130. uno sq: Virgo non abbandaa 
Danto che all'apparira di Beatrice, ott, 
na LORI I eg XXIE, 8 
43 ‘agg; ma om gii parla 
tot fatt più gli fa slonn cenno; & d'of 
innanri un compagno tutto pasa ro. 
140, Limo: da qualetaai infinenza di 
nppetiti psccaminosi ; oîr, Cine. IV, 2. 
De Mon, 1, 12.- DATO: conformantenti 
a quella giustizia = la qualo ardiaa nol sl 
amare ed operare dirittara In tatto lo 
tm»; Cono, IV, 19. —RANO : moti più li 
pedito nelle auo operazioni. 
141. RYALLO s0c.: 0 sarebbe orrore nen 


agire segnondo l'arbitrio proprio, or el'à 


della 

L'inveoaro in favore dell'interprotazione 
"TI affido ia direzione palittos ed Il go= 
verso spirituale di Le atesso', 1 passì 
aeritiurali Aponal, I, 6; Y 10, 066. d i 
socrilagio. Cato ne fa re o ancerdetii 
ma Virgilio non è Cristo, Beira queta 
verso efr. Com. Lipa, IF, 970-972, Tl nonno 
del reato è eblaro e sicuro ti dileliluro lie 








CANTO VENTESIMOTTA VO 


PARADISO TERRESTRE 


IL PIUME LETÈ, LA DONNA SOLETTA 
ORIGINE DELL'ACQUA E DEL VENTO NELLA DIVINA SELVA 
CONDIZIONE DEL LUOGO 


Vago già di corcar dentro è dintorno 
divina foresta spessa o viva, 


Ch 


agli occhi temperava il nuovo giorno, 
Senza più aspettar, lasc 


la riva, 


Prendendo la campagna lento lento 

Su per lo suol che d’ogni parte oliva. 
Un'aura dolce, senza mutamento 

Avere in sè, mi ferla per la fronte 


V. 1-31. Endrata nella divina fo 
nerta. È Îa mattina dol settimo od nl- 


nol 
oestorolo, dovo Il anolo olezza d'ogni 
parto 0 spira un'aura dolce © sompre 
tiganla, Como fu tanto altre cose, Dante 
ul montra fodoliantmo discepolo dl 8. Tom- 
maso anche nella topografia del Paradiso 
terrestre, {1 quale, secondo l'Aquinste, 
è situato ju luogo altissimo nelle parti 
urlentali della terra. «Cum autem oriena 
ult dextora certi, dextera autera eat noti. 
Tor quam stulatea: conventona fait nt in 
tali parto paradise terronna fnati. 
Unetetur a Dos... Pertingit umuo ad Ju- 
nare cirealom.... Secluaug est a nostra 
Îintieno aliquibus Smpedituentis vel 
montinm, volmarinz, vel alicaloe matno- 
mt rogloats, que pertraalri son patest. » 
dun: (Aes, 1, 103, 1: cfr. Jedor., Sym. 
XIV, 3. Petr. Lomb., Sent. IL, 17, cos. 
oh, Damase., De ortbed. Fid. XI, 11. 
E Arp, In Gomes. VIII, 7. 
1. VAGO: dasileroso, a cana dee pn 
nolo di Virgilio, Purp. XXVII, Mib agg. - 
DENTRO: nel meno. = DINTORXO : la giro, 


2. Drvnva: piantata da Dio  « Pluntave- 
rat autem Dominus Derus paredistim vo 
luptatis a principio »; Gen. II, 8. Rie 
na: folta (1.108) di arde, fiori 


ipora” 

no vivi agli cechi miel (a motivo de' anel 

frendoni razmi) | raggi del nolo rosate 
monte sorto. 

4, ABPRTTAR conalgiio 0 ovino di Wi: 


Fastremità di quel piano; l'ingresso deli 
Parediao 


È MASSDRXDO 6001 avriandomi lenta 
mento per quella planara. « Fra 
dollzlo pen poteva aver rogia di cer 


® OLIVA: oleszara, mandava gradilti 
odori, ceendo smaltato di Bari, di ut 
betta e di arboncelti ; ofr. Purg, XXVII, 


seuraMESTO AVI De #R: sami di 
moda, noo soggetta nl alterazioni. 
porturbuicai, comwe l'aria sulla nera 
terra, 

















szazester]) Pons. xxvni 114-130 








Di diversa virià diverse legna. 
Non parret là poi maraviglia, 
Udito questo, quando alcuna pianta 
Senza seme palese vi s'appiglia. 
E saper dè la campegna santa 
Ove tu sei, d'ogni semenza è piena, 
E frutt che di là non si schianta. 
L'acqua che vedi, non surge na, 
Che ristori vapor che gel converta, 
Come fiume ch’acquista e perde lena; 
Ma esce di fontana salda e certa; 
Che tanto dal voler di Dio riprende, 
Quant’ ella da due parti aperta. 
Da questa parte, con virtà discende 
Che toglie altrui memoria del peccato; 
Dall'altra, d’ogni ben fatto la rende. 
Quinci Letà; così dall’ 









ha ins 




































Itro lato 





mente da Dio; efr. Gene, 
Da una nte scalo 
rrono în dirnzione 
Letò, fa di 
I altro, 
ia tutte le bucme 
a patto però che el bea 

di questa 


a: secondo ls qualità di 












ndo. opposta dell’ m 












letto, ln mia di- E 




















TERE.) Pugo. sxyis, 148-148. xx1x. 1-4 [MATREDA] 


Qui primavera sempre ed ogni fratto; 
Nèttare è questo, di che ciascun dice. » 
Io mi rivolsi a dietro allora tutto 
A’ miei poeti, e vidi che con riso 
Udito avevan l'ultimo costrutto; 
[Poi alla bella donna tornai ’1 viso. 


lavana suarenii: qui è som- 
330 tempo stagione dei fiori 
primavera ed autunno, « Ver 
im >; Orid., Met. 1, 107. 

cane: fr. Purg. XXII, 150. 
di quelli che anticamonte 


VOLSI A DIETRO: cor Ì più, 
lost A meio | il Witte loggo 
F. Croce: MI YOLSI DI RETRO. 


CANTO VEN 


PARADISO 


LUNGO L 


Vuol vedere quale impreasione lo ultime 
parole di Matelda abbiano fatto sui sno 
duo compagni, che sono ambedue di 
« quelli che anticamente poetaro ». 

146. RISO: di com pincenza che approva 
tacitamento le coso ndite. 

147. L'ULTIMO COSTRUTTO: l'ultima 
conclusione, le ultime parole di Matelda. 

148. TORNAI "L vIsO: rivolel nnovs- 
mento gli occhi a Mateld 


ESIMON 


TERRESTRE 





‘TrareatRE] Puro. txix. 5-22 [LUCK E MELODIA] 699 
Per le salvatiche ombre, disiando 


Qual di veder, qual di fuggir lo solo; 
Allor si mosse contra il fiumo, andando 

Su per la riva, ed io pari di lei, 

Piociol passo con picciol seguitando. 
Non eran cento tra i suo’ passi e i miei, 

Quando le ripe igualmente dier vòlta 

Per modo, ch'a levanto mi rendei. 
Nè anco fu così nostra via molta, 

Quando la donna tutta a me si torse, 

Dicendo: « Frate mio, guarda ed ascolta!» 
Ed ecco un lustro subito trascorse 

Da tutto parti per la gran foresta, 

Tal, che di balenar mi miso in forse; 
Ma perchè il balenar, come vien, resta, 

E quel, durando, più e più splendeva, 

Nel mio pensar dicea: « Che cosa è questa? » 
Ed una melodia dolce correva 


que sororea, Centum ques sileaa, centom 
que fiamina serrant +; Virp., Grorg., IV, 
cl 


CA 

‘8: aaLvaTICHE camme: ombre dello set 
ve, «Ibant obrcari sola and nocte per 
unobraza »3 Virp., den. VI, 268 

6: quat, tos.: io uno In cerca di più 
aprico luego per sedere il s0l0, le altre tn 
corea di più spesse ombro per fuggirto. 

®. commna IL mumx: nella direzione 


verno menzudì. 
9. riccIOGI ofr, Pury. XX VIII, 54, <8o- 
uitargne patrora non paesiLua quit»; 
dem. IL, 734, 
10. ‘ma 1 so” ece.: sommati inviemo, 


no, fecero an gomito. 
V. 1-36. Luce n melontia ammn- 
atatrtetella gran proceeri 


l'umanità è privata di tanta dolcezza. Il 
Inatro intanto diviene facce, o la mekeria, 
cante. Sulla visione finalo del Purynterio 
efr., oltre la letteratara 

Lips, II, 618 ng, principalmeni 
rardini, Vinione di D. net Par. ferre. 
stre nel Propugnatore di Holognn, X, 11, 
198.227; XI, I, 27-76. 

13, NÈ ANCO! ® MOD SFRVAMO RIMOFA 
andati altrottanto dopo esuereì volti a 
lovante. 

16, poxxA: Matella, - ni tom: M 
volto tutta a mo, Alln les.: QUANDO LA 
DOSEA MIA AME #1 TONE comtrmeta il 
fatto «bo Dante chiama Donna méa 1 
sola Beatrice, 

10, LosTRo 6UNITO : un Tute subitameo, 
provaniento dai sette candetabiri, v, 1, 

18 get solar Dy FomsE : mi foco dettare 
cho linfenasse, « Ho primum nora înx 
ocalta oMibalt eb Ingena Vismx ale Amrora 
cafone trnsenrrere nimbur »: Virg., 
den. DX, 119 ng. 

19, RIATA: coma, qpariace colla miele 
sima velbeltà colla quale narcò, 

20. QUEL: quel Pustro durava al nre 
vivnea sempre più, 

20, XK MIO PRMRAR | fra uo etnso, X1 
pensare è wa: parts Interno. 

22, atmionta 1 1 canto dal ventiquattro 
seniori, v, 85 ag. 




















Puro. 1xx. 1-9 CerELUDIO] 649 


CANTO TRENTESIMO 


PARADISO TERRESTRE 


APPARIZIONE DI BEATRICE, SCOMPARSA DI VIRGILIO 
RIMPROVERI DI BEATRICE A DANTE 


Quando il settentrion del primo cielo, 
Che nò occaso mai seppe nè èrto, 
Nè d'altra nebbia, che di colpa, velo, 

E che faceva lì ciascuno accorto 
Di suo dover, come il più basso face 
Qual timon gira per venire a porto, 

Fermo s'affiase; la gente vernce, 
Venuta prima tra il Grifone ed esso, 
Al carro volse sè, come a sua paco; 


tore che quello Settentrione, cioé li mita 
doni 


fa parte la atella polare, fa accorto del ino 
derore chionquo gira one pie venire 


sizhiti 








E l’altro ciel di bel sereno adorno; 
as E la faccia del sol nascere ombrata 
Sì, che, per temperanza di vapori, 
L'occhio la sostenoa lunga fiata: 
Così dentro una nuvola di fiori, 
Che dalle mani angeliche saliva 
E ricadeva in giù dentro e di fuori, 
Sopra candido vel cinta d'oliva, 
Donna m' apparve, sotto verde manto 
Vostita di color di fiamma viva. 
E lo spirito mio, che già cotanto 
Tempo era stato, che alla sua presenza 
Non era di stupor, tramando, affranto, 
Senza degli occhi aver più conoscenza, 
Per occulta virtù che da lei mosse, 
D'antico amor senti la gran potenza. 
Tosto che nella vista mi percosse 
L'alta virtù che già m'aven trafitto 
Prima ch'io fuor di pnerizia fosse, 
Volsimi alla sinistra col rispitto 
nm aurora movetar»; Orîd., Met. VI, Beatrice morta nel 1598; efr. Purg. 
AT ag. XXXII, 2. 


4. L'ALTRO CIEL: LÌ reato dol cielo. 35. CNR ALLA BUA: Al: COS LA SUA, 
20, PNR TRMPERAXZA: per essere a 


38. xuvoLA: cemmuona all'immagine 
uapini ao vulamo fi polka Fuleita 


fat? 
Li 


1 altra, conoscenza. 
38. OCCULTA YISTÒ: virtò nrcama già 
sperimentata în vita di Beatrice, 

40. neLLA vista: negli occhi e lodo 
cho la vidi [benchè non la soncsceini 
ancora). 


Tir 


IH 


dl, INAVITTO: « Valnorsati cor mento, 
sorer men, spansa, valzerssti car memi 
la uno ocolorum tuorum, et In uno ortne 


DE, 
PE: 


frapaDiso TERRESTRE] Pono. xxx. 24-48 [nearBIck] 651 


ti P — — c@—@—@@@@@ii ms 





[rAraniso reRRESTRE] Pono. xxx. 59-74 fanmrovani] 858 


Viene a veder la gente che ministra 
Por gli altri legni, ed a ben far l'incuora; 
In su la sponda del carro sinistra, 
Quando mi volsi al suon del nome mio, 
Che di necessità qui si rogistra, 
Vidi la donna che pria m'appario 
Velata sotto l'angelica festa, 
Drizzar gli occhi var me di qua dal rio. 
Tutto che il vel che le scendea di testa, 
Corchiato dalla fronde di Minerva, 
Non la lasciasse parer manifesta; 
Regalmento nell'atto ancor protorva 
Continuò, come colui che dice, 
E il più caldo parlar dietro sì serva: 
« Guardaci ben! Ben sem, ben sem Beatrice! 
Come degnasti d'accedere al monte? 


ano, mostrn che dagli atti e dallo agnardo > 65, axaxtica resta: nuvola di fiori 
trasparira 


di ‘altezza d'affetto. | gittati degli angeli; er, v. 28 agg: 
Aricho il carro saluteziono, au cui alla si 90. na uro: dal fumo Letà. 
posa, ha qualche analogia con la nave Gè. ron nr xnvA : rami dell'ali» 
ovo l'ammiraglio rialode. » vo fefr. v. 31) sacro a Minurra, 
"Simi, 850. Cfr. Come. IV, 
89, atiuettA! morrò, fa suo ufficio; - — rROTRAVA: altioea @ rigida. «Dnl peli 
cipio ema filosofia parea a me, quanto 
dalla parto dol wo corpo, cioò magiienaia, 


quella di nove»; 
mera» alla alnintra 


pre quello che ite 
de lo dicitore, sì dee riservare dl) dietro; 
pervechò quello che nitimamento al den, 
più rimane nell'animo dell’ nditaro »} 
Own. II, & 

73. uti alamo, Loatrice paria nel 














659 (Par. vegRestRE] Puro. xxx. 125-188 


Di mia seconda etade, e mutai vita, 

Questi si tolse n mo, o diossi altruî. 
Quando di carne a spirto era salita, 

E bellezza e virtù cresciuta m° era, 

Fu'io a lui men cara e men gradita; 
E volse i uoi per via non vera, 

Imagini di bon seguendo false, 

Che nulla promission rendono intera. 
Nè l’impetraro spirazion mi valso, 

Con le quali ed in sogno ed altrimenti 

Lo rivocai; sì poco a Ini ne calse! 
Tanto giù cadde, che tutti argomenti 

Alla salute sua eran già corti, 

Fuor che mostrargli le perdute genti. 


125. NUTAI vitA : morendo passi dalla | 
ita terrestre alla caloste. 

126. ALTRAT: pd altca «donna gratia» 
tr. a: N., 3039. si 

alla scienza divina ea dard e tutto 

alla scienza nmana. come vaole 
Il Gelli (IT, 9), soguito da molti, comin 
al e nd aver qualche dnbblo de gli ar 
ticoli della religion erlatiana.» 


donna immortale. N 
128. NELLEZZA eco,: «quia anima beata 
ber 


40 © 45, lo quali, ae non rimasero mnza 
effetto, come nî comprende dal racconto 
dolla Vita A ni altro, 


uan 
“a _58 sipeoreri di Beto 
fesaioni di Dante anlla 


non disoarno (2'urg. XXVII, 129), a da 
| dove in lì Dante dove attomeril alla sala 


imagine mpert 
Ram baia dare mortalibns videntui 
rum Antem siqao perfeetum 
ferre non possant ; » ibid. 111, 
Com. Lipe. IL, 653. 


188. semazioni allude senza dobblo 
Mito visioni raccontata nella Vita Nuone, 


copolienti. 
187. ORTI: lavefficinti, Inellicnei, 


A7À. LE FASDUTE GANTTI lì peccalto mella 





(rarapiso rennistRE) Puro. tx. 187-145 


CreaviamenTiI] 659 


1 Per questo visitai l'uscio dei morti, 
Ed a colui che l'ha quassù condotto, 
Li preghi miei, piangendo, faron porti. 
Alto fato di Dio sarobbe rotto, 
Se Letò si passasse, o tal vivanda 
Fosse gustata senza alcuno scotto 
145 Di pentimento che lagrime spanda, » 


ana vera natura 0 nello sue ultime conso- 


tri 

Tute, ed io voleva por aalvarlo. = vrstrAT 
otr. Inf. XI, 52 agg. - L'usCIO: ofr. Inf. 
III, Lagg.-x0nm1: danvati. « Morto dice 
privaziono »; Cone, XY, 8; 1 dannati non 
privati er stpre del Bomino Bano, che 


[rar dormi Visgllio. 
di. ruumaio: cfr, Inf. IT, 115 seg. 
142, YaTo bt Dio: volere di Dio 0, me- 
ancore, ordinamento, legge voluta 
Dio. + Fatura eat ondinatio secanila» 
rum cansarum ad effostos divinita» pro- 
visos, Quineumqne hzitur causis secandis 
aobdontur, sa subduntar at fato,.., PA 
tura refertar ad voluntatem et poteata» 
tem Del aicot al primum prinol 
o Sum. theol., I, 116, 4. -e Ty 
vel fat nomine 


potestaa, 
Mipelitoy et dig.” Oi. Del: 8, 


« Providontia est ipsa illa divina ratio 
ta summo omniom principe constitata 
que cuneta disponit: futum vero inbso. 
rena rebus mobilitua dispositio per quam 
providentia aula quaque neetit ordini. 
bus. Providentia namque cuneta pariter, 
quarmvia diversa, quamvie invita, com- 
piectitar; fatum vero ningula dn 


catio in divine mentis adunata prospeotia 
providentia sit; eadem voro adamatio di- 
grata atque explicata temporiban fatam 
Boet., Cona. phit. IV, pr. 6. 
lato. 
16, vivamna: lo neque del Lotò, che 
fanno dimenticare Il malo commessa, 
144. scottO1 compenso. + Prima di 
bero l'acqua cho porta l'abbilo dalle 
0010, è mestieri piangerle con profimé@ 
dolore: questo è lo scotte, cioò Il prete 
da pagarl du ch vuo! bere tale a0qua n; 
Orrn.- « Viva la fano: Papare lo scatto 
di alcuna cosa, per soffrirma la pena it 
ritata ed il danno »; Camerné, 
















[cosressIoNE)] 





ANTO TRENTESIMOPRIMO 





PARADISO TERR! 


TRE 





IONI DI DANTE, IMMERSIONE NEL FIUME LET 


NOELLE DI BEATRICE, BEATRICE SVELATA 


tu che sei di là dal fiume sacro, » 
Yolgendo suo parlare a me per punta, 

he pur per taglio m'era paruto acro, 
‘ominciò, seguendo senza cunta, 

Di’, di’ se questo è vero! A tanta accusa 
ua confession conviene esser congiunta, » 
la mia virtù tanto confusa, 

®he la voce si mosse, e pria sì spense, 

he dagli organi snoi fosse dischiusa. 
6; poi disse: « Che pense? 











ErarADiso TERRESTRE] Pupo, sxx1. 102-117 [Axcenne DI B.] 667 


Ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi. 

Indi mi tolse, e bagnato m' offerse 
Dentro alla danza delle quattro belle; 

E ciascuna del braccio mi coperse. 

« Noi sem qui ninfo, o nel ciel semo stelle: 
Pria che Bentrice discendesse al mondo; 
Fummo ordinate a lei per sue ancelle. 

Merrenti agli occhi suoi; ma nel gioconda 
Lame ch'è dentro, aguzzeranno i tuoi 
Le tre di là, che miran più profondo. » 

Così cantando cominciaro; e poi 
AI petto del Grifon 800 menàrmi, 

Ove Beatrice vòlta stava a noi. 

Disser: < Fa' che le viste non risparmi 
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi 
Onde Amor già ti trasse le suo armi. » 


autorità ccclosisatica già prima della 
fondazione della Chiesa. 

100. MERKENTI | par merrenedi 0 mer= 

cioè ti meneremo, 

110. pierro: agli occhi di Neatrloe, = 

. ITUOI: occhi. 

Pol chie la dottrina et antorità sacer: 111. LE TR nre Seal 
dotale hac munditeato © lavato l'omo —Purg. XXIX per le quali si 
de l'atto e dal fomite del peccato ache ale Biosafare a quella Atene coloniale; 
l'ha renduto Janoseste, co lavato lo dove gli Stolei © Poripatetiei ed Eplom: 

dontro da Ja dansa dele quattro rel, per l'arte della Verità otorna, în um 

volore concordovolmonte concorremo +} 
Cone. 117, 14, 0 efr. fl cap. 18: 

114 vò&TA : tando ul carro, Beatrico 
ormai vèlta a guardare Sl Grifone che lo 
tirava, v. #0 aga © però Danto, volte 
al petto del Grifone, arova Bamrice i 
frovte a sà 

118, ra'cue cos.: non risparmiare git 
agoandi, 

216. RMEBZALDI: cochi di Bentrico, dati 
amoratà! perì toro splendore, Ott. Purg. 
JIL-16:-reiurcolerandopevtssionene 

Più 


‘eochi porta la mia dona Amore», 
no sitre: 


Dagli cechi della rala derma si more 





668 (raw. menzere) Pono. xxx. 118-188 ’*(ocom 


na Mille disiri più che fiamma caldi 
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti; 
Ohe pur sopra il Grifone stavan saldi. | 
Come in lo specchio il'sol, non altrimenti 


La doppia Fiera dentro vi raggiuva, 
Or con uni, or con altri reggimenti. 
Pensa, lettor, s'io mi maravigliava, 
Quando vedea la'coss in'iò star queta; 
E nell'idolo suo gi trasmutava. 
Mentre che, piena di stupore e lieta, 
L’anima mia gustava di quel cibo, 
Che, saziando di sè, di sè asseta; 
Sè dimostrando di più alto tribo 
Negli atti, l'altro tro sì -fèro avanti, 
Danzando a) loro angelico caribo. 


v. Tib-I%6. GI occhi di Beatrice, 
del Grifone. Dante guarda 

Beatrice, | cul occhi riluoenti sono ancora 
Jmanobilmente fisai aì Grifone, ‘arodade 


Umana, od ora con quelli dell'aquila, cioè 
della matara divina; di che Dante forte: 
mante si maraviglia. 

219. sranesEmaai : m'indoi 
Tmnled occhi negli occhi 
trice. x 


10. rus: s0lament 
mente. «I miol occhi’ 
vero il Signoro r) Sulm. XXIV, 
121, come: 1° fa 
Onid., Mat. TV, 248 
quam cam paro ni do Op 
nta npoculi referitar imagi: Phodu 
Cir. Cono. INI, 15. 
123. aagoseesTI: atti, 
IMI, FL IV. 261) 
v ile 
terità ecclesi, 


vialbilmento, ora pih 
secondo la matura umani 

128. La cos: 5 Grifone, Ca 
Minato nei sonso Lunga È 
reale; idole è l'imagin 
lar ferma el immobile nella 


126. x xeLL'IDOLO oco.: è nell" timna- 
gia ana, rifleana agli cochi di Bonte)on, 
arlara lo na0 forme, Cfr. Tlwm. 4g 
Simo. theet. TLT, 10, 4, 5. 


V.127-145. Loatricesnelata. Pregata 
dalle tro Virtà Toologali di mostrare nl 
fodele la propria seconda bellezza, 
Beatrice si srola ag! occhi. di Dante, il 
qualo xi confessa incapace di diserimerme 
lo calestinli bellezza. 

137. storoRk: vedendo da. Wramanta 

'cchidi anita 


L 
112-128, Gino. 604,1. del mire Pal 
trice ed Il Grifone » (Dani), di che DD, mem, 


00 canto», operò « cantò che ni 
danzando pesi accompagiamniO [Aa 
musica », interpretazioni et. 
Com. eta IL vien. Nol santo di Cate 





TrAnaDiso tenResTRE) Poro. xrri, 198-145 [sea svanAtA] 669 


ist < Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi » 
Era la sua canzone, « al tuo fedele, 
Cho, por vederti, ha mossi passi tanti! 
Per grazia fa' noi grazia che disvele 
A lui la bocca tua, si che discerna 
La seconda bellezza cho tu cole!» 
O isplendor di viva luce eterna, 
Chi pallido si fece sotto l'ombra 
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, 
Cho non paresse aver la mente ingombra, 
Tentando a render te, qual tu parosti 
Là dove armonizzando il ciel t'adombra, 
14 Quando nell’aere aperto ti solvesti? 


zone a ballo sembra usasse la 100s sarido 
giù prima di Dante, Giacomo Pugliese; 
oîr. D'Ancona e Comparetti, Antiche rime 
wolp. I, 388; Y; 241. La voco doveva cs- 
auto conoseiutiasima nel Treceato, non 
essendosi alcan commentatore nino a 

dorato di darne una apiogazione 


uo. 

N06. Soa: Ali LOR. - YRORLE: com 
obiamano Danto wi onta del rimproveri 
Tattigli da Neatrico; eér, Inf. IT, 61. «Fe- 
dolo d'amore a di dealdorio se non d'ope- 
me: Tom. 

139, passi TANTI: par l'Inferno e su 
per } gironi del Purgatorio, 

136; va' xos: Ali vamve. 

197. La nooca: ll dolce riso. L'anima 
= dimostrasi nella bosca, quasi sicovmo 
colore dopo vetro... Abi, mirabile viso 

di che 


statie, ot Imago bonitatis Iliaa +; Sep. 
VII, 20. Cfr. Fita N., 2, 20, 30, 000. 

140, CHI FALLIDO sco chi mni sl nfr 
faticò tante nello atudio della poesia} 

141.0 neve: fl farei pallido all'ombra 
di Purnaso al riforisco agli atadi, Il devere 
alla sua fonte al riferisce al dono naturale: 
dell' immaginazione, I sento è n 
Chi ai affaticò mal tanto negli O 
ohi fu mai dotato di tanta eloquenma e 
forza d'immaginazione, chenon sorabraa: 
se avere la monte odfaszata tentando di 
doscriror te quale t mostrati velata 

MU T'apoamma: ti simboleggia, ti rag» 
presenta; «là dove fl elelo, ammoniemaz. 
do con la terra dell'innocenza, appena 
con la noa bolleaza rendo Imagine di uo 
beltozze di 


gia 

della acionza, della quale tu sel fl nio 

Leto »; così Diem, Sis, Ano, Md. Pot 
Borg., Triet., esc. 

145, xuzt'Axnk 606: quando tl svela» 

mostranti lo tao bellezze ell'aere 





RRESTRE] Puro. xxti. 1-12 


TO TRENTESIMOSECONDO 


PARADISO TERRESTRE 


DEL SACRO CARRO, ALBERO SIMBOLICO, L'AQUILA 
IL DRAGO, TRASFORMAZIONE MOSTRUOSA DEL CARRO 
LÀ MEBETRICE ED IL GIGANTE 


to eran gli occhi mioi fissi ed attenti 
disbramarsi la decenne sete, 
bhe gli altri sensi m'eran tutti spenti; 
essi quinci e quindi avenn parete 
Di non caler, così lo santo riso 
sè trae’li con l'antica rete 
ando per forza mi fu vèlto îl viso 
lar la sinistra mia da quelle Deo, 
erch'io udia da lor un « Troppo fiso! » 





Hfiztome rcanetiz) Pons. rxast. 18-90 (raccmasions]/ 671 


1a Ma poi che al poco il viso riformossi 
(To dico ‘al poco”, per rispetto al molto 
Sensibile, onde a forza mi rimossi), 
Vidi in sul braccio destro esser rivolto 
Lo glorioso esercito, o tornarsi 
Col sole 6 con le sotto fiamme al volto. 
Come sotto gli scudi per salvarsi 
Volgesi schiera, e sè gira col segno, 
Prima che possa tutta in 36 mutarsi; 
Quella milizia del celeste regno 
Che precedeva, tutta trapassonne, 
Prin che piogasso il carro il primo legno. 
Indi alle ruoto si tornar le donne; 
E il Grifon mosse il benedetto carco 
Sì, che però nulla penna crollonne. 
La bella donna che mi trasse al varco, 
E Stazio ed io seguitavam la rota 
Che fe' l'orbita sua con minor arco. 


le. Matokda, Dante 6 Stazio aogoono alla 


sero, pol In schiera de' santi, © nitimo, 
ruota destra del carro. 


U mere. Vent, Stmil., 966. 


13. AL 1000: tanto grando lo splendore 
dl Beatrico che, al paragono, quello dello 
altre cose celesilali era poco, — RIPOR- 
xonar; al abited di nuovo, 

M16. pre 


52, QUELLA MiLezia : i ventiquattro nb 
niori, Purg. XXIX, 33, ohe precedono 
4) carro, come la lego ed i profeti pro- 
colottaro alla Chioma. 

34. IL PRINO L6OxO: fl Almone, Trim 
ho il carro piegaano a destra il timone, 

25. ALLE NUOTE st roRKAx eco. lo tra 
dalla destra è lo quattro dalla aluietea 


27. Rd: 'nencoatesA Groove GONE 
non per questo al nesso pur mna dellasno 
penne d'aquila, «ala "DN da divialtate 
tuatatom em, quamvia mutaretur forma 
occbontm >; Tiene, Cristo non guida la un 
Chlosa con messi esterni, ma colla au 
RI sco epirita sh reggaodale, 

Mi si affatto 

28, La niLLa DogIA | Matelda, «ho 
mi face varcare Sì fiume Lotd; ft; Purg, 
XXXI, dI agg. 

3. WOTA 1 delta, cho med volgare! del 
carro n destra avea demeritto un so 
minore che la stnietra, 











[PARADISO rennestR*) Pono. xxtn. 75-91 [urarRIca] 075 
E perpetuo nozze fa nel cielo, 
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti 
E vinti, ritornaro alla parola 
Dalla qual furon maggior sonni rotti; 
E videro scemata loro scuola 
Così di Moisè, come d'Elia, 
Ed al Maestro suo cangiata stola; 
Tal torna' io, e vidi quella pia 


Sovra me starsi, che conducitrice 
Fa de' miei passi lungo il fiume pria. 

E tutto in dubbio dissi: « Ov'è Beatrice?» 
Ond'olla: « Vedi lei sotto la fronda 
Nuova sedere in su la sua radice; 

Vedi la compagnia che la circonda: 
Gli altri dopo il Grifon sen vanno suso 
Con più dolce canzone 6 più profonda. » 

pi E so più fu lo suo parlar diffaso, 


unsiggio.«amort: bramosi di vedere; 
«in quem (Bpiritum sanotum) desi derant 
angoli, prospioero »; I Petr. I, 12, 

"6. mozzr: festa; ofr, Man XX11, 2, 


Apocal. DI 
TI. visti: dallo aplendore di Cristo 
idoli gueola aio, cao 


suscitato da Cristo colla parola sua, come 
parsa, Lazzaro) efr. Luca VII, 14. lor. 
Tan fa, detta scuola 
ì, ROVOLA la 
n suor del divin Mesatro; tt. lat. 
XVII, A 
RI. UO: loro. = sroLA: vento ; non più 


RA. Fat: On lo mi tiarogliai alle pa- 
gola: Swrgi: ade fai!» QUELLA : Matolda. 
83. KOVRA EI levata ln piedi promo 


mo 
pra: Latò, efr. Purg, XXIX, 


«49. Deatrice seduta in terra, 

«Depia Bosiiatschlote Dania, nas ope 
Pena dleto. R Matolda :* Eocola che aledo 
antla radio» dell'albero, chreandata itallo 
netto ninfe, ineatre gli altri s6 no ritor 


mano: A) ciodo. + Beatrice siedo 
metto la fronda od fm ru la reitice dell’ al- 


doro, figura dell'Impero, la cul radice è 
Roma, dova risledo l'antorità occtesit 
tica all'ombea © sotto la protezione del: 
l'Impero. Interno ad slire interprete 
zioni dell'allogoria di questi vers ef. 
Com. Lie: 1L, 743 sg. 

85. TUTTO DN DURO: fatlo partes 
di essere novamente abbandonate da 
Beatrica. 

#6. OND' RULA: Al: ND AULA 

ET. KUOVA: novamente prodotta.= BUA | 
le radio dell'albero è pare la ue della 


pron dollo sette ninfe, slo 
dello nette Virtà, che tengonolu manoeia» 


gui sunt Chriati, qui io mdventa ele 
erodidoront »j (bid, v. 23, — atomo: al 


prfonda al 
salire del Grifone al clelo sembra cho It 
Posta abbia volato figurare l'ascenslona 
di Crinto, 

91, ER FEÒ co: so dimo alive, non wi, 
perché lo era già di bel nuovo tatto quante 














680 (ras. rerrestRE] Puro. xtxrt. 148-160 


Sicura, quasi ròcoa in alto monte, 

Seder sopr’ esso una puttana sciolta 

M'apparve, con le ciglia intorno pronte; 
E come perchè non gli fosso tolta, 

Vidi di costa a lei dritto un gigante; 

E baciavansi insieme alcuna volta. 

Ma, perchè l'occhio cupido e vagante 
A me rivolse, quel feroce drudo 
La fiagellò dal capo infin le piante. 

Poi, di sospetto pieno e d’ ira erudo, 
Disciolso il mostro, trasse! per la selva 
Tanto, che sol di lei mi fece scudo 

Alla puttana ed alla nuova belva. 


è bito fl Bello parevano essere d'ac 


“ila vini muti; quia Boni 
cina nolebat amplina pati serritutem 
Philippi»; Bene. fe. Od. Raymald, An. 
tocì, ada. 1903, n. 2.ag., Sa. 


156 0 a ogni Ra a RARA E 
eriatiso, 


fat 
1-18; XVII, 2 agg. 

168, arcuna ; negno di grande sfccla- 
faggio. - MONT: « Non potest olvitaa 
abrcondi supra montem poslta »; Matt. 
V,34.- « Falricaati lupasar tonm în 
pite omnis vim, et excelsom tonm 
Glati in omni platea »; Bsceh. XVI, 


cechi n qua e in là. « Forniosto 
riatn axtollentia oculoruna et eta paipebria 
Ultae agnossetar » Booker XX 


Aicona volta omino VITE 





[raraniso reRRESTRE) Pero. xxxiti, 1-10 [caNTo E sospiro] 681 


CANTO TRENTESIMOTERZO 


PARADISO TERRESTRE 


VATICINIO DI BEATRICE, IL CINQUECENTO DIECE E CINQUE 
ULTIMA PURIFICAZIONE DI DANTE, IL FIUME EUNOÈ 


« Deus, venerunt gentes », alternando 
Or tre or quattro dolce salmodia, 
Le donne incominciaro, e lagrimando; 

E Beatrice sospirosa 6 pia 
Quelle ascoltava sì fatta, che poca 
Più alla croce si cambiò Maria. 

Ma poi che l'altro vergini dier loco 
A loi di dir, levata dritta in piò, 
Rispose, colorata come foco: 

do « Modicum, et non videbitis me, 


Vi. 1elî, Canto e sospiro, Allo ntea- Cinto, Il divin uno figlio, in oroca, a Quo- 
modo... mutatoa est color opiimaua »i 
Loment. Ter. IV, 1. 
7-8. L'ALTE: le tro e le quattro ninto, 
— tikk LOCO A Lt DE 1; avendo finito 


dii 




























imeRREsTRE] Puro. xxxur, 11-31 [DANTE E BEATETCR] 





Et iterum, sorelle mie dilette, 

Modicum, et vos videbitis me.» 

‘oi le si mise innanzi tutte a sette, 

E dopo sè, solo accennando, mosse 

Me e la donna e il savio che ristette. 

‘osì sen giva, e non credo che fosse 

Lo decimo suo passo in terra posto, 

Quando con gli occhi gli occhi mi percosse; 

, con tranquillo aspetto, « Vien più tosto, » 
Mi disse, «tanto che, s'io parlo teco, 

Ad ascoltarmi tu sie ben disposto. » 

i com’io fui, com'io doveva, 5600, 
Dissemi: « Frate, perchè non ti attenti 
A domandarmi omai venendo meco?» 

lome a color che troppo reverenti 

Dinanzi a’ suoi maggior parlando sono, 
Che non traggon la voce viva ai denti, 

vvenne a me, che senza intero suono 

Incominciai: « Madonna, mia bisogna 

Voi conoscete e ciò ch'ad essa è buono.» 

< Da tema e da vergogna 





d ella a me: 





a sun forma. Queati versi psse (ofr. Purg. XXX, 40 seg.) 
aperanza della restituzione hi miei collo splendore de' suol. 








[FARADISO TERRESTRE] Puno.xxxiti. 62-64 [PIANTA sACEA] 685 


sa Tu nota; 6 sì, come da me son porte, 
Così queste parole sogna ai vivi 
Del viver ch'è un correre alla morte; 
Ed aggi a mente, quando tu le scrivi, 
Di non celar qual hai vista la pianta, 
Ch'è or due volte dirubata quivi. 
Qualunque ruba quella 0 quella schianta, 
Con bestemmia di fatto offende a Dio, 
Che solo all'uso suo la creò santa. 
Per morder quella, in pena ed in digio 
Cinquemili anni e più l'anima prima 
Bramò Colui che il morso în sè punio. 
Dorme lo ingegno tuo, se non istima 


V. 53-57. La missione di Dante. 
Pnaicica prope Dante di fare attenzione 
ba detto ed a ciò che ancor 


prima 
SETA pn avete al Co 
doman abbi; etr. Dies, Roman, 
’arodi, 


nima di Adano vttto are cinguenia 
anni nel Limbo, aspettando Colui ehe, 
morendo snlla erose, espiò tale colpa. È 
non sensa una particolare ragione l'al- 
bero è tanto alto e travolto nella cima, 
valo ® dire si dilata quanto più a'fn- 
maîea. Solamente per tali 6 s gravi ef 
costanzo si può conoscare la giusta di 
Dio e gli alti anoì fini nell'intendetto 
futto in rignardo dell'albero, sppostane 
dono il sanso morale. 

58. uma: ruba la pinnta ehi la togila 
{1 carro, come fece Il gigante; chiunque 
al uanrpa cosò è diritti ehe apparteri. 
gono nll' Impero, come fa ta pento clin 
dovrebbo osser diveta è lasciae aeder 
Cesnre nella sella (urp. VI, SL Agi). 
Solista lalbaro chi atozaall'antrià 
Imporiate. 

GP. DI VATTO 1 beatemmia più grave 
amal che di parole, 


I. IV, et 
63. ciSqUaMItI' ANNI: GIR, iod 030 


xiano dl mando, Cir. Com. Lp. IT, TRS 
— IAMIIA PRIA è 

93. Cogtm: rt mer morto per ceplura 
N piosato di 

RL Dora: 1 nmroine ed tosti 0% 
però Incapaoe di pensare e comprendere. 
— INTIMA: argomenta, 








. TERRESTRE] Pura. xxXut, 65-78 [PIANTA SACEA] 





Per singular cagione essere eccelsa 
Lei tanto, e sì travolta nella cima. 
E se stati non fossero acqua d’ Elsa 
Li pensier vani intorno alla tua mente, 
E il piacer loro un Piramo alla gelsa, 
Per tante circostanze solamente 
La giustizia di Dio, nello interdetto, 
Conosceresti all’arbor moralmente. 
Ma, perch'io veggio te nello intelletto 
Fatto di pietra, ed impietrato, tinto 
Sì, che t'abbaglia il lume del mio detto, 
Voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, 
Che il te ne porti dentro a te, per quello 
Che si reca il bordon di palma cinto. » 











Lea: altà; ofr. Purg. XXXII, dettato ciò cha Dio volle sulla inviola: 
bilità ed integrità dell'Impero, e sul rt- 
ATI: © se 1 vani pensieri non spetto ed ossequio dovutigli. 
durato la fun monto. — ACQUA TL. INTERDETTO: di manomettere l'a} 
he, essendo sutura di moido bero, 
lo di sotto-carbonato di calce, 2. MORALMKSTE 
jotà d'inorostare i corpi che 74. FATTO DI riletna: indurito come 
lrgono. L' Elsa è nn flamicello pietra: « Induraveront fucien suna sa 
hna che esce dal fianco occi- pra petram »; Zerem. V, 3. - « Auferam 
or lapidenra de carne vestra »; Ezetà. 
Saneso è pi ol XXXVI, 26, — KD IMPIKTRATO, TINTO. 
teggia ln ntrada > > indurito na nnohe oacurate 





















ofr. Cone. IL, 1 


















ranApiso rarReSTRE] Pura. xxxits. 79-92 [vero eerov.] 687 


» Ed io; «Si come cera da suggello, 
Che la figura impressa non trasmuta, 
Segnato è or da voi lo mio cervello. 
Ma perchè tanto sopra mia veduta 
Vostra parola disiata vola, 

Che più la perde, quanto più s'aiuta?» 
< Perchè conoschi » disse, « quella scuola 
C' hai soguitata, 0 veggi sua dottrina 

Come può seguitar la mia parola; 
E veggi vostra via dalla divina 
Distar cotanto, quanto si discorda 
Da terra il ciel che più alto fostina. » 
Ond'io risposi lei: « Non mi ricorda 
Ch'io straniassi me giammai da voi, 


10 di loi + {tmalzi cotanto al disopra del 
sto intendimento, « Ciò avviene » gli ri- 
mponde Beatrior, «par farti conossrol'in- 
sufficienza di quella souola flosatica alla 


qualo tutto ti desti, e per farti compren» 
dere quasto laferiore è la «ua alla mia 
dottrina. » « Ma fo non wi ricordo di 


FULCI Lath che dante La meniria 
male; ma appunto la ta dimenti- 
cauza prova la tua co'pa. Però da ora 
pol la mie parole saranno chiare quan» 
ntcsantio 


Lemma i tr, Purg. X, 45, Come. 
Dy Afen. LT, 2, Come la cora 


per caste compreso 
corta vedota del tao {n- 


via non vera; cfr, Purg. XXX, 124-1#t 


#7. COME: quanto casa è incapaci ci 
Inetta n rollevari alla contemplazione 
dol miatarì della doltrima sacra 0 riso 
Iata. « Non cognorit mundan per smpleri» 
tam Deom »; X Cor. X, 215 confe, Kb 
IL lb 

fi. voenta | Umana € mondana. = VIA È 
2 in generala dice nostra ela, non leg 


scONDA: è distante, « Nom ent 
cagitatienos mer, cogitalbenoa vetrm ; 
sequo vie vestro, rim mero, dieit De 
minva. Quia aieab axaltantar cali a ter- 
rm, slo exnliat® sunt vie uneee a ila Yo- 
atrin, ob cogitatianes moss a cogltalbeal= 
bus ventris. » Tania LV, 3-9, = + Botaca 
terna Ut dietant, 6 Mamma mari, alo 
nitila recto»; Zacan., PAara. VAIL, 487. 


Impulso di questo totti 1 obeti ttt 
morsudosi inalorme nil 

Pitrrnrezi 
contro oso sarà I più voleor. » Ae 











orERRESTRE] Puro. xxtits. 140-145 [auxok] 691 


. Ordite a questa cantica seconda, 
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte. 

To ritornai dalla santiasim’onda 
Rifatto sì, come pianto novelle 
Rinnovellato di novella fronda, 


145 Puro e disposto a salire alle stelle. 


aveaso fiaaato anticipatamente persino 
numero appromimativo del veraì di ogni 
cantioa 

140. Onbtre: predisposte, como l'or- 
dito alla tela. 

Ma. Lo ran» neLL'ARTR: la norma del- 
l'arto, la quale richiedo la proporzione, 
vuole che fo ponga qui fine a_questa 

tantica, « Sed nos immensum 
apatila confeolmms mquor, Et fam tem- 
porequim fumantia solvero colla»; Viry., 
Georg. 11, 541 ng. 

142, RITORNAI: là dovo Beatrico era 
rimasta ad aspettarmi, v. 128 

D4I. MIPATTO: + Pont ubi colleotam ro- 
Rrar vitesguo refocta »; Virg., Georg. III, 
225,-« Armisanimisque refooti »; Virg., 
Aem. XIT, 788, 

MIA AINOVELLATE: riavordito alla pri- 


mavera, «Renovamini autem spirito men- 
tia vestrm »; Afea, IV, 23.» « Rursna noe 
novari ad penitentiam >; Wabr. VI, 8, 
Virgilio deì ramo d'oro svelto da Ent 

: © Quale solot silvia Tera» 
malì frigore riscum Fronde virere novi 
Aen., VI, 205 ag. Cfr, Purg, XXXII, 
52 egg. 

145. ATELLR: con questa parola fini- 
scono tutte 0 tre lo cantiche del piò- 
ma, forse x 2ccennare dove l'ocebio 
dell' uomo deve mirare, etr. Purg. XIV, 
148 agg., 0 dovo egli trova Ì' ultima paso 
© ln vera beatituiino. È come l'emr 
tazione del Segnori, Pred, X: « A) clelo! 
al ciolo! + Del resto Dante ni conforma 
all'uno del poeti del teropo, che amavano 
terminare colla stessa parola più cammit 
formanti um elelo, 





LA 


DIVINA COMMEDIA 


OANTICA TERZA 





PARADISO 


CANTO PRIMO 


PROEMIO DEL PARADISO 


INTROITO ED INVOCAZIONE, SALITA ALLA SFERA DEL FUOCO 
MODO DEL SALIRE, ORDINE DELL'UNIVERSO 


La gloria di Colui che tutto move, 
Por l'universo penetra, e risplende 
In una parte più, e meno altrove. 
Nel ciol che più della sua luce prendo, 
Fu'io; e vidi cose che ridire 
Nè sa, nè può chi di lassù discende; 
clolo, il qualo tutto le cceo genera e dal 
quale ogni movimento è prinetpiato e 
mosso»: Con. ILL, 16 
3. rocerza « poncirei quantum sii 
‘quantura ad css 1 
Pola. do Ros” 0 O dal SEVATI 88 
CKXXVII, 7-18, Bolo, XLI i 


pi 
dell'universo, Iluminato dalla Juco di 
Dio, Lansd fai jo © vidi coso che non s0 


nè posso ridire; perubé, appressandori 
al fine di tatti i suoi desidezti, fl noatro 








{enozm10] Par, 1. 42-59 [SALITA] 699 





Più a suo modo tempera e suggella. 
Fatto avea di là mane e di qua sora 

Tal foce quasi, e tutto era là bianco 

Quello emisperio, e l’altra parte nera; 
Quando Beatrice in sul sinistro fianco 

Vidi rivolta, e riguardar nel sole: 

Aquila sì non gli s' affisso unquanco. 
E sì come secondo raggio suole 

Uscir del primo e risalire in suso, 

Pur come peregrin che tornar vuole; 
Così dell'atto suo, per gli occhi infuso 

Nell'imagine mia, il mio si fece; 

E fissi gli occhi al sole oltre a nostr uso. 
Molto è licito là, che qui non lece 

Alle nostre virtù, mercà del loco 

Fatto per proprio dell'umana spece. 
To no] soffersi molto, nè si poco 

Ch'io nol vedessi afavillar d’intorno, 


materia, la forma è l'attività della torro, quello diretto 0 d'incitenza, o rinalo, n 
o dal sola. guisa di pellagrino che, ginuto alla méta 
43, 14 LÀ: noll’omisforo del Pargato. del suo viaggio vol tornare fudietroy 
rio.» Di qua: nel nostro emiatoro, « Por 
mano ni Intendo lo npazio che corre 
dalla levata del solo fino » monsogierno, 
me pos dere quello comprese tnx Dl me: Quede. IV. 3. + nom indica qui 
è T'eocaso »; Agnelli, 127. frequenza di sito, ma costanza. Ogni 
4. TAL FOCE QUANT, RE TUTTO: Al: TAL volta che un reggio di loco cade sopra un 
YOGE, n Quasi TUTTO. Cf. Bartow, Cone 
trid. 319 reg. «Un emiafero por osare 
fulte blanco, cioè, secondol'intensione del _—de ed 1 fisici di riterzione, © rifieazo. 
Poeta, tutto illuminato, è necessario ar —51.ronwAn: In patria,efr, Cone. 1Y,12. 
solulamente che il solo batta i nol raggi —53, ArTo 6uO: di riguardare il sole, = 
direttamente sal meridiano cho divide 
in duo parti eguali quell'emisforo stesso ; 
vale n dire: è assolutamente necessario 
cho nia mexregiorno, è quanto mono im- 
miuenilesiimo »; Agnetti, 128, Ole, Anto- 
nelli, Shudk, 22 sg. 
40; AIMINTRO: prima guardava verso le- 
vnnte, ora ni volge verso settentrione; 
or. Agnetti, 181 ng. 
48, AQUILA : fl onf oschio può patire il 
mole; efr. Par, XX, 31 ag. Arfatot., De 
animal., .inJoan, tr. 3I. Brun, 
Phars, LX, 098 
sep penso giammai ott. Purg, 
49, comm RtconDO 1 Al. comm ‘i necos- 








Par. 1.77-90 [nunbio sciolto) 701 


Desiderato, a sè mi fece atteso 
Con l'armonia che tempori e discerni, 

Parvemi tanto allor del ciolo acceso 
Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume 
Lago non fece mai tanto disteso. 

La novità del suono e il grande lume 
Di lor cagion m'accesero un disio 
Mai non sentito di cotanto acumo; 

Ond'ella, che vedea mo sì com'io, 

A quietarmi l'animo commosso, 
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio, 

E cominciò: « Tu stesso ti fai grosso 
Col falso imaginar, sì che non vedi 
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso. 


aticne non parlarsi qui di tale afora, ma 
solo, così come suona letteralmente là 
parola di Dante, dell'aria aocesa dal ante, 
<h'è ora men lontano. 

V. 82-09. Un dubbto sclolto, Non sa- 
sondosi accorto del velocianizo atto salite 
in alto e oredonio di anore tuttora nola 
sommità del Monte Sacro, 1) Poeta non 
sà Indovinate la cagione Sla dolce ar- 
monia ch'agli ada, e di qui 
mo aumento di luce, E Baatrica, che gli 
leggs nel cuore, gli dico che nom è più 
in terra, ma che, voloce più del Jauupo, è 
salito in alto. 

Ra, svoxo; delle aferà mono tatto 
nuoro, perchè în terra non si ode. 


sente»; Cone, 17,23,-« 
non pertingenten, novum eToetnm ctr 
cla somma cet, qui interrallie contanota» —muniter admiramur »; De Mom, XX, 3. 
REETETA Di lma Pata pertica B6, DI COTANTO ACUME: tanto fbrio, 
distinetie, li tante mate, quante lo non avora mal 
rum orbiam coufeli sentito. 


8 30: l'andmo mio cd | milal più le 
tira) pemeieri. 


grandi è 

cose vedere, 0 udine, è per 
rp satiro ») Come. XV, he 
sett, 


terra. 
#9, scono 1 ne tt avenni rinvonno da te 
Immagionre. 











Come a terra quieto fuoco vivo.» 
Quinei rivolse invèr lo cielo il viso. 


F 


i 


ton di acne ferma terra; AL CONE 

TERRA QUIETE IN YOCO VIVO: il nonno 
areb bolo fosso. Cfr Moore, Ori, 4308g 
* Pertootto ignle est, secundum quod n 
loso wo quiescit»; Thom. 4g., Sum. 


Hi 
ilti 


CANTO SECONDO 


(CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA 
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ 


AMMONIMENTO AI LETTORI, SALITA AL PRIMO CIELO 
LE MACCHIE DELLA LUNA, INFLUENZE DEI CIELI 


O voi she siete in ioletta barca, 


nl presente csuto. La navicella del suo. 
Mogugio, Purp, I, 2, è drenata on Jo 


+ Vol che mon vl alete datl allo stadio. 
della vera anpienza Aiosctica e teologica, oi 
‘, leggendo, mi aroto negnito fia qui nel contentatevi 
Pose aoviaggi ocmato dal seguimi, “tura dello L due prio CasMebio 
man Intendereste più clò ehe lo canto, o procal este, profani »; Wing, 
Rognitami iveco rl pochi che vi dele: VI, 158 
ate di baon'ora allo studio del vere, e vi -—5 xOx vi meTTiTR eco: mom vi sette 





TotkLò rato) 


Par. ts. 6-18 


TAmxoniento] 707 


Perdendo me, rimarreste smarriti. 

L'acqua che io prendo, giammai non sì corse: 
Minerva spira, è conducemi Apollo, 

E novo Muse mi dimostran l' Orso. 

Voi altri pochi, che drizzaste il collo - 
Per tempo al pan degli angeli, del quale 
Vivesi qui ma non sen vien satollo, 

Motter potete ben per l'alto sale 
Vostro navigio, servando mio solco 
Dinanzi all'acqua che ritorna agnale. 

Quei gloriosi che passaro a Colco, 

Non s'ammiraron come voi farete, 
Quando Giagon vider fatto bifoloo. 


goto alla iettara di questa tera cantlon, 
perchè, non futendendo le dottrine pro- 


pri 
sorso sofficianti a segultaro emia traccia. 
T.L'Aoqua eoo.1 la materia che ora lm- 

& cantaro, non fu alnora trat 

tata mai poeticamente. Nou uancano de- 
serigioni poeticho dol Parndiso e delle 
quo giolo prima di Dauto; ma 0 egli no 


le conoscere, oppure nen avevano agli 


occhi suoi nessun valore. 

È, Mixenva: la aclonza divina è Il 
vento che mi spinge; Apollo è il mio ti- 
moniere; lo Mame, bed lo Arti, somo îa 
mala bussola. » AFDLA : oft, Opi, Afetam, 
1,93 

D, nove: tanto essendo le Muse. Nore 
per anmore dolla Muse intendono La, 
0%, An Fior., Postit. Qua, Petr, Dans, 

Pulio Boce., Îene., Buti, Lawd., Yell, 
Tarchi Veni, Lem. Pol, geo Sscondo 
altri nose è qui Il plar. di nova (suora), 
ed ll Poeta parla di Mus novelle, cioò 


Poota spinto da 
Apollo? =L'Omme: 
10, roomie tte at x, 16. Cone. 


I, 1. Thom, dg., Sum. cont. Gent. Td. 
= izzaste eco.i alzmato di baon'ora la 
mente alla solenza dello cose divino; of. 
Prov. VILI, 17. 

Il. FAX DMILI ANORLI : selanza ancra; 
cfr. Salm. LAXVIL, 20, Sapien. XYly 
20, Cone, I, 1. 

12. riva eco.: del qual pana wpiri- 
tnaie il savio vive in terra, ma no pr 
maziariono a voglia ana, non 
che ben poco di quel che varrebbe, te 
apotto a Dio; efr. Cone, 1Y, 22, Bali 
XVI, 1 Ul Or. VT. 

13, sat: lat. solum, t! profondo sarò; 
ole. Horat., Eyod. XYIt, bi ag. 

14. saviGO è + non dime barehetti, ma 
nmanigio, per dimostrato che, assndo in 
gran loguo e saldo, eloò uaati a apeote 
lare, von portano pericolo di rimanere 
Indietro è amarrirui como quel prime 
VoreMi. Clr, Virg., Am. JL, 711, 75% 
suuvanno; tenando divtro al aulo dellla 
mola nave, Accenoa nila forte e oputl 
musa attonsione necessaria al letturi di 


questa cantià. 
15. Dimaxzii prima che la da 
Pelli nto 


Tata cda Argeanoti, 
ne Piera 

Pei, "Ml Vallo d'ero, 
17. n'AMmmimARON: sl smarnvigliareno ; 
Sala EE 
18, Gianox di 
Inf. XYTIT, 86.» Mrotco 1 arataro. Pet 
copquiniare lì Vollo d'ero, Qiuaima de- 
atte are un tupo con due bek ih 


Tri divani, | rag ria] 
mari; afr, ‘Ort papere legnal 























CANTO TERZO 


CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA 
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ 


VISIONE DI ANIME BEATE, PIOCARDA DONATI 
QRADI DI BEATITUDINE, COSTANZA IMPERATRICE 


Quel sol che pria d'amor mi scaldò il petto, 
Di bella vorità m'avea scoverto, 
Provando e riprovando, il dolce aspetto; 

Ed io, per confessar corretto e certo 
Me stesso, tanto quanto si convenne, 
Levai lo capo a profferer più erto. 

Ma visione spparve che ritenne 
A sè me tanto stresto, per vedersi, 


Vx 333. Tolone di apieitt-Mentrol — Que; 173, & Thom. dr, Quei Abi 
35, L 


raovazno: la opinione ana, la vera, 
— xirsovanDo | confulando la eplulent 
maia, falsa) ofr, Come. 1I, 2. 

4. COMMETTO: del mio errere, » CKKtOI 
della verità di quanto Beatrice mi nrera 
dimostrato. 


5, conv: leral i capo quanto era 
necsssario per pariaro, « sì ch'lo nom 
passa lo molo»; Mutti. AI riferiscono il 




















lorenò PriMò] Pag.t11.124-130-1v.1-2 [vussI DI DANTE) 727 


sù La vista mia, ché tanto la segulo 
Quanto possibil fu, poi che la perse, 
Volsesi al seguo di maggior disio, 
Ed a Beatrice tutta si converse; 
Ma quella folgorò nello mio sguardo 
Sì, che da prima il viso non sofforse; 
E ciò mi fece a domandar più tardo, 


& poco, Cfr. Virg,, den. VI, 100 eg.; 
VIII, G02 

126. PEKKE: « pol che la mia vieta pare 
dotto ache non la pototi più vadis 


= = 
del vero che li illumina e riscalda (Par. 
XV, 10; XXI, 65). Quindi è, che non 
Rppent. inimeno di conteniazio. nello 
duo sapremo 0 tacite voglio, 

tacendo Figi 


che soppono, tra lo splendore 
ritorno allo proprio ima della Luna e quello di Ben 


sedi loro destinate nel sommo clelo, » trice»; Lom. 
Giu. 429, now sorta: non potò lm sul 
124, agovto: disparro dunque a poco principio sostenere tanto splendore, 


CANTO QUARTO 
CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA 
MANCANTI AT VOTI DI CASTITÀ 
LA SEDE DEI BEATI, IL RITORNO DELLE ANIME ALLE STELLE 
IL LIBERO ARBITRIO, VOTI INFRANTI E LORO RIPARAZIONE 


Intra due cibi, distanti e moventi 
D'un modo, prima si morrìa di fame, 


VW. 1-9, Dubbd di Dante, Udito (1 ra 


} 


hi 
Fa 


ti 





723 [oneko rRIMO] Par: mv. 819 


Che liber uomo l'un recasse ai denti; 
Si si starebbe un agno intra due brame- 
Di fiori lupi, egualmente temendo; 

Sì si starebbe un cano intra due dame. 
Per che, s'io mi tacoa, me non riprendo, 
Dalli miei dubbi d'un modo sospinto, 
Poi ch'era necessario, nè commendo, 

To mi tacen; ma il mio disir dipinto 
M'ora nel viso, e il domandar con ello, 
Più caldo assai, che per parlar distinto. 

Fe' si Beatrice, qual fe Denfello, 
Nabuccodonosor levando d'ira, 

Che l’avea fatto ingiustamente fèllo; 

E diase: «Io veggio ben come ti tira 
Uno ed altro disîo, si che tua cura 
Sè stessa lega sì, che fuor non spira. 

Tn argomenti: ‘Se il buon voler dura, 


È Lthun ; dotato di libero arbitrio, -st- 200 la natara dell'anima 
IL 'bitrso. 


IX, 388; X, 94. - DUE MRAMK: tra duo 
faumolioi bopi, non sapendo da quale del 
oe più tosto fnggiro, « Tigria ut aoditin 
divorsa vallo duorum Extimulata fune 

n armentorum Neacit, utro po 
Ulma roat, et ruere antet wtroquo; Sie 
Cori Porseus e; Onid,, Met. V,104 agg. 


Masio è lede, pol Guia esssado io egual 
tento spluto da' we! due dubbi, doveva 
meseazarSamente tacero, Soltanto ciò che 
l'home fn ((beramente, può meritar lode 
0 Mano, 

V. 10-27. I dubbi (ndorinati ed 
muponti: Dante tace; ma sul ano volte 
È enprosna la domanda «bo Je labbra 
mon profferiscono."Bentrice che, vedendo 


mtello; l'altro intorno a clè che esatitui- 


























[Lo PRIMO] Par. iv. 88-106 [vori rNFRANTI) 


per queste parole, se ricolte 
L'hai come devi, è l'argomento casso 
Che t’avria fatto noia ancor più volte. 
‘a or ti s'attraversa un altro passo 
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso 
Non usciresti; pria saresti lasso. 
o t'ho per certo nella mente messo, 
Ch'alma beata non poria mentire, 
Però che sempre al Primo Vero è presso; 
poi potesti da Piccarda udire 
Che l’affezion del vel Costanza tenne; 

Sì ch'ella par qui meco contradire. 
Molte fiate già, frate, addivenne 
Che per fuggir periglio, contro a grato 
Si fe’ di quel che far non si convenne; 
‘ome Almeone, che, di ciò pregato 
Dal padre suo, la propria madre spense, 
Per non perder pietà si fe’ spietato. 





A questo punto voglio che tu pense, 


le hai ben comprose, onde, zione fosse reale, è 

debira uttenzior non rento, l'una o l'altra di noi 
\MgSTO:il dubbio enuncinto du ‘ebbe dal vero. 

CAsso: cancellato, distrut- 101. CONTRO A GuATO: a malgrado, di 

la voglia. $ or paura d'un male 

viene. «Qui tocca 

nriapettiva, ch'è mezzo tra lo 









Corno remi) “ Pam.iv.188-142Drvovopoesio) 787 


n Questo m'invita, questo m' assicura 
Con riverenza, donna, a domandarvi 
D'un'altra verità che m°è oscura. 
To vo' saper se l'uom può aatisfarvi 
Ai véti manchi sì con altri beni, 
Ch'alla vostra statora non sien parvi. » 
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni 
Di faville d' amor, con sì divini, 
Che, vinta, mia virtù diede le reni, 
1a E quasi mi perdei con gli occhi chini. 


nsarono gli antichi; oft. Nanwue., di sapere, ne al ammette In elelo commti« 
Nomi, 107, 109, 11%, 740. « Vedere sì tazi 
prote ehe mno desiderabile ata dinanzi 
all'altro agli occhi della nostra 
per modo quasi piramide, ch Triaime 
H sopre prime fuit, od è quasi 
dell’ ul 
Slo dltusl. Blechò quanto sani pento 
nér la baso più ni procedo, magi 
Hi desideradili; è varato la 
ragione perchè, acquistando, li desideri 
tin nl amo più Miopi Paro appresso 
FAV TV, 18; cfr. Poet. Ome, 
IV, pr. è. 
i. mato; tutto questo regioni; Ja 
virtù rislva, vinta dal 
trico, dovette cedere, 
vero, mmirar lei; 11 qual 
bio mato dentro di mo, - tutto ciò m'in- tolta dal ingosggio della 
rita © m' Incoraggia & faro ina nuova espresso con dar le reni, vale a dire 
alla fuga, AL, malamente; IRDI, 
| masconta. 142, xa ranba: perdetti quand l' so 
136-137. 10 vo' saran eco.: desidéro del sensi. 


















[Amor Divino] 





CANTO QUINTO 


CIELO PRIMO 0 DELLA LUNA 
MANCANTI AT VOTI DI CASTITÀ 


TTÀ DEL VOTO E POSSIBILITÀ DI PERMUTAZIONE 
SALITA AL SECONDO CIELO 


CIELO SECONDO 0 DI MERCURIO 
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI 


GIUSTINIANO IMPERATORE 


« S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore 
Di là dal modo che in terra si vede, 
Sì che degli occhi tuoi vinco il valore, 
Non ti maravigliar; chè ciò procede 





Tcrezo rEntO] Pax. v. 8-23 [SANTITÀ DEL voro] 739 


Nello intelletto tuo l' Eterna Luce, 
Che, vista sola, sempre amore accende; 
E s'altra cosa vostro amor seduce, 
Non è so non di quella aleun vestigio 
Mal conosciuto, che quivi traluce. 
Tu vuoi saper se con altro servigio, 
Per manco véto, si può render tanto, 
Che l’anima sicuri di litigio. » 
Sì cominciò Beatrice questo canto; 
E, sl com'uom che suo parlar non spezza, 
Continuò così il processo santo: 
< Lo maggior don che Dio per sua larghezza 
Fésse creando, ed alla sua bontate 
Più conformato, e quel ch’ Ei più apprezza, 
Fu della volontà la libertate; 
Di cho lo creatore intelligenti 


8. Luon: «lo lnme del sommo bano e 
lo sam del eoro, lo qualo cresce quando 
Jotateliotto s'osereita ia considerare, in« 

è lo sommo bene, lo 


nno oggetto di necessità, sì che eterno 
cose siano quelle ch'egli uma »; Cone. 
ld 


è quindi quale partecipazione (reatigro) 
del sommo bene; il quale è tale, cioò som- 
mo bene, alla volontà, ot è eterna l'uae al: 


18, CUI soc. 1 renda sicura, Iberi da 
ogai contrasto colla divina giustizia, na 
paro, come altri vuote, non si accenua al 
contraati cho alta morte dell’ uomo seno 
suscitati dai demoni come ml narra In Fnfy. 
XXVII, 0 Purg V. (0. Bull VITE MQ): 

V.16-13, La auneità stel voto, 1 mme 
nino dono fatto da Dio all uomo è da il 
bertà del volere, il libero arbitro, Mar 
condo Îl vote, l'nomo smerlfica pertanto 
a Diu il massimo az0 bene: quel compari 
sasione potrebbe egli denque dare) 

17. sòx arzzA + non laterrompe, 
memso inverso Virg,, Lem, IV, 2882 « Ma 
medium dictla sermonem abrumpit », 

18. raocisso 1 dal discorso) vontintiò. 

altro il ano sunto ragionamento. 

19, LO MADGION DON eco.1 « Prinan 
prinelplum nostra libertatia sat Wertan 
arbiteit.... ico libertas, al ve prinelphum, 
ho totina libortatia nostrao, est mart 
mm demos Aumanse notre 0 Deo est: 
lotum ; quia per Ipenza tto felieltumeme 
ut homines, per ipsum alibi feltoltamor 
at Dil: » De Men, 1, 13. 

21. CONFORMATO : catidarmo, « Dios cha 
quento è lî dono più conforme alta divina 

, perchò reramunte ÎÌ poter peosmino 
A inaleno fa fuoeltà di ben maritare, la 
possibilità del dolore è ha pomsitilità della 
globa e; Tom. Gr, Those, dg., Sum. rAeed, 


"uh ipo 108 18 tg 








LO PRIMO] Par. v. 24-87 [SANTITÀ DEL VOTO] 






















E tutte e sole furo e son dotate. 
Or ti parrà, se tu quinci argomenti, 
L'alto valor del véto, 58è sì fatto, 
Che Dio consenta, quando tu consenti; 
Chè, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto, 
Vittima fassi di questo tesoro, 
Tal qual io dico; e fassi col suo atto. 
Dunque che render puossi per ristoro? 
Se credi bene usar quel c' hai offerto, 
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro. 
Tu se’ omai del maggior punto certo; 
Ma, perchè Santa Chiesa in ciò dispensa, 
Che par contra lo ver ch'io t' ho scoperto, 
Convienti ancor sedere un poco a mensa, 





allarationalis creatara, quin In qua perficitur ratio voti. Superad 
as adsit arbitri»; Boet,Cons. dautar vero quandoqne et alla duo 
quamdam voti conflrmationem, seilicet 
rsoLk: tutto quante lo crea. — pronontiatiooris, et iteram teatimoniam 
[genti, ma soltanto maso, le al- alforam. > Thom. Ag., Sum, theol. IT, n. 
ko Eos: furono dotate, quan- 88,1 
dotate anchi di 
primo padre s cfr. Thom. Ag., Do l'm 
I, 59, 3; 8%, 2; 1,11, 1, 1 o ugnazli, nnlia essendovi così 
LIL, iLl'ag prezioso come la libera volontà? 
RA Ci si manifosterà, = QUIS 3. BK CHIEDI oc. : se credi bene 
che ti ho detto cireu la li sunta la libertà a 
re, che casa è il maggior fare buon laeore 
















































[ciezo Panto) Pag. v. 38-55 = [PeRmurazione] 741 


Però che il cibo rigido c'hai preso, 
Richiede ancora aiuto a tua dispensa. 
Apri la mento a quel ch'io ti paleso, 
E fermalvi entro; chè non fa scienza, 
Senza lo ritenere, avere inteso. 
Due cose si convengono all’ essenza 
Di questo sacrificio: l'una è quella 
Di che si fa; l'altra è la convonenza, 
Quest'ultima giammai non si cancella, 
Se non servata; ed intorno di lei 
Sì preciso di sopra si favella. 
Però necessità fu agli Ebrei 
Pur l'offerére, ancor che alcuna offerta 
Si permutasse, come saper dèi. 
L'altra, che per materia t° è aperta, 
Puote bene esser tal, che non si falla, 
Se con altra materia ai converta. 
Ma non trasmuti carco alla sua spalla 


pane degli angoli ai mangia! » ru. Presso il popolo Ebreo l'offerta era 


LL 
L6n nosemaria, parchè presoritia dalla bapge 


in modo amsetuto; lecita la commutaiio= 
no: ofr_ Lari. XXVII, 1-99 

10. ALCUNA! mon tadte, Prodbita ema ha 
porratazione di animali raedi, votati al 
Signore, di emi cosa consacrata per fne 
togiato, dll deslioe dl peatiame; 694 
et. Levit. XXVII, 


#8 naino | dure, dificile a digertrsi, 
1 Johamnes 71,8! 


FRAMALVI: Benzio beaa dentro la 
monte, = NOX NA os: sententa piatoni- 
cai sapere non è altro che ritenere lo no 
Bieio ricoruta di cosa slenoa « Pib suol 

prode, ss tu ritiani fn memoria po» 
‘comandamenti’di sapere, ed averti 
lo sso, cho se to Smpari 

Tolto @ 200 teasesi a mente nivate »; 


sa L'area e del 
convengono all' esse 


Danto sl mostra più severo di 8. Tum 
snuso, (1 qualo ammetta ob ka corti enel 
si pesa lepanenco to torazsente del ai 

to, mentre Danto sembra nun orwber le 
dla questa dispenna assoluta, = ATMRTÀ? 
cditara, manifeata. 


$8. pata: congiantivo da fattare i 
poggi: falli; cfr, Nannme., Verbi, 291 





742. [cigLo PRIMO] 


Pax. v. 56-06 


Per suo arbitrio alcun, senza la vòlta 

E della chiave bianca e della gialla; 
Ed ogni permutanza credi stolta, 

Se la cosa dimessa in la 

Come il quattro nel sei, non è raccolta. 
Però, qualunque cosn tanto pesa 

Per suo valor, che tragga ogni bilancia, 

Satisfar non si può con altra spesa. 
Non prondan li mortali il véto a ciancia! 

Siato fedeli, ed a ciò far non bioci, 

Come Teptà alla sua prima mancia; 


sono due cos: l'una è l'autoritade del 
pastore che abbia a ciò potestade; e però 
ice ob'alli deo cere talo, che 
aciogliore @ l gni 
non ha questa so © dice, che negmno 

fica: per suo arbitrio parmutarai il 
voto: l'altra è cho la coma, nella quale 
tn permuti la cosa votata, sia maggiore 
dì quella, sì che contenga ia sò quella, 
è la metà di quella; ad come il 
del sel contiene fl anmero del q' 

almeno sia maggiore 
on 


Là VOLTA: senno la girata 
dallo Chiari, eloè senza 11 coni 
l'autorità ccclasiavtica. 

87, 


clò ce ha prezzo minore, sl perdo iì me 
rita cha al acquisteredbo coll'offorta 
it asorifisio maggiore. 

Bi. TRAOGA! fuoria trecollare, Be la com 
rotaia è di sl grave poso 0 valore, d 


poter essere contrappeaata da nicun' al 


10m avdr, cioè, equivalente, ogni 


pormi 
He è Il veto di verginità, È la dottri 
di 5. Torizaso, ma fondata sopra un mr 
gomento che all'Aquinate sembrava lo- 
mafficiento, Cfr, Thom. 4g., Sum. fAeol. 
I, Sarto 

Serfetà dei voti. Consido 


mixcti bieobl ofr. pe LA 
se VI 16, Biceo, dal Int, obliguan, 
dogti occhi. Quardar baco è guar 
dar torve o a traverso, Chi guarda bieco, 


considerati, paco noonrati mel. 
ditoraro 10 com, Quindi ll Poeta i 
diro: Siato fodoll in egni com; ma now 
ponsato ad ogni cocasiona di dovr mi 
nifostare In vostra fodeltà fuoemdo income 
sideratamento un veto, 

60. come Tarrà: AL: comm MU lo 1} 
Terre.» Inrrà: Tolto, Brraiirico 
la cul storia è raccontata Giudiet XI, 
1:XII, 7. Fe' voto che, ta fosso 
vincitore degli Ammoniti, avrebbe 
flcato al Ssgnore ciò cho prima nwelrebbe 
dall'oscio di = (e Lan ad i 
fa l'unica san quale egli, 
hà addoloratisaimo, 1600 PAT 
ch'egli avova tto ci dei Gen 


nata 


cino. «Ipno fliazn inmecentem 





i 


"[one1o sxcoxno] Pag. v. 126-159 [aPIREEI OPERANTI] 747 


Perch' ei corruscan sì, come tu ridi; 
Ma non so chi tu se', nò perchè aggi, 
Anima degna, il grado della spora 
Che si vela ai mortal con altrui raggi.» 
Questo diss'io, diritto alla lumiera 
Che pria m’avea parlato; ond’ ella f&ssi 
Lucento più assai di quel ch' ell’era. 
Sì come il sol, che si cola egli stessi 
Per troppa luce, come il caldo ha rése 
Le temperanze dei vapori spessi; 
Per più letizia s] mi si nascose 
Dentro al suo raggio la figura santa; 
E, così chiusa chiusa, mi rispose 
Nel modo che il seguente canto canta. 
180; ranon'I CORMUSCARI Ali FAR: 188. crt e quando i vapori, fili par 
en’ »'corRisca. Paro che siano gil occhi 
chie corruscano {=-sclatillano, brillano), 


mon il lume. - « To veggo bono, che tu ti 
(l'amnidi), come nella tua nicchia, 


riposi 

nel lume di carità che hai dotto teetà, e 
che è ora tuo proprio. Ora, segue Dante, 
di ciò m'accorgo io bene, al segno che 
mo ue itanno 4 taoi ccchi, per li quali su 
trat dal cuore {l fuoco dell'amor tao don: 
tro; ond'essi <orruacano © brilinvo ne 
‘condo la tu Jetixta ovvero Il ridera della 

Laggo 


nole, polchò Mereario 
va velata de' raggi dol 40]o, che mull'al- 
tem stella »; Cone. IL, 14. 

130. pruTTO: indirizzandomi a quel- 
l'anima rispondente. 

asa ni Aesali per la spola di poter 
ouoroitàro la sua carità, rispondendo al 








Pag. vi, 1-4 





[erusrimiaso] 














LO BECONDO] 





CANTO SESTO 


CIELO SECONDO 0 DI MERCURIO 
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI 


GIUSTINIANO IMPERATORE, STORIA DELL'AQUILA ROMANA 
INVETTIVA CONTRO I GHIBELLINI 
PIRITI BEATI NEL SECONDO CIELO, ROMEO DA VILLANOVA 


«Poscia che Costantin l'aquila volse 
Contra il corso del ciel, ch' ella seguio 
Dietro all'antico che Lavinia tolse, 
Cento e cent'anni e più l’uccel di Dio 
Vita di Giustintano. Nelle in Ttaliam venit com corea cali, quia 
l'V. 42 agg, erano contena- «davero felt reportata phr Costaztinem 


lande: «Chi seit» 6: « Perchè — de Italia in n jvit contra cur- 
la prima 4i risponde in questi sim coli, q licet ab occidente in 































[ergo secosno] Pan. vi, 1-9 


CANTO SETTIMO 
CIELO SECONDO, 0 DI MERCURIO 
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI 


LA MORTE DI CRISTO, LA REDENZIONE E L'IMMORTALITÀ DELL'ANIMA 


< Osanna, sanctus Deus sabaoth, 
Superillustrans claritate tua 
Felices ignes horum malachoth! » 

Così, volgendosi alla nota sua, 

Fu viso a me cantare essa sustanza, 
al doppio lume s'addua; 
tro mossero a sua danza; 

E, quasi velocissime favillo, 

Mi sì velar di sùbita distanza. 

V. 1-0. I canto d'addio, fon 
renna tnt e 


egli o gli witri beati si allontanano como 
velocissime fhvlla. L'inao è in latino, fl 


- 3Ér: 
Hani 


ROTH — regnorum ; ma, non sapendo di 

















Pau, vis. 119-184 [rumonTALATÀ) 707 


Alla giustizia, se il Figlinol di Diò 
Non fosse umiliato ad inoarnarsi. 

Or, per empierti bono ogni disio, 

Ritorno a dichiarare in alcun loco, 
Porchè tu voggi lì così com'io. 

Tu dici:*Io veggio l’acqua, io veggio il foco, 
L'aere, la terra, e tutte lor misturo 
Venire a corruzione e durar poco; 

E queste cose pur fur creature! 

Per che, se ciò ch'è detto, è stato vero, 
r dovrien da corruzion sicure.’ 

Gli angeli, frate, e il paese sincero 
Nel qual tu se', dir si posson creati, 

Si come sono, in loro essere intero; 

Ma gli elementi che tu hai nomati, 

E quelle cose che di lor si fanno, 


mon, se Reli teso per sola ma cortosta 
perdonate ll peosato, - sà stRato: «Tra 
didit semet ipanm pro me »; Gal. II, 20. 
117. ppIsO: perdonato. 
8 scams: Inadoguati n sodisfare la 
divina giustizia. 
120. UMILIATO : A 
ipsum facts obediena naque nd mortem, 


mortem autem cracia »; Philigp. IÎ, & 
Ù 


creature incorruttibiti, Loatrice a 
va dotto (r. 07 egg.) che tutto ciò che è 


puro 

renttibili? In vorità gli elementi 
non farono creati da Dio jmmediusamen- 
te, ma sano effetto di create virià; € 
però si corrompamo. Invece l'anima uma- 
na, che deriva immediatamente da Dio, 
sona alcona di cause se- 
conde, è di necemità immortale. Anche 


122. RITORNO A DICHIARARE 060.; ml 
rifaccio midietro per aggiungere dici 
mazioni su un certo punto, v. 97 agg. 

123. ul: fa tal materia, — comi con 
quella stessa chiarorza. 

124, TU DICI: « potes dicera et oblicare 
mihi »; Bene. » « Accenna Dante a com 
«ho sono sotto l'uomo, è dice: queste 
cose, perchè create da Dio, dovettero 
eesere immutabili: come danque vanno 








[curo renzo) 


Pag. vil, 146-148- vm. 1-2 


[vexere] 769 


Vostra resurrezion, se tu ripensi 
Come l'umana carne fèssi allora, 
Che li primi parenti intrambo fansi.» 


» Ape 

ai corpi dei discendenti di Adamo, che 
non sano cresti immediatamente da Dio, 
il Land. omerva: « Tddio fece Il corpo 
del primo uomo senza messo, e per que- 
ato sarà perpetuo; 0 di quello fece In 
prima femmina: sdonque dove esser per- 
patno; 6 così i nostri che nono da quelli. » 

147. vinat: fa fatta quando fenat, ni fo. 
vero, furono oreati ambedue È primi pa- 
renti, Adamo ed Eva. « Se rifiottiamo 
alla rmassima cho ciò che è fatto imme: 


per argomentare 
alla risurrezione doi morti. Poichè la go. 


spesi dell'osso non ta agua a qulla de 
Sramatisdamente Sese Lerro di Amin 
© di Eva, ‘oreò le loro 


Immediatamente. 
animo, immediatamente, da principio, 


148 mermammo; ambedue, 
ote. Inf. XIX, 25 


CANTO OTTAVO 


CIELO TERZO © DI VENERE; SPIRITI AMANTI 


IL NOME DEL PIANETA 
GLI SPIRITI AMANTI, CARLO MARTELLO, ROBERTO RE DI NAPOLI 
CAGIONE DELLE VARIE INDOLI PERSONALI 


Solea creder lo mondo in ano periclo 
Che la bella Ciprigna il folle amore 


V, 12. Origine del nome di Fe 

nere pianeta. Sul puuto di entrare nel 

RIA RN Pegi epertior diconda 

Gu pina Vere la paricniar cò be 

è atato detta dei pianeti 

Par. IV, 61 agg. a 
ia bella Venare, volgondomi nell' 


isti 


lo; 0 


2, Cirniona: Venere, nata în Cipro 
efr, Ovid,, Mot, X, 370, rO6.LA: sommato, 





Raggiasso, vòlta nel terzo epiciclo; 
Per che non puro a loi facean onore 
Di sacrificio e di votivo grido 
Le genti antiche nell'antico errore, 
Ma Dione onoravano e Cupido, 
Questa per madre sua, questo per figlio; 
E dicean ch'ei sedette in grembo a Dido; 
E da costei, ond’io principio piglio, 
Pigliavano il vocnbol della stella 
Che il sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. 
Io non m'accorsi del salire in ella; 
Ma d'esservi entro mi fece assai fede 
La donna mia, ch'io vidi far più bella. 
E come in famma favilla si vede, 
E come in voce voce si discerne, 
Quando una è ferma, e l'altra va e riede; 
mm Vid'io in essa luce altre lucerne 
Moversi in giro più e men correnti, 


Ri. aDotamaE: fa londose co'smoì raggi. 
« Diko anche, che queato spirito viene per 
Mi raggi dellaatelta; perchè sapere ai vuole 
cls li raggi di ciascuno elelo sono la via 
por la quale discende la loro virtà in 


meo, i pianeti facevano Î loro movimenti 
fn direzione opposta al moto diarno della 
respottiva spera, fn um eiroolo partico- 
are, che appellavano epfeieto, 0 

to al circolo chismato eceent 
ve, nulla olroonferenza del quale sem 


$. VOTIVO QnIDO: preghiera congiunta 
con votk. 

4 prnork: del paganosimo, 

7. Dio: madre di Venere; dr vie 
dom. TIE, 19 npg. Stat., Sp 
uma: figilo di Venere, il o dal'amo 
reset: Conv, 11, 6. 

9 nituerra: efe, Firo., den. 1, 957 #gg. 
Mib agg.- Dino: ofr. Inf. V, 81, 86. 


10. x DA COSTRI ecc: e da Vetro, omile 
fo sce 
Georg. IV, 516. den. TV, 3 

12. na corra: dalla parte posteriore 
{Inf XXV, 22), la cora (Sigperof.=tia ee 
aio: dalla parte anteriore, la suabtina 
(Diana 0 Lucifero). 

_V. 12-90. Spodeeità nmanvili. Tante nem 
51 accorge dol suo salire mella ntellà di 
Venere, ma la crescinta belletan di 
trice lo rende accarto che vi è 

, Come nl vedo favilla nella 
coro i distingas voce in voce, ecaì 
| quella Tuc tre ine suse 
velocissimo li 


tenza forma la nota, e l' altra, 
al disverno questa da quella. » 
Simi, T 


1a ietonre: animo lucenti, 





loreto renzo] 


Pan. vini. 21-36 


foaRrrà cetaama) 771 


Al modo, credo, di lor viste eterne. 

Di fredda nube non disceser venti, 
O visibili 0 no, tanto festini, 
Che non paressero impediti e lenti 

A chi avesso quei lumi divini 
Vedati a noi venir, lasciando il giro 
Pria cominciato in gli alti Serafini. 

E dentro a quei che più innanzi appariro, 
Sonava « Osanna » 8Ì, che unque poi 


Di riudir non fi 


senza disiro. 


Indi si fece l'un più prosso a noî, 
E solo incominciò: « Tutti sem presti 
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi. 
Noi ci volgiam coi Principi celesti 
D'un giro e d’un girare è d'una sete, 
Ai quali tu del mondo già dicesti: 


31.10 secondo Il loro più o meno 
“vedere in Dio, Il qual vedero darerà in 


terza regionodell'aria, Lfeermo troni su 
sita csvendo percossi dn fredde muvolo; 
quindi il vento. 

#3. visemati: al caceiar che fanno lu 
nanzi n sò la polvere 0 le nuvolo, - re 
wrivi: rapidi; efr. Par. TIT, 61. Virg., 
dem. VW, 19; VII. 800 ex.; VIII, 2335 
XII, 793. Horat., Od. IT, xv 

20. vaDUTI: Al: YEDUTO.= MANDO © 
«interrompendo la danza, cho ba il spo 
prinolpio Iosiome coll'altissimocieto, det: 
to il Primo Mobile, pressdnto dal caro 
det Serafial. lqualo cielo aggira seco totti 
gli altri oleli sottoposti. Que' santi aun- 
que, che nel cielo Kmpireo dansavano 
inziome coi Seratint ( più sabllmi degli 
Apiriti henti), discesi im Venero per nson- 
trare Danto e fungli omaste o Îleto sco 
glianza, continuavano ancora la loro dan 
2a, © non la lnselarono, se non quando 
SII VI da ghento.» Mariotk Ali Tamten: 

Al aggirarsi sen Venere i), 

STENO DIS PSI oasi 

ara dietro, mn dentro, in ivano n quello 


20, onaxota» eftr, Par. VIE, L.-vatquer 


mali ofr. Purg. INI, 105; Y, 40. D'allora 
in poî non fui mal senza tl desiderio di 
riadine quel canto lm elelo, 

v. 3 Curttà colento. 
gli spiriti (Carlo Martello) al fa avi 
dicendo a Dante ebo 
ad appagaro | suol dealitori, 
preada gioie di loro, La 
azioia por le anime beate: 

Sum. thest. TIE, Sugo, 

88. GIO: prenda, sunta gioia, Gol da 
gioiare, usarono gii autichi in rima ed 
in prosa; ofr. Nammuè,, Perdé 10. 

34 co? Pxix0rr1: cel coro angelica del 
Pripolpati, moteri del elolo di Venere. 
Secondo Dante, n elascuna dei nove cleli 
materiali è preposto tino dei nove cori 
angelici, che sono i motori, elussuna dell 
uno elolo; efr, Par. XXVIIT, 40-180 
Com. Lipo, TIT, 188, 701 ng. 

35. D'UN omo: reclare, 


conforme a Ten. 
96 AI QUALI | Priseipi celevti fr, Conti 
ZI, 2, 0,- nu, MODO | AÎ,1 NRL MONO. 














Toizuo trazo) Pax. vii, 107-125 [vante Ipo] 777 


Producerebbe sì li suoi affetti, 
Che non sarebbero arti, ma ruine; 
E ciò esser non può, se gl'intelletti 
Che muovon queste stelle, non son manchi, 
E manco il Primo, che non gli ha perfetti. 
Vuoi tu che questo ver più imbianchi? » 
Ed io: « Non già; perchè impossibil veggio 
Che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi. » 
Onà' egli ancora: « Or di': sarebbe il peggio 
Per l’uomo in terra, s'e’ non fosse cive?» 
«81!» rispos'io: « E qui ragion non cheggio.» 
«E può agli esser, se giù non si vive 
Diversamente per diversi offici? 
No, so il maestro vostro ben vi sorivo.» 
Sì venne deducendo infino a quici; 
Poscia conchiuse: « Dunque esser diverse 
Convien dei vostri effetti le radici: 
Per che un nasce Solone, ed altro Serse, 
Altro Melchisedech, ed altro quello 


unto non sarebbero effetti woll'arto di- 


acompaginato. - camuxe: camini. 
190, INTARLETTI: Intelligenze motrici. 
prodscma» dimordino 


nigorsaen Faniverso» 0 abo serobie 


"it pe emao Dio etr-Rp, Komi 20 
perfezionati: cfr. Finy., der. 
122, senta Ivar: + A_ban vivono 
ln sociotà ocosrrono uffici diversi, por 
4 quali si riehioggono diverse attua 
alle diverse attitudini oscorrane, 


tura 
110, IL 1R00501 sarebbe mn malo, s 
l'uomo nia femme in ssoietà? 


119, ctvma clttadiso în senso di vi- 
vente in pocletà con altri, Purp. XXXII, 
RE Ata Peli: Lo do: 2,110, 


117. RAdTON Now GuEGUIO | pan chiede 
edo tu me ne dimostri la vartià, entonto 
evidente. 








Toiz1o teso] 


ts6 
Ma perchè sappi che 


AR, Vitt. 186-148 [NATURA x FORTUNA] 779 


Or quel che t'ora retro, t'è davanti: 


te mi giova, 


Un corollario voglio che t'ammanti. 
Sempre natara, se fortuna trova 

Discorde a sè, come ogni altra somento 

Fuor di sua region, fa mala prova: 
E se il mondo laggiù ponesse mente 

Al fondamento che natura pone, 

Seguendo lui, avria buona la gente. 
Ma voi torcete alla religione 

Tal, cho fia nato a cingersi la spada; 

© fato re di tal, ch'è da sermone: 
Onde la traccia vostra è fuor di strada, » 


4 quegli uffici a cul Il dispone la nata» 
ra, si avrebbero ottimi filomf, guerrio- 
A sacordoti, artisti, 0 così vin dicendo 
gli nomini non considerano 
lo inclinasieni naturali, © fano prete 
chi ha attitudine ad ossero soldato, e vi- 
caverna, vanno foer di strada. 

130. OR: porta questa dottrina, tu In- 
tandi oramai ciò che ta pon comprende. 
vi, radi chiaramente quel che diansi non 
rodevi; ofr. v. 90. 

187. att o10vA: ho piacere d' intratto- 
nermi teso e guldarti alla conoscenza 
delta verità. 

138, conoiLano: etr, Purg. XXVII, 
136. Zoet., Cone. phil. ILL, pr. 10. - "ax 
MANTI: riceva, prenda a compimento.della 
‘erudizione della monte tua. come sì manto 


tara: male facoltà uaturali, no sembattate 
dis condisioni di abate w di furtama, tri. 
stiscono como semenza in elima non com- 
ona L. Vent, Simil. LA 


ui pr. di e Cone, IU, 
Danno 


siivstamente, 
no richiede; © però vedomo certe piatte 
Tenge Juegno quasi smapre confini > 


corto 
certe 


li giegdi dello montagne, e 
lo pisggo © a piè de' monti, îe 


quali, so al trnumutano, è muoiono del 
tatto a vivono quasi triste, siccome c0s6 
disgiunto dal loso amico » 

149, at roxpaMmantO : alle natorali ha 
altnazioni delle singolo pertone. 

144. SEZUESDO cor: regolandosi e nel- 
l'educazione e nolla scelta dello stato A 
norma di q dolo natarata nell'no- 
00 dalla vir del coll la gente tarelib& 
buona, como era non è, tr, Ola, De 
of. ti 31 

145, TObCETE ALLA nenmitosi fite 
monsco, prete, ecclesiastico ebi natuim 
dispose invoco a fare il soldato. Allude 
forse a Lodovico, figlio di Carto IL ® fra- 
tello di Koborto, che antrò nell'ondiima del 
frati minori, fu aasuato al racerdonto e da 
Bonifuelo VILI conaaorato rescero di To- 


per predicare che per govwrnar popell. 
Afaa senza dubbio a Koberto rodi Mes 
poli, il quala si dilettara di comporre ser 
monì sacri o d'altra specie, infureîti d'ero. 
dizione varia, @ che non seno davvare 

vat. xt 18 Bet 


stor. ital., ser. LIL, 316 ag. dv 

Aatur hoe dicere pro rego Roberto qui ba- 

no faclobat sermonem et moltom delcota- 

batur +) Semr. Cr. Com, Zipo. LEI, 210ng. 
148. pe stmana: della 








Corno regzo] Par, n. 7-25 ‘ouxizzA] 781 


È già la vita di quel lume santo 
Rivolta s'era al Sol che Ja riempie, 
Come quel ben ch’ad ogni cosa è tanto. 

Abi, animo ingannato e fatturo empie, 

in si fatto ben tarcete i cori, 
Drizzando in vanità le vostre tempie! 

Ed ecco un altro di quelli splendori 
Vèr me si fece, e il suo voler piacermi 
Significava nel chiarir di fuori. 

Gli occhi di Beatrice, ch' eran formi 
Sopra me come pria, di caro assenso 
Al mio disio certificato farmi. 

« Doh, motti al mio voler tosto compenso, 
Boato spirto, » dissi; « e fammi prova 
Ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso!» 

Onde la lace che m’era ancor nuova; 

Del suo profondo, ond'ella pria cantava, 
Seguette, come a cui di ben far giova: 
» «In quella parte della terra prava 


fore perché al converiì in otà provetta, 15. sar cimaum Di ruoni: nel sò 

coma affermano nlcnni antichi, © fermo esterno splendore, negno di leilata ® di 

per altri motivi a nol ignoti. Cfr, Relan ardente e pronta carità; eîr. Par, V, 

Ohron. In Murat. 106 egg. 131 ang; VILL 48 nege 

17-18, occ musa; come quando le ehka= 

al Sì permesso di parlare a Carlo Mar 

tello, Par. VIIL, d0 agg.mDi CANO AS 

mamo e00.: mi fecero ogrto che Beatri 

ink, Studi dantereni, T, 151 sgg. Martoli, co duva fl denidernto consenso al mbb 

Latt. (ta, VIS, 164 agg. Com. Lipa, TIT, — dettario di volgore la parota a quell' nti 
218 beata. 


ma 
FU Eai era | d'anima dee: di Curio. ""20.Mtpii AL IO vos son 
noddisfazione al mio 


indi rai mento col 
Piana, cemprssa rai murgo 
da Fiavea quei dendlo acombe la Tirvnia 
da uma parto, © dall'altra lì tarritora iti 
dea origina ristretto nil'incla di 
le RATA Por 
Fer Perg; VI 








Corro reRzo] 


Pax, 1, 40-50 


TrroraziA] 783 





so Questo centesim’anno ancor gincinqua: 
Vedi se far gi dee l’uomo eccellente, 


Sì ch'altra vita la p 


a relinqua ! 


A ciò non pensa la turba presente 
Che Tagliamento ed Adice richiude; 
Nè, per esser battuta, ancor si pente. 

Ma tosto fia che Padova al Palude 
Cangerà l’acqua che Vicenza bagna, 
Per esser al dover le genti crude. 
dove Sile e Cagnan s'accompagna, 
Tal signoreggia a va con la test'alta, 


NCIXQUA | sì quintuplica = pas- 
seranzo ancora cinque secoli. Usa il nu 
aero determinato per l' indeterminato, 
volendo dire: la fama di Folco darerà 
per molti secoli. Cod Lan., An. Fior, 
Post. Oass., Petr. Dant., Bene., Buti, 


Tuin., Dr. B., Prat,, Andr., Pilot, Wil 
te, eco. Al.: SI fa Il quinto osntestao 

Trirà cioè ancora duecento anni (dal 1900 
#1 1500); comò Velî., Bennas., Carerni, sco. 
Invoco l'Andenelli Intendo; Prima che 


41. ECCELLENTE: con opere virtoose o 
magnanimo: ctr. Virg., den. VI, 306, 

43, RELINQUA 1 al che la vita del corpo 
lasci (Int. relimguar) dop» sò la vita del 
nome. 

42. A CIÒ: all'acquistarai fama, fcen 
dor) eccellente. 

di. TAGLIAMENTO: con8no della Marca 
Trivigiana all'oriento. - Amor: confine 
dalla dotta Marca all'occidente. 

43. PRE xssER: quantunque afiitta da 
Queer; otr. Tonio, I, 51 IX, 13.11. Ge 
fem. IT. 20, 

V.46-63. Profezia di Cuntssa. Come 
Carlo Martello, uvche Cantesa termiza 
lî auo ragionamento con una profezia di 
prossimo sciagure dello native contrade, 
alludendo alle stragi sofferto dai Pado- 
“ani, alla morte vistenta di Riccardo da 
Gamino, alla perSlia e crudeltà del re- 
posrodi Paltre. Cfr. Mereuri, Nwovierima 

ale! Terzento del I. TX del Par. 

e Ma torto fa, ecc Roma, 1853. Todewed: 
ni, Seritti mo D., I 106 eg. Zamella, Di 
Ferrete de' Ferreri, Vicenza, 1931. Rjusd. 
Lia Dente e Padera, 253 egg. Larapertico 


interpret, della terz. 16 nel ©, TX dal Por. 
Venozia, 1870. Gloria, Tuterne oi passo 
delta D. Cata tosto fa, »00s, Pad... 1800, 
Bjusd., Ulteriori consideraz., 0se., Ibbl., 
1870, Ajusd., Un errore netta edi. della 


g SI CLETO), 176 sg. Ferreto 
Viceut. la Murat., Serigt. X, 1065 mpg. 
AÎD, Mfussato lm Afurat, Seript. X, 365 

agi dll ag. O. Vil, TX, 14, 63, 

Mist Porro: 1 più tnteepretamo Ma 
presto accadrà che i Padorani, per 
arudi al dovere, cioò sscinati contro la 
giustizia, cangeranno fa rosse, faranno 
sanguigno lo acque del paludo che 1) Bac- 
chiglione forma presso Fioenta.-Mereurii 
«I Piovani dovieranno le neque del Bag 
chiglione rompendo be dighe come fecero 
per innondare Vicenza a motivo ché le 
genti, cioè | guelfi padorani, sono ormai 
reati al dover, cioà alla soggezione sd 
Arrigo VIT ed al uo Vicario Cane ella 
Beala, +— Gloris: « Presto secadrà che 
1 Padovani cangino al Palodé di Brass: 
gana. con ln sostitazione dell'acqua del 
Brenta, l'aequa del Racehiglisno [tata 
deviata a Longare dai nemdzi Vicentini] 
per continuare la guerra, cieà per mea 
Gssero costretti dalia mazoanza dell’ao- 
quan venire a pace co' Vicentini. » Cf, 
Oron. Tipo. TIT, 223 ag. 

49. rovr: a Treviso, dere al congiuti- 
gono insieme i due fiumi Sile o Car 
gras, 

50. taL: Rissardo da Camino, figlia del 
buon Gherardo (Purg. XVI, 134, cul mo- 
cemo sel Capitannto di Trevigi, avendo 
ozinndio Pafficio di Vioario Imperiale. Fx 
usciso proditoriamentà (l 5 aprile 1813, 
mentre giorara agli seacchi. Cfr. Ferret. 
Vicent. tm Aferat., Seripf, XIL, TRS Net 
@. B. Rambotdi, Dante e Trevigi, 3 ME; 





forsro renzo] Par. rx. 64-88 [POLCO DA MARSIGLIA] 785 





Qui si tacetto; e focemi sembiante 
Che fosse ad altro vblta, per la rota 
In che si mise, com'era davante. 
L'altra letizia, che m'era già nota 
Preclara cosa, mi si fece in vista 
Qual fin balascio in che lo sol percota. 
Per lotiziar lassù fulgor s'aequista, 
Si como riso qui; ma giù a'abbuia 
L'ombra di fuor, come la mente è trista, 
« Dio vede tutto, e tuo voler s'inluia, » 
Dias’ io, « beato spirto, sì, che nulla 
Voglia di sà a te puote esser fuia. 
Dunque la voce tua, che il ciel trastolla 
Sempre col canto di quei fuochi pii 
Che di sei ali fannosi cucolla, 
Perchè non satisface ai miei disii? 
Già non attendervi io tua domanda, 
S'io m’intuassi, come tu t'immii.» 
«La maggior valle in che l’acqua si spanda » 
Incominciaro allor le sue parole, 


eo di Pd Ere Bologna, 1899; esserti calato, » ria: ofr, Lay, XII, #0, 
Purg. XXXIII, dd. Non può esser ladlem 
di sà, cioò non ti ai può cosultare, Cit, 


cere a me. Cfr. Inf. TX, 101 ag. 
05, ROTA: cerchio di animo baato; ef 
Par. X, MG: XIV, 29: XXV, 107. 
100, nAYANTE: oft. Par, VILL 10 ag: 
07. LirtRIA : anima Îiota, perchè hoata. 
= pOTA: la quale lo sapora già, per lo pa- 
role di Ceniaea, 7, 37 egg, casere per 
Soi di prvilara Runa, quaatengne non 
‘I propriamente foue 


RaLascto apeole di Tea = 
Ovid., Met. TI, 108 ag. Pulet, Mo 
XIV, 4. 

TL. Qui: in questo mondo. Nel Paradiso 
la letizia al munifuyia co) crescere dello 





788 [creto terzo] Pax. tr. 84-98 roca 


« Fuor di quel mar che la terra inghirlanda, 
Tra discordanti liti, contra il sole 
‘Tanto sen va, che fa meridiano 
Là dove l'orizzonte pria far suole. 
Di quella valle fu' io littorano 
Tra Ebro e Magra, che, per cammin corto, 
Lo Genovese parte dal Toscano. 
Ad un ocenso quasi e ad un orto 
Biggea siedo o la terra ond'ii io foî, 
Che fe’ dol sangue suo già caldo il porto. 
Folco mi disse quella gente a cui 
Fu noto il nome mio; e questo cielo 
Di me s'imprenta, com’ io fei di lui; 
Ché più non arse la figlia di Bolo, 
Noiando ed a Sichoo ed a Creusa, 


39. Marniglia è ja messo tra la Magra 
è l' Ebreo. 
20, ranmi divide. 


rittima dell'Africa 


: 43 Folchette comò daratara (Y. 
egli parla invece di ed 
la cui fama rimase 


90. DI MR s00 
5'impronta della mola 
vita m'improntal di lol, sentii It emo 
fiusso. « Nel mondo segultal l° tifi 

| di questo pianeto, riveado mineresa: 
torna la loda del talo vivere n ta 


ti: 





[cizLo TERZO] 


Pap. sx. 99-108 [roLco na MARSIGLIA] 787 


Di me, infin ché si convonno al polo; 


Nè quella Rodopeii 


ja che delusa 


Fu da Demofoonte, nè Alcide, 
Quando Iole nel cor ebbe rinchiusa. 

Non però qui si pente, ma si ride, 
Non della colpa, ch'a mente non torna, 
Ma del Valore ch'ordinò e provvide. 

Qui si rimira nell'arte che adorna 
Con tanto affetto, e discernesi il bene 
Per che al mondo di su quel di giù torna. 


den, I, 790 npg.: IV, 558, Inf. V, 62. 
De Mon. 11, 3. 

90, AL tRLO: all'otà giovanile. 

100, Roporaia: Fillide, figlia di Sitono 
ro della Tracia, la quale abitara preeso 
fi monte Iodope, ondo il auo soprannome. 


re in Atene sua patria, nò essendo ritor 
nato al tempo stabilito, Filide a impicoò 
ad un albero @ fa trasformata in man- 
deiovofr, Oni, Eeroid. IL. Fin, Feog. 


Nos, 
fodosaata la qualo egli mort; efr. Tn. 
XII, 69 agg. Ovid., fee. IX, 154-128. 


fonsoro soggetti 
de'ciell è ii mnervita sieve cele 
+. Blagg.=na rioR: ef. Salo. CXXV, 3. 
104. A MESTE RUX TORXA: essendone 
spenta la memoria dlaì Let; efe. Purg. 
XXVII, 157 agg, XCXILI, SL egg. 
105, Varone: : divino, = 0RMNÒ: Tin 


adorna; ea] 
doll' amore, oloò 11 


Pit comunemente loggeal nel 7. 107 /0ò: 


piente provvidenza par cul fl mondo di 
#u (otoò i cleli), infivendo sue vistà nel 
mondo di giù, viene in certo modo a rÌ- 


divino 6 la divina provvidenza ordinò, 
come {u fine ottimamente inter da Did, 
gl'influnai amoroni di questa stella alla 
propagazione ordinata del genero tema- 
no, quantunque prevedesse, che per piro= 
pria rew volontà, molti avrebbero tra 
scor i limiti delle divine leggi che nella 
sociotà canlagaloreatringevano mplente 
mente le animali tendenze, Dalle udme 
qui beato si rimira Parte divina che 
prevede In tal modo alla molti 
degli uorini, e Il beso che deriva dal 
premo movimento del eleli alla comò 
dofortori.» Cfr. Com. Lipe, LIT, 200-328, 
VW. 100 196, Atamd, fa prima malta 
tra lo anime del terno cieto, 


questa stella sonori lb te 
eositate. Tu deutieri sapere qual anda 
è dentro questo splendore clio qui a mo 
vicino fammeggia eco raggio la acqua 
limpida, È Raab, la meretrica di Qorieo 
ho nnecee e saivò gli seplratat dell 
terra promessa, masdati da Giorod (ofr. 
quem I LB6 IVI 1T30 Pak TUA; 


ato, in Lpprtalupdatizio iii. 
11m prose di Gioanò ko quella 
na Yalta quaie i papa poco seni. 





788 [creo vénzo] —Paz.iz 109-126 
Ma perchè le tue voglie tutta piene 
Ten porti, che son nate în questa spera, 
Procedere ancor oltre mi conviene. 
‘Ta vuoi saper chi è in questa lumiorà, 
Che qui appresso me così scintilla, 
Come raggio di sole in acqua mera. 
Or sappi che là entro si tranquilla 
Raab; od a nostr'ordine congiunta, 
Di lei nel sommo grado si sigilla. 
Da questo cielo, in cui l'ombra s' 
Che il vostro mondo face, pria ch'altr'alma 
Del trionfo di Cristo fu assunta. 
Ben si convenne lei lasciar per palma 
In alcun cielo dell'alta vittoria, n2 
Che s'acquistò con l'una è l'altra palma, 
Perch'ella favorò la prima gloria 
Di Giosuè in su la Terra Santa, 
Che poco tocca al papa la memoria. 


100-110; rahonè 000 affinehò alano 
médintatti tutti i tool deslderii, pati ta 
questo elelo di Vonero. 

113, soneriLA: efr. Virp., Aes. VIL, 9. 

JUL socia: ienpidi er. Qokd,, Are nem. 
TI TI: Zueret., Rer, mat. TY, 212 agg. 

116, ni masquizza: godo Im beasito- 
dino della paco intera ed eterna. Cfr. 


Au, Cie. Dei, XIX, 18: Thom. 4g; 
3, 


nÌ nostro 
coro, como plepdore di 
Jei ebe è nel più alto grado di beatitodì. 
no. fr. Them. 4g., Sum. fAeol. 
118. a'AFFUSTA: (nbace n 


nta, Che 
nel elelo di Vanero termini con 
punta ll osno oabreso ode fa la 
Tn dottrina, come ha mostrato Il Toyn- 
do, di Altragano: efr. Bull. V, 28. 

T20, rmoxpo: ele. Inf. IV, 40 03, Per. 
XXIII, 10 agg. Them. Ag., Sueoo, ibeot. 
Ur, 52, s 

121, rALUA: segnalo. ; 

23. virTORIA : riportata da ionuà con 

Ja prosa di Gerico. 

128, cox L'UNA ece.; colle mani giunte, 


di Criato; ma e tutte quante le altro ani: 
mo beate, di qual vittoria sono segno | E 


accondo qual alaterza dommatlos ripartà 
Cristo l'alla vittoria «ccm l'unnol' lim 
patma»! Tutti i beati simo palma della 
rittoria di Crinto: mn Ran è mollo atene 


H 
ti 


tl 


poso 
Ionifneli, qui tuno sedobat nl 
guerreza eun cdiriatine, mom en 
conle [ofr. Inf. XXVIL, 86 nerd 


#3 


men ilntaiesot facere bella om 
tile, quia habebat tune materna: 


ti 





[ciLo Terza] Par. 1x. 127-142 Tavanizia] 789 





127 La tua città, che di colui è pianta 
Cho pria volse lo spalle al suo Fattoro 
E di cuî è la invidia tanto pianta, 
Produce e spande il maladetto fiore 
Cha disviate le pecore e gli agni, 
Però che fatto ha lupo del pastore. 
Per questo l'Evangelio e i Dottor magni 
Son derelitti; e solo ai Decretali 
Si studia, sì che pare ai lor vivagni. 
A questo intende il papa e i cardinali: 
Non vanno i lor pensier a Nazzarette, 
Là dove Gabriollo aperse l'ali. 
Ma Vaticano e l'altre parti oletto 
Di Roma che son state cimiterio 
Alia milizia che Pietro seguette, 
UCI ‘Posto libere fien dell’adulterio. » 


0 cardinali atut- — contium ri È satoro del com» 


Imorosi. Per esso è 
rinoquisto di Toren mento al Decretali di Stragerie TERE 


t'altro pensano che 
Santa. Ma Itoma 6 In Chiesa naranno 
presto liberate da tale adulterio. 


197-128 Di COLUI È FANTA eco.1 fon- 
data dal diavolo. Marte, patrono di Fi- 
renzo (fnf. XIII, 144 sgg.), ora per 1 


85, Padri an demonio come tutte lo al- 
tro divinità pagano; er. I Cor. X, 20,» 
rRia: che fa Il primo ribelle a Dio. 
129, 8 DI OUI 600: 
cagione di tette lo misor 
monte di tutti i pianti dol gonore umano. 
TANTO PIANTA + Al: TUTTA QUANTA. 
Otr. Te. T, 111; VI, 74. Moore, Oni, 


‘6 conseguente» 


gone agrelli; ofr. Por. IV, 4. 
ov. XXI, 16:17. « LI grandi n 1) pio» 
coli»; Buti 


latibolle; incot du 
gustivus: sbicotua Dionyalua, Dumarco: 
Swe a Beda 08 pesco quod speri 


[oto aaa: Barsate: sta 


m 

Por. XIT, 89). Cor ent? III Deom 

quarrolani, ut finom et optimmna ; ati 

consos et beneficia consegumutar, + 
i 


giunse un sesto libro, Le Deeretadi intro. 
duesero muovosiatema i disciplina, unita 
all'igneranza e miseria del tempi, » Latni. 

190. a quasto: a guadagnare ll malla- 
detto fiore, 

137, A Naxzaxartt: dove Crbito noe 
quo poraro od umile. Pass qui la parto 
per il tatto, volendo dire Terra 

128, Gamrnios ele, Lues, XL. 20 agg. 
Purg: X,34. Par. IV, 47.= aramsx L'ALt: 





OTELO QUARTO 0 DEL SOLE 
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA 


DIO SUPREMO ARTEFICE, ORDINE DELLA CREAZIONE 
SALITA AL QUARTO CIELO, SPIRITI SAPIENTI 
TEOLOGI E FILOSOFI SCOLASTICI ED ANTICHI 


Guardando nel suo Figlio con l'Amore 
Che l'uno e l’altro eternalmente spirà, 
Lo Primo ed Ineffabile Valore, 

Quanto per mente o per loco si gira, 


Con tanto ordino f« 
Senza gustar d 


V. 1-6. La creazione, Opora de 
wîna intelligenza © dell'. 
l'umivarso fa cenato ilal Padre per 


alore, Il Veebo dal Pudro, è pren 
lalla norma del croare fo 


n guetare 

ul Dio, Ole. (embullari, Or- 

lo, fa Prose,torent, IT, DI-S4, 

1, 0vARDANO: Dio Il Padrecreò lì mon- 

die mediante (1 Figlio: ofr. Gior, I,3, 10, 

Colon, I, 18. Forei I, 2. Thow 4q., Sv. 
that. 1, 45, 0. Conn. Tape. LIL, 245 Ag» 


*, ch essor non puote 


chi ciò rimira, 


1'uno x L'aumeo: de Spirito Sante: 
precede dal Paro e dal Figlio s ef Ap, 
De Trkm. 1V°. DO; W,28, 34,38, d'Aomodig 
Sum rAeot, I, 39, d 


opposti, il diurno o pitre Da 
vanto a povente, 0 11 planetario 

Sala da ponente a MET 
geom a 


pr era ESA 





792 {creLo quaRTO] Par. x. 16-98 


sé E se Ja strada lor non fosse torta, 
Molta virtù nol ciol sarebbe invano, 
E quasi ogni potenza quaggiù morta; 

E se dal dritto più o men lontano 
Fosse il partire, assai sarebbe manco, 

E giù 6 au, dell'ordine mondano. 

Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco, 
Dietro pensando a ciò che si preliba, 
S'esser vuoi lioto assai prima ché stanco. 

Mosso t'ho innanzi; omai per te ti ciba! 
Uhè a sè torce tutta la mia cura 
Quella materia ond’io son fatto scriba. 

Lo ministro maggior della natura, 

Che del valor del cielo il mondo imprenta, 
E col sno lume il tempo ne misura, 

Con quella parte che su si rammenta 

Congiunto, si girava per le spire 


In che più tosto ognora s'appresenta; 


19 srRaDA: lo sodinco. - TORTA: obi 
qua, elr. Onid., Mat. IT, 150. 

TÒ. DAL DRITTO: Ali DA MERITO: #0 lo 
Tadinco Aivergone più © meno di quel 
che diverge, dall'equatore. 


compiace @ avute celeste 
2a nen fl Solo, « luminare sia 


nel Sole. Confoma di mon saper 

uu' Mea adeguata di quel che 
Bolo è nel uno Intorno, dove lo cose 
disoernerazo nom per diveraltà aieuna 





Cerco quarto] Pax. x. 84-51 [satira] 798 





Ed io era con lui: ma del salire 
Non m' accors'io, se non com' nom s' accorge, 
Anzi il primo pensior, del suo venire. 
È Bentrice quella che sì scorge 
Di bene in meglio si subitamente, 
Che l'atto suo per tempo non si sporge. 
Quant' esser convenia da sè Incente 
Quel ch'era dentro al sol dov'io entra' mi, 
Non per color, ma per lume parventa! 
Perch'io lo ingegno, l’arte e l'uso chiami, 
Sì nol direi, che mai s'imaginagse; 
Ma creder puossi, a di veder si brami! 
E se le fantasie nostre son baase 
A tanta altezza, non è maraviglia; 
Chè sopra il sol non fu occhio ch'andasse. 
Tal ora quivi la quarta famiglia 
Dell'Alto Padre, che sempre la sazia, 
Mostrando come spira e come figlia, 


soritto In medo che altri se lo figuri, 
ben «i può eredore che esso è, a deve 
desiderare di vederlo da noi in Parma. 





794 [creo QUARTO] Par. x. 52-67 


n E Beatrice cominciò: « Ringrazia, 
Ringrazia il Sol degli angeli, ch'a questo 
Sensibil t' ha levato per sua grazia!» 

Cnor di mortal non fu mai sì di; 
A devozione ed a rendersi a Dio 
Con tutto il suo gradir cotanto presto, 
Come a quelle parole mi foo'io; 
E sl tutto'il mio amore in Lui sì miso, 
Che Beatrice eclissò nell'obblio. 
Non le dispiacque; ma sì se ne rise, 
Che lo splendor degli cechi suoi ridenti 
Mia mente unita in più cose divise. 
Io vidi più fulgor vivi e vincenti 
Far di noi centro e di sè far corona, 
Più dolci in voce, che in vista lucenti. 
Così cinger la figlia di Latona 


theol. TII, Suppi., 86, 7. Camtano fmal, la 


cu dolcezza sopera la vivacità del loro 
splendore. Dansano elroolarzmezia tri 
volte intorno a Dante 0 Beatrice; quindi 


quarto Cielo, 
Apparisoono gli apiriti dei dotti im divi: 
nibtà, tatti veatiti di ardentisalmo rpton- 
dore, secondo la sentenza scrittnrale, 
Damdrle, XIF, 2; cfr. Fhem. Ag., Sum. 





Tereo quanto) Par. x. 68-85 (vorroRi] 795 





Vedem talvolta, quando l'aore è pregno 
Sì, che ritenga il fil che fa la zona. 

Nella corte del ciel, ond’io rivegno, 

Si trovan molte gioie care e belle 
Tanto, che non si posson trar del regno; 

Ril canto di quei Inmi ora di quelle: 

Chi non s'impenna sì, che lassù voli, 
Dal muto aspetti quindi le novelle. 

Poi, sì cantando, quegli ardenti soli 
Si far girati intorno a noi tre volte, 
Come stelle vicine ai fermi poli, 

Donne mi parver, non da ballo sciolte, 

Ma che s'arrestin tacite, ascoltando 
Fin che le nuove note hanno ricolte; 

E dentro all’un senti cominciar: « Quando 
Lo raggio della grazia, onde s'accende 
Veraco amore, e che 

Maltiplicato, in te tanto risplende, 


70, score: non ancor del tutto fer- 


guaggio umano; eft. Par. I 6. « Non l 
deserivere alonni misteri più se 
del 


metafora più raro, 

pittare, statno, ed altri lavori di celebri 
artedoi, le quali per la loro preziosità 
mona lecito esportare neri di passo.» o 


Mia ten e di aio di penne; 
gnindi nec di all «Qui speraat In Do: 
, Remment penna abeut aquile »: 

Imation Cfr. Thom dq., Sum. theol, 

LIT, Suppi., 84,2. Chi non ai dispone, vi. 
vendo secondo virtò, s sallro un di fn 
Paradiso, non potrà mal toemara! un'idea 
di questo canto 0 sarà como chi aspet- 
tanto noti de un mato: 

101: poichè ; afr. Purg. X, 1. -sott: 
anime splendenti più del Sole. 


TB. POLI: interzo a mei che eravamo 
fermi, comelentolie Intorno al poll, «Bum: 
mie... que fica tenentar prime, 
Lasam., Pare. V, 103.- «Nella cus (dat dal 


Page prete 13-85. ALL'ux ; dentro all'uno dol dotti 
mero poli fermi »; Ome. LIT, 5. splendori. - quanbo sco: palchè lì raggio 


bi 
tou 








[orgLo quaRTO] 


Par. x. 100-115 


[vorrom:] 797 


100 Se si di tutti gli altri esser ynoi certo, 
Diretro al mio parlar ten vion col viso 
Girando sn per lo beato serto. 
Quell'altro fiammeggiar esce del riso 
Di Grazian, che l’uno e l’altro foro 
Ajutò sì, che piace in Paradiso. 
L'altro, ch’appresso adorna il nostro coro, 
Quel Pietro fa che con la poverella 
Offorso n Santa Chiesa suo tesoro. 
La quinta luce, ch'è tra noî più bella, 
spira di tale amor, che tutto il mondo 
Laggiù ne gola di saper novella: 
Entro v'è l'alta mente u' sì profondo 
Saper fu messo, che, se il vero è vero, 
A veder tanto non surse il secondo, 
mo Appresso vedi il lume di quel cero 


Hiut. de 8. TA., 4% od. Lovan., 1862. 
Oicognani; Vita ed op. di $. Tom. Vo- 
monia, 1876, Com. Lipe, 1I, 372 ag. 
III, 300 ng. ProArehammer, Die Phito. 
sophie der Them. v, A7. Lipsia, 1889 #00. 
401. co viso: gnarda via via quelli 
chefo nominerò ordinatamente dalia mia 
dostra nino al primo che mi è a sinlutea. 
102. sato MesTo: efr. v. 28. 
109. ssampROGIAR: aplendoro fia 
mesggianie. pezeo: dele gioie sta, 
106.GRAZIAN: Francaaco Ormelano, c0- 
lobre canonista, dorito nel secolo decimo» 
mocondo, nativo di Chiuni In Doscana, fu 


colto civili. Cfr. “get Di ala 


(rohkpym. Tonon, pref. Boi., 1860, 
1, 190 ag. — SLA Bani {l elvito 


gui nominato canto» Graziana, avendo 
fatto per la dormsatica ciò che ruzia- 
Du: 


gasophytacium Domini 
fere, ardua scandero e6 opa» nupra vb 
rea nostra agero prasaumpelmme, » 

100. quISTA | Salomone, re il’ Tarwalo, 

Î10. AMOR: come sotere del sentito, 
che pel medio evo era i Inzo nuziale 
della Chiesa. 

Sit gota dela e PA 
perchò | teologi dispatavano so 
tairo o dannato, a motivo di si bed 

Reg: EL 


uo li ore, Ott, Mosre, Oil 486 #Ee 
ALR RE IL, VRRO : me La Sera 





Che, giuso în carno, più addentro vide 
L'angelica natura e il ministaro. 
Nell’altra piccioletta luce ride 
Quell’avvocato dei tempi cristiani, 
Del latino Augustin si provvide. 
Or, se tu l'occhio della mente trani 
Di luce în Inco dietro alle mie lode, 
Già dell'ottava con sete rimani 
Per vedere ogni ben dentro vi gode 
L'anima santa che il mondo fallace 
Fa manifesto a chi di lei ben ode. 
Lo corpo ond'ella fa cacciata, giace 
Giuso in Cieldanro; ed essa da martìro 
E da esilio venne a questa puoo, 
130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro 


tando di Dionigi l'Areopagita, converti- | etr. a] Wet. 1°, 631, Qarerni, Fool a 
to da S. Paolo al Criatianesimo tele. Atti 
XVII, 34) oreduto erroneamente autore 
della colobre opera De casleati Nierarehia. 
Otr. Fuerb., Hist. ceol. ILL, D3 1V, 23. 
Conat. Apost. VII, 46. Baumgarten-Orw- 
nin, De Dion, Arcoag. Jena. 1823, Dar- 
Bey. Guerer de S. Denya l'Ardop, Par., 
1846. Nkameger, Diom, Arvop doctr, piè: 
les. el theol. Hallo, 1309, sco. 

uo. vie: conobbe 0 splozò meglio 
d'oga' altro la matura e l'ufficio degli 
angeli. 


119, Avvocato: Paolo Oreslo, prete 


Goti; onde Teodorico lo fisoe, 
e dopo sel mesi veokdero. Prigione 
acrimeo 


o adire, 

den adire; ofr, Come. XI, 18; 
und. D., iL. reo. 
"128. Cruvatno: Ciel d'oro; ebifna di 

* Ban Pietro in Pavia; ofr, Boemte,, 
dodo fare fananti, per avere pol mono fa Xx, 9. 

toa a ritrovaro Je storie ») Muek, 120, raca: ofr, Par, XV, 148. vere 
351, Tanz; muovi oltre. Pranare = mi dal martiro a questa pata e ‘em. 
trainare, frane. tralner, prov. trabnar; -—47., Sv, theot, I, Il, 70, Mo — 





ToreLo quarto] 


Par. x, 181-188 


[orrori] 799 





D'Isidoro, di Beda e di Riccardo, 

Che a considerar fu più che viro, 
Questo, onde a me ritorna il tuo riguardo, 

È il lame d'uno spirto, che în pensieri 

Gravi a morir gli parve venir tardo: 
Essa è la luce eterna di Sigieri, 

Che, leggendo nel vico degli strami, 

Sillogizzò invidiosi veri.» 


di Siviglia (eletto pro» 
babilmente l'anno 600) ed timo dal: più 
dotti nomini del tempo, venerato come 
l'oracolo della Spagna. Scrisse più opere, 
Qt bero i buono pregio. Gt, FIA, 
Otriett.oritm. 455 agg.; Jo mono- 
gratio di Cajcnno placa, 1610), Dumee 
nil (1845), © Oollombat (1846); dert, 
Obrintt, lat, Lit: 1,858 ag. - RrDa: Fota 

Venerabilia, n. 674 n Weremouth in in- 


Tana vita alla preghiera ed agli atodi. 
Le prinelpaliana opero sono: Hiut. Ecler. 
gentie Britonmn, compiuta nei 731; De 
anda 1 De mat. rerum, 66%. 
Cte. Bahr, 1. 0., 475 agg. Werner, Beda 
der Rirvw, Vionna, 1875. - RiccanDo: 
Riccardo da Ban Vittore, li Agnus Gen 

templator, teologo mistico del wo, XIL, 
dal 1182 Da pol priore del Costro di San 
Vittore presso Parigi, m. verso il 117, 
autore di parecchie opore teclogicho. Cfr. 
6 Richard vB Vigor, clan 

i 


mondo, « Qui sl dichiara la morto del 
filosofo, nen la morto dell’uomo che pe- 
mari 

198, Storti; Sigleri di nba 
non ceafonderai con Siglori di Cou: 
tte fe uno de fondato dlla Sorbona 
colera flonofo arorrolata del secolo XII, 
n. verso ll 1220, m, di morte violoota 


per mano di an chierico, suo segretario, 
tra il 1282 © Îl 1284 n Orvieto, dove ni 
trovava allora la Caria, alla quale Sigiari 
ora ricorso in appello contro le nocuso 
dottrine 


er 


loto». 
| Quartionea naturaler cd 
ia. Civ. Mint Ult. da da Pronso XXI; 


096-127, Cipolla, nel Giorn. stor, dalla 
ta a “ace. 29-23 (vol. VIE, 10 
Paris, vella Romania, XVI, 
LL articoli dl Teseo La Ilio VI 
101 neg.i VII, 38 agg. è 4 nag.i veda 
inoltro Ztl. VIII, 10 0.8 De One, 
Laet, Dantis, 33 agg. 
137. vico poni erRami: la rue de 
Feurre, o du Ponorre n Parigi, vicina 





Indi come orologio, che ne chiami 
Nell'ora che la sposa di Dio surge 
A mattinar lo sposo perchè l'ami, 
Che l'una parte l’altra tira ed urge, 
Tin tin sonando con sì dolce nota, 
Che il bon disposto spirto d'amor turge; 
Così vid'io la gloriosa rota J 
Muoversi, e render voce a voce in tempra 
Ed in dolcezza, ch'esser non può nota, 
Se non colà dove gioir s'insempra. 


ne desti ed inviti al Mattutino, lana 


Rino. — rosa: la Chiesa; ofr. Par. XI, 
93; XII, 438, XXVII, 40; XXXI, 3; 
XXXII, 128. Giov, TLT, 20, 4poral.XXI, 
3, 01 XXIT, IT. 


141 A mArrivane a dire Il Mattutino, 
apiogano | più, Mattinare è propriumente 
mattinata, eloò fl cantare e sonaro 
‘be fano gli amanti In sa! mattino da- 
vanti alla casa della di 


Duute la musica sora 
peroinata della Chiesa al sno sposo Cri- 
ul perehà l'ami, cioò per meoritarai 





[omsLO quarto] Pag. x1.1-9 [cone reRRestAr] 801 


CANTO DECIMOPRIMO 
CIELO QUARTO 0 DEL SOLE 
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA 


VANITÀ DELLE CURE TERRESTRI, DUE DUBBI 
VITA DI BAN FRANCESCO, RIMPROVERO Aî DOMENICANI 


O insensata cura dei mortali, 
Quanto son difettivi sillogismi 
Quei che ti fanno in basso batter l'ali! 
Chi dietro a iura, e chi ad aforismi 
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio, 
E chi regnar per forza 0 per sofiami, 
E chi rabare, e chi civil negozio, 
Chi, nel diletto della carne involto, 
S'affaticava, e chi si dava all'ozio; 


V. 1-12 Cure terrestri è gioîa stadio della medicina, demignata por mes 
10 degli Aforiemi di Ippocrate, 

5, RACERDOZIO = Inorwa, « nica preaiby: 
tori ot pruslati qui sequuntur Ira embe. 
nice: vi iti querant mngna Beauola 

et prenda n vivaot espe reti: 
Bri +; Pene. 

6. x cur dce.: @ obi badava a regnare 


ario di sperniazione emer con pogmono +| 

è. s'arraricava: per seddinlare ln nasa 
presicai, Conì i più. Ma il Betti: «Se co 
atoro erano già involti nel dilutta della 
carne, dunquo acano giunti già al pravi 
loro desiari. Afaticarei qui sta per trar 
“altra mpioguelone, 








liceo quARTO] 


Pan, x1 27-99 [camPiosi D. cattesa] 808 


E qui è uopo che ben si distingua. 

La Provvidenza che governa il mondo 
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto 
Creato è vinto pria che vada al fondo, 

Porò che andasse vér lo suo Diletto 
La Sposa di Colui ch'ad alte grida 
Disposò lei col sangue benedetto, 

In sè sicura ed anco a lui più fida, 

Due principi ordinò in suo favore, 
Che quinei e quindi le fosser per guida, 

L'un fu tutto serafico in ardore; 

L'altro per sapienza in terra fue 
Di cherubica luce uno splendore. 


dalesione ha por sà la gran maggioranza 
dol codieb; efr. Moore, Orit., 400 ag. Ma 
Ji sugar dei doo luoghi Par. X, 114 ® 
XLII, 106, e il rimandure esplicitamente 
al 19 di queati ci sericarano che è da 
adottare la prima. Cfr. A. Bertoldi, Lect. 


Dantia, p. 47. 
questi doo dubbi è 


arriti a penetrare i profondi smernti della 
divina Provvidenza; afr. Rem. XI,38 4g. 
Theon. Ag., Sum, theot. I, 12,7, Comm. 
IV, Gi 

Ri. PRRÒ cum: affinchè. - Ditarto È 
Cristo. 

32. Srosa : la Chions; etr. Par, X, 14 
= ona : alludo alle dotto da Cri» 
ato n erose; ofr. Matt. XXVII, 4, B8, 
Marco XV, D4, 37. Lue. XXIIE, 46 
Giov. XIX, 26-20. Bbrei V, 7. 


DIRFOSÒ 100.: 4.1, rogere Keckleslum 
Dol quam acquinivit aunguine sto»; Al- 
ti, XX, 28. 


fadelo allo sposo sto, Cristo. 

3t, eiluctri: capi, condattort: 8. Pram 
ogaco 0 8. Domenico, - IN SUO FAVORE? 
‘@ piro delle Chiesa. 

24. quisei R QUINDI: « guinel, ele in 
rondergliola più fda; e questo è 8. Fran= 
cesco mediante Î) noo serafico amare, per= 
ché allora è fedele Ia apona nilo #poso, 
quando si vedo eanor accenna nel ano amo 
re. E quindi, eleè in rendergliela sicura; 
e quosto è 8. Domenico mediante la wa 


grandisima sagienza 6 profondiadma 
dottrina che la difeado da ogni oretlon ® 


Ban 
39. CRRUDIVA: « Cherwbin ietarpro» 
tatur permitada entention... % no patet 
quest Chorablu desaminotur a retentia » 
Thom. Ag, Sum thent. Ue, 














[omo quasto] Pas. x1,188-189-x11.1-8 [secomna con.) 811 





E vedrai il corregger che argomenta, 
‘U’ben s'impingua, so non si vaneggia.'» 


tnteso, vedrai onde In pianta dell'Ordine 

(la pianta) si va assottigliando e perden- Ù 
do della sun prina bontà, com Vent,, dei Duane 
Torel., Tom., Frat,, Prane., eco. 0 così —misani), ora acheggiandosi sl amottiglia 
anche not; v, nella ut. sog. le parole del e minaccia di romporni, ed in conseguen= 
Beccaria. sa vedrai qual csan argomenti, od ar 

130, 1, connzoosai Al, lessro com, galest, o Sapia Ni correggere, cde lo 
nrogitn, che narebbe forma parallela a ta nto Ganci + BRANN] 
cordigliero, © como questa franescano, 
cod quella significherebbe domenicano. 
Ma dopo le argomentazioni specialmente 
dol Beccaria (DI ale. luoghi ecc. 207 sgg.ì, 
cul altriaggionsero boni rincalzi,a'erà 
a ritornare all'infinito correggere © ai 
dovrà pur col Beccaria (ofr, Parodi, Bult. 


CANTO DECIMOSECONDO 


CIELO QUARTO 0 DEL SOLE 
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA 


SECONDA CORONA DI VIVI SPLENDORI 
VITA DI SAN DOMENICO, RIMPROVERO AI FRANCESCANI 
BONAVENTURA ED I SUOI COMPAGNI 


SÌ tosto come l'ultima parola 
La benedetta finmma per dir tolao, 
A rotar cominciò la santa mola; 


gem tripudio o frta Intorno a Danke e 
2. mao 6Ér, Par, XIV, 40 XXYT, 
: falso a 


Peet aggiango di enbito, concem 
‘altrn corona di dodici vivi aplem- 
dot la quale le gira intorno cantando 
Sat para Seal ai tod all de 
n 
ghirlando di 








CoreLo quarto] Par. xl 21-34 [B. FONAVENTURA] 818 


E sì l'estrema all'ultima risposo. 

Poi che il tripudio e l'alta festa grande, 
Sì del cantare o sì del fiammeggiarsi 
Luce con Inco gaudiose e blande, 

Insieme a punto ed a voler quetarai, 

Pur come gli occhi, ch'al piacer che i move, 
Conviene insieme chiudere è levarsi; 

Del cor dell'una delle luci nuove 
Si mosse voce che l'ago alla stella 
Parer mi fece in volgormi al suo dove; 

E cominciò: « L'amor che mi fa bella, 

Mi traggo a ragionar dell'altro duca, 
Per cui del mio sì ben ci si favella. 
s Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca; 


21. L’esmRRIa | quella di fori, l'este- sa. «E vuoi dire, cho mi traaso a sò cc 
: & quella di dentro. —ierealstibile forza, cioò che lo non nvrni 
potato non rivolgermi od css; tauto era 
nol &l rapimento di quella voce »; 
V.22-30, Il pamegirista di san Do- —V.31-45. Introduelone alla wlta di 
mentco, Cessato instome Sl tripudio ed 
il cauto, una delle anime della seconda 
San Bonaventura francescano 
{ofr, v. 127), ulza la voce per cantare lo 
lodi di San Domenioe. All’ udire quella 
voce, Dante sì rivolge aubito verso il 
luogo dove lo wpirito ni trova, come l'ago 
calamitato x rolgo alla stella 
72-28. 


HI: GAUDIOSK ® iiuxDe: pleno, eme 


Juoi, di guadio @ di atfetto. 
3Ò. A PUNTO 200.1 sl fermarono tutte in- 





Coreno quaRTO] 


Pan, sit. 51-68 


fa. pomemco] 815 


Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde; 

Siede la fortunata Calaroga, 

Sotto la protezion del grande scudo 
Tn che soggiace il leone e soggioga. 

Dentro vi nacque l’amoroso drudo 
Della Fede cristiana, il santo atleta, 
Benigno ai suoi ed ai nemici crudo; 

E come fu creata, fu repleta 
Sì la sua mente di viva virtute, 
Che, nella madre, lei fece profeta. 

Poi che le aponsalizie far compiute 
AI sacro fonte intra lui è la Fedo, 
U' si dotàr di mutua salute; 

La donna che per lui l'assenso diede, 
Vide nel sonno il mirabile fratto 
Ch°uscir dovea di lui e delle rede. 

E perchè fosse qual era, in costrutto, 


Quinci si mosse spirito a nomarlo 


51. taLvoLTA= Interno al solatizio di 

nando siamo verso 1] colmo 

perciò non sempre (talvol- 

1a), rispetto all' Italia ll ole andando por 

la Îunga sua foga © corso, si nasconde al 

di 1A dell'acqua dell'Oceano nella diro- 

alono del lito, nom lungi dal qunlo siede 
Callaroga » {1}; Corn. 

62. YGATUSATA: per caservi nato San 
Domenico. - CALaR09A elttadina della 
Onatiglia, detta fortanata, perché patria 
di 8. Domenico. 


53, s0uno : l'armo del re di Castiglia 
è uno sendo dove a'inquartano duo ca- 


naupo : l'amante fodelo della Polo, cloò 
Ban Domenico, La voos drudo aon aveva 
antioamento a cattiva signi Q0aione che 
Raggi ft, Die, W9rk 1 250ag; Oo. 
Topo. na 


1a 

G7.A18001: a quelli della sum fedo, = 
crtuDo : erudele, avendo messo & ferro 
* fuoco gii Albigeat 

G6 nareL&ra: ripbema 1007. Inf, XVIIK, 
24. Prog, XXV, T2 Luo, 1, 19,- + No 
get arodemiam aÎiqarse albe dute ifcatoa 
ose ta Utoro do quibua Seriptura meti- 
Uomo not (nelb»; TAom, Ag, Sum, tAmol 
ATTACCA 


00, cur: ehe agli, cied la sua mento 
MÒ piena di visa mirtute — Lu: Îa mbe 
re. Al. intendono | La rità foco profeta 
la mente. Profota non fu Il bambino, ma 
Ja madre 1 er, Luc: 1, dl. Com. i 
314 ag. Dicono che la madro di San De 
menico, essondo di ini imelata, sognano 
di partorire uu cano blanco 4 nuro fesderi 


della Pete»; Dan.-* Domenico mel 
4imo promise è alla Fede; la Fedo n lat 
vita eterza »| Tone. 

GA La para ila adrina che di per 
Tai l'assenno alla fedo, vide la sogno che 
egli avera una stalla in nesso alla fronte, 
segno eh'ogli avrebbe Muminato | po 
polti atr, det. Sanet. Aug, I, 970, 

08, orLR ueDR: degli oredi, del frati 
dell'Ordine da In) fondato; ofr, Par. XI, 

NLLIILI 


son santità e dottrina (Vett, not): 
97. De cOrTRUTTO: dlla beni 


"Ol Corti quid, dl lle set 








[cisLo quasto] Par. xt. 84-97 fs. DOMENICO] 817 


Ma per.amor della verace manna, 
In picciol tempo gran dottor si fe0; 

Tal che si mise a circuir la vigna, 

Che tosto imbianca, se il vignaio è reo; 
Ed alla sedia che fu già benigna 

Più ai poveri giusti, non per lei, 

Ma per colui che siede, che traligna, 
Non dispensare o due 0 tre per sei, 

Non la fortuna di prima vacanto, 

Non decimas, que sunt pauperum Dei, 
Addomandò; ma contro al mondo errante 

Licenza di combatter per lo seme 

Del qual ti fascian ventiquattro piante. 

n Poi con dottrina e con volere insieme 


tali; oft. Murat., Seript.XI, 1159. Tap: 
ueo: | più intendono di Taddeo d'Alde 
rotto foneutiuo (12:51-1295) medico é0- 
leberrimo ed autore di molte opere ne’ 
loro tempi e anche di pai famose, 
ViM, VILI, 88. Tiradocehi, Lat. del. IV, 
287 ug.) cfr, Murat, Seript. XIV, 1112. Je rendite del primo banoficlo vaantuta, 
Coe Oti., Past. Cass., Petr. Dant., Falso —93, xox picneAs eco.: non domandi 
Poco. Bene., Lond., Vell., oe. Altri iu» lo decimo cho sno del poveri del'Bi- 
tendono di Taddeo Pegal, giareconentto 
bolognese contemporaneo < ante. Così 
Lan., dn, Fior, Buti, Dan, Peg, 
Tom., sco. Cfr, Com. Lipe. TII, 919 ag. 

BAL TRLLA VERLOE MANNA : del clio api 
rituale, opposto al beni terveatri al quali 
gli nomini sogliouo correre dietro e yer 
amor del quali studiano iure e afori 

I 


ate, Ionîo, V, 1,9, 4; XXVII, è. Afott. 
XX, 1 agg 

87. roeTO nimaxcA: perdo rapidamente 
il ano verde, ni secca. - VIoXAIO: fl pa- 
store della Chiesa. - xo: di pigriala, no 
gligeuza, 0 d'altro vizio, Gtr.; per l'im 
miagino della vigna, Gere. II, ZL 

88. spia : pontificla. Domenteo andò a 

vel 1305, 





Con l'officio apostolico sì mosse, 

Quasi torrente ch' alta vena preme, 
E nogli sterpi eretici percosse 

L’impeto suo, più vivamente quivi 

Dove le resistenze eran più grosse. 
Di lui si fecer poi diversi rivi, 

Onde l'orto cattolico si riga, 

Si che i suoi arbuscelli stan più vivi. 
Se tal fu l'una ruota della biga 

In che la Santa Chiesa si difese, 

E vinse in campo la sua civil briga, 
Ben ti dovrebbe assai esser palese 

L'eccellenza dell'altra, di cnì Tomma, 


per convertire gli Albigosi, prima — fedoli alla Chiesa la opportlona 
colla dottina è coll’eloquanza, quindi 
colla violenza, coi fuoco © colin spada, 
98. CON L'OFFICIO APOSTOLICO i 
Paotorità conforitagli da | 
20, QUASI TONKENTE 006; € quasi fiume 








Francesco, Par. XI, 43-117, 
145. moss: al tripudio descritto mel 


CANTO DECIMOTERZO 


CIELO QUARTO 0 DEL SOLE 
DOTTORI IN FILOSOFIA E "EOLOGIA 


NUOVA DANZA E NUOVO CANTO 
IL SAPERE DI SALOMONE, DI ADAMO ® DI CRISTO 
LEGGEREZZA UMANA NEL GIUDICARE DI COSE ANCO PROFONDE 
X 1N ISPECIE DELLA SORTE OLTERMONDANA 


Imagini chi bene intender cupo 
Quel ch'io or vidi (a ritenga l'image, 
Mentre ch'io dico, come ferma rupe), 
Quindici stelle che in diverse plage 


mantera. Coma di solito 

dantesco, deve colloqui a alternano nol 
canti @ con le danze del 

Bonaventara ha finito 

ventiquattro spiriti formanti le duo ghir- 
lando di viventi Inci ritornano alli 


«Immagini danque il lettore » così il 
Poeta, « calle mette stello dell’ Orna mag- 
[giore le duo più grand! dell'Orsa minore 
e quindici altre dello più aplondenti stelle 
del clelo, Immagini che queste venti. 
quattro atello formino in clelo due co- 





Pag. xms. 7-28 [oAnze x cANTI) 





Basta del nostro cielo e notte a giorno, 
Sì ch'al volger del temo non vien meno; 
Imagini la bocca di quel corno 
Che si comincia in punta dello stelo 
A cui la prima rota va d’intorno, 
Aver fatto di sè due sogni în ciolo, 
Qual fece la figliuola di Minoi 
Allora che senti di morta il gelo; 
E l'un nell'altro aver li raggi suoi, 
Ed ambedue girarsi per. maniera, 
Che l'uno andasso al prima e l'altro al poi; 
Ed avrà quasi l'ombra della vera 
Costellazion e della doppia danza 
Che circulava il punto dov'io era; 
Poi ch'è tanto di là da nostra usanza, 
Quanto di là dal muover della Chiana 


7. Canno: teen ein) be i 


|, IIK, 107. 


loro giro 
nel nostro &miafero intorno alla stella po- 
Jaro. Beet.. Cons. pAd. IV, metr. 6. 

9. T1169 1 timone ofr, Purg. XX1T, 119; 
XXXII, 40, 140, Par. XXXI, 124.<x0x 
viy: nen el toglie alla vista nossana 
dello ano stelle, giacehò si aggirano fn- 
torno alla stella polare cod darvicino, 
che restano notte 6 giorno sopra l'orie- 
a0pte. 

10, La nOcca DI QUEL coRKO) le due 
ultimo stelle dell'Orsa minore, la quale 
ai può pur assomigliare ud un corno ri- 
ourro. 


11-12 tS IUNTA DILLO #TRLO 000.1 nel- 
l'Ora minore lo atello non disposto a 
mo' di corno cho Incomincia presso 1a 
prnta dall'asse (in punta elio ato), 
tatorno al quale i aggira a prisa ret, 
St Area ttmagioiche osatentttto 

AvER: 
formino in eleto dae costellazioni, ela 
nonna di dodici stella disposto a cerco. 
= stasi: centellazioni ; cfr. Firy., Oeory. 


costellazione; 
Ovkd., Met. VIII, 174 Fast. V, DLL 


= Muto: Minosse (afr. MAE 
Gltto a) fiast nau, nec 





DURARE 
perdo 
on 





[cteto quaRTO] 


Si trasse per formar la bella guancia 
Tl cui palato a tutto il mondo costa, 
Ed in quel che, forato dalla lancia, 
E poscia e prima tanto satisfece, 
Che d'ogni colpa vince la bilancia, 
Quantunque alla natura umana lece 
Aver di lume, tutto fosso infuso 
Da quel Valor che l'uno e l’altro fece; 
E però ammiri ciò ch'io dissi suso, 
Quando narrai che non ebbe il secondo 
Lo ben che nella quinta luce è chiuso. 
Or apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo; 
E vedrai il tuo credere e il mio dire 
Nel vero farsi come centro în tondo. 
Ciò che non muore, e ciò che può morire, 
Non è se non splendor di quella Idea 
Che partorisce, amando, il nostro Sire; 


08. cvancta: di Eva, che mangiò del 
frutto proibito © ne diede anche nd Ada- 
mos efr. Gen. III, 

29. costa: essondo cagione dei mali 
dell'omanità; e0r. XXLX, 24 seg 

40, xD DI QUEL 0ec.: 0 nel patto di Cri- 
ato.- rORATO1 + Unna rallitum lancen 
Intno elma aparult »; Gios. XIX, 34. 

Ai. FOSCIA R PIA : dopo essere stato 
forate e prima. « Poi che fa forato, dince- 
ditado ll Limbo a trarno 1 santi Padri; e 
prima che ferato fosse, per li graviincom- 
edi sofferti al mondo treatatrà anni che 
viene »3 Pell; 0 cos Bee, DES 


vince continuamente, fa cel 
ano maggior peso altare a bilancia d'egni 
opa in eterno, 


49, ott 0ccatt: + della ragione n dello 
intelletto »; Putt Così 1 più, Invece Betti 
+ Nom gli cochi della monte, ma quell del 


ii 


Lens 
I 


Ì 
i 














E leguo vidi già dritto e veloce 
Correr lo mar por tutto suo 
Perire alfine all'antrar della foco. 
Non creda donna Berta o ser Martino, 
Por vedere un furare, altro offerére, 
Vodorli dentro al consiglio divino; 
ur Chè quel può surgere, e quel può endere. » 


116. e Liawo ee0.; e vidi già navo che, 
dopo aver vologgiato folicamento e re 
Jocemonte durante tatto 1l viaggio, nf 


Spiri 
Der tulle 1 'viaggio che doveva fra: 

138. rocR: porto. 

180. posa : Al.: a0sma. - Barr. 
ogni rie faomioalla ed ogni anielattalo. 
Cone. 1,8: «Ono anolo dire Marti 
Pamav , Specchio di pen 1,400: «De no- 
ugo, che sono dal ciolo, cioè dalla inflaen- 
iu delle stelle 0 dolio pinete e dalla di 
sposizione 6 impressione degli elementi, 
è’ nono buoni filonofi @ buoni anttologhi, 
«ho possono fur buona Interpretazione, 
una e* son ben pochi que' cotali. E quelli 
tanti, cho bono nano, dI dabitorebbono 
cho gll altri di giudicare, temend 


f 


tosta iromzizione 
Cone, TV, & 
Può smrpere, 


jeig? 
NIRO 


fi 
Bi 


foriro, far pio offerte. 





[nuss:0] 838 





CANTO DECIMOQUARTO 


CIELO QUARTO 0 DEL SOLE 
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA 


LO SPLENDORE DEI BEATI DOPO LA RISURREZIONE DE! CORPI 
TERZA GHIRLANDA DI VIVENTI LUCI, SALITA AL CIELO DI MARTE 


CIELO QUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE 


LA CROCE DI MARTE, ARMONIA DI CONCENTI, RBTASI DI DANTE 


Dal centro al corchio, e sì dal cerchio al contro, 
Movesi l'acqua in un ritondo vaso, 
Secondo ch'è percossa fuori o dentro. 

Nolla mia mente fe'anbito caso 


neita mente di Dante; ma Beatrice de 
prevedo 0 lo espone. 

3.0 memo: AL: x DaxTRO, Se ll vada 
obo contiene l'aoqna è perccssoal 
l'acqua ai muove dal cerehia al cmmtre, 
andando In circoli di maggiori in minori; 
no l'acqua è percossa noi centro, esa al 

dal centro muove in circoli di minori in maggiori 
atggetiacano al Poeta dal centre al cerchio. 
una simiiitadine nuova, che risponde n 





884 [omo quanto] —Par. xiv. 


Questo ch'io dico, sì come si tacque 
La gloriosa vita di Tommaso, 
Per la similitudine che ue 
Del suo parlare a di quel di Beatrice, 
A cui sì comineiar, dopo Ini, piacque: 
<A costui fa mestieri, e nol vi dico 
Nè con la voce, nè pensando ancora, 
D'un altro vero andare alla radice, 
Ditegli se la luce onde a'infiora 
ostra sustanzia, rimarrà con woî 
Eternalmente al com'ella è ora; 

















[ome quieto] Par. xiv. 184-189-xv, 14 ([ern. D. BEATI] 848 


D'ogni bellezza più fanno più suso, 
È ch'io non m'era li rivolto a quelli; 
Escusar puommi di quel ch'io m’acenso 
Per escusarmi, 0 vedermi dir vero; 
Chè il piacer santo non è qui dischinso, 
139 Perchè si fa, montando, più sincero. 


134. riò rano FIÙ suso: si manifo- 


ancor rivolto a guardare la mia donna. 
97. TIR ANCUMAMIO : A mila acum, per 
aver desto try, 127 sgg.) di non aver 
mai guatato tanto diletto, quanto all'udi- 
ro quel dolcissimo canto nel cielo di Mar- 


CANTO DECIMOQUINTO 


CACCIAGUIDA, L'ANTICA FIRENZE ROLL ANTENATI DI DANTE 


Bonignn volontade, in cui si liqua 
Sempre l'amor che drittamente spira, 
Come cupidità fa nell’iniqua, 

Silenzio pose a quella dolce lira, 








Indi, ad udire ed a veder giocondo, 
Giunse lo spirto al suo principio cose 
Ch'io non intesi, sì parlò profondo; 

Nè per elezion mi si nascose, 

Ma per necessità; chè il suo concetto 
Al sogno dei mortal si sovra, 

E quando l'arco dell’ ardente affetto 
Fu sì sfocato, che il parlar discese 
Invér lo segno del nostro intelletto, 

La prima cosa che per me s'intese, 
< Benedetto sie Tu» fu, « Trino ed Uno, 
Che nel mio seme se' tanto cortese!» 

E seguitò: « Grato e lontan digiuno, 
Tratto leggendo nel Magno Volume 
U non si muta mai bianco nè brano, 

Soluto hai, figlio, dentro a questo lume 
In ch'io ti parlo, mercò di colei 
Ch'all'alto volo ti vesti le piume. 


nÒ al aggionge) che un giorno cl sareati 
‘ora, pormso che fo vedo e 
lagro | tuoi destderit tn Dio, stimi mper- 
fino dimandarmi dell'esser mio e della 
ragione per cho lo mostri tanta giola in 
vederti. Veramente tntti | beati, qua- 
lanque nîa fl grado della loro beatitu- 
dine, mirando în Dîo, vedono ivi come 
riflessi in uno npecebio tutti gli umani 
pensieri. Tattaria, DI 


per sualibora volontà, ma perché, in quel 
momonto, Cacciagnida, tutto ardonte di 
aubilme amor divino, pensava © diceva 
cose anporiori all'omana inteliloniza. 
42. ai sortartosz: volò più alto. 
48. L'ARCO; V'ardore della infaromata 
carità. 


di. RPOCATO 1 Al: arogATO, - pesca : 
Al abbassò al grado dell minano intelletto. 

@ ran x: da mo, 

#3 conviaz; cfr, Par. VII, dI 


























[orRLo quinto] Par. xvi. 124-136 [raMiOLIE DI FIR.] 





Io dirò cosa incrodibile o vera: 
Nel picciol cerchio 8° entrava per porta 
Che si nomava da quei della Pera. 
Ciascun che della bella insegna porta 
Del gran barone il eni nome e il cui pregio 
La festa di Tommaso riconforta, 
Da esso obbe milizia 6 privilegio; 
Avvegna che col popol si raduni 
Oggi colni cho la fascia col fregio. 
Già eran Gualterotti ed Importuni; 
Ed ancor sarla Borgo più quieto, 
Se di nuovi vicin fosser digiuni. 
La casa di che nacque il vostro fleto, 
Sitora i peri che alora di ol tl tal 
di Firenze, la qualo con molte altre tdi. 
ficò, al fanno solenni erazioni a Dio per 
fangati » di parte ghibellina; la suaanima »; Oft.Ofr. Puecinalli, Tator, 
Ge FLIV, 186 Vo obo Vi, 96, — « Que 
mil sono busal in onoreo poohiIn numero; 
sono Ghibellini disdegnosi »; Ott. 
126-120, 10 DIRÒ #06.5 « Dice l'Autore: 


Chi orederebbe che quelli della Pera fos- 
nono antichi 1 To dica ch'elli sono sì anti- 
della 


di pù 
fanale Dante di deprimerai 
fa, nello parole i ul besten 


erano di parte quella 
9. Fil. Y, 39. I Qualterotti « sono pochi 
in numero, e mano fu onore i di costoro 


185, vion| olttadini; 1 
nobili è antichi 








[eno quinto] 


Par, xvi. 154-xvit, 1-5 





104 Nè per division fatto vermiglio. » 


poro bellerum civili; quia aiquando 
Ghibellini corpulat ineiguia tn. 


tranoorom; et qubvartebant In oppro: 
drium Guelphorum,et.o contrario» 


154, veRMIOLIO: l'antica armo di Fi 
renzo era un giglio bianco in campo ros- 
no. Dopo la guerra contro Pistoia nel 
1251 i Quel@i focero loro arme un giglio 
rosso in osmpo bianco, mentre | Ghibel- 
lini conservarono l'arma antica. « Oso- 
cinti 1 caporali do' Ghibellini di Firenze, 
il popolo è gli Gual@ che dimoraro alla 


mente sî portava il campo roaso 0 "lgi- 
glio bianco, a foclono per cantrario 11 
campo bianco è "l giglio romo, e' Ghi- 
bollint sì ritennero în prima insegna; ma 
la insegna antica del Comune dimeszata 
bianca e rossa, cioè î0 stendale «h' sa 
dava pell'osto in «uì earrocsio, non al 
mutò mai»; @. FAT. VI, 43. Sopra altre 
tradizioni o leggende ofr, Com, Lipe, 
III, 451 sg. 


CANTO DECIMOSETTIMO 


CIELO QUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE 


1 DOLORI DELL’ESIGLIO, SVENTURE E SPERANZE DI DANTR 
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ 


Qual venne a Climenè, per accertarsi 
Di ciò ch'avea incontro a sè udito 
Quei ch' ancor fa li padri a' figli scarsi; 
Talò ora io, e tale era sentito 
E da Boatrico 0 dalla santa lampa 


tiva; confortato da Beatrice, prega di tal 
Masa 


eMosa Caocinguita. 

1. Cutaor macio de Potente i qual 
corse da Ji a chiederle se egli fbano 
tamento figlio di Apollo, “dò cho paso, 
‘ig di Giove, avora negate: ct. Ori 
Mot. I, T60-IT, 238, 

3. qua: Fetonte. - Pia capro a 
nell ded figli: e 


como ana lampo i Mer Par. xv 
18 ang. 








ToraLo quinto] Pan. xviL 25-57 [LIBERO ARBITRIO] 867 


s Per che la voglia mia narla contenta 
D'intender qual fortuna mi s'approssa; 
Chè saetta previsa vien più lenta. » 

Così diss'io a quella luce stessa 
Che pria m'avea parlato; e, come volle 
Beatrice, fu la mia voglia confessa. 
Nè per ambage, in che la gente folle 
Già s'inviscava, pria che fosse anciso 
L'Agnel di Dio che le peccata tolle, 
Ma per chiare parole 6 con preciso 
Latin rispose quell’amor paterno, 
Chiuso e parvente del suo proprio riso: 
«La contingenza, che fuor del quaderno 


figura che ha quattro —tricato, osenro, equiroco, esme quello 
degli oracoli pagnni. « Hoerandaa cani 
ambages »; Firg., Am. YI, 69, » Imi 
pagnna. - FOLLE: « Dicentee etilzi po nano 
saplantes, stulti faoti sunt» | Jom. I, 3% 
ra prendere 


82. N'INVISCAVA : al lascia 
da quattro angoli solidi. 11 concetto e il —cemel’accello al visebio; etr, Inf, XII, 
fatto della stabilità di un'opara materinlo 07; XXI, 18; XXIL 164 = ANCO: we 
avente questa forma deriva da questo, cio; prima della merta di Cristà. 
che il centro di gravità di una pirmmsde —23 L'AGxRL toe.: + Esce Aguut Del, 
è ad un quarto della retta che unisce îl 


intom, Ufr, Artet., BYAlo., 1, Adat, 
Herat., Sat. 1L. vu, 83 sg.- COLPE: 
do 








[cmLo quorro] 


Par. xvI. 52-64 


[estoLIo] 869 





La colpa seguirà la parte offensa 
In grido, come suol; ma la vendetta 
Fia testimonio al vor che la dispensa. 
Tu lascorai ogni cosa diletta 
Più caramente; e questo è quello strale 
Che l’arco dell'esilio pria saetta. 
Tu proverai sì como sa di sale 
Lo pano altrui, e com'è duro calle 
Lo scendere e il salir per l'altrui scale. 
E quel che più ti graverà le spalle, 
Sarà la compagnia malvagia e scempia 
Con la qual ta cadrai in questa valle; 
su Che tutta ingrata, tutta matta od empia 


V. 53-06). GU aganni dell'esigito. 
Alla profozia dello sbandimento di Dante 
segue l’annunzio delle dolorove umilia. 
zioni ch'ei dovrà aubiro nell' enlglio, 
«In primo laogo, si darà tatta la colpa 
agli oppressi, secondo lì scllito, chè chi ne 
tocca, ba sempre torto; ma È mali che 
seguiranno, faran vedere che la ragione 
stava dalla parta del vinti. în secondo 

ad abbando- 


Banoscenza 
peggio anrà por te fl contegno e' tuoi 
compagni di ateatura. » Cfr. Cono. I, 


sione » 1 Inf. VI, 61. Per ofenss in luo» 
go di offesa cfr. Inf. V, 108 è Purg. 
XXXI, 12, « La voce sarà che Dante, 


Tipe. TIT, 469, In sostanza; «La colpa 
ai darà a to ed a'tuoi compagni; ma 
Dio pamîrà i veri colpevoli. » 

65. 0GxI coma eco.: patria, finmiglia, 








[crxo quinto] Pan. xvit 104-120 [puseto] 878 





Dubitando, consiglio da persona 

Che vede, e vuol dirittamente, ed ama: 
< Ben veggio, padre mio, sì come sprona 

Lo tempo verso me, por colpo darmi 

Tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona; 
Per che di provvedenza è buon ch'io m'armi, 

Sì che, se luogo m'è tolto più caro, 

Io non perdessi gli altri per miei carmi. 
Giù per lo mondo senza fine amaro, 

E per lo monte del cui bol vacume 

Gli occhi della mia donna mi Jevaro, 
E poscia per lo ciel di lume in lume 

Ho io appreso quel, che sio ridico, 

A molti fia savor di forte agrume; 
E #'io al voro son timido amico, 

Temo di perder viver tra coloro 

Che questo tempo chiameranno antico. » 


(vuol 
no a dice cosi ama) 
108, aprona : «i avanza in 
ehi. 


sarai pese 


È 
ssf 
i 


« Non 
pini 
redito ei udito. È bex vero che molti, la 


[bee 
EE, 








Toro qunero] Pan. xvit. 186-142 ToorAe@io] 875 


1» Però ti son mostrate in queste rote, 
Nel monte e nolla valle dolorosn 
Pur l'anime che son di fama note; 
Chè l'animo di quel ch'ode, non posa, 
Nè ferma fede per esemplo ch'àia 
La sua radice incognita e nascosa, 
ua Nè per altro argomento che non paia. » 


colpo aziandio a' primi e potenti, fa ‘seno veramente tute 44 Jona nat 
“anto tenere delta virt nerioo del vi: _ Lo oscure non gl farosa mesrate; (i 


nio 0 dI E pt A SN Cet. 
tri intendono: n. 


Mi. RADICE: ne gli esempi sono ‘totti 
da persono osenre © sconoseftte. 

142. NON PAIA ; non appariaca, nom ala 
evidente, « Non al pnò Insegnare la cosa 


non sapnta per la non #3 Batk= 

+ Rocar onvmpi di caatighi toccati a per- 
none volgari pon muove i detteri; | quali 
Nieto ‘ana paco ein Cir 














LO QUINTO] Par, xvi. 1-6 [DANTE k BEATRICE) 








CANTO DECIMOTTAVO 


JUINTO 0 DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE 





TRITI RISPLENDENTI NELLA CROCE DI MARTE 
SALITA AL CIELO DI GIOVE 


SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI 


IUSTITIAM, L'AQUILA IMPERIALE, AVARIZIA PAPALE 


Già si godeva solo del suo verbo 
Quello specchio beato, ed io gustava 
Lo mio, temprando il dolce con l’acerbo; 
E quella donna ch'a Dio mi menava, 
Disse: « Muta pensier: pensa ch'io sono 
Presso a Colui ch’ ogni torto disgrava.» 








2 ela gle 
enza quin dara 








LO SESTO] Par. xvui. 129-136 [AVARIZIA PAPALÈ] 





Lo pan che il Pio Padre a nessun serra. 
Ma tu, che sol per cancellare scrivi, 
Pensa che Pietro e Paolo, che moriro 
Per la vigna che guasti, ancor son vivi. 
Ben puoi tu dire: « I ho fermo il disiro 
Sì a colui che volle viver solo, 
E che per salti fu tratto al martiro, 
Ch’ io non conosco il Pescator nè Polo»! 


x: {l pane spirituale, la gra- gli apostoli di Cristo, ma gli ricorda che 
’adro Celeste non nega a nes- © Pietro © Paolo son vivi. 
corda a chiunque la cerca; 1132. viaxa: la Uhiesa; efr. Par. XII 
[LLI, 122 eg. 80. Teaia, III, 14.- VIVI: « quasi dica 
c.: apostrofa papa Giovanni elli ti rimuneranno di tne opere, però 
faorsino (1816-1334), schiavo ch'elli vivono, cioè possono »; Ott. 
a (cfr. G. Vill. XI, 20), fl cui —193. prax: ridendotela delle minacce e 
fu una serie si può dire non bmrlandoti di Pietro e di Paolo. — 1° no 
i acomanicazioni e ricomuni- —"FENAIO e0c.: io sono tanto assorto nel vi 
ivere © cancellare); cfr. Vi. gboggiare S. Gianni Battista, cioè i 
, 144, 171, 227, 246, 264,278, fiorini d'oro della repubblica fiorentina 
‘78, 184, eco. Altri intondono nei quali egli è effigiato, che non cono- 
oiei papi in generale. Ma è sco più nè San Pietro nè San Paolo 
nte parla di un personaggio —Acerbissima ironia. 
Altri intendono di Bonifa 134. COLUI sco.: Giovanni Battista - 
nte Vi ma ambedine s0L0: nel deserto. « Erat in desertis» 
la un pezzo, quando Dante Luca, I, 8! 
voraî, @ l'opoca fittiz 135. PER SALTI: în premio del ballo che 
n ha qui che vodere. Cfr. la figliuola di Erodiade foce alla prose 
100 ag. - SCRIVI: consu- di Erode: cfr. Mart. XIV, 1-12. Mare 
VI, 21-: 
#0 x PAOLO: nel v. 136 130, IL PESCATOR: San Pietro. ch 





Par x1x. 1-10 [AQUILA PARLANTE] 887 


CANTO DECIMONONO 


CIELO SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI 


L'AQUILA PARLANTE, NECESSITÀ DELLA FEDE 
IMPERSORUTABILITÀ DELLA DIVINA GIUSTIZIA 
LA FEDE E LE OPERE 


Parea dinanzi a me con l’ali aperto 

La bella image, che nel dolce frui 

Liste facevan l'anime conserte. 

lascuna rubinetto in cui 
di sole ardesse si acceso, 

Che nei miei occhi rinfrangesse Ini. 
E quel che mi convien ritrar testeso, 

Non portò voce mai, nè scriase inchiostro, 

Nè fu per fantasia giammai compreso; 
Chio vidi ed anche udii parlar lo rostro, 


stantio, « Quod est impliciter alti, 
‘aliquie deloetator alont in 


FisE-HEFTILI 
II 








Torto sesto) Pax, xx. 56-72 [orusTIZIA DIVINA] 891 


ss Non può da sua natura esser possente 
Tanto, che suo Principio non discerna 
Molto di là da quel che l'è parvente. 
Però nella giustizia sempiterna 
La vista che riceve il vostro mondo, 
Com’occhio per lo mar, entro s'interna; 
Che, ben che dalla proda veggia il fondo, 
In pelago nol vedé; e nondimeno 
È lì, ma cola lui l’esser profondo. 
Lume non è, se non vien dal Sereno 
Che non si turba mai; anzi è tendbra; 
Od ombra della carno, 0 sno veleno. 
Assai t'è mo aperta la latebra 
Che t'ascondeva la giustizia viva, 
Di che facéi question cotanto erebra; 
Chè tu dicevi: ‘Un nom nasce alla riva 
Dell'Indo, e quivi non è chi ragioni 
Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva; 
55, DA SUA SATURA 000: «La intelli- -— 63. & ut: AL: mart: cho il fundo ent 
gonzia umana Don può per sna matura 
comprendere delle coso di Dio tanto, che 
non no sla ancor più ; Buti. 
56. rico: Ja Mente divina, ch' è 
principio dell'intelletto reato. 


57. DI Là emperiore 4 quall'apparenza 
sotto la quale gli ai mostra. -cueL' & 


HU 
tri È 











[creo sesto] Par. x1x. 115-127 [PRINCIPI INGIDATI] ss 


18 Li ai vedrà, tra l’opere d' Alberto, 
Quella che tosto moverà la 
Per che il regno di Praga fia disorto; 
Li si vedrà il duol che sopra Senna 
Induce, falseggiando la moneta, 
Quei che morrà di colpo di cotenna ; 
Lì si vedrà la superbia ch” 
Che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, 
Sì che non può soffrir dentro a sua meta. 
Vedrassi la lussuria 6 il viver molle 
Di quel di Spagna e di quel di Buemme, 
Che mai valor non conobbe, nè volle; 
127 Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme 


dalle isole. fia iobe all ee 121. ASSKTA : accendo di amoderata sode 
forregla alla di demo < Ol'asseta, che rondo 


ser. 

116, queLLA | l'invasione della Boemin 
mel 13061 ofr. Palacky, Storia della Boe nin Oîr, Barlow, 485-A0G. 
mia, 1. IV, 0, T.-MOVERÀ LA rawoca 1 di — Com. Lipe, ILL, 538 og: Purp. VE, Mt 
Dio @ seri vere in quel volume: efr. Da- —123.L0SCOTTO: ire di Scozia, = L' IX 
miele, V, 5 ng. anita: (I re d'Inghilterra, 

uî. lia 
quo ti Phana: pri confioi. 

Mi ne pot ero 125. quaL DI Sraosa: Ferdinando IV, 
Farigi Fuippo li Ballo facendo contare re di Caetiglia (110-131, che lele Gis 

biltrra al Mori © ne 1212 foca morire 


eso grosso, ch'era a undici once è merce 
di fine, tanto Il feon peggiorare, che tornò 
quasi a metado, e simila la monala prima ; 
£ cost qualle dall'ore, ebe di ventitre 
mento carati le roeò a ca 
CASINA ncrgire pes nani a man re: 
leano: endo Il ro avanzava ogni dì libbre 
selmila di parigini, è più, ma gnastò e di- 
n Li palle del cheghiato, 
120. comuna : pelle qui 
pre ciogalalo la parto perl rotto, «Hal 
l'anno 1324 del mese di noverstre, il 








Par, xs. 1-10 


CANTO VENTESIMO 


CIELO SESTO 0 DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI 


CANTO DEI GIUSTI 
PRINCIPI GIUSTI NELL'IMMAGINE DELL'AQUILA 
FEDE E SALVAZIONE, ARCANI DELLA DIVINA PREDESTINAZIONE 


Quando colni che tutto il mondo alluma, 
Dell'emisperio nostro sì discende, 
Che il giorno d'ogni parta si consuma, 

Lo ciel, che sol di lui prima s'accende, 
Subitamente si rifà parvente 
Per molte luci, in che una risplende, 

E quest'atto del ciel mi venne a mente, 
Come il segno dol mondo è de' suoi duci 
Nel benedetto rostro fu tacente; 

10 Però che tutte quelle vive luci, 


V. 1-15, Canto det giusti. Come l'a- 
quita, Insegna del mondo e 
taoque nol benedetto rostro, tutte quello 
vivo Inci vioppiù lucendo comineiareno 
anti divini, la cul doloesza vità: 
mon si può esprimere ni 7 
umano, lumi beati che formani 
Jamagine, al mostrano vieppiù seintil- 
lanti per ardore di carità, in quei modo 
che, calando 1l selo, It cielo si arriva 
di stelle. 

1, COLUI 6at.: il solo, dal quale, secondo 
l'opluione del tempo, lo atelle rioorone 
tutto 1) loro lume, efr. Cone. IL, 14; IL, 
19, Cona. XI (« To son recuto al punto 
della rota »), 1 agg. 

2, nl pasciwnr: diamonta talmente. 

3. D'00s1 FANTR: del nostro embafero. 
= Ri cONsEMA: tion meno; + consumpta 
monte»; Virg., Amm. IT, 795, 

4. Cit a0x, sc0.1 che aveva var tune, 
por funalo unicamente V. vado, mentire di 
notte | lami vengino È wulipicarà ven 





[creto sesto] 


Pan. xx. 11-26 





Vie più lucendo, cominciaron canti 
Da mia memoria labili e caduci. 

O dolce amor che di riso t'ammauti, 
Quanto parevi ardente in quei flailli 
Ch'avieno spirto sol di pensier santi! 

Poscia che i cari 6 lucidi lapilli 
Ond'io vidi ingemmato il sesto lume, 
Poser silenzio agli angelici squilli, 

Udir mi parve un mormorar di fiume, 
Che scende chiaro giù di pietra in pietra, 

— Mostrando l'ubertà del suo cacume. 

E come suono al collo della cetra 
Pronde sun forma, e sì come al 
Della sampogna vento che penttra; 

as Così, rimosso d'aspettare indugio, 


Il. LUCEXDO: Al: LUCKNTI. — comi: 
cmarox: «la similitudine è în clò, ehe 00» 
ze all'unioa luce dal solo suosede la mol- 


13, RAnILIs afaggenti ; « nostro Diu 
Ialatur pectore voltus +; Viry., Zelog. 
1, 63. - capuct: « non di possibilità, ma 
d'atto ») Tom. 

amor: divino, = r'ammanti : ti fai 
manto di ridente luos; centr. Sale. 


chia, Costantino, Guglielmo e Rifto, for- 
mano fl ciglio dell'aquila. 

10. LariLLA: Int. Lapilins; grumo, pl- 
tre presioao ; et. Par. XV, 22; XVIII, 
115, sco. 

17, rL santo LUME: Giove, 11 seato pia- 
meta. 

18 rosen anzio : ammatolisce Il 
cune dal agndi pe der og di parta 
all'aquila. - squicti: canti armanlost. 

19. uN monmoRAR: tim mormorio di né» 
quo che scendono balzando di pietra in 


“21, cabtira: cima, ovo ha la sorgente) 
ofr. Per. XVII, 113. Con queata ricebora 
di acque lì Poeta vuol dare un'idea delia 
vigorosità di quel ssano, 

SE. AL COLLO r al manico dalla cetra, ilo» 
voll nocaatere fasteggia. «Come io ascnò 





[creo se870] Par. xx. 48-58 [occHio DELL'AQUILA] 901 
4 Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, 
Colui che più al becco mi g'accosta, 
La vedovella consolò del figlio: 
Ora conosce quanto caro costa 
Non seguir Cristo, per l’esperienza 
Di questa dolce e dell'opposta. 
E quel che segue in la circonferenza 
Di che ragiono, per l'arco superno, 
Morto indugiò per vera ponitonza: 
Ora conosce che il giudizio eterno 
Non si tramuta, quando degno preco 
Fa crastino laggiù dell'odierno. 
L'altro che segue, con le leggi 6 moco, 
Sotto buona intenzion che fo mal frutto, 
Per codero al Pastor, si foco greco: 
se Ora conosce come il mal dedutto 


43, PER cIGLIO: » mo' di ciglio. 


noguente, come Il peccato commesto, alla 
44. COLUI eco.: fl lume che sta anll'arco 


mus gonrigione. Paro che Il Peota peo 


del ciglio più vicino nl mio beeco 
Traiano, che foco giantizia alla 
Wtato morto © 
Setior ott. Perp. E: 7-0. 
cososor: essendo stato più necoli 
nell'inferno, sa per osperianza qualo sia 
la pena di eli nom seguo Cristo. + Quia, 
ncilfont, atetit in informali anguetia per 
quingentoa anne » ; Bene, Cfr. la at. al 
7. 106, 


uff quieta: bosta. - orrorta: infor 
40. quas, cos? Ranchia, re di Giada, al 


, Reg: X. mm 
val. XXXII; 3 Tenia, XXXVIIT, 1-22. 
50, 11 cum della quale otreomferenta, 
0 cerchio, 7. 43, - arco aurRRIrO; la par- 
to anperiore ilel ciglio. 
BI. men vira PReiTRRIA | la preghiora 
Rc a e bi ie i pl 


chase qui di anneroninmo. 
5% quaxno 1 Alt rec. 

proghiora; ofr. Inf. XXVIII, #0. 
DI. va CASTIRO ecc. fa di venire cos 

0 fatto del domani ciò cho dorera ew 


sale impre, e) Ai 

te Jo eda dello legis dele rm, dele 

Voguita è particotarmento Ins: 

ctr, Inf. XIX, 115 agga XXVIL 

84 sog. Por | DAG = on ca net 

« ‘dalle leggi © dal mio so 
no »; Buti. 


14. nooxa: efr. De Mon, IL 12, 12,» 








siena» 





Torno sesto) Pan. xx. 100-118 [rep R saLure] 905 





100 La prima vita del ciglio e la quinta 
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi 
La region degli angoli dipinta. 
Dei corpi suoi non useîr, come credi, 
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede, 
Quel de’ passuri, e quel de passi piedi. 
Chè 1 l'una dello Inferno, u' non si reds 
iammai . buon no tornò all'onse 


ia ehi er suscitarla, 
fr» ia esger mossa, 


100. iti Pe DLL 
' ‘ pi 


- 108, LA REATO DEGLI amara: 4 eloli. 
praegrai Erea) 1 cieli sono la re- 
gione 


per opera di Di Gregis Toh, 
nomini beati, Vit. 8, Oreg. M. IL, d4. 0. Porte, 
um. tAeol, eita la lon rc1070 RE E 

8: 102,2; 1, u, 47, 3; LI 
rita; facendo parto dell'aquila [vi di- 
pinta da Dio; ofr. Par. XVIII, 109, 

109. auoti loro, 

105: quat: lo spieito di Rifeo uscì del 
corpo in farma fede nella fatara, lo spi- 











Si, mentro che parlò, sì mi ricorda. 
Ch'io vidi le due luci bonedette, 
Pur come batter d'occhi si concorda, 
Con le parole muover le fiammette. 
146, LE Dux Loci masanerta: le due 
anime dente 


CANTO VENTESIMOPRIMO 


CIELO SETTIMO 0 DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI 


SALITA AL SETTIMO CIELO, LA SCALA CELESTE 
PIER DAMIANO, CONTRO IL LUSSO DEI PRELATI 


Già eran gli occhi miei rifissi al volto 
Della mia donna, e l'animo con essi, 
E da ogni altro intento s'ora tolto. 
E quella non ridea; ma «S'io ridessi,» 
Mi cominciò, « tu ti farosti quale 
Fu Semelè, quando di cener fessi; 
V.1-. Salita al elelo di Saturno, 
Tarminato Il discerso dell'aquila coleste, 
Dante volge di suora lo agardo 0 la 
peli n Deaiico; a qual più noe ride, 
Splantere di tal cia. Bantico li aan 
tia che al sono già elevati al cielo di Sa- 


| 


ii 


} yer] prontezza ul nbbbdire. 
celo di Saturno etr. Cone, IT, 14. 











[cizLo setmiMo] Pan. xx1. 41-54 [our pomAnDE] 911 


In quello sfavillar che insieme venne, 
Si come in certo grado si percosse; 
E quel che presso più ci si ritenne, 
Si fe’ si chiaro, ch'io dice: ponsando : 
«Io veggio ben l'amor che tu m'accenne. » 
Ma quella ond’io aspotto il come e il quando 
Del dire e del tacer, si sta; ond'io 
Contra il disìo fo ben ch'io non domando: 
Per ch’ella, che vedeva il tacer mio 
Nel veder di Colui che tutto vedo, 
_ Mi disse: « Solvi il tuo caldo disio!» 
d cominciai: « La mia mercede 
Ra mi fa degno della tua risposta; 
Ma, per colei che il chieder mi concede, 


41-42. nente è00.: «imperò cho quelli egli debba parlare @ tacere, non gli fà 
i Insieme 


n Bentrico, che 
mîrando in Dio vedo tutto ctò che pasa 
nell’antmo del Poeta, pli dice: «Sazia pa- 
rel'ardento tna brama »; e allota, rivolta 

venuti, è niquanti andorono altre’, e al- a quel vivo lame, Dante dice: « 11 mio 
quanti restarono quivi»; Buti, = « Et aio 
vide quomodo anotor reprassentat diver- 
104 discurane animarmm per di vorsca vo- 


tua luce, per qual cagione 
tu sei venuta sì presso a mo, più che le 
altro, © perchè la sinfonia, che suon M 
tatem et velocitatem; et inter ceteraa 
antmas anime CL regia nnt 
reloces, levos et expert grava 5 
tuo a carne, non fmpedim ab occnpatio- rv. d1-6î, Comincia dalla s6comdi, soma 
di gran lunga più importante. 
4G. 11 cOMR #11 quanno v Il modo ad 
il tempo del parlare o del tacore, 
47. st STA: nom fa alenn cenno, 
AR. CONTRA IL Disto ace: fo ano n 
vea domandare, denrhò senta vivo de 
siderso di domnodare. Così 1 più. Invece 
Biag.: « Fo certo contra il mulo dota 

















Prondendo il cibo di 
Or voglion quinci e quindi ehi 
Li moderni pastori, e chi li menî 
(Tanto son gravi!), e chi di dietro gli alzi. 
Cuopron de’ manti loro i palafreni, 
SÌ che due bestio van sott’ una pello; 
O pazienza, che tanto sostieni T» 
A questa voce vid'io più fiammelle 
Di grado i in grado scendere 6 girarsi, 
£d ogni giro le facea più belle: 
D'intorno a questa vennero, 0 fermarsi, 
E féro un grido di si alto suono, 
Che non potrebbe qui assimigliarsi : 
Nè io lo intesi; si mi vinse il tuono, 
199. ruaNDINDO: secondo Îl preostto esenò 
portolico, 1 Cor. X. 27, of inalesca ©appa»; Ott. Cfr, Cie. IL, 
REpLLt, 7. TV. XV, 783 IEXTV, 120. for 


135.0 PAZIENZA è veramente infinita di 
Dio; cfr. Rom. IX, 22, 


lp. 
non volendolo furo da sò modesimi, per 
superbia, tonendo camerieri a seri 
Betti. 


Alla finmmella di 
si ammmaniava l'anima boata di eta 


140. Ux 0nDO: Jen Cromite di nissta 
coleato adegno © Insieme 
giusta vendetta; ofr. Par, 


ato ad alonm 
dar 
TNTIERI 1 grido, ma nes m 
Inteal li n 
tp O qu 





Pag. xxm. 1-9 (vANTE ® BRATRICE] 919 





CANTO VENTESIMOSECONDO 


CIELO SETTIMO 0 DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI 


SAN BENEDETTO, CORRUZIONE DEI MONASTERI 


CIELO OTTAVO 0 STELLATO : SPIRITI TRIONFANTI 


IL SEGNO DEI GEMINI 
SGUARDO Al PIANETI ED ALLA TERRA 


Oppresso di stupore, alla mia guida 
Mi volsi, come parvol che ricorre 
Sempre colà dove più si confida; 
E quella, come madre che soccorre 
Subito al figlio pallido ed anelo 
Con la sua voce, che il suol ben disporre, 
Mi disse: « Non sai tu che tu se' in cielo? 
E non sai tu che il cielo è tutto santo, 
E ciò che ci si fa, vion da buon zelo? 


V.1e21, Ragione del grido det Gon- 
tempiativi. L'altiesimo grido, assordan- 
te cose tuono, fa stapiro ll Poeta, dhe 
ansioso, al volge a Ileatrioe, come ll fan 
ciullo alla madro. Beatrice gli rammenta 
cho è In elelo, dove tatto è asuto, e tatto 
ciò che vi si fa, precede da buon solo, 
Quindi gli dà Ia apiogazione di quel grido. 
Rete ma rei iesele prole gia eco» 

la rendotta, che veti 


1. orrumano; vinto; «sed te, ut video, 


atepae oppromit o: Deck, Gens pA 
» Beatrice. 


| Artor., Or. XLIV, 92. 

"i cOLÀ: alla mire, nella qualo 1 baei- 
Dino pone la maggior fiànela. 

4. come anke 000.; af, Snf. XXIII, 
37 egg. Purg. XXX, T0, Par, I, 100 agigi 

0. mx pIsrorxE: «non solo fargli enore, 
ma indurre ogni disposizione haona nel- 
l'animo sno »; Tor. 

T. im cino: dove non éè nulla da te- 








[oreLo serrato) Pag. xxt. 23-48 [s. nexeDETTO] 921 


E vidi cento sperule, che insieme 
Più s'abbellivan coi mutui rai. 

To stava como quei che in sè ripreme 
La punta del disio, e non s'attenta 
Del dimandar, si del troppo si teme. 

E la maggiore e la più luculenta 
Di quelle margarite innanzi faagi, 
Per far di sè la mia voglia contenta. 

Poi dentro a lei udi': «So tn vedessi, 

 Com'io, la carità che tra noi arde, 
Li tuoi concetti sarebbero espressi; 

Ma perchè tu, aspettando, non tarde 
All’alto fine, io ti farò risposta 
Pure al pensier di che sì ti riguurde. 

Quel monte a cui Casino è nella costa, 
Fa frequentato già in su la cima 
Dalla gonto ingannata o mal disposta. 

E quel son io, che su vi portai prima 
Lo nome di Colui che in terra adduase 
Lu verità che tanto ci sublima; 

E tanta grazia sovra me rilusse, 


Ciosto: moltissime; |l numero de —20. ruari 


tato di raggi Iucenti. 
DM. N'ABRELLITAN 001 MUTUI RAT: ra- 








[cero sentito] Pas. xt. 56-72 agzi84) 928 


» Così m'ha dilatata mia fidanza, 
Come il sol fa la rosa, quando aperta 
Tanto divien, quant'ell’ha di possanza: 

Però ti prego; e tu, padre, m'accerta 
S'io posso prender tanta grazia, ch'io 
Ti voggia con imagine scovorta.» 

Ond' ogli « Frato, il tuo alto disio 
S’'adempierà in su l’ultima spera, 
Dove s'adempion tutti gli altrî e il mio, 

Ivi è perfetta, matura ed intera 
Ciascuna disianza; in quella sola 
È ogni parto lì dovo sompr' ora; 

Porchè non è in Inogo, è non s'impola, 

E nostra scala infino ad essa varca; 
Onde così dal viso ti s'invola. 

Infin lassù la vide il patriarca 
Tacob porgere la superna parto, 
Quando gli apparve d’angeli si carca. 


87. QUANT uLL' A+ quanto essa i può 
aprire. « Diviene così bella e grossa, come 
pr lla divealro, dopo he si è npert@ 


2106 Go tan sconta Eva più 
stocegto palle Ieoe ha N cineemia, © LA 
vi pensano tatto l'ala coco 
Priore Il Greci dicono 
Plinio ta 01 baro o 
n poll sopra i quali giri» se 
pare che elancnno cielo, di sotto del Ori: 
stallino, ha doo peli fermi, quasto a sò; 
ripete 
And A POT n rn a a no accendo alcuno. Cone, IL, d, 
uiori li vealaso in questo Inogo » (0; Buti -—66-99. 
® Land. 


(CA Tu Longo Par, LEI, 70; 








Pan. xxn. 89-102 = [newepertin) 925 

Ed io con orazioni e con digiuno, 

E Francesco umilmente il suo convento. 
E so guardi il principio di ciascuno, 

Poscia riguardi là dov'è trascorso, 

Ta vederai del bianco fatto bruno. 
Veramente Giordan vòlto retrorso 

Più fu, e’1 mar foggir, quando Dio volse, 

Mirabile a veder, che qui il soccorso. » 
Così mi disse, ed indi si ricolse 

Al suo collegio, e il collegio si strinse; 

Poi, come turbo, tutto in su s'accolse. 
La dolce donna dietro 8 lor mi pinse 

Con un sol cenno su per quella scala, 

Sì sua virtù ls mia natura vinse; 


craLo sETT1MO] 


Li 


Così Velt, Lomb., ‘Quo, eco. Al. logge 


golo. « Petraa autem dixit: Argovtam 
DO: VERAMENTE GIORDAN VOLTO È ik 


et sorom non eat mihî e; Aft IL, 6. 


#0, CONVENTO: adunanza, congrega- 
alone; oîr, Purg. XXI, 93. 

ÎI. DI CIASCUNO: del tre conventi or 
ora nominati. 

03. TRAACORIO: nol auscemsori e di. 


0. DEL MAXCO FATTO mRUNO: le vir- 
tir tranmutate nel vizii opposti. « Qui 


tonauriezanti fn terra. To Benedetto cen 
orazioni a con digiuno; vol neri © bian 
chi monsel seguitato can orlo o con £hlet- 


MORBO! PIÙ PU IL MAN PUOSIK QUANDO 
Dio voLeg,oco, e spiegano; Lo cose ranuo 
veramente a rovescio come Il Giordano; 
matl fuggir del mare, quando Dio velle, 
fu così più mirabile a vedere, che qui il 
soccorso. Così Bufi, Land., Dan., Yent., 


SB: COLLESIO1 Prarmia 


Purg. XXVI, 190, 


ET 


100, poxna: Baatriea, 
N02, LA MIA MATURA: ln gravita nale 


rale del mio corpo, the mi mera) vuo, 














[orLo orrAYO] Pan. xx. 148-154 [sevARDO ALL'UNIV.] 929 


Tra il padre e il figlio; e quindi mi fa chiaro 
1 variar che fanno di lor dove. 
E tutti e sette mi si dimostraro 
Quanto son grandi, e quanto son veloci, 
E come sono in distante riparo. 
L’aiuola che ci fa tanto feroci, 
Volgendom'io con gli eterni Gemelli, 


si sil) 

148. TUTTI R erre: 1 pianeti: Luna, 
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, 
Batarno, fr. Dela Vatle, Senso, 113 ag. 
130 ng: Sppl,, 52 ag. Nuone Giuatraz., 
80 2g. 


160. # comK ce».1 @ nolla propria di- 
ch'è tra lo dimore del singoli pia: 

lo quali gil astronomi chiamano ew 

ne, è Dante ripari. « Quantità di corpo, 
velooità di corso ® dimanzia di loco gli 


fuo per tale vinta nota »; An. Por., Lam. 
181, L'ArDOLA: la Terra, piccola ala, 
riaperto al cioli. Dal nogno dei Gemini, tol 


#0. — Die. Comma. BA vlle. 


logata chiaramente ed approvata 
l'Anpettri In Bull. IX, 164 agg. 

156, OCCHI netti : di Bentricos # mt 
soîret quid omeî agenda >; 





980 [omo orravo] 


CANTO VENTESIMOTERZO 


CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI 


TRIONFO DI CRISTO ED INCORONAZIONE DI MARIA 


Come l'augello, intra le amate fronde, 
Posato al nido de' suoi dolci nati 
La notte che le cose ci nasconde, 

Che, per veder gli aspetti disiati 
E per trovar lo cibo onde li pasca, 

In che i gravi labor gli sono aggrati, 
Previene il tempo in su l’aperta frasca, 
E con ardente affetto il sole anpetta 

Fiso guardando, par che l'alba nasca; 

Così la donna mia si stava eretta 
Ed attenta, rivolta invèr la plaga 


V, 1-15: Dante e Beatrice, Boatrioo 7. ranvimRRi bbandona mme veunpo, 
prima Die 


1. L'avoRLLO: eft. Virg. 
agg: — AnatE: « per li 
naso novello vba nidi 
tot, Aehet, I, 212 nek. 
413 ag. 


ESSAELI 
put 


b, Rped. 1, 10 agg. — xATI 
AN Virp., Georg. LI, 008; III, 178. demi 
XI, 188; IV, 38 
È. La NOTTR occ. : durante la notte, 
the ci impedisce di vedero gli oggetti. 
4. Gli ARPETTI: de' anol dolci nati. 
#14 cun: neila qual rica del cibo 


Hi 


graditi, delci. «In co quot amutur, aut 
non nt labor matt si Aug, 
De Bon, Vià. 2. 





{[cizLo orravo] Pag. xxtr. 12-25 [TRIONFO DI CBIBTO) 931 


Sotto la quale il sol mostra men fretta: 
Sì che, veggendola io sospesa e vaga, 
Fecimi quale è quei che, disiando, 
Altro vorrla 0, sperando, s' appaga. 
Ma poco fu tra uno ed altro quando, 
Del mio attender, dico, e del vedere 
Lo ciel ve iù e più: rischiarando. 
E Beatrice dii « Ecco le achiere 
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutto 
Ricolto del girar di queste spero!» 
Parcami che il suo viso ardesse tutto, 
E gli occhi avea di letizia sì pieni, 
Che passar mi convien senza costrutto. 
v Quale nei plenilunîi sereni 


ni rapprosentino nelelelo ottavo. tra'qua- tore che vanisse Cristo co la preda ehe 
1iCristoapiondera come 6 più che*l solo; —mreva tolto al dimonio, o sì do' ansità pa 
filochà degna cosa è che elli fnga cho —dri del Limbo, e sì dei aenti erintlani.ha 
Criato ai rapproseatanse nel merzodì, no» 
clò soprastesse sopra tutti ll benti, como 
lo noto nta sopra noi, quando è al mert- 
diano»; Buti. Cfr, Oem. Lipe. ILL, 014. 

19, sosrEna: in ostatton anpettazion 
Vaa4: doxldorona. Sorsera e paga rinpoi 
do a eretta sd aftenta, v, 10,11, e s' illa» 
strano mutuamente. 

18. ALTRO eco: molte più 000 di quello raccolta, per seguire il trionfo di Cristo, 
che non ha, ed incomincia ad appagaral da tutte la afere, ov" l'era aparma È Conì 


spornudo. sembrano aver inteso Lan, Oi, Am. 
V, 16-46, LI trionfo di Ortato. Dopo Dont 


© nella luoe di quel Sola 
cento l’omanità di Crinto, A tal vista 


sa rammentarsi quel cho foce, nè, tanto 
meno, può narrarlo. 
16, TIA ©X0 KO ALTRO QuaNDo 1 tra 


pei con parola. 

10, LR scan: «Come li Romani, Etemlno Rtl estoie el rara SALON 
nando triunfuno, mesano Inanti al enrro wi LIM 

pre Ang lame 29, QUALE Bio.) e Quid mula, univa 











[omo ottavo] Pam. xXitt. 70-88 [MILIZIA CELESTE] 935 


s0 < Perchè la faccia mia sì t' 
Che tu non ti rivolgi al bel giardino 
Che sotto i raggi di Cristo a'infiora? 
Quivi è la rosa in che il Verbo divino 
Carne si fece; quivi son lì gigli 
Al cui odor sì prese il buon cammino, » 
Così Beatrice; ed io, ch'a’ suoi consigli 
Tutto era pronto, ancora mî rendeî 
Alla battaglia doi dobili cigli. 
Come a raggio di sol che puro mei 
Per fratta nube, già prato di fiori 
Vider, coperti d'ombra, gli occhi miei ; 
Vid'io così più turbe di splendori 
Falgorati di su di raggi ardenti, 


nare collo aguardo alla contemplazione esa ot odorem notitis ana manifostat 
della mirabilo viaiono. GIÀ Cristo è asee- per nea In omni Îoco; 








E coll’antico e col nuovo 
1 Colui che tien le chiavi di tal gloria. 
Tani eroe 1 dns di quo vaso 
molte dubbio, così com'è dubbia la le- 


gono. Cfr. Com. Lips. ILL, 7 
13%. coLL'axtico cos.: coll' assemblea 


CANTO VENTESIMOQUARTO 


CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI 'PRIONPANTI 


BAN PIETRO, DANTE ESAMINATO CIRCA LA FEDE 


<0 sodalizio eletto alla gran cena 
Del Banedetto Agnollo, il qual vi ciba 
Sì, che la vostra voglia è sempre piena; 
Se per grazia di Dio questi proliba 
Di quel che cade della vostra mensa, 
Anzi che morte tempo gli prescriba, 
Ponote mente nll' affezione immensa, 
E roratelo alquanto! Voi bevete 


atura del volgo a'plodi di 


Iicdpee ZIE, 0. in 
VOGLIA: ito, seguitando la me» 
tafora dalla cena. = roca: soddiutatto; 
off, P’ar. LX, 100. Apeeal. VIT, 10-17. 
4. PRELIBA : progunta; efr. Par. X, 59, 
Conv. I, 1: «Bio munque, ce nen maga 
Alla beata mensa, ua, fuggito dalla pu 





























Par. xxiv. 146-154 





LO OTTAVO] [BENEDIZIONE] 

















Che si dilata in fiamma, poi, vivace, 

E, come stella in cielo, in me scintilla. » 
Come il signor ch’ascolta quel che i piace, 
Da indi abbraccia il servo, gratulando 

Per la novella, tosto ch’ei si tace; 
Cosi benedicendomi cantando, 
Tre volte cinse me, sì com'io tacqui, 
L’ apostolico lume al cui comando 
To avea detto; sì nel dir gli piacqui! 


lsl mio credere în Dio nno e preso da timore e rimproverato da Vir 
I fonte dal quale attinsi que- gilio, usò la stessa immagine (XVII, 58) 
lenza, è il semo della fede Là, servo dignitosamente vergognoso 
più altre cose si estende che in faccia alla scienza umana che lo cor 
dere; la coi professione fo regge; qui, în cielo, servo umilmente 
lente.» Cfr. Zhom. Aq., Sum. lieto rimpetto alla divina che lo bene 
dice»; Z. Vent., Sii 
LANDO 
a dal Poeta della 1151. BENEDICENDOMI CANTANDO: « csn- 
la vita di San Pietro, lì pre- tandomi benedizioni »; Lomo. 

’ma di splendonte fiaccola, per 152. cINSK: al girò tre volte (all 
l sno contenta gli fn tre giri alla SS. Trinità) intorno alla mia fronte 
isieme, cantando, lo benedice. coronandomi così della sua Inc»: efr. Per 
i Altegoria della D. 0,212 ag. XXV, 12. Alcuni intendono che 8. Pie 
Ck: i vale gli n loi; cfr. Inf. tro abbracviasse tre volte fl Poeta (0 
XXXIII, 15 AI:CIOCBKPIA- Land. Velt., Vent., 6co.), Come fa u 

Rervo racconta deve lume nd abbracciare un uomo? 

unto al ano sig #0 4. DETTO: parlato per prufeaare la 
sItri, è cosu del mia fede. - ALI FIACQUI: trattandosi della 
irerente me ciò cuE foto, {l lodaro sò stesso è lecito, «In 
può pertanto stare hoc gloriotur, qui gloriatar. scire e 













































[ctLo orrAvO) Paz. rtv. 182-139 [occHIO anmiat.] 961 


Che si facea del suon del trino spiro, 
Si come, per cessar fatica e rischio, 

Li remi, prin nell'acqua ripercossi, 

Tutti sî posan al sonar d'an fischio. 
Ahi, quanto nella mente mi commossi, 

Quando mi volsi per veder Beatrice, 
| Per non poter vederla, bench'io fossi 
Presso di lei e nel mondo falice { 


190, AL sONAR: of. 


us, pan 
sare a dacto reavoraz voi ad quissces: 
do, vel ad vitandani aigood parioe: 
Jam Imminena, facit usum albilam, ad 
quer subito omnes quissunt; neò cat 
rox vel dux in mundo, coi tam cito par 
"o bag lacneli 
tor a an . Ad pro ergo 
avotor Indicat festinar obedientiam apo- 


tlam nsutarum, qui atatim quistantar 
ad sibili patroni, Volebat enim Tohan- 
nos omnes quiescero, ut logueroter cum 
auotoro, » Bene. 





CANTO VENTESIMOSESTO 


CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI 


ESAME INTORNO ALLA CARITÀ, ADAMO 
IL PRIMO PECCATO, IL PRIMO TEMPO, LA PRIMA LINQUA 
LA PRIMA DIMORA 


Montr'io dubbiava per lo viso spento, 
Della falgida fiamma che lo spense, 
Usci uno spiro che mi fece attento, 

Dicendo: « Intanto che tu ti risensa 
Della vista che hai in me consanta, 
Ben è che ragionando la compense. 

Comincia dunque; e di'ove s'appunta 
L'anima tua, e fa' ragion che sia 
La vista in te smarrita e non defanta; 

10 Perchè la donna che per questa dia 


V..1-18. L'oggetto della carità, San 
Giovanni Incomincia l'esamo dal Porta 


nolla. 
l'oggetto della carità. « Charitaa eat amor 
Dei quo diligitur ut beatitudinia eble 
otum, sd quod ordinamur per fidem ot 
mpomi >; Thom, 4g., Sus. teol. I, 11,65, 
Bi ef. id, II, 11, 29-27. 
1 OUMMAVA : temeva d'aver pardato Il 
sento della vista.-L0 Ya#0: Al. 


12, XXV, 81. Spirare è usato por Il pare 
lare degli opiriti. 

4. TI ureman: Li risomai, riacquieti 1 
manzo della riata, 


© CONSUNTA : cho è ieimata ablbar 
tagliata A 


<d aspira l'anima Una, come n ene oltlmo 
fino»; Vall,- «Dore fl toa amura lim vue 
riposo o mo fandamento »j Pam, 


























CANTO VENTESIMOSETTIMO 


CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI 


PREDICA DI SAN PIETRO CONTRO I PONTEFICI ROMANI 
DOLORE CELESTE, SALITA AL NONO CIRLO 


CIELO NONO 0 CRISTALLINO: GERARCHIE ANGELIORE 


NATURA DEL PRIMO MOBILE 
BELLEZZA CELESTE E CORRUZIONE TERRESTRE 


<A) Padre, al Figlio, allo Spirito Santo » 
Cominciò « gloria!» tutto il Paradiso, 
Sì che m'inebbrinva il dolce canto. 

Ciò ch'io vedeva, mi sembrava un riso 
Dell'universo; per che mia ebbrezza 
Entrava per l'udire e per lo viso. 

O gioia! O ineffabile allegrezza! 

O vita intera d'amore e di pace! 
O senza brama sicura ricchezza ! 


3. 'onaniava: ofr. Salm. KXXV, 
9: « Inebriabontur ab nbertate doma 

















{creLo soxo] 


Pan. xxvin. 88-100 


[aALiTA] 979 


AB La mente innamorata, che donnea 
Con la mia donna sempre, di ridure 
Ad essa gli occhi, più che mai, ardea; 

E se natura od arte fe' pasturo 
Da pigliar occhi, per aver la monte, 
_ Incarnoumanno nelle sue pinture, 
Tutte adunate, parrebber niente 
Var lo piacer divin che mi rifulse, 
- Quando mi volsi al suo viso ridente, 
E la virtù che lo aguardo m’indulss, 
Del bel nido di Leda mi divelso, 
E nel ciel velocissimo m'impalse. 
Lo parti sue vicissimo cd occelse 


più di nn sogno zodiacale, eiod (ofr. nt. 
pres.) più di trenta gradi verso ponente. 
Danta era noi Gewslli, il solo nell'Arie- 
te; fra questi duo segni sta il Toro. 
‘aghoggia la mia donna, 


R8. DomKRA 
di compiace in lol; afr. Par. XXIV, 118 
89. nouxR: ricondarto, riafflasare, Pi 
dure con una r da riducere, come fare 
da Jacere, dire da dicere; sulla qual for- 
ma, indigena nell'alta Italia, ma ueata, 


oltre che da Dant 


to, da altri poeti toscani, 
Paredì, Pull 


XLI, 109. 


n 
«Mii mon favenali ardodat amo» 
II, 160. 

DI. xaruIA ODARTE: ele. Purg. XXXI, 
40, La. Vent,, Simi, 1 CARTURI I 
ate. Par, XXI, 19. Contr.: E me natura 
in caro amaua, cd arto nello sue rap 
presentazioni fe' pastura con cui nllet- 
tar gli occhi 0 conquistar quindi l'ani- 
mo, tatto adonate Inaiemo sarebbero us 
nulla verso in bellensa divina che vidi 
risplendere velgendomi al vis rideato 
di Beatrice, 

0î. ric AVI: « quia amor tranalt per 

Bene. 


oculo» ad anlmam À 
nolla faccia di 


paragone del. - wi ni 
1 et, Por, IX, 83, 031 


97. rxpuUtaR : dal lat, indulgente, ml com 
cnsse, mi largì, 

98, 100 Dì Lamia: la Costollazione dei 
Gemelli. Alluda alîa favole, pecomte la 


99. sEL CIEL vaLociamIo: nel elolo 
oristallizo, 0 primo mobile, salle eni ves 
locità afr. Cono, IX, d. Della Vatle, Nus 
ne illustraz., 120 ag. an" marunar i dal dat, 
Smpellere, mi apinse dentro. 
V. 100-120, Natrera del mono stelo. 
Xoo potendosi denlgnare un faoge me nori 
nalcho difforenca che past tra est 














fermo ‘NoNo] 


Par. xxvil. 148-148-xxyitt, 1-2 


[ronro] 983 





Per la centesma ch'è laggiù negletta, 
Ruggeran si questi cerchi superni, 
Che In fortuna che tanto s'aspetta, 
Lo poppe volgerà u’ son lo prore, 
Si che la classe correrà diretta; 
14 E vero frutto verrà dopo il fiore.» 


vot tosto avvenire, molte volte diciamo 


gl 
di circa 13 minuti [iirea la centealma 
giorno] dall'anno vero; er- 
corretto da papa Gregorio 
SKILL (1088) =; Llano, 
ofr. Gerem. XXV, 80. 
Gioele ILI, 10, Amos 1,3, 
« Faranno scondere anlla terra îndunal co- 
ul tempestosi e fieri, che la fortuna (la bur- 
rusca) cotanto altera, porchò neccasaria, 
cum bierà fatto la direzione dall'italtana 
naro»; Belli. 


145, LA FORTUNA: « Dip Valtri 
qui dobet extirparo cupiditatera de mune 
do, qui multani expootatar gt desidera 

Bena. Cfr. Purg. XX, 16. 

"°Tda.veronzi rioventtantalo vatocate 
tivo del mondo farà agli nomini mutar 
vi, = U'#0N LE FROM: Ali 1X BU Li PIRO- 
ns, lesione che importerebbe 


uomini andranno diritti al bene, 

148. VERO YLUTTO èco.: torna Alla Wi 
militudino dei fiori @ delle sustue vere 
(vv. 124-120) por dire cha gli nomini nomi 
nolo vorranno, ma anche Opererammo 00% 
aulino fermo I bene, 


CANTO VENTESIMOTTAVO 


CIELO NONO 0 CRISTALLINO: GERARCHIN ANGELICHE 


LÀ DIVINA ESSENZA E GLi ORDINI ANGELICI 
CONCORDANZA DEL BISTRMA DE'CIELI COLL'ORDINE DE'NOVE CERCHI 
LE ORRARCHIR CRLESTI 


Poscia che contro alla vita 
Dei miseri mortali aporso il vero 


Pol 
prensione della vita preseato, gli ha nper: 
to il vere, Date, guardando ne' begli 00- 


chi di let, vi vodo spoothiato un punto di 
scatlnime Ino. Sl ivelgo perciò 

cde aveva redoto ne 
gl Dennn. Il Panto è 
figura della indivisibile divialtà, etr, 











Lotexo xox0] Pag. cxviti. di-G4 [Nove ortomi] 987 


È sappi che il suo movere è si tosto 

Per l’affocato amore ond'egli è punto. » 
Ed io a lei: «Se il mondo fosso posto 

Con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, 
__Sazio m'avrobbo ciò che m'è proposto; 
Ma nel mondo sensibile si puote 

Veder le vòlte tanto più divine, 

Quant’ elle son dal centro più remote: 
Onde, se il mio disio dee aver fine 

Tn questo miro ed angelico templo, 

Che solo amore 6 luce ha por confine, 
Udir convienmi ancor come l’osemplo 

E l'esemplare non vanno d'un modo; 

Chè io per me indarno ciò contemplo. » 
< Se li tuoi diti non sono a tal nodo 
 Sufficionti, non è maraviglia; 

Tanto, per non tentare, è fatto sodo!» 
Così la donna mia; poi disse: « Piglia 

Quel ch'io ti dicerò, s0 vuoi saziarti; 

Ed intorno da esso t'assottiglia, 

s“ Li cerchi corporaî sono ampi ed arti 


45, mon: ole, Come. LL, d. Rip, Kan, —Saerell cielo, ofr, TI ep. XXI, 3. 
timolato, X.6, Miehea, 1,3. Apoo. VIL, 38; XL, 194 
(LI 
47. ix QUELLE: Al: DI QUITI. - RO: 
tx: nel nove serehi ehe giruno intorno 
al Punto luminoso. 
4R sazio N'AVRRUNE : mi avrobibe con 
tentato © non ti chiederei altro. = ro 
10eTO: « mokso innanzi por cibe) presa 
la figura della tavola spparcechiata, © 


51. NAL cserno: dalla terra, elio nel 
slstoma di Tolomeo è Il contro dell' uni» 
verso. 


aver Ano so non più sopra, in Die»; Ande, 

13. mino: ammienbilo; efr, Par. XIV, 
BI XXIV, 36; XXX, 6 — trerto: 
tempio chiammasi sovente nelle Borittare 








{creto xoxò) 


Pan, xxvm. 77-88 [intra 1n10m.] 989 


Di maggio a più e di minore a meno, 
In ciascun cielo, a sua Intelligenza.» 
Come rimane splendido e sereno 
L’emisporio dell'aere, quando soffia 
- Borea da quella guancia ond* è più leno, 
Per che sì purga e risolve la roffia 
Che pria turbava, sì che il ciel ne ride 
Con le bellezze d’ogni sua parroffia; 
Così fec'io, poi che mi provvide 
La donna mia del suo risponder chiaro, 
E, come stella in cielo, il ver si vide. 
sa E poi che le parole sue restaro, 


angioli che sono più presso a Dio, hanno 

n governare. quegli que’ coli che sono 
rosso a Dio; © pol, di 

a in ordine degli angioli, disgra- 

dando ciascuno o dilungando Il cerchio 

suo più da Dio, tanto più ai dilunga al 

vt, 


ui ba n governare il più basso pinneto di 
tatti 1 nove pianeti. R dice Beatrice al- 
l’altore: Slesome la nona spera volge 0 
muore tulta l'altre spore, così il prima 
cerelto d'angoli, cioè { Serafiui, guida 0 
volge gli altri, © così si conforma into» 
mo l'uno coll' altro »; Patto Roer. 
TI, MAGGIO! 


Intelligonza, di minore a minore. 
18. SUA: ehe lo muove; etr. Par. VIII, 


dal destro (ond'è più Zeno) fl maestrale 
agombra ell i 


pp 
non i 


fa è d' uo tuttora, benchè 











Ù 


{emo Nono] Par. sxviis. 128-189 forsanonia] 988 





E di giù vincon sì, che verso Dio 
Tatti tirati sono, e tutti tirano. 
E Dionisio con tanto dislo 
A contemplar questi ordini si mise, 
Che li nomò e distinse com'io; 
Ma Gregorio da Ini poi si divise; 
Onde, sì tosto come l'occhio aporse 
__In questo ciel, di sè medesmo riso. 
E se tanto segreto vor profferse 
Mortale in terra, non voglio ch'ammiri; 
Chè chi il vide quassù, gliel discoverse 
139. Con altro assai del ver di questi giri.» 
tirano è muovono, è agiscono Xx 135, oredato autore del De coleuti 
sopra pri inferiori, onde tutti somo tirati —Merarchia, 


vario fl Punto è tutti tirano 1 soggviti | 193. cono: che-ne parlo pie veduta. 
verso il Ponto che tatti ll tira. 139, Gamoonio: Magna, afr. Purg. E: 


cente "taglio, non d' un articolo di fede, 
130, TANTO AmIRKTO Vin: verità così 
nascoste, - morra: manifestò; EÉr, 
Por, ILL, 0, XXVI, 10%, 
nlelo, montro viveva In terra, rivelò agli 
000hi degli nomini verità al coculte, quale 


Uboga, in Ru ui ed tertbamo e00- 
um oretta, Ibkdeza rapena i Parmlli 
magnua, ioqnara, 101 Diem. Le cond, 
hier. 6 - nascovmRsE : rivelò. 

139. COS ALTRO sco. con molte altre 
verità concernenti questi elrvoli, cessa 
ordini angelloi. 














vai 
Pepi menta 


Lita 














o ito 














TeaeiRzo] 


Pan. xxx, 124-186 [rosa ortesta] 1018 


1% Nel giallo della rosa sempiterna, 
Che si dilata e digrada e redole 
Odor di lode al Sol che sempre verna, 
Qual è colui che tace e dicer vuole, 
Mi trasso Bontrico, o disso: « Mira 
Quanto è il convento delle bianche stole! 
Vedi nostra città quanto ella gira! 
Vedi li nostri seanni si ri) 
Che poca gente. omai ci si distra! 
In quel gran seggio a che tu gli cechi tieni 
Per la corona che già v'è su posta, 
Prima che tu a questo nozze ceni, 
136 Sederà l’alma, che fia giù agosta, 


da, quasi ano olezzo, un concento di lode 
all'Eterno. Mira, dico, quanto è grande 
l'adunanza del ‘bonti, quanto vasta la 
città eterna o como popolata! Già gli 
soanni sono ripiani talmente, «he poca 
gente manca ancora por compiore Il pre- 
destioxto numore degli eletti. Tu quel 
gran seggio vuoto che trao a n gli aguar- 
di tuoi, per easeevi sopra una corona Îm- 
portalo, sederò, prima cho tu, morendo, 
vengn a questa deatitadino, l'anitna che 
marà nognsta, di Arrigo VII, il quale 
verrà per driszare l'Italia prima cho ssa 
ala a ciò divposta. La cieca cupidigia ehe 
affascina vol mortali, vi ha fatti simili al 
bambino che muore di famo è caccia la 
dalla lungi da sò, Sarà allora capo della 
Chiana talo [ClomentoY), che occultamen- 


Jo caceierà giù nell” Inferno, nella 
del Simoniaci, e Bontfazlo VII, che 
enuto il pantidicato di luî sarà rimasto on: 
tro il foro dovo tu vedenti Nlosolò IXT, 
presipiterà più giù per cedere il poste al 
nuovo venuto, 

126. xEL GLALLO 006 : nel mozzo, dove 


120. Ar Bor.1 n Dio, — vana e (dal int. 


ver= primavera) forma Ivi primavera 
eterna; « sempre diletta col sno splen» 
doro la ana corte »; Buti, 

127. quaL eos.: mentre jo ara simile a 
colul che, pur sterno di para 
allenafoso per la gran mi 
ami trasse, ece. Cfr, Jgf. PER 
LX. 100, 1 più riferissono 

tudino a Beateico, che sen dece, ima die 
ciò che der ruote 











CANTO TRENTESIMOPRIMO 


EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI 


LA CANDIDA ROSA E LE API ANGELICHE, SAN BERNARDO 
ORAZIONE A BEATRICE, GLORIA DELLA VERGINE MARIA 


In forma dunque di candida rosa 
Mi si mostrava la milizia santa 
Che nel sno sanguo Uristo fece sposa; 
Ma l'altra, che volando vede e canta 
La gloria di Colui che la innamora, 
E la bontà che la fece cotanta, 
SÌ come schiera d'api, che s'infiora 
Una fiata od una si ritorna 
Là dove suo lavoro s'insapora; 
Nel gran fior discendeva che s'adorna 
Di tante foglie, e quindi risaliva 
Là dove il Suo Amor sempre soggiorna. 


ofr, Par. XXX, 129, - nona: efr, Fumrà 
III, Seme. 18, Dom. latere, 
2 au: efr. Par. XXX, 43 neg. 
3. yROR Bros: acquistò os propeta 
magno; efr. Atti, XX, 23, Par, XI, 50, 
4. L'autRA: la sebiora degli angoli, - 
Yotaspo: nen sedendo come | desti. 
0. PROR: AL: PACE. - COTANTA | N balla, 
figura è candido più che novo. nedilo, numerosa 0 gloriosa. 
acandono nelle foglie della rosa comuni- d. o'temona: N profonda el dari par 
eatrarno il suoso | ofr. Ving., dem. YI, 
107 agg: 

8. xD Una: Al: so avra, La mist, 
pondiplago l'incostante vagare, ma l'im 
pretore 
reatadivordine delle due cperazioni di 
morgorni no' fiori a far ritorno il'alveara. 

9, Lavono | il raccalito 10000 del fiori. = 
n'Dmarona: nì ceaverte in miebo; er. 
Virp., Georg. IV, 108 
1, CANDEDA ; | benti cho compongono la 12. i Suo Axor: Dio, Cfr. Perre, Fra- 
rosa celeste sono vestiti di bianche stole; —granze, GI, Com. Liga. IXL, 6 

















[rxPIRE0) 


Pag. xxx1, 84-97 (ADDIO A neATRICE] 1021 





Riconosco la grazia e la virtute. 

Tu m'hai di servo tratto a libertate 
Per tutte quelle vie, per tutti i modi, 
Che di ciò fare avéi la potestato. 

La tua magnificenza in me custodi 
Sì, che l’anima mia, che fatta hai sana, 
Piacente a te dal corpo si dianodil» 

Così orai; ed ella, sì lontana 
Como parea, sorrise e riguardommi; 
Poi si tornò all' Eterna Fontana. 

E il santo sene « Acciò che tu assommi 
Perfettamente » disse, «il tuo cammino, 
A che prego ed amor santo mandommi, 

Vola con gli occhi per questo giardino; 


86, arRvo: del peccato. Cfr. Thom. 

A9., Sum, theok, IT, 11,189, 4. Purg. L 71. 
87, Avi: avevi; efr. Inf. XXX, 110, 

Nonnue., Ve 

rum et exbortatiene pruni 

vin ot qui modi poterant liberare mo a 

sorvitute»: Reno. La lezione Avrax è 

inaccettabile, 


: la liberazione da esso, guarigione; 
ofr. Purg. XXVIî, 140, 

20. rIACKSTE A TR: in intato di grazia. 
— ai uteoni: al dimololiga. 

02. ranza: al Poeta, anoer mortale; 
moptro in verità nell’ Empîteo non v'ba 
più misura alcuna, nò di tempo nò di spa 

riguar 


zio, - somusx: quel sorridere @ 
daro fl Poeta che Ia avec, è sogno tacito 
è benigne ch'egli è ndito ed esandito. 
19. ni roRtò; si velso novamente a 
Dio; er. Perg. XXVIII, 148.» Emma 
FOSTARA! « npud to ent fon viti; et 
ln lamino tue videbimoe iumen +; Pani. 
XXXY, 10, Cfr. Gere, IL 13. Par. 
î 


pensaro a Bostrice, Dan 
cora aurato «li cotni cb ulla gil da man 
dato n terminare &l suo diniro, Per San 
Dernando ngi non ha avnte che una pa- 
sula: Ela 09/27 1) once nno mon aveva 
luogo ne ton per Beatrice; e non np- 
pena ndita In risposta, ha rivolti sen- 


n'altro A lei gli cochi o la menta, Pie 











Paz. xxxil. 1-6 [ROSA CELESTE] 1025 


CANTO TRENTESIMOSECONDO 


EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI 


ARTIFICIO DELLA ROSA CELESTE, PARGOLI BEAMI 
MARIA E GABRIELE 
1 GRANDI PATRIZI DELLA CELESTE GERUSALEMME 


Affotto al suo piacer, quel contemplante 
Libero officio di dottore assunse, 
E cominciò queste parole sante: 

< La piaga che Maria richiuso od | UDRO, 
Quella ch'è tanto bella da' suoi piedi, 
È colei che l'aperse 0 che la punso, 


V, 1-99, 4i della resa cele 
ate, Tatto intento x vaghoggiare Maria, 
oggatto del suo amore, Sl contemplasite 


#0, Sotto Marla, dinposto in fia di gra- 
dino lu gradiuo l'una sotto l' alten, seg: 
gono va, Rachelo, Sara, Rebecos, Lat, 
© così di seguito altro donne ebree non 


to 
So Patto. 841 più nl liv i a ferire 
@ Marla, «lede Giovani Battista, 
Piena 
Matt, XI, 13); sotto di lai San France 
nco, poi San Benedetto, Sant' Agoetino, ed 
alti 0 Damlesti di quad ta grade 
no, | quali da questa parte fermano 
toda di Alviano ta” beat dd sue e 


03. — Die. Come, 3A illa 


quei del vecoliio Patto, como fanno dal- 
donne ebree, Alla de 


‘così tutto Il gemere mato. 
Sn tiatarativo 1 prosatto di Die sd “ 
sedarre Adlnmo fa tatt’ una così, ma fi» 
reso duo cose ban diverse; eîr. Ameri 
III, 6 Seoando il Ronch., | duo verbi 














{axeiRz0] Par, xoxin 54-70 [PAROLI BRATI] 1029 


Se non come tristizia, 0 sete, 0 fame; 
Chè per eterna leggo è stabilito 
Quantanque vedi, sì che giustamente 
Ci si rispondo dall’anello al dito. 
E però questa festinata gente 
A vera vita non è sine causa 
Intra sè qui più e meno eccellente. 
Lo Rege per cni questo regno pausa 
In tanto amore ed in tanto diletto, 
Che nulla volontà è di più ansa, 


Diversamente; e qui basti l’ effetto. 
E ciò espresso e chiaro vi si nota 
Nella Scrittura santa in quei gemelli 
Che nella madre ebber l’ira commota. 
co) Però, secondo il color dei capelli 


me non vi hanno luoge nò tristezza, nè 
mete, pè famo. Ofr. Thom. dg., Sum. 
Theok. III, 69, 

54. raxcn: ele. Iooîo, XLIX, 10. Apo 
cul. VII, 16, XXI, 4 

B507. CHÈ PRR RTRRXA Lanon o00.: 
tutto ciò che {guantunque) vedi in que- 
ato celoste regno, sino alle più piccole 
coso, è prestabilito ab eterno per modo 
che il fatto corrisponde nl volore di Dio, 
ll grado della gloria al grado del marito 
* della grani, come l'anaio corrisponde 
al dito. 

GB. FASTINATA GITE: gente che n'è 
affrettata tetr, Purp. XXXIII, 90), ch'è 
venuta prima del sataral quo tempo alla 
vora vita celeste. Chiama così i bambini 
morti avanti l' età della ragione ed ne- 
coll in clelo, 

69. suse CAUSA : senza cagione. Non a 
caso, non senza ragione | bambini sono 
diatioti in gradi più o meno cocelni di 
gioria ® beatitudine, 

60. INTRA KR: por rinpotto di sò me- 
desimo, cioè tra loro, cloè abe l'uno ha 
più bentitudine che l'altro »; But. Sulla 
lezione INTRASI, ENTRABI, che veramente 
è di molti codd., ediz, è comm. aot, ofr, 
Gom. Lips. TLT, 540 ag. Qui notiamo solo 
che, data quoata lex., |mottero dn 
punti dopo causa 6 che il senso ovm- 
Plosslvo della terzina non mita. 

61. Rim: Dio.«Pausa: riposa, ba pot, 











[eatP1RE0] 


E drizzeremo gli occhi al Primo Amore, 
Sì che, guardando verso luî, penòtri, 
Quant’ è possibil, per lo suo fulgore, 

Veramente, nè forse tu t'arretri, 
Movendo l’ali tue, credendo oltrarti, 
Orando, grazia convien che s'impetri; 

Grazia da quella che può aiutarti; 

E tu mi segui con l’ affezione, 
Sì che dal dicer mio lo cor non parti.» 


151 E cominciò questa santa orazione: 


142, Panto Axonr: Dio. In Inf. LTT, 6 
e Par. VI, 11 Primo Amore è lo Spirito 
Santo. Sui punto di elovarul alla visione 
dolla 88, Trinità, chiama così Dio Uno e 


Trino. 
+ t'adilontei, &' inetoul. 


el 
avvenga per avvantura che ta, tentando 
d'inoltrarti, non abbla n retroeadare, 
oredendo di andare in su, ti rimani 
Di nà forse per afinchè non, alla lat 
non manoano altri esnmpi nell’ antico ii 
liano; ofr. Com. Zipe. LIS, BS0,-« Ne 
forte tu retrosedaa et elongeris a fino 
intento... qual dicnt: no temere tentes 
cum perieulo tue ruinme volare ud tan- 
tam altitodinem proprila viribua tale eb 
eum toto studio theologim, quia tune 
magia olomgarerie a algno quanto magia 
accedere fastinarea »; Bene. 


148. MOvRNDO L'aLI TUR: per tua pro: 
pria visit; « movondo lo ingegno fee la 
alto co la ragione e ce lo ini 


potendo mantalmente la preghiera, al’ fo 
verrò diond. 

150. PARTI: divida, diagianga, + Be 
guimi con l'afferione sì futtamento, che 
ta non diparti il tuo coore dal mio par 
lare»; Dan. — « Appropinguat 
fate ore suo ot Iabila aula giorificat mo, 
cor sotom elus longe est a me») Trade 
XXIX, 13; ofr. Maat. XV, B, 9. Marco 


VII, 0, 7. 
151, onazione: colla quale Incominela 
41 canto seguonte ed ultimo, 








[axemo) 


Par. xxxtti. 4-21 


Tu se' colei che l' umana natura 
Nobilitasti sì, che il suo Fattore 
Non disdegnò di farai sua fattura. 

Nel ventro tuo si raccese l'amore 
Per lo cui caldo nell'eterna pace 
Così è germinato questo fiore. 

î noi meridiana face 
Di caritate; e giuso, intra i mortali, 


Se” 


speranza fontana vivace. 


Donna, se' tanto grande e tanto vali, 
Che, qual vuol grazia ed a te non ricorre, 
Sua disianza vuol volar senz'alî. 

La tua bonignità non pur soccorre 
A chi domanda, ma molte fiate 
Liberamente ul domandar precorre. 

In te misericordia, in te pietate, 
In to niagnificenza, in te s'aduna 
Quantunque in creatura è di bontate! 


quel deoreto. Termine fisso d'rterieo com. 


creto 
accenti così marcati n distanze uguali, 
danno efficacia Insaperi 

solennità joratica al verso gravissimo @ 
piano, che fa ripenanre - tante cose com- 
prendo-a quel varsi Kschilel che sulla 
bilancia dell'antico comico vincerano 
sompre. » 

5,800: dell'amana natura, il Fattoro, 
della quale è il divim Verbo necondo 
Giov, 1, 3, Oslose. I, 18, Ebrei I, 2. 

dell” owgrtev bl) Dgliuolo 
2 


1 tra Dio e gli uomini. 

#0, PRRLO CUI CALDO e00.: por il quale 
amore tante anime sono fatto degno dl 
easore nel Paradiso, © farmarei quento 
fioro. = GERMINATO: prodotto, 

10, MEXIDIANA FACE e00.: fiacco ardente 
como il sole n mezsedì a che accendo 
la carità; « altieimo elogio sopra tutti 
è quasi Iperbolico, che Maria infami 
l’amore dei Mati, clvo pur vedono Dio»; 
Piateiti, &. 0, pi Bo 

12. vivaok: fonte sempre riva, inasma- 
ribile, di apornnza, 

14. QUAL: qualunque, chiangne, 

16, pintamza | desiderio; come ln Par. 


XXI, 68; XXIIT, 30, 11 desiderio di 
eenguo mer graga o non iooetai ft 
è vano ed ilinsarto, some quello di chi 
non avendo ali, volessa velaro; vale a 
diro; desidara 1' impossibità, Ogni grana 
vien da Dio pee l' intercessione di Maria. 
18 LIMENAMINTE 200,1 apontanmamione 
te previene la preghiera, 
20, 19 TR MASIIPPORNZA 1 « non el fig: 
ga quella parola * maguifiesaza  ebo ta 
fi senso di ' potenea 


grandi cose operato ' serbata da Dante 
al tre momenti astannì, qsando dice 
l'elogio di Can Granito [Far, XVII, 86}, 
i Dentice (Par. XXXT, 0), di 


TUNgER 
parsvIII. 103 e00, «Quaaal diont: quod aln- 
virtute dietriba: 


dignisaimo ln hta; ita quod custa virgi: 
nllas quan est la spiritibuebuaaribaa, pri 
dens operositas mercurialiuio, boniguitax 
vol benigna carita» venereorum, elura 
piontie solariano, nodax fortitudo martia= 
liom, Inetita tastitia fovintiura, solitaria 


datbaa. 
Uaalina è Ita nedor 











Cartzo] Pax. xxtmtt 58-72 [soccorso pIyrNo] 1041 





88 Qual è colui che somniando vede, 
E dopo il sogno la passione impressa 
Rimane, e l’altro alla mente non riede; 
Cotal son io; chè quasi tutta cossa 
Mia visione, ed ancor mi distilla 
Nel cuor lo dolce che nacque da ossa: 
Così la neve al sol si disigil): 
Così al vento nelle foglie 
Si perdea la sentenza di Sibilla, 
0 Somma Luce che tanto ti levi 
Dai concetti mortali, alla mia mente 
Ripresta un poco di quel che parevi, 
È fa'la lingua mia tanto possente, 
Ch'uns favilla sol della tua gloria 
Possa lasciare alla futura gente; 


tallatto nostro, L'altra sì è che fisumeata testo è quasl tntto spinto Sl ricono 
della beata visione, ma dara tuttavia nel 


dopo di aguardaro, diavinin ciascona stia 
operazione, » 


chè del ano fulgore vincente ogni frmimie- 
gine umana, se case torni na poco alla 
memoria dei Poeta 0 sia da lui comun- 
quo descritto, n avrà dalla geate più 
chiaro concetto. 

BR AOMNEANDO: Al: SOGNANDO 3 A0%- 
waxpo. +Sul fine della visione beatifica 
ai spenge nol Posta la memoria delle ce- 
Jeati cose vedute, ma gii resta In core 
l' impressieze della dolcozza che gliene 
venno; come l'aumo ehe destatosi con- 
tinua a provare la passione (sla d'affanmo 
ala d'allegrann cogianabo da pr sog. 
benchè di questo più son sì »i 
L. Vend,, Stmik, 226. Cfr, Daw. 1%, 1 

50, La rasstosiz il commovimanto del: 


gno: afr. Por. XXI11, 48 sg. + Qui per 
esempio dice odo tanto gli è rimaro di vi: 














{extrrzo] Pan, sxxris. 196-148 





Tale era io a quella vista nuova: 
Veder voleva come si convenne 
L’imago al cerchio, e come vi s'indova; 
Ma non eran da ciò le proprie penne; 
So non che la mia mento fu percossa 
un fulgore in cho sun voglia venne. 
alta fantasia qui mancò possa; 
già volgeva il mio disiro e il velle, 


prenderlo, un fulgore di Înce divino gli 

‘penetra negli occhi @ gli rivela Il vero, 

Qui la mente ana, per quanto subilina» 

ta, non paò veder più oltre, La visone 

coma. Ma di tale cessazione, perchè vo: 
il Poeta 


uniformità «formale ad cato beato ame » 
(Par.III, 79), mostra che ogli ha già teo: 
cata l'ultima perfezione 0 l'altima bea- 
titadino. 

(341: rutoRRI de un lampi della gr 

divina, a cut renne ta voptia della 

zala mento, cioà, m' apparvo quei cho la 
unla monte roleva conoscere : obi la mpie- 































per pora bonaceta, 

| che dallo braccia 

[ìta ha sì gran braccia, 
Rmbo le bracela. 
itume con o braccia, 


fau con la sue braccia 


tesa in lo ene braccia 
ndo in Te sue braccia, 


ndo andare a caccia. 


balla caccia 
vd correndo in cacca 
reggendo la caccia, 
o 8° pascor caccia 

si contacola. 


h' altri "1 disfacota. 
piaccia, 


nÎo, non t 

t alla Yacos 

n gu l'ardita (eci 
dalla nocia 





È giazinai va sl videro in fornace 

e Lo eurpo, ondella fu cocciata giace 

|" Conteril la memoria ila. che giace 
Dappiè guardando îa torha © 

Libor di tutto s00 cs 

È 1 Carro tutto sovra ‘1 Co 

Quando disantimat 













D'aprir lo cuore 
Dentro dal clal della 


dita, ed 10 





E venni 
E da sel 











Tal ti foco in bestia Senza 
i carro Volst si atto © sat pata 
in iui vedere ba la «ia pico 






pata ‘en pre 
- 


Nol pregheremmmo I 





























































































































































































































INDICE 
DEI NOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI 


CONTENUTE 


NELLA DIVINA COMMEDIA 








INDICE 
DEI NOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI 


CONTENUTE 


NELLA DIVINA COMMEDIA 








INDICE 
MI PROPRII E DI COSE NOTABILI 


CONTENUTE 


{ HEDA DIVINA COMMEDIA 


A 
Abati (degli fail Tof., 0. 82, v. 


0. dv 78814 
Purg., 0.3, v. 105. 
f., 0, Gv, 691 0 1, Ti 

si, v. &. Pang, 6.9; 


20, v. 40) 022, #. 37: e Sd, 
+67, 130, 80, 108) 0119, 
its a, 26, 7; #3, DI, 10050 
136, 


romelano. Inf; a. 30, vs Gi; 


è Adige, fiume, Tot, 0. 13, 
v. 5. Parg., e. 10, v. 115, Par,, e. 


d ind, fumigio. Pur 
ramo, lito, Par., & 


té, vi dis. 
Love 189, 





Adriano 1V. Parg., 0.19, v, Wong, 

Adrintieo, mare. InC, è. 6, v. 
Purg. o. 14, v, 92, Par., 0; 21, v. 19% 

Adulatori, Int, c. 18, v. 160 agg. 

Atfricano Scipione. Purg, ©, 29, 
v. 110. Y. Solpione, 

ARA Agnpito I, Par., 0, 9, 


Fedza 41.0, 

Agnione, perdi po © 22, 7.107, 

Agiaure. Purg: a 1 FU 

Agmet, Intontono alcuni detto per Ati 
gelo. © per Agmallo Bruseliechlo n 
© 25, Y. 

Agobbio,o Gubbio, Porg.,0.11,v; 10, 

Agostino (5.), Par, ©, 10, 7. 190} & 
33, v. 

Pra so , frato min, Par. è. 12, , 190. 

cento, meno, Perg, 1, Y. 1 
Afugtione. V 
ASTI V. Anguato Ollavisno. 
Fieschi, org, è. 19, 1,16% 

Ala mn o Ammgmt, chità, Purg, 0,80, 
vi 86. Par, 0, 98, v, 148, 

Alardo, Inf, e. 28, v. IR 

Albn Lumgn, Pur, ©. 8, v. 37, 

Alberichi, fumigiia. Var, 0. 18, 7.8 

Atberiae dei Manfredi, irato 











ro. Pirg., 0. 17, v. 38. 


Astri, Dabblo di Dante sulla tnfinenza 
di cm: Parg., 0, 10, v. 61 agg: 
Atamante. Inf., 6. 39, v. d 
12, v. 17. Parg.;0. &, 





car mie riot 
vi 14. 
reg 
Daoto. Par., è. 28, v. 197. 
Amamato, per Federigo 1 Inf, 13, 


Alga astaviamo pi Istiesta 
v. 71 Purg, 06.7, r. 010, 20, 7. M& 
Par., e. 8, v. Tè, 

Autide, ciftà, Inf, o. 20, v. IL 

Anrorn. Parg., c, 2, y. & Cencabina 
di Ditono: Purg., e. 9, v. or © 

UG 


Austro. Porg., 6.30, v.89,0.3ì, v. 78; 


Avari pauiti. Tof., è. 7, v, 25 egg. 
Porg.. ©. 19, v. 76 agg: 
Avarizia. Inf., e. Ì, v, dd, 
Aventino, colle, InL., 0. 15, 7. 36; 
Averrete, è Averroe, Int, e. & 


Annone VITI d' Este Inf, 0.18, f, 
1% 0). Purg., 0. 5, v. 77 


© Kee, detto per Bice, sincope di 
Beatrice, Par., o. 7, v, 34, 


Madin di S Benedetto. Lul,, 2.10, 7.100. 

Magnecavatto, catelio: Parg:; 0: 1 
v. 1) 

Bagnoregio, 0 Hngnorea, elttà, 
Par., 6. 12, v. 198 

Baldo d'Aguglione. Par., 0. 16, v, 36, 

marnitieri, Inf, e, 21 e & 

Barbagia, insgo in Sardegna. Purg, 
© 29, v, dI 

Baebare (tone), più prdiehe delle flo» 
rentine, Purg, ©. 29, v. 109, 

Barbari settentrionali. Par., 6, 31, 
v. ti 











ISDICE DEI NOMI PEOPBII E DI COSR NOTABILI dor 





Cincinnnato. Par., e. 15, y. 12. FL 
Quinzio. 

Gionedo' Tarlali, accennate. Purg. 6. 

ci do di Gerusalemme, per iti o 

Geroaalemmo, Y. Carlo IT. 


datori fraudolenti pasti, Inf.. 0. 
20, v. 3 agg. 
Conte Guido. Par., o. 10, 48, 
Par., e. 30, 


7.19 
1, 618, v. 1977 


Corneto, drag 1 


famiglia 
Par,, 6, 10, v, I 
Coscienza para. Inf., 0. 24, v. 1là 
Cosenza, città, Purg., 6. d, vr. 1%. 





Centaittno Mague-Tot 618 7 200; 
027, 7. dl ne E 7 
ab vo ALLA 
Costantinopoli. Pare. dr, 
Costanza, V. 
Crnaso. Parg., è. 20, v. 116, 
reti, 0 Creta, Isola, Taf., 6, 13, v. 1%; 


maminta, cllià. Tal, e, 14, +, 10%, 
Cee 
Pat € 4, v. 181 0, 20, v. BB 
Dynielto, Arnibo, rosta prorvasala; 
Purg., è. 20, v. 115, MI 
Duannti, scoscono Je com arvenIÀ, 
è ton de presenti. Tul., m. 10, -v, 101 


agg 
panota, por Daanbio. Tuf., 0.33, Y. 20, 
ei Beetricoi 


108. P'arg., e, 16, v. 65. Parn 0, 20, 15, 
25, v. 72: 0.33, da 

Beet, arci romani, Par., o. 6, +, 47, 

Deeretnii (libro dello), Par., e. 9, yy 


16 
Deodato. Inf., e 17, v. 111) 0,29, Y 


Betania. Inf, 300.01 Prg, 


53, v. Md. 
a i TR 
ila Lena. Paget 








INDICE DEI NOMI PROPRI! E DI COSE NOTABILI 









Jeità, Apollo, Par,; o. 1,v.32. | Ebro, fiume. Par., c. 9, v. 89. 7.11 
la, Purg., 0. 20, v. 130. Feo, Par., o. 12, v. 14. 
ito. Inf., o. 4, v. 150. Ecloga RW di Virgillo, sccem 












inte. Par., 0. 9, v. 101. Porg., 0. 22, v. 70. 

loa. Parg., 0. 20, v. 132; 0.25, | Eeuba, regina. Inf., ©. 20, 7. 18 
Egiaio, frate. Par., e. 11, r. & 

iviera. Purg., c. 13, v. 163. | Elina, isoletta. Inf., ©. 29, v. sì 


0 Dido, Inf., 0,5, v. 61,85. | Egitto. Parg., c. 2, v. 46. Par. 
8, v. 9. v. 
























a (Esempi di). Purg., 0. 18, o. 5, v. G 
Xiettra, figlia di Agamennone In 
tà e Trinità di). Par., o. 39, v. 14, v. 121. 
EM, nome d' Iddio. Par., e. 
in, o Diogene, Inf., 0. 4, v. | Elta, profeta. Inf., ©. 28, 7. i 
v. 80. 
. Inf, 0. 26, v. 50, Elie», Purg., 0. 25, v. 131. Pare 





v. 32, 33 





Jr Venero, dea, Par., 0, 8, v. Orsa maggiore 






















Venere, pianeta, 0. 22, v. 144, | Elfeoma, monte. Parg., c. 29, ©. 
Areopagita. Par., 0. 10, v. | Ellodoro. P v. I 
8, v. 190, Elios, 0 Eccelno. Par., c. 14 r 
tiranno. Inf., 0. 19, v. 107. | Ellanbetta (Santa), madre di S 





jade Anarzabeo. Inf., 0, 4, v. | Battista. Purg., ©. 18, v. 100. 
Etisèo, profeta. Inf., ©. 26, v 

là infernale. Inf., 0, 8, v. 68; | Etinào, antenato di Daute. Par. e 

0. 12, v.89: e. 34, v. 20. 

città, Parg., 0. 20, v. 40, 

frate. Inf., 0, 28, v. 5 

ni. Par 

0 (San). Par 

















pe sd tto 








n 1 
sediacale. Purg. 0. 32. 
1, 7. 4016. 8, v, I. 


Aliizo v.impi Pari, 

Arrice T1 imp, Purg. €. #, *. 
Tv. 610. 39 v. 49 ( Persei: 
"82,027, e. 631, Begio preparato 

per alta paruico» Put, BO/V: 119: 

Arr 108. 


dI (kltarra. Tak, ‘049,1. 62. 
rannà, 0 Arsenate de' Venegiani. 
Tot, e. 21, +. 7, 

Azonii & Gatal SMR ri 


ie cantello, Inf., ©. 29, +. 131, 
Asdonte, caltolato, Inf., ©, 20. 7, 11k 
Asopo, finme. Purg,, 6. 18, v. di, 
Asatri. Porg., e. 12, r. #0. 
Ammuero, re. Parg., 0, 17, v, 
Astinenza (emmpi dii POPE; ©; 38, 


ds 
Astri. Debbie di Dante sulla inffneme 


È Purg... 
vi 139; a 10, +. Aimee T d 
tropde, Parea. Inf., è. 33, vr, 126, 





SRI RI, 13; e 1h 


Avgunto, per Federigo IL. int, 0.18 


Ateusto ottariace, imp. ht DES 
v. Ti, Parg., T,v.6; e. 2, v. 116. 
Par., e. 6. v. TR 

Antide, cità; Il, 0.3 7. mi 

Aurora. Purg., e. 2, vr. 

di Titano: Purg., o. 9, v. 1 M. 
Ausomin, o Italia, Par,, e. A, v. 81. 
Austria 0 Austerriceh, o Outer 

rice. Int, c. 33, r. Wi 

Astro. Purg., c. 3d, 7.82; e. 3, vr. 72; 
0: 33, 7. dA 

Avanti pente Tot, 0. 9: v 301000 


Averreta, 0 Averroe. Inf, o & 
v. 1 
Avicenna, Taf., e. 4. v, 13. 


Macennti. Parg., è, 18, v. 9, 
tomo, dune. Inf, 6 tà, 1: 
n. 


Marbariceia. 
VEDI 
Marburosan. 


Nouin, Pur. 
marueei, tuniglia, Pur. 0 VM 3 


IT, v. Th 














Traversaro Piero, Pary., 6. 14,v.38, 
Trentino Pastore. Int.,0. 20, v. 07. 
Trento, Int, o. 13, r. 6. 

mo, terra, Par., e. 10, v. 54 


Ubaldini, famiglia. Parg., 0, 


Ubaldini” (degli Ottavio; clicmato 
Ii Cardinale. Iuf., 0, 10, v, 190, 

A (degli) Rugpgiori. Inf e, 33. 

Pila. Parg., e. 24, v. 28. 


Vocetintoto, monte, Par.,e, 18, v, 130. 
Ughi, famiglia. Par,, o, 16, v. 88 
Uxrodi Brandimborgo. Par., 6. 16, 7, 12% 


‘Anno. Purg, c. 14, v. 105. 

Ugottno della Gherardesca, Int., e 83, 
v. 17 agg. 

Ugottno do' Fautolin, Purg., e. 
12, 

Usguocione della Gherardesca. Inf, ©, 
23, Y. Bd 

Uttaso, Inf, 0. 30, Y. vat 1 
r. 22. Por. 





tinzherin. Par.,c. 8, 7.84 6.19, 7.142, 

Urania, moss. Porg., 0. 29, 7. dl. 

Vrbano L. Par., e 27, v. sd 

Urbieiani, V. Orbisunt, 

trbino, cità. Inf., 0, 17, r.38. 

Urbisngiia, cità divireita, Par..c.19, 
v 


Unurn. Int, 0. 11, 7, 05 
Usurai punti. Inf, 


Vatbona (dl) Lizlo, V, Lizio, 
Vatenmonien, nel Bresciano. Tnf., è. 
20, +. 65, 
Valdarno. Parg., 0. LA, v. 30, 41. 
Vatdiohinan, i; s. 
Vnidigreve. Par., 0. 10, 7. 
Valdimagra, 0 Lunigiana, Tof., 
0. 34, v. 148 Purg, 6. B, V. Did; 
Vai di rado, Par., e. 18, v. IT. 
Vnngelleti quattro, Purg., c. 2, 7.82. 
Vanni della Monna. Inf, 0.84, r.5nk 
Vnuni Fuoei, Inf., €. 24, v. 125. 
Varo, fiume. Pan, e. 6, v. 6& 
Varro,o Varrone. Parg., 0.33, vl, 
Yatieano, celle. Par., ©. 188, 
Vecchio (del), famiglia, Par,, a 19, Y. 
LUI 
Vegiio di Creta. Inf, e, 14, v, 108 
ser. 
Veùlo d’oro; ana storia, 
sairazione () nel sora 


di nine 
Par., 0,33, Y. 


8, 7.3 ng.10. 9, v, 108 
Veononianb, 5 KImAGe lat, 28h 
vt. 
Vareelt; o Vereetto, cià TuL; 
28, 
Vordo, fiume, l' edierno Garigliano. 
Parg., ©. 3, v. 131. Par., 0. 8; v. 
Verona, città. Lal., 6, 10, v. 123, Parg, 
cv, 118, 
Veronese, Inf, 0. 30, vr. 8. 
Veronien, Par., 0. 33, v. 106, 
Verrueenio, cartello, Inl., e, 27, 1,46 


Vekpro sicîlluzò. Par., 0, 8, 1, TR 
Vetro inplombato, 
2,7, 38, 








INDICE DEI NOMI PROPRII B DI COSE NOTABILI 


























o degli Strami, strada in Parigi. 
lar., ©. 10, v. 197. 
me (delle) Piero, Inf., c. 13, v. 58. 
jeislao di Boemia. Purg., o. 7, y. 
1. Par., 0. 19, v, 125. 
legia, 0 Venezia. Par., 0. 19, v. 
lo 
Menti puniti. Inf., o. 12 sgg. 

ea, insegna de' Visconti, signori di 
lano. Parg., 0. 8, v. 80. 

nto, poeta. Inf... 1, v. 79. Purg. 

83; 0.21, 

| 195. Par., 0. 15, v. 26; 0. 17, v.19 


Jeonti di Pisa. V. Nino Visconti. 
|, famiglia. Par,, 0.16,v.119, 
del Dente. Inf., 0. 17, v. 88. 
tore (monastero di San). Par., e. 12, 
183. V. Riccardo e Ugo. 
to santo. Inf., c. 21, v. 48. 








Vot 
©, 5. 
Vulen: 





non adempiti. Par., e 41 





. Inf., 0. 14, v. 52.57. 


x 


Xerse, 0 Serne, re di Persia. Pu 
28, v. TI. Par., e. 8, v. 1%. 





Zama. Inf., c. 31, v. 115. 
zanehe Michele, siniscalco. Inf. 
v. 88; 0. 83, v. 14. 
Zesiro, vento, Par., e. 12, 7 
Zeno, 0 Zenone (San) di Y 
Purg., 0. 18, v. L1&. 
Zenone Cittico. Inf., e. 4, 7.1 
mita, santa. Inf., o. 21, v. 
Purg., c. 4, v. &4. Par 





| Edizioni - ULRICO HOEPLI —- Milano 





Biblioteca Dantesca 


vite, Scienza e Fede ai giorni di Dante, Conferenze Dantesche 
tenute a cura del Comitato Milanose della Società Dantesca Itallana 
nel MDCCCO, 1901. In-16, di pag. xxx1-324 con illustr, e nn ritr. 
inedito 


ntt ed altre INastraz. di Iapono Dai Luxco. 1891. 

di pag. vin 
arteggio Dantesco del Duca di Sxnsoxera, con 6. B. Giuttaxi, 
lonni, ed altri insigni dantof. In-16, di pag. 179. 8 — 
on Dante e per Dante. Discorsi è conferenze tenute a cura del 
Comitato Milanese della Società Dantesca. 1900. Un vol, di p. 368 
con molte illustrazioni e un ritratta Inedito a colori .... 6.50 

Logato în tutta pergamena 

Va Bonifazio VIII ad Arrigo VII, di 1. Dsr Luxco. Pegiee di 
atoria fiorentina per la vita dî Dante, 1899, dl pag. vuA47a. 5 — 
Vai tempi antichi ai tempi moderni — Da Dante al Leo- 
pardi, raccolta di studi erit., di riecrebe ator., filologiche e lotter., 
con facsimili e tavole. Per le nozze Seherillo-Negri. Un magnifico vol, 
in-4, di pag. xvi-782. Ediz. «di sole 300 copie +... 8 
il Re, La commedia col sommonto inedito ill 8, Ta» 
da Ricaldone, pubblicato per eum di V, Promis è di G. Nm 
1. Seconda ediz., 1888. ‘Tre vol. in-8, su carta n mano, con rl- 
0 ined., giudicato da una commis, govern., il più sutent. 25 — 
dante in Germania, di G. A. Scantazzivi. Storla letteraria e bi- 
bliogratia Duntesca alemanna. Parte I. Storia critica della Inttera- 
tura Dantesea alemanna dal sccolo XIV sino ni giorni nostri. Purte tf. 
Bibliografia Dantesca con cenni biografici degli nutori è bfhlografin 
sistematica, 1881-1883, 2 vol. in-4, di pog. rv-312 è 360, 22 — 
Dante nell'arte tedesca, dol prof. G. Loogtta, 1891. Un vol, tn-fal., 
di pag. vitr-30, con 25 tavolo, logatura ili Ina , . , .., 60 — 
Dantologia. Vita ed opere ti Danto Alighieri per G. A, BcaxtAzzisi 
0 N, Scanaxo. 9* ediz, 1906 di pag, xvi-417 a 
Dolle manifestazioni plasticho del sentimento nel perso 
uaggi della Divina Commedia, di M. Poresa, con 2 apipen- 
diei, 1902, in-16, di pag. x1-192 . .., + nad 
Del ritratto di Dante Alighieri, & ©, Naanoet pr con 
Documenti e un'Inclalono uil'aoquaforte, 1888, tu-d, su carta a mino, 


gbleri, a cum di L. Poracco, In-18, di pagino wu-9i , , 


egnapagine danteschi è Tavola sinottico della Dicino 
Commedia formata dal medestioi, a cor di L. Popacco. » — 








8089, LL CONE NI 
Trovasi in corso di stampa l’Appen 
Tavole sehematiche della Divina 
ghieri di L. l'orcco. » 
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IO, E ET 

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e cenni introduttivi ad uso delle letti 
cura di R. FoRNacIARI, 1905, Un vol. ir 

Legato în pelle... ...... È 

I primi influssi di Dante, del P 
sulla letteratura Spagnuola, di 
di documenti inediti, 1902... ... 

La pietà nell'Inferno di Dante, è 
interpretazione, 1893. In-8, di pag. > 

L’ influsso del pensiero latino sop 
medio evo, di F. Novati, ?* ed. rived 
in-16, di pag. xVI-288 ....... 

rIuMi 














Pi 
















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