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Full text of "La divina commedia"

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LA DIVINA 



COMMEDIA 



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DANTE AUGHIERI 



GIÀ XIDOTTA A MIGLIOR LMZtONR 



DAGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA 

ED ORA ACCUB ATAMfiVTB JEMEVDATA, 

ED ACCBESCIUTA DI YAK-IC LBZI0H1 

TRATTE DA UN AVTICHIS8IK0 CODICE. 



Tomo Secondo. 



LIVORNO MDCCCVL 

Presso Tommaso Masi e Gomp/ 
W Tipi Bodoniani • 



DEL PURGATORIO 

CANTO DEGIMOQUINTO. 



ÀRGOMEHTO 

• 

/ Poeti scorgono un Angelo, da cui viene loro mostrato 
il luogo della scala, su la quale salendo giungono, al 
terzo girone, ove si purga il peccato delPIra, Quivi 
Dante in un astasi rapito vede alcuni esempj di 
Mansuetudine: osservano poi un oscurissimo fummo ^ 
dal quale rimasero coperti^ 

^^uanto tra T ultimar dell'ora terza t 
E U principio del di par della spera , 
Che sempre, a guisa di fanciullo, scherza. 

Tanto pareva già in ver la sera 
Essere al Sol del 3uo corso rimaso: 
Yespero là, e qui mezza notte era; 

E i raggi ne ferian per mezzo '1 naso. 
Perchè per noi girato era si U monte , 
Che già dritti andavamo in ver T occaso; 



4 DEL PURGATORIO 

• 

Quando io sentila me gravar la fronte io 
Allo splendori^ assai più che di prima, 
£ stupor m'eran le cose non conte: 

Ond*io levai le mani in ver la cima 
Delle mie ciglia, e fecimi '1 solecchio. 
Che del soverchio visibile lima . 

Come quando dall' acqua , o dallo specchio 
Salta lo raggio air opposita parte , 
Salendo su per lo modo parecchio 

A quel , che scende , e tanto si diparte 
Dal cader della pietra in igual tratta^ ao 
Si come mostra esperienza et arte ; 

Cosi mi parve da luce rifratta * 
Ivi dinanzi a me esser percosso: 
Per eh' a fuggir la mia vista fu ratta. 

Che è quel, dolce padre, a che non posso 
Schermar lo viso, tanto che mi vaglia, 
Diss' io, e pare in ver noi esser mosso? 

Non ti maraviglijir, s' ancor t'abbaglia 
La famiglia del Cielo , a me rispose : 
Messo è , che viene ad invitar ch'uom saglia. 

Tosto sarà, eh' a veder queste cose (3o 

Non ti fia grave, ma fieti diletto. 
Quanto natura a sentir ti dispose. 



CANTO XV. & 

Poi giunti fummo all'Angel benedetto. 
Con lieta voce disse: Intrate quinci 
Ad un scaleo, vie men che gli altri, eretto. 

Noi montavamo già partiti Unci 
£ Beati misericordes fue 
Cantato retro, e: godi tu, che vinci. 

Lo mio Maestro et io, soli amendue, 40 
Suso andavamo, et io pensava, andando. 
Prode acquistar nelle parole sue ; 

' £ dirizzami a lui sì dimandando : 
Che volle dir lo spirto di Romagna, 
E divieto, e consorto menzionando? 

Per eh* egli a me: Di sua maggior magagna 
Conosce U danno ; e però non s' ammiri , 
Se ne riprende , perchè men sen piagna . 

Perchè s'appuntano i vostri desiri. 

Dove per compagnia parte si scema. So 
Invidia muove il mantaco a* sospiri. 

Ma se Tamor della spera suprema 
Torcesse *n suso '1 desiderio vostro. 
Non vi sarebbe al petto quella tema : 

Che per quanto si dice più lì nostro. 
Tanto possiede più di ben ciascuno, . 
E più di cantate arde 'n^quel chiostro • 

I E diiissaimi a lai 



* 6 DEL PURGATORIO 

Io son d* esser contento più digiuno , 
DissMo, che se mi fosse pria taciuto; 
E più di dubbio nella mente aduno: 60 

Com' esser puote, eh* un ben distrìbuto 
I più posseditor faccia più ricchi 
Di se , che se da pochi è posseduto^ 

Et egli a me: Perocché tu rificchi 
La mente pure alle cose terrene , 
Di vera luce tenebre dispicchi • 

Quello ^nfinito et ìnefFabil bene , 
Che lassù è, cosi corre ad amore, 
Com^ a lucido corpo raggio viene . 

Tanto si dà, quanto trova d* ardore; 70 
Sì, che quantunque carità si stende. 
Cresce sovr*essa T eterno valore : 

E quanta gente più lassù sMn tende. 

Più v^è da bene amare, e più vi s^ama, 
E come specchio F uno air altro rende . 

E se la mia ragion non ti disfama , 
Vedrai Beatrice : et ella pienamente 
Ti torrà questa, e ciascun* altra brama. 

Procaccia pur, che tosto sieno spente. 
Come son già le due, le cinque piaghe, 80 
Che si richiudon per esser dolente. 



CANTO XV. 7 

ComMo voleva dicer: Tu m'appaghe; 
Vidimi giunto i& su i^ altro girone , 
Sì che tacer mi fer le luci vaghe . 

Ivi mi parve in una visione 
Estatica di subito esser tratto, 
E vedere in un tempio più persone , 

Et una Donna in su Y entrar con atto 
Dolce di madre dicer: Figliuol mio. 
Perchè hai tu cosi verso noi fatto? 90 

Ecco dolenti lo tuo padre, et io 

Ti cercavamo; e come qui si tacque. 
Ciò, che pareva prima, dispario. 

Indi m* apparve un* altra con quell' acque 
Giù per le gote, che il dolor distilla. 
Quando per gran dispetto in altrui nacque, 

E dir: Se tu se^sire della villa. 
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite. 
Et onde ogni scienzia disfavilla. 

Vendica te di quelle braccia ardite, 100 
Ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato: 
E '1 signor mi parea benigno, e mite 

Risponder lei con viso temperato : 
Che farem noi a chi mal ne desira. 
Se quei , che ci ama , è per noi condannato ? 



8 DEL PURGATORIO 

Poi vidi genti accese in fuoco dMra 
Con pietre un giovinetto anqider, forte 
Gridando a se pur: Martira, martira: 

E lui vedea chinarsi per la morte , 

Che l'aggravava già, in ver la terra ; i io 
Ma degli occhi facea sempre al Ciel porte 9 

Orando all'alto Sire in tanta guerra. 
Che perdonasse a' suoi persecutori , 
Con quell'aspetto, che pietà disserra. 

Quando l'anima mia tornò di fuori 
Alle cose , che son fuor di lei vere , 
Io riconobbi i miei non falsi errori • 

Lo duca mio, che mi potea vedere 

Far sì com' uom , che dal sonno si slega , 
Disse : Che hai , che non ti puoi tenere ? i ao 

Ma se' venuto più che mezza lega 

Velando gli occhi, e con le gambe avvolte , 
A guisa di cui vino, o sonno piega? 

O dolce padre mio, se tu m' ascolte, 
Tti dirò, diss' io, ciò, che m'apparve. 
Quando le gambe mi furon si tolte. 

' Et ei: Se tu avessi cento larve 

Sovra la faccia , non mi sarien chiuse 
Le tue cogitazion, quantunque parve. 

1 Et egli: 



CANTO XV. 9 

Qò che vedesti fu, perchè non scuse i3o 
D^ aprir lo cuore all^ acque della pace, 
C^e dall* eterno fonte son diffuse . 

Non dimandai: Che hai per quel, che face, 
Chi guarda pur con Tocchio , che i}on vede 
Quando disanimato il corpo giace ; 

Ma dimandai per darti forza al piede : 
Così frugar conviensi i pigri lenti 
Ad usar lor vigilia , quando riede . 

Noi andavam per lo vespero attenti 

Oltre, quanto ^ potèn gli occhi allungarsi. 
Contra i raggi serotini e lucenti: ( 1 40 

Et ecco a poco a poco un fummo farsi 
Verso di noi come la notte oscuro , 
Ne da quello era luogo da causarsi: 

Questo ne tolse gli occhi , e Y aer puro . 

• 

I poiean gli ocelli 



I ■ ■ 



II 

CANTO DECIMOSESTO. 



Argomsnto 

Dame camminando col suo duce Virgilio in mezzm 
air oscurità del fummo , ode V anime degP Irosi , i 
quali concordemente pregavano P Agnello di Dio; ed 
uno di loro, càmera Marco Lombardo, tiene ragio^ 
namento col Poeta, e gli dimostra non darsi nel Cielo 
influsso veruno sopra le morali azioni degli uomini. 



Dmo d'inferno, e di notte privata^ 
D'ogni pianeta sotto pover cielo, 
Quant' esser può, di nuvol tenebrata. 

Non fero al viso mio si grosso Telo , 
Come quel fummo , cV ivi ci coperse , 
Né a sentir di cosi aspro pelo , 

Che r occhio stare aperto non sofferse : 
Onde la scorta mia saputa e fida 
Mi s'accostò, e T omero m'offerse. 

Si come cieco va diètro a sua guida io 

Per non smarrirsi , e per non dar di cozzo 
In cosa, che '1 molesti, o forse ancida. 



f 



\ 



u DEL PURGATORIO 

M* andava io per V aere amaro e sozzo , 
Ascoltando U mio duca, che diceva 
Pur: Guarda, che da me tu non sie mozzo, 

r sentia voci , e ciascuna pareva 
Pregar per pace , e per misericordia 
L'Agnel di Dio, che le peccata leva. 

Pure Agnus Dei eran le loro esordia : 

Una parola era in tutti, < e un modo, 20 
Sì che parca tra esse ogni concordia . 

Quei sono spirti. Maestro, chU^odo? 
Diss" io: et egli a me: Tu vero apprendi; 
E d* iracondia van solvendo 1 nodo: 

Or tu chi se\ che U nostro fummo fendi, 
E di noi parli pur, come se tue 
Partissi ancor lo tempo per calendi? 

Cosi per una voce detto fue; 

Onde *1 Maestro mio disse : Rispondi , 
E dimanda, se quinci si va sue. 3o 

Et io: O creatura, che ti mondi. 
Per tornar bella a colui, che ti fece. 
Maraviglia udirai, se mi secondi. 

Io ti seguiterò quanto mi lece. 

Rispose; e se veder fummo non lascia, 
L' udir ci terrà giunti in quella vece • 

I e *n an modo , 



CANTO XVJL i3- 

Allora incominciai: Con quella fascia. 
Che la morte dissolve, men vo suso, 
£ venni qui per la ^nfernale ambascia : 

E se Dio mi ha in sua grazia richiuso 40 
Tanto, chVvuol ch'io ' veggia la sua Corte 
Per modo tutto fuor del modem' uso. 

Non mi celar chi fosti anzi la morte, 

Ma dilmi, e dinmii s'io vo bene al varco: 
£ tue parole fien le nostre scorte. 

Lombardo fui, ^ e fu' chiamato Marco: 
Del mondo seppi, e quel valore amai. 
Al quale ha or ciascun disteso l'arco: 

Per montar su dirittamente vai . 

Cosi rispose; e 8(^giuuse: Io ti prego, 5o 
Che per me preghi, quando su sarai. 

Et io a lui : Per fede mi ti lego 

Di far ciò, che mi chiedi: ma io scoppio 
Dentro a un dubbio, s'io non me en spiego. 

Prima era scempio, et ora è fatto doppio 
Nella sentenzia tua, che mi fa certo 
Qui e altrove quello, oy'io l'accoppio. 

Lo mondo è ben cosi tutto diserto 
D' c^ni yirtute , come tu nù sùone , 
E di malizia gravido e coverto: 60 

I Tegna alla tua Corte 2 e fai chiamato 



• 14 DEL PURGATORIO 

Ma prego , che m* additi la cagione » 

Si ch'io la vegga, e ch'io la mostri altrui; 
Che liei Cielo uno, et un quaggiù la pone. 

Alto sospir , che duolo strinse in Hui , 
Mise fuor prima , e poi cominciò : Frate » 
Lo mondo è cieco , e tu vien ben da lui . 

Voi, che vivete, ogni cagion recate 
Pur suso al Cielo sì, come $e tutto 
Movesse seco di necessitate. 

Se così fosde, in voi fora distrutto 70 

Libero arbitrio, e non fora giustizia 
Per ben letizia, e per male aver lutto. 

Lo Cielo i vostri movimenti inizia. 

Non dico tutti; ma, posto ch'io '1 dica. 
Lume v'è dato a bene, et a malizia, 

E libero voler, che se fatica 

Nelle prime battaglie del Ciel dura , 
Poi vince tutto, se ben si notrica. 

A maggior forza , et a miglior natura 

Liberi soggiacete ; e quella cria 80 

La mente in voi,che'l Ciel non ha in sua cura. 

Però , se '1 mondo presente vi svia , 
In voi è la cagione, in voi si cheggia; 
Et io te ne sarò or vera spia . 



/ 



CANTO XVI. iS 

Esce di mano a lui , che la vagheggia 
Prima che sia, a guisa di fanciulla. 
Che piangendo, e rìdendo pai^oleggia, 

L^ anima seipplicetta, che sa nulla. 
Salvo che mossa da lieto Fattore 
Yolentier torna a ciò , che la trastulla . 90 

Di picciol bene in pria sente sapore: 
Quivi s^ inganna , e dietro a esso corre , 
Se guida , o fren non torce U suo amore ; 

Onde convenne legge per fren porre , 
Convenne rege aver, che discernesse 
Della vera cittade almen la torre . 

♦ 

Le leggi son; ma chi pon mano ad esse? 
Nullo: perocché '1 pastor, che precede. 
Ruminar può, ma noii ha l'unghie fesse. 

Per che la gente , che sua guida vede 100 
Pure a quel ben ferire, ond'ell'è ghiotta. 
Di quel si pasce, e più oltre non chiede.^ 

Ben puoi veder , che la mala condotta 
È la cagion, che "1 mondo ha fatto reo, 
E non natura, che *n voi sia corrotta. 

Soleva Roma , che *1 buon mondo feo , 
Duo Soli aver, che Tuna e T altra strada 
Facèn vedere, e del mondo, e di Deo. 



! i6 DEL PURGATORIO 

L^un r altro ha spento, et h giunta la spada 
Col pasturale, e Tuno e Taltro insieme no 
Per viva forza, mal convien che vada: 

Perocché, giunti. Tun T altro non teme. 
Se non mi credi, pon mente alla spiga; 
Gh^ ogni erba si conosce per lo seme . 
• In sul paese, cV Adice e Po riga, 

Solca valore e cortesia trovarsi 
Prima, che* Federigo avesse briga: 

Or può sicuramente indi passarsi 

Per qualunque lasciasse per vergogna 
Di ragionar co* buoni, o d'appressarsi. lao 

Ben' V* en tre vecchi ancora, in cui rampogna 
L'antica età la nuova, e par lor tardo. 
Che Dio a migUor vita li ripogna , 

Currado da Palazzo , e "1 buon Gherardo , 
E Guido da Castel, che me' si noma 
Francescamente il semplice Lombardo. 

Di'og^mai, che la Chiesa di Roma, 
Per confondere in se duo reggimenti. 
Cade nel fango, e se brutta, e la soma. 

O Marco mio, diss' io, bene argomenti; i3o 
E or discerno perchè dal retarlo 
Li figli di Levi furono esenti. 

I t' è tre vecchi 



CANTO XVL 17 

Ma qual Gherardo è quel, che tu per saggio 
DV eh* è rimaso della gente spenta. 
In rimproverio del secol selva^io? 

' O tuo parlar m'inganna, ^ o e^mi tenta. 
Rispose a me, che parlandomi Tosco, 
Par che del buon Gherardo nulla senta. 

Per altro soprannome i^nol conosco, 

S^io noi togliessi da sua figlia Gaia: 140 
Dio sia con voi , che più non yegno vosco • 

Vedi Talbor, che per lo fummo raia. 
Già biancheggiare; e me convien partirmi, 
L* Angelo è ivi, prima ch'egli paia : 

Cosi parlò, e più non volle udirmi. 

I *1 tao parlar a o «i mi tentai 



Dante T.IL % 



'9 

CANTO DECIMOSETTIMO- 



ÀEGOMBVtO . 

Escono i Poeti dal fummo, o Dante vede neirimmagi» 
nativa alcuni esempi d'Ira: indi per avviso d' un An^ 
gelo vanno alla scala del quarto girone^ alla cui som^ 
nUtà pervenuti si fermano, essendo giunta la notte, 
e Virgilio intanto gli dice^ che ivi si purga l'Accidia, 
e gP insegna come d^dP amore proceda ogni kiono e 
malvagio operare* 

Jtvicorditi, Lettor, ae mai nell^alpe 
Ti colse nebbia » per la qual vedessi 
Non altrimenti , che per pelle talpe , 

G>me, quando i vapori umidi e spessi 
A diradar cominciansi, la spera 
Del Sol debilemente entra per essi; 

E fia la tua immagine leggiera 
In giugnere a veder comMo rividi 
Lo Sole in pria» che già nel corcare era. 

Sì pareggiando i miei co* passi fidi i o 

Del mio Maestro, usci^fuor di tal nnb« 
À* raggi morti già nerbassi lidi. 



20 DEL PURGATORIO 

O immaginativa , che ne rube 

Tal volta sì di faor, ch^uom non 8*accorge, 
Perchè d* intomo suonin mille tube , 

Chi muove te, se *1 senso non ti porge? 
Muoveti lume, che nel Giel s* informa. 
Per se, o per voler, che giù lo scorge. 

Dell^ empiezza di lei , che mutò forma 
Neir uccel , che a cantar più si diletta, ao 
Neil* immagine mia apparve Torma: 

E qui fu la mia mente sì ristretta 
Dentro da se, che di fuor non venia 
Cosa, che fosse ancor da lei recetta. 

Poi piovve dentro ali* alta fantasia 
Un crocifisso dispettoso e fiero 
Nella sua vista, e cotal si moria: 

Intorno ad esso era *1 grande Assuero , 
Ester sua sposa, e*l giusto Mardocheo, 
Che fu al dire e al far cosi 'utero* 3o 

£ come questa immagine rompeo 
Se per se stessa a guisa d*una bulla. 
Cui manca T acqua, sotto qual si feo, 

Surse in mia visione una fanciulla 
Piangendo forte , e diceva : O Regina , 
Perchè per ira hai voluto esser nulla ? 



CANTO XYIL ai 

Ancisa t^hai per non perder Lavina: 
Or m*hai perduta : Tsono essa, che lutto » 
Madre, alla tua, pria ch^ air altrui , ruina. 

Come 8i frange il sonno, ove dibutto 40 

Nuova luce percuote U viso chiuso, 
> Che fratto guizza, pria che muoia tutto; 

Cosi r immaginar mio cadde giuso , 
Tosto che ^1 lume il volto mi percosse 
Maggiore assai, che quel, ch^ è in nostr'uso. 

Fmi volgea per vedere ov'io fosse, 
Quand*una voce disse, qui si monta^ 
Che da ogni altro ^ntento mi rimosse , 

£ fece la mia voglia tanto pronta 

Di riguardar chi era, che parlava, 5o 
Che mai non posa ^ se non si raffronta • 

Ma come al Sol, che nostra vista grava, 
E per soverchio sua figura vela ; 
Così la mia virtù quivi mancava. 

Questi è divino spirito, che ne la 

Yia d'andar su ne drizza senza prego, 
E col suo lume se medesmo cela • 

Sì fa con noi, come Tuom si fa sego; 
Che quale aspetta prego, e Tuopo vede. 
Malignamente già si mette al nego* 60 

X Che franta 



%3k BEL PUR6ATOKIO 

Ora' accordiamo a tanto ^nvito il piede : 
Procacciam d^ salir, pria che sgabbili; 
Che poi non si porìa, se *1 dì non riede. 

CoA disse 1 mio dnca; et io con Ini 
Volgemmo i nostri passi ad una scala : 
E tosto eh* io al primo grado fni. 

Sentimi presso quasi un muover d^ala, 
£ ventarmi nel volto, e dir Beati 
Pacìfici 9 che son sanza ira mala. 

Oià eran sopra noi tanto levati 70 

Gli nltimi raggi, che la notte segue. 
Che le stòUe apparivan da più lati. 

O virtù mia, perchè sì ti dilegue? 
Fra me stesso dicea , che mi sentiva 
La possa deUe gambe* posta in tregue. 

Noi eravam dove più non saliva 
La scala su, et eravamo adissi 
Pur come nave, ch^aUa pia^^ia arriva; 

Et io attesi un poco, sMo udissi 

Alcuna cosa nel nuovo girone: 80 

Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi: 

Dolce mio padre, di*, quale offensione 
Si purgai qui nel « giro, dove semo? 
Se i pie si stanno 9 non stea tuo sermone 

I girone I QTt mhio? 



CANTO XVII. i3 

Et e^ a me: L'amor del bene scemo 
Di suo dover quiritta si ristora : 
Qui si ribatte 1 mal urdato remo. 

Ma perchè più aperto intendi ancora. 
Volgi la mente a me, e prenderai 
Alcun buon frutto di nostra dimora. 99 

Né creator, né creatura mai. 

Cominciò ei, figliuol, fu sanza amore, 
O naturale, o d* animo, e tu '1 sai. 

Lo naturai fu sempre senza errore: 

Ma Taltro puote errar > per male obbietto, 
per troppo, o per poco di vigore. 

Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto, 
E ne'secondi se stesso misura. 
Esser non può cagion di mal diletto: 

Ma quando al mal si torce, ocon più cura, 100 
O con men, che non dee, corre nel bene. 
Contea '1 fattore adovra sua fattura. 

Quinci comprender puoi, ch'esser conviene 
Amor sementa in voi d'ogni virtute, 
E d'ogni operazion, che mcrta pene. 

Or perchè mai non può dalla salute 
Amor del suo soggetto volger viso. 
Dall'odio proprio son le cose tute. 

I p«r mal oblnttt*» 



H DEL PURGATORIO 

E perchè 'ntender non si può diviso , 

Né persestante, alcuno esserdei primo, no 
Da quello odiare ogni affetto è deciso. 

Resta, se dividendo bene stimo. 

Che '1 mal, che scarna, è del prossimo : et esso 
Amor nasce in tre modi in vostro limo. 

È chi per esser suo vicin soppresso 

Spera eccellenza ; e sol per questo brama , 
Ch'el sia di sua grandezza in basso messo: 

É| chi podere , grazia , onore , e fama 
Teme di perder, perch* altri sormonti. 
Onde s^at trista sì, che U contrario ama : 1 20 

Et è chi per ingiuria par eh* adonti , 
Si che si fa della vendetta ghiotto; 
E tal convien , che '1 male altrui impronti. 

Questo triforme amor quaggiù di sotto 
Si piange : or vo\ che tu delFaltro intende. 
Che corre al ben con ordine corrotto. 

Ciascun confusamente un bene apprende , 
Nel qual si ■ quieti T animo, e desira: 
Per che di giugner lui ciascun contende. 

Se lento amore in lui veder vi tira , 1 3o 
a lui acquistar, questa cornice 
Dopo giusto pentèr ve ne martira. 

t qaeta 1* animo ^ 



CANTO XVIL aS 

Altro ben è, che non fa Tuom felice: 
Non è felicità, non è la bnona 
Essenzia d*ogni ben frutto e radice. 

L* amor 9 eh* ad esso troppo s* abbandona. 
Di sovra noi si piange per tre cerchi : 
Ma come tripartito si ragiona 

Tacciolo, acciocché tu per te ne cerchi. 



»7 

CANTO DECIMOTTAVO. 



Aecomskto 

VirgUio dimastm aH Poeta ciò, eke propriamenie sim 
amore , e gli paria dell* umana libertà : vedono poi 
t anime degli Accidiosi, che in torma correvano per 
il girone, e due dinanzi rammemoravano esempj di 
JHligenzaf come due altri dietro la furia ricordavano 
osempf di Accidia* In fine Dante si addormenta • 



Jl oste avea fine al suo ragionamento 
Ualto dottore 9 et attento guardava 
Nella mia vista, s^io parea contento: 

Et io, cui nuova sete ancor firugava. 
Di fuor taceva , e dentro dicea : Forse 
Lo trpppo dimandar, eh* io fo, li grava. 

Ma quel padre verace, che s* accorse 
Del timido voler , che non s* apriva , 
Parlando, di parlare ardir mi porse. 

Ondalo: Maestro, il mio veder s* avviva io 
Sì nel tuo lume, ch'io discemo chiaro 
Quanto la tua ragion porti, o descriva. 



aS DEL PURGATORIO 

Però ti prego, dolce padre caro. 
Che mi dimostri amore, a cui ridaci 
Ogni buono operare, e *i suo contraro. 

Drizza, disse, ver me T acute luci 
Dèlio intelletto , e fieti manifesto 
L* error de* ciechi, che si fanno duci» 

L* animo, eh* è creato ad amar presto. 
Ad ogni cosa è mobile, che piace, 20 
Tosto che dal piacere in atto h desto. 

Vostra apprensiva da esser verace 

Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega. 
Si che r animo ad essa volger face : 

E se rivolto in «ver di lei si piega. 

Quel piegare è amor, quello è natura. 
Che per piacer di nuovo in voi si lega. 

Poi come *1 fuoco muovesi in altura 
Per la sua (orma, eh* è nata a salire 
Là, dove più in sua materia dura; 3o 

Cosi r animo preso entra *n disire, 
Gh* è moto spiritale , e mai non posa , 
. Fin che fa cosa amata il fa gioire • 

Or ti puote apparer quant*è nascosa 
La veritade alla gente , eh* avvera 
Ciascuno amore in se laudabil cosa; 



CANTO XYIII. ai| 

Perocché forse appar la sua matera 

Sempr^ esser buona: ma non ciascun segno 
È buono, ancor che buona sìa la cera. 

Le tue parole, e U mio seguace ingegno, 40 
Risposi lui , m^ hanno amor discoverto : 
Ma ciò m' ha fatto di dubbiai: più pregno : 

Che s' amore è di fuore a noi offerto, 
E r anima non va con altro piede. 
Se dritto, o torto va, non è suo merto. 

Et egli a me : Quanto ragion qui vede 
Dir ti possMo : da indi in là t'aspetta 
Pure a Beatrice , eh* è opra di Fede . 

(^ni forma sustanzial , che setta 

£ da materia, et è con lei unita. So 

Specifica virtude ha in se colletta , 

La qual sanza operar non è sentita , 
• Né si dimostra, ma che pfer'efFetto, 
Come per verdi fronde in 'pianta vita: 

Però là, onde vegna lo 'ntelletto 
Delle prime notizie, uomo non sape, 
E de* primi appetibili T affetto. 

Che sono in voi , sì come studio in ape 
Di far lo mele: e questa prima voglia 
Merto di lode, o di biasmo non cape. 60 

I Né ti dimostra mai 



• ' 



32 DEL PURGATORIO 

Questi, che vive (e certo io non vi bugio) 
Vuole andar su, purché 1 Sol ne riluca : 1 1 o 
Però ne dite ond'è presso '1 pertugio. 

Parole furon queste del mio duca ; 
E un di quegli spirti disse: Vieni 
Diretr*a noi, che troverai la buca. 

Noi Siam di voglia a muoverci sì pieni. 
Che ristar non potèm: però perdona. 
Se villania nostra giustizia tieni. 

Io fui Abate in san Zeno a Verona 
Sotto lo 'mperio del buon Barbarossa, 
Di cui dolente ancor Melan ragiona : 1 20 

E tale ha già l'un pie dentro la fossa. 
Che tosto piangerà quel monistero, 
E tristo fia d^ avervi avuta possa; 

Perchè suo figlio mal del corpo intero, 
E della mente peggio, e che mal nacque. 
Ha posto in luogo di suo pastor vero. 

Io non so, se più disse, o s'ei si tacque, 
Tant^era già di là da noi trascorso: 
Ma questo intesi, e ritener mi piacque. 

E quei, che m^era ad ogni uopo soccorso , i So 
Disse: Volgiti in qua: vedine due 
Air accidia venir dando di morso. 



CANTO XVIII 33 

Diretro a tutti ' dicèn : Prima fue 
Morta la gente , a cu" il mar s* aperse » 
Che Vedesse Giordan le rede sue • 

E quella 9 che l'affanno non sofferse 
Fino alla fine col figliuol d^Anchise, 
Se stessa a vita sanza gloria offerse • 

Poi quando fiir da noi tanto divise 

Queirombre, che veder più non potersi, 1 40 
Nuovo ^ pensier dentro da me si mise. 

Del qual più altri nacquero e diversi: 
£ tanto d^uno in altro van^iai. 
Che gli occhi per vaghezza ricopersi , 

£ '1 pensamento in sogno trasmutai . 

• 

I dicean: a pensiero dentro a me 



Dantm .7. n. 



3S 

CANTO DECIMONONO,. 



Argomento 

Racconta U Foeta una visione^ che ehhe nel sonno, da 
cui si risvegliò levato già il Sole : diet poi , che mes- 
sosi in via, e proseguendo con Virgilio^ furono dalla 
voce d'un Angelo indirizzati alla scala, per cui sa- 
lirono al pùnto girone, dove erano gU Avari, che 
piangendo giacevano bocconi. Tra questi Dante ritrova 
Papa Adriano V. col quale favella . 

IN eir ora , che non può '1 calor diurno 
Intiepidar più il freddo della Luna 
Vinto da Terra, o talor da Saturno, 

Quando i Geomanti lor Maggior fortuna 
Vegglono in Oriente innanzi aU^ alba 
Surger per via , che poco le sta bruna ; 

Mi venne in sogno una femmina balba 
Con gli occhi guerci, e sovra i pie distorta, 
Con le man monche, e di colore scialba. 

Io la mirava : e come '1 Sol conforta i o 
Le fredde membra , che la notte aggrava ; 
Cosi lo sguardo mio le facea scorta 



] 



36 DEL PURGATORIO 

La lingua, e poscia tutta la drizzava 
In poco d^ora, e lo smarrito volto, 
Come Amor vuol, così le colorava. 

Poi ch^ella avea *1 parlar così disciolto. 
Cominciava a cantar sì, che con pena 
Da lei avrei mio intento rivolto. 

Io son, cantava, io son dolce Serena, 
Che i marinari in mezzo U mar dismago, s o 
Tanto son di piacere a sentir piena. 

' Io trassi Ulisse del suo cammin vago 
Al canto mio: e qual meco s^ausa» 

* Rado sen parte, sì tutto l'appago. 

Ancor non era sua bocca richiusa. 

Quando una donna apparve santa e presta 
Lunghesso me, per far colei confusa. 

O Virgilio Virgilio, chi è questa? 
Fieramente dicea : et ei veniva 
Con gli occhi fitti pure in quella onesta : 3o 

L^ altra prendeva, e dinanzi T apriva. 
Fendendo i drappi , e mostra vami'l ventre : 
Quel mi svegliò col puzzo, che n* usciva. 

Io volsi gli occhi; e U buon Virgilio: Almentre 
Voci t^ho messe, dicea: surgi, e vieni: 
Troviam T aperto, per lo qual tu entre. 

I Io Tolti Ulitte del 



CANTO XIX. S7 

Su mi levai , e tutti eran già pieni 
Delfalto di i giron del sacro monte. 
Et andavam col Sol nuovo alle reni. 

Seguendo lui portava la mia fronte , 40 
Come colui, che Tha di pensier carca. 
Che fa di se un mezzo arco di ponte , 

Quando Tudi': Venite, qui si varca; 
Parlare in modo soave e benigno, 
Qual non si sente in questa < mortai marca. 

Con Tale aperte, che * parèn di cigno, 
Volseci in su colui , che sì parlonne , 
Tra i duo pareti del duro macigno . 

Mosse le penne poi, e ventilonne. 

Qui lugent ^ affermando esser beati , 5o 
Ch^avran di consolar T anime donne. 

Che hai, che pure in ver la terra guati? 
La guida mia incominciò a dirmi. 
Poco amendue dairAngel sormontati. 

Et io : Oon tanta sospeccion fa irmi 
Novella vision , ch^ a se mi piega , 
Si chMo non posso dal pensar partirmi. 

Vedesti, disse, quella antica strega. 
Che sola sovra noi omai si piagne ? 
Vedesti, come Tuom da lei si slega? 60 

1 mortai barca, 2 parean di cigno. 



38 DEL PURGATORIO 

Bastiti , e batti a terra le calcagne : 
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira 
Lo Rege eterno con le ruote magne. 

Quale il falcon , che prima a* pie si mira , 
Indi si volge al grido , e si protende 
Per lo disio del pasto, che là il tira; 

Tal mi fee' io, e tal, quanto si fende 
La roccia per dar via a chi va suso. 
N'andai 'nfino ove '1 cerchiar si prende. 

€om' io nel quinto giro fui dischiuso , 70 
Vidi gente per esso , che piangea » 
Giacendo a terra tutta volta in giuso. 

Adhaesit pavimento anima mea j 
Sentia dir lor con si alti sospiri , 
Che la parola appena s'intendea. 

O eletti di Dio, li cui soffriri 

E giustizia, e speranza fan men duri, 
Drizzate noi verso gli alti saliri. 

Se voi venite dal giacer sicuri , 

E volete trovar la via più tosto , 80 

Le vostre destre sien sempre di furi : 

Cosi pregò 1 Poeta , e sì risposto 
Poco dinanzi a noi ne fu : per eh' io 
Nel parlare avvisai l'altro nascosto; 






e A ir TO XIX. 39 

E volsi gli occhi agli occhi al signor mio ; 

Ond^eili m* assenti con lieto cenno 

CSò, che chiedea la vista del disio. 
Poi ch^o potei di me fare a mio senno, 

Trassimi sopra quella creatura , 

Le cui parole pria notar mi fenno, 90 
Dicendo: Spirto, in cui pianger matura 

Quel, sanza *1 quale a Dio tornar non puossi. 

Sosta un poco per me tua maggior cura . 
' Chi fosti, e perchè volti avete i dossi 

Al su, mi di ^ e se vuoi, eh' i*t* impetri 

Cosa di là, ondMo vivendo mossi • 
Et egli a me : Perchè i nostri diretri 

Rivolga U Cielo a se , saprai ; ma prima 

Scias , quod ego fui successor Petri . 
Intra Siestri, e Chiaveri s^adima 100 

Una fiumana bella , e del suo nome 

Lo titol del mio sangue fa sua cima • \ 

Un mese , e poco più prova* io , come 

Pesa U gran manto a chi dal fango U guarda , 

Che piuma sembran tutte T altre some: 
La mia conversione omè fu tarda; 

Ma come fatto fui Roman Pastore^ 

Cosi scopersi la vita bugiarda. 

■ 

1 Chi foste, 



40 DEL PURGATORIO 

Vidi, ch^ li non si quetava U cuore , 

Né più salir ' potèsi in quella vita ; no 
Per che di questa in me s* accese amore. 

Fino a quel punto misera e partita 
Da Dio anima fui , del tutto avara : 
Or, come vedi, qui ne son punita. 

Quel , eh* avarizia fa , qui si dichiara 
In purgazion delF anime converse : 
E nulla pena il monte ha più amara . 

Sì come r occhio nostro non s* aderse 
In alto, fisso alle cose terrene; 
Così giustizia qui a terra il merse . 1 20 

Come avarizia spense a ciascun bene 
Lo nostro amore ^ onde operar perdèsi. 
Cosi giustizia qui stretti ne tiene 

Ne* piedi e nelle man legati e presi ; 
E quanto fia piacer del giusto Sire, 
Tanto staremo immobili e distesi. 

Io m* era inginocchiato , e volea dire : 
Ma compio cominciai, et ei s* accorse* 
Solo ascoltando del mio riverire, 

Qual cagion, disse, in giù così ti torse? 1 3o 
Et io a lui : Per vostra dignitate 
Mia coscienza dritta mi rimorse. 

I poteasi in qaella 



CANTO XIX. 41 

Drizza le gambe , e levati su, frate. 
Rispose : non errar : conservo sono 
Teco, e con gli altri ad una potestà te. 

Se mai quel santo Evangelico suono , 
Che dice Ncque nubent > intendesti , 
Ben puoi veder, percVio così ragiono. 

Vattene ornai : non vo\ che più t' arresti ; 
Che la tua stanza mio pianger disagia, 140 
Col qual maturo ciò, che tu dicestì» 

Nepote ho io di là, ch'ha nome Alagia, 
Buona dà se , pur che la nostra casa 
Non faccia lei per esemplo malvagia ; 

E questa sola m' è di là rimasa • 



43 

CANTO VENTESIMO. 



Aegomsnto 

tkaUi seguitando eolla sua teoria udì uno spinto» che 
ramauntava esempf di Povertà, dal quale, fra le aU 
trt'eose, intese, che la notte dal^ anime ripeteansi 
esempf d'Avarizia. Da fuesto poi dipartiti sentirono 
tremare il monte, e ì anime cantar gloria a Dio^ dopo 
di che ripresero nuovamente il cammino. 



v^ontra miglior voler voler mal pugna » 
Onde contra *1 piacer mio per piacerli 
Trassi dell'acqua non sazia la spugna. 

Mossimi ; e '1 duca mio si mosse per li 
Luoghi spediti pur lungo la roccia. 
Come si va per muro stretto a* merli ; 

Che la gente, che fonde a goccia a goccia 
Per gli occhiU mal,che tuttofi mondo occupa^ 
Dairaltra parte in fuor troppo s*approccia. 

Maladetta sie tu, antica Lupa, io 

Che più che tutte V altre bestie hai preda 
Per la tua fame sanza fine < cupa • 

I capa! 



44 DEL FURGATORIO 

O Gel , nel cui girar par che si creda 
Le condizion di quaggiù trasmutarsi , 
Quando verrà, per cui questa disceda? 

Noi andavam co* passi lenti e scarsi , 
£t io attento ali* ombre, eh* io sentia 
Pietosamente piangere e lagnarsi; 

E per ventura udi*: Dolce Maria, 

Dinanzi a noi chiamar così nel pianto , 20 
Come fa donna, che 'n partorir sia, 

E seguitar: Povera fosti tanto. 

Quanto veder si può per quell* ospizio , 
Ove sponesti *1 tuo portato santo . 

Seguentemente intesi: O buon Fabrizio, 
Con povertà volesti anzi virtute , 
Che gran ricchezza posseder con vizio . 

Queste parole m*eran si piaciute, 

Ch*io mi trassi oltre per aver contezza 
Di quello spirto, onde < parèn venute. 3o 

Esso parlava ancor della larghezza , 
Che fece Niccolao alle pulcelle, 
Per condurre ad onor lor giovinezza . 

O anima, che tanto ben favelle. 

Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola 
Tu queste degne lode rinnovelle . 

« 

I parean Tenmte. 



CANTO XX. 45 

Non fia senza mercè la tua parola, 

S^jo ritorno a compier lo cammin corto 
Di quella vita, eh* al termine vola. 

Et egli: > Io ti dirò, non per conforto, 40 
Gh^io attenda di là, ma perchè tanta 
Grazia in te luce prima che sie morto: 

r fui radice della mala pianta , 

Ghe la terra Cristiana tutta aduggia 
Si, che buon frutto rado se ne schianta. 

Ma se Doagio, Guanto, Lilla, e Bruggia 
Potesser, tosto ne saria Vendetta: 
Et io la cheggio a lui, che tutto giuggia. 

Chiamato fui di là Ugo Giapetta : 

Di me son nati i Filippi e i Luigi, So 
Per cui novellamente ^ è Francia retta. 

Figliuol fui d^un beccaio di Parigi, 
Quando li Regi antichi venner meno 
Tutti , fuor eh* un renduto in panni bigi : 

Trovami stretto nelle mani il freno 
Del governo del regno, e tanta possa 
Di nuovo acquisto, e più d* amici pieno, 

Ch*alla corona vedova promossa 
La testa di mio figlio fu, dal quale 
Cominciar di costor le sacrate ossa. 60 

I Io*l ti dirò, a Francia ^ retta. 



46 DEL PURGATORIO 

Mentre che la gran dote Provenzale 
Al sangue mio non tolse la vergogna , 
Poco yalea , ma pur non facea male . 

Li cominciò con forza» e con menzogna 
La sua rapina; e poscia per ammenda 
Ponti, e Normandia prese, e Guasc<^na. 

Carlo venne in Italia, e per ammenda 
Vittima fé' di Curradino, e poi 
Ripinse al Ciel Tommaso per ammenda. 

Tempo ' veggh*io non molto dopo ancoi, 70 
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia , 
Per far conoscer meglio e se , e i suoi • 

Senz'arme n'esce, e solo con la lancia. 
Con la qual giostrò Giuda, e quella ponta 
Sì, eh* a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 

Quindi non terra, ma peccato et onta 
Guadagnerà per se tanto più grave , 
Quanto più lieve simil danno conta . 

L* altro, che già uscì preso di nave, 

leggìo vender sua figlia , e patteggiami, 8« 
Come fan li corsar dell' altre schiave • 

O avarizia , che puoi tu più farne , 

Poi eh' hai '1 sangue mio a te sì tratto , 
Che non si cura della propria carne ? 

1 Tei^'io non molto 



CANTO XX. 47 

Perchè men paia il oial futuro , e U fatto , 
V^io ÌQ Alagna entrar lo fiordaliso , 
E nel Vicario suo Cristo esser catto . 

Ve^iolo uà' altra volta esser deriso : 
Veggio rinnoveUar Faceto, e '1 fele , 
E tra vivi ladroni essere anciso . 90 

Veggio *1 nuovo Pilato sì crudele » 
Che ciò noi sazia , ma senza decreto 
Porta nel tempio le cupide vele^ 

O Signor mio, quando sarò io lieto 
A veder la vendetta , che ^lascosa 
Fa dolce Tira tua nel tuo segreto? 

Ciò» ch'io dicea di queir unica sposa 
Dello Spirito Santo, e che ti. fece 
Verso me volger per alcuna chiosa , 

Tant'è disposto a tutte nostre prece, 100 
Quanto il dì dura ; ma quando s^ annotta , 
Contrario suon prendemo in quella vece : 

Noi rìpetiam Pigmalione allotta , 
Cui traditore e ladro e patricida 
Fece la voglia sua dell'oro ghiotta, 

E la miseria dell' avaro Mida , 

Che seguì alla sua dimanda ingorda. 
Per la qual sempre convien che si rìda . 



48 DEL PURGATORIO 

Del folle Acàm ciascun poi si ricorda , 
Come furò le spoglie, si che Tira no 
Di losoè qui par eh' ancor lo morda. 

Indi accusiam col marito Safira;« 
Lodiamo i calci, ch'ebbe Eliodoro; 
Et in infamia tutto U monte gira 

Polinnestor, ch'ancise Polidoro. 
Ultimamente ci si grida: Grasso, 
Dicci, che *1 sai, di che sapore è Toro. 

Talor parliam V un alto , e T altro basso , 
Secondo rafifezion» eh' a dir ci sprona 
Ora a maggiore , et ora a minor passo, i ao 

Fero al ben , che '1 di ci si ragiona , 
Dianzi non er' io sol ; ma qui da presso 
Non alzava la voce altra persona . 

Noi era vam partiti già da esso , 

E brigavàm di soverchiar la strada * 
Tanto, quanto al poder n'era permesso; 

Quand'io senti', come cosa che cada. 
Tremar io monte: onde mi prese un gielo, 
Qual prender suol colui, eh' a morte vada. 

Certo non si scotea A forte Delo, i3o 

Pria che Latona in lei facesse '1 nido, 
A parturir li du' occhi del Cielo. 



CANTO XX. 49 

Poi cominciò da tutte parti un grido 
Tal, che '1 Maestro in ver di me si feo. 
Dicendo: non dubbiar » mentrMo ti guido. 

Gloria in eocceUU tutti D^} 
Dìcean, < per cpel chHo davicin compresi» 
Onde ^ntender lo grido ai.potèo. 

Noi ci restanmio immobili e sospesi. 
Come ipastor, ^ che prima iiflir quel canto. 
Fin che *1 tremar cessò, et ei compièsL ( 1 40 

Poi ripigliammo nostro cammin santo. 
Guardando Tombie, che S giacèn per terra. 
Tornate già in su T usato pianto. 

Nulla ignoranza mai cotanta gtierra 
Mi fe^ desideroso di sapere , 
Se la memoria mia in ciò non erra , 

Quanta 4 pare mi allor pensando avere: 
Né per la fretta dimandare er* oso , 
Né per me li potea cosa vedere : 1 So 

Così m* andava timido e pensoso. 



I per quel che dai TÌcin compresi » a cbe*n priua 
3 giacean per terra, 4 pareamì 



Dante T. IL 



/ 



Si 



CANTO VENTESIMOPRIMO 



AlGOMKHTO 



Seguendo i Poeti per U fuinio girone, mpparve Uro uno 
fipirito, da cui richiesta avendo la cagione dello scf^ 
tùnento del monte, e del canto del( anime poc*anai 
udito, intesero avvenir ciò, qualora alcuna deltani^ 
me, terminata la sua purgazione , si leva per gire al 
Cielo» Alla fine lo spirito si dà a conoscere, o loro 
dice, ch'era Stazio. 



JLa sete naturai» che mai non sazia, 
3e non coir acqua, onde la femminetta 
Sammarìtana dimandò la grazia , 

Mi travagliava, > e pnngèmì la fretta 
Per la impacciata via retro al mio duca, 
E condolèdù alla giusta vendetta . 

Et ecco, sì come ne scrive Luca, 

Che Cristo apparve .a* duo, ch*erano*n via. 
Già surto fuor della sepulcral buca , 



I e pagneami 



Sa DEL PURGATORIO 

Ciappàrveun^ombra, e dietro a noi vtnìa io 
Dappiè guardando la turba » che giace: 
N% ci addemmo di lei, si parlò pria. 
Dicendo: > Frati miei. Dio vi dea pace: 
Noi ci volgemmo subito; e Virgilio 
Rendè lui 1 cenno, eh* a ciò si conface; 
Poi cominciò : Nel beato concilio 
Ti ponga in pace la verace Corte » 
Che me rilega nell* etemo esiliò • 
Come, diss* egli, e perchè andate forte. 
Se voi siete ombre, che DTq su non degni? 20 
Chi V* ha per la sua scala tanto scorte ? 
E *1 dottor mio : Se tu riguardi i segni , 
Che questi porta, e che TAngel profila. 
Ben vedrai, che co'buon convien ch^e'regnt. 
Ma perchè lei, che di e notte fila. 
Non gli avea tratta ancora la conocchia, 
Che Cloto impone a ciascuno e compila , 
L* anima sua» ch*è tua, e mia sirocchia. 
Venendo su non potea venir sola , 
PeroccVal nostro modo non adocchia :'3o 
Ond' io fui tratto £uor dell* ampia gola 
D* Inferno per mostrarli , e mosterroUi 
Oltre, qnanto *1 potrà menar mia scuola. 

X Frati miei» 



• AUTO XXI. S3 

Ma dinne» m ni sai, ptrcliè ui cròlli 
Die dianzi *1 monte, e perchè tuiti ad ohr 
Parver gridare infine a* tuoi pie molli? 

SI mi die dimandando per la cruna 
Del mio disio, che pur con la speranza 
Si fece la mia sete men digiuna. 

Quei cominciò! Cosa non è, che sanza 4.0 
Ordine senta la religione 
Della montagna , o che sia fuor d* usanza . 

Libero è qui da ogni alterazione : 

Di quel, che U Cielo in se da se riceve, 
Esserci puote, e non d* altro cagione. 

Perchè non pio^ia, non > grande, non neve. 
Non rugiada, non brina più su cade. 
Che la scaletta de^ tre gradi breve. 

Nuvole spesse non paion, né rade. 

Né corruscar, né figlia di Tanmante, So 
Che di là cangia sovente contrade. 

Secco vapor non surge più avante, 

Ch*al sommo' destre gradi, ^ eh* io parlai, 
Ov'ha '1 Vicario di Pietro le piante. 

Trema forse più giù poco,*od assai; 
Ma per vento , che *n terra si nasconda 9 
Non so come , quassù non tremò mai : 

1 graniliae, s n«tc, s ondalo parlai, 



54 BEL PURGATORIO 

Tremaci qaaado alcuna anima monda 
Si sente sì» che surga, o che si muòva 
Per salir su, e tal grido seconda. 60 

Della mondizia il sol voler fa pruova , 
Che tutta libera a mutar convento 
L* alma sorprende » e di voler le giova • 

Prima vuol ben ; ma non lascia 1 talento , 
Che divina giustizia contra voglia» 
Come fu al peccar, pone al tormento . 

Et io , che son giaciuto a questa doglia 
Cinquecento anni e più, pur mo sentii 
Libera volontà di miglior soglia • 

Però sentisti '1 > tremoto , e li pii 70 

Spiriti per lo monte render lode 
A quel Signor , che tosto su gì" invi! • 

Cosi gli disse ; e però che si gode 

Tanto del ber, quant* è grande la sete. 
Non saprei dir , quant' e^ mi fece prode . 

£ M savio duca : Omai veggio la rete , 
Che qui vi piglia , e come si scalappia , 
Perchè ci trema , e di che congaudete . 

Ora chi fosti piacciati ch^o sappia, 

£ perchè tanti secoli giaciuto 80 

Qui se*, nelle parole tue mi cappia. 

1 teTmaolOT} 



CANTO XXL SS 

Nel lempo^ che '1 buon Tito con V aiuto 
Del sommo Rege vendicò le fora, 
Ond* usci ^1 Sàngue per Giuda venduto » 

C!oI nome 9 che più dura e più onora, 
Er*io di là, rispose quello 'spirto. 
Famoso assai , ma non con fede ancora. 

Tanto fii dolce > mio vocale spirto. 
Che Tdosano a se mi trasse Roma , 
Dove mertai le tempie ornar di mirto. 90 

Stazio la gente ancor di là mi noma : 
Cantai di Tebe , e poi del grande Achille; 
Ma caddi *n via con la seconda sooùi . 

Al mio ardor for seme le faville. 
Che mi scaldar della divina fiamma, 

. Onde sono allumati più di mille , 

Dell^ Eneida dico, la qual mamma ' 
Fiimmi, efommi nutrice poetando: 
Sanz^essa non fermai peso di dranmia; 

E per esser vivuto di là, (piando lòo 

Visse Virgilio , assentirei un Sole 
Più, chMo non deggio, al mio uscir di bando. 

Volser Virgilio a me queste parole 
Con viso, che tacendo dicea: Taci; 
Ma non può tutto la virtù, che vuole n; 

I *1 Olio Tocalc ipirto, 



it USL TOAGATOftIO 

Òhe riso e pianto $on tanto seguaci 
Alla pafltÌDn^ da che ciasciui si spicca^ 
Che men 8q;non voler ne* pia veraci. 

Io por sorrm, come Tnom, ch^ammioca: 
Per cherombran taoi|«e,e rìgoarAonuni no 
M^ occhi» ofe 1 sembiante più ai fioca; 

E se tanto lavoro in bene assmnmi» 
Disse» perchè la fiKcia tna liesteso 
Un lampeggiar ' d'nn riso dimostrommi? 

Or son io d'una parte e d* altra pròo: 
L*nna mi & taoer» Taltra scongiura 
Ch*io dica; ondato sospiro» e sono inteso. 

Di% il ^mio Maestro, e non aver paura. 
Mi disse, di pariar; ma parla, e digli 
Quel, chV dimanda con cotanta cura ; 1 20 

Ond^io: Forse che tu ti maravifdi. 
Antico spirto, del rider, eh* io fei: 
Ma più d* amsttirazton vo' che ti pigli* 

Questi, che guida in alto g^i occhi miei, 
£ quel Virgilio, dal qual tu togliesti 
Forte a cantar degli uomini, e de* Dei. 

Se cagione altra al mio rìder credesti. 
Lasciala per non vera , et esser credf 
Quelle parole , che di lui dicesti. 

1 di rito 



CANTO XXL 47 

Cià li ehinaTa ad abbracciar li piedi 1 3o 
Al mio dottor; ma e' gli disse : Frate, 
Non far; che tu se' onibra^ et ombra vedi • 

£t ei surgendo : Or puoi la quantitate 

Comprender dell^amor , eh' a te mi scalda , 
< Quando dismento nostra vanitate , 

Trattando 1^ ombre, come cosa salda . 

1 Qauid'lo ditmenfe* 



CANTO VENTESIMOSECX)NDO 



ARGOMENTO 

Me U Po€ia con VirgiUo i Stazio oi testo girone, ove 
si pnrgm U peccato deila Gola, e seguendo per fueiio 
il cammino, ritrooano un arèore assai strano ^ ornato 
di pomi odorosi, sulle cui foglie cadepa dalla roccia 
una limpida acfua, alla pud pianta espressati udi' 
rono una voce, che rammentava esempf di Temper 
ranna. 

Cria era T Aogel dietro a noi rimaso , 
L' Angel, che n* area Toki al sesto giro » 
Avendomi dal viso un colpo raso ; 

E quei 9 ch^ hanno a giustizia lor disiro. 
Detto n^ avean , Beati f in le sue voci , 
Con sitio 9 e senz* altro ciò fornirò : 

Et io più lieve , che per V altre foci , 
M'andava sì , che senza alcun labore 
Seguiva in su gli spiriti veloci. 

Quando Virgilio cominciò : Amore i o 

Acceso di virtù sempre altro accese. 
Pur che la fiamma sua paresse fuore. 



69 DEL PURGATORIO 

Onde dair ora, che tra iu>i discese 
Nel limbo dello 'nferno Giovenale 9 
Che la tua affezion mi fe^ palese , 

Mia benvoglienza inverso te fii, quale 
Più strinse mai. di non vista persona. 
Si eh* or mi parran corte queste scale • 

Ma dimmi ;. e come amico mi perdona , 
Se troppa sicurtà m^allarga ii freno , 20 
£ come amico ornai meco ragiona : 

Cpim potèo trovar dentro al tuo lend 
Luogo avarìzia tra cotanto senno , 
Di quanto per tua cura fosti pieno ? 

Queste parole Stazio muover fenno 
Un poco a rìso pria ; poscia rispose : 
Ogni tuo dir d^amor m*è caro cenno . 

Veramente più volte appaion cose , 
Che danno a dubitar falsa matera , 
Per le vere cagion , che son nascose • 3o 

La tua dimanda tuo creder m' avvera 
Esser, eh* io fossi avaro in T altra vita , 
Forse per quella cerchia, dov* io era • 

Or sappi, che avarìzia fu partita 
Troppo da me ; e questa dismisura 
Migliaia di lunari hanno punita. 



CANTO XXII. 6i 

£ sf non fosse , ch'io drizzai mia ciiray 
Qaand*io intesi là , ove tu chiame ^ 
Crucciato quasi ali* umana natura , 

Perchè non reggi tu , o sacra fame 40 

Dell'oro, l'appetito de' mortali? 
Yolundo sentirei le giostre grame . 

Allor m' accorn, che troppo aprir Tali 
Potèn le mani a spendere, e pentèmi 
Cosi di quel , cpme degli altri mali* 

Quanti risoi^eran co* crini scemi 
Per r ignoranza , che di questa pecca 
Teglie '1 pentèr vivendo, e negli stremi ! 

E sappi , che la colpa , che rimbecca 
Per dritta opposizione alcun peccato, 5 o 
Con esso insieme qui suo vetde secca ^ 

Però s'io son tra quella gente stato. 
Che piange T avarizia, per purgarmi, 
Per lo contrario suo m' è incontrato . 

Or quando tu cantasti le crude armi 
Della doppia tristizia di locasta , 
Disse '1 Cantor ' de' bucolici carmi , 

Per quel, che Clio lì con teco tasta ,* 
Non par che ti facesse ancor fedele 
La Fé, senza la qual ben far non basta . 6q 

t Se^boccolici canai t 



6ft DXL PITRGATOBIO 

Se C061 è, (piai Sole, o qaai candele 
Ti stenebraron si , che tu drizzasti 
Poscia diretro al pescator le vele? 

Et egli a hii : Tu prima m' inviasti 
Yerso Parnaso a ber nelle sue grotte» 
E prima appresso Dio m* alluminasti. 

Facesti» come quei» cbe va di notte» 

Che porta il lume dietro» < e se non giova ; 
Ma dopo se fa le persone dotte » 

Quando dicesti : Seeol A rinnuova » 70 

Torna giustizia» ^ e primo tempo umapo» 
E progenie discende dal Ciel nuova • 

Per te poeta fui, per te Cristiano; 

Ma perchè v^gi me' ciò» eh* io disino» 
A colorar distenderò la mano. 

Già era U mondo tutto quanto pregno 
Della vc^ra credenza seminata 
Per li messaggi dell* eterno regno; 

E la paròla tua S sopra toccata 

Si consonava a* nuovi predicanti ; 8e 

Ond* io a visitarli presi usata. 

Yennermi poi parendo tanto santi , 
Che quando Domizian )i perseguette » 

4 Senza mio lagrimar non fur lor pianti : 

1 6 a te non gioTs; s a *1 pruno 3 prima toccata 
4 Sanaa '1 mio lagrimar 






CANTO rXII. 63 

E mentre che di là per me si stette. 
Io li sovyenniy ' e lor dritti costumi 
Fer dispregiare a me tutte altre sette ; 

E pria, chMo conducessi i Greci a' fiumi 
Di Tebe poetando, ebb* io battesmo; 
Ma per paura chiuso Cristian fumi 90 

Lungamente mostrando Faganesmo : 
E qnesta tiepidezza il quarto cerchio 
Cerchiar mi fé' più che'l quarto centesmo. 

Tu dunque, che levato hai^l coperchio. 
Che m* ascondeva quanto bene io dico. 
Mentre che del salire * avem soverchio , 

Dimmi dov* è Terenzio nostro amico , 
Cecilio, Plauto, e Yarro, se lo sai; 
Dimmi, se son dannati, et in qual vico« 

Costoro, e Persio, et io, e altri assai, 100 
Rispose U duca mio, siam con quel Greco 4 
Che le Muse lattar più cV altro mai , 

Nel primo cinghio del carcere cieco • 
Spesse fiate ragioniam del Monte, 
Ch'ha le nutrici nostre sempre seco. 

Euripide t' è nosco, e Anacreonte , 
Simonide, Agatone, e altri piùe 
Greci , che già di lauro ornar la fronte • 

I • i lav dritti % KfÌÉm •of«Teluo« 



«4 BBL rURGATOEtO 

Q«m « v«c|MD ddk ganti toe 

Aari g o— , Dh^, ct A^U, 

■t I— we ii triitt. come foe ; 
VaAni ^tia, che moaaò Langu: 

Bvvi W tigfa 4i Tktw, e Teti , 

E CM h «MM me DMcbuoU. 
T«oenMÌ ammim gii U Poeti, 

Di «■««« aOMti « rigsanlara il 

LìhMÌ M nlire « <h' paredj 
E già fe ^nor» aaodt ann del gioTDO 

RiBMc iMìaiui, • la qoinu era al temo, 

Pt wiw rf» pwre in w I^MJtente corno; 120 
Qundo 1 MÌO dnca : Io creilo, eh'aUo strane 

Le deitt* If fa volger ò eeavega» 

Gtnuado U MDMe, cone &r falerno . 
G«à r«nna & fi wMtn ini^na; 

K prevAeBHM la via con nea seapcita* 

Kr faanatìr di qqeif aùma degna . 
EIU i^nn dUnù, «t w wtecco 

Diretra, et aaoeltaTa i lor temuù, 

Ch'a poetar ni dknoo ìmdfetto: 
Ma tosto nippe k dolci rk^ni i So 

Un alber, che tf w o in nwua «rada 

CoQ pomi ad odorar eoavì e bnoai. 



r 



k 



CANTO. IXII. 6S 

E come abete in alto si digrada 

Di ramò in ramo, cosi quello in giusoi 
CredMo, perchè persona su non vada. 

Dallato, onde'lcammin nostro era chi uso , 
Cadea dall'alta roccia un liquor chiaro, 
E si spandeva per le foglie suso. 

Li duo Poeti all' alber s' appressare ; 

Et una voce per entro le fronde 140 
Gridò : Di questo cibo avrete caro : 

Poi. disse: Più pensava Maria, onde 
Fosser le nozze orrevoli ed intere. 
Ch'alia sua bocca , ch'or per voi risponde ; 

£ le Romane antiche per lor bere 
Contente furon d'.acqua : e Daniello 
Dispregiò cibo, et acquistò savere. 

Lo secol primo , quànt' oro , fu bello : 
Fé' savorose con fame le ghiande , 
E nettare^ per sete ogni ruscello. i5o 

Mele, e locuste furon le vivande. 

Che nudriro ^ il Batista nel diserto : . 
Per ch'egli è glorioso, e tanto grande, 
Quanto per l'Evangelio 3 v*è aperto. 

I con lete 2 il Battista 3 n*^ aperto. 



DàMTM T.IL S ^ 



6? 

CANTO VENTESIMOTERZO. 



Akgomekto 

Dante seguendo con Virgilio e Stazio il cammino per il 
setto girone vede l'anime de' Golosi, ch'erano alVestre^ 
mo estenuati dalla fame e dalla sete: egli ragiona collo 
spirito di Forese, il quale gli dimostra la cagione di 
cosi fatto dimagramento: appresso si fa a riprendere 
l'immodesto vestire delle donne Fiorentine, 



JVLentre che gli occhi per la fronda verde 
Ficcava io cosi, come far suole 
Chi dietro all' uccellin sua vita perde. 

Lo più che padre mi dicea: Figliuole, 
Vienne oramai, che'l tempo, ' che c*è *mpo- 
Fiù utilmente compartir si vuole, (sto. 

Io volsi 1 viso, e '1 passo non men tosto 
Appresso ansavi, che parla van sie. 
Che r andar mi ^ facèn di nullo costò: 

Et ecco piangere, e cantar s'udìe, io 

Labia mea^ Domine 9 per modo 
Tal, che diletto e doglia parturìe. 

1 clie n*è *mp08tOf a facean 



68 DEL PURGATORIO 

dolce padre, che è quel, chM^odo? 
Comincia' io ; et egli: Ombre » che vanno 
Forse di lor dover solvendo '1 nodo. 

Si come i peregrin pensosi fanno» 

Giugnendo per cammin gente non nota » 
Che si volgono ad essa, e non ristanno; 

Così diretro a noi più tosto mota 

Venendo, e trapassando ci ammirava ao 
D'anime turba tacita e devota. 

Negli occhi era ciascuna oscura e cava , 
Pallida nella faccia, e tanto scema » 
Che dair ossa la pelle s* informava . 

Non credo, che così a buccia strema 
Erìsiton si fusse fatto secco 
Per digiunar, quando più n'ebbe tema. 

Io dicea fra me stesso pensando : Ecco 
La gente, che perde Gerusalemme, 
Quando Maria nel figlio die di becco. 3o 

Parèn V occhiaie anella senza gemme : 
Chi nel viso degli uomini legge omoj 
Bene avria quivi conosciuto Temme. 

Chi crederrebbe , che T odor d' un pomo 
Sì governasse, generando brama, 
E quel d' un' acqua , non sappiendo comò ? 



CANTO XXIIL 69 

Già era in ammirar che sì gli affiima » 
Per la cagione ancor non manifesta 
Di lor magrezza, e di lor trista squamn; 

Et ecco del profondo della testa 40 

Volse a me gli occhi un*ombra,'e guardò fiso, 
Poi gridò forte: Qual grazia m'è qnesta? 

Mai non V arrei riconoscinto al viso : 
Ma nella voce sua mi fu palese 
Ciò 9 che r aspetto in se avea conquiso. 

Questa favilla tutta mi raccese 
Mia conoscenza alla cambiata labbia , 
£ ravvisai la faccia di Forese. 

Deh non contendere ali* asciutta scabbia. 
Che mi scolora, pregava, la pelle, 5o 
Né a difetto di carne, ch'io abbia; 

Ma dimmi 1 ver di te; e chi son quelle 
Du' anime , che là ti fanno scorta : 
Non rimaner , che tu non mi favelle • 

La faccia tua , eh' io lagrìmai già morta , 

Mi dà di pianger mo non minor doglia, 
^ Risposi lui , veggendola si torta , 

Però mi di% per Dio, che si vi sfoglia: 
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio: 
Che mal può dir chi è pien d'altra voglia» 6 e 

I e guatò fiso, % Ritpof*io Ini, 



70 DEL PURGATORia 

Et egli a me: Deir eterno consiglio 
Cade virtù nell'acqua, e nella pianta 
Rimasa addietro, ond'io sì mi sottiglio. 

Tutta està gente » che piangendo canta. 
Per seguitar la gola oltre misura , 
In fame e 'n sete qui si rifa santa • 

Di bere e di mangiar n^ accende cura. 
L'odor, ch'esce del pomo e dello sprazzo. 
Che si distende su per la verdura. 

E non pure una volta questo spazzo 70 
Girando si rinfresca nostra pena : 
Io dico pena 9 > e dovre'dir sollazzo; 

Che quella voglia all'arbore ^ ci mena. 
Che menò Cristo lieto a dire Eli, 
Quando ne liberò con la sua vena. 

Et io a lui : Forese, da quel àìj 

Nel qual mutasti mondo a miglior vita, 
Cinqu'anni non son volti insino a qui. 

Se prima fu la possa in te finita 

Di peccar più, che sorvenisse Torà 80 
Del buon dolor, eh' a Dio ne rimarita. 

Come se* tu quassù venuto ancora ? 
Io ti credea trovar laggiù di sotto , 
Dove tempo per tempo si ristora. 

I e doTria dir tellazzo; a ne meaa^ 



CANTO XXIII. 7t 

Et egli a me : Si tosto m' ha condótto 
A her lo dolce assenzio de' martiri 
La Nella mia col suo pianger dirotto: 

Con suo'prieghi devoti, e con sospiri 
Tratto m^ha della costa, ove s'aspetta, 
£ liberato m* ha degli altri giri . 90 

Tant'è a Dio più cara e più diletta 
La vedovella mia, ' che tanto amai^ 
Quanto 'n bene operare è più soletta; 

C!he la Barbagia di Sardigna assai 
Nelle femmine sue è più pudica , 
Che la Barbagia, dov'io la lasciai. 

O dolce frate, che vuoi tu, ch'io dica? 
Tempo futuro m' è già nel cospetto , 
Cui non sarà quest'ora molto antica. 

Nel qual sarà in pergamo interdetto 100 
Alle sfacciate donne Fiorentine 
L'andar mostrando con le poppe il petto . 

Quai Barbare fur mai, quai Saracine, 
Cui bisognasse, per farle ir coverte, 
O spiritali, o altre discipline? 

Ma se le svergognate fosser certe 

Di quel 9 che 1 Ciel veloce loro ammanna. 
Già per urlare avrian le bocche aperte. 

1 cai molto amai, 



7» DEL PUBCÀTORIO 

Che se l'antiveder qui non m'inganna» 
Prima fien triste, che le guance impeli no 
Colui, che mo si consola con nanna. 

Deh frate , or fa\ che più non mi ti celi : 
Tedi , che non pur io , ma questa gente 
Tutta rinura là, dove '1 Sol veli« 

Per eh' io a lui : Se ti riduci a mente 
Qual fosti meco , • quale io teco ftii , 
Ancor fia grave il memorar presente. 

Di quella vita mi volse costui ^ 

Che mi va innanzi , TaltrMer, quando tonda 
Vi si mostrò la suora di colui; 120 

£ '1 Sol mostrai : costai per la profonda 
Notte menato m'ha da' veri morti 
Con questa vera carne, che *1 seconda. 

Indi m'han tratto su li suoi conforti. 
Salendo e rigirando la montagna. 
Che drizza voi, che *1 mondo fece torti. 

Tanto dice* di farmi sua compagna. 
Ch'io sarò là, dove fia Beatrice: 
Quivi convien , che senza lui rimagna . 

Virgilio è questi, che così mi dice; i3o 
E additalo: e quest'altr^è quell' ombra ^ 
Per cui scosse dianzi ogni pendice 

Lo vostro regno, che da se la sgombra. 



73 

CANTO VENTESIMOQUARTO. 



Aegovxnto 

Segue Dante il cammino ragionando eolio spirito di 
Forese, do eni gli vengono mostrate alcune anime 
de' Golosi: dice poi cke, partito lo spirito, €gli osser^ 
vò un altro arbore , tra le cui /rondi uscì una voce, 
che ricordava esempj di Gola. In fine i Poeti da un 
Angelo furona polii alla scala ^ che portm ai settima 
girone. 

■ 

JN è ^1 dir r andar 9 né l'andar loi pù lento 
Facea; ma ragionando andaTàm forte. 
Sì come nave pinta da buon vento ; 

£ r ombre, che parean cose rimorte. 
Per le fosse degli occhi ammiraaùone 
Traèn di me, di mio vivere accorte. 

Et io continuando U mio sermone 
Dissi : Ella sen va su forse pin tarda , 
Che non farebbe, per T altrui cagione; 

Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda: io 
Dimmi , s' io ve^io da notar persona 
Tra questa gente, che si mi riguarda. 



I 



74 DEL PURGATORIO 

La mia sorella, che tra bella e buona 
Non so qual fosse più , trionfa lieta 
Nell'alto Olimpo già di sua corona. 

Si disse prima; e poi: Qui non si vieta 
Di nominar ciascun , da eh' è sì munta 
Nostra sembianza via per la dieta. 

Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta» 
Buonagiunta da Lucca; e quella faccia 20 
Di là da lui 9 più che l'altre, trapunta. 

Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia: 
Dal Torso fu, e purga per digiuno 
L^ anguille di > Bolsena e la vernaccia. 

» 

Molti altri * mi mostrò ad uno ad uno ; 
E nel nomar parèn tutti contenti. 
Si ch^io però non vidi un atto bruno. 

Vidi per fame a voto usar li denti 
Ubaldin dalla Fila, e Bonifazio, 
Che pasturò col rocco molte genti. 3o 

Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio 
Già di bere a Forlì con* men secchezza : 
E sì fu tal , che non si sentì sazio . 

Ma come h chi guarda, e poi fa prezza 
Fiù d'un, che d'altro, fé* io a quel da Lucca» 
Che più parea di me aver contezza* 

I Bolisna in la yernaccia, a mi nomò 



CANTO XXIV. 75 

£i mormorava; e non so che Gentucca, 
Sentiva io là, Vei sentia la piaga 
Della giustizia, che si gli pilucca. 

anima , diss* io , che par sì vaga 40 

Di parlar meco, fa* sì, eh* io t'intenda; 
E te, e me col tuo parlare appaga: 

Femmina è nata, e non porta ancor benda , 
Cominciò ei , che ti farà piacere 
La mia città , come eh* uom la riprenda • 

Tu te n* andrai con questo antivedere: 
Se nel mio mormorar prendesti errore, 
Dichiareranlti ancor le cose vere • 

Ma di* s'io ve^io qui colui, che fuore 
Trasse le nuove rime, cominciando 5o 
Donne ^ ch'avete intelletto d' umore. 

Et io a lui: Io mi sorf un, che, quando 

< Amore spira, noto, et a quel modo. 

Che detta dentro, vo signiftcando • 

O frate, issa ve^'io, diss* egli, il nodo. 
Che *1 Notaio , e Guittone , e me ritenne 
Di qua dal dolce stil nuovo, eh* i* odo. 

Io veggio ben, come le vostre penne 
Dìretro al dittator sen vanno strette. 
Che delle nostre certo non avvenne . 60 

I Amor mi spira. 



•^ 1XL PCRCATOUO 

E <|iial pia s gndire frftre si iHRttc 
Non rede più dali* boo all' altro sdlo: 
E qoasi oontencato a taoette • 

Come ^ ai^ei, die Teman < Teno 1 Nilo, 
Alcana nAtz di lor fiumo schiera , 
Poi Tohn pia in firetta, e Tanno in filo ; 

Con mtta la gente, che lì era. 

Volgendo 1 tìso raffrettò soo passo, 
E per magrezza, e per Tder leggiera. 

E come Toom , che di trottare è lasso » 70 
Lascia andar li compagni, e m, passeggia. 
Fin che si sEi^hi raA>llar del casso; 

Si lasciò trapassar la santa grigia 
Forese, e dietro meco sen Teniva 
Dicendo: Quando fia, ch^Tti rìveggia? 

Non so, ^ risposi lai, qoant^io mi viva : 
Ma già non fia s 1 tornar mio tanto tosto. 
Ch'io non sia col voler prima alla riva ; 

4 Perocché 1 luogo, a^ fai a viver posto. 
Di giorno in giorno più di ben si spolpa, 80 
Et a trista raina par disposto. 

Or va% diss* ei , che qaei , che più n' ha colpa. 
Yegg* io a coda d'una bestia tratto 
Terso la valle, ove mai non si scolpa. 

I lungo*! Nilo, a rìtpot*io lai, 3 il tommr mio 
taiitott«9 4 Perchè *1 Inogo, or* io fai 



CANTO XXIV. 77 

La bestia ad ogni passo va più ratto , 
Crescendo sempre » infin ch'ella 1 percuote, 
E lascia 1 corpo vilmente disfatto . 

Non hanno molto a volger quelle ruote » 
( E drizzò gli occhi al Ciel) ch'a te fia chiaro 
Ciòyche'l mio dir più dichiarar non puote. 90 

Tu ti rimani omai, che *1 tempo è caro 
In questo r^no si, ch'io perdo troj^. 
Venendo teco sì a paro a paro. 

Qual esce alcuna volta di galoppo 
Lo cavalier di schiera » che cavalchi, 
E va per farsi onor del primo intoppo ; 

Tal si parti da noi con maggior valchi: 
Et io rimasi in via con esso i due , 
Che fur del mondo sì gran maliscakhi . 

E quando innanzi a noi sì entrato file» 100 
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci. 
Come la mente alle parole sue, 

Parvermi i rami gravidi e vivaci 

D' un altro pomo , e non molto lontani , 
Per esser pure allora volto in laci. 

Vidi gente sott* esso alzar le mani , 
' E gridar non so che verso le fronde. 
Quasi bramosi fantolini e vani. 



78 B£L PURGATORIO 

Che pregano , e '1 pregato non risponde ; 
Ma per fare esser ben lor voglia acuta, no 
Tien alto lor disio, e noi nasconde. 

Poi si parti, si come ricreduta: 

E noi venimmo al grande arbore, ad esso. 
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta» 

Trapassate oltre , senza farvi presso : 
Legno è più su , che fu morso da Eva , 
E questa pianta si levò da esso. 

SI tra le frasche non so chi diceva : 
Per che Virgilio e Stazio ed io ristretti 
Oltre andavàm dal lato , che si leva . 1 20 

Ricordivi , dicea , de* maladetti 
Ne* nuvoli formati , che satolli 
Teseo combatter coMoppj petti ; 

£ degli Ebrei , eh* al ber si mostrar molli ; 
Per che non ebbe Gedeon compagni , 
Quando in ver Madian discese i colli. 

Si accostati ali* un de* duo vivagni 
Passammo udendo colpe della gola 
Seguite già da miseri guadagni • 

Poi rallargati per la strada sola i3o 

Ben mille passi e più ci portammo oltre, 
Contemplando ciascun senza parola . 



CANTO XXIV. 79 

Che andate pensando si voi sol tre ? 
Subita voce disse ; ond* io mi scossi » 
Come fan bestie spaventate e poltre . 

Drizzai la testa per veder chi fossi : 
E giammai non si videro in fornace 
Vetri 9 o metalli sì lucenti e rossi » 

Com* io vidi un , che dicea : S* a voi piace 
Montare in su, qui si convien dar volta: 140 
Quinci si va chi vuole andar per pace. 

L* aspetto suo m^avea la vista tolta: 

Per cVio mi volsi indietro armici dottori, 
Com'uom , che va , secondo ch^^li ascolta. 

E quale annunziatrice degli albori 
L^aura di Maggio muovesi, et olezza 
Tutta impregnata dair erba e da* fiori ; 

Tal mi senti* un vento dar per mezza 
La fronte : e ben senti* muover la piuma , 
Che fé* sentir d* ambrosia 1* orezza ; 1 5 

E senti* dir: Beati ^ cui alluma 

Tanto di grazia , che 1* amor del gusto 
Nel petto lor troppo disir non fuma , 

Esuriendo sempre quanto è giusto. 



I 



Si 

CANTO VENTESIMOQUINTO. 



AaaoMKKTo 

Dispiega Stazio a/ Poeta l'opera mirabile ^della gene^ 
razione, e mostra come l'anime pestano forma visi- 
òlle, con che gli risolve un quesito. Indi saliti al set- 
timo ed ultimo girone, in cui si purga il peccato della 
Lussuria , Dante ritrova V anisae , eh" tra fiamme 
ardenti cantavano un Inno, ed appresso ripetevano 
esempi di Castità . 

vJra era, onde U salir non volea storpio; 
Che '1 Sole avea lo cerchio di merigge 
Lasciato al Tauro, e la notte allo Scorpio. 

Per che, come fa l'uom, che non s'affigge. 
Ma vassi alla via sua , chechè gli appaia , 
Se di bisogno stimolo il trafigge ; 

Cosi entrammo noi per la callaia; 

Uno ' innanzi altro prendendo la scala , 
Che per artezza i salitor dispaia. 

E quale il cicognin, che leva Tala io 

Per voglia di volare, e non s^ attenta 
D^ abbandonar lo nido, e giù la cala; 

I ansi r altro 

Dante T.IL é 



«a DEL PURGATORIO 

Tal era io con voglia accesa e spenta 
Di dimandar, venendo infino all'atto. 
Che fa colui, eh' a dicer s'argomenta. 

Non lasciò per l'andar, che fosse ratto. 
Lo dolce padre mioi ma disse: Scocca 
L'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto. 

AUor sicuramente aprii la bocca, 

E cominciai: Come sì può far magro 20 
Là, dove l'uopo dì nutrir non tocca? 

Se t'ammentassi, come Meleagro 
Si consumò al consumar d'un tizzo, 
Non fora, disse, questo a te sì agro; 

E se pensassi, come al vostro guizzo 

Guizza dentro allo specchio vostra image. 
Ciò, che par duro, ti parrebbe vizzo. 

Ma perchè dentro a tuo voler t'adage. 
Ecco qui Stazio; et io lui chiamo e prego. 
Che sia or sanator delie tue piage. 3o 

Se la vendetta eterna gli dislego. 
Rispose Stazio, là dove tu sie, 
Discolpi me non potert'io far niego. 

Poi cominciò: Se le parole mie. 

Figlio , la mente tua guarda e riceve , 
Lume ti fieno al come, che tu die. 



CANTO XXV. 83 

Sangue perfetto, che mai non si beve 
Dall* assetate vene, e si rimane 
Quasi alimento, che di mensa leve. 

Prende nel core a tutte membra umane 40 
Virtute informativa, come quello, 
Ch'a farsi quelle per le vene vane. 
. Ancor digesto scende, ov'è più bello 

Tacer , che dire ; e quindi poscia geme 
So vr* altrui «angue in naturai vasello. 

Ivi s'accoglie Tuno e l'altro insieme, 
L'un disposto a patire, e l'altro a fare, 
Per lo perfetto luogo , onde si preme ; 

E giunto lui comincia ad operare 

Coagulando prima, e poi ravviva 5o 

Ciò, che per sua materia fe'gestare. 

Anima fatta la virtute attiva, 

Qual d'una pianta, in tanto differente. 
Che quest' è 'n via, e quella è già a riva. 

Tanto ovra poi , che già si muove e sente , 
Come fungo marino ; et ivi imprende 
Ad organar le posse, ond'è seqiente. 

Or si piega , figliuolo , or si distende 
La virtù, eh' è dal cuor del generante. 
Dove natura a tutte membra intende. 60 



/ 



I 
i 



d4 DEL PURGATORIO 

Ma come d* animal divegna fante 
Non vedi tu ancor: questue tal punte 
Che più savio di te già fece errante 

Sì , che per sua dottrina fé' disgiunto 
Dair anima il possibile intelletto. 
Perchè da lui non vide organo assuni 

Apri alla verità j che viene, il petto, 
£ sappi , che sì tosto come al feto 
L* articolar del cerebro è perfetto. 

Lo Motor primo a lui si volge lieto, 
Sovra ' tanta arte di natura , e spira 
Spirito nuovo di virtù repleto. 

Che ciò, che truova attivo quivi, tira 
In sua sustanzia, e fassi un^alma sob 
Che vive, e sente, e se in se rigira . 

E perchè meno ammiri la parola. 
Guarda '1 calor del Sol, che si fa vine 
Giunto ali* umor, che dalla vite cola. 

E quando Lachesìs non ha più lino , 
Solves! dalla carne , et in virtute 
Seco ne porta e Fumano, e '1 divino, 

L'altre potenzie tutte quante mute, 
Memoria, intelligenzia , e voloutade. 
In atto, molto più che prima, acute. 

I taht*aTte di natura , 



CANTO XXV. «5 

Senza restarsi per se stessa cade 
Mirabilmente ali* una delle rive: 
Quivi conosce prima le sue strade. 

Tosto che luogo ' là la circonscrive. 
La virtù formativa raggia intorno 
Così, e quanto nelle membra vive. 90 

E come l'aere, quand'è ben * piorno. 
Per r altrui raggio, che 'n se si riflette, 
Di diversi color si mostra adorno; 

Cosi Taer vicin quivi si mette 

In quella forma, che in lui suggella 
Virtualmente Talma, che ristette. 

£ simigliante poi alla fiammella , 

Che segue *1 fuoco là, dunque si muta. 
Segue allo spirto sua forma novella. 

Perocché quindi ha poscia sua parata, 100 
£ chiamat* ombra ; e quindi organa poi 
Ciascun sentire insino alla veduta. 

Quindi parliamo, e quindi ridiam noi: 
Quindi facciam le lagrime e i sospiri, 
Che per lo monte aver sentiti puoi. 

Secondo che ci afEggon li disiri, 
E gli altri affetti, l'ombra si figura: 
E questa è la cagion, di che tu miri. 

« 

1 li la circonscrive, 1 piovorno^ 



ì 

ì 






8'j DEL PURGATORIO 

E giìi venuto all' ultimo tortura 

S'era per noi, evolto alla man destra, i io 
Et eravamo attenti ad altra cura . 

Quivi U ripa fiamma in fuor balestra: 
E la cornice spira fiato in suso. 
Che la reflette, e via da lei sequestra; 

Onde ir ne convenia dal lato schiuso 
Ad uno ad uno: et io temeva 'I fuoco 
Quinci, e quindi temeva il cader giuso. 

Lo duca mio dicea : Per questo loco 

Si vuol tenere agli occhi stretto '1 freno, 
Perocch'errar potrebbesi per poco. i2t> 

Suiiuriac Deus clcmcntiae , nel seno 
Del grand' ardore allora udì', cantando. 
Che di volger mi fe'caler non meno. 

E vidi spirti per la fiamma andando: 

Per ch'io guardava a i loro et a'miei passi. 
Compartendo la vista a qitando a quando. 

Appresso'! fine, ch'a quell'inno fassi, 
Gridavano alto: Firuiii non cognosco: 
Indi ricominciavan l'inno bassi. 

Finitolo anche gridavano: Al bosco i 3o 
Corse Diana, et Elice caccionne, 
Che di Venere avea sentito '1 tosco. 



CANTO XXT. 

Indi al cantar tornavano : indi doàne 
Gridavano , e mariti , che fur casti , 
Come virtute, e matrimonio impònne. 

E questo modo credo , che lor basti 

Per tutto 1 tempo, cheU fuoco gli abbrucia 
Con tal cura conviene e con tai pasti , 

Che la piaga da sezzo si ricucia. 



89 

CANTO VENTESIMOSESTO . 



Aegomento 

JDanie andando con VirgUio e Stazio ptdi alire anime 
de' Lussuriosi penir ira le fiamme perso le prime, la 
quali nelt incontrarsi tune con l'altre si èaciawtne, 
e dicevano esempj di Lussuria, di poi seguivano Im 
loro strada; ed il Poeta tra questi parla con Guida 
Guinicellif ed Arnaldo Daniello, 



JVlentre che sì per Torlo > uno innanzi altro 
Ce n'andavamo, ^ spesso U buon Maestro 
Diceva : Guarda ; giovi , cV io ti scaltro » 

Feriami U Sole in su Tornerò destro. 
Che già raggiando tutto V Occidente 
Mutava in bianco aspetto di cilestro; 

Et io facea con T ombra più rovente 
Parer la fiamma ; e pure a tanto indizio 
Vidi molt' ombre andando poner mente. 

Questa fu la cagion, che diede inizio io 
Loro a parlar di me ; e cominciarsi 
A dir : Colui non par corpo fittizio . 

I uno tuli r altro 2 a spetto '1 buon Maestro 



I 



^ DEL PURGATORIO 

Poi verso roe, quanto potevan farsi, 
Certi si feron sempre con riguardo 
Di non uscir, dove non fossero arsi. 

O lu, che vai, non per esser più tardo. 
Ma forse reverente agli altri dopo, 
Rispondi a me, che'n sete et in fuoco ardo. 

Né solo a me la tua risposta è uopo: 

Che tutti questi n'hanno maggior sete, ao 
Che d'acqua fredda Indo, o Etiopo. 

Dinne, com'è, che fai di te parete 
Ai Sol, come se tu non fossi ancora 
Di morte entrato dentro dalla rete? 

Sì mi parlava un d'essi; et io mi fora 
Già manifesto, s'io non fossi atteso 
Ad altra novità, ch'apparse allora; 

Che per lo mezzo del cammino acceso 
Venia gente col viso incontro a questa , 
La qual mi fece a rimirar sospeso. 3o 

Lì veggio d' ogni parte farsi presta 

Ciascun' ombra, e baciarsi una con una 
Senza restar, contente a breve festa: 

Cosi per entro loro schiera bruna 

S'ammusa l'una con l'altra formica, 
Forse a spiar lor via , e lor fortuna • 



CANTO XXVL fi 

Tosto che parton l' accoglienza amica , 
Prima che il primo passo lì trascorra. 
Sopra gridar ciascuna s'affatica; 

La nuova gente : * Soddoma e Gomorra ; 4« 
E l'altra: Nella vacca entrò Pasife, 
Perchè '1 torello a sua lussuria corra. 

Poi come gru, eh' alle montagne Rife 
Yolasser parte, e parte in ver T arene. 
Queste del giel , quelle del Sole schife > 

L*una gente sen va, l'altra sen viene. 
E torndn lagrimando a^ primi canti , 
^ E al gridar , che più lor si conviene : 

E raccostarsi a me , come davanti , 

Essi medesmi , che m' avean pregato , 5 • 
Attenti ad ascoltar ne* lor sembianti • 

Io, che due volte avea visto lor grato, 
' Incominciai : O anime sicure 
D^aver, quando che sia, di pace stato. 

Non son rimase acerbe , né mature 

Le membra mia di là, ma son qui meco 
Col sangue suo , e con le sue giunture. 

Quinci su vo , per non esser più cieco : 
Donn* è di sopra , che n* acquista grazia ; 
Per che'l mortai pel vostro mondo reco. 6e 

I Sodoma • Gomorra, a Et al gridar^ 



9a DEL PURGATORIO 

Ma se la vostra maggior voglia sazia 
Tosto divegna sì, che '1 Ciel v'alberghi, 
Ch'è pien d'amore, e più ampio si spazia. 

Ditemi, acciocché ancor carte ne verghi. 
Chi siete voi , e chi è quella turba , 
Che si ne va diretro a' vostri terghi? 

Non altrimenti stupido si turba 

Lo montanaro, e rimirando ammuta. 
Quando rozzo e salvatico s' inurba ; 

Che ciascun* ombra fece in sua paruta : 70 
Ma poiché furon di stupore scarche , 
Lo qual negli alti cuor tosto s'attuta: 

Beato te, che delle nostre marche. 
Ricominciò colei , che pria ne chiese , 
Per viver meglio esperienza imbarche . 

La gente 9 che non vien con noi, offese 
Di ciò , per che già Cesar trionfando 
Regina contra se chiamar s' intese : 

Però si parton, Soddoma gridando. 

Rimproverando a se , com' hai udito, 80 
E aiutan V arsura vergognando . 

Nostro peccato fu Ermafrodito ; 

Ma perchè non servammo umana legge. 
Seguendo come bestie l'appetito. 



CANTO XXVI. 93 

In obbrobrio di noi per noi si legge , 
Quando partìamci, il nome di colei. 
Che s'imbestiò nelle 'mbestiate schegge. 

Or sai nostri atti, e di che fummo rei : 
Se forse a nome vuoi saper chi semo , 
Tempo non è da dire, e non saprei. 90- 

Farotti ben di me volere scemo : 

Son Guido Guinicelli, e già mi purgo. 
Per ben dolermi prima ch'alio stremo. 

Quali nella tristizia di Licurgo 

Si fer duo figli a riveder la madre, 
Tal mi fee' io, ma non a tanto insurgo, 

Quando i' udi' nomar se stesso il padre 
Mio, e degli altri miei miglior, che mai 
Rime d'amore usar dolci e leggiadre: 

£ senza udire e dir pensoso andai 100 

Lunga fiata rimirando lui , 
Ne per lo fuoco in là più m^ appressai. 

Poiché di riguardar pasciuto fui , 

Tutto m' offersi pronto al suo servigio 
Con raffermar, che fa credere altrui. 

Et egli a me : Tu lasci tal vestigio , 

Per quel ch'i' odo, in ihe, e tanto chiaro. 
Che Lete noi può torre, ne far bigio. 



9« DEL PURGATORIO 

Ma se le tue parole or ver giuraro , 

Dimmi, che è cagion , perchè dimostri no 
Nel dire e nel guardar d' avermi caro? 

Et io a lui : Li dolci detti vostri , 
Ghe^ quanto durerà V uso moderno, 
Farannorcari ancora i loro inchiostri. 

O frate, disse, questi, ch^io ti scemo 
Gol dito (e additò uno spirto innanzi) 
Fu miglior fabbro del parlar materno : 

Versi d'amore, e prose di romanu 
Soverchiò tutti ; e lascia dir gli stolti , 
Che quel di Lemosi credon ch'avanzi : 120 

A voce pia ch^ al ver drizzan Ir volti , 
£ così ferman sua opinione. 
Prima eh' arte , o ragion per lor s' ascolti . 

Così fer molti antichi di Guittone , 

Di grido in grido pur lui dando pregio. 
Fin che V ha vinto U ver con piiì persone. 

Or se tu hai sì ampio privilegio. 
Che licito ti sia V andare al chiostro , 
Nel quale è Cristo abate del collegio. 

Fagli per me un dir di pater nostro, i3o 
Quanto bisogna a noi di questo mondo. 
Ove poter peccar non è più nostro. 



CANTO ZXVL ^ 

Poi forse per dar luogo altrui secondo, 
' Che presso avea , disparve per lo fuoco , 
Come per Tacqua il pesce andando al fondo. 

Io mi feci al mostrato innanzi un poco, 
£ dissi, eh* al suo nome il mio desire 
Apparecchiava grazioso loco. 

£i cominciò liberamente a dire : 

Tan m'abbelis votre cortois demctnj 140^ 
Chi eu non puousj ne uueil a vos cobrire. 

Jeu sui Arnautj che plor^ e vai cantan 
Con si tost vei la spassada folor ^ 
Et vie giau sen le jor, che sper, denan. 

Ara vus preu pera chella valor ^. 

Cile vus ghida al som delle scolina, 
Sovegna vus a temps de ma dolor: 

Poi 8* ascose nel fuoco , che gli affina • 



97 

CANTO VENTESIMOSETTIMO 



Argomento 

Fedono i Poeti un Angelo, pel cui avviso passano irm 
le fiamme, e vaiioo all' ultima scala, sulla quale , 
amai giunta la notte, si fermano. Quivi Dante ad* 
dormentatosi eòòe una visione, e risvegliatosi suit au» 
rora sah col suo duce e con Stazio alla cima^ dove 
Virgilio lo mise in liòertà di far per innansù ogni 
cosa a suo talento» 

dì come, quando i primi raggi vibra 
Là, dove il suo Fattore il sangue sparse. 
Cadendo Ibero sotto l'alta Libra, t 

E *n r onde in Gange di nuovo riarse , 
Sì stava il Sole , onde 1 giorno sen giva , 
Quando TAngel di Dio lieto ci apparse. 

Fuor della fiamma stava in su la riva , 
E cantava : Beaii mundo corde , 
In voce assai più, che la nostra, viva. 

Poscia : Più non si va , se pria non morde , i o 
Anime sante , il fuoco : entrate in esso , 
Et al cantar di là non siate sorde. 

Dmtz t,il 7 



98 DEL P^GATORIO 

Sì disse 9 come noi gli fummo presso : 
Per eh' io divemii tal , quando lo 'ntesi » 
Quale è colui, che nella fossa è messo. 

In su le man commesse mi protesi , 

Guardando U fuoco , e immaginando forte 
Umani corpi già veduti accesi . 

Yolsersi verso me le J)Uone scorte ; 

E Virgilio mi disse : Figliuol mio , 20 
Qui puote esser tormento, ma non morte • 

* Ricordati, ricordati: e se io 
Sovr'esso Gerion ti guidai salvo , 
Che farò or, che son più presso a Dio? 

Credi per certo , che se dentro air alvo 
Di questa fiamma stessi ben mill* anni. 
Non ti potrebbe far d^un capei calvo. 

£ se tu credi forse , eh' io t* inganni , 
Fatti ver lei, e fatti far credenza 
Con le tue mani al lembo de'tuo' panni. 3o 

Pon giù ornai , pon giù ogni temenza : 
Volgiti 'n qua, e vieni oltre sicuro. 
Et io pur fermo , e contra coscienza . 

Quando mi vide star pur fermo e duro. 
Turbato un poco disse: Or vedi, figlio. 
Tra Beatrice , e te è questo muro • 

I Ricorditi, ricorditi; 



CANTO ZXVIL 99 

Come al nome di Tisbe aperse *1 ciglio 
Pi ramo in su la morte, e riguardolla, 
AUor che U gelso diventò vermiglio; 

Così la mia durezza fatta solla , 40 

ìtfhvolsi al savio duca udendo il nome. 
Che nella mente sempre mi rampolla / 

Ond' e' crollò la testa , e disse : Come , 
Volemci star di qua? indi sorrise. 
Come al fanciul si fa, eh' è vinto al pome. 

Poi dentro al fuoco innanzi mi si mise. 
Pregando Stazio, che venisse retro. 
Che pria per lunga strada ci divise • 

Come fui dentro, in un bogliente vetro 
Citta to mi sarei per rinfrescarmi. So 
Tant'era ivi lo 'ncendio senza metro. 

Lo dolce padre mio per confortarmi 
Pur di Beatrice ragionando andava , 
Dicendo : CU occhi suoi già veder parmi • 

Guida vaci una voce, che cantava 
Di là; e noi attenti pure a lei 
Venimmo Aior là, ove si montava. 

Venite j henedicti patris mei^ 
Sonò dentro a un lume, che li era. 
Tal, che mi vinse, e guardar noi potei. 60 



loo DEL PURGATORIO 

Lo Sol sen va , soggiunse , e vien la sera : 
Non v'arrestate^ ma studiate U passo , 
Mentre che T Occidente non scannerà. 
Dritta salia la via per entro U sasso 
Verso tal parte, ch^o toglieva i ^^(tÈf 
Dinanzi a me del Sol , eh* era già ladso . 
E di pochi scaglion levammo i saggi. 
Che U Sol corcar per Tombra, che si spense, 
Sentimmo dietro et io, e gli miei saggi. 
E pria che in tutte le sue parti immense 70 
Fusse orizzonte fatto d^un aspetto, 
E notte avesse tutte sue dispense, 
Ciascim di noi d^ un grado fece letto ; 
Che la natnra del monte ci aflPranse 
La possa del salir, più che U diletto. 
Quali si < fanno ruminando manse 
Le capre, state rapide e proterve. 
Sopra le cime , prima che sien pranse , 
Tacite all'ombra, mentre che '1 S<^ ferve. 
Guardate dal paator, che'n su la verga 80 
Poggiato s'è , e lor poggiato serve: 
E quale il mandrian, che fuori alberga 
Lungo '1 peculio suo queto pernotta , 
Guardando, perchè fiera non lo sperga; 

I stanno ruminande 



CANTO XXVII. 101 

Tali eravamo ' tutt^e tre allotta. 
Io come capra 9 et ei come pastori , 
Fasciati quinci e quindi dalla grotta. 

Poco potea parer li del di fuori; 
Ma per quel poco vedev^k) le stelle 
Di lor solere e più chiare, e maggiori. 90 

Si ruminando, e si mirando in quelle. 
Mi prese "1 sonno, il sonno, che sovente. 
Anzi che '1 fatto sìa, sa le novelle. 

Nell'ora, credo, che dell' Oriente 
Prima raggiò nel monte Citerea, 
Che di fuoco d'amor par sempre ardente , 

Giovane e bella in sogno mi parea 
Donna vedere andar per una landa 
Cogliendo fiori , e cantando dicea : 

Sappia qualunque '1 mio nome dimanda , 1 00 
Ch^io mi son Lia, e vo movendo 'ntorno 
Le belle mani a farmi una ghirlanda • 

Per piacermi allo specchio, qui m'adorno; 
Ma mia suora Rachel mai non si smaga 
Dal suo ammiraglio , e siede tutto giorno • 

£ir è de' suo' begli occhi veder vaga , 
Com' io deir adomarmi con le mani: 
Lei lo vedere, e me Tovrare appaga. 

I tutti e tr« 



loa DEL PURGATORIO 

£ già per li splendori antelucani , 

Che unto a i peregrin sargon piò grati, no 
Quanto tornando albergan men lontani. 

Le tenebre fuggian da tutti i lati , 

£ U sonno mio con esse ; ond'io levami, 
Ye^ndo i gran Maestri già levati . 

Quel dolce pome , che per tanti rami 
Cercando va la cura de^ mortali , 
Oggi porrà in pace le tue fami . 

Virgilio inverso me queste cotali 
Parole usò; e mai non furo strenne. 
Che fosser di piacere a queste iguali . 1 20 

Tanto voler sovra voler mi venne 
Dell'esser su, eh* ad ogni passo poi 
Al volo mio sentia crescer le penne. 

Come la scala tutta sotto noi 

Fu corsa, e fummo in su'l grado superno. 
In me ficcò Virgilio gii occhi suoi , 

£ disse: Il tempora! fuoco, e l'eterno 
Veduto hai, figlio, e se' venuto in parte, 
OvMo per tàe piò oltre non discerno. 

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte: 1 3o 
Lo tuo piacere ornai prendi per duce: 
Fuor se" dell' erte vie, fuor se' dell' arte. 



CANTO XXVIL loS 

Vedi là il Sol, che *n fronte ti riluce: 
Vedi r erbetta » i fiori, e gli arbucelli. 
Che quella terra sol da se produce. 

Mentre che vegnon lieti gli occhi belli , 
Che lagrimando a te venir mi fenno , 
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli. 

Non aspettar mio dir più, né mio cenno: 
Libero, dritto^ sano è tuo arbitrio, 14.0 
E faUo fora non fare a suo senno : 

Per eh* io te sopra te corono, e mitrio. 



loS 

CANTO VENTESIMOTTAVO. 



ARGOMENTO 

Ftrvinuin Dmtte atta vetta del ménte entra nella fo^ 
retta del Paradiso terrestre, e giunto con Virgilio e 
Stazio alle chiarissime ac^ue del fiume Lete, vede 
n^ir opposta parte Matelda, che andava cantando, 
ed iscegliendo tun dait altro diversi fiori, dalla 
fuale vengongli spiegate aieutte proprietà di fuel dk» 
lizioso luogo, 

V ago gìÀ di cercar dentro é dintorno 
La divina foresta spessa e viva , 
di'* agli occhi temperava il nuovo giorno, 

Senza più aspettar lasciai la riva. 
Prendendo la campagna lento lento 
Su per lo suol, cl^ d^ogni parte oliva. 

Un* aura dolce, senza mutamento 
Avere in se , mi feria per la fronte 
Non di più colpo, che soav<e vento; 

Per cui le fronde tremolando pronte i o 
Tutte quante piegavano alla parte , 
ITla prim* ombra gitta il santo monte. 



io6 DEL PURGATORIO 

Non però dal lor esser dritto sparte 
Tanto, che gli augelletti per le cime 
Lasciasser d'operare ogni lor arte; 

Ma con piena letizia V ore' prime 
Cantando riceveano intra le foglie. 
Che tenevan bordone ' alle sne rime 

Tal , qual di ramo in ramo si raccoglie 
Per la pineta in sul lito di Chiassi, ao 
Quand^ Eolo Scirocco fuor discioglie • 

Già m^avean trasportato i lenti passi 
Dentro all^ antica selva tanto, chMo 
Non potea rivedere, ond'io m'entrassi: 

Et ecco più andar mi tolse un rio. 
Che 'n ver sinistra con sue picciole onde 
Piegava Terba, che 'n sua ripa uscio. 

Tutte r acque , che son di qus^ più monde , 
Parrieno avere in se mistura alcuna 
Verso. di quella, che nulla nasconde, 3o 

Awegna che si muova bruna bruna 
Sotto r ombra perpetua, che mai 
Raggiar non lascia Sole ivi, né Luna. 

Compiè ristetti, e con gli occhi passai 
Di là dal fiumicello per mirare 
La gran variazion de^ freschi mai: 

I alle lor rime 



CANTO XXVIII. 107 

E là m'apparve, si com'egli appare 
Subitamente cosa, che disvia 
Per maraviglia tutt' altro pensare » 

Una donna soletta , che si già 40 

Cantando ed isciegliendo fior da fiore , 
Ond' era pinta tutta la sua via • 

Deh bella Donna, eh' a' raggi di amore 
Ti scaldi, s'i'vo' credere a' sembianti. 
Che soglion esser testimon del core, 

Yegnati voglia di trarreti avanti. 
Diss' io a lei , verso questa riviera 
Tanto, ch'io possa intender che tu canti. 

Tu mi fai rimembrar dove, e quaKera 
Proserpina nel tempo, che perdette So 
La madre lei, et ella primavera. 

Come si volge con le piante strette 
A terra, e intra se donna , che balli, 
E piede innanzi piede appena mette, 

Yolsesi 'n su' vermigli et in su' gialli 
Fioretti verso me non altrimenti , 
Che vergine , che gli occhi onesti avvalli ; 

£ fece i prì^hi miei esser contenti 
Sì appressando se, che '1 dolce suono 
Veniva a me co' suoi intendimenti. 60 



K)6 DEL PURGATORIO 

Tosto che til là , dove l' erbe sono 
Bagnate già dall'onde del bel fiume. 
Di levar gli occhi suoi mi fece dono. 

Non credo, che splendesse tanto lume 
Sotto le ciglia a Venere trafitta 
Dal figlio fuor di tutto suo costume. 

Ella ridea , dair altra riva dritta 

Traendo più color con le sue mani , 
Che Talta terra senza seme gitta. 

Tre passi ci facea '1 fiume lontani*: 70 

Ma Ellesponto là , Ve passò < Xerse, 
Ancora freno a tutti orgogli umani , 

Più odio da Leandro non sofferse 

Per mareggiare intra Sesto et Alndo, 
Che quel da me, perchè allor non s'aperse. 

Voi siete nuovi; e forse perch'io rido, 
Cominciò ella , in questo luogo eletto 
All'umana natura per suo nido , 

Maravigliando tienvi alcun sospetto: 

Ma luce rende il salmo Delectasti, 80 
Che puote disnebbiar vostro 'ntelletto . 

^ E tu, che se' dinanzi, 3 e mi pregasti. 
Di' s'altro 4 vuoi udir; ch'io venni presta 
Ad ogni tua question, tanto che basti. 

I Serte I a Or tn, 3 e me pregatti, 4 tqoIì odìr: 



\ 



CANTO XXVIIL 109 

L'acqua, dissalo, e U auoa deUa foresta 
Impugnai! dentro a me novella fede 
Di cosa 9 ch'io udi^ contraria a questa. 

Ond' ella: V dicerò come procede 

Per sua cagion ciò» ch'ammirar ti face, 
E purgherò la nebbia , che ti fiede • 90 

Lo Sommo Ben, che solo esso a se piace. 
Fece Tuom buono a bene, e questo loco 
Diede per arra a lui d'eterna pace. 

Per sua diffalta qui dimorò poco : 

Per sua di£Palta in pianto et m affanno 
Cambiò onesto riso e dolce giuoco. 

Perchè M turbar, ohe sotto da se fanno 
L'esalazion dell'acqua e della terra. 
Che quanto posson dietro al calor vanno. 

All'uomo non facesse alcuna guerra, too 
Questo monte salìo ver lo Ciel tanto , 
E libero è da indi , ève si jerm • 

Or perchè in circuito tutto quanto 
L'aer si volge con la prima volta. 
Se non gli è rotto '1 cerchio d'alcun canto. 

In questa altezza , che tutta è disciolta 
Nell'aer vivo, tal moto percuote, 
E fa sonar la selva, perch' è folta: 



'•.r 



k ^ 



no DEL PURGATORIO 

E la percossa pianta tanta puote , 

Che della sua virtute Taura impregna, ne 
E quella poi girando intorno scuote : 

E r altra terra, secondo ch^è degna 
Per se, o per suo Cìel, concepe e figlia 
Di diverse virtù diverse 1 egna . 

Non parrebbe di là poi maraviglia. 
Udito questo, quando alcuna pianta 
Senza seme palese vi s' appiglia • 

E saper dei, che la campagna santa. 
Ove tu 8e\ d^ogni semènza è piena, 
E frutto ha in se, che di là non si schianta. 

L'acqua, che vedi, non surge di vena, ( lao 
Che ristori vapor, che giel converta. 
Come fiume, ch^ acquista, o perde lena; 

Ma esce di fontana salda e certa , 
Che tanto del voler di Dio riprende, 
Quant^ ella versa da duo parti aperta . 

Da questa parte con virtù discende. 
Che toglie altrui memoria del peccato: 
Dair altra d' ogni ben fatto la rende . 

Quinci Lete , cosi dall' altro lato 1 3o 

Eunoè si chiama ; e non adopra , 
Se quinci e quindi pria non è gustato. 



CANTO XXVIII. Ill 



A tutt* altri sapori esto è di sopra : 
£ av vegna eh' assai possa esser sazia 
La sete tua , perchè più non ti scuopra , 

Darotti un corollario ancor per grazia : 
Né credo 9 che U mio dir ti sia men caro, 
Se oltre promission teco si spazia • 

Quelli, e V anticamente poetaro 

L'età deiroro, e suo stato felice , i^o 
Forse in Parnaso esto loco sognaro. • 

Qui fu innocente T umana radice : 

Qui primavera sempre, et ogni frutto: 
Nettare è questo, di che ciascun dice. 

Io mi rivolsi addietro allora tutto 
A^ mie^ Poeti , e vidi , che con riso 
Udito avevan T ultimo costrutto : 

Poi alla bella donna tornai U viso • 



Iti 

CANTO VENTESIMONONO. 



ÀEGOMfVTO 

DUe il Po€ia, che ondando còn Mateldm bmp le jp«ii- 
de del fiume Lete vide nella foftsta un lucentisnm^ 
eplendoref e per Faere auA uim #Mfw mehdim, ed im 
oltre osservò uno proeeuiemo» in eui venivo ifn Grif^ 
ne traente un corro nionfole, che giunto a lui diria^ 
petto si fermò eon tutta la' gente, che lo aetompom 
gnopa, 

V^antando, come donna innamorata , 
Continuò coi fin di aoe parole^ 
Beati ^ quorum tecta sunt peccata: 

E come Ninfe , che si givan sole 
Per le salvatiche ombre disiando 
Qual di fuggir 9 qnal di veder lo Sole; 

Allor si mosse contra *1 fiume andando 
Su per la riva, et io pan di lei, 
Picciol passo con picciol seguitando. 

Non eran cento tra i suo* passi e i miei , i o 
Quando le ripe igualmente dier volta 
Per modo, eh* al Levante mi rendei. 

Djmtm T.ll I 



114 BEL PURGATORIO 

anche fa così nostra TÌa molta» 
Quando la donna > mia a me 8i torse 
Dicendo: Frate mio, guarda, et ascolta. 

Et ecco un lustro subito trascorse 
Da tutte parti per la gran foresta » 
Tal che di balenar mi mise in forse. 

Ma perchè U balenar , come vien , resta , 
£ quel durando più e più splendeva , ao 
Nel mio pensar dicea; Che cosa è <{uesta? 

Et una melodia dolce correva 

* Per Taer luminoso; onde buon zelo 
Mi fé' riprender l'ardimento d'Eva: 

Che là, dove ubbidia la terra e '1 Ciela, 
Femmina sola , e pur testé formata 
Non sofferse di star sotto alcun velo; 

Sotto *1 qual se di vota fosse stata , 
Avrei quelle ineffabili delizie 
Sentite prima, e poi lunga fiata • 3o 

Mentr* io m* andava tra tante primizie 
Deir eterno piacer tutto sospeso , 
E disioso 3 ancora a più letizie , 

Dinanzi a ne» tal, quale un fuoco acceso, 

4 Ci si feU^aer sotto i verdi rami, 
E '1 dolce suon per canto era già 'nteso • 

1 tutta a ne a Per 1* «ara 3 ancor di pia letizie » 
4 Ci tifa*!* aere 



CANTO XXIX. iiS 

O sacrosante Vergini, se fami. 

Freddi, o vigilie mai per voi soffersi, 
Gagion mi sprona, ch^ io mercè ne chiami. 

. Or cpnvien , ch^ Elicona per me versi , 40 
Et Urania m* aiuti col suo coro 
Forti cose a pensar mettere in versi . 

Poco più oltre sette alberi d' oro 
Falsava nel parere il lungo tratto 
Del mezzo , eh* era ancor tra noi e loro : 

Ma quando i'fni sì presso di lor fatto , 
Che robbiettocomun,cheM senso inganna. 
Non perdea per distanza alcun suo atto; 

La virtù, eh* a ragion discorso ammanna. 
Sì com* egli eran candelabri apprese. So 
E nelle voci del cantare Osanna . 

Di sopra fiammeggiava il bello arnese 
Più chiaro assai, che Luna per sereno 
Di mezza notte nel suo mezzo mese. 

fo mi rivolsi d'ammirazion pieno 
Al buon Virgilio: et esso mi rispose 
Con vista carca di stupor non meno : 

Indi rendei V aspetto ali* alte cose , 
Che si movièno incontro a noi sì tardi. 
Che foran vinte da novelle spose. 60 



ii6 DEL PURGATORIO 

La donna mi sgridò : Perchè pur ardi 
Si nell'affetto delle vive luci, 
E ciò che vien dh^tro a lor non guardi ? 

Genti vidMo allor, cornea lor duci. 
Venire appresso vestite di bianco: 
E tal candor giammv di qua non fuci. 

L'acqua splendeva dal sinistro fianco, 
E rendea a me la mia sinistra costa. 
S'io riguardava in lei, come specchio anco. 

Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta, 70 
Che solo il fiume mi facea distante. 
Per veder meglio appassì diedi sosta: 

E vidi le fiammelle andare avante. 
Lasciando dietro a se Taer dipinto» 
E di tratti pennelli avea sembiante ; 

Di ch'egli sopra rimanea distinto 
Di sette liste tutte in qnei colori. 
Onde fa Parco il Sole, e Delia il cinto. 

Questi stendali dietro eran maggiori , 
C!he la mia vista; e quanto a mio avviso, 80 
Diece passi distavan quei di fuori. 

Sotto cosi bel Giel, compio diviso. 
Ventiquattro signori a due a due 
Coronati venian di fiordaliso * 



CANTO XXIX. 117 

Tutti cantavan : Benedetta tue 
Nelle figlie d* Adamo; e benedette 
Sieno in eterno le bellezze tue. 

Poscia che i fiori e V altre fresche erbette 
A rimpetto di me dall'altra sponda 
Libere fur da quelle genti elette, 90 

Sì come luce luce in Cid seconda. 
Tennero appresso lor quattro animali. 
Coronato ciascun di verde fronda» 

Ognupo era pennuto dì sei ali; 

Le penne piene dVchi; egli occhi d^Argo, 
Se fosser vivi, sarebber cotali. 

A discriver lor forma più non spargo 
Rime, Lettor; ch'altra spesa mi strìgne 
Tanto, che 'n questa non posso esser largo« 

Ma le^ Ezechiel, che li dipigne, 100 

Come lì vide dalla fredda parte 
Venir con vento, con nube, e con igi^e: 

£ quai li troverrai nelle sue carte. 
Tali eran quivi, salvo eh* alle penne 
Giovanni è meco, e da lui si diparte. 

Lo spazio dentro a lor quattro contenne 
Un carro in su duo ruote trionfale. 
Ch'ai collo d'un Crifon tirata venne: 



- ii8 DEL PURGATORIO 

Et esso tendea su V una , e T altr' ale 

Tra la mezzana e le tre e tre liste » no 
Si eh' a nulla fendendo facea male. 

Tanto sali van, che non eran viste: 

Le membra d'oro avea, quanto era uccello» 
,E bianche T altre di vermiglio miste. 

Non che Roma di carro così bello 

Rallegrasse Affiricano, ovvero Augusto; 
Ma quel del Sol, saria pover con elio. 

Quel del Sol, che sviando fu combusto 
Per r orazion della Terra devota , 
Quando fu Giove arcanamente giusto. 1 20 

Tre donne in giro dalla destra ruota 
Yenièn danzando; Tuna tanto rossa. 
Ch'appena fo];a dentro al fuoco nota; 

L'akr'era, come se le carni e Tossa 
Fossero state di smeraldo fatte; 
La terza parca neve teste mossa : 

Et or parevan dalla bianca tratte. 
Or dalla rossa, e dal canto di questa 
L'altre toglièn l'andare e tarde e ratte. 

Dalla sinistra quattro < facèn festa, i3o 
In porpora vestite, dietro al modo 
D' una di lor , eh' a vea tre occhi in testa . 

I facean fetta, 



CANTO XXIX. fi9 

Appresso tutto '1 pertrattato nodo 
Vidi duo vecchi in abito dispari , 
Ma pari in atto et onestato, e sodo. 

L*un si mostrava alcun de' famigliari 
Di quél sommo Ippocrate, che Natura 
Agli animali k\ cV eli' ha più cari : 

Mostrava T altro la contraria cura 

Con una spada lucida et acuta » 1 40 

Tal che di qua dal rio mi fé* paura. 

Poi vidi quattro in umile paruta» 
E diretro dà tutti un veglio solo 
Venir dormendo con la faccia arguta • 

£ questi sette col primaio stuolo 
Erano abituati ; ma di gigli 
Dintorno al capo non facevan brolo ; 

Anzi di rose e d'altri fior vermigli: 
Giurato avrìa poco lontano aspetto * 
Che tutti ardesser di sopra da* cigli. i5o 

E quando '1 carro a me fu a rimpetto , 
Un tuon ' 8* udì; e quelle genti degne 
Parvero aver T andar più interdetto , 

Fermandos* ivi con le prime insegne. 

I t'udiOy 



MAI 

CANTO TRENTESIMO. 



A&GOMEirTO 

Dtscfivtti in questa tmnto Im tmutiòsu éutnm di Btm^ 
tricé dui CÌ€Ìo, alxui €òmp«rift Vltg^ di^wrv9; ed 
ella postasi sui carro trionfale eominciè a nprandtr 
Dante; rivolta dipoi agli Angeli seguì a lamentarsi 
della 9Ìta, che il Poeta, aiusando i dom dalla nata» 
ra e della graaia, avea malamente eondotta* 



Quando U Sett^itrìon del primo Odo» 
Che né occaso mai seppe, né orto» 
Né d* altra nebbia, die di colpa velo, 

E che faceva lì ciascuno accorto 

Di suo dover, colpi U più basso face, 
Qual timon |;ira per venire a porto. 

Fermo s^ affissie , la ^nte verace 
Venuta prima tra U Grifone et^esso 
Al carro volse se come a sua pace: 

£ un di loro, (piasi da Ciel messo, id. 

Veni sponsa de Libano j cantando 
Gridò tre volte, e tutti gli altri appresso. 



V 



1M% DKL POllGATOllO 

Quale i beati al noTUsimo bando 

Surgeran presti, ognun di sua caverna, ^ 

La riTcstita carne alleviando; 
Colali in sn la divina basterna 

Si levar cento lui pocan tanti senis 

Ministri, e messaggier di vita etema • 
Tatti dicèn: Beaedictus, qui vmis, 

E fior gittando di sopra e dintorno, ao 

Manibus o date UliapUnis» 
Io vidi già nel cominciar del giorno 

La parte orientai tutta rosata, 

E Taltro Gel di bel sereno adomo, 
E la £uxia del Sol nascere ombrata. 

Si cbe per temperanza di vapori 

L* occhiò lo sostenea lunga fiata: 
Così dentro una nuvola di fiori , 

Che dalle mani angeliche saliva, 

E ricadeva giù dentro e di fuori , 3o 
Sovra candido vd cinta d'oliva 

Donna m^ apparve sotto verde manto 

Vestita di color di fiamma viva • 
£ lo spirito mio , che già cotanto 

Tempo era stato con la sua presenza. 

Non era di stupor tremando affranto . 



CANTO XXX. »3 

Sansa degli occhi §ver più conoecenza» 
Per occulta virtù, che da lei mosse, 
/ D'antico amor sentirla gran potenza. 

' Tosto che nella vista mi percosse 40 

Lealtà virtù, che già m'avea trafìtto 
Prima chMo fuor di puerizia fosse » 

Volsimi alla sinistra col rispitto , 

Col quale il fantolin corre alla mamma. 
Quando ha paura, o quando egli è afflitto. 

Per dicere a Virgilio: Men che dramma 
Di sangue m*è rimasa, che non tremi: 
Conosco i segni dell^ antica fiamma . 

Ma Virgilio n'avea lasciati scemi 

Di se, Virgilio dolcissimo padre. So 

Virgilio , a cui per mia salute diemi : 

Ne quantunque perdeo T antica madre 
Valse alle guance nette di rugiada. 
Che lagrimando non tornassero adre. 

Dante, perchè Virgilio se ne vacla. 

Non piangere anche, non piangere ancora } 
Che pianger ti convien per altra spada . 

Quasi ammiraglio , che 'n poppa et in prora 
Viene a veder la gente , che ministra 
Per gli alti legni, et a ben far la 'ncuora ; 60 



, « 



t*4 ML PURGATORIO 

In 8u la sponda del carro sinistra. 
Quando mi volsi al suon del nome mio. 
Che di necessità qui si rigistra. 

Vidi la donna , che pria m'appario 
Velata sotto T angelica festa. 
Drizzar gU occhi ver me di qua dal rio. 

Tutto che n vel, che le scendea di testa. 
Cerchiato dalla fronde di Minerva 
Non la lasciasse parer manifesta, 

* Realmente nell'atto ancor proterva 70 

Continuò, come coki, che dice, 
E *1 più caldo parlar diètro rùerva: 
Guardami ben: ben soa, ben son Beatrice: 
" Come degnasti d'accedere al monte? 
Non sapei tu, che qui è Fuom felice? 
Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte: 
"Ma veggendomi in esso io trassi all'erba; 

* Tanta vergogna mi gravò la fronte . 
Così la naadre al figlio par superba, 

Com'ella parve a me, perchè d'amaro 80 
Senti' '1 sapor della pietate acerba . 
Ella si tacque, e gli Angeli cantaro 
Di subito In te Domine speravi , 
Ma oltre pedes nieos non passaro. 

I Regalment* a Tutto rngogaa. 



CANTO XXX. ia5 

Sì come neve tra le vive travi * 

. Per Io dosso d'Italia si congela» 
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi , 

Poi liquefatta in se stessa trapela » 

Pur che la terra , che perde ombri ^ spiri. 
Si che par fuoco fonder la candela ; 90 

Così fui sen£a lagrime e sospiri 

Anzi U cantar di que% che notan sempre 
Dietro alle note degli etemi giri. 

Ma poi che 'ntesi nelle dolci tempre 
Lor compatire a me, più che se detto 
Avesser: Donna, perchè fa lo stempre? 

Lo giel, che m'era ^ntomo al cuor ristretto,* 
Spirito et acqua fessi, e con angoscia 
Per la bocca e per gli occhi uscì del petto . 

Ella pur ferma in su la destra coscia 1 00 
Del carro stando, alle snstanzie pie 
Volse le sue parole così poscia : 

Voi vigilate nell'eterno dir. 

Sì che notte, né sonno a voi non fura 
Passo, che faccia '1 secol per sue vie ; 

Onde la mia risposta è con più cura, 
Che m'intenda colui, che di là piagne. 
Perchè sia colpa e duol d'una misura* 



ia6 DEL FUR6AT0RI0 

Non por per ovra delle ruote magne, 
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine, no 
Secondo che le stelle son compagne. 

Ma per larghezza di grazie divine, 
CShe si alti vapori hanno a lor piova. 
Che nostre viste là non van vicine. 

Questi fu tal nella sua Vira Nuova 
Virtualmente, cV (^ni abito destro 
Fatto averebbe in lui mirabil pruova • 

Ma tanto più maligno e più Silvestro 
Si fa U terren col mal seme ^ e non colto, 
Quant*egli ha più di buon vigor terrestro. 

'Alcun tempo U sostenni col mio volto : (i 20 
Mostrando gli occhi giovinetti a lui 
Meco ^1 menava in dritta parte volto. 

Si tosto, come in su la soglia fui 
Di mia seconda etade , e mutai vita , 
Questi si tolse a me, e diessi altrui. 

Quando di carne a spirto era salita , 
E bellezza, e virtù cresciuta m*era. 
Fu' io a lui men cara e men gradita: 

E volse i passi suoi per via non vera , 1 3o 
Immagini di ben seguendo false » 
Che nulla promission rendono intera • 



CANTO XXZ. 117 

Né r impetrare spirazion mi valse » 
Cou le quali et in sogno, e altrimenti 
Lo rìvocai; sì poco a lui ne calse. 

Tanto giù cadde , che tutti argomenti 
Alla salute sua eran già corti, 
Fuor che mostrargli le perdute genti • 

Per questo visitai T^nscio de* morti. 

Et a colui, che Tha quassù condotto, 140 
Li prieghi miei piangendo fìiroa porti. 

L'alte fato di Dio sarebbe rotto. 
Se Lete si passasse, e tal vivanda 
Fosse gustata senza alcuno scotto 

Di pentimento, che lagrime spanda. 



y 



t»9 

CANTO TRENTESIMOPRIMa 



Akgomskto 

BeairUé muovMumie rivoige « Dènte ii mo pmrivn, e 
si fa con piò d'ardore a riprendevo; per lo che egli 
fa indotto a confessar di propria iacea il suo errore, 
dal cui intenso rincrescimento cadde a terra tramor» 
Hto, ituU riavutosi fu da Matelda tifato neWacfue 
del fiume Lete, e tratto all'altra rivam 



\J tu, che se' di là dal fiume sacro. 
Volgendo suo parlare a me per punta. 
Che par per taglio m^era parut^acro. 

Ricominciò seguendo senza cunta, 

Di\ di\ se questue vero: a tanta accusa 
Tua confession conviene esser congiunta. 

Era la mia virtù tanto jK>nf usa. 

Che la voce si mosse, e pria si spense, 
Che dagli organi suoi fosse dischiusa. 

Poco sofferse; poi disse: Che pense? io 
Rispondi a me; che le memorie triste 
In te non sono ancor dall'acqua offense. 

Dante T.IT. g 



i3o BEL PURGATORIO 

Confosione e paura iosieme miste 
Mi pinsero un tal SI fuor della bocca , 
Al quale intender fur mestier le viste . 

Come balestro frange, quando scocca. 
Da troppa tesa , la sua corda e V arco , 
E con men foga Tasta il segno tocca; 

Sì scoppia* io Bott* esso grave carco. 

Fuori sgorgando lagrime e sospiri, ao 
E la voce allentò per lo suo varco. 

Ond^ella a me: Perentro i miei disirì. 
Che ti menavano ad amar lo bene. 
Di là dal qual non h a che s'aspiri, 

Quai fosse attraversate, o quai catene 
Trovasti, perchè del passare innanzi 
Do vessiti così spogliar la spene? 

E quali agevolezze, o quali avanzi 
Nella fronte degli altri si mostrare» 
Perchè dovessi lor passeggiare anzi ? io 

Dopo la tratta d*un sospiro amaro 
A pena ebbi la voce, che rispose; 
E le labbra a fatica la formano. 

Piangendo dissi: Le presenti cose 
Col falso lor piacer volser mie* passi , 
Tosto che 1 vostro viso si nascose . 



\ 



e ANTO XXXL i3i 

Et ella: Se tacessi , o se negassi 

Ciò, che confessi, non fora men nota 
La colpa tua ; da tal giudice sassi : 

Ma quando scoppia dalla propia gota 40 
L^ accusa del peccato , in nostra Corte 
Rivolge se contra *1 taglio la ruota . 

Tuttavia, perchè meNergogna porte 
Del tuo errore, e perchè altra volta 
Udendo le Sirene sie più forte. 

Fon giù U seme del piangere, et ascolta: 
Sì udirai, come *n contraria parte 
Muover deveati mia carne sepolta. 

Mai non t*^ppre9entò natura e*t arte 

Piacer, quanto le belle membra, in chHo So 
Rinchiusa fui, e che son tonfa sparte: 

E se *1 sommo piacer si ti fallio 

Per la mia morte ; qual cosa mortale 
Dovea poi trarre te nel suo disio? 

Ben ti dovevi per lo primo strale 
Delle cose fallaci levar suso 
Diretr^a me, che non era più tale. 

* Non ti dovea gravar le penne in giuso 
Ad aspettar più colpi o pargoletta, 
O altra vanità con si breve uso • 69 

I Kon ti dorean 



V . 



iZ% HEL PURGATORIO 

Nuoto angeUetto doe» o tre aspetta; 
Ma dinanzi da^i occhi de* pennati 
Rete si apiega indarno, o si saetta. 

Qoale i fancinili vergognando mnti 
Con gli occhi a terra stannosi ascoltando, 
E se riconoscendo , e rìpentnci ; 

Tal mi star' io: et ella disse: Qoando 
Per udir se^ dolente, alza la barba, 
E prenderai più doglia riguardando. 

Con men di resistenza si dibarba 70 

Robusto Cerro o vero a nostral vento, 
O vero a quel della terra d* larba , 

Ch' io non levai al suo comandenl mento : 
E quando per la barba il viso chiese. 
Ben conobbi U velen dell^argomento • 

E come la mia £iccia si distese. 
Posarsi quelle belle creature 
Da loro apparsiou T occhio comprese: 

E le mie luci ancor poco sicure 
Vider Beatrice volta in su la fiera , 80 
Ch'è sola una persona in duo nature. 

Sotto suo velo, et oltre la riviera 
Verde, pareami più se stessa antica 
Vincer, che T altre qui , qua ad* ella e* era. 



CANTO XXXI. i33 

Di penter sì mi punse ivi T ortica. 
Che di tutf altre cose qual mi torat 
Più nel sao amor, più mi si fe^ nimica • 

Tanta riconoscenza il cor mi morse , 

ChMo caddi vinto, e quate allora femmi. 
Salsi colei, che la cagion mi porse. 90 

Poi quando U cor virtù di fuor rendemmi. 
La donna, eh* io avea trovata sola. 
Sopra me vidi; e dicea« Tiemmi , tiemmi. 

Tratto m* ave* nel fiume infino a gola, 
E tirandosi me dietro sen giva 
Sovr^esso T acqua lieve, come spola . 

Quando fu* presso alla beata riva , 
Asperges me si dolcemente udissi , 
Gh!io noi so rimembrar, non cVio lo scriva. 

La bella donna nelle braccia aprissi : 1 00 
Abbracciommi la testa, e mi sommerse. 
Ove convenne eh* io Tacqua inghiottissi: 

Indi mi tolse 9 e bagnato m* <^rse 
Dentro alla danza delle quattro belle , 
E ciascuna col braccio mi coperse . 

Noi sem qui Ninfe, e nel Ciel semo stelle: 
Pria che Beatrice discendesse al mondo. 
Fummo ordinate a lei per sue ancelle • 



i34 BEL PURGATORIO 

Menrenti agli occhi suoi ; ma nel giocondo 
Lume , eh' è de nt ro , aguzzeran li tuoi no 
Le tre dì là» che miran più profondo. 
Cosi cantando cominciaro; e poi 
^1 petto del Grifon seco menarmi, 
Ove Beatrice volta stava a noi. 
Disser: Fa' che le viste non risparmi: 
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi , 
Ond'Amor già ti trasse le sue armi. 
Mille disiri» più che fiamma, caldi 

Strìnsermi gli occhi agli occhi rilucenti. 
Che pur sovra *1 Grifone sta van saldu 1 20 
Come in lo specchio il Sol» non altrimenti 
La doppia fiera dentro vi raggiava 
Or con uni, or con altri reggimenti. 
Pensa, Lettor, s'io mi maravigliava. 
Quando vedea la cosa in se star queta , 
E nell* idolo suo si trasmutava . 
Mentre che piena di stupore e lieta 
L'anima mia gustava di quel cibo. 
Che saziando di se di se asseta. 
Se dimostrando del più alto tribo 1 3o 

Negli atti, r altre tre si fero avanti^ 
Cantando al loro angelico caribo. 



CANTO XXXL t3S 

Volgi , Beatrice, volgi gli occhi santi. 
Era la sua canzone, al tuo fedele, 
Che per vederti ha mossi passi tanti. 

Per grazia fa* noi grazia, che disvele 
A lui la bocca tua, sì che discerna 
La seconda bellezza, che tu cele. 

O isplendor di viva luce etema , 

Chi pallido si fece sotto .r ombra 140 
Sì di Parnaso » o bevve in sua citema. 

Che non paresse aver la men te -ingombra. 
Tritando a render te» qual tu paresti 
Là, dove armonizzando il Ciel t'adombra, 

Quando nell^aere aperto ti solvesti? 



137 

CANTO TRKNTESIMOSKCONDO. 



Arcombkto 



/ 



^àan con MmMa è Stiuio ngmemdp U gUtioià pf- 
cessione de'jBemri, pervenne alParòore della scieMtm 
del bene, e del nude, il quale si rivesH di misterioso 
colon, e mentre i Meati cantarono UH inno, il Poeta 
^addùrmemb, e di pai risvtgUaiosi osserva deuni 
strani aecidenii* 



1 anto eran gli occhi miei fissi et attenti 
A disbramarsi la decenne sete » 
Che gli altri senri m'eran tutti spenti; 

Et essi quinci e quindi avèn parale 
Di non caler: cosi lo santo rìso 
A se tratii con T antica rete; 

Quando per forza mi fu volto U tiso 
Ver la ÙMstm mia da queUe Dee, 
Perch'io ndia da toro un Troppo fiso. 



i38 DEL rURGATOUO 

£ la <lisposizion« ch^a veder ee lo 

Neg^ occhi par teste dal Sol percossi, 
Sanza la Tista alcjnanto esser mi fee. 

Ma pm che al poco il viso riformossiy 
(Io dico al poco per rispetto al molto 
Sensibile , onde a forza mi rimossi) 

Yidi in sol braccio destro esser rivolto 
Lo glorioso esercito, e tornarsi 
Gol Sole, e con le sette fiamme, al vdto. 

Come sotto li scudi per salvarsi 

Yolgesi schiera , e se gira col s^no, 20 
Prima che possa tutta in se mutarsi; 

Quella milizia del celeste regno, 
C3ie procedeva, tatta trapassonne. 
Pria che piegasse U carro il primo legno. 

Indi alle ruote si tornar le donne , 
E ^1 Grifon mosse U benedetto carco i 
Sì che però nulla penna crollonne. 

La bella donna , che mi trasse al varco, . 
E Stazio, et io seguiuvam la ruota. 
Che feU* orbita sua con minore arco. 3o 

Sì passeggiando V alta selva vou 

(Colpa di quella, eh* al serpente crese) 
Temprava i passi in angelica nota • 



CANTO XZXIL i39 

Forse in tre voli tanto spazio prese* 
Disfrenata saetta, quanto eramo 
Rimossi, quando Beatrice scese. 

Io senti* mormorare a tutti Adamo : 
Poi cerchiaro una pianta dispogliata 
Di fiori e d^altra fronda in ciascun ramo. 

La chioma sua, che tanto si dilata 40 

Più, quanto piò è su, fora dagflndi 
Ne* boschi lor per altezza ammirata. 

Beato se\ Grifon, che non disdndi 
Col becco d* ésto legno dolce al gusto , 
Posciachè mal si torse *l ventre quindi: 

Così d* intomo all'arbore robusto 
Gridaron gli altri; e T animai binato: 
Si si conserva il seme d* ogni giusto . 

E volto al temo, eh* egli avea tirato, 

Trasselo al pie delia vedova frasca; So 
£ quel di lei a lei lasciò legato . 

Come le nostre piante, quando casca 
Giù la gran luce mischiata con quella. 
Che ra^a dietro alla celeste Lasc^, 

Turgide fansi, e poi si rìnnovella 

Di suo color ciascuna , pria che '1 Sole 
Giunga li suoi corsifr sott* altra stella. 



140 DEL PURGATORIO 

Men che di rose, e più che di viole 
Colore aprendo, sMnnovò la pianta. 
Che prhna avea le ramora n sole. 

Io non lo 'ntesi; nk qa aggio si canta 
L^nno, che quella gente allor cantai 
Né la nota soflfersi tutta quanta • 

S*io potessi ritrar, come assonnaro 
Gli occhi spietati udendo di Siringa , 
Gli occhi, acui più vegghiar costò si e 

Come pintor, che con esemplo piaga , 
Dis^nerei, compio m^ addormentai: 
Ma qnal vnol sia, che Tassonnar ben fi 

Però trascorro a quando mi svegliai , 
E dico , di* un splendor mi squarciò '1 
Del^ sonno, e un chiamar: Surgi, che 

Quale a vtdtr de' fioretti del melo. 
Che del suo pomo gli Angeli fa ghiot 
E perpetue no£ze fa nel Cielo, 

Pietro e Giovanni e Iacopo condotti, 
E vinti ritomaro alla parola , 
Dalla qual fìiron maggior sonni rotti , 

E videro scemata loro scuola 
Cosi di Moisè, come d*EIia, 
Et al Maestro suo cangiata stola ; 



CANTO XXXIL 



HI 



Tal torna' io; e viiJi qnella pia 
Sovra me atarsi » cbe condiicitrìce 
Fu de^ mie^ pasai lango '1 fiume pria ; 

£ tatto *n dubbio dissi: Ov^è Beatrice? 
Et ella : Vedi lei sotto la frouda 
Nuova sedersi in su la aua radice • 

Vedi la compagnia, che la circonda: 
Gli altri dopo U Grifon sea vannp suso 
Con più dolce canaoae e più profonda. 99 

E se fu più lo suo parbur diflRiso, 

Non so; perocché già n^gli occhi m^era 
Quella , ch^ad altro *ntender m*avea chiusa 

Sola sedeasi in sa la tecra vera» 
Come guardia lasciata lì df 1 plaustro 
Che legar vidi alla bifiorme fiera* 

In cerchio le facevan di se claustro 
Le sette Ninfe con que^lmni in mano. 
Che son sicuri d* Aquilone e d^ Austro « 

Qui sarai tu poco tempo silvano» . 100 
E sarai meco sansa fine.cive 
Di quella Roma» cmde Cristo è Boauno: 

Però in pro del mondo» che mal vive» 
Al carro tieni or gli occhi» e quel» che vedi. 
Ritornato di là fa\ che tu sprive: 



14a DSL PURGATORIO. 

Cosi Beatrice ; et io, che tutto a^ piedi 
De* 8uo^ comandamenti era devoto, 
La mente e gli occhi, ov'ella volle , diedi. 

Non scese mai con sì veloce moto 

Fuoco di spessa nube, quando piòve, no 
Da quel confine, che più è remoto; 

Compio vidi calar l'uccel di Giove 

Per r arbor giù rompendo della scorza. 
Non che de^ fiori e delle foglie nuove : 

E ferìo '1 carro di tutta sua forza ; 
Ondaci piegò, come nave in fortuna 
Vinta dall^onde or da poggia, or da orza. 

Poscia vidi avventarsi nella cuna 
< Del trionfai veiculo una volpe 
Che d'ogni pasto buon parca digiuna • i iti 

Ma riprendendo lei di laide colpe. 
La donna mia la volse in tanta futa , 
Quanto sofferson Tossa senza polpe. 

Poscia per indi, ondfera pria venuta, 
L'aguglia vidi scender giù nelFarca 
Del carro, e lasciar lei di se pennuta . 

£ qual'esce di cuor^ che si rammarca; 
Tal voce usci del Cielo , e cotal disse : 
navicella mia, com' mal se'carca! 

I Del trionfai veicolo 



CANTO XXXIL 14S 

Poi parv« a me, che la terra s'aprisse i3o 
' Tra'mbo le ruote, e vidi uscirne un drago. 
Che per lo carro su la coda fisse : 

E come vespa , che ritragge V ago , * 
A se traendo la coda maligna 
Trasse del fondo , e gissen vago vago • 

Quel, che rimase, come di gramigna . 
Vivace terra , della piuma ofiferta , 
Forse con intenzion casta e benigna , 

Si ricoperse , e funne ricoperta 

E runa e l'altra ruota, e*l temo in tanto, 140 
Che più tiene un sospir la bocca aperta • 

Trasformato cosi *1 dificio santo 
Mise fuor teste per le parti sue. 
Tre sovra U temo, e una in ciascun canto* 

Le prime eran cornute , come bue ; 

Ma le ({uattro un sol corno tfi'èn per fronte : 
Simile mostro ^ in vista mai non fue • 

Sicura, quasi rocca in alto monte. 
Seder sovr*esso una puttana sciolta 
M'apparve con le ciglia intomo pronte. 1 5 o 

E, come perchè non li fosse tolta. 
Vidi di costa a lei dritto un gigante; 
E bacia vansì insieme alcuna volta • 

I Tr*ambe le mote; % vitto ancor non fae« 



144 ^^ raBGAlWUO 

Ifa, perchè V ocduo cupido e T^gratt 
A AM riTidie , ^pid ferace drado 

UfUttUò dal CADO infin le naate. 

Pot di sospetto pieno, e d^iia erodo 
Difciobe 1 mostro, e tiassel per la sdva 
Tanto, che 40I di lei mi lece scudo 

AUa pottau, et alla anoTa bdva. t6o 



»4» 

CANTO TRENtESIMOTERZO. 



A B <^ O lex K t O 



Beatrice lungamenie a JOante ragiona intomo agli aeei^ 
denti da esso lui ^dtui: iàdi il Poeta in eompagnim 
di Stazio oieite eondot^o^ da Matelda a bere le dolci 
acque del fitme Eunoe, dalle quali , eiccome egli 
diccj ritornò, puro e disposto per salire af Cielo» 



Ji/eus venenmt gerùes , alternando 
Or tre 9 or quattro , dolce salmodìa 
Le donne incominciaro lagrimando : 

£ Beatrice sospirosa e pia 

Quelle ascoltava si fatta , che poco 
Più alla Croce si cambiò Maria* 

Ma, poi che T altre vergini dier loco 
A lei di dir, levata dritta io pie 
Rispose colorata come fuoco : 

Modicum^ et non vìdebitis m^; ro 

Et iterwnj sorelle mie dilette. 
Modicum y et i^os vidd)itis me. 



146 DEL FUR^ATOKIO 

Poi le 8i mise innanzi tutte e sette; 
E dopo se« solo accennando , mosse 
Me, e la donna, e U savio» che ristette. 
Così sen giva: e non credo, che fosse 
Lo decimo suo passo in terra posto » 
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ; 
E con tranquillo aspetto: Yien più tosto. 
Mi disse, t&nto, che sMo parlo teco, ao 
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto » 
Sì com* i* fui, comMo doveva, seco. 
Dissemi: Frate, perchè non t"* attenti 
A dimandare ornai venendo meco? 
Come a color, che troppo reverenti 
Dinanzi a* suo' maggior parlando sono. 
Che non traggon la voce viva addenti. 
Avvenne a me , che senza 'utero suono 
Incominciai: Madonna, mia bisogna 
Voi conoscete, e ciò, ch'ad essa è buono. 3o 
Et ella a me : Da tema e da vergogna 
Voglio che tu omai ti disviluppe , 
Sì che non parli più com'uom, che sogna. 
Sappi, che *ì vaso, che U serpente ruppe. 
Fu, e non è; qa chi n*ha colpa creda. 
Che vendetta di Dio non teme suppe . 



CANTO XXXIIL 147 

Non sarà tutto tempo sanza reda 
L'agugliaj che lasciò le penne al carro. 
Per che divenne mostro , e poscia preda ; 

Ch^io veggio certamente, e però'l narro, 40 
A darne tempo già stelle propinque 
Sicuro d^ogn^ intoppo e d^ogni sbarro» 

Nel quale un cinquecento diece e cinque 
Messo di Dio anciderà la fnia, 
E quel gigante, che con lei delinque. 

E forse che la mia oarrazion buia, 
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade; 
Perch* a lor modo lo intelletto attuia : 

Ma tosto fien li fs^tti le Naiade , 
Che solveranno questo enigma forte 5o 
Sanza danno di pecore e di biade • 

Tu nota; e si come da me son porte 
Queste parole, sì le *nsegna a' vivi 
Del viver, cVè un correre alla morte: 

Et aggi a mente, quando tu le scrivi. 
Di non celar qual' hai vista la pianta^ 
C!h*è or duo volte dirubata quivi. 

Qualunque ruba quella, o quella schianta. 
Con bestemmia dì fatto offende Dio, 
Che solo air uso suo la creò santa • 60 



i4B DEL FUSGATORIO 

Per morder qnelU in pena e in disio 
Cinque ■ mill* anni e più Tanima prima 
Bramò coloi , che 1 morso in se ponio. 
Dorme lo ^ngegno tao, se non istima 
Per singular ca^ne essere eccelsa 
Lei tanto, e tà trarolta nella cima • 
£ se stati non fossero acqoa d'Elsa 
Li pensier vani intomo alla tua mente , 
E U piacer loro un Piramo alla gelsa. 
Per tante circostanze solamente 70 

La giustizia^ di Dio nello interdetto 
Conosceresti all^alber moralmente. 
Ma perch* io vq;gio te neUo intelletto 
Fatto di pietra , et in peccato tinto , 
Sì che € abbaglia il lame del mio detto , 
Voglio anche, e se non scritto, almen dipinto 
Che *1 te ne porti dentro a te per quello, 
Che si reca *1 bordon di palma cinto • 
Et io : Si come cera da suggello , 

Che la figura impressa non trasmuta ,80 
Segnato è or da voi lo mio cervello. 
Ma perchè tanto sovra mia veduta 
Vostra parola disiata vola , 
Che più la perde, quanto più s'aiuta? 

I nilia anni e*più 



CANTO XXXllI. I4V 

Perchè < conoschì, disse, quella scuola, 
Ch' hai seguitata, e veggi sua dottrina 
Come può seguitar la mia parola ; 

£ veggi vostra via dalla divina 
Distar cotanto, quanto si discorda 
Da terra *ì Ciel, che più alto festina . 90 

OndMo risposi lei: Non mi ricorda, 
Ch* io straniassi me giammai da voi , 
Né honne coscieuzia , che rimorda • 

£ se tu ricordar non te ne puoi. 

Sorrìdendo rispose, or ti rammentai, . 
Sì come di Leteo beestì ancòi : 

£ se dal fummo fuoco s* argomenta , 
Cotesta oblivion chiaro conchiude 
Colpa nella tua voglia altrove attenta. 

Veramente oramai saranno nude 1 00 

Le mie parole, quanto converrassi 
Quelle scovrire alla tua vista rude. 

£ più corrusco, e con più lenti passi 
Teneva *1 Sole il cerchio di merigge , 
Che qua e là, come gli aspetti, fassi ; 

Quando s^affisser, si come s*afl%ge 
Chi va dinanzi a schiera per iscorta , 
Se truova novitate in suo vestigge , 

1 conosca, ditti!, 



iSo DEL PURGATORIO 

Le sette donne al fin d' un' ombra smarta , 
Qual sotto foglie verdi e rami nigri no 
Sovra suoi freddi rivi V alpe porta • 

Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri 
Veder mi parve uscir d^una fontana, 
E quasi amici dipartirsi pigri • 

luce, o gloria della gente umana. 
Che acqua è questa , che qui si dispiega 
Da un principio, e se da seL^lóntana? 

Per cotal prego detto mi fu : Prega 
Matelda, che U ti dica; e qui rispose. 
Come fa chi da colpa si dislega, 120 

La bella donna : Questo , et altre cose 
Dette li son per me; e son sicura. 
Che r acqua di Leteo non gUel nascose. 

£ Beatrice: Forse maggior cura. 
Che spesse volte la memoria priva. 
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura. 

Ma vedi Eunoé^ che là deriva: 
Menalo ad esso» e come tu se* usa. 
La tramortita sua virtù ravviva. 

Com' anima gentil, che non fa scusa, i3o 

Ma fa sua voglia della voglia altrui, 
' Tosto com'è per segno fuor dischiusa; 

I Si tosto che per segno i faor dìschiiua; 



CANTO XXXIIL iSi 

Cosi poi che da essa preso fui» 

La bella donna mossesi , et % Stazio 
Donnescamente disse: Yien con lui. 

S'io avessi» Lettor» più lungo spazio 
Da scrìvere» io pur cantere* *n parte 
Lo dolce ber» che mai non m'avria sazio: 

Ma perchè piene son tutte le carte 

Ordite a questa Cantica seconda» 140 
Non mi lascia pia ir lo fren dell* arte. 

Io ritornai dalla santissima onda 
Kifatto si , come piante novelle 
Rinnoveliate di novella fronda , 

Furo e disposto a salire alle stelle • 



Fine ddla seconda Cantica. 



— * 



IL PARADISO 



DJ 



DANTE ALIGHIERI. 



/ 



iSS 

DEL PARADISO 

CANTO PRIMO. 



Argomento 

Traiiur 9^endo U divino Poetmdei ctleae Jmi» Etgaot 
dopo a9ir fatta t invocazione ad Jpoilo^ rmeconta 
€oma suit ora del mauino Uooui dal temstro Fair^ 
dito vtrto del Cielo in compagnia di Beatrice^ da ad 
eon ingegnoso discorso gli fu mostrata la eagionsp 
perchè egli potesse eoi corpo in alto salire» 



Jua gloria di Colui, che tutto muove ^ 
Per r Universo penetra, e risplende ^ 
In una parte più , e meno altrove • 

Nel Ciel 9 che più della sua luce prende , 
Fu' io, e vidi cose, che ridire 
Né sa, né può qual di lassù discende; 

Perchè appressando se al suo disire 
Nostro intelletto si profonda tanto , 
Che retro la memoria non può ire . 



i56 DEL PARADISO 

Yenmeiite qoantMo del vegoQ santo * io 
Nella mìa mente potei far tesoro» 
Sarà ora materia del mio canto. 

O buono Apollo , ali* ultimo lavoro 
Fammi del tuo valor si fatto vaso. 
Come dimanda dar 1^ amato alloro. 

Insino a qui T un giogo di Parnaso 
Assai mi fu ; ma or con amendue 
M^è uòpo entrar nell'aringo rimaso. 

Entra nel petto mio, e spira tue. 
Sì come quando Marsia traesti ao 

Della vagina delle membra sue. 

O divina virtù , si mi ti presti 

Tanto, che T ombra del beato regno 
Segnata nel mio capo io manifesti. 

Venir vedrànii al tuo diletto legno, 
E coronarmi allor di quelle foglie , 
Che la matera e tu mi farai degno • 

Si rade volte , Padre , se ne cóglie , 
Per trionfare o Cesare , o Poeta , 
(Colpa e vergogna dell'umane voglie) 3o 

Che partorir letizia in su la lieta 
Delfica Deità dovria la fronda 
Peneia, quando alcun di se asseta • 



i 



CANTO I. 1S7 

Poca favilla gran fiamma seconda: 
Forse diretro a me con miglior voci 
Si pregherrà , perchè Cirra risponda . 

Sarge a' mortali per diverse foci 
La lacerna del mondo; ma da queRa, 
Che quattro cerchi giugne con tre croci. 

Con miglior corso, e con migliote stella 416 
Esce congiunta, e ]a mondana cei^ 
Più a suo modo tempera e suggella . 

Fatto avea di là mane , e di qua sera 
Tal foce quasi, e tutto era là bianco 
Quello emisperio, e l'altra parte nera; 

Quando Beatrice in sul sinistro fianco 
Yidi rivolta, e riguardar nel Sole: 
Aquila sì non gli s^ affisse unquanco • 

E sì come secóndo raggio suole 

Uscir del primo , e risalire insuso , So 
Pur come peregrin, che tornar vuole; 

Cosi delfatto suo per gli occhi infuso 
Nell'immagine mia il mio si fece, 
E fissi gli occhi al Sole oltre a nostr^uso. 

Molto è licito là, che qui non lece 
Alle nostre virtù', mercè del loco 
Fatto per proprio dell* umana spece. 



iSS DEL PARADISO 

Io noi sofferai molto, né si poco, 
CShUo noi vedessi sfavillar dintorno 
Qual ferro, che bollente esce del faoco. 60 

E disnbito parve giorno a giorno 

Essere aggiunto, come quei, che paote. 
Avesse U Ciel d'an altro Sole adomo. 

Beatrice tutta nell'eterne ruote 

Fissa con gli occhi stava , et io in lei 
Le luci fisse, di lassù remote. 

Nel suo aspetto tal dentro mi fei , 

Qual si fé' Glauco nel gustar delFerba, 
Che '1 fé' consorto in mar degli altri Dei • 

Trasumanar significar per verba 70 

Non si porla ; però V esemplo basti 
A cui esperienza grazia serba . 

S^ io era sol di me quel , che creasti 

Novellamente, Amor, che'l Gel governi , 
Tu 1 sai , che col tuo lume mi levasti . 

Quando la ruota , che tu sempiterni ^ 
Desiderato, a se mi fece atteso 
Con r armonia, che temperi, e discerni, 

Parvemi tanto allor del Cielo acceso 

Dalla fiamma del Sol, che pioggia o fiume 80 
Lago non fece mai tanto disteso. 



CANTO L k&9 

La novità del suono , e M grande lame 
Di lor cagion m* accesero un disio 
Mai non sentito di cotanto acume, 

Ond^ella» che vedea me sì comMo, 
Ad acquetarmi V animo commosso » 
Pria cV io a dimandar, la bocca aprìo ; 

E cominciò: Tu stesso ti fai grosso 
Col falso immaginar , sì che non vedi 
Ciò» che vedresti, se T avessi scosso. 90 

Tu non se* in terra si come tu credi : 
Ma folgore , fuggendo M propiio sito , 
Non corse come tu, cl\*ad esso riedi. 

S' io fui del primo dubbio disvestito 

Per le sorrise parolette brevi , 
' Dentro a un nuovo più fui irretito, 

E dissi : Già contento requièvi 

Di grande ammirazion; ma ora ammiro 
Com^ io trascenda questi corpi lievi . 

Ood'ella , appresso d^un pio sospiro, 100 
Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante. 
Che madre fa sopra figliuol deliro, 

E cominciò: Le cose tutte quante 

Uann' ordine tra loro; e questo è forma, 
Che r Universo a Dio fa simigliante • 

1 Dttflfro ad un nvoro 



;*■ 



i6o DEL PARADISO 

Qui yeggion Talte creature Torma 
Dell'eterno valore, il quale è fiue^ 
Al quale è fatta la toccata norma. 
Neil* ordine , eh' io dico , sono accline 
Tutte nature per diverse sorti, no 

Piò al principio loro, e men vicine: 
Onde si muovono a diversi porti 

Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna 
Con instinto a lei dato, che la porti. 
Questi ne porta '1 fuoco in ver la Luna : 
Questi ne' cuor mortali è promotore : 
Questi la terra in se stringe et aduna . 
Né pur le creature, che son ftfdre 
ly intelligen^ia, quest'arco sdetta. 
Ma quelle, ch'hanno intelletto e am wr. i m 
La providenzia , che cotanto assetta , 
Del suo lume fa *1 Giel sempre quieto. 
Nel qual si volge quel, ch^a maggior fretta : 
Et ora lì , com' a sito decreto , 
Gen porta la virtù di quella corda. 
Che ciò, che scocca, drizza in segno lieto. 
Ver' è , che come forma non s* accorda 
Molte fiate alla 'nteneion delTarte, 
Perch* a risponder la materia è sorda; 



CANTO L j6i 

Cost da questo corso si diparte i So 

Talor la creatura , eh* ha podere 
Di piegar, così pinta, in altra parte; 

' E si come veder si può cadere 
Fuoco di nube , se T impeto primo 
À terra è torto da fako piacere ; 

Kon dei più ammirar , se bene stimo , 
Lo tuo salir, se non come d*un rivo. 
Se d* alto monte scende giuso ad imo . 

Maraviglia sarebbe in te, se privo 

D'impedimento giù ti fossi assiso, 140 
Com* a terra quieto fuoco vivo. 

Quinci rivolse in ver lo Cielo il viso. 

1 Coti come Teder 



Danti T.IL ai 



i63 

CANTO SECONDO. 



A&GOMXNTO 

Dant0 ial9 eon Beatrice nella Luna, dwe comefugiun* 
$0 rendè grazie a Dio, che io aveva dalla terra inai* 
xaio: chiede poi alla sua guida onde sieno cagionate 
le macchie di quel Pianeta, sopra di che ella ragio- 
nando impugna V opinion del Poeta, e con diverso 
principio risolve la presente quistione. 



\J voi , che siete in piccioletta barca , 
Desiderosi d'ascoltar, seguiti 
Dietro al mio legno, che cantando varca. 

Tornate a riveder li vostri liti : 

Non vi mettete in pelago, che forse 
^Perdendo me rimarreste smarriti • 

L'acqua , ch^ io prendo, giammai non si corse : 
Minerva spira, e conducemi Apollo, 
E nuove Muse mi dimostran TOrse. 

Voi altri pochi , che drizzaste U collo i o 
Per tempo al pan degli Angeli , del quale 
Yivesi qui, ma non sen vien satollo. 



1^ BEL f ARADISO 

Metter potete ben per Talto salp 
Vostro navigio servando mio solco 
Dinanzi aU*acqaa, che ritoma egaale. 

Que* gloriosi 9 che passaro a Coleo» 
Non s' ammiraron , come voi farete , 
Quando lason vider fatto bifolco . 

La concrea|a e perpetua sete 

Del deiforme regno cen portava 20 

Veloci quasi come '1 Giel vedete • 

Beatrice in suso , et io in lei guardava : 
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa, 
E vola , e dalla noce si dischiava , 

Giunfo mi vidi, ove micabil coaa 
Mi torse il viso a se: e però quella. 
Cui non potea mi^ovra essere ascosa. 

Volta ver me sì lieta come bella: 

Drizza la mente in Dio grata , mi disse , 
Che n^ha congiunti con la prima stella. 3o 

Pareva a me, che nube ne coprisse 
Lucida , spessa , solida , e pulita 
Quasi adamante , che lo Sol ferisse . 

Per entro se T eterna margherita 
Ne ricevette , com* acqua recepe 
Piaggio di luce , permanendo unita . 



\ 



CANTO 11 i05 

SMo era corpo, e qui non si concepe^ 
Com* una dimensione altra patio, 
Ch* esser convien se corpo in corpo repe , 

Accender ne dovria più il disio 40 

Di yeder quella essenzia , in che si vede , 
Come nostra natura e Dio s'unìo. 

Lì si yedrà ciò, che tenem per fede, 
, Non dimostrato , ma fia per se noto 
A guisa del ver primo , che l' nom crede . 

Io risposi: Madonna, si devoto, 
> Quant'esser posso più, ringrazio lui. 
Lo qual dal mortai mondo m*ha rimoto. 

Ma ditemi , che son li segni bui 
Di questo corpo, che la^uso in terra So 
Fan di Gain favoleggiare altrui? 

Ella sorrise alquanto ; e poi : S* egli erra 
L* opinion , mi disse , de' mortali 
Dove chiave di senso non disserra. 

Certo non ti dovrien punger li strali 
D* ammirazione ornai ; poi dietro a* sensi 
Vedi, che la ragione ha corte Tali. 

Ma dimmi quel, che tu da te ne pensi . 
^Et io: Ciò, che n^appar quassù diverso. 
Credo che *1 fanno i corpi rari e densi . 60 

X Come esier 



> 



106 DEL PARADISO 

Et ella: Certo assai vedrai sommerso 
Nel falso il creder tuo y se bene ascolti 
L* argomentar, ch'io li farò avverso. 

La spera ottava vi dimostra molti 

Lumi , li quali nel quale , e nel quanto 
Notar si posson di diversi volti • 

Se raro e denso ciò facesser tanto. 
Una sola virtù sarebbe in tutti 
Più e men tlistributa , et altrettanto • 

Virtù diverse esser convengon frutti 70 
Di prìncipi formali , e quei, fuor ch'uno, 
Seguiterieno a tua ragion distrutti. 

Ancor se raro fosse di quel bruno 

Cagion, che tu dimandi; od oltre in parte 
Fora di sua materia sì digiuno 

Esto Pianeta ; o sì come comparte 

Lo grasso e 1 magro un corpo, così questo 
Nel suo volume cangerebbe carte . 

Se '1 primo fosse , fora manifesto 

Nell'eclissi del Sol, per trasparere 80 
Lo lume , come in altro raro ingesto • 

Questo non è; però è da vedere 

Dell'altro : e s'egli awien,ch*io Taltro cassi, 
Falsificato fia lo tuo parere. 



CANTO II. i6r 

S'egli èj che questo raro non trapassi, 
Esser conviene un termine » da onde 
Lo suo contrario più passar non lassi : 

E indi r altrui raggio si rifonde 
Così , come color toma per vetro , 
Lo qual diretro a se piombo nasconde. 90 

Or dirai tu, ch^ei si dimostra tetro 
Quivi lo raggio, più che in altre parti. 
Per esser li rifratto più a retro. 

Da questa instanzia può diliberarti 
Esperienza , se giammai la pruovi , 
Ch'esser suol fonte aerivi di vostre arti. 

Tre specchi prenderai , e due rimuovi 
Da te d' un modo , e Y altro più fìmosso 
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi rìtruovi : 

Rivolto ad essi fa% che dopo U dosso 100 
Ti stea un lume, che i tre specchi accenda, 
E torni a te da tutti ripercosso: 

Benché nel quanto tanto non si stenda 
La vista più lontana, li vedrai 
Come convien, eh* egualmente risplenda. 

Or come a i colpi degli caldi rai 
Della neve riman nudo 'l suggetto , 
E dal colore , e dal freddo primai ; 



i68 DEL PARADISO 

Così rioMso te nello 'ntellecto 

Voglio infonnar di luce à vÌTace , no 

Che ti tremolef^ nel sao aspetto. 
Dentro dal Ciel ddla divina pace 

Si gira mi corpo, nella coi virtate 

L* esser dì tntto soo contento giace • 
Lo Ciel seguente, ch'ha tante vednte, 

Qnell^ esser parte per diverse essenze 

Da loi distinte , e da Ini contenute . 
Gli altri giron per varie differenze 

Le distinzion , che dentro da se hanno , 

Dispongono a lor fini, e lor semenze • 1 20 
Questi organi del mondo così vanno. 

Gome tu vedi ornai, di grado in grado. 

Che di su prendono, e di sotto fanno • 
Riguarda bene a me sì com' io vado 

Per questo loco al ver, che tu disirì , 

Sì che poi sappi sol tener lo guado . '^ 

Lo moto e la virtù de' santi giri. 

Come dal £abbro Tarte del martello. 

Da* beati motor convien che spiri. 
E H Ciel, coi tanti lumi fanno bello, i3o 

Dalla mente profonda, che lui voi ve. 

Prende V image , e fassène suggello . 



CANTO IL 169 

E come V alma dentro a vostra polve 

Per diflPerenti membra , e conformate 

A diverse potenzio, si risolve; 
Cosi r inteliigenzia sua bontate 

Moltiplicata per le stelle spiega , 

Girando se sovra sua unitale. 
Yirtù diversa fa diversa lega 

Col prezioso corpo , che 1* avviva » 1 40 

Nel qual , sì come vita in voi » si lega . 
Per la natura lieta, onde deriva. 

La virtù mista per lo corpo luce , 

Come letizia per pupilla viva » 
Da essa vien ciò , che da luce a luce 

Par differente, non da denso e raro: 

Essa è formai principio , che produce , 
Conforme a sua bontà, lo turbo t '1 chiaro. 



171 

GANTO TERZO. 



Aegomentò 

Xaeconta iì Poeta , che nella Luna vide l'anime di quella 
persone, che non aveano perfeiiamente adempiuto i 
voti: di poi ragiona con Piccarda, che gli spiega, 
tome tutti i Beati sono conienti del grado di gloria 
loro compartito: appresto gli narra t istituto di vira, 
che essa e Costanza avtano in terra Mraeciato. 



V^uelSol, che pria d*amor mi scaldò ^1 petto. 
Di bella verità m* a vea scoverto » 
Provando e riprovando, il dolce aspetto : 

Et io , per confessar corretto e certo 
Me stesso, tanto, quanto si convenne, 
Levai lo capo a profferer più erto . 

Ma visione apparve , che ritenne 
A se me tanto stretto per vedersi , 
Che di mia confession non mi sovvenne. 

Quali per vetri trasparenti e tersi, io 

O ver per acque nitide e tranquille 
Non si profonde, che i fondi sien persi. 



ij% BEL PARADISO 

Tornan de^ nostri visi le postille 

Debili 6i, che perla in bianca fronte 
Non Yien men tosto alle nostre papille; 

Tali vid* io più facce a parlar pronte : 
Per eh* io dentro ali* error contrario corsi 
A qoel, ch^accese amor tra Tnomo e *1 fonte. 

Si^ito, A compio di lor m* accorsi, 

Qndle stimandb specchiati sembianti , a e 
Per veder di cui fosser gli occhi torsi > 

E nulla vidi, e rìtorsili avanti 
Dritti nel lume della dolce guida. 
Che sorridendo ardea negli occhi santi . 

Non ti maravigliar, perch'io sorrida. 
Mi disse , appresso ^i tuo pneril quoto , 
Poi sopra *1 vero ancor lo pie non fida. 

Ma te rivolve^ come suole, a voto: 
Yere sustanzie son ciò, che tu vedi. 
Qui rilegate per manco di voto . 3c 

Però parla con esse^ e odi , e credi^ 
Che la vorace luce, die le appaga. 
Da se non lascia lor torcer li piedi . 

Et io all'ombra» che parea più vaga 
Di ragionar , drizzami , e cominciai 
Quasi Gom'uom, cui troppa voglia smaga : 



CANTO IIL 173 

ben creato spirito, che a* rat 
Di vita eterna la dolcezza senti , 
Che non gustata non s* intende mai. 

Grazioso mi fìa , se mi contenti 40 

Del nome tuo, e della vostra sorte; 
Ond* ella pronta , e con occhi ridenti^ 

La nostra carità non serra porte 

A giusta voglia, se non come quella. 
Che vuol simile a se tutta sua Corte. 

Io fui nel mondo vergine sorella : 
E se la mente, tua ben mi riguarda. 
Non mi ti celerà Tesser più bella, 

Ma riconoscerai, chMo |oa Piccarda, 
Che posta qui con questi altri beati So 
Beata son nella spera più tarda. 

Li nostri affetti , che solo infiammati 
Son nel piacer dello Spirito Santo, 
Letizian del su^ ordine formati : 

£ questa sorte, che par giù cotanto. 
Però n'è data , perchè for negletti 
Li nostri voti , e voti in alcun canto . 

Ond' io a lei : Ne* qùrabili aspetti 
Vostri risplende ncm so che divino , 
Che vi trasmuta da* primi concetti : 6e 



174 DEL PARADISO 

Però non fui a rimembrar festino ; 
Ma or m'aiuta ciò, che tu mi dici. 
Si che rafiigurar m* è più latino . ~ 

Ma duomi : Voi , che siete qui felici , 
Disiderate voi più alto loco 
Per più vedere, o per più farvi amici? 

Con quell' altr* ombre pria sorrise un poco: 
Da indi mi rispose tanto lieta , 
Ch^ arder parca d'amor nel primo foco: 

Frate, la nostra volontà quieta 70 

Virtù di carità, che fa volerne 
Sol quel, ch'avemo, e d'altro non ci asseta. 

Se disiassimo esser più superne , 
Foran discordi gli nostri disiri 
Dal voler di Colui , che qui ne cerne , 

Che vedrai non capere in questi giri , 
S' essere in cantate è qui necesse , 
£ se la sua natura ben rimiri : 

Anzi è formale ad esso beato esse 

Tenersi dentro alla divina voglia , 80 

Perch' una fansi nostre voglie stesse • 

Si che come noi sem di soglia in soglia 
Per questo regno, a tutto '1 regno piace. 
Comodilo Re , eh' a suo voler ne 'nvoglia : 



CANTO III. 17$ 

JE la raa volontade h nostra pace : 

Ella è quel mare , al qaal tutto si muove 
Ciò , eh' ella cria , e che Natura face . 

CShiaro aai fu allor , com' ogni dove 
In Cielo è Paradiso, et si la grazia 
Del Sommo Ben d'un modo non vi piove. 9 o 

Ma sì com'egli avvien, s^un cibo sazia;. 
£ d*un altro rimane ancor la gola. 
Che quel si chiere, e di quel si ringrazia; 

Così fee' io con atto e con parola 
Per apprender da lei qual fu la tela ^ 
Onde non trasse insino al co la spola • — 

Perfetta vita et alto merto inciela 

Donna più su , mi disse , alla cui norma 
Nel vostro mondo giù si veste , e vela , 

Perchè ^nfino al morir si vegghi e dorma 100 
Con quello sposo, ch'ogni voto accetta. 
Che caritate a suo piacer conforma . 

Dal mondo , per seguirla , giovinetta 
Fuggimmi , e nel su' abito mi chiusi , 
E promisi la via della sua setta . 

Uomini poi a mal, più eh* a bene, usi 
Fuor mi rapiron della dolce chiostra : 
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi . 



176 DEL PARADISO 

E qaest^ akro spleador , che ti si mostra 
Dalla mia destra parte, e che s'accende no 
Di tutto '1 lume della spera nostra , 

Ciò 9 eh' io dico di me , di se intende : 
Sorella fu, e cosi le fu tolta 
Di capo r ombra delle ^acre bende . 

Ma poi che pur al mondo fu rivolta 

Contra suo grado , e cantra buona usanza , 
Non fu dal yel del cor giammai disciolta. 

Quest' è la luce della gran Gostanza , 
Che del secondo vento di Soave 
Generò 1 terzo , e V ultima possanza . 1 20 

Cosi parlomQii : e poi cominciò Jpe, 
Maria , cantando , e cantando vamo. 
Come per acqua cupa cosa grave . 

La vista mia, che tanto b seguìo , 
Quanto possibil fu , poi che la perse , 
Yolsesi al segno di maggior disio , 

Et a Beatrice tutta si converse : 
Ma quella folgorò nello mio sguardo 
Si, che da prima il viso noi sofferse : 

£ ciò mi fece a dimandar più tardo . 1 3o 



177 

CANTO QUARTO. 



AaCOHSNTO 

Mifropandosi U Poeta in alcune difficoltà. Beatrice so^ 
pra di ffuHe imprende a ragionare, e gii dimostra p 
eonu tutti i Comprensori hanno i loro seggi nel Cielo 
empireo: seguita poi a manifestargli altre verità. In 
fine Dante propone alta sua guida un quesito: Se in 
alcun modo soddisfar si possa a' voti non adempiuti. 



JLntra duo cibi distanti , e moventi 
D^un modo, prima si morrìa di fame. 
Che liber uomo Tun recasse aMenti. 

Si si starebbe un agno intra duo brame 
Di fieri lupi igualmeote temendo : 
Si si starebbe un cane intra duo dame • 

Per che s* io mi tacca , me non riprendo , 
Dalli miei dubbi d^nn modo sospinto, 
Poich^era necessario, né commendo •* 

lo mi tacca : ma U mio disir dipinto i o 
M*era nel viso, e *1 dimandar con elio 
Più caldo assai, che per parlar distinto. 

Dante T.II. la 



178 DEL PARADISO 

Fessi Beatrice , qual fé* Daniello 
Nabuccodonosor levando d* ira , 
Che r avea fatto ingioatamente fello ; 

£ disse : Io veggio ben come ti tira 
Uno et altro disio, sì che tna cara 
Se stessa lega sì , che fnor non spira . 

Tu argomenti : Se *1 buon voler dura , 
La violenza altrui per qual ragione ao 
Di meritar mi scema la misura? 

Ancor di dubitar ti dà cagione 
Parer tornarsi T anime alle stelle. 
Secondo la sentenza di Platone • 

Queste son le quistion, che nel tuo velie 
Pontano igualemente; e però pria 
Tratterò quella, che più ha di felle. 

De'Serafin colui, che più sMndia, 
Moisè, Samuello, e quel Giovanni, 
Qual prender vogli, iodico, non Maria, 3o 

Non hanno in altro Cielo i loro scanni, 
Ghe quelli spirti, che mo t* apparirò. 
Né hanno air esser lor più o meno anni; 

Ma tutti fanno bello il primo giro, 
E diflferentemente han dolce vita 
Per sentir più e men Peterno spiro. 



CANTO IV. 179 

Qui si mostraron, non perchè sortita 
Sia qaesta spera lor, ma per far segno 
Della celestial, ch'ha men salita. 

Così parlar conviensi al vostro ingegno, 40 
Perocché solo da sensato apprende 
Ciò, che fa poscia d^ntelletto degno. 

Per questo la Scrittura condescende 
A vostra facultate , e piedi e mano 
Attribuisce a Dio, et altro intende. 

£ santa Chiesa con aspetto umano . 
Gabbriell'e Michel vi rappresenta, 
E r altro, che Tobbia rifece sano. 

Quel, che Timeo dell* anima argomenta. 
Non è simile a ciò, che qui si vede. So 
Perocché, come dice, par che senta. 

Dice , che V alma alla sua stella riede , 
Credendo quella quindi esser decisa , 
Quando Natura per forma la diede. 

£ forse sua sentenzia è d'altra guisa, » 
Che la voce non suona, et esser puote 
Con intenzion da non esser derisa. 

S^egr intende tornare a queste ruote 
L*onor della *nflnenzia e 1 biasmo, forse 
In alcun vero suo arco percuote . 60 



i8o DEL PARADISO 

Questo principio male inteso tone 

Già tatto *1 mondo qinsi, sì che Giore, 
Mercurio, e Marte a nominar trascorse. 

L'altra dubitazion, che ti commtiOTe, 
Ba men yeien , perocché sua malizia 
Non ti potria menar dà me altrove. 

Parere ingiusta la nostra giustizia 
Negli occhi de* mortali è argomento 
Di Fede, e non d* eretica nequizia. 

Ma perchè puote vostro accorgimento 70 
Ben penetrare a questa ventate. 
Come disiri ti farò contento. 

Se violenza è quando quel, che paté, 
Neente conferisce a quel, che sfcMza, 
Non fur quest' alme per essa scusate ; 

Che volontà, se non vuol, non s* ammorza ^ 
Ma fa come Natura face in foco. 
Se mille volte violenza il torza: 

Perchè s'ella si piega adsai o poco. 

Segue la forza; e così queste fero, 8g 
Potendo ritorhare al santo loco. 

Se fosse stato il lor volere intero. 
Come tenne Lorenzo in su la grada, 
E fece Muzio alla sua man severo; 



CANTO lY. i8i 

Cosi Tavria ripinte per la strada, 
Ond'eran tratte, come furo sciolte: 
Ma così salda veglia è troppo rada . 

E per queste parole, se rìcolte 
L* hai come dei, è T argomento casso. 
Che t'avria fatto noia ancor più volte. 90 

Ma or ti s* attraversa un altro passo 
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso 
Non n* usciresti, pria sarcKSti lasso. 

Io t* ho per certo nella mente messo , 
Ch*alma beata non porla mentire. 
Perocché sempre al primo Vero è presso . 

E poi potesti da Piccarda udire. 

Che Taffezion del vel Gostanza tenne, 
SI eh* ella par qui meco contraddire. 

Molte fiate già, frate, adivenne, 100 

Che per fuggir perigllè^contro a grato 
Si feMi quel, che fafnon si convenne. 

Come Almeone, che di ciò pregato 
^Dal padre suo la propria madre spense. 
Per non perder pietà si fé* spietato. 

A. questo punto voglio, che tu pense. 

Che la forza ai voler si mischia, e fanno 
' Sì, che scusar non si posson roflPense. 



i8a DEL PARADISO 

Voglia assoluta non consente al danno : 
Ma consentevi in tanto,in quanto teme, no 
Se si ritrae , cadere in più a£Emno. 

Però quando Piccarda quello spreme. 
Della voglia assoluta intende, et io 
Dell'altra, ffi che w diciamo insieme. 

€otal fu Tond^giar del santo rio, 

Gh*uscì del fonte, ond'ogni ver deriva; 
Tal pose in pace uno et altro disio . 

O amanza del primo amante, o diva, 
DissMo appresso, il cui parlar m^ innonda 
E scaldasi, che più e più m'avviva; lao 

Non è Taffezion mia tanto profonda, * 
Che basti a render voi grazia per grazia ; 
Ma quei, che vede epuote, a ciò risponda. 

Io veggio ben, che giammai non si sazia 
Nostro 'ntelletto, se U ver non lo illustra. 
Di fuor dal qual nessun vero si spazia. 

Posasi in esso, come fera in lustra. 

Tosto che giunto T ha ; e giugner puoUo: 
Se non, ciascun disio sarebbe /riufra. 

Nasce per quello a guisa di rampollo i3o 
Appiè del vero il dubbio; et è Natura, 
Ch' al sommo pinge noi di collo in collo . 



\ 



CANTO IV. iZì 

Questo mMnvita^ questo m'assicura 
Con riverenza » Donna , a dimandarvi 

D* un* altra verità, che m'è oscura. 

« 

Io vo* saper, se Tuom può soddisfarvi 
A* voti ^nchi si con altri beni , 
Ch' alla vostra stadera non sien parvi . 

Beatrice mi guardò con gli occhi pieni 
Di faville dVamor, con si divini, 140 
Che , vinta mia virtù , diedi le reni , 

E quasi mi perdei con gli occhi chini. 



f 



\ 



A 



i8S 

CANTO QUINTO. 



A&GOMSNTO 

Biatritt partm dellm nmrurm €d M0naa del Voto^ e yi- 
spomdÉ td ^m$*ko d&i Fàeia dunuufr^posi^U, diekim 
rondo i» fuml moMÙro soddisfar sipoum, td md non 
adempiuti. Salgono poscia wnendua in Mercurio» ooe 
Danio scorge un grandissimo numero di Spirisi, 
uno de* quali fa ogii edemsa dinumdo. 



9 

io ti fiaouaettio nel caldo d' moie 



s 

Di là dal modo» cb» *n terra d vede» 
Sk die degU occhi inoi viaeo '1 Talwe» 

Non ti maraviglìflr ; che ciò procede 
Da perfetto veder» che come appiende» 
Cosi nel bene appreso muove U piede. 

Io veggio bea sì come già rispleade 
NeUo intelletto tuo T eterna luce » 
Che vista «ola sempre amore accende : 

E s' altra cosa vostro amor seduce » i o 

Non è se non di cpella alcim vestigio 
Mal conosciuto» che <}uivi trainee. 



486 DEL PARADISO 

Tn vaoi saper se con altro aerrìgio 
Per manco voto si può render tanto» 
Che ranima sicuri di litigio: 

Sk cominciò Beatrice questo canto; 

E si com^uom, che suo parlar non spezza » 
Continuò con '1 processo santo. 

Lo maggior don» che Dio per sua larghezza 
Fesse creando , et alla sua bontate 20 
Più conformato» e quel ch'ei più apprezza. 

Fu della volontà la libertate , 
Di che le creature intelligniti 
E tutte» e sole furo, e son dotate. 

Or ti parrà, se tu quinci argomenti» 
L*alto valor del voto» s^h A fatto» 
Che Dio consenta» quando tu consenti: 

Che, nel fermar tra Dio e Tuomo il patto, 
Vittima fassi di questo tesoro , 
Tal, qual io dico» e fassi col su^atto. 3o 

Dunque che render puossi per ristoro? 
Se credi bene usar quel» ch'hai oflFerto^ * 
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro . 

Tu se* omai del maggior punto certo : 
Ma perchè santa Chiesa in dò dispensa , 
Che par contra lo ver» cVi' t^ho scoverto ; 



CANTO V- .187 

Convienti ancor sedere un poco a mensa , 
Perocché ''1 cibo rigido, ch'hai preso. 
Richiede ancora aiuto a tua dbpensa. 

Apri la mente a quel, cVio ti paleso, 40 
£ fermalvi entro; che non fa scienza 
Senza lo ritenere avere inteso. 

Due cose sì convegnono air essenza 
Di questo sacrificio: Tuna è quella. 
Di che si fa; T altra è la convenenza. 

Quest'ultima giammai non si cancella. 
Se non servata , et intorno di lei 
Sì preciso di sopra si favèlla : 

Però ■ necessitato fu agli Ebrei 

Pur Tofferere, ancor che alcuna oflferta 5o 
Si permutasse, come saper dei. 

L^ altra , che per materia t' è aperta , 
Puote bene esser tal, che non si falla. 
Se con altra materia si converta . 

Ma non trasmuti carco alla sua spalla 
Perssuo arbitrio alcun senza la volta 
E della chiave bianca, e della gialla : 

Et ogni permutanza credi stolta. 
Se la cosa dimessa in la sorpresa, 
ComeU quattro nel sei, non è raccolta. 60 

I neccttìtà 



i8S DEL PARADISO 

Però qaalanqne cosa Unto pesa 

Per MIO Talor^ che tragga ogni bilancia. 
Soddisfar non sì pob con altra spesa. 

Non prendano i maftall il voto a ciancia: 
Siate fedeli, et a ciò fiur non bieci, 
Ciome fa lepte alla eoa prima mancia; 

Coi più si convenia dker: Mal feci. 
Che servando &r peg^; e così stolto 
Ritrovar puoi lo gran Duca de* Greci, 

Onde pianse Ifigenia il suo bel volto , 70 
E fé* pianga di se e i folli , e i savi, 
Gh^odir parlar di con fatto colto. 

Siate, Cristiani > a maovervi più gravi: 
Non aiate come penna ad ogni vento, 
E non crediate, eh* ogni acqua vi lavi. 

Avete ^1. vecchio e 1 nuovo Testamento , 
E U P^or della Chiesa, che vi guida: 
Questo vi basti a vostro salvamento. 

Se mala cupidigia altro vi grida , 

Uomini siate, e ncm pecore matte, 80 
SI che *1 Giudeo tra voi di voi non rida . 

Non fate come agnel, che lascia il latte 
Della sua madre, e semplice e lascivo 
Seco medesmo a suo piacer combatte . 



CANTO V. 189 

Così Beatrice a me» ' com' io scrivo: 
Poi si rivolse tutta disiarne 
A quella parte , ove U mondo è più vivo . 

Lo suo piacere , e '1 tramutar sembiante 
Poser silenzio al mio cupido 'ngegno. 
Che già nuove quistioni avea davante : 90 

E si come saetta , che nel segno 

Percuote pria , che sia la corda queta ; 
Così corremmo nel secondo regno . 

Quivi la donna mia vid*io sì lieta » 
Come nel lume di quel Giel si mise » 
Che più lucente se ne fé* il Pianeta • 

£ se la stella si cambiò e rise ; 

Qual mi fecMo» che pur di mia natura 
Trasmutabile son per tutte guise ! 

Come in peschiera, ch^ètfanqniila^pnra» toc 
Traggono i pesci a ciò, che vien di fuori 
Per modo , che lo stimin lor pastura ; 

Si vid* io ben più di mille splendori 
Trarsi vet noi, et in ciascun s'udia: 
Ecco chi crescerà li nostri amori; 

E sì come ciascuno a noi venia, 
Yedeasi 1* ombra piena di letizia 
Nel folgor chiaro, che di lei uscia • 

1 com* io TI tcriro: 



N 



190 DEL PARADISO 

Pensa, Lettor, se qael, che qai s'inizia. 

Non procedesse, come tu avresti no 
< Di pia saTere angosciosa carizia; 

E per te vederai, come da questi 
IT era in disio d^ndir lor condizioni. 
Sì come agli occhi mi fur manifesti . 

O bene nato, a cui veder li troni 
Del trionfo eternai concede grazia. 
Prima che la milizia s'abbandoni. 

Del lume, che per tutto '1 Ciel si spazia. 

Noi semo accesi: e però se disii 
t Da noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia. 1 20 

Coà da un di quelli spirti piì 

Detto mi fu, e da Beatrice: Di* di^ 
Sicuramente , e credi come a Dii • 

Io veggio ben, si come tu t^ annidi 

Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi, 
Perch* ei corrusca, sì come tu ridi: 

Ma non so chi tu se\ né perchè aggi. 
Anima d^na , il grado della spera , 
Che si vela a* mortai con gli altrui raggi . 

Questo dissalo diritto alla lumiera, i3o 

Che pria m*avea parlato: ond*elIa fessb 
Lucente più assai di quel , eh* eli* era . 

1 Di più udire 2 Di noi cliiarirti, 



CANTO V. 191 

Si come *1 Sol , che si cela egli stessi 
Per troppa luce , quando *1 caldo ha rose 
Le temperanze deWapori spessi; 

Per più letizia sì mi si nascose 

Dentro al suo raggio la figura santa ; 
E cosi chiusa chiusa mi rispose 

Nel modo , che *1 seguente Canto canta . 



\ 



193 

CANTO SESTO. 



Argomento 

r 

Lù Spiriio topTMecennat» al Poeta risponde , e gli dimo^ 
tira se esser P anima di Giustiniano Jmperadore , e 
quindi prende occasione di celebrar le gloriose gesta 
delP aquila Imperiale: seguita poi a dirgli, che in 
quel Piaheta erano coloro, che aveano virtuosamente 
operato per acquistarsi fama ed onore • 



X 06cia che Gostantin V aquila volse 
Contra ^1 corso del Giel^ che la seguio 
Dietro ali* antico, che Lavina tolse. 

Cento e cent* anni, e più Tuccel di Dio 
Nello stremo d'Europa si ritenne. 
Vicino ammonti, de'quai prima uscio: 

£ sotto r ombra delle sacre penne 

Governò *i mondo lì di. mano in mano, 
E si cangiando in su la mia pervenne. 

Cesare fui, e son Giustiniano, io 

Che per voler del primo Amor, ch'io sento, 
D*entro alle leggi trassi il troppo e*l vano: 

Dante T.IL i3 



i<>4 DEL PARADISO 

£ prima ch^o alFopra fossi attento, 
Una natura in Cristo esser, non pine 
Crederà, e di tal fede era contento. 

Ma il benedetto Agabito, che foe 
Sommo Pastore , alla Fede sincera 
Mi dirizzò con le parole sue . 

Io gli credetti: e ciò, che sno dir era. 
Veggio ora chiaro, A come tu yedi 30 
ugm contiaociizione e laisa j e reni. 

Tosto che con la Chiesa mossi i piedi , 
A Dio per grazia piacque di spirarmi 
L'alto lavoro, e tutto in lui mi diedi; 

E al mio Bellisar commendai Tarmi, 
Cui la destra del Ciel £11 ^ congiunta , 
Che segno fu, ch'io dovessi posarmi. 

Or qui alla quìstion prima s^ appunta 
La mia risposta; ma la condizione 
Mi stringe a seguitare alcuna giunta , 3o 

Perchè tu v^gi con. quanta ragione 
Si muove contra U sagrosanto segno 
E chi *1 s^appropi^A , e chi a lui s' oppone • 

Vedi quanta virtù V ha fatto degno 
Di reverenza, e cominciò dall'ora» 
Che Pallante mori per darli r^o . 



/ 



CANTO VI. 19S 

Tu sai, ch'e'ifece in Alba sua dimora * 
Per trecent'anni» et oltre, infino al fine. 
Che tre a tre pugnar per lui ancora • 

Sai quel, che fé* dal mal delle Sabine 40 
Al dolor di Lucrezia in sette Regi , 
Vincendo ^ntorno le genti vicine • 

Sai quel , che fé* portato dagli egregi 

Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, 
Incontro agli altri Principi e collegi : 

Onde Torquato, e Quintio, che dal cirro 
Neglefto fu nomato , e Deci e Fabi 
Ebber la fama, che volentìer mirro. 

Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi, 

Che diretro ad Annibale passaro So 

L^ alpestre rocce, Po, di che tu labi. 

Sott^esso giovanetti trionfaro \ 

Scipione , e Pompeo , et a quel colle , 
Sotto U qual tu nascesti , parve amaro • 

Poi presso al tempo, che tutto 1 Ciel volle 
Ridur lo mondo a suo modo sereno. 
Cesare per voler di Roma il tolte; 

E quel, che fé' da Varo insino al Reno, 
Isara vide , et Era , e vide Senna » 
Et ogni valle y onde '1 Rodano è pieno. 60 



19& DEL PARADISO 

Quel che fé' poi, eh* egli uscì di Ravenna» 
E saltò *1 Robicon , fu di tal volo , 
Che noi seguiterìa lingua , né penna • 

I II ver la Spagna rivolse lo stuolo » 
Poi ver Durazzo; e Farsaglia percosse 
Si, eh* al Nil caldo si sentì del duolo. 

Antandroe Simoenta, onde si mosse, 
Rivide; e là, dov* Ettore si cuba; 
E mal per Tolommeo poi si riscosse. 

Da onde venne folgorando a Giuba : 70 
Poi si rivolse nel vostro Occidente , 
Dove sentia la Pompeiana tuba . 

Di quel, che fé* col baiulo seguente. 
Bruto con Cassio nello *nferno latra , 
E Modona e Perugia fu dolente . 

Piangene ancor la trista Cleopatra , 
Che, fuggendogli innanzi, dal colubro 
La morte prese subita na et atra. 

Con costui corse insino ai lito rubro : ' 
Con costui pose*l mondo in tanta pace, 80 
Che fu serrato a Giano il suo delubro* 

Ma ciò, che '1 segno, che parlar mi face. 
Fatto avea prima , e poi era fatturo 
Per lo regno mortai, eh* a lui soggiace. 



CANTO VL 197 

Diventa in apparenza poco e scuro , 
Se in mano al terzo Cesare si mira 
Con occhio chiaro , e con affetto puro ; 

Che la viva giustizia, che mi spira. 

Gli concedette in mano a quel, ch'io dico. 
Gloria di far vendetta alla sua ira. 90 

Or qui t* ammira in ciò, ch'io ti replico: 
Poscia con Tito a far vendetta corse 
Della vendetta del peccato antico. 

E quando *1 dente Longobardo morse 
La santa Chiesa 9 sotto alle sue ali 
Carlo Magno vincendo la soccorse. 

Ornai puoi giudicar di que'cotali. 
Ch'io accusai di sopra, e de'lor falli. 
Che son cagion di tutti i vostri mali . 

L' uno ai pubblico segno i gìgli gialli 1 00 
Oppone, e l'altro appropria quello a parte. 
Sì eh' è forte a veder qual più si falli . 

Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte 
Sott* altro segno ; che mal segue quello 
Sempre chi la giustizia, e lui diparte: 

£ non l'abbatta esto Carlo npvello 
Co* Guelfi suoi, ma tema degli artigli, 
Ch' a più alto leon trasser lo vello . 



J98 DEL PARADISO 

Molte fiate già pianser gli fig^ 

Per la colpa del padre; e non si creda, ito 
Che Dio trasmnti ranni ' per raoi gigli- 

Questa picciola stella si correda 

De^baoni sjnrti, che son stati attivi. 
Perchè onore e fama gli succeda: 

£ quando li desiri poggian quivi 

Si disviando, pur convien, che i ra^ 
Del vero amore in su poggin men vivi . 

Ma nel commensurar de' nostri gaggi 
Col merto è parte di nostra letizia, 
* Perchè non li veden minor, nèma^. 120 

Quinci addolcisce la viva giustizia 
In noi r affetto sì, che non si puote 
Torcer giammai ad alcuna nequizia . 

Diverse voci fanno dolci note: 
Cosi diversi scanni in nostra vita 
Rendon dolce armonia tra queste ruote . 

£ dentro alla presente margherita 
Luce la luce di Romèo, di cui 
Fu Topra grande e bella mal gradita. 

Ma i Provenzali, che fer contra lui , 1 3o 
Non hanno riso; e però mal cammina 
Qual si fa danno del ben fare altrui. 

I pe*tuoi gigli* a Perchè non li redei» 



CANTO VL 1.^9 

Quattro figlie ebbe, e ciascnna Reina, 
Ramondo Berlinghieri , e ciò gli fece 
Romèo persona umile , e peregrina : 

E poi il mosser le parole biece 

A dimandar ragione a questo giusto , 
Che gli assegnò sette e cinque per diece . 

Indi partissi povero e vetusto : 

E se '1 mondo sapesse *1 cor, ch'egli ebbe, 1 40 
Mendicando sua vita a frusto a frusto , 

Assai lo loda , e più lo loderebbe . 



CANTO SETTIMO. 



A B 6 O M E N T O 

Giustiniano dopo un hre9e tomo dispare con gli altri 
Spiriti; e Beatrice risolve a Dante una difficoltà, 
ch'enagli nata da alcune parole delV Imperadore : i«« 
gue poscia a ragionargli altamente intomo al modo, 
che Iddio usar polle nella grand* opera dell' umana 
Redenzione. 



I 







sanna Sanctus Deus Sabaoth j 
Superillustrans daritate tua 
Felices ignes horum malahoth: 

Così volgendosi alla nota sua 

Fu viso a me cantare essa sostanza. 
Sopra la qual doppio lume s' addua : 

Et essa e T altre mossero a sua danza, 
E quasi velocissime faville 
Mi si velar di subita distanza. , 

Io dubitava , e dicea : Dille , dille , i g 

Fra me, dille, diceva alla mia donna. 
Che mi disseta con le dolci stille: 



JM DEL PAIIADISO 

Ma quella referenda, che s'indonna 
Di tutto me , pur per B e per ICE 
Mi richinava, come Tuom, ch'assonni. 

Poco sofferse me cotal Rigatrice, 
E cominciò raggiandomi d' un riso 
Tal, che nel fuoco sana 1' uom felice: 

Secondo * mio infallibile avviso. 

Come giusta vendetta giustamente ao 
Punita fosse, t'hai in pensier miso; 

Ma io ti solverò tosto la mente: 
E tu ascolta, che le mie parole 
Di gran sentenzia ti faran presente . 

Per non soffrire alla virtù, che vuole 

Freno a suo prode, queH'uom.che non nac- 
Dannando se dannò tutta ana prole: (que, 

Onde l'umana spezie inferma giacque 
Giù per secoli molti in grande errore, 
Fin ch'ai Verbo di Dio di scender piacque 3o 

U' la natura, che dal suo Fattore 

S'era allungata, unio a se in persona 
Con l'atto sol del suo eterno Amore. 

Or drizza il viso a quel che si ragiona: 
Questa natura al suo Fattore unita, 
Qual fu creata , fu sincera e buona ; 



CANTO YIL MS 

Ma per 9e stessa pur fu elb sbandita 
Di Paradiso, perocché si torse 
Da via di verità, e da sua vita. 

La pena dunque, che la Croce porse, 41» 
Sballa natura assenta si misura. 
Nulla giammai sì giustamente morse : 

E così nulla fa di tanta ingiura , 

Guardando alla Persona, che sofferse. 
In che era contratta tal natura . 

Però d'un atto uscir cose diverse; 

Ch'a Dio, e a^ Giudèi piacque Una morte: 
Per lei tremò la Tetta, e '1 Citi s* aperse. 

Non ti dee oramai parer più forte. 
Quando si dice, che giusta vendetta So 
r Poscia vengiata fu da giusta Corte . 

Ma i' veggi' òr la tua Wnte ristretta 

Dì pensiero in pensier dentro ad un nodo. 
Del qual con gran di9io solver s^ aspetta . 

Tu dici: Ben discerno ciò, eh* i' odo: 
Ma perchè Dio volesse, tn'h occulto, 
A nostra redenzion pur questo modo . 

Questo > decreto , frSte , sta septtlto 
Agli occhi di ciascuno , il cui ingegno 
Nella fiamma d'amor non k adulto. 6« 

I ttcrete, 



ao4 BEL PA&ADISO 

Veramente, però eh' a questo segno 
Molto si mira , e poco si discerne » 
Dirò perchè tal modo fu più degno. 

La Divina Bontà , che da se speme 
Ogni livore, ardendo in se sfavilla. 
Si che dispiega le bellezze eterne • 

Ciò , che da lei senza mezzo distilla , 
Non ha poi fine , perchè non si muove 
La sua imprenta, quand^ella sigilla. 

Ciò, che da essa sanza mezzo piove, 70 
Libero è tutto, perchè non sc^giace 
Alla virtute delle cose nuove. 

Più Tè conforme, e però più le piace ; 
Che r ardor santo, ch'ogni cosa raggia. 
Nella più simigliante è più vivace. 

Di tutte queste cose s'avvantaggia 
L' umana creatura , e s^ una .manca , 
Di sua nobilita convien che caggia . 

Solo il peccato è quel, che la disfranca, 
£ falla dissimile al Sommo Bene, 80 
Perchè del lume suo poco s'imbianca: 

Et in sua dignità mai non riviene , 
Se non riempie 9 dove colpa vota^ 
Contra mal dilettar con giuste pene. 



CANTO VII. aoS 

Vostra natura , quando peccò tota 
Nel seme suo ^ da queste dignitadi , 
Come di Paradiso , fu remota : 

Né ricovrar poteasi , se tu badi 
Ben sottilmente, per alcuna via» 
Senza passar per un di questi guadi ; 90 

che Dio solo per sua cortesia 

Dimesso avesse^ o che V uom per se isso 
Avesse soddisfatto a sua follia . 

Ficca mo 1* occhio per entro V abisso 
Dell'eterno consiglio, quanto puoi 
Al mio parlar distrettamente fisso . 

Non potea Tuomo ne^ termini suoi 
Mai soddisfar , per non potere ir giuso 
Con umiltate , obbediendo poi , 

Quanto disubbidendo intese ir suso: 100 
E questa è la ragion, per che Tuom fué 
Da poter soddisfar per se dischiuso . 

Dunque a Dio convenia con le vie sue 
Riparar V uomo a sua intera vita , 
Dico con Tuna, o ver con ambodue. 

Ma, perchè V ovra tanto è più gradita 
Dell'operante, quanto più appresenta 
Della bontà del core, ond'è uscita. 



•'4 



ao6 DEL PARADISO 

La Divina Bontà , che '1 mondo imprenta » 
Di proceder per tutte le sue vie 1 1<> 

A rilevarvi suso fu contenta : 

Ne tra P ultima notte, e 1 primo die 

Si alto, e si magnifico processo 
I per Tuno, o per Taltro fue, o fie: 

Che più largo fu Dio a dar se stesso. 
In far Vuota sufficiente a rilevarsi. 
Che s* egli avesse sol (b se dimesso . 

E tutti gli altri modi erano scarsi 
AUà giustizia » se ^i FigUuol di Dio 
Non fosse umiliato ad incarnarsi. 120 

Or per empierti bene ogni di^o. 
Ritorno a dichiarare in alcun loco, 
Perchè tu v^i li cosi , com* io . 

Tu dici : Io ve^io l'aere, io ve^io U foco, 
L'acqua, e la terra, e tutte lor misture 
Venire a corruzione, e durar poco: 

E queste cose pur fur creature; 

Per che se Cìjtkj cVhp detto , h stato vero. 
Esser dovrian d$i corirUfion sicure . 

Gli Angeli, frate, e U p^se sincero, 1)0 
Nel qual tu se\ dir si possoa creati , 
Sì come sono, in loro essere intero; 

I par Tana, o p«r 1* altra fae, o fia; 



? 



CANTO VII. 



ao7 



Ma gli elementi, che tu hai nomati, 
E quelle cose, che di lor si fanno. 
Da creata virtù sono informati. 

Creata fu la materia , cV egli hanno ; 
Creata fu la virtù informante 
In queste stelle , che ^ntorno a lor vanno • 

L' anima d' ogni bruto , e delle piante 
Di complession potenziata tira 1 40 

Lo raggio e '1 moto delle luci sante. 

!Ma nostra vita senza mezzo spira 
La somma beninanza , e la 'nnamora 
Di se, si che poi sempre la disira. 

£ quinci puoi argomentare ancora 
Vostra resurrezion, se tu ripensi 
Come r umana carne fessi allora , 

Che li primi parenti intrambo fensi • 



CANTO OTTAVO. 



Aegomento 

« 

Dwa9 #a/e eon Btatricé nel cielo di Venere, dove •#- 
eerv0 le Mnitm de'Bemti moversi in giro, le fuali r»— 
iteanenie fntfesegli incontro^ una di queste, cke erm 
l'anima di Carlo Martello re «T Ungheria, con esso 
lui fepella dispiegandogli in fine ^ come da virtuosa 
padre nasca talpoha viùoeo figliuolo. 



Ooiea creder lo mondo in sao periclo» 
'Che la bella Ciprigna il folle amore 
Raggiasse volta nel terzo epiciclo: 

Per che non pnre a lei faceano onore 
Di sacrifici) e di votivo grido 
Le genti antiche nell'antico errore; 

Ma Dione onoravano, e Cupido, 

Questa per madre sua, questo per figlio, 
E dicean, ch^ei sedette in grembo a Dido : 

E da costei, ondMo principio piglio, io 
Pigliavanp H vocabbl della stella , 
Che*l Sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. 



1 



aio DEL PARADISO 

Io non m* accorsi del salire in ella: 
Ma d* esserv' entro mi fece assai fede 
La donna mia , ch^ io vidi far più bella . 

E come in fiamma favilla si vede» 
E come in voce voce si disceme , 
Quando una è ferma, e T altra va e riede; 

Yid' io in essa luce altre lucerne 

Muoversi in giro più e men correnti 20 
Al modo, credo, di lor viste, eterne • 

Di fredda nube non disceser venti 
O visibili, o no, tanto festini. 
Che non paressero impediti e lenti 

À chi avesse quei lumi divini 

Veduto a noi venir, lasciando U giro 
Pria cominciato in gli alti Serafini: 

E dietro a quei, che più 'nnanzi apparirò » 
Sonava Osanna, si che unque poi 
Di riudir non fui sanza disiro. 3o 

Indi si fece Tun più presso a noi, 
£ solo incominciò: Tutti sem presti 
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi. 

Noi ci volgiam co^ Principi celesti 
D^un giro, d*un gbrare, e d^jana sete. 
Acquali tu nel mondo già dicesti: 



/' 



CANTO VIIL aiK 

Voij che intendendo il terzo Ciel movete; 
£ Sem sì pien d*amor» che per piacerti 
Non fia men dolce un poco di quiete • 

Poscia che gli occhi miei si furo offerti 40 
Alla mia donna reverenti, et essa 
Fatti gli avea di se contenti e certi, 

Kivolsersi alla luce, che promessa 
Tanto s* avea ; e : Di' chi siete , fue 
La voce mia di grande affetto impressa . 

E quanta, e quale vidMo lei far piùe 
Per allegrezza nuova, che s* accrebbe, 
Quand'io parlai, air allegrezze sue. 

Così fatta mi disse : Il mondo m' ebbe 
Giù poco tempo; e se più fosse stato. So 
Molto sarà di mal, che non sarebbe. 

La mia letizia mi ti tien celato. 

Che mi raggia dintorno, e mi nasconde. 
Quasi animai di sua seta fasciato . 

Assai m'amasti, et avesti bene onde: 
Che sMo fossi giù stato, io ti mostrava 
Di mio amor più oltre, che le fronde. 

Quella sinistra riva, che si lava 
Di Rodano, poich^è misto con Sorga, 
Per suo signore a tempo m^ aspettava; 60 



aid DEL PARADISO 

£ quel comò d'Ausonia , che s^ imboi^a 
Di Bari , di Gaeta , e di Crotona^ 
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga . 

Fulgeami già in fronte la corona 

Di quella Terra , che '1 Danubio riga , 
Poi che le ripe Tedesche abbandona : 

E la bella Trinacria» che caliga 

Tra Pachino e Peloro sopra '1 golfo « 
Che riceve da Euro maggior briga. 

Non per Tifòo, ma per nascente solfo, 70 
Attesi avrebbe li suoi regi ancora 
Nati per me di Carlo, e di Ridolfo, 

Se mala signoria che sempre accuora 
Li popoli suggetti 5 non avesse 
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora. 

E se mio frate questo antivedesse. 
L'avara povertà di Catalogna 
Già fuggirla, perchè non gli offendesse; 

Che veramente provveder bisogna 

Per lui, o per altmi, sì ch^a sua barca 8e 
Carica più di carco non si pogua. 

La sua natura, che di larga ''Parca 
Discese, avria mestier di tal milizia. 
Che non curasse di mettere in arca . 

I parca 



CANTO Vili. ai3 

Perocch'io credo, che Talta letizia. 

Che ^1 tuo parlar m'infonde, signor mio, 
Ov^c^ni ben si termina, e sMnizia, 

Per te si veggi}, come la vegg'io. 

Grata m'è più, e anche qaesto ho caro. 
Perchè M discerni.'rìmirando in Dio . 90 

Fatto m^hai lieto; e cosi mi £a* chiaro. 
Poiché parlando a dnbitar m'hai mosso. 
Come uscir può di dolce seme amaro. 

Questo io a lui; et egli a me: S'io posso 
Mostrarti un Tero, a quel che tu dimandi 
Terrai '1 viso, come tieni '1 dosso. 

Lo Ben, che tutto '1 regno, che tu scandi. 
Volge e contenta, fa esser virtute 
Sua provedenza in questi corpi grandi : 
. E non pur le nature provvedute 1 00 

Son nella mente , eh* è da se perfetta , 
Ma esse insieme con la lor salute . 

Per che quantunque questo arco saetta 
Disposto cade a provveduto fine , 
Si come cocca in suo segno diretta . 

Se ciò non fosse, il Ciel, che tu cammine. 
Producerebbe si li suoi efifetti^ 
Che non sarebbero asti , ma ruine : 



ai4 DEL PARADISO 

E ciò esser non può , se gl'intelletti , (ilo 
Che muovon queste stelle, non son manchit 
E manco U primo , che non gli ha perfetti. 

Vuo'tu, che questo ver più ti^sMmbianchi? 
Et io: Non già; perchè impossibil v^gio. 
Che la Natura, in quel eh' è uopo, stanchi. 

Ond* egli ancora : Or àì\ sarebbe il p^gio 
Per Tuomo in terra, se non fosse cive? 
Si rispos'io, e qui ragion non cheggio: 

E può egli esser , se giù non si vìve 
Diversamente per diversi ufici ? 
No ; se U maestro vostro ben vi scrive • 120 

Si venne deducendo insino a quici. 

Poscia conchiuse: Dunque esser diverse 
Gonvien deWostri effetti le radici. 

« 

Per eh* un nasce Solone, et altro Serse, . 
Altro Melchisedech , et altro quello^ 
Che volando per Taere il figlio perse. 

La circular Natura, eh' è suggello 
Alla cera mortai, fa ben su' arte; 
Ma non distingue V un dall' altro ostello . 

Quinci adivien, eh' Esaù si diparte i3o 
Per seme da Jacob, e vien Quirino 
Da sì vii padre, che si rende a Marte. 



CANTO Vili. ai5 

Natura generata il suo cammino 
Simil farebbe sempre a^ generanti. 
Se non vincesse il provveder divino. 

Or quel, che t*era dietro, t*è davanti. 
Ma perchè sappi, che di te mi giova. 
Un corollario veglio, che t^ ammanti. 

Sempre Natura, se fortuna truova 

Discorde a se , come ogni altra sejnente 1 40 
Fuor di sua region, fa mala pruova. 

E se *1 mondo laggiù ponesse mente 
Al fondamento, che Natura pone. 
Seguendo lui avria buona la gente • 

Ma voi torcete alla religione 

Tal, che fu nato a cingersi la spada, 
E fate Re di tal, eh' è da sermone: 

Onde la traccia vostra è fuor di strada . 



'^^■J 



mi7 

CANTO NONO. 



Aegombnto 

Dant€ $€gue m favellar con un olirà di quelle anime ^ 
la fuale, dòpo avergli deito eseerella Cunimam eonUm- 
d'Ezaelino dm Romana, predice alemti funam a/eoe- 
nimenti della Marea Trìvipana: indi Folco da Mmr» 
sigila parla col Poeta del luogo ^ ove era nato, e gli 
palesa un'altra di quelle anme beate. 



' i^appoichè Carlo tuo, befia Clemenza, 
M'ebbe chiarito, mi narrò gf tnganm. 
Che ricever dovea la sua semenza ; 

Ma disse : Taci , e lascia volger gli anni ; 
Si cV io non posso dir , se non che pianto 
Giusto verni dirietro a^ vostri danni . 

E già la vita di quel Inme santo 
Rivolta s* era al Sol , che la riempie , 
Come a quel ben , cV a ogni cosa è tanto. 

Ahi anime ingannate , * e fatture ^mpie^ io 
Che da si fisitto ben torcete i cori , 
Drizzando in vanith le vostre tempie! 

1 Da poi cli« a • fatture «mpìe , 



aiS DEL PARADISO 

Et ecco an altro di quegli splendori 
Yer me si fece , e 1 suo voler piacermi 
Significava nel chiarir di fàorì. 

Gli occhi di Beatrice , eh* eran fermi 
Sovra me, come pria, di caro assenso 
Al mio disio certificato fermi • 

Deh metti al mio voler tosto compenso » 
Beato spirto, dissi, e fammi pmova, ao 
ChHo possa in te refletter quel, eh* io penso. 

Onde la luce, che m*era ancor naova. 
Del suo profondo, ond*ella pria cantava, 
S^;aette , come a cui di ben far giova : 

In quella parte della Terra prava 
Italica , che siede intra Rialto , 
E le fontane di Brenta e di Piava , 

Si leva un colle, e non sarge molt* alto. 
Là onde scese già una facella , 
Che fece alla contrada grande assalto • So 

D'una radice nacqui et io, et ella: 
Cùnizza fui chiamata, e qui refulgo. 
Perchè mi vinse il lume d' està stella • 

Ma lietamente a me medesma indulgo 
La cagion di mia sorte , e non mi noia , 
Che forse parrìa forte al vostro vulgo . 



CANTO IX. ai9 

Di questa luculenta e chiara giofa 

Del nostro Cielo» che più m^ è propinqua » 
Grande fama rimase, e pria che muoia, 

Questo centesima anno ancor sMncinqua: 40 
Vedi se far si dee Tuomo eccellente, 
Sì eh' altra vita la prima relinqua : 

E ciò non pensa la turba presente. 
Che Tagliamento , e Adice richiude , 
Ne per esser battuta ancor si pente. 

Ma tosto fia, che Padova al palude 
Cangerà V acqua , che Vicenza bagna , 
Per essere al dover le genti crude • 

E dove Sile, e Cagnan s'accompagna. 
Tal signoreggia, e va con la testa alta. So 
Che gi^ per lui carpir si fa la ragna • 

Piangerà Feltro ancora la di£Falta 

Deir empio suo pastor , che sarà sconcia 
Si, che per simil non s'entrò in Malta. 

Troppo sarebbe larga la bigoncia. 
Che ricevesse '1 sangue Ferrarese , 
E stanco chi '1 pesasse ad oncia, ad oncia » 

Che donerà questo prete cortese. 
Per mostrarsi di parte; e cotal doni 
Conformi fieno al vìver del paese. 60 



aao DEL PARADISO 



Sa sono speCchi^ voi (Ucete Troni, 
Onde rifulge a noi Dio giudicante. 
Sì che questi parlar ne paion buoni. 
Qoi si tacette, e feeemi sembiante. 
Che fosse ad altro volta, per la raou. 
In che si mise, com'era damante. 
L'altra letizia, che m'^ra già nota. 
Preclara cosa mi si fece in vista , 
Qual fin bakscio , in che lo Sol percnota . 
Per letiziar lassù fulgor s'acquista, 70 

Si coqie riso qui; ma ^ù s^ abbuia 
L' ombra di fuor, come la mente è trista. 
Dio vede tutto, e tuo veder s'illuia. 
Disseto, beato spirto, si che nulla 
Voglia di se a te puote esser fuia • 
Punque la voce tua, che U Ciel trastulla 
Sempre col canto di que' fuochi pii , 
Che di sei ale fannosi cuculia , 
Perchè non soddisface a' miei disii? 

Già non attenderemo tua dimanda, 80 
8' io m' intuassi., come tu t* immii . 
La maggior valle, in che T acqua si spanda, 
Incomincbro allorle sue parole, 
Fuor di quel mar, chela terra inghirlanda. 



CANTO IX. %2i 

Tra discordanti liti contra 1 Sole 
Tanto seti va, che fa meridiano 
Là, dove l'orizzonte pria far suole. 
Di quella valle fu' io iittorano 

Tra Ebro e Macra , che per cammin corto 
Lo Genovese parte dal Toscano. 90 

Ad un occaso quasi e ad un orto 

Buggea siede, e la Terra, ond'io fui. 
Che fendei sangue suo già caldo il porto. 
Folco mi disse quella gente, a cui 
Fu noto il nome mio; e questo Gelo 
Di me s* imprenta , com^ io fé* di lui ; 
Che più non arse la figlia di Belo , 
Noiando et a Sicheo e a Creusa , 
Di me , infin che si convenne al pelo ; 
Né quella Rodopea, che delusa 100 

Fu da Demofoonte, né Alcide, 
Quando Ide nel core < ebbe richiusa • 
Non però qui si pente, ma si ride , 

Non della colpa, eh* a mente non toma, 
Ma del valor, ch'ordinò e provvide. 
Qui si rimira nelT arte , eh* adoma 

Con tanto affetto , e disceraesi *1 bene , 
Per che al mondo di su quel di giù torna. 

I ebbe rinchiata. 



aia DEL PARADISO 

Ma perchè le tue voglie tatte piene 

Ten pord, che son nate in qnesta spera, no 
Procedere ancor oltre mi conviene. 

Tu vuoi saper chi è *n questa lumiera , 
Che qui appresso me cosi scintilla , 
Come raggio di Sole in acqua mera . 

Or sappi , che là entro si tranquilla 
Raab^ et a nostr* ordine congiunta 
Di lui nel sommo grado si sigilla • 

Da questo Cielo, in cui F ombra s* appunta. 
Che *1 vostro mondo face, pria ch^altr^alma 
Del trionfo di Cristo fu assunta . i ao 

Ben si convenne lei lasciar per palma 
In alcun Cielo dell* alta vittoria , 
Che 8* acquistò con Tuna e V altra palma; 

Perch* ella favorò la prima gloria 
Di losuè in su la terra santa , 
Che poco tocca al Papa la memoria. 

La tua città, che di colui è pianta. 
Che pria volse le spalle al suo fattore , 
E di cui è la 'nvidia tanto pianta , 

Produce e spande il maladetto fiore, i3o 
Ch*ha disviate le pecore e gli agni. 
Perocché fatto ha lupo del pastore . 



CANTO IX. 



Ml 



Per questo V Evangelio e i Dottor magni 
Son derelitti , e solo a i Decretali 
Si studia si, che pare aMor vivagni. 

A questo intende U Papa e i Cardinali : 
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette 
Là , dove Gabbrìello aperse T aU • 

Ma Vaticano, e T altre parti elette 

Di Roma , che son state cimitero 1 40 
Alla milizia , che Pietro seguette , 

Tosto libere fien dell* adultero. 



aiS 



CANTO DECIMO. 



Aegomento 

Tmi0 il Fo€i0 Mtorditu, eké itmnt Dio ùi creur 
V UnÌ9€rso: dico poi com» $àtk in eontpognia di Bern» 
triee nd Soltf in cui vide intomo di so alcwd spiriti 
in figum di corona disposti girar cantando , uno 
d€*quaii se gli manifesta essere & Tommaso JCAjui" 
no, e gli dà in oltre contenta degli altri Beati, che 
formaifano fuella corona. 

VJuardando nel suo Figlio con > V Amore* 
Che r uno e V altro etern^lmente spira , j 
Lo primo et ineffabile Valore , 

Quanto per mente, o per occhio si gira 
Con tanto ordine k\ ch^ esser non puote 
Senta gustar di lui chi ciò rimira. 

Leva dunque. Lettore^ all'alte ruote 
Meco ìa vista dritto a quella parte, 
Poye Tun moto all'altro si percuote: 

E lì comincia a vagheggiar nell' arte i e 
Di quel maestro, che dentro a se r^ma 
Tanto, che mai da lei Tocchio don parte • 

1 lo Amore, 

Dàstm T.IL iS 



.'• 



.♦ 



A2S DEL TAHADISO 

Tedi come da indi si dirama 

L'obUico cerchio, che i Fianeiì porta, 
Fbr 8oddis£ue al mondo, che g^ chiamac 

£ se la strada lor non fosse torta. 
Molta virtù nel Gel sarebbe in vano, 
£ quasi ogni potenzia quaggiù morta* 

£ se dal dritto più o men lontano 

Fosse 1 partire, assai sarebbe manco ^9 
£ giù e sa dell* ordine mondana. 

Or ti riman. Lettor, sovra *1 tao banco. 
Dietro pensando a ciò , che si preliba , 
Stesser vaoi lieto assai priaia, che stanco. 

Nesso t*ho innanzi: ornai per te ti ciba; 
.Che a se ritorce tutu la mia cara 
Qoella materia, ond*io son fatto scriba. 

Lo ministro maggior della Natnra , 

Che del valor del Cielo il mondo imfMrenta, 
E col soo lume il tempo ne misura. So 

Con quella parte, che su si rammenta^ 
' CoDgianto si girava per le spire. 
In che più tosto ogni ora s'appresenta; 

£t to era con lui : ma del sabre 

Non m^accors'io se non com^uom s*accoige 
Anzi *I primo pensier del sao venire: 



I 



QANTOX / a a? 

Oh Beatrice, quella, che si scorge 
Di bene in meglio sì sabita meote. 
Che r atto suo per tempo non si sporge , 

Quant^ esser convenia da se lucente! 40 
Quel , eh Va dentro al Sol , doVio entiimi. 
Non per color, ma per lume parvente. 

Perch* io lo ^ngegno, e Tarte» e Tuso chiami , 
SI noi direi, che mai s'immaginasse; 
Ma creder puossi, e di veder si brami. 

£ se le fantasie nostre son basse 
A tanta alteau&a , non è maraviglia , 
Che sovra '1 Sol non fu occhio ch'andasse « 

Tal' era qnivi la quarta famiglia 

Dell'alto Padre, che sempre la sazia, 5o 
Mostrando cQme spira, e come figlia • 

£ Beatrice cominciò: Ringrazia, 
Ringrazia il Sol degli Angeli, cVa questo 
Sensibil t* ha levato per sua grazia . 

Cuor eli mortai non fu mai si digesto 
A divozione, e a rendersi a Dio 
Con tutto *l suo gradir cotanto presto , 

Com* a quelle parole mi fee* io^ 

£ si tutto *1 mio amore in lui si mise» 
Che Beatrice eclissò nell*obblio. éc 



S2S DEL FAKf DISC 

Non le dispiacque; ma si se ne rise» 
Che lo splendor degli occhi snoi ridenti 
Mia mente unita in più cose divise • 

Io vidi più fulgor vivi e vincenti 

Far di noi centro, e di se far corona » 
Più dolci in voce , che *n vista lucenti . 

Così cinger la figlia di Latona 

Yedem tal volta , quando Taere è pr^no, 
Sì che ritenga il fil , che fa la zona • 

Nella Corte del Giel, d* ondalo rivegno, 70 
Si truovan molte gioie care e belle 
Tanto, che non si posson trar del regno; 

E U canto di que^ lumi era di quelle . 
Chi non s^ impenna sì, che lassù voli. 
Dal muto aspetti quindi le novelle • 

Poi sì cantando quegli ardenti Soli 
Si fur girati intomo a noi tre volte , 
Come stelle vicine a^fefmi poli. 

Donne mi parver non da ballo sciolte. 
Ma che s* arrestin tacite ascoltando, 80 
Fin che le nuove note hanno rìcoite : 

E dentr^airun senti' cominciar: Quando 
Lo raggio della grazia, onde s'accènde 
Verace amore , e chb poi cresce amando » 



/ 



CANTO X. aiv 

Multiplicato in te tanto risplende , 
Che ti conduce su per quella scala » 
U* sanza risalir nessun discende , 

Qual ti negasse U vin della sua fiala 
Pec.la tua sete» in libertà non fora, 
Se non com'acqua, ch^al mar non si cala. 90 

Tu vuoi saper di quai piante s* infiora 
Questa ghirlanda, che/ntorno vagheggi^ 
La bella donna, eh* al Ciel t* avvalora. 

lo fui degli agni della santa greggia. 
Che Domenico mena per cammino, 
Du^ben sMmpingua, se non si vaneggia. 

Questi, che m*è a destra più vicino. 
Frate, e maestro fummi; et esso Alberto 
E di Cotogna, et io Thomas d'Aquino. 

Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo , i^oo 
Diretro al mio parlar ten vien col viso 
Girando su per lo beato serto . 

Quell* altro fiammeggiare esce del rìso 
Di Grazian, che Tuno e T altro Foro 
Aiutò sì, che piace in. Paradiso. 

L* altro, eh* appresso adorna il nostro coro. 
Quel Pietro fu, che con la poverella 
Offerse a santa Chiesa il suo Tesoro . 



a3o DEL FIRADISO 

La quinta lace» ch^ tra noi pia belU, 
Spira di tale amor, cbe tutto '1 mondo no 
Laggiù 41* ha gola di saper novella . 
Entro Ve l'alta Ince, a' si profondo 
Saver fu messo, che se *1 vero è vero , 
A veder tanto non sarse '1 secondo. 
Appresso vedi *1 lame di qaei cero. 
Che giusQ in carne più addentro vide 
L* angelica natora, e *1 ministero. 
Neil* altra piccioletta luce rìde 

Quell* avvocato de* templi Cristiani, 
Del cui latino Agostin si provvide. lao 
Or se ta 1* occhio della mente trani 
Di luce in luce dietro alle mie lode. 
Già dell'ottava con sete rimani: 
Per vedere ogni ben dentro vi gode 
L'anima santa, che *1 mondo fallace 
Fa manifesto a chi ' di lei ben ode : 
Lo corpo, ond*ella fu cacciata, giace 
Giuso in Cieldauro, et essa da martiro, 
E da esilio venne a questa pace • 
Tedi oltre fiamme^ar 1* ardente spiro i3d 
D'Isidoro, di Beda, e di Riccardo, 
Che a considerar fu più che viro . 

t tla lei ben oéc; 



' 



A li TO X. a3i 

Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo , 
È il lume d'uno spirto, che ^n penÀeri 
Gravi a morire gli panre esser tardo. 

Essa è la luce eterna di Sigieri, 
Che leggendo nel vico degli strami 
Sillc^izzò invidiosi veri. 

Indi, come orologio, che ne chiami 

Nell^ora , che la sposa di Dio surge 1 40 
A mattinar lo sposo, perchè Tami, 

Che Tona parte e T altra tira et urge, 
Tintin sonando con A dolce nota , 
Che ^1 ben disposto spirto d^amor tui^e. 

Così vid^ io la gloriosa ruota 

Muoversi, e render voce a voce in tempra. 
Et in dolcezza, eh* esser non può nota. 

Se non colà , dove *1 gioir g' insempra . 






»33 

CANTO UNDECIMO. 



Argomekto 

li Daiior S, Tommmso nù99Ummtni§ si fm m rmgiommr 
€an Dant€, e gii dichiara ti sensp ttaieune sue pm- 
rQÌ€, cìu 0ir innnJimeniu di iui trstn^ aiqusmto okh- 
rcy €d in età fare prende occasione di rwcconiargH 
' hrepemente la seraficm vitm dei Fatrimrcm S. Frence" 
SCO d'Assisi. 



\J insensata cura de* mortali. 
Quanto son difettivi sillogismi 
Quei, che ti fanno in basso batter V ali! 

Chi dietro a ' jura^ e chi ad aforismi 
Sen giva, e chi seguendo Sacerdozio^ 
E chi regnar per forza , e per sofismi , 

S chi rubare , e chi civil negozio ; 
Chi nel diletto della carne involto 
S^affiiticava , e chi si dava air ozio; 

Quando da tutte queste cose sciolto r% 

Con Beatrice m* era suso in Cielo 
Cotanto gloriosamente accolta . 

I giure» 



r^-* 



a24 DEL PARADISO 

Poi che cÙMCun^ fa tomato ne lo 

Ponto del cerchio » in che avanti s^era , 
Fennossi^ come a candellier candelo : 

Et io aenti' dentro a quella lamiera, 
CSie pria m^avea parlato, sorridendo 
Incominciar Caiccendosi più mera : 

Cosi, compio del «no ragg^ m'accendo, 
9& rìgoardando nella luce etema , 20 
Li tuo* pensieri, onde cagioni, apprendo. 

Ta dubbi , et hai voler, che si riceraa 
In si aperta e si distesa lingua 
Lo dicer mio, eh* al tuo sentir si sterna. 

Ove dinanzi dissi: IT ben s'impingua, 
£ là, u* dissi: Non surse il secondo; 
^qui è uopo che ben si distingua. 

La Providenza , che governa '1 mondo . 
C!on quel consiglio, nel quale ogni aspetto 
Creato è vinto, pria che vada al fondo, 3o 

Perocché andasse ver lo suo diletto 
La sposa di colui, eh* ad alte grida 
Disposò lei col sangue benedetto. 

In se sicura, et anche a lui più fida. 
Duo Principi ordinò in suo favore. 
Che quioci e quindi le fosser per guida. 



G A N T G Xi« Ì3S 

L'uii fa tutto Serafico in ardom, 
L* altro per sapienzia in terra foe 
Di Cherubica luce uno splendore • 

Deirun dirò, perocché d^amendoe 46 

Si dice, Fun pregiando, qual e Vuom prende, 
Perchè ad un fine fur Y opere sue . 

Intra Tupino e T acqua che discende 
Del colle eletto dal beato Ubaldo, 
Fertile costa d^alto monte pende. 

Onde Perugia sente freddo e caldo 
Da Porta SMe, e dirietro le piange 
Per greve giogo Nocera con Gualdo. 

Di quella costa là, dov^ella frange 

Più sua rattezza , nacque al mondo un Sole , 
Come fa questo tal volta di Gange. (So 

Però chi d^esso loco fa parole 

Non dica Ascesi, che direbbe corto, 
Ma Oriente, se proprio dir vuole. 

Non era ancor molto lontan dall' orto , 
Ch^ e* cominciò a far sentir la terra 
Della sua gran virtude alcun conforto ; 

Che per tal donna giovinetto in guerra 
Del padre corse j a cui, com' alla morte. 
La porta del piacer nessun disserra : 60 



a36 DEL PARADISO 

E dinanzi alla sua spiritai corte t 
Ut coram patre le si fece unito f 
Poscia di di in di ramò più forte. 

Questa, privata del primo marito. 

Mille e cent* anni e più dispetta e scura 
Fino a costui si stette senza invito: 

Né valse udir, che la trovò sicura 
Con Amiclate al suon della sua voce 
Colui, ch^a tutto '1 mondo fé' paura: 

Né valse esser costante, ne feroce, 70 

Si che, dove Maria rimase giuso. 
Ella con Cristo salse in su ia Croce . 

Ma percVio non proceda troppo chiuso, 
Francesco e Povertà per questi amanti 
Prendi oramai nel mio parlar diffuso • 

La lor concordia , e i lor lieti sembianti 
Amore e maraviglia , e dolce sguarda 
Faceano esser cagion de* pensier santi 

Tanto che *1 venerabile Bernardo 
Si scalzò prima, e dietro a tanta pace 80 
Corse, e correndo gli parv* esser tardo. 

O ignota ricchezza , o ben verace ! 
Scalzasi Egidio , e scahasi Silvestro 
Dietro allo sposo, si la sposa piace* 



CAKTO XI. a37 

Indi sen va quel padre , c quel maestro 
Con la sua donna , e con quella famiglia » 
Che già legava l' umile capestro : 

Né gli gravò viltà di cor le ciglia » 
Per esser fi^ di Pietro Bernardone , 
Ne per parer dispetto a maraviglia; 90 

Ma regalmente sua dura intenzione 
^d lanocenzio aperse, e da lui ebbe 
Primo sigillo a sua religione. 

Poi che la gente poverella crebbe 
Dietro a costui » la cui mirabil vita 
Meglio in gloria del Gel si canterebbe , 

Di seconda corona redimita 

Fu per Onorio dali* eterno Spiro 

La santa voglia d^esto archimandrita. 

£ poi che per la sete del martiro 1 00 

Nella presenza del Soldan superba 
Predicò Cristo , e gli altri , che '1 seguirò ; 

£ per trovare a conversione acerba 

Troppo la gente , e per non stare indamo, 
Reddissi al frutto dell* Italica erba . 

Nel crudo sasso intra Tevere et Arno 
Da Cristo prese V ultimo sigillo. 
Che le sue membra du'anni portarne* 



a3l DEL rARADISO 

Qnando a colai, cVa tanto ben aortiUo» 

Piacque di trade BUBO alia mercede , ito 
' Ch'c^ acquistò nel sito fard posillo, 

A ì frati suoi, n com'a giuste erede* 
Raccomandò la sua donna [hù cara, 
E comandò che l'amassero a fede: 

E del suo grembo Tanitna preclara 

Muover si volle tornando al suo regno; 
Et al 800 corpo non volle altra bara. 

Pensa oramai qnal fii colui , che degno 
Collega fu a tìiantencr la barca 
DiPietroinalteniarper dritto segno: lao 

£ questi fu il nostro Patriarca { 
■ Perchè qoal segue Itti, comici comanda, 
Diacemer puoi, che buona merce carca. 

Ma il suo peculio di nnova vivanda 
È fatto ghiotto Af ch'esser non puote, 
Che per diverù salti non sì spanda : 

E quanto le sue pecore rimote, 
£ vagabo|)de più da esso vanno. 
Più tornano all'ovìl di latte vote. 

Ben son di quello, che temono'l danno, i3o 
E strìngonsi al pastor; ma son à poche, 
Che le cappe fornisce poco panno. 

I Ch'ai maritò i Però qnal «'gD« 



CANTO XL a39 

Or se le mie parole non son fioche , 
Se la toa audienza è stata attenta. 
Se ciò, ch'ho detto, alla mente rìvoche. 

In parte fia la tua voglia contenta ; 

Perchè vedrai la pianta onde si scheggia , 
E vedraMl corregger 9 eh* argomenta 

Du'ben sMmpingua, se non si vaneggia . . 



2\\ 

CANTO DUODECIMO. 



Argomento 

Finito avendo S. Tommaso di faoillare, fUélU corona 
di lucenti Spiriti cominciò m girare 9 a cìd dintorno 
n apparse una maggiore composta d'altri Meati, tra i 
quali era S, Bonaventura , che a Dante racconta la 
vita dei Patriarca S. Domenico, e poscia gli dà con- 
tezza di se, e degli aUri suoi compagni. 



òi tosto come T ultima parola 
La benedetta fiamma per dir tolse, 
A. rotar cominciò la santa moia : 

E nel sno giro totia non si volse , 

Prima eh* un* altra d* un cerchio la chiuse , 
E moto a moto, e canto a canto colse. 

Canto» che tanto vince nostre Muse, 
Nostre Sirene in quelle dolci tube , 
Quanto primo splendor quel , che rifuse . 

Come si volgon per tenera nube i r^ 

Du* archi paralleli e concolorì , 
Quando Giunone a sua ancella iube , 

Dàxte T. il iG 



341 DEL PARADISO 

< 

Nascendo di quel d'entro quel di fuori t 
A guisa del parlar di quella va^a » 
Ch* Amor consunse , come *1 Sol vapori » 

E fanno qui la gente esser presaga 
Per lo patto , che Dio con Noè pose 
Del mondo, che g^immai più non s^allaga; 

Cosi di quelle sempiterne rose 
< Yolgènsi circa noi le duo ghirlande» 20 
E si r estrema ali* intima rispose. 

Poi che *1 tripudio e V altra festa grande 
S) del cantare , e si del fiammeggiarsi 
Luce con luce gaudiose e blande 

Insieme appunto, et a voler quietarsi. 
Pur come gli occhi,ch'al piacer,che i muove. 
Conviene insieme chiudere e levarsi. 

Del cuor dell* una delle luci nuove 
Si mosse voce , che V ago alla stella 
Parer mi fece in volgermi al suo dove ; 3o 

E cominciò: L'amor, che mi fa bella. 
Mi tra^e a ragionar dell'altro duca. 
Per cui del mio sì ben ci si favella . 

Degno è, che dov*è Tun l'altro s'induca 
Si, che com'elli ad una militaro. 
Così la gloria loro insieme luca • 



T Vol^eantì 



CANTO XXL 243 

L* esercito di Cristo, che sì caro 
Costò a riarmar, dietro alla 'nsegna 
Si movea tardo, sospeccioso, e raro. 

Quando lo ^mperador , che sempre regna , 40 
Provvide alla milizia , eh* era in forse , 
Per sola grazia , non per esser degna ; 

E, com'è detto, a sua sposa soccorse 
Con duo campioni , al cui fare, al cui dire 
Lo popol disviato si raccolse. 

In quella parte , ove surge ad aprire 
Zefiro dolce le novelle fronde , 
Di che si vede Europa rivestire. 

Non molto lungi al percuoter dell' onde , 
Dietro alle quali per la lunga foga 5o 
Lo Sol tal volta ad ogni uom si nasconde. 

Siede la fortunata Callaroga 

Sotto la protezion del grande scudo , 
In che soggiace ji Leone , e s<^ioga • 

Dentro vi nacque Y amoroso drudo 
Della Fede Cristiana , il santo atleta , 
Benigno a' suoi , et a* nimici crudo : 

£ come fu creata , fu repleta 
Si la sua mente di viva virtute. 
Che nella madre lei fece profeta . 60 



a44 I>£L PARADISO 

Poi che le sponsalizie far compiute 
Al sacro fonte intra lai e la Fede^ 
U'si dotar di mutua salute. 

La donna , che per lui l' assenso diede. 
Vide nel sonno il mirabile frutto, 
Ch* uscir dovea di lui , e delle rede ; 

E peròhè fosse quale era in costrutto , 
Quinci si mosse spirito a nomarlo 
Del possessivo, di cui era tutto: 

Domenico fu detto; et io ne parlo 70 

Si come dell^ agricola , che Cristo 
Elesse all' orto suo per aiutarlo • 

Ben parve messo, e famigliar di Cristo, 
Che '1 primo amor, che'n lui fu manifeste, 
Fu al primo consiglio, che die Cristo. 

Spesse fiate fu tacito e desto 

Trovato in terra dalla sua nutrice , 
Come dicesse : Io son Arenuto a questo . 

O padre suo veramente Felice! 

O madre sua veramente Giovanna, So 
Se 'nterpretata vai, come si dice! 

Non per lo mondo, per cui mo s^ affanna 
Diretro ad Ostiense et a Taddeo, 
Ma per amor della verace manna , 



CANTO XII. a4S 

In picciol tempo gran dottor si feo. 
Tal che si mise a circuir la vigna. 
Che tosto imbianca , se '1 vignaio è reo : 

Et alla Sedia, che fu già benigna 
Più a^ poveri giusti, non per lei. 
Ma per colui , che siede , e che traligna, 90 

Non dispensare due, o tre per sei, • 
Non la fortuna di primo vacante , 
Non decimasj qiuie sunt pauperwn Dcij 

Addimandò , ma contra '1 mondo errante 
Licenzia di combatter per lo seme. 
Del qual ti fascian ventiquattro piante. 

Poi con dottrina , e con volere insieme , 
Con r uficio apostolico si mosse , 
Quasi torrente , eh' alta vena preme : 

E negli sterpi eretici percosse 1 00 

L^ impeto suo più vivamente quivi, 
Dove le resistenze eran più grosse • 

Di lui si fecer poi diversi rivi, 
> Onde Torto cattolico si riga. 
Sì che i suoi arbuscelli stan più vivi . 

Se tal fu r una ruota della biga , 
In che la santa Chiesa si difese, 
£ vinse in campo la sua civil briga , 

I Di che Torto cattolico iMrriga^ 



^46 DEL PARADISO 

Ben ti dovrebbe assai esser palese - 

L'eccellenza dell^altra , di cài Tomma no 
Dinanzi al mio venir fa sì cortese • 

Ma forbita 9 che feMa parte somiii» 
Di sua circonferenza , è dereKta , 
Si eh' è la muffa , dov* era la gronuna • 

La sua famiglia , che si mosse dritta 
Co* piedi alle su* orme, è tanto volta » 
Che quel dinanzi a quel dirìetro gitta : 

£ tosto 8* avvedrà della ricolta 

Della mala coltura , quando '1 loglio 

Si lagnerà, che l'arca gli sia tolta. lao 

' Ben dico , chi cercasse a foglio a foglio 
Nostro volume ancor troverria carta , 
^^* leggerebbe : V mi son quel , eh' io soglio* 

Ma non fia da Casal , ne d* Acq'uasparta , 
Là onde vegnon tali alla Scrittura, 
Ch'uno la fugge, e l'altro la coarta. 

Io son la vita di Buona ventura 

Da Bagnoregio , che ne* grandi ufici 
Sempre posposi la sinistra cura. 

Illuminato, et Agostin son quici, i3o 

Che fur de* primi scalzi poverelli , 
Che nel capestro a Dio si fero amici. 

I Ben credo. 



CANTO XIL 247 

Ugo da Sanvittore è qui con elli» 

E Pietro Mangiatore , e Pietro Ispano ; 
Lo qual giù luce in dodici libelli ^ 

Natan Profeta , e U Metropolitano 

Crisostomo , et Anselmo , e quel Donato , 
Ch^alla prim' arte degnò poner mano: 

Raban è quivi, e lucemi dallato 

n Calavrese abate Giovacchino 1 40 

Di spirito profetico dotato. 

Ad invéggiar cotanto paladino 
Mi mosse la infiammata cortesia 
Di fra Tommaso^ e *1 discreto latino t 

E mosse meco questa compagnia . 

I GritottomoA 



a49 

CANTO DECIMOTERZO. 



Argomento 

* 

Dtten9€ il Ttttt pia partitamenie U due spUndtntis-^ 
jime corone de'Beari, the gii girmmn ^intortf, i 
fuali dopo mer ceisMio dal caÀtare e dm compiere il 
lor giro, S. Tommaso di nuovo ragiona con Dante 
spiegandogli il senso di alcune sue parole dette già 
di sopra nei decimo Canio» 



Immagini chi bene intender cupe 

Quel, ch'io or vidi, e ricegna T image, 
Mentre cK io dico , come ferma rupe , 

Quìndici stelle, che in diverse plage 
Lo Cielo avvivan di tanto sereno. 
Che soverchia deir aere ogni compage . 

Immagini quel Carro, a cui il seno 

Basta del nostro Cielo e notte, e giorno, 
Si eh' al volger del temo non vien meno : 

Immagini la bocca di quel corno, i e 

Che sì comincia in punta dello stelo, 
A cui la prima ruota va d'intorno, 



aSo 



DEL PARADISO 



ÀTer fatto di se duo segni in Cielo » 
Quai fece la figliuola dì Minoi» 
Allora che senti di morte il gielo , 

E l' un neir altro aver gli ra^ suoi , 
£ amendno girarsi per maniera , 
Che Tuno andasse al primo, e Taltro al poi; 

Et avrà quasi l'ombra della* vera 

Costellazione^ e della doppia danza , ao 
Che circulava il punto, dovMo era; 

Poich'è tanto di là da nostra usanza. 
Quanto di là»dal muover della Chiana 
Si muovevi Ciel, che tutti gli altri avanza. 

Li si cantò non Bacco, non Peana, 
Ma tre Persone in divina natura. 
Et in una sustanzia essa , e V umana • 

Compiè 1 cantare, e U volger sua misura. 
Et attesersi a noi quei santi lumi^ 
Felicitando se di cura in cura. 3 a 

Ruppe *1 silenzio ne* concordi numi 
Poscia la luce, in che mirabil vita 
Del poverel di Dio narrata fumi ; . 

E disse : Quando V una paglia h trita , 
Quando la sua semenza è già riposta, 
A batter T altra dolce amor m* invita. 



\ 



CANTO XUt aSi 

Ta credi , che nel petto, onde la costa 
Sì trasse, per formar la bella guancia. 
Il cui palato a tutto U mondo costa , * 

Et in quel, che forato dalla lancia, 40 

E poscia e prima tanto soddisfece. 
Che d' ogni colpa vince la bilancia , 

Quantunque alla natura umana lece 
Aver di lume, tutto fosse infuso 
Da quel valor, che Tuno e '1 altro fece; 

£ però ammiri ciò, ch'io dissi suso. 
Quando narrai , che non ebbe secondo 
Lo ben, che nella quinta luce è chiuso. 

Ora apri gli occhi a quel, ch'io ti rispondo , 
E vedrai il tuo credere ^ e U mio dire So 
Nel vero farsi, ' come centro in tondo. 

Qò che non muore , e ciò che può morire , 
Non è se non splendor di quella idea, 
Che partorisce, amando, il nostro Sire; 

Che quella viva luce, che sì mea 
Dal suo lucente , che non si disuna 
Da lui, né dalfamor, che 'n lor s'intrea, 

Per sua bontate il suo raggiare aduna , 
Quasi specchiato in nuove sussistenze, 
Eternalmente rimanendosi una. 60 

I Qome in centro tondo. 



20% DEL PARADISO 

Quindi discende all* ultime potenze 
Giù d^atto in atto tanto divenendo. 
Che più non fa, che brevi contingenze: 

£ queste contingenze essere intendo 
Le cose generate , che produce 
CSon seme e senza seme il Ciel movendo. 

La cera di costoro, e chi la duce 

Non sta d' un modo , e però sotto '1 segno 
Ideale poi piò e men traluce ^ 

Ond'egli avvien , eh* un medesimo legno, 70 
Secondo spezie, meglio e peg^o frutta, 
E voi nascete con diverso ingegno . 

Se fosse appunto la cera dedutta , 
E fosse U Cielo in sua virtù suprema , 
La luce del suggel parrebbe tutta . 

Ma la Natura la dà sempre scema, 
Similemente operando all'artista. 
Ch'ha Tabìto dell'arte, e man che trema. 

Però se U caldo Amor la chiara vista 

Della prima virtù dispone e segna, o^ 
Tutta la perfezion quivi s* acquista . 

Così fu fatta già la terra degna 
Di tutta r animai perfezione : 
Così fu fatta la Vergine pregna. 



CANTO XIIL 253 

Sì eh* io commendo tua opinione; 
Che r umana natura mai non fue. 
Né fia , qual fu in quelle duo persone . 

Or s^io non procedessi avanti piùe^ 
Dunque come costui fu senza pare? 
Gomincerebber le parole tue. 90 

IV] a perchè paia ben > quel, che non pare. 
Pensa chi era, e la cagion, che 1 mosse, 
Quando fu detto Chiedi, a dimandare. 

Non ho parlato si , che tu non posse 

Ben veder, ch^ei fu Re, che chiese senno. 
Acciocché Re sufficiente fosse ; 

Non per saper lo numero, in che enno 
Li motor di quassù , o se necesse 
Con contingente mai necesse fenno; ' 

Non si est dare primum motum esse^ 100 
se dei mezzo cerchio far si puote 
Triangol j sì eh* un retto non avesse . 

Onde se ciò , eh* io dissi , e questo note , 
Regal prudenza e quel Vedere impari. 
In che lo strai di mia 'ntenzion percuote: 

E se al Surse drizzi gli occhi chiari , 
Vedrai aver solamente rispetto 
A i Regi, che son molti, e i buon son rari. 

ciò die non -jiaTe, 



ftS4 DEL FARADI50 

Con questa disUozion prendi 1 mio detto: 
E cosi pnote star con qoei , che credi no 
Del primo padre , e del nostro diletto. 
£ questo ti fia sempre piombo appiedi» 
Per farti muover lento » com'aom lasso. 
Et al sì, et al no, che tu non vedi; 
Che quegli è tra gli stolti ' bene abbasso. 
Che sanza distinzione afferma , o niega 
Cosi neirun, come nell* altro passo: 
Perch* egP incontra, che ptà w<Ate piega 
L'opinion corrente in falsa parte, 
E poi l'affetto lo intelletto lega. lae 
Vie più che 'ndarnjo da riva si parte. 
Perchè non torna tal, qual ei si muove, 
Chi pesca per lo vero, e non ha Tarte: 
E di ciò sono al mondo aperte pruove 
Parmenide, Melisso, Brisso, e molti, 
I quali andavano, e non ^ sapèn dove. 
« Sì fe'Sabello, et Arno, e quegli stolti, 
.Che furon come spade alle Scritture , 
In render torti li diritti volti « 
Non sien le genri ancor troppo sicure i3o 
A giudicar, si come quei, che stima 
Le biade in campo, pria che sien mature: 

t più t bMso» a sapaaii doT«. 



CANTO XIIL »SS 

Ch'io ho veduto tutto '1 verno prima 
Il prun mostrarsi rigido e feroce » 
Poscia portar la rosa in su la cima; 

£ legno vidi già dritto e veloce 

Correr lo mar per tutto suo cammino , 
Perire al fine all'* entrar della foce. 

Non creda donna Berta , e ser Martino » 
Per vedere un furare , altro ofierere , 1 40 
Vedergli dentro al Consiglio divino ; 

Che quel può surgere, e quel può cadere. 



•5r 
CANTO DECIMOQUARTO, 



AmaoiiEKTo 

if unnù ft SaiomoM mamifina m Dtuui una 9§rUà : U 
Putta dipoi racconta 9 eke vide imi màat^Q chiarore, 
fuindi con Beatrice eoli in Marte, deve oeservò due 
tagpf che nel Pianeta foruuhfane una Croce splene 
dente, in ri» eiaoéi Gota Cristo, e taninu de* Beati 
oant avana con soavissima armonia* 



LyalcentroalcercliÌQ»e8Ì dal cerchio alcentrt 
Muovesi l'acqua m oh ntoado vaso» 
Secondo eh* è percossa fuori o dentro: 

Nella mia mente fé' subito caso 

Questo» chUo dico, si come si tacque 
La gloriosa vita di Tommaso» 

Per la similitudine» che nacque 

Del suo parlare e di quel di Beatrice» 
A cui sì cominciar dopo lui piacque : 

A costui fa mestieri » e noi vi dice i o 

Né con la voce» ne pensando ancora» 
D* un altro vero andare alla radice . 

Djmtm T.SL 17 



aSS BKL rAKADISO 

Diteli se la luce , onde s* infiora 
Vostra sustanzia , rimarrà con voi 
Eternalmente, sì com' ella è ora; 

E se rimane, dite come, poi 
Che sarete visibili rifatti» 
Esser potrà eh* al veder non vi noi. 

Come da più letizia pinti e tratti 

Alla fiata quei, che vanno a ruota, a«> 
Levan > la voce e rallegrano gli atti ; 

Così air orazion pronta e devota 
Li santi cerchi mostrar nuoVa gioia 
Nel torneare, e nella mira nota. 

Qual si lamenta, perchè qui si muoia 
Per viver colassù, non Tide quive 
Lo refrigerio dell* eterna ploia. 

Quell'uno e due e tre, che sempre vive, 
£ regna sempre in tre e due e uno. 
Non circonscritto , e tutto circonscrive, 3o 

Tre volte era cantato da ciascuno 
Di quelli spirti con tal melodia , 
Ch*ad ogni merto saria giusto muno: 

Et io udi* nella luce più dia 

Del minor cerchio una voce modesta , 
Forse qual fu dell*Angelo a Maria , 

I le Toci 



CANTO XIV. aS9 

Risponder : Quanto fia lunga la festa 
Di Paradiso y tanto il nostro amore 
Si raggerà d^ intorno cotal vesta . 

L3 sua chiarezza seguita T ardore, 40 

L' ardor la visione, e quella è tanta. 
Quanta ha di grazia sovra suo valore. 

Come la carne gloriosa e santa 
Fia rivestita, la nostra persona 
Più grata fia per esser tuttaquaota : 

Perchè s^ accrescerà ciò, che ne dona 
Di gratuito lume il Sómmo Bene, 
Lume, eh' a lui veder ne condiziona; 

Onde la vision crescer conviene , 

Crescer l'ardor, che di quella s'accende. So 
Crescer lo raggiò, che da esso viene. 

Ma si come carbon, che fiamma rende, 
E per vivo candor quella soverchia , 
Sì che la sua parvenza si difende; 

Cosi questo fulgor, che già ne cerchia 9 
Fia vinto in apparenza dalla carne. 
Che tutto dì la terra ricoperchia: 

Né potrà tanta luce affaticarne ; 
Che gli organi del corpo saran forti 
A tutto ciò, che potrà dilettarne. 60 



a6o DEL PARADISO 

Tanto mi parver subiti et accorti 

' £ Tuno e T altro coro a dicere Amme, 
Che ben mostrar disio de^ corpi morti; 

Forse non pur per lor, ma per le mamme. 
Per li padri, e per gli altri, che fur cari, 
Anzi che fosser sempiterne fiamme. 

Et ecco intorno di chiarezza pari 

Nascere un lustro sopra quel, che T^era, 
A guisa d'orizzonte, che rischiari. 

£ si come al salir di prima sera 70 

Comincian per lo Ciel nuove parvenze , 
Sì che la cosa pare e non par vera; 

Parvemi li novelle sussistenze 

Cominciare a vedere, e fare un. giro 
Di fuor dair altre due circonferenze. 

O vero sfavillar del santo Spiro , 
Coinè si fece subito e candente 
Agli occhi miei, che vinti noi soffrirò! 

Ma Beatrice sì bella ' e ridente 

Mi si mostrò, che tra T altre vedute Po 
Si vuol lasciar , che non seguir la mente . 

Quindi ripreser gli occhi miei virtute 
A rilevarsi, e vidimi translato 
Sol con mia donna a più alta salute . 

I • li rident» 



CANTO Xiy. a6i 

Ben m'accorsMo» chTera più levato. 
Per r affoca to riso della stella. 
Che mi parea pia roggio, che T usato. 

Con tutto U core , e con quella favella , 
Oh* è una in tutti, a Dio feci olocausto, 
Qual conveniasi alla grazia novella : 9* 

£ non er^anco del mio petto esausto 
L' ardor del sacrificio, chMo conobbi 
Esso litare stato accetto e fausto; 

Che con tanto lucore, e tanto robbi 

M'apparvero splendor dentro a'duo raggi , 
Ch'io dissi: O Eliòs, che sì gli addobbi! 

Come distinta da minori in maggi 

Lumi biancheggia tra i Poli del mondo 
Galassia sì , che fa dubbiar ben saggi ; 

Sì costellati facèn nel profondo . loc 

Marte quei raggi il venerabil segno. 
Che fan giunture di quadranti in tondo. 

Qui vince la memoria mia lo 'ogegno , 
Che 'n quella Croce lampeggiava Cristo ; 
Sì ch'io non so trovare esempio degno. 

Ma chi prende sua croce , e segue Cristo^ 
Ancor mi scuserà di quel, chMo lasso, 
Yedendo in quell* albor balenar Cristo. 



2Jb% DEL FARADISO 

Di corno in corno, e tra la cima e M basso 
Si ' movèn lumi , scintillando forte 1 1 o 
Nel congiungersi inrieme» e nel trapasso. 

Cosi si veggion qui diritte e torte , 
Veloci e tarde, rinomando vista. 
Le minuzie de' corpi lunghe e corte 

Muoversi per lo raggio, onde si lista 
Tal volta V ombra , che per sua diiesa 
La gente con ingegno et. arte acquista. 

£ come giga et arpa in tempra tesa 
Di molte corde fan dolce tintinno 
A tal, da cui la nota non è intesa; lao 

Cosi da' lumi , che lì m' apparinno 
S^accogliea per la Croce una melode. 
Che mi rapiva sanza intender Tinno. 

Ben m*accors*io, ch'eirera d'alte lode, 
Perocché a me venia : Risurgi , e vinci , 
Com' a colui, che non intende, et ode. 

Io m'innamorava tanto quinci. 
Che 'n fino a li non fu alcuna cosa , 
Che mi legasse con sì dolci vinci. 

Forse la mia parola par tropp* osa, 1 3o 
Posponendo '1 piacer degli occhi belli , 
Ne'quai mirando mio disio ha posa. 

I noT«an lumi 



CANTO XIV. 263 

Ma chi s'avvede, che i vivi suggelli 
D'ogni bellezza più fanno più suso, 
E chMo non m^era li rivolto a quelli» 

E scasar puommi di quel, ch'io m* accaso 
Per iscusarmi , e vedermi dir vero ; 
Che '1 piacer santo non è qui dischiuso » 

Perchè si fa montando più sincero . 



CANTO IXEaMOQUINTO. 



Aegomsktq 

M. CéetiùgMUm MtoglU fm gnmde mum V Ttttm, • 
f/i dimùMtrmf cà'tgH en U pmin di JHgkiefif dm cw 
prtso m9wm U cognome im sum fMUgUm: appresso gU 
narra i costumi ^ eke erano al suo tempo in Finnws: 
in fine gii dice come seguendo timperador Currado 
morì comUuando eontro TureU per im Fade di 
Cristo. 

JDenìgna vdontade , in cm si Eqna 
Sempre Tamor, che drittamente spira , 
Geme cupidità fa ' neU* iniqua , 

Silenzio pose a qnella doke lira, 
E fece quietar le sante corde , 
Che la destra del Cielo alknu e tira* 

Come «ranno a' giusti prìeghi sorde 
Qa^e sustanxie , che , per darmi voglia 
Ch'io le pregassi, a tacer far concorde? 

Ben è che senza termine si dogUa io 

Chi per amor di cosa, che non dori 
Eternalmente, quell'amor si 

1 scila iniqua. 



i66 BEf. PARADISO 

Qoale per U seren tranquilli e pori 
Discorre ad ora ad or subito fuoco. 
Movendo gli occhi , che stavan sicuri 9 

£ pare stella, che tramuti loco. 

Se non che dalla parte, onde s'accende. 
Nulla' sen perde, et esso dura poco; . 

Tale dal corno, che 'n destro si stende. 
Al pie di quella Croce corse un astro ao 
Della costellazion, che li risplende: 

Né si parti la gemma dal suo nastro; 
Ma per la lista radiai trascorse , 
Che parve fuoco dietro ad alabastro. 

Si pia r ombra d^Anchtse si porse, 
( Se fede merta nostra maggior Musa ) 
Quando in Elisio del figliuol s'accorse. 

O sanguis meus ^ o super infusa 
CrcLtia Deij sicut tibi^ cui 
Bis unquam Codi janua reclusa f 3o 

Cosi quel lume; qnd' io m^ attesi a lui: 
Poscia rivolsi alla mia donna 1 viso, , 
E quinci e quindi stupefatto fui; 

Che dentro agli occhi suoi ardeva un riso 
Tal , eh' io pensai co* miei toccar lo fondo 
Della mìa grazia e del mio Paradiso. 



CANTO XT. %fff 

Indi a udire e a veder giocondo 

Giunse lo spirto al suo principio cose. 
Ch'io non intesi, sì parlò profondo: 

Né per elezion mi si nascose, 40 

Ma per necessità; che '1 suo concetto 
Al segno de^ mortai si soprappose • 

E quando l'arco deir ardente affetto 
Fu sì sfocato, che U parlar discese 
In ver lo segno del nostro intelletto , 

La prima cosa, che per me s^ intese. 
Benedetto sie tu , fu , trino et uno , 
Che nel mio seme se^ tanto cortese ; 

£ seguitò : Grato e lontan digiuno 

Tratto, leggendo nel maggior volume. So 
Du' non si muta mai bianco , né bruno , 

Soluto hai, figlio, dentro a questo lume. 
In ch'io ti parlo, mercè d^ colei , 
Ch'ali' alto volo ti vestì le piume. 

Tu credi , che a me tuo pensier mei 
Da quel, eh* è primo, cosi come raia 
Dell' un, se si conosce, il cinque e *1 sei: 

E però eh* io mi sia, e perch* io paia 
Più gaudioso a te, non mi dimandi. 
Che alcun altro in questa turba gaia. 60 



« 



Att BEL PARADISO 

Ta credi 1 veto , die i minori e i grandi 
Di qoesu tìu minn nello speglio. 
In che prima, che pensi, il peosìer pandi. 

Ma perchè '1 sacro amore, in che io veglio 
Con perpetua visu, e che m^ asseta 
Di dolce disiar, s^ademfHa meglio. 

La Yoce toa ricnra, balda e lieta 
Suoni b YcdontJI, snoni *1 desio, 
A che la mia risposta e già decreta. 

Fmi volsi a Beatrice; e quella udio 76 

Pria chMo parlassi, e arrisemi un cenno» 
Che fece crescer Tale al voler mio; 

E cominciai eoa: L^aflfetto e 1 senno. 
Come la prima egualità v* apparse, 
D*nn peso per ciascun di voTsi fenno; 

Perocché al Sol , che v^allumò et arse 
Gol caldo e con la luce, en A iguali. 
Che tutte simiglianze sono scarse. 

Ma voglia e argomento ne* mortali , 

Per la cagion, ch^ a voi è manifesta, 80 
Diversamente son pennuti in ali. 

Ondalo, che son mortal, mi sento in questa 
Disagguaglianza ; e però non ringrazio , 
Se non col core alla patema festa • 



'# 



CANTO XT. ibf) 

Ben supplico io a te, vivo topazio, 
Cbe questa gioia fveftiosa ingemmi 9 
Perchè oii facci del tuo nome sazio. 

fronda mia , in che io compiacemmi 
Pure aspettando , io fui la tua radice : 
Cotal principio rispondendo fiemmi. 90 

Poscia mi disse: Quei da cui si dice 
Tua cognazione, e che cent'anni e pine 
Girato ha M monte in la pricoia cornice » 

Mio figlio fu, e tuo bisavQ fiie: 
Ben si convien, che la lunga fatica 
Tu gli raccorci con T opere tue. 

Fiorenaui dentro dalla cerchia antica, 
Ond^ ella toglie ancora e Terza , e Nona , 
Si stava in pace sobria e pudica. 

Non avea catenella, non corona , ico 

Non donne contigiate , non cintura , 
Che fosse a veder più che la persona . 

Non faceva nascendo ancor paura 
La figlia al padre > che M tempo e la dote 
Non fuggian quinci e quindi la misura. 

Non avea case di famiglia vote: 
Non v'era giunto ancor Sardanapalo 
À mostrar ciò, che 'n camera si puote. 



STO DEL f ARÀDISO 

Non era vinto ancora Montemalo 

Dal vostro Uccellatoio,che cornee vinto no 
Nel montar su, così sarà nel calo. 

Belli ncion Berti vid'io andar cinto 

Di cuoio e d^ osso , e venir dallo specchio 
La donna sua sanza '1 viso dipinto: 

E vidi quel de' Nerli , e quel del Vecchio 
Esser contenti alla pelle scoverta, 
E le sue donne al fuso, et al pennecchio: 

fortunate ! e ciascuna era certa 
Della sua sepoltura, et ancor nulla 
Era per Francia nel letto deserta . i ao 

L*una vegghiava a sttudio della culla, 
E consolando usava T idioma. 
Che pria li padri e le madri trastulla : 

L'altra traendo alla rocca la chioma 
Favoleggiava con la sua famiglia 
De' Troiani, e di Fiesole, e di Roma. 

Saria tenuta allor |al maraviglia 

Una Ciangkella, un Lapo Salterello ^ 
Qual or saria Cincinnato , e Cornìglia • 

A cosi riposato, a così bello i3o 

Viver di cittadini , a cosi fida 
Cittadinanza , a così dolce ostello 



CANTO XV. 



^71 



Maria mi die chiamata in alte grida ; 
E nell'antico vostro Batisteo 
Insieme fui Cristiano e Cacciaguida. 

Moronto fu mio frate, et Eliseo: 

Mia donna venne a me di Val di Pado» 
E quindi 'i soprannome tuo si feo . 

Poi seguitai lo ^mperador Currado, 
. Et ei mi cinse della sua milizia ; 1 40 
Tanto per bene oprar gli venni in grado. 

Dietro gli andai incontro alla nequizia 
Di quella legge , il cui popolo usurpa 
Per colpa del Pastor vostra giustizia. 

Quivi fu* io da quella gente turpa 
Disviluppato dal mondo fallace, 
li cui amor molte anime deturpa , 

E venni dal martirio a questa pace. 



I jm.' '-^ 



•7^ 

CANTO DEGIMOSESTO. 



Aegoksnto 

OucUguida raccontm at Poeia in ^ual tempo, éi im 
fual luogo egli fosso naio, e 'fummo in oUoim fosso 
popoioia Firenze: si lagnm poscia del disordine in 
essa affvenuto per cagion de* non easati; in olire gli 
fa menzione delle antiche ed onorate famiglie y ch'erta 
no al suo tempo in quella eittà. 



KJ poca nostra nobiltà di sangact 
Se gloriar di te la gente £sd 
Qmiggiù, dove Taflfetto nostro languet 

Mirabil cosa non mi sarà mai; 

Che là, dove appetito non si torce. 
Dico nel Cielo , io me ne gloriai . 

Ben se^ tu manto» che tosto raccorce» 
Sì che, se non s'appon di die in die. 
Lo tempo va dintorno con le force • 

Dal ifoij che prima Roma sofierìe, io 

In che la sua famiglia men persevra» 
Rincominciaron le parole mie : 

Dante T.IL i8 



i 



S74 BBL PAIÀDISO 

Onde Beatrice, eh* era on poco scevra, 
Bìdeodo panré quella , che tossio 
Al primo fallo scritto di GlneTta. 

Io tominciai : Voi siete U padre mio ; 
Voi mi date a pariar tutta baldezza; 
Voi mi levate si» ch'i^son più ch^i». 

Per tanti rivi s'empie d^allegiezaa 

La mente mia , che di se fa letizia, ao 
Perchè può sostener » che non si spezza. 

Ditemi dunque, cara mia primizia, 

Quai son gli vostri antichi,e quai fur gli anni. 
Che si segnaro in vostra puerizia ? 

Ditemi dell* ovil di San Giovanni, . 
Quant' era allora , e chi eran le gen^ 
Tra esso degne di pia alti scanm? 

Come s* avviva allo spirar de* venti 
Carbone in fiamma, così > viifi quella 
Luce risplendere a*miei blandimenti; )o 

E come agli occhi mìei si &*pià bella. 
Cosi con voce più dolce e soave. 
Ma non con questa moderna &vella. 

Dissemi : Da quel dà , che fu detto Ai?e.^ 
Al psrto, in che mia madre, ch*è or santa, 
S* alleviò di me , ond* en grave. 






CANTO XVL 



a^lf^ 



Al suo Leon cinquecento cinquanta 
E tre. fiate v^nne questo fuoco 
A rinfiammarsi sotto la sua pianta. 

Gli antichi miei et io nacqui nel loco , 40 
Dove si truova pria T ultimo sesto 
Da quel, che corre il vostro annual giuoco. 

Basti de' miei maggiori udirne questo: 
Chi ei si furo, • onde venner quivi , 
Più è ' tacer, che ragionare, onesto. 

Tutti color, eh* a quel tempo eran ivi 
Da. potere arme tra Marte e ^1 Batista , 
Erano U quinto di quei , che son vivi : 

Ma la cittadinanza, ^ch*è or mista 

Di Campi, e di Certaldo, e di Figghine, So 
Pura vedeasi néir ultimo artista. 

quanto fora meglio esser vicine 

Quelle genti, eh* io dico, et al GaliUzzo, 
E a Trespisanó aver vostro confine. 

Che averle dentro, 9 e sostener lo puzzo 

' Del villan d'Aguglion, di quel da Signa, 
Che già per barattare ha Toccliio aguzzo! 

Se la gente, ch'ai mondo più traligna. 
Non fosse stata a Cesare noverca. 
Ma come madre a suo figliuol benigna, 6 e 

1 il tacer» cbe *1 ragionan, a cVora è mista 
5 • lofferir lo pusao 



376 DEL PARADISO 

Tal fatto h Fiorentino, e cambia, e merca. 
Che si sarebbe volto a ' Simifonti 
Là , dove andava l' avolo alla cerca • 

Sariesi Montemurlo ancor de' Conti: 
Sarìensi i Cerchi nei pivier d'Àcooe , 
E forse in Yaldigrìeve i Buondeimonti • 

Sempre la coufusion delie persone 
Principio fu dei mai della cittade. 
Come del corpo il cibo, che s^ appone. 

E cieco toro più avaccio cade, yo 

Che cieco agnello; e molte volte taglia 
Più e meglio una, che le cinque spade. 

Se tu riguardi Luni, et Urbisaglia, 
Come son ite, e come se ne vanno 
Diretro ad esse Chiusi , e Sinigaglia y 

Udir, come le schiatte si disfanno. 
Non ti parrà nuova cosa , né forte. 
Poscia che le cittadi termine hanno. 

Le vostre cose tutte hanno lor morte. 
Sì come voi ; ma celasi in alcuna , 80 
Che dura molto , e le vite son corte • 

E come M volger del Ciel della Luna 
Cuopre et iscuopre i liti sanza posa , 
Cosi fa di Fiorenza la Fortuna : 

I Semifonti 



CANTO XTL «77 

Per che non, dee parer mirabil cosa 
Ciò, ch'io dirò degli alti Fiorentini^ 
Onde la fama nel tempo è nascosa* 

Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, 
Filippi, Greci, Ormanni, et Alberichi, 
Già nei calare illustri cittadini : 90 

E vidi così grandi, come antichi. 

Con ^el della Sannella quel dell'Arca, 
E Soldanieri, e Ardinghi, e Bostichi. 

Sovra là porta, che al presente è carca-. 
Di nuova fellonia, di tanto peso, 

. Che tosto fia iattura della barca » 

Erano i Ravignani, ond'è disceso 

Il Conte Guido, e qualunque del nome 
Dell'alto Belli ncione ha poscia preso. 

Quel della Pressa sapeva già come loc^ 

R^ger si vuole » et avea Galigaip 
Dorata in casa sua già V elsa e *1 pome • 

Grande era già la Colonna del Vaio , 
Sacchetti, Giuochi, Sifanti, e Barucci, 
E Galli, e quei che arrossan per lo 8taio|. 

Lo ceppo , di che nacquero i Galfncci , 
Era già grande , e già erano tratti 
Alle curule Sizii , et 









«7* BEL rABlDISO 

O quali Yidi quti^ cbe son dìsCatti 

Per lor superbia f e le palle dtU^ «IO no 
Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran Cuti. 

CoÀ I fsicèn li padri di coloro. 

Che, sempre che la Tostra Chiesa vaca. 
Si fanno grassi stando a consistoro. 

L' ohracouta schiatta , che s* indraca 
Dietro a chi fugge, et a chi mostra 1 dente, 

ver la borsa, compagne! si placa» 
Già venia su , ma di piccola gente , 

Si che non piaape ad Ubertin Donato , 
Che '1 suocero il facesse lor parente. lao 

Già era ^1 Caponsacco nel mercato 
Disceso. già da Fiesole, e già era 
Buon cittadino Giuda, et Infangato* 

Io dirò cosa incredibile e vera : 

Nel picciol cerchio sventrava per porta , 
Che si nomava da quei della Pera . 

Ciascun ,. che della bella insegna porta 
Del gran Barone, il cui nome, eH cui pr^io 
La festa di Tommaso riconforta. 

Da esso ebbe milizia e privilegio, iS^ 

Avvegna che col popol si rauni 
Oggi colui, che la fascia col fregio. 

1 faccan li padri 



-1 



N 



CANTO XVL 179 

Già eran Gualterotti et Importuni : 
E ancor saria Borgo più quieto^ 
Se di nuovi vicin fosser digiuni • 

La casa 5 di che nacque il vostro fleto 
Per lo giusto disdegno , che v* ha morti » 
E posto fine al vostro viver lieto 9 

Era onorata essa, e suoi consorti. 

OBuondelmonte, quanto mal fuggisti 140 
Le nozze sue per gli altrui conforti ! 

Molti sarebber lieti, che son tristi. 
Se Dio t'avesse conceduto ad Ema 
La prima volta, cVa città venirti. 

Ma conveniasi a quella pietra scema. 
Che guarda U ponte , che Fiorenza fesse 
▼ittima nella sua pace postrema* 

Con queste genti, e con altre con esse 
Yid^io Fiorenza in sì fatto riposo. 
Che non avea cagione, onde piangesse. iSo 

Con queste genti vid^io glorioso, 

E giusto M popol suo tanto, che *1 giglio 
Non era ad asta mai posto a ritroso. 

Né per 'division fatto vermiglio. 



a8i 



CANTO DECIMOSETTIMO. 



▲aCOMXKTO 

BkMn^ Dunn da Caecutgmda apntu eonntam inHmo 
gli uceidenri di turn viim futura presagitigli ntltlmr 
ftmo^ € nel Purgatorio. Quindi Cac€Ìaguida prenui^ 
€ia al Poeta l' etiglio dalla Patria, ed il suo rifugia 
presto i Signori della Scala. In fine lo esorta a seri" 
fere guanto avea nel piaggio feduta^* 



S 



V^ual venne a Climenè per accertarsi 
Di ciò» ch'aveva incontro a se udito. 
Quei , cV ancor fa li padri a* figli scarsi ; 

Tale era io» e tale era sentito 

E da Beatrice, e dalla santa lampa» 
Che pria per me avea mutato sito. 

t^er che mia donna : Manda fuor la vampa 
Del tuo disio, mi disse, sì ch'eiresca 
Segnata bene della *ntema stampa. 

Non perchè nostra conoscenza cresca 1 1> 
Per tuo < parlare, ma perchè t'ausi 
A dir la sete, sì che V uom ti mesca . 



I pwl«t, BUI perd&è tu t*anfi 



a8» DEL PARADISO 

O can pimta mia, che A t* insusi, 
Che, come YeggLon le terrene mend 
Nod capete in triangolo du' ottusi , 

CoA Tedi le coae contingenti 

Anzi che sieno in se, mirando*! pnnto, 
A coi tnttt li tempi son presenti; 

Mentre eh* fera a Virgilio congianto 

Sn per lo monte , che V anime cura , ae 
E diseelidendo nel mondo deibnto. 

Dette mi far di mia TÌta futura 

Parole gravi , avregna eh* io mi senta , 
Ben tetragono a i colpi di ventura . 

Per che la voglia mia saria contenta 
D* intender qoal fortuna mi s^apf^essa; 
C!he saetta ppevisa vieti pia lenta. 

Cosi diss' io a quella luce stessa. 
Che pria m*avea parlato, e come volle 
Beatrice , fu la mia voglia confessa . 3o 

Né per ambage, in che la gente folle 
Già s* invescava , pria che fosse aneiso 
L'Agnel A Dìo, che le peccata teUet 

Ma per chiare parole , e con preciso 
Latin rispose quell* amor paterno 
Chiuso , e parvente dd suo proprio riso : 



\ 



CANTO XVII.- ^83 

La contingenza , che fuor del quaderno 
Della vostra materia non si stende, 
Tatta è dipinta nel cospetto eterno: 

Necessità però quindi noq prende, 40 

Se non come dal viso , in che si specchia 
Nave , che per corrente giù discende . 

Da indi , sì come viene ad Macchia 
Dolce armonia da organo , mi viene 
A vista il tempo, che ti s'apparecchia; 

Qual si < partì Ipolito d* Atene 
Per la spietata e perfida noverca , 
Tal di Fiorenza partir ti conviene. 

Questo si vuole, e questo già si cerca ; 
£ tosto verrà fatto a chi ciò pensa So 
Là, dove Cristo tatto dì si marca. 

La colpa seguirà la parte oSènsa 
In grido, come suol ; ma la vendetta 
Fia testimonio al ver , d^ là dispensa • 

Tu lascerai ogni cosa diletta 
Più caramente ; e questo è quello strale , 
Che l'arco dell' esilio pria saetta • 

Tu proverrai sì come sa di sale 
Lo pane altrui, e com' è doro calle 
Lo scendere e '1 salir per l'altrui scale. 60 

I partio 



a^ 



DEL Paradiso 



E quel, €he più ti graverrà le spalle, 
Sarà la compagnia malvagia e scempia , 
Con la qual tu cadrai in questa valle » 

Che tutta ingrata , tutta matta et empia 
Si farà contra te ; ma poco appresso 
Ella, non tu, n^avrà rossa la tempia. 

Di sua bestialitate il suo processo 
Farà la pruovà , si eh* a te fìa bello 
Averti fatta parte per te stesso. 

Lo primo tuo rifugio, e 1 primo ostello 70 
Sarà la cortesia del gran Lombardo, 
Che 'n su la Scala porta il santo uccello f 

Cìk* avrà in te sì benigno riguardo. 
Che del fare e del chieder tra voi due 
Pia prima quel , che tra gli altri è più tarda. 

Con lui vedrai colui, che impresso fue 
Nascendo si da questa stella forte. 
Che notabili fien V opere sue . 

Non se ne sono ancor le genti accorte 

Per la novella età^ che pur nove anni 80 
Son queste ruote intomo di lui torte . 

Ma pria che '1 Guasco Talto Arrigo inganni, 
Parran faville della sua virtute 
In non curar d'argento, né d'affanni. 



CANTO XVIL aSS 

Jje sue magnificenze conosciate 

Saranno ancora sì, che i suoi nìmici 
Non ne potran tener le lingue mute . 

A lui t* aspetta 5 et a* suoi benefici: 
Per lui fia trasmutata molta gente , 
Cambiando condizion ricchi e mendici : 90 

£ porteràne scrìtto nella mente 
Di lui, ma noi dirai ; e disse cose 
Incredibili a quei , che fia presente . 

Poi giunse : Figlio, queste son le chiose 
Di quel , che ti fu detto : ecco le *nsidie , 
Che dietro a pochi gin son nascose • 

Non YO* pero , ch^ a^ tuo' vicini invidie , 
Poscia che s" infutura la tua vita 
Yia più là, che U punir di lor perfidie . 

Poi che tacendo si mostrò spedita 100 

L' anima santa di metter la trama . 
In quella tela , eh* io le porsi ordita , ^ 

Io cominciai come colui, che brama » 
Dubitando , consiglio da persona , 
Che vede, e vuol dirittamente, et ama: 

Ben veggio, padre mio, si come sprona 
Lo tempo verso me per colpo darmi 
Tal , eh* è più grave a chi più s^abbandona : 



aM DBL FARA1>IS0 

Per che di provedeiiia è Imoii, cli*ìo m'anri. 
Si «he^ < m loo^o m*è tolto piò caro» i io 
Io uon perdessi gli altri per mìei carmi. 

Giù per lo mondo aenaa fine amaro, 
E per lo okonte, del cui bel cacume 
Gli occhi della mia donna mi levarot 

E poscia per lo Ciel di \muc in hmie 
Ho io appreso quel , cke^ s* io ridico» 
A molti fia savor d^ (brte agrame: 

E s*io al vero son timido amico» 
Temo di perder vita tra coloro» 
Che qaeetotempo chiameranno antico, i ao 

La loce, in che rìdeva il aouo tesoro» 
CbMo trovai li , si fé* prima CMmsea, 
Quale a raggio di Sole specchio d* orò; 

Indi rispose : Coscienaa fosca 

O delia propria, o dell* akmi vergogna , 
Pur sentirk la tua parola brusca. 

Ma nondimen 9 rimossa ogni menz^pia» 
Tutta tua vinon fa' manifesta, 
E lascia par grattar dov* è la rogna : 

Che se la voce tua sarà molesta 1 3o 

^ Nel primo gosto, vital nutrimento 
Lascerà poi, quando sarà digesta .. 

j se *1 laogo % Al prioi» 






CANTO XTIL dir 

Questo ino grido farà come vento 9 
Che le più alte cime più percuote ; 
£ ciò non fa d* onor poco argomento • 

Però ti son mostrate in queste mote. 
Nel monte, e nella valle dolorosa 
Pur r anime 9 che son di fama note: 

Che r animo di qoeU ch^ode, non posa. 
Né ferma fede per esemplo , eh' haia 1 46 
La sua radice incognita e nascosa. 

Né per altro argomento , che non paia • 



/ 



CANTO DECIMOTTAVO. 



A a G O M £ K Tt> 

Vengpno da Cacciaguida mostrati al Poeta alcuni Spi^ 
riti, ch'erano in quella risplendente Croce di Marte , 
ed a9e9ano gloriosamente militato per la s^ra Fede : 
poi Dante sale con Beatrice nel Pianeta di Gioyr , 
do9e osserva le anime de'* Santi ordinarsi in figura di 
alcune lettere, e quindi in forma di tin' Aquila. 

VJià si godeva solo del suo verbo 
Quello Spirto beato » e( io gustava 
Lo mìo, temprando *1 dolce con Tacerbo; 

E quella donna , eh* a Dio mi menava , 
Disse: Muta p!en3ier9 pensa chMo sono 
Presso a Colui, eh* ogni torto disgrava. 

lo mi rivolsi air amoroso suono 
Del mio conforto ; e quale io allor vidi 
Negli occhi santi amor, qui Tabbandooo: 

Non perch* io pur del mio parlar diffidi, io 
Ma per la mente, che non può reddire 
Sovra se tanto, s'altri non la guidi. 

Tanto poss'io di quel punto ridire. 
Che rimirando lei lo mio affètto 
Libero fu da ogni altro disire , 

Dante T.JL ìu 



390 DEL PARADISO 

Fin che *1 piacere eterno , cbe diretto 
Saggiava in Beatrice, dal bel viso 
Mi contentava col secondo aspetto . 

Vincendo me col lume d^un sorrìso, 

Elia mi disse: Volgiti, et ascolta, 20 
Che non pur ne* miei occhi è Paradiso. 

Come si vede qui alcuna volta 

L'affetto nella vista, snello è tanto. 
Che da lui sia tutta T anima tolta; 

Così nel fiammeggiar del fulgor santo, 
A cui mi volsi, conobbi la voglia 

- In lui di ragionarmi ancora alquanto. 

' E cominciò: In questa quinta soglia 
Dell'albero, che vive della cima, 
E frutta sempre, e mai non perde foglia, 3c 

Spiriti son beati, che giù, prima 

Che venissero al Ciel , fur di gran voce , 
Sì ch'ogni Musa ne sarebbe opima. 

Fero mira ne' corni della Croce: 

Quel, ch'io or nomerò, lì farà l'atto. 
Che fa in nube il suo fuoco veloce • 

Io vidi per la Croce un lume tratto 
Dal nomar losuè , com' ei si feo : 
Ne mi fu noto il dir prima che '1 fatto . 

T £i cominciò: 



CANTO XVIIL 291 

Et al nome dell'alto Maccabeo 40 

Vidi muoversi un altro roteando ; 
£ letizia era ferza del paleo. 
Così per Carlo Magno, e per Orlando 
Duo ne segui lo mio attento sguardo , 
Com' occhio segue suo falcon volando. 

Poscia trasse Guiglielmo, e Rinoardo, 
E "1 Duca Gottifredi la mia vista 
Per quella Croce, e Roberto Guiscardo. 

Indi tra Taltre luci mota e mista 

Mostrommi Talma, chem'avea parlato, 5o 
Qual'era tra i cantor del Cielo artista. 

Io mi rivolsi dal mio destro lato , 
Per vedere in Beatrice il mio dovere 
per parole , o per atto segnato ; 

E vidi le sue luci tanto mere. 

Tanto gioconde, che la sua sembianza 
Vinceva gli altri, e T ultimo solere. 

E come, per sentir più dilettanza. 

Bene operando Y uom di giorno in giorno 

' S' accorge che la sua virtute avanza ; 60 

Si m' accors* io , che U mio girare intomo 
Col Cielo ^nsieme avèa cresciuto V arco , 
Yeggendo quel miracolo più adomo. 



up, DEL PARADISO 

E quale è il trasmutare in picciol Tarco 
Di tempo in bianca donna , quando 'I Tolto 
Suo si discarchi di vergogna il carco; 

Tal fu negli occhi miei, quando ' fìi Tolto, 
Per lo candor della temprata stella 
Sesta, che dentro a se m'avea ricolto. 

To vidi in quella Giovial facella. 70 

Lo sfavillar dell* amor, che fi era. 
Segnare agli occhi miei nostra favella. 

E come augelli surti di riviera. 
Quasi congratulando a lor pasture , 
Fanno di se or tonda, br lunga schiera , 

Sì dentro a* lumi sante creature 
Volitando cantavano , e facènsi 
Or D* or I. or L. in sue figure. 

Prima cantando a sua nota rooviènsi : 
Poi diventando Tun di questi segni, 80 
Un poco s'arrestavano, e tacènsi. 

diva Pegasea , che gì' ingegni 
Fai gloriosi , e rendigli longevi , 
Et essi teco le cittadi e i regni , 

lUustrami di te, sì eh* io ^ rilevi 
Le lor figure , com* io T ho concette : 
Paia tua possa in questi versi brevi . 

I fai Tolto 2 rilieri 



CANTO XVIIL a«p 

Mostrarsi dunque in cinque volte sette 
Vocali e consonanti ; et io notai 
Le parti si, come mi parver dette* 9<; 

Diligite j^stitìam^ " prìmai 

Fur verbo e nome di tutto '1 dipinto : 
Qui judicatis Terram^ fur sezzai. 

Poscia nell' M del vocabol quinto 
Bimasero ordinate, si che Giove 
Pareva argento li d'oro distinto. 

E vidi scendere altre luci, dove 
Era 'l colmo deir M, e lì quetarsi 
Cantando^ credo, il ben , ch*a se le muove . 

Poi, come nel percuoter de' ciocchi arsi loo 
Surgono innumerabili faville , 
Onde gli stolti sogliono agurarsi , 

Risurg^r parver quindi più di mille 
Luci, e salir quali assai, e qua' poco. 
Sì come '1 Sol, che raccende, sortille: 

E quietata ciascuna in suo loco , 
La testa e '1 colio d' un'Aquila vidi 
Rappresentare a quel distinto foco. 

Quei, che dipinge lì, non ha chi '1 guidi. 
Ma esso (juida, e da lui si rammenta 1 1 o 
Quella virtù , eh' è forma per li nidi . 

• 1 li priin«ì ^ 



J 



^>4 DEL PARADISO 

L^ altra beatimdo, che contenta 

Pareva in prima d* ingigliarsi all* emme. 
Con poco moto seguitò la ^mprcnta. 

O dolce stella, quali e quante gemme 
Bli dimostraron, che nostra giustizia 
Effetto sia del Ciel, che tu ingemme! 

Per eh* io prego la mente , in che s' inizia 
Tuo moto e tua virtute, che rimili 
Ond'esce'l fummo, che*l tuo raggio vizi?.. 

Sì eh' un^ altra fiata omai s'adiri ( lao 

Del comperate e vender dentro al tempio , 
Che si murò di segni , e di martiri . 

O milizia del Ciel, cuUo contemplo. 
Adora per color, che sono in terra 
•Tutti sviati dietro al malo esemplo. 

Già si solca con le spade far guerra; 
Ma or si fa togliendo or qui, or quivi 
Lo pan , che U pio padre a nessun serra . 

Ma tu, che .sol per cancellare scrivi, 1 3o 
Pensa che Pietro e Paolo, che morirò 
Per la vigna che guasti, ancor son vivi. 

Ben puoi tu dire : Io ho fermo *1 disiro 
Sì a colui, che volle viver solo, 
E che per salti fu tratto a marriro. 
Ch'io non conosco il Pescator, ne Pelo. 



di) J 

CANTO DECIMONONO. 



Argomento 

Il Coro dà* Beaii disposti in figura di Aquila a Dante 
ragiona su la quistione : Se alcuno senza la Fede Cri- 
stiana si possa Sahare 9 e gli dice, che niuno senza 
credere* in Cristo si era saluato giammai: soggiugne 
inoltre, che molti ancor de' Cristiani per H loro pravo 
operare saranno riproviti nell'universale giudicio. 



JT area dinanzi a me con V ale aperte 
La bella image, che nel dolce frui 
Liete faceva V anime conserte : 

Parca ciascuna rubinetto , in cui 
Raggio di Sole ardesse si acceso. 
Che ne^miei occhi rifrangesse lui. 

£ quel , che mi con vien ritrar testeso , 
Non portò voce mai, né scrisse inchiostr'^ , 
Ne fu per fantasia giammai compreso ; 

Ch^io vidi, et anch' udf parlar lo rostro, io 
E sonar nella voce et Io e Mio, 
Quand'era nel concetto ^ Noi e Nostro. 

1 et Noi e Nostro. 



N 



aoó DEL PARADISO 

E cominciò : Per esser giusto e pio 
Son io qui esaltato a quella gloria, 
^ Che non si lascia vincere a disio : 

Et in terra lasciai la mia memoria 
Sì fatta , che le genti li malvage 
Commendan lei, ma non seguon la storia . 

Così un sol calor di móke brago 

Si fa sentir, come di molti amori 2c 
Usciva solo un suon di quella Image ; 

Ond^ io appresso : O perpetui fiori 
Dell'eterna letizia, che pur uno 
Sentir mi fate tutti i vostri odori , 

Solvetemi, spirando^ il gran digiuno. 
Che lungamente m*ha tenuto in fame. 
Non trovandoli in terra cibo alcuno • 

Ben so io che , se in Cielo altro reame 
La divina giustizia fa suo specchio, 
Che'l vostro non rapprende con velame. 3o 

Sapete come attento io m^ apparecchio 
Ad ascoltar; sapete quale è quello 
Dubbio, che m*è digiun cotanto vecchio- 

Quasi falcone, ch^'esce di cappello. 

Muove la testa, e con Tale s'applaude. 
Voglia mostrando, e facccndosi bello; 



CANTO XIX. 2^7 

Yid" io farsi qàd èégnò , che di laude 
Della divina grai^ia era contesto, ' 
Con canti , qoai si sa chi lasrà gaude • 

Poi cominciò : Colui , che volse il sesto 40 
Allo stremo dei mondo , e dentro ad esso 
Distinse tanto occulto e manifesto. 

Non potfo suo valor sì fare impresso 
In tutto r Universo , che ^1 suo Verbo 
Non rimanesse in infinito eccesso . 

E ciò fa certo , che U primo superbo , 
Che fu la somma d^ogni creatura. 
Per non aspettar lume , cadde acerbo . 

£ quinci appar, eh* ogni minor natura 
È corto recettacolo a quel bene. So 

Che non ha fine , e se in se misura . 

Dunque nostra veduta , che conviene 
Essere alpun deVaggi della mente , 
Di che tutte le cose son ripiene , 

Non può di sua natura esser possente 
Tanto, che suo principio non discerna 
Molto di là da quel, ch'egli è, parvente. 

Però nella giustizia sempiterna 
La vista che riceve il vostro mondo, 
Com*occhio per lo mare,entro s'interna ; 60 



/ 



2.y{ DEL PARADISO 

Che, benché dalla proda ▼egg^ il fondo. 
Io pel^o noi Tede, e nondimeno 
B^ èy ma cela Ini Tcskt profondo. 

Lume non è, se non vien dal sereno. 
Che non si tnrha mai , anzi è tenebra , 
Od ombra della carne, o soo ireneno. 

Assai fé mo aperta la latebra. 
Che t* ascondeva la giustizia viva , 
Di che facci qnìstion cotanto crebra. 

Che ta dicevi: Un oom nasce alia riva 70 
Dell'Indo, e qoivi non è chi ragioni 
Di Cristo, né chi le^;a, né chi scriva; 

£ tatti suoi voleri et atti buoni 
Sono, quanto ragione umana vede, 
Sanza peccato in vita, od in sermoni. 

Muore non battezzato e senza Fede: 
Ov^è questa giustizia, che il condani^a? 
Ov è la colpa sua , ^ sed ci non crede ? 

Or tu chi se', che vuoi sedere a scranna , 
Per giudicar da lungi mille miglia 8 e 
Con la veduta corta d' una spanna ? 

Certo a colui, che meco s* assottiglia , 
Se la Scrittura sovra voi non fosse. 
Da dubitar sarebbe a maraviglia. 

I itegli non crede? 



CANTO XIX. a99 

terreni animali » o menti grosse , 
La prima Volontà, ch^è per se buona. 
Da stf eh' è sommo ben, mai non si mosse. 

Cotanto è giusto quanto a ki consuona: 
Nullo creato bene a se la tira. 
Ma essa, radiando, lui cagiona. 90 

Quale sovr* esso U nido si rigira , 

Poi che ha pasciuto la cicogna i figli , 
£ come quei, eh' è pasto, la rimira; 

Cotal si fece, e si levai li cigli. 
La benedetta immagine, che Pali 
Movea sospinta da tanti consigli. 

Roteando cantava, e dicea: Quali 

Son le mie note a te , che non le 'ntendi , 
Tal è il giudicio eterno a voi mortali . 

Poi seguitaron quei lucent' incendi ice 

Dello Spirito Santo ancor nel segno. 
Che fé' i Romani al mondo reverendi . 

Esso ricominciò: A questo regno 

Non sali mai chi non credette in Cristo 
Né pria, né poi che'l si chiavasse al legno. 

Ma vedi, molti gridan Cristo Cristo, 
Che saranno in giudicio assai men prope 
A lui^ che tal, che non conobbe Cristo. 



3oo J>£L PARADISO. 

E cai Crifldan daanerà PEdòpe, 

QoMde ìri partìnniio i duo €<dl^ , tio 
L*ìBio ia eterno ricco, e Taltro inope. 

CShe pocran dir li Peni a i Tostrì Regi, 
Com* e' vedranno qael Tolome aperto. 
Nel qoal n acriron tatti suoi dispregi? 

Lì 8i vedrà tra T^pere d'Alberto 
Quella, che tosto moverà la penna. 
Perchè U regno di Praga sia deserto. 

Li si vedrà il daol, che sopra Senna 
Induce, false^iando la moneta. 
Quei, che morrà di colpo di cotenna, i ao 

Lì 8i vedrà la superbia, ch'asseta. 
Che fa lo Scotto , e r Inghilese folle , 
Sì che non può soffrir dentro a sua meta . 

Yedrassi la lussuria, e '1 viver molle 

Di quel di Spagna, e di quel di Buemme, 
Che mai valor non conobbe, ne volle. 

Yedrassi al Ciotto di Gerusalemme 
Segnata con un I la sua bontate. 
Quando 1 contrario segnerà un'emme. 

Yedrassi T avarìzia, e la viltate 1 3o 

Di quel, che guarda risola del fuoco. 
Dove Anchise finì la lunga etate : 



CANTO XIX. 3oi 

£ a dare ad intender quanto è poco, 
La sua scrittura fien lettere mozze , 
Che noteranno molto in parvo loco. 

£ parranno a ciascun T opere sozze 

Del barba, e del f ratei, che tanto egregia 
Nazione, t duo corone han fatto bozze. 

£ quel di Portogallo , e di Norvegia 

Li si conosceranno, e quel di Rascia, 140 
Che male aggiustò *1 conio di Vinegia . 

O beata Ungheria, se non si lascia 
Più malmenare ! e beata Navarra , 
Se s'armasse del monte, che la fascia! 

£ creder dee ciascun , che già per arra 
Di questo Nicosia, e Famagosta 
Per la lor bestia si lamenti e garra , 

Che dal fianco dell' altre non si scosta « 



3o3 

CANTO VENTESIMO. 



Aegomento 

Vengono a Dante mostrate le anime di alcuni giustls^ 
simi Re , eh' erano in quella ' augusta immagine 
dell' Aquila; ed ammirando il Poeta, come ivi fos^ 
sera due personaggi, ch'egli si credeva essere stati 
Pagani y gli viene spiegato , come amòedue morti era* 
no credendo in Gfsù Cristo. 



V^uando colai, che tutto U mondo alluma , 
Deir emisperìo nostro si discende, 
E ^1 giorno d^ ogni parte si consuma , 

Lo Ciel , che sol di lui prima s* accende , 
Subitamente si rifa parvente 
Per molte luci, in che una risplende. 

E questo atto del Ciel mi venne a mente , 
Come ^1 segno del mondo, e de' suoi duci 
Nel benedetto rostro fu tacente : 

Però che tutte quelle vive luci io 

Vie più lucendo cominciaron canti 
Da mia memoria labili e caduci . 



3c4 



DFL FARADISO 



O dolce Amor, che di rìso e* ammand , 
Quanto pareri ardente in que'fiTilli, 
Ch'aveano Sfnito sol di peosìer santi! 

Poscia che i can e lucidi lapilli, 
Ond' io Tidi 'ogemmato il sesto Inme , 
Poser silenzio agli angelici si|QÌlli, 

Udir mi panre on mormorar di fiume , 
Che scende chiaro giù di {Metra in pietra, ao 
Mostrando Fnbertà del soo cacume. 

£ come snono al collo della cetra 

Prende sua forma, e sì come al pertico 
Della sampogna vento , che penetra ; 

Cosà, rimosso d* aspettare induco. 
Quel mormorar dell'Aquila salissi 
So per lo collo , come fosse hogio . 

Fecesi voce quivi , e quindi uscissi 
Per lo suo becco in forma di parole , 
Quali aspettava^ eore, ov' io le scrissi • 3o 

La parte io me , che vede , e paté il Sole 
Neil' agugli.e qiortali, incominciommi. 
Or fisamente riguardar si vuole , 

Perchè de' fuochi^ ond'io figura fommi. 
Quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla , 
E di tutt' i lor gradi son li sommi . 



CANTO XX. SoS 

Colui , che luce in mezzo per pupilla , 
Fu il cantor dello Spirito Santo, 
Che r arca traviato di villa in vUla : 
Ora conosce U merto del suo canto » 40 
In quanto ^ affetto fu del suo consiglio 9 
Per lo remunerar, oh' è altrettanto. ' 
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio , 
Colui, che più al becco mi s'accosta, 
La. vedovella consolò del figlio: 
Ora conosce quanto caro costa 

Non seguir Cristo, per l'esperienza 
Di questa dolce vka, e dell'opposta. 
E quel, che segue in la circonferenza. 
Di che ragiono, per l'arco superno. So 
Morte indugiò per vera penitenza : 
Ora conosce che '1 giudicio eterno 
Non si trasmuta, perchè degno preco 
Fa crastino laggiù dell' odierno • 
L'altro, che segue, con le leggi e meco 
Sotto buona 'ntenzion, che fé' mal frutto. 
Per cedere al pastor si fece Greco: 
Ora conosce con^e '1 mal dedutto 

Dal suo bene operar non gli è nocivo, 
Awegna che sia 'l mondo indi distrutto. 60 

1 effitto fa del suo 

Dahtm T.IL ao 



3o6 DEL PARADISO 



£ quel, che vedi nell'arco declivo» 
Goiglielmo fo, cai quella terra plora» 
Che piange Carlo e Federigo vivo : 

Ora conosce come s* innamora 

Lo Ciel del giusto rege , et al sembiante 
Del suo fulgore il £ai vedere ancora. 

Chi crederebbe già nel mondo errante , 
Che Rifèo Troiano in questo tondo 
Fosse la quinta delle loci sante ? 

Ora conosce assai di quel , che *1 mondo 70 
Veder non può della divina grazia ; 
Benché sua vista non discerna il fondo • 

Qual lodoletta , che ■ 'u aere si spazia 
Prima cantando, e poi tace contenta 
Dell'ultima dolcezza, che la sazia; 

Tal mi sembiò T imago della ^mprenta 
Deir etemo piacere , al cui disio 
Ciascuna cosa, quale eli' è, diventa. 

Et a wegna eh' io fossi al dubbiar mio 
Lì, quasi vetro allo color, che'l veste, 80 
Tempo aspettar tacendo non patio; 

Ma della bocca : Che cose son queste ? 
Mi pinse con la forza del suo peso : 
Per eh' io di corruscar vidi gran fesce . 

I neir^ere tpasU 



CANTO XX. S07 

Poi appresso con V occhio più acceso 
Lo benedetto segno mi rispose. 
Per non tenermi in ammirar sospeso : 

Io veggio, che tn credi queste cose. 
Perch'io le dico, ma non vedi come; 
Sì che, se son credute, sono ascose ^ 90 

Fai come quei, che la cosa per nome 
Apprende ben, ma la sua quiditate 
Veder non puote, scaltri non la prome. 

Hegnum codorum vielenzia paté 
Da caldo amore, e da viva speranza. 
Che vince la divina volontate , 

Non a guisa che U uomo alFuom sovranza; 
Ma vince lei , perchè vuole esser vinta : 
E vii^ta vince con sua beninanza • 

La prima vita del ciglio e la quinta 100 
Ti fa maravigliar , perchè ne vedi 
La region degli ÀngeK dipinta. 

De* corpi suoi non uscir, come credi. 
Gentili , ma Cristiani in ferma Fede, 
Quel de' passuri , e quel de' passi piedi; 

Che Tuna dallo ^nferno, u'non si riede 
Giammai a buon voler, tornò all'ossa: 
E ciò di vi va^ speme fu mercede. 



3o9 DSL PARADISO 

Di viva speme , che mise sua posM 

Ne'prieghi fatti a Dio per soscttarla, no 
Sì che potesse scia voglia esser mossa. 

L^ anima glonosa , oade si parla , 
Tornata nella carne, ia che fu poco» 
Credette in Ini, che poteva aintaria: 

E credendo s^ acoese in tanto fnoco 
Di vero amor, ch^alla morte seconda 
Fu degna di venire a questo giuoco • 

L* altra per grazia , che da n profon^b 
Fontana stilla, che mai creatura 
Non pinse T occhio insino alla prim' onda , 

Tntto I suo amor laggiù pose a drìttma : ( i a o 
Per che di grazia in grazia Dio gli aperse 
L'occhio alla nostra redenzion futura; 

Onde credette in quella , e non sofferse 
Da indi 1 puzzo più del paganesmo, 
E riprendeane le genti perverse . 

Quelle tre donne gli fur per battesmo. 
Che tu vedesti dalla destra ruota. 
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo. 

predestinazion , quanto rimota i3o 

j^i la radice tua da quegli aspetti. 
Che la prima cagion non veggion tata! 

1 *i tuo amor 



CANTO XX. 309 

E voi, mortali, tenetevi stretti 

A giudicar; che noi, che Dio vedemo. 
Non conosciamo ancor tutti gli eletti: 

' Et enne dolce cosi fatto scemo ! 
Perchè *1 ben nostro in questo ben s'affina. 
Che quel, che vuole Dio, e noi volemo. 

Cosi da quella immagine divina. 

Per farmi chiara la mia corta vista, 140 
Data mi fu soave medicina . 

£ come a buon cantor ^ buon citarista 
Fa seguitar lo guizzo della corda , 
In che più di piacer lo canto acquista ; 

Si mentre che parlò, mi si ricorda, 
Ch' io vidi le duo luci benedette ^ 
Pur come batter d^ occhi si concorda. 

Con le parole muover le fiammett« • 

2 £ come è dolce a baon ceterista j 



Sii 

CANTO VENTESIMOPRIMO. 



AmCOMSNTO 

Danti sale con Btairìet in Saturno y doot Mtano i Con-^ 
templanti, ed in quello vede una stala altissima ^ f 
sopra essa scendere infinito numero di Beati: indi il 
Poetasi fa a parlar con 5. Pietro Damiano ^ Uguale, 
dopo aoer risposto ad alcune sue interrogazioni, gli 
racconta cài egli si fosse, e t istituto della sua vita 
religiosa* 

vjrià eran gli occhi miei ri fissi al volto 
Della mia donna, e F animo con essi, 
£ da ogni altro intento s^era tolto; 

Et ella non rìdea ; ma : S'io ridessi , 
Mi cominciò, tu ti faresti qnale 
Semele fu, quando di cener fessi ; 

Che la bellezza mia, che per le scale 
Dell^ etemo palazzo più s^ accende. 
Com* hai veduto,- quanto pia si sale^ 

Se non si temperasse, tanto splende, To 
Che *1 tuo mortai podere al suo fulgore 
Parrebbe fronda , che trono scoscende • 



3ia DEL PARADISO 

Noi Sem levati al settimo splendore , 
Che sotto U petto del Lione ardente 
Ra^a mo misto giù del suo valore. 

Ficca dirietro agli occhi tuoi la mente, 
£ fa di quegli specchio alla figura , 
Che *n questo specchio ti sarà parvente . 

Qu%l savesse quaFera la pastura 

Del viso mio nell'aspetto beato, 20 

Quand'io mi trasmutai ad altra cura , 

Conoscerebbe quanto m^era a grato 
Ubbidire alla mia celeste scorta , 
Contrappcsando Tun con T altro lato. 

Dentro al cristallo , che U vocabol porta , 
Cerchiando *1 mondo , del suo caro duce , 
Sotto cui giacque qqxìì malizia morta, * 

Di color d'oro, in che raggio traluce, 
Yid'io uno scalèo fretto in suso 
Tanto, che noi seguiva la mia luce. 3o 

Vidi anche per li gradi scender giuso 

Tanti splendor, ch'io pensai, ch^ogni lume. 
Che par nel Ciel, quindi fosse diffuso . 

£ come per lo naturai costume 

Le pole insieme al cominciar del giorno 
Si muovono a scaldar le fredde piume ; 



CANTO XZL 3i3 

Poi altre vanno via senta ritorno» 
Altre rìvolgon se, onde son mosse » 
E altre roteando fan soggiorno ; 

Tal modo parve a me , che quivi fosse 40 

' In quello sfavillar, che ^nsieme venne. 
Si come in certo grado si percosse: 

E quel , che presso più ci si ritenne , 
Si fe^si chiaro, cVio dicea pensando: 
Io veggio ben Taiqor, che tu m*accenne. 

Ma quella , ond' io aspetto il come, e '1 quando 
Del dire e del tacer, si sta; ond'io 
Contra U disio fo ben , > eh* io non dimando. 

Per eh* ella, che vedeva il tacer mio 

Nel veder di Colui, che tutto vede. So 
• Mi disse : Solvi il tuo caldo disio • 

Et io incominciai : La mia mercede 
Non mi fa degno della tua risposta , 
Ma per colei, che 1 chieder mi concede. 

Vita beata , che ti stai nascosta 
Dentro alla tua letizia , fammi nota 
La cagion, che si presso mi t'accosta; 

E di* perchè si tace in questa ruota 
La dolce sinfonia di Paradiso, 
Che giù per T altre suona si devota. 60 

I è*ÌQ non domando. 



5i4 BEL PARADISO 

Ta hai Tadir mortai, si come '1 viso. 
Rispose a me; però qui non si canta 
Per quel, che Beatrice non ha riso. 

Giù per li gradi della scala santa 
Discesi tanto sol per farti festa 
Gol dire, e con la Ince, che m'ammanta: 

Né più amor mi fece esser più presta ; 
Che pin e tanto amor quinci su ferve , 
Sì come 1 fiammeggiar ti manifesta. 

Ma Talta carità, che ci fa serve 70 

Pronte al consiglio, che*l mondo governa» 
Sorteggia qni, si come tu osserve. 

Io v^gio ben, diss' io, sacra lucerna. 
Come libero amore in questa Corte 
Basta a seguir la providenza eterna. 

Ma qnest'è quel, eh* a cerner mi par forte. 
Perchè predestinata fosti sola 
A questo uficio tra le tue consorte. 

Non venni prima air ultima parola , 

Che del suo mezzo fece il lume centro 80 
Girando se come veloce mola . 

Poi rispose Tamor, che v*era dentro: 
Luce divina sovra me s'appunta. 
Penetrando per questa, ond'io m^inventro , 



^ 



CANTO tXL 3iS 

La ^€và virtù col mio veder congiunta 
Mi leva sovra me unto, ch'io veggio 
La somma Essenzia , della quale è munta . 

Quinci vien l'allegrezza » ond' io fiammeggio. 
Perchè alla vista mia , quantVlla è chiara. 
La chiarità della fiamma pareggio . 90 

Ma quell* alma nel Giel, che più si schiara. 
Quel Serafin, che'n Dio più Tocchio ha fisso. 
Alla dimanda tua non soddisfarà; 

Perocché si s'innoltra nell'abisso 
Dell'eterno statuto quel, che chiedi t 
Che da c^i creata vista è scisso . 

Et al mondo mortai, quando tu riedi. 
Questo rapporta, sì che non presumma 
A tanto segno più muover li piedi • 

La mente, che qui luce , in terra fumma : 1 00 
Onde riguarda come può laggìue 
Quel, che non puote, perchè '1 Ciel Tassum- 

Si mi prescrisser le parole sue, (ma. 

Ch' io lasciai la qubtione, e mi ritrassi 
A dimandarla umilmente chi fue. 

Tra duo liti d' Italia surgon sassi , 
£ non molto distanti alla tua patria. 
Tanto che i tuoni assai tuonan più bassi. 



Si6 DEL PARADISO 

E fanno un gibbo» che si chiama Gatrìa^ 
Disotto al qaale è consecrato un ermo, no 

. Che sud esser disposto a sola latria . 

Così ricominciommi '1 terzo senno; 
£ poi continuando disse: Quivi 
▲1 servigio di Dio mi fei si fermo. 

Che por con cibi di liquor d"" ulivi 
Lievemente passava caldi e gieli» 
Contento ne^pensier contemplativi. 

Render solca quel chiostro a questi Cieli 
Fertilemente^ et ora è fatto vano, 
SI che tosto convien, che si riveli, i ao 

In quel loco fo^io Pier Damiano: 
£ Pietro peccator fui nella casa 
Di nostra Donna in sul lito Adriano. 

Poca vita mortai m^era rimasa, 

Quand^io fu'chiesto, e tratto a quel cappello, 
Che pur di male in pe^o si travasa. 

Venne Cephas, e venne il gran vasello 
Dello Spirito Santo, magri e scalzi 
Prendendo 1 cibo > di qualunque ostello: 

Or voglion quinci e quindi chi ^ rincalzi 1 3o 
Gli moderni pastori, e chi gli meni. 
Tanto son gravi, e chi dirietro gli alzi. 

I da qaalaiNp« a gVincalal 



CANTO XXL 3i7 

Guopron desinanti lor gli palafreni» 
Sì che duo bestie van 80tt*una pelle: 
pazienzia, che tanto sostieni! 

A questa voce vid*io più fiammelle 
Di grado in grado scendere e girarsi: 
Et ogni giro le facea più belle • 

Dintorno a questa vennero » e fermarsi » 
£ fero un grido di si alto suono , 1 40 
Che non potrebbe qui assomigliarsi: 

Né io lo ^ntesi» sì mi vinse il tuono. 



3i» 

CANTO VENTESIMOSECONDO- 



Aegomimto 

3. Benedtiio pmiia m! Poeta, e gli dUt, tiCtgli aves 
portaio ii nome di Gesù Cristo sul monte Cassino: 
oltre di eia gli dà contexzn di alcuni altri Beati j che 
ivi erano» Foi ""Dante colla sua guida sale all'ottava 
sfera nel segno de' Gemini ^ onde si rivolse a ri guar» 
dare i sette Pianeti inferiori ^ ed il gloòo terrestre • 



a 



^presso di stupore alla mia guida 
Mi volsi come parvol, che ricorre 
Sempre colà, dove più si confida: 

E quella, come madre, che soccorre 
bubito al figlio ' pallido et anelo 
Con la sua voce, che '1 suol ben disporre. 

Mi disse: Non sa* tu, che tu se *n Cielo, 
E non sa' tu, che '1 Cielo è tutto santo, 
E ciò, che ci si fa, vien da buon zelo? 

Come t'avrebbe trasmutato il canto, io 
*£t io rìdendo, mo pensar lo puoi ; 
Poscia che '1 grìdo t' ha mosso cotanto ? 

1 p arido et auela 



3ao DEL PARADISO 



Nd qual se 'nteso AYtaei i priegbi snot* 
Già ti sarebbe nota la vendetta , 
La qoal vedrai innanzi che tu mnoi. 

La spada di quassù non taglia in fretta » 
Ne tardo, mache al parer di colui » 
Che desiando» o temendo 1* aspetta. 

Ma rivolgiti ornai inverso altrui; 

Chiassai ^lustri spiriti vedrai, io 

Se, compio dico, la vista ridui. 

Com'a lei piacque, gli occhi dirizzai, 
E vidi cento sperule, che ^nsieme 
Più s*abbellivan con mutui rai. 

Io stava come quei , che *n se rìpreoie 
La punta del disio , e non s* attenta 
Del dimandar j sì del troppo si teme: 

E la maggiore , e la più Inculenta 
Di quelle margherite innanzi fessi. 
Per £ur di se la mia voglia contenta • 3o 

Poi dentro a |ei udi* : Se tu vedessi , 
Compio, la carità, che tra noi arde. 
Li tuoi concetti sarebbero espressi: 

Ma perchè tu aspettando non tarde 
All^alto fine, io ti farò risposta 
Pure al pensier, di che sì ti riguardo. 



CANTO XXIL . Sai 

Quel monte, a cui Cassino è nella costa , 
Fu frequentato già in su la cima 
Dalla gente ingannata, e mal disposta. 
' Et io son quel , che su vi portai prima ^o 
Lo nome di Colui , che 'n terra addusse 
La verità, che tanto ci sublima: 
E tanta grazia sovra me rilusse, 
Ch* io ritrasse le ville circonstanti 
Dair empio colto, che ^1 mondo sedusse. 
Questi altri fuochi tutti contemplanti 
Uomini furo, accesi di quel caldo. 
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. 
Qui è Maccario ; qui è Romoaldo ; 

Qui son li frati miei,che dentro a*chiostri 5 o 
Fermar li piedi , e tennero U cuor saldo . 
Et io a lui: L'aflFetto, che dimostri 
Meco parlando , e la buona sembianza. 
Ch'io veggio, e noto in tutti gli ardor vostri. 
Cosi m'ha dilatata mia fidanza. 

Come '1 Sol fa la rosa , quando aperta 
Tanto divien, quaat^ella ha di possanza. 
Però ti prego, e tu, padre, m'accerta, 
SMo posso prender tanta grazia, eh* io 
Ti veggia con immagine scoverta. 6f) 

1 E quel ton io» 

Damtm T.IL ai 



3sa DEL PARADISO 

Ond'egli: Frate» il too alto disio 
S* adempierà in sa Taltioia spera. 
Ove s' adempion tutti gli altri » e H mio . 

Ivi è perfetta , matura, et intera 
Ciascuna disianza : in quella sola 
È ogni parte là , dove sempr* era ; 

Perchè non è in luogo ^ e non s^ impola : 
E nostra scala infino ad essa varca; 
Ond« cosi dal viso ti s^ invola . 

Infin lassù la vide il Patriarca 70 

lacob isporger la superna parte , 
Quando gli apparve d* Angeli sì carta * 

Ma per salirla mo nessun diparte 
Da terra i piedi : e la regola mia 
Rimasa è giù per danno delle carte • 

Le mura, che solcano esser badia , 
Fatte sono ipelonche , e le cocolle 
Sacca son piene di farina ria • 

Ma grave usura tanto non si toUe 

Contra U piacer di Dio, quanto quel frutto, 
Che fa il cuor de' monaci sì folle ; (80 

Che quantunque la Chiesa guarda, tutto 
£ delia gente , che per Dio dimanda , 
Né di parente , né d' altro più bratto . 



CANTO ZXIL 3»^ 

La carne de' mortali è tanto blanda , 
Che giù non basta buon cominciamento 
Dal nascer della quercia al far la ghianda . 

Pier cominciò sanz'oro e sanza argento 9 , 
Et io con orazione e con digiuno , 
E Francesco umilmente il suo convento. 90 

E se guardi al principio di ciascuno , 
Poscia riguardi là, doT*è trascorso» 
Tu vederai del bianco fatto bruno. 

Veramente Giordan volto è retrorso: 
Più fu il mar fuggir» quando Dio volse. 
Mirabile a veder, che qui il soccorso. 

Così mi disse , et indi si ricolse 

AI suo collegio, e '1 collegio si strinse: 
Poi come turbo in su tutto s* accolse. 

La dolce donna dietro a lor mi pinse 1 00 
Con un sol cenno su per quella scala : 
SI sua virtù la mia natura vinse. 
Né mai quaggiù, dove si monta e cala» 
Naturalmente fu si ratto moto , 
Ch* agguagliar si potesse alla mia ala. 
S'io torni mai. Lettore, a quel devoto 
Trionfo , per lo quale io piango spesso 
Le mie peccata, e '1 p^ttp {oi.perpqoto; 



3a4 DSL PARADISO 

Til non avresti in tanto tratto e metto 
Nel fuoco il dito,in quanto io vidimi segno, i io 
Che segue U Tauro, e fui dentro da esso. 

gloriose stelle, o lume pregno 

Di gran virtù, dal quale io riconosco 
Tutto (qual che si sia) il mio ingegno. 

Con voi nasceva , e s* ascondeva vosco 
Qu^i, cVè padre d^c^ni mortai vita, 
Quand'io senti* da prima Taer Tosco: 

£ poi quando mi fu grazia largita 
D'entrar neiralta ruota, che vi gira» 
La vostra region mi fu sortita • no 

A voi divotamente ora sospira 
L* anima mia, per acquistar virtute 
Al passo forte, che a se la tira. 

Tu se' sì presso ali* ultima salute. 
Cominciò Beatrice » che tu dei 
Aver le luci tue chiare et acute: 

£ però prima che tu più t* inlei » 

Rimira in giuso, e vedi quanto mondo 
Sotto li piedi già esser ti fei ; 

Sì chel tuo cuor, quantunque può, giocondo 
S*appresenti alla turba trionfante , ( 1 3o 
Che lieta vien per questo etera tondo. 



CANTO XJCIL 3i5 

« 

Col viso ritornai per tatte qa; nte 
Le sette spere , e vidi questo globo 
Tal, chMo sorrisi del suo vii bembiante: 

E quel consiglio per migliore approbo» 
Che rha per meno; e chi ad altro pensa 
Chiamar si puote veramente probo. 

Vidi la %lia di Latona incensa 

Senza quelFombra, che mi fu cagione, 1 40 
Perchè già la credetti rara e densa. 

L^ aspetto del tuo nato, Iperione, 
Quivi sostenni, e vidi com' si muove 
Circa , e vicino a lui Maia e Dione • 

Quindi m'apparve il temperar di Giove 
Tra '1 padre e'I figlio; e quindi mi fu chiaro 
Il variar, che fanno di lor dove: 

£ tutti e sette mi si dimostraro 

Quanto son grandi , e quanto son veloci . 
E come sono in distante riparo. i So 

L'aiuola, che ci fa tanto fefoci, 

YoIgendomMo con gli eterni Gemelli». 
Tutta m'apparve da' colli alle foci: 

Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli. 



5«7 

CANTO VENTESIMOTERZO. 



A&60MSNT0 

Racconta U Poeta, come vide QesU Cristo a guise di 
Sole risplendere e radiar sopra i Beati y e che di poi 
osservò Maria Vergine, sopra la quale scese un An» 
gelo, che d'intorno a lei s'aggirava cantando con 
soavissima melodia, dopo di che essa levassi in alto, 
ed i Beati cornarono laude. 



V^ome r augello intra ramate fronde 
Posato al nido de' suoi dolci nati 
La notte , che le cose ci nasconde » 

Che per veder gli aspetti desiati 9 

E per trovar lo cibo , onde gli pasca » 
In che i gravi labor gli sono aggrati, 

Previene '1 tempo in su l'aperta frasca, 
£ con ardente affetto il Sole aspetta , 
Fiso guardando, « pur che Falba nasca; 

Così la donna mia si stava eretta, ic 

Et attenta rivolta in ver la plaga , 
Sotto la quale il Sol mostra men fretta : 

X par se Talba nasca; 



3a8 del PAEADISO 

Si che, Yeggendola io sospesa e vaga, 
Feciini quale è qoei , che disiando 
Altro vorria , e sperando s* appaga • 

Ma poco fu tra uno et altro quando , 
Del mio attender, dico, e del vedere 
Lo Ciel venir più e più rischiarando. 

£ Beatrice disse : Ecco le schiere 

Del trionfo di Cristo, e tutto '1 frutto a e 
Ricolto del girar di queste spere . 

Pareami, che *l suo viso ardesse tutto: 
E gli occhi avea di letizia sì pieni. 
Che passar mi convien senza costrutto • 

Quale ne* plenilunii sereni 

Trivia rìde tra le ninfe eterne , 

Che dipingono '1 Ciel per tutti i seni„ 

Vid' io sopra migliaia di lucerne 

Un Sol , che tutte quante l' accendea , 
Come fa 1 nostro le viste superne: Se 

E per la viva luce trasparea 

La lucente sustanzia tanto chiara 
Nel viso mio, che non la sostenea. 

O Beatrice dolce guida e cara ! 

Ella mi disse: Quel, che ti sobranza, 
E virtù, da cui nulla si ripara . 



CANTO XXIIL di9 

Quivi è la sapienza, e la possanza, 

Ch^aprì le strade tra U Cielo e la Terra » 
Onde fif già sì lunga disianza • 

Come fuoco di nu])e si disserra 40 

Per dilatarsi , A che non vi cape » 
E fuor di sua natura in giù s^ atterra; 

Cosi la mente mia, tra quelle dape 
Fatta più grande, di se stessa uscio , 
£ che si fesse rimembrar non sape. 

Apri gli occhi , e riguarda qual son io : 
Tu hai vedute cose, che possente 
Se* fatto a sostener lo riso mio. 

Io era come quei, che ^ risente 

Di visione obblita, e che sMngegna Sa 
Indarno di riducerlasi a mente , 

Quando io udi' questa profferta degna 
Di tanto grado, che mai non si stingue 
Del libro, che *1 preterito rassegna. 

Se mo sonasser tutte quelle lingue, * 
Che Polinnìa con le suore fero 
Del latte lor dolcissimo più pingue. 

Per aiutarmi j al millesmo del vero 
Non si verria cantando U santo riso, 
£ quanto 1 santo aspetto fiicea mero • 6c* 



S3o DEL PARADISO 

E C06Ì 6garando U Paradiso 
' Convien saltar lo sagrato poema ^ 
Come chi truova suo cammin feciso . 

Ma chi pensasse il ponderoso tema, 
£ l'omero mortai, che se ne carca. 
Noi biasmerebbe, se sott^esso trema. 

Non è poleggio da piccìola barca 

Quel, che fendendo va Tardità prora. 
Né da nocchier, eh' a se medesmo parca . 

Perchè la faccia mia sì tMnnamora, 70 

Che ta non ti rivolgi al bel giardino , 
Che sotto i ra^i di Cristo s^ infiora ? 

Quivi è la rosa, in phe '1 Verbo Divino 
Carne si fece : quivi son gli gigli , 
Al cui odor si prese U buon cammino . 

Cosi Beatrice; et io, eh' a^ suoi consigli 
Tutto era pi^onto, ancora mi rendei 
Alla battaglia de' debili cigli. 

Come a raggio di Sol, che puro mei 

Per fratta nube , già prato di fiori 80 
Vider coperti d* ombra gli occhi miei ; 

Vid' io così più turbe di splendori 
Fulgìirati di su di raggi ardenti, 
Sanza veder principio di fulgori • 



CANTO XXIIL 33i 

O benigna virtù , che A gr imprenti » 
Sa t^ esaltasti per laurini kfco 
Agli occhi B , che non eran possenti • 

Il nome del bel fior, ch'io sempre invoco 
E mane e sera , tut^o mi ristrìnse 
L'animo ad avvisar Io maggior foco. 90 

£ com* ambo le loci -mi dipinse 

Il quale e '1 quanto della Vtva stella , 
Che lassù vince, come quaggiù vinse , 

Perentrd M Cielo scese una facella 
Fondata in cerchio a guisa di corona , 
E cinsela , e girossi intomo ad ells^. ' 

Qualunque melodia più dolce suona 
Quaggiù, e più a se T anima tira. 
Parrebbe nube, che squarciata tuona 9 

Comparata al sonar di quella lira , 1 00 

Onde si coronava il bel zaffiro. 
Del quale il Gel più chiaro s* inzafEra . 

Io sono amore angelico, che giro 
Lealtà letizia, che spira del ventre, 
Che fu albergo del nostro disiro : 

£ girerommi. Donna del Ciel, mentre 
Che seguirai tuo Figlio « e farai dia 
Più la spera suprema , perchè li entre . 



91s DEL PARADISO 

Cosi la circnbtà melodìa 

Si sigillava, e tutti ^ altri huni i le 
Facèn sonar lo nome di Maria. 

Lo real manto di tutti i volomi 

Del mondo 9 che più fenre, e più s^sttìts 
Nell'alito di Dio e ne' costami , 

Avea sovra di noi l' intema rira 
Tanto distante , che la soa paWenza 
14» doY^i'era, ancor non m'appariva: 

Però non ebber gli occhi miei potenza 
Di seguitar la coronata fiamma , 
Chiesi levò appresso sua semenza, rao 

B come fantolin , che *nver la mamma 
Tende le braccia, poi che 1 latte prese. 
Per l'animo, che^n fin di foors* infiamma, 

Ciascun di quei candori in su si stese 
Con la sua cima , sì che V alto affetto , 
Ch'egli aveano a Maria, mi fu palese. 

Indi rimaser li nel mio cospetto. 
Regina Codi cantando si dolce. 
Che mai da me non si parti 1 diletto. 

Oh quanta è Tubertà, che si soffolce 1 3o 
In queir arche ricchissime , che foro 
A seminar quaggiù buone bobolce i 



CANTO XZIIL 

Quivi si vive^ e gode del tesoro, 
Che s'acquistò piangendo nell'esilio 
Di Babilionia, ove si lasciò Toro. 

Quivi trionfa sotto Talto Filio 
Di Dio e di Maria di sua vittoria 
£ con l'antico e col nuovo concilio 

Colui , che tien le chiavi di tal gloria , 



339 






'"» 



\ 



S3S 

CANTO VENTESIMOQUARTO. 



Argomento 

Beatrice, dopo <taver invocato a favor dei Poeta il Co/* 
iegio Apostolico^ P^g^ ^ Pietro ad esaminarlo m- 
tomo la virtii della Fede^ sopra di che il grande 
Apostolo propone a Dante varj quesiti ^ a* quali avej|p> 
do fatta rispósta, il Santo lo benedisse, ed approvò 
la sua Fede. 



\J Sodalizio detto alla gr^ Gena 
Del benedetto Agnello , il qual vi ciba 
Si 9 che la vostra voglia è sempre piena ; 

Se per grazia di Dio questi preUba 
Di quel , che cade della vostra mensa » 

' Anzi che morte tempo gli prescriba. 

Ponete mente alla sua voglia immènsa , 
£ roratelo alquanto : voi bevete 
Sempre del lonte^onde vien qiiel,ch*ei pensa. 

Così Beatrice ; e queUe anime liete i o 

Si fero spere sopra fissi poli , 
Fiammando forte a guisa di comete • 



S36 DEL PARADISO 

£ come cerchi io tempra d* oriaoU 

Si giran si, che H primo a chi pon mente 
Quieto pare, e l' ultimo che voli ; 

Cosi quelle carole differente- 
mente danzando della sua ricchezza 



Mi 8i facean stimar veloci e lente • 

Di quella, ch'io notai di più bellezza, 
Vid* io uscire un fuoco sì felice , ac 

Che nullo vi lasciò di più chiarezza; 

E tre fiate intorno di Beatrice 
Si volse con un canto tanto divo. 
Che la mia fantasia noi mi ridice : 

Però salta la pe§na, e non lo scrivo; 
Che l'immaginar nostro a cotai pieghe. 
Non che'l parlare, è troppo color vivo. 

O santa suora mia, che si ne preghe 
Devota per lo xuo ardente affetto. 
Da quella bella spera mi disleghe : 3o 

Poscia fermato il fuoco benedetto 
Alla mia donna dirizzò lo spiro. 
Che favellò cosi, com^ io ho detto. 

Et ella : O luce eterna del gran viro , 
A cui Nostro Signor lasciò le chiavi, 
Ch'eì portò giù -di questo gaudio miro , 



« » 



CANTO XXIV. $37 

Tenta costui de* punti lievi e gravi , 
Come ti piace, intorno della Fede 9 
Per la qual tu su per lo mare andavi. 

S'egli ama bene, e bene spera, e crede, 40 
Non t'è occulto, perchè U viso hai quivi, 
Ov^ogni cosa dipinta si. vede. 

Ma perchè questo regno ha fatto civi 
Per la verace Fede , a gloriarla 
Di lei parlare, è buon eh* a lui arrivi • 

Si come il baccellier s*arma, e non parla 
Fin che U Maestro la quistion propone » 
Per approvarla, non per terminarla ; 

Così m'armava io d'ogni ragione» 

Mentre c^^ella dicea, per esser presto 5r 
A jtal querente, e a tal professione. 

Di^buon Cristiano; latti manifesto: 
Fede che è? ondao levai la fronte 
In quella luce, onde spirava queslo. 

Poi mi volsi a Beatrice ; e quella pronte 
Sembianze £emmi , jperchè io spandessi 
L* acqua di fuor del mio interno foncé. 

La grazia, che mi dà, eh* io mi confessi. 
Cominciarlo, dalUalto primipilo. 
Faccia li miei concetti essere espressi : 60 

DA9TM TAh aa 



338 BEL PARADISO 

E seguitai : Come 1 verace 8tilo 

Ne scrisse , padre » del tuo caro frate , 
Che mise Roma teco nei buon filo» 

Fede è sostanzia di cose sperate, 
£ argomento delle non parventi : 
E questa pare a me sua quiditate . 

Allora odi': Dirittamente senti. 
Se bene intendi, perchè la ripose ' 
Tra le sustana&e , e poi tra gli argomenti . 

Et io appresso : Le profonde cose , « 70 
Che mi largiscon- qui In lor parvenza» 
Agli occhi di laggiù son si nascose» 

Che Tesser lor v*è in «ola credenza, 
Sovra la qual si fonda V alta spene : 
E però di sostanzia prende intenza. 

E da qoesta credenza ci conviene 
Sillogizzar senza avere altra vista : 
Però intenza d'argomento tiene. 

Allora odi' : Se qoantonqoe s* acquista 
GIÙ per dottrina fosse cosi inteso , 80 
Non v^avria loogo ingegno di sofista. 

Cosi spirò da quell'amore acceso; 

Indi soggiunse: Assai bene è trascorsa 
D'està moneta già la lega e 1 peso ; 



CANTO XXIY. 339 

Ma dimmi se tu Phai nella tiia borsa. 
Et io : Si ho si lucida , e si tonda » 
Che nel suo conio nulla mi s^ inforsa • 

Appresso usci della luce profonda. 
Che lì splendeva: Questa cara gioia, 
Sovra la quale ogni virtù si fonda» 90 

Onde ti venne ? et io : Iia latga ploia 
Dello Spirito Santo, ch^è diffiisa 
In su le vecchie e ^n su le nuove cuoia, 

È sillogismo , che la mi ha conchiusa 
Acutamente. sì , che *n verso duella 
Ogni dimostrazion mi pare Qttusa. 

Io udi' poi: Cantica e la novella 
Proposizione, che sì ti conchiude , 
Perchè T hai tu per divina favella ? 

Et io : La pruova, che 1 ver mi dischiude, i QO 
Son r opere seguite, a che natura 
Non scaldò ferro mai , né battè ancude • 

Risposto f ummi : Di\ chi t^ assicura , 
Che queir opere fosser quel medesmo , 
Che vuol provarsi? non altri il ti giura. 

Se U mondo si rivolse al Gristianesmo , 
Diss' io « senza miracoli, quest'uno 
È tal, che gli altri non sono U centesmo : 



\ 

1 



340 \DEL ?«àEit^DI90 

Che tUrCBtraiti povero e digiuno 

Io campo a seminar la buona (Maofia, 410 
Che fa già vite, et ora^è fatta pruBO» 

Finito qvesto, Talta Corte «anta 

Rìaoiiò per le. spere: Un Dio lodiamo. 
Nella Bielode» ehe lassù si canta. 

E quel Baron, che sì di ramo in ramo 
Esamioaodo pk ' tratto m* avea , 
Che air ultime fronde appressavamo^ 

Hicominciò: La grazia , che donnea 
Con la tua mente , ia bocca t^apene 
Infino aqui» oom^apiir si-doveà; lao 

Sì eh* io approovo ciò,<ohe<fiiori emene: 
Ma or conviene esprimer quel, ohe eredi » 
E onde alla cfedenaa tua s^ofiferse. 

O santo padre, « spirito, che vedi 
Ciò , che credesti , A che tu vincesti 
Ver lo eepoloro più, giovani piedi ^ 

Comincia' io, tu vuoi, eh* io manlfeeti 
La forma qui del pronto creder mio» 
Et finche lacagton di lui chiedesti. 

Et io rispondo : Io credo in uno Dio t3# 
Solo et eterno, che tatto *1 Ciel muove. 
Non moto, con amore « con 4isio; 



CANTO XXIV. 341 

Et a tal creder non ho io pur pruove 
Fisice e metafisice ; ma dalmi 
Anche la verità , che quinci piove 

Per Moisè, per profeti, e per salmi. 
Per r evangelio, e per voi, che scrìveste. 
Poi che r ardente Spirto vi fece almi. 

£ credo in tre Persone eterne , e queste 
Credo una essenzia si una , e sì trina , 1 40 
CShe soflkra congiunto sono et este . 

Della profonda condition divina. 
Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla 
Più volte r evangelica dottrina. 

Quest' è U principio: quest* è la favilla , 
^' Che si dilata in fiamma poi vivace , 

E come stella in Cielo in me scintilla . 

Come '1 signor, ch'ascolta quel che piace. 
Da indi abbraccia '1 servo gratulando 
Per la novella, tosto eh* e' si tace; i5g 

Cosi benedicendomi cantando 

Tre volte cinse me, sì comMo tacqui^ 

' L'Àppostolico lume, al cui comando 

Io avea detto; sì nel dir gli piacqui • 

I L'Apmtolico lamei 



/ 



34S 

CANTO VENTESIMOQUINTO. 



AlGOMXKTO 

L'Apoii^o 5i Iacopo esaminm U Poiim intomo Im oinù 
dellm SperansUf proponendogli vmrf quesiii, m' quali 
esso risponde • Dante poi ritrova S, Giovanni, U quale 
nuuUf estagli ^ che la sua salma morendo era rimasta 
in terra, e che solamente Gesé Cristo e Maria Ver- 
gine erano coi loro corpi in Cielo. 



oe mai continga , che 1 poema sacro. 
Al quale ha posto mano e Cielo e Terra, 
Sì che m^ha fatto per più anni macro. 

Vinca la crudeltà, che fuor mi serra 
Del bello ovile, ov'io dormi* agnello 
Nimico a' lupi , che gli danno guerra ; 

Con altra voce ornai, con altro vello 
Ritornerò poeta , et in sul fonte 
Del mio battesmo prenderò '1 cappello: 

Perocché nella Fede, che fa conte io 

L* anime a Dio, quiv* entra' io , e poi 
Pietro per lei si mi girò la fronte . 



344 I>£I' PARADISO 

Indi ti mosse on Ionie verao noi 

Di qoella schiera, ond'oscì la primizia. 
Che lasciò Cristo de' vicarj suoi • 

E la mia donna piena di letizia 

Mi disse: Mira, mira; ecco 1 Barone, 
Per coi laggiù ai visita Galiùa\ 

Sì come <{oando ^1 colombo si pone^ 
Presso al compagno, rono e Faltro pande, ac 
Girando e mormwando , T aflfeùone ; 

Cosi vidUo r un* daU^ altro grand» 
Principe glorioso essere accolto. 
Laudando il cibo, che lassù si prandcr. 

Ma poi che 1 gratular si fu assolto. 
Tacito > coram me ciascun s* affisse 
Ignito sì, che vìnceva '1 mio^ votCC. 

Ridendo allora Beatrice disse : 
Inclita vita , per coi V allegrezza 
Della nostra Basilica si scrisse, 3o 

Fa* risonar la speme' in questa altezza: 
Tu sai, che tante * volte la figuri. 
Quanto lesù a* tre fé* più chiarezza* 

Leva la testa , e fa' che t* assicuri , 

Che ciò, che vien quassù dal mortai mondo, 
Convien eh* a* nostri raggi si maturi. 

1 €ontru me a fiatt ralCgari, 



CANTO XXV. 345 

Questo conforto^ del f ao(e<»' sWMdo^ 
Mi venne; ond^io levai gfi of^cbi armenti. 
Che gr incnrvaron pria col troppo pondo • 

Poiché per grazia vuol , che tut^affronti , 4-0 
Lo nostro Imperadore, ansi là' morte', 
Neir aula più segreta co* sooi CoQti 9 

Sì che, vedoto '1 ver di gtiésta Corte^ 
La speme, cbe laggiù beile- innacEiora » 
In te et in altrui di ci6 conforte'. 

Di* quel che eUf* è, e come se- ne 'nfiora 
La mente toa-, e dì* onde a te* venne : 
Così segalo U secondo lume an<cora * 

£ quella pia, che guidò le penne' 

Delle mie ali a così ateo volo j^ So 

Alla risposta coA mi prevenne: 

La Chiesa militante alcun figlinolo 

Non ha con più speran2a/com' è' scritto 
Nel Sol, che raggia tutto nostro stuolo. 

Però gli è conceduto, che d* Egitto 
Vegna in Gerusalemme per vedere , 
Anzi che 1 militar gli- sia prescrìtto • 

Gli altri duo punti , che non per sapere 
Son dimandati , ma perch* ei rappòrti , 
Quanto questa virtù t* è^ in piacere, 60 



S46 DEL PARADISO 

A lai la9c*io, che non gli saran forti. 
Né di iattanaùa; et egli a ciò risponda: 
E la grazia di Dio ciò gli comporti. 

Come discente, eh* a dottor seconda 

Pronto e libente in quel, ch'egli è esperto. 
Perchè la soa bontà si disascoada. 

Speme dissMo, è nno attender certo 
Ddla gloria futura , il qual produce 
Grazia divina e precedente mtrto. 

Da molte stelle mi vien qnesta luce: 70 
Ma quei la distillò nel mìo cor pria. 
Che fìi sommo cantor del sommo Duce • 

Sperino in te, nella sua Teodia , 
Dice, color, che sanno 1 nome tuo: 
E chi noi sa, s'egli ha k Fede mia? 

Tu mi stillasti con lo stillar suo 

Nella pistola poi, sì eh* io son pieno. 
Et in altrui vostra pioggia repluo. 

Mentre io diceva , dentro al vivo seno 
Di quello 'ncendio tremolava un lampo 80 
Subito e spesso a guisa di baleno; 

Indi spirò: L'amore, ond'io avvampo 
Ancor ver la virtù, che mi se^uette 
Infin la palma, et all'uscir del campo» 



CANTO XXV. 347 

Tool eh' io respiri a te » che ti dilette ' 
Di lei; ' et emmi a grato, che tu diche 
Quello, che la speranza ti promette. 

Et io: Le nuove e le Scritture. antiche 
Pongono '1 segno, et esso lo m* addita. 
Dell'anime, che Dio s'ha fatte amiche, yo 

Dice Isaia, che ciascuna vestita 
Nella sua terra fia di doppia vesta; 
E la sua terra è questa dolce vita • 

E 1 tuo fratello assai vie più digesta 
lii , dove tratta delle bianche stole , 
Questa rìvelazion ci manifesta. 

E prima , e presso 1 fin d*este parole 
Sperent in te disopra noi s*udi, 
A che risposer tutte le carole : 

Poscia tra esse un lume si schiarì, 100 

Sì che, se U Cancro avesse nn tal cristallo , 
Il verno avrebbe un mese d' un sol dì . 

£ come surge, e va, et entra in ballo 
Velane lieta, sol per fare onore 
Alla novizia, non per alcun fallo; 

Così vìdMo lo schiarato splendore 

Venire a' due, che si volgeano a ruota, 
Qual conveniasi al loro ardente amore ^ 

I et esimi a grado, 



34« DEL PARADISO 

Misen U nel canto e nella nota; 

ElamiadoMM^ìAler.ttnoeraspBttOi no 

Por come sposa» tacita et umnota. 

Questi è colai, che giaeque sopra 'l petto 
Del nostro Pellicano* e questi fue 
Di s« la Crocea! grande uficio eletM. 

La donna mia così) né però piue 
Mosse là vista soa di stare attenu 
Poscia» che prima alle parcde sue. 

Quale è cokii, ch^ adocchia , e sr* sgomenta 
Di vedere eclissar lo Sole un poco , 
Che per veder» non vedente diventa ; 1 2© 

Tal mi fee* io a queir idtimo fuoco » 
Mentrecbfe detto fu : Perchè^ t' abbagli 
Per veder cosa, che qui «non ha loco? 

In Terra è terrà U mio cdrpo, e saragli 
Tanto con ^ akri, che '1 numero nostro 
Con r etemo proposito s^ agguagli • 

Con le duo stole ntì beato chiostro 
Son le dtto luci sole, cbe salirò : 
E questo apporterai nel mondo vostro. 

A questa voce lo 'nfìammato giro i3o 

Si quietò con esso *1 doke mischio , 
Che si faeea*del «noin nel trino spiro; 



CANTO XZT. 



^49 



Si come, per cessar fatica a rischio. 
Gli remi pria nell'acqua ripercossi 
Tatti si posano ai sonar d' un fischio • 

Ahi quanto nella mente mi commossi. 
Quando mi voki per veder Beatrice, 
Per non poter vederla, bench'io fiossi 

Presso di lei, e nel mondo felice! 



3Si 

CANTO VENTESIMOSESTO. 



AlGOMBNTO 

V Apostolo S, Ciavanni esamina U Poeta intomo /« virtù 
della Carità, e gli propone alcuni quesiti , a cui dopo 
aver egli pienamente risposto, i Beati cantarono il di» 
vino Trisagio. Dante poi scorge t anima del padre 
Adamo, il quale gh racconta il tempo della sua fé» 
licita ed infelicità. 



JVlentr' io dubbiava per lo viso spento. 
Della fulgida fiamma, che lo spense^ 
Uscì un spiro , che mi fece attento» 

Dicendo: In tanto che tu ti risense 
Della vista, che hai in me consunta. 
Ben è che ragionando la compense. 

Comincia dunque, e di' ove s^ appunta 
L'anima tua; e fa' ragion che sia 
La vista in te smarrita e non defunta; 

Perchè la donna, che per questa dia io 
Region ti conduce, ha nello sguardo 
La virtù, ch'ebbe la ma» d* Anania. 



S6a DEL PARADISO 

Io dim : Al suo piacere e tosto, e tardo 
Veglia rimedio agli occhi, che far porte, 
Quand^ella entrò col fuoco, ondMo sempre 

Lo ben , che fa contenta questa CSorte, (ardo. 
Alfa et Omega è di quanta scrittura 
Mi legge amore o lievemente, o forte. 

Quella medesma voce, che paura 

Tolta m'avea del subito abbarbi^lio» 2 e 
Di ra^ooare ancor mi mise in cura; 

E disse : Certo a più angusto Taglio 
Ti conviene schiarar : dicer convienti 
Chi drizzò V arco tuo a tal bersaglio • 

Et io: Per filospfici argomenti, 
E per autorità, che quinci scende» 
Cotale amor convìen che *n me s^ imprenti ; 

Che U bene, in quanto ben, come s* intende. 
Così accende amore , e tanto maggio 9 
Quanto più di bontate in se comprende. 3o 

Dunque all'essenxia , ov* è tanto avvantaggio. 
Che ciascun ben» che fuor di lei si truova» 
Altro non è che di suo lume un raggio. 

Più che in altro < convien che si muova 
La mente, amando, di ciascun che cerne 
Lo vero, in che si fonda questa pruova . 

t coovieBi» «he ti rauora 



CANTO XXYL 3S3 

Tal vero allo intelletto mio sterne * 
Colui , che mi dimostra '1 primo amore 
Di tutte le sustanzie sempiterne. 

S temei la voce del verace Autore» 40 

Che dice a Moisè di se parlando: 
Io ti farò vedere ogni valore. 

Sternilmi tu ancora incominciando 
L^alto preconio, che grida T arcano 
Di qui laggiù sovra ad ogni < alto bando. 

Et io adi*: Per intelletto umano , 
£ per autòritade a lui concorde 
De' tuoi amori a Dio guarda *1 sovrano. 

Ma di* ancor, se tu senti altre corde 

Tirarti verso lui, sì che tu suone So 

Con quanti denti questo amor ti morde • 

Non fu latente la santa intenzione 
Dell*aguglia di ("risto, anzi m* accorsi 
Ove menar volea mia professione; 

Però ricominciai: Tutti quei morsi , 
Che posson far lo cuor volgere a Dio » 
Alla mia ca ritate son concorsi ; 

Che Tessere del mondo, e Tesser mio» 
La morte, ch*el sostenne» perch* io viva, 
£ quel, che spera ogni fedel, com' io, 60 

I altro bando. 

Dante T.U. a3 



3S4 S£t TAKkmSO 

Con la predetta conoscema Ti^a 

Trauo m^ hanno dei mar dril^amor torto, 
£ del diritto m* ban posto alla riva . 

Le fronde 9 onde s^ infronda tatto Porto 
Dell* ortolano eterno, am* io cotanto. 
Quanto da lai a lor di bene è porto. 

Si com' io tacqui, nn dolcissimo canto 
Risonò per lo Cielo, e la mia dcmna 
Dicea con gli altri: Santo, Santo, Santo. 

£ come al lume acato si ' disonna 70 

Per lo spirto visivo, che ricorre 
Allo splendor, che va di gonna in gonna , 

£ lo svegliato ciò che vede abborre; 
Si nescia è la sua subita vigilia , 
Fin che la stimativa noi soccorre ; 

Così degli occhi miei ogni qoiiquilia 
Fugò Beatrice col raggio de' suoi ^ 
Che rifulgeva più di mille milia : 

Onde mecche dinanzi vidi poi, 
£ quasi stupefatto dimandai 80 

D*un quarto lume, cVio vidi ^ con noi. 

£ la mia donna: Dentro da quei rai 
Vagheggia il suo fattor l'anima prima. 
Che la prima virtù creasse mai • 

I 4iitonna a tra noi. 






CANTO XXTL SSS 

Come h fronda, che flette la cima 
Nel transito del vento, e poi ti leva 
Per la propria Tirtù, che la sublima. 

Feerie in tanto, in quanto ella diceva. 
Stupendo, e poi mi rifece sicuro 
Un <jlisio di parlare, ondMo ardeva; 90 

E cominciai; O pomo, che maturo 
Solo prodotto fosti, o padre antico, 
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro, 

Devoto quanto posso a te supplico» 
Perchè mi parli: tu vedi mia voglia^ 
£, per udirti tosto, non la dico. 

Tal volta un animai coverto broglia , ' 
Si che Taflfetto convien che si paia. 
Per lo seguir, che £sice a lui la *nvoglia; 

E similmente T anima primaia 100 

Mi facea traspater per la coverta 
Quant'ella a compiacermi venia gaia. 

Indi spirò : Sani;' essermi profferta 
Da te la voglia tua , diacemo meglio 
Che tu , qualunque cosa t* è più certa , 

Perch' io la veggio nel verace speglio, 
Che fa di se pareglio all'altre cose, 
£ nulla face lui di se pareglio. 



\ 



3S6 DEL PARADISO 



/ 



Ta vuoi udir quant'è che Dio mi pose 
Neil* eccelso giardino , ove costei 1 1 o 
A così lunga scala ti dispose ; 

E quanto fu diletto agli occhi miei , 
£ la propria cagion del gran disdegno» 
E Tidioma, ch^usai» e eh* io fei. 

Or, figliuol mio, non il gustar del legno * 
Fu per se la cagion di tanto esilio » ' 
Ma solamente il trapassar del segno. 

Quindi , onde mosse tua donna Virgilio» 
Quattromila trecento e duo volumi 
Di Sol desiderai questo concilio: lao 

£ vidi lui tornare a tutti i lumi 
Della sua strada novecento trenta 
Fiate, mentre, eh* io in terra fuqii. 

La lingua, eh* io parlai, fu tutta spenta 
Innanzi che airovra inconsumabile 
Fosse la gente di Nembrotte attenta; 

Che nullo affetto mai razionabile 
Per lo piacere uman» che rinnovella 
Seguendo '1 Cielo, sempre fu durabile. 

Opera naturale è, ch*uom favella: i3o 

Ma cosi o così » natura lascia 
Poi fare a voi » secondo che v' abbella . 



CANTO XXTL SS7 

Pria eh* io scendessi alla infernale ambascia , 
Un scappellava in terra il sommo Bene, 
Onde vien la letizia , che nii fascia • 

Eli si chiamò poi ; e ciò conviene ; 
Che Toso de' mortali è còme fronda 
In ramo» che sen va, et altra viene. 

Nel monte, che si leva più dall'onda, 
FuMo con vita pura e disonesta 140 

Dalla prim* ora a quella, eh* è seconda, 

CSome '1 Sol muta quadra, alFora sesta. 



■»i 



359 

CANTO VENTESIMOSETTIMO. 



At^OMtlTTO H^ 



t 

S. Pietro «nMHi dUMÌÉiu$ xeto ripretuiÉ altam^ntt i 
€€ttÌ9Ì Pmstori: dopo eia i Sioui ìevandasi ìm Wro 
diipmrven, e Dante séti «//« nonm tferm con Bemtri^ 
ce,, dm cui gli fu dimostratn U natura e proprietà 
di f melt altissimo deh. 



A.1 Padre» al Figlio , allo Spinta Santo 
Cominciò gloria tutto U Paradiso , 
Sì che m'innebbriava il dolce canto. 

Ciò 9 eh* io vedeva, mi sembrava un rìso 
Dell* universo ; per che mia ebbrezza 
Entrava per T udire e per lo viso. 

O gioia! o ineffabile allegrezza I 
O vita intera d* amore e di pace ! 
O sanza brama sicura ricchezza ! 

Dinanzi agli occhi miei le quattro face io 
Stavano accese, e quella, che pria venne, 
Incominciò a farai più vivace; 



36o DEL PARADISO 

E tal nella sembianza sua divenne , 
Qual diverrebbe Giove , s* egli e Marte 
Fossero augelli, e cambiassersi penne. 

^ La provedenza, che quivi comparte 
Vice et uficio » nel beato coro 
Silenzio posto avèa da ogni parte» 

Quand^io udi^; Se io mi trascoloro. 

Non ti maravigliar; che, dicendMo, ao 
Vedrai trascolorar tutti costoro . 

Quegli, ch^ usurpa in terra il luogo mio» 
Il luogo mio , il luogo mio , che vaca 
Nella presenza del Figliuol di Dio , 

Fatto ha del cimiterìo mio cloaca 

Del sangue e della puzza, ondeU perverso. 
Che cadde di quassù , bggiù si placa • 

Di quel color , che. per lo Sole avverso . 
Nube dipinge da sera e da mane , 
Yid^ io allora tutto U Ciel cosperso • 3o 

£ come donna onesta , che permane 
Di se sicura, e per T altrui fallanza 
Pure ascoltando timida si fiane; . 

Così Beatrice trasmutò sembianza : 
Ertale eclissi credo che *n Ciel fue. 
Quando pati la suprema Possanza . 

1 La ProTid«iisa^ 



CANTO XXVIL 36i 

Pòi procedetter le parole sue 

Con voce tanto da se < transmutata » 
Che la sembianza non ^i. mutò piue: 

Non fu la Sposa di Cristo allevata 40 

Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, 
Per essere ad acquisto d^oro usata: 

Ma per acquisto d*esto viver lieto 
E Sisto, e Pio ^ Calisto, et Urbano 
Sparser lo sangue dopo molto fleto. 

Non fu nostra *ntenzion , eh* a destra mano 
De* nostri successor parte sedesse , 
Parte dalP altra del popol Cristiano; 

Ne che le chiavi, che mi fur concesse, 
Divenisser segnacolo in vessillo , So 

Che contra i battezzati combattesse; 

Ne eh* io fossi figura di sigillo 
A privilegi venduti e mendaci, 
Ond*io sovente arrosso e disfairillo . 

In vesta di pastor lupi rapaci 

Si veggion di quassù per tutti i paschi . 
O difesa di Dio, perchè pur giaci! 

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi 
S*apparecchian di bere • O buon principiò , 
A che vii fine convien che tu caschi ! 6q 



36» DEL FA&ADISO 



Ma falu proTideoza» che cob Scipio 
Difine s Roma la gloria axA mondo» 
Soccorra tosto, ti compio coocipio: 

£ tu, figliiiolt che per lo mortai pondo 
Ancor giù tornerai, aprì la bocca, 
E non nasconder qoel, eh" io non nascondo. 

Sì come di vapor gelati fiocca 

In gioso Taer nostro, qoando 1 corno 
Della Capra del CUL col Sol si tocca; 

In sn vid*io con Tetere adorno 70 

Farri, e fioccar di vapor trionfimti^ 
' Che fiitto svèn con noi qoivi soggiOTno. 

Lo viso mio segmva i sno^ sembianti, 
E segni fin che '1 mezzo per lo molto 
Gli tolse U trapassar del più avanci: 

Onde la donna, che mi vide asciolto 
Dell'attendere in sn, mi disse: Adima 
U viso, e guarda come tn se* volto. 

Dairora, chMo avea guardato prìma, 
Tvidi mosso me per tutto l'arco, 80 
Che fa dal mezzo al fine il primo clima ; 

Si eh* io vedea di là da Cade il varco 
Folle d'Ulisse, e di qua presso il li to, 
Nel qual si fece Europa dolce carco : 

I Che fatto avoan. 



CAUTO XtTIt 363 

E più mi Hum dìfloowito il tita 
Di qmuu aiMla ; ma ì Sol praeedea 
Sotto i miei piedi im segno e più partito «. 

La mente inaamwata, che donnea 
CSon la mia donna sempre » £ ridine 
Ad està gli occhi piò che mai ardea. 90 

£ se natura, o arte fe'pasture 

Da pigliar occhi per aver la mente» 
In carne nmana» o nelle sue jMntnre, 

Tutte adunate parrebber niente 
Ver lo piacer divin» che mi rìftike , 
Quando mi volsi al suo viso ridente. 

£ la virtù, che lo sguardo m^ indulse. 

Del bel nido di Ijcda mi divelse, 

. £ nd Giet velocissimo m'impulse* 

Le parti sue vivissime et eccelse 1 00 

Si uniformi son , ch^ io non so dire 
Qual Beatrice per luogo mi scelse. 

Ma ella , che vedeva U mio disire , 
Incominciò ridendo tanto lieta, 
C!he Dio parea nel suo volto gioire : 

La natura del moto, che quieta 

Il mezzo, e tutto T altro intomo muove. 
Quinci comincia, coma da sua meta. 



364 ^^^ PARADISO 

E questo Cielo non ha altro dove» 

Che la mente divina ^ in che s^accende no 
L'amor, che 'l volge, e la virtù, ch^ei piove. 

Lnce et amor d' un cerchio lui comprende , 
Si come questo gli altri, e quel precinto 
Colui, che '1 cinge, solamente intende. 

Non è suo moto per altro distinto; 
Ma gli altri son misurati da questo, 
SI come diece da mezzo e da quinto • 

fi come '1 tempo tenga in cotal testo 
Le sue radici, e negli altri le fronde, 
Omai a te puot* esser manifesto. iso 

O cupidigia, che i mortali affondo 
Si sotto te, che nessuno ha podere 
Di litrar gli occhi fuor delle tu* onde ! 

Ben fiorisce n^li uomini U volere ; 
Ma la pioggia continua converte 
In boxauicchioni le susine vere • 

Fede et innocenzia son reperte 
Solo ne' pargoletti : poi ciascuna 
Pria fugge, che le guance sien coperte. 

Tale balbuziendo ancor digiuna, . t3o 
Che poi divora con la lingua sciolta 
Qualunque cibo per qualunque luna : 



CANTO XXYII. 365 

£ tal balbuziendo ama, et ascolta 
La madre sua^ che con loquela intera 
Disia poi di vederla sepolta. 

Così si fa ÌBf pelle bianca nera 

Nel primo aspetto della bella figlia 

Di quei, eh* apporta mane, e lascia sera. 

Tu , perchè non ti facci maraviglia , 

Pensa che 'n terra non è chi governi, 1 40 
Onde si svia F umana famiglia • 

Ma prima che Gennaio tutto sverni , 
Per la centesroa, eh' è laggiù negletta, 
Ruggeran si questi cerchi superni, 

CShe la fortuna, che tanto s'aspetta. 
Le poppe volgerà u^son le prore. 
Sì che la classe correrà diretta : 

£ vero frutto verrà dopo U fiore. 



367 

CANTO VENTESIMOTTAVO. 



Argomento 

Dice il PoeiM che vide un punto ttutitmte acutissima 
luce 9 m cui €t intèrno aggimvansi naoe cncki; ed erm 
Dio stante nel menstc dei nave cori degli Angeli: indi 
Beatrice gli spiega come i cerchi di fuel mondo in* 
telligihile corrispondano alle sfere del mondo sensi* 
hile^ e segue poi a ragionargli deUo Angeluhe g$m 
tarchiem 

ir oecìa che ^ncontro alla vita presente 
De^ miseri moitali apwse *1 vero 
Quella » che ^mparadisa la mia mente ; 

Come in ispecchio fiamma di doppiero 
Vede colui 9 che se n*allama dietro» 
Prima che Tabbia in vista » od in pennero» 

£ se rivolve , per veder se *1 vetro 
Li dice U vero» e vede ch'el s'accorda 
Con esso, come nota con soo metro; 

Così la mia memoria si ricorda, io 

ChMo feci riguardando ne* begli occhi. 
Onde a pigliarmi fece Amor la corda : 



363 DEL PARADISO 

E com' io Oli rivolsi, e furon tocchi 

Li anfii da ciò, che pare in ({nel Yoliniie» 
Quandunque nel suo giro ben s'adocchi. 

Un punto vidi, che raggiava lume 
Acuto sì, che '1 viso, ch^egU affuoca. 
Chiuder conviensi per lo forte acume. 

E quale stella par quinci più poca. 

Parrebbe Luna locata con esso , ao 

Come stella con stella si colloca. 

Forse cotanto, quanto pare appresso 
Allo cigner la luce , che *1 dipigne , 
Quando *1 vapor, che'l porta, più è spesso. 

Distante intorno al punto un cerchio d^ igne 
Si girava si ratto, ch*avrìa vinto 
Quel moto , che più tosto il mondo eigne : 

E questo era d^ un ahro circuncinto , 

£ quel dal terzo, e 1 terzo poi dai quarto. 
Dal quinto U quarto, e poi dal sesto il quinto . 

Sovra ' seguiva 1 settimo si sparto * ( 3o 
Già di larghezza , che U messo di Inno 
Intero a contenerlo sarebbe arto. 

Cosi r ottavo , e U nono ; e ciascheduno 
Più tardo si movea , secondo eh* era 
In numero distante più dall^ uno : 

I ten giTA 



CANTO ZXYIIL 369 

£ quello avea la fiamma più sincera. 
Cui men distava la favilla pura. 

Credo, ' perocc\iè più di lei s'invera. 
La donna mia, che mi vedeva in cura 40 

Forte sospeso, disse: Da quel punto 
^ Depende il Cielo , e tutta la Natura . 
Mira quel cerchio, che più gli è congiunto, 

E sappi, che '1 suo muovere è sì tosto 

Per l'affocato amore, ond'egli è punto. 
Et io a lei: Se U mondo fosse posto 

Con Tordine , ch^ io veggio in quelle ruote. 

Sazio m'avrebbe ciò, che m'è proposto: 
Ma nel mondo sensibile si puote 

Veder le volte tanto più divine, 5o 

Quant'elle son dal centro più remote. 
Onde se '1 mio disio dee aver fine 

In questo miro et angelico tempio. 

Che sqIo amore e luce ha per confine. 
Udir conviemmi ancor, s come l'esemplo 

E r esemplare non vanno d* un modo ; 

Che io per me indarno a ciò contemplo. 
Se li tuoi diti non sono a tal nodo 

Sufficienti, non è maraviglia. 

Tanto per non tentare è fatto sodo. 60 

I però che pl& % Dipenda 3 perchè retempto 
Dante T.IT. «4 



570- DEL PARADISO 

Così la donna mia; poi disse: Piglia 
Qaelt ch'io ti dicerò, se vnoi ' sasùaiti» 
Et intorno da esso t* assottiglia . 

Li cerchi corporai sbno ampi et arti , 
Secondo '1 più e *I men della virtate . 
Che si distende per tutte lor parti. 

Maggior bontà vuol far maggior salute : 
Maggior salute maggior corpo cape. 
S'egli ha le parti ugualmente compiute. 

Dunque costui , che tutto quanto rape 7a 
L'alto Universo seco, corrisponde 

m 

Al cerchio , che più ama , e che più sape • 

Per che se tu alla virtù circonde 
La tua misura , non alla parvenza 
DeUe sustanzie, che t'appaion tonde » 

Tu vederai mirabil convenenza ' 

Di maggio a più , e di minore a meno 
In ciascun Cielo a sua Intelligenza. 

Come rimane splendido e sereno 

L'emisperio dell'aere, quando soffia 8c 
Borea da quella guància, ond'è più leno. 

Perchè si purga , e risolve la roffia , 

Che pria turbava, si che '1 Ciel ne ride. 
Con le bellezze d' ogni sua parroffia ; 

■' « « ■ 

f tcienziartiy 



CANTO ZXVIIL fji 

Cosi fee* io; poi che mi provvide 
Iia donna mia dei suo risponder chiaro » 
E come stella in Cielo il ver si vide. 

E poi che le parole sue * restaro» 
Non altrimenti ferro disfavilla » 
Che bolle, come i cerchi sfaviUaro. 90 

Lo *ncendio lor seguiva ogni scintilla : 
Et eran tante, che *1 numero loro. 
Più che *1 doppiar degli scacchi , s^ immilla . 

Io sentiva osannar di coro in coro 
Al punto fisso, che gli tiene àffabi^ 
E terrà sempre , nel qual sempre foro; 

E quella , che vedeva i pensier dubi 
Nella mia mente disse : I cerchi primi 
T* hanno mostrato i Serafi e i Cherubi «1 
Così veloci seguono 1 suoi vimi , 1 00 

Per simigliarsi al punto quanto ponno, 
E posson quanto aVfder son sublimi. 
Quegli altri Amor, che dintorno gli vonno. 
Si chiaman Troni del divino aspetto , 
Perche U primo ternaro terminonno. 
E dei saver, che tutti hanno diletto 
Quanto la sua veduta si profonda 
Nel vero, in che^i queta ogn' intelletto. 

I ristarò y 



3j% DSL PARADISO 

Quinci si paò veder come si fonda 

L'esser beato nell'atto, che vede, no 
Non in quel ch'ama, che poscia seconda: 

£ del vedere. è misura mercede. 

Che grazia partorisce, e buona voglia: 
Così .di grado in grado si procede • 

L'altro ternaro, che così germoglia 
In questa primavera sempiterna. 
Che notturno Ariete non disp(^lia , 

Perpetualemente Osanna sverna 

Con tre melode, che suonano in. tree 
Ordini di letizia, onde s* interna. lao 

In essa gerarchia son le tre Dee , 
Prima Dominazioni , e poi Virtudi : 
L'ordine terzo di Podestadi ee. 

Poscia ne^ duo penultimi tripudi 
Principati et Arcangeli si girano: 
L'ultimo è tutto d'Angelici ludi. 

Questi ordini di su tutti rimirano, 
£ di giù yincon sì, che verso Dio 
Tutti tirati sono, e tutti tirano. 

£ Dionisio con tanto disio i3o 

A contemplar questi ordini si mise» 
Che li nomò, e distinse» com' io. 



CANTO XXYIIL S7S 

Ma Gregorio da lui poi si divise : 
Onde si tosto, come gli occhi aperse 
In questo Ciel» di se medesmo rise. 

E se tanto segreto ver profferse 

Mortak in terra » non voglio ch^ammiri; 
Che chi 'ì vide quassù glie! discoverse 

Con altro assai del ver di questi giri. 






Its 
CANTO VENTESIMONONO 



r 



Argomento 

Bemtri€€ a Dmnte discorre imorno la ertazionu degli 
Angeli: quindi si fa a riprender i Predicatori, che 
iraecurando il Vengelo predicano se stesti^ ed usano 
scherzi disconvenevoli alla santità del loro Aposto* 
lieo ministero. Seguita poi a favellar delle sostanze 
Angeliche* 



N^uando ambodao li figli di Latona 
Coverti del Montone e della Libra 
Fanno dell* orizzonte insieme zona , 

Quant^è dal punto, che '1 zenit inlibra» 
Infiii.che Tuno e T altro da quel cinto» 
Cambiando Temisperio» si dilibra» 

Tanto col volto di rìso dipinto 
Si tacque Beatrice , riguardando 
Fisso nel punto» che m'aveva vinto. 

Poi cominciò: Io dico, non dimando io 
Quel, che tu vuoi udir, perch'io Tho visto 
Ove s'appunta ogni ubi et ogni quando. 



y 



S;« BEL FAEADISO 

Non per aTere a se di bene accjoisto, 
Ch^esaer non poò, ma perchè sao splendore 
Potesse rìsplendendo dir Subsisto, 

In soa eternità di tempo fbore, (<iac» 

Fuor d^ogni altro comprender, com^ei piac- 
S'aperse in nuovi Amor T etemo Amore. 

Ne prima quasi torpente si giacque ; 

Che ne prima , né poscia procedette ao 
Lo discorrer di Dio sovra quest* acque. 

Forma, e materia congiunte e purette 
Uscirò ad atto, che non avea fallo. 
Come d'arco tricorde tre saette: 

E come in vetro, in ambra, od in cristallo 
Bag(»io risplende si, che dal venire 
All'esser tutto non è intervallo; 

Così '1 triforme effetto dal suo sire 
Neir esser suo ra^ò insieme tutto 
Sanxa distinzion neU' esordire. 3o 

Concreato fu ordine, e costrutto 
Alle sustanzie, e quelle fur on cima 
Nel mondo, in che puro atto fu produtto. 
Pura potenzia tenne la parte ima : 
Nel mezzo strìnse potenzia con atto 
Tal vime, che giammai non si divima. 



CANTO XXIX. - 377 

leronimo vi scrisse lungo tratto 
Be' secoli degli Angeli creati 9 
Anzi che V altro mondo fosse fatto • 

Ma questo vero è scrìtto in molti lati 40 
Dagli Scrìttor dello Spirito Santo: 
E tu lo Tederai , se ben ne guati : 

£ anche la ragion lo vede alquanto » 
Che non concederebbe che i motorì 
Sanza sua perfe2lon fosser cotanto. 

0/ sai tu dove» e quando questi Amori 
Furon creati » e come ; sì che spenti 
Nel tuo disio già son tre ardori. 

Né giugneriesi numerando al venti 

Sì tosto, come degli Angeli parte So 
Turbò ^1 suggetto de^ vostri alimenti • 
L'altra rimase, e cominciò quest'arte, 
Che tu discerni, con tanto diletto. 
Che mai da circuir non si diparte. 

Principio del cader fu il maladetto 
Superbir di colui ^ che tu vedesti 
Da tutti i pesi del mondo costretto. 

Quelli, che vedi qui, furon modesti 

A riconoscer se della bontate, 
' Che gli avea fatti a tantointender presti : 60 



37» l>BL PARADISO 

Per che le viste lor faro esaltate 

Con grazia ilinmiBante, e eoa lor merto. 
Si ch^haono jneoa e fenoa Yolootate. 

E aoa voglio che dobbi, ma de certo. 
Che ricever la grazia è oierìtoro, 
Secoodo che l'affetto gli è aperto. 

Ornai diatomo a questo coosistoro 
Paoi cootemplare assai , se le parole 
Mie soa ricoke, seoz* altro aiutoro. 

Ma perchè *a terra per le vostre scuole ^^ 
Si l^;ge , che T Aogelica oatora 
È tal, che 'otende, e si ricorda, e vooto; 

Ancor dirò, perchè tu veggi para 
La verità, che la^à si confoade. 
Equivocando in si fatta lettura. 

Queste sustanzie , poi che fur gioconde 
Della faccia di Dio, non volser viso 
Da essa, da cui nulla si nasconde : 

Però non hanno vedere interciso 

« 

Da nuovo obbietto, e però non bisogna So 
Rimemorar per concetto diviso. 
Sì che laggiù non dormendo si sogna , 
Credendo e non credendo dicer vero : 
Ma nell'uno è più colpa e più ve^ogna. 



CAUTO XXIX. 979 

Voi non andate giù per un sentiero» 
Filosofando : tanto vi trasporta 
L^amor dell' apparenza » e U sno pensiero* 

Et ancor qaesto quassù si comporta 

Qoo men disdegno, che quando è posposta 
La divina Scrittura, e quando è torta • 90 

Non vi si pensa quanto sangue costa 
Seminarla nel mondo , e quanto piace 
C!hi umilmente con essa s'accosta. 

I*er apparer ciascun s* ingegna , e fkce 
Sne invenzioni, e quelle son trascorse 
Da* predicanti, e 'i Vangelio si tace. 

Un dice , che la Luna si ritorse 
Nella passion di Cristo ^ e iMnterpose, 
Per che '1 lume del Sol giù non sì porse ; 

St altri, che la luce si nascose loc 

Da se ; però agi* Ispani et agl'hindi , 
Com* a^ Giudei, tale eclissi rispose. 

Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, 
Quante sì fatte favole per anno 
In pergamo si grìdan quinci e quindi; 

Sì che le pecorelle, che non sanno, 
Tornan dal pa^co pasciute di vento » 
£ non le scusa non veder lor danno. 



38o DSL PARADISO 

• I. 

Non disse Cristo al suo primo Cooyento; 
Andate^ e predicate al mondo ciance» no 
Ma diede lor verace fondamento. 

£ ^el tanto sonò nelle sue guance; 
Si eh'' a pugnar , per accender la Fede » 
Deir Evangelio fero scudi e lance . 

Ora si va con motti, e con iscede, 
A predicare, e pur che ben si rida • 
Gk>n6a il cappuccio, e più non si richiede. 

Ma tale ticcel nel becchetto s^ annida , 
Che se 'l vólgo il vedesse , vederebbe 
La perdonanza, di che si confida, ' lao 

Per cui tanta stoltezza in terra crebbe , 
Che sanza pruova d' alcun testimonio 
Ad ogni promession si convei'rebbel 

Di questo 'ngrassa U porco santo Antonio, 
Et altri assai, che son pe^o che porci. 
Pagando di moneta sanza conio • 

Ma perchè sem digressi assai, ritorci 
Gli occhi oramai verso la dritta strada t 
Sì che la via col tempo si raccorci • 

Questa Natura si oltre s^ ingrada 1 3o 

In numero , che mai non fu loquela , * 
Né concetto mortai, che canto vada. 



CANTO XXIX. 381 

E se tu guardi quel » che si rivela 

Per Daniel, vedrai che *n sue migliaia 
Determiaato numero si cela • 

La prima luce , che tutta la raia , 
Per tanti modi in «ssa si rìcepe 9 
Quanti son gli splendori, a che s* appaia. 

Onde, perocché all'atto, che concepe^ 
Segue r affetto , d* amor la dolcezza 1 40 
Diversamente in essa ferve e tepe. 

Vedi Teccelso ornai , e la larghetta 
Deir eterno valor , poscia che tanti 
Speculi fatti s'ha, in che si spezza , 

Uno manendo in se come davanti. 



38S 

CANTO TRENTESIMO. 



Argomento 

Dante sale eon Beairiee ài ct#/o Empino, ò9*ella adop* 
noui di sorprendenie ineffaUl helUzxa. Quivi il Pot" 
ia dopo unm misteriosa visione giunge a veder chiars^ 
mente il trionfo degli Afigeli e delle Anime éeate: 
gli 9Ìen poi dalla sua guida mostrata la mdtitudina 
degli Eletti, e tampiezxn della santa Città di Dia. 



Jr orse setnila miglia di lontano 
Ci ferve Torà sesta^ e questo mondo 
China già T ombra quasi al letto piano» 

Quando M mezzo del Cielo a noi profondo 
Comincia a farsi tal , che alcuna stella 
Perde *1 parere infino a questo fondo: 

£ come vien la chiarissima ancella 
Del Sol più oltre , così *1 Ciel si chiude 
Di vista in vista infino alla più bella : 

Non altrimenti "1 trionfo , che lude i o 

Sempre dintorno al punto, che mi vinse. 
Parendo inchiuso da quel, che egrinchiude. 



384 ^^^ PARADISO 

A poco a pòco al mio veder si stinse : 
Per che tornar con gli occhi a Beatrice 
Nulla vedere, et amor mi costrinse. 

Se quanto infino a qui di lei si dice 
Fosse conchiuso tutto in una loda » 
Poco sarebbe a fornir questa vice. 

La bellezza, ch'io vidi, si trasmoda 

Non pur di là da noi , ma certo io credo, ao 
Che solo il suo Fattor tutta la goda . 

Da questo passo vinto mi concedo 

Più che giammai da punto di suo tema 
Soprato fosse comico , o tragédo ; 

Che come Sole il viso, che più trema. 
Così lo rimembrar del dolce riso 
La mente mia da se medesma scema • 

Dal primo giorno , eh' io vidi '1 suo viso 
In questa vita infino a questa vista , 
Non hJ^l seguire al mio cantar preciso: 3o 

Ma or convien , che U mio seguir desista 
Più dietro a sua bellezza poetando. 
Come all^ ultimo suo ciascuno artista • 

Cotal, qualMo la lascio a maggior bando. 
Che quel della mia tuba , che deduce 
L'ardua sua materia terminando. 



CANTO XXX. 385 ] 

Con atto e voce di spedito duce 
Ricominciò: Noi semo asciti fuore 
Dei maggior corpo alCiei, ch^è pura luce. 
Luce intellettual piena d'amore, 40 

Amor di vero ben pten di letizia. 
Letizia, che trascende ogni dolzore. 
Qui vederai l'una e l'altra milizia 
Di Paradiso, e Tuna in quegli aspetti. 
Che tu vedrai all' ultima giustizia. 
Come subito lampo , che discetti 
Gli spiriti visivi, sì che priva 
Dell'atto rocchio di più forti obbietti; 
Cosi mi circonfulse luce viva , ' 

E lasciommi fasciato di tal velo So 

Del suo fulgor, €he nulla m* appariva. 
Sempre l'amor, che qneta questo Cielo, 
Accoglie in se così fatta salute 
Per far disposto a sua fiamma il candelo. 
Non fur più tosto dentro a me venate 
Queste parole brievi , eh' io compresi 
Me sormontar di sopra a mia virtute; 
E di novella vista mi raccesi 

Tale, che nulla luce è tanto mera. 

Che gli occhi miei non si fosser difesi : 60 

Dàittè t. il aS 



' 386 DEL PARADISO 

£ vidi lume in forma di riviera 
Fulvido di fulgore intra dao rive 
Dipinte di mirabil primavera • 

Pi tal fiumana uscian faville vive , 
È d^ogni parte si < metten ne' fiorì » 
Quasi rnbin, che oro circonscrive: 

Poi come inebriate dagli odori 
Rìprofondavan se nel miro gurge, 
E s'una entrava, un^ altra n* ascia fuori. 

L'alto disio, che mo tMnfiàmma et urge 70 
D^aver notizie di ciò, che tu vei. 
Tanto mi piace più , quanto più turge . 

Ma di quest^ acqua convien che tu bei. 
Prima che tanta sete in te si sazii : 
Così mi disse U Sol dé^li occhi miei. 

Anche soggiunse: Il fiume, e li topazii, 
Ch* entrano et escono, e U rider dell* erbe 
Son di lor vero ombriferi prefazii : 

Non che da se sien queste cose acerbe ; 
Ma è difetto dalla parte tua, 80 

Che non hai viste ancor tanto superbe. 

Non è fantin , che si subito rua 
Con volto verso il latte , se si svegli 
Molto tardato dall' usanza sua , 

I mettesn ne* fiori, 



CANTO XXZ. 387 

Come fee' io» per far migliori spegli 
Ancor degli occhi chinandomi all'onda» 
Che si deriva, perchè vi s*immegU« 
£ sì come di lei bevve la gronda 
Delle palpebre mie, così mi parve 
Di sua lunghezza divenuta tonda* 90 
Poi, come gente stata sotto larve. 
Che pare altro che prima, se si sveste 
La sembianza non sua, in che dbparve. 
Così mi si cambiaro in maggior feste 
Li fiori e le faville , si eh' io vidi 
Ambo le Corti del Ciel manifeste. 
O isplendor di Dio, per cu^io vidi 
L*alto trionfo del regno verace. 
Dammi virtù a dir com' io lo vidi. 
Lume è lassù, che visibile face 100 

Lo Creatore a quella creatura , 
Che solo in lui vedere ha la sua pace : 
£ si distende in circular figura 
In tanto , che la sua circonferenza 
Sarebbe al Sol troppo larga cintura. 
Fassi di raggio tutta sua parvenza 
Reflesso al sommp del mobile primo. 
Che prende quindi vivere e potenza • 



388 BEL PARADISO 

E come clivo in acqua di suo imo 

Si specchia quasi per vedersi adorno, i io 
Quanto è nel verde e ne* fioretti opimo; 

Si soprastando al lume intorno intorno 
Vidi specchiarsi in più di mille soglie. 
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno. 

E se r infimo grado in se raccoglie 
SI grande lume, quant*è la larghezza 
Di questa rosa nell'estreme foglie? 

La vista mia neir ampio e neir altezza 
Non si smarriva , ma tutto prendeva 
Il quanto, eU quale di quella allegrezza. 120 

Presso e lontano li né pon , né leva ; 
Che, dove Dio sanza mezzo governa» 
La legge naturai nulla rilieva. 

Nel giallo della rosa sempiterna , 
Che si dilata , rigrada , e ' ridole 
Odor di lode al Sol, che sempre verna, 

Quaf è colui , che tace e dicer vuole. 
Mi trasse Beatrice, e disse: Mira 
Quanto è U convento delle bianche stole! 

Vedi nostra Città quanto ella gira! i3o 

Vedi li nostri scanni si ripieni , 
Che poca gente ornai ci si dbira • 

1 redole 



CANTp XXX. Mo 

« 

In quel gran seggio , <a che tu gli occhi tieni 
Per la corona , che già v*è su posta , 
Primacbè tu a queste nozze ceni , 

Sederà Talma, che fìa giù Àgosta, 
Dell^alto Arr^o, eh* a drizzare Italia 
Verrà, inprima ch'ella sia disposta. 

La cieca cupidigia, che v* ammalia. 

Simili fatti v'ha al fantolino, 140 

C!he muor di fame e caccia via la balia: 

E fia Prefetto nel foro divino 
Allora tal, che palese e coverto 
Non anderà con lui per un cammino . 

Ma poco poi sarà da Dio sofferto 
Nel santo uficio; ch'el sarà detruso 
Là , dove Simon mago è per suo mertO:, 

E farà quel d* Alagna esser più giuso. 



391 

CANTO TRENTESIMOPRIMO. 



Argomento 

Osserva ti Poeta con also stupore la gloria ée^ felici Com^ 
prensori: indi rivolto a Beatrice assisa in suo trono 
le rende grazie de' sommi benefit da lei ottenuti . In 
fine per avviso di S. Bernardo riguarda la Regina del 
Cielo, la quale spargendo bellissimi splendori gioiva 
tra U feste ed i cantici degli Angeli. 



1 n forma dunque di candida rosa 
Mi si mostrava la milizia santa , 
Che nel suo sangue Cristo fece sposa . 

Ma P altra, che volando vede e canta 
La gloria di Colui, che la 'nnamora, 
E la bontà, che la fece cotanta. 

Si come schiera d' api , che s' infiora 
Una fiata , et una si ritorna 
Lày dove suo lavoro sMnsapora, 

Nel gran fior discendeva , che s'adorna i o 
Di tante foglie, e quindi risaliva 
Là, dove il suo amor sempre soggiorna , 



39a DEL PARADISO 

Le facce tutte < avèn di fiamma viva , 
E Pale d'oro, e T altro tanto bianco. 
Che nulla neve a quel termine arriva . 

Quando scendean nel fior di banco in banco , 
Porgevan della pace e dell'ardore, 
C Vegli acquistavan ventilando U fianco. 

Né lo 'nterporsi tra *1 disopra e '1 fiore 

Di tanta plenitudine volante 20 

Impediva la vista e lo splendore ; 

Che la luce divina è penetrante 

Per r universo, secondo ch'è degno. 
Si che nulla le puote essere ostante . 

Questo sicuro e gaudioso regno 

Frequente in gente antica et in novella 
Viso et amore avea tutto ad un segno . 

Trina luce, che in unica stella 
Scintillando 9 lor vista sì gli appngn , 
Guarda quaggiuso alla nostra procella. 3 e 

Se i Barbari venendo da tal plaga. 
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra 
Rotante col suo figlio , ond^elP è vaga , 

Veggendo Roma e V ardua su' opra 
Stupefacènsi , quando Laterano 
Alle cose mortali andò di sopra ; 

I are ali di fiamma 




CANTO XXXL 393 

Io, che al diTÌno dall^ umano. 
All' eterno dal tempo era renato , 
E di Fiorenza in popol giusto e sano , 

Di che stupor doveva esser compiuto ! 40 
Certo tra esso e M gaudio mi facea 
Libito non udire, e starmi muto. 

E quasi peregrin , che si ricrea 

Nel tempio del suo voto riguardando, 
E spera già ridir com* elio stea. 

Si per la viva luce passeggiando 
Menava io gli occhi per li gradi 
Mo su, mo giù, e mo ricirculando. 

Vedeva visi a carità suadi 

D* altrui lume fregiati , e del suo riso, 5o 
Et atti ornati di tutte onestadi . 

La forma general di Paradiso 

Già tutta il mio sguardo avea compresa ^ 
In nulla parte ancor fermato fiso, 

E volgeami con voglia riaccesa 
Per dimandar la mia doùna di cose. 
Di che la mente mia era sospesa • 

Uno intendeva , et altro mi rispose : 
Credea veder Beatrice, e vidi un sene 
Vestito con le genti gloriose . 60 



3<>4 DEL PARADISO 

Diffbso era per gli occhi e per le gene 
Di benigna letizia in atto pio. 
Quale a tenero padre si conviene ; 

Et: Ella ov*è? di subito diss* io; 
Ond^egli: A terminar lo tuo disiro 
Mosse Beatrice me del luc^o mio : 

E se riguardi su nel terzo giro 
Del sommo grado, tu la rivedrai 
Nel trono, che i suoi merti le sortirò. 

Sanza risponder gli occhi su levai , 70 

E vidi lei, che si facea corona 
Riflettendo da se gli eterni rai. 

Da quella region , che più su tuona , 
Occhio mortale alcun tanto non dista , 
Qualunque in mare più giù s* abbandona. 

Quanto lì da Beatrice la mia vista : 
Ma nulla mi iacea; che sua effige 
Non discendeva a me per mezzo mista. 

donna, in cui la mia speranza vige, 
E che soffristi per la mia salute 80 

In Inferno lasciar le tue vestige. 

Di tante cose, quante io ho vedute. 
Dal tuo podere, e dalla tua bontate 
Riconosco la grazia e la virtute • 



CANTO XXXL 39S 

Tu m^ hai di aervo tratto a iibertate 
Per tutte quelle rie» per tutt* i modi , 
Che di ciò fare avean la potestate • 

La tua magnificenza in me custodi , 
Si che r anima mia, che fatt^hai sana» 
Piacente a te dai corpo sì disnodi • 90 

Cosi orai; e quella sì lontana, 
. Come parea , sorrise , e rìguardommi : 
Poi si tornò ali* eterna fontana; 

£ ^1 santo Sene : Acciocché tu assommi 
Perfettamente , disse , il tuo cammino , 
A che prego, et amor santo mandommi, 

Vola con gli occhi per questo giardino; 
Che veder lui t' accenderà io sguardo 
Più al montar pc^ lo raggio divino : 

E la Regina del Cielo , ond' io ardo . 1 00 
Tutto d^amor, ne farà ogni graxin , 
PerocchMo sono il suo fedel Bernardo. 

Quale è colui , che forse di Croazia 
Viene a veder la Veronica nostra ^ 
Che per l'antica fama non si sazia , 

Ma dice nel pensier fin che si mostra : 
Signor mio Giesà Cristo Dio verace. 
Or fu Si fatta la sembianza vostra ? 



yqf> D£L PARADISO 

Tale era io mirando la vivace 

Carità di colui» che ^n questo mondo 1 1 o 
Contemplando gustò di quella pace : 

Figliuol di grazia , questo esser giocondo , 
Cominciò egli » non ti sarà noto 
Tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo; 

Ma guarda i cerchi fino ai più remoto , 
Tanto che veggi seder la Regina , 
Cui questo regno è suddito e devoto • 

Io levai gli occhi: e come da mattina 
La parte orientai deir orizzonte 
Soverchia quella , dove '1 Sol declina ; i io 

Cosi, quasi di valle andando a monte» 
Con gU occhi vidi parte neUo stremo 
Vincer di lume tutta T altra fronte : 

E come quivi, ove s^ aspetta il temo. 
Che mal guidò Fetonte, più s^ infiamma, 
E quinci e quindi il lume è fatto scemo ; 

Così quella pacifica Oriafiamma 

Nel mezzo s' avvivava , e d^ ogni parte 
Per igual modo allentava la fiamma; 

Et a quei mezzo con le penne sparte 1 3^/ 
Vidi più di miirAngeli festanti, 
Ciascun distinto e di fulgore» e d*arte. 



CANTO XXXI. 



397 



Vidi quivi a^ lor giuochi et a' lor canti 
Ridere una bellezza , che letizia 
Era negli occhi a tutti gli altri Santi : 

E s* io avessi in dir tanta divizia 
Quanto ad immaginar 9 non ardirei 
Lo minimo tentar di sua delizia» 

femardo, come vide gU occhi miei 
Nel caldo suo calor fissi et attenti » 
Gli suoi con tanto afiètto volse a lei 9 

Che i miei di rimirar fé* più ardenti • 



T40 



399 

CANTO TRENTESIMOSECONDO . 



Aegomekto 

H santo Ahatt Bimardo dimoitrm mi Pottm Pùrdine ed 
il compartimento de' seggi y in cui stavano i Santi 
così dei vecchio, come dei nuovo Testamento; e prin^ 
cipaimente gii fa osservare r altissima gloria di Ma^ 
ria Vergine, e gli eccelsi posti de' Santi piò rag* 
guardevoli. 



A £Petto al suo piacer quel contemplante 
Libero uficio di dottore assunse » 
E cominciò queste parole sante: 

La piaga, che Maria richiuse et unse, 
Quella, eh* è tanto bella da* suoi piedi, 
"È colei, che T aperse e che la punse. 

Nell'ordine, che fanno i terzi sedi. 
Siede Rachel di sotto da costei 
Con Beatrice, sì <:ome tu vedi. 

Sarra, Rebecca, ludit, e colei, la 

Che fu bisava al Cantor, che per doglia 
Del fallo disse Miserere mei^ 



y 



CANTO XXXil. 40< 

Or mira Talto provveder divino; 

Che Funo e T altro aspetto della fede 
Igualmente empierà questo giardino: 

£ sappi, che dal grado in giù» che fiede 40 
A mezzo 1 tratto le duo discrezioni. 
Per nullo proprio merito si siede, 

Illa per l'altrui, con certe condizioni; 
Che tutti questi sono spirti assolti 
Prima ch'avesser vere elezioni. 

Ben te ne puoi accorger per li volti. 
Et anche per le voci puerili. 
Se tu gli guardi bene, e se gli ascolti. 

Or dubbi tu , e dubitando sili : 

Ma io ti solverò forte legame. So 

In che ti stringon li pensier sottili. 

Dentro air ampiezza di questo reame 
Casual punto non puote aver sito. 
Se non come tristizia, o sete, o fame; 

Che per eterna legge è stabilito 

Quantunque vedi, sì che giustamente 
Ci si risponde dall'anello al dito: 

£ però questa festinata gente 
A vera vita non è sine causa: 
£ntrasi qui più e meno eccellente. 60 

Dante T.IL a6 



4oa DEL PARADISO 

Lo R^, per cai qoesto r^;no pausa 
In tanto amore et in tanto diletto , 
Che nolla volontade è di più ausa^ 

Le menti tutte nel suo lieto aspetto 
Creando, a suo piacer di graiia dota 
Diversamente; e qni basti T effetto: 

E ciò espresso e chiaro vi si nota 
Nella Scrittura santa in que' gemelli. 
Che nella Madre ebber Tira commota. 

Però , secondo TI color de* capelli 76 

Di cotal grazia , V altissimo lume 
Degnamente convien che s* incappelli . 

Dunque sanza mercè di lor costume 
Locati son per gradi diflPerenti , 
Sol differendo nel primiero acume • 

Bastava sì ne* secoli recenti 

Con r innocenza, per aver salute. 
Solamente la fede de^ parenti : 

Poi che le prime etadi fur compiute , 
Convenne a*maschi airinnocenti penne, 80 
Per circoncidere, acquistar virtute; 

Ma poi che U tempo della Grazia venne, 
Sanza battesmo perfetto di Ceisto, 
Tale innocenza laggiù si ritenne • 



/ 



CANTO XXXIL 4o3 

Riguarda ornai nella faccia » eh* a CnisTo 
Più 8* assomiglia; che la sua chiarezza 
Sola ti può disporre a veder Cristo. 

Io vidi sovra lei tanta allegrezza 
Piover portata nelle menti sante 
Create a trasvolar per quell'altezza, 90 

Che quantunque io avea visto davante. 
Di tanta ammirazion non mi sospese» 
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante • 

E queir amor, che primo li discese. 
Cantando Ji^e, Maria j gratia piena ^ 
Dinanzi a lei le sue ale distese. 

Rispose alla divina cantilena 
Da tutte parti la beata Corte , 
Si eh* ogni vista sen fé* pia serena • 

O santo Padre, che per me comporte ico 
L* esser quaggiù , lasciando *1 dolce loco. 
Nel qual tu siedi per eterna sorte , 

Quarè quell*Àngel, che con tanto giuoco 
Guarda negli occhi la nostra Regina 
Innamorato sì, che par di fuoco ? 

Cosi ricorsi ancora alla dottrina 
Di colui, eh* abbelliva di Maria, 
Come del Sol la stella mattutina ; 



404 ^^'Y PAlADISO 

Et e^t a me: Bakkzza e kgg^adria. 

Quanta fSKrpooce in Ai^eloetinaIiBa,iio 
Totta è in lai, e si ▼olem ehe sia ; 

Perch* <^ è quegli, die portò b patita 
Giaso a Maria, qoacdo 1 Fi^Iinol di Dio 
Carcar si Tolse delb nostra salma . 

Ma Vienne ornai con gli occhi ^ s compio 
parlando , e nota i gran patrici 
questo Imperio " giustissimo e pio. 

Quei duo , che sq^gon kssà più felici , 
Per esser propinquissiml ad Augusta , 
Son d'està rosa quasi due radici. lao 

Colui, che da sinistra le s" adusta, 
i 1 Padre, per lo cni ardito gusto 
L* umana specie tanto amaro gusta. 

Dal destro vedi quel Padre vetusto 
Di sanla Chiesa , a cqi Cristo le chiavi 
Raccomandò di questo fior venusto. 

£ que\ che vide tutt'i tempi gravi. 
Pria che morisse , della bella sposa , 
Che s* acquistò con la lancia e conciliavi. 

Siede lungh^esso; e lungo l'altro posa i3o 
Quel Duca, sotto cui visse di manna 
La gente ingrata, mobile, e ritrosa. 

T grandisaime e pio.