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J S^ù.o
TICKNOR-DANTE COLLECTION
?&arbarìi Collrfle librarg
The Heirs of George Ticknor,
PROFESSOR IN HARVARD COLLEGE
x8x7-x835
Received October 28, 1896.
X
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LA DIVINA COMMEDIA
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G>
LA DIVINA COMMEDIA
DI
DANTE ALLIGHIERI
RICORRETTA
SOPRA QUATTRO DEI PIÙ AUTOREVOLI TESTI A PENNA
DA
CARLO WITTE
BERLINO
RIDOLFO DECKER STAMPATORE DEL RE
MDCCCLXIl
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^ J^'^.'^o
28 oct. lauo.
BOUMD «AH ;,M ittiji
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AL
PIÙ PROFONDO ILLUSTRATORE DELLA RECONDITA DOTTRINA
DI DANTE
SUA MAESTÀ
IL RE GIOVANNI DI SASSONIA
OMAGGIO UMILMENTE OFFERTO
DALL' EDITORE
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PROLEGOMENI CRITICI
MOLTK VOLTK TAGLIA
PIÙ E MKGLIU UNA CHE LE CINQUE SPADE.
PARAU. XVI. 7.
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iNel corso di quattro secoli, o poco meno più di trecento edizioni della Divina
Commedia vennero alla luce, molte delle quali si vantano di darne il testo
«nuovamente corretto» e purgato di mende. Veramente non pochi di questi
editori erano assai valenti , e posero grandissime fatiche a rendere al sacro poema
la genuina piu'ità. Considerando questo, si stenta a credere che per Y emenda-
zione del libro di Dante vi possa rimanere altro che V umile lavoro di spigolatore.
Eppure anche le più diligenti fatiche di quegli editori non ottennero applausi
unanimi*), e chi dagli uni fu esaltato al cielo per aver mondato il divin carme
di tante e tante macchie che lo sfigurarono nelle edizioni anteriori, da altri fu
accusato come sfacciato adulteratore di esso. Nemmeno nell' età nostra
r autorità di quattro distinti Accademici della Crusca bastò per far adottare
generalmente il testo da essi restituito nel 1837. Finalmente tutte le persone
intendenti concordano a dire che un' edizione di Dante, fatta come si dovrebbe,
rimane sempre lavoro da intraprendersi ancora.
') Mehls Vita Ambro^ii CamcUdulensis p, 176 • Saepenumero mecurn ipse rnirari soleo, inter
irti praestantissimos viros, qui Dantis Comoediam conlcUis in unum exemplaribus emendaruìU . , . neminem
fnisse , qui provinciam bene admini^traverit. «
B
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Le quattro prime edizioni^) della Commedia, nuovamente riprodotte a
spese di Mylord Warren Vernon, tanto benemerito degli studi Danteschi, non
sono che copie letterali di codici, non scelti con giudizio critico, ma casual-
mente capitati in mano a chi ne intraprese la stampa. Anche gli errori più evidenti
furono ripetuti nella stampa, quali giaceano nel testo a penna. II giudiziosissimo
Panizzi, che sopraintese alla riproduzione di queste stampe, confessa che abbon-
dano tutte di ridicoli farfalloni, che gli stessi errori solenni, i medesimi strafalcioni
madornali, che solo un ignorante compositore poteva commettere, si ritrovano
nelle due di Foligno e di Napoli (Tuppo). »> Non ardirei veramente « — continua
il dotto bibliotecario del Museo Britannico — «affermare che la edizion di
Foligno sia tra le antiche la migliore, « e vi aggiunge «la edizione Napolitana
non esser sempre copia servile , comecché pur troppo spesso lo sia^ della edizione
del Numeistertt (Fulginate). Più sfavorevole ancora è quanto ei dice dell' edi-
zione di Federigo Veronese: «Quella di Jesi è certo zeppa d' errori grossolani
*) Non vi annovero quella del Zarotto (Parma 1473) giudicata dubbia dal De Batines
(Bibliogr. Dantesca I. 18), benché la registri anche il Zeao (Lettere. Ven. 1785. ITI. 78).
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XI
di stampa; e forse, supera in questo le altre tre, che pur esse ne hanno in ab-
bondanza. Le omissioni in questa edizione sono molte e notevoU.a Venendo
finalmente all' ultima delle stampe del 1472 dice il Panizzi: »La edizione di
Mantova è quella che par corretta con maggior cura delle altre tre; ed è quella
il cui testo sarei disposto, generalmente parlando, a preferire. « — Le mie pro-
prie ricerche mi fanno aderire a quanto asserisce il Panizzi, non essendo sfuggito
nemmeno a questo dotto bibliografo, T esistere una qualche parentela fra le
stampe di Mantova e di Jesi, e fra quelle di Foligno e di Napoli. Si aggiunga
che anche nella Mantovana, benché meno scorretta delle altre, i manifesti er-
rori e spropositi sono assai frequenti. — Simile sarà il giudizio da farsi sulla
seconda edizione Napolitana (di Mattia Moravo, 1477), e sulla rarissima Veneta
del maestro Filippo, ossia di C. Lucio Lelio del 1478, benché per avventura un
poco meno scorrette di quelle prime.
Cure molto più assidue posero Vendelino da Spira (oppure Cristof Be-
rardi Pesarese ) e Martino Paolo Nidobe ato alle celebri edizioni da essi procu-
rate, le quali si possono dire le prime ripurgate da quegli errori materiaU che
offendono il lettore a prima vista. Osservandole con maggior attenzione, la Ve-
neta del Vendelino, che ti mette sott' occhio la » volgata» del maggior numero
dei codici buoni, ma non antichissimi, si troverà anche più libera di taU nei,
mentrechè la Nidobeatina * ) ha conservate non poche lezioni sue proprie che
rimontano a un tempo anteriore allo stabiUmento di quel » testo volgato«. Ciò
non ostante, credo che sbaglierebbe chi volesse supporre che \ uno o V altro
di quei valentuomini abbia fatto confronto di diversi testi a penna, per isceglierne
le lezioni migliori; anzi sono persuaso che la lode da essi meritata non è da
riferirsi che alla buona elezione del testo a penna che ciascheduno di essi con-
segnò ai suoi compositori per riprodurlo materialmente.
') Nella sua prefazione dice ilNidobeato: • Miraius vim carminis , vicem ejus iticblui , giiod
in tonfa imprimentium copia, guibus magna Italia Germaniaque et totus p-ope orbis exuberatj nemo
illius accìiraiiìts imprimendi animum curamve susceperit,^
B •
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XII
Il primo a fare un lavoro veramente critico sulla Commedia di Dante
sembra essere stato il Landino nella celebratissima stampa di Lorenzo della
Magna (1481), riprodotta, senza mutamenti essenziali, per cinque o più volte nel
corso degli ultimi due decennj del secolo. Veramente il vanto principale che il
Landino si attribuisce nella sua dedica alla Signoria di Firenze sembra ridursi
air avere spurgato il testo dei tanti idiotismi che i copisti vi aveano intrusi,
piegando la Ungua di Dante al dialetto loro proprio^): ma pure sembra fuori
di dubbio eh' egli abbia confrontato alcuni buoni codici, prescegliendone quelle
lezioni che sembrarongU corrisponder meglio tanto al senso, quanto al genio
di Dante. Troviamo assai spesso che dove 1' edizione Aldina, seguita dalle
posteriori, si allontana dai testi, i quaU generalmente le servono per regola, la
lezione da lei adottata proviene dal Landino.
L'Aldina del 1502 si può dire fondamento di tutte le stampe del libro di
Dante , che nel corso di tre secoU e mezzo , e sino al giorno d' oggi furono fatte
in Itaha e fuori. InnumerevoU per certo sono le correzioni, ovvero i guasti che
vi fecero i posteri, ma il fondo materiale del testo rimase sempre intatto 1' Aldino.
Si è creduto quasi sempre che per questa edizione il celebre tipografo Veneto
si sia prevalso dell' opera del Bembo. Nuovamente se n' è voluto dubitare,
massime dal Foscolo^), il quale, dopo di aver addotto due passi, riportati
nelle Prose di un modo differente dalla stampa Aldina, conchiude: » L'Aldo
non decretava il testo da se, o senza i consigli del Bembo; ma non segui vali,
e stava al più de' pareri dell' Accademia eh' essi avevano fondata allora
a promovere la emendazione de' codici nelle stampe. L' autorità del Bembo
' ) > Questo solo voglio affermare , d' aver liberato il nostro cittadino daUa barbarie di
molti esterni idiomi, ne' quali da' comentatori era stato corrotto. Ora avendo io ridotto questo
volume alla sua sana e vera lettura, è paruto mio officio l'appresen tarlo a Voi , acciocché
sia dopo lungo esilio restituito nella sua patria, e riconosciuto non essere né Romagnuolo. né
Lombardo, né degli idiomi di coloro che lo hanno comentato, ma puro Fiorentino.*
') Discorso sul testo sez. 205.
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xni
ancor giovine, quarantacinque (si corregga: 34) anni innanzi eh' ei fosse cardi-
nale, non era da tanto che contrappcsasse il giudizio di molti. « Il codice Va-
ticano No. 3197 *) decide pienamente la quistione. Per chi conosce il carattere
del Bembo non vi può rimaner dubbio alcuno, che la notizia posta in fronte
di questo volume: «Tutte le poesie del Petrarca e del Dante. Scritto in papiro
di mano del Bembo, in foglio « sia verissima. Sul principio della Divina Com-
media il Bembo annotò il giorno che diede mano al lavoro: ^^Sexto Jul. MDIyn
nel quale, come si rileva dalla nota finale, non ispese che un anno e venti
giorni: ^Finitus in Recano^), rure Herctdis Stì^ozzae^) mei. Sept(imo) KL Attg.
MDILii Ora questo codice, a cominciar dal frontispizio sino all' ultimo verso,
conviene letteralmente colla stampa Aldina terminata pochi giorni dopo quel 26
di Luglio. L' istessissima ortografia, i segni di puntatura, d' apostrofazione e di
accenti si ritrovano tanto nell' uno che nell' altra. Si vede dunque che l'Aldo
avea cominciato a stampare, quando il Bembo era ancora nel bel mezzo del la-
voro, che foglio per foglio sarà stato spedito da Raccano a Venezia. Assai grave
errore è quello del Manzi, il quale dando notizia alFANxoNi*) di questo codice,
gli scrisse: »V' è un esatta copia « (del codice creduto di mano del Boccaccio)
«nella Vaticana di mano di esso Bembo, che si vede fatta anno 1502, tutta di
mano sua.« Basta confrontare qualche dozzina di versi per conoscere che fra
l'Aldina e il codice detto del Boccaccio vi è veramente un' affinità grande, ma
che pure gli esempj di dissenso non sono ne rari, ne di poco rilievo.
Una ripetizione quasi letterale del testo del Bembo, benché non senza
qualche variazione, si trova in un codice di data recente, che dalla libreria Ca-
' ) De Batines Bibliografia Dantesca II. 180. No. 341.
') Sarà la villa di Raccano, celebrata da Tito Vespasiano Strozzi, padre di Ercole,
sotto il nome di: »rt« Pelosellae*.
') Il poeta, molto amico del Bembo (Lettere di M. Pietro B. Verona 1743. III. 1.),
che fu ammazzato nel 1508.
* ) Prefazione all' ediz. della Div. Comm. Roveta 1820. p. 29.
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XIV
nonici passò alla Bodleyana di Oxford'). Altri codici, come il Parigino, Fonds
de rés. No. 7 del 1456 (de Bat. No. 433), i Riccardiani No. 1045 e 1036 (de Bat.
No. 139, 137), il Parmigiano della bibl. Ducale No. 361 (de Bat. No. 236), un
Trivulziano senza numero, e i tre congiunti fra loro di stretta parentela: Riccard.
1049 b (de Bat. No. 133), Harleyano del Museo Britannico 3460 (de Bat. No. 478)
e Mantovano della bibl. Bagno (de Bat. No. 243) concordano per molte lezioni
principali, senza che la simiglianza si possa dire essenziale. AH' incontro bisogna
ammettere, che quantunque il cod. detto del Boccaccio si allontani in gran nu-
mero di passi dal testo Aldino, esso ne forma come il fondamento principale.
Non so quanta fede sia da prestarsi all' asserzione del Manzi che questo codice,
ora conservato anch' esso nella Vaticana, No. 3199 (de Bat. No. 319) sia perve-
nuto «nella fine del secolo XV. in mani di Pietro Bembo con altri (??) scritti
del Petrarca «; ma quel che pare innegabile, si è che grandissimo numero anche
di manifesti errori sia passato da esso nell' Aldina, e da questa nelle edizioni
posteriori insino alle ultime, non eccettuandone nessuna. Che il Bembo si sia
dato molta fatica ad esaminare numerosi codici, ed a fare una scelta critica fra
le raccoltene lezioni mi sembra poco probabile. Veramente i piaceri della
villeggiatura non vi sarebbero convenuti troppo bene, ne im anno vi sarebbe
bastato. Sappiamo inoltre dalle sue lettere^) che anche nel corso di questo
tempo la Sua Eminenza futura non era di residenza continua a Raccano, e che
il suo cuore era occupato di tutt' altro che di critica.
Benché l'x^ldina, servendo di base ad innumerevoli edizioni posteriori, abbia
ottenuto un' autorità senza pari, già pochi anni dopo la sua pubblicazione le per-
sone più intelligenti non ne rimasero soddisfatte. Un dotto cultore di Dante,
per quanto si crede Vincenzo Borghini, confrontò cinque codici, notandone le
') No. 1 IO. De Batines Bibliogr. Dant. No. 494.
*) Volume IV. parte 2. Lett. 81. Ed. di Verona p. 225. Foscolo Saggi sopra il
Petrarca. Trad. di Camm. Ugoni. IV. 16. Na. *).
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XV
varie lezioni sui margini di una copia della seconda Aldina (1515) *) ora posseduta
dal Commendatore Antinoki. Se ne servirono gli Accademici del trentasette e
il Gigli nei suoi Studi sulla D. C. Lavoro consimile fu eseguito nel 1546 da
Baccio Valori, Benedetto Varchi ed alcuni altri amici, e ne dobbiamo la pubbli-
cazione al Gigli'-). Altre fatiche dell' istesso genere sono sparse in diverse libre-
rie (De Batines L 355). Una, di Lion. Salviati, ne additarono il De Bat. (I. 62)
e '1 Gigli (p. XXXVI. No. 1), un altra di Pier Vettori — un esattissimo confronto
di un codice, che potrebbe essere quello del Barb adori — si conserva nella
bibhoteca regia di Monaco. — Alessandro Vellutello dice nel proemio della
sua edizione: «aver trovato gli antichi testi a penna, ma più i moderni impressi
a stampa incorrettissimi, e sopra tutti quello impresso da Aldo Manucci che
appresso di tutti è stato in tanta estimazione, perchè avendolo, chi sotto nome
di correzione T ha quasi tutto guasto, dove non ha inteso, concio a suo modo,
e datolo (col Petrarca insieme, sotto il medesimo nome, in tal modo concio) ad
esso Aldo ad imprimere, egli, conjfidandosi nell' autorità del datore, impresse e
l'uno e r altro testo tale, qual di lui gli fii esporto. E di qua è nato di questa
Commedia uno inconveniente grandissimo, perchè quelU, che l'hanno da poi
impressa co' suoi comenti« (parla delle ristampe del comento di Cristof. Landino),
«pensando che Aldo abbia usato la diligenzia in questa, che egli usò nelle cose
latine da lui impresse, hanno lasciato i testi, sopra de' quali era stata cementata,
ed hannovi posto quello impresso da Aldo, il quale per tal sua incorrezione in
molti luoghi dice una cosa, ed il comento ne dice un' altra, che maggior incon-
veniente non porla esser.a
' ) Ottavio Gigli Studi sulla Div. Comm. p. XX Vili, riporta la seguente nota del
Borghini: »I1 testo stampato da Aldo ... mi riesce peggiore di tutti gli altri che erano stati
stampati innanzi, tal che comincio a pensare che sia stato corretto per coniettura a fantasia
di qualcheduno, che si può dire più giustamente corrotto.*
') Una «correzione di quattro testi* fatta da Cosimo Bartoli è registrata dal Kossi
frai libri consultati per V edizione del 1595.
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XVI
Tutte queste censure non impedirono gli editori del cinquecento di far
poca cosa per ridurre in istato migliore il testo di Dante. Taccio della seconda
Aldina, la quale non si distingue quasi dalla prima che per qualche cambiamento
negli apostrofi e buon numero di nuovi errori ^ ) ; taccio delle contraffazioni y fra
le quali annovero anche la Toscolana dei Benacensi. Fra tutte le altre, due
solamente sembrano aver un fondamento independente dall' Aldina, dico la
Giuntina del 1506, che malgrado queir independenza si discosta poco dall' Aldina,
e quella del Vellltello, che in gran parte ritorna al testo delle edizioni antiche.
Ecco quel che ne dice 1' editore: «Quanto alla correzione del testo ardirò dire,
che se '1 Poeta stesso risuscitasse, non la intenderebbe altramente lui, perchè,
avvenga che tutti gli antichi testi scritti a penna, ma più i moderni impressi a
stampa, per la ignoranzia degli scrittori ed impressori, o di chi li fece scrivere
od imprimere, sieno incorrettissimi, e specialmente lo impresso da Aldo, e gli
altri impressi allo esempio del suo, per la ragione detta di sopra, nondimeno
io con somma diligenzia ho cavato questo da diversi e più antichi testi, quelli
che di tutti gli altri meno si conoscano esser viziati. E dove ho veduto mancar
la sentenzia, o compreso esser alterata e fuori del proposito, ruminando diligen-
temente in quelli, ne sono venuto, secondo il fermo creder mio sulla verità « —
Assai di presso al Vellutello s'attenne Vincenzo Buon anni, nella sua edizione
dell' Inferno (1572), non meno sconcia per la bizzarrissima ortografia, che per le
strane lezioni qua e là ripescate dall' editore nei «quattro buoni testi a penna,«
eh' egli dice aver avuti.
Se il Vellutello si era lagnato degli editori che aveano accompagnato il
testo dell' una o dell' altra Aldina coi comenti del Landino, l' istessa sorte do-
*) Anche \ Aldina del 1502, benché molto più corretta, non è senza mende tipogra-
fiche. Eccone alcuni esempi: Inf. III. 105. ritrarser. XVII. 38. d' sto. XXXI. 24. nil maginare.
Purg. XI. 45. co tra. XVI. 103. malia. XVIII. 31. T anino. XIX. 64. ai i pie. XX. 26. povertà.
XXII. 84. nor fur. XXV. 49. Et guunto. XX Vili. 8. lo uolto. 73. la Leandro. 79. tienni XXIX. 411
discooso. 56. Al buor. 67. sin. canto. Par. I. 23. tamto. II. 104. lontanali: vedrai.
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XVII
veva toccare anche a lui. Tutte tre le edizioni del S anso vino (Venezia. Sessa.
1564, 1578, 1596) che riuniscono i conienti del Landino con quei del Vellutello,
ristampano il proemio di quest' ultimo con quanto vi si legge in vituperio di chi
fa (lire al testo una (fosa, ed al comento un' altra, e pure ripetono, con pochis-
sime eccezioni, il testo della seconda Aldina. Anche più servilmente ad essa si
attengono la stampa del de Tournes (Lione 1547) e le quattro Rovilliane (ivi
1550, 1551, 1571, 1575) colla contraffazione del 1554. Sbaglierebbe ancora
chi volesse prestar troppa fede a quanto afferma Lodovico Dolce nella dedica-
toria delle sue edizioni (Venezia 1555, 1569, 1578 ecc.): «Questo non tacerò,
che '1 testo in molti luoghi s' è diligentissimamente emendato, e ciò con uno
esemplare frascritto dal proprio scritto di mano del figliuolo di Dante, avuto dal
dottissimo giovane M. Battista Amaltheo.u Le varie lezioni registrate dal Dolce,
molte delle quali non sono che differenze di ortografia, sono in numero minore
di sessanta, e derivano in gran parte non dal codice del preteso figlio di Dante,
ma dalle stampe del Landino e del Vellutello. Quasi tutte si conoscono anche
d'altronde. Passo sotto silenzio il lavoro del Daniello (Venezia 1568). Vera-
mente vi si trova qualche rara mutazione del testo Aldino, e per lo più in
meglio , ma come il Daniello non dice donde le abbia ricavate , s' ignora in qual
conto esse siano da tenersi.
Perveniamo alla decantata edizione dell'Accademia della Crusca, o per
dir meglio di Bastiano de' Rossi ( »Lo 'nferrigno« ), segretario di essa (Firenze.
Manzani. 1595). La prefazione ci ragguaglia, che »la prima e la principale tra
le cagioni, che indussero gli Accademici ad imprender questa fatica, sia stata
r opera del vocabolario della nostra favella, « che allora aveano tra mano. Si
dolgono anch' essi, di aver trovato il divino poema «cosi lacero e malgoverno,
e da' copiatori, e dalle stampe, ed eziandio da' comentatori, che poco se ne
potessero in essa opera acconciamente servire, se prima non cercassero di sa-
narlo dalle sue piaghe«. Aggiungono poi di aver fatto in modo, che »e 1' autorità
e le ragioni, sopra le quali sian fondati i lor mutamenti, nel margine apparis-
c
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XVIII
sero palesi e chiaria. Si vede dunque che si trattava di una fatica meramente
filologica. —
Assai diversamente si e giudicato del lavoro degli Accademici del 95.
Mentrechè gli editori del seicento e di quasi tutto il settecento non credevano
poter far meglio che di ripetere letteralmente il testo del Manzani, e mentrechè
l' istesso Foscolo taccia le accuse fatte contra il testo dello 'nferrigno di «accuse,
che sanno di servitù che si vendica di tiranni scaduti« ^), queste accuse non ces-
sarono mai^), e i primi a non assogettarsi al parere di quella edizione »> citata»
erano i vocabolaristi, all' uso dei quali era stata fatta. Valgano per esempio
i passi citati sotto gli articoli » Caribo « e » Genero « che si leggono diversamente
e meglio nel vocabolario, che nell' ediz. del novantacinque. L' errore principale
di questi Accademici mi sembra essere: che invece di ricostruire tutto di pianta
il testo del divino poema, si contentarono di fare un qualche numero di mutazioni
air Aldina. Dice il Rossi: »La copia della quale per riscontro gli Accademici si
son serviti, da Aldo Y anno 1502 fii stampata Non hanno voluto sanza miglio-
ramento, mutar la stampa« (Aldina). «Le mutazioni sono nel margine di fuoii
e la parola . . . stampato è loro sempre avanti, e vuol dire, che lo stampato leg-
geva prima come nel margine.« Il Foscolo che ha contato queste mutazioni no-
tate in margine, le dice in numero di 465. Si avverta però che gli Accademici
mutarono assai spesso, senza di avvertirne il lettore. L' edizione nostra che
non registra i soli cambiamenti d' ortografia, indica per i cinque primi canti
sessantadue mutazioni dell' Aldina fatte nella stampa del novantacinque, men-
tre i margini di questa non ne suggeriscono che 45. Credo dunque che non
' ) Si paragonino per altro le accuse dello stesso Foscolo riferite più sotto a p.XXIV. Na.2.
^) DioNisi Aneddoto IV. cap. 33. p. 169. »Bastian de' Rossi, detto acconciamente al
fatto suo Flnferrìgno per difetto forse d'erudizione e di critica, o per malizia di stella al nostro
Dante nemica, finì di corromper nella famosa edizion Fiorentina del 1595 la div. Comm.: e coi
ponderoso e magnifico titolo di ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Crusca tanto
terrore incusse ne' Letterati, che ninno ardi d' aprir bocca per censurarla; tutti anzi alla cieca
seguironla nelle ristampe. «
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XIX
isbaglierebbe gran fatto, chi volesse determinare il numero delle variazioni dall'
Aldina, introdotte dagli Accademici, a circa 650, ossia a sei o sette per canto.
Se non mi appongo male, la presente edizione dimostra chiaramente che
un tal ninnerò non basta di gran lunga. Si troveranno moltissimi esempj di
lezioni, le quah, benché sostenute dal consenso quasi unanime dei codici, non
furono, non dico adottate, ma nemmeno mentovate dal Rossi'). Ella è dunque
cosa certissima, che se gli Accademici confrontarono veramente verso per verso
tutta la Div. Comm. nei codici che aveano a mano , e non si contentarono forse
di riscontrare in tale o in tal altro testo quei passi che ne credevano più degni,
almeno la maggior parte delle lezioni che doveano aver osservate fu da essi
soppressa.
Ma nemmeno nelle varie lezioni che giudicarono degne di registrarle si
conosce \m determinato principio da essi seguito. Dobbiamo al Rossi il Cata-
logo dei testi a penna »donde gli Accademici cavarono le correzionit< . Sono 51.
numerati, che il cinquantesimo (il comento del Buonanni) non è codice, ma
stampa. Veramente si può dire che siano testi 61, essendo che frai libri som-
ministrati da Luigi Alamanni e da Cosimo Bartoh si trovino i confronti già an-
teriormente fatti di altri 11. testi. Si aggiungano finalmente i testi della libreria
«intorno a quaranta «, e si conoscerà che gli Accademici potevano far ispoglio
di un centinajo di codici^). Nella prefazione si dice «il numero de' testi con-
cordi, così ne' mutamenti, come nelle varie lezioni. notate, esser dietro all' opera
registrato«. Se dunque alla lezione: »Vidi e conobbia, che si trova al verso 59.
') Eccone qualcheduno preso dai primi canti dell' Inferno: III. 74. «di trapassar parer»
per «parer di trapassar». IV. 59. «conio padre» per «con suo padre». 73. » onori e scienza»
per «onori ogni scienza». VIU. 7. «Ed io mi volsi» per «Ed io rivolto». X. 90. «con gli
altri sarei» per «sarei con gli altri». XI. 56. «vinco d' amor» per » vincol d' amor». XII. 121, 22.
•gente» — «Tenea» per «genti» — «Tenean». XIII. 85. «Perciò» per «Però». 144. «Mutò»
per «Cangiò».
^) Sbagliano dunque i nuovi Vocabolaristi (quinta impress, del 1843. Tavola de' testi
p. 64. Na. 87) dicendo, i testi a penna consultati per V edizione del novantacinque essere
stati «non meno di cinquanta».
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XX
Inf. in. «Guardai e vidi V ombra di colui «, si legge la nota: «testi la metà«,
si dovrebbe supporre che dei cento codici consultati dagli Accademici intorno a
cinquanta leggessero «Guardai e vidi«, e gli altri cinquanta «Vidi e conobbi«.
Ciò non ostante una tal supposizione sarebbe falsissima. I quattrocento e più
testi a penna, da me confrontati, o fatti confrontare per il terzo canto dell' In-
ferno comprendono senza dubbio, se non tutti, almeno la maggior parte dei
testi che servirono agli editori del novantacinque. Ora fra tutti questi il «Guar-
dai e vidi« non si trova che in nove, mentrechè gli altri poco meno di quat-
trocento hanno «Vidi e conobbi», e qualcheduno (de Bat. No. 232, e 247) «Co-
nobbi e vidi.K — Nel verso 114. dell' istesso canto gli Accademici mutarono il
testo Aldino («Vede alla terra tutte le sue spoglie «) in: «Rende alla terra« ecc.
Per appoggio di questa mutazione non citano che '1 solo testo 45. (del Giraldi).
Già per questo si conosce che gli Accademici non attendevano troppo ai prin-
cipii da loro nella prefazione emessi: «Potrebbe alcuna fiata parere, che più si
fossero gli Accademici valuti della openione, che dell' autoritàt avendo, o no-
tata varia lezione, o rimesso nel testo qualche parola, solamente con dieci o do-
dici testi y e talora meno, ma non è così: perciocché la quantità tralasciata è di
piggior lega, e in que' luoghi, infra se, tutta discordante, e le varietà della lor
lezione^ così frivole, e così scipite, che sarebbe stata una milensaggine il mento-
varle. « Qui dunque, in vece dell' autorità di dieci o dodici testi gli Accademici
si contentarono di quella d' uno solo, e la lezione degli altri, eh' è conforme
alla stampa dell' Aldo, non è ne frivola o scipita, ne discordante, che, ad ecce-
zione di pochissimi codici che leggono «Si vide a terra« oppure «A terra vede« ,
vi concordano quasi tutti, anche quelli di miglior lega. Dico «quasi tutti», non
credendo nemmeno esatta 1' asserzione degli Accademici, uno solo frai testi da
loro veduti essersi trovato colla lezione «Rende a terra». L' ho riscontrata in
non meno di quattordici testi (De Bat. 6, 45, 67, 113, 175, 185, 190, 277, 292,
315, 318, 499 a. (Dr. Nott), 523. ed Egerton No. 932.), tre dei quali sono della
libreria di San Lorenzo.
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XXI
Una pubblicazione recente del diligentissimo Gigli ci somministra nuove
ragioni di non prestar troppa fede al procedere critico degli Accademici. La
Magiiabecchiana di Firenze possiede il confronto originale di codici novantuno,
fatto dal Rossi per uso della sua edizione, e il Gigli ne stampò quanto si rife-
risce alle varie lezioni raccolte da Baccio Valori e dagli altri ragunati con lui
alla Pieve di San Gavino. Ora non solamente di gran numero di lezioni, re-
i^istrate dal Rossi in quello spoglio , non s' incontra vestigio alcuno nella stampa
del novantacinque, nemmeno di quelle che in » tutti «, o in «quasi tutti « da lui
erano trovate*); ma anche il numero dei testi, citati in favore dell' una o dell'
altra lezione è differentissimo nello spoglio, e nella tavola che sta in fondo della
stampa del 1595. Nel confronto della Magliab. la lezione »Vidi e conobbi»
(Inf III. 59.) si dice trovarsi in » tutti « testi; nella stampa non ne rimase che
»4ameta«. Lo spoglio non cita che 22. codici in favore del: »Noi pregheremmo
lui della tua pace« (Inf V. 92.), ma nella stampa del Manzani ne diventarono 35.
Nello spoglio si dice che nove soli testi, a differenza della lezione Aldina
(«L' acqua era bigia^i Inf VII. 103.), hanno o bvja, o bruna. La stampa invece,
adottando il «bujaa , pretende fondarsi suU' autorità di quarantotto codici.
Credo che questi esempi bastino per abilitare il Lettore a formarsi da se
un giudizio sul valore critico di questa celebratissima edizione, seguita in tante
e tante ristampe. Ancora nel 1807. Gaetano Poggiali ne disse: »A prescegliere
questo Testo ci ha determinati la somma perizia di quei Valentuomini, che con
tanto studio, e colla scorta dell' accurata edizione Aldina del 1502, e d' un gran
numero d' antichi codici manoscritti presero a stabilire la più plausibile lezione
(li questo maraviglioso Poema; onde fu esso testo da chi ha fior d^ ingegno ri-
guardato sempre come 1' ottimo«. Tanta è la fede, che, ben a torto, si porta
ai confronti del Rossi, che i critici quasi tutti non dubitano di argomentare
dalle varie lezioni da lui riferite, quale possa essere la lezione degli altri testi.
') Servano d'esempio i versi seguenti: Inf III. 126, IV. 70, VI. .38, VII. 86, Vili. 57,
IX. 53. e 89, XH. 89, XIII. 4.
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XXll
Vi diranno per esempio'): la tavola del Manzani cita cinque codici che hanno
(Inf. IL 81.) »Più non t' e ud cK aprirmi il tuo talento^ , dunque tutti gli
altri 95. sono in favore del: »Più non t' è wopo« ecc.: argomentazione, che
non potrebbe esser più erronea, e che sta in contraddizione colle stesse pa-
role del Rossi, dove egli chiama una »milensaggine<c il mentovare le lezioni
da lui credute frivole e scipite, ed infra se troppo discordanti. Sia dunque
detto una volta per tutte, che le conchiusioni critiche unicamente fondate sulle
notizie dateci dal Rossi sono malsicure quanto mai. L' aver egli riscontrata
una varia lezione in soli cinque codici, non prova in nessun modo che essa non
si trovi tale quale in altri cinquanta testi da lui avuti a mano, ma trascurati
a questo passo; molto meno dunque da una tal notizia si potrà dedurre accor-
darsi tutti gli altri codici alla lezione a fronte della quale egli registrò come
varia quella prima. Anzi, vi sarà puranche luogo da dubitare se i testi da lui
addotti in favore di una lezione siano veramente in concordia a riguardo di essa.
Si aggiunga finalmente, non darci il Rossi conto alcuno sul pregio intrinseco
dei testi da lui riscontrati, «intorno a quaranta» dei quali (quei di libreria)
non si citano come individui, ma (dove pur sono mentovati, lo che si fa assai
di rado) sempre collettivamente p. es. «libreria nove«. Trovando nell' edizione del
novantacinque, che »la metà dei testi « ha una qualche variante, rimaniamo
nel bujo assoluto, nella quale delle due metà si trovino quei »di buona lega«,
e nella quale la feccia delle copie dozzinali. Si renda dunque ogni giustizia
agli Accademici del gran merito di aver restituito alla vera lezione numerosi
passi della Commedia; ma si conceda nell' istesso tempo, il materiale critico da
essi registrato sui margini ed in fine del volume essere di pochissimo valore per
chi desidera di continuare il lavoro da loro solamente cominciato.
La stampa del Manzani è sfigurata da moltissimi errori. Se ne avvidero
gli Accademici, e cercarono di rimediarvi con un' Errata-corrige che abbiamo in
*) Perazzim correctiones et adnonat. in Dantis Comoed. Farad. XVI. 94.
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xxin
doppia forma. Alcune copie non registrano in due facciate che 54. errori; altre
in sei ne annoverano 162, numero che, anch* esso, non basta di gran lunga, per
notarle tutte ^) Quel primo catalogo non contiene che veri errori di stampa,
alcuni dei quali*) dall' edizione Aldina erano passati nella nuova. Il secondo
più esteso sembra, almeno in parte, frutto di nuovi studj sul testo di Dante,
trovandosi che non pochi dei cosi detti «errori occorsi nello stampare « siano
veramente correzioni del testo Aldino seguito nella stampa^).
Pochissimo vi è a dire sulle edizioni pubblicate nel corso dei seguenti
due secoli. Quelle del seicento*) riproducono il testo della seconda Aldina
con qualche mutazione presa dalla stampa del novantacinque. La più accu-
rata fra di esse sembra la Veneta del 1629. Il primo a riprodurre fedel-
mente il testo degli Accademici, ma senza l'apparato critico, fu Lorenzo Cec-
CARELLi (Napoli. Laino. 1716), il quale non trascurò di correggere gli errori
indicati dal Rossi. Assai più accurato ed utile riusci il lavoro di Antonio
Volpi ^) (Padova. Comino. 1727). In esso non solamente si trova tutto quanto
' ) Un esemplare di quest' ultimo genere non mi pervenne che dopo finita la stampa
deir edizione presente. Egli è per questo che sui margini di essa alcune lezioni erronee si
attribuiscono alla stampa Manzani, che si trovano corrette nell' errata- corrige più completo.
«) Inf. XXXI. 138. Purg. VIIL 4., Par. XUI. 136.
') Le nuove lezioni in questo modo introdotte sono le seguenti: Inf. XVI. 135. »0
scoglio." XXI. 21. »riseder.« XXV. 144. »se fior.» Purg. III. 18. «de' suoi* 50. »è una scala.«
XVIII. 110. «purché il sol.« XIX. 15. »le colorava* 99. ^ego fuL^ XXI. 45. «Esserci.* XXVIII.
17. »riceveano.« XXX. 70. »io trassi.* XXXIII. 59. «offende Dio.* Par. XXVI. 99. »la'nvogUa.«
Di tutte queste correzioni la prima e T ultima sono le sole giustificate coir autorità di testi
a penna. Aggiungo i passi nei quali la lezione registrata nella stampa presente è cor-
retta neir errata-corrige maggiore: Inf. XXIX. 27, XXXIl. 88, Purg. XU. 6, XIII. 47, XIV.
140, XVIII. 69, XX. 145, XXI. 30, XXIV. 130, XXV. 38, XXX. 68, 142, XXXIL 41, Par.
VI. 113, XII. 88. XXVIII. 20.
*) Non ne conosco che le tre descritte dal De Batines (bìbl. Dant. I. 101, 102). Una
quarta (Lione. Mascara. 1652.8.) si cita nella »Serie delle ediz. di D.* distribuita alcuni anni
sono dai libraji firateUi Negretti a Mantova.
*) Prefazione »ai lettori*: «Cento sessanta errori ch'erano in fine di essa* (dell' edi-
zione Manzani) «notati, ne abbiamo tolti via; e alcuni altri ancora, da noi osservati nel
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XXIV
è contenuto nelF edizione originale, ma le numerosissime mende di essa si ve-
dono con somma diligenza espurgate, puranche nei passi travveduti nell' errata-
corrige del novantacinque*), di modo che quasi tutti che da questo tempo in
poi volevano servirsi del testo degli Accademici, si contentarono della ^^ola
stampa Cominiana^). Niente affatto si fece per V emendazione del testo nelle
non poche edizioni che nel corso dei seguenti sessanta quattro anni vennero
alla luce. Anche le più ricercate fra di esse, come quelle del Venturi (1732)^).
Testo, e nelle Postille degli Accademici .... Si sono rimesse ne' lor siti varie Postille, che
nella Fiorentina erano fuor di luogo. In dette Postille sonsi distinte le citazioni de^li Autori
colla varietà de' caratteri, e si sono aggiunti ad esse contrassegni più esatti. Abbiamo notate
(e supplite ancora dove s' è potuto, coir ajuto del Testo Aldino dell' anno 1502. che fu ado-
perato dagli Accademici) molte Varie Lezioni, tralasciate per inavvertenza nella Fioren-
tina Finalmente nella Tavola delle Autorità de' Testi .... si sono accennate le man-
canze de' numeri delle stesse Autorità, che s' incontrano nella suddetta Tavola dell' Edizion
Fiorentina.»
*) Come esempio delle correzioni di errori grossolani della stampa Manzani, tacita-
mente fatte dal Volpi può servire il »Jepte« in vece di »Lepte« al verso 6G. del Farad. VI. —
Sbaglia per altro questo diligentissimo editore, che fu il primo ad apporre i numeri de' ve^rsi
per facilitare il riscontro delle citazioni, attribuendo 14230. versi (invece di 14213, anno-
verati dal Gelli Lettura I. Lez. 2. p. 77.) alla Commedia di Dante. È verissimo che i versi
dell' Inferno siano in numero di 4720; non meno corretto è quello del Paradiso (4758): ma
il Purgatorio, in vece di 4752, ne ha 4755. Noto di passaggio, i canti più brevi (di 115.
versi) essere il VI. e l' XI. dell' Inf, il più lungo (di 160. versi) il XXXII. del Purgatorio.
*) Kon so di quale ristampa si possa esser servito il Foscolo, che inveisce con tra
il povero Rossi per una lezione ignota tanto al testo Manzani, quanto al Cominiano (Inf.
XXVII. 41.): »I1 vero si è che si di questa scempia lezione, si di dieci cent' altre vuoisi ren-
dere grazie maravighose allo 'N ferrigno Segretario dell' Accademia. Costui sciagurato, che
oggi parrebbe un di coloro che mai non fur vivi, chiamavasi Bastiano Rossi, e soprainten-
dendo alla Edizione della Commedia, lasciò che i lavoratori dello stampatore in Firenze
straziassero il Testo di Dante a lor beneplacito, mentr ei (pur troppo) viveva tutto intento
a straziare la vita di Torquato Tasso, e poi la fama e la pace sua nel sepoloro.»
' ) » Abbiam seguito 1' Edizione autorevole della Crusca secondo l' esattissima ristampa
fatta in Padova da Gius. Comino, ma pure abbiam tal' ora variato qualche poco nell' inter-
punzione, massime togUendo alcune virgole importune, mentre anche a giudizio dell' erudi-
tissimo Sig. Volpi, che soprintese alla detta ristampa, le vi sono di più, e solo vagliono a
infrascare il feenso.»
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XXV
del Serassi (1752)'), e del Zatta (1757)^) non aspirano ad altra lode che a
quella di aver riprodotto fedelmente il testo Cominiano. Di tutte le altre ri-
stampe materiali basterà dire: »Non ragioniam di lor; non guarda, e passa. «
n primo a riassiunere dopo cento novanta sei anni gli studj critici sulla
Commedia di Dante fu il Padre Bonaventura Lombardi (Roma. Fulgoni. 1791).
Esponendo i suoi principj critici il dotto Francescano conviene pienamente con
tutti che vantarono i meriti degli Accademici del 1595; ma vi aggiunge che
r opera loro «avrebbe avuto vieppiù profittevole riuscimento, se, non contenti
dell' Aldina e de* manoscritti, steso avessero il confronto eziandio alle poche
edizioni fatte nel secolo anteriore: eh' essendo pur esse tratte da antichi mano-
scritti sparsi in differenti luoghi, potevano somministrare qualche utile divario«.
Asserisce poi, aver egli trovata »tale appunto 1' edizione fatta in Rlilano nel
1478 per Martin Paolo Nidobeato. Questa edizione, quanto dee meno alla diU-
genza degli stampatori, che fino di due intieri versi (Pag. XIX. 118, 119) lascia-
ronla mancante, tanto dee maggiormente alla bontà del MS. onde fu tratta:
imperocché, oltre al contener essa quasi tutto il bello e il buono che gU Acca-
demici hanno ripescato nella moltitudine de MSti., emenda poi da se sola altri
guasti moltissimitt. — Si conosce da queste parole il Lombardi essere stato de-
dito alla superstizione, generalmente diffusa frai filoioghi del secolo scorso, la
superstizione dico, che un' autorità maggiore sia da attribuirsi alle edizioni più
antiche che ai migliori testi a penna; superstizione oramai abbandonata quasi
') »Ho fatto riscontrar quest'edizione con quella di Firenze del 1595, citata nel Vo-
cabolario della Crusca, e con la Cominiana assai più della Fiorentina corretta ed accresciuta;
dalla cui lezione però io non mi sono voluto scostar pur un punto; benché per avventura
f atessi potuto fare in qualche luogo con la scorta d' un antichissimo testo a penna, che con
altri preziosi MSS. conservasi presso Monsign. Albani, dignissimo Arcidiacono di questa
Cattedrale* (di Bergamo. De Batines bibliogr. Dant. II. 126. No. 239). Sbaglia dunque il
dotto bibliografo francese nelF asserire (I. Ili), il testo Cominiano essere staio riveduto dal
Serassi sopra il codice Albani.
') «Nel testo del poema e nelle Varie lezioni .... ci siamo interamente attenuti ad essa
Cominiana diligentissima Edizione.*
D
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XXVI
da tutti. Un' edizione, ancora che sia la prima di tutte, la così detta principe.
non vale nulla di più, anzi meno (per gli inevitabili errori di stampa) che il co-
dice sul quale fu fatta. Per giustificare dunque la preferenza eh' egli crede poter
dare al testo del Nidobeato a paragone di quello degli Accademici, il Lombardi
doveva dimostrarci — non per mezzo d' un solo esempio (come cerca di farlo), ma
spiegandone tutte le particolarità distintive — per quali ragioni l' ignoto MS. del
Nidobeato sia da credersi più corretto che tutti i cento testi, esaminati dagh
Accademici^). Sinché un tal lavoro non si sia fatto, dovremo dire, ognuno dei
quattro- o cinquecento testi a penna avere diritto uguale a un' autorità decisiva,
ed essere un caso fortuito, se tale o tal altra lezione Nidobeatina si trova con-
validata, sottoponendola a un maturo esame critico.
Se poi quella preferenza richiamata dal Lombardi si volesse ammettere
come fondata, il suo modo di procedere sarebbe anche meno lodevole. L' as-
serzione del Batines (bibhogr. Dant. L 120.) aver seguito il Lombardi snella sua
edizione il testo della famosa Nidobeatina « è tanto lontana dall' esser accurata,
che quella stampa Romana ci rappresenta appena la quarta parte delle varie
lezioni somministratele dall' antica Milanese. Eccone la prova. Trascurando le
differenze di ortografia e i manifesti errori di stampa, la Nidobeatina nei primi
tre canti dell' Inferno esibisce all' incirca cinquanta lezioni almeno degne di esser
prese in considerazione. Di queste il Lombardi non addotto che undici^), ag-
giungendone (nella »Tavola« posta in fine del volume) una duodecima^) come
»pregiabile , essa pure contrassegnata per riporsi nel testo , e per errore omessa.»
Ora le altre sono tanto lontane dall' esser senza valore, che diversi editori più
' ) I testi a penna che ho trovato più somiglianti alla Nidobeatina, benché ne diflFe-
riscano ancora assai, non si distinguono per la correzione del testo. Sono i seguenti secondo
la numerazione del Batines: No. 106. (Magliab. VII. 940), 119. (ivi. Badia 2696), 22. (Lau-
renz. XL. 32), 260. (Trivulz. 3), 322. (Vatic. Capponi 266), 346 (Corsini. Rossi. 368), 381.
(Chigi. L. IV. 109), e 477. (Museo Britann. Harley. 3459).
») I. 4, 50, 64, 102, 118. IL 33, 50, 60. III. 17, 56, 80.
') III. 59.
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xxvir
recenti ne accolsero non poche nel testo, senza dubitarsi eh' esse si trovassero
nella Nidobeatina. Così fecero in due casi * ) gli stessi Accademici del trentasette.
Altre due^) già erano state adottate dal Dionisi. Undici di più^) ne approvò
il Viviani sulla fede del suo codice Bartoliniano. Una finalmente*) troviamo
neir edizione del Foscolo, ed un altra ^) in quella di Mauro Ferranti.
Il Lombardi, non contento della Nidobeatina, confrontò alcune altre stampe
del quattrocento (segnatamente quelle di Foligno e di Mantova del 1472, di
Vendelino da Spira. 1477, e del Landino. 1481 ) e non pochi testi a penna delle
librerie Romane. I codici più degli altri da lui esaminati sono i Corsiniani®).
Inoltre si trovano delle lezioni prese da alcuni codici Vaticani^), da due Casa-
natensi*), da due di casa Chigi®), da uno del Card. Garampi^^) e da due del
Cardinal Zelada, li quali per quanto si dice, sarebbero passati in Ispagna").
Si avverta però che questi venticinque o ventisei testi non furono consultati a
') I. 13. IIL 124 (»a trapassar lo rio«).
«) L 69, 122.
») L 26, 38, 80, 136. IL 17, 110. IIL 29, 30, 60, 74, 114.
*) L 28.
*) lU. 85. — Le rimanenti varie lezioni della Nidobeatina si leggono a I. 7, 88, 103,
115. n. 7, 18, 39, 43, 68, 104, 128. IIL 3, 58, 73, 87, 91, 100, 116, 117, 124 (»E son si
pronti* ).
•) I numeri seguenti, citati dal Lombardi, si rintracciano nei numeri del De Batines
appostivi in parentesi: Cod. Rossi 5. (347.), 61. (348.), 607. (349.), 608. (351), 610. (353.),
609. (354), 1217. (355). Inoltre sembra giusta Y osservazione del bibliografo francese (IL 190.
Na. 2.) che il No. 1265. del Lombardi sia identico col No. 1365. attuale (De Bat. No. 345.)
Quali poi siano i numeri del De Batines corrispondenti agli altri della Corsiniana mentovati
dal Lombardi: Rossi 127, 605, 611, 2263, B. C. e non numerato, io non ho saputo riconoscere,
') Sono i codd. Capponi 266, Vat. 3200, 2866, 3201, e Capp. 336. Corrispondenti ai
numeri 322, 327, 332, 335 e 336 del De Batines.
*) Il codice H. III. 5. è quello segnato dal De Batines col No. 344. L' altro, citato
come Z. III. 4. dovrebbe essere il 342.
•) L. VII. 251. e L. VL 212. (De Batines No. 379. e 385.)
'") Sembra che sia il codice, ora asservato nella bibliot. Gambalunga di Rimini. De
Batines No. 404. Luigi Tonini Mem. stor. int. Frane, da Rimini. Rim. 1852. p. 64 — 68.
'*) De Batines IL 211.
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XXVIII
norma di un certo sistema critico, ma a caso ed a capriccio, dove qualche
passo al Lombardi pareva dubbio e scabroso, ora V uno ed ora T altro. Anche
più dunque che pei confronti degli Accademici del 1595 si dovrà dire, dal non
citare il Lombardi in favore di una qualche lezione che un codice o due, non
potersi dedurre in verun modo, eh' essa non sia forse comune al maggior nu-
mero dei testi eh' egli aveva a mano.
L' impazienza dell' autorità in qualche modo tirannica, usurpata per due
secoli dal testo degli Accademici faceva accogUere con applausi quasi unanimi
la nuova edizione Romana. Veramente Y avere spurgato il testo di Dante di
non pochi errori, particolari alla stampa dell' Aldo ed ai manoscritti che le
aveano servito di fondamento, e di numerosi capricci di Bastiano de' Rossi, è
un merito che dobbiamo riconoscere dal Padre Lombardi. Ma si avverta che
nel medesimo tempo il nuovo editore, privo della scorta dei principj di una
soda critica, sostituì assai di spesso alla lezione dagU Accademici cavata dai
testi più antichi, un' altra più moderna, che dai codici più recenti era passata
nella Nidobeatina. Ciò non ostante 1' edizione Romana, ovvero testualmente,
oppure con qualche mutazione meno essenziale, fii riprodotta sovente.
Il primo a prenderla per modello fu il Portirelli nella collezione dei
Classici italiani (Milano 1804), non però limitandosi a quelle sole lezioni Nido-
beatine che il Lombardi aveva approvate , ma adottandone ancora un bel numero
di altre da esso trascurate*). Nei primi tre canti per esempio, oltre alle dodici
lezioni adottate dal Lombardi , il PortirelU segue il testo Nidobeatino in ventitre
altri passi; anch' esso però ne tralascia 14. lezioni, sette delle quali, suU' auto-
rità di altri testi, si trovano nelle stampe del Dionisi, del Viviani, del Foscolo
*) Prefazione: «Quantunque anche la Nidobeatina non vada esente da qualche macchia,
siccome nel tutto ci sembrò di gran lunga preferibile alle altre, noi ci siamo appigliati ad essa
Due cose però fa duopo avvertire; la prima che noi non ci siamo serviti dell' ediz.
Romana, ma bensì della stessa Nidobeatina; la seconda che noi abbiamo seguito il testo da
noi scelto più che non ha fatto T Anonimo Romano» (il P. Lombardi).
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XXIX
0 del Ferranti ' ). Non isbaglierebbe dunque di molto chi dicesse , che se il Lom-
bardi rende un quarto delle lezioni Nidobeatine, il Portirelli ne dà i tre quarti,
ma non più. Lo spoglio di varianti del codice di Monte Casino pubblicato dal
Padre Abate Costanzo sino dal 1801, non pervenne alle mani del Portirelli
che dopo terminata la stampa dell' Inferno. Egli lo mise a profitto per le due
ultime cantiche, e ne supplì le lezioni più importanti dell' Inferno nella Prefa-
zione al Purgatorio.
Le altre edizioni che presero ad imitare il Lombardi, lo seguirono anche
pili testualmente. Tale si è la seconda Romana, data alle stampe dal Poggioli
nel 1806'^), V edizione del Fernow, Jena. Frommann 1807'), quella di Romualdo
ZoTTi, Londra 1808*), e la terza Romana procurata nel 1810 in sesto minore e
con gran nitidezza di caratteri da Mariano de Romanis ^). Le riproduzioni mo-
derne del comento Lombardi cercarono quasi tutte di arricchirne V apparato
critico, o di emendare qualche passo del testo con nuovi confronti di codici
non esaminati dal Lombardi. La prima di esse fti data alla luce. in forma mag-
giore e con un quarto volume di aggiunte dall' istesso de Romanis assistito dal
Professore Pietro Ruga (Roma. 1815 — 1817). Oltre alle varie lezioni del codice
•) 1. 28, 38, 69, 136. U. 17. UI. 85, 114.
') Prefazione: »Si è stabilito di ristampare il testo adottato dal Lombardi, a riserva
tli al(!uni piccolissimi cambiamenti che si sono stimati necessarj per la sua più chiara intelli-
genza .... Si sono eziandio poste ai loro rispettivi luoghi le varianti lezioni del cod. Casinese.»
^ ) » Di questa edizione abbiam copiato il testo colla maggior fedeltà ed esattezza
Nelle dichiarazioni abbiamo aggiunte le lezioni varie di un antico testo a penna .... della
biblioteca di Monte Casino. «
*) «Avvertirò circa il testo, d' aver seguito in gran parte T edizione stampata in Roma
l'anno 1791 Non ho però si scrupulosamente seguita la sopraccitata edizione, da esclu-
dere le altre tutte.»
*) »Ho adottato la Lezione del eh. P. Lombardi E poiché nelF Indizione Romana
del 1791 erano scorsi nel Testo alcuni pochi errori di stampa, non avvertiti abbastanza, ho
procurato che di questi ancora venisse purgato.* — Non occorrerà rilevare lo strano errore
che indusse il De Romanis di asserire nella prefazione del 1820, che il testo di questa edi-
zione sia quello del Nidobeato.
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XXX
Casinese, inserite a suo luogo sulla fede del P. Costanzo, vi troviamo alcune
del codice Caetani, confrontato per la prima volta, benché un poco alla leg-
giera, dal Ruga. Forse una sessantina di queste lezioni fu introdotta nel testo,
stampandole però, per modo di contrassegno, in carattere corsivo.
I confronti di non meno che quattro testi a penna somministrarono ai
DE RoMANis un bel numero di nuove varianti per la terza sua edizione, pub-
blicata a Roma dal 1820 al 1822 in ottavo. Il codice più esattamente esami-
nato per questo scopo sembra esser il Vaticano No. 3199, da molti, come già
si disse, creduto scritto di proprio pugno del Boccaccio, Veramente le lezioni
di questo codice, quali si riferiscono dal de Romanis, sono qualche volta rese
con esattezza maggiore eh' esse non si trovano nella stampa di Roveta (1820),
che pretende rappresentare letteralmente il testo Vaticano * ). Il secondo codice,
confrontato per uso di questa edizione è Y Ant aldino primo, unico per quanto
sembra, dei quattro posseduti dal Marchese Antaldo Antaldi, che sia rimasto a
quella illustre famiglia Pesarese (De Batines No. 400). Lo spogUo delle varianti
fu fatto dalla contessa Monti -Perticari, ma il De Romanis trascurò di profittarne
per gli ultimi quattordici canti deU' Inferno, e non mantenne il » sacramento
fatto di ristamparle tutte in fine dell' opera«. Ancora più insufficienti sono le
varianti estratte da un codice Chigi ano ^). Vediamo dalla prefazione al Purga-
torio che il celebre Abate Fea, che le aveva notate tutte, ne fece dono al De
Romanis Ciò non ostante esso non se ne servì che dal quindecimo canto della
' ) Ecco alcuni passi del cod. Vatic. correttamente riferite nelf edizione de Romanis.
alle quasi si appongono in parentesi le lezioni erronee del Fantoni : Purg. XII. 78. • d' andar
sì sospeso» (Fant. »da gir si sospeso»), XIII. 79. »da quella landao (Fant. »da quella banda*).
XXL 127. »il mi' rider» (Fant. »al mi' rider»), XXIV. 4. «pare van cose morte» (Fant. «parean
cose rimorte»), XXIX. 44. «Falsava nel parete» (Fant. «Falsava nel parerte»), XXXII. 89.
»di po' 'l grifon» (Fant. «dopo il grifon«). Par. XVIII. 135. «tratto al martiro» (Fant. «tratto
a martiro»), XXUI. 3. «viso mio non la» (Fant. «viso mio che non la»), XXIV. 97. «T vidi
ipoi» (Fant. »r udi' poi»), XXIX. 136. «tanto la raia» (Fant. «tutta la raia«).
*) L. Vili. 294. (De Batines No. 382.) Questo codice non è da confondersi coi due dell*
istessa libreria, ([ualclie volta già consultati dalP. Lombardi. Vedi qui sopra pag. XX VII. Na. 9.
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XXXI
seconda Cantica in poi, e non pensò di darle a modo di supplimento per la
prima metà del poema. Ma puranche per gli ultimi cinquanta due canti 1' edi-
tore Romano non citò le nuove lezioni di questo manoscritto, che «quando gli
apparivano belle e speciose, o quando confermavano la lezione di Nidobeato,
0 la comune, o quando s' accordavano con gli altri famosi codici che avea fin
allora adoprati«. Non sembra che i termini nei quah il De Romanis credè do-
ver riferire le varianti del quarto codice (Angelica T. 6. 22. De Batines No. 357. ^)
siano molto più estesi Egli si hmita a dirne nella prefazione, »col favore di
questo buon ms. qualche dubbiezza essere stata schiarita, ed in alcuni luoghi
essere stato impossibile di non riformarne la lezione di Nidobeato « Un quinto
codice, allora posseduto da Mylord Glembervic, ed ora passato nel Museo Bri-
tannico (No. 10317. De Batines No. 503, 536), fu consultato per alcuni passi del
Paradiso. Con maggior cura fu «tutto nuovamente collazionato il codice Cae-
TANia. Mentre l'edizione del 1815 non ne recava nessuna variante pei tre primi
canti dell' Inferno, qui ne troviamo ventuna. Anche questo però non basta
di gran lunga. La nostra edizione, oltre all' aver adottate ventidue lezioni
del cod. Caetani, rifiutate dal De Romanis, ne riporta come varie sui margini di
questi tre canti non meno di altre trentuna. Alcune varianti del cod. Stuar-
DiANo (De Batines No. 504), che nel 1855. fo venduto per 127. Lire Steri.,
vennero riferite sulla fede del Biagioli (vedi qui sotto), altre di un codice ora
Palatino del Palazzo Pitti (De Batines No. 163) su quella del Poggiali. — Si
osservi inoltre che il sistema di contrassegnare con caratteri corsivi le mutazioni
fatte nel testo Lombardi, fu abbandonato in questa ristampa del 1820.
Gli editori della Minerva (Padova 1822, in cinque volumi) con modestia
lodevole non si vantano che di aver fedelmente ristampato il testo e 1' apparato
critico delle edizioni Romane^), non mutando nel primo che pochissimi passi,
' ) Il bibliografo Francese lo dice involato da qualche tempo,
') Chiamano però, col solito errore » lezione Nidobeatina « quella del Lombardi, ben-
ché non condita, come si è visto, che con iscarsissima dose di lezioni Nidobeatine.
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XXXIl
che giudicarono averne bisogno. Veramente arricchirono queir apparato di alciiot
giunte assai meritorie. Consultarono nominatamente i quattro testi a penna Jti
Seminario di Padova, e riferirono le varie lezioni del codice Estense, mentovai*
dal Parenti nelle sue Annotazioni al Dizionario del Cardinali. Confesso pin
che quelle tante giunte e sopraggiunte rendono un poco difficile a maneggiai*
quella vasta congerie di varianti.
Diverse ristampe dell' edizione Padovana furono fatte a Firenze ( Ciardet:
1830 ecc., e Passigli 1{?38, e 1840), a Napoli (1830, e Tramater 1843), a Pra:
(Passigli 1847 — 1852) e forse altrove. Non ne ho a mano che quella di Pm
L' unica cosa che vi trovo aggiunta di nuovo è 1' Appendice, raccolta da divers
libri per Pietro dal Rio, e non troppo ricca di notizie relative a varie lezioa
non ancora osservate.
Non credo dover registrare le molte ripetizioni del testo Lombardi, fe
o per mera speculazione di librajo, o per servir di base a qualche cornee;',
r autore del quale o poco o niente si curò di ricerche critiche. Tali sonila
moltissime stampe e ristampe della Commedia accompagnate del comento t
Paolo Costa. Si avverta però che già nella prima delle eccellenti sue ediziou
la quale non aggiunge al cornento del Costa che alcuno »note del nuovo ei>
torew (Firenze 1844), il Canonico Brunone Bianchi sostituì a questo testo queD
degli Accademici del 1837, mutato in qualche rara occorrenza.
Già fino dal 1786 (Aneddoto IL) il Canonico, Marchese Giovan Giaio:^-
DioNisi di Verona annunziò il suo progetto di una nuova edizione delle operf
di Dante, da eseguirsi per mezzo di un' «Accademia Veronese (piccola e pn-
vata)«. Il »Piano per una nuova edizioneu aggiunto a queir Aneddoto noni
mostra però che già in quel tempo Monsignor Dionisi abbia inteso pienamente
quali lavori, e massimamente quali riscontri di testi a penna fossero indisps-
sabili per questa impresa. Le ben molte osservazioni ortogi'afiche e grammati-
cali contenute in questo programma, non si riferiscono ad altre autorità, sepiir*
ne citano alcuna, che a quella delle stampe antiche, e bisognerà convenire A
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XXX III
se r edizione fosse stata eseguita in questo modo, sarebbe stata mancante di
un fondamento sodo. Due anni dopo (Anedd. IV.) il Dionisi doveva confessare
di » trovarsi fin adesso solo« per il progettato lavoro. Ciò non ostante egli in-
vocò di nuovo »gli uomini, di non volgare letteratura forniti, alcuni de quali
fuori cT Italia y non pochi dentro, e spezialmente a Firenze « perchè T ajutassero
neir ardua impresa, aggiungendovi: »Chi sarà sì discortese, che pregato con
tanto affetto stender non voglia in mio soccorso la mano? a II piano però, in
quanto si vede, non aveva subito in questo frattempo alcuna mutazione essen-
ziale. Veramente il celebre bibliotecario della Laurenziana — Angelo Maria
Bandini — aveva rivolta V attenzione del Dionisi agli inesauribili tesori delle
librerie Fiorentine, e V istesso quarto Aneddoto ne dà un bel saggio nelle Egloghe
di Dante e di Giovanni di Virgilio. Con tutto questo non sembra che il Dionisi
già avesse pienamente intesa la necessità del confronto dei testi a penna. Nei
due soli capitoli (25. e 26.) consacrati alla »nuova Edizione», si limita alle au-
torità anteriormente da lui citate, non mentovando che di passaggio il codice
di Santa Croce, erroneamente a più riprese da lui attribuito a Matteo Villani*).
Monsign. Dionisi confessa schiettamente nel quinto Aneddoto (1790), »non esser-
gli potuto entrar nella testa, che a riprodur il maggior Poema di Dante neces-
sarj gli fossero, come gli diceano i saggi suoi amici, i manoscritti di Firenze,
dopo lo studio già da lui fatto sulle migliori Edizioni e i più riputati Comenta-
tori, e anche sopra di Testi e Comenti a penna, che dal Sign. Abate Matteo-
Luigi Canonici, e dalla cortesia d' alcun altro gU furono communicati.» Appena
[)erò egli avea neir istate del 1789 esaminati con attenzione e senza pregiudizio
i manoscritti Fiorentini, massimamente quelli della Laurenziana, che pienamente
si ravvide, ed intese (cap. (>. ) «fra tutte le copie del divino Poema, per vec-
chiezza pregevoli e venerande, la più antica e la più tenace della lingua Dan-
tesca esser quella, che di mano dicesi di Filippo Villani «. Anche altri codici
') Pag. 139. Na. 2, Pag. 155. Na. 2, Pag. 185. Na. 3. 5.
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XXXIV
e conienti manoscritti farono da lui esaminati*); ma come ad autorità suprema
per r emendazione del testo della Commedia egli d' ora in poi ebbe sempre
ricorso al codice di Santa Croce, e senza dubbio le lezioni da esso desunte
formano il maggior pregio della splendida edizione nel 1795 da lui pubblicata
coi tipi Bodoniani, e poi tre volte ripetuta in sesto minore*).
Il Dionisi non pretese veramente di seguire in tutto e per tutto il codice
di Santa Croce; anzi, nei Prolegomeni (§ 36.) ci dà egli stesso per » fondo della
sua Edizione la celebre Fiorentina del 1595 o sia la ristampata dal Cornino di
Padova, o quella eh' egli chiama Volgata^), per essere in sostanza tutt' uno«.
Vi aggiunge, «non essersi scostato mai dal testo di essa, che per seguir da
presso, quanto potè, 1' autorità de' Manoscritti, e la scorta della ragione, dietro
al condotto de' canoni della Critica, e dell' altrui, e della sua propria espe-
rienza« *). Ciò non ostante 1' edizione del Dionisi rappresenta assai meglio il testo
detto di Filippo Villani che 1' edizione del Lombardi quello della Nidobeatina.
Esaminiamo anche qui li primi tre canti della Commedia. Non contando
le differenze ortografiche e gli aperti errori di scrittura, troviamo in questi tre
canti una sessantina di passi nei quali la lezione del codice di Santa Croce varia
da quella degli Accademici. Trentatre di queste lezioni furono da noi adottato,
altre 27. si trovano registrate sui margini dell' edizione presente. Ora non sola-
' ) Prolegomeni all' edizione del 1795 § 5. » Di tanti codici da me veduti appena tre-
dici leggono» (Par. XXXIl. 60.) y> Intra sè'^ tutti gli altri, Entrasi, Intrasi, Intrassi, e fin anche
Entrarsi. «
*) Mi sono servito della minore in quarto, Parma 1796, e dell' elegante ristampa,
32""., fatta dal Bettoni a Brescia (1810), che corregge qualcheduno dei pochissimi errori
occorsi nella prima.
') Non occorrerà dire che questa cosi detta Volgata delle stampe moderne è differen-
tissima dalla Volgata dei testi a penna, della quale più sotto si ragionerà.
*) Si confronti T Anedd. V. cap. 11. (1790.) «Mi dichiaro una volta per sempre, che
in tutto ciò che non sia per ragione da rifiutare, seguirò il codice di S. Croce, come quello,
che per esame e confronto ho trovato il più antico, e 1 men corrotto degli altri.»
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XXXV
mente diciassette*) di quelle trentatre, ma ancora sette*) delle altre, che da noi
furono rilegate fra le varianti, si trovano nel testo del Dionisi. Pure mi sem-
bra cosa più che dubbia, se il Dionisi abbia veramente confrontato parola per
parola quel testo, tanto, e con ragione, da lui lodato. Vi si trovano non poche
lezioni talmente opportune e convincenti, che se un tal lavoro gliele avesse
fatto conoscere, il dotto Canonico non avrebbe potuto far a meno di adottarle.
Veramente undici lezioni delle trentasei, ne' primi tre canti da lui neglette,
furono, sopra differenti autorità, accettate da editori più recenti^). Ciò che mi
conferma in questa mia opinione si è il veder andare scemandosi nel progresso
dell' opera il numero delle lezioni che dal codice di Santa Croce passarono nell'
edizione Parmigiana. Vediamo che dei sedici lezioni del codice, che nell' ultimo
canto della Commedia da noi furono adottate, sette sole^) si ritrovano nel testo
Dionisi, alle quali si possono aggiungere due^) delle cinque, che riportiamo
come varianti. Grandissimo per altro deve essere stato lo studio posto da Mon-
signore a diciferare la scrittura primitiva del codice, alterata e guasta in cen-
tinaja di passi da chi, pretendendo correggerla, raschiando distrusse la lezione
antica e buona, e vi sostitm la moderna e falsa®).
Questi meriti evidenti e vistosi non valsero però al Dionisi un' accoglienza
ti'oppo favorevole'). Alcune dispute fra di lui e il Padre Lombardi erano in-
') L 5, 28, 42, 69 (bis), 84, 102. U. 17, 50, 93, 110. UI. 8, 30, 31, 40, 59, 124.
') I. 9, 23, 37, 122. II. 108. III. 81, 103 (»Bestemm. Dio»).
') Dagli Accademici del trentasette: I. 50; da Quirico Viviani I. 14, 38, 137. III. 103
(» e lor parenti» ), 114, da Mauro Ferranti I. 128 (lezione adottata anche da noi), e I. 74, 80.
II. 23. III. 62 (da noi riportate fra le varianti).
*) XXXm. 6, 23, 41, 47 -49, 88, 89, 126.
') XXXIII. 58, 116.
•) Anedd. V. Gap. 7.
^) Se r era quasi indovinato: Anedd. V. cap. 11. p. 64. »0h se questa perla* (il cod.
S. Croce) «Y avessero discoperta que' «jiqjellieri! gli Accademici ecc., a quanta gloria sarebbe
<*lla salita! laddove scoperta da me, che son di nazione Lombardo, parrà, o potrà parere a'
Toscani, che si cara gioja, piuttosto che ritrovata, sia di nuovo perduta. «
E-
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XXXVI
sorte anche prima che V edizione di quest* ultimo fosse venuta alla luce ^). Vi
rispose non senza risentimento il Dionisi ^) e più crucciosa ancora riuscì la replica
del Lombardi^). Di fatto, queste differenze non meritavano d' inasprire in un
modo tale due critici cosi distinti. Trovo che dei passi più vivamente con-
trastati fra li due editori, in due*) il giudizio concorde dei critici più recenti si
è pronunziato in favore del Dionisi; nel terzo ^), se non 1' autorità di tutti, al-
meno quella del Monti, del Parenti e del Cesari sta parimenti per lui, ed anche
nel quarto®) vediamo applaudirgli il Biagioli, il Ferranti e qualchedun' altro.
Ma r opinione generale si era talmente pronunziata in favore del Lombardi, che
il contraddirgli bastava per rendersi, se non odioso, almeno sospetto di mal-
fondata presunzione^). Cosi il povero Dionisi, in vece di esser ringraziato, fu
immeritamente vilipeso da non pochi. Ecco come ne parla Y istesso Foscolo ^) :
»La libidine» (di codici e di varie lezioni) «rincomincia a penetrare le fibre
cornee degli eruditi italiani, che violando le prime ed ottime edizioni di Dante
Al., e specialmente quella del MDXCV., vanno ripescando stravaganti lezioni nelle
tarlature de' codici, traendo, per cosi dire, il divino poema da quel santuario
ov' è per tanti aimi culto da' posteri. La edizione Bodoniana di Dante ridonda
di si care eleganze, opera tutta di monsignore Dionisi Veronese.« E ne reca
per esempio il terzo dei passi pur ora da noi mentovati , beffandosi persino della
' ) Edizione del Fulgoni p. XI. - XIII. Na. a.
M Anedd. VI. (Blandimenti funebri. 1794) p. V.- Vili, e capo 10. p. 74 — 81. Si veda
anche la Preparaz. storica II. capo 49, 50.
') Foglio volante, ristampato nel!' ediz. Romana del 1815, p. XIX. — XXXIV.
*) Inf. I. 41, XXIV. 86.
*) Purg. XXX. 15.
«) Parad. XXVI. 134.
') De Romanis nella Serie dell' edizioni: »La prevenzione del Dionisi sul merito di
alcune capricciose Varianti da esso introdottevi, e la mania di sostenerìe a fronte di quelle
del P. Lombardi, provano sempre più, che 1' eccessivo amor proprio fa travedere i letterati
anche più insigni.»
') Chioma di Berenice, Milano 1803. p. 219.
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XXXV 11
veneranda età del degno Canonico * ). Sono perfettamente d' accordo col Fos-
colo, che se Dante avesse potuto consegnare il suo autografo al Bodoni, oppure
al Pickering, rivedendo puranche le prove di stampa, la sarebbe una gran bella
cosa, e che in questo caso i codici, tarlati o non tarlati, conterebbero per nulla.
Ma come per disgrazia Y autografo è perduto , e tra la morte del Poeta e la prima
edizione della Commedia corse più di un secolo, si deve ricorrere per forza ai
testi a penna; e se, per colpa di chi avea a custodirlo, i tarU avessero guasto
il codice migliore , anche le tarlature non dovrebbero farci schifo. Per altro chi
le temesse può darsi buona pace; che il codice di S. Croce ne è tutto esente.
Ventisette anni dopo Jacopo Dionisi, il Professore Quirico Vivi ani intra-
prese una nuova riforma del testo di Dante'-), mutandolo in moltissimi passi
sulla fede di un codice, che dopo di aver appartenuto al vescovo del Torre,
era passato in mano del Commendatore Bartolini di Udine. Non occorrerà
anaUzzare il romanzetto biografico e storico, ingegnosamente composto dall' edi-
tore, per far risaltar megho sopra un fondo tale V impareggiabile autorità del
suo codice^). Basterà rimandare il lettore alle giudiziose osservazioni fatte a
questo riguardo dal Foscolo*).
Esaminaremo in vece, se il Viviani abbia mantenuto la sua promessa
' ) Benché ripreso da molti di questa inurbana censura, il Foscolo dopo ventidue anni
credè dover ripeterla nel Discorso sul testo sez. 207, aggiungendovi fiele anche più amaro.
Finalmente nell' edizione postuma del testo della Commedia 'IV. 137.) si ritrattò colle se-
guenti lodevoli parole: »I1 Commentatore della Chioma di Berenice confessa all' ombra del
Dionisi d' essergli stato in vita villano di motteggi puerili. «
') La Div. Comm. di D. Al. giusta la lezione del codice BartoUniano. Udine. Fratelli
Mattiuzzi. 1823. 8.
^) Poco manca, che non lo dica autografo: » Se avessimo voluto trarre argomento di
certezza dai vivissimi nostri desiderj, avremmo noi potuto immaginare, che un codice
scritto in Friuli al tempo di Dante, ed uscito fuor d' un Palazzo de' Patriarchi, dovesse
essere o scrittura o dettatura dello stesso autore. Ma poiché la speranza di ravvisare il
carattere di quella mano, che scrisse il Poema sacro, è forse perduta per sempre, non si
volle da noi oltrepassare quei limiti, che da una saggia critica sono prescritti.»
*) Discorso sul testo, sez. 11 — 14, 59 — 69.
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XXXVIII
data nel frontispizio del libro, nella dedica al March. Gian Giac. Trivulzio di
b. m., e nella Tavola dei testi, la promessa dico: di seguir fedelmente il testo
Bartoliniano. Per quel che riguarda 1' ortografia, la risposta senza dubbio dovrà
esser negativa, dicendoci lo stesso Viviani*), »non aver egli avuto sciiipolo di
scrivere in altri luoghi come ora si pratica, « contentandosi di dare quella tal
parola, là dove per la prima volta gli occorre, tale quale si trova nel codice,
e non solamente in quel passo, ma » da per tutto «. Guardandoci più da vicino
si vedrà che ben pochi sono i versi stampati nell' edizione Udinese letteralmente
quali giacciono nel codice.
Chi anche volesse condonare al Viviani tali incostanze ortografiche dovrà
chiedere almeno che tutte le lezioni del codice che in qualche modo influiscono
sul senso siano rese con tutta fedeltà. Ora il confronto del testo Bartoliniano
con quello della Crusca ci dà per il terzo canto dell' Inferno ventisei varianti
di questo genere, dei quali il Viviani non scelse che sole tredici, passandone
sotto silenzio altrettante. Se queste ultime non gli piacevano, dii avea promesso
di seguir fedelmente un testo da lui predicato per autentico o poco meno, doveva
in ogni modo riferirle nelle note. Ma la vanità letteraria affascina gli eneoinia-
tori ed editori di codici persino a farli sopprimere tutto quello che suppongono
poter recar pregiudizio all' aureola della quale vorrebbero incoronare il testo
da loro idolatrato. Eppure non poche di quelle tredici varianti, trascurate
nel terzo canto dal Viviani, erano almeno degne di esser prese in considerazione.
Tre di esse*''), suU' unanime consenso dei quattro testi che le servono di ibn-
damento, furono adottate nell'edizione presente; cinque altre ^) si riferiscono sul
' ) Nota 2. al verso 13. del terzo canto dell' Ini*.
*) 111. 31. «orror» (di seconda mano) per »error» (prima m.). — 91. »altra via« per
«altre vie«. — 124. »a trapassar lo rioa per «al trapassar del rio«.
') III. 40. «Cacciali» per «Cacciarli». — 55. «E retro» per «E dietro». — 64. «scia-
gurati» per «sciaurati». — 05. «ignudi stimulati» per «ignudi e stimulatì». — 79. «vergognosi
bassi» (di prima mano) per «vergogn. e bassi» (seconda mano).
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XXXIX
margine come varianti dell' uno o dell' altro di quei testi; due*) sene leggono
nella stampa Ravennate del Ferranti; le tre finalmente che restano'-^), ben lungi
(lair essere particolari al codice Bartoliniano, si trovano in numerosi manoscritti
di buona nota. Si avverta inoltre che fra le tredici lezioni adottate dal Viviani,
ve n' è una^) tacitamente da lui alterata in favore del verso, ed un altra*) della
(juale il Foscolo ebbe a dire, »che per la grammatica e il suono pare dovuta
a qualche amanuense mezzo tedesco «. Due altre sono piuttoste differenze di
ortografia che varianti'^).
Se "1 Viviani trascurò non poche lezioni del cod. Bartoliniano, non sem-
bra nemmen certo, che tutte le variazioni dal testo degli Accademici, da lui
nuovamente introdotte, derivino da quel testo Udinese. Le note del Viviani, le
quali pur troppo spesso, invoce di render un sempUce conto delle lezioni da
lui riscontrate nei testi a penna, divagano in declamazioni eterogeneo non di
rado ci lasciano in un dubbio assoluto, quale siasi la vera lezione di quel codice
decantato. Sfido per esempio cliiunque siasi a desumere dalla ben lunga nota
air Inf. XX VII. 21. se nel testo Bartoliniano si legga »t' attizzo «, o »t' adizzo«,
0 «t' aizzo « ecc. L' istesso sarà da dirsi del »re giovane** al V. 135. dell'
Inf. XXVIII.
Ciò non ostante il testo Bartoliniano potrebb' essere benissimo, se non il
più autentico di tutti, almeno uno dei migliori, di modo che il lavoro, non con-
dotto a buon termine dal Viviani, fosse da rifarsi. Certamente una tal lode non
gli potrà darsi riguardo air ortografia, che tiene assai del barbaro "). Astrazione
') III. 3(). •fama a (di seconda mano) per »ìnfamia« (di prima m. ). — 126. »si volve*
per »si volge*.
*) III. 78. «di Caronte* per «d'Acheronte» — 106. • tutti quanti « per •> tutte quante «
- 110. «tutti li ricoglie» per «tutte le raccoglie».
°) ni. 56. Per «non avrei», che sta nel codice, il Viviani stampò «non averei*.
*) ni. IH. «Batte con remo».
*) IIL 29. «aura» per «aria», e 60. «viltà lo» per «viltate il».
*) Vagliano per esempio: «cominzar», «orribilh», «acenti» , «Mesciate», » fuor fedelli « ,
•rielli», «eser», «spolgle», «Filgiuol», «giascun», ecc.
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XL
fatta da questi barbarismi, senza dubbio il testo del codice è da annoverarsi frai
buoni, ma un gran suo difetto consiste nell' esser passato per le mani di per-
sone che in ben molti passi, raschiando ed alterando, ne fecero sparire le lezioni
primitive , come per alcuni esempj già si è mostrato. Il fatto fu osservato anche
dal Prof. Aless. Torri, il quale nella descrizione del codice, inserita nella Biblio-
grafia Dantesca del De Batines (IL 157.) dice: »II copiatore non fu sempre
ugualmente corretto: vi sono perciò qua e là alcune minute correzioni di bellis-
sima lettera del sec. XIV., che danno indizio essere il MS. ritoccato da mano
maestraa. Confesso che la maggior parte di quelle correzioni sia giusta, sosti-
tuendo ad una lezione indubitatamente errata o meno buona un altra più lode-
vole; ma pure non posso dir mano maestra quella che cambiò (III. 36.) » infa-
mia» in «famaa, oppure (ivi 116.) una parola che non si conosce più in wlitto^.
In ogni modo V originalità primitiva del codice è oscurata di molto per queste
correzioni posteriori.
Se del resto ho detto il codice esser da comprendersi nel novero dei
buoni, non è certamente uno dei migliori. Può dirsi eh' esso rappresenti come
il tipo dei testi, scritti intorno, o dopo la metà del trecento, cioè quando nella
sostanza i codici davano ancora il poema nell' originaria sua purità, ma quando
già ben molti passi erano stati alterati dall' ignoranza o dalla saccenteria dej^li
amanuensi, quando dunque la » Volgata « già era, almeno in parte, costituita.
Nulla di più naturale allora, che l' »>aver ravvisata" il Viviani » quasi una pe-
renne conformità « del testo Bartoliniano colla pluralità dei codici da lui veduti,
mentre quel testo scarseggia di lezioni sue proprie, e veramente originarie,
quah ce ne somministrano nei passi più scabrosi quei pochi manoscritti che
possiamo supporre derivare in discendenza non troppo lontana dall' autografo
del Poeta.
S' intenderà facilmente per quel che si è detto, che l' edizione Udinese,
continuando in questo il lavoro cominciato dal De Romanis, abbia mondato il
testo del Poema di ben molte lezioni capricciose, introdottevi dall' Aldo o dal
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XLI
Rossi suir autorità di qualche codice poco degno di fede , ma neir istesso tempo
si troverà che le lezioni da essa sostituitevi siano non di rado di origine secon-
daria, e più o meno lontane da quanto avea scritto 1' Allighieri*).
Una *> Tavola» di sessanta cinque numeri registra i «testi a penna con-
sìdtcUi^ per T edizione Udinese. Non dice dunque il Viviani che un solenne
confronto di tutti questi codici si sia fatto verso per verso, anzi confessa di
essersi limitato a consultargli dove le lezioni del suo codice Bartoliniano gli
sembravano aver bisogno di qualche appoggio. Già per questo si conosce il
carattere tutto arbitrario di questi confronti. «Partito da Milano col convinci-
mento che i codici più antichi erano conformi di lezione al testo Bartoliniano « ,
il Viviani si «trasferì a Padova» ecc., e qui ed altrove non frugava codici e
stampe antiche per trovar lezioni le quaU, benché rimaste sin allora inosservate,
fossero da giudicarsi genuine, ma rintracciava solamente nuove autorità che col
loro consenso potessero spalleggiare le lezioni da lui già prescelte.
Ma nemmeno per questo scopo il lavoro corrisponde alle esigenze critiche.
Leggiamo nella lettera al March. Trivulzio: »I1 principale sta sopra tutto nella
Tavola de' testi, che furono da me consultati. Col mezzo di questa Tavola può
*) Per dimostrar meglio quali siano le lezioni eh* io dico secondarie, prendo per esem-
pio il verso 25. del canto XXI. del Furgat. Suppongo che la lezione originaria sia stata quale
la dà la presente stampa:
• Ma perchè lei che di e notte fila*.
Ora alcuni, trovando forse inciampo nel «lei» preso in caso retto, scrissero: »Ma perchè
colei*, e poi per render la giusta misura al verso: »Ma per colei*, e chi con questa nuova
lezione voleva render chiaro il senso, mutò puranche nel verso seguente Y «avea* in «era*
(prima lezione secondaria). Un altro lettore, non sapendo quale fosse la Parca «che di e
notte fila*, ne chiese chi era più dotto di lui, e per non dimenticar la risposta, la notò fra
le righe:
L a e h f ■ i
• Ma perchè lei che di ecc.*
Un secondo, anche più ignorante di quello primo, credendo che quel «Lachesi* fosse cor-
rettura del »lei che di*, ve lo sostitui nel testo, e non potè far a meno, di mutare anche il
»e notte* , in modo a farne uscir un qualche senso, mettendovi in vece: vche dà le* (altra
lezione secondaria, che è quella del testo Bartoliniano).
F
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chi lo voglia riscontrare agevolmente le lezioni tutte da me esibite, e giudicare
da se medesimo del merito dei codici da' quali io le trassi. « Ora per dar al
lettore questa facoltà, era indispensabile che in ogni caso i codici, trovati concor-
danti col Bartoliniano, si enumerassero uno per uno. Ma il Viviani mai, o quasi
mai, si è dato questa fatica. Per lo più non cita codici, ne molti ne pochi, con-
tentandosi dell' osservazione generale, già da noi riferita, dì codici più antichi
esser conformi al testo Bartoliniano». Altre volte ne cita, sì, ma in un modo
collettivo, che non permette di rintracciarli nella Tavola, come: »i codici scritti
da mano valente «, «T autorità de' più cospicui», » parecchi ottimi MSS.« , »ben
più di quaranta testi», «altri ben dieci codici», oppure «parecchi Trivulziani«,
«dodici Marciani». Individualmente nominati non ho trovati per tutto l'Inferno
che soli 19. testi ^), frai quali il cod. Florio, i due primi Trivulziani, e due o
tre Marciani sembrano i soli che furono consultati con qualche regolarità.
Quale poi sia la fiducia da porsi in queste citazioni si desuma dagli esempj
seguenti: La nota 3. al quarto canto riporta frai testi che leggono «Che trono
accoglie» (verso 9.) «cinque Patavini», mentre sappiamo, sì dalla lettera al
March. Trivulzio, e sì dalla Tavola (p. XXII. — XXIV.) che i codici Pata\ini
non sono che in numero di quattro. Al dire della nota 23. (Inf. XXI. 135.) il
Viviani riscontrò la lezione: «per li lesi dolenti» «nel cod. Marciano No. LXV«:
ma la Tavola (p. XXV. — XXXV.) non registra nessun codice di questo nu-
mero*). La prima chiosa al canto XXVII. (verso 21.), riporta un detto del
«postillatore del Marciano LVL», aggiungendovi, dover essere Jacopo della Lana.
Ora anche di questo numero non si trova codice nella Tavola. Il detto, riferito
dal Viviani, non è del Laneo, ma dell' Ottimo. Sarà dunque che si trovi nel
cod. LVL, che contiene il comento dell' Ottimo^), ma il solo contento y senza il
') Secondo la numerazione della Tavola i testi 2, 4, 5, 6, 7, 24, 31, 32, 33, 40, 43,
48, 49, 50, 55, 56, 60, 62, 64.
') De Batines Bibliografia IL No. 284-303.
M Wiener Jahrbilcher 1828. No. XLIV. p. 31. No. 11. De Batines U. No. 303.
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XLIII
testo del Poema, dunque non può dirsi postillato. Il codice Marciano che con-
tiene il Laneo è segnato LV.
Già nel 1825 Ugo Foscolo pubblicò un volume in 8. (Londra. Pickering)
col frontispizio: »La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo
Tomo primo, a II seguente foglio dà la distribuzione dei cinque volumi desti-
nati air opera, il primo dei quali, rimaso solo dopo la morte del Foscolo, acca-
duta nel 1827, non comprende che il «Discorso sul testo della Commedia», già
più volte da noi citato. Sembra però che, se le » Osservazioni ad alcuni passi
ne' quali la storia e la poesia s* illustrano scambievolmente» , destinate ad ac-
compagnar. Cantica per Cantica, Y edizione del Poema, ed alcune altre disser-
tazioni relative ad esso, furono smarrite, il manoscritto del testo »con le varie
lezioni a' piedi» , dato poi alle stampe da Giuseppe Mazzini (Londra. Rolandi.
1842. 4. Voli. 8. magg. — Ristamp. Torino. Lampato, Barieri. 1852. 4 Voli. 12.)
sia stato condotto dal Foscolo a quel termine eh' egli intendeva dargli. Tutta
r andatura del lavoro come lo vediamo eseguito nell' edizione del Mazzini, si
vede disegnata nella »Prefazioncella<c postuma, pubblicata in essa (pag. XXI. —
XXX.). L' istessa differenza delle note critiche alla prima, ed alle due ultime
Cantiche, che a prima vista potrebbe far supporre un lavoro interrotto nel suo
mezzo, vi è espressamente indicata come voluta dal Foscolo ^). Senza dubbio la
perdita dei tre discorsi è un danno più grave, che sia grande Y utile che ridonda
alla critica dai lavori fatti dal dotto Zantiota sul testo e sulle varie lezioni. Egli
confessa nelle » Notizie e pareri diversi ecc.» p. 49. che i soU codici da lui esami-
nati siano i due regalatigli dall'illustre Roscoe e dal Generale Mazzuchelli '^).
* ) • Sulla cantica dell' Inferno ho abbondato in osservazioni critiche su le varie lezioni,
tanto che bastino a lasciar desumere poscia per quali ragioni, e principii di critica io abbia
ael testo del Purgatorio e del Paradiso accolte e rifiutate le varie lezioni, che io senza
allungarmi a discorrerne registro a pie di pagina.*
') Il primo si trova attualmente in possesso del celebre Bibliotecario A. Panizzi.
L'altro sembra smarrito. De Batines Bibliogr. II. No. 505. e 518.
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XLIV
Li dice » pessimi tutti e due le più volte « '), e di certo chi esamina le lezioni
che se ne riferiscono, non dirà che questo giudizio sia troppo severo, E pure
sono certo che il Foscolo passò sotto silenzio le varianti più goffe di questi
suoi codici. Sembra veramente che la fatica di registrare tante centinaja di
scipidezze sia venuta a noja allo stesso possessore. Almeno trovo che le va-
rianti del cod. Mazzuchelli non si riportano al di là della Cantica d' Inferno -).
Del resto il Foscolo non fece che compilare le varie lezioni riferite nelle edi-
zioni anteriori: lavoro tutto materiale, che forse per convenir troppo poco al
suo genio poetico, non fii eseguito con troppa accuratezza. Assai spesso si
omettono delle lezioni d' importanza, ed in vece se ne riportano delle altre che
non sono che differenze ortografiche. Qualche volta i codici e le edizioni che
danno la variante riferita sono confuse fra di loro, oppure il nome di quei
codici rimase nella penna dell' editore^). Generalmente questa congerie inordi-
nata di tante e tante varie lezioni sembra cosa di ben poca utilità. Le ragioni
che determinarono la scelta del Foscolo, le quali, come già si vide non sono
esposte che nelle note all' Inferno, sono quasi sempre dedotte da argomenti
secondarj , come sarebbe 1' armonia del verso , 1' eufonia , e cose simili ; ma in-
vano si cerca di stabili principj di critica, che, escludendone 1' arbitrario, potes-
sero dar certa legge alla scelta da farsi fra le lezioni.
Ultimo a cimentarsi nella costituzione di un nuovo testo della Commedia
fii «Mauro Ferranti, sacerdote italiano di Ravenna» (Ravenna 1848. 8.). Il
libro è mancante di qualunque siasi prefazione o di note giustificative, e benché
si legga sulla sopraccarta «già venirsi ponendo sotto torchio il volume della
') Discorso sul testo Sez. 203.
') «Notizie e pareri* p. 49. «Nelle postille segnatamente alla cantica prima, ho notato
le loro varianti migliori.^
^) Reco per unico esempio la postilla al verso 71. del Farad. XV.: «Ediz. Aldina,
(dodici Roscoe, Vaticano, Caetani e più altri: arrosemi. — Cod. Vaticano, Caetani, Chigi e
altri assai: arroseìnL^ Per chi volesse di più, ne ho a dovizia. Vedi anche sopra p. XXIV.
Na. 2.
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XLV
Chiosa», nella quale 1' editore promette di »dare stretta ragione delle
varianti prescelte in comparazione al Testo degli Accademicia, non ho
inai avuto notizia che questo volume sia veramente venuto alla luce. L' unica
informazione dunque sinora dataci sul piano seguito dall* editore consiste nelle
parole del frontispizio: »La Comedia di D. Al secondo la lettera principal-
mente dei due Codici Ravegnani, con la scorta degli altri testi a penna noti, e
delle stampe del XV. e XVI. secolo, e con le varianti fin qui avvisate. «
Queste parole sembrano asserire che dovunque la nuova edizione si allontana
dal testo degli Accademici, essa si appoggi sull' autorità dell' uno o dell' altro
dei codici di Ravenna'). Questi codici descritti dal De Batines sotto i nu-
meri 402, 403. offirono poco di particolare. Il primo di essi fu scritto nel 1369
da un tale Bettino de' Pili, il quale, per quel che pare, faceva il mestiere di
copiar Danti. Il pregiatissimo mio amico Sign. Seymour Kirkup, pittore Inglese
a Firenze, ne possiede un altro scritto meno di un anno prima da queir istesso
amanuense^). Un terzo se ne trova a Parigi^). Avrà dunque lavorato a doz-
zina, e potrebbe darsi per avventura che fosse identico con quello, di cui narra
il Borghini che con cento Danti da lui copiati fece la dote alle sue figlie*).
L' ortografia del testo è assai barbara*), e il testo corrisponde per lo più al
volgato, generalmente diflfuso nella seconda metà del trecento. Il secondo, assai
*) Pietro dal Rio nell' Appendice dell' ediz. Pratese della Div. C. (Passigli 1852) Pur-
gai. XXX. 75. pag. 733: y* Panelli è nel Dante di Ravenna; segno certo che cosi leggeva
Tuno di que' due codici almeno.*
*) De Batines Bibliogr. Na. 187.
') Fonda de rèserve No, 3. De Batines Na. 414.
*) [Gius, àjazzi ecc-l Opuscoli inediti di classici scrittori. Fir. 1844 p. 23: »Gli scrittori
di que' tempi furono per la maggior parte persone che ne teneano bottega aperta, e vive-
vano di scrivere i libri a prezzo; e si conta d' uno che con cento Danti eh' egli scrisse, ma-
ritò non so quante sue figliuole, e di questo se ne trova ancora qualcuno, che si chiamano
(li qtAei del cento, e sono ragionevoli, ma non però ottimi. Questi tali scrittori per lo più
erano persone materiali.*
* ) Per esempio : » nuon« , » luor « , » faccevan a , » augelli « . » trappasar » , » malvasgia « ,
•Teramo» ecc.
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XLVl
meno nitido, non differisce essenzialmente dal primo. Ella è dunque cosa più
che dubbia, se questi due codici fra tante centinaja, per trovarsi casualmente
dove morì il Poeta, meritassero di esser prescelti per servir di fondamento a
una nuova edizione. Veramente i confronti del terzo canto, da me istituiti nel
1831 sui codici di Ravenna, mi provano eh' essi non formano, come si potrebbe
supporre, la vera base dell' edizione Ferranti. Mentre quest' ultima non adotta
alcune lezioni assai commendevoU, approvate dai due testi*), vi si leggono delle
altre, che sono assolutamente incognite, tanto all' uno che all' altro codice ^). Sarà
che anch' esse trovino appoggio in qualche MS. esaminato dal Ferranti, anzi sono
persuaso che nessuna delle mutazioni da lui fatte, quantunque sembri strana,
sia priva di una qualche autorità per difenderla; ma per quanto quel «Volume
di Chiosa « non sia pubblicato, non si potrà decidere, se quell'autorità sia degna
di fede. Intanto bisognerà confessare che sinora nessuna delle tante stampe
della Commedia, non eccettuandone quella del Buonanni, adottò un tal numero
di lezioni bizzarre, quanto quella del Ferranti.
Ritorniamo oramai alle edizioni che, seguendo il testo della Crusca, vi
aggiunsero delle varianti prese da qualche altro codice. La prima di esse è
quella di Gaetano Poggiali (Livorno. Masi. 1807 — 1813), corredata dall'editore
di alcune, ma ben poche lezioni di un suo codice*), che si crede essere stato
di Pier del Nero, ed attualmente si trova nella Palatina di Firenze*). Sembra
al Poggiali che la scrittura di esso non debba oltrepassare il 1330, e lo trova
» fornito di parecchie varie lezioni, a suo credere, assai commendabili, ed atte
ad illustrare e migliorare molti luoghi del Poema «. Egli confessa però, aver
*) Inf. 111.29. «queir aura», 30. «a turbo*, 56. «avrei creduto», 59. «Vidi e conobbi».
74. «di trapassar parer*, 91. «per altra via«, 124. «a trapassar lo rio*.
') Ivi 39. «ne per sé foro*, 62. «Che quell'era*, 85. «Non vi sperate*, 99. «di fiamma
ruote*, 106. «tutte e quante*, 133. «balenò d'una luce*.
*) Il maggior numero di esse non consiste che in differenze di ortografia. Se ne re-
gistrano 279. per l'Inferno, 188. pel Purgatorio, e non più di 83. pel Paradiso.
*) De Batines No. 163. Palermo I manoscritti della Palatina No. 313. VoL I. p. 525 — 33.
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XLVII
rilevato da un più diligente esame che, unite alle migliori, altre ve n' erano in-
feriori a quelle degli Accademici; onde gli sembrò più sano consiglio di notare
soltanto in pie di pagine quelle tra le varie lezioni, che gli sembrarono merite-
voli di particolare osservazione. — Concorda con questo giudizio il De Batines.
Il Palermo dubita della data '), e rileva i non pochi errori che sfigurano il testo *).
Certamente il Poggiali non riferi che quelle lezioni del suo testo che gli sem-
brarono » commendabili*, tacendo di tutte le altre"), ancora che fossero merite-
voli di osservazione*). L' esame di queste lezioni e* induce ad annoverare il
codice Poggiali frai buoni, non però frai migliori.
In un modo consimile il Mussi accompagnò le sue edizioni del 1809 di
alcune varianti^), prese da un testo delle due prime cantiche, che in quel tempo
era del Bossi, ed ora fa parte della splendida raccolta di casa Trivulzio *). »Gli
eruditi», citati dal Mussi, giudicarono questo codice «coevo dell' autore «, scritto
per avventura, quando la terza Cantica non era ancora pubblicata^); ma sono
persuaso che frai critici odierni ben pochi saranno dell' istesso avviso. Taccio
dell'ortografia, che si può dire rozzissima®), ma la stessa lezione del testo per
' ) Saranno giustissimi questi dubbj, benché la chiosa relativa alla statua di Marte, che
fu correttamente interpretata dal de Batines, sia fraintesa dal Palermo. Vedi quanto ne
dissi neir opuscolo: Quando e da chi sia composto 1' Ottimo comento. p. 5 — 19.
') »Onde non sappiamo come il Poggiali abbia potuto tanto levare a cielo siffatto
codice. «
*) Trovo nel III. canto dell' Inf. v. 19. »alla mia porse «, e v. 21. «nelle scerete cose*.
*) Eccone alcuni esempj: Inf. III. 36. » senza fama«, 40. »per non parer men belli»,
72. »Perch' io. Maestro mio«, 82. «Ed ecco, ver di noi«.
* ) Sono 308. per V Inferno e 103. pel Purgatorio.
•) De Batines No. 259.
^) «Tal giudizio, che si trae a prima vista dalla forma dei caratteri e dalla maniera
delle miniature, viene rinforzato dall' osservarvisi alcuni passi che sembrano non aver rice-
viti gli ultimi ritocchi dalla poetica lima, e dal mancare, ad onta della certa integrità del
volume, la terza Cantica che non si conobbe intera che dopo la morte di Dante.*
^) «lasar* (per b lasciar*), «me misse« (per »mi mise«), «accinti* (per «accenti*),
»elgli«, «brasgia*, «possa* (per «posa») ecc.
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XLVIII
i ben molti errori che la sfigurano si conosce lavoro di un qualche copista ma-
teriale*).
Anche il Biagioli credè poter aggiungere i>non lieve pregio e splendore
al suo lavoro, corredandolo (ma per le sole Cantiche del Purgatorio e del Pa-
radiso Parigi 1819) di più e più varianti», cavate da un codice, allora posse-
duto da Milordo Stuart (De Batines No. 504.). Ben lontano però dal voler
esibire xm esatto confronto di questo codice, il Biagioli protesta, di aver «la-
sciato le varianti senza novero di che altri per avventura avrebbe fatto gran
romorea. Veramente la scelta riusci assai scarsa di numero^), e le poche le-
zioni riportate nell' edizione Parigina, non bastano per dare un giudizio sul
valore intrinseco del testo. Del resto il Biagioli, benché strenuo difensore degli
Accademici, massimamente contra il Lombardi, si allontanò non troppo di rado
dalle stampe del Manzani e del Comino^).
Più importante di tutti gli altri è senza dubbio V insigne lavoro di Frutt.
Becchi, G. B. Niccolini, Gino Capponi e Gius. Borghi, Acc. d. Crusca, (Firenze.
Le Mounier 1837). Questi valentuomini rinnovarono per cosi dire le fatiche
degli Accademici del 1595. Mettendo a profitto i materiali critici, raccolti dagli
editori sinora registrati, da Vincenzo Borghini*), dal Parenti"^) e dal Montani ^).
') Inf. III. 2. «eternai dolore», 12. »il senno lora, 22. » altri guai», 73. » Perdi' io
sappia*, 78. »da Charonte«, 101. » dibattendo ei denti «, 116. »Gittando8Ì di quel linto«, 123
• Tutti ci vengon«, 130. » compagnia «.
') Il Sign. Angelo Sicca comprendendo nella sua «Rivista delle varie lezioni sinora
avvisate it anche quelle del cod. Stuardiano, pubblicate dal Biagioli, ne riporta sette per la
Cantica del Purgatorio, e quindici pel Paradiso. Si avverta però che alcune di esse furono
da lui trascurate, come per es. al Purg. XXXI. 78. ed al Farad. I. 37, IX. 37, 107, 116, XI.
135, XII. 138, XVI. 47, XXII. 94, XXVIII. 23, XXX 148.
') Vedi a cagion d' esempio i passi seguenti: Farad. VIII. 44, IX. 37, 107, 117. XXV^I.
134, XXXIII. 126.
*) Qui sopra p. XIV. XV.
') Vedi sopra p. XXXII.
* ) Lettera ottava intorno a Codici del march. Luigi Tempi. Neil' Antologia di Firenze.
1832. Voi. XLV. Febbrajo. p. 44 — 58. Marzo p. 1—18. Gli Editori non presero dal AIoii-
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XLIX
essi confrontarono di nuovo venti codici, cioè uno dei Tempiani (De Batines
No. 7.), il codice Frullani (De Bat. No. 179.), dieci che allora spettavano al
March. Gius. Pucci, ed attualmente si trovano nel Museo Britannico (De Bat.
No. 450, 452, 457, 453, 456, 454, 458, 455, 459, e 451), un Magliabecchiano
(De Bat No. 102.), e sette Riccardiani (De Bat. No. 143, 124, 134, 125, 135,
129, e 136). Anche questi confronti però non erano confronti letterali, non
comprendevano ogni verso parola per parola, anzi si limitarono a un certo
numero di passi, la lezione dei quali già per lo innanzi era stata disputata*).
Non intendevano dunque gU editori del trentasette di costituire un nuovo testo,
ma bensì di decidere almeno una paite delle tante Uti insorte sopra il testo già
costituito. Suppongo inoltre che i confronti non si siano fatti sistematicamente,
voglio dire che non ad ogni passo si siano riscontrati tutti i codici, ma per
avventura dieci air uno, ed altri dieci ad un altro. Trovo finalmente che gli
editori (invece di avvalorare il pregio relativo dei venti testi), attribuendo ad
ognuno di essi un' autorità pari, se non si attengono a qualche ragione interna
di senso o di eufonia, prendono per sola norma nel decidersi fra le varie lezioni,
il numero dei testi in favore delF una o dell' altra di esse. — Perchè poi si
sapesse, quali argomenti d' autorità e di ragione abbiano fatto scegliere piuttosto
una lezione che un' altra, gli editori significaronli negli » Avvertimenti sul testo
della D. C.« citando quasi sempre individualmente i codici che stanno in favore
tani che le lezioni da lui riscontrate nel cod. Boutourlin (De Batines No. 464). Sono in
numero di 11. per F Inferno, 8. pel Purgat. e 12. pel Paradiso. Al dire del De Batines, il
cod. Boutourlin passò nelle mani del Sign. Magnoncourt dì Besauzone. Tutte le mie indagini
però non bastarono per procurarmi una qualche notizia di questo MS.
* ) Prefaz. p. V. VI. » Quando la lettura della Crusca non appariva manifestamente
errata, sebbene fosse tale da non preferirsi ad altre, T abbiamo posta appiè di pagina per
variante colla indicazione O. Parimente appiè di pagina abbiamo locate due altre specie di
varianti, che potrebbero ben essere uscite dalla mente dell' Alighieri, alcune cioè col segno f,
ed altre senza segno di sorta. Si son tolte le prime dai MSS. e dall' edizioni da noi esa-
minate, o dai MSS. e dalle edizioni che per altri s' esaminarono, e le seconde dal novero di
(laelle , che gli Accademici segnarono nel margine della loro edizione. «
G
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deir ui)a e dell' altra parte ^). Convengo che questa scelta il più delle volte
abbia dato nel segno, ma non mi pare che il modo tenuto per arrivarvi sia
quello voluto dalla critica. Falso per esempio dovrà dirsi il principio emesso
* ) Sembra che vi sia luogo di dubitare se questi ragguagli siano sempre esatti. I miei
confronti del terzo canto comprendono tutti i testi che servirono agli editori del trentasette,
meno il solo decimo frai Pucciani (De Batines No. 451.). Ora metterò di rincontro la varietà
delle lezioni quale la riferisce il Becchi, e quale me la danno i miei confronti, sostituendo
per amore di brevità alle citazioni dei codici (p. esempio: Riccardiano 1025.) i soli numeri
del de Batines, e tralasciando dall' un dei lati il detto Pucciano, e dall' altro tutt^ le numerose
varianti non ricordate nell' edizione del trentasette.
Confronti del Becchi. Confronti miei.
•eterna.» Cod. 7. 102. 124. 129. 135. 143. »eterna.« Cod. 7. 102. 124. 125. 129. 135. 136.
V. 8,
179. 450. 452. 453. 455. 459.
V. 17. pChe vederai.« Cod. 124. 129. 143. 450.
452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459.
V. 30. ^quando a turbo.. Cod. 450. 452. 457.
V. 31. »ch' avea d' orror.» Cod. 143. 454. 455.
V. 51. pNon ragionar.» Cod. 124. 129. 134. 135.
450. 453. 457. 458.
V. 56. »ch' io non averci. «
454. 455. 456. 457. 459.
Cod. 450. 452. 453.
V. 80. «che '1 mio dir.«
453. 457. 458.
Cod. 102. 179. 450.
V. 106. «si raccolser.» ('od. 143. 455. 456. 459.
143. 450. 452. 453. 455. 457. 459.
•eterne.* Cod. 178.
• Che vederai.« Cod. 7. 457.
• Ove udirai.* Cod. 135.
•quando a turbo.. Cod. 124. 125. 129. 136. 143.
179. 450. 452. 453. 454. 455. 457. 458. 459.
•quando al turbo. « Cod. 102. 134. 135.
•quando turbo.. Cod. 7. 456.
•eh' avea d' orror.« Cod. 136. 143. 454. 455. 456.
•Non ragionar.. Cod. 7. 102. 125. 129. 134. 135.
179. 450. 453. 458.
• Non ragionam.. Cod. 457.
•Non ragionan.» Cod. 136. 456.
• eh' io non averci.* Cod. 7. 125. 134. 455.
• eh io non avrei.» Cod. 102. 124. 129. 135.
136. 143. 179. 450. 452. 453. 454. 457.
459.
• eh' io non narei.« Cod. 456.
• che '1 mio dir.« Cod. 102. 129. 134. 143. 457.
459.
• che mio dir.« Cod. 135.
•ne '1 mio dir.. Cod. 124. 136. 179. 450.
452. 456.
•si raccolser.» Cod. 134. 143. 179. 455. 456.
•si racco Ison.. Cod. 459.
•si trasser.w Cod. 457.
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LI
dal Becchi a p. 15, ed assai spesse volte posto in uso: »In due lezioni, delle quali
una ha chiarezza e V altra no, son d' opinione che sia lodevole intendimento
quello di dare alla prima anzi che alla seconda una preferenza. « Chi riflette che
un copista inconsiderato, non intendendo un passo oscuro del Poema, credeva
correggere il testo, sostituendovi una lezione di un senso ovvio e facile, men-
trechè veramente lo falsava, vedrà benissimo, esser più che giusta la regola
critica : che la lezione difficile è da preferirsi alla facile. Ciò non ostante ripeto
con piena persuasione quanto già più di venti anni sono ^ ) da me fu detto , cioè
superare Y edizione del trentasette tanto per Y estensione dei lavori che le ser-
virono di base, quanto per Y imparzialità e la ponderazione del giudizio tutte
le altre che la precederono.
Non poche altre varianti si trovano sparse in numerosi opuscoli, molti dei
quali furono registrati dal diligeutissimo de Batines^). Vi sarebbero da aggiun-
gerei alcune >> Lezioni a del cinquecento come quelle del Gelli, del Varchi e del
GiAMBULLARi chc furono riscontrate per il presente lavoro. Delle opere più re-
centi non enumero che quelle, lo spoglio delle quali somministrò una parte delle
varianti che a pie di pagina accompagnano il nostro testo. In primo luogo ^)
V. 114. .Vede alla terra. Cod. 102. .Vede alla terra.. Cod. 7. 102. 124. 125. 129.
135. 136. 143. 179. 450. 452. 453. 454. 455.
456. 457. 458.
.Si vede a terra.» Cod. 134.
V. 124. .a trapassar lo rio.. Cod. 7. 124. 125. »a trapassar lo rio.. Cod. 7. 102. 124. 125. 129.
129. 135. 143. 450. 452. 453. 455. 456. 457. 134. 135. 136. 143. 179. 450. 452. 453. 454.
458. 459. 455. 456. 458.
»al trapassar lo rio.« Cod. 457.
*) Annali di critica scientifica (JahrbUch^r fUr wissemchafUiche Kridk) Berlino, 1838,
pa^. 638 — 656.
^) Bibliografia Dantesca I. 355 — 369.
') Le »Correcliones et adnoioHones in Dantis Comoediam^ di Bartol. Per.vzzini, stampate
in fine delle * Correctiones et explicationes in editionem tractatuum S. Zenonis^. Veronae 1775,
e ristampate non senza gravi errori Venezia 1844 12, mi somministrarono alcune congetture
assai ingegnose, ma non contengono confronti di testi a penna.
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lAl
e da nominarsi la celebre » Lettera di Eustazio Dicearcheo« (Padre Abate
DI Costanzo) sopra il manoscritto di Monte Casino. Le varie lezioni riferite
dal Costanzo non sono numerose, ed in parte di pochissima importanza; ma
senza dubbio una raccolta assai più ricca si sarebbe potuta fare di quel codice,
il quale, quantunque non rappresenti il testo più antico e genuino, è scritto con
molta diligenza, e merita di esser annoverato frai buoni ^).
Alcune varianti, particolarmente del codice Capilupi di Mantova (De Ba-
tines No. 245) furono pubblicate dal Padre Antonio Cesari nelle Bellezze di
Dante (Verona 1824 — 26). Altre ne suggerirono al celebre Parenti (Memorie
di Religione, di Morale ecc. T. XIL Modena 1827. pag. 366 — 382.) due ma-
noscritti dell' istessa città che si conservano nelle biblioteche dei Marchesi
Cavriani, e DI Bagno (De Batines No. 244, 243). Il più corretto di questi tre
codici sembra quello di casa Cavriani, benché V ortografia vi tenga molto del
latino, e il testo, che concorda per lo più colla lezione volgata, ma non anti-
chissima, non sia esente di qualche variante, o erronea, o almeno non ispalleg-
giata da altri buoni testi ^).
') L'ortografia è assai più corretta che nel maggior numero degli altri testi, benché
non sia esente di barbarismi come «trappasar», »palludea, »autupno«, »langna«, »spol-
glie» ecc. — Alcune delle lezioni riportate dal Costanzo si riconoscono facilmente per errori
o per caprìcci dell'amanuense, come Inf. I. 3. «avia smarrita «, IV. 9. » Che intorno accoglie»,
VI. 18. «Graffiagli spirti in gola», Vili. 112. «Udir non potti«, XV. 42. «Che va piando* ecc.
Assai più di questo genere si troverebbero, confrontando letteralmente tutto il poema. Ec-
cone qualcheduna presa dal solo terzo canto. V. 16. »Tu se' venuto», V. 22. «pianti e altri
guai», V. 45. »Rispuose, diroloti», V. 100. »Ma quelle genti» (Quest' ultima variante è ri-
ferita dall' Ab. Costanzo).
') Per esempio Inf. III. 41. «In el profundo», 45. «Dicerotil», 47. »Ma la lor cieca»,
74. »Le fa nel trapassar», 110. «tutti là raccoglie». — Più frequenti sono gli spropositi nel
cod. di Bagno, scritto nel 1380, e notabile per esser uno dei pochi che nel verso 59. del
terzo canto leggono «Guardai e vidi». Ecco alcune delle sue lezioni particolari: Inf. IH. 17.
«Ove udirai". 22. «pianti et altri guai». 35. «tiiste di quelloro», 67. «rigavan si di sangue»,
73. «Ch'io vegga», 79. «Poscia cogli occhi», 113. «infin che di ramo». — Il cod. Capilupi è
di pessima ortografia, e piuttosto povero di varianti particolari a lui. Ne cito per saggio la
«riviera da Caronte» Inf. III. 78.
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LUI
Maggior importanza si e data alle varie lezioni del codice Estense (De
Batines No. 327) riferite dal Prof. Parenti nelle annotazioni al Dizionario di
Bologna, ed in alcuni dei dotti suoi opuscoli. Sono dolentissimo di non aver
potuto profittare che sulle altrui relazioni di quasi tutti gi' insigni lavori dell'
illustre filologo Modenese, ma confesso di attribuire un' autorità maggiore al
tìnissimo suo giudizio, che alla fede del decantato codice Estense. Sanno i filo-
logi che gli encomj, dal Montfaucon prodigalmente dispensati ai testi a penna,
non sono troppo sicuri; ma pur sembra che le poche parole dell' eniditissimo
Benedettino (y*Codex auctori paene aeqaaliSy egregie descriptusa) abbiano valuto
al codice Estense una venerazione quasi superstiziosa. Ella non è veramente
cosa difficile di scegliere dalle tante centinaja di lezioni di un testo a penna
un bel numero di tali che abbagliano per la loro novità ed adattabilità. Ma il
criterio per farci giudicare della bontà di un codice, invece delle numerose va-
ranti, consiste nella costante purgatezza del testo, la quale certamente non si
trova in quel codice Modenese').
Le «varie lezioni della Seconda Cantica di Dante « tratte dal codice Ant al-
dino con alcuni riscontri di due altri testi di casa Antaldi, dell' Olivekiano di
Pesaro (De Batines No. 401), e di un «codice in pergamena communicato dal
(^w. Monti « (??), stampate a Pesaro nel 1813 in un foglio volante, oifrirono
poco di nuovo che non si trovasse nei confronti fatti dalla Contessa Perticari
e pubblicati dal De Romanis^).
*) Ecco alcune lezioni errate del codice Estense, che riscontrai nel solo terzo canto
(leir Inf. V. 3. Bne la perduta gente*, 12. «il senso lor n' è duro«, 16. «sian venuti a
locho», 21. «Dentro mi misse«, 22. «pianti ed altri guai», 23. »per l'aire», 29. »in quel
aire», 30. «quando turbo», 31. «Ond'io ch'avea«, 36. «Che visson senza fama « , 40. «Cacciali
il cieU , 46. «Rispose dicerottel», 51. «Non ragionian», 55. «E dirieto li venia « , 56. «Di genti
ch'io non arei creduto», 62. «Che quel era», 63. «A Dio spiacente», 67. «EUi rigava», 68.
•a' suo' piedi», 71. «Vidi genti», 73. «Oh* io sappia quai son» , 74. «Le fa del trapassar parer»,
81. «del parlar mi trassi», 104. «L'umana spezie e locho», 108. «che Dio non crede», 109.
•chon gli occhi di bragia», 113. »L' una presso alF altra» ^ 117. «Per cenni com'ucel», 119.
•che di là sian», 120. «nuova gente s'aduna», 129. «se '1 suo dir suona».
') Vedi qui sopra p. XXX.
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LIV
La » Rivista delle varie lezioni della Div. Coirnn. sinora avvisate» di An-
gelo SiccA, Padova 1832, non è materialmente che una compilazione dei con-
fronti che gli editori anteriori aveano fatti: lavoro molto accurato, benché
incompleto, per esservi tralasciate moltissime varianti già avvisate. Il Sicca
aggiunse di suo proprio il confronto di quattro testi del Seminario di Padova
(De Batines No. 279 — 282). Certe parole della dedicatoria potrebbero far cre-
dere che a differenza di altri che aveano «interrogato qua e colà i suddetti
codici», il Sicca gli abbia » pazientemente esaminati dal primo all' ultimo verso*.
Sarà che Y abbia fatto; ma certamente non ne pubblicò che le poche lezioni
che servono d' appoggio alle varianti già d' altronde conosciute.
Nel 1836 il Prof Ab. Fortunato Federici pubblicò 178 versi della Div.
Commedia che, citati dal Servita P. Paolo Attavanti (1419 — 1499) nei suoi
sermoni quaresimali, offrono una qualche variazione dalle nostre edizioni. Non
e' informa il Federici se gli altri 1076 versi parimente riferiti dall' Attavanti con-
cordino col testo stampato, o se le varianti per avventura non siano giudicate
degne di esser rese di pubblica ragione. L' unica di queste lezioni venuta in
qualche grido, è quella famosa del »sugger dette « (Inf V. 59). Per dirne
quel eh' io sento, non credo che queste differenze, o almeno la maggior parte di
esse, possano dirsi vere varianti. Suppongo in vece che V oratore sacro, citando
a memoria il Poema di Dante, alterò qualche volta, non volendo, i passi citati.
Ventotto codici (26. Parigini, uno della Bibl. Regia di Brusselles, ed
uno del Sign. Ardillio — De Batines No. 469, 470) furono consultati da Zani
de' Ferranti, tanto per la sua edizione dei primi tre canti (Parigi 1846), quanto
per r opuscolo intitolato: » Saggio di varie lezioni da sostituirsi alle invalse
neir Inf di D. Al.« (Bologna 1855). Non ho mancato di paragonare con
quest' ultimo lavoro l' elegante articolo pubblicato sopra di esso dal dotto mio
amico, il Sign. Pietro Fanfani nell' Append. alle Lettere di famiglia.
Non registro le notizie critiche che avrei potuto prendere, ed in parte ho
preso dai numerosi opuscoli relativi a qualche passo dubbio del Poema di Dante,
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LV
Sarà difficile di trovarne che si fondassero sopra un materiale critico più esteso,
e fossero scritte con un giudizio più fino di quelli del Sign. Henry Clark Bar-
Low di Newington Butts , Surrey * ).
Moltissime lezioni si sarebbero potute rilevare dalle «Varianti della Div.
C. tolte dal cod. membran. Cortonksk per cura di D. Agraaiante Lorini. Cor-
tona 1858. « Due però furono le ragioni che me ne ritennero. La prima che
quando questo opuscolo, eseguito con somma diligenza, mi pervenne, V edizione
presente della Cantica d' Inferno era già tutta terminata. Oltre a questo trovai
cosi grande il numero delle varianti di quest'unico testo, e molte di esse tanto
lontane dal testo stampato, che non mi bastava 1' animo di ammetterle tutte nel
brevissimo spazio rimastomi a pie di pagina. Ciò non ostante ho consultato
assiduamente questi confronti per farmene dirigere nella scelta della lezione da
adottarsi nel testo.
Fra tante centinaja di testi a penna due soli furono pubblicati con fedeltà
diplomatica. L' uno di essi è il celebre codice Vaticano, dato alle stampe da
Aloisio F Antoni. Roveta 1820^), che forma l'uno dei ftmdamenti della nostra
edizione. L' altro non è che un frammento del Paradiso contenuto in un codice
della Palatina di Firenze (De Batines No. 165. Palermo No. 180) che abbraccia
3240. versi, ossia -^^3 della Div. Commedia. Il primo a intendere Y importanza di
questo frammento fii il Borghini, il quale, come si conosce dalla pubblicazione
recente del Gigli ^), chiamandolo il »> Quinterno « , il confrontò pei canti X — XIX.
del Paradiso con un testo comentato nel 1337, con uno di quei del Cento *) e con
alcuni altri di minore importanza. Ultimamente il Cav. Palkumo, credendo rico-
* ) Remarks on the reading of the 59. V. of the V. Canto of the Inf. 1850, Rem. m the read.
(jf the 114, V, of the VII. C. of the Farad. 1S57. — Francesca da Kimiiii. 1^^59. — Ateneo di
Londra, passim, ecc.
*) Vedi qui sopra a. p. XXX. (ili esemplari di questa edizione differiscono nel modo
(li scrivere le iniziali. Alcuni abbondano d' iniziali maiuscole (»r son al terzo Cerchio de la
Pit)va«), altri ne esibiscono assai meno ( «T son al terzo cerchio de la piova«).
' ) Studj sulla Div. C. p. 2(59 - 285.
*) Vedi qui sopra p. XLIX.
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LVI
noscervi il carattere del Petrarca, lo stampò tutto intiero con esattezza diplo-
matica nel secondo volume dei «Manoscritti della Palatina « p. 715 — 880. Chiun-
que ne sia stato lo scrittore, non si può negare a questo codice il vanto di una
correzione rarissima nei testi a penna. Egli è per questo eh' esso non offre
gran numero di varianti, le quali, quantunque celebrate da chi le scoperse, il
più delle volte non sono che inavvertenze o emendazioni erronee del copista.
Ciò non ostante mi sembra che fra le poche lezioni particolari al Quinterno
Palatino vi siano alcune che non permettono di supporre nello scrittore una
giusta intelligenza del testo da lui copiato^). Non ardisco decidere, se vi sia
probabilità che il Petrarca, il quale durante tutta la sua vita avea fatto mostra
di non curar Dante, già vecchio^) si sia messo a copiare e postillare di proprio
pugno la Divina Commedia; ma le postille contengono cose che mi sembrano
poco degne del più dotto frai letterati del trecento^), e l'ortografia del testo
') Eccone alcuni esempj: X. 59. »E se tutto il mio am.«, 119. »di tempi cristiani*.
'122. «dietro alle melode*, 145. »la gloriosa nota», XI. 36. »iì fosser per guida «, 62. »li si
fece unito «, XII. 29. »che lagho la stella», XIV. 16. » ditene corno poi*, 108. «Udendo in
quello albor», 109. «Dintorno intorno», XV. 44. «che il parlar distese», XVI. 35. «Al parto
de mia madre», XVII. 109. «Per che di prudentìa», XVIII. 13. «di quel punto reddire».
116. «Mi si mostraro », XXI. 99. «qui mover li piedi», XXIV. 118. «La gratia che dovea«,
120. «comò aprir tidevea», 130. «Ed io rispondo, ch'io credo», XXV. 60. » Quanto a questa
virtute è in piac. » XXVI. 87. «Per la propria cagion», XXIX. 95. «Sue intenzioni», XXX.
30. «Noi mi seguita», 113. «più de mille foglie».
*) Il Sign. Palermo (Append. al libro intitol. Rime di D. Al. ecc. Firenze 1858. p. 249.)
suppone che il Quinterno sia scritto dal 1360 al 1364.
') Non so credere che il primo latinista del suo tempo abbia potuto scrivere un latino
tanto barbaro — per 1' ortografia e per Io stile — quanto lo troviamo nel Quinterno Palatino
(Vedi per es. i racconti storici a p. 765, 66). Non intendo come il Petrarca, scrivendo sola-
mente per suo proprio uso, possa avere sprecato il suo tempo per far lunga dissertazione da
scolarino sulla differenza degli angoli retti, ottusi ed acuti (Parad. XVII. 15), o per notare
il numero dei giorni compresi nell' anno (XXVII. 143). Qual ragione poi avrebbe mosso il
cantore di Madonna Laura, che senza dubbio sapeva la storia di Lancelotto e di Ginevra
(Trionfo d' Amore III. 79 — 82) di ripeterla in lunga chiosa (XVI. 15), e di ripeterla tutta
piena di spropositi? E chi vorrebbe credere Messer Francesco ignorante a tal segno, da
far fratelli Ugone e Riccardo da San Vittore (131), oppure da dir identico San Dionigi
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LVII
è differentissiina da quella che dagli Rammenti autografi, pubblicati dall' Ubal-
dini, sappiamo essere stata praticata dal Petrarca^). Questo però sia detto di
passaggio. Quel che vi rimane di certo si è che il Quinterno Palatino è un
testo eccellente, al quale, quantunque non di rado già si allontani dal testo pri
mitivo, sarebbe da accordarsi un luogo distinto, se per disgrazia non fosse
ridotto a meno di un quarto del Poema.
Non passerò sotto silenzio lo spoglio di varie lezioni che si rilevano dal
(•omento di Fr. da Buti, fatto da un antico possessore dell' edizione Veneta di
Ja(*opo da Burgofranco (1529), e pubblicato nel 1842 dal Sign. Consigl. Gius.
Bernardoni. Anche queste lezioni furono registrate nella presente edizione.
Ma forse un lavoro assai più esteso sarebbe stato da intraprendersi. I comenti
del trecento, che oramai in gran parte abbiamo alle stampe, danno, o suppongono
non di rado una lezione differente dalla volgata. Alcuni di questi comentatori
(come il Laneo, e l' Ottimo) rimontano a un tempo anteriore ai codici di certa
data che ci sono rimasti, ed anche i più moderni, per quanto si crederebbe,N,
coinentando il Poema non si saranno contentati del primo testo che lor capitava
in alano, ma avranno consultate le migliori autorità che in quel tempo sapevano
trovare. Non v' è dubbio che questo spoglio da farsi delle varianti che si tro-
r Areopagita col Saini Denys de' Francesi (X. 115)? Se questi due Santi furono confusi in
tempi anteriori, il Petrarca certamente doveva conoscere la confutazione vittoriosa di questo
errore intrapresa da Pietro Abelardo. Si cesserà di far torto al Petrarca ueir attribuirgli queste
chiose, avendo osservato che molte di esse sono tolte di peso dal Laneo o dall' Ottimo. Noto
tìnalmente che la lezione del testo non concorda sempre con quella della chiosa (p. es. XXV. 29).
*) «Le Rime di M. Fr. Petrarca, estratte da un suo originale. Roma 1642. « Per metter
sotf occhio del Lettore questa differenza copio alcune voci come vanno scritte nel Quinterno,
apponendone in parentesi l'ortografia dell'autografo Petrarchesco: »fo, foron, fuor« («fu,
furon, fur«), «sarrà, sarrian* («sarà, sarian«), »chui« (»cui«), »collui« (»colui«), »luoco«
(•loco*), »como« (»come«), «maravigliaa («meraviglia»), «mela (»miei«), «intento, intero,
0 intiero* («entento, entero»), «pensiero* («penserò*), «lascio* (anche nella rima con «basso*
e «trapasso XIV. 107), «lasciato* ecc. («lasso, lassato*). Finalmente il Quinterno scrive là
vocale, dovunque si stia, w, e la consonante t?, mentre il Petrarca in principio della voce mette
sempre e, ancor che sia vocale, e nell'interno u (per esempio ^otui* invece di «uva*).
H
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LVlll
vano nei cementi antichi, sia di non piccola importanza. Ma non basterà di
certo di confrontare il testo accompagnato di un tal comento, che Y uno assai
spesso non concorda coli' altro. Non basterà nemmeno di attenersi ai capoversi
inseriti nel comento stesso; bisognerà, non dico leggerlo, ma studiarlo tutto
intiero, essendoché la lezione seguita dal cementatore molte volte non si
riferisca da lui letteralmente, ma sia da desumersi da quanto egli dice per
ispiegare il passo concernente. Questo lavoro è assai difficile, e richiede molto
tempo, massimamente per quel che riguarda i due comenti già mentovati per
essere i più antichi. I comenti attribuiti ai due Jigli di Dante seguono troppo
di lontano il Poema, per poter rilevarne spesso la precisa lezione seguita dal
cementatore. Le » Chiose « del /a&o Boccaccio sono un lavoro troppo inferiore
per servire alla critica. Importantissimi invece sono i Comenti del Boccaccio
(sopra XVI. canti dell' Inferno), di Benvenuto da Imola e di Francesco da
Buti. Il secondo di essi, volendo attenersi alla verità, dovrebbe dirsi tuttora
inedito, benché tre grossi volumi, stampati a Imola nel 1855 e 1856 pretendano
di esibirlo «voltato in Italiano da Giov. Tambuuini«. Un finissimo conoscitore
di Dante, il Sign. Charles Eliot Norton, Americano, diede ultimamente un
giudizio assai severo di questa malaugarata impresa'); ma quantunque esso sia
severo, non posso far a meno di sottoscrivervi pienamente. In ogni modo, chi
volesse conoscere la lezione del testo di Dante, seguita dalFImolese, dovrebbe
ricorrere tuttora ai codici manoscritti.
Tutto altro è da dirsi dell' eccellente edizione del Comento di Fkanoesiu
DA Bu'j'i pubblicata con sommo studio e con molta intelligenza critica dal Sign.
Crescentino Giannini coi tipi dei fratelli Nistri (Pisa 1858, 1860). Se la
presente stampa non fosse stata innoltrata di troppo, quando mi pervenne il
primo volume di questo insigne lavoro, mi sarei facilmente deciso di farne lo
spoglio per la prima e la seconda Cantica che sinora videro la luce. Ora dal
' ) »^ review of a tran^lation into Italian of the Coìnrn, by Benv. da Imola on the Dir. Contm,
Cambridge. Massachtisetts 1861. <*
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LIX
momento che mi era giunto, V ho attentamente consultato ad ogni passo che
ini pareva dubbio. Il confronto esatto degli antichi comenti è dunque una bella
impresa che lascio quasi intatta a un fiitiu'o editore.
Abbiamo veduto che dopo i cento testi degli Accademici antichi, assai più
di cento altri furono consultati per emendare coir ajuto di essi il testo di Dante.
Malgrado di questo, la lezione di numerosissimi passi della Commedia rimane
incetta, anzi le brighe sulle giuste lezioni si sono straordinariamente moltipli-
cate. Oltre di ciò si è già veduto per alcuni esempj, e la stampa presente lo
proverà anche meglio, che dove le nostre edizioni, dette critiche, non hanno
segno alcuno di variante, assai spesso anche i migliori codici variano fra di
loro, oppure sono concordi a rigettare la lezione generalmente adottata in tutte
le stampe. La ragione di questo fenomeno, in apparenza cosi strano, si è rico-
nosciuta nella circostanza che dai giorni di Aldo Manucci sino ai nostri ogni
nuovo editore si attenne ad una sola stampa, facendovi più o meno mutazioni, ma
conservandone sempre il fondo, vale a dire al testo Aldino. — Credo che oramai
si converrà universalmente , doversi sostituire a questo testo, per cosi dire »>tra-
latizio« un altro immediatamente attinto alla fonte genuina dei migliori codici.
Egli è per questo che ho preso per principio fondamentale della presente stampa:
di non ammettervi una parola, oppure una sillaba senza di poter appoggiarla
suir autorità di almeno uno dei codici che le servirono di base. Sarà che edi-
tori venturi sostituiranno altri testi ai quattro da me prescelti, sarà dunque che
col tempo molte e molte nuove lezioni entreranno, e con ragione, in luogo di
4uelle che ho creduto dover adottare, ma sono persuaso che non si potrà più
abbandonare quel principio: che un' edizione che pretende esser critica, deve fon-
darsi sulla sola autorità dei codici manoscritti.
Ma come saranno da consultarsi questi codici? Se i confronti sinora fatti
rimasero imperfetti, si potrebbe pensare a ricominciar (juesto lavoro, a riscon-
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LX
trar di nuovo ogni verso ed ogni parola del Poema nei cento testi degli Acca-
demici, e nei più di cento altri che da quel tempo a questa parte più o meno
superficialmente furono esaminati, si potrebbe pensare ad estendere questi con-
fronti ai forse trecento testi che tuttora rimangono intatti, e a riunir poi sotto
ogni verso della Commedia parola per parola tutte le lezioni in questo modo
trovate. S' intende facilmente che un tal lavoro, che richiederebbe delle spese
immense e lunghissime fatiche, non si potrebbe fare che colla cooperazione di
un grandissimo numero di dotti Dantofili sparsi per tutta Y Europa dovun-
que si trovano codici del Poema, dal Portogallo sino in Polonia, dalla Scozia
e dallo Stretto Baltico sino al mare Ionio. E se poi, forse dopo alcune gene-
razioni, la vastissima impresa fosse condotta a termine, si può dire con certezza
che riuscirebbe peggio che inutile. Per render evidente 1' impossibilità di oriz-
zontarsi in questa smism'ata congerie di varianti, basterà dire che le varianti
da me raccolte per il solo terzo canto dell' Inferno entrerebbero appena in un
grosso volume in ottavo. E poi la maggior parte di tante e tante migliaja di
varie lezioni non consisterebbe che in errori madornali, in ispropositi ridicoli.
Che prò ridonderebbe per esempio allo studio della Div. Comm. dal conoscersi
lezioni come le seguenti: Inf III. 2. »neir interno dolore «, 6. »e '1 fino amore«.
7. «Dinanzi a noi«, 10. «colore churo«, 11. »Vid' io scolpite», 12. »il sono lor
m' è durott, 16. »Noi slam giunti «, 19. »ch' elle sue mani alle mie pose«.
26. »incendie« (o »cociente«) »d' ira«, 30. «Come 1' aura quando '1 turbo so-
spira«, 33. »nel duol se investa», 42. »i rei ammebber d' elli», 47. »lor cieca
vistai, 48. ogni altra persona», 49. »Giama del mondo di lor« ecc. ecc.? —
E pure queste ed altre somiglianti , ed anche peggiori si trovano a centinaja nei
codici E come potrebbe esser accaduto altrimenti? Si è già veduto*) che il
Borghini censurò la maggior parte degli scrittori di codici come «persone ma-
teriali». S' intende che per lo più non avranno lavorato che per guadagnarsi
il pane, o per far la dote alle figlie, dunque non ci avranno messo gran cura.
*) Qui sopra p. XLIII.
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LXI
E che cura ci doveva mettere per esempio quel cuoco tedesco, che nel 1430
ad Arezzo scriveva un Dante per il suo padrone '). Un altro scrittore non mise
che dodici giorni per copiar le tre Cantiche*). Altri ancora profittavano del
tempo che doveano passar in carcere, per far manoscritti della Div. Commedia^).
Se poi avessimo tutti i codici »di quei del Cento «, forse senza conoscerne
r origine comune, cosa ci servirebbe di confrontarne sessanta o ottanta, invece
di uno solo, dovendo supporsi che questo scrittore, almeno per la maggior parte
delle sue copie, non si sia prevalso che di un solo originale? Le differenze
dall' una all' altra di queste copie già non potrebbero essere che inavvertenze,
0 pure emendazioni, più o meno temerarie, da lui intruse nel testo*). Ne im-
portanza maggiore potrà risultare alle diverse copie dell' istesso originale dall'
esser trascritte non dal medesimo ma da differenti amanuensi. Ora non si può
dubitare , che se vi fosse modo di riconoscere gli originali dalle copie fatte sopra
di esse, tra tante centinaja di Danti manoscritti il numero degli originali si
ridurrebbe a ben pochi. In vece dunque di accumulare senza scelta le mille e
*) Cod. Corsiniano a Roma No. 608. (De Batines No. 351.) »Ego Niccolaus theotoni-
cus, dicti domini Capitanei sui Regimini Kocus, scripsi et compievi hoc opus Dantis, die
vero XXI. mensis Novembris MCCCCXXX.» Altri Tedeschi, copiatori di Dante, sono men-
tovati dal De Batines 1. 615, IL 311, 319. Nel quattrocento molti copisti di Codici, mas-
àmamente a Roma, erano tedeschi o francesi. Gaye Carteggio d'Art. I. 164.
*) De Batines No. 247. — Vespasiano Fiorentino Vite di uomini illustri d. sec. XV.
(nello Spicilegio Romano del Card. Ang. Mail. 335, 36): (Cosimo de Medici) Bmi disse: Che
modo mi dai tu a fornire questa libraria? Gli rispuosi, che avendogli a comperare, sarebbe
impossibile, perchè non se ne troverebbe. Dissemi: Che modo si potrebbe tenere a fornirla?
Dissigli che bisognava farli scrivere Cominciata la Ubrarìa, perchè la sua volontà era
che si facesse con ogni celerità che fusse possibile, e per danari non mancassi, tolsi in poco
tempo quarantacinque scrittori, e finii volumi ducento in mesi ventidua«.
') De Batines No. 263.
*) Quel Bettino de' Pili (giudicato dal Sign. Barlow nell' Ateneo di Londra 1861.
No. 1766. p. 286, non so con qual fondamento, »o sittdeni of the Div. Comm. writing for his
(Atn use, or as a piofis exercise « ) non è V unico amanuense del quale più d' una copia del libro
di Dante ci sia pervenuta. Ne abbiamo tre (De Batines No. 144, 261 e 431) di un Paolo di
taccio Tosi, e due (De Bat. No. 137 e 189) di Bartolomeo di Andrea Massone.
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LKII
mille lezioni di ogni codice che ci capita in mano, bisognerà per forza limitarsi
ai testi che meritano di esser detti autorevoli.
Gli estensori di cataloghi bibliografici, e gli editori che consultarono qual-
che codice sono avvezzi a darne un giudizio critico. Raramente però avranno
r ingenuità di dire un testo da loro descritto cattivo o pessimo, quantunque lo
meriti. A sentirli, quasi tutti i codici sono » eccellenti «, » correttissimi «, »(li
buona lezione «, «ricchi d' importantissime varianti» ecc.*). Sarà che, scriven-
doli, credano ben meritati questi vanti; ma ripeto che l'aver dato alla sfuggita
una qualche occhiata a un testo a penna, 1' avervi trovato frugando qualche
variante nuova e curiosa, non mette in grado di giudicar del suo merito. Già
si sono veduti gli esempj di codici di altissimo grido, che pure guardandovi da
vicino sono scorrettissimi. Ne darò un altro che basterà per mille. D Sign.
Ant. Marsand celebre editore del Canzoniere di Frane. Petrarca e famoso biblio-
grafo pubblicò a spese del governo e con gran lusso tipografico un catalogo
assai disteso dei manoscritti italiani della bibUoteca di Parigi che in quel tempo
si chiamava Regia. Ragionando dei codici di Dante, gli accadde d' imbattersi in
tre di essi che portano numeri doppj, di modo che, badando ora all'uno, ora
all' altro di questi numeri li descrisse per ben due volte, come se fossero non
tre, ma sei. Non accorgendosi per questo che già ne aveva parlato lungamente,
diede la seconda volta un parere sulla bontà del testo che differisce assai di
*) Al contrario, a dir la verità sono pessimi con ben poche eccezioni, e lo erano sin
dal trecento. Ecco quel che ne dice Coluccio Salutati in una sua lettera a Nicol ao da Todi
(Mehus Vita Ambrosii Camaldulensis p. CLXXVIIL) 9 Est mihi cura, vir insignis, quod passim
habere correckun opus cUvinissufu Dantis nostri Sed quorsutn haecì Ut minus admirere, si
tam ardenier me concupiscere oideas aliqaem textain reperire correctum. Dici qiddein non poteste
quam molesta mihi sit ista corruptio, quae ìibros omnes invasit Snnt quidem non exempla, sed
exemplorum simililudines. Vera quidem exempla vestigia snnt exemplarium atqfie sigilla, Quae vero
prò exemplis habemus, adeo dissident ab exemplaribus , quod plus ab eis deficiant, quam statuae de-
ficere soleant ab hominibuSy quorum simulacra sunt Quae quum communis calamitas sit, in
hoc libro laiiìAS obrepsit et copiosius. quomam vulgares et imperiti perite non possunl, quae periti
fecerunty exeinplare ,^
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LXIII
(guanto ne avea detto prima. Ecco il primo suo giudizio sul cod. No. 416 del
De Batines (pag. 9 e 10): «Generalmente parlando riscontrai in questo codice
molte e molte di quelle buone e sane lezioni, che ormai universabnente
sono state ricevute Farmi dunque poter conchiudere , specialmente per
r esame eh' io ne ho fatto, che riporsi debba pur questo fra i buoni codici di
Dante, de' quali è ricca la bibhoteca Parigina «. Essendogli poi nuovamente e
sotto un altro numero tornato in mano 1' istesso libro, immemore di quel che
avea detto prima, ottocento pagine più sotto ne sentenzia così: «Fattone ch'io
n ebbi un po' di esame circa alla lezione, potei avvedermi che chi scrisse, oltre-
ché ignaro della nostra favella, ebbe pur la disgrazia di aver sotto degli occhi
un pessimo esempio. Se ne giudichi dalle due terzine, che stanno scritte cosi
— ecc. — E si noti, che queste due terzine sono forse delle men guaste nella
lezione di tutte 1' altre u. — Anche peggio si contradico il Marsand a ragione
del secondo di questi tre codici (Fonds de rèserve No. 7001. De Batines No. 418
e 426). Dove ne parla la prima volta (p. 6, 7) egli ne dice »> Sembrami poter
asserire, essere forse stato scritto il presente codice a' tempi del poeta, o poco
dopo i tempi suoi Potei conoscere che il codice fu scritto non da un
amanuense soltanto di professione, ma da persona letterata, e, se pur non era
tale, con somma diligenza e pazienza copiandolo da quel manoscritto eh' ei
teneva sotto degli occhi, e che certo era di buona dettatura, poiché non accad-
demi di trovar in questo il più piccolo errore di scrittura; e quanto ad alcune
lezioni, le quali danno ancora che dire a' letterati, sono qui, presso che tutte,
come si leggono ne' più famosi manoscritti Credo per tanto poter affer-
mare essere uno, se non de' più preziosi che si conoscano, certo de' più corretti
codici di Dante di questa biblioteca; e ristampandosi la Div. Comm., vorrei con-
sigliare l'editore di consultare anche il presente codice «. Ritornando a discor-
rere dell' istessissimo manoscritto, ma sotto un altro numero (p. 805) ne giudica
meno vantaggiosamente: » Quanto a' meriti dell' amanuense, eccetto la costante
uniformità del carattere , sono ben da poco. E cosi quanto alla lezione,
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LXIV
per r esame che a luogo a luogo ne ho fatto, non posso veramente dirne
bene«.*) — Ora se tale fu V incostanza di un celebre bibliografo e critico, qua!
fede potrà darsi a quei soliti giudizj generali, come » codice buono, eccellente «
ecc.? — Per voler sentenziar di un testo a penna bisogna esaminarne attenta-
mente lettera per lettera una qualche parte non troppo limitata., diremo almeno
un canto intiero della Commedia.
Non bastando dunque 1' autorità delle persone dotte per sceglier i testi
che più degli altri meritano di esser confrontati, si potrebbe pensare a sostituire
ad ogni altro criterio la sola età dei godici. A questo espediente si oppone però
che ben pochi sono i manoscritti ceniti di una certa data, mentre le regole
dell' arte diplomatica bastano appena per farci decidere se una scrittura dati
dalla prima, o dalla seconda metà di un secolo. Ora se egli è vero che già
trent' anni e meno dopo la morte del Poeta la lezione volgata sottentrò general-
mente al testo primitivo della Commedia, un mezzo secolo è un periodo troppo
hmgo per poter desumere dalla sola età di un codice, in questo modo deter-
') Rilevai V errore madornale del Marsand, di spacciarci tre codici per sei, pochi
mesi dopo la pubblicazione del Catalogo, nel Magazzino di letteratura estera (Magazin fiìr
LUercUur des Auslandes) 1836. No. 2. — 11 Sign. Jacopo Ferrari che somministrò al Visc. De
Batines delle notizie ulteriori sui codici Parigini, stampate nel secondo volume della Bibliogr.
Dant. (1848), si avvide dell' identità dei due codici annoverati dal Marsand come No. 8 e 70().
Ciò non ostante, ragionando degli altri manoscritti di Dante, cadde anch' esso nello sbaglio .
del suo predecessore. I due pareri eh' ei da sul Cod. F. de rés. No. 7001. si contradicono
anch' essi, benché assai meno di quei del Marsand: P. 233. »La Cantica dell' Inferno è suf-
ficientemente corretta, ma nel Purgatorio e nel Paradiso gli strafalcioni che caddero dalla
penna del copiatore, sono tanti che il testo è quasi inintelligibile. Peccato: perchè fu certa-
mente cavato da ottimo Codice che aveva la più parte delle belle varianti del famoso Codice
dell' Estense, che qui furono guaste e maltrattate dall' imperizia dell' amanuense.» P. 238.
»I1 Purgatorio e il Paradiso sono guasti dagli errori del copiatore assai più dell' Inferno.
Ad onta però che sia U7W de' più scorretti. Codici che ci sia capitato alle mani, merita tutta
via d' essere consultato, perchè presenta in qua e in là varianti di molto valore, le quali
non furono certamente trovate dall' amanuense, che forse copiava da pittore le parole senza
conoscerne il significato.» — Il terzo codice che nella bibliogr. Dantesca ricorre sotto due
numeri (435 e 441) è quello segnato: Fonds de rès. No. 7002. (Marsand p. 7, 8 e 805, 806).
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LXV
minata, se la sua lezione si possa credere genuina o secondaria. Difalcando
dalle date apposte ai codici tutte quelle che ora si riconoscono per false , appena
cinque codici restano che rimontano sino al quarto e quinto decennio del tre-
cento. Ma ancoraché ne avessimo in maggior numero, e che arrivassero anche
nel decennio della morte del Poeta, la sola età non potrebbe esserci malle-
vadrice della bontà del testo. Benché, generalmente parlando, i testi a penna
meritino più fede quanto più si avvicinano ai tempi dell' autore, e benché quei
•pochi testi d' un età cosi veneranda si distinguano per correzione di testo, pure
non v' è dubbio che gli amanuensi trascurati e neghittosi non saranno stati meno
scarsi di numero nel 1330 che nel 1350, o 1360. In fatto ne abbiamo la prova
decisiva nei due comenti più antichi^ ne' quali, benché 1' uno sia anteriore al
1328, e r altro dati dal 1334 troviamo già numerose lezioni che senza dubbio
devono dirsi errate.
Bastino alcuni esempj di lezioni erronee adottate dall' uno o dall' altro
di questi comentatori. Il Laneo legge Inf. VII. 30. «perchè li urli?« in vece
di «perché burh?«, Vili. 78. »mi parea che fosser fosse « per »mi parca che
ferro fosse, XIX. 8. «Nuovo Jason si radi cui si legge « per » Nuovo Jason
sarà, di cui«, Purg VIII. 128. »non si fregia^ per »>non si sfregia«, IX. 42.
»ch' é spaventato a caccia» per » che spaventato agghiaccia a, XXX. 85. » tra le
vinte travia per »>tra le vive travia. Assai più frequenti sono le false lezioni
neir Ottimo comento (di Andrea Lancia, notar fiorent), di pochissimi anni
più moderno di Jacopo della Lana: Inf. XVI. 3. »>che Y arme fanno rombo «
per «che T arnie fanno r.« Purg. Vili. 67. «F altro a me si volse « per »r altro
a un si volse«, ivi 129. »pregio della bontà« per »> pregio della borsai, XXX. 15.
«La rivestita voce allegando» per ^)La riv. v. allelujandoa, ivi 93. «Dietro alle
rote« per »> Dietro alle note«, XXXIII. 47. »me' ti persuade « per »>men ti per-
suade a. Farad. I. 141. »Com' matera quieta « per »>Come in terra quiete «,
XIL 11. «paralleli e con coluri« per «parali, e concolori», XXVIIL 50. «Veder
le eose« per «Veder le volte «, XXIX. 100. «E mente; che la luce« per «Ed
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LXVI
altri che la luce« (Vedi però Y »Agginnta« dell' Ediz. Pisana, presa dal cod.
Laur. XL. 2, dove si legge »E mentre che la l.a) — Quanto più poi li comenti
si allontanano dal tempo del Poeta , tanto più la lezione continua a peggiorarsi.
Non ne darò che pochissimi esempj. Pi?:tro di Dante che scriveva dal 1340
al 1B41 legge (Purg. IX. 17) »Men dalla carne, e più dal pensier presa<«, in-
vece di "Più dalla carne, e men dai pensier presa«. Nel comento di Benve-
nuto DA Imola si trova (Purg. XXXI. 96) «lieve come scola « per » lieve come
spola « ecc.
Non di rado questi antichi spositori conoscevano la varietà della lezione,
come anche nei codici del Poema qualche volta delle varianti si trovano notate
in margine con un y^aliasa. Già il Laneo cita la lezione (Purg. VII. 15.) «dove
il nutrir s' appigliate per «ove il minor s' appiglia». L' Ottimo ne riferisce hi
maggior numero: Inf. XIII. 73. «Per le nuove radici « e «Per le nove rad.««.
XVI. 19. "Ricominciar, come noi ristemmo, ei« e «Rie, come noi rist. : ehi«.
Purg. VII. 127. «del seme suo minor la pianta» e «del seme suo miglior la p.«,
XI. 3. «di' a' primi effetti» e «di' a' pr. affetti», ivi 84. «e mio in parte» e
«e'I mio parte». — Anche i comentatori più recenti menzionano delle varianti,
come p. es. Pietro di Dante a Par. XVI. 58. «E tre fiate» ed «E trenta fiate».
Benvenuto da Imola Purg. VI. 123. «dall' accorger nostro» e «per corregger
nostro», IX. 58. «1' altre gentil forme» e «l'altre genti fuor me», XXXI. 78. (si
conosce facilmente che la traduzione dev' esser tutta errata) «Da loro aspersione
e «Da loro apparsion». Francesco da Buti Inf XVT. 102. «Ov' io dovea per mille»
e «Dove porla per mille» , XXIV. 119. «quanto se' vera» e «quanto e severa».
Se dunque già circa la metà del trecento, ed aiicora qualche decennio
prima, i codici di Dante non erano esenti di false lezioni, e variavano fra di loro,
la sola antichità non può essere il criterio che ci guidi nella scelta dei testi da
confrontarsi a preferenza di tutti gli altri.
La più antica di tutte le date apposte a' codici della Commedia sarebbe
quella dell' Olivjekano di Pesaro (De Batines No. 401), se si [potesse prestar
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LXVII
tede alla nota marginale che vi si trova al principio del canto IX. del Purga-
torio: »Palmizanfis de Palmizanis foroliviensls 1328^. Ma la scrittura di questa
nota differisce visibilmente da quella del testo, e '1 March. Antaldo Antaldi la
giudicò a ragione aggiunta da qualche falsario »per ingainiare chi non ha peri-
zia degU antichi scritti « . Appartenga per altro a quahnique siasi epoca, in ogni
modo questo codice è uno dei pessimi frai cattivi*). Un secondo testo al quale si
evoluto attribuire la data del 1328, è il Tempi ano, detto maggiore, che ora si
conserva nella Laurenziana (De Bat. No. 7.). Al giorno d' oggi tutti concordano
a leggere nelle sottoscritte del Purgat. e del Farad. 1398, in vece di 1328. Ciò
non ostante il Tempiano è senza dubbio uno dei testi più cori'etti, del Poema*-).
— Un codice della Riccardiana (No. 1046. De Bat. No. 144) porta la sotto-
scrizione: «Scripto per mano di Paolo di Duccio Tosi da Pisa negli anni Dui
MCCCXX Villi, a di Vili, di septembre«, per la qual cosa si è sospettato che
questo manoscritto possa esser identico con quello di Luca Martini ♦> scritto
Tanno 1329«, che fu confrontato dal Borghini. Trovandosi però che due altri
lesti, scritti da queir istesso Paolo di Duccio Tosi da Pisa, datino dal 1403
(Parigi. No. 7255. De Bat. No. 431) e dal 1405 (Milano. Trivulz. No. 4. De Bat.
No. 261), questa data dev' esser errata, e dovrà dire 1399, oppure 1429. Del
resto il codice è assai corretto, ma le lezioni moderne già vi si trovano nume-
rose. — Un testo colla data del 1334 dovrebbe esistere a Ferrara^); ma shiora
tutte le mie ricerche non bastarono a proi'urarmene una notizia più precisa. —
La data più antica di quelle che si possono creder genuuio si troverebbe dun-
*) Non occorrerà darne che ben pochi esempj: Inf. III. 2(5. »Par. di dolor acese d' ira«,
V. 30. «Chomo T arena quando tu nnspira«, V. 53. «Che gridando chorea«, V. 75. «discierno
per lo poco lume». V. li). »Le coscie te fier conte «. 78. •riviera da Chironte». V. 117.
■Gittansi dio velinto» , V. 123. «che muovon nelF ira di Dio*.
') I soli errori dell' amanuense che trovai nel terzo canto sono V. 40. •Canccianlì i
deli», e V. 124. »Et pronti al trapassar lo rio». Due altre lezioni (V. 17. «Che vederai le genti»,
e V. 31. »avea d'error la testa cinta») non si possono dire errate, ma sono di quelle ch'io
credo sostituite dai copisti alle primitive.
*) De Batines Bibliogr. Dant. II. p. 211.
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LXVIII
que nel codice Pucciano, ora di Mylord Ashbumham a Ashbumham (De Bat.
No. 450 e 516). Della sottoscritta, che è raschiata quasi tutta, non si legge che:
"d^Ólto 1335«. Il testo non è esente di errori indubitabili, e di lezioni moderne *).
Più corretti, e di lezione più primitiva sono i codici Landi di Piacenza^) (De
Bat. No. 237), e Trivulzio (No. 2. De Bat. No. 257) che portano le date degli
anni 1336 e 1337. Ciò non ostante anch' essi non mancano di traccie delle
alterazioni progressive che il testo di Dante subì nei manoscritti del trecento \
Il codice DI Santa Croce (De Batines No. 1) dal Dionisi preferito, e
per quel eh' io credo a ragione preferito, a tutti gli altri, presenta per ben due
volte la data del 1343. L' una di esse che si leggeva sulF antica coperta del
') Inf. III. 26. t)Par. di dolori atenti d'ira a, V. 36. »Che vissen senza infama «, V. 41.
»Nè 1 profondo inf.« , V. 50. «justitia li disdegna a , V. 56. »ch'io non avrei creduto» , V. 67.
«Elle rigava lor« , V. 73. «Ch' io sappia quai sono», V. 78. «Sulla trista rivera di Caronte».
100. «quelle anime ch'erano lassea, V. 105. »Di lor semenze», V. 111. «Batte co' remo».
V. 119. »E 'nanzi ch'elle sian«, V. 122. «Color che mojon», 128. «E però Caron di te«.
*) Essendo privo di comenti, il cod. Landi non dovrebbe esser identico col testo di
Zacc. Tornabuoni, scritto nell' istesso anno, ma accompagnato di «certe cliiose», che fu
confrontato dal Borghini e da' suoi amici.
') Cod. Landi, Inf III. 3. «nella perduta gente*, V. 7. «Dinanzi annoi «, V. 36. «Che
visser sanza fama», V. 40. «Chacciali i celia, V. 56. «ch'io non avrei creduto», V. 64. «Quei
sciagurati a , V. 65. «ignudi stimolati « , V. 8L «da parlar mi trassi « , V. 87. «in caldo e gielo«,
V. 103. «Bestemiando Idio«, V. 106. «Poi sirracolser* , V. 110. «tutte li raccoglie «, V. 111.
«Batte con remo«, V. 113. «L' una presso dell' altra fin che '1 ramo«, V. 116. «Gittasi»,
V. 126. «si volve in disio», V. 136. «che '1 sonno piglia». — Cod. Trivulzio: Inf I. 20.
«m'era indurata» — V. 28. «Com'io posato un poco», V. 47. «con bramosa fame», V. 60.
»Mi rimpingeva», V. 69. «ambendui», V. 72. «Nel tempo». II. 22. «Lo quale e il quale».
V. 43. «la parola tua», V. 57. «in la favella», V. 79. «La vita si», V. 80. «Se già fosse
men tardi», V. 81. «Più non t' è uo' eh' apr.» , V. 103. «Beatrice, disse». III. 31. «eh' avea
d' error» , V. 36. «senza infama» (le due prime lettere dell'ultima parola sono cancellate),
V. 38. »nè furon ribelli», V. 40. «Cacciali i CieU, V. 56. «ch'io non avrei cred.» V. 81.
»del parlar mi trassi», V. 106. «Poi si raccolser» , V. 120. «nuova gente s'aduna», V. 130.
»la buia compagna», V. 136. «ehe'l sonno piglia». IV^. 9. «Chentrono accoglie», V. 29.
»ch' eran molto grandi», V. 101. «Che sì mi fecer» , V. 106. «Giugnemmo al piò», V. 120.
«del vedere in me», V. 125. «Dall' altra parte vidi», V. 141. «Tullio, Alino», V. 151. »non
è chi luca».
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LXIX
manoscritto è senza dubbio di mano assai più modenia, e dovrebbe esser ag-
giunta dopo la morte di Fra Tedaldo della Casa, il quale almeno nel 1406*)
era ancora vivente. L' altra, posta nella fine dell' opera (^>Completum infesto
Sanctae Annae^ — 26. di Luglio, — »2W quo Dux Athenarurìiy Gualterius tyran-
nns civitatis Fiorentine pulsus est. f 1343 «), fu creduta dal De Batines della mano
tlel copista. Egli è vero che vi fu chi, invece della croce che precede il numero
deir anno, leggesse un 14. cancellato, come se lo scrittore per isbaglio avesse
voluto scrivere 1443; è vero inoltre che il De Batines credette riconoscere nel
numero 1343 il carattere di Sebastiano di Giovanni Buccelli (?) che mori nel
1466*'^), ma questi dubbj sono di nessun rilievo, per quanto si ammetta 1' auten-
ticità della nota relativa alla cacciata del Duca di Atene. Non meno dubbio
è il nome del copista La soprascritta dell' antica coperta dice «Scritto per
mano di Messer Philippo Villani». Un' altra nota aggiunta, al parere del
Mehus, da Fra Tedaldo alla fine della Commedia concorda a dire: » Questo libro
fii scripto per mano di Messer Phylippo Villani il quale in Fii^enze in publiche
scuole molti anni gloriosamente con expositione litterali allgorice anagice et
morali lesse et sue expositionj a molti sono coinmunicate«. Ora non solamente
il Dionisi *) e il De Batines ci dicono che la scrittura del codice di Santa Croce
non concorda con quella di un altro testo indubitabilmente scritto da Messer
Filippo, ma sappiamo che quest'ultimo visse per lo meno sino all' anno 1405*).
Egli è per questo che il Dionisi, il Manuzzi e il De Batines dicono suppositizio
il nome di Filippo Villani. Si avverta però che abbiamo notizia di un altro
Filippo Villani, fratello dei due storici Giovanni e Matteo, che troviamo men-
zionato in un contratto del 23. Maggio 1343, e che nel 1324 fu de' Signori di
* ) Mehus Vita Ambrosii Camald. p. 234 , 235.
') Mehus ivi p. 344.
*) Aneddoto V. p. 75.
*) Fi!. Villani Vita di Coluccio Salutati, nelle Vite d' uoni. ili. Fiorent. Ed. d. Mazzu-
chelli p. XXVII., e nota 20. dell' editore. Mehus 1. e. p. 128.
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LXX
Firenze * ). Sembra dunque che le ragioni sinora addotte non bastino per levare
al codice di Santa Croce il nome di testo di Filippo Villani -).
Più recente di pochi anni è un altro codice della Laurenziana (già della
Biblioteca Gaddi: De Batines No. 2 ) scritto da Francesco di Seh Nardi nell' anno
1347, ma mancante d' incirca un quarto della Commedia. Anch' esso è da anno-
verarsi trai codici più corretti, benché alcune varianti a lui particolari non sem-
brino certamente provenire dall' autore^).
Un' altro manoscritto del 1347, e con soscrizione somigliantissima a quella
del testo Gaddiano, fu venduto più volte nel secolo scorso, e sembra smarrito,
dacché la biblioteca Crevknna fu posta all' incanto (De Batines No. 465)*).
') Sigilli IV. 76. Mehus l. e. p. 279, 323, 324. Montani nell' Antologia di Firenze 1832.
Marzo p. 16. Si sa per altro che Fil. Villani era avvezzo ad aggiungere ai suoi codici f esametro:
Non heiiepro toto libertas venditur auro^ che ricorre più volte nel cod. S. Croce (Mehus 1. e. 294.).
^) Non volendo sembrar troppo parziale per questo codice, credo dover registrar qui
alcune lezioni di esso, che per esser apertamente viziose, e per vedersi corrette da mano
antica non mi sembrarono degne di esser riferite sui margini della presente edizione: Inf. I.
20. »laco del coro«, V, 69. «Mantovani nati per patria» , V. 77. »non sali tu il dil.« V. 128.
»la sua e Talto». U. 38. «E nuovi pensier«. III. 49. »il modo esser non lassa». IV. 29.
» eh' eran molto grandi « .
*) Inf. XXVI. 15. «Rimontò lo mio maestro», V. 21. «lo ingegno affermo«, V. 50.
>»e già m' era avviso» , V. 55. »Rispuose a me«, V. 57. »Alla vendetta, chome« , V. 93. »Enea
la nomasse», V. 114. »E questa tanto», V. 123. »li averei tenuti», V. 136. »Noi ci ralle-
gramo». — Purg. VI. 29. »luce mia, spresso, V. 45. «Che lume sia», V. 60. «Quella ne
asennerà» , V. 92. «Ceserò nella sella», V^. 125. »>un Metel diventa», V. 139. «Athena e
Macedonia».
*) Della seconda metà del trecento conosciamo da ventisette a ventinove codici datati.
Eccone la tavola, disposta in modo che i numeri apposti in parentesi alla data del codice
si riferiscono alla numerazione del De Batines: 1351. (414.), 1355. (3.), 1360. (per quanto dice
il Palermo I MS ti. della Palat. p. 538; che il De Bat. No. 173. vi lesse 1460.), 1362. (464.),
1368. (187.), 1369. (322, e 402.), 1370. (4.), 1372. (258.), 1373. (236.), 1378. (345, e 408.), 1379.
(518.), 1380. (243.), 1385. (102.), 1386. (al dire del Palermo p. 535; che il De Bat. attribuisce
questo codice No. 164. al 1383. — Forse anche 362.), 1387. (451.), 1392. (133.), 1393 (5.),
1394. (141, 323, e 416.), 1396. (6.), 1398. (198 [smarrito], e 247.), 1399. (235, e 248.). Più
numerosi (36.) sono i manoscritti che portano una data della prima metà del quattrocento:
1401. (348 ~ è incerto se la data appartenga al testo della Commedia, oppure ai versi latini
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LXXI
Se dunque non basta nemmeno la data apposta ai eodici, per riconoscere
quelli che meriUmo di esser prescelti come i più corretti e più autentici, il critico
non potrà far a meno di far passar in rivista tutti quei tanti e tanti testi a penna
sparsi per le librerie dell' Europa *). Ne gli sarà permesso di rigettare senz'altro
che vi stanno infine), 1402. (240.), 1403. (431.), 1405. (2G0, e 261.), 1408. (180, e 202.), 1409.
(231.J. 1411. (181, 405, e 432.), 1412. (51, 141, e 508.), 1413. (141.), 1414. (230.), 1415. (57.),
1417. (58.), 1418. (59.), 1419. (367.), 1421. (296.). 1426. (143.), 1429. (85- [cioè Laurent. XLIl.
17J, 144, e 388.), 1430. (351.), 1431—34. (85»», cioè Laur. XLIL 14-16.), 1435. (223, e 26:^.),
1442.(62.), 1443. (63, e 489.), 1445. (496.), 1446. (297.), 1447.(107.), 1448.(145.). Non meno di
26 testi a penna esibiscono la data dei due seguenti decennj: 1452. (64.), 1453. (224.), 1455.
(344.), 1456. (65, e 433.), 1457. (109, e 189.), 1459. (182, e 333.), 1460. (265.), 1461. (68, 334,
e 528.), 1462. (110.), 1464. (352.), 1465. (146, 360, e 371.), 1466. (66, 111, 266, e 310.), 1467.
(112.), 1469. (434. e 478.), 1470. (67.). Le date posteriori alle prime stampe della Commedia
non sono frequenti. Se pure alcune se ne trovano sino allo scorcio del secolo, la ragione
per cui si continuava a servirsi della penna, invece dei caratteri tipografici, sarà stata per
avventura che alcuni raccoglitori di libri preferivano i codici manoscritti alle più belle stampe.
Vespasiano Fiorentino, parlando di Federico Duca d'Urbino, ci dice che nella libreria da
esso fondata »i libri tutti sono iscritti a penna, e non v'è ignuno a stampa, che se ne sarebbe
vergognato» (Spicileg. Roman. 1. 129.). Ora i codici che portano una tal data sono i seguenti:
(1611472.(69,6 148.), 1475.(267.), 1477.(178.), 1478.(353.), 1479.(70.), 1480.(71.), 1495.
(So**- [cioè Laur. XLIL 18], e 232.). - I testi del cinquecento, come del 1502. (341.), 1510. (250.),
1586. (162.), oppure di secoli anche più recenti, come una copia dell'edizione della Crusca
(373.), ed un'altra fatta dal Biscioni (120.), non meritano di esser detti »codicia. — Noto di
passaggio che tre testi, confrontati dal Borghini, eh' erano scritti nel 1410, nel 1463. e nel
1475, sembrano smarriti. — I se(|uenti codici di conienti sopra Dante, senza il testo del Poema,
hanno parimente la data: 1355. (De Batines Bibliogr. IL p. 292.), 1362. (I. 616.), 1377. (IL 316.),
1.380. (L 625, e IL 330. No. 563.), 1383. (L 607, e IL 284.), 1393. (1. 628, e 11. 461. No. 473.
24.), 1394. (L 643.), 1395. (I. 608.), 1399. (L 615.), 1406. (IL 311.), 140S. (11.304, e 332), 1409.
(11.305.), 1410. (IL 328.), 1412. (II. 312. No. XIX.), 1414. (IL 327. No. 558.), 1416. (IL 307.), 1421.
(U. 311.), 1423. (IL 308.), 1428. (I. 607.), 1430. (II. 310, e 313.), 1431. (11. 289.), 1444. (L 605.),
1453. (I. 639.), 1454. (II. 331.), 1455. (II. 327.), 1456. (IL 350.), 1458. (IL 82. No. 147.), 1459.
fU. 307. Laurenz. Strozz. 159.), 1462. (IL 311. No. 16.), 1475. (I. ()38.). 1480. (II. 338.), 1488.
(IL 350.).
') 11 «Catalogo de' codici manoscritti « compilato dal De Batines ha 537. numeri; ma
(juesta numerazione è assai inesatta. Non meno di ventiquattro codici ricorrono sotto un altro
numero. Questa coincidenza è indicata dall'autore stesso ai numeri 197, 199, 200, 201, 202,
203, 204, 205, 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212,213,214,216,217,218,471,521,536. Non
la vide pei numeri 426, e 441 che sono identici col 418, e 435. Oltre a (|uesto sono da levarsi
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LXX.1I
i codici che pel carattere della scrittura, o per V ortografia si conoscono scritti
un secolo o più dopo la morte del Poeta, potendo darsi che un tal codice sia
copia dì un altro ottimo ed antichissimo, ora per noi smarrito. Supponendo
che per determinare il carattere e il pregio di un testo, basti 1' accurato esame
di una parte di esso, cominciai questo lavoro trentacinque anni sono, e scelsi
per campione il terzo canto dell' Inferno. Perseverandovi assiduamente, non
istancandomi a far numerosi viaggi, ad intrattenere un esteso carteggio, a sagri-
citique codici che non contengono che comenti, e forse qualche brano del Poema (37, 49,
147, 303, e 473. No. 22, 23, e 24.), otto altri, per lo più di data recentissima, che invece
dell'opera di Dante ne danno poverissimi estratti (121, 122, 133, 160, 161, 331, 340, 390.),
e cinque che, per essere scritti dopo la fine del quattrocento, non si possono dir ^codici»
(120, 162, 250, 341, e 373.). Finahnente anche i testi smarriti, almeno per il momento, ed
enumerati dal De Bat. in diciasette numeri (192. [due], 193. [quasi tutti i testi consultati dagli
Accademici], 194, 195, 196. [tre], 198, 217. [tre] 392. [due], 395, 396, 417, 449, 465, 46G,
467, 468, e 472. [due cartacei]), non possono prendersi in considerazione per il nostro scopo.
Cosi si riduce il numero dei testi a 478. Ma anch' esso non è esatto. Alcuni numeri del De
Batines comprendono più codici (il numero 85. ha tre testi dell* Inferno, due del Purgatorio,
e due del Paradiso, e il 393. ne registra due), altri manoscritti, benché mentovati dal De
Batines, non ottennero da lui numerazione (due Trivulziani a p, 145, il Ferrarese p. 211, e
un cod. del Dott. Nott di Winchester p. 265.), altri finalmente rimasero sconosciuti a quel
dilìgentissimo Francese (si aggiungano dopo il numero 186. un cod. della Sign Marchesa
Venturi ne' Ginori, dopo il 220. un cod. di Poppi in Casentino, mentovato dal Sign. Barlow,
dopo 236. un secondo Parmigiano, dopo 393. un terzo Bolognese, ed in fine dell' opera tre
testi nuovamente acquistati dal Museo Britannico [registrati dal Sign. Barlow] , due, poco tem|)o
fa, posti in vendita dal Hbrajo Laemmlein di Scafiusa, e dal librajo Potier di Parise, e tre che
furono del March. Antaldo Antaldi di Pesaro. Inoltre si sostituisca ai due codici cartacei
dell' Escuriale (472.), che non esistono, un membranaceo della y* Biblioteca Nacionah di Madrid).
Con questi 20. codici il numero totale arriva a 498.
I miei confronti, limitati per lo più al terzo canto dell' Inf, non potettero abbracciare
tutti questi testi. Ne rimasero, per necessità, esclusi non solamente tutti i codici che non
comprendono che le due ultime Cantiche (De Bat. No. 105, 276, e 379.), oppure il solo Pur-
gatorio (No. 25, 38, 56, 150, 378, e 497.), o finahnente la terza Cantica (No. 5, 39, 60, 61,
87, 108, 128, 140, 165, 181, 219, 220, 226, 250, 253, 278, 290, 308, 321,371,499,503.), ma
quelH ancora che, benché contengano l' Inferno, pure non ne hanno il terzo canto (No. 2, 40,
43, 94, 99, 116, 158, 187, 263, 295, 305, 330, 332, 355, 387, 393-, 424, 430.). Era dunque
impossibile che questi confronti si estendessero a più di 449. codici.
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ficare delle somme assai al di sopra alle mie circostanze, pure ho dovuto con-
vincermi, che per esser eseguita bene, V intrapresa sorpassa la forza di una sola
persona, scarseggiante dei mezzi opportuni, e separata per tante centinaja di
miglia dalle librerie più doviziose di testi a penna. Ho veduto che Y essermi
limitato a un solo canto , non mi permetteva di formarmi un giudizio sopra tutti
i codici che ne sono privi, il numero dei quali arriva alla decima parte di
quanti si conoscono. Ho trovato che tutte le mie fatiche non bastarono a farmi
avere i confronti del rimanente dei testi. Alcuni possessori di codici, o biblio-
tecarj non si degnarono nemmeno di rispondere alle mie lettere*), altri si scu-
sarono con dire che i manoscritti non si trovassero*^), altri ancora dissero di
non aver di soverchio la mezz ora richiesta a quel poco di collazione *). Final-
mente mi sono accorto che molti e molti così detti confronti m«incavano dell'
esattezza indispensabile pel mio scopo. Moltissime varianti sfuggono V occhio di
chi confronta più o meno alla sfuggita. Anche maggiore è forse il numero delle
varianti passate sotto silenzio per esser credute indifferenti o inette; eppure nes-
suna lezione può esser indifferente per chi cerca d' indagare la genealogia dei
testi. Non mancano nemmeno i bibliotecarj che, per non recar pregiudizio a
qualche codice da loro prediletto, credono dover tacerne le varianti indubitabil-
mente erronee.
Dall' altra parte non saprei lodare mai a sufficienza la gentilezza con cui
tante e tante persone di ogni paese generosamente ajutarono questi miei lavori
che pur troppo pericolavano di sembrare sterili. Primeggia tra essi la b. m.
deir illustre Marchese Gian Giacomo Trivulzio, primo e nobilissimo fautore e
promotore de' miei studj Danteschi. Sarebbe cosa difficile di enumerare tutti
*) Cosi per esempio i possessori dei testi 312 — 14, 450 — 4GI, 464.
*) •Mr, . . fears* ^ mi scrive un possessore di tre testi, »iV would be difJiciUt io find the
MSS. of Dante, ali the Library lately having been so much deraìiged a ,
') No. 505. — Per queste ed altre ragioni rimangono ancora a farsi i confronti del
terzo canto nei testi 85—, 176, 180, 183, 184, 186, 191, 312-14, 317, 361, 386, 388, 389,
:»K 394, 408, 451, 460-64, 470. 475, 483, 484, 501, 502, 504-.8, 516—20.
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che in cortesia o simile, o poco minore gli tennero dietro. Devo contentarmi
di mentovarne almeno alcuni, benché dolente della certezza in cui mi trovo di
tralasciarne assai. Già passati a miglior vita non vedranno più questi miei
lingraziamenti i Sign. March. Antaldo Antaldi, Anton (di Goerlitz), Ab. Bencini,
Bettio, Cav. Bart Borghesi, Ant. Cesari, Andr. Coi, Conte Dziahnski, Ebert
Santi Fontana, del Furia, Bart. Gamba, Mazzuchelli , Card. Mezzofanti, Barone
Minutoli, Gius. Molini, Ab. Morelli, Monsign. Muzzarelli, Nardi, Dott. Nott
Conte Sannazaro , ecc. Frai viventi devo moltissimo ai Sign. riv. Dott. Pusey di
Oxford, Conte Leicester diHolkham, Cons. Alfr. di Reumont, Dott. Teod. Heyse
di Firenze, e de La Garde di Berlino; ma cortesissimi ancora mi furono i Signori
Baratta di Rapallo, Barlow, Canonico Brun. Bianchi, Dott. Brunn, Canestrini,
Consigl. Pietro Capei, Giov. Batt. Carinei, Carnicero di Madrid, March. Forcella
di Palermo, Prof Giuliani, Jeep, Padre Kalefati di Monte Casino, Seym. Kir-
kup, Agramante Lorini, Longhena, Prof Miiller di Padova, Cav. Palermo, Prof
Picei, Poppe di Lisbona, Gius. Poni, Residori, Sabatier, Fil. Scolari, Rid. Sieg-
fried di Dublino, Tàcchella, Saint René Taillandier, Tedeschini, Sanche Tison
di Toledo, Giov. B. Uccelli, Valdighi, Valentinelli, Pietro Vieusseux, Zamboni,
Zani de' Ferranti ecc.
Speravo di pervenire per questi lavori a poter distribuire per famiglie
tutti i codici esistenti, formandone per così dire un grande albero genealogico.
Ma nel processo delle mie fatiche ho dovuto conoscere, che moltissimi codici,
che almeno in parte saranno stati gli originali di quelli che ci rimasero, sono
smarriti, e che, in mancanza di questi anelli di mezzo, la catena deve restar
lacunosa. Ilo compreso ancora che ben molti sono i testi pei quali difficilmente
si troverebbe un certo posto in queir albero genealogico. Alcuni vi ripugnano
per ismisurata scorrezione che in non pochi fa diventare della Commedia di
Dante un accozzamento di parole vuote di senso. Altri che per correzione si
avvicinano ai libri stampati, rendono con uniformità tale la lezione volgata, costi-
tuita intorno alla metà del trecento, che le diiferenze dall' un codice all' altro
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sono quasi impercettibili. Ciò non ostante i codici che si prestano a quella distribu-
zione per famiglie sono assai numerosi Già si addussero alcuni esempj di testi
fra di loro congiunti di parentela più o meno strettii, come fra gli altri la quasi-
identità del testo nei codici 133, 243, e 478. Benché queste ricerche non siano
propriamente essenziali per lo scopo ora da noi atteso, e benché per questa
ragione intendo di parlarne ancora altrove, e più distesamente, non voglio tra-
lasciare di dar almeno un esempio di una famiglia assai numerosa, gli individui
delia quale concordano maravigliosamente nella lezione del testo. Essa è com-
posta dai codici 22, 156, 179,223, 299, 345, 351, 488, 495, 229, 233, 262, 286,
e da due testi non mentovati dal De Batines: il terzo Antaldino, e quello che,
dopo di essere stato del Sign. Carlo Riva di Milano, fu posto in vendita dal
Sign. Potier.
Veramente sarebbe stata una bella cosa, se i capi delle famiglie di codici,
per cosi dire i patriarchi, si fossero, potuti rintracciare con evidenza. Allora il
confronto di essi sarebbe stato da sostituirsi a quello di tutti i discendenti della
stessa schiatta. Ora, non essendosi pienamente giunto a questo punto di mira,
l'unica cosa che si poteva fare, era di scegliere fra tante centinaja di testi a
penna quei pochi che offrono la lezione più primitiva e più corretta. I confronti
del terzo canto dell' Inferno, eseguiti sopra 407 codici manoscritti, vi offrivano
la pietra di paragone. Il riconoscervi quei di cattiva lega, pieni di spropositi,
e pure non di rado celebrati da qualche bibliotecario o editore, era cosa faciUssima.
Ma per scegliere frai testi corretti quei di lezione primitiva, si voleva uno studio
assai più accurato. La strada migliore per arrivarvi mi è sembrata quella di
determinare un certo numero di varianti che a fronte d' una lezione difficile ad
intendersi, ma da giudicarsi genuina, ne mettono un' altra di un senso più ovvio,
ma pure erroneo. Ponendo i codici manoscritti a questo cimento si conosce
quanto siano pochi quelli, che invece delle lezioni secondarie e facili, danno
regolarmente le primitive; ma quei pochi mostreranno la stessa correzione,
ristesso carattere primitivo per tutto il corso della Commedia.
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I testi che esaminati sotto questo punto di vista mi sembrarono più degni
di esser presi in considerazione sono i seguenti: No. 1, 16, 52, 72, 82, 98, 112,
127, 130, 177, 221, 256, 264, 293, 301, 319, 323, 365, 366, 375, 407, 420, 44H.
454, 474, e 525. Anche questo numero è troppo grande di molto per farne un
confronto letterale, e per ingombrare di tutte le varianti che ne risulterebbero
i margini di un' edizione. Nella scelta che per questo si doveva fare tra essi,
ho avuto riguardo alla maggior correzione degli uni in paragone degli altri,
all' influenza esercitata da un certo codice sulle nostre stampe, ed alla maggior
facilità eh' io trovai di giovarmi dì un testo , più che d' un altro.
La scelta del primo dei codici sopra i quali la presente edizione doveva
fondarsi, non poteva esser dubbia. Per la correzione del testo e pel carattere
primitivo delle lezioni nessuno supera, anzi agguaglia il manoscritto di Filippo
Villani. Primo a richiamarvi T attenzione dei dotti*) fu, per quel ch'io vedo.
Domen. Maria Manni nel 1740*). Le dovute lodi però non gli furono date che
da Lorenzo Mehus, il quale, dopo di averne parlato di passaggio nel 1753^), ne
rilevò alcune particolarità nella vita di Ambrosio Traversano , data alla luce nel
1759*). Undici anni dopo che il Bandini nel 1778 ne avea pubbUcato un' esatta
descrizione, il March. Dionisi intraprese il confronto del cod. di Santa Croce che
servì di fondamento all' edizione del 1795 (V. qui sopra p. XXXII — XXXV.).
Se da quel tempo a questa parte esso fu nuovamente esaminato per rilevarne
delle correzioni da farsi nel testo di Dante, io almeno non ne ho avuto notizia.
Certamente chi vi studiò sopra per degli anni dovrà dire poco considerata la
supposizione del Foscolo^); «Forse ove fosse stampatoti (il cod. di Fil. Villani)
» paleserebbe che i testi nell'oscurità d'archivi risplendono come luciole che a
dì chiaro tornano vermi « . Liberalmente secondato dai Signori BibUotecarj della
') Lo trovo già inemionaJU) nella «Tavola delle voci« delf Ubaldini (1640) «Frutta».
') Sigilli antichi. IV. 73, 74.
') Epistola di M. Lapo da Castiglionchio p. XXXIX. Na. 8.
*) p. 128, 154, 179.
*) Discorso sul. testo Sez. 10. inf.
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Laurenziana, cominciai nel mese di Settembre 1856 a copiar letteralmente il testo
di Santa Croce. Dopo la mia partenza questo lavoro con iscrupolosità non
minore fti condotto a termine dall' accuratissimo Sign. Giov. B. Uccelli, onde
credo poter dire che la presente edizione appena avrebbe potuto profittar meglio
di quel venerando testo, se mi fosse stato permesso di darle compimento sulle
sponde dell' Arno *).
Anche la scelta del secondo codice non poteva sembrar dubbia. Benché
al giorno d' oggi tutti quasi siano d' accordo, che quel testo Vaticano (3199
De Bat. No. 319.) più volte da noi citato, non sia né scritto dal Boccaccio^),
ne postillato dal Petrarca , e benché i non pochi errori che vi s' incontrano già
da altri siano rilevati, pure questo codice esibisce dall' un de' lati un testo quasi
immune dai ritoccamenti ed alterazioni degli amanuensi posteriori, dall' altro sì
è già visto che, quantunque il Bembo non sembri di essersi servito del testo
Vaticano, la lezione da esso adottata sia somigliantissima a quella del detto
codice, e possa supporsi derivante da essa in discendenza poco lontana. L' im-
portanza di questo testo per la costituzione della lezione volgata delle nostre
stampe basta dunque per renderne indispensabile 1' accurato confronto ^). L' esatta
*) Le notizie date sul codice di S. Croce dal Dionisi nel quinto Aneddoto Cap. t)— 11.
sono così esatte e sufficienti che non saprei cosa potessi aggiungervi. Preferisco dunque di
rimandare il cortese Lettore alla detta opera, invece di copiare quanto disse quel dotto
Veronese.
') Primo a dirlo tale fu Fulvio Orsino nella breve notizia che copiata si legge sul
primo foglio del libro. Gli tenne dietro V Ubaldini nella Tavola delle voci ecc. di Frane.
Barberino (1640) «Dante del Boccaccio», »Aqua<>. Che questo codice sia stato posseduto
dal Card. Bembo , sembra piuttosto congettura che fatto storico ( V. qui sopra p. XIV. ). Quel
che ne sappiamo di certo si è che fu lasciato alla Vaticana da Angelo Colucci, morto nel
1549. Se poi il De Batines (II. p. 166.) dice, ignorarsi che sorte avesse il codice dopo la
morte del Bembo, sembra eh* egli non avverta come il Colucci non sopravisse al Cardinale
Pietro «'he di soli due anni.
') Il De Romanis nella sua prefazione del 1820 ripete F antica favola relativa allo
scrittore ed al primo possessore del manoscritto, ma dal modo riserbato in cui lo fa, ai co-
nosce che la verità del fatto gh sembri dubbia. Certamente non lo sfuggivano le non poche
lezioni errate del codice (V. per es. la nota al Par. XXVII. 64.). Forse i primi a dubitare di
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edizione del codice Vaticano eseguita con somma cura dal Sign. Luigi Fautoni
nella propria sua casa di Rovetta in Val Seriana mi dispensò dall' obbligo di
confrontare il manoscritto stesso. Con modestia non meno rara che lodevole
dice il benemerito editore: «Quanti errori avrò mai fatto e nel trascrivere il
Codice, e nelF accudirne la stampa, e quanti gli obbedienti Tipografi «. Olii
conosce per esperienza come nel confronto dei testi anche la maggior attenzione
non basta per evitare ogni inavvertenza, dirà con ragione questi errori sospettati
dall' editore essere ben pochi. Ciò non ostante, vedendo che non tutte le varianti
riferite dal De Romanis si riscontrino nell' edizione di Rovetta, feci confrontar
di nuovo qualche dozzina di queste lezioni nel testo Vaticano, e trovai forse in
egual numero di casi 1' errore dall' uno e dall' altro dei lati (qui sopra p. XXX.
Na. 1.).
Per terzo codice la somma correzione del testo mi ha fatto prescegliere
quello che dopo di essere stato dei Sign. Tomm. Rodd e Dott. Giorgio Feder.
Nott, passo alla Bibl. R. di Berlino ( De Bat. No. 521 , 525). Lo dico molto corretto,
essendo persuaso che certe omissioni di qualche lettera che qua e là, benché
rarissime volte, vi si trovano (come » inghia « per » ingoia» Inf VI. 18.) non
meritano di esser dette ne scorrezioni, ne varianti, e perciò non furono sempre
notate sui margini della presente edizione. Generalmente parlando anche la
lezione di questo codice è V antica e primitiva; però già vi s' incontrano alcune,
ma rare, alterazioni che cominciano ad avvicinarsi alla » volgata « , ed è un fatto
quella tradizione furono gli editori Padovani (prefaz. p. XV, XVL), e falsa la credono anche
il Ciampi (Monumenti di Giov. Boccaccio. Mil. 1830 p. 19), il Becchi (prefaz. p. XXVII.), el
Foscolo (Discorso sez. 69. dN' hanno lasciato stampare una cantica; onde a' monsignori re-
verendissimi, custodi de' tesori letterarii di Roma, tocca oggimai di scontare la loro impru-
denza, e forse anche recitare la parte del frate, che predicando la penna delle ali dell' Agnolo
(Tabriello teneva in mano carboni spenti*). Tra gli autori moderni che attribuiscono al
Boccaccio la scrittura del codice Vaticano sono il Baldelli (Vita del Bocc. p. 135, 36. No. I),
il Fantoni, e 1 Palermo (Appendice p. 210). I passi che sono, o che sembrano errati nel cod.
sono registrati dal Fantoni (prefaz. § 4 — 16, 19, ed «Emendazioni proponibili* in fine del libro).
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assai curioso che le correzioni fatte di seconda mano nel eod. di Santa Croce
spesso concordano col testo di Berlino. La collazione fattane sotto la mia sopra-
intendenza da un giovane studioso di Dante non si provò bastevolmente accurata.
Profittai dunque della liberalità colla quale i Signori Bibliotecarj mi accordarono
il codice per più anni, per consultarlo sempre di nuovo ad ogni verso. Veramente
questo eccellente testo è stato più volte Y unico suU' autorità del quale potei
fondare la lezione eh' io credo genuina ^ ).
Quarto ed ultimo dei codici da me scelti è il celebre testo Caetani. (De
Bat. No. 375.). Le distinte qualità di esso furono già rilevate dal De Romanis
(qui sopra p. XXXL), e basterà dire che, non meno corretto del codice di Ber-
lino, lo sorpassa qualche volta nel carattere germino della lezione. Anch' esso
dunque somministrò alla presente stampa non poche lezioni, da lui solo spalleg-
giate'-). Un confronto letterale, secondato dalla somma cortesia dell'illustre
possessore, Sua Eccellenza il Sign. Duca Michelangelo di Sermoneta, fu fatto
sulle mie istanze da un giovane filologo mio compatriota. Credendolo esattissimo,
mi vi fondai pienamente. Nel progresso del lavoro dovetti accorgermi che molte
e molte delle varianti registrate dal De Romanis non concordavano col con-
fronto da me adoperato. Ne feci le occorrenti indagini a Roma, e dalla risposta
risultò pur troppo che la mia fiducia era stata mal fondata. La presente stampa
era già troppo innoltrata per poterle dar sosta. Mi contentai dunque per il
momento di farmi ragguagliar quanto prima della vera lezione del codice in un
certo numero di passi di maggior importanza, per rettificarne ancora le varianti
nel resto della stampa. Nel medesimo tempo mandai successivamente a Roma
i fogli di prova della presente edizione per che vi si facesse sopra un nuovo
(onfronto del testo a penna. Due giovani, parimente paesani miei, si diedero
la muta in questo lavoro, e il Signor Duca di Sermoneta, non contento di age-
') P. es. Purg. Ili. 38, IX. 58, XII. 135. XV. 55.
') P. es. Purg. X. 134, XV. 68, 133.
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volarlo in ogni modo, con gentilezza impareggiabile volle assumerne personal-
mente la parte più essenziale. Così posso esser certo della somma accuratezza
del confronto; ma mi trovo nella necessità di presentare in forma cf appendice
le ben molte correzioni che ne rilevai.
Questi quattro testi formano 1' unico fondamento della presente edizione.
Non vi è parola, non sillaba che non si appoggi sulF autorità di almeno uno
di quei testi ^). Fra di essi ho creduto dover scegUere Uberamente, attribuendo
però r autorità preponderante al cod. di Santa Croce, massimamente all' origi-
naria sua scrittura, in quanto, nei passi raschiati, essa si poteva riconoscere.
Sono persuaso che nuovi editori dovranno seguir anche più strettamente questo
purgatissimo codice, e se dovessi rifar il lavoro, molte delle sue lezioni che ora
occupano i margini, sarebbero adottate nel testo. Confesso che all' incontro la
troppa considerazione in cui sinora fu tenuto il testo Vaticano me ne ha fatto
concepire una qualche ripugnanza. Dove il pensiero del Poeta e la connessione
del senso non bastava per decider la scelta fra le diflferenti lezioni, ho avuto
ricorso alle altre autorità, molte delle quali furono accennate di sopra. Alcune,
ma rarissime volte '^) la lezione che credo da preferirsi alle altre non si trovò
in nessuno dei quattro codici. Allora, per non dipartirmi dal mio principio
fondamentale, mi sono attenuto nel testo alla lezione dei manoscritti, ma ho
contrassegnato coli' asterisco la variante che giudico corrispondere alla propria
scrittura del Poeta.
Acciocché la presente edizione fosse corredata di tutti i materiali cri-
tici raccolti nelle stampe anteriori, e negli altri scritti che si occupano della
correzione del testo di Dante, ne ho fatto lo spoglio a misura di quanto si è
') Ho fatto male di stampare (Inf. III. 64) » Questi sciaurati«, e di metter in margine
«Questi sciagurati « che si trova in tutti i quattro testi. La consonante di mezzo {g) si sarà
scritta, senza pronunziarla, e la voce » sciagurati « sarà stata presa per trisillaba come
» Uccellatolo « per quadrisillaba, e »Tegghiaio«, »primaio« ecc. per bisillabe.
•^) Inf. X. 88, 117, XVIII. 79, XXVI. 137, XXVII. 21, XXVIII. 26. Purg. IL IO.
V. 72, VII. 70, X. 103, 128. Par. V. 6, XXI. 89, XXVIL 100, XXXII. 60.
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LXXXI
(letto di sopra. Trascurando le differenze ortografiche, ho messe in piò di
pagina tutte le varie lezioni in questo modo riunite, che per non trovarsi nei
quattro testi a penna, o nelle tre edizioni, non erano registrate sui margini.
L' irregolarità colla quale furono fatti i confronti che aveano servito a questi
lavori, e V incertezza in cui ci troviamo sul valore relativo dei testi confrontati
m' hanno fatto giudicar inutile V apporre i nomi dei codici nei quaU queste
lezioni furono riscontrate. Generalmente parlando si troverà che a paragone
delle varianti dei quattro codici tutte le altre sono di poca importanza.
Quanto all' ortografia il modo più corretto a tenersi sarebbe stato quello
(li restituirla quale si può supporre che Dante Y usasse. Trovandoci però privi
tli qualunque siasi autografo del Poeta, e sapendo dai non pochi documenti
scritti dal proprio pugno del Petrarca e del Boccaccio, quanto V ortografia di
quei tempi sia stata titubante, dovremo rimaner persuasi dell' impossibilità di
conseguire questo assunto. Non conoscendo 1' ortografia propria dell' autore,
r edizione poteva attenersi almeno a quella dei testi più antichi e migliori, sce-
gliendone forse uno di autorità preponderante. Anche a questo sistema però
si opponeva 1' uso dei testi antichi troppo alieno dal nostro Pochi saranno i
Lettori del giorno d' oggi che soffrirebbero di trovare stampato »tracto«, wlucto«,
"lectou, i»senblanza« ecc., ma anche quei pochi sarebbero offesi dal »tucto«,
• cictàtt, »lynbo«, »autupno« ecc. che pure quasi regolarmente s' incontra anche
nei migliori testi a penna. In oltre l' incostanza dei codici nel modo di scrivere
è tale, che chi volesse registrarne tutte le differenze perderebbe inescusabilmente
il suo tempo. Egli è per questo che le variazioni d' ortografia non furono
notate nella presente edizione. Convenendo però, come si deve convenirne, che
i limiti dalle differenze ortografiche alle vere varianti sono difficilissime a fissarsi,
spero che si scuserà la poca conformità di cui sotto questo riguardo mi con-
fesso colpevole. Egli è pur troppo vero che non poche difterenze che, senza
(li alterare il senso, non consistono che nel modo di scrivere, in alcuni passi
furono passati sotto silenzio, in altri si registrarono come varianti.
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LXXXII
Queste considerazioni ni' indussero da principio, a non azzardarmi nell'ar-
dua impresa di voler riformare l' ortografia, ma ad attenenni invece al modo
usato dalle più autorevoli edizioni. Assai presto però dovetti accorgermi della
straordinaria incostanza di queste edizioni, eccettuatane forse la sola del Dionisi.
Il trovarvi l' istessa parola scritta in più modi, anche suU' istessa facciata, è cosa
assai frequente. Avrei bramato di poter rimediarvi, e rinunziando al volere star
bilire nuovi principj d' ortografia, sarei rimasto contento d' introdurre almeno
una certa conformità nel modo di scrivere. Mi vi sono provato, ma pur troppo
non vi sono riuscito. L' incostanza de' miei predecessori si è propagata anche
nella presente edizione. Benché scemata di molto, massimamente coli' ajuto
del «Vocabolario Dantesco «, lavoro insigne, e da tutti riconosciuto per tale,
del venerando mio amico, il Sign. Professore Blanc, pui'e vi ricorre, e non mi
resta che la speranza di poter soprantendere un giorno a una nuova ristiimpa,
nella quale cercherei di evitare con questo anche i molti e molti altri errori
che senza dubbio si troveranno in quest' opera, la quale, dopo tante fatiche,
pure non senza timore presento all' indulgente giudizio dei cortesi Lettori.
Halle sulla Sala 6. Nov. 1861.
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RETTIFICAZIONE DELLE VARIANTI DEL CODICE CAETANI.
(Vedi qui sopra p. LXXIX, LXXX. )
1. Lezioni erroneamente attribuite al cod. Caetani.
NFKRNo VI. 16, 38, VII. 106. Vm. 63, XII. 5, 36, 49, 108, 119, KIII. 63, 69, XIV. 98,
XVUI. 48, 122, XXII. 34, XXIII. 43, XXIV. 11, 87, 128, XXV. 141, .XXVII. 44.
46 (»E'l Mastin.), XXVUI. 83, 138, XXXUI. 24, 41, XXXIV. 124, 136.
•lro.*.torio I. 98, n. 22, 44, III. 70, 123, IV. 82, V. 43, VII. 51, 58, VIII. 109, IX. 37,
X. 20, 64, 76, XII. 101, XIV. 121, 140, XVI. 29, XVII. 113, XIX. 104, XXII. 5,
139, XXIV^ 12, XXVI. 60, 81, 110, XXVH. 32, 78, XXVIII. 34, 135, XXIX. 35,
43, 116, XXX. 99, XXXI. 129, 130, 131, XXXII. 33, 43, 74, XXXUI. 51.
•AR.VDISO I. 135, II. 48, m. 37, 116, 118, IV. 82, 90, 98, V. 15, 88, 98, VII. 140, VHI. 35,
121, 124, X. 9, 14, 70, XI. 82, XII. 94, 96, 140 ( .Calavresc), XIIL 17, XIV. 40,
XVI. 23, 41, XVII. 13, 38, XVIII. 63, XIX. 1, 92, XXII. 25, 45, 50, 51, 65, XXIU
6 (.In che gravi.), 137, XXIV. 48, 97, 122, XXV. 32, 77, 105, XXVIL 48, 129,
XXVIII. 1, 115, XXIX. 25, XXX. 2, 24, 27, 62, XXXI. 96, 132, XXXII. 35.
2. Lezioni che, oltre ai testi per esse citati, si trovano nel cod. Caetani.
SFERNO IL 93, m. 8, rV^ 95, 125, V. 64 (D. 2.), 66, 67 (.Vedi.), 84, VI. 17, 79, 85, VII.
70, 81, 86, 130, Vili. 22, 64, 94 (.confortai-). IX. 2, 18 (.pena la.). X. 92 (.torre.),
119, XII. 47, 130, 133, XIIL 125, XIV. 24, XV. 94, XVI. 32, XVII. 16, 115, XIX.
21, XX. 75, 95, 128, XXL 9 (.Per rimpalmar.), 22, XXII. 62, XXIU. 78, 91, XXVI.
75, 115 ( .De' nostri. ) 135, XXVU. 85 {D. m.), XXVIIL 10, 31, 64, 67.
'iROATORio L 93, rV. 71, 77, VL 137, IX. 74 («pareami prima rotto.), XIL 24, 129 (.che
cenni. ), XV. 37 ( .di linci. ), XVL 11, 136, XIX 35, XX. 122, XXL 75, 112, XXII. 6
( »siiio, senza. ), 86, 141, XXVIIL 106, 122, XXIX. 11, 90, XXX. 43, XXXL 25. ( D. 1.).
Paradiso L 116, U. 71, 76 (.pianeto; si.), 101, UI. 100, 127, 128, IV. 2, 121, VL 15, 72.
X. 19, 26, XL 25, XIL 90, 140 (.Giovacchino.), XIIL 97, XV. 1, 19, 20, 50 («D. 1.
del magno.), XVH. 42 (i>. 2.), XIX. 12 («e Noi e Nostro.), 93, 110, 142, XXII.
21, 24, XXm. .56, XXIV. 68 («rispose.), 89, IH, 146, XX VL 43, 50, XXIX. 51,
XXX. 13, 66, XXXI. 8, 31 (.di tal plaga.), 45, 120, XKXII 43, 44, 84, XXXUI.
42, 59, 126 («a me arridi.. ).
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LXXXIV
3. Correzioni di varianti del cod. Caetani iiiesattamente riportato.
Inferno IL 20. »/>. t alta a, 81. »D. 1. non f è d' no' aprirmi", 93. »/>. t d' esto loco«, IX.
11. »L' un cominciar», XII. 22. »/>. t si lancia», 71. »che nutricò», XIIT. 85. »se
uno«, XVI. 65. «ripose elli allora», 84. »di dire: Io», XXII. 101. »i), t, ch'io non
tema», XXIV. 143. «Pistoia prima», XXIX. «seder cosi appoggiati».
Purgatorio VI. 146. «moneta, offici», VII. 15. * D. m, 1 nutrir si piglia», 127. »Z>. t, miglior
la pianta», X. 72. «da Micol mi bianch.», XVII. 24. »Z>. t concetta», XXII. 66.
»7>. w. E primo», XXIII. 69. »/>. m, giù per sua v.», XXIV. 4. »/>. t cose morte «.
XXV. 5. «sua via, checche li app.», 106. «afigono U», XXVI. 120. «Lemusi». 141.
» Que yeix, XXIX. 67. «Pendeami T acqua», 89. «D. 1. all' altra», XXXII. 65. »Z>. 2.
occhi spirtati», 159. »/?. 2. Tanto che 1 sol», XXXIII. 72. «e 1' arbor».
Paradiso III. 16. «Tal vid'io», VII. 75. «Nelle più simiglianti», 116. «Per far 1' uom», V^III.
62. «Bari, edaG.«, IX. 108. «Perch' al modo» , X. 37. »Z>. 1. O Beatr. />. 2. EtBeatr.«,
XI. 21. «onde cagione», 40. «ambodue», XII. 137. » Crisostimo « , XVI. 44. «Chi e' fos-
sero, e donde venner», XVII. 81. «7>. ^. di lui volte», XVIU. 131. «Paolo», XIX. 34.
y>D. m. Quale falcon», XX. 116. «che la morte», 117. »Z). 1. La degnò», XXI. 102.
«la summa», XXII. 89. «73. 1. orazione», 99. «D. t tutto in se», XXIII. 83. »/>. /.
Fulgurando», XXIV. 27. «D. t. è poco color«, 72. »/). L occhi miei di laggiù son asc.«,
XXVI. 1. »Z>. L lo lume spento», XXVII. 41. «di Lino, e (h Cleto», XXX. 43. «vedrai
tu l'una», XXXII. 1. «1/ effetto», XXXIII. 128. «W. t Pareva in te».
4. Lezioni del codice Caetani che riuiavsero inosservate.
Infkr>o 11.43. «la parola tua», 47. «la rivolve», 79, «Tanto m' è grato», 83. «scender quag-
giù», III. 52. »ch' a riguardar», V. 104. «Mi prese di costui», 109. «Poi ch'io», 128.
«Lanciai, e come», VI. IO. «Grand, grossa, acqua», 15. «qui è sommersa», 93. «al
par», 97. «Ciasc. rivederà», 110. «A vera perf.«, VII. 30. «tieni, o perchè», 80. «in
gente, d'uno», 109. «di mirare stava», 118. «l'acqua è gente che», IX. 35. «da elei
messo», X. 57. «E poi che», XIII. 26. »Z>. ^ di que' bronchi», 39. «Se stati», 74, «Ti
giuro», XI V^. 32. «sopra del suo st.«. 59. «saetti con tutta», 83. «Fatt' eran pietre».
131. «Leteo», 132. «d'està prova», XV. 32. «Sor Brunetto», 53. «ritornand' io», 01.
«popolo, e maligno», 66. «il dolce fico», 74. «Di lor semenza», 81. «Dall'umana».
87. «nella mia vita», XVI. 40. «L'altro che presso», 81. «che si parli», 116. «Dicea
tra me», XVU. 17. «Non fer mai drappi», 87. «guard. al rezzo», 102. «E poi che
tutto». XVIIL 12. «E la parte», XX. 70. «Peschiera belhi». XXL 17. «Bollia laggiù».
27. «subito sgagl.», 36. «tenea del piò», XXIII. 64. «si che li abb.», 69. «attenti»,
108. «par dintorno», XXIV. 13. «Vedendo», 47. «seggendo», XXV. 6. «Come di-
cesse: Non», 71. «Quando n' apparve», 137. «fufollando», XXVI. 1. «Firenza», 65.
«assai ti prego» 98. «Ch'i' ebbi di venir», XXVII. 64. «Ma perocché», XXVIIl. 29,
«con le mani aperse». 68. «innanzi ad altri». 1.34. « Beltram dal B.«, XXXIV. 42.
«della testa».
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LXXXV
Purgatorio 1. 96. »giù ne stingile*, II. 132. «dove si riesca», IV. 2. » virtù si comprenda*,
V. 99. «Fuggendo a piè«, 105. «Gridò: O tu«, VI. 40. «Z), m. dov' io formai», XI. 79.
»0, diss io lui«, 81. «Che luminar», XII. 39. »e sette i tuo'«, XIV. 89. «casa de'
Calvoli», XVII. 17. «Movetilucea, XVIII. 41. «Rispos' io lui«, XX. 38. «S' i' ritorno»,
107. «domanda gorda», XXIll. 87. «con suo pianger», XXIV. 125. «che non volle»,
KÌ8, «lucenti o rossi», XXVI. 16. «per non esser più t.«, 36. «Forse a spiar», 83. »E
perchè». 121. «A voci», XXVII. 3. «l'altra Libra», 88. »/>. m. Poco parer potea li
delli albori», 115. «dolce pomo», XXV III. 54. «Che piede», 91. » che solo a se piace « ,
XXIX. 97. «lor forma», 102. «con vento e con nube», 105. «e da lor si dip.«, XXXII.
73. «Quali a veder», 123. «Quanta sofferson», 131. «IV ambe le rote», XXXIII. 49.
«li facte», IH. «Sopra i suoi».
Paradiso I. 134. «Foco da nube», II. 108. «E dal calor», 135. «si rivolve». III. 54. »/>. 1.
Letizia an», 96. «infino al co», 129. « noi sotTerse « , V. 122. «D. 1. e Beatrice: Di' di'»,
VI. 38. «insino al fine», VII. 71. «subiace», 102. «Di poter satisfar da se», EX. 122.
«per r alta vittoria», X. 112. «un si profondo». 129. «E dall' esilio», XI. 52. «chi
d' esto loco», Xn. 74. «che a lui», 135. »D. 1. qui luce», XIII. 50. «lo tuo credere»,
126. «Li quali», XIV. 58. «Non potrà», 124. «che gH era», XV. 18. «ed essa dura
poco», XVI. 48. «Erano al quinto», 79. «Tutte le vostre cose», 114. «concestoro»,
115. »Z>. 1. La tracotata», XVIII. 38. «Nel nomar», 44. «segui il mio», XIX. 80. «E
giudicar», 96. «Movea sospinte», 140. «quel da Rascia», XX. 107. «Giammai al buon
voler», 140. «D. in. la mia turba vista», XXI. 140. «E fero un giro», XXII. 27. «Di
domandar», 66. «là ove», XXllI. 43. «La mia mente», 50. «Da vision obblita», 62.
«il sacrato», 101. «s' incoronava», IH. «sonare il nome», XXIV. 22. «intorno da
Beatrice», 86. «Ed io: Si», 94. «E 'l sillogismo», 129. «Ed anche», 135. «Anche»,
XXV. 109. «Z>. 2. nella rota», XXVL 36. «Il vero», 85. «Come la fronde», XXVU.
15. «Fossero ucceUi», XXVIIL 8. «che s'accorda», 81. «A m. Borea dalla», 97. »ve-
dea ìi pensier», XXIX. 107. «Tornan dal pasto», XXX. 25. «E come sole», 76. «/?.
l. Il sole, e U top.», D. m. «I fiori, e li top.», XXXI. 39. «E da Fiorenza», 52. «del
Paradiso», 89. «ch'hai fatta sana», 115. »i cerchi insino», 127. «/>.//?. aurea fiamma»,
XXXII. 30. «con tanta cerna», 36. «fin quaggiù», 54. «tristizia, sete», 90. «Create
a trasvolar», 93. «Ne mostrommi», IH. Tutto è in lui», 125 «a cui Cristo», 140.
«come '1 buon sartore», 150. «il cor», XXXIII. 20. «In te maleficentia » , 78. «A/. Se
«:li occhi da lui», 88. «Sustantie ed accidentie», 130. »D. m. del suo fulgore».
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SPIEGAZIONE DEI SEGNI:
Codici elle servirono di fondamento al testo:
A. Di Santa Croce, detto di Fi). Villani. (Lanrenz. XX\'l. 1.
De Batines No. 1.)
B. Vaticano (No. 3199.), detto del Boccaccio. (De Batines.
No. 319.)
a Di Berlino (Bibl. Reale), che fu di Tonini. Rodd. (De
Batines. No. 525.)
/). Del Duca di Sermoneta - Caetani a Roma. ( De Batines.
No. 375.)
Lo varianti notate sui margini dei cudici <:i riferiscono colla
lettera m., in antitesi della lezione del testo (t.) Dovunque
il testo è visibilmente alterato, la scrittura originale è segnnta
coir l.f la correzione di seconda mano col 2. Il punto in-
terrogativo vuol dire che la lezione del codice è più o meno
dubbia.
Edizioni confrontate:
1. Aldina. Venezia 1502.
2. Della Ciiisca. Firenze 1595.
3. Di Fruttuoso Becchi ecc. Firenze 1837.
Appiè di pagina si riferiscono altre varianti sonnninistrate alle
edizioni anteriori o ad altri lavori critici dal confronto di
numerosi testi a penna. Alcune congetture proposte da
qualche felice ingegno, ma sinora sprovviste deir autorità
di antichi codici, vi furono aggiunte, contrassegnate di un
punto interrogativo.
Le pochi.ssime varianti segnate coli' asterisco si giudicano preferibili
alla lezione del nostro testo, unicamente fondato sulla fede
dei quattro codici sopra mentovati.
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INFERNO
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CANTO PRIMO
J\lel mezzo del cammin di nostra vita [i>.-57.]
Mi ritrovai per una selva oscura,
Che la diritta via era smarrita.
1. Ki 2. K 3. Ahi 4. Eh quanto a dir qual era è cosa dura a. a Et qu. h. e qu.
i. 2. 3. Cd Mpr» Questa selva selvaggia aspra e forte , b. ebu - b. c. et ^pr»
Che nel pensier rinnuova la paura!
7. Tanto è amara, che poco è più morte:
Ma per trattar del ^en eh' i' vi trovai,
3. .Ite Dirò dell' altre cose , eh' io v' ho scorte. / a. •ite
10. r non so ben ridir com' io v' entrai;
Tant' era pien di sonno in su quel punto, e. sonno 8..
Che la verace via abbandonai.
1.2. 3. eh i 13. Ma poi che fui al pie d'un colle giunto, fi. chi r...- r. apiè
1.2. 3. ove Là dove terminava quella valle, Rove
Che m' avea di paura il cor compunto,
16. Guardai in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già de' raggi del pianeta, rad r«,5«io
Che mena dritto altrui per ogni calle.
3. aTea smarrita — 4. Ah quanto — eh' eli' era — 6. ogni paura — 7. Tanta e amara || Tant» am. - 9. atre U. pieno di s. a quel —
L «liritta via
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INFERNO I. 19 - 42.
A. fuor di
1. a retro
2. 3. Poi eh' ebbi ripo-
sato il e.
19. Allor fu la paura un poco queta,
Che nel lago del cor m' era durata
La notte, eh' i' passai con tanta pietà.
22. E come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva.
Si volge air acqua perigliosa, e guata;
25. Cosi r animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.^
28. Poi eh' ei posato un poco il corpo lasso ,
Ripresi via per la piaggia diserta,
Sì che il pie fermo sempre era il più basso ; a. ew ai
31. Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.
34. E non mi si partia dinanzi al volto;
Anzi impediva tanto il mio cammino,
Ch' io fui per ritornar più volte volto.
37. Tempo era dal principio del mattino;
E il sol montava su con quelle stelle
Ch' eran con lui, quando 1' amor divino
40. Mosse da prima quelle cose belle;
Si che a bene sperar m' era cagione
1. 2. la gaietta DÌ qucUa fcra alla gaietta pelle,
li. a retro
e. Poi pusac' ebbi un p.
A. leonza
B, Che del mac.
1. 2. 3. n su
A. (\ del princ.
H. 'n hu
20. indorata || adunata — 28. Poi, riposato un poco || Com* ei pos. un p. || Coin' io posato ho un p. || Quaud' io ecr. — 32. linea ~
38. Che il sol — 39. Ch' eran lassù — ¥). di prima — 41. m' eran cagione -- 42. di gaietta
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INFERNO L 43-66.
I.EON'E, MIPA.
1. 2. con la
3. (Quando v.
<\ bramuha
A. in. trpmps«e
H. con la
43. L' ora del tempo e la dolce stagione:
Ma non si, che paiu*a non mi desse
La vista, che mi apparve, d* un leone. v
4B. Questi parea, che contra me venesse
Con la test' alta e con rabbiosa fame ,
Si che parea che 1' aer ne temesse :
49. Ed una lupa, che di tutte brame
Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fé' già viver grame.
52. Questa mi porse tanto di gravezza
(3on la paura, che uscia di sua vista,
Ch' io perdei la speranza dell' altezza, "n
55. E quale e quei, che volontieri acquista,
Yé giugne il tempo, che perder lo face.
Che in tutt' i suoi pensier piange e s' attrista : [^ » i
58. Tal mi fece la bestia senza pace,
Che venendomi incontro, a poco a poco
Mi ripingeva là, dove il Sol tace.
61. Mentre ch'io rovinava in basso loco.
Dinanzi agU occhi mi si fu ojfferto
Chi per lungo silenzio parea fioco.
B4. Quand' io vidi costui nel gran diserto ,
Miserere di me, gridai a lui,
Qual che tu sii, od ombra, od uomo certo
I). contro
H. M' inpiiij(eva
E d' una 1. — 55. (|uale quei — 60. rimpingeva — 61. riveniva )| ritornava () richinava || rimirava
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(> PROEMIO. INFERNO I. 67—90. Virgilio.
67. Risposemi: Non uomo, uomo già fui, [a-i3ai
E li parenti miei furon Lombardi,
2. 3. E M»nt. - 2. amen- MaUtOVani pCF patria ambo e dui. B. ambìdui D. «mbodui
dui II 1. B. ambìdui
70. Nacqui sub Julio, ancorché fosse tardi,
E vissi a Roma sotto il buono Augusto,
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.
73. Poeta fui, e cantai di quel giusto
Figliuol d' Anchise, che venne da Troia, AdiTr.
Poiché il superbo Ilion fu combusto.
7(). Ma tu perchè ritorni a tanta noia?
Perché non sali il dilettoso monte,
Ch' é principio e cagion di tutta gioia?
79. Or se' tu quel Virgilio , e quella fonte ,
Che spande di parlar sì largo fiume? ^.z;. spandi
Risposi lui con vergognosa fronte. a. rì»pos- io a lui
82. 0 degli altri poeti onore e lume,
Vagliami il lungo studio e il grande amore,
2. 3 m' han Chc m' ha fatto cercar lo tuo volume.
85. Tu se' lo mio maestro e il mio autore :
Tu se' solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile , che m' ha fatto onore.
88. Vedi la bestia, per cui io mi volsi:
Aiutami da lei, famoso saggio, A.tnn^xo
Ch' ella mi fa tremar le vene e i polsi.
67. Or non uom — 70. ancor eh* e* || forse tardi — ?2. Nel tempo — 78. tanta gioja 79. Oh , se' tu — 81). spargi — 85. e '1 mio
Dottore - 88. per rbe mi || per che io mi || per cui mi riv.
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PROEMIO. INFERNO 1. 91-114. veltro. 7
91. A te convien tenere altro viaggio,
Rispose, poi che lagrimar mi vide,
Se vuoi campar d' esto loco selvaggio:
94. Che questa bestia, per la qual tu gride, />. queiu
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto lo impedisce, che l'uccide:
97. Ed ha natura si malvagia e ria,
Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo il pasto ha più fame che pria. />. m»
100. Molti son gli animali, a cui s' ammogha,
E più saranno ancora, infin che il veltro />. finche
'2. 3. tu doglia Verrà, che la farà moiir con dogUa.
103. Questi non ciberà terra ne peltro.
Ma sapienza e amore e virtute,
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
106. Di quell' umile Italia fia salute,
2. mono Pcr cuì morì la vergine Cammilla,
1. Eur. Turno Eurialo , c Tumo , e Niso di ferute : ff- ew. tu™
109. Questi la caccerà per ogni villa.
Fin che 1' avrà rimessa nello inferno ,
Là onde invidia prima dipartiUa.
112. Ond' io per lo tuo me' penso e discerno.
Che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per loco etemo,
93. scampar — 94. Perchè la b. — 95 alcun passar — 99. che'n pria — 103. Costui - 105. tra '1 Feltre - 108. Eur. e Niso, e
Tno — 109. Costai la — HO. Infin che la rimetta — 112. per lo tuo meglio penso e scemo
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INFERNO 1. 115 — 136.
DANTE E VIRGILIO.
1. Ch' alla
1. 3. E vcderai
•J. 3. cittede
2. 3. Iddio
2. 3. che tu
1. 2. 3, dietro
115. Ove udirai le disperate strida, z>. di^pietatc
Vedrai gli antichi spiriti dolenti,
Che la seconda morte ciascun grida: b.d. ch-aWM.
118. E poi vedrai color, che son contenti ^. e Tederà
Nel fuoco, perchè speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti:
121. Alle qua' poi se tu vorrai salire,
Anima fia a ciò di me più degna; .j. piiidime
Con lei ti lascerò nel mio partire:
124. Che queUo imperador, che lassù regna,
Perch' io fui ribellante alla sua legge.
Non vuol che in sua città per me si vegna.
127. In tutte parti impera, e quivi regge,
Quivi è la sua città e 1' alto seggio :
0 felice colui, cu' ivi elegge!
130. Ed io a lui: Poeta, io ti richieggio
Per quello Dio, che tu non conoscesti, />. mìo
Acciocch' io fiigga questo male e peggio,
133. Che tu mi meni là dov' or dicesti.
Si eh' io vegga la porta di san Pietro,
E color, cui tu fai cotanto mesti. z;. che tu
136. AUor si mosse, ed io li tenni retro. [r. «?-]
115. Ed udirai - 116. Di quegli antichi — 120. tra le beate — 126. eh' a sua città — 129. che quivi el.
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CANTO SECONDO
±jo giorno se n* andava, e 1' aer bruno
Toglieva gli animai, che sono in terra,
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
4. M' apparecchiava a sostener la guerra /?. afraticara
Si del cammino e si della pietate,
Che ritrarrà la mente, che non erra.
7. 0 Muse, o alto ingegno, or m' aiutate:
0 mente, che scrivesti ciò ch'io vidi,
Qui si parrà la tua nobiUtate.
10. Io cominciai: Poeta che mi guidi,
Guarda la mia virtù, s' ella è possente,
1. Anzi Prima che all' alto passo tu mi fidi. h. aiuì
13. Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente.
16. Però se 1' avversario d' ogni male
Cortese i fu, pensando 1' alto effetto, «. cort,fu
Che uscir dovea di lui, e il chi, e il quale,
2. ToglicuUo - fi. se non erra — 7. O Musa — 12. che 1* alto p. - 13. SUv. il p. — 17. ('Ort. ei fu
I. 2
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10 PHOEMio. INFERNO n. 19 — 42. enea, s. paolo.
19. Non pare indegno ad uomo d' intelletto :
Ch' ei fu deU' alma Roma e di suo impero u. i. ait«
NeU' empireo ciel per padre eletto :
22. La quale, e il quale (a voler dir lo vero)
Fur stabiliti per lo loco santo , a. c. d. f« stobmto
U' siede il successor del maggior Piero.
25. Per questa andata, onde gli dai tu vanto,
Intese cose, che fiiron cagione
Di sua vittoria e del papale ammanto.
28. Andowi poi lo Vas d' elezione, a. c. \^o
Per recarne conforto a quella fede,
Ch' è principio alla via di salvazione.
31. Ma io perchè venirvi? o chi 1 concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
I. 3. altri crede MC dCgUO a CÌÒ UC Ì0 uè altri 1 crede. B. altri crede
34. Perchè se del venire io m' abbandono,
Temo che la venuta non sia folle:
1. 2. 3. e utendi Sc' savio , Intendi me' eh' io non ragiono.
37. E quale è quei, che disvuol ciò che volle,
E per nuovi pensier cangia proposta,
*^3. tiei Sì che dal cominciar tutto si toUe;
40. Tal mi fec' io in quella oscura costa:
Perchè, pensando, consumai la impresa,
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
19. Nou parrà — 20. e del suo imp. — 30. Che è principio e via - 31. a che venirvi || venire - 34. se al venire - 37. i{uale c|iiei
eh' e* volle — 38. nuovo pena. — 41. E ripensando consumai
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PROEMIO.
INFERNO n. 43-66.
11
spesse
2. 3. oh* io 'nteei
cortese e b.
qu. '1 mondo
43. Se io ho ben la tua parola intesa,
Rispose del magnanimo quell' ombra,
L' anima tua è da viltate offesa :
46. La qual molte fiate V uomo ingombra.
Si che d' onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand' ombra.
49. Da questa tema acciocché tu ti solve.
Dirotti, perch' io venni, e quel che intesi
Nel primo punto che di te mi dolve.
52. Io era tra color che son sospesi,
E donna mi chiamò beata e bella,
Tal che di comandare io la richiesi.
55. Lucevan gh occhi suoi più che la Stella:
E cominciommi a dir soave e piana,
Con angelica voce, in sua favella:
58. 0 anima cortese Mantovana
Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il moto lontana:
61. L'amico mio, e non della ventura.
Nella diserta piaggia è impedito
Sì nel cammin, che volto è per paura:
64. E temo che non sia già sì smarrito,
Ch' io mi sia tardi al soccorso levata.
Per quel eh' io ho di lui nel Cielo udito.
B. eh" io 'ntesi
H. cortese e b.
43. E s' io ho — 52. intra color - 55. che unft stella — 57. in la fav. — 65. tarda — 66. eh' ho nel Ciel dì lui
2'
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12
INFERNO II. 67-90.
1. 2. 3. che ha
1. del loco
3. minori i
1. qua giù
1. Po' che
B. a che ha
H. del loco
67. Or muovi, e con la tua parola ornata,
E con ciò eh' è mestieri al suo campare,
L' aiuta sì, eh' io ne sia consolata.
70. Io son Beatrice, che ti faccio andare:
Vegno di loco, ove tornar disio:
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
73. Quando sarò dinanzi al Signor mio,
Di te mi loderò sovente a lui.
Tacette allora, e poi comincia' io:
7fi. (J donna di virtù, sola per cui
L' umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel, che ha minor li cerchi sui:
79. Tanto m' aggrada il tuo comandamento ,
Che l'ubbidir, se già fosse, m' è tardi;
Più non t' è uopo aprirmi il tuo talento.
82. Ma dimmi la cagion, che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dall' ampio loco, ove tornar tu ardi.
85. Da che tu vuoi saper cotanto addentro.
Dirotti brevemente, mi rispose,
Perch' io non temo di venir qua entro.
3. si deve sol di qu. 88. Tcmcr si dee di sole quelle cose
Ch' hanno potenza di fare altrui male :
Dell' altre no, che non son paurose.
7U. ti fo and. — 75. Tao. intanto allora e parlai io -- 80. {^ià forse — 81. t' è uopo eh' aprir lo || t' è u. eh' apri Itt ] ti uora
aprirmi '1 — 83. Discendere quai^ìi — 84. alto loco — tÌ7. qua dentro — 88. dì tutte qu. e. — 80. alcun male - 90. poderose
ìi. U. uo* ch* aprirmi
H. Po' che. />. Dapoiche
U. si dee sol di «ju.
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A. E fiamma - D. d' esto
loco
PROEMIO. INFERNO II. 91—114. donna gentile, lucia. 13
91. Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tange,
Ne fiamma d' esto incendio non m' assale
94. Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Di questo hnpedimento, ov' io ti mando,
Sì che duro giudizio lassù frange.-
97. Questa chiese Lucìa in suo dimando,
2. 3. Or abbisogna E dLsse i Or ììSb blsoguo il tuo fedele
Di te, ed io a te lo raccomando.
100. Lucìa, nimica di ciascun crudele,
Si mosse, e venne al loco dov' io era.
Che mi sedea con Y antica Rachele.
103. Disse: Beatrice, loda di Dio vera.
Che non soccorri quei che t' amò tanto ,
Che uscio per te della volgare schiera?
106. Non odi tu la pietà del suo pianto,
Non vedi tu la morte che il combatte
Su la fiumana , ove il mar non ha vanto ? /?. marina - j. e. «.mie
109. Al mondo non fiir mai persone ratte
1. 2. 3. eti a fìiRR. A far lor prò, ne a fuggir lor danno,
Com' io , dopo cotai parole fatte ,
112. Venni quaggiù dal mio beato scanno,
2.3. nciu.o Fidandomi del tuo parlare onesto,
(yhe onora te e quei che udito V hanno.
A. r. K disse
C. vedi la in.
B. D. et « fugg.
H. C. del nii<i
B. nel tuo
HB. mi sale - M. gent. in eiel 98. è bisogno |( ha mestier - al tao fed. — 104. ehe t' ama - 106. tu pieude - 110. lor prode
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14 PROEMIO. INFERNO II. 115 — 138. dante e viboilio.
115. Poscia che m' ebbe ragionato questo,
Gli occhi lucenti lagrimando volse;
Perchè mi fece del venir più presto:
118. E venni a te così, com' ella volse;
Dinanzi a quella fiera ti levai,
Che del bel monte il corto andar ti tolse. ^ »" «*>»*^
1. restoi 121. Dunque che è? perchè, perchè ristai?
Perchè tanta viltà nel core allette?
Perchè ardire e franchezza non hai?
124. Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del cielo, .tcur-hM
E il mio parlar tanto ben t' impromette ? b.d.^ prom^^
127. Quali i fioretti dal notturno gelo «./>. Quali r
Chinati e chiusi, poi che il Sol gF imbianca.
Si drizzan tutti aperti in loro stelo;
130. Tal mi fec' io, di mia virtute stanca:
E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch' io cominciai come persona franca :
133. 0 pietosa colei che mi soccorse,
E tu cortese, che ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse!
136. Tu m' hai con desiderio il cor disposto
Si al venir, con le parole tue,
Ch' io son tornato nel primo proposto.
116. occhi pietosi — 121. che è '1 perchè — a che, in che ristai — 122. nel cor t' allette — 124. Poi che tali || Poi cbf tui*-
127. da notturno — 128. e poi che — 190. da mia virt. — 133 O felice — 134 E te cort.
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PROEMIO. INFERNO II. 139 — 142. dante e Virgilio. ^5
139. Or va, che un sol volere è d' ambo e due b. c. •mendue
Tu duca, tu signore e tu maestro:
Cosi gli dissi; e poiché mosso file,
142. Entrai per lo cammino alto e Silvestro.
139. Or muovi con voi. d' aiu. || Or m. che un v. è d' am. — 14*2. oltre «ilv.
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CANTO TERZO
1. 2. 3. eterno
I. 2. 3. Noi Min
1. Che vr«lerai
»rer me si va nella città dolente,
Per me si va nelF eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
4. Giustizia mosse il mio alto fattore:
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza e il primo amore.
7. Dinanzi a me non fiir cose create,
Se non eterne, ed io etema duro:
Lasciate ogni speranza, voi, eh' entrate !«
10. Queste parole di colore oscuro
Vid' io scritte al sommo d' una porta :
Perch' io: Maestro, il senso lor m' è duro.
13. Ed egli a me, come persona accorta:
Qui si convien lasciare ogni sospetto;
Ogni viltà convien che qui sia morta.
16. Noi Siam venuti al luogo ov' io t' ho detto,
Che tu vedrai le genti dolorose,
Ch' hanno perduto il ben dello intelletto.
A. 1. eterno (?)
B. Noi Sem
B. Che vrtlerai
2. eternai dol. — 3. nella perd. — 6. sommo am. - 12. il senno lor — 13. E quelli — 17. Ove udirai — 18. Che han perd.
I. 3
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18
PORTA DELL INPERNO.
INFERNO ni. 19-42.
VIRGILIO E DANTE.
2. 3. qu«B<lo '1 turbi)
1. 2. 3. d' error
1. fama
1. 2. 3. Cacciarli
19. E poiché la sua mano aUa mia pose,
Con lieto volto, ond' io mi confortai,
Mi mise dentro alle segrete cose.
22. Quivi sospiri, pianti ed alti guai
Risonavan per Y aer senza stelle,
Perch' io al cominciar ne lagrimai.
25. Diverse lingue, orribili favelle,
Parole di dolore, accenti d'ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle,
28. Facevano un tumulto, il qual s' aggira
Sempre in quell' aria senza tempo tinta,
Come la rena quando a turbo spira.
31. Ed io, eh' avea d' orror la testa cinta.
Dissi: Maestro, che è quel eh' i' odo?
E che gent' è, che par nel duol sì vinta?
34. Ed egli a me: Questo misero modo
Tengon Y anime triste di coloro ,
Che visser senza infamia e senza lodo.
37. Mischiate sono a quel cattivo coro
DegU angeh che non fiiron ribeUi,
Ne fur fedeh a Dio, ma per se foro.
40. CaccianU i Ciel per non esser men beUi:
Ne lo profondo inferno gU riceve,
Che alcima gloria i rei avrebber d'eUi.
B. RisonaTa io i v
D. quando turbi
B. a Dio fcdfli
^. Cacciarli. // C*^
-'^ 22. aosp. con pianti — ed amar guai || ed altri gu. — 21. Ond' io al com. — 26. Par. dolorose — 28. tum. ohe s' agg. - ^' ^"^ '
al turbo spira - 33. E qual gent' è || Che gente è — 34. E quelli — 37. Mischiati — 39. ne per se — 40. non parer — ben belli - fòcU"^'
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VESTIBOLO.
INFERNO ni. 43-66.
19
, uon averci
, 2. 3. Guardai e TÌdi
43. Ed io: Maestro, che è tanto greve
A lor, che lamentar gli fa si forte?
Rispose: Dicerolti molto breve.
46. Questi non hanno speranza di morte,
E la lor cieca vita è tanto bassa,
Che invidiosi son d' ogni altra sorte.
49. Fama di loro il mondo esser non lassa,
Misericordia e giustizia gii sdegna:
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
52. Ed io, che riguardai, vidi una insegna,
Che girando correva tanto ratta,
Che d' ogni posa mi pareva indegna:
55. E dietro le venia sì lunga tratta
Di gente , eh' i' non avrei mai creduto ,
Che morte tanta n' avesse disfatta.
58. Poscia eh' io v' ebbi alcun riconosciuto ,
Vidi e conobbi 1' ombra di colui
Che fece per viltate il gran rifiuto.
61. Incontanente intesi, e certo fili.
Che quest' era la setta dei cattivi,
A Dio spiacenti ed ai nemici sui.
64. Questi sciaurati, che mai non fur vivi.
Erano ignudi e stimolati molto
Da mosconi e da vespe eh' erano ivi.
ragionar
A. retro - C. lei
A. 2. B. C. eh' io n. averei
or. — D. eh' io n. avr. cr.
C. viltà ti
A. 2. Immantanente
A. quella
A. C. spiacente
A. B. C. D. sciagurati
C. ignudi stimol.
45. Dieerottel - 60. per riltà lo
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a Et le
A. 1. chi ri ik<fii I
20 VESTIBOLO. INFERNO IH. 67 — 90. celestino v,
67. Elle rigavan lor di sangue il volto,
Che, mischiato di lagrime, ai lor piedi.
Da fastidiosi venni era ricolto.
70. E poi che a riguardare oltre mi diedi.
Vidi gente alla riva d' im gran fiimie :
Perch' io dissi: Maestro, or mi concedi,
73. Ch' io sappia quali sono , e qual costume
1. 2. 3. par. di trap. Lc fa òì trapassar parer sì pronte , a. i. lì & io j
trap.
Com' io discemo per lo fioco lume.
76. Ed egli a me: Le cose ti fien conte, b. ficr
Quando noi fermerem li nostri passi
Sulla trista riviera d' Acheronte.
79. Allor con gli occhi vergognosi e bassi, i?. ver,? b»s>i
Temendo no '1 mio dir gli fiisse grave, ^. nei
Infino al fiume di parlar mi trassi. j. deipari. <-
dui p.
82. Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio bianco per antico pelo, z^. veglio
Gridando: Guai a voi anime prave:
85. Non isperate mai veder lo cielo!
r vegno per menarvi all' altra riva,
Nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo.
88. E tu che se' costì, anima viva.
Partiti da cotesti che son morti.
1. poi che vide Ma poi eh' ei vide, eh' io non mi partiva,
?2. Maestro d. , or mi e. || Maestro mio, dissi, conc. — 73. Ch' io vegga — 74. Di trap. le fa par. || Le fa nel trap. p-
lume — 77. fermeremo i — 80. Tem. che il mio dir — K8. ver di noi — 86. Non vi sp. mai più ved. e. — 87. e ^ielo
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VESTIBOLO (ACHERONTE). INFERNO IH. 91 — 114. CARON. 21
i. a birrerie 91. Dìssg i PcF altia via, per altri porti
Verrai a piaggia, non qui, per passare:
Più lieve legno convien che ti porti.
1 d,ic« lai 94. E il duca a lui : Caron non ti crucciare :
Vuoisi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.
97. Quinci fur quete le lanose gote
Ai nocchier della livida palude.
Che intorno agli occhi avea di fiamme rote.
100. Ma quell' anime eh' eran lasse e nude,
Cangiar colore e dibatterò i denti , a. i. aibatteai. h (?) -
A. 2. Uibattrr li
1 T^*«" Ratto che inteser le parole crude. a. d. Tosto
iDio - 1. 2. 3. r i lor 103. Bestemmiavauo Iddio e lor parenti, a. r. dìo - d.^ì lor
L' umana specie, il luogo, il tempo e il seme
Di lor semenza e di lor nascimenti.
106. Poi si ritrasser tutte quante insieme, />. rarcouer
Forte piangendo, alla riva malvagia,
Che attende ciascun uom che Dio non teme. e. d, iddio
109. Caron dimonio, con occhi di bragia.
Loro accennando, tutte le raccoglie;
Batte col remo qualunque s' adagia. r. c«n r.
112. Come d' autunno si levan le foglie
L' una appresso dell' altra, infin che il ramo v. fin che
•ii Rende Vede aUa terra tutte le sue spoglie,
92. e non qui — »l. E il duca mio — 99. di fiamma — 100. Ma fjuelle genti — 101. e dibattendo 102. Poscia che int. -
i'4. r'I luogo, e *l t.. e '1 s. — 106. tutte e <\u. \\ tutti <|uanti — lOH. eiaschedun che - 110. tutti li
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B. D. GittAsi
.4. 1. nova gente (?)
22 VESTIBOLO. INFERNO DI. 115 — 136. passant
115. Similemente il mal seme d' Adamo:
1. GittMi Gittansi di quel lito ad mia ad mia,
Per cenni, come augel per suo richiamo.
118. Così sen vanno su per l'onda bruna,
Ed avanti che sian di là discese,
1. Ancho Anche di qua nuova schiera s' aduna.
121. FigUuol mio, disse il Maestro cortese,
QueUi che muoion nell' ira di Dio
Tutti convegnon qui d' ogni paese:
2. .itrap. del 124. E prouti souo a trapassar lo rio.
Che la divina giustizia gU sprona
Si che la tema si volge in disio.
1. passò 127. Quinci non passa mai anima buona;
E però se Caron di te si lagna.
Ben puoi saper omai che il suo dir suona. ^ i «»»« »"<>
130. Finito questo, la buia campagna -4. cunp«jn.»
Tremò sì forte, che dello spavento
La mente di sudore ancor mi bagna.
133. La terra lagrimosa diede vento,
i.K balenò Chc balcuò una luce vermigUa,
La qual mi vinse ciascun sentimento:
136. E caddi, come T uom cui sonno pigUa. [z>-iv. 57.J
117. Per cenno — 121. Figi., mi disse — 122. Color che — 121. E sì son pr. - 126. volve - 131. dallo sp. - 132. il cor — men
bagna — 184. d' una luce — 136. che sonno || che *1 s.
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CANTO QUARTO
Xvuppemi r alto sonno nella testa
Un greve tuono sì, eh' io mi riscossi.
Come persona che per forza è desta : a. che è per f. dest»
4. E r occhio riposato intorno mossi,
Dritto levato, e fiso riguardai
Per conoscer lo loco dov' io fossi. b. u v ì f«,si
7. Vero è che in su la proda mi trovai
Della valle d' abisso dolorosa,
1 throno Che tuono accogUe d' infiniti guai.
10. Oscm'a, profond' era e nebulosa.
Tanto che, per ficcar lo viso al fondo.
iidisrerneaverun» lo uou vì discemcva alcuua cosa.
13. Or dìscendiam quaggiù nel cieco mondo,
li Incominciò Cominciò il poctd tutto i^morto:
Io sarò primo, e tu sarai secondo.
16. Ed io, che del color mi fui accorto.
Dissi: Come veiTÒ, se tu paventi.
Che suoli al mio dubbiare esser conforto?
2. graTC II grande — trono — 5. Ritto lev. — 6. ben conoscer — ov" io || ove - 9. Che torno || Gbe 'iitorno — 10. Ouc. era prof.
& fondo - 14. Com. il mio p. — 16. Ond' io — 17. che tu pav.
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24 CERCHIO I. LIMBO. INFERNO IV. 19 --42. pagani virtuosi, innocenti.
19. Ed egli a me: L'angoscia delle genti,
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne
Quella pietà, che tu per tema senti.
22. Andiam, che la via lunga ne sospigne:
Cosi si mise, e cosi mi fé' entrare
Nel primo cerchio che 1' abisso cigne.
25. Quivi, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto, ma' che di sospiri,
Che r aura eterna facevan tremare :
1. 2. 3. K ciò 28. Ciò avvenia di duol senza martiri , b- k cìò
Ch' avean le turbe , eh' eran molte e grandi,
.3. E d- iiif. jy infanti e di femmine e di viri. e. m fanti
31. Lo buon Maestro a me: Tu non dimandi
Che spiriti son questi che tu vedi?
Ov vo' che sappi, innanzi che più andi,
34. Ch' ei non peccaro: e s' elli hanno mercedi, e ehh^r mer.
2. .3. perei, ei non Nou basta, pcrchè non ebber battesmo,
2. 3.*imrt« Ch' è paitc della fede che tu credi:
37. E se furon dinanzi al Cristianesmo , .^. K*ei
Non adorar debitamente Dio : a. c. • wo
E di questi cotai son io medesmo.
2. 3. e non 40. Pcr tal difetti, non per altro rio, ^moi.
Semo perduti, e sol di tanto offesi, ^. i. siamo i»
Che senza speme vivemo in disio. a, i. vm«n. i >
*À). nel volto 22. ci sosp. — 23. Così mi disse || Cosi si mosse — 25. ch* io per asc. || oh' io potè' asc. — 26. pianto, o cs
ili .Hosp. 2tl. ar\'. da duol — 29. molto grandi — 32. Che anime — 36. Che porta è || Ch' è padre || Ch' è principio alla - 37. K s ' ^
38. deb. a Dio — 41. e srm di tanto || o sol di t.
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rRRrHIO I. LIMBO.
INFERNO IV. 43-66:
PATRIARCHI.
25
1. 2. 3. «ente
'I. 3. rscinnr
1. 2. 3. incoronato
1. 2. 3. con suo p.
43. Gran duol mi prese al cor quando lo intesi,
Perocché genti; di molto valore
Conobbi, che in quel limbo eran sospesi.
46. Dimmi, Maestro mio, dimmi, Signore,
Comincia' io , per voler esser certo
Di quella fede che vince ogni errore:
49. ITscicci mai alcuno, o per suo merto,
0 per altrui, che poi fosse beato?
E quei, che intese il mio parlar coperto,
52. Rispose: Io era nuovo in questo stato,
Quando ci vidi venire un possente
Con segno di vittoria coronato.
55. Trasseci 1' ombra del primo parente ,
D' Abel suo figlio, e quella di Noè.
Di Moisè legista e ubbidiente;
58. Abraam patriarca, e David re,
Israel con lo padre, e co' suoi nati,
E con Rachele, per cui tanto fe\
61. Ed altri molti; e fecegh beati:
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
Spiriti umani non eran salvati.
64. Non lasciavam 1' andar, perch' ei dicessi.
Ma passavam la selva tuttavia,
La selva dico di spiriti spessi.
B. Rcntc
B. fosse poi
C. Qiiand* io
[D. III. 136 -1 - A. 1.
Icj?. ubbid. (?)
43. mi pr. »llor — 53. Qu. vidi ven. un re p. — potente — 57. leg. ; e 1' ubb. Abr. — 59. Isr. col p. \ Isr. co' suoi fij»li — 64. d' andar
I. 4
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26
2. 3. lungi
2. 3. sommo — 1. 2. 3.
quand ' i ' vidi
1. 2. 3. ogni scienza
3. cominciommi
2. 3. è Lue.
CKRCHio I. UMBO. INFERNO IV. 67 — 90. poeti.
67. Non era lunga ancor la nostra via
Di qua dal sonno; quando vidi un foco,
Ch' emisperio di tenebre vincia.
70. Di lungi v' eravamo ancora un poco,
Ma non sì, eh' io non discemessi in parte.
Che onrevol gente possedea quel loco.
73. 0 tu, che onori e scienza ed arte.
Questi chi son, eh' hanno cotanta onranza.
Che dal modo degh altri U diparte?
76. E quegU a me; L' onrata nominanza,
Che di lor suona su nella tua vita,
Grazia acquista nel del che si gli avanza.
79. Intanto voce fu per me udita:
Onorate 1' altissimo poeta;
L' ombra sua toma, eh' era dipartita.
82. Poiché la voce fu restata e queta.
Vidi quattro grand' ombre a noi venire;
Sembianza avevan ne trista ne Ueta.
85. Lo buon Maestro cominciò a dire:
Mira colui con queUa spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre sì come sire.
88. QuegU è Omero poeta sovrano,
L' altro è Orazio satiro , che viene ,
Ovidio è il terzo, e Y ultimo Lucano.
A. t. C. U, sono. - B.
C. D. quand' io v.
D. :
C. 1. mondo
a D. Et eUi
C. D. ombre grand]
b. aveva. — D. avìeno
B. 'ncominciò
70. u erav. — Ti. possedean — 73. cui onora — 74. sono eh' han cot — 75. E il modo si dagli - 76. La tanta nom. — 77. nell' altra
V. — T8. in ciel — 79. per me fu — 90. Ov. il terso
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CKHCHIO f. LIMBO.
2 3. I>i quel
2. 3. E il mid M.
Z Ch' ei si 3. Ch* essi
INFERNO IV. 91-114.
91. Perocché ciascun meco si conviene
Nel nome, che sonò la voce sola,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
94. Così vidi admiar la bella scuola
Di quei signor dell' altissimo canto,
Che sopra gli altri com' aquila vola.
97. Da eh' ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno:
Perchè 1 Maestro sorrise di tanto:
100. E più d' onore ancora assai mi fenno,
Ch' esser mi fecer della loro schiera,
Sì eh' io fui sesto tra cotanto senno.
103. Così n' andammo infino alla lumiera,
Parlando cose, che il tacere è bello,
Sì com' era il parlar colà dov' era.
106. Venimmo al pie d' un nobile castello,
Sette volte cerchiato d' alte miu-a,
Difeso intomo d' un bel fiumicello.
109. Questo passammo, come terra dura:
Per sette porte intrai con questi savi;
Giugnemmo in prato di fresca verdura
112. Genti v' eran con occhi tardi e gravi,
Di grande autorità ne' lor sembianti:
Parlavan rado, con voci soavi.
ILLUSTBI.
27
A. m. B. Di quel
D. Poi oh' eh.
B. D. E 1 mio M.
A. 2. B. a Ch' ei si.
D. Ch' essi
R. Così and.
D. Giiienenimo
di. Cosi Tid* io — 100. Ed anco più on. — 101. Che sì — 106. doT' io era — 106. Ven. appiè
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28 CERCHIO I. LIMBO. INFERNO IV. 115 — ia8. eroi.
115. Traemmoci così dall' un de' canti a.ì.b.d.ì^^.
In loco aperto luminoso ed alto,
i.2.3.8ii>ute«ntutti4u. Sì clie vcdcF potcausi tutti e quanti. i/.z;. «poteta-
1 18. Colà diritto , sopra il verde smalto, />. e u
Mi fiir mostrati gU spiriti magni,
1. del vedere 2. 3. di Chc del vcdcrli in me stesso n' esalto. r.z;.cbedi-/i-.
vederli
121. Io vidi Elettra con molti compagni,
1. 2. 3. con. ed Ett. Tra' qual conobbi Ettore ed Enea, ^. ed eh
Cesare armato con gli occhi grifagni.
1. c«n. vidi 124. Vidi Cammilla e la Pentesilea
Dall' altra parte , e vidi il re Latino , a. 2. e ptu ì
Che con Lavinia sua figha sedea.
127. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia,
E solo in parte vidi il Saladino.
130. Poi che innalzai un poco più le ciglia, u. chietina
Vidi il Maestro di color che sanno,
Seder t^a filosofica famiglia.
2. 3. 1 nDimirau 133. Tutti lo mlrau, tutti onor gli fanno.
1. 2. 3. e Suor. Quìvì vld' io Socratc e Platone, b. e socr
Che innanzi agli altri più presso gli stanno.
136. Democrito, che il mondo a caso pone,
Diogenes, Anassagora e Tale,
Empedocles, Eraclito e Zenone:
118. Quivi dir. — 120. del vederle - m'esalto - 122. Tra* cjuaJi con. Ettor ed - 123. con occhi - 124. 25. PcwiesiW; l'»-'-
y. vidi — 12H. Lavina — 130. Ma poi che alzai — un poco in bù || uji po' più sii
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CERI MIO I. LIMBO. INFERNO IV. 139 — 151. filosofi. 29
139. E vidi il buono aceoglitor del quale, [r. - v. mj
Dioscoride dico: e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca morale: d. k Turno a. muw
142. Euclide geometra e Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna e Galieno,
Averrois, che il gran comento feo.
145. Io non posso ritrar di tutti appieno:
mi *rrìi;ne PCrOCChè SI UÙ CaCCla il lungo tema, y^. mi^trinKe
Che molte volte al fatto il dir vien meno.
148. La sesta compagnia in due si scema:
Per altra via mi mena il savio duca,
Fuor della queta, nell' aura che trema;
chi lue. 151. E vengo in parte, ove non è che luca. /;. chuuca
141. Tullio almo ;, Tullio ed almo | T. ed Aleno <| Tullio e Livio - 143. Ipoera^
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CANTO QUINTO
V osi discesi del cerchio primaio b. nei e
Giù nel secondo, che men loco cinghia,
E tanto più dolor, che pugne a guaio. ^. i. hapm(?)
4. Stavvi Minos orribihnente e ringhia:
Esamina le colpe nell' entrata.
Giudica e manda, secondo che avvinghia.
7. Dico, che quando 1' anima mal nata
Li vien dinanzi, tutta si confessa; ^i. m. lì va davanti
E quel conoscitor delle peccata
10. Vede qual loco d* inferno è da essa:
Cignesi colla coda tante volte.
Quantunque gradi vuol che giù sia messa.
13. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
Vanno a vicenda ciascima al giudizio;
Dicono e odono, e poi son giù volte.
16. 0 tu, che vieni al doloroso ospizio,
a Gridò Min. Dìssc Mìuos a me, quando mi vide,
Lasciando F atto di cotanto ufizio,
4. Min. e orribilm. r. — orribile, che ringhia — 8. Li giunge innante — 14. eiaaeuno - 15. giù sou volte
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32 CERCHIO II. CARNALI. INFERNO V. 19 — 42. MINOS.
19. (ruarda com' entri, e di cui tu ti fide:
Non t' inganni l'ampiezza dell' entrare !
E il duca mio a lui: Perchè pur gride?
22. Non impedir lo suo fatale andare:
Vuoisi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.
25. Ora incomincian le dolenti note
A farmisi sentire: or son venuto
Là dove molto pianto mi percote.
28. Io venni in loco d' ogni luce muto, ^. !.(?)/> -k
Che mugghia, come fa mar per tempesta, />. fsimar
Se da contrari venti è combattuto. a. «. si d.
31. La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina ,v ---- ri-
voltando e percotendo li molesta.
34. Quando giungoh davanti alla mina,
Quivi le strida, il coinpianto e il lamento, M^^irnìi^^»
Bestemmìan quivi la virtù divina.
37. Intesi, che a così fatto tormento
2. 3. F>*n Enno dannati i péccator calmali, .4 i (i/AFr-
Che la ragion sommettono al talento.
40. E come gli stornei né portan 1' ali^
Nel freddo tempo, a schiera larga e piena.
Così quel fiato gli spiriti mali.
19. in cut tu ti - 34. dinanzi || de 'venti — 35. il pianto — 41. schiera lunga
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CKRrUIO II. CARNALI.
INFERNO V. 48-66.
I. 2. 3. aer i
I. Al y
1. Cleoiiatra
SKMIRAM18, UIDO. 33
43. Di qua, di là, di giù, di su gli mena: ^. dì »,., di «ìù
Nulla speranza gli conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
4fi. E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in aer di se lunga riga;
Cosi vid' io venir, traendo guai,
49. Ombre portate dalla detta briga :
Perch'io dissi: Maestro, chi son quelle
Genti, che 1' aura nera si gastiga? />. aer nero
52. La prima di color, di cui novelle
Tu vuoi saper, mi disse quegU allotta,
Fu imperatrice di molte favelle. [cm. 139-]
55. A vizio di lussuria fu sì rotta,
Che Ubito fé' licito in sua legge,
Per torre il biasmo, in che era condotta.
58. Eli' è Semiramis, di cui si legge,
Che succedette a Nino, e fu sua sposa: />.«•. «uRRer d^te
Tenne la terra, che il Soldan corregge.
61. L' altra è colei, che s' ancise amorosa.
E ruppe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatras lussuriosa.
64. Elena vidi, per cui tanto reo
Tempo si volse, e vidi il grande Achille,
Che con amore al fine combattei).
B. D. Cleopatra
A. 2. a vedi
A. 2. C. vedi
C. per amore
IT), uè di miiiitr — 49. biga — 53. disse questi — 57. Per tor lo || Per torsi il - 59. sugge dette GÌ. K vidi Kl.
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34
CERCHIO li. CABNALI.
FRANCESCA DA RIMINI.
2. 3. mi viiue
2. 3. duo
A. C. Vedi — A. Tris-
tano, Paris
A. nominommi
D. mi vinse
INFERNO V. 67-90.
67. Vidi Paris, Tristano; e più di mille
Ombre mostrommì e nominoUe a dito,
Che amor di nostra vita dipartille.
70. Poscia eh' io ebbi il mio dottore udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri,
Pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
73. Io cominciai: Poeta, volentieri
Parlerei a que' due, che insieme vanno,
E paion sì al vento esser leggieri.
76. Ed egli a me: Vedrai, quando saranno
Più presso a noi; e tu allor li prega
Per quell'amor che i mena; e quei verranno. ^.a-ccVeiiimeTcrr.
— I>. ed ri rerr.
79. Sì tosto come il vento a noi li piega,
1. Muovi Mossi la voce: 0 anime affannate.
Venite a noi parlar, s' altri noi niega.
82. QuaU colombe dal disio chiamate,
2. 3. ali aperte Cou l'ali alzatc e ferme, al dolce nido
Volan per 1' aer dal voler portate :
85. Cotah uscir della schiera ov' è Dido,
A noi venendo per 1' aer maligno ,
Sì forte fii r affettuoso grido.
88. 0 animai grazioso e benigno.
Che visitando vai per V aer perso
Noi che tignemmo il mondo di sanguigno :
B. Muov* i* 1« V.
A, 2. C, Ve^nou
tlO. da! nostro mondo — 78. Per 1' amor che gli mena || Per quel desio ehe i
84. per aere da — dal disio — 86. Venendo a noi
■ 80. Mo8s' io II Muovo — 82. da disio — tirate
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CERCHIO II. CARNALI. INFERNO V. 91-114. FRANCESCA DA RIMINI. ^
91. Se fosse amico il re dell' universo.
Noi pregheremmo lui per la tua pace , a. i. co />. deiia tua
Poiché hai pietà del nostro mal perverso.
94. Di quel che udire e che parlar ti piace
•Noi udiremo e parleremo a vui,
1. eiuc« Mentrechè il vento, come fa, si tace. ^.i. qui tace ^. e. tace
97. Siede la terra, dove nata fui,
Sulla marina dove il Po discende
Per aver pace co' seguaci sui.
100. Amor, che al cor gentil ratto s' apprende; — -
Prese costui della bella persona
Che mi fii tolta, e il modo ancor m' offende, e. i. u mondo (?)
103. Amor, che a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte.
Che, come vedi, ancor non mi abbandona.
106. Amor condusse noi ad una morte:
1. 2. 3. chi n viu Caina attende chi vita ci spense. a. i. cm n vita (?) b,
chi a vita
Queste parole da lor ci £ur porte.
109. Da che io intesi quelle anime offense, ^. Quandio
Chinai 1 viso, e tanto il tenni basso.
Finche il poeta mi disse: Che pense?
112. Quando risposi, cominciai: 0 lasso, ^. i. hei lasso (?)
Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo!
US. della sua p. ~ (3. l>a che hai pietà — pel nostro *- 94. Di quel — vi piace - 97. dov* io - 100. al gentil cor — 102. e *1
oto — al mondo eh' or m' off. || il mondo ancor m' offende ? ! — 104. Mi porse di — 107. Cain || Caino — 106. mi far p. -< 109. Poscia che io —
0. Chinai lo v. — IH. poeta mio — 112. Quand' io — 113. dolci sospir
5'
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36
CERCHIO II. CARNALI.
INFERNO V. 116 — 138.
FRANCESCA DA BDIINI.
115. Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,
E cominciai: Francesca, i tuoi martiri
1. 2. 3. A ìiiirr. Al lagrimar mi fanno tristo e pio. b. a incrinur
118. Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette amore,
1. 2. 3. conosceste Chc conosccstì Ì dubbiosi desiri? /?. conos««f
121. Ed ella a me: Nessun maggior dolore^ ^. Equeiu
Che ricordarsi del tempo feUce /
Nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
124. Ma se a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto aflTetto,
Farò come colui che piange e dice.
127. Noi leggevamo un giorno per diletto
1 2. 3. unciiotto Di Lancelotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
130. Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fii quel che ci vinse.
133. Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
136. La bocca mi baciò tutto tremante:
Galeotto fii il libro e chi lo scrisse : a. G»ie»ai..
Quel giorno più non vi leggemmo avante.
A. 2. Dirò
fì. a ì). Unm -
117. e tristo pio - 119. a voi concesse - 120, conoscessi — 123. Non la mis. e ciò fa ~ 12». Del nostro mal - effftto 1*^ '
come — 131. scolorìoci
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CERCHIO II. CARNALI. INFERNO V. 139—142. FRANCESCA DA RIMISI. 37
139. Mentre che 1' uno spirto questo disse,
L' altro piangeva si, che di pietade
1. 2. 3. men rosi lo VeUni mCUO SÌ COm' io morisse : B. men cosi. - U. mem»
142. E caddi, come corpo morto cade.
come 8 10
\¥\. fl& pietade - 141. sicronie morisse
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CANTO SESTO
Aa tornar della mente, che si chiuse
1. di due - 2. 3. duo Dinanzi alla pietà de' due cognati, b. v. d. di due
Che di tristizia tutto mi confiise,
4. Nuovi tormenti e nuovi tormentati
Mi veggio intorno, come eh' io mi mova,
1. 2. a Eeomechiomi E ch' io mi volga, c comc ch'io mi guati. /?. eh' io guati
V. e eh' io
7. Io sono al terzo cerchio della piova
Eterna, maledetta, fredda e greve:
Regola e qualità mai non 1' è nuova.
10. Grandine grossa, e acqua tinta, e neve
Per r aer tenebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.
13. Cerbero, fiera crudele e diversa.
Con tre gole caninamente latra
Sopra la gente che quivi è sommersa.
L2.3.eub»rb» 16. Gli occM ha vermigli, la barba unta ed atra, ^. />. e la baru
E il ventre largo, e unghiate le mani; cu ventre
'''■\'l"girlc:lr^* Cxraffia gU spiriti, scuoia, ed isquatra. -' Ttght^''^''^*
ti. volva — che i* guati - 10. groua. acqua — 14. Caninam. con tre g. latra — 18. PigUa gli sp. ||gli ing. e gli squ. — disc, e disqu.
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40
CERCHIO ni. GOLOSI.
INFERNO VI. 19-42.
1. La bocfii
1. 2. 3. tutte «ju.
3. Fuor d' lina
19. Urlar gli fa la pioggia come cani:
Dell' un de' lati fanno all' altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
22. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo.
Le bocche aperse, e mostrocci le saune:
Non avea membro che tenesse fermo.
25. E il duca mio distese le sue spanne;
Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne.
28. Qual è quel cane che abbaiando agugna.
E si racqueta poi che il pasto morde,
Che solo a divorarlo intende e pugna;
31. (Jotai si fecer quelle facce lorde
Dello demonio Cerbero che introna
L' anime si, eh' esser vorrebber sorde.
H4. Noi passavam su per Y ombre che adona
La greve pioggia, e ponevam le piante
Sopra lor vanità che par persona.
37. Elle giacean per terra tutte e quante,
Fuor eh' mia che a seder si levò, ratto
Ch' ella ci vide passarsi davante.
40. O tu, che se' per questo inferno tratto,
Mi disse, riconoscimi, se sai:
Tu fosti, prima eh' io disfatto, fatto.
ff. IsS biM^ra
C D. Ui duca
C. a vetrario
2. r. l/*iiiiB<r
oh' essw ^iTif'
2. B. r. U. -sT
D. Fuor il Lt»
Perehè ci vik ;■
scìKÌsr
25. Il duca — S). E solo — 31. quelle foci || qu. fauci
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CERCHIO ni. GOLOSI. INFERNO VI. 43 — 66. riAcro. 41
43. Ed io a lei: L' angoscia che tu hai
Forse ti tira fuor della mia mente,
Si che non par , eh' io ti vedessi mai. a. b. vedessi.
46. Ma dimmi chi tu se', che in sì dolente
Loco se' messa, ed a si fatta pena, r. mwf. //haisif.
1. m.Kicior Che s' altra è maggio , nulla è si spiacente.
49. Ed egli a me: La tua città, eh' è piena
D'invidia si, che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
52. Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco:
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco;
55. Ed io anima trista non son sola,
Che tutte queste a simil pena stanno
Per simil colpa: e più non fé' parola.
58. Io gU risposi: Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa sì, che a lagrimar in' invita: ./. o. ai lacrimar
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
61. Li cittadin della città partita?
S' alcun v' è giusto : e dimmi la cagione ,
Perchè 1' ha tanta discordia assalita.
64. Ed egli a me: Dopo lunga tenzone j.^.e^uciiì ^.dìiio
Verranno al sangue, e la parte selvaggia
Caccerà 1' altra con molta offensione.
43. Ed io a lui — 44. mi tira — 47. e a così — 48. maggi» — 49. Ed ella — 62. Voi, cittadin, mi rhiamavatc &4. Or, come
di - piova — flO. w tu '1 sai - 63. Perch' ella è — Pcrch* ella in t. disc, è salita
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42 CERCHIO III. ooLOSi. INFERNO VI. 67—90. ciacco.
67. Poi appresso convien, che questa caggia
Infra tre soli, e che Y altra sormonti
Con la forza di tal che teste piaggia.
2. 3. Alto 70. Alte terrà lungo tempo le fronti,
Tenendo 1' altra sotto gravi pesi,
(yome che di ciò pianga, e che ne adonti. a. »«. o che ne
2. 3. duo 73. Giusti son due, ma non vi sono intesi:
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville che hanno i cori accesi.
76. Qui pose fine al lagrimabil suono.
Ed io a lui: Ancor vo' che m' insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
79. Farinata e il Tegghiaio, che fur sì degni, c.eTt^h.
Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,
E gli altri che a ben far poser gì' ingegni, a. d. aibm
82. Dimmi ove sono, e fa ch'io li conosca;
Ohe gran desio mi stringe di sapere,
Se il ciel gU addolcia o lo inferno gli attosca.
85. E quegU: Ei son tra le anime più nere; a. Kdem - d, k .,u.
a me: Tr»
1. j. Divers,' roipc - Divcrsa colpa giù li grava al fondo : e. n tira
1. 2. 3. aj^nrava
Se tanto scendi , U potrai vedere. a. 2. ». u i
88. Ma quando tu sarai nel dolce mondo.
Pregoti che alla mente altrui mi rechi : e. Prie,?., «h aii.^
Più non ti dico e più non ti rispondo.
<*. su monti — 70, Alta — terra» - T2. Come eh' io — e tu n' ad. — 73. e non vi — 79. Teggliia' — \&. Stanno tra V sto. —
^'^'. Ma se tu torni mai — al dolce
/
/
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CERCHIO III. OOLOSI.
PLUTO.
1. 2. lor nimira
1. rivfderà
1. sentenza
INFERNO VI. 91-115.
91. Gli diritti occhi torse allora in biechi:
Guardomini mi poco, e poi cliiiiò la testa:
('adde con essa a par degh altri ciechi.
94. E il duca disse a me: Più non si desta
Di qua dal suon dell' angeUca tromba;
Quando verrà la nimica podestà,
97. Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in etemo rimbomba.
100. Si trapassammo per sozza mistura
Dell' ombre e della pioggia, a passi lenti.
Toccando un poco la vita futura:
103. Perch'io dissi: Maestro, esti tormenti
Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
0 fien minori, o saran si cocenti?
106. Ed egli a me: Ritorna a tua scienza,
(>he vuol, quanto la cosa è più perfetta.
Più senta il bene, e cosi la doglienza.
109. Tuttoché questa gente maledetto
In vera perfezion giammai non vjula,
Di là, più che di qua, essere aspetta.
112. Noi aggirammo a tondo quella strada.
Parlando più assai eh' io non ridico:
A^enimmo al punto dove si digi^ada:
115. Quivi trovammo Pluto il gran nemico.
4»
(\ Lo d. - h. L«i buon
maestro a ine — B.
fiissf a lui
H. \tt\rk
\)\. allora torse — 98. a pie degli — 5ì(». Qu. vedrai — la divina pod. — 07. Ciascuno rivedrà 110. A vera pcrf.
6'
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CANTO SETTIMO
1. 2. terrà
B. enfiate
Xape Satan, pape Satan aleppe,
Cominciò Pluto colla voce chioccia.
E quel Savio gentil, che tutto seppe,
4. Disse per confortanni: Non ti noccia
La tua paura, che, poter eh' egli abbia.
Non ti torrà lo scender questa roccia.
7. Poi si rivolse a queir enfiata labbia,
E disse: Taci, maledetto lupo:
Consuma dentro te con la tua rabbia.
10. Non è senza cagion 1' andare al cupo:
Vuoisi neir alto là dove Michele
Fé' la vendetta del superbo strupo.
13. Quali dal vento le gonfiate vele
Caggiono avvolte, poiché 1' alber fiacca;
Tal cadde a terra la fiera crudele.
16. Cosi scendemmo nella quarta lacca.
Prendendo più della dolente ripa,
Che il mal dell' universo tutto insacca.
e. U. Non ci — A 2.
B. C. terrà
IJ. OVf
e. U. PiKliaudo
r>. La sua paura - 11. Vuoisi cosi nell' alto ove - colà ove — 14. quando 1' alber — 15. la bestia — 10. Noi disceiid.
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46
CERCHIO IV. AVARI K PRODIGHI.
INFERNO VII. 19-42.
DANTE E VIRGILIO.
3. Gridando sempre in 1.
l. 2. 3. Tutti «lu.
A. 2. C. D. Lì
sdente
H. rìvolvea
19. Ahi giustizia di Dio, tante chi stipa
Nuove travaglie e pene, quante io viddi?
E perchè nostra colpa sì ne scipa?
22. Come fa X onda là sovra Cariddi,
Che si frange con quella in cui s' mtoppa,
Così convien che qui la gente riddi.
25. Qui vid' io gente più che altrove troppa,
E d' una parte e d' altra, con grand' urU,
Voltando pesi per forza di poppa:
28. Percotevansi incontro, e poscia pur U
Si rivolgea ciascun, voltando a retro,
Gridando: Perchè tieni e perchè burli?
31. Così tomavan per lo cerchio tetro,
Da ogni mano all' opposito punto.
Gridandosi anche loro ontoso metro:
B4. Poi si volgea ciascun, quando era giunto
Per lo suo mezzo cercliio all' aitila giostra.
Ed io che avea lo cor quasi compunto,
37. Dissi: Maestro mio, or mi dimostra
Che gente è questa, e se tutti fiir cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra.
40. Ed egli a me: Tutti e quanti fur guerci
Sì della mente, in la vita primaia.
Che con misura nullo spendio ferci.
19. Ahi vendetta — tanto e ehi || tanta è che |i quante chi || qii. qui — *20. Nuovi travagli — 21. &e ne scipa — 23. Che &*
"25. gente vidi — 26. D' una p. e dell* a. — 28. Percotendosi ino. 1| Fere, insieme — 30. tieni o perchè 32. da ogni parte - 33. Grid.
loro - 35. alta giostra — 39. Qu. cernuti - 41. nella vita — > 42. nullo e.*ipendio
B. vid-
B, volvea
tì. a D. Tutti c,u.
infr.
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CERCHIO IV. AVARI E PKOUIGBI.
INFERNO VII. 43-66.
SCONOSCIUTI.
47
l. fajio. Papi
3. K che
43. x\ssai la voce lor chiaro 1' abbaia,
Quando vengono a' due punti del cerchio ,
Ove colpa contraria li dispaia.
4H. Questi ftir cherci, che non han copercliio
Filoso al capo, e Papi e (vardinali,
In cui usa avarizia il suo sopercliio.
49. Ed io: Maestro, tra questi cotali
Dovre' io ben riconoscere alcuni,
(3he foro immondi di cotesti mali.
52. Ed egli a me: Vano pensiero aduni:
La sconoscente vita, che i fé' sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni;
55. In etemo verranno alli due cozzi;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' cinn mozzi.
58. Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
Qual ella sia, parole non ci appulcro.
61. Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben, che son commessi alla Fortuna,
Perchè 1' umana gente si rabbuffa.
fi4. (3hè tutto r oro, eh' è sotto la luna,
0 che già fo, di queste anime stanclu*
Non poterebbe farne posar una.
N. e. D. capo, Papi
A. 2. (\ D. usò
D. con. li
A. 2. C. U. Coi pugni
chiusi
B, ci puicro
A. veti. fii;l.
H. Onde 1" iim.
A. 2. C. K che
H. m. D. N. ne potr. - //.
m.far pos. pur 7^.sol far p.
44. Qu. giungono U). bene conoscerne — 52. vani pensieri — 53. I^ conosc. — eh' ei fé' - 56. E (|uesti surg. — 59. Ila tolti —
parola || psrlare — e* imptilcro I| ci e pulcro (( li poltro || ne pulcro || ci affulcro ^?) — 63. Per cui || Di che — 66. Non e' potr. — far pos. sol || f. ripos.
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48
CKRCHIO IV. AVARI E PRODIGHI.
INFERNO VII. 67-90.
SCONOSCIUTI.
1. 2. 3. rlifist Ini
67.
l. parte
1. '2. 3. la in
Maestro, diss' io lui, or mi di' anche:
Questa Fortuna, di che tu mi tocche,
Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?
70
E quegli a me: 0 creature sciocche,
Quanta ignoranza è quella che vi offende!
Or vo' che tu mia sentenza ne imbocchi* :
73. Colui, lo cui saper tutto trascende.
Fece U cieU, e die lor chi conduce,
Si che ogni parte ad ogni parte splende,
76. Distribuendo uguahnente la luce:
Similemente agU splendor mondani
Ordinò general ministra e duce,
79. Che permutasse a tempo li ben vani,
Di gente in gente e d' uno in altro sangue,
Oltre la difension de' semii umani:
82. Perchè una gente impera, e V altra langue.
Seguendo lo giudizio di costei,
Che è occulto, come in erba Y angue.
85. Vostro saper non ha contrasto a lei:
Ella provvede, giudica e persegue
Suo regno, come il loro gli altri Dei.
Le sue permutazion non hanno triegue:
Necessità le fa esser veloce.
Si spesso vien chi vicenda consegue.
88,
D. Ed io , M., dishi , or
— B. dissi
B. r. Ed ecli
D. ministro
J. Oltre alla
A. Che v' è
A. C. Quesia provv.
C. J). prosein»*"
A. B. D. la fa
(i7. Ed iu a lui, M., or — Maestro mio, diss* io, or — 72. che tutta niia|| che tu ti mia sent imb. - 7H. maestra — 82. ed altra -
84. Che eiace || Che sta || Che n' e - 85. non è contr. — 86. Questa comanda — 87. il lor fan gli ~ DO. rhe vicenda
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CERCHIO IV. AVARI E PRODIGHI.
INFERNO Vn. 91-114.
49
Fm r altre
So' incìdemmo
91. Quest' è colei, eh* è tanto posta in croce
Pur da color che le dovrian dar lode,
Dandole biasmo a torto e mala voce.
94. Ma ella s' è beata, e ciò non ode:
Con r altre prime creature heta
Volve sua spera, e beata si gode.
97. Or discendiamo omai a maggior pietà:
Già ogni stella cade, che saliva
Quando mi mossi, e il troppo star si vieta.
100. Noi ricidemmo il cerchio all' altra riva
Sopra una fonte, che bolle e riversa
Per un fossato che da lei deriva.
\nzi^ 1.2.3. molto 103. L' acqua era buia assai vie più che persa:
più
E noi, in compagnia dell' onde bige,
Entrammo giù per una via diversa.
106. Una palude fa, che ha nome Stige,
Questo tristo ruscel, quando è disceso
Al pie delle maligne piaggie grige.
irimir»r 109. Ed io , che di mirar mi stava iateso,
Vidi genti fangose in quel pantano,
Ignude tutte e con sembiante offeso.
112. Questi si percotean, non pur con mano,
i3 e col petto Ma cou la testa, col petto e co' piedi,
Troncandosi coi denti a brano a brano.
B. Tra 1' altre
A. Volge
B. molto più D,
più
J. 1. Nella pai. va (?) -
/?.i}. pai. va (v'ha?)
C./>. Appiè- r.^.gUgc
D. atteso
B. tutte ron
D. colle teste — fì. C. D.
e col p.
91. che tanto è ~ 92. e a mala v. — 95. Fra 1* altre — 99. Qaand* io — ICS. bruna || tinU - 106. Ta' da pai. || lu la p. va -
l drUf malvagie ~ 109. di mirare st. || del mir. si. - 110. genti attuffate - IH. Ignudi tutti - 112. Queste || Elle
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50 CERCHIO V. IRACONDI KD ACCmiOSI. INFERNO VU. 115 — 130. DANTE E VIROILIO.
115. Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi
L' anime di color cui vinse Y ira:
Ed anche vo' che tu per certo credi ,
118. Che sotto l'acqua ha gente che sospira, r. r •«. «ente è ac
E fanno pullular quest' acqua al summo.
Come r occhio ti dice, u' che s' aggira.
121. Fitti nel limo dicon: Tristi fummo
Neil' aer dolce che dal sol s' allegra,
Portando dentro accidioso fiimmo:
124. Or ci attristiam nella belletta negra.
Quest'inno si gorgoghan nella strozza,
Che dir noi posson con parola integra.
127. Così girammo deUa lorda pozza
Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo,
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza:
130. Venimmo appiè d' una torre al dassezzo. a. i. ro c\ ai pie
118. è gente — 119. E che fan ~ l^Ol unque e* •! g. - 121. Tatti nei 1. — 122. del sol - 124. Or ci tuffiam — 125. Questo inno
gorg. Il Quest' inno lor gorgogii» — 127. nella lorda p. — 128. ripa sesta
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CANTO OTTAVO
1. 2. 3. io Tìvoìio
Lo dico seguitando, eli' assai prima
('he noi fìissimo al pie dell' alta torre,
Gli occhi nostri n' andar suso alla cima,
ich>iTed.2.3.chevcd. 4. Per due fiammette che i' vedemmo porre,
E un' altra da lungi render cenno
Tanto, eh' a pena il potea Y occhio torre.
7. Ed io mi volsi al mar di tutto il senno;
Dissi: Questo che dice? e che risponde
Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?
10. Ed egU a me: Su per le sucide onde
Già puoi scorger quello che s' aspetta,
Se il fummo del pantan noi ti nasconde.
13. Corda non pinse mai da se saetta.
Che sì corresse via per Y aere snella.
Com' io vidi una nave piccioletta
16. Venir per Y acqua verso noi in quella.
Sotto il governo d' un sol galeoto ,
Che gridava: Or se' giunta, anima fella?
A. m. E dico
A. *i. a D. a pie
t). che Tcd.
1. 2. scori;, puoi 3. puoi
§con^rc
1. '1. V acr snella
A. 1. scori^er puoi
A. V aer snella
4. eh' ivi ved. — 7. io rivolsi — 11. quel che qui — 12. non tei nasc. — 14. volasse via
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52
CERCHIO V. IRACONDI.
INFERNO Vra. 19-42.
1. 2. 3. t$e non pass.
2. 3. Tal si IV-
3. correvam
1. 2. 3. sì sei
1. 2. 3. ambe
19. Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a voto,
Disse lo mio signore, a questa volta:
Più non ci avrai, che sol passando il loto.
22. Quale colui, che grande inganno ascolta
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca,
Fecesi Flegiàs nell' ira accolta.
25. Lo duca mio discese nella barca,
E poi mi fece entrare appresso lui,
E sol, quand' io fili dentro, parve carca.
28. Tosto che il duca ed io nel legno fui,
Secando se ne va V antica prora
Dell' acqua più che non suol con altrui.
31. Mentre noi corravam la morta gora,
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
E disse: Chi se' tu che \aeni anzi ora?
34. Ed io a lui: S'io vegno, non rimango;
Ma tu chi se', che sei si fatto brutto?
Rispose: Vedi che son \m che piango.
37. P]d io a lui: Con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani:
Ch' io ti conosco , ancor sia lordo tutto.
40. Allora stese al legno ambo le mani:
Perchè il Maestro accorto lo sospinse.
Dicendo: Via costà con gli altri cani.
B. Frejjias. Fr.
A. guai .
/>. rosi frcf R
JJ. si fé
D. Direnclo
A. io non rim.
fi. che si sf'
.1. 1. sii? ». «f
A. AUor dU».
22. l'he '1 inrantk' — 24. Tal fecesi FI. — 29. Fendendo — Solcando — 31. noi passavam
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CERCHIO V. IRACONDI.
INFERNO Vm. 43 — 66.
FILIPPO ARGENTI.
53
3. Così è
1. tuffare
1. Anzi
L "2. 3. Lo Fior.
1. ^ 3. int. Y ucch.
43. Lo collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi il volto, e disse: Alma sdegnosa,
Benedetta colei che in te s' incinse.
46. Quei fu al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi:
Cosi s' è r ombra sua qui furiosa.
49. Quanti si tengon or lassù gran regi,
Che qui staranno come porci in brago.
Di se lasciando orribili dispregi!
52. Ed io: Maestro, molto sarei vago
Di vederlo attuffare in questa broda,
Prima che noi uscissimo del lago.
55. Ed egli a me: Avanti che la proda
Ti si lasci veder, tu sarai sazio:
Di tal disio converrà che tu goda.
58. Dopo ciò poco vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genti.
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
61. Tutti gridavano: A Filippo Argenti:
E '1 Fiorentino spirito bizzarro
In se medesmo si volgea co' denti.
64. Quivi il lasciammo, che più non ne nan-o:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo,
Perch' io avanti Y occhio intento sbari'o :
e D. si cinse
H. Quel fu
D. colassù
B. tuffare — D. tjuella
B. Anzi
D. Ui poco poi io —
(\ vici' io
/?. (\ i). v«)lve.i
fì, J). intento 1' occhio
43. m* avvinse — 53. a tuffare || asxuffare — 57. conviene che || convieu che tu ti g. — 58. io vidi — HO. e rint^. —
U Fior. — 63. si rodea — 66. nelF orecchie -- 66. d* avanti (| annanti — li occhi ~ a tondo
2. Quel Fior.
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54
CITTÀ DI DITE.
INFERNO Vm. 67 — 90.
1. 2. E '1 buon
1. 2. parca
3. Dal Ciri
67. Lo buon Maestro disse: Ornai, figliuolo,
S' appressa la città che ha nome Dite,
('o' gravi cittadin, col grande stuolo.
70. Ed io: Maestro, già le sue mesciute
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
73. Fossero. Ed ei mi disse: Il foco etemo,
Ch' entro Y affoca, le dimostra rosse,
Come tu vedi in questo basso inferno.
76. Noi pur giugnemmo dentro all' alte fosse,
Che vallan quella terra sconsolata:
Le mura mi parean che ferro fosse.
79. Non senza prima far grande aggirata,
Venimmo in parte, dove il nocchier, forte,
Uscite, ci gridò, qui è 1' entrata.
82. Io vidi più di mille in sulle porte
Da' del piovuti, che stizzosamente
Dicean: Chi è costui, che senza morte
85. Va per lo regno della morta gente?
E il savio mio Maestro fece segno
Di voler lor parlar segretamente.
88. Allor chiusero un poco il gran disdegno,
E disser: Vien tu solo, e quei sen vada,
Che sì ardito entrò per questo regno.
e. misehite
A. eerfce
B. parca
D. 1. Gridò a noi, qui è
la voslra
C. Dei oiel
A. fece cenno
A. m. ai sicturo
70. messitc — 76. pur girammo — 79. grande girata — 81. Uscitene gr. || Usciteci gr. || Uscitenvi gr. - queste è — 90. in queato
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CITTA DI DITK.
INFERNO Vin. 91—114.
VIRGILIO X DiaiONI.
55
t'hf non
L 3. r andAr
L 3. Che si e no
91. Sol si ritomi per la folle strada:
Provi se sa; che tu qui rimarrai,
'he scorto l'hai persi Che gU Imiì scorta si btiia contrada.
2. 3. s' io mi disconf. 94. Peiisa, Lcttor, se io mi sconfortai
Nel suon delle parole maledette:
Ch' io non credetti ritornarci mai.
97. 0 caro duca mio, che più di sette
Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto
D' alto periglio che incontra mi stette,
100. Non mi lasciar, diss' io, così disfatto:
E se 1 passar più oltre e* è negato,
Ritroviam 1' orme nostre insieme ratto.
103. E quel signor, che li m' avea menato,
Mi disse: Non temer, che il nostro passo
Non ci può torre alcun: da tal n' è dato.
106. Ma qui m' attendi; e lo spirito lasso
Conforta e ciba di speranza buona,
Ch' io non ti lascerò nel mondo basso.
109. Cosi sen va, e quivi m' abbandona
Lo dolce padre, ed io rimango in forse;
Che '1 si e '1 no nel capo mi tenzona.
L3.queiioch»iorp. 112. Udir uou potè' quel eh' a lor si porse:
Ma ei non stette là con essi guari.
Che ciascim dentro a prova si ricorse.
e qui tu
D, Lettore — B, D. •' io
— iff.disconf. C. ronf.
A, rontra. Ii. 'ncoutro
1). contro
H. r andar
(\ Cile 'l no e 'l si —
B. D. Che sì e no
//. quello eh' a lor p.
D. appruovo — A. ricolse
92. se ei sa — 98. la buia — 95. Al suon ■*■ 96. ritornar giammai — 99. D' altro p. — 101. E se passar — m" ì- neq. — 1052. Ri-
aiam — 106. Non ti può — III. Che non è si — 112. Ud. non petti — 114. ritorse
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56 CITTÀ DI DITE. INFERNO Vni. 115 — 130. viroilio e demoni.
115. (^hiuser le porte que' nostri avversari
Nel petto al mio signor, che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari.
118. (rli occhi alla terra, e le cigUa avea rase
D' ogni baldanza, e dicea ne' sospiri:
Chi m' ha negate le dolenti case?
121. Ed a me disse: Tu, perch' io m' adiri,
Non sbigottù', eh' io vincerò la prova,
Qual eh' alla difension dentro s' aggiri.
124. Questa lor tracotanza non è nuova,
Che già r usaro a men segreta porta.
La qual senza serrame ancor si trova.
127. Sopr' essa vedestù la scritta morta:
E già di qua da lei discende 1' erta,
Passando per U cerchi senza scorta,
130. Tal che per lui ne fia la terra aperta. cperiei-r//.
116. Nel volto — 120. Che m' han — 124. non m' è nuova — 129. senza storta — 190. ne sia
B. a m«* JD >«•,■:
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CANTO NONO
1 con altro
A. Vedendo
A. m. D. m. se n* off.
i^uel color che viltà di fuor mi pinse,
Veggendo il duca mio tornare in volta,
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
4. Attento si fermò com' uom che ascolta;
Che r occhio noi potea menare a lunga
Per r aer nero e per la nebbia folta.
7. Pure a noi converrà vincer la punga,
Cominciò ei: se non. . . tal ne s' offerse.
Oh quanto tarda a me eh' altri qui giunga! i^. qu. ètardi
10. Io vidi ben, sì com' ei ricoperse
Lo cominciar con 1' altro che poi venne,
Che ftir parole alle prime diverse.
13. Ma nondimen paura il suo dir dienne,
Perch' io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza eh' ei non tenne
16. In questo fondo della trista conca
Discende mai alcun del primo grado.
Che sol per pena ha la speranza cionca?
A. Il com. D. L' incom.
— B. pria venne
A. m. Fuor se —
B. miglior seni.
A. 1. Discese
B. pena la - A. 2. C.
Ch* ha sol p. p. la sp.
7. Pur a me - B. sofferse — 9. ei giunga — 10. Io v. come ben ei — 13. nond. dubbiar
I. 8
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58
CITTÀ DI DITE.
INFERNO IX. 19 — 42.
KRITON.
19. Questa question fec' io; e quei: Di rado
Incontra, mi rispose, che di nui
Faccia il cammino alcun per quale io vado.
22. Ver' è eh' altra fiata quaggiù fui,
Congiurato da quella Eriton cruda.
Che richiamava Y ombre a' corpi sui.
25. Di poco era di me la carne nuda,
Ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro.
Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
28. Queir è il più basso loco e il più oscuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira:
Ben so il cammin: però ti fa sicuro.
31. Questa palude, che il gran puzzo spira.
Cinge d' intorno la città dolente,
U' non potemo entrare omai senz' ira.
34. Ed altro disse, ma non 1' ho a mente;
Perocché 1' occhio m' avea tutto tratto
Ver r alta torre alla cima rovente,
i.2.3.ove-i.zvìaidr. 37. Dovc ìu uu puuto furon dritte ratto
Tre fiirie infernal di sangue tinte.
Che membra femminili aveano ed atto;
40. E con idre verdissime eran cinte:
2. :ì. scrp. e ter. ScrpenteUi ceraste avean per crine,
Onde le fiere tempie eran avvinte.
D. Di pò era
A. 1. D. ontti t5^
Ove - B. Tid ir*
.4. femìninr
O. «erp. e ter.
21. pel ijuair - 24. Che rivocava — 31. che gran - 32. Valla dint — 33. U' noi potemu
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CITTA DI DITE.
INFERNO IX. 43-66.
TRE FUBIE.
3. GridjiTan
1,2. aniendae 3. «mbed.
43. E quei, che ben conobbe le meschine
Della regina dell' eterno pianto:
Guarda, mi disse, le feroci Erine.
46. Questa è Megera dal sinistro canto:
Quella, che piange dal destro, è Aletto:
Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.
49. Con r unghie si fendea ciascuna il petto;
Batteansi a palme e gridavan sì alto,
Ch' io mi strinsi al poeta per sospetto.
52. Venga Medusa: si 1 farem di smalto,
Dicevan tutte riguardando in giuso:
Mal non vengiammo in Teseo Y assalto.
55. Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso;
Che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,
Nulla sarebbe del tornar mai suso.
58. Cosi disse il Maestro; ed egU stessi
Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
Che con le sue ancor non mi chiudessi.
61. 0 voi, che avete gì' intelletti sani,
Mirate la dottrina che s' asconde
Sotto il velame degli versi strani.
64. E già venia su per le torbid' onde
Un fracasso d' un suon pien di spavento,
Per cui tremavano ambo e due le sponde;
A. 1. Trine (?) B. Etrine
A. r. I). Quella è
A. 1. Cridavan (?) —
lì. tutti
D. Voi vi ti — A. tieni il
A. 2. di torn.
A. C. siifid' onde.
B. C. amendue
D. ambedue
48. tacque in tanto — 51. Che mi strinsi — 52. e sì '1 farem || sì il farà || se '1 farem — 54. Mai non || Ma non || Mal noi — vegi;iam.
55. in retro — 5d. Si volse — 68. Mir. a la dottr. — 64. s' udia — sotto le torb. — 66. Perchè
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60
CITTÀ DI DITE.
INFERNO IX. 67-90.
ME880 DEL CIELO.
1. 2. selva senza
1. 2. i fiori 3. fori
1. fiamma ant
1. Vidi
1. 2. 3. m' accorsi
1. 2. 3. e quei
1. 2. 3. Oiimsc
2. 3. non v' ebbe
67. Non altrimenti fatto che d' un vento
Impetuoso per gli avversi ardori,
Che fier la selva, e senza alcun rattento
70. Li rami schianta, abbatte, e porta fiori.
Dinanzi polveroso va superbo,
E fa fuggir le fiere e li pastori.
73. GU occhi mi sciolse, e disse: Or drizza il nerbo
Del viso su per quella schiuma antica,
Per indi ove quel fìimmo è più acerbo.
76. Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per V acqua si dileguan tutte.
Fin che alla terra ciascima s' abbica;
79. Vid' io più di mille anime distrutte
Fuggir cosi dinanzi ad un, che al passo
Passava Stige colle piante asciutte.
82. Dal volto rimovea quell' aer grasso.
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di quell' angoscia parea lasso.
85. Ben m' accors' io eh' egli era del ciel messo,
E volsimi al Maestro: ed ei fé' segno,
Ch' io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
88. Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne alla porta, e con una verghetta
L' aperse, che non ebbe alcun ritegno.
B. D. fdra acuì -
D. ritento
D. m. fon
D. mi Ione -ÀI.
disse: Dma
A. 8pams(?) £.-v
ant.
B. a Vidi
& m* accorsi
A, l. Volsimi »1 ni. '
A. 1. B. e ^'■
B. Giunse
D. non T eN»
68. per diversi ard. — 70. £ i rami — abb. e fronde e fiori || abb. e foglie — 72. fuggir le bestie — 85. dal eiel || da ciel - 90. »» ■ '
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SNTBATA DELLA CITTA.
INFERNO IX. 91-114.
MESSO DEL CIELO.
61
91. 0 cacciati del ciel, gente dispetta,
Cominciò egli in su Y orribil soglia,
. tracotanza Ond' esta oltuacotaiiza in voi s' alletta?
94. Perchè ricalcitrate a quella voglia,
A cui non puote il fin mai esser mozzo ,
E che più volte v' ha cresciuta dogUa?
97. Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
100. Poi si rivolse per la strada lorda,
E non fé' motto a noi: ma fé' sembiante
D' uomo, cui altra cura stringa e morda,
103. Che quella di colui che gli è davante.
E noi movemmo i piedi in ver la terra.
Sicuri appresso le parole sante.
106. Dentro v' entrammo senza alcuna guerra:
Ed io, eh' avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra,
109. Com' io fili dentro, 1' occhio intomo invio;
E veggio ad ogni man grande campagna
Piena di duolo e di tormento rio.
2. 3. ove 1 Rod. 112. Sì come ad Arh, ove Rodano stagna,
Si com' a Pola presso del Quarnaro,
Che ItaUa chiude e suoi termini bagna,
A. l. dal eie!
A. 1. 1). fcracotauza
A. 1. Alla qual non può
mai *1 fin
D. cresciuto
D. D* uomo , '1 quale
J). 1. il pie
A.C. E vidi — ^. 1. mano
i^an — D. compagna
e. ove 1 Rod.
JJ. dal Qu. - A. fti.
Carnaru
L .^. e i suoi
91. dal ciel |t da Dio — 94. A ohe riealcìtrare — 95. easer mai m. — 109. Come tai dcntto, io — a tomo - 112. Redano
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62
CERCHIO VI. ERKSIARCHl.
INFERNO IX. 115-133.
DANTE E VISOIUO.
K inonim.
115. Fanno i sepolcri tutto il loco varo:
Cosi facevan quivi d' ogni parte,
Salvo che il modo v' era più amaro;
118. Che tra gli avelli fiamme erano sparte,
Per le quaU eran sì del tutto accesi,
Che ferro più non chiede verun' arte.
121. Tutti gU lor coperchi eran sospesi,
E fuor n' uscivan si duri lamenti.
Che ben parean di miseri e d' offesi.
124. Ed io: Maestro, quai son quelle genti,
Che seppeUite dentro da quell' arche
Si fan sentir con gU sospir dolenti?
127. Ed egli a me: Qui son gli eresiarche
Co' lor seguaci d' ogni setta, e molto
Più che non credi, son le tombe carche.
130. Simile qui con simile è sepolto,
E i monimenti son più, e men caldi.
E poi eh' alla man destra si fii volto,
133. Passammo tra i martiri e gli alti spaldi.
B. in luogo — A. m. C. 1)
il lito
D. chi Bon — C U.
queste g.
C. queste arche
A. 1. Quei — A. le er.
D. con lor
B. r. E m. — C. movim.
C. li altri
117. che modo - 118. Ch' entro gli av. — 120. neun* arte || in verun' arte — 122. n' uscia — 126. coi sospiri )) con sospiri
128- e d' otpii setta
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CANTO DECIMO
1. uno stretto
1. 2. 3. .Tosaffà
iJra sen va per un secreto calle
Tra il muro della terra e li martiri
Lo mio Maestro, ed io dopo le spalle.
4. 0 virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi, cominciai, com' a te piace
Parlami, e satisfammi a' miei desiri.
7. La gente, che per li sepolcri giace,
Potrebbesi veder? già son levati
Tutti i coperchi, e nessun guardia face.
10. Ed egh a me: Tutti saran serrati,
Quando di Josaffàt qui torneranno
Coi corpi che lassù hanno lasciati.
13. Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci.
Che r anima col corpo morta fanno.
16. Però alla dimanda che mi faci
Quinc' entro satisfatto sarai tosto.
Ed al disio ancor che tu mi taci.
D. m. ampi
A. come ti
V. Potrebbersi
H. ì sepolcri
H. Josafà
.•I. 1. ? V. giù dentro
3. dietro alle sp. — 10. E quegli — 16. che tu faci
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64
CERCHIO VI. ERETICI.
INFERNO X. 19-42.
FARINATA D. UBERTI.
2. 3. nascosto
1. mio dir
3. ristare
1. 2. 3. forse fui
19. Ed io: Buon Duca, non tegno riposto
A te mio cor, se non per dicer poco;
E tu m' hai non pur mo a ciò disposto.
22. 0 Tosco, che per la città del foco
Vivo ten vai, così parlando onesto,
Piacciati di restare in questo loco.
25. La tua loquela ti fa manifesto
Di quella nobil patria natio,
Alla qual forse io fui troppo molesto.
28. Subitamente questo suono uscio
D' una dell' arche: però m' accostai,
Temendo, un poco più al duca mio.
31. Ed ei mi disse: Volgiti: che fai?
Vedi là Farinata che s' è dritto:
DaUa cintura in su tutto il vedrai.
34. r avea già il mio viso nel suo fitto;
Ed ei s' ergea col petto e colla fronte,
Come avesse lo inferno in gran dispitto:
37. E r animose man del duca e pronte
]\Ii pinser tra le sepolture a lui,
Dicendo: Le parole tue sien conte.
2. 3. Tosto eh* al p. 40. Com' io al pie della sua tomba fili,
Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso
Mi dimandò: Chi fiir U maggior tui?
1. 2. 3. cintol»
C. risposto D. nmscosto
B. mio dir
A.\. D. non m' hai pur
B. ristare
B. D. forse fui
B. a D. Voi vi ti
B. D. cintola
A. a i^an d.
A. 2. C. Z>. a pie
D, chi son
20. A te '1 mio e. — 21. pur ora —
41. Chiatommi — 42. furo i
qa. patr. nobile
perch' io m" acc, — 35. surgea — 37. del duca, pronte
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CERCHIO VI. ERETICI.
INFERNO X. 43 — 66.
CAV. DB CAVALCANTI.
65
1. 2. 3. tutto
2. duo fiate
l. 2. 3. Risposi lui
2. 3w ixu^'iocchion
1. 2. sospicciar
3. aospiear
3. o perchè
43. Io, eh' era d' ubbidir desideroso,
Non gliel celai, ma tutti gliel' apersi:
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso;
46. Poi disse: Fieramente furo avversi
A me ed a' miei primi ed a mia parte,
Si che per due fiate gli dispersi.
49. S' ei fur cacciati, ei tornar d' ogni parte,
Rispos' io lui, r una e 1' altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben queir arte.
52. AUor surse alla vista scoperchiata
Un' ombra lungo questa infino al mento:
Credo che s' era in ginocchie levata.
55. D' intomo mi guardò, come talento
Avesse di veder s' altri era meco;
Ma poi che il suspicar fii tutto spento,
58. Piangendo disse: Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d' ingegno,
Mio figlio ov' è, e perchè non è teco?
61. Ed io a lui: Da me stesso non vegno:
Colui, che attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
64. Le sue parole e il modo della pena
M' avevan di costui già letto il nome:
Però fii la risposta cosi piena.
B. C. D. tutto
A. 1. ginocchi
D. ginocchia
B. C. sospecciar
A. m. eletto
44. Non gli e. — tutto gli mi ap. || tutto gli ap. — 46. diase fieram. : Furo — 50. Rispos* io a lui — e T una — 53. questo
55, Intorno — D' int. si gu. — 57. E poi — 50. Career ten vai — per 1* alt. — 61. Ond' io risposi a lui da me non — 65. già detto
I. 9
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gg CEBCHio VI. eb|:tici. inferno X. 67—90. farikata d. uberti.
idriE.. disse 67. Di subito drizzato gridò: Come
Dicesti: egli ebbe? non viv' egli ancora?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome?
70. Quando s' accorse d' alcuna dimora
Ch' io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve fuora.
73. Ma queir altro magnanimo, a cui posta
Restato m' era, non mutò aspetto, b.
1. Né cangiò Ne mosse collo, ne piegò sua costa.
76. E se, continuando al primo detto,
1.2.3. Egli S' egli han quell' arte, disse, male appresa, b.^^
Ciò mi tormenta più che questo letto.
79. Ma non cinquanta volte fia raccesa
La faccia della donna che qui regge,
Che tu saprai quanto queir arte pesa.
82. E se tu mai nel dolce mondo regge,
Dimmi, perchè quel popolo è si empio
Incontro a' miei in ciascuna sua legge?
85. Ond' io a lui: Lo strazio e il grande scempio, r./^Ed.
Che fece 1' Arbia colorata in rosso, A.m.c^
Tale orazion fa far nel nostro tempio.
2. 3. ♦ capo scosso 88. Poi ch' cbbc sospirando il capo mosso,
A ciò non fili io sol, disse, ne certo
1. 2. 3. sap. con riì al. Scuza cagìou cou gU altri sarei mosso :
69. fier negli || fier agli — il dolce — 75. Ne torse || Non torse — 76. E , se coni — il primo — 77. quel!" arte \saAf - '^
questo — 82. Eh, se tu — ft4. a ciascuna — 87. Tali or. — il nostro — 88. sospirato e il
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TESCHIO VI. ERSTICI.
INFERNO X. 91-114.
FARINATA O. UBESTI.
67
2. 3. torre
difese
2. 3. Don ci
Or dicerete » q.
tra' vivi
3. dianzi
B. torre C. ciascuno dì
tor
D. inviluppato
D. a quel
91. Ma fu' io sol colà, dove sofferto
Fu per ciascun di togUer via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto.
94. Deh, se riposi mai vostra semenza,
Prega' io lui, solvetemi quel nodo.
Che qui ha inviluppata mia sentenza.
97. E' par che voi veggiate, se ben odo,
Dinanzi quel che il tempo seco adduce,
E nel presente tenete altro modo.
100. Noi veggiam, come quei eh' ha mala luce.
Le cose, disse, che ne son lontano;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce:
103. Quando s' appressano, o son, tutto è vano
Nostro intelletto; e s' altri noi ci apporta, /?. nonn
Nulla sapem di vostro stato umano.
106. Però comprender puoi, che tutta morta
Fia nostra conoscenza da quel punto
Che del futuro fia chiusa la porta.
109. AUor, come di mia colpa compunto.
Dissi: Or direte dunque a quel caduto a or dicerete d. a q.
Che il suo nato è co' vivi ancor congiunto. /?. travivi
112. E s' io fui innanzi alla risposta muto, c.d.xktv^.
Fat' ei saper che il fei, perchè pensava
Già nell' error che m' avete soluto.
R. non son
R. tutto vano
92. Fu da ciasenn — 94. rip. ornai — 96. Che tiene inv. _ 100. quei che han ~ 102. Che tanto — 105. vostro fato — HO. Diss' io :
lirete a q. — Or dite adunque — 112. fui dianzi — 113. Direteli che — eh' il feci,%:h* io
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) CERCHIO VI. ERETICI. INFERNO X. 115 — 13(). federico II. IMF.
115. E già il Maestro mio mi richiamava:
3„pìrit«, Perch' io pregai lo spirto più avaccio
1. 2. 3. » lui Bì st Che mi dicesse chi con lui stava.
118. Dissemi: Qui con più di mille giaccio:
1.2.3. entTo Qua deutro è lo secondo Federico, .4.1 n^^
E il Cardinale, e degli altri mi taccio.
121. Indi s' ascose : ed io in ver Y antico
Poeta volsi i passi, ripensando
A quel parlar che mi parca nimico.
124. EgU si mosse; e poi così andando, v.mo^?^
IVIi disse: Perchè sei tu sì smarrito? 2?. Nr
Ed io li satisfeci al suo dimando.
127. La mente tua conservi quel eh' udito
Hai contra te, mi comandò quel Saggio,
Ed ora attendi qui: e drizzò il dito.
130. Quando sarai dinanzi al dolce raggio
Di quella, il cui beli' occhio tutto vede.
Da lei saprai di tua vita il viaggio.
133. Appresso volse a man sinistra il piede:
Lasciammo il muro, e gimmo in ver lo mezzo
Per im sentier eh' ad ima valle fiede,
136. Che infin lassù facea spiacer suo lezzo. A.m.D.^'-
110. io pressai — 120. Card., degli — 121 Ed ei — in andando — 128. ne comanda quel — 129. att. a cui - io drixtu
135. sentiere che a — in una v. — 136. infin quassù •
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CANTO DECIMOPRIMO
■r uu' altr»
(Attvm
Del grande p. che l' ab.
. prima un poco
In su r estremità d' un' alta ripa,
Che facevan gran pietre rotte in cercliio,
Vemmmo sopra più crudele stipa:
4. E quivi, per 1' orribile soperchio
Del puzzo, che il profondo abisso gitta,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
7. D' un grande avello, ov' io vidi xuia scritta
Che diceva: Anastasio papa guardo,
Lo qual trasse Fotin della \àa dritta.
10. Lo nostro scender conviene esser tardo,
Sì che s' ausi un poco prima il senso
Al tristo fiato, e poi non fia riguardo.
13. Così il Maestro; ed io: Alcun compenso,
Dissi lui, trova, che il tempo non passi
Perduto; ed egU: Vedi che a ciò penso.
16. Fighuol mio, dentro da cotesti sassi.
Cominciò poi a dir, son tre cerchietti
Di grado in grado, come quei che lassi.
B. faceva
A. m. B. indietro a un
A. 2. C. «vel doV io
D. Finché — D. pr. un p.
r. Diss' io
5. Del grave p. che V ab. — 6. ricoatammo indietro — 7. a* vidi una gran ser.
12. e più non fia — 16. Figliuolo — dentro a
11. 8* ausi in prima un p. || «' ausi uu p. il
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70 CERCHIO VI. ERETICI. INFERNO XI. 19 — 42. DIVIS. del basso INF.
19. Tutti son pien di spirti maledetti:
Ma perchè poi ti basti pur la vista,
Intendi come, e perchè son costretti.
^ 22. D' ogni malizia eh' odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
0 con forza o con frode altrui contrista. d. o con fr. o. e. t
25. Ma perchè frode è dell' uom proprio male.
Più spiace a Dio; e però stan di sutto e. perciò
Gli frodolenti, e più dolor gli assale.
28. De' violenti il primo cerchio è tutto :
Ma perchè si fa forza a tre persone, ^i. in tre
In tre gironi è distinto e costrutto.
31. A Dio, a sé, al prossimo si puone
1. 2. in se ed in 1. Far forza, dico in loro ed in lor cose,
Come udirai con aperta ragione.
34. Morte per forza e ferute dogUose
Nel prossimo si danno, e nel suo avere
Ruine, incendi e toilette dannose:
3. omicidi 37. Onde omicide e ciascun che mal fiere,
Guastatori e predon, tutti tormenta
Lo gh'on primo per diverse schiere.
40. Puote uomo avere in sé man violenta
E ne' suoi beni : e però nel secondo
Giron convien che senza prò si penta
20. ti basta — basti più — 23. fin è cotale — 28. Di Tiolenti — 32. in 1. ed in le lor || a loro ed a lor — 34. o fer. dolose — 96w collette
dann. - .37. Onde omicida |1 Odj » omic. — 40. Può uomo
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CBRCRIO VI. ERETICI.
INFERNO XI. 43-66.
DIVIS. DEL BASSO INF.
71
43. Qualunque priva se del vostro mondo,
Biscazza e fonde la sua facultade,
E piange là dove esser dee giocondo.
46. Puossi far forza nella Deitade,
Col cor negando e bestemmiando quella,
E spregiando natura e sua boutade:
49. E però lo minor giron suggella
Del segno suo e Sodoma e Caorsa,
E chi, spregiando Dio, col cor favella.
52. La frode, ond' ogni coscienza è morsa,
3. che si fida Può V uomo usarc in colui che 'n lui fida,
3. E in quello Ed in quei che fidanza non imborsa.
55. Questo modo di retro par che uccida
1. 2. 3. vincoi Pur lo vinco d'amor che fa natiu^a;
► Onde nel cerchio secondo s' annida
58. Ipocrisia, lusinghe e chi aflEeittura,
Falsità, ladroneccio e simonia,
Rufifian, baratti e simile lordura.
61. Per r altro modo queir amor s' obblia
Che fa natura, e quel eh' è poi aggiunto.
Di che la fede speziai si cria:
64. Onde nel cerchio minore, ov' è il punto
Dell'universo, in su che Dite siede,
Qualunque trade in eterno è consunto.
A. del nostro
li. (\ D. Mio
C. in qaei
A. ancida'
H. C. D. Per altro
A. 1. che poi ha g.
D. t. Onde la
C minor eerch. dov'
44. Bisc. e froda — 53. in ehi di lui — &5. modo diritto — che incida — 56. Pnr solo il ben
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72
CEBCHIO VI. ERETICI.
INFERNO XL 67-90.
DIVI8. DEL BASSO INF.
1. 2. 3. della città
2. 3. rh' ei suole
67. Ed io: Maestro, assai chiaro procede
La tua ragione, ed assai ben distingue
Questo baratro e il popol che il possiede.
70. Ma dimmi: Quei della palude pingue,
Che mena il vento, e che batte la pioggia,
E che s' incontran con sì aspre lingue,
73. Perchè non dentro dalla città roggia
Son ei puniti, se Dio gli ha in ira?
E se non gli ha, perchè sono a tal foggia?
76. Ed egli a me : Perchè tanto delira.
Disse, lo ingegno tuo da quel che suole?
Ovver la mente dove altrove mira?
79. Non ti rimembra di quelle parole.
Colle quai la tua Etica pertratta
Le tre disposizion che il ciel non vuole:
82. Incontinenza, malizia e la matta
Bestialitade? e come incontinenza
Men dio offende e men biasimo accatta?
85. Se tu riguardi ben questa sentenza,
E rechiti alla mente, chi son quelU,
Che su di fuor sostengon penitenza,
88. Tu vedrai ben, perchè da questi felli
Sien dipartiti, e perchè men crucciata
1. 2. 3. dir. giuBtizia La divlna ^'endetta gli martelU.
D. t rombattr
B. incontra
C. e malizù
D. kiasmo
B. D. dir. l^tt»trJ
()7. chiara — 69. Qu burato — che possiede — 70. Ma quei che son d. — 72. si scontran — diverse lingne — "^ E » ^'
77. eh' e* suole — 78. mente tua dov' altro || m. tua altrove — 84. più bias. — 86. a memoria
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CERCHIO VI. ERETICI.
INFERNO XI. 91-115.
DIVIS. DEL BASSO INF.
73
'L 3. svoKi
1. 2. r attcndr
1. Da i{uesti
1. 2. 3. K perchè
l. 2. 3. oltTr
91. 0 Sol che sani ogni vista turbata,
Tu mi contenti sì, quando tu solvi,
Che, non men che saper, dubbiar m' aggrata.
94. Ancora un poco indietro ti rivolvi,
Diss' io , là dove di' che usura offende
La divina boutade, e il groppo solvi.
97. Filosofia, mi disse, a chi la intende,
Nota non pure in ima sola parte,
Come natura lo suo corso prende
100. Dal divino intelletto e da sua arte;
E se tu ben la tua Fisica note.
Tu troverai non dopo molte carte,
103. Che r arte vostra quella, quanto puote.
Segue, come il maestro fa il discente,
Sì che vostr' arte a Dio quasi è nipote.
106. Da queste due, se tu ti rechi a mente
Lo Genesi dal principio, conviene
Prender sua vita ed avanzar la gente.
109. Ma perchè 1' usuriere altra via tiene,
Per se natura, e per la sua seguace
Dispregia, poiché in altro pon la spene.
112. Ma seguimi oramai, che il gir mi piace:
Che i Pesci guizzan su per Y orizzonta,
E il Carro tutto sopra il Coro giace,
115. E il balzo via là oltra si dismonta.
A. ogni cosa
A, iud. un (>.-//. a
dietro
A. m. C. di' Caoroa
C. dissolvi
C. qua sene potè
fi. Da questi
H. E perphè
A. 2. C. I). nat. per
A. C. sovra il toro
91. cbe schi&ri — 97. lo intende || le intende — 99. eorpo prende 101. FI se bene la tua — 106. Da qu. pose , se ti r. - 109. usnrajo —
IH. sovra Tauro - llf». K balzò ria la dove
I. IO
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CANTO DECIMOSECONDO
1. Di là
1. 2. se s lessa
1. mio Vìrg. gr.
Jcjra lo loco, ove a scender la riva
Venimmo, alpestro, e per quel eh' ivi er' anco,
Tal, eh' ogni vista ne sarebbe schiva.
4. Qual è 'quella mina, che nel fianco
Di qua da Trento 1' Adice percosse
0 per tremuoto o per sostegno manco;
7. Che da cima del monte, onde si mosse.
Al piano è si la roccia discoscesa,
Ch' alcuna via darebbe a chi su fosse ;
10. Cotal di quel burrato era la scesa:
E in su la punta della rotta lacca
L' infamia di Greti era distesa,
13. Che fii concetta nella falsa vacca:
E quando vide noi, se stesso morse
Si come quei , cui l' ira dentro fiacca.
16. Lo savio mio inver lui gridò : Forse
Tu credi che qui sia il duca d' Atene,
Che su nel mondo la morte ti porse?
B. I). Di li - A. Athyee
C rocca
B. discesa
U. Come colui cui d. 1* ira
B. mio 'Virf(ilio gr.
A. 2. C. che quei
3. ogni bestia ~ 6. per sostegni — 9. via non v' è — 15. eoi ir» molto f. ^ afB«eca — 16. Virgilio mio in Ter lui (| Lo savio
vfr lei II Lo mio maestro in v. 1.
10-
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76
CKRCH. VII. ntBONE 1. VIOLENTI.
INFERNO XII. 19-42.
MINOTAURO.
1. si lancia
1. 8U per
1. Sotto mie'
19. Partiti, bestia, che questi non viene
Ammaestrato dalla tua sorella,
Ma vassi per veder le vostre pene.
22. Qual è quel toro che si slaccia in quella
Che ha ricevuto già 1 colpo mortale,
Che gir non sa, ma qua e là saltella,
25. Vid' io lo Minotauro far cotale.
E quegU accorto gridò : Corri al varco ;
Mentre eh' è in furia, è buon che tu ti cale.
28. Così prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietre, che spesso moviensi
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
31. Io già pensando; e quei disse: Tu pensi
Forse a questa rovina, eh' è guardata
Da queir ira bestiai eh' io ora spensi.
34. Or vuo' che sappi, che 1' altra fiata
Ch' i' discesi quaggiù nel basso inferno,
1. ano. taguata Questa roccla non era ancor cascata.
1,2. 3. «e ben 37. Ma ccrto poco pria, s'io ben discerno.
Che venisse Colui, che la gran preda
Levò a Dite del cerchio superno,
40. Da tutte parti 1' alta valle feda
Tremò sì, eh' io pensai che 1' universo
Sentisse amor, per lo quale è chi creda
D. ai lancia
D. rio. lo e.
A. 2. B. C. D. queir are.
li. su per
B. a D. «otto !
B. rh' all' altra
IJ. rocca — B. ano.
tai;liata
B. D. ae ben
21. Ma ra ai || Ma TÌensi — '27. che infuria || che furia — 81. Che penai ~ 32. in qu. r. —
altra f. — 3B. Che diacendease Quei
3. ira mortai — 34. vuo* io — che
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rKRCH. VII. GIRONE 1. VIOLENTI. INFERNO XII. 43 — 66. CENTAURI. 77
43. Più volte il mondo in Caos converso:
Ed in quel punto questa vecchia roccia
Qui ed altrove tal fece riverso.
46. Ma ficca gli occhi a valle; che s' approccia
La riviera del sangue, in la qual bolle j. 2. r. in io qu.
Qual che per violenza in altrui noccia.
1. 2. 3. o ira f. 49. 0 cieca cupidigia, e ria e folle, a. ,». d. o ira r.
Che sì ci sproni nella vita corta,
E neir eterna poi sì mal e' immolle !
52. Io vidi un' ampia fossa in arco torta.
Come quella che tutto il piano abbraccia,
Secondo eh' avea detto la mia scorta:
55. E tra il pie della ripa ed essa, in traccia
Correan Centauri armati di saette.
Come solean nel mondo andare a caccia. ^.i.(?)/j. rome «suoi
58. Vedendoci calar ciascun ristette,
E della schiera tre si dipartirò
Con archi ed asticciuole prima elette:
61. E r un gridò da lungi : A qual martiro
Venite voi, che scendete la costa?
Ditel costinci, se non, 1' arco tiro.
64. Lo mio Maestro disse: La risposta
Farem noi a Chiron costà di presso : a. c. d. presso
Mal fu la voglia tua sempre sì tosta.
43. in Caosso — 45. altrove più — 48. Quel che - 49. ria e f. (| e dira e f. — 50. ci sprona - 56. \'enian f'ent. - «3. e se non
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78
CERCH. VIK GIRONE 1. VIOLENTI.
INFERNO Xn, 67-90.
CHIRONK E NESSO.
l. 2. 3. Ove - 1. due
B. dal caiit.
1. 2. Che uè
67. Poi mi tentò, e disse: Quegli è Nesso,
Che morì per la bella Deianira,
E fé' di se la vendetta egli stesso :
70. E quel di mezzo, che al petto si mira,
E il gran Chirone, il qual nudrì Achille:
Quell' altro è Eolo , che fii si pien d' ira.
73. D' intorno al fosso vanno a mille a mille,
Saettando quale anima si svelle
Del sangue più, che sua colpa sortille.
76. Noi ci appressammo a quelle fiere snelle:
Chiron prese uno strale, e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle.
79. Quando s' ebbe scoperta la gran bocca,
Disse ai compagni: Siete voi accorti,
Che quel di retro move ciò eh' ei tocca?
82. Così non sogUon fare i pie de' morti.
E il mio buon Duca, che già gli era al petto
Dove le duo nature son consorti,
85. Rispose : Ben è vivo, e sì soletto
MostrarU mi convien la valle buia:
Necessità '1 e' induce, e non diletto.
^8. Tal si partì da cantare alleluia,
Che mi commise quest' ufieio nuovo;
Non è ladron, ne io anima fuia.
A. 2. Ch. che n. — JJ.
natricò
D, che par
A. la b. dietro
U. scoperto
e. sietevi voi
A. 2. r. ciò che t.
/?. Ove
r. D. "1 conduce
/?. Che ne
7U. che il petto — 71. nudriu — 74. quell' anima || quelle anime — si snelle — 75. Dal sangue — OT. Nec. lo induce — induce, non
81). Che me condusse a qu.
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CERCH. VII. OIRONK 1. TIRANNI.
INFERNO Xn. 91 — 116.
EZZELINO, OPIZZO.
79
1. 2. 3. là oTe
1. 2. 3. Cicilia
l. 2. 3. Obizxo
91. Ma per quella virtù, per cui io movo
Li passi miei per sì selvaggia strada,
Damie un de' tuoi, a cui noi siamo a pruovo,
94. Che ne dimostri là dove si guada,
E che porti costui in su la groppa;
Che non è spirto che per 1' aer vada.
97. Chiron si volse in sulla destra poppa,
E disse a Nesso : Torna, e sì li guida,
E fa causar, s' altra schiera v' intoppa.
100. Noi ci movemmo colla scorta fida
Lungo la proda del bollor vermiglio.
Ove i boUiti facean alte strìda.
103. Io vidi gente sotto infino al cigho;
E il gran Centauro disse : Ei son tiranni,
Che dier nel sangue e nell' aver di piglio.
106. Quivi si piangon li spietati danni:
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero,
Che fé' Sicilia aver dolorosi anni :
109. E quella fronte eh' ha il pel così nero
E Azzolino ; e quell' altro eh' è biondo
E Opizzo da Esti, il qual per vero
112. Fu spento dal figliastro su nel mondo.
AUor mi volsi al Poeta, e quei disse:
Questi ti sia or primo, ed io secondo.
(\ D. s' intoppa
H. altre str.
JL D. Cicilia
A. É Ezzerino
r. Ohiitxo
(\ .lo mi
91. per chi io — 94. E che ne mostri li ove — 96. Ch' ei non — 100. Or ci mov. — 101. Lungo alla broda - 102. acri str. —
^uivi pra g. Il Qui vidi g. — 107. Qui ▼* è Al. || Quivi Alesa. — 109. ch* ha pel — 112. figl. suo || figl. in su
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80
CERCH. VII. GIRONE 1. OMICIDE.
INFERNO Xn. 115-139.
GUIDO DA MONFORTE.
1. 2. iu su Tani
1. 2. 3. trenti
1.2. ». Tenemi
1. 2. 3. cupriA pur
115. Poco più oltre il Centauro s' affisse
Sopra una gente che infino alla gola
Parea che di quel buhcame uscisse.
118. Mostrocci un' ombra dall' un canto sola,
Dicendo : Colui fesse in grembo a Dio
Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola.
121. Poi vidi gente, che di fiior del rio
Tenea la testa ed ancor tutto il casso:
E di costoro assai riconobb' io.
124. Cosi a più a più si facea basso
Quel sangue si, che cocca pm* U piedi:
E quivi fii del fosso il nostro passo.
127. Sì come tu da questa parte vedi
Lo buhcame che sempre si scema,
Disse il Centauro, vogho che tu credi,
1.2. ajtx «piii - 3,pWi 130. Che da quest'altra più a più giù prema
Lo fondo suo, infin eh' ei si raggiunge
Ove la tirannia convien che gema.
133. La divina giustizia di qua punge
Queir Attila che fu flagello in terra,
E Pirro, e Sesto; ed in etemo munge
136. Le lagrime, che col bollor disserra
A Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra:
139. Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo.
e più
A. 1. che dfLv '.
B. D. tolti
e. da rio f/ ■ i
B. U. copna >V'
A. 1. K ijoinL
A. 2. r. »lin ; .-
A. 2. r. wscitT'
A, 2. r. itavf
A. 2. r. pi«B.-
A. 2. H. C. ì). B^-
r. e Rio. p.
118. da un cauto — 119. Colei fesse — 120. che suTamis — si gola — 121. che fuori del - 128. sempre discema - ISl.lH^s^*
ohe si ra^i;. || che su rat^i;. — 136. che quel b — 139. Poscia si volse — ripassò il
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CANTO DECIMOTERZO
. nidio 2. 3. nido
l. 2. 3. K il buon
J\ion era ancor di là Nesso arrivato,
Quando noi ci mettemmo per un bosco,
Che da nessun sentiero era segnato.
4. Non frondi verdi, ma di color fosco,
Non rami schietti, ma nodosi e involti.
Non pomi v' eran, ma stecchi con tosco.
7. Non han sì aspri sterpi ne sì folti
Quelle fiere selvagge, che in odio hanno
Tra Cecina e Corneto i luoghi colti.
10. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
Che cacciar delle Strofade i Troiani
Con tristo annunzio di futuro danno.
13. Ale hanno late, e colli e visi imiani.
Pie con artigli, e pennuto il gran ventre:
Fanno lamenti in su gU alberi strani.
16. Lo buon Maestro: Prima che più entre,
Sappi che se' nel secondo girone,
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre
A. 2. B. C. fronda verde
C. Mpri stecchi
B. lor nidio le br. A.
D. dalle Str.
A. 1. D. AU - A. 2. /?.
a late, colli
B. r. D. arbori
B. D. E il buon - D.
tu entre
C. D. Incominciò
% ci moTemmo — 3. dì nessun |) di neon — 5. avvolti >- 9. Tra Cireina — 15. Fanno i lam. || Fanno lamento
I. 11
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82 OERCH. VII. GIR. 2. VIOL. CONTEA SE. INFERNO XIII. 19 — 42.
PIER DELLE VIGNE.
19. Che tu verrai nell' orribil sabbione.
i. ben; si veder»! Però piguarda bene, e sì vedrai
3. chedwan Cosc, che tomen fede al mio sermone.
1. trarre 2. 3. tragger 22. lo sentia da Ogni parte traer guai,
E non vedea persona che il facesse;
Perch' io tutto smarrito m' arrestai.
25. r credo eh' ei credette eh' io credesse.
Che tante voci uscisser tra que' bronchi
Da gente che per noi si nascondesse.
28. Però, disse il Maestro, se tu tronchi
Qualche fraschetta d' una d' este piante,
Li pensier eh' hai si faran tutti monchi.
31. AUor porsi la mano un poco avante,
E colsi un ramicel da un gran pruno:
E il tronco suo gridò: Perchè mi schiante?
34. Da che fatto fu poi di sangue bruno.
Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietate alcuno?
37. Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi:
Ben dovrebb' esser la tua man più pia,
Se state fossim' anime di serpi.
40. Come d' un stizzo verde, che arso sia
Dall' un de' capi, che dall' altro geme,
E cigola per vento che va via;
1. I pens.
1. 2. 3. ramusrel
1. mi sterpi
l. de' Iati
.i.2.C2).Ep*r.r.'j
B, torriaa
j4.2. C. tram desìi ?-
fi. trarre Z^.i-i-
C. mai rrsr&i
B. a Cred' i
credo - <
D. Di gcate
A. 2. C. D. por.
vl.ramnfel Dtit-
A. I. D. troart:
A. m. a dir
B. de' lati
19. all' orribil — 20. se vederal || se tu vedrai — 21. che tornan fede ~ 22. già d' ogni p. trar guai — 24. Per che tono 3
<jue' br. — 34. fu fatto pien di s. — 37. D' uomini — 30. Se stati — 40. d' un atiszon || d* nn Éàaso || d* un ttaxon
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CERCH. VII. OIB. 3. VIOL. CONTBA SE. INFERNO XIII. 43—66. PIER DELLE VIONS. g3
2- 3. co«i di quella 43. SÌ della scheggia rotta usciva insieme /?.co8idiquciusch.usc.
»cb. UMC.
Parole e sangue: ond' io lasciai la cima
Cadere, e stetti come Y uom che teme.
46. S' egli avesse potuto creder prima,
Rispose il Savio mio, anima lesa,
Ciò eh' ha veduto pur con la mia rima,
49. Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad opra, che a me stesso pesa.
52. Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece
D' alcuna ammenda, tua fama rinfreschi
Nel mondo su, dove tornar gli lece.
». 3. col dolce 55. E il tronco: Sì con dolce dir m' adeschi, vi. 2. /?. e. coi dolce
Ch' io non posso tacere; e voi non gravi
Perch' io un poco a ragionar m' inveschi.
58. Io son colui, che tenni ambo le chiavi
Del cor di Federico, e che le volsi
Serrando e disserrando sì soavi,
61. Che dal secreto suo quasi ogni uom tolsi:
Fede portai al glorioso ofifizio, /?. gì. hospitio
?era. lo sonno Tauto ch' io TìB pcrdci le vene e i polsi. y>. t«uu
64. La meretrice, che mai dall' ospizio
Di Cesare non torse gli occhi putti.
Morte comune, e delle corti vizio,
B. com delle A, 2. C.
D. e com. delle
43. uiiciano — 49. Non avrebb* elli — 51. elie me itesso — 53. D* ale. menda — 54. Nel mondo suo — 63. li sonni e i p. || li senni
p. Il li senjii e i p. -- 6i. dell' oapiào — 66. Morte è oom. -> delle corti e tìcìo
ir
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g4 CERCH. VII. GIR. 8. VIOL. CONTRA 8E. INFERNO XIII. 67—90. PUR DSLLB YIOKl.
67. Infiammò contra me gli animi tutti,
£ gr infiammati infiammar sì Augusto,
Che i lieti onor tomaro in tristi lutti. B.aD.o^ir.
70. L' animo mio per disdegnoso gusto.
Credendo col morir fuggir disdegno,
Ingiusto fece me contra me giusto. .^.i.feti»
73. Per le nuove radici d' esto legno
Vi giuro che giammai non ruppi fede
Al mio signor, che fu d' onor si degno.
76. E se di voi alcim nel mondo riede, ^. i..i«i-
Conforti la memoria mia, che giace
Ancor del colpo che invidia le diede.
79. Un poco attese, e poi: Da eh' ei si tace,
Disse il Poeta a me, non perder Y ora;
Ma parla, e chiedi a lui se più ti piace.
82. Ond' io a lui: Domandai tu ancora 5. diinwii;.
Di quel che credi che a me satisfaccia;
Ch' io non potrei: tanta pietà m' accora.
1.2.3. Però 85. Perciò ricominciò: Se 1' uom ti faccia i/. ««ohì
Liberamente ciò che il tuo dir prega,
Spirito. incarcerato, ancor ti piaccia
88. Di dime come 1' anima si lega
In questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
1. diui S' alcuna mai da tai membra si spiega. b.d.ìì^^
<i9. (.Hie gli Oli. m* eu tornati in grevi 1. - 81. chiedi, s' altro ti p. — 85. Pereh* elli ine. — 88. Di dirmi — 90. membri
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1. Del corpo
disTclta
1. 2. 3.
l. le tTMcin.
rKRCH. VII. OlB. 2. VXOL. CONTBA SE. INFERNO XIII. 91 — 114. ARPIE.
91. AUor soffiò lo tronco forte, e poi
Si convertì quel vento in cotal voce:
Brevemente sarà risposto a voi.
94. Quando si parte Y anima feroce
Dai corpo, ond' ella stessa s' è divelbi,
Minos la manda alla settima foce.
97. Cade in la selva, e non V è parte scelta;
Ma là dove fortuna la balestra.
Quivi germoglia come gran di spelta;
100. Surge in vermena, ed in pianta silvestra:
L' Arpie, pascendo poi delle sue foglie.
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
103. Come 1' altre, verrem per nostre spoglie,
Ma non però eh' alcuna sen rivesta:
Che non è giusto aver ciò eh' uom si toglie.
lOfi. Qui le strascineremo, e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi.
Ciascuno al prun dell' ombra sua molesta.
109. Noi eravamo ancora al tronco attesi,
Credendo eh' altro ne volesse dire.
Quando noi fiimmo d' un romor sorpresi,
112. Similemente a colui, che venire
Sente il porco e la caccia alla sua posta,
Ch' ode le bestie e le frasche stormire.
85
.•1. 1. B. Boflìò il tr.
fi. (lisTeltii
R. perciò
IJ. al tr. anc.
d5. ed ella si. — 96. la balestra; — 106. Qui li ~ strascicheremo — 113. porco alla caccia
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gg CEBCH. VII. GIR. 2. VIOL. CONTBA SE. INFERNO XIII. 115 — 138. LANO SANE8E.
1. due alla 115. Ed ecco duo dalla sinistra costa, /?. aiiasia.
Nudi e graffiati, fiiggendo si forte.
Che della selva rompièno ogni rosta.
118. Quel dinanzi: Ora accorri, accorri, morte.
1. r altro cui E r altro, a cui pareva tardar troppo, b. r r.iiro«
Gridava: Lano, sì non fiiro accorte
121. Le gambe tue alle giostre del Toppo. B.c.D.à^ic:
E poiché forse gh fallia la lena,
2. fé un ^r. 3. fece gr. DÌ sè c d' uu ccspugUo fccc uu groppo.
124. Diretro a loro era la selva piena
Di nere cagne, bramose e correnti, r. ebr*m
Come veltri che uscisser di catena.
127. In quel, che s' appiattò, miser U denti,
2. dilacerato E qucl dUaccraro a brano a brano ; d. e im
Poi sen portar quelle membra dolenti.
1. lo mio Duca 130. Prescmi allor la mia scorta per mano, i?. io mio d««
E menommi al cespugUo che piangea,
Per le rotture sanguinenti, invano.
i.Giacopo 2.1. Jacopo 133. 0 Jacomo , dicea, da sant'Andrea,
Che t' è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea? £f. coipm.bo
136. Quando il Maestro fii sopr' esso fermo.
Disse: Chi fusti, che per tante punte
1. 2. 3. col sanj^ue Soffi cou sauguc doloroso sermo ? a. coi %«i^^
116. correudo si f. — 118. E quel dinanzi: Acc. — 119. E altro - 12D. Gridavan — 132. sanguinose
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cKRrn. VII. oiR. 3. viOL. CONTRA 8E. INFERNO XIII. 139^151. rocco de' mozzi. 87
139. E quegli a noi: 0 anime che giunte A.n.Edt^w
Siete a veder lo strazio disonesto,
1. 2. 3. frondi Ch'ha Ic mie fronde sì da me disgiunte,
142. Raccoglietele al pie del tristo cesto: r. /dappiè
Io fili della città che nel Batista
1. 2. 3. Cangiò Mutò '1 primo patrono : ond' ei per questo a. 2. b. c. d. padrone
145. Sempre con 1' arte sua la farà trista:
E se non fosse che in sul passo d' Anio
Rimane ancor di lui alcuna vista;
148. Quei cittadin, che poi la rifondarno
Sopra il cener che d' Attila rimase ,
Avrebber fatto lavorare indarno.
151. Io fei giubbetto a me delle mie case.
139. a me: O an. — 141. Che le mie fr. ha sì || Ch'ha le mie membra si — 144. ond* è — 149. Sul cen. che di Totila — 161. gibetto
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CANTO DECIMOQUARTO
jLoichè la carità del natio loco
Mi strinse, raunai le fronde sparte,
1. 2. già roco E rende' le a colui eh' era già fioco.
2. onde si p 4. Indi venimmo al fine , ove si parte
Lo secondo gìron dal terzo, e dove
Si vede di giustizia orribil arte.
7. A ben manifestar le cose nuove,
Dico che arrivammo ad una landa, d. i» dico
Che dal suo letto ogni pianta rimove.
10. La dolorosa selva 1' è ghirlanda ^.i.ieègh. /?. uègu.
D. la 'ngh.
Intorno, come il fosso tristo ad essa: ^tr. foMo
1 2. 3. i piedi Quivi fermammo i passi a randa a randa. b. \ pici
13. Lo spazzo era un' arena arìda e spessa.
Non d' altra foggia fatta che colei,
3. piedi di Cftton soppr. Chc fu da' pie di Caton già soppressa.
16. 0 vendetta di Dio, quanto tu dei
Esser temuta da ciascun che legge
Ciò che fu manifesto agU occhi miei!
2. radunai - 9. ogni pietà — U. Intorto — 15. Che da' pie di C. fa già || G. d. p. d. C. già ftt ~ oppressa
1. 12
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90 TERCH. VII. GIR. 3. VIOL. CONTRA IDDIO. INFERNO XIV. 19 — 42.
DANTE E VIRGILIO.
1. 2. 3. perciocché
2. 3. stìngueva
3. Sotto il foc. - 3. a
raddop. dol.
19. D' anime nude vidi molte gregge ,
Che piangean tutte assai miseramente,
E parea posta lor diversa legge.
22. Supin giaceva in terra alcuna gente;
Alcuna si sedea tutta raccolta,
Ed altra andava continuamente.
25. Quella che giva intomo era più molta,
E quella men, che giaceva al tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.
28. Sopra tutto il sabbion d' un cader lento
Piovean di foco dilatate falde,
Come di neve in alpe senza vento.
31. Quali Alessandro in quelle parti calde
D' India vide sopra lo suo stuolo
Fiamme cadere infino a terra salde;
34. Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo
Con le sue schiere, acciocché il vapore
Me' si stingeva mentre eh' era solo :
37. Tale scendeva 1' etemale ardore;
Onde r arena s' accendea, com' esca
Sotto focile, a doppiar lo dolore.
40. Senza riposo mai era la tresca
Delle misere mani, or quindi or quinci
Iscotendo da se 1' arsura fresca.
A. 2. C. D. par. posto
A. 2. C. E r altra
A. più avean al duol
A. \. mentre eli' era
A, 2. 6'. D, Sotto il f. -
D. a radoppiar dol.
A. 2. Eacot. B. C. Et
«cot. D. Discot.
28. in town. — 35. lo vap. || il vampore —
%). addopp. r ardore — &, ardura
96. Me' 8i Btinguesse || Mcn si st. || Me' si spegnea || Meno stringeva — era solo
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CERCH. VII. OIB. 8. BXSTXMMIATORl.
INFERNO XIV. 43-66.
91
L incontro 2. intomo
3. goal fui
1. i suoi fabbri
2. 3. Gridando
43. Io cominciai: Maestro, tu che vinci
Tutte le cose, fiior che i Demon duri.
Che air entrar della porta incontra uscinci,
46. Chi è quel grande, che non par che curi
L' incendio , e giace dispettoso e torto
Sì che la pioggia non par che il maturi?
49. E quel medesmo, che si fiie accorto
Ch' io domandava il mio duca di lui,
Gridò: Qual io fui vivo, tal son morto.
52. Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui
Crucciato prese la folgore acuta,
Onde r ultimo dì percosso fui;
55. 0 s' egli stanchi gli altri a muta a muta
In Mongibello aUa fucina negra,
Chiamando: Buon Vulcano, aiuta aiuta,
58. Sì com' ei fece alla pugna di Flegra,
E me saetti di tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra.
61. Allora il Duca mio parlò di forza
Tanto, eh' io non V avea sì forte udito:
0 Capaneo, in ciò che non s' ammorza
64. La tua superbia, se' tu più punito:
Nullo martirio, fiior che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito.
A. 2. ff. (\ incontro
D. martiiri
R. i suo' fabbri
A. Ond' io
D. Ha Gap.
.4. m. ben punito
33. Cruec. toUe — 54. L' ult. di, onde pere. -< 66. E e* egli — 57. Cbiam. ben: Vulc. — SO. saetti eon t. ~ 68. O Camp. — 64. qui
^riinito ' 6B. Farebbe
12»
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92 CBRCU. VII. OIR. 3. BESTEMMIATORI. INFERNO XIV. 67 — 90. DANTS E VIRGIUO.
67. Poi si rivolse a me con miglior labbia.
Dicendo: Quel fu l' im de' sette regi
Ch' assiser Tebe; ed ebbe, e par eh' egli abbia
1. in dispregio 70. Dio in disdegno, e poco par che il pregi: /?. in dispregio
1. 2. 3. io dissi lui Ma, come io dissi a lui, li suoi dispetti j?. i- disse lui
Sono al suo petto assai debiti fregi.
73. Or mi vien dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi nell' arena arsiccia:
i, al b. tien lì piedi str. Ma scmprc al bosco h ritieni stretti. b. «i b. tien n piedi «tr.
3. ne venimmo 76. Taccudo divciiimmo là ove spiccia
Fuor della selva un picciol fiumicello,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
1.2. 3. esce il 79. Qualc dcl Bulicame esce un ruscello, x>.Equ*i- .4.2. «e.
D. esee rusc.
Che parton poi tra lor le peccatrici.
Tal per 1' arena giù sen giva quello.
82. Lo fondo suo ed ambo le pendici
Fatt' eran pietra, e i margini da lato: r. i>. e m*rgim
Perch' io m' accorsi che il passo era liei.
85. Tra tutto 1' altro eh' io t' ho dimostrato ,
Posciachè noi entrammo per la porta,
1. Il cui -1.2. è serrato Lo cuì sogliarc B, ucssund è negato, B.ancvà
88. Cosa non fu dagli tuoi occhi scorta
1. 2. 3. com' è il Notabile , come lo presente rio , a. 2. b. a d. eom* è ii
Che sopra se tutte fiammelle ammorta:
68. Quel fu un — 68. Ch* assettar — 70. Dio a dispetto — 75. li mantieni || si li tieni — 77. della rena — 83. eran pietre — e gli
argini || e marmore — 88. occhi tuoi — 89. Mirabile
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TEBCH. VII. GIR. 8. VIOL. CONTRA IDDIO. INFEBNO XIV. 91 — 114.
VIGLIO DI CRBTA.
»8
1. Perfh* i' pr.
1. i 3. meiso il m»r
A. 2. B. a Perch' iopreR.
l .1 D' acque — 3. si
chiamA
1. 2. 3. Del suo
1. U sjìAa
C. D' »eque e di frondi
1. 1 Z. Roma guarda
1. qaesto gr.
91. Queste parole fur del Duca mio:
Perchè il pregai, che mi largisse il pasto
Di cui largito m' aveva il disio.
94. In mezzo mar siede un paese guasto,
Diss' egli allora, che s' appella Creta,
Sotto il cui rege fu già il mondo casto.
97. Una montagna v' è, che già fii heta
D' acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
Ora è diserta come cosa vieta.
100. Rea la scelse già per cuna fida
D'un suo figUuolo, e, per celarlo meglio, «.Dei suo
Quando piangea, vi facea far le grida.
103. Dentro dal monte sta dritto un gran vegUo,
Che tien volte le spalle inver Damiata,
E Roma guata sì come suo spegho.
106. La sua testa è di fin' oro formata,
E puro argento son le braccia e il petto.
Poi è di rame infino alla forcata:
109. Da indi in giuso è tutto ferro eletto,
Salvo che il destro piede è terra cotta,
E sta in su quel, più che in su l' altro, eretto. ^. e su su quei
112. Ciascuna parte, fuor che Y oro, è rotta
D' una fessiu-a che lagrime goccia,
Le quali accolte foran quella grotta. i^. questa gr.
e. Quand' e* p.
le strida
CD,
H. D. guarda — D. eome
nel suo
(\ 1). testa sua
D. rame fino — CD.
inforcata
95. che si chiama — 96. che s' appella — 100. scelse perchè euna — 106. guarda eome — 109. in giù <
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94 TERCH. VII. OIR. 3. VIOI» CONTRA IDDIO. INFERNO XIV. 115 — 138.
DANTE X VIRGILIO.
115. Lor corso in questa valle si diroccia:
Fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
.}. ,euv« Poi sen va giù per questa stretta doccia
i.2.inMn - i.j.3. «ve 118. Infiu là dovc più non si dismonta:
Fanno Oocito; e qual sia quello stagno.
Tu il vederai: però qui non si conta.
121. Ed io a lui: Se il presente rigagno
1. 2. a. dal nostro SÌ dcriva COSI del nostro mondo,
1. 2. .3. pure » Perchè ci appar pur da questo vivagno?
124. Ed egli a me: Tu sai che il luogo è tondo,
E tutto che tu sii venuto molto
i. 2. 3. Pur • sin. PIÙ a siuistra giù calando al fondo,
127. Non se' ancor per tutto il cerchio volto;
Perchè, se cosa n' apparisce nuova,
Non dee addur maravigha al tuo volto.
130. Ed io ancor: Maestro, ove si trova
1. a. 3. Fiegetonte Flcgctouta c Lctè, chè dell' un taci,
E r altro di' che si fa d' està piova?
133. In tutte tue question certo mi piaci,
Rispose; ma il bollor dell' acqua rossa
Dovea ben solver 1' una che tu faci.
i. manoninqu. 136. Lctè Vedrai, ma fiior di questa fossa,
1. 2. 3. Là ove Là dove vanno 1' anime a lavarsi.
Quando la colpa pentuta è rimossa.
B. Là ovp
123. fin a qu. — 126. Più alU sin. || Pure sin. |j Pare a sin. ~ 128. Perciò se e. — n' apparisse — 131. Letro - U4. (T <«
ì
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TBRCH. VII. GIR. 8. VIOL. CONTRA IDDIO. INFERNO XIV. 139 — 142. DANTE E VIRGILIO. 95
139. Poi disse: Ornai è tempo da scostarsi
Dal bosco: fa che diretro a me vegne:
Li margini fan via, che non son arsi,
142. E sopra loro ogni vapor si spegne.
139. di icosi. — 140. dietro a me tu t. — 141. dan via
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CANTO DECIMOQUINTO
iJra cen porta V un de' duri margini,
E il fimmio del ruscel di sopra aduggia
Si, che dal fiioco salva 1' acqua e gli argini.
L3. liuxzantc 4. Qualc Ì Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
:. 2. 3. che in ver TcmeudO Ìl fiottO ChC ver lor S' avventa , b. D. che nver lor
Fanno lo schermo, perchè il mar si foggia; a.% b, a d. purché
•1 mar
7. E quale i Padovan lungo la Brenta,
Per difender lor ville e lor castelli.
Anzi che Chiarentana il caldo senta ; a. carenuian.
10. A tale imagine eran fatti queUi,
Tutto che ne si alti ne si grossi,
Qual che si fosse, lo maestro felli.
13. Già eravam dalla selva rimossi
Tanto, ch'io non avrei visto dov' era, e. che non avr.
Perch' io indietro rivolto mi fossi,
16. Quando incontrammo d'anime una schiera,
Che venia lungo 1' argine, e ciascuna
Ci riguardava, come suol da sera
1. de' due marg. — 3. T acqua gli arg. — 4. gin tra Guanto e Br. — 12. Qual che si fosser i| Quali si fosser ^ 13^ della seWa —
Perciò rhe ind. — 17. Che venian — gli argini
I. 13
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98 f'KRCH. VII. GIR. 3. VIOL. CONTEA NATURA. INFERNO XV. 19 — 42. BRUNETTO LATINI.
I. (iu. uno altro 19. Guardap r un l'altro sotto nuova luna;
E sì ver noi aguzzavan le ciglia,
2. 3. Come vecch. Couie '1 veccluo sartor fa nella cruna.
22. Cosi adocchiato da cotal famiglia,
Fui conosciuto da un, che mi prese
Per lo lembo, e gridò: Qual maraviglia?
25. Ed io, quando il suo braccio a me distese.
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
Sì, che il viso abbruciato non difese
28. La conoscenza sua al mio intelletto;
:ì i-hin. I» mia - 1. al £ chiuando la mano alla sua faccia,
la mia f.
Risposi: Siete voi qui, ser Brunetto?
31. E quegli: 0 figliuol mio, non ti dispiaccia,
Se Brunetto Latini un poco teco
Ritoma indietro, e lascia andar la traccia.
1, 2. 3. dissi lui 34. Io dissi a lui: Quanto posso ven preco;
E se volete che con voi m' asseggia,
Faròl, se piace a costui, che vo seco.
37. 0 figliuol, disse, qual di questa greggia
S' arresta punto , giace poi cent' anni
Senza arrostarsi quando il fiioco il feggia.
40. Però va oltre: io ti verrò a' panni,
E poi rigiugnerò la mia masnada,
Che va piangendo i suoi etemi danni.
24. Per lo ^embo — 25. al mio diat. — 27. Si quel riso — 31. Ed egli — 32. Ser Brun. — Latino — 34. Oh. <lù»
W, Senza rittarsi — perchè il f. il Treggia — 40. oltre ed io — 42 ▼» piando
m
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CEBCH. VII. OIR. 3. SODOMITI.
INFERNO XV. 43-^6.
BRUNETTO LATINI.
99
1. 2. ritornando
1. 2. 3. a glor.
1. il dolce
43. Io non osava scender della strada
Per andar par di lui: ma il capo chino
Tenea, come uom che reverente vada.
46. Ei cominciò: Qual fortuna o destino
Anzi r ultimo di quaggiù ti mena?
E chi è questi che mostra il cammino?
49. Là su di sopra in la vita serena,
Rispos' io lui, mi smarrì' in una valle,
Avanti che Y età mia fosse piena.
52. Pure ier mattina le volsi le spalle:
Questi m' apparve, tornand' io in quella,
E riducemi a ca per questo calle.
55. Ed egli a me: Se tu segui tua stella.
Non puoi fallire al glorioso porto,
Se ben m' accorsi nella vita bella:
58. E s' io non fossi sì per tempo morto,
Veggendo il cielo a te così benigno,
Dato t' avrei all' opera conforto.
61. Ma quell'ingrato popolo maligno,
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno,
64. Ti si farà, per tuo ben far, nimico:
Ed è ragion; che tra li lazzi sorbi
Si disconvien fruttare al dolce fico.
A. 2. C. D. E ohi r quei
che ti
r. Risposi A lai
H. ritornando in C. tor-
nando in — /l. Lineila
/i. a s;lor.
e. D. Vedendo
B. l). da Fies.
50. Mi SUI. gli riap. — 53. m' apparse — 56. fallare — 57. in la vita novella — 62. da Fesule — tì6. lo dolce f.
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100 CERCH. VII. GIR. 3. VIOL. CONTEA NATURA. INFERNO XV. 67—90.
BRUNETTO LATINI.
I. 2. 3. Gente av.
l. 2. 3. ancor nel lor
1. 2. 3. sementa
1. 2. nidio
I. 2. 3. pieno tutto
1. 2. La cara buona
1. 2. 3. quant' io 1' abho
2. 3. che il saprà
67. Vecchia fama nel mondo li chiama orbi,
Gent' è avara, invidiosa e superba:
Da' lor costumi fa che tu ti forbi.
70. La tua fortuna tanto onor ti serba,
Che r una parte e Y altra avranno fame
Di te: ma lungi fia dal becco Y erba.
73. Faccian le bestie Fiesolane strame
Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
S' alcuna surge ancora in lor letame,
76. In cui riviva la semente santa
Di quei Roman, che vi rimaser, quando
Fu fatto il nido di malizia tanta.
79. Se fosse tutto pieno il mio dimando.
Risposi lui, voi non sareste ancora
Dell' umana natura posto in bando :
82. Che in la mente m' e fitta, ed or mi accora
La cara e buona imagine patema
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
85. M' insegnavate come Y uom s' eterna:
E quant' io 1' abbia in grado, mentre io vivo
Convien che nella mia lingua si scerna.
88. Ciò che narrate di mio corso scrivo,
E serbolo a chiosar con altro testo
A donna che saprà, se a lei arrivo.
R. C. D. Gratt
B. D. ancor ne
H. D. scmrota
B. nìdic
C. 1). Ri*p<-
A. 2. B. C. L»
im. f ].'»!
(\ 1). E ijUXIiK'
.1 2. V. U
U. si rcrn*
08. invida — 70. tanto ben ti a. — 73. Fesulane — 76. In cui rovina — 81. Dall' umana — 84. Di voi uel muudo. «ju
grato — 89. con 1' altro t.
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CERCB. VII. GIR. 3. SODOMITI.
INFERNO XV. 91 — 114.
FRANO. D* ACCORSO.
101
il tacerci
. 3. mcd. pece.
3. anco, e vedervi
:i Ov
91. Tanto vogl' io che vi sia manifesto,
Pur che mia coscienza non mi garra,
Che alla fortuna, come vuol, son presto.
94. Non è nuova agli orecchi miei tale arra:
Però giri fortuna la sua rota,
Come le piace, e il villan la sua marra.
97. Lo mio Maestro allora in sulla gota
Destra si volse indietro, e riguardommi;
Poi disse: Bene ascolta chi la nota.
100. Ne per tanto di men parlando vommi
Con ser Brunetto, e domando chi sono
Li suoi compagni più noti e più sommi.
103. Ed egli a me: Saper d' alcuno è buono:
Degli altri fia laudabile tacerci,
Che il tempo saria corto a tanto suono.
106. In somma sappi, che tutti fiir cherci,
E letterati grandi, e di gran fama,
D' un peccato medesmo al mondo lerci.
109. Priscian sen va con quella tiu'ba grama,
E Francesco d'Accorso; anco vedervi,
S' avessi avuto di tal tigna brama,
112. Colui potei che dal servo de' servi
Fu trasmutato d' Arno in Bacchiglione,
Dove lasciò li mal protesi nervi.
D. E tanto vo' che
C. T. voglio che
A. C. nuovo
D. Ben 1' asc.
tì. med. pece.
B. Anco, e vedervi
h. Ove
94. alle orecchie mie — 100. Non per t. — di me p. — 106, il t. verria manco
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102
OERCH. VII. GIR. 3. SODOMITI.
INFERNO XV. 115-124.
ANDR. UK MOZZI.
2. 8. (Ul sabb.
1. si partì
115. Di più direi; ma il venir e il sermone
Più lungo esser non può, però eh' io veggio
Là surger nuovo fummo del sabbione.
118. Gente vien con la quale esser non deggio;
Siati raccomandato il mio Tesoro
Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio.
121. Poi si rivolse, e parve di coloro
Che corrono a Verona il drappo verde
Per la campagna; e parve di costoro
124. Quegli che vince e non colui che perde.
116. ma il cammino — 1*20. vivo, e più altro non eh. — 124. vince, non
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CANTO DECIMOSESTO
vTià era in loco ove s' udia il rimbombo
Dell' acqua che cadea nell' altro giro,
Simile a quel che 1' arnie fanno rombo ; r, che i arme
4. Quando tre ombre insieme si partirò,
(^orrendo , d' una torma che passava a. 2. e. turma
Sotto la pioggia dell' aspro martiro.
7. Venian ver noi, e ciascuna gridava:
Sostati tu, che all' abito ne sembri
Essere alcun di nostra terra prava.
10. Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri
Recenti e vecchie dalle fiamme incese!
Ancor men duol, pur eh' io me ne rimembri.
13. Alle lor grida il mio Dottor s' attese.
Volse il viso ver me, ed: Ora aspetta, .j. 1. e disae: A.p.
Disse; a costor si vuole esser cortese: ,4. 1. ora a roBf. (?)
16. E se non fosse il foco cKe saetta
La natiu*a del loco, io dicerei.
Che megUo stesse a te, che a lor, la fretta.
1. il loco — onde s' udia rimb. — 2. alto giro — 3. arne || api — 10. piaghe vid' io — 17. io direi
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104
CERCII. VII. GIR. 3. SODOMITI.
GUIDO GUKBRA.
A. resUmiDo -
D. soglioQ li
L !L ciascuna il
A.2. V. ri*>ni
B. tÀV^CW.
A.t.C.1b r\
il — Aart
A. m. (. Fv
B. rondau-
A. in diipiTf.i
INFERNO XVI. 19-42.
19. Ricominciar, come noi ristemmo, ei
L' antico verso ; e quando a noi fur giunti ,
Fermo una rota di se tutti e trei.
22. Qual solcano i cainpion far nudi ed unti.
Avvisando lor presa e lor vantaggio,
Prima che sien tra lor battuti e punti:
25. Cosi, rotando, ciascimo il visaggio
Drizzava a me, sì che in contrario il collo
Faceva a' pie continuo viaggio.
i. Kisemis. 2.3. E 28. Eh, sc iiiiseria d' esto loco soUo
Hf mis.
Rende in dispetto noi e nostri preghi,
Cominciò l'uno, e il tinto aspetto e brollo; a.-lbcd
31. La fama nostra il tuo animo pieghi
A dirne chi tu se', che i vivi piedi
Cosi sicuro per lo inferno freghi.
34. Questi, r orme di cui pestar mi vedi,
Tutto che nudo e dipelato vada,
Fu di grado maggior che tu non credi.
37. Nepote fu della buona Gualdrada:
Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita
Fece col senno assai e con la spada.
40. L' altro che appresso me l' arena trita,
E Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
Nel mondo su dovria esser gradita.
l. 'Àr tristo as|>.
C. che Tiri
B. Quest'orme
r orme - B '
B. Fiir
B. Voi senno f
'à. 3. dovrebbe
D. doTrebbf
19. quando noi — rist. : Ehi — 190. e poich' a noi — 21. tutti trei — 22. Qu. sogliono ì — 25. E si rot — 'J& h\ rbe <
'f^. ìxc. col pie — continui — 2B. Deh, se miseria — 29. e i nostri — 30. asp. brollo — 34. Qu. in orma di cui — 3&. che «
-t^. l>ovria nel mondo suso
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CBBCH. VII. GIR. 3. SODOMITI.
INFERNO XVI. 43-66.
JAC. RU8TICUCCI.
105
'2. 3. L' ovrs
2. 3. pc' dolci
'L X ({uegli allora
43. Ed io, che posto son con loro in croce,
Jacopo Rusticucci fui: e certo
La fiera moglie più eh' altro mi nuoce.
46. S' io fiissi stato dal foco coperto ,
Gittato mi sarei tra lor disotto,
E credo che il Dottor T avria sofferto.
49. Ma perch' io mi sarei bruciato e cotto ,
Vinse paura la mia buona voglia,
Che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
52. Poi cominciai: Non dispetto, ma doglia
La vostra condizion dentro mi fisse
Tanto, che tardi tutta si dispogha,
55. Tosto che questo mio Signor mi disse
Parole, per le quah io mi pensai,
Che qua! voi siete, tal gente venisse.
58. Di vostra terra sono; e sempre mai
L' opre di voi e gU onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
61. Lascio lo fele, e vo per dolci pomi
Promessi a me per lo verace Duca;
Ma fino al centro pria convien eh' io tomi.
64. Se lungamente Y anima conduca
Le membra tue, rispose quegli, ancora,
E se la fama tua dopo te luca.
A. m' affisse
B. V ovra
A. l. intesi ed asr.
I). risp. elli allora
44. .lacomo — 54. Tanta — 50. L* oprar di voi - 63. Ma in 6no — che tomi — 64. Se lungo tempii
I. 14
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106
CERCH. VII. GIR. 3. SODOMITI.
INFERNO XVI. 67 — 90.
GUGL. BORSISRK.
i. 2. 3. gito
L. 2. Guardar
1. 'I. o. che >i
I. 2. 3. sembiaron le lur
«. su.
\. ammr
67. Cortesia e valor, di', se dimora
Nella nostra città, sì come suole,
0 se del tutto se n' è gita fiioraV
70. Che Guglielmo Borsiere, il qual si duole
Con noi per poco, e va là coi compagni,
Assai ne cruccia con le sue parole.
7i{. La gente nuova, e i subiti guadagni,
Orgoglio e dismisiura han generata,
Fiorenza, in te, si che tu già ten piagni.
76. Così gridai colla faccia levata:
E i tre, che ciò inteser per risposta,
Guatar V un 1' altro , come al ver si guata.
79. Se r altre volte sì poco ti costa,
Risposer tutti, il satisfare altrui.
Felice te, se sì parU a tua posta.
82. Però se campi d' esti lochi bui,
E tomi a riveder le belle stelle.
Quando ti gioverà dicere: Io fui,
85. Fa che di noi alla gente favelle.
Indi rupper la rota, ed a fiiggirsi
Ale sembiar le gambe loro snelle.
88. Un ammen non saria potuto dirsi
Tosto così, com' ei furo spariti:
Perchè al Maestro parve di partirsi.
tW. se ne gitta - TI. Con noi di poco || E non per poco — 72. ne crucia — 74. hanno injs^radata — 82. scampi - ?^- -'^^
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PEBCH. VII. OIR. 3. VIOL. CONTRA NATURA. INFERNO XVI. 91 — 114.
DANTE E VIRfìlLIO.
107
3. ArquaclirU
Dall' alpe
Dove - 1. 2. 3.
dovria
3. orecchia
91. Io lo seguiva, e poco eravam iti,
Che il suon dell' acqua n' era si vicino,
Che, per parlar, saremmo appena uditi.
94. Come quel fiume, ch'ha proprio cammino
Prima da monte Veso in ver levante
Dalla sinistra costa d' Apennmo ,
97. Che si chiama Acquaqueta suso, avante
Che si divalli giù nel basso letto.
Ed a Forlì di quel nome è vacante,
100. Rimbomba là sopra san Benedetto
Dell' alpe, per cadere ad una scesa,
Ove dovea per mille esser ricetto;
103. Cosi, giù d' una ripa discoscesa.
Trovammo risonar quell' acqua tinta,
e. 1). Acquacheta
A. 2. C. Dove - (\ D.
dovia li. doTria
A. Vi. C. 1). Sentimmo
ris.
Sì che in poc' ora avria 1' orecchie oflFesa. /j. r orecchia
^ //. t. la lingua
106
Io aveva una corda intorno cinta,
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.
109. Poscia che 1' ebbi tutta da me sciolta,
Si come il Duca m' avea comandato,
Porsila a lui aggroppata e ravvolta.
112. Ond' ei si volse inver lo destro lato,
Ed alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quell' alto burrato.
A. 2. C. D. da me tutta
h. Come "1 mio 1>.
A.m. n. C./>. altro burr.
95. monte Viso — 102. potria — 106. la lìnea - 114. La gittò giù
14-
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i08 CKRCH. VII. OIB. 3. VIOL. CONTEA NATURA. INFERNO XVI. 116—136. OERIONK.
115. E' pur convien che novità risponda, /?. Etpur
Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno
1. con gli occhi Che il Maestro con 1' occhio sì seconda. b. com o^tu
118. Ahi quanto cauti gU uomini esser denno
Presso a color, che non veggon pur l' opra,
Ma per entro i pensier miran col senno ! a. i. entro ^ p
121. Ei disse a me: Tosto verrà di sopra
Ciò eh' io attendo, e che il tuo pensier sogna b. u mio ^^.
Tosto convien eh' al tuo viso si scopra.
124. Sempre a quel ver eh' ha faccia di menzogna
1. 2. 3. quant ei Dc' 1' uom chludcr le labbra finch' ei puote, «. .,uAnt«
Però che senza colpa fa vergogna;
127. Ma qui tacer noi posso: e per le note z>. nonposn
Di questa commedia, lettor, ti giuro,
S' elle non sien di lunga grazia vote,
130. Ch' io vidi per queir aer grosso e scuro
" * Venir notando ima figura in suso,
Maravigliosa ad ogni cor sicuro,
133. Sì come toma colui che va giuso
Talora a solver ancora, ch'aggrappa Ari b. cu
1. A scoglio 0 scoglio od altro che nel mare è chiuso , b. a »coeiio
136. Che in su si stende, e da pie si rattrappa.
122. Qu*"! cir io att. - 125. sin eh* ci p. || quanto p. — 130. aere gr. — 131. Venir rotando — 134. scioglier - 1* ine»»"
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CANTO DECIMOSETTIMO
L mura — 2. e 1' armi
10
3. Du
amendue 2. ainenduo
3. am botine
A. Vicina
Jbicco la fiera con la coda aguzza,
Che passa i monti, e rompe mini ed armi;
Ecco colei che tutto il mondo appuzza:
4. Si cominciò lo mio Duca a parlarmi,
Ed accenolle che venisse a proda,
Vicino al fin de' passeggiati marmi:
7. E quella sozza imagine di froda,
Sen venne, ed arrivò la testa e il busto; .1. ad rivo
Ma in sulla riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d' uom giusto;
Tanto benigna avea di fiior la pelle,
E d' un serpente tutto V altro fiisto.
13. Due branche avea pilose infin l'ascelle:
A. 1. monti, rompe —
A. 2. B. C. D. i muri
e r armi
D.2. sua mi pareva d' uom
B. D. inflin V asc.
2. 3. ma' in dr.
Lo dosso e il petto ed ambo e due le coste b, a amendue
D, ambedue
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
16. Con più color sommesse e soprapposte r. commesse
Non fer mai drappo Tartari ne Turchi,
Ne fur tai tele per Aragne imposte.
2. passa monti — 6. al fium' de' passeggianti — 8. Sen venne a riva con La t. — 10. d* un giusto — 12. V altro frusto - 16. color
•mme&se — 17. Non fer mai drappi
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110 f^ERCH. VII. OIR. 3. VIOL. CONTEA l' ARTE. INFERNO XVII. 19 — 42. GERIONE.
19. Come tal volta stanno a riva i burchi.
Che parte sono in acqua e parte in terra,
E come là tra li Tedeschi lurclii
22. Lo bevero s'assetta a far sua guerra; b.c. dui
Così la fiera pessima si stava
Suir orlo che, di pietra, il sabbion serra.
25. Nel vano tutta sua coda guizzava.
Torcendo in su la venenosa forca
Che, a guisa di scorpion, la punta armava.
28. Lo Duca disse: Or convien che si torca
La nostra via un poco infino a quella
Bestia malvagia che colà si corca.
31. Però scendemmo alla destra mammella,
E dieci passi femmo in sullo stremo,
Per ben cessar la rena e la fiammella:
34. E quando noi a lei venuti semo,
Poco più oltre veggio in sulla rena
Gente seder propinqua al loco scemo.
37. Quivi il Maestro: Acciocché tutta piena
Esperienza d' esto giron porti,
Mi disse, or va, e vedi la lor mena. A.x.àmt.^^
40. Li tuoi ragionamenti sian là corti:
Mentre che tomi parlerò con questa,
Che ne conceda i suoi omeri forti.
20. partf stanno — 24. 1* orlo eh' è di p. e il sabb. — 27. » gu. d' un scorp. — 33. ben causar — 34. a lui tmi. - ^ ' ^'^
38. d' esto loro — 30. la lor pena
ì
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CERCH. VII. GIR. 3. USURIERI.
INFERNO XVII. 43 — 66.
SCROVIONO.
Ili
o' picili, or col f. —
2, 3. col pie - 1.
(filando morsi
)a }). son . (la m.
1. 3. Che di lioue
;u&rdo
13. più che sangue
43. Così ancor su per la strema testa
Di quel settimo cerchio, tutto solo
Andai, ove sedea la gente mesta.
4H. Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo:
Di qua, di là soccorrien con le mani,
Quando a' vapori, e quando al caldo suolo.
49. Non altrimenti fan di state i cani,
Or col ceffo or coi pie, quando son morsi
0 da pulci o da mosche o da tafani.
52. Poi che nel viso a certi gli occhi porsi.
Ne' quali il doloroso foco casca.
Non ne conobbi alcun; ma io m' accorsi
55. Che dal collo a ciascun pendea ima tasca,
Che avea certo colore e certo segno,
E quindi par che il loro occhio si pasca.
58. E com' io riguardando tra lor vegno ,
In una borsa gialla vidi azzurro.
Che d' un leone avea faccia e contegno.
GÌ. Poi procedendo di mio sguardo il curro
Vidine un" altra come sangue rossa
Mostrare im' oca bianca più che burro.
(54. Ed un, che d' una scrofa azzurra e grossa
Segnato avea lo suo sacchetto bianco,
Mi disse: Che fai tu in questa fossa?
D. reato
A. 2. C. Andai, dove
D. scorrean
fì. co' piedi . or col e. —
B. qu. morsi
ff. Pa pulci son, da m.
r. che lor.
43. ancora per — la stretto t. || la str. creato — 47. s' accorrien — 48. vapori, qu. - G3. Mostrando — più eh' eburro (?)
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1 12 CERCH. vir. GIR. 3. usuRiEEi. INFERNO XVn. 67 — 90. buiamonte.
67. Or te ne va : e perchè se' vivo anco ,
Sappi che il mio vicin VitaUano
Sederà qui dal mio sinistro fianco.
70. Con questi Fiorentin son Padovano;
Spesse fiate m' intronan gU orecchi,
Gridando: Vegna il cavaUer soprano,
1. 2. 3. coi tre 73. Chc rcchcrà la tasca con tre becchi: /? coltre
2. 3. Quindi »t. Qui distorse la bocca, e di fuor trasse
1. 2. 3. come bue L^ Uugua, comc '1 buc che il naso lecchi. i?. comek
che luj
76. Ed io, temendo noi più star crucciasse
1. 2. 3. ammonito Luì che di poco star m' avea monito, Rm.vea
Torna' mi indietro dall' anime lasse.
79. Trovai lo Duca mio eh' era sahto
1. 2. 3. Già sulla Già in sulla groppa del fiero animale,
E disse a me: Or sii forte ed ardito.
82. Omai si scende per si fatte scale:
Monta dinanzi, ch'io voglio esser mezzo.
Si che la coda non possa far male.
85. Qual è colui, eh' ha si presso il riprezzo
1.2. l'unghia Della quartana, ch'ha già l'unghie smorte,
E trema tutto, pur guardando il rezzo,
88. Tal divenn' io alle parole porte ;
i' „,i fé Ma vergogna mi fer le sue minacce ,
Che innanzi a buon signor fa servo forte.
71. Che spesse f. || Spessamente — 74. dist. la faccia — 76. tem. che il più st. — più dir — 78. Tornai ind. — l30 Gi^
HT». preso il ripr. — 89. vergognar
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BURRATO.
INFERNO XVIT. 91-114.
113
1. i 3. Ad alto forte
1. 1 3. di loco
1. 2. 3. r wre
I. 2. 3. Fetonte
91. Io m' assettai in su quelle spallacce :
Si (volli dir, ma la voce non venne
Com' io credetti) fa, che tu m' abbracce.
94.' Ma esso che altra volta mi sovvenne
Ad altro forse, tosto eh' io montai,
Con le braccia m' a\^vinse e mi sostenne :
97. E disse: Gerion, moviti ornai:
Le rote larghe, e lo scender sia poco:
Pensa la nuova soma che tu hai.
100. Come la navicella esce del loco
In dietro, in dietro, sì quindi si tolse;
E poi eh' al tutto si sentì a giuoco,
103. Là ov' era il petto, la coda rivolse,
E quella tesa, come anguilla, mosse,
E con le branche 1' aria a se raccolse.
106. Maggior paura non credo che fosse.
Quando Fetòn abbandonò h freni,
Per che il ciel, come pare ancor, si cosse:
109. Ne quando Icaro misero le reni
Sentì spennar per la scaldata cera.
Gridando il padre a lui: Mala via tieni,
112. Che fii la mia, quando vidi eh' i' era
Neil' aer d' ogni parte, e vidi spenta
Ogni veduta, fiior che della fiera.
A. Si volsi
A. 2. H. a Ad alto -
B. D. forte — C. tosto
eh* io forte
B. m* agipnnse
A. horroai
B. di loro
B. (\ Ih V acre
B. C. I). Fetonte
92. K . . . volli dir — 96. mi cinse || mi chiuse — IQB. Dove avea '1 p. — lOB. come appare — 109. li reni
I. 15
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114
1. un mirabile
BURRATO. INFERNO XVn. 116 — 136. okriokb.
115. Ella sen va nuotando lenta lenta; j. e. rotando
Rota e discende , ma non me n' accorgo ,
Se non eh' al viso, e disotto mi venta. .^. i. vuo disotto
118. r sentia già dalla man destra il gorgo
Far sotto noi un orribile stroscio;
Per che con gli occhi in giù la testa sporgo. -^ •^- * <'- J^- p**»^" -
121. AUor fii' io più timido allo scoscio:
Perocch' io vidi fochi, e sentii pianti;
Ond' io tremando tutto mi raccoscio.
1.2. E udì poi, che non 124. £ vidì poi, chc uol vedea davanti,
1* iirliA ■*-
1. 2. 3. muove
1. 2. 3. A picd.-
Lo scendere e il girar, per U gran mah
Che s' appressavan da diversi canti.
127. Come il falcon eh' è stato assai suU' ali.
Che senza veder logoro o uccello,
Fa dire al falconiere: Oimè tu cali:
130. Discende lasso, onde si mosse snello
Per cento rote, e da limgi si pone
Dal suo maestro, disdegnoso e fello:
133. Così ne pose al fondo Gerione
A pie a pie della stagliata rocca,
E, discarcate le nostre persone,
13(5. Si dileguò, come da corda cocca.
B. l). stosrin
B. non ]' ttdia
A. 2. B. C. D. e '1 gridar
A. 1. in EU ir ali
A. 1. (?) B. muove
C. f disd. e f.
B.\ piede — (".scagliata
119. scrospìo - 121. AUor io fui — 124. Allor vidi io || Allor udì — 125. e girar (| lo sjìron || il gramar — per tanti mali — 12t*. vrd.
ludoru — 133. ('o»ì al f. ne p. Ger. — 134. A pie, da pie
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CANTO DECIMOTTAYO
I. 2. 3. Di coi suo — i.
*2. roDtrn 3. dicerà
Ijoco è in inferno, detto Malebolge,
1. 2, 3. p, r di col. Tutto di pietra di color ferrigno ,
Come la cerchia che d' intomo il volge.
4. Nel dritto mezzo del campo maligno
Vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
Di cui in suo loco dicerò Y ordigno.
7. Quel cinghio che rimane adunque è tondo,
Tra il pozzo e il pie dell' alta ripa dura,
Ed ha distinto in dieci valli il fondo.
10. Quale, dove per guardia delle mura,
Più e più fossi cingon li castelli.
La parte dov' ei son rende figura:
13. Tale imagine quivi facean queUi:
E come a tai fortezze dai lor sogli
Alla ripa di fuor son ponticelli,
16. Così da imo della roccia scogli
Movien, che recidean gli argini e fossi
Infino al pozzo, che i tronca e raccogli.
l. «loT* r 'l sol — 2. ren-
lion sicura
. 2. 3. (
fos««ì
/A C. 1). pietra e di r.
n. r. D. Di cui suo
B. conterà 1' ord.
D. (Milione i
B. dove '1 sol — D. m. ren-
doD - A.2. (\ 1). sicura
(\ iniiii;ini facea quivi
r. di h.r
B. da uno
1. L. è 'n ninf || L. è d' inf. — 6. Di cui '1 suo 1. i| Di cui sua forma — 7. Quel cerchio — adunque tondo — 9. Si ha di>L — in
. jiarti — 12. dove son - 16. rocra — 17. e i fossi — 18. eh' ei tronca || che tronca
15-
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116
CERCH. Vili. BOLO. 1. SEDUTTORI.
INFERNO XVIII. 19-42.
VENED. CACriANlMiro.
1. 2. 3. dietro
I. 2. 3. modo tolto
1. 2. 3. e già
1. 2. 3. Già di vod.
19. In questo loco, dalla schiena scossi
Di Gerion, trovammoci: e il Poeta
Tenne a sinistra, ed io retro ini mossi.
22. Alla man destra vidi nuova pietà;
Nuovi tormenti e nuovi frustatori,
Di che la prima bolgia era repleta.
25. Nel fondo erano ignudi i peccatori:
Dal mezzo in qua ci venian verso il volto,
Di là con noi, ma con passi maggiori:
28. Come i Roman, per 1' esercito molto,
L' anno del Giubbileo, su per lo ponte
Hanno a passar la gente modo colto:
31. Che dall' un lato tutti hanno la fronte
Verso il castello, e vanno a santo Pietro;
Dair altra sponda vanno verso il monte.
34. Di qua, di là, su per lo sasso tetro
Vidi Demon cornuti con gran ferze.
Che U battean crudelmente di retro.
37. Ahi come facean lor levar le berze
Alle prime percosse! già nessuno
Le seconde aspettava ne le terze.
40. Mentr' io andava, gli occhi miei in uno
Fiu*o scontrati; ed io sì tosto dissi:
Di già veder costui non son digiuno.
25. igii. pec-oat. — ifi). aspettavan
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( KRCH. Vili. BOLO. 1. SEDUTTORI.
INFERNO XVIIL 43 — 66.
VKNKD. CACriANIMiro.
A. t. Perch' io
occhi aff.
JJ. tei dico
gu occhi AflF. 43. Perciò a figurarlo i piedi affissi:
E il dolce Duca meco si ristette,
Ed assentì eh' alquanto indietro gissi:
4(). E quel frustato celar si credette
Bassando il viso, ma poco gli valse:
3. dissi: Tu Ch'io dissi: 0 tu che 1' occhio a terra gette, ^. a di8*i: t.i
49. Se le fazion che porti non son false,
Venedico se' tu Caccianimico ;
Ma che ti mena a si pimgenti salse?
52. Ed egli a me: Mal volentier lo dico;
Ma sforzami la tua chiara favella.
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
55. Io fili colui, che la Ghisola bella
Condussi a far la vogUa del Marchese,
Come che suoni la sconcia novella.
58. E non più* io qui piango Bolognese:
Anzi n' è questo loco tanto pieno.
Che tante lingue non son ora apprese
3. ci Reno 61. A dlccr sipa tra Savena e Reno:
E se di ciò vuoi fede o testimonio,
Recati a mente il nostro avaro seno.
64. Cosi parlando il percosse un demonio
Della sua scuriada, e disse: Via,
Ruffian, qui non son femmine da conio.
117
fi' gli
e. t. hp. favella
A. l. tutto i>ieuo (?)
A. 1. fi. r. U. e '1 Rcii
41. Duca mio — 45. indietro io gissi — 48. Clie dissi — che gli occhi — 51. Ma chi ti mena — 7A. del tempo ant. - 55. lo aiiu
r^T. Couvicn che s. — 61. sippa — 65. Colla sua — scoriata - 66. non ha f. i| non v' ha f.
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118
CERCH. vili. BOLO. I. SEDUTTORI. INFERNO XVIII. 67—90.
2. 3. Dove imo
1. '1. 3. sopra 1«
3. Attendi
1. 2. 3. * Dal V.
l. 2. schiaccia
3. Oiason
1. 2. F^llo passò
67. Io mi raggiunsi con la scorta mia:
Poscia con pochi passi divenimmo.
Là dove un scoglio della ripa uscia.
70. Assai leggieramente quel salimmo,
E volti a destra su per la sua scheggia,
Da quelle cerchie eteme ci partimmo.
73. Quando noi fiimmo là, dov' ei vaneggia
Di sotto, per dar passo agli sferzati.
Lo Duca disse: Attienti, e fa che feggia
70. Lo viso in te di questi altri mal nati,
A' quali ancor non vedesti la faccia.
Perocché son con noi insieme andati.
79. Del vecchio ponte guardavam la traccia.
Che venia verso noi dall' altra banda,
E che la ferza similmente scaccia.
82. Il buon Maestro, senza mia domanda.
Mi disse: Guarda quel grande che viene.
E, per dolor, non par lagrima spanda:
85. Quanto aspetto reale ancor ritiene!
Quelh è Jason, che per core e per senno
Li Colchi del monton privati fene.
88. Egli passò per l' isola di Lenno ,
Poi che le ardite femmine spietate
Tutti U maschi loro a morte dienno.
D. Là ove
D. Ed assai Icucirrm.
U. Di quelle
D. li ov' el
fì. (\ Che Tenian
A. (\ E cui — ^.schiaccia
y|.2./?. r./J. ElbuonJI.
U. lai^ime
A. recale
TI. quelli cerchi eterni — 75. fa eh' io vesigia — 81. sferza caccia -- 82. Lo mio M.
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BOLO. 2. ADULATORI. INFERNO XVin. 91 — 114.
DAUTJt E VIRGILIO.
119
91. Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta,
Che prima avea tutte Y altre ingannate.
94. Lasciolla quivi gravida e soletta:
Tal colpa a tal martiro lui condanna;
Ed anco di Medea si fa vendetta.
97. Con lui sen va chi da tal parte inganna:
E questo basti della prima valle
Sapere, e di color che in se assamia.
100. (xià eravam là Ve lo stretto calle
Con r argine secondo s' incrocicchia,
E fa di quello ad un altro arco spalle.
103. Quindi sentimmo gente che si nicchia
Neil' altra bolgia, e che col muso isbuffa,
E se medesma con le palme picchia.
lOfi. Le ripe eran grommate d' una muffa
Per r aUto di giù che vi si appasta,
Che con gii occhi e col naso facea zuffa.
109. Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
Loco a veder senza montare al dosso
Dell' arco, ove lo scogUo più soprasta,
112. Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso
Vidi gente attuffata in imo sterco.
Che dagli uman privati parca mosso:
pr.
tutte r altre avea
P. oravani dove
(\ s' innicchia
D. s' annicchia
J. 2. B. (\ D. scuflFa
D. cupo tanto che non b.
-•i. 1. (\ privadi
yi. Ivi con senno — US. 1' altre pr. avea — 99. azzanna — 100. eravam 'ove — 104. muso suffa - Ili. Dall' arco — 113. un ^ran sterco
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120 CERÒn. vili. BOLO. 2. ADULATORI. INFERNO XVIII. 115—136. AL. INTBRMIN£L
1. che Ugni 115. E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco, />. cheur
COwli ori
Vidi un col capo sì di merda lordo,
Che non parca s' era laico o cherco.
118. Quei mi sgridò: Perchè se' tu si ingordo /?. migrd
gordo
Di riguardar più me, che gli altri brutti?
Ed io a lui: Perchè, se ben ricordo,
121. Già t' ho veduto coi capeUi asciutti,
E sei Alessio Interminei da Lucca: B.D..\n^rn
Però t' adocchio più che gli altri tutti.
124. Ed egU allor, battendosi la zucca:
Quaggiù m' hanno sommerso le lusinghe ,
Ond io non ebbi mai la lingua stucca.
127. Appresso ciò lo Duca: Fa che pinghe,
1. 2. 3. un poco il viso MI dlssc, il viso uu poco più avante, /?. tinpo«.i
A. l. in
Si che la faccia ben con gli occhi attingile Aricro^
2. 3. so«» scap. 130. Di quella sozza e scapigliata fante.
Che là si graffia con l'unghie merdose, ^adu-
Ed or s' accoscia, ed ora è in piede stante, d. indite
1. 2. 3. Taidn 133. Taldc è la puttana, che rispose b. rraid»
Al drudo suo, quando disse: Ho io grazie
Grandi appo te? Anzi meravigliose.
136. E quinci sien le nostre viste sazie.
119. altri tutti — 123. altri brutti — 125. diraerso — 131. Ch' ella — 133. la meretrice — 134. quand' ci d.
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CANTO DECIMONONO
» '1 mezzo f.
cielo
i;hi
vJ Simon mago, o miseri seguaci,
Che le cose di Dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
4. Per oro e per argento, adulterate;
Or convien che per voi suoni la tromba,
Perocché nella terza bolgia state.
7. Già eravamo alla seguente tomba
Montati, dello scogho in quella parte,
Che appunto sopra mezzo il fosso piomba.
10. 0 somma Sapienza, quanta è V arte
Che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
E quanto giusto tua vh-tù comparte!
13. Io vidi per le coste e per lo fondo
Piena la pietra livida di fori
D' un largo tutti, e ciascuno era tondo.
16. Non mi parean meno ampi ne maggiori.
Che quei che son nel mio bel San Giovanni
Fatti per loco de' battezzatori;
B. mago, mìseri
A. 2. C. D. 2. eipi^iap. r*
voi
D. Quanta giustixiA Uv^
14. Fessa la p. - 18. Posti nel 1. - di batt.
I.
16
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CERriI. Vili. BOLO. 3. SIMONIACI.
INFERNO XIX. 19 — 42.
NICCOLO III.
19. L' un delli quali, ancor non è molt' anni,
Rupp' io per un che dentro vi annegava :
1. sia suggci E questo fia suggel eh' ogni uomo sganni.
22. Fuor della bocca a ciascun soperchiava
D' un peccator li piedi, e delle gambe
Infino al grosso, e Y altro dentro stava.
1. 2. cr. acr. a tutti 25. Lc plautc crauo a tutti accese intrambe;
Per che sì forte guizzavan le giimte.
Che spezzate averian ritorte e strambe.
28. Qual suole.il fiameggiar delle cose unte
Moversi pur su per V estrema buccia;
Tal era li da' calcagni alle punte.
31. Chi è colui, Maestro, che si cruccia.
Guizzando più che gli altri suoi consorti,
1. 2. 3. pii. rossa Dìss' io , c cuì plù rozza fiamma succia?
34. Ed egli a me: Se tu vuoi eh' io ti porti
Laggiù per quella ripa che più giace.
Da lui saprai di se e de' suoi torti.
37. Ed io: Tanto m' è bel, quanto a te piace:
Tu sei signore , e sai eh' io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che si tace.
1. 2. 3. in su larg. 40. AUor vcuimmo suU' argine quarto;
Volgemmo, e discendemmo a mano stanca
Laggiù nel fondo foracchiato ed arto.
A. 1. non e ancor
A. C. sia suKgci
D. he gambe — A. 1. are
er. a t. A. 2. B. rr. acr
a t. D. tutte rr. are
A. 'À. C. suol lo tìamm
B. più rossa
A. I. (|uanto ti p.
B. D. in su r ari;.
19. L* uno de' cpi. — 23. peecatorc i p. — de' piedi — 27. rìt. strambe — 29. per la stretta b.
34. che ti porti — .%. a quella r. — 41. Volgendo e discendendo
più roggia (I più sozza —
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I
(ERCH. Vili. BOLO. 3. SIMONIACI. INFERNO XIX. 43 — 66.
iv3.daii.8u* 43. E il buon Maestro ancor della sua anca
1.1.3 sin mi giunse Nou idì dìposc, sì Diì glunsc al rotto
Di quei che si piangeva con la zanca.
46. 0 qual che se', che 1 di su tien di sotto.
Anima trista, come pai commessa,
Comincialo a dir, se puoi, fa motto.
49. Io stava come il frate che confessa
Lo perfido assassin, che poi eh' è fitto,
Richiama lui, per che la morte cessa:
52. Ed ei gridò: Sei tu già costi ritto.
Sei tu già costi ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
55. Se' tu si tosto di quell' aver sazio,
Per lo qual non temesti torre a inganno
1 1 3. di poi fame La bclla Donna, e poi di fame strazio?
58. Tal mi fec'io, quai son color che .stanno,
Per non intender ciò eh' è lor risposto.
Quasi scornati, e risponder non sanno.
61. Allor VirgiUo disse: DigU tosto.
Non son colui, non son colui che crech:
Ed io risposi come a me fii imposto.
64. Per che lo spirto tutto storse i piedi:
Poi sospirando, e con voce di pianto.
Mi disse: Dunque che a me richiedi?
NICCOLO III.
123
1. i 3. tutti st.
C. D. Lo buon —
B. dalla sua
B. C. D. dispose —
B. simmi g.
A. 2. r. che tieni '1 su
di s.
B. di poi farne C. poi
da farne
D. col., non colui
B. tutti storse
45. si pingeva — 46. O qual tu se' — che '1 viso tien — 49. come frate — 56. Or non se' ancor di qu. av. tu s. — 58. qual son
-^ lo sp. st allora — <J6. disse: Ah, dunque
16*
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124 CKRCH. Vili. BOLO. 3. SIMONIACI.
INFERNO XIX. 67-90.
NICCOLO III.
L 2. 3. scorsa
1. 2. 3. la fessura
67. Se di saper chi io sia ti cai cotanto,
Che tu abbi però la ripa corsa,
Sappi eh' io fili vestito del gran manto :
70. E veramente fili figUuol dell' orsa,
Cupido sì, per avanzar gli orsatti.
Che su r avere , e qui me misi in borsa.
73. Di sotto al capo mio son gli altri tratti
Che precedetter me simoneggiando.
Per le fessure della pietra piatti.
76. Laggiù cascherò io altresì, quando
Verrà colui eh' io credea che tu fi)ssi,
Allor eh' io feci il subito domando.
79. Ma più è il tempo già che i pie mi cossi,
E eh' io son stato così sottosopra,
Ch' ei non starà piantato coi pie rossi:
82. Che dopo lui verrà, di più laid' opra.
Di ver ponente un pastor senza legge.
Tal che convien che lui e me ricopra.
85. Nuovo lason sarà, di cui si legge
Ne' Maccabei : e come a quel fii molle
Suo re, così fia a lui chi Francia regge.
88. Io non so s' io mi fui qui troppo folle,
Ch' io pur risposi lui a questo metro :
Deh or mi di', quanto tesoro volle
Gb. Che tu n' abbi — 73. altri matti — 75. delle pietre — 78. che feci — 81. e coi pie — 87. fia lui — ttì. p^r .|U«f" i
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1. 2. 3. Che poii. — in
sua bai.
1. 2. 3- Viemmi dietro
1. 2. 3. Nel luo^o
1. su lev.
1. 2. 3. diece
CERCH. Vili. BOLO. 3. SIMONIACI. INFERNO XIX. 91- 114.
91. Nostro Signore in prima da san Pietro,
Che gli ponesse le chiavi in balìa?
Certo non chiese se non: Viemmi retro.
94. Ne Pier ne gli altri chiesero a Mattia
Oro od argento, quando fu sortito
Al loco che perde V anima ria.
97. Però ti sta, che tu se' ben punito;
E guarda ben la mal tolta moneta,
Ch' esser ti fece contra Carlo ardito.
100. E se non fosse, che ancor lo mi vieta
La riverenza delle somme cliiavi.
Che tu tenesti nella vita heta,
103. l'userei parole ancor più gravi;
Che la vostra avarizia il mondo attrista.
Calcando i buoni e sollevando i pravi.
106. Di voi pastor s' accorse il Vangelista,
Quando colei, che siede sopra l'acque,
Puttaneggiar co' regi a lui fu vista:
109. Quella che con le sette teste nacque,
E dalle dieci corna ebbe argomento.
Fin che virtute al suo marito piacque.
112. Fatto v' avete Dio d' oro e d' argento:
E che altro è da voi all' idolatre ,
Se non eh' egli uno, e voi n' orate cento?
NICCOLO III.
125
A. 2. B. D, impria —
a D. santo P.
A. 1. Che i pon —
A. 1. in sua bai.
B. no i chiese
C. né altri
I). Nel liiono
A. m. Calando ~ A. t. su
levando
B. diece
D. n' avete - C. D. Idlo
B. eh' è altro da v.
91. in pria che a santo — 92. Ei ponesse — 94, tolsero a M. — 96. Il loco — 99. contro a C. — 107. rhe sedea — 106. con regi —
113. agi' idei. — 114. eh' Egli è uno — n' onrate
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I2tì CERCH. Vili. BOLO. 3. SIMONIACI.
INFERNO XIX. 115-133.
NICCOLO IH.
L mentre gli
L '1 3. ristretto
L 2, Sin meu
115. Ahi, Constantin, di quanto mal fu matre,
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo ricco patre!
118. E mentre io gli cantava cotai note,
0 ira o coscienza che il mordesse,
Forte spingava con ambo le piote.
121. Io credo ben che al mio Duca piacesse.
Con sì contenta labbia sempre attese
Lo suon delle parole vere espresse.
124. Però con ambo le braccia mi prese,
E poi che tutto su mi s' ebbe al petto,
Rimontò per la via onde discese;
127. Ne si stancò d' avermi a se distretto.
Si mi portò sopra il colmo dell' arco,
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
130. Quivi soavemente spose il carco.
Soave per lo scoglio sconcio ed érto,
Che sarebbe alle capre duro varco:
133. Indi un altro vallon mi fu scoperto.
/?. y>. aìtnXTt t
J. 2. /?. r Si I
118. Mentre eh' io — cant. tai n. — 120. springava — 122. Cosi con queta I. — contente labbra — 123. e spresse — lìi. Che :
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CANTO VENTESIMO
itU> (|U.
he fanno le
/.
il mento al pr.
Ui nuova pena mi convien far versi,
E dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, eh' è de' sommersi.
Io era già disposto tutto e quanto
A riguardar nello scoperto fondo,
Che si bagnava d' angoscioso pianto :
E vidi gente per lo vallon tondo
Venir tacendo e lagrimando, al passo,
Che fan le letame in questo mondo.
10. Come il viso mi scese in lor più basso,
Mirabilmente apparve esser travolto
Ciascun trai mento el principio del casso:
13. Che dalle reni era tornato il volto,
Ed indietro venir gU convenia,
Perchè il veder dinanzi era lor tolto.
16. Forse per forza già di parlasìa
Si travolse cosi alcun del tutto;
Ma io noi vidi, ne credo che sia.
A. vigesimo
A. 2. B. C. D. tutto quanto
A. 2. C. Com' f. -
A. 2. B. C. D. fanno
- B. letane
B. tal mento
B. dirietro
VK liunie - 13. Ched alle — 16. parlisìa (?)
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CERCH. Vili. BOLO. 4. INDOVINI.
INFERNO XX. 19-42.
ANFIARAO.
1. 2. 3. di colui
1. 2. 3. divin passion
I. di Tehan
Quando gr. 2. 3. Per-
chè gr.
19. Se Dio ti lasci, Lettor, prender frutto
Di tua lezione, or pensa per te stesso,
Com' io potea tener lo viso asciutto,
22. Quando la nostra imagine da presso
Vidi sì torta, che il pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.
25. Certo i' piangea, poggiato ad un de' r ocelli
Del duro scoglio, si che la mia scorta
Mi disse: Ancor sei tu degli altri sciocchi?
28. Qui vive la pietà quando è ben morta.
Chi è più scellerato che colui
Che al giudizio divin compassion porta?
SI. Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
S' aperse agli occhi de' Teban la terra.
Per eh' ei gridavan tutti: Dove rui,
34. Anfiarao? perchè lasci la guerra?
E non restò di minare a valle
Fino a Minòs, che ciascheduno aiFerra.
37. Mira, che ha fatto petto delle spalle:
Perchè volle veder troppo davante,
Diretro guarda, e fa retroso calle.
40. Vedi Tiresia, che mutò sembiante.
Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante;
D. fin chf
B. di roloi
A. Tobp
23. Vid' io si t. — e quel pianto — 24. infino al f. — 27. Se* tu ancor — 30. giud. d' Iddio — 31. dr. e suardi - 3S^ F
Ahi. grid. — 42. tutte e qu.
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CEROH. Vili. BOLO. 4. INDOVINI.
INFERNO XX. 43-66.
TIRXSIA, AHONTA.
129
c<mv. 43. E prima poi ribatter gli convenne
Li due serpenti avvolti con la verga,
Che riavesse le maschili penne.
4"" 46. Aronta è quel che al ventre gli s' atterga,
Che nei monti di Limi, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga,
>''^ '»•« 49. Ebbe trai bianchi marmi la spelonca
Per sua dimora; onde a guardar le stelle
E il mar non gh era la veduta tronca.
52. E quella che ricopre le mammelle.
Che tu non vedi, con le trecce sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle,
55. Manto fu, che cercò per terre molte.
Poscia si pose là dove nacqu' io ;
Onde un poco mi piace che m' ascolte.
58. Poscia che il padre suo di vita uscio,
E venne serva la città di Baco,
Questa gran tempo per lo mondo gìo.
61. Suso in ItaUa bella giace un laco
Appiè dell' alpe, che serra Lamagna
ha uome Sopra Tiralli, eh' ha nome Benaco.
64. Per mille fonti, credo, e più si bagna,
Ap. 3. Cam., Tra Garda e Val Camonica, Apennino
Dell' acqua che nel detto lago stagna.
e. D. E pr. e poi
B. D. è quei
B. C. D. Ebbe tra -
C. D. marmi biauohi
D. e più, credo
A. 2. Cam. Kppenino,
C. U. Cam. et Ap-
penninc»
4*'.. che "1 ventre - «3. Tìrolli || Teriolo — 65. Valca lo monte P. || V^al di Monica e Peiin. (?)
I. 17
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130
1. 2. Onde
1. Mencio
CKHCM. Vili. BOLO. 4. INDOVINI. INFERNO XX. 67—90. MANTO.
67. Loco è nel mezzo là, dove il Trentino
Pastore, e quel di Brescia, e il Veronese
Segnar potria, se fesse quel cammino.
70. Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
Ove la riva intorno più discese.
73. Ivi convien che tutto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può,
E fassi fiiune giù pei verdi paschi.
76. Tosto che 1' acqua a correr mette co.
Non più Benaco, ma Mincio si chiama
Fino a Governo, dove cade in Po.
79. Non molto ha corso, che trova una lama,
Nella qual si distende e la impaluda,
E suol di state talora esser grama.
82. Quindi passando la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano,
Senza cultura, e d' abitanti nuda.
85. Lì, per fuggire ogni consorzio umano.
Ristette co' suoi servi a far sue arti,
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
88. Gli uomini poi, che intomo erano sparti,
S' accolsero a quel loco , eh' era forte
Per lo pantan che avea da tutte parti.
Ih là mt
G9. s.e fvshtr — 71. Di front. — ?2. Dove la r. — 73. Quivi conv. — 78. Governol — donde rade — Ki. Quivi p»*.*
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CERCH. Vili. BOLO. 4. INDOVINI.
INFERNO XX. 91-114.
131
91. Fer la città sopra queir ossa morte;
E per colei, che il loco prima elesse,
Mantova 1' appellar senz' altra sorte.
94. (jik fiir le genti sue dentro più spesse.
Prima che la mattìa da Casalodi,
Da Pinamonte inganno ricevesse.
97. Però t' assenno, che se tu mai odi
Originar la mia teiTa altrimenti.
La verità nulla menzogna frodi.
100. Ed io: Maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son sì certi, e prendon si mia fede,
Che gli altri mi sarian carboni spenti.
103. Ma dimmi della gente che procede.
Se tu ne vedi alcim degno di nota;
Che solo a ciò la mia mente rifiede.
106. AUor mi disse: Quel, che dalla gota
Porge la barba in sulle spalle brune,
Fu, quando Grecia fu di maschi vota
109. Sì che appena rimaser per le cime,
Augure, e diede il punto con Calcanta
In AuUde a tagUar la prima fiine.
112. Euripilo ebbe nome, e così il canta
L' alta mia Tragedia in alcun loco :
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
A. % r iLl Ti
A. rì±j€tlf
A. ìtM ilari »K |Miri£E
*.Ci. Mautua || Mautoa - 95. de' CM«lodi || di Casa Lodi — 108. che precede — 106. della gota - 114. tutto e ^u.
17'
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132
CEKCH. Vili. BOLG. 4. INDOVINI.
INFERNO XX. 115-130.
MICII. SCOTTO. ASDEXTE.
2. 3. incìov.
115. Quell'altro che ne' fianchi è cosi poco.
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco.
118. Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente,
Che avere inteso al cuoio ed allo spago
Ora vorebbe, ma tardi si pente.
121. Vedi le triste che lasciaron 1' ago,
La spuola e il fuso, e fecersi indivine;
Fecer malie con erbe e con imago.
124. Ma Vienne ornai, che già tiene il confine
D' amendue gli emisperi, e tocca l'onda
Sotto Sibilla, Caino e le spine.
u 2. 3. E già iern. 127. E pur icmotte fii la luna tonda:
^^^-^ ti ^^«« Ben ten dee ricordar, che non ti nocque
Alcuna. volta per la selva fonda.
130. Sì mi parlava, ed andavamo introcque.
2, amendiiu 3. ambedue
D. attffc.
(\ indtmn*-
R. Ben ri drf
D. andaiD"
122. fecersi divine — 124. Ma vieni — 125. d' ambo e due — 126. Cain e le sp. — 128. ten dei — 129, selva fnimLi
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CANTO VENTESIMOPRIMO
V osi, di ponte in ponte, altro parlando
Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo, e tenevamo il colmo, quando
4. Ristemmo per veder 1' altra fessura
Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.
7. Quale nell' Arzanà de' Viniziani
Bolle r inverno la tenace pece
A rimpalmar li lor legni non sani,
10. Che navicar non ponno, e in quella vece
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;
13. Chi ribatte da proda, e chi da poppa;
Altri fa remi, ed altri volge sarte:
Chi terzeruolo ed artimon rintoppa:
IH. Tal, non per foco, ma per divina arte
Bollia laggiuso una pegola spessa
Che inviscava la ripa da ogni parte.
//. nlti pian fi
A. I. Artieiial (?)
(\ 1/ inv. bolle
A. IH. Per riiup. — A. 1.
i lor — ^. l«gnì lor
/>. viagcio
•J. parlar non r. — 4. Ci stemmo - 7 Arsanal || Arseni — 8. lo verno || di verno — 10. Che navicar - ponno in <jn. — 11. Chi
innu<»va — 14. fan remi, altri rivolgon || fa volger remi« ed altri — 18. mvisehiava
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CERCH. Vili. BOLO. 5. BARATTIEBI.
INFERNO XXI. 19 — 42.
MARTIN BOTTAI.
19. Io vedea lei, ma non vedeva in essa
Ma' che le bolle che il bollor levava,
1. 2. siscicr E gonfiar tutta, e riseder compressa.
1. Mentre u«. 22. Mentr' io laggiù fisamente mii'ava.
Lo Duca mio, dicendo: Guarda, guarda,
Mi trasse a se del loco dov' io stava.
25. AUor mi volsi come 1' uom cui tarda
Di veder quel che gU convien fuggire;
E cui paura subita sgagliarda,
28. Che, per veder, non indugia il partire:
E vidi dietro a noi un diavol nero
Correndo su per lo scoglio venire.
31. Ahi quanto egU era nell'aspetto fiero!
E quanto mi parca nell' atto acerbo,
Con r ale aperte, e sopra il pie leggiero!
34. L' omero suo , eh' era acuto e superbo ,
Carcava un peccator con ambo 1' anche,
E quei tenea de' pie ghermito il nerbo.
37. Del nostro ponte, disse, o Malebranche,
1. cu Ecco un degh anzian di santa Zita:
Mettetel sotto, eh' io torno per anche
i. 2. 3. che n ì 40. A quclla terra eh' i' n' ho ben fornita:
1 j. 3. o,5ni nom Ognuu v' è baratticr, fuor che Bonturo:
Del no, per li denar, vi si fa ita.
novra' pie 2. 3. sovra
i pie
2. .3. Ed fi
21. soppressa — 25. lo mi rivolsi — 28. Clir per ved. || Ch' ei, per ved. — tó. denar sui si fan
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rERCH. vili. BOLO. 5. BARATTIERI.
INFERNO XXI, 43-66.
MALEBRANCHE.
135
43. Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro
Si volse, e mai non fii mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
46. Quei s' attuflFò , e tornò su convolto ;
Ma i demon, che del ponte avean coperchio,
Gridar: Qui non ha loco il santo volto;
49. Qui si nuota altrimenti che nel Serchio;
Però, se tu non vuoi de' nostri graffi,
Non far sopra la pegola soperchio.
52. Poi r addentar con più di cento raffi;
Disser: Coperto convien che qui balli,
Sì che, se puoi, nascosamente accaffi.
55. Non altrimenti i cuochi ai lor vassalU
Fanno atuflfare in mezzo la caldaia
La carne cogU imcin, perchè non galli.
58. Lo buon Maestro: Acciocché non si paia
Che tu ci sii, mi disse, giù t' acquatta
Dopo uno scheggio, che alcun schermo t' baia;
61. E per nulla oflTension che mi sia fatta.
Non temer tu, ch'io ho le cose conte.
Perchè altra volta fui a tal baratta.
64. Poscia passò di là dal co del ponte,
E com' ei giunse in su la ripa sesta,
Mestier gh fu d' aver sicura fronte.
I). t. col volto
A. C. D. ci sia
ó<>. K pero se non — 52. mille raffi - 58. che tii balli — 63 Ed altra v. — &L. da co
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CERCH. Vili. BOLO. 5. BARATTIERI.
INFERNO XXI. 67-90.
VIBG. E MALEBRANCHE.
1. 2. .3. r uu <li vui
1. 2. 3. «li Tonc.
1. 2. j»ri(lavnii
1. tutf i V. 2. 3. tutti
1. 2. 3. Tiasoiami aiul.
V.
Di sub. e
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■ ci.
B.
sottcì al
D.
tutti rune
(\
Niun
D.
iimauzi
A.
2. B.
C. Y un
di
voi
/?.
^ridavaii
fì7. Con quel furor e con quella tempesta
(3h' escono i cani addosso al poverello,
Che di subito chiede ove s' arresta;
70. Usciron quei di sotto il ponticello,
E volser contra lui tutti i roncigli;
Ma ei gridò: Nessun di voi sia fello.
73. Innanzi che 1' uncin vostro mi pigli ,
Traggasi avanti alcim di voi che m' oda,
E poi d' arroncigliarmi si consigli.
76. Tutti gridaron: Vada Malacoda;
Perchè un si mosse, e gU altri stetter fermi;
p] venne a lui dicendo: Che gli approda? .4. «. oic ti api.r.
79. Credi tu, Malacoda, qui vedermi
Esser venuto, disse il mio Maestro,
Sicuro già da tutti vostri schermi,
82. Senza voler divino e fato destro?
Lasciane andar, che nel cielo è voluto
Ch' io mostri altrui questo cammin Silvestro.
85. Allor gh fu Y orgoglio si caduto.
Che si lasciò cascar l'uncino ai, piedi,
E disse agU altri: Omai non sia feruto.
88. E il Duca mio a me: 0 tu, che siech
Tra gU scheggion del ponte quatto quatto.
B. tutti i vostri
A. 2. C. Dicendo
1. 2. 3. ti ricdi
Sicuramente omai a me tu riedi.
1). a me omai - R. ri
riedi
<JS. C'iie fanno — iu dosso — 73. m' impigli — 75, da ronc. || a ronc. — 78. eh' egli appr. |) eh' è li a pr. (?) (| olii t* appr. - 87. K d.:
Omai non Kia costui f.
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(ERCH. vili. BOLO. 5, BARATTUfRl. INFERNO XXI. 91 — 114. DANTK , VIRO. E MALEBR. 137
91. Perch'io mi mossi, ed a lui venni ratto;
E i diavoli si fecer tutti avanti,
Si ch'io temetti non tenesser patto. ^.2.«.c. cheitenMser
94. E cosi vid' io già temer U fanti
Ch' uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo se tra nimici cotanti. a. tra i nim.
97. Io m' accostai con tutta la persona
Lungo il mio Duca, e non torceva gh occhi
Dalla sembianza lor eh' era non buona.
1 13 eh io i 100. Ei chinavan gh raffi, e. Vuoi che '1 tocchi,
Diceva 1' un con 1' altro, in sul groppone?
aliene »rc. E rispondcan i Si, fa che gliele accocchi. a 2. r. e. nsponaean
103. Ma quel demonio che tenea sermone
Col Duca mio, si volse tutto presto
E disse: Posa, posa. Scarmiglione.
106. Poi disse a noi: Più oltre andar per questo
'Wf^'^'^^rk^ * '* Iscogho non si può, perocché giace «. scoglio -/>. so. bc.
nuu
Tutto spezzato al fondo 1' arco sesto :
109. E se r andare avanti pur vi piace.
Andatevene su per questa grotta;
Presso è un altro scoglio che via face.
112. ler, più oltre cinqu' ore che quest' otta,
JVIille dugento con sessanta sei
1 2. 3. compier Auuì complc , chc qui la via fu rotta.
©. temei — che rompesser — 9rt. non toglieva — 100. Chinavano — 101. Dicevau — l'uno all' altro — 102. E rispondeansi : Fa
Ili ler, cinque ore più oltre — U3. sc^s. e sei — 114. questa via
I. 18
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rKRni. vili. BOI.G. 5. BARATTIERI. INFERNO XXI. 115—139.
MALEBRANCHE.
L. 2. 3. Rub. pazzo
1. 2. 3. int. le b.
ly che (ligr.
115. Io mando verso là di questi miei
A riguardar s' alcun se ne sciorina:
Gite con lor, eh' ei non saranno rei.
118. Tratti avanti, Alichino e Calcabrina,
Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo,
E Barbariccia guidi la decina.
121. Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo ,
Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Rubicante il pazzo.
124. Cercate intomo alle boglienti pane;
Costor sien salvi insino all' altro scheggio
Che tutto intero va sopra le tane.
127. 0 me! Maestro, che è quel che io veggio?
Diss' io: deh! senza scorta andiamci soli,
Se tu sai ir, eh' io per me non la chieggio.
130. Se tu sei sì accorto come suoU,
Non vedi tu eh' ei digrignan h denti,
E colle cigUa ne minaccian duoli?
133. Ed egli a me: Non vo' che tu paventi:
Lasciah digrignar pure a lor senno,
Ch' ei fanno ciò per li lessi dolenti.
136. Per 1' argine sinistro volta dienno;
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Coi denti, verso lor duca per cenno,
139. Ed egli avea del cui fatto trombetta.
fi. fatta n.
117. fbe non sar. — 1^. in fino — 128. Deb! senza scorta, diss' io — 135. Che fanno — lassi dol. Il fessi dol.
ì
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CANTO VENTESIMOSECONDO
i .
lo vidi già cavalier muover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra.
E talvolta partir per loro scampo:
Corridor vidi per la terra vostra,
0 Aretini, e vidi gir gualdane,
Ferir torneamenti, e correr giostra,
Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi e con cenni di castella,
E con cose nostrali e con istrane;
10. Ne già con sì diversa cennamella
Cavalier vidi mover, ne pedoni.
Ne nave a segno di terra o di stella.
13. Noi andavam con li dieci dimoni:
Ahi fiera compagnia! ma nella chiesa
Coi santi, ed in taverna coi ghiottoni.
16. Pure alla pegola era la mia intesa.
Per veder della bolgia ogni contegno,
E della gente eh' entro v' era incesa.
e. I). Corri t<ir
(\ Fedir. U. E far —
R. muover siostra
I). Ne mai — U. riara-
mrlla
2. Per rominc. — 10. cemmam. || ceram. |< cialam. || oannam.
18*
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140 CERCH. Vili. BOLO. 5. BARATTIERI
1. Come Dalpb.
INFERNO XXII. 19 — 42.
CIAMPOLO NAVARRESE.
1. 2. 3. Stan li r.
2. 3. anche — 2. 3. mi
s' acc.
2. 3. e r altra
1. 2. 3. di centra
1. 2. 3. tutti nu.
19. Come i delfini, quando fanno segno
Ai marinar con 1' arco della schiena,
Che s' argomentin di campar lor legno;
22. Talor così ad alleggiar la pena
Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
25. E come all' orlo dell' acqua d' un fosso
Stanno i ranocchi pur col muso fuori.
Si che celano i piedi e 1' altro grosso;
28. Sì stavan d' ogni parte i peccatori:
Ma come s' appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.
31. Io vidi, ed anco il cor me n' accapriccia,
Uno aspettar così, com egli incontra
Che una rana rimane, ed altra spiccia.
34. E Graffiacan, che gli era più d' incontra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel su, che mi parve una lontra.
37. Io sapea già di tutti e quanti il nome,
Sì li notai, quando furono eletti,
E poi che si chiamaro, attesi come.
40. 0 Rubicante, fa che tu gli metti
Gli unghioni addosso sì che tu lo scuoi,
Gridavan tutti insieme i maledetti.
B. Come d. - A. H. (\
dalfini
A. m. di guardar
/y. Stanlir. C: Stanno r.
D. mi raccapr.
B. D. di contra
D. come fusse una
A. 2. Af. C. D. tutti .ju.
B. chiamato
C. D. Y unghion
22. a leggierar || per allegs;iar — 23. peccator lo d. — 30. si rit«nean - 36. mi parca
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e KRCH. vili. BOLO. 5. BARATTIERI. INFERNO XXII. 43 — 66.
CIAMPOLO NAVARRESK.
141
43. Ed io: Maestro mio, fa, se tu puoi.
Che tu sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degU avversari suoi.
40. Lo Duca mio gU s' accostò allato,
DomandoUo ond' ei fosse, e quei rispose:
Io fui del regno di Navarra nato.
49. iVlia madre a servo d' un signor mi pose,
Che m' avea generato d' un ribaldo
Distruggitor di sé e di sue cose.
52. Poi fili famigUo del buon re Tebaldo;
Quivi mi misi a far baratteria.
Di che io rendo ragione in questo caldo.
55. E Ciriatto, a cui di bocca uscia
D' ogni parte una sauna come a porco.
Gli fé' sentir come 1' una sdrucia.
58. Tra male gatte era venuto il sorco;
Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
E disse: State in là, mentr' io lo inforco.
61. Ed al Maestro mio volse la faccia:
Domanda, disse, ancor se più desii
Saper da lui, prima eh' altri il disfaccia.
64. Lo Duca: Dunque or di' degli altri rii:
Conosci tu alcun che sia Latino
Sotto la pece? E quegli: Io mi partii
e. onde fosse — />. ed ei
h. famiglili
D. Di che rendo
J. D' ogni lato
H. sdruscia
A. m. B. C. D. male
branche
D. il cinse
A. 2. C. Dicendo —
D. state là
e. Dimandai
47. E domandò — 56. zanna — 59. il chiude - 60. E dice: Sta in là — 62. Domanda ancor, diss' ei - iyi. Lo D. dunque: Oi
altri rii Con.
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142
CERriI. vili. BOLO. 5. BARATTIERI. INFERNO XXII. 67 — 90.
FR. OOMITA, M. ZANCHE.
1. 2. ^. riiiicisrlid
2. .3. anch' ei
1. 2. 3. Giù dalle
1. 2. 3. K fé* lor ni
fi7. Poco è da un, che fu di là vicino;
Cosi foss' io ancor con lui coperto,
Ch' io non temerei unghia, ne uncino.
70. E Libicocco: Troppo avem sofferto,
Disse, e presegli il braccio col roncigUo,
Si che, stracciando, ne portò un lacerto.
73. Draghignazzo anco i volle dar di piglio
Giuso alle gambe; onde il decurio loro
Si volse intorno intorno con mal piglio.
76. Quand' elli un poco rappaciati foro,
A lui che ancor mirava sua ferita.
Domandò il Duca mio senza dimoro:
79. Chi fu colui, da cui mala partita
Di' che facesti per venire a proda?
Ed ei rispose: Fu frate Gomita,
82. Quel di Gallura, vasel d' ogni froda,
Ch' ebbe i nimici di suo donno in mano,
E fé' si lor, che ciascun se ne loda:
85. Denar si tolse, e lasciolli di piano.
Si com' ei dice: e negli altri offizi anche
Barattier fu non picciol, ma soprano.
88. Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro: ed a dir di Sardigna
Le lingue lor non si sentono stanche.
A. 1. con lui ancor
JJ. prese *1 suo br.
D. con ronc.
(\ anche ì
n. Giù daUe
O. intorno tutto
JJ. da chi
e. D. E cjuei
1). ebbe nini.
73. I)ras;h. gli volle — 81. Egli risp. — 82. da Gali. — vagel — 88. esso lui don M. Sanche
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TEBCU. Vili. BOLO. 5. BARATTIERI. INFERNO XXII. 91 — 114.
CIAMPOLO NAVARRKSE.
143
•L a, anche
. Inromiuriò
1. 1 3. Sì che non
l. i eh' io so
1. 2. :i (Quando suf.
1 'l 3, pensato
l.Dbse: Mal.
1. 2. 3. Quando proe. -
1. 2. a mia
1 ^ualoppo
91. 0 me! vedete l'altro che digrigna:
Io direi anco; ma io temo eh' elio
Non s' apparecchi a gi'attarmi la tigna.
S)4. E il gran proposto, volto a Farfarello
Che stralunava gU ocelli per ferire,
Disse: Fatti in costà, malvagio uccello.
5)7. Se voi volete vedere o udke.
Ricominciò lo spaurato appresso,
Toschi o Lombardi, io ne farò venire.
100. Ma stien le male branche un poco in cesso, j. i
Si eh' ei non teman delle lor vendette ;
Ed io, sedendo in questo loco stesso,
103. Per un ch'io son, ne farò venir sette,
Quand' io sufolerò , com' è nostr' uso
Di fare allor che fuori alcun si mette.
106. Cagnazzo a cotal motto levò il muso,
Crollando il capo, e disse: Odi malizia
Ch' egU ha pensata per gittarsi giuso.
109. Ond' ei eh' avea lacciuoh a gran divizia,
Rispose: Malizioso son io troppo,
Quand' io procuro a' miei maggior tristizia. ^ />• Quando prof. -
■^ "" Al.(?)/?. r./;. a mia
112. Alichin non si tenne, e di rin toppo
Agli altri, disse a lui: Se tu ti cali,
Io non ti verrò dietro di galoppo.
J l. o vedei'f
/i. IJ. hiooniinciò
l. V Loinb. —
D. Lomb., ne 1
/i. Si che non -
IJ. eh' io non tenia
/i. e. seggendo
fi. eh' io s«»
//. I). Quando suf.
A. 1. allora che alcun
fuor
IJ. E quei - e. V.
dovizia
93. Già s' app. — 94. preposto — 95. fedire — '
. procaccio — a me macjg.
B. Disse: Statti costà || Eh. disse: tratti là - iO(). li Malebr. - Iffi, seguendo -
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144
CERCH. vili. BOLO. 8. BARATTIERI. INFERNO XXII. 115—138.
ZUFFA DE DEMONI.
I. *2. 3. (li col{Mi
1. E p. -■
valse
115. Ma batterò sopra la pece 1' ali:
Lascisi il colle, e sia la ripa scudo
A veder se tu sol più di noi vali.
118. 0 tu, che leggi, udirai nuovo ludo!
Ciascun dall' altra costa gli occhi volse;
Quei prima, eh' a ciò fare era più crudo.
121. Lo Navarrese ben suo tempo colse,
Fermò le piante a terra, ed in un punto
Saltò, e dal proposto lor si sciolse.
124. Di che ciascun di colpa fu compunto,
Ma quei più, che cagion fu del difetto;
Però si mosse, e gridò: Tu se' giunto.
1.2. 3. poco 127. Ma poco i valse: che l'ale al sospetto
Non poterò avanzar: quegli andò sotto,
E quei drizzò, volando, suso il petto:
130. Non altrimenti 1' anitra di botto,
Quando il falcon s' appressa, giù s' attuffii,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto.
133. Irato Calcabrina della buffa,
Volando dietro gli tenne, invaghito
Che quei campasse, per aver la zuffa.
136. E come il barattier fii disparito,
Così volse gli artigli al suo compagno,
E fu con lui sopra il fosso ghermito.
^. 1. il collo (?) — A. m
sien le reni
A. B. di colpo
D. quei, che più ra'^.
B. e. K poco i T. D.
Poco lì ▼. — A.y aii
r. r alìe
A. 2. C. E quei
rii. giù
D.t.
B. C. D. dispartìt4»
B. gremito
119. altra parte — 120. Quel primo — 123. e al prop. — si tolse — 124. del colpo - 127. valse, e 1" ale - il sospetto
1%. dipartito 138. fu colui
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CERCH. vili. BOLO. 6. BARATTIERI. INFERNO XXII. 139—151.
ZUFFA I>E DEMONI.
145
hrrinidor
139. Ma r altro fu bene sparvier grifagno
iinendae3.*inb€dae Ad artigliar ben lui, ed ambo e due
Cadder nel mezzo del bogliente stagno.
142. Lo caldo sghermitor subito fue:
Ma però di levarsi era niente,
Sì aveano inviseate 1' ale sue.
145. Barbariccia, con gli altri suoi dolente,
Quattro ne fé' volar dall' altra costa
Con tutti i raffi, ed assai prestamente
148. Di qua, di là discesero alla posta:
Porser gli uncini verso gì' impaniati,
Ch' eran già cotti dentro dalla crosta:
151. E noi lasciammo lor così impacciati.
H, amendue C. 1). am-
bedue
lì. l). schermi tor
r. r ali
K. ne fa
D. i ffrafK
A. Porson
A. m. costa
142. ffgremitoT — 144. invischiate -- 150. erano cotti — della cr.
19
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CANTO VENTESIMOTERZO
1.2,
Tiime ì fr.
3. <1* Isopo
. 2. 3. Che caue
Xaciti, soli e senza compagnia,
N' andavam V un dinanzi e i' altro dopo ,
Come frati minor vanno per via.
4. Volto era in sulla favola di Esopo
Lo mio pensier per la presente rissa,
Dov' ei parlò della rana e del topo:
7. Che più non si pareggia mo ed issa,
Che r un con V altro fa, se ben s' accoppia
Principio e fine con la mente fissa:
IO. E come 1' un pensier dell' altro scoppia.
Così nacque di quello un altro poi.
Che la prima paura mi fé' doppia.
13. Io pensava così: Questi per noi
Sono scherniti, e con danno e con befla
Si fatta, eh' assai credo che lor noi.
16. Se r ira sopra il mal voler s' aggueffa,
Ei ne verranno dietro più crudeli
Che '1 cane a quella lepre eh' egli acceffa.
D. in«azì
H. Come i fr.
f{. e. d* Isopo
1. soli.
■ 2. Andavam — 7. s* «pp«reggia — IO. dall' altro — 16.. fa gueffa — 18. che 1' acceffa
19*
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DANTE E VIRGILIO.
148 rKRCH. Vili. BOLO. 6. IPOCRITI. INFERNO XXIII. 19 — 42.
i.tuttarr. 2.3.tuuoarr. 19. Già mì scntìa tutti amccìar li peli
Della paura, e stava indietro intento,
Quando io dissi: Maestro, se non celi
22. Te e me tostamente, i' ho pavento
Di Malebranche: noi gli avem già dietro:
Io gì' immagino sì, che già gli sento.
25. E quei: S'io fossi d'impiombato vetro,
L' imagine di fuor tua non trarrei
Più tosto a me, che quella d' entro impetro,
i. 2. 3. venicno i 28. Pur mo veuiau li tuoi pensier tra i miei
Con simile atto e con simile faccia,
Si che d' intrambi un sol consiglio fei.
31. S' egli è che sì la destra costa giaccia.
Che noi possiam nell' altra bolgia scendere,
Noi fiiggirem l' immaginata caccia.
•2. 3. compio H4. Già non compiè di tal consiglio rendere,
1. 2. laie Ch'io gli vidi venir con 1' ali tese.
Non molto lungi, per volerne prendere.
37. Lo Duca mio di subito mi prese,
Come la madre eh' al romore è desta,
E vede presso a se le fianune accese,
40. Che prende il figlio e fugge e non s' arresta.
Avendo più di lui che di se cura.
Tanto che solo una camicia vesta:
B. C. tutt* irr
(\ dietro - IJ i
C. QoAado ih*'
C. D. i«» p»T
A. 2. ( hr: >!t
B. mio
A. di piotalu-j)
fì. venÌAOo 1
A. 1. D. il' iiitn::
C compier
B. D. r ale <
B. eh* a Tomorr
'JO. Dalla imura
ì
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PERCH. Vili. BOLO. 6. IPOCHITI.
INFERNO XXra. 43 — 66.
DANTE K VIRGILIO.
149
1. 2. 3. collo
2. .1 fii;lio e non
2. 3. furij i
1 eiunscr in sul. 3.
^iunser sul
1. 1 3. fatte
1. 2. 3. per li mon. iif
CologDA
43. E giù dal colle della ripa dura
Supin si diede alla pendente roccia,
Che r un dei lati all' altra bolgia tura.
4B. Non corse mai sì tosto acqua per doccia
A volger rota di molin terragno,
Quand' ella più verso le pale approccia ,
49. Come il Maestro mio per quel vivagno,
Portandosene me sopra il suo petto.
Come suo figlio, non come compagno.
52. Appena fur li pie suoi giunti al letto
Del fondo giù, eh' ei furono in sul colle
Sopresso noi: ma non gli era sospetto;
55. Che r alta provvidenza, che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs' indi a tutti toUe.
58. Laggiù trovammo una gente dipinta,
Che giva intorno assai con lenti passi
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
61. Egli avean cappe con cappucci bassi
Dinanzi agli occhi, fatti della taglia
Che in Clugni per li monaci fassi.
64. Di fuor dorate son, si eh' egli abbaglia;
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto.
Che Federico le mettea di paglia.
tì. a D. dal rollo
fi. furo i
J. Poner min.
li. (\ fatte dell»
e. Crugui — B. JJ. per
li mon. in Colonia
D. tutto e piombo
44. repente roccia — 46. sì forte || si ratto — 61. Si come f. , non come || Non come f. , ma come — 53. che ci furou sul || che <jui
f«ron sul — 56. nella fossa — 57. Poder partirsi quindi || Potere indi partirsi — 59. già dint. || giano attorno — 62. a quella tacrlia — ()3. Che
' 'olisDÌ II Che in Colignì || Che in Colognia || Che in Colonia |j Che di Col. - per monaci — 64. orate son
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150
CERCH. Vili. BOLO. 6. IFOCRITI.
INFERNO XXin. 67-90.
FRATI GODENTI.
1. fatto il u.
2. 3. duo
1. il peso
li.i
H7. 0 in eterno faticoso manto !
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca u.
Con loro insieme, intenti al tristo pianto:
70. Ma per lo peso quella gente stanca
Venia si pian, che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni mover d' anca.
75. Perch' io al Duca mio : Fa che tu trovi
Alcun, eh' al fatto o al nome si conosca,
E gli occhi si andando intorno movi.
76. Ed un, che intese la parola Tosca,
Diretro a noi gridò: Tenete i piedi,
Voi, che con-ete si per 1' aura fosca:
79. Forse eh' avrai da me quel che tu chiedi.
Onde il Duca si volse, e disse: Aspetta,
E poi secondo il suo passo procedi.
82. Ristetti, e vidi due mostrar gran filetta
Deir animo, col viso, d' esser meco;
Ma tardavagU il carco e la via stretta.
85. Quando fur giunti, assai con 1' occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola:
Poi si volsero in se, e dicean seco:
88. Costui par vivo all' atto della gola:
E s' ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoperti della grave stola?
voUj. par tài
A. 1. Wniat
71. Veuìen — 74. Ciascun — 75. E 1* occhio — si in and. — 77. Fermate i p. — 78. la ria fosca — 81. seco del suo - Jìix ^'^
><7. Tolgieno — insieme
ì
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CKECH. Vili. BOLO. 6. IPOCRITI.
INFERNO XXIII. 91 — 114.
FRATI GODENTI.
151
. VA uu
l. "i. 3. e coshii
i.l>3. rh' tLKÌì occhi
91. Poi disser me: 0 Tosco, eh' al collegio
DegF ipocriti tristi se' venuto,
Dir chi tu sei non avere in dispregio.
!)4. Ed io a loro: Io fili nato e cresciuto
Sopra il bel fiume d' Arno alla gran villa ,
E son col corpo eh' i' ho sempre avuto.
97. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
Quant' io veggio, dolor giù per le guance,
E che pena è in voi che si sfavilla?
100. E r un rispose a me: Le cappe rance
Son di piombo si grosse, che li pesi
Fan cosi cigolar le lor bilance.
103. Frati Godenti fiimmo, e Bolognesi,
Io Catalano, e questi Loderingo
Nomati, e da tua terra insieme presi,
10(5. Come suole esser tolto un uom solingo
Per conservar sua pace, e fiimmo tali,
Ch' ancor si pare intomo dal Gardingo.
109. Io cominciai: 0 frati, i vostri mali...
Ma più non dissi: eh' air occhio mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
112. Quando mi vide, tutto si distorse,
Soffiando nella barba coi sospiri:
E il frate Catalan, eh' a ciò s' accorse,
e. Poi mi disser
A. t. lì. Di" ohi
n' av.
A. 1. sì grosso
H. e A li occhi
A 1. con soBp.
A. 2. (\ K frate Cnt.
91. Poi (lisscrmi - 93. non 1' «Tcre — « dispregio — 108. p*r dintorno — Grandingo
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152
OKRCH. Vili. HOLG. 6. IPOCRITI.
INFERNO XXin. 115-138.
CAIFA, ANNA.
115. Mi disse: Quel confitto, che tu miri,
Consigliò i Farisei, che convenia
Porre un uom per lo popolo a' martiri,
i. 2. 3. peruv. 118. Attravcrsato e nudo è nella via,
i. che sentn ' Comc tu vcdl, cd c mcstlcr eh' ei senta
Qualunque passa com' ei pesa pria:
121. Ed a tal modo il suocero si stenta
1. 2. dal conc. Ih qucsta fossa, e gli altri del concilio
Che fii per li Giudei mala sementa.
124. Allor vid' io mara\4gliar VirgiUo
Sopra colui eh' era disteso in croce
Tanto vilmente nell' eterno esilio.
127. Poscia drizzò al frate cotal voce:
Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
Se alla man destra giace alcuna foce,
i. amendue 2. amenduo ISO. Oudc uoì ambo c duc posslamo uscirci
3. ambedue
Senza costringer degli angeli neri,
u d- est.» loco Che vegnan d' esto fondo a diparth'ci.
133. Rispose adunque: Più che tu non speri
S' appressa un sasso , che dalla gran cerchia
Si move, e varca tutti i vallon feri,
i. 2. s. che .juesto 13(>. Salvo ch' a questo h rotto, e noi coperchia:
Montar potrete su per la mina.
Che giace in costa, e nel fondo soperchia.
J). omf i^f-A
B. dal roDP.
U. P..i ilirizi
/?.
C. «mcodw
i»edue
D. Risp. 11!
1. (?i n li
che «^iL
118. nudo nella — 119. vedi, e di mestier || vedi, è mestier — 122. quella fossa — 123. Che fur — 127. Poscia «li rixi" - » '
130. aniliiduo — 131. Senza costretta || Senza scontrar — 133. Risp. : Adunque più — 137. potete
^
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CERCH. vili. BOLO. 6. IPOCRITI. INFERNO XXIII. 139—148. frate catalano. 153
VM). Lo Duca stette un poco a testa china,
Poi disse: Mal contava la bisogna
(>olui, che i peccato!' di là uncina. ^ r. />. di qua une. -
A. m. là vicina
142. E il frate : Io udi' già dire a Bologna b. dire Boi.
Del Diavol vizii assai, tra i quali udi'
(^h' egU è bugiardo, e padre di menzogna.
145. Appresso il Duca a gran passi sen gì,
Turbato un poco d' ira nel sembiante :
Ond' io dagV incarcati mi parti'
148. Dietro alle poste delle care piante.
l-bj. Dietro alle peste
I I. 20
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CANTO VENTESIMOQUARTO
i. 2. 3. a casa
1. mutata f.
In quella parte del giovinetto anno,
Che il sole i crin sotto 1' Aquario tempra,
E già le notti al mezzo dì sen vaimo:
4. Quando la brina in sulla terra assempra
L' imagine di sua sorella bianca,
Ma poco dura alla sua penna tempra;
7. Lo villanello, a cui la roba manca,
Si leva e guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tutta, ond' ei si batte Tanca:
10. Ritorna in casa, e qua e là si lagna.
Come il tapin che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna,
13. Veggendo il mondo aver cangiata faccia
In poco d' ora, e prende suo vincastro,
E fuor le pecorelle a pascer caccia:
16. Così mi fece sbigottir lo Mastro,
Quand' io gli vidi sì turbar la fronte ,
E così tosto al mai giunse lo impiastro:
e, i crini l' Aq.
A. exeinpra
R. a casa
D. taupiu
r. U. sper. il ringav.
.•1. 2. C. In poca d' o.
A. I. (?) D. Quando gli
3. a tncic/o — ti. e la sua — pena — 12. rìucav. |, ricav. - 17. Quando lo vidi
20*
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156
CERCH. Vili. BOLG. 7. LADRI.
INFERNO XXIV. 19-42.
DANTE E VIRGILIO.
1. 2. 3. vidi imprima
1. 2. 3. istima
1. 2. 3. prerinto
1. 2. infine
19. Che come noi venimmo al guasto ponte,
Lo Duca a me si volse con quel piglio
Dolce, eh' io vidi prima a pie del monte.
22. Le braccia aperse, dopo alcun consigUo
Eletto seco, riguardando prima
Ben la mina, e diedemi di piglio.
25. E come quei che adopera ed estima.
Che sempre par che innanzi si proveggia;
Così, levando me su ver la cima
28. D' un ronchion, avvisava un' altra scheggia,
Dicendo: Sopra quella poi t' aggrappa;
Ma tenta pria s' è tal eh' ella ti reggia.
31. Non era via da vestito di cappa,
Che noi a pena, ei lieve, ed io sospinto,
Potevam su montar di chiappa in chiappa.
34. E se non fosse, che da quel procinto,
Più che dair altro, era la costa corta.
Non so di lui, ma io sarei ben Aànto.
37. Ma perchè Malebolge in ver la porta
Del bassissimo pozzo tutta pende,
Lo sito di ciascuna valle porta
40. Che r una costa surge e Y altra scende:
Noi pur venimmo alfine in sulla punta
Onde r ultima pietra si scoscende.
ff. e. vidi imprima
B. ap. e dopo
li. istima
e; »' e tal che ù — D
«r PTrdi chr ti
B. precinto
(\ da ciaac.
B. in fine
2L. eh' io il vidi || che '1 vidi — 27. per la cima — 28. rocchione — 33. di clappa in ci. || di cia])pa in eiappa ~ 3^4. tutto pende —
4^ pietra discose.
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TERCH. vili. BOLO. 7. LADRI. INFERNO XXIV. 43—66. DANTK E VIROIMO. 157
43. La lena m' era del polinon sì munta
Quando fili su, ch'io non potea più oltre, ^. guamr io n.
Anzi mi assisi nella prima giunta.
4fi. Omai convien che tu cosi ti spoltre , n. cosi che t«
Disse il Maestro, che, sedendo in piuma.
In fama non si vien, ne sotto coltre,
49. Senza la qual chi sua vita consuma,
Cotal vestigio in terra di se lascia,
i 3. oa in acqua Qual fìimmo in aer ed in acqua la schiuma:
52. E però leva su , vinci 1' ambascia
Con r animo che vince ogni battagUa,
Se col suo grave corpo non s' accascia.
ó5. Più lunga scala convien che si sagUa:
Non basta da costoro esser partito:
Se tu m' intendi, or fa si che ti vaglia.
58. Leva' mi allor, mostrandomi fornito
Meglio di lena eh' io non mi sentia;
E dissi: Va, eh' io son forte ed ardito,
fil. Su per lo scogUo prendemmo la via,
Ch' era ronchioso, stretto e malagevole.
Ed erto più assai che quel di pria.
tì4. Parlando andava per non parer fievole,
1. i. 3. Onde una Ed UUa VOCC USCIO dall' altro fosso , a. l. ina* una - a I).
usci
A parole formar disconvenevole.
44. non potei — 47. giacendo in p. — 52. Or leva su, omai vinci — 54. grere pondo — 62. rocchioso — (io. dell' alto f.
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158
( KROH. Vili. B(»LG. 7. LADRI.
INFERNO XXIV. 67-90.
DAMTK E VIRGILIO.
1. 2. 3. Ove s' ai{|riuui(e
1. 2. centri — 1. 2. 3.
anfr.sid.
()7. Non so che disse, ancor che sopra il dosso
Fossi dell' arco già che varca quivi;
Ma chi parlava ad ira parea mosso.
70. Io era volto in giù; ma gU occhi vivi
Non potean ire al fondo per Y oscui*o:
Perch' io : Maestro , fa che tu arrivi
7H. Dall'altro cinghio, e dismontiam lo muro;
Che com' i' odo quinci e non intendo.
Cosi giù veggio, e niente afliguro.
7(). Altra risposta, disse, non ti rendo,
Se non lo far: che la domanda onesta
Si dee seguir coli' opera tacendo.
79. Noi discendemmo il ponte dalla testa.
Dove si giunge coli' ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta:
82. E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti, e di si diversa mena.
Che la memoria il sangue ancor mi scipa.
85. Più non si vanti Libia con sua rena;
Che, se chehdri, iaculi e farce
Produce, e ceneri con amfisibena;
88. Ne tante pestilenzie ne si ree
Mostrò giammai con tutta 1' Etiopia,
Ne con ciò che di sopra il mar rosso ee.
fì. Ove - A. 2. B. C 1).
^' ai(i;iun{;e
A. 2. C. U. di serp. di si
A. 1. o faree
H. C. D. oeutri
H. aiiphysib.
(j8. Kos»' io - 69. ad ire — 77. il far || è il far || col far — H5. che 'n stia rena — HO. Thè »e quella idri || Che a' ella idri (?)!|
Chersi. chelidri — iaculi, farce (?) — 87. Producer || Produca (?) — H8. Non tante |l Che tante — 90. Non con ciò — hupra al mar
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CEBCH. vili. BOLO. 7. LADRI. INFERNO XXIV. 91—114. VANNI FL'cri. 159
91. Tra questa cruda e tristissima copia
Correvan genti nude e spaventate,
Senza sperar pertugio o elitropia.
94. Con serpi le man dietro avean legate:
Quelle ficcavan per le ren la coda
E il capo, ed eran dinanzi aggroppate.
97. Ed ecco ad un, eh' era da nostra proda,
S' avventò un serpente, che il trafisse
Là dove il collo alle spalle s' annoda.
100. Ne 0 si tosto mai, ne I si scrisse,
Com' ei s' accese ed arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse:
103. E poi che fu a terra sì distrutto, .j. />. k poi eh- eì
Ucruer-l. 2. e La polvCr SÌ raCCOlSC per se stessa, ^.l.rirolse-^.e perse
er sr
(n<,ud E in quel medesmo ritornò di butto: ^. in quei
106. Cosi per li gran savi si confessa.
Che la Fenice more e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.
^i*da 109. Erba, ne biado in sua vita non pasce,
L e d- am. Ma sol d' Inccuso lagrime ed amomo ; h. e a* «n.
E nardo e mirra son 1* ultime fasce. n. e mirra e nardo
112. E qual è quei che cade, e non sa corno.
Per forza di demon eh' a terra il tira,
0 d' altra oppilazion che lega T uomo.
•.13. Sena» aspettar — 86. Che li ficc. || Le quai ficc. — per li ren — 105. E quel — 107. lo Fenice - liW. biade
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160 ( KR( H. vili. BOLO. 7. LADRI. INFERNO XXIV. 115—138. VANNI Fiori.
115. Quando si leva, che intorno si mira
Tutto smarrito dalla gi'ande angoscia d. ^^^t ^.
Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira;
1 IH. Tal era il peccator levato poscia.
1. 2. 3. 0 Riustizia - 0 potenzia di Dio quanto se' vera ! b, o veudtta -
1. 2. 3. quanto è sev. R. «nianT'r -•
Che cotai colpi per vendetta croscia.
121. Lo Duca il domandò poi chi egli era:
Perch' ei rispose: Io piovvi di Toscana,
Poco tempo è, in questa gola fera.
124. Vita bestiai mi piacque, e non umana.
Sì come a mul eh' io fui: son Vanni Fucci
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana.
127. Ed io al Duca: Digli che non mucci,
E domanda qual colpa quaggiù il pinse:
1. 2. 3. uoui già di Ch' io il vidi uomo di sangue e di crucci. ^' '^ "«" ^'
1. 2. 3. comicci ma di - fc
130. E il peccator, che intese, non s'infinse,
Ma drizzò verso me 1' animo e il volto,
E di trista vergogna si dipinse;
1H3. Poi disse: Più mi duol che tu m' hai colto
Nella miseria, dove tu mi vedi,
1. 2. 3. quaucv io Che quando fili dell' altra vita tolto.
13H. Io non posso negar quel che tu chiedi;
• In giù son messo tanto, perch' io fui
Ladro alla sacrestia de' belli arredi; r. oìm:.
IH), della grande — 117. sofferto — 120. per giustizia (?) — scroscia — 121. Lo Duca doni. — 123. questa l>otgis - C^ ^
Fucci — 129. lo vidi
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CERCH. Vili. BOLO. 7. LAURI.
INFERNO XXIV. 139—151.
VANNI PUCCI.
161
3. Neri
l. 2. 3. Firenze
-. 3. te II debbia
1H9. E falsamente già fu apposto altrui.
Ma perchè di tal vista tu non godi.
Se mai sarai di fuor de' lochi bui,
142. Apri gli orecchi al mio annunzio, ed odi:
Pistoia in pria di Negri si dimagra,
Poi Fiorenza rinnuova genti e modi.
145. Tragge Marte vapor di vai di Magra
Ch' è di torbidi nuvoli involuto,
E con tempesta impetuosa ed agra
148. Sopra campo Picen fia combattuto:
Ond' ei repente spezzerà la nebbia.
Si eh' ogni Bianco ne sarà feruto :
151. E detto l'ho, perchè doler ti debbia.
A. 1. JJ. fu «ià
//. da* luoghi
D. Pist. pria - JJ. Neri
— ^. 1. dimaera
R. Firenze
A. I. Macra
A. a Che di torb.
A. 1. aera
C. Sovra 'l campo
fì. ten debbia
141. da' luo{(hi || d' esti luoghi — 143. dismagra — 146. nuv. è involuto
21
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CANTO VENTESIMOQUINTO
3 ani ho duo
*2 3. T. , Dio
RiliattcìKln
2. 3. Sp. non V.
2. 3. eie' muri
IJ. con essa
3. Wii. grillando
joLÌ fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambedue le fiche,
Gridando: Togli, Iddio, che a te le squadro. /?. Toga. dìo
4. Da indi in qua mi fiir le serpi amiche,
Perch' una gU s' avvolse allora al collo,
Come dicesse: Io non vo' che più diche:
7. Ed un' altra alle braccia, e rilegollo.
Ribadendo se stessa sì dinanzi,
Che non potea con esse dare im crollo.
10. Ahi Pistoia, Pistoia, che non stanzi
D' incenerarti, sì che più non duri,
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi.
13. Per tutti i cerchi dell' inferno oscuri
Non vidi spirto in Dio tanto superbo,
Non quel che cadde a Tebe giù da' muri.
16. Ei si fuggì, che non parlò più verbo:
Ed io vidi un Centauro pien di rabbia
Venir chiamando: Ov' è, ov' è T acerbo? r. />. veu. gridando
A. l. D. fare il
r. Z>. tutti cerchi
fì. C. Sp. non vidi
*2. ainbo e due - 3. To* le Iddio — 6. die: Non vo' — 10. che non stai,
dell' inf. «Inri
anzi — 11. D' ingenerare, si ^ 12. mal far lo tuo mal s.
2r
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164
CERrH. Vili. BOLO. 7. LADRI.
INFERNO XXV. 19-42.
1. 2. ove
1. molte Toltf
1. 2. 3. eh' ei f.
i. 2. 3. all' altro
19. Maremma non cred' io che tante n' abbia,
Quante bisce egli avea su per la groppa,
Infin dove comincia nostra labbia.
22. Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
Con r ale aperte gli giacca un draco,
E quello affoca qualunque s' intoppa.
25. Lo mio Maestro disse: Quegli è Caco,
Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
28. Non va co' suoi fratei per un cammino,
Per lo fiutar frodolente che fece
Del grande armento , eh' egli ebbe a vicino :
31. Onde cessar le sue opere biece
Sotto la mazza d' Ercole , che forse
GUene die cento, e non sentì le dieee.
34. Mentre che sì parlava, ed ei trascorse,
E tre spiriti venner sotto noi.
De' quai ne io ne il Duca mio s' accorse,
37. Se non quando gridar: Chi siete voi?
Per che nostra novella si ristette.
Ed intendemmo pure ad essi poi.
40. Io non gU conoscea; ma ei seguette, '
Come suol seguitar per alcun caso.
Che r un nomare un altro convenette.
A. V ali
A. 1. Questi (?)
1). del monte
D.
«he fr«MÌ. f. - fi.
eh' ei feee
D. Ne Rli
m. verso noi
A. 1- il I>. m. né io
D. iiov. nostra
29. Per lo furo || Per lo Airto — 3&. I tre spiriti — 39. Ed attendemmo — 42. 1* un nominar 1' altro
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TERCH. Vili. BOLO. 7. LADRI.
INFERNO XXV. 43-66.
AOMKL BRUNRLLESrni.
165
1. '1. amrndue 3. nm-
bfdue
1. 2. 3. albi-r
43. Dicendo: Cianfa dove fia rimaso?
Perch' io , acciocché il Duca stesse attento,
Mi posi il dito su dal mento al naso.
46. Se tu sei or. Lettore, a creder lento
Ciò eh' io dirò, non sarà maraviglia.
Che io, che il vidi, appena il mi consento.
41). Com' io tenea levate in lor le ciglia,
Ed un serpente con sei pie si lancia
Dinanzi all' uno, e tutto a lui s'appiglia.
52. (.'oi pie di mezzo gli avvinse la pancia,
E con gli anterior le braccia prese;
Poi gli addentò e Y una e 1' altra guancia.
55 Gli diretani alle cosce distese,
E miseli la coda tr' ambe e due,
E dietro per le ren su la ritese.
58. EUera abbarbicata mai non fue
Ad arbor sì, come V orribil fiera
Per r altrui membra avviticchiò le sue :
61. Poi s' appiccar, come di calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore;
Ne r un ne 1' altro già parca quel eh' era :
64. Come procede innanzi dall' ardore
Per lo papiro suso un color bruno,
Che non è nero ancora, e il bianco more.
I), trai m. e '1 n.
/}. levato
A.
M. discesi'
1).
intr' am.
A. 2.
/}.
ambedue
fi.
(\
amendur
e.
l)arbacata
H.
an>er
e. »\\ uii
4H. rhe '1 redo ~* 50. si slancia — 57. le reni la — 62. state — (3. I' altrr» non parea — (i(>. non è vivn
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166
rKHCH. Vili. BOLO. 7. LADRI.
INFERNO XXV. 67—90.
riANFA DONATI.
()7. Gli altri due riguardavano, e ciascuno
1. Aimt^i Gridava: 0 me, Agnèl, come ti muti!
Vedi che già non sei ne due ne uno.
70. Già eran li due capi un divenuti,
Quando n' apparver due figure miste
In una faccia, ov' eran due perduti.
73. Fersi le braccia due di quattro liste;
Le cosce con le gambe, il ventre e il casso
Divenner membra che non fur mai viste.
7(). Ogni primaio aspetto ivi era casso:
Due e nessun Y imagine perversa
Parca, e tal sen già con lento passo.
7J>. ('ome il ramarro, sotto la gran fersa
De' dì canicular cangiando siepe,
Folgore par, se la via attraversa:
82. (>osì parca, venendo verso 1' epe
Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe.
85. E quella parte, donde prima è preso
Nostro alimento, all' un di lor trafisse;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso.
88. Lo trafitto il mirò, ma nulla disse:
Anzi coi pie fermati sbadigliava,
Pur come sonno o febbre 1' assalisse.
A. 2. C. D. catuno
B. D. .\u^el
A. due corpi
.4. /. fi. Si pareva
A. 2. C. doud' è pr. pr.
— ^. 1. impr. f-
A. 2. C. i^iù dinaiixi
67. altri lo rimi. - '58. .Vgiiol — 71. m' apparver — 79. Come ramarn» — tìlJ. Ne* di caii. — *tì. parte, mule di pr
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CKRrH. VII». BOLO. 7. LAURI.
INFERNO XXV. 91-114.
GUERCIO CAVALCANTI.
167
1. 2. 3. H iiiooiitrava
1. 2. J. dove tocctk
1. 1 unnidiie 3. ambe-
due
1. 2. 3. materie
91. Egli il serpente, e quei lui riguardava:
L' un per la piaga, e T altro per la bocca
Fumavan forte, e il fiimmo si scontrava.
94. Taccia Lucano ornai, là dov' ei tocca
Del misero Sabello e di Nassidio,
Ed attenda ad udir quel eh' or si scocca.
Taccia di Cadmo e d' Aretusa Ovidio :
Che se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, io non l'invidio:
Che due nature mai a fronte a fronte
H. C. lì. elove torca
A. Sahellio
97
C, e non r iiiv.
100
Non trasmutò, sì ch'ambo e due le forme .j. 2. ambod. a ambea.
B. C. ameiul.
A cambiar lor materia fosser pronte.
103. Insieme si risposero a tai norme,
Che il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrinse insieme 1' orme.
106. Le gambe con le cosce seco stesse
S' appiccar sì, che in poco la giuntura
Non facea segno alcun che si paresse.
109. TogUea la coda fessa la figura
Che si perdeva là, e la sua pelle
Si facea molle, e quella di là dura.
112. Io vidi entrar le braccia per 1' ascelle,
E i due pie della fiera, eh' eran corti,
Tanto allungar, quanto accorciavan quelle.
H, C. materie
(\ rosh*
J. m. C. peni. i;ià
95. eh' ora scocea — 99. Converti — 105. E il trafitto — 113. E due pie — 114. ascortavan || scorriavaii
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168
TERCH. Vili. BOLO. 7. LADRI.
INFERNO XXV. 115 — 138.
BUUSO D. ABATL
1. 2. 3. tr. invcr
1. naso la f.
1. 2. 8. ijiaceva
1. 2. 3. fui^ge
115. Poscia li pie diretro, insieme attorti,
Diventaron lo membro che T uom cela,
E il misero del suo n' avea due porti.
118. Mentre che il fummo 1' uno e 1' altro vela
Di color nuovo, e genera il pel suso
Per r una parte , e dall' altra il dipela ,
121. L' un si levò, e 1' altro cadde giuso,
Non torcendo però le lucerne empie,
Sotto le quai ciascun cainbiava muso.
124. Quel eh' era dritto, il trasse ver le tempie,
E di troppa materia che in là venne.
Uscir gli orecchi delle gote scempie:
127. Ciò che non corse in dietro e si ritenne,
Di quel soperchio fé' naso alla faccia,
E le labbra ingrossò quanto convenne.
IHO. Quel che giacca, il muso innanzi caccia,
E gli orecchi ritira per la testa.
Come face le corna la lumaccia:
1S3. E la hngua, che avea unita e presta
Prima a parlar, si fende, e la forcuta
Neil' altro si richiude , e il fummo resta.
1H6. L' anima, eh' era fiera divenuta.
Si fuggì sufolando per la valle,
E r altro dietro a lui parlando sputa.
R. trwsc 'a^w
B, iia*«> fare»*
B. «ìàffTì
1). ««nf f» '^^
B. fugsf -^
fa«p
120. Dall* una p. — dell' altra — altra dip. — 123. quali ciasc. cambia muso — 126. le orecchie - per le g»jt« - I2S. n*-
131. le iireccliie — 137. Siif. seii Ì.
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CERCH. Vili. BOLO. 7. LADRI. INFERNO XXV. 139- 151. PUCCIO SCIANCATO.
139. Poscia gli volse le novelle spalle,
E disse all'altro: Io vo' che Buoso corra, /;. agii altri
Com' ho fatt' io, carpon, per questo calle. ». com- fo -.o /^. como
142. Così vid' io la settima zavorra
Mutare e trasmutare; e qui mi scusi
s ri fior - 1. 2. 1* La novità , se fior la penna abborra. a. m. h. u lingua
143. Ed avvegnaché gli occhi miei confusi
Fossero alquanto, e 1' animo smagato,
Non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
148. Ch' io non scorgessi ben Puccio Sciancato :
Ed era quei che sol, de' tre compagni
Che venner prima, non era mutato:
151. L' altro era quel che tu, Gaville, piagni.
1%). Poscia ei volse — 141. Come io faccio (| Come fec* io — 144. s* è fior — 145. Avvegnaché
22
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CANTO VENTESIMOSESTO
2. 3. Firenze
1. 2. 3. del Ter
vTodi, Fiorenza, poi che sei si grande,
Che per mare e per terra batti Y ali,
E per r inferno il tuo nome si spande.
4. Tra li ladron trovai cinque cotali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
E tu in grande onranza non ne sali.
7. Ma se presso al mattin il ver si sogna,
Tu sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non eh' altri, t' agogna.
10. E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss' ei, da che pure esser dee;
Che più mi graverà, com' più m' attempo.
13. Noi ci partimmo, e su per le scalee,
Che n' avean fatte i borni a scender pria.
Rimontò il Duca mio, e trasse mee.
16. E proseguendo la solinga via
Tra le schegge e tra' rocchi dello scoglio,
Lo pie senza la man non §i spedia.
(\ Firenze
A. 2. B. a D. del ver
J. a D. fatti borni
A. 1. lo scheggio
3. inferno tuu — 6. onoruua — 12. aggreveri — 14. Che '1 bujor n' avea fatto se. — borni scender — ascender — 15. il mio
»tni — IC. perseguendo
22-
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172 TERCH. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIOL. INFERNO XXVL 19—42.
DANTE E VIRGILIO.
fì. zanzara
A. 1. colà ove
19. AUor mi dolsi, ed ora mi ridoglio,
1. 2. 3. Quando QuRiid' io diìzzo la mente a ciò eh' io vidi ; ^- ^' ^- Q»»»^" -
D. a quel
E più lo ingegno affreno eh' io non soglio ,
22. Perchè non corra, che virtù noi guidi;
Sì che se stella buona, o miglior cosa
W ha dato il ben, eh' io stesso noi m' invidi. ^ ^ (•> ^ ^"»' •"*'
— B. non m' Inv.
25. Quante il villan, eh' al poggio si riposa,
Nel tempo che colui che il mondo schiara
La faccia sua a noi tien meno ascosa,
i. 2. 3. zanza?» 28. Comc la mosca cede alla zenzara,
1. gii per Vede lucciole giù per la vallea,
1. eoli ove Forse colà dove vendemmia ed ara:
31. Di tante fiamme tutta risplendea
L' ottava bolgia, si com' io m' accorsi,
1. 2. 3. Tosto che Tosto eh' io fui là 've il fondo parea.
34. E qual colui che si vengiò con gU orsi.
Vide il carro d' EUa al dipartire ,
Quando i cavalli al cielo erti levorsi;
37. Che noi pò tea si con gU occhi seguire.
1. 2. 3. Che veti. ('Il' cì vcdcssc altro che la fiamma vsola,
Sì come nuvoletta, in su salire:
40. Tal si movea ciascuna per la gola
Del fosso, che nessuna mostra il furto,
Ed ogni tì{ynma un peccatore invola.
B. [). T«>9to ehe - A 1
r. I). fui dovei
/>. pò te a con
B. D. Che ve.L r. Thi
ved.
(\ in sul sai.
B. Del foeo
U). ed ancor mi do^liu — 27. tiene a noi nasc. — 30. Farsi colà — 33. eh' io fui ove — 37. con 1' occhio — 39. in suo salire
40. si muove
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rKRcn. vili. BOLO. 8. MALI C0NSI6L. INFERNO XXVI. 43^66.
ULISSE E DIOMEDE.
173
2. 3. ri»posi
!i. 3. rorroii
43. Io stava sopra il ponte a veder surto,
Si che, s' io non avessi un ronchion preso,
Caduto sarei giù senza esser urto.
48. E il Duca, che mi vide tanto atteso.
Disse : Dentro da' fochi son gli spirti :
(ciascun si fascia di quel eh' egli è inceso.
41). Maestro mio, rispos' io, per udirti //.risposi
Son io più certo; ma già m' era avviso
Che così fiisse, e già voleva dirti:
52. Chi è in quel foco, che vien si diviso
Di sopra, che par surger della pira,
Ov' Eteòcle col fratel fii miso ?
55. Risposemi: Là entro si marth'a
Ulisse e Diomede, e cosi insieme
Alla vendetta vanno come all' ira :
58. E dentro dalla lor fiamma si geme
L' aguato del cavai, che fé' la porta
Ond' usci de' Romani il gentil seme.
61. Piangevisi entro 1' arte, per che morta
Deidamia ancor si duol d' Achille ,
E del Palladio pena vi si porta.
(>4. S' ci posson dentro da quelle faville r. se possou
Parlar, diss' io, Maestro, assai ten prego
E riprego, che il prego vaglia mille.
U. dalla pira
D. Kispuse a me
l). dentro
H. rumili
14. rocchion — 48. che s;li è ine. ~ 50. m' era viso -^ 54. Dov' Et
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174 f^ERCH. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIGL. INFERNO XXVI. 67—90. VI
fi7. Che non mi facci dell' attender nego,
Finche la fiamma cornuta qua vegna:
Vedi che del disio ver lei mi piego.
70. Ed egli a me: La tua preghiera è degna
Di molta lode , ed io però V accetto ;
Ma fa che la tua Ungua si sostegna.
7H. Lascia parlare a me : eh' io ho concetto
Ciò che tu vuoi: eh' ei sarebbero schivi,
Perch' ei fiir Greci, forse del tuo detto.
76. Poiché la fiamma fii venuta quivi,
1. a. 3. Ove Dove parve al mio Duca tempo e loco,
In questa forma lui parlare andini:
79. 0 voi, che siete due dentro ad un foco,
S' io meritai di voi mentre eh' io \dssi,
S' io meritai di voi assai o poco,
82. Quando nel mondo gU alti versi scrissi,
Non vi movete; ma 1' un di voi dica
Dove per lui perduto a morir gissi.
85. Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando.
Pur come quella cui vento affatica.
88. Indi la cima qua e là menando.
Come fosse la lingua che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: Quando
B. eh* i' r h«
(\ Perchè Air
li. Ore
B, Ove
D. che vento
V. lÀ e i|ua
09. ver lor — 73. che io concetto — 74. Ciò che vuoi dir — 78. fornm a lui — 84. pcrdutto ~ 90. GitU» voci || Gittò foco || Vocitò voce
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rKRCH. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIOL. INFERNO XXVI. 91-- 114.
ULISSE.
175
>ot«ro — 3. a me
L 3. iustu
, 3. Marroeco
91. Mi diparti' da Circe, che sottrasse
Me più d' un anno là presso a Gaeta, ^. cajet»
Prima che si Enea la nominasse;
94. Ne dolcezza di figlio, ne la pietà
Del vecchio padre, ne il debito amore,
Lo qual dovea Penelope far Ueta, 4 Penelope
97. Vincer poter dentro da me 1' ardore
Ch' r ebbi a divenir del mondo esperto ,
E degli vizii umani e del valore:
100. Ma misi me per Y alto mare aperto
Sol con un legno e con quella compagna
Picciola, dalla qual non fui deserto.
103. L' un lito e V altro vidi infin la Spagna,
Fin nel Morrocco, e l' isola de' Sardi,
E r altre che quel mare intorno bagna.
106. Io e i compagni eravam vecchi e tardi,
Quando venimmo a quella foce stretta,
Ov' Ercole segnò li suoi riguardi,
109. Acciocché 1' uom più oltre non si metta:
Dalla man destra mi lasciai Sibilla,
Dall' altra già m' avea lasciata Setta.
112. 0 frati, dissi, che per cento miUa
Perigli siete giunti all' occidente, a. 2. r. punti «ete
A questa tanto picciola vigilia a. piccola
(\ D. Piccola
B. vidi insin
/>. Fin al
A. 2. C. U. I)«v' Ere.
97. Vincer poteo ^ dentro me — 96. ebbi divenir — 1(U. della qual — 103. lito vidi e 1* altro — 104. Mcmrocco — 105. K 1' altra —
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176 CERCH. vili. BOLO. 8. MALI CONSIOL. INFERNO XXVI. 115—138. ULISSE.
1. dirimali. 115. De' vostri sensi, eh' è del lìmanente, e. dc nostri - ^. di
rim.
Non vogliate negar 1' esperienza,
Diretro al sol, del mondo senza gente.
118. Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
121. Li miei compagni fec' io sì acuti, j. ».. r. />./. arguti
Con questa orazion picciola, al cammino,
Che appena poscia gli avrei ritenuti.
124. E, volta nostra poppa nel mattino.
De' remi facemmo ale al foUe volo, ^ «i^
1. 2. H. <iei lak. Scmprc acquistando dal lato mancino.
127. Tutte le stelle già dell' altro polo
Vedea la notte, e il nostro tanto basso,
Che non surgeva fuor del marin suolo.
130. Cinque volte racceso, e tante casso
Lo lume era di sotto dalla luna, ^i. m. r. z>. ddia lun.
Poi eh' entrati eravam nell' alto passo , /?. »itro p.
133. Quando n' apparve una montagna bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto.
Quanto veduta non n'aveva alcuna. .4. a non av^va
136. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
1. 2. .3. • dalla Che dcUa nuova terra un turbo nacque ,
E percosse del legno il primo canto.
119. utili siete — 120- virtù e con. — 1*23. sverei tenuti — 125. a folle v. — 127. alto polo — 129. siirgea di fuor — 131. Il lume -
134. pareami — 135. non m" avea — 137. un trombo nacque
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ci:nrii. viii. bolo. 8. mali consiol. INFERNO XXVI. 139- 142. Ulisse. 177
139. Tre volte il fé' girar con tutte Y acque,
Alla quarta levar la poppa in suso,
E la prora ire in giù, com' altrui piacque.
142. Infin che il mar fu sopra noi richiuso.
141. K ritornar in giù, come
23
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CANTO VENTESIMOSETTIMO
ijrià era dritta in su la fiamma e qiieta,
Per non dir più, e già da noi sen già
Con la licenza del dolce Poeta;
4. Quando un' altra, che dietro a lei venia,
Ne fece volger gli occhi alla sua cima,
Per un confuso suon che fuor n' uscia.
7. Come il bue CiciUan che mugghiò prima
Col pianto di colui (e ciò fu dritto)
Che r avea temperato con sua Urna,
10. Mugghiava con la voce dell' afflitto,
Sì che, con tutto eh' ei fosse di rame,
u Purf par. Purc c' parcva dal dolor trafitto :
13. Così per non aver via ne forame,
1. 2. 3. del foco Dal principio nel foco , in suo linguaggio a. w. b. c. d. dei foco
Si convertivan le parole grame.
16. Ma poscia eh' ebber colto lor viaggio ^i. r^chebbe
Su per la punta, dandole quel guizzo d. cundoii
Che dato avea la lingua in lor passaggio,
1. fiamma queta — 12. Ei pur mugghiava dal — 14. Da principio
23*
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180 CERCH. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIGL. INFERNO XXVII. 19 — 42.
GUIDO DA MONTEFELTHO.
1. * isto 2. 3. issa
I. 2. 3. aizzo
1. 2. 3. onde mia
l. 2. .3. che Tever
1. 2. 3. Ma i>al.
3. or vcn
3. come e st.
3. In si cova
19. Udimmo dire: 0 tu, a cui io drizzo
La voce, e che parlavi mo Lombardo,
Dicendo: istra ten va, più non t' adizzo:
22. Perch' io sia giunto forse alquanto tardo,
Non t' incresca restare a parlar meco:
Vedi che non in cresce a me, ed ardo.
25. Se tu pur mo in questo mondo cieco
Caduto sei di quella dolce terra
Latina , ond' io mia colpa tutta reco ,
28. Dimmi se i Romagnuoli han pace, o guerra;
Ch' io fili de' monti là intra Urbino
E il giogo di che '1 Tever si disserra.
31. Io era ingiuso ancora attento e chino,
Quando il mio Duca mi tentò di costa,
Dicendo: Parla tu, questi è Latino.
M. Ed io eh' avea già pronta la risposta.
Senza indugio a parlare incominciai:
0 anima, che se' laggiù nascosta,
37. Romagna tua non è, e non fu mai.
Senza guerra ne' cor de' suoi tiranni:
Ma 'n palese nessuna or vi lasciai.
40. Ravenna sta, come stata è molti anni:
L' aquila da Polenta la si cova,
Si che Cervia ricopre co' suoi vanni.
A. in «tra ('. stra
IJ. ti ria or. stare
S. r. risUre
I). no rincresce
B. onde — A. 2. (\ tutta
mia e.
//. «he Tcvcr
A. 2. r. intento
(\ pronta srià
B. or veii
10. n cui dirizzo — 21. istà ten va || sta ten va || statti o va — t' attizzo || t' adrizzo — 22. <;iunto (pta alqu. — 2?i. t* iner. di stare —
31). V' il i;i<»<?o »' clic Tevere disserra — 31. era anc. in giù att. — 37. non è, uè non - 38. guerra, nò fuor - 39. veriina or - 41. I.' a<;(i^lìa
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fERCII. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIOL. INFERNO XXVII. 43 — 06.
OUIDO DA MONTEFKLTRO.
181
I, 3. 3. di Franr.
1. 'l 1..1 ritta
1. 'juolla
43. La terra che fé' già la lunga prova,
E de' Franceschi sanguinoso mucchio.
Sotto le branche verdi si ritrova.
1. V 3. K 1 Masun V. 4(}, jj Mastìu vccchio, e il nuovo da Verrucchio,
Che fecer di Montagna il mal govei-no.
Là dove soglion, fan de' denti succliio.
49. Le città di Lamone e di Santei^no
Conduce il leoncel dal nido bianco.
Che muta parte dalla state al verno:
52. E quella a cui il Savio bagna il fianco,
(.'osi fom' ella sie' tra il piano e il monte,
Tra tirannia si vive e stato franco.
55. Ora chi sei ti prego che ne conte:
Non esser dm'o più eh' altri sia stato,
Se il nome tuo nel mondo tegna fronte.
58. Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato
Al modo suo, 1' acuta punta mosse
Di qua, di là, e poi die cotal fiato:
6L S' io credessi che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo.
Questa fiamma stana senza più scosse:
fi4. Ma perciocché giammai di questo fondo
Non tornò vivo alcun , s' i" odo il vero ,
Senza tema d' infamia ti rispondo.
1- 1 ritornò air.
n. D. tli Frane.
J. l.('')^./>. E •! Mastio
V. - (\ Ih dal Ver.
A. 1. (?) //. r. 1. (i) I).
La città
A, 2. r. U. del nido
n. dall' estate
H. (\ D. (|uella cui
(\ come sie*
A. 2. e. «lur i>iù eh' altri ti
ti. ritornò alcun
lì*, la brADca verde — 48. far de* denti — fA. com' ella si è - 54. Trai tiranni — in .stato franco — 59. Al mondo suo — (i4. Ma
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182 TERCH. Vili. BOLO. 8. MALI CONSIOL. INFERNO XXVII. 67 — 90. GUIDO DA MOSTEFELTSO.
1. 2. 3. rordigiipro 67. lo fuì uoiii d' aiTOc , c poi fili cordelliero, *. roni..:^r,
Credendomi, si cinto, fare ammenda:
E certo il creder mio veniva intero,
70. 8e non fosse il gran Prete, a cui mal prenda,
Che mi rimise nelle prime colpe;
E come, e quare voglio che m'intenda.
7H. Mentre eh' io forma fui d' ossa e di polpe ,
Che la madre mi die, Y opere mie
Non furon leonine, ma di volpe.
7fi. Gli accorgimenti e le coperte ^de
Io seppi tutte; e sì menai lor arte,
Ch' al fine della terra il suono uscie.
79. Quando mi vidi giunto in quella parte e. Qu»ii.ri
1. 2. 3. età dove Di mia etade, ove ciascun dovrebbe //. /Arù.a.-r
(vaiar le vele e raccogUer le sarte,
82. (Jiò che pria mi piaceva, allor m' increbbe, A.^rvnm,^.
E pentuto e confesso mi rendei;
Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
85. Lo Principe de' nuovi Farisei, j .«. ^3I*1^
Avendo guerra presso a Laterano, dmUm
E non con Saracin, ne con Giudei;
88. (^hè ciascun suo nimico era Cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri,
Nò mercatante in terra di Soldano:
72. E rome, e quale - 73. che in forma || che forma — 77. e seminai — tal arte — 80. Di quella età - 82. Ciò ehr m'mp*^-
K. de' vivi Farisei — R7. co' Saracin — 90. terra del Sold.
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. 3. rostaiitin
CKRCH. vin. BOLO. 8. MALI COKSIOL. INFERNO XXVn. 91 — 114.
91. Ne sommo offizio, ne ordini sacri
Guardò in se, ne in me quel capestro
(>he solea far li suoi cinti più macri.
94. Ma come Constantin chiese Silvestro
Dentro Siratti a guarir della lebbre,
Cosi mi chiese questi per maestro
97. A guarir della sua superba febbre:
Domandommi consigho, ed io tacetti,
Perchè le sue parole parver ebbre.
100. E poi mi disse: Tuo cor non sospetti:
Finor t' assolvo , e tu m' insegna fare
Si come Penestrino in terra getti.
103. Lo ciel poss' io serrare e disserrare,
Come tu sai; però son due le chiavi,
Che il mio antecessor non ebbe care.
106. Allor mi pinser gli argomenti gravi
Là Ve il tacer mi fu avviso il peggio,
E dissi: Padre, da che tu mi lavi
109. Di quel peccato, ov' io mo cader deggio,
Lunga promessa con Y attender corto
Ti farà trionfar nell' alto seggio.
112. Francesco venne poi, com' io fui morto.
Per me; ma un de' neri Cherubini
x«i. portar Gli dlssc : Nol portar; non mi far torto.
GUIDO DA MONTEFELTRO.
183
2. 3. ove mo
D. i suoi
H. (.'ostonfin
B. deUe
A. MI. E poi ridisse
C Poi mi rid.
B. m' inspflcne
B. I). ove mo
A. (\ U. Non portar
91. Ne '1 sommo || Non sommo — 92. Guardando ia sé — questo cap. — 95. dalla lebbre — 96. Cosi questi mi chiese — 101. m* ins.
• - 102. Prenestìno |{ Pellestrino || Palestriuo — 107. Là 've tacere — HO. impromessa — V attener — 112. poi che io fui jl poi eh' io mi
poi da eh' io fili [| da poi eh* io fui
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184 ("ERt^H. vili. BOLO. 8. MALI i'ONSIGL. INFERNO XXVII. 115 — 136. GUIDO DA MONTF.FKLTBO.
i. 2. 3. se nr dee ?m 115. Veiùr scii (lec là gìù tra' uiìoì mescliini. .4.2.R r. />. *« ucd.c
giù
Perche diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono a' crini;
118. Ch' assolver non si può, chi non si pente.
Ne pentere e volere insieme puossi,
1. Per contrad. Per la coutradiziou che noi consente.
121. 0 me dolente! come mi riscossi,
Quando mi prese, dicendomi: Forse
Tu non pensavi eh' io loico fossi !
124. A Minos mi portò: e quegli attorse
Otto volte la coda al dosso duro,
E, poi che per gran rabbia la si morse,
127. Disse: Questi è de' rei del foco furo:
Perch' io là dove vedi son perduto,
E SI vestito andando mi rancuro.
130. Quand' egli ebbe il suo dir cosi compiuto,
La fiamma dolorando si paitio,
Torcendo e dibattendo il corno acuto.
133. Noi passammo oltre, ed io e il Duca mio.
Su per lo scoglio infino in suU' altr' arco
Che copre il fosso, in che si paga il fio
1 36. A quei che scommettendo acquistan carco. a. m. r. u, d. quei
115. \'enir or giù seii dee || Ven. non dee quacrgiù — U6. Però che die' — 117. Da ludi in qua — 119. peulir — 121. eom' io nu
rÌKC. — 123. logieo — 127. rei dal foeo — 132. Tore, e detoreeudo — 133. il Duca mio ed io — 134. infino sull' ai. — 13(>. soronietteudd
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CANTO VENTE8IM0TTAY0
1. 'L 3. Se s' adun.
2. 3. sentio
V_yhi poria mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch' i' ora vidi, per narrar più volte?
4. Ogni lingua per certo verria meno
Per lo nostro sermone e per la mente,
Ch' hanno a tanto comprender poco seno.
7. S' ei s' adunasse ancor tutta la gente ,
Che già in sulla fortunata terra
Di Puglia fu del suo sangue dolente
10. Per li Troiani, e per la lunga guerra
Che dell' anella fé' si alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra:
13. Con quella che sentì di colpi doghe,
Per contrastare a Roberto Guiscardo.
E r altra, il cui ossame ancor s' accoghe
16. A Ceperan, là dove fu bugiardo
Ciascun Pughese, e là da Taghacozzo
Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo :
IJ. ptiiria
H. I). Sr 8* adun.
A. 2. C. o per
A. m. C. si larghe
B. sentio
A. 2. r\ IJ. Deve
3. Che ora vidi — 8. Che giace — 9. Di Puglia e fu — del sangue suo — 10. Per li Romaui — 12. Com' Tito Livio || Siccome
• fio — scrìsse Livio — 14. Viscardo
I. 24
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186 CRRCH. vili. BOLO. 9. SKMIN. DI SCAND. INFERNO XXVIII. 19 — 42.
MAOMETTO.
1. 2. 3. d' Agguagliar
1. 2. 3. ]1 modo
1. 2. 3. insili
1. 2. 3. * corata
1. Macometto
l. è c]iii
19. E qual forato suo membro, e qual mozzo
Mostrasse, da equar sarebbe nulla
Al modo della nona bolgia sozzo.
22. Già veggia per mezzul perdere o luUa,
Com' io vidi un, così non si pertugia,
Rotto dal mento infin dove si trulla:
25. Tra le gambe pendevan le minugia;
La curata pareva, e il tristo sacco
Che merda fa di quel che si trangugia.
28. Mentre che tutto in lui veder m' attacco ,
Guardommi, e con le man s' aperse il petto,
Dicendo: Or vedi come io mi dilacco:
31. Vedi come storpiato è Maometto.
Dinanzi a me sen va piangendo Ali
Fesso nel volto dal mento al ciuffetto:
34. E tutti gii altri, che tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma
Fur vivi; e però son fessi cosi.
37. Un diavolo è qua dietro che n' accisma
Sì crudelmente, al tagho della spada
Rimettendo ciascun di questa risma,
40. Quando avem volta la dolente strada;
Perocché le ferite son richiuse
Prima eh' altri dinanzi gli rivada.
B. Il modo
JJ. Fesso — B. insin
C. ove
D. pendeva la
A. 2. C. par. il
B. m. C. scoppiato
r. Fur ivi
C\ D.
21. nuova bolgia — 22. mezzul fendere — 28. in lui ved. tutto — 31. come scìpato — 35. di scandali
tutti; però — 37. assisma — 40. avem volto — 41. rinchiuse
36. Fur vivi ; pert^ || Fur
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CXBCII. vili. BOLO. 9. 8EMIN. DI SCAND. INFERNO XXVIII. 43 — 66.
FRA DOLCINO.
187
43. Ma tu chi se' che in sullo scoglio muse,
Forse per indugiar d' ire alla pena,
Ch' è giudicata in sulle tue accuse?
46. Ne morte il giunse ancor, ne colpa il mena,
Rispose il mio Maestro, a tormentarlo;
Ma per dar lui esperienza piena,
49. A me, che morto son, convien menarlo
Per lo inferno quaggiù di giro in giro:
E questo è ver cosi com' io ti parlo.
52. Più fur di cento che, quando 1' udirò,
S' arrestaron nel fosso a riguardanni •
Per maraviglia obbliando il martiro.
55. Or di' a Fra Dolcin dunque che s' armi,
luiuoi-i. di breve Tu chc forse vedrai lo sole in breve,
S' egli non vuol qui tosto seguitarmi,
58. Sì di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch' altrimenti acquistar non saria lieve.
61. Poi che r un pie per girsene sospese,
iMvoiniiietio Maomctto mi disse està parola.
Indi a partirsi in terra lo distese.
64. Un altro, che forata avea la gola
E tronco il naso infin sotto le ciglia,
E non avea ma' eh' un' orecchia sola ,•
e. com' io COI»!
B. il sole
A. Maoniet R. Macometto
A. forato
D. av. che una
45. Che han giud. — 50. Per questo inferno giù — 59. Novarese — (56. dentro le ciglia — 66. un' oreglia
24*
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188 CKncii. vili. BOLO. 9. SKMIN. DI SCAND. INFERNO XXVIII. 67 — 90.
PIER DA MEDICINA.
1. 2. 3. Vcrccllo
1. da Fano
B. Vercello
D. da Fano
(57. Restato a riguardar per maraviglia e: Ristato
Con gli altri, innanzi agli altri aprì la canna
Ch' era di fuor d' ogni parte vermiglia;
2. 3. disse: o tu 70. E dissc i Tu , cuì colpa non condanna,
1. 2. 3. cui gii vidi E cui io vidi su in terra Latina,
Se troppa simiglianza non m' inganna,
73. Rimembriti di Pier da Medicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano,
(>he da Vercelli a Marcabò dichina.
7(). E fa saper ai due miglior di Fano,
A messer Guido ed anco ad Angiolello
Che , se V antiveder qui non è vano,
79. Gittati saran fuor di lor vasello,
1. macerati E mazzcratì presso alla Cattolica,
Per tradimento d' un tiranno fello.
1. 2. 3. Cipri 82. Tra Y isola di Cipro e di Maiolica
1. mai rotai Nou vldc mal si gran fallo Nettuno ,
1. piratc Non da pirati, non da gente Argolica.
85. Quel traditor che vede pur con V uno ,
E tien la terra, che tal è qui meco.
Vorrebbe di vedere esser digiuno,
88. Farà venirli a parlamento seco;
Poi farà sì, che al vento di Focara
Non farà lor mestior voto ne preco.
B. cui vidi già in - U.
in su terra A. in sua i.
D. del lor
tt. C. D. Cipri
B. D. mai eotal
A. B. i>irate
.J. 1. vederla
71. K eli' io vidi — 73. Rammentiti — 77. Angelello — 79. vascello || ostello — 83. fallo ne.ssuuu — 84. Non di p., uim di i;. .\rg. ||
Non da Ideate pirata, non da Arg. — 90. Non sarà
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e £K<'tI. vili. BOLO. 9. S£MIN. DI SCAND. INFERNO XXVIII. 91—114. FIKR DA MEDICINA.
91. Ed io a lui: Dimostrami e dichiara,
Se vuoi eh' io porti su di te novella,
Chi è colui dalla veduta amara. d. deu»
94. AUor pose la mano alla mascella
D' un suo compagno, e la bocca gU aperse
Gridando: Questi è desso, e non favella: ^.i. Questo
97. Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando che il fornito
Sempre con danno 1' attender sofierse.
100. 0 quanto mi pareva sbigottito
Con la lingua tagliata nella sti*ozza,
Curio, eh' a dire fii così ardito!
103. Ed un eh' avea 1' una e 1' altra man mozza,
Levando i moncherin per 1' aura fosca,
Sì che il sangue facea la faccia sozza,
106. Gridò: Ricorderà' ti anche del Mosca,
Che dissi, lasso! Capo ha cosa fatta,
Che fu il mal seme per la gente tosca.
109. Ed io gli aggiunsi: E morte di tua schiatta; .i. liRiimsi
Perch' egli accumulando duol con duolo,
Sen gio come persona trista e matta.
112. Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
E vidi cosa eh' io avrei paura,
Senza più prova, di contarla solo;
189
3. l'h' a tlieer
3. tirila gente
3. v' aggiunsi
A. 2. C. D. a dir fu
B. a dicer fu
D. r aria
C. D. anco
A, t. cir è il a D.
fu mal — B. della gente
94. Allur pone — 1UI3. Ricorderai anche — 107. Che disse
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190 CERCH. vili. BOLO. 9. SEMIN. DI SCAND. INFERNO XXVUI. 115-138.
BERTBAH li. BORNIO.
2. 3. osbergo
1. 2. 3. K «juei
1. 2. 3. appiè
3. al re (.ìiovane diedi -
1. 2. 3. i mai e.
1. 2. 3. Absal.
l. putizelli
115. Se non che coscienza mi assicura,
La buona compagnia che Y uom francheggia
Sotto r asbergo del sentirsi pura.
118. Io vidi certo, ed ancor par eh' io '1 reggia,
Un busto senza capo andar, si come
Andavan gli altri della trista greggia.
121. E il capo tronco tenea per le chiome,
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e dicea: 0 me!
124. Di se faceva a se stesso lucerna.
Ed eran due in uno, ed uno in due;
Com' esster può. Quei sa che si governa.
127. Quando diritto al pie del ponte fiie.
Levò il braccio alto con tutta la testa
Per appressarne le parole sue,
130. Che furo: Or vedi la pena molesta
Tu che, spirando, vai veggendo i morti:
Vedi se alcuna è grande come questa;
133. E perchè tu di me novella porti,
Sappi eh' io son Bertram dal Bornio, quelli
Che diedi al re Giovanni mai conforti.
136. Io feci il padre e il figlio in se ribelli:
Achitòfel non fé' più d' Ansalone
E di David co' malvagi pungelli.
e. D. osbergo
B. E quei
A. 2. a Quei 1 sa
V. il sa
B. D. a pie
2. C. novelle
Beltramo del B.
A. 2. B. Absal.
B. D. Né di D. -
A. B. puiizelli
117. uabenso — 122. Pensol || Presol || Preso — 135. Che d. al re giorane — 196. figlio esser ri)».
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CERCH. vili. BOLO. 9- SEMIN. DI SCAND. INFERNO XXVIII. 139-142. BERTRAM D. BORNIO. 191
139. Perch'io partii così giunte persone,
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio eh' è in questo troncone.
142. Così s' osserva in me lo contrapasso.
142. Cosi si serva
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CANTO VENTESIMONONO
2 si so/T.
i. 2. non credi
1. dietro
Aja molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie sì inebriate,
('he dello stare a piangere eran vaghe;
4. Ma VirgiUo mi disse: Che pur guate?
Perchè la vista tua pur si soflFolge
Laggiù tra 1' ombre triste smozzicate?
7. Tu non hai fatto si all' altre bolge :
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che migUa ventidue la valle volge;
10. E già la luna è sotto i nostri piedi:
Lo tempo è poco omai che n è concesso,
Ed altro è da veder che tu non vedi.
13. Se tu avessi, rispos' io appresso,
Atteso alla cagion perch' io guardava.
Forse m' avresti ancor lo star dimesso.
16. Parte sen già, ed io retro gli andava.
Lo Duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo: Dentro a quella cava.
A. plaghe
JJ. tr. e sniozz.
A. si fatto
IJ. annumerar
fi. luna sutto ~ B. C.
s. nostri
C. IK V. 'l tempo
4. Che più {;uat« ?
1.
•25
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194 CERCH. vili. BOLG. 9. SEMIN. DI SCAND. INFERNO XXIX. 19 — 42. OEHI DELBELL(».
1. 2. 3. ten. gli orchi 19. Dov' io teDCva or l'occhio si a posta, ^ i. ovio-
Credo che un spirto del mio sangue pianga A.^wn^
La colpa che laggiù cotanto costa.
22. Allor disse il Maestro: Non si franga
1.0 tuo pensier da qui innanzi sopr' elio :
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
25. Ch' io vidi lui a pie del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
2. E vidi nom. Ed udl '1 uomluar Geri del Bello.
28. Tu eri allor sì del tutto impedito
Sopra colui che già tenne Altaforte,
Che non guardasti in là; sì fii partito.
31. 0 Duca mio, la violenta morte
Che non gli è vendicata ancor, diss' io,
Per alcun che dell' onta sia consorte,
1. 2. 3. onde se.. 34. Fccc lui dìsdcguoso ; ond' ei sen gio
1. 2. 3. io stimo Senza parlarmi, sì com' io estimo; /? e u i< -
Ed in ciò m' ha e' fatto a se più pio.
1. 2. 3. iiisii.., 37. Così parlammo infino al loco piimo
Che dello scoglio 1' altra valle mostra,
1.2. lami Se più lume vi fosse, tutto ad imo.
40. Quando noi fummo in sulF ultima chiostra a fummo st
Di Malebolge , sì che i suoi conversi « e ^^e «
Potean parere alla veduta nostra,
20. Credo uno sp. — 24. e quei là — 5S. al pie del |j di là del — 27. Ed udi. nom. — 30. guard. iu luì — si' fu par? - ^
fatto II ut' ha fatto elli — assai più pio || a lui più pio — 37. al lato pr. ^ 38. 1' alta valle — 39. Se vi fosse più lumi
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TERCH. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXIX. 43 — 66. DANTE E VIRGILIO. 195
43. Lamenti saettaron me diversi,
Che di pietà ferrati avean gli strali:
Ond' io gli orecchi colle man copersi.
46. Qual dolor fora, se degli spedali
Di Valdichiana tra il luglio e il settembre , ^ ''^' ^ ■ '" '"«^'^ -
1. li sard. e di Mar. E di Maremma e di Sardigna i mali « 'H sard. e di M*r.
49. Fossero in una fossa tutti insembre;
Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva, />. iH.^a
1. 2, 3. suole uscir - Qual suol vculr delle marcite membre.
3. dalle
52. Noi discendemmo in sull'.ultima riva
Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
Ed allor fii la mia vista più viva
13. fondo, dove 55. GIÙ vcr lo fondo, là Ve la ministra r. /a fondo, dove
Dell' alto Sire, infallibil giustizia,
Punisce i falsator che qui registra.
58. Non credo che a veder maggior tristizia
Fosse in Egina il popol tutto infermo.
Quando fu 1' aer sì pien di malizia,
61. Che gli animali infino al picciol vermo
Cascaron tutti, e poi le genti antiche,
Secondo che i poeti hanno per fermo, ^. 2. ^ r. z>. che poeti
64. Si ristorar di seme di formiche;
Ch' era a veder per quella oscura valle
Languir gli spirti per diverse biche.
43. saettare in me || sacttaronmi — 44. Che di pianto — 46. Qu. dol. fuora esce dei^li — 49. iu una tutte <{uante ins. — 51. mar-
Itif- lucnibre |] fracide ni. — .^. pur a man sin. — 54. A'ista assai più — 55. Giù in ver del f. — 57. i malfattor - i'A. dei semi dì f. —
'« per la divi.sa v.
25*
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196
CERCH. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXIX. 67—90.
ORIFFOUN»».
1. 2. appoggiati
•2. 3. 8' appoggia
1. 2. 3. a' pie
1. 2. da sigiiorso
1. 2. 3. E si ir.
1. E d' altro
1. 2. 3. a un
1. 2. .3. Dimmi
67. Qua! sopra il ventre, e qual sopra le spalle
L' un dell' altro giacea, e qual carpone
Si trasmutava per lo tristo calle.
70. Passo passo andavam senza sermone,
Guardando ed ascoltando gli ammalati,
Che non potean levar le lor persone.
73. Io vidi due sedere a se poggiati.
Come a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
Dal capo al pie di scliianze maculati:
76. E non vidi giammai menare streggliia
Da ragazzo aspettato dal signorso.
Ne da colui che mal volentier vegghia;
79. Come ciascun menava spesso il morso
Dell' unghie sopra se per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso.
82. E sì traevan giù 1' unghie la scabbia,
Come coltel di scardova le scaglie,
0 d' altro pesce che più larghe 1' abbia.
85. 0 tu che colle dita ti dismaglie,
Cominciò il Duca mio all' un di loro ,
E che fai d' esse tal volta tanaglie,
88. Dinne s' alcun Latino è tra costoro
Che son quinc' entro, se 1' unghia ti basti
Eternalmente a cotesto lavoro.
(\ al sr^ld.
I). s' ipp---:?.'
.-1. 2. B. (. l>. l
.-1. 1. -ini -*srr
69. lo stretto calle — 76. menar sì stregghia — 77. A ragazso -- 78. Ne a colui — 89. Che son «jiia dentro
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PERCH. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXIX. 91 — 114.
GRIFFOLINO.
197
]. 3. 3. amliodur
3. Alberto
91. Latin sem noi, che tu vedi si guasti
Qui ambo e due , rispose V un piangendo :
Ma tu chi se\ clie di noi domandasti?
94. E il Duca disse: Io son un che discendo
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar l' inferno a lui intendo.
97. AUor si ruppe lo comun rincalzo;
E tremando ciascuno a me si volse
('on altri che V udiron di rimbalzo.
100. Lo buon Maestro a me tutto s' accolse,
Dicendo : Di' a lor ciò che tu vuoli.
Ed io incominciai , poscia eh' ei volse :
103. Se la vostra memoria non' s' imboli
Nel primo mondo dall' umane menti,
Ma s' ella viva sotto molti soli ,
lOfi. Ditemi chi voi siete e di che genti:
La vostra sconcia e fastidiosa pena
Di palesarvi a me non vi spaventi.
109. Io fui d'Arezzo, ed Albero da Siena,
Rispose r un , mi fé' mettere al foco ;
Ma quel perch' io mori' qui non mi mena.
112. Ver è ch'io dissi a lui, parlando a gioco.
Io mi saprei levar per 1' aere a volo :
E quei che avea vaghezza e senno poco.
A. 2. D. ambed. B.
«mbod. C. umend.
/>. Voti e,\'i altri
// involi
(1). -- XXXlll. 9.]
f\ e sonno
i4. \m Dura disse - 9G. a lui 1* inf. int. — 102. io cominciai — 106. Dinne chi voi — 1(^. Abato da S. - 11*2. eh' io dis»! lui
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198
CKRCII. Vili. BOLO. 10. FALSATORI.
INFERNO XXIX. 115-139.
CAPOCCHIO.
1. 2. 3. per 1' «Icli.
1. '2. 3. fallir
1. 2. 3. Tranne lo Str.
l. (■outra Senesi
1. 2. 3. tea <lef
115. Volle eh' io gli mostrassi 1' arte; e solo
Perch' io noi feci Dedalo, mi fece
Ardere a tal, che T avea per figliuoh).
118. Ma nell'ultima bolgia delle diece
Me per alchimia che nel mondo usai,
Dannò Minos, a cui fallar non lece.
121. Ed io dissi al Poeta: Or fu giammai
Gente si vana come la sanese?
Orto non la francesca sì d' assai.
124. Onde l'altro lebbroso che m'intese.
Rispose al detto mio: Trammene Stricca,
Che seppe far le temperate spese;
127. E Niccolò, che la costuma ricca
Del garofano prima discoperse
Neil' orto, dove tal seme s' appicca;
IHO. E tranne la brigata, in che disperse»
Caccia d' Ascian la vigna e la gran fronda,
E r Abbagliato il suo senno proferse.
IHS. Ma perchè sappi chi sì ti seconda
Contra i Sanesi, aguzza ver me V occhio
Sì, che la faccia mia ben ti risponda;
VM). 8ì vedrai eh' io son 1' ombra di Capocchio,
Che falsai li metalli con alchimia,
E ti dei ricordar, se ben t' adocchio ,
1S9. Com' io fui di natura buona scimia.
B. (\ per r alrli.
r, a cui peccar
B. senese
/?. (\ Contra S.
fì. Senesi
A. 2. B. r. O. le dcf
TiU. Neil' urtu. ove cdUl — 130. E trammeu' la brig. — 131. C. d' Asciano la v. e la fronda - la i;rau ftmda — 132. K V .tbl^diAt*
suo .senno — 134. drizza ver me — 136. E vedrai — 137. con V alchimia
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(ANTO TRENTESIMO
1 mostro ((ia anA
1. 2. 3. co' duo
I. Venir, care, di
'- 3. incarco
iN el tempo che Giunone era crucciata
Per Semelè contra il sangue tebano,
Come mostrò una ed altra fiata,
4. Atamante divenne tanto insano,
Che veggendo la moglie con due tìgli
Andar carcata da ciascuna mano,
7. Gridò: Tendiam le reti, sì ch'io pigli
La leonessa e i leoncini al varco:
E poi distese i dispietati artigh,
10. Prendendo T un che avea nome Learco,
E rotollo, e percosselo ad un sasso;
E quella s' annegò con 1' altro carco.
13. E quando la fortuna volse in basso
L' altezza de' Troian che tutto ardiva.
Si che insieme col regno il re fu casso:
16. Ecuba trista misera e cattiva.
Poscia che vide Polissena morta,
E del suo Polidoro in sulla riva
fi. co' duo
A. m. fi. Venir care.
r. incarco
2. iloti lo saneue teb. — 3. ed una ed altra f. — 7. Disse: Tendiam — la rete — Ib. K 'l bel suo Poi.
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200 CERCH. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXX. 19 — 42. MIRRA.
19. Del mar si fu la dolorosa accorta,
Forsennata latrò si come cane;
1. 2. Tanto dolor. - Tanto il dolor le fé' la mente torta.
l. la fé"
22. Ma ne di Tebe furie ne Troiane * a. i. Ma noo (?)
Si vider mai in alcun tanto crude,
Non punger bestie , non che membra umane, <■ no m punger
1.2. Vidi due 25. Quant' io vidi in due ombre smorte e nude, /?. yididuc
Che mordendo correvan di quel modo
Che il porco quando del porcil si schiude.
28. L' una giunse a Capocchio, ed in sul nodo
Del collo r assannò sì che, tubando.
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.
31. E r Aretin, che rimase tremando, //.tirando
Mi disse: Quel folletto è Gianni Schicchi,
E va rabbioso altrui cosi conciando.
H4. 0, diss' io lui, se 1' altro non ti ficchi ^. r. dusnui
Li denti addosso, non ti sia fatica ff. lì uiMcMom
A dir chi è, pria che di qui si spicchi. ^.2. a dar
37. Ed egli a me : Queir è V anima antica
Di Mirra scellerata, che divenne
Al padre, ftior del dritto amore, amica.
40. Questa a peccar con esso cosi venne,
Falsificando se in altrui forma,
1.2. 3. .he iu là Come l'altro, che là sen va, sostenne,
27. Clic porco — 28. (ìiunse Capocclùo - 29. 1' azzannò — 32. ^'anni Srhicchi — 34. non t' inficchi — 36, A dirmi chi e — 39. Fuor
del diritta amor, al padre am.
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CHRCH. vili. BOLG. 10. FALSATORI. INFERNO XXX. 43 — 66. GIANNI SCHICCHI. 201
43. Per guadagnar la donna della torma,
Falsificare in se Buoso Donati,
Testando, e dando al testamento norma.
46. E poi che i due rabbiosi fiir passati,
L so%ra i quali Sopra cu' io avea V occhio tenuto, a. 2. e. sopra q..aii
Rivolsilo a guardar gli altri mal nati.
49. Io vidi un, fatto a guisa di liuto, ^. leuto
Pur eh' egli avesse avuta Y anguinaia
Tronca dal lato, che l'uomo ha forcuto. ^. 2. dair aito
a dall' altro
I. idropisia 52. La grave idropisì, che sì dispaia
Le membra con l'umor che mal converte, e. che 1 mai
Che il viso non risponde alla ventraia,
L 3. Fac. lui 55. Faceva a lui tener le labbra aperte, /y. Fa*, lui
Come r etico fa, che per la sete
i 3. rivcrti L' un verso il mento e 1' altro in su rinverte. ^- 'averte
58. 0 voi, che senza alcuna pena siete
(E non so io perchè) nel mondo gramo,
Diss' egh a noi, guardate ed attendete
61. Alla miseria del maestro Adamo:
Io ebbi, vivo, assai di quel ch'io volli.
Ed ora, lasso! un gocciol d' acqua bramo.
64. Li ruscelletti, che dei verdi colU
Del Casentin discendon giuso in Arno,
i e freddi Faccndo i lor canali freddi e molli , a. 2. a e freddi
U. Falsificando — 48. Rivolaimi — altri ammalati — 50. l' inguinaja — 51. Tr. d' un lato - ove 1' uomo è forcuto (?) — (fi. Del
irino scendon giù - 66. canali verdi
I. 26
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202
(ERCH. Vili. BOLG. 10. FALSATORI.
INFERNO XXX. 67-90.
MAESTRO ADAMO.
1. 2. 3. via più
1. 2. 3. surgeli.
1. 2. 3. suso
1. 2. Dentro ec
1. 2. 3. vanno int.
1. 2. E più
I. 2. 3. avevan tre —
1. parate
67. Sempre mi stanno innanzi, e non indarno;
Che r imagine lor vie più m' asciuga.
Che il male ond' io nel volto mi discarno.
70. La rigida giustizia, che mi fruga,
Tragge cagion del loco ov' io peccai,
A metter più li miei sospiri in foga.
73. Ivi è Romena, là dov' io falsai
La lega sigillata del Batista,
Perch' io il corpo su arso lasciai.
76. Ma s' io vedessi qui 1' anima trista
Di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate,
Per fonte Branda non darei la vista.
79. Dentro e' è V una già, se 1' arrabbiate
Ombre che van dintorno dicon vero:
Ma che mi vai, eh' ho le membra legate?
82. S' io fossi pur di tanto ancor leggiero ,
Ch' io potessi in cent' anni andare un' oncia.
Io sarei messo già per lo sentiero,
85. ('creando lui tra questa gente sconcia.
Con tutto eh' ella volge undici miglia,
E men d' un mezzo di traverso non ci ha.
88. Io son per lor tra si fatta famiglia:
Ei m' indussero a battere i fiorini.
Che avean ben tre carati di mondiglia.
A. 2. inanti
B. via più
li. C. BUgi^ellata
A, Blanda
H. vanno int
A. 1. Io mi &ar. zik
messo pel (?)
A. m. B. E più -
A. 1. di mezzo
A. % B. C. avevan tre -
B. earate
69. nel viso mi disc. — 71. dal loco ov' io j) di là dov' io — 72. più i miei pensieri — 81. con le membra Icg. — 82. fossi aiiror
di tanto pur — 86. lui per questa g. — 86. eh' ella gira — 90, Oh' aveano tre
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CERCH. Vili. BOLO. 10. FALSATORI.
INFERNO XXX. 91 — 114.
SINOK DA TROIA.
203
.2.3 («cnata
1. la irov.
1. 1 3. ijuando pioTTÌ
1. 2. che deano
1. 2. 3. Giuseppe
1. 2. 3. mestier disc.
I
i- i 3. fosti a Tr.
B. taupini
R. bauiiata
R. Giuspppo
A. IH. C. Forte
91. Ed io a lui: Chi son li due tapini,
Che fumai! come man bagnate il verno,
Giacendo stretti a' tuoi destri confini?
94. Qui li trovai, e poi volta non dierno.
Rispose , quand' io piovvi in questo greppo , b. quando p.
E non credo che dieno in sempiterno. r. che deano
97. L' una è la falsa che accusò Joseppo ;
L' altro è il falso Sinon greco da Troia:
Per febbre acuta gittan tanto leppo.
100. E r un di lor, che si recò a noia
Forse d' esser nomato si oscuro,
Col pugno gli percosse 1' epa croia:
103. Quella sonò, come fosse un tamburo:
E mastro Adamo gli percosse il volto
Col braccio suo che non parve men duro,
106. Dicendo a lui: Ancor che mi sia tolto
Lo mover, per le membra che son gravi,
Ho io il braccio a tal mestiere sciolto.
109. Ond' ei rispose: Quando tu andavi
Al foco, non 1' avei tu cosi presto;
Ma sì e più 1' avei quando coniavi.
112. E l'idropico: Tu di' ver di questo;
Ma tu non fosti si ver testimonio,
Là 've del ver a Troia fosti richiesto.
A. 2. (\ Col pugno
R. mistier disc.
A. 2. C. fosti a Tr.
108. F]d io ho '1 braccio — 114. Ove del ver || Quando del ver — Quando fosti del ver
26-
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204 CERCH. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXX. 115—138. ADAMO E SINONE.
1. 2. 3. dissi falso - 115. S'io dissi '1 falso, tu falsasti il conio, ^. r. .li..,..
1. 2. 3. e tu fals. B. <■ tai-
Disse Sinone, e son qui per un fallo,
E tu per più che alcun altro demonio.
118. Ricorditi, spergiuro, del cavallo,
1.2. 3. quei Rispose quel eh' avea enfiata 1' epa; /?. c,un
E siati reo, che tutto il mondo sallo.
2. 3. A te sia 121. E tc sia rca la sete onde ti crepa.
Disse il Greco, la lingua, e 1' acqua marcia
.3. in. agli - 2. u s ass. Chc il vcutre iuuanzi gli occhi sì t' assiepa, a in i,i
124. Allora il monetier: Cosi si squarcia
2. 3. per dir mal La bocca tua pcr suo mal come suole; c.pennnr.
mal iir
Che s' i' ho sete, ed umor mi rinfarcia,
127. Tu hai 1' arsura, e il capo che ti duole,
E per leccar lo specchio di Narcisso,
Non vorresti a invitar molte parole.
130. Ad ascoltarli er' io del tutto fisso,
Quando il Maestro mi disse: Or pur mira,
Che per poco è che teco non mi risso. « chr^r,
non [>!'■
133. Quand' io '1 senti' a me parlar con ira,
Volsimi verso lui con tal vergogna,
Ch' ancor per la memoria mi si gira.
136. E quale è quei che suo dannaggio sogna, A.dvnr^^
Che sognando desidera sognare.
Si che quel eh' è, come non fosse, agogna;
117. K tu per più clic nuli' altro || E tu ci sci pcr più eh' altro — 118. Ricorditi il spergiuro — 120. E sei si rei' - i- ' '
Elie te — sia reo la sete — 123. ti fa scpa — 125. per ciurmar come || a parlar mal come — 129. -vorresti a mutar - tn-ri* '*"
180. Qual è colui
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CERm. vili. BOLO. 10. FALSATORI. INFERNO XXX. 139 — 148. dante k Virgilio. 205
139. Tal mi tee' io, non potendo parlare, .^. r. pos.em!o
(Jhe desiava scusarmi, e scusava
Me tuttavia, e noi mi credea fare.
142. Maggior difetto men vergogna lava.
Disse il Maestro, che il tuo non è stato;
Però d' ogni tristizia ti disgrava:
145. E fa ragion eh' io ti sia sempre allato.
Se più avvien che fortuna t' accoglia,
M Dove - 1.2.3. sien OvC Sla gCUtC ÌU SÌmÌglÌante piato; .J. 2. //. r. sien «enti
sciiti
148. Che voler ciò udire è bassa voglia.
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CANTO TRENTESIMOPRIMO
Una medesma lingua pria mi morse,
SI che mi tinse 1' una e T altra guancia ,
E poi la medicina mi riporse.
4. Cosi od' io, che soleva la lancia
D' Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista e poi di buona mancia.
7. Noi demmo il dosso al misero vallone
Su per la ripa che il cinge dintorno,
Attravei'sando senza alcun sermone.
10. Quivi era men che notte e men che giorno.
Si che il viso m' andava innanzi poco :
Ma io senti' sonare un alto corno,
13. Tanto eh' avrebbe ogni tuon fatto fioco,
Che, contra se la sua via seguitando.
Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco:
16. Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perde la santa gesta,
Non sonò si terribilmente Orlando.
e. Ma senti rison. —
A. m. it» udi' —
A. e. altro crirno
4. Così odìi — Hoìtm far la 1. - 8. la ripa eh' ei cinge — 10. Qui era inen — 11. il viso n' andava 13. uffnì suon — 14. E
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208
INFERNO XXXI. 19-42.
1. 2. ili là alta
1. 2. 3. tutti .jii.
1. 2. r aer
1. 2. 3. Fuggènii
3. C»i ugnerai
1.2.
19. Poco portai in là volta la testa,
Che mi parve veder molte alte torri;
Ond'io: Maestro, di', che terra è questa?
22. Ed egli a me: Però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla lungi,
Avvien che poi nel maginare aborri.
25. Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
Quanto il senso s' inganna di lontano :
Però alquanto più te stesso pungi.
28. Poi caramente mi prese per mano,
E disse: Pria che noi slam più avanti.
Acciocché il tatto men ti paia strano,
HI. Sappi che non son tom, ma giganti,
E son nel pozzo intorno dalla'tipa
Dall' umbilico in giuso tutti e qua;'
H4. Come, quando la nebbia si dissipa,
Lo sguardo a poco a poco raffigura
Ciò che cela il vapor che 1' aere stipa :
37. Cosi forando T aiu'a grossa e scura.
Più e più appressando in ver la sponda,
Fuggiemi errore, e cresce'mi paura.
40. Perocché come in sulla cerchia tonda
Montereggion di torri si corona;
Cosi la proda, che il pozzo circonda,
A. t. Prrr'.
r. i».
e. »■ iuroroua
21. Maestro, deh, che terra — 30. non ti paja — 31. i^appie che — 32. int. della ripa —
36. che r aer stipa || dell" aere stipa — 39. Fuggiami — crcscemi || cresccami
3. Dallo bfllifo - 34
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INFERNO XXXI. 43 — 66.
209
ì. tor cotali
3. uoiu s' aft'.
43. Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora, quando tuona.
46. Ed io scorgeva già d' alcun la faccia,
Le spalle e il petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
49. Natiu:a certo, quando lasciò 1' arte
Di si fatti animali, assai fé' bene.
Per torre tali esecutori a Marte:
52. E s' ella d' elefanti e di balene
Non si pente, chi guarda sottilmente.
Più giusta e più discreta la ne tiene:
55. (3hè dove V argomento della mente
S' aggiunge al mal volere ed alla possa,
Nessun riparo vi può far la gente.
58. La faccia sua mi parca lunga e grossa,
Come la pina di san Pietro a Roma;
Ed a sua proporzione eran 1' altr' ossa:
61. Si che la ripa, eh' era perizoma
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
Di sopra, che di giungere alla chioma
64. Tre Fiison s' averian dato mal vanto :
Perocch' io ne vedea trenta gran palmi
Dal loco in giù, dov' uomo affibbia il manto.
fì. ior colali
A. m. Che quando
A. 1. Si giunge
A. Piero
A. 1. proporzion tutte
r al. (?)
A. 1. Tre Fresoni s' avrìen
51. Per toHer tali — {)3. Non si pente || Non si pentì || Non si pentio -^ 60. In sua proporsion — <)6. Dal collo in giù — dove
bia
27
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210 POZZO. INFERNO XXXI. 67-90. nkmbrotto.
H7. Ratei mai amech zabi almi,
Cominciò a gridar la fiera bocca.
Cui non si convenian più dolci salmi. a. e. eonvenia
70. E il Duca mio ver lui: Anima sciocca,
Tienti col corno, e con quel ti disfoga,
Quand' ira o altra passion ti tocca.
73. Cercati al collo, e troverai la soga
Che il tien legato, o anima confusa,
E vedi lui che il gran petto ti doga. a. r. vedi lei
76. Poi disse a me: Egli stesso s' accusa;
Questi è Nembrotto, per lo cui mal coto
Pure un linguaggio nel mondo non s' usa. //. più «n
79. Lasciamlo stare, e non parliamo a voto:
Che così e a lui ciascun linguaggio.
Come il suo ad altrui eh' a nullo è noto.
82. Facemmo adunque più lungo viaggio
Volti a sinistra; ed al trar d' un balestro
Trovammo V altro assai più fiero e maggio.
85. A cinger lui, qual che fosse il maestro
Non so io dir, ma ei tenea succinto
Dinanzi 1' altro, e dietro il braccio destro
88. D' una catena, che il teneva avvinto
Dal collo in giù, sì che in sullo scoperto
Si ravvolgeva infino al giro quinto.
Vìi. Kapliei;! — izabi — fi8. la fioca bocca — 73. Cercati il collo — trov. la xoga - 76. S' et;Ii stosso — 77. Nembròt, per lo
cui — 7R. Lascialo stare - W. Non io direi
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, 2. 3. e fece
POZZO. INFERNO XXXI. 91-114. fialtk.
91. Questo superbo voli' esser esperto
Di sua potenza contra il sommo Giove,
Disse il mio Duca, ond' egli ha cotal merto.
94. Fialte ha nome; e' fece le gran prove,
Quando i giganti fer paura ai Dei:
Le braccia eh' ei menò, giammai non move.
97. Ed io a lui: S' esser puote, io vorrei
Che dello ismisurato Briareo
Esperienza avesser gU occhi miei.
100. Ond' ei rispose: Tu vedrai Anteo
Presso di qui, che parla, ed è disciolto,
Che ne porrà nel fondo d' ogni reo.
103. Quel che tu vuoi veder, più là è molto,
Ed è legato e fatto come questo.
Salvo che più feroce par nel volto.
106. Non fii tremoto già tanto rubesto,
Che scotesse una torre cosi forte,
Come Fialte a scotersi fu presto.
1. 2. .3. temetti più 109. AUor temett' io più che mai la morte,
E non v' era mestier più che la dotta,
S' io non avessi viste le ritorte.
112. Noi procedemmo più avanti allotta,
E venimmo ad Anteo, che ben cinqu' alle.
Senza la testa, uscia fuor della grotta.
211
.4. ternioto
B. temetti piti
92. coutra al sommo — 96. eli' ei menò già , mai
110. mestier fuor che la dotta
97. Se esser può — 106. N. fu trem. mai tanto — 109. più che mai di m. —
'11'
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212 POZZO. INFERNO XXXI. 115-138. antbo.
115. 0 tu, che nella fortunata valle,
3. reda Che fece Scipion di gloria ereda , (• ««i*
Quando Annibal co' suoi diede le spalle,
118. Recasti già mille leon per preda,
E che, se fossi stato all' alta guerra
De' tuoi frateUi, ancor par eh' e' si creda.
121. Che avrebber vinto i figli della terra;
1.2.3. giuso Mettine giù (e non ten venga schifo) //. giuso-j.
Dove Cocito la freddura serra.
124. Non ci far ire a Tizio, ne a Tifo:
Questi può dar di quel che qui si brama: a.^,^^
Però ti china, e non torcer lo grifo.
127. Ancor ti può nel mondo render fama;
Ch' ei vive, e lunga vita ancor aspetta,
Se innanzi tempo grazia a se noi chiama.
130. Così disse il Maestro: e quegh in fretta
Le man distese, e prese il Duca mio,
Ond' Ercole senti già grande stretta.
133. Virgilio, quando prender si sentio,
Disse a me: Fatti in qua, si eh' iati prenda: j ^'^<^^
Poi fece si, che un fascio er' egli ed io.
136. Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
3. oh- ella in coutrario Sopr'CSSa SI, ChC clla lUCOUtrO penda; >¥. si,rheae:u
119. Anche se fossi — all' altra guerra ~ 120. De' tuoi fratei — 124. Non ci far gire — 12B. ancor V arpetu - i*^ '^
d' Ercol II U' d* Ercole (?) — jpà la gran str. || la grande str. — 137. Sotto chinata — quando nuvol v.
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POZZO, INF-ERNO XXXI. 139-145. ante». 213
139. Tal parve Anteo a me che stava a bada ^. a me Anteo
Di vederlo chinare, e fu tal ora
Ch' io avrei volut' ir per altra strada : -^ * ^"^"»' *"•**' (•)
142. Ma lievemente al fondo, che divora
j. 3. riposò Lucifero con Giuda, ci sposò; r. sposo*-
Ne sì chinato li fece dimora,
145. E come albero in nave si levò. r. icvoe
141. Che avrei Tolut' ir - 145. Ma rome — alber di nave
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CANTO TRENTESIMOSECONDO
3. rime ed aspre
3. m. <i babbo
3. mule pari.
STiardava
CI'
k5 io avessi le rime aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sopra il qual pontan tutte 1' altre rocce,
4. Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch' io non l' abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco.
7. Che non è impresa da pighare a gabbo,
Descriver fondo a tutto Y universo.
Ne da lingua che chiami mamma e babbo.
10. Ma quelle Donne aiutino il mio verso,
Ch' aiutaro Amfion a chiuder Tebe,
Si che dal fatto il dir non sia diverso.
Vi. Oh sopra tutte mal creata plebe,
Che stai nel loco , onde '1 parlare è duro ,
Me' foste state qui pecore o zebe.
Ifi. Come noi fiimmo giù nel pozzo scuro
Sotto i pie del gigante, assai più bassi,
Fa\ io mirava ancora all' alto muro,
fi. rime ed aspre
r. Di «cri ver
A. m. m. » babbo
.4. m. uve '1 p. /f. onde
pari.
.-1. 1. dei i(ìi(auti
fi. io guardava — A. t.
allato .-l.m. //.all'altro
4. tlel mio euue. — 15. state voi pec. — Vn. nel passo scuro ^ 18. ancor intorno il muro
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216
rERCH. IX. TRADITORI.
INFERNO XXXII. 19-42.
CONTI DI MANGONA.
]. Slitto |).
l. 2. 3. Di verno —
2. 3. Aiistericch
1. 2. 3. Né 1 Tanni
1. 2. 3. Tabt'rniccli
l. 2. 3. criccli
19. Dicere udimmi: Guarda, come passi;
Fa sì, che tu non calchi con le piante
Le teste de' fratei miseri lassi.
22. Perch' io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago, che per gelo
Avea di vetro e non d' acqua sembiante.
25. Non fece al corso suo sì grosso velo
D' inverno la Danoia in Osterie ,
Ne Tanai là sotto il freddo cielo,
28. Com' era quivi: che, se Tambernic
Vi fosse su caduto, o Pietrapana,
Non avria pur dall' orlo fatto cric.
31. E come a gracidar si sta la rana
Col muso fuor dell' acqua, quando sogna
Di spigolar sovente la villana:
H4. Livide insin là dove appar vergogna,
Eran 1' ombre dolenti nella ghiaccia,
Mettendo i denti in nota di cicogna.
H7. Ognuna in giù tenea volta la faccia:
Da bocca il freddo, e dagU occhi il cor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia.
40. Quand' io ebbi d'intorno alquanto visto,
Volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
Che il pel del capo avieno insieme misto.
r. Va si
li. ifOtU» \}.
H. C. V ìuv. — B AiiMe-
rìcchi C Osterirchi
A. 2. Osterlicphi
--I.2. B. C. Tamheruiccbi
A. 2. H. f '. cricchi
A. ì. Liv. si lÀ
A. 1. m* ebbi
19. Die. udimmo 2(k la Danubia — Osterleccbi || Estrelicchi || ver StrìlUcchi — 27. Non Tanai — 26. Ciambcruiccbi \\ Giambcr-
licchi — 30. pur coir orlo — 34. Liv. iufin là |, L, infra là || L. sin là — 41. Volsi i miei passi — 42. il pel del corpo
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CERCH. IX. 8PARTIM. 1. CAiNA.
INFERNO XXXII. 48-66.
CONTI DI MANGONA.
217
:no c«>« legno —
2. 3. spranga mai
A. Col legno — A. 2. B.
C. spranga mai
43. Ditemi voi, che si stringete i petti,
yi^'^Tìi Diss'io, chi siete. E quei piegaro i colli; ^.piegarli
E poi eh' ebber li visi a me eretti, a i. a me diretti
46. Gli occhi lor, eh' erari pria pur dentro molli,
Gocciar su per le labbra, e il gielo strinse ^. per labbra
Le lagrime tra essi, e riserrolli:
49. Con legno legno mai spranga non cinse
Forte cosi, ond' ei, come due becchi,
Cozzaro insieme : tant' ira li vinse.
52. Ed un, eh' avea perduti ambo gli orecchi
Per la freddura, pur col viso in giue
Mi disse: Perchè tanto in noi ti specclii?
55. Se vuoi saper chi son cotesti due,
La valle, onde Bisenzio si dichina.
Del padre loro Alberto e di lor fue.
58. D' un corpo uscirò : e tutta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più d' esser fitta in gelatina:
n ciueiia fii. Nou quclU, a cui fu rotto il petto e 1' ombra
Con esso un colpo, per la man d' Artii:
Non Focaccia: non questi, che m' ingombra
64. Col capo sì, eh' io non veggio oltre più.,
woartuik E fu nomato Sassol Mascheroni:
Se Tosco se', ben sa' ornai chi fu.
L Disse: Perchè
>t.
B. Disse: Pere, cotanto
C. Disse: Perchè in
noi tanto
A, C. Bisenso
i e' fu
47. Gocc. giù per le l. — 48. Le lagr. tra esse — 53. la freddura , e pur — 60. d' esser fatta in gel. — 61. Non quello — 62. Con
A coljM» - (3. Non Foc. con questi — 66. ben dei saper chi fu
1. 28
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218 CERCH. IX. 8PARTIM. 1. CAINA. INFERNO XXXIl. 67—90. OAMiriON de' PAZZI.
67. E perchè non mi metti in più sermoni, A.mim^tix
3. eh' io sono Sappi ch'io fui il Camicion de' Pazzi, .4. «r.v..
Ed aspetto CarUn che mi scagioni.
70. Poscia vid' io mille visi , cagnazzi
Fatti per freddo: onde mi vien riprezzo,
E verrà sempre, de' gelati guazzi.
73. E mentre che andavamo in ver lo mezzo,
1. 2. 3. raiina Al qualc Ogni gravczza si raduna, r. ragu^ ir.
Ed io tremava nell' etemo rezzo:
76. Se voler fu, o destino, o fortuna,
1. pcrict. Non so: ma passeggiando tra le teste,
Forte percossi il pie nel viso ad una. .4. i.neiv^r
79. Piangendo mi sgridò: Perchè mi peste?
Se tu non vieni a crescer la vendetta
Di Mont' Aperti, perchè mi moleste?
82. Ed io: Maestro mio, or qui m' aspetta,
Sì eh' io esca d' un dubbio per costui:
Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta.
85. Lo Duca stette; ed io dissi a colui
Che bestemmiava duramente ancora: j. /. bu^nw--
Qual se' tu, che cosi rampogni altrui?
2. che va 88. Or tu chi se', che vai per 1' Antenora a. i. o n
Percotendo, rispose, altrui le gote
1. 2. vivo fossi Si, che se fossi vivo, troppo fora? /?. t.v.> fo.*.
71. Fatti pel loci) — 77. pass, fra le teste — 78. il pie nel capo — 81. Monte Aperto — 84. quanto vorrai
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rERCII. IX. SPARTUI. 2. ANTENORA. INFERNO XXXII. 91—114. BOCCA DEGLI ABATI. 219
91. Vivo son io, e caro esser ti puote,
Fu mia risposta, se domandi fama,
Ch' io metta il nome tuo tra 1' altre note.
94. Ed egli a me: Del contrario ho io brama:
Levati quinci, e non mi dar più lagna:
Che mal sai lusingar per questa lama.
97. Allor lo presi per la cuticagna,
E dissi: E' converrà che tu ti nomi,
0 che capei qui su non ti rimagna.
100. Ond' egU a me: Perchè tu mi dischiomi, ^. di»comi
1 Numi Ne ti dirò ch'io sia, ne mostrerolti,
Se mille fiate in sul capo mi tomi. a. mine volte -
/?. fiate sul
103. Io avea già i capelli in mano avvolti,
3. tratto E tratti gUen' avea più d' una ciocca,
Latrando lui con gU occhi in giù raccolti;
106. Quando un altro gridò: Che hai tu. Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle,
Se tu non latri? qual diavol ti tocca? -4. utra
109. Omai, diss' io, non vo' che tu favelle.
Malvagio traditor, che alla tua onta a. che u tua
Io porterò di te vere novelle.
112. Va via, rispose, e ciò che tu vuoi, conta;
Ma non tacer, se tu di qua entr' eschi,
3. Di quel Di quei eh' ebbe or cosi la lingua pronta.
'M. Del contr. aggio brama ~ 97. Allora il pr. || Allor lo preser ~ 96. E dissi: Converrà || E dissi: Ek, couverrA — 99. eapel sol
OD ti — 107. sonar per le mase. — 108. che diavol — 109. che più favelle — 110. con la tua onta - 113. se di qua entro
28-
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220
CKKCH. IX. SPARTIM. 2. ANTENORA. INFERNO XXXII. 115 — 139.
BU080 DA DUKBA.
1. Beccaria
1. 2. 3. del Soia.
1. capello
1. 2. 3. s' aggiunge
3. sì rose
1. 2, 3. che tu
115. Ei piange qui l'argento de' Franceschi:
Io vidi, potrai dir, quel da Duera
Là dove i peccatori stanno freschi.
118. Se fossi domandato, altri chi v' era.
Tu hai da lato quel di Beccheria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
121. Gianni de' Soldanier credo che sia
Più là con Ganellone e Tribaldello,
Ch' apri Faenza quando si dormia.
124. Noi eravam partiti già da elio,
Ch' io vidi due ghiacciati in una buca
Sì, che r un capo all' altro era cappello:
127. E come il pan per fame si manduca,
Cosi il sopran li denti all' altro pose
Là 've il cervel si giunge colla nuca.
130. Non altrimenti Tideo si rose
Le tempie a Menalippo per disdegno,
Che quei faceva il teschio e 1' altre cose.
133. 0 tu che mostri per si bestiai segno
Odio sopra colui cui tu ti mangi.
Dimmi il perchè, diss' io, per tal convegno,
136. Che se tu a ragion di lui ti piangi,
Sappiendo chi voi siete, e la sua pecca,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi,
1 39. Se quella con eh' io parlo non si secca.
B. BeccMT
A. già parti'..
A. 1. »>«!•
B. l'un &«r»: ;-
A. 1. Ovrl- !-
B. f he ta
A. fi» scf€»
115. E piange qui — 117. dove i traditori - 122. Ganalouc — Tibaldello || Tcbaldello || Tobaldello — 127. si manu»
isdegno - 132. faceva al teschio — 135. con tal convegno — 137. Sapendo — 138. Nel in. su ancora — 139. Se questa
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CANTO TRENTESIMOTEHZO
2. 3. tu sic
2.3.
•2. .3.
il Conte
(ju. r Aro.
Jja bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola ai capelli
Del capo, eh' egli avea diretro guasto.
4. Poi cominciò : Tu vuoi eh' io rinnovelli
Disperato dolor che il cor mi preme,
Già pur pensando, pria eh' io ne favelli.
7. Ma se le mie parole esser den seme,
Che frutti infamia al traditor eh' io rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
10. r non so chi tu sei, ne per che modo
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente, quand io t' odo.
13. Tu dei saper eh' io fili Conte Ugolino,
E questi è Y Arcivescovo Ruggieri :
Or ti dirò perch' io son tal vicino.
16. Che per 1' effetto de' suo' ma' pensieri.
Fidandomi di lui, io fossi preso
E poscia morto, dir non è mestieri.
fì. sì levò
A. Dispictato
r. che ne fav.
A. (\ esser tlien
[D. XXIX. 109 - J
A. 2. vedrà 'mi
R. tu sie
fì. questi r Are.
A. m. perch* ei *on
(\ 2. mal pen«.
1. del fiero pasto — 3. eh' ei gli area — 8. Che fruttin fama — 9. Pari, e lagr. mi vedrai || Pari, vedrai e lagr. — 14. K questi)
errhè i son tal (?) — 16. del suo mal pens.
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222 rEiini. IX. si'ARTiM. 2. ANTENORA. INFERNO XXXIll. 19 — 42. conte Ugolino.
19. Però quel che non puoi avere inteso,
Ciò è come la morte mia fii cruda,
Udirai, e saprai se m' ha oflfeso.
22. Breve pertugio dentro dalla muda.
La qual per me ha il titol della fame,
i^h' altrui E in che conviene ancor ch'altri si chiuda, /JErhr-Aù
25. M' avea mostrato per lo suo forame
i. Pij,,„„,e Più lune già, quand io feci il mal sonno, B.piuwm-f:
Che del futuro mi squarciò il velame.
28. Questi pareva a me maestro e domio.
Cacciando il lupo e i lupicini al monte.
Per che i Pisan veder Lucca non ponno.
31. Con cagne magre, studiose e conte, A^uiM^n
(Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
S' avea messi dinanzi dalla fronte.
34. In picciol corso mi pareano stanchi /;.?»« trm,
Lo padre e i figli, e con 1' acute scane
Mi parca lor veder fender li fianchi.
37. Quando fili desto innanzi la dimane, j. au»aia
Pianger senti' fra il sonno i miei figUuoh,
eh' eran con meco, e domandar del pane.
40. Ben se' crudel, se tu già non ti duoli,
i. 2. ciò ci. al mio Pcusaudo ciò ch'il mio cor s'annunziava: A.'iB'.h
mio - l> •
E se non piangi, di che pianger suoli?
21. Naprai s' ci m' ha off. — 26. Più lumi già — quando feci — 31. nuLf^ e studiose — 35. 1* acute sane — 37. Qiiaa<l >' '
39. Ch* erano mect» — 41. ciò che il cor s' ann.
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f-RRCH. IX. SPARTIM. 2. ANTENORA. INFERNO XXXIII. 43 — 66. CONTE UOOI.ISO. 223
arMn2.i»ramdMti 43. Già Braii destì, e l'ora s'appressava /?. «r» .lestxi
Che il cibo ne soleva essere addotto,
E per suo sogno ciascun dubitava:
46. Ed io sentii chiavar 1' uscio di sotto
All' orribile torre ; ond' io guardai
Nel viso a' miei figliuoi senza far motto.
49. Io non piangeva; si dentro impietrai:
Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
Disse: Tu guardi sì, padre: che hai?
52. Però non lagrimai, né rispos' io ^. prrdò
Tutto quel giorno, ne la notte appresso,
Infin che 1' altro sol nel mondo uscio.
55. Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi il mio aspetto stesso:
i mani per ci. 58. Ambo Ic msni per lo dolor mi morsi.
i Kqiiei Ed ei, pensando eh' io '1 fessi per voglia /^. K.,nci
Di manicar, di subito levorsi,
HI. E disser: Padre, assai ci fia men dogUa,
Se tu mangi di noi: tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
64. Queta' mi allor per non farli più tristi:
i^uci di Lo dì e r altro stemmo tutti muti :
Ahi dura terra, perchè non t' apristi?
43. e r ora trapassava — 45. E per suo segno — 46. E io sento chiavar — 47. Uell' orrib. torre - onde (guardai — 4S. a' miei
A - 49. si dentro m' impetrai — 50. pens. eh' il fessi — 61. assai ci sia || ass. te sia — 62 Che tu mangi - tu le ve.stisti — 65. 1/ un
* altro I' Quel giorno e V al.
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224
( EKCH. IX. SPARTIM. 2. ANTKNORA.
INFERNO XXXm. 67-90.
CONTE UOOLINU.
1. 'À. E tre di
1. 2. 3. Capraia
1. Uuiiicriilue
67. Posciachè fummo al quarto dì venuti,
(raddo mi si gittò disteso a' piedi,
Dicendo : Padi-e mio , die non m' aiuti V
70. Quivi morì: e come tu mi vedi,
Vid' io cascar li tre ad uno ad uno
Tra il quinto di e il sesto : ond' io mi diedi
7H. Già cieco a brancolar sopra ciascuno,
E due di li chiamai poi che fur morti:
Poscia, più che il dolor, potè il digiuno.
76. Quand' ebbe detto ciò, con gli occhi torti
Riprese il teschio misero coi denti.
Che furo all' osso, come d' un can, forti.
7J>. Ahi Pisa, vituperio delle genti
Del bel paese là, dove il si suona;
Poi che i vicini a te punir son lenti,
82. Movasi la Caprara e la (iorgona,
E faccian siepe ad Arno in su la foce,
8ì eh' egli anneghi in te ogni persona.
85. Che se il Conte Ugohno aveva voce
. D' aver tradita te delle castella.
Non dovei tu i figUuoi porre a tal croce.
88. Innocenti facea V età novella.
Novella Tebe, Uguccione e il Brigata,
E gU altri due che il canto suso appella.
H. K tre eli
l). Poiché '1 dol. put«-
più che "1
A. m. (\ Che for&r l'o»n
B. Capraja
A. 2. a face' gii età
D. l'gnìccione
07. al ({uartcì divenuti - 69. E disse: Padre perchr non — 72. Tra il quarto di e '1 quinto — 74. poi eh' ei fur tu. || da che fur ni. — j
HI. Si che anneghi - 85. Che se Conte Ug. — avea la voce || avea ria voce — 86. D' aver tradito te || D' av. tradite tre (?) — 87. Non dovrano
i figl. portar tal cr. - hh. Innocent' i facea
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CERCH. IX. 8PARTIM. 3. TOLOMEA. INFERNO XXXIII. 91 — 114. FRATE ALBERIOO. 225
91. Noi passamm' oltre, là 've la gelata Adovcug,
Ruvidamente un' altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.
94. Lo pianto stesso li pianger non lascia,
E il duol, che trova in sugli occhi rintoppo.
Si volve in entro a far crescer 1' ambascia: ^ volge -/^.v. dentro -
A. 2. C. D. e fa cr.
97. Che le lagrime prime fanno groppo,
E, sì come visiere di cristallo,
Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
100. Ed awegna che, si come d'un callo,
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo, />. daimiov.
103. Già mi parca sentire alquanto vento;
Perch'io: Maestro mio, questo chi move?
>. 3. quaggiuso Non è quaggiù ogni vapore spento? ^. quagiuso
106. Ond' egli a me: Avaccio sarai, dove a2. r. AEdegu
Di ciò ti farà 1' occhio la risposta,
Veggendo la cagion che il fiato piove. u. Dato move
109. Ed un de' tristi della fredda crosta
Gridò a noi: 0 anime crudeli
Tanto, che data v' è 1' ultima posta,
112. Levatemi dal viso i duri veli.
Si eh' io sfoghi il dolor che il cor m' impregna, e. d. w duoi
Un poco, pria che il pianto si raggeli.
94. lor pianger non 1. — 96. .Si Tolve indietro — a far volver I* amb. — 100. E ayvcgna, cosi come (?) — 112. Levatemi del riso ||
li tìso — 113. il cor mi pregna
I. 29
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226
CERCH. IX. 8PABTIM. 3. TOLOMEA.
INFERNO XXXni. 115-138.
FRATE ALBEBIOO.
1. dalle frutta
1. 2. 3. dissi lui
1. gli è tolto
1. 2. 3 dietro
115. Perch' io a lui: Se vuoi eh' io ti sowegna,
Dimmi chi sei, e s' io non ti disbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
118. Rispose adunque: Io son Frate Alberigo,
Io son quel delle frutte del mal orto,
Che qui riprendo dattero per figo.
121. 0, diss' io lui: Or sei tu ancor morto?
Ed egli a me: Come il mio corpo stea
Nel mondo su, nulla scienza porto.
124. Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
Che spesse volte 1' anima ci cade
Innanzi eh' Atropòs mossa le dea.
127. E perchè tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,
Sappi che tosto che Y anima trade,
130. Come fee' io, il corpo suo 1' è tolto
Da un demonio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia volto.
133. Ella mina in si fatta cisterna;
E forse pare ancor lo corpo suso
Dell' ombra che di qua retro mi verna.
136. Tu il dei saper, se tu vien pur mo giuso:
EgU è Ser Branca d'Oria, e son più anni
Poscia passati, eh' ei fu sì racchiuso.
B. ehi fili-
A. 2- daU.* f ■
fi. r. di*w 1.
A. Prima ri* -
.i. m. f. Nel 9
ilr.-/).1-
A. 1. e M»
126. Atr. morso le dea — 12R. I^c vetriate lagr. — 130. il corpo su 1* e tolto
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CERCH. IX. SPABTIM. 3. TOLOMEA.
INFERNO XXXIII. 139-157.
BRANCA D ORIA.
227
1. 2. 3. diss' io
1. ucor Michert Z.
3. un diav.
1. f^Uen ap.
1. 2. 3. fu lui
139. Io credo, dissi lui, che tu m' inganni;
Che Branca d' Oria non morì unquanche,
E mangia e bee e dorme e veste panni.
142. Nel fosso su, diss' ei, di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece.
Non era giunto ancora Michel Zanche,
145. Che questi lasciò il diavolo in sua vece
Nel corpo suo, e d'un suo prossimano
Che il tradimento insieme con lui fece.
148. Ma distendi oramai in qua la mano.
Aprimi gli occhi: ed io non gliele apersi,
E cortesia fii, in lui esser villano.
151. Ahi Genovesi, uomini diversi
D' ogni costume, e pien d' ogni magagna.
Perchè non siete voi del mondo spersi?
154. Che col peggiore spirto di Romagna
Trovai un tal di voi, che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna,
157. Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
B. D. diss* io
A, 2. C. dei Malcbr.
A. 1. Là ove
B. ancor Mickeri Z.
A. corpo suso — A. C.
et un
C. oggimai
B. D. fu lui
C. costum, pieni
A. D. di voi un tal
D. in Coc. si b.
139. lo credo , diss' io a lui — 149. non glieli apersi — 150. E cori, fu , a lui — 152. Pien di malizia e d' ogni ria mag.
29*
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CANTO TRENTESIMOQUARTO
rexilla Regis prodeunt inferni
Verso di noi: però dinanzi mira,
Disse il Maestro mio, se tu il discerni.
4. Come quando una grossa nebbia spira,
0 quando T emisperio nostro annotta,
Par da lungi un moUn che il vento gira;
7. Veder mi parve un tal dificio allotta:
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
L 3. non V era Al Duca uiìo ; chò non lì era altra grotta.
10. Già era (e con paura il metto in metro)
L 3. tutte era« Là, dovc 1' ombrc eran tutte coperte, r tutte r ombre -
B. D. tutte eran
E trasparean come festuca in vetro.
L stanno ai;. 13. Altre souo a glaccrc , altre stanno erte.
Quella col capo, e quella con le piante; ^. 2. cai>o.«,ueiia
Altra, com' arco, il volto a' piedi inverte. /;. ai pie nm.
16. Quando noi fummo fatti tanto avante,
Ch' al mio Maestro piacque di mostrarmi d. parve di m.
La creatura eh' ebbe il bel sembiante,
3. se tu diseemi — G. malin elie vento gira || in. eh' al vento g. — 9. non gli era altra gr. — 12. eome festuche — 13. altre sono
~ U. (gitale col capo || Altre col e. || Qual va col corpo — quale con le p. || ed altre con le p. |[ qnal va e. le p. — 15. eom' arco il
» - ai pie riverte
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230 CKRCH. IX. SPARTIM. 4. OIUDECCA. INFERNO XXXIV. 19 — 42. LUCIFERO.
19. Dinanzi mi si tolse, e fé' restarmi,
Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco.
Ove convien che di fortezza t' armi.
22. Com' io divenni allor gelato e fioco,
Noi domandar. Lettor, ch'io non lo scrivo, />. Nona.
Però eh' ogni parlar sarebbe poco.
25. Io non morii, e non rimasi vivo:
Pensa oramai per te, s' hai fior d' ingegno, a. oggim«i - e. pene
ornai
Qual io divenni, d' uno e d' altro privo.
28. Lo imperador del doloroso regno
Da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia; ai. Daim««op.
E più con un gigante io mi convegno,
31. Che i giganti non fan con le sue braccia: B.n.chtgig.
1. 2. 3. oggimai Vcdi Oramai quant' esser dee quel tutto b. a oggimai
1. 2. 3. fatta part* Ch' a COSI fattC parti si confaccia. B. D. fatt» parte
34. S' ei fii sì bel com' egli ò ora brutto,
E contra il suo Fattore alzò le cigUa, ^i. contro ai suo
Ben dee da lui procedere ogni lutto.
37. 0 quanto parve a me gran maravigUa,
Quando vidi tre facce alla sua testa!
L' una dinanzi, e quella era vermigUa;
40. L' altre eran due, che s' aggiungieno a questa
Sopr' esso il mezzo di ciascuna spalla,
E si giungieno al loco della cresta; a. m. u. ai colmo
19. e fé* ristarmi - 26. Pensa ornai tu per te — 31. Che gigante non fa — non fanno con le br. — 32. Pensa oramai — 34. com' cHo
ora è — 4(). Dell' altre due, che — s' aggiungeano — 41. da ciasc. spalla
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rKRCII. IX. 8PARTIM. 4. OIUDECCA.
INFERNO XXXIV. 43-66.
GIUDA, BRUTO.
231
là . ove
gran p.
B. là, ove
B. D. conveniva
D. vidi mai
A. 1. B, r. J). vilpistrello
D. t. sollazzava IJ. m.
su alzava
43. E la destra parea tra bianca e gialla;
La sinistra a vedere era tal, quali
Vengon di là, onde il Nilo s' avvalla.
46. Sotto ciascuna uscivan due grandi ali,
Quanto si convenia a tanto uccello;
Vele di mar non vid' io mai cotali.
ipistr. 2. .3.^vispiatr. 49. Nou avcau penne, ma di vipistrello
Era lor modo; e quelle svolazzava,
Sì che tre venti si movean da elio.
52. Quindi Oocito tutto s' aggelava:
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto e sanguinosa bava.
55. Da ogni bocca dirompea coi denti
Un peccatore, a guisa di maciulla.
Si che tre ne facea così dolenti.
58. A quel dinanzi il mordere era nulla.
Verso il graffiar, che tal volta la schiena
Rimanea della pelle tutta brulla.
61. Quell' anima lassù che ha maggior pena,
Disse il Maestro, è Giuda Scariotto,
Che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena. u. dentro hai capo
64. Degli altri due eh' hanno il capo di sotto ,
Quei che pende dal nero ceffo è Bruto:
Vedi come si storce, e non fa motto:
A. 1. tai volte
A. coin' ei ai st.
43. La destra mi parea — 47. al tristo ucc. || a sì (atto ucc. — 48. non vid' io cotali — 49. Non avea penne - vespertello |) pipi-
Ilu — 50. in suso alzava || in su lanciava — 54. Gocc. il petto e sangu. b. || Goce. al petto sangu. b. || Gocc. pianto e sant^u. b. (?) —
A quel di mezzo — 62. Giuda Iscariotto
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232 CENTRO dell' UNIVERSO. INFERNO XXXIV. 67—90. lucifero.
67. E r altro è Cassio, che par si membruto.
Ma la notte risurge; ed oramai
E da partii', che tutto avèm veduto.
70. Com' a lui piacque, il collo gU avvinghiai; 5. c^in«i»r
Ed ei prese di tempo e loco poste:
E, quando l'ale fiiro aperte assai, ^ r aur - ^. aperte
^ furo
73. AppigUò se alle vellute coste:
Di vello in vello giù discese poscia
Tra il folto pelo e le gelate croste.
7(). Quando noi fiunmo là dove la coscia d. u ove
8i volge appunto in sul grosso dell' anche,
Lo Duca con fatica e con angoscia
79. Volse la testa ov' egli avea le zanche,
Ed aggrappossi al pel come uom che sale,
Si che m inferno io credea tornar anche.
1. 2. 3. per cutaii 82. Atticutl bcu, chè per si fatte scale, z?. percouiì
Disse il Maestro, ansando com' uom lasso,
(Jonviensi dipartir da tanto male.
85. Poi usci fiior per lo foro d' un sasso ,
E pose me in sull' orlo a sedere:
Appresso porse a me 1' accorto passo.
88. lo levai gli occhi, e credetti vedere a. io chinai
Lucifero com' io 1' avea lasciato,
E vidili le gambe in su tenere.
71. prese del tempo loco e posto — 77. in sul groppo dell* anche — 79. ov' elio avea - 83. ansiando com' uom 1. — 84. di tanto nule
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SALITA AL PUROAT. INFERNO XXXIV. 91 — 114. DANTE E VIHOILIO. 283
91. E s' io divenni allora travagliato, ^. siodiv.
La gente grossa il pensi, che non vede
i V"*i er« il Qual e quel punto eh' io avea passato. /?. n. gu*i era ii
94. Levati su, disse il Maestro, in piede:
La via è lunga, e il cammino è malvagio,
E già il sole a mezza terza riede. e- io soie
97. Non era camminata di palagio
Là V eravam, ma naturai burella z^. i)«v e«y.
Ch' avea mal suolo, e di lume disagio. r. chavcai
100. Prima ch'io dell'abisso mi divella, ^. che deiio - z>. daiio
Maestro mio, diss' io quando fili dritto,
A trarmi d' erro un poco mi favella.
103. Ov' è la ghiaccia? e questi com' è fitto
Si sottosopra? e come in si poc' ora
Da sera a mane ha fatto il sol tragitto?
106. Ed egli a me: Tu immagini ancora
j. D'esser - 1. 2. Esscr dì là dal centro, ov' io m' appresi -^- 1- (?) «. d- esser -
mi presi B. C. D. mi presi
•mondo Al pel del vermo reo che il mondo fora.
109. Di là fosti cotanto, quant' io scesi:
Quando mi volsi, tu passasti il punto />. guandio
Al qual si traggon d' ogni parte i pesi:
112. E se' or sotto 1' emisperio giunto
(lied è opposto Ch' è contrapposto a quel che la gran secca ^- c^ed é opp. -
Coperchia, e sotto il cui colmo consunto
U3. punto eli' io m' avea — lasciato — 96. a mezza notte riede — 97. cammin. da palagio — 98. Ov' eravam — 99. Ch' avea di
- li)5. ha fatto il suo trai;. — 113. Ch' è opposito || Che è opposto
1. m
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234 SALITA AI. PUHOAT. INFERNO XXXIV. 115—139. dante e Virgilio.
115. Fu r uom che nacque e visse senza pecca:
Tu hai li piedi in su picciola spera
Che r altra faccia fa della Giudecca. j. r*itrmj*r:.
118. Qui è da man, quando di là è sera:
E questi che ne fé scala col pelo,
Fitto è ancora, sì come prim' era.
121. Da questa parte cadde giù dal cielo:
E la terra che pria di qua si sporse, r.D.^i,>^>r^
Per paura di lui fé' del mar velo ,
1. 2. 3. no.tro 124. E venuc air emisperio vostro; e forse h.o.u..^^
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella che appar di qua, e su ricorse.
127. Loco è laggiù da Belzebù remoto a. c. Bek^ =»
Tanto, quanto la tomba si distende.
Che non per vista, ma per suono è noto
1 30. D' un ruscelletto che quivi discende
Per la buca d' un sasso , eh' egli ha roso a. u »k*«
Col corso eh' egU avvolge, e poco pende.
133. Lo Duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo:
E senza cura aver d' alcun riposo
1. 2.3.sai. «u 136. Salimmo suso, ei primo ed io secondo, /?, i;sj.»l
Tanto eh' io vidi delle cose belle
Che porta il ciel, per un pertugio tondo,
139. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
118. Qui è di man |) Qui è dì man — U è di sera — 119. E questi che oe fa se. || E questi che r a me kc. - 12U. aacor «: '-'
prima era — 126. qui loco || quel loco — 126. e in su ricorse — 134. Entrammo per tornar
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PURGATORIO
m*
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CANTO PRIMO
1. 2. 3. miglior acqua
1 3. dietro
1. 2. 3. Ore
2. 3. poesia
2. 3. Callìopea
1. ebe di usci 2. ehed
l'usci
Xer correr migliori acque alza le vele
Ornai la navicella del mio ingegno,
Che lascia retro a se mar si cinidele.
4. E canterò di quel secondo regno,
Dove r umano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno.
7. Ma qui la morta poesì risurga,
0 sante Muse, poiché vostro sono,
E qui Calliope alquanto surga,
10. Seguitando il mio canto con quel suono
Di cui le Piche misere sentirò
Lo colpo tal, che disperar perdono.
13. Dolce color d' orientai zaffiro.
Che s' accogUeva nel sereno aspetto
Dell' aer puro infino al primo giro,
16. Agli occhi miei ricominciò diletto.
Tosto eh' f uscii fuor dell' aura moitii,
Che m' avea contristati gli occhi e il petto.
{/>— 57.] R miglior acqua
C. dietro
tì. Ove
A. (\ re5urga
(\ Dal mezzo puro
fi. ched i' usci' fuor
3. dietro a me — 5. 1* uman spirito — 9. alquanto turga — U. le Ninfe mis. — 14. nel benigno asp. — 17. eh' io fuori uscii
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238
ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO I. 19-42.
1. 2. da loro
2. 3. Port. »' 8a<iì
1. 2. 3. centra 'I
19. Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider 1' oriente,
Velando i pesci eh' erano in sua scorta.
22. Io mi volsi a man destra, e posi mente
All' altro polo , e vidi quattro stelle
Non viste mai fuor che alla prima gente.
25. Goder pareva il ciel di lor fiammelle.
0 settentrional vedovo sito.
Poiché privato sei di mirar quelle!
28. Com' io dal loro sguardo fui partito,
Un poco me volgendo all' altro polo,
Là onde il carro già era sparito;
31. Vidi presso di me un veglio solo,
Degno di tanta riverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliuolo.
34. Lunga la barba e di pel bianco mista
Portava, e i suoi capegli simigUante,
De' quai cadeva al petto doppia lista.
37. Li raggi delle quattro luci sante
Fregiavan sì la sua faccia di lume,
Ch' io '1 vedea come il sol fosse davante.
40. Chi siete voi, che contro al cieco fiume
Fuggito avete la prigione eterna?
Diss' ei, movendo quell' oneste piume.
.1. 1. parca lo cìel
B, da loro
1. era già dispar.
un vcrrhio
centra 'I
Fuggita av.
20. Tutto faceva — rider tutto — 24. che dalla prima — 27. di veder quelle — 28. di loro sguardo — 9l). La dove — 31. ^'i<Ii
verso di me — 38. Che più non ebbe — al padre -> 34. barba di pel — 40. sopra '1 cieco f.
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ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO I. 48 — 66.
239
'I. 3. con mani
1. 2. 3. se. dal oiel
1. 2. 3. non e' era
3. Mostrata
43. Chi v' ha guidati? o chi vi fu lucerna,
Uscendo fuor della profonda notte
Che sempre nera fa la valle inferna?
46. Son le leggi d' abisso così rotte?
0 è mutato in ciel nuovo consiglio,
Che dannati venite alle mie grotte?
49. Lo Duca mio allor mi die di piglio,
E con parole e con mano e con cenni,
Riverenti mi fé' le gambe e il cigUo.
52. Poscia rispose lui: Da me non venni;
Donna scese del ciel, per li cui preghi
Della mia compagnia costui sovvenni.
55. Ma da eh' è tuo voler che più si spieghi
Di nostra condizion, com' ella è vera.
Esser non puote il mio che a te si neghi.
58. Questi non vide mai 1' ultima sera,
Ma per la sua folUa le fii si presso.
Che molto poco tempo a volger era.
61. Si come io dissi, fili mandato ad esso
Per lui campare, e non v' era altra via
Che questa per la quale io mi son messo.
64. Mostrato ho lui tutta la gente ria;
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
Che purgan se sotto la tua balia.
fì. scese dal eiel
[D. 1 -] A. 1. i*uò lo mio
r. può il m.
S. 1). non e' era
D. Mostr. gli ho
43. efae vi fii lue. — 46. sempre buja || nera sempre — 49. Allora il D. mio — 52. Poi sì risp. — risp. a lui — 58. scese da ciel —
57. non può che il mio a te — 59. ri fìi si pr. — 62. non gli era — 66. tua bailia
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240 ANTiPUROATOBio. PURGATORIO 1. 67—90. catokb.
67. Come io V ho tratto, saria lungo a dirti:
Dell' alto scende virtù che m' aiuta
(vonducerlo a vederti ed a udirti.
70. Or ti piaccia gradir la sua venuta:
Libertà va cercando, che è sì cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta.
73. Tu il sai; che non ti fii per lei amara /;. Tu^^.ri,:
In litica la morte, ove lasciasti
2. :j. reste- I. hì car» La vcsta chc al grau dì sarà sì cliiara. .4. 1. 1?)^ .«
76. Non son gli editti eterni per noi guasti:
Che questi vive, e Minos me non lega;
Ma son del cerchio ove son gli occhi casti
79. Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega,
0 santo petto, che per tua la tegni:
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
82. Lasciane andar per li tuoi sette regni:
Grazie riporterò di te a lei.
Se d' esser mentovato laggiù degni.
85. Marzia piacque tanto agli occhi miei.
Mentre eh' io fui di là, diss' egli allora,
1.2. 3. volle Che quante grazie volse da me, fei. b.d. rowt
88. Or che di là dal mal fiume dimora,
Più mover non mi può per quella legge
Che fatta fu quando me n'uscii fiiora. A.m.fnm{-
<)8. eke II' AJuta — Gè. Condarlo e a rederti — 78. son nel cerchio — 80. O santo padre ->- 82. I^ascìane gir — 8&. ci'' •*
eh' io vissi — 90. quand' io me
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ANTIPURGATOBIO.
PURGATORIO 1. 91 — 114.
241
1. 2. 3. la&ini*n
1. 2. 3. ricingA
1. 1 3. stinga
1. 1 3. and. davanti
91. Ma se donna del ciel ti move e regge
Come tu di', non e' è mestier lusinghe :
Bastiti ben, che per lei mi richegge.
94. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
D' un giunco schietto , e che gU lavi il viso,
Sì che ogni sucidmne quindi stinghe:
97. Che non si converria V occhio sorpriso
D' alcuna nebbia andar dinanzi al primo
Ministro, eh' è di quei di Paradiso.
100. Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
Laggiù colà dove la batte V onda,
Porta de' giunchi sopra il molle Umo.
103. Nuli' altra pianta che facesse fronda,
0 indurasse, vi puote aver vita.
Perocché alle percosse non seconda.
106. Poscia non sia di qua vostra reddita;
Lo sol vi mostrerà, che surge omai,
Prender lo monte a più lieve salita.
109. Cosi sparì; ed io su mi levai
Senza parlare, e tutto mi ritrassi
Al Duca mio, e gU occhi a lui drizzai.
i.'j3.FigiiuoUeguiìin. 112. Eì comiuciò i Seguisci h miei passi:
Yolgiamci indietro, che di qua dicliina
Questa pianura a' suoi termini bassi.
l. Pigliate '12. Prendete
3. Prender il
ff. lusinga
A. r. Bastisi l>en
R. rioinga
A. stringhe /?. stinga
B. D. andar davanti
H. D. dov' ella batte
D. t. Prendete '1 m.
B. Pigliate '1 ni. —
B. alU sai.
D. Figliuol, segui m.
91. donna dal cicl — 93. Basti si che || Basta ben che — per lei tu mi - 95. D' un TÌnchio — 96. quivi stinghe — 102. Porta
de' rinclij - 104. 0 che indur. — 113. Volgiti ind. || Volgete ind.
II.
31
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242 ANTiPURfiATOBio. PURGATORIO I. 115 — 136. dante k Virgilio.
115. V alba vinceva 1' ora mattutina
Che fuggia innanzi, sì che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
118. Noi andavam per lo solingo piano
1. 2. 3. smarrito »tr. Com' uom chc toma alla perduta strada, /?. smarrì .^
Che infino ad essa gli par ire in vano.
121. Quando noi fìunmo dove la rugiada A.l.\ku^ru■
Pugna col sole, e per essere in parte
1.2. 3. Ove ad. Dovc adorezza, poco si dirada; /?. ovf..kr
124. Ambo le mani in sull' erbetta sparte
Soavemente il mio Maestro pose;
Ond' io che fui accorto di su' arte , z>. Ed io
127. Porsi ver lui le guance lagrimose: r. />. vaui
Quivi mi fece tutto discoperto a. hi
Quel color che Y inferno mi nascose.
130. Venimmo poi in sul Uto diserto,
Che mai non vide navicar sue acque
1.2. 3. Uom, che di rit. Uomo , clic di tomar sia poscia esperto.
133. Quivi mi cinse si come altrui piacque:
0 maraviglia! che qual egh scelse i^.^uairu.--*
L' umile pianta, co tal si rinacque
136. Subitamente là onde la svelse. j.tf.u«.-
115. li' alba viiicea sii — 120. rIì par gin* — 123. Dove adaurezza — 128. Lui mi fece - 133. rome a lui piarqnf
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e ANTO SECONDO
vTià era il sole all' orizzonte giunto ,
Lo cui meridian cerchio coperchia b. d. w c«ì
Jerusalem col suo più alto punto:
4. E la notte che opposita a lui cerchia,
(ianRei;ià Uscìa òx Gaugc fuor colle bilance, ^. dì Gange già
Che le caggion di man quando soperchia; (\v\^t\\c^.
7. Si che le bianche e le vermiglie guance.
Là dove io era, della bella Aurora,
Per troppa etate divenivan rance.
.lunghesso il mare 10. Noi cravam luughcsso mare ancora,
Aspetta suo 2.3. Come gente che pensa a suo cammino, h. cir aspetta suo cam.
he pensa suo
Che va col core, e col corpo dimora:
sul press.. 2. suol 13. Ed ccco Qual , sorpreso dal mattino, b. «oi presso dei matt.
»so - l. 2. 3. del m. x x
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Giù nel ponente sopra il suol marino;
16. Cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
Un liune per lo mar venir sì ratto.
Che il mover suo nessun volar pareggia;
5. fuor dalle bilance — 11. penta il ano cam. — 13. Ecco qual solo presso — soppresso da uiatt. — 16. sì ancor lo t.
31*
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244
1. Del qual
ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO II. 19 — 42.
ANGELO.
1. 2. B. a lui n uscio
1. 2. aperser 1' «li
19. Dal qual, coin' io un poco ebbi ritratto
L' occhio per domandar lo Duca mio,
Rividil più lucente e maggior fiitto.
i. 2. 3. d- ogni parte 22. Poi d' ogul lato ad esso m' apparìo
Un non sapeva che bianco, e di sotto
A poco a poco un altro a lui uscio.
25. Lo mio Maestro ancor non fece motto
Mentre che i primi bianchi apparser ali:
AUor che ben conobbe il galeotto,
28. Gridò: Fa, fa che le ginocchia caU:
Ecco r Angel di Dio : piega le mani :
Omai vedrai di sì fatti offiziaU.
31. Vedi che sdegna gli argomenti umani.
Sì che remo non vuol, ne altro velo
Che r ale sue , tra liti sì lontani.
34. Vedi come Y ha dritte verso il cielo ,
Trattando 1' aere con Y eterne penne.
Che non si mutan come mortai pelo.
37. Poi come più e più verso noi venne
L' uccel divino, più chiaro appariva;
Per che 1' occhio da presso noi sostenne;
40. Ma chinai 1' giuso ; e quei sen venne a riva
Con un vasello snelletto e leggiero.
Tanto che 1' acqua nulla ne inghiottiva.
B. e. V B.>e 4
J. l. 1 lui B -•'-
B. e. apfTyr
B. rhiuiii k EJ-
C r ali - ( '' »'
liti Ioli
B. TralL I x'*
*i3. non iiapea che biancheggiar Di s. — 24. un altro appresso uscio — 25. non faeea motto - 2fL apparvcr ali || appar\e
'M. ginoechie — 3.'). V arr ron — 37. K come più — 38. L' angiol divino || 1/ angcl di Dio — 41. un vasrclln - vasccl isnrllrtto
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fhe parott — 1. 2.
. per i^pritto
lì. che parca — D. per
desor. /?. per iscritto
' pò» 1
3. oarr. il rapr.
amo spirti
3. seni ]>er.
ANTIPURGATORIO. PURGATORIO n. 43 — 66. angklo. 245
43. Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal che faria beato pur descritto;
E più di cento spirti entro sediero.
46. In exitu Israel de Egitto
(Jantavan tutti insieme ad una voce,
Con quanto di quel salmo è poscia scritto, ^. è poi «eritto
49. Poi fece il segno lor di santa croce;
Ond' ei si gittar tutti in sulla piaggia,
Ed ei sen gì, come venne, veloce. />.««» pi«
52. La turba che rimase lì, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno,
Come colui che nuove cose assaggia.
55. Da tutte parti saettava il giorno
Lo sol , eh' avea colle saette conte e. va soi
Di mezzo il ciel cacciato capricorno,
58. Quando la nuova gente alzò la fronte
Ver noi, dicendo a noi: Se voi sapete,
Mostratene la via di gire al monte.
61. E Virgilio rispose: Voi credete
Forse che siamo esperti d' esto loco ; h. u. m. siamo spirti
Ma noi slam peregrin , come voi siete. b. r. «em per.
64. Dianzi venimmo innanzi a voi un poco.
Per altra via che fii sì aspra e forte,
Che lo salire ornai ne parrà gioco. '^ "^órlLfi' ^^' ^ "''
4.'». entro sederò — 47. Cant tutti quanti — 51. com' ei venne — M. Come colei - fifi. A tutte parti — M. innanti a voi - 66. Che '1
rmiii ti n>e 1 sai. oggìmai
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246
ANTIPITRRATORIO.
1. 2. 3. lo spirar
D. ancora
1. 2. 3. che porta
1.2.
1. agli occhi miei —
1. 2. 3. s' affisar
1. 2. 3. tutte qu.
1. 2. 3. trarresi av.
1. 2. 3. dictrri
1. Con. allora 2.3. Allor
con. — 1. 2. 3. e pre^AÌ
PURGATORIO II. 67-90. r
67. L' anime che si fur di me accorte,
Per lo spirare; eh' io era ancor vivo,
MaravigUando diventaro smorte;
70. E come a messaggier, che porti oUvo,
Tragge la gente per udir novelle,
E di calcar nessun si mostra schivo;
73. Cosi al viso mio s' affissar quelle
Anime fortunate tutte e quante,
Quasi obbliando d' ire a farsi belle.
76. Io vidi una di lor trarsi davante
Per abbracciarmi con si grande afifetto,
Che mosse me a far lo simigliante.
75). 0 ombre vane, fuor che nell'aspetto!
Tre volte retro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto.
82. Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
Per che 1' ombra sorrise e si ritrasse,
Ed io seguendo lei, oltre mi pinsi.
85. Soavemente disse eh' io posasse:
Conobbi allor chi era, e '1 pregai
Che per parlarmi un poco s' arrestasse.
88. Risposemi : Cosi com' io t' amai
Nel mortai corpo, così t' amo sciolta:
Però m' arresto : ma tu perchè vai?
8. e. I). lo spirar -
(\ che io — B.h.auci-n
B. /). rbc porrà
B. alsli orchi miri —
B, »' affisar C. s'ar!i>rr
Z>. s* affisser
A. 2. B. (\ U. tuttf i\ìi.
B. e. trarresi av.
B. Omlire vaiie
B. r. n. dietro
B. Con. allora A. 2. t.
Allor conolibi - R.
D. e predai
70. al messaggier — 72. E del calcar — 73. s' avvisar — 75. d' ire e farsi — 76. di loro trarsi — trarrersi |{ tragcersi — 7^. far il
aim. — 81. mi tornar |) mi trovai — con nulla || con nullo
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ANTIPURGATOBIO.
PURGATORIO li. 91 - 114.
247
1, i 3. do-ve io «OH
1. M'a te com'era t. terra t.
- 2. 3. comr tanta ora è
3. che <
^alla
1. 2. 3, Tevere
91. Casella mio, per tornare altra volta
Là dove soii, fo io questo viaggio,
Diss' io; ma a te com' è tanta ora tolta?
1)4. Ed egli a me: Nessun m' è fatto oltraggio.
Se quei, che leva e quando e cui gli piace,
Più volte m' ha negato esto passaggio ;
97. Che di giusto voler lo suo si face.
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Chi ha voluto entrar con tutta pace.
100. Ond' io che era ora alla marina volto,
Dove r acqua di Tevero s' insala.
Benignamente fili da lui ricolto
I.Ì3.0V «5iihadr. 103. A qucUa foce, ha egli or dritta T ala:
Perocché sempre quivi si ricoglie,
Qual verso d' Acheronte non si cala.
106. Ed io: Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all' amoroso canto ,
Che mi solca quetar tutte mie voglie,
109. Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L' anima mia, che con la sua persona
Venendo qui, è affannata tanto.
112. Amor che nella mente mi ragiona ^
Cominciò egli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
H. C. U. dove io Mon
H. M' a te coni' era tanta
terra t.
H. voi., e terrà
f. delTev. - //.Tevere
D. raccolto
B. ov" egli ha dr.
D. quivi sempre
A. t. mie doglie
.4. ancor nel cor
92. lÀ d' ov' io 8on — 93. Ma a te, diss' io — com' ora tanta terra è || come tant' erta è (?) — 96. leva quando — 100. che or era
)Ua - 1(>|. si raccoglie — 105. verno Acheronta || verso Acheronte || verso di Caronte — 109 consolarmi alqu. || quietare alqu. — 110. eolla mia
\^n. - 113. Coni, egli a dir
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248
ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO n. 115-133.
3. Noi eravjim
1. 2. 3. bi»da
1. 2. 3. Lahr. il e
3. fui^gir ver
1. dove s* arresta
115. Lo mio Maestro, ed io, e quella gente
Ch' eran con lui, parevan sì contenti,
Come a nessun toccasse altro la mente.
118. Noi andavam tutti fissi ed attenti
Alle sue note; ed ecco il veglio onesto,
Gridando: Che è ciò, spiriti lenti?
121. Qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch' esser non lascia a voi Dio manifesto.
124. Come quando, cogliendo biado o loglio,
Li colombi adunati alla pastura,
Queti senza mostrar V usato orgoglio,
127. 8e cosa appare ond' elli abbian paura,
Subitamente lasciano star 1' esca.
Perchè assaliti son da maggior cura;
130. Cosi vid' io quella masnada fresca
Lasciar lo canto, e gire in ver la costa,
('ome uom che va, ne sa dove riesca:
133. Ne la nostra partita fu men tosta.
/J. Noi eravam
B. (\ l)iada
A. abbili paura
B. D. Lasc. il e.
B. dove i»' arrei»ta
116. parevain — UH. Noi sederam — 119. il vecchio on. — 121. Qual ne^ghienza — qual ristare — 124. Come cogl. biada ovvero 1.
Siccome ricopi, b. n 1. — n biada o loglio
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CANTO TERZO
1. 2. 3. dietro
1. 2. da' »uoì
Avvegnaché la subitana fuga
Dispergesse color per la campagna,
Rivolti al monte ove ragion ne fruga;
4. Io mi ristrinsi alla fida compagna:
E come sare' io senza lui corso?
Chi m' avria tratto su per la montagna?
7. £i mi parea da se stesso rimorso:
0 dignitosa coscienza e netta,
Come t' è picciol fallo amaro morso!
10. Quando U piedi suoi lasciar la fretta,
Che r onestade ad ogni atto dismaga,
La mente mia, che prima era ristretta,
13. Lo intento rallargò, sì come vaga,
E diedi il viso mio incontro al poggio.
Che inverso il ciel più alto si dislaga.
16. Lo sol, che retro fiammeggiava roggio.
Rotto m' era dinanzi, alla figura
Ch' aveva in me de' suoi raggi T appoggio.
B, senza lui volto
A. piceol fallo
B. pria
B. C. D. dietro
e. Ch' avca in i
2. Distperdeiise ^ rostor — 3. ragion li fr. — ne fuga — 7. E lui parea — di sé stesso — 12. era distretta — 14. ineontra il p.
U«* a\eva
li.
32
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250
ANTIPUBOATORIO.
PURGATORIO III. 19-42.
DANTE E VIRGILIO.
1. 2. 3. fncev' oinlira
2. 3. turm. e caldi
1. pU88Ut4> avcHti
1. vedesti
19. Io mi volsi dallato con paura
D' esser abbandonato , quand' io vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
22. E il mio Conforto: Perchè pur diffidi,
A dir mi cominciò tutto rivolto:
Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi?
25. Vespero è già colà, dov' è sepolto
Lo corpo, dentro al quale io facea ombra:
Napoli r ha, e da Brandizio è tolto.
28. Ora, se innanzi a me nulla s' adombra,
Non ti maravigliar più che de' cieli,
Che l'uno all' altro raggio non ingombra.
31. A sofferir tormenti, caldi e gieli
SimiU corpi la virtù dispone,
Che, come fa, non vuol che a noi si sveli.
M. Matto è chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer la infinita via,
('he tiene una sustanzia in tre persone.
37. State contenti, umana gente, al quia:
Che se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria;
40. E disiar vedeste senza frutto
Tai, che sarebbe lor disio quetato,
Ch' eternalmente è dato lor per hitto.
e. A dir ineom.
Zi. D. facpv' (imbra
(\ tona, e caldi
A. 1. cuutente umane
i^ntì (?)
B. C. posauui -
A. l). arrssi /?. avesti
.1. 2. H. r. D. vedesti
A. i' lor dato
19. volsi da lato — 22. disfidi — 25. Vcspercggia colà — 25, 26. dove sepolto É il corpo — 27. Kd a Braud. — 2K. Otuai , se —
nulla H aombra || milla fa ombra - 33. come *l fa || rome sia - 35. Possa trascender — 37. State contenta - :)8. possuto fosse - 42. eternamenie
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ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO III. 43-66.
DANTE E VIRGILIO.
251
1 a pie 2. 3. appiè
1. 'l. era una se.
43. Io dico d' Aristotele e di Plato,
E di molti altri. E qui chinò la fronte;
E più non disse, e rimase turbato.
46. Noi divenimmo intanto al pie del monte:
Quivi trovammo la roccia sì erta,
Che indarno vi sarien le gambe pronte.
49. Tra Lerici e Turbìa, la più diseita,
La più romita via è una scala,
Verso di quella, agevole ed aperta.
52. Or chi sa da qual man la costa cala,
Disse il Maestro mio, fermando il passo,
Sì che possa sahr chi va senz' ala?
1 2. 3. che tenendo il 55. E iHeutre ch' cì teneva '1 viso basso,
1. i. 3. Esaminava Esamiuaudo del cammin la mente.
Ed io mirava suso intorno al sasso,
58. Da man sinistra m' apparì una gente
D' anime, che movieno i pie ver noi,
E non parevan, sì venivan lente.
61. Leva, diss'io, Maestro, gli occhi tuoi:
Ecco di qua chi ne darà consiglio,
Se tu da te medesmo aver noi puoi.
1.13. ciuardommi allora 64. Guàrdò a loro , c cou llbcro piglio
Rispose: Andiamo in là, eh' ei vegnon piano;
E tu ferma la speme, dolce figlio. z>. «dolce
•t pareva
i- 2. 3. dissi al
5. r. a pie J.2.Z>.appiè
D. Dove trov.
.(. C. Leriee
A. La più rotta mina —
B. era una se.
A. 1. tenea il
A. 1. B. Esaminava
A. 2. C. Ed esaminava
D. sin. appari
B. dissi al M.
B. D. Guardommi —
A. 1. (?) B. 1). allora
49. Lerici ed Urbi — 50. La più minata || La p, rainosa — riva || costa — 58. m' apparse — 59. che moveano — 60. si veniann —
il. L. diss' io, al M, || Leva, Maestro, diss' io
32*
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252 ANTIPUROATORIO. INTERDETTI. PURGATORIO III. 67 — 90. DANTE K VlRGILtO.
tì7. Ancora era quel popol di lontano,
1.2.3. r dico - 1. dopo Dico, dopo li nostri, mille passi, /Aiodirr. -t
nostri 2. 3. dopo i. n. dopo Br-i«r
Quanto un buon gittator trama con mano,
70. Quando si strinser tutti ai duri massi u. ad » m*^^
Dell' alta ripa, e stetter fermi e stretti.
Come a guardar, chi va dubbiando, stassi, i/. chi daiui:
73. 0 ben finiti, o già spiriti eletti,^
Virgilio incominciò, per quella pace
Ch' io credo che per voi tutti si aspetti,
76. Ditene, dove la montagna giace.
Si che possibil sia 1' andare in suso;
1. 2. 3. Che i perder Chc pcrdcr tcffipo a chi più sa più spiace. -». ch«p.r^-
79. Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e T altre stanno r. Edun*
Timidette atterrando V occhio e il muso;
82. E ciò che fa la prima, e T altre fanno,
Addossandosi a lei s' ella s' arresta, u. Adbe^^i-
1. lo perché Semplici e quete, e lo 'mperchè non sanno: x>. loperrt
85. Sì vid' io movere a venir la testa
Di quella mandria fortunata allotta , r. «nandr*
Pudica in faccia, e nell' andare onesta.
88. ('ome color dinanzi vider rotta
La luce in terra dal mio destro canto.
Sì che r ombra era da me alla grotta, -i». rdi»
71. Dell'altro monte — 73. O ben fin. già — 74. Virg. cominciò — 82. U prima, l'altre
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MANFREDI.
L imiirtro
l frro
""he <|Ufsti
ANTIPURfìATORTO. INTKRDETTI. PURGATORIO III. 91—114.
91. Restaro, e trasser se in retro alquanto,
E tutti gli altri che venieno appresso.
Non sapendo il perchè, fenno altrettanto.
94. Senza vostra domanda io vi confesjBo,
Che questo è corpo uman che voi vedete,
Per che il lume del sole in terra è fesso.
97. Non vi maravighate; ma credete,
Che non senza virtù che dal ciel veglia,
Cerchi di soperchiar questa parete.
100. Cosi il Maestro: e quella gente degna:
Tornate, disse, mtrate innanzi dimque,
Coi dossi delle man facendo insegna.
103. Ed un di loro incominciò: Chiunque
Tu se', così andando volgi il viso,
Pon mente, se di là mi vedesti unque.
106. Io mi volsi ver lui, e guardail fiso:
Biondo era e bello, e di gentile aspetto;
Ma r un de' cigli un colpo avea diviso.
109. Quand' io mi fui umilmente disdetto
D' averlo visto mai, ei disse: Or vedi:
E mostrommi una piaga a sommo il petto.
112. Poi sorridendo disse: Io son Manfredi,
Nepote di Constanza Imperadrice:
Ond' io ti prego che quando tu riedi.
253
ì. disse s»orrid
Uosfaiiza
fi. IJ. RisUn. —
H. r. O. indietro
-J. 2. C. U. Kap. perchè
- a. fero
C. U, Per che lume
(\ da eici
A. 2. 6'. />. K uuarda, Me
A. 1. (?) (\ (Quando mi
H, V. Gostanza
^L K tutte r altre — ehe veniano — 96. il lume del cielo
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254 ANTll'lIRCATORIO. INTERDETTI. PURGATORIO 111. 115 — 138. MANPBEIM.
115. Vadi a mia bella figlia, genitrice r. /ifisu,.
2. 3. Cicilia Dell' Gnor di Sicilia e d' Aragona, ACirUi./,
i. i. 3. a lei il ver E diclù il vcFO a Icì , s' altro si dice: *. akuw
118. Poscia eh' i' ebbi rotta la persona
•2. Di duo Di due punte mortali, io mi rendei
Piangendo a quei che volentier perdona.
121. Orribil turon li peccati miei;
Ma la bontà infinita ha si gran braccia,
1. 2. 3. rivoivt. Che prende ciò, che si rivolge a lei. ^. />. m.i-
124. Se il pastor di Cosenza, che alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia, />. i«in
127. L' ossa del corpo mio sarieno ancora
In co del ponte presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
130. Or le bagna la pioggia e move il vento
i. 2. 3. dal re«i.o DÌ fuor dcl regno, quasi lungo il Verde, i?. r.dairrt^
1.2. 3. Ove le Dov' ei le trasmutò a lume spento. /?. ovrie/'
1H3. Per lor maledizion si non si perde, D.m»M.r^
Che non possa tornar 1' eterno amore,
i. èfuoideiv. Mentre che la speranza ha fior del verde.
136. Ver è che quale in contumacia more
Di santa Cliiesa, ancor che al fin si penta.
Star gli convien da questa ripa in fiiore
117. E dica II E di' || E dinne — 119. Di due colpi — 123. che si risolve — 124. Coscenza — 129. jjrcve m«r» - 13^ '
e batte il vento — 133. Già lor mal. — 135. fior dal v || fior «li verde — 138. ripa fuore
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ANTIPURGATORIO. INTERDETTI. PURGATORIO HI. 139 - 145. MANFREDI. 255
139. Per ogni tempo, ch'egli e stato, trenta, // che gu è
In sua presunzion, se tal decreto
Più corto per buon preghi non diventa.
142. Vedi oramai se tu mi puoi far lieto,
1. 2. (iosuiwa Rivelando alla mia buona Constanza
Come m'hai visto, ed anco esto divieto;
145. Che <|ui per quei di là molto s' avanza.
141. buon prego — 142. Vedi o^KÌinai
H. e. D. GoHtanza
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CANTO QUARTO
2. 3. altra è
[JU.
v^uando per dilettanze ovver per doglie,
Che alcuna virtù nostra comprenda, u. nostra virtù
L' anima bene ad essa si raccoglie,
4. Par che a nulla potenza più intenda;
E questo è contra quello error, che crede i>. contro a qu.
Che un anima sopr' altra in noi s' accenda.
7. E però, quando s' ode cosa o vede,
Che tenga forte a se V anima volta,
Vassene il tempo, e T uom non se n' avvede:
10. Ch' altra potenza è quella che 1' ascolta.
Ed altra quella che ha Y anima intera:
Questa è quasi legata, e quella e sciolta.
13. Di ciò ebb' io esperienza vera,
Udendo quello spirto ed ammirando:
Che ben cinquanta gradi salito era
16. Lo sole, ed io non m' era accorto, quando
Venimmo dove queir anime ad una
Gridaro a noi : Qui è vostro domando. r. quìv- è
A. 2. B. r, altra è quclU
e. Qu. quasi — A. 1.
quella sciolta (?)
2. nostra si couipr. — 4. più attenda — 10. è questa — 17. Ven. otc qu. an. || Ven. là dove qu. alme
li. Xì
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258
ANTIPURGATORIO.
PURGATORIO IV. 19-42.
DANTK E VIRGILIO.
1. Salico
1. 2. con r ale
I. 2. salavam
1. d' ogiii parte
1. 2. 3. Quando noi
1. 2. H. dietro a me
A. in su C. su in —
A. (\ e in cac.
fi. con r ale
19. Maggiore aperta molte volte impruna,"
Con una forcatella di sue spine,
L' uom della villa, quando 1' uva imbruna,
22. Che non era la calla, onde saline r. uraiie />. io r*iie
Lo Duca mio ed io appresso soli,
Come da noi la schiera si partine.
25. Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli:
Montasi su Bismantova in cacume
Con esso i pie ; ma qui convien eh' uom voli ,
28. Dico con 1' ali snelle e con le piume
Del gran disio, diretro a quel condotto,
Che speranza mi dava, e facea lume.
31. Noi salivam per entro il sasso rotto,
Fi d' ogni lato ne stringea lo stremo,
E piedi e man voleva il suol di sotto.
34. Poiché noi fummo in sull' orlo supremo
Dell'alta ripa, alla scoperta piaggia:
Maestro mio , diss' io , che via faremo ?
37. Ed egli a me: Nessun tuo passo caggia;
Pur su al monte retro a me acquista,
Fin che n' appaia alcuna scorta saggia.
40. Lo sommo er' alto che vincea la vista,
E la costa superba più assai,
Che da mezzo quadrante a centro lista.
A. 2. B. a D. s&laTam
B. Quando noi
fi. (\ J). dictr«i a me
21. 1/ uomo di villa — 22. la scala || la callaja — 27. ma lì conv. — 30. E speranza — ne dava — 31. saglivam ||salevani |t sAlievaro. I|
sagliavam — per esso il s. — 33. e mani volea — 34. Poi noi fammo — 38, Pur suso al ni. — 42. Clie dal messo — al centro
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ANTIPUROATOBIO.
PURGATORIO IV. 43 — 66.
DANTK K VIROILIO.
259
1. rh' io staym
l. 2. 3. Ore
1 3. Tu Tcdresti
B. O iìglio, disse
B. insin
A. Ed additominì
sprouavar
/?. C. D. sotto pie
.'(. 2. (\ D. ambodui
B. anibidui
/?. r. D. al levant*
1. 2. quando i- coni. 43. lo SFa lasso , quando cominciai: /?. quandi com.
0 dolce padre, volgiti, e rimira
Com' io rimango sol, se non ristai.
LO figlio d. 2.3.0 46. Fiffliuol mio, disse, infin quivi ti tira,
figliuold.- 1.2.3. insin ^ ^
Additandomi un balzo poco in sue.
Che da quel lato il poggio tutto gira.
1. spronavan 49. §1 ffii spTouaTOu Ic paTolc suc ,
Ch' io mi sforzai, carpando appresso lui.
Tanto che il cinghio sotto i pie mi fue.
1. ambidui 2. amendui 52. A scdcT cì poucumio ìvì amòo e dui
3. ambedui
Volti a levante, ond' eravam saliti,
Che suole a riguardar giovare altrui.
55. GU occhi prima drizzai a' bassi liti;
Poscia gli alzai al sole, ed ammirava
(yhe da sinistra n' eravam feriti.
58. Ben s' avvide il Poeta, che io stava
Stupido tutto al carro della luce.
Dove tra noi ed Aquilone intrava.
61. Ond' egli a me: Se Castore e Polluce
Fossero in compagnia di quello specchio ,
Che su e giù del suo lume conduce , ^ gi» « «u
()4. Tu vederesti il Zodiaco rubecchio ^.tu vedresti
Ancora all' Orse più stretto rotare,
Se non uscisse fuor del cammin vecchio.
/?. e. l). Ove
43. quando incom. — 46. Fit;liaol, mi disse — fin quivi — 47. un b. un poco — 48. al poggiti — tutto aggira — 50. carpendo —
prcsao - 55. pria dirizzai - ne" bassi I. - 58. eh" io restava — 62. di questo sp. - 64. robccchio — (V5. più presso
38-
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>f.2.a]nbodue ^/.ambidui
B. D. unendue
A. onde è U «tr.
260 ANTiPUHOATORio. PURGATORIO IV. 67 — 90. dante e Virgilio.
67. Come ciò sia, se il vuoi poter pensare,
Dentro raccolto immagina Sion
Con questo monte in sulla terra stare
i.2.amenduc 3. ambedue 70. Si, clic ambo c (Jue lianuo un solo orizzon,
1. 2. onde è la str. E diversi cmi Speri ; onde la strada.
Che mal non seppe carreggiar Feton,
73. Vedrai come a costui convien che vada
Dall' un, quando a colui dall'altro fianco,
Se r intelletto tuo ben chiaro bada.
76. Certo, Maestro mio, diss'io, unquanco
1. 2. 3. Non vid* io Non vidi chiaro si, com' io discerno,
Là dove mio ingegno parca manco:
79. Che il mezzo cerchio del moto superno.
Che si chiama Equatore in alcun' arte,
E che sempre riman tra il sole e il verno,
1. lacagion, rhèdiqu. 82. Pcr la ragion che di', quinci si parte
Verso settentrion, quando gli Ebrei
Vedevan lui verso la calda parte.
85. Ma se a te piace, volentier saprei
Quanto avemo ad andar, che il poggio sale
Più che salir non posson gli occhi miei.
88. Ed egli a me: Questa montagna è tale,
(vhe sempre al cominciar di sotto è grave, /;. sempre n com.
E quanto uom più va su, e men fa male.
B. Non vid' io —
C. com' or disc.
C. D. dove 'I mio
B. I). la ragion
(\ sotto la calda
67. Come rio fia - ?2. Che mal ne || Clic mal si ;| Che mal la i| La qual non — 75. ciiiaro abbada — 76. Certo, diss' io. M. m.
7«. Là ove '1 mìo — 82. Per la ragione che quinci — 85. Ma se ti piace - 90. E quanto più
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ANTIPURGATORIO. NEOLIOENTI.
PURGATORIO IV. 91-114.
BELACQUA.
261
1. che su and. — 1.2.3.
ti sia
1. 2. 3. kìù r Andar
1. da presso
2, 3. ned io - 1. 2. 3.
ned ci
1. 2. 3. Come I* uom per
nri^hienza
1. 2. 3. disse: Va
91. Però quand' ella ti parrà soave
Tanto, che il su andar ti fia leggiero,
Come a seconda giuso andar per nave;
94. AUor sarai al fin d' esto sentiero:
Quivi di riposar Y affanno aspetta.
Più non rispondo, e questo so per vero.
97. E, com' egli ebbe sua parola detta,
Una voce di presso sonò: Forse
Che di sedere in prima avrai disti'ctta.
100. Al suon di lei ciascun di noi si torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qual ne io ne ei prima s' accorse.
103. Là ci traemmo; ed ivi eran persone
Che si stavano all' ombra dietro al sasso,
Com' uom per negligenza a star si pone.
106. Ed un di lor che mi sembrava lasso.
Sedeva ed abbracciava le ginocchia,
Tenendo il viso giù tra esse basso.
109. 0 dolce Signor mio, diss'io, adocchia
(Jolui che mostra se più negligente.
Che se pigrizia fosse sua sirocchia.
112. AUor si volse a noi, e pose mente.
Movendo il viso pur su per la coscia,
E disse: Or va su tu, che se' valente.
A 2. /y. e. D, che su and.
— H. C. Ih ti si»
-4. l.i;iìi l'andar (?) B. D.
uiii andar — A. tn. in nave
//. D. da prcsKo
fi. IJ. nv ei ne io
C. nt« egli né io
-1. 2. //. Come 1' uoin per
necs^liienxa
ff. disse: Va — A. 1. va
tu su
92. che in su and. || che su 1' and. || che 'n su l' and. —
UI2. uè egli pria — 103. e quivi eran — 114. Or va tu, che se*
93. a seconda in giuso || a sec. in giù — *J?<. gridò : Forse - 90. iiupria —
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262
ANTIPURfiATORIO. NEOLItJKNTI. PURGATORIO IV. 115—139.
BKLAC-QL'A.
115. Conobbi aUor chi era; e queir angoscia,
Che m' avacciava un poco ancor la lena, r. // un poco .iior
Non m' impedì 1' andare a lui; e poscia
118. Che a lui fui giunto, alzò la testa appena,
Dicendo: Hai ben veduto, come il sole
Dall' omero sinistro il carro mena?
121. GU atti suoi pigiai, e le corte parole
Mosson le labbra mie un poco a riso;
Poi cominciai: Belacqua, a me non duole
124. Di te ornai; ma dimmi, perchè assiso
Quiritta sei? attendi tu iscorta,
1. 1 ha ripr. 0 pur lo modo usato t' hai ripriso ?
127. Ed ei: Frate, Y andare in su che porta?
Che non mi lascerebbe ire ai martiri
2. V uscier 3. 1/ aiigci L' ucccl di Dio chc slcdc in sulla porta.
130. Prima convien che tanto il ciel m' aggiri
Di fuor da essa, quanto fece in vita,
1. 2. 3. «i fili H Perch'io indugiai al fine i buon sospiri;
133. 8e orazione in prima non m' aita,
Che surga su di cor che in grazia viva:
1. 2. non è gradita L' altra clic val , che in ciel non e udita ?
136. E già il Poeta innanzi mi saliva,
E dicea: Vienne omai, vedi eh' è tocco
Meridian dal sole, e dalla riva
139. Copre la notte già col pie Morrocco.
A. l. Qui retto —
A. 2. tu a scorta
A. Ed elli: O frate
C. D. VA elli a me
B. il ciel t' ag^. (\ il e.
iugiri
A. 2. da esso
r. D. Perchè ìnd. —
B. al fin li
1. 2. X Marrocco
R. dei sole — B. C. U.
e che alla r.
A. Monrocco
Ut». Che m'avanzava — ancor di lena — 121. le poche par. — 124. ma di' perche — 125. Quiritto — Lìti, ha te ripriso -
127. r andar su — 131. quant' io feci — 134. che grazia avviva — 136. innanzi a me - 137. Vieni ormai — 138. ed alla riva fj eh* è alla rira
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CANTO QUINTO
Lo era già da queir ombre partito,
E seguitava 1' orme del mio Duca,
Quando diretro a me, drizzando il dito,
4. lina gridò: Ve', che non par che luca
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
E come vivo par che si conduca.
7. Gli occhi rivolsi al suon di questo motto,
E vidile guardar per maravigha
Pur me, pur me, e il lume eh' era rotto.
10. Perchè 1' animo tuo tanto s' impiglia.
Disse il Maestro , che 1' andare allenti ?
Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
i. 2. 3. V. dietro 13. Vìcu rctro a me, e lascia dir le genti;
a. torre, ferino Sta comc torre ferma, che non crolla
Giammai la cima per soffiar de' venti.
Ifi. Che sempre V uomo, in cui pensier rampolla
Sopra pensier, da se dilunga il segno,
Perchè la foga 1' un dell' altro insolla.
A. 2. fi. C. V, \ìen dietro
/}. Sui fermo come torre
e. di venti
A. IN. dell' un 1* altro
3. diretro a noi — 0. si dediiea — 14. Sta come torre forte - 18. Perchè la soga
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264
ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI.
PURGATORIO V. 19-42.
DANTE E VIRGILIO.
1. 2. 3. da trav.
\
1. mezza notte
1. 2. 3. che corre
19. Che poteva io ridir, se non: Io vegno?
Dissilo, alquanto del color consperso
Che fa r uom di perdon tal volta degno,
22. E intanto per la costa di traverso
Venivan genti innanzi a noi un poco,
Cantando Miserere a verso a verso.
25. Quando s' accorser ch'io non dava loco,
Per lo mio corpo, al trapassar de' raggi,
Mutar lor canto in un 0! lungo e roco;
28. E due di loro in forma di messaggi
Corsero incontro a noi, e domandarne:
Di vostra condizion fatene saggi.
31. E il mio Maestro: Voi potete andarne,
E ritrarre a color che vi mandaro,
C;he il corpo di costui è vera carne.
34. Se per veder la sua ombra restaro,
Com' io avviso, assai è lor risposto:
Facciangli onore, ed esser può lor caro.
37. Vapori accesi non vid' io si tosto
Di prima notte mai fender sereno,
Ne, sol calando, nuvole d'agosto,
40. Che color non tornasser suso in meno,
E giunti là, con gli altri a noi dier volta.
Come schiera che scorre senza freno.
D. Or, che poteva io dir
B. da trav.
D. t. due intanto
B.
D. t. Come gente
19. io più dir — 2(). alqu. di color — 22. Intanto per la e. — 27. Mutar Io canto — 32. E ridire a col. — 34. ristaro — 39. Nel
sol cai. — in nuv, d' ai?. — 41. E giunto là — K giunti gli altri là, a noi — con gli altri dier v.
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ANTIPUROATORIO. NEGLIGBNTI.
PURGATORIO V. 43 — 66.
JAC. DEL CASSERO.
265
1. 2. 3. Che dietro
43. Questa gente, che preme a noi, è molta,
E vengonti a pregar, disse il Poeta;
Però pur va, ed in andando ascolta.
46. 0 anima, che vai per esser lieta
Con quelle membra, con le quai nascesti,
Venian gridando, un poco il passo queta.
49. Guarda, se alcun di noi unque vedesti.
Sì che di lui di là novelle porti:
Deh perchè vai? deh perchè non t' arresti?
52. Noi fìimmo già tutti per forza morti,
E peccatori infino all' ultim' ora:
Quivi lume del ciel ne fece accorti
55. Sì, che, pentendo e perdonando, fuora
Di vita uscimmo a Dio pacificati,
Che del disio di sé veder n' accora.
58. Ed io: Perchè ne' vostri visi guati,
Non riconosco alcun; ma se a voi piace,
Cosa eh' io possa, spiriti ben nati,
61. Voi dite; ed io farò per quella pace,
Che, retro ai piedi di sì fatta guida.
Di mondo in mondo cercar mi si face.
64. Ed uno incominciò: Ciascun si fida
Del beneficio tuo senza giurarlo.
Pur che il voler nonpossa non ricida.
D. t. Qii. schiera
A. \. in andar asc.
A. 2. I). unqua
A. 2. fummo tutti già
D. veder di sé
/?. C. D. Che, dietro
A. 1. E 1' uno
49. di noi giammai ved. — SO. novella porti — 53. insino — 54. lume dal ciel — 66. il voi. la possa || il voi. tua possa
IL 34
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266
ANTIPURGATORIO. NEOLIOENTI.
PURGATORIO V. 67-90.
JAC. DEL CASSERO.
1. 2. 3. • Pcrcir io
2. 3. che dritto
1. 2. 3. QuAnd' i' fui -
1. 2. 3. Oriaco
l. 2. 3. braco
1. 2. a laco
1. 2. io fui Buone.
67. Ond'io, che solo, innanzi agli altri parlo
Ti prego, se mai vedi quel paese
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
70. Che tu mi sie de* tuoi preghi cortese
In Fano sì, che ben per me s' adori
Pur, eh' io possa purgar le gravi offese.
73. Quindi fu' io; ma li profondi fori.
Onde uscì il sangue, in sul qual io sedea.
Fatti mi furo in grembo agli Antenori,
76. Là dov' io più sicuro esser credea:
Quel da Esti il fé' far, che m' avea in ira
Assai più là che '1 dritto non volea.
79. Ma s' io fossi fiiggito inver la Mira,
Quando fili sopraggiunto ad Oriago,
Ancor sarei di là dove si spira.
82. Corsi al palude, e le cannucce e il brago
M' impigliar sì, eh' io caddi, e lì vid' io
Delle mie vene farsi in terra lago.
85. Poi disse un altro: Deh, se quel disio
Si compia che ti tragge all' alto monte.
Con buona pietate aiuta il mio.
88. Io fui di Montefeltro, io son Buoneonte:
Giovanna, o altri non ha di me cura;
Perch' io vo tra costor con bassa fi*onte.
B. ionanzi gli
A. 1. (?) (\ D. tu mi sia
H. U. che dritto
B. D. Quand* io fui —
B. D. Oriaco
B. I). braco
B. D. laeo
B. D. io fui Buone.
A. di me non ha
67. Ed io, che — 78. più in là —
e gli altri — non han di me
83. Mi pigliar sì — 87. Con sì buona piet. || Deh. con buona piet. — 88. lo fui da M. — 89. Giov.
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ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO V. 91 — 114. BUONCONTE. 267
91. Ed io a lui: Qual forza, o qual ventura
Ti traviò si fuor di Campaldino,
Che non si seppe mai tua sepoltura?
94. Oh, rispos' egli, appiè del Casentino e. apièdicas.
Traversa un' acqua che ha nome l' Archiano,
Che sopra 1' Ermo nasce in Apennino.
1.V3 uvcìi 97. Dove il vocabol suo diventa vano «. r. u ve i toc.
Arriva' io forato nella gola.
Fuggendo a piede e sanguinando il piano. (- />• insanguinando
100. Quivi perdei la vista, e la parola
Nel nome di Maria finii, e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.
103. Io dirò il vero, e tu il ridi' tra i Vivi;
L' Angel di Dio mi prese, e quel d' inferno
1. ia. daicici Gridava: 0 tu del ciel, perchè mi privi? Adaiòei
106. Tu te ne porti di costui 1' eterno
Per una lagrimetta che il mi toglie;
Ma io farò dell' altro altro governo.
i. 2. neir a*r si 109. Bcu sal comc nell'aere si raccoglie * a. h. d. new ^er s\
Quell' umido vapor che in acqua riede,
Tosto che sale dove il freddo il coffUe. />. che^iugne-cdove
° freddo
112. Giunse quel mal voler, che pur mal chiede
Con r intelletto, e mosse il fummo e il vento
Per la virtù, che sua natura diede.
92. Ti trasviò — 97. Là dove il nome suo — 90. Pudendo a pie — a piedi, insangu. — 100. la vista e la parola: — 101. Nel n.
1 M. fiai — 108. Io dico — dirò vero — 111. ove 'l freddo lo coglie — 112. Giunto quel — 113. ei mosse il f.
34*
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268 ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO V. 115—136. PIA DE* TOLOMEI.
115. Indi la valle, come il dì fu spento,
1. DiPrat. Da Pratomagno al gran giogo coperse ij.ìigr^g.
1. 2. 3. iiciei Di nebbia, e il giel di sopra fece intento -4.i.^.i>.iicieidisop«i
118. Sì, che il pregno aere in acqua si converse:
La pioggia cadde, ed ai fossati venne
Di lei ciò che la terra non sofferse:
121. E come a' rivi grandi si convenne,
Ver lo fiume real tanto veloce .4. fiume rrgai
2. 3. siruinò SÌ ruiuò, chc nulla la ritenne.
124. Lo corpo mio gelato in sulla foce
Trovò r Archian rubesto; e quel sospinse
Nell'Amo, e sciolse al mio petto la croce, a, m. e. ver v Amo
127. Ch' io* fei di me quando il dolor mi vinse:
Voltommi per le ripe e per lo fondo.
Poi di sua preda mi coperse e cinse.
130. Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato della lunga via.
Seguitò il terzo spirito al secondo,
133. Ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé', disfecemi Maremma:
Salsi colui che innanellata pria,
136. Disposando m' avea con la sua gemma.
120. Ciò che di lei — 126. 1' Arch. robusto — 128. Volt, per le coste — 129. di sua pietra — 190. Se quando tu sar. — 134. e
disfecemi — I3ti. Disposato || Disposata
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CANTO SESTO
i^uando si parte il giuoco della zara,
Colui che perde si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara:
4. (>on r altro se ne va tutta la gente :
Qual va dinanzi, e qual di retro il prende,
E qual da lato gli si reca a mente.
7. Ei non s' arresta, e questo e quello intende:
A cui porge la man più non fa pressa;
E cosi dalla calca si difende.
10. Tal era io in quella turba spessa.
Volgendo a loro e qua e là la faccia,
E promettendo mi sciogliea da essa.
13. Quivi era 1' Aretin, che dalle braccia
Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
E r altro che annegò correndo in caccia.
16. Quivi pregava con le mani sporte
Federico Novello, e quel da Pisa
Che fé' parer lo buon Marzucco forte.
(\ di dietro
tì. più no i f»
A. 1. fuggendo in e.
J). pregavan
2. E ({url che perde — 5. Qual va dinanti — 13. Ivi era — 17. e qual
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270
1. 2. 3. tutte qu.
ANTIPUROATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO VI. 19—42.
19. Vidi Cont' Orso, e V anima divisa
Dal corpo suo per astio e per inveggia,
Come dicea, non per colpa commisa;
22. Pier dalla Broccia dico: e qui provveggia,
Mentr è di qua, la donna di Brabante,
Si che però non sia di peggior greggia.
25. Come libero fui da tutte e quante
PIER DALLA BROCCIA.
U. non sia però
A. 2. fi. a D. tutte qu.
Queir ombre che pregar pur eh' altri preghi, u. che pre^an
Si che s' avacci il lor divenir sante ,
28. Io cominciai: E' par che tu mi neghi,
0 luce mia, espresso in alcun testo.
Che decreto del cielo orazion pieghi;
1.2.3. queste «enti pregan 31. E qucsta gcutc prcga pur di questo.
Sarebbe dunque loro speme vana?
0 non m' è il detto tuo ben manifesto?
34. Ed egli a me: La mia scrittura è piana,
E la speranza di costor non falla,
Se ben si guarda con la mente sana.
37. VAih cima di giudizio non s' avvalla.
Perchè foco d' amor compia in un punto
Ciò che dee satisfar chi qui si stalla:
40. E là dov' io fermai cotesto punto,
Non si ammendava, per pregar, difetto,
Perchè il prego da Dio era disgiunto.
1. 2. 3. soddisf. - l. 2.
3. 8' astalla
-■I. C. iu lor dìv.
A. Incomìuciai
C. mia. sopresso
B. soddisfar - B. C.
D. 8* astalla
19. Vidi '1 Conte — 22. della Broccia — 23. Mentre è di li - 26. par eh' altrui preghi
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ANTIPrROATORIO. NEOLIOENTI.
PURGATORIO VI. 43—66.
271
43. Veramente a così alto sospetto
Non ti fermar, se quella noi ti dice,
Che lume fia tra il vero e V intelletto.
4H. Non so se intendi; io dico di Beatrice:
Tu la vedrai di sopra, in sulla vetta
Di questo monte, ridere e felice.
2.3. Kd io: Buon Duca 49. Ed io i Siguorc, audiamo a maggior fretta:
1. 2. 3. ritenta
ilinanzi
1. 2. 3. che a posta
1- 1 3. guardando
(3hè già non m' affatico come dianzi;
E vedi ornai che il poggio V ombra getta.
52. Noi anderem con questo giorno innanzi,
Rispose, quanto più potremo omai;
Ma il fatto è d' altra forma che non stanzi.
55. Prima che sii lassù, tornar vedrai
Colui che già si copre della costa,
Si che i suoi raggi tu romper non fai.
58. Ma vedi là un' anima, che posta
Sola soletta, verso noi riguarda,
Quella ne insegnerà la via più tosta.
61. Venimmo a lei: 0 anima Lombarda,
Come ti stavi altera e disdegnosa,
E nel mover degli occhi onesta e tarda!
64. Ella non ci diceva alcuna cosa;
Ma lasciavane gir, solo sguardando
A guisa di leon quando si posa.
tì. Ed io: Buon Duea
A. mi fatico
B. (\ U. Si che «noi
B. C. U. eh* a posta
A. 1. soletta e verso
(\ sol. in verso
D. ti stai
47. Tu la vedr. al sommo della vetta — 49. Ed io. Maestro — 51. il poggio ombra non getta - 55. Prima che siani — 57. romper
con tai _ fin. Qu. ne assennerà - 02. Come tu stai
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272 ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO VI. 67—90. * SORDELLO.
67. Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
Che ne mostrasse la miglior salita;
E quella non rispose al suo domando:
70. Ma di nostro paese e della vita
C inchiese. E il dolce Duca incominciava:
Mantova. ..ET ombra, tutta in se romita,
73. Surse ver lui del loco ove pria stava,
Dicendo: 0 Mantovano, io son Sordello
Della tua terra. E V un 1' altro abbracciava.
76. Ahi serva Italia, di dolore ostello.
Nave senza nocchiere in gran tempesta.
Non donna di provincie, ma bordello!
79. Queir anima gentil fii così presta.
Sol per lo dolce suon della sua terra,
Di fare al cittadin suo quivi festa;
82. Ed ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi, e r un V altro si rode
Di quei che un muro ed una fossa serra.
85. Cerca, misera, intorno dalle prode
Le tue marine, e poi ti guarda in seno ^. « guardi m s.
Se alcuna parte in te di pace gode.
88. Che vai, perchè ti racconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vota?
Senz' esso fora la vergogna meno.
G8. a suo domando — 71. Ci chiese — 88. perchè ti rassettasse
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ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI.
PURGATORIO VI. 91 — 114.
273
>. 3. Ces. nella selU
i. 2. 3. e costor con a.
91. Ahi gente, che dovresti esser devota.
E lasciar seder Cesare in la sella,
Se bene intendi ciò che Dio ti nota!
94. Guarda com' està fiera è fatta fella,
Per non esser corretta dagU sproni,
Poi che ponesti mano alla predella.
97. 0 Alberto Tedesco, che abbandoni
Costei eh' è fatta indomita e selvaggia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni,
100. Giusto giudizio dalle stelle caggia
Sopra il tuo sangue, e sia nuovo ed aperto,
Tal che il tuo successor temenza ii' aggia :
103. Che avete tu e il tuo padre soflferto.
Per cupidigia di costà distretti,
Che il giardin dell' imperio sia diserto.
106. Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura:
Color già tristi, e questi con sospetti.
a D. nella sella
r. ciò eh* i* dico , nota
/?. // /. e il tuo j
1.1* presura 2. T op- 109. Vìcu, crudcl, vìcuì, c vcdl la pressura
pressura
De' tuoi gentili, e cura lor magagne,
1. 'L 3.
com e sicura
1. 2. 3. Ved., sola
E vedrai Santafior com' è oscura.
112. Vieni a veder la tua Roma che piagne,
Vedova e sola, e dì e notte chiama:
Cesare mio, perchè non m' accompagne?
fi. e costor con !».
/?. e vedrai (?) - /?. la
presura — A. 2. C.
l). V oppressura
A. IH. come si cura
R. I). pom' p sicura
H. Xcà. , sola
96. alla bredella || alla bridella || alla bardella (?) - d9. Ben dovresti — 102. Sì che il tuo — 103. Che avete
n. :^5
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274
ANTIPUROATOBIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO VI. 115—138.
BORDELLO.
1. 2. 3. Che le terre
2. 8. che si «rgom.
1. e dice, i' mi
2. 3. S' io dico ver
115. Vieni a veder la gente quanto s' ama;
E se nulla di noi pietà ti move,
A vergognar ti vien della tua fama.
118. E se licito m' è, o sommo Giove,
Che fosti in terra per noi crucifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
121. 0 è preparazion, che nell' abisso
Del tuo consiglio fai, per alcun bene
In tutto dall' accorger nostro scisso?
124. Che le città d' Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
127. Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca,
Mercè del popol tuo che s' argomenta.
130. Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca.
Per non venir senza consiglio all' arco ;
Ma il popol tuo r ha in sommo della bocca.
133. Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma il popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida: Io mi sobbarco.
136. Or ti fa lieta, che tu hai ben onde:
Tu ricca, tu con pace, tu con senno.
S' io dico '1 ver, 1' effetto noi nasconde.
B. Del tutto — ( '. dell'acc.
D. dMÌV intender
B, Ih Chi- le terre
.-1. Floretitia
A. 2. che HI argom.
A. 2. (*. in cor, e tardi
r. sene» '1 con».
B. e diee: Ut - JJ. lo
mi sobarco r. Io
me ne sbarro
B. ben donde
A. 2. C. pace, e tu
A. 2. C. S* i«» dico ver
IHi. nulla pietà di noi — 118. E soilicito vien — 119. fosti per noi in terra — 120. Gli occhi pietosi son — 123. In tutt«> per
corregger ascisso — 124. Che le terre — 125. un Metel div. — 126. Ciascun villan — 130. e tardi scocca
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ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO VI. 139 — 151. SORDKl
1. 2. 3. Lacedcmon* 139. Atene c Lacedcmoiie , che fenno
L' antiche leggi, e furon sì civili,
Fecero al viver bene un picciol cenno
142. Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, che a mezzo novembre
Non giunge quel che tu d' ottobre fili.
145. Quante volte del tempo che rimembre,
Legge, moneta, offizio, e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre!
148. E se ben ti ricordi, e vedi lume.
Vedrai te simigUante a quella inferma.
Che non può trovar posa in sulle piume,
151. Ma con dar volta suo dolore scherma.
275
1. 2. 3. mon. et off.
1. 2. 3. ti rìc()rd*
A. 2. B. Lacedemon»
(\ D. Lacedemoni»
A.fWfCìono — j4.pircol
/). Leggi — A. 2. C. mon.
offici D. mon. ed offici
B. mon. ed officio
f/. rinnovate
(\ ti ricorda
146. monete — offizj — 148. Ma se ben — 149. te simigliare — 151. con dar volte
35*
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CANTO SETTIMO
2. 3. innaiui » aè
1. ore *1 nutrir
Jtoscia che Y accoglienze oneste e liete
Furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: Voi chi siete?
4. Prima che a questo monte fosser volte
L' anime degne di salire a Dio,
Fur r ossa mie per Ottavian sepolte.
7. Io son Virgilio ; e per nuli' altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fè:
Cosi rispose allora il Duca mio.
10. Qual è colui che cosa innanzi se
Subita vede, ond' ei si maraviglia,
Che crede e no, dicendo: EU' è, non è;
13. Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,
Ed umilmente ritornò ver lui,
Ed abbracciollo ove il minor s' appigha.
16. 0 gloria de' Latin, disse, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra,
0 pregio eterno del loco ond' io fui.
A. Ansi che
A. 1. E r abbracciò -
A. 2. abbracciol dove —
A. 2. C. D, M nutrir -
A. 2. <\ si piglia
D. dÌKs' ei
ft. Anime degne — 11. onde si mar. — 15. abbracciòl li ore
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278
ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI.
PURGATORIO VII. 19-42.
SORDELI.O.
19. Qual merito, o qual grazia mi ti mostra?
S' io son d' udir le tue parole degno ,
1. o di qu»i Dimmi se ^den d' inferno , e di qual chiostra.
22. Per tutti i cerchi del dolente regno,
Rispose lui, son io di qua venuto:
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
1. 2. 3. ho perduto 25. Nou pcr far, ma per non fare ho i' perduto
Di veder Y alto Sol che tu disiri,
E che fu tardi da me conosciuto.
28. Loco è laggiù non tristo da martiri,
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
Non suonan come guai, ma son sospiri.
31. Quivi sto io coi parvoli innocenti,
Dai denti, morsi della morte, avante
('he fosser dall' umana colpa esenti.
M. Quivi sto io con quei che le tre sante
Virtù non si vestirò, e senza vizio
1. 2. 3. tutte qu. Conobber Y altre, e seguir tutte e quante.
37. Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
Dà noi, perchè venir possiam più tosto
1. 2. 3. dove il purR. Là dovc Purgatorfo ha dritto inizio.
40. Rispose: Loco certo non e; è posto:
1. andar su Licito m' è audar suso ed intorno:
Per quanto ir posso, a guida mi t' accosto.
B. A veder
A. t. per me con,
D. di niftrt.
B. Ma da ten.
A. 2. a dell* am.
A.2. B. C. D. tutte (]u.
D» sai o puoi
A. % C. Dà a noi
D. Dire a noi —
D. che poss. ven.
^1. 1. m' è r and. D. m* è
d' and. — B. andar su
19. e qual grazia — 20. la tua panda — 26. Il veder — V altro Sol — 31. Quivi son io — 38. Di a noi — 40. non e* è imposto
41. Licito n' è
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l. 'I. 'ò. Se mi COU8. —
1. menrò
1. 2. 3. o non sarri»
1. coti essa andar
1/2. 3. disse, dantjue
1. alungiati
L 2. 3. Talloni scemau
ANTIPUROATURIO. NE«LI«KNTI. PURGATORIO VII. 43 — 66. SORDRL
43. Ma vedi già come dichina il giorno,
Ed andar su di notte non si puote;
Però è buon pensar di bel soggiorno.
4(5. Anime sono a destra qua rimote:
Se '1 mi consenti, io ti meiTÒ ad esse,
E non senza diletto ti fien note.
49. Com' è ciò? fii risposto: chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D' altrui? ovver saria che non potesse?
52. E il buon Sordello in terra fregò il ihto,
Dicendo: Vedi, sola questa riga
Non varcheresti dopo il sol partito:
55. Non però che altra cosa desse briga,
Che la notturna tenebra, ad ir suso:
Quella col non poter la voglia intriga.
58. Ben si poria con lei tornare in giuso,
E passeggiar la costa intorno errando.
Mentre che V orizzonte il di tien chiuso.
61. Allora il mio Signor, quasi ammirando:
Menane dunque, disse, là ove dici
Che aver si può diletto dimorando.
64. Poco allungati e' eravam di hci,
Quand' io m' accorsi che il monte era scemo,
A guisa elle i vallon li sceman quici.
279
A. declina
//. C. D, Se mi cous.
I). menerotti
H. D. o non — H. sarria
(\ questa sola
H. D. con lei andare
H. disse dunque -
D. dove dici
H. C. alungiati
J. 1. (?) V. Quando
m' acc.
//. valloni sceuì.
43. Ma vedi là — 46. Però è ben pens. — di buon sogi». — 49. Com' è si — 51. D' altrui? « sarìa - ()
eh' ei non pot. — 53. solo questa — .i(i. a gir suso — 62. adunque — 66. che i vallon si sceman
saria dunque perche* non -
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280
ANTIPITROATOBIO. NEOLIOENTI.
PURGATORIO VII. 67-90.
SORDELLO.
1. 2. Li ove
1. 2. 3. e coccd
67. Colà disse quell' ombra, n' anderemo
Dove la costa face di se grembo,
i. aspetteremo E quivì il iiuovo giomo atteiidcremo.
i.«heinbo2.3. •sghembo 70. Tra crto c piano era un sentiero schembo,
Che ne condusse in fianco* della lacca,
Là dove più che a mezzo more il lembo.
78. Oro ed argento fino, cocco e biacca,
Indico legno lucido e sereno,
Fresco smeraldo in 1' ora che si fiacca,
76. Dall' erba e dalli fior dentro a quel seno
Posti, ciascun saria di color vinto.
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
79. Non avea pur natura ivi dipinto.
Ma di soavità di miUe odori
Vi facea un mcognito e indistinto.
82. Sahe^ Regina^ in sul verde e in su i fiori
Quivi seder cantando anime vidi,
Che per la valle non parean di fuori:
85. Prima che il poco sole omai s' annidi,
Cominciò il Mantovan che ci avea volti,
Tra costor non vogUate eh' io vi guidi.
88. Di questo balzo meglio gh atti e i volti
Conoscerete voi di tutti e quanti,
Che nella lama giù tra essi accolti.
L 2. 3. ine. indist.
1. 2. 3. Quindi
1. 2. 3. Tra color
2. 3. Da quesio
1. 2. 3. tutti qu.
A. 2. a D. E li il n. -
B. aspetteremo
D. Tra V erta e *1 piane
B. C. U. Là ove
A. V. J). fine — B.t cocro
B. eh' ei si f.
C. Dall' erbe
D. ine. indisi.
B. C. D. in su fiori
A, 1. (?) B. Quindi
A. 1. (?) B. Tra color
A, 2. B. a JJ. tutti qu.
A. 2. nella valle
70. sentier sghembo — 73. e croco e lacca — 75. allora che si fiacca — 76. fiori entro quel — 77. Posti, a ciasc. — 82. sul verde
e sui fiori — 83. Cantando li seder an. — cantando seder — 66. che n' avea volti — 88. meglio e gli atti
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ANTIPUROATOHIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO VII. 91 — 114.
RIDOLFO IMPERAOORR.
281
A. Rodulfo
A. tardo — A. B. C. per
altro
1. Cbr monta 2. 3. Che
HolU
91. Colui che più sied' alto, e fa sembianti
D' aver negletto ciò che far dovea,
E che non move bocca agli altrui canti,
94. Ridolfo imperador fii, che potea
Sanar le piaghe eh' hanno Italia morta,
1.2. per altro Si chc tardi pcr altri si ricrea.
97. L' altro, che nella vista lui conforta,
Resse la terra dove V acqua nasce,
Che Multa in Albia, ed Albia in mar ne porta: ^. «-ue «onu - />. u
porta
100. Otacchero ebbe nome, e nelle fasce
Fu megUo assai, che Vincislao suo figUo
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
103. E quel Nasuto, che stretto a consiglio
Par con colui ch'ha si benigno aspetto,
Morì fuggendo e disfiorando il giglio:
106. Guardate là, come si batte il petto.
L' altro vedete eh' ha fatto alla guancia
Della sua palma, sospirando, letto.
109. Padre e suocero son del mal di Francia:
Sanno la vita sua viziata e lorda,
E quindi viene il duol che sì li lancia.
112. Quel che par sì membruto, e che s' accorda
1. 2. 3. dal masch. Cautaudo cou colui del maschio naso ,
D' ogni valor portò cinta la corda.
1. 2. 3. Nasetto
I. et {sfiorando
H. Nasetto
li. dal masoli.
U. cinto
91. ed ha sembianti — 92. che far doreva — 94. che poteva — 96. si rileva — 99. Che muta in A. || Che volta in A. — 101. Pare
eoa lui — 109. e suocero fur — 110. la vita lor vis. — 111. E quinci viene
II.
.36
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PIKB D ARAGONA.
B. di pò* lui
fì. *ltre rfdc
V. Giacomo
B. Anco
282 ANTIPURGATORIO. NKGLIOENTI. PURGATORIO VII. 115 — 136.
115. E se re dopo lui fosse rimaso
Lo giovinetto che retro a lui siede.
Bene andava il valor di vaso in vaso;
1. 2. 3. altre rede 118. Che uou SÌ puote dir dell'altre erede.
Jacomo e Federico hanno i reami:
Del retaggio miglior nessun possiede.
121. Rade volte risurge per li rami
L' umana probitate : e questo vuole
Quei che la dà, perchè da lui si chiami.
1.2. 3. Anco 124. Anche al Nasuto vanno mie parole,
Non men eh' all' altro, Pier che con lui canta,
Onde PugUa e Provenza già si duole.
1. 2. miglior la p. 127. Taut' è dcl seme suo minor la pianta,
Quanto più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta.
130. Vedete il re della semphce vita
Seder là solo, Arrigo d' Inghilterra:
Questi ha ne' rami suoi migliore uscita.
133. Quel che più basso tra costor s' atterra.
Guardando in suso, è Guglielmo Marchese,
Per cui ed Alessandria e la sua guerra * p«^' «^«i ai.
136. Fa pianger Monferrato e Canavese. a Fé piaog.
1. 2. Gostanza
A. m. D. m, miglior la p.
B. a Gostanza D. Goost
2. minore use.
1. 2. Per cui Al.
2. 3. e '1 Canav.
118. Che dìcer non sì paò — degli altri erede — 119. Jacopo || Giacopo — 120. Del redaggio || Ma '1 retaggio — 122. 1/ um.
probità — 124. ran le mie par. — 131. Giacer là solo (| Pianger là solo — 134. Chiard. ìb su
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CANTO OTTAVO
1. nuovo e ptTe^T.
1. (Ui luei — 1. bocea con
L. li«Uineiitr
Jcira già V ora che volge il disio
Ai naviganti, e intenerisce il core
Lo dì eh' han detto ai dolci amici addio ;
4. E che lo nuovo peregrin d' amore
Punge, se ode squilla di lontano,
Che paia il giorno pianger che si more:
7. Quand' io incominciai a render vano
L' udire, ed a mirare una dell' alme
Surta, che V ascoltar chiedea con mano.
10. Ella giunse e levò ambo le palme.
Ficcando gli occhi verso V oriente,
Come dicesse a Dio : D' altro non calme.
13. Te lucis ante si devotamente
Le uscì di bocca, e con sì dolci note,
Che fece me a me uscir di mente.
16. ET altre poi dolcemente e devote
Seguitar lei per tutto Y inno intero,
Avendo gU occhi alle superne rote.
B. nove peregr. —
(\ pellegrin
D. ambe
A. I. L* uscio IJ. Lì uscì
— B. D. boce» con
8. ed ammirare — U. gli ocehi in eiel verso or. — 16. dolcem. derote
36-
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284
ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO Vili. 19 — 42.
ANGELI CU8TODL
2. 3. neir opposta
1. 2. 3. che a troppo
19. Aguzza qui, Lettor, ben gli occhi al vero,
Che il velo è ora ben tanto sottile,
Certo, che il trapassar dentro è leggiero.
22. Io vidi quello esercito gentile
Tacito poscia riguardare in sue,
Quasi aspettando pallido ed umile:
25. E vidi uscir dell' alto, e scender giue
Due angeli con due spade affocate,
Tronche e private delle punte sue.
28. Verdi, come fogliette pur mo nate,
Erano in veste, che da verdi penne
Percosse traean dietro e ventilate.
31. L' un poco sopra noi a star si venne,
E r altro scese in 1' opposita sponda.
Sì che la gente in mezzo si contenne.
34. Ben discerneva in lor la testa bionda;
Ma nelle faccie V occhio si smarria,
Come virtù che al troppo si confonda.
37. Ambo vegnon del grembo di Maria,
Disse Sordello, a guardia della valle,
Per lo serpente che verrà via via.
40. Ond' io che non sapeva per qual calle,
Mi volsi intorno, e stretto in' accostai
Tutto gelato alle fidate spalle.
A. 2. (\ IJ. pavido
h. JJ. Kr. in Tis!a
A. 1. neir opposta (?)
A. 2. B. D. che a tr.
23. Tacito tutto rìgu. — 24. Quasi ammirando — 25. uscir dall' alto || use. del ciclo — 29. Er. in vesti — 99. )o serp. vhe venta -
40. Ma io che non
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NINO VISCONTI.
2. 3. Sord. anche
1. vederti
2. 3. dichiarasse
1. 2. a me si v.
1. 2. 3. Currado
ANTIPURGATORIO. NEGLIGENTI. PURGATORIO Vili. 43 — 66.
43. E Sordello anco: Ora avvalliamo ornai
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse:
Grazioso fia lor vedervi assai.
46. Solo tre passi credo eh' io scendesse,
E fui di sotto, e vidi un che mirava
Pur me, come conoscer mi volesse.
49. Tempo era già che V aer s' annerava,
Ma non sì, che tra gli occhi suoi e i miei
Non dichiarisse ciò che pria serrava.
52. Ver me si fece, ed io ver lui mi fei:
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque,
Quando ti vidi non esser tra i rei!
55. Nullo bel salutar tra noi si tacque:
Poi domandò : Quant' è , che tu venisti
Appiè del monte per le lontane acque?
58. 0, diss' io lui, per entro i lochi tristi
Venni stamane, e sono in prima vita,
Ancor che 1' altra sì andando acquisti.
61. E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed egli indietro si raccolse.
Come gente di subito smarrita.
64. L' uno a Virgilio, e l'altro ad un si volse
Che sedea lì, gridando: Su, Corrado,
Vieni a veder che Dio per grazia volse.
285
1. 2. 3. dissi lui
S. Sord. anche
fì. vederti
('. d...risser A. d...rasser
D. dlscernesser —
A. si errava
D. Nessun bel
JJ. per si lout.
B. dissi lui
A. ricolse
h. a me si v.
D. li sedea - H. (\ D.
Currado
43. AUor Sord.: Ora (| Sordello allora — anco: Avalliamo — Or valichiamo — 46. Soli tre || Sol trenta (?) — 47. Ch'in fui tra
liiTo, e vidi — che ammirava - 50. e miei — 64. Quaad* io ti v. — esser tra rei — 58. lo dissi lui
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286 ANTIPURGATORIO. NEOLIOENTI. PURGATORIO Vili. 67 — 90. NINO VISCONTI.
67. Poi volto a me: Per quel singular grado, ^. ci;, volti • m*
Che tu dei a colui, che si nasconde
Lo suo primo perchè, che non gli è guado,
70. Quando sarai di là dalle larghe onde.
Di' a Giovanna mia, che per me chiami
Là dove agi' innocenti si risponde.
73. Non credo che la sua madre più m' ami.
Poscia che trasmutò le bianche bende,
Le quai convien che misera ancor brami.
76. Per lei assai di lieve si comprende, s.àiuiri v.dìikyi
Quanto in femmina foco d' amor dura, ^. d*m»r
2. 3. noi Merende Se V occMo o il tatto spcsso non 1' accende.
79. Non le farà si bella sepoltura
La vipera che i Milanesi accampa, ^ » (?) e-, v. diei
Com' avria fatto il gallo di Gallura. /?. utu
82. Cosi dicea, segnato della stampa
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che misuratamente in core avvampa. ^.2. e. /;. »misur««i.
^ - ^. 2. r. />. i cori
85. (xli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo.
Pur là dove le stelle son più tarde, z). coUdove
Si come rota più presso allo stelo.
88. E il Duca mio: Figliuol, che lassù guarde?
Ed io a lui: A quelle tre facelle,
Di che il polo di qua tutto quanto arde.
84. il core avvampa - 90. Di quel polo
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ANTirUROATORIO. MEOUOENTI. PURGATORIO VIIL 91 — 114.
COBBADO MALA8PINA.
287
3. Com' ei pari.
I. perchè là ~ 1. 2. 3.
goatasse
1.2.3. la testa, e '1 dosso
91. Ed egli a me: Le quattro chiare stelle e. />. ond egli
Che vedevi staman, son di là basse,
E queste son sahte ov' eran quelle.
94. Com' io parlava, e Sordello a se il trasse
Dicendo: Vedi là il nostro avversaro;
E drizzò il dito, perchè in là guardasse.
97. Da quella parte, onde non ha riparo
La picciola vallea, era una biscia,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
100. Tra V erba e i fior venia la mala striscia,
Volgendo ad or ad or la testa al dosso,
Leccando come bestia che si liscia.
1. 2. 3. noi vidi - 1. 2. 103. Io non vidi, e però dicer non posso,
3. noi posso
Come mosser gU astor celestiali,
1. 2. 3. e r uno Ma vidì bcuc r uno e 1' altro mosso.
106. Sentendo fender 1' aere alle verdi ali,
i. i. 3. Foggio Eug^ '1 serpente , e gh angeli dier volta n- Fuggio
Suso alle poste rivolando eguali.
1.2. a Giudice 109. L' Ombra che s'era al Giudice raccolta, >?./>. a Giudice
Quando chiamò, per tutto quell' assalto
Punto non fu da me guardare sciolta. ^ guardar discioiu
112. Se la lucerna che ti mena in alto
Trovi nel tuo ai'bitrio tanta cera,
1. 2. insioo Quant' è mestiero infino al sommo smalto , e. mestieri
e. piccola
C. veniva lama
C. JJ. Leccandol
fi. D. noi vidi - D. noi
posso
e. U. e r uno
92. Che vedemmo — 94. Con me '1 pari. (?) — 96. Vedi là nostro — 106. Su alle poste - 112. che ti ^lida — 114. insino
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288
ANTIPURGATORIO. NKOLIOENTI. PURGATORIO Vili. 115—139.
CORRADO MALASPINA.
1. 2. 3. ValdimaKi'a
1. 2. 3. Currado
I. 2. 3. dissi lui
l. della bontà
i. tutti rju.
115. Cominciò ella: Se novella vera
Di Valdimaera, o di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era.
118. Chiamato fui Corrado Malaspina:
Non son Y antico, ma di lui discesi:
A' miei portai 1' amor che qui raffina.
121. 0, diss' io lui, per li vostri paesi
Giammai non fili; ma dove si dimora
Per tutta Europa, eh' ei non sien palesi?
124. La fama che la vostra casa onora.
Grida i signori, e grida la contrada,
Si che ne sa clii non vi fu ancora.
127. Ed io vi giuro, s' io di sopra vada.
Che vostra gente onrata non si sfi:egia
Del pregio della borsa e della spada.
ISO. Uso e natura si la privilegia,
Che, perchè il capo reo lo mondo torca,
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia.
1S3. Ed egh: Or va, che il sol non si ricorca
Sette volte nel letto che il Montone
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca,
136. Che co testa cortese opinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi che d' altrui sermone,
139. Se corso di giudizio non s' aiTCsta.
B. C. D. Valdimagra
D. Sai, dillo
A. Fui chiam. — B. (.
D. Currado
B. C. dis»i lui
D, 2. Gridan aign.
A, gente ornata
B. delia bontà
119. da lui disc. — 120. qui m' affina - 121. Certo, diss' io, per li - 125. Grida i Seniori — 126. Si che lo sa — 129. pregio del ralow
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CANTO NONO
J-Ja concubina di Titone antico AdiTiun
1. 2. 3. al b»uo Già s' imbiancava al balco d' oriente , b, ai bauo
Fuor delle braccia del suo dolce amico:
4. Di gemme la sua fronte era lucente , d. t. u sua faccia
Poste in figura del freddo animale,
Che con la coda percote la gente:
7. E la notte de' passi, con che sale,
Fatti avea due nel loco ov' eravamo,
E il terzo già chinava in giuso Y ale ;
10. Quand' io che meco avea di quel d' Adamo,
Vinto dal sonno , in suU' erba inchinai
1. 2. 3. Li ve - 1. 2. Ovc già tuttl c ciuque sedevamo. ^. uvc - /?. e. d.
sedav. «edav.
13. Neil' ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria de' suoi primi guai,
2.3. peiicgr. 16. E chc la mente nostra peregrina
Più dalla carne, e men da' pensier presa,
Alle sue vision quasi è divina;
2. •' imbiaccava — al balcon d" or. — 9. E il giorno — 12. Là dove tutti — 13. che iucomincia - 17. Men dalla carne — e più
da* i>. — dal pensier
n. :^7
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290
ANTIPURGATORIO.
l. 2. 3. Con r ale
1. 2. 3. concist.
PURGATORIO IX. 19-42.
19. In sogno mi parea veder sospesa
Un' aquila nel ciel con penne d' oro,
Con r ali aperte, ed a calare intesa:
22. Ed esser mi parca là dove foro
Abbandonati i suoi da Ganimede,
Quando fu ratto al sommo consistoro.
25. Fra me pensava: Forse questa fiede
Pur qui per uso , e forse d' altro loco
Disdegna di portarne suso in piede.
1. 2. 3. che piii rotate 28. Poi mi parca che roteata un poco,
Terribil come folgor discendesse,
E me rapisse suso infino al foco.
31. Ivi pareva eh' ella ed io ardesse,
E sì r incendio immaginato cosse.
Che convenne che il sonno si rompesse.
34. Non altrimenti Achille si riscosse,
Gli occhi sveghati rivolgendo in giro,
E non sappiendo là dove si fosse,
37. Quando la madre da Chiron a Schiro
Trafiigò lui dormendo, in le sue braccia.
Là onde poi li Greci il dipartirò;
40. Che mi scoss' io , si come dalla faccia
Mi fuggì il sonno, e diventai ismorto.
Come fa 1' uom che spaventato agghiaccia
AQUILA.
1. insÌDO
1. 3. sapendo
1. 2. fuggìo — l. 2. 3.
div. smorto
li. a Con r ale
C. calcare
H. concist.
A. C. che roteato
B. che poi rotata
S. JJ. di Chiron
À. Trasfugò
H. t. (ir. indi *! partirò
li. e. JJ. div. smorto
A. 2. chespav. hacaccin
fi. U. m. che S]>av.
aeracela
20. Un' aguglia — 25. lo dicea fra me stesso : Questa — 34. altramente
42. Come falcone che spavento accaccia — adiaccia
37. a Hcìro — 40. Lor mi scoss' io — della faceta —
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ANTIPURGATORIO.
3. più di due
1. 2. 3. che muti
PURGATORIO IX. 43 --66. lu
43. Dallato m' era solo il mio conforto,
E il sole er' alto già più che due ore,
E il viso m' era alla marina torto.
46. Non aver tema, disse il mio Signore:
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto:
Non stringer, ma rallarga ogni vigore.
49. Tu se' omai al Purgatorio giunto:
Vedi là il balzo che il chiude d' intomo;
Vedi r entrata là 've par disgiunto.
52. Dianzi, nell' alba che precede al giorno,
Quando Y anima tua dentro dormia
Sopra li fiori, onde laggiù è adorno,
55. Venne ima donna, e disse: Io son Lucìa:
Lasciatemi pigUar costui che dorme.
Sì r agevolerò per la sua via.
58. Sordel rimase , e 1' altre gentil forme :
Ella ti tolse, e come il dì fii chiaro,
Sen venne suso, ed io per le sue orme.
61. Qui ti posò: e pria mi dimostraro
Gh occhi suoi belli queir entrata aperta;
Poi ella e il sonno ad una se n' andar o.
64. A guisa d' uom che in dubbio si raccerta,
E che muta in conforto sua paura,
Poi che la verità gli è discoperta,
291
A. 1. sicuro, noi
B. che 'l cin(^
A. 2. a IJ. dove par
IJ. il snorno
D. ond' è laggiù ad.
A. B. Ih gentil forme
A. 2. R. C. D. ohe muti
47. sicuro, che senio — 48. ma t' allarga — 51. dove '1 par — 58. le altre genti, ftior me — 61. Qui riposò — ma pria
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292
PORTA DEL PURGATORIO.
1. Che coli — 1. mi parea
un r. 2. 3. p... mi
imprima un r.
1. 2. 3. Ditel
PURGATORIO DC. 67-90.
67. Mi cambia' io : e come senza cura
Videmi il Duca mio, su per lo balzo
Si mosse , ed io diretro inver Y altura.
70. Lettor, tu vedi ben com' io innalzo
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliar s' io la rincalzo.
73. Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
Che là, dove pareami prima un rotto.
Pur come un fesso che muro diparte,
76. Vidi una porta, e tre gradi di sotto.
Per gire ad essa, di color diversi.
Ed un portier che ancor non facea motto.
79. E come T occhio più e più v' apersi ,
Vidil seder sopra il grado soprano,
Tal nella faccia, eh' io non lo soffersi:
82. Ed una spada nuda aveva in mano
Che rifletteva i raggi sì ver noi,
Ch' io dirizzava spesso il viso in vano.
85. Dite costinci, che volete voi?
Cominciò egli a dh'e: ov' è la scorta?
Guardate che il venir su non vi noi!
88. Donna del ciel, di queste cose accorta.
Rispose il mio Maestro a lui, pur dianzi
Ne disse: Andate là, quivi è la porta.
ANGELO PORTIKRJC.
D. Si mise
B. Che colà - fì. mi
parca un rotto A. 2.
C. p... mi prima rotto
D. ignuda
C. riflettra li r.
B. Ditel
6H. su ver lo b. — 73. e dirivammo — 74. Colà dove — 79. come gli occhi ~ 81. Tal nella vista — H4. spesso gli ocehi — H7. non
v" aunui -- 88. qu. cose e accorta — 90. qui è la p. || eh* ivi è la p.
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PORTA DKL PUH0AT0R10.
PURGATORIO IX. 91-114.
AKOELO PORTIERE.
293
91. Ed ella i passi vostri in bene avanzi,
Ricominciò il cortese portinaio:
Venite dunque a' nostri gradi innanzi.
1.2. 3. Une yen., e lo *r. 94 Là Ve venimuio , allo scaglion primaio.
Bianco marmo era si pulito e terso,
2. 3. spcrrhiav» Cli' io uù spccliiai ìxì csso quale io paio.
97. Era il secondo, tinto più che perso,
D' una petrina ruvida ed arsiccia,
Crepata per lo lungo e per traverso.
100. Lo terzo, che di sopra s' ammassiccia,
Porfido mi parca si fiammeggiante.
Come sangue che fiior di vena spiccia.
103. Sopra questo teneva ambo le piante
L' Angel di Dio, sedendo in sulla soglia,
Che mi sembiava pietra di diamante.
106. Per li tre gradi su di buona vogha
Mi trasse il Duca mio, dicendo: Chiedi
Umilemente che il serrame scioglia.
109. Divoto mi gittai a' santi piedi:
Misericordia chiesi che m' aprisse :
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
112. Sette P nella fronte mi descrisse
Col punton della spada, e: Fa che lavi.
Quando sei dentro, queste piaghe, disse.
A. Ed elli
C ai vostri gr.
D. Là ci traemmo
B. scalon pr.
A. \. Porfirio
A. di adamante
a si di b.
A. a. C. D. tre volte
91. i f^adi nostri — 96. era, e sì pnl. — HO. chiesi, e che || chiesi, e eh' ei — 111. Ma pria tre volte nel petto || Ma tre volte nel
petto pria
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ANGELO PORTIERE.
2. r una d' esse
294 PORTA DEL PURGATORIO. PURGATORIO IX. 115 - 138.
115. Cenere o terra che secca si cavi,
D' un color fora col suo vestimento ,
E di sotto da quel trasse due chiavi.
118. V una era d' oro e V altra era d' argento:
Pria con la bianca, e poscia con la gialla
Fece aUa porta si eh' io fui contento.
121. Quandunque 1' una d' este chiavi falla,
Che non si volga dritta per la toppa,
Diss' egli a noi, non s' apre questa calla.
124. Più cara è V una; ma 1' altra vuol troppa
D' arte e d' ingegno avanti che disserri,
Perch' eir è quella che il nodo disgroppa.
127. Da Pier le tengo; e dissemi, ch'io erri
Anzi ad aprir, che a tenerla serrata.
Pur che la gente a' piedi mi s' atterri.
130. Poi pinse l'uscio alla porta sacrata,
Dicendo: Intrate; ma facciovi accorti
Che di fiior toma chi 'ndietro si guata.
1H3. E quando fur ne' cardini distorti
Gli spigoli di quella regge sacra.
Che di metallo son sonanti e forti,
13H. Non rugghiò si, ne si mostrò sì aera
Tarpeia, come tolto le fu il buono
1. 2. 3. aoiuie poi Metello , per che poi rimase macra.
1. 2. 3. rui;gù>
A. 1. d' oro, r altra
D. Qualunque
C. Più chiara
A. 1. B. che nodo
D. alli pie
A. m. alla parte
fì. serrata
B. ruggìo
D. quando tolto
B. donde poi
116. con suo vest. — 117. sotto di quel — 121. Quantunque — 122. si volga dritto — 125. Ed arte e ingegno — 129. a pie si mi s' ati.
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CORK. I. SUPERBI. PURGATORIO IX. 139 — 145. dante e viroilioi 295
139. Io mi rivolsi attentò al primo tuono,
E, Te Defim laudamus^ mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.
142. Tale imagine appunto mi rendea
Ciò eh' io udiva, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea:
145. Ohe or sì or no s' intendon le parole.
141. a dolce — l^. render si suole
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CANTO DECIMO
1. 2. salaram
2. 3. ciò fece
l. Tento —1.2. lo stremo
Jloì fìimmo dentro al soglio della porta
Che il malo amor dell' anime disusa,
Perchè fa parer dritta la via torta,
4. Suonando la sentii esser richiusa:
E s' io avessi gli occhi volti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
7. Noi salivam per una pietra fessa,
Che si moveva d' una e d' altra parte.
Si come r onda che fugge e s' appressa.
10. Qui si convien usare un poco d' arte.
Cominciò il Duca mio, in accostarsi
Or quinci, or qumdi al lato che si parte.
13. E ciò fecer li^nostri passi, scarsi
Tanto, che pria lo scemo della luna
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
16. Che noi fossimo fuor di quella cruna.
Ma quando fummo liberi ed aperti
Su, dove il monte indietro si rauna,
(\ al fililo stau —
D. stato
A. 2. /?. C. l). salaTam
H. ciò fece
//. In stremo
A. raduna
7. salivam |) salevam — 9. Come \ onda » o che s' appressa — 12. al loco ohe si p. — 13. E questo fece i — 14. prima il scemo —
16. quella cuna — 18. Là dove — monte dritto
II.
38
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298 roRN. I. SUPERBI. PURGATORIO X. 19 — 42. esempi d' umiltà.
1. 2. «nend. 3. ambed. 19. lo staDcato, 6(1 RHibo 6 duc inccrti
Di nostra via, ristemmo su in un piano
Solingo più che strade per diserti.
22. Dalla sua sponda, ove confina il vano,
1. Apiè 2. 3. AppH- Al pie dell' alta ripa, che pm* sale,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano:
25. E quanto Y occhio mio potea trar d' ale
Or dal sinistro ed or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale.
28. Lassù non eran mossi i pie nostri anco,
Quand' io conobbi quella ripa intorno.
Che dritto di saUta aveva manco,
.31. Esser di marmo candido, e adomo
3. Poiicieto D'intagli sì, che non pur PoUcreto,
1. 2. 3. gli averebbe Ma la uatura li avrebbe scorno.
34. V angel che venne in terra col decreto
Della molt' anni lagrimata pace.
Che aperse il ciel dal suo lungo divieto,
37. Dinanzi a noi pareva sì verace
Quivi intagUato in un atto soave,
Che non sembiava imagine che tace.
40. Giurato si saria eh' ei dicesse: Ave;
L 3. Perche quivi Pcrocchè ivi era immaginata quella.
Che ad aprir 1' alto amor volse la chiave.
A. 2. ambedul V. am-
bedue B. ambodur
B. amendue
D, in su un — C. su un
A. 2. B, C. D. A pie
A. 2. (\ Quella
p. Quando cou.
B. drieto di sai.
R. li alerebbe
B. De li molt' anni
A. 2. C. Aperse
D. in aito si Sitavc
D. Perché ìyì
20. restammo iu su — 21. strada per dis. — 23. Ai pie — altra ripa — 24. Misurrebbe tre volte — 30. Che, dritta, di salita (?) —
32. D' iutaglio — 37. Dinanzi a me
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COSN. I. SUPERBI.
PURGATORIO X. 43-66.
ESEMPI D UMILTÀ.
299
. 2. 3. 8Ì propriuD.
1. 2. 3. per quella
]. 2. 3. tutu qu.
1. 2. 3. FaoeA dieer
2. 3. immaK-t e gli oc.
mano - .4. ond"
core alla {;.
43. Ed avea in atto impressa està favella,
Ecce anciUa Dei^ propriamente /?. si propnam.
Come figura in cera si suggella.
46. Non tener pure ad un loco la mente,
Disse il dolce Maestro, che m' avea
Da quella parte, onde il core ha la gente: ^'i^;^
49. Perch' io mi mossi col viso, e vedea
Diretro da Maria, da quella costa, ^. perqueiia
Onde m' era colui che mi movea,
52. Un' altra storia nella roccia imposta :
Perch' io varcai Virgilio , e femmi presso ,
Acciocché fosse agli occhi miei disposta.
55. Era intagliato li nel marmo stesso
Lo carro e i buoi traendo 1' arca santa,
Per che si teme offizio non commesso.
58. Dinanzi parea gente; e tutta e quanta
Partita in sette cori, a' due miei sensi
Faceva dir Y un No , 1' altro Sì canta.
61. Similemente al fiimmo degl' incensi
Che v' era immaginato, gli occhi e il naso
Ed al si ed al no discordi fensi.
64. Lì precedeva al benedetto vaso, //. e. />. proceri.
Trescando alzato, 1' umile Salmista,
E più e men che re era in quel caso.
A. 2. //. a D. tutu qu.
H. Facea dlcer
49. Mi volai col viso — 57. Per cui ai t. — 62. 1' occhio e 'l naao
38-
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300
1. 2. 3. Di centra
CORN. I. SUPERBI.
PURGATORIO X. 67 — 90.
ESEMPI D UMILTÀ.
1. 2. 3. romaii prince, 1»
cui gran
L 2. E dico
1. 2. 3. Dintorno
1. 2. r ai^iglie
1. 2. 3. infra tutti
B. Di centra
U. Mie. eh' amm.
e. di presso
D. dietro — A. 2. C\ D.
da Mie. bianch.
A. m. H. D. K dico
67. D' incontra effigiata ad una vista
D' un gran palazzo Micol ammirava.
Sì come donna dispettosa e trista.
70. Io mossi i pie del loco dov' io stava,
Per avvisar da presso un' altra storia
Che diretro a Micol mi biancheggiava.
73. Quivi era storiata T alta gloria
Del roman principato, il cui valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria:
7f). Io dico di Traiano imperadore;
Ed una vedovella gli era al freno.
Di lagrime atteggiata e di dolore.
79. Intorno a lui parca calcato e pieno
Di cavalieri, e V aquile nell' oro
Sopr' esso in vista al vento si movieno.
82. La miserella intra tutti costoro
Parca dicer: Signor, fammi vendetta
2. 3. Del mìo - 1. figlio DÌ mio figUuol cli' c morto, ond io m' accoro, b. r. d. «guo
85. Ed egU a lei rispondere: Ora aspetta
1.2. 3. Kd ella Tauto ch' io tomi. E quella: Signor mio,
Come persona in cui dolor s' affretta,
88. Se tu non tomi? Ed ei: Chi fia dov' io
1. 2. 3. Kd ella La ti farà. E quella : L' altmi bene
A te che fia, se il tuo metti in obblio?
B. Dintorno
B, V aguglie
/?. (■. D. infra tutti
B. /). Ed ella
70. i piedi — ov' io stava — 73. Ov' era stor. - 74. roman prence — 79. a lui era — 80. d' .V|uile — dell' oro — 81. sopr' essi
Kl pareva dir - 88. E quei: Chi fia — 90. se tu '1 metti
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rORN. I. SUPERBI.
PURGATORIO X. 91 — 114.
K8SMPI D UMILTÀ.
301
2. 3. * erano intenti
1. 2. 3. a peggio
91. Ond' egli: Or ti conforta, che conviene
Ch' io solva il mio dovere, anzi eh' io mova:
Giustizia vuole e pietà mi ritiene.
94. Colui, che mai non vide cosa nuova,
Produsse esto visibile parlare, j. i. questo visibii
Novello a noi, perchè qui non si trova.
97. Mentr' io mi dilettava di guardare
Le imagini di tante umilitadi^
E per lo fabbro loro a veder care;
100. Ecco di qua, ma fanno i passi radi.
Mormorava il Poeta, molte genti:
Questi ne invieranno agli alti gradi.
103. Gli occhi miei eh' a mirar eran contenti,
Per veder novitadi, onde son vaghi,
Volgendosi ver lui, non fiiron lenti.
106. Non vo' però. Lettor, che tu ti smaghi
Di buon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi.
109. Non attender la forma del martire:
Pensa la succession; pensa che, al peggio, i*. r. />. a peg^.c
Oltre la gran sentenza non può h'e. .1. oitreaiia
112. Io cominciai: Maestro, quel ch'io veggio />. queichio
D. Di veder ^
C. Com' Idio
l. 2. Mover ver noi —
1. 2. mi semblan
Mover a noi, non mi sembran persone,
E non so che, si nel veder vaneggio.
A. fi. mi semblan
.4. m. C. non so «e io
nel V. D. non so a' io
nel mi* v.
98. Ginst. il vuole — 102. inviteranno — agli altri gradi — 105. Volg. ver lor — 106. Non vo*. Lettor, però
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302
CORN. I. SUPERBI.
PURGATORIO X. 116 — 189.
DANTE E VIRGILIO.
3. Voi siete - 1. '2. 3.
* entomata
l. *2. 3. verme
115. Ed egli a me: La grave condizione
Di lor tormento a terra li rannicchia
Si, che i miei occhi pria n' ebber tenzone.
118. Ma guarda fiso là, e disviticchia
Col viso quel che vien sotto a quei sassi: i>. sotto quei
Già scorger puoi come ciascun si picchia.
121. 0 superbi Cristian, miseri lassi.
Che, della vista della mente infermi,
Fidanza avete ne' ritrosi passi;
124. Non v' accorgete voi, che noi siam vermi
Nati a formar 1' angelica farfalla,
Che Vola alla giustizia senza schermi?
127. Di che 1' animo vostro in alto galla.
Poi siete quasi antomata in difetto,
Sì come verino, in cui formazion falla? ^. verme
130. Come per sostentar solaio o tetto,
Per mensola talvolta una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto , c- aggiugner
133. La qual fa del non ver vera rancura
Nascere a chi la vede; così fatti
Vid' io color, quando posi ben cura. Aq«andio
136. Ver è che più e meno eran contratti,
Secondo eh' avean più e meno addosso.
E qual più pazienza avea negli atti,
139. Piangendo parca dicer: Più non posso.
A. B. C. a chi li v.
115. La greve cond. •— 118. gu. fìsso — ed assoticchia — 120. si nicchia — 121. mis. e lassi — 122. Sì della v. — della r. e
della m. — 128. automata || atomata — 130. solario — 134. in chi la vede — 13R. men parean contr. — 137. che più e meno avean
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CANTO DECIMOPRIMO
A. 1. (?) e. D. affetù
1. 2. 3. al nostro
»vJ Padi'e nostro, che nei cieli stai,
Non circonscritto, ma per più amore,
Che ai primi effetti di lassù tu hai,
4. Laudato sia il tuo nome e il tuo valore
Da ogni creatura, eom' è degno
Di render grazie al tuo dolce vapore.
7. Vegna ver noi la pace del tuo regno,
Che noi ad essa non potem da noi,
S' ella ncm vien, con tutto nostro ingegno. />. tutt« i uostro
10. Come del suo voler gli angeU tuoi
Fan sacrificio a te, cantando Osanna,
Così facciano gli uomini de' suoi.
13. Dà oggi a noi la cotidiana manna,
Senza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s' afianna.
16. E come noi lo mal ohe avem sofferto
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona.
Benigno, e non guardar lo nostro merto.
A. A retto — C\ «'hi pur
fi. al niistro
ti. tuo alto vapore — 7. ver noi la grasia — 15. ehi di più gir — 16. abbiam solT.
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304
roRN. I. SUPERBI.
PURGATORIO XI. 19 --42.
DANTE E VIRGILIO.
1. k' Atlrlona
l . le nuoto
19. Nostra virtù, che di leggier s' adona,
Non spermentar con V antico avversaro,
Ma libera da lui, che sì la sprona.
22. Quest' ultima preghiera, Signor caro.
Già non si fa per noi, che non bisogna,
Ma per color, che dietro a noi restaro. «
25. Così a se e noi buona ramogna
Queir ombre orando , andavan 4Sotto il pondo ,
Simile a quel che talvolta si sogna,
28. Disparmente angosciate tutte a tondo,
E lasse su per la prima cornice,
Purgando le caligini del mondo.
31. Se di là sempre ben per noi si dice,
Di qua che dire e far per lor si puote
Da quei, eh' hanno al voler buona radice?
34. Ben si dee loro aitar lavar le note.
Che portar quinci, sì che mondi e hevi
Possano uscire alle stellate rote.
37. Deh! se giustizia e pietà vi disgrevi
Tosto, sì che possiate mover V ala.
Che secondo il disio vostro vi levi,
40. Mostrate da qual mano in ver la scala
Si va più corto; e se e' è più d' un varco.
Quel ne insegnate che men erto cala:
A. B. %' addona
C. Simile quel
A. 1. la earmine (?)
25. a sé e a noi — !ft). Dìsp. angiutiose — 36. monde e lievi
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rORN. 1. SUPERBI.
PURGATORIO XI. 43-66.
OMBCRTO DA S. FIORE.
305
43. Che questi che vien meco, per T incarco
1. 2. 3. onde si DcUa camc d'Adamo, oiid' ei si veste,
Al montar su, con tra sua voglia, è parco.
46. Le lor parole, che renderò a queste,
Che dette avea colui cu' io seguiva,
Non fur da cui venisser manifeste;
49. Ma fii detto: A man destra per la riva
Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
52. E s' io non fossi impedito dal sasso ,
Che la cervice mia superba doma.
Onde portar convienmi il viso basso,
55. Cotesti che ancor vive, e non si noma,
Guardare' io, per veder s' io 1 conosco.
E per farlo pietoso a questa soma.
58. Io fui Latino, e nato d' un gran Tosco:
i.'2.«uiKi.-3.Aid...«cbi Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre:
Non so se il nome suo giammai fu vosco.
61. L' antico sangue e 1' opere leggiadre
De' miei maggior mi fer si arrogante ,
Che non pensando alla comune madre,
64. Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante
1.2. 3. Senesi Ch' io nc moH' ; come i Sanesi sanno,
L in compagn. E sallo ìu Campaguatlco ogni fante.
R. U. onde si
D. venisson
D. non si doma
H. Per farlo
D. Aldobrandeschi
C. Ognun ebbi
R. Senesi
46. eh' ei renderò — 47. colai cb' io segu. — 56. se il conosco — 58. Latino . nato — 65. morii , e' miei San. il sanno
n. 39
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306
CORN. I. SUPERBI.
PURGATORIO XL 67-90.
ODERISI D A GOBBIO.
67. Io sono Omberto: e non pure a me danno
1. 2. 3. sup. fc- Superbia fa, che tutti i miei consorti
Ha ella tratti seco nel malanno.
70. E qui convien eh' io questo peso porti
1. 2. 3. soddisf. Per lei, tanto che a Dio si satisfaccia.
Poi eh' io noi fei tra' vivi, qui tra' morti.
73. Ascoltando, chinai in giù la faccia;
Ed un di lor (non questi che parlava)
Si torse sotto il peso che lo impaccia:
76. E videmi e conobbemi e chiamava,
Tenendo gU occhi con fatica fisi
1. 2. 3. con loro A mc , chc tutto chin con lui andava.
79. (), dissi lui, non sei tu Oderisi,
3. d'Anubbio L' onor d' Agobbio, e 1' onor di queir arte
1. 2. 3. è chiani. Chc allumlnarc chiamata è in Parisi?
82. Frate, diss' egli, più ridon le carte
Che pennelleggia Franco Bolognese:
L' onore è tutto or suo, e mio in parte.
85. Ben non sare' io stato si cortese
Mentre eh' io vissi, per lo gran disio
Dell' eccellenza, ove mio core intese.
88. Di tal superbia qui si paga il fio;
Ed ancor non sarei qui, se non fosse.
Che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
A. 2. C. D. UmberU»
A. seco tratti
D. che questo
(\ a Dio sat —
B. soddisfaccia
I). Poiché noi
A, 1. (?) R. con loro
A. (\ da (ìobbio
//. non sarc' it» i{ui
6B. Superbia fu — 75. che gli impaccia — 79. dias' io luì — Odorisi — 80. d' Eugubio — 84. è tutto kuo — e 'I mio parte
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CORK. I. SUPERBI. PURGATORIO XI. 91-114. ooxRisi d' aoobbio. 307
91. 0 vanagloria dell' umane posse,
Com' poco verde in sulla cima dura,
Se non è giunta dall' etati grosse !
1. 2. 3. pinttir. 94. Crcdctte Cimabue nella pittura b. r. ,„ntur«
Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
1. i. a. di eouii ose. Sì che la fama di colui è oscura.
97. Così ha tolto V uno all' altro Guido
La gloria della lingua; e forse è nato
Chi r uno e 1' altro caccerà di nido. a. dei nido
100. Non è il mondan romore altro che un fiato
Di vento, che or vien quinci ed or vien quindi, u. che vien
E muta nome, perchè muta lato.
103. Che fama avrai tu più, se vecchia scindi ^. /. cucvoce-
D. arrai più
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi, a. Anzi che m
106. Pria che passin mill' anni? eh' è più corto
Spazio all' eterno, che un mover di ciglia.
Al -cerchio che più tardi in cielo è torto.
109. Colui, che del cammin sì poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta,
Ed ora a pena in Siena sen pispigUa,
112. Ond' era sire, quando fii distmtta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo , sì com' ora è putta. '^ ^Tcom^l ó™
92. Com' poco il verde — 93. Se non è Tinta — 94. Gimabò — 108. se vecchio — 105. Nauti che tu lasc. — 106. Pria che passi —
KH. più tardo — HO. Dinansi a te
39*
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308
2. 3. Provenz.
2. 3. soddisf.
1. *J. Kgli, per tr.
:. I. SUPERBI. PURGATORIO XI. 115—138.
115. La vostra nominanza è color d' erba,
Che viene e va, e quei la discolora,
Per cui eir esce della terra acerba.
118. Ed io a lui: Lo tuo ver dir m' incora
Buona umiltà, e gran tumor m' appiani
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora?
121. Quegli è, rispose, Provinzan Salvani:
Ed è qui, perchè fu presuntuoso
A recar Siena tutta alle sue mani.
124. Ito è cosi, e va senza riposo,
Poi che mori: cotal moneta rende
A satisfar chi è di là tropp' oso.
127. Ed io: Se quello spirito che attende.
Pria che si penta, V orlo della vita.
Laggiù dimora, e quassù non ascende,
130. Se buona orazion lui non aita.
Prima che passi tempo, quanto visse.
Come fu la venuta a lui largita?
133. Quando vivea più glorioso, disse.
Liberamente nel campo di Siena,
Ogni vergogna deposta, s' affisse:
136. E lì, per trar V amico suo di pena.
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena.
PROVINZAN SALVANI.
A. va e viene
O. lì tuo ver dir
A. 1. Tuo vero dir
D. Proveii». —
(\ D. Silvani
a. a D. Ed io a lui -
C. D, S« lo spirto
B, Quello sp.
U. disposta
115. è un color — 118. Tuo dir vero — IJiO. quei del qu»l — 121. Quegli è, diss' ei — Provinciau — 128. si penta, all'orlo —
129. Quaggiù dimora — 132. la venuta sua largita
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coHN. I. SUPERBI. PURGATORIO XI. 139 - 142. provinzan salvani. 309
139. Più non dirò, e scuro so che parlo; r. eh- i« parlo
Ma poco tempo andrà che i tuoi vicini
Faranno sì, che tu potrai chiosarlo.
142. Quest' opera gli tolse quei confini.
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CANTO DECIMOSECONDO
. pianger
Ui pari, come buoi che vanno a giogo,
Leon questa M' andava io con quella anima carca.
Fin che il sojfferse il dolce pedagogo.
4. Ma quando disse: Lascia lui, e varca,
Che qui è buon con la vela e coi remi,
Quantunque può ciascun, pinger sua barca;
7. Dritto si, come andar vuoisi, l'ife' mi
Con la persona, avvegna che i pensieri
Mi rimanessero e chinati e scemi.
10. Io m' era mosso, e seguia volentieri
Del mio Maestro i passi, ed ambo e due
(iià mostravam come eravam leggieri,
13. Quando mi disse: Volgi gli occhi in giue:
1. i. 3. per aiiegRiar. Buou ti Sarà, per tranquillar la via,
Veder lo letto delle piante tue.
16. Come, perchè di lor memoria sia,
1. 2. 3. sopr- a- scp. Sopra Ì scpoltl le tombe terragne
1. 2. eh- egli era Portan scguato quel eh' elli eran pria :
J. 2. amenti. 3. ambed.
H. cuu questa
A. m. U. Dirittu, come -
A. /. vuoisi andar
U. rimauesbuuo incliu.
D. ambedue H. C.
amendue
l). t^uand' ei mi
H. per alleggiar
//. 6'. Sopra sep.
A. i. eh' clli era in (?)
R. li. eh' elli era
2. N" andava — quell' alma — 9. rimanesser chinati ed iscemi — inchinati iscemi — 13. Kd ei mi disse — IH. ({uali elli cran
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312
rORN. I. SUPERBI.
ESEMPI DI SUPERBIA.
1. 2. 3. Più d' altra
1. Celestiale star
2. 3. Nembrotte
A. del monte
A. 2. B. Più d' altra
PURGATORIO XII. 19 — 42.
19. Onde li molte volte se ne piagne ^. i. sen ripiagne (?)
Per la puntura della rimembranza, /;.<. u pittura
Che solo ai pii dà delle calcagne:
22. Sì vid' io li, ma di miglior sembianza,
Secondo V artificio, figurato
Quanto per via di fuor dal monte avanza.
25. Vedea colui che fii nobil creato
Più eh' altra creatura, giù dal cielo
Folgoreggiando scender da un lato.
28. Vedeva Briareo, fitto dal telo
Celestial, giacer dall'altra parte, «. celestiale sur
Grave alla terra per lo mortai gelo.
31. Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
Armati ancora, intorno al padre loro,
Mirar le membra de' Giganti sparte.
H4. Vedea Nembrot appiè del gran lavoro,
Quasi smarrito, e riguardar le genti
Che in Sennaar con lui superbi foro.
37. 0 Niobè, con che occhi dolenti
Vedeva io te segnata in sulla strada a. i. aegnato
Tra sette e sette tuoi figliuoU spenti!
40. 0 Saul, come in sulla propria spada
Quivi parevi morto in Gelboè,
Che poi non sentì pioggia ne rugiada!
e. a rigu. A. a rimirar
19. Onde le molte — si ripiagne — 22. Si vid* io là — 26. giù del cielo — 34. Nembrotto — 35. Tutto smarr. — smarrito riguardar —
in rimirar ^ 36. con lui superbe || con lui insieme — 40. come sulla
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CORX. I. SUPERBI.
PURGATORIO XII. 43-66.
ESEMPI DI SUPERBIA.
313
1. A ragna
2. mezza ragna
1. Quivi è il tuo
1. Ed anco
2. 3. e di stile
1. 2. 3. un ing.
43. 0 folle Aragne, sì vedea io te
Già mezza aragna, trista in su gli stracci
Dell' opera che mal per te si fé'.
46. 0 Roboam, già non par che minacci
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento
Nel porta un carro prima che altri il cacci.
49. Mostrava ancor lo duro pavimento
Come Almeon a sua madre fé' caro
Parer lo sventurato adornamento.
52. Mostrava come i figli si gittaro
Sopra Sennacherib dentro dal tempio,
E come, morto lui, quivi il lasciaro.
55. Mostrava la ialina e il crudo scempio
Che fé' Tamiri, quando disse a Ciro:
Sangue vsitisti, ed io di sangue t' empio.
58. Mostrava come in rotta si fuggirò
Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne,
Ed anche le reliquie del martiro.
61. Vedeva Troia in cenere e in caverne:
0 Ilion, come te basso e vile
Mostrava il segno che lì si discerne!
64. Qual di pennel fu maestro, o di stile,
Che ritraesse 1' ombre e i tratti , eh' ivi
Mirar farieno ogn' ingegno sottile?
(\ iiiexza ra^na
A. 1. (?) tì. Quivi è il tuo
A, 1. senza che altri (?)
A. ancora lo dur
l). m. Costar
D. Mostra come
R. (\ dentro al
l). quivi laMciaro
A. Thamari
B. Ed anco
A. C. D. ti discerne
B. D. un ing.
44. mezza aragno || mezzo ragno — fìtta in su gli str. || fatta in su gli str. — 46 non par già — 49. ancora il duro — 52. eome figli
sagi tiare — 53. dentro del tempio — (54. fu il mastro — 65. 1' ombre e gli atti — i tratti quivi
u.
40
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314
8ALITA ALLA CUBN. IL
PURGATORIO XU. 67-90.
1. io mirai
]. 2. 3. And. rnm.
I. d' andar
1. 2. 3. Sì eh* Pi
67. Morti li morti, e i vivi parean vivi.
Non vide me' di me chi vide il vero ,
Quant' io calcai fin che chinato givi.
70. Or superbite, e via col viso altiero,
Fighuoli d'Eva, e non chinate il volto.
Sì che veggiate il vostro mal sentiero.
73. Più era già per noi del monte volto,
E del cammin del sole assai più speso,
Che non stimava 1' animo non sciolto :
7(>. Quando colui che sempre innanzi atteso
M' andava, incominciò: Drizza la testa;
Non è più tempo da gir sì sospeso.
79. Vedi colà un Angel che s' appresta
Per venir verso noi: vedi che torna
Dal servigio del dì 1' ancella sesta.
82. Di riverenza gli atti e il viso adorna.
Sì che i diletti lo inviarci in suso:
Pensa che questo dì mai non raggiorna.
85. Io era ben del suo ammonir uso,
Pur di non perder tempo, sì che in quella
Materia non potea parlarmi chiuso.
88. A noi venia la creatura beUa
Bianco vestita, e nella faccia quale
Par tremolando mattutina stella.
(\ mei di me
.4.2. B. C. Z>. Andava -
J. 2. B. D. comìnpìó
C da ir l). d* andar
A. D. il viso e gli atti
A. 1. D. inviarci ansi*
A. <\ D. vestito
67. paricn vivi — 70. O auperbite — 77. N' andava — 82. e il viso e gli a. —
di suo — «8. Ver noi veniva
3. Si che diletti — lo menarci — 86. Io era già
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r
SALITA ALLA CORN. II.
PURGATORIO XII. 91-114.
315
I. batu- - Ì.2. 3. r ale
91. Le braccia aperse, ed indi aperse V ale:
Disse: Venite; qui son presso i gradi,
Ed agevolemente ornai si sale.
1. 2. 3. A qu. winuMio 94. A qucsto invito vengoii molto radi.
0 gente umana, per volar su nata,
Perchè a poco vento così cadi?
97. Menocci ove la roccia era tagliata:
Quivi mi battèo V ali per la fronte,
Poi mi promise sicura Y andata.
100. Come a man destra, per salire al monte,
Dove siede la Chiesa che soggioga
La ben guidata sopra Rubaconte,
103. Si rompe del montar V ardita foga,
Per le scalee che si fero ad etade
Ch' era sicuro il quaderno e la doga;
106. Così s' allenta la ripa che cade
Quivi ben ratta dall' altro girone :
Ma quinci e quindi 1' alta pietra rade.
109. Noi volgendo ivi le nostre persone,
Beati pauperes spiritiiy voci
Cantaron sì che noi dirla sennone.
112. Ahi! quanto son diverse quelle foci
Dalle infernali; che quivi per canti
S' entra, e laggiù per lamenti feroci.
A.2. R. C. A i|ij. annunzio
B. C. D. V ale
IJ. ci proni.
H. e. D. Ove
D. Noi volgemmo
95. Ahi gcnt€ — 99. sic. 1' entrata — 101. Ove siede — 107. dall' alto girone — 108. V altra pietra - 109. Quivi volgendo le
111. Cantavan — 112. queste foci
40-
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316 iORS, II. INVIDIOSI. PURGATORIO XII. 115 — 136. dante k Virgilio.
115. (iià montavain su per li scaglion santi,
Ed esser mi parea troppo più lieve,
Che per lo pian non ini parea davanti:
118. Ond'io: Maestro, di', qual cosa greve
Levata s' è da me, che nulla quasi
Per me fatica andando si riceve?
121. Rispose: Quando i P, che son rimasi
Ancor nel volto tuo presso eh' estinti,
Saranno, come 1' un, del tutto rasi,
124. Fien li tuoi pie dal buon voler sì vinti,
Che non pur non fatica sentiranno.
Ma fia diletto loro esser su pinti, -i- 1 «« »pì»ti <•)
127. Allor fec' io come color che vanno
(Jon cosa in capo non da lor saputa,
1. 2. sospicciar Sc uou chc Ì ccnui altrui sospicar fanno ; ^ • ''^'\ ^':"*" - ^ '"
*^ ■■■ spicciar
130. Per che la mano ad accertar s' aiuta,
E cerca e trova, e quell' offizio adempie
Che non si può fornir per la veduta;
133. E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettere, che incise
1. 2. delle chiavi Qucl dallc clùavi a me sopra le tempie : i. fi. u. ueiie chiavi
13(5. A che guardando il mio Duca sorrise.
12U. eiiber sospinti - 12S. di lor — 134. sei delle lettre — 135. Quei d. chiavi
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CANTO DECIMOTERZO
. 2. 3. non gli è
/.
iNoi eravamo al sommo della scala,
Ove secondamente si risega
Lo monte, che salendo altrui dismala:
Ivi cosi ima cornice lega
Dintorno il poggio, come la primaia,
Se non che 1' arco suo più tosto piega.
Ombra non li è, ne segno che si paia;
Par sì la ripa, e par si la via schietta
Col livido color della petraia.
10. Se qui per domandar gente s' aspetta,
Ragionava il Poeta, io temo forse
Che troppo avrà d' indugio nostra eletta.
13. Poi fisamente al sole gli occhi porse;
Fece del destro lato al mover centro,
E la sinistra parte di se torse.
Ifi. 0 dolce lume, a cui fidanza i' entro
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci,
Dicea, come condur si vuol quinc' entro:
I). Dove - li. (\ rilega
C. 1). al poggio
(\ non !;li è
li. Con livido
A. fìssaiiiente — D. al
sol gli oc. suoi p.
C dal destro — A, 2.
B. C. D. a moTer
6. r arco ipii più t. — 7. Ombre non v* è — che li paia — 8. Parvi la ripa
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318
, 2. 3. cagione
CORN. II. INVIDIOSI.
1. *2. 3. dietro
1. *2. 3. dimandai
I. 2. 3. Lo buon M.
2. 3. Tr. da amor
PURGATORIO XIII. 19-42.
19. Tu scaldi il mondo, tu sopr' esso luci;
S' altra ragione in contrario non pronta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci.
22. Quanto di qua per un migliaio si conta,
Tanto di là eravam noi già iti.
Con poco tempo, per la voglia pronta.
25. E verso noi volar furon sentiti,
Non però visti, spiriti, parlando
Alla mensa d' amor cortesi inviti.
28. La prima voce che passò volando,
Vi?ium non habent, altamente disse,
E retro a noi X andò reiterando.
31. E prima che del tutto non s' udisse
Per allungarsi, un'altra: Io sono Oreste,
Passò gridando , ed anco non s' affisse.
34. 0, diss' io. Padre, che voci son queste?
E com' io domandava, ecco la terza
Dicendo: Amate da cui male aveste.
37. E '1 buon Maestro : Questo cinghio sferza
La colpa della invidia, e però sono
Tratte d' amor le corde della ferza.
40. Lo fren vuol esser del contrario suono:
Credo che Y udirai, per mio avviso.
Prima che giunghi al passo del perdono.
ESEMPI DI CARITÀ.
B. cagione
A. Ksser dìen
A. m. C. che cantò
R. r. I). dietro
B. dimandai
B. Tr. da amor
20. altra regione — non ponta — 21. Esser deon — 22. per un migliai || p. un miglio — 28. passò cantando — 32. Per alnngiarsì
sono Ariste >- 34. O, dissi. Padre — 35. E mentre dom. — 39. della sferza - 41. che li adirai — 42. che giungi || che vegni
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rORN. II. INVIDIOSI.
DANTE E VIRGILIO.
1. fiera il riso
Guarda* iuu.
2. ombra
1. 2. 3. Quando fui
1. tutti eran cop.
PURGATORIO XIII. 43 — 66.
43. Ma ficca gli occhi per 1' aer ben fiso,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciascun è lungo la grotta assiso.
46. Allora più che prima gli occhi apersi;
Guardarmi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.
49. E poi che fummo un poco più avanti,
Udi' gridar: Maria, ora per noi.
Gridar: Michele, e Pietro, e tutti i Santi.
52. Non credo che per terra vada ancoi
Uomo si duro, che non fosse punto
Per compassion di quel eh' io vidi poi :
.i5. Che quand' io fui si presso di lor giunto,
Che gli atti loro a me venivan certi,
Per gli occhi fili di grave dolor munto.
58. Di vii cihcio mi parean coperti,
E r un sofferia 1' altro con la spalla,
E tutti dalla ripa eran soflferti.
61. Così li ciechi, a cui la roba falla.
Stanno ai perdoni a chieder lor bisogna,
E r uno il capo sopra Y altro avvalla,
64. Perchè in altrui pietà tosto si pogna,
Non pur per lo sonar delle parole,
Ma per la vista che non meno agogna:
319
fi. e. ficca il viso
B. Guarda' inn.
JJ. l'dia ^Tìd.
(\ vadi
/?. (\ l). Cjuando fui
(^. Y un lo rapo
43. per i' aere — 44. vedr. genti — 45. oiaschedun lungo — 51. Ora, Michele — ?fi. vada ancuoi — 54. Da comp/u»8. — 55. E
<|iiando — 57. da grave dol. — 59. E 1' un sostenea
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320
COKN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIII. 67-90.
I. 2. 3. umbre . dov' io
1. 2. .S. Vedendo
67. E come agli orbi non approda il sole,
Cosi air ombre, là v' io parlav' ora,
Luce del ciel di se largir non vuole;
70. (.'he a tutte un fil di ferro il ciglio fora,
E cuce sì, come a sparvier selvaggio
Si fa, però che queto non dimora.
73. A me pareva andando fare oltraggio,
Veggendo altrui, non essendo veduto:
Perch' io mi volsi al mio consiglio saggio.
7(>. Ben sapev' ei, che volea dir lo muto;
E però non attese mia domanda;
Ma disse: Parla, e sii breve ed arguto.
79. Virgilio mi venia da quella banda
Della cornice, onde cader si puote,
Perchè da nulla sponda s' inghirlanda :
82. Dall' altra parte m' eran le devote
Ombre, che per 1' orribile costura
Premevan sì, che bagnavan le gote.
85. Volsimi a loro, ed: 0 gente sicura,
Incominciai, di veder 1' alto lume
Che il disio vostro solo ha in sua cura;
88. Se tosto grazia risolva le schiume
Di vostra coscienza, si che chiaro
Per essa scenda della mente il fiume.
B. ombre . dov' io D. /.
o. di clr io — D. m. o.
quivi ond' io pari' ora
e. D. a ttiUi
fi. servaggio
B. J). Vedendo
D. sie breve
A. le spume
(>7v non approva — 68. ombre , ov' io parlava |) ombre qui , ond' io parlo |) ombre , che parlavan — 70. i cigli fora — 74. non esser
▼ed. — 78. sia breve
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CORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO Xra. 91-114.
321
2. 3. Più ionanxi
i. 2. 3. Senese
1. Fosse
1. 2. 3. non credi
91. Ditemi (che mi fìa grazioso e caro)
S' anima è qui tra voi, che sia latina;
E forse a lei sarà bnon, s' io 1' apparo.
94. 0 frate mio, ciascuna è cittadina
D' una vera città; ma tu vuoi dire.
Che vivesse in Italia peregrina.
97. Questo mi parve per risposta udire
Più là alquanto, che là dov' io stava;
Ond' io mi feci ancor più là sentire.
100. Tra Y altre vidi un' ombra che aspettava
In vista; e se volesse alcun dir: Come?
Lo mento, a guisa d' orbo, in su levava.
103. Spirto, diss' io, che per salir ti dome.
Se tu se' quelli che mi rispondesti,
Fammiti conto o per loco o per nome.
106. r fui Sanese, rispose, e con questi
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a colui, che se ne presti.
109. Savia non fui, aA^egna che Sapia
Fossi chiamata, e fui degli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia.
112. E perchè tu non creda ch'io t'inganni,
Odi se fui, com' io ti dico, folle.
Già discendendo 1' arco de' miei anni.
A. 1. (?) D. Più innanzi
B. Fammiti noto
/?. />. Senese
D. rammendo qui
B. non credi
r. Odi s* io fui
91. Ditene — 98. forse lei fia — ei sarà bnon, se io — lo imparo — 96b pellegrina — 102. A guisa d' orbo, il mento — 113. enme
t' ho detto or, folle
lì.
41
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322
1. 2. 3. Krauo i citi.
COKN. II. INVIDIOSI.
Dio
1. 2. 3. ad ogni altra
1. 2. 3. eh' i* levai
1. Come fé'
1. 2. 3. su lo stremo
PURGATORIO Xm. 115-138. sapia.
115. Eran li cittadin miei presso a Colle
In campo gixmti coi loro avversari,
2. 3. pregava - 1. 2. 3. Ed io pregai Wdlo di quel eh' ei volle.
118. Rotti fur quivi, e volti negli amari
Passi di fuga, e veggendo la caccia,
Letizia presi a tutte altre dispari:
121. Tanto eh' io volsi in su Y ardita faccia,
Gridando a Dio: Omai più non ti temo;
Come fa il merlo per poca bonaccia.
124. Pace volli con Dio in suU' estremo
Della mia vita; ed ancor non sarebbe
Lo mio dover per penitenza scemo,
127. Se ciò non fosse, che a memoria m' ebbe
Pier Pettmagno in sue sante orazioni,
A cui di me per cantate increbbe.
130. Ma tu chi se', che nostre condizioni
Vai domandando, e porti gU occhi sciolti,
Si come io credo, e spirando ragioni?
133. Gh occhi, diss'io, mi fieno ancor qui tolti;
Ma picciol tempo, che poca è Y offesa
Fatta per esser con invidia volti.
136. Troppa è più la pam'a, ond' è sospesa
L' anima mia, del tormento di sotto,
(3he già lo incarco di laggiù mi pesa.
B. Eran i eitt.
-4.1. pregava (?)-//. Dio
A. per li am.
À. veggend* io la
J, m. B. C. ad ogni altra
B. eh' io levai
A. 1. (?) B. Come fé
B. su lo stremo
A. piccol
A. al torm.
120. a tutti altri — 121. in su levai — 123. fa il mergo — 127. a mem. n' ebbe -> 128. Pettinajo — 129. per carità ìncr. - 133. mi
fieno ancor . diss' io — 134. Ma poco tempo — 136. Troppo è più — 137. dal tormento
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CORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO Xni. 139-154. sapi'a. 323
139. Ed ella a me: Chi t' ha dunque condotto
Quassù tra noi, se giù ritornar credi?
Ed io : Costui eh' è meco , e non fa motto :
142. E vivo sono; e però mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi eh' io mova
1. Di \k in parte DÌ là pcr tc aucor U mortai piedi. ff- dì ^ « parte -
^ ^ a /). mortai
1. 2. 3. o quesu 145. Or questa è ad udir si cosa nuova,
Rispose, che gran segno è che Dio t' ami;
Però col prego tuo talor mi giova. ^.Peròchei- e. predio
148. E chieggioti per quel che tu più brami,
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che a' miei propinqui tu ben mi rinfaini.
1. quelle gente jsj Tu U vcdrai tra quella gente vana
Che spera in Talamone, e perderagU
Più di speranza, che a trovar la Diana;
3. vi perderanno 154. Ma piÙ VÌ mCttCrannO gU ammiragU. ^. l. vi perderanno (?)
139. Kd elli a me — 140. se laggiù tornar cr. — 145. O questo è — 149. calchi più terra — 151. Tu i troverai — 153. trovar Diana
154. più li perderanno
41*
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CANTO DECIMOQUARTO
1. parli a colo
A. ('. li abbi
D. chi se'
.-i. 1. di me a mano dr. (?)
vyhi è costui che il nostro monte cerchia,
Prima che morte gli abbia dato il volo,
Ed apre gU occhi a sua vogUa e coperchia?,
4. Non so chi sia; ma so eh' ei non è solo:
Domandai tu che più gh t' avvicini,
E dolcemente , sì che parli , acco' lo. b. parli a colo
7. Così due spirti, l'uno all'altro chini,
Ragionavan di me ivi a man dritta;
Poi fer li visi, per dirmi, supini:
10. E disse l'uno: 0 anima, che fitta
Nel corpo ancora, in ver lo ciel ten vai, a Ancor nei corpo
Per carità ne consola, e ne ditta
13. Onde vieni, e chi sei; che tu ne fai
Tanto maravigUar della tua grazia.
Quanto vuol cosa, che non fu più mai.
16. Ed io: Per mezza Toscana si spazia -
• Un fiumicel che nasce in Falterona,
E cento miglia di corso noi sazia.
--1. D. Per mezzo Tose.
1. Ob. chi è costui — 5. che più là t' ar?ic. || se tu più t' avT. — 8. di me inver man dr. — li. inverso il ciel
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326
CORK. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIV. 19 — 42.
GUIDO DKI. DUCA.
19. Di sopr' esso rech' io questa persona:
1. 2. 3. DirTi ohi «a Dìfvì ch' io sla , saria parlare indarno;
Che il nome mio ancor molto non suona.
22. Se ben lo intendimento tuo accamo
Con lo intelletto, allora mi rispose
1. 2. H. prima dicea Qucì che dìccva pria, tu parli d' Arno.
25. E r altro disse a lui: Perchè nascose
Questi il vocabol di quella riviera.
Pur com' uom fa dell' orribili cose?
28. E r ombra che di ciò domandata era,
Si sdebitò cosi: Non so, ma degno
Ben è che il nome di tal valle pera:
HI. Che dal principio suo (dov' è sì pregno
L' alpestro monte, ond' e tronco Peloro,
Che in pochi lochi passa oltra quel segno)
34. Infin là. Ve si rende per ristoro
Di quel che il ciel della marina asciuga,
Ond' hanno i fiumi ciò che va con loro ,
37. Virtù così per nimica si fuga
i. biscia per 6v. Da tuttl, comc biscia, o per sventura
Del loco, o per mal uso che U fruga:
40. Ond' hanno si mutata lor natura,
GU abitator della misera valle.
Che par che Circe gU avesse in pastura.
B. Dirvi chi sia
/>. prima dicea
A. 1. disse lui
A. 1. ot' c
C, Infin ove D. Infin dove
D. mutato
B. t. paura
20. eh' io sia , sare' — parlarvi ind. — 22. tuo incarno — 81. ond' è si pregno — 32. ov' è tronco — 35. che il sol
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COBN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIV. 43-66.
GUIDO DKL DUCA.
327
1. 2. 3. caggendo
1. '2. 3. sarà costui
43. Tra brutti porci, più degni di galle,
Che d' altro cibo fatto in uman uso.
Dirizza prima il suo povero calle.
4H. Botoli trova poi, venendo giuso.
Ringhiosi più che non chiede lor possa.
Ed a lor, disdegnosa, torce il muso.
49. Vassi cadendo, e quanto ella più ingrossa.
Tanto più trova di can farsi lupi
La maledetta e sventurata fossa.
•52. Discesa poi per più pelaghi cupi,
Trova le volpi si piene di froda.
Che non temono ingegno che le occupi.
55. Ne lascerò di dir, perch' altri m' oda:
£ buon sarà a costui, se ancor s' ammenta
Di ciò, che vero spirto mi disnoda.
58. Io veggio tuo nipote, che diventa
Cacciator di quei lupi, in sulla riva
Del fiero fiume, e tutti gli sgomenta.
61. Vende la carne loro, essendo viva;
Poscia gU ancide come antica belva:
Molti di vita, e se di pregio priva.
64. Sanguinoso esce della trista selva;
Lasciala tal , che di qui a miU' anni
Nello stato primaio non si riusciva.
H. Tra i brutti
(\ ven. ingiuso
-•1. chieder
H. (\ D. caggendo
ti, sarà costui
D. Di quel — D. m. buono
sp. — A. spirito mi sn.
,— D. nìì disn.
(\ di quivi
45. prima suo — 48. disdegnando — 4&. Va si ci^^endo — S4. non temon. d' ing. || non trovano ing. — 56. perch* altrui m' oda
ro. tutti gli spaventa — 62. gli neeide
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328
1. 2. 3. futuri (Ianni
OORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIV. 67-90.
RINIBR DA CALBOLl.
1. avesse
1. 2. 3. semenM
2. conaorto. o divieto
1. 2. 3. 8* è reda
67. Come all' annunzio de' dogliosi danni
Si turba il viso di colui che ascolta,
Da qual che parte il periglio lo assanni;
70. Cosi vid' io r altr' anima, che volta
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista,
Poi eh' ebbe la parola a se raccolta.
73. Lo dir dell' una, e dell' altra la vista
Mi fé' voglioso di saper lor nomi,
E domanda ne fei con preghi mista.
76. Per che lo spirto, che di pria parlòmi,
Ricominciò : Tu vuoi eh' io mi deduca
Nel fare a te ciò, che tu far non vuo' mi;
79. Ma da che Dio in te vuol che traluca
Tanta sua grazia, non ti sarò scarso:
Però sappi eh' io son Guido del Duca.
82. Fu il sangue mio d' invidia sì riarso,
Che se veduto avessi uom farsi Ueto,
Visto m' avresti di livore sparso.
85. Di mia semente cotal paglia mieto.
0 gente umana, perchè poni il core
Là 'v' è mestier di consorto divieto ?
88. Questi è Rinier; quest' è il pregio e Y onore
Della casa da CalboU, ove nullo
Fatto 1^' è erede poi del suo valore.
e. D. il volto
A. 1. dell'uno, e dell
altro
A. 2. C. D. Mi fer
D. reluca
H. avease
D. sementa B. semenxA
C. D. Ov- è - ^. 2,
conaorte
r. D. CalvoU
A. 2. R. C. D. a* è retU
69. periglio 1' assanni — 71. Stando ad udir — 77. eh' io mi riduca — 79. Ma quando vuole Iddio che in te trai. — SO. Tanto
sua gr. — H4. di livido aparso — 87. Là v' è '1 meatier || Dov' è mest. — di consorti divieto || di consorzio riiv. - 89. di Calboli || de' Calb.
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CORN. II. INVIDIOSI.
GUIDO DEL DUCA.
1. 2. Z. Manardi
1. 2. un fabbro
1. 2. viv. vosco
1. ET una e l' altra g. -
1. diredata
PURGATORIO XIV. 91-114.
91. E non pur lo suo sangue è fatto brullo
Tra il Po e il monte, e la marina e il Reno
Del ben richiesto al vero ed al trastullo;
94. Che dentro a questi termini è ripieno
Di venenosi sterpi, sì che tardi
Per coltivare omai verrebber meno.
97. Ov' è il buon Lizio, ed Arrigo Mainardi,
Pier Traversaro, e Guido di Carpigna?
0 Romagnoli tornati in bastardi!
100. Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna?
103. Non ti maravigUar, s'io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d' Azzo , che vivette nosco ,
106. Federico Tignoso e sua brigata,
La casa Traversara, e gU Anastagi
(E r una gente e V altra è diretata),
109. Le donne e i cavaUer, gli affanni e gli agi,
Che ne invogliava amore e cortesia.
Là dove i cor son fatti si malvagi.
112. 0 Brettinoro, che non fuggi via.
Poiché gita se n' è la tua famiglia,
E molta gente per non esser ria?
329
iJ. r sì pieno
B. a IJ. Manardi
A. piccola
A. Quand' io
A. vivetton — A. m. B.
C. D. viv. vosco
A. dihereUta || B. D.
diredata
96. omai verrebbe — 97. il buon Licio — 101. Favensa ~ 102. Vegna gentil — U2. Brettinor perchè
II. 42
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330
rORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIV. 115-138.
OUIUO DEL-nUCA.
3. de' Fautoli , sic.
1. 2. vostra rag.
1. *2. sa])avam
1. 2. 3. di eoatra
2. fìiggia 3. fuggi*»
115. Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia,
E mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
Che di figliar tai Conti più s'impiglia:
118. Ben faranno i Pagan, dacché il Demonio
Lor sen gira; ma non però che puro
Giammai rimanga d' essi testimonio.
121. 0 Ugolin de'Fantolin, sicuro
È il nome tuo , da che più non s' aspetta
Chi far lo possa tralignando oscuro.
124. Ma va via, Tosco, ornai, eh' or mi diletta
Troppo di pianger più che di parlare.
Si m' ha nostra ragion la mente stretta.
127. Noi sapevam che quel!' anime care
Ci sentivano andar: però tacendo
Facevan noi del cammin confidare.
130. Poi fummo fatti soU procedendo,
Folgore parve, quando 1' aer fende.
Voce che giunse d' incontra, dicendo :
133. Anciderammi qualunque m' apprende;
E fuggi, come tuon che si dilegua.
Se subito la nuvola scoscende.
136. Come da lei 1' udir nostro ebbe tregua,
Ed ecco r altra con si gran fracasso,
Che somigliò tuonar che tosto segua:
e. figliar cotAÌ C.
A. ì. di luì test. (V)
H. D. de" Fantoli, "n sic.
Ji. C. D. sapavam
A, 1. Fac«ano a noi
A. fatti fummo
/?. di con tra
C. Che subito
118. quando il demonio — 120. di «è testim. — 126. nostra region — 131. 1' aere fende — 132. giunse incoutr» a noi - 133. qual-
unque mi prende — 135. E subito — 186. lo dir nostro
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rORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XIV. 139-151.
ESEMPI l> INVIDIA.
331
139. Io sono Aglauro, che divenni sasso.
3. istrinR. 2. ii«triiìn. Ed alloF ^Bv ristringermi al Poeta,
Indietro feci e non innanzi il passo.
142. Già era 1' aura d' ogni parte queta,
Ed ei mi disse: Quel fu il duro camo,
Che dovria Y uom tener dentro a sua met^i.
145. Ma voi prendete Y esca, sì che Y amo
Dell' antico avversario a se vi tira;
E però poco vai freno o richiamo.
148. Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
E r occhio vostro pure a terra mira;
151. Onde vi batte chi tutto discerne.
tì. per istrins;. D. per str.
A. 2. C. In destro feci
A. 2. C. il ciel, che 'ntomo
M2. Già era i' aere — 144. dovria icner 1' uom
42*
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CANTO DECIMOQUINTO
i.
(guanto tra 1' ultimar dell' ora terza,
E il principio del di par della spera.
Che sempre a guisa di fanciullo scherza,
Tanto pareva già in ver la sera
Essere al sol del suo corso rimaso;
Vespero là, e qui mezza notte era.
E i raggi ne ferian per mezzo il naso.
Perchè per noi girato era si il monte.
Che già dritti andavamo in ver 1' occa.so;
10. Quand' io senti' a me gravar la fronte
Allo splendore assai più che di prima.
E stupor m' eran le cose non conte :
13. Ond' io levai le mani in ver la cima
Delle mie ciglia, e fecimi il solecchio.
Che del soperchio visibile lima.
IH. Come quando dall' acqua o dallo specchio
Salta lo raggio all' opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A. 1. Quando s.
e. lo moodo
7. E i raggi ne frdian || K i r. ne fendieu || E i r. uè fendean — 9. andavam verso 1' oec. — 15. Del soperchio del sol TiBÌkil lima
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334
rORN. II. INVIDIOSI.
PURGATORIO XV. 19-42.
1. la mia luce
19. A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in egual tratta.
Si come mostra esperienza ed arte;
22. Così mi parve da luce lifratta
Ivi dinanzi a me esser percosso.
Perchè a fiiggir la mia vista fii ratta.
25. Che è quel, dolce Padre, a che non posso
Schermar lo viso tanto, che mi vaglia,
Diss' io, e pare in ver noi esser mosso?
2S. Non ti maravigliar, se ancor t' abbaglia
La famigUa del cielo, a me rispose:
Messo è, che viene ad invitar eh' uom saglia.
Jil. Tosto sarà che a veder queste cose
Non ti fia grave, ma fiati diletto,
Quanto natura a sentir ti dispose.
34. Poi giimti fummo all' Angel benedetto,
Con lieta voce disse: Entrate quinci
Ad un scaleo vie men che gU altri eretto.
37. Noi montavam, già partiti da linci,
E, Beati misericordes , tue
Cantato retro, e: GocU tu che vinci.
i.2.amendue3.ainhcdue 40. Lo mio Macstro cd io soli ambo e due
2. 3. pensava Suso audavamo , ed io pensai, andando.
Prode acquistar nelle parole sue;
2. 3. tìeti
J. I). eqiial tr.
C. ni" apparve
A. 1. (filivi
J. D. Schermir
I). Non ti fie
fieti
a u.
\. 2. 3. IntraU*
1. 2. 3. mont...mo —
1. 2. 3. part. linci
R. Intrate
A. via men che 1' altro
R. montaTamo — B. part.
linci -- C. di linci
A. 2. a D, ambed. B.
amend.
19. e cotanto si parte — 23. Un dinanzi da me — 25. dolce P., eh' io non p. — 90. a invitar eh* uomo a. — 34. Poi fummo giunti —
31). Ad un 0cafl;lion 37. partiti già — 40. ambodue || ambidue -> 41. Su andavamo
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roRK. II. INVIDIOSI. PURGATORIO XV. 43 — 66.
43. £ dirizza* mi a lui sì domandando :
1. chcvoiHe Che voUe dir lo spirto di Romagna,
E divieto e consorto menzionando?
46. Per eh' egli a me : Di sua maggior magagna
Conosce il danno; e però non s' ammiri
Se ne riprende, perchè men sen piagna.
1. 2. 3. sappununui 49. Pcrchè s' appuntan li vostri disiri,
Dove per compagnia parte si scema,
Invidia move il mantaco ai sospiri.
52. Ma se V amor della spera suprema
Torcesse in suso il disiderio vostro,
Non vi sarebbe al petto quella tema;
1. Perchè ijuanto 2.3. 55. Che pcr Quauti si dice più li nostro,
Che per quanto;
Tanto possiede più di ben ciascuno,
E più di caritate arde in quel chiostro.
58. Io son d' esser contento più digiuno,
Diss'io, che se mi fossi pria taciuto,
E più di dubbio nella mente aduno.
61. Com' esser puote che un ben distributo
I più posseditor faccia più ricchi
Di se, che se da pochi è posseduto?
64. Ed egli a me: Perocché tu rificchi
La mente pure alle cose terrene.
Di vera luce tenebre dispicchi.
(consorzio di beni.)
335
1. 2. 3. mi fosse
A. B. Che volse
A. consorte — A meuto-
vando
B. saputo hanno i C. U.
s' appuntano i —
B. nostri
r. Ove
B. Perchè (|uanto A. U.
Che* per quanto
6*. che s' io mi — B. fosse
A. puoté esser
A. 1. Li più V. In più
A. Diss' io . che se
45. div. e consoncio — 48. Perchè suo punto han lì — 51. il mantice — 63. Tore, in su il dis. — 57. arde cjuel eh. — 59. Dissi, ohe
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336
CORN. III. IRACONDI.
PURGATORIO XV. 67-90.
ESEMPI DI MANSUETUDINE.
1. 2. 3. Che lassù è
l. siano
1. ni' apparve
67. Quello infinito ed ineflfabil bene
Che è lassù, cosi corre ad amore
C'ome a lucido corpo raggio viene.
70. Tanto si dà, quanto trova d' ardore:
Si che quantunque carità si estende.
Cresce sopr' essa Y eterno valore.
73. E quanta gente più lassù s' intende.
Più v' è da bene amare, e più vi s' ama,
E come specchio V uno all' altro rende.
76. E se la mia ragion non ti disfama,
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente
Ti torrà questa e ciascun' altra brama.
79. Procaccia pur, che tosto sieno spente.
Come son già le due, le cinque piaghe.
Che si richiudon per esser dolente.
82. Com' io voleva dicer : Tu m' appaghe :
Vidimi giunto in sulF altro girone.
Si che tacer mi fer le luci vaghe.
85. Ivi mi pai've in una visione
Estatica di subito esser tratto,
E vedere in un tempio più persone:
88. Ed una donna in suU' entrar con atto
Dolce di madre, dicer: Figliuol mio,
Perchè hai tu così verso noi fatto?
.4. (\ Ch' è lassù, e cosi
B. Che lassù è. così
f ' Più n' è — />. di bene
lì. C. siano
D. Quivi - A. 2. B, r.
D. m* apparve
(fu. Come al lucido — 71. carità s* accende — 73. lassù s* incende || lassù s' attende — 74. Più vi dà ben amore — 83. Giunto
mi vidi — 84. le cose vaghe - 87. in un tempo — 80. Filmilo mio
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CORN. III. iBACONDi. PURGATORIO XV. 91 — 114. esempi di mansuetudine. 337
91. Ecco dolenti lo tuo padre ed io
Ti cercavamo. E come qui si tacque,
Ciò, che pareva prima, disparìo.
1. mi parve 94. j^di m' apparvc un' altra con quelle acque <^- ^- ™» p*^«
Giù per le gote, che il dolor distilla,
1. 2. 3. per gran Quaudo di grau dispetto in altrui nacque;
97. E dir: Se tu se' sire della villa, e .z>. sesm
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite.
Ed onde ogni scienza disfavilla,
100. Vendica te di quelle braccia ardite
Che abbracciar nostra figUa, o Pisistrato.
E il signor mi parca benigno e mite
103. Risponder lei con viso temperato:
Che farem noi a chi mal ne disira.
Se quei, che ci ama, è per noi condannato?
106. Poi vidi genti accese in foco d' ira.
Con pietre un giovinetto ancider, forte
Gridando a se pur: Martira, martira:
109. E lui vedea chinarsi per la morte,
Che r aggravava già, in ver la terra, />. i- aggr. giù ^. i. lui
grav. giuso (?)
Ma degli occhi facea sempre al ciel porte; tracie
112. Orando all' alto Sire in tanta guerra,
Che perdonasse a' suoi persecutori,
Con queir aspetto che pietà disserra.
95. che dolor (list. — 9H. da gran dispetto — 96. Onde fa gii tra' Dei cotanta lite — 99. E donde - i06. vidi gente accese —
107. un garzonetto — 112. Orando 1' alto Sire || Pregando 1' alto S.
II. 43
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838
rOBN. III. IRACONDI.
PURGATORIO XV. 115-138.
DANTE E VIRGILIO.
1. Bariau
1. dell' eterno
115. Quando Y anima mia tornò di fuori
Alle cose, che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falsi errori.
118. Lo Duca mio, che mi potea vedere
Far sì com' uom che dal sonno si slega, .4. i. Farmi come co
Disse: Che hai, che non ti puoi tenere?
121. Ma se' venuto più che mezza lega
Velando gU occhi, e con le gambe avvolte
A guisa di cui vino o sonno piega?
124. 0 dolce Padre mio, se tu m' ascolte,
Io ti dirò, diss' io, ciò che mi apparve
Quando le gambe mi ftu'on sì tolte.
127. Ed ei: Se tu avessi cento larve
Sopra la faccia, non mi sarien chiuse i». sanan
Le tue cogitazion, quantunque parve.
130. Ciò che vedesti fu, perchè non scuse
D' aprir lo core all' acque della pace
Che dall' eterno fonte son diflfuse. b. c. deir et.
133. Non domandai, Che hai, per quel che face ^. ». r. quei chei f.
Chi guarda pur con 1' occhio, che non vede, ^- «<>" gii occw
Quando disanimato il corpo giace;
136. Ma domandai per darti forza al piede:
Così frugar conviensi i pigri, lenti ^. 1. pigri « lenti
Ad usar lor vigiUa quando riede.
116. fìior delle vere — 117. in me li falsi errori — 119. dal sogno si si. — 126. mi furono tolte — 127. Ed egli - mille larve
131. D' aprire il core — all' aequa — 137. Cosi fugar — conviene i pigri
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roRN. III. IRACONDI. PURGATORIO XV. 139 — 145. dante k Virgilio.
139. Noi andavam per lo vespero attenti
i.2.potén Oltre, quanto potean gli occhi allungarsi, />. oitra
Contra i raggi serotini e lucenti:
142. Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi, come la notte, oscuro,
Ne da quello era loco da causarsi:
145. Questo ne tolse gli occhi e 1' aer puro. ^- \ e-. />. agu occhi
139. andavam ver lo vcsp. — 140. quanto potea l* occhio — 145. 1' aere puro
43*
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CANTO DECIMOSESTO
Ijuio d'inferno, e di notte privata a.i. prwato
D' ogni pianeta sotto pover cielo , e, d. pianeto
Quant' esser può di nuvol tenebrata, ^. i. tenebrato
1.2. Non fero 4. Non fece al viso mio si grosso vela, ». Nonfer
Come quel fummo eh' ivi ci coperse ,
Ne a sentir di così aspro pelo;
7. Che r occhio stare aperto non sofferse:
Onde la Scorta mia saputa e fida
Mi s' accostò, e Y omero m' offerse.
10. Si come cieco va dietro a sua guida
Per non smarrirsi, e per non dar di cozzo a, a ©per
In cosa che il molesti, o forse ancida;
13. M' andava io per 1' aere amaro e sozzo,
Ascoltando il mio Duca che diceva aasc. mìoD.
Pur: Guarda, che da me tu non sie mozzo.
16. Io sentia voci, e ciascuna pareva
Pregar, per pace e per misericordia,
L' Agnel di Dio, che le peccata leva. cLangci
1. o di notte priv. || o notte pr. — 4. Non fé* al v. — 6. cosi aspero pelo — 7. noi sofferse — 10. dietro sua gn. — 12. e forse
ano. Il o ver anc. || o che Y ane. — 15. 16. diceva: Por guarda
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342 ^ORN. III. IRACONDI. PURGATORIO XVI. 19 — 42. marco lombardo.
19. Pure Agnus Dei eran le loro esordia:
1. 2. era in tutti 3. in Uiia parola ìdl tutte era, ed un modo, a er* in tutti cu.
tutti era in tutti era
Si che parea tra esse ogni concordia. d. tra essi
22. Quei sono spirti. Maestro, ch'i' odo?
Diss' io. Ed egli a me: Tu vero apprendi,
E d' iracondia van solvendo il nodo.
25. Or tu chi se', che il nostro fmnmo fendi,
E di noi parli pur, come se tue
Partissi ancor lo tempo per calendiV
28. Cosi per una voce detto fue.
Onde il Maestro mio disse : Rispondi, a. 2. b, c d. mi ^x^
E domanda se quinci si va sue.
31. Ed io: 0 creatura, che ti mondi,
Per tornar bella a colui che ti fece.
Maraviglia udirai se mi secondi.
34. lo ti seguiterò quanto mi lece.
Rispose; e se veder fummo non lascia,
V udir ci terrà giunti in quella vece.
37. Allora incominciai: Con quella fascia,
Che la morte dissolve men vo suso,
E venni qui per la infernale ambascia ; .4. 2. b. c. d. per inf.
40. E, se Dio m' ha in sua grazia richiuso
2. 3. eh' e- vuol Tanto, che vuol ch'io veggia la sua corte
Per modo tutto fiior del modem' uso,
20. e iu un modo — 40. in sua gr. rinchiuso — 41. eh' io vegna alla tua e.
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COEN. IH. IRACONDI. PURGATORIO XVI. 43 — 66. (influssi del cielo.) 343
43. Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi, e dimmi s' io vo bene al varco;
1. fìsn E tue parole fien le nostre scorte. />. u tue ~ b. «mn
46. Lombardo fili, e fui chiamato Marco:
Del mondo seppi, e quel valore amai ^. ,«. vai. usai
Al quale ha or ciascun disteso 1' arco :
49. Per montar su dirittamente vai:
Così rispose; e soggiunse: Io ti prego
Che per me preghi, quando su sarai.
52. Ed io a lui: Per fede mi ti lego
Di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
Dentro a un dubbio, s' io non me ne spiego, r. />. Dentro a- un
55. Prima era scempio, ed ora è fatto doppio
Nella sentenza tua, che mi fa certo .
Qui ed altrove, quello ov' io l'accoppio. />. aitr. udovio
58. Lo mondo è ben cosi tutto diserto
D' ogni virtute, come tu mi suone,
E di malizia gravido e coperto:
61. Ma prego che m' additi la cagione,
1. 2. 3. la veRga Sì ch' io la vcggla, e ch'io la mostri altrui; /^.u vegga
Che nel cielo uno, ed un quaggiù la pone.
64. Alto sospir, che duolo strinse in bui, i ,«.//. r. str. in nui
Mise fiior prima, e poi cominciò: Frate,
Lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
49. direttamente — 54. Dentro ad un d. — .57. Quivi ed altrove — 62. Si eh' io la saccia
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344 cofiK, III. IRACONDI. PURGATORIO XVI. 67—90. (libero arbitrio.)
67. Voi che vivete, ogni cagion recate
1. 2. 3. al cielo, si come
1. 11 cielo
1. 2. batt. del ciel
1. 2. pres. vi svia
Pur suso al ciel, cosi come se tutto
Movesse seco di necessitate.
70. Se cosi fosse, in voi fora distrutto
Libero arbitrio, e non fora giustizia,
Per ben, letizia, e. per male, aver lutto.
73. Lo cielo i vostri movimenti inizia,
Non dico tutti: ma, posto eh' io il dica,
Lume v' è dato a bene ed a malizia,
76. E libero voler, che, se fatica
Nelle prime battaglie col ciel dura.
Poi vince tutto, se ben si nutrica.
79. A maggior forza ed a migUor natura
Liberi soggiacete, e quella cria
La mente in voi, che il ciel non ha in sua cura.
82. Però, se il mondo presente disvia.
In voi è la cagione, in voi si cheggia.
Ed io te ne sarò or vera spia.
85. Esce di mano a lui, che la vagheggia
Prima che sia, a guisa di fanciulla,
Che piangendo e ridendo pargoleggia,
88. L' anima semplicetta, che sa nulla,
Salvo che, mossa da Ueto fattore,
Voi enti er torna a ciò che la trastulla.
A. 2. tA cielo, 8Ì come
B. C. D. al ciclo,
por eome
B, Il cielo
A. 2. B. post' r
C. D. s* affatica
B. batt. del ciel
A. 2. Vìnce poi
B. ohe s* annulla
A. dal lieto
67. Voi che venite — 76. voler, che, se fatica || voi. ehi b' affatica — 77. battaglie, e col ciel || batt. che *1 elei — 79. A miglior
forza — 82. il mondo pres. disia — 87. ridendo parvoleggia
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rOBN. III. IBACONDI.
PURGATORIO XVI. 91 — 114.
1. 2. 3. torce *l suo
2. Fftcén
1. 2. 3. e r uno e l' altro
(due soli.)
91. Di picciol bene in pria sente sapore;
Quivi s' inganna, e dietro ad esso corre.
Se guida o fren non torce suo amore.
94. Onde convenne legge per fren porre;
Convenne rege aver, che discernesse
Della vera cittade almen la torre.
97. Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo; perocché il pastor che precede
Ruminar può, ma non ha T unghie fesse.
100. Per che la gente, che sua guida vede
Pure a quel ben ferire ond' eli' è ghiotta,
Di quel si pasce , e più oltre non chiede.
103. Ben puoi veder che la mala condotta
E la cagion che il mondo ha fatto reo,
E non natura che in voi sia corrotta.
106. Soleva Roma, che il buon mondo feo.
Due Soh aver, che 1' una e 1' altra strada
Facean vedere, e del mondo e di Deo.
109. L' un r altro ha spento; ed è giunta la spada
Col pastorale , e T un con 1' altro insieme
Per viva forza mal convien che vada;
112. Perocché, giunti, T un l'altro non teme.
Se non mi credi, pon mente alla spiga,
Ch' ogni erba si conosce per lo seme.
A, pieeol
pria
A, e retro
ff. torce il suo
345
A. 1. tiene
C. D. città
l). imperocché <- A. \.
C. procede
H. C. D. pasturale -
/>. e r un e r altro
D. giunto
9B. freno non torce — 94. convenne leggi — 99. Rumigar può || Rugumar può — 106. che in noi bia
II. 44
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346 roHN. III. IRACONDI. PURGATORIO XVI. 115—138. marco lombardo.
3. Adige 115. In sul paese eh' Adice e Po riga r. Adige
Solea valore e cortesia trovarsi,
Prima che Federico avesse briga:
118. Or può sicuramente indi passarsi
Per qualunque lasciasse, per vergogna,
Di ragionar coi buoni, o d' appressarsi.
121. Ben v' en tre vecchi ancora, in cui rampogna c.Btnvk
V antica età la nuova, e par lor tardo
Che Dio a mighor vita ìi ripogna;
1. 2. 3. Currado 124. CorTado da Palazzo, e il buon Gherardo, /?. r. x>. Currado
E Guido da Castel, che me' si noma r. «he mei
Francescamente il semplice Lombardo.
127. Di' oggimai che la Chiesa di Roma,
Per confondere in se due reggimenti,
Cade nel fango, e se brutta e la soma.
130. 0 Marco mio, diss'io, bene argomenti;
1. 2. 3. dal retaggio Ed or disccmo , perchè da retaggio ^ 2. b. a dai retaceo
Li figU di Levi fiirono esenti:
133. Ma qual Gherardo è quel che tu, per saggio.
Di', eh' è rimaso della gente spenta.
In rimproverio del secol selvaggio? ^. e. /;. in rimprovero
136. 0 tuo parlar m' inganna o e' mi tenta, ^ 2. e. 01 tuo
Rispose a me; che, parlandomi Tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta. /?. /. buon curra^io
120. coi buoni, d' appressarti || coi b. , e d' appr. |) coi b. . ad appr. — 121. Ben ▼' e tra vecchi — ancor tra vecchi — 12S. E Gu. di
Castel — 129. e brutta sé - 131. dal redsf^o — 13B. In rimprover del secolo
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roBN. III. IRACONDI. PURGATORIO XVI. 139—145. Gherardo da cammino. 347
139. Per altro soprannome io noi conosco,
1. togliesse S' io noi togliessi da sua figlia Gaia. /?. to^uesse
Dio sia con voi, che più non vegno vosco.
142. Vedi r albòr che per lo fiimmo raia, ' b. io fiume
Già biancheggiare, e me convien partirmi,
1. 2. 3. chcRii paja L' Angclo è ivi, prima eh' io gU appaia. h. che w pi^a
1. 2. 3. Cosi parlò 145. Così tomò , c più non volle udirmi. r. così parlò - b. e
poi — I). volle dirmi
143. e mi convien || a me convien || onde convien — 144. che u' appaia || ohe m' appaia || che '1 dì pua — 145. tomò, ehè più
44-
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CANTO DECIMOSETTIMO
rvicorditi , lettor, se mai nell' alpe
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Non altrimenti, che per pelle talpe;
4. Come, quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del sol debilemente entra per essi; ^•*^«*"
7. E fia la tua imagine leggiera
In giugnere a veder, com' io rividi
Lo sole in pria, che già nel corcare era.
10. Si, pareggiando i miei co' passi fidi ^. r. pnsscg^iando
Del mio Maestro, uscii fuor di tal nube
Ai raggi, morti già nei bassi lidi.
13. 0 immaginativa, che ne rube
Tal volta sì di fiior, eh' uom non s' accorge,
Perchè d' intorno suonin mille tube,
16. Chi move te, se il senso non ti porge?
Moveti Imne, che nel ciel s'informa /;. Moventi
Per se, o per voler che giù lo scorge. n. u scorge
1. ae mai in alpe — 15. d' intomo suoni — 16. Che move te
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350
rORN. III. IRACONDI.
PURGATORIO XVII. 19-42.
ESEMPI U IRACONDIA.
1. piove
19. Dell' empiezza di lei, che mutò forma
Neil' uccel che a cantar più si diletta,
Neil' imagine mia apparve 1' orma:
22. E qui fu la mia mente si ristretta
Dentro da se, che di fuor non venia
Cosa che fosse allor da lei recetta.
25. Poi piovve dentro aU' alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
Nella sua vista, e cotal si moria.
28. Intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo,
Che fii al dire ed al far cosi intero.
31. E come questa imagine rompeo
Se per se stessa, a guisa d' una bulla
Cui manca V acqua sotto qual si feo ;
34. Surse in mia visione una fanciulla.
Piangendo forte, e diceva: 0 regina.
Perchè per ira hai voluto esser nulla?
37. Ancisa t' hai per non perder Lavina;
Or m' hai perduta; io son essa che lutto.
Madre, alla tua pria eh' all' altrui ruina.
40. Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che moia tutto;
D. Dell* imprezza
A. m. B. C. fosse ancor -
D. concetta
B. a D. Mardocco
19. Dell' empietà di lei — 20. che cantar — 21. mia parve 1' orma — 27. Nella sua faccia - cotal si morrìa -
parea — 38. 1' accjua s<itto, e t«l si feo — 39. Madre, la tua — più che — 1* altrui mina || alla mia r. >- 42. franto guissa
2Bu Intorno a lui
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SALITA ALLA CORN. IV.
PURGATORIO XVII. 43-66.
351
1. 2. 3. che il lume
3. quello eh' è
1. spirto
B. V ima^ne mia
H. che il lume
A. come sol (\ come '1 sol
43. Così r immaginar mio cadde giuso ,
Tosto eh' un lume il volto mi percosse,
Maggiore assai, che quel eh' è in nostr' uso.
46. Io mi volgea per vedere ov' io fosse,
Quand' una voce disse : Qui si monta :
Che da ogni altro intento mi rimosse;
49. E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,
Che mai non posa, se non si raffronta.
52. Ma come al sol, che nostra vista grava,
E per soperchio sua figura vela.
Così la mia virtù quivi mancava.
55. Questi è divino spirito, che ne la
Via d'andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume se medesmo cela.
58. Sì fa con noi, come 1' uom si fa sego;
Che quale aspetta prego, e l'uopo vede, .4. m.»ap. poiché r uopo
MaUgnamente già si mette al nego.
61. Ora accordiamo a tanto invito il piede:
Procacciam di salir pria che s' abbui,
Che poi non si poria, se il dì non riede.
64. Così disse il mio Duca, ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala;
E tosto eh' io al primo grado fili,
H. diritto sp.
.-1. Via (la ir su
46. Maggior che quello assai — 47. Qui si smonta - 55. Questo dirino sp. — 56. Vi» da gir su - 59. prego all' uopo
rir el s' abbui — 63.. non si porria — se il sol non riede
pna
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352
rORN. IV. ACCIDIOSI.
1. 2. 3. nel volto
2. 3. rivolsi .ti mio M.
1. 2. li. ijiti ri tu
PURGATORIO XVII. 67-90. (amobk.)
67. Sentami presso quasi un mover d' ala,
E ventarmi nel viso, e dir: Beati
Pacifici^ che son senza ira mala.
70. Già eran sopra noi tanto levati
Gli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle apparivan da più lati.
73. 0 virtù mia, perchè si ti dilegue?
Fra me stesso dicea, che mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
76. Noi eravam dove più non saliva
La scala su, ed eravamo affissi.
Pur come nave eh' alla piaggia arriva :
79. Ed io attesi un poco s' io udissi
Alcuna cosa nel nuovo girone;
Poi mi volsi al Maestro mio, e dissi:
82. Dolce mio Padre, di', quale oflFensione
Si purga qui nel giro, dove semo?
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone.
85. Ed egh a me: L' amor del bene, scemo
Di suo dover, quhitto si ristora.
Qui si ribatte il mal tardato remo:
88. Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me, e prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora.
D. qti«BÌ presso
(\ tiinto sopra noi
C. di più
A. semU suso
n. Se i piedi st. - U.
non stia
.4. Del ano — /f.quiritu
A. D. intenda
ti^. A ventarmi — 7U. tanto montati — 76. eraram ove più — 80. nell' altro girone — 81* K poi mi volsi — 83. nel giron - o^r
semo — H4. Se i pie sostanno
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CORN. IV. ACCIDIOSI.
1. 2. ',i. fu sempre
2. male ohiettt»
1. 2.3. per tr. o per poco
353
A. 1. (^om., fii;liiiol mio
B. fu sempre
B. C. per tr. o per poco
A. 2. C, nel primo ben
PURGATORIO XVII. 91 — 114. (amore.)
91. Ne creator, ne creatura mai,
Cominciò ei, figliuol, fii senza amore,
0 naturale, o d' animo; e tu il sai.
94. Lo naturai è sempre senza errore;
Ma r altro puote errar per malo obbietto,
0 per poco, o per troppo di vigore.
97. Mentre eh' egli è ne' primi ben diretto,
E ne' secondi se stesso misura.
Esser non può cagion di mal diletto;
100. Ma, quando al mal si torce, o con più cura,
0 con men che non dee, corre nel bene.
Contra il fattore adopra sua fattura.
103. Quinci comprender puoi eh' esser conviene
Amor sementa in voi d' ogni virtute ,
E d' ogni operazion che merta pene.
106. Or perchè mai non può dalla salute
Amor del suo suggetto torcer viso,
Dall' odio proprio son le cose tute:
109. E perchè intender non si può diviso,
E per se stante, alcuno esser dal primo.
Da quello odiare ogni affetto è deciso.
112. Resta, se dividendo bene estimo.
Che il mal che s' ama è del prossimo, ed esso ^.ehef«m«- .j.2.f»m«
del B. D. 8 ama o del
Amor nasce in tre modi in vostro Inno.
96. E per troppo, e per poco — 96. E nel secondo — 104. Àm. semenza — iu noi — 114. in nostro limo
II. Ah
1. 2. 3. voli^er viso
1. Dell' odio
2. 3, Né per sé — 2. del
primo
B. C. U. volicer tìso
//. Dell' ..dio
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354 roRN. IV. ACCIDIOSI. PURGATORIO XVn. 115—139. (amobk.)
2. K.chi 115. E chi, per esser suo vicin soppresso, a. 2. b. a n. Kt chi
Spera eccellenza, e sol per questo brama
Ch' e' sia di sua grandezza in basso messo.
1.2. Et chi 118, E chi podere, grazia, onore, e fama a. 2. b, e. n. va ehi
Teme di perder perch' altri sormonti.
Onde s' attrista sì, che il contrario ama;
121. Ed è chi per ingiuria par eh' adonti
Sì, che si fa della vendetta ghiotto;
E tal convien, che il male altrui impronti. ^1. che male
124. Questo triforme amor quaggiù disotto
Si piange; or vo' che tu dell' altro intende.
Che corre al ben con ordine corrotto.
127. Ciascun confiisamente un bene apprende,
Nel qual si queti 1' animo , e distra :
Perchè di giugner lui ciascun contende.
130. Se lento amore in lui veder vi tba,
0 a lui acquistar, questa cornice.
Dopo giusto penter, ve ne martira.
133. Altro ben è che non fa 1' uom felice;
Non è fehcità, non è la buona
1. 2. 3. ben fr. e rad. EsSCUZa, d' Oglìì bUOU frUttO radice. ^ 2. B. a D. b«n fr.
e rad.
136. L' amor, eh' ad esso troppo s' abbandona,
Di sopra noi si piange per tre cerchi ; -^ «"P»* • »"•
Ma, come tripartito, si ragiona,
139. Tacciolo, acciocché tu per te ne cerchi.
117. di 8u» potenza — 128. si cheti |) si queta — 129. di giunger lui — 130. amore a lui — 132. giusto pentir — 136. d" ugni ben fatto -
136. Ij' amor , che a desso
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CANTO DECIMOTTAVO
l. Ogni ben
]. fiati
cip.
Jtosto avea fine al suo ragionamento
L' alto Dottore, ed attento guardava
Nella mia vista s' io parea contento :
4. Ed io, cui nuova sete ancor frugava.
Di fuor taceva, e dentro dicea: Forse
Lo troppo domandar, eh' io fo, gli grava.
7. Ma quel padre verace, che s' accorse
Del timido voler che non s' apriva.
Parlando, di parlare ardir mi porse-
lo. Ond' io: Maestro, il mio veder s' avviva
Si nel tuo lume , eh' io diseemo chiaro
Quanto la tua ragion porti o descriva:
13. Però ti prego, dolce Padre cai'o,
Che mi dimostri amore, a cui riduci
Ogni buono operare e il suo contraro.
16. Drizza, disse, ver me 1' acute luci
Dello intelletto, e fieti manifesto
L' error dei ciechi che si fanno duci.
e b' io era
V. Che T troppo
/i. nel suo lume
(\ rimostri
fì. Oipii ben op.
A. 1. ver me, disse
B. fiati
10. il mio voler s' avviva — 12. la tua ragion porta — 16. Disse . Drisza ver me — 1* ardite luci
45-
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356
CORN. IV. ACCIDIOSI.
PURGATORIO XVIII. 19-42.
(amore.)
1. Terità alla g.
19. L' animo, eh' è creato ad amar presto,
Ad ogni cosa è mobile che piace,
Tosto che dal piacere in atto è desto.
22. Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega.
Si che r animo ad essa volger face.
25. E se, rivolto, in ver di lei si piega,
Quel piegare è amor, quello è natura
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
28. Poi come il foco movesi in altura.
Per la sua forma eh' è nata a salire
Là dove più in sua materia diu'a;
31. Così r animo preso entra in disire,
Ch' è moto spiritale, e mai non posa
Fin che la cosa amata il fa gioire.
34. Or ti puote apparer quant' è nascosa
La veritade aUa gente eh' avvera
Ciascuno amore in se laudabil cosa;
37. Perocché forse appar la sua matera
Sempr' esser buona; ma non ciascun segno
E buono, ancor che buona sia la cera.
40. Le tue parole e il mio seguace ingegno,
Risposi lui, m'hanno amor discoperto;
Ma ciò m' ha fatto di dubbiar più pregno ;
I). in verso Ini
A. Ch' è molto
A. 2. C. D. al mio
41. Risposi a Ini || llispos* io Ini
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rOHN. IV. ACCIDIOSI.
1. 2. .3. dritto o torto
1. 2. 3. eh' è opra «li f.
2. 3. virtude
1. 2. 3. E de' pr.
1. 2. 3. Che sono
1. lor mele
1. 2. 3. E dell' MS.
ì. 2. 3. Cagioii
1. amor
JJ. è dinanzi a noi
B. dritto o torto
PURGATORIO XVni. 43-66. (amore.) 357
43. Che s' amore è di fiiori a noi offerto ,
E r anima non va con altro piede,
Se diitta o torta va, non è suo merto.
46. Ed egli a me: Quanto ragion qui vede
Dirti poss' io ; da indi in là t' aspetta
Pure a Beatrice; ch'opera è di fede. m y^. eh- è opra di r.
49. Ogni forma sustanzial, che setta
E da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtù ha in se colletta,
52. La qual senza operar non è sentita.
Ne si dimostra, ma' che per effetto.
Come per verdi fronde in pianta vita.
55. Però, là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, uomo non sape,
Ne de' primi appetibih 1' affetto,
58. Ch' è solo in voi, sì come studio in ape
Di far lo mele; e questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
61. Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia,
Innata v' è la virtù che consiglia.
Che dell' assenso de' tener la soglia.
64. Quest' è il principio, là onde si piglia
Ragion di meritare in voi, secondo /;. capon
Che buoni e rei amori accoglie e viglia.
e. virtute
H. mai che
D. verde fronda
B. Et è prima appetibile
A. 1, (V) B. Che sono
A. 1. lande
B. innata n' è
A. 1. (?) B. E dell' MS.
43. Clie se è am. a noi di f. — di fuor da noi || di fuor di noi — 44. E l'animo — 49. Ogni sustansial forma — 51. Spec. virtude
e ha — S5. là donde vegna — 61 . E perchè a qn. — 63. Ed eli* ha senso di ten. — 66. buoni o rei amori (?)
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358
CORN. IV. ACCIDIOSI.
PURGATORIO XVra. 67-90.
1. mortalità
1. poguait
1. i' imprende
2. secchion, che tiitiitt»
1. 2. 3, Tra Sardi e r.
1. 2. 3. dipo!it4i
(LIB£BU ARBITRIO.)
67. (3olor che ragionando andaro al fondo,
S' accorser d' està innata iibertate,
Però moralità lasciaro al mondo.
70. Onde pognam che di necessitate ^' ^- p"k«*" ^ i»'»^»^
Surga ogni amor che dentro a voi s' accende,
Di ritenerlo è in voi la potestate.
73. La nobile virtù Beatrice intende
Per lo libero arbitrio, e però guarda
Che r abbi a mente , s' a parlar ten prende, fì. t imprende
7(ì. La luna, quasi a mezza notte tarda, .4. ».. a ter» uone
Facea le stelle a noi parer più rade,
Fatta com' un secchione che tutto arda; ' tÙtto òrjd» i>'
tutiitt' arda
79. E correa contra il ciel per quelle strade
Che il sole infiamma allor, che quel da Roma o. mt qu*ndo nuei
Tra i Sardi e i Corsi il vede quando cade; e. Tra corsie s.
82. E quell' ombra gentil, per cui si noma
Pietola più che villa Mantovana,
Del mio carcar deposto avea la soma : b. diposto r. dupo^u»
85. Perch' io , che la ragione aperta e piana ^ io qu^u» rag.
Sopra le mie questioni avea ricolta, //.raccolta
Stava com' uom che sonnolento vana.
88. Ma questa sonnolenza mi fu tolta
Subitamente da gente, che dopo
Le nostre spalle a noi era già volta.
70. Onde pouiam || Onde ponean — 75. a parlar tì prende - 78. com' un sche9i;iau - rlie in tutto arda — 84. l)i mio carro
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rORN. IV. ACCIDIOSI.
PURGATORIO XVm. 91-114.
ESEMPI DI PREMURA.
»59
1. Quale Um.
l. 2. 3. Tale per qu.
l. con frett* oorse
1. 2. pereliè '1 «ol
1. 2. 3. che trr)V.
troverrai
91. E quale Ismeno già vide ed Asopo,
Lungo di se di notte furia e calca,
Pur che i Teban di Bacco avesser uopo;
94. Cotal per quel giron suo passo falca,
Per quel eh' io vidi di color, venendo,
Cui buon volere e giusto amor cavalca.
97. Tosto fur sopra noi, perchè, correndo.
Si movea tutta quella turba magna;
E due dinanzi gridavan piangendo:
100. Maria corse con fretta alla montagna;
E Cesare, per soggiogare Ilerda,
Punse MarsiUa, e poi corse in Ispagna.
103. Ratto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor, gridavan gli altri appresso;
Che studio di ben far grazia rinverda.
106. 0 gente, in cui fervore acuto adesso
Ricompie forse negligenza e indugio,
Da voi per tepidezza in ben far messo,
109. Questi che vive (e certo io non vi bugio)
Vuole andar su, purché il sol ne riluca;
Però ne dite ov' è presso il pertugio.
112. Parole fiiron queste del mio Duca:
Ed un di quegli spirti disse: Vieni
Diretro a noi, e troverai la buca.
R. Quale Ysmeiion
R. (\ Tale per qu.
C Per (pi. vid' io
D. in^il. dinanzi
r. 1). sublunare A.
Riib^iuK.
B. favore ao.
H. più elle il sol
A. m. ti. r. D. ne dite
ond' è
91. K quali Ism. — 99. E due innanci — 102. Corse Mars. - 114. Dietro da noi
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360
CORK. IV. ACCIDIOSI.
PURGATORIO XVin. 115-138.
ALBERTO AB. DI S. ZENO.
2. B. Melftii
l. 2. 3. d' «vervi avuto
115. Noi Siam di voglia a moverci sì pieni,
Che ristar non potem; però perdona,
Se villania nostra giustizia tieni.
118. Io fili Abate in san Zeno a Verona,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Milan ragiona.
121. E tale ha già V un pie dentro la fossa.
Che tosto piangerà quel monastero,
E tristo fia d' averne avuto possa;
124. Perchè suo figUo, mal del corpo intero,
E deUa mente peggio, e che mal nacque.
Ha posto in loco di suo pastor vero.
127. Io non so se più disse, o s' ei si tacque,
Tant' era già di là da noi trascorso;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque.
130. E quei, che m' era ad ogni uopo soccorso,
1. vol^itiqu» Disse: Volgiti in qua, vedine due
1.2.3. Airacc.ven.daiido Vcuirc, dando air accidia di morso.
1. 2. .ucén 133. Diretro a tutti dicean: Prima fiie
Morta la gente, a cui il mar s' aperse,
1.2. 3. Guminn Chc vedcssc Jordan le erede sue;
136. E quella, che Y affanno non sofferse
Lenitigli,. Fino alla fine col figliuol d' Anchise,
Se stessa a vita senza gloria offerse.
i>. restar
B. piede entro — />. alla f.
B. d' aver av. - H. <.
avuta
A. 1. Perchè *l suo
A. 2. (\ o 8r si L
A. 1. Volgiti qua
fi. Air are. venir dami"
B. r. Oiordan
B. Sin alU f. - B. D.
col figlio
B. Se stesso
124. mal di corpo — 127. non so s' ei più disse — o poi si tacque — 131. Volviti — e vidi due — 182. Venir, dando all'are. -
137. alla fine del W
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CORK. IV. ACCIDIOSI. PURGATORIO XVm. 139 — 145. dante k Virgilio. 361
139. Poi quando fiir da noi tanto divise
Queir ombre, che veder più non potersi,
1. 2. 3. pensier dentro NuOVO pCnsierO deUtrO a me si mise, 5. e. /J. pensier dentro
dji me da me
142. Del qual più altri nacquero e diversi;
E tanto d' uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi. ^. 2. r. />. w. vanei^z»
145. E il pensamento in sogno trasmutai. />. somno
142. Dal qual più
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CANTO DECIMONONO
1. 2. 3. Con gli - i. 2.
3. guerci
3. le color.
JMeir ora che non può il calor diurno
Intepidar più il freddo della luna,
Vinto da terra o talor da Saturno;
4. Quando i geomanti lor maggior fortuna
Veggiono in oriente, innanzi all' alba.
Surger per via che poco le sta bruna;
7. Mi venne in sogno una femmina balba,
Negli occhi guercia, e sopra i pie distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
10. Io la mirava; e, come il sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava,
Cosi lo sguardo mio le facea scorta
13. La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d' ora, e lo smarrito volto.
Come amor vuol, così lo colorava.
16. Poi eh' eli' avea il parlar cosi disciolto.
Cominciava a cantar si, che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
D. e Ulor
D. E geomanti
A. 2. r. D. poco li sta
D. somno
B. Con li — B. guerci —
B. r. sopra pie
A. C. poca d* ora
A. 1. la colorava
B. Cornine, cantar
D. avrei il mio
5. Veggion nell' oriente — 10. Io 1' ammirava — 18. Avrei da lei
46'
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364
rORN. IV. ACCIDIOSI.
PURGATORIO XIX. 19 — 42. su
19. Io soli, cantava, io son dolce Sirena,
Che i marinari in mezzo mar dismago;
Tanto son di piacere a sentir piena.
22. Io volsi Ulisse del suo caminin vago
('ol canto mio; e qual meco si ausa
Rado sen parte, sì tutto 1' appago.
25. Ancor non era sua bocca richiusa,
Quando una donna apparve santa e presta h. donna parve
Lunghesso me per far colei confiisa.
1. 2. 3. o virg., virg. 28. 0 Virgilio , o Virgilio, chi è questa? //. z>. ovirg.. vin?.
l. 2. Serena
1. 8. mezzo il mar 2.
mezz» il mal
1. 2. 3. lo trassi
1. 2. 3. Al canto
B. e. D. serena
A. 1. mezzo il mar
A. m. dk muover p.
B. lo trassi
B. /). Al canto
l. donna parve
1. 2. 3. veniva
i. 2. 3. apriva
l. 2. 3. mostravami
I. 2. 3. usciva
1. 2. 3. Io volsi
1. 2. r aperto 3. la porta —
1. 2. per lo <jual
A. 2. r. Fieramente io d.
Fieramente diceva; ed ei venia
Con gh occhi fitti piu'e in quella onesta..
31. L' altra prendeva, e dinanzi 1' apria
Fendendo i drappi, e mostrandomi il ventre, /?. mostravami
Quel mi svegliò col puzzo che n' uscia. a. i. (?) d. o.r mi sr
34. Io mossi gli occhi, e il buon Virgilio: Almen tre /?. io voui
Voci t' ho messe, dicea: surgi e vieni,
Troviam Y aperta per la qual tu entre.
37. kSu mi levai, e tutti eran già pieni
Deir alto di i giron del sacro monte.
Ed andavam col sol nuovo alle reni.
40. Seguendo lui, portava la mia fronte
('ome colui che Y ha di pensier carca.
Che fa di se un mezzo arco di ponte:
I). m. Voci . come dirc-f
- A. 2. C. messe e dirr»
B. m. Y aperto B. /. V.
la porta — B. m. per
lo qual
A. santo monte
2(). in mezzf) al mar — 24. sin tutto — 34. gli occhi al buon Virgilio (| gli o. al buon Maestro || gli o. e '1 mio Maestro -
e mentre || mentre - 36. Voci, come die. || Vociò, come die. — 36. per la qual tu v' entre
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SALITA ALLA CORN. V.
1. 2. H. V ftle
1.2. ameiidiip 3. ambedue
PURGATORIO XIX. 43-66. ano:
43. Quand' io udi': Venite, qui si varca;
Parlare in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa mortai marca.
46. ('on r ali aperte che parean di cigno,
Volseci in su colui che si parlonne.
Tra' due pareti del duro macigno.
49. Mosse le penne poi e ventilonne,
Qui lugent affermando esser beati,
Oh' avran di consolar V anime donne.
52. Che hai, che pure in ver la terra guati?
La Guida mia incominciò a dirmi,
Poco ambo e due dall' Angel sormontati.
55. Ed io: Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision eh' a se mi piega,
Si eh' io non posso dal pensar partirmi.
58. Vedesti, disse, quella antica strega,
Che sola sopra noi omai si piagne?
Vedesti come 1' uom da lei si slega?
61. Bastiti, e batti a terra le calcagne,
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo Rege eterno con le rote magne.
64. Quale il falcon che prima ai pie si mira,
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto che là il tira;
365
R. t. qua si v.
A. m. mort barca
/?. C. D. V ale
C. Volsesi
A. 2. D. ambedue C. am-
bedui B. amendiie
I). sospensiou
(\ Ved. qii. ant. . disse
A. Riv. gli occhi
44. Parlando in modo — 40. le penne sue e vent — e poi avventilonne — 54. ambìduc — 59. Vedesti! — ({urlla , disse — fiO. Vedeshi,
cttDie — 62. rivolgi al Indoro
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366 ^^^^- ^' AVARI. PURGATORIO XIX. 67 — 90. Adriano v.
67. Tal mi fec' io, e tal, quanto si fende A.t b. r. />. qu.ndn
si f.
La roccia per dar via a chi va suso,
N' andai infìno ove il cerchiar si prende. a. infin dove
70. Coin' io nel quinto giro fui dischiuso,
Vidi gente per esso che piangea.
Giacendo a terra tutta volta in giuso. a. l a trrr» e tutta <?.
73. Adhaesit pavimento anima mea^
2..'J.Seiitia-3.dirloro SCUti' dir lor COU SÌ alti sospiri, /?. lordir
Che la parola appena s' intendea.
76. 0 eletti di Dio, li cui soffriri
E giustizia e speranza fan men duri, b. e. d. tk mtn d.
Drizzate noi verso gU alti saliri. c\ nri». voi
79. Se voi venite dal giacer sicuri,
E volete trovar la via più tosto.
Le vostre destre sien sempre di furi.
82. Così pregò il Poeta, e sì risposto
Poco dinanzi a noi ne fii; perch' io
Nel parlare avvisai 1' altro nascosto ; ^ att. nei p.
1. 2. 3. agli occhi al s. 85. E voIsì gU occW allora al Signor mio : a. i. (?) b. «ga occhi
Ond' egli m' assentì con Ueto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.
88. Poi eh' io potei di me fare a mio senno ,
Trassimi sopra quella creatura,
Le cui parole pria notar mi femio,
*. Poi e!»e potei far di me
al S.
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roRN. V. AVARI. PURGATORIO XIX. 91 — 114. Adriano v. 367
91. Dicendo: Spirto, in cui pianger matura
Quel senza il quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura.
94. Chi fosti, e perchè volti avete i dossi
Al su, mi di', e se vuoi eh' io t' impetri
Cosa di là ond' io vivendo mossi. ^ onde viv.
97. Ed egli a me: Perchè i nostri diretri r. z>. Perchr nostri
Rivolga il cielo a sé, saprai: ma prima,
i.2.ego8am Scìos quod sgo fuì successor Petri
100. Intra Siestri e Chiaveri si adima
Una fiumana bella, e del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
103. Un mese e poco più prova' io come
1. del fango Pcsa 11 grau manto a chi dal fango il guarda, b. a u. dei fango
1. Che men mi semblan ChC pluma SCmbraU tUttC 1' altTC some. ^- '• P>M«»» B' »»• »n«n «ni
1. •mefu 106. La mia conversione, omè! fu tarda; e. convemMion
Ma, come fatto fui Roman Pastore,
Così scopersi la vita bugiarda.
109. Vidi che li non si quetava il core,
Né più salir poteasi in quella vita; a. a potiesi
Per che di questa in me s' accese amore.
112. Fino a quel punto misera e partita
Da Dio anima fili, del tutto avara:
Or, come vedi, qui ne son punita.
94. Chi folte — 100. Chiavari — 102. fé' sua oima — 106. piuma assembran || più m' assembrmn || più m' assembra || pliun* m' assembra ||
più mi sembran |) piume sembran — 107. com' io &tto fui — 100. Vidi che più non — s' acquetava
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1
368
rORN. V. AVARI.
PURGATORIO XIX. 115 — 138.
ADRIANO V.
1. 2. 3. ousr. dritta
r. D. (lisirhiara
B. pen' a il m. e più
D. s' adher&e
B. In alto. foKso
115. Quel eh' avarizia fa, qui si dichiara
In purgazion dell' anime converse,
E nulla pena il monte ha più amara.
118. Sì come 1' occhio nostro non s' aderse
In alto, fisso alle cose terrene,
Così giustizia qui a terra il merse.
/121. Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde operar perde'si,
Così giustizia qui stretti ne tiene,
124. Ne' piedi e nelle man legati e presi;
E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili e distesi.
127. Io m' era inginocchiato, e volea dire;
Ma com' io cominciai, ed ei s' accorse.
Solo ascoltando, del mio riverire:
130. Qual cagion, disse, in giù così ti torse?
Ed io a lui: Per vostra dignitate
Mia coscienza dritto mi rimorse.
1. 2. 3. gambe, e levati 133. Drizza Ic gambc , Icvati su, jfrate.
Rispose: non errar, conservo sono
Teco e con gli altri ad una potestate.
136. Se mai quel santo evangelico suono,
Che dice Neque nuhent^ intendesti,
Ben puoi veder perch' io così ragiono.
117. nulla pena al in. è più am. — 122. onde opera perdèsi — 125. piacer dell' alto Sire — 126. inunub. e sospesi — 134. ché»rrrv<
sono — 138. Ben puoi saper
B. cose, dritta
V. Dissi le g.
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roRN. V. AVARI. PURGATORIO XIX. 139 — 145. (alagia de' fieschi.) 369
139. Vattene ornai; non vo' che più t' arresti,
Che la tua stanza mio pianger disagia, ^. mio pregar
Col qual maturo ciò che tu dicesti.
142. Nepote ho io di là eh' ha nome Alagia,
Buona da se, pur che la nostra casa
Non faccia lei per esemplo malvagia ; i>- per esempli
i. 2. 3. m' è di là 145. E questa sola di là m' è rimasa.
139. che più m' arresti — 140. mi«) purgar — 141. Col qual mariiirn — 144. per esempio
II. 47
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CANTO VENTESIMO
v^ontra miglior voler voler mal pugna;
Onde contra il piacer mio, per piacerli,
Trassi dell' acqua non sazia la spugna.
4. Mossimi; e il Duca mio si mosse per li
Lochi spediti pur lungo la roccia,
Come si va per muro stretto ai merli; ^. i. mun stretti
7. Che la gente, che fonde a goccia a goccia
Per gli occhi il mal che tutto il mondo occupa.
Dall' altra parte in ftior troppo s' approccia. />. i)*u' »itr« in f.,or
IO. Maledetta sie tu, antica lupa, .^. «leitn
Che più che tutte 1' altre bestie hai preda.
Per la tua fame senza fine cupa!
13. 0 ciel, nel cui girar par che si creda
Le condizion di quaggiù trasmutarsi.
Quando verrà per cui questa disceda?
1. 2. 3. coi pusi 16. Noi andavam con passi lenti e scarsi, McopMsiiy.ceoipassi
Ed io attento all' ombre eh' io sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi:
8. Per gli oeebi il duol — 9. tutto s' approccia
47*
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372
CORN. V. AVARI.
PURGATORIO XX. 19 — 42.
ESEMPI DI LARGHEZZA.
1. 2. i^arén
1. 2. 3. ritorno
1. 2. 3. lo ti dirò
1. 2. 3. che tfie
19. E per ventura udi': Dolce Maria:
Dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto.
Come fa donna che in partorir sia;
22. E seguitar: Povera fosti tanto,
Quanto veder si può per queir ospizio,
Ove sponesti il tuo portato santo.
25. Seguentemente intesi: 0 buon Fabbrizio,
Con povertà volesti anzi virtute,
Che gran ricchezza posseder con vizio.
28. Queste parole m' eran si piaciute,
Ch' io mi trassi oltre per aver contezza
Di quello sputo, onde parean venute.
31. Esso parlava ancor della larghezza
Che fece Niccolao alle pulcelle,
Per condurre ad onor lor giovinezza.
34. 0 anima che tanto ben favelle,
Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola
Tu queste degne lode rinnovelle?
37. Non fia senza mercè la tua parola,
S' io ritorni a compier lo cammin corto
Di quella vita che al termine vola.
40. Ed egli: Io '1 ti dirò, non per conforto
Ch' io attenda di là , ma perchè tanta
Grazia in te luce prima che sii morto.
D. Dove
A. IJ. Niccolò
A, m. su» giov.
(\ Dimmi, disft' io. rlii f.
A. Disft' io . di Dina
chi f.
C. S' io torni
H. D. V ti dirti
(\ che »ia H. />. «-he su
21. che a jiartorir sia — 27. gran ricchczxe — 29. Che me trassi — 37. Non fie senza — 3«. a compir lo cam. - 40. Ed eijli : K
ili dii
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CORN. V. AVARI.
PURGATORIO XX. 43-66.
UGO CIAPETTA.
373
43. Io fili radice della mala pianta,
Che la terra cristiana tutta aduggia
Si, che buon frutto rado se ne schianta.
1.2.3. Guanto. Lilla 46. Ma, sc Doaglo , Lilla, Guanto, e Bruggia
Potesser, tosto ne saria vendetta;
Ed io la cheggio a lui che tutto giuggia.
49. Chiamato fili di là Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi,
1. 2. 3. .' Francia Pcr cuì novellamentc Francia è retta.
1.2. 3. Figliaci fui d'un 52. Figlio fii' io d' uu bcccaio di Parigi.
Quando li regi antichi venner meno
Tutti, fiior eh' un, renduto in panni bigi,
55. Trovaimi stretto nelle mani il fileno
Del governo del regno, e tanta possa
1. 2. e più iV am. DÌ uuovo acqulsto , e sì d' amici pieno ,
58. Ch' alla corona vedova promossa
La testa di mio figho fii, dal quale
Cominciar di costor le sacrate ossa.
(51. Mentre che la gran dote Provenzale
Al sangue mio non tolse la vergogna.
Poco valea, ma pur non facea male.
64. Lì cominciò con forza e con menzogna
La sua rapina; e poscia, per ammenda.
Ponti e Normandia prese, e Guascogna.
B. Guantai , Lilla
J.2. CD. rheggio a <|uei
H. (\ IJ. »• Francia
/?. r. D. Figliuol -
C. fui d' un
A. m. H. e più d' am.
B. Che la c«>r.
li. «Iota — 1). Provinciale
47. ne farian vendetta — 50. Luisi — 52. Parisi — 54. ridotto in panni — bisi — 55. stretto nella mano — 63. Poco potea
6B. e la Guascogna
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374 ^ORN- V. AVARI. PURGATORIO XX. 67 — 90. (beali di fbancia.)
67. Carlo verme in Italia, e, per ammenda,
1. 2. 3. currad. Vittima fé' di Corradino ; e poi b. a d. ( urrad.
Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
2. veKghù. 70. Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi,
Che tragge un altro Carlo fiior di Francia,
Per far conoscer meglio e se e i suoi.
1.2. 3. esce, e soiu con j-}. Scnz' armc u' esce solo, e con la lancia
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta
Si, eh' a Fiorenza fa scoppiar la pancia. a. Fiorenti»
76. Quindi non terra, ma peccato ed onta
Guadagnerà, per sé tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.
79. L' altro, che già usci preso di nave.
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,
1. 2. 3. fan li cors. Comc fauuo Ì corsar dell' altre schiave. b. f»n u co«.
82. 0 avarizia, che puoi tu più fame,
1.2.3. Poi eh' hai il ... Poscia eh hai lo mio sangue a te si tratto, ci>«ii- b.cu.
ni io sangue mio
Che non si cura della propria carne?
85. Perchè men paia il mal futuro e il fatto , a. a futuro fat*o
1. 2. 3. Aia«..« Veggio in Anagna entrar lo fiordaUso, b.c.d.mmi^ìl-
B. r. la fiordal.
E nel Vicario suo Cristo esser catto.
88. Veggiolo un' altra volta esser deriso ;
Veggio rinnovellar 1' aceto e il fele,
E tra vivi ladroni esser anciso. a. tra i tìtì
tì9. Kispiuse al ciel — 70. Tempo veggo io - 83. Poscia eh' è '1 sangue mio - 85. K perehè paia il mal — 86. fior d' aliso |.
fiordeliso — 90. tra nuovi ladroni
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CORM. V. AVARI.
PURGATORIO XX. 91-114.
ESEMPI DI AVARIZIA.
375
1. 2. 3. è disposto
1. 2. 3. quando s* asm.
1. 2. 3. Acam
A. m. C. D. t. ale. cosa
B. riposta
91. Veggio il nuovo Pilato sì crudele,
Che ciò noi sazia, ma, senza decreto,
Porta nel tempio le cupide vele.
94. 0 Signor mio, quando sarò io lieto .j. »,. quanto sarò
A veder la vendetta, che, nascosa,
Fa dolce l' ira tua nel tuo segreto ?
97. Ciò eh' io dicea di queir unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti fece
Verso me volger per alcuna chiosa,
100. Tanto è risposta a tutte nostre prece.
Quanto il di dura; ma, quand' e' s' annotta, .^. i. comr s* ann. (?)
Contrario suon prendemo in quella vece.
103. Noi ripetiam Pigmalion allotta.
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la vogUa sua dell' oro ghiotta;
106. E la miseria dell' avaro Mida,
Che seguì alla sua domanda ingorda,
Per la qual sempre convien che si rida.
109. Del folle Acan ciascun poi si ricorda.
Come furò le spoglie , sì che T ira
Di Josuè qui par eh' ancor lo morda.
112. Indi accusiam col marito Safira:
Lodiamo i calci eh' ebbe Ehodoro ;
Ed in infamia tutto il monte gira
H. e 1' altro p.
parririda
A.D.
A. B. D. Acam -
R. Ac. ancor ci si
r. D. Tome furon
H. tutto '1 moiulo
93. Portar nel tempio - 100. Tanf è disposta || Tanf è risposto - 102. Contr. snon prendemmo - 106. Elie la mis. - 109. Del
folle Achor <- poi ciascun si — IH. Di Giosuè — pare ancor che '1 morda
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376 coRN. V. AVARI. PURGATORIO XX. 115 — 138. esempi di avarizia.
115. Polinestor eh' ancise Polidoro.
Ultimamente ci si grida: Crasso,
Dicci, che il sai, di che sapore è Y oro. ^ i. (?) a />. Diiei
1. 2. 3. Tal. pariiam 118. Talor parla Turi alto, e l'altro basso, ^. aito.iaitro
Secondo r affezion eh' a dir ci sprona,
Ora a maggiore, ed ora a minor passo;
121. Però al ben che il di ci si ragiona,
Dianzi non er' io sol; ma qui da presso r. dipr.
Non alzava la voce altra persona.
124. Noi eravam partiti già da esso,
E brigavam di soperchiar la strada
1.2. 3. poder Tanto , quanto al poter n'era permesso; /?. r. poder
127. Quand' io senti', come cosa che cada,
Tremar lo monte: onde mi prese un gielo,
Qual prender suol colui che a morte vada.
130. Certo non si scotea si forte Delo, ^. m. credo non si
Pria che Latona in lei facesse il nido,
A partorir li due ocelli del cielo. a. h duo»
133. Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che il Maestro inver di me si feo, n. inverso me
A. Terso me
Dicendo : Non dubbiar, mentr' io ti guido.
136. Gloria in excelsiSy tutti. Beo
Dicean, per quel ch'io da vicin compresi, .i. 2. che d* vie.
Onde intender lo grido si poteo.
117. Di' tu. che il sai || Diltu, che il sai — 119. eh' ad ir ei sprona (?) — 128. Tremar il monte — ond' eì mi prese ~ 130. nos.
si sroten — 187. per cpiel eh' io dai vicin cumpr.
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COEN. V. AVARI.
PURGATORIO XX. 139-151.
A. t. il tr. e r ynno —
A. m. e '1 dir comp.
(TREMOTO.)
1.2. 3. Noi Ci restammo 139. Noi stavauio immobili e sospesi,
Come i pastor che prima udir quel canto, r. i>. cheim»
Fin che il txemar cessò, ed ei compièsi.
142. Poi ripigUammo nostro cammin santo:
1-2 jpi^e» Guardando V ombre che giacean per terra,
Tornate già in sull' usato pianto.
2.ign.mi*-i.2.cotonte 145. NuUa iguorauza mai con tanta guerra
Mi fé' disideroso di sapere,
Se la memoria mia in ciò non erra,
148. Quanta pare'mi allor pensando avere:
1.2. 3. dimandare eroso Né pcr la fretta domaudam' er' oso.
Ne per me li potea cosa vedere:
151. Cosi m' andava timido e pensoso.
377
B. cotanta
IJ. Qu. mi parve ->
A. pariemi
n. dimandare er oso
139. Noi ci stavamo — 140. i pastor che primi || i past. che in prima - 142. ripi;;!. il nostro cam. — 146. Mi fé' disiderando —
150. Né per me si potea
II.
48
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CANTO VENTESIMOPRIMO
1. 2. pungémi
1. 2. condolcmi
1. 2. 3. dietro
2. 3. Dappir
1. 2. 3. Rendè lui
Lja sete naturai che mai non sazia,
Se non con 1' acqua onde la femminetta
Sammaritana domandò la grazia,
4. Mi travagliava, e pungeami la fretta
Per la impacciata via retro al mio Duca,
E condoleami alla giusta vendetta.
7. Ed ecco, si còme ne scrive Luca,
Che Cristo apparve ai due eh' erano in via,
Già surto ftior della sepulcral buca,
10. Ci apparve un' ombra, e retro a noi venia
Da pie guardando la turba che giace;
Ne ci addemmo di lei, si parlò pria,
13. Dicendo: Frati miei, Dio vi dea pace.
Noi ci volgemmo subito, e Virgilio
Rende' gli il cenno eh' a ciò si conface.
16. Poi cominciò: Nel beato conciUo
Ti ponga in pace la verace corte.
Che me rilega nell' eterno esiho.
B. puiigémi
e. D. dietro
A. condoliémi B. con-
dolémi
B. C. O, dietro
A. \. Dal pie
A. C. O frati
B. a Rendè Ini
B. ne rilega
6. E condolendomi a giusta vend. — 14. ci volgemmo subiti
48*
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380
rORN. V. AVARI.
PURGATORIO XXI. 19 — 42.
B. r poi aiìdaT& —
A. andaTMi
A. 1. B. per colei
A. l. ancor tratta
B. Ond' io r ho tr.
1. egli, perchè andava 19. CoHie , dìss' cgU, c poTte aiidavam forte,
2. 3. egli . e perchè
•"**•*' Se voi siete ombre che Dio su non degni,
Chi v' ha per la sua scala tanto scorte?
22. E il Dottor mio: Se tu riguardi i segni />. rigu. a- segni
Che questi porta e che V angel profila,
Ben vedrai che coi buon convien eh' ei regni.
25. Ma perchè lei che dì e notte fila.
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Che Cloto impone a ciascuno e compila,
28. L' anima sua, eh' è tua e mia sirocchia,
Venendo su, non potea venir sola;
2. non .' adocchia Pcrocch' al uostro modo non adocchia.
31. Ond' io fui tratto fiior dell' ampia gola
D'inferno, per mostrargli, e mostreroUi
Oltre, quanto il potrà menar mia scuola.
34. Ma dinne, se tu sai, perchè tai crolli 7>./. dimmi
Die' dianzi il monte, e perchè tutti ad una
Parver gridare infino ai suoi pie molli?
37. Sì mi die' domandando per la cruna
Del mio disio, che pur con la speranza
Si fece la mia sete men digiuna.
40. Quei cominciò: Cosa non è che sanza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia fuor d' usanza.
19. Com' è, diss' egli — e parte andava forte — 20. Se voi siete ombra — 21. per le sue scale — 22. Se tu rigu. ai segni — 25. M»
per colei — Ma perchè Lachesì , che di le f. — 26. Non gli era tratta — 28. mia sorocchia — 31. dell' empia g. — 34. se tu '1 sai — 35. dianzi
al monte — perchè tutto ad una — 36. Parve gridare — 42. Per la montagna
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rOBN. V. AVARI.
381
1. 2. 3. cielo in sé da se
1. 2. Esser si
2. 3. Si sente, sì
1. 2. 3. il sol
3. tatto libero
l. 2. 3. di voler
li. in sé da se
A. 2. f\ erandin
IJ. Non corruscar
PURGATORIO XXI. 43-66. sta
43. Libero è qui da ogni alterazione;
Di quel che il ciel da sé in sé riceve
Esserci puote, e non d' altro, cagione:
46. Perché non pioggia, non grando, non neve,
Non rugiada, non brina più su cade,
Che la scaletta dei tre gradi breve.
49. Nuvole spesse non paion, né rade.
Né corruscar, né figlia di Taumante,
Che di là cangia sovente contrade.
52. Secco vapor non surge più avante
Ch' al sommo dei tre gradi eh' io parlai,
Ov' ha il vicario di Pietro le piante.
55. Trema forse più giù poco od assai;
Ma, per vento che in terra si nasconda,
Non so come, quassù non tremò mai:
58. Tremaci quando alcuna anima monda
Sentesi, si che surga, o che si mova
Per sahr su, e tal grido seconda.
61. Della mondizia sol voler fa prova,
Che, tutta hbera a mutar convento,
L' alma sorprende, e di volar le giova.
64. Prima vuol ben; ma non lascia il talento.
Che divina giustizia contra voglia,
Come fii al peccar, pone al tormento.
45. e non d* altra ragione — 46. grandine o neve || grand, e nere — 47. non brina pur su cade — 48. scaletta di tre gr. — 53. gradi
ond' io parlai — 57. non trema mai — 59. Sentasi si — 60. Per salir su, cotal gr. — 61. Dell' immondixia — suo voler || suol Toler || solversi —
6.3. L* alma sol prende - 64. ma noi lascia — 66. con tal voglia
A. di tre gr.
D. Dov* Ila
A. m. Tremò
A. Non so com' è
D. Si sente , sì
lì. il sol - B. t. ver si fa
/?. /. IJ. 2. di voler
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382
CORN. V. AVARI.
PURGATORIO XXI. 67-90.
67. Ed io che son giaciuto a questa doglia
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Libera volontà di miglior soglia.
70. Però sentisti il tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor, che tosto su gì' invii.
1. 2.
. 3. Cosi gu disse - 73. Così ne disse; e però eh' ei si gode
1. 2. 3. che si gode ^ ^
Tanto del ber quant' è grande la sete,
Non saprei dir quant' ei mi fece prode.
76. E il savio Duca: Omai veggio la rete
Che qui vi piglia, e come si scalappia.
Per che ci trema, e di che congaudete.
79. Ora chi fosti piacciati eh' io sappia,
E, perchè tanti secoli giaciuto
Qui sei, nelle parole tue mi cappia.
82. Nel tempo che il buon Tito con 1' aiuto
Del sommo Rege vendicò le fora,
Ond' usci il sangue per Giuda venduto,
85. Col nome che più dura e più onora
Era io di là, rispose quello spirto.
Famoso assai, ma non con fede ancora.
88. Tanto fu dolce mio vocale spirto.
Che, Tolosano, a se mi trasse Roma,
Dove mertai le tempie ornar di mirto.
D. 1. voglia
A. termo to
B. Così li disse
C. quanto mi f.
C. 1. per Giudei
A. Ove
70. Però sentiste — 75. Non saprei dire quanto ei mi fé' pr. — 77. Che qui v'impiglia — 78. Diochè ti trema — 84. per Gìwìa
traduto — H8. fii dolce il mio — 90. Dove le tempie mi ornai di m.
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CORN. V. AVARI. PURGATORIO XXL 91 — 114. . stazio. 383
91. Stazio la gente ancor di là mi noma:
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille,
Ma caddi in via con la seconda soma.
94. Al mio ardor fur seme le faville, a. a mio
Che mi scaldar, della divina fiamma,
Onde sono allumati più di mille;
97. DeU' Eneida dico, la qual mamma ^.DeuoEn.-z?.ioqu»i
Fummi, e fìimmi nutrice poetando:
Senz' essa non fermai peso di dramma. n. m. non re- mai
100. E, per esser vivuto di là, quando
Visse Virgilio, assentirei un sole i?. Giunse virg.
1. 2. 3. cv i' non Pìù chc uon dcgglo al mio uscir di bando. -^ de^bo
103. Volser Virgilio a me queste parole ^. voisevirg.
1.2.3. dicea Cou viso chc , taccudo , disse: Taci:
Ma non può tutto la virtù che vuole;
106. Che riso e pianto son tanto seguaci
Alla passion da che ciascun si spicca, /r. diche
Che men seguon voler nei più veraci.
109. Io pur sorrisi, come 1' uom eh' ammicca;
Perchè 1' ombra si tacque, e riguardommi
Negh occhi, ove il sembiante più si ficca.
112. E, se tanto lavoro in bene assommi, a e. labore - 5. in-
sieme ass.
1. 2. 3. faccia tua Dìssc, pcrchè la tua faccia testeso
1.2. 3. d- un riso IJu lampeggiar di riso dimostrommi? «dmiruo
97. Dell' Eneide — 99. non pesai peso ~ 106. men segue '1 voler — 112. Eh, se tanto || Deh! se tanto
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384 COEN. V. AVARI. PURGATORIO XXI. 115-136. stazio.
115. Or son io d' una parte e d' altra preso;
L' una mi fa tacer, V altra scongiura
1. 2. 3. inteso. Ch' io dica : ond' io sospiro , e sono inteso
1. 2. 3. Di', a mio M. 1 18. Dal hiìo Maestro , e: Non aver paiu*a, b. d. m\ ii mio m.
Mi disse, di parlar; ma parla, e digli
Quel eh' ei domanda con cotanta cura.
121. Ond' io: Forse che tu ti maravigli, /?. Forse tn
Antico spirto, del rider eh' io fei;
Ma più d' ammirazion vo' che ti pigh.
124. Questi, che guida in alto gli occhi miei,
E quel Virgilio, dal qual tu togliesti
1. 2. 3. F..rte a o. Forza a cantar degli uomini e de' Dei. a. m. r. a Forte a r
127. Se cagione altra al mio rider credesti,
1.2.3. vera, ed esser cr. Lasclala pcr uou vcra esser, e credi
Quelle parole che di lui dicesti.
130. Già si chinava ad abbracciar li piedi /?.i piedi
1. 2. 3. ma e' gli d. Al mio Dottor ; ma egli disse : Frate , b. d. m» ei u d.
Non far, che tu se' ombra, ed ombra vedi.
133. Ed ei surgendo: Or puoi la quantitate
Comprender dell' amor eh' a te mi scalda.
Quando dismento nostra vanitate,
136. Trattando 1' ombre come cosa salda.
116. 1/ uuo mi fa tar., l* altro se. — 119. Mi dice, di pari. — 120. Quel che dom. — 125. Virg., del qual — 126. Forse a caaur -
dì uomini — 127. S' altra cag. — 130. Gii s' inchiuava — 131. ma quei gli disse — 136. Qujuid' io dismento
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CANTO VENTESIMOSECONDO
1. 2. 3. dietro
1. 2. lor diliro
3. n' ave» — 1. 2. 3. in
le sue
1. 2. 3. Giovenale
irià era Y Angel retro a noi rimaso,
L' Angel che n' avea volti al sesto giro,
Avendomi dal viso un colpo raso:
4. E quei eh' hanno a giustizia lor disiro,
Detto n' avean, Beati ^ e le sue voci
Con sitiOf e senz' altro, ciò fornirò.
7. Ed io, più lieve che per Y altre foci,
M' andava sì, che senza alcun labore
Seguiva in su gli spiriti veloci:
10. Quando Virgilio cominciò: Amore,
Acceso di virtù, sempre altro accese.
Pur che la fiamma sua paresse fuore.
13. Onde, dall' ora che tra noi discese
Nel limbo dello inferno Juvenale,
Che la tua affezion mi fé' palese,
16. Mia benvoglienza inverso te fu, quale
Più strinse mai di non vista persona.
Sì eh' or mi parran corte queste scale.
B. a D. dietro
B. D. in le sue
C. tino, senza — A. 2.
C. altr' otio fom.
B. per altre
A. 1. incominciò (?)
A, 2. C. D. Are. da Tirtù
B. C. Giovenale
C. benv. verso
3. del viso — un pecco raso — 4. eh* hanno giustizia in lor dis. — 5. Detti n* av. — 6. Con titiunl — senz* altro ne fornirò —
11. sempre altri acc. — 13. d* allora — 17. Più strinse alcun — 18. or mi parèn
II.
49
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SALITA ALLA CORN. VI.
PURGATORIO XXII. 19-42.
2. 3. Come poteo
1. 2. 3. camion — l. 2.
3. 80I) nascuse
1. 2. 3. ove tu chiunr
19. Ma dimmi, e come amico mi perdona
Se troppa sicurtà m' allarga il freno,
E come amico omai meco ragiona:
22. Come potè trovar dentro al tuo seno
Loco avarizia, tra cotanto senno
Di quanto, per tua cura, fosti pieno?
25. Queste parole Stazio mover fenno
Un poco a riso pria; poscia rispose:
Ogni tuo dir d' amor m' è caro cenno.
28. Veramente più volte appaion cose,
Che danno a dubitar falsa matera,
Per le vere ragion che sono ascose.
31. La tua domanda tuo creder m' avvera.
Esser eh' io fossi avaro in Y altra vita.
Forse per quella cerchia dov' io era:
34. Or sappi eh' avarizia fu partita
Troppo da me, e questa dismisura
Migliaia di lunari hanno punita.
37. E, se non fosse eh' io drizzai mia cura,
Quand' io intesi là dove tu esclame,
Crucciato quasi all' umana natura:
40. Per che non reggi tu, o sacra fame
Dell' oro, 1' appetito dei mortali?
Voltando sentirei le giostre grame.
e. Come poteo
ìi. ragion — H. sod
nascose
(\ in altra
H. a <|uestA
B. ove — A. B. chiaai'
D, Quaai cniec.
D, A che
(\ Dell' oro appet
'H. eh' io fossi scarso — 34. Or sappia — 41. gli appetiti de' mort.
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SALITA ALLA CORN. VI.
l. 2. 3. Per 1" ìgncir.
3. penrir
PURGATORIO XXIL 43-66. stì
43. AUor m' accorsi che troppo aprir Y ali
Potean le mani a spendere, e pente'mi
Così di quel come degli altri mali.
46. Quanti risurgeran coi crini scemi,
Per ignoranza, che di questa pecca
Toglie il penter vivendo, e negU estremi!
49. E sappi che la colpa, che rimbecca
Per dritta opposizione alcun peccato.
Con esso insieme qui suo verde secca.
52. Però, s' io son tra quella gente stato
Che piange 1' avarizia, per purgarmi,
Per lo contrario suo m' è incontrato.
55. Or quando tu cantasti le crude armi
Della doppia tristizia di Jocasta,
Disse il Cantor de' bucolici carmi,
1. 2. 3. quel che Hin li 58. Pcr qucllo che CUò teco lì tasta,
con teco t.
Non par che ti facesse ancor fedele
La fé, senza la qual ben far non basta.
1. qu»i lumi o qu. 61. Sc così c, qual sole o quai candele
Ti stenebraron sì, che tu drizzasti
Poscia diretro al pescator le vele?
64. Ed egli a lui : Tu prima m' inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
1. 2. 3Kprim* E poi, appresso Dio, m'alluminasti.
387
1. contasti
3. Gidcast»
.4. risaranno a' crin se.
B. Tagli el p.
R. suo veder secca
B. contasti
A. 2. B. C. quel che Clio
lì con teco tasta
r. IJ. ti facessi
B. quai lumi o quai
A. stencbraro
A. C ai pescator
D. Tu primo
B. D. m. E prima -
V. appr. a Dio
48. tìt. negli — 48. E sappie — 51. Come esse ins. || Commesso ics. — 58. Per qu. che creò teco le t. || Per Quel , che li creò teco
te t. — Clio ti teco t — 60. La fede, sensa qxial — 61. qual sole e quai cand. ~ 64. prima mi guidasti — 66. K poscia appr. || E primo appr.
49-
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388
SALITA ALLA CORN. VI.
PURGATOMO XXn. 67 — 90.
1. 2. 3. dietro
1. prog. scende
2. 3. colorar distend.
1. 2. 3. tutto qu.
2. Si coiison.
67. Facesti come quei che va di notte,
Che porta il lume retro, e se non giova,
Ma dopo se fa le persone dotte,
70. Quando dicesti: Secol si rinnuova;
Toma giustizia, e primo tempo umano,
E progenie discende dal ciel nuova.
73. Per te poeta fui, per te cristiano;
Ma perchè veggi mei ciò ch'io disegno,
A colorare stenderò la mano.
76. Già era il mondo tutto e quanto pregno
Della vera credenza, seminata
Per li messaggi dell' eterno regno;
79. E la parola tua sopra toccata
Sì consonava ai nuovi predicanti,
Ond' io a visitarli presi usata.
82. Vennermi poi parendo tanto santi.
Che, quando Domizian li perseguette.
Senza mio lagrimar non ftu* lor pianti.
85. E mentre che di là per me si stette.
Io li sovvenni, e lor dritti costumi
Fer dispregiare a me tutte altre sette;
88. E pria eh' io conducessi i Greci ai fiumi
Di Tebe, poetando, ebb' io battesmo;
Ma per paura chiuso Cristian fii'mi.
B. D. dietro
U. m. e dolce tempo
A. 2. B. C. D. profitnje
seende
B. D. veggi me*
D. A colorar distead.
B, C, D. tutto quwitt.
B. Veanonmi
C e i lor dr. co«.t-
(K e a sé uou i(iova — 71. e '1 primo t — 75. A col. estenderò — 79. prima toccata — 80. Si consonava — 81. feci usata -
M. Senza *1 mio laj^r. — 85. per me di là si st. — 86. e a lor dritti cost. — 87. Fer dispregiarmi || Fer dispiacere a me — tutte 1* altrr
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SALITA ALLA COBN. VI.
PURGATORIO XXII. 91-114.
389
1. (errar — 1. 2. 3. più
rhe il
1. *J. 3. amico
1. «le li sai
91. Lungamente mostrando paganesmo;
E questa tepidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fé' più eh' al quarto centesmo.
94. Tu dunque, che levato hai il coperchio
Che m' ascondeva quanto bene io dico,
Mentre che del salire avem soperchio,
97. Dimmi dov' è Terenzio nostro antico,
Cecilio, Plauto e Varrò ,^ se lo sai,
Dimmi se son dannati, ed in qual vico.
100. Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai,
Rispose il Duca mio, slam con quel Greco
Che le Muse lattar più eh' altro mai,
103. Nel primo cinghio del carcere cieco.
Spesse fiate ragioniam del monte,
Che sempre ha le nutrici nostre seco.
B. ('ercar — A. l. più
ohe il (?)
.-1. 2. D. Che II' ascund.
H. (\ D. 8f li sai
1. 2. 3. Ch' ha le nutr.
n. .sempre s.
i.nosoo;AnaCTeoiite2. 106. Euripidc v'è uosco , cd Antifoutc ,
3. nosco, e Anacr.
Simonide, Agatone ed altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte.
109. Quivi si veggion delle genti tue
Antigone, Deifile ed Argia,
Ed Ismene si trista come fiie.
112. Vedesi quella che mostrò Langia;
Ewi la figlia di Tiresia e Teti,
E con le suore sue Deidamia.
A. 2. C più d' altro —
I). altri
.-1. C primo cerchio
D. ilx' ha sempre — H.
C. CI»' ha le mitr. u.
A. si veggoii
B. Antigouo
94. levato m'hai — 96. abbiam sop. — 97. 98. Ter. nostro, l'antico Cecilio - 90. o in qual vico - 106. le mitrie nostre —
l*€. Venoseo , Antifonte — lOH. gii di U ornar — 113. È qui la figlia
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390
CORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIL 115-138.
STAZIO, VIRGILIO E DANTE.
i.Tac..ci-i.2.amendue 115. Taccvansì ambo e due già li poeti,
3. ambedue
B. C. uneudue
D. ambeduf
1. 2. 3. allo stremo
1. -2. 3. Un alber
2. 3. dall' alta
C da salire
/f. a men sosp.
Di nuovo attenti a riguardare intorno,
Liberi dal salire e dai pareti;
118. E già le quattro ancelle eran del giorno
Rimase addietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pure in su 1' ardente corno;
121. Quando il mio Duca: Io credo eh' allo estremo /?. r. aiio stremo
Le destre spalle volger ci convegna,
Girando il monte come far solemo.
124. Cosi r usanza fu li nostra insegna,
E prendemmo la via con men sospetto
Per r assentir di quell' anima degna.
127. Elli givan dinanzi, ed io soletto
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni
Gli' a poetar mi davano intelletto.
130. Ma tosto ruppe le dolci ragioni
Un arbor che trovammo in mezza strada,
Con pomi ad odorar soavi e buoni.
133. E come abete in alto si digrada
Di ramo in ramo, cosi quello in giuso,
Cred' io perchè persona su non vada.
136. Dal lato, onde il cammin nostro era chiuso,
Cadea dell' alta roccia un liquor chiaro,
E si spandeva per le foglie suso. i?. le fogue e.».*^
A. 2. C. ascultara W
D. nostre rag.
B. Un alber
115. ambidue — i poeti — 116. a riguardar d* int. |i e riguardando vai, — 117. Lib. di salire — 122. volger ne convegna - l^- E^^
givan — 129. donavanmì intell. — 133. si disgrada — 138. per le foglie in suso
I
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roBN. VI. GOLOSI. PURGATORIO XXII. 139—154. esempi di temperanza. 391
1. 2. 3. aibrr 1 39. LÌ due poctì all' arbor s' appressar© ; d. aibor b. aibcr
Ed una voce per entro le fronde
Gridò: Di questo cibo avrete caro. r. arctecaro
142. Poi disse: Più pensava Maria, onde z>. donde
Fosser le nozze orrevoli ed intere, />. honrevon
Ch' alla sua bocca, eh' or per voi risponde, r. d per ««i
145. E le Romane antiche per lor bere
Contente furon d' acqua, e Daniello
Dispregiò cibo, ed acquistò sapere.
1.2.3. primo, quanf oro 148. Lo SCCOl prlinO , ChC qUailt'or', fu bello, ^y. />. pnmo, quam- oro
Fé' saporose con fame le ghiande,
1. 2. nett. per sete E UCttarC COU SCtC OgUl rUSCCllo. H. per sete
151. Mele e locuste furon le vivande.
Che nutrirò il Batista nel diserto; ^' nudnr - ^.2. r. io
Bar.
Perch' egU è glorioso , e tanto grande
154. Quanto per l'Evangelio v' è aperto. //. io van^eIio
144. ehe per voi risponde — 147. Dispregiò '1 cibo — 154. n' è aperto
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CANTO VENTESIMOTERZO
1.2. 3. dietro air necellin
1. mi disse
jjLLentre che gli occhi per la fronda verde
Ficcava io cosi, come far suole
Chi retro agli uccellili sua vita perde;
Lo più che padre mi dicea: FigUuole,
A. C. D. Fice. io sì
B. C. D. dietro - B. D,
all' uccellili
D. Filiole
Vienne oramai, che il tempo che e' è imposto D.vieni-.4.r7.oggimai
— D. che n' è imp.
Più utilmente compartir si vuole,
7. Io volsi il viso, e il passo non men tosto
Appresso ai savi, che parlavan sie,
Che r andar mi facean di nullo costo.
10. Ed ecco piangere e cantar s'udìe:
Labia mea^ Domine y per modo
Tal che diletto e dogUa parturie.
13. 0 dolce Padre, che è quel eh' i' odo?
Comincialo; ed egli: Ombre che vanno,
Forse di lor dover solvendo il nodo.
16. Sì come i peregrin pensosi fanno,
Giugnendo per cammin gente non nota.
Che si volgono ad essa e non ristanno;
B. il passo e *1 viso
(\ piang. e gridar
C. partorie
C. 1). restanno
2. come ficcar suole — 4. mi dicea: Figliuol, eh! — 6. il tempo che n' è posto — 9. mi facea — 13. O d. Padre mio, eh' è quel —
16. i pellegrin
11.
50
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394
CORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIII. 19-42.
FORESE DONATI.
1. 2. 3. Erisi ton si fusse
19. Cosi diretro a noi, più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci ammirava
D' anime turba tacita e devota.
22. Negli occhi era ciascuna oscura e cava,
Pallida nella faccia, e tanto scema,
Che dall' ossa la pelle s' informava.
25. Non credo che così a buccia estrema
Eresitone fosse fatto secco,
Per digiunar, quando più n ebbe tema.
28. Io dicea fra me stesso pensando: Ecco
1. 2. 3.Gerus. La gcutc chc pcrdè Jerusalemme,
Quando Maria nel figlio die' di becco.
31. Parean 1' occhiaie anella senza gemme.
Chi nel viso degli uomini legge omo,
Ben avria quivi conosciuto 1' emme.
34. Chi crederebbe che 1' odor d' un pomo
Sì governasse, generando brama,
i. 2. 3. sappìeudo E qucl d' uu' acqua, non sapendo comò?
37. (jià era in ammirar che sì gli affama.
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza e di lor trista squama;
40. l]d ecco del profondo della testa
Volse a me gU occhi un' ombra, e guardò fiso,
Poi gridò forte: Qual grazia m' è questa?
A. 1. CMominsTs
B. Ercs. si f. - À. .
Eresi ton fosse fati
si s. (?)
A. 1. qUADtO più
B. r. Gtrwsai.
V. occhiaia
B. E quelli dunque -
B, C. I). »»ppirLi3
'lA. dell' ossa || dall' osso -> si sformava — 25. a buccia scema — 29. che perdeo — 90. nel figliuol — 35. Sì goTernandi» ^eneras^r -
'Ai. E questi dunque — 41. e guatò fiso
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CORK. VI. GOLOSI.
FORESE DONATI.
l. 2. 3. Risposi lui
A. 2. r. D. Qu. favcUa
B. Mia conscientia
A. m. B. alla uscita se.
1. 2. 3. addietro - 1. 2.
3. mi sottiglio
l. 2. 3. oltre
PURGATORIO XXin. 43-66.
43. Mai non 1' avrei riconosciuto al viso; ^. z>. noniarei
Ma nella voce sua mi fii palese
Ciò che r aspetto in se avea conquiso.
46. Questa favilla tutta mi raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la faccia di Forese.
49. Deh non contendere all' asciutta scabbia,
Che mi scolora, pregava, la pelle.
Ne a difetto di carne eh' io abbia;
52. Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle
Due anime che là ti fanno scorta:
Non rimaner che tu non mi favelle.
55. La faccia tua, eh' io lagrimai già morta,
Mi dà di pianger mo non minor doglia, ^. mo minor u d.
Rispos' io lui, veggendola si torta. r. Risposi lui
58. Però mi di', per Dio, che si \à sfoglia;
Non mi far dir mentr' io mi maraviglio.
Che mal può dir chi è pien d' altra voglia.
61. Ed egli a me: Dell' eterno consiglio
Cade virtù nell' acqua, e nella pianta
Rimasa retro, ond' io si m' assottiglio.
64. Tutta està gente che piangendo canta.
Per seguitar la gola oltra misura, «. oitrc
In fame e in sete qui si rifa santa.
995
D. Dall' eterno
B. dietro C. indietro
D. a dietro — B, C.
mi sottìi^Iio
43. r avrei riconosciuta — 45. 1' aspetto si avea || V aspetto suo avea — 46. tutto mi raccese — 47. alla cangiata |] e la cambiata —
49. non attendere || non intendere - 67. Risposi a lui
50*
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396
COBN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXnL 67-90.
FORESE DONATI.
1. Y- accende 67. Dì bcré c dì mangiar n' accende cura
L' odor eh' esce del pomo, e dello sprazzo
Che si distende su per la verdura.
70. E non pure una volta, questo spazzo
Girando, si rinfresca nostra pena;
Io dico pena, e dovrei dir sollazzo;
73. Che quella voglia all' arbore ci mena.
Che menò Cristo lieto a dire: Eli,
Quando ne liberò con la sua vena.
76. Ed io a lui: Forese, da quel dì
Nel qual mutasti mondo a migUor vita,
i. 2. 3. inaino Cluqu' aniii non son volti infino a qui.
79. Se prima fii la possa in te finita
Di peccar più, che sorvenisse V ora
Del buon dolor eh' a Dio ne rimarita,
1. di qua ven. - 1.2.3. 82. Comc sc' tu quassù venuto? Ancora
venuto ancora?
Io ti credea trovar laggiù di sotto,
Dove tempo per tempo si ristora.
1. 2. 3. Ed cgu 85. Ond' egli a me : Sì tosto m' ha condotto
A ber lo dolce assenzio de' martiri
La Nella mia col suo pianger dirotto.
88. Con suoi preghi devoti e con sospiri
Tratto m' ha della costa ove s' aspetta,
E liberato m' ha degU altri giri.
/>. IH. discende — A. m.
C. D. m. giù per U v -
/?. r. /J./.persnaTfrd.
A. C. dovha
/>. arbero C. albero A.
m. arbori A. 2. albrrc
A. 1. labore
B. D. iusino
tì. suvenissr
B. di qua ven.
/?. Ove
B. della valle
D. dagli altri
72. e devria dir — 73. all' arb. ne mena — 87. con suo pianger — 89. dalla costa — onde s' aspetta
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rOBM. VI. COLOBI.
PURGATORIO XXm. 91-114.
FORESI DONATI.
397
1. 2. 3. che tanto
91. Tant' è a Dio più cara e più diletta
La vedovella mia, che molto amai,
Quanto in bene operare è più soletta;
94. Che la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue è più pudica,
Che la Barbagia dov' io la lasciai.
97. 0 dolce frate, che vuoi tu eh' io dica?
Tempo futuro m' è già nel cospetto,
Cui non sarà quest' ora molto antica,
100. Nel qual sarà in pergamo interdetto
Alle sfacciate donne fiorentine
L' andar mostrando con le poppe il petto.
103. Quai Barbare fur mai, quai Saracine,
Cui bisognasse, per farle ir coperte,
0 spiritali o altre discipline?
106. Ma se le svergognate fosser certe
Di quel che il ciel veloce loro ammanila.
Già per urlare avrian le bocche aperte.
109. Che, se 1' antiveder qui non m' inganna.
Prima fien triste che le guance impeli
Colui che mo si consola con nanna.
112. Deh, frate, or fa che più non mi ti celi;
Vedi che non pur io, ma questa gente
Tutta rimira là dove U sol veli.
yi. m. C. cui tanto JJ.
eh' in tanto B. che tanto
tt. Barbargli
A. più è
B. Barbari;ia
(\ per falir
A. IJ. avricn — A.m. B.
ir gtiancie
97. frate, or che vuoi tu — 107. Di ciò che il ciel — 109. E, se I' antiveder — III. si consola per nanna
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398
COBN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXin. 115-133.
P0BE8E DONATI.
1. su compagna
2. 3. la sgombra
115. Perch' io a lui : Se ti riduci a mente
Qual fosti meco e quale io teco fui,
Ancor fia grave il memorar presente.
118. Di quella vita mi volse costui
Che mi va innanzi, V altr' ier, quando tonda
Vi si mostrò la suora di colui;
121. E il sol mostrai. Costui per la profonda
Notte menato m' ha da' veri morti,
(von questa vera carne che il seconda.
124. Indi m' han tratto su li suoi conforti.
Salendo e rigirando la montagna
Che drizza voi che il mondo fece torti.
127. Tanto dice di farmi sua compagna,
Ch' io sarò là dove fia Beatrice;
Quivi convien che senza lui rimagna.
130. Virgilio è questi che così mi dice,
E addita' lo, e quest' altro è quell' ombra
Per cui scosse dianzi ogni pendice
133. Lo vostro regno che da se lo sgombra.
D. Se tu rid.
A. m. fia grato
A. 1. de' veri (?)
B. Ched io
A. 1. è questo
D. queir altro
D. Per cui si se.
C. la sgombra
123. che seconda — 126. die drissa noi — 128. là dove sarà Beatr. — 129. Qui convien — 133. Del vostro regno
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CANTO YENTESIMOQUARTO
jM è il dir r andar, ne Y andar lui più lento
Facea, ma ragionando andavam forte,
Si come nave pinta da buon vento.
4. E r ombre, che parean cose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione
Traean di me, di mio vivere accorte.
7. Ed io, continuando il mio sermone.
Dissi: Ella sen va su forse più tarda
Che non farebbe, per 1' altrui cagione.
1. -2.3. .e tu sai, dovè 10. Ma dimmi, se tu '1 sai, ov' è Piccarda;
Dimmi s' io veggio da notar persona
Tra questa gente che sì mi riguarda.
13. La mia sorella, che tra bella e buona,
Non so qual fosse più, trionfa lieta
Neir alto Olimpo già di sua corona.
16. Sì disse prima, e poi: Qui non si vieta
Di nominar ciascun, da eh' è sì munta,
Nostra sembianza via, per la dieta.
(\ lui lento
A.'l. C.parevaii - A.2.
t. C, cose smorte
D. m. cosi rim.
(\ su sen va
A. 2. C. 1), per altrui
A. 2. B. C. D. se tu sai -
A. 2. r. D. dov* è
B. 1). sì ti rigu.
l). disse pria
A. 2. (\ ciasc. , quando è
2. andava forte — 4. parevan cose morte — 7. al mio sermone — 8. Dissi: La sen va — forse e più tar<la
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400
OORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIV. 19-42.
MARTINO IV.
19. Questi, e mostrò col dito, è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
Di là da lui, più che Y altre trapunta,
22. Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
Dal Torso fu, e purga per digiuno
L' anguille di Bolsena e la vernaccia.
1. 2. 3. mi mostrò 25. Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
2. .3. nel nomar E del uomar parcau tutti contenti.
Si eh' io però non vidi un atto bruno.
28. Vidi per fame a vóto usar li denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio
Che pasturò col rocco molte genti.
31. Vidi messer Marchese, eh' ebbe spazio
Già di bere a Forlì con men secchezza,
E sì fii tal che non si sentì sazio.
1. 2. .3. poi f» prezw 34. Ma, comc fa chi guarda, e poi si prezza
r. L* aiijruilU
B. mi mostre»
B. e non s* Apprezza
1. 2. \k v' ti sentia
Più d' un che d' altro, fé' io a quel da Lucca, r. feiaqu. z^.fccìact..
Che più parca di me aver contezza. a. m. voler cont,
37. Ei mormorava, e non so che Gentucca
Sentiva io là ov' ei sentia la piaga r. sent. io doT- ei
Della giustizia che sì li pilucca. ^. lìsipii.
40. 0 anima, diss'io, che par sì vaga
Di parlar meco, fa sì ch'io t'intenda, e. chef intenda
E te e me col tuo parlare appaga.
23. Da Torsi fu — 24. in la vernaccia — 27. Si che però — 33. E si fu — si sentia saxio — 34. e non si pressa — 3^ io tee,
a quel — 36. di me veder contezza — 38. là dov' ei sentia — 42. £ me e te — del tuo pari.
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conti, VI. 00L08I.
1. 2. Dichìareranlti —
3. D..reraiiti
1. 2. 3- Amore spira
1. 2. 3. CTie detU
PURGATORIO XXIV. 43-G6.
43. Femmina è nata, e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere
La mia città, come eh' uom la riprenda.
46. Tu te n' andrai con questo antivedere;
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiariranti ancor le cose vere.
49. Ma di' s' io veggio qui colui che fiiore
Trasse le nuove rime, cominciando:
Dorine^ cK avete intelletto d^ Amore,
52. Ed io a lui: Io mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Che ditta dentro, vo significando.
BONAOIUNTA.
401
1.2.
3. veRKiodissegiì 55. 0 fratc, Issa veggio, disse, il nodo
l. 2. 3. Notaio
Che il Notaro, e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo eh' i' odo.
58. Io veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette.
Che delle nostre certo non avvenne.
1.2. 3. più a gradire 61. E qual plù a tìguardar oltre si mette,
Non vede più dall' uno all' altro stilo;
E quasi contentato si tacette.
64. Come gli augei che vernan lungo il Nilo
Alcuna volta in aer fanno schiera
Poi volan più in fretta e vanno in filo;
1. 2. verse» il Nilo
1. 2. 3. di lor fanno
A. C. come eh* or la ripr.
B. nel mio morar
B. C. I). Diehiareranti
JJ. ed iu quel modo
B. e quel modo
A. Che detto
C. JJ. O fr. , disse , issa v.
— B. vegg' io , diss* elll
B. stile il nuovo
A. m. B. le nuove penne
JJ. a guardare B. a
^adìre
B. verso il Nilo
A. m. B. C. di lor fanno
D. più a fretto
47. E se al mio morm. — 48. Diehiareratti — 63. Amar mi spira — S5. issa vedo , disse — 61. E qual più oltre a rìi^ardar — a
guatare — 63. quasi concentrato || quasi contentando — 64. che volan verso — lungo il stilo
II.
51
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402
rORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIV. 67-90.
3. e sì pass.
1. 2. 3. dietro
1. 2. 8. risposi lui
1. 2. 3. Verso la v.
1. 2. 3. sempre infin
1. 2. 3. eir a te fia
A. marrezza
tì. e. U. «Hetn.
(CORSO DONATI.)
67. Così tutta la gente che lì era,
Volgendo il viso, raffrettò suo passo,
E per magrezza e per voler leggiera.
70. E come 1' uom che di trottare è lasso
Lascia andar li compagni, e si passeggia
Fin che si sfoghi 1' aJffoUar del casso ;
73. Sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e retro meco sen veniva,
Dicendo: Quando fia eh' io ti riveggia?
76. Non so, rispos' io lui, quant' io mi viva; e. risposi lui
Ma già non fia il tornar mio tanto tosto,
Ch' io non sia col voler prima alla riva.
79. Perocché il loco, u' fui a viver posto,
Di giorno in giorno più di ben si spolpa,
Ed a trista ruina par disposto.
82. Or va, diss' ei, che quei che più n' ha colpa
Vegg' io a coda d' una bestia tratto
In ver la valle, ove mai non si scolpa.
85. La bestia ad ogni passo va più ratto,
Crescendo sempre fin eh' ella il percuote , n- ^^^v^ ìnfi.-
E lascia il corpo vilmente disfatto.
88. Non hanno molto a volger quelle rote,
(E drizzò gli occhi al ciel) che ti fia chiaro
Ciò che il mio dir più dichiarar non puote.
A. 1. rh' a tr ('ri
75. ch'io ti richeggia — 77. il torn. mio tantosto — 79. Perchè il loco, ov' io fili — 82. Or va, «lissc. che quei — 83. >>$aeifì » '
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rORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIV. 91-114.
STAZIO, VIRGILIO B DANTE.
403
I. 2. 3. a uni hi entr.
2. 3. Pan-ermi i r.
1. 2. lor voglia
2. ii. arbori*, ad esso
91. Tu ti rimani ornai, che il tempo è caro
In questo regno si, eh' io perdo troppo
Venendo teco sì a paro a paro.
94. Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera, che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo,
97. Tal si parti da noi con maggior valchi;
Ed io rimasi in via con esso i due,
Che fur del mondo si gran maliscalchi.
100. E quando innanzi a noi entrato fiie.
Che gU occhi miei si fero a lui seguaci,
Come la mente alle parole sue,
103. Pai'vem' i rami gravidi e vivaci
D' un altro pomo, e non molto lontani,
Per esser pure allora volto in làci.
106. Vidi gente sott' esso alzar le mani,
E gridar, non so che, verso le fronde,
Quasi bramosi fantolini e vani,
109. Che pregano, e il pregato non risponde;
Ma per fare esser ben la vogUa acuta,
Tien alto lor disio e noi nasconde.
112. Poi si parti si come ricreduta;
E noi venimmo al grande arbore adesso,
Che tanti preghi e lagrime rifiuta.
li. con eaai due
A.2. marUe. CU. mareso.
A. a lui ai fer segu.
B. t. mente e le par.
(\ Per esse
B. sotto le fr.
99. sì buon malUc. — 106. volto iliaci — 111. Tien alto il lor dialo — 113. grande albero — a desso (?)
51*
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404
OORN. VI. GOLOSI.
PURGATORIO XXIV. 115-138.
ESEMPI ni GOLOSITÀ.
1. 2. uon ebb« 3. non
gli ebbe
1. 2. 3. inver Mad.
2. rallargAni
1. 2. 3. [lurtamnio oltre
B. uuu ebbe
B. V. inver M»U.
B. distese
115. Trapassate oltre senza farvi presso;
Legno è più su che fii morso da Eva,
E questa pianta si levò da esso. b. «ì parti da es.o
118. Sì tra le frasche non so chi diceva; r. no«soehe
Per che Virgilio e Stazio ed io ristretti,
Oltre andavam dal lato che si leva. b. d. da uu.
121. Ricordivi, dicea, de' maledetti
Nei nuvoh fonnati, che satolli i?. fermati
Teseo combatter co' doppi petti;
124. E degli Ebrei eh' al ber si mostrar molli,
Per che no' i volle Gedeon compagni,
Quando ver Madian discese i colli.
127. Sì, accostati all'un de' due vivagni,
Passammo, udendo colpe della gola.
Seguite già da miseri guadagni.
130. Poi, rallargati per la strada sola,
Ben mille passi e più ci portaro oltre, z;. portammo oit«
Contemplando ciascun senza parola.
133. Che andate pensando sì voi sol tre?
Subita voce disse; ond' io mi scossi.
Come fan bestie spaventate e poltre.
136. Drizzai la testa per veder chi fossi;
E giammai non si videro in fornace
Vetri o metalli sì lucenti e rossi,
liti, rhe morso fu — 119. ed io riatcttl — 125. Perchè non volle |) Perchè non v" ebbe - 127. due vigagiù — 135. spaveiitaw o j-fltr
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SALITA ALLA CORN. VII. PURGATORIO XXIV. 139—154. ANOKLO. 405
139. Com' io vidi un che dicea: S' a voi piace
Montare in su, qui si convien dar volta;
Quinci si va chi vuole andar per pace.
142. L' aspetto suo m' avea la vista tolta:
1. 2. 3. indietro Pcrch' io uA volsi retro a' miei dottori , a dietro h. d. indietro
Vjotdl uom che va secondo eh' egli ascolta, b- ci« h «coit*
145. E quale, annuiiziatrice degli albori,
L' aura di maggio movesi, ed olezza:
Tutta impregnata dall' erba e dai fiori; r. daiierbe
148. Tal mi sentii un vento dar per mezza
La fronte, e ben senti' mover la piuma,
Che fé' sentir d' ambrosia 1' orezza.
151. E senti' dir: Beati cui alluma
Tanto di grazia, che 1' amor del gusto
Nel petto lor troppo disir non fuma,
154. Esuriqndo sempre quanto è giusto.
148. mi senti' da uu vento - la3. Troppo nel petto lor disio
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CANTO VENTESIMOQUINTO
1. Ma va alla
1. erti"Z2a
1. 2. '.i. tniiinu al f.
vJra era onde il salir non volea storpio,
Che il sole avea lo cerchio di merigge
Lasciato al Tauro e la notte allo Scorpio.
4. Per che, come fa 1' uom che non s' affigge,
Ma vassi alla via sua, checche gh appaia,
Se di bisogno stimolo il trafigge;
7. Così entrammo noi per la callaia.
Uno innanzi altro, prendendo la scala
(>he per artezza i saUtor dispaia.
10. E quale il cicognin che leva Y ala
Per voglia di volare, e non s' attenta
D' abbandonar lo nido, e giù la cala;
13. Tal era io, con voglia accesa e spenta
Di domandar, venendo infino all' atto
Che fa colui eh' a dicer s' argomenta.
16. Non lasciò, per l'andar che fosse ratto.
Lo dolce Padre mio, ma disse: Scocca
L' arco del dir che infino al ferro hai tratto.
H. e. D. aveva il oerehio
H. Ma va alla - D. sua
via, che li app.
A. 1. (?) H. ertezza
li. infili a ferro
1. Ora era che il stai. - non vuole storpio — 2, aveva al cerchio — 3. Lasciato il Tauro -- 4. fa come V uom - 8. tuo anzi
altro II Tuo anzi 1' altro || Itti 'nanti ali* altro — prendemmo la scala - 9. Che per altezza — 11. di volar, ma non e* attenta - Ki con voce accesa
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408 SALITA ALLA COEN. VII. PURGATORIO XXV. 19 — 42. (GENERAZIONE.)
19. AUor sicuramente aprii la bocca,
E cominciai: Come si può far magro
Là dove 1' uopo di nutrir non tocca?
22. Se t' ammentassi come Meleagro j, i. (>) ,j^ «„„,„,!«,
1. 2. 3. d- un tixzo Si consumò al consumar d* un stizzo,
Non fora, disse, questo a te sì agro: .4. <,«. » te. ais«
25. E, se pensassi come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra image.
Ciò che par duro ti parrebbe vizzo;
28. Ma perchè dentro a tuo voler t' adage,
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego,
Che sia or sanator delle tue piage. ^. deiiemie-^r^
1. 2.uvendetu 31. Sc la vcduta eterna gli dislego.
Rispose Stazio, là dove tu sie,
Discolpi me non potert' io far nego.
M. Poi cominciò: Se le parole mie.
Figlio, la mente tua guarda e riceve.
Lume ti fieno al come che tu die.
37. Sangue perfetto, che mai non si beve
2. assentate -2, 3. vene. Dall' assctatc vcuc, c sì rimane
si rim.
Quasi alimento che di mensa leve,
40. Prende nel core a tutte membra umane
Virtute informativa, come quello
Ch' a farsi quelle per le vene vane. a. 2. b. che ftr«
21. r uopo del nodrir ~ 24. disse, a te questo — 28. dentro al tuo voler — 31. ^[t dispiego — 37. che poi non si beve 12. C^'-*
farsi cjuello || (lie frange quello
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SALITA ALLA CORM. VII.
PURGATORIO XXV. 43-66.
(GENERAZIONE.)
409
1. ft(l(jper»re
1. 2. fé' pestare
1. 2. 3. ivi impr.
1. 2. ai pie^a
1. 2. 3. Dove
l. 2. 3. i^k fece
1. passibile
43. Ancor digesto, scende ov' è più bello
Tacer che dire; e quindi poscia geme
Sopr' altrui sangue in naturai vasello.
46. Ivi s' accoglie Y uno e T altro insieme,
L' un disposto a patire e 1' altro a fare,
Per lo perfetto loco onde si preme;
49. E, giunto lui, comincia ad operare.
Coagulando prima, e poi avviva
Ciò che per sua materia fé' constare.
52. Anima fatta la virtute attiva,
Qual d' una pianta, in tanto differente,
Che quest' è in via, e quella è già a riva,
55. Tanto opra poi che già si move e sente.
Come fiingo marino; ed indi imprende
Ad organar le posse ond' è semente.
58. Or si spiega, figliuolo, or si distende
La virtù eh' è dal cor del generante.
Ove natura a tutte membra intende:
61. Ma, come d' animai divenga fante,
Non vedi tu ancor: quest' è tal punto
Che più savio di te fé' già errante ;
64. Si che, per sua dottrina, fé' disgiunto
Dall' anima il possibile intelletto.
Perchè da lui non vide organo assunto.
A. Quivi — D. raccolto
B. D. rarriva
B. fé' frustare
^.1. quella già
A. 1. Come il fungo
B. Come afuoogo —
tt. D. ivi impr.
A. 2. fi. C. D. Dove
45. naturai vascello — 46. e 1' altro in seme — 48. onde si spreme — 49. E , giunto lì || E , giunto V un - 56. ed indi prende —
37. ond' è possente — 61. divenga infante — 62. quest' è quel punto — 64. fu disgiunto
II.
52
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410
SALITA ALLA COBN. VII.
PURGATORIO XXV. 67 — 90.
1. 2. 3. Seco ne porta
B. Apri la ver. -
B. vien al p.
(COBPI ASREI.)
67. Apri alla verità che viene il petto,
E sappi che, si tosto come al feto
L' articular del cerebro è perfetto,
70. Lo Motor primo a lui si volge lieto
Sopra tanta arte di natura, e spira
Spirito nuovo di virtù repleto,
73. Che ciò che trova attivo quivi, tira
In sua sustanzia, e fassi un' akna sola.
Che vive e sente, e se in se rigira.
76. E perchè meno ammiri la parola.
Guarda il calor del sol che si fa vino.
Giunto all' umor che dalla vite cola,
79. E quando Lachesis non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Ne porta seco e 1' umano e il divino.
82. L' altre potenze tutte quante mute;
Memoria, intelligenza, e volontade,
In atto molto più che prima acute.
1. 2. 3. Senza restarsi 85. Scuz' arrcstarsi, per se stessa cade
Mirabilmente all'una delle rive;
Quivi conosce prima le sue strade.
1.2. là la ciré. 88. Tosto chc loco li la circonscrive,
La virtù formativa raggia intorno,
Così e quanto nelle membra vive;
6H. E «appiè - 73. che trova quivi att — 79. Laehesì jj Lachèsi — non ha più di lino — 84. più che pr. argute — 88. Scnia ristars:
B. Vinto - A. D. ue.U
vite
^.2. r. Quando- Jl
B. C. D. più del la
A. 1. tutte quasi (V)
D. Senaa restarsi
A. l. ad una
A. 2. i\ che "l loco -
B. certoscrÌTP
.•I. l. informativa
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SALITA ALLA CORN. VII,
PURGATORIO XXV. 91-114.
411
2. 3. V aere
1. 2. 3. si mostra ad.
1. 2. 3. inaino
l. 2. 3. afiìgon li
1. 2. 3. tu miri
A. 2. gli altrui raggi
(COBPl AKRKI.)
91. E come V aer, quand' è ben piorno,
Per r altrui raggio che in se si riflette,
Di diversi color diventa adorno,
94. Così r aer vicin quivi si mette
In quella forma che in lui suggella,
Virtualmente Y alma che ristette :
97. E simigUante poi alla fiammella
Che segue il foco là Vunque si muta,
Segue allo spirto sua forma novella.
100. Perocché quindi ha poscia sua paruta,
E chiamat' ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire infino alla veduta.
103. Quindi parhamo, e quindi ridiam noi,
Quindi facciata le lagrime e i sospiri
Che per lo monte aver sentiti puoi.
106. Secondo che ci affliggono i disiri
E gh altri affetti, V ombra si figura,
E questa è la cagion di che tu ammiri.
109. E già venuto all' ultima tortura
S' era per noi, e volto alla man destra.
Ed eravamo attenti ad altra cura.
112. Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
E la cornice spira fiato in suso.
Che la reflette, e via da lei sequestra;
91. E come I' arco — ben piovomo — 92. che in lui si riflette — 94. 1* aere vicin — 96. che in lui si suggeUa — 9B. segue il foeo
dovunque — 100. qui ha possa sua par. — 101. organo — 102. fino alla yed. — 106. aver sentito puoi — 106. che trafiggon li dis. — 107. 1' ombra
ai sfigura — 109. E già venuti — 111. eravamo intenti || erav. accesi — 112. fiamme in fuor bai.
52 ♦
^. 1. E simigl.
IJ. là unque
A. 1. Segue lo
C. quindi poseia
C. quivi organa
B. insino
r. riandiam
D. et sospiri
B. JJ. affiggon li
C. afligono li
B. C. D, tu miri
B. C. D. e volti
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412
CARNALI.
PURGATORIO XXV. 115-139.
SSKMPI DI CASTITÀ.
1. 2. 3. temeva il cader g.
1. per esto
1. 2. 3. Del grand' ard.
1. caler mi fé'
1. 2. 3. guard. ai loro
2. 3. anche
1. 2. Corse Diana
1. a cantar
1. 2. 3. e con tai p.
A. 1. dair alto
B. D. E quinci - A. \
e qninei t. — A. 2. T.
di cader g. B. D. rad. z-
B. per esto
115. Onde ir ne convenia dal lato schiuso
Ad uno ad uno, ed io temeva il foco
Quinci, e quindi temea cadere in giuso.
118. Lo Duca mio dicea: per questo loco
Si vuol tenere agli occhi stretto il freno
Perocch' errar potrebbesi per poco.
121. Summae Deus dementiae^ nel seno
Al grande ardore allora udii cantando,
Che di volger mi fé' caler non meno :
124. E vidi spirti per la fiamma andando;
Perch' io guardava loro, ed a' miei passi,
Compartendo la vista a quando a quando, i?. pìccìoi pas«. con
picc. seguitando
127. Appresso il fine eh' a queir inno fassi.
Gridavano alto: Virurft non cognosco;
Indi ricominciavan l' inno bassi.
130. Finitolo, anco gridavano: Al bosco
Si tenne Diana, ed Elice caccionne
Che di Venere avea sentito il tosco.
133. Indi al cantar tornavano; indi donne
Gridavano, e mariti che for casti,
Come virtute e matrimonio imponne.
136. E questo modo credo che lor basti z? ^ch-.iorb.
Per tutto il tempo che il foco gU abbrucia; ^. n brucia -/?. r
abbruscia
Con tal cura conviene, con cotai pasti
B. El grande ard.
B. caler mi fé'
B. guard. ai Ioni
B, Picciol passo i
picc. seguitani
A, Appr. al fine
139. Che la piaga dassezzo si ricucia.
B, e con tai pasti
B. C. ricìiscia
137. gli abbrusa — 139. si ricusa || sia richiusa
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CANTO VENTESmOSESTO
Jjxentre che sì per 1' orlo, uno innanzi altro,
2. 3. «idav. spesso Ce n'andavauio, e spesso il buon Maestro
Diceva: Guarda; giovi eh' io ti scaltro,
4. Feriami il Sole in suir omero destro,
Che già, raggiando, tutto Y occidente
Mutava in bianco aspetto di cilestro,
7. Ed io facea con V ombra più rovente n. più dolente
Parer la fiamma; e pure a tanto indizio
1. i 3 Vidi moif o. Vid' io molt' ombre, andando, poner mente. //. r. vicu mou- o.
10. Questa fu la cagion che diede inizio
Loro a parlar di me; e cominciarsi
A dir: Colui non par corpo fittizio.
13. Poi verso me, quanto potevan farsi,
Certi si feron, sempre con riguardo
Di non uscir dove non fossero arsi.
16. 0 tu, che vai, non per esser più tai'do.
Ma forse reverente, agli altri dopo.
Rispondi a me che in sete ed in foco ardo:
1. Mentre cosi — uno ansi l'altro — 3. Dineami: Guarda || Dicendo: Gu. — giù, via, rh' io ti sr. — 13. tjuantiuujue potean farsi -
14. sì fero — 15. donde non fossero — 16. per non esser più t.
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414
rORN. VII. CARNALI.
1. acqua fresca
1. fosse
1. 2. 3. eh' apparse
1. 2. 3. Forse a spiar
2. Sopra, gridar
i. 2. 3. entrò Pas.
PURGATORIO XXVI. 19 — 42.
19. Ne solo a me la tua risposta è uopo;
Che tutti questi n' hanno maggior sete
Che d' acqua fredda Indo o Etiopo.
22. Dinne com' è che fai di te parete
Al sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete.
25. Si mi parlava un d' essi, ed io mi fora
Già manifesto , s' io non fossi atteso
Ad altra novità eh' apparve allora;
28. Che per lo mezzo del cammino acceso
Venia gente col viso incontro a questa,
La qual mi fece a rimirar sospeso.
31. Lì veggio d' ogni parte farsi presta
Ciascun' ombra, e baciarsi una con una,
Senza restar, contènte a breve festa:
34. Cosi per entro loro schiera bruna
S' ammusa 1' una con 1' altra formica,
Forse ad espiar lor via e lor fortuna.
37. Tosto che parton* 1' accoghenza amica.
Prima che il primo passo li trascorra.
Sopragridar ciascuna s' affatica;
40. La nuova gente: Soddoma e Gomorra;
E r altra: Nella vacca entra Pasife,
Perchè il torello a sua lussuria corra.
ESEMPI DI LUSSURIA.
A, Non solo — B.r e..-
A. non fosse
B, fosse
B, C. eh* apparse -
IJ. che parrr
j4. Venne— C. DA'M
venia
B. r. ristar
A. \. Sopra il gridir
23. Al sol. pur come tu — 32. baciarsi una ad una
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rORN, VII. CARNALI.
PURGATORIO XXVI. 43 — 66.
GUIDO OUINIZELLI.
415
3. a primi
I. 2. 3. Che sì ne va
43. Poi come gru, eh' alle montagne Rife
Volasser parte, e parte inver Y arene.
Queste del giel, quelle del sole schife;
46. L' una gente sen va, V altra sen viene,
E toman lagrimando ai primi canti,
Ed al gridar che più lor si conviene;
49. E raccostarsi a me, come davanti.
Essi medesmi che m' avean pregato.
Attenti ad ascoltar nei lor sembianti.
52. Io, che due volte avea visto lor grato,
Incominciai: 0 anime sicure
D' aver, quando che sia, di pace stato,
55. Non son rimase acerbe né mature
Le membra mie di là, ma son qui meco
Col sangue suo e con le sue giunture.
58. Quinci su vo per non esser più cieco:
Donna è di sopra che n' acquista grazia.
Per che il mortai pel vostro mondo reco.
61. Ma se la vostra maggior vogUa sazia
Tosto divenga, si che il ciel v' alberghi,
Ch' è pien d' amore e più ampio si spazia,
64. Ditemi, acciocché ancor cai'te ne verghi.
Chi siete voi, e chi è quella turba
Che se ne va diretro ai vostri terghi?
B. rAccostansi
fì. che n' »vèn pp.
^.1. Aiiseult&r
fi. Quinci vo su
fi. C. D. per vostro
R. i. che *! V* alberghi
B. Ditemi si eh' ano.
B. (lie sì ne va
44. Volasse parte — 46. Qu. del gielo , qu. del sol sch. — 57. Col sangue loro e colle lor giuni — 59. che m' acquista gr.
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416
COHN. VII. CARNALI.
PURGATORIO XXVI. 67-90.
GUIDO OUINIZELLt.
1. 2. 'à. uè cbiese
1. 2. 3. Per viver
(ì7. Non altrimenti stupido si turba
Lo montanaro, e rimirando ammuta,
Quando rozzo e salvatico s' inurba,
70. Che ciascun' ombra fece in sua paruta;
Ma poiché fiiron di stupore scarche,
Lo qual negli alti cor tosto s' attuta,
73. Beato te, che delle nostre marche.
Ricominciò colei che pria m' inchiese,
Per morir meglio esperienza imbarche!
76. La gente, che non vien con noi, oflFese
Di ciò, perchè già Cesar, trionfando.
Regina, contra se, chiamar s'intese;
79. Però si parton Soddoma gridando.
Rimproverando a se, com' hai udito.
Ed aiutan Y arsura vergognando.
82. Nostro peccato fu ermafrodito;
Ma perchè non servammo umana legge,
Seguendo come bestie T appetito ,
85. In obbrobrio di noi, per noi si legge.
Quando partiamci, il nome di colei
Che s' imbestiò neU' imbestiate schegge.
88. Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
Se forse a nome vuoi saper chi semo.
Tempo non è da dire, e non saprei.
A. t. salv. entra in urU
ti. t. atti cor - C sali.'j
B. si muta
B. ue'iiphiesc
A. m. B. r. D. Per vÌT-^r
A. contrm a sr
A. L B. C. Ed a cin a
D. Ed ainnUn
B. rome bestia
B. C. D. Qu. partinri
B. D. di dire
74. prima mi chiese — 77. perchè Cesar — 81. E aiutanu 1* arsura || E dau giunta all' ara. — 82. fu d* Ermafrodito ~ 87. imbesehiate -
90. Tempo nou v' e da dire
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CORN. VII. CARNALI.
1. 2. 3. Guiiiieelli
1 . ^ 3. allo stremo
1. ^. 3. (Quando i' udì'
PURGATORIO XXVI. 91—114.
91. Faretti ben di me volere scemo;
Son Guido (juinizelli, e già mi purgo
Per ben dolermi prima eh' all' estremo.
94. Quali nella tristizia di Licurgo
Si fer due figli a riveder la madre,
Tal mi fec' io , ma non a tanto insurgo ,
97. Quand' i' odo nomar se stesso il padre
Mio, e degli altri miei miglior che mai
Rime d' amore usar dolci e leggiadre :
100. E senza udire e dir pensoso andai,
Lunga fiata rimirando lui,
Ne per lo foco in là più m' appressai.
lOH. Poiché di riguardar pasciuto fui,
Tutto m' offersi pronto al suo servigio.
Con r affermar che fa credere altrui.
106. Ed egU a me: Tu lasci tal vestigio.
Per quel eh' i' odo, in me e tanto chiaro,
1.2.3. torre, né far bigio Chc Lctc iiol può tor, uò farfo bigio.
109. Ma, se le tue parole or ver giuraro,
i. mi mostri Dimmi chc è cagion per che dimostri
1.2.3. «uardard- avermi Nel dlrc e ucl guardarc avermi caro?
112. Ed io a lui: Li dolci detti vostri
Che, quanto durerà 1' uso moderno,
Faranno cari ancora i loro inchiostri.
OUIDO OUINIZELLI.
417
.-1. C. Guinizzelli
r. Per non dol. — /?.
e. allo stremo
A. 1. udir o dir
2. //. r. U. torre né
far 1>.
B. /). mi mostri
A. 2. fi. (\ guardar d' av.
C. aiieorli — yi.//. iucostri
91. di me il volere — 95. Si fero i figli — 96. Tal mi faccio — 103. Poiché del riguardar — 109. al ver giuraro — 114. Far. neri
n. 5a
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418 f'ORN- VII. CARNALI. PURGATORIO XXVr. 115 — 138. Arnaldo Daniello.
115. 0 frate, disse, questi ch'io ti scerno .4.2. ir. r./>.qiie.ci,v
mo ti — iff. »T<Ta<
1. ed add. col dito inn. r^i t. i jj*x^ '^^
2. 3. e add. uno sp. (>ol (lito , eo. adoito uii spirto innanzi, b. Additò coi dit.. r^
ìnn.
Fu miglior fabbro del parlar materno.
118. Versi d' amore e prose di romanzi
Soperchiò tutti, e lascia dir gli stolti
Che quel di Lemosì credon eh' avanzi. v. Limusi
121. A voce più eh' al ver drizzan li volti, ^. dri««piiv.
E così fermai! sua opinione a co.ì ferma ia -
A. loro o\).
Prima eh' arte o ragion per lor s' ascolti.
124. Così fer molti antichi di Guittone,
Di grido in grido pur lui dando pregio.
Fin che 1' ha vinto il ver con più persone, b. eh- ei .inu. ii m
127. Or, se tu hai si ampio privilegio,
#
Che licito ti sia 1' andare al chiostro.
Nel quale è Cristo abate del collegio , r. La dov* è cnst.
1. 2. 3. dir d, pat. 130. Fagli per me un dir di un paternostro , «. u. 1. dir dì y^^
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
1. 2. 3. Ove Dove poter peccar non è più nostro. /?. o^e
1. loco a lui 133. Poi, forse per dar loco altrui secondo, ^. locoaiui
Che presso avea, disparve per lo foco, ^. />. che pr«u tv.»
1. pera«,ua- 2.3.per Coiuc pcr 1' acqua pcscc andando al fondo, r. ^. P"*cqu^-
136. Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
E dissi eh' al suo nome il mio disiro a. 2. r. u. ^^s^r
Aj)parecchiava grazioso loco.
115. io ti cerno - 118. Verso d' amore — 121. A voce più che a ver — 123. Prima eh* altra ragion — 125. dando il pt«P '
126. il ver com* più persone - 130. per me udir di
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roHN. VII. CA&NALI.
ARNALDO DANIELLO.
PURGATORIO XXVI. 139 - 148.
139. Ei cominciò liberamente a dire:
Tan m' abelis vostre cortes deman^
Qtj^ leu 710 -m puesc^ ni-m vneil a vos cobrire.
419
A. r. D. A dir
I. 2. 3. »bbt'l. VI) tre -
1. 2. cortois
2. Chi eu — 1 . 2. 3. non—
1.2.puou&— 1.2.3.niv.
2. jcu - i. 2. che - 142. Je sui Arnauty qtie plor^ e vai cantan,
3. chantan
Consiros vei la passada folor.
E vei iaiizen la ioi qv! esper^ denan.
2. Con si tost. - 1.
2. spassada
2.ciau5en — 1.2. leior
3. lo ioni — 1.2. che sp.
i.Aravu5 3.Araus- 145. Ara VOS prec per aqxiella valor ^
l. 2. prec pera eheila
1. 2. Che Tus Khida -
1.2. delle se. 3. de Uso.
1. 2. Sovegna tus 3.
Sovengaus
Que vos guida al som de t escalina
Sovenha vos a temps de ma dolor,
148. Poi s' ascose nel foco che gli affina.
I). clie r affìua
VERSI DI ARNALDO DANIELLO,
QUALI LI CORREGGE
Il Raynouard
(.loiirn. des savants. 1830. Févr. p. 67-78).
Tan m' abellis vostre cortes demau,
Ch* ieu no ine puosc ni m voi! a vos cobrire;
Jcu .sui Aruaut che plor e vai cantan:
Consiros vei la passada follor,
K vei jauzen Io joi qu' csper denan.
Ara vos prec per a((uclla valor,
Quo US guida al som sens freich e sens calina,
Sove^na vos a temprar ma dolor.
Il Galvani
(Osa. sulla poesia de* trovata p. 474).
Tan in* abclhis vostre cortes deman,
Qu' ieu no m puesc ni vueilh a vos cobrire.
.leu sui Arnauti que plor e vai cantan,
Cossiros vei la passada folor,
E vei jauzen la joi qu' esper denan.
Ara US prec per aquella valor,
Que US giiia al som ses duel e ses calina,
Souvenha us a temps de ma dolor.
Il Diez
(Leben u. Werke der Troiibad. p. 347).
Tan m' abelis vostre cortes deman,
Que ieu no-m puesc ni-m vueil a vos cobrire.
Jcu sui Arnaut, que plor e vau cantan:
Car, sitot vei la passada folor,
Eu vei jausen lo jorn, qu' esper, denan.
Ara vos prec per aquella valor,
Que US guida al som de T escalina,
So\ cgna vos a temps de ma dolor.
53*
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VERSI DI ARNALDO DANIELLO,
QUALI SI LEGGONO
Nel Cod. di S. Croce (A.)
Tant niabelis vostre cortes demaiit,
Que ieu non vuoili ne puosch a vos cubrìr.
.leu sui Arnaut! que plaur e vauch ciantant,
Aysi quant vos vedes la spassada follour,
Et vauch iausent le yor que es per denant.
Ara vos prech per a quella valour
Que vos condus al som de la (al. d' està) scalina ,
Sovcnha vos a temps de ma dolour.
Nel Cod. Vaticano (B.)
Tarn m' abbelis vostre cortois deman,
Chieu non puous, ne vueil a vos cobrire.
Jeu sui Amaut, che plor, et vai caiitan
Con sì tost vei la spassada follor:
Et vei giausen le ior che sper dcnan.
Ara vus preu per achella valor
Che vus ghida al som do le scaliua:
Sovegnas vus a temps de ma dolor.
Nel Cod. di Berlino (C.)
Tant m bellis nostre cortes dcmant
Che yo non puest ni uuegl ad uos cubrir.
Jo suy Arnaut, che plor e uau cantant
Ay si com uos ueses la passada follor
Et uau gausent la yoie eh' es per denant.
Ara vos preg per a chella uolor
Che uous condus al sum d' està scalina
Soncnga uos ad temps de mon dolor.
Nel Cod. Caetani (D.)
Tant menbelis vostre cortois demant.
Che ye ne puis ne vuel a vous coubrir.
Ye suis Amaut, que pleure et vois cantant
Consìrant vois le spassee fallour,
Et vays joiant le jour qu' espoìr danant.
Hor vous prie per celle valour
Que vous condus al som d' està scalina
Sovegna vous au temps de mon dolor.
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CANTO VENTESIMOSETTIMO
1. En r onde 2. K "n l' o.
— 1. 2. di nuovo
1. 2. 3. Sì disse
1. mani r. mi presi
1. foco, immag.
J^i come quando i primi raggi vibra
Là dove il suo Fattore il sangue sparse,
Cadendo Ibero sotto Y alta Libra,
4. E r onde in Gange da nona riarse,
Si stava il sole; onde il giorno sen giva,
Quando 1' Angel di Dio lieto ci apparse.
7. Fuor della fiamma stava in sulla riva,
E cantava: Beati mundo corde ^
In voce assai più che la nostra viva.
10. Poscia: Più non si va, se pria non morde,
Anime sante, il foco: entrate in esso,
Ed al cantar di là non siate sorde,
13. Ci disse, come noi gli fummo presso:
Perch' io divenni tal, quando lo intesi,
Quale è colui che nella fossa è messo.
IH. In sulle man commesse mi protesi,
Guardando il foco, e immaginando forte
Umani corpi già veduti accesi.
A. (\ Fattor lo sangue
A.fn. C. Cadendo in Ebro
^.1. B, D. m. di nuovo
A. 2. da nova
fi. Come r Ang.
fì. Si disse
A. 1. />. quAiid' io
fì. mani comm. mi presi
B. foco, imm.
3. sotto all' altra Libra — 5. Si stava il sole — 13. disse , poiché noi — 16. Quale eolui — 16. lu sulle mani tutti) mi pr.
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422 ^<^*^- ^" CARNALI. PURGATORIO XXVII. 19 — 42. Virgilio, dante k stazio.
19. Volsersi verso me le buone scorte,
E Virgilio mi disse : Figliuol mio , e. fì«?iìo mio
1. 2. 3. Qui pilota Qui può esser tormento , ma non morte.
22. Ricordati, ricordati... e, se io ^. R»cor«im. r ht
Sopr' esso Gerion ti guidai salvo,
1.-2.3. orohesonpiùpr. Chc farò Ora presso più a Dio?
25. Credi per certo che, se dentro all' alvo
Di questa fiamma stessi ben mill' anni,
Non ti potrebbe far d' un capei calvo.
28. E, se tu credi forse eh' io t'inganni,
Fatti ver lei, e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni.
31. Pon giù omai, pon giù ogni temenza.
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro; — /?./>. voiRitiquA-.^
qua. vieni ed f''-
1. 2. 3. contr» coso. Ed io pur fcnuo , e contro a coscienza. (• d. contr. co^r
34. Quando mi vide star pur fermo e duro , * r»» *>"» •
Turbato un poco, disse: Or vedi, figlio,
Tra Beatrice e te è questo muro.
37. Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo, in sulla morte, e riguardoUa,
Allor che il gelso diventò vermiglio;
40. Cosi, la mia durezza fatta solla,
Mi volsi al savio Duca, udendo il nome i>. ai s»vio mio
Che nella mente sempre mi rampolla. r sempre «
28. E . se tu forse credi — 32. e vieni , entra sicuro |j e vien meco sicuro
T^tav
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1. '2. 3. rr. la t«9ta
1. al fantìii
SALITA AL FARAD. TKRR. PURGATORIO XXVH, 43-66.
43. Oiid' ei crollò la fronte, e disse: Come?
Volemci star di qua? indi sorrise,
Come al fanciul si fa eh' è vinto al pome
4(). Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
Pregando Stazio che venisse retro,
Che pria per lunga strada ci divise.
49. (Jome fui dentro, in un bogliente vetro
Gittato mi sarei per rinfrescarmi,
Tant' era ivi lo incendio senza metro.
52. Lo dolce Padre mio, per confortarmi,
Pur di Beatrice ragionando andava.
Dicendo: GU occhi suoi già veder parmi.
55. (ruidavaci una voce che cantava
Di là; e noi, attenti pure a lei.
Venimmo fuor là dove si montava.
58. Venite, benedirti patìis mei^
Sonò dentro ad un lume, che li era
Tal, che mi vinse, e guardar noi potei.
HI. Lo sol sen va, soggiunse, e vien la sera;
Non v' arrestate, ma studiate il passo.
Mentre che V occidente non s' annera.
64. Dritta salia la via per entro il sasso.
Verso tal parte, eh' io toglieva i raggi
Dinanzi a me del sol eh' era già basso.
VIRGILIO, DANTE K STAZIO.
423
H. la testo
//. 1). al faiitin
<\ innanzi a me
1). (lietro
A. 2. C. D. ('<im' io fui
l). mi saria
H. r. D. la ove
U. soggi tigne
A. Dentro salia
B. v\\ io tollea
44. Volemoei star qua? - 45. eh' è giunto al pome — 57. Venimmo infino là ove — 62. ma mutate il passo - 68. non ri annera -
%• A\ io tagliava i raggi
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424
SALITA AL FARAD. TEBR.
PURGATORIO XXVU. 67 — 90.
VIRGILIO, DANTK K STAZIO.
67. E di pochi scaglion levammo i saggi,
Che il sol corcar, per 1' ombra che si spense.
1. 2. 3. dietro
Sentimmo retro ed io e U miei saggi.
70. E pria che in tutte le sue parti immense
Fosse orizzonte fatto d' un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
73. Ciascun di noi d' un grado fece letto;
Che la natura del monte ci aflfranse
La possa del saUr più che il diletto.
76. QuaU si fanno ruminando manse
Le capre, state rapide e proterve
1. -2. 3. prima ohe. s. Sopra Ic ciffic , avautl che sien pranse,
79. Tacite all' ombra, mentre che il sol ferve,
Guardate dal pastor che in sulla verga
1.2.3. lorpoRKiato serve Pogglato s' è , c lor di posa serve;
82. E quale il mandrian che fuori alberga,
Lungo il peculio suo queto pernotta,
Guardando perchè fiera non lo sperga;
85. Tali eravamo tutti e tre allotta,
Io come capra, ed ei come pastori,
1. 2. 3. dalla grotta Fasclati quiucl e quindi d' alta grotta.
88. Poco potea parer li del di fuori;
Ma per quel poco vedev' io le stelle,
Di lor solere e più chiare e maggiori.
/?. e. li. dietro
A, 2. C, D. piii':
A. 2. c. />. gu M--
fi. e. i). ehe sw
R. lor p»i(i;iatn sev'
1). per. e quetn
D. e quei
A. quindi e tjuiiifi -
D. dalia v
A.2.B. C. D. P. pif
li del di cii (.
(\ solere più
più alte
68. il sol eolcar — 70. Prima che tutte — 76. rugumando — 81. lor di possa serve — 86. tutti tre — 88. Poco parer potrà b :
albori |j P. pareva lì del oiel di fuori || P. parer potea il cìel di f. || P. potea parer lo ciel dì f.
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SALITA AL FARAD. TERB.
PURGATORIO XXVU. 91 — 114.
VISIONE DI LIA.
425
1 . 2. Dal su' ammiraiclio
1. 2. 3. meli loutaiii
D. in sonno
91. Si ruminando, e sì mirando in quelle,
Mi prese il sonno; il sonno che sovente,
Anzi che il fatto sia, sa le novelle.
94. Neir ora credo , che dell' oriente
Prima raggiò nel monte Citerea,
Che di foco d' amor par sempre ardente,
97. Giovane e bella in sogno mi parca
Donna vedere andar per una landa
CogUendo fiori, e cantando dicea:
100. Sappia, qualunque il mio nome domanda, .4. sappi
Ch'io mi son Lia, e vo movendo intorno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
103. Per piacermi allo specchio qui m' adorno;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
106. EU' è de' suoi begli occhi veder vaga,
Com' io dell' adornarmi con le mani;
Lei lo vedere, e me 1' oprare appaga.
109. E già, per gU splendori antelucani.
Che tanto ai peregrin surgon più grati.
Quanto tornando albergan più lontani,
112. Le tenebre fuggian da tutti i lati,
E il sonno mio con esse; ond' io leva'mi,
Veggendo i gran maestri già levati.
A. m. C. U. Mi pr. un
sonno
/i. C. ammiraglio — C.
D. tutto '1 (giorno
A. m. D. m. men lontani
91. Si ammirando — e rimirando in qu. — 92. Mi pr. il sogno; il sogno — 94. che nell' oriente — 106. KlI* è di suoi t| EU' è co* suoi —
Kte. me r ornare appaga — 112. da tutti lati
11.
54
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426 SALITA AL FARAD. TERR. PURGATORIO XXVII. 115—138. EMANCIPAZIONE DI DANTE.
115. Quel dolce pome, che per tanti rami
Cercando va la cura dei mortali.
Oggi porrà in ^ pace le tue fami:
118. Virgilio inverso me queste cotali // virg. verso
Parole usò, e mai non furo strenne
Che fosser di piacere a queste eguali.
121. Tanto voler sopra voler mi venne
Dell' esser su , eh' ad ogni passo poi
2. Al volo mio Al volo mi sentia crescer le penne.
124. (yome la scala tutta sotto noi
Fu corsa, e fummo hi su il grado superno,
In me ficcò VirgiUo gli occhi suoi,
127. E disse: Il temporal foco e 1' eterno
Veduto hai, figho, e sei venuto in parte
1. 2. 3. ov io Dov' io per me più oltre non discerno. h. cv ìo
130. Tratto t' ho qui con ingegno e con arte:
Lo tuo piacere omai prendi per duce:
Fuor sei dell' erte vie, fuor sei dell' arte.
133. Vedi là il sol che in fronte ti riluce;
Vedi r erbetta, i fiori e gli arbuscelli,
1. 2. Che queiiA 3. (Hic Che qul la terra sol da se produce a. i. (?) b, nie *^Mt\u
ipiesfa
2. 3. vcKi.o,. 136. Mentre che vegnan heti gli occhi belU, />. »i. u moi ocrin i.
(Jhe lagrimando a te venir mi fenno,
kSeder ti puoi e puoi andar tra elli.
115. tlolre pomo - 129. più oltre per me - 133. Vedi il sole (j Vedi lo sol - 138. e poi andar
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SALITA AL FARAD. TERR. PURGATORIO XXVII. 139—142. EMANCIPAZIONE DI DANTE. 427
139. Non aspettar mio dir più, ne mio cenno. r. più mio dir
1. 2. 3. dritto, 8ano Libcro , dritto e sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno; r.» tuo senno
142. Perch' io te sopra te corono e initrio.
140. è il tuo arbitrio — 141. fora a non fare — al suo senno
54-
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CANTO VENTESIMOTTAVO
Vago già di cercar dentro e dintorno
La divina foresta spessa e viva,
Ch' agli occhi temperava il nuovo giorno,
4. Senza più aspettar lasciai la riva,
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo suol che d' ogni parte oliva.
7. Un' aura dolce , senza mutamento
1. per lo volto Avcrc ìu sc, mi feria per la fronte
Non di più colpo, che soave vento;
10. Per cui le fronde, tremolando pronte,
Tutte e quante piegavano alla parte
U' la prim' ombra gitta il santo monte :
13. Non però dal lor esser dritto sparte
Tanto, che gU augelletti per le cime
Lasciasser d' operare ogni lor arte;
16. Ma con piena letizia 1' ore prime,
Cantando, ricevièno intra le foglie,
Che tenevan bordone alle sue rime,
1. 2. 3. Tutte
H"-
1. 2. ricevemmo 3. ri-
ceveano
A. auliva
H. r. D. Tutte qu.
C. pregavano
B. la prim' onda
li. intra le fronde
D. Che faoevan
3. Con gli oeohi - 6. uliva — 17. Cantando risedeano — 18. alle lor rime
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430
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXVIII. 19-42.
MATELDA.
19. Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie
Per la pineta, in sul lito di Chiassi,
Quand' Eolo Scirocco fuor discioglie.
22. Già m' avean trasportato i lenti passi
2. 3. antica Belva Dentfo alla sclva antica tanto, ch'io
1. ov io Non potea rivedere , ond' io m' entrassi :
1. 2. 3. ecco più 25. Ed ecco il più andar mi tolse un rio,
Che iiiver sinistra con sue picciole onde
Piegava 1' erba che in sua riva uscio.
28. Tutte r acque che son di qua più monde,
Parrieno avere in se mistiu'a alcuna.
Verso di quella che nulla nasconde;
31. Avvegna che si mova bruna bruna
Sotto r ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi, ne luna.
34. Coi pie ristetti e con gli occhi passai
Di là dal fìumicello, per mirare
La gran variazion dei freschi mai:
37. E là m' apparve, si com' egU appare
Subitamente cosa che disvia
Per maraviglia tutt' altro pensare ,
40. Una Donna soletta, che si già
Cantando, ed iscegUendo fior da fiore,
Ond' era pinta tutta la sua via.
12. m' aveau trapassato — 25. Ed ecco più 1' andar || Kd ecco 1' andar più — 29. Pareauo avere —
A. Sci lo ero
B. or' i<»
A. 2. n. C. D. ecco p,n
(\ piccole
/?. Parrìano C.D.VhTrrw
B. Co* pie. colli cfcÌL
ristretti - C. Zi.to i-^
ristretti
A. 2. C. D. dal Giiuie-
per amm.ir.
B. ci apparve
, del fiumiccl — per rimjrarr
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXVIU. 43-66.
431
43. Deh, bella Donna, eh' ai raggi d' amore
Ti scaldi, s' io vo' credere ai sembianti, •
Che soglion esser testimon del core,
1. 2. 3. Vegliati voglia 4(>. Vegnati in voglia di trarreti avanti ,
Diss' io a lei, verso questa riviera.
Tanto eh' io possa intender che tu canti.
49. Tu mi fai rimembrar, dove e qual era
Proserpina nel tempo, che perdette
La madre lei, ed ella primavera.
52. Come si volge, con le piante strette
A terra ed intra se, donna che balli,
E piede innanzi piede a pena mette,
55. Volsesi in sui vermigli ed in sui gialU
Fioretti verso me, non altrimenti
Che vergine, che gli occhi onesti avvalli:
58. E fece i preghi miei esser contenti.
Si appressando se, che il dolce suono
Veniva a me co' suoi intendimenti.
61. Tosto che fu là dove 1' erbe sono
Bagnate già dall' onde del bel fiume.
Di levar gli occhi suoi mi fece dono.
B4. Non credo che splendesse tanto lume
Sotto le cigUa a Venere trafitta
Dal figlio, fuor di tutto suo costume.
A. 2. fi. C. D. Wgnati
voglia — AA. trarti
(lavanti (?)
I). Si eh* io inteiuler
possa
D. che fummo tlove
li. tutto fuor <li uno oost.
45. esser messaggier — 4B. di traerti || dì tras^erti — 54. piedi innanzi piedi — 55. Volse«ii su ì vcrinit^li e su i ((iaHi
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432
PARADISO TERRESTBE.
PURGATORIO XXVin. 67-90.
1. -2. 3. Ih 've
l. dilettosti
1. *2. D. lin})Ui(iian
R7. Ella ridea dall' altra riva dritta,
Traendo più color con le sue mani,
Che r alta terra senza seme gitta.
70. Tre passi ci facea il fiume lontani;
Ma Ellesponto, dove passò Xerse,
Ancora freno a tutti orgogli lunani,
73. Più odio da Leandro non sofferse.
Per mareggiare intra Sesto ed Abido,
Che quel da me, perchè allor non s' aperse.
76. Voi siete nuovi, e forse perch'io rido.
Cominciò ella, in questo loco eletto
Air umana natura per suo nido ,
79. Maravigliando tienvi alcun sospetto;
Ma luce rende il salmo Delectastiy
Che puote disnebbiar vostro intelletto.
82. E tu, che sei dinanzi, e mi pregasti.
Di' s' altro vuoi udir, eh' io venni, presta
Ad ogni tua question, tanto che basti.
85. L' acqua, diss' io, e il suon della foresta,
Impugna dentro a me novella fede
Di cosa, eh' io udi' contraria a questa.
88. Ond' ella: Io dicerò come procede
Per sua cagion, ciò eh' ammirar ti face,
E purgherò la nebbia che ti fiede.
A. 2. a Ti. Tratiaudo
ìi. a lÀ'v*" - A.'J^f .:
passò — C. D. Sf ^^-
A. JJ. m. I>ilaui:»ti
A. 1. ilìs vegliar (:i
(\ Di", e s' altn»
«j8. delle sue mani — 71. Ma i' Ellesponto — 81. Che piiote disiiebriar — 8*2. Or tu, che sei
Io ti dirò — 90. che "u te siede
Di' s' altro vuoU — eK Ed. .-"
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PARADISO TERRESTRK.
PURGATORIO XX Vili. 91-114.
(LETK.)
433
1. 2. H. buono a ben
1. 1/ ex&lutìoii
1. 2. 3. diemi
1. 2. 3. ver lo ciel
l. 2. 3. lib. è (U indi
91. Lo sommo Ben, che solo esso ^ se piace,
r. Fc' r uom - D. e'I
Fece r uom buono, e a bene, e questo loco ben di qu. i. b. ^
bene a qu. 1.
Diede per arra a lui d' eterna pace. b. arra hn r eterna p.
94. Per sua diflFalta qui dimorò poco;
Per sua diffalta in pianto ed in ajffanno
Cambiò onesto riso e dolce gioco.
97. Perchè il turbar, che sotto da se fanno
L' esalazion dell' acqua e della terra,
Che, quanto posson, retro al calor vanno, /?. r. />. dietro
100. All' uomo non facesse alcima guerra.
Questo monte salio verso '1 ciel tanto;
E libero n è d' indi, ove si serra.
103. Or, perchè in circuito tutto e quanto
L' aer si volge con la prima volta,
Se non gU è rotto il cerchio d' alcun canto ; a. i. (?) b. r. se non r
/>. Cangiò
B. il Uirb. di sotto da
C. il t. che di sotto a
A. B. esaltacion
B. salì - B. a D. ver
lo ciel
A. r. da indi
A. B. C. 2. J). tutto
quanto
1. che tutti. 2. 3. ohe 106. lu qucstu altczza, che in tutto è disciolta
tutto p
Neil' aer vivo, tal moto percote,
E fa suonar la selva perdi' è folta;
109. E la percossa pianta tanto puote,
Che della sua virtute 1' aura impregna,
E quella poi girando intorno scote:
112. ET altra terra, secondo eh' è degna
1. 2 3. Per »è o i>er Pcr sè c pcr SUO cìcI, concepe e figlia
Di diverse virtù diverse legna.
B. ohe tntf *•
A. r aer impr.
A. l. r alta terra
IH. che solo a sè piace — 98. d* intera pace — 98. L* esultazion - IM. 1' aria si volga — 106. da quel canto — 107. tal modo
percote — 114. di diversa virtìi
li.
55
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434
PARADISO TERRKSTRK.
PURGATORIO XXVIII. 115-138.
(lxtè.)
A. 1. semenU (?)
1. che ciel conv.
1. eh' aspetta - 1. 2. 3.
o perde
1. 2. del voler
1. 2. 3. perchè più
C. che *l pei coii\.
B. fiume rh* «spetti
fi. del voler A. 1. drl
valor (?)
115. Non parrebbe di là poi maraviglia,
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s' appiglia.
118. E saper dei che la campagna santa,
Ove tu sei, d' ogni semenza è piena,
E frutto ha in se, che di là non si schianta, jm^r. che giammai
121. L' acqua che vedi non surge di vena
Che ristori vapor, che giel converta,
Come fiume eh' acquista e perde lena;
124. Ma esce di fontana salda e certa,
Che tanto dal voler di Dio riprende.
Quant' ella versa da due parti aperta.
127. Da questa parte con virtù discende.
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall' altra, d' ogni ben fatto la rende.
130. Quinci Lete, così dall' altro lato
Eunoè si chiama, e non adopra,
Se quinci e quindi pria non è gustato.
133. A tutt' altri saporì esto è di sopra;
Ed avvegna eh' assai possa esser sazia
La sete tua, perch' io più non ti scopra,
136. Darotti un corollario ancor per grazia.
Ne credo che il mio dir ti sia men caro,
Se oltre promission teco si spazia. d. «itra prom.
A. DaU' altìro - B If-
fratto le r.
A. m. esso - J. «. s*?pr
questo
B. D. perchè più -
^.2.Cnondis<'opr*
115. Non dee parer di li — 120. non si ehianta — 122. Cbe rictorin vapor — che '1 ciel conv. — 133. Come l'altra ch'a«M° "
12S. Che tanto di voler — 130. Lete, e cosi — 131. e non si adopra
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PARADISO TEBRE8TRK. PURGATORIO XXVIII. 139—148. (LSTK.) 435
139. Quelli che anticamente poetare
L' età dell' oro e suo stato felice,
Forse in Parnaso esto loco sognaro.
142. Qui fu innocente V umana radice;
1. 2. 3. primaT. sempre QuÌ prilUaVCra è SCmprC, ed ogni frutto; -4. i?./J.primav. sempre
Nettare è questo di che ciascun dice.
1.2.3. mi rivoW addietro 145. lo UIÌ VOIsÌ dirCtrO allora tutto .1.2. ». 6./>. mirivoUi
- B. r. D. addietro
A' miei Poeti, e vidi che con riso
Udito avevan V ultimo costrutto :
148. Poi alla bella Donna tornai il viso.
139. (Quelli che altamente -> 140. suo star felice — 141. esto loco seguaro — 145. mi riyolsi indietro
55'
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CANTO VENTESIMONONO
1. 2. 3. di fugg.« qu. di ved.
1. et mici
1. 2. al levante
I. anco 2. 3. anche
1. i. la D. mia a me
Lvantando come donna innamorata,
Continuò col fin di sue parole:
Beatiy quorum teda sunt peccata.
4. E come ninfe che si givan sole
Per le salvatiche ombre, disiando
Qual di veder, qual di fuggir lo sole,
7. AUor si mosse contra il fiume, andando
Su per la riva, ed io pari di lei,
Picciol passo con picciol seguitando.
10. Non eran cento tra i suo' passi e i miei,
Quando le ripe igualmente dier volta.
Per modo eh' a levante mi rendei.
13. Ne ancor fu così nostra via molta,
Quando la Donna tutta a me si torse,
Dicendo: Frate mio, guarda, ed ascolta.
16. Ed ecco un lustro subito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta.
Tal che di balenar mi mise in forse.
A. seWatiohe
A. PìppoI — A. pìcpol
A. eijiialm.
R. r. D. al levante
lì. (\ 1). Né anco
fi. la D. mia a sé mi t
A. 1. Frate! mio
A. 1. vedi, ed asc. (?)
4. che si giran sede (?) — 14. a me tutta
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438
HABADISO TEBRESTRE.
PURGATORIO XXIX. 19-42.
TRIONFO DELLA CHIESA.
1. terra al rielo
l. 2. 3. e poi hiiu^a
19. Ma perchè il balenar, come vien, resta,
E quel durando più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: Che cosa è questa?
22. Ed una melodia dolce correva
Per r aer luminoso ; onde buon zelo
Mi fé' riprender Y ardimento d' Eva,
25. Che, là dove ubbidia la terra e il cielo,
Femmina sola, e pur teste formata.
Non soflferse di star sotto alcun velo;
28. Sotto il qual, se devota fosse stata,
Avrei quelle ineffabili delizie
Sentite prima, e più lunga fiata.
31. Mentr' io m' andava tra tante primizie
Dell' eterno piacer, tutto sospeso,
E disioso ancora a più letizie,
34. Dinanzi a noi, tal, quale un foco acceso,
Ci si fé' r aer, sotto i verdi rami,
E il dolce suon per canto era già inteso:
37. 0 sacrosante Vergini, se fami.
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona , eh' io mercè ne chiami.
40. Or convien eh' EUcona per me versi,
Ed Urania m' aiuti col suo coro,
Forti cose a pensar, mettere in versi.
R. ('h* a lei si nbb.
A. 2. Sotto al qu.
B. e poi lunsa
ft. C. U. Così fc -
C. 1). sotto rrrd
A. 1. (?) D. Ed Ennoi»
D. Forte
21. Nel mio peusier — 23. Per l'aere — 25. Che, là ove || Ch' ella, dove — 29. Avrìa — 30. Meglio sentite — e pur Inw^i —
31. Mentre m* and. fra t. — 33. ancor di più let. ~ 34. quale in foco — 3B. si fece 1" aere — 36. per canti — 39. mercè vi chiami - 42. Forte ^"«
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PARADISO TXRSE8THB.
PURGATORIO XXIX. 43 — 66.
TRIONFO DELLA CHIESA.
439
1. 2. 3. alberi 43. Poco pìù oltpe sette arbori d' oro
Falsava nel parere il lungo tratto
Del mezzo, eh' era ancor tra noi e loro;
1. 2. 3, quando r fui 46. Ma quando fili si presso di lor fatto,
Che r obbietto comun, che il senso inganna.
Non perdea per distanza alcun suo atto;
49. La virtù, eh' a ragion discorso ammanna,
Siccom' elli eran candelabri apprese ,
E nelle voci del cantare, Osanna.
52. Di sopra fiammeggiava il bello arnese
Più chiaro assai, che luna per sereno
Di mezza notte nel suo mezzo mese.
55. Io mi rivolsi d' aromirazion pieno
Al buon Virgiho, ed esso mi rispose
Con vista carca di stupor non meno.
58. Indi rendei 1' aspetto all' alte cose,
1. inoyeno2.3.moyieno Chc SÌ movcauo lucoutro a uoì sì tardi,
Che foran vinte da novelle spose.
61. La Donna mi sgridò: Perchè pur ardi
1.2.3. neir affetto Sì ucU' aspctto dcUc vìvc luci,
E ciò che vien diretro a lor non guardi?
64. Genti vid' io allor, com' a lor duci ,
Venire appresso, vestite di bianco;
1. 2. 3. Rìammai di qua E tal caudor di qua giammai non fuci.
B. D. alberi
H. nel parerte il 1uoi(o
H. meno la terra aiic.
H. quand* i' fui
(\ iielli bori
B. muvieno — 6'. in con-
trario si t.
A. 1. foran giunte (?)
.l.m./?.r./>./. nell'affetto
A. vid' io a lor
H, giammai di qua
47. Che r obice comun — 58. air altre cose — GO. Che forien yinte — 63. diretro a noi
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440
PARADISO TERRESTRE.
TRIONFO DELLA CHIESA.
C. iuprendera A. 'L L.
imprender D. pcodeu.
A. ± a D. E rcn.ifarai
PURGATORIO XXIX. 67-90.
67. L' acqua splendeva dal sinistro fianco,
E rendea a me la mia sinistra costa,
S'io riguardava in lei, come specchio anco. j. tìru. lei
70. Quand' io dalla mia riva ebbi tal posta,
Che solo il fiume mi facea distante,
Per veder meglio ai passi diedi sosta,
1. 2. 3. witiare avante 73. E vldl le fiammelle andar davante,
1. 2. 3. iiìetro a s." Lasclando retro a se 1' aer dipinto,
1. 2. avea beiiib. E di tratti pennclh avean sembiante;
1. 2. Di oh- ci;ii 3. Si 76. SÌ chc lì sopra rimanea distinto
Di sette liste, tutte in quei colori.
Onde fa T arco il sole, e Delia il cinto.
79. Questi ostendali dietro eran maggiori.
Che la mia vista; e, quanto al mio avviso.
Dieci passi distavan quei di fiiori.
82. Sotto così bel ciel, com' io diviso,
Ventiquattro seniori, a due a due.
Coronati venian di fiordaliso.
85. Tutti cantavan: Benedetta tue
Nelle figlie d' Adamo, e benedette
Sieno in eterno le bellezze tue.
88. Poscia che i fiori e V altre fresche erbette,
A rimpetto di me dall' altra sponda, /;. »uaitra
Libere fiir da quelle genti elette, r. Liberi fur
che «lì
1. fé' r an-o
l. 2. 8. iiteiiilali
1. 2. 3. a miu av\-.
B. solo il lumr
B. diedi posta
/?. C. D, dietro a *f
B. avea semi».
A. m. B. r. Di che l:
D. Si che là
B. et Elia
A. 2. B. (\ D. .limr.
1. 2. signori
A. 1. (?) B. D. t. suTT-
A. C. fi«»r d' aliati
tì7. L' acqua impreudeaini || Prendeami 1* acqua — (S. la sinistra costa — 75. Che di tr. — tratti paiuielli — avicn semb. - T^< ^'
eh' eG;Iì — 79. ostendai diretr<i (?) — indietro — 81. quei dai fiori ~ 86. Btnedieta tue
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXIX. 91 — 114.
TRIONFO DELLA CHIESA.
441
1. Coronati
R. C. I). ('Oronati eiasc.
1. 2. 3. lor fnnna
1. 2. 3. rhe in questa
91. Si come luce luce in ciel seconda,
Vennero appresso lor quattro animali,
Coronato ciascun di verde fronda.
94. Ognuno era pennuto di sei ali,
Le penne piene d' occhi; e gli occhi d' Argo,
Se fosser vivi, sarebber cotali. -4. sarebbon
97. A descriver lor forme più non spargo
Rime, lettor; eh' altra spesa mi strigne
Tanto, che a questa non posso esser largo. ^. ca n questa
100. Ma leggi Ezechiel, che li dipigne
Come li vide dalla fredda parte
Verni" con vento, con nube e con igne;
1. 2. 3. E qu»i li trov. 103. E quali i troverai nelle sue carte,
TaU eran quivi, salvo clv alle penne
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
106. Lo spazio dentro a lor quattro contenne
Un carro, in su due rote, trionfale,
Ch' al collo d' un grifon tirato venne.
1.2.3. Ed esso tcndea su 109. Esso tcudca ìu SU F uua e r altr' ale
Tra la mezzana e le tre e tre liste.
Si eh' a nulla fendendo facea male.
112. Tanto sahvan, che non eran viste;
3.aTea.. Lc mcmbra d' oro avea, quanto era uccello, ^. avea, in quanto
E bianche 1' altre di vermiglio miste.
./. 1. (?) B. D. E quai
li trov.
A. Johann!
A. 1. C. Un carro, su
IJ. t. d* un grifon legato
A.ILB. C. D. Ed esso
t«ndea su
B. Si che nulla
92. Verniero presso a lor — 96. S* ei fosse tìvo — 100. che le dipigiie — 101. Come le vide — 102. con Tento e con nube —
108. E quale i troT. — 101 Tale eran — 106. Lo spazzo dentro — 114. 1' altre e di verm.
II.
56
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442
PARADISO TXBRESTRE.
PURGATORIO XXIX. 115-138.
TRIONFO DELLA miESA.
1. et al canto
1. 2. 3. onestato e sodo
115. Non che Roma di carro cosi bello
Rallegrasse Affiricano, o vero Augusto;
Ma quel del Sol saria pover con elio;
118. Quel del Sol, che sviando fii combusto.
Per r orazion della Terra devota.
Quando fu Giove arcanamente giusto.
121. Tre donne in giro, dalla destra rota,
Venian danzando; T una tanto rossa,
Ch' a pena fora dentro al foco nota:
124. L' altr* era, come se le carni e V ossa
Fossero state di smeraldo fatte;
La terza parca neve teste mossa:
127. Ed or parevan dalla bianca tratte.
Or dalla rossa, e dal canto di questa
V altre togliean V andare e tarde e ratte.
130. Dalla sinistra quattro facean festa.
In porpora vestite, dietro al modo
D' una di lor, eh' avea tre occhi in testa.
133. Appresso tutto il pertrattato nodo.
Vidi due vecchi in abito dispari.
Ma pari in atto, ed onesto e sodo.
136. L' un si mostrava alcun de' famigliari
Di quel sommo Ippocrate, che natura
AgU animaU fé' eh' eli' ha più cari.
/?. r. D. AKUstri
e. Per orasiim
S. D. deUa
C. D. et al <*«iit«»
/f./>.purpura^j.p^i7 -
— A. ret-Tf» a] sl
A. m. (\e con istafio » .
A. 1. eh' eUi ha
116. di carro d' or sì bello — 117. pover con quello f| pover a elio — 129. 1/ altre cogliean — e lente e r»tle — 135l vcr-
oneato e sodo
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1. un vecchio
1. Di sopra al e.
PARADISO TERBXSTBlù. PURGATORIO XXIX. 139 — 154.
139. Mostrava V altro la contraria cura
Con una spada lucida ed acuta,
Tal che di qua dal rio mi fé' paura.
142. Poi vidi quattro in umile paruta,
E diretro da tutti un veglio solo
Venir, dormendo, con la faccia arguta.
145. E questi sette col primaio stuolo
Erano abituati; ma di gigli
Dintorno al capo non facevan brolo,
148. Anzi di rose e d' altri fior vermigli:
Giurato avria poco lontano aspetto,
Che tutti ardesser di sopra dai cigh.
151. E quando il carro a me fu a rimpetto,
Un tuon s' udi ; e quelle genti degne
Parvero aver V andar più interdetto,
154. Fermandos' ivi con le prime insegne.
TRIONFO DELLA CHIESA.
443
B. C. un veocbio
B. Di sopra al e.
D. Giur. aTrei
A. 1. ùi dirimpetlo (?)
143. e dietro da tututti — 145. col primiero st. ^ 1&2. Un tuon a' udio
56'
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CANTO TRENTESIMO
1. %olsc, sȓ come a
1. Vieni .sposa
2. 3. Quale i b.
1. 2. 3. carne alleviando
l^uando il settentrion del primo cielo,
Che ne occaso mai seppe ne orto,
Ne d' altra nebbia, che di colpa velo,
4. E che faceva li ciascuno accorto
Di suo dover, come il più basso face,
Qual timon gira per venire a porto,
7. Fermo si affisse, la gente verace.
Venuta prima tra il grifone ed esso,
Al caiTo volse se, come a sua pace:
10. Ed un di loro, quasi da ciel messo,
Veniy sponsa^ de Libano y cantando,
Gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.
13. Quali i beati al novissimo bando
Surgeran presti ognun di sua caverna.
La rivestita voce alleluiando,
16. Cotali, in sulla divina basterna.
Si levar cento, ad vocerà tanti senis^
Ministri e messaggier di vita eterna.
D. tu. pr. che '1 grifone
B. (\ volse, si come a
A. 2. D. dal ciel
.•1. atUelviando
B. alleviando
B. a voci tanto senix
14. La rinvestita v.
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446
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXX. 19-42.
1. 2. B. lei sostenen
1. 2. 3. ricadeva Riti
1. 2. roii la sua pres.
19. Tutti dicean: Benedictus^ qui veniSy
E, fior gittando di sopra e dintorno,
Manibus o date lilia plenis.
22. Io vidi già nel cominciar del giorno
La parte orientai tutta rosata,
E r altro ciel di bel sereno adorno,
25. E la faccia del sol nascere ombrata,
Si che per temperanza di vapori,
L' occhio la sostenea lunga fiata;
28. Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva,
E ricadea in giù dentro e di fiiori,
31. Sopra candido vel cinta d' oUva
Donna m' apparve, sotto verde manto.
Vestita di color di fiamma viva.
34. E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato che alla sua presenza
Non era di stupor, tremando, affranto,
37. Senza degli occhi aver più conoscenza.
Per occulta virtù che da lei mosse,
D' antico amor sentì la gran potenza.
40. Tosto che nella vista mi percosse
L' alta virtù, che già m' avea trafitto
Prima eh' io fuor di puerizia fosse.
A. dei ^ap.
B. lo sostenea
B. C. D. ricadna:
A. 1. cinto
A. L B. cou U »u
B. nella Inoc
A. Prima rbc f-(
21). e di sopra e dint. — 23. tutta arrossata ~ 31. Sotto candido vel — 35. cu' alla sua pres. — 36. tremando . inlranto - 4-
luce mia
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXX. 43-66.
PARTENZA DI VIRO.
447
1. 2. .3. rimasa
1. '2. 3. padrr
1. 2. 3. adre
2. Non piang. anche
/i. padre
B. penici) — 8. madre
li. adre
43. Volsimi alla sinistra col rispitto a. r. con ««?.
Col quale il fantolin corre alla mamma,
Quando ha paura o quando egli è afflitto , r- egu è trafitto
46. Per dicere a Virgilio: Men che dramma
Di sangue m' è rimaso, che non tremi; ^. rimasa
Conosco i segni dell' antica fiamma.
49. Ma Virgilio n' avea lasciati scemi
Di se, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die' mi:
1.2.3. pcrdeo - 1.2. 52. NÒ quautunquc perde Y antica matre,
Valse alle guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornassero atre.
55. Dante, perchè VirgiUo se ne vada,
Non pianger anco, non pianger ancora;
Che pianger ti convien per altra spada.
58. Quasi ammiragUo, che in poppa ed in prora
Viene a veder la gente che ministra
Per gU altri legni, ed a ben far la incuora, r. ai ben far
61. In sulla sponda del carro sinistra.
Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si registra,
64. Vidi la Donna, che pria m' appario ^. che u m- app.
Velata sotto 1' angelica festa.
Drizzar gU occhi ver me di qua dal rio.
2. alti legni
44. Col qu. il fanciullln — 46, Per dicere: O Virg. men — 52. Ne quantunque portò - 57. per altra strada - 68. che di poppa
à. r angelica vesta
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448
PARADISO TERRESTRE.
2. dalla fronte
1. 2. Realmente
1. 2. 3. dietro riserva
1. 2. 3. Guardami
1. 2. in esso, trassi 3. in
esso, io tr.
3. Sente '1 sapor
PURGATORIO XXX. 67-90. beatr
67. Tutto che il vel che le scendea di testa,
Cerchiato dalla fronde di Minerva,
Non la lasciasse parer manifesta;
70. Regalmente nell' atto ancor proterva
Continuò, come colui che dice,
E il più caldo parlar diretro serva:
73. Guardaci ben: ben son, ben son Beatrice:
Come degnasti d' accedere al monte?
Non sapei tu, che qui è Y uom felice?
76. Gli occhi mi cadder giù nel cliiaro fonte;
Ma veggendomi in esso, i trassi all' erba.
Tanta vergogna mi gravò la fronte.
79. Cosi la madre al figlio par superba,
Com' ella parv^e a me; per che d' amaro
Sentì '1 sapor della pie tate acerba.
82. Ella si tacque, e gli Angeli cantaro
Di subito: lìi te^ Domine^ speravi:
Ma oltre pedes meos non passaro.
85. Si come neve, tra le vive travi.
Per lo dosso d' Italia si congela
Soffiata e stretta dagh venti schiavi,
88. Poi hquefatta in se stessa trapela,
Pur che la terra, che perde ombra, spiri,
Si che par foco fonder la candela:
A. 1. D. dell» fr. -
r. fronda B. frt.ij'
B. Realmente
J. 2. B. <\ tì. diem-
si serra
A. 2. B, C. D. ben rfiL
ben sem B.
B. iimesso, tr.
trassi
(\ la matre
A. 2. C. D. S^uie ; ìa
A. C. D. Ma uàra /-
A. 1. nevi
I). sé stesso
A. fender la caad.
67. le pendea di testa — 68. Cerch. dalle fr. — 69. Non lasciasse parer lei — 70. negli atti anoor — 73. Gu. ben, sos bea, !► :
ben B. || Gu. ben, s' io son. ben son B. — 74. Come sdegnasti d' ace. (f) — d* ascendere al m. - 78. Tanto vergogna — 90. Si e -a f«?
foco fonde
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXX. 91-114.
449
A. Retro - A. 1. alle
rote (?)
A. poicli* io int.
C, Lor compartir —
B. par che se detto
P-XXX1.12.]- ff.la
destra coscia
B. e le sustanzie
91. Così fili senza lagrime e sospiri
Anzi il cantar di quei che notan sempre
Dietro alle note degli eterni giri.
94. Ma poiché intesi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che se detto
Avesser: Donna, perchè si lo stempre?
97. Lo giel che m' era intorno al cor ristretto,
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
A. 2. B. D. Della b. e
1. Dalla b. e dagli o. Pcr la bocca e per gli occhi usci del petto. ^*^?^» «• ^' ^«k^^ « ^
■■■ " ■■■ della b.
1. 2. la destra coBcia 100. Ella, pur fcrma in sulla detta coscia
Del carro stando, alle sustanzie pie
Volse le sue parole cosi poscia:
103. Voi vigilate nelF eterno die.
Si che notte ne sonno a voi non fiora
Passo, che faccia il secol per sue \ie;
106. Onde la mia risposta è con più cura.
Che m' intenda colui che di là piagne,
Perchè sia colpa e duol d' una misura.
109. Non pur per opra delle rote magne.
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine.
Secondo che le stelle son compagne;
112. Ma per larghezza di grazie divine,
Che sì alti vapori hanno a lor piova.
Che nostre viste là non van vicine,
A. m. ne giorno
B. faccia secol
A. Clic drixxa
B, che le rote
92. quei che rota» sempre — 96. pari che detto — 97. m' era dentro al cor |j m' era al cor dentro — distretto — 112. Ma per lai^hexze
II. 57 .
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450 PARADISO TERRESTRE. PURGATORIO XXX. 115 — 138. BEATRICE.
115. Questi fu tal nella sua vita nuova /?. /. ndiata.
Virtualmente, eh' ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil prova. e. Avrebbe fatto
118. Ma tanto più maligno e più Silvestro
Si fa il terren col mal seme e non colto,
1. 2. 3. di buon vig. Quant* egli ha più del buon vigor terrestro. b. di buon tì?
1. con mio y. 121. Alcuu tempo il sostenni col mio volto; /?. con mio t.
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco il menava in dritta parte volto.
124. Sì tosto come in sulla soglia fui
Di mia seconda etade, e mutai vita, a. i.etàemuu.
Questi si tolse a me, e diessi altrui.
127. Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza e virtù cresciuta m' era,
Fu' io a lui men cara e men gradita;
130. E volse i passi suoi per via non vera, a. i. eì vouc
Imagini di ben seguendo false,
Che nulla promission rendono intera.
1.2.3. Nel' inipetr.sp. 133. Né Impetrare ispirazion mi valse, /?. Né r imi,etr..r
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
Lo rivocai; sì poco a lui ne calse.
136. Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,
Fuor che mostrargli le perdute genti. a. i. Fuorché i=
117. Fatto avrebbe — 118. tanto più malvagio — 124. in sulla porta fui — 129. men cara a lui — 134. uè in sogno
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PARADISO TXBR£STR£. PURGATORIO XXX. 139 — 145. BEATRICE. 451
139. Per questo visitai 1' uscio dei morti,
Ed a colui che V ha quassù condotto , r. fa & costui
Li preghi miei, piangendo, fiiron porti.
1.3. L- alto fato 2. L- alto 142. Alto fato di Dio sarcbbc rotto, ». i/«itofatt^
fatto
Se Lete si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata senza alcuno scottò
145. Di pentimento che lagrime spanda.
57-
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CANTO TRENTESmOPRIMO
1. CoufìisioD, paura
\J tu, che sei di là dal fiume sacro,
Volgendo suo parlare a me per punta,
Che pur per taglio m' era parato acro,
4. Ricominciò, seguendo senza cunta.
Di', di*, se questo è vero; a tanta accusa
Tua confession conviene esser congiunta.
7. Era la mia virtù tanto confusa,
Che la voce si mosse, e pria si spense.
Che dagli organi suoi fosse dischiusa.
10. Poco sofferse, poi disse: Che pense?
Rispondi a me; che le memorie triste
In te non sono ancor dall' acqua offense.
13. Confiisione e paura insieme miste
Mi pinsero un tal sì fuor della bocca,
Al quale intender fur mestier le viste.
16. Come balestro frange, quando scocca
Da troppa tesa, la sua corda e 1' arco,
E con men foga 1' asta il segno tocca;
vi. m. Et tu, ohe se'
C. Volgendo il suo
[I). XXX. 100. -] -
A. Ancor non son in te
B. Confusion, paura
1. Eh tu, ohe se' — 12. dall' acque offense — 15. fu mestier -^ 16. come al balestro — 17. Per troppa tesa — 18. E come in fuga
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454 PARADISO TERRESTRE. PURGATORIO XXXI. 19 — 42.
19. Sì scoppia' io sott' esso grave carco.
Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
22. Ond' ella a me: Per entro i miei disiri,
Che ti menavano ad amar lo bene
Di là dal qual non è a che si aspiri,
1. 2. 3. fosse «tir ...ti. 25. Qual fossi attraversati, o quai catene
Trovasti, per che del passare innanzi
Dovessiti cosi spogliar la spene?
28. E quali agevolezze, o quali avanzi
Nella fronte degli altri si mostraro.
Per che dovessi lor passeggiare anzi?
31. Dopo la tratta d' un sospiro amaro,
A pena ebbi la voce che rispose,
E le labbra a fatica la formaro.
34. Piangendo dissi: Le presenti cose
Col falso lor piacer volser miei passi,
Tosto che il vostro viso si nascose.
37. Ed ella: Se tacessi, o se negassi
Ciò che confessi, non fora men nota
La colpa tua: da tal giudice sassi.
1. 2. 3. dalla |.r. 40. Ma quaudo scoppia della propria gota
L' accusa del peccato , in nostra corte
Rivolge se contra il tagUo la rota.
rONFESSIOKE DI DANTE.
B. entro miei
B, Dì qua dal qu.
B. fosse attr...te
D. delle altre
A. la sformare
A, RivoWe
42. Hi volile allor coutra
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PARAI>ISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXI. 43 — 66.
RAMPOGNE DI BEATRICE.
455
1. 2. 3. nat ed arte
I. 2. 3. e ohe son t
. dovea grav
i fanc.
B. iiat. ed arte
A. Reclusa — A. 2. e che
son in t. B. C. D.
e che son t.
1.2. 3. me' vergogna 43. Tuttavia , perchè mO vergogna porte «. me- vergogna
Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le Sirene sie più forte, ^sieipiùf.
46. Pon giù il seme del piangere, ed ascolta;
Sì udirai come in contraria parte
Mover doveati mia carne sepolta.
49. Mai non t' appresentò natura o arte
Piacer, quanto le belle membra in eh' io
Rinchiusa fui, e sono in terra sparte:
52. E se il sommo piacer sì ti fallio
Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?
55. Ben ti dovevi, per lo primo strale
Delle cose fallaci, levar suso
Diretro a me che non era più tale.
58. Non ti dovean gravar le penne in giuso.
Ad aspettar più colpi, o pargoletta,
0 altra vanità con sì breve uso.
61. Nuovo augelletto due o tre aspetta;
Ma dinanzi dagli occhi dei pennuti
Rete si spiega indarno o si saetta.
. Quale fané. 2. 3. Quale 64. QualÌ Ì faUCiulU VCrgOgUaudO muti, /y. Quale fanc.
Cori gli occhi a terra, stannosi ascoltando,
E se riconoscendo, e ripentuti.
D. 1. Dalle cose
C. dovien B. dovea
A. 1. altra novità (?)
50. le membra belle — 51. che sono in terra sp. (| e che in terra son sp. — 54. Dovea poter trar te — 55. per lo proprio strale —
99. Ad asp. più colpo — 61. due e tre n* aspetta — 62. din. degli occhi — 63. e si saetta
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456
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXI. 67-90.
PENTIMENTO DI DANTE.
67. Tal mi stava io. Ed ella disse: Quando
Per udir sei dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.
70. Con men di resistenza si dibarba
Robusto Cerro, o vero al nostral vento,
1.2. 3. terradurba 0 vero a qucl della terra di larba,
73. Ch* io non levai al suo comando il mento ;
E quando per la barba il viso chiese,
1. il Tenen Bcu couobbl il vclcu dell' argomento.
76. E come la mia faccia si distese,
1. 2. belle creai. Posarsl qucllc prlmc creature
1. 2. appanion Da loro aspcrslou Y occhio comprese :
79 E le mie luci, ancor poco sicure,
Vider Beatrice volta in sulla fiera,
Ch' è sola una persona in due nature.
82. Sotto suo velo, ed oltre la riviera
1.2.3. Verde, pareami Viuccr parcaml plù sè stcssa antica,
3. cbciaitro Vluccr chc r altre qui, quand' ella e' era.
85. Di penter sì mi punse ivi 1' ortica,
Che di tutt' altre cose, qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fé' nimica.
88. Tanta riconoscenza il cor mi morse,
Ch' io caddi vinto, e quale allora femmi.
Salsi colei che la cagion mi porse.
A. t. alaostral JL i
air austral
C. conobbi il voler
B. discese
B. apparsion
C. D. Sotto n suo rei-
B. sè stesso
B, quando la ci rn
C. la rai^oD
<jH. Per ud. si è dol. — 7& apersion || apparìzion || operasion — 84. Vieppiù che I* altre qui || Che vineea V altre qui (?) - <f>»^^^'
\k era - 85. Di pcntir — si mi vinse — 87. Più da suo amor — 80. e quale io allor femmi
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PABAOI80 TEBBESTSE.
DANTE BAGNATO IN LETE.
2. 3. virtù di fuor
1. 2. 3. col braccio
1. 2. 3. sem .... senio
1. 2. 3. ag..ran li
A. m. di sua TÌrtìi
1. 2. 3. volte stava
PURGATORIO XXXL 91-114.
91. Poi, quando il cor di fuor virtù rendemmi,
La Donna eh' io avea trovata sola,
Sopra me vidi, e dicea: Tienimi, tiemmi.
94. Tratto m' avea nel fiume infino a gola,
E, tirandosi me dietro, sen giva
Sopr' esso 1' acqua, lieve come spola,
97. Quando fui presso alla beata riva.
Asperges me sì dolcemente udissi,
Ch' io noi so rimembrar, non eh' io lo scriva, b. che noi
100. La bella Donna nelle braccia aprissi,
Abbraceiommi la testa, e mi sommerse.
Ove convenne eh' io 1' aequa inghiottissi;
103. Indi mi tolse, e bagnato m' offerse
Dentro alla danza delle quattro belle,
E ciascuna del braccio mi coperse.
106. Noi Siam qui ninfe, e nel ciel siamo stelle;
Pria che Beatrice discendesse al mondo.
Fummo ordinate a lei per sue ancelle.
109. Menrenti agU occhi suoi; ma nel giocondo
Lume eh' è dentro aguzzeranno i tuoi
Le tre di là, che miran più profondo.
112. Così cantando cominciaro; e poi
Al petto del grifon seco menarmi.
Ove Beatrice stava volta a noi.
457
e. D. fino a gola
A. 1. Tirandosi (?) -
A. retro — A. 1. sene g.
^.2. a scola i?.Z>. stola
yl. 2. B. C. D. sem ... semo
C\ D, Mcrrcnti
B. aguszeran li
B. C. volta stava
91. virtù da fuor — 92. eli' io m' avea trov. — 91. infin la gola — 96. E, tirandomi sé dietro - 109. Menremti || Merremti )| Mercnti
112. cantando inoomineiaro
li.
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458
2. riapìanni
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXI. 115 — 138.
GRIFONE E BEATRICE.
1. ftftx. se , di ar
1. 2. 3. del più alto
2. Cantando - 2. 3. caribo
1. 2. 3. la sna cani.
115. Disser: Fa che le viste non risparmi;
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi,
Ond' Amor già ti trasse le sue armi.
118. Mille disiri più che fiamma caldi
Strinsermi gU occhi agU occhi rilucenti,
Che pur sopra il grifone stavan saldi.
121. Come in lo specchio il sol, non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava,
Or con uni, or con altri reggimenti.
124. Pensa, lettor, s' io mi maravigliava,
' Quando vedea la cosa in se star queta,
E neir idolo suo si trasmutava.
127. Mentre che, piena di stupore e Ueta,
L' anima mia gustava di quel cibo,
Che, saziando di se, di se asseta;
130. Se dimostrando di più alto tribo
Negli atti, r altre tre si fero avanti.
Danzando al loro angelico carribo.
133. Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi.
Era la lor canzone, al tuo fedele
Che, per vederti, ha mossi passi tanti.
136. Per grazia fa noi grazia che disvele
A lui la bocca tua, sì che discerna
La seconda bellezza che tu cele.
r. D. riaptannì
B. Poaio t' vft
B. Come lo sp.
A, 1. Or con uno. ""'
B, D. Or con alii f
A, guatando
C. aac. sé , di sé ì).^
aè di sé. di !«■
A. 2. B, C. D. dt.
alto
B. D. li altri m
.-I. 2. r. D. Canra^J
B. la sna cua.
D. fa a noi
120. sopra il grifon atayano — 121. Come in iapecchio sol — 196. fanne gracia — 137. la faccia tua f| la rista toa — ai eh' ri <i^<^
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PARADISO TEBBKSTRK. PURGATORIO XXXI. 139 — 145. BEATRICE DISVELATA. 459
139. 0 isplendor di viva luce etema,
Chi pallido si fece sotto V ombra
1. beve - 1. 2. citerna Sì dì PamaSO , O beVVe in sua cisterna, «. beve in sua eitema
142. Che non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te qual tu paresti
Là, dove armonizzando il ciel t'adombra, m la ove -5. armeni..
145. Quando nell' aere aperto ti solvesti?
139. O splendore |i Ahi splendor — divina luce — 141. e bevve — 142. Chi non paresse
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CANTO TRENTESIMOSECONDO
JLanto eran gli occhi miei fissi ed attenti
A ^sbramarsi la decenne sete,
Che gli altri sensi m' eran tutti spenti;
4. Ed essi quinci e quindi avean parete
Di non caler, cosi lo santo riso a. t. e. non calar
1. 2. 3. tracii A sc tpaeali con 1' antica rete ; b. c. d. traén
7. Quando per forza mi fii volto il viso r, mi fu tolto
Ver la sinistra mia da quelle Dee,
Perch'io udia da loro un: Troppo fiso. e io udì- -^.2 e. a*
lor: Non troppo
1. Ladisposu 10. E la disposizion eh* a veder ee ff. La disposiz.
Negli occhi pur teste dal sol percossi.
Senza la vista alquanto esser mi fee;
13. Ma poi che al poco il viso riformossi.
Io dico al poco, per rispetto al molto ^. 2, r;. io dico poco
Sensibile, onde a forza mi rimossi,
16. Vidi in sul braccio destro esser rivolto r. z>. vidi.ui
Lo glorioso esercito, e tornarsi
Col sole e con le sette fiamme al volto.
1. fisi ed attenti — 4. £ d' essi \\ E tese — avien parete || avea parete — 5. Di non calere, così il santo — 6. A se trapeli || A se
tiroUi — 7. mi fu torto — 8. Per la sinistra — 9. da loro: Uh, troppo fiso!
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462
PARADISO TERBESTBE.
PURGATORIO XXXII. 19 — 42.
(albero o. conoscenza.)
1. procedeva
l. 2. in angelica
1. Difrenata
1. Di foglia
2. 3. La chioma
2. più V* V SII
1. per ah. mirata
19. Come sotto gli scudi per salvarsi
Volgesi schiera, e se gira col segno,
Prima che possa tutta in se mutarsi;
22. Quella milizia del celeste regno.
Che precedeva, tutta trapassonne
Pria che piegasse il carro il primo legno.
25. Indi alle rote si tornar le donne,
E il grifon mosse il benedetto carco,
Sì che però nulla penna crollonne.
28. La bella donna che mi trasse al varco,
E Stazio ed io seguitavam la rota
Che fé' r orbita sua con minore arco.
31. Sì passeggiando V alta selva vota,
Colpa di quella eh' al serpente crese.
Temprava i passi un' angeUca nota.
34. Forse in tre voli tanto spazio prese
Disfrenata saetta, quanto eramo
Rimossi, quando Beatrice scese.
37. Io sentii mormorare a tutti: Adamo!
Poi cerchiaro una pianta dispogliata
Di fiori e d' altra fronda in ciascun ramo.
40. La coma sua, che tanto si dilata
Più, quanto più è su, fora dagl' Indi
Ne' boschi lor per altezza ammirata.
A. e si gira
A. m. mirarsi
B. procedeva
B. Si che poi
B. eh' al presente oitt*
B. C. 2. D. in ang^ehrj
B. quando eramo
B. Poi, cerchiata
^. Di fogUa />. /. Di focl.p
^.1. più va aii (r)
A. 2. B. C. D. per alt.
mirata
19. Cosi botto — 20. e si move col segno — 21. in sé tutta — 23. tutto trapa&s. — 26. il grifon Tolse il glorioso earco — 27. S:
che clapoi nulla — 30. Che fea 1' orbita sua || Che 1' orbita facea — con minor varco — 35. Disserrata saetta - 37. Io sentia morm. — 39. r d' altra
fronde — fronda con suo ramo — 40. La cima sua — 41. quanto si va su
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PARADISO TERRESTBE.
PURGATORIO XXXn. 43 — 66.
(roma cristiana.)
463
I. se' grif. se non
2. 3. si torse
3. a pie
1. 2. 3. dietro
1. sì nuovo
1. 2. 3. ne quaggiù si
43. Beato sei, grifon, che non discindi
Col becco d' esto legno dolce al gusto,
Posciachè mal si torce il ventre quindi.
46. Cosi d' intomo all' arbore robusto
Gridaron gli altri; e 1' animai binato :
Sì si conserva il seme d' ogni giusto.
49. E volto al temo eh' egli avea tirato,
Trasselo al pie della vedova frasca;
E quel di lei a lei lasciò legato.
52. Come le nostre piante, quando casca
Giù la gran luce mischiata con quella
Che raggia retro alla celeste lasca,
55. Turgide fansi, e poi si rinnovella
Di suo color ciascuna, pria che il sole
Giunga li suoi corsier sott' altra stella;
58. Men che di rose, e più che di viole.
Colore aprendo, s'innovò la pianta.
Che prima avea le ramora sì sole.
61. Io non lo intesi, e qui non si canta
L' inno che quella gente allor cantaro,
Ne la nota soffersi tuttaquanta.
64. S' io potessi ritrar come assonnaro
Gli occhi spietati, udendo di Siringa,
B. D. se' grif. , se non
C. grif. se\ che non
— /). 2. rescindi
J. m. C. D. si torse
A. albero
B. El volto
B. C. D. dietro
B. t. fassi
B. Giunto — /?. scn«'
altra st.
D. Clic pria
.-I. 1. e •! qui (?) A. 2.
B. C. né qni
D. occhi spirtoti
Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; e. n. a em pur vcggu.
45. mal si storse — 57. con altra stella — 59. Colore apprende — ai nuova — 61. e qui non ci || e qui già non ai || e quaggiù non
si i| né di qua si
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464 PARADISO TERRESTRE.
1. 2. 3. pìntor
PURGATORIO XXXII. 67-90.
(CHIESA ROMANA.)
R. IN. C. pin tor B.t. piau :
C. Del sunno e d" u:.
chiamar
B. C. D. pome
A. C. Johannì
67. Come pittor che con esemplo pinga
Disegnerei com' io m' addormentai;
Ma qual vuol sia che 1' assonnar ben finga.
70. Però trascorro a quando mi sveghai,
E dico eh' un splendor mi squarciò il velo
Del sonno, ed un chiamar: Surgi, che fai?
73. Quale a veder dei fioretti del melo,
1. pome Che del suo pomo gU AngeU fa ghiotti,
E perpetue nozze fa nel cielo,
76. Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
E vinti ritornaro alla parola.
Dalla qual furon maggior sonni rotti,
79. E videro scemata loro scuola,
Così di Moisè come d' EUa,
Ed al Maestro suo cangiata stola;
82. Tal torna' io , e vidi quella pia
Sopra me starsi, che conducitrice
Fu de' miei passi lungo il fiiune pria;
85. E tutto in dubbio dissi: Ov' è Beatrice?
i. 2.3. Kd ella Oud' clla : Vedi lei sotto la fronda
1. a. 3. seder». Nuova scdcrc in sulla sua radice.
88. Vedi la compagnia che la circonda;
Gli altri dopo il grifon sen vanno suso,
Con più dolce canzone e più profonda.
(J8. Desiguaret — 69. Ma qnal Taoi — 70. trascorro , e quando — 71. Io dico — 73. veder di fioretti )| veder li fiurrtti — d. z: -
74. Che (lei suoi pomi — gli angeli fan gU. — 75. fan nel eiclo ~ 77. E giunti ritorn. — 81. al Magistro suo — 89. di po' il grifon
A. 2. r. />.
lor
B. sedersi
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PARADISO TSRRESTVE. PURGATORIO XXXII. 91 — 114. (persecuzioni DEI CRISTIANI.) 465
1.2.3. fu più 91. E se più fii lo suo parlar diffiiso 5. r;. fu più
Non so, perocché già negli occhi in' era
Quella eh' ad altro intender m' avea chiuso.
94. Sola sedeasi in sulla terra vera, ^. sedicsì r. sede-ai
Come guardia lasciata li del plaustro,
Che legar vidi alla biforme fiera.
97. In cerchio le facevan di se claustro
Le sette ninfe, -con quei lumi in mano
Che son sicuri d' Aquilone e d' Austro.
100. Qui sarai tu poco tempo silvano,
E sarai meco, senza fine, cive
Di quella Roma onde Cristo è Romano ; /?• i>5 q«e»* torma
103. Però, in prò del mondo che mal vive,
Al carro tieni or gli occhi, e quel che vedi,
Ritornato di là, fa che tu scrive.
106. Così Beatrice; ed io, che tutto ai piedi
De' suoi comandamenti era devoto ,
La mente e gU occhi, ov' ella volle, diedi.
109. Non scese mai con sì veloce moto r. Non esce mai
Foco di spessa nube, quando piove r. dì spensa uubc
1. 2. 3. più è rem. Da qucl confine che più va remoto , a. 1. più è rem. (?)
112. Com' io vidi calar 1' uccel di Giove
Per r arbor giù, rompendo della scorza,
Non che dei fiori e delle foglie nuove;
I). di fiori - D. delle
cose u.
IH. terra nera || terra mera — 96. Che legar vide — 97. li facean — 107. Di suoi comand. - 112. Com' io sentii — 113. Dell' alber giù
n. 59
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466 PARADISO TERRESTRE. PURGATORIO XXXII. 115—138. (ERESIE E RICCHEZZE.)
1.2. 3. Eferio 115. E feri il caiTo di tutta sua forza, ^. Eferio
Ond' ei piegò, come nave in fortuna,
2.3. dau- onde Vinta dall' onda, or da poggia or da orza. ^ i. vinto a» onda
118. Poscia vidi avventarsi nella cuna
Del trionfai veiculo una volpe,
Che d' ogni pasto buon parca digiuna.
121, Ma, riprendendo lei di laide colpe,
La Donna mia la volse in tanta fiita, .4. >. r. umue
1. soifeMe Quanto sofferson Y ossa senza polpe. a. b. »offe«e
124. Poscia, per indi ond' era pria venuta,
1. 2. LaguKiia L' aquila vidi scender giù nell' arca b. Lagugu» - a. va.
Y aqu.
Del carro, e lasciar lei di se pennuta.
127. E qual esce di cor che si rammarca,
Tal voce uscì del cielo, e cotal disse:
O navicella mia, com' mal sei carca!
130. Poi parve a me che la terra s' aprisse
Tr' ambo le rote, e vidi uscirne un drago,
Che per lo carro su la coda fisse:
133. E, come vespa che ritragge Y ago,
A se traendo la coda maligna,
Trasse del fondo, e gissen vago vago.
136. Quel che rimase, come di gramigna .j. r , />. i. .u «r«a5rw.
Vivace terra, della piuma offerta,
1. 2. 3. cHhu e beuiRiia Forsc cou intcnziou sana e benigna,
120. paato ben parca 123. Quanto sofferser — 129. con mal sfi carca (! co' mal sci e. - 131. Tr" ambe le rote — 1:15. Tr*»-e
del carro — 138. intcnzìon vai^a
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXIl. 139-160.
PUTTANA E GIGANTE.
467
1- 2. 3. in vista mai
1. 2. 3. insili
139. Si ricoperse e funne ricoperta
E r una e Y altra rota e il temo , in tanto
Che più tiene un sospir la bocca aperta.
142. Trasformato cosi il dificio santo
Mise fiior teste per le parti sue,
Tre sopra il temo, ed una in ciascun canto.
145. Le prime eran cornute come bue;
Ma le quattro un sol corno avean per fronte : u. t. Ma le
Simile mostro visto ancor non fue.
148. Sicura, quasi rocca in alto monte,
Seder sopr' esso una puttana sciolta
M' apparve con le ciglia intorno pronte.
151. E, come perchè non gli fosse tolta.
Vidi di costa a lei dritto un gigante,
E bacia vansi insieme alcuna volta:
154. Ma, perchè 1' occhio cupido e vagante
A me rivolse, quel feroce drudo
La flagellò dal capo infin le piante.
157. Poi, di sospetto pieno e d'ira crudo,
Disciolse il mostro, e trassel per la selva
Tanto, che sol di lei mi fece scudo
160. Alla puttana ed alla nuova belva.
ff. in visU — A. 2. R.
C. D. mai non
D. t. Poi dispettoso p.
J). Tanto clie '1 sol
A. m. di Ini
142. E trasfonnato si
Bovr' essa — 160. N' apparve
— l'edificio santo — 147. Sim. in nostra vista ||Sim. mostro iu vita — 148- Sicura, come rocca — 149. Scender
,59-
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CANTO TRENTESIMOTERZO
JLJeuSy tenerunt gentes, alternando.
Or tre or quattro, dolce salmodia
i. 2. 3. incom., lagrim. Lc donne incominciaro , e lagrimando : u, comineuron lagr.
4. E Beatrice sospirosa e pia
Quelle ascoltava sì fatta, che poco
Più alla croce si cambiò Maria.
7. Ma poiché V altre vergini dier loco
A lei di dir, levata dritta in pie, />. lev. ritu
Rispose, colorata come foco:
10. Modicurriy et non mdebitis me,
Et iteruniy Sorelle mie dilette,
Modicuniy et vos videbitis me.
.tutte sette 13. Poi Ic sì uiìsc Inuanzi tutte e sette,
E dopo se, solo accennando, mosse me di pò* .è
Me e la Donna, e il Savio che ristette.
16. Cosi sen giva, e non credo che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto,
Quando con gh occhi gli occhi mi percosse;
8. levata suso — 18. Quando con 1' occhio
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470
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXIII. 19 — 42.
(DUCE VATICINATO.)
19. E con tranquillo aspetto: Vien più tosto,
Mi disse, tanto che s' io parlo teco,
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto.
22. Si com' io fui, com' io doveva, seco,
Dissemi: Frate, perchè non ti attenti
1.2.3. A diniAnaare ornai A domaudarmi omai venendo meco?
25. Come a color, che troppo reverenti,
Dinanzi a' suoi maggior parlando sono ,
Che non traggon la voce viva ai denti,
28. Avvenne a me, che senza intero suono
Incominciai: Madonna, mia bisogna
Voi conoscete, e ciò eh' ad essa è buono.
31. Ed ella a me: Da tema e da vergogna
VogUo che tu omai ti disviluppe.
Si che non parli più com' uom che sogna.
34. Sappi che il vaso che il serpente ruppe.
Fu, e non è; ma clii n' ha colpa, creda
Che vendetta di Dio non teme suppe.
1. 2. 3. wn«a reda 37. Noii Sarà tutto tcmpo senza ereda
1. 2. L" affugiia L' aquila che lasciò le penne al carro ,
Per che divenne mostro e poscia preda;
40. Ch' io veggio certamente, e però il narro,
A darne tempo, già stelle propinque.
Sicure d' ogni intoppo e d'ogni sbarro ; .
H. K contra quell- ^\
A. siei D. sia
A. 2. C. Si eome fu:
B. D. A ilimaudar« ysa.
B. Come color
C. D. Din. a' lor it.;;
B. C. senaa r«da
B. L' agullia
B. però oaiTo
A. 1. Addume i*)
2. 3. Sicuro
22. E come io fui (| Tosto eh' io fui — 26. Come iti c<»lor — 26. Dinauxi al suo maggior — di parlar sono ~ 27. tra^w. k ▼ ^^
▼ive — 28. Avvenne in me — 37. Non sarà d' ogni tempo — 39. Per eh' ei divenne
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PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXIII. 43 — 66.
(DUCE VATICINATO.)
471
I. 2. 3. di Dio
1. 2. 3. E quel ffiK.
1. Mo fune
1. 2. 3. di pee. e di b.
1. 2. .3. Queste par. sì
Ir ins.
l. 2. 3. Ed aergi
2. 3. ìstima
43. Nel quale un cinquecento diece e cinque,
Messo da Dio, anciderà la foia
Con quel gigante che con lei delinque.
4(). E forse che la mia narrazion buia,
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
Perch' a lor modo lo intelletto attuia;
49. Ma tosto fien li fatti le Naiade,
Che solveranno questo enigma forte,
Senza danno di pecore o di biade.
52. Tu nota; e, sì come da me son porte
Cosi queste parole segna ai vivi
Del viver eh' è un correre alla morte ;
55. p]d abbi a mente, quando tu le scrivi.
Di non celar qual hai vista la pianta,
Ch' è or due volte dirubata quivi.
58. Qualunque ruba quella, o quella schianta.
Con bestemmia di fatto offende a Dio,
(^he solo all' uso suo la creò santa.
fil. Per morder quella, in pena ed in disio
Cinquemili' anni e più, V anima prima
Bramò Colui che il morso in se punio.
H4. Dorme lo ingegno tuo, se non estima
Per singular cagione essere eccelsa
Lei tanto, e sì travolta nella cima.
B. a D. di Dìo
R, Ohe eon qu. s;ig. lei
(\ T. e spinse - H. D.
me* ti pers.
R. C. i>. tosto ficr
/?. lì fatte
R. D. di per. r di b.
R. inseis^ua
R, C. VA agsci
A. 1. Che or (?) -
A. 1. è dìnibata (?)
D. offende Iddio
//. ìstima
46. Di quel gigaute — che con lui — 46. E sappi che la mia — 47. nette e persuade — 48. E che a lor modo — intelletto aeuja -
. lifii li fntì II fien le fata — e le Naiade — 53. Qu. par. cosi le insespia — 56. Di non tacer - 57. derobata — (52. Cinquemila
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472
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXIII. 67-90.
BEATRICE E DANTE.
1. 2. 3. All'alber
1. 2. 3. ed in peccato tinto
2. 3. Voglio anche
1. Che te nel porti
e r arbor B. U. •
r alber
, io veggo
, m. et dimpftn'fl
67. E, se stati non fossero acqua d' Elsa
Li pensier vani intomo alla tua mente,
E il piacer loro un Piramo alla gelsa, r. mpiramo
70. Per tante circostanze solamente
La giustizia di Dio, nello interdetto.
Conosceresti all' arbor moralmente.
73. Ma, perch' io veggio te nello intelletto
Fatto di pietra ed, impietrato, tinto,
Si che t' abbaglia il lume del mio detto,
76. Voglio anco, e se non scritto, almen dipinto.
Che il te ne porti dentro a te, per quello
Che si reca il bordon di palma cinto.
79. Ed io: Sì come cera da suggello.
Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello. j?. di voi- r.j.
82. Ma perchè tanto sopra mia veduta
Vostra parola disiata vola,'
Che più la perde quanto più s' aiuta?
85. Perchè conoschi, disse, quella scuola
Ch' hai seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
88. E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra il ciel che più alto festina.
67. E , se stato >- 74. in petrato tìnto || impetrato e tinto || di petrato tinto — 76. a ben dipinto || abbi *1 dipinto — 77. O "?
porle — dentro almen per qu. — 81. Segnato e' è — or per voi — 86. Perchè conosca — 86. e vcj^a sua dottr. » 86l E TepE> ^'■•*^* '
90. Da terra al ciel — il ciel , che più
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PARADISO TSRRESTRS.
PURGATORIO XXXIII. 91-114.
(fontana.)
473
. 2. 3. Sì come di Leteo
hreMi
2. 3. din. a schiera
2. in suo Test. 3. in
sue vfst.
91. Ond' io risposi lei: Non mi ricorda
Ch'io straniassi me giammai da voi,
Ne honne coscienza che rimorda.
94. E, se tu ricordar non te ne puoi,
Sorridendo rispose, or ti rammenta
Come bevesti di Lete ancòi;
97. E, se dal fummo foco s' argomenta,
Cotesta oblivion chiaro conchiude
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
100. Veramente oramai saranno nude
Le mie parole, quanto converrassi
Quelle scoprire alla tua vista rude.
103. E più corrusco, e con più lenti passi.
Teneva il sole il cerchio di merigge,
Che qua e là, come gli aspetti, fassi,
106. Quando s' affisser, sì come s' affigge
Chi va dinanzi a gente per iscorta.
Se trova no vitate, o sue vestigge,
109. Le sette donne al fin d'un' ombra smorta,
Qual sotto foghe verdi e rami nigri
Sopra suoi freddi rivi Y Alpe porta.
112. Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
Veder mi parve uscir d' una fontana ,
E quasi amici dipartirsi pigri.
A. straneasse
A. 2. C. che mi morda
B. di Le the bevesti
A. il sol lo cerchio
B. din. a schiera
A. o sua vest. B. in suo
▼est.
A. l. verdi fofi^Iie
D. am.. a dipartirsi
91. risposi a lei — 02. Ch' io strariassi ~ 96. di Lete tu bevesti || bevesti ta di Let« || bevesti acqua di Lete — 103. e più eon
— 104. merige — 106. come la spera Tassi - 106. afBge — 106. vestige - 114. di partirsi
II.
60
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474
PARADISO TERRESTRE.
PURGATORIO XXXm. 115-138.
( EU NOÈ.)
1. 2. 3. Leteo
2. 3. Fatto ha
1. 2. 3. Tosto com' è
115. 0 luce, o gloria della gente umana,
Che acqua è questa che qui si dispiega
Da un principio, e se da se lontana?
118. Per cotal prego detto mi fii: Prega
Matelda che il ti dica; e qui rispose,
Come fa chi da colpa si dislega,
121. La bella Donna: Questo, ed altre cose
Dette gli son per me; e son sicura
Che r acqua di Lete non gliel nascose.
124. E Beatrice: Forse maggior cura,
Che spesse volte la memoria priva.
Fatta ha la mente sua negU occhi oscura.
127. Ma vedi Eunoè che là deriva:
Menalo ad esso, e, come tu sei usa,
La tramortita sua virtù ravviva.
130. Com' anima gentil che non fa scusa,
Ma fa sua vogUa della voglia altrui,
Tosto eh' eir è per segno fiior dischiusa;
133. Così, poi che da essa preso fili,
La bella Donna mossesi, ed a Stazio
Donnescamente disse: Vien con lui.
136. S' io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere, io pur canterei in parte
Lo dolce ber che mai non m' avria sazio ;
|7>.-145.]
A. ì. Tosto com' *■ ~
C. per segni
A. 2. C. ad esssa pmr
fui
119. Matelda che ti dica — 121. Queste ed altre -> 123. Che 'I fiume di Lete — 132. Tosto che gli è || Tosto che è — Sì !.>«*• fS-*
per segno è — 136. Onestamente disse — 137. io pur conterei
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PARADISO TERRESTRE. PURGATORIO XXXIIl. 139-145. (EUNOÈ.) 475
139. Ma perchè piene son tutte le carte r..on piene
Ordite a questa Cantica seconda,
Non mi lascia più ir lo fren dell' arte.
142. Io ritornai dalla santissim' onda
Rifatto sì, come piante novelle
Rinno veliate di novella fronda,
145. Puro e disposto a salire alle stelle. [i>. m-j
139. M» perchè ne non pien tutte -> 141. più ire il fren
60-
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PARADISO
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CANTO PRIMO
1. 2. 3. qiial di lassù
1. Fa me
L . 2. dimanda dar
:. '2. 3. Insin a qui
. 22. amrndue 3. ambedue
Ija gloria di colui che tutto move
Per r universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove.
4. Nel ciel che più della sua luce prende
Fu* io, e vidi cose che ridire
Ne sa, ne può chi di lassù discende;
7. Perchè, appressando se al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
10. Veramente quant' io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro.
Sarà ora materia del mio canto.
1 3. 0 buono Apollo , all' ultimo lavoro
Fammi del tuo valor sì fatto vaso,
Come domandi a dar 1' amato alloro.
16. Infino a qui 1' un giogo di Parnaso
Assai mi fu, ma or con ambo e due
M' è uopo entrar nell' aringo rimaso.
A. 2. li. r. D. qual di
lassù
D. Sarà or la mar.
B. Fa me
H. Come dimanda dar
B. Insin a qui
A. 2. C. D. ambedue
B. amendne
4. sua luce rende — 8. N. intell. approfonda — 9. Che dietro — 14. del tuo lavor — 17. con ambidue
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480
PARADISO I. 19-42.
I. 2. sì mi ti pr.
1. capo mani frati
1. mi farà
1. 2. 3. dirptro a mv.
(invocazione.)
19. Entra nel petto mio, e spira tue
Sì, come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.
22. 0 divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che Y ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,
25. Venir vedra'mi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Che la materia e tu mi farai degno.
28. Si rade volte, padre, se ne coglie,
Per trionfare o Cesare o Poeta,
(Colpa e vergogna delle umane voglie)
31. Che partorir letizia in sulla lieta
Delfica deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di se asseta.
34. Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse retro da me con miglior voci
Si pregherà perchè Cirra risponda.
37. Surge ai mortali per diverse foci
La lucerna del mondo; ma da quella.
Che quattro cerchi giunge con tre croci,
40. Con miglior corso e con migUore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
B. I). si mi ti pr.
B. D. capo manif.
A. 2. C. Vedrami al p.»
del tao
A. 2. C. Venir, ^ -'.
delle f.
B. mi farà C. mi \%r^
A. 1. di sé alcuan
B. D Forse direirc a " •
A. 2. Dietn> da em
20. Marstia tu traesti — 21. Della guaina ^ 25. Verr&mi al pie — 27. Che la materia -
favilla — 1)7. da diverse foci — 39. giunge quattro eerchi
Penea — quando altrui — 34. F
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SFSRA DEL POCO.
PARADISO I. 43-66.
DANTE E BEATRICE.
481
1. degli atti Auoi
1. oltre nostr uso
43. Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce quasi; e tutto era là bianco
Quello emisperio, e 1' altra parte nera,
46. Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel sole:
Aquila si non gli s' affisse unquanco.
1. 2. 3. eome secondo 49. E SI couic '1 sccoudo ragglo suole
Uscir del primo, e risalire insuso,
Pur come peregrin che tornar vuole;
52. Cosi dell' atto suo, per gli occhi infuso
Neir imagme mia, il mio si fece,
E fissi gU occhi al sole oltre a nostr' uso.
55. Molto è hcito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercè del loco
Fatto per proprio dell' umana spece.
58. Io noi soffersi molto, ne si poco,
Ch' io noi vedessi sfavillar dintorno ,
Qual ferro che bogUente esce del foco.,
61. E di subito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei che puote
Avesse il ciel d' un altro sole adorno.
64. Beatrice tutta nell* eterne rote
Fissa con gli occhi stava; ed io in lei
Le luci fissi, di lassù remote,
1. vedesse
I. 2. 3. boUeutr
B. come secondo
A. Escir
R. delli atti suoi
D. oltre al nostr' uso
B. C. oltre nostr' uso
A. B. vedesse
A. 2. C. D. Come f.
B. Come '1 f. - B.
r. D. ferro bogl.
l 3. luci fiitse
B. luci fisse
43. mane di U — 44. Tal foce; e quasi tutto — 48. Aguglia — 54. E volsi il viso al sole — SQ. favillar — 61. E subito mi parvo
III. 61
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482
SAUTA ALLA LUNA.
PARADISO 1. 67-90.
(ARMOmA DELLE 8FEBE.)
2. 3. consorto
1. et isterni
2. 3. Ad acquetarmi
67. Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si fé' Glauco nel gustar dell' erba,
Che il fé' consorte in mar degli altri Del
70. Trasumanar significar per verba
Non si poria; però 1' esemplo basti
A cui esperienza grazia serba.
73. S' io era sol di me quel che creasti
Novellamente, Amor che il ciel governi,
Tu il sai, che col tuo lume mi levasti.
76. Quando la rota, che tu sempitemi
Desiderato, a se mi fece atteso,
Con r armonia che temperi e discerni,
79. Parvemi tanto allor del cielo acceso
Dalla fianmia del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
82. La novità del suono e il grande lume
Di lor cagion m' accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
85. Ond' ella, che vedea me, sì com' io,
A quietarmi 1' animo commosso,
Pria ch'io a domandar, la bocca aprio,
88. E cominciò: Tu stesso ti fai grosso
Col falso immaginar, sì che non vedi
Ciò che vedresti, se 1' avessi scosso.
B. coDSorto
D. Desìdenu
B. et isterni
U. el grati lane
D. al domandar
W. Che il feo — 7B. Se era sol di me — 77. Desiderando — 79. di cielo acceso — 80. Della fiamma — 84. da cotaok* a^" *
88. Tu stessi — 90. se 1' avesti scosso
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SALITA ALLA LUNA.
PARADISO I. 91-114.
(OBDIMK DKLL' universo.)
483
, 2. 3. tutte qu.
1' altre creat.
A. 2. B. C. il primo sito
C. eh' a desso
Z>. fui più irret.
D. ora miro
2. instinto
91. Tu non se' in terra, si come tu credi;
Ma folgore, fuggendo il proprio sito,
Non corse, come tu eh' ad esso riedi.
94. S' io fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi,
Dentro ad un nuovo più fui irretito;
97. E dissi: Già contento requievi
Di grande ammirazion; ma ora ammiro
Com' io trascenda questi corpi lievi.
100. Ond' ella, appresso d' un pio sospiro.
Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante, e. rer me dnasò
Che madi*e fa sopra figliuol deliro;
103. E cominciò: Le cose tutte e quante
Hann' ordine tra loro; e questo è forma
Che r universo a Dio fa simigUante.
106. Qui veggion 1' alte creature 1' orma
Dell' eterno valore , il quale è fine ,
Al quale è fatta la toccata norma.
109. Neil' ordine eh' io dico sono accline
Tutte nature, per diverse sorti.
Più al principio loro e men vicine;
112. Onde si movono a diversi porti
Per lo gran mar dell' essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
e. D. sopra il figl.
A. 2. B. C. Z>. tutte qn.
A. questa è f.
R. l'altre rreat.
che in esso riedi — 101. drtazò in ver me — 102. sopra figlio deliro — 104. ordine intra loro — 100. sono incline
61*
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484 SALITA ALLA LUNA. PARADISO 1. 115 — 138. (OBDINE DELL* UNIVERSO.)
115. Questi ne porta il foco inver la luna,
1. 2. 3. promotore Qucstì ucì COI mortalì è permotore, r. promotorf
Questi la terra in se stringe ed aduna.
118. Ne pur le creature, che son fiiore
D' intelligenza, quest' arco saetta,
Ma quelle eh' hanno intelletto ed amore.
121. La provvidenza, che cotanto assetta,
Del suo lume fa il ciel sempre quieto , a. u cìci
Nel qual si volge quel eh' ha maggior fretta:
124. Ed ora lì, com' a sito decreto,
Ceii porta la virtù di quella corda,
Che ciò che scocca drizza in segno lieto.
127. Ver' è che, come forma non s' accorda
Molte fiate alla intenzion dell' arte,
Perch' a risponder la materia è sorda;
130. Così da questo corso si diparte
Talor la creatura, eh' ha potere
Di piegar, così pinta, in altra parte,
133. (E sì come veder si può cadere
Foco di nube) se 1' impeto primo
A. C. JJ, Lo aitem
1. 2. 3. A terra è torto V attcrFa , torto da falso piacere. b- tort» - ^ i
falso piar.
136. Non dei più ammirar, se bene estimo,
Lo tuo salir, se non come d'un rivo j. i. (?>/>. iw..^^
Se d' alto monte scende giuso ad imo.
rj2. Nel suo lume — 129. la materia scorda — 133. Cosi come veder — 134. sì l' impeto primo — 135. L' atterra, toera f< I.» "r^*
torce II La terra ha tolto || I^a terra ha torto || L' aere ha torto
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SALITA ALLA LUNA. PARADISO I. 139 — 142. (ordine dell' universo.) 485
139. Maraviglia sarebbe in te, se privo
D' impedimento giù ti fossi assiso,
^ H, Come terra C. Come
1. 2. 3. Come a terra Come in tCFra QUlete in foco vivo. a terra- Aqmef è
quieto f. i« foco
142. Quinci rivolse inver lo cielo il viso. />. inverso icieiio viso
141. Come material) Con materia — quieta — il foco
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CANTO SECONDO
2. 3. Dietro
2. 3. nuove Muse
1. non si vien
2. 3. eguale
vJ voi che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d' ascoltar, seguiti
Retro al mio legno che cantando varca,
4. Tornate a riveder li vostri liti.
Non vi mettete in pelago; che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
7. L' acqua eh' io prendo giammai non si corse :
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nove Muse mi dimostran 1' Orse.
10. Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al pan degli Angeli, del quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo,
13. Metter potete ben per V alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all' acqua che ritorna equale.
16. Quei gloriosi che passaro a Coleo,
Non s' ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vider fatto bifolco.
(\ U. Dietro al mio
.-1. 1. ismarriti
10. che drizzate il collo — 14. Vostro nayilio — 16. paasaro al Coleo — 17. Non si ammiraron || Non si miraron — Ib. Giason
idcr Jason — bofolco
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488
PARADISO IL 19-42.
DANTE E BBATSICE.
1. da voce !ii disoli.
3. D. potè» mia rura
1. Pareva me
1. adam. in eui lo sol
1. 2. 3. Ne ricevette
1. Raggio <1> *ol<^
A. 2. e. esser na*f »
19. La concreata e .perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci, quasi, come il ciel vedete.
22. Beatrice in suso, ed io in lei guardava; r. edioaiei
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa,
E vola, e dalla noce si dischiava,
25. Giunto mi vidi ove mirabil cosa
Mi torse il \iso a se; e però quella.
Cui non potea mia opra essere ascosa,
28. Volta ver me si lieta come bella:
Drizza la mente in Dio grata, mi disse,
(yhe n' ha congiunti con la prima stella.
31. Pareva a me che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida e polita,
Quasi adamante che lo sol ferisse.
34. Per entro se V eterna margarita
ìse recepette, com' acqua recepe
Raggio di luce, permanendo unita.
37. S' io era corpo , e qui non si concepe
Com' una dimension altra patio,
Ch' esser convien se corpo in corpo repe,
40. Accender ne dovria più il disio
Di veder quella essenza, in che si vede
Come nostra natiura e Dio s' unio.
(\ mi eopris>e
JJ. lue. e spessa
r. margerita
B. C. D. Ne rire^'
S. Raggio di Mlf
20. ci portava — 21. Veloce quasi — 27. non potea mia voglia — 31. Parevami — 3&. com' aequa ricepe — S6l rimanendo nB.a-
4(). Acc. uoii dovria — 4Z in Dio %' unio || a Dio s' unio?
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PARADISO IL 43-66.
(macchie della luna.)
489
1. 2. 3. rimoto
1. Ove
1. 2. 3. dietro
l. che fanno
43. Li si vedrà ciò che tenem per fede,
Non dimostrato, ma fia per se noto,
A guisa del ver primo che 1' uom crede.
46. Io risposi: Madonna, sì devoto,
Quant' esser posso più, ringrazio lui
Lo qual dal mortai mondo m' ha remoto.
49. Ma ditemi, che son li segni bui
Di questo corpo, che laggiuso in terra
Fan di Gain favoleggiare altrui?
52. Ella sorrise alquanto, e poi: S' egli erra
L' opinion, mi disse, dei mortali,
Dove chiave di senso non dissenna,
55. Certo non ti dovrien punger gli strali
D' ammirazione omai; poi retro ai sensi
Vedi che la ragione ha corte 1' ali.
58. Ma dimmi quel che tu da te ne pensi?
Ed io : Ciò che n' appar quassù diverso ,
Credo che il fanno i corpi rari e densi.
61. Ed ella: Certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
L' argomentar eh' io gli farò avverso.
64. La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quaU nel quale e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.
lì. ma fir
C. D. Com' esser posso
C. del mortol - «. />.
rimoto
A. Ella subrìse
a Ove
B. C. D. dietro
R. C. D. che fanno
D. che gli
48. del mort»l — 49. che sono i segni — SO. là giù in terra — 56. più dietro — 65. li (]u. e nel quale — (16. da diversi
* III. 62
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490 LUNA. PARADISO U. 67—90. (macchie dxlla luna.)
67. Se raro e denso ciò facesser tanto,
Una sola virtù sarebbe in tutti,
Più e men distributa, ed altrettanto.
70. Virtù diverse esser convengon frutti
Di principii formali, e quei, fuor ch'uno, ^. Depnnc
I. seguiterìano Seguitcricno a tua ragion distrutti. b. seguterianc.
73. Ancor, se raro fosse di quel bruno
Cagion, che tu domandi, od oltre in parte
Fora di sua materia si digiuno i?. sé digiuno
76. Esto pianeta, o sì come comparte epiteto - «pi.:, s
Lo grasso e il magro un corpo, cosi questo
Nel suo volume cangerebbe carte.
79. Se il primo fosse, fora manifesto
Neir eclissi del sol, per trasparere
Lo lume, come in altro raro ingesto.
82. Questo non è; però è da vedere
Dell' altro, e, s' egU awien eh' io l' altro cassi.
Falsificato fia lo tuo parere.
85. S' egli è che questo raro non trapassi.
Esser conviene un termine, da onde
Lo suo contrario più passar non lassi;
88. Ed indi 1' altrui raggio si rifonde
('osi, come color toma per vetro.
Lo qual diretro a se piombo nasconde.
71. Da prinripii — 74. » d' ftltre — » in parte — 77. il magro in corpo ~ 80. Neil' ecrliue — \&. che 1* altro io caa»ì
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LUNA.
491
A. 1. Ivi lo raggio —
AA.iu altra parte (?)
D. lui rifratto
^. 1. deliberarte (?)
A. 1. vostr. arte (?)
B. di po' '1 dosso
PARADISO II. 91 — 114. (macchie della luna.)
1. che8idim. 91. Or dirai tu eh' ei si dimostra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
Per esser li rifratto più a retro.
94. Da questa instanzia può diliberarti
Esperienza, se giammai la provi,
Ch' esser suol fonte ai rivi di vostr' arti.
97. Tre specchi prenderai, e due rimovi
Da te d' un modo, e V altro, più rimosso,
Tr' ambo U primi gli occhi tuoi ritrovi.
100. Rivolto ad essi fa che dopo il dosso
Ti stea un lume che i tre specchi accenda, e. che tre .p.
E tomi a te da tutti ripercosso.
103. Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana, li vedrai
Come convien eh' egualmente risplenda.
106. Or, come ai colpi delli caldi rai
Della neve riman nudo il suggetto
E dal colore e dal freddo primai;
109. Cosi rimaso te nello intelletto
Voglio informar di luce si vivace,
Che ti tremolerà nel suo aspetto.
112. Dentro dal ciel della divina pace
Si gira un corpo, nella cui virtute
L' esser di tutto suo contento giace.
D. I. nel quarto
A. C. subietto
96. di nostre arti — 101. Ti stia — 108. E dal calore || Dal candore — e dai freddi
62-
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492 i-UNA. PARADISO IL 115 — 138. (inplubnzb dei cikli.)
115. Lo ciel seguente, ch'ha tante vedute,
Queir esser parte per diverse essenze
Da lui distinte e da lui contenute.
118. Gli altri giron per varie diflFerenze r.perv^uraiff
Le distinzion, che dentro da se hanno,
1. »iorfinc Dispongono a lor fini e lor semenze.
121. Questi organi del mondo cosi vanno,
Come tu vedi omai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.
2. 3. bene «me 124. Riguarda bene omai si com' io vado
127. Lo moto e la virtù dei santi giri.
Come dal fabbro 1' arte del martello.
Dai beati motor convien che spiri.
130. E il ciel, cui tanti lumi fanno bello.
Dalla mente profonda che lui volve
Prende l' image, e fassene suggello.
133. E come Y alma dentro a vostra polve
Per differenti membra, e conformate
A diverse potenze, si risolve;
136. Così r intelligenza sua bontate
Multiplicata per le stelle spiega.
Girando se sopra sua unitate.
117. Da lui dÌBtrfttte — 119. La distincion - 131. Della mente » 138. Girandosi sopra
A. m. C. D. Ri.-
a me
B. C. D. Per r»-
1. Per esto loco Per qucsto loco al ver che tu disiri, ' i^ -i^
cbe dìs.
Sì che poi sappi sol tener lo guado.
A, \. sol poi •■arr-
A. 2. a D. liti
A. 2. r\ Dai Tfrar
D. 1. Uuto Icr.
U. sua vaili u'
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PARADISO U. 139-148.
(macchie della luna.)
493
1. 2. ohe r avviva
139. Virtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo eh' eli* avviva.
Nel qual, si come vita in voi, si lega.
142. Per la natura lieta onde deriva,
La virtù mista per lo corpo luce.
Come letizia per pupilla viva.
145. Da essa vien ciò che da luce a luce
Par differente, non da denso e raro:
Essa è formai principio che produce,
148. Conforme a sua bontà, lo turbo e il chiaro.
B. C D. che r avviva
A. 2. lì. r. D. vita in lui
A. è il fonnal priuc.
141. In lui , sì come — 148. a sua bontade il t. — torbo
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CANTO TERZO
. profferir
. 2. 3. visione apparve
CotAl vidi più
i^uel sol, che pria d' amor mi scaldò il petto,
Di bella verità m' avea scoperto,
Provando e riprovando, il dolce aspetto;
4. Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto quanto si convenne.
Levai lo capo a proferer più erto.
7. Ma vision m' apparve, che ritenne
A se me tanto stretto per vedersi.
Che di mia confession non mi sovvenne.
10. Quali per vetri trasparenti e tersi,
0 ver per acque nitide e tranquille,
Non sì profonde che i fondi sien persi,
13. Tornan dei nostiì visi le postille
Debili si, che perla in bianca fronte
Non vien men tosto alle nostre pupille;
16. Tali vid' io più facce a parlar pronte,
Perch' io dentro all' error contrario corsi
A quel eh' accese amor tra l' uomo e il fonte.
A. 2. B. a D. Levai *!
capo
A. 2. B. C. D. visione
apparve
D. 1. per la bianca fr.
D. Non vien men forte
fì. D. CoUl - B. vidi
più — A. m. C. ap-
parir pronte
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496
LUNA. INCOSTANTI.
l'irCARDA DONATI.
1. E non i^li TÌdi
1. 2. pucril quote)
I. 2. 3. Che la ver.
PARADISO in. 19 — 42.
19. Subito, si coin' io di lor m' accorsi,
Quelle stimando specchiati sembianti,
Per veder di cui fosser, gli occhi torsi;
22. E nulla vidi, e ritorsili avanti
Dritti nel lume della dolce guida.
Che sorridendo ardea negli occhi santi.
25. Non ti maravighar per eh' io sorrida.
Mi disse, appresso il tuo pueril coto,
Poi sopra il vero ancor lo pie non fida,
28. Ma ti rivolve, come suole, a voto.
Vere sustanzie son ciò che tu vedi,
Qui rilegate per manco di voto.
31. Però parla con esse, ed odi, e credi;
Che la verace luce che le appaga
Da se non lascia lor torcer li piedi.
34. Ed io air ombra, che parca più vaga
Di ragionar, drizza'mi, e cominciai.
Quasi com' uom cui troppa voglia ismaga:
37. 0 ben creato spirito , che a' rai
Di vita eterna la dolcezza senti.
Che non gustata non s' intende mai;
40. Grazioso mi fia, se mi contenti
Del nome tuo e della vostra sorte.
Ond' ella pronta e con occhi ridenti:
B. E nolli vidi
A. subrìdendo
A. subrida
A.m. C. Z*. Chcfc.?n
Am anrora il pc?
A. 2. B. D. che lì j
D. Di sé
A. Ond" io
B. D. spirto
A, non 6i sente r^
19. Di subito , com* io — 2B. ti rivoWi , come suoli — 30. Quivi legate — 33. torcere ì piedi
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LUKA. INCOSTANTI. PARADISO III. 43 — 66. PICCARDA DONATI. 497
43. La nostra carità non serra porte
A giusta voglia, se non come quella
Che vuol simile a se tutta sua corte.
46. Io fui nel mondo vergine sorella;
1. 2. 3. ben mi rigu. E sc la mcutc tua ben si riguarda , /?. ben te ngn.
Non mi ti celerà V esser più bella,
49. Ma riconoscerai eh' io son Piccarda,
Che, posta qui con questi altri beati,
. 2. 3. son nella sp. Bcata souo In la spera più tarda.
52. Li nostri aflfetti, che solo infiammati
Son del piacer Son ucl placcr dcUo Spirito Santo,
2. 3. ord. formati Lctiziau dcl su' ordluc informati. a. 2. /?. e. d. ordine
formati
55. E questa sorte, che par giù cotanto,
Però n' è data , perchè fur negletti a. Però «on d«ta
Li nostri voti, e vóti in alcun canto.
58. Ond' io a lei: Ne' mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino.
Che vi trasmuta dai primi concetti.
61. Però non fui a rimembrar festino,
Ma or m' aiuta ciò che tu mi dici.
Si che raffigurar m' è più latino.
' 64. Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
Desiderate voi più alto loco
Per più vedere, o per più farvi amici?
44. A giusto prego — 47. ben sé riguarda — 51. sono alla spera — 54. dal sa' ordine — GO. Clie vi tramuta — 63. Si che '1 raffìg.
III. 63
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496
LUNA. INCOSTANTI.
PARADISO in. 67—90.
L. 2. 3. in cantate
1. 2. form. ad esso
1. volontà è
1. 2. 3. ella cria — 1. <
che nat
1. 2. etgi la grasia
A. subrise
(GRADI DCLLA BEATITUDINE)
67. Con quelle altr' ombre pria sorrise un poco;
Da indi mi rispose tanto lieta,
Ch' arder parea d' amor nel primo foco:
70. Frate, la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel eh' avemo , e d' altro non ci asseta.
73. Se disiassimo esser più superne,
Foran discordi li nostri disiri
Dal voler di colui che qui ne cerne,
76. Che vedrai non capere in questi giri,
S' essere in carità è qui necesse^
E se la sua natura ben rimiri.
79. Anzi è formale ad esto beato esse
Tenersi dentro alla divina voglia.
Per eh' una fansi nostre voghe stesse.
82. Sì che, come noi sem di sogha in soglia
Per questo regno, a tutto il regno piace,
Com' allo re eh' a suo voler ne invoglia,
85. E la sua volontate è nostra pace;
Ella è quel mare al qual tutto si move
Ciò eh' ella crea e che natura face.
88. Chiaro mi fii allor com' ogni dove
In cielo è Paradiso, e sì la grazia
Del sommo ben d' un modo non vi piove.
B. in carìtatr
B. C, JJ. form. a .
D. Si come n<ù «^-
di — C. sian .
A. 1. Come a quel re '
in suo voi.
B, (\ D. volontà >-
A. t. C. mar dal ../ >
B. Ciò eh* elli - h
D.CTÌM — B. o'-V-
71. Amor di carità — 77. Se esser in car. e' è qui — 84. Come a re » che suo voi. — 85. In la sua voi. ~ 90. D' un somn-.-
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LUNA. IKC08TAKTI.
PARADISO UI. 91 — 114.
PICCABOA DONATI.
499
C. D. eh' un cibo
1. 2. 'à. si chiere
91. Ma si com' egli avvien, se un cibo sazia,
E d' un altro rimane ancor la gola,
Che quel si chiede, e di quel si ringrazia; at. sichiere
94. Così fec' io con atto e con parola.
Per apprender da lei qual fu la tela
1. 2. 3. iuBìno al co Oudc uou trassc infino a co la spola.
97. Perfetta vita ed alto merto inciela
Donna più su, mi disse, alla cui norma
Nel vostro mondo giù si veste e vela,
100. Perchè in fino al morir si vegghi e donna
Con quello sposo eh' ogni voto accetta,
Che caritate a suo piacer conforma.
103. Dal mondo, per seguirla, giovinetta
Fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi,
E promisi la via della sua setta.
1.2. 3. pili eh" a bene 106. Uomini poi, a mal più ch'ai bene usi,
Fuor mi rapiron della dolce chiostra;
1. 2. a Dio lo si sa E Dio si sa qual poi mia vita fusi.
109. E quest' altro splendor, che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s' accende
Di tutto il lume della spera nostra,
112. Ciò eh' io dico di me di se intende:
Sorella fu, e cosi le fu tolta
Di capo r ombra delle sacre bende.
e. Ciò fec* io
B. insino
(\ Perchè fin al m.
A. carità a suo
C. D. al mal — fì.m bene
D, E Dio il sa B. Idio
si sa A. l. Dio sì si sa
92. Ed un altro domanda — 96. trasse fin a co || trasse insino al fin — 100. si vegli e dorma — 103. per seguir la giovin. —
1(>4. « del sao abito — 106. Iddio sci sa — 114. delle sante bende
63*
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500
LUNA. INCOSTANTI.
PARADISO III. 115-130.
CONSTANZA IMPERATRICE.
1. 2. 3. C. suo grado
1. 2. 3. Gostanza
I. 2. 3. Soave
2. noi sofferse
115. Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contra suo grato e contra buona usanza, b.
Non fii dal vel del cor giammai disciolta.
118. Quest' è la luce della gran Constanza, b.
Che del secondo vento di Suave b.
Generò il terzo, e Y ultima possanza.
121. Così parlommi, e poi cominciò: Ave,
Maria ^ cantando; e cantando vanio,
Come per acqua cupa cosa grave.
124. La vista mia, che tanto la seguio,
Quanto possibil fu, poi che la perse,
Volsesi al segno di maggior disio,
127. Ed a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Si, che da prima il viso non soflFerse;
130. E ciò mi fece a domandar più tardo.
e, D. Contr» •
grado
C. D. Gosucuj
C. D. SosTf
D. tanto lei !
E Bcairìre
C. nel mìo *?:
116. Uontr' a suo gr. e contr* a — 119. secondo vanto — 129. Si , che di prima
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CANTO QUARTO
1. liber uom V un si ree.
. 2. Fessi Beatr.
Intra due cibi, distanti e moventi
D' un modo, prima si moma di fame.
Che liber uomo V un recasse ai denti.
4. Sì si starebbe un agno intra due brame
Di fieri lupi, egualmente temendo;
Sì si starebbe un cane intra due dame.
7. Per che, s' io mi tacea, me non riprendo.
Dalli miei dubbi d' un modo sospinto,
Poich' era necessario, ne commendo.
10. Io mi tacea, ma il mio disu* dipinto
M' era nel viso, e il domandar con elio
Più caldo assai, che per parlar distinto.
13. Fé' sì Beatrice, qual fé' Daniello,
Nabuccodonosor levando d' ira.
Che r avea fatto ingiustamente fello,
16. E disse: Io veggio ben come ti tira
Uno ed altro disio, sì che tua cura
Se stessa lega sì, che fuor non spira.
B. 1)' uu modo , pria
D. lib. uom r un si ree.
B. C. D. Fessi Beatr.
B. Sé stesso
8. egualmente sospinto — 12. Più chiaro aasai — 13. qual se Daniello (?)
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502
LUNA. INCOSTANTI.
PARADISO IV. 19-42.
(SEGGIO DEI BEATI.)
19. Tu argomenti: Se il buon voler dura,
La \dolenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura?
22. Ancor di dubitar ti dà cagione.
Parer tornarsi V anime alle stelle,
Secondo la sentenza di Platone.
25. Queste son le question che nel tuo velie
Pontano egualemente; e però pria
Tratterò quella che più ha di felle.
28. Dei Serafin colui che più s' india,
2. 3. sami.eiio Moìsò, Samucl, e quel Giovanni,
1. prender vuoi Qual prcudcr vuoli, io dico, non Maria,
31. Non hanno in altro cielo i loro scanni.
Che quegli spirti che mo t' apparirò.
Ne hanno all' esser lor più o meno anni.
34. Ma tutti fanno bello il primo giro ,
E diflFerentemente han dolce vita.
Per sentir più e men V eterno spiro.
37. Qui si mostraron, non perchè sortita
Sia questa spera lor; ma per far segno
Della celestial eh' ha men salita.
40. Così parlar conviensi al vostro ingegno,
Perocché solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d' intelletto degno.
l. a vostro
C. V aainm
A, Jobanni
B. prender vuoi
A. 1. Che questi spinar!
A.2. B. CD. hi si mi^v
— B. inostram
21. Di meriUr vi scema - 25. Queste son question — 29. Samuele — 30. Che prender vuoli - 35. Ma differentem. — 37. (^n."
si mostran — 39. Della spiritual
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LUNA. INCOSTANTI.
PARADISO IV. 43 — 66.
(animx e stelle.)
503
ì. Gabriello
43. Per questo la Scrittura condiscende
A vostra facultate, e piedi e mano
Attribuisce a Dio, ed altro intende;
46. E santa Chiesa con aspetto umano.
Gabriel e Michel vi rappresenta,
E r altro che Tobia rifece sano.
49. Quel che Timeo dell' anime argomenta
Non è simile a ciò che qui si vede.
Però che, come dice, par che senta.
52. Dice che Y alma alla sua stella riede,
Credendo quella quindi esser decisa-.
Quando natura per forma la diede.
55. E forse sua sentenza è d' altra guisa,
Che la voce non suona, ed esser puote
Con intenzion da non esser derisa.
58. S' egl' intende tornare a queste rote
L' onor dell' influenza e il biasmo, forse
In alcun vero suo arco percote.
61. Questo principio male inteso torse
Già tutto il mondo quasi, si che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
64. L' altra dubitazion che ti commove
Ha men velen, perocché sua malizia
L 3. Non ti potria Nou ti poria mfeuar da me altrove.
nen vciien
JJ. piede e nutuu
B. simile a quel
A. JJ. Jovc
H. men venen
.S5. E forse sua intenzion — 60. In ale. Tcro il suo — 63- a nmninar (?) — stracorae
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504 l'UNA. INCOSTANTI. PARADISO TV. 67 — 90. (volontà k violenza.)
67. Parere ingiusta la nostra giustizia
Negli occhi dei mortali, è argomento
Di fede, e non d' eretica nequizia.
70. Ma, perchè puote vostro accorgimento
Ben penetrare a questa ventate,
Come disiri, ti farò contento.
73. Se violenza è quando quel che paté.
Niente conferisce a quel che isforza,
Non fur quest' alme per essa scusate ;
76. Che volontà, se non vuol, non si ammorza.
Ma fa come natura face in foco.
Se mille volte violenza il torza;
79. Perchè, s' ella si piega assai o poco.
Segue la forza; e cosi queste fero,
1. 2. 3. Potendo Posscudo ritomare al santo loco. a. i. pos&. ru^:
s«nto (?)
2. 3. il lor Toicre 82. Sc fossc stato lor volere intero , /?, a, n lor roi^-
Come tenne Lorenzo in sulla grada,
E fece Muzio alla sua man severo,
85. Così le avria ripinte per la strada
Ond' eran tratte, come furo sciolte;
Ma cosi salda voglia è troppo rada.
88. E per queste parole, se ricolte
V hai come devi, è 1' argomento casso.
Che t' avria fatto noia ancor più volte. b, d. cmu «.. :.
75. per esso scusate — 81. rifuggirne al santo — 82. lor solere
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LUNA. INCOSTANTI.
1. Non V* use. 2. 3. Non
n* use.
1. 2. 3. Perocché 8. al
pr. V. è pr.
B. C. D. Gostanza
B. C. D. cozitra grato
PARADISO IV. 91 — 114. (volontà £ violenza.) 505
91. Ma or ti s' attraversa un altrp passo
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso
Non usciresti, pria saresti lasso. i?. Non n* uscir.
94. Io t'ho per certo nella mente messo,
Ch' alma beata non porla mentire,
Perocch' è sempre al primo vero appresso: ^•^•^- c.^. Pwoochè
"'■■'• *• ^ sempre al pr. vero è pr.
97. E poi potesti da Piccarda udire,
1. 2. 3. Gostanza Chc 1' affeziou dcl vel Constanza tenne,
Si eh' ella par qui meco contradire.
100. Molte fiate già, frate, addivenne
1. • contro a gr. Chc , pcr fugglr pcrigUo , contro a grato
Si fé' di quel che far non si convenne;
103. Come Almeone che di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense.
Per non perder pietà si fé' spietato.
106. A questo punto voglio che tu pense
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Sì che scusar non si posson 1' offense.
109. Voglia assoluta non consente al danno.
Ma consentevi in tanto, in quanto teme,
Se si ritrae, cadere in più affanno.
112. Però, quando Piccarda quello espreme,
Della vogha assoluta intende, ed io
Dell' altra, sì che ver diciamo insieme.
A. 2. C, D. in tanto,
quanto
94. Io t' ho certo - 100. Spesse fiate
111.
(>4
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g06 LUNA. INCOSTANTI. PARADISO IV. 115—138. (verità e dubbio.)
115. Cotal fu r ondeggiar del santo rio,
Ch' usci del fonte ond' ogni ver deriva;
Tal pose in pace uno ed altro disio.
118. 0 amanza del primo amante, o diva,
Diss' io appresso, il cui parlar m' inonda,
E scalda sì, che più e più m' avviva,
1. mi» si prof. 121. Non è r aflFezion mia tanto profonda, a mu « prof.«i.
Che basti a render voi grazia per grazia; i^. » voi render
Ma quei che vede e puote, a ciò risponda. 5. vede e può
124. Io veggio ben che giammai non si sazia
Nostro intelletto, se il ver non lo illustra,
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
127. Posasi in esso, come fiera in lustra,
Tosto che giunto 1' ha: e giugner puoUo;
Se non, ciascun disio SBxébhe frustra.
130. Nasce per quello, a guisa di rampollo,
Appiè del vero il dubbio: ed è natura, a.2. b. cd^ì^r
dubbio
Ch' al sommo pinge noi di collo in collo.
133. Questo m' invita, questo m' assicura,
Con riverenza, donna, a domandarvi
D' un' altra verità che m' è oscura.
1. 2. 3. aoddisfiirvi 136. Io vo* saper se 1' uom può satisfarvi /?. sodisfarvi
Ai voti manchi si con altri beni,
2. 3. st«ier* Ch' alla vostra staterà non sien parvi.
116. Chf uscia — 119. il cui parlar mi monda — 121. Non è la voce mia — 122. Che a render basti grasia a voi — 12B. o^
si Bp. — 131. Appiè del dubbio il vero — 132. pinge il ver di collo
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LUNA. INCOSTANTI. PARADISO IV. 139—142. DANTK E BEATRICE. 507
139. Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
1. 2. 3. con 8i div. Di faville d' amor così divini, b. c. con sì diTini
I. rirtute die - 2. 3. dic , vlnta, mìa virtù diede le reni, />. virtù, diedi b. c.
diedi le r. virtiite die'
142. E quasi mi perdei con gli occhi chini.
141. mia virtù, i' dei le r.
64-
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CANTO QUINTO
io ti fiammeggio nel caldo d' amore
Di là dal modo che in terra si vede.
Si che degli occhi tuoi vinco il valore,
4. Non ti maravigUar; che ciò procede
Da perfetto veder, che come apprende,
1. 2. • bene appreso Cosi nel bcnc apprcsso move il piede.
7. Io veggio ben sì come già risplende
Nello intelletto tuo 1' eterna luce,
Che, vista sola, sempre amore accende;
10. E s' altra cosa vostro amor seduce,
Non è, se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.
13. Tu vuoi saper, se con altro servigio,
Per manco voto, si può render tanto,
ir «.sicuri Che l'anima sicuri di Utigio.
16. Sì cominciò Beatrice questo canto;
E, sì com' uom che suo parlar non spezza.
Continuò così il processo santo:
B. ▼incc '1 vai.
B. bene sì come rispl.
B. C. D. r anima si curi
3. Si che del viso tuo — Si eh' tia degli occhi tuoi vinto — 9. vista solo e sempre || vi sta sola, e sempre — 15. l'an. assicuri
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510 "-^'NA. racosTANTi. PARADISO V. 19 — 42. (voti permutati.)
19. Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
Fesse creando, ed alla sua bontate
Più conformato, e quel eh' ei più apprezza,
22. Fu della volontà la libertate,
Di che le creatiu^e intelligenti,
i. Tutte e sole E tuttc c solc fiiro e son dotate. /?. xnttc e soie
25. Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
L' alto valor del voto , s' è sì fatto ,
Che Dio consenta quando tu consenti;
28. Che, nel fermar tra Dio e Y uomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro,
Tal qual io dico, e fassi col suo atto.
31. Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel eh' hai offerto,
Di mal tolletto vuoi far buon lavoro.
34. Tu se' omai del maggior punto certo ; d. dei primo pumo
Ma, perchè santa Chiesa in ciò dispensa.
Che par contra lo ver eh' io t' ho scoperto , d. eontr» dei ver -
B. cb* i* ho sr<ìT.
37. Convienti ancor sedere un poco a mensa.
Perocché il cibo rigido eh' hai preso
Richiede ancora aiuto a tua dispensa. D.t.óìftuBM
40. Apri la mente a quel eh' io ti paleso ,
E fermai vi entro; che non fa scienza.
Senza lo ritenere, avere inteso.
21. e quel che più — più ▼' appreszA — 36. Che par contrario ai ver || Che p. contra il dover — 41. E fermai dentro — 42. Seu»
lo ritener , r «v. int.
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LUNA. INCOSTANTI.
PARADISO V. 43-66.
(voti permutati.)
43. Due cose si convengono all' essenza
Di questo sacrificio : Y una è quella
Di che si fa, 1' altra è la convenenza.
46. Quest' ultima giammai non si cancella,
Se non servata, ed intorno di lei
Si preciso di sopra si favella;
2. 3. iieccssitoto fu 49. Però necessità fii agli Ebrei
Pur r offerere, ancor che alcuna oflFerta
Si permutasse, come saper dei.
52. L' altra, che per materia t' è aperta,
Puote bene esser tal, che non si falla
Se con altra materia si converta.
55. Ma non trasmuti carco alla sua spalla
Per suo arbitrio alcun, senza la volta
E della chiave bianca e della gialla;
58. Ed ogni permutanza creda stolta,
Se la cosa dimessa in la sorpresa.
Come il quattro nel sei, non è raccolta.
61. Però qualunque cosa tanto pesa
Per suo valor, che tragga ogni bilancia,
Satisfar non si può con altra spesa,
a. Non prendano i 64. Nou prcudan U mortah il voto a ciancia :
aort.
Siate fedeli, ed a ciò far non bieci,
511
. 3. credi stolta
B. Soddisfar
.^c^/fu^jept^ Come Jeptè alla sua prima mancia;
fi. e. D. neceMitato i\i
D, V offerir
fi. che non falla
B. C. D. credi stolta
fi. Soddisfar
fi, prendan 1 mort.
A. in. fed. « acciocché
'1 far non b.
C. Come fu Jepte
D. Come fé* Jepte
50. ancor alcuna offerta — 55. Ma non tramuti — 60. non è ricolta — 64. 11 volto a ciancia
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512 LUNA. INCOSTANTI. PARADISO V. 67—90. (dispensazione DAL VOTO.)
67. Cui più si convenia (licer: Mal feci,
Che, servando, far peggio; e così stolto
Ritrovar puoi lo gran duca dei Greci, 2?. d. puoi u jm
70. Onde pianse Ifigenia il suo bel volto,
1. e folli e savi 2. 3. e E fc' pianger di sé li folli e i savi, /?. di sé i foUi
i f. e i savi
Ch' udir parlar di cosi fatto colto.
73. Siate, Cristiani, a movervi più gravi,
Non siate come penna ad ogni vento,
E non crediate eh' ogni acqua vi lavi.
76. Avete il vecchio e il nuovo Testamento,
E il pastor della Chiesa che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento. z>. vibast. '
vostro
79. Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini siate, e non pecore matte,
1. 2. 3. tra voi di voi S\ chc il Gludco di voi tra voi non rida. /?. e. travoii^
A. fra voi
82. Non fate come agnel che lascia il latte
1. madre semplice Dclla sua madrc , e sempUce e lascivo 5. madre, sf^^
Seco medesmo a suo piacer combatte.
85. Cosi Beatrice a me, com* io scrivo;
Poi si rivolse tutta disiante
A quella parte ove il mondo è più vivo.
1. 2. Lo suo piacere - gS. Lo SUO taccrc c il trasmutar sembiante b. lo suo i.^
1. 2. 8. tramutar g j^ mss »
Poser silenzio al mio cupido ingegno.
Che già nuove questioni avea davante.
73. al moveni'i — 76. il nnovo e il vecchio — 85. com* io iscrivo || com' io vi scrivo || com* io descrivo || rom* io 1 *^
87. ov* è il mondo più v.
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MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO V. 91 — 114.
GIUSTINIANO.
513
1. Come nel segno
C. vidi sì lieta
B. Come nel segno
/?. D. da mia nat.
1. 2, 3. Tra{;gono i pesci
1. Cosi vid' io più
. 2. 3. che di lèi
91. E SI come saetta, che nel segno
Percote pria che sia la corda queta,
Cosi corremmo nel secondo regno.
94. Quivi la Donna mia vid' io si lieta,
Come nel lume di quel ciel si mise,
Che più lucente se ne fé' il pianeta.
97. E se la stella si cambiò e rise,
Qual mi fec' io , che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
100. Come in peschiera, eh' è tranquilla e pura,
Traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori, />. Traggono i pesci
Per modo che lo stimin lor pastura;
103. Si vid' io ben più di mille splendori
Trarsi ver noi, ed in ciascun s'udia:
Ecco chi crescerà li nostri amori.
106. E si come ciascuno a noi venia,
Vedeasi 1' ombra piena di letizia
Nel folgor chiaro che da lei uscia.
109. Pensa, lettor, se quel che qui s' inizia
Non procedesse, come tu avresti
Di più sapere angosciosa carizia;
112. E per te vederai, come da questi
M' era in disio d' udir lor condizioni,
Si come agli occhi mi fur manifesti.
B. Cosi vid' io più
C. Vedrassi
B. C. D. che di lei
B. E parte vederai
C. D. E pur per te
vedrai
102. eh' egli estirain sua past. — 111. Di più udire
III.
65
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514
MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO V. 115—139.
GIUSTINIANO.
1. 2. Da noi
115. 0 bene nato, a cui veder li troni
Del trionfo eternai concede grazia.
Prima che la milizia s' abbandoni,
118. Del lume che per tutto il ciel si spazia
Noi semo accesi: e però, se disii
Di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia.
121. Cosi da un di quegli spirti pii
Detto mi fu; e da Beatrice: Di' di'
Sicuramente, e credi come a Dii.
124. Io veggio ben si come tu t' annidi
Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi,
1.2. 3. Perche' corrusca Pcrch' cì corruscau, sì come tu ridi;
127. Ma non so clii tu sei, ne perchè aggi.
Anima degna, il grado della spera,
1. 2. 3. con gli altrui Chc sì vcla sì mortal con altrui raggi.
130. Questo diss' io diritto alla lumiera
Che pria m' avea parlato, ond' ella fessi
Lucente più assai di quel eh' eli' era.
133. Si come il sol, che si cela egli stessi
1.2.3. quando il caldo Pcr troppa lucc , comc il caldo ha rose
Le temperanze dei vapori spessi;
13(5. Per più letizia sì mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa,
E così chiusa chiusa mi rispose
139. Noi modo che il seguente canto canta.
A. O ben ereato
A. 2. B. a D. I>a LO. -
B. ehìaiir. a ni>
.1. 2. B. r. D. Prrrì. f
corrusca
fì. (\ D. con gli «It-
A. pria area
115. Oh bene è n. — 117. Pr. eh' alla mil. 1" A!>b. - 120. a tuo voler li s. - 125. Nel primo 1. rhe degli o. — 127. chi tu sie - 131. li- '.'-»
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CANTO SESTO
'L Goiitantìn 3. Costantin
3. oli' ella sedino
1. 2. 3. Nello stremo
B. C. J). Costantin
//. Nello stremo
Deutr' «He leggi 2. 3.
D" entr- alle 1.
3. Agahito
Xosciacliè Constantiii V aquila volse
Contra il corso del ciel, che la seijuio
Dietro air antico, che Lavina tolse,
4. Cento e cent' anni e più V uccel di Dio
Neir estremo d* Europa si ritenne,
Vicino ai monti de' quai prima uscio;
7. E sotto r ombra delle sacre penne
Governò il mondo li di mano in mano,
E sì cangiando, in sulla mia pervenne.
10. Cesare fui, e son Giustiniano,
Che, per voler del primo amor eh' io sento,
D' entro le leggi trassi il troppo e il vano; //. ir mtr » ic le5;^M
13. E, prima eh' io all' opra fossi attento.
Una natura in Cristo esser, non piìre.
Credeva, e di tal fede era contento;
16. Ma il benedetto Agapito, che fue
Sommo pastore, alla fede sincera
Mi dirizzò con le parole sue.
A. C. Justiniano
A. C. Credea
D. Agabitn
3. che Lavinia tolse — 11. amor che sento — 12. Fuor alle lcg{;i - 18. Mi ridrizzo
05*
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516
MKRCURIU. AMBIZIOSI.
PARADISO VI. 19-42.
GIUSTINIANO.
1. 2. 3. di spirarmi
1. 2. 3. tutto in lui
1. 2. ma la couUis.
1.2.3. che suo dir era 19. lo gli Credetti, e ciò che in sua fede era
Veggio ora chiaro, sì come tu vedi
Ogni contraddizion e falsa e vera.
22. Tosto che con la chiesa mossi i piedi,
A Dio per grazia piacque d' inspirarmi
L' alto lavoro , e tutto a lui mi diedi.
25. Ed al mio Bellisar commendai V armi,
Cui la destra del ciel fii sì congiunta,
Che segno fu eh' io dovessi posarmi.
28. Or qui alla question prima s' appunta
La mia risposta; ma sua condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta;
31. Perche tu veggi con quanta ragione
Si move contra il sacrosanto segno,
E chi '1 s' appropria, e chi a lui s' oppone.
34. Vedi quanta virtù 1' ha fatto degno
Di riverenza, e cominciò dall' ora
Che Fallante morì per dargli regno.
37. Tu sai che fece in Alba sua dimora
Per trecent' anni ed oltre, infino al fine
Che i tre ai tre pugnar per lui ancora.
1. 2. 3. Sai qud che fé" 40. E srì ch' cì fc' dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia in sette regi.
Vincendo intomo le genti vicine.
B. che 'il suo àa t
2. 3. eli' e' fece
1. 2. Che tre - 1. 2. 3.
a tre
A.2.B.(.D.^i]
B. r. D. tutKi \
B. BellÌBaa
A, B. do\e5><>
.4.2. B.JJ.mÈU'
D. Pallanu
A. 2. eh* el fei-«
B. Alhia
U. Che ire r *Tt
B. Sai quel rh*- :'
24. L' alto valore — 29. ma mia condizioue — 31. tu vedi con questa rag. —
al f. — 'Stè. per lui pugnare ancora
15. d* allora — 37. Tu sai eh' esa4i fé' - >.
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3dERrURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VI. 43 — 66. (prodezze dell' aquila romana.) 517
1. 2. 3. quel che fé*
1. 2. 3. Incontro agli
1. 2. 3. e Deci, e F»bi
43. Sai quel eh' ei fé', portato dagli egregi
1. 2. 3. Po . di che
1. 2. 3. iiisiiio
. 3. oude il Rod.
1. 2. 3. ftaltó il Rub.
Romani incontro aBrenno, incontro a Pirro, />. contr- * Br. econtr*
». p.
I. 2. 3. Farsaglia
E contra gli altri principi e collegi:
46. Onde Torquato, e Quinzio che dal cirro
Negletto fu nomato, i Deci, e' Fabi
Ebber la fama che volontier min-o.
49. Esso atterrò 1' orgoglio degli Arabi,
Che diretro ad Annibale passaro
L' alpestre rocce di che, Po, tu labi.
52. Sott' esso giovinetti trionfaro
Scipione e Pompeo, ed a quel colle,
Sotto il qual tu nascesti, parve amaro.
55. Poi, presso al tempo che tutto il ciel volle
Ridur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il toUe:
58. E quel che fé' da Varo infino al Reno,
Isara vide ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle onde Rodano è pieno.
61. Quel che fé' poi eh' egli usci di Ravenna,
E saltò Rubicon, fu di tal volo
Che noi seguiteria Ungua ne penna.
64. In ver la Spagna rivolse lo stuolo;
Poi ver Durazzo, e Farsalia percosse
Sì, eh' al Nil caldo si sentì del duolo, x
A. 2. fì. C. Incontro agli
e. e Deci
A. 2. drietrt»
H, JJ. Po. di che C. di
che poi
D. Sott' esso i giov.
B. appresso '1 tempo
JJ. dal Varo — B. insino
C. D. onde '1 Rodano
/y. Farsaglia
B. C. sentì si del duolo
47. e ! Deci - 52. Sott* esso i giovan. — 58. E quel eh* ei fé* — infino a Reno — 63. Che non seguit. — GB. Sì, che il Nil
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518
MERCURIO. AMBIZIOSI.
1. Tolemeo
PARADISO VI. 67 — 90. (prodezze dell' aquila romana.)
67. Antandro e Siinoenta, onde si mosse,
Rivide, e là dov' Ettore si cuba, a. dovt fau^t
E mal per Tolommeo poi si riscosse:
1.2.3. Da onde yenne- 70. Da iiidi scesc folgoraiido a Juba;
1. 2. 3. Giuba
1. 2. 3. Poi si riv.
1. 2. 3. quel rhe fé'
1. 2. Modoua - 1. 2. 3.
fu dol.
1. 2. 3. inaino
1. 2. 3. Giaiu»
Poscia si volse nel vostro occidente,
Dove sentia la Pompeiana tuba.
73. Di quel eh' ei fé' col baiulo seguente,
Bruto con Cassio nello inferno latra,
E Modena e Perugia fé' dolente.
7(). Piangene ancor la trista Cleopatra,
Che, fuggendogh innanzi, dal cohibro
La morte prese subitana ed atra.
79. Con costui corse hifino al lito rubro;
Con costui pose il mondo in tanta pace.
Che fu serrato a Jano il suo delubro.
82. Ma ciò che il segno che parlar mi face
Fatto avea prima, e poi era fatturo
Per lo regno mortai, eh' a lui soggiace,
85. Diventa in apparenza poco e scuro.
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro e con affetto puro;
88. Che la viva giustizia che mi spira
Gli concedette, in mano a quel eh' io dico,
Gloria di far vendetta alla sua ira.
A. 1. (i) A. n. \r'
sì si risr.
B, Da ondf ^ti.u
B. Giuba
A. 2. B. C Pr.i ^: r
r. Ovi
B. quel che iV
r*. />. Modoua .i>:
- A. Pcn-.J
B. (viaiit.
A. D. sultctM'
G9. poscia si srosse — 70. D' indi discese || Indi disc. || Da onde uscì — 71. Onde si volse — 73. col bailo seguente (?) — 76. P.& *
77. Che . veggeudol , innanzi dal col. — 78. Prese la morte — 79. in fine a lito — 87. con aspetto puro
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MERCURIO. AMBIZIOSI. PARADISO VI. 91 — 114. (prodezze DBLL' AQUILA ROMANA.) 519
91. Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replico: i>.t' ammira a ciò
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
94. E quando il dente Longobardo morse
La santa Chiesa, sotto alle sue ali d. sotto le sue
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
97. Omai puoi giudicar di quei cotali,
2. 3. de* lor falli Ch' io accusal di sopra, e di lor falli,
2. 3. tutti i vostri Che son cagion di tutti vostri mali.
100. L'uno al pubblico segno i gigli gialli r. teguogigii
Oppone, e T altro appropria quello a parte,
2. 3. Si eh- h forte a Sì chc fortc a veder è chi più falli. ^- ^ sì eh* è forte a
vcd. qual più si f. ^*^^- «^" P^" »^ *'•
103. Facciali li Ghibellin, faccian lor arte
Sott' altro segno; che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte:
106. E non V abbatta esto Carlo novello
Coi Guelfi suoi, ma tema degli artigli
Ch' a più alto leon trasser lo vello.
109. Molte fiate già pianser li figli
Per la colpa del padre, e non si creda
:. 3. larmi Chc Dio trasmutl 1' arme per suoi gigh. r- <■• o.v^Tmi
112. Questa picciola stella si correda .4. e. piccola
>a- buoni Dei buoni spirti , che son stati attivi a. 1. (?) r. m buoni
Perchè onoro e fama li succeda;
91. f ammira iu c|uel ^ 101. Opp. , e quel s* appr. 1' altro — 102. Si che forte è a ved. — 103. Faccian i Ghib. — 105. Sempre che
iiiì*t- — 109. Spesse fiate - piansero i figli - IH. pe* suoi gigli
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520
MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VI. 115-138.
1. 2. 3. Quinci
1. 2. 3. fanno dolci
2. 3. margherite
1. 2. 3. ^andr e bella
1. 2. 3. reina
2. 3. Berlinghieri
115. E quando li disiri poggiai! quivi
Si disviando, pur convien che i raggi
Del vero amore in su poggin rnen vivi.
118. Ma, nel commensurar dei nostri gaggi
Col merto, è parte di nostra letizia,
Perchè non li vedem minor ne maggi.
121. Quindi addolcisce la viva giustizia
In noi r affetto sì, che non si puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
124. Diverse voci fan giù dolci note;
Cosi diversi scanni in nostra vita,
Rendon dolce armonia tra queste rote.
127. E dentro alla presente margarita'
Luce la luce di Romeo, di cui
Fu r opra bella e grande mal gradita.
130. Ma i Provenzali che fer contra lui
Non hanno riso, e però mal cammina
Qual si fa danno del ben fare altiiii.
133. Quattro figlie ebbe, e ciascuna regina,
Ramondo Beringhieri, e ciò gli fece
Romeo persona umile e peregrina;
136. E poi il inosser le parole biece
A domandar ragione a questo giusto,
Che gli assegnò sette e cinque per diece.
B. Quinri
A. 1. (?) B. fiJi
/?. grande f t-* -
/?. gr. bflUt .
v«.2.ProTÌn2.A:f-
B, Pr..ci*i b :
- R. CI) '
B. r. l). rem»
B. Ih Bering «"
C. Berli :.-; -
V. poi lo XD ■**
D. inoi*«i
115. li disir poggiano — 118. di nostri gftggi — 121. Quivi adolesce — 126. Romeo, da cui — 132. Qual fa danno - - "«^
d' altrui II del ben faY ad altrui — 134. Raimondo
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MBRCURio. AMBIZIOSI. PARADISO VI. 139—142. ROMEO. 521
139. Indi partissi povero e vetusto;
E se il mondo sapesse il cor eh' egli ebbe
Mendicando sua vita a firusto a frusto,
142. Assai lo loda, e più lo loderebbe.
140. E se il mondo il sapesse
III. 66
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CANTO SETTIMO
2. 3. niAlahoth
2, 3. per B e per ICE
ijsanìia sanctiùs Deus Sabaoth^
SuperiUustrans claritate tua
Felices ignes horum malacoth!
4. Cosi, volgendosi alla nota sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza,
Sopra la qual doppio lume s' addua:
7. Ed essa e T altre mossero a sua danza,
E, quasi velocissime faville,
Mi si velar di subita distanza.
10. Io dubitava, e dicea: Dille, dille,
Fra me, dille, diceva, alla mia donna
Che mi disseta con le dolci stille;
13. Ma quella riverenza che s' indonna
Di tutto me, pur per BE e per ICE,
Mi richinava come Y uom eh' assonna.
16. Poco sofferse me cotal Beatrice,
E cominciò, raggiandomi d'un riso
Tal, che nel foco farla V uom felice:
A. Sabbaoth
D. malaoth B. malahoih
A. 2. C. malachoth
D. m. alla rota sua
C. D. viso a me veder
C. D. t. Mi si levar
A. 1. per B e per ICE
D. richiamava C. ri-
chiama
6. lume 8* indua — 12. Che mi disseti — 17. ragionando d' un riso — 18. saria Y uom fel.
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524 MERCURIO. AMBIZIOSI. PARADISO VII. 19 — 42. (mistero della redenzione.)
19. Secondo mio infallibile avviso,
Come giusta vendetta giustamente
1.2. 3. Puniu fosse, t'hai Veugiata fosse, t* ha in pensier miso; b.d.^^ulu^^
22. Ma io ti solverò tosto la mente:
E tu ascolta, che le mie parole
Di gran sentenza ti faran presente.
25. Per non sofirire alla virtù che vuole
Freno a suo prode, queir uom che non nacque,
Dannando se, dannò tutta sua prole;
28. Onde 1' umana specie inferma giacque
Giù per secoli molti in grande errore,
Fin eh' al Verbo di Dio di scender piacque,
31. U' la natura, che dal suo fattore
S' era allungata, unio a se in persona b. «ii«ngi.ui-:
Con r atto sol del suo etemo amore.
1.2.3. a quel che si rag. 34. Or drizza il viso a quel eh' or si ragiona:
Questa natura al suo Fattore unita,
Qual fii creata, fu sincera e buona;
1. 2. 3. se stessa pur fu 37. Ma pcr sc stcssa fu ella sbandita a. 2. b. c. u -
fu - D f».
Di Paradiso, perocché si torse
Da via di verità e da sua vita. j. /. Da.Nu.ò
40. La pena dunque che la croce porse,
S' alla natura assunta si misura,
Nulla giammai sì giustamente morse;
19. Secondo 'l mio — ineffabile av^'. — 24. ti sarau presente — 30. discender piacque — 31. E la natura — 33. rattorti. -
37. fu pure sbandita || fu pur isbandita
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MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VII. 43-66.
(mistero della redenzione.)
525
1. 2. 3. sfavilla
43. E cosi nulla fii di tanta ingiura.
Guardando alla persona che sofferse,
In che era contratta tal natui'a.
46. Però d' un atto uscir cose diverse;
Ch' a Dio ed ai Giudei piacque una morte:
Per lei tremò la terra e il ciel s' aperse.
49. Non ti dee oramai parer più forte,
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia vengiata fu da giusta corte.
52. Ma io veggi' or la tua mente ristretta
Di pensier in pensier dentro ad un nodo,
Del qual con gran disio solver s' aspetta.
55. Tu dici: Ben discemo ciò eh' i' odo;
Ma, perchè Dio volesse, m' è occulto,
A nostra redenzion pur questo modo.
58. Questo decreto, frate, sta sepulto
Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d' amor non è adulto.
61. Veramente, però eh' a questo segno
Molto si mira, e poco si discerné^
Dirò perchè tal modo fii più degno.
64. La divina bontà, che da sé speme
Ogni hvore, ardendo in sé scintilla
Si, che dispiega le bellezze eterne.
e. un modo
A. Ben decerno
C. perchè Iddìo
A. di ciascun, lo cui
D. t, de* mortali, il cui
A. m. B. sfavilla
52. Ma io veggo — 53. Di pena, in pensiero dentro a un nodo — 51. Lo qual — 58. Questo secreto
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526
MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VU. 67-90.
1. diffranc»
1. 2. 3. di Farad.
1. 2. 3. poteasi
1. 2. 3. per un
(mistxbo dilla rsdkkzione.)
67. Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine, perchè non si move
La sua imprenta, quand' ella sigilla.
70. Ciò che da essa senza mezzo piove
Libero è tutto, perchè non soggiace
Alla viitute delle cose nuove.
73. Più r è conforme, e però più le piace;
Che r ardor santo, eh' ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace.
76. Di tutte queste cose s' avvantaggia
L' umana creatura, e, s' una manca.
Di sua nobilita convien che caggia.
79. Solo il peccato è quel che la disfranca,
E falla dissimile al sommo bene,
Per che del lume suo poco s' imbianca;
82. Ed in sua dignità mai non riviene.
Se non riempie dove colpa vota,
Contra mal dilettar, con giuste pene.
85. Vostra natura, quando peccò tota
Nel seme suo, da queste dignitadi,
Come da Paradiso, fu remota;
88. Né ricovrar poteansi, se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via.
Senza passar per 1' un di questi guadi :
D. Nelle
A, m. i\ D. H-
- D. ti y^
U. E «U»aiJ
r. O. ('ontra . *.
B. r. D. di Pi->
A, (\ polirò» /
B. C. D, prr r
68. Nou ha più fine
90. di questi gradi
9. La sua impronta — 73. però più li piace — 86. Nostra natura
Non ritrovar poi. ■
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MEBCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VII. 91-114.
(mistero della redenzione.)
527
I. discretamente
1. 2. 3. ras^ion
1. 2. ambodue 3. ambedue
1. 2. tanto è più
. 2. per r uno — l. *2.
3. per r Altro
91. 0 che Dio solo per sua cortesia
Dimesso avesse, o che Y uoin per se isso
Avesse satisfatto a sua follia.
94. Ficca mo 1' occhio per entro 1' abisso
Dell' eterno consigUo, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fisso.
97. Non potea Y uomo nei termini suoi
Mai satisfar, per non poter ir giuso
Con umiltate, obbediendo poi,
100. Quanto disobbediendo intese ir suso,
E questa è la cagion per che Y uom fue .
Da poter satisfar per se dischiuso.
103. Dunque a Dio convenia con le vie sue
Riparar 1' uomo a sua intera \ata,
Dico con r una, o ver con ambo e due.
106. Ma perchè 1' opra è tanto più gradita
Deir operante, quanto più appresenta
Della bontà del core ond' è uscita;
109. La divina bontà, che il mondo imprenta.
Di proceder per tutte le sue vie
A rilevarvi suso fu contenta;
112. Ne tra 1' ultima notte e il primo die
Sì alto e sì magnifico processo,
0 per r una o per 1' altra fu o fio.
B. Dell' et. statuto
fi. D. ragion
A:ì.D. ambed. B. ambod.
C. amend.
B. C. D. tanto è più
D. Dall' operante
A. 2. Delle bontà
A. 2. C. Dì riproc. per
tutte sue
C. o sì magn.
B. O per r uno o per
r altro
91. O che Iddio — 94. Ficca mo gli occhi — 102. da »è disch. — 108. ond* ella è uscita — HI. A rileyarla suso
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528 MBBCURio. AMBIZIOSI. PARADISO VIL 115—138. (crbatube incorruttibili.)
115. Che più largo fii Dio a dar se stesso, ^. fuwdi-
1. 2. 3. In far V uom A fap 1' uoDi sufficìente a rilevarsi, b. d. in (« a
Che s' egli avesse sol da se dimesso. a. i, ches...-.
118. E tutti gli altri modi erano scarsi
Alla giustizia, se il Figliuol di Dio
Non fosse umiliato ad incarnarsi.
121. Or, per empierti bene ogni disio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco,
Perchè tu veggi li così com' io.
1.2. 3. Io veggio l'aere 124. Tu dici I lo VCggiO 1' aCqUa, io veggio il foco, ^. C.Io.e^
1.2. 3. i/«oqii»ei*t. , U aer, e la terra, e tutte lor misture /?. r.Lar..»
Venire a corruzione, e durar poco;
127. E queste cose pur fur creature; ^imr^rr-
Per che, se ciò eh' ho detto è stato vero,
1. 2. 3. iiovTian Esscr dovrlcn da corruzion sicure. b. v.^^t ^ -
130. Gli Angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu sei, dir si posson creati,
Sì come sono, in loro essere intero;
133. Ma gli elementi che tu hai nomati,
E quelle cose che di lor si fanno,
Da creata virtù sono informati.
136. Creata fu la materia eh' egU hanno,
Creata fu la virtù informante
In queste stelle, che intomo a lor vanno. />. intere..
115. a far se stesso - 116. Per far 1* nom - 117. Che se gli — 121. E per emp. — empirti - 122. a (iìchiann. -
cose fiirnn cr. — 128. se ciò eh' è detto — 132. Si com* e' aono — 136. Di ereata virtù — 138. Da queste stelle
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MERCURIO. AMBIZIOSI.
PARADISO VII. 139 — 148. (creature incorruttibili.)
529
. 2. 3. Di compi.
1. 2. 3. nostra viu
139. L' anima d' ogni bruto e delle piante
Da complession potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante.
142. Ma vostra vita senza mezzo spira
La somma beninanza, e la innamora
Di se, si che poi sempre la disira.
145. E quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come r umana carne fessi allora,
148. Che li primi parenti intrambo fensi.
B. D. Di compi.
B. nostra vita
C. J). Nostra reaurr.
140. Di complessione — 141. il moto dalle luci — 143. benignanza — 144. Di sé poi si, che sempre — 148. intrambi
ni.
67
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CANTO OTTAVO
2. 3. Di sacrifici
2. Questa per m.
che sedette
^olea creder lo mondo in suo pendo
Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
4. Per che non pure a lei facean onore
Di sacrificio e di votivo giìdo
Le genti antiche nell' antico errore;
7. Ma Dione onoravano e Cupido,
Quella per madre sua, questo per figlio,
E dicean eh' ei sedette in grembo a Dido;
10. E da costei, ondalo principio piglio,
Pigliavano il vocabol della stella
Che il sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
13. Io non m' accorsi del salire in ella;
Ma d' esservi entro mi fece assai fede
La Donna mia, eh' io vidi far più bella.
16. E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si discerne.
Quando una è ferma e V altra va e riede;
A. 2. B. C. Di sacrifici
D. h" antiche genti
A. 2. Ma Dydone -
D. adoravano
A. B. C. Questa per
madre
D. Prende vano
D. mi fé' asbai
A. 2. B. D. ed altra
1. Solia creder — 18. m* accorsi di salire
67'
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A.'ì. B.C.D.ri^ìetm
532 >KNER£. AMOROSI. PARADISO Vili. 19 — 42. CARLO MARTELLO.
19. Vili' io in essa luce altre lucerne
Moversi in giro più e men correnti,
i. 2. 3. viste eterne Al inoclo , crcclo , dì lor viste interne.
22. Di fredda nube non disceser venti,
0 visibili o no, tanto festini,
(Jhe non paressero impediti e lenti
25. A chi avesse quei lumi divini
2. 3. Veduto Vcdutl a noi venir, lasciando il giro
i. ku altri serat. Pria comiuciato in gli alti Serafini.
1. 2. 3. E.iieMo 28. E dentro a quei che più innanzi apparirò, i?. e dietro
Sonava Osanna sì, che unque poi
Di riudir non fui senza disiro.
31. Indi si fece 1' un più presso a noi,
E solo incominciò: Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
34. Noi ci volgiam coi principi celesti
1. 2. 3. i>u..Kiro.d,in D' uu giro , c d' uu girare, e d'una sete, /?./;.D«u«iro.da,r
girar
1. 2. 3. t«i nel momh. Al quali tu dcl inoiido già dicesti:
37. Voi che intendendo il terzo del movete;
E sem sì pien d' amor che, per piacerti.
Non fia men dolce un poco di quiete.
40. Poscia che gli occhi miei si furo offerti
Alla mia Donna riverenti, ed essa
Fatti gli avea di se contenti e certi,
21). Volgersi in giri — 32. E solo comincio
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VENERE. AMOROSI.
PARADISO vili. 43-66.
CARLO MARTELLO.
533
3. Di* chi se' tu
1. Per tu signor
1. 2, 3. Crotona
1. Là dove
43. Rivolsersi alla luce, che promessa
Tanto s' avea, e: Di' chi siete, fue
La voce mia di grande affetto impressa.
46. E quanta e quale vid' io lei far piùe
Per allegrezza nuova che s' accrebbe,
Quand' io parlai, all' allegrezze sue!
49. Così fatta, mi disse: Il mondo m' ebbe
Giù poco tempo; e, se più fosse stato,
Molto sarà di mal, che non sare'bbe.
52. La mia letizia mi ti tien celato.
Che mi raggia dintorno, e mi nasconde
Quasi animai di sua seta fasciato.
55. Assai m' amasti, ed avesti bene onde;
Che, s'io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
58. Quella sinistra riva che si lava
Di Rodano, poi eh' è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m' aspettava:
61. E quel corno d' Ausonia, che s' imborga
Di Bari, di Gaeta e di Catona,
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
64. Fulgeami già in fronte la corona
Di quella terra che il Danubio riga
Poi che le ripe tedesche abbandona;
i\ Hivolsesi
B. Quaudo parlai
D. Molto saria
B. La tua letizia
D. stato, ti mostr.
C. D, Bari , e di G.
A. D. Gaieta
A. I. Da dove
A. già in testa
44. Dir chi siete || Deh, chi siete — 46. E quanto {| Eh quanta || 0 quanta — vidi lei — 48. alle bellezze sue — 49. Così fatta
i>«poi»e : Il m. — 50. se più fossi stato — tì3. Là ove || Da onde — Tronto il Verde || tronco il V. — il verde mare ~ 65. che Danubio riga
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534
VENERE. AMOROSI.
PARADISO vili. 67 — 90.
(re ROBERTO.)
1. da Kolo
1. 2. 3. CArioa più
1. 2. larga Parca
1. 2. 'ó. Ot' ogni
1. aiicho questo caro
67. E la bella Triiiacria, che caliga
Tra Pachino e Peloro, sopra il golfo
Che riceve da Euro maggior briga,
70. Noii per Tifeo, ma per nascente solfo,
Attesi avrebbe li suoi regi ancora,
Nati per me di Carlo e di Ridolfo,
73. Se mala signoria, che sempre accora
Li popoli suggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora.
76. E se mio frate questo antivedesse,
V avara povertà di Catalogna
Già fiiggiria, perchè non gli offendesse;
79. Che veramente provveder bisogna
Per lui, o per altrui, sì eh' a sua barca
Carcata più di carco non si pogna.
82. La sua natura, che di larga parca
Discese, avria mestier di tal milizia
Che non curasse di mettere in arca.
85. Perocch' io credo che T alta letizia
Che il tuo parlar m'infonde, signor mio,
Là 've ogni ben si termina e s' inizia ,
88. Per te si veggia, come la vegg'io,
Grata m' è più, e anco questo ho caro.
Perchè il discerni rimirando in Dio.
A. Trjnaclia
A. B. da Kolo
A. Rodolfo
D. non r offend.
B. C. D. più d mrir
B. Ov* ogni A.'2. <
Dov' ogni
A. si vegga
IJ. anche ho qufsto -
68. sopra at golfo — 71. Accesi avrebbe — 88. come te vegg'io — 90. rimirando Iddio
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VBNBBX. AMOROSI.
2. 3. Si eomf rocca
C mi fai chiaro
.■I. t. B. C. Come esser
può
A. t. dove tieni
A. I. cerchi prandi (?)
e. in la mente
PARADISO Vni. 91 — 114. (pioli dissimili ai padri.) 535
91. Fatto m' hai lieto, e cosi mi fa chiaro,
Poiché, parlando, a dubitar m' hai mosso,
Come uscir può di dolce seme amaro.
94. Questo io a lui; ed egli a me: S' io posso
Mostrarti un vero, a quel che tu domandi
Terrai il viso come tieni il dosso.
97. Lo ben che tutto il regno che tu scandi
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua provvidenza in questi corpi grandi;
100. E non pur le nature provvedute
Son nella mente eh' è da se perfetta.
Ma esse insieme con la lor salute.
103. Per che quantunque questo avco saetta
Disposto cade a provveduto fine,
Sì come cosa in suo segno diretta.
106. Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
Producerebbe si li suoi effetti,
Che non sarebbero arti, ma mine;
109. E ciò esser non può, se gì' intelletti
Che movon queste stelle non son manchi,
E manco il primo che non gli ha perfetti.
112. Vuoi tu che questo ver più ti s* imbianchi?
Ed io: Non già, perchè impossibil veggio
Che la natura, in quel eh' è uopo, stanchi
A, non sarebbono —
r. arte
96. Terrai Io viao - 106. cota a sno segno — 110. movono este stelle - 112. che questo uer — vero più s' imbianchi
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536
VENERE. AMOROSI.
PARADISO Vili. 115-138.
1.2. 3. insino
2. 3. Sf rse
1. 2. 8. dietro
(figli dissimili ai padri.)
115. Ond' egli ancora: Or di', sarebbe il peggio
Per r uomo in terra se non fosse cive ?
Si, rispos' io, e qui ragion non cheggio.
118. E può egli esser, se giù non si vive
Diversamente per diversi offici?
No, se il maestro vostro ben vi scrive.
121. Sì venne deducendo infino a quici;
Poscia conchiuse: Dunque esser diverse
Convien dei vostri eflFetti le radici:
124. Per che un nasce Solone, ed altro Xerse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
Che volando per V aere, il figUo perse.
127. La ch'cular natura, eh' è suggello
Alla cera mortai, fa ben sua arte.
Ma non distingue l' un dall' altro ostello.
130. Quinci addivien eh' Esaù si diparte
Per seme da Jacob, e vien Quirino
Da sì vii padre che si rende a Marte.
133. Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre ai generanti.
Se non vincesse il provveder divino.
136. Or quel che t' era retro t' è davanti;
Ma perchè sappi che di te mi giova.
Un corollario vogUo che t' ammanti.
J}. Ond* ella
A. m. e quei : Ra^'.nr.
B. D. insino
A. 1. (?) B, ▼ostri affrtt
B. C. D. Sene
a e I' altro
B. C. D. dicwo
A. D. eoTfùAmno
118. E punte ei;li esser — 120. ben mi scrive — 124. un nasce Absalon — 131. seme di Jacob — 133. Nat gen. suo ean». —
138. Di un corollario
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VKNERE. AMOROSI.
1. 2. 3. che fu nato
PARADISO Vm. 139—148. (figli dissimili ai padri.)
139. Sempre natura, se fortuna trova
Discorde a se, come ogni altra semente
Fuor di sua region, fa mala prova.
142. E, se il mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natura pone.
Seguendo lui, avria buona la gente.
145. Ma voi torcete alla religione
Tal che fia nato a cingersi la spada,
E fate re di tal eh' è da sermone;
148. Onde la traccia vostra è fuor di strada.
537
A. C. Fuor A di sua ragion
i?. che fu nato
A. l. Sicché la tr. -
D. vostra traccia
199. Natura sempre - 140. Disparì a sé - 144. Seguendo lei - 147. E fatto è re
III.
68
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CANTO NONO
-LJapoichè Carlo tuo, bella Clemenza,
M' ebbe chiarito , mi narrò gì' inganni
Che ricever dovea la sua semenza;
4. Ma disse: Taci, e lascia volger gU anni;
Sì ch'io non posso dir, se non che: pianto
(Giusto verrà diretro ai vostri danni.
7. E già la vita di quel lume santo
Rivolta s' era al sol che la riempie,
2 3. Come a quel Comc qucl bcn eh' ad ogni cosa è tanto,
lo. Ahi, anime ingannate, e fatture empie,
Che da sì fatto ben torcete i cori,
Drizzando in vanità le vostre tempie!
13. Ed ecco un altro di quegli splendori
Ver me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fiiori.
16. Gli occhi di Beatrice, eh' eran fermi
Sopra me, come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato fermi.
R. rliiftrAto
A. m. Ma el disse B. D.
Mi disse — A. \.
lasci» mover
r. D. E «ìà U vista
D. m. nel parer di fuori
7. E gfà la luce — H. Riv. s' era al ben — IO. an. ingann., &tue ed empie — 17. del caro ass. || di chiaro ass.
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540
VENERE. AMOROSI.
PARADISO IX. 19 — 42.
CUNIZZA DA ROMANO.
19. Deh metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, dissi, e fammi prova
Ch' io possa in te rifletter quel eh' io penso.
22. Onde la luce che m' era ancor nuova, /?. m >« gii n^ n
Del suo profondo, ond' ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
25. In quella parte della terra prava
1. 2. 3. intra Riuto Itallca, chc slcdc tra Rialto
E le fontane di Brenta e di Piava, ^. e le »onu..t
28. Si leva un colle, e non surge molt' alto,
j. 2. 3. La onde Là doudc sccsc già una facella, b. c. d u .t>
1.2. 3. auacontr. grande Chc fccc alla coutrada uu grande assalto.
31. D'una radice nacqui ed io ed ella; .4. i. nac^or
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo,
Perchè mi vinse il lume d' està stella. v. deiu steiu
34. Ma hetamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte, e non mi noia,
1. 2. 3. forse parria Chc panala forSC fortC al vostro vulgo. B. forse i»»m-
1. 2. chiara gioia 37. DÌ qucsta luculcnta e cara gioia
Del nostro cielo, che più m' è propinqua.
Grande fama rimase, e, pria che moia,
40. Questo centesim' anno ancor s' incinqua.
Vedi se far si dee 1' uomo eccellente,
Si eh' altra vita la prima relinqua!
21. Si che in' te possa, rifl. che perno ~ 26. Rio alto >- 32. qui rifulgo •
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VENERE. AMOROSI. PARADISO IX. 43—66. CUNIZZA DA ROMANO. 541
43. E ciò non pensa la turba presente,
Che Tagliaxnento ed Adice richiude, a. Athyce
Ne per esser battuta ancor si pente.
46. Ma tosto fia che Padova al palude
2.vincen«« Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, ^. vinceu»»
Per esser al dover le genti crude.
49. E dove Sile e Cagnan s' accompagna, a. sìiw - />. ca^ua
Tal signoreggia e va con la testa alta,
Che già per lui carpir si fa la ragna.
52. Piangerà Feltro ancora la diffalta
Dell' empio suo pastor, che sarà sconcia
Sì, che per simil non s' entrò in Malta.
55. Troppo sarebbe larga la bigoncia
Che ricevesse il sangue Ferrarese,
E stanco clii il pesasse ad oncia ad oncia,
58. Che donerà questo prete cortese.
Per mostrarsi di parte; e cotai doni
Conformi fieno al viver del paese. ^.««10
61. Su sono specchi, voi dicete Troni,
Onde rifulge a noi Dio giudicante.
Sì che questi parlar ne paion buoni.
64. Qui si tacette, e feceini sembiante
Che fosse ad altro volta, per la rota
In che si mise, com' era davante.
44. Adìgf — 49. Silc e '1 Cagnan — s' incompagns — 57. stanco che cercasse
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542
VENKEE. AMOROSI.
PARADISO IX. 67-90.
FOLCO DA MARSIGLIA.
1. 2. 3. sei ale
I. satisfari
1. 2. 3. Tra discord.
67. V altra letizia, che m' era già nota
Preclara cosa, mi si fece in vista a. i. per w* e .>*
Qual fin baiaselo in che lo sol percota.
70. "Per letiziar lassù fulgor s' acquista,
Si come riso qui; ma giù s' abbuia
L' ombra di fiior, come la mente è trista.
73. Dio vede tutto, e tuo veder s' inluia,
Diss'io, beato spirto, sì che nulla
Vogha di se a te puote esser fuia. -*♦ «•- vogha n nr
76. Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
Sempre col canto di quei fochi pii
Che di sei ali fannosi cuculia,
79. Perchè non satisface ai miei disii?
Già non attenderei io tua domanda,
S' io m' intuassi, come tu t' immii.
82. La maggior valle in che 1' acqua si spanda,
Incominciaro allor le sue parole,
Fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
85. Tra i discordanti Uti, contra il sole «. r. z>. Trai
Tanto sen va che fa meridiano
Là dove Y orizzonte pria far suole.
88. Di quella valle fu* io Uttorano,
Tra Ebro e Macra, che, per cammin corto.
Lo Genovese parte dal Toscano. />. p^^ i., ,^
A. 2. Z>. f*nrH. U ■
B. C. faceas !*
/?- V. U. »»ti«5»':
A. come t' ìmrci
eO. Qttal fin baiasse — 75. puote esser buja ~ 78. fatto han la ouc. — 86. Tanto si va
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VENXBK. AMOROSI.
PARADISO IX. 91-114.
FOLCO DA MABSIOLIA.
543
B. D. Rodupea
ì). Fu già da Demof. -
A. B. D. Demofonte
91. Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra, ond' io fui,
Che fé' del sangue suo già caldo il porto
94. Folco mi disse quella gente, a cui
Fu noto il nome mio, e questo cielo
Di me s' imprenta, com' io fei di lui;
97. Che più non arse la figha di Belo,
Noiando ed a Sicheo ed a Creusa,
Di me, infin che si convenne al pelo;
2.3. Rodopea 100. Né quella Rodopeia, che delusa
Fu da Demofoonte, ne Alcide
Quando Iole nel cor ebbe richiusa.
103. Non però qui si pente, ma si ride,
Non deUa colpa, eh' a mente non torna,
!.3.deiTaior,chopd. Ma dcl valorc ch'ordinò e prò vide.
106. Qui si rimira nell' arte che adorna
!. 3. Con tanto affetto Cotauto cfifetto , c disccmesi il bene
t. 3. Perchè al mondo Pcr ChC Ìl mOUdO di SU qUel di giù torna. />. Perch' ai mondo
109. Ma perchè le tue voghe tutte piene
Ten porti, che son nate in questa spera.
Procedere ancor oltre mi conviene.
112. Tu vuoi saper chi è in questa lumiera.
Che qui appresso me cosi scintilla,
Come raggio di sole in acqua mera.
B. (\ U. valor, oh' ord.
B. C. D. Con tanto -
B. D. affetto
92. Buggea si vede - 102. ebbe rinch. — 105. del voler — 106. Perche il modo || Perchè al modo — di giù quel di su — 113. qui
o di me
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544 VKNERE. AMOROSI. PARADISO IX. 115—138. RAAB.
115. Or sappi che là entro si tranquilla d. che q.» entn»
Raab, ed a nostr' ordine congiunta
2. Diluì Di lei nel sommo grado si sigilla.
1. Di questo 118. Da questo cielo, in cui V ombra s' appunta,
Che il vostro mondo face, pria eh' altr' alma o. i. mondo few
Del trionfo di Cristo fd assunta.
121. Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcun cielo dell' alta vittoria
Che s'acquistò con 1' una e l'altra palma; i>. cbes»o»cc40
124. Per eh' ella favorò la prima gloria
Di Josuè in sulla Terra Santa,
Che poco tocca al papa la memoria.
127. La tua città, che di colui è pianta
Che pria volse le spalle al suo fattore,
E di cui è la invidia tanto pianta, x>. uinr. mttaqnt.
130. Produce e spande il maledetto fiore
Ch' ha dis\iate le pecore e gU agni.
Perocché fatto ha lupo del pastore. a. 2. a n. Pf^r^i :
fatto lopo
133. Per questo 1' Evangelio e i Dottor magni
Son dereUtti, e solo ai DecretaU
Si studia sì, che pare ai lor vivagni.
1. papa e card. 136. A qucsto iuteude il papa e i cardinaU:
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette,
Là dove Gabbriello aperse 1' ah.
119. in pria ch* altr* alma - 123. Ch* ei s* acqu. — 136. int e il papa - 137. Non hanno i lor p. - 138. Gabbrièl || G«bn«lc
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VKNERE. AMOROSI.
PARADISO IX. 139-142.
FOLCO DA MARSIGLIA.
1. 2. 3. cimitero
1. 2. 3. adultero
139. Ma Vaticano, e Y altre parti elette
Di Roma, che son state cimiterio
Alla milizia che Pietro seguette,
142. Tosto Ubere fien dell' adulterio.
545
B. C. D. cimitero
D. Della milizia
D. Uh. tosto - ^. l.
daU- ad. - B. C. JJ.
adultero
III.
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CANTO DECIMO
1. 2. 3. moto ali* altro
fjruardando nel suo figlio con V amore
Che r uno e 1' altro etemalmente spira,
Lo primo ed inefiabile valore,
1. 2. 3. o per occhio 4. Quauto per mente o per loco si gira
Con tanto ordine fé', eh* esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira.
7. Leva dunque, lettor, all' alte rote
Meco la vista dritto a quella parte
Dove r un moto e 1' altro si percote;
10. E lì comincia a vagheggiar nell' arte
Di quel maestro, che dentro a se 1' ama
Tanto che mai da lei 1' occhio non parte.
13. Vedi come da indi si dirama
L' obbliquo cerchio che i pianeti porta,
Per satisfare al mondo che U chiama;
16. E se la strada lor non fosse torta,
Molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
E quasi ogni potenza quaggiù morta.
.. 2. r obblico
J}. r uno all' altro
A, Cotanto ordine
A. 1. (?) A. m. C. I). ehi
ben rim. B. ciò che
V. la vista drìtU
B. D. moto air altro
B, D. V oblieo
8. dritto in quella parte — 10. Elli comincia — 16. Che se la strada
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548
1. 2. 3. dal dritto
SOL£. TEOLOGI.
1. Drietu
2. 8. Che a se ritorce
1. 2. 3. ugui ora
^.2. C. dal dhth
C. Ch* a »r nti.rf
PARADISO X. 19 — 42. dante e beatrice.
19. E se da dritto più o men lontano
Fosse il partire, assai sarebbe manco,
E giù e su, dell' ordine mondano.
22. Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco.
Dietro pensando a ciò che si preliba,
S' esser vuoi lieto assai prima che stanco.
25. Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;
Che a se torce tutta la mia cura
Quella materia ond' io son fatto scriba.
28. Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo imprenta, x>. dei ciei i .«. :
E col suo lume il tempo ne misura,
31. Con quella parte che su si rammenta
Congiunto, si girava per le spire
In che più tosto ognora s' appresenta.
34. Ed io era con lui; ma del salire
Non m' accors' io, se non com' uom s' accorge.
Anzi il primo pensier, del suo venire:
A. 2. B. C D. I
- B.r.D>
i.EBcatr.2 3.ohBeatr. 37. È Beatrìcc , qucUa che si scorge
- 1. 2. 3. si scorge
Di bene in meglio, sì subitamente
1. 2, 3. sporge, Chc 1' atto SUO per tempo non si sporge.
1.2. 3. lucente! 40. Quaut' csscr convenia da se lucente
Quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,
2. 3. parxcnt*. Nou pcr color, ma per lume parvente!
19. Che se dal dritto — 21. E su e giti — 32. girava con le spire — 33. ogni ora l' appreseuta — 37. Eh Beatrice (?) -
quella , clic si — ((uella che mi scorge — 41. Che quel . eh* era entro al sole ov* io
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DANTS E BSATBICE,
SOLE. TSOLOOi. PARADISO X. 43 — 66.
i. 3. lo i.,«. e 1 «rte 43. Perch'io lo ingegno, l'arte e l'uso chiami,
Sì noi direi che mai s' immaginasse,
Ma creder puossi, e di veder si brami.
46. E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza, non è maravigUa,
Che sopra il sol non fu occhio eh' andasse.
49. Tal era quivi la quarta famiglia
Dell' alto padre che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia.
. 2. 3. omiuciò 52. E Beatrice incominciò : Ringrazia,
Ringrazia il sol degli Angeli, eh' a questo
Sensibil t' ha levato per sua grazia.
55. Cor di mortai non fii mai sì digesto
A devozione, ed a rendersi a Dio
Con tutto il suo gradir cotanto presto,
58. Com' a quelle parole mi fec' io ;
E sì tutto il mio amore in lui si mise.
Che Beatrice eclissò nell' obbho.
61. Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
Che lo splendor degli occhi suoi ridenti
Mia mente unita in più cose divise.
64. Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro e di se far corona.
Più dolci in voce che in vista lucenti.
549
A. % C. lo ing. e 1' arte
A. 2. B. C. D. cominciò
D. Non li disp.
57. Con tutto il suo gridar — 59. E se tutto — 63. in più pensier divise — 66. in voci
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550 ^^^^' TEOLOGI. PARADISO X. 67—90. Thomas d' AQumo.
67. Cosi cinger la figUa dì Latona
Vedem tal volta, quando 1' aere è pregno x2.qn«Hrer»^
Sì, che ritenga il fil che fa la zona.
1. 2. 3. dond- io 70. Nella corte del ciel, ond' io rivegno, A/^.dopdio
Si trovan molte gioie care e belle a sì troT.i
Tanto, che non si posson trar del regno,
73. E il canto di quei lumi era di quelle; xi. ieutiO) -.
eran (?)
Chi non s' impenna sì, che lassù voli,
Dal muto aspetti quindi le novelle.
76. Poi, sì cantando, quegli ardenti soU
Si fiir girati intomo a noi tre volte,
1. ai fissi p. Come stelle vicine ai fermi poli, z?. rie. .remi p
B. ai iasi pc
79. Donne mi parver, non da ballo sciolte.
Ma che s* arrestin tacite , ascoltando
Fin che le nuove note hanno ricolte. ^ i. lenoTc
82. E dentro all' un senti' cominciar : Quando
Lo raggio della grazia, onde s' accende
Verace amore, e che poi cresce amando
85. MultipUcato, in te tanto risplende.
Che ti conduce su per quella scala,
U' senza risaUr nessun discende,
88. Qual ti negasse il vìn della sua fiala
Per la tua sete, in libertà non fora.
Se non com' acqua eh' al mar non si cala.
A. mi. e. D. :. Jt
adei
D. per la S6a s<^
fìB. Si, che ricinga — che la fa zona || che i fa la x. — 72. trar di regno — 77. intomo a me — 83. grasia, in cbe »»f^"
84. amore , ohe — 90. C'Osì com' acqua
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80LB. TEOLOGI.
PARADISO X. 91-114.
ORAZIANO. SALOMONE.
551
91. Tu vuoi saper di quai piante s' infiora
Questa ghirlanda, che intorno vagheggia
La bella donna eh' al ciel t' avvalora.
94. Io fili degli agni della santa greggia.
Che Domenico mena per cammino,
LDu ben U' bcu s' Impiugua se non si vaneggia.
97. Questi, che m' è a destra più vicino,
Frate e maestro fammi, ed esso Alberto
. 2. 3. È di coiogna Fu di Coloiùa, cd io Thomas d'Aquino.
. 2. 3. Se tu di tutti 100. Se si di tutti gli altri esser vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto:
103. Queir altro fiammeggiare esce del riso
Di Grazian , che Y uno e 1' altro foro
Aiutò si che piace in Paradiso.
106. L' altro eh' appresso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fii che, con la poverella,
. 2. 3. n suo tesoro Offcrsc a Santa Chiesa suo tesoro.
109. La quinta luce, eh' è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto il mondo
Laggiù ne gola di saper novella.
112. Entro v' è 1' alta mente u' si profondo
Saper fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo.
2. 3. La^ù n' lia gol»
2. 3. r Alta luce
A. 2. C\ D, Padre e
maestro
A. 2. B. C. D.tàì Col.
- B. C. D. Gologna
D. Girando '1 su
D, il suo tesoro
D. Dentro nell' alta —
B. r alta luce
97. E questi — 96. ed esso è Alberto — 99. Di Colonia — 100. degli altri tutti ~ 101. Diretto al mio p. — 106. che piacque in
I ohe pare in P. — 106. A Santa Chiesa offerse — 111. Laggiù le gola — 112. un si profondo
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552
SOLE. TEOLOGI.
PARADISO X. 115 — 138.
O SOSIO. BOEZIO.
115. Appresso vedi il lume di quel cero
Che, giuso in carne, più addentro vide
L' angelica natura e il ministero.
118. Neir altra piccioletta luce ride
1. 2. 3. templi crist. Quell' avvocato dei tempi cristiani,
i.Agu«tin2.3. ARostin Del cuì latluo Augustiu si provvide.
121. Or, se tu r occhio della mente trani
Di luce in luce, dietro alle mie lode,
Già dell' ottava con sete rimani.
124. Per vedere ogni ben dentro vi gode
L' anima santa, che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
127. Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
Giuso in Cieldauro, ed essa da martiro
E da esilio venne a questa pace.
130. Vedi oltre fiammeggiar 1' ardente spiro
D'Isidoro, di Beda, e di Riccardo
Che a considerar fii più che viro.
133. Questi, onde a me ritoma il tuo riguardo,
E il Ixune d' uno spirto , che in pensieri
Gravi, a morir gli parve venir tardo.
136. Essa è la luce etema di Sigieri
Che, leggendo nel vico degli strami.
Sillogizzò invidiosi veri.
1. D* bidero
1. 2. a morire - 1. 2. 3-
esser tardo
giù in r C.c^
e. - r. pi •-
vide
B. C. templi rn*
B. Di cui labri -
Agastin
J9. dal marriri
C. Dì Sideru f
2. C. JJ. (^Br£
É U lame «T u
1. Grarì iJ = '
r .
Seggieri
115. Appr. vidi — 119. di tempi crist. — 122. alle melode — 126. a chi da lei — 128. in Cieldoro — \ZL «die i jf^
185. Grave a morir — gli parve a venir tardo
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SOLE. TEOLOGI. PARADISO X. 139 — 148. dante e beatrice. 553
139. Indi come orologio, che ne chiami
Neil' ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perchè 1' ami,
l.i. .3. parte e r altra 142. CllC 1' Una partC l'altra tira ed urge, ^. />. parte e r »ltra
Tin tin sonando con si dolce nota, /?. Tin tin tanUDdo
Che il ben disposto spirto d' amor turge ;
145. Cosi vid' io la gloriosa rota
Moversi, e render voce a voce in tempra e, » render
Ed in dolcezza, eh' esser non può nota,
1. 2. 3. dove il ipoir 148. Sc uou colà dovc gioir s' insempra.
144. Che ben disposto — 145. glor. nota
III. 70
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CANTO DECIMOPRMO
dietro a giura — 1.
amphorismi
, 2. 3. e per sofismi
vJ insensata cura dei mortali,
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter Y ali!
4. Chi dietro a iura, e chi ad aforismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza o per sofismi,
7. E chi rubare, e chi civil negozio,
Chi, nel diletto della carne involto,
S' affaticava, e chi si dava all' ozio;
10. Quando, da tutte queste cose sciolto.
Con Beatrice m' era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
13. Poi che ciascimo fii tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti s' era,
Fermossi come a candellier candelo.
16. Ed io senti' dentro a queUa lumiera,
Che pria m' avea parlato, sorridendo
Incominciar, facendosi più mera:
1). difett i Bill.
A. 1. C. amforismi B.
D. anfor.
D, e per sofismi
D. Chi di rubare
D. ciascun fu ritom.
A. 2. Fermo si C. Fer-
mi sì
3. che fiuiti io abisso ~ 7. E chi in mb., e chi in civ. d. — 10. Quand'io, da tutte — 15. Fermarsi — 16. dentro la lumiera
70*
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556
SOLE. TEOLOGI.
PARADISO XI. 19-42.
(san fbakcesco.)
i. 2. 3. m* accendo 19. Così coih' io dcl SUO raggio risplendo,
Si, riguardando nella luce eterna,
Li tuoi pensieri, onde cagioni, apprendo.
1. 2. 3. chr si riccrn» 22. Tu dubbl, cd hai voler che si discerna
1. 2. 3. e sì dist.
I. iVon nacque
I. in amore
1.2. d'amendue 3. d'am-
bedue
In sì aperta e in si distesa lingua
Lo (licer mio, eh' al tuo sentir si stema,
25. Ove dinanzi dissi: U^ ben s^ impingua ^
E là u' dissi: Non surse il secondo;
E qui è uopo che ben si distingua.
28. La provvidenza, che governa il mondo
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria che vada al fondo,
3L Perocché andasse ver lo suo diletto
La sposa di colui, eh' ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
34. Li se sicura ed anco a lui più fida.
Due Principi ordinò in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida.
37. L' un fii tutto serafico in ardore,
L' altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
40. Dell' un dirò, perocché d' ambo e due
Si dice r un pregiando, qual eh' uom prende,
Perchè ad im fine fiir 1' opere sue.
A. 2. ond« caci'''t.-t •
D. onde rigic
A.'L B.C. f\itiir-
B. C. e si «list.
f\ si srrrna
C. Dorè
A. I. Là 'Te dai
B. C. .\o" w
D. Terso '1 n
A. 2.B.r.D
Ini
J}. foSSOD
A, 2. imbe djf t
ameiidce
21. onde caggion || ond' è cagione (?) — 22. Ta dnbbi. e vaoli a te che — 25. dianzi — 36. li foaser — 37. tanto «fn^***
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80LB. TKOLOOI.
PARADISO XI. 43 -(
(san pbancesco.)
557
1. 2. 3. dal beato
1. monte d' alta rosta
1. 2. 3. greve
1. 2. 3. quella rosta
1. Tirtù alcun
1. 2. 3. E dinanzi
1. 2. 3. Mille e cent* anni
43. Intra Tupino, e 1' acqua che discende
Del colle eletto del beato Ubaldo,
Fertile costa d' alto monte pende,
46. Onde Perugia sente freddo e caldo
Da porta Sole, e diretro le piange
Per grave giogo Nocera con Gualdo.
49. Di questa costa, là dov' ella jfrange
Più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
Come fa questo tal volta di Gange.
52. Però chi d' esso loco fa parole
Non dica Ascesi, che direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
55. Non era ancor molto lontan dall' orto,
Ch' ei cominciò a far sentir la terra
Della sua gran virtute alcun conforto;
58. Che per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corse, a cui, com' alla morte,
La porta del piacer nessun disserra,
61. Ed innanzi alla sua spiritai corte.
Et coram patre le si fece unito;
Poscia di dì in di 1' amò più forte.
64. Questa, privata del primo marito.
Mille cent' anni e più dispetta e scura
Fino a costui si stette senza invito;
B. Del collo
B. monte d* alta costa
— C. prende
B. Perogia
B. D, greve
B. quella costa
(\ Non dica Scesi
B. virtù alcun
A. 2. B. r. D. E dinanzi
44. Dal colle eletto — 47. dietro le piange — 48. Per gr. gioco — 53. Aasesi — 56. Che cominciò - 62. li si fece
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558
SOLE. TEOLOGI.
I. 2. 3. con Cristo aftlse
PARADISO XI. 67-90. (sak prahcesoo.)
67. Ne valse udir che la trovò sicura
Con Amiclate, al suon della sua voce,
Colui eh' a tutto il mondo fé' paura;
70. Ne valse esser costante, ne feroce,
Si che, dove Maria rimase giuso.
Ella con Cristo pianse in sulla croce.
73. Ma perch' io non proceda troppo chiuso ,
Francesco e Povertà per questi amanti b.
Prendi oramai nel mio parlar diffiiso.
76. La lor concordia e i lor lieti sembianti.
Amore e maraviglia e dolce sguardo
1. 2. 3. de- penaier Faccau csscr cagiou di pensier santi;
79. Tanto che il venerabile Bernardo
Si scalzò prima, e dietro a tanta pace
Corse, e correndo gli parv' esser tardo.
82. 0 ignota ricchezza, o ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro,
Dietro allo sposo; sì la sposa piace.
85. Indi sen va quel padre e quel maestro
Con la sua donna, e con quella famigUa
Che già legava 1' mnile capestro ;
88. Ne gli gravò viltà di cor le cigUa,
Per esser fi' di Pietro Bemardone ,
Ne per parer dispetto a maraviglia.
i. 2. 3. ben verace
I. 2. 3. e BcalzMi
B. D. de' pensier
A. retro
B. J). verace
B. D. e sralusi
A, 1. qu. padre, qc =
. ('ostuì eh' a tatto — 70. Non valse -> 74. di questi am. - 7& Faoien esser cag. — 89. esser fio — figlio di Pier Bmardow
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SOLE. TEOLOGI.
PARADISO XI. 91 — 114.
(san psamcbsco.)
559
91. Ma regalmente sua dura intenzione
Ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
Primo sigillo a sua religione.
94. Poi che la gente poverella crebbe
Dietro a costui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del ciel si canterebbe,
97. Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dall' eterno spiro
La santa voglia d' esto archimandrita:
100. E poi che, per la sete del martiro,
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo e gli altri che il seguirò,
103. E per trovare a conversione acerba
1.2.3. u gente, e per Troppo la gcutc, pcr uou starc indarno,
DOD
Reddissi al frutto dell' italica erba; .
2. 3. Tevere 106. Nel CHido sasso , intra Te vero ed Arno,
Da Cristo prese 1' ultimo sigillo ,
Che le sue membra due anni portamo.
109. Quando a colui eh' a tanto ben sortiUo,
Piacque di trarlo suso alla mercede,
1.2.3. Ch'egli acquistò Ch' cì mcritò ucl SUO farsl pusillo,
112. Ai frati suoi, sì com' a giuste erede.
Raccomandò la sua donna più cara,
i.r»mMser con fede E comaudò chc 1' amasscro a fede;
D. realmente
B, Vero sigillo
A. Retro
A. 1. Redissi C. Tor-
nossi
D. tra TcT. — B. Tevere
A. C. Di Cristo
A. 1. di trarlo alla sua
mere.
B. Ch* egli acquistò
B. (\ I). la donna sua
103. Ei per trov. || E per tornare — 110. sn alla mercede — 111. Che meritò — 112. a giusti erede || a giasto er.
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560 SOLE. TKOLOOi. PARADISO XI. 115—139. (domenicani.)
115. E del suo grembo V anima preclara
i. «ivou.. Mover si volle, tornando al suo regno, i?. «voue
1. non voue Ed al SUO corpo non volle altra bara. b. non voue
118. Pensa oramai qual fu colui, che degno
Collega fii a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto segno!
121. E questi fii il nostro patriarca;
Per che qual segue lui, com' ei comanda, />. chi5«j«e
1. 2. 3. buona merce Disccmer puoi chc buouc merce carca.
124. Ma il suo peculio di nuova vivanda
E fatto ghiotto si, eh' esser non puote
Che per diversi salti non si spanda;
127. E quanto le sue pecore remote
E vagabonde più da esso vanno.
Più tornano all' ovil di latte vote.
130. Ben son di quelle che temono il danno,
E stringonsi al pastor; ma son si poche.
Che le cappe fornisce poco panno.
133. Or, se le mie parole non son fioche.
Se la tua audienza è stata attenta.
Se ciò eh' ho detto alla mente rivoche,
136. In parte fia la tua vogUa contenta.
Perchè vedrai la pianta onde si scheggia,
1.2. il corregger 3. E vcdral il corcgglcr che argomenta A.i.veArù-B. 0.^:1
che »' argomenta eonrgger
2. i)u heu » imp. 139. C òeu s^ impiììgKQy se non si vaneggia.
A. 2. r. E « U tua -
(\ D. udienza
116. Partir si volle — 118. chi fu colui || qual fu quei — 121. E questo fu — 122. Però qual segue — qual segui - 135. Sr no "^ '
(1eu<i — 138. K vedrà — al corr. || lo corr. — correggiere (| correggierì || corredar (| correlano — che 1' argumenta
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CANTO DECIMOSECONDO
2. 3. d' uà cerchio
2. 3. quel che rifuse
3. GKunone
^ì tosto come Y ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolse,
A rotar cominciò la santa mola;
4. E nel suo giro tutta non si volse
Prima eh' un' altra di cerchio la chiuse,
E moto a moto, e canto a canto colse;
7. Canto, che tanto vince nostre Muse,
Nostre Sirene, in quelle dolci tube,
Quanto primo splendor quel eh' ei refuse.
10. Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleU e concolori,
Quando Junone a sua ancella iube,
13. Nascendo di quel d' entro quel di fuori,
A guisa del parlar di quella vaga,
Ch' amor consunse come sol vapori;
16. E fanno qui la gente esser presaga,
Per lo patto che Dio con Noè pose,
Del mondo che giammai più non si allaga:
fi. D. d' un cerchio
C. e a canto a e. — A.
1. a canto accolse
B. U. quel che refuse
9. quel che rifluse — 10. Come si veggion — per tenue nube — 15. come il sol — 17. patto che Iddio — 18. più non allaga
III. 71
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562 ^^^^' TEOLOGI. PARADISO XIL 19 — 42. s. Bonaventura.
19. Così di quelle sempiterne rose
Volgeansi circa noi le due ghirlande, /?. voi^dorim.
2. 3. air intima E sì 1' estrcma air ultima rispose.
1.2.3. l'altra festa 22. Polcliè il tiipudio e Y alta festa grande, ^2. b. c.d.:.
festa
Sì del cantare e sì del fiammeggiarsi,
Luce con luce gaudiose e blande,
A. 1. Ins. al par'? -
25. Insieme a punto ed a voler quetarsi, «•• c.^xà^.
quetarsi
Pur come gli occhi eh' al piacer che i move
Conviene insieme chiudere e levarsi,
28. Del cor dell' una delle luci nuove -<• i^*» ^^°^'
Si mosse voce, che Y ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove ; ^ p««' «»• f'
31. E cominciò: L' amor che mi fa bella
Mi tragge a ragionar dell' altro duca, /?. deir aito ,i^.
Per cui del mio sì ben ci si favella.
1. 2. 3. che dov- è r un 34. Degno è che dove 1' un, l'altro s'induca, «.che dover:
che r OD «ìe 'f
Sì che com' elli ad una militaro,
Così la gloria loro insieme luca.
37. L' esercito di Cristo, che sì caro
Costò a riarmar, dietro all' insegna ^' i- • ^aiMr-
retro aU las
1. 2. 3. sospeccioso SÌ movca tardo, suspiccioso e raro; d. sospecpio*
40. Quando lo imperador che sempre regna,
Provvide alla milizia eh' era in forse.
Per sola grazia, non per esser degna; />. Prrser.r
20. Volgìeusi — '2'\. Luce con luci — 26. piacer che move — 27. chiudersi e levarsi — 29. 1' ago la stella — Sii, il ••-'
33. si ci favella — 34. Degno è ben che 1' un e 1' altro — 40. che lassù regna
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SOLE. TSOLOOI.
PARADISO XII. 43 — 66.
I. Il sol
1. 2. 3. C&llaroga
l. 2. A. delle rede
(S. DOMENICO.)
43. E, com' è detto, a sua sposa soccorse
Con due campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccorse.
46. In quella parte, ove surge ad aprire
Zeffiro dolce le novelle fronde,
Di che si vede Europa rivestire,
49. Non molto lungi al percoter dell' onde,
Dietro alle quali, per la lunga foga.
Lo sol tal volta ad ogni uom si nasconde,
52. Siede la fortunata Calaroga,
Sotto la protezion del grande scudo,
In che soggiace il leone, e soggioga.
55. Dentro vi nacque 1' amoroso drudo
Della fede cristiana, il santo atleta.
Benigno ai suoi, ed ai nemici crudo;
58. E come fii creata, fu repleta
Sì la sua mente di viva virtute,
Che nella madre lei fece profeta.
61. Poiché le sponsalizie fur compiute
Al sacro fonte intra lui e la fede,
U' si dotar di mutua salute;
La donna, che per lui 1' assenso diede,
Vide nel sonno il mirabile frutto
Ch'uscir dovea di lui e delle erede;
563
64
v4. 1. Il sol (?)
B. Callaroga D. Caralog«
A. 1. Dentr" ivi (?)
D. come fti creato
C. divina virt A. m. in
divina virt.
.4. Al santo fonte
A. \y s\ dotaro
D. nel sogno — D. mi-
rabil fr.
A. C. delle rede D. di
sue erede
51. ad ognun — 56. il grande atleta — 59. L' anima sua di divina virt. — 60. lui fece prof. — 66. lo mirabil fr. — 66. degli erede
71'
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564
SOLE. TKOLOfìl.
1. 2. 3. Domenico
1. Dirietro
PARADISO XII. 67 — 90. (s. doueuico.)
67. E perchè fosse, quale era, in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto.
70. Dominico fii detto; ed io ne parlo
Sì come deir agricola, che cristo
Elesse all' orto suo per aiutarlo.
73. Ben parve messo e famigliar di cristo;
Che il primo amor che in lui fu manifesto
Fu al primo consiglio che die cristo.
76. Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice.
Come dicesse: Io son venuto a questo.
79. 0 padre suo veramente Felice!
0 madre sua veramente Giovanna,
Se interpretata vai come si dice!
82. Non per lo mondo, per cui mo s' affanna
Diretro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
85. In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se il vignaio è reo;
2. Kdaii*- 1.2. 3. che 88. Ed alla sedia, che già fii benigna
Al già
Più ai poveri giusti, non per lei.
2. 3. siede, e che
Ma per colui che siede, che traligna.
81. come si dice - 83. Dietro ad Ost - 88. alU fede
B. C. D. DomeEt
A. B. Pinrtm
I
A^\n pirro! vr i
A.
alla jiedf - '
fu òk
A. 1. f.\tA'
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SOLE. TEOLOGI.
PARADISO XU. 91 — 114. (s. Domenico.)
91. Non dispensare o due o tre per sei,
1. 2.3. primo racante Non la fortuna dì prima vacante,
Non decimas quae sunt pauperum Dei^
1. 2. 3. centra il mondo 94. Addoffiandò; ma contro al mondo errante
Licenza di combatter per lo seme,
. si fascian Dcl qual ti fasclan ventiquattro piante.
97. Poi con dottrina e con volere insieme
Con r offizio apostolico si mosse,
Quasi torrente eh' alta vena preme,
100. E negli sterpi eretici percosse
L' impeto suo , più vivamente quivi
Dove le resistenze eran più grosse.
103. Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde r orto cattolico si riga.
Si che i suoi arbuscelli stan più vivi.
106. Se tal fii 1' una rota della biga.
In che la santa chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga,
109. Ben ti dovrebbe assai esser palese
L' eccellenza dell' altra, di cui Tomma
Dinanzi al mio venir fii sì cortese.
112. Ma r orbita, che fé' la parte somma
Di sua circonferenza, è derelitta.
Si eh' è la muffa dov' era la gromma.
565
A. 1. (?) D. disp. due
A. 1. a 2. e tre
D. contro il mondo
/>. 1. si fascian - B, D.
venti e qu.
U. Dell' off.
D. i. ti doTT. ornai
r. Innanzi '1 mio venir
91. dispens. e due — ^. incontro al m. — 96. ci fascian — 97. con volere e con dottr. — con valore ina. — 104. Di che 1* orto ~
rriga — 113. Da sua circ.
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566
S«)LE. TEOLOGI.
PARADISO XII. 115-138.
8. BONAVKNTUBA.
115. La sua famiglia, che si mosse dritta
Coi piedi alle sue orme, è tanto volta,
1. 2. 3. dirietro Che qucl dinanzi a quel diretro gitta; i?. dinetro
1.2. 8.8' avvedrà 118. E tosto sì vcdrà della ricolta
Della mala coltura, quando il logho
Si lagnerà che 1' arca gU sia tolta.
121. Ben dico, chi cercasse a fogho a fogUo
Nostro volume, ancor troveria carta
U' leggerebbe: Io mi son quel eh' io soglio.
124. Ma non fia da Casal, ne d' Acquasparta,
Là onde vegnon tali alla scrittura,
1. 2. 3. ch' lino u f. - Che r un la fugge , e Y altro la coarta.
1. 2. e<l altro
127. Io son la vita di Bonaventura
jDa Bagnoregio, che nei grandi offici
Sempre posposi la sinistra cura.
1. AguBtin 2. 3. Agost. 130. lUuminato ed Augustin son quici, /?. e Agu.tn
Che fiir dei primi scalzi poverelh,
Che nel capestro a Dio si fero amici.
133. Ugo da San Vittore è qui con eUi,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano r. z>. Piem >
Lo qual giù luce in dodici libeUi; b.d.u^,^
1. N. prof., il mctr. 136. Natau profeta, e il metropoUtano /?. n. pnf -
Crisostomo, ed Anselmo, e quei Donato b.d.gt'^''
1. 2. 3. poiier mano Ch'alia prlm' artc degnò por la mano; .4.2. «r.;
/>. Che Ity:. -
»on quel <
soslio
(\ t'Iie un U 1 I -
D.Ol LS A -
D. eda.tr>''
117. 11 quel dietro — 121. Ben credo - 123. Du' leggerebbe — 131. soaloi ~~ 132. si fanno am. — 134. Pictrv. (•
137. (Visnst. . Anselmo
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SOLE. TEOLOGI.
1. 2. 3. CalavT.
(ìiovaceh.
PARADISO XII. 139-145.
1. 2. luban è quivi 139. Rabano è qui, e lucemi da lato
2.3. Il Calabrese abate Gioacchino,
Di spirito profetico dotato.
142. Ad inveggiar cotanto paladino
Mi mosse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso, e il discroto latino;
145. E mosse meco questa compagnia.
AB. GIOACCHINO.
567
A. 2. C\ fulgemi da Iato
B. a D. Calavreae ~ C.
Giovacch. A. Joacch.
A. palatino
/>. l. Si mosse
144. Di fra Tom. il discr. lat.
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CANTO DECIMOTERZO
Immagini chi bene intender cupe
Quel eh' io or vidi ( e ritenga Y image ,
Mentre eh' io dico , come ferma rupe)
4. Quindici stelle che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno,
Che soperchia dell' aere ogni compage ;
7. Immagini quel carro a cui il seno
Basta del nostro cielo e notte e giorno,
Si ch'ai volger del temo non vien meno; j?. Fin cv ai voig.
10. Immagini la bocca di quel corno,
Che si comincia in punta dello stelo
A cui la prima rota va dintorno,
Aver fatti 13. Avcr fatto di se due segni in cielo a.2. b. a d. A^er tM
(Qual fece la figliuola di Minoi
Allora che sentì di morte il gielo),
16. E r im nell'altro aver h raggi suoi, .4. i. e r uno air altro
. amenduc 2. amenduo Ed ambO C dUC glrarsl per maniera, e. ambedue J?.Z>.amen-
3. ambedue due
. 2. al primo Chc 1' uuo audassc al prima e 1' altro al poi, b. d. ai primo
2 . Ciò eh' io or v. — 6. dell' arte ogni comp. — 17. ambedui — 18. andasse al pria
Ul. 72
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1. 2. in una susUozia
1. e Tolger
570 SOLE. TEOLOGI. PARADISO XIII. 19 — 42. salo
19. Ed avrà quasi Y ombra della vera
Costellazion, e della doppia danza,
Che circulava il punto dov* io era;
22. Poi eh' è tanto di là da nostra usanza,
Quanto di là dal mover della Chiana
Si move il ciel che tutti gli altri avanza.
25. Li si cantò non Bacco, non Peana,
Ma tre Persone in divina natura.
Ed in una persona essa e V umana.
28. Compiè il cantare e il volger sua misura.
Ed attesersi a noi quei santi lumi.
Felicitando se di cura in cura.
31. Ruppe il silenzio nei concordi numi
1. 2. 3. in che mip. Poscla la lucc , in cui mirabil vita
Del poverel di Dio narrata fumi,
34. E disse: Quando T una paglia è trita,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter 1' altra dolce amor m' invita.
37. Tu credi che nel petto, onde la costa.
Si trasse per formar la bella guancia,
Il cui palato a tutto il mondo costa,
40. Ed in quel che, forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto satisfece.
Che d' ogni colpa vince la bilancia.
1. della lancia
A. Baco -«.?'.
B. in una ^ustiri^
B. e Toteer - J
B. (\ D. in ri.' -
A. sementr
A. Lo fai p»L
23. Quanto quaggiù dal m. — 28. Compiè il eantor —
41. E poscia e pria — 42. vinse la bil.
9. Ed atteser a noi — 35. semenU — 401 E in quello - àfÒA '•
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SOLE. TEOLOGI.
PARADISO Xni. 43—66.
SALOMONE.
571
I. 2. 3. ebbe secondo
1. 2. che si mea
1. 2. 3. che in lor
2. 3. nuove suss.
43. Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso
Da quel valor che 1' uno e V altro fece :
46. E però ammiri ciò eh' io dissi suso ,
Quando narrai che non ebbe il secondo
Lo ben che nella quinta luce è chiuso.
49. Ora apri gli occhi a quel eh' io ti rispondo,
E vedrai il tuo credere e il mio dire
Nel vero farsi come centro in tondo.
52. Ciò che non more, e ciò che può morire,
Non è se non splendor di quella idea
Che partorisce, amando, il nostro Sire;
55. Che quella viva luce che si mea
Dal suo lucente, che non si disuna
Da lui, ne dall' amor che a lor s' intrea,
58. Per sua bontate il suo raggiare aduna,
Quasi specchiato, in nove sussistenze,
Eternalmente rimanendosi una.
61. Quindi discende all'jiltime potenze
Giù d' atto in atto tanto divenendo.
Che più non fa che brevi contingenze;
64. E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, che produce
Con seme, e senza seme il ciel movendo.
A. 1. ammiri a ciò D.
miri ciò
B, ebbe secondo
A. Il ben
C. l). che 8'innea
i>. che in lor
D. bontà
r. specchiati
A. m. Quindi si stende
D. devenendo
E. di ciel mov.
46. miri a ciò — 48. 11 sen che nella — 51. come in centro tondo — 56. qa. vera luce — che si nea — 67. Da lui e dall' amor
72*
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572
SOLE. TEOLOGI.
PARADISO Xni. 67-90.
SALOMONE.
denno
67. La cera di costoro, e chi la duce,
Non sta d' un modo , e però sotto il segno
Ideale poi più e men traluce:
i. •Tviene eh' un me 70. Oud' cgU awicu ch' uu mcdesimo legno,
Secondo specie, meglio e peggio frutta;
E voi nascete con diverso ingegno.
73. Se fosse a punto la cera dedutta,
E fosse il cielo in sua virtù suprema,
La luce del suggel parrebbe tutta;
76. Ma la natura la dà sempre scema,
Similemente operando all' artista,
Ch' ha r abito dell' arte , e man che trema.
79. Però se il caldo amor la chiara vista
Della prima virtù dispone e segna,
Tutta la perfezion quivi s' acquista.
82. Cosi fu fatta già la terra degna
Di tutta r anunal perfezione ;
Così fu fatta la Vergine pregna.
85. Sì eh' io commendo ti\a opinione :
Che r umana natura mai non fue,
Ne fia, qual fu in quelle due persone.
88. Or, s' io non procedessi avanti piùe.
Dunque, come costui fu senza pare?
Comincerebbor le parole tue.
JJ. m. La ipen di txai
- B. D. r «ddutt
D. poi e più
B. avviene eh' un :
desmo
C. tomae ciclo
A. m. La cera del itz.
D. luit layda (li i di
A. Com... bon D. C<*-
bor
68. Non aian d' un m. — 1\. peggio e meglio — 90. Cominciarebben || Convìneerebber
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90LX. TXOLOOi. PARADISO Xm. 91 — 114. Salomone. 573
1.2. 3. ben quel che non 91. Me, perchè paia beii ciò che non pare,
Pensa chi era, e la cagion che il mosse,
1. chieri Quando fu detto: Chiedi, a domandare.
94. Non ho parlato sì, che tu non posse
Ben veder eh' ei fii re, che chiese senno, .4.1. vedere
Acciocché re sufficiente fosse;
97. Non per saper lo numero in che enno a. i. saper ii num.
Li motor di quassù, o se necesse
Con contingente mai necesse fenno;
100. Non, si est dare primum motum esse^
0 se del mezzo cerchio far si puote
Triangol sì, eh' un retto non avesse.
103. Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, x). ci« eh- io dico
3. prudenza è quel ved. Rcgal prudcuza c qucl vedere impari,
In che lo strai di mia intenzion percote.
a. dirizzi 106. E, se al Surse drizzi gli occhi chiari,
Vedrai aver solamente rispetto
le buon Ai regi, che son molti, e i buon son rari. /^ < Airei - v.tw
buon rari
109. Con questa distinzion prendi il mio detto,
E così puote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro diletto.
J3. tifia 112. E questo ti sia sempre piombo ai piedi.
Per farti mover lento, com' uom lasso:
Ed al sì ed al no, che tu non vedi;
91. perchè para — 94. Non è parlato — 96. Intender eh' ei — fu il re — 99. Non contingente — 101. se nel mezzo cerchio (?) —
«t*. .Ai re . che sono molti
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574
SOLI. TBOLOOI.
PARADISO XIIL 115-138.
SALOMONE.
1. 2. 3. Cosi neir un
1. 2. 3. Sabell»
1. Non sian
1. che sian
115. Che quegli è tra gli stolti bene abbasso,
Che senza distinzion afferma o nega,
Neir un così come nell' altro passo;
118. Perch' egl' incontra che più volte piega
L' opinion corrente in falsa parte,
E poi r affetto lo intelletto lega.
121. Vie più che indarno da riva si parte,
Perchè non torna tal qual ei si move,
Chi pesca per lo vero e non ha 1' arte :
124. E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, MeUsso, Brisso e molti
I quali andavano, e non sapean dove.
127. Si fé' SabelUo ed Arrio, e quegU stolti
Che fiiron come spade alle scritture
In render torti li diritti volti.
130. Non sien le genti ancor troppo sicure
A giudicar, sì come quei che stima
Le biade in campo pria che sien mature;
1H3. Ch' io ho veduto tutto il verno prima
II prun mostrarsi rigido e feroce,
Poscia portar la rosa in sulla cima;
136. E legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto suo cammino.
Perire al fine all' entrar della foce.
affenna r l^
A. Perch* fi 3- 1
C. al moihlfi i '
B, SahfKo - .
Arno
B. C. fur r.iiEr i'
.2. fi. r. z/ V
leg.
2. C Lo ?r
le roM
115. Che quello ~ più abbasso — 119. a falsa parte || in altra parte - 125. Melisso e Brìsso — 126. Li quai ~ ^^''
sapevan — 137. tutto il suo camm. — 138. Poscia perir all' entr. — all' entrar nella f.
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80LB. TEOLOGI. PARADISO XIII. 139—142. Salomone. 575
3. e.erM*rt. 139. Noii CFeda donna Berta o ser Martino ^.2. ff.r.i?. e set »urt.
Per vedere un forare, altro oflferere,
Vedergli dentro al consìglio divino; ^. 2. /?. vederlo
142. Che quel può surgere, e quel può cadere.
139. moDn« Berta
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CANTO DECIMOQUARTO
fuori e deatro
Ual centro al cerchio, e si dal cerchio al centro,
Movesi r acqua in un ritondo vaso,
Secondo eh' è percossa fuori o dentro.
4. Nella mia mente fé' subito caso
Questo eh' io dico , sì come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
7. Per la similitudine che nacque
Del suo parlare e di quel di Beatrice,
A cui sì cominciar, dopo lui piacque:
10. A costui fa mestieri, e noi vi dice
Ne con la voce, ne pensando ancora,
D' un altro vero andare alla radice.
13. Ditegli se la luce, onde s' infiora
Vostra sustanzia, rimarrà con voi
Etemalmente sì com' ella è ora;
16. E, se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili rifatti,
Esser potrà eh' al veder non vi noi.
B. fuori e dentro
D. inTÌsibili
2. rotondo — 3. percosso — 9. dietro a lui piacque — 10. non lo dice — 16. ditene com' poi
III. 73
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578 ^^^^' TEOLOGI. PARADISO XIV. 19 — 42. (corpi glorificati.)
19. Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei che vanno a rota,
— - _ ,. . R MoTon la V. - j, I
1. Movoiiiav. Levan la voce, e rallegrano gli atti; «uegran ncgiì r
22. Così air orazion pronta e devota
Li santi cerchi mostrar nuova gioia
Nel tornear e nella mira nota. />. nei volger u ma
25. Qual si lamenta perchè qui si moia.
Per viver colassi! , non vide quive ^.i. non Tede
Lo refrigerio dell' eterna ploia.
28. Queir uno e due e tre che sempre vive ,
E regna sempre in tre e due ed uno.
Non circonscritto, e tutto cii'conscrive,
31. Tre volte era cantato da ciascuno
Di quegU spirti con tal melodia,
Ch' ad ogni merto saria giusto muno.
34. Ed io udi' nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modesta,
1. 2. 3. dell- Angelo Forsc qual fti dall'Angelo a Maria, r. deiiAn^io
37. Risponder: Quanto fia lunga la festa
Di Paradiso, tanto il nostro amore
•2. Si raggerà SÌ raggerà dintorno cotal vesta. a. sì raggerà
1. 2. 3. seguita 40. La sua chiarezza seguirà l'ardore, «.^.seguita
L' ardor la visione, e quella è tanta,
1. 2. 3. sopra suo Quauta ha di grazia sopra il suo valore. A.'2.B.c.i).^vn-
20. Alcuna fiata — 21. La voce movon — le voci — rallegrai! gli atti || rallegranne gli a. — 25. Chi si lamenta — 'li. p»*'* ~
39 diuturno a ootal || deutro a cotal — 42. Quanto ha
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SOLE. TKOLOOi- PARADISO XIV. 43 — 66. (corpi glorificati.) 579
43. Come la carne gloriosa e santa
Fia rivestita, la nostra persona
i.2.ahittaqu. Più grata fia per esser tutta e quanta. a.2. b. c.D.uxtt^qn.
46. Per che s' accrescerà ciò che ne dona e. Per che r «roresc.
Di gratuito lume il sommo bene;
Lume eh' a lui veder ne condiziona:
49. Onde la vision crescer conviene,
Crescer V ardor che di quella s' accende.
Crescer lo raggio che da esso viene.
52. Ma sì come carbon che fiamma rende,
E per vivo candor quella soperchia .
Sì, che la sua parvenza si difende,
55. Così questo fulgor, che già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne
Che tutto dì la terra ricoperchia; ai. tutto u a;
58. Ne potrà tanta luce afFaticame, ^. nò pori
Che gli organi del corpo saran forti
A tutto ciò che potrà dilettarne. /?. che pori r. che porrà
61. Tanto mi parver subiti ed accorti
E r uno e 1' altro coro a dicer: Amme,
Che ben mostrar disio dei corpi morti;
64. Forse non pur per lor, ma per le mamme,
Per li padri, e per gli altri che fiir cari,
Anzi che fosser sempiterne fiamme.
57. la carne ricoperchi» — 58. Non porrà — 63. disio di corpi — 65. che i fur
73'
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580 SALITA A MARTE. PARADISO XIV. 67 — 90. DANTI S BEATRICE.
67. Ed ecco intorno, di chiarezza pari, e. a» ehi^rczz.
Nascere un lustro sopra quel che v' era,
1. 2. 3. A guisa Per guisa d' orizzonte che rischiari. a. 2. b. c. d. a ^m
70. E si come al salir di prima sera
Comincian per lo ciel nuove parvenze,
1. 2. la cos» pare Sì chc la vista parc e non par vera; a.^b.com^o^^^.l^
73. Parvemi li novelle sussistenze
Cominciar a vedere, e fare xm giro
Di fiior dair altre due circonferenze.
76. 0 vero isfavillar del santo spiro,
Come si fece subito e candente
1. 2. 3. noi Boffr. Agli occhi miei che vinti non soffrirò!
79. Ma Beatrice si bella e ridente
1. 2. 3. tr» r altre Mi SÌ ffiostrò, chc tra quelle vedute a trai- altre
Si vuol lasciar che non seguir la mente. a 1. che noi *e«t
82. Quindi ripreser gli occhi miei.virtute
A rilevarsi, e vidimi translato
1. 2. 8. a più alta Sol cou mìa Donna in più alta salute.
85. Ben m' accors' io eh' io era più levato,
Per r affocato riso della stella.
Che mi parca più roggio che 1' usato.
88. Con tutto il core, e con quella favella
Ch' è una in tutti, a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella; .*. e. eon™».
70. 8Ì come a salir — 71. Comincia per lo e. — 75. Di fuor dell' altre — 79. si bella e si ridente — 81. che non segii -^^
rilevarsi
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MARTE. MILITI.
PARADISO XIV. 91 — 114.
DANTE £ BEATBICE
2. min. in maggi
3. quei raggi
2. 3. Che in quella
non 80 veder
91.
581
A. ]. nel mio petto (?)
C. cotanto
A. 2. B. C. JJ.
in maggi
E non er' anco del mio petto esausto
L' ardor del sacrificio, eh' io conobbi
Esso litare stato accetto e fausto;
94. Che con tanto lucore e tanto robbi
M' apparvero splendor dentro a due raggi
Ch' io dissi : 0 EUos che si gli addobbi !
97. Come, distinta da minori e maggi
Lumi, biancheggia tra i poli del mondo
Galassia si, che fa dubbiar ben saggi,
100. Sì costellati facean nel profondo
Marte quei rai il venerabil segno.
Che fan giunture di quadranti m tondo. i>. di quadrante
103. Qui vince la memoria mia lo ingegno;
Che quella croce lampeggiava cristo.
Si eh' io non so trovare esemplo degno.
106. Ma chi prende sua croce e segue cristo.
Ancor mi scuserà di quel eh' io lasso.
Vedendo m queir albor balenar cristo.
109. Di corno in corno, e tra la cima e il basso.
Si movean lumi, scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso.
112. Così si veggion qui diritte e torte,
Veloci e tarde, rinnovando vista.
Le minuzie dei corpi, lunghe e corte,
B. non Bo veder
93. 11 solitario sUto - 97. tra minori — 101. lo venerabil a. - 106. e segui CR. — 108. Veggendo || Udendo — in qucU' arbor
Icnar neU' arbor CR. — 109. Dintorno intomo — in corno, dalla cima al b. — 114. di corpi
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582
MARTE. MILITI.
PARADISO XTV. 115-139.
DANTE E BEATRICE.
1. 2. 3. fan dolce
1. 2. 3. Per iscusarmi
115. Moversi per lo raggio, onde si lista
Tal volta 1' ombra, che per sua difesa
La gente con ingegno ed arte acquista.
118. E come giga ed arpa, in tempra tesa
Di molte corde, fa dolce tintinno
A tal da cui la nota non è intesa,
121. Così dai lumi che lì m' apparinno
S' accogliea per la croce una melode,
Che mi rapiva senza intender Y inno.
124. Ben m' accors' io eh' eli' era d' alte lode.
Perocché a me venia: Risurgi e vinci ,
Com' a colui che non intende ed ode.
127. Io m' innamorava tanto quinci.
Che in fino a li non fu alcuna cosa
Che mi legasse con sì dolci vinci.
IBO. Forse la mia parola par tropp' osa.
Posponendo il piacer degli occhi beUi,
Ne' quai mirando mio disio ha posa.
133. Ma chi s' avvede che i vivi suggelli
D' ogni bellezza più fanno più suso,
E eh' io non m' era lì rivolto a quelli,
136. Escusar puommi di quel eh' io m' accuso
Per escusarmi, e vedermi dir vero:
Che il piacer santo non è qui dischiuso,
139. Perchè si fa, montando, più sincero.
/I.2.r./J. fan dol« •.«!!.
A. <\ V. da lumi
A. C eh" clli er»
A. a Retwyi
B. di ciò ch'io
B. Per iseuaaraii
124. alta lode — 127. Ond' io m' iimam. — 132. mio disio s' ha posa || m. dis. s' apposa || m. dia. si posa — 133. chi La rcde -
134. fanno più souso — 135. non m' era più riv. ~- riv. ad elli — 136. E scasar || E' scusar — 137. e udirmi (| e parermi — 138. Che piarfr ub^^
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CANTO DECIMOQUINTO
. 2. 3. onde s* acc.
-Denigna volontade, in cui si liqua
Sempre V amor che drittamente spira,
Come cupidità fa nell' iniqua,
4. Silenzio pose a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde,
Che la destra del cielo allenta e tira.
7. Come saranno ai giusti preghi sorde
Quelle sustanzie che, per darmi voglia
Ch' io le pregassi, a tacer fur concorde?
10. Ben è che senza termine si dogUa
Chi, per amor di cosa che non dui'i
Eternalmente, queir amor si spoglia.
13. Quale per li seren tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or subito foco,
Movendo gli occhi che stavan sicuri,
16. E pare stella che tramuti loco.
Se non che dalla parte ond' ei s' accende
Nulla sen perde, ed esso dura poco;
C\ in che si liqua
A. 1. Come fa cupidigia
neir in.
A. 1. Come sarieno (?)
D. t. Nidla s' apprende
D. m. N. si perde
1. volontà, in che — 12. cotal ben si spoglia — 15. che si stan sicuri — 17. ov' ei s' accende — 18. Nulla sen parte
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584
MARTE. MILITI.
PARADISO XV. 19 — 42.
CACCIAOUIDA.
1. 2. 3. dietro
2. 8. del figli uol
1. 2. 3. de' mortai
19. Tale, dal corno che in destro si stende,
Al pie di quella croce corse un astro
Della costellazion che li risplende;
22. Ne si parti la gemma dal suo nastro.
Ma per la lista radiai trascorse,
Che parve foco retro ad alabastro.
25. Si pia r ombra d' Anchise si porse.
Se fede merta nostra maggior Musa,
Quando in Elisio del figlio s' accorse.
28. 0 sanguis meuSy o superinfusa
Gratta Dei y sicut tibiy cui
Bis unquam coeli jarrna reclutai
31. Cosi quel lume; ond' io m' attesi a lui.
Poscia rivolsi alla mia Donna il viso,
E quinci e quindi stupefatto fili;
34. Che dentro agli occhi suoi ardeva un riso
Tal , eh' io pensai co' miei toccar lo fondo
Della mia grazia e del mio Paradiso.
37. Indi, ad udire ed a veder giocondo,
Giunse lo spirto al suo principio cose
Ch' io non intesi, si parlò profondo:
40. Ne per elezion mi si nascose,
Ma per necessità, che il suo concetto
Al segno dei mortai si soprappose.
B, in dcstn
C. A pif
B. D. d.rtrt.
B. D. iii Elbe
figli&Al
D. to«ir J
A.U.CVv-^-
fi. dr" EsTi
22. Non si partì — <•%. Tal che pensai — 36. Dalla mia — mia gloria — 40. mi fur nascose — 42. dì mortai 11 ^^ » "^
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MARTK. MILITI.
PARADISO XV. 43-66.
CACCIAOUIDA.
585
1. E seguitti
. 3. maggior voi.
ianco per bruno
IO pens.
. 3. Dell' un
hi mi sìa
C, sii tu
A. 2. E seguitò
A. 1. Tr. in legg. - A.
C. del magno
A. 1. Da' non si m. —
A. 1. bianco mai
A. a Solvuto hai
43. E quando Y arco dell* ardente affetto
Fu sì sfocato, che il parlar discese />. sfogato
Inver lo segno del nostro intelletto;
46. La prima cosa che per me s' intese,
Benedetto sie tu, fu, trino ed uno.
Che nel mio seme sei tanto cortese.
49. E seguiò: Grato e lontan digiuno.
Tratto leggendo nel magno volume
U' non si muta mai bianco ne bruno,
52. Soluto hai, figUo, dentro a questo lume
In eh' io ti parlo, mercè di colei
Ch' air alto volo ti vesti le piume.
55. Tu credi che a me tuo pensier mei
Da quel eh' è primo, cosi come raia d. eh è prima
Dall' un, se si conosce, il cinque e il sei. ». Deiiun
58. E però chi io mi sia, e perch' io paia
Più gaudioso a te, non mi domandi.
Che alcun altro in questa turba gaia.
i- e" min. 2. 3. che i 61. Tu crcdl il vcro ; che minori e grandi />. ci grandi
Din. — 2. 3. e i grandi
Di questa vita miran nello speglio,
In che, prima che pensi, il pensier pandi.
64. Ma perchè il sacro amore, in che io veglio
Con perpetua vista, e che m' asseta
Di dolce disiar, s' adempia meglio,
44. distese — 48. nel mio sangue -- 49. E segui : Gr. e lontano dig. — 50. legg. del magg. voi. — 55. tuoi pensier — 56. DI quel ||
]ual — 57. ae '1 si conosce — 64. in cui io veglio — 65. Con perp. vita — 66. Del dolce disiar
III.
74
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586
MABTE. MILITI.
CArCIAGUIDA.
PARADISO XV. 67 — 90.
67. La voce tua sicura, balda e lieta
Suoni la volontà, suoni il disio,
A che la mia risposta è già decreta.
70. Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
2. 3. arruemi Pria ch' io parlassl, ed arrosemi un cenno
1.2. 3.1* ale Clic fccc crcsccr Y ali al voler mio.
1. 2. E oominciai 73. Poi cominciai così : L' affetto e il senno ,
2.3. egualità Comc la prima equalità v' apparse,
D' un peso per ciascun di voi si fenno ;
1.2.3. Perocché al sol 76. Peroccliè il sol, che v' allumò ed arse
1. 2. 8. en si igu.
1. 2. 3. io che io
Col caldo e con la luce, è si iguali,
(3he tutte simiglianze sono scarse.
79. Ma voglia ed argomento nei mortali.
Per la cagion eh' a voi è manifesta,
Diversamente son pennuti in ali.
82. Ond' io che son mortai, mi sento in questa
Disagguaglianza, e però non ringrazio,
Se non col core, alla paterna festa.
85. Ben supplico io a te, vivo topazio.
Che questa gioia preziosa ingemmi.
Perchè mi facci del tuo nome sazio.
88. 0 fronda mia, in cu' io compiacemmi
Pure aspettando, io fui la tua radice:
Cotal principio, rispondendo, femmi.
D. Volsimì a B.
I).
B.
m. amsemi
a V ale - Dì ù
volar
CI apparse
ciascun di noi
Però eh' è 1 sol
e sì iguali
A. son pennute
B. C. D. in che io
(>7. blanda e lieta — 71. arrisommi — 73. Poi cominciar || Poi ineominciai — 74. m* apparse — 76. il sole t* allumò - 77. G'ici^*'
e con la voce — 83. Disuguaglianza — 89. io son la tua radice
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MARTE. MILITI. PARADISO XV. 91 — 114. (fiobsnza antica.) 587
91. Poscia mi disse: Quel, da cui si dice
Tua cognazion, e che cent' anni e piùe
Girato ha il monte in la prima cornice,
94. Mio figlio fu, e tuo bisavo fue:
Ben si convien che la lunga fatica
Tu gli raccorci con Y opere tue. /^. gii » race.
97. Fiorenza, dentro dalla cerchia antica, ^. Firen«
Ond' ella toglie ancora e terza e nona,
Si stava in pace, sobria e pudica.
100. Non avea catenella, non corona.
Non donne contigiate, non cintura
Che fosse a veder più che la persona.
103. Non faceva, nascendo, ancor paura
La figlia al padre, che il tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la misura. a. fuggìen a foggia
106. Non avea case di famiglia vote; i>. nonavcan
Non v' era giunto ancor Sardaiiapalo
A mostrar ciò che in camera si puote.
109. Non era vinto ancora Montemalo e. Non vera
Dal vostro Uccellatoio , che, com' è vinto
Nel montar su, così sarà nel calo.
112. Bellincion Berti vid' io andar cinto
Di cuoio e d' osso, e venir dallo specchio
2. 3. viso dipinto La donna sua senza il volto dipinto ; s. d. viso dipinto
A. 1. Non vi avea
A. Che a veder fosse
93. alla prima eom. — 94. tuo bisavol — 96. Ta gli racconti — 97. dentro dalla mara — 98. ella coglie — 100. ne corona — 102. Che
sse a vender — 105. Non foggia quinci — lOG. Non v' avean — 107. Non era — HO. Dal nostro — UcceUator || Uccellato*
74*
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588
MASTI. MILITI.
PARADISO XV. 116-138.
(FIORENZA ANTICA.)
1. 2. 3. fori. ! e ciase.
1. al studio
1. 2. 3. pria li padri
2.3. DeTr., e di Fica.
1. 2. 3. e Comiglia
115. E vidi quel de' Nerli e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoperta,
E le sue donne al fuso ed al pennecchio.
118. 0 fortunate! Ciascuna era certa
Della sua sepoltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.
121. L' una vegghiava a studio della culla,
E consolando usava Y idioma
Che prima i padri e le madri trastulla;
124. L' altra traendo alla rocca la chioma,
Favoleggiava con la sua famiglia
De' Troiani, di Fiesole, e di Roma.
127. Saria tenuta allor tal maraviglia.
Una Cianghella, un Lapo Salterello,
Qual or saria Cincinnato o Comiglia.
130. A cosi riposato, a cosi bello
Viver di cittadini, a cosi fida
Cittadinanza, a cosi dolce ostello, «
133. Maria mi die', chiamata in alte grida,
E nell' antico vostro Batisteo
Insieme fui cristiano e Cacciaguida.
136. Moronto fii mio frate ed Eliseo;
Mia donna venne a me di vai di Pado,
E quindi il soprannome tuo si feo.
A. 1. del Neric
e ria*f.
B. C. piia li pair.
A. la eoma
A. FeatUe
D, tenuto
C. Sarterello
B, D. e Corni^
A, C. fratre
fiat.
115. quel di Nerli - 117. le lor donne -> 126. Di Troiani - 128. un Lupo - un Salterello - 131. de'eittad., e con
136. Moronte
13;. n »c
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MABTE. MILITI.
CACCIAOUIDA.
1. 2. 3. CuiTAdo
1. 2. 3. del pastor
1. 2. 3. martirio
PARADISO XV. 139-148.
139. Poi seguitai lo imperador Corrado,
Ed ei mi cinse della sua milizia,
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
142. Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa,
Per colpa dei pastor, vostra giustizia.
145. Quivi fa' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
n cui amor molte anime deturpa,
148. E venni dal martiro a questa pace.
589
B. C. D. Currado
A. Retro
D. di pastor
B. D. martirio •> B. in
tanta pace
141. venni a grado — 146. del mondo fall.
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CANTO DECIMOSESTO
Rincominc.
K Beatrice
\J poca nostra nobiltà di sangue!
Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove Y affetto nostro langue,
4. Mirabil cosa non mi sarà mai;
Che là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne gloriai.
7. Ben sei tu manto che tosto raccorce.
Sì che , se non s' appon di die in die ,
Lo tempo va dintorno con le force.
10. Dal Voiy che prima Roma soffierie.
In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie.
13. Onde Beatrice, eh' era un poco scevra,
Ridendo, parve quella che tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
16. Io cominciai: Voi siete il padre mio.
Voi mi date a parlar tutta baldezza,
Voi mi levate si, eh' io son più eh' io.
e. di dì in die
D, Roma prima
D. persevera
A. C. Rincominc.
A. 2. B. C. E Beatrice ■
D. scevera
1). Gincvera
A. 2. Io incornine.
10. che in prima — prima a Roma || a Roma prima — s' offerie — 11. me' persevra — 17. tanta baldcEssa
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592 MARTE. MILITI. PARADISO XVI. 19 — 42. (antenati di dante.)
19. Per tanti rivi s' empie d' allegrezza
La mente mia, che di se fa letizia,
Perchè può sostener che non si spezza. ^. si.p«iM
22. Ditemi dunque, cara mia primizia,
1. 2. Quai BOI! gli V. Quai fiir li vostri antichi, e quai fiir gh anni b. d. gu*ii.ni
3. Qu. fiiro i V.
Che si segnaro in vostra puerizia.
25. Ditemi dell' ovil di San Giovanni
Quanto era allora, e chi eran le genti
Tra esso degne di più alti scanni. a, i. in «*.. r
28. Come s' avviva allo spirar dei venti
Carbone in fiamma, cosi vidi quella acarbom-r>
Luce risplendere a' miei blandimenti:
31. E come agU occhi miei si fé' più bella.
Così con voce più dolce e soave,
Ma non con questa moderna favella,
34. Dissemi: Da quel dì che fii detto: ave.
Al parto in che mia madre, eh' è or santa,
S' alleviò di me ond' era grave,
37. Al suo Leon cinquecento cinquanta
2. E tre fiate E trcuta fiatc venne questo foco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
40. Gli antichi miei ed io nacqui nel loco
Dove si trova pria 1' ultimo sesto b. d. ove
Da quel che corre il vostro annual gioco. i>. Daqw
22. o cara mia — 23. gli antichi vostri || li maggior nostri — 2S. e quante eran le genti - 27. de* più alti — 28. s' vrt. y
dei ▼. — 30. Luce rispondere — 35. parto di mia m. — 37. Al Sol Leon -> 42. eorre al vostro
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MARTE. MILITI.
PARADISO XVI. 43 — 66.
(FIORENZA ANTICA.)
593
1. De' campi — 2. 3. e
di Ccrt. — 1. Feghine
1. Lk <
i. 2. 3. \'aldigrieve
43. Basti de' miei maggiori udirne questo;
Chi ei si furo, ed onde venner quivi,
Più è tacer, che ragionare onesto.
46. Tutti color eh' a quel tempo eran ivi
Da poter arme, tra Marte e il Batista,
Erano il quinto di quei che son vivi.
49. Ma la cittadinanza, eh' è or mista
Di Campi, di Certaldo e di Fighine,
Pura vedeasi nell' ultimo artista.
52. 0 quanto fora megUo esser vicine
Quelle genti eh' io dico , ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine,
55. Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d' Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattar ha 1' occhio aguzzo !
58. Se la gente, eh' al mondo più traligna,
Non fosse stata a Cesare noverca.
Ma, come madre a suo figliuol, benigna,
61. Tal fatto è Fiorentino, e cambia e merca.
Che si sarebbe volto a Simifonti,
Là dove andava 1' avolo alla cerca.
64- Sariasi Montemurlo ancor dei Conti;
Sariansi i Cerchi nel pivier d' Acoiie,
E forse in Valdigreve i Buondelmonti.
A. 1. (?) D. Chi 8i fos-
sero, e donde ei
vi. 1. è 1 tacer, che '1 rag.
A. 1. /?. C. eran vivi
A. 2. eh' or soQ B. son-
v* ivi
A. 2. B. C. D. De' campi
A. vediesi
C. da Guglion
A. Sommofonti
B, Là ove
A. 1. Sarieno i Cerchi (?)
— C. da Cone
B. C. D. V'aldigrieve —
A. C. Buondalm.
43. dirne questo || or dime qu. || a dirne qu. — 44. Chi ei si fosser || Chi fossero essi — 45. che a ragion. — 47. Da portar —
armi — 48. che sono ivi — 49. eh* ora è mista — 50. Fichine — 55. sofferìr lo puzzo — 62. Semifonti || Semifonte — 64. Conte — 65. del
piover — piever d* Acone — 66. Buondelmonte
III.
75
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594
MABTE. MILITI.
PARADISO XVT. 67-90.
(schiatte fiorentine.)
2. 3. Che cieco
1. fttti Fioreut.
67. Sempre la confiision delle persone
Principio fii del mal della cittade,
Come del corpo il cibo che s' appone.
70. E cieco toro più avaccio cade
Che '1 cieco agnello, e molte volte taglia
Più e megUo una che le cinque spade.
73. Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia
Come son ite, e come se ne vanno
Diretro ad esse Chiusi e Sinigaglia:
76. Udir come le schiatte si disfanno.
Non ti parrà nuova cosa, ne forte.
Poscia che le cittadi termine hanno.
79. Le vostre cose tutte hanno lor morte
Si come voi; ma celasi in alcuna
Che dura molto, e le vite son corte.
82. E come il volger del ciel della luna
Copre ed iscopre i liti senza posa,
Così fa di Fiorenza la fortuna;
85. Per che non dee parer mirabil cosa
Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini,
Onde la fama nel tempo è nascosa.
88. Io vidi gli Ughi, e vidi i CatelUni,
Filippi, Greci, Ormanni ed Alberichi,
Già nel calare, illustri cittadini;
A. t Com' è - A. t. D.
del TOBtro il cibo
C. Che cieco
-■I. Clu»i e Scnoiralli»
A. *2. C. V. e discopre
A. Fircnac
D, i. nel mondo
68. delle citUde - 69. del vostro cibo - 73. Luna -
86. altri Fiorentini - K7. De' quai la fama — 90. Già nel Gallare
75. Diretro a loro — e Chiusi — 77. cosa nuova — 85. Però non Art
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MARTE. MILITI.
PARADISO XVI. 91-114.
(schiatte fiorentine.)
595
1. Sopra la poppa
'2. 3. iattura
i. rdz»
1. 2. 3. Grande era
1. -2. 3. Sìfanti
1. Il ceppu — 1. uacqu.
Calf.
1- 2. 3. erano tratti
1- 2. 3. quali vidi
■ in tutt' i suoi
91. E vidi così grandi come antichi,
Con quel della Sannella, quel dell' Arca,
E Soldanieri, ed Ardinghi, e Bostichi.
94. Sopra la porta, che al presente e carca
Di nuova fellonia di tanto peso
Che tosto fia giattura della barca,
97. Erano i Ravignani, ond' è disceso
Il conte Guido, e qualunque del nome
Dell' alto Bellincion ha poscia preso.
100. Quel della Pressa sapeva già come
Regger si vuole, ed avea Caligaio
Dorata in casa sua già 1' elsa e il pome.
103. Grandi eran già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci,
E Galli, e quei che arrossan per lo staio.
106. Lo ceppo, di che nacquero i Calfucci,
Era già grande, e già eran tratti
Alle curule Sizii ed Arrigucci.
109. 0 quali io vidi quei che son disfatti
Per lor superbia! e le palle dell' oro
Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti.
112. Così facean li padri di coloro
Che, sempre che la vostra chiesa vaca.
Si fanno grassi stando a consistoro.
a D. iattura
D, il Galigaio
A. 2. B. a D, Grande
era già
B, Sifanti
B. Il ceppo — B. nac-
quero Calf. C. nac-
quer li Calf.
A. 2. eran su tratti
B. Quali io V.
A. Firenze
B. D. i padri
B, concistoro
93. Rostichi — 94. che a presente — 102. Dorato — già 1' elso — 106. Galli e quei — quei che arroson — 106. Alle canili |) Alle
carole - 109. O quali vidi io — 112. Cosi eran — 113. la chièsa vostra — 114. stando al consistoro
75'
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596
MARTE. MILITI.
PARADISO XVT. 115—138.
1. La tracoUta
1. 2. 3. Dietro
2. 3. piccola
2. 3. Che il suoc. il facesse
I. con popol - 1. 2. 3.
rauni
(schiatte FIORENTIKB.)
115. L' oltracotata schiatta, che s' indraca ^. u oitracotont»
Retro a chi fugge, ed a chi mostra il dente b. c.D.mttro
0 ver la borsa com' agnel si placa,
118. Già venia su, ma di picciola gente,
Sì che non piacque ad Ubertin Donato
Che poi il suocero il fé' lor parente.
121. Già era il Caponsacco nel mercato
Disceso giù da Fiesole, e già era
Buon cittadino Giuda ed Infangato.
124. Io dirò cosa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio s' entrava per porta,
Che si nomava da quei della Pera.
127. Ciascun che della bella insegna porta
Del gran barone, il cui nome e il cui pregio a. in cuin.umFi
La festa di Tommaso riconforta,
130. Da esso ebbe milizia e privilegio;
Avvenga che col popol si raduni
Oggi colui che la fascia col fregio.
133. Già eran Gualterotti ed Importuni;
Ed ancor saria Borgo più quieto.
Se di nuovi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto.
Per lo giusto disdegno che v' ha morti,
E posto fine al vostro viver lieto, r. z>. e pose inf
A. B. a piecoU
A. I. il fesse lor p. |?)
A. Fesulc - J,l.r.F.,
^k era
A, Juda
A. pircol
C. D. ài quei
Z>. Qualunque delU
B. con pop. — B. C. b
rauni
A. dei nuovi
136.
115. L' oltra cotante || L* oltracontata || L' altra contenta — 120. Che poi il suocer lo feo lor || Che poi il suoeer se '1 fr lor:|(V
il suocero poi il fesse lor — 122. di Fiesole — 123. Guida ed Infang. || Guido ed Inf. — 12S. Nel primo cerchio — 129. Thomasio — 134. Fd va
saria — 196. La casa di che parla
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MARTK. MILITI.
A, 2. tì. C. D. onor. essa
A. Buondalmonte
D. t, nosze tue — A. 2.
C. altrui rei conf.
B. sarcbber
PARADISO XVI. 139 — 154. (schiatte fiorentine.) 597
2. 3. onor. es« 139. EpR ODorata ed essa, e suoi consorti.
0 Buondelmonte, quanto mal fuggisti
Le nozze sue per gli altrui conforti!
2.3. sarebber 142. Moltì sarcbbou lieti, che son tristi.
Se Dio t' avesse conceduto ad Ema
La prima volta che a città venisti.
145. Ma conveniasi a quella pietra scema
Che guarda il ponte, che Fiorenza fesse
Vittima nella sua pace postrema.
148. Con queste genti, e con altre con esse,
Vid' io Fiorenza in sì fatto riposo ,
Che non avea cagion onde piangesse.
151. Con queste genti vid' io glorioso
E giusto il popol suo tanto, che il giglio
Non era ad asta mai posto a ritroso,
154. Ne per division fatto vermiglio.
A. Firenze
(\ con altri
A. Firenze
E9. e i suoi — 140. come mal fuggisti — 147. Vittima in sulla sua — 148. con altre e con esse
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CANTO DECIMOSETTIMO
v^jual venne a Climenè, per accertarsi
Di ciò eh' avea incontro a se udito, /;. dì quei eh- av.
1 fa i padri Qucì ch' ancor fa li padri a' figli scarsi ; b. r. d. & i padri
4. Tale era io, e tale era sentito
E da Beatrice, e dalla santa lampa
Che pria per me avea mutato sito.
7. Per che mia donna: Manda fuor la vampa
Del tuo disio, mi disse, sì eh' ella esca
Segnata bene della interna stampa; z>. Sfg«. lievi
10. Non perchè nostra conoscenza cresca
Per tuo parlare, ma perchè t' ausi
A dir la sete, sì che 1' uom ti mesca.
1. 2. 3. pianta mia 13. 0 Cara pÌOta mia, che sì t' inSUSi ^ Z>. pianta mia -^.l.
p. , ehe cosi t' ins.
Che, come veggion le terrene menti
Non capere in triangolo due ottusi, x?. untriang.
16. Così vedi le cose contingenti.
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti;
3. Quel eh' anoor fa — 5. Da Beatrice — 8. fa eh' eli* esca — 9. Segnata lieve — eterna stampa — 11. parlar, ma perchè tu
' ausi - 13. O eara pietà || O cara pietra — 15. in triangol due
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600
MABT£. MILITI.
PARADISO XVII. 19-42.
(vicende future di dakte.)
1. a quella voce
1. 2. 3. invescava
1. torrente
19. Mentre eh' io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che V anime cura,
E discendendo nel mondo defunto,
22. Dette mi fiir di mia vita futura
Parole gravi ; avvenga eh' io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventiu'a.
25. Per che la vogUa mia saria contenta
D' intender qual fortuna mi s' appressa;
Che saetta previsa vien più lenta.
28. Così diss'.io a quella luce stessa
Che pria m' avea parlato , e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
31. Ne per ambage, in che la gente folle
Già s' inviscava, pria che fosse anciso
L' Agnel di Dio che le peccata toUe,
34. Ma per chiare parole, e con preciso
Latin , rispose quell' amor paterno ,
Chiuso e parvente del suo proprio riso:
37. La contingenza, che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno.
40. Necessità però quindi non prende.
Se non come dal viso, in che si specchia,
Nave che per corrente giù discende.
/>. Buon teir. - C. ir.-
tagono
D. m. Di saper
D. m* avie pari.
A. 1. (?) C. D. Not f<r
amb.
[/?.-39.J
D, Della nostra
B. C. torrenre
32. iuveschiava — 36. del suo chiaro riso — 37. fuor del quaterno — 42. per correnti || di corrente
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MABTS. MILITI.
PARADISO XVII. 43 — 66. (esilio di dante vaticinato.)
601
2. 3. 8Ì vuole.
e qu.
3. coiitra te —
presso
1. porci
43. Da indi, si come viene ad orecchia
Dolce armonia da organo, mi viene
A vista il tempo che ti s' apparecchia.
46. Qual si parti Ippolito d' Atene
Per la spietata e perfida noverca,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
49. Questo si vuole, questo già si cerca,
E tosto verrà fatto, a chi ciò pensa
Là dove Cristo tutto di si merca.
52. La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol; ma la vendetta
Fia testimonio al ver che la dispensa.
55. Tu lascerai ogni cosa diletta
Più caramente, e questo è quello strale
Che r arco dello esiUo pria saetta.
58. Tu proverai si come sa di sale
Lo pane altrui, e com' è duro calle
Lo scendere e il salir per 1' altrui scale.
61. E quel che più ti graverà le spalle
Sarà la compagnia malvagia e scempia,
Con la qual tu cadrai in questa valle,
64. Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contro a te; ma poco appresso
Ella, non tu, n' avrà rossa la tempia.
D. A visa
A. Firenze — B. si eonv.
B. C. D. 81 Tuole , e qu.
A. I. tutto il di
A. testimone
C. n pane
B. C. contra te
44. dall' organo — 46. Qual si partio — 49. Questo si voWe — 51. tutto si commerca - 56. Più coralmente || Più pienamente —
Sì com' i* dur' calle 6(x rotta la tempia
III. 76
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602
MARTE. mUTI.
PARADISO XVII. 67-90.
(SCALIGBBI.)
1. 2. 3. Ch'avrà in te
3. Fia primo
67. Di sua bestialitate il suo processo
Farà la prova, sì che a te fia bello
1. 2. 3. Averti L' avctti fatta parte per te stesso.
1. Il primo 70. Lo primo tuo rifugio e il primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che in sulla Scala porta il santo uccello,
73. Che in te avrà sì benigno riguardo
Che del fare e del chieder, tra voi due,
Fia prima quel che tra gU altri è più tardo.
76. Con lui vedrai colui che impresso fue,
Nascendo, sì da questa stella forte.
Che notabiU fien Y opere sue.
1. 2. 3. ancor le genti 79. Nou sc uc sou Ic gcutl aucora accorte,
Per la novella età; che pur nove anni
Son queste rote intorno di lui torte.
1.2. 3. Arrigo 82. Ma pria che il Guasco l'alto Enrico inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar d' argento, ne d' affanni.
85. Le sue magnificenze conosciute
Saranno ancora sì, che i suoi nimici
Non ne potran tener le lingue mute.
88. A lui t' aspetta ed ai suoi benefici;
Per lui fia trasmutata molta gente.
Cambiando condizion ricchi e mendici;
B. C. D. Atpt -
fatto prr v ,.
B. 11 priiiu>
B. V. (V »m 1
A. 1. dal fan- ' J
D. mirabili -
B. D. t 'f i*^'' •
V. di '.t -
Ini TiJv
A. il Vaff -
67. Di sua bestialità il suo — 69. fatto a parte — 73. risguardo — 76. Colai vedrai — 78. notab. fian — 87. Nm b' p"
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MARTI. MILITI.
PARADISO XVII. 91-114.
e uol dirai
2. 3. che fìa pres.
. 3. Via più
Quidentia
D. E portatene
A. 2. B. C. D. e noi <lirai
A. Che retro
B. Via più là D. Pia
oltre
(ESILIO DI DANTE VATICINATO.) Q()3
91. E porteraine scritto nella mente
Di lui, ma noi dirai; e disse cose
Incredibili a quei che fien presente.
94. Poi giunse: Figlio, queste son le chiose
Di quel che ti fu detto; ecco le insidie
Che dietro a pochi giri son nascose.
97. Non vo' però eh' a' tuoi vicini invidie,
Poscia che s' infutura la tua vita
Vie più là che il punir di lor perfidie.
100. Poi che tacendo si mostrò spedita
L' anima santa di metter la trama
In quella tela eh' io le porsi ordita,
103. Io cominciai, come colui che brama,
Dubitando, consiglio da persona
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama:
106. Ben veggio, padre mio, si come sprona
Lo tempo verso me, per colpo darmi
Tal, eh' è più grave a chi più s'abbandona; a^. c.echepiùsabb.
109. Per che di provedenza è buon eh' io m' armi fi. prtmidentia
Sì che, se loco m' è tolto più caro.
Io non perdessi gli altri per miei carmi.
112. Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte, del cui bel cacume
Gli occhi della mia Donna mi levaro.
A. 1. Dubbiando di rons.
91. V. porterai ser. — 93. quel che fia || quei che son — 96. sono ascose — 97. che tuoi vie. — 96. che sia futura || che sia *n futuro —
icomìuciai — 104. Dubbiando aver cons. — 109. di prudenza — 110. se '1 loco
76-
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604
UARTE. MILITI.
PARADISO XVn. 115 — 138.
(CABATTEIUB DEL POtìlIA.)
1. 2. 3. 8* io ridico
1. ogni vergogna
1. 2. 3. come vento
1. 2. non fa (V onor
1. '2. 3. ai fama
115. E poscia per lo ciel di lume in lume,
Ho io appreso quel che, s' io il ridico,
A molti fia sapor di forte agrume;
118. E, s'io al vero son timido amico,
Temo di perder vita tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico.
121. La luce in che rideva il mio tesoro,
Ch' io trovai li, si fé' prima corrusca,
Quale a raggio di sole specchio d' oro;
124., Indi rispose: Coscienza fusca
0 della propria o dell' altrui vergogna.
Pur sentirà la tua parola brusca.
127. Ma nondimen, rimossa ogni menzogna.
Tutta tua vision fa manifesta,
E lascia pur grattar dov' è la rogna;
130. Che, se la voce tua sarà molesta
Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi quando sarà digesta.
133. Questo tuo grido farà come il vento.
Che le più alte cime più percote;
E ciò non fia d' onor poco argomento.
136. Però ti son mostrate in queste rote,
Nel monte, e nella valle dolorosa,
Pur r anime che son per fama note ;
-^.2. /?.r.I>.>' io ridir,
A. 2. B. a D. perder
virer
1). sì fece pria
D. t Come a ragpo
[B. - 132.]
[/?. 130-J
A.2. B, C. U. comtrn'-
B. a D. di fama
li8. sonri intimo amico — 121. ridea Io mio — 131. Al primo gusto — 132. poscia quando 6a dig. » 134. Ir più alte torri
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MARTE. MILITI. PARADISO XVII. 139 — 142. (carattere del poema.) 605
139. Che r animo di quel ch'ode, non posa, .4. di quei oh- ode
Ne ferma fede per esemplo eh' haia
1. Cd «cosa La sua radice incognita e nascosa, i?. ed ascosa
142. Ne per altro argomento che non paia.
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CANTO DECIMOTTAVO
1. 2. 3. Qti. spirto
]. 2. 3. il dolce con I* ac.
1. 2. 3. Omì bel viso
irià si godeva solo del suo verbo
Quello specchio beato, ed io gustava
Lo mio, temprando col dolce V acerbo;
4. E quella Donna, eh' a Dio mi menava.
Disse: Muta pensier, pensa ch'io sono
Presso a colui eh' ogni torto disgrava.
7. Io mi rivolsi all' amoroso suono
Del mio conforto, e, quale io allor vidi
Negli occhi santi amor, qui 1' abbandono;
10. Non perch' io pur del mio parlar diffidi,
Ma per la mente che non può reddire
Sopra se tanto, s' altri non la guidi.
13. Tanto poss' io di quel punto ridire,
Che, rimirando lei, lo mio affetto
Libero fu da ogni altro disire.
16. Fin che il piacere eterno, che diretto
Raggiava in Beatrice, del bel viso
Mi contentava col secondo aspetto,
D. Il mio - a. r. Jj.
il dolce con r ac.
H. Libero fui
.4. 2. H. r. dal bel viso
5. pensa chi io souo — 6. Pensa a colui — eh' ogni arto disgr. — 10. Non perchè pur — disfidi - 11. non può ridire — 12. Sopra
ne - 13. qii. punto reddire — 16. Si che il piac. — 18. nel secondo || eoi sereno
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608 MARTE. MILITI. PARADISO XVni. 19 — 42. josui.
19. Vincendo me col lume d'un sorriso, /?. roniumc
Ella mi disse: Volgiti ed ascolta,
Che non pur ne' miei occhi è Paradiso.
22. Come si vede qui alcuna volta
L' affetto nella vista, s' elio è tanto />. sei^iiètMt..
Che da lui sia tutta 1' anima tolta,
25. Così nel fiammeggiar del fulgor santo,
1. 2. 3. A cui mi volsi A ch' io mi voIsì , conobbi la voglia d. a eh* miroK.
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
2. 3. E tcraiiieiò 28. Eì comiuciò : In questa quinta soglia
1. 2. 3. Dcir albero Dcll' axborc che vive della cima , u. Deu- »ihm.
E frutta sempre, e mai non perde foglia,
31. Spiriti son beati, che giù, prima
Che venissero al ciel, fur di gran voce.
Si eh' ogni Musa ne sarebbe opima.
34. Però mira nei comi della croce;
1.2.3. Quel chi' or noni. QucllO Ch' ÌO UOmCrÒ , lì farà l'atto A.I.B.C.D.Ì^t:
eh' i' or ouD.
Che fa in nube il suo foco veloce. z>. iifoco$uo
37. Io vidi per la croce un lume tratto
Dal nomar Josuè, com' ei si feo.
Ne mi fu noto il dir prima che il fatto. j. imm*iid.t
40. Ed al nome dell' alto Maccabeo
Vidi moversi un altro roteando,
E letizia era ferza del paleo.
26. rouohh' io la voglia — 29. vive dalla cima — 35. Quel eh' io ti nomerò
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MARTE. MILITI.
PARADISO XVIII. 43-66.
CARLO MAGNO.
609
43. Così per Carlo magno e per Orlando
Due ne segui lo mio attento sguardo,
Com' occhio segue suo falcon volando.
ouBiieimo 46. Poscia trasse Guiglielmo, e Rinoardo,
E il duca Gottifredi la mia vista
Per quella croce, e Roberto Guiscardo.
49. Indi, tra V altre luci mota e mista,
Mostrommi Y alma che m' avea parlato,
Qual era trai cantor del cielo artista.
52. Io mi rivolsi dal mio destro lato
Per vedere in Beatrice il mio dovere,
2. 3. o per parole 0 per parlare , o per atto , segnato ,
55. E vidi le sue luci tanto mere.
Tanto gioconde, che la sua sembianza
Vinceva gli altri, e V ultimo solere.
58. E come, per sentir più dilettanza.
Bene operando , V uom di giorno in giorno
S' accorge che la sua virtute avanza ;
HI. Sì m' accors' io che il mio girare intorno
Col cielo insieme avea cresciuto 1' arco ,
Veggendo quel miracol più adorno.
64. E quale è il trasmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando il volto
. Suo si discarca di vergogna il carco;
A. R. Rolando
miracol sì ad. 2. 3.
miracolo più ad.
C. Guiglelmo
C, Gottifredo
B. C. D. Ruberto
B. O per parole
l, 3. si dificarchi
A. 1. girar d' intorno (?)
B. U. si adorno
A. picco]
B. C. si discarchi
47. Guittifredo — .55. Io vidi — 57. Vinceva le altre — 66. di vergogna carco
in.
77
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610
GIOVE. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XVm. 67 — 90.
• DILIGETE JU8TITIAM,*
1. 2. fu volto
1. or altra sch.
67. Tal fu negli occhi miei, quando fili volto,
Per lo candor della temprata stella
Sesta, che dentro a se m' avea ricolto.
70. Io vidi in quella giovial facella
Lo sfavillar dell' amor che lì era,
Segnare agli occhi miei nostra favella.
73. E come augelli surti di riviera,
Quasi congratulando a lor pasture,
Fanno di se or tonda or lunga schiera,
76. Si dentro ai lumi sante creature
Volitando cantavano, e faciensi
Or D, or I, or L, in sue figure.
79. Prima cantando a sua nota moviensi;
Poi, diventando T un di questi segni,
Un poco s' arrestavano e tace'nsi.
82. 0 diva Pegasea, che gì' ingegni
Fai gloriosi, e rendili longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni,
85. Illustrami di te, si eh' io rilevi
Le lor figure com' io 1' ho concette;
Paia tua possa in questi versi brevi.
88. Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Vocali e consonanti; ed io notai
Le parti si come mi parver dette.
V. vidi qneOa - i
ioTìal
I}. nnoTA fa^rb
U. a sue p*stut
A. m. fi. C. 0 -
srh.
A. diveaesui.>
C. che si (^ «c-
B. Le ti»e f^rr
U. Ckttd' io BctK
D. mi fwTM CT
(jtf. raccolto — 73. Che come augelli — 7B. ai lumi santi — 77. e faceansi — 79. a sua rota — moveansi — 81. racran^ -
divina Pegaaea — 87. Paia tua fona — 88. dunque cinque — volte e sette
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GIOVE. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XVni. 91-114.
2. 3. agurarsi
l. 2. parve r
3. qu&l poeti
1.2.3. •che Tace. , sortille
3. eh" ei forma
1. 2. 3. Par. imprima
AQUILA IMPERIALE.
91. Diligite Justitiamy prunai
Fur verbo e nome di tutto il dipinto;
Qui judicatis terrara, fur sezzai.
94. Poscia neir M del vocabol quinto
Rimasero ordinate, si che Giove
Pareva argento li d' oro distinto.
97. E vidi scendere altre luci dove
Era il colmo dell' M, e li quetarsi
Cantando, credo, il ben eh' a se le move
100. Poi, come nel percoter dei ciocchi arsi
Surgono innumerabili faville,
Onde gli stolti sogUono augurarsi,
103. Risurger parve quindi più di mille
Luci, e salir quali assai, e quai poco,
Si come il sol, che 1' accende, e sortille;
106. E, quietata ciascuna in suo loco,
La testa e il collo d' un' aquila vidi
Rappresentare a quel distinto foco.
109. Quei che dipinge li non ha chi il guidi,
Ma esso guida, e da lui si rammenta
Quella virtù eh' è forma per li nidi;
112. L'altra beatitudo, che contenta
Pareva prima d' ingigliarsi all' emme.
Con poco moto seguitò la imprenta.
611
A. 2. C. juttUiam, li
prima!
A. D. Jove
C. Paren d' argento —
A. m. da or distinto
C. agtirarsi
B. a D. parvcr
C. ed a salir
H. D. Si com' è '1 sol
^. eh* e' forma- ii.l.(?)
C. che i forma
B. Par. imprima
96. il colmo dell' emme — 99. eh' a sé li move — 100. di ciocchi arsi || dei ceppi arsi — 104. quale assai e qua! — 106. e' sortille (?)
107. e il colmo — d' un' aguglia vidi — HO. di lui si ramm.
77-
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612
GIOVE. GIUSTI 0IX7D1CI.
PARADISO XVIII. 115-136.
AQUILA IMPERIALE.
1* 2. 3. dimostraron
1. Di comper.
1. murò di sangue
1. 2. 3. Paolo
2. 3. a martire
115. 0 dolce stella, quali e quante gemme
Mi dimostraro che nostra giustizia
Effetto sia del ciel che tu ingemme!
118. Per eh' io prego la mente, in che s' inizia
Tuo moto e tua virtute, che rimiri
Ond' esce il fummo che il tuo raggio vizia;
121. Si eh' un' altra fiata omai s' adiri
Del comperare e vender dentro al tempio.
Che si murò di segni e di martìri.
124. 0 milìzia del ciel, cu' io contemplo.
Adora per color che sono in terra
Tutti sviati dietro al malo esemplo.
127. Già si solca con le spade far guerra;
Ma or si fa togliendo or qui or quivi
Lo pan che il pio padre a nessun serra:
130. Ma tu che, sol per cancellare, scrivi,
Pensa che Pietro e Polo, che morirò
Per la vigna che guasti, ancor son vivi.
133. Ben puoi tu dire: l'ho fermo il disiro
Sì a colui che volle viver solo,
E che per salti fii tratto al martiro,
136. Ch'io non conosco il Pescator ne Polo.
B. dimostrari-
D. virtù . f br !» ■
A. IN. B, D.t.f
sanfru^
A. isTÌàà - J ."
C\ Paulo À.'^
B. C. a n»--< f
JJ. con. Vtst' '
116. Mi si mostraro — 118. la mente, che s' inizia — 120. ohe tuo raggio || che tuoi rag{p — 122. dentro al tempio — VH -■
126. dietro a malo — esempio — 128. or quindi or quivi — 131. che Piero — 133. lo fermo ho il dia.
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CANTO DECIMONONO
, 3, eon r ale
A, B, D. con r ale
L anche
^uant' <
Xarea dinanzi a me con V ali aperte
La bella image, che, nel dolce frui,
Liete faceva 1' anime conserte.
4. Parca ciascima rubinetto, in cui
Raggio di sole ardesse sì acceso,
Che ne' miei occhi rifrangesse lui.
7. E quel che mi convien ritrar testeso.
Non portò voce mai, né scrisse inchiostro, /?.c.incostro^.enco«tro
Ne fii per fantasia giammai compreso;
10. Ch' io vidi, ed anco udii parlar lo rostro,
E sonar nella voce ed Io e Mio,
Quand' era nel concetto Noi e Nostro.
13. E cominciò: Per esser giusto e pio
Son io qui esaltato a quella gloria.
Che non si lascia vincere a disio; a i>. aid.sio
16. Ed in terra lasciai la mia memoria
Si fatta, che le genti lì malvage
Commendan lei, ma non seguon la storia.
e. anehc
B. Quant' era ^ A,2. C.
e Noi e N.
3. Liete faceano — 9. giammai per fantasia — 13. E' eomineiò — 14. a qnesU gloria
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614
OIOVK. GIUSTI OIUDICI.
PARADISO XIX. 19-42.
AQUILA IMPBBIALK.
1. 2. 3. Sentir mi f.
1. ardori
1. Ben so che - 1. se 28.
nel e. alto r.
1. 3. II vostro
19. Cosi un sol calor di molte brage
Si fa sentir, come di molti amori
Usciva solo un suon di quella image;
22. Ond' io appresso : 0 perpetui fiori
Dell' eterna letizia, che pur uno
Parer mi fate tutti i vostri odori,
25. Solvetemi, spirando, il gran digiuno
Che lungamente m' ha tenuto in fame ,
Non trovandogli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se in cielo altro reame
La divina giustizia fa suo specchio,
Che '1 vostro non 1' apprende con velame.
31. Sapete come attento io m' apparecchio
Ad ascoltar; sapete quale è quello
Dubbio, che m' è digiun cotanto veccliio.
i. 2. 3. Quasi fide, eh 34. Qual' il falcou eh' uscendo del cappello
esec — 2. 3. di capp.
1. 2. eon l'ale s applaude Movc la tcsta, c coll' ali sì plaudc ,
Voglia mostrando, e facendosi bello,
37. Vid' io farsi quel segno, che di laude
Della divina grazia era contesto.
Con canti, quai si sa chi lassù gaude.
40. Poi cominciò: Colui che volse il sesto
1. 2. 3. Allo stremo All' cstpcmo dcl moudo , e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto,
A. Ksciva
B. Sentir nu ù» -
R, ardori
B. Ben %o cbf -
nel c\t\u
art. m »f i
A. 2. 8. i\ D K -
cene rh'(*-
di cappiri'
A. 1. (*\ D. »r
A. Vidi fan*
B. r. Allo *fr :
19. di molta brage — 20. eosi di molti — 27. Non trovando li in terra — SO. 1' appr. col velame — 33. diginao tanto - *
falcon — ch'.esoendo — 87. Vid* io far si qu. segno — 30. quai si fa — 40. Poi ineominciò
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niOVE. GIUSTI GIUDICI.
L 3. sé in sé
PARADISO XIX. 43-66.
ì.3.Nonpoteo 43. NoH potè SUO valof si fare impresso
In tutto r universo, che il suo verbo
Non rimanesse in infinito eccesso.
46. E ciò fa certo che il primo superbo,
Che fu la somma d' ogni creatura,
Per non aspettar lume, cadde acerbo:
49. E quinci appar eh' ogni minor natura
E corto recettacolo a quel bene
Che non ha fine, e se con se misura.
52. Dunque nostra veduta, che conviene
Essere alcun dei raggi della mente
Di che tutte le cose son ripiene,
55. Non può da sua natura esser possente
Tanto, che suo principio non discerna
he gli è 2. 3. eh- egli è Molto di là, da quel che V è parvente.
58. Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
. 3. lo mare entro Com' occhlo pcr lo mar, dentro s'interna;
61. Che, benché dalla proda veggia il fondo.
In pelago noi vede, e nondimeno
3. Kgii;.,in» E li, ma cela lui Y esser profondo.
64. Lume non è, se non vien dal sereno
Che non si tiu'ba mai, anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veleno.
AQUILA lUPERlALE. 6X5
B. Non poteo
, 3. di sua nak.
li. Dunque vostra natura
B. tutte nature
B. la sua nat.
C. D. eh* egli e , parr.
A. 1. il nostro m.
A. 2. B. C. D. lo mar.
entro
B. della proda — il. vegga
3. veneno
A. da sereno
A. B. veneno
44. Per tutto 1* univ. — 51. Ch' è senxa fine — 63. alcun di r^gi — 56. che '1 suo prine. — !
he — 63. ma cela 1 lui — 6&. Che non si muta
B. ricepe ~ 00. Con occhio — 61. Che.
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616 oiovK. GIUSTI GIUDICI. PARADISO XIX. 67 — 90. (infkdbli oammati.)
67. Assai t' è mo aperta la latebra,
Che t' ascondeva la giustizia viva,
Di che facci question cotanto crebra;
70. Che tu dicevi: Un uom nasce alla riva
Dell' Indo, e quivi non è chi ragioni
Di Cristo, ne chi legga, ne chi scriva;
73. E tutti i suoi voleri ed atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede, a. 2. r ìì... -
Senza peccato in vita o in sermoni.
1. b»tteKgiato 76. More non battezzato e senza fede:
Ov' è questa giustizia che il condanna? d. i>oirr
1. Qual è 1» e. - l. 2. r\ 1 ^ \ i • io
scd fi non .^ «• ckh Ov c la colpa sua, se ei non crede? i». Dovei ,.
non
A. 2. r. u
79. Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna.
Per giudicar da lungi mille migUa, a. a* hm^.
Con la veduta corta d' una spanna?
82. Certo a colui che meco s' assottiglia.
Se la scrittura sopra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia. a, u, dì c«
»ar. r r .'
85. 0 terreni animali, o menti grosse!
La prima volontà, eh' è per se buona,
Da se, che' è sommo ben, mai non si mosse.
88. Cotanto è giusto, quanto a lei consuona;
Nullo creato bene a se la tira,
Ma essa, radiando, lui cagiona.
71. Del Nilo — e qui uou è -> 73. tutti suoi — suoi valori — 76. ed in sennoni — 80. E giudicar — di lungi — 8SL »r
tiglia (?) — 83. sopra noi — 86. eh è da sé buona
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niOVE. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XIX. 91-114.
(iNFKDELI DANNATI.)
617
91. Quale sopr' esso il nido si rigira,
Poi che ha pasciuto la cicogna i figU,
E come quei eh' è pasto la rimira;
94. Cotal si fece, e sì levai li cigli.
La benedetta imagine, che 1' ali
Movea sospinta da tanti consigli.
97. Roteando cantava, e dicea; QuaU
Son le mie note a te, che non le intendi,
Tal è il giudizio eterno a voi mortali.
2. Poi seguitaron lOQ. Poi sì quctarou quei lucenti incendi
Dello Spirito Santo, ancor nel segno
Che fé' i Romani al mondo reverendi ,
103. Esso ricominciò: A questo regno
Non sali mai chi non credette in Cristo,
Ne pria, ne poi eh' ei si chiavasse al legno.
106. Ma vedi, molti gridan Cristo, Cristo,
Che saranno in giudizio assai men prope
A lui, che tal che non conosce Cristo;
109. E tai Cristiani dannerà 1' Etiope,
Quando si partiranno i due collegi,
L' uno in eterno ricco, e 1' altro inope.
112. Che potran dir li Persi ai vostri regi,
Come vedranno quel volume aperto,
Nel qual si scrivon tutti i suoi dispregi?
I. Vel pria, vel poi —
I. che si chiav. 2.
3. che '1 sì eh.
1. 2. 3. nuii conobbe
1. *2, Cristian dami.
A. 2. B. C. D. pasciuti
C. eomc quel
/>. levò li cigli
A. t. a D. Poi seguitaro
H. U. Né 1 pria A. 1. 1.
C. E 1 pria A. t. 2. E
pria — fi. né "1 poi C.
e '1 poi A. t. e poi
/?. non conobbe
fi. Cristian dannerà
A. C. in due collegi
C. Che poran — A. \.
ai nostri
1. Quando vedr. 2. 3.
Coni' e' vedr.
98. Son le mie rime — 100. Poi, seguitando — 103. Ei si ricominciò — 106. 0 pria, o poi — 106. molti gridar — 109. lo Etiope
111. ricco, r altro
III.
78
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618
GIOVK. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XIX. 115-138.
(FILIPPO IL BELLO.)
1. "2, 3. Geriisal.
1. Ove Aneli.
115. Li si vedrà tra V opere d' Alberto
Quella che tosto moverà la penna,
Per che il regno di Praga fia deserto.
118. Lì si vedrà il duol che sopra Senna
Liduce, falseggiando la moneta,
Quei ehe morrà di colpo di cotenna.
121. Li si vedrà la superbia eh' asseta,
Che fa lo Scotto e V Inghilese folle
Si, che non può so&ir dentro a sua meta.
124. Vedrassi la lussuria e il viver molle
Di quel di Spagna, e di quel di Buemme,
Che mai valor non conobbe, ne volle.
127. Vedrassi al Ciotto di Jerusalemme
Segnata con im I la sua bontate.
Quando il contrario segnerà un emme.
130. Vedrassi V avarizia e la viltate
Di quel che guarda V isola del foco,
Dove Anchise finì la lunga etate;
133. Ed, a dare ad intender quanto è poco,
La sua scrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in par\^o loco.
1 36. E parranno a ciascun Y opere sozze
Del barba e del fratel, che tanto egregia
Nazione, e due corone han fatte bozze.
A. Plaga
A. €'. il dol.:
V. Quel che as-rr'
A. Scoti»
C Grrusalemcx
C. V A neh - '
C. U. 1. chi' a- • "
U. hati &!'
122. K fa lu Se. - 125. quel dì Boemme - 127. il Ciotto || al Carni — 129. signarà - 132. Anch. tinia — 1%. Ch«^ m-r--
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GIOVE. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XIX. 139-148.
(RE MILUTINO.)
619
139. E quel di Portogallo, e di Norvegia
Li si conosceranno, e quel di Rascia
1 adiiisiA 2. aggiustò dic uial ha visto il conio di Vinegia.
1. 2. 3. Tngheru 142. 0 bcata Ungaria, se non si lascia
Più malmenare! E beata Navarra,
Se s' armasse del monte che la fascia!
145. E creder dee ciascun che già, per aiTa
Di questo, Nicosia e Famagosta
Per la lor bestia si lamenti e garra,
148. Che dal fianco dell' altre non si scosta.
B. male aclvìst/t
C. Ungheria
A. Famaugnsla
D. lamenta
143. O bcata - 148. fianco degli altri
78'
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CANTO VENTESIMO
Vijuando colui che tutto il mondo alluma
. sitiiscendc Dell' emisperio nostro si discende,
. E 1 giorno Che il giorno d' ogni parte si consuma,
4. Lo ciel, che sol di lui prima s' accende,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci, in che una risplende.
7. E quest' atto del ciel mi venne a mente,
Come il segno del mondo e de' suoi duci
Nel benedetto rostro fii tacente;
10. Però che tutte quelle vive luci,
3. Vie più lucendo Vìc plù luceutìi, comiuciarou canti
Da mia memoria labili e caduci.
13. 0 dolce amor, che di riso t' ammanti,
3. quei favilli Quanto parevi ardente in quei flailli,
Ch' ave'no spirto sol di pensier santi!
16. Poscia che i cari e lucidi lapilli,
Ond' io vidi ingemmato il sesto Imne ,
Poser silenzio agli angelici squilli.
li. E '1 giorno
A. prima sol di lui
A. 2. B. C. D. Vie più
lucendo
C. D. eh' avieno
4. Lo cielo . che di lui pr. — che primo sol di lui — 14. tjuci flavilli — 15. Ch' avien spirito
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622
GIOVK. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XX. 19-42.
19. Udir mi parve un mormorar di fiume,
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando Y ubertà del suo cacume.
22. E come suono al collo della cetra
Prende sua forma, e si come al pertugio
Della sampogna vento che penetra,
25. Cosi, rimosso d' aspettare indugio,
i. dciiagiigii. Quel mormorar dell' aquila salissi
Su per lo collo, come fosse bugio.
28. Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole.
Quali aspettava il core ov' io le scrissi.
31. La parte in me che vede, e paté il sole
1.2. Neil- agugiie NcU' aquUc mortaU, incominciommi.
Or fisamente riguardar si vuole,
34. Perchè dei fochi, ond' io figura fomini,
QuelU, onde Y occhio in testa mi scintilla,
E di tutti i lor gradi son U sommi.
37. Colui che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito Santo,
Che r arca traslatò di villa in villa.
40. Ora conosce il merto del suo canto,
In quanto effetto fu del suo consiglio.
Per lo remunerar eh' è altrettanto.
r. Audir - J. s
1. 3. Dì tutti i loro
1. trasmutò
1. 2. 3. affetto
r.
A.
A.
r.
D.
A.
A.
A,'L l. '
l*j. - t..
2. i\ l.. r>=! .
Fectsi V *f
1. Su per i
1. il f*w .. •
Nrll'ap^i-
fissameli ir
Perrh" i -> ~
fochi U. .-•
son li •- -cm -
B. trasmuta
B. affrtu^
;J0. Quale aspettava — il cor oud' io — 36. E' di tutti lor || Di tutti loro (?) — 40. Ora couoseo
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oiovK. GIUSTI GIUDICI. PARADISO XX. 43 — 66. bzkcbia. costamtiro. (>23
43. Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio,
Colui che più al becco mi s' accosta,
La vedovella consolò del figlio.
46. Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo, per Y esperienza
Di questa dolce vita, e dell' opposta.
49. E quel che segue in la circonferenza.
Di che ragiono , per V arco superno ,
Morte indugiò per vera penitenza.
52. Ora conosce che il giudizio eterno
3. perchè degno Nou sì trasmuta , quando degno preco
Fa crastino laggiù dell' odierno.
55. L'altro che segue, con le leggi e meco, .4. 2. die ^gui - ^. 2.
è mceo
Sotto buona ìntenzion che fé' mal frutto.
Per cedere al pastor, si fece Greco.
58. Ora conosce come il mal, dedutto
Dal suo bene operar, non gli è nocivo,
Avvegna che sia il mondo indi distrutto.
(U. E quel che vedi nell'arco declivo,
cqueiiii Guiglielmo fu, cui quella terra plora
Che piange Carlo e Federico vivo.
64. Ora conosce come s' innamora
Lo ciel del giusto rege, ed al sembiante
Del suo folgore il fa vedere ancora. t. fi.ig«ri«f»
13. l)i cinque — 49. segue la cireonf — 50. Di eh* io ragiono — 56. eon le leg^ meco — 57. Per rrecJere — 50. buono opernr —
<> vìtrì tli ffinutri — che al semb.
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624
GIOVE. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XX. 67-90.
BtPEO TBOIANO.
67. Chi crederebbe giù nel mondo errante,
Che Rifeo Troiano in questo tondo
Fosse la quinta delle luci sante?
70. Ora conosce assai di quel che il mondo
Veder non può della divina grazia,
Benché sua vista non discema il fondo.
2. 3. guai lodoietta 73. Quale allodctta che in aere si spazia
Prima cantando, e poi tace, contenta
Deir ultima dolcezza che la sazia,
76. Tal mi sembiò 1* imago della imprenta
Dell' eterno piacere, al cui disio
Ciascuna cosa, quale eli' è, diventa.
79. Ed avvegna eh' io fossi al dubbiar mio
Li quasi vetro allo color che il veste,
Tempo aspettar tacendo non patio;
82. Ma della bocca: Che cose son queste?
Mi pinse con la forza del suo peso;
Per eh' io di corruscar vidi gran feste.
85. Poi appresso con V occhio più acceso
Lo benedetto segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso:
88. Io veggio che tu credi queste cose,
Perch' io le dico, ma non vedi come;
Sì che, se son credute, sono ascose.
1. vetro al color
B. allolctU
C. D. mi .semhr..
n. retro al color
che r occhio
Il bcnedcnn
73. quale udoletta — che in aria || che nell' aere — 70. l' image — 79. avvegna che fossi — 81. fACcudo aspettar — M. Per rbr >
corr. — del cornwrar — 89. Perch' io 1' ho detto — 90. son nascose
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GIOVE. GIUSTI GIUDICI.
TBOIANO.
625
1.2.3. non puolc, s' altri
B. bene , ma la qoidit.
B. D. non puote , s' altri
1. 2. 3. sovranza
1. 2. 3. dallo Inf.
B. vince ogni soa
C. D. perchè non vedi
PARADISO XX. 91-114.
91. Fai come quei, che la cosa per nome
Apprende ben; ma la sua quiditate
Veder non può, se altri non la prome
94. Regnum coelorum violenza paté
Da caldo amore, e da viva speranza,
Che vince la divina volontate;
97. Non a guisa che V uomo all' uom sopranza, a.i. r. r. z;. aohrama
Ma vince lei, perchè vuole esser vinta,
E vinta vince con sua beninanza.
100. La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi
La region degli Angeli dipinta.
103. Dei corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani, in ferma fede.
Quel dei passuri, e quel dei passi piedi;
106. Che r una dello Inferno, u' non si riede
Giammai a buon voler, tornò all' ossa,
E ciò di viva speme fu mercede;
1. 2. 3. mise sua possa 109. DÌ vlva spcmc , chc mise la possa
Ne' preghi fatti a Dio per suscitarla.
Si che potesse sua voglia esser mossa.
112. L' anima gloriosa, onde si parla,
Tornata nella carne, in che fii poco.
Credette in Lui che poteva aiutarla;
e, E r una
C. D. divina spene
C. D. Divina spene —
B. mise sua possa
92. Appr. bene; ma sua — 93. se altro non — 95. Di caldo am.
prima luce — 105. di passuri , e quel di passi — 114. che là potè aiutarla
in.
' di viva sp. — 97. sombranza — 99. benignanza — 100. La
79
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626
OIOVK. GIUSTI GIUDICI.
1. *2. 3. insino
1. 2. 3. Onde ered.
1. 2. 3. rìprendeane
D.
D.
r.
che la ra^ri
L' altro
1. (?) r. Ér
B. D. is-:- -
Gli ocrh.
1. 2. 3. vuole Dio
PARADISO XX. 115-136. bifeo troiano.
115. E credendo s' accese in tanto foco
Di vero amor, eh' alla morte seconda
Fu degna di venire a questo gioco.
118. L' altra, per grazia, che da sì profonda
Fontana stilla, che mai creatura
Non pinse Y occhio infino alla prim' onda, ^
121. Tutto suo amor laggiù pose a drittura;
Per che, di grazia in grazia. Dio gli aperse
L' occhio alla nostra redenzion ftitura: n
124. Ond' ei credette in quella, e non sofferse b
Da indi il puzzo più del paganesmo,
E riprendiene le genti perverse. b. npjTudr^
127. Quelle tre donne gli fiir per battesmo,
Che tu vedesti dalla destra rota,
Dinanzi al battezzar più d' un millesmo.
130. 0 predestinazion, quanto remota
E la radice tua da quegli aspetti
Che la prima cagion non veggion tota! a.
133. E voi, mortali, tenetevi stretti
A giudicar; che noi, che Dio vedemo,
Non conosciamo ancor tutti gli eletti;
136. Ed enne dolce così fatto scemo,
Perchè il ben nostro in questo ben s' affina.
Che quel che vuole Iddio e noi volemo. n.
▼e^.
Che cW' -
vanir Dì-
117. a questo loco — 121. Tutto il suo — amor in lui pose — 129. più che un millesmo — 136. E come è dolrr
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OIOVS. GIUSTI GIUDICI.
PARADISO XX. 139-148.
AQUILA.
139. Cosi da quella imagine divina.
Per farmi chiara la mia corta vista,
Data mi fu soave medicina.
142. E come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda.
In che più di piacer lo canto acquista;
2.3. chepwiè,mi8i 145. Sì, mcutrc che parlò, si mi ricorda
rie.
Ch' io vidi le due luci benedette,
batter gli occhi PuT comc battcr d' occhi si concorda,
148. Con le parole mover le fiammette.
627
B. batter gli occhi
142. buon ceterista — 145. mentre che parlossi , mi — 147. d' occhi che a* accorda
79*
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CANTO VENTESIMOPRIMO
I. '2. 3. Ed ella
1. 2. 3. Scmele fu
. 2. Parrebbe fronda —
I. 2. che trono
!• 'i. 3. specchio
ijrià eran gli occhi miei rifissi al volto
Della mia Domia, e V animo con essi,
E da ogni altro intento s' era tolto;
4. E quella non ridea, ma: S'io ridessi,
Mi cominciò, tu ti faresti quale
Fu Semelè, quando di cener fessi;
7. Che la bellezza mia, che per le scale
Dell' eterno palazzo più s' accende,
Com' hai veduto, quanto più si sale,
10. Se non si temperasse, tanto splende,
Che il tuo mortai potere, al suo fulgore.
Sarebbe fronda che tuono scoscende,
13. Noi Sem levati al settimo splendore.
Che sotto il petto del Leone ardente
Raggia mo misto giù del suo valore.
16. Ficca diretro agli occhi tuoi la mente,
E fa di quegh specchi alla figura.
Che in questo specchio ti sarà parvente.
A. 1. (?) B. Ma qiieUa
C. D. Incominciò
A. 1. Fé' Sem. (?)
D. più 811 sale
B. Parrebbe — A. fronde
— D. che '1 tuono
B. che trono
3. m' era tolto — 5. M' incominciò — 7. Che la letizia — 15. Raggia mo mesto — 18. (.'he questo ^pccchìo ti farà
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630
SATUBNO. ROMITI.
PARADISO XXI. 19 — 42.
SCALA DI JACOB.
B. C. Qual Mf «b
D. Qiiaiuio m-
D. m' era i^tv-'
A. 2. in
1. 2. 3. Quai sap. 19. Chi sapessc qual era la pastura
Del viso mio nell'aspetto beato,
Quand' io mi trasmutai ad altra cura,
22. Conoscerebbe quanto m' era a grato
Ubbidire alla mia celeste scorta,
Contrappcsando X un con X altro lato.
25. Dentro al cristallo, che il vocabol porta,
Cerchiando il mondo, del suo chiaro duce, i?. cercando - ?
dnee
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
28. Di color d' oro, in che raggio traluce,
Vid' io uno scaleo eretto in suso
Tanto, che noi seguiva la mia luce.
2. 3. Vidi anche 31. Vidi auco pcr U gradi scender giuso
1. Tanto splendor Tautì splcudor, ch' io pensai eh' ogni lume
Che par nel ciel, quindi fosse diflFiiso.
34. E come, per lo naturai costume.
Le pole insieme, al cominciar del giorno.
Si movono a scaldar le fredde piume;
37. Poi altre vanno ^da senza ritorno.
Altre rivolgon se, onde son mosse.
Ed altre roteando fan soggiorno;
40. Tal modo parve a me che quivi fosse
In quello sfavillar che insieme venne,
Sì come in certo grado si percosse;
B. Tanto ì^p.. -
pensai
D. Che ^vpv
21. dair altra cura — 32. pensai ogni lume — 33. nel cielo quindi esser diffuso
. rivolgonsi — donde soa la. ~ 2> ^ *
giorno
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SATURNO. ROMITI.
PARADISO XXI. 43-66.
PIER DAMIANO.
631
i. 2. 3. mi t' accosta
1. 2. 3. però qui
43. E quel che presso più ci si ritenne,
Si fé' si chiaro , eh' io dicea pensando :
Io veggio ben 1' amor che tu m' accenne.
46. Ma quella, ond' io aspetto il come e il quando
Del dire e del tacer, si sta, ond' io
Contra il disio fo ben eh' io non domando.
49. Perch' ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di colui che tutto vede,
Mi disse: Solvi il tuo caldo disio.
52. Ed io incominciai: La mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta.
Ma per colei che il chieder mi concede,
55. Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che si presso mi t' ha posta;
58. E di', perchè si tace in questa rota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per 1' altre suona si devota.
61. Tu hai r udir mortai, si come il viso.
Rispose a me; onde qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
64. Giù per h gradi della scala santa
Discesi tanto, sol per farti festa
Col dire, e con la luce che m' ammanta:
D. Negli occhi
C. SoWi tuo
47. si stava . ond* io — 48. fo ben s* io non dom.
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g32 SATURNO. ROMITI. PARADISO XXI. 67 — 90. pieb Damiano.
H7. Ne più amor mi fece esser più presta, /;. mi fé >,--
Che più e tanto amor quinci su ferve,
Sì come il fiammeggiar ti manifesta;
70. Ma r alta carità, che ci fa serve
Pronte al consiglio che il mondo governa,
Sorteggia qui, sì come tu osserve.
73. Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna.
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la provvidenza eterna:
76. Ma quest' è quel, eh' a cerner mi par forte,
Per che predestinata fosti sola
A questo offizio tra le tue consorte. a. intra ir
1. 2. 3. Non venni 79. Né vcum prfma all'ultima parola,
Che del suo mezzo fece il lume centro,
Girando se, come veloce mola.
82. Poi rispose 1' amor che v' era dentro :
Luce divina sopra me s' appunta,
Penetrando per questa ond' io m' inventro ; b. mi rrrtr
3. con mio veder 85. La cuì vlrtù, col mio veder congiunta,
Mi leva sopra me tanto, eh' io veggio
La somma essenza della quale è munta.
88. Quinci vien 1' allegrezza ond' io fiammeggio ;
1.2.3* Perchè alla vista Pcrchè la vlsta mia, quant' ella è chiara, r. eiurk^.n
1. La carità La clùarità della fiamma pareggio.
Hi. Volando se |l Volvendo se (?) — 84. questa in eh' io || qu. ov' io — m' innentro || m' incentro (?)
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SATURNO. BOMITI.
PARADISO XXI. 91-114.
PIKR DAMIANO.
633
. presumma
fiimma
a.>tsumina
dixnandAr umilm.
91. Ma queir alma nel ciel che più si schiara,
Quel Serafini che in Dio più V occhio ha fisso ,
Alla domanda tua non satisfarà;
94. Perocché si s' inoltra nell' abisso
Dell' eterno statuto quel che chiedi,
Che da ogni creata vista è scisso.
97. Ed al mondo mortai, quando tu riedi,
Questo rapporta, sì che non presuma
A tanto segno più mover li piedi.
100. La mente che qui luce, in terra fuma;
Onde riguarda, come pua laggiùe
Quel che non puote, perchè il ciel V assuma.
103. Sì mi prescrisser le parole sue,
Ch' io lasciai la questione, e mi ritrassi
A domandarla umilmente chi fue.
106. Tra due liti d' Itaha surgon sassi,
E non molto distanti alla tua patria.
Tanto, che i tuoni assai suonan più bassi, ^.
109. E fanno un gibbo, che si chiama Catria,
Disotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria.
112. Così ricominciommi il terzo sermo;
E poi, continuando, disse: Quivi
Al servigio di Dio mi fei sì fermo.
A. 2. fi. C. D. presumma
A. 2. R. a D. fumma
A. 1. non può, perchè lo
e. 8* ass. — A. 2. B.
C D. assumma
D. prescrissnii
A. domandarli B. do-
mandare
A. 1. Tra i due (?)
99. qui mover li p. - 106. A domandarlo
III.
80
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634
SATURNO. ROMITI.
PARADISO XXI. 115—138.
PIER DAMIANO.
1. conv. che tosto
1. pescatur
nella
1. 3. fu
115. Che pur con cibi di liquor d'ulivi,
Lievemente passava caldi e gieli,
Contento nei pensier contemplativi.
118. Render solca quel chiostro a questi cieli .4. f,..ei cia.istr«
Fertilemente, ed ora è fatto vano,
Si che tosto convien che si riveli.
121. In quel loco fu' io Pier Damiano;
E Pietro peccator fili nella casa ^.pesrator-*.f«r^
Di Nostra Donna in sul lito Adriano.
124. Poca vita mortai m' era rimasa,
•2. 3. giiand- io fu Quando fui chiesto e tratto a quel cappello, r. guanaiofm
Che pur di male in peggio si travasa.
127. Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito Santo, magri e scalzi,
Prendendo il cibo di qualunque ostello.
130. Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
Li moderni pastori, e chi li meni.
Tanto son gravi, e chi diretro gli alzi.
1. 2. 3. lor ku paiafr. 133. Coprou dcl mautl loro i palafi'eni.
Si che due bestie van sott' una pelle :
0 pazienza, che tanto sostieni!
13f). A questa voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi.
Ed ogni giro le facéa più belle.
A. C niacri
A. da qualunque
//. de" lort» ammat-f -
fi. lor li palarir.
115. Che pur enti riho — 116. passava e caldi e f^ieU ~ 121. Pietro Damiano — 125. al giau cappello — 130. chi i nii4-«I-' »
alzi
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SATURNO. ROMITI. PARADISO XXI. 139 — 142. pier Damiano. g35
139. Dintorno a questa vennero, e fermarsi,
E fero un grido di si alto suono,
2. 3. aasomigi 01x6 uou potrebbe qui assimigliarsi; />. »somi(;i.
142. Ne io lo intesi, si mi vinse il tuono.
140. K fenno wn |;rìdn
80'
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CANTO VENTESIMOSECONDO
1. 'i. 3. La qual vedrai
v/ppresso dì stupore alla mìa guida ^. i. Apppewo - ^. a»
stup.
Mi volsi, come parvol, che ricorre
Sempre colà dove più si confida:
4. E quella, come madre, che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo ^. m. «guo pavido
Con la sua voce, che il suol ben disporre, /;.«. con queiu voce
7. Mi disse: Non sai tu che tu sei in cielo?
E non sai tu che il cielo è tutto santo,
E ciò che ci si fa vien da buon zelo?
10. Come t' avrebbe trasmutato il canto,
Ed io, ridendo, mo pensar lo puoi,
Poscia che il grido t' ha mosso cotanto ;
13. Nel quale, se inteso avessi i preghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta.
Che tu vedrai innanzi che tu muoi.
16. La spada di quassù non taglia in fretta,
Ne tardo, ma' che al parer di colui, /;.Nè tardi -^.aipiaccr
Che disiando o temendo Y aspetta. a. i. «• appetta
1. Appreso di shipor — 9. che si ci Ta |j che si si fa || che vi si fa — 17. Ne tardò — mai che al |I mai al
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638
SATURNO. ROMITI.
l. invcr altrui
1. 2. 3. la vista ridili
1. 2. 3. con mutui
1. 2. 3. riprcme
2. 3. margher.
1. 2. 3. Cassino
PARADISO XXII. 19-42.
19. Ma rivolgiti ornai inverso altrui;
Ch' assai illustri spiriti vedrai ,
Se com' io dico V aspetto ridui.
22. Com' a lei piacque gli occhi dirizzai,
E vidi cento sperule, che insieme
Più s' abbelUvan coi mutui rai.
25. Io stava come quei che in se repreme
La punta del disio , e non s' attenta
Del domandar, sì del troppo si teme
28. E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margarite innanzi fessi,
Per far di se la mia vogha contenta.
31. Poi dentro a lei udi': Se tu vedessi,
Com' io , la carità che tra noi arde ,
Li tuoi concetti sarebbero espressi;
34. Ma perchè tu, aspettando, non tarde
Air alto fine , io ti farò risposta
Pure al pensier di che si ti riguarde.
37. Quel monte, a cui Casino è nella costa,
Fu frequentato già in sulla cima
Dalla gente ingannata e mal disposta.
1. 2. 3. Ed io 9on quel 40. E qucl sou io che su vi portai prima
Lo nome di colui, che in terra addusse
La verità, che tanto ci sublima;
S. BENEDETTO.
ohe
A.
1. iirusb
d* s'itnii
C. rrtlu-
2. r. b.
^ r. D. ripr^.-
IJ. .sarebbxG
iS. C. ( 1-
19. iuver d' altrui — 22. Come le piacque — gli occhi ritoruai — 24. s* abbetliauo — 27. Di domaudar — s' ccii t'
34. aspettando, più non tarde — 35. Ad alto fin — eh' io ti farò — 36. Pria al pensier — da che sì ti rii^u. ~ 40. E qaeì >ou i
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SATURNO. ROMITI.
PARADISO XXII. 43 — 66.
S. BENKDETTO.
639
43. E tanta grazia sopra me rilusse,
Ch* io ritrassi le ville circostanti
i.i.3.empio- 1.2.C01U. Dall' impio culto che il mondo sedusse.
46. Questi altri fochi tutti contemplanti
Uomini furo, accesi di quel caldo
1. 2. 3. nascere i fiori Chc fa uasccr li fiori c Ì fruttì santi.
I. Quivi è - 1. ,,iiivi i 49. Qui è Maccario , qui è Romoaldo ,
li. e. D. empio — B. colto
1. Qui sono i fr.
1. Fermar o i p.
1. Quanto il sol
1. 2. 3. Ove
Qui son li frati miei che dentro ai chiostri
Fermar U piedi e tennero il cor saldo.
52. Ed io a lui: L' affetto che dimostri
Meco parlando, e la buona sembianza
Ch' io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,
55. Cosi m' ha dilatata mia fidanza,
Come il sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien quant' eli' ha di possanza.
58. Però ti prego, e tu, padre, m' accerta
S' io posso prender tanta grazia, eh' io
Ti veggia con imagine scoperta.
61. Ond' egU: Frate, il tuo alto disio
S' adempierà in sull' ultima spera.
Dove s' adempion tutti gli altri, e il mio.
64. Ivi è perfetta, matura ed intera
Ciascuna disianza; in quella sola
E o^ni parte là dove sempr' era.
H. D. nascere i fiori
R. Quivi k — B. quivi «
R. D. Qui sono i fr.
H. a D. Fcrmaro i p. -
/>. renner lo cor
A. 1. quando è aperta
A. Ti vegfta
C. D. O frate
D. S' adempion
n. D. Ove
A. 1. (?) B. 1), Ed ocni
parte
43. K tanta luce — 47. Uomini fiinno , are. || Uom. accesi furt) — 48. nascer e fiori e frutti ~ 49. Qui e' è Mac. — quivi Uou>. —
Kimoaldo — 56. dilatato || dilettata — 61. il tuo raldo disio — 65. e in quella sola
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640
SATURNO. ROMITI.
PARADISO XXn. 67—90.
8. BENEDETTO.
1. 2. 3. Jacob isponcer
1. 2. 3. e giù per d.
1. fa i cor
1. 2. 3. parente
2. 3. oracione
67. Perchè non è in loco, e non s' impola,
£ nostra scala infino ad essa varca,
Onde cosi dal viso ti s* invola.
70. Infin lassù la vide il patriarca
Jacob porgere la superna parte,
Quando gli apparve d' Angeli si carca.
73. Ma per salirla mo nessun diparte
Da terra i piedi, e la regola mia
Rimasa è per danno delle carte.
76. Le mura, che solcano esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.
79. Ma grave usura tanto non si toUe
Contra il piacer di Dio, quanto quel frutto
Che fa il cor dei monaci si folle.
82. Che, quantunque la chiesa guarda, tutto
E della gente che per Dio domanda;
Non di parenti, ne d' altro più brutto.
85. La carne dei mortali è tanto blanda,
Che giù non basta buon cominciamento
Dal nascer della quercia al far la ghianda.
88. Pier cominciò senz' oro e senza argento ,
Ed io con orazioni e con digiimo,
E Francesco umilmente il suo confvento.
e.
D. tcaU ib
ad esso
C. da park
D. E rimasa
A. fa i
A. dri par. - ^
A. 1. rbr .VI
A. 1. « r«j
D.
'. oranf>t'
67. Perchè non è in loro — 71. Jacobbe polder (?) — 76. Le mure - 79. Ma tanti) ^ra^e usura — 84. Nr dì parcnu
mente suo conv.
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SALITA ALLO STILLATO.
PARADISO XXIL 91-114.
DANTE E BEATRICE.
641
1 2. 3. al priuc. 91. E , sc guardì il principio di ciascuno,
Poscia riguardi là dov' è trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.
3. volto retrorso Piii fu. 94. Veramente Giordan volto è retrorso ;
e il mar fugg.
Più fu il mar fuggir, quando Dio volse,
1. a udir
B. al princ.
/J. ov* è
r. Tedrai del bianru
D. Jordan
B. il mal fuggire, quando
volse
B. a udir
A. 2. B. a D. tutto in «è
C. un cenno sol
Mirabile a veder, che qui il soccorso.
97. Cosi mi disse, ed indi si ricolse
Al suo collegio, e il collegio si strinse;
2. 3. in su tutto -i. in ȏ Poi , comc turbo , tutto, in su s'accolse.
100. La dolce Donna dietro a lor mi pinse
Con un sol cenno su per quella scala,
Si sua virtù la mia natura vinse;
103. Ne mai quaggiù, dove si monta e cala
Naturalmente, fu sì ratto moto,
Ch' agguagliar si potesse alla mia ala.
106. S' io torni mai, lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo quale io piango spesso
Le mie peccata, e il petto mi percoto,
109. Tu non avresti in tanto tratto e messo
Nel foco il dito , in quanto io vidi il segno a. ì» quanto vidi
Che segue il Tauro, e fui dentro da esso.
112. 0 gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
2. 3. il mio iug. Tutto, qual che si sia, lo mio ingegno; b. r n, n m\o ìn^.
92. E poi riguardi ^ 94. fatto retrorso — dS. il mar a fuggir — 99. Poi come a turbo — iu se tutto || in sé stesso — s' avvolse -
9. in tanto tratto, messo
III.
SI
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642
STKLLATO. GXMXLLI.
DANTE E BSATBICB.
l. 2. 3. in giiiso
1. 2. 3. tutt« qii.
1. Ch' ei;li ha
1. 2. 3. punte veratn.
PARADISO XXII. 115—138.
115. Con voi nasceva e s' ascondeva vosco
Quegli eh' è padre d' ogni mortai vita, z/. coiniet.
Quand' io senti' da prima 1' aer Tosco ;
118. E poi, quando mi fìi grazia largita
D' entrar nell' alta rota che vi gira.
La vostra region mi fu sortita.
121. A voi devotamente ora sospira
L' anima mia per acquistar virtute
Al passo forte, che a se la tira.
124. Tu sei si presso all' ultima salute.
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le luci tue chiare ed acute. a. i. anr^t*
127. E però, prima che tu più t'inlei, o. piùtut.:
Rimira in giù, e vedi quanto mondo b. m ^u^
Sotto li piedi già esser ti fei;
130. Sì che il tuo cor, quantunque può, giocondo .<.i.i?.eor.
U. Rappr»^-
S' appresenti alla turba trionfante.
Che Ueta vien per questo etera tondo.
133. Col viso ritomai per tutte e quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal, ch'io sorrisi del suo vii sembiante;
136. E quel consiglio per migliore approbo
Che r ha per meno ; e chi ad altro pensa
Chiamar si può veracemente probo.
A. 2. B. b
B. (\ U. \
115. e si s'ascoudca — 117. senti' di prìm« — 121. or» e sosp. || e or» e sosp. — IS. che & se forte — 127. tu p-
130. Sì quel tuo cor — quantunque puoi 1) quantunque più — 135. di suo vii — 137. Che U pon mente
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STELLATO. OBMKLLL PARADISO XXII. 139—154. (SETTE PIANETl) 643
139. Vidi la figlia di Latona incensa
Séhza quell' ombra, che mi fii cagione
Per che già la credetti rara e densa.
142. L' aspetto del tuo nato, Iperione,
Quivi sostenni, e vidi com' si move
Circa e vicino a lui Maia e Dione. ^i. 2. viciua a lui
145. Quindi m' apparve il temperar di Giove ^.m* apparse
1.2.3 e quindi -Icaro Tra il padrc e il figUo; e quivi mi fu chiaro a. 2, b. a v. t qmndi
— B. mi fu caro
Il variar che fanno di lor dove.
148. E tutti e sette mi si dimostraro '
Quanto son grandi, e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
151. V aiuola che ci fa tanto feroci,
A. 1. Volg..nii con —
Volgendom' io con gli eterni Gemelli, -4. 1. (?) b. con ui
e li gem.
Tutta m' apparve dai colU alle foci: ^.2. Rr.traicoUicief.
154. Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli.
143. vidi che si move — 145. Quindi m* aperse — 151. L* aunuola || La mola — 152. con lei in li Gemelli
81'
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CANTO VENTESmOTERZO
\jome Y augello, intra Y amate fronde,
Posato al nido dei suoi dolci nati
La notte, che le cose ci nasconde,
4. Che, per veder gli aspetti disiati,
E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi labor gli sono aggrati,
7. Previene il tempo in suir aperta frasca,
E con ardente affetto il sole aspetta,
Fiso guardando, pur che Y alba nasca;
10. Così la Donna mia si stava eretta
Ed attenta, rivolta inver la plaga
Sotto la quale il sol mostra men fretta;
13. Sì che veggendola io sospesa e vaga,
Fecimi quale è quei, che disiando
Altro vorria, e sperando s' appaga.
16. Ma poco fii tra uno ed altro quando,
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo ciel venh» più e più rischiarando.
B. C. 1). In che gravi —
C. D. labori gli son
grati
D. al tempo
A. Fisso — A» m. pur
se r alba
tì. mia stava
I). vorrebbe
l. Come r uccello — 6. gli sono agiati — 7. Prevenne — in su aperta fr. — 11. inver la piaga
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646
STELLATO. GEMELLL
PARADISO XXni. 19 — 42.
TRIONFO DI CRISTO.
1. Parvcmi
1. 2. 3. mi ronvien
1. Che *1 viso mio non
1. snvranz* 2. 3. sobranxa
l. 2. 3. tra il rìelo
19. E Beatrice disse: Ecco le schiere
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutto
Ricolto del girar di queste spere.
22. Pareami che il suo viso ardesse tutto,
E gli occhi avea di letizia si pieni.
Che passar mei convien senza costrutto.
25. Quale nei plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe eteme,
Che dipingono il ciel per tutti i seni,
28. Vid' io, sopra migliaia di lucerne,
Un sol che tutte quante Y accendea,
Come fa il nostro le viste superne;
31. E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenea.
34. 0 Beatrice, dolce guida e cara...!
Ella mi disse: Quel che ti sopranza
E virtù, da cui nulla si ripara.
37. Quivi è la sapienza e la possanza
Ch' apri le strade intra il cielo e la terra,
Onde fu già sì lunga disianza.
40. Come foco di nube si disserra
Per dilatarsi si, che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s* atterra.
^.2.ParirBi; !,
reni
C tra».|>a?r>«
B. C1»e I v:*
tenera
A. t. C. El Sri
A. 2. B, c. ;•
A.*2,B.(
B. a AOB .
27. dipingon lo ciel — 33. eh' io non U sost. -> 34. Eh Beatrice — o dolce guida — f&. Allor mi disac
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STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXIII. 43 — 66.
RISO DI BEATRICE.
647
1. 2. 3. Così la m. 43. La meote mia così, tra quelle dape
Fatta più grande, di se stessa uscio,
E, che si fesse, rimembrar non sape.
46. Apri gli occhi e riguarda qual son io;
Tu hai vedute cose, che possente
Sei fatto a sostener lo riso mio.
49. Io era come quei, che si risente
Di vision obblita, e che s'ingegna
1. 2. riduceriasi a m. ludamo dì ridurlasi alla mente,
I. udii: Qu. proff. è d. 52. Quaudo io udi' questa profferta, degna
Di tanto grado, che mai non si estingue
Del libro che il preterito rassegna.
55. Se mo sonasser tutte quelle lingue
Che Polinnia con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue,
58. Per aiutarmi, al miUesmo del vero
Non si verria, cantando il santo riso,
1. 2. asp. facea E quauto il sauto aspetto il facea mero.
61. E così, figurando il Paradiso,
Convien saltar lo sacrato poema.
Come chi trova suo cammin reciso.
1. 2. il ponderoso 64. Ma cM pcusassc il poderoso tema,
E r omero mortai che se ne carca,
Noi biasmerebbe, se sott' esso trema.
B, Cosi la m. mia —
D. fra qu. A. m. da qu.
8. riducerlasi a mente
A. C. D. Polymia -
B. con le sue sore
A. C. cant al santo
B, aspetto facea
D. al ponder.
B. che sì ne carca
45. K, che si fosse — 47. Tu hai veduto — 50. obblita, che s' ing. — 53. Di tanto grato — 54. che preterito — disegna — 65. Se
me sonasser — 56. Le quai Poi. — 57. dolciss. e più pingue — 58. Per a' tarmi al millesimo || Per ritrarne il millesimo — al millesimo vero —
59. Non converria — 60. il dolce asp. — aspetto face mero — 63. Com* uom che trova ^ 66. Neil* omero — 66. Non biasmerebbe
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648
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXIII. 67-90.
MARIA VBBOIME.
i. peieggio 2. poieggio 67. Nodl 6 pileggio da picciola barca
Quel che fendendo va Y ardita prora,
Ne da nocchier eh' a se medesmo parca.
70. Perchè la faccia mia si t' innamora.
Che tu non ti rivolgi al bel giardino
Che sotto i raggi di Cristo s' infiora?
73. Quivi è la rosa in che il Verbo Divino
Carne si fece; quivi son li gigli,
Al cui odor si prese il buon cammino.
76. Così Beatrice. Ed io, eh' a' suoi consigU
Tutto era pronto, ancora mi rendei
Alla battagha dei debili cigU.
79. Come a raggio di sol, che puro mei
Per fratta nube, già prato di fiori
1.3. coperto Vidcr, copcrtl d' ombra, gli occhi miei;
82. Vid' io così più turbe di splendori,
Folgorati di su da raggi ardenti,
1. 2. 3. di f,ii«ori Senza veder principio dei fulgori.
85. 0 benigna virtù che sì gV impronti,
Su t' esaltasti per largirmi loco
Agli occhi lì, che non eran possenti.
88. Il nome del bel fior, eh' io sempre invoco
E mane e sera, tutto mi ristrinse
L' animo ad avvisar lo maggior foco.
A. Per qwl fn^ -
B. JJ. copcn<
ZI. Fali;urms -
77. di ra-r
B. D. di fn>
A. C DOB T <1
^. 2. c n :::.
67. puleggio II pelaggio || pUaggio || polaggio || pareggio |{ paraggi© (?) — 68. Quei che - 76. s' apprese || s* «prr^ - "
raggi — di sole, che pur — puro inei — 80. Per fredda nube — 83. Folgorate || Fulminati — 86. O divina virtù — H7. ik^ e'ens ;
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GABBIEL ARCANGELO.
STELLATO. OSMELLL PARADISO XXIII. 91 — 114.
91. E come ambo le luci mi dipinse
Il quale e il quanto della viva stella,
Che lassù vince, come quaggiù vinse,
94. Perentro il cielo scese una facella.
Formata in cerchio a guisa di corona,
E cinsela, e girossi intorno ad ella.
97. Qualunque melodia più dolce suona
Quaggiù, e più a se V anima tira,
Parrebbe nube che squarciata tuona,
100. Comparata al sonar di quella lira,
Onde si coronava il bel zaffiro,
Del quale il ciel più chiaro s' inzaffira.
103. Io sono amore angelico, che giro
L' alta letizia che spira del ventre ,
Che fu albergo del nostro disiro;
106. E girerommi. Donna del ciel, mentre
Che seguirai tuo figlio, e farai dia
rrhe«ii 2.3. perchè lì Pìù la spcra suprcma, perchè gli entre.
109. Cosi la circulata melodia
Si sigillava, e tutti gli altri lumi
Faceau sonar lo nome di Maria.
112. Lo real manto di tutti i volumi
Del mondo, che più ferve e più s' avviva
Neir aUto di Dio e nei costumi ,
649
B. Che Imsù vinse
/>. Nube parrebbe
A. 1. Donde
B. che spiro
B. per cheli I C. perchè lì
ir abito
A. 2. C. D. Facea sonar
- B. lo lume di M.
A. 1. (?) B. più saliva
A 1. Xeir abito (?) B.
Via neir atto — l).
dei nost.
93. Che quassù — come laggiù — 91. il ciel discese — 98. ed a aè più — 101. Onde s' incoronava — HI. sonare il nome
III.
82
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650
STELLATO. (ìKMKLLL
PARADISO XXIIl. 115—139.
MARIA VERGIKE.
1. r eterna r.
1. 2. 3. come fant. -
3. che ver
2. 3. la sua rima
2. 3. Babilonia - 1. 2.
3. uve
115. Avea sopra di noi Y interna riva
Tanto distante, che la sua parvenza
Là dov' io era ancor non m' appariva.
118. Però non ebber gli occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma,
Che si levò appresso sua semenza.
121. E come il fantolin, che in ver la mamma
Tende le braccia poi che il latte prese,
Per r animo che in fin di fuor s' infiamma ;
124. Ciascun di quei candori in su si stese
Con la sua fiamma, sì che 1' alto affetto
Ch' egli aveano a Maria, mi fu palese.
127. Indi rimaser lì nel mio cospetto,
Regina coeli cantando si dolce.
Che mai da me non si partì U diletto.
130. Oh quanta è 1' ubertà che si soffolce
In queir arche ricchissime , che foro
A seminar quaggiù buone bobolce!
133. Quivi si vive e gode del tesoro
Che s' acquistò piangendo nell' esilio
Di Babilon, dove si lasciò Y oro.
136. Quivi trionfa, sotto Y alto Filio
Di Dio e di Maria, di sua vittoria,
E con r antico e col nuovo concilio
139. ('olui, che tien le chiavi di tal gloria.
A. f. B, C. D. Y tlcri
riva
JJ. non appariva
H. D. come fant.
D. ehe latTr
A. m. U. m. la -^ua a-
U. Ch* avfvaBu
A. rimasou
A biibt»lrf
H. C'ume si vi\f
U. BabiUmia - *- '
HI. />. dovei- '
r. la»ri« />. h •
U. la Mia vttL
13). appr. a sua semenza || intorno &iia scm. — 126. Ch' avicno — 127. noi min aspetto
lasriò — lasriò hini - 138. e nell' antico e nel nntivo
iXi. si godr e vive — I35
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CANTO VENTESIMOQUARTO
3. An/i che m.
3. alla sua voglia
\J sodalizio eletto alla gran cena
Del benedetto agnello, il qual vi ciba
Sì, che la vostra voglia è sempre piena;
4. Se per grazia di Dio questi preliba
Di quel che cade della vostra mensa,
Prima che morte tempo gli prescriba,
7. Ponete mente all' affezione immensa,
E roratelo alquanto: voi bevete
Sempre del fonte onde vien quel eh' ei pensa.
10. Così Beatrice: e quelle anime liete
Si fero spere sopra fissi poli,
Fiammando forte a guisa di comete.
13. E come cerchi in tempra d' orinoli
Si giran sì, che il primo, a chi pon mente ,
Quieto pare, e 1' ultimo che voli,
16. Così quelle carole differente -
Mente danzando, della sua ricchezza,
Mi si facean stimar veloci e lente.
e. dalla vostra
B. Anzi che morte
/>. roratela
A. sopra i fissi
A. m FìammaDdo volte
A. 2. Mi si faeéno H.
C. U. Mi faeéao
2. ohe vi ciba || il qual ne ciba — 3. la nostra vogliif — 5. della nostra mensa — 11. Si fenno spere
Ulla sua
82*
1*2. Raggiando forte —
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652
KTKI.LATO. «E»ELLI.
PARADISO XXIV. 19 — 42.
8. PIETBO. (fede.)
3. tanto vivo
1. 2. 3. Ov' ogni
19. Di quella eli' io notai di più bellezza
Vid' io uscire im foco sì felice,
Che nullo vi lasciò di più chiarezza;
22. E tre fiate intorno di Beatrice
Si volse con un canto tanto divo,
Che la mia fantasia noi mi ridice;
25. Però salta la penna, e non lo scrivo,
Che l'immaginar nostro a cotai pieghe,
Non che il parlare, è troppo color \dvo.
28. 0 santa suora mia, che si ne preghe
Devota, per lo tuo ardente affetto
Da quella bella spera mi disleghe.
31. Poscia, fermato il foco benedetto,
Alla mia Donna dirizzò lo spiro,
Che favellò cosi, com' io ho detto.
34. Ed ella: 0 luce eterna del gran viro,
A cui nostro Signor lasciò le chiavi,
Ch' ei portò giù, di questo gaudio miro,
37. Tenta costui dei pimti lie\i e gravi.
Come ti piace, intomo della fede.
Per la qual tu su per lo mare andavi.
40. S' egli ama bene, e bene spera, e crede.
Non t' è occulto, perchè il viso hai quivi,
Dov' ogni cosa dipinta si vede.
A. 2. r. li
D. è pr-
r*rU.
(\ com* i=<
B. nostro t^^\
C\ dì psTC
f '- soprs 1* nr
B. i"W «B
20. uscirne — 'il, nulla yen' luciò — 29. Devota per lo tuo devoto — 33. com' io t* ho detto
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STILLATO. GEMELLI.
PARADISO XXIV. 43 — 66.
1. baccialier
1. deir altro
1. E cominciai
I. 2. 3. padre
653
e. D. questo Re — ^1.
r;. D. v' ha - A, a.
(\ D. fatti civi
A. l. è ben (?)
B. baciallier
B. D. appr. . nou per
('. lavai
S. PIETRO, (fede.)
43. Ma perchè questo regno ha fatto civi
Per la verace fede, a gloriarla,
Di lei parlare è buon eh* a lui arrivi.
46. Sì come il baccellier s' arma, e non parla,
Fin che il maestro la question propone,
i.2,3.appr..ia,nonper Pcr appro Varia , c uou per terminarla;
49. Così m' armava io d' ogni ragione.
Mentre eh' ella dicea, per esser presto
A tal querente ed a tal professione.
52. Di', buon Cristiano, fatti manifesto;
Fede che è ? Ond' io levai la fronte
In quella luce onde spirava questo;
1. 2. 3. e queiu pr. 55. Poi uiì voIsì a Bcatricc, ed essa pronte
1. 2. 3. perchè io Scmbiauzc femmi, perch'io spandessi
L' acqua di fiior del mio intemo fonte.
58. La grazia che mi dà eh' io mi confessi,
Comincia' io, dall' alto primipilo,
Faccia li miei concetti esser espressi.
61. E seguitai: Come il verace stilo
Ne scrisse, patre, del tuo caro frate,
Che mise Roma teco nel buon filo,
64. Fede è sustanzia di cose sperate.
Ed argomento delle non parventi;
1. 2. 3. E questa E qucsto parc a me sua quiditate. b. k questa
B. dell' altro
B, E cominciai D. Co-
mincia* in
48. Per aiutarla — 52. facci manifesto — 66. ed ella pronte — 57. etemo fonte — GO. concetti bene espressi — tì&. non parenti —
. parve a me
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654
STELLATO. GEMELLL
PARADISO XXIV. 67-90.
S. PIETRO. (fede.)
1. K poi udì'
1. 2. 3. nascose
1. 2. lor v' è ili
1. Giù per scienza
1. 2. 3. Non v' avria
1.2.3. Ed lo -3. Sì, l'iu
67. Allora udii: Dirittamente senti,
Se bene intendi, per che la ripose
Tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti.
70. Ed io appresso: Le profonde cose,
Che mi largiscon qui la lor parvenza,
Agli occhi di laggiù son si ascose,
73. Che r esser loro v' è in sola credenza.
Sopra la qual si fonda 1' alta spene,
E però di sustanzia prende intenza;
76. E da questa credenza ci conviene
Sillogizzar, senza avere altra vista;
Però intenza di argomento tiene.
79. Allora udii: Se quantunque s' acquista
Giù per dottrina fosse così inteso.
Non gli avria loco ingegno di sofista.
82. Cosi spirò da queir amore acceso;
Indi soggiunse: Assai bene è trascorsa
D' està moneta già la lega e il peso;
85. Ma dimmi se tu 1' hai nella tua borsa.
Ond' io: Si, ho, si lucida e si tonda.
Che nel suo conio nulla mi s' inforsa.
€8. Appresso usci della luce profonda,
Che li splendeva: Questa cara gioia.
Sopra la quale ogni virtù si fonda,
A. 2. a pfrrL
rÌ9pu<v*«
D. occhi i!i;r: :
iJ. di qucJ.' i-
A. C. spLewk»
68. perchè la si pose — 76. ti conviene — 78. E però intenza || Perocché intenza — 81. Non avria — Si, Delia moaci
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1.2.3. Prop...ne che si ti
1. *ì. 3. aiieude
1. 2. '4. ludi amo
STELLATO. GEMELLI. PARADISO XXIV. 91 — 114. S.PIETRO. (fEDK.)
91. Onde ti venne? Ed io: La larga ploia
Dello Spirito Santo, eh' è diffusa
In sulle vecchie, e in sulle nuove cuoia,
94. E sillogismo , che la m' ha conchiusa
Acutamente sì, che in verso d' ella
Ogni dimostrazion mi pare ottusa.
97. Io udii poi: L' antica e la novella
Proposizion che così ti conchiude,
Perchè 1' hai tu per divina favella?
100. Ed io: La prova che il ver mi dischiude
Son r opere seguite, a che natura
Non scaldò ferro mai, ne battè incude.
103. Rispostò fummi: Di', chi t' assicura
Che queir opere fosser? Quel medesmo
Che vuol provarsi, non altri, il ti giura.
106. Se il mondo si rivolse al Cristianesmo,
Diss' io, senza miracoli, quest' imo
E tal, che gli altri non sono il centesmo;
109. Che tu entrasti povero e digiuno
In campo, a seminar la buona pianta.
Che fii già vite, ed ora è fatta pruno.
112. Finito questo, l'alta Corte santa
Risonò per le spere im: Dio laudamo,
Nella melode che lassù si canta.
655
e. che r &lma
D. chi' verso
JJ. Io vidi poi
B. C. D. Pro])... ne che
si ti
B. conchiude
C. né batte - A.'L B-
e. a 11 cu de
(\ che t' assic.
D. altri tei giura
U. si volse
B. (• fatto
B. laudiamo
91, Onde ti viene — 94. E il sillogismo — che me l'ha — 102. No» scalda || Né scaldò - 105. ne altri
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656
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXIV. 115— 1S8.
1. U tua Domi»
1. 2. 3. Inaino
8. PIETRO. (fede.)
115. E quel Baron che, si di ramo in ramo,
Esaminando, già tratto m* avea,
Che air ultime fronde appressavamo,
118. Ricominciò: La grazia che donnea
Con la tua mente, la bocca t' aperse
Infino a qui, com' aprir si dovea;
121. Si eh' io approvo ciò che fiiori emerse;
Ma or conviene esprimer quel che credi.
Ed onde aUa credenza tua s' offerse.
1. 2. 3. padre - 2. 3. e 124. 0 sauto patrc, spirito che vedi
spirito
Ciò che credesti si, che tu vincesti
1. 2. 3. .cpoicro piii Ver lo sepolcro i più giovani piedi,
127. Comincia' io, tu vuoi eh' io manifesti
La forma qui del pronto creder mio,
2.3. Ed anche Ed auco la caglou di lui chiedesti.
1.2. 3. «no Pio 130. Ed io rispondo: Io credo in uno Iddio
Solo ed etemo, che tutto il ciel move,
Non moto, con amore e con disio;
133. Ed a tal creder non ho io pur prove
Fisice e metafisice, ma dalmi
2. 3. Anche Auco la vcrità che quinci piove
1. per prof, per .almi 136. Pcr Moisè , pcr profcti, e per salmi,
Per r E vangeho , e per voi che scriveste ,
Poiché r ardente Spirto vi fece almi;
D, Si eh' tL air
B. la toa Iw •^2l
D. fuor d' rsse-^
j4. 2. CU. r.T
B. a u.\^-
D. e .r-:r:
c u.u^
Bm ano T^i<
iJ, Fì»ieb« < I •
A. profrì"
I>, Ti fr aJ'.
117. ultime frondì — 118. La gr. che dovea — 119. Nella tua mente — la Toce t'aperse — 120. aprir ti de^ea — l^i. -
124. o spirito — 126. di Giovanni i piedi — 190. rispondo , eh' io — 138. T ardente spirito
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STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXIV. 139-154.
1. 3. .«•««/ et e*te
S. PIETRO. (fede.)
139. E credo in tre persone eterne, e queste
Credo una essenza si una e si trina,
Che sofferà congiunto sono ed este.
142. Della profonda condizion di\4na
> 3. tocco mo, la mente Cli' io tocco, uella uientc mi sigilla
Più volte r evangelica dottrina.
145. Quest' è il principio; quest' è la favilla
Che si dilata in fiamma poi vivace,
E, come stella in cielo, in me scintilla.
1. 2. 3. quel che piare 148. Comc il siguor ch'ascolta quel che i piace,
Da indi abbraccia il servo, gratulando
Per la novella, tosto eh' ei si tace;
151. Cosi, benedicendomi cantando.
Tre volte cinse me, si com' io tacqui,
L' apostolico lume, al cui comando
154. Io avea detto; si nel dir gli piacqui.
657
A. 2. R. Credo in tre
A. 1. B. Credo in una
A. 2. C. congiunta —
D. funi
A. 2. C. D. toeeo mo,
la mente
A. t. C. più vivace
141. die soffcre — Mum et este — 142. congiunzion divina — 151. e cantando
III.
83
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CANTO VENTESIMOQUINTO
1. 2. 3. ovile , ov' io
1. 2. 3. quella schiera
1. ne" vicari
l^e mai continga che il poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Sì che m' ha fatto per più anni macro ,
4. Vinca la cradeltà, che fiior mi serra
Del bello ovil, dov' io dormii agnello
Nimico ai lupi, che gli danno guerra;
7. Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello;
10. Perocché nella Fede, che fa conte
L' anime a Dio, quivi entra' io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
13. Indi si mosse un lume verso noi
Di quella spera, ond' uscì la primizia
Che lasciò Cristo dei vicari suoi.
16. E la mia Donna piena di letizia
Mi disse: Mira, mira, ecco il Barone,
Per cui laggiù si visita Galizia.
B. le più volte macro
D. per molf anni m.
R. D. ovile , ov' io
C. la fonte
A. m. R. quella schiera
6. che mi fanno — 8. poeia in sul fonte — 9. battesmo, e prenderò
83-
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660
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXV. 19-42.
s. JACOPO, (speranza.)
1. 2. 8. comp.,
V altro
l. 2. 3. si prande
1. la larghezza
3. Quante Gesù
1. 3. del mortai
1. 2. 3. del foco
A. i^ratularr «
D. asn^ ;
D, Tariti
C. n. la bT£.'.
19. Si come quando il colombo si pone
Presso al compagno, e V uno all' altro panda, s. c«np . r .
Z>. e r «Jtr
Girando e mormorando, l'affezione,
22. Cosi vid' io r un dall' altro gi^ande
Principe glorioso essere accolto,
Laudando il cibo che lassù li prande.
25. Ma poi che il gratular si fu assolto.
Tacito coram me ciascun s' affisse.
Ignito sì, che vinceva il mio volto.
28. Ridendo allora Beatrice disse:
IncUta vita, per cui V allegrezza
Della nostra basilica si scrisse,
31. Fa risonar la speme in questa altezza;
Tu sai che tante volte la figuri.
Quanto Jesù ai tre fé' più chiarezza.
34. Leva la testa, e fa che t' assicuri;
Che ciò che vien quassù dal mortai mondo, A.^iLrui
Convien eh' ai nostri raggi si maturi.
37. Questo conforto dal foco secondo . a. i. (?> b.
Mi venne; ond' io levai gli occhi ai monti.
Che gì' incurvaron pria col troppo pondo.
40. Poiché, per grazia, vuol che tu t' affronti
Lo nostro Imperadore, anzi la morte, n.^^^^
Neil' aula più segreta, co' suoi Conti;
A. 2. B. D '3^
A, l. Gestì *
A. r U
22. vid' io r uno — 2B. Tao. eoiitra me || Tae. incontro a me — oiasc. si fisse — 32. Perchè tante fiate — V affiori -
via più — de* suoi Conti
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STELLATO. OBMELLL
PARADISO XXV. 43 — 66.
8. JACOPO. (speranza.)
661
43. Si che, veduto il ver di questa corte,
La speme che laggiù bene innamora
In te ed in altrui di ciò conforte:
46. Di' quel che eli' è, e come se ne infiora
La mente tua, e di' onde a te venne;
2. Cosi seguio Cosi segui '1 secondo liune ancora.
49. E quella pia, che guidò le penne
Delle mie ali a cosi alto volo,
Alla risposta cosi mi prevenne:
52. La Chiesa militante alcun figliuolo
Non ha con più speranza, com' è scritto
Nel sol che raggia tutto nostro stuolo;
55. Però gli è conceduto che d' Egitto
2.3. Gerus. Vcuga ìu Jcrusalcnune per vedere,
Anzi che il mihtar gU sia prescritto.
58. Gli altri due punti, che, non per sapere
1. 2. 3. pcrch- ei Sou domaudatl, ma perchè rapporti
Quanto questa virtù t' è in piacere,
61. A lui lasc' io; che non gli saran forti.
Ne di iattanza, ed egli a ciò risponda,
E la grazia di Dio ciò gli comporti.
64. Come discente eh' a dottor seconda.
B. mie ale
D. tutto 1 n. - U. t.
nostro polo
D. Però è
C, Genisal.
A. m. C\ e' è in piac.
D. Come'I disc. — A. l.
che dottore (?) JJ.
eh* al dottor
. 2. 3. in quel eh' egli
é esperto
Pronto e libente, in quello ch'egli è sperto, r a in quei />. in ci.»
— B. C. D, esperto
Perchè la sua bontà si disasconda:
4-1. liacrimc che laggiù — 46. di' come se ne inf. — 47. e di' donde - 49. che guidava le penne — iìO. cosi fatto volo — 60. Quanto
questa — virtute è — 61. A lui li lascio
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662
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXV. 67-90.
s. JACOPO, (speranza.)
67. Speme, diss'io, è uno attender certo
Della gloria fiitura, il qual produce
Grazia divina e precedente merto.
70. Da molte stelle mi vien questa luce;
Ma quei la distillò nel mio cor pria,
Che fii sommo cantor del sommo duce.
1. 2. 3. Sperino in te - 73. Speveììt ifi t€ ^ ucUa sua teodia
l. tii» Thcodia
Dice, color che sanno il nome tuo:
E chi noi sa, s' egli ha la fede mia?
76. Tu mi stillasti con lo stillar suo
1. 2. 3. Nella pìst. Ncli' cplstola poi , SI cli' io son pieno ,
Ed in altrui vostra pioggia repluo.
79. Mentr' io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolava un lampo
Subito e spesso, a guisa di baleno.
82. Indi spirò : L' amore ond' io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi seguette
Infin la palma, ed all' uscir del campo,
85. Vuol eh' io respiri a te , che ti dilette
Di lei; ed emmi a grato che tu diche
Quello che la speranza ti promette.
88. Ed io: Le nuove e le scritture antiche
Pongono il segno. Ed esso: Lo mi addita.
Dell' anime che Dio s' ha fatte amiche
1. eh' i' ti (liletU-
1. a grado
1. nuove 8cr. e Y ant.
1. Porgono — 1. 2. 3.
segno, ed esso lo
m' addita ,
i. 2. 3, amirhe.
B. C. D. Sperino ir. tf
- />. e neìl* -
D. tua teodia
B. D. Nella pi5t..h
D. t. Ancor nella t
D, Fino alla
D. eh' io spiri
D. emmi ^. — A. li ■
grado
B, nuove srritt. e \ x.'
B, Porgono — A.
Ed essa
V. che Iddio
67. Speme e disio — 68. futura, che produce — 73. nell' alta teodia — 74. Dice 'n color || Dicon color — Tb. vostra j!<jì* -
rìpluo — 82. spirò 1' amore - 87. t* impromette
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S. GIOVANNI EVANO.
1. E 'l su' fratello
.3.
STELLATO. OKMILLI. PARADISO XXV. 91 — 114.
91. Dice Isaia, che ciascuna vestita
Nella sua terra fia di doppia vesta,
E la sua terra è questa dolce vita.
94. E il tuo fratello assai vie più digesta,
Là dove tratta delle bianche stole,
Questa rivelazion ci manifesta.
I. prima e pr«.s8o - 97. E priuia, apprcsso al fin d' este parole,
1. 2. 3. il fin
Sperent in te, di sopra noi s* udì,
A che risposer tutte le carole;
100. Poscia tra esse un lume si schiarì.
Si che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
L' inverno avrebbe un mese d' un sol dì.
103. E come surge, e va, ed entra in ballo
Vergine lieta, sol per fare onore
Alla novizia, e non per alcun fallo,
106. Cosi vid' io lo schiarato splendore
Venire ai due, che si volgeano a rota,
Qual conveniasi al loro ardente amore.
109. Misesi lì nel canto e nella nota;
E la mia Donna in lor tenne Y aspetto,
Pur come sposa, tacita ed immota.
112. Questi è colui che giacque sopra il petto
Del nostro Pellicano, e questi fiie
D' in sulla croce al grande offizio eletto.
663
. *i. 3. Il verno
2. 3. novizia . non
JJ. m. E poi — A. t, E pr.
e presso — B. D. il fin
D. noi udì*
C. Lo verno
A. 1. surge, va
B. C. D. novieia* non
A, si Tolgieno B. si
volve'no
D, tene» 1' asp.
C, I). come donna
2. a. Di su Is or.
B. JJ. Di su la er.
{m. ha manifesta — 97. E prima, presso — 100. si ehiari — 104. Vergine lenta — per farne onore — HO. in lui tenne (?) —
, tacita e remota - 114. In su la croce
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664
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXV. 115-139.
S. GIOVANNI EVANO.
3. nel suon
trino
1. 2. Mi
1. 2. 3. vr«l«TlH
115. La Donna mia cosi; ne però piùe
Mosse la vista sua di stare attenta
Poscia, che prima, alle parole sue.
118. Quale è colui ch'adocchia, e s'argomenta
Di vedere ecUssar lo sole un poco,
Che per veder non vedente diventa;
121. Tal mi fec' io a quell' ultimo foco,
Mentreche detto fu: Perchè t' abbagU
Per veder cosa, che qui non ha loco?
124. In terra è terra il mio corpo, e saragli
Tanto con gli altri che il numero nostro
Con r etemo proposito s' agguagli.
127. Con le due stole nel beato chiostro
Son le due luci sole che salirò;
E questo apporterai nel mondo vostro.
130. A questa voce l' infiammato giro
Si quietò con esso il dolce mischio.
Che si facea del suon del trino spiro,
133. Sì come, per cessar fatica o rischio.
Li remi, pria nell' acqua ripercossi.
Tutti si posan al sonar d' im fischio.
136. Ahi quanto nella mente mi commossi,
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vedere, ben eh' io fossi
139. Presso di lei, e nel mondo felice!
A. 2. C. /). 1. pr.roi. \t
R. In terra terra ii i '.
In t. terra r " C-
V. questo porterà'
A. m. nel suon - t e
trino A. nel t-
D. iu ae<]ua |
-4.2. C. veder. }>arW
io D. veder leo. ^ t
eh' io ft. ben ^tt»'
eh' i-
116. Mns^er la vista || Mostrò la vista - da stare att. — 121. iu quell' ultimo — 133. per sehivar fatica — ISiì. mi pereo»».
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CANTO VENTESIMOSESTO
arcrc tosto
Alfa ed ()aie(;a
m. . lievemente
A. M. D. lo lume spento
A. 1. N' uscì
D. di* dove
A. in te tsmarrita
IVlentr' io dubbiava per lo viso spento ,
Della fulgida fiamma che lo spense
Uscì un spiro che mi fece attento,
4. Dicendo: In tanto che tu ti risense
Della vista che hai in me consunta,
Ben è che ragionando la compense.
7. Comincia dunque, e di' ove s' appunta
L' anima tua, e fa ragion che sia
La vista in te smarrita e non defunta;
10. Perchè la Donna, che per questa dia
Region ti conduce, ha nello sguardo
La virtù eh' ebbe la man d' Anania.
13. Io dissi: Al suo piacere e tosto e tardo b. piacere tosto
Vegna rimedio agli occhi che fur porte,
Quand' ella entrò col foco ond' io sempr' ardo. d. entrò nd foco
1(). Lo ben, che fa contenta questa corte,
x\lfa ed 0 è di quanta scrittura
Mi legge Amore, o lievemente o forte. /?. Am., uevem. e forte
2. Dalla fulgida - 3. Giunse — tino spiro — -I. ti rinsense — 7. e diiniDt in che — 13. Al fno piacere — 18. Migliore Amore
vetnentp
ni.
84
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066 STELLATO. 0£MKLLI. PARADISO XXVF. 19 — 42. 8. OIOVAMKI. (CABITÀ.)
19. Quella medesma voce, che paura .4 .ned«»*iu.
Tolta m' avea del subito abbarbaglio ,
Di ragionare ancor mi mise in cura;
22. E disse: Certo a più angusto vaglio ccen^i^
Ti conviene schiarar; dicer convienti
1. 2. 3. ti» dri«*ò Che drizzò 1' arco tuo a tal berzaglio.
25. Ed io: Per filosofici argomenti,
E per autorità che quinci scende,
Cotale amor convien che in me s' imprenti; a. #. e. ri,* .
prenti
28. Che il bene , in quanto ben , come s' intende , x>. in cja^t -
Così accende amore, e tanto maggio,
Quanto più di bontate in se comprende.
31. Dunque all' essenza, ov' è tanto avvantaggio,
Che ciascun ben che fuor di lei si trova.
1. 2. 3. che di MIO lume Altro uon è clì' un lume di suo raggio .
un r.
1. 2. 3. Più che in altro 34. Pìù chc In altra convien che si mova
1. colui che cerne La mcute , auiaudo , di ciascun che cerne a. c^ai cb- ^
Lo vero, in che si fonda questa prova.
37. Tal vero allo intelletto mio sterne
Colui che mi dimostra il primo amore
Di tutte le sustanzie sempiterne.
40. Sternel la voce del verace autore, o.m.hr^^..
Che dice a Moisè, di se parlando:
1. fan. sentir lo ti fafò vcdcrc ogul valorc. ». &„, m^> -
20. Tolto m' avea — 24. Che drìxzò gli occhi tuoi — 27. che ne imprenti — 29. Cotanto accende || Così attende — ìi
nuli' a. — convienr rhe — .%. Il vero — 37. mio disterne {| mio disceme || mio si sceme — 40. Steme la v. || Seerael U t.
D. cane" r mìz
f\ O. tanto >&
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STILLATO. OBMCLLI.
PARADISO XXVI. 43 — 66.
S. GIOVANNI, (carità.)
«67
3. sovra ad ogni —
2. 3. ulto haiidn
3. autorìtade
Dell' a^glia
3. Ove menar Tolea
«rnimii - 2. 3. in- 43. Stemili]ii tu aiicora, cominciando e. stemimii
iomincinndo
L' alto preconio, che grida V arcano
Di qui laggiù sopra ogni altro bando.
46. Ed io udi': Per intelletto umano,
E per autorìtadi a lui concorde,
De' tuoi amori a Dio guarda il soprano.
49. Ma di* ancor, se tu senti altre corde
Tirarti verso lui, si che tu suone b. Tirati e. Tirate
Con quanti denti questo amor ti morde.
52. Non fu latente la santa intenzione
Dell* aquila di Cristo, anzi m* accorsi b. a Deu-agugua
Dove volea menar mia professione. i?. ove
55. Però ricominciai: Tutti quei morsi,
Che posson far lo cor volger a Dio,
Alla mia caritate son concorsi;
58. Che r essere del mondo, e V esser mio.
La morte eh' ei sostenne perch* io viva,
E quel che spera ogni fedel, com' io,
61. Con la predetta conoscenza viva,
Tratto m' hanno del mar dell' amor torto ,
E del diritto m* han posto alla riva.
64. Le fronde, onde s* infronda tutto V orto
Dell'ortolano etemo, am' io cotanto, ^. eterno nrtoi.
Quanto da lui a lor di bene è porto.
Ite *1 .sostenne
43. Scernilmi || Scenùmel ~ 4&. Di qui laggiuso — e sopra • 4S. guarda soprano — 49. Ma dimmi aneor — 50. Tir. verso noi —
a sua intenzione — 56. AUor eomineia* io — 68> Perekè 1* esser — 62. dell' amar torto — 64. Le frondt — 06. Qu. di ben da lui a lor
84'
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STELLATI). GK^KLLL
PARADISO XXVI. 67-90.
1. adhorrc
1. 2. 3. U stimativa
fi7. Sì com' io tacqui, un dolcissimo canto
Kisonò per lo cielo, e la mia Donna
Dicea con gli altri: Santo, Santo, Santo.
1. 2. 3. come al lume 70. E come a lumc acuto si dissonna ^ ^- ^ *^ '-
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna,
73. E lo sveghato ciò che vede abborre,
Si nescia è la sua subita vigilia.
Fin che Y estimativa noi soccorre: «. t. u .u.
76. Cosi degli occhi miei ogni quisquiha
Fugò Beatrice col raggio de' suoi,
1. 2. 3. rifulgeva più Che rifulgean da più di mille miUa;
79. Onde, me' che dinanzi, vidi poi,
E quasi stupefatto domandai
D'un quaito lume, ch'io vidi con noi.
82. K la mia Donna: Dentro da que' rai
Vagheggia il suo fattor 1' anima prima ,
Che la prima virtù creasse mai. a. r* rr...c -
85. Come la fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi si le\a
3. propia virtù Per la propria virtù che la sublima, a. r. pr,,-
88. Fec' io in tanto , in quanto ella dicevn ,
Stupendo; e poi mi rifece sicuro t. su^^u\ .
Un disio di parlare, ond' io ardeva:
D. Onde m:{.
mrslif
A. ob-stUJ.rj' t
A.m. <•. /A -.
<i^<. Rìp. per le hpcre — 71. Per lo spirito inviso — 74. è 1a subita vig. — 7:'». uuii soccorre — 76. Cosi dagli — TT
7H. Clie rifulcea - 79. Onde mai — che innaiiEÌ — 87. Per la pr. raRion — 88. iu tanto quanto
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STELLATO. flKMKLLI.
PARADISO XXVI. 91-114.
irti presti)
u lui In voglia
:>. l>ti ti' la vo];lìa
ptireijlif r altre
3. Tu viu»i udir
91. E cominciai: 0 pomo, che matm^o
Solo prodotto fosti, o padre antico,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro;
94. Devoto, quanto posso, a te supplico,
Perchè mi parli; tu vedi mia voglia,
E, per udirti tosto, non la dico.
97. Tal volta un animai coperto broglia
Si, che r affetto convien che si paia
Per lo seguir che face a lui l' invoglia ;
100. E similmente Y anhna primaia
Mi facea trasparer per la coperta
Quant' ella a compiacermi venia gaia.
103. Indi spirò: Senz' essermi profferta,
Dante, la voglia tua, discemo meglio
Che tu qualunque cosa t' è più certa.
106. Perch'io la veggio nel verace speglio
Che fa di se pareglio all' altre cose,
E nulla face lui di se pareglio.
109. Tu voi saper quant' è che Dio mi pose
Neir eccelso giardino, ove costei
A cosi lunga scala ti dispose,
112. E quanto fu diletto agli ocelli miei,
E la propria cagion del gran disdegno,
E r idioma eh' usai e eh' io fei.
li. riatiC. cosa
D. Che mi parli — D.
vedi la mìa
/A tosto . Li ti diro
tì. a lui la voglia
B. 1). Da tr la \oslia
A. V. pareglio 1' altre
B, paregle 1* altre
//. I). Tu vtioi udir
A. 2. (\ D. giardiii, dove
A. l. (?) IJ. ehe fei
ìC5. figlia o miro — lOI. Mi facea trapassar — 107. di sé parelio (?) || di se pareglia — 112. E quanto fu piaeere — 114. eh' io
e fei
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STELLATO. QXMELLI.
1. (^iiatim milia
PARADISO XXVI. 115 -138. adai
115. Or, figliuol mio, non il gustar del legno
Fu per se la cagion di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno.
118. Quindi, onde mosse tua Donna Virgilio,
Quattromila trecento e due volumi
Di sol desiderai questo concilio;
121. E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre eh' io in terra fu'mi.
124. La lingua eh' io parlai fu tutta spenta
Innanzi assai eh' all' opra inconsumabile
Fosse la gente di Nembrot attenta;
127. Che nullo effetto mai razionabile.
Per lo piacere uman, che rinno velia,
Seguendo il cielo, sempre fu durabile.
130. Opera naturale è eh' uom favella;
Ma, così o così, natura lascia
Poi fare a voi secondo che v' abbella.
133. Pria ch'io scendessi all' infernale ambascia,
L s' appellava in terra il sommo bene.
Onde vien la letizia che mi fascia;
1.2.3. ifflw chiamò poi 136. E? sì cluamo da poi, e ciò conviene.
Che r uso de' mortaU è come fronda
In ramo, che sen va, ed altra viene.
1. 2. 3. InnMisi che
2. 3. Ncmbrotte
1. 2. 3. nullo «fretto
1. 2. Va s* app. 3. Kl
h' app.
B. r. D. gaattmmil.a
A. i. C. a questi |jn
B. Inuaocì cbf
B. nullo affetto
A.: 1% appell. B f'
s'app. C. r»«s»i;
A. B. 9Ì ehiamò p**-
B. Che '1 viso
A. 2. C. D. Di r»u. -
A.2. C.tV i.m
Uu. O figliuol — il gusUr quel legno • 11& Quiri. onde ~ 122. aorec. e trenU - 127. rasiocinabile ~ L34. / s' api>flU>« -
13(i. L MI chiamò || Kit si chiamò — ehiamò poi EU
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STELLATO. GEMELLI. PARADISO XXVI. 139—142. ADAMO. 671
139. Nel monte, che si leva più dall' onda,
Fu' io, con vita pura, e disonesta.
Dalla prim' ora a quella eh' è seconda,
i. 2. 3. air ora sesta 142. Coiue il sol iììmìsl quadpa , 1' ora sesta.
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CANTO VENTESIMOSETTIMO
2. luto '1 Farad.
3. provrdenza
Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo
Cominciò: Gloria, tutto il Paradiso,
Sì che m' inebbriava il dolce canto.
4. Ciò eh' io vedeva, mi sembiava un riso
Dell'universo; per che mia ebbrezza
Entrava per 1' udire e per lo viso.
7. 0 gioia! o ineffabile allegrezza!
0 vita intera d' amore e di pace !
0 senza brama sicura ricchezza!
10. Dinanzi agli occhi miei le quattro face
Stavano accese, e quella che pria venne
Incominciò a farsi più vivace;
13. E tal nella sembianza sua divenne,
Qual diverrebbe Giove, s' egU e Marte
Fossero augelU, e cambiassersi penne.
IR. La provvidenza, che quivi comparte
Vice ed offizio, nel beato coro
Silenzio posto avea da ogni parte.
D. si ohe mia
C. rangiaaserai
C. provedenza
B. post' avend' a oi;ai
1. ed al Spirito — W. Tal che m' inebbr. — 7. o inestimabile - 8. O riU integra — 15. Fossero ueeelli — rambiasser penne
ni. 85
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674
STELLATO. GEMELLI.
PARADISO XXVII. 19-42.
S. PIKTHO.
1. 2. 3. ciinitrrio
1. la Bpuuiia
19. Quand' io udi': Se io mi trascoloro.
Non ti maravigliar; che, dicendolo,
Vedrai trascolorar tutti costoro.
22. Quegli eh' usurpa in terra il loco mio ,
Il loco mio, il loco mio, che vaca
Nella presenza del Figliuol di Dio,
25. Fatto ha del cimitero mio cloaca
Del sangue e della puzza, onde il perverso.
Che cadde di quassù, laggiù si placa.
28. Di quel color, che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid' io allora tutto il ciel cosperso :
31. E, come donna onesta, che permane
Di se sicura, e, per 1' altrui fallanza,
Pure ascoltando, timida si fané,
34. Così Beatrice trasmutò sembianza;
E tal eclissi credo che in ciel fue.
Quando patì la suprema possanza.
37. Poi procedetter le parole sue
Con voce tanto da se trasmutata.
Che la sembianza non si mutò piùe:
40. Non fu la sposa di Cristo allevata
Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
Per essere ad acquisto d'oro usata;
1. gwri tir
l oloi ""k •
H. fxm'wrvt"
D, di{i. f ilA •
li. per alimi
A. 2. U. «TT...
, (od U ««i«
, la «p<iLNj
. di Lii •' I
ifi>. Fatto hall del cimit. -^ 9R. superna pnss. || divina posa. — 37. Poi procedendo — 38. da «è tautu
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STKLI.ATO. GXMKLLI.
PARADISO XXVU. 43 — 66.
675
•: Fio. e Sisto - 2. 3.
Pio . Calisto
rontra batt. 2 3. con-
trn i batt.
2. 3. A priyilcgi
Soccorra presto
2. K iiun tiasc. — 1.
2. iiou nasc.
43. Ma per acquisto d' esto viver lieto
E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
46. Non fu nostra intenzion eh' a destra mano
Dei nostri successor parte sedesse,
Parte dall' altra, del popol cristiano;
49. Ne che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo,
Che contr' a i battezzati combattesse;
52. Ne eh' io fossi figura di sigillo
Ai privilegi venduti e mendaci,
Ond' io sovente arrosso e disfavillo.
55. In vesta di pastor lupi rapaci
Si veggion di quassù per tutti i paschi:
0 difesa di Dio, perchè pur giaci?
58. Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
S' apparecchian di bere; o buon principio,
A che vii fine convien che tu caschi!
61. Ma r alta provvidenza, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo.
Soccorra tosto , sì com' io concipio.
64. E tu, figliuol, che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel eh' io non ascondo.
B. E Pio e Sisto - C.
U. Sisto, Pio, Cai.
A, 2. lor sangue
B. C. JJ. dell' altra
C. D. oontra i batt B.
rontra batt.
U. A privilegi
B. ed isfavillo
D. O giiidisio
A, Vasehi
B. mortai mondo
B, D. E non nasc. —
B. D. non nascondo
45. Sparse lo sangue - 46. Né fu nostra — 49. mi far commesse — 51. Di clie io •> 08. Soccorra questo sì || Proveggia questo si
85'
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A. I. TÌdi rcrv -
l'ecifam
676 STELLATO. OKHKLLI. PARADISO XXVII. 67—90. DAKTB E BEATBICE.
67. Sì come di vapor gelati fiocca
In giuso r aer nostro, quando il corno
Della Capra del ciel col sol si tocca;
70. In su vid' io così Y etere adomo
Farsi, e fioccar di vapor trionfanti,
Che fatto avean con noi quivi soggiorno. x>. qui ««. .^ ^
73. Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, ^. !.««*» h«
1. 2. 3. segui fin E scguì ìu fiu chc il mezzo, per lo molto, A.±B.cb^T
Gli tolse il trapassar del più avanti. />. dipiù..
1. 2. 3. mi vide asciolto 76. Oudc la Douua, che mi vide assolto yAmirid.^
Dell' attendere in su, mi disse: Adima
Il viso, e guarda come tu sei volto.
79. Dall' ora eh' io avea guardato prima,
Io vidi mosso me per tutto 1' arco e. e ^a
Che fa dal mezzo al fine il primo clima;
82. Sì eh' io vedea di là da Gade il varco
Folle d' UUsse , e di qua presso il lito a. r. d. f^v.
Nel qual si fece Europa dolce carco. ^, !.(?)«. v
85. E più mi fora discoperto il sito
Di questa aiuola; ma il sol procedea
1. un segno più Sotto Ì Huei picdi, un segno e più partito.
88. La mente innamorata, che donnea
Con la mia Donna sempre, di ridure
Ad essa gli occhi più che mai ardea:
tìH. In giù r aere nostro — 72. quivi suo giorno — 73. L' aspetto mio — seguto — 77. Dell' attender Ia«sù
posr
B. r. an »cr
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riKLO CRISTALLINO.
PARADISO XXVII. 91 — 114.
DANT£ K KKATKirK.
677
91. E se natura od arte te' pasture
Da pigliare occhi, per aver la mente,
1. 2. 3. pinture I» camc Umana, o nelle sue pitture,
94. Tutte adunate parrebber niente
Ver lo piacer divin che mi rifulse.
Quando mi volsi al suo viso ridente.
97. E la virtù, che lo sguardo m' indulse,
Del bel nido di Leda mi divelse,
E nel ciel velocissimo m' impulse.
1. 2. 3. • vivissime 100. Lc parti sue vicissime ed eccelse
1. Si uniforme Sì unifomù sou , ch' io non so dh'e
Qual Beatrice per loco mi scelse.
103. Ma ella, che vedeva il mio disire,
Incominciò, ridendo, tanto lieta.
Che Dio parca nel suo volto gioire:
1. 2. 3. La nat. del moto 1 06. La uatura del mondo , che quieta
Il mezzo, e tutto 1' altro intorno move,
Quinci comincia come da sua meta.
109. E questo cielo non ha altro dove
Che la mente divina, in che s' accende
. e virtù L' amor che il volge e la virtù eh' ei piove.
112. Luce ed amor d' un cerchio lui comprende.
Sì come questo gli altri, e quel precinto
. Colui che i volge Colul chc il ciiigc solamcutc intende.
B. (\ pinture
D. Quaud* io mi
H. Del bel niilio
A. 2. B. r. D. Si uni-
forme — J. 1. che
non so (?)
1). Ma f|Mella - A, vedea
lo mio
a (-he Iddio
97. che lo splendor m' ind. — 99. mi pulse — 105. nel volto suo (| nel suo tìki* — 111. che il volve — che i piove — 113. e quel
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g78 riEi.o CRISTALLINO. PARADISO XXVII. 115—138. dakte e beatbice.
115. Non è suo moto per altro distinto;
Ma gli altri son misurati da questo,
Si come dieci da mezzo e da quinto. e s. r.^ .^
118. E come il tempo tenga in cotal testo v.comtxr^
Le sue radici, e negli altri le fronde,
Omai a te puot' esser manifesto. a.o.^u^
121. 0 cupidigia, che i mortali affonde
Sì sotto te, che nessuno ha potere
1. 2. i>. ritrar gli ... DÌ trarrc gli occhi fuor delle tue onde! i>. iHtmd -
124. Ben fiorisce negU uomini il volere;
Ma la pioggia continua converte
In bozzacchioni le susine vere.
127. Fede ed innocenza son reperte
1. 2. pargoletti Solo ucì parvolcttì; poi ciascuna Baoì^tt
1. «ali cop. Pria fugge , che le guance sien coperte. /?. r. d. *«ì
130. Tale, balbuziendo, ancor digiuna.
Che poi divora, con la lingua sciolta.
Qualunque cibo per qualunque luna;
133. E tal, balbuziendo, ama ed ascolta ^. EuirtoiN.
La madre sua, che, con loquela intera,
1. z 3. DiBia Disira poi di vederla sepolta. b. ih.- o i-^
130. Cosi si fa la pelle bianca, nera,
Nel primo aspetto, della bella figlia
Di quei eh* apporta mane e lascia sera. e. ^^ pom
116. aon ineasurati — 117. Sì coin* è dieci — 121. fiorisce nei giovani — 128. e poi ciascuna
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(•i»Lo CBISTALLINO. PARADISO XXVIl. 139 — 148. ijaktk e beatrick. 679
139. Tu, perche non ti facci maraviglia,
Pensa che in terra non è chi governi;
i. :ì. Onde *i «via Ondc sì svla r umana famiglia.
. Re.i«.*i« tutto sverni 142. Ma prima che gennaio tutto si sverni,
Per la centesma eh' è laggiù negletti,
l). Ruggii ieraii H. Riiij;];e-
». H. Rui.^eraI. Ruggll'aU SI qUCSti Cerchl superni , '»« t^-. Raggerà.; -
145. Che la fortuna, che tanto s' aspetta,
(\ r|neflti micci
i. :ì. ..' ^o^^ le i.r. L^ poppc volgcrà ìu sullc prore , ^ 2. « »« »« p^- ^ • ^•
u* son If i»r.
Sì die la classe correrà diretta;
148. E vero frutto veiTà dopo il fiore. /; ai p«."i fiore
l*). Sappi che in terra — 142. chi* Kcntiai' tutto — 144. (urrrau si — 145. ohe ratto s' aspetta — 146. La poppa vol};erà
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CANTO VENTESIMOTTAVO
. 3. rìw II contro
. ^. in i specchio
!. '.\. dietro
i. 3. rivolve
!*hc s' accorda
roscia che contro alla vita presente
Dei miseri mortali aperse il vero
Quella che imparadisa la mia mente;
4. Come in lo specchio fiamma di doppioro
Vede colui che se n' alluma retro,
Prima che Y abbia in vista o in pensiero ,
7. E se rivolge, per veder se il vetro
Gh dice il vero, e vede eh' el s' accorda
Con esso, come nota con suo metro;
10. Cosi la mia memoria si ricorda
Ch'io feci, riguardando nei begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda.
13. E com' io mi rivolsi, e furon tocchi
Li miei da ciò che pare in quel volume,
Quandunque nel suo giro ben s' adocchi,
16. Un punto vidi che raggiava lume
Acuto sì, che il viso, eh' egli affoca,
Chiuder conviensi, per lo forte acume:
/i. U. che 'ncontro
A. 2. che in Paradiso hu
1» I). f. eh' è Par. alla
D. dietro
B. rivf»lve
A. rivolsi, fiiron
.-1. 1. (?) O. Qiiantonque
1. intorno alla vita - 2. Di miseri — 4. lume di doppiero — 5. »e n" allumi - 7. 8. per veder lo vetro Se «lice il vero
appare
IH.
m
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682 ^»*'i<» cmsTALLiNo. PARADISO XXVIII. 19 — 42. gerarchie celesti.
1. quinci par 19. E qualc stella par quhici più poca,
2. Parr. luna PaiTebbe luiia locata con esso,
Come stella con stella si colloca.
22. Forse cotanto, quanto pare appresso
r, AUu r. U . A
1. 2. Au«cig.,er3.Hai« Alo cingCF la lucc clic il dipigne, '^iiui'^
cigli.
1. Quanto il vap. Quando ìl vapoi*, che il porta, più è spesso, '* rV- * ?
25. Distante intomo al punto un cerchio d' igne
Si girava si ratto , eh' avria vinto
Quel moto, che più tosto il mondo cigne;
28. E questo era d' un altro circuncinto ,
E quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto.
Dal quinto il quarto , e poi dal sesto il quinto.
31. Sopra seguiva il settimo si sparto /;. sopn*^.
Sopra •*■- :*
Già di larghezza, che il messo di Juno
Intero a contenerlo sarebbe arto.
34. Cosi r ottavo e il nono; e ciascheduno
Più tardo si movea, secondo eh' era
In numero distante più dall' uno:
37. E quello avea la fiamma più sincera,
Cui men distava la favilla pm^a;
Credo , però che più di lei s' invera.
40. La Donna mia, che mi vedova in cura
Forte sospeso, disse: Da quel punto
Dependo il cielo, e tutta la natura. r. nipendr
24. il vapor, rlie il cinge — 26. S' aggirala — 32. messo di (tiuno — %. In numero distinto
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CIELO CRISTALLINO.
OBRARCIIIK OBLESTL
PARADISO XXVUI. 43 — 66.
43. Mira quel cerchio che più gli è congiunto,
E sappi che il suo movere è sì tosto
Per r affocato amore , ond' egli è punto.
46. Ed io a lei: Se il mondo fosse posto
Con r ordine, eh' io veggio in quelle rote,
Sazio m' avrebbe ciò che m' e proposto.
49. Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le volte tanto più divine,
Quant' elle son dal centro più remote.
52. Onde, se il mio disio dee aver fine
In questo miro ed angelico tempio,
Che solo amore e luce ha per confine,
2, 3 come I- esemplo 55. Udir couvicmmi ancor perchè l'esemplo
E r esemplare non vanno d' im modo ;
Che io per me indarno ciò contemplo.
58. Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia,
Tanto, per non tentare, è fatto sodo.
61. Così la Donna mia; poi disse: Piglia
Quel eh' io ti dicerò, se vuoi saziarti,
Ed intorno da esso t' assottiglia.
64. Li cerchi corporai sono ampi ed arti.
Secondo il più e il men della vbtute,
Che si distende per tutte lor parti.
683
3. indarno & eiò
9on da (ni n.
A. m. fi. C. Sazio sarebbe
A. t. Veder le rote D. t.
Ved. le cose — A. m.
/A m. più festine
A. m. B. C. I). come 1* es.
A. Ed io per me — D.
ind. a ciò
B. li tuoi detti — B. son
da tal n.
U. eh' i' or ti dirò
.D. K dintorno
47. iu quatte rote - .'j8. le tue dita || li tuoi denti — tì2. se vuoi scieiMÌarti — H4. crrehi eorporal - enno ampi || sou ampli
86»
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684
CIELO TBISTALLINO.
PARADISO XXVIII. 67-90.
OKBASCUIE CELESTI.
1. 2. 3. L" alto univ.
1. 2. 3. coiivenenza
67. Maggior bontà vuol far maggior salute;
Maggior salute maggior corpo cape,
S' egli ha le parti egualmente compiute.
70. Dunque costui, che tutto quanto rape
L' altro universo seco, corrisponde
Al cerchio che più ama, e che più sape.
73. Per che, se tu alla virtù circonde
La tua misura, non alla parvenza
Delle wsustanzie che t' appaion tonde,
76. Tu vederai mirabil conseguenza,
Di maggio a più, e di minore a meno.
In ciascun cielo, a sua intelligenza.
79. Come rimane splendido e sereno
L' emisperio dell' aer, quando soffia
Borea da quella guancia, ond' è più leno,
82. Per che si purga e risolve la roffia
C'he pria turbava, si che il ciel ne ride
Con le bellezze d' ogni sua parroffia;
85. Cosi fec' io, poi che mi provvide
La Donna mia del suo risponder chiaro,
E, come stella in cielo, il ver si vide.
88. E poi che le parole sue restaro.
Non altrimenti ferro disfavilla
Che bolle, come i cerchi sfavillaro.
B. bonutr tuoI
m^E.
B. D. V alto oniT. -
A. 1. (?) fl. «erocd^.
risponde
A. m. Di riasrun
(\ Kura
A. t. B, (\ ijucl fk :
riel
A. l. Che b«lb - h
come kIì ot^ch.
74. air apparfiiza M. Borea ilalla guancia - ^3. Che pria '1 turbava — sì che ne 'I ciel ride - 84. paroffia
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CIELO CRISTALLINO. PARADISO XXVIII. 91 - 114.
.» ncendio seguitava 91. Lo inceiidìo loT seguìva ogni scintilla;
Ed eran tante, che il numero loro
egi. «ciocchi Più che il doppiar degli scacchi s* immilla.
94. Io sentiva osannar di coro in coro
Al punto fisso che U tiene all' ubi,
E terrà sempre, nel qual sempre foro;
97. E quella, che vedeva i pensier dubi
Nella mia mente, disse: I cerchi primi
. li. mostrat*. T' hauuo mostratl i Serafi e i Cherubi.
100. Così veloci seguono i suoi vimi,
Per simigliarsi al punto quanto ponno,
E posson quanto a veder son sublimi.
unuri. che ini. — 2.
3. dintorno -1.2. JOB. QucgU alttì amor, che intomo a lor volino,
3. sii vonno
GERARCHIE CELKSTI. 0g5
A. 1. O. seguì ogni
A, 2. B. C. alli ubi
A. 2. li, C. D. nei cpiai
C. 1. D. mostratu - JJ.
mostr. Ser. — A. 2.
B. a D. e Cher.
A. 1. al veder
A. 2. B. C. D. amori che
int. gli vonno
Si chiaman Troni del divino aspetto,
Perchè il primo temaro terminonno.
106. E dei saper che tutti hanno diletto.
Quanto la sua veduta si profonda
Nel vero, in che si queta ogn' intelletto.
109. Quinci si può veder come si fonda
L' esser beato nell* atto che vede,
Non in quel eh' ama, che poscia seconda; />. poscia i seconda
112. E del vedere è misura mercede, />. misure
Che grazia partorisce e buona voglia;
Cosi di grado in grado si procede.
91. Lo incendio suo — vinoeva ogni se. — 96. tiene aljubi — 96. Eterni sempre - 97. ehe seiitia i pens. — 108. che intorno lor —
i primo trìnaro — lOft. che tanto hanno dil. — 107. Quando la sua — lOB. in che si fonda
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686
CIKI.O CBISTALLINO.
PARADISO XXVIII. 115—139.
GERARCHIE TELESTI.
1. r altre Dee
1. 2. 3. rH oeehi
115. L" altro terriaro, che cosi germoglia
In questa primavera sempiterna,
Che notturno Ariete non dispoglia,
118. Perpetuai emente Osanna sverna
Con tre melode, che suonano in tree
Ordini di letizia, onde s' interna.
121. In essa gerarcliia son le tre Dee,
Prima Dominazioni, e poi Virtudi;
L' ordine terzo di Podesfcidi ee.
124. Poscia nei due penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli si girano:
L' ultimo è tutto d' Angelici ludi.
127. Questi ordini di su tutti rimirano,
E di giù vincon sì, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutti tirano.
130. E Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise.
Che li nomò e distinse coin io.
133. Ma Gregorio da lui poi si divise;
Onde, si tosto come Y occhio aperse
In questo ciel, di se medesmo rise.
136. E se tanto segreto ver proferse
Mortale in terra, non voglio eh' ammiri;
Che chi il vide quassù gliel discopei-se
139. (3on altro assai del ver di questi giri.
A. 2. B. D. trÌDarr»
C. trinano
A. a ()*. i*bcr
A. 2. C. O. r alire 1» -
A. 2. C. O. tatti s" r»
mirano
C. Terso Iddio
fJ. Ma |K>i Or. ù* l-a »
116. In quella primav. — 121. l' alle Dee || !/ altre idee — 128. ehe inverso Dio — UH. da lui si %i dimise — 136. tanto lU >*
vero II cotanto si vero — lliJ. ('he chi il vede
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C^ANTO VENTESIMONONO
. anibudue 2. 3. ambodno
- 1. 2. li figli
. il ciuit
!. Ni tactjur
. Fiso
. dico, e non dim.
, 2. 3. fìi vuoi
2. 3. Ove
come piac(|iie
H. U. ambedue C. ani-
bodui A. 2. ambedui
B. liliali tu del ptuito —
C. che zenit — A.m.
lì. die li tiene in libra
D. di quel cinto
v^uando ambo e due i figli di Latona,
Coperti del Montone e della Libra,
Fanno dell' orizzonte insieme zona,
4. Quant' è dal punto che il zenit inlibra,
Infin che T uno e \ altro da quel cinto.
(Cambiando \ emisperio, si dilibra,
7. Tanto, col volto di riso dipinto,
Si tacque Beatrice, riguardando
Fisso nel punto che m' aveva vinto:
10. Poi cominciò: Io dico, non domando
Quel che tu vuoli udir, perch' io 1' ho visto
Dove s' appunta ogni uhi ed ogni quando. /?. ove s- aH>.
13. Non per avere a se di bene acquisto, />. per av. in sé
Ch' esser non può, ma perchè suo splendore
Potesse, risplendendo, dir: Subsisto;
Ifi. In sua eternità di tempo inore,
Fuor d* ogni altro comprender, come i piacque.
S' aperse in nuovi amor T eterno amore.
./. 1. (?) ff, U. in nove
amor
1. ambedue — 4. il xenit i libra — 9. mi avea vinto — 12. La ove s* app. — 15- rispondendo, dir — Sussisto — 18. Sparsene
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688
CIELO CRISTALLINO.
PARADISO XXIX. 19-42.
OEHARCHIB CELESTI
]. 2. 3. ad Atto
ed in erist.
2. 3. dui suo 8.
1. 2. 3. l)r secoli
1. 2. 3. E tu Io vedcrai
— 1. 2. ben ne guati
3. bene gu.
19. Ne prima quasi torpente si giacque;
Che ne prima ne poscia procedette
Lo discorrer di Dio sopra quest' acque :
22. Forma e materia congiunte e purette
Uscirò ad esser che non avea fallo,
Come d' arco tricorde tre saette ;
25. E come in vetro, in ambra od in cristallo
Raggio risplende si, che dal venire
All' esser tutto non è intervallo:
28. Cosi il triforme effetto del suo Sire
Neir esser suo raggiò insieme tutto,
Senza distinzion nell' esordire.
31. Concreato fu ordine e costrutto
Alle sustanzie, e quelle furon cima
Nel mondo, in che puro atto fu produtto.
34. Pura potenza tenne la parte ima;
Nel mezzo strinse potenza con atto
Tal vime, che giammai non si divima.
37. Jeronimo vi scrisse lungo tratto
Di secoli, degli Angeli, creati
Anzi che V altro mondo fosse fatto ;
40. Ma questo vero è scritto in molti lati
Dagli scrittor dello Spirito Santo;
E tu ten' avvedrai, se bene agguati;
A. 1. KviT.
B. triroTdo
B. U. rà in rn
A.m,U.ìix:z'
(\ min ' ì' 5*'
D. tisi «•> ^
A. i r. U.
r. tìCT»«:C
B. r. D. r»e '
U. alt..
20. precedette — 23. dou aveaa faUo ~ 2G. del venire ^ 27. non gli è iatorvallo — 30. Scasa distenaiooe
:}3. fu perdutto — 36. Tal vimine, che mai - si disvima — 37. Jeroa. ne scrisse — 42. se ben vi guati
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CIELO CRISTALLINO.
PARADISO XXIX. 43 — 66.
OBRARCHIK CELESTI.
689
1. 2. 3. ragion lo 43. Ed anchc la ragione il vede alquanto ,
Che non concederebbe che i motori
i.frssercot. Senza sua perfezion fosser cotanto.
46. Or sai tu dove e quando questi amori
1. 2. 3. Furon creati FuTOU elcttì , c comc; sì chc spenti
1. 2. giÀ son tre Ncl tuo disio già souo tre ardori.
LgiugneriMi 49. Nc giugnericsi , numerando, al venti
Si tosto, come degli Angeli parte
2. 3. alimenti Turbò il suggctto dci vostri elementi.
52. L' altra rimase, e cominciò quest' arte,
Che tu discerni, con tanto diletto,
Che mai da circuir non si diparte.
55. Principio del cader fu il maledetto
Superbir di colui, che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
58. Quelli, che vedi qui, furon modesti
. 2. 3. dell» boat. A riconosccr se dalla bontate.
Che gli avea fatti a tanto intender presti;
61. Per che le viste lor furo esaltate
Con grazia illuminante, e con lor merto,
Sì eh' hanno piena e ferma volontate.
64. E non voglio che dubbi, ma sie certo,
2. meritoro Chc riccver la grazia è meritorio,
3. gli i- aperto Sccoudo chc 1' affctto r è aperto.
B. lo vede />. ne vede
B. fesser cotanto
D. quando e dove
A. m. D. Furon ereati
D. son già ì tre
B. giugneriasi
A. C. il subietto
B. della bont.
D. ferma e piena volont.
D. sia certo
^.Ch* a rie. — ^.meritoro
A. C. gli è aperto D. li
è ap.
48. sono i tre ard. — 49. a venti — 51. Mutò il sugg. — di vostri elem. - 54. Che mai dal cireuir — 59. A riconoscersi dalla b. —
ma sii eerto — 66. ricever la gloria — ci* meritorio
III.
87
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g90 CIELO CRISTALLINO. PARADISO XXIX. 67 — 90. gbsabchie celesti.
1. 2, eonsisujro 67. Omai dintomo a questo consistono b. ooiw«toro
Puoi contemplare assai, se le parole
1. »ltrc. lavoro 2. altro MÌC SOn lìCOlte , SCnZ* altFO aiUtOrio. R, altro Uvon.
aiiitoro
70. Ma, perchè in terra per le vostre scuole
Si legge che Y angelica natura
È tal, che intende, e si ricorda, e vuole, /?. esinuroa
73. Ancor dirò, perchè tu veggi pura
La verità che laggiù si confonde,
Equivocando in si fatta lettura.
76. Queste sustanzie, poiché fiir gioconde
Della faccia di Dio, non volser viso
Da essa, da cui nulla si nasconde:
79. Però non hanno vedere interciso
Da nuovo obbietto, e però non bisogna
Rimemorar per concetto diviso. ^. 2. Rammracm
82. Sì che laggiù non dormendo si sogna.
Credendo e non credendo dicer vero;
Ma neir uno è più colpa e più vergogna.
85. Voi non andate giù per un sentiero
Filosofando; tanto vi trasporta
L' amor dell' apparenza e il suo pensiero.
88. Ed ancor questo quassù si comporta
Con men disdegno, che quando è posposta
1. 2. 3. e <iuamio La dìvlua scrittura, o quando è torta. -4. i.(n /?./>. r,»r
77. halla fuorin — M. Ma V nltimo è più rolpa che vrrg.
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CULO CRISTALLINO.
PARADISO XXIX. 91-114.
^DANTX E BEATRICE.
691
SI sporse
91. Non vi si pensa quanto sangue costa /;. quanto cam
Seminarla nel mondo, e quanto piace
Chi umilmente con essa s' accosta.
94. Per apparer ciascun s' ingegna, e face
Sue invenzioni, e quelle son trascorse
Dai predicanti, e il Vangelio si tace.
97. Un dice che la luna si ritorse
Nella passion di Cristo, e s'interpose,
Per che il lume del sol giù non si porse; 5. si .porse
Firenze
100. Ed altri che la luce si nascose
Da se; però agi' Ispani ed agi' Indi,
Com' a' Giudei, tale eclissi rispose.
Non ha in F. - 2. 3. 103. Nou ha Fiorcuza tanti Lapi e Bindi,
Quante sì fatte favole per anno
In pergamo si gridan quinci e quindi;
106. Sì che le pecorelle, che non sanno,
Tornan dal pasco ^pasciute di vento,
E non le scusa non veder lo danno.
109. Non disse Cristo al suo primo convento:
Andate, e predicate al mondo ciance,
Ma diede lor verace fondamento;
112. E quel tanto sonò nelle sue guance,
Sì eh' a pugnar, per accender la fede,
2. 3. scudi Dell' Evangelio fero scudo e lance.
2. 3. lor danno
A. E r altro B. E mentre
/?. Non ha in Fior
C. Quanto
D. il non veder — A. 2.
C. D. lor danno
96. Sue inteiuioni — 97. la luna si ricorse — \
114. Dell' Evang. furo se.
, il lume del ciel — 100. E mente; che la 1. — la luna si nasc. — 106. E non gli
87-
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692 ^^^^^ CRISTALLINO. PARADISO XXIX. 115—138. dante s beatrice.
115. Ora si va con motti e con iscede /?. ««k«ì'
A predicare, e pur che ben si rida,
Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.
118. Ma tale uccel nel becchetto s' annida.
Che se il vulgo il vedesse, vederebbe j. leiv^w-
La perdonanza di che si confida; j.-iroi b<
2,3. stoltezza 121. Pcr cuì tauta stoltizia in terra crebbe.
Che, senza prova d* alcun testimonio.
Ad ogni promission si converrebbe. /;. »ir..n.Tr
124. Di questo ingrassa il porco sant' Antonio.,
2.3. altri assai, che son Ed altri aucor, chc son assai più porci, D.^nn^^
peggio che p. F*S^' *
Pagando di moneta senza conio.
1. 2. 3. flcm digr. 127. Ma pcrchè siam digressi assai, ritorci b.^^
GU occhi oramai verso la dritta strada, A.^r.u^r:
tir.
Si che la via col tempo si raccorci. -<. i O) ^ *
^ vita - 5.
130. Questa natura sì oltre s' ingrada
In numero, che ©lai non fu loquela,
Ne concetto mortai, che tanto vada. D.ot^rtrt.
1. E se riguardi 133. E sc tu guRrdl quel che si rivela AK^rrv
Per Daniel, vedrai che in sue migliaia />.PfrUtt.'^
Determinato numero si cela.
i. Untola raia 136. La prima luce, che tutta la raia,
Per tanti modi in essa si recepe.
Quanti son gli splendori a che s* appaia. z>. g«»u>».'
US. con muti e con isc. — 119. il vedesse, non terrebbe — 124. Dì questa ingrassa -> 125. Ed altri assai ascor. y*^^^^'
Ed altri assai, cbe sono ancor più porci — 129. Si cbe la vista — 137. Per tanti medii
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CIKLO CRISTALLINO.
PARADISO XXIX. 139—145.
DANTE K BEATRICE.
693
139. Onde, perocché all'atto che concepe
Segue r aflfetto, d'amor la dolcezza
n esse si concepe Diversamciite in essa ferve e tepe.
142. Vedi r eccelso ornai, e la larghezza
Dell' eterno valor, poscia che tanti
Speculi fatti s'ha, in che si spezza,
145. Uno manendo in se, come davanti.
H. però all' atto
A. B. C. d* amar la dolc.
D. Vedi r eccesso
141. in esse ferve — 143. Dell' etemo piacer — 145. come da avanti
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CANTO TRENTESIMO
2. o. seraila
1. 2. 3. Poco sar.
Jb orse se' milia miglia di lontano
Ci ferve 1' ora sesta, e questo mondo
China già V ombra, quasi al letto piano,
4. Quando il mezzo del cielo, a noi profondo,
Comincia a farsi tal, che alcuna stella
Perde il parere infino a questo fondo;
7. E come vien la chiarissima ancella
Del sol più oltre, cosi il ciel si chiude
Di vista in vista infino alla più bella;
10. Non altrimenti il trionfo, che lude
Sempre dintorno al punto che mi vinse,
Parendo in chiuso da quel eh' egl' inchiude,
13. A poco a poco al mio veder si estinse;
Per che tornar con gU occhi a Beatrice
Nulla vedere ed amor mi costrinse.
16. Se quanto infino a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda.
Poca sarebbe a fornir questa vice.
/). Ci ferrea la scst' ora
li. Comincia farsi
A. 1. vista fino
A. m. Parea dischiuso —
C. «la quei — A. m.
che r inch.
B. il mio veder
C. iiichiuso — B. tutto
inch.
B. C, D. Poco sar.
3. China giù l' omhra — a lito piano — < 11. Sempre intomo — 12. eh' elio incliiudc — 13. al mio veder distinse
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PARADISO XXX. 19-42.
DANTE E BEATSICE.
1. questo punto
1. 2. 3. Suprat<i
1. 2. 3. il Vigo
1. 2. 3. (la se m«<l.
1. 2. 3. iusino
I. 2. 3. Non è il segu.
1. 2. 3. che il mio
1. 2. 3. di spedito
19. La bellezza eh' io vidi si trasmoda
Non pur di là da noi, ma certo io credo
Che solo il suo fattor tutta la goda.
22. Da questo passo vinto mi concedo,
Più che giammai da punto di suo tema
Suprato fosse comico o tragedo.
25. Che, come sole in viso che più trema,
Cosi lo rimembrar del dolce riso
La mente mia di se medesma scema.
28. Dal primo giorno eh' io vidi il suo viso
In questa vita, infino a questa vista.
Non m' è il seguire al mio cantar preciso;
31. Ma or convien che mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza, poetando,
Come air ultimo suo ciascuno artista.
34. Cotal, qual io la lascio a maggior bando.
Che quel della mia tuba, che deduce
L' ardua sua materia terminando,
37. Con atto e voce d' espedito duce
Ricominciò: Noi semo usciti fuore
Del maggior corpo al ciel, eh' è pura luce,
40. Luce intellettual piena d' amore.
Amor di vero ben pien di letizia.
Letizia che trascende ogni dolzore.
A. 1. Tinti» il -
B. e. D. S H rv.
B, in fiso .1 d't ■
B. D,ÓA%t mi
B, Del pfiak'
A. 1. Nul BÀili'T
Noi seffain - i
B. il m:- u
B. D. thtiÌK, ■
cantar àt^.
B. C dì spw^"'
.4. 1. a rie!
24. fosse u coni. — comedo o trag. — 25. come in sole il viso — 27. da sé medeaino || da me medesmo — 301 Noi tj "^ '
il seguir oh' io mio cantar - 33. all' ult. suo bnon citarista — 39. eh' è vera luce || eh* è mera luce — 42. ogni dolciore
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EMPIREO. PARADISO XXX. 43—66. piume e fiori.
43. Qui vederai 1' una e 1' altra milizia
Di Paradiso , e Y una in quegli aspetti
Che tu vedrai all' ultima giustizia.
46. Come subito lampo che discetti
Gli spiriti visivi, si che priva
Deir atto r occhio di più forti obbietti;
49. Cosi mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
Del suo fulgor, che nulla m' appariva.
>. 3 1- amor, che quel* 52. Scmprc 1' amorc , che quieta il cielo,
questo
AccogUe in se cosi fatta salute,
Per far disposto a sua fiamma il candelo.
55. Non fur più tosto dentro a me venute
Queste parole brevi, eh' io compresi
.sopramia Mc sonuoutar di sopra a mia virtute;
58. E di novella vista mi raccesi
Tale, che nulla luce è tanto mera,
Che gli occhi miei non si fosser difesi.
61. E vidi lume in forma di riviera
Fulgido di fulgore, intra due rive
Dipinte di mirabil primavera.
64. Di tal fiumana uscian faville vive,
E d' ogni parte si mettean nei fiori.
Quasi rubin che oro circonscrive.
. fosse difesi
2. 3. Fulvido - 3.
fulgori
697
I). vedrai V una A. C.
vedrai tu 1* una —
^. I. altra primìzia
A. 1. r. D. Dall' atto
A. 2. C. D. V amor, che
— /i.quetaesto A.%
C. queta questo
B, con sì fatta
R. D. Fulvido
C. uscieii
B. metten C, mettieu
A. \. rubino che oro
43. Quivi vedrai — altra delìzia — 48. dei più forti — 52. che acqueta — 62. Fluvìdo || Fluido — 63. Vestite di mirab. — fó. sì
:scean nei fiori
HI.
88
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098 EHPiBEO. PARADISO XXX. 67 — 90. rosa celeste.
67. Poi, come inebriate dagli odori,
Riprofondavan se nel miro gorge,
E, s' una entrava, un' altra n' uscia fiiori.
70. L' alto disio che mo t' infiamma ed urge
D' aver notizia di ciò che tu vei.
Tanto mi piace più, quanto più turge. .4. Tannai r-
73. Ma di quest' acqua convien che tu bei,
Prima che tanta sete in te si sazii:
Cosi mi disse il sol degU occhi miei.
2.3. Anche 76. Auco sogglunsc : Il fiume, e U topazi! j. Anrhe
Ch' entrano ed escono, e il rider dell' erbe
Son di lor vero ombriferi prefazii; *. ubnffni*
feri - Al «.'•
1. da sé sian 79. Nou chc da se sien queste cose acerbe : a a* « .«.
Ma è difetto dalla parte tua.
Che non hai viste ancor tanto superbe. .4. i.noaLi
82. Non è fantin che si subito rua
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dall'usanza sua, B.t.^.t^
85. Come fec'io, per far migliori spegli .4. cicb^..
Ancor degli occhi, chinandomi all' onda
Che si deriva, perchè vi s' immeglì. ^. cbeairra
88. E sì come di lei bevve la gronda [d,-w]
Delle palpebre mie, cosi mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda.
67. inebr. degli odori — 76. Così ne disse — 76. soggiunse: E* fiori — 80. Ma è il dif. || Non è dif. — 82. fanlinncWsti
83. Convolto verso || Cogli occhi verso — 84. Molto tardando — 87. perchè noi s* imm.
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PARADISO XXX. 91-114.
ROSA CKLSSTE.
1. com'io il vidi
3. Quando è - 1. 2. 3.
nel verde
91. Poi, come gente stata sotto larve,
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua in che disparve;
94. Così mi si cambiato in maggior feste
Li j&ori e le faville, si eh' io vidi
Ambo le corti del ciel manifeste,
97. 0 isplendor di Dio, per cu' io vidi
L' alto trionfo del regno verace ,
Dammi virtù a dir com' io lo vidi.
100. Lume è lassù, che visibile face
Lo Creatore a quella creatura,
Che solo in lui vedere ha la sua pace;
103. E si distende in circular figura
In tanto, che la sua circonferenza
Sarebbe al sol troppo larga cintura.
106. Fassi di raggio tutta sua parvenza
Riflesso al sommo del Mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza.
109. E come clivo in acqua di suo imo
Si specchia, quasi per vedersi adorno.
Quanto è nell' erbe e nei fioretti opimo,
112. Si soprastando al lume intorno intorno
Vidi specchiarsi in più di mille sogUe,
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno.
A. Che per altro — C.
si veste
A. 2. B. C. com' io il
vidi
A. si dist. a ciré.
A. 2. C. Qaando è —
A. 1. (?) B. nei fior,
adimo
96. Ambe le corti — 97. O splendore di Dio — 99. Danuni yirtute — si come io '1 vidi — 109. E come elinn — 111. Qu. è
«eli" erba - 113. più di mille foglie — 114. Quanto da noi
88*
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700 EMPIREO. PARADISO XXX. 115 — 138. (enrico tu.)
115. E se r infimo grado in se raccoglie
Sì grande lume, quant' è la larghezza
Di questa rosa nell' estreme foglie?
118. La vista mia nell' ampio e nell' altezza
Non si smarriva, ma tutto prendeva
Il quanto e il quale di quella allegrezza. j. El(j«::•
121. Presso e lontano lì, ne pon ne leva,
Che dove Dio senza mezzo governa,
La legge naturai nulla rileva.
124. Nel giallo della rosa sempiterna, j. r.NfUi.
1. 2. 3. rigrada Che SÌ dilata, digrada e redole A.2.r.Aw^
1. al fior che s. Odor di lode al sol che sempre verna, ^. l.od.d:..
127. Qual è colui che tace e dicer vuole,
Mi trasse Beatrice, e disse: Mira
Quanto è il convento delle bianche stole!
130. Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi U nostri scanni sì ripieni,
Che poca gente omai ci si disira.
133. In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni, ^2. ^e«
Per la corona che già v' è su posta, r. cherró.
Prima che tu a queste nozze ceni,
1. 3. augosu 136. Sederà l'alma, che fia giù agosta, r. aag»»
1. 2. 3. alto Arrigo Dcll' alto Eurico , eh' a drizzare Italia
Verrà in prima, che ella sia disposta. ^. «.fàrs^^-
uo. tutto apprenderà — 121. Presso o lontano — 122. Che dove Iddio ~ 124. Nel ciglio della rosa — 12S. àie''
131. Vedi li nostri sciami — 132. poca gente più ci si
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EMPIREO. PARADISO XXX. 139 — 148. (clemente v.) 701
139. La cieca cupidigia, che vi ammalia,
Simili fatti v' ha al fantolino ,
l.rauor per fame ChC mUOr dì famC C caccia via la balia; ^. muor per fame
142. E fia prefetto nel foro divino
Allora tal, che palese e coperto ^. i. che in palese
Non anderà con lui per un cammino.
145. Ma poco poi sarà da Dio sofferto
Nel santo ofifizio ; eh' ei sarà detruso
Là dove Simon mago è per suo merto, [/j. 88-]
1. 2. 3. quel d- Alagn* 148. E faià QUCl d' AuagUa esser più giuSO //. e quei d* Alagna -
A. m. (\ J). andar più
148. entrar più giuso
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CANTO TRENTESIMOPRIMO
3. r ale
tal tenn.
In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa.
Che nel suo sangue Cristo fece sposa;
4. Ma r altra, che volando vede e canta
La gloria di colui che la innamora,
E la bontà che la fece cotanta,
7. Si come schiera d' api , che s' infiora
Una fiata, ed una si ritorna
Là dove suo lavoro s' insapora,
10. Nel gran fior discendeva, che s'adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là dove il suo amor sempre soggiorna.
13. Le facce tutte avean di fiamma viva,
E r ah d' oro , e Y altro tanto bianco ,
Che nulla neve a quel termine arriva.
16. Quando scendean nel fior, di banco in banco
Porgevan della pace e dell' ardore,
Ch' egli acquistavan ventilando il fianco.
A. che la face
r. D. d' ape
^. 1. ed altra si rit. (?)
A. 2. dove'l suo lav.
A. R. V ale
C. D. di bianco in bianco
. b. Una fiata e un* altra — 9. suo labore
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704
PARADISO XXXI. 19 — 42.
ROSA CELESTE.
1. esser davante
1. che unica
1. 2. 3. (|iiagi|;ius(i
1. di tal pi.
1. 2. 3. Veggeudo
1. 2. 3. Libit<i iiou ud.
19. Ne lo interporsi tra il disopra e il fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore;
22. Che la luce divina è penetrante
Per r universo, secondo eh' è degno,
Sì, che nulla le puote essere ostante.
25. Questo sicuro e gaudioso regno,
Frequente in gente antica ed in novella,
Viso ed amore avea tutto ad un segno.
28. 0 trina luce, che in unica stella
Scintillando a lor vista si gii appaga,
Guarda quaggiù alla nostra procella.
31. Se i Barbari, venendo da tal plaga.
Che ciascun giorno d' Ehce si copra,
Rotante col suo figlio ond' eli' è vaga ,
34. Vedendo Roma e Y ardua sua opra
Stupeface'nsi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra;
37. Io, che al divino dall'umano.
Air eterno dal tempo era venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano,
40. Di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e il gaudio mi facea
Libito il non udire, e starmi muto.
D. tanta moltìtiidi»
CD. li puote- fi. ^>»r
darante
A. avea tutta
A. B. che unia
B. quaggiuso
B. Sì eh' e Birb. - !
di tal p.
B. C. D. Vei;g«ad-
B, ed air unano
B, Dell' et. del to:
A. 2. B. a D. L?.-.
non ad.
27. Kido ed ani. — 33. Roteante || Rotando — 37. 3& Io eh' era al div. dall' um. E all' et. dal tempo ven. — 42. e farmi muto
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EMPIREO. PARADISO XXXI. 43 — 66.
43. E quasi peregrin, che si ricrea
Nel tempio del suo voto, riguardando,
E spera già ridir com' elio stea ,
46. Sì per la viva luce passeggiando,
Menava io gli occhi per li gradi,
Mo su, mo giù, e mo ricirculando.
».3.vedev.vi8i»carità 49. Vcdca di Carità visi suadi,
D' altrui lume fregiati e del suo riso ,
Ed atti ornati di tutte onestadi.
52. La forma general di Paradiso
Già tutta mio sguardo avea compresa,
E in nulla parte ancor fermato il viso;
55. E volgeami con voglia riaccesa
Per domandar la mia Donna di cose.
Di che la mente mia era sospesa.
58. Uno intendea, ed altro mi rispose;
Credea veder Beatrice, e vidi un Sene
Vestito con le genti gloriose,
61. Diffuso era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia, in atto pio.
Quale a tenero padre si conviene.
64. Ed: EUa ov' è? di subito diss' io.
Ond' egli: A terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del loco mio;
8. BSBNARDO.
705
1. E d' atti
1. 2. 3. tutto il mio
1.2. 3. In nulla- I.fcrm.
viso 2. 3. ferm. fiso
B. Nel tempo
B. com' elli stea
D. per quei irradi
A. Vedeva visi di car.
B. D' altri lumi - D. di
suo riso
A. 1. (?) B. D. In nulla -
A. 2. B. C, fermato
\\bo D. ferm. fiso
B. A domanda
A. m. int. , un altro
A. U. Ed ot' è ella?
subito
44. di suo voto — 45. co' meglio stea — 46. Su per la viva —
3. Già tutto ' lo mio sguardo
III.
8. Or su, or giù, e or rie. — 49. E vedèa visi — in carità
89
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706
PARADISO XXXI. 67-90.
ORAZIONE A BEATRICE.
1. alla mia vista
1. 2. 3. avran la pot.
67. E se riguardi su nel terzo giro
Del sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono che i suoi merti le sortirò.
70. Senza risponder gli occhi su levai,
E vidi lei che si facea corona,
Riflettendo da se gli eterni rai.
73. Da quella region, che più su tuona,
Occhio mortale alcun tanto non dista.
Qualunque in mare più giù s' abbandona ,
76. Quanto lì da Beatrice la mia vista;
Ma nulla mi facea, che sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
79. 0 Donna, in cui la mia speranza vige,
E che soffristi per la mia salute
In Inferno lasciar le tue vestige;
82. Di tante cose, quante io ho vedute,
Dal tuo potere e dalla tua bontate
Riconosco la grazia e la virtute.
85. Tu m' hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutti i modi,
Che di ciò fare avei la potestate.
88. La tua magnificenza in me custodi
Si, che l'anima mia che fatta hai sana,
Piacente a te dal coipo si disnodi.
D. trono, in ehe - /'.
r assortirò
U, in su levai
D. Qujmui da E - >
D. alla mia ~s:
B. A che s.offr.
68. Dal Bommu — 69. trono , a che — la sortirò ~ 87. avevi potest. || avevi in pot || aveano pot. - 88. La tua munifirrwj
90. del corpo - la disnodi || si dischiodi
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S. BERNARDO.
1. 1" accoverà. 2. t' accen-
derà
1. Più a mont.
1. Pieno d' amor
]. ehf fosse
A. t. C. A cui pr. B. Che
pr. D. A pr.
A. \. Ch' a veder
A. 2. B. a D. Più a
montar
D. Reina - A. \. del
ciel, per cui io (?)
A. I. Pieno d' amor (?)
EMPIREO. PARADISO XXXI. 91-114.
1. 2. 3. e quella 91. CoSÌ OFaì ; 6(1 ella SÌ lontana, ^. />. equeUa
Come parea, sorrise, e riguardommi; a rispose, e riga.
Poi si tornò all' eterna fontana.
94. E il santo Sene: Acciocché tu assommi
Perfettamente, disse, il tuo cammino,
A che prego ed amor santo mandommi,
97. Vola con gh occhi per questo giardino;
Che veder lui t* acconcerà lo sguardo
Più al montar per lo raggio divino.
100. E la Regma del cielo, ond' i' ardo
Tutto d' amor, ne farà ogni grazia,
Perocch' io sono il suo fedel Bernardo.
103. Quale è colui, che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra.
Che per V antica fama non si sazia,
106. Ma dice nel pensier, fin che si mostra:
Signor mio Gesù Cristo, Dio verace, e. wdio verace
Or fu sì fatta la sembianza vostra?
109. Tale era io mirando la vivace
Carità di colui, che in questo mondo,
Contemplando, gustò di quella pace.
112. Figliuol di grazia, questo esser giocondo,
Cominciò egh, non ti sarà noto
2. 3. quaj^giuBo al f. Tcueudo gH occhi pur quaggiù al fondo ;
707
U8. Che veder lei — t' acuirà lo sgu. (?) — 101. d' amore , ne farà — 106. non sen' sazia — 107. Jesù — Ch., re verace — 114. pur
%\{ì qua al fondo
89'
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708
EMPIREO.
PARADISO XXXI. 115 — 138.
MABIA VKBGIKE.
1. Reina
1. 2. 3. La parte
2. 3. Soperchia
.3. Quanta a<l ìmm.
115. Ma guarda i cerchi fino al più remoto,
Tanto che veggi seder la Regina,
Cui questo regno è suddito e devoto.
118. Io levai gU occhi; e come da mattina
Le parti orientai dell' orizzonte
Soperchian quella, dove il sol declina,
121. Cosi, quasi di valle andando a monte,
Con gli occhi vidi parte nello estremo
Vincer di lume tutta V altra fronte.
124. E come quivi, ove s' aspetta il temo
Che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
E quinci e quindi il lume è fatto scemo;
127. Cosi quella pacifica oriafianuna
Nel mezzo s' avvivava, e d' ogni parte
Per egual modo allentava la fiamma.
130. Ed a quel mezzo, con le penne sparte.
Vidi più di mille Angeli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore e d' arte.
133. Vidi quivi ai lor giochi ed ai lor canti
Ridere una bellezza, che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri Santi.
136. E s' io avessi in dir tanta divizia,
Quanto ad immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
A. ehe TC£^
D. La panr
B. Sopork j -
C. lurU'
C. D. al US '.'*
D. qui.
A. 2. V. U
fa >*f».
D. Vid .0
B. l). dist:a-
Icdm
US. i cerchi infino — 117. suddito devoto — 123. Vincer del lume — 127. crea fiamma (| orifiamma || orofiunou
ocehl quivi
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EMPIREO. PARADISO XXXI. 139—142. maria vergine. 709
139. Bernardo, come vide gli occhi miei
Nel caldo suo calor fissi ed attenti, ^. 2. e. caldo suo caicr
Li suoi con tanto affetto volse a lei,
142. Che i miei di rimirar fé' più ardenti. ^. 2. r. z>. .sife^più-
^. m. contenti
1-12. fer più ardenti || si fé' più ardenti — più attenti
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CANTO TRENTESIMOSECONDO
^otto di costei
2. 3. Insiiio
Affetto al suo piacer quel contemplante,
Libero offizio di dottore assunse,
E cominciò queste parole sante:
4. La piaga, che Maria richiuse ed unse,
Quella eh' è tanto bella da' suoi piedi
È colei che 1' aperse e che la punse.
7. Neil' ordine, che fanno i terzi sedi.
Siede Rachel di sotto da costei
Con Beatrice, si come tu vedi.
10. Sara, Rebecca, Judit, e colei
Che fu bisava al cantor, che, per doglia
Del fallo, disse: Miserere meiy
13. Puoi tu veder cosi di sogUa in soglia
Giù digradar, com' io eh' a proprio nome
Vo per la rosa giù di foglia in fogha.
16. E dal settimo grado in giù, si come
Infino ad esso, succedono Ebree,
Dirimendo del fior tutte le chiome;
JJ. L'affetto A.2. L'effetto
B. a Et colei
A. 2. B. C. e RebeccA —
D. Rabecche - A.i.
e Judit
D. com' io a pr.
B. Ed al sett.
A. le rome
1. Assetto al suo p. — 5. che tanto è bella — 11. che, con doglia
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712 KMPiREO. PARADISO XXXn. 19 — 42. s. oiovak batista.
19. Perchè, secondo lo sguardo che fee *. a^pr^er.^
La fede in Cristo, queste sono il muro
A che si parton le sacre scalee.
22. Da questa parte, onde il fior è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei che credettero in Cristo venturo.
25. Dall' altra parte, onde sono intercisi
1. 2. 3. Di voto i seniic. DÌ votì, ìu semicircoli si stanno b,d.i^v.
Quei eh' a Cristo venuto ebber li visi. b. c» vea«r
28. E come quinci il glorioso scanno
Della Donna del cielo, e gU altri scanni
Di sotto lui cotanta cerna fanno , a. 2. e it ^
31. Cosi di contra quel del gran Giovanni,
Che sempre santo il diserto e il martiro .4. «idi^rt
Sofferse, e poi l' Inferno da due anni;
34. E sotto lui così cerner sortirò
1. 2. 3. Agostino Francesco, Benedetto ed Angustino, b.cd.\:
1. 2. 3. E gli altri Ed altri sin quaggiù di giro in gko. /?. Eti.^m
37. Or mira 1' alto provveder divino ,
Che r uno e 1' altro aspetto della fede
Egualmente empierà questo giardino.
40. E sappi che dal grado in giù, che fiede
A mezzo il tratto le due discrezioni,
Per nullo proprio merito si siede, n. «ai^i.
19. Che per secondo — 21. À che si paron — 26. Dei voti — 29. ed altri scanni
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. 3. sono spirti
2. 3. Ed anche
1.2. 3. solverò forte
3. * Intra sé qni
I. 2. 3. Tolontade
1. r aifetto
EMPIREO. PARADISO XXXU. 43 — 66.
43. Ma per Y altrui, con certe condizioni;
Che tutti questi son spiriti assolti
Prima eh' avesser vere elezioni.
46. Ben te ne puoi accorger per li volti,
Ed anco per le voci puerili.
Se tu U guardi bene e se gU ascolti.
49. Or dubbi tu, e dubitando sili;
Ma io ti solverò '1 forte legame ,
In che ti stringon li pensier sottili.
52. Dentro all' ampiezza di questo reame
Casual punto non puote aver sito ,
Se non come tristizia, o sete, o fame;
55. Che per etema legge è stabilito
Quantunque vedi, sì che giustamente
Ci si risponde dall' anello al dito.
58. E però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa:
Entrasi qui più e meno eccellente.
61. Lo Rege, per cui questo regno pausa.
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla volontà è di più ausa,
64. Le menti tutte nel suo lieto aspetto.
Creando, a suo piacer di grazia dota
Diversamente; e qui basti 1' effetto.
BAMBINI BATTEZZATI.
713
C. per altrui
B. sono spirti
B. solverò forte
B. Causai punto non può
A. 2. C. D. destinaU
B. volontade
B. V affetto
49. dubbiando sili || dubitando fili (?) ~ 50. Ma io dissolverò — 64. tristizia, sete e fame — 67. Così risponde — 64. lieto
cos|)«tto — 66. al suo piacer
III.
90
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714
PARADISO XXXIL 67—90.
MABIA VERGINE.
1. BasUrasi
1. 2. 3. b' assomigli»
67. E ciò espresso e chiaro vi si nota
Nella Scrittura santa in quei gemelli.
Che nella madre ebber l' ira commota.
70. Però, secondo il color dei capelli
Di cotal grazia, Y altissimo lume
Degnamente convien che s' incappeUi.
73. Dunque, senza mercè di lor costume,
Locati son per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
76. Bastava si nei secoli recenti
Con l'innocenza, per aver salute.
Solamente la fede dei parenti;
79. Poiché le prime etadi fiir compiute.
Convenne ai maschi all' innocenti penne,
Per circoncidere, acquistar virtute.
82. Ma, poiché il tempo della grazia venne,
Senza battesmo perfetto di Cristo,
Tale innocenza laggiù si ritenne.
85. Riguarda omai nella faccia eh' a Cristo
Più si somiglia, che la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo.
88. Io vidi sopra lei tanta allegi*ezza
Piover, portata nelle menti sante.
Creata a trasvolar per quella altezza,
A. I. C. il s
A. r. Ba»UTu
C. la «df
A. 1. aiB&«^
A. 2L C 1K1 «
A.ì.{:)h.>r^
72. che ai incappelli || che l' incappelli (?) - 76. Bastavali || Bastava lì || Bastavangli - 84. ne si tenne - (C. &4x r
89. portata daUe menti — 90. Create e trasTolar
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PARADISO XXXU. 91-114.
GABRIEL ARCANGELO.
715
ale
l 3. del sol U st.
L 3. esser puote
\. Gìufio a M.
i. 3. ili Volhf
91. Che quantunque io avea visto davante.
Di tanta ammirazion non mi sospese.
Ne mi mostrò di Dio tanto sembiante.
94. E queir amor che primo li discese,
Cantando : Ave, Maria^ gratia piena ^
Dinanzi a lei le sue ali distese.
97. Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata Corte,
Si eh' ogni vista sen fé' più serena.
100. 0 santo Padre, che per me comporte
L' esser quaggiù, lasciando il dolce loco
Nel qual tu siedi per eterna sorte,
103. Qual è quell' Angel, che con tanto gioco
Guarda negU occhi la nostra Regina,
Innamorato si, che par di foco?
106. Cosi ricorsi ancora alla dottrina
Di colui, eh' abbelliva di Maria,
Come del sole stella mattutina.
109. Ed egli a me: Baldezza e leggiadria,
Quanta esser può in Angelo ed in alma,
Tutta è in lui, e si volem che sia,
112. Perch' egli è quegli che portò la palma
Giù a Maria, quando il FigUuol di Dio
Carcar si volle della nostra sahna.
A. B. ale
C. che brlliva
D. esser puote
D. Giiiso a Maria
C. si Tolse
91 amor che prima — 104. negli occhi alia nostra — 110. Quanto esser può — 112. * Perch' egli e quello
90»
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B. Ma TieDai-i
D. seggio)
7X6 EMPIREO. PARADISO XXXII. 115 — 138. adamo e s. pibtbo.
1. 2. 3. M» Vienne oin. 115. Ma vieiù omai con gli occhi, si com' io
Andrò parlando, e nota i gran patrici
Di questo imperio giustissimo e pio.
118. Quei due che seggon lassù più felici,
Per esser propinquissimi ad Augusta, /?. Agu*u
Son d' està rosa quasi due radici.
121. Colui che da sinistra le s' aggiusta,
]E il Padre, per lo cui ardito gusto
L' umana specie tanto amaro gusta.
124. Dal destro vedi quel Padre vetusto
Di santa Chiesa, cui Cristo le chiavi
Raccomandò di questo fior venusto.
127. E quei che vide tutt' i tempi gravi,
Pria che morisse, della bella sposa
Che s' acquistò con la lancia e coi chiavi, f. coicur
130. Siede lungh' esso; e lungo 1' altro posa
Quel Duca, sotto cui visse di manna
La gente ingrata, mobile e ritrosa.
133. Di contro a Pietro vedi sedere Anna,
Tanto contenta di mirar sua figlia,
1.2.3. occhio Che non move occhi per cantare Osanna.
136. E contro al maggior Padre di famiglia
Siede Lucia, che mosse la tua Donna,
Quando chinavi, a ruinar, le ciglia.
A. eoDira A bi&'
A. al roisv
117. imperio grandissimo — 121. da sin. li s' aggiusta || da sin. sì le aggiista (?) - 12fi. fior vetusto — 133. D'i
veder sua figlia — 138. chinavi , a ritornar
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PARADISO XXXII. 139-151.
DANTE E 8. BERNARnO. 717
R. pcrchf' tempo
139. Ma perchè il tempo fogge, che t' assonna,
Qui farem punto, come buon sartore
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna; ^. i. come h** p. così
fa (?)
142. E drizzeremo gli occhi al primo amore,
Sì che, guardando verso lui, penetri,
Quant' è possibil, per lo suo folgore.
145. Veramente (ne forse tu t' arretri
Movendo V ali tue, credendo oltrarti)
Orando, grazia convien che s'impetri,
3. che puotc - 1. 148. Grazia da quella che può aiutarti;
aitarti
. mi seguirai E tu uiì scguì cou 1' affezlouc ,
Si che dal dicer mio lo cor non parti;
151. E cominciò questa santa orazione.
. 3. r ale - 1. cred.
altrarti
A. m. non forse
H. r ale
R. aitarti
A. 2. C. D. mi seguirai
142. al sommo amore — 150. 1* occhio non parti
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CANTO TRENTESIMOTERZO
» Vergine madre, figlia del tuo figlio.
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d' eterno consiglio ,
4. Tu se' colei che Y umana natura
Nobilitasti sì, che il suo Fattore e n tuo Fatt.
1. 2. Non si sdegnò Non dìsdcgnò di farsi sua fattura.
7. Nel ventre tuo si raccese Y amore.
Per lo cui caldo nell' eterna pace
Cosi è germinato questo fiore.
10. Qui sei a noi meridiana face
Di cantate, e giuso, intra i mortali, .4. 2. e giù - ^.2./?
e. D. intra mort.
Sei di speranza fontana vivace.
13. Donna, sei tanto grande, e tanto vali,
Che qual vuol grazia, ed a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz' ali.
16. La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
{. Liberaimeat* Liberamente al domandar precorre.
I. figlia di Di» figlio - 10. Quivi sei — 11. giuso, trai mort — 17. anzi, molte fiate
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720 EMPIREO. PARADISO XXXIII. 19^42. obaz. di s. bebkabdo.
19. In te misericordia, in te pietate, i?. in i* r a:..r;
In te magnificenza, in te s' aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
22. Or questi, che dall'infima lacuna i;. dair iafim. *
1. 2. 3. insin qui Dell' uuivcrso infin qui ha vedute
Le vite spiritaU ad una ad una,
25. Supplica a te, per grazia, di virtute
Tanto che possa con gli occhi levarsi
Più alto verso 1' ultima salute.
28. Ed io, che mai per mio veder non arsi
Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei preghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi, ATipre?..-.
31. Perchè tu ogni nube gli disleghi
Di sua mortalità coi preghi tuoi,
Sì che il sommo piacer gli si dispieghi.
34. Ancor ti prego, Regina, che puoi
1.2.3. vuoi, che tu con». Ciò chc tu vuoIì, chc conscrvì sani, a.zb.cd.'-
B. fW Vi <**••
Dopo tanto veder, gU affetti suoi.
1. Vince 37. Vinca tua guardia i movimenti umani:
Vedi Beatrice con quanti Beati
Per li miei preghi ti chiudon le mania
40. (tIì occhi da Dio diletti e venerati,
i. 2. ne^li urator Fìssì ucll' orator , uc dimostrar© ^.Dduo^.^
1. gli ,„„ ^r. Quanto i devoti preghi le son grati. b,u^^
25. Supplica te — 28. per mio voler — 29. Più che fo — 85. che gli cons. sani |{ che perservi e sani ^ 36l Dopo tanti 'f"
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doveva
aorrideva
3. guard. in suso
volerà
EMPIREO. PARADISO XXXin. 43 — 66. 8AKTI88. TRINITÀ. 721
43. Indi all' eterno lume si drizzaro,
Nel qual non si de' creder che s' invìi a. 2. c.D.thtB'inh
Per creatura 1' occhio tanto chiaro.
46. Ed io eh' al fine di tutti i disii
M' appropinquava, si com' io dovea,
L' ardor del desiderio in me finii.
49. Bernardo m' accennava, e sorridea,
Perch' io guardassi suso ; ma io era b. guard. in »ubo
Già per me stesso tal qual ei volea; />. quaiiovoiea
52. Che la mia vista, venendo sincera,
E più e più entrava per lo raggio
Dell' alta luce, che da se è vera.
aqui.nèinn. 55. Da quiucl innauzì il mio veder fu maggio
3. il parlar nostro Chc il parlar mostra, eh' a tal vista cede,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
58. Qual è colui che sognando vede,
E dopo Che dopo il sogno la passione impressa a e dopo
Rimane, e 1' altro alla mente non riede;
61. Cotal son io, che quasi tutta cessa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Nel cor lo dolce che nacque da essa.
64. Cosi la neve al sol si disigilla,
Così al vento nelle foghe Uevi
Si perdea la sentenza di Sibilla.
43. b' addrinaro — 44. Nel qa. non si può creder — 46. al fin di tutti quanti i d. - 47. M' appropinquai || Appropinquara •
io devea — 63. A più a più entr. || E più fiso entr. — 55. Da indi innanzi — 56. Che il pari, mostri — 57. Eccede U m. — 59. Che dopo
ino - 63. Nel cor il dolce — 65. nelli fogli
A. 2. a C. D. il parlar
nostro
B. cede la materia
D. colui il qua! — A.
somniando
m.
91
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D. Pos»ft oi'Atrv
722 EMPIREO. PARADISO XXXIII. 67 — 90. sautiss. trixità.
67. 0 somma luce, che tanto ti levi
Dai concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi,
70. E fa la lingua mia tanto possente,
Ch' una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla futura gente;
73. Che, per tornare alquanto a mia memoria,
E per sonare im poco in questi versi.
Più si conceperà di tua vittoria. ^. «. dis«v:
76. Io credo, per l'acume ch'io soffersi
Del vivo raggio, ch'io sarei smarrito,
Se gli occhi miei da lui fossero avversi. a. stctm
79. E mi ricorda eh' io fili più ardito
Per questo a sostener tanto, eh' io giunsi
L' aspetto mio col valor infinito.
82. 0 abbondante grazia, ond' io presunsi
Ficcar lo viso per la luce eterna
Tanto, che la veduta vi consunsi!
85. Nel suo profondo vidi che s'interna, z>-Md.u
Legato con amore in un volume,
1. squaterna Ciò chc pcr 1' uuivcrso si squaderna;
1. 2. 3. accidente 88. Sustauzla ed accidenti, e lor costume, /?.«*ia«:r
1. z 3. Tutti confi. Quasi conflati insieme per tal modo, i?.T«tt,f,d
Che ciò eh' io dico è un semplice lume.
f pf T tti
79. Kl rai ricfirda — 80. a riguardar unto — 81. col volere inf. — 88. Sust&iicie ed aocidense — ^. Qu. coailatr
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EMPIREO.
PARADISO XXXin. 91-114.
8ANTISS. TRINITÀ.
723
a mirar
E tutta - 1. 2. nel
mirar 3. di mirar
3. eh* ^ 11
2. 3. che d' infante
qual s' era
91. La forma universal di questo nodo
Credo eh' io vidi, perchè più di largo,
Dicendo questo, mi sento eh' io godo.
94. Un punto solo m' è maggior letargo,
Che venticinque secoli alla impresa,
Che fé' Nettuno ammirar 1' ombra d' Argo.
97. Così la mente mia, tutta sospesa.
Mirava fissa immobile ed attenta,
E sempre del mirar faceasi accesa.
100. A quella luce cotal si diventa,
Che volgersi da lei per altro aspetto
E impossibil che mai si consenta;
103. Perocché il ben, eh' è del volere obbietto,
Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella
E difettivo ciò che li è perfetto.
106. Omai sarà più corta mia favella.
Pure a quel eh' io ricordo , che di un fante
Che bagni ancor la lingua alla mammella.
109. Non perchè più eh' un semplice sembiante
Fosse nel vivo lume eh' io mirava,
Che tal è sempre qual era davante;
112. Ma per la vista che s' avvalorava
In me, guardando, una sola parvenza,
Mutandom' io, a me si travagUava:
A. m. pur di largo
B. yent* e cinque
A. 1. fisso
B. C. D. di mirar
D. eh' è li
D. più d' un sompl.
D. qual 8* era C, cben t'era
96. Nettuno mirar — 96. Stava fissa — 103. eh' è del vedere obbi. — 106. sarà più certa — 107. che di fante - 113. In tre.
2;uardando — 114. Mutando me — a me mi travagliava
91'
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724
PARADISO XXXIIL 115-138.
SANTI88. TRINITÀ.
1. 2. a me arridi
1. 2. 3. Pareva in te
1. noi ritrova
1. L' ìm. e '1 cerchio
115. Nella profonda e chiara sussistenza
Deir alto lume parvenu tre giri
Di tre colori e d' una continenza;
118. E r un dall' altro, come Iri da Iri,
Parea riflesso, e il terzo parca foco
Che quinci e quindi eguahnente si spiri.
121. 0 quanto è corto il dire, e come fioco
Al mio concetto! e questo, a quel eh' io vidi,
E tanto, che non basta a dicer poco.
124. 0 luce eterna, che sola in te sidi.
Sola t' intendi, e da te intelletta
Ed intendente te, ami ed arridi!
127. Quella circulazion, che sì concetta
Pareva in tre, come lume riflesso.
Dagli occhi miei alquanto circonspetta,
130. Dentro da se del suo colore stesso
Mi parve pinta della nostra effige.
Per che il mio viso in lei tutto era messo.
1 33. Qual è '1 geometra che tutto s' affige
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
Pensando, quel principio ond' egli indìge;
136. Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva, come si convenne
L' imago al cerchio, e come vi s' indova;
A. parvemu
B. ed ana
B, 8* aspiri
A. e come è fioco
A. 2. intendendo
a me arridi
A. 2. B. C D. Pairer»
in te
JJ. Qual geometra
B. noi rìtrora
D. a quel prine.
B. V im. e *1 eerehio
116. Dell' alta luce - parvonmi tre g. — 121. O come è corto — 124. che solo in te — 126. e t' arridi (?) — 130. del suo fid^ore
stesso — 133. Quale il geometra — 137. Saper Toleva
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BMPiRXO. PARADISO XXXIII. 139 — 145. conclusione. 725
139. Ma non eran da ciò le proprie penne, [c'.-i«.j- ^noner»
Se non che la mia mente fìi percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.
142. Air alta fantasia qui mancò possa;
Ma già volgeva il mio disiro e il veUe, u. voig. «i mio - ^.2.
^ ^ B. D. disio il twAe
Si come rota eh' egualmente è mossa,
145. L' amor che move il sole e V altre stelle. ic. 139-1
141. sua voglia tenne — 143. il mio volere e il velie — 146. L' amor che mosse
FINE
BERLINO, RIDOLFO DECKKB , STAMPATORE DEL RE
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ERRORI OCCORSI NELLO STAMPARE:
Pag. 114 luferno XVII. 117. «viso, e disotto* corrige: «viso e disotto-
122 . XIX. 28. -fiameggiar-
316 Purgatorio XII. 126. -su pinti,-
411 - XXV. 96. • virtualmente -
416 - XXVI. 77. .perchè.
457 . XXXI. 96. .spola,-
503 Paradiso IV. 46. -umano.-
588 - XV. 127. -maraviglia,-
670 - XXVI. 136. -chiamo-
•fiammeggiar-
-su pinti. -
•virtualmente,"
-per che-
-spola.-
- umano -
•maraviglia-
• chiamò -
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