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LA DIVINA
COMMEDIA
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DANTE AUGHIERI
GIÀ XIDOTTA A MIGLIOR LMZtONR
DAGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA
ED ORA ACCUB ATAMfiVTB JEMEVDATA,
ED ACCBESCIUTA DI YAK-IC LBZI0H1
TRATTE DA UN AVTICHIS8IK0 CODICE.
Tomo Secondo.
LIVORNO MDCCCVL
Presso Tommaso Masi e Gomp/
W Tipi Bodoniani •
DEL PURGATORIO
CANTO DEGIMOQUINTO.
ÀRGOMEHTO
•
/ Poeti scorgono un Angelo, da cui viene loro mostrato
il luogo della scala, su la quale salendo giungono, al
terzo girone, ove si purga il peccato delPIra, Quivi
Dante in un astasi rapito vede alcuni esempj di
Mansuetudine: osservano poi un oscurissimo fummo ^
dal quale rimasero coperti^
^^uanto tra T ultimar dell'ora terza t
E U principio del di par della spera ,
Che sempre, a guisa di fanciullo, scherza.
Tanto pareva già in ver la sera
Essere al Sol del 3uo corso rimaso:
Yespero là, e qui mezza notte era;
E i raggi ne ferian per mezzo '1 naso.
Perchè per noi girato era si U monte ,
Che già dritti andavamo in ver T occaso;
4 DEL PURGATORIO
•
Quando io sentila me gravar la fronte io
Allo splendori^ assai più che di prima,
£ stupor m'eran le cose non conte:
Ond*io levai le mani in ver la cima
Delle mie ciglia, e fecimi '1 solecchio.
Che del soverchio visibile lima .
Come quando dall' acqua , o dallo specchio
Salta lo raggio air opposita parte ,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel , che scende , e tanto si diparte
Dal cader della pietra in igual tratta^ ao
Si come mostra esperienza et arte ;
Cosi mi parve da luce rifratta *
Ivi dinanzi a me esser percosso:
Per eh' a fuggir la mia vista fu ratta.
Che è quel, dolce padre, a che non posso
Schermar lo viso, tanto che mi vaglia,
Diss' io, e pare in ver noi esser mosso?
Non ti maraviglijir, s' ancor t'abbaglia
La famiglia del Cielo , a me rispose :
Messo è , che viene ad invitar ch'uom saglia.
Tosto sarà, eh' a veder queste cose (3o
Non ti fia grave, ma fieti diletto.
Quanto natura a sentir ti dispose.
CANTO XV. &
Poi giunti fummo all'Angel benedetto.
Con lieta voce disse: Intrate quinci
Ad un scaleo, vie men che gli altri, eretto.
Noi montavamo già partiti Unci
£ Beati misericordes fue
Cantato retro, e: godi tu, che vinci.
Lo mio Maestro et io, soli amendue, 40
Suso andavamo, et io pensava, andando.
Prode acquistar nelle parole sue ;
' £ dirizzami a lui sì dimandando :
Che volle dir lo spirto di Romagna,
E divieto, e consorto menzionando?
Per eh* egli a me: Di sua maggior magagna
Conosce U danno ; e però non s' ammiri ,
Se ne riprende , perchè men sen piagna .
Perchè s'appuntano i vostri desiri.
Dove per compagnia parte si scema. So
Invidia muove il mantaco a* sospiri.
Ma se Tamor della spera suprema
Torcesse *n suso '1 desiderio vostro.
Non vi sarebbe al petto quella tema :
Che per quanto si dice più lì nostro.
Tanto possiede più di ben ciascuno, .
E più di cantate arde 'n^quel chiostro •
I E diiissaimi a lai
* 6 DEL PURGATORIO
Io son d* esser contento più digiuno ,
DissMo, che se mi fosse pria taciuto;
E più di dubbio nella mente aduno: 60
Com' esser puote, eh* un ben distrìbuto
I più posseditor faccia più ricchi
Di se , che se da pochi è posseduto^
Et egli a me: Perocché tu rificchi
La mente pure alle cose terrene ,
Di vera luce tenebre dispicchi •
Quello ^nfinito et ìnefFabil bene ,
Che lassù è, cosi corre ad amore,
Com^ a lucido corpo raggio viene .
Tanto si dà, quanto trova d* ardore; 70
Sì, che quantunque carità si stende.
Cresce sovr*essa T eterno valore :
E quanta gente più lassù sMn tende.
Più v^è da bene amare, e più vi s^ama,
E come specchio F uno air altro rende .
E se la mia ragion non ti disfama ,
Vedrai Beatrice : et ella pienamente
Ti torrà questa, e ciascun* altra brama.
Procaccia pur, che tosto sieno spente.
Come son già le due, le cinque piaghe, 80
Che si richiudon per esser dolente.
CANTO XV. 7
ComMo voleva dicer: Tu m'appaghe;
Vidimi giunto i& su i^ altro girone ,
Sì che tacer mi fer le luci vaghe .
Ivi mi parve in una visione
Estatica di subito esser tratto,
E vedere in un tempio più persone ,
Et una Donna in su Y entrar con atto
Dolce di madre dicer: Figliuol mio.
Perchè hai tu cosi verso noi fatto? 90
Ecco dolenti lo tuo padre, et io
Ti cercavamo; e come qui si tacque.
Ciò, che pareva prima, dispario.
Indi m* apparve un* altra con quell' acque
Giù per le gote, che il dolor distilla.
Quando per gran dispetto in altrui nacque,
E dir: Se tu se^sire della villa.
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite.
Et onde ogni scienzia disfavilla.
Vendica te di quelle braccia ardite, 100
Ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato:
E '1 signor mi parea benigno, e mite
Risponder lei con viso temperato :
Che farem noi a chi mal ne desira.
Se quei , che ci ama , è per noi condannato ?
8 DEL PURGATORIO
Poi vidi genti accese in fuoco dMra
Con pietre un giovinetto anqider, forte
Gridando a se pur: Martira, martira:
E lui vedea chinarsi per la morte ,
Che l'aggravava già, in ver la terra ; i io
Ma degli occhi facea sempre al Ciel porte 9
Orando all'alto Sire in tanta guerra.
Che perdonasse a' suoi persecutori ,
Con quell'aspetto, che pietà disserra.
Quando l'anima mia tornò di fuori
Alle cose , che son fuor di lei vere ,
Io riconobbi i miei non falsi errori •
Lo duca mio, che mi potea vedere
Far sì com' uom , che dal sonno si slega ,
Disse : Che hai , che non ti puoi tenere ? i ao
Ma se' venuto più che mezza lega
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte ,
A guisa di cui vino, o sonno piega?
O dolce padre mio, se tu m' ascolte,
Tti dirò, diss' io, ciò, che m'apparve.
Quando le gambe mi furon si tolte.
' Et ei: Se tu avessi cento larve
Sovra la faccia , non mi sarien chiuse
Le tue cogitazion, quantunque parve.
1 Et egli:
CANTO XV. 9
Qò che vedesti fu, perchè non scuse i3o
D^ aprir lo cuore all^ acque della pace,
C^e dall* eterno fonte son diffuse .
Non dimandai: Che hai per quel, che face,
Chi guarda pur con Tocchio , che i}on vede
Quando disanimato il corpo giace ;
Ma dimandai per darti forza al piede :
Così frugar conviensi i pigri lenti
Ad usar lor vigilia , quando riede .
Noi andavam per lo vespero attenti
Oltre, quanto ^ potèn gli occhi allungarsi.
Contra i raggi serotini e lucenti: ( 1 40
Et ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi come la notte oscuro ,
Ne da quello era luogo da causarsi:
Questo ne tolse gli occhi , e Y aer puro .
•
I poiean gli ocelli
I ■ ■
II
CANTO DECIMOSESTO.
Argomsnto
Dame camminando col suo duce Virgilio in mezzm
air oscurità del fummo , ode V anime degP Irosi , i
quali concordemente pregavano P Agnello di Dio; ed
uno di loro, càmera Marco Lombardo, tiene ragio^
namento col Poeta, e gli dimostra non darsi nel Cielo
influsso veruno sopra le morali azioni degli uomini.
Dmo d'inferno, e di notte privata^
D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Quant' esser può, di nuvol tenebrata.
Non fero al viso mio si grosso Telo ,
Come quel fummo , cV ivi ci coperse ,
Né a sentir di cosi aspro pelo ,
Che r occhio stare aperto non sofferse :
Onde la scorta mia saputa e fida
Mi s'accostò, e T omero m'offerse.
Si come cieco va diètro a sua guida io
Per non smarrirsi , e per non dar di cozzo
In cosa, che '1 molesti, o forse ancida.
f
\
u DEL PURGATORIO
M* andava io per V aere amaro e sozzo ,
Ascoltando U mio duca, che diceva
Pur: Guarda, che da me tu non sie mozzo,
r sentia voci , e ciascuna pareva
Pregar per pace , e per misericordia
L'Agnel di Dio, che le peccata leva.
Pure Agnus Dei eran le loro esordia :
Una parola era in tutti, < e un modo, 20
Sì che parca tra esse ogni concordia .
Quei sono spirti. Maestro, chU^odo?
Diss" io: et egli a me: Tu vero apprendi;
E d* iracondia van solvendo 1 nodo:
Or tu chi se\ che U nostro fummo fendi,
E di noi parli pur, come se tue
Partissi ancor lo tempo per calendi?
Cosi per una voce detto fue;
Onde *1 Maestro mio disse : Rispondi ,
E dimanda, se quinci si va sue. 3o
Et io: O creatura, che ti mondi.
Per tornar bella a colui, che ti fece.
Maraviglia udirai, se mi secondi.
Io ti seguiterò quanto mi lece.
Rispose; e se veder fummo non lascia,
L' udir ci terrà giunti in quella vece •
I e *n an modo ,
CANTO XVJL i3-
Allora incominciai: Con quella fascia.
Che la morte dissolve, men vo suso,
£ venni qui per la ^nfernale ambascia :
E se Dio mi ha in sua grazia richiuso 40
Tanto, chVvuol ch'io ' veggia la sua Corte
Per modo tutto fuor del modem' uso.
Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi, e dinmii s'io vo bene al varco:
£ tue parole fien le nostre scorte.
Lombardo fui, ^ e fu' chiamato Marco:
Del mondo seppi, e quel valore amai.
Al quale ha or ciascun disteso l'arco:
Per montar su dirittamente vai .
Cosi rispose; e 8(^giuuse: Io ti prego, 5o
Che per me preghi, quando su sarai.
Et io a lui : Per fede mi ti lego
Di far ciò, che mi chiedi: ma io scoppio
Dentro a un dubbio, s'io non me en spiego.
Prima era scempio, et ora è fatto doppio
Nella sentenzia tua, che mi fa certo
Qui e altrove quello, oy'io l'accoppio.
Lo mondo è ben cosi tutto diserto
D' c^ni yirtute , come tu nù sùone ,
E di malizia gravido e coverto: 60
I Tegna alla tua Corte 2 e fai chiamato
• 14 DEL PURGATORIO
Ma prego , che m* additi la cagione »
Si ch'io la vegga, e ch'io la mostri altrui;
Che liei Cielo uno, et un quaggiù la pone.
Alto sospir , che duolo strinse in Hui ,
Mise fuor prima , e poi cominciò : Frate »
Lo mondo è cieco , e tu vien ben da lui .
Voi, che vivete, ogni cagion recate
Pur suso al Cielo sì, come $e tutto
Movesse seco di necessitate.
Se così fosde, in voi fora distrutto 70
Libero arbitrio, e non fora giustizia
Per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo Cielo i vostri movimenti inizia.
Non dico tutti; ma, posto ch'io '1 dica.
Lume v'è dato a bene, et a malizia,
E libero voler, che se fatica
Nelle prime battaglie del Ciel dura ,
Poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza , et a miglior natura
Liberi soggiacete ; e quella cria 80
La mente in voi,che'l Ciel non ha in sua cura.
Però , se '1 mondo presente vi svia ,
In voi è la cagione, in voi si cheggia;
Et io te ne sarò or vera spia .
/
CANTO XVI. iS
Esce di mano a lui , che la vagheggia
Prima che sia, a guisa di fanciulla.
Che piangendo, e rìdendo pai^oleggia,
L^ anima seipplicetta, che sa nulla.
Salvo che mossa da lieto Fattore
Yolentier torna a ciò , che la trastulla . 90
Di picciol bene in pria sente sapore:
Quivi s^ inganna , e dietro a esso corre ,
Se guida , o fren non torce U suo amore ;
Onde convenne legge per fren porre ,
Convenne rege aver, che discernesse
Della vera cittade almen la torre .
♦
Le leggi son; ma chi pon mano ad esse?
Nullo: perocché '1 pastor, che precede.
Ruminar può, ma noii ha l'unghie fesse.
Per che la gente , che sua guida vede 100
Pure a quel ben ferire, ond'ell'è ghiotta.
Di quel si pasce, e più oltre non chiede.^
Ben puoi veder , che la mala condotta
È la cagion, che "1 mondo ha fatto reo,
E non natura, che *n voi sia corrotta.
Soleva Roma , che *1 buon mondo feo ,
Duo Soli aver, che Tuna e T altra strada
Facèn vedere, e del mondo, e di Deo.
! i6 DEL PURGATORIO
L^un r altro ha spento, et h giunta la spada
Col pasturale, e Tuno e Taltro insieme no
Per viva forza, mal convien che vada:
Perocché, giunti. Tun T altro non teme.
Se non mi credi, pon mente alla spiga;
Gh^ ogni erba si conosce per lo seme .
• In sul paese, cV Adice e Po riga,
Solca valore e cortesia trovarsi
Prima, che* Federigo avesse briga:
Or può sicuramente indi passarsi
Per qualunque lasciasse per vergogna
Di ragionar co* buoni, o d'appressarsi. lao
Ben' V* en tre vecchi ancora, in cui rampogna
L'antica età la nuova, e par lor tardo.
Che Dio a migUor vita li ripogna ,
Currado da Palazzo , e "1 buon Gherardo ,
E Guido da Castel, che me' si noma
Francescamente il semplice Lombardo.
Di'og^mai, che la Chiesa di Roma,
Per confondere in se duo reggimenti.
Cade nel fango, e se brutta, e la soma.
O Marco mio, diss' io, bene argomenti; i3o
E or discerno perchè dal retarlo
Li figli di Levi furono esenti.
I t' è tre vecchi
CANTO XVL 17
Ma qual Gherardo è quel, che tu per saggio
DV eh* è rimaso della gente spenta.
In rimproverio del secol selva^io?
' O tuo parlar m'inganna, ^ o e^mi tenta.
Rispose a me, che parlandomi Tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro soprannome i^nol conosco,
S^io noi togliessi da sua figlia Gaia: 140
Dio sia con voi , che più non yegno vosco •
Vedi Talbor, che per lo fummo raia.
Già biancheggiare; e me convien partirmi,
L* Angelo è ivi, prima ch'egli paia :
Cosi parlò, e più non volle udirmi.
I *1 tao parlar a o «i mi tentai
Dante T.IL %
'9
CANTO DECIMOSETTIMO-
ÀEGOMBVtO .
Escono i Poeti dal fummo, o Dante vede neirimmagi»
nativa alcuni esempi d'Ira: indi per avviso d' un An^
gelo vanno alla scala del quarto girone^ alla cui som^
nUtà pervenuti si fermano, essendo giunta la notte,
e Virgilio intanto gli dice^ che ivi si purga l'Accidia,
e gP insegna come d^dP amore proceda ogni kiono e
malvagio operare*
Jtvicorditi, Lettor, ae mai nell^alpe
Ti colse nebbia » per la qual vedessi
Non altrimenti , che per pelle talpe ,
G>me, quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del Sol debilemente entra per essi;
E fia la tua immagine leggiera
In giugnere a veder comMo rividi
Lo Sole in pria» che già nel corcare era.
Sì pareggiando i miei co* passi fidi i o
Del mio Maestro, usci^fuor di tal nnb«
À* raggi morti già nerbassi lidi.
20 DEL PURGATORIO
O immaginativa , che ne rube
Tal volta sì di faor, ch^uom non 8*accorge,
Perchè d* intomo suonin mille tube ,
Chi muove te, se *1 senso non ti porge?
Muoveti lume, che nel Giel s* informa.
Per se, o per voler, che giù lo scorge.
Dell^ empiezza di lei , che mutò forma
Neir uccel , che a cantar più si diletta, ao
Neil* immagine mia apparve Torma:
E qui fu la mia mente sì ristretta
Dentro da se, che di fuor non venia
Cosa, che fosse ancor da lei recetta.
Poi piovve dentro ali* alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
Nella sua vista, e cotal si moria:
Intorno ad esso era *1 grande Assuero ,
Ester sua sposa, e*l giusto Mardocheo,
Che fu al dire e al far cosi 'utero* 3o
£ come questa immagine rompeo
Se per se stessa a guisa d*una bulla.
Cui manca T acqua, sotto qual si feo,
Surse in mia visione una fanciulla
Piangendo forte , e diceva : O Regina ,
Perchè per ira hai voluto esser nulla ?
CANTO XYIL ai
Ancisa t^hai per non perder Lavina:
Or m*hai perduta : Tsono essa, che lutto »
Madre, alla tua, pria ch^ air altrui , ruina.
Come 8i frange il sonno, ove dibutto 40
Nuova luce percuote U viso chiuso,
> Che fratto guizza, pria che muoia tutto;
Cosi r immaginar mio cadde giuso ,
Tosto che ^1 lume il volto mi percosse
Maggiore assai, che quel, ch^ è in nostr'uso.
Fmi volgea per vedere ov'io fosse,
Quand*una voce disse, qui si monta^
Che da ogni altro ^ntento mi rimosse ,
£ fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era, che parlava, 5o
Che mai non posa ^ se non si raffronta •
Ma come al Sol, che nostra vista grava,
E per soverchio sua figura vela ;
Così la mia virtù quivi mancava.
Questi è divino spirito, che ne la
Yia d'andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume se medesmo cela •
Sì fa con noi, come Tuom si fa sego;
Che quale aspetta prego, e Tuopo vede.
Malignamente già si mette al nego* 60
X Che franta
%3k BEL PUR6ATOKIO
Ora' accordiamo a tanto ^nvito il piede :
Procacciam d^ salir, pria che sgabbili;
Che poi non si porìa, se *1 dì non riede.
CoA disse 1 mio dnca; et io con Ini
Volgemmo i nostri passi ad una scala :
E tosto eh* io al primo grado fni.
Sentimi presso quasi un muover d^ala,
£ ventarmi nel volto, e dir Beati
Pacìfici 9 che son sanza ira mala.
Oià eran sopra noi tanto levati 70
Gli nltimi raggi, che la notte segue.
Che le stòUe apparivan da più lati.
O virtù mia, perchè sì ti dilegue?
Fra me stesso dicea , che mi sentiva
La possa deUe gambe* posta in tregue.
Noi eravam dove più non saliva
La scala su, et eravamo adissi
Pur come nave, ch^aUa pia^^ia arriva;
Et io attesi un poco, sMo udissi
Alcuna cosa nel nuovo girone: 80
Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi:
Dolce mio padre, di*, quale offensione
Si purgai qui nel « giro, dove semo?
Se i pie si stanno 9 non stea tuo sermone
I girone I QTt mhio?
CANTO XVII. i3
Et e^ a me: L'amor del bene scemo
Di suo dover quiritta si ristora :
Qui si ribatte 1 mal urdato remo.
Ma perchè più aperto intendi ancora.
Volgi la mente a me, e prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora. 99
Né creator, né creatura mai.
Cominciò ei, figliuol, fu sanza amore,
O naturale, o d* animo, e tu '1 sai.
Lo naturai fu sempre senza errore:
Ma Taltro puote errar > per male obbietto,
per troppo, o per poco di vigore.
Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto,
E ne'secondi se stesso misura.
Esser non può cagion di mal diletto:
Ma quando al mal si torce, ocon più cura, 100
O con men, che non dee, corre nel bene.
Contea '1 fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi, ch'esser conviene
Amor sementa in voi d'ogni virtute,
E d'ogni operazion, che mcrta pene.
Or perchè mai non può dalla salute
Amor del suo soggetto volger viso.
Dall'odio proprio son le cose tute.
I p«r mal oblnttt*»
H DEL PURGATORIO
E perchè 'ntender non si può diviso ,
Né persestante, alcuno esserdei primo, no
Da quello odiare ogni affetto è deciso.
Resta, se dividendo bene stimo.
Che '1 mal, che scarna, è del prossimo : et esso
Amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi per esser suo vicin soppresso
Spera eccellenza ; e sol per questo brama ,
Ch'el sia di sua grandezza in basso messo:
É| chi podere , grazia , onore , e fama
Teme di perder, perch* altri sormonti.
Onde s^at trista sì, che U contrario ama : 1 20
Et è chi per ingiuria par eh* adonti ,
Si che si fa della vendetta ghiotto;
E tal convien , che '1 male altrui impronti.
Questo triforme amor quaggiù di sotto
Si piange : or vo\ che tu delFaltro intende.
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende ,
Nel qual si ■ quieti T animo, e desira:
Per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore in lui veder vi tira , 1 3o
a lui acquistar, questa cornice
Dopo giusto pentèr ve ne martira.
t qaeta 1* animo ^
CANTO XVIL aS
Altro ben è, che non fa Tuom felice:
Non è felicità, non è la bnona
Essenzia d*ogni ben frutto e radice.
L* amor 9 eh* ad esso troppo s* abbandona.
Di sovra noi si piange per tre cerchi :
Ma come tripartito si ragiona
Tacciolo, acciocché tu per te ne cerchi.
»7
CANTO DECIMOTTAVO.
Aecomskto
VirgUio dimastm aH Poeta ciò, eke propriamenie sim
amore , e gli paria dell* umana libertà : vedono poi
t anime degli Accidiosi, che in torma correvano per
il girone, e due dinanzi rammemoravano esempj di
JHligenzaf come due altri dietro la furia ricordavano
osempf di Accidia* In fine Dante si addormenta •
Jl oste avea fine al suo ragionamento
Ualto dottore 9 et attento guardava
Nella mia vista, s^io parea contento:
Et io, cui nuova sete ancor firugava.
Di fuor taceva , e dentro dicea : Forse
Lo trpppo dimandar, eh* io fo, li grava.
Ma quel padre verace, che s* accorse
Del timido voler , che non s* apriva ,
Parlando, di parlare ardir mi porse.
Ondalo: Maestro, il mio veder s* avviva io
Sì nel tuo lume, ch'io discemo chiaro
Quanto la tua ragion porti, o descriva.
aS DEL PURGATORIO
Però ti prego, dolce padre caro.
Che mi dimostri amore, a cui ridaci
Ogni buono operare, e *i suo contraro.
Drizza, disse, ver me T acute luci
Dèlio intelletto , e fieti manifesto
L* error de* ciechi, che si fanno duci»
L* animo, eh* è creato ad amar presto.
Ad ogni cosa è mobile, che piace, 20
Tosto che dal piacere in atto h desto.
Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega.
Si che r animo ad essa volger face :
E se rivolto in «ver di lei si piega.
Quel piegare è amor, quello è natura.
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
Poi come *1 fuoco muovesi in altura
Per la sua (orma, eh* è nata a salire
Là, dove più in sua materia dura; 3o
Cosi r animo preso entra *n disire,
Gh* è moto spiritale , e mai non posa ,
. Fin che fa cosa amata il fa gioire •
Or ti puote apparer quant*è nascosa
La veritade alla gente , eh* avvera
Ciascuno amore in se laudabil cosa;
CANTO XYIII. ai|
Perocché forse appar la sua matera
Sempr^ esser buona: ma non ciascun segno
È buono, ancor che buona sìa la cera.
Le tue parole, e U mio seguace ingegno, 40
Risposi lui , m^ hanno amor discoverto :
Ma ciò m' ha fatto di dubbiai: più pregno :
Che s' amore è di fuore a noi offerto,
E r anima non va con altro piede.
Se dritto, o torto va, non è suo merto.
Et egli a me : Quanto ragion qui vede
Dir ti possMo : da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice , eh* è opra di Fede .
(^ni forma sustanzial , che setta
£ da materia, et è con lei unita. So
Specifica virtude ha in se colletta ,
La qual sanza operar non è sentita ,
• Né si dimostra, ma che pfer'efFetto,
Come per verdi fronde in 'pianta vita:
Però là, onde vegna lo 'ntelletto
Delle prime notizie, uomo non sape,
E de* primi appetibili T affetto.
Che sono in voi , sì come studio in ape
Di far lo mele: e questa prima voglia
Merto di lode, o di biasmo non cape. 60
I Né ti dimostra mai
• '
32 DEL PURGATORIO
Questi, che vive (e certo io non vi bugio)
Vuole andar su, purché 1 Sol ne riluca : 1 1 o
Però ne dite ond'è presso '1 pertugio.
Parole furon queste del mio duca ;
E un di quegli spirti disse: Vieni
Diretr*a noi, che troverai la buca.
Noi Siam di voglia a muoverci sì pieni.
Che ristar non potèm: però perdona.
Se villania nostra giustizia tieni.
Io fui Abate in san Zeno a Verona
Sotto lo 'mperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Melan ragiona : 1 20
E tale ha già l'un pie dentro la fossa.
Che tosto piangerà quel monistero,
E tristo fia d^ avervi avuta possa;
Perchè suo figlio mal del corpo intero,
E della mente peggio, e che mal nacque.
Ha posto in luogo di suo pastor vero.
Io non so, se più disse, o s'ei si tacque,
Tant^era già di là da noi trascorso:
Ma questo intesi, e ritener mi piacque.
E quei, che m^era ad ogni uopo soccorso , i So
Disse: Volgiti in qua: vedine due
Air accidia venir dando di morso.
CANTO XVIII 33
Diretro a tutti ' dicèn : Prima fue
Morta la gente , a cu" il mar s* aperse »
Che Vedesse Giordan le rede sue •
E quella 9 che l'affanno non sofferse
Fino alla fine col figliuol d^Anchise,
Se stessa a vita sanza gloria offerse •
Poi quando fiir da noi tanto divise
Queirombre, che veder più non potersi, 1 40
Nuovo ^ pensier dentro da me si mise.
Del qual più altri nacquero e diversi:
£ tanto d^uno in altro van^iai.
Che gli occhi per vaghezza ricopersi ,
£ '1 pensamento in sogno trasmutai .
•
I dicean: a pensiero dentro a me
Dantm .7. n.
3S
CANTO DECIMONONO,.
Argomento
Racconta U Foeta una visione^ che ehhe nel sonno, da
cui si risvegliò levato già il Sole : diet poi , che mes-
sosi in via, e proseguendo con Virgilio^ furono dalla
voce d'un Angelo indirizzati alla scala, per cui sa-
lirono al pùnto girone, dove erano gU Avari, che
piangendo giacevano bocconi. Tra questi Dante ritrova
Papa Adriano V. col quale favella .
IN eir ora , che non può '1 calor diurno
Intiepidar più il freddo della Luna
Vinto da Terra, o talor da Saturno,
Quando i Geomanti lor Maggior fortuna
Vegglono in Oriente innanzi aU^ alba
Surger per via , che poco le sta bruna ;
Mi venne in sogno una femmina balba
Con gli occhi guerci, e sovra i pie distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava : e come '1 Sol conforta i o
Le fredde membra , che la notte aggrava ;
Cosi lo sguardo mio le facea scorta
]
36 DEL PURGATORIO
La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d^ora, e lo smarrito volto,
Come Amor vuol, così le colorava.
Poi ch^ella avea *1 parlar così disciolto.
Cominciava a cantar sì, che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
Io son, cantava, io son dolce Serena,
Che i marinari in mezzo U mar dismago, s o
Tanto son di piacere a sentir piena.
' Io trassi Ulisse del suo cammin vago
Al canto mio: e qual meco s^ausa»
* Rado sen parte, sì tutto l'appago.
Ancor non era sua bocca richiusa.
Quando una donna apparve santa e presta
Lunghesso me, per far colei confusa.
O Virgilio Virgilio, chi è questa?
Fieramente dicea : et ei veniva
Con gli occhi fitti pure in quella onesta : 3o
L^ altra prendeva, e dinanzi T apriva.
Fendendo i drappi , e mostra vami'l ventre :
Quel mi svegliò col puzzo, che n* usciva.
Io volsi gli occhi; e U buon Virgilio: Almentre
Voci t^ho messe, dicea: surgi, e vieni:
Troviam T aperto, per lo qual tu entre.
I Io Tolti Ulitte del
CANTO XIX. S7
Su mi levai , e tutti eran già pieni
Delfalto di i giron del sacro monte.
Et andavam col Sol nuovo alle reni.
Seguendo lui portava la mia fronte , 40
Come colui, che Tha di pensier carca.
Che fa di se un mezzo arco di ponte ,
Quando Tudi': Venite, qui si varca;
Parlare in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa < mortai marca.
Con Tale aperte, che * parèn di cigno,
Volseci in su colui , che sì parlonne ,
Tra i duo pareti del duro macigno .
Mosse le penne poi, e ventilonne.
Qui lugent ^ affermando esser beati , 5o
Ch^avran di consolar T anime donne.
Che hai, che pure in ver la terra guati?
La guida mia incominciò a dirmi.
Poco amendue dairAngel sormontati.
Et io : Oon tanta sospeccion fa irmi
Novella vision , ch^ a se mi piega ,
Si chMo non posso dal pensar partirmi.
Vedesti, disse, quella antica strega.
Che sola sovra noi omai si piagne ?
Vedesti, come Tuom da lei si slega? 60
1 mortai barca, 2 parean di cigno.
38 DEL PURGATORIO
Bastiti , e batti a terra le calcagne :
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo Rege eterno con le ruote magne.
Quale il falcon , che prima a* pie si mira ,
Indi si volge al grido , e si protende
Per lo disio del pasto, che là il tira;
Tal mi fee' io, e tal, quanto si fende
La roccia per dar via a chi va suso.
N'andai 'nfino ove '1 cerchiar si prende.
€om' io nel quinto giro fui dischiuso , 70
Vidi gente per esso , che piangea »
Giacendo a terra tutta volta in giuso.
Adhaesit pavimento anima mea j
Sentia dir lor con si alti sospiri ,
Che la parola appena s'intendea.
O eletti di Dio, li cui soffriri
E giustizia, e speranza fan men duri,
Drizzate noi verso gli alti saliri.
Se voi venite dal giacer sicuri ,
E volete trovar la via più tosto , 80
Le vostre destre sien sempre di furi :
Cosi pregò 1 Poeta , e sì risposto
Poco dinanzi a noi ne fu : per eh' io
Nel parlare avvisai l'altro nascosto;
e A ir TO XIX. 39
E volsi gli occhi agli occhi al signor mio ;
Ond^eili m* assenti con lieto cenno
CSò, che chiedea la vista del disio.
Poi ch^o potei di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella creatura ,
Le cui parole pria notar mi fenno, 90
Dicendo: Spirto, in cui pianger matura
Quel, sanza *1 quale a Dio tornar non puossi.
Sosta un poco per me tua maggior cura .
' Chi fosti, e perchè volti avete i dossi
Al su, mi di ^ e se vuoi, eh' i*t* impetri
Cosa di là, ondMo vivendo mossi •
Et egli a me : Perchè i nostri diretri
Rivolga U Cielo a se , saprai ; ma prima
Scias , quod ego fui successor Petri .
Intra Siestri, e Chiaveri s^adima 100
Una fiumana bella , e del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima • \
Un mese , e poco più prova* io , come
Pesa U gran manto a chi dal fango U guarda ,
Che piuma sembran tutte T altre some:
La mia conversione omè fu tarda;
Ma come fatto fui Roman Pastore^
Cosi scopersi la vita bugiarda.
■
1 Chi foste,
40 DEL PURGATORIO
Vidi, ch^ li non si quetava U cuore ,
Né più salir ' potèsi in quella vita ; no
Per che di questa in me s* accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
Da Dio anima fui , del tutto avara :
Or, come vedi, qui ne son punita.
Quel , eh* avarizia fa , qui si dichiara
In purgazion delF anime converse :
E nulla pena il monte ha più amara .
Sì come r occhio nostro non s* aderse
In alto, fisso alle cose terrene;
Così giustizia qui a terra il merse . 1 20
Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore ^ onde operar perdèsi.
Cosi giustizia qui stretti ne tiene
Ne* piedi e nelle man legati e presi ;
E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili e distesi.
Io m* era inginocchiato , e volea dire :
Ma compio cominciai, et ei s* accorse*
Solo ascoltando del mio riverire,
Qual cagion, disse, in giù così ti torse? 1 3o
Et io a lui : Per vostra dignitate
Mia coscienza dritta mi rimorse.
I poteasi in qaella
CANTO XIX. 41
Drizza le gambe , e levati su, frate.
Rispose : non errar : conservo sono
Teco, e con gli altri ad una potestà te.
Se mai quel santo Evangelico suono ,
Che dice Ncque nubent > intendesti ,
Ben puoi veder, percVio così ragiono.
Vattene ornai : non vo\ che più t' arresti ;
Che la tua stanza mio pianger disagia, 140
Col qual maturo ciò, che tu dicestì»
Nepote ho io di là, ch'ha nome Alagia,
Buona dà se , pur che la nostra casa
Non faccia lei per esemplo malvagia ;
E questa sola m' è di là rimasa •
43
CANTO VENTESIMO.
Aegomsnto
tkaUi seguitando eolla sua teoria udì uno spinto» che
ramauntava esempf di Povertà, dal quale, fra le aU
trt'eose, intese, che la notte dal^ anime ripeteansi
esempf d'Avarizia. Da fuesto poi dipartiti sentirono
tremare il monte, e ì anime cantar gloria a Dio^ dopo
di che ripresero nuovamente il cammino.
v^ontra miglior voler voler mal pugna »
Onde contra *1 piacer mio per piacerli
Trassi dell'acqua non sazia la spugna.
Mossimi ; e '1 duca mio si mosse per li
Luoghi spediti pur lungo la roccia.
Come si va per muro stretto a* merli ;
Che la gente, che fonde a goccia a goccia
Per gli occhiU mal,che tuttofi mondo occupa^
Dairaltra parte in fuor troppo s*approccia.
Maladetta sie tu, antica Lupa, io
Che più che tutte V altre bestie hai preda
Per la tua fame sanza fine < cupa •
I capa!
44 DEL FURGATORIO
O Gel , nel cui girar par che si creda
Le condizion di quaggiù trasmutarsi ,
Quando verrà, per cui questa disceda?
Noi andavam co* passi lenti e scarsi ,
£t io attento ali* ombre, eh* io sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi;
E per ventura udi*: Dolce Maria,
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto , 20
Come fa donna, che 'n partorir sia,
E seguitar: Povera fosti tanto.
Quanto veder si può per quell* ospizio ,
Ove sponesti *1 tuo portato santo .
Seguentemente intesi: O buon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtute ,
Che gran ricchezza posseder con vizio .
Queste parole m*eran si piaciute,
Ch*io mi trassi oltre per aver contezza
Di quello spirto, onde < parèn venute. 3o
Esso parlava ancor della larghezza ,
Che fece Niccolao alle pulcelle,
Per condurre ad onor lor giovinezza .
O anima, che tanto ben favelle.
Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola
Tu queste degne lode rinnovelle .
«
I parean Tenmte.
CANTO XX. 45
Non fia senza mercè la tua parola,
S^jo ritorno a compier lo cammin corto
Di quella vita, eh* al termine vola.
Et egli: > Io ti dirò, non per conforto, 40
Gh^io attenda di là, ma perchè tanta
Grazia in te luce prima che sie morto:
r fui radice della mala pianta ,
Ghe la terra Cristiana tutta aduggia
Si, che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Guanto, Lilla, e Bruggia
Potesser, tosto ne saria Vendetta:
Et io la cheggio a lui, che tutto giuggia.
Chiamato fui di là Ugo Giapetta :
Di me son nati i Filippi e i Luigi, So
Per cui novellamente ^ è Francia retta.
Figliuol fui d^un beccaio di Parigi,
Quando li Regi antichi venner meno
Tutti , fuor eh* un renduto in panni bigi :
Trovami stretto nelle mani il freno
Del governo del regno, e tanta possa
Di nuovo acquisto, e più d* amici pieno,
Ch*alla corona vedova promossa
La testa di mio figlio fu, dal quale
Cominciar di costor le sacrate ossa. 60
I Io*l ti dirò, a Francia ^ retta.
46 DEL PURGATORIO
Mentre che la gran dote Provenzale
Al sangue mio non tolse la vergogna ,
Poco yalea , ma pur non facea male .
Li cominciò con forza» e con menzogna
La sua rapina; e poscia per ammenda
Ponti, e Normandia prese, e Guasc<^na.
Carlo venne in Italia, e per ammenda
Vittima fé' di Curradino, e poi
Ripinse al Ciel Tommaso per ammenda.
Tempo ' veggh*io non molto dopo ancoi, 70
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia ,
Per far conoscer meglio e se , e i suoi •
Senz'arme n'esce, e solo con la lancia.
Con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
Sì, eh* a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato et onta
Guadagnerà per se tanto più grave ,
Quanto più lieve simil danno conta .
L* altro, che già uscì preso di nave,
leggìo vender sua figlia , e patteggiami, 8«
Come fan li corsar dell' altre schiave •
O avarizia , che puoi tu più farne ,
Poi eh' hai '1 sangue mio a te sì tratto ,
Che non si cura della propria carne ?
1 Tei^'io non molto
CANTO XX. 47
Perchè men paia il oial futuro , e U fatto ,
V^io ÌQ Alagna entrar lo fiordaliso ,
E nel Vicario suo Cristo esser catto .
Ve^iolo uà' altra volta esser deriso :
Veggio rinnoveUar Faceto, e '1 fele ,
E tra vivi ladroni essere anciso . 90
Veggio *1 nuovo Pilato sì crudele »
Che ciò noi sazia , ma senza decreto
Porta nel tempio le cupide vele^
O Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta , che ^lascosa
Fa dolce Tira tua nel tuo segreto?
Ciò» ch'io dicea di queir unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti. fece
Verso me volger per alcuna chiosa ,
Tant'è disposto a tutte nostre prece, 100
Quanto il dì dura ; ma quando s^ annotta ,
Contrario suon prendemo in quella vece :
Noi rìpetiam Pigmalione allotta ,
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia sua dell'oro ghiotta,
E la miseria dell' avaro Mida ,
Che seguì alla sua dimanda ingorda.
Per la qual sempre convien che si rìda .
48 DEL PURGATORIO
Del folle Acàm ciascun poi si ricorda ,
Come furò le spoglie, si che Tira no
Di losoè qui par eh' ancor lo morda.
Indi accusiam col marito Safira;«
Lodiamo i calci, ch'ebbe Eliodoro;
Et in infamia tutto U monte gira
Polinnestor, ch'ancise Polidoro.
Ultimamente ci si grida: Grasso,
Dicci, che *1 sai, di che sapore è Toro.
Talor parliam V un alto , e T altro basso ,
Secondo rafifezion» eh' a dir ci sprona
Ora a maggiore , et ora a minor passo, i ao
Fero al ben , che '1 di ci si ragiona ,
Dianzi non er' io sol ; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona .
Noi era vam partiti già da esso ,
E brigavàm di soverchiar la strada *
Tanto, quanto al poder n'era permesso;
Quand'io senti', come cosa che cada.
Tremar io monte: onde mi prese un gielo,
Qual prender suol colui, eh' a morte vada.
Certo non si scotea A forte Delo, i3o
Pria che Latona in lei facesse '1 nido,
A parturir li du' occhi del Cielo.
CANTO XX. 49
Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che '1 Maestro in ver di me si feo.
Dicendo: non dubbiar » mentrMo ti guido.
Gloria in eocceUU tutti D^}
Dìcean, < per cpel chHo davicin compresi»
Onde ^ntender lo grido ai.potèo.
Noi ci restanmio immobili e sospesi.
Come ipastor, ^ che prima iiflir quel canto.
Fin che *1 tremar cessò, et ei compièsL ( 1 40
Poi ripigliammo nostro cammin santo.
Guardando Tombie, che S giacèn per terra.
Tornate già in su T usato pianto.
Nulla ignoranza mai cotanta gtierra
Mi fe^ desideroso di sapere ,
Se la memoria mia in ciò non erra ,
Quanta 4 pare mi allor pensando avere:
Né per la fretta dimandare er* oso ,
Né per me li potea cosa vedere : 1 So
Così m* andava timido e pensoso.
I per quel che dai TÌcin compresi » a cbe*n priua
3 giacean per terra, 4 pareamì
Dante T. IL
/
Si
CANTO VENTESIMOPRIMO
AlGOMKHTO
Seguendo i Poeti per U fuinio girone, mpparve Uro uno
fipirito, da cui richiesta avendo la cagione dello scf^
tùnento del monte, e del canto del( anime poc*anai
udito, intesero avvenir ciò, qualora alcuna deltani^
me, terminata la sua purgazione , si leva per gire al
Cielo» Alla fine lo spirito si dà a conoscere, o loro
dice, ch'era Stazio.
JLa sete naturai» che mai non sazia,
3e non coir acqua, onde la femminetta
Sammarìtana dimandò la grazia ,
Mi travagliava, > e pnngèmì la fretta
Per la impacciata via retro al mio duca,
E condolèdù alla giusta vendetta .
Et ecco, sì come ne scrive Luca,
Che Cristo apparve .a* duo, ch*erano*n via.
Già surto fuor della sepulcral buca ,
I e pagneami
Sa DEL PURGATORIO
Ciappàrveun^ombra, e dietro a noi vtnìa io
Dappiè guardando la turba » che giace:
N% ci addemmo di lei, si parlò pria.
Dicendo: > Frati miei. Dio vi dea pace:
Noi ci volgemmo subito; e Virgilio
Rendè lui 1 cenno, eh* a ciò si conface;
Poi cominciò : Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace Corte »
Che me rilega nell* etemo esiliò •
Come, diss* egli, e perchè andate forte.
Se voi siete ombre, che DTq su non degni? 20
Chi V* ha per la sua scala tanto scorte ?
E *1 dottor mio : Se tu riguardi i segni ,
Che questi porta, e che TAngel profila.
Ben vedrai, che co'buon convien ch^e'regnt.
Ma perchè lei, che di e notte fila.
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Che Cloto impone a ciascuno e compila ,
L* anima sua» ch*è tua, e mia sirocchia.
Venendo su non potea venir sola ,
PeroccVal nostro modo non adocchia :'3o
Ond' io fui tratto £uor dell* ampia gola
D* Inferno per mostrarli , e mosterroUi
Oltre, qnanto *1 potrà menar mia scuola.
X Frati miei»
• AUTO XXI. S3
Ma dinne» m ni sai, ptrcliè ui cròlli
Die dianzi *1 monte, e perchè tuiti ad ohr
Parver gridare infine a* tuoi pie molli?
SI mi die dimandando per la cruna
Del mio disio, che pur con la speranza
Si fece la mia sete men digiuna.
Quei cominciò! Cosa non è, che sanza 4.0
Ordine senta la religione
Della montagna , o che sia fuor d* usanza .
Libero è qui da ogni alterazione :
Di quel, che U Cielo in se da se riceve,
Esserci puote, e non d* altro cagione.
Perchè non pio^ia, non > grande, non neve.
Non rugiada, non brina più su cade.
Che la scaletta de^ tre gradi breve.
Nuvole spesse non paion, né rade.
Né corruscar, né figlia di Tanmante, So
Che di là cangia sovente contrade.
Secco vapor non surge più avante,
Ch*al sommo' destre gradi, ^ eh* io parlai,
Ov'ha '1 Vicario di Pietro le piante.
Trema forse più giù poco,*od assai;
Ma per vento , che *n terra si nasconda 9
Non so come , quassù non tremò mai :
1 graniliae, s n«tc, s ondalo parlai,
54 BEL PURGATORIO
Tremaci qaaado alcuna anima monda
Si sente sì» che surga, o che si muòva
Per salir su, e tal grido seconda. 60
Della mondizia il sol voler fa pruova ,
Che tutta libera a mutar convento
L* alma sorprende » e di voler le giova •
Prima vuol ben ; ma non lascia 1 talento ,
Che divina giustizia contra voglia»
Come fu al peccar, pone al tormento .
Et io , che son giaciuto a questa doglia
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Libera volontà di miglior soglia •
Però sentisti '1 > tremoto , e li pii 70
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor , che tosto su gì" invi! •
Cosi gli disse ; e però che si gode
Tanto del ber, quant* è grande la sete.
Non saprei dir , quant' e^ mi fece prode .
£ M savio duca : Omai veggio la rete ,
Che qui vi piglia , e come si scalappia ,
Perchè ci trema , e di che congaudete .
Ora chi fosti piacciati ch^o sappia,
£ perchè tanti secoli giaciuto 80
Qui se*, nelle parole tue mi cappia.
1 teTmaolOT}
CANTO XXL SS
Nel lempo^ che '1 buon Tito con V aiuto
Del sommo Rege vendicò le fora,
Ond* usci ^1 Sàngue per Giuda venduto »
C!oI nome 9 che più dura e più onora,
Er*io di là, rispose quello 'spirto.
Famoso assai , ma non con fede ancora.
Tanto fii dolce > mio vocale spirto.
Che Tdosano a se mi trasse Roma ,
Dove mertai le tempie ornar di mirto. 90
Stazio la gente ancor di là mi noma :
Cantai di Tebe , e poi del grande Achille;
Ma caddi *n via con la seconda sooùi .
Al mio ardor for seme le faville.
Che mi scaldar della divina fiamma,
. Onde sono allumati più di mille ,
Dell^ Eneida dico, la qual mamma '
Fiimmi, efommi nutrice poetando:
Sanz^essa non fermai peso di dranmia;
E per esser vivuto di là, (piando lòo
Visse Virgilio , assentirei un Sole
Più, chMo non deggio, al mio uscir di bando.
Volser Virgilio a me queste parole
Con viso, che tacendo dicea: Taci;
Ma non può tutto la virtù, che vuole n;
I *1 Olio Tocalc ipirto,
it USL TOAGATOftIO
Òhe riso e pianto $on tanto seguaci
Alla pafltÌDn^ da che ciasciui si spicca^
Che men 8q;non voler ne* pia veraci.
Io por sorrm, come Tnom, ch^ammioca:
Per cherombran taoi|«e,e rìgoarAonuni no
M^ occhi» ofe 1 sembiante più ai fioca;
E se tanto lavoro in bene assmnmi»
Disse» perchè la fiKcia tna liesteso
Un lampeggiar ' d'nn riso dimostrommi?
Or son io d'una parte e d* altra pròo:
L*nna mi & taoer» Taltra scongiura
Ch*io dica; ondato sospiro» e sono inteso.
Di% il ^mio Maestro, e non aver paura.
Mi disse, di pariar; ma parla, e digli
Quel, chV dimanda con cotanta cura ; 1 20
Ond^io: Forse che tu ti maravifdi.
Antico spirto, del rider, eh* io fei:
Ma più d* amsttirazton vo' che ti pigli*
Questi, che guida in alto g^i occhi miei,
£ quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forte a cantar degli uomini, e de* Dei.
Se cagione altra al mio rìder credesti.
Lasciala per non vera , et esser credf
Quelle parole , che di lui dicesti.
1 di rito
CANTO XXL 47
Cià li ehinaTa ad abbracciar li piedi 1 3o
Al mio dottor; ma e' gli disse : Frate,
Non far; che tu se' onibra^ et ombra vedi •
£t ei surgendo : Or puoi la quantitate
Comprender dell^amor , eh' a te mi scalda ,
< Quando dismento nostra vanitate ,
Trattando 1^ ombre, come cosa salda .
1 Qauid'lo ditmenfe*
CANTO VENTESIMOSECX)NDO
ARGOMENTO
Me U Po€ia con VirgiUo i Stazio oi testo girone, ove
si pnrgm U peccato deila Gola, e seguendo per fueiio
il cammino, ritrooano un arèore assai strano ^ ornato
di pomi odorosi, sulle cui foglie cadepa dalla roccia
una limpida acfua, alla pud pianta espressati udi'
rono una voce, che rammentava esempf di Temper
ranna.
Cria era T Aogel dietro a noi rimaso ,
L' Angel, che n* area Toki al sesto giro »
Avendomi dal viso un colpo raso ;
E quei 9 ch^ hanno a giustizia lor disiro.
Detto n^ avean , Beati f in le sue voci ,
Con sitio 9 e senz* altro ciò fornirò :
Et io più lieve , che per V altre foci ,
M'andava sì , che senza alcun labore
Seguiva in su gli spiriti veloci.
Quando Virgilio cominciò : Amore i o
Acceso di virtù sempre altro accese.
Pur che la fiamma sua paresse fuore.
69 DEL PURGATORIO
Onde dair ora, che tra iu>i discese
Nel limbo dello 'nferno Giovenale 9
Che la tua affezion mi fe^ palese ,
Mia benvoglienza inverso te fii, quale
Più strinse mai. di non vista persona.
Si eh* or mi parran corte queste scale •
Ma dimmi ;. e come amico mi perdona ,
Se troppa sicurtà m^allarga ii freno , 20
£ come amico ornai meco ragiona :
Cpim potèo trovar dentro al tuo lend
Luogo avarìzia tra cotanto senno ,
Di quanto per tua cura fosti pieno ?
Queste parole Stazio muover fenno
Un poco a rìso pria ; poscia rispose :
Ogni tuo dir d^amor m*è caro cenno .
Veramente più volte appaion cose ,
Che danno a dubitar falsa matera ,
Per le vere cagion , che son nascose • 3o
La tua dimanda tuo creder m' avvera
Esser, eh* io fossi avaro in T altra vita ,
Forse per quella cerchia, dov* io era •
Or sappi, che avarìzia fu partita
Troppo da me ; e questa dismisura
Migliaia di lunari hanno punita.
CANTO XXII. 6i
£ sf non fosse , ch'io drizzai mia ciiray
Qaand*io intesi là , ove tu chiame ^
Crucciato quasi ali* umana natura ,
Perchè non reggi tu , o sacra fame 40
Dell'oro, l'appetito de' mortali?
Yolundo sentirei le giostre grame .
Allor m' accorn, che troppo aprir Tali
Potèn le mani a spendere, e pentèmi
Cosi di quel , cpme degli altri mali*
Quanti risoi^eran co* crini scemi
Per r ignoranza , che di questa pecca
Teglie '1 pentèr vivendo, e negli stremi !
E sappi , che la colpa , che rimbecca
Per dritta opposizione alcun peccato, 5 o
Con esso insieme qui suo vetde secca ^
Però s'io son tra quella gente stato.
Che piange T avarizia, per purgarmi,
Per lo contrario suo m' è incontrato .
Or quando tu cantasti le crude armi
Della doppia tristizia di locasta ,
Disse '1 Cantor ' de' bucolici carmi ,
Per quel, che Clio lì con teco tasta ,*
Non par che ti facesse ancor fedele
La Fé, senza la qual ben far non basta . 6q
t Se^boccolici canai t
6ft DXL PITRGATOBIO
Se C061 è, (piai Sole, o qaai candele
Ti stenebraron si , che tu drizzasti
Poscia diretro al pescator le vele?
Et egli a hii : Tu prima m' inviasti
Yerso Parnaso a ber nelle sue grotte»
E prima appresso Dio m* alluminasti.
Facesti» come quei» cbe va di notte»
Che porta il lume dietro» < e se non giova ;
Ma dopo se fa le persone dotte »
Quando dicesti : Seeol A rinnuova » 70
Torna giustizia» ^ e primo tempo umapo»
E progenie discende dal Ciel nuova •
Per te poeta fui, per te Cristiano;
Ma perchè v^gi me' ciò» eh* io disino»
A colorar distenderò la mano.
Già era U mondo tutto quanto pregno
Della vc^ra credenza seminata
Per li messaggi dell* eterno regno;
E la paròla tua S sopra toccata
Si consonava a* nuovi predicanti ; 8e
Ond* io a visitarli presi usata.
Yennermi poi parendo tanto santi ,
Che quando Domizian )i perseguette »
4 Senza mio lagrimar non fur lor pianti :
1 6 a te non gioTs; s a *1 pruno 3 prima toccata
4 Sanaa '1 mio lagrimar
CANTO rXII. 63
E mentre che di là per me si stette.
Io li sovyenniy ' e lor dritti costumi
Fer dispregiare a me tutte altre sette ;
E pria, chMo conducessi i Greci a' fiumi
Di Tebe poetando, ebb* io battesmo;
Ma per paura chiuso Cristian fumi 90
Lungamente mostrando Faganesmo :
E qnesta tiepidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fé' più che'l quarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai^l coperchio.
Che m* ascondeva quanto bene io dico.
Mentre che del salire * avem soverchio ,
Dimmi dov* è Terenzio nostro amico ,
Cecilio, Plauto, e Yarro, se lo sai;
Dimmi, se son dannati, et in qual vico«
Costoro, e Persio, et io, e altri assai, 100
Rispose U duca mio, siam con quel Greco 4
Che le Muse lattar più cV altro mai ,
Nel primo cinghio del carcere cieco •
Spesse fiate ragioniam del Monte,
Ch'ha le nutrici nostre sempre seco.
Euripide t' è nosco, e Anacreonte ,
Simonide, Agatone, e altri piùe
Greci , che già di lauro ornar la fronte •
I • i lav dritti % KfÌÉm •of«Teluo«
«4 BBL rURGATOEtO
Q«m « v«c|MD ddk ganti toe
Aari g o— , Dh^, ct A^U,
■t I— we ii triitt. come foe ;
VaAni ^tia, che moaaò Langu:
Bvvi W tigfa 4i Tktw, e Teti ,
E CM h «MM me DMcbuoU.
T«oenMÌ ammim gii U Poeti,
Di «■««« aOMti « rigsanlara il
LìhMÌ M nlire « <h' paredj
E già fe ^nor» aaodt ann del gioTDO
RiBMc iMìaiui, • la qoinu era al temo,
Pt wiw rf» pwre in w I^MJtente corno; 120
Qundo 1 MÌO dnca : Io creilo, eh'aUo strane
Le deitt* If fa volger ò eeavega»
Gtnuado U MDMe, cone &r falerno .
G«à r«nna & fi wMtn ini^na;
K prevAeBHM la via con nea seapcita*
Kr faanatìr di qqeif aùma degna .
EIU i^nn dUnù, «t w wtecco
Diretra, et aaoeltaTa i lor temuù,
Ch'a poetar ni dknoo ìmdfetto:
Ma tosto nippe k dolci rk^ni i So
Un alber, che tf w o in nwua «rada
CoQ pomi ad odorar eoavì e bnoai.
r
k
CANTO. IXII. 6S
E come abete in alto si digrada
Di ramò in ramo, cosi quello in giusoi
CredMo, perchè persona su non vada.
Dallato, onde'lcammin nostro era chi uso ,
Cadea dall'alta roccia un liquor chiaro,
E si spandeva per le foglie suso.
Li duo Poeti all' alber s' appressare ;
Et una voce per entro le fronde 140
Gridò : Di questo cibo avrete caro :
Poi. disse: Più pensava Maria, onde
Fosser le nozze orrevoli ed intere.
Ch'alia sua bocca , ch'or per voi risponde ;
£ le Romane antiche per lor bere
Contente furon d'.acqua : e Daniello
Dispregiò cibo, et acquistò savere.
Lo secol primo , quànt' oro , fu bello :
Fé' savorose con fame le ghiande ,
E nettare^ per sete ogni ruscello. i5o
Mele, e locuste furon le vivande.
Che nudriro ^ il Batista nel diserto : .
Per ch'egli è glorioso, e tanto grande,
Quanto per l'Evangelio 3 v*è aperto.
I con lete 2 il Battista 3 n*^ aperto.
DàMTM T.IL S ^
6?
CANTO VENTESIMOTERZO.
Akgomekto
Dante seguendo con Virgilio e Stazio il cammino per il
setto girone vede l'anime de' Golosi, ch'erano alVestre^
mo estenuati dalla fame e dalla sete: egli ragiona collo
spirito di Forese, il quale gli dimostra la cagione di
cosi fatto dimagramento: appresso si fa a riprendere
l'immodesto vestire delle donne Fiorentine,
JVLentre che gli occhi per la fronda verde
Ficcava io cosi, come far suole
Chi dietro all' uccellin sua vita perde.
Lo più che padre mi dicea: Figliuole,
Vienne oramai, che'l tempo, ' che c*è *mpo-
Fiù utilmente compartir si vuole, (sto.
Io volsi 1 viso, e '1 passo non men tosto
Appresso ansavi, che parla van sie.
Che r andar mi ^ facèn di nullo costò:
Et ecco piangere, e cantar s'udìe, io
Labia mea^ Domine 9 per modo
Tal, che diletto e doglia parturìe.
1 clie n*è *mp08tOf a facean
68 DEL PURGATORIO
dolce padre, che è quel, chM^odo?
Comincia' io ; et egli: Ombre » che vanno
Forse di lor dover solvendo '1 nodo.
Si come i peregrin pensosi fanno»
Giugnendo per cammin gente non nota »
Che si volgono ad essa, e non ristanno;
Così diretro a noi più tosto mota
Venendo, e trapassando ci ammirava ao
D'anime turba tacita e devota.
Negli occhi era ciascuna oscura e cava ,
Pallida nella faccia, e tanto scema »
Che dair ossa la pelle s* informava .
Non credo, che così a buccia strema
Erìsiton si fusse fatto secco
Per digiunar, quando più n'ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando : Ecco
La gente, che perde Gerusalemme,
Quando Maria nel figlio die di becco. 3o
Parèn V occhiaie anella senza gemme :
Chi nel viso degli uomini legge omoj
Bene avria quivi conosciuto Temme.
Chi crederrebbe , che T odor d' un pomo
Sì governasse, generando brama,
E quel d' un' acqua , non sappiendo comò ?
CANTO XXIIL 69
Già era in ammirar che sì gli affiima »
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza, e di lor trista squamn;
Et ecco del profondo della testa 40
Volse a me gli occhi un*ombra,'e guardò fiso,
Poi gridò forte: Qual grazia m'è qnesta?
Mai non V arrei riconoscinto al viso :
Ma nella voce sua mi fu palese
Ciò 9 che r aspetto in se avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia ,
£ ravvisai la faccia di Forese.
Deh non contendere ali* asciutta scabbia.
Che mi scolora, pregava, la pelle, 5o
Né a difetto di carne, ch'io abbia;
Ma dimmi 1 ver di te; e chi son quelle
Du' anime , che là ti fanno scorta :
Non rimaner , che tu non mi favelle •
La faccia tua , eh' io lagrìmai già morta ,
Mi dà di pianger mo non minor doglia,
^ Risposi lui , veggendola si torta ,
Però mi di% per Dio, che si vi sfoglia:
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio:
Che mal può dir chi è pien d'altra voglia» 6 e
I e guatò fiso, % Ritpof*io Ini,
70 DEL PURGATORia
Et egli a me: Deir eterno consiglio
Cade virtù nell'acqua, e nella pianta
Rimasa addietro, ond'io sì mi sottiglio.
Tutta està gente » che piangendo canta.
Per seguitar la gola oltre misura ,
In fame e 'n sete qui si rifa santa •
Di bere e di mangiar n^ accende cura.
L'odor, ch'esce del pomo e dello sprazzo.
Che si distende su per la verdura.
E non pure una volta questo spazzo 70
Girando si rinfresca nostra pena :
Io dico pena 9 > e dovre'dir sollazzo;
Che quella voglia all'arbore ^ ci mena.
Che menò Cristo lieto a dire Eli,
Quando ne liberò con la sua vena.
Et io a lui : Forese, da quel àìj
Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqu'anni non son volti insino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
Di peccar più, che sorvenisse Torà 80
Del buon dolor, eh' a Dio ne rimarita.
Come se* tu quassù venuto ancora ?
Io ti credea trovar laggiù di sotto ,
Dove tempo per tempo si ristora.
I e doTria dir tellazzo; a ne meaa^
CANTO XXIII. 7t
Et egli a me : Si tosto m' ha condótto
A her lo dolce assenzio de' martiri
La Nella mia col suo pianger dirotto:
Con suo'prieghi devoti, e con sospiri
Tratto m^ha della costa, ove s'aspetta,
£ liberato m* ha degli altri giri . 90
Tant'è a Dio più cara e più diletta
La vedovella mia, ' che tanto amai^
Quanto 'n bene operare è più soletta;
C!he la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue è più pudica ,
Che la Barbagia, dov'io la lasciai.
O dolce frate, che vuoi tu, ch'io dica?
Tempo futuro m' è già nel cospetto ,
Cui non sarà quest'ora molto antica.
Nel qual sarà in pergamo interdetto 100
Alle sfacciate donne Fiorentine
L'andar mostrando con le poppe il petto .
Quai Barbare fur mai, quai Saracine,
Cui bisognasse, per farle ir coverte,
O spiritali, o altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
Di quel 9 che 1 Ciel veloce loro ammanna.
Già per urlare avrian le bocche aperte.
1 cai molto amai,
7» DEL PUBCÀTORIO
Che se l'antiveder qui non m'inganna»
Prima fien triste, che le guance impeli no
Colui, che mo si consola con nanna.
Deh frate , or fa\ che più non mi ti celi :
Tedi , che non pur io , ma questa gente
Tutta rinura là, dove '1 Sol veli«
Per eh' io a lui : Se ti riduci a mente
Qual fosti meco , • quale io teco ftii ,
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui ^
Che mi va innanzi , TaltrMer, quando tonda
Vi si mostrò la suora di colui; 120
£ '1 Sol mostrai : costai per la profonda
Notte menato m'ha da' veri morti
Con questa vera carne, che *1 seconda.
Indi m'han tratto su li suoi conforti.
Salendo e rigirando la montagna.
Che drizza voi, che *1 mondo fece torti.
Tanto dice* di farmi sua compagna.
Ch'io sarò là, dove fia Beatrice:
Quivi convien , che senza lui rimagna .
Virgilio è questi, che così mi dice; i3o
E additalo: e quest'altr^è quell' ombra ^
Per cui scosse dianzi ogni pendice
Lo vostro regno, che da se la sgombra.
73
CANTO VENTESIMOQUARTO.
Aegovxnto
Segue Dante il cammino ragionando eolio spirito di
Forese, do eni gli vengono mostrate alcune anime
de' Golosi: dice poi cke, partito lo spirito, €gli osser^
vò un altro arbore , tra le cui /rondi uscì una voce,
che ricordava esempj di Gola. In fine i Poeti da un
Angelo furona polii alla scala ^ che portm ai settima
girone.
■
JN è ^1 dir r andar 9 né l'andar loi pù lento
Facea; ma ragionando andaTàm forte.
Sì come nave pinta da buon vento ;
£ r ombre, che parean cose rimorte.
Per le fosse degli occhi ammiraaùone
Traèn di me, di mio vivere accorte.
Et io continuando U mio sermone
Dissi : Ella sen va su forse pin tarda ,
Che non farebbe, per T altrui cagione;
Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda: io
Dimmi , s' io ve^io da notar persona
Tra questa gente, che si mi riguarda.
I
74 DEL PURGATORIO
La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più , trionfa lieta
Nell'alto Olimpo già di sua corona.
Si disse prima; e poi: Qui non si vieta
Di nominar ciascun , da eh' è sì munta
Nostra sembianza via per la dieta.
Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta»
Buonagiunta da Lucca; e quella faccia 20
Di là da lui 9 più che l'altre, trapunta.
Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
Dal Torso fu, e purga per digiuno
L^ anguille di > Bolsena e la vernaccia.
»
Molti altri * mi mostrò ad uno ad uno ;
E nel nomar parèn tutti contenti.
Si ch^io però non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a voto usar li denti
Ubaldin dalla Fila, e Bonifazio,
Che pasturò col rocco molte genti. 3o
Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
Già di bere a Forlì con* men secchezza :
E sì fu tal , che non si sentì sazio .
Ma come h chi guarda, e poi fa prezza
Fiù d'un, che d'altro, fé* io a quel da Lucca»
Che più parea di me aver contezza*
I Bolisna in la yernaccia, a mi nomò
CANTO XXIV. 75
£i mormorava; e non so che Gentucca,
Sentiva io là, Vei sentia la piaga
Della giustizia, che si gli pilucca.
anima , diss* io , che par sì vaga 40
Di parlar meco, fa* sì, eh* io t'intenda;
E te, e me col tuo parlare appaga:
Femmina è nata, e non porta ancor benda ,
Cominciò ei , che ti farà piacere
La mia città , come eh* uom la riprenda •
Tu te n* andrai con questo antivedere:
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiareranlti ancor le cose vere •
Ma di* s'io ve^io qui colui, che fuore
Trasse le nuove rime, cominciando 5o
Donne ^ ch'avete intelletto d' umore.
Et io a lui: Io mi sorf un, che, quando
< Amore spira, noto, et a quel modo.
Che detta dentro, vo signiftcando •
O frate, issa ve^'io, diss* egli, il nodo.
Che *1 Notaio , e Guittone , e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo, eh* i* odo.
Io veggio ben, come le vostre penne
Dìretro al dittator sen vanno strette.
Che delle nostre certo non avvenne . 60
I Amor mi spira.
•^ 1XL PCRCATOUO
E <|iial pia s gndire frftre si iHRttc
Non rede più dali* boo all' altro sdlo:
E qoasi oontencato a taoette •
Come ^ ai^ei, die Teman < Teno 1 Nilo,
Alcana nAtz di lor fiumo schiera ,
Poi Tohn pia in firetta, e Tanno in filo ;
Con mtta la gente, che lì era.
Volgendo 1 tìso raffrettò soo passo,
E per magrezza, e per Tder leggiera.
E come Toom , che di trottare è lasso » 70
Lascia andar li compagni, e m, passeggia.
Fin che si sEi^hi raA>llar del casso;
Si lasciò trapassar la santa grigia
Forese, e dietro meco sen Teniva
Dicendo: Quando fia, ch^Tti rìveggia?
Non so, ^ risposi lai, qoant^io mi viva :
Ma già non fia s 1 tornar mio tanto tosto.
Ch'io non sia col voler prima alla riva ;
4 Perocché 1 luogo, a^ fai a viver posto.
Di giorno in giorno più di ben si spolpa, 80
Et a trista raina par disposto.
Or va% diss* ei , che qaei , che più n' ha colpa.
Yegg* io a coda d'una bestia tratto
Terso la valle, ove mai non si scolpa.
I lungo*! Nilo, a rìtpot*io lai, 3 il tommr mio
taiitott«9 4 Perchè *1 Inogo, or* io fai
CANTO XXIV. 77
La bestia ad ogni passo va più ratto ,
Crescendo sempre » infin ch'ella 1 percuote,
E lascia 1 corpo vilmente disfatto .
Non hanno molto a volger quelle ruote »
( E drizzò gli occhi al Ciel) ch'a te fia chiaro
Ciòyche'l mio dir più dichiarar non puote. 90
Tu ti rimani omai, che *1 tempo è caro
In questo r^no si, ch'io perdo troj^.
Venendo teco sì a paro a paro.
Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera » che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo ;
Tal si parti da noi con maggior valchi:
Et io rimasi in via con esso i due ,
Che fur del mondo sì gran maliscakhi .
E quando innanzi a noi sì entrato file» 100
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci.
Come la mente alle parole sue,
Parvermi i rami gravidi e vivaci
D' un altro pomo , e non molto lontani ,
Per esser pure allora volto in laci.
Vidi gente sott* esso alzar le mani ,
' E gridar non so che verso le fronde.
Quasi bramosi fantolini e vani.
78 B£L PURGATORIO
Che pregano , e '1 pregato non risponde ;
Ma per fare esser ben lor voglia acuta, no
Tien alto lor disio, e noi nasconde.
Poi si parti, si come ricreduta:
E noi venimmo al grande arbore, ad esso.
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta»
Trapassate oltre , senza farvi presso :
Legno è più su , che fu morso da Eva ,
E questa pianta si levò da esso.
SI tra le frasche non so chi diceva :
Per che Virgilio e Stazio ed io ristretti
Oltre andavàm dal lato , che si leva . 1 20
Ricordivi , dicea , de* maladetti
Ne* nuvoli formati , che satolli
Teseo combatter coMoppj petti ;
£ degli Ebrei , eh* al ber si mostrar molli ;
Per che non ebbe Gedeon compagni ,
Quando in ver Madian discese i colli.
Si accostati ali* un de* duo vivagni
Passammo udendo colpe della gola
Seguite già da miseri guadagni •
Poi rallargati per la strada sola i3o
Ben mille passi e più ci portammo oltre,
Contemplando ciascun senza parola .
CANTO XXIV. 79
Che andate pensando si voi sol tre ?
Subita voce disse ; ond* io mi scossi »
Come fan bestie spaventate e poltre .
Drizzai la testa per veder chi fossi :
E giammai non si videro in fornace
Vetri 9 o metalli sì lucenti e rossi »
Com* io vidi un , che dicea : S* a voi piace
Montare in su, qui si convien dar volta: 140
Quinci si va chi vuole andar per pace.
L* aspetto suo m^avea la vista tolta:
Per cVio mi volsi indietro armici dottori,
Com'uom , che va , secondo ch^^li ascolta.
E quale annunziatrice degli albori
L^aura di Maggio muovesi, et olezza
Tutta impregnata dair erba e da* fiori ;
Tal mi senti* un vento dar per mezza
La fronte : e ben senti* muover la piuma ,
Che fé* sentir d* ambrosia 1* orezza ; 1 5
E senti* dir: Beati ^ cui alluma
Tanto di grazia , che 1* amor del gusto
Nel petto lor troppo disir non fuma ,
Esuriendo sempre quanto è giusto.
I
Si
CANTO VENTESIMOQUINTO.
AaaoMKKTo
Dispiega Stazio a/ Poeta l'opera mirabile ^della gene^
razione, e mostra come l'anime pestano forma visi-
òlle, con che gli risolve un quesito. Indi saliti al set-
timo ed ultimo girone, in cui si purga il peccato della
Lussuria , Dante ritrova V anisae , eh" tra fiamme
ardenti cantavano un Inno, ed appresso ripetevano
esempi di Castità .
vJra era, onde U salir non volea storpio;
Che '1 Sole avea lo cerchio di merigge
Lasciato al Tauro, e la notte allo Scorpio.
Per che, come fa l'uom, che non s'affigge.
Ma vassi alla via sua , chechè gli appaia ,
Se di bisogno stimolo il trafigge ;
Cosi entrammo noi per la callaia;
Uno ' innanzi altro prendendo la scala ,
Che per artezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin, che leva Tala io
Per voglia di volare, e non s^ attenta
D^ abbandonar lo nido, e giù la cala;
I ansi r altro
Dante T.IL é
«a DEL PURGATORIO
Tal era io con voglia accesa e spenta
Di dimandar, venendo infino all'atto.
Che fa colui, eh' a dicer s'argomenta.
Non lasciò per l'andar, che fosse ratto.
Lo dolce padre mioi ma disse: Scocca
L'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto.
AUor sicuramente aprii la bocca,
E cominciai: Come sì può far magro 20
Là, dove l'uopo dì nutrir non tocca?
Se t'ammentassi, come Meleagro
Si consumò al consumar d'un tizzo,
Non fora, disse, questo a te sì agro;
E se pensassi, come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra image.
Ciò, che par duro, ti parrebbe vizzo.
Ma perchè dentro a tuo voler t'adage.
Ecco qui Stazio; et io lui chiamo e prego.
Che sia or sanator delie tue piage. 3o
Se la vendetta eterna gli dislego.
Rispose Stazio, là dove tu sie,
Discolpi me non potert'io far niego.
Poi cominciò: Se le parole mie.
Figlio , la mente tua guarda e riceve ,
Lume ti fieno al come, che tu die.
CANTO XXV. 83
Sangue perfetto, che mai non si beve
Dall* assetate vene, e si rimane
Quasi alimento, che di mensa leve.
Prende nel core a tutte membra umane 40
Virtute informativa, come quello,
Ch'a farsi quelle per le vene vane.
. Ancor digesto scende, ov'è più bello
Tacer , che dire ; e quindi poscia geme
So vr* altrui «angue in naturai vasello.
Ivi s'accoglie Tuno e l'altro insieme,
L'un disposto a patire, e l'altro a fare,
Per lo perfetto luogo , onde si preme ;
E giunto lui comincia ad operare
Coagulando prima, e poi ravviva 5o
Ciò, che per sua materia fe'gestare.
Anima fatta la virtute attiva,
Qual d'una pianta, in tanto differente.
Che quest' è 'n via, e quella è già a riva.
Tanto ovra poi , che già si muove e sente ,
Come fungo marino ; et ivi imprende
Ad organar le posse, ond'è seqiente.
Or si piega , figliuolo , or si distende
La virtù, eh' è dal cuor del generante.
Dove natura a tutte membra intende. 60
/
I
i
d4 DEL PURGATORIO
Ma come d* animal divegna fante
Non vedi tu ancor: questue tal punte
Che più savio di te già fece errante
Sì , che per sua dottrina fé' disgiunto
Dair anima il possibile intelletto.
Perchè da lui non vide organo assuni
Apri alla verità j che viene, il petto,
£ sappi , che sì tosto come al feto
L* articolar del cerebro è perfetto.
Lo Motor primo a lui si volge lieto,
Sovra ' tanta arte di natura , e spira
Spirito nuovo di virtù repleto.
Che ciò, che truova attivo quivi, tira
In sua sustanzia, e fassi un^alma sob
Che vive, e sente, e se in se rigira .
E perchè meno ammiri la parola.
Guarda '1 calor del Sol, che si fa vine
Giunto ali* umor, che dalla vite cola.
E quando Lachesìs non ha più lino ,
Solves! dalla carne , et in virtute
Seco ne porta e Fumano, e '1 divino,
L'altre potenzie tutte quante mute,
Memoria, intelligenzia , e voloutade.
In atto, molto più che prima, acute.
I taht*aTte di natura ,
CANTO XXV. «5
Senza restarsi per se stessa cade
Mirabilmente ali* una delle rive:
Quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che luogo ' là la circonscrive.
La virtù formativa raggia intorno
Così, e quanto nelle membra vive. 90
E come l'aere, quand'è ben * piorno.
Per r altrui raggio, che 'n se si riflette,
Di diversi color si mostra adorno;
Cosi Taer vicin quivi si mette
In quella forma, che in lui suggella
Virtualmente Talma, che ristette.
£ simigliante poi alla fiammella ,
Che segue *1 fuoco là, dunque si muta.
Segue allo spirto sua forma novella.
Perocché quindi ha poscia sua parata, 100
£ chiamat* ombra ; e quindi organa poi
Ciascun sentire insino alla veduta.
Quindi parliamo, e quindi ridiam noi:
Quindi facciam le lagrime e i sospiri,
Che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci afEggon li disiri,
E gli altri affetti, l'ombra si figura:
E questa è la cagion, di che tu miri.
«
1 li la circonscrive, 1 piovorno^
ì
ì
8'j DEL PURGATORIO
E giìi venuto all' ultimo tortura
S'era per noi, evolto alla man destra, i io
Et eravamo attenti ad altra cura .
Quivi U ripa fiamma in fuor balestra:
E la cornice spira fiato in suso.
Che la reflette, e via da lei sequestra;
Onde ir ne convenia dal lato schiuso
Ad uno ad uno: et io temeva 'I fuoco
Quinci, e quindi temeva il cader giuso.
Lo duca mio dicea : Per questo loco
Si vuol tenere agli occhi stretto '1 freno,
Perocch'errar potrebbesi per poco. i2t>
Suiiuriac Deus clcmcntiae , nel seno
Del grand' ardore allora udì', cantando.
Che di volger mi fe'caler non meno.
E vidi spirti per la fiamma andando:
Per ch'io guardava a i loro et a'miei passi.
Compartendo la vista a qitando a quando.
Appresso'! fine, ch'a quell'inno fassi,
Gridavano alto: Firuiii non cognosco:
Indi ricominciavan l'inno bassi.
Finitolo anche gridavano: Al bosco i 3o
Corse Diana, et Elice caccionne,
Che di Venere avea sentito '1 tosco.
CANTO XXT.
Indi al cantar tornavano : indi doàne
Gridavano , e mariti , che fur casti ,
Come virtute, e matrimonio impònne.
E questo modo credo , che lor basti
Per tutto 1 tempo, cheU fuoco gli abbrucia
Con tal cura conviene e con tai pasti ,
Che la piaga da sezzo si ricucia.
89
CANTO VENTESIMOSESTO .
Aegomento
JDanie andando con VirgUio e Stazio ptdi alire anime
de' Lussuriosi penir ira le fiamme perso le prime, la
quali nelt incontrarsi tune con l'altre si èaciawtne,
e dicevano esempj di Lussuria, di poi seguivano Im
loro strada; ed il Poeta tra questi parla con Guida
Guinicellif ed Arnaldo Daniello,
JVlentre che sì per Torlo > uno innanzi altro
Ce n'andavamo, ^ spesso U buon Maestro
Diceva : Guarda ; giovi , cV io ti scaltro »
Feriami U Sole in su Tornerò destro.
Che già raggiando tutto V Occidente
Mutava in bianco aspetto di cilestro;
Et io facea con T ombra più rovente
Parer la fiamma ; e pure a tanto indizio
Vidi molt' ombre andando poner mente.
Questa fu la cagion, che diede inizio io
Loro a parlar di me ; e cominciarsi
A dir : Colui non par corpo fittizio .
I uno tuli r altro 2 a spetto '1 buon Maestro
I
^ DEL PURGATORIO
Poi verso roe, quanto potevan farsi,
Certi si feron sempre con riguardo
Di non uscir, dove non fossero arsi.
O lu, che vai, non per esser più tardo.
Ma forse reverente agli altri dopo,
Rispondi a me, che'n sete et in fuoco ardo.
Né solo a me la tua risposta è uopo:
Che tutti questi n'hanno maggior sete, ao
Che d'acqua fredda Indo, o Etiopo.
Dinne, com'è, che fai di te parete
Ai Sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete?
Sì mi parlava un d'essi; et io mi fora
Già manifesto, s'io non fossi atteso
Ad altra novità, ch'apparse allora;
Che per lo mezzo del cammino acceso
Venia gente col viso incontro a questa ,
La qual mi fece a rimirar sospeso. 3o
Lì veggio d' ogni parte farsi presta
Ciascun' ombra, e baciarsi una con una
Senza restar, contente a breve festa:
Cosi per entro loro schiera bruna
S'ammusa l'una con l'altra formica,
Forse a spiar lor via , e lor fortuna •
CANTO XXVL fi
Tosto che parton l' accoglienza amica ,
Prima che il primo passo lì trascorra.
Sopra gridar ciascuna s'affatica;
La nuova gente : * Soddoma e Gomorra ; 4«
E l'altra: Nella vacca entrò Pasife,
Perchè '1 torello a sua lussuria corra.
Poi come gru, eh' alle montagne Rife
Yolasser parte, e parte in ver T arene.
Queste del giel , quelle del Sole schife >
L*una gente sen va, l'altra sen viene.
E torndn lagrimando a^ primi canti ,
^ E al gridar , che più lor si conviene :
E raccostarsi a me , come davanti ,
Essi medesmi , che m' avean pregato , 5 •
Attenti ad ascoltar ne* lor sembianti •
Io, che due volte avea visto lor grato,
' Incominciai : O anime sicure
D^aver, quando che sia, di pace stato.
Non son rimase acerbe , né mature
Le membra mia di là, ma son qui meco
Col sangue suo , e con le sue giunture.
Quinci su vo , per non esser più cieco :
Donn* è di sopra , che n* acquista grazia ;
Per che'l mortai pel vostro mondo reco. 6e
I Sodoma • Gomorra, a Et al gridar^
9a DEL PURGATORIO
Ma se la vostra maggior voglia sazia
Tosto divegna sì, che '1 Ciel v'alberghi,
Ch'è pien d'amore, e più ampio si spazia.
Ditemi, acciocché ancor carte ne verghi.
Chi siete voi , e chi è quella turba ,
Che si ne va diretro a' vostri terghi?
Non altrimenti stupido si turba
Lo montanaro, e rimirando ammuta.
Quando rozzo e salvatico s' inurba ;
Che ciascun* ombra fece in sua paruta : 70
Ma poiché furon di stupore scarche ,
Lo qual negli alti cuor tosto s'attuta:
Beato te, che delle nostre marche.
Ricominciò colei , che pria ne chiese ,
Per viver meglio esperienza imbarche .
La gente 9 che non vien con noi, offese
Di ciò , per che già Cesar trionfando
Regina contra se chiamar s' intese :
Però si parton, Soddoma gridando.
Rimproverando a se , com' hai udito, 80
E aiutan V arsura vergognando .
Nostro peccato fu Ermafrodito ;
Ma perchè non servammo umana legge.
Seguendo come bestie l'appetito.
CANTO XXVI. 93
In obbrobrio di noi per noi si legge ,
Quando partìamci, il nome di colei.
Che s'imbestiò nelle 'mbestiate schegge.
Or sai nostri atti, e di che fummo rei :
Se forse a nome vuoi saper chi semo ,
Tempo non è da dire, e non saprei. 90-
Farotti ben di me volere scemo :
Son Guido Guinicelli, e già mi purgo.
Per ben dolermi prima ch'alio stremo.
Quali nella tristizia di Licurgo
Si fer duo figli a riveder la madre,
Tal mi fee' io, ma non a tanto insurgo,
Quando i' udi' nomar se stesso il padre
Mio, e degli altri miei miglior, che mai
Rime d'amore usar dolci e leggiadre:
£ senza udire e dir pensoso andai 100
Lunga fiata rimirando lui ,
Ne per lo fuoco in là più m^ appressai.
Poiché di riguardar pasciuto fui ,
Tutto m' offersi pronto al suo servigio
Con raffermar, che fa credere altrui.
Et egli a me : Tu lasci tal vestigio ,
Per quel ch'i' odo, in ihe, e tanto chiaro.
Che Lete noi può torre, ne far bigio.
9« DEL PURGATORIO
Ma se le tue parole or ver giuraro ,
Dimmi, che è cagion , perchè dimostri no
Nel dire e nel guardar d' avermi caro?
Et io a lui : Li dolci detti vostri ,
Ghe^ quanto durerà V uso moderno,
Farannorcari ancora i loro inchiostri.
O frate, disse, questi, ch^io ti scemo
Gol dito (e additò uno spirto innanzi)
Fu miglior fabbro del parlar materno :
Versi d'amore, e prose di romanu
Soverchiò tutti ; e lascia dir gli stolti ,
Che quel di Lemosi credon ch'avanzi : 120
A voce pia ch^ al ver drizzan Ir volti ,
£ così ferman sua opinione.
Prima eh' arte , o ragion per lor s' ascolti .
Così fer molti antichi di Guittone ,
Di grido in grido pur lui dando pregio.
Fin che V ha vinto U ver con piiì persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio.
Che licito ti sia V andare al chiostro ,
Nel quale è Cristo abate del collegio.
Fagli per me un dir di pater nostro, i3o
Quanto bisogna a noi di questo mondo.
Ove poter peccar non è più nostro.
CANTO ZXVL ^
Poi forse per dar luogo altrui secondo,
' Che presso avea , disparve per lo fuoco ,
Come per Tacqua il pesce andando al fondo.
Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
£ dissi, eh* al suo nome il mio desire
Apparecchiava grazioso loco.
£i cominciò liberamente a dire :
Tan m'abbelis votre cortois demctnj 140^
Chi eu non puousj ne uueil a vos cobrire.
Jeu sui Arnautj che plor^ e vai cantan
Con si tost vei la spassada folor ^
Et vie giau sen le jor, che sper, denan.
Ara vus preu pera chella valor ^.
Cile vus ghida al som delle scolina,
Sovegna vus a temps de ma dolor:
Poi 8* ascose nel fuoco , che gli affina •
97
CANTO VENTESIMOSETTIMO
Argomento
Fedono i Poeti un Angelo, pel cui avviso passano irm
le fiamme, e vaiioo all' ultima scala, sulla quale ,
amai giunta la notte, si fermano. Quivi Dante ad*
dormentatosi eòòe una visione, e risvegliatosi suit au»
rora sah col suo duce e con Stazio alla cima^ dove
Virgilio lo mise in liòertà di far per innansù ogni
cosa a suo talento»
dì come, quando i primi raggi vibra
Là, dove il suo Fattore il sangue sparse.
Cadendo Ibero sotto l'alta Libra, t
E *n r onde in Gange di nuovo riarse ,
Sì stava il Sole , onde 1 giorno sen giva ,
Quando TAngel di Dio lieto ci apparse.
Fuor della fiamma stava in su la riva ,
E cantava : Beaii mundo corde ,
In voce assai più, che la nostra, viva.
Poscia : Più non si va , se pria non morde , i o
Anime sante , il fuoco : entrate in esso ,
Et al cantar di là non siate sorde.
Dmtz t,il 7
98 DEL P^GATORIO
Sì disse 9 come noi gli fummo presso :
Per eh' io divemii tal , quando lo 'ntesi »
Quale è colui, che nella fossa è messo.
In su le man commesse mi protesi ,
Guardando U fuoco , e immaginando forte
Umani corpi già veduti accesi .
Yolsersi verso me le J)Uone scorte ;
E Virgilio mi disse : Figliuol mio , 20
Qui puote esser tormento, ma non morte •
* Ricordati, ricordati: e se io
Sovr'esso Gerion ti guidai salvo ,
Che farò or, che son più presso a Dio?
Credi per certo , che se dentro air alvo
Di questa fiamma stessi ben mill* anni.
Non ti potrebbe far d^un capei calvo.
£ se tu credi forse , eh' io t* inganni ,
Fatti ver lei, e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de'tuo' panni. 3o
Pon giù ornai , pon giù ogni temenza :
Volgiti 'n qua, e vieni oltre sicuro.
Et io pur fermo , e contra coscienza .
Quando mi vide star pur fermo e duro.
Turbato un poco disse: Or vedi, figlio.
Tra Beatrice , e te è questo muro •
I Ricorditi, ricorditi;
CANTO ZXVIL 99
Come al nome di Tisbe aperse *1 ciglio
Pi ramo in su la morte, e riguardolla,
AUor che U gelso diventò vermiglio;
Così la mia durezza fatta solla , 40
ìtfhvolsi al savio duca udendo il nome.
Che nella mente sempre mi rampolla /
Ond' e' crollò la testa , e disse : Come ,
Volemci star di qua? indi sorrise.
Come al fanciul si fa, eh' è vinto al pome.
Poi dentro al fuoco innanzi mi si mise.
Pregando Stazio, che venisse retro.
Che pria per lunga strada ci divise •
Come fui dentro, in un bogliente vetro
Citta to mi sarei per rinfrescarmi. So
Tant'era ivi lo 'ncendio senza metro.
Lo dolce padre mio per confortarmi
Pur di Beatrice ragionando andava ,
Dicendo : CU occhi suoi già veder parmi •
Guida vaci una voce, che cantava
Di là; e noi attenti pure a lei
Venimmo Aior là, ove si montava.
Venite j henedicti patris mei^
Sonò dentro a un lume, che li era.
Tal, che mi vinse, e guardar noi potei. 60
loo DEL PURGATORIO
Lo Sol sen va , soggiunse , e vien la sera :
Non v'arrestate^ ma studiate U passo ,
Mentre che T Occidente non scannerà.
Dritta salia la via per entro U sasso
Verso tal parte, ch^o toglieva i ^^(tÈf
Dinanzi a me del Sol , eh* era già ladso .
E di pochi scaglion levammo i saggi.
Che U Sol corcar per Tombra, che si spense,
Sentimmo dietro et io, e gli miei saggi.
E pria che in tutte le sue parti immense 70
Fusse orizzonte fatto d^un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
Ciascim di noi d^ un grado fece letto ;
Che la natnra del monte ci aflPranse
La possa del salir, più che U diletto.
Quali si < fanno ruminando manse
Le capre, state rapide e proterve.
Sopra le cime , prima che sien pranse ,
Tacite all'ombra, mentre che '1 S<^ ferve.
Guardate dal paator, che'n su la verga 80
Poggiato s'è , e lor poggiato serve:
E quale il mandrian, che fuori alberga
Lungo '1 peculio suo queto pernotta ,
Guardando, perchè fiera non lo sperga;
I stanno ruminande
CANTO XXVII. 101
Tali eravamo ' tutt^e tre allotta.
Io come capra 9 et ei come pastori ,
Fasciati quinci e quindi dalla grotta.
Poco potea parer li del di fuori;
Ma per quel poco vedev^k) le stelle
Di lor solere e più chiare, e maggiori. 90
Si ruminando, e si mirando in quelle.
Mi prese "1 sonno, il sonno, che sovente.
Anzi che '1 fatto sìa, sa le novelle.
Nell'ora, credo, che dell' Oriente
Prima raggiò nel monte Citerea,
Che di fuoco d'amor par sempre ardente ,
Giovane e bella in sogno mi parea
Donna vedere andar per una landa
Cogliendo fiori , e cantando dicea :
Sappia qualunque '1 mio nome dimanda , 1 00
Ch^io mi son Lia, e vo movendo 'ntorno
Le belle mani a farmi una ghirlanda •
Per piacermi allo specchio, qui m'adorno;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo ammiraglio , e siede tutto giorno •
£ir è de' suo' begli occhi veder vaga ,
Com' io deir adomarmi con le mani:
Lei lo vedere, e me Tovrare appaga.
I tutti e tr«
loa DEL PURGATORIO
£ già per li splendori antelucani ,
Che unto a i peregrin sargon piò grati, no
Quanto tornando albergan men lontani.
Le tenebre fuggian da tutti i lati ,
£ U sonno mio con esse ; ond'io levami,
Ye^ndo i gran Maestri già levati .
Quel dolce pome , che per tanti rami
Cercando va la cura de^ mortali ,
Oggi porrà in pace le tue fami .
Virgilio inverso me queste cotali
Parole usò; e mai non furo strenne.
Che fosser di piacere a queste iguali . 1 20
Tanto voler sovra voler mi venne
Dell'esser su, eh* ad ogni passo poi
Al volo mio sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
Fu corsa, e fummo in su'l grado superno.
In me ficcò Virgilio gii occhi suoi ,
£ disse: Il tempora! fuoco, e l'eterno
Veduto hai, figlio, e se' venuto in parte,
OvMo per tàe piò oltre non discerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte: 1 3o
Lo tuo piacere ornai prendi per duce:
Fuor se" dell' erte vie, fuor se' dell' arte.
CANTO XXVIL loS
Vedi là il Sol, che *n fronte ti riluce:
Vedi r erbetta » i fiori, e gli arbucelli.
Che quella terra sol da se produce.
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli ,
Che lagrimando a te venir mi fenno ,
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più, né mio cenno:
Libero, dritto^ sano è tuo arbitrio, 14.0
E faUo fora non fare a suo senno :
Per eh* io te sopra te corono, e mitrio.
loS
CANTO VENTESIMOTTAVO.
ARGOMENTO
Ftrvinuin Dmtte atta vetta del ménte entra nella fo^
retta del Paradiso terrestre, e giunto con Virgilio e
Stazio alle chiarissime ac^ue del fiume Lete, vede
n^ir opposta parte Matelda, che andava cantando,
ed iscegliendo tun dait altro diversi fiori, dalla
fuale vengongli spiegate aieutte proprietà di fuel dk»
lizioso luogo,
V ago gìÀ di cercar dentro é dintorno
La divina foresta spessa e viva ,
di'* agli occhi temperava il nuovo giorno,
Senza più aspettar lasciai la riva.
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo suol, cl^ d^ogni parte oliva.
Un* aura dolce, senza mutamento
Avere in se , mi feria per la fronte
Non di più colpo, che soav<e vento;
Per cui le fronde tremolando pronte i o
Tutte quante piegavano alla parte ,
ITla prim* ombra gitta il santo monte.
io6 DEL PURGATORIO
Non però dal lor esser dritto sparte
Tanto, che gli augelletti per le cime
Lasciasser d'operare ogni lor arte;
Ma con piena letizia V ore' prime
Cantando riceveano intra le foglie.
Che tenevan bordone ' alle sne rime
Tal , qual di ramo in ramo si raccoglie
Per la pineta in sul lito di Chiassi, ao
Quand^ Eolo Scirocco fuor discioglie •
Già m^avean trasportato i lenti passi
Dentro all^ antica selva tanto, chMo
Non potea rivedere, ond'io m'entrassi:
Et ecco più andar mi tolse un rio.
Che 'n ver sinistra con sue picciole onde
Piegava Terba, che 'n sua ripa uscio.
Tutte r acque , che son di qus^ più monde ,
Parrieno avere in se mistura alcuna
Verso. di quella, che nulla nasconde, 3o
Awegna che si muova bruna bruna
Sotto r ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia Sole ivi, né Luna.
Compiè ristetti, e con gli occhi passai
Di là dal fiumicello per mirare
La gran variazion de^ freschi mai:
I alle lor rime
CANTO XXVIII. 107
E là m'apparve, si com'egli appare
Subitamente cosa, che disvia
Per maraviglia tutt' altro pensare »
Una donna soletta , che si già 40
Cantando ed isciegliendo fior da fiore ,
Ond' era pinta tutta la sua via •
Deh bella Donna, eh' a' raggi di amore
Ti scaldi, s'i'vo' credere a' sembianti.
Che soglion esser testimon del core,
Yegnati voglia di trarreti avanti.
Diss' io a lei , verso questa riviera
Tanto, ch'io possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove, e quaKera
Proserpina nel tempo, che perdette So
La madre lei, et ella primavera.
Come si volge con le piante strette
A terra, e intra se donna , che balli,
E piede innanzi piede appena mette,
Yolsesi 'n su' vermigli et in su' gialli
Fioretti verso me non altrimenti ,
Che vergine , che gli occhi onesti avvalli ;
£ fece i prì^hi miei esser contenti
Sì appressando se, che '1 dolce suono
Veniva a me co' suoi intendimenti. 60
K)6 DEL PURGATORIO
Tosto che til là , dove l' erbe sono
Bagnate già dall'onde del bel fiume.
Di levar gli occhi suoi mi fece dono.
Non credo, che splendesse tanto lume
Sotto le ciglia a Venere trafitta
Dal figlio fuor di tutto suo costume.
Ella ridea , dair altra riva dritta
Traendo più color con le sue mani ,
Che Talta terra senza seme gitta.
Tre passi ci facea '1 fiume lontani*: 70
Ma Ellesponto là , Ve passò < Xerse,
Ancora freno a tutti orgogli umani ,
Più odio da Leandro non sofferse
Per mareggiare intra Sesto et Alndo,
Che quel da me, perchè allor non s'aperse.
Voi siete nuovi; e forse perch'io rido,
Cominciò ella , in questo luogo eletto
All'umana natura per suo nido ,
Maravigliando tienvi alcun sospetto:
Ma luce rende il salmo Delectasti, 80
Che puote disnebbiar vostro 'ntelletto .
^ E tu, che se' dinanzi, 3 e mi pregasti.
Di' s'altro 4 vuoi udir; ch'io venni presta
Ad ogni tua question, tanto che basti.
I Serte I a Or tn, 3 e me pregatti, 4 tqoIì odìr:
\
CANTO XXVIIL 109
L'acqua, dissalo, e U auoa deUa foresta
Impugnai! dentro a me novella fede
Di cosa 9 ch'io udi^ contraria a questa.
Ond' ella: V dicerò come procede
Per sua cagion ciò» ch'ammirar ti face,
E purgherò la nebbia , che ti fiede • 90
Lo Sommo Ben, che solo esso a se piace.
Fece Tuom buono a bene, e questo loco
Diede per arra a lui d'eterna pace.
Per sua diffalta qui dimorò poco :
Per sua di£Palta in pianto et m affanno
Cambiò onesto riso e dolce giuoco.
Perchè M turbar, ohe sotto da se fanno
L'esalazion dell'acqua e della terra.
Che quanto posson dietro al calor vanno.
All'uomo non facesse alcuna guerra, too
Questo monte salìo ver lo Ciel tanto ,
E libero è da indi , ève si jerm •
Or perchè in circuito tutto quanto
L'aer si volge con la prima volta.
Se non gli è rotto '1 cerchio d'alcun canto.
In questa altezza , che tutta è disciolta
Nell'aer vivo, tal moto percuote,
E fa sonar la selva, perch' è folta:
'•.r
k ^
no DEL PURGATORIO
E la percossa pianta tanta puote ,
Che della sua virtute Taura impregna, ne
E quella poi girando intorno scuote :
E r altra terra, secondo ch^è degna
Per se, o per suo Cìel, concepe e figlia
Di diverse virtù diverse 1 egna .
Non parrebbe di là poi maraviglia.
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s' appiglia •
E saper dei, che la campagna santa.
Ove tu 8e\ d^ogni semènza è piena,
E frutto ha in se, che di là non si schianta.
L'acqua, che vedi, non surge di vena, ( lao
Che ristori vapor, che giel converta.
Come fiume, ch^ acquista, o perde lena;
Ma esce di fontana salda e certa ,
Che tanto del voler di Dio riprende,
Quant^ ella versa da duo parti aperta .
Da questa parte con virtù discende.
Che toglie altrui memoria del peccato:
Dair altra d' ogni ben fatto la rende .
Quinci Lete , cosi dall' altro lato 1 3o
Eunoè si chiama ; e non adopra ,
Se quinci e quindi pria non è gustato.
CANTO XXVIII. Ill
A tutt* altri sapori esto è di sopra :
£ av vegna eh' assai possa esser sazia
La sete tua , perchè più non ti scuopra ,
Darotti un corollario ancor per grazia :
Né credo 9 che U mio dir ti sia men caro,
Se oltre promission teco si spazia •
Quelli, e V anticamente poetaro
L'età deiroro, e suo stato felice , i^o
Forse in Parnaso esto loco sognaro. •
Qui fu innocente T umana radice :
Qui primavera sempre, et ogni frutto:
Nettare è questo, di che ciascun dice.
Io mi rivolsi addietro allora tutto
A^ mie^ Poeti , e vidi , che con riso
Udito avevan T ultimo costrutto :
Poi alla bella donna tornai U viso •
Iti
CANTO VENTESIMONONO.
ÀEGOMfVTO
DUe il Po€ia, che ondando còn Mateldm bmp le jp«ii-
de del fiume Lete vide nella foftsta un lucentisnm^
eplendoref e per Faere auA uim #Mfw mehdim, ed im
oltre osservò uno proeeuiemo» in eui venivo ifn Grif^
ne traente un corro nionfole, che giunto a lui diria^
petto si fermò eon tutta la' gente, che lo aetompom
gnopa,
V^antando, come donna innamorata ,
Continuò coi fin di aoe parole^
Beati ^ quorum tecta sunt peccata:
E come Ninfe , che si givan sole
Per le salvatiche ombre disiando
Qual di fuggir 9 qnal di veder lo Sole;
Allor si mosse contra *1 fiume andando
Su per la riva, et io pan di lei,
Picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra i suo* passi e i miei , i o
Quando le ripe igualmente dier volta
Per modo, eh* al Levante mi rendei.
Djmtm T.ll I
114 BEL PURGATORIO
anche fa così nostra TÌa molta»
Quando la donna > mia a me 8i torse
Dicendo: Frate mio, guarda, et ascolta.
Et ecco un lustro subito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta »
Tal che di balenar mi mise in forse.
Ma perchè U balenar , come vien , resta ,
£ quel durando più e più splendeva , ao
Nel mio pensar dicea; Che cosa è <{uesta?
Et una melodia dolce correva
* Per Taer luminoso; onde buon zelo
Mi fé' riprender l'ardimento d'Eva:
Che là, dove ubbidia la terra e '1 Ciela,
Femmina sola , e pur testé formata
Non sofferse di star sotto alcun velo;
Sotto *1 qual se di vota fosse stata ,
Avrei quelle ineffabili delizie
Sentite prima, e poi lunga fiata • 3o
Mentr* io m* andava tra tante primizie
Deir eterno piacer tutto sospeso ,
E disioso 3 ancora a più letizie ,
Dinanzi a ne» tal, quale un fuoco acceso,
4 Ci si feU^aer sotto i verdi rami,
E '1 dolce suon per canto era già 'nteso •
1 tutta a ne a Per 1* «ara 3 ancor di pia letizie »
4 Ci tifa*!* aere
CANTO XXIX. iiS
O sacrosante Vergini, se fami.
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi,
Gagion mi sprona, ch^ io mercè ne chiami.
. Or cpnvien , ch^ Elicona per me versi , 40
Et Urania m* aiuti col suo coro
Forti cose a pensar mettere in versi .
Poco più oltre sette alberi d' oro
Falsava nel parere il lungo tratto
Del mezzo , eh* era ancor tra noi e loro :
Ma quando i'fni sì presso di lor fatto ,
Che robbiettocomun,cheM senso inganna.
Non perdea per distanza alcun suo atto;
La virtù, eh* a ragion discorso ammanna.
Sì com* egli eran candelabri apprese. So
E nelle voci del cantare Osanna .
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
Più chiaro assai, che Luna per sereno
Di mezza notte nel suo mezzo mese.
fo mi rivolsi d'ammirazion pieno
Al buon Virgilio: et esso mi rispose
Con vista carca di stupor non meno :
Indi rendei V aspetto ali* alte cose ,
Che si movièno incontro a noi sì tardi.
Che foran vinte da novelle spose. 60
ii6 DEL PURGATORIO
La donna mi sgridò : Perchè pur ardi
Si nell'affetto delle vive luci,
E ciò che vien dh^tro a lor non guardi ?
Genti vidMo allor, cornea lor duci.
Venire appresso vestite di bianco:
E tal candor giammv di qua non fuci.
L'acqua splendeva dal sinistro fianco,
E rendea a me la mia sinistra costa.
S'io riguardava in lei, come specchio anco.
Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta, 70
Che solo il fiume mi facea distante.
Per veder meglio appassì diedi sosta:
E vidi le fiammelle andare avante.
Lasciando dietro a se Taer dipinto»
E di tratti pennelli avea sembiante ;
Di ch'egli sopra rimanea distinto
Di sette liste tutte in qnei colori.
Onde fa Parco il Sole, e Delia il cinto.
Questi stendali dietro eran maggiori ,
C!he la mia vista; e quanto a mio avviso, 80
Diece passi distavan quei di fuori.
Sotto cosi bel Giel, compio diviso.
Ventiquattro signori a due a due
Coronati venian di fiordaliso *
CANTO XXIX. 117
Tutti cantavan : Benedetta tue
Nelle figlie d* Adamo; e benedette
Sieno in eterno le bellezze tue.
Poscia che i fiori e V altre fresche erbette
A rimpetto di me dall'altra sponda
Libere fur da quelle genti elette, 90
Sì come luce luce in Cid seconda.
Tennero appresso lor quattro animali.
Coronato ciascun di verde fronda»
Ognupo era pennuto dì sei ali;
Le penne piene dVchi; egli occhi d^Argo,
Se fosser vivi, sarebber cotali.
A discriver lor forma più non spargo
Rime, Lettor; ch'altra spesa mi strìgne
Tanto, che 'n questa non posso esser largo«
Ma le^ Ezechiel, che li dipigne, 100
Come lì vide dalla fredda parte
Venir con vento, con nube, e con igi^e:
£ quai li troverrai nelle sue carte.
Tali eran quivi, salvo eh* alle penne
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
Un carro in su duo ruote trionfale.
Ch'ai collo d'un Crifon tirata venne:
- ii8 DEL PURGATORIO
Et esso tendea su V una , e T altr' ale
Tra la mezzana e le tre e tre liste » no
Si eh' a nulla fendendo facea male.
Tanto sali van, che non eran viste:
Le membra d'oro avea, quanto era uccello»
,E bianche T altre di vermiglio miste.
Non che Roma di carro così bello
Rallegrasse Affiricano, ovvero Augusto;
Ma quel del Sol, saria pover con elio.
Quel del Sol, che sviando fu combusto
Per r orazion della Terra devota ,
Quando fu Giove arcanamente giusto. 1 20
Tre donne in giro dalla destra ruota
Yenièn danzando; Tuna tanto rossa.
Ch'appena fo];a dentro al fuoco nota;
L'akr'era, come se le carni e Tossa
Fossero state di smeraldo fatte;
La terza parca neve teste mossa :
Et or parevan dalla bianca tratte.
Or dalla rossa, e dal canto di questa
L'altre toglièn l'andare e tarde e ratte.
Dalla sinistra quattro < facèn festa, i3o
In porpora vestite, dietro al modo
D' una di lor , eh' a vea tre occhi in testa .
I facean fetta,
CANTO XXIX. fi9
Appresso tutto '1 pertrattato nodo
Vidi duo vecchi in abito dispari ,
Ma pari in atto et onestato, e sodo.
L*un si mostrava alcun de' famigliari
Di quél sommo Ippocrate, che Natura
Agli animali k\ cV eli' ha più cari :
Mostrava T altro la contraria cura
Con una spada lucida et acuta » 1 40
Tal che di qua dal rio mi fé* paura.
Poi vidi quattro in umile paruta»
E diretro dà tutti un veglio solo
Venir dormendo con la faccia arguta •
£ questi sette col primaio stuolo
Erano abituati ; ma di gigli
Dintorno al capo non facevan brolo ;
Anzi di rose e d'altri fior vermigli:
Giurato avrìa poco lontano aspetto *
Che tutti ardesser di sopra da* cigli. i5o
E quando '1 carro a me fu a rimpetto ,
Un tuon ' 8* udì; e quelle genti degne
Parvero aver T andar più interdetto ,
Fermandos* ivi con le prime insegne.
I t'udiOy
MAI
CANTO TRENTESIMO.
A&GOMEirTO
Dtscfivtti in questa tmnto Im tmutiòsu éutnm di Btm^
tricé dui CÌ€Ìo, alxui €òmp«rift Vltg^ di^wrv9; ed
ella postasi sui carro trionfale eominciè a nprandtr
Dante; rivolta dipoi agli Angeli seguì a lamentarsi
della 9Ìta, che il Poeta, aiusando i dom dalla nata»
ra e della graaia, avea malamente eondotta*
Quando U Sett^itrìon del primo Odo»
Che né occaso mai seppe, né orto»
Né d* altra nebbia, die di colpa velo,
E che faceva lì ciascuno accorto
Di suo dover, colpi U più basso face,
Qual timon |;ira per venire a porto.
Fermo s^ affissie , la ^nte verace
Venuta prima tra U Grifone et^esso
Al carro volse se come a sua pace:
£ un di loro, (piasi da Ciel messo, id.
Veni sponsa de Libano j cantando
Gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.
V
1M% DKL POllGATOllO
Quale i beati al noTUsimo bando
Surgeran presti, ognun di sua caverna, ^
La riTcstita carne alleviando;
Colali in sn la divina basterna
Si levar cento lui pocan tanti senis
Ministri, e messaggier di vita etema •
Tatti dicèn: Beaedictus, qui vmis,
E fior gittando di sopra e dintorno, ao
Manibus o date UliapUnis»
Io vidi già nel cominciar del giorno
La parte orientai tutta rosata,
E Taltro Gel di bel sereno adomo,
E la £uxia del Sol nascere ombrata.
Si cbe per temperanza di vapori
L* occhiò lo sostenea lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori ,
Che dalle mani angeliche saliva,
E ricadeva giù dentro e di fuori , 3o
Sovra candido vd cinta d'oliva
Donna m^ apparve sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva •
£ lo spirito mio , che già cotanto
Tempo era stato con la sua presenza.
Non era di stupor tremando affranto .
CANTO XXX. »3
Sansa degli occhi §ver più conoecenza»
Per occulta virtù, che da lei mosse,
/ D'antico amor sentirla gran potenza.
' Tosto che nella vista mi percosse 40
Lealtà virtù, che già m'avea trafìtto
Prima chMo fuor di puerizia fosse »
Volsimi alla sinistra col rispitto ,
Col quale il fantolin corre alla mamma.
Quando ha paura, o quando egli è afflitto.
Per dicere a Virgilio: Men che dramma
Di sangue m*è rimasa, che non tremi:
Conosco i segni dell^ antica fiamma .
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi
Di se, Virgilio dolcissimo padre. So
Virgilio , a cui per mia salute diemi :
Ne quantunque perdeo T antica madre
Valse alle guance nette di rugiada.
Che lagrimando non tornassero adre.
Dante, perchè Virgilio se ne vacla.
Non piangere anche, non piangere ancora }
Che pianger ti convien per altra spada .
Quasi ammiraglio , che 'n poppa et in prora
Viene a veder la gente , che ministra
Per gli alti legni, et a ben far la 'ncuora ; 60
, «
t*4 ML PURGATORIO
In 8u la sponda del carro sinistra.
Quando mi volsi al suon del nome mio.
Che di necessità qui si rigistra.
Vidi la donna , che pria m'appario
Velata sotto T angelica festa.
Drizzar gU occhi ver me di qua dal rio.
Tutto che n vel, che le scendea di testa.
Cerchiato dalla fronde di Minerva
Non la lasciasse parer manifesta,
* Realmente nell'atto ancor proterva 70
Continuò, come coki, che dice,
E *1 più caldo parlar diètro rùerva:
Guardami ben: ben soa, ben son Beatrice:
" Come degnasti d'accedere al monte?
Non sapei tu, che qui è Fuom felice?
Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte:
"Ma veggendomi in esso io trassi all'erba;
* Tanta vergogna mi gravò la fronte .
Così la naadre al figlio par superba,
Com'ella parve a me, perchè d'amaro 80
Senti' '1 sapor della pietate acerba .
Ella si tacque, e gli Angeli cantaro
Di subito In te Domine speravi ,
Ma oltre pedes nieos non passaro.
I Regalment* a Tutto rngogaa.
CANTO XXX. ia5
Sì come neve tra le vive travi *
. Per Io dosso d'Italia si congela»
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi ,
Poi liquefatta in se stessa trapela »
Pur che la terra , che perde ombri ^ spiri.
Si che par fuoco fonder la candela ; 90
Così fui sen£a lagrime e sospiri
Anzi U cantar di que% che notan sempre
Dietro alle note degli etemi giri.
Ma poi che 'ntesi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che se detto
Avesser: Donna, perchè fa lo stempre?
Lo giel, che m'era ^ntomo al cuor ristretto,*
Spirito et acqua fessi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi uscì del petto .
Ella pur ferma in su la destra coscia 1 00
Del carro stando, alle snstanzie pie
Volse le sue parole così poscia :
Voi vigilate nell'eterno dir.
Sì che notte, né sonno a voi non fura
Passo, che faccia '1 secol per sue vie ;
Onde la mia risposta è con più cura,
Che m'intenda colui, che di là piagne.
Perchè sia colpa e duol d'una misura*
ia6 DEL FUR6AT0RI0
Non por per ovra delle ruote magne,
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine, no
Secondo che le stelle son compagne.
Ma per larghezza di grazie divine,
CShe si alti vapori hanno a lor piova.
Che nostre viste là non van vicine.
Questi fu tal nella sua Vira Nuova
Virtualmente, cV (^ni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil pruova •
Ma tanto più maligno e più Silvestro
Si fa U terren col mal seme ^ e non colto,
Quant*egli ha più di buon vigor terrestro.
'Alcun tempo U sostenni col mio volto : (i 20
Mostrando gli occhi giovinetti a lui
Meco ^1 menava in dritta parte volto.
Si tosto, come in su la soglia fui
Di mia seconda etade , e mutai vita ,
Questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita ,
E bellezza, e virtù cresciuta m*era.
Fu' io a lui men cara e men gradita:
E volse i passi suoi per via non vera , 1 3o
Immagini di ben seguendo false »
Che nulla promission rendono intera •
CANTO XXZ. 117
Né r impetrare spirazion mi valse »
Cou le quali et in sogno, e altrimenti
Lo rìvocai; sì poco a lui ne calse.
Tanto giù cadde , che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,
Fuor che mostrargli le perdute genti •
Per questo visitai T^nscio de* morti.
Et a colui, che Tha quassù condotto, 140
Li prieghi miei piangendo fìiroa porti.
L'alte fato di Dio sarebbe rotto.
Se Lete si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata senza alcuno scotto
Di pentimento, che lagrime spanda.
y
t»9
CANTO TRENTESIMOPRIMa
Akgomskto
BeairUé muovMumie rivoige « Dènte ii mo pmrivn, e
si fa con piò d'ardore a riprendevo; per lo che egli
fa indotto a confessar di propria iacea il suo errore,
dal cui intenso rincrescimento cadde a terra tramor»
Hto, ituU riavutosi fu da Matelda tifato neWacfue
del fiume Lete, e tratto all'altra rivam
\J tu, che se' di là dal fiume sacro.
Volgendo suo parlare a me per punta.
Che par per taglio m^era parut^acro.
Ricominciò seguendo senza cunta,
Di\ di\ se questue vero: a tanta accusa
Tua confession conviene esser congiunta.
Era la mia virtù tanto jK>nf usa.
Che la voce si mosse, e pria si spense,
Che dagli organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: Che pense? io
Rispondi a me; che le memorie triste
In te non sono ancor dall'acqua offense.
Dante T.IT. g
i3o BEL PURGATORIO
Confosione e paura iosieme miste
Mi pinsero un tal SI fuor della bocca ,
Al quale intender fur mestier le viste .
Come balestro frange, quando scocca.
Da troppa tesa , la sua corda e V arco ,
E con men foga Tasta il segno tocca;
Sì scoppia* io Bott* esso grave carco.
Fuori sgorgando lagrime e sospiri, ao
E la voce allentò per lo suo varco.
Ond^ella a me: Perentro i miei disirì.
Che ti menavano ad amar lo bene.
Di là dal qual non h a che s'aspiri,
Quai fosse attraversate, o quai catene
Trovasti, perchè del passare innanzi
Do vessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze, o quali avanzi
Nella fronte degli altri si mostrare»
Perchè dovessi lor passeggiare anzi ? io
Dopo la tratta d*un sospiro amaro
A pena ebbi la voce, che rispose;
E le labbra a fatica la formano.
Piangendo dissi: Le presenti cose
Col falso lor piacer volser mie* passi ,
Tosto che 1 vostro viso si nascose .
\
e ANTO XXXL i3i
Et ella: Se tacessi , o se negassi
Ciò, che confessi, non fora men nota
La colpa tua ; da tal giudice sassi :
Ma quando scoppia dalla propia gota 40
L^ accusa del peccato , in nostra Corte
Rivolge se contra *1 taglio la ruota .
Tuttavia, perchè meNergogna porte
Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le Sirene sie più forte.
Fon giù U seme del piangere, et ascolta:
Sì udirai, come *n contraria parte
Muover deveati mia carne sepolta.
Mai non t*^ppre9entò natura e*t arte
Piacer, quanto le belle membra, in chHo So
Rinchiusa fui, e che son tonfa sparte:
E se *1 sommo piacer si ti fallio
Per la mia morte ; qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi per lo primo strale
Delle cose fallaci levar suso
Diretr^a me, che non era più tale.
* Non ti dovea gravar le penne in giuso
Ad aspettar più colpi o pargoletta,
O altra vanità con si breve uso • 69
I Kon ti dorean
V .
iZ% HEL PURGATORIO
Nuoto angeUetto doe» o tre aspetta;
Ma dinanzi da^i occhi de* pennati
Rete si apiega indarno, o si saetta.
Qoale i fancinili vergognando mnti
Con gli occhi a terra stannosi ascoltando,
E se riconoscendo , e rìpentnci ;
Tal mi star' io: et ella disse: Qoando
Per udir se^ dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.
Con men di resistenza si dibarba 70
Robusto Cerro o vero a nostral vento,
O vero a quel della terra d* larba ,
Ch' io non levai al suo comandenl mento :
E quando per la barba il viso chiese.
Ben conobbi U velen dell^argomento •
E come la mia £iccia si distese.
Posarsi quelle belle creature
Da loro apparsiou T occhio comprese:
E le mie luci ancor poco sicure
Vider Beatrice volta in su la fiera , 80
Ch'è sola una persona in duo nature.
Sotto suo velo, et oltre la riviera
Verde, pareami più se stessa antica
Vincer, che T altre qui , qua ad* ella e* era.
CANTO XXXI. i33
Di penter sì mi punse ivi T ortica.
Che di tutf altre cose qual mi torat
Più nel sao amor, più mi si fe^ nimica •
Tanta riconoscenza il cor mi morse ,
ChMo caddi vinto, e quate allora femmi.
Salsi colei, che la cagion mi porse. 90
Poi quando U cor virtù di fuor rendemmi.
La donna, eh* io avea trovata sola.
Sopra me vidi; e dicea« Tiemmi , tiemmi.
Tratto m* ave* nel fiume infino a gola,
E tirandosi me dietro sen giva
Sovr^esso T acqua lieve, come spola .
Quando fu* presso alla beata riva ,
Asperges me si dolcemente udissi ,
Gh!io noi so rimembrar, non cVio lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi : 1 00
Abbracciommi la testa, e mi sommerse.
Ove convenne eh* io Tacqua inghiottissi:
Indi mi tolse 9 e bagnato m* <^rse
Dentro alla danza delle quattro belle ,
E ciascuna col braccio mi coperse .
Noi sem qui Ninfe, e nel Ciel semo stelle:
Pria che Beatrice discendesse al mondo.
Fummo ordinate a lei per sue ancelle •
i34 BEL PURGATORIO
Menrenti agli occhi suoi ; ma nel giocondo
Lume , eh' è de nt ro , aguzzeran li tuoi no
Le tre dì là» che miran più profondo.
Cosi cantando cominciaro; e poi
^1 petto del Grifon seco menarmi,
Ove Beatrice volta stava a noi.
Disser: Fa' che le viste non risparmi:
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi ,
Ond'Amor già ti trasse le sue armi.
Mille disiri» più che fiamma, caldi
Strìnsermi gli occhi agli occhi rilucenti.
Che pur sovra *1 Grifone sta van saldu 1 20
Come in lo specchio il Sol» non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava
Or con uni, or con altri reggimenti.
Pensa, Lettor, s'io mi maravigliava.
Quando vedea la cosa in se star queta ,
E nell* idolo suo si trasmutava .
Mentre che piena di stupore e lieta
L'anima mia gustava di quel cibo.
Che saziando di se di se asseta.
Se dimostrando del più alto tribo 1 3o
Negli atti, r altre tre si fero avanti^
Cantando al loro angelico caribo.
CANTO XXXL t3S
Volgi , Beatrice, volgi gli occhi santi.
Era la sua canzone, al tuo fedele,
Che per vederti ha mossi passi tanti.
Per grazia fa* noi grazia, che disvele
A lui la bocca tua, sì che discerna
La seconda bellezza, che tu cele.
O isplendor di viva luce etema ,
Chi pallido si fece sotto .r ombra 140
Sì di Parnaso » o bevve in sua citema.
Che non paresse aver la men te -ingombra.
Tritando a render te» qual tu paresti
Là, dove armonizzando il Ciel t'adombra,
Quando nell^aere aperto ti solvesti?
137
CANTO TRKNTESIMOSKCONDO.
Arcombkto
/
^àan con MmMa è Stiuio ngmemdp U gUtioià pf-
cessione de'jBemri, pervenne alParòore della scieMtm
del bene, e del nude, il quale si rivesH di misterioso
colon, e mentre i Meati cantarono UH inno, il Poeta
^addùrmemb, e di pai risvtgUaiosi osserva deuni
strani aecidenii*
1 anto eran gli occhi miei fissi et attenti
A disbramarsi la decenne sete »
Che gli altri senri m'eran tutti spenti;
Et essi quinci e quindi avèn parale
Di non caler: cosi lo santo rìso
A se tratii con T antica rete;
Quando per forza mi fu volto U tiso
Ver la ÙMstm mia da queUe Dee,
Perch'io ndia da toro un Troppo fiso.
i38 DEL rURGATOUO
£ la <lisposizion« ch^a veder ee lo
Neg^ occhi par teste dal Sol percossi,
Sanza la Tista alcjnanto esser mi fee.
Ma pm che al poco il viso riformossiy
(Io dico al poco per rispetto al molto
Sensibile , onde a forza mi rimossi)
Yidi in sol braccio destro esser rivolto
Lo glorioso esercito, e tornarsi
Gol Sole, e con le sette fiamme, al vdto.
Come sotto li scudi per salvarsi
Yolgesi schiera , e se gira col s^no, 20
Prima che possa tutta in se mutarsi;
Quella milizia del celeste regno,
C3ie procedeva, tatta trapassonne.
Pria che piegasse U carro il primo legno.
Indi alle ruote si tornar le donne ,
E ^1 Grifon mosse U benedetto carco i
Sì che però nulla penna crollonne.
La bella donna , che mi trasse al varco, .
E Stazio, et io seguiuvam la ruota.
Che feU* orbita sua con minore arco. 3o
Sì passeggiando V alta selva vou
(Colpa di quella, eh* al serpente crese)
Temprava i passi in angelica nota •
CANTO XZXIL i39
Forse in tre voli tanto spazio prese*
Disfrenata saetta, quanto eramo
Rimossi, quando Beatrice scese.
Io senti* mormorare a tutti Adamo :
Poi cerchiaro una pianta dispogliata
Di fiori e d^altra fronda in ciascun ramo.
La chioma sua, che tanto si dilata 40
Più, quanto piò è su, fora dagflndi
Ne* boschi lor per altezza ammirata.
Beato se\ Grifon, che non disdndi
Col becco d* ésto legno dolce al gusto ,
Posciachè mal si torse *l ventre quindi:
Così d* intomo all'arbore robusto
Gridaron gli altri; e T animai binato:
Si si conserva il seme d* ogni giusto .
E volto al temo, eh* egli avea tirato,
Trasselo al pie delia vedova frasca; So
£ quel di lei a lei lasciò legato .
Come le nostre piante, quando casca
Giù la gran luce mischiata con quella.
Che ra^a dietro alla celeste Lasc^,
Turgide fansi, e poi si rìnnovella
Di suo color ciascuna , pria che '1 Sole
Giunga li suoi corsifr sott* altra stella.
140 DEL PURGATORIO
Men che di rose, e più che di viole
Colore aprendo, sMnnovò la pianta.
Che prhna avea le ramora n sole.
Io non lo 'ntesi; nk qa aggio si canta
L^nno, che quella gente allor cantai
Né la nota soflfersi tutta quanta •
S*io potessi ritrar, come assonnaro
Gli occhi spietati udendo di Siringa ,
Gli occhi, acui più vegghiar costò si e
Come pintor, che con esemplo piaga ,
Dis^nerei, compio m^ addormentai:
Ma qnal vnol sia, che Tassonnar ben fi
Però trascorro a quando mi svegliai ,
E dico , di* un splendor mi squarciò '1
Del^ sonno, e un chiamar: Surgi, che
Quale a vtdtr de' fioretti del melo.
Che del suo pomo gli Angeli fa ghiot
E perpetue no£ze fa nel Cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
E vinti ritomaro alla parola ,
Dalla qual fìiron maggior sonni rotti ,
E videro scemata loro scuola
Cosi di Moisè, come d*EIia,
Et al Maestro suo cangiata stola ;
CANTO XXXIL
HI
Tal torna' io; e viiJi qnella pia
Sovra me atarsi » cbe condiicitrìce
Fu de^ mie^ pasai lango '1 fiume pria ;
£ tatto *n dubbio dissi: Ov^è Beatrice?
Et ella : Vedi lei sotto la frouda
Nuova sedersi in su la aua radice •
Vedi la compagnia, che la circonda:
Gli altri dopo U Grifon sea vannp suso
Con più dolce canaoae e più profonda. 99
E se fu più lo suo parbur diflRiso,
Non so; perocché già n^gli occhi m^era
Quella , ch^ad altro *ntender m*avea chiusa
Sola sedeasi in sa la tecra vera»
Come guardia lasciata lì df 1 plaustro
Che legar vidi alla bifiorme fiera*
In cerchio le facevan di se claustro
Le sette Ninfe con que^lmni in mano.
Che son sicuri d* Aquilone e d^ Austro «
Qui sarai tu poco tempo silvano» . 100
E sarai meco sansa fine.cive
Di quella Roma» cmde Cristo è Boauno:
Però in pro del mondo» che mal vive»
Al carro tieni or gli occhi» e quel» che vedi.
Ritornato di là fa\ che tu sprive:
14a DSL PURGATORIO.
Cosi Beatrice ; et io, che tutto a^ piedi
De* 8uo^ comandamenti era devoto,
La mente e gli occhi, ov'ella volle , diedi.
Non scese mai con sì veloce moto
Fuoco di spessa nube, quando piòve, no
Da quel confine, che più è remoto;
Compio vidi calar l'uccel di Giove
Per r arbor giù rompendo della scorza.
Non che de^ fiori e delle foglie nuove :
E ferìo '1 carro di tutta sua forza ;
Ondaci piegò, come nave in fortuna
Vinta dall^onde or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi nella cuna
< Del trionfai veiculo una volpe
Che d'ogni pasto buon parca digiuna • i iti
Ma riprendendo lei di laide colpe.
La donna mia la volse in tanta futa ,
Quanto sofferson Tossa senza polpe.
Poscia per indi, ondfera pria venuta,
L'aguglia vidi scender giù nelFarca
Del carro, e lasciar lei di se pennuta .
£ qual'esce di cuor^ che si rammarca;
Tal voce usci del Cielo , e cotal disse :
navicella mia, com' mal se'carca!
I Del trionfai veicolo
CANTO XXXIL 14S
Poi parv« a me, che la terra s'aprisse i3o
' Tra'mbo le ruote, e vidi uscirne un drago.
Che per lo carro su la coda fisse :
E come vespa , che ritragge V ago , *
A se traendo la coda maligna
Trasse del fondo , e gissen vago vago •
Quel, che rimase, come di gramigna .
Vivace terra , della piuma ofiferta ,
Forse con intenzion casta e benigna ,
Si ricoperse , e funne ricoperta
E runa e l'altra ruota, e*l temo in tanto, 140
Che più tiene un sospir la bocca aperta •
Trasformato cosi *1 dificio santo
Mise fuor teste per le parti sue.
Tre sovra U temo, e una in ciascun canto*
Le prime eran cornute , come bue ;
Ma le ({uattro un sol corno tfi'èn per fronte :
Simile mostro ^ in vista mai non fue •
Sicura, quasi rocca in alto monte.
Seder sovr*esso una puttana sciolta
M'apparve con le ciglia intomo pronte. 1 5 o
E, come perchè non li fosse tolta.
Vidi di costa a lei dritto un gigante;
E bacia vansì insieme alcuna volta •
I Tr*ambe le mote; % vitto ancor non fae«
144 ^^ raBGAlWUO
Ifa, perchè V ocduo cupido e T^gratt
A AM riTidie , ^pid ferace drado
UfUttUò dal CADO infin le naate.
Pot di sospetto pieno, e d^iia erodo
Difciobe 1 mostro, e tiassel per la sdva
Tanto, che 40I di lei mi lece scudo
AUa pottau, et alla anoTa bdva. t6o
»4»
CANTO TRENtESIMOTERZO.
A B <^ O lex K t O
Beatrice lungamenie a JOante ragiona intomo agli aeei^
denti da esso lui ^dtui: iàdi il Poeta in eompagnim
di Stazio oieite eondot^o^ da Matelda a bere le dolci
acque del fitme Eunoe, dalle quali , eiccome egli
diccj ritornò, puro e disposto per salire af Cielo»
Ji/eus venenmt gerùes , alternando
Or tre 9 or quattro , dolce salmodìa
Le donne incominciaro lagrimando :
£ Beatrice sospirosa e pia
Quelle ascoltava si fatta , che poco
Più alla Croce si cambiò Maria*
Ma, poi che T altre vergini dier loco
A lei di dir, levata dritta io pie
Rispose colorata come fuoco :
Modicum^ et non vìdebitis m^; ro
Et iterwnj sorelle mie dilette.
Modicum y et i^os vidd)itis me.
146 DEL FUR^ATOKIO
Poi le 8i mise innanzi tutte e sette;
E dopo se« solo accennando , mosse
Me, e la donna, e U savio» che ristette.
Così sen giva: e non credo, che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto »
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ;
E con tranquillo aspetto: Yien più tosto.
Mi disse, t&nto, che sMo parlo teco, ao
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto »
Sì com* i* fui, comMo doveva, seco.
Dissemi: Frate, perchè non t"* attenti
A dimandare ornai venendo meco?
Come a color, che troppo reverenti
Dinanzi a* suo' maggior parlando sono.
Che non traggon la voce viva addenti.
Avvenne a me , che senza 'utero suono
Incominciai: Madonna, mia bisogna
Voi conoscete, e ciò, ch'ad essa è buono. 3o
Et ella a me : Da tema e da vergogna
Voglio che tu omai ti disviluppe ,
Sì che non parli più com'uom, che sogna.
Sappi, che *ì vaso, che U serpente ruppe.
Fu, e non è; qa chi n*ha colpa creda.
Che vendetta di Dio non teme suppe .
CANTO XXXIIL 147
Non sarà tutto tempo sanza reda
L'agugliaj che lasciò le penne al carro.
Per che divenne mostro , e poscia preda ;
Ch^io veggio certamente, e però'l narro, 40
A darne tempo già stelle propinque
Sicuro d^ogn^ intoppo e d^ogni sbarro»
Nel quale un cinquecento diece e cinque
Messo di Dio anciderà la fnia,
E quel gigante, che con lei delinque.
E forse che la mia oarrazion buia,
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade;
Perch* a lor modo lo intelletto attuia :
Ma tosto fien li fs^tti le Naiade ,
Che solveranno questo enigma forte 5o
Sanza danno di pecore e di biade •
Tu nota; e si come da me son porte
Queste parole, sì le *nsegna a' vivi
Del viver, cVè un correre alla morte:
Et aggi a mente, quando tu le scrivi.
Di non celar qual' hai vista la pianta^
C!h*è or duo volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella, o quella schianta.
Con bestemmia dì fatto offende Dio,
Che solo air uso suo la creò santa • 60
i4B DEL FUSGATORIO
Per morder qnelU in pena e in disio
Cinque ■ mill* anni e più Tanima prima
Bramò coloi , che 1 morso in se ponio.
Dorme lo ^ngegno tao, se non istima
Per singular ca^ne essere eccelsa
Lei tanto, e tà trarolta nella cima •
£ se stati non fossero acqoa d'Elsa
Li pensier vani intomo alla tua mente ,
E U piacer loro un Piramo alla gelsa.
Per tante circostanze solamente 70
La giustizia^ di Dio nello interdetto
Conosceresti all^alber moralmente.
Ma perch* io vq;gio te neUo intelletto
Fatto di pietra , et in peccato tinto ,
Sì che € abbaglia il lame del mio detto ,
Voglio anche, e se non scritto, almen dipinto
Che *1 te ne porti dentro a te per quello,
Che si reca *1 bordon di palma cinto •
Et io : Si come cera da suggello ,
Che la figura impressa non trasmuta ,80
Segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perchè tanto sovra mia veduta
Vostra parola disiata vola ,
Che più la perde, quanto più s'aiuta?
I nilia anni e*più
CANTO XXXllI. I4V
Perchè < conoschì, disse, quella scuola,
Ch' hai seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola ;
£ veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra *ì Ciel, che più alto festina . 90
OndMo risposi lei: Non mi ricorda,
Ch* io straniassi me giammai da voi ,
Né honne coscieuzia , che rimorda •
£ se tu ricordar non te ne puoi.
Sorrìdendo rispose, or ti rammentai, .
Sì come di Leteo beestì ancòi :
£ se dal fummo fuoco s* argomenta ,
Cotesta oblivion chiaro conchiude
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude 1 00
Le mie parole, quanto converrassi
Quelle scovrire alla tua vista rude.
£ più corrusco, e con più lenti passi
Teneva *1 Sole il cerchio di merigge ,
Che qua e là, come gli aspetti, fassi ;
Quando s^affisser, si come s*afl%ge
Chi va dinanzi a schiera per iscorta ,
Se truova novitate in suo vestigge ,
1 conosca, ditti!,
iSo DEL PURGATORIO
Le sette donne al fin d' un' ombra smarta ,
Qual sotto foglie verdi e rami nigri no
Sovra suoi freddi rivi V alpe porta •
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
Veder mi parve uscir d^una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri •
luce, o gloria della gente umana.
Che acqua è questa , che qui si dispiega
Da un principio, e se da seL^lóntana?
Per cotal prego detto mi fu : Prega
Matelda, che U ti dica; e qui rispose.
Come fa chi da colpa si dislega, 120
La bella donna : Questo , et altre cose
Dette li son per me; e son sicura.
Che r acqua di Leteo non gUel nascose.
£ Beatrice: Forse maggior cura.
Che spesse volte la memoria priva.
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura.
Ma vedi Eunoé^ che là deriva:
Menalo ad esso» e come tu se* usa.
La tramortita sua virtù ravviva.
Com' anima gentil, che non fa scusa, i3o
Ma fa sua voglia della voglia altrui,
' Tosto com'è per segno fuor dischiusa;
I Si tosto che per segno i faor dìschiiua;
CANTO XXXIIL iSi
Cosi poi che da essa preso fui»
La bella donna mossesi , et % Stazio
Donnescamente disse: Yien con lui.
S'io avessi» Lettor» più lungo spazio
Da scrìvere» io pur cantere* *n parte
Lo dolce ber» che mai non m'avria sazio:
Ma perchè piene son tutte le carte
Ordite a questa Cantica seconda» 140
Non mi lascia pia ir lo fren dell* arte.
Io ritornai dalla santissima onda
Kifatto si , come piante novelle
Rinnoveliate di novella fronda ,
Furo e disposto a salire alle stelle •
Fine ddla seconda Cantica.
— *
IL PARADISO
DJ
DANTE ALIGHIERI.
/
iSS
DEL PARADISO
CANTO PRIMO.
Argomento
Traiiur 9^endo U divino Poetmdei ctleae Jmi» Etgaot
dopo a9ir fatta t invocazione ad Jpoilo^ rmeconta
€oma suit ora del mauino Uooui dal temstro Fair^
dito vtrto del Cielo in compagnia di Beatrice^ da ad
eon ingegnoso discorso gli fu mostrata la eagionsp
perchè egli potesse eoi corpo in alto salire»
Jua gloria di Colui, che tutto muove ^
Per r Universo penetra, e risplende ^
In una parte più , e meno altrove •
Nel Ciel 9 che più della sua luce prende ,
Fu' io, e vidi cose, che ridire
Né sa, né può qual di lassù discende;
Perchè appressando se al suo disire
Nostro intelletto si profonda tanto ,
Che retro la memoria non può ire .
i56 DEL PARADISO
Yenmeiite qoantMo del vegoQ santo * io
Nella mìa mente potei far tesoro»
Sarà ora materia del mio canto.
O buono Apollo , ali* ultimo lavoro
Fammi del tuo valor si fatto vaso.
Come dimanda dar 1^ amato alloro.
Insino a qui T un giogo di Parnaso
Assai mi fu ; ma or con amendue
M^è uòpo entrar nell'aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue.
Sì come quando Marsia traesti ao
Della vagina delle membra sue.
O divina virtù , si mi ti presti
Tanto, che T ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti.
Venir vedrànii al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie ,
Che la matera e tu mi farai degno •
Si rade volte , Padre , se ne cóglie ,
Per trionfare o Cesare , o Poeta ,
(Colpa e vergogna dell'umane voglie) 3o
Che partorir letizia in su la lieta
Delfica Deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di se asseta •
i
CANTO I. 1S7
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse diretro a me con miglior voci
Si pregherrà , perchè Cirra risponda .
Sarge a' mortali per diverse foci
La lacerna del mondo; ma da queRa,
Che quattro cerchi giugne con tre croci.
Con miglior corso, e con migliote stella 416
Esce congiunta, e ]a mondana cei^
Più a suo modo tempera e suggella .
Fatto avea di là mane , e di qua sera
Tal foce quasi, e tutto era là bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera;
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Yidi rivolta, e riguardar nel Sole:
Aquila sì non gli s^ affisse unquanco •
E sì come secóndo raggio suole
Uscir del primo , e risalire insuso , So
Pur come peregrin, che tornar vuole;
Cosi delfatto suo per gli occhi infuso
Nell'immagine mia il mio si fece,
E fissi gli occhi al Sole oltre a nostr^uso.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù', mercè del loco
Fatto per proprio dell* umana spece.
iSS DEL PARADISO
Io noi sofferai molto, né si poco,
CShUo noi vedessi sfavillar dintorno
Qual ferro, che bollente esce del faoco. 60
E disnbito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei, che paote.
Avesse U Ciel d'an altro Sole adomo.
Beatrice tutta nell'eterne ruote
Fissa con gli occhi stava , et io in lei
Le luci fisse, di lassù remote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei ,
Qual si fé' Glauco nel gustar delFerba,
Che '1 fé' consorto in mar degli altri Dei •
Trasumanar significar per verba 70
Non si porla ; però V esemplo basti
A cui esperienza grazia serba .
S^ io era sol di me quel , che creasti
Novellamente, Amor, che'l Gel governi ,
Tu 1 sai , che col tuo lume mi levasti .
Quando la ruota , che tu sempiterni ^
Desiderato, a se mi fece atteso
Con r armonia, che temperi, e discerni,
Parvemi tanto allor del Cielo acceso
Dalla fiamma del Sol, che pioggia o fiume 80
Lago non fece mai tanto disteso.
CANTO L k&9
La novità del suono , e M grande lame
Di lor cagion m* accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume,
Ond^ella» che vedea me sì comMo,
Ad acquetarmi V animo commosso »
Pria cV io a dimandar, la bocca aprìo ;
E cominciò: Tu stesso ti fai grosso
Col falso immaginar , sì che non vedi
Ciò» che vedresti, se T avessi scosso. 90
Tu non se* in terra si come tu credi :
Ma folgore , fuggendo M propiio sito ,
Non corse come tu, cl\*ad esso riedi.
S' io fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi ,
' Dentro a un nuovo più fui irretito,
E dissi : Già contento requièvi
Di grande ammirazion; ma ora ammiro
Com^ io trascenda questi corpi lievi .
Ood'ella , appresso d^un pio sospiro, 100
Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante.
Che madre fa sopra figliuol deliro,
E cominciò: Le cose tutte quante
Uann' ordine tra loro; e questo è forma,
Che r Universo a Dio fa simigliante •
1 Dttflfro ad un nvoro
;*■
i6o DEL PARADISO
Qui yeggion Talte creature Torma
Dell'eterno valore, il quale è fiue^
Al quale è fatta la toccata norma.
Neil* ordine , eh' io dico , sono accline
Tutte nature per diverse sorti, no
Piò al principio loro, e men vicine:
Onde si muovono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Con instinto a lei dato, che la porti.
Questi ne porta '1 fuoco in ver la Luna :
Questi ne' cuor mortali è promotore :
Questi la terra in se stringe et aduna .
Né pur le creature, che son ftfdre
ly intelligen^ia, quest'arco sdetta.
Ma quelle, ch'hanno intelletto e am wr. i m
La providenzia , che cotanto assetta ,
Del suo lume fa *1 Giel sempre quieto.
Nel qual si volge quel, ch^a maggior fretta :
Et ora lì , com' a sito decreto ,
Gen porta la virtù di quella corda.
Che ciò, che scocca, drizza in segno lieto.
Ver' è , che come forma non s* accorda
Molte fiate alla 'nteneion delTarte,
Perch* a risponder la materia è sorda;
CANTO L j6i
Cost da questo corso si diparte i So
Talor la creatura , eh* ha podere
Di piegar, così pinta, in altra parte;
' E si come veder si può cadere
Fuoco di nube , se T impeto primo
À terra è torto da fako piacere ;
Kon dei più ammirar , se bene stimo ,
Lo tuo salir, se non come d*un rivo.
Se d* alto monte scende giuso ad imo .
Maraviglia sarebbe in te, se privo
D'impedimento giù ti fossi assiso, 140
Com* a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolse in ver lo Cielo il viso.
1 Coti come Teder
Danti T.IL ai
i63
CANTO SECONDO.
A&GOMXNTO
Dant0 ial9 eon Beatrice nella Luna, dwe comefugiun*
$0 rendè grazie a Dio, che io aveva dalla terra inai*
xaio: chiede poi alla sua guida onde sieno cagionate
le macchie di quel Pianeta, sopra di che ella ragio-
nando impugna V opinion del Poeta, e con diverso
principio risolve la presente quistione.
\J voi , che siete in piccioletta barca ,
Desiderosi d'ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno, che cantando varca.
Tornate a riveder li vostri liti :
Non vi mettete in pelago, che forse
^Perdendo me rimarreste smarriti •
L'acqua , ch^ io prendo, giammai non si corse :
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nuove Muse mi dimostran TOrse.
Voi altri pochi , che drizzaste U collo i o
Per tempo al pan degli Angeli , del quale
Yivesi qui, ma non sen vien satollo.
1^ BEL f ARADISO
Metter potete ben per Talto salp
Vostro navigio servando mio solco
Dinanzi aU*acqaa, che ritoma egaale.
Que* gloriosi 9 che passaro a Coleo»
Non s' ammiraron , come voi farete ,
Quando lason vider fatto bifolco .
La concrea|a e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava 20
Veloci quasi come '1 Giel vedete •
Beatrice in suso , et io in lei guardava :
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa,
E vola , e dalla noce si dischiava ,
Giunfo mi vidi, ove micabil coaa
Mi torse il viso a se: e però quella.
Cui non potea mi^ovra essere ascosa.
Volta ver me sì lieta come bella:
Drizza la mente in Dio grata , mi disse ,
Che n^ha congiunti con la prima stella. 3o
Pareva a me, che nube ne coprisse
Lucida , spessa , solida , e pulita
Quasi adamante , che lo Sol ferisse .
Per entro se T eterna margherita
Ne ricevette , com* acqua recepe
Piaggio di luce , permanendo unita .
\
CANTO 11 i05
SMo era corpo, e qui non si concepe^
Com* una dimensione altra patio,
Ch* esser convien se corpo in corpo repe ,
Accender ne dovria più il disio 40
Di yeder quella essenzia , in che si vede ,
Come nostra natura e Dio s'unìo.
Lì si yedrà ciò, che tenem per fede,
, Non dimostrato , ma fia per se noto
A guisa del ver primo , che l' nom crede .
Io risposi: Madonna, si devoto,
> Quant'esser posso più, ringrazio lui.
Lo qual dal mortai mondo m*ha rimoto.
Ma ditemi , che son li segni bui
Di questo corpo, che la^uso in terra So
Fan di Gain favoleggiare altrui?
Ella sorrise alquanto ; e poi : S* egli erra
L* opinion , mi disse , de' mortali
Dove chiave di senso non disserra.
Certo non ti dovrien punger li strali
D* ammirazione ornai ; poi dietro a* sensi
Vedi, che la ragione ha corte Tali.
Ma dimmi quel, che tu da te ne pensi .
^Et io: Ciò, che n^appar quassù diverso.
Credo che *1 fanno i corpi rari e densi . 60
X Come esier
>
106 DEL PARADISO
Et ella: Certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo y se bene ascolti
L* argomentar, ch'io li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
Lumi , li quali nel quale , e nel quanto
Notar si posson di diversi volti •
Se raro e denso ciò facesser tanto.
Una sola virtù sarebbe in tutti
Più e men tlistributa , et altrettanto •
Virtù diverse esser convengon frutti 70
Di prìncipi formali , e quei, fuor ch'uno,
Seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor se raro fosse di quel bruno
Cagion, che tu dimandi; od oltre in parte
Fora di sua materia sì digiuno
Esto Pianeta ; o sì come comparte
Lo grasso e 1 magro un corpo, così questo
Nel suo volume cangerebbe carte .
Se '1 primo fosse , fora manifesto
Nell'eclissi del Sol, per trasparere 80
Lo lume , come in altro raro ingesto •
Questo non è; però è da vedere
Dell'altro : e s'egli awien,ch*io Taltro cassi,
Falsificato fia lo tuo parere.
CANTO II. i6r
S'egli èj che questo raro non trapassi,
Esser conviene un termine » da onde
Lo suo contrario più passar non lassi :
E indi r altrui raggio si rifonde
Così , come color toma per vetro ,
Lo qual diretro a se piombo nasconde. 90
Or dirai tu, ch^ei si dimostra tetro
Quivi lo raggio, più che in altre parti.
Per esser li rifratto più a retro.
Da questa instanzia può diliberarti
Esperienza , se giammai la pruovi ,
Ch'esser suol fonte aerivi di vostre arti.
Tre specchi prenderai , e due rimuovi
Da te d' un modo , e Y altro più fìmosso
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi rìtruovi :
Rivolto ad essi fa% che dopo U dosso 100
Ti stea un lume, che i tre specchi accenda,
E torni a te da tutti ripercosso:
Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana, li vedrai
Come convien, eh* egualmente risplenda.
Or come a i colpi degli caldi rai
Della neve riman nudo 'l suggetto ,
E dal colore , e dal freddo primai ;
i68 DEL PARADISO
Così rioMso te nello 'ntellecto
Voglio infonnar di luce à vÌTace , no
Che ti tremolef^ nel sao aspetto.
Dentro dal Ciel ddla divina pace
Si gira mi corpo, nella coi virtate
L* esser dì tntto soo contento giace •
Lo Ciel seguente, ch'ha tante vednte,
Qnell^ esser parte per diverse essenze
Da loi distinte , e da Ini contenute .
Gli altri giron per varie differenze
Le distinzion , che dentro da se hanno ,
Dispongono a lor fini, e lor semenze • 1 20
Questi organi del mondo così vanno.
Gome tu vedi ornai, di grado in grado.
Che di su prendono, e di sotto fanno •
Riguarda bene a me sì com' io vado
Per questo loco al ver, che tu disirì ,
Sì che poi sappi sol tener lo guado . '^
Lo moto e la virtù de' santi giri.
Come dal £abbro Tarte del martello.
Da* beati motor convien che spiri.
E H Ciel, coi tanti lumi fanno bello, i3o
Dalla mente profonda, che lui voi ve.
Prende V image , e fassène suggello .
CANTO IL 169
E come V alma dentro a vostra polve
Per diflPerenti membra , e conformate
A diverse potenzio, si risolve;
Cosi r inteliigenzia sua bontate
Moltiplicata per le stelle spiega ,
Girando se sovra sua unitale.
Yirtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo , che 1* avviva » 1 40
Nel qual , sì come vita in voi » si lega .
Per la natura lieta, onde deriva.
La virtù mista per lo corpo luce ,
Come letizia per pupilla viva »
Da essa vien ciò , che da luce a luce
Par differente, non da denso e raro:
Essa è formai principio , che produce ,
Conforme a sua bontà, lo turbo t '1 chiaro.
171
GANTO TERZO.
Aegomentò
Xaeconta iì Poeta , che nella Luna vide l'anime di quella
persone, che non aveano perfeiiamente adempiuto i
voti: di poi ragiona con Piccarda, che gli spiega,
tome tutti i Beati sono conienti del grado di gloria
loro compartito: appresto gli narra t istituto di vira,
che essa e Costanza avtano in terra Mraeciato.
V^uelSol, che pria d*amor mi scaldò ^1 petto.
Di bella verità m* a vea scoverto »
Provando e riprovando, il dolce aspetto :
Et io , per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto, quanto si convenne,
Levai lo capo a profferer più erto .
Ma visione apparve , che ritenne
A se me tanto stretto per vedersi ,
Che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi, io
O ver per acque nitide e tranquille
Non si profonde, che i fondi sien persi.
ij% BEL PARADISO
Tornan de^ nostri visi le postille
Debili 6i, che perla in bianca fronte
Non Yien men tosto alle nostre papille;
Tali vid* io più facce a parlar pronte :
Per eh* io dentro ali* error contrario corsi
A qoel, ch^accese amor tra Tnomo e *1 fonte.
Si^ito, A compio di lor m* accorsi,
Qndle stimandb specchiati sembianti , a e
Per veder di cui fosser gli occhi torsi >
E nulla vidi, e rìtorsili avanti
Dritti nel lume della dolce guida.
Che sorridendo ardea negli occhi santi .
Non ti maravigliar, perch'io sorrida.
Mi disse , appresso ^i tuo pneril quoto ,
Poi sopra *1 vero ancor lo pie non fida.
Ma te rivolve^ come suole, a voto:
Yere sustanzie son ciò, che tu vedi.
Qui rilegate per manco di voto . 3c
Però parla con esse^ e odi , e credi^
Che la vorace luce, die le appaga.
Da se non lascia lor torcer li piedi .
Et io all'ombra» che parea più vaga
Di ragionar , drizzami , e cominciai
Quasi Gom'uom, cui troppa voglia smaga :
CANTO IIL 173
ben creato spirito, che a* rat
Di vita eterna la dolcezza senti ,
Che non gustata non s* intende mai.
Grazioso mi fìa , se mi contenti 40
Del nome tuo, e della vostra sorte;
Ond* ella pronta , e con occhi ridenti^
La nostra carità non serra porte
A giusta voglia, se non come quella.
Che vuol simile a se tutta sua Corte.
Io fui nel mondo vergine sorella :
E se la mente, tua ben mi riguarda.
Non mi ti celerà Tesser più bella,
Ma riconoscerai, chMo |oa Piccarda,
Che posta qui con questi altri beati So
Beata son nella spera più tarda.
Li nostri affetti , che solo infiammati
Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letizian del su^ ordine formati :
£ questa sorte, che par giù cotanto.
Però n'è data , perchè for negletti
Li nostri voti , e voti in alcun canto .
Ond' io a lei : Ne* qùrabili aspetti
Vostri risplende ncm so che divino ,
Che vi trasmuta da* primi concetti : 6e
174 DEL PARADISO
Però non fui a rimembrar festino ;
Ma or m'aiuta ciò, che tu mi dici.
Si che rafiigurar m* è più latino . ~
Ma duomi : Voi , che siete qui felici ,
Disiderate voi più alto loco
Per più vedere, o per più farvi amici?
Con quell' altr* ombre pria sorrise un poco:
Da indi mi rispose tanto lieta ,
Ch^ arder parca d'amor nel primo foco:
Frate, la nostra volontà quieta 70
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel, ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
Se disiassimo esser più superne ,
Foran discordi gli nostri disiri
Dal voler di Colui , che qui ne cerne ,
Che vedrai non capere in questi giri ,
S' essere in cantate è qui necesse ,
£ se la sua natura ben rimiri :
Anzi è formale ad esso beato esse
Tenersi dentro alla divina voglia , 80
Perch' una fansi nostre voglie stesse •
Si che come noi sem di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto '1 regno piace.
Comodilo Re , eh' a suo voler ne 'nvoglia :
CANTO III. 17$
JE la raa volontade h nostra pace :
Ella è quel mare , al qaal tutto si muove
Ciò , eh' ella cria , e che Natura face .
CShiaro aai fu allor , com' ogni dove
In Cielo è Paradiso, et si la grazia
Del Sommo Ben d'un modo non vi piove. 9 o
Ma sì com'egli avvien, s^un cibo sazia;.
£ d*un altro rimane ancor la gola.
Che quel si chiere, e di quel si ringrazia;
Così fee' io con atto e con parola
Per apprender da lei qual fu la tela ^
Onde non trasse insino al co la spola • —
Perfetta vita et alto merto inciela
Donna più su , mi disse , alla cui norma
Nel vostro mondo giù si veste , e vela ,
Perchè ^nfino al morir si vegghi e dorma 100
Con quello sposo, ch'ogni voto accetta.
Che caritate a suo piacer conforma .
Dal mondo , per seguirla , giovinetta
Fuggimmi , e nel su' abito mi chiusi ,
E promisi la via della sua setta .
Uomini poi a mal, più eh* a bene, usi
Fuor mi rapiron della dolce chiostra :
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi .
176 DEL PARADISO
E qaest^ akro spleador , che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s'accende no
Di tutto '1 lume della spera nostra ,
Ciò 9 eh' io dico di me , di se intende :
Sorella fu, e cosi le fu tolta
Di capo r ombra delle ^acre bende .
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contra suo grado , e cantra buona usanza ,
Non fu dal yel del cor giammai disciolta.
Quest' è la luce della gran Gostanza ,
Che del secondo vento di Soave
Generò 1 terzo , e V ultima possanza . 1 20
Cosi parlomQii : e poi cominciò Jpe,
Maria , cantando , e cantando vamo.
Come per acqua cupa cosa grave .
La vista mia, che tanto b seguìo ,
Quanto possibil fu , poi che la perse ,
Yolsesi al segno di maggior disio ,
Et a Beatrice tutta si converse :
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Si, che da prima il viso noi sofferse :
£ ciò mi fece a dimandar più tardo . 1 3o
177
CANTO QUARTO.
AaCOHSNTO
Mifropandosi U Poeta in alcune difficoltà. Beatrice so^
pra di ffuHe imprende a ragionare, e gii dimostra p
eonu tutti i Comprensori hanno i loro seggi nel Cielo
empireo: seguita poi a manifestargli altre verità. In
fine Dante propone alta sua guida un quesito: Se in
alcun modo soddisfar si possa a' voti non adempiuti.
JLntra duo cibi distanti , e moventi
D^un modo, prima si morrìa di fame.
Che liber uomo Tun recasse aMenti.
Si si starebbe un agno intra duo brame
Di fieri lupi igualmeote temendo :
Si si starebbe un cane intra duo dame •
Per che s* io mi tacca , me non riprendo ,
Dalli miei dubbi d^nn modo sospinto,
Poich^era necessario, né commendo •*
lo mi tacca : ma U mio disir dipinto i o
M*era nel viso, e *1 dimandar con elio
Più caldo assai, che per parlar distinto.
Dante T.II. la
178 DEL PARADISO
Fessi Beatrice , qual fé* Daniello
Nabuccodonosor levando d* ira ,
Che r avea fatto ingioatamente fello ;
£ disse : Io veggio ben come ti tira
Uno et altro disio, sì che tna cara
Se stessa lega sì , che fnor non spira .
Tu argomenti : Se *1 buon voler dura ,
La violenza altrui per qual ragione ao
Di meritar mi scema la misura?
Ancor di dubitar ti dà cagione
Parer tornarsi T anime alle stelle.
Secondo la sentenza di Platone •
Queste son le quistion, che nel tuo velie
Pontano igualemente; e però pria
Tratterò quella, che più ha di felle.
De'Serafin colui, che più sMndia,
Moisè, Samuello, e quel Giovanni,
Qual prender vogli, iodico, non Maria, 3o
Non hanno in altro Cielo i loro scanni,
Ghe quelli spirti, che mo t* apparirò.
Né hanno air esser lor più o meno anni;
Ma tutti fanno bello il primo giro,
E diflferentemente han dolce vita
Per sentir più e men Peterno spiro.
CANTO IV. 179
Qui si mostraron, non perchè sortita
Sia qaesta spera lor, ma per far segno
Della celestial, ch'ha men salita.
Così parlar conviensi al vostro ingegno, 40
Perocché solo da sensato apprende
Ciò, che fa poscia d^ntelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
A vostra facultate , e piedi e mano
Attribuisce a Dio, et altro intende.
£ santa Chiesa con aspetto umano .
Gabbriell'e Michel vi rappresenta,
E r altro, che Tobbia rifece sano.
Quel, che Timeo dell* anima argomenta.
Non è simile a ciò, che qui si vede. So
Perocché, come dice, par che senta.
Dice , che V alma alla sua stella riede ,
Credendo quella quindi esser decisa ,
Quando Natura per forma la diede.
£ forse sua sentenzia è d'altra guisa, »
Che la voce non suona, et esser puote
Con intenzion da non esser derisa.
S^egr intende tornare a queste ruote
L*onor della *nflnenzia e 1 biasmo, forse
In alcun vero suo arco percuote . 60
i8o DEL PARADISO
Questo principio male inteso tone
Già tatto *1 mondo qinsi, sì che Giore,
Mercurio, e Marte a nominar trascorse.
L'altra dubitazion, che ti commtiOTe,
Ba men yeien , perocché sua malizia
Non ti potria menar dà me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
Negli occhi de* mortali è argomento
Di Fede, e non d* eretica nequizia.
Ma perchè puote vostro accorgimento 70
Ben penetrare a questa ventate.
Come disiri ti farò contento.
Se violenza è quando quel, che paté,
Neente conferisce a quel, che sfcMza,
Non fur quest' alme per essa scusate ;
Che volontà, se non vuol, non s* ammorza ^
Ma fa come Natura face in foco.
Se mille volte violenza il torza:
Perchè s'ella si piega adsai o poco.
Segue la forza; e così queste fero, 8g
Potendo ritorhare al santo loco.
Se fosse stato il lor volere intero.
Come tenne Lorenzo in su la grada,
E fece Muzio alla sua man severo;
CANTO lY. i8i
Cosi Tavria ripinte per la strada,
Ond'eran tratte, come furo sciolte:
Ma così salda veglia è troppo rada .
E per queste parole, se rìcolte
L* hai come dei, è T argomento casso.
Che t'avria fatto noia ancor più volte. 90
Ma or ti s* attraversa un altro passo
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso
Non n* usciresti, pria sarcKSti lasso.
Io t* ho per certo nella mente messo ,
Ch*alma beata non porla mentire.
Perocché sempre al primo Vero è presso .
E poi potesti da Piccarda udire.
Che Taffezion del vel Gostanza tenne,
SI eh* ella par qui meco contraddire.
Molte fiate già, frate, adivenne, 100
Che per fuggir perigllè^contro a grato
Si feMi quel, che fafnon si convenne.
Come Almeone, che di ciò pregato
^Dal padre suo la propria madre spense.
Per non perder pietà si fé* spietato.
A. questo punto voglio, che tu pense.
Che la forza ai voler si mischia, e fanno
' Sì, che scusar non si posson roflPense.
i8a DEL PARADISO
Voglia assoluta non consente al danno :
Ma consentevi in tanto,in quanto teme, no
Se si ritrae , cadere in più a£Emno.
Però quando Piccarda quello spreme.
Della voglia assoluta intende, et io
Dell'altra, ffi che w diciamo insieme.
€otal fu Tond^giar del santo rio,
Gh*uscì del fonte, ond'ogni ver deriva;
Tal pose in pace uno et altro disio .
O amanza del primo amante, o diva,
DissMo appresso, il cui parlar m^ innonda
E scaldasi, che più e più m'avviva; lao
Non è Taffezion mia tanto profonda, *
Che basti a render voi grazia per grazia ;
Ma quei, che vede epuote, a ciò risponda.
Io veggio ben, che giammai non si sazia
Nostro 'ntelletto, se U ver non lo illustra.
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra.
Tosto che giunto T ha ; e giugner puoUo:
Se non, ciascun disio sarebbe /riufra.
Nasce per quello a guisa di rampollo i3o
Appiè del vero il dubbio; et è Natura,
Ch' al sommo pinge noi di collo in collo .
\
CANTO IV. iZì
Questo mMnvita^ questo m'assicura
Con riverenza » Donna , a dimandarvi
D* un* altra verità, che m'è oscura.
«
Io vo* saper, se Tuom può soddisfarvi
A* voti ^nchi si con altri beni ,
Ch' alla vostra stadera non sien parvi .
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
Di faville dVamor, con si divini, 140
Che , vinta mia virtù , diedi le reni ,
E quasi mi perdei con gli occhi chini.
f
\
A
i8S
CANTO QUINTO.
A&GOMSNTO
Biatritt partm dellm nmrurm €d M0naa del Voto^ e yi-
spomdÉ td ^m$*ko d&i Fàeia dunuufr^posi^U, diekim
rondo i» fuml moMÙro soddisfar sipoum, td md non
adempiuti. Salgono poscia wnendua in Mercurio» ooe
Danio scorge un grandissimo numero di Spirisi,
uno de* quali fa ogii edemsa dinumdo.
9
io ti fiaouaettio nel caldo d' moie
s
Di là dal modo» cb» *n terra d vede»
Sk die degU occhi inoi viaeo '1 Talwe»
Non ti maraviglìflr ; che ciò procede
Da perfetto veder» che come appiende»
Cosi nel bene appreso muove U piede.
Io veggio bea sì come già rispleade
NeUo intelletto tuo T eterna luce »
Che vista «ola sempre amore accende :
E s' altra cosa vostro amor seduce » i o
Non è se non di cpella alcim vestigio
Mal conosciuto» che <}uivi trainee.
486 DEL PARADISO
Tn vaoi saper se con altro aerrìgio
Per manco voto si può render tanto»
Che ranima sicuri di litigio:
Sk cominciò Beatrice questo canto;
E si com^uom, che suo parlar non spezza »
Continuò con '1 processo santo.
Lo maggior don» che Dio per sua larghezza
Fesse creando , et alla sua bontate 20
Più conformato» e quel ch'ei più apprezza.
Fu della volontà la libertate ,
Di che le creature intelligniti
E tutte» e sole furo, e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti»
L*alto valor del voto» s^h A fatto»
Che Dio consenta» quando tu consenti:
Che, nel fermar tra Dio e Tuomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro ,
Tal, qual io dico» e fassi col su^atto. 3o
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel» ch'hai oflFerto^ *
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro .
Tu se* omai del maggior punto certo :
Ma perchè santa Chiesa in dò dispensa ,
Che par contra lo ver» cVi' t^ho scoverto ;
CANTO V- .187
Convienti ancor sedere un poco a mensa ,
Perocché ''1 cibo rigido, ch'hai preso.
Richiede ancora aiuto a tua dbpensa.
Apri la mente a quel, cVio ti paleso, 40
£ fermalvi entro; che non fa scienza
Senza lo ritenere avere inteso.
Due cose sì convegnono air essenza
Di questo sacrificio: Tuna è quella.
Di che si fa; T altra è la convenenza.
Quest'ultima giammai non si cancella.
Se non servata , et intorno di lei
Sì preciso di sopra si favèlla :
Però ■ necessitato fu agli Ebrei
Pur Tofferere, ancor che alcuna oflferta 5o
Si permutasse, come saper dei.
L^ altra , che per materia t' è aperta ,
Puote bene esser tal, che non si falla.
Se con altra materia si converta .
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
Perssuo arbitrio alcun senza la volta
E della chiave bianca, e della gialla :
Et ogni permutanza credi stolta.
Se la cosa dimessa in la sorpresa,
ComeU quattro nel sei, non è raccolta. 60
I neccttìtà
i8S DEL PARADISO
Però qaalanqne cosa Unto pesa
Per MIO Talor^ che tragga ogni bilancia.
Soddisfar non sì pob con altra spesa.
Non prendano i maftall il voto a ciancia:
Siate fedeli, et a ciò fiur non bieci,
Ciome fa lepte alla eoa prima mancia;
Coi più si convenia dker: Mal feci.
Che servando &r peg^; e così stolto
Ritrovar puoi lo gran Duca de* Greci,
Onde pianse Ifigenia il suo bel volto , 70
E fé* pianga di se e i folli , e i savi,
Gh^odir parlar di con fatto colto.
Siate, Cristiani > a maovervi più gravi:
Non aiate come penna ad ogni vento,
E non crediate, eh* ogni acqua vi lavi.
Avete ^1. vecchio e 1 nuovo Testamento ,
E U P^or della Chiesa, che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida ,
Uomini siate, e ncm pecore matte, 80
SI che *1 Giudeo tra voi di voi non rida .
Non fate come agnel, che lascia il latte
Della sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatte .
CANTO V. 189
Così Beatrice a me» ' com' io scrivo:
Poi si rivolse tutta disiarne
A quella parte , ove U mondo è più vivo .
Lo suo piacere , e '1 tramutar sembiante
Poser silenzio al mio cupido 'ngegno.
Che già nuove quistioni avea davante : 90
E si come saetta , che nel segno
Percuote pria , che sia la corda queta ;
Così corremmo nel secondo regno .
Quivi la donna mia vid*io sì lieta »
Come nel lume di quel Giel si mise »
Che più lucente se ne fé* il Pianeta •
£ se la stella si cambiò e rise ;
Qual mi fecMo» che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise !
Come in peschiera, ch^ètfanqniila^pnra» toc
Traggono i pesci a ciò, che vien di fuori
Per modo , che lo stimin lor pastura ;
Si vid* io ben più di mille splendori
Trarsi vet noi, et in ciascun s'udia:
Ecco chi crescerà li nostri amori;
E sì come ciascuno a noi venia,
Yedeasi 1* ombra piena di letizia
Nel folgor chiaro, che di lei uscia •
1 com* io TI tcriro:
N
190 DEL PARADISO
Pensa, Lettor, se qael, che qai s'inizia.
Non procedesse, come tu avresti no
< Di pia saTere angosciosa carizia;
E per te vederai, come da questi
IT era in disio d^ndir lor condizioni.
Sì come agli occhi mi fur manifesti .
O bene nato, a cui veder li troni
Del trionfo eternai concede grazia.
Prima che la milizia s'abbandoni.
Del lume, che per tutto '1 Ciel si spazia.
Noi semo accesi: e però se disii
t Da noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia. 1 20
Coà da un di quelli spirti piì
Detto mi fu, e da Beatrice: Di* di^
Sicuramente , e credi come a Dii •
Io veggio ben, si come tu t^ annidi
Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi,
Perch* ei corrusca, sì come tu ridi:
Ma non so chi tu se\ né perchè aggi.
Anima d^na , il grado della spera ,
Che si vela a* mortai con gli altrui raggi .
Questo dissalo diritto alla lumiera, i3o
Che pria m*avea parlato: ond*elIa fessb
Lucente più assai di quel , eh* eli* era .
1 Di più udire 2 Di noi cliiarirti,
CANTO V. 191
Si come *1 Sol , che si cela egli stessi
Per troppa luce , quando *1 caldo ha rose
Le temperanze deWapori spessi;
Per più letizia sì mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa ;
E cosi chiusa chiusa mi rispose
Nel modo , che *1 seguente Canto canta .
\
193
CANTO SESTO.
Argomento
r
Lù Spiriio topTMecennat» al Poeta risponde , e gli dimo^
tira se esser P anima di Giustiniano Jmperadore , e
quindi prende occasione di celebrar le gloriose gesta
delP aquila Imperiale: seguita poi a dirgli, che in
quel Piaheta erano coloro, che aveano virtuosamente
operato per acquistarsi fama ed onore •
X 06cia che Gostantin V aquila volse
Contra ^1 corso del Giel^ che la seguio
Dietro ali* antico, che Lavina tolse.
Cento e cent* anni, e più Tuccel di Dio
Nello stremo d'Europa si ritenne.
Vicino ammonti, de'quai prima uscio:
£ sotto r ombra delle sacre penne
Governò *i mondo lì di. mano in mano,
E si cangiando in su la mia pervenne.
Cesare fui, e son Giustiniano, io
Che per voler del primo Amor, ch'io sento,
D*entro alle leggi trassi il troppo e*l vano:
Dante T.IL i3
i<>4 DEL PARADISO
£ prima ch^o alFopra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non pine
Crederà, e di tal fede era contento.
Ma il benedetto Agabito, che foe
Sommo Pastore , alla Fede sincera
Mi dirizzò con le parole sue .
Io gli credetti: e ciò, che sno dir era.
Veggio ora chiaro, A come tu yedi 30
ugm contiaociizione e laisa j e reni.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi ,
A Dio per grazia piacque di spirarmi
L'alto lavoro, e tutto in lui mi diedi;
E al mio Bellisar commendai Tarmi,
Cui la destra del Ciel £11 ^ congiunta ,
Che segno fu, ch'io dovessi posarmi.
Or qui alla quìstion prima s^ appunta
La mia risposta; ma la condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta , 3o
Perchè tu v^gi con. quanta ragione
Si muove contra U sagrosanto segno
E chi *1 s^appropi^A , e chi a lui s' oppone •
Vedi quanta virtù V ha fatto degno
Di reverenza, e cominciò dall'ora»
Che Pallante mori per darli r^o .
/
CANTO VI. 19S
Tu sai, ch'e'ifece in Alba sua dimora *
Per trecent'anni» et oltre, infino al fine.
Che tre a tre pugnar per lui ancora •
Sai quel, che fé* dal mal delle Sabine 40
Al dolor di Lucrezia in sette Regi ,
Vincendo ^ntorno le genti vicine •
Sai quel , che fé* portato dagli egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
Incontro agli altri Principi e collegi :
Onde Torquato, e Quintio, che dal cirro
Neglefto fu nomato , e Deci e Fabi
Ebber la fama, che volentìer mirro.
Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi,
Che diretro ad Annibale passaro So
L^ alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott^esso giovanetti trionfaro \
Scipione , e Pompeo , et a quel colle ,
Sotto U qual tu nascesti , parve amaro •
Poi presso al tempo, che tutto 1 Ciel volle
Ridur lo mondo a suo modo sereno.
Cesare per voler di Roma il tolte;
E quel, che fé' da Varo insino al Reno,
Isara vide , et Era , e vide Senna »
Et ogni valle y onde '1 Rodano è pieno. 60
19& DEL PARADISO
Quel che fé' poi, eh* egli uscì di Ravenna»
E saltò *1 Robicon , fu di tal volo ,
Che noi seguiterìa lingua , né penna •
I II ver la Spagna rivolse lo stuolo »
Poi ver Durazzo; e Farsaglia percosse
Si, eh* al Nil caldo si sentì del duolo.
Antandroe Simoenta, onde si mosse,
Rivide; e là, dov* Ettore si cuba;
E mal per Tolommeo poi si riscosse.
Da onde venne folgorando a Giuba : 70
Poi si rivolse nel vostro Occidente ,
Dove sentia la Pompeiana tuba .
Di quel, che fé* col baiulo seguente.
Bruto con Cassio nello *nferno latra ,
E Modona e Perugia fu dolente .
Piangene ancor la trista Cleopatra ,
Che, fuggendogli innanzi, dal colubro
La morte prese subita na et atra.
Con costui corse insino ai lito rubro : '
Con costui pose*l mondo in tanta pace, 80
Che fu serrato a Giano il suo delubro*
Ma ciò, che '1 segno, che parlar mi face.
Fatto avea prima , e poi era fatturo
Per lo regno mortai, eh* a lui soggiace.
CANTO VL 197
Diventa in apparenza poco e scuro ,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro , e con affetto puro ;
Che la viva giustizia, che mi spira.
Gli concedette in mano a quel, ch'io dico.
Gloria di far vendetta alla sua ira. 90
Or qui t* ammira in ciò, ch'io ti replico:
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando *1 dente Longobardo morse
La santa Chiesa 9 sotto alle sue ali
Carlo Magno vincendo la soccorse.
Ornai puoi giudicar di que'cotali.
Ch'io accusai di sopra, e de'lor falli.
Che son cagion di tutti i vostri mali .
L' uno ai pubblico segno i gìgli gialli 1 00
Oppone, e l'altro appropria quello a parte.
Sì eh' è forte a veder qual più si falli .
Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte
Sott* altro segno ; che mal segue quello
Sempre chi la giustizia, e lui diparte:
£ non l'abbatta esto Carlo npvello
Co* Guelfi suoi, ma tema degli artigli,
Ch' a più alto leon trasser lo vello .
J98 DEL PARADISO
Molte fiate già pianser gli fig^
Per la colpa del padre; e non si creda, ito
Che Dio trasmnti ranni ' per raoi gigli-
Questa picciola stella si correda
De^baoni sjnrti, che son stati attivi.
Perchè onore e fama gli succeda:
£ quando li desiri poggian quivi
Si disviando, pur convien, che i ra^
Del vero amore in su poggin men vivi .
Ma nel commensurar de' nostri gaggi
Col merto è parte di nostra letizia,
* Perchè non li veden minor, nèma^. 120
Quinci addolcisce la viva giustizia
In noi r affetto sì, che non si puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia .
Diverse voci fanno dolci note:
Cosi diversi scanni in nostra vita
Rendon dolce armonia tra queste ruote .
£ dentro alla presente margherita
Luce la luce di Romèo, di cui
Fu Topra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzali, che fer contra lui , 1 3o
Non hanno riso; e però mal cammina
Qual si fa danno del ben fare altrui.
I pe*tuoi gigli* a Perchè non li redei»
CANTO VL 1.^9
Quattro figlie ebbe, e ciascnna Reina,
Ramondo Berlinghieri , e ciò gli fece
Romèo persona umile , e peregrina :
E poi il mosser le parole biece
A dimandar ragione a questo giusto ,
Che gli assegnò sette e cinque per diece .
Indi partissi povero e vetusto :
E se '1 mondo sapesse *1 cor, ch'egli ebbe, 1 40
Mendicando sua vita a frusto a frusto ,
Assai lo loda , e più lo loderebbe .
CANTO SETTIMO.
A B 6 O M E N T O
Giustiniano dopo un hre9e tomo dispare con gli altri
Spiriti; e Beatrice risolve a Dante una difficoltà,
ch'enagli nata da alcune parole delV Imperadore : i««
gue poscia a ragionargli altamente intomo al modo,
che Iddio usar polle nella grand* opera dell' umana
Redenzione.
I
sanna Sanctus Deus Sabaoth j
Superillustrans daritate tua
Felices ignes horum malahoth:
Così volgendosi alla nota sua
Fu viso a me cantare essa sostanza.
Sopra la qual doppio lume s' addua :
Et essa e T altre mossero a sua danza,
E quasi velocissime faville
Mi si velar di subita distanza. ,
Io dubitava , e dicea : Dille , dille , i g
Fra me, dille, diceva alla mia donna.
Che mi disseta con le dolci stille:
JM DEL PAIIADISO
Ma quella referenda, che s'indonna
Di tutto me , pur per B e per ICE
Mi richinava, come Tuom, ch'assonni.
Poco sofferse me cotal Rigatrice,
E cominciò raggiandomi d' un riso
Tal, che nel fuoco sana 1' uom felice:
Secondo * mio infallibile avviso.
Come giusta vendetta giustamente ao
Punita fosse, t'hai in pensier miso;
Ma io ti solverò tosto la mente:
E tu ascolta, che le mie parole
Di gran sentenzia ti faran presente .
Per non soffrire alla virtù, che vuole
Freno a suo prode, queH'uom.che non nac-
Dannando se dannò tutta ana prole: (que,
Onde l'umana spezie inferma giacque
Giù per secoli molti in grande errore,
Fin ch'ai Verbo di Dio di scender piacque 3o
U' la natura, che dal suo Fattore
S'era allungata, unio a se in persona
Con l'atto sol del suo eterno Amore.
Or drizza il viso a quel che si ragiona:
Questa natura al suo Fattore unita,
Qual fu creata , fu sincera e buona ;
CANTO YIL MS
Ma per 9e stessa pur fu elb sbandita
Di Paradiso, perocché si torse
Da via di verità, e da sua vita.
La pena dunque, che la Croce porse, 41»
Sballa natura assenta si misura.
Nulla giammai sì giustamente morse :
E così nulla fa di tanta ingiura ,
Guardando alla Persona, che sofferse.
In che era contratta tal natura .
Però d'un atto uscir cose diverse;
Ch'a Dio, e a^ Giudèi piacque Una morte:
Per lei tremò la Tetta, e '1 Citi s* aperse.
Non ti dee oramai parer più forte.
Quando si dice, che giusta vendetta So
r Poscia vengiata fu da giusta Corte .
Ma i' veggi' òr la tua Wnte ristretta
Dì pensiero in pensier dentro ad un nodo.
Del qual con gran di9io solver s^ aspetta .
Tu dici: Ben discerno ciò, eh* i' odo:
Ma perchè Dio volesse, tn'h occulto,
A nostra redenzion pur questo modo .
Questo > decreto , frSte , sta septtlto
Agli occhi di ciascuno , il cui ingegno
Nella fiamma d'amor non k adulto. 6«
I ttcrete,
ao4 BEL PA&ADISO
Veramente, però eh' a questo segno
Molto si mira , e poco si discerne »
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La Divina Bontà , che da se speme
Ogni livore, ardendo in se sfavilla.
Si che dispiega le bellezze eterne •
Ciò , che da lei senza mezzo distilla ,
Non ha poi fine , perchè non si muove
La sua imprenta, quand^ella sigilla.
Ciò, che da essa sanza mezzo piove, 70
Libero è tutto, perchè non sc^giace
Alla virtute delle cose nuove.
Più Tè conforme, e però più le piace ;
Che r ardor santo, ch'ogni cosa raggia.
Nella più simigliante è più vivace.
Di tutte queste cose s'avvantaggia
L' umana creatura , e s^ una .manca ,
Di sua nobilita convien che caggia .
Solo il peccato è quel, che la disfranca,
£ falla dissimile al Sommo Bene, 80
Perchè del lume suo poco s'imbianca:
Et in sua dignità mai non riviene ,
Se non riempie 9 dove colpa vota^
Contra mal dilettar con giuste pene.
CANTO VII. aoS
Vostra natura , quando peccò tota
Nel seme suo ^ da queste dignitadi ,
Come di Paradiso , fu remota :
Né ricovrar poteasi , se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via»
Senza passar per un di questi guadi ; 90
che Dio solo per sua cortesia
Dimesso avesse^ o che V uom per se isso
Avesse soddisfatto a sua follia .
Ficca mo 1* occhio per entro V abisso
Dell'eterno consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fisso .
Non potea Tuomo ne^ termini suoi
Mai soddisfar , per non potere ir giuso
Con umiltate , obbediendo poi ,
Quanto disubbidendo intese ir suso: 100
E questa è la ragion, per che Tuom fué
Da poter soddisfar per se dischiuso .
Dunque a Dio convenia con le vie sue
Riparar V uomo a sua intera vita ,
Dico con Tuna, o ver con ambodue.
Ma, perchè V ovra tanto è più gradita
Dell'operante, quanto più appresenta
Della bontà del core, ond'è uscita.
•'4
ao6 DEL PARADISO
La Divina Bontà , che '1 mondo imprenta »
Di proceder per tutte le sue vie 1 1<>
A rilevarvi suso fu contenta :
Ne tra P ultima notte, e 1 primo die
Si alto, e si magnifico processo
I per Tuno, o per Taltro fue, o fie:
Che più largo fu Dio a dar se stesso.
In far Vuota sufficiente a rilevarsi.
Che s* egli avesse sol (b se dimesso .
E tutti gli altri modi erano scarsi
AUà giustizia » se ^i FigUuol di Dio
Non fosse umiliato ad incarnarsi. 120
Or per empierti bene ogni di^o.
Ritorno a dichiarare in alcun loco,
Perchè tu v^i li cosi , com* io .
Tu dici : Io ve^io l'aere, io ve^io U foco,
L'acqua, e la terra, e tutte lor misture
Venire a corruzione, e durar poco:
E queste cose pur fur creature;
Per che se Cìjtkj cVhp detto , h stato vero.
Esser dovrian d$i corirUfion sicure .
Gli Angeli, frate, e U p^se sincero, 1)0
Nel qual tu se\ dir si possoa creati ,
Sì come sono, in loro essere intero;
I par Tana, o p«r 1* altra fae, o fia;
?
CANTO VII.
ao7
Ma gli elementi, che tu hai nomati,
E quelle cose, che di lor si fanno.
Da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia , cV egli hanno ;
Creata fu la virtù informante
In queste stelle , che ^ntorno a lor vanno •
L' anima d' ogni bruto , e delle piante
Di complession potenziata tira 1 40
Lo raggio e '1 moto delle luci sante.
!Ma nostra vita senza mezzo spira
La somma beninanza , e la 'nnamora
Di se, si che poi sempre la disira.
£ quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come r umana carne fessi allora ,
Che li primi parenti intrambo fensi •
CANTO OTTAVO.
Aegomento
«
Dwa9 #a/e eon Btatricé nel cielo di Venere, dove •#-
eerv0 le Mnitm de'Bemti moversi in giro, le fuali r»—
iteanenie fntfesegli incontro^ una di queste, cke erm
l'anima di Carlo Martello re «T Ungheria, con esso
lui fepella dispiegandogli in fine ^ come da virtuosa
padre nasca talpoha viùoeo figliuolo.
Ooiea creder lo mondo in sao periclo»
'Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse volta nel terzo epiciclo:
Per che non pnre a lei faceano onore
Di sacrifici) e di votivo grido
Le genti antiche nell'antico errore;
Ma Dione onoravano, e Cupido,
Questa per madre sua, questo per figlio,
E dicean, ch^ei sedette in grembo a Dido :
E da costei, ondMo principio piglio, io
Pigliavanp H vocabbl della stella ,
Che*l Sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
1
aio DEL PARADISO
Io non m* accorsi del salire in ella:
Ma d* esserv' entro mi fece assai fede
La donna mia , ch^ io vidi far più bella .
E come in fiamma favilla si vede»
E come in voce voce si disceme ,
Quando una è ferma, e T altra va e riede;
Yid' io in essa luce altre lucerne
Muoversi in giro più e men correnti 20
Al modo, credo, di lor viste, eterne •
Di fredda nube non disceser venti
O visibili, o no, tanto festini.
Che non paressero impediti e lenti
À chi avesse quei lumi divini
Veduto a noi venir, lasciando U giro
Pria cominciato in gli alti Serafini:
E dietro a quei, che più 'nnanzi apparirò »
Sonava Osanna, si che unque poi
Di riudir non fui sanza disiro. 3o
Indi si fece Tun più presso a noi,
£ solo incominciò: Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam co^ Principi celesti
D^un giro, d*un gbrare, e d^jana sete.
Acquali tu nel mondo già dicesti:
/'
CANTO VIIL aiK
Voij che intendendo il terzo Ciel movete;
£ Sem sì pien d*amor» che per piacerti
Non fia men dolce un poco di quiete •
Poscia che gli occhi miei si furo offerti 40
Alla mia donna reverenti, et essa
Fatti gli avea di se contenti e certi,
Kivolsersi alla luce, che promessa
Tanto s* avea ; e : Di' chi siete , fue
La voce mia di grande affetto impressa .
E quanta, e quale vidMo lei far piùe
Per allegrezza nuova, che s* accrebbe,
Quand'io parlai, air allegrezze sue.
Così fatta mi disse : Il mondo m' ebbe
Giù poco tempo; e se più fosse stato. So
Molto sarà di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato.
Che mi raggia dintorno, e mi nasconde.
Quasi animai di sua seta fasciato .
Assai m'amasti, et avesti bene onde:
Che sMo fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre, che le fronde.
Quella sinistra riva, che si lava
Di Rodano, poich^è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m^ aspettava; 60
aid DEL PARADISO
£ quel comò d'Ausonia , che s^ imboi^a
Di Bari , di Gaeta , e di Crotona^
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga .
Fulgeami già in fronte la corona
Di quella Terra , che '1 Danubio riga ,
Poi che le ripe Tedesche abbandona :
E la bella Trinacria» che caliga
Tra Pachino e Peloro sopra '1 golfo «
Che riceve da Euro maggior briga.
Non per Tifòo, ma per nascente solfo, 70
Attesi avrebbe li suoi regi ancora
Nati per me di Carlo, e di Ridolfo,
Se mala signoria che sempre accuora
Li popoli suggetti 5 non avesse
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora.
E se mio frate questo antivedesse.
L'avara povertà di Catalogna
Già fuggirla, perchè non gli offendesse;
Che veramente provveder bisogna
Per lui, o per altmi, sì ch^a sua barca 8e
Carica più di carco non si pogua.
La sua natura, che di larga ''Parca
Discese, avria mestier di tal milizia.
Che non curasse di mettere in arca .
I parca
CANTO Vili. ai3
Perocch'io credo, che Talta letizia.
Che ^1 tuo parlar m'infonde, signor mio,
Ov^c^ni ben si termina, e sMnizia,
Per te si veggi}, come la vegg'io.
Grata m'è più, e anche qaesto ho caro.
Perchè M discerni.'rìmirando in Dio . 90
Fatto m^hai lieto; e cosi mi £a* chiaro.
Poiché parlando a dnbitar m'hai mosso.
Come uscir può di dolce seme amaro.
Questo io a lui; et egli a me: S'io posso
Mostrarti un Tero, a quel che tu dimandi
Terrai '1 viso, come tieni '1 dosso.
Lo Ben, che tutto '1 regno, che tu scandi.
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua provedenza in questi corpi grandi :
. E non pur le nature provvedute 1 00
Son nella mente , eh* è da se perfetta ,
Ma esse insieme con la lor salute .
Per che quantunque questo arco saetta
Disposto cade a provveduto fine ,
Si come cocca in suo segno diretta .
Se ciò non fosse, il Ciel, che tu cammine.
Producerebbe si li suoi efifetti^
Che non sarebbero asti , ma ruine :
ai4 DEL PARADISO
E ciò esser non può , se gl'intelletti , (ilo
Che muovon queste stelle, non son manchit
E manco U primo , che non gli ha perfetti.
Vuo'tu, che questo ver più ti^sMmbianchi?
Et io: Non già; perchè impossibil v^gio.
Che la Natura, in quel eh' è uopo, stanchi.
Ond* egli ancora : Or àì\ sarebbe il p^gio
Per Tuomo in terra, se non fosse cive?
Si rispos'io, e qui ragion non cheggio:
E può egli esser , se giù non si vìve
Diversamente per diversi ufici ?
No ; se U maestro vostro ben vi scrive • 120
Si venne deducendo insino a quici.
Poscia conchiuse: Dunque esser diverse
Gonvien deWostri effetti le radici.
«
Per eh* un nasce Solone, et altro Serse, .
Altro Melchisedech , et altro quello^
Che volando per Taere il figlio perse.
La circular Natura, eh' è suggello
Alla cera mortai, fa ben su' arte;
Ma non distingue V un dall' altro ostello .
Quinci adivien, eh' Esaù si diparte i3o
Per seme da Jacob, e vien Quirino
Da sì vii padre, che si rende a Marte.
CANTO Vili. ai5
Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre a^ generanti.
Se non vincesse il provveder divino.
Or quel, che t*era dietro, t*è davanti.
Ma perchè sappi, che di te mi giova.
Un corollario veglio, che t^ ammanti.
Sempre Natura, se fortuna truova
Discorde a se , come ogni altra sejnente 1 40
Fuor di sua region, fa mala pruova.
E se *1 mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento, che Natura pone.
Seguendo lui avria buona la gente •
Ma voi torcete alla religione
Tal, che fu nato a cingersi la spada,
E fate Re di tal, eh' è da sermone:
Onde la traccia vostra è fuor di strada .
'^^■J
mi7
CANTO NONO.
Aegombnto
Dant€ $€gue m favellar con un olirà di quelle anime ^
la fuale, dòpo avergli deito eseerella Cunimam eonUm-
d'Ezaelino dm Romana, predice alemti funam a/eoe-
nimenti della Marea Trìvipana: indi Folco da Mmr»
sigila parla col Poeta del luogo ^ ove era nato, e gli
palesa un'altra di quelle anme beate.
' i^appoichè Carlo tuo, befia Clemenza,
M'ebbe chiarito, mi narrò gf tnganm.
Che ricever dovea la sua semenza ;
Ma disse : Taci , e lascia volger gli anni ;
Si cV io non posso dir , se non che pianto
Giusto verni dirietro a^ vostri danni .
E già la vita di quel Inme santo
Rivolta s* era al Sol , che la riempie ,
Come a quel ben , cV a ogni cosa è tanto.
Ahi anime ingannate , * e fatture ^mpie^ io
Che da si fisitto ben torcete i cori ,
Drizzando in vanith le vostre tempie!
1 Da poi cli« a • fatture «mpìe ,
aiS DEL PARADISO
Et ecco an altro di quegli splendori
Yer me si fece , e 1 suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fàorì.
Gli occhi di Beatrice , eh* eran fermi
Sovra me, come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato fermi •
Deh metti al mio voler tosto compenso »
Beato spirto, dissi, e fammi pmova, ao
ChHo possa in te refletter quel, eh* io penso.
Onde la luce, che m*era ancor naova.
Del suo profondo, ond*ella pria cantava,
S^;aette , come a cui di ben far giova :
In quella parte della Terra prava
Italica , che siede intra Rialto ,
E le fontane di Brenta e di Piava ,
Si leva un colle, e non sarge molt* alto.
Là onde scese già una facella ,
Che fece alla contrada grande assalto • So
D'una radice nacqui et io, et ella:
Cùnizza fui chiamata, e qui refulgo.
Perchè mi vinse il lume d' està stella •
Ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte , e non mi noia ,
Che forse parrìa forte al vostro vulgo .
CANTO IX. ai9
Di questa luculenta e chiara giofa
Del nostro Cielo» che più m^ è propinqua »
Grande fama rimase, e pria che muoia,
Questo centesima anno ancor sMncinqua: 40
Vedi se far si dee Tuomo eccellente,
Sì eh' altra vita la prima relinqua :
E ciò non pensa la turba presente.
Che Tagliamento , e Adice richiude ,
Ne per esser battuta ancor si pente.
Ma tosto fia, che Padova al palude
Cangerà V acqua , che Vicenza bagna ,
Per essere al dover le genti crude •
E dove Sile, e Cagnan s'accompagna.
Tal signoreggia, e va con la testa alta. So
Che gi^ per lui carpir si fa la ragna •
Piangerà Feltro ancora la di£Falta
Deir empio suo pastor , che sarà sconcia
Si, che per simil non s'entrò in Malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia.
Che ricevesse '1 sangue Ferrarese ,
E stanco chi '1 pesasse ad oncia, ad oncia »
Che donerà questo prete cortese.
Per mostrarsi di parte; e cotal doni
Conformi fieno al vìver del paese. 60
aao DEL PARADISO
Sa sono speCchi^ voi (Ucete Troni,
Onde rifulge a noi Dio giudicante.
Sì che questi parlar ne paion buoni.
Qoi si tacette, e feeemi sembiante.
Che fosse ad altro volta, per la raou.
In che si mise, com'era damante.
L'altra letizia, che m'^ra già nota.
Preclara cosa mi si fece in vista ,
Qual fin bakscio , in che lo Sol percnota .
Per letiziar lassù fulgor s'acquista, 70
Si coqie riso qui; ma ^ù s^ abbuia
L' ombra di fuor, come la mente è trista.
Dio vede tutto, e tuo veder s'illuia.
Disseto, beato spirto, si che nulla
Voglia di se a te puote esser fuia •
Punque la voce tua, che U Ciel trastulla
Sempre col canto di que' fuochi pii ,
Che di sei ale fannosi cuculia ,
Perchè non soddisface a' miei disii?
Già non attenderemo tua dimanda, 80
8' io m' intuassi., come tu t* immii .
La maggior valle, in che T acqua si spanda,
Incomincbro allorle sue parole,
Fuor di quel mar, chela terra inghirlanda.
CANTO IX. %2i
Tra discordanti liti contra 1 Sole
Tanto seti va, che fa meridiano
Là, dove l'orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu' io iittorano
Tra Ebro e Macra , che per cammin corto
Lo Genovese parte dal Toscano. 90
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede, e la Terra, ond'io fui.
Che fendei sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente, a cui
Fu noto il nome mio; e questo Gelo
Di me s* imprenta , com^ io fé* di lui ;
Che più non arse la figlia di Belo ,
Noiando et a Sicheo e a Creusa ,
Di me , infin che si convenne al pelo ;
Né quella Rodopea, che delusa 100
Fu da Demofoonte, né Alcide,
Quando Ide nel core < ebbe richiusa •
Non però qui si pente, ma si ride ,
Non della colpa, eh* a mente non toma,
Ma del valor, ch'ordinò e provvide.
Qui si rimira nelT arte , eh* adoma
Con tanto affetto , e disceraesi *1 bene ,
Per che al mondo di su quel di giù torna.
I ebbe rinchiata.
aia DEL PARADISO
Ma perchè le tue voglie tatte piene
Ten pord, che son nate in qnesta spera, no
Procedere ancor oltre mi conviene.
Tu vuoi saper chi è *n questa lumiera ,
Che qui appresso me cosi scintilla ,
Come raggio di Sole in acqua mera .
Or sappi , che là entro si tranquilla
Raab^ et a nostr* ordine congiunta
Di lui nel sommo grado si sigilla •
Da questo Cielo, in cui F ombra s* appunta.
Che *1 vostro mondo face, pria ch^altr^alma
Del trionfo di Cristo fu assunta . i ao
Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcun Cielo dell* alta vittoria ,
Che 8* acquistò con Tuna e V altra palma;
Perch* ella favorò la prima gloria
Di losuè in su la terra santa ,
Che poco tocca al Papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta.
Che pria volse le spalle al suo fattore ,
E di cui è la 'nvidia tanto pianta ,
Produce e spande il maladetto fiore, i3o
Ch*ha disviate le pecore e gli agni.
Perocché fatto ha lupo del pastore .
CANTO IX.
Ml
Per questo V Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti , e solo a i Decretali
Si studia si, che pare aMor vivagni.
A questo intende U Papa e i Cardinali :
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette
Là , dove Gabbrìello aperse T aU •
Ma Vaticano, e T altre parti elette
Di Roma , che son state cimitero 1 40
Alla milizia , che Pietro seguette ,
Tosto libere fien dell* adultero.
aiS
CANTO DECIMO.
Aegomento
Tmi0 il Fo€i0 Mtorditu, eké itmnt Dio ùi creur
V UnÌ9€rso: dico poi com» $àtk in eontpognia di Bern»
triee nd Soltf in cui vide intomo di so alcwd spiriti
in figum di corona disposti girar cantando , uno
d€*quaii se gli manifesta essere & Tommaso JCAjui"
no, e gli dà in oltre contenta degli altri Beati, che
formaifano fuella corona.
VJuardando nel suo Figlio con > V Amore*
Che r uno e V altro etern^lmente spira , j
Lo primo et ineffabile Valore ,
Quanto per mente, o per occhio si gira
Con tanto ordine k\ ch^ esser non puote
Senta gustar di lui chi ciò rimira.
Leva dunque. Lettore^ all'alte ruote
Meco ìa vista dritto a quella parte,
Poye Tun moto all'altro si percuote:
E lì comincia a vagheggiar nell' arte i e
Di quel maestro, che dentro a se r^ma
Tanto, che mai da lei Tocchio don parte •
1 lo Amore,
Dàstm T.IL iS
.'•
.♦
A2S DEL TAHADISO
Tedi come da indi si dirama
L'obUico cerchio, che i Fianeiì porta,
Fbr 8oddis£ue al mondo, che g^ chiamac
£ se la strada lor non fosse torta.
Molta virtù nel Gel sarebbe in vano,
£ quasi ogni potenzia quaggiù morta*
£ se dal dritto più o men lontano
Fosse 1 partire, assai sarebbe manco ^9
£ giù e sa dell* ordine mondana.
Or ti riman. Lettor, sovra *1 tao banco.
Dietro pensando a ciò , che si preliba ,
Stesser vaoi lieto assai priaia, che stanco.
Nesso t*ho innanzi: ornai per te ti ciba;
.Che a se ritorce tutu la mia cara
Qoella materia, ond*io son fatto scriba.
Lo ministro maggior della Natnra ,
Che del valor del Cielo il mondo imfMrenta,
E col soo lume il tempo ne misura. So
Con quella parte, che su si rammenta^
' CoDgianto si girava per le spire.
In che più tosto ogni ora s'appresenta;
£t to era con lui : ma del sabre
Non m^accors'io se non com^uom s*accoige
Anzi *I primo pensier del sao venire:
I
QANTOX / a a?
Oh Beatrice, quella, che si scorge
Di bene in meglio sì sabita meote.
Che r atto suo per tempo non si sporge ,
Quant^ esser convenia da se lucente! 40
Quel , eh Va dentro al Sol , doVio entiimi.
Non per color, ma per lume parvente.
Perch* io lo ^ngegno, e Tarte» e Tuso chiami ,
SI noi direi, che mai s'immaginasse;
Ma creder puossi, e di veder si brami.
£ se le fantasie nostre son basse
A tanta alteau&a , non è maraviglia ,
Che sovra '1 Sol non fu occhio ch'andasse «
Tal' era qnivi la quarta famiglia
Dell'alto Padre, che sempre la sazia, 5o
Mostrando cQme spira, e come figlia •
£ Beatrice cominciò: Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli Angeli, cVa questo
Sensibil t* ha levato per sua grazia .
Cuor eli mortai non fu mai si digesto
A divozione, e a rendersi a Dio
Con tutto *l suo gradir cotanto presto ,
Com* a quelle parole mi fee* io^
£ si tutto *1 mio amore in lui si mise»
Che Beatrice eclissò nell*obblio. éc
S2S DEL FAKf DISC
Non le dispiacque; ma si se ne rise»
Che lo splendor degli occhi snoi ridenti
Mia mente unita in più cose divise •
Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro, e di se far corona »
Più dolci in voce , che *n vista lucenti .
Così cinger la figlia di Latona
Yedem tal volta , quando Taere è pr^no,
Sì che ritenga il fil , che fa la zona •
Nella Corte del Giel, d* ondalo rivegno, 70
Si truovan molte gioie care e belle
Tanto, che non si posson trar del regno;
E U canto di que^ lumi era di quelle .
Chi non s^ impenna sì, che lassù voli.
Dal muto aspetti quindi le novelle •
Poi sì cantando quegli ardenti Soli
Si fur girati intomo a noi tre volte ,
Come stelle vicine a^fefmi poli.
Donne mi parver non da ballo sciolte.
Ma che s* arrestin tacite ascoltando, 80
Fin che le nuove note hanno rìcoite :
E dentr^airun senti' cominciar: Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accènde
Verace amore , e chb poi cresce amando »
/
CANTO X. aiv
Multiplicato in te tanto risplende ,
Che ti conduce su per quella scala »
U* sanza risalir nessun discende ,
Qual ti negasse U vin della sua fiala
Pec.la tua sete» in libertà non fora,
Se non com'acqua, ch^al mar non si cala. 90
Tu vuoi saper di quai piante s* infiora
Questa ghirlanda, che/ntorno vagheggi^
La bella donna, eh* al Ciel t* avvalora.
lo fui degli agni della santa greggia.
Che Domenico mena per cammino,
Du^ben sMmpingua, se non si vaneggia.
Questi, che m*è a destra più vicino.
Frate, e maestro fummi; et esso Alberto
E di Cotogna, et io Thomas d'Aquino.
Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo , i^oo
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto .
Quell* altro fiammeggiare esce del rìso
Di Grazian, che Tuno e T altro Foro
Aiutò sì, che piace in. Paradiso.
L* altro, eh* appresso adorna il nostro coro.
Quel Pietro fu, che con la poverella
Offerse a santa Chiesa il suo Tesoro .
a3o DEL FIRADISO
La quinta lace» ch^ tra noi pia belU,
Spira di tale amor, cbe tutto '1 mondo no
Laggiù 41* ha gola di saper novella .
Entro Ve l'alta Ince, a' si profondo
Saver fu messo, che se *1 vero è vero ,
A veder tanto non sarse '1 secondo.
Appresso vedi *1 lame di qaei cero.
Che giusQ in carne più addentro vide
L* angelica natora, e *1 ministero.
Neil* altra piccioletta luce rìde
Quell* avvocato de* templi Cristiani,
Del cui latino Agostin si provvide. lao
Or se ta 1* occhio della mente trani
Di luce in luce dietro alle mie lode.
Già dell'ottava con sete rimani:
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa, che *1 mondo fallace
Fa manifesto a chi ' di lei ben ode :
Lo corpo, ond*ella fu cacciata, giace
Giuso in Cieldauro, et essa da martiro,
E da esilio venne a questa pace •
Tedi oltre fiamme^ar 1* ardente spiro i3d
D'Isidoro, di Beda, e di Riccardo,
Che a considerar fu più che viro .
t tla lei ben oéc;
'
A li TO X. a3i
Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo ,
È il lume d'uno spirto, che ^n penÀeri
Gravi a morire gli panre esser tardo.
Essa è la luce eterna di Sigieri,
Che leggendo nel vico degli strami
Sillc^izzò invidiosi veri.
Indi, come orologio, che ne chiami
Nell^ora , che la sposa di Dio surge 1 40
A mattinar lo sposo, perchè Tami,
Che Tona parte e T altra tira et urge,
Tintin sonando con A dolce nota ,
Che ^1 ben disposto spirto d^amor tui^e.
Così vid^ io la gloriosa ruota
Muoversi, e render voce a voce in tempra.
Et in dolcezza, eh* esser non può nota.
Se non colà , dove *1 gioir g' insempra .
»33
CANTO UNDECIMO.
Argomekto
li Daiior S, Tommmso nù99Ummtni§ si fm m rmgiommr
€an Dant€, e gii dichiara ti sensp ttaieune sue pm-
rQÌ€, cìu 0ir innnJimeniu di iui trstn^ aiqusmto okh-
rcy €d in età fare prende occasione di rwcconiargH
' hrepemente la seraficm vitm dei Fatrimrcm S. Frence"
SCO d'Assisi.
\J insensata cura de* mortali.
Quanto son difettivi sillogismi
Quei, che ti fanno in basso batter V ali!
Chi dietro a ' jura^ e chi ad aforismi
Sen giva, e chi seguendo Sacerdozio^
E chi regnar per forza , e per sofismi ,
S chi rubare , e chi civil negozio ;
Chi nel diletto della carne involto
S^affiiticava , e chi si dava air ozio;
Quando da tutte queste cose sciolto r%
Con Beatrice m* era suso in Cielo
Cotanto gloriosamente accolta .
I giure»
r^-*
a24 DEL PARADISO
Poi che cÙMCun^ fa tomato ne lo
Ponto del cerchio » in che avanti s^era ,
Fennossi^ come a candellier candelo :
Et io aenti' dentro a quella lamiera,
CSie pria m^avea parlato, sorridendo
Incominciar Caiccendosi più mera :
Cosi, compio del «no ragg^ m'accendo,
9& rìgoardando nella luce etema , 20
Li tuo* pensieri, onde cagioni, apprendo.
Ta dubbi , et hai voler, che si riceraa
In si aperta e si distesa lingua
Lo dicer mio, eh* al tuo sentir si sterna.
Ove dinanzi dissi: IT ben s'impingua,
£ là, u* dissi: Non surse il secondo;
^qui è uopo che ben si distingua.
La Providenza , che governa '1 mondo .
C!on quel consiglio, nel quale ogni aspetto
Creato è vinto, pria che vada al fondo, 3o
Perocché andasse ver lo suo diletto
La sposa di colui, eh* ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto.
In se sicura, et anche a lui più fida.
Duo Principi ordinò in suo favore.
Che quioci e quindi le fosser per guida.
G A N T G Xi« Ì3S
L'uii fa tutto Serafico in ardom,
L* altro per sapienzia in terra foe
Di Cherubica luce uno splendore •
Deirun dirò, perocché d^amendoe 46
Si dice, Fun pregiando, qual e Vuom prende,
Perchè ad un fine fur Y opere sue .
Intra Tupino e T acqua che discende
Del colle eletto dal beato Ubaldo,
Fertile costa d^alto monte pende.
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta SMe, e dirietro le piange
Per greve giogo Nocera con Gualdo.
Di quella costa là, dov^ella frange
Più sua rattezza , nacque al mondo un Sole ,
Come fa questo tal volta di Gange. (So
Però chi d^esso loco fa parole
Non dica Ascesi, che direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall' orto ,
Ch^ e* cominciò a far sentir la terra
Della sua gran virtude alcun conforto ;
Che per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corse j a cui, com' alla morte.
La porta del piacer nessun disserra : 60
a36 DEL PARADISO
E dinanzi alla sua spiritai corte t
Ut coram patre le si fece unito f
Poscia di di in di ramò più forte.
Questa, privata del primo marito.
Mille e cent* anni e più dispetta e scura
Fino a costui si stette senza invito:
Né valse udir, che la trovò sicura
Con Amiclate al suon della sua voce
Colui, ch^a tutto '1 mondo fé' paura:
Né valse esser costante, ne feroce, 70
Si che, dove Maria rimase giuso.
Ella con Cristo salse in su ia Croce .
Ma percVio non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso •
La lor concordia , e i lor lieti sembianti
Amore e maraviglia , e dolce sguarda
Faceano esser cagion de* pensier santi
Tanto che *1 venerabile Bernardo
Si scalzò prima, e dietro a tanta pace 80
Corse, e correndo gli parv* esser tardo.
O ignota ricchezza , o ben verace !
Scalzasi Egidio , e scahasi Silvestro
Dietro allo sposo, si la sposa piace*
CAKTO XI. a37
Indi sen va quel padre , c quel maestro
Con la sua donna , e con quella famiglia »
Che già legava l' umile capestro :
Né gli gravò viltà di cor le ciglia »
Per esser fi^ di Pietro Bernardone ,
Ne per parer dispetto a maraviglia; 90
Ma regalmente sua dura intenzione
^d lanocenzio aperse, e da lui ebbe
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietro a costui » la cui mirabil vita
Meglio in gloria del Gel si canterebbe ,
Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dali* eterno Spiro
La santa voglia d^esto archimandrita.
£ poi che per la sete del martiro 1 00
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo , e gli altri , che '1 seguirò ;
£ per trovare a conversione acerba
Troppo la gente , e per non stare indamo,
Reddissi al frutto dell* Italica erba .
Nel crudo sasso intra Tevere et Arno
Da Cristo prese V ultimo sigillo.
Che le sue membra du'anni portarne*
a3l DEL rARADISO
Qnando a colai, cVa tanto ben aortiUo»
Piacque di trade BUBO alia mercede , ito
' Ch'c^ acquistò nel sito fard posillo,
A ì frati suoi, n com'a giuste erede*
Raccomandò la sua donna [hù cara,
E comandò che l'amassero a fede:
E del suo grembo Tanitna preclara
Muover si volle tornando al suo regno;
Et al 800 corpo non volle altra bara.
Pensa oramai qnal fii colui , che degno
Collega fu a tìiantencr la barca
DiPietroinalteniarper dritto segno: lao
£ questi fu il nostro Patriarca {
■ Perchè qoal segue Itti, comici comanda,
Diacemer puoi, che buona merce carca.
Ma il suo peculio di nnova vivanda
È fatto ghiotto Af ch'esser non puote,
Che per diverù salti non sì spanda :
E quanto le sue pecore rimote,
£ vagabo|)de più da esso vanno.
Più tornano all'ovìl di latte vote.
Ben son di quello, che temono'l danno, i3o
E strìngonsi al pastor; ma son à poche,
Che le cappe fornisce poco panno.
I Ch'ai maritò i Però qnal «'gD«
CANTO XL a39
Or se le mie parole non son fioche ,
Se la toa audienza è stata attenta.
Se ciò, ch'ho detto, alla mente rìvoche.
In parte fia la tua voglia contenta ;
Perchè vedrai la pianta onde si scheggia ,
E vedraMl corregger 9 eh* argomenta
Du'ben sMmpingua, se non si vaneggia . .
2\\
CANTO DUODECIMO.
Argomento
Finito avendo S. Tommaso di faoillare, fUélU corona
di lucenti Spiriti cominciò m girare 9 a cìd dintorno
n apparse una maggiore composta d'altri Meati, tra i
quali era S, Bonaventura , che a Dante racconta la
vita dei Patriarca S. Domenico, e poscia gli dà con-
tezza di se, e degli aUri suoi compagni.
òi tosto come T ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolse,
A. rotar cominciò la santa moia :
E nel sno giro totia non si volse ,
Prima eh* un* altra d* un cerchio la chiuse ,
E moto a moto, e canto a canto colse.
Canto» che tanto vince nostre Muse,
Nostre Sirene in quelle dolci tube ,
Quanto primo splendor quel , che rifuse .
Come si volgon per tenera nube i r^
Du* archi paralleli e concolorì ,
Quando Giunone a sua ancella iube ,
Dàxte T. il iG
341 DEL PARADISO
<
Nascendo di quel d'entro quel di fuori t
A guisa del parlar di quella va^a »
Ch* Amor consunse , come *1 Sol vapori »
E fanno qui la gente esser presaga
Per lo patto , che Dio con Noè pose
Del mondo, che g^immai più non s^allaga;
Cosi di quelle sempiterne rose
< Yolgènsi circa noi le duo ghirlande» 20
E si r estrema ali* intima rispose.
Poi che *1 tripudio e V altra festa grande
S) del cantare , e si del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande
Insieme appunto, et a voler quietarsi.
Pur come gli occhi,ch'al piacer,che i muove.
Conviene insieme chiudere e levarsi.
Del cuor dell* una delle luci nuove
Si mosse voce , che V ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove ; 3o
E cominciò: L'amor, che mi fa bella.
Mi tra^e a ragionar dell'altro duca.
Per cui del mio sì ben ci si favella .
Degno è, che dov*è Tun l'altro s'induca
Si, che com'elli ad una militaro.
Così la gloria loro insieme luca •
T Vol^eantì
CANTO XXL 243
L* esercito di Cristo, che sì caro
Costò a riarmar, dietro alla 'nsegna
Si movea tardo, sospeccioso, e raro.
Quando lo ^mperador , che sempre regna , 40
Provvide alla milizia , eh* era in forse ,
Per sola grazia , non per esser degna ;
E, com'è detto, a sua sposa soccorse
Con duo campioni , al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccolse.
In quella parte , ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde ,
Di che si vede Europa rivestire.
Non molto lungi al percuoter dell' onde ,
Dietro alle quali per la lunga foga 5o
Lo Sol tal volta ad ogni uom si nasconde.
Siede la fortunata Callaroga
Sotto la protezion del grande scudo ,
In che soggiace ji Leone , e s<^ioga •
Dentro vi nacque Y amoroso drudo
Della Fede Cristiana , il santo atleta ,
Benigno a' suoi , et a* nimici crudo :
£ come fu creata , fu repleta
Si la sua mente di viva virtute.
Che nella madre lei fece profeta . 60
a44 I>£L PARADISO
Poi che le sponsalizie far compiute
Al sacro fonte intra lai e la Fede^
U'si dotar di mutua salute.
La donna , che per lui l' assenso diede.
Vide nel sonno il mirabile frutto,
Ch* uscir dovea di lui , e delle rede ;
E peròhè fosse quale era in costrutto ,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo, di cui era tutto:
Domenico fu detto; et io ne parlo 70
Si come dell^ agricola , che Cristo
Elesse all' orto suo per aiutarlo •
Ben parve messo, e famigliar di Cristo,
Che '1 primo amor, che'n lui fu manifeste,
Fu al primo consiglio, che die Cristo.
Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice ,
Come dicesse : Io son Arenuto a questo .
O padre suo veramente Felice!
O madre sua veramente Giovanna, So
Se 'nterpretata vai, come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo s^ affanna
Diretro ad Ostiense et a Taddeo,
Ma per amor della verace manna ,
CANTO XII. a4S
In picciol tempo gran dottor si feo.
Tal che si mise a circuir la vigna.
Che tosto imbianca , se '1 vignaio è reo :
Et alla Sedia, che fu già benigna
Più a^ poveri giusti, non per lei.
Ma per colui , che siede , e che traligna, 90
Non dispensare due, o tre per sei, •
Non la fortuna di primo vacante ,
Non decimasj qiuie sunt pauperwn Dcij
Addimandò , ma contra '1 mondo errante
Licenzia di combatter per lo seme.
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi con dottrina , e con volere insieme ,
Con r uficio apostolico si mosse ,
Quasi torrente , eh' alta vena preme :
E negli sterpi eretici percosse 1 00
L^ impeto suo più vivamente quivi,
Dove le resistenze eran più grosse •
Di lui si fecer poi diversi rivi,
> Onde Torto cattolico si riga.
Sì che i suoi arbuscelli stan più vivi .
Se tal fu r una ruota della biga ,
In che la santa Chiesa si difese,
£ vinse in campo la sua civil briga ,
I Di che Torto cattolico iMrriga^
^46 DEL PARADISO
Ben ti dovrebbe assai esser palese -
L'eccellenza dell^altra , di cài Tomma no
Dinanzi al mio venir fa sì cortese •
Ma forbita 9 che feMa parte somiii»
Di sua circonferenza , è dereKta ,
Si eh' è la muffa , dov* era la gronuna •
La sua famiglia , che si mosse dritta
Co* piedi alle su* orme, è tanto volta »
Che quel dinanzi a quel dirìetro gitta :
£ tosto 8* avvedrà della ricolta
Della mala coltura , quando '1 loglio
Si lagnerà, che l'arca gli sia tolta. lao
' Ben dico , chi cercasse a foglio a foglio
Nostro volume ancor troverria carta ,
^^* leggerebbe : V mi son quel , eh' io soglio*
Ma non fia da Casal , ne d* Acq'uasparta ,
Là onde vegnon tali alla Scrittura,
Ch'uno la fugge, e l'altro la coarta.
Io son la vita di Buona ventura
Da Bagnoregio , che ne* grandi ufici
Sempre posposi la sinistra cura.
Illuminato, et Agostin son quici, i3o
Che fur de* primi scalzi poverelli ,
Che nel capestro a Dio si fero amici.
I Ben credo.
CANTO XIL 247
Ugo da Sanvittore è qui con elli»
E Pietro Mangiatore , e Pietro Ispano ;
Lo qual giù luce in dodici libelli ^
Natan Profeta , e U Metropolitano
Crisostomo , et Anselmo , e quel Donato ,
Ch^alla prim' arte degnò poner mano:
Raban è quivi, e lucemi dallato
n Calavrese abate Giovacchino 1 40
Di spirito profetico dotato.
Ad invéggiar cotanto paladino
Mi mosse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso^ e *1 discreto latino t
E mosse meco questa compagnia .
I GritottomoA
a49
CANTO DECIMOTERZO.
Argomento
*
Dtten9€ il Ttttt pia partitamenie U due spUndtntis-^
jime corone de'Beari, the gii girmmn ^intortf, i
fuali dopo mer ceisMio dal caÀtare e dm compiere il
lor giro, S. Tommaso di nuovo ragiona con Dante
spiegandogli il senso di alcune sue parole dette già
di sopra nei decimo Canio»
Immagini chi bene intender cupe
Quel, ch'io or vidi, e ricegna T image,
Mentre cK io dico , come ferma rupe ,
Quìndici stelle, che in diverse plage
Lo Cielo avvivan di tanto sereno.
Che soverchia deir aere ogni compage .
Immagini quel Carro, a cui il seno
Basta del nostro Cielo e notte, e giorno,
Si eh' al volger del temo non vien meno :
Immagini la bocca di quel corno, i e
Che sì comincia in punta dello stelo,
A cui la prima ruota va d'intorno,
aSo
DEL PARADISO
ÀTer fatto di se duo segni in Cielo »
Quai fece la figliuola dì Minoi»
Allora che senti di morte il gielo ,
E l' un neir altro aver gli ra^ suoi ,
£ amendno girarsi per maniera ,
Che Tuno andasse al primo, e Taltro al poi;
Et avrà quasi l'ombra della* vera
Costellazione^ e della doppia danza , ao
Che circulava il punto, dovMo era;
Poich'è tanto di là da nostra usanza.
Quanto di là»dal muover della Chiana
Si muovevi Ciel, che tutti gli altri avanza.
Li si cantò non Bacco, non Peana,
Ma tre Persone in divina natura.
Et in una sustanzia essa , e V umana •
Compiè 1 cantare, e U volger sua misura.
Et attesersi a noi quei santi lumi^
Felicitando se di cura in cura. 3 a
Ruppe *1 silenzio ne* concordi numi
Poscia la luce, in che mirabil vita
Del poverel di Dio narrata fumi ; .
E disse : Quando V una paglia h trita ,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter T altra dolce amor m* invita.
\
CANTO XUt aSi
Ta credi , che nel petto, onde la costa
Sì trasse, per formar la bella guancia.
Il cui palato a tutto U mondo costa , *
Et in quel, che forato dalla lancia, 40
E poscia e prima tanto soddisfece.
Che d' ogni colpa vince la bilancia ,
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso
Da quel valor, che Tuno e '1 altro fece;
£ però ammiri ciò, ch'io dissi suso.
Quando narrai , che non ebbe secondo
Lo ben, che nella quinta luce è chiuso.
Ora apri gli occhi a quel, ch'io ti rispondo ,
E vedrai il tuo credere ^ e U mio dire So
Nel vero farsi, ' come centro in tondo.
Qò che non muore , e ciò che può morire ,
Non è se non splendor di quella idea,
Che partorisce, amando, il nostro Sire;
Che quella viva luce, che sì mea
Dal suo lucente , che non si disuna
Da lui, né dalfamor, che 'n lor s'intrea,
Per sua bontate il suo raggiare aduna ,
Quasi specchiato in nuove sussistenze,
Eternalmente rimanendosi una. 60
I Qome in centro tondo.
20% DEL PARADISO
Quindi discende all* ultime potenze
Giù d^atto in atto tanto divenendo.
Che più non fa, che brevi contingenze:
£ queste contingenze essere intendo
Le cose generate , che produce
CSon seme e senza seme il Ciel movendo.
La cera di costoro, e chi la duce
Non sta d' un modo , e però sotto '1 segno
Ideale poi piò e men traluce ^
Ond'egli avvien , eh* un medesimo legno, 70
Secondo spezie, meglio e peg^o frutta,
E voi nascete con diverso ingegno .
Se fosse appunto la cera dedutta ,
E fosse U Cielo in sua virtù suprema ,
La luce del suggel parrebbe tutta .
Ma la Natura la dà sempre scema,
Similemente operando all'artista.
Ch'ha Tabìto dell'arte, e man che trema.
Però se U caldo Amor la chiara vista
Della prima virtù dispone e segna, o^
Tutta la perfezion quivi s* acquista .
Così fu fatta già la terra degna
Di tutta r animai perfezione :
Così fu fatta la Vergine pregna.
CANTO XIIL 253
Sì eh* io commendo tua opinione;
Che r umana natura mai non fue.
Né fia , qual fu in quelle duo persone .
Or s^io non procedessi avanti piùe^
Dunque come costui fu senza pare?
Gomincerebber le parole tue. 90
IV] a perchè paia ben > quel, che non pare.
Pensa chi era, e la cagion, che 1 mosse,
Quando fu detto Chiedi, a dimandare.
Non ho parlato si , che tu non posse
Ben veder, ch^ei fu Re, che chiese senno.
Acciocché Re sufficiente fosse ;
Non per saper lo numero, in che enno
Li motor di quassù , o se necesse
Con contingente mai necesse fenno; '
Non si est dare primum motum esse^ 100
se dei mezzo cerchio far si puote
Triangol j sì eh* un retto non avesse .
Onde se ciò , eh* io dissi , e questo note ,
Regal prudenza e quel Vedere impari.
In che lo strai di mia 'ntenzion percuote:
E se al Surse drizzi gli occhi chiari ,
Vedrai aver solamente rispetto
A i Regi, che son molti, e i buon son rari.
ciò die non -jiaTe,
ftS4 DEL FARADI50
Con questa disUozion prendi 1 mio detto:
E cosi pnote star con qoei , che credi no
Del primo padre , e del nostro diletto.
£ questo ti fia sempre piombo appiedi»
Per farti muover lento » com'aom lasso.
Et al sì, et al no, che tu non vedi;
Che quegli è tra gli stolti ' bene abbasso.
Che sanza distinzione afferma , o niega
Cosi neirun, come nell* altro passo:
Perch* egP incontra, che ptà w<Ate piega
L'opinion corrente in falsa parte,
E poi l'affetto lo intelletto lega. lae
Vie più che 'ndarnjo da riva si parte.
Perchè non torna tal, qual ei si muove,
Chi pesca per lo vero, e non ha Tarte:
E di ciò sono al mondo aperte pruove
Parmenide, Melisso, Brisso, e molti,
I quali andavano, e non ^ sapèn dove.
« Sì fe'Sabello, et Arno, e quegli stolti,
.Che furon come spade alle Scritture ,
In render torti li diritti volti «
Non sien le genri ancor troppo sicure i3o
A giudicar, si come quei, che stima
Le biade in campo, pria che sien mature:
t più t bMso» a sapaaii doT«.
CANTO XIIL »SS
Ch'io ho veduto tutto '1 verno prima
Il prun mostrarsi rigido e feroce »
Poscia portar la rosa in su la cima;
£ legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto suo cammino ,
Perire al fine all'* entrar della foce.
Non creda donna Berta , e ser Martino »
Per vedere un furare , altro ofierere , 1 40
Vedergli dentro al Consiglio divino ;
Che quel può surgere, e quel può cadere.
•5r
CANTO DECIMOQUARTO,
AmaoiiEKTo
if unnù ft SaiomoM mamifina m Dtuui una 9§rUà : U
Putta dipoi racconta 9 eke vide imi màat^Q chiarore,
fuindi con Beatrice eoli in Marte, deve oeservò due
tagpf che nel Pianeta foruuhfane una Croce splene
dente, in ri» eiaoéi Gota Cristo, e taninu de* Beati
oant avana con soavissima armonia*
LyalcentroalcercliÌQ»e8Ì dal cerchio alcentrt
Muovesi l'acqua m oh ntoado vaso»
Secondo eh* è percossa fuori o dentro:
Nella mia mente fé' subito caso
Questo» chUo dico, si come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso»
Per la similitudine» che nacque
Del suo parlare e di quel di Beatrice»
A cui sì cominciar dopo lui piacque :
A costui fa mestieri » e noi vi dice i o
Né con la voce» ne pensando ancora»
D* un altro vero andare alla radice .
Djmtm T.SL 17
aSS BKL rAKADISO
Diteli se la luce , onde s* infiora
Vostra sustanzia , rimarrà con voi
Eternalmente, sì com' ella è ora;
E se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili rifatti»
Esser potrà eh* al veder non vi noi.
Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei, che vanno a ruota, a«>
Levan > la voce e rallegrano gli atti ;
Così air orazion pronta e devota
Li santi cerchi mostrar nuoVa gioia
Nel torneare, e nella mira nota.
Qual si lamenta, perchè qui si muoia
Per viver colassù, non Tide quive
Lo refrigerio dell* eterna ploia.
Quell'uno e due e tre, che sempre vive,
£ regna sempre in tre e due e uno.
Non circonscritto , e tutto circonscrive, 3o
Tre volte era cantato da ciascuno
Di quelli spirti con tal melodia ,
Ch*ad ogni merto saria giusto muno:
Et io udi* nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modesta ,
Forse qual fu dell*Angelo a Maria ,
I le Toci
CANTO XIV. aS9
Risponder : Quanto fia lunga la festa
Di Paradiso y tanto il nostro amore
Si raggerà d^ intorno cotal vesta .
L3 sua chiarezza seguita T ardore, 40
L' ardor la visione, e quella è tanta.
Quanta ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
Fia rivestita, la nostra persona
Più grata fia per esser tuttaquaota :
Perchè s^ accrescerà ciò, che ne dona
Di gratuito lume il Sómmo Bene,
Lume, eh' a lui veder ne condiziona;
Onde la vision crescer conviene ,
Crescer l'ardor, che di quella s'accende. So
Crescer lo raggiò, che da esso viene.
Ma si come carbon, che fiamma rende,
E per vivo candor quella soverchia ,
Sì che la sua parvenza si difende;
Cosi questo fulgor, che già ne cerchia 9
Fia vinto in apparenza dalla carne.
Che tutto dì la terra ricoperchia:
Né potrà tanta luce affaticarne ;
Che gli organi del corpo saran forti
A tutto ciò, che potrà dilettarne. 60
a6o DEL PARADISO
Tanto mi parver subiti et accorti
' £ Tuno e T altro coro a dicere Amme,
Che ben mostrar disio de^ corpi morti;
Forse non pur per lor, ma per le mamme.
Per li padri, e per gli altri, che fur cari,
Anzi che fosser sempiterne fiamme.
Et ecco intorno di chiarezza pari
Nascere un lustro sopra quel, che T^era,
A guisa d'orizzonte, che rischiari.
£ si come al salir di prima sera 70
Comincian per lo Ciel nuove parvenze ,
Sì che la cosa pare e non par vera;
Parvemi li novelle sussistenze
Cominciare a vedere, e fare un. giro
Di fuor dair altre due circonferenze.
O vero sfavillar del santo Spiro ,
Coinè si fece subito e candente
Agli occhi miei, che vinti noi soffrirò!
Ma Beatrice sì bella ' e ridente
Mi si mostrò, che tra T altre vedute Po
Si vuol lasciar , che non seguir la mente .
Quindi ripreser gli occhi miei virtute
A rilevarsi, e vidimi translato
Sol con mia donna a più alta salute .
I • li rident»
CANTO Xiy. a6i
Ben m'accorsMo» chTera più levato.
Per r affoca to riso della stella.
Che mi parea pia roggio, che T usato.
Con tutto U core , e con quella favella ,
Oh* è una in tutti, a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella : 9*
£ non er^anco del mio petto esausto
L' ardor del sacrificio, chMo conobbi
Esso litare stato accetto e fausto;
Che con tanto lucore, e tanto robbi
M'apparvero splendor dentro a'duo raggi ,
Ch'io dissi: O Eliòs, che sì gli addobbi!
Come distinta da minori in maggi
Lumi biancheggia tra i Poli del mondo
Galassia sì , che fa dubbiar ben saggi ;
Sì costellati facèn nel profondo . loc
Marte quei raggi il venerabil segno.
Che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ogegno ,
Che 'n quella Croce lampeggiava Cristo ;
Sì ch'io non so trovare esempio degno.
Ma chi prende sua croce , e segue Cristo^
Ancor mi scuserà di quel, chMo lasso,
Yedendo in quell* albor balenar Cristo.
2Jb% DEL FARADISO
Di corno in corno, e tra la cima e M basso
Si ' movèn lumi , scintillando forte 1 1 o
Nel congiungersi inrieme» e nel trapasso.
Cosi si veggion qui diritte e torte ,
Veloci e tarde, rinomando vista.
Le minuzie de' corpi lunghe e corte
Muoversi per lo raggio, onde si lista
Tal volta V ombra , che per sua diiesa
La gente con ingegno et. arte acquista.
£ come giga et arpa in tempra tesa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal, da cui la nota non è intesa; lao
Cosi da' lumi , che lì m' apparinno
S^accogliea per la Croce una melode.
Che mi rapiva sanza intender Tinno.
Ben m*accors*io, ch'eirera d'alte lode,
Perocché a me venia : Risurgi , e vinci ,
Com' a colui, che non intende, et ode.
Io m'innamorava tanto quinci.
Che 'n fino a li non fu alcuna cosa ,
Che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par tropp* osa, 1 3o
Posponendo '1 piacer degli occhi belli ,
Ne'quai mirando mio disio ha posa.
I noT«an lumi
CANTO XIV. 263
Ma chi s'avvede, che i vivi suggelli
D'ogni bellezza più fanno più suso,
E chMo non m^era li rivolto a quelli»
E scasar puommi di quel, ch'io m* accaso
Per iscusarmi , e vedermi dir vero ;
Che '1 piacer santo non è qui dischiuso »
Perchè si fa montando più sincero .
CANTO IXEaMOQUINTO.
Aegomsktq
M. CéetiùgMUm MtoglU fm gnmde mum V Ttttm, •
f/i dimùMtrmf cà'tgH en U pmin di JHgkiefif dm cw
prtso m9wm U cognome im sum fMUgUm: appresso gU
narra i costumi ^ eke erano al suo tempo in Finnws:
in fine gii dice come seguendo timperador Currado
morì comUuando eontro TureU per im Fade di
Cristo.
JDenìgna vdontade , in cm si Eqna
Sempre Tamor, che drittamente spira ,
Geme cupidità fa ' neU* iniqua ,
Silenzio pose a qnella doke lira,
E fece quietar le sante corde ,
Che la destra del Cielo alknu e tira*
Come «ranno a' giusti prìeghi sorde
Qa^e sustanxie , che , per darmi voglia
Ch'io le pregassi, a tacer far concorde?
Ben è che senza termine si dogUa io
Chi per amor di cosa, che non dori
Eternalmente, quell'amor si
1 scila iniqua.
i66 BEf. PARADISO
Qoale per U seren tranquilli e pori
Discorre ad ora ad or subito fuoco.
Movendo gli occhi , che stavan sicuri 9
£ pare stella, che tramuti loco.
Se non che dalla parte, onde s'accende.
Nulla' sen perde, et esso dura poco; .
Tale dal corno, che 'n destro si stende.
Al pie di quella Croce corse un astro ao
Della costellazion, che li risplende:
Né si parti la gemma dal suo nastro;
Ma per la lista radiai trascorse ,
Che parve fuoco dietro ad alabastro.
Si pia r ombra d^Anchtse si porse,
( Se fede merta nostra maggior Musa )
Quando in Elisio del figliuol s'accorse.
O sanguis meus ^ o super infusa
CrcLtia Deij sicut tibi^ cui
Bis unquam Codi janua reclusa f 3o
Cosi quel lume; qnd' io m^ attesi a lui:
Poscia rivolsi alla mia donna 1 viso, ,
E quinci e quindi stupefatto fui;
Che dentro agli occhi suoi ardeva un riso
Tal , eh' io pensai co* miei toccar lo fondo
Della mìa grazia e del mio Paradiso.
CANTO XT. %fff
Indi a udire e a veder giocondo
Giunse lo spirto al suo principio cose.
Ch'io non intesi, sì parlò profondo:
Né per elezion mi si nascose, 40
Ma per necessità; che '1 suo concetto
Al segno de^ mortai si soprappose •
E quando l'arco deir ardente affetto
Fu sì sfocato, che U parlar discese
In ver lo segno del nostro intelletto ,
La prima cosa, che per me s^ intese.
Benedetto sie tu , fu , trino et uno ,
Che nel mio seme se^ tanto cortese ;
£ seguitò : Grato e lontan digiuno
Tratto, leggendo nel maggior volume. So
Du' non si muta mai bianco , né bruno ,
Soluto hai, figlio, dentro a questo lume.
In ch'io ti parlo, mercè d^ colei ,
Ch'ali' alto volo ti vestì le piume.
Tu credi , che a me tuo pensier mei
Da quel, eh* è primo, cosi come raia
Dell' un, se si conosce, il cinque e *1 sei:
E però eh* io mi sia, e perch* io paia
Più gaudioso a te, non mi dimandi.
Che alcun altro in questa turba gaia. 60
«
Att BEL PARADISO
Ta credi 1 veto , die i minori e i grandi
Di qoesu tìu minn nello speglio.
In che prima, che pensi, il peosìer pandi.
Ma perchè '1 sacro amore, in che io veglio
Con perpetua visu, e che m^ asseta
Di dolce disiar, s^ademfHa meglio.
La Yoce toa ricnra, balda e lieta
Suoni b YcdontJI, snoni *1 desio,
A che la mia risposta e già decreta.
Fmi volsi a Beatrice; e quella udio 76
Pria chMo parlassi, e arrisemi un cenno»
Che fece crescer Tale al voler mio;
E cominciai eoa: L^aflfetto e 1 senno.
Come la prima egualità v* apparse,
D*nn peso per ciascun di voTsi fenno;
Perocché al Sol , che v^allumò et arse
Gol caldo e con la luce, en A iguali.
Che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia e argomento ne* mortali ,
Per la cagion, ch^ a voi è manifesta, 80
Diversamente son pennuti in ali.
Ondalo, che son mortal, mi sento in questa
Disagguaglianza ; e però non ringrazio ,
Se non col core alla patema festa •
'#
CANTO XT. ibf)
Ben supplico io a te, vivo topazio,
Cbe questa gioia fveftiosa ingemmi 9
Perchè oii facci del tuo nome sazio.
fronda mia , in che io compiacemmi
Pure aspettando , io fui la tua radice :
Cotal principio rispondendo fiemmi. 90
Poscia mi disse: Quei da cui si dice
Tua cognazione, e che cent'anni e pine
Girato ha M monte in la pricoia cornice »
Mio figlio fu, e tuo bisavQ fiie:
Ben si convien, che la lunga fatica
Tu gli raccorci con T opere tue.
Fiorenaui dentro dalla cerchia antica,
Ond^ ella toglie ancora e Terza , e Nona ,
Si stava in pace sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona , ico
Non donne contigiate , non cintura ,
Che fosse a veder più che la persona .
Non faceva nascendo ancor paura
La figlia al padre > che M tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vote:
Non v'era giunto ancor Sardanapalo
À mostrar ciò, che 'n camera si puote.
STO DEL f ARÀDISO
Non era vinto ancora Montemalo
Dal vostro Uccellatoio,che cornee vinto no
Nel montar su, così sarà nel calo.
Belli ncion Berti vid'io andar cinto
Di cuoio e d^ osso , e venir dallo specchio
La donna sua sanza '1 viso dipinto:
E vidi quel de' Nerli , e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,
E le sue donne al fuso, et al pennecchio:
fortunate ! e ciascuna era certa
Della sua sepoltura, et ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta . i ao
L*una vegghiava a sttudio della culla,
E consolando usava T idioma.
Che pria li padri e le madri trastulla :
L'altra traendo alla rocca la chioma
Favoleggiava con la sua famiglia
De' Troiani, e di Fiesole, e di Roma.
Saria tenuta allor |al maraviglia
Una Ciangkella, un Lapo Salterello ^
Qual or saria Cincinnato , e Cornìglia •
A cosi riposato, a così bello i3o
Viver di cittadini , a cosi fida
Cittadinanza , a così dolce ostello
CANTO XV.
^71
Maria mi die chiamata in alte grida ;
E nell'antico vostro Batisteo
Insieme fui Cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate, et Eliseo:
Mia donna venne a me di Val di Pado»
E quindi 'i soprannome tuo si feo .
Poi seguitai lo ^mperador Currado,
. Et ei mi cinse della sua milizia ; 1 40
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge , il cui popolo usurpa
Per colpa del Pastor vostra giustizia.
Quivi fu* io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
li cui amor molte anime deturpa ,
E venni dal martirio a questa pace.
I jm.' '-^
•7^
CANTO DEGIMOSESTO.
Aegoksnto
OucUguida raccontm at Poeia in ^ual tempo, éi im
fual luogo egli fosso naio, e 'fummo in oUoim fosso
popoioia Firenze: si lagnm poscia del disordine in
essa affvenuto per cagion de* non easati; in olire gli
fa menzione delle antiche ed onorate famiglie y ch'erta
no al suo tempo in quella eittà.
KJ poca nostra nobiltà di sangact
Se gloriar di te la gente £sd
Qmiggiù, dove Taflfetto nostro languet
Mirabil cosa non mi sarà mai;
Che là, dove appetito non si torce.
Dico nel Cielo , io me ne gloriai .
Ben se^ tu manto» che tosto raccorce»
Sì che, se non s'appon di die in die.
Lo tempo va dintorno con le force •
Dal ifoij che prima Roma sofierìe, io
In che la sua famiglia men persevra»
Rincominciaron le parole mie :
Dante T.IL i8
i
S74 BBL PAIÀDISO
Onde Beatrice, eh* era on poco scevra,
Bìdeodo panré quella , che tossio
Al primo fallo scritto di GlneTta.
Io tominciai : Voi siete U padre mio ;
Voi mi date a pariar tutta baldezza;
Voi mi levate si» ch'i^son più ch^i».
Per tanti rivi s'empie d^allegiezaa
La mente mia , che di se fa letizia, ao
Perchè può sostener » che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai son gli vostri antichi,e quai fur gli anni.
Che si segnaro in vostra puerizia ?
Ditemi dell* ovil di San Giovanni, .
Quant' era allora , e chi eran le gen^
Tra esso degne di pia alti scanm?
Come s* avviva allo spirar de* venti
Carbone in fiamma, così > viifi quella
Luce risplendere a*miei blandimenti; )o
E come agli occhi mìei si &*pià bella.
Cosi con voce più dolce e soave.
Ma non con questa moderna &vella.
Dissemi : Da quel dà , che fu detto Ai?e.^
Al psrto, in che mia madre, ch*è or santa,
S* alleviò di me , ond* en grave.
CANTO XVL
a^lf^
Al suo Leon cinquecento cinquanta
E tre. fiate v^nne questo fuoco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Gli antichi miei et io nacqui nel loco , 40
Dove si truova pria T ultimo sesto
Da quel, che corre il vostro annual giuoco.
Basti de' miei maggiori udirne questo:
Chi ei si furo, • onde venner quivi ,
Più è ' tacer, che ragionare, onesto.
Tutti color, eh* a quel tempo eran ivi
Da. potere arme tra Marte e ^1 Batista ,
Erano U quinto di quei , che son vivi :
Ma la cittadinanza, ^ch*è or mista
Di Campi, e di Certaldo, e di Figghine, So
Pura vedeasi néir ultimo artista.
quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti, eh* io dico, et al GaliUzzo,
E a Trespisanó aver vostro confine.
Che averle dentro, 9 e sostener lo puzzo
' Del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha Toccliio aguzzo!
Se la gente, ch'ai mondo più traligna.
Non fosse stata a Cesare noverca.
Ma come madre a suo figliuol benigna, 6 e
1 il tacer» cbe *1 ragionan, a cVora è mista
5 • lofferir lo pusao
376 DEL PARADISO
Tal fatto h Fiorentino, e cambia, e merca.
Che si sarebbe volto a ' Simifonti
Là , dove andava l' avolo alla cerca •
Sariesi Montemurlo ancor de' Conti:
Sarìensi i Cerchi nei pivier d'Àcooe ,
E forse in Yaldigrìeve i Buondeimonti •
Sempre la coufusion delie persone
Principio fu dei mai della cittade.
Come del corpo il cibo, che s^ appone.
E cieco toro più avaccio cade, yo
Che cieco agnello; e molte volte taglia
Più e meglio una, che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni, et Urbisaglia,
Come son ite, e come se ne vanno
Diretro ad esse Chiusi , e Sinigaglia y
Udir, come le schiatte si disfanno.
Non ti parrà nuova cosa , né forte.
Poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte.
Sì come voi ; ma celasi in alcuna , 80
Che dura molto , e le vite son corte •
E come M volger del Ciel della Luna
Cuopre et iscuopre i liti sanza posa ,
Cosi fa di Fiorenza la Fortuna :
I Semifonti
CANTO XTL «77
Per che non, dee parer mirabil cosa
Ciò, ch'io dirò degli alti Fiorentini^
Onde la fama nel tempo è nascosa*
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni, et Alberichi,
Già nei calare illustri cittadini : 90
E vidi così grandi, come antichi.
Con ^el della Sannella quel dell'Arca,
E Soldanieri, e Ardinghi, e Bostichi.
Sovra là porta, che al presente è carca-.
Di nuova fellonia, di tanto peso,
. Che tosto fia iattura della barca »
Erano i Ravignani, ond'è disceso
Il Conte Guido, e qualunque del nome
Dell'alto Belli ncione ha poscia preso.
Quel della Pressa sapeva già come loc^
R^ger si vuole » et avea Galigaip
Dorata in casa sua già V elsa e *1 pome •
Grande era già la Colonna del Vaio ,
Sacchetti, Giuochi, Sifanti, e Barucci,
E Galli, e quei che arrossan per lo 8taio|.
Lo ceppo , di che nacquero i Galfncci ,
Era già grande , e già erano tratti
Alle curule Sizii , et
«7* BEL rABlDISO
O quali Yidi quti^ cbe son dìsCatti
Per lor superbia f e le palle dtU^ «IO no
Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran Cuti.
CoÀ I fsicèn li padri di coloro.
Che, sempre che la Tostra Chiesa vaca.
Si fanno grassi stando a consistoro.
L' ohracouta schiatta , che s* indraca
Dietro a chi fugge, et a chi mostra 1 dente,
ver la borsa, compagne! si placa»
Già venia su , ma di piccola gente ,
Si che non piaape ad Ubertin Donato ,
Che '1 suocero il facesse lor parente. lao
Già era ^1 Caponsacco nel mercato
Disceso. già da Fiesole, e già era
Buon cittadino Giuda, et Infangato*
Io dirò cosa incredibile e vera :
Nel picciol cerchio sventrava per porta ,
Che si nomava da quei della Pera .
Ciascun ,. che della bella insegna porta
Del gran Barone, il cui nome, eH cui pr^io
La festa di Tommaso riconforta.
Da esso ebbe milizia e privilegio, iS^
Avvegna che col popol si rauni
Oggi colui, che la fascia col fregio.
1 faccan li padri
-1
N
CANTO XVL 179
Già eran Gualterotti et Importuni :
E ancor saria Borgo più quieto^
Se di nuovi vicin fosser digiuni •
La casa 5 di che nacque il vostro fleto
Per lo giusto disdegno , che v* ha morti »
E posto fine al vostro viver lieto 9
Era onorata essa, e suoi consorti.
OBuondelmonte, quanto mal fuggisti 140
Le nozze sue per gli altrui conforti !
Molti sarebber lieti, che son tristi.
Se Dio t'avesse conceduto ad Ema
La prima volta, cVa città venirti.
Ma conveniasi a quella pietra scema.
Che guarda U ponte , che Fiorenza fesse
▼ittima nella sua pace postrema*
Con queste genti, e con altre con esse
Yid^io Fiorenza in sì fatto riposo.
Che non avea cagione, onde piangesse. iSo
Con queste genti vid^io glorioso,
E giusto M popol suo tanto, che *1 giglio
Non era ad asta mai posto a ritroso.
Né per 'division fatto vermiglio.
a8i
CANTO DECIMOSETTIMO.
▲aCOMXKTO
BkMn^ Dunn da Caecutgmda apntu eonntam inHmo
gli uceidenri di turn viim futura presagitigli ntltlmr
ftmo^ € nel Purgatorio. Quindi Cac€Ìaguida prenui^
€ia al Poeta l' etiglio dalla Patria, ed il suo rifugia
presto i Signori della Scala. In fine lo esorta a seri"
fere guanto avea nel piaggio feduta^*
S
V^ual venne a Climenè per accertarsi
Di ciò» ch'aveva incontro a se udito.
Quei , cV ancor fa li padri a* figli scarsi ;
Tale era io» e tale era sentito
E da Beatrice, e dalla santa lampa»
Che pria per me avea mutato sito.
t^er che mia donna : Manda fuor la vampa
Del tuo disio, mi disse, sì ch'eiresca
Segnata bene della *ntema stampa.
Non perchè nostra conoscenza cresca 1 1>
Per tuo < parlare, ma perchè t'ausi
A dir la sete, sì che V uom ti mesca .
I pwl«t, BUI perd&è tu t*anfi
a8» DEL PARADISO
O can pimta mia, che A t* insusi,
Che, come YeggLon le terrene mend
Nod capete in triangolo du' ottusi ,
CoA Tedi le coae contingenti
Anzi che sieno in se, mirando*! pnnto,
A coi tnttt li tempi son presenti;
Mentre eh* fera a Virgilio congianto
Sn per lo monte , che V anime cura , ae
E diseelidendo nel mondo deibnto.
Dette mi far di mia TÌta futura
Parole gravi , avregna eh* io mi senta ,
Ben tetragono a i colpi di ventura .
Per che la voglia mia saria contenta
D* intender qoal fortuna mi s^apf^essa;
C!he saetta ppevisa vieti pia lenta.
Cosi diss' io a quella luce stessa.
Che pria m*avea parlato, e come volle
Beatrice , fu la mia voglia confessa . 3o
Né per ambage, in che la gente folle
Già s* invescava , pria che fosse aneiso
L'Agnel A Dìo, che le peccata teUet
Ma per chiare parole , e con preciso
Latin rispose quell* amor paterno
Chiuso , e parvente dd suo proprio riso :
\
CANTO XVII.- ^83
La contingenza , che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende,
Tatta è dipinta nel cospetto eterno:
Necessità però quindi noq prende, 40
Se non come dal viso , in che si specchia
Nave , che per corrente giù discende .
Da indi , sì come viene ad Macchia
Dolce armonia da organo , mi viene
A vista il tempo, che ti s'apparecchia;
Qual si < partì Ipolito d* Atene
Per la spietata e perfida noverca ,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Questo si vuole, e questo già si cerca ;
£ tosto verrà fatto a chi ciò pensa So
Là, dove Cristo tatto dì si marca.
La colpa seguirà la parte oSènsa
In grido, come suol ; ma la vendetta
Fia testimonio al ver , d^ là dispensa •
Tu lascerai ogni cosa diletta
Più caramente ; e questo è quello strale ,
Che l'arco dell' esilio pria saetta •
Tu proverrai sì come sa di sale
Lo pane altrui, e com' è doro calle
Lo scendere e '1 salir per l'altrui scale. 60
I partio
a^
DEL Paradiso
E quel, €he più ti graverrà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia ,
Con la qual tu cadrai in questa valle »
Che tutta ingrata , tutta matta et empia
Si farà contra te ; ma poco appresso
Ella, non tu, n^avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
Farà la pruovà , si eh* a te fìa bello
Averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo rifugio, e 1 primo ostello 70
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che 'n su la Scala porta il santo uccello f
Cìk* avrà in te sì benigno riguardo.
Che del fare e del chieder tra voi due
Pia prima quel , che tra gli altri è più tarda.
Con lui vedrai colui, che impresso fue
Nascendo si da questa stella forte.
Che notabili fien V opere sue .
Non se ne sono ancor le genti accorte
Per la novella età^ che pur nove anni 80
Son queste ruote intomo di lui torte .
Ma pria che '1 Guasco Talto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar d'argento, né d'affanni.
CANTO XVIL aSS
Jje sue magnificenze conosciate
Saranno ancora sì, che i suoi nìmici
Non ne potran tener le lingue mute .
A lui t* aspetta 5 et a* suoi benefici:
Per lui fia trasmutata molta gente ,
Cambiando condizion ricchi e mendici : 90
£ porteràne scrìtto nella mente
Di lui, ma noi dirai ; e disse cose
Incredibili a quei , che fia presente .
Poi giunse : Figlio, queste son le chiose
Di quel , che ti fu detto : ecco le *nsidie ,
Che dietro a pochi gin son nascose •
Non YO* pero , ch^ a^ tuo' vicini invidie ,
Poscia che s" infutura la tua vita
Yia più là, che U punir di lor perfidie .
Poi che tacendo si mostrò spedita 100
L' anima santa di metter la trama .
In quella tela , eh* io le porsi ordita , ^
Io cominciai come colui, che brama »
Dubitando , consiglio da persona ,
Che vede, e vuol dirittamente, et ama:
Ben veggio, padre mio, si come sprona
Lo tempo verso me per colpo darmi
Tal , eh* è più grave a chi più s^abbandona :
aM DBL FARA1>IS0
Per che di provedeiiia è Imoii, cli*ìo m'anri.
Si «he^ < m loo^o m*è tolto piò caro» i io
Io uon perdessi gli altri per mìei carmi.
Giù per lo mondo aenaa fine amaro,
E per lo okonte, del cui bel cacume
Gli occhi della mia donna mi levarot
E poscia per lo Ciel di \muc in hmie
Ho io appreso quel , cke^ s* io ridico»
A molti fia savor d^ (brte agrame:
E s*io al vero son timido amico»
Temo di perder vita tra coloro»
Che qaeetotempo chiameranno antico, i ao
La loce, in che rìdeva il aouo tesoro»
CbMo trovai li , si fé* prima CMmsea,
Quale a raggio di Sole specchio d* orò;
Indi rispose : Coscienaa fosca
O delia propria, o dell* akmi vergogna ,
Pur sentirk la tua parola brusca.
Ma nondimen 9 rimossa ogni menz^pia»
Tutta tua vinon fa' manifesta,
E lascia par grattar dov* è la rogna :
Che se la voce tua sarà molesta 1 3o
^ Nel primo gosto, vital nutrimento
Lascerà poi, quando sarà digesta ..
j se *1 laogo % Al prioi»
CANTO XTIL dir
Questo ino grido farà come vento 9
Che le più alte cime più percuote ;
£ ciò non fa d* onor poco argomento •
Però ti son mostrate in queste mote.
Nel monte, e nella valle dolorosa
Pur r anime 9 che son di fama note:
Che r animo di qoeU ch^ode, non posa.
Né ferma fede per esemplo , eh' haia 1 46
La sua radice incognita e nascosa.
Né per altro argomento , che non paia •
/
CANTO DECIMOTTAVO.
A a G O M £ K Tt>
Vengpno da Cacciaguida mostrati al Poeta alcuni Spi^
riti, ch'erano in quella risplendente Croce di Marte ,
ed a9e9ano gloriosamente militato per la s^ra Fede :
poi Dante sale con Beatrice nel Pianeta di Gioyr ,
do9e osserva le anime de'* Santi ordinarsi in figura di
alcune lettere, e quindi in forma di tin' Aquila.
VJià si godeva solo del suo verbo
Quello Spirto beato » e( io gustava
Lo mìo, temprando *1 dolce con Tacerbo;
E quella donna , eh* a Dio mi menava ,
Disse: Muta p!en3ier9 pensa chMo sono
Presso a Colui, eh* ogni torto disgrava.
lo mi rivolsi air amoroso suono
Del mio conforto ; e quale io allor vidi
Negli occhi santi amor, qui Tabbandooo:
Non perch* io pur del mio parlar diffidi, io
Ma per la mente, che non può reddire
Sovra se tanto, s'altri non la guidi.
Tanto poss'io di quel punto ridire.
Che rimirando lei lo mio affètto
Libero fu da ogni altro disire ,
Dante T.JL ìu
390 DEL PARADISO
Fin che *1 piacere eterno , cbe diretto
Saggiava in Beatrice, dal bel viso
Mi contentava col secondo aspetto .
Vincendo me col lume d^un sorrìso,
Elia mi disse: Volgiti, et ascolta, 20
Che non pur ne* miei occhi è Paradiso.
Come si vede qui alcuna volta
L'affetto nella vista, snello è tanto.
Che da lui sia tutta T anima tolta;
Così nel fiammeggiar del fulgor santo,
A cui mi volsi, conobbi la voglia
- In lui di ragionarmi ancora alquanto.
' E cominciò: In questa quinta soglia
Dell'albero, che vive della cima,
E frutta sempre, e mai non perde foglia, 3c
Spiriti son beati, che giù, prima
Che venissero al Ciel , fur di gran voce ,
Sì ch'ogni Musa ne sarebbe opima.
Fero mira ne' corni della Croce:
Quel, ch'io or nomerò, lì farà l'atto.
Che fa in nube il suo fuoco veloce •
Io vidi per la Croce un lume tratto
Dal nomar losuè , com' ei si feo :
Ne mi fu noto il dir prima che '1 fatto .
T £i cominciò:
CANTO XVIIL 291
Et al nome dell'alto Maccabeo 40
Vidi muoversi un altro roteando ;
£ letizia era ferza del paleo.
Così per Carlo Magno, e per Orlando
Duo ne segui lo mio attento sguardo ,
Com' occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo, e Rinoardo,
E "1 Duca Gottifredi la mia vista
Per quella Croce, e Roberto Guiscardo.
Indi tra Taltre luci mota e mista
Mostrommi Talma, chem'avea parlato, 5o
Qual'era tra i cantor del Cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato ,
Per vedere in Beatrice il mio dovere
per parole , o per atto segnato ;
E vidi le sue luci tanto mere.
Tanto gioconde, che la sua sembianza
Vinceva gli altri, e T ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza.
Bene operando Y uom di giorno in giorno
' S' accorge che la sua virtute avanza ; 60
Si m' accors* io , che U mio girare intomo
Col Cielo ^nsieme avèa cresciuto V arco ,
Yeggendo quel miracolo più adomo.
up, DEL PARADISO
E quale è il trasmutare in picciol Tarco
Di tempo in bianca donna , quando 'I Tolto
Suo si discarchi di vergogna il carco;
Tal fu negli occhi miei, quando ' fìi Tolto,
Per lo candor della temprata stella
Sesta, che dentro a se m'avea ricolto.
To vidi in quella Giovial facella. 70
Lo sfavillar dell* amor, che fi era.
Segnare agli occhi miei nostra favella.
E come augelli surti di riviera.
Quasi congratulando a lor pasture ,
Fanno di se or tonda, br lunga schiera ,
Sì dentro a* lumi sante creature
Volitando cantavano , e facènsi
Or D* or I. or L. in sue figure.
Prima cantando a sua nota rooviènsi :
Poi diventando Tun di questi segni, 80
Un poco s'arrestavano, e tacènsi.
diva Pegasea , che gì' ingegni
Fai gloriosi , e rendigli longevi ,
Et essi teco le cittadi e i regni ,
lUustrami di te, sì eh* io ^ rilevi
Le lor figure , com* io T ho concette :
Paia tua possa in questi versi brevi .
I fai Tolto 2 rilieri
CANTO XVIIL a«p
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Vocali e consonanti ; et io notai
Le parti si, come mi parver dette* 9<;
Diligite j^stitìam^ " prìmai
Fur verbo e nome di tutto '1 dipinto :
Qui judicatis Terram^ fur sezzai.
Poscia nell' M del vocabol quinto
Bimasero ordinate, si che Giove
Pareva argento li d'oro distinto.
E vidi scendere altre luci, dove
Era 'l colmo deir M, e lì quetarsi
Cantando^ credo, il ben , ch*a se le muove .
Poi, come nel percuoter de' ciocchi arsi loo
Surgono innumerabili faville ,
Onde gli stolti sogliono agurarsi ,
Risurg^r parver quindi più di mille
Luci, e salir quali assai, e qua' poco.
Sì come '1 Sol, che raccende, sortille:
E quietata ciascuna in suo loco ,
La testa e '1 colio d' un'Aquila vidi
Rappresentare a quel distinto foco.
Quei, che dipinge lì, non ha chi '1 guidi.
Ma esso (juida, e da lui si rammenta 1 1 o
Quella virtù , eh' è forma per li nidi .
• 1 li priin«ì ^
J
^>4 DEL PARADISO
L^ altra beatimdo, che contenta
Pareva in prima d* ingigliarsi all* emme.
Con poco moto seguitò la ^mprcnta.
O dolce stella, quali e quante gemme
Bli dimostraron, che nostra giustizia
Effetto sia del Ciel, che tu ingemme!
Per eh* io prego la mente , in che s' inizia
Tuo moto e tua virtute, che rimili
Ond'esce'l fummo, che*l tuo raggio vizi?..
Sì eh' un^ altra fiata omai s'adiri ( lao
Del comperate e vender dentro al tempio ,
Che si murò di segni , e di martiri .
O milizia del Ciel, cuUo contemplo.
Adora per color, che sono in terra
•Tutti sviati dietro al malo esemplo.
Già si solca con le spade far guerra;
Ma or si fa togliendo or qui, or quivi
Lo pan , che U pio padre a nessun serra .
Ma tu, che .sol per cancellare scrivi, 1 3o
Pensa che Pietro e Paolo, che morirò
Per la vigna che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire : Io ho fermo *1 disiro
Sì a colui, che volle viver solo,
E che per salti fu tratto a marriro.
Ch'io non conosco il Pescator, ne Pelo.
di) J
CANTO DECIMONONO.
Argomento
Il Coro dà* Beaii disposti in figura di Aquila a Dante
ragiona su la quistione : Se alcuno senza la Fede Cri-
stiana si possa Sahare 9 e gli dice, che niuno senza
credere* in Cristo si era saluato giammai: soggiugne
inoltre, che molti ancor de' Cristiani per H loro pravo
operare saranno riproviti nell'universale giudicio.
JT area dinanzi a me con V ale aperte
La bella image, che nel dolce frui
Liete faceva V anime conserte :
Parca ciascuna rubinetto , in cui
Raggio di Sole ardesse si acceso.
Che ne^miei occhi rifrangesse lui.
£ quel , che mi con vien ritrar testeso ,
Non portò voce mai, né scrisse inchiostr'^ ,
Ne fu per fantasia giammai compreso ;
Ch^io vidi, et anch' udf parlar lo rostro, io
E sonar nella voce et Io e Mio,
Quand'era nel concetto ^ Noi e Nostro.
1 et Noi e Nostro.
N
aoó DEL PARADISO
E cominciò : Per esser giusto e pio
Son io qui esaltato a quella gloria,
^ Che non si lascia vincere a disio :
Et in terra lasciai la mia memoria
Sì fatta , che le genti li malvage
Commendan lei, ma non seguon la storia .
Così un sol calor di móke brago
Si fa sentir, come di molti amori 2c
Usciva solo un suon di quella Image ;
Ond^ io appresso : O perpetui fiori
Dell'eterna letizia, che pur uno
Sentir mi fate tutti i vostri odori ,
Solvetemi, spirando^ il gran digiuno.
Che lungamente m*ha tenuto in fame.
Non trovandoli in terra cibo alcuno •
Ben so io che , se in Cielo altro reame
La divina giustizia fa suo specchio,
Che'l vostro non rapprende con velame. 3o
Sapete come attento io m^ apparecchio
Ad ascoltar; sapete quale è quello
Dubbio, che m*è digiun cotanto vecchio-
Quasi falcone, ch^'esce di cappello.
Muove la testa, e con Tale s'applaude.
Voglia mostrando, e facccndosi bello;
CANTO XIX. 2^7
Yid" io farsi qàd èégnò , che di laude
Della divina grai^ia era contesto, '
Con canti , qoai si sa chi lasrà gaude •
Poi cominciò : Colui , che volse il sesto 40
Allo stremo dei mondo , e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto.
Non potfo suo valor sì fare impresso
In tutto r Universo , che ^1 suo Verbo
Non rimanesse in infinito eccesso .
E ciò fa certo , che U primo superbo ,
Che fu la somma d^ogni creatura.
Per non aspettar lume , cadde acerbo .
£ quinci appar, eh* ogni minor natura
È corto recettacolo a quel bene. So
Che non ha fine , e se in se misura .
Dunque nostra veduta , che conviene
Essere alpun deVaggi della mente ,
Di che tutte le cose son ripiene ,
Non può di sua natura esser possente
Tanto, che suo principio non discerna
Molto di là da quel, ch'egli è, parvente.
Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
Com*occhio per lo mare,entro s'interna ; 60
/
2.y{ DEL PARADISO
Che, benché dalla proda ▼egg^ il fondo.
Io pel^o noi Tede, e nondimeno
B^ èy ma cela Ini Tcskt profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno.
Che non si tnrha mai , anzi è tenebra ,
Od ombra della carne, o soo ireneno.
Assai fé mo aperta la latebra.
Che t* ascondeva la giustizia viva ,
Di che facci qnìstion cotanto crebra.
Che ta dicevi: Un oom nasce alia riva 70
Dell'Indo, e qoivi non è chi ragioni
Di Cristo, né chi le^;a, né chi scriva;
£ tatti suoi voleri et atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede,
Sanza peccato in vita, od in sermoni.
Muore non battezzato e senza Fede:
Ov^è questa giustizia, che il condani^a?
Ov è la colpa sua , ^ sed ci non crede ?
Or tu chi se', che vuoi sedere a scranna ,
Per giudicar da lungi mille miglia 8 e
Con la veduta corta d' una spanna ?
Certo a colui, che meco s* assottiglia ,
Se la Scrittura sovra voi non fosse.
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
I itegli non crede?
CANTO XIX. a99
terreni animali » o menti grosse ,
La prima Volontà, ch^è per se buona.
Da stf eh' è sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giusto quanto a ki consuona:
Nullo creato bene a se la tira.
Ma essa, radiando, lui cagiona. 90
Quale sovr* esso U nido si rigira ,
Poi che ha pasciuto la cicogna i figli ,
£ come quei, eh' è pasto, la rimira;
Cotal si fece, e si levai li cigli.
La benedetta immagine, che Pali
Movea sospinta da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea: Quali
Son le mie note a te , che non le 'ntendi ,
Tal è il giudicio eterno a voi mortali .
Poi seguitaron quei lucent' incendi ice
Dello Spirito Santo ancor nel segno.
Che fé' i Romani al mondo reverendi .
Esso ricominciò: A questo regno
Non sali mai chi non credette in Cristo
Né pria, né poi che'l si chiavasse al legno.
Ma vedi, molti gridan Cristo Cristo,
Che saranno in giudicio assai men prope
A lui^ che tal, che non conobbe Cristo.
3oo J>£L PARADISO.
E cai Crifldan daanerà PEdòpe,
QoMde ìri partìnniio i duo €<dl^ , tio
L*ìBio ia eterno ricco, e Taltro inope.
CShe pocran dir li Peni a i Tostrì Regi,
Com* e' vedranno qael Tolome aperto.
Nel qoal n acriron tatti suoi dispregi?
Lì 8i vedrà tra T^pere d'Alberto
Quella, che tosto moverà la penna.
Perchè U regno di Praga sia deserto.
Li si vedrà il daol, che sopra Senna
Induce, false^iando la moneta.
Quei, che morrà di colpo di cotenna, i ao
Lì 8i vedrà la superbia, ch'asseta.
Che fa lo Scotto , e r Inghilese folle ,
Sì che non può soffrir dentro a sua meta .
Yedrassi la lussuria, e '1 viver molle
Di quel di Spagna, e di quel di Buemme,
Che mai valor non conobbe, ne volle.
Yedrassi al Ciotto di Gerusalemme
Segnata con un I la sua bontate.
Quando 1 contrario segnerà un'emme.
Yedrassi T avarìzia, e la viltate 1 3o
Di quel, che guarda risola del fuoco.
Dove Anchise finì la lunga etate :
CANTO XIX. 3oi
£ a dare ad intender quanto è poco,
La sua scrittura fien lettere mozze ,
Che noteranno molto in parvo loco.
£ parranno a ciascun T opere sozze
Del barba, e del f ratei, che tanto egregia
Nazione, t duo corone han fatto bozze.
£ quel di Portogallo , e di Norvegia
Li si conosceranno, e quel di Rascia, 140
Che male aggiustò *1 conio di Vinegia .
O beata Ungheria, se non si lascia
Più malmenare ! e beata Navarra ,
Se s'armasse del monte, che la fascia!
£ creder dee ciascun , che già per arra
Di questo Nicosia, e Famagosta
Per la lor bestia si lamenti e garra ,
Che dal fianco dell' altre non si scosta «
3o3
CANTO VENTESIMO.
Aegomento
Vengono a Dante mostrate le anime di alcuni giustls^
simi Re , eh' erano in quella ' augusta immagine
dell' Aquila; ed ammirando il Poeta, come ivi fos^
sera due personaggi, ch'egli si credeva essere stati
Pagani y gli viene spiegato , come amòedue morti era*
no credendo in Gfsù Cristo.
V^uando colai, che tutto U mondo alluma ,
Deir emisperìo nostro si discende,
E ^1 giorno d^ ogni parte si consuma ,
Lo Ciel , che sol di lui prima s* accende ,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci, in che una risplende.
E questo atto del Ciel mi venne a mente ,
Come ^1 segno del mondo, e de' suoi duci
Nel benedetto rostro fu tacente :
Però che tutte quelle vive luci io
Vie più lucendo cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci .
3c4
DFL FARADISO
O dolce Amor, che di rìso e* ammand ,
Quanto pareri ardente in que'fiTilli,
Ch'aveano Sfnito sol di peosìer santi!
Poscia che i can e lucidi lapilli,
Ond' io Tidi 'ogemmato il sesto Inme ,
Poser silenzio agli angelici si|QÌlli,
Udir mi panre on mormorar di fiume ,
Che scende chiaro giù di {Metra in pietra, ao
Mostrando Fnbertà del soo cacume.
£ come snono al collo della cetra
Prende sua forma, e sì come al pertico
Della sampogna vento , che penetra ;
Cosà, rimosso d* aspettare induco.
Quel mormorar dell'Aquila salissi
So per lo collo , come fosse hogio .
Fecesi voce quivi , e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole ,
Quali aspettava^ eore, ov' io le scrissi • 3o
La parte io me , che vede , e paté il Sole
Neil' agugli.e qiortali, incominciommi.
Or fisamente riguardar si vuole ,
Perchè de' fuochi^ ond'io figura fommi.
Quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla ,
E di tutt' i lor gradi son li sommi .
CANTO XX. SoS
Colui , che luce in mezzo per pupilla ,
Fu il cantor dello Spirito Santo,
Che r arca traviato di villa in vUla :
Ora conosce U merto del suo canto » 40
In quanto ^ affetto fu del suo consiglio 9
Per lo remunerar, oh' è altrettanto. '
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio ,
Colui, che più al becco mi s'accosta,
La. vedovella consolò del figlio:
Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo, per l'esperienza
Di questa dolce vka, e dell'opposta.
E quel, che segue in la circonferenza.
Di che ragiono, per l'arco superno. So
Morte indugiò per vera penitenza :
Ora conosce che '1 giudicio eterno
Non si trasmuta, perchè degno preco
Fa crastino laggiù dell' odierno •
L'altro, che segue, con le leggi e meco
Sotto buona 'ntenzion, che fé' mal frutto.
Per cedere al pastor si fece Greco:
Ora conosce con^e '1 mal dedutto
Dal suo bene operar non gli è nocivo,
Awegna che sia 'l mondo indi distrutto. 60
1 effitto fa del suo
Dahtm T.IL ao
3o6 DEL PARADISO
£ quel, che vedi nell'arco declivo»
Goiglielmo fo, cai quella terra plora»
Che piange Carlo e Federigo vivo :
Ora conosce come s* innamora
Lo Ciel del giusto rege , et al sembiante
Del suo fulgore il £ai vedere ancora.
Chi crederebbe già nel mondo errante ,
Che Rifèo Troiano in questo tondo
Fosse la quinta delle loci sante ?
Ora conosce assai di quel , che *1 mondo 70
Veder non può della divina grazia ;
Benché sua vista non discerna il fondo •
Qual lodoletta , che ■ 'u aere si spazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell'ultima dolcezza, che la sazia;
Tal mi sembiò T imago della ^mprenta
Deir etemo piacere , al cui disio
Ciascuna cosa, quale eli' è, diventa.
Et a wegna eh' io fossi al dubbiar mio
Lì, quasi vetro allo color, che'l veste, 80
Tempo aspettar tacendo non patio;
Ma della bocca : Che cose son queste ?
Mi pinse con la forza del suo peso :
Per eh' io di corruscar vidi gran fesce .
I neir^ere tpasU
CANTO XX. S07
Poi appresso con V occhio più acceso
Lo benedetto segno mi rispose.
Per non tenermi in ammirar sospeso :
Io veggio, che tn credi queste cose.
Perch'io le dico, ma non vedi come;
Sì che, se son credute, sono ascose ^ 90
Fai come quei, che la cosa per nome
Apprende ben, ma la sua quiditate
Veder non puote, scaltri non la prome.
Hegnum codorum vielenzia paté
Da caldo amore, e da viva speranza.
Che vince la divina volontate ,
Non a guisa che U uomo alFuom sovranza;
Ma vince lei , perchè vuole esser vinta :
E vii^ta vince con sua beninanza •
La prima vita del ciglio e la quinta 100
Ti fa maravigliar , perchè ne vedi
La region degli ÀngeK dipinta.
De* corpi suoi non uscir, come credi.
Gentili , ma Cristiani in ferma Fede,
Quel de' passuri , e quel de' passi piedi;
Che Tuna dallo ^nferno, u'non si riede
Giammai a buon voler, tornò all'ossa:
E ciò di vi va^ speme fu mercede.
3o9 DSL PARADISO
Di viva speme , che mise sua posM
Ne'prieghi fatti a Dio per soscttarla, no
Sì che potesse scia voglia esser mossa.
L^ anima glonosa , oade si parla ,
Tornata nella carne, ia che fu poco»
Credette in Ini, che poteva aintaria:
E credendo s^ acoese in tanto fnoco
Di vero amor, ch^alla morte seconda
Fu degna di venire a questo giuoco •
L* altra per grazia , che da n profon^b
Fontana stilla, che mai creatura
Non pinse T occhio insino alla prim' onda ,
Tntto I suo amor laggiù pose a drìttma : ( i a o
Per che di grazia in grazia Dio gli aperse
L'occhio alla nostra redenzion futura;
Onde credette in quella , e non sofferse
Da indi 1 puzzo più del paganesmo,
E riprendeane le genti perverse .
Quelle tre donne gli fur per battesmo.
Che tu vedesti dalla destra ruota.
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo.
predestinazion , quanto rimota i3o
j^i la radice tua da quegli aspetti.
Che la prima cagion non veggion tata!
1 *i tuo amor
CANTO XX. 309
E voi, mortali, tenetevi stretti
A giudicar; che noi, che Dio vedemo.
Non conosciamo ancor tutti gli eletti:
' Et enne dolce cosi fatto scemo !
Perchè *1 ben nostro in questo ben s'affina.
Che quel, che vuole Dio, e noi volemo.
Cosi da quella immagine divina.
Per farmi chiara la mia corta vista, 140
Data mi fu soave medicina .
£ come a buon cantor ^ buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda ,
In che più di piacer lo canto acquista ;
Si mentre che parlò, mi si ricorda,
Ch' io vidi le duo luci benedette ^
Pur come batter d^ occhi si concorda.
Con le parole muover le fiammett« •
2 £ come è dolce a baon ceterista j
Sii
CANTO VENTESIMOPRIMO.
AmCOMSNTO
Danti sale con Btairìet in Saturno y doot Mtano i Con-^
templanti, ed in quello vede una stala altissima ^ f
sopra essa scendere infinito numero di Beati: indi il
Poetasi fa a parlar con 5. Pietro Damiano ^ Uguale,
dopo aoer risposto ad alcune sue interrogazioni, gli
racconta cài egli si fosse, e t istituto della sua vita
religiosa*
vjrià eran gli occhi miei ri fissi al volto
Della mia donna, e F animo con essi,
£ da ogni altro intento s^era tolto;
Et ella non rìdea ; ma : S'io ridessi ,
Mi cominciò, tu ti faresti qnale
Semele fu, quando di cener fessi ;
Che la bellezza mia, che per le scale
Dell^ etemo palazzo più s^ accende.
Com* hai veduto,- quanto pia si sale^
Se non si temperasse, tanto splende, To
Che *1 tuo mortai podere al suo fulgore
Parrebbe fronda , che trono scoscende •
3ia DEL PARADISO
Noi Sem levati al settimo splendore ,
Che sotto U petto del Lione ardente
Ra^a mo misto giù del suo valore.
Ficca dirietro agli occhi tuoi la mente,
£ fa di quegli specchio alla figura ,
Che *n questo specchio ti sarà parvente .
Qu%l savesse quaFera la pastura
Del viso mio nell'aspetto beato, 20
Quand'io mi trasmutai ad altra cura ,
Conoscerebbe quanto m^era a grato
Ubbidire alla mia celeste scorta ,
Contrappcsando Tun con T altro lato.
Dentro al cristallo , che U vocabol porta ,
Cerchiando *1 mondo , del suo caro duce ,
Sotto cui giacque qqxìì malizia morta, *
Di color d'oro, in che raggio traluce,
Yid'io uno scalèo fretto in suso
Tanto, che noi seguiva la mia luce. 3o
Vidi anche per li gradi scender giuso
Tanti splendor, ch'io pensai, ch^ogni lume.
Che par nel Ciel, quindi fosse diffuso .
£ come per lo naturai costume
Le pole insieme al cominciar del giorno
Si muovono a scaldar le fredde piume ;
CANTO XZL 3i3
Poi altre vanno via senta ritorno»
Altre rìvolgon se, onde son mosse »
E altre roteando fan soggiorno ;
Tal modo parve a me , che quivi fosse 40
' In quello sfavillar, che ^nsieme venne.
Si come in certo grado si percosse:
E quel , che presso più ci si ritenne ,
Si fe^si chiaro, cVio dicea pensando:
Io veggio ben Taiqor, che tu m*accenne.
Ma quella , ond' io aspetto il come, e '1 quando
Del dire e del tacer, si sta; ond'io
Contra U disio fo ben , > eh* io non dimando.
Per eh* ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di Colui, che tutto vede. So
• Mi disse : Solvi il tuo caldo disio •
Et io incominciai : La mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta ,
Ma per colei, che 1 chieder mi concede.
Vita beata , che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia , fammi nota
La cagion, che si presso mi t'accosta;
E di* perchè si tace in questa ruota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per T altre suona si devota. 60
I è*ÌQ non domando.
5i4 BEL PARADISO
Ta hai Tadir mortai, si come '1 viso.
Rispose a me; però qui non si canta
Per quel, che Beatrice non ha riso.
Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto sol per farti festa
Gol dire, e con la Ince, che m'ammanta:
Né più amor mi fece esser più presta ;
Che pin e tanto amor quinci su ferve ,
Sì come 1 fiammeggiar ti manifesta.
Ma Talta carità, che ci fa serve 70
Pronte al consiglio, che*l mondo governa»
Sorteggia qni, si come tu osserve.
Io v^gio ben, diss' io, sacra lucerna.
Come libero amore in questa Corte
Basta a seguir la providenza eterna.
Ma qnest'è quel, eh* a cerner mi par forte.
Perchè predestinata fosti sola
A questo uficio tra le tue consorte.
Non venni prima air ultima parola ,
Che del suo mezzo fece il lume centro 80
Girando se come veloce mola .
Poi rispose Tamor, che v*era dentro:
Luce divina sovra me s'appunta.
Penetrando per questa, ond'io m^inventro ,
^
CANTO tXL 3iS
La ^€và virtù col mio veder congiunta
Mi leva sovra me unto, ch'io veggio
La somma Essenzia , della quale è munta .
Quinci vien l'allegrezza » ond' io fiammeggio.
Perchè alla vista mia , quantVlla è chiara.
La chiarità della fiamma pareggio . 90
Ma quell* alma nel Giel, che più si schiara.
Quel Serafin, che'n Dio più Tocchio ha fisso.
Alla dimanda tua non soddisfarà;
Perocché si s'innoltra nell'abisso
Dell'eterno statuto quel, che chiedi t
Che da c^i creata vista è scisso .
Et al mondo mortai, quando tu riedi.
Questo rapporta, sì che non presumma
A tanto segno più muover li piedi •
La mente, che qui luce , in terra fumma : 1 00
Onde riguarda come può laggìue
Quel, che non puote, perchè '1 Ciel Tassum-
Si mi prescrisser le parole sue, (ma.
Ch' io lasciai la qubtione, e mi ritrassi
A dimandarla umilmente chi fue.
Tra duo liti d' Italia surgon sassi ,
£ non molto distanti alla tua patria.
Tanto che i tuoni assai tuonan più bassi.
Si6 DEL PARADISO
E fanno un gibbo» che si chiama Gatrìa^
Disotto al qaale è consecrato un ermo, no
. Che sud esser disposto a sola latria .
Così ricominciommi '1 terzo senno;
£ poi continuando disse: Quivi
▲1 servigio di Dio mi fei si fermo.
Che por con cibi di liquor d"" ulivi
Lievemente passava caldi e gieli»
Contento ne^pensier contemplativi.
Render solca quel chiostro a questi Cieli
Fertilemente^ et ora è fatto vano,
SI che tosto convien, che si riveli, i ao
In quel loco fo^io Pier Damiano:
£ Pietro peccator fui nella casa
Di nostra Donna in sul lito Adriano.
Poca vita mortai m^era rimasa,
Quand^io fu'chiesto, e tratto a quel cappello,
Che pur di male in pe^o si travasa.
Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito Santo, magri e scalzi
Prendendo 1 cibo > di qualunque ostello:
Or voglion quinci e quindi chi ^ rincalzi 1 3o
Gli moderni pastori, e chi gli meni.
Tanto son gravi, e chi dirietro gli alzi.
I da qaalaiNp« a gVincalal
CANTO XXL 3i7
Guopron desinanti lor gli palafreni»
Sì che duo bestie van 80tt*una pelle:
pazienzia, che tanto sostieni!
A questa voce vid*io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi:
Et ogni giro le facea più belle •
Dintorno a questa vennero » e fermarsi »
£ fero un grido di si alto suono , 1 40
Che non potrebbe qui assomigliarsi:
Né io lo ^ntesi» sì mi vinse il tuono.
3i»
CANTO VENTESIMOSECONDO-
Aegomimto
3. Benedtiio pmiia m! Poeta, e gli dUt, tiCtgli aves
portaio ii nome di Gesù Cristo sul monte Cassino:
oltre di eia gli dà contexzn di alcuni altri Beati j che
ivi erano» Foi ""Dante colla sua guida sale all'ottava
sfera nel segno de' Gemini ^ onde si rivolse a ri guar»
dare i sette Pianeti inferiori ^ ed il gloòo terrestre •
a
^presso di stupore alla mia guida
Mi volsi come parvol, che ricorre
Sempre colà, dove più si confida:
E quella, come madre, che soccorre
bubito al figlio ' pallido et anelo
Con la sua voce, che '1 suol ben disporre.
Mi disse: Non sa* tu, che tu se *n Cielo,
E non sa' tu, che '1 Cielo è tutto santo,
E ciò, che ci si fa, vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trasmutato il canto, io
*£t io rìdendo, mo pensar lo puoi ;
Poscia che '1 grìdo t' ha mosso cotanto ?
1 p arido et auela
3ao DEL PARADISO
Nd qual se 'nteso AYtaei i priegbi snot*
Già ti sarebbe nota la vendetta ,
La qoal vedrai innanzi che tu mnoi.
La spada di quassù non taglia in fretta »
Ne tardo, mache al parer di colui »
Che desiando» o temendo 1* aspetta.
Ma rivolgiti ornai inverso altrui;
Chiassai ^lustri spiriti vedrai, io
Se, compio dico, la vista ridui.
Com'a lei piacque, gli occhi dirizzai,
E vidi cento sperule, che ^nsieme
Più s*abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei , che *n se rìpreoie
La punta del disio , e non s* attenta
Del dimandar j sì del troppo si teme:
E la maggiore , e la più Inculenta
Di quelle margherite innanzi fessi.
Per £ur di se la mia voglia contenta • 3o
Poi dentro a |ei udi* : Se tu vedessi ,
Compio, la carità, che tra noi arde.
Li tuoi concetti sarebbero espressi:
Ma perchè tu aspettando non tarde
All^alto fine, io ti farò risposta
Pure al pensier, di che sì ti riguardo.
CANTO XXIL . Sai
Quel monte, a cui Cassino è nella costa ,
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata, e mal disposta.
' Et io son quel , che su vi portai prima ^o
Lo nome di Colui , che 'n terra addusse
La verità, che tanto ci sublima:
E tanta grazia sovra me rilusse,
Ch* io ritrasse le ville circonstanti
Dair empio colto, che ^1 mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
Uomini furo, accesi di quel caldo.
Che fa nascere i fiori e i frutti santi.
Qui è Maccario ; qui è Romoaldo ;
Qui son li frati miei,che dentro a*chiostri 5 o
Fermar li piedi , e tennero U cuor saldo .
Et io a lui: L'aflFetto, che dimostri
Meco parlando , e la buona sembianza.
Ch'io veggio, e noto in tutti gli ardor vostri.
Cosi m'ha dilatata mia fidanza.
Come '1 Sol fa la rosa , quando aperta
Tanto divien, quaat^ella ha di possanza.
Però ti prego, e tu, padre, m'accerta,
SMo posso prender tanta grazia, eh* io
Ti veggia con immagine scoverta. 6f)
1 E quel ton io»
Damtm T.IL ai
3sa DEL PARADISO
Ond'egli: Frate» il too alto disio
S* adempierà in sa Taltioia spera.
Ove s' adempion tutti gli altri » e H mio .
Ivi è perfetta , matura, et intera
Ciascuna disianza : in quella sola
È ogni parte là , dove sempr* era ;
Perchè non è in luogo ^ e non s^ impola :
E nostra scala infino ad essa varca;
Ond« cosi dal viso ti s^ invola .
Infin lassù la vide il Patriarca 70
lacob isporger la superna parte ,
Quando gli apparve d* Angeli sì carta *
Ma per salirla mo nessun diparte
Da terra i piedi : e la regola mia
Rimasa è giù per danno delle carte •
Le mura, che solcano esser badia ,
Fatte sono ipelonche , e le cocolle
Sacca son piene di farina ria •
Ma grave usura tanto non si toUe
Contra U piacer di Dio, quanto quel frutto,
Che fa il cuor de' monaci sì folle ; (80
Che quantunque la Chiesa guarda, tutto
£ delia gente , che per Dio dimanda ,
Né di parente , né d' altro più bratto .
CANTO ZXIL 3»^
La carne de' mortali è tanto blanda ,
Che giù non basta buon cominciamento
Dal nascer della quercia al far la ghianda .
Pier cominciò sanz'oro e sanza argento 9 ,
Et io con orazione e con digiuno ,
E Francesco umilmente il suo convento. 90
E se guardi al principio di ciascuno ,
Poscia riguardi là, doT*è trascorso»
Tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Giordan volto è retrorso:
Più fu il mar fuggir» quando Dio volse.
Mirabile a veder, che qui il soccorso.
Così mi disse , et indi si ricolse
AI suo collegio, e '1 collegio si strinse:
Poi come turbo in su tutto s* accolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse 1 00
Con un sol cenno su per quella scala :
SI sua virtù la mia natura vinse.
Né mai quaggiù, dove si monta e cala»
Naturalmente fu si ratto moto ,
Ch* agguagliar si potesse alla mia ala.
S'io torni mai. Lettore, a quel devoto
Trionfo , per lo quale io piango spesso
Le mie peccata, e '1 p^ttp {oi.perpqoto;
3a4 DSL PARADISO
Til non avresti in tanto tratto e metto
Nel fuoco il dito,in quanto io vidimi segno, i io
Che segue U Tauro, e fui dentro da esso.
gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto (qual che si sia) il mio ingegno.
Con voi nasceva , e s* ascondeva vosco
Qu^i, cVè padre d^c^ni mortai vita,
Quand'io senti* da prima Taer Tosco:
£ poi quando mi fu grazia largita
D'entrar neiralta ruota, che vi gira»
La vostra region mi fu sortita • no
A voi divotamente ora sospira
L* anima mia, per acquistar virtute
Al passo forte, che a se la tira.
Tu se' sì presso ali* ultima salute.
Cominciò Beatrice » che tu dei
Aver le luci tue chiare et acute:
£ però prima che tu più t* inlei »
Rimira in giuso, e vedi quanto mondo
Sotto li piedi già esser ti fei ;
Sì chel tuo cuor, quantunque può, giocondo
S*appresenti alla turba trionfante , ( 1 3o
Che lieta vien per questo etera tondo.
CANTO XJCIL 3i5
«
Col viso ritornai per tatte qa; nte
Le sette spere , e vidi questo globo
Tal, chMo sorrisi del suo vii bembiante:
E quel consiglio per migliore approbo»
Che rha per meno; e chi ad altro pensa
Chiamar si puote veramente probo.
Vidi la %lia di Latona incensa
Senza quelFombra, che mi fu cagione, 1 40
Perchè già la credetti rara e densa.
L^ aspetto del tuo nato, Iperione,
Quivi sostenni, e vidi com' si muove
Circa , e vicino a lui Maia e Dione •
Quindi m'apparve il temperar di Giove
Tra '1 padre e'I figlio; e quindi mi fu chiaro
Il variar, che fanno di lor dove:
£ tutti e sette mi si dimostraro
Quanto son grandi , e quanto son veloci .
E come sono in distante riparo. i So
L'aiuola, che ci fa tanto fefoci,
YoIgendomMo con gli eterni Gemelli».
Tutta m'apparve da' colli alle foci:
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli.
5«7
CANTO VENTESIMOTERZO.
A&60MSNT0
Racconta U Poeta, come vide QesU Cristo a guise di
Sole risplendere e radiar sopra i Beati y e che di poi
osservò Maria Vergine, sopra la quale scese un An»
gelo, che d'intorno a lei s'aggirava cantando con
soavissima melodia, dopo di che essa levassi in alto,
ed i Beati cornarono laude.
V^ome r augello intra ramate fronde
Posato al nido de' suoi dolci nati
La notte , che le cose ci nasconde »
Che per veder gli aspetti desiati 9
E per trovar lo cibo , onde gli pasca »
In che i gravi labor gli sono aggrati,
Previene '1 tempo in su l'aperta frasca,
£ con ardente affetto il Sole aspetta ,
Fiso guardando, « pur che Falba nasca;
Così la donna mia si stava eretta, ic
Et attenta rivolta in ver la plaga ,
Sotto la quale il Sol mostra men fretta :
X par se Talba nasca;
3a8 del PAEADISO
Si che, Yeggendola io sospesa e vaga,
Feciini quale è qoei , che disiando
Altro vorria , e sperando s* appaga •
Ma poco fu tra uno et altro quando ,
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo Ciel venir più e più rischiarando.
£ Beatrice disse : Ecco le schiere
Del trionfo di Cristo, e tutto '1 frutto a e
Ricolto del girar di queste spere .
Pareami, che *l suo viso ardesse tutto:
E gli occhi avea di letizia sì pieni.
Che passar mi convien senza costrutto •
Quale ne* plenilunii sereni
Trivia rìde tra le ninfe eterne ,
Che dipingono '1 Ciel per tutti i seni„
Vid' io sopra migliaia di lucerne
Un Sol , che tutte quante l' accendea ,
Come fa 1 nostro le viste superne: Se
E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenea.
O Beatrice dolce guida e cara !
Ella mi disse: Quel, che ti sobranza,
E virtù, da cui nulla si ripara .
CANTO XXIIL di9
Quivi è la sapienza, e la possanza,
Ch^aprì le strade tra U Cielo e la Terra »
Onde fif già sì lunga disianza •
Come fuoco di nu])e si disserra 40
Per dilatarsi , A che non vi cape »
E fuor di sua natura in giù s^ atterra;
Cosi la mente mia, tra quelle dape
Fatta più grande, di se stessa uscio ,
£ che si fesse rimembrar non sape.
Apri gli occhi , e riguarda qual son io :
Tu hai vedute cose, che possente
Se* fatto a sostener lo riso mio.
Io era come quei, che ^ risente
Di visione obblita, e che sMngegna Sa
Indarno di riducerlasi a mente ,
Quando io udi' questa profferta degna
Di tanto grado, che mai non si stingue
Del libro, che *1 preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue, *
Che Polinnìa con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue.
Per aiutarmi j al millesmo del vero
Non si verria cantando U santo riso,
£ quanto 1 santo aspetto fiicea mero • 6c*
S3o DEL PARADISO
E C06Ì 6garando U Paradiso
' Convien saltar lo sagrato poema ^
Come chi truova suo cammin feciso .
Ma chi pensasse il ponderoso tema,
£ l'omero mortai, che se ne carca.
Noi biasmerebbe, se sott^esso trema.
Non è poleggio da piccìola barca
Quel, che fendendo va Tardità prora.
Né da nocchier, eh' a se medesmo parca .
Perchè la faccia mia sì tMnnamora, 70
Che ta non ti rivolgi al bel giardino ,
Che sotto i ra^i di Cristo s^ infiora ?
Quivi è la rosa, in phe '1 Verbo Divino
Carne si fece : quivi son gli gigli ,
Al cui odor si prese U buon cammino .
Cosi Beatrice; et io, eh' a^ suoi consigli
Tutto era pi^onto, ancora mi rendei
Alla battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di Sol, che puro mei
Per fratta nube , già prato di fiori 80
Vider coperti d* ombra gli occhi miei ;
Vid' io così più turbe di splendori
Fulgìirati di su di raggi ardenti,
Sanza veder principio di fulgori •
CANTO XXIIL 33i
O benigna virtù , che A gr imprenti »
Sa t^ esaltasti per laurini kfco
Agli occhi B , che non eran possenti •
Il nome del bel fior, ch'io sempre invoco
E mane e sera , tut^o mi ristrìnse
L'animo ad avvisar Io maggior foco. 90
£ com* ambo le loci -mi dipinse
Il quale e '1 quanto della Vtva stella ,
Che lassù vince, come quaggiù vinse ,
Perentrd M Cielo scese una facella
Fondata in cerchio a guisa di corona ,
E cinsela , e girossi intomo ad ells^. '
Qualunque melodia più dolce suona
Quaggiù, e più a se T anima tira.
Parrebbe nube, che squarciata tuona 9
Comparata al sonar di quella lira , 1 00
Onde si coronava il bel zaffiro.
Del quale il Gel più chiaro s* inzafEra .
Io sono amore angelico, che giro
Lealtà letizia, che spira del ventre,
Che fu albergo del nostro disiro :
£ girerommi. Donna del Ciel, mentre
Che seguirai tuo Figlio « e farai dia
Più la spera suprema , perchè li entre .
91s DEL PARADISO
Cosi la circnbtà melodìa
Si sigillava, e tutti ^ altri huni i le
Facèn sonar lo nome di Maria.
Lo real manto di tutti i volomi
Del mondo 9 che più fenre, e più s^sttìts
Nell'alito di Dio e ne' costami ,
Avea sovra di noi l' intema rira
Tanto distante , che la soa paWenza
14» doY^i'era, ancor non m'appariva:
Però non ebber gli occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma ,
Chiesi levò appresso sua semenza, rao
B come fantolin , che *nver la mamma
Tende le braccia, poi che 1 latte prese.
Per l'animo, che^n fin di foors* infiamma,
Ciascun di quei candori in su si stese
Con la sua cima , sì che V alto affetto ,
Ch'egli aveano a Maria, mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto.
Regina Codi cantando si dolce.
Che mai da me non si parti 1 diletto.
Oh quanta è Tubertà, che si soffolce 1 3o
In queir arche ricchissime , che foro
A seminar quaggiù buone bobolce i
CANTO XZIIL
Quivi si vive^ e gode del tesoro,
Che s'acquistò piangendo nell'esilio
Di Babilionia, ove si lasciò Toro.
Quivi trionfa sotto Talto Filio
Di Dio e di Maria di sua vittoria
£ con l'antico e col nuovo concilio
Colui , che tien le chiavi di tal gloria ,
339
'"»
\
S3S
CANTO VENTESIMOQUARTO.
Argomento
Beatrice, dopo <taver invocato a favor dei Poeta il Co/*
iegio Apostolico^ P^g^ ^ Pietro ad esaminarlo m-
tomo la virtii della Fede^ sopra di che il grande
Apostolo propone a Dante varj quesiti ^ a* quali avej|p>
do fatta rispósta, il Santo lo benedisse, ed approvò
la sua Fede.
\J Sodalizio detto alla gr^ Gena
Del benedetto Agnello , il qual vi ciba
Si 9 che la vostra voglia è sempre piena ;
Se per grazia di Dio questi preUba
Di quel , che cade della vostra mensa »
' Anzi che morte tempo gli prescriba.
Ponete mente alla sua voglia immènsa ,
£ roratelo alquanto : voi bevete
Sempre del lonte^onde vien qiiel,ch*ei pensa.
Così Beatrice ; e queUe anime liete i o
Si fero spere sopra fissi poli ,
Fiammando forte a guisa di comete •
S36 DEL PARADISO
£ come cerchi io tempra d* oriaoU
Si giran si, che H primo a chi pon mente
Quieto pare, e l' ultimo che voli ;
Cosi quelle carole differente-
mente danzando della sua ricchezza
Mi 8i facean stimar veloci e lente •
Di quella, ch'io notai di più bellezza,
Vid* io uscire un fuoco sì felice , ac
Che nullo vi lasciò di più chiarezza;
E tre fiate intorno di Beatrice
Si volse con un canto tanto divo.
Che la mia fantasia noi mi ridice :
Però salta la pe§na, e non lo scrivo;
Che l'immaginar nostro a cotai pieghe.
Non che'l parlare, è troppo color vivo.
O santa suora mia, che si ne preghe
Devota per lo xuo ardente affetto.
Da quella bella spera mi disleghe : 3o
Poscia fermato il fuoco benedetto
Alla mia donna dirizzò lo spiro.
Che favellò cosi, com^ io ho detto.
Et ella : O luce eterna del gran viro ,
A cui Nostro Signor lasciò le chiavi,
Ch'eì portò giù -di questo gaudio miro ,
« »
CANTO XXIV. $37
Tenta costui de* punti lievi e gravi ,
Come ti piace, intorno della Fede 9
Per la qual tu su per lo mare andavi.
S'egli ama bene, e bene spera, e crede, 40
Non t'è occulto, perchè U viso hai quivi,
Ov^ogni cosa dipinta si. vede.
Ma perchè questo regno ha fatto civi
Per la verace Fede , a gloriarla
Di lei parlare, è buon eh* a lui arrivi •
Si come il baccellier s*arma, e non parla
Fin che U Maestro la quistion propone »
Per approvarla, non per terminarla ;
Così m'armava io d'ogni ragione»
Mentre c^^ella dicea, per esser presto 5r
A jtal querente, e a tal professione.
Di^buon Cristiano; latti manifesto:
Fede che è? ondao levai la fronte
In quella luce, onde spirava queslo.
Poi mi volsi a Beatrice ; e quella pronte
Sembianze £emmi , jperchè io spandessi
L* acqua di fuor del mio interno foncé.
La grazia, che mi dà, eh* io mi confessi.
Cominciarlo, dalUalto primipilo.
Faccia li miei concetti essere espressi : 60
DA9TM TAh aa
338 BEL PARADISO
E seguitai : Come 1 verace 8tilo
Ne scrisse , padre » del tuo caro frate ,
Che mise Roma teco nei buon filo»
Fede è sostanzia di cose sperate,
£ argomento delle non parventi :
E questa pare a me sua quiditate .
Allora odi': Dirittamente senti.
Se bene intendi, perchè la ripose '
Tra le sustana&e , e poi tra gli argomenti .
Et io appresso : Le profonde cose , « 70
Che mi largiscon- qui In lor parvenza»
Agli occhi di laggiù son si nascose»
Che Tesser lor v*è in «ola credenza,
Sovra la qual si fonda V alta spene :
E però di sostanzia prende intenza.
E da qoesta credenza ci conviene
Sillogizzar senza avere altra vista :
Però intenza d'argomento tiene.
Allora odi' : Se qoantonqoe s* acquista
GIÙ per dottrina fosse cosi inteso , 80
Non v^avria loogo ingegno di sofista.
Cosi spirò da quell'amore acceso;
Indi soggiunse: Assai bene è trascorsa
D'està moneta già la lega e 1 peso ;
CANTO XXIY. 339
Ma dimmi se tu Phai nella tiia borsa.
Et io : Si ho si lucida , e si tonda »
Che nel suo conio nulla mi s^ inforsa •
Appresso usci della luce profonda.
Che lì splendeva: Questa cara gioia,
Sovra la quale ogni virtù si fonda» 90
Onde ti venne ? et io : Iia latga ploia
Dello Spirito Santo, ch^è diffiisa
In su le vecchie e ^n su le nuove cuoia,
È sillogismo , che la mi ha conchiusa
Acutamente. sì , che *n verso duella
Ogni dimostrazion mi pare Qttusa.
Io udi' poi: Cantica e la novella
Proposizione, che sì ti conchiude ,
Perchè T hai tu per divina favella ?
Et io : La pruova, che 1 ver mi dischiude, i QO
Son r opere seguite, a che natura
Non scaldò ferro mai , né battè ancude •
Risposto f ummi : Di\ chi t^ assicura ,
Che queir opere fosser quel medesmo ,
Che vuol provarsi? non altri il ti giura.
Se U mondo si rivolse al Gristianesmo ,
Diss' io « senza miracoli, quest'uno
È tal, che gli altri non sono U centesmo :
\
1
340 \DEL ?«àEit^DI90
Che tUrCBtraiti povero e digiuno
Io campo a seminar la buona (Maofia, 410
Che fa già vite, et ora^è fatta pruBO»
Finito qvesto, Talta Corte «anta
Rìaoiiò per le. spere: Un Dio lodiamo.
Nella Bielode» ehe lassù si canta.
E quel Baron, che sì di ramo in ramo
Esamioaodo pk ' tratto m* avea ,
Che air ultime fronde appressavamo^
Hicominciò: La grazia , che donnea
Con la tua mente , ia bocca t^apene
Infino aqui» oom^apiir si-doveà; lao
Sì eh* io approovo ciò,<ohe<fiiori emene:
Ma or conviene esprimer quel, ohe eredi »
E onde alla cfedenaa tua s^ofiferse.
O santo padre, « spirito, che vedi
Ciò , che credesti , A che tu vincesti
Ver lo eepoloro più, giovani piedi ^
Comincia' io, tu vuoi, eh* io manlfeeti
La forma qui del pronto creder mio»
Et finche lacagton di lui chiedesti.
Et io rispondo : Io credo in uno Dio t3#
Solo et eterno, che tatto *1 Ciel muove.
Non moto, con amore « con 4isio;
CANTO XXIV. 341
Et a tal creder non ho io pur pruove
Fisice e metafisice ; ma dalmi
Anche la verità , che quinci piove
Per Moisè, per profeti, e per salmi.
Per r evangelio, e per voi, che scrìveste.
Poi che r ardente Spirto vi fece almi.
£ credo in tre Persone eterne , e queste
Credo una essenzia si una , e sì trina , 1 40
CShe soflkra congiunto sono et este .
Della profonda condition divina.
Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
Più volte r evangelica dottrina.
Quest' è U principio: quest* è la favilla ,
^' Che si dilata in fiamma poi vivace ,
E come stella in Cielo in me scintilla .
Come '1 signor, ch'ascolta quel che piace.
Da indi abbraccia '1 servo gratulando
Per la novella, tosto eh* e' si tace; i5g
Cosi benedicendomi cantando
Tre volte cinse me, sì comMo tacqui^
' L'Àppostolico lume, al cui comando
Io avea detto; sì nel dir gli piacqui •
I L'Apmtolico lamei
/
34S
CANTO VENTESIMOQUINTO.
AlGOMXKTO
L'Apoii^o 5i Iacopo esaminm U Poiim intomo Im oinù
dellm SperansUf proponendogli vmrf quesiii, m' quali
esso risponde • Dante poi ritrova S, Giovanni, U quale
nuuUf estagli ^ che la sua salma morendo era rimasta
in terra, e che solamente Gesé Cristo e Maria Ver-
gine erano coi loro corpi in Cielo.
oe mai continga , che 1 poema sacro.
Al quale ha posto mano e Cielo e Terra,
Sì che m^ha fatto per più anni macro.
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Del bello ovile, ov'io dormi* agnello
Nimico a' lupi , che gli danno guerra ;
Con altra voce ornai, con altro vello
Ritornerò poeta , et in sul fonte
Del mio battesmo prenderò '1 cappello:
Perocché nella Fede, che fa conte io
L* anime a Dio, quiv* entra' io , e poi
Pietro per lei si mi girò la fronte .
344 I>£I' PARADISO
Indi ti mosse on Ionie verao noi
Di qoella schiera, ond'oscì la primizia.
Che lasciò Cristo de' vicarj suoi •
E la mia donna piena di letizia
Mi disse: Mira, mira; ecco 1 Barone,
Per coi laggiù ai visita Galiùa\
Sì come <{oando ^1 colombo si pone^
Presso al compagno, rono e Faltro pande, ac
Girando e mormwando , T aflfeùone ;
Cosi vidUo r un* daU^ altro grand»
Principe glorioso essere accolto.
Laudando il cibo, che lassù si prandcr.
Ma poi che 1 gratular si fu assolto.
Tacito > coram me ciascun s* affisse
Ignito sì, che vìnceva '1 mio^ votCC.
Ridendo allora Beatrice disse :
Inclita vita , per coi V allegrezza
Della nostra Basilica si scrisse, 3o
Fa* risonar la speme' in questa altezza:
Tu sai, che tante * volte la figuri.
Quanto lesù a* tre fé* più chiarezza*
Leva la testa , e fa' che t* assicuri ,
Che ciò, che vien quassù dal mortai mondo,
Convien eh* a* nostri raggi si maturi.
1 €ontru me a fiatt ralCgari,
CANTO XXV. 345
Questo conforto^ del f ao(e<»' sWMdo^
Mi venne; ond^io levai gfi of^cbi armenti.
Che gr incnrvaron pria col troppo pondo •
Poiché per grazia vuol , che tut^affronti , 4-0
Lo nostro Imperadore, ansi là' morte',
Neir aula più segreta co* sooi CoQti 9
Sì che, vedoto '1 ver di gtiésta Corte^
La speme, cbe laggiù beile- innacEiora »
In te et in altrui di ci6 conforte'.
Di* quel che eUf* è, e come se- ne 'nfiora
La mente toa-, e dì* onde a te* venne :
Così segalo U secondo lume an<cora *
£ quella pia, che guidò le penne'
Delle mie ali a così ateo volo j^ So
Alla risposta coA mi prevenne:
La Chiesa militante alcun figlinolo
Non ha con più speran2a/com' è' scritto
Nel Sol, che raggia tutto nostro stuolo.
Però gli è conceduto, che d* Egitto
Vegna in Gerusalemme per vedere ,
Anzi che 1 militar gli- sia prescrìtto •
Gli altri duo punti , che non per sapere
Son dimandati , ma perch* ei rappòrti ,
Quanto questa virtù t* è^ in piacere, 60
S46 DEL PARADISO
A lai la9c*io, che non gli saran forti.
Né di iattanaùa; et egli a ciò risponda:
E la grazia di Dio ciò gli comporti.
Come discente, eh* a dottor seconda
Pronto e libente in quel, ch'egli è esperto.
Perchè la soa bontà si disascoada.
Speme dissMo, è nno attender certo
Ddla gloria futura , il qual produce
Grazia divina e precedente mtrto.
Da molte stelle mi vien qnesta luce: 70
Ma quei la distillò nel mìo cor pria.
Che fìi sommo cantor del sommo Duce •
Sperino in te, nella sua Teodia ,
Dice, color, che sanno 1 nome tuo:
E chi noi sa, s'egli ha k Fede mia?
Tu mi stillasti con lo stillar suo
Nella pistola poi, sì eh* io son pieno.
Et in altrui vostra pioggia repluo.
Mentre io diceva , dentro al vivo seno
Di quello 'ncendio tremolava un lampo 80
Subito e spesso a guisa di baleno;
Indi spirò: L'amore, ond'io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi se^uette
Infin la palma, et all'uscir del campo»
CANTO XXV. 347
Tool eh' io respiri a te » che ti dilette '
Di lei; ' et emmi a grato, che tu diche
Quello, che la speranza ti promette.
Et io: Le nuove e le Scritture. antiche
Pongono '1 segno, et esso lo m* addita.
Dell'anime, che Dio s'ha fatte amiche, yo
Dice Isaia, che ciascuna vestita
Nella sua terra fia di doppia vesta;
E la sua terra è questa dolce vita •
E 1 tuo fratello assai vie più digesta
lii , dove tratta delle bianche stole ,
Questa rìvelazion ci manifesta.
E prima , e presso 1 fin d*este parole
Sperent in te disopra noi s*udi,
A che risposer tutte le carole :
Poscia tra esse un lume si schiarì, 100
Sì che, se U Cancro avesse nn tal cristallo ,
Il verno avrebbe un mese d' un sol dì .
£ come surge, e va, et entra in ballo
Velane lieta, sol per fare onore
Alla novizia, non per alcun fallo;
Così vìdMo lo schiarato splendore
Venire a' due, che si volgeano a ruota,
Qual conveniasi al loro ardente amore ^
I et esimi a grado,
34« DEL PARADISO
Misen U nel canto e nella nota;
ElamiadoMM^ìAler.ttnoeraspBttOi no
Por come sposa» tacita et umnota.
Questi è colai, che giaeque sopra 'l petto
Del nostro Pellicano* e questi fue
Di s« la Crocea! grande uficio eletM.
La donna mia così) né però piue
Mosse là vista soa di stare attenu
Poscia» che prima alle parcde sue.
Quale è cokii, ch^ adocchia , e sr* sgomenta
Di vedere eclissar lo Sole un poco ,
Che per veder» non vedente diventa ; 1 2©
Tal mi fee* io a queir idtimo fuoco »
Mentrecbfe detto fu : Perchè^ t' abbagli
Per veder cosa, che qui «non ha loco?
In Terra è terrà U mio cdrpo, e saragli
Tanto con ^ akri, che '1 numero nostro
Con r etemo proposito s^ agguagli •
Con le duo stole ntì beato chiostro
Son le dtto luci sole, cbe salirò :
E questo apporterai nel mondo vostro.
A questa voce lo 'nfìammato giro i3o
Si quietò con esso *1 doke mischio ,
Che si faeea*del «noin nel trino spiro;
CANTO XZT.
^49
Si come, per cessar fatica a rischio.
Gli remi pria nell'acqua ripercossi
Tatti si posano ai sonar d' un fischio •
Ahi quanto nella mente mi commossi.
Quando mi voki per veder Beatrice,
Per non poter vederla, bench'io fiossi
Presso di lei, e nel mondo felice!
3Si
CANTO VENTESIMOSESTO.
AlGOMBNTO
V Apostolo S, Ciavanni esamina U Poeta intomo /« virtù
della Carità, e gli propone alcuni quesiti , a cui dopo
aver egli pienamente risposto, i Beati cantarono il di»
vino Trisagio. Dante poi scorge t anima del padre
Adamo, il quale gh racconta il tempo della sua fé»
licita ed infelicità.
JVlentr' io dubbiava per lo viso spento.
Della fulgida fiamma, che lo spense^
Uscì un spiro , che mi fece attento»
Dicendo: In tanto che tu ti risense
Della vista, che hai in me consunta.
Ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque, e di' ove s^ appunta
L'anima tua; e fa' ragion che sia
La vista in te smarrita e non defunta;
Perchè la donna, che per questa dia io
Region ti conduce, ha nello sguardo
La virtù, ch'ebbe la ma» d* Anania.
S6a DEL PARADISO
Io dim : Al suo piacere e tosto, e tardo
Veglia rimedio agli occhi, che far porte,
Quand^ella entrò col fuoco, ondMo sempre
Lo ben , che fa contenta questa CSorte, (ardo.
Alfa et Omega è di quanta scrittura
Mi legge amore o lievemente, o forte.
Quella medesma voce, che paura
Tolta m'avea del subito abbarbi^lio» 2 e
Di ra^ooare ancor mi mise in cura;
E disse : Certo a più angusto Taglio
Ti conviene schiarar : dicer convienti
Chi drizzò V arco tuo a tal bersaglio •
Et io: Per filospfici argomenti,
E per autorità, che quinci scende»
Cotale amor convìen che *n me s^ imprenti ;
Che U bene, in quanto ben, come s* intende.
Così accende amore , e tanto maggio 9
Quanto più di bontate in se comprende. 3o
Dunque all'essenxia , ov* è tanto avvantaggio.
Che ciascun ben» che fuor di lei si truova»
Altro non è che di suo lume un raggio.
Più che in altro < convien che si muova
La mente, amando, di ciascun che cerne
Lo vero, in che si fonda questa pruova .
t coovieBi» «he ti rauora
CANTO XXYL 3S3
Tal vero allo intelletto mio sterne *
Colui , che mi dimostra '1 primo amore
Di tutte le sustanzie sempiterne.
S temei la voce del verace Autore» 40
Che dice a Moisè di se parlando:
Io ti farò vedere ogni valore.
Sternilmi tu ancora incominciando
L^alto preconio, che grida T arcano
Di qui laggiù sovra ad ogni < alto bando.
Et io adi*: Per intelletto umano ,
£ per autòritade a lui concorde
De' tuoi amori a Dio guarda *1 sovrano.
Ma di* ancor, se tu senti altre corde
Tirarti verso lui, sì che tu suone So
Con quanti denti questo amor ti morde •
Non fu latente la santa intenzione
Dell*aguglia di ("risto, anzi m* accorsi
Ove menar volea mia professione;
Però ricominciai: Tutti quei morsi ,
Che posson far lo cuor volgere a Dio »
Alla mia ca ritate son concorsi ;
Che Tessere del mondo, e Tesser mio»
La morte, ch*el sostenne» perch* io viva,
£ quel, che spera ogni fedel, com' io, 60
I altro bando.
Dante T.U. a3
3S4 S£t TAKkmSO
Con la predetta conoscema Ti^a
Trauo m^ hanno dei mar dril^amor torto,
£ del diritto m* ban posto alla riva .
Le fronde 9 onde s^ infronda tatto Porto
Dell* ortolano eterno, am* io cotanto.
Quanto da lai a lor di bene è porto.
Si com' io tacqui, nn dolcissimo canto
Risonò per lo Cielo, e la mia dcmna
Dicea con gli altri: Santo, Santo, Santo.
£ come al lume acato si ' disonna 70
Per lo spirto visivo, che ricorre
Allo splendor, che va di gonna in gonna ,
£ lo svegliato ciò che vede abborre;
Si nescia è la sua subita vigilia ,
Fin che la stimativa noi soccorre ;
Così degli occhi miei ogni qoiiquilia
Fugò Beatrice col raggio de' suoi ^
Che rifulgeva più di mille milia :
Onde mecche dinanzi vidi poi,
£ quasi stupefatto dimandai 80
D*un quarto lume, cVio vidi ^ con noi.
£ la mia donna: Dentro da quei rai
Vagheggia il suo fattor l'anima prima.
Che la prima virtù creasse mai •
I 4iitonna a tra noi.
CANTO XXTL SSS
Come h fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi ti leva
Per la propria Tirtù, che la sublima.
Feerie in tanto, in quanto ella diceva.
Stupendo, e poi mi rifece sicuro
Un <jlisio di parlare, ondMo ardeva; 90
E cominciai; O pomo, che maturo
Solo prodotto fosti, o padre antico,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
Devoto quanto posso a te supplico»
Perchè mi parli: tu vedi mia voglia^
£, per udirti tosto, non la dico.
Tal volta un animai coverto broglia , '
Si che Taflfetto convien che si paia.
Per lo seguir, che £sice a lui la *nvoglia;
E similmente T anima primaia 100
Mi facea traspater per la coverta
Quant'ella a compiacermi venia gaia.
Indi spirò : Sani;' essermi profferta
Da te la voglia tua , diacemo meglio
Che tu , qualunque cosa t* è più certa ,
Perch' io la veggio nel verace speglio,
Che fa di se pareglio all'altre cose,
£ nulla face lui di se pareglio.
\
3S6 DEL PARADISO
/
Ta vuoi udir quant'è che Dio mi pose
Neil* eccelso giardino , ove costei 1 1 o
A così lunga scala ti dispose ;
E quanto fu diletto agli occhi miei ,
£ la propria cagion del gran disdegno»
E Tidioma, ch^usai» e eh* io fei.
Or, figliuol mio, non il gustar del legno *
Fu per se la cagion di tanto esilio » '
Ma solamente il trapassar del segno.
Quindi , onde mosse tua donna Virgilio»
Quattromila trecento e duo volumi
Di Sol desiderai questo concilio: lao
£ vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre, eh* io in terra fuqii.
La lingua, eh* io parlai, fu tutta spenta
Innanzi che airovra inconsumabile
Fosse la gente di Nembrotte attenta;
Che nullo affetto mai razionabile
Per lo piacere uman» che rinnovella
Seguendo '1 Cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è, ch*uom favella: i3o
Ma cosi o così » natura lascia
Poi fare a voi » secondo che v' abbella .
CANTO XXTL SS7
Pria eh* io scendessi alla infernale ambascia ,
Un scappellava in terra il sommo Bene,
Onde vien la letizia , che nii fascia •
Eli si chiamò poi ; e ciò conviene ;
Che Toso de' mortali è còme fronda
In ramo» che sen va, et altra viene.
Nel monte, che si leva più dall'onda,
FuMo con vita pura e disonesta 140
Dalla prim* ora a quella, eh* è seconda,
CSome '1 Sol muta quadra, alFora sesta.
■»i
359
CANTO VENTESIMOSETTIMO.
At^OMtlTTO H^
t
S. Pietro «nMHi dUMÌÉiu$ xeto ripretuiÉ altam^ntt i
€€ttÌ9Ì Pmstori: dopo eia i Sioui ìevandasi ìm Wro
diipmrven, e Dante séti «//« nonm tferm con Bemtri^
ce,, dm cui gli fu dimostratn U natura e proprietà
di f melt altissimo deh.
A.1 Padre» al Figlio , allo Spinta Santo
Cominciò gloria tutto U Paradiso ,
Sì che m'innebbriava il dolce canto.
Ciò 9 eh* io vedeva, mi sembrava un rìso
Dell* universo ; per che mia ebbrezza
Entrava per T udire e per lo viso.
O gioia! o ineffabile allegrezza I
O vita intera d* amore e di pace !
O sanza brama sicura ricchezza !
Dinanzi agli occhi miei le quattro face io
Stavano accese, e quella, che pria venne,
Incominciò a farai più vivace;
36o DEL PARADISO
E tal nella sembianza sua divenne ,
Qual diverrebbe Giove , s* egli e Marte
Fossero augelli, e cambiassersi penne.
^ La provedenza, che quivi comparte
Vice et uficio » nel beato coro
Silenzio posto avèa da ogni parte»
Quand^io udi^; Se io mi trascoloro.
Non ti maravigliar; che, dicendMo, ao
Vedrai trascolorar tutti costoro .
Quegli, ch^ usurpa in terra il luogo mio»
Il luogo mio , il luogo mio , che vaca
Nella presenza del Figliuol di Dio ,
Fatto ha del cimiterìo mio cloaca
Del sangue e della puzza, ondeU perverso.
Che cadde di quassù , bggiù si placa •
Di quel color , che. per lo Sole avverso .
Nube dipinge da sera e da mane ,
Yid^ io allora tutto U Ciel cosperso • 3o
£ come donna onesta , che permane
Di se sicura, e per T altrui fallanza
Pure ascoltando timida si fiane; .
Così Beatrice trasmutò sembianza :
Ertale eclissi credo che *n Ciel fue.
Quando pati la suprema Possanza .
1 La ProTid«iisa^
CANTO XXVIL 36i
Pòi procedetter le parole sue
Con voce tanto da se < transmutata »
Che la sembianza non ^i. mutò piue:
Non fu la Sposa di Cristo allevata 40
Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
Per essere ad acquisto d^oro usata:
Ma per acquisto d*esto viver lieto
E Sisto, e Pio ^ Calisto, et Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra *ntenzion , eh* a destra mano
De* nostri successor parte sedesse ,
Parte dalP altra del popol Cristiano;
Ne che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo , So
Che contra i battezzati combattesse;
Ne eh* io fossi figura di sigillo
A privilegi venduti e mendaci,
Ond*io sovente arrosso e disfairillo .
In vesta di pastor lupi rapaci
Si veggion di quassù per tutti i paschi .
O difesa di Dio, perchè pur giaci!
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
S*apparecchian di bere • O buon principiò ,
A che vii fine convien che tu caschi ! 6q
36» DEL FA&ADISO
Ma falu proTideoza» che cob Scipio
Difine s Roma la gloria axA mondo»
Soccorra tosto, ti compio coocipio:
£ tu, figliiiolt che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai, aprì la bocca,
E non nasconder qoel, eh" io non nascondo.
Sì come di vapor gelati fiocca
In gioso Taer nostro, qoando 1 corno
Della Capra del CUL col Sol si tocca;
In sn vid*io con Tetere adorno 70
Farri, e fioccar di vapor trionfimti^
' Che fiitto svèn con noi qoivi soggiOTno.
Lo viso mio segmva i sno^ sembianti,
E segni fin che '1 mezzo per lo molto
Gli tolse U trapassar del più avanci:
Onde la donna, che mi vide asciolto
Dell'attendere in sn, mi disse: Adima
U viso, e guarda come tn se* volto.
Dairora, chMo avea guardato prìma,
Tvidi mosso me per tutto l'arco, 80
Che fa dal mezzo al fine il primo clima ;
Si eh* io vedea di là da Cade il varco
Folle d'Ulisse, e di qua presso il li to,
Nel qual si fece Europa dolce carco :
I Che fatto avoan.
CAUTO XtTIt 363
E più mi Hum dìfloowito il tita
Di qmuu aiMla ; ma ì Sol praeedea
Sotto i miei piedi im segno e più partito «.
La mente inaamwata, che donnea
CSon la mia donna sempre » £ ridine
Ad està gli occhi piò che mai ardea. 90
£ se natura, o arte fe'pasture
Da pigliar occhi per aver la mente»
In carne nmana» o nelle sue jMntnre,
Tutte adunate parrebber niente
Ver lo piacer divin» che mi rìftike ,
Quando mi volsi al suo viso ridente.
£ la virtù, che lo sguardo m^ indulse.
Del bel nido di Ijcda mi divelse,
. £ nd Giet velocissimo m'impulse*
Le parti sue vivissime et eccelse 1 00
Si uniformi son , ch^ io non so dire
Qual Beatrice per luogo mi scelse.
Ma ella , che vedeva U mio disire ,
Incominciò ridendo tanto lieta,
C!he Dio parea nel suo volto gioire :
La natura del moto, che quieta
Il mezzo, e tutto T altro intomo muove.
Quinci comincia, coma da sua meta.
364 ^^^ PARADISO
E questo Cielo non ha altro dove»
Che la mente divina ^ in che s^accende no
L'amor, che 'l volge, e la virtù, ch^ei piove.
Lnce et amor d' un cerchio lui comprende ,
Si come questo gli altri, e quel precinto
Colui, che '1 cinge, solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto;
Ma gli altri son misurati da questo,
SI come diece da mezzo e da quinto •
fi come '1 tempo tenga in cotal testo
Le sue radici, e negli altri le fronde,
Omai a te puot* esser manifesto. iso
O cupidigia, che i mortali affondo
Si sotto te, che nessuno ha podere
Di litrar gli occhi fuor delle tu* onde !
Ben fiorisce n^li uomini U volere ;
Ma la pioggia continua converte
In boxauicchioni le susine vere •
Fede et innocenzia son reperte
Solo ne' pargoletti : poi ciascuna
Pria fugge, che le guance sien coperte.
Tale balbuziendo ancor digiuna, . t3o
Che poi divora con la lingua sciolta
Qualunque cibo per qualunque luna :
CANTO XXYII. 365
£ tal balbuziendo ama, et ascolta
La madre sua^ che con loquela intera
Disia poi di vederla sepolta.
Così si fa ÌBf pelle bianca nera
Nel primo aspetto della bella figlia
Di quei, eh* apporta mane, e lascia sera.
Tu , perchè non ti facci maraviglia ,
Pensa che 'n terra non è chi governi, 1 40
Onde si svia F umana famiglia •
Ma prima che Gennaio tutto sverni ,
Per la centesroa, eh' è laggiù negletta,
Ruggeran si questi cerchi superni,
CShe la fortuna, che tanto s'aspetta.
Le poppe volgerà u^son le prore.
Sì che la classe correrà diretta :
£ vero frutto verrà dopo U fiore.
367
CANTO VENTESIMOTTAVO.
Argomento
Dice il PoeiM che vide un punto ttutitmte acutissima
luce 9 m cui €t intèrno aggimvansi naoe cncki; ed erm
Dio stante nel menstc dei nave cori degli Angeli: indi
Beatrice gli spiega come i cerchi di fuel mondo in*
telligihile corrispondano alle sfere del mondo sensi*
hile^ e segue poi a ragionargli deUo Angeluhe g$m
tarchiem
ir oecìa che ^ncontro alla vita presente
De^ miseri moitali apwse *1 vero
Quella » che ^mparadisa la mia mente ;
Come in ispecchio fiamma di doppiero
Vede colui 9 che se n*allama dietro»
Prima che Tabbia in vista » od in pennero»
£ se rivolve , per veder se *1 vetro
Li dice U vero» e vede ch'el s'accorda
Con esso, come nota con soo metro;
Così la mia memoria si ricorda, io
ChMo feci riguardando ne* begli occhi.
Onde a pigliarmi fece Amor la corda :
363 DEL PARADISO
E com' io Oli rivolsi, e furon tocchi
Li anfii da ciò, che pare in ({nel Yoliniie»
Quandunque nel suo giro ben s'adocchi.
Un punto vidi, che raggiava lume
Acuto sì, che '1 viso, ch^egU affuoca.
Chiuder conviensi per lo forte acume.
E quale stella par quinci più poca.
Parrebbe Luna locata con esso , ao
Come stella con stella si colloca.
Forse cotanto, quanto pare appresso
Allo cigner la luce , che *1 dipigne ,
Quando *1 vapor, che'l porta, più è spesso.
Distante intorno al punto un cerchio d^ igne
Si girava si ratto, ch*avrìa vinto
Quel moto , che più tosto il mondo eigne :
E questo era d^ un ahro circuncinto ,
£ quel dal terzo, e 1 terzo poi dai quarto.
Dal quinto U quarto, e poi dal sesto il quinto .
Sovra ' seguiva 1 settimo si sparto * ( 3o
Già di larghezza , che U messo di Inno
Intero a contenerlo sarebbe arto.
Cosi r ottavo , e U nono ; e ciascheduno
Più tardo si movea , secondo eh* era
In numero distante più dall^ uno :
I ten giTA
CANTO ZXYIIL 369
£ quello avea la fiamma più sincera.
Cui men distava la favilla pura.
Credo, ' perocc\iè più di lei s'invera.
La donna mia, che mi vedeva in cura 40
Forte sospeso, disse: Da quel punto
^ Depende il Cielo , e tutta la Natura .
Mira quel cerchio, che più gli è congiunto,
E sappi, che '1 suo muovere è sì tosto
Per l'affocato amore, ond'egli è punto.
Et io a lei: Se U mondo fosse posto
Con Tordine , ch^ io veggio in quelle ruote.
Sazio m'avrebbe ciò, che m'è proposto:
Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le volte tanto più divine, 5o
Quant'elle son dal centro più remote.
Onde se '1 mio disio dee aver fine
In questo miro et angelico tempio.
Che sqIo amore e luce ha per confine.
Udir conviemmi ancor, s come l'esemplo
E r esemplare non vanno d* un modo ;
Che io per me indarno a ciò contemplo.
Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia.
Tanto per non tentare è fatto sodo. 60
I però che pl& % Dipenda 3 perchè retempto
Dante T.IT. «4
570- DEL PARADISO
Così la donna mia; poi disse: Piglia
Qaelt ch'io ti dicerò, se vnoi ' sasùaiti»
Et intorno da esso t* assottiglia .
Li cerchi corporai sbno ampi et arti ,
Secondo '1 più e *I men della virtate .
Che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute :
Maggior salute maggior corpo cape.
S'egli ha le parti ugualmente compiute.
Dunque costui , che tutto quanto rape 7a
L'alto Universo seco, corrisponde
m
Al cerchio , che più ama , e che più sape •
Per che se tu alla virtù circonde
La tua misura , non alla parvenza
DeUe sustanzie, che t'appaion tonde »
Tu vederai mirabil convenenza '
Di maggio a più , e di minore a meno
In ciascun Cielo a sua Intelligenza.
Come rimane splendido e sereno
L'emisperio dell'aere, quando soffia 8c
Borea da quella guància, ond'è più leno.
Perchè si purga , e risolve la roffia ,
Che pria turbava, si che '1 Ciel ne ride.
Con le bellezze d' ogni sua parroffia ;
■' « « ■
f tcienziartiy
CANTO ZXVIIL fji
Cosi fee* io; poi che mi provvide
Iia donna mia dei suo risponder chiaro »
E come stella in Cielo il ver si vide.
E poi che le parole sue * restaro»
Non altrimenti ferro disfavilla »
Che bolle, come i cerchi sfaviUaro. 90
Lo *ncendio lor seguiva ogni scintilla :
Et eran tante, che *1 numero loro.
Più che *1 doppiar degli scacchi , s^ immilla .
Io sentiva osannar di coro in coro
Al punto fisso, che gli tiene àffabi^
E terrà sempre , nel qual sempre foro;
E quella , che vedeva i pensier dubi
Nella mia mente disse : I cerchi primi
T* hanno mostrato i Serafi e i Cherubi «1
Così veloci seguono 1 suoi vimi , 1 00
Per simigliarsi al punto quanto ponno,
E posson quanto aVfder son sublimi.
Quegli altri Amor, che dintorno gli vonno.
Si chiaman Troni del divino aspetto ,
Perche U primo ternaro terminonno.
E dei saver, che tutti hanno diletto
Quanto la sua veduta si profonda
Nel vero, in che^i queta ogn' intelletto.
I ristarò y
3j% DSL PARADISO
Quinci si paò veder come si fonda
L'esser beato nell'atto, che vede, no
Non in quel ch'ama, che poscia seconda:
£ del vedere. è misura mercede.
Che grazia partorisce, e buona voglia:
Così .di grado in grado si procede •
L'altro ternaro, che così germoglia
In questa primavera sempiterna.
Che notturno Ariete non disp(^lia ,
Perpetualemente Osanna sverna
Con tre melode, che suonano in. tree
Ordini di letizia, onde s* interna. lao
In essa gerarchia son le tre Dee ,
Prima Dominazioni , e poi Virtudi :
L'ordine terzo di Podestadi ee.
Poscia ne^ duo penultimi tripudi
Principati et Arcangeli si girano:
L'ultimo è tutto d'Angelici ludi.
Questi ordini di su tutti rimirano,
£ di giù yincon sì, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutti tirano.
£ Dionisio con tanto disio i3o
A contemplar questi ordini si mise»
Che li nomò, e distinse» com' io.
CANTO XXYIIL S7S
Ma Gregorio da lui poi si divise :
Onde si tosto, come gli occhi aperse
In questo Ciel» di se medesmo rise.
E se tanto segreto ver profferse
Mortak in terra » non voglio ch^ammiri;
Che chi 'ì vide quassù glie! discoverse
Con altro assai del ver di questi giri.
Its
CANTO VENTESIMONONO
r
Argomento
Bemtri€€ a Dmnte discorre imorno la ertazionu degli
Angeli: quindi si fa a riprender i Predicatori, che
iraecurando il Vengelo predicano se stesti^ ed usano
scherzi disconvenevoli alla santità del loro Aposto*
lieo ministero. Seguita poi a favellar delle sostanze
Angeliche*
N^uando ambodao li figli di Latona
Coverti del Montone e della Libra
Fanno dell* orizzonte insieme zona ,
Quant^è dal punto, che '1 zenit inlibra»
Infiii.che Tuno e T altro da quel cinto»
Cambiando Temisperio» si dilibra»
Tanto col volto di rìso dipinto
Si tacque Beatrice , riguardando
Fisso nel punto» che m'aveva vinto.
Poi cominciò: Io dico, non dimando io
Quel, che tu vuoi udir, perch'io Tho visto
Ove s'appunta ogni ubi et ogni quando.
y
S;« BEL FAEADISO
Non per aTere a se di bene accjoisto,
Ch^esaer non poò, ma perchè sao splendore
Potesse rìsplendendo dir Subsisto,
In soa eternità di tempo fbore, (<iac»
Fuor d^ogni altro comprender, com^ei piac-
S'aperse in nuovi Amor T etemo Amore.
Ne prima quasi torpente si giacque ;
Che ne prima , né poscia procedette ao
Lo discorrer di Dio sovra quest* acque.
Forma, e materia congiunte e purette
Uscirò ad atto, che non avea fallo.
Come d'arco tricorde tre saette:
E come in vetro, in ambra, od in cristallo
Bag(»io risplende si, che dal venire
All'esser tutto non è intervallo;
Così '1 triforme effetto dal suo sire
Neir esser suo ra^ò insieme tutto
Sanxa distinzion neU' esordire. 3o
Concreato fu ordine, e costrutto
Alle sustanzie, e quelle fur on cima
Nel mondo, in che puro atto fu produtto.
Pura potenzia tenne la parte ima :
Nel mezzo strìnse potenzia con atto
Tal vime, che giammai non si divima.
CANTO XXIX. - 377
leronimo vi scrisse lungo tratto
Be' secoli degli Angeli creati 9
Anzi che V altro mondo fosse fatto •
Ma questo vero è scrìtto in molti lati 40
Dagli Scrìttor dello Spirito Santo:
E tu lo Tederai , se ben ne guati :
£ anche la ragion lo vede alquanto »
Che non concederebbe che i motorì
Sanza sua perfe2lon fosser cotanto.
0/ sai tu dove» e quando questi Amori
Furon creati » e come ; sì che spenti
Nel tuo disio già son tre ardori.
Né giugneriesi numerando al venti
Sì tosto, come degli Angeli parte So
Turbò ^1 suggetto de^ vostri alimenti •
L'altra rimase, e cominciò quest'arte,
Che tu discerni, con tanto diletto.
Che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
Superbir di colui ^ che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli, che vedi qui, furon modesti
A riconoscer se della bontate,
' Che gli avea fatti a tantointender presti : 60
37» l>BL PARADISO
Per che le viste lor faro esaltate
Con grazia ilinmiBante, e eoa lor merto.
Si ch^haono jneoa e fenoa Yolootate.
E aoa voglio che dobbi, ma de certo.
Che ricever la grazia è oierìtoro,
Secoodo che l'affetto gli è aperto.
Ornai diatomo a questo coosistoro
Paoi cootemplare assai , se le parole
Mie soa ricoke, seoz* altro aiutoro.
Ma perchè *a terra per le vostre scuole ^^
Si l^;ge , che T Aogelica oatora
È tal, che 'otende, e si ricorda, e vooto;
Ancor dirò, perchè tu veggi para
La verità, che la^à si confoade.
Equivocando in si fatta lettura.
Queste sustanzie , poi che fur gioconde
Della faccia di Dio, non volser viso
Da essa, da cui nulla si nasconde :
Però non hanno vedere interciso
«
Da nuovo obbietto, e però non bisogna So
Rimemorar per concetto diviso.
Sì che laggiù non dormendo si sogna ,
Credendo e non credendo dicer vero :
Ma nell'uno è più colpa e più ve^ogna.
CAUTO XXIX. 979
Voi non andate giù per un sentiero»
Filosofando : tanto vi trasporta
L^amor dell' apparenza » e U sno pensiero*
Et ancor qaesto quassù si comporta
Qoo men disdegno, che quando è posposta
La divina Scrittura, e quando è torta • 90
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondo , e quanto piace
C!hi umilmente con essa s'accosta.
I*er apparer ciascun s* ingegna , e fkce
Sne invenzioni, e quelle son trascorse
Da* predicanti, e 'i Vangelio si tace.
Un dice , che la Luna si ritorse
Nella passion di Cristo ^ e iMnterpose,
Per che '1 lume del Sol giù non sì porse ;
St altri, che la luce si nascose loc
Da se ; però agi* Ispani et agl'hindi ,
Com* a^ Giudei, tale eclissi rispose.
Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi,
Quante sì fatte favole per anno
In pergamo si grìdan quinci e quindi;
Sì che le pecorelle, che non sanno,
Tornan dal pa^co pasciute di vento »
£ non le scusa non veder lor danno.
38o DSL PARADISO
• I.
Non disse Cristo al suo primo Cooyento;
Andate^ e predicate al mondo ciance» no
Ma diede lor verace fondamento.
£ ^el tanto sonò nelle sue guance;
Si eh'' a pugnar , per accender la Fede »
Deir Evangelio fero scudi e lance .
Ora si va con motti, e con iscede,
A predicare, e pur che ben si rida •
Gk>n6a il cappuccio, e più non si richiede.
Ma tale ticcel nel becchetto s^ annida ,
Che se 'l vólgo il vedesse , vederebbe
La perdonanza, di che si confida, ' lao
Per cui tanta stoltezza in terra crebbe ,
Che sanza pruova d' alcun testimonio
Ad ogni promession si convei'rebbel
Di questo 'ngrassa U porco santo Antonio,
Et altri assai, che son pe^o che porci.
Pagando di moneta sanza conio •
Ma perchè sem digressi assai, ritorci
Gli occhi oramai verso la dritta strada t
Sì che la via col tempo si raccorci •
Questa Natura si oltre s^ ingrada 1 3o
In numero , che mai non fu loquela , *
Né concetto mortai, che canto vada.
CANTO XXIX. 381
E se tu guardi quel » che si rivela
Per Daniel, vedrai che *n sue migliaia
Determiaato numero si cela •
La prima luce , che tutta la raia ,
Per tanti modi in «ssa si rìcepe 9
Quanti son gli splendori, a che s* appaia.
Onde, perocché all'atto, che concepe^
Segue r affetto , d* amor la dolcezza 1 40
Diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi Teccelso ornai , e la larghetta
Deir eterno valor , poscia che tanti
Speculi fatti s'ha, in che si spezza ,
Uno manendo in se come davanti.
38S
CANTO TRENTESIMO.
Argomento
Dante sale eon Beairiee ài ct#/o Empino, ò9*ella adop*
noui di sorprendenie ineffaUl helUzxa. Quivi il Pot"
ia dopo unm misteriosa visione giunge a veder chiars^
mente il trionfo degli Afigeli e delle Anime éeate:
gli 9Ìen poi dalla sua guida mostrata la mdtitudina
degli Eletti, e tampiezxn della santa Città di Dia.
Jr orse setnila miglia di lontano
Ci ferve Torà sesta^ e questo mondo
China già T ombra quasi al letto piano»
Quando M mezzo del Cielo a noi profondo
Comincia a farsi tal , che alcuna stella
Perde *1 parere infino a questo fondo:
£ come vien la chiarissima ancella
Del Sol più oltre , così *1 Ciel si chiude
Di vista in vista infino alla più bella :
Non altrimenti "1 trionfo , che lude i o
Sempre dintorno al punto, che mi vinse.
Parendo inchiuso da quel, che egrinchiude.
384 ^^^ PARADISO
A poco a pòco al mio veder si stinse :
Per che tornar con gli occhi a Beatrice
Nulla vedere, et amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda »
Poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza, ch'io vidi, si trasmoda
Non pur di là da noi , ma certo io credo, ao
Che solo il suo Fattor tutta la goda .
Da questo passo vinto mi concedo
Più che giammai da punto di suo tema
Soprato fosse comico , o tragédo ;
Che come Sole il viso, che più trema.
Così lo rimembrar del dolce riso
La mente mia da se medesma scema •
Dal primo giorno , eh' io vidi '1 suo viso
In questa vita infino a questa vista ,
Non hJ^l seguire al mio cantar preciso: 3o
Ma or convien , che U mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza poetando.
Come all^ ultimo suo ciascuno artista •
Cotal, qualMo la lascio a maggior bando.
Che quel della mia tuba , che deduce
L'ardua sua materia terminando.
CANTO XXX. 385 ]
Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò: Noi semo asciti fuore
Dei maggior corpo alCiei, ch^è pura luce.
Luce intellettual piena d'amore, 40
Amor di vero ben pten di letizia.
Letizia, che trascende ogni dolzore.
Qui vederai l'una e l'altra milizia
Di Paradiso, e Tuna in quegli aspetti.
Che tu vedrai all' ultima giustizia.
Come subito lampo , che discetti
Gli spiriti visivi, sì che priva
Dell'atto rocchio di più forti obbietti;
Cosi mi circonfulse luce viva , '
E lasciommi fasciato di tal velo So
Del suo fulgor, €he nulla m* appariva.
Sempre l'amor, che qneta questo Cielo,
Accoglie in se così fatta salute
Per far disposto a sua fiamma il candelo.
Non fur più tosto dentro a me venate
Queste parole brievi , eh' io compresi
Me sormontar di sopra a mia virtute;
E di novella vista mi raccesi
Tale, che nulla luce è tanto mera.
Che gli occhi miei non si fosser difesi : 60
Dàittè t. il aS
' 386 DEL PARADISO
£ vidi lume in forma di riviera
Fulvido di fulgore intra dao rive
Dipinte di mirabil primavera •
Pi tal fiumana uscian faville vive ,
È d^ogni parte si < metten ne' fiorì »
Quasi rnbin, che oro circonscrive:
Poi come inebriate dagli odori
Rìprofondavan se nel miro gurge,
E s'una entrava, un^ altra n* ascia fuori.
L'alto disio, che mo tMnfiàmma et urge 70
D^aver notizie di ciò, che tu vei.
Tanto mi piace più , quanto più turge .
Ma di quest^ acqua convien che tu bei.
Prima che tanta sete in te si sazii :
Così mi disse U Sol dé^li occhi miei.
Anche soggiunse: Il fiume, e li topazii,
Ch* entrano et escono, e U rider dell* erbe
Son di lor vero ombriferi prefazii :
Non che da se sien queste cose acerbe ;
Ma è difetto dalla parte tua, 80
Che non hai viste ancor tanto superbe.
Non è fantin , che si subito rua
Con volto verso il latte , se si svegli
Molto tardato dall' usanza sua ,
I mettesn ne* fiori,
CANTO XXZ. 387
Come fee' io» per far migliori spegli
Ancor degli occhi chinandomi all'onda»
Che si deriva, perchè vi s*immegU«
£ sì come di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie, così mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda* 90
Poi, come gente stata sotto larve.
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua, in che dbparve.
Così mi si cambiaro in maggior feste
Li fiori e le faville , si eh' io vidi
Ambo le Corti del Ciel manifeste.
O isplendor di Dio, per cu^io vidi
L*alto trionfo del regno verace.
Dammi virtù a dir com' io lo vidi.
Lume è lassù, che visibile face 100
Lo Creatore a quella creatura ,
Che solo in lui vedere ha la sua pace :
£ si distende in circular figura
In tanto , che la sua circonferenza
Sarebbe al Sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
Reflesso al sommp del mobile primo.
Che prende quindi vivere e potenza •
388 BEL PARADISO
E come clivo in acqua di suo imo
Si specchia quasi per vedersi adorno, i io
Quanto è nel verde e ne* fioretti opimo;
Si soprastando al lume intorno intorno
Vidi specchiarsi in più di mille soglie.
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno.
E se r infimo grado in se raccoglie
SI grande lume, quant*è la larghezza
Di questa rosa nell'estreme foglie?
La vista mia neir ampio e neir altezza
Non si smarriva , ma tutto prendeva
Il quanto, eU quale di quella allegrezza. 120
Presso e lontano li né pon , né leva ;
Che, dove Dio sanza mezzo governa»
La legge naturai nulla rilieva.
Nel giallo della rosa sempiterna ,
Che si dilata , rigrada , e ' ridole
Odor di lode al Sol, che sempre verna,
Quaf è colui , che tace e dicer vuole.
Mi trasse Beatrice, e disse: Mira
Quanto è U convento delle bianche stole!
Vedi nostra Città quanto ella gira! i3o
Vedi li nostri scanni si ripieni ,
Che poca gente ornai ci si dbira •
1 redole
CANTp XXX. Mo
«
In quel gran seggio , <a che tu gli occhi tieni
Per la corona , che già v*è su posta ,
Primacbè tu a queste nozze ceni ,
Sederà Talma, che fìa giù Àgosta,
Dell^alto Arr^o, eh* a drizzare Italia
Verrà, inprima ch'ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che v* ammalia.
Simili fatti v'ha al fantolino, 140
C!he muor di fame e caccia via la balia:
E fia Prefetto nel foro divino
Allora tal, che palese e coverto
Non anderà con lui per un cammino .
Ma poco poi sarà da Dio sofferto
Nel santo uficio; ch'el sarà detruso
Là , dove Simon mago è per suo mertO:,
E farà quel d* Alagna esser più giuso.
391
CANTO TRENTESIMOPRIMO.
Argomento
Osserva ti Poeta con also stupore la gloria ée^ felici Com^
prensori: indi rivolto a Beatrice assisa in suo trono
le rende grazie de' sommi benefit da lei ottenuti . In
fine per avviso di S. Bernardo riguarda la Regina del
Cielo, la quale spargendo bellissimi splendori gioiva
tra U feste ed i cantici degli Angeli.
1 n forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa ,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa .
Ma P altra, che volando vede e canta
La gloria di Colui, che la 'nnamora,
E la bontà, che la fece cotanta.
Si come schiera d' api , che s' infiora
Una fiata , et una si ritorna
Lày dove suo lavoro sMnsapora,
Nel gran fior discendeva , che s'adorna i o
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là, dove il suo amor sempre soggiorna ,
39a DEL PARADISO
Le facce tutte < avèn di fiamma viva ,
E Pale d'oro, e T altro tanto bianco.
Che nulla neve a quel termine arriva .
Quando scendean nel fior di banco in banco ,
Porgevan della pace e dell'ardore,
C Vegli acquistavan ventilando U fianco.
Né lo 'nterporsi tra *1 disopra e '1 fiore
Di tanta plenitudine volante 20
Impediva la vista e lo splendore ;
Che la luce divina è penetrante
Per r universo, secondo ch'è degno.
Si che nulla le puote essere ostante .
Questo sicuro e gaudioso regno
Frequente in gente antica et in novella
Viso et amore avea tutto ad un segno .
Trina luce, che in unica stella
Scintillando 9 lor vista sì gli appngn ,
Guarda quaggiuso alla nostra procella. 3 e
Se i Barbari venendo da tal plaga.
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra
Rotante col suo figlio , ond^elP è vaga ,
Veggendo Roma e V ardua su' opra
Stupefacènsi , quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra ;
I are ali di fiamma
CANTO XXXL 393
Io, che al diTÌno dall^ umano.
All' eterno dal tempo era renato ,
E di Fiorenza in popol giusto e sano ,
Di che stupor doveva esser compiuto ! 40
Certo tra esso e M gaudio mi facea
Libito non udire, e starmi muto.
E quasi peregrin , che si ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir com* elio stea.
Si per la viva luce passeggiando
Menava io gli occhi per li gradi
Mo su, mo giù, e mo ricirculando.
Vedeva visi a carità suadi
D* altrui lume fregiati , e del suo riso, 5o
Et atti ornati di tutte onestadi .
La forma general di Paradiso
Già tutta il mio sguardo avea compresa ^
In nulla parte ancor fermato fiso,
E volgeami con voglia riaccesa
Per dimandar la mia doùna di cose.
Di che la mente mia era sospesa •
Uno intendeva , et altro mi rispose :
Credea veder Beatrice, e vidi un sene
Vestito con le genti gloriose . 60
3<>4 DEL PARADISO
Diffbso era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia in atto pio.
Quale a tenero padre si conviene ;
Et: Ella ov*è? di subito diss* io;
Ond^egli: A terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del luc^o mio :
E se riguardi su nel terzo giro
Del sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono, che i suoi merti le sortirò.
Sanza risponder gli occhi su levai , 70
E vidi lei, che si facea corona
Riflettendo da se gli eterni rai.
Da quella region , che più su tuona ,
Occhio mortale alcun tanto non dista ,
Qualunque in mare più giù s* abbandona.
Quanto lì da Beatrice la mia vista :
Ma nulla mi iacea; che sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
donna, in cui la mia speranza vige,
E che soffristi per la mia salute 80
In Inferno lasciar le tue vestige.
Di tante cose, quante io ho vedute.
Dal tuo podere, e dalla tua bontate
Riconosco la grazia e la virtute •
CANTO XXXL 39S
Tu m^ hai di aervo tratto a iibertate
Per tutte quelle rie» per tutt* i modi ,
Che di ciò fare avean la potestate •
La tua magnificenza in me custodi ,
Si che r anima mia, che fatt^hai sana»
Piacente a te dai corpo sì disnodi • 90
Cosi orai; e quella sì lontana,
. Come parea , sorrise , e rìguardommi :
Poi si tornò ali* eterna fontana;
£ ^1 santo Sene : Acciocché tu assommi
Perfettamente , disse , il tuo cammino ,
A che prego, et amor santo mandommi,
Vola con gli occhi per questo giardino;
Che veder lui t' accenderà io sguardo
Più al montar pc^ lo raggio divino :
E la Regina del Cielo , ond' io ardo . 1 00
Tutto d^amor, ne farà ogni graxin ,
PerocchMo sono il suo fedel Bernardo.
Quale è colui , che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra ^
Che per l'antica fama non si sazia ,
Ma dice nel pensier fin che si mostra :
Signor mio Giesà Cristo Dio verace.
Or fu Si fatta la sembianza vostra ?
yqf> D£L PARADISO
Tale era io mirando la vivace
Carità di colui» che ^n questo mondo 1 1 o
Contemplando gustò di quella pace :
Figliuol di grazia , questo esser giocondo ,
Cominciò egli » non ti sarà noto
Tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo;
Ma guarda i cerchi fino ai più remoto ,
Tanto che veggi seder la Regina ,
Cui questo regno è suddito e devoto •
Io levai gli occhi: e come da mattina
La parte orientai deir orizzonte
Soverchia quella , dove '1 Sol declina ; i io
Cosi, quasi di valle andando a monte»
Con gU occhi vidi parte neUo stremo
Vincer di lume tutta T altra fronte :
E come quivi, ove s^ aspetta il temo.
Che mal guidò Fetonte, più s^ infiamma,
E quinci e quindi il lume è fatto scemo ;
Così quella pacifica Oriafiamma
Nel mezzo s' avvivava , e d^ ogni parte
Per igual modo allentava la fiamma;
Et a quei mezzo con le penne sparte 1 3^/
Vidi più di miirAngeli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore» e d*arte.
CANTO XXXI.
397
Vidi quivi a^ lor giuochi et a' lor canti
Ridere una bellezza , che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri Santi :
E s* io avessi in dir tanta divizia
Quanto ad immaginar 9 non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia»
femardo, come vide gU occhi miei
Nel caldo suo calor fissi et attenti »
Gli suoi con tanto afiètto volse a lei 9
Che i miei di rimirar fé* più ardenti •
T40
399
CANTO TRENTESIMOSECONDO .
Aegomekto
H santo Ahatt Bimardo dimoitrm mi Pottm Pùrdine ed
il compartimento de' seggi y in cui stavano i Santi
così dei vecchio, come dei nuovo Testamento; e prin^
cipaimente gii fa osservare r altissima gloria di Ma^
ria Vergine, e gli eccelsi posti de' Santi piò rag*
guardevoli.
A £Petto al suo piacer quel contemplante
Libero uficio di dottore assunse »
E cominciò queste parole sante:
La piaga, che Maria richiuse et unse,
Quella, eh* è tanto bella da* suoi piedi,
"È colei, che T aperse e che la punse.
Nell'ordine, che fanno i terzi sedi.
Siede Rachel di sotto da costei
Con Beatrice, sì <:ome tu vedi.
Sarra, Rebecca, ludit, e colei, la
Che fu bisava al Cantor, che per doglia
Del fallo disse Miserere mei^
y
CANTO XXXil. 40<
Or mira Talto provveder divino;
Che Funo e T altro aspetto della fede
Igualmente empierà questo giardino:
£ sappi, che dal grado in giù» che fiede 40
A mezzo 1 tratto le duo discrezioni.
Per nullo proprio merito si siede,
Illa per l'altrui, con certe condizioni;
Che tutti questi sono spirti assolti
Prima ch'avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti.
Et anche per le voci puerili.
Se tu gli guardi bene, e se gli ascolti.
Or dubbi tu , e dubitando sili :
Ma io ti solverò forte legame. So
In che ti stringon li pensier sottili.
Dentro air ampiezza di questo reame
Casual punto non puote aver sito.
Se non come tristizia, o sete, o fame;
Che per eterna legge è stabilito
Quantunque vedi, sì che giustamente
Ci si risponde dall'anello al dito:
£ però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa:
£ntrasi qui più e meno eccellente. 60
Dante T.IL a6
4oa DEL PARADISO
Lo R^, per cai qoesto r^;no pausa
In tanto amore et in tanto diletto ,
Che nolla volontade è di più ausa^
Le menti tutte nel suo lieto aspetto
Creando, a suo piacer di graiia dota
Diversamente; e qni basti T effetto:
E ciò espresso e chiaro vi si nota
Nella Scrittura santa in que' gemelli.
Che nella Madre ebber Tira commota.
Però , secondo TI color de* capelli 76
Di cotal grazia , V altissimo lume
Degnamente convien che s* incappelli .
Dunque sanza mercè di lor costume
Locati son per gradi diflPerenti ,
Sol differendo nel primiero acume •
Bastava sì ne* secoli recenti
Con r innocenza, per aver salute.
Solamente la fede de^ parenti :
Poi che le prime etadi fur compiute ,
Convenne a*maschi airinnocenti penne, 80
Per circoncidere, acquistar virtute;
Ma poi che U tempo della Grazia venne,
Sanza battesmo perfetto di Ceisto,
Tale innocenza laggiù si ritenne •
/
CANTO XXXIL 4o3
Riguarda ornai nella faccia » eh* a CnisTo
Più 8* assomiglia; che la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo.
Io vidi sovra lei tanta allegrezza
Piover portata nelle menti sante
Create a trasvolar per quell'altezza, 90
Che quantunque io avea visto davante.
Di tanta ammirazion non mi sospese»
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante •
E queir amor, che primo li discese.
Cantando Ji^e, Maria j gratia piena ^
Dinanzi a lei le sue ale distese.
Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata Corte ,
Si eh* ogni vista sen fé* pia serena •
O santo Padre, che per me comporte ico
L* esser quaggiù , lasciando *1 dolce loco.
Nel qual tu siedi per eterna sorte ,
Quarè quell*Àngel, che con tanto giuoco
Guarda negli occhi la nostra Regina
Innamorato sì, che par di fuoco ?
Cosi ricorsi ancora alla dottrina
Di colui, eh* abbelliva di Maria,
Come del Sol la stella mattutina ;
404 ^^'Y PAlADISO
Et e^t a me: Bakkzza e kgg^adria.
Quanta fSKrpooce in Ai^eloetinaIiBa,iio
Totta è in lai, e si ▼olem ehe sia ;
Perch* <^ è quegli, die portò b patita
Giaso a Maria, qoacdo 1 Fi^Iinol di Dio
Carcar si Tolse delb nostra salma .
Ma Vienne ornai con gli occhi ^ s compio
parlando , e nota i gran patrici
questo Imperio " giustissimo e pio.
Quei duo , che sq^gon kssà più felici ,
Per esser propinquissiml ad Augusta ,
Son d'està rosa quasi due radici. lao
Colui, che da sinistra le s" adusta,
i 1 Padre, per lo cni ardito gusto
L* umana specie tanto amaro gusta.
Dal destro vedi quel Padre vetusto
Di sanla Chiesa , a cqi Cristo le chiavi
Raccomandò di questo fior venusto.
£ que\ che vide tutt'i tempi gravi.
Pria che morisse , della bella sposa ,
Che s* acquistò con la lancia e conciliavi.
Siede lungh^esso; e lungo l'altro posa i3o
Quel Duca, sotto cui visse di manna
La gente ingrata, mobile, e ritrosa.
T grandisaime e pio.