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Full text of "La Divina commedia"

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J  S^ù.o 


TICKNOR-DANTE  COLLECTION 


?&arbarìi  Collrfle  librarg 


The  Heirs  of  George  Ticknor, 

PROFESSOR  IN  HARVARD  COLLEGE 
x8x7-x835 


Received  October  28,  1896. 


X 


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LA  DIVINA  COMMEDIA 


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G> 


LA  DIVINA  COMMEDIA 


DI 


DANTE  ALLIGHIERI 


RICORRETTA 


SOPRA  QUATTRO  DEI  PIÙ  AUTOREVOLI  TESTI  A  PENNA 


DA 


CARLO  WITTE 


BERLINO 

RIDOLFO    DECKER   STAMPATORE    DEL    RE 

MDCCCLXIl 


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^  J^'^.'^o 


28  oct.   lauo. 


BOUMD   «AH     ;,M      ittiji 


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AL 


PIÙ  PROFONDO  ILLUSTRATORE  DELLA  RECONDITA  DOTTRINA 


DI  DANTE 


SUA  MAESTÀ 


IL  RE   GIOVANNI  DI  SASSONIA 


OMAGGIO  UMILMENTE  OFFERTO 


DALL'  EDITORE 


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PROLEGOMENI  CRITICI 


MOLTK    VOLTK    TAGLIA 
PIÙ    E    MKGLIU    UNA    CHE    LE    CINQUE    SPADE. 


PARAU.    XVI.    7. 


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iNel  corso  di  quattro  secoli,  o  poco  meno  più  di  trecento  edizioni  della  Divina 
Commedia  vennero  alla  luce,  molte  delle  quali  si  vantano  di  darne  il  testo 
«nuovamente  corretto»  e  purgato  di  mende.  Veramente  non  pochi  di  questi 
editori  erano  assai  valenti ,  e  posero  grandissime  fatiche  a  rendere  al  sacro  poema 
la  genuina  piu'ità.  Considerando  questo,  si  stenta  a  credere  che  per  Y  emenda- 
zione del  libro  di  Dante  vi  possa  rimanere  altro  che  V  umile  lavoro  di  spigolatore. 
Eppure  anche  le  più  diligenti  fatiche  di  quegli  editori  non  ottennero  applausi 
unanimi*),  e  chi  dagli  uni  fu  esaltato  al  cielo  per  aver  mondato  il  divin  carme 
di  tante  e  tante  macchie  che  lo  sfigurarono  nelle  edizioni  anteriori,  da  altri  fu 
accusato  come  sfacciato  adulteratore  di  esso.  Nemmeno  nell'  età  nostra 
r  autorità  di  quattro  distinti  Accademici  della  Crusca  bastò  per  far  adottare 
generalmente  il  testo  da  essi  restituito  nel  1837.  Finalmente  tutte  le  persone 
intendenti  concordano  a  dire  che  un'  edizione  di  Dante,  fatta  come  si  dovrebbe, 
rimane  sempre  lavoro  da  intraprendersi  ancora. 

')  Mehls  Vita  Ambro^ii  CamcUdulensis  p,  176  •  Saepenumero  mecurn  ipse  rnirari  soleo,  inter 
irti  praestantissimos  viros,  qui  Dantis  Comoediam  conlcUis  in  unum  exemplaribus  emendaruìU . , .  neminem 
fnisse ,  qui  provinciam  bene  admini^traverit.  « 

B 


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Le  quattro  prime  edizioni^)  della  Commedia,  nuovamente  riprodotte  a 
spese  di  Mylord  Warren  Vernon,  tanto  benemerito  degli  studi  Danteschi,  non 
sono  che  copie  letterali  di  codici,  non  scelti  con  giudizio  critico,  ma  casual- 
mente capitati  in  mano  a  chi  ne  intraprese  la  stampa.  Anche  gli  errori  più  evidenti 
furono  ripetuti  nella  stampa,  quali  giaceano  nel  testo  a  penna.  II  giudiziosissimo 
Panizzi,  che  sopraintese  alla  riproduzione  di  queste  stampe,  confessa  che  abbon- 
dano tutte  di  ridicoli  farfalloni,  che  gli  stessi  errori  solenni,  i  medesimi  strafalcioni 
madornali,  che  solo  un  ignorante  compositore  poteva  commettere,  si  ritrovano 
nelle  due  di  Foligno  e  di  Napoli  (Tuppo).  »>  Non  ardirei  veramente  «  —  continua 
il  dotto  bibliotecario  del  Museo  Britannico  —  «affermare  che  la  edizion  di 
Foligno  sia  tra  le  antiche  la  migliore, «  e  vi  aggiunge  «la  edizione  Napolitana 
non  esser  sempre  copia  servile ,  comecché  pur  troppo  spesso  lo  sia^  della  edizione 
del  Numeistertt  (Fulginate).  Più  sfavorevole  ancora  è  quanto  ei  dice  dell'  edi- 
zione di  Federigo  Veronese:    «Quella  di  Jesi  è  certo  zeppa  d'  errori  grossolani 


*)  Non  vi  annovero  quella  del  Zarotto  (Parma  1473)  giudicata  dubbia  dal  De  Batines 
(Bibliogr.  Dantesca  I.   18),  benché  la  registri  anche  il  Zeao  (Lettere.    Ven.  1785.    ITI.  78). 


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XI 

di  stampa;  e  forse,  supera  in  questo  le  altre  tre,  che  pur  esse  ne  hanno  in  ab- 
bondanza. Le  omissioni  in  questa  edizione  sono  molte  e  notevoU.a  Venendo 
finalmente  all'  ultima  delle  stampe  del  1472  dice  il  Panizzi:  »La  edizione  di 
Mantova  è  quella  che  par  corretta  con  maggior  cura  delle  altre  tre;  ed  è  quella 
il  cui  testo  sarei  disposto,  generalmente  parlando,  a  preferire. «  —  Le  mie  pro- 
prie ricerche  mi  fanno  aderire  a  quanto  asserisce  il  Panizzi,  non  essendo  sfuggito 
nemmeno  a  questo  dotto  bibliografo,  T  esistere  una  qualche  parentela  fra  le 
stampe  di  Mantova  e  di  Jesi,  e  fra  quelle  di  Foligno  e  di  Napoli.  Si  aggiunga 
che  anche  nella  Mantovana,  benché  meno  scorretta  delle  altre,  i  manifesti  er- 
rori e  spropositi  sono  assai  frequenti.  —  Simile  sarà  il  giudizio  da  farsi  sulla 
seconda  edizione  Napolitana  (di  Mattia  Moravo,  1477),  e  sulla  rarissima  Veneta 
del  maestro  Filippo,  ossia  di  C.  Lucio  Lelio  del  1478,  benché  per  avventura  un 
poco  meno  scorrette  di  quelle  prime. 

Cure  molto  più  assidue  posero  Vendelino  da  Spira  (oppure  Cristof  Be- 
rardi  Pesarese  )  e  Martino  Paolo  Nidobe ato  alle  celebri  edizioni  da  essi  procu- 
rate, le  quali  si  possono  dire  le  prime  ripurgate  da  quegli  errori  materiaU  che 
offendono  il  lettore  a  prima  vista.  Osservandole  con  maggior  attenzione,  la  Ve- 
neta del  Vendelino,  che  ti  mette  sott'  occhio  la  »  volgata»  del  maggior  numero 
dei  codici  buoni,  ma  non  antichissimi,  si  troverà  anche  più  libera  di  taU  nei, 
mentrechè  la  Nidobeatina  *  )  ha  conservate  non  poche  lezioni  sue  proprie  che 
rimontano  a  un  tempo  anteriore  allo  stabiUmento  di  quel  »  testo  volgato«.  Ciò 
non  ostante,  credo  che  sbaglierebbe  chi  volesse  supporre  che  \  uno  o  V  altro 
di  quei  valentuomini  abbia  fatto  confronto  di  diversi  testi  a  penna,  per  isceglierne 
le  lezioni  migliori;  anzi  sono  persuaso  che  la  lode  da  essi  meritata  non  è  da 
riferirsi  che  alla  buona  elezione  del  testo  a  penna  che  ciascheduno  di  essi  con- 
segnò ai  suoi  compositori  per  riprodurlo  materialmente. 

')  Nella  sua  prefazione  dice  ilNidobeato:  •  Miraius  vim  carminis ,  vicem  ejus  iticblui ,  giiod 
in  tonfa  imprimentium  copia,  guibus  magna  Italia  Germaniaque  et  totus  p-ope  orbis  exuberatj  nemo 
illius  accìiraiiìts  imprimendi  animum  curamve  susceperit,^ 

B  • 


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XII 

Il  primo  a  fare  un  lavoro  veramente  critico  sulla  Commedia  di  Dante 
sembra  essere  stato  il  Landino  nella  celebratissima  stampa  di  Lorenzo  della 
Magna  (1481),  riprodotta,  senza  mutamenti  essenziali,  per  cinque  o  più  volte  nel 
corso  degli  ultimi  due  decennj  del  secolo.  Veramente  il  vanto  principale  che  il 
Landino  si  attribuisce  nella  sua  dedica  alla  Signoria  di  Firenze  sembra  ridursi 
air  avere  spurgato  il  testo  dei  tanti  idiotismi  che  i  copisti  vi  aveano  intrusi, 
piegando  la  Ungua  di  Dante  al  dialetto  loro  proprio^):  ma  pure  sembra  fuori 
di  dubbio  eh'  egli  abbia  confrontato  alcuni  buoni  codici,  prescegliendone  quelle 
lezioni  che  sembrarongU  corrisponder  meglio  tanto  al  senso,  quanto  al  genio 
di  Dante.  Troviamo  assai  spesso  che  dove  1'  edizione  Aldina,  seguita  dalle 
posteriori,  si  allontana  dai  testi,  i  quaU  generalmente  le  servono  per  regola,  la 
lezione  da  lei  adottata  proviene  dal  Landino. 

L'Aldina  del  1502  si  può  dire  fondamento  di  tutte  le  stampe  del  libro  di 
Dante ,  che  nel  corso  di  tre  secoU  e  mezzo ,  e  sino  al  giorno  d'  oggi  furono  fatte 
in  Itaha  e  fuori.  InnumerevoU  per  certo  sono  le  correzioni,  ovvero  i  guasti  che 
vi  fecero  i  posteri,  ma  il  fondo  materiale  del  testo  rimase  sempre  intatto  1'  Aldino. 
Si  è  creduto  quasi  sempre  che  per  questa  edizione  il  celebre  tipografo  Veneto 
si  sia  prevalso  dell'  opera  del  Bembo.  Nuovamente  se  n'  è  voluto  dubitare, 
massime  dal  Foscolo^),  il  quale,  dopo  di  aver  addotto  due  passi,  riportati 
nelle  Prose  di  un  modo  differente  dalla  stampa  Aldina,  conchiude:  »  L'Aldo 
non  decretava  il  testo  da  se,  o  senza  i  consigli  del  Bembo;  ma  non  segui  vali, 
e  stava  al  più  de'  pareri  dell'  Accademia  eh'  essi  avevano  fondata  allora 
a  promovere  la  emendazione    de'  codici  nelle  stampe.     L'  autorità   del  Bembo 


'  )  >  Questo  solo  voglio  affermare ,  d'  aver  liberato  il  nostro  cittadino  daUa  barbarie  di 
molti  esterni  idiomi,  ne'  quali  da'  comentatori  era  stato  corrotto.    Ora  avendo  io  ridotto  questo 

volume  alla  sua  sana  e  vera  lettura,  è  paruto  mio  officio  l'appresen tarlo  a  Voi ,  acciocché 

sia  dopo  lungo  esilio  restituito  nella  sua  patria,  e  riconosciuto  non  essere  né  Romagnuolo.  né 
Lombardo,  né  degli  idiomi  di  coloro  che  lo  hanno  comentato,  ma  puro  Fiorentino.* 

')  Discorso  sul  testo  sez.  205. 


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xni 

ancor  giovine,  quarantacinque  (si  corregga:  34)  anni  innanzi  eh'  ei  fosse  cardi- 
nale, non  era  da  tanto  che  contrappcsasse  il  giudizio  di  molti.  «  Il  codice  Va- 
ticano No.  3197  *)  decide  pienamente  la  quistione.  Per  chi  conosce  il  carattere 
del  Bembo  non  vi  può  rimaner  dubbio  alcuno,  che  la  notizia  posta  in  fronte 
di  questo  volume:  «Tutte  le  poesie  del  Petrarca  e  del  Dante.  Scritto  in  papiro 
di  mano  del  Bembo,  in  foglio  «  sia  verissima.  Sul  principio  della  Divina  Com- 
media il  Bembo  annotò  il  giorno  che  diede  mano  al  lavoro:  ^^Sexto  Jul.  MDIyn 
nel  quale,  come  si  rileva  dalla  nota  finale,  non  ispese  che  un  anno  e  venti 
giorni:  ^Finitus  in  Recano^),  rure  Herctdis  Stì^ozzae^)  mei.  Sept(imo)  KL  Attg. 
MDILii  Ora  questo  codice,  a  cominciar  dal  frontispizio  sino  all'  ultimo  verso, 
conviene  letteralmente  colla  stampa  Aldina  terminata  pochi  giorni  dopo  quel  26 
di  Luglio.  L' istessissima  ortografia,  i  segni  di  puntatura,  d'  apostrofazione  e  di 
accenti  si  ritrovano  tanto  nell'  uno  che  nell'  altra.  Si  vede  dunque  che  l'Aldo 
avea  cominciato  a  stampare,  quando  il  Bembo  era  ancora  nel  bel  mezzo  del  la- 
voro, che  foglio  per  foglio  sarà  stato  spedito  da  Raccano  a  Venezia.  Assai  grave 
errore  è  quello  del  Manzi,  il  quale  dando  notizia  alFANxoNi*)  di  questo  codice, 
gli  scrisse:  »V'  è  un  esatta  copia  «  (del  codice  creduto  di  mano  del  Boccaccio) 
«nella  Vaticana  di  mano  di  esso  Bembo,  che  si  vede  fatta  anno  1502,  tutta  di 
mano  sua.«  Basta  confrontare  qualche  dozzina  di  versi  per  conoscere  che  fra 
l'Aldina  e  il  codice  detto  del  Boccaccio  vi  è  veramente  un'  affinità  grande,  ma 
che  pure  gli  esempj  di  dissenso  non  sono  ne  rari,  ne  di  poco  rilievo. 

Una  ripetizione  quasi  letterale  del  testo  del  Bembo,   benché  non  senza 
qualche  variazione,  si  trova  in  un  codice  di  data  recente,  che  dalla  libreria  Ca- 


'  )  De  Batines  Bibliografia  Dantesca  II.  180.  No.  341. 

')  Sarà  la  villa  di  Raccano,  celebrata  da  Tito  Vespasiano  Strozzi,  padre  di  Ercole, 
sotto  il  nome  di:    »rt«  Pelosellae*. 

')  Il  poeta,  molto  amico  del  Bembo  (Lettere  di  M.  Pietro  B.  Verona  1743.  III.  1.), 
che  fu  ammazzato  nel  1508. 

*  )  Prefazione  all'  ediz.  della  Div.  Comm.    Roveta  1820.  p.  29. 


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XIV 

nonici  passò  alla  Bodleyana  di  Oxford').  Altri  codici,  come  il  Parigino,  Fonds 
de  rés.  No.  7  del  1456  (de  Bat.  No.  433),  i  Riccardiani  No.  1045  e  1036  (de  Bat. 
No.  139,  137),  il  Parmigiano  della  bibl.  Ducale  No.  361  (de  Bat.  No.  236),  un 
Trivulziano  senza  numero,  e  i  tre  congiunti  fra  loro  di  stretta  parentela:  Riccard. 
1049  b  (de  Bat.  No.  133),  Harleyano  del  Museo  Britannico  3460  (de  Bat.  No.  478) 
e  Mantovano  della  bibl.  Bagno  (de  Bat.  No.  243)  concordano  per  molte  lezioni 
principali,  senza  che  la  simiglianza  si  possa  dire  essenziale.  AH'  incontro  bisogna 
ammettere,  che  quantunque  il  cod.  detto  del  Boccaccio  si  allontani  in  gran  nu- 
mero di  passi  dal  testo  Aldino,  esso  ne  forma  come  il  fondamento  principale. 
Non  so  quanta  fede  sia  da  prestarsi  all'  asserzione  del  Manzi  che  questo  codice, 
ora  conservato  anch'  esso  nella  Vaticana,  No.  3199  (de  Bat.  No.  319)  sia  perve- 
nuto  «nella  fine  del  secolo  XV.  in  mani  di  Pietro  Bembo  con  altri  (??)  scritti 
del  Petrarca «;  ma  quel  che  pare  innegabile,  si  è  che  grandissimo  numero  anche 
di  manifesti  errori  sia  passato  da  esso  nell'  Aldina,  e  da  questa  nelle  edizioni 
posteriori  insino  alle  ultime,  non  eccettuandone  nessuna.  Che  il  Bembo  si  sia 
dato  molta  fatica  ad  esaminare  numerosi  codici,  ed  a  fare  una  scelta  critica  fra 
le  raccoltene  lezioni  mi  sembra  poco  probabile.  Veramente  i  piaceri  della 
villeggiatura  non  vi  sarebbero  convenuti  troppo  bene,  ne  im  anno  vi  sarebbe 
bastato.  Sappiamo  inoltre  dalle  sue  lettere^)  che  anche  nel  corso  di  questo 
tempo  la  Sua  Eminenza  futura  non  era  di  residenza  continua  a  Raccano,  e  che 
il  suo  cuore  era  occupato  di  tutt'  altro  che  di  critica. 

Benché  l'x^ldina,  servendo  di  base  ad  innumerevoli  edizioni  posteriori,  abbia 
ottenuto  un'  autorità  senza  pari,  già  pochi  anni  dopo  la  sua  pubblicazione  le  per- 
sone più  intelligenti  non  ne  rimasero  soddisfatte.  Un  dotto  cultore  di  Dante, 
per  quanto  si  crede  Vincenzo  Borghini,  confrontò  cinque  codici,   notandone  le 


')   No.  1  IO.    De  Batines  Bibliogr.  Dant.  No.  494. 

*)   Volume  IV.    parte  2.    Lett.  81.     Ed.   di   Verona  p.  225.      Foscolo  Saggi   sopra   il 
Petrarca.    Trad.  di  Camm.  Ugoni.    IV.  16.  Na.  *). 


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XV 

varie  lezioni  sui  margini  di  una  copia  della  seconda  Aldina  (1515)  *)  ora  posseduta 
dal  Commendatore  Antinoki.  Se  ne  servirono  gli  Accademici  del  trentasette  e 
il  Gigli  nei  suoi  Studi  sulla  D.  C.  Lavoro  consimile  fu  eseguito  nel  1546  da 
Baccio  Valori,  Benedetto  Varchi  ed  alcuni  altri  amici,  e  ne  dobbiamo  la  pubbli- 
cazione al  Gigli'-).  Altre  fatiche  dell'  istesso  genere  sono  sparse  in  diverse  libre- 
rie (De  Batines  L  355).  Una,  di  Lion.  Salviati,  ne  additarono  il  De  Bat.  (I.  62) 
e  '1  Gigli  (p.  XXXVI.  No.  1),  un  altra  di  Pier  Vettori  —  un  esattissimo  confronto 
di  un  codice,  che  potrebbe  essere  quello  del  Barb adori  —  si  conserva  nella 
bibhoteca  regia  di  Monaco.  —  Alessandro  Vellutello  dice  nel  proemio  della 
sua  edizione:  «aver  trovato  gli  antichi  testi  a  penna,  ma  più  i  moderni  impressi 
a  stampa  incorrettissimi,  e  sopra  tutti  quello  impresso  da  Aldo  Manucci  che 
appresso  di  tutti  è  stato  in  tanta  estimazione,  perchè  avendolo,  chi  sotto  nome 
di  correzione  T  ha  quasi  tutto  guasto,  dove  non  ha  inteso,  concio  a  suo  modo, 
e  datolo  (col  Petrarca  insieme,  sotto  il  medesimo  nome,  in  tal  modo  concio)  ad 
esso  Aldo  ad  imprimere,  egli,  conjfidandosi  nell'  autorità  del  datore,  impresse  e 
l'uno  e  r  altro  testo  tale,  qual  di  lui  gli  fii  esporto.  E  di  qua  è  nato  di  questa 
Commedia  uno  inconveniente  grandissimo,  perchè  quelU,  che  l'hanno  da  poi 
impressa  co'  suoi  comenti«  (parla  delle  ristampe  del  comento  di  Cristof.  Landino), 
«pensando  che  Aldo  abbia  usato  la  diligenzia  in  questa,  che  egli  usò  nelle  cose 
latine  da  lui  impresse,  hanno  lasciato  i  testi,  sopra  de'  quali  era  stata  cementata, 
ed  hannovi  posto  quello  impresso  da  Aldo,  il  quale  per  tal  sua  incorrezione  in 
molti  luoghi  dice  una  cosa,  ed  il  comento  ne  dice  un'  altra,  che  maggior  incon- 
veniente non  porla  esser.a 


'  )  Ottavio  Gigli  Studi  sulla  Div.  Comm.  p.  XX Vili,  riporta  la  seguente  nota  del 
Borghini:  »I1  testo  stampato  da  Aldo  ...  mi  riesce  peggiore  di  tutti  gli  altri  che  erano  stati 
stampati  innanzi,  tal  che  comincio  a  pensare  che  sia  stato  corretto  per  coniettura  a  fantasia 
di  qualcheduno,  che  si  può  dire  più  giustamente  corrotto.* 

')  Una  «correzione  di  quattro  testi*  fatta  da  Cosimo  Bartoli  è  registrata  dal  Kossi 
frai  libri  consultati  per  V  edizione  del  1595. 


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XVI 

Tutte  queste  censure  non  impedirono  gli  editori  del  cinquecento  di  far 
poca  cosa  per  ridurre  in  istato  migliore  il  testo  di  Dante.  Taccio  della  seconda 
Aldina,  la  quale  non  si  distingue  quasi  dalla  prima  che  per  qualche  cambiamento 
negli  apostrofi  e  buon  numero  di  nuovi  errori  ^  )  ;  taccio  delle  contraffazioni y  fra 
le  quali  annovero  anche  la  Toscolana  dei  Benacensi.  Fra  tutte  le  altre,  due 
solamente  sembrano  aver  un  fondamento  independente  dall'  Aldina,  dico  la 
Giuntina  del  1506,  che  malgrado  queir  independenza  si  discosta  poco  dall'  Aldina, 
e  quella  del  Vellltello,  che  in  gran  parte  ritorna  al  testo  delle  edizioni  antiche. 
Ecco  quel  che  ne  dice  1'  editore:  «Quanto  alla  correzione  del  testo  ardirò  dire, 
che  se  '1  Poeta  stesso  risuscitasse,  non  la  intenderebbe  altramente  lui,  perchè, 
avvenga  che  tutti  gli  antichi  testi  scritti  a  penna,  ma  più  i  moderni  impressi  a 
stampa,  per  la  ignoranzia  degli  scrittori  ed  impressori,  o  di  chi  li  fece  scrivere 
od  imprimere,  sieno  incorrettissimi,  e  specialmente  lo  impresso  da  Aldo,  e  gli 
altri  impressi  allo  esempio  del  suo,  per  la  ragione  detta  di  sopra,  nondimeno 
io  con  somma  diligenzia  ho  cavato  questo  da  diversi  e  più  antichi  testi,  quelli 
che  di  tutti  gli  altri  meno  si  conoscano  esser  viziati.  E  dove  ho  veduto  mancar 
la  sentenzia,  o  compreso  esser  alterata  e  fuori  del  proposito,  ruminando  diligen- 
temente in  quelli,  ne  sono  venuto,  secondo  il  fermo  creder  mio  sulla  verità  «  — 
Assai  di  presso  al  Vellutello  s'attenne  Vincenzo  Buon  anni,  nella  sua  edizione 
dell'  Inferno  (1572),  non  meno  sconcia  per  la  bizzarrissima  ortografia,  che  per  le 
strane  lezioni  qua  e  là  ripescate  dall'  editore  nei  «quattro  buoni  testi  a  penna,« 
eh'  egli  dice  aver  avuti. 

Se  il  Vellutello  si  era  lagnato  degli  editori  che  aveano  accompagnato  il 
testo  dell'  una  o  dell'  altra  Aldina  coi  comenti  del  Landino,    l' istessa  sorte  do- 


*)  Anche  \  Aldina  del  1502,  benché  molto  più  corretta,  non  è  senza  mende  tipogra- 
fiche. Eccone  alcuni  esempi:  Inf.  III.  105.  ritrarser.  XVII.  38.  d'  sto.  XXXI.  24.  nil  maginare. 
Purg.  XI.  45.  co  tra.  XVI.  103.  malia.  XVIII.  31.  T  anino.  XIX.  64.  ai  i  pie.  XX.  26.  povertà. 
XXII.  84.  nor  fur.  XXV.  49.  Et  guunto.  XX  Vili.  8.  lo  uolto.  73.  la  Leandro.  79.  tienni  XXIX.  411 
discooso.  56.  Al  buor.  67.  sin.  canto.    Par.  I.  23.  tamto.     II.  104.  lontanali:  vedrai. 


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XVII 

veva  toccare  anche  a  lui.  Tutte  tre  le  edizioni  del  S  anso  vino  (Venezia.  Sessa. 
1564,  1578,  1596)  che  riuniscono  i  conienti  del  Landino  con  quei  del  Vellutello, 
ristampano  il  proemio  di  quest'  ultimo  con  quanto  vi  si  legge  in  vituperio  di  chi 
fa  (lire  al  testo  una  (fosa,  ed  al  comento  un'  altra,  e  pure  ripetono,  con  pochis- 
sime eccezioni,  il  testo  della  seconda  Aldina.  Anche  più  servilmente  ad  essa  si 
attengono  la  stampa  del  de  Tournes  (Lione  1547)  e  le  quattro  Rovilliane  (ivi 
1550,  1551,  1571,  1575)  colla  contraffazione  del  1554.  Sbaglierebbe  ancora 
chi  volesse  prestar  troppa  fede  a  quanto  afferma  Lodovico  Dolce  nella  dedica- 
toria delle  sue  edizioni  (Venezia  1555,  1569,  1578  ecc.):  «Questo  non  tacerò, 
che  '1  testo  in  molti  luoghi  s'  è  diligentissimamente  emendato,  e  ciò  con  uno 
esemplare  frascritto  dal  proprio  scritto  di  mano  del  figliuolo  di  Dante,  avuto  dal 
dottissimo  giovane  M.  Battista  Amaltheo.u  Le  varie  lezioni  registrate  dal  Dolce, 
molte  delle  quali  non  sono  che  differenze  di  ortografia,  sono  in  numero  minore 
di  sessanta,  e  derivano  in  gran  parte  non  dal  codice  del  preteso  figlio  di  Dante, 
ma  dalle  stampe  del  Landino  e  del  Vellutello.  Quasi  tutte  si  conoscono  anche 
d'altronde.  Passo  sotto  silenzio  il  lavoro  del  Daniello  (Venezia  1568).  Vera- 
mente vi  si  trova  qualche  rara  mutazione  del  testo  Aldino,  e  per  lo  più  in 
meglio ,  ma  come  il  Daniello  non  dice  donde  le  abbia  ricavate ,  s' ignora  in  qual 
conto  esse  siano  da  tenersi. 

Perveniamo  alla  decantata  edizione  dell'Accademia  della  Crusca,  o  per 
dir  meglio  di  Bastiano  de' Rossi  (  »Lo 'nferrigno«  ),  segretario  di  essa  (Firenze. 
Manzani.  1595).  La  prefazione  ci  ragguaglia,  che  »la  prima  e  la  principale  tra 
le  cagioni,  che  indussero  gli  Accademici  ad  imprender  questa  fatica,  sia  stata 
r  opera  del  vocabolario  della  nostra  favella, «  che  allora  aveano  tra  mano.  Si 
dolgono  anch'  essi,  di  aver  trovato  il  divino  poema  «cosi  lacero  e  malgoverno, 
e  da'  copiatori,  e  dalle  stampe,  ed  eziandio  da'  comentatori,  che  poco  se  ne 
potessero  in  essa  opera  acconciamente  servire,  se  prima  non  cercassero  di  sa- 
narlo dalle  sue  piaghe«.  Aggiungono  poi  di  aver  fatto  in  modo,  che  »e  1'  autorità 
e  le  ragioni,   sopra  le  quali  sian  fondati  i  lor  mutamenti,   nel  margine  apparis- 

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XVIII 

sero  palesi  e  chiaria.    Si  vede  dunque  che  si  trattava  di  una  fatica  meramente 
filologica.  — 

Assai  diversamente  si  e  giudicato  del  lavoro  degli  Accademici  del  95. 
Mentrechè  gli  editori  del  seicento  e  di  quasi  tutto  il  settecento  non  credevano 
poter  far  meglio  che  di  ripetere  letteralmente  il  testo  del  Manzani,  e  mentrechè 
l' istesso  Foscolo  taccia  le  accuse  fatte  contra  il  testo  dello  'nferrigno  di  «accuse, 
che  sanno  di  servitù  che  si  vendica  di  tiranni  scaduti«  ^),  queste  accuse  non  ces- 
sarono mai^),  e  i  primi  a  non  assogettarsi  al  parere  di  quella  edizione  »> citata» 
erano  i  vocabolaristi,  all'  uso  dei  quali  era  stata  fatta.  Valgano  per  esempio 
i  passi  citati  sotto  gli  articoli  »  Caribo  «  e  »  Genero  «  che  si  leggono  diversamente 
e  meglio  nel  vocabolario,  che  nell'  ediz.  del  novantacinque.  L'  errore  principale 
di  questi  Accademici  mi  sembra  essere:  che  invece  di  ricostruire  tutto  di  pianta 
il  testo  del  divino  poema,  si  contentarono  di  fare  un  qualche  numero  di  mutazioni 
air  Aldina.  Dice  il  Rossi:  »La  copia  della  quale  per  riscontro  gli  Accademici  si 
son  serviti,  da  Aldo  Y  anno  1502  fii  stampata Non  hanno  voluto  sanza  miglio- 
ramento, mutar  la  stampa«  (Aldina).  «Le  mutazioni  sono  nel  margine  di  fuoii 
e  la  parola  . . .  stampato  è  loro  sempre  avanti,  e  vuol  dire,  che  lo  stampato  leg- 
geva prima  come  nel  margine.«  Il  Foscolo  che  ha  contato  queste  mutazioni  no- 
tate in  margine,  le  dice  in  numero  di  465.  Si  avverta  però  che  gli  Accademici 
mutarono  assai  spesso,  senza  di  avvertirne  il  lettore.  L'  edizione  nostra  che 
non  registra  i  soli  cambiamenti  d'  ortografia,  indica  per  i  cinque  primi  canti 
sessantadue  mutazioni  dell'  Aldina  fatte  nella  stampa  del  novantacinque,  men- 
tre i  margini  di  questa  non  ne  suggeriscono  che  45.     Credo  dunque  che  non 

'  )  Si  paragonino  per  altro  le  accuse  dello  stesso  Foscolo  riferite  più  sotto  a  p.XXIV.  Na.2. 

^)  DioNisi  Aneddoto  IV.  cap.  33.  p.  169.  »Bastian  de' Rossi,  detto  acconciamente  al 
fatto  suo  Flnferrìgno  per  difetto  forse  d'erudizione  e  di  critica,  o  per  malizia  di  stella  al  nostro 
Dante  nemica,  finì  di  corromper  nella  famosa  edizion  Fiorentina  del  1595  la  div.  Comm.:  e  coi 
ponderoso  e  magnifico  titolo  di  ridotta  a  miglior  lezione  dagli  Accademici  della  Crusca  tanto 
terrore  incusse  ne'  Letterati,  che  ninno  ardi  d'  aprir  bocca  per  censurarla;  tutti  anzi  alla  cieca 
seguironla  nelle  ristampe.  « 


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XIX 

isbaglierebbe  gran  fatto,  chi  volesse  determinare  il  numero  delle  variazioni  dall' 
Aldina,  introdotte  dagli  Accademici,  a  circa  650,  ossia  a  sei  o  sette  per  canto. 

Se  non  mi  appongo  male,  la  presente  edizione  dimostra  chiaramente  che 
un  tal  ninnerò  non  basta  di  gran  lunga.  Si  troveranno  moltissimi  esempj  di 
lezioni,  le  quah,  benché  sostenute  dal  consenso  quasi  unanime  dei  codici,  non 
furono,  non  dico  adottate,  ma  nemmeno  mentovate  dal  Rossi').  Ella  è  dunque 
cosa  certissima,  che  se  gli  Accademici  confrontarono  veramente  verso  per  verso 
tutta  la  Div.  Comm.  nei  codici  che  aveano  a  mano ,  e  non  si  contentarono  forse 
di  riscontrare  in  tale  o  in  tal  altro  testo  quei  passi  che  ne  credevano  più  degni, 
almeno  la  maggior  parte  delle  lezioni  che  doveano  aver  osservate  fu  da  essi 
soppressa. 

Ma  nemmeno  nelle  varie  lezioni  che  giudicarono  degne  di  registrarle  si 
conosce  \m  determinato  principio  da  essi  seguito.  Dobbiamo  al  Rossi  il  Cata- 
logo dei  testi  a  penna  »donde  gli  Accademici  cavarono  le  correzionit< .  Sono  51. 
numerati,  che  il  cinquantesimo  (il  comento  del  Buonanni)  non  è  codice,  ma 
stampa.  Veramente  si  può  dire  che  siano  testi  61,  essendo  che  frai  libri  som- 
ministrati da  Luigi  Alamanni  e  da  Cosimo  Bartoh  si  trovino  i  confronti  già  an- 
teriormente fatti  di  altri  11.  testi.  Si  aggiungano  finalmente  i  testi  della  libreria 
«intorno  a  quaranta «,  e  si  conoscerà  che  gli  Accademici  potevano  far  ispoglio 
di  un  centinajo  di  codici^).  Nella  prefazione  si  dice  «il  numero  de'  testi  con- 
cordi, così  ne' mutamenti,  come  nelle  varie  lezioni. notate,  esser  dietro  all' opera 
registrato«.    Se  dunque  alla  lezione:  »Vidi  e  conobbia,  che  si  trova  al  verso  59. 

')  Eccone  qualcheduno  preso  dai  primi  canti  dell'  Inferno:  III.  74.  «di  trapassar  parer» 
per  «parer  di  trapassar».  IV.  59.  «conio  padre»  per  «con  suo  padre».  73.  »  onori  e  scienza» 
per  «onori  ogni  scienza».  VIU.  7.  «Ed  io  mi  volsi»  per  «Ed  io  rivolto».  X.  90.  «con  gli 
altri  sarei»  per  «sarei  con  gli  altri».  XI.  56.  «vinco  d'  amor»  per  »  vincol  d'  amor».  XII.  121,  22. 
•gente»  —  «Tenea»  per  «genti»  —  «Tenean».  XIII.  85.  «Perciò»  per  «Però».  144.  «Mutò» 
per  «Cangiò». 

^)  Sbagliano  dunque  i  nuovi  Vocabolaristi  (quinta  impress,  del  1843.  Tavola  de' testi 
p.  64.  Na.  87)  dicendo,  i  testi  a  penna  consultati  per  V  edizione  del  novantacinque  essere 
stati   «non  meno  di  cinquanta». 


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XX 


Inf.  in.  «Guardai  e  vidi  V  ombra  di  colui «,  si  legge  la  nota:  «testi  la  metà«, 
si  dovrebbe  supporre  che  dei  cento  codici  consultati  dagli  Accademici  intorno  a 
cinquanta  leggessero  «Guardai  e  vidi«,  e  gli  altri  cinquanta  «Vidi  e  conobbi«. 
Ciò  non  ostante  una  tal  supposizione  sarebbe  falsissima.  I  quattrocento  e  più 
testi  a  penna,  da  me  confrontati,  o  fatti  confrontare  per  il  terzo  canto  dell'  In- 
ferno  comprendono  senza  dubbio,  se  non  tutti,  almeno  la  maggior  parte  dei 
testi  che  servirono  agli  editori  del  novantacinque.  Ora  fra  tutti  questi  il  «Guar- 
dai e  vidi«  non  si  trova  che  in  nove,  mentrechè  gli  altri  poco  meno  di  quat- 
trocento hanno  «Vidi  e  conobbi»,  e  qualcheduno  (de  Bat.  No.  232,  e  247)  «Co- 
nobbi e  vidi.K  —  Nel  verso  114.  dell'  istesso  canto  gli  Accademici  mutarono  il 
testo  Aldino  («Vede  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie «)  in:  «Rende  alla  terra«  ecc. 
Per  appoggio  di  questa  mutazione  non  citano  che  '1  solo  testo  45.  (del  Giraldi). 
Già  per  questo  si  conosce  che  gli  Accademici  non  attendevano  troppo  ai  prin- 
cipii  da  loro  nella  prefazione  emessi:  «Potrebbe  alcuna  fiata  parere,  che  più  si 
fossero  gli  Accademici  valuti  della  openione,  che  dell'  autoritàt  avendo,  o  no- 
tata varia  lezione,  o  rimesso  nel  testo  qualche  parola,  solamente  con  dieci  o  do- 
dici testi y  e  talora  meno,  ma  non  è  così:  perciocché  la  quantità  tralasciata  è  di 
piggior  lega,  e  in  que'  luoghi,  infra  se,  tutta  discordante,  e  le  varietà  della  lor 
lezione^  così  frivole,  e  così  scipite,  che  sarebbe  stata  una  milensaggine  il  mento- 
varle. «  Qui  dunque,  in  vece  dell'  autorità  di  dieci  o  dodici  testi  gli  Accademici 
si  contentarono  di  quella  d'  uno  solo,  e  la  lezione  degli  altri,  eh'  è  conforme 
alla  stampa  dell'  Aldo,  non  è  ne  frivola  o  scipita,  ne  discordante,  che,  ad  ecce- 
zione di  pochissimi  codici  che  leggono  «Si  vide  a  terra«  oppure  «A  terra  vede« , 
vi  concordano  quasi  tutti,  anche  quelli  di  miglior  lega.  Dico  «quasi  tutti»,  non 
credendo  nemmeno  esatta  1'  asserzione  degli  Accademici,  uno  solo  frai  testi  da 
loro  veduti  essersi  trovato  colla  lezione  «Rende  a  terra».  L'  ho  riscontrata  in 
non  meno  di  quattordici  testi  (De  Bat.  6,  45,  67,  113,  175,  185,  190,  277,  292, 
315,  318,  499  a.  (Dr.  Nott),  523.  ed  Egerton  No.  932.),  tre  dei  quali  sono  della 
libreria  di  San  Lorenzo. 


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XXI 

Una  pubblicazione  recente  del  diligentissimo  Gigli  ci  somministra  nuove 
ragioni  di  non  prestar  troppa  fede  al  procedere  critico  degli  Accademici.  La 
Magiiabecchiana  di  Firenze  possiede  il  confronto  originale  di  codici  novantuno, 
fatto  dal  Rossi  per  uso  della  sua  edizione,  e  il  Gigli  ne  stampò  quanto  si  rife- 
risce alle  varie  lezioni  raccolte  da  Baccio  Valori  e  dagli  altri  ragunati  con  lui 
alla  Pieve  di  San  Gavino.  Ora  non  solamente  di  gran  numero  di  lezioni,  re- 
i^istrate  dal  Rossi  in  quello  spoglio ,  non  s' incontra  vestigio  alcuno  nella  stampa 
del  novantacinque,  nemmeno  di  quelle  che  in  »  tutti  «,  o  in  «quasi  tutti  «  da  lui 
erano  trovate*);  ma  anche  il  numero  dei  testi,  citati  in  favore  dell'  una  o  dell' 
altra  lezione  è  differentissimo  nello  spoglio,  e  nella  tavola  che  sta  in  fondo  della 
stampa  del  1595.  Nel  confronto  della  Magliab.  la  lezione  »Vidi  e  conobbi» 
(Inf  III.  59.)  si  dice  trovarsi  in  »  tutti  «  testi;  nella  stampa  non  ne  rimase  che 
»4ameta«.  Lo  spoglio  non  cita  che  22.  codici  in  favore  del:  »Noi  pregheremmo 
lui  della  tua  pace«  (Inf  V.  92.),  ma  nella  stampa  del  Manzani  ne  diventarono  35. 
Nello  spoglio  si  dice  che  nove  soli  testi,  a  differenza  della  lezione  Aldina 
(«L'  acqua  era  bigia^i  Inf  VII.  103.),  hanno  o  bvja,  o  bruna.  La  stampa  invece, 
adottando  il  «bujaa ,  pretende  fondarsi  suU'  autorità  di  quarantotto  codici. 

Credo  che  questi  esempi  bastino  per  abilitare  il  Lettore  a  formarsi  da  se 
un  giudizio  sul  valore  critico  di  questa  celebratissima  edizione,  seguita  in  tante 
e  tante  ristampe.  Ancora  nel  1807.  Gaetano  Poggiali  ne  disse:  »A  prescegliere 
questo  Testo  ci  ha  determinati  la  somma  perizia  di  quei  Valentuomini,  che  con 
tanto  studio,  e  colla  scorta  dell'  accurata  edizione  Aldina  del  1502,  e  d'  un  gran 
numero  d'  antichi  codici  manoscritti  presero  a  stabilire  la  più  plausibile  lezione 
(li  questo  maraviglioso  Poema;  onde  fu  esso  testo  da  chi  ha  fior  d^  ingegno  ri- 
guardato sempre  come  1'  ottimo«.  Tanta  è  la  fede,  che,  ben  a  torto,  si  porta 
ai  confronti  del  Rossi,  che  i  critici  quasi  tutti  non  dubitano  di  argomentare 
dalle  varie  lezioni  da  lui  riferite,    quale  possa  essere  la  lezione  degli  altri  testi. 

')  Servano  d'esempio  i  versi  seguenti:  Inf  III.  126,  IV.  70,  VI.  .38,  VII.  86,  Vili.  57, 
IX.  53.  e  89,  XH.  89,  XIII.  4. 


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XXll 


Vi  diranno  per  esempio'):  la  tavola  del  Manzani  cita  cinque  codici  che  hanno 
(Inf.  IL  81.)  »Più  non  t'  e  ud  cK  aprirmi  il  tuo  talento^  ,  dunque  tutti  gli 
altri  95.  sono  in  favore  del:  »Più  non  t'  è  wopo«  ecc.:  argomentazione,  che 
non  potrebbe  esser  più  erronea,  e  che  sta  in  contraddizione  colle  stesse  pa- 
role del  Rossi,  dove  egli  chiama  una  »milensaggine<c  il  mentovare  le  lezioni 
da  lui  credute  frivole  e  scipite,  ed  infra  se  troppo  discordanti.  Sia  dunque 
detto  una  volta  per  tutte,  che  le  conchiusioni  critiche  unicamente  fondate  sulle 
notizie  dateci  dal  Rossi  sono  malsicure  quanto  mai.  L'  aver  egli  riscontrata 
una  varia  lezione  in  soli  cinque  codici,  non  prova  in  nessun  modo  che  essa  non 
si  trovi  tale  quale  in  altri  cinquanta  testi  da  lui  avuti  a  mano,  ma  trascurati 
a  questo  passo;  molto  meno  dunque  da  una  tal  notizia  si  potrà  dedurre  accor- 
darsi tutti  gli  altri  codici  alla  lezione  a  fronte  della  quale  egli  registrò  come 
varia  quella  prima.  Anzi,  vi  sarà  puranche  luogo  da  dubitare  se  i  testi  da  lui 
addotti  in  favore  di  una  lezione  siano  veramente  in  concordia  a  riguardo  di  essa. 
Si  aggiunga  finalmente,  non  darci  il  Rossi  conto  alcuno  sul  pregio  intrinseco 
dei  testi  da  lui  riscontrati,  «intorno  a  quaranta»  dei  quali  (quei  di  libreria) 
non  si  citano  come  individui,  ma  (dove  pur  sono  mentovati,  lo  che  si  fa  assai 
di  rado)  sempre  collettivamente  p.  es.  «libreria  nove«.  Trovando  nell'  edizione  del 
novantacinque,  che  »la  metà  dei  testi  «  ha  una  qualche  variante,  rimaniamo 
nel  bujo  assoluto,  nella  quale  delle  due  metà  si  trovino  quei  »di  buona  lega«, 
e  nella  quale  la  feccia  delle  copie  dozzinali.  Si  renda  dunque  ogni  giustizia 
agli  Accademici  del  gran  merito  di  aver  restituito  alla  vera  lezione  numerosi 
passi  della  Commedia;  ma  si  conceda  nell'  istesso  tempo,  il  materiale  critico  da 
essi  registrato  sui  margini  ed  in  fine  del  volume  essere  di  pochissimo  valore  per 
chi  desidera  di  continuare  il  lavoro  da  loro  solamente  cominciato. 

La  stampa  del  Manzani  è  sfigurata  da  moltissimi  errori.     Se  ne  avvidero 
gli  Accademici,  e  cercarono  di  rimediarvi  con  un'  Errata-corrige  che  abbiamo  in 

*)  Perazzim  correctiones  et  adnonat.  in  Dantis  Comoed.  Farad.  XVI.  94. 


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xxin 

doppia  forma.  Alcune  copie  non  registrano  in  due  facciate  che  54.  errori;  altre 
in  sei  ne  annoverano  162,  numero  che,  anch*  esso,  non  basta  di  gran  lunga,  per 
notarle  tutte  ^)  Quel  primo  catalogo  non  contiene  che  veri  errori  di  stampa, 
alcuni  dei  quali*)  dall'  edizione  Aldina  erano  passati  nella  nuova.  Il  secondo 
più  esteso  sembra,  almeno  in  parte,  frutto  di  nuovi  studj  sul  testo  di  Dante, 
trovandosi  che  non  pochi  dei  cosi  detti  «errori  occorsi  nello  stampare  «  siano 
veramente  correzioni  del  testo  Aldino  seguito  nella  stampa^). 

Pochissimo  vi  è  a  dire  sulle  edizioni  pubblicate  nel  corso  dei  seguenti 
due  secoli.  Quelle  del  seicento*)  riproducono  il  testo  della  seconda  Aldina 
con  qualche  mutazione  presa  dalla  stampa  del  novantacinque.  La  più  accu- 
rata fra  di  esse  sembra  la  Veneta  del  1629.  Il  primo  a  riprodurre  fedel- 
mente il  testo  degli  Accademici,  ma  senza  l'apparato  critico,  fu  Lorenzo  Cec- 
CARELLi  (Napoli.  Laino.  1716),  il  quale  non  trascurò  di  correggere  gli  errori 
indicati  dal  Rossi.  Assai  più  accurato  ed  utile  riusci  il  lavoro  di  Antonio 
Volpi  ^)  (Padova.  Comino.  1727).     In  esso  non  solamente  si  trova  tutto  quanto 

'  )  Un  esemplare  di  quest'  ultimo  genere  non  mi  pervenne  che  dopo  finita  la  stampa 
deir  edizione  presente.  Egli  è  per  questo  che  sui  margini  di  essa  alcune  lezioni  erronee  si 
attribuiscono  alla  stampa  Manzani,  che  si  trovano  corrette  nell'  errata- corrige  più  completo. 

«)  Inf.  XXXI.  138.  Purg.  VIIL  4.,  Par.  XUI.  136. 

')  Le  nuove  lezioni  in  questo  modo  introdotte  sono  le  seguenti:  Inf.  XVI.  135.  »0 
scoglio."  XXI.  21.  »riseder.«  XXV.  144.  »se  fior.»  Purg.  III.  18.  «de' suoi*  50.  »è  una  scala.« 
XVIII.  110.  «purché  il  sol.«  XIX.  15.  »le  colorava*  99.  ^ego  fuL^  XXI.  45.  «Esserci.*  XXVIII. 
17.  »riceveano.«  XXX.  70.  »io  trassi.*  XXXIII.  59.  «offende  Dio.*  Par.  XXVI.  99.  »la'nvogUa.« 
Di  tutte  queste  correzioni  la  prima  e  T  ultima  sono  le  sole  giustificate  coir  autorità  di  testi 
a  penna.  Aggiungo  i  passi  nei  quali  la  lezione  registrata  nella  stampa  presente  è  cor- 
retta neir  errata-corrige  maggiore:  Inf.  XXIX.  27,  XXXIl.  88,  Purg.  XU.  6,  XIII.  47,  XIV. 
140,  XVIII.  69,  XX.  145,  XXI.  30,  XXIV.  130,  XXV.  38,  XXX.  68,  142,  XXXIL  41,  Par. 
VI.  113,  XII.  88.  XXVIII.  20. 

*)  Non  ne  conosco  che  le  tre  descritte  dal  De  Batines  (bìbl.  Dant.  I.  101,  102).  Una 
quarta  (Lione.  Mascara.  1652.8.)  si  cita  nella  »Serie  delle  ediz.  di  D.*  distribuita  alcuni  anni 
sono  dai  libraji  firateUi  Negretti  a  Mantova. 

*)  Prefazione  »ai  lettori*:  «Cento  sessanta  errori  ch'erano  in  fine  di  essa*  (dell'  edi- 
zione Manzani)    «notati,  ne  abbiamo  tolti  via;    e   alcuni   altri  ancora,    da  noi  osservati  nel 


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XXIV 

è  contenuto  nelF  edizione  originale,  ma  le  numerosissime  mende  di  essa  si  ve- 
dono con  somma  diligenza  espurgate,  puranche  nei  passi  travveduti  nell'  errata- 
corrige  del  novantacinque*),  di  modo  che  quasi  tutti  che  da  questo  tempo  in 
poi  volevano  servirsi  del  testo  degli  Accademici,  si  contentarono  della  ^^ola 
stampa  Cominiana^).  Niente  affatto  si  fece  per  V  emendazione  del  testo  nelle 
non  poche  edizioni  che  nel  corso  dei  seguenti  sessanta  quattro  anni  vennero 
alla  luce.    Anche  le  più  ricercate  fra  di  esse,  come  quelle  del  Venturi  (1732)^). 

Testo,  e  nelle  Postille  degli  Accademici  ....  Si  sono  rimesse  ne'  lor  siti  varie  Postille,  che 
nella  Fiorentina  erano  fuor  di  luogo.  In  dette  Postille  sonsi  distinte  le  citazioni  de^li  Autori 
colla  varietà  de'  caratteri,  e  si  sono  aggiunti  ad  esse  contrassegni  più  esatti.  Abbiamo  notate 
(e  supplite  ancora  dove  s'  è  potuto,  coir  ajuto  del  Testo  Aldino  dell'  anno  1502.  che  fu  ado- 
perato dagli  Accademici)  molte  Varie  Lezioni,  tralasciate  per  inavvertenza  nella  Fioren- 
tina   Finalmente  nella  Tavola  delle  Autorità  de'  Testi  ....  si  sono  accennate  le  man- 
canze de'  numeri  delle  stesse  Autorità,  che  s'  incontrano  nella  suddetta  Tavola  dell'  Edizion 
Fiorentina.» 

*)  Come  esempio  delle  correzioni  di  errori  grossolani  della  stampa  Manzani,  tacita- 
mente fatte  dal  Volpi  può  servire  il  »Jepte«  in  vece  di  »Lepte«  al  verso  6G.  del  Farad.  VI.  — 
Sbaglia  per  altro  questo  diligentissimo  editore,  che  fu  il  primo  ad  apporre  i  numeri  de'  ve^rsi 
per  facilitare  il  riscontro  delle  citazioni,  attribuendo  14230.  versi  (invece  di  14213,  anno- 
verati dal  Gelli  Lettura  I.  Lez.  2.  p.  77.)  alla  Commedia  di  Dante.  È  verissimo  che  i  versi 
dell'  Inferno  siano  in  numero  di  4720;  non  meno  corretto  è  quello  del  Paradiso  (4758):  ma 
il  Purgatorio,  in  vece  di  4752,  ne  ha  4755.  Noto  di  passaggio,  i  canti  più  brevi  (di  115. 
versi)  essere  il  VI.  e  l' XI.  dell'  Inf,  il  più  lungo  (di  160.  versi)  il  XXXII.  del  Purgatorio. 

*)  Kon  so  di  quale  ristampa  si  possa  esser  servito  il  Foscolo,  che  inveisce  con  tra 
il  povero  Rossi  per  una  lezione  ignota  tanto  al  testo  Manzani,  quanto  al  Cominiano  (Inf. 
XXVII.  41.):  »I1  vero  si  è  che  si  di  questa  scempia  lezione,  si  di  dieci  cent'  altre  vuoisi  ren- 
dere grazie  maravighose  allo  'N ferrigno  Segretario  dell'  Accademia.  Costui  sciagurato,  che 
oggi  parrebbe  un  di  coloro  che  mai  non  fur  vivi,  chiamavasi  Bastiano  Rossi,  e  soprainten- 
dendo  alla  Edizione  della  Commedia,  lasciò  che  i  lavoratori  dello  stampatore  in  Firenze 
straziassero  il  Testo  di  Dante  a  lor  beneplacito,  mentr  ei  (pur  troppo)  viveva  tutto  intento 
a  straziare  la  vita  di  Torquato  Tasso,   e  poi  la  fama  e  la  pace  sua  nel  sepoloro.» 

'  )  »  Abbiam  seguito  1'  Edizione  autorevole  della  Crusca  secondo  l'  esattissima  ristampa 
fatta  in  Padova  da  Gius.  Comino,  ma  pure  abbiam  tal'  ora  variato  qualche  poco  nell'  inter- 
punzione, massime  togUendo  alcune  virgole  importune,  mentre  anche  a  giudizio  dell'  erudi- 
tissimo Sig.  Volpi,  che  soprintese  alla  detta  ristampa,  le  vi  sono  di  più,  e  solo  vagliono  a 
infrascare  il  feenso.» 


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XXV 

del  Serassi  (1752)'),  e  del  Zatta  (1757)^)  non  aspirano  ad  altra  lode  che  a 
quella  di  aver  riprodotto  fedelmente  il  testo  Cominiano.  Di  tutte  le  altre  ri- 
stampe materiali  basterà  dire:  »Non  ragioniam  di  lor;  non  guarda,  e  passa. « 

n  primo  a  riassiunere  dopo  cento  novanta  sei  anni  gli  studj  critici  sulla 
Commedia  di  Dante  fu  il  Padre  Bonaventura  Lombardi  (Roma.  Fulgoni.  1791). 
Esponendo  i  suoi  principj  critici  il  dotto  Francescano  conviene  pienamente  con 
tutti  che  vantarono  i  meriti  degli  Accademici  del  1595;  ma  vi  aggiunge  che 
r  opera  loro  «avrebbe  avuto  vieppiù  profittevole  riuscimento,  se,  non  contenti 
dell'  Aldina  e  de*  manoscritti,  steso  avessero  il  confronto  eziandio  alle  poche 
edizioni  fatte  nel  secolo  anteriore:  eh'  essendo  pur  esse  tratte  da  antichi  mano- 
scritti sparsi  in  differenti  luoghi,  potevano  somministrare  qualche  utile  divario«. 
Asserisce  poi,  aver  egli  trovata  »tale  appunto  1'  edizione  fatta  in  Rlilano  nel 
1478  per  Martin  Paolo  Nidobeato.  Questa  edizione,  quanto  dee  meno  alla  diU- 
genza  degli  stampatori,  che  fino  di  due  intieri  versi  (Pag.  XIX.  118,  119)  lascia- 
ronla  mancante,  tanto  dee  maggiormente  alla  bontà  del  MS.  onde  fu  tratta: 
imperocché,  oltre  al  contener  essa  quasi  tutto  il  bello  e  il  buono  che  gU  Acca- 
demici hanno  ripescato  nella  moltitudine  de  MSti.,  emenda  poi  da  se  sola  altri 
guasti  moltissimitt.  —  Si  conosce  da  queste  parole  il  Lombardi  essere  stato  de- 
dito alla  superstizione,  generalmente  diffusa  frai  filoioghi  del  secolo  scorso,  la 
superstizione  dico,  che  un'  autorità  maggiore  sia  da  attribuirsi  alle  edizioni  più 
antiche   che  ai  migliori  testi  a  penna;    superstizione  oramai  abbandonata  quasi 

')  »Ho  fatto  riscontrar  quest'edizione  con  quella  di  Firenze  del  1595,  citata  nel  Vo- 
cabolario della  Crusca,  e  con  la  Cominiana  assai  più  della  Fiorentina  corretta  ed  accresciuta; 
dalla  cui  lezione  però  io  non  mi  sono  voluto  scostar  pur  un  punto;  benché  per  avventura 
f  atessi  potuto  fare  in  qualche  luogo  con  la  scorta  d'  un  antichissimo  testo  a  penna,  che  con 
altri  preziosi  MSS.  conservasi  presso  Monsign.  Albani,  dignissimo  Arcidiacono  di  questa 
Cattedrale*  (di  Bergamo.  De  Batines  bibliogr.  Dant.  II.  126.  No.  239).  Sbaglia  dunque  il 
dotto  bibliografo  francese  nelF  asserire  (I.  Ili),  il  testo  Cominiano  essere  staio  riveduto  dal 
Serassi  sopra  il  codice  Albani. 

')  «Nel  testo  del  poema  e  nelle  Varie  lezioni  ....  ci  siamo  interamente  attenuti  ad  essa 
Cominiana  diligentissima  Edizione.* 

D 


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XXVI 

da  tutti.  Un'  edizione,  ancora  che  sia  la  prima  di  tutte,  la  così  detta  principe. 
non  vale  nulla  di  più,  anzi  meno  (per  gli  inevitabili  errori  di  stampa)  che  il  co- 
dice sul  quale  fu  fatta.  Per  giustificare  dunque  la  preferenza  eh'  egli  crede  poter 
dare  al  testo  del  Nidobeato  a  paragone  di  quello  degli  Accademici,  il  Lombardi 
doveva  dimostrarci  —  non  per  mezzo  d'  un  solo  esempio  (come  cerca  di  farlo),  ma 
spiegandone  tutte  le  particolarità  distintive  —  per  quali  ragioni  l' ignoto  MS.  del 
Nidobeato  sia  da  credersi  più  corretto  che  tutti  i  cento  testi,  esaminati  dagh 
Accademici^).  Sinché  un  tal  lavoro  non  si  sia  fatto,  dovremo  dire,  ognuno  dei 
quattro-  o  cinquecento  testi  a  penna  avere  diritto  uguale  a  un'  autorità  decisiva, 
ed  essere  un  caso  fortuito,  se  tale  o  tal  altra  lezione  Nidobeatina  si  trova  con- 
validata, sottoponendola  a  un  maturo  esame  critico. 

Se  poi  quella  preferenza  richiamata  dal  Lombardi  si  volesse  ammettere 
come  fondata,  il  suo  modo  di  procedere  sarebbe  anche  meno  lodevole.  L'  as- 
serzione del  Batines  (bibhogr.  Dant.  L  120.)  aver  seguito  il  Lombardi  snella  sua 
edizione  il  testo  della  famosa  Nidobeatina  «  è  tanto  lontana  dall'  esser  accurata, 
che  quella  stampa  Romana  ci  rappresenta  appena  la  quarta  parte  delle  varie 
lezioni  somministratele  dall'  antica  Milanese.  Eccone  la  prova.  Trascurando  le 
differenze  di  ortografia  e  i  manifesti  errori  di  stampa,  la  Nidobeatina  nei  primi 
tre  canti  dell'  Inferno  esibisce  all'  incirca  cinquanta  lezioni  almeno  degne  di  esser 
prese  in  considerazione.  Di  queste  il  Lombardi  non  addotto  che  undici^),  ag- 
giungendone (nella  »Tavola«  posta  in  fine  del  volume)  una  duodecima^)  come 
»pregiabile ,  essa  pure  contrassegnata  per  riporsi  nel  testo ,  e  per  errore  omessa.» 
Ora  le  altre  sono  tanto  lontane  dall'  esser  senza  valore,   che  diversi  editori  più 

'  )  I  testi  a  penna  che  ho  trovato  più  somiglianti  alla  Nidobeatina,  benché  ne  diflFe- 
riscano  ancora  assai,  non  si  distinguono  per  la  correzione  del  testo.  Sono  i  seguenti  secondo 
la  numerazione  del  Batines:  No.  106.  (Magliab.  VII.  940),  119.  (ivi.  Badia  2696),  22.  (Lau- 
renz.  XL.  32),  260.  (Trivulz.  3),  322.  (Vatic.  Capponi  266),  346  (Corsini.  Rossi.  368),  381. 
(Chigi.  L.  IV.  109),  e  477.  (Museo  Britann.  Harley.  3459). 

»)  I.  4,  50,  64,  102,  118.    IL  33,  50,  60.    III.  17,  56,  80. 

')  III.  59. 


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xxvir 

recenti  ne  accolsero  non  poche  nel  testo,  senza  dubitarsi  eh'  esse  si  trovassero 
nella  Nidobeatina.  Così  fecero  in  due  casi  *  )  gli  stessi  Accademici  del  trentasette. 
Altre  due^)  già  erano  state  adottate  dal  Dionisi.  Undici  di  più^)  ne  approvò 
il  Viviani  sulla  fede  del  suo  codice  Bartoliniano.  Una  finalmente*)  troviamo 
neir  edizione  del  Foscolo,  ed  un  altra ^)  in  quella  di  Mauro  Ferranti. 

Il  Lombardi,  non  contento  della  Nidobeatina,  confrontò  alcune  altre  stampe 
del  quattrocento  (segnatamente  quelle  di  Foligno  e  di  Mantova  del  1472,  di 
Vendelino  da  Spira.  1477,  e  del  Landino.  1481  )  e  non  pochi  testi  a  penna  delle 
librerie  Romane.  I  codici  più  degli  altri  da  lui  esaminati  sono  i  Corsiniani®). 
Inoltre  si  trovano  delle  lezioni  prese  da  alcuni  codici  Vaticani^),  da  due  Casa- 
natensi*),  da  due  di  casa  Chigi®),  da  uno  del  Card.  Garampi^^)  e  da  due  del 
Cardinal  Zelada,  li  quali  per  quanto  si  dice,  sarebbero  passati  in  Ispagna"). 
Si  avverta  però  che  questi  venticinque  o  ventisei  testi  non  furono  consultati  a 

')  I.  13.    IIL  124  (»a  trapassar  lo  rio«). 

«)  L  69,  122. 

»)  L  26,  38,  80,  136.    IL  17,  110.    IIL  29,  30,  60,  74,  114. 

*)  L  28. 

*)  lU.  85.  —  Le  rimanenti  varie  lezioni  della  Nidobeatina  si  leggono  a  I.  7,  88,  103, 
115.  n.  7,  18,  39,  43,  68,  104,  128.  IIL  3,  58,  73,  87,  91,  100,  116,  117,  124  (»E  son  si 
pronti*  ). 

•)  I  numeri  seguenti,  citati  dal  Lombardi,  si  rintracciano  nei  numeri  del  De  Batines 
appostivi  in  parentesi:  Cod.  Rossi  5.  (347.),  61.  (348.),  607.  (349.),  608.  (351),  610.  (353.), 
609.  (354),  1217.  (355).  Inoltre  sembra  giusta  Y  osservazione  del  bibliografo  francese  (IL  190. 
Na.  2.)  che  il  No.  1265.  del  Lombardi  sia  identico  col  No.  1365.  attuale  (De  Bat.  No.  345.) 
Quali  poi  siano  i  numeri  del  De  Batines  corrispondenti  agli  altri  della  Corsiniana  mentovati 
dal  Lombardi:  Rossi  127,  605,  611,  2263,  B.  C.  e  non  numerato,  io  non  ho  saputo  riconoscere, 

')  Sono  i  codd.  Capponi  266,  Vat.  3200,  2866,  3201,  e  Capp.  336.  Corrispondenti  ai 
numeri  322,  327,  332,  335  e  336  del  De  Batines. 

*)  Il  codice  H.  III.  5.  è  quello  segnato  dal  De  Batines  col  No.  344.  L'  altro,  citato 
come  Z.  III.  4.  dovrebbe  essere  il  342. 

•)  L.  VII.  251.  e  L.  VL  212.  (De  Batines  No.  379.  e  385.) 

'")  Sembra  che  sia  il  codice,  ora  asservato  nella  bibliot.  Gambalunga  di  Rimini.  De 
Batines  No.  404.  Luigi  Tonini  Mem.  stor.  int.  Frane,  da  Rimini.  Rim.  1852.  p.  64  —  68. 

'*)  De  Batines  IL  211. 


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XXVIII 


norma  di  un  certo  sistema  critico,  ma  a  caso  ed  a  capriccio,  dove  qualche 
passo  al  Lombardi  pareva  dubbio  e  scabroso,  ora  V  uno  ed  ora  T  altro.  Anche 
più  dunque  che  pei  confronti  degli  Accademici  del  1595  si  dovrà  dire,  dal  non 
citare  il  Lombardi  in  favore  di  una  qualche  lezione  che  un  codice  o  due,  non 
potersi  dedurre  in  verun  modo,  eh'  essa  non  sia  forse  comune  al  maggior  nu- 
mero dei  testi  eh'  egli  aveva  a  mano. 

L'  impazienza  dell'  autorità  in  qualche  modo  tirannica,  usurpata  per  due 
secoli  dal  testo  degli  Accademici  faceva  accogUere  con  applausi  quasi  unanimi 
la  nuova  edizione  Romana.  Veramente  Y  avere  spurgato  il  testo  di  Dante  di 
non  pochi  errori,  particolari  alla  stampa  dell'  Aldo  ed  ai  manoscritti  che  le 
aveano  servito  di  fondamento,  e  di  numerosi  capricci  di  Bastiano  de'  Rossi,  è 
un  merito  che  dobbiamo  riconoscere  dal  Padre  Lombardi.  Ma  si  avverta  che 
nel  medesimo  tempo  il  nuovo  editore,  privo  della  scorta  dei  principj  di  una 
soda  critica,  sostituì  assai  di  spesso  alla  lezione  dagU  Accademici  cavata  dai 
testi  più  antichi,  un'  altra  più  moderna,  che  dai  codici  più  recenti  era  passata 
nella  Nidobeatina.  Ciò  non  ostante  1'  edizione  Romana,  ovvero  testualmente, 
oppure  con  qualche  mutazione  meno  essenziale,  fii  riprodotta  sovente. 

Il  primo  a  prenderla  per  modello  fu  il  Portirelli  nella  collezione  dei 
Classici  italiani  (Milano  1804),  non  però  limitandosi  a  quelle  sole  lezioni  Nido- 
beatine  che  il  Lombardi  aveva  approvate ,  ma  adottandone  ancora  un  bel  numero 
di  altre  da  esso  trascurate*).  Nei  primi  tre  canti  per  esempio,  oltre  alle  dodici 
lezioni  adottate  dal  Lombardi ,  il  PortirelU  segue  il  testo  Nidobeatino  in  ventitre 
altri  passi;  anch'  esso  però  ne  tralascia  14.  lezioni,  sette  delle  quali,  suU'  auto- 
rità di  altri  testi,  si  trovano  nelle  stampe  del  Dionisi,  del  Viviani,  del  Foscolo 


*)  Prefazione:  «Quantunque  anche  la  Nidobeatina  non  vada  esente  da  qualche  macchia, 
siccome  nel  tutto  ci  sembrò  di  gran  lunga  preferibile  alle  altre,  noi  ci  siamo  appigliati  ad  essa 

Due  cose  però  fa  duopo  avvertire;    la  prima  che  noi  non  ci  siamo  serviti  dell'  ediz. 

Romana,  ma  bensì  della  stessa  Nidobeatina;  la  seconda  che  noi  abbiamo  seguito  il  testo  da 
noi  scelto  più  che  non  ha  fatto  T  Anonimo  Romano»   (il  P.  Lombardi). 


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XXIX 

0  del  Ferranti  '  ).  Non  isbaglierebbe  dunque  di  molto  chi  dicesse ,  che  se  il  Lom- 
bardi rende  un  quarto  delle  lezioni  Nidobeatine,  il  Portirelli  ne  dà  i  tre  quarti, 
ma  non  più.  Lo  spoglio  di  varianti  del  codice  di  Monte  Casino  pubblicato  dal 
Padre  Abate  Costanzo  sino  dal  1801,  non  pervenne  alle  mani  del  Portirelli 
che  dopo  terminata  la  stampa  dell'  Inferno.  Egli  lo  mise  a  profitto  per  le  due 
ultime  cantiche,  e  ne  supplì  le  lezioni  più  importanti  dell'  Inferno  nella  Prefa- 
zione al  Purgatorio. 

Le  altre  edizioni  che  presero  ad  imitare  il  Lombardi,  lo  seguirono  anche 
pili  testualmente.  Tale  si  è  la  seconda  Romana,  data  alle  stampe  dal  Poggioli 
nel  1806'^),  V  edizione  del  Fernow,  Jena.  Frommann  1807'),  quella  di  Romualdo 
ZoTTi,  Londra  1808*),  e  la  terza  Romana  procurata  nel  1810  in  sesto  minore  e 
con  gran  nitidezza  di  caratteri  da  Mariano  de  Romanis  ^).  Le  riproduzioni  mo- 
derne del  comento  Lombardi  cercarono  quasi  tutte  di  arricchirne  V  apparato 
critico,  o  di  emendare  qualche  passo  del  testo  con  nuovi  confronti  di  codici 
non  esaminati  dal  Lombardi.  La  prima  di  esse  fti  data  alla  luce. in  forma  mag- 
giore e  con  un  quarto  volume  di  aggiunte  dall'  istesso  de  Romanis  assistito  dal 
Professore  Pietro  Ruga  (Roma.  1815  —  1817).     Oltre  alle  varie  lezioni  del  codice 

•)  1.  28,  38,  69,  136.    U.  17.    UI.  85,  114. 

')  Prefazione:  »Si  è  stabilito  di  ristampare  il  testo  adottato  dal  Lombardi,  a  riserva 
tli  al(!uni  piccolissimi  cambiamenti  che  si  sono  stimati  necessarj  per  la  sua  più  chiara  intelli- 
genza ....  Si  sono  eziandio  poste  ai  loro  rispettivi  luoghi  le  varianti  lezioni  del  cod.  Casinese.» 

^  )  »  Di  questa  edizione  abbiam  copiato  il  testo  colla  maggior  fedeltà  ed  esattezza 

Nelle  dichiarazioni  abbiamo  aggiunte  le  lezioni  varie  di  un  antico  testo  a  penna  ....  della 
biblioteca  di  Monte  Casino.  « 

*)  «Avvertirò  circa  il  testo,  d'  aver  seguito  in  gran  parte  T  edizione  stampata  in  Roma 
l'anno  1791 Non  ho  però  si  scrupulosamente  seguita  la  sopraccitata  edizione,  da  esclu- 
dere le  altre  tutte.» 

*)  »Ho  adottato  la  Lezione  del  eh.  P.  Lombardi E  poiché  nelF  Indizione  Romana 

del  1791  erano  scorsi  nel  Testo  alcuni  pochi  errori  di  stampa,  non  avvertiti  abbastanza,  ho 
procurato  che  di  questi  ancora  venisse  purgato.*  —  Non  occorrerà  rilevare  lo  strano  errore 
che  indusse  il  De  Romanis  di  asserire  nella  prefazione  del  1820,  che  il  testo  di  questa  edi- 
zione sia  quello  del  Nidobeato. 


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XXX 

Casinese,  inserite  a  suo  luogo  sulla  fede  del  P.  Costanzo,  vi  troviamo  alcune 
del  codice  Caetani,  confrontato  per  la  prima  volta,  benché  un  poco  alla  leg- 
giera, dal  Ruga.  Forse  una  sessantina  di  queste  lezioni  fu  introdotta  nel  testo, 
stampandole  però,  per  modo  di  contrassegno,  in  carattere  corsivo. 

I  confronti  di  non  meno  che  quattro  testi  a  penna  somministrarono  ai 
DE  RoMANis  un  bel  numero  di  nuove  varianti  per  la  terza  sua  edizione,  pub- 
blicata a  Roma  dal  1820  al  1822  in  ottavo.  Il  codice  più  esattamente  esami- 
nato per  questo  scopo  sembra  esser  il  Vaticano  No.  3199,  da  molti,  come  già 
si  disse,  creduto  scritto  di  proprio  pugno  del  Boccaccio,  Veramente  le  lezioni 
di  questo  codice,  quali  si  riferiscono  dal  de  Romanis,  sono  qualche  volta  rese 
con  esattezza  maggiore  eh'  esse  non  si  trovano  nella  stampa  di  Roveta  (1820), 
che  pretende  rappresentare  letteralmente  il  testo  Vaticano  *  ).  Il  secondo  codice, 
confrontato  per  uso  di  questa  edizione  è  Y  Ant aldino  primo,  unico  per  quanto 
sembra,  dei  quattro  posseduti  dal  Marchese  Antaldo  Antaldi,  che  sia  rimasto  a 
quella  illustre  famiglia  Pesarese  (De  Batines  No.  400).  Lo  spogUo  delle  varianti 
fu  fatto  dalla  contessa  Monti -Perticari,  ma  il  De  Romanis  trascurò  di  profittarne 
per  gli  ultimi  quattordici  canti  deU'  Inferno,  e  non  mantenne  il  »  sacramento 
fatto  di  ristamparle  tutte  in  fine  dell'  opera«.  Ancora  più  insufficienti  sono  le 
varianti  estratte  da  un  codice  Chigi  ano  ^).  Vediamo  dalla  prefazione  al  Purga- 
torio che  il  celebre  Abate  Fea,  che  le  aveva  notate  tutte,  ne  fece  dono  al  De 
Romanis     Ciò  non  ostante  esso  non  se  ne  servì  che  dal  quindecimo  canto  della 

'  )  Ecco  alcuni  passi  del  cod.  Vatic.  correttamente  riferite  nelf  edizione  de  Romanis. 
alle  quasi  si  appongono  in  parentesi  le  lezioni  erronee  del  Fantoni  :  Purg.  XII.  78.  •  d'  andar 
sì  sospeso»  (Fant.  »da  gir  si  sospeso»),  XIII.  79.  »da  quella  landao  (Fant.  »da  quella  banda*). 
XXL  127.  »il  mi'  rider»  (Fant.  »al  mi' rider»),  XXIV.  4.  «pare van  cose  morte»  (Fant.  «parean 
cose  rimorte»),  XXIX.  44.  «Falsava  nel  parete»  (Fant.  «Falsava  nel  parerte»),  XXXII.  89. 
»di  po' 'l  grifon»  (Fant.  «dopo  il  grifon«).  Par.  XVIII.  135.  «tratto  al  martiro»  (Fant.  «tratto 
a  martiro»),  XXUI.  3.  «viso  mio  non  la»  (Fant.  «viso  mio  che  non  la»),  XXIV.  97.  «T  vidi 
ipoi»  (Fant.  »r  udi'  poi»),  XXIX.  136.  «tanto  la  raia»  (Fant.  «tutta  la  raia«). 

*)  L.  Vili.  294.  (De  Batines  No.  382.)  Questo  codice  non  è  da  confondersi  coi  due  dell* 
istessa  libreria,  ([ualclie  volta  già  consultati  dalP.  Lombardi.    Vedi  qui  sopra  pag.  XX  VII.  Na.  9. 


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XXXI 

seconda  Cantica  in  poi,  e  non  pensò  di  darle  a  modo  di  supplimento  per  la 
prima  metà  del  poema.  Ma  puranche  per  gli  ultimi  cinquanta  due  canti  1'  edi- 
tore Romano  non  citò  le  nuove  lezioni  di  questo  manoscritto,  che  «quando  gli 
apparivano  belle  e  speciose,  o  quando  confermavano  la  lezione  di  Nidobeato, 
0  la  comune,  o  quando  s'  accordavano  con  gli  altri  famosi  codici  che  avea  fin 
allora  adoprati«.  Non  sembra  che  i  termini  nei  quah  il  De  Romanis  credè  do- 
ver riferire  le  varianti  del  quarto  codice  (Angelica  T.  6.  22.  De  Batines  No.  357.  ^) 
siano  molto  più  estesi  Egli  si  hmita  a  dirne  nella  prefazione,  »col  favore  di 
questo  buon  ms.  qualche  dubbiezza  essere  stata  schiarita,  ed  in  alcuni  luoghi 
essere  stato  impossibile  di  non  riformarne  la  lezione  di  Nidobeato  «  Un  quinto 
codice,  allora  posseduto  da  Mylord  Glembervic,  ed  ora  passato  nel  Museo  Bri- 
tannico (No.  10317.  De  Batines  No.  503,  536),  fu  consultato  per  alcuni  passi  del 
Paradiso.  Con  maggior  cura  fu  «tutto  nuovamente  collazionato  il  codice  Cae- 
TANia.  Mentre  l'edizione  del  1815  non  ne  recava  nessuna  variante  pei  tre  primi 
canti  dell'  Inferno,  qui  ne  troviamo  ventuna.  Anche  questo  però  non  basta 
di  gran  lunga.  La  nostra  edizione,  oltre  all'  aver  adottate  ventidue  lezioni 
del  cod.  Caetani,  rifiutate  dal  De  Romanis,  ne  riporta  come  varie  sui  margini  di 
questi  tre  canti  non  meno  di  altre  trentuna.  Alcune  varianti  del  cod.  Stuar- 
DiANo  (De  Batines  No.  504),  che  nel  1855.  fo  venduto  per  127.  Lire  Steri., 
vennero  riferite  sulla  fede  del  Biagioli  (vedi  qui  sotto),  altre  di  un  codice  ora 
Palatino  del  Palazzo  Pitti  (De  Batines  No.  163)  su  quella  del  Poggiali.  —  Si 
osservi  inoltre  che  il  sistema  di  contrassegnare  con  caratteri  corsivi  le  mutazioni 
fatte  nel  testo  Lombardi,  fu  abbandonato  in  questa  ristampa  del  1820. 

Gli  editori  della  Minerva  (Padova  1822,  in  cinque  volumi)  con  modestia 
lodevole  non  si  vantano  che  di  aver  fedelmente  ristampato  il  testo  e  1'  apparato 
critico  delle  edizioni  Romane^),  non  mutando  nel  primo  che  pochissimi  passi, 

'  )  Il  bibliografo  Francese  lo  dice  involato  da  qualche  tempo, 

')  Chiamano  però,  col  solito  errore  »  lezione  Nidobeatina  «  quella  del  Lombardi,  ben- 
ché non  condita,  come  si  è  visto,  che  con  iscarsissima  dose  di  lezioni  Nidobeatine. 


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XXXIl 

che  giudicarono  averne  bisogno.  Veramente  arricchirono  queir  apparato  di  alciiot 
giunte  assai  meritorie.  Consultarono  nominatamente  i  quattro  testi  a  penna  Jti 
Seminario  di  Padova,  e  riferirono  le  varie  lezioni  del  codice  Estense,  mentovai* 
dal  Parenti  nelle  sue  Annotazioni  al  Dizionario  del  Cardinali.  Confesso  pin 
che  quelle  tante  giunte  e  sopraggiunte  rendono  un  poco  difficile  a  maneggiai* 
quella  vasta  congerie  di  varianti. 

Diverse  ristampe  dell'  edizione  Padovana  furono  fatte  a  Firenze  (  Ciardet: 
1830  ecc.,  e  Passigli  1{?38,  e  1840),  a  Napoli  (1830,  e  Tramater  1843),  a  Pra: 
(Passigli  1847  — 1852)  e  forse  altrove.  Non  ne  ho  a  mano  che  quella  di  Pm 
L'  unica  cosa  che  vi  trovo  aggiunta  di  nuovo  è  1'  Appendice,  raccolta  da  divers 
libri  per  Pietro  dal  Rio,  e  non  troppo  ricca  di  notizie  relative  a  varie  lezioa 
non  ancora  osservate. 

Non  credo  dover  registrare  le  molte  ripetizioni  del  testo  Lombardi,  fe 
o  per  mera  speculazione  di  librajo,  o  per  servir  di  base  a  qualche  cornee;', 
r  autore  del  quale  o  poco  o  niente  si  curò  di  ricerche  critiche.  Tali  sonila 
moltissime  stampe  e  ristampe  della  Commedia  accompagnate  del  comento  t 
Paolo  Costa.  Si  avverta  però  che  già  nella  prima  delle  eccellenti  sue  ediziou 
la  quale  non  aggiunge  al  cornento  del  Costa  che  alcuno  »note  del  nuovo  ei> 
torew  (Firenze  1844),  il  Canonico  Brunone  Bianchi  sostituì  a  questo  testo  queD 
degli  Accademici  del  1837,  mutato  in  qualche  rara  occorrenza. 

Già  fino  dal  1786  (Aneddoto  IL)  il  Canonico,  Marchese  Giovan  Giaio:^- 
DioNisi  di  Verona  annunziò  il  suo  progetto  di  una  nuova  edizione  delle  operf 
di  Dante,  da  eseguirsi  per  mezzo  di  un'  «Accademia  Veronese  (piccola  e  pn- 
vata)«.  Il  »Piano  per  una  nuova  edizioneu  aggiunto  a  queir  Aneddoto  noni 
mostra  però  che  già  in  quel  tempo  Monsignor  Dionisi  abbia  inteso  pienamente 
quali  lavori,  e  massimamente  quali  riscontri  di  testi  a  penna  fossero  indisps- 
sabili  per  questa  impresa.  Le  ben  molte  osservazioni  ortogi'afiche  e  grammati- 
cali contenute  in  questo  programma,  non  si  riferiscono  ad  altre  autorità,  sepiir* 
ne  citano  alcuna,  che  a  quella  delle  stampe  antiche,  e  bisognerà  convenire  A 


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XXX  III 

se  r  edizione  fosse  stata  eseguita  in  questo  modo,  sarebbe  stata  mancante  di 
un  fondamento  sodo.  Due  anni  dopo  (Anedd.  IV.)  il  Dionisi  doveva  confessare 
di  »  trovarsi  fin  adesso  solo«  per  il  progettato  lavoro.  Ciò  non  ostante  egli  in- 
vocò di  nuovo  »gli  uomini,  di  non  volgare  letteratura  forniti,  alcuni  de  quali 
fuori  cT  Italia  y  non  pochi  dentro,  e  spezialmente  a  Firenze  «  perchè  T  ajutassero 
neir  ardua  impresa,  aggiungendovi:  »Chi  sarà  sì  discortese,  che  pregato  con 
tanto  affetto  stender  non  voglia  in  mio  soccorso  la  mano? a  II  piano  però,  in 
quanto  si  vede,  non  aveva  subito  in  questo  frattempo  alcuna  mutazione  essen- 
ziale. Veramente  il  celebre  bibliotecario  della  Laurenziana  —  Angelo  Maria 
Bandini  —  aveva  rivolta  V  attenzione  del  Dionisi  agli  inesauribili  tesori  delle 
librerie  Fiorentine,  e  V  istesso  quarto  Aneddoto  ne  dà  un  bel  saggio  nelle  Egloghe 
di  Dante  e  di  Giovanni  di  Virgilio.  Con  tutto  questo  non  sembra  che  il  Dionisi 
già  avesse  pienamente  intesa  la  necessità  del  confronto  dei  testi  a  penna.  Nei 
due  soli  capitoli  (25.  e  26.)  consacrati  alla  »nuova  Edizione»,  si  limita  alle  au- 
torità anteriormente  da  lui  citate,  non  mentovando  che  di  passaggio  il  codice 
di  Santa  Croce,  erroneamente  a  più  riprese  da  lui  attribuito  a  Matteo  Villani*). 
Monsign.  Dionisi  confessa  schiettamente  nel  quinto  Aneddoto  (1790),  »non  esser- 
gli potuto  entrar  nella  testa,  che  a  riprodur  il  maggior  Poema  di  Dante  neces- 
sarj  gli  fossero,  come  gli  diceano  i  saggi  suoi  amici,  i  manoscritti  di  Firenze, 
dopo  lo  studio  già  da  lui  fatto  sulle  migliori  Edizioni  e  i  più  riputati  Comenta- 
tori,  e  anche  sopra  di  Testi  e  Comenti  a  penna,  che  dal  Sign.  Abate  Matteo- 
Luigi  Canonici,  e  dalla  cortesia  d'  alcun  altro  gU  furono  communicati.»  Appena 
[)erò  egli  avea  neir  istate  del  1789  esaminati  con  attenzione  e  senza  pregiudizio 
i  manoscritti  Fiorentini,  massimamente  quelli  della  Laurenziana,  che  pienamente 
si  ravvide,  ed  intese  (cap.  (>. )  «fra  tutte  le  copie  del  divino  Poema,  per  vec- 
chiezza pregevoli  e  venerande,  la  più  antica  e  la  più  tenace  della  lingua  Dan- 
tesca esser  quella,   che  di  mano  dicesi  di  Filippo  Villani «.    Anche  altri  codici 

')  Pag.  139.  Na.  2,  Pag.  155.  Na.  2,  Pag.  185.  Na.  3.  5. 


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XXXIV 

e  conienti  manoscritti  farono  da  lui  esaminati*);  ma  come  ad  autorità  suprema 
per  r  emendazione  del  testo  della  Commedia  egli  d'  ora  in  poi  ebbe  sempre 
ricorso  al  codice  di  Santa  Croce,  e  senza  dubbio  le  lezioni  da  esso  desunte 
formano  il  maggior  pregio  della  splendida  edizione  nel  1795  da  lui  pubblicata 
coi  tipi  Bodoniani,   e  poi  tre  volte  ripetuta  in  sesto  minore*). 

Il  Dionisi  non  pretese  veramente  di  seguire  in  tutto  e  per  tutto  il  codice 
di  Santa  Croce;  anzi,  nei  Prolegomeni  (§  36.)  ci  dà  egli  stesso  per  »  fondo  della 
sua  Edizione  la  celebre  Fiorentina  del  1595  o  sia  la  ristampata  dal  Cornino  di 
Padova,  o  quella  eh'  egli  chiama  Volgata^),  per  essere  in  sostanza  tutt' uno«. 
Vi  aggiunge,  «non  essersi  scostato  mai  dal  testo  di  essa,  che  per  seguir  da 
presso,  quanto  potè,  1'  autorità  de'  Manoscritti,  e  la  scorta  della  ragione,  dietro 
al  condotto  de'  canoni  della  Critica,  e  dell'  altrui,  e  della  sua  propria  espe- 
rienza«  *).  Ciò  non  ostante  1'  edizione  del  Dionisi  rappresenta  assai  meglio  il  testo 
detto  di  Filippo  Villani  che  1'  edizione  del  Lombardi  quello  della  Nidobeatina. 

Esaminiamo  anche  qui  li  primi  tre  canti  della  Commedia.  Non  contando 
le  differenze  ortografiche  e  gli  aperti  errori  di  scrittura,  troviamo  in  questi  tre 
canti  una  sessantina  di  passi  nei  quali  la  lezione  del  codice  di  Santa  Croce  varia 
da  quella  degli  Accademici.  Trentatre  di  queste  lezioni  furono  da  noi  adottato, 
altre  27.  si  trovano  registrate  sui  margini  dell'  edizione  presente.    Ora  non  sola- 


'  )  Prolegomeni  all'  edizione  del  1795  §  5.  »  Di  tanti  codici  da  me  veduti  appena  tre- 
dici leggono»  (Par.  XXXIl.  60.)  y>  Intra  sè'^  tutti  gli  altri,  Entrasi,  Intrasi,  Intrassi,  e  fin  anche 
Entrarsi.  « 

*)  Mi  sono  servito  della  minore  in  quarto,  Parma  1796,  e  dell'  elegante  ristampa, 
32"".,  fatta  dal  Bettoni  a  Brescia  (1810),  che  corregge  qualcheduno  dei  pochissimi  errori 
occorsi  nella  prima. 

')  Non  occorrerà  dire  che  questa  cosi  detta  Volgata  delle  stampe  moderne  è  differen- 
tissima  dalla  Volgata  dei  testi  a  penna,  della  quale  più  sotto  si  ragionerà. 

*)  Si  confronti  T  Anedd.  V.  cap.  11.  (1790.)  «Mi  dichiaro  una  volta  per  sempre,  che 
in  tutto  ciò  che  non  sia  per  ragione  da  rifiutare,  seguirò  il  codice  di  S.  Croce,  come  quello, 
che  per  esame  e  confronto  ho  trovato  il  più  antico,  e  1  men  corrotto  degli  altri.» 


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XXXV 

mente  diciassette*)  di  quelle  trentatre,  ma  ancora  sette*)  delle  altre,  che  da  noi 
furono  rilegate  fra  le  varianti,  si  trovano  nel  testo  del  Dionisi.  Pure  mi  sem- 
bra cosa  più  che  dubbia,  se  il  Dionisi  abbia  veramente  confrontato  parola  per 
parola  quel  testo,  tanto,  e  con  ragione,  da  lui  lodato.  Vi  si  trovano  non  poche 
lezioni  talmente  opportune  e  convincenti,  che  se  un  tal  lavoro  gliele  avesse 
fatto  conoscere,  il  dotto  Canonico  non  avrebbe  potuto  far  a  meno  di  adottarle. 
Veramente  undici  lezioni  delle  trentasei,  ne'  primi  tre  canti  da  lui  neglette, 
furono,  sopra  differenti  autorità,  accettate  da  editori  più  recenti^).  Ciò  che  mi 
conferma  in  questa  mia  opinione  si  è  il  veder  andare  scemandosi  nel  progresso 
dell'  opera  il  numero  delle  lezioni  che  dal  codice  di  Santa  Croce  passarono  nell' 
edizione  Parmigiana.  Vediamo  che  dei  sedici  lezioni  del  codice,  che  nell'  ultimo 
canto  della  Commedia  da  noi  furono  adottate,  sette  sole^)  si  ritrovano  nel  testo 
Dionisi,  alle  quali  si  possono  aggiungere  due^)  delle  cinque,  che  riportiamo 
come  varianti.  Grandissimo  per  altro  deve  essere  stato  lo  studio  posto  da  Mon- 
signore a  diciferare  la  scrittura  primitiva  del  codice,  alterata  e  guasta  in  cen- 
tinaja  di  passi  da  chi,  pretendendo  correggerla,  raschiando  distrusse  la  lezione 
antica  e  buona,  e  vi  sostitm  la  moderna  e  falsa®). 

Questi  meriti  evidenti  e  vistosi  non  valsero  però  al  Dionisi  un'  accoglienza 
ti'oppo  favorevole').    Alcune  dispute  fra  di  lui  e  il  Padre  Lombardi  erano  in- 


')  L  5,  28,  42,  69  (bis),  84,  102.    U.  17,  50,  93,  110.    UI.  8,  30,  31,  40,  59,  124. 

')  I.  9,  23,  37,  122.    II.  108.    III.  81,  103  (»Bestemm.  Dio»). 

')  Dagli  Accademici  del  trentasette:  I.  50;  da  Quirico  Viviani  I.  14,  38,  137.  III.  103 
(» e  lor  parenti»  ),  114,  da  Mauro  Ferranti  I.  128  (lezione  adottata  anche  da  noi),  e  I.  74,  80. 
II.  23.   III.  62  (da  noi  riportate  fra  le  varianti). 

*)  XXXm.  6,  23,  41,  47  -49,  88,  89,  126. 

')  XXXIII.  58,  116. 

•)  Anedd.  V.   Gap.  7. 

^)  Se  r  era  quasi  indovinato:  Anedd.  V.  cap.  11.  p.  64.  »0h  se  questa  perla*  (il  cod. 
S.  Croce)  «Y  avessero  discoperta  que'  «jiqjellieri!  gli  Accademici  ecc.,  a  quanta  gloria  sarebbe 
<*lla  salita!  laddove  scoperta  da  me,  che  son  di  nazione  Lombardo,  parrà,  o  potrà  parere  a' 
Toscani,  che  si  cara  gioja,  piuttosto  che  ritrovata,  sia  di  nuovo  perduta.  « 

E- 


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XXXVI 

sorte  anche  prima  che  V  edizione  di  quest*  ultimo  fosse  venuta  alla  luce  ^).  Vi 
rispose  non  senza  risentimento  il  Dionisi  ^)  e  più  crucciosa  ancora  riuscì  la  replica 
del  Lombardi^).  Di  fatto,  queste  differenze  non  meritavano  d'  inasprire  in  un 
modo  tale  due  critici  cosi  distinti.  Trovo  che  dei  passi  più  vivamente  con- 
trastati fra  li  due  editori,  in  due*)  il  giudizio  concorde  dei  critici  più  recenti  si 
è  pronunziato  in  favore  del  Dionisi;  nel  terzo  ^),  se  non  1'  autorità  di  tutti,  al- 
meno quella  del  Monti,  del  Parenti  e  del  Cesari  sta  parimenti  per  lui,  ed  anche 
nel  quarto®)  vediamo  applaudirgli  il  Biagioli,  il  Ferranti  e  qualchedun'  altro. 
Ma  r  opinione  generale  si  era  talmente  pronunziata  in  favore  del  Lombardi,  che 
il  contraddirgli  bastava  per  rendersi,  se  non  odioso,  almeno  sospetto  di  mal- 
fondata presunzione^).  Cosi  il  povero  Dionisi,  in  vece  di  esser  ringraziato,  fu 
immeritamente  vilipeso  da  non  pochi.  Ecco  come  ne  parla  Y  istesso  Foscolo  ^)  : 
»La  libidine»  (di  codici  e  di  varie  lezioni)  «rincomincia  a  penetrare  le  fibre 
cornee  degli  eruditi  italiani,  che  violando  le  prime  ed  ottime  edizioni  di  Dante 
Al.,  e  specialmente  quella  del  MDXCV.,  vanno  ripescando  stravaganti  lezioni  nelle 
tarlature  de'  codici,  traendo,  per  cosi  dire,  il  divino  poema  da  quel  santuario 
ov'  è  per  tanti  aimi  culto  da'  posteri.  La  edizione  Bodoniana  di  Dante  ridonda 
di  si  care  eleganze,  opera  tutta  di  monsignore  Dionisi  Veronese.«  E  ne  reca 
per  esempio  il  terzo  dei  passi  pur  ora  da  noi  mentovati ,  beffandosi  persino  della 


'  )  Edizione  del  Fulgoni  p.  XI.  -  XIII.  Na.  a. 

M  Anedd.  VI.  (Blandimenti  funebri.  1794)  p.  V.- Vili,  e  capo  10.  p.  74  —  81.  Si  veda 
anche  la  Preparaz.  storica  II.  capo  49,  50. 

')  Foglio  volante,  ristampato  nel!' ediz.  Romana  del  1815,  p.  XIX. —  XXXIV. 

*)  Inf.  I.  41,  XXIV.  86. 

*)  Purg.  XXX.  15. 

«)  Parad.  XXVI.  134. 

')  De  Romanis  nella  Serie  dell'  edizioni:  »La  prevenzione  del  Dionisi  sul  merito  di 
alcune  capricciose  Varianti  da  esso  introdottevi,  e  la  mania  di  sostenerìe  a  fronte  di  quelle 
del  P.  Lombardi,  provano  sempre  più,  che  1'  eccessivo  amor  proprio  fa  travedere  i  letterati 
anche  più  insigni.» 

')  Chioma  di  Berenice,  Milano  1803.  p.  219. 


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XXXV 11 

veneranda  età  del  degno  Canonico  *  ).  Sono  perfettamente  d'  accordo  col  Fos- 
colo, che  se  Dante  avesse  potuto  consegnare  il  suo  autografo  al  Bodoni,  oppure 
al  Pickering,  rivedendo  puranche  le  prove  di  stampa,  la  sarebbe  una  gran  bella 
cosa,  e  che  in  questo  caso  i  codici,  tarlati  o  non  tarlati,  conterebbero  per  nulla. 
Ma  come  per  disgrazia  Y  autografo  è  perduto ,  e  tra  la  morte  del  Poeta  e  la  prima 
edizione  della  Commedia  corse  più  di  un  secolo,  si  deve  ricorrere  per  forza  ai 
testi  a  penna;  e  se,  per  colpa  di  chi  avea  a  custodirlo,  i  tarU  avessero  guasto 
il  codice  migliore ,  anche  le  tarlature  non  dovrebbero  farci  schifo.  Per  altro  chi 
le  temesse  può  darsi  buona  pace;  che  il  codice  di  S.  Croce  ne  è  tutto  esente. 

Ventisette  anni  dopo  Jacopo  Dionisi,  il  Professore  Quirico  Vivi  ani  intra- 
prese una  nuova  riforma  del  testo  di  Dante'-),  mutandolo  in  moltissimi  passi 
sulla  fede  di  un  codice,  che  dopo  di  aver  appartenuto  al  vescovo  del  Torre, 
era  passato  in  mano  del  Commendatore  Bartolini  di  Udine.  Non  occorrerà 
anaUzzare  il  romanzetto  biografico  e  storico,  ingegnosamente  composto  dall'  edi- 
tore, per  far  risaltar  megho  sopra  un  fondo  tale  V  impareggiabile  autorità  del 
suo  codice^).  Basterà  rimandare  il  lettore  alle  giudiziose  osservazioni  fatte  a 
questo  riguardo  dal  Foscolo*). 

Esaminaremo  in  vece,    se   il  Viviani   abbia   mantenuto    la  sua  promessa 

'  )  Benché  ripreso  da  molti  di  questa  inurbana  censura,  il  Foscolo  dopo  ventidue  anni 
credè  dover  ripeterla  nel  Discorso  sul  testo  sez.  207,  aggiungendovi  fiele  anche  più  amaro. 
Finalmente  nell'  edizione  postuma  del  testo  della  Commedia  'IV.  137.)  si  ritrattò  colle  se- 
guenti lodevoli  parole:  »I1  Commentatore  della  Chioma  di  Berenice  confessa  all'  ombra  del 
Dionisi  d'  essergli  stato  in  vita  villano  di  motteggi  puerili.  « 

')  La  Div.  Comm.  di  D.  Al.  giusta  la  lezione  del  codice  BartoUniano.  Udine.  Fratelli 
Mattiuzzi.  1823.  8. 

^)  Poco  manca,  che  non  lo  dica  autografo:    »  Se  avessimo  voluto  trarre  argomento  di 

certezza  dai  vivissimi  nostri  desiderj,   avremmo  noi  potuto  immaginare,    che  un  codice 

scritto  in  Friuli  al  tempo  di  Dante,  ed  uscito  fuor  d'  un  Palazzo  de'  Patriarchi,  dovesse 
essere  o  scrittura  o  dettatura  dello  stesso  autore.  Ma  poiché  la  speranza  di  ravvisare  il 
carattere  di  quella  mano,  che  scrisse  il  Poema  sacro,  è  forse  perduta  per  sempre,  non  si 
volle  da  noi  oltrepassare  quei  limiti,  che  da  una  saggia  critica  sono  prescritti.» 

*)  Discorso  sul  testo,  sez.  11  —  14,  59  —  69. 


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XXXVIII 

data  nel  frontispizio  del  libro,  nella  dedica  al  March.  Gian  Giac.  Trivulzio  di 
b.  m.,  e  nella  Tavola  dei  testi,  la  promessa  dico:  di  seguir  fedelmente  il  testo 
Bartoliniano.  Per  quel  che  riguarda  1'  ortografia,  la  risposta  senza  dubbio  dovrà 
esser  negativa,  dicendoci  lo  stesso  Viviani*),  »non  aver  egli  avuto  sciiipolo  di 
scrivere  in  altri  luoghi  come  ora  si  pratica,  «  contentandosi  di  dare  quella  tal 
parola,  là  dove  per  la  prima  volta  gli  occorre,  tale  quale  si  trova  nel  codice, 
e  non  solamente  in  quel  passo,  ma  »  da  per  tutto  «.  Guardandoci  più  da  vicino 
si  vedrà  che  ben  pochi  sono  i  versi  stampati  nell'  edizione  Udinese  letteralmente 
quali  giacciono  nel  codice. 

Chi  anche  volesse  condonare  al  Viviani  tali  incostanze  ortografiche  dovrà 
chiedere  almeno  che  tutte  le  lezioni  del  codice  che  in  qualche  modo  influiscono 
sul  senso  siano  rese  con  tutta  fedeltà.  Ora  il  confronto  del  testo  Bartoliniano 
con  quello  della  Crusca  ci  dà  per  il  terzo  canto  dell'  Inferno  ventisei  varianti 
di  questo  genere,  dei  quali  il  Viviani  non  scelse  che  sole  tredici,  passandone 
sotto  silenzio  altrettante.  Se  queste  ultime  non  gli  piacevano,  dii  avea  promesso 
di  seguir  fedelmente  un  testo  da  lui  predicato  per  autentico  o  poco  meno,  doveva 
in  ogni  modo  riferirle  nelle  note.  Ma  la  vanità  letteraria  affascina  gli  eneoinia- 
tori  ed  editori  di  codici  persino  a  farli  sopprimere  tutto  quello  che  suppongono 
poter  recar  pregiudizio  all'  aureola  della  quale  vorrebbero  incoronare  il  testo 
da  loro  idolatrato.  Eppure  non  poche  di  quelle  tredici  varianti,  trascurate 
nel  terzo  canto  dal  Viviani,  erano  almeno  degne  di  esser  prese  in  considerazione. 
Tre  di  esse*''),  suU'  unanime  consenso  dei  quattro  testi  che  le  servono  di  ibn- 
damento,  furono  adottate  nell'edizione  presente;  cinque  altre  ^)  si  riferiscono  sul 


'  )  Nota  2.  al  verso  13.  del  terzo  canto  dell'  Ini*. 

*)  111.  31.  «orror»  (di  seconda  mano)  per  »error»  (prima  m.).  —  91.  »altra  via«  per 
«altre  vie«.  —   124.  »a  trapassar  lo  rioa  per  «al  trapassar  del  rio«. 

')  III.  40.  «Cacciali»  per  «Cacciarli».  —  55.  «E  retro»  per  «E  dietro».  —  64.  «scia- 
gurati» per  «sciaurati».  —  05.  «ignudi  stimulati»  per  «ignudi  e  stimulatì».  —  79.  «vergognosi 
bassi»  (di  prima  mano)  per  «vergogn.  e  bassi»   (seconda  mano). 


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XXXIX 

margine  come  varianti  dell'  uno  o  dell'  altro  di  quei  testi;  due*)  sene  leggono 
nella  stampa  Ravennate  del  Ferranti;  le  tre  finalmente  che  restano'-^),  ben  lungi 
(lair  essere  particolari  al  codice  Bartoliniano,  si  trovano  in  numerosi  manoscritti 
di  buona  nota.  Si  avverta  inoltre  che  fra  le  tredici  lezioni  adottate  dal  Viviani, 
ve  n'  è  una^)  tacitamente  da  lui  alterata  in  favore  del  verso,  ed  un  altra*)  della 
(juale  il  Foscolo  ebbe  a  dire,  »che  per  la  grammatica  e  il  suono  pare  dovuta 
a  qualche  amanuense  mezzo  tedesco  «.  Due  altre  sono  piuttoste  differenze  di 
ortografia  che  varianti'^). 

Se  "1  Viviani  trascurò  non  poche  lezioni  del  cod.  Bartoliniano,  non  sem- 
bra nemmen  certo,  che  tutte  le  variazioni  dal  testo  degli  Accademici,  da  lui 
nuovamente  introdotte,  derivino  da  quel  testo  Udinese.  Le  note  del  Viviani,  le 
quali  pur  troppo  spesso,  invoce  di  render  un  sempUce  conto  delle  lezioni  da 
lui  riscontrate  nei  testi  a  penna,  divagano  in  declamazioni  eterogeneo  non  di 
rado  ci  lasciano  in  un  dubbio  assoluto,  quale  siasi  la  vera  lezione  di  quel  codice 
decantato.  Sfido  per  esempio  cliiunque  siasi  a  desumere  dalla  ben  lunga  nota 
air  Inf.  XX  VII.  21.  se  nel  testo  Bartoliniano  si  legga  »t'  attizzo  «,  o  »t'  adizzo«, 
0  «t'  aizzo  «  ecc.  L'  istesso  sarà  da  dirsi  del  »re  giovane**  al  V.  135.  dell' 
Inf.  XXVIII. 

Ciò  non  ostante  il  testo  Bartoliniano  potrebb'  essere  benissimo,  se  non  il 
più  autentico  di  tutti,  almeno  uno  dei  migliori,  di  modo  che  il  lavoro,  non  con- 
dotto a  buon  termine  dal  Viviani,  fosse  da  rifarsi.  Certamente  una  tal  lode  non 
gli  potrà  darsi  riguardo  air  ortografia,  che  tiene  assai  del  barbaro  ").     Astrazione 

')  III.  3().  •fama a  (di  seconda  mano)  per  »ìnfamia«  (di  prima  m. ).  —  126.  »si  volve* 
per  »si  volge*. 

*)  III.  78.  «di  Caronte*  per  «d'Acheronte»  —  106.  •  tutti  quanti  «  per  •>  tutte  quante  « 
-  110.   «tutti  li  ricoglie»   per  «tutte  le  raccoglie». 

°)  ni.  56.  Per  «non  avrei»,  che  sta  nel  codice,  il  Viviani  stampò  «non  averei*. 

*)  ni.  IH.  «Batte  con  remo». 

*)  IIL  29.  «aura»   per  «aria»,  e  60.   «viltà  lo»   per  «viltate  il». 

*)  Vagliano  per  esempio:  «cominzar»,  «orribilh»,  «acenti» ,  «Mesciate»,  »  fuor  fedelli « , 
•rielli»,   «eser»,  «spolgle»,  «Filgiuol»,   «giascun»,  ecc. 


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XL 


fatta  da  questi  barbarismi,  senza  dubbio  il  testo  del  codice  è  da  annoverarsi  frai 
buoni,  ma  un  gran  suo  difetto  consiste  nell'  esser  passato  per  le  mani  di  per- 
sone che  in  ben  molti  passi,  raschiando  ed  alterando,  ne  fecero  sparire  le  lezioni 
primitive ,  come  per  alcuni  esempj  già  si  è  mostrato.  Il  fatto  fu  osservato  anche 
dal  Prof.  Aless.  Torri,  il  quale  nella  descrizione  del  codice,  inserita  nella  Biblio- 
grafia Dantesca  del  De  Batines  (IL  157.)  dice:  »II  copiatore  non  fu  sempre 
ugualmente  corretto:  vi  sono  perciò  qua  e  là  alcune  minute  correzioni  di  bellis- 
sima lettera  del  sec.  XIV.,  che  danno  indizio  essere  il  MS.  ritoccato  da  mano 
maestraa.  Confesso  che  la  maggior  parte  di  quelle  correzioni  sia  giusta,  sosti- 
tuendo ad  una  lezione  indubitatamente  errata  o  meno  buona  un  altra  più  lode- 
vole; ma  pure  non  posso  dir  mano  maestra  quella  che  cambiò  (III.  36.)  »  infa- 
mia» in  «famaa,  oppure  (ivi  116.)  una  parola  che  non  si  conosce  più  in  wlitto^. 
In  ogni  modo  V  originalità  primitiva  del  codice  è  oscurata  di  molto  per  queste 
correzioni  posteriori. 

Se  del  resto  ho  detto  il  codice  esser  da  comprendersi  nel  novero  dei 
buoni,  non  è  certamente  uno  dei  migliori.  Può  dirsi  eh'  esso  rappresenti  come 
il  tipo  dei  testi,  scritti  intorno,  o  dopo  la  metà  del  trecento,  cioè  quando  nella 
sostanza  i  codici  davano  ancora  il  poema  nell'  originaria  sua  purità,  ma  quando 
già  ben  molti  passi  erano  stati  alterati  dall'  ignoranza  o  dalla  saccenteria  dej^li 
amanuensi,  quando  dunque  la  »  Volgata  «  già  era,  almeno  in  parte,  costituita. 
Nulla  di  più  naturale  allora,  che  l'  »>aver  ravvisata"  il  Viviani  »  quasi  una  pe- 
renne conformità  «  del  testo  Bartoliniano  colla  pluralità  dei  codici  da  lui  veduti, 
mentre  quel  testo  scarseggia  di  lezioni  sue  proprie,  e  veramente  originarie, 
quah  ce  ne  somministrano  nei  passi  più  scabrosi  quei  pochi  manoscritti  che 
possiamo  supporre  derivare  in  discendenza  non  troppo  lontana  dall'  autografo 
del  Poeta. 

S'  intenderà  facilmente  per  quel  che  si  è  detto,  che  l'  edizione  Udinese, 
continuando  in  questo  il  lavoro  cominciato  dal  De  Romanis,  abbia  mondato  il 
testo  del  Poema  di  ben  molte  lezioni  capricciose,  introdottevi  dall'  Aldo  o  dal 


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XLI 

Rossi  suir  autorità  di  qualche  codice  poco  degno  di  fede ,  ma  neir  istesso  tempo 
si  troverà  che  le  lezioni  da  essa  sostituitevi  siano  non  di  rado  di  origine  secon- 
daria, e  più  o  meno  lontane  da  quanto  avea  scritto  1'  Allighieri*). 

Una  *> Tavola»  di  sessanta  cinque  numeri  registra  i  «testi  a  penna  con- 
sìdtcUi^  per  T  edizione  Udinese.  Non  dice  dunque  il  Viviani  che  un  solenne 
confronto  di  tutti  questi  codici  si  sia  fatto  verso  per  verso,  anzi  confessa  di 
essersi  limitato  a  consultargli  dove  le  lezioni  del  suo  codice  Bartoliniano  gli 
sembravano  aver  bisogno  di  qualche  appoggio.  Già  per  questo  si  conosce  il 
carattere  tutto  arbitrario  di  questi  confronti.  «Partito  da  Milano  col  convinci- 
mento che  i  codici  più  antichi  erano  conformi  di  lezione  al  testo  Bartoliniano  « , 
il  Viviani  si  «trasferì  a  Padova»  ecc.,  e  qui  ed  altrove  non  frugava  codici  e 
stampe  antiche  per  trovar  lezioni  le  quaU,  benché  rimaste  sin  allora  inosservate, 
fossero  da  giudicarsi  genuine,  ma  rintracciava  solamente  nuove  autorità  che  col 
loro  consenso  potessero  spalleggiare  le  lezioni  da  lui  già  prescelte. 

Ma  nemmeno  per  questo  scopo  il  lavoro  corrisponde  alle  esigenze  critiche. 
Leggiamo  nella  lettera  al  March.  Trivulzio:  »I1  principale  sta  sopra  tutto  nella 
Tavola  de'  testi,  che  furono  da  me  consultati.     Col  mezzo  di  questa  Tavola  può 

*)  Per  dimostrar  meglio  quali  siano  le  lezioni  eh*  io  dico  secondarie,  prendo  per  esem- 
pio il  verso  25.  del  canto  XXI.  del  Furgat.  Suppongo  che  la  lezione  originaria  sia  stata  quale 
la  dà  la  presente  stampa: 

•  Ma  perchè  lei  che  di  e  notte  fila*. 

Ora  alcuni,  trovando  forse  inciampo  nel  «lei»  preso  in  caso  retto,  scrissero:  »Ma  perchè 
colei*,  e  poi  per  render  la  giusta  misura  al  verso:  »Ma  per  colei*,  e  chi  con  questa  nuova 
lezione  voleva  render  chiaro  il  senso,  mutò  puranche  nel  verso  seguente  Y  «avea*  in  «era* 
(prima  lezione  secondaria).  Un  altro  lettore,  non  sapendo  quale  fosse  la  Parca  «che  di  e 
notte  fila*,  ne  chiese  chi  era  più  dotto  di  lui,  e  per  non  dimenticar  la  risposta,  la  notò  fra 
le  righe: 

L    a    e    h    f    ■    i 

•  Ma  perchè  lei  che  di  ecc.* 

Un  secondo,  anche  più  ignorante  di  quello  primo,  credendo  che  quel  «Lachesi*  fosse  cor- 
rettura  del  »lei  che  di*,  ve  lo  sostitui  nel  testo,  e  non  potè  far  a  meno,  di  mutare  anche  il 
»e  notte*  ,  in  modo  a  farne  uscir  un  qualche  senso,  mettendovi  in  vece:  vche  dà  le*  (altra 
lezione  secondaria,  che  è  quella  del  testo  Bartoliniano). 

F 


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XLII 


chi  lo  voglia  riscontrare  agevolmente  le  lezioni  tutte  da  me  esibite,  e  giudicare 
da  se  medesimo  del  merito  dei  codici  da'  quali  io  le  trassi.  «  Ora  per  dar  al 
lettore  questa  facoltà,  era  indispensabile  che  in  ogni  caso  i  codici,  trovati  concor- 
danti col  Bartoliniano,  si  enumerassero  uno  per  uno.  Ma  il  Viviani  mai,  o  quasi 
mai,  si  è  dato  questa  fatica.  Per  lo  più  non  cita  codici,  ne  molti  ne  pochi,  con- 
tentandosi dell'  osservazione  generale,  già  da  noi  riferita,  dì  codici  più  antichi 
esser  conformi  al  testo  Bartoliniano».  Altre  volte  ne  cita,  sì,  ma  in  un  modo 
collettivo,  che  non  permette  di  rintracciarli  nella  Tavola,  come:  »i  codici  scritti 
da  mano  valente  «,  «T  autorità  de'  più  cospicui»,  »  parecchi  ottimi  MSS.« ,  »ben 
più  di  quaranta  testi»,  «altri  ben  dieci  codici»,  oppure  «parecchi  Trivulziani«, 
«dodici  Marciani».  Individualmente  nominati  non  ho  trovati  per  tutto  l'Inferno 
che  soli  19.  testi  ^),  frai  quali  il  cod.  Florio,  i  due  primi  Trivulziani,  e  due  o 
tre  Marciani  sembrano  i  soli  che  furono  consultati  con  qualche  regolarità. 

Quale  poi  sia  la  fiducia  da  porsi  in  queste  citazioni  si  desuma  dagli  esempj 
seguenti:  La  nota  3.  al  quarto  canto  riporta  frai  testi  che  leggono  «Che  trono 
accoglie»  (verso  9.)  «cinque  Patavini»,  mentre  sappiamo,  sì  dalla  lettera  al 
March.  Trivulzio,  e  sì  dalla  Tavola  (p.  XXII.  —  XXIV.)  che  i  codici  Pata\ini 
non  sono  che  in  numero  di  quattro.  Al  dire  della  nota  23.  (Inf.  XXI.  135.)  il 
Viviani  riscontrò  la  lezione:  «per  li  lesi  dolenti»  «nel  cod.  Marciano  No.  LXV«: 
ma  la  Tavola  (p.  XXV. — XXXV.)  non  registra  nessun  codice  di  questo  nu- 
mero*). La  prima  chiosa  al  canto  XXVII.  (verso  21.),  riporta  un  detto  del 
«postillatore  del  Marciano  LVL»,  aggiungendovi,  dover  essere  Jacopo  della  Lana. 
Ora  anche  di  questo  numero  non  si  trova  codice  nella  Tavola.  Il  detto,  riferito 
dal  Viviani,  non  è  del  Laneo,  ma  dell'  Ottimo.  Sarà  dunque  che  si  trovi  nel 
cod.  LVL,  che  contiene  il  comento  dell'  Ottimo^),  ma  il  solo  contento y  senza  il 


')  Secondo  la  numerazione  della  Tavola  i  testi  2,  4,  5,  6,  7,  24,  31,  32,  33,  40,  43, 
48,  49,  50,  55,  56,  60,  62,  64. 

')  De  Batines  Bibliografia  IL  No.  284-303. 

M  Wiener  Jahrbilcher  1828.  No.  XLIV.  p.  31.  No.  11.     De  Batines  U.  No.  303. 


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XLIII 


testo  del  Poema,  dunque  non  può  dirsi  postillato.    Il  codice  Marciano  che  con- 
tiene il  Laneo  è  segnato  LV. 

Già  nel  1825  Ugo  Foscolo  pubblicò  un  volume  in  8.  (Londra.  Pickering) 
col  frontispizio:  »La  Commedia  di  Dante  Alighieri  illustrata  da  Ugo  Foscolo 
Tomo  primo,  a  II  seguente  foglio  dà  la  distribuzione  dei  cinque  volumi  desti- 
nati air  opera,  il  primo  dei  quali,  rimaso  solo  dopo  la  morte  del  Foscolo,  acca- 
duta nel  1827,  non  comprende  che  il  «Discorso  sul  testo  della  Commedia»,  già 
più  volte  da  noi  citato.  Sembra  però  che,  se  le  »  Osservazioni  ad  alcuni  passi 
ne'  quali  la  storia  e  la  poesia  s*  illustrano  scambievolmente» ,  destinate  ad  ac- 
compagnar. Cantica  per  Cantica,  Y  edizione  del  Poema,  ed  alcune  altre  disser- 
tazioni relative  ad  esso,  furono  smarrite,  il  manoscritto  del  testo  »con  le  varie 
lezioni  a'  piedi» ,  dato  poi  alle  stampe  da  Giuseppe  Mazzini  (Londra.  Rolandi. 
1842.  4.  Voli.  8.  magg.  —  Ristamp.  Torino.  Lampato,  Barieri.  1852.  4  Voli.  12.) 
sia  stato  condotto  dal  Foscolo  a  quel  termine  eh'  egli  intendeva  dargli.  Tutta 
r  andatura  del  lavoro  come  lo  vediamo  eseguito  nell'  edizione  del  Mazzini,  si 
vede  disegnata  nella  »Prefazioncella<c  postuma,  pubblicata  in  essa  (pag.  XXI. — 
XXX.).  L'  istessa  differenza  delle  note  critiche  alla  prima,  ed  alle  due  ultime 
Cantiche,  che  a  prima  vista  potrebbe  far  supporre  un  lavoro  interrotto  nel  suo 
mezzo,  vi  è  espressamente  indicata  come  voluta  dal  Foscolo  ^).  Senza  dubbio  la 
perdita  dei  tre  discorsi  è  un  danno  più  grave,  che  sia  grande  Y  utile  che  ridonda 
alla  critica  dai  lavori  fatti  dal  dotto  Zantiota  sul  testo  e  sulle  varie  lezioni.  Egli 
confessa  nelle  »  Notizie  e  pareri  diversi  ecc.»  p.  49.  che  i  soU  codici  da  lui  esami- 
nati siano  i  due  regalatigli  dall'illustre  Roscoe  e  dal  Generale  Mazzuchelli '^). 


*  )  •  Sulla  cantica  dell'  Inferno  ho  abbondato  in  osservazioni  critiche  su  le  varie  lezioni, 
tanto  che  bastino  a  lasciar  desumere  poscia  per  quali  ragioni,  e  principii  di  critica  io  abbia 
ael  testo  del  Purgatorio  e  del  Paradiso  accolte  e  rifiutate  le  varie  lezioni,  che  io  senza 
allungarmi  a  discorrerne  registro  a  pie  di  pagina.* 

')  Il  primo  si  trova  attualmente  in  possesso  del  celebre  Bibliotecario  A.  Panizzi. 
L'altro  sembra  smarrito.    De  Batines  Bibliogr.  II.  No.  505.  e  518. 


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XLIV 

Li  dice  »  pessimi  tutti  e  due  le  più  volte  «  '),  e  di  certo  chi  esamina  le  lezioni 
che  se  ne  riferiscono,  non  dirà  che  questo  giudizio  sia  troppo  severo,  E  pure 
sono  certo  che  il  Foscolo  passò  sotto  silenzio  le  varianti  più  goffe  di  questi 
suoi  codici.  Sembra  veramente  che  la  fatica  di  registrare  tante  centinaja  di 
scipidezze  sia  venuta  a  noja  allo  stesso  possessore.  Almeno  trovo  che  le  va- 
rianti del  cod.  Mazzuchelli  non  si  riportano  al  di  là  della  Cantica  d' Inferno  -). 
Del  resto  il  Foscolo  non  fece  che  compilare  le  varie  lezioni  riferite  nelle  edi- 
zioni anteriori:  lavoro  tutto  materiale,  che  forse  per  convenir  troppo  poco  al 
suo  genio  poetico,  non  fii  eseguito  con  troppa  accuratezza.  Assai  spesso  si 
omettono  delle  lezioni  d'  importanza,  ed  in  vece  se  ne  riportano  delle  altre  che 
non  sono  che  differenze  ortografiche.  Qualche  volta  i  codici  e  le  edizioni  che 
danno  la  variante  riferita  sono  confuse  fra  di  loro,  oppure  il  nome  di  quei 
codici  rimase  nella  penna  dell'  editore^).  Generalmente  questa  congerie  inordi- 
nata di  tante  e  tante  varie  lezioni  sembra  cosa  di  ben  poca  utilità.  Le  ragioni 
che  determinarono  la  scelta  del  Foscolo,  le  quali,  come  già  si  vide  non  sono 
esposte  che  nelle  note  all'  Inferno,  sono  quasi  sempre  dedotte  da  argomenti 
secondarj ,  come  sarebbe  1'  armonia  del  verso ,  1'  eufonia ,  e  cose  simili  ;  ma  in- 
vano si  cerca  di  stabili  principj  di  critica,  che,  escludendone  1'  arbitrario,  potes- 
sero dar  certa  legge  alla  scelta  da  farsi  fra  le  lezioni. 

Ultimo  a  cimentarsi  nella  costituzione  di  un  nuovo  testo  della  Commedia 
fii  «Mauro  Ferranti,  sacerdote  italiano  di  Ravenna»  (Ravenna  1848.  8.).  Il 
libro  è  mancante  di  qualunque  siasi  prefazione  o  di  note  giustificative,  e  benché 
si  legga   sulla  sopraccarta    «già  venirsi  ponendo  sotto  torchio  il  volume  della 

')  Discorso  sul  testo  Sez.  203. 

')  «Notizie  e  pareri*  p.  49.  «Nelle  postille  segnatamente  alla  cantica  prima,  ho  notato 
le  loro  varianti  migliori.^ 

^)  Reco  per  unico  esempio  la  postilla  al  verso  71.  del  Farad.  XV.:  «Ediz.  Aldina, 
(dodici  Roscoe,  Vaticano,  Caetani  e  più  altri:  arrosemi.  —  Cod.  Vaticano,  Caetani,  Chigi  e 
altri  assai:  arroseìnL^  Per  chi  volesse  di  più,  ne  ho  a  dovizia.  Vedi  anche  sopra  p.  XXIV. 
Na.  2. 


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XLV 

Chiosa»,  nella  quale   1'  editore  promette  di    »dare  stretta  ragione delle 

varianti  prescelte  in  comparazione  al  Testo  degli  Accademicia,  non  ho 

inai  avuto  notizia  che  questo  volume  sia  veramente  venuto  alla  luce.  L'  unica 
informazione  dunque  sinora  dataci  sul  piano  seguito  dall*  editore  consiste  nelle 
parole  del  frontispizio:  »La  Comedia  di  D.  Al secondo  la  lettera  principal- 
mente dei  due  Codici  Ravegnani,  con  la  scorta  degli  altri  testi  a  penna  noti,  e 
delle  stampe  del  XV.  e  XVI.  secolo,  e  con  le  varianti  fin  qui  avvisate. « 
Queste  parole  sembrano  asserire  che  dovunque  la  nuova  edizione  si  allontana 
dal  testo  degli  Accademici,  essa  si  appoggi  sull'  autorità  dell'  uno  o  dell'  altro 
dei  codici  di  Ravenna').  Questi  codici  descritti  dal  De  Batines  sotto  i  nu- 
meri 402,  403.  offirono  poco  di  particolare.  Il  primo  di  essi  fu  scritto  nel  1369 
da  un  tale  Bettino  de'  Pili,  il  quale,  per  quel  che  pare,  faceva  il  mestiere  di 
copiar  Danti.  Il  pregiatissimo  mio  amico  Sign.  Seymour  Kirkup,  pittore  Inglese 
a  Firenze,  ne  possiede  un  altro  scritto  meno  di  un  anno  prima  da  queir  istesso 
amanuense^).  Un  terzo  se  ne  trova  a  Parigi^).  Avrà  dunque  lavorato  a  doz- 
zina, e  potrebbe  darsi  per  avventura  che  fosse  identico  con  quello,  di  cui  narra 
il  Borghini  che  con  cento  Danti  da  lui  copiati  fece  la  dote  alle  sue  figlie*). 
L'  ortografia  del  testo  è  assai  barbara*),  e  il  testo  corrisponde  per  lo  più  al 
volgato,  generalmente  diflfuso  nella  seconda  metà  del  trecento.    Il  secondo,  assai 

*)  Pietro  dal  Rio  nell' Appendice  dell' ediz.  Pratese  della  Div.  C.  (Passigli  1852)  Pur- 
gai. XXX.  75.  pag.  733:  y*  Panelli  è  nel  Dante  di  Ravenna;  segno  certo  che  cosi  leggeva 
Tuno  di  que' due  codici  almeno.* 

*)  De  Batines  Bibliogr.  Na.  187. 

')  Fonda  de  rèserve  No,  3.    De  Batines  Na.  414. 

*)  [Gius,  àjazzi  ecc-l  Opuscoli  inediti  di  classici  scrittori.  Fir.  1844  p.  23:  »Gli  scrittori 
di  que'  tempi  furono  per  la  maggior  parte  persone  che  ne  teneano  bottega  aperta,  e  vive- 
vano di  scrivere  i  libri  a  prezzo;  e  si  conta  d'  uno  che  con  cento  Danti  eh'  egli  scrisse,  ma- 
ritò non  so  quante  sue  figliuole,  e  di  questo  se  ne  trova  ancora  qualcuno,  che  si  chiamano 
(li  qtAei  del  cento,  e  sono  ragionevoli,  ma  non  però  ottimi.  Questi  tali  scrittori  per  lo  più 
erano  persone  materiali.* 

*  )  Per  esempio  :  »  nuon«  ,  »  luor  «  ,  »  faccevan  a ,  »  augelli  «  .  »  trappasar  » ,  »  malvasgia  « , 
•Teramo»   ecc. 


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XLVl 

meno  nitido,  non  differisce  essenzialmente  dal  primo.  Ella  è  dunque  cosa  più 
che  dubbia,  se  questi  due  codici  fra  tante  centinaja,  per  trovarsi  casualmente 
dove  morì  il  Poeta,  meritassero  di  esser  prescelti  per  servir  di  fondamento  a 
una  nuova  edizione.  Veramente  i  confronti  del  terzo  canto,  da  me  istituiti  nel 
1831  sui  codici  di  Ravenna,  mi  provano  eh'  essi  non  formano,  come  si  potrebbe 
supporre,  la  vera  base  dell'  edizione  Ferranti.  Mentre  quest'  ultima  non  adotta 
alcune  lezioni  assai  commendevoU,  approvate  dai  due  testi*),  vi  si  leggono  delle 
altre,  che  sono  assolutamente  incognite,  tanto  all'  uno  che  all'  altro  codice  ^).  Sarà 
che  anch'  esse  trovino  appoggio  in  qualche  MS.  esaminato  dal  Ferranti,  anzi  sono 
persuaso  che  nessuna  delle  mutazioni  da  lui  fatte,  quantunque  sembri  strana, 
sia  priva  di  una  qualche  autorità  per  difenderla;  ma  per  quanto  quel  «Volume 
di  Chiosa  «  non  sia  pubblicato,  non  si  potrà  decidere,  se  quell'autorità  sia  degna 
di  fede.  Intanto  bisognerà  confessare  che  sinora  nessuna  delle  tante  stampe 
della  Commedia,  non  eccettuandone  quella  del  Buonanni,  adottò  un  tal  numero 
di  lezioni  bizzarre,  quanto  quella  del  Ferranti. 

Ritorniamo  oramai  alle  edizioni  che,  seguendo  il  testo  della  Crusca,  vi 
aggiunsero  delle  varianti  prese  da  qualche  altro  codice.  La  prima  di  esse  è 
quella  di  Gaetano  Poggiali  (Livorno.  Masi.  1807  —  1813),  corredata  dall'editore 
di  alcune,  ma  ben  poche  lezioni  di  un  suo  codice*),  che  si  crede  essere  stato 
di  Pier  del  Nero,  ed  attualmente  si  trova  nella  Palatina  di  Firenze*).  Sembra 
al  Poggiali  che  la  scrittura  di  esso  non  debba  oltrepassare  il  1330,  e  lo  trova 
»  fornito  di  parecchie  varie  lezioni,  a  suo  credere,  assai  commendabili,  ed  atte 
ad  illustrare  e  migliorare  molti  luoghi  del  Poema «.    Egli  confessa  però,  aver 

*)  Inf.  111.29.  «queir  aura»,  30.  «a  turbo*,  56.  «avrei  creduto»,  59.  «Vidi  e  conobbi». 
74.  «di  trapassar  parer*,  91.  «per  altra  via«,  124.  «a  trapassar  lo  rio*. 

')  Ivi  39.  «ne  per  sé  foro*,  62.  «Che  quell'era*,  85.  «Non  vi  sperate*,  99.  «di  fiamma 
ruote*,  106.  «tutte  e  quante*,  133.  «balenò  d'una  luce*. 

*)  Il  maggior  numero  di  esse  non  consiste  che  in  differenze  di  ortografia.  Se  ne  re- 
gistrano 279.  per  l'Inferno,   188.  pel  Purgatorio,  e  non  più  di  83.  pel  Paradiso. 

*)  De  Batines  No.  163.  Palermo  I  manoscritti  della  Palatina  No.  313.  VoL  I.  p.  525  —  33. 


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XLVII 

rilevato  da  un  più  diligente  esame  che,  unite  alle  migliori,  altre  ve  n'  erano  in- 
feriori a  quelle  degli  Accademici;  onde  gli  sembrò  più  sano  consiglio  di  notare 
soltanto  in  pie  di  pagine  quelle  tra  le  varie  lezioni,  che  gli  sembrarono  merite- 
voli di  particolare  osservazione.  —  Concorda  con  questo  giudizio  il  De  Batines. 
Il  Palermo  dubita  della  data  '),  e  rileva  i  non  pochi  errori  che  sfigurano  il  testo  *). 
Certamente  il  Poggiali  non  riferi  che  quelle  lezioni  del  suo  testo  che  gli  sem- 
brarono »  commendabili*,  tacendo  di  tutte  le  altre"),  ancora  che  fossero  merite- 
voli di  osservazione*).  L'  esame  di  queste  lezioni  e*  induce  ad  annoverare  il 
codice  Poggiali  frai  buoni,  non  però  frai  migliori. 

In  un  modo  consimile  il  Mussi  accompagnò  le  sue  edizioni  del  1809  di 
alcune  varianti^),  prese  da  un  testo  delle  due  prime  cantiche,  che  in  quel  tempo 
era  del  Bossi,  ed  ora  fa  parte  della  splendida  raccolta  di  casa  Trivulzio  *).  »Gli 
eruditi»,  citati  dal  Mussi,  giudicarono  questo  codice  «coevo  dell' autore «,  scritto 
per  avventura,  quando  la  terza  Cantica  non  era  ancora  pubblicata^);  ma  sono 
persuaso  che  frai  critici  odierni  ben  pochi  saranno  dell'  istesso  avviso.  Taccio 
dell'ortografia,  che  si  può  dire  rozzissima®),  ma  la  stessa  lezione  del  testo  per 


'  )  Saranno  giustissimi  questi  dubbj,  benché  la  chiosa  relativa  alla  statua  di  Marte,  che 
fu  correttamente  interpretata  dal  de  Batines,  sia  fraintesa  dal  Palermo.  Vedi  quanto  ne 
dissi  neir  opuscolo:  Quando  e  da  chi  sia  composto  1'  Ottimo  comento.  p.  5 — 19. 

')  »Onde  non  sappiamo  come  il  Poggiali  abbia  potuto  tanto  levare  a  cielo  siffatto 
codice.  « 

*)  Trovo  nel  III.  canto  dell' Inf.  v.  19.  »alla  mia  porse «,  e  v.  21.  «nelle  scerete  cose*. 

*)  Eccone  alcuni  esempj:  Inf.  III.  36.  »  senza  fama«,  40.  »per  non  parer  men  belli», 
72.  »Perch'  io.  Maestro  mio«,  82.  «Ed  ecco,  ver  di  noi«. 

*  )  Sono  308.  per  V  Inferno  e  103.  pel  Purgatorio. 

•)  De  Batines  No.  259. 

^)  «Tal  giudizio,  che  si  trae  a  prima  vista  dalla  forma  dei  caratteri  e  dalla  maniera 
delle  miniature,  viene  rinforzato  dall'  osservarvisi  alcuni  passi  che  sembrano  non  aver  rice- 
viti gli  ultimi  ritocchi  dalla  poetica  lima,  e  dal  mancare,  ad  onta  della  certa  integrità  del 
volume,  la  terza  Cantica  che  non  si  conobbe  intera  che  dopo  la  morte  di  Dante.* 

^)  «lasar*  (per  b lasciar*),  «me  misse«  (per  »mi  mise«),  «accinti*  (per  «accenti*), 
»elgli«,  «brasgia*,   «possa*  (per  «posa»)  ecc. 


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XLVIII 

i  ben  molti  errori  che  la  sfigurano  si  conosce  lavoro  di  un  qualche  copista  ma- 
teriale*). 

Anche  il  Biagioli  credè  poter  aggiungere  i>non  lieve  pregio  e  splendore 
al  suo  lavoro,  corredandolo  (ma  per  le  sole  Cantiche  del  Purgatorio  e  del  Pa- 
radiso Parigi  1819)  di  più  e  più  varianti»,  cavate  da  un  codice,  allora  posse- 
duto da  Milordo  Stuart  (De  Batines  No.  504.).  Ben  lontano  però  dal  voler 
esibire  xm  esatto  confronto  di  questo  codice,  il  Biagioli  protesta,  di  aver  «la- 
sciato le  varianti  senza  novero  di  che  altri  per  avventura  avrebbe  fatto  gran 
romorea.  Veramente  la  scelta  riusci  assai  scarsa  di  numero^),  e  le  poche  le- 
zioni riportate  nell'  edizione  Parigina,  non  bastano  per  dare  un  giudizio  sul 
valore  intrinseco  del  testo.  Del  resto  il  Biagioli,  benché  strenuo  difensore  degli 
Accademici,  massimamente  contra  il  Lombardi,  si  allontanò  non  troppo  di  rado 
dalle  stampe  del  Manzani  e  del  Comino^). 

Più  importante  di  tutti  gli  altri  è  senza  dubbio  V  insigne  lavoro  di  Frutt. 
Becchi,  G.  B.  Niccolini,  Gino  Capponi  e  Gius.  Borghi,  Acc.  d.  Crusca,  (Firenze. 
Le  Mounier  1837).  Questi  valentuomini  rinnovarono  per  cosi  dire  le  fatiche 
degli  Accademici  del  1595.  Mettendo  a  profitto  i  materiali  critici,  raccolti  dagli 
editori  sinora  registrati,  da  Vincenzo  Borghini*),  dal  Parenti"^)  e  dal  Montani ^). 

')  Inf.  III.  2.  «eternai  dolore»,  12.  »il  senno  lora,  22.  »  altri  guai»,  73.  »  Perdi'  io 
sappia*,  78.  »da  Charonte«,  101.  »  dibattendo  ei  denti  «,  116.  »Gittando8Ì  di  quel  linto«,  123 
•  Tutti  ci  vengon«,  130.  »  compagnia  «. 

')  Il  Sign.  Angelo  Sicca  comprendendo  nella  sua  «Rivista  delle  varie  lezioni  sinora 
avvisate it  anche  quelle  del  cod.  Stuardiano,  pubblicate  dal  Biagioli,  ne  riporta  sette  per  la 
Cantica  del  Purgatorio,  e  quindici  pel  Paradiso.  Si  avverta  però  che  alcune  di  esse  furono 
da  lui  trascurate,  come  per  es.  al  Purg.  XXXI.  78.  ed  al  Farad.  I.  37,  IX.  37,  107,  116,  XI. 
135,  XII.  138,  XVI.  47,  XXII.  94,  XXVIII.  23,  XXX  148. 

')  Vedi  a  cagion  d'  esempio  i  passi  seguenti:  Farad.  VIII.  44,  IX.  37,  107,  117.  XXV^I. 
134,  XXXIII.  126. 

*)  Qui  sopra  p.  XIV.  XV. 

')  Vedi  sopra  p.  XXXII. 

*  )  Lettera  ottava  intorno  a  Codici  del  march.  Luigi  Tempi.  Neil'  Antologia  di  Firenze. 
1832.  Voi.  XLV.    Febbrajo.  p.  44  —  58.  Marzo  p.  1—18.     Gli  Editori  non  presero  dal  AIoii- 


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XLIX 

essi  confrontarono  di  nuovo  venti  codici,  cioè  uno  dei  Tempiani  (De  Batines 
No.  7.),  il  codice  Frullani  (De  Bat.  No.  179.),  dieci  che  allora  spettavano  al 
March.  Gius.  Pucci,  ed  attualmente  si  trovano  nel  Museo  Britannico  (De  Bat. 
No.  450,  452,  457,  453,  456,  454,  458,  455,  459,  e  451),  un  Magliabecchiano 
(De  Bat  No.  102.),  e  sette  Riccardiani  (De  Bat.  No.  143,  124,  134,  125,  135, 
129,  e  136).  Anche  questi  confronti  però  non  erano  confronti  letterali,  non 
comprendevano  ogni  verso  parola  per  parola,  anzi  si  limitarono  a  un  certo 
numero  di  passi,  la  lezione  dei  quali  già  per  lo  innanzi  era  stata  disputata*). 
Non  intendevano  dunque  gU  editori  del  trentasette  di  costituire  un  nuovo  testo, 
ma  bensì  di  decidere  almeno  una  paite  delle  tante  Uti  insorte  sopra  il  testo  già 
costituito.  Suppongo  inoltre  che  i  confronti  non  si  siano  fatti  sistematicamente, 
voglio  dire  che  non  ad  ogni  passo  si  siano  riscontrati  tutti  i  codici,  ma  per 
avventura  dieci  air  uno,  ed  altri  dieci  ad  un  altro.  Trovo  finalmente  che  gli 
editori  (invece  di  avvalorare  il  pregio  relativo  dei  venti  testi),  attribuendo  ad 
ognuno  di  essi  un'  autorità  pari,  se  non  si  attengono  a  qualche  ragione  interna 
di  senso  o  di  eufonia,  prendono  per  sola  norma  nel  decidersi  fra  le  varie  lezioni, 
il  numero  dei  testi  in  favore  delF  una  o  dell'  altra  di  esse.  —  Perchè  poi  si 
sapesse,  quali  argomenti  d'  autorità  e  di  ragione  abbiano  fatto  scegliere  piuttosto 
una  lezione  che  un'  altra,  gli  editori  significaronli  negli  »  Avvertimenti  sul  testo 
della  D.  C.«   citando  quasi  sempre  individualmente  i  codici  che  stanno  in  favore 

tani  che  le  lezioni  da  lui  riscontrate  nel  cod.  Boutourlin  (De  Batines  No.  464).  Sono  in 
numero  di  11.  per  F  Inferno,  8.  pel  Purgat.  e  12.  pel  Paradiso.  Al  dire  del  De  Batines,  il 
cod.  Boutourlin  passò  nelle  mani  del  Sign.  Magnoncourt  dì  Besauzone.  Tutte  le  mie  indagini 
però  non  bastarono  per  procurarmi  una  qualche  notizia  di  questo  MS. 

*  )  Prefaz.  p.  V.  VI.  »  Quando  la  lettura  della  Crusca  non  appariva  manifestamente 
errata,  sebbene  fosse  tale  da  non  preferirsi  ad  altre,  T  abbiamo  posta  appiè  di  pagina  per 
variante  colla  indicazione  O.  Parimente  appiè  di  pagina  abbiamo  locate  due  altre  specie  di 
varianti,  che  potrebbero  ben  essere  uscite  dalla  mente  dell'  Alighieri,  alcune  cioè  col  segno  f, 
ed  altre  senza  segno  di  sorta.  Si  son  tolte  le  prime  dai  MSS.  e  dall'  edizioni  da  noi  esa- 
minate, o  dai  MSS.  e  dalle  edizioni  che  per  altri  s'  esaminarono,  e  le  seconde  dal  novero  di 
(laelle ,  che  gli  Accademici  segnarono  nel  margine  della  loro  edizione.  « 

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deir  ui)a  e  dell'  altra  parte  ^).  Convengo  che  questa  scelta  il  più  delle  volte 
abbia  dato  nel  segno,  ma  non  mi  pare  che  il  modo  tenuto  per  arrivarvi  sia 
quello  voluto  dalla  critica.     Falso  per  esempio  dovrà  dirsi  il  principio  emesso 


*  )  Sembra  che  vi  sia  luogo  di  dubitare  se  questi  ragguagli  siano  sempre  esatti.  I  miei 
confronti  del  terzo  canto  comprendono  tutti  i  testi  che  servirono  agli  editori  del  trentasette, 
meno  il  solo  decimo  frai  Pucciani  (De  Batines  No.  451.).  Ora  metterò  di  rincontro  la  varietà 
delle  lezioni  quale  la  riferisce  il  Becchi,  e  quale  me  la  danno  i  miei  confronti,  sostituendo 
per  amore  di  brevità  alle  citazioni  dei  codici  (p.  esempio:  Riccardiano  1025.)  i  soli  numeri 
del  de  Batines,  e  tralasciando  dall'  un  dei  lati  il  detto  Pucciano,  e  dall'  altro  tutt^  le  numerose 
varianti  non  ricordate  nell'  edizione  del  trentasette. 

Confronti  del  Becchi.  Confronti  miei. 

•eterna.»   Cod.  7.  102.  124.  129.  135.  143.      »eterna.«   Cod.  7.  102.  124.  125.  129.  135.  136. 


V.  8, 

179.  450.  452.  453.  455.  459. 

V.  17.     pChe  vederai.«  Cod.  124.  129.  143.  450. 

452.  453.  454.  455.  456.  457.  458.  459. 
V.  30.     ^quando  a  turbo..    Cod.  450.  452.  457. 


V.  31.     »ch'  avea  d'  orror.»  Cod.  143.  454.  455. 
V.  51.     pNon  ragionar.»  Cod.  124. 129.  134.  135. 
450.  453.  457.  458. 


V.  56.     »ch'  io  non  averci.  « 
454.  455.  456.  457.  459. 


Cod.  450.  452.  453. 


V.  80.     «che  '1  mio  dir.« 
453.  457.  458. 


Cod.  102.   179.  450. 


V.  106.     «si  raccolser.»  ('od.  143.  455.  456.  459. 


143.  450.  452.  453.  455.  457.  459. 
•eterne.*    Cod.  178. 

•  Che  vederai.«     Cod.  7.  457. 

•  Ove  udirai.*    Cod.  135. 

•quando  a  turbo..    Cod.  124.  125.  129.  136.  143. 
179.  450.  452.  453.  454.  455.  457.  458.  459. 
•quando  al  turbo. «    Cod.  102.  134.  135. 
•quando  turbo..   Cod.  7.  456. 
•eh'  avea  d'  orror.«  Cod.  136.  143.  454.  455.  456. 
•Non  ragionar..  Cod.  7.  102.  125.  129.  134.  135. 
179.  450.  453.  458. 

•  Non  ragionam..    Cod.  457. 
•Non  ragionan.»   Cod.  136.  456. 

•  eh'  io  non  averci.*    Cod.  7.  125.  134.  455. 

•  eh  io  non  avrei.»    Cod.  102.  124.  129.  135. 

136.   143.  179.  450.  452.  453.  454.  457. 
459. 

•  eh'  io  non  narei.«    Cod.  456. 

•  che  '1  mio  dir.«    Cod.  102.  129.  134.  143.  457. 

459. 

•  che  mio  dir.«  Cod.  135. 

•ne  '1  mio  dir..    Cod.  124.   136.   179.  450. 
452.  456. 
•si  raccolser.»   Cod.  134.  143.  179.  455.  456. 
•si  racco Ison..    Cod.  459. 
•si  trasser.w    Cod.  457. 


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LI 

dal  Becchi  a  p.  15,  ed  assai  spesse  volte  posto  in  uso:  »In  due  lezioni,  delle  quali 
una  ha  chiarezza  e  V  altra  no,  son  d'  opinione  che  sia  lodevole  intendimento 
quello  di  dare  alla  prima  anzi  che  alla  seconda  una  preferenza. «  Chi  riflette  che 
un  copista  inconsiderato,  non  intendendo  un  passo  oscuro  del  Poema,  credeva 
correggere  il  testo,  sostituendovi  una  lezione  di  un  senso  ovvio  e  facile,  men- 
trechè  veramente  lo  falsava,  vedrà  benissimo,  esser  più  che  giusta  la  regola 
critica  :  che  la  lezione  difficile  è  da  preferirsi  alla  facile.  Ciò  non  ostante  ripeto 
con  piena  persuasione  quanto  già  più  di  venti  anni  sono  ^  )  da  me  fu  detto ,  cioè 
superare  Y  edizione  del  trentasette  tanto  per  Y  estensione  dei  lavori  che  le  ser- 
virono di  base,  quanto  per  Y  imparzialità  e  la  ponderazione  del  giudizio  tutte 
le  altre  che  la  precederono. 

Non  poche  altre  varianti  si  trovano  sparse  in  numerosi  opuscoli,  molti  dei 
quali  furono  registrati  dal  diligeutissimo  de  Batines^).  Vi  sarebbero  da  aggiun- 
gerei alcune  >>  Lezioni  a  del  cinquecento  come  quelle  del  Gelli,  del  Varchi  e  del 
GiAMBULLARi  chc  furono  riscontrate  per  il  presente  lavoro.  Delle  opere  più  re- 
centi non  enumero  che  quelle,  lo  spoglio  delle  quali  somministrò  una  parte  delle 
varianti  che  a  pie  di  pagina  accompagnano  il  nostro   testo.     In  primo  luogo  ^) 


V.  114.     .Vede  alla  terra.  Cod.  102.  .Vede  alla  terra..    Cod.  7.  102.  124.  125.  129. 

135.  136.  143.   179.  450.  452.  453.  454.  455. 
456.  457.  458. 

.Si  vede  a  terra.»   Cod.  134. 
V.  124.     .a  trapassar  lo  rio..   Cod.  7.  124.  125.      »a  trapassar  lo  rio..    Cod.  7.  102.  124.  125.  129. 
129.    135.  143.  450.  452.  453.  455.  456.  457.         134.   135.  136.  143.    179.  450.  452.  453.  454. 
458.  459.  455.  456.  458. 

»al  trapassar  lo  rio.«    Cod.  457. 
*)  Annali  di  critica  scientifica    (JahrbUch^r  fUr   wissemchafUiche   Kridk)   Berlino,    1838, 
pa^.  638  —  656. 

^)  Bibliografia  Dantesca  I.  355  —  369. 

')  Le  »Correcliones  et  adnoioHones  in  Dantis  Comoediam^  di  Bartol.  Per.vzzini,  stampate 
in  fine  delle  *  Correctiones  et  explicationes  in  editionem  tractatuum  S.  Zenonis^.  Veronae  1775, 
e  ristampate  non  senza  gravi  errori  Venezia  1844  12,  mi  somministrarono  alcune  congetture 
assai  ingegnose,  ma  non  contengono  confronti  di  testi  a  penna. 


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lAl 

e  da  nominarsi  la  celebre  »  Lettera  di  Eustazio  Dicearcheo«  (Padre  Abate 
DI  Costanzo)  sopra  il  manoscritto  di  Monte  Casino.  Le  varie  lezioni  riferite 
dal  Costanzo  non  sono  numerose,  ed  in  parte  di  pochissima  importanza;  ma 
senza  dubbio  una  raccolta  assai  più  ricca  si  sarebbe  potuta  fare  di  quel  codice, 
il  quale,  quantunque  non  rappresenti  il  testo  più  antico  e  genuino,  è  scritto  con 
molta  diligenza,  e  merita  di  esser  annoverato  frai  buoni  ^). 

Alcune  varianti,  particolarmente  del  codice  Capilupi  di  Mantova  (De  Ba- 
tines  No.  245)  furono  pubblicate  dal  Padre  Antonio  Cesari  nelle  Bellezze  di 
Dante  (Verona  1824  —  26).  Altre  ne  suggerirono  al  celebre  Parenti  (Memorie 
di  Religione,  di  Morale  ecc.  T.  XIL  Modena  1827.  pag.  366  —  382.)  due  ma- 
noscritti dell'  istessa  città  che  si  conservano  nelle  biblioteche  dei  Marchesi 
Cavriani,  e  DI  Bagno  (De  Batines  No.  244,  243).  Il  più  corretto  di  questi  tre 
codici  sembra  quello  di  casa  Cavriani,  benché  V  ortografia  vi  tenga  molto  del 
latino,  e  il  testo,  che  concorda  per  lo  più  colla  lezione  volgata,  ma  non  anti- 
chissima, non  sia  esente  di  qualche  variante,  o  erronea,  o  almeno  non  ispalleg- 
giata  da  altri  buoni  testi  ^). 

')  L'ortografia  è  assai  più  corretta  che  nel  maggior  numero  degli  altri  testi,  benché 
non  sia  esente  di  barbarismi  come  «trappasar»,  »palludea,  »autupno«,  »langna«,  »spol- 
glie»  ecc.  —  Alcune  delle  lezioni  riportate  dal  Costanzo  si  riconoscono  facilmente  per  errori 
o  per  caprìcci  dell'amanuense,  come  Inf.  I.  3.  «avia  smarrita  «,  IV.  9.  »  Che  intorno  accoglie», 
VI.  18.  «Graffiagli  spirti  in  gola»,  Vili.  112.  «Udir  non  potti«,  XV.  42.  «Che  va  piando*  ecc. 
Assai  più  di  questo  genere  si  troverebbero,  confrontando  letteralmente  tutto  il  poema.  Ec- 
cone qualcheduna  presa  dal  solo  terzo  canto.  V.  16.  »Tu  se'  venuto»,  V.  22.  «pianti  e  altri 
guai»,  V.  45.  »Rispuose,  diroloti»,  V.  100.  »Ma  quelle  genti»  (Quest'  ultima  variante  è  ri- 
ferita dall'  Ab.  Costanzo). 

')  Per  esempio  Inf.  III.  41.  «In  el  profundo»,  45.  «Dicerotil»,  47.  »Ma  la  lor  cieca», 
74.  »Le  fa  nel  trapassar»,  110.  «tutti  là  raccoglie».  —  Più  frequenti  sono  gli  spropositi  nel 
cod.  di  Bagno,  scritto  nel  1380,  e  notabile  per  esser  uno  dei  pochi  che  nel  verso  59.  del 
terzo  canto  leggono  «Guardai  e  vidi».  Ecco  alcune  delle  sue  lezioni  particolari:  Inf.  IH.  17. 
«Ove  udirai".  22.  «pianti  et  altri  guai».  35.  «tiiste  di  quelloro»,  67.  «rigavan  si  di  sangue», 
73.  «Ch'io  vegga»,  79.  «Poscia  cogli  occhi»,  113.  «infin  che  di  ramo».  —  Il  cod.  Capilupi  è 
di  pessima  ortografia,  e  piuttosto  povero  di  varianti  particolari  a  lui.  Ne  cito  per  saggio  la 
«riviera  da  Caronte»  Inf.  III.  78. 


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LUI 

Maggior  importanza  si  e  data  alle  varie  lezioni  del  codice  Estense  (De 
Batines  No.  327)  riferite  dal  Prof.  Parenti  nelle  annotazioni  al  Dizionario  di 
Bologna,  ed  in  alcuni  dei  dotti  suoi  opuscoli.  Sono  dolentissimo  di  non  aver 
potuto  profittare  che  sulle  altrui  relazioni  di  quasi  tutti  gi'  insigni  lavori  dell' 
illustre  filologo  Modenese,  ma  confesso  di  attribuire  un'  autorità  maggiore  al 
tìnissimo  suo  giudizio,  che  alla  fede  del  decantato  codice  Estense.  Sanno  i  filo- 
logi che  gli  encomj,  dal  Montfaucon  prodigalmente  dispensati  ai  testi  a  penna, 
non  sono  troppo  sicuri;  ma  pur  sembra  che  le  poche  parole  dell'  eniditissimo 
Benedettino  (y*Codex  auctori  paene  aeqaaliSy  egregie  descriptusa)  abbiano  valuto 
al  codice  Estense  una  venerazione  quasi  superstiziosa.  Ella  non  è  veramente 
cosa  difficile  di  scegliere  dalle  tante  centinaja  di  lezioni  di  un  testo  a  penna 
un  bel  numero  di  tali  che  abbagliano  per  la  loro  novità  ed  adattabilità.  Ma  il 
criterio  per  farci  giudicare  della  bontà  di  un  codice,  invece  delle  numerose  va- 
ranti, consiste  nella  costante  purgatezza  del  testo,  la  quale  certamente  non  si 
trova  in  quel  codice  Modenese'). 

Le  «varie  lezioni  della  Seconda  Cantica  di  Dante  «  tratte  dal  codice  Ant  al- 
dino con  alcuni  riscontri  di  due  altri  testi  di  casa  Antaldi,  dell'  Olivekiano  di 
Pesaro  (De  Batines  No.  401),  e  di  un  «codice  in  pergamena  communicato  dal 
(^w.  Monti  «  (??),  stampate  a  Pesaro  nel  1813  in  un  foglio  volante,  oifrirono 
poco  di  nuovo  che  non  si  trovasse  nei  confronti  fatti  dalla  Contessa  Perticari 
e  pubblicati  dal  De  Romanis^). 

*)  Ecco  alcune  lezioni  errate  del  codice  Estense,  che  riscontrai  nel  solo  terzo  canto 
(leir  Inf.  V.  3.  Bne  la  perduta  gente*,  12.  «il  senso  lor  n'  è  duro«,  16.  «sian  venuti  a 
locho»,  21.  «Dentro  mi  misse«,  22.  «pianti  ed  altri  guai»,  23.  »per  l'aire»,  29.  »in  quel 
aire»,  30.  «quando  turbo»,  31.  «Ond'io  ch'avea«,  36.  «Che  visson  senza  fama  « ,  40.  «Cacciali 
il  cieU  ,  46.  «Rispose  dicerottel»,  51.  «Non  ragionian»,  55.  «E  dirieto  li  venia  « ,  56.  «Di  genti 
ch'io  non  arei  creduto»,  62.  «Che  quel  era»,  63.  «A  Dio  spiacente»,  67.  «EUi  rigava»,  68. 
•a'  suo'  piedi»,  71.  «Vidi  genti»,  73.  «Oh*  io  sappia  quai  son» ,  74.  «Le  fa  del  trapassar  parer», 
81.  «del  parlar  mi  trassi»,  104.  «L'umana  spezie  e  locho»,  108.  «che  Dio  non  crede»,  109. 
•chon  gli  occhi  di  bragia»,  113.  »L' una  presso  alF  altra» ^  117.  «Per  cenni  com'ucel»,  119. 
•che  di  là  sian»,  120.   «nuova  gente  s'aduna»,  129.  «se '1  suo  dir  suona». 

')  Vedi  qui  sopra  p.  XXX. 


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LIV 

La  »  Rivista  delle  varie  lezioni  della  Div.  Coirnn.  sinora  avvisate»  di  An- 
gelo SiccA,  Padova  1832,  non  è  materialmente  che  una  compilazione  dei  con- 
fronti che  gli  editori  anteriori  aveano  fatti:  lavoro  molto  accurato,  benché 
incompleto,  per  esservi  tralasciate  moltissime  varianti  già  avvisate.  Il  Sicca 
aggiunse  di  suo  proprio  il  confronto  di  quattro  testi  del  Seminario  di  Padova 
(De  Batines  No.  279 — 282).  Certe  parole  della  dedicatoria  potrebbero  far  cre- 
dere che  a  differenza  di  altri  che  aveano  «interrogato  qua  e  colà  i  suddetti 
codici»,  il  Sicca  gli  abbia  »  pazientemente  esaminati  dal  primo  all'  ultimo  verso*. 
Sarà  che  Y  abbia  fatto;  ma  certamente  non  ne  pubblicò  che  le  poche  lezioni 
che  servono  d'  appoggio  alle  varianti  già  d'  altronde  conosciute. 

Nel  1836  il  Prof  Ab.  Fortunato  Federici  pubblicò  178  versi  della  Div. 
Commedia  che,  citati  dal  Servita  P.  Paolo  Attavanti  (1419  —  1499)  nei  suoi 
sermoni  quaresimali,  offrono  una  qualche  variazione  dalle  nostre  edizioni.  Non 
e'  informa  il  Federici  se  gli  altri  1076  versi  parimente  riferiti  dall'  Attavanti  con- 
cordino col  testo  stampato,  o  se  le  varianti  per  avventura  non  siano  giudicate 
degne  di  esser  rese  di  pubblica  ragione.  L'  unica  di  queste  lezioni  venuta  in 
qualche  grido,  è  quella  famosa  del  »sugger  dette  «  (Inf  V.  59).  Per  dirne 
quel  eh'  io  sento,  non  credo  che  queste  differenze,  o  almeno  la  maggior  parte  di 
esse,  possano  dirsi  vere  varianti.  Suppongo  in  vece  che  V  oratore  sacro,  citando 
a  memoria  il  Poema  di  Dante,  alterò  qualche  volta,  non  volendo,  i  passi  citati. 

Ventotto  codici  (26.  Parigini,  uno  della  Bibl.  Regia  di  Brusselles,  ed 
uno  del  Sign.  Ardillio  —  De  Batines  No.  469,  470)  furono  consultati  da  Zani 
de'  Ferranti,  tanto  per  la  sua  edizione  dei  primi  tre  canti  (Parigi  1846),  quanto 
per  r  opuscolo  intitolato:  »  Saggio  di  varie  lezioni  da  sostituirsi  alle  invalse 
neir  Inf  di  D.  Al.«  (Bologna  1855).  Non  ho  mancato  di  paragonare  con 
quest'  ultimo  lavoro  l'  elegante  articolo  pubblicato  sopra  di  esso  dal  dotto  mio 
amico,  il  Sign.  Pietro  Fanfani  nell'  Append.  alle  Lettere  di  famiglia. 

Non  registro  le  notizie  critiche  che  avrei  potuto  prendere,  ed  in  parte  ho 
preso  dai  numerosi  opuscoli  relativi  a  qualche  passo  dubbio  del  Poema  di  Dante, 


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LV 


Sarà  difficile  di  trovarne  che  si  fondassero  sopra  un  materiale  critico  più  esteso, 
e  fossero  scritte  con  un  giudizio  più  fino  di  quelli  del  Sign.  Henry  Clark  Bar- 
Low  di  Newington  Butts ,  Surrey  *  ). 

Moltissime  lezioni  si  sarebbero  potute  rilevare  dalle  «Varianti  della  Div. 
C.  tolte  dal  cod.  membran.  Cortonksk  per  cura  di  D.  Agraaiante  Lorini.  Cor- 
tona 1858.  «  Due  però  furono  le  ragioni  che  me  ne  ritennero.  La  prima  che 
quando  questo  opuscolo,  eseguito  con  somma  diligenza,  mi  pervenne,  V  edizione 
presente  della  Cantica  d'  Inferno  era  già  tutta  terminata.  Oltre  a  questo  trovai 
cosi  grande  il  numero  delle  varianti  di  quest'unico  testo,  e  molte  di  esse  tanto 
lontane  dal  testo  stampato,  che  non  mi  bastava  1'  animo  di  ammetterle  tutte  nel 
brevissimo  spazio  rimastomi  a  pie  di  pagina.  Ciò  non  ostante  ho  consultato 
assiduamente  questi  confronti  per  farmene  dirigere  nella  scelta  della  lezione  da 
adottarsi  nel  testo. 

Fra  tante  centinaja  di  testi  a  penna  due  soli  furono  pubblicati  con  fedeltà 
diplomatica.  L'  uno  di  essi  è  il  celebre  codice  Vaticano,  dato  alle  stampe  da 
Aloisio  F Antoni.  Roveta  1820^),  che  forma  l'uno  dei  ftmdamenti  della  nostra 
edizione.  L'  altro  non  è  che  un  frammento  del  Paradiso  contenuto  in  un  codice 
della  Palatina  di  Firenze  (De  Batines  No.  165.  Palermo  No.  180)  che  abbraccia 
3240.  versi,  ossia  -^^3  della  Div.  Commedia.  Il  primo  a  intendere  Y  importanza  di 
questo  frammento  fii  il  Borghini,  il  quale,  come  si  conosce  dalla  pubblicazione 
recente  del  Gigli  ^),  chiamandolo  il  »>  Quinterno  « ,  il  confrontò  pei  canti  X — XIX. 
del  Paradiso  con  un  testo  comentato  nel  1337,  con  uno  di  quei  del  Cento  *)  e  con 
alcuni  altri  di  minore  importanza.     Ultimamente  il  Cav.  Palkumo,  credendo  rico- 

*  )  Remarks  on  the  reading  of  the  59.  V.  of  the  V.  Canto  of  the  Inf.  1850,  Rem.  m  the  read. 
(jf  the  114,  V,  of  the  VII.  C.  of  the  Farad.  1S57.  —  Francesca  da  Kimiiii.  1^^59.  —  Ateneo  di 
Londra,  passim,  ecc. 

*)  Vedi  qui  sopra  a.  p.  XXX.  (ili  esemplari  di  questa  edizione  differiscono  nel  modo 
(li  scrivere  le  iniziali.  Alcuni  abbondano  d' iniziali  maiuscole  (»r  son  al  terzo  Cerchio  de  la 
Pit)va«),  altri  ne  esibiscono  assai  meno  (  «T  son  al  terzo  cerchio  de  la  piova«). 

'  )  Studj  sulla  Div.  C.  p.  2(59  -  285. 

*)  Vedi  qui  sopra  p.  XLIX. 


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LVI 

noscervi  il  carattere  del  Petrarca,  lo  stampò  tutto  intiero  con  esattezza  diplo- 
matica nel  secondo  volume  dei  «Manoscritti  della  Palatina  «  p.  715 — 880.  Chiun- 
que ne  sia  stato  lo  scrittore,  non  si  può  negare  a  questo  codice  il  vanto  di  una 
correzione  rarissima  nei  testi  a  penna.  Egli  è  per  questo  eh'  esso  non  offre 
gran  numero  di  varianti,  le  quali,  quantunque  celebrate  da  chi  le  scoperse,  il 
più  delle  volte  non  sono  che  inavvertenze  o  emendazioni  erronee  del  copista. 
Ciò  non  ostante  mi  sembra  che  fra  le  poche  lezioni  particolari  al  Quinterno 
Palatino  vi  siano  alcune  che  non  permettono  di  supporre  nello  scrittore  una 
giusta  intelligenza  del  testo  da  lui  copiato^).  Non  ardisco  decidere,  se  vi  sia 
probabilità  che  il  Petrarca,  il  quale  durante  tutta  la  sua  vita  avea  fatto  mostra 
di  non  curar  Dante,  già  vecchio^)  si  sia  messo  a  copiare  e  postillare  di  proprio 
pugno  la  Divina  Commedia;  ma  le  postille  contengono  cose  che  mi  sembrano 
poco  degne  del  più  dotto  frai  letterati  del  trecento^),   e  l'ortografia  del  testo 

')  Eccone  alcuni  esempj:  X.  59.  »E  se  tutto  il  mio  am.«,  119.  »di  tempi  cristiani*. 
'122.  «dietro  alle  melode*,  145.  »la  gloriosa  nota»,  XI.  36.  »iì  fosser  per  guida «,  62.  »li  si 
fece  unito  «,  XII.  29.  »che  lagho  la  stella»,  XIV.  16.  »  ditene  corno  poi*,  108.  «Udendo  in 
quello  albor»,  109.  «Dintorno  intorno»,  XV.  44.  «che  il  parlar  distese»,  XVI.  35.  «Al  parto 
de  mia  madre»,  XVII.  109.  «Per  che  di  prudentìa»,  XVIII.  13.  «di  quel  punto  reddire». 
116.  «Mi  si  mostraro  »,  XXI.  99.  «qui  mover  li  piedi»,  XXIV.  118.  «La  gratia  che  dovea«, 
120.  «comò  aprir  tidevea»,  130.  «Ed  io  rispondo,  ch'io  credo»,  XXV.  60.  »  Quanto  a  questa 
virtute  è  in  piac. »  XXVI.  87.  «Per  la  propria  cagion»,  XXIX.  95.  «Sue  intenzioni»,  XXX. 
30.  «Noi  mi  seguita»,  113.  «più  de  mille  foglie». 

*)  Il  Sign.  Palermo  (Append.  al  libro  intitol.  Rime  di  D.  Al.  ecc.  Firenze  1858.  p.  249.) 
suppone  che  il  Quinterno  sia  scritto  dal  1360  al  1364. 

')  Non  so  credere  che  il  primo  latinista  del  suo  tempo  abbia  potuto  scrivere  un  latino 
tanto  barbaro  —  per  1'  ortografia  e  per  Io  stile  —  quanto  lo  troviamo  nel  Quinterno  Palatino 
(Vedi  per  es.  i  racconti  storici  a  p.  765,  66).  Non  intendo  come  il  Petrarca,  scrivendo  sola- 
mente per  suo  proprio  uso,  possa  avere  sprecato  il  suo  tempo  per  far  lunga  dissertazione  da 
scolarino  sulla  differenza  degli  angoli  retti,  ottusi  ed  acuti  (Parad.  XVII.  15),  o  per  notare 
il  numero  dei  giorni  compresi  nell'  anno  (XXVII.  143).  Qual  ragione  poi  avrebbe  mosso  il 
cantore  di  Madonna  Laura,  che  senza  dubbio  sapeva  la  storia  di  Lancelotto  e  di  Ginevra 
(Trionfo  d'  Amore  III.  79 — 82)  di  ripeterla  in  lunga  chiosa  (XVI.  15),  e  di  ripeterla  tutta 
piena  di  spropositi?  E  chi  vorrebbe  credere  Messer  Francesco  ignorante  a  tal  segno,  da 
far  fratelli   Ugone  e  Riccardo   da  San  Vittore  (131),    oppure  da  dir  identico   San    Dionigi 


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LVII 

è  differentissiina  da  quella  che  dagli  Rammenti  autografi,  pubblicati  dall'  Ubal- 
dini,  sappiamo  essere  stata  praticata  dal  Petrarca^).  Questo  però  sia  detto  di 
passaggio.  Quel  che  vi  rimane  di  certo  si  è  che  il  Quinterno  Palatino  è  un 
testo  eccellente,  al  quale,  quantunque  non  di  rado  già  si  allontani  dal  testo  pri 
mitivo,  sarebbe  da  accordarsi  un  luogo  distinto,  se  per  disgrazia  non  fosse 
ridotto  a  meno  di  un  quarto  del  Poema. 

Non  passerò  sotto  silenzio  lo  spoglio  di  varie  lezioni  che  si  rilevano  dal 
(•omento  di  Fr.  da  Buti,  fatto  da  un  antico  possessore  dell'  edizione  Veneta  di 
Ja(*opo  da  Burgofranco  (1529),  e  pubblicato  nel  1842  dal  Sign.  Consigl.  Gius. 
Bernardoni.  Anche  queste  lezioni  furono  registrate  nella  presente  edizione. 
Ma  forse  un  lavoro  assai  più  esteso  sarebbe  stato  da  intraprendersi.  I  comenti 
del  trecento,  che  oramai  in  gran  parte  abbiamo  alle  stampe,  danno,  o  suppongono 
non  di  rado  una  lezione  differente  dalla  volgata.  Alcuni  di  questi  comentatori 
(come  il  Laneo,  e  l'  Ottimo)  rimontano  a  un  tempo  anteriore  ai  codici  di  certa 
data  che  ci  sono  rimasti,  ed  anche  i  più  moderni,  per  quanto  si  crederebbe,N, 
coinentando  il  Poema  non  si  saranno  contentati  del  primo  testo  che  lor  capitava 
in  alano,  ma  avranno  consultate  le  migliori  autorità  che  in  quel  tempo  sapevano 
trovare.     Non  v'  è  dubbio  che  questo  spoglio  da  farsi  delle  varianti  che  si  tro- 

r  Areopagita  col  Saini  Denys  de'  Francesi  (X.  115)?  Se  questi  due  Santi  furono  confusi  in 
tempi  anteriori,  il  Petrarca  certamente  doveva  conoscere  la  confutazione  vittoriosa  di  questo 
errore  intrapresa  da  Pietro  Abelardo.  Si  cesserà  di  far  torto  al  Petrarca  ueir  attribuirgli  queste 
chiose,  avendo  osservato  che  molte  di  esse  sono  tolte  di  peso  dal  Laneo  o  dall'  Ottimo.  Noto 
tìnalmente  che  la  lezione  del  testo  non  concorda  sempre  con  quella  della  chiosa  (p.  es.  XXV.  29). 
*)  «Le  Rime  di  M.  Fr.  Petrarca,  estratte  da  un  suo  originale.  Roma  1642. «  Per  metter 
sotf  occhio  del  Lettore  questa  differenza  copio  alcune  voci  come  vanno  scritte  nel  Quinterno, 
apponendone  in  parentesi  l'ortografia  dell'autografo  Petrarchesco:  »fo,  foron,  fuor«  («fu, 
furon,  fur«),  «sarrà,  sarrian*  («sarà,  sarian«),  »chui«  (»cui«),  »collui«  (»colui«),  »luoco« 
(•loco*),  »como«  (»come«),  «maravigliaa  («meraviglia»),  «mela  (»miei«),  «intento,  intero, 
0  intiero*  («entento,  entero»),  «pensiero*  («penserò*),  «lascio*  (anche  nella  rima  con  «basso* 
e  «trapasso  XIV.  107),  «lasciato*  ecc.  («lasso,  lassato*).  Finalmente  il  Quinterno  scrive  là 
vocale,  dovunque  si  stia,  w,  e  la  consonante  t?,  mentre  il  Petrarca  in  principio  della  voce  mette 
sempre  e,  ancor  che  sia  vocale,  e  nell'interno  u  (per  esempio   ^otui*  invece  di  «uva*). 

H 


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LVlll 

vano  nei  cementi  antichi,  sia  di  non  piccola  importanza.    Ma  non  basterà  di 
certo  di  confrontare  il  testo  accompagnato  di  un  tal  comento,    che  Y  uno  assai 
spesso  non  concorda  coli'  altro.     Non  basterà  nemmeno  di  attenersi  ai  capoversi 
inseriti  nel  comento  stesso;   bisognerà,   non  dico  leggerlo,    ma  studiarlo  tutto 
intiero,    essendoché   la   lezione   seguita    dal   cementatore   molte    volte    non    si 
riferisca   da  lui   letteralmente,    ma  sia  da  desumersi  da   quanto   egli  dice  per 
ispiegare  il  passo  concernente.     Questo  lavoro  è  assai  difficile,  e  richiede  molto 
tempo,  massimamente  per  quel  che  riguarda  i  due  comenti  già  mentovati  per 
essere  i  più  antichi.    I  comenti  attribuiti  ai  due  Jigli  di  Dante  seguono   troppo 
di  lontano  il  Poema,   per  poter  rilevarne  spesso  la  precisa  lezione  seguita  dal 
cementatore.     Le  »  Chiose  «   del /a&o  Boccaccio  sono  un  lavoro  troppo  inferiore 
per  servire  alla  critica.     Importantissimi  invece  sono  i  Comenti  del  Boccaccio 
(sopra  XVI.   canti  dell'  Inferno),    di  Benvenuto  da  Imola   e  di  Francesco  da 
Buti.     Il  secondo  di  essi,   volendo  attenersi  alla  verità,  dovrebbe  dirsi  tuttora 
inedito,  benché  tre  grossi  volumi,  stampati  a  Imola  nel  1855  e  1856  pretendano 
di  esibirlo    «voltato  in  Italiano  da  Giov.  Tambuuini«.     Un  finissimo  conoscitore 
di  Dante,   il  Sign.   Charles  Eliot  Norton,  Americano,  diede  ultimamente  un 
giudizio  assai  severo  di  questa  malaugarata  impresa');  ma  quantunque  esso  sia 
severo,  non  posso  far  a  meno  di  sottoscrivervi  pienamente.    In  ogni  modo,   chi 
volesse  conoscere  la  lezione  del  testo  di  Dante,  seguita  dalFImolese,  dovrebbe 
ricorrere  tuttora  ai  codici  manoscritti. 

Tutto  altro  è  da  dirsi  dell'  eccellente  edizione  del  Comento  di  Fkanoesiu 
DA  Bu'j'i  pubblicata  con  sommo  studio  e  con  molta  intelligenza  critica  dal  Sign. 
Crescentino  Giannini  coi  tipi  dei  fratelli  Nistri  (Pisa  1858,  1860).  Se  la 
presente  stampa  non  fosse  stata  innoltrata  di  troppo,  quando  mi  pervenne  il 
primo  volume  di  questo  insigne  lavoro,  mi  sarei  facilmente  deciso  di  farne  lo 
spoglio  per  la  prima  e  la  seconda  Cantica  che  sinora  videro  la  luce.     Ora  dal 

'  )  »^  review  of  a  tran^lation  into  Italian  of  the  Coìnrn,  by  Benv.  da  Imola  on  the  Dir.  Contm, 
Cambridge.     Massachtisetts  1861. <* 


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LIX 


momento  che  mi  era  giunto,  V  ho  attentamente  consultato  ad  ogni  passo  che 
ini  pareva  dubbio.  Il  confronto  esatto  degli  antichi  comenti  è  dunque  una  bella 
impresa  che  lascio  quasi  intatta  a  un  fiitiu'o  editore. 


Abbiamo  veduto  che  dopo  i  cento  testi  degli  Accademici  antichi,  assai  più 
di  cento  altri  furono  consultati  per  emendare  coir  ajuto  di  essi  il  testo  di  Dante. 
Malgrado  di  questo,  la  lezione  di  numerosissimi  passi  della  Commedia  rimane 
incetta,  anzi  le  brighe  sulle  giuste  lezioni  si  sono  straordinariamente  moltipli- 
cate. Oltre  di  ciò  si  è  già  veduto  per  alcuni  esempj,  e  la  stampa  presente  lo 
proverà  anche  meglio,  che  dove  le  nostre  edizioni,  dette  critiche,  non  hanno 
segno  alcuno  di  variante,  assai  spesso  anche  i  migliori  codici  variano  fra  di 
loro,  oppure  sono  concordi  a  rigettare  la  lezione  generalmente  adottata  in  tutte 
le  stampe.  La  ragione  di  questo  fenomeno,  in  apparenza  cosi  strano,  si  è  rico- 
nosciuta nella  circostanza  che  dai  giorni  di  Aldo  Manucci  sino  ai  nostri  ogni 
nuovo  editore  si  attenne  ad  una  sola  stampa,  facendovi  più  o  meno  mutazioni,  ma 
conservandone  sempre  il  fondo,  vale  a  dire  al  testo  Aldino.  —  Credo  che  oramai 
si  converrà  universalmente ,  doversi  sostituire  a  questo  testo,  per  cosi  dire  »>tra- 
latizio«  un  altro  immediatamente  attinto  alla  fonte  genuina  dei  migliori  codici. 
Egli  è  per  questo  che  ho  preso  per  principio  fondamentale  della  presente  stampa: 
di  non  ammettervi  una  parola,  oppure  una  sillaba  senza  di  poter  appoggiarla 
suir  autorità  di  almeno  uno  dei  codici  che  le  servirono  di  base.  Sarà  che  edi- 
tori venturi  sostituiranno  altri  testi  ai  quattro  da  me  prescelti,  sarà  dunque  che 
col  tempo  molte  e  molte  nuove  lezioni  entreranno,  e  con  ragione,  in  luogo  di 
4uelle  che  ho  creduto  dover  adottare,  ma  sono  persuaso  che  non  si  potrà  più 
abbandonare  quel  principio:  che  un'  edizione  che  pretende  esser  critica,  deve  fon- 
darsi sulla  sola  autorità  dei  codici  manoscritti. 

Ma  come  saranno  da  consultarsi  questi  codici?     Se  i  confronti  sinora  fatti 
rimasero  imperfetti,   si  potrebbe   pensare  a  ricominciar  (juesto  lavoro,   a  riscon- 


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LX 


trar  di  nuovo  ogni  verso  ed  ogni  parola  del  Poema  nei  cento  testi  degli  Acca- 
demici, e  nei  più  di  cento  altri  che  da  quel  tempo  a  questa  parte  più  o  meno 
superficialmente  furono  esaminati,  si  potrebbe  pensare  ad  estendere  questi  con- 
fronti ai  forse  trecento  testi  che  tuttora  rimangono  intatti,  e  a  riunir  poi  sotto 
ogni  verso  della  Commedia  parola  per  parola  tutte  le  lezioni  in  questo  modo 
trovate.     S'  intende  facilmente  che  un  tal  lavoro,  che  richiederebbe  delle  spese 
immense  e  lunghissime  fatiche,  non  si  potrebbe  fare  che  colla  cooperazione  di 
un    grandissimo    numero  di  dotti  Dantofili  sparsi    per   tutta   Y  Europa  dovun- 
que si  trovano  codici  del  Poema,  dal  Portogallo  sino  in  Polonia,  dalla  Scozia 
e  dallo  Stretto  Baltico  sino  al  mare  Ionio.    E  se  poi,  forse  dopo  alcune  gene- 
razioni, la  vastissima  impresa  fosse  condotta  a  termine,  si  può  dire  con  certezza 
che  riuscirebbe  peggio  che  inutile.    Per  render  evidente  1'  impossibilità  di  oriz- 
zontarsi in  questa  smism'ata  congerie  di  varianti,  basterà  dire  che  le  varianti 
da  me  raccolte  per  il  solo  terzo  canto  dell'  Inferno  entrerebbero  appena  in  un 
grosso  volume  in  ottavo.    E  poi  la  maggior  parte  di  tante  e  tante  migliaja  di 
varie  lezioni  non  consisterebbe  che  in  errori  madornali,  in  ispropositi  ridicoli. 
Che  prò  ridonderebbe  per  esempio  allo  studio  della  Div.  Comm.  dal  conoscersi 
lezioni  come  le  seguenti:  Inf  III.  2.   »neir  interno  dolore «,  6.   »e  '1  fino  amore«. 
7.   «Dinanzi  a  noi«,  10.   «colore  churo«,  11.  »Vid' io  scolpite»,  12.   »il  sono  lor 
m'  è  durott,    16.    »Noi  slam  giunti «,    19.    »ch'  elle  sue  mani  alle  mie  pose«. 
26.   »incendie«    (o  »cociente«)  »d'  ira«,    30.   «Come  1'  aura  quando  '1  turbo  so- 
spira«,   33.  »nel  duol  se  investa»,    42.   »i  rei  ammebber  d'  elli»,  47.   »lor  cieca 
vistai,    48.  ogni  altra  persona»,   49.    »Giama  del  mondo  di  lor«    ecc.  ecc.?  — 
E  pure  queste  ed  altre  somiglianti ,  ed  anche  peggiori  si  trovano  a  centinaja  nei 
codici     E  come  potrebbe  esser  accaduto  altrimenti?    Si  è  già  veduto*)   che  il 
Borghini  censurò  la  maggior  parte  degli  scrittori  di  codici  come  «persone  ma- 
teriali».    S'  intende  che  per  lo  più  non  avranno  lavorato  che  per  guadagnarsi 
il  pane,   o  per  far  la  dote  alle  figlie,  dunque  non  ci  avranno  messo  gran  cura. 
*)  Qui  sopra  p.  XLIII. 


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LXI 

E  che  cura  ci  doveva  mettere  per  esempio  quel  cuoco  tedesco,  che  nel  1430 
ad  Arezzo  scriveva  un  Dante  per  il  suo  padrone  ').  Un  altro  scrittore  non  mise 
che  dodici  giorni  per  copiar  le  tre  Cantiche*).  Altri  ancora  profittavano  del 
tempo  che  doveano  passar  in  carcere,  per  far  manoscritti  della  Div.  Commedia^). 
Se  poi  avessimo  tutti  i  codici  »di  quei  del  Cento  «,  forse  senza  conoscerne 
r  origine  comune,  cosa  ci  servirebbe  di  confrontarne  sessanta  o  ottanta,  invece 
di  uno  solo,  dovendo  supporsi  che  questo  scrittore,  almeno  per  la  maggior  parte 
delle  sue  copie,  non  si  sia  prevalso  che  di  un  solo  originale?  Le  differenze 
dall'  una  all'  altra  di  queste  copie  già  non  potrebbero  essere  che  inavvertenze, 
0  pure  emendazioni,  più  o  meno  temerarie,  da  lui  intruse  nel  testo*).  Ne  im- 
portanza maggiore  potrà  risultare  alle  diverse  copie  dell'  istesso  originale  dall' 
esser  trascritte  non  dal  medesimo  ma  da  differenti  amanuensi.  Ora  non  si  può 
dubitare ,  che  se  vi  fosse  modo  di  riconoscere  gli  originali  dalle  copie  fatte  sopra 
di  esse,  tra  tante  centinaja  di  Danti  manoscritti  il  numero  degli  originali  si 
ridurrebbe  a  ben  pochi.     In  vece  dunque  di  accumulare  senza  scelta  le  mille  e 

*)  Cod.  Corsiniano  a  Roma  No.  608.  (De  Batines  No.  351.)  »Ego  Niccolaus  theotoni- 
cus,  dicti  domini  Capitanei  sui  Regimini  Kocus,  scripsi  et  compievi  hoc  opus  Dantis,  die 
vero  XXI.  mensis  Novembris  MCCCCXXX.»  Altri  Tedeschi,  copiatori  di  Dante,  sono  men- 
tovati dal  De  Batines  1.  615,  IL  311,  319.  Nel  quattrocento  molti  copisti  di  Codici,  mas- 
àmamente  a  Roma,  erano  tedeschi  o  francesi.     Gaye  Carteggio  d'Art.  I.  164. 

*)  De  Batines  No.  247.  —  Vespasiano  Fiorentino  Vite  di  uomini  illustri  d.  sec.  XV. 
(nello  Spicilegio  Romano  del  Card.  Ang.  Mail.  335,  36):  (Cosimo  de  Medici)  Bmi  disse:  Che 
modo  mi  dai  tu  a  fornire  questa  libraria?  Gli  rispuosi,  che  avendogli  a  comperare,  sarebbe 
impossibile,  perchè  non  se  ne  troverebbe.     Dissemi:  Che  modo  si  potrebbe  tenere  a  fornirla? 

Dissigli  che  bisognava  farli  scrivere Cominciata  la  Ubrarìa,   perchè  la  sua  volontà  era 

che  si  facesse  con  ogni  celerità  che  fusse  possibile,  e  per  danari  non  mancassi,  tolsi  in  poco 
tempo  quarantacinque  scrittori,  e  finii  volumi  ducento  in  mesi  ventidua«. 

')  De  Batines  No.  263. 

*)  Quel  Bettino  de'  Pili  (giudicato  dal  Sign.  Barlow  nell'  Ateneo  di  Londra  1861. 
No.  1766.  p.  286,  non  so  con  qual  fondamento,  »o  sittdeni  of  the  Div.  Comm.  writing  for  his 
(Atn  use,  or  as  a  piofis  exercise  «  )  non  è  V  unico  amanuense  del  quale  più  d'  una  copia  del  libro 
di  Dante  ci  sia  pervenuta.  Ne  abbiamo  tre  (De  Batines  No.  144,  261  e  431)  di  un  Paolo  di 
taccio  Tosi,  e  due  (De  Bat.  No.  137  e  189)  di  Bartolomeo  di  Andrea  Massone. 


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LKII 

mille  lezioni  di  ogni  codice  che  ci  capita  in  mano,  bisognerà  per  forza  limitarsi 
ai  testi  che  meritano  di  esser  detti  autorevoli. 

Gli  estensori  di  cataloghi  bibliografici,  e  gli  editori  che  consultarono  qual- 
che codice  sono  avvezzi  a  darne  un  giudizio  critico.  Raramente  però  avranno 
r  ingenuità  di  dire  un  testo  da  loro  descritto  cattivo  o  pessimo,  quantunque  lo 
meriti.  A  sentirli,  quasi  tutti  i  codici  sono  »  eccellenti  «,  »  correttissimi  «,  »(li 
buona  lezione «,  «ricchi  d'  importantissime  varianti»  ecc.*).  Sarà  che,  scriven- 
doli, credano  ben  meritati  questi  vanti;  ma  ripeto  che  l'aver  dato  alla  sfuggita 
una  qualche  occhiata  a  un  testo  a  penna,  1'  avervi  trovato  frugando  qualche 
variante  nuova  e  curiosa,  non  mette  in  grado  di  giudicar  del  suo  merito.  Già 
si  sono  veduti  gli  esempj  di  codici  di  altissimo  grido,  che  pure  guardandovi  da 
vicino  sono  scorrettissimi.  Ne  darò  un  altro  che  basterà  per  mille.  D  Sign. 
Ant.  Marsand  celebre  editore  del  Canzoniere  di  Frane.  Petrarca  e  famoso  biblio- 
grafo pubblicò  a  spese  del  governo  e  con  gran  lusso  tipografico  un  catalogo 
assai  disteso  dei  manoscritti  italiani  della  bibUoteca  di  Parigi  che  in  quel  tempo 
si  chiamava  Regia.  Ragionando  dei  codici  di  Dante,  gli  accadde  d'  imbattersi  in 
tre  di  essi  che  portano  numeri  doppj,  di  modo  che,  badando  ora  all'uno,  ora 
all'  altro  di  questi  numeri  li  descrisse  per  ben  due  volte,  come  se  fossero  non 
tre,  ma  sei.  Non  accorgendosi  per  questo  che  già  ne  aveva  parlato  lungamente, 
diede   la  seconda  volta   un   parere  sulla  bontà  del  testo   che  differisce  assai  di 

*)  Al  contrario,  a  dir  la  verità  sono  pessimi  con  ben  poche  eccezioni,  e  lo  erano  sin 
dal  trecento.  Ecco  quel  che  ne  dice  Coluccio  Salutati  in  una  sua  lettera  a  Nicol ao  da  Todi 
(Mehus  Vita  Ambrosii  Camaldulensis  p.  CLXXVIIL)    9  Est  mihi  cura,  vir  insignis,  quod  passim 

habere  correckun  opus  cUvinissufu  Dantis  nostri Sed  quorsutn  haecì    Ut  minus  admirere,  si 

tam  ardenier  me  concupiscere  oideas  aliqaem  textain  reperire  correctum.     Dici  qiddein  non  poteste 

quam  molesta  mihi  sit  ista  corruptio,  quae  ìibros  omnes  invasit Snnt  quidem  non  exempla,  sed 

exemplorum  simililudines.     Vera  quidem  exempla  vestigia  snnt  exemplarium  atqfie  sigilla,     Quae  vero 
prò  exemplis  habemus,  adeo  dissident  ab  exemplaribus ,   quod  plus  ab  eis  deficiant,  quam  statuae  de- 

ficere  soleant  ab  hominibuSy  quorum  simulacra  sunt Quae  quum  communis  calamitas  sit,  in 

hoc  libro  laiiìAS   obrepsit  et  copiosius.    quomam  vulgares   et  imperiti  perite  non  possunl,    quae  periti 
fecerunty  exeinplare  ,^ 


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LXIII 

(guanto  ne  avea  detto  prima.  Ecco  il  primo  suo  giudizio  sul  cod.  No.  416  del 
De  Batines   (pag.  9  e  10):    «Generalmente  parlando  riscontrai  in  questo  codice 

molte  e  molte  di  quelle  buone  e  sane  lezioni,   che  ormai  universabnente 

sono   state   ricevute Farmi  dunque  poter  conchiudere ,   specialmente  per 

r  esame  eh'  io  ne  ho  fatto,  che  riporsi  debba  pur  questo  fra  i  buoni  codici  di 
Dante,  de'  quali  è  ricca  la  bibhoteca  Parigina «.  Essendogli  poi  nuovamente  e 
sotto  un  altro  numero  tornato  in  mano  1'  istesso  libro,  immemore  di  quel  che 
avea  detto  prima,  ottocento  pagine  più  sotto  ne  sentenzia  così:  «Fattone  ch'io 
n  ebbi  un  po'  di  esame  circa  alla  lezione,  potei  avvedermi  che  chi  scrisse,  oltre- 
ché ignaro  della  nostra  favella,  ebbe  pur  la  disgrazia  di  aver  sotto  degli  occhi 
un  pessimo  esempio.  Se  ne  giudichi  dalle  due  terzine,  che  stanno  scritte  cosi 
—  ecc.  —  E  si  noti,  che  queste  due  terzine  sono  forse  delle  men  guaste  nella 
lezione  di  tutte  1'  altre u.  —  Anche  peggio  si  contradico  il  Marsand  a  ragione 
del  secondo  di  questi  tre  codici  (Fonds  de  rèserve  No.  7001.  De  Batines  No.  418 
e  426).  Dove  ne  parla  la  prima  volta  (p.  6,  7)  egli  ne  dice  »>  Sembrami  poter 
asserire,  essere  forse  stato  scritto  il  presente  codice  a'  tempi  del  poeta,  o  poco 

dopo   i  tempi  suoi Potei  conoscere   che  il  codice  fu  scritto   non  da  un 

amanuense  soltanto  di  professione,  ma  da  persona  letterata,  e,  se  pur  non  era 
tale,  con  somma  diligenza  e  pazienza  copiandolo  da  quel  manoscritto  eh'  ei 
teneva  sotto  degli  occhi,  e  che  certo  era  di  buona  dettatura,  poiché  non  accad- 
demi  di  trovar  in  questo  il  più  piccolo  errore  di  scrittura;  e  quanto  ad  alcune 
lezioni,  le  quali  danno  ancora  che  dire  a'  letterati,  sono  qui,  presso  che  tutte, 
come  si  leggono  ne'  più  famosi  manoscritti Credo  per  tanto  poter  affer- 
mare essere  uno,  se  non  de'  più  preziosi  che  si  conoscano,  certo  de'  più  corretti 
codici  di  Dante  di  questa  biblioteca;  e  ristampandosi  la  Div.  Comm.,  vorrei  con- 
sigliare l'editore  di  consultare  anche  il  presente  codice «.  Ritornando  a  discor- 
rere dell'  istessissimo  manoscritto,  ma  sotto  un  altro  numero  (p.  805)  ne  giudica 
meno  vantaggiosamente:  »  Quanto  a'  meriti  dell'  amanuense,  eccetto  la  costante 
uniformità  del  carattere ,   sono   ben  da  poco.     E  cosi  quanto  alla  lezione, 


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LXIV 

per  r  esame  che  a  luogo  a  luogo  ne  ho  fatto,  non  posso  veramente  dirne 
bene«.*)  —  Ora  se  tale  fu  V  incostanza  di  un  celebre  bibliografo  e  critico,  qua! 
fede  potrà  darsi  a  quei  soliti  giudizj  generali,  come  »  codice  buono,  eccellente  « 
ecc.?  —  Per  voler  sentenziar  di  un  testo  a  penna  bisogna  esaminarne  attenta- 
mente lettera  per  lettera  una  qualche  parte  non  troppo  limitata.,  diremo  almeno 
un  canto  intiero  della  Commedia. 

Non  bastando  dunque  1'  autorità  delle  persone  dotte  per  sceglier  i  testi 
che  più  degli  altri  meritano  di  esser  confrontati,  si  potrebbe  pensare  a  sostituire 
ad  ogni  altro  criterio  la  sola  età  dei  godici.  A  questo  espediente  si  oppone  però 
che  ben  pochi  sono  i  manoscritti  ceniti  di  una  certa  data,  mentre  le  regole 
dell'  arte  diplomatica  bastano  appena  per  farci  decidere  se  una  scrittura  dati 
dalla  prima,  o  dalla  seconda  metà  di  un  secolo.  Ora  se  egli  è  vero  che  già 
trent'  anni  e  meno  dopo  la  morte  del  Poeta  la  lezione  volgata  sottentrò  general- 
mente al  testo  primitivo  della  Commedia,  un  mezzo  secolo  è  un  periodo  troppo 
hmgo  per  poter  desumere  dalla  sola  età  di  un  codice,  in  questo  modo  deter- 

')  Rilevai  V  errore  madornale  del  Marsand,  di  spacciarci  tre  codici  per  sei,  pochi 
mesi  dopo  la  pubblicazione  del  Catalogo,  nel  Magazzino  di  letteratura  estera  (Magazin  fiìr 
LUercUur  des  Auslandes)  1836.  No.  2.  —  11  Sign.  Jacopo  Ferrari  che  somministrò  al  Visc.  De 
Batines  delle  notizie  ulteriori  sui  codici  Parigini,  stampate  nel  secondo  volume  della  Bibliogr. 
Dant.  (1848),  si  avvide  dell'  identità  dei  due  codici  annoverati  dal  Marsand  come  No.  8  e  70(). 
Ciò  non  ostante,  ragionando  degli  altri  manoscritti  di  Dante,  cadde  anch'  esso  nello  sbaglio  . 
del  suo  predecessore.  I  due  pareri  eh'  ei  da  sul  Cod.  F.  de  rés.  No.  7001.  si  contradicono 
anch'  essi,  benché  assai  meno  di  quei  del  Marsand:  P.  233.  »La  Cantica  dell'  Inferno  è  suf- 
ficientemente corretta,  ma  nel  Purgatorio  e  nel  Paradiso  gli  strafalcioni  che  caddero  dalla 
penna  del  copiatore,  sono  tanti  che  il  testo  è  quasi  inintelligibile.  Peccato:  perchè  fu  certa- 
mente cavato  da  ottimo  Codice  che  aveva  la  più  parte  delle  belle  varianti  del  famoso  Codice 
dell'  Estense,  che  qui  furono  guaste  e  maltrattate  dall'  imperizia  dell'  amanuense.»  P.  238. 
»I1  Purgatorio  e  il  Paradiso  sono  guasti  dagli  errori  del  copiatore  assai  più  dell'  Inferno. 
Ad  onta  però  che  sia  U7W  de'  più  scorretti.  Codici  che  ci  sia  capitato  alle  mani,  merita  tutta 
via  d'  essere  consultato,  perchè  presenta  in  qua  e  in  là  varianti  di  molto  valore,  le  quali 
non  furono  certamente  trovate  dall'  amanuense,  che  forse  copiava  da  pittore  le  parole  senza 
conoscerne  il  significato.»  —  Il  terzo  codice  che  nella  bibliogr.  Dantesca  ricorre  sotto  due 
numeri  (435  e  441)  è  quello  segnato:  Fonds  de  rès.  No.  7002.  (Marsand  p.  7,  8  e  805,  806). 


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LXV 


minata,  se  la  sua  lezione  si  possa  credere  genuina  o  secondaria.  Difalcando 
dalle  date  apposte  ai  codici  tutte  quelle  che  ora  si  riconoscono  per  false ,  appena 
cinque  codici  restano  che  rimontano  sino  al  quarto  e  quinto  decennio  del  tre- 
cento. Ma  ancoraché  ne  avessimo  in  maggior  numero,  e  che  arrivassero  anche 
nel  decennio  della  morte  del  Poeta,  la  sola  età  non  potrebbe  esserci  malle- 
vadrice  della  bontà  del  testo.  Benché,  generalmente  parlando,  i  testi  a  penna 
meritino  più  fede  quanto  più  si  avvicinano  ai  tempi  dell'  autore,  e  benché  quei 
•pochi  testi  d'  un  età  cosi  veneranda  si  distinguano  per  correzione  di  testo,  pure 
non  v'  è  dubbio  che  gli  amanuensi  trascurati  e  neghittosi  non  saranno  stati  meno 
scarsi  di  numero  nel  1330  che  nel  1350,  o  1360.  In  fatto  ne  abbiamo  la  prova 
decisiva  nei  due  comenti  più  antichi^  ne'  quali,  benché  1'  uno  sia  anteriore  al 
1328,  e  r  altro  dati  dal  1334  troviamo  già  numerose  lezioni  che  senza  dubbio 
devono  dirsi  errate. 

Bastino  alcuni  esempj  di  lezioni  erronee  adottate  dall'  uno  o  dall'  altro 
di  questi  comentatori.  Il  Laneo  legge  Inf.  VII.  30.  «perchè  li  urli?«  in  vece 
di  «perché  burh?«,  Vili.  78.  »mi  parea  che  fosser  fosse  «  per  »mi  parca  che 
ferro  fosse,  XIX.  8.  «Nuovo  Jason  si  radi  cui  si  legge  «  per  »  Nuovo  Jason 
sarà,  di  cui«,  Purg  VIII.  128.  »non  si  fregia^  per  »>non  si  sfregia«,  IX.  42. 
»ch'  é  spaventato  a  caccia»  per  »  che  spaventato  agghiaccia  a,  XXX.  85.  »  tra  le 
vinte  travia  per  »>tra  le  vive  travia.  Assai  più  frequenti  sono  le  false  lezioni 
neir  Ottimo  comento  (di  Andrea  Lancia,  notar  fiorent),  di  pochissimi  anni 
più  moderno  di  Jacopo  della  Lana:  Inf.  XVI.  3.  »>che  Y  arme  fanno  rombo  « 
per  «che  T  arnie  fanno  r.«  Purg.  Vili.  67.  «F  altro  a  me  si  volse  «  per  »r  altro 
a  un  si  volse«,  ivi  129.  »pregio  della  bontà«  per  »> pregio  della  borsai,  XXX.  15. 
«La  rivestita  voce  allegando»  per  ^)La  riv.  v.  allelujandoa,  ivi  93.  «Dietro  alle 
rote«  per  »>  Dietro  alle  note«,  XXXIII.  47.  »me'  ti  persuade  «  per  »>men  ti  per- 
suade a.  Farad.  I.  141.  »Com'  matera  quieta  «  per  »>Come  in  terra  quiete  «, 
XIL  11.  «paralleli  e  con  coluri«  per  «parali,  e  concolori»,  XXVIIL  50.  «Veder 
le  eose«    per  «Veder  le  volte «,  XXIX.  100.    «E  mente;  che  la  luce«    per   «Ed 

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LXVI 


altri  che  la  luce«  (Vedi  però  Y  »Agginnta«  dell'  Ediz.  Pisana,  presa  dal  cod. 
Laur.  XL.  2,  dove  si  legge  »E  mentre  che  la  l.a)  —  Quanto  più  poi  li  comenti 
si  allontanano  dal  tempo  del  Poeta ,  tanto  più  la  lezione  continua  a  peggiorarsi. 
Non  ne  darò  che  pochissimi  esempj.  Pi?:tro  di  Dante  che  scriveva  dal  1340 
al  1B41  legge  (Purg.  IX.  17)  »Men  dalla  carne,  e  più  dal  pensier  presa<«,  in- 
vece di  "Più  dalla  carne,  e  men  dai  pensier  presa«.  Nel  comento  di  Benve- 
nuto DA  Imola  si  trova  (Purg.  XXXI.  96)  «lieve  come  scola  «  per  »  lieve  come 
spola  «   ecc. 

Non  di  rado  questi  antichi  spositori  conoscevano  la  varietà  della  lezione, 
come  anche  nei  codici  del  Poema  qualche  volta  delle  varianti  si  trovano  notate 
in  margine  con  un  y^aliasa.  Già  il  Laneo  cita  la  lezione  (Purg.  VII.  15.)  «dove 
il  nutrir  s'  appigliate  per  «ove  il  minor  s'  appiglia».  L'  Ottimo  ne  riferisce  hi 
maggior  numero:  Inf.  XIII.  73.  «Per  le  nuove  radici  «  e  «Per  le  nove  rad.««. 
XVI.  19.  "Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei«  e  «Rie,  come  noi  rist. :  ehi«. 
Purg.  VII.  127.  «del  seme  suo  minor  la  pianta»  e  «del  seme  suo  miglior  la  p.«, 
XI.  3.  «di'  a'  primi  effetti»  e  «di'  a'  pr.  affetti»,  ivi  84.  «e  mio  in  parte»  e 
«e'I  mio  parte».  —  Anche  i  comentatori  più  recenti  menzionano  delle  varianti, 
come  p.  es.  Pietro  di  Dante  a  Par.  XVI.  58.  «E  tre  fiate»  ed  «E  trenta  fiate». 
Benvenuto  da  Imola  Purg.  VI.  123.  «dall'  accorger  nostro»  e  «per  corregger 
nostro»,  IX.  58.  «1' altre  gentil  forme»  e  «l'altre  genti  fuor  me»,  XXXI.  78.  (si 
conosce  facilmente  che  la  traduzione  dev' esser  tutta  errata)  «Da  loro  aspersione 
e  «Da  loro  apparsion».  Francesco  da  Buti  Inf  XVT.  102.  «Ov'  io  dovea  per  mille» 
e   «Dove  porla  per  mille» ,  XXIV.  119.   «quanto  se'  vera»   e   «quanto  e  severa». 

Se  dunque  già  circa  la  metà  del  trecento,  ed  aiicora  qualche  decennio 
prima,  i  codici  di  Dante  non  erano  esenti  di  false  lezioni,  e  variavano  fra  di  loro, 
la  sola  antichità  non  può  essere  il  criterio  che  ci  guidi  nella  scelta  dei  testi  da 
confrontarsi  a  preferenza  di  tutti  gli  altri. 

La  più  antica  di  tutte  le  date  apposte  a'  codici  della  Commedia  sarebbe 
quella  dell'  Olivjekano  di  Pesaro   (De  Batines  No.  401),   se  si   [potesse   prestar 


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LXVII 

tede  alla  nota  marginale  che  vi  si  trova  al  principio  del  canto  IX.  del  Purga- 
torio: »Palmizanfis  de  Palmizanis  foroliviensls  1328^.  Ma  la  scrittura  di  questa 
nota  differisce  visibilmente  da  quella  del  testo,  e  '1  March.  Antaldo  Antaldi  la 
giudicò  a  ragione  aggiunta  da  qualche  falsario  »per  ingainiare  chi  non  ha  peri- 
zia degU  antichi  scritti  « .  Appartenga  per  altro  a  quahnique  siasi  epoca,  in  ogni 
modo  questo  codice  è  uno  dei  pessimi  frai  cattivi*).  Un  secondo  testo  al  quale  si 
evoluto  attribuire  la  data  del  1328,  è  il  Tempi  ano,  detto  maggiore,  che  ora  si 
conserva  nella  Laurenziana  (De  Bat.  No.  7.).  Al  giorno  d'  oggi  tutti  concordano 
a  leggere  nelle  sottoscritte  del  Purgat.  e  del  Farad.  1398,  in  vece  di  1328.  Ciò 
non  ostante  il  Tempiano  è  senza  dubbio  uno  dei  testi  più  cori'etti,  del  Poema*-). 
—  Un  codice  della  Riccardiana  (No.  1046.  De  Bat.  No.  144)  porta  la  sotto- 
scrizione: «Scripto  per  mano  di  Paolo  di  Duccio  Tosi  da  Pisa  negli  anni  Dui 
MCCCXX Villi,  a  di  Vili,  di  septembre«,  per  la  qual  cosa  si  è  sospettato  che 
questo  manoscritto  possa  esser  identico  con  quello  di  Luca  Martini  ♦>  scritto 
Tanno  1329«,  che  fu  confrontato  dal  Borghini.  Trovandosi  però  che  due  altri 
lesti,  scritti  da  queir  istesso  Paolo  di  Duccio  Tosi  da  Pisa,  datino  dal  1403 
(Parigi.  No.  7255.  De  Bat.  No.  431)  e  dal  1405  (Milano.  Trivulz.  No.  4.  De  Bat. 
No.  261),  questa  data  dev'  esser  errata,  e  dovrà  dire  1399,  oppure  1429.  Del 
resto  il  codice  è  assai  corretto,  ma  le  lezioni  moderne  già  vi  si  trovano  nume- 
rose. —  Un  testo  colla  data  del  1334  dovrebbe  esistere  a  Ferrara^);  ma  shiora 
tutte  le  mie  ricerche  non  bastarono  a  proi'urarmene  una  notizia  più  precisa.  — 
La  data  più  antica  di  quelle  che  si  possono   creder  genuuio  si  troverebbe  dun- 

*)  Non  occorrerà  darne  che  ben  pochi  esempj:  Inf.  III.  2(5.  »Par.  di  dolor  acese  d'  ira«, 
V.  30.  «Chomo  T  arena  quando  tu  nnspira«,  V.  53.  «Che  gridando  chorea«,  V.  75.  «discierno 
per  lo  poco  lume».  V.  li).  »Le  coscie  te  fier  conte «.  78.  •riviera  da  Chironte».  V.  117. 
■Gittansi  dio  velinto» ,  V.  123.   «che  muovon  nelF  ira  di  Dio*. 

')  I  soli  errori  dell' amanuense  che  trovai  nel  terzo  canto  sono  V.  40.  •Canccianlì  i 
deli»,  e  V.  124.  »Et  pronti  al  trapassar  lo  rio».  Due  altre  lezioni  (V.  17.  «Che  vederai  le  genti», 
e  V.  31.  »avea  d'error  la  testa  cinta»)  non  si  possono  dire  errate,  ma  sono  di  quelle  ch'io 
credo  sostituite  dai  copisti  alle  primitive. 

*)  De  Batines  Bibliogr.  Dant.  II.  p.  211. 


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LXVIII 

que  nel  codice  Pucciano,  ora  di  Mylord  Ashbumham  a  Ashbumham  (De  Bat. 
No.  450  e  516).  Della  sottoscritta,  che  è  raschiata  quasi  tutta,  non  si  legge  che: 
"d^Ólto  1335«.  Il  testo  non  è  esente  di  errori  indubitabili,  e  di  lezioni  moderne  *). 
Più  corretti,  e  di  lezione  più  primitiva  sono  i  codici  Landi  di  Piacenza^)  (De 
Bat.  No.  237),  e  Trivulzio  (No.  2.  De  Bat.  No.  257)  che  portano  le  date  degli 
anni  1336  e  1337.  Ciò  non  ostante  anch'  essi  non  mancano  di  traccie  delle 
alterazioni  progressive  che  il  testo  di  Dante  subì  nei  manoscritti  del  trecento  \ 
Il  codice  DI  Santa  Croce  (De  Batines  No.  1)  dal  Dionisi  preferito,  e 
per  quel  eh'  io  credo  a  ragione  preferito,  a  tutti  gli  altri,  presenta  per  ben  due 
volte  la  data  del  1343.     L'  una  di  esse  che  si  leggeva  sulF  antica  coperta  del 

')  Inf.  III.  26.  t)Par.  di  dolori  atenti  d'ira  a,  V.  36.  »Che  vissen  senza  infama  «,  V.  41. 
»Nè  1  profondo  inf.« ,  V.  50.  «justitia  li  disdegna  a ,  V.  56.  »ch'io  non  avrei  creduto» ,  V.  67. 
«Elle  rigava  lor« ,  V.  73.  «Ch' io  sappia  quai  sono»,  V.  78.  «Sulla  trista  rivera  di  Caronte». 
100.  «quelle  anime  ch'erano  lassea,  V.  105.  »Di  lor  semenze»,  V.  111.  «Batte  co' remo». 
V.  119.   »E  'nanzi  ch'elle  sian«,  V.  122.  «Color  che  mojon»,  128.   «E  però  Caron  di  te«. 

*)  Essendo  privo  di  comenti,  il  cod.  Landi  non  dovrebbe  esser  identico  col  testo  di 
Zacc.  Tornabuoni,  scritto  nell' istesso  anno,  ma  accompagnato  di  «certe  cliiose»,  che  fu 
confrontato  dal  Borghini  e  da'  suoi  amici. 

')  Cod.  Landi,  Inf  III.  3.  «nella  perduta  gente*,  V.  7.  «Dinanzi  annoi «,  V.  36.  «Che 
visser  sanza  fama»,  V.  40.  «Chacciali  i  celia,  V.  56.  «ch'io  non  avrei  creduto»,  V.  64.  «Quei 
sciagurati  a ,  V.  65.  «ignudi  stimolati  « ,  V.  8L  «da  parlar  mi  trassi  « ,  V.  87.  «in  caldo  e  gielo«, 
V.  103.  «Bestemiando  Idio«,  V.  106.  «Poi  sirracolser* ,  V.  110.  «tutte  li  raccoglie «,  V.  111. 
«Batte  con  remo«,  V.  113.  «L'  una  presso  dell'  altra  fin  che  '1  ramo«,  V.  116.  «Gittasi», 
V.  126.  «si  volve  in  disio»,  V.  136.  «che '1  sonno  piglia».  —  Cod.  Trivulzio:  Inf  I.  20. 
«m'era  indurata»  —  V.  28.  «Com'io  posato  un  poco»,  V.  47.  «con  bramosa  fame»,  V.  60. 
»Mi  rimpingeva»,  V.  69.  «ambendui»,  V.  72.  «Nel  tempo».  II.  22.  «Lo  quale  e  il  quale». 
V.  43.  «la  parola  tua»,  V.  57.  «in  la  favella»,  V.  79.  «La  vita  si»,  V.  80.  «Se  già  fosse 
men  tardi»,  V.  81.  «Più  non  t' è  uo' eh' apr.» ,  V.  103.  «Beatrice,  disse».  III.  31.  «eh' avea 
d' error» ,  V.  36.  «senza  infama»  (le  due  prime  lettere  dell'ultima  parola  sono  cancellate), 
V.  38.  »nè  furon  ribelli»,  V.  40.  «Cacciali  i  CieU,  V.  56.  «ch'io  non  avrei  cred.»  V.  81. 
»del  parlar  mi  trassi»,  V.  106.  «Poi  si  raccolser» ,  V.  120.  «nuova  gente  s'aduna»,  V.  130. 
»la  buia  compagna»,  V.  136.  «ehe'l  sonno  piglia».  IV^.  9.  «Chentrono  accoglie»,  V.  29. 
»ch' eran  molto  grandi»,  V.  101.  «Che  sì  mi  fecer» ,  V.  106.  «Giugnemmo  al  piò»,  V.  120. 
«del  vedere  in  me»,  V.  125.  «Dall'  altra  parte  vidi»,  V.  141.  «Tullio,  Alino»,  V.  151.  »non 
è  chi  luca». 


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LXIX 

manoscritto  è  senza  dubbio  di  mano  assai  più  modenia,  e  dovrebbe  esser  ag- 
giunta dopo  la  morte  di  Fra  Tedaldo  della  Casa,  il  quale  almeno  nel  1406*) 
era  ancora  vivente.  L'  altra,  posta  nella  fine  dell'  opera  (^>Completum  infesto 
Sanctae  Annae^  —  26.  di  Luglio,  —  »2W  quo  Dux  Athenarurìiy  Gualterius  tyran- 
nns  civitatis  Fiorentine pulsus  est.  f  1343 «),  fu  creduta  dal  De  Batines  della  mano 
tlel  copista.  Egli  è  vero  che  vi  fu  chi,  invece  della  croce  che  precede  il  numero 
deir  anno,  leggesse  un  14.  cancellato,  come  se  lo  scrittore  per  isbaglio  avesse 
voluto  scrivere  1443;  è  vero  inoltre  che  il  De  Batines  credette  riconoscere  nel 
numero  1343  il  carattere  di  Sebastiano  di  Giovanni  Buccelli  (?)  che  mori  nel 
1466*'^),  ma  questi  dubbj  sono  di  nessun  rilievo,  per  quanto  si  ammetta  1'  auten- 
ticità della  nota  relativa  alla  cacciata  del  Duca  di  Atene.  Non  meno  dubbio 
è  il  nome  del  copista  La  soprascritta  dell'  antica  coperta  dice  «Scritto  per 
mano  di  Messer  Philippo  Villani».  Un'  altra  nota  aggiunta,  al  parere  del 
Mehus,  da  Fra  Tedaldo  alla  fine  della  Commedia  concorda  a  dire:  »  Questo  libro 
fii  scripto  per  mano  di  Messer  Phylippo  Villani  il  quale  in  Fii^enze  in  publiche 
scuole  molti  anni  gloriosamente  con  expositione  litterali  allgorice  anagice  et 
morali  lesse  et  sue  expositionj  a  molti  sono  coinmunicate«.  Ora  non  solamente 
il  Dionisi  *)  e  il  De  Batines  ci  dicono  che  la  scrittura  del  codice  di  Santa  Croce 
non  concorda  con  quella  di  un  altro  testo  indubitabilmente  scritto  da  Messer 
Filippo,  ma  sappiamo  che  quest'ultimo  visse  per  lo  meno  sino  all'  anno  1405*). 
Egli  è  per  questo  che  il  Dionisi,  il  Manuzzi  e  il  De  Batines  dicono  suppositizio 
il  nome  di  Filippo  Villani.  Si  avverta  però  che  abbiamo  notizia  di  un  altro 
Filippo  Villani,  fratello  dei  due  storici  Giovanni  e  Matteo,  che  troviamo  men- 
zionato in  un  contratto  del  23.  Maggio  1343,   e  che  nel  1324  fu  de'  Signori  di 


*  )  Mehus  Vita  Ambrosii  Camald.  p.  234 ,  235. 
')  Mehus  ivi  p.  344. 
*)  Aneddoto  V.  p.  75. 

*)  Fi!.  Villani  Vita  di  Coluccio  Salutati,  nelle  Vite  d' uoni.  ili.  Fiorent.  Ed.  d.  Mazzu- 
chelli  p.  XXVII.,  e  nota  20.  dell'  editore.     Mehus  1.  e.  p.  128. 


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LXX 

Firenze  *  ).  Sembra  dunque  che  le  ragioni  sinora  addotte  non  bastino  per  levare 
al  codice   di  Santa  Croce  il  nome  di  testo  di  Filippo  Villani  -). 

Più  recente  di  pochi  anni  è  un  altro  codice  della  Laurenziana  (già  della 
Biblioteca  Gaddi:  De  Batines  No.  2  )  scritto  da  Francesco  di  Seh  Nardi  nell'  anno 
1347,  ma  mancante  d' incirca  un  quarto  della  Commedia.  Anch'  esso  è  da  anno- 
verarsi trai  codici  più  corretti,  benché  alcune  varianti  a  lui  particolari  non  sem- 
brino certamente  provenire  dall'  autore^). 

Un'  altro  manoscritto  del  1347,  e  con  soscrizione  somigliantissima  a  quella 
del  testo  Gaddiano,  fu  venduto  più  volte  nel  secolo  scorso,  e  sembra  smarrito, 
dacché    la   biblioteca  Crevknna   fu   posta   all'  incanto    (De  Batines   No.  465)*). 

')  Sigilli  IV.  76.  Mehus  l.  e.  p.  279,  323,  324.  Montani  nell'  Antologia  di  Firenze  1832. 
Marzo  p.  16.  Si  sa  per  altro  che  Fil.  Villani  era  avvezzo  ad  aggiungere  ai  suoi  codici  f  esametro: 
Non  heiiepro  toto  libertas  venditur  auro^  che  ricorre  più  volte  nel  cod.  S.  Croce  (Mehus  1.  e.  294.). 

^)  Non  volendo  sembrar  troppo  parziale  per  questo  codice,  credo  dover  registrar  qui 
alcune  lezioni  di  esso,  che  per  esser  apertamente  viziose,  e  per  vedersi  corrette  da  mano 
antica  non  mi  sembrarono  degne  di  esser  riferite  sui  margini  della  presente  edizione:  Inf.  I. 
20.  »laco  del  coro«,  V,  69.  «Mantovani  nati  per  patria»  ,  V.  77.  »non  sali  tu  il  dil.«  V.  128. 
»la  sua  e  Talto».  U.  38.  «E  nuovi  pensier«.  III.  49.  »il  modo  esser  non  lassa».  IV.  29. 
»  eh'  eran  molto  grandi  « . 

*)  Inf.  XXVI.  15.  «Rimontò  lo  mio  maestro»,  V.  21.  «lo  ingegno  affermo«,  V.  50. 
>»e  già  m'  era  avviso» ,  V.  55.  »Rispuose  a  me«,  V.  57.  »Alla  vendetta,  chome« ,  V.  93.  »Enea 
la  nomasse»,  V.  114.  »E  questa  tanto»,  V.  123.  »li  averei  tenuti»,  V.  136.  »Noi  ci  ralle- 
gramo».  —  Purg.  VI.  29.  »luce  mia,  spresso,  V.  45.  «Che  lume  sia»,  V.  60.  «Quella  ne 
asennerà» ,  V.  92.  «Ceserò  nella  sella»,  V^.  125.  »>un  Metel  diventa»,  V.  139.  «Athena  e 
Macedonia». 

*)  Della  seconda  metà  del  trecento  conosciamo  da  ventisette  a  ventinove  codici  datati. 
Eccone  la  tavola,  disposta  in  modo  che  i  numeri  apposti  in  parentesi  alla  data  del  codice 
si  riferiscono  alla  numerazione  del  De  Batines:  1351.  (414.),  1355.  (3.),  1360.  (per  quanto  dice 
il  Palermo  I  MS  ti.  della  Palat.  p.  538;  che  il  De  Bat.  No.  173.  vi  lesse  1460.),  1362.  (464.), 
1368.  (187.),  1369.  (322,  e  402.),  1370.  (4.),  1372.  (258.),  1373.  (236.),  1378.  (345,  e  408.),  1379. 
(518.),  1380.  (243.),  1385.  (102.),  1386.  (al  dire  del  Palermo  p.  535;  che  il  De  Bat.  attribuisce 
questo  codice  No.  164.  al  1383.  —  Forse  anche  362.),  1387.  (451.),  1392.  (133.),  1393  (5.), 
1394.  (141,  323,  e  416.),  1396.  (6.),  1398.  (198  [smarrito],  e  247.),  1399.  (235,  e  248.).  Più 
numerosi  (36.)  sono  i  manoscritti  che  portano  una  data  della  prima  metà  del  quattrocento: 
1401.  (348  ~  è  incerto  se  la  data  appartenga  al  testo  della  Commedia,  oppure  ai  versi  latini 


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LXXI 

Se  dunque  non  basta  nemmeno  la  data  apposta  ai  eodici,  per  riconoscere 
quelli  che  meriUmo  di  esser  prescelti  come  i  più  corretti  e  più  autentici,  il  critico 
non  potrà  far  a  meno  di  far  passar  in  rivista  tutti  quei  tanti  e  tanti  testi  a  penna 
sparsi  per  le  librerie  dell'  Europa  *).     Ne  gli  sarà  permesso  di  rigettare  senz'altro 

che  vi  stanno  infine),  1402.  (240.),  1403.  (431.),  1405.  (2G0,  e  261.),  1408.  (180,  e  202.),  1409. 
(231.J.  1411.  (181,  405,  e  432.),  1412.  (51,  141,  e  508.),  1413.  (141.),  1414.  (230.),  1415.  (57.), 
1417.  (58.),  1418.  (59.),  1419.  (367.),  1421.  (296.).  1426.  (143.),  1429.  (85-  [cioè  Laurent.  XLIl. 
17J,  144,  e  388.),  1430.  (351.),  1431—34.  (85»»,  cioè  Laur.  XLIL  14-16.),  1435.  (223,  e  26:^.), 
1442.(62.),  1443.  (63,  e  489.),  1445.  (496.),  1446.  (297.),  1447.(107.),  1448.(145.).  Non  meno  di 
26  testi  a  penna  esibiscono  la  data  dei  due  seguenti  decennj:  1452.  (64.),  1453.  (224.),  1455. 
(344.),  1456.  (65,  e  433.),  1457.  (109,  e  189.),  1459.  (182,  e  333.),  1460.  (265.),  1461.  (68,  334, 
e  528.),  1462.  (110.),  1464.  (352.),  1465.  (146,  360,  e  371.),  1466.  (66,  111,  266,  e  310.),  1467. 
(112.),  1469.  (434.  e  478.),  1470.  (67.).  Le  date  posteriori  alle  prime  stampe  della  Commedia 
non  sono  frequenti.  Se  pure  alcune  se  ne  trovano  sino  allo  scorcio  del  secolo,  la  ragione 
per  cui  si  continuava  a  servirsi  della  penna,  invece  dei  caratteri  tipografici,  sarà  stata  per 
avventura  che  alcuni  raccoglitori  di  libri  preferivano  i  codici  manoscritti  alle  più  belle  stampe. 
Vespasiano  Fiorentino,  parlando  di  Federico  Duca  d'Urbino,  ci  dice  che  nella  libreria  da 
esso  fondata  »i  libri  tutti  sono  iscritti  a  penna,  e  non  v'è  ignuno  a  stampa,  che  se  ne  sarebbe 
vergognato»  (Spicileg.  Roman.  1.  129.).  Ora  i  codici  che  portano  una  tal  data  sono  i  seguenti: 
(1611472.(69,6  148.),  1475.(267.),  1477.(178.),  1478.(353.),  1479.(70.),  1480.(71.),  1495. 
(So**-  [cioè  Laur.  XLIL  18],  e  232.).  -  I  testi  del  cinquecento,  come  del  1502.  (341.),  1510.  (250.), 
1586.  (162.),  oppure  di  secoli  anche  più  recenti,  come  una  copia  dell'edizione  della  Crusca 
(373.),  ed  un'altra  fatta  dal  Biscioni  (120.),  non  meritano  di  esser  detti  »codicia.  —  Noto  di 
passaggio  che  tre  testi,  confrontati  dal  Borghini,  eh'  erano  scritti  nel  1410,  nel  1463.  e  nel 
1475,  sembrano  smarriti.  —  I  se(|uenti  codici  di  conienti  sopra  Dante,  senza  il  testo  del  Poema, 
hanno  parimente  la  data:  1355.  (De  Batines  Bibliogr.  IL  p.  292.),  1362.  (I.  616.),  1377.  (IL  316.), 
1.380.  (L  625,  e  IL  330.  No.  563.),  1383.  (L  607,  e  IL  284.),  1393.  (1.  628,  e  11.  461.  No.  473. 
24.),  1394.  (L  643.),  1395.  (I.  608.),  1399.  (L  615.),  1406.  (IL  311.),  140S.  (11.304,  e  332),  1409. 
(11.305.),  1410.  (IL  328.),  1412.  (II.  312.  No.  XIX.),  1414.  (IL  327.  No.  558.),  1416.  (IL  307.),  1421. 
(U.  311.),  1423.  (IL  308.),  1428.  (I.  607.),  1430.  (II.  310,  e  313.),  1431.  (11.  289.),  1444.  (L  605.), 
1453.  (I.  639.),  1454.  (II.  331.),  1455.  (II.  327.),  1456.  (IL  350.),  1458.  (IL  82.  No.  147.),  1459. 
fU.  307.  Laurenz.  Strozz.  159.),  1462.  (IL  311.  No.  16.),  1475.  (I.  ()38.).  1480.  (II.  338.),  1488. 
(IL  350.). 

')  11  «Catalogo  de' codici  manoscritti  «  compilato  dal  De  Batines  ha  537.  numeri;  ma 
(juesta  numerazione  è  assai  inesatta.  Non  meno  di  ventiquattro  codici  ricorrono  sotto  un  altro 
numero.  Questa  coincidenza  è  indicata  dall'autore  stesso  ai  numeri  197,  199,  200,  201,  202, 
203,  204,  205,  206,  207,  208,  209,  210,  211,  212,213,214,216,217,218,471,521,536.  Non 
la  vide  pei  numeri  426,  e  441  che  sono  identici  col  418,  e  435.    Oltre  a  (|uesto  sono  da  levarsi 


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LXX.1I 

i  codici  che  pel  carattere  della  scrittura,  o  per  V  ortografia  si  conoscono  scritti 
un  secolo  o  più  dopo  la  morte  del  Poeta,  potendo  darsi  che  un  tal  codice  sia 
copia  dì  un  altro  ottimo  ed  antichissimo,  ora  per  noi  smarrito.  Supponendo 
che  per  determinare  il  carattere  e  il  pregio  di  un  testo,  basti  1'  accurato  esame 
di  una  parte  di  esso,  cominciai  questo  lavoro  trentacinque  anni  sono,  e  scelsi 
per  campione  il  terzo  canto  dell'  Inferno.  Perseverandovi  assiduamente,  non 
istancandomi  a  far  numerosi  viaggi,  ad  intrattenere  un  esteso  carteggio,  a  sagri- 

citique  codici  che  non  contengono  che  comenti,  e  forse  qualche  brano  del  Poema  (37,  49, 
147,  303,  e  473.  No.  22,  23,  e  24.),  otto  altri,  per  lo  più  di  data  recentissima,  che  invece 
dell'opera  di  Dante  ne  danno  poverissimi  estratti  (121,  122,  133,  160,  161,  331,  340,  390.), 
e  cinque  che,  per  essere  scritti  dopo  la  fine  del  quattrocento,  non  si  possono  dir  ^codici» 
(120,  162,  250,  341,  e  373.).  Finahnente  anche  i  testi  smarriti,  almeno  per  il  momento,  ed 
enumerati  dal  De  Bat.  in  diciasette  numeri  (192.  [due],  193.  [quasi  tutti  i  testi  consultati  dagli 
Accademici],  194,  195,  196.  [tre],  198,  217.  [tre]  392.  [due],  395,  396,  417,  449,  465,  46G, 
467,  468,  e  472.  [due  cartacei]),  non  possono  prendersi  in  considerazione  per  il  nostro  scopo. 
Cosi  si  riduce  il  numero  dei  testi  a  478.  Ma  anch'  esso  non  è  esatto.  Alcuni  numeri  del  De 
Batines  comprendono  più  codici  (il  numero  85.  ha  tre  testi  dell*  Inferno,  due  del  Purgatorio, 
e  due  del  Paradiso,  e  il  393.  ne  registra  due),  altri  manoscritti,  benché  mentovati  dal  De 
Batines,  non  ottennero  da  lui  numerazione  (due  Trivulziani  a  p,  145,  il  Ferrarese  p.  211,  e 
un  cod.  del  Dott.  Nott  di  Winchester  p.  265.),  altri  finalmente  rimasero  sconosciuti  a  quel 
dilìgentissimo  Francese  (si  aggiungano  dopo  il  numero  186.  un  cod.  della  Sign  Marchesa 
Venturi  ne' Ginori,  dopo  il  220.  un  cod.  di  Poppi  in  Casentino,  mentovato  dal  Sign.  Barlow, 
dopo  236.  un  secondo  Parmigiano,  dopo  393.  un  terzo  Bolognese,  ed  in  fine  dell'  opera  tre 
testi  nuovamente  acquistati  dal  Museo  Britannico  [registrati  dal  Sign.  Barlow] ,  due,  poco  tem|)o 
fa,  posti  in  vendita  dal  Hbrajo  Laemmlein  di  Scafiusa,  e  dal  librajo  Potier  di  Parise,  e  tre  che 
furono  del  March.  Antaldo  Antaldi  di  Pesaro.  Inoltre  si  sostituisca  ai  due  codici  cartacei 
dell' Escuriale  (472.),  che  non  esistono,  un  membranaceo  della  y*  Biblioteca  Nacionah  di  Madrid). 
Con  questi  20.  codici  il  numero  totale  arriva  a  498. 

I  miei  confronti,  limitati  per  lo  più  al  terzo  canto  dell'  Inf,  non  potettero  abbracciare 
tutti  questi  testi.  Ne  rimasero,  per  necessità,  esclusi  non  solamente  tutti  i  codici  che  non 
comprendono  che  le  due  ultime  Cantiche  (De  Bat.  No.  105,  276,  e  379.),  oppure  il  solo  Pur- 
gatorio (No.  25,  38,  56,  150,  378,  e  497.),  o  finahnente  la  terza  Cantica  (No.  5,  39,  60,  61, 
87,  108,  128,  140,  165,  181,  219,  220,  226,  250,  253,  278,  290,  308,  321,371,499,503.),  ma 
quelH  ancora  che,  benché  contengano  l' Inferno,  pure  non  ne  hanno  il  terzo  canto  (No.  2,  40, 
43,  94,  99,  116,  158,  187,  263,  295,  305,  330,  332,  355,  387,  393-,  424,  430.).  Era  dunque 
impossibile  che  questi  confronti  si  estendessero  a  più  di  449.  codici. 


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LXXIII 

ficare  delle  somme  assai  al  di  sopra  alle  mie  circostanze,  pure  ho  dovuto  con- 
vincermi,  che  per  esser  eseguita  bene,  V  intrapresa  sorpassa  la  forza  di  una  sola 
persona,  scarseggiante  dei  mezzi  opportuni,   e  separata  per  tante  centinaja  di 
miglia  dalle  librerie  più  doviziose  di  testi  a  penna.    Ho  veduto  che  Y  essermi 
limitato  a  un  solo  canto ,  non  mi  permetteva  di  formarmi  un  giudizio  sopra  tutti 
i  codici  che  ne   sono  privi,    il  numero   dei   quali   arriva  alla   decima  parte  di 
quanti  si  conoscono.    Ho  trovato  che  tutte  le  mie  fatiche  non  bastarono  a  farmi 
avere  i  confronti  del  rimanente  dei  testi.     Alcuni  possessori  di  codici,  o  biblio- 
tecarj  non  si  degnarono  nemmeno  di  rispondere  alle  mie  lettere*),  altri  si  scu- 
sarono con  dire  che  i  manoscritti  non  si  trovassero*^),  altri  ancora  dissero   di 
non  aver  di  soverchio  la  mezz  ora  richiesta  a  quel  poco  di  collazione  *).    Final- 
mente mi  sono  accorto  che  molti  e  molti  così  detti  confronti  m«incavano  dell' 
esattezza  indispensabile  pel  mio  scopo.     Moltissime  varianti  sfuggono  V  occhio  di 
chi  confronta  più  o  meno  alla  sfuggita.    Anche  maggiore  è  forse  il  numero  delle 
varianti  passate  sotto  silenzio  per  esser  credute  indifferenti  o  inette;  eppure  nes- 
suna lezione  può  esser  indifferente  per  chi  cerca  d'  indagare  la  genealogia  dei 
testi.    Non  mancano  nemmeno  i  bibliotecarj   che,  per  non  recar  pregiudizio  a 
qualche  codice  da  loro  prediletto,  credono  dover  tacerne  le  varianti  indubitabil- 
mente erronee. 

Dall'  altra  parte  non  saprei  lodare  mai  a  sufficienza  la  gentilezza  con  cui 
tante  e  tante  persone  di  ogni  paese  generosamente  ajutarono  questi  miei  lavori 
che  pur  troppo  pericolavano  di  sembrare  sterili.  Primeggia  tra  essi  la  b.  m. 
deir  illustre  Marchese  Gian  Giacomo  Trivulzio,  primo  e  nobilissimo  fautore  e 
promotore   de'  miei  studj   Danteschi.     Sarebbe  cosa  difficile  di  enumerare  tutti 

*)   Cosi  per  esempio  i  possessori  dei  testi  312  — 14,  450  — 4GI,  464. 

*)  •Mr, . .  fears*  ^  mi  scrive  un  possessore  di  tre  testi,  »iV  would  be  difJiciUt  io  find  the 
MSS.  of  Dante,  ali  the  Library  lately  having  been  so  much  deraìiged a , 

')  No.  505.  —  Per  queste  ed  altre  ragioni  rimangono  ancora  a  farsi  i  confronti  del 
terzo  canto  nei  testi  85—,  176,  180,  183,  184,  186,  191,  312-14,  317,  361,  386,  388,  389, 
:»K  394,  408,  451,  460-64,  470.  475,  483,  484,  501,  502,  504-.8,  516—20. 

K 


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LXXIV 


che  in  cortesia  o  simile,  o  poco  minore  gli  tennero  dietro.  Devo  contentarmi 
di  mentovarne  almeno  alcuni,  benché  dolente  della  certezza  in  cui  mi  trovo  di 
tralasciarne  assai.  Già  passati  a  miglior  vita  non  vedranno  più  questi  miei 
lingraziamenti  i  Sign.  March.  Antaldo  Antaldi,  Anton  (di  Goerlitz),  Ab.  Bencini, 
Bettio,  Cav.  Bart  Borghesi,  Ant.  Cesari,  Andr.  Coi,  Conte  Dziahnski,  Ebert 
Santi  Fontana,  del  Furia,  Bart.  Gamba,  Mazzuchelli ,  Card.  Mezzofanti,  Barone 
Minutoli,  Gius.  Molini,  Ab.  Morelli,  Monsign.  Muzzarelli,  Nardi,  Dott.  Nott 
Conte  Sannazaro ,  ecc.  Frai  viventi  devo  moltissimo  ai  Sign.  riv.  Dott.  Pusey  di 
Oxford,  Conte  Leicester  diHolkham,  Cons.  Alfr.  di  Reumont,  Dott.  Teod.  Heyse 
di  Firenze,  e  de  La  Garde  di  Berlino;  ma  cortesissimi  ancora  mi  furono  i  Signori 
Baratta  di  Rapallo,  Barlow,  Canonico  Brun.  Bianchi,  Dott.  Brunn,  Canestrini, 
Consigl.  Pietro  Capei,  Giov.  Batt.  Carinei,  Carnicero  di  Madrid,  March.  Forcella 
di  Palermo,  Prof  Giuliani,  Jeep,  Padre  Kalefati  di  Monte  Casino,  Seym.  Kir- 
kup,  Agramante  Lorini,  Longhena,  Prof  Miiller  di  Padova,  Cav.  Palermo,  Prof 
Picei,  Poppe  di  Lisbona,  Gius.  Poni,  Residori,  Sabatier,  Fil.  Scolari,  Rid.  Sieg- 
fried di  Dublino,  Tàcchella,  Saint  René  Taillandier,  Tedeschini,  Sanche  Tison 
di  Toledo,  Giov.  B.  Uccelli,  Valdighi,  Valentinelli,  Pietro  Vieusseux,  Zamboni, 
Zani  de'  Ferranti  ecc. 

Speravo  di  pervenire  per  questi  lavori  a  poter  distribuire  per  famiglie 
tutti  i  codici  esistenti,  formandone  per  così  dire  un  grande  albero  genealogico. 
Ma  nel  processo  delle  mie  fatiche  ho  dovuto  conoscere,  che  moltissimi  codici, 
che  almeno  in  parte  saranno  stati  gli  originali  di  quelli  che  ci  rimasero,  sono 
smarriti,  e  che,  in  mancanza  di  questi  anelli  di  mezzo,  la  catena  deve  restar 
lacunosa.  Ilo  compreso  ancora  che  ben  molti  sono  i  testi  pei  quali  difficilmente 
si  troverebbe  un  certo  posto  in  queir  albero  genealogico.  Alcuni  vi  ripugnano 
per  ismisurata  scorrezione  che  in  non  pochi  fa  diventare  della  Commedia  di 
Dante  un  accozzamento  di  parole  vuote  di  senso.  Altri  che  per  correzione  si 
avvicinano  ai  libri  stampati,  rendono  con  uniformità  tale  la  lezione  volgata,  costi- 
tuita intorno  alla  metà  del  trecento,  che   le  diiferenze  dall'  un  codice  all'  altro 


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LXXV 


sono  quasi  impercettibili.  Ciò  non  ostante  i  codici  che  si  prestano  a  quella  distribu- 
zione per  famiglie  sono  assai  numerosi  Già  si  addussero  alcuni  esempj  di  testi 
fra  di  loro  congiunti  di  parentela  più  o  meno  strettii,  come  fra  gli  altri  la  quasi- 
identità  del  testo  nei  codici  133,  243,  e  478.  Benché  queste  ricerche  non  siano 
propriamente  essenziali  per  lo  scopo  ora  da  noi  atteso,  e  benché  per  questa 
ragione  intendo  di  parlarne  ancora  altrove,  e  più  distesamente,  non  voglio  tra- 
lasciare di  dar  almeno  un  esempio  di  una  famiglia  assai  numerosa,  gli  individui 
delia  quale  concordano  maravigliosamente  nella  lezione  del  testo.  Essa  è  com- 
posta dai  codici  22,  156,  179,223,  299,  345,  351,  488,  495,  229,  233,  262,  286, 
e  da  due  testi  non  mentovati  dal  De  Batines:  il  terzo  Antaldino,  e  quello  che, 
dopo  di  essere  stato  del  Sign.  Carlo  Riva  di  Milano,  fu  posto  in  vendita  dal 
Sign.  Potier. 

Veramente  sarebbe  stata  una  bella  cosa,  se  i  capi  delle  famiglie  di  codici, 
per  cosi  dire  i  patriarchi,  si  fossero,  potuti  rintracciare  con  evidenza.  Allora  il 
confronto  di  essi  sarebbe  stato  da  sostituirsi  a  quello  di  tutti  i  discendenti  della 
stessa  schiatta.  Ora,  non  essendosi  pienamente  giunto  a  questo  punto  di  mira, 
l'unica  cosa  che  si  poteva  fare,  era  di  scegliere  fra  tante  centinaja  di  testi  a 
penna  quei  pochi  che  offrono  la  lezione  più  primitiva  e  più  corretta.  I  confronti 
del  terzo  canto  dell'  Inferno,  eseguiti  sopra  407  codici  manoscritti,  vi  offrivano 
la  pietra  di  paragone.  Il  riconoscervi  quei  di  cattiva  lega,  pieni  di  spropositi, 
e  pure  non  di  rado  celebrati  da  qualche  bibliotecario  o  editore,  era  cosa  faciUssima. 
Ma  per  scegliere  frai  testi  corretti  quei  di  lezione  primitiva,  si  voleva  uno  studio 
assai  più  accurato.  La  strada  migliore  per  arrivarvi  mi  è  sembrata  quella  di 
determinare  un  certo  numero  di  varianti  che  a  fronte  d'  una  lezione  difficile  ad 
intendersi,  ma  da  giudicarsi  genuina,  ne  mettono  un'  altra  di  un  senso  più  ovvio, 
ma  pure  erroneo.  Ponendo  i  codici  manoscritti  a  questo  cimento  si  conosce 
quanto  siano  pochi  quelli,  che  invece  delle  lezioni  secondarie  e  facili,  danno 
regolarmente  le  primitive;  ma  quei  pochi  mostreranno  la  stessa  correzione, 
ristesso  carattere  primitivo  per  tutto  il  corso  della  Commedia. 

K' 


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LXXVI 

I  testi  che  esaminati  sotto  questo  punto  di  vista  mi  sembrarono  più  degni 
di  esser  presi  in  considerazione  sono  i  seguenti:  No.  1,  16,  52,  72,  82,  98,  112, 
127,  130,  177,  221,  256,  264,  293,  301,  319,  323,  365,  366,  375,  407,  420,  44H. 
454,  474,  e  525.  Anche  questo  numero  è  troppo  grande  di  molto  per  farne  un 
confronto  letterale,  e  per  ingombrare  di  tutte  le  varianti  che  ne  risulterebbero 
i  margini  di  un'  edizione.  Nella  scelta  che  per  questo  si  doveva  fare  tra  essi, 
ho  avuto  riguardo  alla  maggior  correzione  degli  uni  in  paragone  degli  altri, 
all'  influenza  esercitata  da  un  certo  codice  sulle  nostre  stampe,  ed  alla  maggior 
facilità  eh'  io  trovai  di  giovarmi  dì  un  testo ,  più  che  d'  un  altro. 

La  scelta  del  primo  dei  codici  sopra  i  quali  la  presente  edizione  doveva 
fondarsi,  non  poteva  esser  dubbia.  Per  la  correzione  del  testo  e  pel  carattere 
primitivo  delle  lezioni  nessuno  supera,  anzi  agguaglia  il  manoscritto  di  Filippo 
Villani.  Primo  a  richiamarvi  T  attenzione  dei  dotti*)  fu,  per  quel  ch'io  vedo. 
Domen.  Maria  Manni  nel  1740*).  Le  dovute  lodi  però  non  gli  furono  date  che 
da  Lorenzo  Mehus,  il  quale,  dopo  di  averne  parlato  di  passaggio  nel  1753^),  ne 
rilevò  alcune  particolarità  nella  vita  di  Ambrosio  Traversano ,  data  alla  luce  nel 
1759*).  Undici  anni  dopo  che  il  Bandini  nel  1778  ne  avea  pubbUcato  un'  esatta 
descrizione,  il  March.  Dionisi  intraprese  il  confronto  del  cod.  di  Santa  Croce  che 
servì  di  fondamento  all'  edizione  del  1795  (V.  qui  sopra  p.  XXXII — XXXV.). 
Se  da  quel  tempo  a  questa  parte  esso  fu  nuovamente  esaminato  per  rilevarne 
delle  correzioni  da  farsi  nel  testo  di  Dante,  io  almeno  non  ne  ho  avuto  notizia. 
Certamente  chi  vi  studiò  sopra  per  degli  anni  dovrà  dire  poco  considerata  la 
supposizione  del  Foscolo^);  «Forse  ove  fosse  stampatoti  (il  cod.  di  Fil.  Villani) 
»  paleserebbe  che  i  testi  nell'oscurità  d'archivi  risplendono  come  luciole  che  a 
dì  chiaro  tornano  vermi  « .    Liberalmente  secondato  dai  Signori  BibUotecarj  della 

')  Lo  trovo  già  inemionaJU)  nella  «Tavola  delle  voci«  delf  Ubaldini  (1640)   «Frutta». 

')  Sigilli  antichi.  IV.  73,  74. 

')  Epistola  di  M.  Lapo  da  Castiglionchio  p.  XXXIX.  Na.  8. 

*)  p.  128,  154,  179. 

*)  Discorso  sul.  testo  Sez.  10.  inf. 


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LXXVII 

Laurenziana,  cominciai  nel  mese  di  Settembre  1856  a  copiar  letteralmente  il  testo 
di  Santa  Croce.  Dopo  la  mia  partenza  questo  lavoro  con  iscrupolosità  non 
minore  fti  condotto  a  termine  dall'  accuratissimo  Sign.  Giov.  B.  Uccelli,  onde 
credo  poter  dire  che  la  presente  edizione  appena  avrebbe  potuto  profittar  meglio 
di  quel  venerando  testo,  se  mi  fosse  stato  permesso  di  darle  compimento  sulle 
sponde  dell'  Arno  *). 

Anche  la  scelta  del  secondo  codice  non  poteva  sembrar  dubbia.  Benché 
al  giorno  d'  oggi  tutti  quasi  siano  d'  accordo,  che  quel  testo  Vaticano  (3199 
De  Bat.  No.  319.)  più  volte  da  noi  citato,  non  sia  né  scritto  dal  Boccaccio^), 
ne  postillato  dal  Petrarca ,  e  benché  i  non  pochi  errori  che  vi  s'  incontrano  già 
da  altri  siano  rilevati,  pure  questo  codice  esibisce  dall' un  de'  lati  un  testo  quasi 
immune  dai  ritoccamenti  ed  alterazioni  degli  amanuensi  posteriori,  dall'  altro  sì 
è  già  visto  che,  quantunque  il  Bembo  non  sembri  di  essersi  servito  del  testo 
Vaticano,  la  lezione  da  esso  adottata  sia  somigliantissima  a  quella  del  detto 
codice,  e  possa  supporsi  derivante  da  essa  in  discendenza  poco  lontana.  L' im- 
portanza di  questo  testo  per  la  costituzione  della  lezione  volgata  delle  nostre 
stampe  basta  dunque  per  renderne  indispensabile  1'  accurato  confronto  ^).    L'  esatta 

*)  Le  notizie  date  sul  codice  di  S.  Croce  dal  Dionisi  nel  quinto  Aneddoto  Cap.  t)—  11. 
sono  così  esatte  e  sufficienti  che  non  saprei  cosa  potessi  aggiungervi.  Preferisco  dunque  di 
rimandare  il  cortese  Lettore  alla  detta  opera,  invece  di  copiare  quanto  disse  quel  dotto 
Veronese. 

')  Primo  a  dirlo  tale  fu  Fulvio  Orsino  nella  breve  notizia  che  copiata  si  legge  sul 
primo  foglio  del  libro.  Gli  tenne  dietro  V  Ubaldini  nella  Tavola  delle  voci  ecc.  di  Frane. 
Barberino  (1640)  «Dante  del  Boccaccio»,  »Aqua<>.  Che  questo  codice  sia  stato  posseduto 
dal  Card.  Bembo ,  sembra  piuttosto  congettura  che  fatto  storico  (  V.  qui  sopra  p.  XIV.  ).  Quel 
che  ne  sappiamo  di  certo  si  è  che  fu  lasciato  alla  Vaticana  da  Angelo  Colucci,  morto  nel 
1549.  Se  poi  il  De  Batines  (II.  p.  166.)  dice,  ignorarsi  che  sorte  avesse  il  codice  dopo  la 
morte  del  Bembo,  sembra  eh*  egli  non  avverta  come  il  Colucci  non  sopravisse  al  Cardinale 
Pietro  «'he  di  soli  due  anni. 

')  Il  De  Romanis  nella  sua  prefazione  del  1820  ripete  F  antica  favola  relativa  allo 
scrittore  ed  al  primo  possessore  del  manoscritto,  ma  dal  modo  riserbato  in  cui  lo  fa,  ai  co- 
nosce che  la  verità  del  fatto  gh  sembri  dubbia.  Certamente  non  lo  sfuggivano  le  non  poche 
lezioni  errate  del  codice  (V.  per  es.  la  nota  al  Par.  XXVII.  64.).    Forse  i  primi  a  dubitare  di 


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LXXVIII 

edizione  del  codice  Vaticano  eseguita  con  somma  cura  dal  Sign.  Luigi  Fautoni 
nella  propria  sua  casa  di  Rovetta  in  Val  Seriana  mi  dispensò  dall'  obbligo  di 
confrontare  il  manoscritto  stesso.  Con  modestia  non  meno  rara  che  lodevole 
dice  il  benemerito  editore:  «Quanti  errori  avrò  mai  fatto  e  nel  trascrivere  il 
Codice,  e  nelF  accudirne  la  stampa,  e  quanti  gli  obbedienti  Tipografi «.  Olii 
conosce  per  esperienza  come  nel  confronto  dei  testi  anche  la  maggior  attenzione 
non  basta  per  evitare  ogni  inavvertenza,  dirà  con  ragione  questi  errori  sospettati 
dall'  editore  essere  ben  pochi.  Ciò  non  ostante,  vedendo  che  non  tutte  le  varianti 
riferite  dal  De  Romanis  si  riscontrino  nell'  edizione  di  Rovetta,  feci  confrontar 
di  nuovo  qualche  dozzina  di  queste  lezioni  nel  testo  Vaticano,  e  trovai  forse  in 
egual  numero  di  casi  1'  errore  dall'  uno  e  dall'  altro  dei  lati  (qui  sopra  p.  XXX. 
Na.  1.). 

Per  terzo  codice  la  somma  correzione  del  testo  mi  ha  fatto  prescegliere 
quello  che  dopo  di  essere  stato  dei  Sign.  Tomm.  Rodd  e  Dott.  Giorgio  Feder. 
Nott,  passo  alla  Bibl.  R.  di  Berlino  (  De  Bat.  No.  521 ,  525).  Lo  dico  molto  corretto, 
essendo  persuaso  che  certe  omissioni  di  qualche  lettera  che  qua  e  là,  benché 
rarissime  volte,  vi  si  trovano  (come  »  inghia  «  per  »  ingoia»  Inf  VI.  18.)  non 
meritano  di  esser  dette  ne  scorrezioni,  ne  varianti,  e  perciò  non  furono  sempre 
notate  sui  margini  della  presente  edizione.  Generalmente  parlando  anche  la 
lezione  di  questo  codice  è  V  antica  e  primitiva;  però  già  vi  s' incontrano  alcune, 
ma  rare,  alterazioni  che  cominciano  ad  avvicinarsi  alla  »  volgata  « ,  ed  è  un  fatto 


quella  tradizione  furono  gli  editori  Padovani  (prefaz.  p.  XV,  XVL),  e  falsa  la  credono  anche 
il  Ciampi  (Monumenti  di  Giov.  Boccaccio.  Mil.  1830  p.  19),  il  Becchi  (prefaz.  p.  XXVII.),  el 
Foscolo  (Discorso  sez.  69.  dN'  hanno  lasciato  stampare  una  cantica;  onde  a'  monsignori  re- 
verendissimi, custodi  de' tesori  letterarii  di  Roma,  tocca  oggimai  di  scontare  la  loro  impru- 
denza, e  forse  anche  recitare  la  parte  del  frate,  che  predicando  la  penna  delle  ali  dell'  Agnolo 
(Tabriello  teneva  in  mano  carboni  spenti*).  Tra  gli  autori  moderni  che  attribuiscono  al 
Boccaccio  la  scrittura  del  codice  Vaticano  sono  il  Baldelli  (Vita  del  Bocc.  p.  135,  36.  No.  I), 
il  Fantoni,  e  1  Palermo  (Appendice  p.  210).  I  passi  che  sono,  o  che  sembrano  errati  nel  cod. 
sono  registrati  dal  Fantoni  (prefaz.  §  4  —  16,  19,  ed  «Emendazioni  proponibili*  in  fine  del  libro). 


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LXXIX 

assai  curioso  che  le  correzioni  fatte  di  seconda  mano  nel  eod.  di  Santa  Croce 
spesso  concordano  col  testo  di  Berlino.  La  collazione  fattane  sotto  la  mia  sopra- 
intendenza  da  un  giovane  studioso  di  Dante  non  si  provò  bastevolmente  accurata. 
Profittai  dunque  della  liberalità  colla  quale  i  Signori  Bibliotecarj  mi  accordarono 
il  codice  per  più  anni,  per  consultarlo  sempre  di  nuovo  ad  ogni  verso.  Veramente 
questo  eccellente  testo  è  stato  più  volte  Y  unico  suU'  autorità  del  quale  potei 
fondare  la  lezione  eh'  io  credo  genuina  ^  ). 

Quarto  ed  ultimo  dei  codici  da  me  scelti  è  il  celebre  testo  Caetani.  (De 
Bat.  No.  375.).  Le  distinte  qualità  di  esso  furono  già  rilevate  dal  De  Romanis 
(qui  sopra  p.  XXXL),  e  basterà  dire  che,  non  meno  corretto  del  codice  di  Ber- 
lino, lo  sorpassa  qualche  volta  nel  carattere  germino  della  lezione.  Anch'  esso 
dunque  somministrò  alla  presente  stampa  non  poche  lezioni,  da  lui  solo  spalleg- 
giate'-). Un  confronto  letterale,  secondato  dalla  somma  cortesia  dell'illustre 
possessore,  Sua  Eccellenza  il  Sign.  Duca  Michelangelo  di  Sermoneta,  fu  fatto 
sulle  mie  istanze  da  un  giovane  filologo  mio  compatriota.  Credendolo  esattissimo, 
mi  vi  fondai  pienamente.  Nel  progresso  del  lavoro  dovetti  accorgermi  che  molte 
e  molte  delle  varianti  registrate  dal  De  Romanis  non  concordavano  col  con- 
fronto da  me  adoperato.  Ne  feci  le  occorrenti  indagini  a  Roma,  e  dalla  risposta 
risultò  pur  troppo  che  la  mia  fiducia  era  stata  mal  fondata.  La  presente  stampa 
era  già  troppo  innoltrata  per  poterle  dar  sosta.  Mi  contentai  dunque  per  il 
momento  di  farmi  ragguagliar  quanto  prima  della  vera  lezione  del  codice  in  un 
certo  numero  di  passi  di  maggior  importanza,  per  rettificarne  ancora  le  varianti 
nel  resto  della  stampa.  Nel  medesimo  tempo  mandai  successivamente  a  Roma 
i  fogli  di  prova  della  presente  edizione  per  che  vi  si  facesse  sopra  un  nuovo 
(onfronto  del  testo  a  penna.  Due  giovani,  parimente  paesani  miei,  si  diedero 
la  muta  in  questo  lavoro,  e  il  Signor  Duca  di  Sermoneta,  non  contento  di  age- 


')  P.  es.  Purg.  Ili.  38,    IX.  58,   XII.  135.   XV.  55. 
')  P.  es.  Purg.  X.  134,    XV.  68,  133. 


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LXXX 

volarlo  in  ogni  modo,  con  gentilezza  impareggiabile  volle  assumerne  personal- 
mente la  parte  più  essenziale.  Così  posso  esser  certo  della  somma  accuratezza 
del  confronto;  ma  mi  trovo  nella  necessità  di  presentare  in  forma  cf  appendice 
le  ben  molte  correzioni  che  ne  rilevai. 

Questi  quattro  testi  formano  1'  unico  fondamento  della  presente  edizione. 
Non  vi  è  parola,  non  sillaba  che  non  si  appoggi  sulF  autorità  di  almeno  uno 
di  quei  testi ^).  Fra  di  essi  ho  creduto  dover  scegUere  Uberamente,  attribuendo 
però  r  autorità  preponderante  al  cod.  di  Santa  Croce,  massimamente  all'  origi- 
naria sua  scrittura,  in  quanto,  nei  passi  raschiati,  essa  si  poteva  riconoscere. 
Sono  persuaso  che  nuovi  editori  dovranno  seguir  anche  più  strettamente  questo 
purgatissimo  codice,  e  se  dovessi  rifar  il  lavoro,  molte  delle  sue  lezioni  che  ora 
occupano  i  margini,  sarebbero  adottate  nel  testo.  Confesso  che  all'  incontro  la 
troppa  considerazione  in  cui  sinora  fu  tenuto  il  testo  Vaticano  me  ne  ha  fatto 
concepire  una  qualche  ripugnanza.  Dove  il  pensiero  del  Poeta  e  la  connessione 
del  senso  non  bastava  per  decider  la  scelta  fra  le  diflferenti  lezioni,  ho  avuto 
ricorso  alle  altre  autorità,  molte  delle  quali  furono  accennate  di  sopra.  Alcune, 
ma  rarissime  volte '^)  la  lezione  che  credo  da  preferirsi  alle  altre  non  si  trovò 
in  nessuno  dei  quattro  codici.  Allora,  per  non  dipartirmi  dal  mio  principio 
fondamentale,  mi  sono  attenuto  nel  testo  alla  lezione  dei  manoscritti,  ma  ho 
contrassegnato  coli'  asterisco  la  variante  che  giudico  corrispondere  alla  propria 
scrittura  del  Poeta. 

Acciocché  la  presente  edizione  fosse  corredata  di  tutti  i  materiali  cri- 
tici raccolti  nelle  stampe  anteriori,  e  negli  altri  scritti  che  si  occupano  della 
correzione  del  testo  di  Dante,   ne  ho  fatto  lo  spoglio  a  misura  di  quanto  si  è 

')  Ho  fatto  male  di  stampare  (Inf.  III.  64)  »  Questi  sciaurati«,  e  di  metter  in  margine 
«Questi  sciagurati  «  che  si  trova  in  tutti  i  quattro  testi.  La  consonante  di  mezzo  {g)  si  sarà 
scritta,  senza  pronunziarla,  e  la  voce  »  sciagurati  «  sarà  stata  presa  per  trisillaba  come 
»  Uccellatolo  «  per  quadrisillaba,  e   »Tegghiaio«,   »primaio«   ecc.  per  bisillabe. 

•^)  Inf.  X.  88,  117,  XVIII.  79,  XXVI.  137,  XXVII.  21,  XXVIII.  26.  Purg.  IL  IO. 
V.  72,  VII.  70,  X.  103,  128.    Par.  V.  6,   XXI.  89,   XXVIL  100,  XXXII.  60. 


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LXXXI 

(letto  di  sopra.  Trascurando  le  differenze  ortografiche,  ho  messe  in  piò  di 
pagina  tutte  le  varie  lezioni  in  questo  modo  riunite,  che  per  non  trovarsi  nei 
quattro  testi  a  penna,  o  nelle  tre  edizioni,  non  erano  registrate  sui  margini. 
L' irregolarità  colla  quale  furono  fatti  i  confronti  che  aveano  servito  a  questi 
lavori,  e  V  incertezza  in  cui  ci  troviamo  sul  valore  relativo  dei  testi  confrontati 
m'  hanno  fatto  giudicar  inutile  V  apporre  i  nomi  dei  codici  nei  quaU  queste 
lezioni  furono  riscontrate.  Generalmente  parlando  si  troverà  che  a  paragone 
delle  varianti  dei  quattro  codici  tutte  le  altre  sono  di  poca  importanza. 

Quanto  all'  ortografia  il  modo  più  corretto  a  tenersi  sarebbe  stato  quello 
(li  restituirla  quale  si  può  supporre  che  Dante  Y  usasse.  Trovandoci  però  privi 
tli  qualunque  siasi  autografo  del  Poeta,  e  sapendo  dai  non  pochi  documenti 
scritti  dal  proprio  pugno  del  Petrarca  e  del  Boccaccio,  quanto  V  ortografia  di 
quei  tempi  sia  stata  titubante,  dovremo  rimaner  persuasi  dell'  impossibilità  di 
conseguire  questo  assunto.  Non  conoscendo  1'  ortografia  propria  dell'  autore, 
r  edizione  poteva  attenersi  almeno  a  quella  dei  testi  più  antichi  e  migliori,  sce- 
gliendone forse  uno  di  autorità  preponderante.  Anche  a  questo  sistema  però 
si  opponeva  1'  uso  dei  testi  antichi  troppo  alieno  dal  nostro  Pochi  saranno  i 
Lettori  del  giorno  d'  oggi  che  soffrirebbero  di  trovare  stampato  »tracto«,  wlucto«, 
"lectou,  i»senblanza«  ecc.,  ma  anche  quei  pochi  sarebbero  offesi  dal  »tucto«, 
•  cictàtt,  »lynbo«,  »autupno«  ecc.  che  pure  quasi  regolarmente  s' incontra  anche 
nei  migliori  testi  a  penna.  In  oltre  l' incostanza  dei  codici  nel  modo  di  scrivere 
è  tale,  che  chi  volesse  registrarne  tutte  le  differenze  perderebbe  inescusabilmente 
il  suo  tempo.  Egli  è  per  questo  che  le  variazioni  d'  ortografia  non  furono 
notate  nella  presente  edizione.  Convenendo  però,  come  si  deve  convenirne,  che 
i  limiti  dalle  differenze  ortografiche  alle  vere  varianti  sono  difficilissime  a  fissarsi, 
spero  che  si  scuserà  la  poca  conformità  di  cui  sotto  questo  riguardo  mi  con- 
fesso colpevole.  Egli  è  pur  troppo  vero  che  non  poche  difterenze  che,  senza 
(li  alterare  il  senso,  non  consistono  che  nel  modo  di  scrivere,  in  alcuni  passi 
furono  passati  sotto  silenzio,  in  altri  si  registrarono  come  varianti. 


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LXXXII 

Queste  considerazioni  ni'  indussero  da  principio,  a  non  azzardarmi  nell'ar- 
dua impresa  di  voler  riformare  l'  ortografia,  ma  ad  attenenni  invece  al  modo 
usato  dalle  più  autorevoli  edizioni.  Assai  presto  però  dovetti  accorgermi  della 
straordinaria  incostanza  di  queste  edizioni,  eccettuatane  forse  la  sola  del  Dionisi. 
Il  trovarvi  l' istessa  parola  scritta  in  più  modi,  anche  suU'  istessa  facciata,  è  cosa 
assai  frequente.  Avrei  bramato  di  poter  rimediarvi,  e  rinunziando  al  volere  star 
bilire  nuovi  principj  d'  ortografia,  sarei  rimasto  contento  d'  introdurre  almeno 
una  certa  conformità  nel  modo  di  scrivere.  Mi  vi  sono  provato,  ma  pur  troppo 
non  vi  sono  riuscito.  L'  incostanza  de'  miei  predecessori  si  è  propagata  anche 
nella  presente  edizione.  Benché  scemata  di  molto,  massimamente  coli'  ajuto 
del  «Vocabolario  Dantesco «,  lavoro  insigne,  e  da  tutti  riconosciuto  per  tale, 
del  venerando  mio  amico,  il  Sign.  Professore  Blanc,  pui'e  vi  ricorre,  e  non  mi 
resta  che  la  speranza  di  poter  soprantendere  un  giorno  a  una  nuova  ristiimpa, 
nella  quale  cercherei  di  evitare  con  questo  anche  i  molti  e  molti  altri  errori 
che  senza  dubbio  si  troveranno  in  quest'  opera,  la  quale,  dopo  tante  fatiche, 
pure  non  senza  timore  presento  all'  indulgente  giudizio  dei  cortesi  Lettori. 

Halle  sulla  Sala  6.  Nov.  1861. 


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RETTIFICAZIONE  DELLE  VARIANTI  DEL  CODICE  CAETANI. 

(Vedi  qui  sopra  p.  LXXIX,  LXXX. ) 


1.    Lezioni  erroneamente  attribuite  al  cod.  Caetani. 

NFKRNo  VI.  16,  38,  VII.  106.  Vm.  63,  XII.  5,  36,  49,  108,  119,  KIII.  63,  69,  XIV.  98, 
XVUI.  48,  122,  XXII.  34,  XXIII.  43,  XXIV.  11,  87,  128,  XXV.  141,  .XXVII.  44. 
46  (»E'l  Mastin.),   XXVUI.  83,  138,   XXXUI.  24,  41,   XXXIV.  124,  136. 

•lro.*.torio  I.  98,  n.  22,  44,  III.  70,  123,  IV.  82,  V.  43,  VII.  51,  58,  VIII.  109,  IX.  37, 
X.  20,  64,  76,  XII.  101,  XIV.  121,  140,  XVI.  29,  XVII.  113,  XIX.  104,  XXII.  5, 
139,  XXIV^  12,  XXVI.  60,  81,  110,  XXVH.  32,  78,  XXVIII.  34,  135,  XXIX.  35, 
43,  116,   XXX.  99,   XXXI.  129,  130,  131,   XXXII.  33,  43,  74,   XXXUI.  51. 

•AR.VDISO  I.  135,  II.  48,  m.  37,  116,  118,  IV.  82,  90,  98,  V.  15,  88,  98,  VII.  140,  VHI.  35, 
121,  124,  X.  9,  14,  70,  XI.  82,  XII.  94,  96,  140  (  .Calavresc),  XIIL  17,  XIV.  40, 
XVI.  23,  41,  XVII.  13,  38,  XVIII.  63,  XIX.  1,  92,  XXII.  25,  45,  50,  51,  65,  XXIU 
6  (.In  che  gravi.),  137,  XXIV.  48,  97,  122,  XXV.  32,  77,  105,  XXVIL  48,  129, 
XXVIII.  1,  115,   XXIX.  25,   XXX.  2,  24,  27,  62,   XXXI.  96,  132,   XXXII.  35. 

2.     Lezioni  che,  oltre  ai  testi  per  esse  citati,  si  trovano  nel  cod.  Caetani. 

SFERNO  IL  93,  m.  8,  rV^  95,  125,  V.  64  (D.  2.),  66,  67  (.Vedi.),  84,  VI.  17,  79,  85,   VII. 

70,  81,  86,  130,  Vili.  22,  64,  94  (.confortai-).  IX.  2,  18  (.pena  la.).  X.  92  (.torre.), 

119,  XII.  47,  130,  133,  XIIL  125,  XIV.  24,  XV.  94,  XVI.  32,  XVII.  16,  115,  XIX. 

21,  XX.  75,  95,  128,  XXL  9  (.Per  rimpalmar.),  22,  XXII.  62,  XXIU.  78,  91,  XXVI. 

75,  115  (  .De' nostri.  )  135,  XXVU.  85  {D.  m.),  XXVIIL  10,  31,  64,  67. 
'iROATORio  L  93,  rV.  71,  77,  VL  137,  IX.  74  («pareami  prima  rotto.),  XIL  24,  129  (.che 

cenni.  ),  XV.  37  (  .di  linci.  ),  XVL  11,  136,  XIX  35,  XX.  122,  XXL  75,  112,  XXII.  6 

(  »siiio,  senza.  ),  86,  141,  XXVIIL  106,  122,  XXIX.  11,  90,  XXX.  43,  XXXL  25.  (  D.  1.). 
Paradiso  L  116,  U.  71,  76  (.pianeto;  si.),  101,  UI.  100,  127,  128,  IV.  2,  121,   VL  15,  72. 

X.  19,  26,  XL  25,  XIL  90,  140  (.Giovacchino.),  XIIL  97,  XV.  1,  19,  20,  50  («D.  1. 

del  magno.),  XVH.  42  (i>.  2.),  XIX.  12  («e  Noi  e  Nostro.),  93,  110,  142,   XXII. 

21,  24,  XXm.  .56,  XXIV.  68  («rispose.),  89,  IH,  146,    XX VL  43,  50,  XXIX.  51, 

XXX.  13,  66,  XXXI.  8,  31  (.di  tal  plaga.),  45,  120,  XKXII  43,  44,  84,  XXXUI. 

42,  59,  126  («a  me  arridi..  ). 


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LXXXIV 

3.     Correzioni  di  varianti  del  cod.  Caetani  iiiesattamente  riportato. 

Inferno  IL  20.  »/>.  t  alta  a,  81.  »D.  1.  non  f  è  d' no' aprirmi",  93.  »/>.  t  d' esto  loco«,  IX. 
11.  »L'  un  cominciar»,  XII.  22.  »/>.  t  si  lancia»,  71.  »che  nutricò»,  XIIT.  85.  »se 
uno«,  XVI.  65.  «ripose  elli  allora»,  84.  »di  dire:  Io»,  XXII.  101.  »i),  t,  ch'io  non 
tema»,  XXIV.  143.  «Pistoia  prima»,  XXIX.   «seder  cosi  appoggiati». 

Purgatorio  VI.  146.  «moneta,  offici»,  VII.  15.  * D.  m,  1  nutrir  si  piglia»,  127.  »Z>.  t,  miglior 
la  pianta»,  X.  72.  «da  Micol  mi  bianch.»,  XVII.  24.  »Z>.  t  concetta»,  XXII.  66. 
»7>.  w.  E  primo»,    XXIII.  69.   »/>.  m,  giù  per  sua  v.»,    XXIV.  4.   »/>.  t  cose  morte «. 

XXV.  5.  «sua  via,  checche  li  app.»,  106.  «afigono  U»,  XXVI.  120.  «Lemusi».  141. 
»  Que  yeix,  XXIX.  67.  «Pendeami  T  acqua»,  89.  «D.  1.  all'  altra»,  XXXII.  65.  »Z>.  2. 
occhi  spirtati»,  159.   »/?.  2.  Tanto  che  1  sol»,  XXXIII.  72.   «e  1' arbor». 

Paradiso  III.  16.  «Tal  vid'io»,  VII.  75.  «Nelle  più  simiglianti»,  116.  «Per  far  1' uom»,  V^III. 
62.  «Bari,  edaG.«,  IX.  108.  «Perch' al  modo» ,  X.  37.  »Z>.  1.  O  Beatr.  />.  2.  EtBeatr.«, 
XI.  21.  «onde  cagione»,  40.  «ambodue»,  XII.  137.  » Crisostimo « ,  XVI.  44.  «Chi  e' fos- 
sero, e  donde  venner»,  XVII.  81.  «7>.  ^.  di  lui  volte»,  XVIU.  131.  «Paolo»,  XIX.  34. 
y>D.  m.  Quale  falcon»,  XX.  116.  «che  la  morte»,  117.  »Z).  1.  La  degnò»,  XXI.  102. 
«la  summa»,  XXII.  89.  «73.  1.  orazione»,  99.  «D.  t  tutto  in  se»,  XXIII.  83.  »/>.  /. 
Fulgurando»,  XXIV.  27.   «D.  t.  è  poco  color«,  72.   »/).  L  occhi  miei  di  laggiù  son  asc.«, 

XXVI.  1.  »Z>.  L  lo  lume  spento»,  XXVII.  41.  «di  Lino,  e  (h  Cleto»,  XXX.  43.  «vedrai 
tu  l'una»,  XXXII.  1.   «1/  effetto»,  XXXIII.  128.   «W.  t  Pareva  in  te». 

4.     Lezioni  del  codice  Caetani  che  riuiavsero  inosservate. 

Infkr>o  11.43.  «la  parola  tua»,  47.  «la  rivolve»,  79,  «Tanto  m' è  grato»,  83.  «scender  quag- 
giù», III.  52.  »ch' a  riguardar»,  V.  104.  «Mi  prese  di  costui»,  109.  «Poi  ch'io»,  128. 
«Lanciai,  e  come»,  VI.  IO.  «Grand,  grossa,  acqua»,  15.  «qui  è  sommersa»,  93.  «al 
par»,  97.  «Ciasc.  rivederà»,  110.  «A  vera  perf.«,  VII.  30.  «tieni,  o  perchè»,  80.  «in 
gente,  d'uno»,  109.  «di  mirare  stava»,  118.  «l'acqua  è  gente  che»,  IX.  35.  «da  elei 
messo»,  X.  57.  «E  poi  che»,  XIII.  26.  »Z>.  ^  di  que' bronchi»,  39.  «Se  stati»,  74,  «Ti 
giuro»,  XI V^.  32.  «sopra  del  suo  st.«.  59.  «saetti  con  tutta»,  83.  «Fatt'  eran  pietre». 
131.  «Leteo»,  132.  «d'està  prova»,  XV.  32.  «Sor  Brunetto»,  53.  «ritornand' io»,  01. 
«popolo,  e  maligno»,  66.  «il  dolce  fico»,  74.  «Di  lor  semenza»,  81.  «Dall'umana». 
87.  «nella  mia  vita»,  XVI.  40.  «L'altro  che  presso»,  81.  «che  si  parli»,  116.  «Dicea 
tra  me»,  XVU.  17.  «Non  fer  mai  drappi»,  87.  «guard.  al  rezzo»,  102.  «E  poi  che 
tutto».  XVIIL  12.  «E  la  parte»,  XX.  70.  «Peschiera  belhi».  XXL  17.  «Bollia  laggiù». 
27.  «subito  sgagl.»,  36.  «tenea  del  piò»,  XXIII.  64.  «si  che  li  abb.»,  69.  «attenti», 
108.  «par  dintorno»,  XXIV.  13.  «Vedendo»,  47.  «seggendo»,  XXV.  6.  «Come  di- 
cesse: Non»,  71.  «Quando  n'  apparve»,  137.  «fufollando»,  XXVI.  1.  «Firenza»,  65. 
«assai  ti  prego»  98.  «Ch'i' ebbi  di  venir»,  XXVII.  64.  «Ma  perocché»,  XXVIIl.  29, 
«con  le  mani  aperse».  68.  «innanzi  ad  altri».  1.34.  «  Beltram  dal  B.«,  XXXIV.  42. 
«della  testa». 


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LXXXV 

Purgatorio  1.  96.   »giù  ne  stingile*,   II.  132.    «dove  si  riesca»,   IV.  2.   »  virtù  si  comprenda*, 

V.  99.  «Fuggendo  a  piè«,  105.  «Gridò:  O  tu«,  VI.  40.  «Z),  m.  dov' io  formai»,  XI.  79. 
»0,  diss  io  lui«,  81.  «Che  luminar»,  XII.  39.  »e  sette  i  tuo'«,  XIV.  89.  «casa  de' 
Calvoli»,  XVII.  17.  «Movetilucea,  XVIII.  41.  «Rispos' io  lui«,  XX.  38.  «S' i' ritorno», 
107.  «domanda  gorda»,  XXIll.  87.  «con  suo  pianger»,  XXIV.  125.  «che  non  volle», 
KÌ8,  «lucenti  o  rossi»,  XXVI.  16.  «per  non  esser  più  t.«,  36.  «Forse  a  spiar»,  83.  »E 
perchè».  121.  «A  voci»,  XXVII.  3.  «l'altra  Libra»,  88.  »/>.  m.  Poco  parer  potea  li 
delli  albori»,  115.  «dolce  pomo»,  XXV  III.  54.  «Che  piede»,  91.  »  che  solo  a  se  piace  « , 
XXIX.  97.  «lor  forma»,  102.  «con  vento  e  con  nube»,  105.  «e  da  lor  si  dip.«,  XXXII. 
73.  «Quali  a  veder»,  123.  «Quanta  sofferson»,  131.  «IV  ambe  le  rote»,  XXXIII.  49. 
«li  facte»,    IH.   «Sopra  i  suoi». 

Paradiso  I.  134.    «Foco   da  nube»,    II.  108.  «E  dal  calor»,    135.   «si  rivolve».    III.  54.   »/>.  1. 
Letizia  an»,  96.   «infino  al  co»,  129.   «  noi  sotTerse  « ,   V.  122.   «D.  1.  e  Beatrice:  Di' di'», 

VI.  38.  «insino  al  fine»,  VII.  71.  «subiace»,  102.  «Di  poter  satisfar  da  se»,  EX.  122. 
«per  r  alta  vittoria»,  X.  112.  «un  si  profondo».  129.  «E  dall'  esilio»,  XI.  52.  «chi 
d' esto  loco»,  Xn.  74.  «che  a  lui»,  135.  »D.  1.  qui  luce»,  XIII.  50.  «lo  tuo  credere», 
126.  «Li  quali»,  XIV.  58.  «Non  potrà»,  124.  «che  gH  era»,  XV.  18.  «ed  essa  dura 
poco»,  XVI.  48.  «Erano  al  quinto»,  79.  «Tutte  le  vostre  cose»,  114.  «concestoro», 
115.  »Z>.  1.  La  tracotata»,  XVIII.  38.  «Nel  nomar»,  44.  «segui  il  mio»,  XIX.  80.  «E 
giudicar»,  96.  «Movea  sospinte»,  140.  «quel  da  Rascia»,  XX.  107.  «Giammai  al  buon 
voler»,  140.  «D.  in.  la  mia  turba  vista»,  XXI.  140.  «E  fero  un  giro»,  XXII.  27.  «Di 
domandar»,  66.  «là  ove»,  XXllI.  43.  «La  mia  mente»,  50.  «Da  vision  obblita»,  62. 
«il  sacrato»,  101.  «s'  incoronava»,  IH.  «sonare  il  nome»,  XXIV.  22.  «intorno  da 
Beatrice»,  86.  «Ed  io:  Si»,  94.  «E  'l  sillogismo»,  129.  «Ed  anche»,  135.  «Anche», 
XXV.  109.  «Z>.  2.  nella  rota»,  XXVL  36.  «Il  vero»,  85.  «Come  la  fronde»,  XXVU. 
15.  «Fossero  ucceUi»,  XXVIIL  8.  «che  s'accorda»,  81.  «A  m.  Borea  dalla»,  97.  »ve- 
dea  ìi  pensier»,  XXIX.  107.  «Tornan  dal  pasto»,  XXX.  25.  «E  come  sole»,  76.  «/?. 
l.  Il  sole,  e  U  top.»,  D.  m.  «I  fiori,  e  li  top.»,  XXXI.  39.  «E  da  Fiorenza»,  52.  «del 
Paradiso»,  89.  «ch'hai  fatta  sana»,  115.  »i  cerchi  insino»,  127.  «/>.//?.  aurea  fiamma», 
XXXII.  30.  «con  tanta  cerna»,  36.  «fin  quaggiù»,  54.  «tristizia,  sete»,  90.  «Create 
a  trasvolar»,  93.  «Ne  mostrommi»,  IH.  Tutto  è  in  lui»,  125  «a  cui  Cristo»,  140. 
«come '1  buon  sartore»,  150.  «il  cor»,  XXXIII.  20.  «In  te  maleficentia » ,  78.  «A/.  Se 
«:li  occhi  da  lui»,  88.   «Sustantie  ed  accidentie»,  130.   »D.  m.  del  suo  fulgore». 


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SPIEGAZIONE  DEI  SEGNI: 

Codici  elle  servirono  di  fondamento  al  testo: 

A.  Di  Santa  Croce,  detto  di  Fi).  Villani.     (Lanrenz.  XX\'l.  1. 

De  Batines  No.  1.) 

B.  Vaticano   (No.  3199.),   detto   del    Boccaccio.     (De   Batines. 

No.  319.) 
a     Di   Berlino   (Bibl.  Reale),    che  fu   di   Tonini.   Rodd.     (De 

Batines.  No.  525.) 
/).     Del   Duca   di   Sermoneta  -  Caetani   a  Roma.      (  De  Batines. 

No.  375.) 

Lo  varianti  notate  sui  margini  dei  cudici  <:i  riferiscono  colla 
lettera  m.,  in  antitesi  della  lezione  del  testo  (t.)  Dovunque 
il  testo  è  visibilmente  alterato,  la  scrittura  originale  è  segnnta 
coir  l.f  la  correzione  di  seconda  mano  col  2.  Il  punto  in- 
terrogativo vuol  dire  che  la  lezione  del  codice  è  più  o  meno 
dubbia. 

Edizioni  confrontate: 

1.  Aldina.     Venezia  1502. 

2.  Della  Ciiisca.     Firenze  1595. 

3.  Di  Fruttuoso  Becchi  ecc.    Firenze  1837. 

Appiè  di  pagina  si  riferiscono  altre  varianti  sonnninistrate  alle 
edizioni  anteriori  o  ad  altri  lavori  critici  dal  confronto  di 
numerosi  testi  a  penna.  Alcune  congetture  proposte  da 
qualche  felice  ingegno,  ma  sinora  sprovviste  deir  autorità 
di  antichi  codici,  vi  furono  aggiunte,  contrassegnate  di  un 
punto  interrogativo. 

Le  pochi.ssime  varianti  segnate  coli'  asterisco  si  giudicano  preferibili 
alla  lezione  del  nostro  testo,  unicamente  fondato  sulla  fede 
dei  quattro  codici  sopra  mentovati. 


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INFERNO 


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CANTO  PRIMO 


J\lel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita  [i>.-57.] 

Mi  ritrovai  per  una  selva  oscura, 
Che  la  diritta  via  era  smarrita. 
1.  Ki  2.  K  3.  Ahi      4.    Eh  quanto  a  dir  qual  era  è  cosa  dura  a.  a  Et  qu.  h.  e  qu. 

i.  2. 3.  Cd  Mpr»  Questa  selva  selvaggia  aspra  e  forte ,  b.  ebu  -  b.  c.  et  ^pr» 

Che  nel  pensier  rinnuova  la  paura! 
7.    Tanto  è  amara,  che  poco  è  più  morte: 
Ma  per  trattar  del  ^en  eh'  i'  vi  trovai, 
3.  .Ite  Dirò  dell'  altre  cose ,  eh'  io  v'  ho  scorte.  /        a.  •ite 

10.    r  non  so  ben  ridir  com'  io  v'  entrai; 

Tant'  era  pien  di  sonno  in  su  quel  punto,       e.  sonno  8.. 
Che  la  verace  via  abbandonai. 
1.2. 3.  eh  i  13.    Ma  poi  che  fui  al  pie  d'un  colle  giunto,  fi.  chi  r...-  r.  apiè 

1.2. 3.  ove  Là  dove  terminava  quella  valle,  Rove 

Che  m'  avea  di  paura  il  cor  compunto, 
16.    Guardai  in  alto,  e  vidi  le  sue  spalle 

Vestite  già  de'  raggi  del  pianeta,  rad  r«,5«io 

Che  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle. 

3.  aTea  smarrita  —  4.  Ah  quanto  —  eh'  eli'  era  —  6.  ogni  paura  —  7.  Tanta  e  amara  ||  Tant»  am.    -  9.  atre      U.  pieno  di  s.  a  quel  — 

L  «liritta  via 


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INFERNO  I.     19  -  42. 


A.  fuor  di 


1.  a  retro 


2.  3.    Poi  eh'  ebbi  ripo- 
sato il  e. 


19.    Allor  fu  la  paura  un  poco  queta, 

Che  nel  lago  del  cor  m'  era  durata 
La  notte,  eh'  i'  passai  con  tanta  pietà. 

22.    E  come  quei,  che  con  lena  affannata 
Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva. 
Si  volge  air  acqua  perigliosa,  e  guata; 

25.    Cosi  r  animo  mio,  che  ancor  fuggiva, 
Si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo, 
Che  non  lasciò  giammai  persona  viva.^ 

28.    Poi  eh'  ei  posato  un  poco  il  corpo  lasso , 
Ripresi  via  per  la  piaggia  diserta, 
Sì  che  il  pie  fermo  sempre  era  il  più  basso  ;  a.  ew  ai 

31.  Ed  ecco,  quasi  al  cominciar  dell'  erta, 
Una  lonza  leggiera  e  presta  molto, 
Che  di  pel  maculato  era  coperta. 

34.    E  non  mi  si  partia  dinanzi  al  volto; 

Anzi  impediva  tanto  il  mio  cammino, 
Ch'  io  fui  per  ritornar  più  volte  volto. 

37.    Tempo  era  dal  principio  del  mattino; 
E  il  sol  montava  su  con  quelle  stelle 
Ch'  eran  con  lui,  quando  1'  amor  divino 

40.    Mosse  da  prima  quelle  cose  belle; 

Si  che  a  bene  sperar  m'  era  cagione 
1. 2.  la  gaietta  DÌ  qucUa  fcra  alla  gaietta  pelle, 


li.  a  retro 


e.  Poi  pusac'  ebbi  un  p. 


A.  leonza 


B,  Che  del  mac. 


1.  2.  3.    n  su 


A.  (\  del  princ. 
H.  'n  hu 


20.  indorata  ||  adunata  —  28.  Poi,  riposato  un  poco  ||  Com*  ei  pos.  un  p.  ||  Coin'  io  posato  ho  un  p.  ||  Quaud'  io  ecr.  —  32.  linea  ~ 
38.  Che  il  sol  —  39.  Ch'  eran  lassù  —  ¥).  di  prima  —  41.  m'  eran  cagione  --  42.  di  gaietta 


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INFERNO  L     43-66. 


I.EON'E,    MIPA. 


1.  2.  con  la 


3.  (Quando  v. 


<\  bramuha 
A.  in.  trpmps«e 


H.  con  la 


43.    L'  ora  del  tempo  e  la  dolce  stagione: 

Ma  non  si,  che  paiu*a  non  mi  desse 

La  vista,  che  mi  apparve,  d*  un  leone. v 
4B.    Questi  parea,  che  contra  me  venesse 

Con  la  test'  alta  e  con  rabbiosa  fame , 

Si  che  parea  che  1'  aer  ne  temesse  : 
49.    Ed  una  lupa,  che  di  tutte  brame 

Sembiava  carca  nella  sua  magrezza, 

E  molte  genti  fé'  già  viver  grame. 
52.    Questa  mi  porse  tanto  di  gravezza 

(3on  la  paura,  che  uscia  di  sua  vista, 

Ch'  io  perdei  la  speranza  dell'  altezza,  "n 
55.    E  quale  e  quei,  che  volontieri  acquista, 

Yé  giugne  il  tempo,  che  perder  lo  face. 

Che  in  tutt'  i  suoi  pensier  piange  e  s'  attrista  :  [^  »    i 
58.    Tal  mi  fece  la  bestia  senza  pace, 

Che  venendomi  incontro,  a  poco  a  poco 

Mi  ripingeva  là,  dove  il  Sol  tace. 
61.    Mentre  ch'io  rovinava  in  basso  loco. 

Dinanzi  agU  occhi  mi  si  fu  ojfferto 

Chi  per  lungo  silenzio  parea  fioco. 
B4.    Quand'  io  vidi  costui  nel  gran  diserto , 

Miserere  di  me,  gridai  a  lui, 

Qual  che  tu  sii,  od  ombra,  od  uomo  certo 


I).  contro 


H.  M'  inpiiij(eva 


E  d'  una  1.  —  55.  (|uale  quei  —  60.  rimpingeva  —  61.  riveniva  )|  ritornava  ()  richinava  ||  rimirava 


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(>  PROEMIO.  INFERNO  I.     67—90.  Virgilio. 

67.    Risposemi:  Non  uomo,  uomo  già  fui,  [a-i3ai 

E  li  parenti  miei  furon  Lombardi, 

2.  3.  E  M»nt.  -  2.  amen-  MaUtOVani    pCF    patria    ambo    e    dui.  B.  ambìdui    D.  «mbodui 

dui  II  1.  B.  ambìdui 

70.    Nacqui  sub  Julio,  ancorché  fosse  tardi, 

E  vissi  a  Roma  sotto  il  buono  Augusto, 
Al  tempo  degli  Dei  falsi  e  bugiardi. 
73.    Poeta  fui,  e  cantai  di  quel  giusto 

Figliuol  d' Anchise,  che  venne  da  Troia,         AdiTr. 
Poiché  il  superbo  Ilion  fu  combusto. 
7().    Ma  tu  perchè  ritorni  a  tanta  noia? 

Perché  non  sali  il  dilettoso  monte, 
Ch'  é  principio  e  cagion  di  tutta  gioia? 
79.    Or  se'  tu  quel  Virgilio ,  e  quella  fonte , 

Che  spande  di  parlar  sì  largo  fiume?  ^.z;.  spandi 

Risposi  lui  con  vergognosa  fronte.  a.  rì»pos-  io  a  lui 

82.    0  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 

Vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore, 
2. 3  m' han  Chc  m'  ha  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 

85.    Tu  se'  lo  mio  maestro  e  il  mio  autore  : 
Tu  se'  solo  colui,  da  cui  io  tolsi 
Lo  bello  stile ,  che  m'  ha  fatto  onore. 
88.    Vedi  la  bestia,  per  cui  io  mi  volsi: 

Aiutami  da  lei,  famoso  saggio,  A.tnn^xo 

Ch'  ella  mi  fa  tremar  le  vene  e  i  polsi. 

67.  Or  non  uom  —  70.  ancor  eh*  e*  ||  forse  tardi  —  ?2.  Nel  tempo  —  78.  tanta  gioja       79.  Oh ,  se'  tu  —  81).  spargi  —  85.  e  '1  mio 
Dottore  -  88.  per  rbe  mi  ||  per  che  io  mi  ||  per  cui  mi  riv. 


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PROEMIO.  INFERNO  1.     91-114.  veltro.  7 

91.    A  te  convien  tenere  altro  viaggio, 

Rispose,  poi  che  lagrimar  mi  vide, 
Se  vuoi  campar  d'  esto  loco  selvaggio: 
94.    Che  questa  bestia,  per  la  qual  tu  gride,  />.  queiu 

Non  lascia  altrui  passar  per  la  sua  via, 
Ma  tanto  lo  impedisce,  che  l'uccide: 
97.    Ed  ha  natura  si  malvagia  e  ria, 

Che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia, 
E  dopo  il  pasto  ha  più  fame  che  pria.  />.  m» 

100.    Molti  son  gli  animali,  a  cui  s'  ammogha, 

E  più  saranno  ancora,  infin  che  il  veltro      />. finche 
'2. 3.  tu  doglia  Verrà,  che  la  farà  moiir  con  dogUa. 

103.    Questi  non  ciberà  terra  ne  peltro. 
Ma  sapienza  e  amore  e  virtute, 
E  sua  nazion  sarà  tra  Feltro  e  Feltro. 
106.    Di  quell'  umile  Italia  fia  salute, 
2.  mono  Pcr  cuì  morì  la  vergine  Cammilla, 

1.  Eur.  Turno  Eurialo ,  c  Tumo ,  e  Niso  di  ferute  :  ff-  ew.  tu™ 

109.    Questi  la  caccerà  per  ogni  villa. 

Fin  che  1'  avrà  rimessa  nello  inferno , 
Là  onde  invidia  prima  dipartiUa. 
112.    Ond'  io  per  lo  tuo  me'  penso  e  discerno. 
Che  tu  mi  segui,  ed  io  sarò  tua  guida, 
E  trarrotti  di  qui  per  loco  etemo, 

93.  scampar  —  94.  Perchè  la  b.   —  95  alcun  passar  —  99.  che'n  pria  —  103.  Costui  -   105.  tra '1  Feltre   -    108.  Eur.  e  Niso,  e 
Tno  —  109.  Costai  la  —  HO.  Infin  che  la  rimetta  —   112.  per  lo  tuo  meglio  penso  e  scemo 


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INFERNO  1.     115  —  136. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  Ch'  alla 

1.  3.  E  vcderai 


•J.  3.  cittede 


2.  3.  Iddio 


2.  3.  che  tu 
1.  2.  3,  dietro 


115.    Ove  udirai  le  disperate  strida,  z>.  di^pietatc 

Vedrai  gli  antichi  spiriti  dolenti, 

Che  la  seconda  morte  ciascun  grida:  b.d.  ch-aWM. 

118.    E  poi  vedrai  color,  che  son  contenti  ^.  e  Tederà 

Nel  fuoco,  perchè  speran  di  venire, 

Quando  che  sia,  alle  beate  genti: 
121.    Alle  qua'  poi  se  tu  vorrai  salire, 

Anima  fia  a  ciò  di  me  più  degna;  .j.  piiidime 

Con  lei  ti  lascerò  nel  mio  partire: 
124.    Che  queUo  imperador,  che  lassù  regna, 

Perch'  io  fui  ribellante  alla  sua  legge. 

Non  vuol  che  in  sua  città  per  me  si  vegna. 
127.    In  tutte  parti  impera,  e  quivi  regge, 

Quivi  è  la  sua  città  e  1'  alto  seggio  : 

0  felice  colui,  cu' ivi  elegge! 
130.    Ed  io  a  lui:  Poeta,  io  ti  richieggio 

Per  quello  Dio,  che  tu  non  conoscesti,  />.  mìo 

Acciocch' io  fiigga  questo  male  e  peggio, 
133.    Che  tu  mi  meni  là  dov'  or  dicesti. 

Si  eh'  io  vegga  la  porta  di  san  Pietro, 

E  color,  cui  tu  fai  cotanto  mesti.  z;.  che  tu 

136.    AUor  si  mosse,  ed  io  li  tenni  retro.  [r.  «?-] 


115.  Ed  udirai  -  116.  Di  quegli  antichi  —  120.  tra  le  beate  —  126.  eh'  a  sua  città  —  129.  che  quivi  el. 


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CANTO  SECONDO 


±jo  giorno  se  n*  andava,  e  1'  aer  bruno 
Toglieva  gli  animai,  che  sono  in  terra, 
Dalle  fatiche  loro;  ed  io  sol  uno 
4.   M'  apparecchiava  a  sostener  la  guerra  /?.  afraticara 

Si  del  cammino  e  si  della  pietate, 
Che  ritrarrà  la  mente,  che  non  erra. 
7.    0  Muse,  o  alto  ingegno,  or  m'  aiutate: 
0  mente,  che  scrivesti  ciò  ch'io  vidi, 
Qui  si  parrà  la  tua  nobiUtate. 
10.    Io  cominciai:  Poeta  che  mi  guidi, 

Guarda  la  mia  virtù,  s'  ella  è  possente, 
1.  Anzi  Prima  che  all'  alto  passo  tu  mi  fidi.  h.  aiuì 

13.    Tu  dici,  che  di  Silvio  lo  parente, 
Corruttibile  ancora,  ad  immortale 
Secolo  andò,  e  fu  sensibilmente. 
16.    Però  se  1'  avversario  d'  ogni  male 

Cortese  i  fu,  pensando  1'  alto  effetto,  «.  cort,fu 

Che  uscir  dovea  di  lui,  e  il  chi,  e  il  quale, 

2.  ToglicuUo  -  fi.  se  non  erra  —  7.  O  Musa  —  12.  che  1*  alto  p.  -  13.  SUv.  il  p.  —  17.  ('Ort.  ei  fu 
I.  2 

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1.  2.  3.  Tort.  fii 


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10  PHOEMio.  INFERNO    n.    19  —  42.  enea,  s.  paolo. 

19.   Non  pare  indegno  ad  uomo  d' intelletto  : 

Ch'  ei  fu  deU'  alma  Roma  e  di  suo  impero       u.  i.  ait« 

NeU'  empireo  ciel  per  padre  eletto  : 
22.    La  quale,  e  il  quale  (a  voler  dir  lo  vero) 

Fur  stabiliti  per  lo  loco  santo ,  a.  c.  d.  f«  stobmto 

U'  siede  il  successor  del  maggior  Piero. 
25.    Per  questa  andata,  onde  gli  dai  tu  vanto, 

Intese  cose,  che  fiiron  cagione 

Di  sua  vittoria  e  del  papale  ammanto. 
28.    Andowi  poi  lo  Vas  d'  elezione,  a.  c.  \^o 

Per  recarne  conforto  a  quella  fede, 

Ch'  è  principio  alla  via  di  salvazione. 
31.   Ma  io  perchè  venirvi?  o  chi  1  concede? 

Io  non  Enea,  io  non  Paolo  sono: 

I.  3.  altri  crede  MC    dCgUO    a    CÌÒ    UC    Ì0    uè    altri  1    crede.  B.  altri  crede 

34.    Perchè  se  del  venire  io  m'  abbandono, 
Temo  che  la  venuta  non  sia  folle: 
1. 2. 3.  e  utendi  Sc'  savio ,  Intendi  me'  eh'  io  non  ragiono. 

37.    E  quale  è  quei,  che  disvuol  ciò  che  volle, 
E  per  nuovi  pensier  cangia  proposta, 
*^3.  tiei  Sì  che  dal  cominciar  tutto  si  toUe; 

40.    Tal  mi  fec'  io  in  quella  oscura  costa: 

Perchè,  pensando,  consumai  la  impresa, 
Che  fu  nel  cominciar  cotanto  tosta. 


19.  Nou  parrà  —  20.  e  del  suo  imp.  —  30.  Che  è  principio  e  via    -  31.  a  che  venirvi  ||  venire  -  34.  se  al  venire  -   37.  i{uale  c|iiei 
eh'  e*  volle  —  38.  nuovo  pena.  —  41.  E  ripensando  consumai 


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PROEMIO. 


INFERNO    n.    43-66. 


11 


spesse 


2.  3.  oh*  io  'nteei 


cortese  e  b. 


qu.  '1  mondo 


43.    Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa, 

Rispose  del  magnanimo  quell'  ombra, 
L'  anima  tua  è  da  viltate  offesa  : 

46.  La  qual  molte  fiate  V  uomo  ingombra. 
Si  che  d'  onrata  impresa  lo  rivolve, 
Come  falso  veder  bestia,  quand'  ombra. 

49.    Da  questa  tema  acciocché  tu  ti  solve. 

Dirotti,  perch'  io  venni,  e  quel  che  intesi 
Nel  primo  punto  che  di  te  mi  dolve. 

52.    Io  era  tra  color  che  son  sospesi, 

E  donna  mi  chiamò  beata  e  bella, 
Tal  che  di  comandare  io  la  richiesi. 

55.    Lucevan  gh  occhi  suoi  più  che  la  Stella: 
E  cominciommi  a  dir  soave  e  piana, 
Con  angelica  voce,  in  sua  favella: 

58.    0  anima  cortese  Mantovana 

Di  cui  la  fama  ancor  nel  mondo  dura, 
E  durerà  quanto  il  moto  lontana: 

61.   L'amico  mio,  e  non  della  ventura. 
Nella  diserta  piaggia  è  impedito 
Sì  nel  cammin,  che  volto  è  per  paura: 

64.    E  temo  che  non  sia  già  sì  smarrito, 

Ch'  io  mi  sia  tardi  al  soccorso  levata. 
Per  quel  eh'  io  ho  di  lui  nel  Cielo  udito. 


B.  eh"  io  'ntesi 


H.  cortese  e  b. 


43.  E  s'  io  ho  —  52.  intra  color  -  55.  che  unft  stella  —  57.  in  la  fav.  —  65.  tarda  —  66.  eh'  ho  nel  Ciel  dì  lui 

2' 


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12 


INFERNO    II.    67-90. 


1.  2.  3.  che  ha 


1.  del  loco 


3.  minori  i 


1.  qua  giù 


1.  Po'  che 


B.  a  che  ha 


H.  del  loco 


67.    Or  muovi,  e  con  la  tua  parola  ornata, 

E  con  ciò  eh'  è  mestieri  al  suo  campare, 

L'  aiuta  sì,  eh'  io  ne  sia  consolata. 
70.    Io  son  Beatrice,  che  ti  faccio  andare: 

Vegno  di  loco,  ove  tornar  disio: 

Amor  mi  mosse,  che  mi  fa  parlare. 
73.    Quando  sarò  dinanzi  al  Signor  mio, 

Di  te  mi  loderò  sovente  a  lui. 

Tacette  allora,  e  poi  comincia' io: 
7fi.    (J  donna  di  virtù,  sola  per  cui 

L'  umana  spezie  eccede  ogni  contento 

Da  quel  ciel,  che  ha  minor  li  cerchi  sui: 
79.    Tanto  m'  aggrada  il  tuo  comandamento , 

Che  l'ubbidir,  se  già  fosse,  m'  è  tardi; 

Più  non  t'  è  uopo  aprirmi  il  tuo  talento. 
82.    Ma  dimmi  la  cagion,  che  non  ti  guardi 

Dello  scender  quaggiuso  in  questo  centro 

Dall'  ampio  loco,  ove  tornar  tu  ardi. 
85.    Da  che  tu  vuoi  saper  cotanto  addentro. 

Dirotti  brevemente,  mi  rispose, 

Perch'  io  non  temo  di  venir  qua  entro. 
3.  si  deve  sol  di  qu.    88.    Tcmcr  si  dee  di  sole  quelle  cose 

Ch'  hanno  potenza  di  fare  altrui  male  : 

Dell'  altre  no,  che  non  son  paurose. 

7U.  ti  fo  and.   —   75.  Tao.  intanto  allora  e  parlai  io   --   80.  {^ià  forse   —  81.   t'  è  uopo  eh'  aprir  lo  ||  t'  è  u.  eh'  apri  Itt    ]    ti  uora 
aprirmi  '1  —  83.  Discendere  quai^ìi  —  84.  alto  loco  —  tÌ7.  qua  dentro  —  88.  dì  tutte  qu.  e.  —  80.  alcun  male    -  90.  poderose 


ìi.  U.  uo*  ch*  aprirmi 


H.  Po' che.   />.  Dapoiche 


U.  si  dee  sol  di  «ju. 


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A.  E  fiamma  -  D.  d' esto 
loco 


PROEMIO.  INFERNO    II.    91—114.  donna  gentile,  lucia.  13 

91.    Io  son  fatta  da  Dio,  sua  mercè,  tale, 
Che  la  vostra  miseria  non  mi  tange, 
Ne  fiamma  d'  esto  incendio  non  m'  assale 
94.    Donna  è  gentil  nel  ciel,  che  si  compiange 
Di  questo  hnpedimento,  ov'  io  ti  mando, 
Sì  che  duro  giudizio  lassù  frange.- 
97.    Questa  chiese  Lucìa  in  suo  dimando, 
2. 3.  Or  abbisogna  E  dLsse  i  Or  ììSb  blsoguo  il  tuo  fedele 

Di  te,  ed  io  a  te  lo  raccomando. 
100.   Lucìa,  nimica  di  ciascun  crudele, 

Si  mosse,  e  venne  al  loco  dov'  io  era. 
Che  mi  sedea  con  Y  antica  Rachele. 
103.    Disse:  Beatrice,  loda  di  Dio  vera. 

Che  non  soccorri  quei  che  t'  amò  tanto , 
Che  uscio  per  te  della  volgare  schiera? 
106.    Non  odi  tu  la  pietà  del  suo  pianto, 

Non  vedi  tu  la  morte  che  il  combatte 
Su  la  fiumana ,  ove  il  mar  non  ha  vanto  ?    /?.  marina  -  j.  e.  «.mie 
109.    Al  mondo  non  fiir  mai  persone  ratte 
1. 2. 3.  eti  a  fìiRR.  A  far  lor  prò,  ne  a  fuggir  lor  danno, 

Com'  io ,  dopo  cotai  parole  fatte , 
112.    Venni  quaggiù  dal  mio  beato  scanno, 
2.3.  nciu.o  Fidandomi  del  tuo  parlare  onesto, 

(yhe  onora  te  e  quei  che  udito  V  hanno. 


A.  r.  K  disse 


C.  vedi  la  in. 


B.  D.  et  «  fugg. 

H.  C.  del  nii<i 
B.  nel  tuo 


HB.  mi  sale   -  M.  gent.  in  eiel       98.  è  bisogno  |(  ha  mestier  -  al  tao  fed.  —  104.  ehe  t'  ama    -  106.  tu  pieude    -  110.  lor  prode 


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14  PROEMIO.  INFERNO    II.    115  —  138.  dante  e  viboilio. 

115.    Poscia  che  m'  ebbe  ragionato  questo, 

Gli  occhi  lucenti  lagrimando  volse; 

Perchè  mi  fece  del  venir  più  presto: 
118.    E  venni  a  te  così,  com'  ella  volse; 

Dinanzi  a  quella  fiera  ti  levai, 

Che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse.     ^  »"  «*>»*^ 
1. restoi        121.    Dunque  che  è?  perchè,  perchè  ristai? 

Perchè  tanta  viltà  nel  core  allette? 

Perchè  ardire  e  franchezza  non  hai? 
124.    Poscia  che  tai  tre  donne  benedette 

Curan  di  te  nella  corte  del  cielo,  .tcur-hM 

E  il  mio  parlar  tanto  ben  t' impromette  ?      b.d.^  prom^^ 
127.    Quali  i  fioretti  dal  notturno  gelo  «./>.  Quali  r 

Chinati  e  chiusi,  poi  che  il  Sol  gF  imbianca. 

Si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo; 
130.    Tal  mi  fec'  io,  di  mia  virtute  stanca: 

E  tanto  buono  ardire  al  cor  mi  corse, 

Ch'  io  cominciai  come  persona  franca  : 
133.    0  pietosa  colei  che  mi  soccorse, 

E  tu  cortese,  che  ubbidisti  tosto 

Alle  vere  parole  che  ti  porse! 
136.    Tu  m'  hai  con  desiderio  il  cor  disposto 

Si  al  venir,  con  le  parole  tue, 

Ch'  io  son  tornato  nel  primo  proposto. 


116.  occhi  pietosi  —   121.  che  è  '1  perchè    —   a  che,  in  che  ristai  —   122.  nel  cor  t'  allette  —  124.  Poi  che  tali  ||  Poi  cbf  tui*- 
127.  da  notturno  —  128.  e  poi  che  —  190.  da  mia  virt.  —  133  O  felice  —  134  E  te  cort. 


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PROEMIO.  INFERNO    II.    139  —  142.  dante  e  Virgilio.  ^5 

139.    Or  va,  che  un  sol  volere  è  d'  ambo  e  due        b.  c.  •mendue 

Tu  duca,  tu  signore  e  tu  maestro: 

Cosi  gli  dissi;  e  poiché  mosso  file, 
142.    Entrai  per  lo  cammino  alto  e  Silvestro. 


139.  Or  muovi  con  voi.  d'  aiu.  ||  Or  m.  che  un  v.  è  d'  am.  —  14*2.  oltre  «ilv. 


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CANTO  TERZO 


1.  2.  3.  eterno 


I.  2.  3.  Noi  Min 
1.  Che  vr«lerai 


»rer  me  si  va  nella  città  dolente, 
Per  me  si  va  nelF  eterno  dolore, 
Per  me  si  va  tra  la  perduta  gente. 
4.    Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore: 
Fecemi  la  divina  potestate, 
La  somma  sapienza  e  il  primo  amore. 
7.    Dinanzi  a  me  non  fiir  cose  create, 
Se  non  eterne,  ed  io  etema  duro: 
Lasciate  ogni  speranza,  voi,  eh'  entrate !« 

10.    Queste  parole  di  colore  oscuro 

Vid'  io  scritte  al  sommo  d'  una  porta  : 
Perch'  io:  Maestro,  il  senso  lor  m'  è  duro. 

13.    Ed  egli  a  me,  come  persona  accorta: 

Qui  si  convien  lasciare  ogni  sospetto; 
Ogni  viltà  convien  che  qui  sia  morta. 

16.    Noi  Siam  venuti  al  luogo  ov'  io  t'  ho  detto, 
Che  tu  vedrai  le  genti  dolorose, 
Ch'  hanno  perduto  il  ben  dello  intelletto. 


A.  1.  eterno  (?) 


B.  Noi  Sem 
B.  Che  vrtlerai 


2.  eternai  dol.  —  3.  nella  perd.  —  6.  sommo  am.     -  12.  il  senno  lor  —  13.  E  quelli  —  17.  Ove  udirai  —  18.  Che  han  perd. 

I.  3 


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18 


PORTA    DELL     INPERNO. 


INFERNO    ni.    19-42. 


VIRGILIO    E    DANTE. 


2.  3.  qu«B<lo  '1  turbi) 
1.  2.  3.  d'  error 


1.  fama 


1.  2.  3.  Cacciarli 


19.   E  poiché  la  sua  mano  aUa  mia  pose, 
Con  lieto  volto,  ond'  io  mi  confortai, 
Mi  mise  dentro  alle  segrete  cose. 

22.    Quivi  sospiri,  pianti  ed  alti  guai 

Risonavan  per  Y  aer  senza  stelle, 
Perch'  io  al  cominciar  ne  lagrimai. 

25.    Diverse  lingue,  orribili  favelle, 

Parole  di  dolore,  accenti  d'ira, 

Voci  alte  e  fioche,  e  suon  di  man  con  elle, 

28.    Facevano  un  tumulto,  il  qual  s'  aggira 

Sempre  in  quell'  aria  senza  tempo  tinta, 
Come  la  rena  quando  a  turbo  spira. 

31.   Ed  io,  eh'  avea  d'  orror  la  testa  cinta. 
Dissi:  Maestro,  che  è  quel  eh'  i'  odo? 
E  che  gent'  è,  che  par  nel  duol  sì  vinta? 

34.  Ed  egli  a  me:  Questo  misero  modo 
Tengon  Y  anime  triste  di  coloro , 
Che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo. 

37.   Mischiate  sono  a  quel  cattivo  coro 
DegU  angeh  che  non  fiiron  ribeUi, 
Ne  fur  fedeh  a  Dio,  ma  per  se  foro. 

40.    CaccianU  i  Ciel  per  non  esser  men  beUi: 
Ne  lo  profondo  inferno  gU  riceve, 
Che  alcima  gloria  i  rei  avrebber  d'eUi. 


B.  RisonaTa  io  i  v 


D.  quando  turbi 


B.  a  Dio  fcdfli 
^.  Cacciarli. // C*^ 


-'^  22.  aosp.  con  pianti  —  ed  amar  guai  ||  ed  altri  gu.  —  21.  Ond'  io  al  com.  —  26.  Par.  dolorose  —  28.  tum.  ohe  s'  agg.   -  ^'  ^"^  ' 

al  turbo  spira    -  33.  E  qual  gent'  è  ||  Che  gente  è  —  34.  E  quelli  —  37.  Mischiati  —  39.  ne  per  se  —  40.  non  parer  —  ben  belli  -  fòcU"^' 


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VESTIBOLO. 


INFERNO   ni.    43-66. 


19 


,  uon  averci 


,  2.  3.  Guardai  e  TÌdi 


43.   Ed  io:  Maestro,  che  è  tanto  greve 

A  lor,  che  lamentar  gli  fa  si  forte? 
Rispose:  Dicerolti  molto  breve. 

46.    Questi  non  hanno  speranza  di  morte, 
E  la  lor  cieca  vita  è  tanto  bassa, 
Che  invidiosi  son  d'  ogni  altra  sorte. 

49.    Fama  di  loro  il  mondo  esser  non  lassa, 
Misericordia  e  giustizia  gii  sdegna: 
Non  ragioniam  di  lor,  ma  guarda  e  passa. 

52.   Ed  io,  che  riguardai,  vidi  una  insegna, 
Che  girando  correva  tanto  ratta, 
Che  d'  ogni  posa  mi  pareva  indegna: 

55.   E  dietro  le  venia  sì  lunga  tratta 

Di  gente ,  eh'  i'  non  avrei  mai  creduto , 
Che  morte  tanta  n'  avesse  disfatta. 

58.    Poscia  eh'  io  v'  ebbi  alcun  riconosciuto , 
Vidi  e  conobbi  1'  ombra  di  colui 
Che  fece  per  viltate  il  gran  rifiuto. 

61.    Incontanente  intesi,  e  certo  fili. 

Che  quest'  era  la  setta  dei  cattivi, 
A  Dio  spiacenti  ed  ai  nemici  sui. 

64.    Questi  sciaurati,  che  mai  non  fur  vivi. 
Erano  ignudi  e  stimolati  molto 
Da  mosconi  e  da  vespe  eh'  erano  ivi. 


ragionar 


A.  retro    -  C.  lei 


A.  2.  B.  C.  eh'  io  n.  averei 
or.  —  D.  eh'  io  n.  avr.  cr. 


C.  viltà  ti 

A.  2.  Immantanente 

A.  quella 

A.  C.  spiacente 

A.  B.  C.  D.  sciagurati 

C.  ignudi  stimol. 


45.  Dieerottel  -  60.  per  riltà  lo 


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a  Et  le 


A.  1.  chi  ri  ik<fii  I 


20  VESTIBOLO.  INFERNO    IH.    67  —  90.  celestino  v, 

67.    Elle  rigavan  lor  di  sangue  il  volto, 

Che,  mischiato  di  lagrime,  ai  lor  piedi. 
Da  fastidiosi  venni  era  ricolto. 

70.    E  poi  che  a  riguardare  oltre  mi  diedi. 
Vidi  gente  alla  riva  d' im  gran  fiimie  : 
Perch'  io  dissi:  Maestro,  or  mi  concedi, 

73.    Ch'  io  sappia  quali  sono ,  e  qual  costume 
1. 2. 3.  par.  di  trap.  Lc  fa  òì  trapassar  parer  sì  pronte ,  a.  i.  lì  &  io  j 

trap. 

Com'  io  discemo  per  lo  fioco  lume. 
76.    Ed  egli  a  me:  Le  cose  ti  fien  conte,  b. ficr 

Quando  noi  fermerem  li  nostri  passi 

Sulla  trista  riviera  d'  Acheronte. 
79.    Allor  con  gli  occhi  vergognosi  e  bassi,  i?.  ver,?  b»s>i 

Temendo  no  '1  mio  dir  gli  fiisse  grave,  ^. nei 

Infino  al  fiume  di  parlar  mi  trassi.  j.  deipari.    <- 

dui  p. 

82.    Ed  ecco  verso  noi  venir  per  nave 

Un  vecchio  bianco  per  antico  pelo,  z^. veglio 

Gridando:  Guai  a  voi  anime  prave: 

85.    Non  isperate  mai  veder  lo  cielo! 

r  vegno  per  menarvi  all'  altra  riva, 
Nelle  tenebre  eterne,  in  caldo  e  in  gelo. 

88.    E  tu  che  se'  costì,  anima  viva. 

Partiti  da  cotesti  che  son  morti. 
1.  poi  che  vide  Ma  poi  eh'  ei  vide,  eh'  io  non  mi  partiva, 


?2.  Maestro  d. ,  or  mi  e.  ||  Maestro  mio,  dissi,  conc.  —  73.  Ch'  io  vegga  —  74.  Di  trap.  le  fa  par.  ||  Le  fa  nel  trap.  p- 
lume  —  77.  fermeremo  i  —  80.  Tem.  che  il  mio  dir  —  K8.  ver  di  noi  —  86.  Non  vi  sp.  mai  più  ved.  e.  —  87.  e  ^ielo 


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VESTIBOLO    (ACHERONTE).  INFERNO     IH.     91  —  114.  CARON.  21 

i.  a  birrerie  91.    Dìssg  i  PcF  altia  via,  per  altri  porti 

Verrai  a  piaggia,  non  qui,  per  passare: 
Più  lieve  legno  convien  che  ti  porti. 

1  d,ic«  lai  94.    E  il  duca  a  lui  :  Caron  non  ti  crucciare  : 

Vuoisi  così  colà,  dove  si  puote 
Ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare. 
97.    Quinci  fur  quete  le  lanose  gote 

Ai  nocchier  della  livida  palude. 
Che  intorno  agli  occhi  avea  di  fiamme  rote. 
100.    Ma  quell'  anime  eh'  eran  lasse  e  nude, 

Cangiar  colore  e  dibatterò  i  denti ,  a.  i.  aibatteai.  h  (?)  - 

A.  2.  Uibattrr  li 

1  T^*«"  Ratto  che  inteser  le  parole  crude.  a.  d.  Tosto 

iDio  -  1. 2. 3.  r  i  lor  103.    Bestemmiavauo  Iddio  e  lor  parenti,  a.  r.  dìo  -  d.^ì  lor 

L'  umana  specie,  il  luogo,  il  tempo  e  il  seme 
Di  lor  semenza  e  di  lor  nascimenti. 
106.    Poi  si  ritrasser  tutte  quante  insieme,  />.  rarcouer 

Forte  piangendo,  alla  riva  malvagia, 
Che  attende  ciascun  uom  che  Dio  non  teme.  e.  d,  iddio 
109.    Caron  dimonio,  con  occhi  di  bragia. 

Loro  accennando,  tutte  le  raccoglie; 
Batte  col  remo  qualunque  s'  adagia.  r.  c«n  r. 

112.    Come  d'  autunno  si  levan  le  foglie 

L'  una  appresso  dell'  altra,  infin  che  il  ramo  v.  fin  che 
•ii  Rende  Vede  aUa  terra  tutte  le  sue  spoglie, 

92.  e  non  qui    —    »l.  E  il  duca  mio    —    99.  di  fiamma    —    100.  Ma  fjuelle  genti    —    101.  e  dibattendo         102.  Poscia  che  int.    - 
i'4.  r'I  luogo,  e  *l  t..  e '1  s.  —  106.  tutte  e  <\u.  \\  tutti  <|uanti  —  lOH.  eiaschedun  che    -  110.  tutti  li 


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B.  D.  GittAsi 


.4.  1.  nova  gente  (?) 


22  VESTIBOLO.  INFERNO    DI.    115  —  136.  passant 

115.    Similemente  il  mal  seme  d'  Adamo: 
1.  GittMi  Gittansi  di  quel  lito  ad  mia  ad  mia, 

Per  cenni,  come  augel  per  suo  richiamo. 
118.    Così  sen  vanno  su  per  l'onda  bruna, 

Ed  avanti  che  sian  di  là  discese, 

1.  Ancho  Anche  di  qua  nuova  schiera  s'  aduna. 

121.    FigUuol  mio,  disse  il  Maestro  cortese, 
QueUi  che  muoion  nell'  ira  di  Dio 
Tutti  convegnon  qui  d'  ogni  paese: 

2.  .itrap. del      124.    E  prouti  souo  a  trapassar  lo  rio. 

Che  la  divina  giustizia  gU  sprona 

Si  che  la  tema  si  volge  in  disio. 
1. passò  127.    Quinci  non  passa  mai  anima  buona; 

E  però  se  Caron  di  te  si  lagna. 

Ben  puoi  saper  omai  che  il  suo  dir  suona.    ^  i  «»»«  »"<> 
130.    Finito  questo,  la  buia  campagna  -4.  cunp«jn.» 

Tremò  sì  forte,  che  dello  spavento 

La  mente  di  sudore  ancor  mi  bagna. 
133.    La  terra  lagrimosa  diede  vento, 
i.K  balenò  Chc  balcuò  una  luce  vermigUa, 

La  qual  mi  vinse  ciascun  sentimento: 
136.    E  caddi,  come  T  uom  cui  sonno  pigUa.  [z>-iv.  57.J 


117.  Per  cenno  —   121.  Figi.,  mi  disse  —  122.  Color  che  —   121.  E  sì  son  pr.  -  126.  volve  -    131.  dallo  sp.  -  132.  il  cor  —   men 
bagna  —  184.  d'  una  luce  —  136.  che  sonno  ||  che  *1  s. 


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CANTO  QUARTO 


Xvuppemi  r  alto  sonno  nella  testa 
Un  greve  tuono  sì,  eh'  io  mi  riscossi. 
Come  persona  che  per  forza  è  desta  :  a.  che  è  per  f.  dest» 

4.    E  r  occhio  riposato  intorno  mossi, 
Dritto  levato,  e  fiso  riguardai 

Per  conoscer  lo  loco  dov'  io  fossi.  b.  u  v  ì  f«,si 

7.    Vero  è  che  in  su  la  proda  mi  trovai 
Della  valle  d'  abisso  dolorosa, 
1  throno  Che  tuono  accogUe  d' infiniti  guai. 

10.    Oscm'a,  profond'  era  e  nebulosa. 

Tanto  che,  per  ficcar  lo  viso  al  fondo. 
iidisrerneaverun»  lo  uou  vì  discemcva  alcuua  cosa. 

13.    Or  dìscendiam  quaggiù  nel  cieco  mondo, 
li  Incominciò  Cominciò  il  poctd  tutto  i^morto: 

Io  sarò  primo,  e  tu  sarai  secondo. 
16.    Ed  io,  che  del  color  mi  fui  accorto. 
Dissi:  Come  veiTÒ,  se  tu  paventi. 
Che  suoli  al  mio  dubbiare  esser  conforto? 


2.  graTC  II  grande  —  trono  —  5.  Ritto  lev.  —  6.  ben  conoscer  —  ov"  io  ||  ove    -  9.  Che  torno  ||  Gbe  'iitorno  —  10.  Ouc.  era  prof. 
&  fondo    -  14.  Com.  il  mio  p.  —  16.  Ond'  io  —  17.  che  tu  pav. 


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24  CERCHIO  I.  LIMBO.  INFERNO    IV.    19 --42.  pagani  virtuosi,  innocenti. 

19.    Ed  egli  a  me:  L'angoscia  delle  genti, 

Che  son  quaggiù,  nel  viso  mi  dipigne 
Quella  pietà,  che  tu  per  tema  senti. 
22.    Andiam,  che  la  via  lunga  ne  sospigne: 
Cosi  si  mise,  e  cosi  mi  fé'  entrare 
Nel  primo  cerchio  che  1'  abisso  cigne. 
25.    Quivi,  secondo  che  per  ascoltare, 

Non  avea  pianto,  ma'  che  di  sospiri, 
Che  r  aura  eterna  facevan  tremare  : 
1. 2. 3.  K  ciò  28.    Ciò  avvenia  di  duol  senza  martiri ,  b-  k  cìò 

Ch'  avean  le  turbe ,  eh'  eran  molte  e  grandi, 
.3.  E  d-  iiif.  jy  infanti  e  di  femmine  e  di  viri.  e.  m  fanti 

31.    Lo  buon  Maestro  a  me:  Tu  non  dimandi 
Che  spiriti  son  questi  che  tu  vedi? 
Ov  vo'  che  sappi,  innanzi  che  più  andi, 
34.    Ch'  ei  non  peccaro:  e  s'  elli  hanno  mercedi,        e  ehh^r  mer. 
2.  .3.  perei,  ei  non  Nou  basta,  pcrchè  non  ebber  battesmo, 

2. 3.*imrt«  Ch'  è  paitc  della  fede  che  tu  credi: 

37.    E  se  furon  dinanzi  al  Cristianesmo ,  .^.  K*ei 

Non  adorar  debitamente  Dio  :  a.  c.  •  wo 

E  di  questi  cotai  son  io  medesmo. 
2. 3.  e  non  40.    Pcr  tal  difetti,  non  per  altro  rio,  ^moi. 

Semo  perduti,  e  sol  di  tanto  offesi,  ^.  i.  siamo i» 

Che  senza  speme  vivemo  in  disio.  a,  i.  vm«n.  i  > 

*À).  nel  volto  22.  ci  sosp.  —  23.  Così  mi  disse  ||  Cosi  si  mosse  —  25.  ch*  io  per  asc.  ||  oh'  io  potè'  asc.  —  26.  pianto,  o  cs 
ili  .Hosp.  2tl.  ar\'.  da  duol  —  29.  molto  grandi  —  32.  Che  anime  —  36.  Che  porta  è  ||  Ch'  è  padre  ||  Ch'  è  principio  alla  -  37.  K  s  '  ^ 
38.  deb.  a  Dio  —  41.  e  srm  di  tanto  ||  o  sol  di  t. 


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rRRrHIO    I.    LIMBO. 


INFERNO    IV.    43-66: 


PATRIARCHI. 


25 


1.  2.  3.  «ente 


'I.  3.  rscinnr 


1.  2.  3.  incoronato 


1.  2.  3.  con  suo  p. 


43.    Gran  duol  mi  prese  al  cor  quando  lo  intesi, 
Perocché  genti;  di  molto  valore 
Conobbi,  che  in  quel  limbo  eran  sospesi. 

46.    Dimmi,  Maestro  mio,  dimmi,  Signore, 
Comincia'  io ,  per  voler  esser  certo 
Di  quella  fede  che  vince  ogni  errore: 

49.    ITscicci  mai  alcuno,  o  per  suo  merto, 
0  per  altrui,  che  poi  fosse  beato? 
E  quei,  che  intese  il  mio  parlar  coperto, 

52.    Rispose:  Io  era  nuovo  in  questo  stato, 
Quando  ci  vidi  venire  un  possente 
Con  segno  di  vittoria  coronato. 

55.    Trasseci  1'  ombra  del  primo  parente , 
D'  Abel  suo  figlio,  e  quella  di  Noè. 
Di  Moisè  legista  e  ubbidiente; 

58.    Abraam  patriarca,  e  David  re, 

Israel  con  lo  padre,  e  co'  suoi  nati, 
E  con  Rachele,  per  cui  tanto  fe\ 

61.   Ed  altri  molti;  e  fecegh  beati: 

E  vo'  che  sappi  che,  dinanzi  ad  essi, 
Spiriti  umani  non  eran  salvati. 

64.    Non  lasciavam  1'  andar,  perch'  ei  dicessi. 
Ma  passavam  la  selva  tuttavia, 
La  selva  dico  di  spiriti  spessi. 


B.  Rcntc 


B.  fosse  poi 


C.  Qiiand*  io 


[D.  III.  136  -1  -  A.  1. 
Icj?.  ubbid.  (?) 


43.  mi  pr.  »llor  —  53.  Qu.  vidi  ven.  un  re  p.  —  potente  —  57.  leg.  ;  e  1'  ubb.  Abr.  —  59.  Isr.  col  p.  \  Isr.  co'  suoi  fij»li  —  64.  d'  andar 

I.  4 


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26 


2.  3.  lungi 

2.  3.  sommo   —    1.  2.  3. 
quand  '  i  '  vidi 


1.  2.  3.  ogni  scienza 


3.  cominciommi 


2.  3.  è  Lue. 


CKRCHio  I.  UMBO.  INFERNO    IV.    67  —  90.  poeti. 

67.    Non  era  lunga  ancor  la  nostra  via 

Di  qua  dal  sonno;  quando  vidi  un  foco, 
Ch'  emisperio  di  tenebre  vincia. 

70.   Di  lungi  v'  eravamo  ancora  un  poco, 

Ma  non  sì,  eh'  io  non  discemessi  in  parte. 
Che  onrevol  gente  possedea  quel  loco. 

73.    0  tu,  che  onori  e  scienza  ed  arte. 

Questi  chi  son,  eh'  hanno  cotanta  onranza. 
Che  dal  modo  degh  altri  U  diparte? 

76.    E  quegU  a  me;  L'  onrata  nominanza, 
Che  di  lor  suona  su  nella  tua  vita, 
Grazia  acquista  nel  del  che  si  gli  avanza. 

79.    Intanto  voce  fu  per  me  udita: 
Onorate  1'  altissimo  poeta; 
L'  ombra  sua  toma,  eh'  era  dipartita. 

82.    Poiché  la  voce  fu  restata  e  queta. 

Vidi  quattro  grand'  ombre  a  noi  venire; 
Sembianza  avevan  ne  trista  ne  Ueta. 

85.    Lo  buon  Maestro  cominciò  a  dire: 

Mira  colui  con  queUa  spada  in  mano, 
Che  vien  dinanzi  a'  tre  sì  come  sire. 

88.    QuegU  è  Omero  poeta  sovrano, 

L'  altro  è  Orazio  satiro ,  che  viene , 
Ovidio  è  il  terzo,  e  Y  ultimo  Lucano. 


A.  t.  C.  U,  sono.  -  B. 
C.  D.  quand'  io  v. 


D.  : 


C.  1.  mondo 
a  D.  Et  eUi 


C.  D.  ombre  grand] 
b.  aveva.  —  D.  avìeno 
B.  'ncominciò 


70.  u  erav.  —  Ti.  possedean  —  73.  cui  onora  —  74.  sono  eh'  han  cot  —  75.  E  il  modo  si  dagli  -  76.  La  tanta  nom.  —  77.  nell'  altra 
V.  —  T8.  in  ciel  —  79.  per  me  fu  —  90.  Ov.  il  terso 


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CKHCHIO   f.   LIMBO. 


2  3.  I>i  quel 


2.  3.  E  il  mid  M. 


Z  Ch'  ei  si  3.  Ch*  essi 


INFERNO    IV.    91-114. 

91.   Perocché  ciascun  meco  si  conviene 
Nel  nome,  che  sonò  la  voce  sola, 
Fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene. 
94.    Così  vidi  admiar  la  bella  scuola 

Di  quei  signor  dell'  altissimo  canto, 
Che  sopra  gli  altri  com'  aquila  vola. 
97.    Da  eh'  ebber  ragionato  insieme  alquanto, 
Volsersi  a  me  con  salutevol  cenno: 
Perchè  1  Maestro  sorrise  di  tanto: 

100.    E  più  d'  onore  ancora  assai  mi  fenno, 
Ch'  esser  mi  fecer  della  loro  schiera, 
Sì  eh'  io  fui  sesto  tra  cotanto  senno. 

103.    Così  n'  andammo  infino  alla  lumiera, 

Parlando  cose,  che  il  tacere  è  bello, 
Sì  com'  era  il  parlar  colà  dov'  era. 

106.   Venimmo  al  pie  d'  un  nobile  castello, 
Sette  volte  cerchiato  d'  alte  miu-a, 
Difeso  intomo  d'  un  bel  fiumicello. 

109.    Questo  passammo,  come  terra  dura: 

Per  sette  porte  intrai  con  questi  savi; 
Giugnemmo  in  prato  di  fresca  verdura 

112.    Genti  v'  eran  con  occhi  tardi  e  gravi, 
Di  grande  autorità  ne'  lor  sembianti: 
Parlavan  rado,  con  voci  soavi. 


ILLUSTBI. 


27 


A.  m.  B.  Di  quel 


D.  Poi  oh'  eh. 


B.  D.  E  1  mio  M. 


A.  2.  B.  a  Ch'  ei  si. 
D.  Ch'  essi 


R.  Così  and. 


D.  Giiienenimo 


di.  Cosi  Tid*  io  —  100.  Ed  anco  più  on.  —  101.  Che  sì  —  106.  doT'  io  era  —  106.  Ven.  appiè 


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28  CERCHIO  I.  LIMBO.  INFERNO    IV.    115  — ia8.  eroi. 

115.    Traemmoci  così  dall' un  de' canti  a.ì.b.d.ì^^. 
In  loco  aperto  luminoso  ed  alto, 

i.2.3.8ii>ute«ntutti4u.  Sì  clie  vcdcF  potcausi  tutti  e  quanti.  i/.z;.  «poteta- 

1 18.    Colà  diritto ,  sopra  il  verde  smalto,  />.  e  u 
Mi  fiir  mostrati  gU  spiriti  magni, 

1.  del  vedere  2. 3.  di  Chc  del  vcdcrli  in  me  stesso  n'  esalto.  r.z;.cbedi-/i-. 

vederli 

121.    Io  vidi  Elettra  con  molti  compagni, 
1. 2. 3.  con.  ed  Ett.  Tra'  qual  conobbi  Ettore  ed  Enea,  ^.  ed  eh 

Cesare  armato  con  gli  occhi  grifagni. 
1.  c«n.  vidi  124.    Vidi  Cammilla  e  la  Pentesilea 

Dall'  altra  parte ,  e  vidi  il  re  Latino ,  a.  2.  e  ptu  ì 

Che  con  Lavinia  sua  figha  sedea. 
127.    Vidi  quel  Bruto  che  cacciò  Tarquino, 
Lucrezia,  Julia,  Marzia  e  Corniglia, 
E  solo  in  parte  vidi  il  Saladino. 
130.    Poi  che  innalzai  un  poco  più  le  ciglia,  u. chietina 

Vidi  il  Maestro  di  color  che  sanno, 
Seder  t^a  filosofica  famiglia. 
2. 3. 1  nDimirau  133.    Tutti  lo  mlrau,  tutti  onor  gli  fanno. 

1. 2. 3.  e  Suor.  Quìvì  vld'  io  Socratc  e  Platone,  b.  e  socr 

Che  innanzi  agli  altri  più  presso  gli  stanno. 
136.    Democrito,  che  il  mondo  a  caso  pone, 
Diogenes,  Anassagora  e  Tale, 
Empedocles,  Eraclito  e  Zenone: 

118.  Quivi  dir.  —  120.  del  vederle  -  m'esalto  -    122.  Tra*  cjuaJi  con.  Ettor  ed  -  123.  con  occhi  -  124.  25.  PcwiesiW;  l'»-'- 
y.  vidi  —  12H.  Lavina  —  130.  Ma  poi  che  alzai  —  un  poco  in  bù  ||  uji  po'  più  sii 


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CERI  MIO  I.  LIMBO.  INFERNO    IV.    139  —  151.  filosofi.  29 

139.    E  vidi  il  buono  aceoglitor  del  quale,  [r.  -  v.  mj 

Dioscoride  dico:  e  vidi  Orfeo, 

Tullio  e  Lino  e  Seneca  morale:  d.  k  Turno  a.  muw 

142.    Euclide  geometra  e  Tolommeo, 

Ippocrate,  Avicenna  e  Galieno, 

Averrois,  che  il  gran  comento  feo. 
145.    Io  non  posso  ritrar  di  tutti  appieno: 

mi  *rrìi;ne  PCrOCChè    SI    UÙ    CaCCla    il    lungo     tema,  y^.  mi^trinKe 

Che  molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno. 
148.    La  sesta  compagnia  in  due  si  scema: 
Per  altra  via  mi  mena  il  savio  duca, 
Fuor  della  queta,  nell'  aura  che  trema; 
chi  lue.  151.    E  vengo  in  parte,  ove  non  è  che  luca.  /;.  chuuca 


141.  Tullio  almo  ;,  Tullio  ed  almo  |  T.  ed  Aleno  <|  Tullio  e  Livio  -   143.  Ipoera^ 


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CANTO  QUINTO 


V  osi  discesi  del  cerchio  primaio  b.  nei  e 

Giù  nel  secondo,  che  men  loco  cinghia, 
E  tanto  più  dolor,  che  pugne  a  guaio.  ^.  i.  hapm(?) 

4.    Stavvi  Minos  orribihnente  e  ringhia: 
Esamina  le  colpe  nell'  entrata. 
Giudica  e  manda,  secondo  che  avvinghia. 
7.    Dico,  che  quando  1'  anima  mal  nata 

Li  vien  dinanzi,  tutta  si  confessa;  ^i.  m.  lì  va  davanti 

E  quel  conoscitor  delle  peccata 
10.    Vede  qual  loco  d*  inferno  è  da  essa: 
Cignesi  colla  coda  tante  volte. 
Quantunque  gradi  vuol  che  giù  sia  messa. 
13.    Sempre  dinanzi  a  lui  ne  stanno  molte: 
Vanno  a  vicenda  ciascima  al  giudizio; 
Dicono  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 
16.    0  tu,  che  vieni  al  doloroso  ospizio, 
a  Gridò  Min.  Dìssc  Mìuos  a  me,  quando  mi  vide, 

Lasciando  F  atto  di  cotanto  ufizio, 

4.  Min.  e  orribilm.  r.  —  orribile,  che  ringhia  —  8.  Li  giunge  innante  —  14.  eiaaeuno  -  15.  giù  sou  volte 


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32  CERCHIO    II.    CARNALI.  INFERNO     V.     19  —  42.  MINOS. 

19.    (ruarda  com'  entri,  e  di  cui  tu  ti  fide: 

Non  t' inganni  l'ampiezza  dell'  entrare  ! 
E  il  duca  mio  a  lui:  Perchè  pur  gride? 

22.  Non  impedir  lo  suo  fatale  andare: 
Vuoisi  così  colà,  dove  si  puote 
Ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare. 

25.    Ora  incomincian  le  dolenti  note 

A  farmisi  sentire:  or  son  venuto 
Là  dove  molto  pianto  mi  percote. 

28.    Io  venni  in  loco  d'  ogni  luce  muto,  ^.  !.(?)/> -k 

Che  mugghia,  come  fa  mar  per  tempesta,        />.  fsimar 
Se  da  contrari  venti  è  combattuto.  a.  «.  si  d. 

31.    La  bufera  infernal,  che  mai  non  resta, 

Mena  gli  spirti  con  la  sua  rapina ,v  ---- ri- 
voltando e  percotendo  li  molesta. 

34.    Quando  giungoh  davanti  alla  mina, 

Quivi  le  strida,  il  coinpianto  e  il  lamento,       M^^irnìi^^» 
Bestemmìan  quivi  la  virtù  divina. 

37.    Intesi,  che  a  così  fatto  tormento 
2. 3.  F>*n  Enno  dannati  i  péccator  calmali,  .4  i  (i/AFr- 

Che  la  ragion  sommettono  al  talento. 

40.    E  come  gli  stornei  né  portan  1'  ali^ 

Nel  freddo  tempo,  a  schiera  larga  e  piena. 
Così  quel  fiato  gli  spiriti  mali. 

19.  in  cut  tu  ti    -  34.  dinanzi  ||  de  'venti  —  35.  il  pianto  —  41.  schiera  lunga 


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CKRrUIO   II.    CARNALI. 


INFERNO   V.    48-66. 


I.  2.  3.  aer  i 


I.  Al  y 


1.  Cleoiiatra 


SKMIRAM18,    UIDO.  33 

43.    Di  qua,  di  là,  di  giù,  di  su  gli  mena:  ^.  dì  »,.,  di  «ìù 

Nulla  speranza  gli  conforta  mai, 

Non  che  di  posa,  ma  di  minor  pena. 
4fi.    E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai, 

Facendo  in  aer  di  se  lunga  riga; 

Cosi  vid'  io  venir,  traendo  guai, 
49.    Ombre  portate  dalla  detta  briga  : 

Perch'io  dissi:  Maestro,  chi  son  quelle 

Genti,  che  1'  aura  nera  si  gastiga?  />.  aer  nero 

52.    La  prima  di  color,  di  cui  novelle 

Tu  vuoi  saper,  mi  disse  quegU  allotta, 

Fu  imperatrice  di  molte  favelle.  [cm.  139-] 

55.    A  vizio  di  lussuria  fu  sì  rotta, 

Che  Ubito  fé'  licito  in  sua  legge, 

Per  torre  il  biasmo,  in  che  era  condotta. 
58.    Eli'  è  Semiramis,  di  cui  si  legge, 

Che  succedette  a  Nino,  e  fu  sua  sposa:  />.«•.  «uRRer  d^te 

Tenne  la  terra,  che  il  Soldan  corregge. 
61.    L'  altra  è  colei,  che  s'  ancise  amorosa. 

E  ruppe  fede  al  cener  di  Sicheo; 

Poi  è  Cleopatras  lussuriosa. 
64.    Elena  vidi,  per  cui  tanto  reo 

Tempo  si  volse,  e  vidi  il  grande  Achille, 

Che  con  amore  al  fine  combattei). 


B.  D.  Cleopatra 
A.  2.  a  vedi 
A.  2.  C.  vedi 

C.  per  amore 


IT),  uè  di  miiiitr  —  49.  biga  —  53.  disse  questi  —  57.  Per  tor  lo  ||  Per  torsi  il    -  59.  sugge  dette       GÌ.  K  vidi  Kl. 


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34 


CERCHIO   li.    CABNALI. 


FRANCESCA   DA   RIMINI. 


2.  3.  mi  viiue 


2.  3.  duo 


A.  C.  Vedi  —  A.  Tris- 
tano, Paris 


A.  nominommi 


D.  mi  vinse 


INFERNO   V.    67-90. 

67.   Vidi  Paris,  Tristano;  e  più  di  mille 

Ombre  mostrommì  e  nominoUe  a  dito, 

Che  amor  di  nostra  vita  dipartille. 
70.    Poscia  eh'  io  ebbi  il  mio  dottore  udito 

Nomar  le  donne  antiche  e  i  cavalieri, 

Pietà  mi  giunse,  e  fui  quasi  smarrito. 
73.    Io  cominciai:  Poeta,  volentieri 

Parlerei  a  que'  due,  che  insieme  vanno, 

E  paion  sì  al  vento  esser  leggieri. 
76.   Ed  egli  a  me:  Vedrai,  quando  saranno 

Più  presso  a  noi;  e  tu  allor  li  prega 

Per  quell'amor  che  i  mena;  e  quei  verranno.  ^.a-ccVeiiimeTcrr. 

—  I>.  ed  ri  rerr. 

79.    Sì  tosto  come  il  vento  a  noi  li  piega, 
1.  Muovi  Mossi  la  voce:  0  anime  affannate. 

Venite  a  noi  parlar,  s'  altri  noi  niega. 
82.    QuaU  colombe  dal  disio  chiamate, 
2. 3.  ali  aperte  Cou  l'ali  alzatc  e  ferme,  al  dolce  nido 

Volan  per  1'  aer  dal  voler  portate  : 
85.    Cotah  uscir  della  schiera  ov'  è  Dido, 

A  noi  venendo  per  1'  aer  maligno , 

Sì  forte  fii  r  affettuoso  grido. 
88.    0  animai  grazioso  e  benigno. 

Che  visitando  vai  per  V  aer  perso 

Noi  che  tignemmo  il  mondo  di  sanguigno  : 


B.  Muov*  i*  1«  V. 


A,  2.  C,  Ve^nou 


tlO.  da!  nostro  mondo  —  78.  Per  1'  amor  che  gli  mena  ||  Per  quel  desio  ehe  i 
84.  per  aere  da  —  dal  disio  —  86.  Venendo  a  noi 


■  80.  Mo8s'  io  II  Muovo  —  82.  da  disio  —   tirate 


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CERCHIO   II.    CARNALI.  INFERNO    V.     91-114.  FRANCESCA  DA   RIMINI.  ^ 

91.    Se  fosse  amico  il  re  dell'  universo. 

Noi  pregheremmo  lui  per  la  tua  pace ,  a.  i.  co  />.  deiia  tua 

Poiché  hai  pietà  del  nostro  mal  perverso. 
94.    Di  quel  che  udire  e  che  parlar  ti  piace 
•Noi  udiremo  e  parleremo  a  vui, 
1.  eiuc«  Mentrechè  il  vento,  come  fa,  si  tace.  ^.i.  qui  tace  ^.  e.  tace 

97.    Siede  la  terra,  dove  nata  fui, 

Sulla  marina  dove  il  Po  discende 
Per  aver  pace  co'  seguaci  sui. 
100.    Amor,  che  al  cor  gentil  ratto  s'  apprende; — - 
Prese  costui  della  bella  persona 

Che  mi  fii  tolta,  e  il  modo  ancor  m' offende,     e.  i.  u  mondo  (?) 
103.   Amor,  che  a  nullo  amato  amar  perdona, 
Mi  prese  del  costui  piacer  sì  forte. 
Che,  come  vedi,  ancor  non  mi  abbandona. 
106.   Amor  condusse  noi  ad  una  morte: 
1. 2. 3.  chi  n  viu  Caina  attende  chi  vita  ci  spense.  a.  i.  cm  n  vita  (?)  b, 

chi  a  vita 

Queste  parole  da  lor  ci  £ur  porte. 
109.    Da  che  io  intesi  quelle  anime  offense,  ^. Quandio 

Chinai  1  viso,  e  tanto  il  tenni  basso. 

Finche  il  poeta  mi  disse:  Che  pense? 
112.    Quando  risposi,  cominciai:  0  lasso,  ^.  i.  hei  lasso  (?) 

Quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 

Menò  costoro  al  doloroso  passo! 

US.  della  sua  p.  ~  (3.  l>a  che  hai  pietà  —  pel  nostro  *-  94.  Di  quel  —  vi  piace  -  97.  dov*  io  -  100.  al  gentil  cor  —  102.  e  *1 
oto  —  al  mondo  eh'  or  m'  off.  ||  il  mondo  ancor  m'  offende  ?  !  —  104.  Mi  porse  di  —  107.  Cain  ||  Caino  —  106.  mi  far  p.  -<  109.  Poscia  che  io  — 
0.  Chinai  lo  v.  —  IH.  poeta  mio  —  112.  Quand'  io  —  113.  dolci  sospir 

5' 


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36 


CERCHIO   II.   CARNALI. 


INFERNO   V.    116  —  138. 


FRANCESCA    DA    BDIINI. 


115.    Poi  mi  rivolsi  a  loro,  e  parla'  io, 

E  cominciai:  Francesca,  i  tuoi  martiri 
1. 2. 3.  A  ìiiirr.  Al  lagrimar  mi  fanno  tristo  e  pio.  b.  a  incrinur 

118.    Ma  dimmi:  al  tempo  de'  dolci  sospiri, 
A  che  e  come  concedette  amore, 
1. 2. 3.  conosceste  Chc  conosccstì  Ì  dubbiosi  desiri?  /?.  conos««f 

121.    Ed  ella  a  me:  Nessun  maggior  dolore^  ^. Equeiu 

Che  ricordarsi  del  tempo  feUce  / 

Nella  miseria;  e  ciò  sa  il  tuo  dottore. 

124.    Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice 

Del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  aflTetto, 
Farò  come  colui  che  piange  e  dice. 

127.    Noi  leggevamo  un  giorno  per  diletto 
1  2. 3.  unciiotto  Di  Lancelotto,  come  amor  lo  strinse: 

Soli  eravamo  e  senza  alcun  sospetto. 

130.    Per  più  fiate  gli  occhi  ci  sospinse 

Quella  lettura,  e  scolorocci  il  viso: 
Ma  solo  un  punto  fii  quel  che  ci  vinse. 

133.    Quando  leggemmo  il  disiato  riso 

Esser  baciato  da  cotanto  amante, 
Questi,  che  mai  da  me  non  fia  diviso, 

136.    La  bocca  mi  baciò  tutto  tremante: 

Galeotto  fii  il  libro  e  chi  lo  scrisse  :  a.  G»ie»ai.. 

Quel  giorno  più  non  vi  leggemmo  avante. 


A.  2.  Dirò 


fì.  a  ì).  Unm  - 


117.  e  tristo  pio    -  119.  a  voi  concesse    -  120,  conoscessi  —  123.  Non  la  mis.  e  ciò  fa  ~  12».  Del  nostro  mal     -  effftto     1*^  ' 
come  —  131.  scolorìoci 


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CERCHIO    II.    CARNALI.  INFERNO     V.      139—142.  FRANCESCA    DA    RIMISI.  37 

139.    Mentre  che  1' uno  spirto  questo  disse, 
L'  altro  piangeva  si,  che  di  pietade 

1.  2.  3.  men  rosi  lo    VeUni    mCUO    SÌ    COm'  io    morisse  :  B.  men  cosi.  -  U.  mem» 

142.    E  caddi,  come  corpo  morto  cade. 


come  8  10 


\¥\.  fl&  pietade     -  141.  sicronie  morisse 


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CANTO  SESTO 


Aa  tornar  della  mente,  che  si  chiuse 
1.  di  due  -  2. 3.  duo  Dinanzi  alla  pietà  de'  due  cognati,  b.  v.  d.  di  due 

Che  di  tristizia  tutto  mi  confiise, 
4.    Nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati 

Mi  veggio  intorno,  come  eh'  io  mi  mova, 
1. 2.  a  Eeomechiomi  E  ch' io  mi  volga,  c  comc  ch'io  mi  guati.      /?.  eh' io  guati 

V.  e  eh'  io 

7.    Io  sono  al  terzo  cerchio  della  piova 
Eterna,  maledetta,  fredda  e  greve: 
Regola  e  qualità  mai  non  1'  è  nuova. 
10.    Grandine  grossa,  e  acqua  tinta,  e  neve 
Per  r  aer  tenebroso  si  riversa: 
Pute  la  terra  che  questo  riceve. 
13.    Cerbero,  fiera  crudele  e  diversa. 
Con  tre  gole  caninamente  latra 
Sopra  la  gente  che  quivi  è  sommersa. 
L2.3.eub»rb»        16.    Gli  occM  ha  vermigli,  la  barba  unta  ed  atra,    ^. />.  e  la  baru 

E  il  ventre  largo,  e  unghiate  le  mani;  cu  ventre 

'''■\'l"girlc:lr^*  Cxraffia  gU  spiriti,  scuoia,  ed  isquatra.  -'  Ttght^''^''^* 

ti.  volva  —  che  i*  guati  -   10.  groua.  acqua  —  14.  Caninam.  con  tre  g.  latra  —  18.  PigUa  gli  sp.  ||gli  ing.  e  gli  squ.  —  disc,  e  disqu. 


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40 


CERCHIO    ni.    GOLOSI. 


INFERNO   VI.    19-42. 


1.  La  bocfii 


1.  2.  3.  tutte  «ju. 
3.  Fuor  d'  lina 


19.    Urlar  gli  fa  la  pioggia  come  cani: 

Dell'  un  de'  lati  fanno  all'  altro  schermo; 
Volgonsi  spesso  i  miseri  profani. 

22.    Quando  ci  scorse  Cerbero,  il  gran  vermo. 
Le  bocche  aperse,  e  mostrocci  le  saune: 
Non  avea  membro  che  tenesse  fermo. 

25.    E  il  duca  mio  distese  le  sue  spanne; 

Prese  la  terra,  e  con  piene  le  pugna 
La  gittò  dentro  alle  bramose  canne. 

28.    Qual  è  quel  cane  che  abbaiando  agugna. 
E  si  racqueta  poi  che  il  pasto  morde, 
Che  solo  a  divorarlo  intende  e  pugna; 

31.    (Jotai  si  fecer  quelle  facce  lorde 

Dello  demonio  Cerbero  che  introna 
L'  anime  si,  eh'  esser  vorrebber  sorde. 

H4.  Noi  passavam  su  per  Y  ombre  che  adona 
La  greve  pioggia,  e  ponevam  le  piante 
Sopra  lor  vanità  che  par  persona. 

37.    Elle  giacean  per  terra  tutte  e  quante, 

Fuor  eh'  mia  che  a  seder  si  levò,  ratto 
Ch'  ella  ci  vide  passarsi  davante. 

40.    O  tu,  che  se'  per  questo  inferno  tratto, 
Mi  disse,  riconoscimi,  se  sai: 
Tu  fosti,  prima  eh'  io  disfatto,  fatto. 


ff.  IsS  biM^ra 


C  D.  Ui  duca 


C.  a  vetrario 


2.   r.   l/*iiiiB<r 
oh'  essw  ^iTif' 


2.  B.  r.  U.  -sT 
D.  Fuor  il  Lt» 


Perehè  ci  vik  ;■ 
scìKÌsr 


25.  Il  duca  —  S).  E  solo  —  31.  quelle  foci  ||  qu.  fauci 


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CERCHIO  ni.  GOLOSI.  INFERNO   VI.    43  —  66.  riAcro.  41 

43.    Ed  io  a  lei:  L'  angoscia  che  tu  hai 

Forse  ti  tira  fuor  della  mia  mente, 

Si  che  non  par ,  eh'  io  ti  vedessi  mai.  a.  b.  vedessi. 

46.    Ma  dimmi  chi  tu  se',  che  in  sì  dolente 

Loco  se' messa,  ed  a  si  fatta  pena,  r.  mwf.  //haisif. 

1.  m.Kicior  Che  s'  altra  è  maggio ,  nulla  è  si  spiacente. 

49.    Ed  egli  a  me:  La  tua  città,  eh'  è  piena 

D'invidia  si,  che  già  trabocca  il  sacco, 

Seco  mi  tenne  in  la  vita  serena. 
52.    Voi,  cittadini,  mi  chiamaste  Ciacco: 

Per  la  dannosa  colpa  della  gola, 

Come  tu  vedi,  alla  pioggia  mi  fiacco; 
55.   Ed  io  anima  trista  non  son  sola, 

Che  tutte  queste  a  simil  pena  stanno 

Per  simil  colpa:  e  più  non  fé'  parola. 
58.    Io  gU  risposi:  Ciacco,  il  tuo  affanno 

Mi  pesa  sì,  che  a  lagrimar  in'  invita:  ./.  o.  ai  lacrimar 

Ma  dimmi,  se  tu  sai,  a  che  verranno 
61.    Li  cittadin  della  città  partita? 

S'  alcun  v'  è  giusto  :  e  dimmi  la  cagione , 

Perchè  1'  ha  tanta  discordia  assalita. 
64.    Ed  egli  a  me:  Dopo  lunga  tenzone  j.^.e^uciiì    ^.dìiio 

Verranno  al  sangue,  e  la  parte  selvaggia 

Caccerà  1'  altra  con  molta  offensione. 


43.  Ed  io  a  lui  —  44.  mi  tira  —  47.  e  a  così  —  48.  maggi»  —   49.  Ed  ella  —  62.  Voi,  cittadin,  mi  rhiamavatc       &4.  Or,  come 
di  -   piova  —  flO.  w  tu  '1  sai  -    63.  Perch'  ella  è  —  Pcrch*  ella  in  t.  disc,  è  salita 


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42  CERCHIO  III.  ooLOSi.  INFERNO   VI.    67—90.  ciacco. 

67.    Poi  appresso  convien,  che  questa  caggia 

Infra  tre  soli,  e  che  Y  altra  sormonti 

Con  la  forza  di  tal  che  teste  piaggia. 
2. 3.  Alto  70.    Alte  terrà  lungo  tempo  le  fronti, 

Tenendo  1'  altra  sotto  gravi  pesi, 

(yome  che  di  ciò  pianga,  e  che  ne  adonti.       a.  »«.  o  che  ne 
2. 3.  duo  73.    Giusti  son  due,  ma  non  vi  sono  intesi: 

Superbia,  invidia  ed  avarizia  sono 

Le  tre  faville  che  hanno  i  cori  accesi. 
76.    Qui  pose  fine  al  lagrimabil  suono. 

Ed  io  a  lui:  Ancor  vo'  che  m' insegni, 

E  che  di  più  parlar  mi  facci  dono. 
79.    Farinata  e  il  Tegghiaio,  che  fur  sì  degni,  c.eTt^h. 

Jacopo  Rusticucci,  Arrigo  e  il  Mosca, 

E  gli  altri  che  a  ben  far  poser  gì'  ingegni,     a.  d.  aibm 
82.    Dimmi  ove  sono,  e  fa  ch'io  li  conosca; 

Ohe  gran  desio  mi  stringe  di  sapere, 

Se  il  ciel  gU  addolcia  o  lo  inferno  gli  attosca. 
85.    E  quegU:  Ei  son  tra  le  anime  più  nere;  a.  Kdem  -  d,  k  .,u. 

a  me:  Tr» 

1.  j.  Divers,'  roipc  -  Divcrsa  colpa  giù  li  grava  al  fondo  :  e.  n  tira 

1.  2.  3.  aj^nrava 

Se  tanto  scendi ,  U  potrai  vedere.  a.  2.  ».  u  i 

88.    Ma  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo. 

Pregoti  che  alla  mente  altrui  mi  rechi  :  e.  Prie,?.,  «h  aii.^ 

Più  non  ti  dico  e  più  non  ti  rispondo. 

<*.  su  monti  —  70,  Alta  —  terra»    -    T2.  Come  eh'  io  —   e  tu  n'  ad.  —  73.  e  non  vi  —  79.  Teggliia'  —  \&.  Stanno  tra  V  sto.    — 
^'^'.  Ma  se  tu  torni  mai  —  al  dolce 

/ 

/ 


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CERCHIO    III.    OOLOSI. 


PLUTO. 


1.  2.  lor  nimira 
1.  rivfderà 


1.  sentenza 


INFERNO    VI.    91-115. 

91.    Gli  diritti  occhi  torse  allora  in  biechi: 

Guardomini  mi  poco,  e  poi  cliiiiò  la  testa: 
('adde  con  essa  a  par  degh  altri  ciechi. 
94.    E  il  duca  disse  a  me:  Più  non  si  desta 
Di  qua  dal  suon  dell'  angeUca  tromba; 
Quando  verrà  la  nimica  podestà, 
97.    Ciascun  ritroverà  la  trista  tomba, 

Ripiglierà  sua  carne  e  sua  figura, 
Udirà  quel  che  in  etemo  rimbomba. 

100.    Si  trapassammo  per  sozza  mistura 

Dell'  ombre  e  della  pioggia,  a  passi  lenti. 
Toccando  un  poco  la  vita  futura: 

103.    Perch'io  dissi:  Maestro,  esti  tormenti 

Cresceranno  ei  dopo  la  gran  sentenza, 
0  fien  minori,  o  saran  si  cocenti? 

106.    Ed  egli  a  me:  Ritorna  a  tua  scienza, 

(>he  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta. 
Più  senta  il  bene,  e  cosi  la  doglienza. 

109.    Tuttoché  questa  gente  maledetto 

In  vera  perfezion  giammai  non  vjula, 
Di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspetta. 

112.  Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada. 
Parlando  più  assai  eh'  io  non  ridico: 
A^enimmo  al  punto  dove  si  digi^ada: 

115.    Quivi  trovammo  Pluto  il  gran  nemico. 


4» 


(\  Lo  d.  -  h.  L«i  buon 
maestro  a  ine  —  B. 
fiissf  a  lui 


H.  \tt\rk 


\)\.  allora  torse  —  98.  a  pie  degli  —  5ì(».  Qu.  vedrai  —  la  divina  pod.  —  07.  Ciascuno  rivedrà         110.  A  vera  pcrf. 

6' 


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CANTO  SETTIMO 


1.  2.  terrà 
B.  enfiate 


Xape  Satan,  pape  Satan  aleppe, 
Cominciò  Pluto  colla  voce  chioccia. 
E  quel  Savio  gentil,  che  tutto  seppe, 
4.    Disse  per  confortanni:  Non  ti  noccia 

La  tua  paura,  che,  poter  eh'  egli  abbia. 
Non  ti  torrà  lo  scender  questa  roccia. 
7.    Poi  si  rivolse  a  queir  enfiata  labbia, 
E  disse:  Taci,  maledetto  lupo: 
Consuma  dentro  te  con  la  tua  rabbia. 

10.    Non  è  senza  cagion  1'  andare  al  cupo: 
Vuoisi  neir  alto  là  dove  Michele 
Fé'  la  vendetta  del  superbo  strupo. 

13.    Quali  dal  vento  le  gonfiate  vele 

Caggiono  avvolte,  poiché  1'  alber  fiacca; 
Tal  cadde  a  terra  la  fiera  crudele. 

16.  Cosi  scendemmo  nella  quarta  lacca. 
Prendendo  più  della  dolente  ripa, 
Che  il  mal  dell'  universo  tutto  insacca. 


e.  U.  Non  ci    —   A  2. 
B.  C.  terrà 


IJ.    OVf 


e.  U.  PiKliaudo 


r>.  La  sua  paura   -  11.  Vuoisi  cosi  nell'  alto  ove  -  colà  ove  —  14.  quando  1'  alber  —  15.  la  bestia  —  10.  Noi  disceiid. 


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46 


CERCHIO    IV.    AVARI    K    PRODIGHI. 


INFERNO    VII.    19-42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


3.  Gridando  sempre  in  1. 


l.  2.  3.  Tutti  «lu. 


A.  2.  C.  D.  Lì 
sdente 


H.  rìvolvea 


19.    Ahi  giustizia  di  Dio,  tante  chi  stipa 

Nuove  travaglie  e  pene,  quante  io  viddi? 

E  perchè  nostra  colpa  sì  ne  scipa? 
22.    Come  fa  X  onda  là  sovra  Cariddi, 

Che  si  frange  con  quella  in  cui  s'  mtoppa, 

Così  convien  che  qui  la  gente  riddi. 
25.    Qui  vid'  io  gente  più  che  altrove  troppa, 

E  d'  una  parte  e  d'  altra,  con  grand'  urU, 

Voltando  pesi  per  forza  di  poppa: 
28.    Percotevansi  incontro,  e  poscia  pur  U 

Si  rivolgea  ciascun,  voltando  a  retro, 

Gridando:  Perchè  tieni  e  perchè  burli? 
31.    Così  tomavan  per  lo  cerchio  tetro, 

Da  ogni  mano  all'  opposito  punto. 

Gridandosi  anche  loro  ontoso  metro: 
B4.    Poi  si  volgea  ciascun,  quando  era  giunto 

Per  lo  suo  mezzo  cercliio  all'  aitila  giostra. 

Ed  io  che  avea  lo  cor  quasi  compunto, 
37.    Dissi:  Maestro  mio,  or  mi  dimostra 

Che  gente  è  questa,  e  se  tutti  fiir  cherci 

Questi  chercuti  alla  sinistra  nostra. 
40.    Ed  egli  a  me:  Tutti  e  quanti  fur  guerci 

Sì  della  mente,  in  la  vita  primaia. 

Che  con  misura  nullo  spendio  ferci. 

19.  Ahi  vendetta  —  tanto  e  ehi  ||  tanta  è  che  |i  quante  chi  ||  qii.  qui  —  *20.  Nuovi  travagli  —  21.  &e  ne  scipa  —  23.  Che  &* 
"25.  gente  vidi  —  26.  D'  una  p.  e  dell*  a.  —  28.  Percotendosi  ino.  1|  Fere,  insieme  —  30.  tieni  o  perchè  32.  da  ogni  parte  -  33.  Grid. 
loro   -  35.  alta  giostra  —  39.  Qu.  cernuti   -  41.  nella  vita  — >  42.  nullo  e.*ipendio 


B.  vid- 


B,  volvea 


tì.  a  D.  Tutti  c,u. 


infr. 


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CERCHIO    IV.    AVARI    E    PKOUIGBI. 


INFERNO   VII.    43-66. 


SCONOSCIUTI. 


47 


l.  fajio.  Papi 


3.  K  che 


43.    x\ssai  la  voce  lor  chiaro  1'  abbaia, 

Quando  vengono  a'  due  punti  del  cerchio , 
Ove  colpa  contraria  li  dispaia. 

4H.    Questi  ftir  cherci,  che  non  han  copercliio 
Filoso  al  capo,  e  Papi  e  (vardinali, 
In  cui  usa  avarizia  il  suo  sopercliio. 

49.    Ed  io:  Maestro,  tra  questi  cotali 

Dovre'  io  ben  riconoscere  alcuni, 
(3he  foro  immondi  di  cotesti  mali. 

52.    Ed  egli  a  me:  Vano  pensiero  aduni: 
La  sconoscente  vita,  che  i  fé'  sozzi, 
Ad  ogni  conoscenza  or  li  fa  bruni; 

55.  In  etemo  verranno  alli  due  cozzi; 
Questi  risurgeranno  del  sepulcro 
Col  pugno  chiuso,  e  questi  co'  cinn  mozzi. 

58.    Mal  dare  e  mal  tener  lo  mondo  pulcro 
Ha  tolto  loro,  e  posti  a  questa  zuffa: 
Qual  ella  sia,  parole  non  ci  appulcro. 

61.    Or  puoi,  figliuol,  veder  la  corta  buffa 

De' ben,  che  son  commessi  alla  Fortuna, 
Perchè  1'  umana  gente  si  rabbuffa. 

fi4.    (3hè  tutto  r  oro,  eh'  è  sotto  la  luna, 

0  che  già  fo,  di  queste  anime  stanclu* 
Non  poterebbe  farne  posar  una. 


N.  e.  D.  capo,  Papi 
A.  2.  (\  D.  usò 


D.  con.  li 


A.  2.    C.   U.  Coi   pugni 
chiusi 


B,  ci  puicro 
A.  veti.  fii;l. 

H.  Onde  1"  iim. 

A.  2.  C.  K  che 

H.  m.  D.  N.  ne  potr.    -  //. 
m.far  pos.  pur  7^.sol  far  p. 


44.  Qu.  giungono       U).  bene  conoscerne  —  52.  vani  pensieri  —  53.  I^  conosc.  —  eh'  ei  fé'  -  56.  E  (|uesti  surg.  —  59.  Ila  tolti  — 
parola  ||  psrlare  —  e*  imptilcro  I|  ci  e  pulcro  ((  li  poltro  ||  ne  pulcro  ||  ci  affulcro  ^?)  —  63.  Per  cui  ||  Di  che  —  66.  Non  e'  potr.  —  far  pos.  sol  ||  f.  ripos. 


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48 


CKRCHIO    IV.    AVARI   E    PRODIGHI. 


INFERNO    VII.    67-90. 


SCONOSCIUTI. 


1.  2.  3.  rlifist  Ini 


67. 


l.  parte 


1.  '2.  3.  la  in 


Maestro,  diss'  io  lui,  or  mi  di'  anche: 
Questa  Fortuna,  di  che  tu  mi  tocche, 
Che  è,  che  i  ben  del  mondo  ha  sì  tra  branche? 


70 


E  quegli  a  me:  0  creature  sciocche, 

Quanta  ignoranza  è  quella  che  vi  offende! 
Or  vo'  che  tu  mia  sentenza  ne  imbocchi*  : 

73.    Colui,  lo  cui  saper  tutto  trascende. 

Fece  U  cieU,  e  die  lor  chi  conduce, 

Si  che  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende, 

76.    Distribuendo  uguahnente  la  luce: 

Similemente  agU  splendor  mondani 
Ordinò  general  ministra  e  duce, 

79.    Che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani, 

Di  gente  in  gente  e  d'  uno  in  altro  sangue, 
Oltre  la  difension  de'  semii  umani: 

82.    Perchè  una  gente  impera,  e  V  altra  langue. 
Seguendo  lo  giudizio  di  costei, 
Che  è  occulto,  come  in  erba  Y  angue. 

85.    Vostro  saper  non  ha  contrasto  a  lei: 
Ella  provvede,  giudica  e  persegue 
Suo  regno,  come  il  loro  gli  altri  Dei. 
Le  sue  permutazion  non  hanno  triegue: 
Necessità  le  fa  esser  veloce. 
Si  spesso  vien  chi  vicenda  consegue. 


88, 


D.  Ed  io ,  M.,  dishi ,  or 
—  B.  dissi 


B.  r.  Ed  ecli 


D.  ministro 


J.  Oltre  alla 


A.  Che  v'  è 


A.  C.  Quesia  provv. 
C.  J).  prosein»*" 


A.  B.  D.  la  fa 


(i7.  Ed  iu  a  lui,  M.,  or  —  Maestro  mio,  diss*  io,  or  —  72.  che  tutta  niia||  che  tu  ti  mia  sent  imb.    -  7H.  maestra  —  82.  ed  altra   - 
84.  Che  eiace  ||  Che  sta  ||  Che  n'  e   -  85.  non  è  contr.  —  86.  Questa  comanda  —  87.  il  lor  fan  gli    ~  DO.  rhe  vicenda 


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CERCHIO    IV.    AVARI    E    PRODIGHI. 


INFERNO    Vn.    91-114. 


49 


Fm  r  altre 


So'  incìdemmo 


91.  Quest'  è  colei,  eh*  è  tanto  posta  in  croce 
Pur  da  color  che  le  dovrian  dar  lode, 
Dandole  biasmo  a  torto  e  mala  voce. 

94.   Ma  ella  s'  è  beata,  e  ciò  non  ode: 
Con  r  altre  prime  creature  heta 
Volve  sua  spera,  e  beata  si  gode. 

97.    Or  discendiamo  omai  a  maggior  pietà: 
Già  ogni  stella  cade,  che  saliva 
Quando  mi  mossi,  e  il  troppo  star  si  vieta. 
100.    Noi  ricidemmo  il  cerchio  all'  altra  riva 
Sopra  una  fonte,  che  bolle  e  riversa 
Per  un  fossato  che  da  lei  deriva. 
\nzi^    1.2.3. molto  103.    L'  acqua  era  buia  assai  vie  più  che  persa: 

più 

E  noi,  in  compagnia  dell'  onde  bige, 
Entrammo  giù  per  una  via  diversa. 
106.    Una  palude  fa,  che  ha  nome  Stige, 

Questo  tristo  ruscel,  quando  è  disceso 
Al  pie  delle  maligne  piaggie  grige. 

irimir»r  109.    Ed  io ,  che  di  mirar  mi  stava  iateso, 

Vidi  genti  fangose  in  quel  pantano, 
Ignude  tutte  e  con  sembiante  offeso. 
112.    Questi  si  percotean,  non  pur  con  mano, 

i3  e  col  petto  Ma  cou  la  testa,  col  petto  e  co' piedi, 

Troncandosi  coi  denti  a  brano  a  brano. 


B.  Tra  1'  altre 
A.  Volge 


B.  molto  più    D, 
più 


J.  1.  Nella  pai.  va  (?)  - 
/?.i}.  pai.  va  (v'ha?) 


C./>. Appiè-  r.^.gUgc 
D.  atteso 

B.  tutte  ron 


D.  colle  teste  —  fì.  C.  D. 
e  col  p. 


91.  che  tanto  è  ~  92.  e  a  mala  v.   —  95.  Fra  1*  altre  —  99.  Qaand*  io  —   ICS.  bruna  ||  tinU  -  106.  Ta'  da  pai.  ||  lu  la  p.  va  - 
l  drUf  malvagie  ~  109.  di  mirare  st.  ||  del  mir.  si.  -  110.  genti  attuffate   -  IH.  Ignudi  tutti  -  112.  Queste  ||  Elle 


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50  CERCHIO    V.    IRACONDI   KD    ACCmiOSI.  INFERNO     VU.     115  —  130.  DANTE    E    VIROILIO. 

115.    Lo  buon  Maestro  disse:  Figlio,  or  vedi 
L'  anime  di  color  cui  vinse  Y  ira: 
Ed  anche  vo'  che  tu  per  certo  credi , 

118.    Che  sotto  l'acqua  ha  gente  che  sospira,  r. r •«. «ente è ac 

E  fanno  pullular  quest'  acqua  al  summo. 
Come  r  occhio  ti  dice,  u'  che  s'  aggira. 

121.    Fitti  nel  limo  dicon:  Tristi  fummo 

Neil'  aer  dolce  che  dal  sol  s'  allegra, 
Portando  dentro  accidioso  fiimmo: 

124.  Or  ci  attristiam  nella  belletta  negra. 

Quest'inno  si  gorgoghan  nella  strozza, 
Che  dir  noi  posson  con  parola  integra. 

127.    Così  girammo  deUa  lorda  pozza 

Grand'  arco  tra  la  ripa  secca  e  il  mezzo, 
Con  gli  occhi  volti  a  chi  del  fango  ingozza: 

130.    Venimmo  appiè  d'  una  torre  al  dassezzo.  a.  i.  ro  c\  ai  pie 


118.  è  gente  —  119.  E  che  fan  ~  l^Ol  unque  e*  •!  g.   -   121.  Tatti  nei  1.  —  122.  del  sol  -   124.  Or  ci  tuffiam  —  125.  Questo  inno 
gorg.  Il  Quest'  inno  lor  gorgogii»  —  127.  nella  lorda  p.  —  128.  ripa  sesta 


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CANTO  OTTAVO 


1.  2.  3.  io  Tìvoìio 


Lo  dico  seguitando,  eli'  assai  prima 
('he  noi  fìissimo  al  pie  dell'  alta  torre, 
Gli  occhi  nostri  n'  andar  suso  alla  cima, 
ich>iTed.2.3.chevcd.    4.    Per  due  fiammette  che  i'  vedemmo  porre, 

E  un'  altra  da  lungi  render  cenno 
Tanto,  eh'  a  pena  il  potea  Y  occhio  torre. 
7.    Ed  io  mi  volsi  al  mar  di  tutto  il  senno; 
Dissi:  Questo  che  dice?  e  che  risponde 
Quell'  altro  foco?  e  chi  son  quei  che  il  fenno? 

10.    Ed  egU  a  me:  Su  per  le  sucide  onde 

Già  puoi  scorger  quello  che  s'  aspetta, 
Se  il  fummo  del  pantan  noi  ti  nasconde. 

13.    Corda  non  pinse  mai  da  se  saetta. 

Che  sì  corresse  via  per  Y  aere  snella. 
Com'  io  vidi  una  nave  piccioletta 

16.    Venir  per  Y  acqua  verso  noi  in  quella. 
Sotto  il  governo  d'  un  sol  galeoto , 
Che  gridava:  Or  se'  giunta,  anima  fella? 


A.  m.  E  dico 
A.  *i.  a  D.  a  pie 

t).  che  Tcd. 


1. 2.  scori;,  puoi  3.  puoi 
§con^rc 


1.  '1.  V  acr  snella 


A.  1.  scori^er  puoi 


A.  V  aer  snella 


4.  eh'  ivi  ved.  —  7.  io  rivolsi  —  11.  quel  che  qui  —  12.  non  tei  nasc.  —  14.  volasse  via 


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52 


CERCHIO    V.    IRACONDI. 


INFERNO   Vra.    19-42. 


1.  2.  3.  t$e  non  pass. 


2.  3.  Tal  si  IV- 


3.  correvam 


1.  2.  3.  sì  sei 


1.  2.  3.  ambe 


19.    Flegiàs,  Flegiàs,  tu  gridi  a  voto, 

Disse  lo  mio  signore,  a  questa  volta: 
Più  non  ci  avrai,  che  sol  passando  il  loto. 

22.    Quale  colui,  che  grande  inganno  ascolta 

Che  gli  sia  fatto,  e  poi  se  ne  rammarca, 
Fecesi  Flegiàs  nell'  ira  accolta. 

25.   Lo  duca  mio  discese  nella  barca, 

E  poi  mi  fece  entrare  appresso  lui, 

E  sol,  quand' io  fili  dentro,  parve  carca. 

28.    Tosto  che  il  duca  ed  io  nel  legno  fui, 
Secando  se  ne  va  V  antica  prora 
Dell'  acqua  più  che  non  suol  con  altrui. 

31.   Mentre  noi  corravam  la  morta  gora, 

Dinanzi  mi  si  fece  un  pien  di  fango, 
E  disse:  Chi  se'  tu  che  \aeni  anzi  ora? 

34.    Ed  io  a  lui:  S'io  vegno,  non  rimango; 
Ma  tu  chi  se',  che  sei  si  fatto  brutto? 
Rispose:  Vedi  che  son  \m  che  piango. 

37.    P]d  io  a  lui:  Con  piangere  e  con  lutto, 
Spirito  maledetto,  ti  rimani: 
Ch'  io  ti  conosco ,  ancor  sia  lordo  tutto. 

40.    Allora  stese  al  legno  ambo  le  mani: 

Perchè  il  Maestro  accorto  lo  sospinse. 
Dicendo:  Via  costà  con  gli  altri  cani. 


B.  Frejjias.  Fr. 


A.  guai  . 


/>.  rosi  frcf  R 


JJ.  si  fé 
D.  Direnclo 
A.  io  non  rim. 
fi.  che  si  sf' 


.1.  1.  sii?   ».  «f 
A.  AUor  dU». 


22.  l'he  '1  inrantk'  —  24.  Tal  fecesi  FI.  —  29.  Fendendo  —  Solcando  —  31.  noi  passavam 


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CERCHIO    V.    IRACONDI. 


INFERNO   Vm.    43  —  66. 


FILIPPO    ARGENTI. 


53 


3.  Così  è 


1.  tuffare 


1.  Anzi 


L  "2.  3.  Lo  Fior. 


1.  ^  3.  int.  Y  ucch. 


43.    Lo  collo  poi  con  le  braccia  mi  cinse, 

Baciommi  il  volto,  e  disse:  Alma  sdegnosa, 
Benedetta  colei  che  in  te  s' incinse. 

46.    Quei  fu  al  mondo  persona  orgogliosa; 
Bontà  non  è  che  sua  memoria  fregi: 
Cosi  s'  è  r  ombra  sua  qui  furiosa. 

49.    Quanti  si  tengon  or  lassù  gran  regi, 

Che  qui  staranno  come  porci  in  brago. 
Di  se  lasciando  orribili  dispregi! 

52.    Ed  io:  Maestro,  molto  sarei  vago 

Di  vederlo  attuffare  in  questa  broda, 
Prima  che  noi  uscissimo  del  lago. 

55.    Ed  egli  a  me:  Avanti  che  la  proda 
Ti  si  lasci  veder,  tu  sarai  sazio: 
Di  tal  disio  converrà  che  tu  goda. 

58.    Dopo  ciò  poco  vidi  quello  strazio 
Far  di  costui  alle  fangose  genti. 
Che  Dio  ancor  ne  lodo  e  ne  ringrazio. 

61.    Tutti  gridavano:  A  Filippo  Argenti: 
E  '1  Fiorentino  spirito  bizzarro 
In  se  medesmo  si  volgea  co'  denti. 

64.    Quivi  il  lasciammo,  che  più  non  ne  nan-o: 
Ma  negli  orecchi  mi  percosse  un  duolo, 
Perch'  io  avanti  Y  occhio  intento  sbari'o  : 


e  D.  si  cinse 


H.  Quel  fu 


D.  colassù 


B.  tuffare  —  D.  tjuella 
B.  Anzi 


D.  Ui  poco  poi  io  — 
(\  vici'  io 


/?.   (\  i).  v«)lve.i 


fì,  J).  intento  1'  occhio 


43.  m*  avvinse  —  53.  a  tuffare  ||  asxuffare  —  57.  conviene  che  ||  convieu  che  tu  ti  g.  —  58.  io  vidi  —  HO.  e  rint^.  — 
U  Fior.  —  63.  si  rodea  —  66.  nelF  orecchie  --  66.  d*  avanti  (|  annanti  —  li  occhi  ~  a  tondo 


2.  Quel  Fior. 


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54 


CITTÀ    DI    DITE. 


INFERNO   Vm.    67  —  90. 


1.  2.  E  '1  buon 


1.  2.  parca 


3.  Dal  Ciri 


67.    Lo  buon  Maestro  disse:  Ornai,  figliuolo, 
S'  appressa  la  città  che  ha  nome  Dite, 
('o'  gravi  cittadin,  col  grande  stuolo. 

70.    Ed  io:  Maestro,  già  le  sue  mesciute 
Là  entro  certo  nella  valle  cerno 
Vermiglie,  come  se  di  foco  uscite 

73.    Fossero.    Ed  ei  mi  disse:  Il  foco  etemo, 
Ch'  entro  Y  affoca,  le  dimostra  rosse, 
Come  tu  vedi  in  questo  basso  inferno. 

76.    Noi  pur  giugnemmo  dentro  all'  alte  fosse, 
Che  vallan  quella  terra  sconsolata: 
Le  mura  mi  parean  che  ferro  fosse. 

79.   Non  senza  prima  far  grande  aggirata, 

Venimmo  in  parte,  dove  il  nocchier,  forte, 
Uscite,  ci  gridò,  qui  è  1'  entrata. 

82.    Io  vidi  più  di  mille  in  sulle  porte 

Da'  del  piovuti,  che  stizzosamente 
Dicean:  Chi  è  costui,  che  senza  morte 

85.  Va  per  lo  regno  della  morta  gente? 
E  il  savio  mio  Maestro  fece  segno 
Di  voler  lor  parlar  segretamente. 

88.   Allor  chiusero  un  poco  il  gran  disdegno, 

E  disser:  Vien  tu  solo,  e  quei  sen  vada, 
Che  sì  ardito  entrò  per  questo  regno. 


e.  misehite 


A.  eerfce 


B.  parca 


D.  1.  Gridò  a  noi,  qui  è 
la  voslra 


C.  Dei  oiel 


A.  fece  cenno 


A.  m.  ai  sicturo 


70.  messitc  —  76.  pur  girammo  —  79.  grande  girata  —  81.  Uscitene  gr.  ||  Usciteci  gr.  ||  Uscitenvi  gr.    -  queste  è  —  90.  in  queato 


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CITTA    DI    DITK. 


INFERNO   Vin.    91—114. 


VIRGILIO    X    DiaiONI. 


55 


t'hf  non 


L  3.  r  andAr 


L  3.  Che  si  e  no 


91.    Sol  si  ritomi  per  la  folle  strada: 
Provi  se  sa;  che  tu  qui  rimarrai, 
'he  scorto  l'hai  persi  Che  gU  Imiì  scorta  si  btiia  contrada. 

2. 3.  s' io  mi  disconf.    94.    Peiisa,  Lcttor,  se  io  mi  sconfortai 

Nel  suon  delle  parole  maledette: 
Ch'  io  non  credetti  ritornarci  mai. 
97.    0  caro  duca  mio,  che  più  di  sette 

Volte  m'  hai  sicurtà  renduta,  e  tratto 
D'  alto  periglio  che  incontra  mi  stette, 
100.    Non  mi  lasciar,  diss' io,  così  disfatto: 
E  se  1  passar  più  oltre  e*  è  negato, 
Ritroviam  1'  orme  nostre  insieme  ratto. 
103.   E  quel  signor,  che  li  m'  avea  menato, 

Mi  disse:  Non  temer,  che  il  nostro  passo 
Non  ci  può  torre  alcun:  da  tal  n'  è  dato. 
106.   Ma  qui  m'  attendi;  e  lo  spirito  lasso 
Conforta  e  ciba  di  speranza  buona, 
Ch'  io  non  ti  lascerò  nel  mondo  basso. 
109.    Cosi  sen  va,  e  quivi  m'  abbandona 

Lo  dolce  padre,  ed  io  rimango  in  forse; 
Che  '1  si  e  '1  no  nel  capo  mi  tenzona. 
L3.queiioch»iorp.  112.    Udir  uou  potè' quel  eh' a  lor  si  porse: 

Ma  ei  non  stette  là  con  essi  guari. 
Che  ciascim  dentro  a  prova  si  ricorse. 


e  qui  tu 


D,  Lettore  —  B,  D.  •'  io 
—  iff.disconf.    C.  ronf. 


A,  rontra.    Ii.  'ncoutro 
1).  contro 


H.  r  andar 


(\  Cile  'l  no  e  'l  si  — 
B.  D.  Che  sì  e  no 

//.  quello  eh'  a  lor  p. 


D.  appruovo  —  A.  ricolse 


92.  se  ei  sa  —  98.  la  buia  —  95.  Al  suon   ■*■  96.  ritornar  giammai  —  99.  D'  altro  p.   —   101.  E  se  passar  —  m"  ì-  neq.  —  1052.  Ri- 
aiam  —  106.  Non  ti  può  —  III.  Che  non  è  si  —  112.  Ud.  non  petti  —  114.  ritorse 


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56  CITTÀ  DI  DITE.  INFERNO   Vni.    115  —  130.  viroilio  e  demoni. 

115.    (^hiuser  le  porte  que' nostri  avversari 

Nel  petto  al  mio  signor,  che  fuor  rimase, 
E  rivolsesi  a  me  con  passi  rari. 

118.    (rli  occhi  alla  terra,  e  le  cigUa  avea  rase 
D'  ogni  baldanza,  e  dicea  ne'  sospiri: 
Chi  m'  ha  negate  le  dolenti  case? 

121.    Ed  a  me  disse:  Tu,  perch'  io  m'  adiri, 

Non  sbigottù',  eh'  io  vincerò  la  prova, 
Qual  eh'  alla  difension  dentro  s'  aggiri. 

124.    Questa  lor  tracotanza  non  è  nuova, 

Che  già  r  usaro  a  men  segreta  porta. 
La  qual  senza  serrame  ancor  si  trova. 

127.    Sopr'  essa  vedestù  la  scritta  morta: 

E  già  di  qua  da  lei  discende  1'  erta, 
Passando  per  U  cerchi  senza  scorta, 

130.    Tal  che  per  lui  ne  fia  la  terra  aperta.  cperiei-r//. 


116.  Nel  volto  —  120.  Che  m'  han  —  124.  non  m'  è  nuova  —  129.  senza  storta  —  190.  ne  sia 


B.  a  m«*  JD  >«•,■: 


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CANTO  NONO 


1    con  altro 


A.  Vedendo 


A.  m.  D.  m.  se  n*  off. 


i^uel  color  che  viltà  di  fuor  mi  pinse, 
Veggendo  il  duca  mio  tornare  in  volta, 
Più  tosto  dentro  il  suo  nuovo  ristrinse. 
4.   Attento  si  fermò  com'  uom  che  ascolta; 
Che  r  occhio  noi  potea  menare  a  lunga 
Per  r  aer  nero  e  per  la  nebbia  folta. 
7.    Pure  a  noi  converrà  vincer  la  punga, 

Cominciò  ei:  se  non. . .  tal  ne  s'  offerse. 

Oh  quanto  tarda  a  me  eh'  altri  qui  giunga!    i^.  qu.  ètardi 

10.   Io  vidi  ben,  sì  com'  ei  ricoperse 

Lo  cominciar  con  1'  altro  che  poi  venne, 
Che  ftir  parole  alle  prime  diverse. 

13.   Ma  nondimen  paura  il  suo  dir  dienne, 
Perch'  io  traeva  la  parola  tronca 
Forse  a  peggior  sentenza  eh'  ei  non  tenne 

16.    In  questo  fondo  della  trista  conca 

Discende  mai  alcun  del  primo  grado. 
Che  sol  per  pena  ha  la  speranza  cionca? 


A.  Il  com.   D.  L' incom. 
—  B.  pria  venne 


A.  m.  Fuor  se  — 
B.  miglior  seni. 


A.  1.  Discese 


B.  pena  la   -    A.  2.   C. 
Ch*  ha  sol  p.  p.  la  sp. 


7.  Pur  a  me  -  B.  sofferse  —  9.  ei  giunga  —  10.  Io  v.  come  ben  ei  —  13.  nond.  dubbiar 

I.  8 


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58 


CITTÀ    DI   DITE. 


INFERNO    IX.    19  —  42. 


KRITON. 


19.    Questa  question  fec'  io;  e  quei:  Di  rado 
Incontra,  mi  rispose,  che  di  nui 
Faccia  il  cammino  alcun  per  quale  io  vado. 

22.    Ver'  è  eh'  altra  fiata  quaggiù  fui, 

Congiurato  da  quella  Eriton  cruda. 
Che  richiamava  Y  ombre  a'  corpi  sui. 

25.    Di  poco  era  di  me  la  carne  nuda, 

Ch'ella  mi  fece  entrar  dentro  a  quel  muro. 
Per  trarne  un  spirto  del  cerchio  di  Giuda. 

28.    Queir  è  il  più  basso  loco  e  il  più  oscuro, 
E  il  più  lontan  dal  ciel  che  tutto  gira: 
Ben  so  il  cammin:  però  ti  fa  sicuro. 

31.    Questa  palude,  che  il  gran  puzzo  spira. 
Cinge  d'  intorno  la  città  dolente, 
U'  non  potemo  entrare  omai  senz'  ira. 

34.    Ed  altro  disse,  ma  non  1'  ho  a  mente; 

Perocché  1'  occhio  m'  avea  tutto  tratto 
Ver  r  alta  torre  alla  cima  rovente, 
i.2.3.ove-i.zvìaidr.  37.    Dovc  ìu  uu  puuto  furon  dritte  ratto 

Tre  fiirie  infernal  di  sangue  tinte. 
Che  membra  femminili  aveano  ed  atto; 

40.    E  con  idre  verdissime  eran  cinte: 
2.  :ì.  scrp.  e  ter.  ScrpenteUi  ceraste  avean  per  crine, 

Onde  le  fiere  tempie  eran  avvinte. 


D.  Di  pò  era 


A.  1.  D.  ontti  t5^ 


Ove  -  B.  Tid  ir* 


.4.  femìninr 


O.  «erp.  e  ter. 


21.  pel  ijuair  -  24.  Che  rivocava  —  31.  che  gran  -  32.  Valla  dint  —  33.  U'  noi  potemu 


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CITTA    DI    DITE. 


INFERNO    IX.    43-66. 


TRE    FUBIE. 


3.  GridjiTan 


1,2.  aniendae   3.  «mbed. 


43.   E  quei,  che  ben  conobbe  le  meschine 
Della  regina  dell'  eterno  pianto: 
Guarda,  mi  disse,  le  feroci  Erine. 

46.    Questa  è  Megera  dal  sinistro  canto: 

Quella,  che  piange  dal  destro,  è  Aletto: 
Tesifone  è  nel  mezzo:  e  tacque  a  tanto. 

49.    Con  r  unghie  si  fendea  ciascuna  il  petto; 
Batteansi  a  palme  e  gridavan  sì  alto, 
Ch'  io  mi  strinsi  al  poeta  per  sospetto. 

52.    Venga  Medusa:  si  1  farem  di  smalto, 
Dicevan  tutte  riguardando  in  giuso: 
Mal  non  vengiammo  in  Teseo  Y  assalto. 

55.    Volgiti  indietro,  e  tien  lo  viso  chiuso; 

Che  se  il  Gorgon  si  mostra,  e  tu  il  vedessi, 
Nulla  sarebbe  del  tornar  mai  suso. 

58.    Cosi  disse  il  Maestro;  ed  egU  stessi 

Mi  volse,  e  non  si  tenne  alle  mie  mani, 
Che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessi. 

61.  0  voi,  che  avete  gì'  intelletti  sani, 
Mirate  la  dottrina  che  s'  asconde 
Sotto  il  velame  degli  versi  strani. 

64.    E  già  venia  su  per  le  torbid'  onde 

Un  fracasso  d'  un  suon  pien  di  spavento, 
Per  cui  tremavano  ambo  e  due  le  sponde; 


A.  1.  Trine  (?)  B.  Etrine 
A.  r.  I).  Quella  è 


A.  1.  Cridavan  (?)  — 
lì.  tutti 


D.  Voi  vi  ti  —  A.  tieni  il 


A.  2.  di  torn. 


A.  C.  siifid'  onde. 


B.  C.  amendue 
D.  ambedue 


48.  tacque  in  tanto  —  51.  Che  mi  strinsi  —  52.  e  sì  '1  farem  ||  sì  il  farà  ||  se  '1  farem  —  54.  Mai  non  ||  Ma  non  ||  Mal  noi  —  vegi;iam. 
55.  in  retro  —  5d.  Si  volse  —  68.  Mir.  a  la  dottr.  —  64.  s'  udia  —  sotto  le  torb.  —  66.  Perchè 


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60 


CITTÀ   DI   DITE. 


INFERNO    IX.    67-90. 


ME880    DEL    CIELO. 


1.  2.  selva  senza 


1.  2.  i  fiori    3.  fori 


1.  fiamma  ant 


1.  Vidi 


1.  2.  3.  m'  accorsi 
1.  2.  3.  e  quei 


1.  2.  3.  Oiimsc 

2.  3.  non  v'  ebbe 


67.    Non  altrimenti  fatto  che  d'  un  vento 
Impetuoso  per  gli  avversi  ardori, 
Che  fier  la  selva,  e  senza  alcun  rattento 

70.   Li  rami  schianta,  abbatte,  e  porta  fiori. 
Dinanzi  polveroso  va  superbo, 
E  fa  fuggir  le  fiere  e  li  pastori. 

73.    GU  occhi  mi  sciolse,  e  disse:  Or  drizza  il  nerbo 
Del  viso  su  per  quella  schiuma  antica, 
Per  indi  ove  quel  fìimmo  è  più  acerbo. 

76.    Come  le  rane  innanzi  alla  nimica 

Biscia  per  V  acqua  si  dileguan  tutte. 
Fin  che  alla  terra  ciascima  s'  abbica; 

79.    Vid'  io  più  di  mille  anime  distrutte 

Fuggir  cosi  dinanzi  ad  un,  che  al  passo 
Passava  Stige  colle  piante  asciutte. 

82.    Dal  volto  rimovea  quell'  aer  grasso. 
Menando  la  sinistra  innanzi  spesso; 
E  sol  di  quell'  angoscia  parea  lasso. 

85.    Ben  m'  accors'  io  eh'  egli  era  del  ciel  messo, 
E  volsimi  al  Maestro:  ed  ei  fé'  segno, 
Ch'  io  stessi  cheto,  ed  inchinassi  ad  esso. 

88.    Ahi  quanto  mi  parea  pien  di  disdegno! 

Venne  alla  porta,  e  con  una  verghetta 
L'  aperse,  che  non  ebbe  alcun  ritegno. 


B.  D.  fdra  acuì  - 
D.  ritento 


D.  m.  fon 


D.  mi  Ione  -ÀI. 
disse:  Dma 

A.  8pams(?)  £.-v 
ant. 


B.  a  Vidi 


&  m*  accorsi 

A,  l.  Volsimi  »1  ni.  ' 
A.  1.  B.  e  ^'■ 


B.  Giunse 
D.  non  T  eN» 


68.  per  diversi  ard.  —  70.  £  i  rami  —  abb.  e  fronde  e  fiori  ||  abb.  e  foglie  —  72.  fuggir  le  bestie  —  85.  dal  eiel  ||  da  ciel  -  90.  »»  ■  ' 


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SNTBATA   DELLA    CITTA. 


INFERNO    IX.    91-114. 


MESSO   DEL   CIELO. 


61 


91.    0  cacciati  del  ciel,  gente  dispetta, 

Cominciò  egli  in  su  Y  orribil  soglia, 
.  tracotanza  Ond'  esta  oltuacotaiiza  in  voi  s'  alletta? 

94.    Perchè  ricalcitrate  a  quella  voglia, 

A  cui  non  puote  il  fin  mai  esser  mozzo , 
E  che  più  volte  v'  ha  cresciuta  dogUa? 
97.    Che  giova  nelle  fata  dar  di  cozzo? 
Cerbero  vostro,  se  ben  vi  ricorda, 
Ne  porta  ancor  pelato  il  mento  e  il  gozzo. 
100.    Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda, 

E  non  fé'  motto  a  noi:  ma  fé'  sembiante 
D'  uomo,  cui  altra  cura  stringa  e  morda, 
103.    Che  quella  di  colui  che  gli  è  davante. 

E  noi  movemmo  i  piedi  in  ver  la  terra. 
Sicuri  appresso  le  parole  sante. 
106.    Dentro  v'  entrammo  senza  alcuna  guerra: 
Ed  io,  eh'  avea  di  riguardar  disio 
La  condizion  che  tal  fortezza  serra, 
109.    Com'  io  fili  dentro,  1'  occhio  intomo  invio; 
E  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna 
Piena  di  duolo  e  di  tormento  rio. 
2. 3.  ove  1  Rod.     112.    Sì  come  ad  Arh,  ove  Rodano  stagna, 
Si  com'  a  Pola  presso  del  Quarnaro, 
Che  ItaUa  chiude  e  suoi  termini  bagna, 


A.  l.  dal  eie! 


A.  1.  1).  fcracotauza 


A.  1.  Alla  qual  non  può 
mai  *1  fin 

D.  cresciuto 


D.  D*  uomo ,  '1  quale 


J).  1.  il  pie 


A.C.  E  vidi  —  ^.  1.  mano 
i^an  —  D.  compagna 


e.  ove  1  Rod. 

JJ.  dal  Qu.  -  A.  fti. 
Carnaru 


L  .^.  e  i  suoi 


91.  dal  ciel  |t  da  Dio  —  94.  A  ohe  riealcìtrare  —  95.  easer  mai  m.  —  109.  Come  tai  dcntto,  io  —  a  tomo  -  112.  Redano 


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62 


CERCHIO    VI.    ERKSIARCHl. 


INFERNO  IX.    115-133. 


DANTE    E    VISOIUO. 


K  inonim. 


115.  Fanno  i  sepolcri  tutto  il  loco  varo: 
Cosi  facevan  quivi  d'  ogni  parte, 
Salvo  che  il  modo  v'  era  più  amaro; 

118.  Che  tra  gli  avelli  fiamme  erano  sparte, 
Per  le  quaU  eran  sì  del  tutto  accesi, 
Che  ferro  più  non  chiede  verun'  arte. 

121.    Tutti  gU  lor  coperchi  eran  sospesi, 
E  fuor  n'  uscivan  si  duri  lamenti. 
Che  ben  parean  di  miseri  e  d'  offesi. 

124.    Ed  io:  Maestro,  quai  son  quelle  genti, 
Che  seppeUite  dentro  da  quell'  arche 
Si  fan  sentir  con  gU  sospir  dolenti? 

127.    Ed  egli  a  me:  Qui  son  gli  eresiarche 

Co'  lor  seguaci  d'  ogni  setta,  e  molto 
Più  che  non  credi,  son  le  tombe  carche. 

130.    Simile  qui  con  simile  è  sepolto, 

E  i  monimenti  son  più,  e  men  caldi. 
E  poi  eh'  alla  man  destra  si  fii  volto, 

133.    Passammo  tra  i  martiri  e  gli  alti  spaldi. 


B.  in  luogo  —  A.  m.  C.  1) 
il  lito 


D.  chi  Bon  —    C  U. 

queste  g. 

C.  queste  arche 


A.  1.  Quei  —  A.  le  er. 
D.  con  lor 


B.  r.  E  m.  —  C.  movim. 


C.  li  altri 


117.  che  modo    -    118.  Ch'  entro  gli  av.    —    120.  neun*  arte  ||  in  verun'  arte    —    122.  n'  uscia    —    126.  coi  sospiri  ))  con  sospiri 
128-  e  d'  otpii  setta 


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CANTO  DECIMO 


1.  uno  stretto 


1.  2.  3.  .Tosaffà 


iJra  sen  va  per  un  secreto  calle 
Tra  il  muro  della  terra  e  li  martiri 
Lo  mio  Maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 
4.    0  virtù  somma,  che  per  gli  empi  giri 
Mi  volvi,  cominciai,  com'  a  te  piace 
Parlami,  e  satisfammi  a'  miei  desiri. 
7.   La  gente,  che  per  li  sepolcri  giace, 
Potrebbesi  veder?  già  son  levati 
Tutti  i  coperchi,  e  nessun  guardia  face. 

10.   Ed  egh  a  me:  Tutti  saran  serrati, 

Quando  di  Josaffàt  qui  torneranno 
Coi  corpi  che  lassù  hanno  lasciati. 

13.    Suo  cimitero  da  questa  parte  hanno 
Con  Epicuro  tutti  i  suoi  seguaci. 
Che  r  anima  col  corpo  morta  fanno. 

16.    Però  alla  dimanda  che  mi  faci 

Quinc'  entro  satisfatto  sarai  tosto. 
Ed  al  disio  ancor  che  tu  mi  taci. 


D.  m.  ampi 
A.  come  ti 


V.  Potrebbersi 
H.  ì  sepolcri 

H.  Josafà 


.•I.  1.  ?  V.  giù  dentro 


3.  dietro  alle  sp.  —  10.  E  quegli  —  16.  che  tu  faci 


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64 


CERCHIO   VI.    ERETICI. 


INFERNO    X.    19-42. 


FARINATA    D.    UBERTI. 


2.  3.  nascosto 
1.  mio  dir 


3.  ristare 


1.  2.  3.  forse  fui 


19.    Ed  io:  Buon  Duca,  non  tegno  riposto 

A  te  mio  cor,  se  non  per  dicer  poco; 
E  tu  m'  hai  non  pur  mo  a  ciò  disposto. 

22.    0  Tosco,  che  per  la  città  del  foco 

Vivo  ten  vai,  così  parlando  onesto, 
Piacciati  di  restare  in  questo  loco. 

25.    La  tua  loquela  ti  fa  manifesto 
Di  quella  nobil  patria  natio, 
Alla  qual  forse  io  fui  troppo  molesto. 

28.    Subitamente  questo  suono  uscio 

D'  una  dell'  arche:  però  m'  accostai, 
Temendo,  un  poco  più  al  duca  mio. 

31.    Ed  ei  mi  disse:  Volgiti:  che  fai? 
Vedi  là  Farinata  che  s'  è  dritto: 
DaUa  cintura  in  su  tutto  il  vedrai. 

34.    r  avea  già  il  mio  viso  nel  suo  fitto; 

Ed  ei  s'  ergea  col  petto  e  colla  fronte, 
Come  avesse  lo  inferno  in  gran  dispitto: 

37.    E  r  animose  man  del  duca  e  pronte 
]\Ii  pinser  tra  le  sepolture  a  lui, 
Dicendo:  Le  parole  tue  sien  conte. 
2. 3.  Tosto  eh*  al  p.    40.    Com'  io  al  pie  della  sua  tomba  fili, 

Guardommi  un  poco,  e  poi  quasi  sdegnoso 
Mi  dimandò:  Chi  fiir  U  maggior  tui? 


1.  2.  3.  cintol» 


C.  risposto    D.  nmscosto 

B.  mio  dir 

A.\.  D.  non  m'  hai  pur 


B.  ristare 


B.  D.  forse  fui 


B.  a  D.  Voi  vi  ti 


B.  D.  cintola 


A.  a  i^an  d. 


A.  2.  C.  Z>.  a  pie 


D,  chi  son 


20.  A  te  '1  mio  e.   —   21.  pur  ora   — 
41.  Chiatommi  —  42.  furo  i 


qa.  patr.  nobile 


perch'  io  m"  acc,    —  35.  surgea   —  37.  del  duca,  pronte 


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CERCHIO  VI.    ERETICI. 


INFERNO    X.    43  —  66. 


CAV.   DB    CAVALCANTI. 


65 


1.  2.  3.  tutto 


2.  duo  fiate 


l.  2.  3.  Risposi  lui 


2.  3w  ixu^'iocchion 


1.  2.  sospicciar 
3.  aospiear 


3.  o  perchè 


43.    Io,  eh'  era  d'  ubbidir  desideroso, 

Non  gliel  celai,  ma  tutti  gliel'  apersi: 
Ond'  ei  levò  le  ciglia  un  poco  in  soso; 

46.   Poi  disse:  Fieramente  furo  avversi 

A  me  ed  a'  miei  primi  ed  a  mia  parte, 
Si  che  per  due  fiate  gli  dispersi. 

49.    S'  ei  fur  cacciati,  ei  tornar  d'  ogni  parte, 
Rispos'  io  lui,  r  una  e  1'  altra  fiata; 
Ma  i  vostri  non  appreser  ben  queir  arte. 

52.   AUor  surse  alla  vista  scoperchiata 

Un'  ombra  lungo  questa  infino  al  mento: 
Credo  che  s'  era  in  ginocchie  levata. 

55.  D'  intomo  mi  guardò,  come  talento 
Avesse  di  veder  s'  altri  era  meco; 
Ma  poi  che  il  suspicar  fii  tutto  spento, 

58.  Piangendo  disse:  Se  per  questo  cieco 
Carcere  vai  per  altezza  d'  ingegno, 
Mio  figlio  ov'  è,  e  perchè  non  è  teco? 

61.    Ed  io  a  lui:  Da  me  stesso  non  vegno: 

Colui,  che  attende  là,  per  qui  mi  mena, 
Forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno. 

64.   Le  sue  parole  e  il  modo  della  pena 

M'  avevan  di  costui  già  letto  il  nome: 
Però  fii  la  risposta  cosi  piena. 


B.  C.  D.  tutto 


A.  1.  ginocchi 
D.  ginocchia 


B.  C.  sospecciar 


A.  m.  eletto 


44.  Non  gli  e.   —   tutto  gli  mi  ap.  ||  tutto  gli  ap.   —  46.  diase  fieram.  :  Furo  —  50.  Rispos*  io  a  lui  —   e  T  una  —  53.  questo 
55,  Intorno  —  D' int.  si  gu.  —  57.  E  poi  —  50.  Career  ten  vai  —  per  1*  alt.  —  61.  Ond'  io  risposi  a  lui  da  me  non  —  65.  già  detto 

I.  9 


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gg  CEBCHio  VI.  eb|:tici.  inferno    X.    67—90.  farikata  d.  uberti. 

idriE.. disse  67.    Di  subito  drizzato  gridò:  Come 

Dicesti:  egli  ebbe?  non  viv'  egli  ancora? 
Non  fiere  gli  occhi  suoi  lo  dolce  lome? 
70.    Quando  s'  accorse  d'  alcuna  dimora 
Ch'  io  faceva  dinanzi  alla  risposta, 
Supin  ricadde,  e  più  non  parve  fuora. 
73.    Ma  queir  altro  magnanimo,  a  cui  posta 

Restato  m'  era,  non  mutò  aspetto,  b. 

1.  Né  cangiò  Ne  mosse  collo,  ne  piegò  sua  costa. 

76.    E  se,  continuando  al  primo  detto, 
1.2.3. Egli  S'  egli  han  quell'  arte,  disse,  male  appresa,      b.^^ 

Ciò  mi  tormenta  più  che  questo  letto. 
79.    Ma  non  cinquanta  volte  fia  raccesa 

La  faccia  della  donna  che  qui  regge, 
Che  tu  saprai  quanto  queir  arte  pesa. 
82.    E  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  regge, 

Dimmi,  perchè  quel  popolo  è  si  empio 
Incontro  a'  miei  in  ciascuna  sua  legge? 
85.    Ond'  io  a  lui:  Lo  strazio  e  il  grande  scempio,      r./^Ed. 
Che  fece  1'  Arbia  colorata  in  rosso,  A.m.c^ 

Tale  orazion  fa  far  nel  nostro  tempio. 
2. 3.  ♦  capo  scosso      88.    Poi  ch'  cbbc  sospirando  il  capo  mosso, 

A  ciò  non  fili  io  sol,  disse,  ne  certo 
1. 2. 3.  sap.  con  riì  al.  Scuza  cagìou  cou  gU  altri  sarei  mosso  : 

69.  fier  negli  ||  fier  agli  —  il  dolce  —  75.  Ne  torse  ||  Non  torse  —  76.  E ,  se  coni   —  il  primo  —   77.  quel!"  arte  \saAf  -  '^ 
questo  —  82.  Eh,  se  tu  —  ft4.  a  ciascuna  —  87.  Tali  or.  —  il  nostro  —  88.  sospirato  e  il 


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TESCHIO  VI.   ERSTICI. 


INFERNO    X.    91-114. 


FARINATA  O.   UBESTI. 


67 


2.  3.  torre 
difese 


2.  3.  Don  ci 


Or  dicerete  »  q. 
tra'  vivi 
3.  dianzi 


B.  torre    C.  ciascuno  dì 
tor 


D.  inviluppato 


D.  a  quel 


91.    Ma  fu'  io  sol  colà,  dove  sofferto 

Fu  per  ciascun  di  togUer  via  Fiorenza, 

Colui  che  la  difesi  a  viso  aperto. 
94.    Deh,  se  riposi  mai  vostra  semenza, 

Prega'  io  lui,  solvetemi  quel  nodo. 

Che  qui  ha  inviluppata  mia  sentenza. 
97.    E'  par  che  voi  veggiate,  se  ben  odo, 

Dinanzi  quel  che  il  tempo  seco  adduce, 

E  nel  presente  tenete  altro  modo. 
100.    Noi  veggiam,  come  quei  eh'  ha  mala  luce. 

Le  cose,  disse,  che  ne  son  lontano; 

Cotanto  ancor  ne  splende  il  sommo  Duce: 
103.    Quando  s'  appressano,  o  son,  tutto  è  vano 

Nostro  intelletto;  e  s'  altri  noi  ci  apporta,     /?.  nonn 

Nulla  sapem  di  vostro  stato  umano. 
106.    Però  comprender  puoi,  che  tutta  morta 

Fia  nostra  conoscenza  da  quel  punto 

Che  del  futuro  fia  chiusa  la  porta. 
109.   AUor,  come  di  mia  colpa  compunto. 

Dissi:  Or  direte  dunque  a  quel  caduto  a or dicerete d. a q. 

Che  il  suo  nato  è  co' vivi  ancor  congiunto.  /?. travivi 
112.    E  s' io  fui  innanzi  alla  risposta  muto,  c.d.xktv^. 

Fat'  ei  saper  che  il  fei,  perchè  pensava 

Già  nell'  error  che  m'  avete  soluto. 


R.  non  son 


R.  tutto  vano 


92.  Fu  da  ciasenn  —  94.  rip.  ornai  —  96.  Che  tiene  inv.  _  100.  quei  che  han  ~  102.  Che  tanto  —  105.  vostro  fato  —  HO.  Diss'  io  : 
lirete  a  q.  —  Or  dite  adunque  —  112.  fui  dianzi  —  113.  Direteli  che  —  eh'  il  feci,%:h*  io 


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)  CERCHIO  VI.   ERETICI.  INFERNO     X.     115  — 13().  federico   II.   IMF. 

115.   E  già  il  Maestro  mio  mi  richiamava: 
3„pìrit«,  Perch'  io  pregai  lo  spirto  più  avaccio 

1. 2. 3.  »  lui  Bì  st  Che  mi  dicesse  chi  con  lui  stava. 

118.    Dissemi:  Qui  con  più  di  mille  giaccio: 
1.2.3.  entTo  Qua  deutro  è  lo  secondo  Federico,  .4.1  n^^ 

E  il  Cardinale,  e  degli  altri  mi  taccio. 

121.   Indi  s'  ascose  :  ed  io  in  ver  Y  antico 
Poeta  volsi  i  passi,  ripensando 
A  quel  parlar  che  mi  parca  nimico. 

124.   EgU  si  mosse;  e  poi  così  andando,  v.mo^?^ 

IVIi  disse:  Perchè  sei  tu  sì  smarrito?  2?. Nr 

Ed  io  li  satisfeci  al  suo  dimando. 

127.    La  mente  tua  conservi  quel  eh'  udito 

Hai  contra  te,  mi  comandò  quel  Saggio, 
Ed  ora  attendi  qui:  e  drizzò  il  dito. 

130.    Quando  sarai  dinanzi  al  dolce  raggio 

Di  quella,  il  cui  beli'  occhio  tutto  vede. 
Da  lei  saprai  di  tua  vita  il  viaggio. 

133.    Appresso  volse  a  man  sinistra  il  piede: 

Lasciammo  il  muro,  e  gimmo  in  ver  lo  mezzo 
Per  im  sentier  eh'  ad  ima  valle  fiede, 

136.    Che  infin  lassù  facea  spiacer  suo  lezzo.  A.m.D.^'- 


110.  io  pressai  —  120.  Card.,  degli  —  121  Ed  ei  —  in  andando  —  128.  ne  comanda  quel  —  129.  att.  a  cui  -  io  drixtu 
135.  sentiere  che  a  —  in  una  v.  —  136.  infin  quassù       • 


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CANTO  DECIMOPRIMO 


■r  uu'  altr» 


(Attvm 


Del  grande  p.  che  l' ab. 


.  prima  un  poco 


In  su  r  estremità  d'  un'  alta  ripa, 

Che  facevan  gran  pietre  rotte  in  cercliio, 
Vemmmo  sopra  più  crudele  stipa: 
4.   E  quivi,  per  1'  orribile  soperchio 

Del  puzzo,  che  il  profondo  abisso  gitta, 
Ci  raccostammo  dietro  ad  un  coperchio 
7.    D'  un  grande  avello,  ov'  io  vidi  xuia  scritta 
Che  diceva:  Anastasio  papa  guardo, 
Lo  qual  trasse  Fotin  della  \àa  dritta. 

10.  Lo  nostro  scender  conviene  esser  tardo, 
Sì  che  s'  ausi  un  poco  prima  il  senso 
Al  tristo  fiato,  e  poi  non  fia  riguardo. 

13.    Così  il  Maestro;  ed  io:  Alcun  compenso, 
Dissi  lui,  trova,  che  il  tempo  non  passi 
Perduto;  ed  egU:  Vedi  che  a  ciò  penso. 

16.   Fighuol  mio,  dentro  da  cotesti  sassi. 

Cominciò  poi  a  dir,  son  tre  cerchietti 
Di  grado  in  grado,  come  quei  che  lassi. 


B.  faceva 


A.  m.  B.  indietro  a  un 
A.  2.  C.  «vel  doV  io 


D.  Finché  —  D.  pr.  un  p. 


r.  Diss'  io 


5.  Del  grave  p.  che  V  ab.  —  6.  ricoatammo  indietro  —  7.  a*  vidi  una  gran  ser. 
12.  e  più  non  fia  —  16.  Figliuolo  —  dentro  a 


11.  8*  ausi  in  prima  un  p.  ||  «'  ausi  uu  p.  il 


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70  CERCHIO  VI.    ERETICI.  INFERNO     XI.     19  —  42.  DIVIS.   del   basso   INF. 

19.    Tutti  son  pien  di  spirti  maledetti: 

Ma  perchè  poi  ti  basti  pur  la  vista, 

Intendi  come,  e  perchè  son  costretti. 
^  22.    D'  ogni  malizia  eh'  odio  in  cielo  acquista, 

Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 

0  con  forza  o  con  frode  altrui  contrista.  d.  o  con  fr.  o.  e.  t 

25.    Ma  perchè  frode  è  dell'  uom  proprio  male. 

Più  spiace  a  Dio;  e  però  stan  di  sutto  e. perciò 

Gli  frodolenti,  e  più  dolor  gli  assale. 
28.    De'  violenti  il  primo  cerchio  è  tutto  : 

Ma  perchè  si  fa  forza  a  tre  persone,  ^i.  in  tre 

In  tre  gironi  è  distinto  e  costrutto. 
31.    A  Dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puone 
1. 2.  in  se  ed  in  1.  Far  forza,  dico  in  loro  ed  in  lor  cose, 

Come  udirai  con  aperta  ragione. 
34.   Morte  per  forza  e  ferute  dogUose 

Nel  prossimo  si  danno,  e  nel  suo  avere 

Ruine,  incendi  e  toilette  dannose: 
3.  omicidi  37.    Onde  omicide  e  ciascun  che  mal  fiere, 

Guastatori  e  predon,  tutti  tormenta 

Lo  gh'on  primo  per  diverse  schiere. 
40.   Puote  uomo  avere  in  sé  man  violenta 

E  ne'  suoi  beni  :  e  però  nel  secondo 

Giron  convien  che  senza  prò  si  penta 

20.  ti  basta  —  basti  più  —  23.  fin  è  cotale  —  28.  Di  Tiolenti  —  32.  in  1.  ed  in  le  lor  ||  a  loro  ed  a  lor  —  34.  o  fer.  dolose  —  96w  collette 
dann.  -  .37.  Onde  omicida  |1  Odj  »  omic.  —  40.  Può  uomo 


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CBRCRIO  VI.   ERETICI. 


INFERNO    XI.    43-66. 


DIVIS.   DEL   BASSO    INF. 


71 


43.    Qualunque  priva  se  del  vostro  mondo, 
Biscazza  e  fonde  la  sua  facultade, 
E  piange  là  dove  esser  dee  giocondo. 

46.    Puossi  far  forza  nella  Deitade, 

Col  cor  negando  e  bestemmiando  quella, 
E  spregiando  natura  e  sua  boutade: 

49.    E  però  lo  minor  giron  suggella 

Del  segno  suo  e  Sodoma  e  Caorsa, 
E  chi,  spregiando  Dio,  col  cor  favella. 

52.   La  frode,  ond'  ogni  coscienza  è  morsa, 
3.  che  si  fida  Può  V  uomo  usarc  in  colui  che  'n  lui  fida, 

3.  E  in  quello  Ed  in  quei  che  fidanza  non  imborsa. 

55.    Questo  modo  di  retro  par  che  uccida 
1. 2. 3. vincoi  Pur  lo  vinco  d'amor  che  fa  natiu^a; 

►  Onde  nel  cerchio  secondo  s'  annida 

58.    Ipocrisia,  lusinghe  e  chi  aflEeittura, 
Falsità,  ladroneccio  e  simonia, 
Rufifian,  baratti  e  simile  lordura. 

61.    Per  r  altro  modo  queir  amor  s'  obblia 

Che  fa  natura,  e  quel  eh'  è  poi  aggiunto. 
Di  che  la  fede  speziai  si  cria: 

64.    Onde  nel  cerchio  minore,  ov'  è  il  punto 
Dell'universo,  in  su  che  Dite  siede, 
Qualunque  trade  in  eterno  è  consunto. 


A.  del  nostro 


li.  (\  D.  Mio 


C.  in  qaei 


A.  ancida' 


H.  C.  D.  Per  altro 
A.  1.  che  poi  ha  g. 
D.  t.  Onde  la 
C  minor  eerch.  dov' 


44.  Bisc.  e  froda  —  53.  in  ehi  di  lui  —  &5.  modo  diritto  —  che  incida  —  56.  Pnr  solo  il  ben 


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72 


CEBCHIO  VI.   ERETICI. 


INFERNO    XL    67-90. 


DIVI8.    DEL   BASSO   INF. 


1.  2.  3.  della  città 


2.  3.  rh'  ei  suole 


67.   Ed  io:  Maestro,  assai  chiaro  procede 

La  tua  ragione,  ed  assai  ben  distingue 
Questo  baratro  e  il  popol  che  il  possiede. 

70.   Ma  dimmi:  Quei  della  palude  pingue, 

Che  mena  il  vento,  e  che  batte  la  pioggia, 
E  che  s' incontran  con  sì  aspre  lingue, 

73.    Perchè  non  dentro  dalla  città  roggia 
Son  ei  puniti,  se  Dio  gli  ha  in  ira? 
E  se  non  gli  ha,  perchè  sono  a  tal  foggia? 

76.    Ed  egli  a  me  :  Perchè  tanto  delira. 

Disse,  lo  ingegno  tuo  da  quel  che  suole? 
Ovver  la  mente  dove  altrove  mira? 

79.    Non  ti  rimembra  di  quelle  parole. 
Colle  quai  la  tua  Etica  pertratta 
Le  tre  disposizion  che  il  ciel  non  vuole: 

82.   Incontinenza,  malizia  e  la  matta 

Bestialitade?  e  come  incontinenza 

Men  dio  offende  e  men  biasimo  accatta? 

85.    Se  tu  riguardi  ben  questa  sentenza, 

E  rechiti  alla  mente,  chi  son  quelU, 
Che  su  di  fuor  sostengon  penitenza, 

88.    Tu  vedrai  ben,  perchè  da  questi  felli 

Sien  dipartiti,  e  perchè  men  crucciata 
1. 2. 3.  dir.  giuBtizia  La  divlna  ^'endetta  gli  martelU. 


D.  t  rombattr 


B.  incontra 


C.  e  malizù 


D.  kiasmo 


B.  D.  dir.  l^tt»trJ 


()7.  chiara  —  69.  Qu   burato   —  che  possiede  —   70.  Ma  quei  che  son  d.   —  72.  si  scontran   —   diverse  lingne  —  "^  E  »  ^' 
77.  eh'  e*  suole  —  78.  mente  tua  dov'  altro  ||  m.  tua  altrove  —  84.  più  bias.  —  86.  a  memoria 


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CERCHIO  VI.   ERETICI. 


INFERNO    XI.    91-115. 


DIVIS.    DEL    BASSO    INF. 


73 


'L  3.  svoKi 
1.  2.  r  attcndr 


1.  Da  i{uesti 


1.  2.  3.  K  perchè 


l.  2.  3.  oltTr 


91.    0  Sol  che  sani  ogni  vista  turbata, 

Tu  mi  contenti  sì,  quando  tu  solvi, 
Che,  non  men  che  saper,  dubbiar  m'  aggrata. 
94.    Ancora  un  poco  indietro  ti  rivolvi, 

Diss'  io ,  là  dove  di'  che  usura  offende 
La  divina  boutade,  e  il  groppo  solvi. 
97.    Filosofia,  mi  disse,  a  chi  la  intende, 
Nota  non  pure  in  ima  sola  parte, 
Come  natura  lo  suo  corso  prende 

100.    Dal  divino  intelletto  e  da  sua  arte; 
E  se  tu  ben  la  tua  Fisica  note. 
Tu  troverai  non  dopo  molte  carte, 

103.  Che  r  arte  vostra  quella,  quanto  puote. 
Segue,  come  il  maestro  fa  il  discente, 
Sì  che  vostr'  arte  a  Dio  quasi  è  nipote. 

106.   Da  queste  due,  se  tu  ti  rechi  a  mente 
Lo  Genesi  dal  principio,  conviene 
Prender  sua  vita  ed  avanzar  la  gente. 

109.    Ma  perchè  1'  usuriere  altra  via  tiene, 
Per  se  natura,  e  per  la  sua  seguace 
Dispregia,  poiché  in  altro  pon  la  spene. 

112.    Ma  seguimi  oramai,  che  il  gir  mi  piace: 
Che  i  Pesci  guizzan  su  per  Y  orizzonta, 
E  il  Carro  tutto  sopra  il  Coro  giace, 

115.    E  il  balzo  via  là  oltra  si  dismonta. 


A.  ogni  cosa 


A,  iud.  un  (>.-//.  a 
dietro 

A.  m.  C.  di'  Caoroa 
C.  dissolvi 


C.  qua  sene  potè 
fi.  Da  questi 


H.  E  perphè 

A.  2.  C.  I).  nat.  per 


A.  C.  sovra  il  toro 


91.  cbe  schi&ri  —  97.  lo  intende  ||  le  intende  —  99.  eorpo  prende        101.  FI  se  bene  la  tua  —  106.  Da  qu.  pose ,  se  ti  r.    -  109.  usnrajo  — 
IH.  sovra  Tauro  -   llf».  K  balzò  ria  la  dove 

I.  IO 


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CANTO  DECIMOSECONDO 


1.  Di  là 


1.  2.  se  s  lessa 


1.  mio  Vìrg.  gr. 


Jcjra  lo  loco,  ove  a  scender  la  riva 
Venimmo,  alpestro,  e  per  quel  eh'  ivi  er'  anco, 
Tal,  eh'  ogni  vista  ne  sarebbe  schiva. 
4.    Qual  è 'quella  mina,  che  nel  fianco 
Di  qua  da  Trento  1'  Adice  percosse 
0  per  tremuoto  o  per  sostegno  manco; 
7.    Che  da  cima  del  monte,  onde  si  mosse. 
Al  piano  è  si  la  roccia  discoscesa, 
Ch'  alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse  ; 

10.    Cotal  di  quel  burrato  era  la  scesa: 
E  in  su  la  punta  della  rotta  lacca 
L' infamia  di  Greti  era  distesa, 

13.    Che  fii  concetta  nella  falsa  vacca: 

E  quando  vide  noi,  se  stesso  morse 
Si  come  quei ,  cui  l' ira  dentro  fiacca. 

16.    Lo  savio  mio  inver  lui  gridò  :  Forse 

Tu  credi  che  qui  sia  il  duca  d'  Atene, 
Che  su  nel  mondo  la  morte  ti  porse? 


B.  I).  Di  li  -  A.  Athyee 


C  rocca 


B.  discesa 


U.  Come  colui  cui  d.  1*  ira 
B.  mio  'Virf(ilio  gr. 
A.  2.  C.  che  quei 


3.  ogni  bestia  ~  6.  per  sostegni  —  9.  via  non  v'  è  —  15.  eoi  ir»  molto  f.  ^  afB«eca  —   16.  Virgilio  mio  in  Ter  lui  (|  Lo  savio 
vfr  lei  II  Lo  mio  maestro  in  v.  1. 

10- 


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76 


CKRCH.  VII.    ntBONE    1.    VIOLENTI. 


INFERNO    XII.    19-42. 


MINOTAURO. 


1.  si  lancia 


1.  8U  per 


1.  Sotto  mie' 


19.    Partiti,  bestia,  che  questi  non  viene 
Ammaestrato  dalla  tua  sorella, 
Ma  vassi  per  veder  le  vostre  pene. 

22.    Qual  è  quel  toro  che  si  slaccia  in  quella 
Che  ha  ricevuto  già  1  colpo  mortale, 
Che  gir  non  sa,  ma  qua  e  là  saltella, 

25.    Vid'  io  lo  Minotauro  far  cotale. 

E  quegU  accorto  gridò  :  Corri  al  varco  ; 
Mentre  eh'  è  in  furia,  è  buon  che  tu  ti  cale. 

28.    Così  prendemmo  via  giù  per  lo  scarco 
Di  quelle  pietre,  che  spesso  moviensi 
Sotto  i  miei  piedi  per  lo  nuovo  carco. 

31.    Io  già  pensando;  e  quei  disse:  Tu  pensi 
Forse  a  questa  rovina,  eh'  è  guardata 
Da  queir  ira  bestiai  eh'  io  ora  spensi. 

34.    Or  vuo'  che  sappi,  che  1'  altra  fiata 

Ch'  i'  discesi  quaggiù  nel  basso  inferno, 
1.  ano.  taguata  Questa  roccla  non  era  ancor  cascata. 

1,2. 3. «e ben        37.    Ma  ccrto  poco  pria,  s'io  ben  discerno. 
Che  venisse  Colui,  che  la  gran  preda 
Levò  a  Dite  del  cerchio  superno, 

40.   Da  tutte  parti  1'  alta  valle  feda 

Tremò  sì,  eh'  io  pensai  che  1'  universo 
Sentisse  amor,  per  lo  quale  è  chi  creda 


D.  ai  lancia 
D.  rio.  lo  e. 


A.  2.  B.  C.  D.  queir  are. 


li.  su  per 


B.  a  D.  «otto  ! 


B.  rh'  all'  altra 


IJ.  rocca  —  B.  ano. 
tai;liata 

B.  D.  ae  ben 


21.  Ma  ra  ai  ||  Ma  TÌensi   —  '27.  che  infuria  ||  che  furia  —  81.  Che  penai   ~  32.  in  qu.  r.   — 
altra  f.  —  3B.  Che  diacendease  Quei 


3.  ira  mortai    —  34.  vuo*  io  —   che 


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rKRCH.  VII.    GIRONE    1.    VIOLENTI.  INFERNO     XII.     43  —  66.  CENTAURI.  77 

43.    Più  volte  il  mondo  in  Caos  converso: 

Ed  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 

Qui  ed  altrove  tal  fece  riverso. 
46.   Ma  ficca  gli  occhi  a  valle;  che  s'  approccia 

La  riviera  del  sangue,  in  la  qual  bolle  j.  2.  r.  in  io  qu. 

Qual  che  per  violenza  in  altrui  noccia. 
1. 2.  3.  o  ira  f.      49.    0  cieca  cupidigia,  e  ria  e  folle,  a.  ,».  d.  o  ira  r. 

Che  sì  ci  sproni  nella  vita  corta, 

E  neir  eterna  poi  sì  mal  e'  immolle  ! 
52.    Io  vidi  un'  ampia  fossa  in  arco  torta. 

Come  quella  che  tutto  il  piano  abbraccia, 

Secondo  eh'  avea  detto  la  mia  scorta: 
55.    E  tra  il  pie  della  ripa  ed  essa,  in  traccia 

Correan  Centauri  armati  di  saette. 

Come  solean  nel  mondo  andare  a  caccia.        ^.i.(?)/j.  rome  «suoi 
58.    Vedendoci  calar  ciascun  ristette, 

E  della  schiera  tre  si  dipartirò 

Con  archi  ed  asticciuole  prima  elette: 
61.    E  r  un  gridò  da  lungi  :  A  qual  martiro 

Venite  voi,  che  scendete  la  costa? 

Ditel  costinci,  se  non,  1'  arco  tiro. 
64.    Lo  mio  Maestro  disse:  La  risposta 

Farem  noi  a  Chiron  costà  di  presso  :  a.  c.  d.  presso 

Mal  fu  la  voglia  tua  sempre  sì  tosta. 

43.  in  Caosso  —  45.  altrove  più  —  48.  Quel  che  -  49.  ria  e  f.  (|  e  dira  e  f.  —  50.  ci  sprona  -  56.  \'enian  f'ent.  -  «3.  e  se  non 


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78 


CERCH.  VIK    GIRONE    1.    VIOLENTI. 


INFERNO    Xn,    67-90. 


CHIRONK    E    NESSO. 


l.  2.  3.  Ove  -    1.  due 


B.  dal  caiit. 
1.  2.  Che  uè 


67.    Poi  mi  tentò,  e  disse:  Quegli  è  Nesso, 
Che  morì  per  la  bella  Deianira, 
E  fé'  di  se  la  vendetta  egli  stesso  : 

70.    E  quel  di  mezzo,  che  al  petto  si  mira, 

E  il  gran  Chirone,  il  qual  nudrì  Achille: 
Quell'  altro  è  Eolo ,  che  fii  si  pien  d' ira. 

73.    D'  intorno  al  fosso  vanno  a  mille  a  mille, 
Saettando  quale  anima  si  svelle 
Del  sangue  più,  che  sua  colpa  sortille. 

76.    Noi  ci  appressammo  a  quelle  fiere  snelle: 
Chiron  prese  uno  strale,  e  con  la  cocca 
Fece  la  barba  indietro  alle  mascelle. 

79.  Quando  s'  ebbe  scoperta  la  gran  bocca, 
Disse  ai  compagni:  Siete  voi  accorti, 
Che  quel  di  retro  move  ciò  eh'  ei  tocca? 

82.    Così  non  sogUon  fare  i  pie  de'  morti. 

E  il  mio  buon  Duca,  che  già  gli  era  al  petto 
Dove  le  duo  nature  son  consorti, 

85.    Rispose  :  Ben  è  vivo,  e  sì  soletto 

MostrarU  mi  convien  la  valle  buia: 
Necessità  '1  e'  induce,  e  non  diletto. 

^8.    Tal  si  partì  da  cantare  alleluia, 

Che  mi  commise  quest' ufieio  nuovo; 
Non  è  ladron,  ne  io  anima  fuia. 


A.  2.  Ch.  che  n.  —  JJ. 
natricò 

D,  che  par 


A.  la  b.  dietro 
U.  scoperto 
e.  sietevi  voi 
A.  2.  r.  ciò  che  t. 


/?.  Ove 


r.  D.  "1  conduce 


/?.  Che  ne 


7U.  che  il  petto  —  71.  nudriu  —  74.  quell'  anima  ||  quelle  anime  —  si  snelle  —  75.  Dal  sangue  —  OT.  Nec.  lo  induce  —  induce,  non 
81).  Che  me  condusse  a  qu. 


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CERCH.  VII.    OIRONK    1.    TIRANNI. 


INFERNO    Xn.    91  —  116. 


EZZELINO,    OPIZZO. 


79 


1.  2.  3.  là  oTe 


1.  2.  3.  Cicilia 


l.  2.  3.  Obizxo 


91.    Ma  per  quella  virtù,  per  cui  io  movo 
Li  passi  miei  per  sì  selvaggia  strada, 
Damie  un  de'  tuoi,  a  cui  noi  siamo  a  pruovo, 
94.    Che  ne  dimostri  là  dove  si  guada, 

E  che  porti  costui  in  su  la  groppa; 
Che  non  è  spirto  che  per  1'  aer  vada. 
97.    Chiron  si  volse  in  sulla  destra  poppa, 

E  disse  a  Nesso  :  Torna,  e  sì  li  guida, 
E  fa  causar,  s'  altra  schiera  v'  intoppa. 

100.    Noi  ci  movemmo  colla  scorta  fida 

Lungo  la  proda  del  bollor  vermiglio. 
Ove  i  boUiti  facean  alte  strìda. 

103.   Io  vidi  gente  sotto  infino  al  cigho; 

E  il  gran  Centauro  disse  :  Ei  son  tiranni, 
Che  dier  nel  sangue  e  nell'  aver  di  piglio. 

106.    Quivi  si  piangon  li  spietati  danni: 

Quivi  è  Alessandro,  e  Dionisio  fero, 
Che  fé'  Sicilia  aver  dolorosi  anni  : 

109.    E  quella  fronte  eh'  ha  il  pel  così  nero 

E  Azzolino  ;  e  quell'  altro  eh'  è  biondo 
E  Opizzo  da  Esti,  il  qual  per  vero 

112.    Fu  spento  dal  figliastro  su  nel  mondo. 
AUor  mi  volsi  al  Poeta,  e  quei  disse: 
Questi  ti  sia  or  primo,  ed  io  secondo. 


(\  D.  s' intoppa 


H.  altre  str. 


JL  D.  Cicilia 


A.  É  Ezzerino 
r.  Ohiitxo 


(\  .lo  mi 


91.  per  chi  io  —  94.  E  che  ne  mostri  li  ove  —  96.  Ch'  ei  non  —   100.  Or  ci  mov.  —  101.   Lungo  alla  broda     -    102.  acri  str.  — 
^uivi  pra  g.  Il  Qui  vidi  g.  —  107.  Qui  ▼*  è  Al.  ||  Quivi  Alesa.  —  109.  ch*  ha  pel  —  112.  figl.  suo  ||  figl.  in  su 


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80 


CERCH.  VII.    GIRONE    1.    OMICIDE. 


INFERNO    Xn.    115-139. 


GUIDO    DA    MONFORTE. 


1.  2.  iu  su  Tani 
1.  2.  3.  trenti 
1.2.  ».  Tenemi 


1.  2.  3.  cupriA  pur 


115.    Poco  più  oltre  il  Centauro  s'  affisse 

Sopra  una  gente  che  infino  alla  gola 
Parea  che  di  quel  buhcame  uscisse. 

118.    Mostrocci  un'  ombra  dall'  un  canto  sola, 
Dicendo  :  Colui  fesse  in  grembo  a  Dio 
Lo  cor  che  in  sul  Tamigi  ancor  si  cola. 

121.    Poi  vidi  gente,  che  di  fiior  del  rio 

Tenea  la  testa  ed  ancor  tutto  il  casso: 
E  di  costoro  assai  riconobb'  io. 

124.    Cosi  a  più  a  più  si  facea  basso 

Quel  sangue  si,  che  cocca  pm*  U  piedi: 
E  quivi  fii  del  fosso  il  nostro  passo. 

127.    Sì  come  tu  da  questa  parte  vedi 

Lo  buhcame  che  sempre  si  scema, 
Disse  il  Centauro,  vogho  che  tu  credi, 
1.2.  ajtx  «piii  -  3,pWi  130.    Che  da  quest'altra  più  a  più  giù  prema 

Lo  fondo  suo,  infin  eh'  ei  si  raggiunge 
Ove  la  tirannia  convien  che  gema. 

133.    La  divina  giustizia  di  qua  punge 

Queir  Attila  che  fu  flagello  in  terra, 
E  Pirro,  e  Sesto;  ed  in  etemo  munge 

136.    Le  lagrime,  che  col  bollor  disserra 

A  Rinier  da  Corneto,  a  Rinier  Pazzo, 
Che  fecero  alle  strade  tanta  guerra: 

139.    Poi  si  rivolse,  e  ripassossi  il  guazzo. 


e  più 


A.  1.  che  dfLv  '. 

B.  D.  tolti 

e.  da  rio   f/  ■  i 


B.  U.  copna  >V' 
A.  1.  K  ijoinL 


A.  2.  r.  »lin  ;  .- 
A.  2.  r.  wscitT' 

A,  2.  r.  itavf 
A.  2.  r.  pi«B.- 

A.  2.  H.  C.  ì).  B^- 

r.  e  Rio.  p. 


118.  da  un  cauto  —  119.  Colei  fesse  —  120.  che  suTamis  —  si  gola  —  121.  che  fuori  del     -  128.  sempre  discema  -  ISl.lH^s^* 
ohe  si  ra^i;.  ||  che  su  rat^i;.  —  136.  che  quel  b    —  139.  Poscia  si  volse  —  ripassò  il 


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CANTO  DECIMOTERZO 


.  nidio    2.  3.  nido 


l.  2.  3.  K  il  buon 


J\ion  era  ancor  di  là  Nesso  arrivato, 
Quando  noi  ci  mettemmo  per  un  bosco, 
Che  da  nessun  sentiero  era  segnato. 
4.    Non  frondi  verdi,  ma  di  color  fosco, 

Non  rami  schietti,  ma  nodosi  e  involti. 
Non  pomi  v'  eran,  ma  stecchi  con  tosco. 
7.    Non  han  sì  aspri  sterpi  ne  sì  folti 

Quelle  fiere  selvagge,  che  in  odio  hanno 
Tra  Cecina  e  Corneto  i  luoghi  colti. 

10.    Quivi  le  brutte  Arpie  lor  nidi  fanno, 
Che  cacciar  delle  Strofade  i  Troiani 
Con  tristo  annunzio  di  futuro  danno. 

13.    Ale  hanno  late,  e  colli  e  visi  imiani. 

Pie  con  artigli,  e  pennuto  il  gran  ventre: 
Fanno  lamenti  in  su  gU  alberi  strani. 

16.    Lo  buon  Maestro:  Prima  che  più  entre, 
Sappi  che  se' nel  secondo  girone, 
Mi  cominciò  a  dire,  e  sarai,  mentre 


A.  2.  B.  C.  fronda  verde 


C.  Mpri  stecchi 


B.  lor  nidio  le  br.  A. 
D.  dalle  Str. 


A.  1.  D.  AU  -  A.  2.  /?. 
a  late,  colli 


B.  r.  D.  arbori 


B.  D.  E  il  buon  -  D. 
tu  entre 


C.  D.  Incominciò 


%  ci  moTemmo  —  3.  dì  nessun  |)  di  neon  —  5.  avvolti  >-  9.  Tra  Cireina  —  15.  Fanno  i  lam.  ||  Fanno  lamento 
I.  11 


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82  OERCH.  VII.    GIR.    2.    VIOL.    CONTEA    SE.  INFERNO     XIII.     19  —  42. 


PIER    DELLE    VIGNE. 


19.    Che  tu  verrai  nell'  orribil  sabbione. 
i.  ben;  si  veder»!  Però  piguarda  bene,  e  sì  vedrai 

3.  chedwan  Cosc,  che  tomen  fede  al  mio  sermone. 

1.  trarre  2. 3.  tragger  22.    lo  sentia  da  Ogni  parte  traer  guai, 

E  non  vedea  persona  che  il  facesse; 
Perch'  io  tutto  smarrito  m'  arrestai. 

25.    r  credo  eh'  ei  credette  eh'  io  credesse. 

Che  tante  voci  uscisser  tra  que'  bronchi 
Da  gente  che  per  noi  si  nascondesse. 

28.    Però,  disse  il  Maestro,  se  tu  tronchi 

Qualche  fraschetta  d'  una  d'  este  piante, 
Li  pensier  eh'  hai  si  faran  tutti  monchi. 

31.    AUor  porsi  la  mano  un  poco  avante, 

E  colsi  un  ramicel  da  un  gran  pruno: 

E  il  tronco  suo  gridò:  Perchè  mi  schiante? 

34.    Da  che  fatto  fu  poi  di  sangue  bruno. 

Ricominciò  a  gridar:  Perchè  mi  scerpi? 
Non  hai  tu  spirto  di  pietate  alcuno? 

37.    Uomini  fummo,  ed  or  sem  fatti  sterpi: 

Ben  dovrebb'  esser  la  tua  man  più  pia, 
Se  state  fossim'  anime  di  serpi. 

40.    Come  d'  un  stizzo  verde,  che  arso  sia 

Dall'  un  de'  capi,  che  dall'  altro  geme, 
E  cigola  per  vento  che  va  via; 


1.  I  pens. 


1.  2.  3.  ramusrel 


1.  mi  sterpi 


l.  de'  Iati 


.i.2.C2).Ep*r.r.'j 
B,  torriaa 


j4.2.  C.  tram  desìi  ?- 
fi.  trarre   Z^.i-i- 


C.  mai  rrsr&i 


B.  a    Cred'  i 
credo  -  < 


D.  Di  gcate 


A.  2.  C.  D.  por. 
vl.ramnfel  Dtit- 
A.  I.  D.  troart: 

A.  m.  a  dir 


B.  de'  lati 


19.  all'  orribil  —  20.  se  vederal  ||  se  tu  vedrai  —  21.  che  tornan  fede  ~  22.  già  d'  ogni  p.  trar  guai  —  24.  Per  che  tono     3 
<jue'  br.  —  34.  fu  fatto  pien  di  s.  —  37.  D'  uomini  —  30.  Se  stati  —  40.  d'  un  atiszon  ||  d*  nn  Éàaso  ||  d*  un  ttaxon 


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CERCH.  VII.  OIB.   3.   VIOL.   CONTBA   SE.  INFERNO     XIII.     43—66.  PIER   DELLE   VIONS.  g3 

2-  3.  co«i  di  quella  43.    SÌ  della  scheggia  rotta  usciva  insieme  /?.co8idiquciusch.usc. 

»cb.    UMC. 

Parole  e  sangue:  ond'  io  lasciai  la  cima 

Cadere,  e  stetti  come  Y  uom  che  teme. 
46.    S'  egli  avesse  potuto  creder  prima, 

Rispose  il  Savio  mio,  anima  lesa, 

Ciò  eh'  ha  veduto  pur  con  la  mia  rima, 
49.    Non  averebbe  in  te  la  man  distesa; 

Ma  la  cosa  incredibile  mi  fece 

Indurlo  ad  opra,  che  a  me  stesso  pesa. 
52.    Ma  dilli  chi  tu  fosti,  si  che,  in  vece 

D'  alcuna  ammenda,  tua  fama  rinfreschi 

Nel  mondo  su,  dove  tornar  gli  lece. 
». 3.  col  dolce         55.    E  il  tronco:  Sì  con  dolce  dir  m'  adeschi,  vi.  2. /?.  e.  coi  dolce 

Ch'  io  non  posso  tacere;  e  voi  non  gravi 

Perch'  io  un  poco  a  ragionar  m'  inveschi. 
58.   Io  son  colui,  che  tenni  ambo  le  chiavi 

Del  cor  di  Federico,  e  che  le  volsi 

Serrando  e  disserrando  sì  soavi, 
61.    Che  dal  secreto  suo  quasi  ogni  uom  tolsi: 

Fede  portai  al  glorioso  ofifizio,  /?.  gì.  hospitio 

?era.  lo  sonno  Tauto  ch'  io  TìB  pcrdci  le  vene  e  i  polsi.        y>.  t«uu 

64.    La  meretrice,  che  mai  dall'  ospizio 

Di  Cesare  non  torse  gli  occhi  putti. 

Morte  comune,  e  delle  corti  vizio, 


B.  com  delle     A,  2.  C. 
D.  e  com.  delle 


43.  uiiciano  —  49.  Non  avrebb*  elli  —  51.  elie  me  itesso  —  53.  D*  ale.  menda  —  54.  Nel  mondo  suo  —  63.  li  sonni  e  i  p.  ||  li  senni 
p.  Il  li  senjii  e  i  p.  --  6i.  dell'  oapiào  —  66.  Morte  è  oom.  ->  delle  corti  e  tìcìo 

ir 


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g4  CERCH.  VII.   GIR.    8.   VIOL.   CONTRA   8E.  INFERNO     XIII.     67—90.  PUR   DSLLB   YIOKl. 

67.    Infiammò  contra  me  gli  animi  tutti, 

£  gr  infiammati  infiammar  sì  Augusto, 

Che  i  lieti  onor  tomaro  in  tristi  lutti.  B.aD.o^ir. 

70.    L'  animo  mio  per  disdegnoso  gusto. 

Credendo  col  morir  fuggir  disdegno, 

Ingiusto  fece  me  contra  me  giusto.  .^.i.feti» 

73.    Per  le  nuove  radici  d'  esto  legno 

Vi  giuro  che  giammai  non  ruppi  fede 
Al  mio  signor,  che  fu  d'  onor  si  degno. 

76.   E  se  di  voi  alcim  nel  mondo  riede,  ^.  i..i«i- 

Conforti  la  memoria  mia,  che  giace 
Ancor  del  colpo  che  invidia  le  diede. 

79.    Un  poco  attese,  e  poi:  Da  eh'  ei  si  tace, 
Disse  il  Poeta  a  me,  non  perder  Y  ora; 
Ma  parla,  e  chiedi  a  lui  se  più  ti  piace. 

82.    Ond'  io  a  lui:  Domandai  tu  ancora  5. diinwii;. 

Di  quel  che  credi  che  a  me  satisfaccia; 
Ch'  io  non  potrei:  tanta  pietà  m'  accora. 
1.2.3.  Però        85.    Perciò  ricominciò:  Se  1'  uom  ti  faccia  i/. ««ohì 

Liberamente  ciò  che  il  tuo  dir  prega, 
Spirito. incarcerato,  ancor  ti  piaccia 

88.    Di  dime  come  1'  anima  si  lega 

In  questi  nocchi;  e  dinne,  se  tu  puoi, 
1.  diui  S'  alcuna  mai  da  tai  membra  si  spiega.  b.d.ìì^^ 

<i9.  (.Hie  gli  Oli.  m*  eu  tornati  in  grevi  1.   -  81.  chiedi,  s'  altro  ti  p.  —  85.  Pereh*  elli  ine.  —  88.  Di  dirmi  —  90.  membri 


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1.  Del  corpo 
disTclta 


1.  2.  3. 


l.  le  tTMcin. 


rKRCH.  VII.    OlB.    2.    VXOL.   CONTBA    SE.         INFERNO     XIII.     91  —  114.  ARPIE. 

91.    AUor  soffiò  lo  tronco  forte,  e  poi 

Si  convertì  quel  vento  in  cotal  voce: 
Brevemente  sarà  risposto  a  voi. 
94.    Quando  si  parte  Y  anima  feroce 

Dai  corpo,  ond'  ella  stessa  s'  è  divelbi, 
Minos  la  manda  alla  settima  foce. 
97.    Cade  in  la  selva,  e  non  V  è  parte  scelta; 
Ma  là  dove  fortuna  la  balestra. 
Quivi  germoglia  come  gran  di  spelta; 

100.    Surge  in  vermena,  ed  in  pianta  silvestra: 
L'  Arpie,  pascendo  poi  delle  sue  foglie. 
Fanno  dolore,  ed  al  dolor  finestra. 

103.    Come  1'  altre,  verrem  per  nostre  spoglie, 
Ma  non  però  eh'  alcuna  sen  rivesta: 
Che  non  è  giusto  aver  ciò  eh'  uom  si  toglie. 

lOfi.    Qui  le  strascineremo,  e  per  la  mesta 
Selva  saranno  i  nostri  corpi  appesi. 
Ciascuno  al  prun  dell'  ombra  sua  molesta. 

109.  Noi  eravamo  ancora  al  tronco  attesi, 
Credendo  eh'  altro  ne  volesse  dire. 
Quando  noi  fiimmo  d'  un  romor  sorpresi, 

112.    Similemente  a  colui,  che  venire 

Sente  il  porco  e  la  caccia  alla  sua  posta, 
Ch'  ode  le  bestie  e  le  frasche  stormire. 


85 


.•1.  1.  B.  Boflìò  il  tr. 


fi.  (lisTeltii 


R.  perciò 


IJ.  al  tr.  anc. 


d5.  ed  ella  si.  —  96.  la  balestra;  —  106.  Qui  li  ~  strascicheremo  —  113.  porco  alla  caccia 


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gg  CEBCH.  VII.    GIR.    2.    VIOL.    CONTBA    SE.        INFERNO     XIII.     115  —  138.  LANO    SANE8E. 

1.  due  alla  115.    Ed  ecco  duo  dalla  sinistra  costa,  /?.  aiiasia. 

Nudi  e  graffiati,  fiiggendo  si  forte. 
Che  della  selva  rompièno  ogni  rosta. 
118.    Quel  dinanzi:  Ora  accorri,  accorri,  morte. 

1.  r altro  cui  E  r  altro,  a  cui  pareva  tardar  troppo,  b.  r  r.iiro« 

Gridava:  Lano,  sì  non  fiiro  accorte 
121.    Le  gambe  tue  alle  giostre  del  Toppo.  B.c.D.à^ic: 

E  poiché  forse  gh  fallia  la  lena, 

2.  fé  un  ^r.  3.  fece  gr.  DÌ  sè  c  d'  uu  ccspugUo  fccc  uu  groppo. 

124.    Diretro  a  loro  era  la  selva  piena 

Di  nere  cagne,  bramose  e  correnti,  r. ebr*m 

Come  veltri  che  uscisser  di  catena. 
127.    In  quel,  che  s'  appiattò,  miser  U  denti, 
2.  dilacerato  E  qucl  dUaccraro  a  brano  a  brano  ;  d.  e  im 

Poi  sen  portar  quelle  membra  dolenti. 
1.  lo  mio  Duca  130.    Prescmi  allor  la  mia  scorta  per  mano,  i?.  io  mio  d«« 

E  menommi  al  cespugUo  che  piangea, 
Per  le  rotture  sanguinenti,  invano. 
i.Giacopo  2.1. Jacopo  133.    0  Jacomo ,  dicea,  da  sant'Andrea, 

Che  t'  è  giovato  di  me  fare  schermo? 
Che  colpa  ho  io  della  tua  vita  rea?  £f. coipm.bo 

136.    Quando  il  Maestro  fii  sopr'  esso  fermo. 
Disse:  Chi  fusti,  che  per  tante  punte 
1. 2. 3.  col  sanj^ue  Soffi  cou  sauguc  doloroso  sermo  ?  a.  coi  %«i^^ 

116.  correudo  si  f.  —  118.  E  quel  dinanzi:  Acc.  —  119.  E  altro  -  12D.  Gridavan  —  132.  sanguinose 


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cKRrn.  VII.  oiR.  3.  viOL.  CONTRA  8E.      INFERNO    XIII.    139^151.  rocco  de'  mozzi.  87 

139.    E  quegli  a  noi:  0  anime  che  giunte  A.n.Edt^w 

Siete  a  veder  lo  strazio  disonesto, 
1. 2. 3.  frondi  Ch'ha  Ic  mie  fronde  sì  da  me  disgiunte, 

142.    Raccoglietele  al  pie  del  tristo  cesto:  r. /dappiè 

Io  fili  della  città  che  nel  Batista 
1. 2. 3.  Cangiò  Mutò  '1  primo  patrono  :  ond'  ei  per  questo      a.  2.  b.  c.  d.  padrone 

145.    Sempre  con  1'  arte  sua  la  farà  trista: 

E  se  non  fosse  che  in  sul  passo  d'  Anio 

Rimane  ancor  di  lui  alcuna  vista; 
148.    Quei  cittadin,  che  poi  la  rifondarno 

Sopra  il  cener  che  d'  Attila  rimase , 

Avrebber  fatto  lavorare  indarno. 
151.    Io  fei  giubbetto  a  me  delle  mie  case. 


139.  a  me:  O  an.  —  141.  Che  le  mie  fr.  ha  sì  ||  Ch'ha  le  mie  membra  si  —  144.  ond*  è  —  149.  Sul  cen.  che  di  Totila  —  161.  gibetto 


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CANTO  DECIMOQUARTO 


jLoichè  la  carità  del  natio  loco 
Mi  strinse,  raunai  le  fronde  sparte, 
1. 2.  già  roco  E  rende'  le  a  colui  eh'  era  già  fioco. 

2.  onde  si  p  4.    Indi  venimmo  al  fine ,  ove  si  parte 

Lo  secondo  gìron  dal  terzo,  e  dove 
Si  vede  di  giustizia  orribil  arte. 
7.   A  ben  manifestar  le  cose  nuove, 

Dico  che  arrivammo  ad  una  landa,  d.  i»  dico 

Che  dal  suo  letto  ogni  pianta  rimove. 
10.   La  dolorosa  selva  1'  è  ghirlanda  ^.i.ieègh.  /?.  uègu. 

D.  la  'ngh. 

Intorno,  come  il  fosso  tristo  ad  essa:  ^tr. foMo 

1  2. 3.  i  piedi  Quivi  fermammo  i  passi  a  randa  a  randa.        b.  \  pici 

13.   Lo  spazzo  era  un'  arena  arìda  e  spessa. 
Non  d'  altra  foggia  fatta  che  colei, 

3.  piedi  di  Cftton  soppr.  Chc  fu  da'  pie  di  Caton  già  soppressa. 

16.    0  vendetta  di  Dio,  quanto  tu  dei 

Esser  temuta  da  ciascun  che  legge 
Ciò  che  fu  manifesto  agU  occhi  miei! 

2.  radunai  -  9.  ogni  pietà  —  U.  Intorto  —  15.  Che  da'  pie  di  C.  fa  già  ||  G.  d.  p.  d.  C.  già  ftt  ~  oppressa 
1.  12 


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90        TERCH.  VII.    GIR.    3.   VIOL.    CONTRA   IDDIO.       INFERNO     XIV.     19  —  42. 


DANTE   E    VIRGILIO. 


1.  2.  3.  perciocché 

2.  3.  stìngueva 


3.  Sotto  il  foc.   -   3.   a 
raddop.  dol. 


19.   D'  anime  nude  vidi  molte  gregge , 

Che  piangean  tutte  assai  miseramente, 
E  parea  posta  lor  diversa  legge. 

22.    Supin  giaceva  in  terra  alcuna  gente; 
Alcuna  si  sedea  tutta  raccolta, 
Ed  altra  andava  continuamente. 

25.    Quella  che  giva  intomo  era  più  molta, 

E  quella  men,  che  giaceva  al  tormento, 
Ma  più  al  duolo  avea  la  lingua  sciolta. 

28.    Sopra  tutto  il  sabbion  d'  un  cader  lento 
Piovean  di  foco  dilatate  falde, 
Come  di  neve  in  alpe  senza  vento. 

31.    Quali  Alessandro  in  quelle  parti  calde 
D' India  vide  sopra  lo  suo  stuolo 
Fiamme  cadere  infino  a  terra  salde; 

34.    Perch'  ei  provvide  a  scalpitar  lo  suolo 

Con  le  sue  schiere,  acciocché  il  vapore 
Me'  si  stingeva  mentre  eh'  era  solo  : 

37.   Tale  scendeva  1'  etemale  ardore; 

Onde  r  arena  s'  accendea,  com'  esca 
Sotto  focile,  a  doppiar  lo  dolore. 

40.    Senza  riposo  mai  era  la  tresca 

Delle  misere  mani,  or  quindi  or  quinci 
Iscotendo  da  se  1'  arsura  fresca. 


A.  2.  C.  D.  par.  posto 


A.  2.  C.  E  r  altra 


A.  più  avean  al  duol 


A.  \.  mentre  eli'  era 


A,  2.  6'.  D,  Sotto  il  f.  - 
D.  a  radoppiar  dol. 


A.  2.  Eacot.      B.  C.  Et 
«cot.    D.  Discot. 


28.  in  town.  —  35.  lo  vap.  ||  il  vampore  — 
%).  addopp.  r  ardore  —  &,  ardura 


96.  Me'  8i  Btinguesse  ||  Mcn  si  st.  ||  Me'  si  spegnea  ||  Meno  stringeva  —  era  solo 


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CERCH.  VII.   OIB.    8.    BXSTXMMIATORl. 


INFERNO    XIV.    43-66. 


91 


L  incontro    2.  intomo 


3.  goal  fui 

1.  i  suoi  fabbri 


2.  3.  Gridando 


43.   Io  cominciai:  Maestro,  tu  che  vinci 

Tutte  le  cose,  fiior  che  i  Demon  duri. 
Che  air  entrar  della  porta  incontra  uscinci, 

46.    Chi  è  quel  grande,  che  non  par  che  curi 
L' incendio ,  e  giace  dispettoso  e  torto 
Sì  che  la  pioggia  non  par  che  il  maturi? 

49.    E  quel  medesmo,  che  si  fiie  accorto 

Ch'  io  domandava  il  mio  duca  di  lui, 
Gridò:  Qual  io  fui  vivo,  tal  son  morto. 

52.    Se  Giove  stanchi  il  suo  fabbro,  da  cui 
Crucciato  prese  la  folgore  acuta, 
Onde  r  ultimo  dì  percosso  fui; 

55.    0  s'  egli  stanchi  gli  altri  a  muta  a  muta 
In  Mongibello  aUa  fucina  negra, 
Chiamando:  Buon  Vulcano,  aiuta  aiuta, 

58.    Sì  com'  ei  fece  alla  pugna  di  Flegra, 
E  me  saetti  di  tutta  sua  forza, 
Non  ne  potrebbe  aver  vendetta  allegra. 

61.    Allora  il  Duca  mio  parlò  di  forza 

Tanto,  eh'  io  non  V  avea  sì  forte  udito: 
0  Capaneo,  in  ciò  che  non  s'  ammorza 

64.    La  tua  superbia,  se'  tu  più  punito: 

Nullo  martirio,  fiior  che  la  tua  rabbia, 
Sarebbe  al  tuo  furor  dolor  compito. 


A.  2.  ff.  (\  incontro 


D.  martiiri 


R.  i  suo'  fabbri 


A.  Ond'  io 


D.  Ha  Gap. 

.4.  m.  ben  punito 


33.  Cruec.  toUe  —  54.  L'  ult.  di,  onde  pere.  -<  66.  E  e*  egli  —  57.  Cbiam.  ben:  Vulc.  —  SO.  saetti  eon  t.  ~  68.  O  Camp.  —  64.  qui 
^riinito  '  6B.  Farebbe 

12» 


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92  CBRCU.  VII.   OIR.    3.   BESTEMMIATORI.  INFERNO    XIV.     67  —  90.  DANTS   E  VIRGIUO. 

67.    Poi  si  rivolse  a  me  con  miglior  labbia. 

Dicendo:  Quel  fu  l' im  de'  sette  regi 

Ch'  assiser  Tebe;  ed  ebbe,  e  par  eh'  egli  abbia 
1.  in  dispregio  70.    Dio  in  disdegno,  e  poco  par  che  il  pregi:  /?.  in  dispregio 

1. 2. 3.  io  dissi  lui  Ma,  come  io  dissi  a  lui,  li  suoi  dispetti  j?.  i- disse  lui 

Sono  al  suo  petto  assai  debiti  fregi. 
73.    Or  mi  vien  dietro,  e  guarda  che  non  metti 

Ancor  li  piedi  nell'  arena  arsiccia: 
i,  al  b.  tien  lì  piedi  str.  Ma  scmprc  al  bosco  h  ritieni  stretti.  b.  «i  b.  tien  n  piedi  «tr. 

3.  ne  venimmo  76.    Taccudo  divciiimmo  là  ove  spiccia 

Fuor  della  selva  un  picciol  fiumicello, 

Lo  cui  rossore  ancor  mi  raccapriccia. 
1.2. 3.  esce  il  79.    Qualc  dcl  Bulicame  esce  un  ruscello,  x>.Equ*i- .4.2.  «e. 

D.  esee  rusc. 

Che  parton  poi  tra  lor  le  peccatrici. 
Tal  per  1'  arena  giù  sen  giva  quello. 
82.    Lo  fondo  suo  ed  ambo  le  pendici 

Fatt'  eran  pietra,  e  i  margini  da  lato:  r. i>. e m*rgim 

Perch'  io  m'  accorsi  che  il  passo  era  liei. 
85.    Tra  tutto  1'  altro  eh'  io  t'  ho  dimostrato , 
Posciachè  noi  entrammo  per  la  porta, 
1.  Il  cui -1.2.  è  serrato  Lo  cuì  sogliarc  B,  ucssund  è  negato,  B.ancvà 

88.    Cosa  non  fu  dagli  tuoi  occhi  scorta 
1. 2. 3.  com'  è  il  Notabile ,  come  lo  presente  rio ,  a.  2.  b.  a  d.  eom*  è  ii 

Che  sopra  se  tutte  fiammelle  ammorta: 

68.  Quel  fu  un  —  68.  Ch*  assettar  —  70.  Dio  a  dispetto  —  75.  li  mantieni  ||  si  li  tieni  —  77.  della  rena  —  83.  eran  pietre  —  e  gli 
argini  ||  e  marmore  —  88.  occhi  tuoi  —  89.  Mirabile 


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TEBCH.  VII.    GIR.    8.    VIOL.    CONTRA   IDDIO.      INFEBNO     XIV.     91  —  114. 


VIGLIO    DI    CRBTA. 


»8 


1.  Perfh*  i'  pr. 


1.  i  3.  meiso  il  m»r 


A.  2.  B.  a  Perch'  iopreR. 


l  .1  D'  acque  —   3.   si 

chiamA 


1. 2.  3.  Del  suo 
1.  U  sjìAa 


C.  D'  »eque  e  di  frondi 


1. 1  Z.  Roma  guarda 


1.  qaesto  gr. 


91.    Queste  parole  fur  del  Duca  mio: 

Perchè  il  pregai,  che  mi  largisse  il  pasto 

Di  cui  largito  m'  aveva  il  disio. 
94.    In  mezzo  mar  siede  un  paese  guasto, 

Diss'  egli  allora,  che  s'  appella  Creta, 

Sotto  il  cui  rege  fu  già  il  mondo  casto. 
97.    Una  montagna  v'  è,  che  già  fii  heta 

D'  acqua  e  di  fronde,  che  si  chiamò  Ida; 

Ora  è  diserta  come  cosa  vieta. 
100.    Rea  la  scelse  già  per  cuna  fida 

D'un  suo  figUuolo,  e,  per  celarlo  meglio,    «.Dei suo 

Quando  piangea,  vi  facea  far  le  grida. 
103.   Dentro  dal  monte  sta  dritto  un  gran  vegUo, 

Che  tien  volte  le  spalle  inver  Damiata, 

E  Roma  guata  sì  come  suo  spegho. 
106.    La  sua  testa  è  di  fin'  oro  formata, 

E  puro  argento  son  le  braccia  e  il  petto. 

Poi  è  di  rame  infino  alla  forcata: 
109.    Da  indi  in  giuso  è  tutto  ferro  eletto, 

Salvo  che  il  destro  piede  è  terra  cotta, 

E  sta  in  su  quel,  più  che  in  su  l' altro,  eretto.   ^.  e  su  su  quei 
112.    Ciascuna  parte,  fuor  che  Y  oro,  è  rotta 

D'  una  fessiu-a  che  lagrime  goccia, 

Le  quali  accolte  foran  quella  grotta.  i^.  questa  gr. 


e.  Quand'  e*  p. 
le  strida 


CD, 


H.  D.  guarda  —  D.  eome 
nel  suo 

(\  1).  testa  sua 


D.  rame  fino   —    CD. 
inforcata 


95.  che  si  chiama  —  96.  che  s' appella  —  100.  scelse  perchè  euna  —  106.  guarda  eome  —  109.  in  giù  < 


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94        TERCH.  VII.    OIR.    3.    VIOI»    CONTRA   IDDIO.     INFERNO     XIV.     115  —  138. 


DANTE    X    VIRGILIO. 


115.    Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia: 

Fanno  Acheronte,  Stige  e  Flegetonta; 
.}.  ,euv«  Poi  sen  va  giù  per  questa  stretta  doccia 

i.2.inMn  -  i.j.3.  «ve  118.    Infiu  là  dovc  più  non  si  dismonta: 

Fanno  Oocito;  e  qual  sia  quello  stagno. 
Tu  il  vederai:  però  qui  non  si  conta. 
121.    Ed  io  a  lui:  Se  il  presente  rigagno 
1. 2. a.  dal  nostro  SÌ  dcriva  COSI  del  nostro  mondo, 

1. 2.  .3.  pure  »  Perchè  ci  appar  pur  da  questo  vivagno? 

124.    Ed  egli  a  me:  Tu  sai  che  il  luogo  è  tondo, 
E  tutto  che  tu  sii  venuto  molto 
i.  2. 3.  Pur  •  sin.  PIÙ  a  siuistra  giù  calando  al  fondo, 

127.    Non  se'  ancor  per  tutto  il  cerchio  volto; 
Perchè,  se  cosa  n'  apparisce  nuova, 
Non  dee  addur  maravigha  al  tuo  volto. 
130.    Ed  io  ancor:  Maestro,  ove  si  trova 
1.  a.  3.  Fiegetonte  Flcgctouta  c  Lctè,  chè  dell' un  taci, 

E  r  altro  di'  che  si  fa  d'  està  piova? 
133.    In  tutte  tue  question  certo  mi  piaci, 

Rispose;  ma  il  bollor  dell'  acqua  rossa 
Dovea  ben  solver  1'  una  che  tu  faci. 
i.  manoninqu.         136.   Lctè  Vedrai,  ma  fiior  di  questa  fossa, 
1. 2. 3.  Là  ove  Là  dove  vanno  1'  anime  a  lavarsi. 

Quando  la  colpa  pentuta  è  rimossa. 


B.  Là  ovp 


123.  fin  a  qu.  —  126.  Più  alU  sin.  ||  Pure  sin.  |j  Pare  a  sin.  ~  128.  Perciò  se  e.  —  n'  apparisse  —  131.  Letro    -   U4.  (T  <« 


ì 


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TBRCH.  VII.    GIR.    8.    VIOL.    CONTRA    IDDIO.     INFERNO     XIV.      139  —  142.  DANTE    E   VIRGILIO.  95 

139.    Poi  disse:  Ornai  è  tempo  da  scostarsi 

Dal  bosco:  fa  che  diretro  a  me  vegne: 

Li  margini  fan  via,  che  non  son  arsi, 
142.    E  sopra  loro  ogni  vapor  si  spegne. 


139.  di  icosi.  —  140.  dietro  a  me  tu  t.  —  141.  dan  via 


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CANTO  DECIMOQUINTO 


iJra  cen  porta  V  un  de'  duri  margini, 
E  il  fimmio  del  ruscel  di  sopra  aduggia 
Si,  che  dal  fiioco  salva  1'  acqua  e  gli  argini. 
L3.  liuxzantc  4.    Qualc  Ì  Fiamminghi  tra  Guizzante  e  Bruggia, 

:.  2.  3.  che  in  ver  TcmeudO    Ìl    fiottO    ChC    ver    lor    S'   avventa  ,  b.  D.  che  nver  lor 

Fanno  lo  schermo,  perchè  il  mar  si  foggia;    a.%  b,  a  d.  purché 

•1  mar 

7.    E  quale  i  Padovan  lungo  la  Brenta, 

Per  difender  lor  ville  e  lor  castelli. 

Anzi  che  Chiarentana  il  caldo  senta  ;  a.  carenuian. 

10.    A  tale  imagine  eran  fatti  queUi, 

Tutto  che  ne  si  alti  ne  si  grossi, 

Qual  che  si  fosse,  lo  maestro  felli. 
13.    Già  eravam  dalla  selva  rimossi 

Tanto,  ch'io  non  avrei  visto  dov'  era,  e.  che  non  avr. 

Perch'  io  indietro  rivolto  mi  fossi, 
16.    Quando  incontrammo  d'anime  una  schiera, 

Che  venia  lungo  1'  argine,  e  ciascuna 

Ci  riguardava,  come  suol  da  sera 

1.  de'  due  marg.  —  3.  T  acqua  gli  arg.  —  4.  gin  tra  Guanto  e  Br.  —  12.  Qual  che  si  fosser  i|  Quali  si  fosser   ^   13^  della  seWa  — 
Perciò  rhe  ind.  —  17.  Che  venian  —  gli  argini 

I.  13 


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98       f'KRCH.  VII.  GIR.  3.  VIOL.  CONTEA  NATURA.        INFERNO     XV.     19  —  42.  BRUNETTO    LATINI. 

I.  (iu.  uno  altro  19.    Guardap  r  un  l'altro  sotto  nuova  luna; 

E  sì  ver  noi  aguzzavan  le  ciglia, 
2. 3.  Come  vecch.  Couie  '1  veccluo  sartor  fa  nella  cruna. 

22.    Cosi  adocchiato  da  cotal  famiglia, 

Fui  conosciuto  da  un,  che  mi  prese 
Per  lo  lembo,  e  gridò:  Qual  maraviglia? 
25.    Ed  io,  quando  il  suo  braccio  a  me  distese. 
Ficcai  gli  occhi  per  lo  cotto  aspetto 
Sì,  che  il  viso  abbruciato  non  difese 
28.    La  conoscenza  sua  al  mio  intelletto; 
:ì  i-hin.  I»  mia  -  1.  al  £  chiuando  la  mano  alla  sua  faccia, 

la  mia  f. 

Risposi:  Siete  voi  qui,  ser  Brunetto? 

31.    E  quegli:  0  figliuol  mio,  non  ti  dispiaccia, 
Se  Brunetto  Latini  un  poco  teco 
Ritoma  indietro,  e  lascia  andar  la  traccia. 
1, 2. 3.  dissi  lui  34.    Io  dissi  a  lui:  Quanto  posso  ven  preco; 

E  se  volete  che  con  voi  m'  asseggia, 
Faròl,  se  piace  a  costui,  che  vo  seco. 

37.    0  figliuol,  disse,  qual  di  questa  greggia 
S'  arresta  punto ,  giace  poi  cent'  anni 
Senza  arrostarsi  quando  il  fiioco  il  feggia. 

40.    Però  va  oltre:  io  ti  verrò  a' panni, 
E  poi  rigiugnerò  la  mia  masnada, 
Che  va  piangendo  i  suoi  etemi  danni. 


24.  Per  lo  ^embo   —  25.  al  mio  diat.  —  27.  Si  quel  riso   —  31.  Ed  egli   —   32.  Ser  Brun.   —   Latino   —   34.  Oh.  <lù» 
W,  Senza  rittarsi  —  perchè  il  f.  il  Treggia  —  40.  oltre  ed  io  —  42   ▼»  piando 


m 


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CEBCH.  VII.    OIR.    3.    SODOMITI. 


INFERNO    XV.    43-^6. 


BRUNETTO    LATINI. 


99 


1.  2.  ritornando 


1.  2.  3.  a  glor. 


1.  il  dolce 


43.   Io  non  osava  scender  della  strada 

Per  andar  par  di  lui:  ma  il  capo  chino 
Tenea,  come  uom  che  reverente  vada. 

46.    Ei  cominciò:  Qual  fortuna  o  destino 
Anzi  r  ultimo  di  quaggiù  ti  mena? 
E  chi  è  questi  che  mostra  il  cammino? 

49.   Là  su  di  sopra  in  la  vita  serena, 

Rispos'  io  lui,  mi  smarrì'  in  una  valle, 
Avanti  che  Y  età  mia  fosse  piena. 

52.    Pure  ier  mattina  le  volsi  le  spalle: 

Questi  m'  apparve,  tornand'  io  in  quella, 
E  riducemi  a  ca  per  questo  calle. 

55.  Ed  egli  a  me:  Se  tu  segui  tua  stella. 
Non  puoi  fallire  al  glorioso  porto, 
Se  ben  m'  accorsi  nella  vita  bella: 

58.    E  s' io  non  fossi  sì  per  tempo  morto, 
Veggendo  il  cielo  a  te  così  benigno, 
Dato  t'  avrei  all'  opera  conforto. 

61.    Ma  quell'ingrato  popolo  maligno, 
Che  discese  di  Fiesole  ab  antico, 
E  tiene  ancor  del  monte  e  del  macigno, 

64.    Ti  si  farà,  per  tuo  ben  far,  nimico: 
Ed  è  ragion;  che  tra  li  lazzi  sorbi 
Si  disconvien  fruttare  al  dolce  fico. 


A.  2.  C.  D.  E  ohi  r  quei 
che  ti 


r.  Risposi  A  lai 


H.  ritornando  in     C.  tor- 
nando in  —  /l.  Lineila 


/i.  a  s;lor. 


e.  D.  Vedendo 


B.  l).  da  Fies. 


50.  Mi  SUI.  gli  riap.  —  53.  m'  apparse  —  56.  fallare  —  57.  in  la  vita  novella  —  62.  da  Fesule  —  tì6.  lo  dolce  f. 


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100      CERCH.  VII.  GIR.  3.  VIOL.  CONTEA  NATURA.       INFERNO     XV.     67—90. 


BRUNETTO    LATINI. 


I.  2.  3.  Gente  av. 


l.  2.  3.  ancor  nel  lor 
1.  2.  3.  sementa 

1.  2.  nidio 

I.  2.  3.  pieno  tutto 


1.  2.  La  cara  buona 


1.  2.  3.  quant'  io  1'  abho 


2.  3.  che  il  saprà 


67.    Vecchia  fama  nel  mondo  li  chiama  orbi, 
Gent'  è  avara,  invidiosa  e  superba: 
Da'  lor  costumi  fa  che  tu  ti  forbi. 

70.    La  tua  fortuna  tanto  onor  ti  serba, 

Che  r  una  parte  e  Y  altra  avranno  fame 
Di  te:  ma  lungi  fia  dal  becco  Y  erba. 

73.    Faccian  le  bestie  Fiesolane  strame 

Di  lor  medesme,  e  non  tocchin  la  pianta, 
S'  alcuna  surge  ancora  in  lor  letame, 

76.    In  cui  riviva  la  semente  santa 

Di  quei  Roman,  che  vi  rimaser,  quando 
Fu  fatto  il  nido  di  malizia  tanta. 

79.  Se  fosse  tutto  pieno  il  mio  dimando. 
Risposi  lui,  voi  non  sareste  ancora 
Dell'  umana  natura  posto  in  bando  : 

82.    Che  in  la  mente  m'  e  fitta,  ed  or  mi  accora 
La  cara  e  buona  imagine  patema 
Di  voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 

85.    M' insegnavate  come  Y  uom  s'  eterna: 

E  quant'  io  1'  abbia  in  grado,  mentre  io  vivo 
Convien  che  nella  mia  lingua  si  scerna. 

88.    Ciò  che  narrate  di  mio  corso  scrivo, 
E  serbolo  a  chiosar  con  altro  testo 
A  donna  che  saprà,  se  a  lei  arrivo. 


R.  C.  D.  Gratt 


B.  D.  ancor  ne 
H.  D.  scmrota 


B.  nìdic 


C.  1).  Ri*p<- 


A.  2.  B.  C.  L» 

im.  f  ].'»! 


(\  1).    E  ijUXIiK' 

.1  2.  V.  U 
U.  si  rcrn* 


08.  invida  —  70.  tanto  ben  ti  a.  —  73.  Fesulane   —  76.  In  cui  rovina  —  81.  Dall'  umana    —  84.  Di  voi  uel  muudo.  «ju 
grato  —  89.  con  1'  altro  t. 


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CERCB.  VII.    GIR.    3.    SODOMITI. 


INFERNO    XV.    91  —  114. 


FRANO.    D*  ACCORSO. 


101 


il  tacerci 


.  3.  mcd.  pece. 


3.  anco,   e  vedervi 


:i  Ov 


91.    Tanto  vogl'  io  che  vi  sia  manifesto, 

Pur  che  mia  coscienza  non  mi  garra, 
Che  alla  fortuna,  come  vuol,  son  presto. 
94.    Non  è  nuova  agli  orecchi  miei  tale  arra: 
Però  giri  fortuna  la  sua  rota, 
Come  le  piace,  e  il  villan  la  sua  marra. 
97.    Lo  mio  Maestro  allora  in  sulla  gota 

Destra  si  volse  indietro,  e  riguardommi; 
Poi  disse:  Bene  ascolta  chi  la  nota. 

100.   Ne  per  tanto  di  men  parlando  vommi 

Con  ser  Brunetto,  e  domando  chi  sono 
Li  suoi  compagni  più  noti  e  più  sommi. 

103.    Ed  egli  a  me:  Saper  d'  alcuno  è  buono: 
Degli  altri  fia  laudabile  tacerci, 
Che  il  tempo  saria  corto  a  tanto  suono. 

106.  In  somma  sappi,  che  tutti  fiir  cherci, 
E  letterati  grandi,  e  di  gran  fama, 
D'  un  peccato  medesmo  al  mondo  lerci. 

109.  Priscian  sen  va  con  quella  tiu'ba  grama, 
E  Francesco  d'Accorso;  anco  vedervi, 
S'  avessi  avuto  di  tal  tigna  brama, 

112.    Colui  potei  che  dal  servo  de'  servi 

Fu  trasmutato  d'  Arno  in  Bacchiglione, 
Dove  lasciò  li  mal  protesi  nervi. 


D.  E  tanto  vo'  che 
C.  T.  voglio  che 


A.  C.  nuovo 


D.  Ben  1'  asc. 


tì.  med.  pece. 


B.  Anco,  e  vedervi 


h.  Ove 


94.  alle  orecchie  mie  —  100.  Non  per  t.  —  di  me  p.  —  106,  il  t.  verria  manco 


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102 


OERCH.  VII.    GIR.    3.    SODOMITI. 


INFERNO    XV.    115-124. 


ANDR.    UK    MOZZI. 


2.  8.  (Ul  sabb. 


1.  si  partì 


115.    Di  più  direi;  ma  il  venir  e  il  sermone 

Più  lungo  esser  non  può,  però  eh'  io  veggio 
Là  surger  nuovo  fummo  del  sabbione. 

118.    Gente  vien  con  la  quale  esser  non  deggio; 
Siati  raccomandato  il  mio  Tesoro 
Nel  quale  io  vivo  ancora;  e  più  non  cheggio. 

121.    Poi  si  rivolse,  e  parve  di  coloro 

Che  corrono  a  Verona  il  drappo  verde 
Per  la  campagna;  e  parve  di  costoro 

124.    Quegli  che  vince  e  non  colui  che  perde. 


116.  ma  il  cammino  —  1*20.  vivo,  e  più  altro  non  eh.  —  124.  vince,  non 


^ 


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CANTO  DECIMOSESTO 


vTià  era  in  loco  ove  s'  udia  il  rimbombo 

Dell'  acqua  che  cadea  nell'  altro  giro, 

Simile  a  quel  che  1'  arnie  fanno  rombo  ;  r,  che  i  arme 

4.    Quando  tre  ombre  insieme  si  partirò, 

(^orrendo ,  d'  una  torma  che  passava  a.  2.  e.  turma 

Sotto  la  pioggia  dell'  aspro  martiro. 
7.    Venian  ver  noi,  e  ciascuna  gridava: 

Sostati  tu,  che  all'  abito  ne  sembri 

Essere  alcun  di  nostra  terra  prava. 
10.    Aimè,  che  piaghe  vidi  ne'  lor  membri 

Recenti  e  vecchie  dalle  fiamme  incese! 

Ancor  men  duol,  pur  eh'  io  me  ne  rimembri. 
13.    Alle  lor  grida  il  mio  Dottor  s'  attese. 

Volse  il  viso  ver  me,  ed:  Ora  aspetta,  .j.  1.  e  disae:  A.p. 

Disse;  a  costor  si  vuole  esser  cortese:  ,4. 1.  ora  a  roBf.  (?) 

16.    E  se  non  fosse  il  foco  cKe  saetta 

La  natiu*a  del  loco,  io  dicerei. 

Che  megUo  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta. 

1.  il  loco  —  onde  s'  udia  rimb.  —  2.  alto  giro  —  3.  arne  ||  api  —  10.  piaghe  vid'  io  —  17.  io  direi 


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104 


CERCII.  VII.    GIR.    3.   SODOMITI. 


GUIDO    GUKBRA. 


A.  resUmiDo  - 


D.  soglioQ  li 


L  !L  ciascuna  il 


A.2.  V.  ri*>ni 

B.    tÀV^CW. 

A.t.C.1b  r\ 

il  —  Aart 

A.  m.  (.  Fv 

B.  rondau- 


A.  in  diipiTf.i 


INFERNO    XVI.    19-42. 

19.    Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei 

L'  antico  verso  ;  e  quando  a  noi  fur  giunti , 
Fermo  una  rota  di  se  tutti  e  trei. 

22.    Qual  solcano  i  cainpion  far  nudi  ed  unti. 
Avvisando  lor  presa  e  lor  vantaggio, 
Prima  che  sien  tra  lor  battuti  e  punti: 

25.    Cosi,  rotando,  ciascimo  il  visaggio 

Drizzava  a  me,  sì  che  in  contrario  il  collo 
Faceva  a'  pie  continuo  viaggio. 
i.  Kisemis.  2.3.  E   28.    Eh,  sc  iiiiseria  d'  esto  loco  soUo 

Hf  mis. 

Rende  in  dispetto  noi  e  nostri  preghi, 

Cominciò  l'uno,  e  il  tinto  aspetto  e  brollo;  a.-lbcd 

31.    La  fama  nostra  il  tuo  animo  pieghi 
A  dirne  chi  tu  se',  che  i  vivi  piedi 
Cosi  sicuro  per  lo  inferno  freghi. 

34.    Questi,  r  orme  di  cui  pestar  mi  vedi, 
Tutto  che  nudo  e  dipelato  vada, 
Fu  di  grado  maggior  che  tu  non  credi. 

37.    Nepote  fu  della  buona  Gualdrada: 

Guido  Guerra  ebbe  nome,  ed  in  sua  vita 
Fece  col  senno  assai  e  con  la  spada. 

40.  L'  altro  che  appresso  me  l'  arena  trita, 
E  Tegghiaio  Aldobrandi,  la  cui  voce 
Nel  mondo  su  dovria  esser  gradita. 


l.  'Àr  tristo  as|>. 


C.  che  Tiri 


B.  Quest'orme 
r  orme  -  B  ' 


B.  Fiir 


B.  Voi  senno  f 


'à.  3.  dovrebbe 


D.  doTrebbf 


19.  quando  noi  —  rist.  :  Ehi  —  190.  e  poich'  a  noi  —  21.  tutti  trei  —  22.  Qu.  sogliono  ì  —  25.  E  si  rot  —  'J&  h\  rbe  < 
'f^.  ìxc.  col  pie  —  continui  —  2B.  Deh,  se  miseria  —  29.  e  i  nostri  —  30.  asp.  brollo  —  34.  Qu.  in  orma  di  cui  —  3&.  che  « 
-t^.  l>ovria  nel  mondo  suso 


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CBBCH.  VII.   GIR.    3.   SODOMITI. 


INFERNO    XVI.    43-66. 


JAC.    RU8TICUCCI. 


105 


'2.  3.  L'  ovrs 


2.  3.  pc'  dolci 


'L  X  ({uegli  allora 


43.   Ed  io,  che  posto  son  con  loro  in  croce, 
Jacopo  Rusticucci  fui:  e  certo 
La  fiera  moglie  più  eh'  altro  mi  nuoce. 

46.  S' io  fiissi  stato  dal  foco  coperto , 
Gittato  mi  sarei  tra  lor  disotto, 
E  credo  che  il  Dottor  T  avria  sofferto. 

49.   Ma  perch'  io  mi  sarei  bruciato  e  cotto , 
Vinse  paura  la  mia  buona  voglia, 
Che  di  loro  abbracciar  mi  facea  ghiotto. 

52.    Poi  cominciai:  Non  dispetto,  ma  doglia 
La  vostra  condizion  dentro  mi  fisse 
Tanto,  che  tardi  tutta  si  dispogha, 

55.    Tosto  che  questo  mio  Signor  mi  disse 
Parole,  per  le  quah  io  mi  pensai, 
Che  qua!  voi  siete,  tal  gente  venisse. 

58.  Di  vostra  terra  sono;  e  sempre  mai 
L'  opre  di  voi  e  gU  onorati  nomi 
Con  affezion  ritrassi  ed  ascoltai. 

61.    Lascio  lo  fele,  e  vo  per  dolci  pomi 

Promessi  a  me  per  lo  verace  Duca; 

Ma  fino  al  centro  pria  convien  eh'  io  tomi. 

64.    Se  lungamente  Y  anima  conduca 

Le  membra  tue,  rispose  quegli,  ancora, 
E  se  la  fama  tua  dopo  te  luca. 


A.  m'  affisse 


B.  V  ovra 

A.  l.  intesi  ed  asr. 


I).  risp.  elli  allora 


44.  .lacomo  —  54.  Tanta  —  50.  L*  oprar  di  voi  -  63.  Ma  in  6no  —  che  tomi  —  64.  Se  lungo  tempii 
I.  14 


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106 


CERCH.  VII.    GIR.    3.    SODOMITI. 


INFERNO    XVI.    67  —  90. 


GUGL.    BORSISRK. 


i.  2.  3.  gito 


L.  2.  Guardar 


1.  'I.  o.  che  >i 


I.  2.  3.  sembiaron  le  lur 
«.  su. 

\.  ammr 


67.    Cortesia  e  valor,  di',  se  dimora 

Nella  nostra  città,  sì  come  suole, 
0  se  del  tutto  se  n'  è  gita  fiioraV 

70.    Che  Guglielmo  Borsiere,  il  qual  si  duole 

Con  noi  per  poco,  e  va  là  coi  compagni, 
Assai  ne  cruccia  con  le  sue  parole. 

7i{.  La  gente  nuova,  e  i  subiti  guadagni, 
Orgoglio  e  dismisiura  han  generata, 
Fiorenza,  in  te,  si  che  tu  già  ten  piagni. 

76.    Così  gridai  colla  faccia  levata: 

E  i  tre,  che  ciò  inteser  per  risposta, 
Guatar  V  un  1'  altro ,  come  al  ver  si  guata. 

79.    Se  r  altre  volte  sì  poco  ti  costa, 
Risposer  tutti,  il  satisfare  altrui. 
Felice  te,  se  sì  parU  a  tua  posta. 

82.    Però  se  campi  d'  esti  lochi  bui, 

E  tomi  a  riveder  le  belle  stelle. 
Quando  ti  gioverà  dicere:  Io  fui, 

85.    Fa  che  di  noi  alla  gente  favelle. 

Indi  rupper  la  rota,  ed  a  fiiggirsi 
Ale  sembiar  le  gambe  loro  snelle. 

88.  Un  ammen  non  saria  potuto  dirsi 
Tosto  così,  com'  ei  furo  spariti: 
Perchè  al  Maestro  parve  di  partirsi. 


tW.  se  ne  gitta    -  TI.  Con  noi  di  poco  ||  E  non  per  poco  —  72.  ne  crucia  —  74.  hanno  injs^radata  —  82.  scampi  -  ?^-  -'^^ 


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PEBCH.  VII.  OIR.  3.  VIOL.  CONTRA  NATURA.      INFERNO     XVI.     91  —  114. 


DANTE    E    VIRfìlLIO. 


107 


3.  ArquaclirU 


Dall'  alpe 

Dove    -    1.  2.  3. 

dovria 


3.  orecchia 


91.    Io  lo  seguiva,  e  poco  eravam  iti, 

Che  il  suon  dell'  acqua  n'  era  si  vicino, 
Che,  per  parlar,  saremmo  appena  uditi. 

94.    Come  quel  fiume,  ch'ha  proprio  cammino 
Prima  da  monte  Veso  in  ver  levante 
Dalla  sinistra  costa  d'  Apennmo , 

97.    Che  si  chiama  Acquaqueta  suso,  avante 
Che  si  divalli  giù  nel  basso  letto. 
Ed  a  Forlì  di  quel  nome  è  vacante, 
100.    Rimbomba  là  sopra  san  Benedetto 

Dell'  alpe,  per  cadere  ad  una  scesa, 
Ove  dovea  per  mille  esser  ricetto; 
103.    Cosi,  giù  d'  una  ripa  discoscesa. 

Trovammo  risonar  quell'  acqua  tinta, 


e.  1).  Acquacheta 


A.  2.  C.  Dove  -    (\  D. 
dovia      li.  doTria 


A.  Vi.  C.  1).  Sentimmo 
ris. 


Sì  che  in  poc'  ora  avria  1'  orecchie  oflFesa.    /j.  r  orecchia 

^  //.  t.  la  lingua 


106 


Io  aveva  una  corda  intorno  cinta, 
E  con  essa  pensai  alcuna  volta 
Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta. 

109.    Poscia  che  1'  ebbi  tutta  da  me  sciolta, 
Si  come  il  Duca  m'  avea  comandato, 
Porsila  a  lui  aggroppata  e  ravvolta. 

112.  Ond'  ei  si  volse  inver  lo  destro  lato, 
Ed  alquanto  di  lungi  dalla  sponda 
La  gittò  giuso  in  quell'  alto  burrato. 


A.  2.  C.  D.  da  me  tutta 
h.  Come  "1  mio  1>. 


A.m.  n.  C./>.  altro  burr. 


95.  monte  Viso  —  102.  potria  —  106.  la  lìnea  -  114.  La  gittò  giù 


14- 


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i08      CKRCH.  VII.  OIB.  3.  VIOL.  CONTEA  NATURA.      INFERNO     XVI.     116—136.  OERIONK. 

115.    E' pur  convien  che  novità  risponda,  /?.  Etpur 

Dicea  fra  me  medesmo,  al  nuovo  cenno 
1.  con  gli  occhi  Che  il  Maestro  con  1'  occhio  sì  seconda.        b.  com  o^tu 

118.    Ahi  quanto  cauti  gU  uomini  esser  denno 

Presso  a  color,  che  non  veggon  pur  l' opra, 

Ma  per  entro  i  pensier  miran  col  senno  !       a.  i.  entro  ^  p 
121.    Ei  disse  a  me:  Tosto  verrà  di  sopra 

Ciò  eh'  io  attendo,  e  che  il  tuo  pensier  sogna  b.  u  mio ^^. 

Tosto  convien  eh'  al  tuo  viso  si  scopra. 
124.    Sempre  a  quel  ver  eh'  ha  faccia  di  menzogna 
1. 2. 3.  quant  ei  Dc'  1'  uom  chludcr  le  labbra  finch'  ei  puote,  «.  .,uAnt« 

Però  che  senza  colpa  fa  vergogna; 
127.    Ma  qui  tacer  noi  posso:  e  per  le  note  z>. nonposn 

Di  questa  commedia,  lettor,  ti  giuro, 

S'  elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote, 
130.    Ch'  io  vidi  per  queir  aer  grosso  e  scuro 
"        *  Venir  notando  ima  figura  in  suso, 

Maravigliosa  ad  ogni  cor  sicuro, 
133.    Sì  come  toma  colui  che  va  giuso 

Talora  a  solver  ancora,  ch'aggrappa  Ari b. cu 

1.  A  scoglio  0  scoglio  od  altro  che  nel  mare  è  chiuso ,  b.  a  »coeiio 

136.    Che  in  su  si  stende,  e  da  pie  si  rattrappa. 


122.  Qu*"!  cir  io  att.  -  125.  sin  eh*  ci  p.  ||  quanto  p.  —  130.  aere  gr.  —  131.  Venir  rotando  —  134.  scioglier  -  1*  ine»»" 


ì 


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CANTO  DECIMOSETTIMO 


L  mura  —  2.  e  1'  armi 


10 


3.  Du 


amendue    2.  ainenduo 
3.  am  botine 


A.  Vicina 


Jbicco  la  fiera  con  la  coda  aguzza, 

Che  passa  i  monti,  e  rompe  mini  ed  armi; 
Ecco  colei  che  tutto  il  mondo  appuzza: 
4.    Si  cominciò  lo  mio  Duca  a  parlarmi, 
Ed  accenolle  che  venisse  a  proda, 
Vicino  al  fin  de'  passeggiati  marmi: 
7.    E  quella  sozza  imagine  di  froda, 

Sen  venne,  ed  arrivò  la  testa  e  il  busto;        .1.  ad  rivo 
Ma  in  sulla  riva  non  trasse  la  coda. 
La  faccia  sua  era  faccia  d'  uom  giusto; 
Tanto  benigna  avea  di  fiior  la  pelle, 
E  d'  un  serpente  tutto  V  altro  fiisto. 
13.    Due  branche  avea  pilose  infin  l'ascelle: 


A.  1.  monti,  rompe  — 
A.  2.  B.  C.  D.  i  muri 
e  r  armi 


D.2.  sua  mi  pareva  d' uom 


B.  D.  inflin  V  asc. 


2.  3.  ma'  in  dr. 


Lo  dosso  e  il  petto  ed  ambo  e  due  le  coste  b,  a  amendue 

D,  ambedue 

Dipinte  avea  di  nodi  e  di  rotelle. 
16.    Con  più  color  sommesse  e  soprapposte  r.  commesse 

Non  fer  mai  drappo  Tartari  ne  Turchi, 
Ne  fur  tai  tele  per  Aragne  imposte. 


2.  passa  monti  —  6.  al  fium'  de'  passeggianti  —  8.  Sen  venne  a  riva  con  La  t.  —  10.  d*  un  giusto  —  12.  V  altro  frusto    -  16.  color 
•mme&se  —  17.  Non  fer  mai  drappi 


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110       f^ERCH.  VII.  OIR.  3.  VIOL.  CONTEA  l'  ARTE.       INFERNO     XVII.     19  —  42.  GERIONE. 

19.    Come  tal  volta  stanno  a  riva  i  burchi. 

Che  parte  sono  in  acqua  e  parte  in  terra, 
E  come  là  tra  li  Tedeschi  lurclii 

22.    Lo  bevero  s'assetta  a  far  sua  guerra;  b.c.  dui 

Così  la  fiera  pessima  si  stava 
Suir  orlo  che,  di  pietra,  il  sabbion  serra. 

25.    Nel  vano  tutta  sua  coda  guizzava. 
Torcendo  in  su  la  venenosa  forca 
Che,  a  guisa  di  scorpion,  la  punta  armava. 

28.    Lo  Duca  disse:  Or  convien  che  si  torca 
La  nostra  via  un  poco  infino  a  quella 
Bestia  malvagia  che  colà  si  corca. 

31.  Però  scendemmo  alla  destra  mammella, 
E  dieci  passi  femmo  in  sullo  stremo, 
Per  ben  cessar  la  rena  e  la  fiammella: 

34.    E  quando  noi  a  lei  venuti  semo, 

Poco  più  oltre  veggio  in  sulla  rena 
Gente  seder  propinqua  al  loco  scemo. 

37.    Quivi  il  Maestro:  Acciocché  tutta  piena 
Esperienza  d'  esto  giron  porti, 
Mi  disse,  or  va,  e  vedi  la  lor  mena.  A.x.àmt.^^ 

40.    Li  tuoi  ragionamenti  sian  là  corti: 

Mentre  che  tomi  parlerò  con  questa, 
Che  ne  conceda  i  suoi  omeri  forti. 


20.  partf  stanno   —  24.  1*  orlo  eh'  è  di  p.  e  il  sabb.   —  27.  »  gu.  d'  un  scorp.   —  33.  ben  causar   —  34.  a  lui  tmi.  -  ^  '  ^'^ 
38.  d'  esto  loro  —  30.  la  lor  pena 


ì 


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CERCH.  VII.    GIR.    3.    USURIERI. 


INFERNO    XVII.    43  —  66. 


SCROVIONO. 


Ili 


o'  picili,  or  col  f.  — 
2,  3.  col  pie  -  1. 
(filando  morsi 

)a  }).  son .  (la  m. 


1.  3.  Che  di  lioue 

;u&rdo 

13.  più  che  sangue 


43.    Così  ancor  su  per  la  strema  testa 

Di  quel  settimo  cerchio,  tutto  solo 
Andai,  ove  sedea  la  gente  mesta. 

4H.  Per  gli  occhi  fuori  scoppiava  lor  duolo: 
Di  qua,  di  là  soccorrien  con  le  mani, 
Quando  a'  vapori,  e  quando  al  caldo  suolo. 

49.    Non  altrimenti  fan  di  state  i  cani, 

Or  col  ceffo  or  coi  pie,  quando  son  morsi 
0  da  pulci  o  da  mosche  o  da  tafani. 

52.    Poi  che  nel  viso  a  certi  gli  occhi  porsi. 
Ne'  quali  il  doloroso  foco  casca. 
Non  ne  conobbi  alcun;  ma  io  m'  accorsi 

55.    Che  dal  collo  a  ciascun  pendea  ima  tasca, 
Che  avea  certo  colore  e  certo  segno, 
E  quindi  par  che  il  loro  occhio  si  pasca. 

58.    E  com'  io  riguardando  tra  lor  vegno , 
In  una  borsa  gialla  vidi  azzurro. 
Che  d'  un  leone  avea  faccia  e  contegno. 

GÌ.    Poi  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro 
Vidine  un"  altra  come  sangue  rossa 
Mostrare  im'  oca  bianca  più  che  burro. 

(54.    Ed  un,  che  d'  una  scrofa  azzurra  e  grossa 
Segnato  avea  lo  suo  sacchetto  bianco, 
Mi  disse:  Che  fai  tu  in  questa  fossa? 


D.  reato 


A.  2.  C.  Andai,  dove 


D.  scorrean 


fì.  co'  piedi .  or  col  e.  — 
B.  qu.  morsi 

ff.  Pa  pulci  son,  da  m. 


r.  che  lor. 


43.  ancora  per  —  la  stretto  t.  ||  la  str.  creato  —  47.  s' accorrien  —  48.  vapori,  qu.   -  G3.  Mostrando  —  più  eh'  eburro  (?) 


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1 12  CERCH.  vir.  GIR.  3.  usuRiEEi.  INFERNO    XVn.    67  —  90.  buiamonte. 

67.    Or  te  ne  va  :  e  perchè  se'  vivo  anco , 
Sappi  che  il  mio  vicin  VitaUano 
Sederà  qui  dal  mio  sinistro  fianco. 
70.    Con  questi  Fiorentin  son  Padovano; 
Spesse  fiate  m' intronan  gU  orecchi, 
Gridando:  Vegna  il  cavaUer  soprano, 
1. 2. 3.  coi  tre        73.    Chc  rcchcrà  la  tasca  con  tre  becchi:  /?  coltre 

2. 3.  Quindi  »t.  Qui  distorse  la  bocca,  e  di  fuor  trasse 

1. 2. 3.  come  bue  L^  Uugua,  comc '1  buc  che  il  naso  lecchi.        i?.  comek 

che  luj 

76.    Ed  io,  temendo  noi  più  star  crucciasse 
1. 2. 3.  ammonito  Luì  che  di  poco  star  m'  avea  monito,  Rm.vea 

Torna'  mi  indietro  dall'  anime  lasse. 
79.    Trovai  lo  Duca  mio  eh'  era  sahto 
1. 2. 3.  Già  sulla  Già  in  sulla  groppa  del  fiero  animale, 

E  disse  a  me:  Or  sii  forte  ed  ardito. 
82.    Omai  si  scende  per  si  fatte  scale: 

Monta  dinanzi,  ch'io  voglio  esser  mezzo. 
Si  che  la  coda  non  possa  far  male. 
85.    Qual  è  colui,  eh'  ha  si  presso  il  riprezzo 
1.2. l'unghia  Della  quartana,  ch'ha  già  l'unghie  smorte, 

E  trema  tutto,  pur  guardando  il  rezzo, 
88.    Tal  divenn'  io  alle  parole  porte  ; 
i'  „,i  fé  Ma  vergogna  mi  fer  le  sue  minacce , 

Che  innanzi  a  buon  signor  fa  servo  forte. 

71.  Che  spesse  f.  ||  Spessamente   —  74.  dist.  la  faccia   —  76.  tem.  che  il  più  st.  —  più  dir  —  78.  Tornai  ind.  —  l30  Gi^ 
HT».  preso  il  ripr.  —  89.  vergognar 


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_ 


BURRATO. 


INFERNO    XVIT.    91-114. 


113 


1.  i  3.  Ad  alto  forte 


1. 1  3.  di  loco 


1.  2.  3.  r  wre 


I.  2.  3.  Fetonte 


91.    Io  m'  assettai  in  su  quelle  spallacce  : 

Si  (volli  dir,  ma  la  voce  non  venne 
Com'  io  credetti)  fa,  che  tu  m'  abbracce. 
94.'  Ma  esso  che  altra  volta  mi  sovvenne 
Ad  altro  forse,  tosto  eh'  io  montai, 
Con  le  braccia  m'  a\^vinse  e  mi  sostenne  : 
97.    E  disse:  Gerion,  moviti  ornai: 

Le  rote  larghe,  e  lo  scender  sia  poco: 
Pensa  la  nuova  soma  che  tu  hai. 

100.    Come  la  navicella  esce  del  loco 

In  dietro,  in  dietro,  sì  quindi  si  tolse; 
E  poi  eh'  al  tutto  si  sentì  a  giuoco, 

103.    Là  ov'  era  il  petto,  la  coda  rivolse, 

E  quella  tesa,  come  anguilla,  mosse, 
E  con  le  branche  1'  aria  a  se  raccolse. 

106.  Maggior  paura  non  credo  che  fosse. 
Quando  Fetòn  abbandonò  h  freni, 
Per  che  il  ciel,  come  pare  ancor,  si  cosse: 

109.    Ne  quando  Icaro  misero  le  reni 

Sentì  spennar  per  la  scaldata  cera. 
Gridando  il  padre  a  lui:  Mala  via  tieni, 

112.    Che  fii  la  mia,  quando  vidi  eh'  i'  era 

Neil'  aer  d'  ogni  parte,  e  vidi  spenta 
Ogni  veduta,  fiior  che  della  fiera. 


A.  Si  volsi 


A.  2.  H.  a  Ad  alto    - 

B.  D.  forte  —  C.  tosto 
eh*  io  forte 

B.  m*  agipnnse 


A.  horroai 


B.  di  loro 


B.  (\  Ih  V  acre 


B.  C.  I).  Fetonte 


92.  K  . . .  volli  dir  —  96.  mi  cinse  ||  mi  chiuse  —  IQB.  Dove  avea  '1  p.  —  lOB.  come  appare  —  109.  li  reni 
I.  15 


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114 


1.  un  mirabile 


BURRATO.  INFERNO    XVn.    116  —  136.  okriokb. 

115.    Ella  sen  va  nuotando  lenta  lenta;  j.  e.  rotando 

Rota  e  discende ,  ma  non  me  n'  accorgo , 

Se  non  eh'  al  viso,  e  disotto  mi  venta.  .^.  i.  vuo  disotto 

118.    r  sentia  già  dalla  man  destra  il  gorgo 

Far  sotto  noi  un  orribile  stroscio; 

Per  che  con  gli  occhi  in  giù  la  testa  sporgo.  -^  •^-  *  <'-  J^-  p**»^"  - 


121.    AUor  fii' io  più  timido  allo  scoscio: 

Perocch'  io  vidi  fochi,  e  sentii  pianti; 
Ond'  io  tremando  tutto  mi  raccoscio. 
1.2.  E  udì  poi,  che  non  124.    £  vidì  poi,  chc  uol  vedea  davanti, 

1*  iirliA  ■*- 


1.  2.  3.  muove 


1.  2.  3.  A  picd.- 


Lo  scendere  e  il  girar,  per  U  gran  mah 
Che  s'  appressavan  da  diversi  canti. 

127.    Come  il  falcon  eh'  è  stato  assai  suU'  ali. 
Che  senza  veder  logoro  o  uccello, 
Fa  dire  al  falconiere:  Oimè  tu  cali: 

130.  Discende  lasso,  onde  si  mosse  snello 
Per  cento  rote,  e  da  limgi  si  pone 
Dal  suo  maestro,  disdegnoso  e  fello: 

133.    Così  ne  pose  al  fondo  Gerione 

A  pie  a  pie  della  stagliata  rocca, 
E,  discarcate  le  nostre  persone, 

13(5.    Si  dileguò,  come  da  corda  cocca. 


B.  l).  stosrin 


B.  non  ]'  ttdia 

A.  2.  B.  C.  D.  e  '1  gridar 


A.  1.  in  EU  ir  ali 


A.  1.  (?)  B.  muove 


C.  f  disd.  e  f. 


B.\  piede  —  (".scagliata 


119.  scrospìo    -  121.  AUor  io  fui  —  124.  Allor  vidi  io  ||  Allor  udì  —  125.  e  girar  (|  lo  sjìron  ||  il  gramar  —  per  tanti  mali  —  12t*.  vrd. 
ludoru  —  133.  ('o»ì  al  f.  ne  p.  Ger.  —  134.  A  pie,  da  pie 


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CANTO  DECIMOTTAYO 


I.  2.  3.  Di  coi  suo  —   i. 
*2.  roDtrn    3.  dicerà 


Ijoco  è  in  inferno,  detto  Malebolge, 
1. 2, 3.  p,  r  di  col.  Tutto  di  pietra  di  color  ferrigno , 

Come  la  cerchia  che  d' intomo  il  volge. 
4.    Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno 

Vaneggia  un  pozzo  assai  largo  e  profondo, 
Di  cui  in  suo  loco  dicerò  Y  ordigno. 
7.  Quel  cinghio  che  rimane  adunque  è  tondo, 
Tra  il  pozzo  e  il  pie  dell'  alta  ripa  dura, 
Ed  ha  distinto  in  dieci  valli  il  fondo. 
10.    Quale,  dove  per  guardia  delle  mura, 
Più  e  più  fossi  cingon  li  castelli. 
La  parte  dov'  ei  son  rende  figura: 
13.    Tale  imagine  quivi  facean  queUi: 

E  come  a  tai  fortezze  dai  lor  sogli 
Alla  ripa  di  fuor  son  ponticelli, 
16.    Così  da  imo  della  roccia  scogli 

Movien,  che  recidean  gli  argini  e  fossi 
Infino  al  pozzo,  che  i  tronca  e  raccogli. 


l.  «loT*  r  'l  sol  —  2.  ren- 
lion  sicura 


.  2.  3.  ( 


fos««ì 


/A   C.  1).  pietra  e  di  r. 


n.  r.  D.  Di  cui  suo 
B.  conterà  1'  ord. 


D.  (Milione  i 

B.  dove  '1  sol  —  D.  m.  ren- 
doD  -  A.2.  (\  1).  sicura 

(\  iniiii;ini  facea  quivi 


r.  di  h.r 
B.  da  uno 


1.  L.  è  'n  ninf  ||  L.  è  d' inf.    —  6.  Di  cui  '1  suo  1.  i|  Di  cui  sua  forma  —  7.  Quel  cerchio  —  adunque  tondo   —   9.  Si  ha  di>L   —   in 
.  jiarti  —  12.  dove  son    -   16.  rocra  —  17.  e  i  fossi  —  18.  eh'  ei  tronca  ||  che  tronca 

15- 


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116 


CERCH.  Vili.    BOLO.    1.    SEDUTTORI. 


INFERNO    XVIII.    19-42. 


VENED.    CACriANlMiro. 


1.  2.  3.  dietro 


I.  2.  3.  modo  tolto 


1.  2.  3.  e  già 


1.  2.  3.  Già  di  vod. 


19.    In  questo  loco,  dalla  schiena  scossi 
Di  Gerion,  trovammoci:  e  il  Poeta 
Tenne  a  sinistra,  ed  io  retro  ini  mossi. 

22.    Alla  man  destra  vidi  nuova  pietà; 

Nuovi  tormenti  e  nuovi  frustatori, 
Di  che  la  prima  bolgia  era  repleta. 

25.    Nel  fondo  erano  ignudi  i  peccatori: 

Dal  mezzo  in  qua  ci  venian  verso  il  volto, 
Di  là  con  noi,  ma  con  passi  maggiori: 

28.    Come  i  Roman,  per  1'  esercito  molto, 

L'  anno  del  Giubbileo,  su  per  lo  ponte 
Hanno  a  passar  la  gente  modo  colto: 

31.    Che  dall'  un  lato  tutti  hanno  la  fronte 

Verso  il  castello,  e  vanno  a  santo  Pietro; 
Dair  altra  sponda  vanno  verso  il  monte. 

34.    Di  qua,  di  là,  su  per  lo  sasso  tetro 

Vidi  Demon  cornuti  con  gran  ferze. 
Che  U  battean  crudelmente  di  retro. 

37.  Ahi  come  facean  lor  levar  le  berze 
Alle  prime  percosse!  già  nessuno 
Le  seconde  aspettava  ne  le  terze. 

40.    Mentr'  io  andava,  gli  occhi  miei  in  uno 
Fiu*o  scontrati;  ed  io  sì  tosto  dissi: 
Di  già  veder  costui  non  son  digiuno. 


25.  igii.  pec-oat.  —  ifi).  aspettavan 


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(  KRCH.  Vili.    BOLO.    1.    SEDUTTORI. 


INFERNO    XVIIL    43  —  66. 


VKNKD.    CACriANIMiro. 


A.  t.  Perch'  io 
occhi  aff. 


JJ.  tei  dico 


gu  occhi  AflF.     43.    Perciò  a  figurarlo  i  piedi  affissi: 

E  il  dolce  Duca  meco  si  ristette, 
Ed  assentì  eh'  alquanto  indietro  gissi: 

4().    E  quel  frustato  celar  si  credette 

Bassando  il  viso,  ma  poco  gli  valse: 
3.  dissi:  Tu  Ch'io  dissi:  0  tu  che  1'  occhio  a  terra  gette,  ^.  a  di8*i:  t.i 

49.    Se  le  fazion  che  porti  non  son  false, 
Venedico  se'  tu  Caccianimico  ; 
Ma  che  ti  mena  a  si  pimgenti  salse? 

52.    Ed  egli  a  me:  Mal  volentier  lo  dico; 
Ma  sforzami  la  tua  chiara  favella. 
Che  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 

55.    Io  fili  colui,  che  la  Ghisola  bella 

Condussi  a  far  la  vogUa  del  Marchese, 
Come  che  suoni  la  sconcia  novella. 

58.    E  non  più*  io  qui  piango  Bolognese: 
Anzi  n'  è  questo  loco  tanto  pieno. 
Che  tante  lingue  non  son  ora  apprese 
3.  ci  Reno      61.    A  dlccr  sipa  tra  Savena  e  Reno: 

E  se  di  ciò  vuoi  fede  o  testimonio, 
Recati  a  mente  il  nostro  avaro  seno. 

64.    Cosi  parlando  il  percosse  un  demonio 
Della  sua  scuriada,  e  disse:  Via, 
Ruffian,  qui  non  son  femmine  da  conio. 


117 

fi'  gli 


e.  t.  hp.  favella 


A.   l.  tutto  i>ieuo  (?) 


A.  1.  fi.  r.  U.  e  '1  Rcii 


41.  Duca  mio  —  45.  indietro  io  gissi  —  48.  Clie  dissi  —  che  gli  occhi  —  51.  Ma  chi  ti  mena  —   7A.  del  tempo  ant.     -    55.   lo  aiiu 
r^T.  Couvicn  che  s.  —  61.  sippa  —  65.  Colla  sua  —  scoriata     -  66.  non  ha  f.  i|  non  v'  ha  f. 


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118 


CERCH.  vili.    BOLO.    I.    SEDUTTORI.  INFERNO     XVIII.     67—90. 


2.  3.  Dove  imo 


1.  '1.  3.  sopra  1« 


3.  Attendi 


1.  2.  3.  *  Dal  V. 


l.  2.  schiaccia 


3.  Oiason 


1.  2.  F^llo  passò 


67.    Io  mi  raggiunsi  con  la  scorta  mia: 

Poscia  con  pochi  passi  divenimmo. 
Là  dove  un  scoglio  della  ripa  uscia. 

70.    Assai  leggieramente  quel  salimmo, 

E  volti  a  destra  su  per  la  sua  scheggia, 
Da  quelle  cerchie  eteme  ci  partimmo. 

73.    Quando  noi  fiimmo  là,  dov'  ei  vaneggia 
Di  sotto,  per  dar  passo  agli  sferzati. 
Lo  Duca  disse:  Attienti,  e  fa  che  feggia 

70.  Lo  viso  in  te  di  questi  altri  mal  nati, 
A'  quali  ancor  non  vedesti  la  faccia. 
Perocché  son  con  noi  insieme  andati. 

79.    Del  vecchio  ponte  guardavam  la  traccia. 
Che  venia  verso  noi  dall'  altra  banda, 
E  che  la  ferza  similmente  scaccia. 

82.    Il  buon  Maestro,  senza  mia  domanda. 

Mi  disse:  Guarda  quel  grande  che  viene. 
E,  per  dolor,  non  par  lagrima  spanda: 

85.    Quanto  aspetto  reale  ancor  ritiene! 

Quelh  è  Jason,  che  per  core  e  per  senno 
Li  Colchi  del  monton  privati  fene. 

88.    Egli  passò  per  l' isola  di  Lenno , 

Poi  che  le  ardite  femmine  spietate 
Tutti  U  maschi  loro  a  morte  dienno. 


D.  Là  ove 

D.  Ed  assai  Icucirrm. 

U.  Di  quelle 

D.  li  ov'  el 


fì.  (\  Che  Tenian 

A.  (\  E  cui  —  ^.schiaccia 

y|.2./?.  r./J.  ElbuonJI. 

U.  lai^ime 
A.  recale 


TI.  quelli  cerchi  eterni  —  75.  fa  eh'  io  vesigia  —  81.  sferza        caccia   --  82.  Lo  mio  M. 


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BOLO.  2.  ADULATORI.        INFERNO    XVin.    91  —  114. 


DAUTJt    E    VIRGILIO. 


119 


91.    Ivi  con  segni  e  con  parole  ornate 
Isifile  ingannò,  la  giovinetta, 
Che  prima  avea  tutte  Y  altre  ingannate. 
94.    Lasciolla  quivi  gravida  e  soletta: 

Tal  colpa  a  tal  martiro  lui  condanna; 
Ed  anco  di  Medea  si  fa  vendetta. 
97.    Con  lui  sen  va  chi  da  tal  parte  inganna: 
E  questo  basti  della  prima  valle 
Sapere,  e  di  color  che  in  se  assamia. 

100.    (xià  eravam  là  Ve  lo  stretto  calle 

Con  r  argine  secondo  s' incrocicchia, 
E  fa  di  quello  ad  un  altro  arco  spalle. 

103.    Quindi  sentimmo  gente  che  si  nicchia 

Neil'  altra  bolgia,  e  che  col  muso  isbuffa, 
E  se  medesma  con  le  palme  picchia. 

lOfi.    Le  ripe  eran  grommate  d'  una  muffa 
Per  r  aUto  di  giù  che  vi  si  appasta, 
Che  con  gii  occhi  e  col  naso  facea  zuffa. 

109.    Lo  fondo  è  cupo  sì,  che  non  ci  basta 
Loco  a  veder  senza  montare  al  dosso 
Dell'  arco,  ove  lo  scogUo  più  soprasta, 

112.    Quivi  venimmo,  e  quindi  giù  nel  fosso 
Vidi  gente  attuffata  in  imo  sterco. 
Che  dagli  uman  privati  parca  mosso: 


pr. 


tutte  r  altre  avea 


P.  oravani  dove 


(\  s'  innicchia 
D.  s'  annicchia 

J.  2.  B.  (\  D.  scuflFa 


D.  cupo  tanto  che  non  b. 


-•i.  1.  (\  privadi 


yi.  Ivi  con  senno  —  US.  1'  altre  pr.  avea  —  99.  azzanna  —  100.  eravam  'ove  —  104.  muso  suffa     -  Ili.  Dall'  arco  —  113.  un  ^ran  sterco 


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120  CERÒn.  vili.    BOLO.    2.    ADULATORI.         INFERNO     XVIII.      115—136.  AL.    INTBRMIN£L 

1.  che  Ugni  115.    E  mentre  ch'io  là  giù  con  l'occhio  cerco,       />.  cheur 

COwli  ori 

Vidi  un  col  capo  sì  di  merda  lordo, 
Che  non  parca  s'  era  laico  o  cherco. 
118.    Quei  mi  sgridò:  Perchè  se' tu  si  ingordo  /?. migrd 

gordo 

Di  riguardar  più  me,  che  gli  altri  brutti? 
Ed  io  a  lui:  Perchè,  se  ben  ricordo, 

121.    Già  t'  ho  veduto  coi  capeUi  asciutti, 

E  sei  Alessio  Interminei  da  Lucca:  B.D..\n^rn 

Però  t'  adocchio  più  che  gli  altri  tutti. 

124.    Ed  egU  allor,  battendosi  la  zucca: 

Quaggiù  m'  hanno  sommerso  le  lusinghe , 
Ond  io  non  ebbi  mai  la  lingua  stucca. 

127.    Appresso  ciò  lo  Duca:  Fa  che  pinghe, 
1. 2. 3.  un  poco  il  viso  MI  dlssc,  il  viso  uu  poco  più  avante,  /?.  tinpo«.i 

A.  l.  in 

Si  che  la  faccia  ben  con  gli  occhi  attingile  Aricro^ 
2. 3.  so«» scap.  130.    Di  quella  sozza  e  scapigliata  fante. 

Che  là  si  graffia  con  l'unghie  merdose,         ^adu- 

Ed  or  s'  accoscia,  ed  ora  è  in  piede  stante,  d. indite 

1. 2. 3.  Taidn  133.    Taldc  è  la  puttana,  che  rispose  b.  rraid» 

Al  drudo  suo,  quando  disse:  Ho  io  grazie 
Grandi  appo  te?  Anzi  meravigliose. 
136.    E  quinci  sien  le  nostre  viste  sazie. 


119.  altri  tutti  —  123.  altri  brutti  —  125.  diraerso  —  131.  Ch'  ella  —  133.  la  meretrice  —  134.  quand'  ci  d. 


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CANTO  DECIMONONO 


»  '1  mezzo  f. 


cielo 


i;hi 


vJ  Simon  mago,  o  miseri  seguaci, 
Che  le  cose  di  Dio,  che  di  bontate 
Deono  essere  spose,  voi  rapaci 
4.    Per  oro  e  per  argento,  adulterate; 

Or  convien  che  per  voi  suoni  la  tromba, 
Perocché  nella  terza  bolgia  state. 
7.    Già  eravamo  alla  seguente  tomba 

Montati,  dello  scogho  in  quella  parte, 
Che  appunto  sopra  mezzo  il  fosso  piomba. 

10.    0  somma  Sapienza,  quanta  è  V  arte 

Che  mostri  in  cielo,  in  terra  e  nel  mal  mondo, 
E  quanto  giusto  tua  vh-tù  comparte! 

13.  Io  vidi  per  le  coste  e  per  lo  fondo 
Piena  la  pietra  livida  di  fori 
D'  un  largo  tutti,  e  ciascuno  era  tondo. 

16.    Non  mi  parean  meno  ampi  ne  maggiori. 

Che  quei  che  son  nel  mio  bel  San  Giovanni 
Fatti  per  loco  de'  battezzatori; 


B.  mago,  mìseri 


A.  2.  C.  D.  2.   eipi^iap.    r* 
voi 


D.  Quanta  giustixiA  Uv^ 


14.  Fessa  la  p.  -  18.  Posti  nel  1.  -  di  batt. 
I. 


16 


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122 


CERriI.    Vili.    BOLO.    3.    SIMONIACI. 


INFERNO    XIX.    19  —  42. 


NICCOLO    III. 


19.    L'  un  delli  quali,  ancor  non  è  molt'  anni, 

Rupp'  io  per  un  che  dentro  vi  annegava  : 
1.  sia  suggci  E  questo  fia  suggel  eh'  ogni  uomo  sganni. 

22.    Fuor  della  bocca  a  ciascun  soperchiava 
D'  un  peccator  li  piedi,  e  delle  gambe 
Infino  al  grosso,  e  Y  altro  dentro  stava. 
1. 2.  cr.  acr.  a  tutti       25.    Lc  plautc  crauo  a  tutti  accese  intrambe; 

Per  che  sì  forte  guizzavan  le  giimte. 
Che  spezzate  averian  ritorte  e  strambe. 

28.  Qual  suole.il  fiameggiar  delle  cose  unte 
Moversi  pur  su  per  V  estrema  buccia; 
Tal  era  li  da'  calcagni  alle  punte. 

31.    Chi  è  colui,  Maestro,  che  si  cruccia. 

Guizzando  più  che  gli  altri  suoi  consorti, 
1. 2. 3.  pii.  rossa  Dìss' io ,  c  cuì  plù  rozza  fiamma  succia? 

34.  Ed  egli  a  me:  Se  tu  vuoi  eh'  io  ti  porti 
Laggiù  per  quella  ripa  che  più  giace. 
Da  lui  saprai  di  se  e  de'  suoi  torti. 

37.    Ed  io:  Tanto  m'  è  bel,  quanto  a  te  piace: 
Tu  sei  signore ,  e  sai  eh'  io  non  mi  parto 
Dal  tuo  volere,  e  sai  quel  che  si  tace. 
1. 2. 3.  in  su  larg.       40.    AUor  vcuimmo  suU'  argine  quarto; 

Volgemmo,  e  discendemmo  a  mano  stanca 
Laggiù  nel  fondo  foracchiato  ed  arto. 


A.  1.  non  e  ancor 


A.  C.  sia  suKgci 


D.  he  gambe  —  A.  1.  are 
er.  a  t.  A.  2.  B.  rr.  acr 
a  t.     D.  tutte  rr.  are 


A.  'À.  C.  suol  lo  tìamm 


B.  più  rossa 


A.  I.  (|uanto  ti  p. 


B.  D.  in  su  r  ari;. 


19.  L*  uno  de'  cpi.  —  23.  peecatorc  i  p.  —  de'  piedi  —  27.  rìt.  strambe  —  29.  per  la  stretta  b. 
34.  che  ti  porti  —  .%.  a  quella  r.  —  41.  Volgendo  e  discendendo 


più  roggia  (I  più  sozza  — 


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I 


(ERCH.  Vili.  BOLO.  3.  SIMONIACI.  INFERNO    XIX.    43  —  66. 

iv3.daii.8u*         43.    E  il  buon  Maestro  ancor  della  sua  anca 
1.1.3  sin  mi  giunse  Nou  idì  dìposc,  sì  Diì  glunsc  al  rotto 

Di  quei  che  si  piangeva  con  la  zanca. 

46.    0  qual  che  se',  che  1  di  su  tien  di  sotto. 
Anima  trista,  come  pai  commessa, 
Comincialo  a  dir,  se  puoi,  fa  motto. 

49.    Io  stava  come  il  frate  che  confessa 

Lo  perfido  assassin,  che  poi  eh'  è  fitto, 
Richiama  lui,  per  che  la  morte  cessa: 

52.  Ed  ei  gridò:  Sei  tu  già  costi  ritto. 
Sei  tu  già  costi  ritto,  Bonifazio? 
Di  parecchi  anni  mi  menti  lo  scritto. 

55.    Se'  tu  si  tosto  di  quell'  aver  sazio, 

Per  lo  qual  non  temesti  torre  a  inganno 
1 1 3.  di  poi  fame  La  bclla  Donna,  e  poi  di  fame  strazio? 

58.  Tal  mi  fec'io,  quai  son  color  che  .stanno, 
Per  non  intender  ciò  eh'  è  lor  risposto. 
Quasi  scornati,  e  risponder  non  sanno. 

61.    Allor  VirgiUo  disse:  DigU  tosto. 

Non  son  colui,  non  son  colui  che  crech: 
Ed  io  risposi  come  a  me  fii  imposto. 

64.    Per  che  lo  spirto  tutto  storse  i  piedi: 

Poi  sospirando,  e  con  voce  di  pianto. 
Mi  disse:  Dunque  che  a  me  richiedi? 


NICCOLO    III. 


123 


1.  i  3.  tutti  st. 


C.  D.  Lo  buon  — 
B.  dalla  sua 

B.  C.  D.  dispose  — 
B.  simmi  g. 


A.  2.  r.   che  tieni  '1  su 
di  s. 


B.  di  poi  farne      C.  poi 
da  farne 


D.  col.,  non  colui 


B.  tutti  storse 


45.  si  pingeva  —  46.  O  qual  tu  se'  —  che  '1  viso  tien  —  49.  come  frate  —  56.  Or  non  se'  ancor  di  qu.  av.  tu  s.  —  58.  qual  son 
-^  lo  sp.  st  allora  —  <J6.  disse:  Ah,  dunque 

16* 


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124         CKRCH.    Vili.   BOLO.    3.    SIMONIACI. 


INFERNO    XIX.    67-90. 


NICCOLO    III. 


L  2.  3.  scorsa 


1.  2.  3.  la  fessura 


67.    Se  di  saper  chi  io  sia  ti  cai  cotanto, 
Che  tu  abbi  però  la  ripa  corsa, 
Sappi  eh'  io  fili  vestito  del  gran  manto  : 

70.   E  veramente  fili  figUuol  dell'  orsa, 

Cupido  sì,  per  avanzar  gli  orsatti. 

Che  su  r  avere ,  e  qui  me  misi  in  borsa. 

73.    Di  sotto  al  capo  mio  son  gli  altri  tratti 
Che  precedetter  me  simoneggiando. 
Per  le  fessure  della  pietra  piatti. 

76.   Laggiù  cascherò  io  altresì,  quando 

Verrà  colui  eh'  io  credea  che  tu  fi)ssi, 
Allor  eh'  io  feci  il  subito  domando. 

79.   Ma  più  è  il  tempo  già  che  i  pie  mi  cossi, 
E  eh'  io  son  stato  così  sottosopra, 
Ch'  ei  non  starà  piantato  coi  pie  rossi: 

82.    Che  dopo  lui  verrà,  di  più  laid'  opra. 

Di  ver  ponente  un  pastor  senza  legge. 
Tal  che  convien  che  lui  e  me  ricopra. 

85.    Nuovo  lason  sarà,  di  cui  si  legge 

Ne'  Maccabei  :  e  come  a  quel  fii  molle 
Suo  re,  così  fia  a  lui  chi  Francia  regge. 

88.  Io  non  so  s' io  mi  fui  qui  troppo  folle, 
Ch'  io  pur  risposi  lui  a  questo  metro  : 
Deh  or  mi  di',  quanto  tesoro  volle 


Gb.  Che  tu  n'  abbi  —  73.  altri  matti  —  75.  delle  pietre  —  78.  che  feci  —  81.  e  coi  pie  —  87.  fia  lui  —  ttì.  p^r  .|U«f"  i 


ì 


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1.  2.  3.   Che  poii.  —   in 
sua  bai. 

1.  2.  3-  Viemmi  dietro 


1.  2.  3.  Nel  luo^o 


1.  su  lev. 


1.  2.  3.  diece 


CERCH.   Vili.   BOLO.    3.   SIMONIACI.  INFERNO    XIX.     91-  114. 

91.    Nostro  Signore  in  prima  da  san  Pietro, 
Che  gli  ponesse  le  chiavi  in  balìa? 
Certo  non  chiese  se  non:  Viemmi  retro. 
94.    Ne  Pier  ne  gli  altri  chiesero  a  Mattia 
Oro  od  argento,  quando  fu  sortito 
Al  loco  che  perde  V  anima  ria. 
97.    Però  ti  sta,  che  tu  se'  ben  punito; 

E  guarda  ben  la  mal  tolta  moneta, 
Ch'  esser  ti  fece  contra  Carlo  ardito. 

100.    E  se  non  fosse,  che  ancor  lo  mi  vieta 
La  riverenza  delle  somme  cliiavi. 
Che  tu  tenesti  nella  vita  heta, 

103.    l'userei  parole  ancor  più  gravi; 

Che  la  vostra  avarizia  il  mondo  attrista. 
Calcando  i  buoni  e  sollevando  i  pravi. 

106.    Di  voi  pastor  s'  accorse  il  Vangelista, 

Quando  colei,  che  siede  sopra  l'acque, 
Puttaneggiar  co'  regi  a  lui  fu  vista: 

109.    Quella  che  con  le  sette  teste  nacque, 
E  dalle  dieci  corna  ebbe  argomento. 
Fin  che  virtute  al  suo  marito  piacque. 

112.    Fatto  v'  avete  Dio  d'  oro  e  d'  argento: 
E  che  altro  è  da  voi  all'  idolatre , 
Se  non  eh'  egli  uno,  e  voi  n'  orate  cento? 


NICCOLO    III. 


125 


A.  2.  B.  D,  impria  — 
a  D.  santo  P. 

A.  1.  Che  i  pon  — 
A.  1.  in  sua  bai. 

B.  no  i  chiese 

C.  né  altri 


I).  Nel  liiono 


A.  m.  Calando  ~  A.  t.  su 
levando 


B.  diece 

D.  n'  avete  -   C.  D.  Idlo 
B.  eh'  è  altro  da  v. 


91.  in  pria  che  a  santo  —  92.  Ei  ponesse  —  94,  tolsero  a  M.  —  96.  Il  loco  —  99.  contro  a  C.  —  107.  rhe  sedea  —  106.  con  regi  — 
113.  agi'  idei.  —  114.  eh'  Egli  è  uno  —  n'  onrate 


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I2tì        CERCH.    Vili.    BOLO.    3.    SIMONIACI. 


INFERNO    XIX.    115-133. 


NICCOLO    IH. 


L  mentre  gli 


L  '1  3.  ristretto 
L  2,  Sin  meu 


115.  Ahi,  Constantin,  di  quanto  mal  fu  matre, 
Non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote 
Che  da  te  prese  il  primo  ricco  patre! 

118.    E  mentre  io  gli  cantava  cotai  note, 
0  ira  o  coscienza  che  il  mordesse, 
Forte  spingava  con  ambo  le  piote. 

121.    Io  credo  ben  che  al  mio  Duca  piacesse. 
Con  sì  contenta  labbia  sempre  attese 
Lo  suon  delle  parole  vere  espresse. 

124.    Però  con  ambo  le  braccia  mi  prese, 

E  poi  che  tutto  su  mi  s'  ebbe  al  petto, 
Rimontò  per  la  via  onde  discese; 

127.    Ne  si  stancò  d'  avermi  a  se  distretto. 

Si  mi  portò  sopra  il  colmo  dell'  arco, 
Che  dal  quarto  al  quinto  argine  è  tragetto. 

130.    Quivi  soavemente  spose  il  carco. 

Soave  per  lo  scoglio  sconcio  ed  érto, 
Che  sarebbe  alle  capre  duro  varco: 

133.    Indi  un  altro  vallon  mi  fu  scoperto. 


/?.  y>.  aìtnXTt  t 


J.  2.  /?.  r  Si  I 


118.  Mentre  eh'  io  —  cant.  tai  n.  —  120.  springava  —  122.  Cosi  con  queta  I.  —  contente  labbra  —  123.  e  spresse  —  lìi.  Che  : 


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CANTO  VENTESIMO 


itU>  (|U. 


he  fanno  le 


/. 


il  mento  al  pr. 


Ui  nuova  pena  mi  convien  far  versi, 
E  dar  materia  al  ventesimo  canto 
Della  prima  canzon,  eh'  è  de'  sommersi. 
Io  era  già  disposto  tutto  e  quanto 
A  riguardar  nello  scoperto  fondo, 
Che  si  bagnava  d'  angoscioso  pianto  : 
E  vidi  gente  per  lo  vallon  tondo 

Venir  tacendo  e  lagrimando,  al  passo, 
Che  fan  le  letame  in  questo  mondo. 

10.    Come  il  viso  mi  scese  in  lor  più  basso, 
Mirabilmente  apparve  esser  travolto 
Ciascun  trai  mento  el  principio  del  casso: 

13.    Che  dalle  reni  era  tornato  il  volto, 
Ed  indietro  venir  gU  convenia, 
Perchè  il  veder  dinanzi  era  lor  tolto. 

16.    Forse  per  forza  già  di  parlasìa 

Si  travolse  cosi  alcun  del  tutto; 
Ma  io  noi  vidi,  ne  credo  che  sia. 


A.  vigesimo 


A.  2.  B.  C.  D.  tutto  quanto 


A.  2.  C.  Com'  f.  - 

A.  2.  B.  C.  D.  fanno 
-  B.  letane 


B.  tal  mento 


B.  dirietro 


VK  liunie  -  13.  Ched  alle  —  16.  parlisìa  (?) 


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128 


CERCH.    Vili.    BOLO.    4.    INDOVINI. 


INFERNO    XX.    19-42. 


ANFIARAO. 


1.  2.  3.  di  colui 


1.  2.  3.  divin  passion 


I.  di  Tehan 


Quando  gr.  2.  3.  Per- 
chè gr. 


19.    Se  Dio  ti  lasci,  Lettor,  prender  frutto 

Di  tua  lezione,  or  pensa  per  te  stesso, 
Com'  io  potea  tener  lo  viso  asciutto, 

22.    Quando  la  nostra  imagine  da  presso 

Vidi  sì  torta,  che  il  pianto  degli  occhi 
Le  natiche  bagnava  per  lo  fesso. 

25.    Certo  i'  piangea,  poggiato  ad  un  de'  r ocelli 
Del  duro  scoglio,  si  che  la  mia  scorta 
Mi  disse:  Ancor  sei  tu  degli  altri  sciocchi? 

28.    Qui  vive  la  pietà  quando  è  ben  morta. 
Chi  è  più  scellerato  che  colui 
Che  al  giudizio  divin  compassion  porta? 

SI.    Drizza  la  testa,  drizza,  e  vedi  a  cui 

S'  aperse  agli  occhi  de'  Teban  la  terra. 
Per  eh'  ei  gridavan  tutti:  Dove  rui, 

34.  Anfiarao?  perchè  lasci  la  guerra? 
E  non  restò  di  minare  a  valle 
Fino  a  Minòs,  che  ciascheduno  aiFerra. 

37.  Mira,  che  ha  fatto  petto  delle  spalle: 
Perchè  volle  veder  troppo  davante, 
Diretro  guarda,  e  fa  retroso  calle. 

40.    Vedi  Tiresia,  che  mutò  sembiante. 

Quando  di  maschio  femmina  divenne, 
Cangiandosi  le  membra  tutte  quante; 


D.  fin  chf 


B.  di  roloi 


A.  Tobp 


23.  Vid'  io  si  t.  —  e  quel  pianto  —  24.  infino  al  f.  —  27.  Se*  tu  ancor  —  30.  giud.   d' Iddio  —  31.  dr.   e  suardi  -  3S^  F 
Ahi.  grid.  —  42.  tutte  e  qu. 


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CEROH.  Vili.    BOLO.    4.    INDOVINI. 


INFERNO    XX.    43-66. 


TIRXSIA,    AHONTA. 


129 


c<mv.  43.    E  prima  poi  ribatter  gli  convenne 

Li  due  serpenti  avvolti  con  la  verga, 
Che  riavesse  le  maschili  penne. 
4""  46.    Aronta  è  quel  che  al  ventre  gli  s'  atterga, 

Che  nei  monti  di  Limi,  dove  ronca 
Lo  Carrarese  che  di  sotto  alberga, 
>''^  '»•«         49.    Ebbe  trai  bianchi  marmi  la  spelonca 

Per  sua  dimora;  onde  a  guardar  le  stelle 
E  il  mar  non  gh  era  la  veduta  tronca. 
52.    E  quella  che  ricopre  le  mammelle. 

Che  tu  non  vedi,  con  le  trecce  sciolte, 
E  ha  di  là  ogni  pilosa  pelle, 
55.    Manto  fu,  che  cercò  per  terre  molte. 
Poscia  si  pose  là  dove  nacqu'  io  ; 
Onde  un  poco  mi  piace  che  m'  ascolte. 
58.    Poscia  che  il  padre  suo  di  vita  uscio, 
E  venne  serva  la  città  di  Baco, 
Questa  gran  tempo  per  lo  mondo  gìo. 
61.    Suso  in  ItaUa  bella  giace  un  laco 

Appiè  dell'  alpe,  che  serra  Lamagna 
ha  uome  Sopra  Tiralli,  eh'  ha  nome  Benaco. 

64.    Per  mille  fonti,  credo,  e  più  si  bagna, 
Ap.  3.  Cam.,  Tra  Garda  e  Val  Camonica,  Apennino 

Dell'  acqua  che  nel  detto  lago  stagna. 


e.  D.  E  pr.  e  poi 


B.  D.  è  quei 


B.  C.  D.  Ebbe  tra  - 
C.  D.  marmi  biauohi 


D.  e  più,  credo 

A.  2.  Cam.  Kppenino, 
C.  U.  Cam.  et  Ap- 
penninc» 


4*'..  che  "1  ventre  -  «3.  Tìrolli  ||  Teriolo  —  65.  Valca  lo  monte  P.  ||  V^al  di  Monica  e  Peiin.  (?) 

I.  17 


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130 


1.  2.  Onde 


1.  Mencio 


CKHCM.  Vili.    BOLO.    4.    INDOVINI.  INFERNO     XX.     67—90.  MANTO. 

67.    Loco  è  nel  mezzo  là,  dove  il  Trentino 

Pastore,  e  quel  di  Brescia,  e  il  Veronese 
Segnar  potria,  se  fesse  quel  cammino. 

70.    Siede  Peschiera,  bello  e  forte  arnese 

Da  fronteggiar  Bresciani  e  Bergamaschi, 
Ove  la  riva  intorno  più  discese. 

73.    Ivi  convien  che  tutto  quanto  caschi 

Ciò  che  in  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
E  fassi  fiiune  giù  pei  verdi  paschi. 

76.    Tosto  che  1'  acqua  a  correr  mette  co. 

Non  più  Benaco,  ma  Mincio  si  chiama 
Fino  a  Governo,  dove  cade  in  Po. 

79.  Non  molto  ha  corso,  che  trova  una  lama, 
Nella  qual  si  distende  e  la  impaluda, 
E  suol  di  state  talora  esser  grama. 

82.    Quindi  passando  la  vergine  cruda 

Vide  terra  nel  mezzo  del  pantano, 
Senza  cultura,  e  d'  abitanti  nuda. 

85.  Lì,  per  fuggire  ogni  consorzio  umano. 
Ristette  co'  suoi  servi  a  far  sue  arti, 
E  visse,  e  vi  lasciò  suo  corpo  vano. 

88.    Gli  uomini  poi,  che  intomo  erano  sparti, 
S'  accolsero  a  quel  loco ,  eh'  era  forte 
Per  lo  pantan  che  avea  da  tutte  parti. 


Ih  là  mt 


G9.  s.e  fvshtr  —  71.  Di  front.  —  ?2.  Dove  la  r.  —  73.  Quivi  conv.  —  78.  Governol  —  donde  rade  —  Ki.  Quivi  p»*.* 


I 


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CERCH.  Vili.    BOLO.    4.    INDOVINI. 


INFERNO    XX.    91-114. 


131 


91.    Fer  la  città  sopra  queir  ossa  morte; 

E  per  colei,  che  il  loco  prima  elesse, 
Mantova  1'  appellar  senz'  altra  sorte. 
94.    (jik  fiir  le  genti  sue  dentro  più  spesse. 
Prima  che  la  mattìa  da  Casalodi, 
Da  Pinamonte  inganno  ricevesse. 
97.    Però  t'  assenno,  che  se  tu  mai  odi 
Originar  la  mia  teiTa  altrimenti. 
La  verità  nulla  menzogna  frodi. 

100.    Ed  io:  Maestro,  i  tuoi  ragionamenti 

Mi  son  sì  certi,  e  prendon  si  mia  fede, 
Che  gli  altri  mi  sarian  carboni  spenti. 

103.    Ma  dimmi  della  gente  che  procede. 

Se  tu  ne  vedi  alcim  degno  di  nota; 
Che  solo  a  ciò  la  mia  mente  rifiede. 

106.   AUor  mi  disse:  Quel,  che  dalla  gota 

Porge  la  barba  in  sulle  spalle  brune, 
Fu,  quando  Grecia  fu  di  maschi  vota 

109.    Sì  che  appena  rimaser  per  le  cime, 

Augure,  e  diede  il  punto  con  Calcanta 
In  AuUde  a  tagUar  la  prima  fiine. 

112.    Euripilo  ebbe  nome,  e  così  il  canta 
L'  alta  mia  Tragedia  in  alcun  loco  : 
Ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta. 


A.  %  r   iLl  Ti 


A.  rì±j€tlf 

A.  ìtM  ilari  »K  |Miri£E 


*.Ci.  Mautua  ||  Mautoa  -  95.  de'  CM«lodi  ||  di  Casa  Lodi  —  108.  che  precede  —  106.  della  gota  -  114.  tutto  e  ^u. 

17' 


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132 


CEKCH.  Vili.    BOLG.    4.    INDOVINI. 


INFERNO    XX.    115-130. 


MICII.    SCOTTO.    ASDEXTE. 


2.  3.  incìov. 


115.    Quell'altro  che  ne' fianchi  è  cosi  poco. 
Michele  Scotto  fu,  che  veramente 
Delle  magiche  frode  seppe  il  gioco. 

118.    Vedi  Guido  Bonatti,  vedi  Asdente, 

Che  avere  inteso  al  cuoio  ed  allo  spago 
Ora  vorebbe,  ma  tardi  si  pente. 

121.    Vedi  le  triste  che  lasciaron  1'  ago, 

La  spuola  e  il  fuso,  e  fecersi  indivine; 
Fecer  malie  con  erbe  e  con  imago. 

124.    Ma  Vienne  ornai,  che  già  tiene  il  confine 
D'  amendue  gli  emisperi,  e  tocca  l'onda 
Sotto  Sibilla,  Caino  e  le  spine. 
u  2. 3.  E  già  iern.        127.    E  pur  icmotte  fii  la  luna  tonda: 
^^^-^  ti  ^^««  Ben  ten  dee  ricordar,  che  non  ti  nocque 

Alcuna. volta  per  la  selva  fonda. 

130.    Sì  mi  parlava,  ed  andavamo  introcque. 


2,  amendiiu  3.  ambedue 


D.  attffc. 


(\  indtmn*- 


R.  Ben  ri  drf 
D.  andaiD" 


122.  fecersi  divine  —  124.  Ma  vieni   —  125.  d'  ambo  e  due  —  126.  Cain  e  le  sp.  —  128.  ten  dei  —  129,  selva  fnimLi 


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CANTO  VENTESIMOPRIMO 


V  osi,  di  ponte  in  ponte,  altro  parlando 
Che  la  mia  commedia  cantar  non  cura, 
Venimmo,  e  tenevamo  il  colmo,  quando 
4.    Ristemmo  per  veder  1'  altra  fessura 

Di  Malebolge,  e  gli  altri  pianti  vani; 
E  vidila  mirabilmente  oscura. 
7.    Quale  nell'  Arzanà  de'  Viniziani 
Bolle  r  inverno  la  tenace  pece 
A  rimpalmar  li  lor  legni  non  sani, 

10.  Che  navicar  non  ponno,  e  in  quella  vece 
Chi  fa  suo  legno  nuovo,  e  chi  ristoppa 
Le  coste  a  quel  che  più  viaggi  fece; 

13.    Chi  ribatte  da  proda,  e  chi  da  poppa; 
Altri  fa  remi,  ed  altri  volge  sarte: 
Chi  terzeruolo  ed  artimon  rintoppa: 

IH.    Tal,  non  per  foco,  ma  per  divina  arte 
Bollia  laggiuso  una  pegola  spessa 
Che  inviscava  la  ripa  da  ogni  parte. 


//.  nlti  pian  fi 

A.  I.  Artieiial  (?) 
(\  1/  inv.  bolle 


A.  IH.  Per  riiup.  —  A.  1. 
i  lor  —  ^.  l«gnì  lor 


/>.  viagcio 


•J.  parlar  non  r.    —    4.  Ci  stemmo     -   7  Arsanal  ||  Arseni  —  8.  lo  verno  ||  di  verno  —    10.  Che  navicar     -    ponno  in  <jn.  —  11.  Chi 
innu<»va  —  14.  fan  remi,  altri  rivolgon  ||  fa  volger  remi«  ed  altri  —  18.  mvisehiava 


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134 


CERCH.  Vili.    BOLO.    5.    BARATTIEBI. 


INFERNO    XXI.    19  —  42. 


MARTIN    BOTTAI. 


19.    Io  vedea  lei,  ma  non  vedeva  in  essa 

Ma'  che  le  bolle  che  il  bollor  levava, 
1. 2.  siscicr  E  gonfiar  tutta,  e  riseder  compressa. 

1.  Mentre  u«.  22.    Mentr' io  laggiù  fisamente  mii'ava. 

Lo  Duca  mio,  dicendo:  Guarda,  guarda, 
Mi  trasse  a  se  del  loco  dov'  io  stava. 
25.    AUor  mi  volsi  come  1'  uom  cui  tarda 

Di  veder  quel  che  gU  convien  fuggire; 
E  cui  paura  subita  sgagliarda, 
28.    Che,  per  veder,  non  indugia  il  partire: 
E  vidi  dietro  a  noi  un  diavol  nero 
Correndo  su  per  lo  scoglio  venire. 
31.    Ahi  quanto  egU  era  nell'aspetto  fiero! 
E  quanto  mi  parca  nell'  atto  acerbo, 
Con  r  ale  aperte,  e  sopra  il  pie  leggiero! 
34.    L'  omero  suo ,  eh'  era  acuto  e  superbo , 

Carcava  un  peccator  con  ambo  1'  anche, 
E  quei  tenea  de'  pie  ghermito  il  nerbo. 
37.    Del  nostro  ponte,  disse,  o  Malebranche, 
1. cu  Ecco  un  degh  anzian  di  santa  Zita: 

Mettetel  sotto,  eh'  io  torno  per  anche 
i.  2. 3.  che  n  ì  40.    A  quclla  terra  eh'  i'  n'  ho  ben  fornita: 

1  j.  3.  o,5ni  nom  Ognuu  v'  è  baratticr,  fuor  che  Bonturo: 

Del  no,  per  li  denar,  vi  si  fa  ita. 


novra'  pie  2.  3.  sovra 
i  pie 


2.  .3.  Ed  fi 


21.  soppressa  —  25.  lo  mi  rivolsi  —  28.  Clir  per  ved.  ||  Ch'  ei,  per  ved.  —  tó.  denar  sui  si  fan 


^ 


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rERCH.  vili.    BOLO.    5.    BARATTIERI. 


INFERNO    XXI,    43-66. 


MALEBRANCHE. 


135 


43.    Laggiù  il  buttò,  e  per  lo  scoglio  duro 

Si  volse,  e  mai  non  fii  mastino  sciolto 
Con  tanta  fretta  a  seguitar  lo  furo. 

46.    Quei  s'  attuflFò ,  e  tornò  su  convolto  ; 

Ma  i  demon,  che  del  ponte  avean  coperchio, 
Gridar:  Qui  non  ha  loco  il  santo  volto; 

49.  Qui  si  nuota  altrimenti  che  nel  Serchio; 
Però,  se  tu  non  vuoi  de'  nostri  graffi, 
Non  far  sopra  la  pegola  soperchio. 

52.    Poi  r  addentar  con  più  di  cento  raffi; 

Disser:  Coperto  convien  che  qui  balli, 
Sì  che,  se  puoi,  nascosamente  accaffi. 

55.    Non  altrimenti  i  cuochi  ai  lor  vassalU 
Fanno  atuflfare  in  mezzo  la  caldaia 
La  carne  cogU  imcin,  perchè  non  galli. 

58.  Lo  buon  Maestro:  Acciocché  non  si  paia 
Che  tu  ci  sii,  mi  disse,  giù  t'  acquatta 
Dopo  uno  scheggio,  che  alcun  schermo  t' baia; 

61.    E  per  nulla  oflTension  che  mi  sia  fatta. 

Non  temer  tu,  ch'io  ho  le  cose  conte. 
Perchè  altra  volta  fui  a  tal  baratta. 

64.  Poscia  passò  di  là  dal  co  del  ponte, 

E  com'  ei  giunse  in  su  la  ripa  sesta, 
Mestier  gh  fu  d'  aver  sicura  fronte. 


I).  t.  col  volto 


A.  C.  D.  ci  sia 


ó<>.  K  pero  se  non  —  52.  mille  raffi  -  58.  che  tii  balli  —  63  Ed  altra  v.  —  &L.  da  co 


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136 


CERCH.  Vili.    BOLO.    5.    BARATTIERI. 


INFERNO    XXI.    67-90. 


VIBG.    E    MALEBRANCHE. 


1.  2.  .3.  r  uu  <li  vui 
1.  2.  3.  «li  Tonc. 
1.  2.  j»ri(lavnii 


1.  tutf  i  V.     2.  3.  tutti 


1.  2.  3.  Tiasoiami  aiul. 


V. 

Di  sub.  e 

\it 

■  ci. 

B. 

sottcì  al 

D. 

tutti  rune 

(\ 

Niun 

D. 

iimauzi 

A. 

2.  B. 

C.  Y  un 

di 

voi 

/?. 

^ridavaii 

fì7.    Con  quel  furor  e  con  quella  tempesta 

(3h'  escono  i  cani  addosso  al  poverello, 

Che  di  subito  chiede  ove  s'  arresta; 
70.    Usciron  quei  di  sotto  il  ponticello, 

E  volser  contra  lui  tutti  i  roncigli; 

Ma  ei  gridò:  Nessun  di  voi  sia  fello. 
73.    Innanzi  che  1'  uncin  vostro  mi  pigli , 

Traggasi  avanti  alcim  di  voi  che  m'  oda, 

E  poi  d'  arroncigliarmi  si  consigli. 
76.    Tutti  gridaron:  Vada  Malacoda; 

Perchè  un  si  mosse,  e  gU  altri  stetter  fermi; 

p]  venne  a  lui  dicendo:  Che  gli  approda?        .4.  «.  oic  ti  api.r. 
79.    Credi  tu,  Malacoda,  qui  vedermi 

Esser  venuto,  disse  il  mio  Maestro, 

Sicuro  già  da  tutti  vostri  schermi, 
82.    Senza  voler  divino  e  fato  destro? 

Lasciane  andar,  che  nel  cielo  è  voluto 

Ch'  io  mostri  altrui  questo  cammin  Silvestro. 
85.    Allor  gh  fu  Y  orgoglio  si  caduto. 

Che  si  lasciò  cascar  l'uncino  ai, piedi, 

E  disse  agU  altri:  Omai  non  sia  feruto. 
88.    E  il  Duca  mio  a  me:  0  tu,  che  siech 

Tra  gU  scheggion  del  ponte  quatto  quatto. 


B.  tutti  i  vostri 


A.  2.  C.  Dicendo 


1.  2.  3.  ti  ricdi 


Sicuramente  omai  a  me  tu  riedi. 


1).  a  me  omai     -   R.  ri 
riedi 


<JS.  C'iie  fanno  —  iu  dosso  —  73.  m' impigli  —  75,  da  ronc.  ||  a  ronc.  —  78.  eh'  egli  appr.  |)  eh'  è  li  a  pr.  (?)  (|  olii  t*  appr.   -  87.  K  d.: 
Omai  non  Kia  costui  f. 


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(ERCH.  vili.    BOLO.    5,    BARATTUfRl.  INFERNO     XXI.     91  —  114.  DANTK ,    VIRO.    E    MALEBR.  137 

91.    Perch'io  mi  mossi,  ed  a  lui  venni  ratto; 
E  i  diavoli  si  fecer  tutti  avanti, 

Si  ch'io  temetti  non  tenesser  patto.  ^.2.«.c. cheitenMser 

94.    E  cosi  vid'  io  già  temer  U  fanti 

Ch'  uscivan  patteggiati  di  Caprona, 
Veggendo  se  tra  nimici  cotanti.  a.  tra  i  nim. 

97.    Io  m'  accostai  con  tutta  la  persona 

Lungo  il  mio  Duca,  e  non  torceva  gh  occhi 
Dalla  sembianza  lor  eh'  era  non  buona. 
1 13  eh  io  i  100.    Ei  chinavan  gh  raffi,  e.  Vuoi  che  '1  tocchi, 

Diceva  1'  un  con  1'  altro,  in  sul  groppone? 
aliene  »rc.  E  rispondcan i  Si,  fa  che  gliele  accocchi.        a  2.  r.  e.  nsponaean 

103.    Ma  quel  demonio  che  tenea  sermone 
Col  Duca  mio,  si  volse  tutto  presto 
E  disse:  Posa,  posa.  Scarmiglione. 
106.    Poi  disse  a  noi:  Più  oltre  andar  per  questo 
'Wf^'^'^^rk^  *  '*  Iscogho  non  si  può,  perocché  giace  «. scoglio -/>. so. bc. 


nuu 


Tutto  spezzato  al  fondo  1'  arco  sesto  : 
109.    E  se  r  andare  avanti  pur  vi  piace. 

Andatevene  su  per  questa  grotta; 

Presso  è  un  altro  scoglio  che  via  face. 
112.    ler,  più  oltre  cinqu'  ore  che  quest'  otta, 

JVIille  dugento  con  sessanta  sei 
1 2. 3.  compier  Auuì  complc ,  chc  qui  la  via  fu  rotta. 

©.  temei  —  che  rompesser  —  9rt.  non  toglieva  —  100.  Chinavano  —  101.  Dicevau  —  l'uno  all'  altro  —  102.  E  rispondeansi  :  Fa 
Ili  ler,  cinque  ore  più  oltre  —  U3.  sc^s.  e  sei  —  114.  questa  via 

I.  18 


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138 


rKRni.  vili.   BOI.G.    5.   BARATTIERI.  INFERNO    XXI.     115—139. 


MALEBRANCHE. 


L.  2.  3.  Rub.  pazzo 
1.  2.  3.  int.  le  b. 


ly  che  (ligr. 


115.    Io  mando  verso  là  di  questi  miei 

A  riguardar  s'  alcun  se  ne  sciorina: 
Gite  con  lor,  eh'  ei  non  saranno  rei. 

118.    Tratti  avanti,  Alichino  e  Calcabrina, 

Cominciò  egli  a  dire,  e  tu,  Cagnazzo, 
E  Barbariccia  guidi  la  decina. 

121.    Libicocco  vegna  oltre,  e  Draghignazzo , 
Ciriatto  sannuto,  e  Graffiacane, 
E  Farfarello,  e  Rubicante  il  pazzo. 

124.    Cercate  intomo  alle  boglienti  pane; 

Costor  sien  salvi  insino  all'  altro  scheggio 
Che  tutto  intero  va  sopra  le  tane. 

127.  0  me!  Maestro,  che  è  quel  che  io  veggio? 
Diss'  io:  deh!  senza  scorta  andiamci  soli, 
Se  tu  sai  ir,  eh'  io  per  me  non  la  chieggio. 

130.    Se  tu  sei  sì  accorto  come  suoU, 

Non  vedi  tu  eh'  ei  digrignan  h  denti, 
E  colle  cigUa  ne  minaccian  duoli? 

133.    Ed  egli  a  me:  Non  vo'  che  tu  paventi: 
Lasciah  digrignar  pure  a  lor  senno, 
Ch'  ei  fanno  ciò  per  li  lessi  dolenti. 

136.    Per  1'  argine  sinistro  volta  dienno; 

Ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 
Coi  denti,  verso  lor  duca  per  cenno, 

139.    Ed  egli  avea  del  cui  fatto  trombetta. 


fi.  fatta  n. 


117.  fbe  non  sar.  —  1^.  in  fino  —  128.  Deb!  senza  scorta,  diss'  io  —  135.  Che  fanno  —  lassi  dol.  Il  fessi  dol. 


ì 


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CANTO  VENTESIMOSECONDO 


i . 


lo  vidi  già  cavalier  muover  campo, 

E  cominciare  stormo,  e  far  lor  mostra. 
E  talvolta  partir  per  loro  scampo: 
Corridor  vidi  per  la  terra  vostra, 
0  Aretini,  e  vidi  gir  gualdane, 
Ferir  torneamenti,  e  correr  giostra, 
Quando  con  trombe,  e  quando  con  campane, 
Con  tamburi  e  con  cenni  di  castella, 
E  con  cose  nostrali  e  con  istrane; 

10.    Ne  già  con  sì  diversa  cennamella 
Cavalier  vidi  mover,  ne  pedoni. 
Ne  nave  a  segno  di  terra  o  di  stella. 

13.    Noi  andavam  con  li  dieci  dimoni: 

Ahi  fiera  compagnia!  ma  nella  chiesa 
Coi  santi,  ed  in  taverna  coi  ghiottoni. 

16.    Pure  alla  pegola  era  la  mia  intesa. 

Per  veder  della  bolgia  ogni  contegno, 
E  della  gente  eh'  entro  v'  era  incesa. 


e.  I).  Corri t<ir 


(\  Fedir.     U.  E  far  — 
R.  muover  siostra 


I).  Ne  mai  —    U.  riara- 
mrlla 


2.  Per  rominc.  —  10.  cemmam.  ||  ceram.  |<  cialam.  ||  oannam. 


18* 


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140  CERCH.  Vili.    BOLO.    5.    BARATTIERI 

1.  Come  Dalpb. 


INFERNO    XXII.    19  —  42. 


CIAMPOLO    NAVARRESE. 


1.  2.  3.  Stan  li  r. 


2.  3.  anche   —   2.  3.   mi 
s'  acc. 


2.  3.  e  r  altra 
1.  2.  3.  di  centra 


1.  2.  3.  tutti  nu. 


19.    Come  i  delfini,  quando  fanno  segno 

Ai  marinar  con  1'  arco  della  schiena, 
Che  s'  argomentin  di  campar  lor  legno; 

22.    Talor  così  ad  alleggiar  la  pena 

Mostrava  alcun  dei  peccatori  il  dosso, 
E  nascondeva  in  men  che  non  balena. 

25.  E  come  all'  orlo  dell'  acqua  d'  un  fosso 
Stanno  i  ranocchi  pur  col  muso  fuori. 
Si  che  celano  i  piedi  e  1'  altro  grosso; 

28.    Sì  stavan  d'  ogni  parte  i  peccatori: 

Ma  come  s'  appressava  Barbariccia, 
Così  si  ritraean  sotto  i  bollori. 

31.    Io  vidi,  ed  anco  il  cor  me  n'  accapriccia, 
Uno  aspettar  così,  com  egli  incontra 
Che  una  rana  rimane,  ed  altra  spiccia. 

34.  E  Graffiacan,  che  gli  era  più  d'  incontra, 
Gli  arroncigliò  le  impegolate  chiome, 
E  trassel  su,  che  mi  parve  una  lontra. 

37.    Io  sapea  già  di  tutti  e  quanti  il  nome, 
Sì  li  notai,  quando  furono  eletti, 
E  poi  che  si  chiamaro,  attesi  come. 

40.    0  Rubicante,  fa  che  tu  gli  metti 

Gli  unghioni  addosso  sì  che  tu  lo  scuoi, 
Gridavan  tutti  insieme  i  maledetti. 


B.  Come  d.    -  A.  H.  (\ 
dalfini 


A.  m.  di  guardar 


/y.  Stanlir.    C:  Stanno  r. 


D.  mi  raccapr. 


B.  D.  di  contra 

D.  come  fusse  una 

A.  2.  Af.  C.  D.  tutti  .ju. 

B.  chiamato 

C.  D.  Y  unghion 


22.  a  leggierar  ||  per  allegs;iar  —  23.  peccator  lo  d.  —  30.  si  rit«nean  -  36.  mi  parca 


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e  KRCH.  vili.    BOLO.    5.    BARATTIERI.  INFERNO     XXII.     43  —  66. 


CIAMPOLO    NAVARRESK. 


141 


43.    Ed  io:  Maestro  mio,  fa,  se  tu  puoi. 
Che  tu  sappi  chi  è  lo  sciagurato 
Venuto  a  man  degU  avversari  suoi. 

40.    Lo  Duca  mio  gU  s'  accostò  allato, 

DomandoUo  ond'  ei  fosse,  e  quei  rispose: 
Io  fui  del  regno  di  Navarra  nato. 

49.    iVlia  madre  a  servo  d'  un  signor  mi  pose, 
Che  m'  avea  generato  d'  un  ribaldo 
Distruggitor  di  sé  e  di  sue  cose. 

52.    Poi  fili  famigUo  del  buon  re  Tebaldo; 
Quivi  mi  misi  a  far  baratteria. 
Di  che  io  rendo  ragione  in  questo  caldo. 

55.    E  Ciriatto,  a  cui  di  bocca  uscia 

D'  ogni  parte  una  sauna  come  a  porco. 
Gli  fé'  sentir  come  1'  una  sdrucia. 

58.    Tra  male  gatte  era  venuto  il  sorco; 

Ma  Barbariccia  il  chiuse  con  le  braccia, 
E  disse:  State  in  là,  mentr'  io  lo  inforco. 

61.    Ed  al  Maestro  mio  volse  la  faccia: 

Domanda,  disse,  ancor  se  più  desii 
Saper  da  lui,  prima  eh'  altri  il  disfaccia. 

64.    Lo  Duca:  Dunque  or  di' degli  altri  rii: 
Conosci  tu  alcun  che  sia  Latino 
Sotto  la  pece?  E  quegli:  Io  mi  partii 


e.  onde  fosse  —  />.  ed  ei 


h.  famiglili 

D.  Di  che  rendo 

J.  D'  ogni  lato 

H.  sdruscia 

A.  m.  B.  C.  D.  male 
branche 

D.  il  cinse 


A.  2.  C.  Dicendo  — 
D.  state  là 


e.  Dimandai 


47.  E  domandò   —    56.  zanna   —  59.  il  chiude    -   60.  E  dice:  Sta  in  là  —  62.  Domanda  ancor,  diss'  ei    -   iyi.  Lo  D.  dunque:  Oi 
altri  rii  Con. 


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142 


CERriI.  vili.    BOLO.    5.   BARATTIERI.  INFERNO     XXII.     67  —  90. 


FR.    OOMITA,    M.    ZANCHE. 


1.  2.  ^.  riiiicisrlid 


2.  .3.  anch'  ei 


1.  2.  3.  Giù  dalle 


1.  2.  3.  K  fé*  lor  ni 


fi7.    Poco  è  da  un,  che  fu  di  là  vicino; 

Cosi  foss'  io  ancor  con  lui  coperto, 
Ch'  io  non  temerei  unghia,  ne  uncino. 

70.    E  Libicocco:  Troppo  avem  sofferto, 

Disse,  e  presegli  il  braccio  col  roncigUo, 
Si  che,  stracciando,  ne  portò  un  lacerto. 

73.    Draghignazzo  anco  i  volle  dar  di  piglio 
Giuso  alle  gambe;  onde  il  decurio  loro 
Si  volse  intorno  intorno  con  mal  piglio. 

76.    Quand'  elli  un  poco  rappaciati  foro, 
A  lui  che  ancor  mirava  sua  ferita. 
Domandò  il  Duca  mio  senza  dimoro: 

79.    Chi  fu  colui,  da  cui  mala  partita 

Di'  che  facesti  per  venire  a  proda? 
Ed  ei  rispose:  Fu  frate  Gomita, 

82.    Quel  di  Gallura,  vasel  d'  ogni  froda, 

Ch'  ebbe  i  nimici  di  suo  donno  in  mano, 
E  fé'  si  lor,  che  ciascun  se  ne  loda: 

85.    Denar  si  tolse,  e  lasciolli  di  piano. 

Si  com'  ei  dice:  e  negli  altri  offizi  anche 
Barattier  fu  non  picciol,  ma  soprano. 

88.    Usa  con  esso  donno  Michel  Zanche 
Di  Logodoro:  ed  a  dir  di  Sardigna 
Le  lingue  lor  non  si  sentono  stanche. 


A.  1.  con  lui  ancor 


JJ.  prese  *1  suo  br. 
D.  con  ronc. 


(\  anche  ì 
n.  Giù  daUe 
O.  intorno  tutto 


JJ.  da  chi 


e.  D.  E  cjuei 


1).  ebbe  nini. 


73.  I)ras;h.  gli  volle  —  81.  Egli  risp.  —  82.  da  Gali.  —  vagel  —  88.  esso  lui  don  M.  Sanche 


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TEBCU.  Vili.    BOLO.    5.    BARATTIERI.  INFERNO     XXII.     91  —  114. 


CIAMPOLO    NAVARRKSE. 


143 


•L  a,  anche 


.  Inromiuriò 


1. 1  3.  Sì  che  non 


l.  i  eh'  io  so 


1.  2.  :i  (Quando  suf. 


1  'l  3,  pensato 


l.Dbse:  Mal. 


1.  2.  3.  Quando  proe.  - 
1.  2.  a  mia 


1  ^ualoppo 


91.    0  me!  vedete  l'altro  che  digrigna: 

Io  direi  anco;  ma  io  temo  eh'  elio 

Non  s'  apparecchi  a  gi'attarmi  la  tigna. 
S)4.    E  il  gran  proposto,  volto  a  Farfarello 

Che  stralunava  gU  ocelli  per  ferire, 

Disse:  Fatti  in  costà,  malvagio  uccello. 
5)7.    Se  voi  volete  vedere  o  udke. 

Ricominciò  lo  spaurato  appresso, 

Toschi  o  Lombardi,  io  ne  farò  venire. 
100.    Ma  stien  le  male  branche  un  poco  in  cesso,     j.  i 

Si  eh'  ei  non  teman  delle  lor  vendette  ; 

Ed  io,  sedendo  in  questo  loco  stesso, 
103.    Per  un  ch'io  son,  ne  farò  venir  sette, 

Quand'  io  sufolerò ,  com'  è  nostr'  uso 

Di  fare  allor  che  fuori  alcun  si  mette. 
106.    Cagnazzo  a  cotal  motto  levò  il  muso, 

Crollando  il  capo,  e  disse:  Odi  malizia 

Ch'  egU  ha  pensata  per  gittarsi  giuso. 
109.    Ond'  ei  eh'  avea  lacciuoh  a  gran  divizia, 

Rispose:  Malizioso  son  io  troppo, 

Quand'  io  procuro  a'  miei  maggior  tristizia.  ^  />•  Quando  prof.  - 

■^  ""  Al.(?)/?.  r./;.  a  mia 

112.    Alichin  non  si  tenne,  e  di  rin toppo 

Agli  altri,  disse  a  lui:  Se  tu  ti  cali, 
Io  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo. 


J    l.  o  vedei'f 
/i.  IJ.  hiooniinciò 


l.  V  Loinb.  — 
D.  Lomb.,  ne  1 


/i.  Si  che  non  - 

IJ.  eh'  io  non  tenia 

/i.  e.  seggendo 

fi.  eh'  io  s«» 

//.  I).  Quando  suf. 

A.  1.  allora  che  alcun 
fuor 


IJ.  E  quei  -   e.  V. 
dovizia 


93.  Già  s'  app.  —  94.  preposto  —  95.  fedire    —  ' 
.  procaccio  —  a  me  macjg. 


B.  Disse:  Statti  costà  ||  Eh.  disse:  tratti  là   -    iO().  li  Malebr.  -  Iffi,  seguendo  - 


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144 


CERCH.  vili.    BOLO.    8.    BARATTIERI.         INFERNO     XXII.     115—138. 


ZUFFA    DE    DEMONI. 


I.  *2.  3.  (li  col{Mi 


1.  E  p.    -■ 
valse 


115.    Ma  batterò  sopra  la  pece  1'  ali: 

Lascisi  il  colle,  e  sia  la  ripa  scudo 
A  veder  se  tu  sol  più  di  noi  vali. 

118.    0  tu,  che  leggi,  udirai  nuovo  ludo! 

Ciascun  dall'  altra  costa  gli  occhi  volse; 
Quei  prima,  eh'  a  ciò  fare  era  più  crudo. 

121.    Lo  Navarrese  ben  suo  tempo  colse, 

Fermò  le  piante  a  terra,  ed  in  un  punto 
Saltò,  e  dal  proposto  lor  si  sciolse. 

124.    Di  che  ciascun  di  colpa  fu  compunto, 

Ma  quei  più,  che  cagion  fu  del  difetto; 
Però  si  mosse,  e  gridò:  Tu  se'  giunto. 
1.2. 3.  poco  127.    Ma  poco  i  valse:  che  l'ale  al  sospetto 

Non  poterò  avanzar:  quegli  andò  sotto, 
E  quei  drizzò,  volando,  suso  il  petto: 

130.    Non  altrimenti  1'  anitra  di  botto, 

Quando  il  falcon  s'  appressa,  giù  s'  attuffii, 
Ed  ei  ritorna  su  crucciato  e  rotto. 

133.    Irato  Calcabrina  della  buffa, 

Volando  dietro  gli  tenne,  invaghito 
Che  quei  campasse,  per  aver  la  zuffa. 

136.    E  come  il  barattier  fii  disparito, 

Così  volse  gli  artigli  al  suo  compagno, 
E  fu  con  lui  sopra  il  fosso  ghermito. 


^.  1.  il  collo  (?)  —  A.  m 
sien  le  reni 


A.  B.  di  colpo 

D.  quei,  che  più  ra'^. 


B.  e.  K  poco  i  T.  D. 
Poco  lì  ▼.  —  A.y  aii 
r.  r  alìe 


A.  2.  C.  E  quei 
rii.  giù 


D.t. 


B.  C.  D.  dispartìt4» 


B.  gremito 


119.   altra  parte   —   120.   Quel  primo  —   123.  e  al  prop.   —   si  tolse   —    124.  del  colpo    -    127.  valse,  e  1"  ale    -    il  sospetto 
1%.  dipartito        138.  fu  colui 


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CERCH.  vili.    BOLO.    6.   BARATTIERI.         INFERNO     XXII.     139—151. 


ZUFFA    I>E    DEMONI. 


145 


hrrinidor 


139.    Ma  r  altro  fu  bene  sparvier  grifagno 
iinendae3.*inb€dae  Ad  artigliar  ben  lui,  ed  ambo  e  due 

Cadder  nel  mezzo  del  bogliente  stagno. 

142.   Lo  caldo  sghermitor  subito  fue: 
Ma  però  di  levarsi  era  niente, 
Sì  aveano  inviseate  1'  ale  sue. 

145.  Barbariccia,  con  gli  altri  suoi  dolente, 
Quattro  ne  fé'  volar  dall'  altra  costa 
Con  tutti  i  raffi,  ed  assai  prestamente 

148.    Di  qua,  di  là  discesero  alla  posta: 

Porser  gli  uncini  verso  gì'  impaniati, 
Ch'  eran  già  cotti  dentro  dalla  crosta: 

151.    E  noi  lasciammo  lor  così  impacciati. 


H,  amendue    C.  1).  am- 
bedue 


lì.  l).  schermi tor 

r.  r  ali 

K.  ne  fa 
D.  i  ffrafK 

A.  Porson 
A.  m.  costa 


142.  ffgremitoT  —  144.  invischiate  --  150.  erano  cotti  —  della  cr. 


19 


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CANTO  VENTESIMOTERZO 


1.2, 


Tiime  ì  fr. 
3.  <1*  Isopo 


.  2.  3.  Che  caue 


Xaciti,  soli  e  senza  compagnia, 
N'  andavam  V  un  dinanzi  e  i'  altro  dopo , 
Come  frati  minor  vanno  per  via. 
4.    Volto  era  in  sulla  favola  di  Esopo 

Lo  mio  pensier  per  la  presente  rissa, 
Dov'  ei  parlò  della  rana  e  del  topo: 
7.    Che  più  non  si  pareggia  mo  ed  issa, 

Che  r  un  con  V  altro  fa,  se  ben  s'  accoppia 
Principio  e  fine  con  la  mente  fissa: 

IO.    E  come  1'  un  pensier  dell'  altro  scoppia. 
Così  nacque  di  quello  un  altro  poi. 
Che  la  prima  paura  mi  fé'  doppia. 

13.    Io  pensava  così:  Questi  per  noi 

Sono  scherniti,  e  con  danno  e  con  befla 
Si  fatta,  eh'  assai  credo  che  lor  noi. 

16.    Se  r  ira  sopra  il  mal  voler  s'  aggueffa, 
Ei  ne  verranno  dietro  più  crudeli 
Che  '1  cane  a  quella  lepre  eh'  egli  acceffa. 


D.  in«azì 
H.  Come  i  fr. 
f{.  e.  d*  Isopo 


1.  soli. 


■  2.  Andavam  —  7.  s*  «pp«reggia  —  IO.  dall'  altro  —  16..  fa  gueffa  —  18.  che  1'  acceffa 

19* 


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DANTE    E    VIRGILIO. 


148  rKRCH.  Vili.  BOLO.  6.  IPOCRITI.  INFERNO    XXIII.    19  —  42. 

i.tuttarr. 2.3.tuuoarr.  19.    Già  mì  scntìa  tutti  amccìar  li  peli 

Della  paura,  e  stava  indietro  intento, 
Quando  io  dissi:  Maestro,  se  non  celi 
22.    Te  e  me  tostamente,  i'  ho  pavento 

Di  Malebranche:  noi  gli  avem  già  dietro: 
Io  gì'  immagino  sì,  che  già  gli  sento. 
25.    E  quei:  S'io  fossi  d'impiombato  vetro, 
L' imagine  di  fuor  tua  non  trarrei 
Più  tosto  a  me,  che  quella  d'  entro  impetro, 
i.  2. 3.  venicno  i         28.    Pur  mo  veuiau  li  tuoi  pensier  tra  i  miei 

Con  simile  atto  e  con  simile  faccia, 
Si  che  d' intrambi  un  sol  consiglio  fei. 
31.    S'  egli  è  che  sì  la  destra  costa  giaccia. 

Che  noi  possiam  nell'  altra  bolgia  scendere, 
Noi  fiiggirem  l' immaginata  caccia. 
•2. 3.  compio  H4.    Già  non  compiè  di  tal  consiglio  rendere, 

1. 2.  laie  Ch'io  gli  vidi  venir  con  1'  ali  tese. 

Non  molto  lungi,  per  volerne  prendere. 
37.    Lo  Duca  mio  di  subito  mi  prese, 

Come  la  madre  eh'  al  romore  è  desta, 
E  vede  presso  a  se  le  fianune  accese, 
40.    Che  prende  il  figlio  e  fugge  e  non  s'  arresta. 
Avendo  più  di  lui  che  di  se  cura. 
Tanto  che  solo  una  camicia  vesta: 


B.  C.  tutt*  irr 
(\  dietro  -  IJ  i 

C.  QoAado  ih*' 
C.  D.  i«»  p»T 

A.  2.  (    hr:  >!t 

B.  mio 

A.  di  piotalu-j) 


fì.  venÌAOo  1 


A.  1.  D.  il'  iiitn:: 


C  compier 
B.  D.  r  ale  < 


B.  eh*  a  Tomorr 


'JO.  Dalla  imura 


ì 


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PERCH.  Vili.   BOLO.    6.   IPOCHITI. 


INFERNO    XXra.    43  —  66. 


DANTE    K    VIRGILIO. 


149 


1.  2.  3.  collo 


2.  .1  fii;lio  e  non 

2.  3.  furij  i 

1  eiunscr  in  sul.      3. 
^iunser  sul 


1. 1  3.  fatte 

1.  2.  3.  per  li  mon.  iif 

CologDA 


43.    E  giù  dal  colle  della  ripa  dura 

Supin  si  diede  alla  pendente  roccia, 
Che  r  un  dei  lati  all'  altra  bolgia  tura. 

4B.    Non  corse  mai  sì  tosto  acqua  per  doccia 
A  volger  rota  di  molin  terragno, 
Quand'  ella  più  verso  le  pale  approccia , 

49.    Come  il  Maestro  mio  per  quel  vivagno, 
Portandosene  me  sopra  il  suo  petto. 
Come  suo  figlio,  non  come  compagno. 

52.    Appena  fur  li  pie  suoi  giunti  al  letto 

Del  fondo  giù,  eh'  ei  furono  in  sul  colle 
Sopresso  noi:  ma  non  gli  era  sospetto; 

55.    Che  r  alta  provvidenza,  che  lor  volle 
Porre  ministri  della  fossa  quinta, 
Poder  di  partirs'  indi  a  tutti  toUe. 

58.    Laggiù  trovammo  una  gente  dipinta, 

Che  giva  intorno  assai  con  lenti  passi 
Piangendo,  e  nel  sembiante  stanca  e  vinta. 

61.    Egli  avean  cappe  con  cappucci  bassi 
Dinanzi  agli  occhi,  fatti  della  taglia 
Che  in  Clugni  per  li  monaci  fassi. 

64.    Di  fuor  dorate  son,  si  eh'  egli  abbaglia; 
Ma  dentro  tutte  piombo,  e  gravi  tanto. 
Che  Federico  le  mettea  di  paglia. 


tì.  a  D.  dal  rollo 


fi.  furo  i 


J.  Poner  min. 


li.  (\  fatte  dell» 

e.  Crugui  —    B.  JJ.  per 
li  mon.  in  Colonia 


D.  tutto  e  piombo 


44.  repente  roccia  —  46.  sì  forte  ||  si  ratto  —  61.  Si  come  f. ,  non  come  ||  Non  come  f. ,  ma  come  —  53.  che  ci  furou  sul  ||  che  <jui 
f«ron  sul  —  56.  nella  fossa  —  57.  Poder  partirsi  quindi  ||  Potere  indi  partirsi  —  59.  già  dint.  ||  giano  attorno  —  62.  a  quella  tacrlia  —  ()3.  Che 
'  'olisDÌ  II  Che  in  Colignì  ||  Che  in  Colognia  ||  Che  in  Colonia  |j  Che  di  Col.   -  per  monaci  —  64.  orate  son 


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150 


CERCH.  Vili.    BOLO.    6.    IFOCRITI. 


INFERNO    XXin.    67-90. 


FRATI   GODENTI. 


1.  fatto  il  u. 


2.  3.  duo 


1.  il  peso 


li.i 


H7.    0  in  eterno  faticoso  manto  ! 

Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca    u. 

Con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto: 
70.    Ma  per  lo  peso  quella  gente  stanca 

Venia  si  pian,  che  noi  eravam  nuovi 

Di  compagnia  ad  ogni  mover  d'  anca. 

75.  Perch'  io  al  Duca  mio  :  Fa  che  tu  trovi 

Alcun,  eh'  al  fatto  o  al  nome  si  conosca, 
E  gli  occhi  si  andando  intorno  movi. 

76.  Ed  un,  che  intese  la  parola  Tosca, 

Diretro  a  noi  gridò:  Tenete  i  piedi, 
Voi,  che  con-ete  si  per  1'  aura  fosca: 

79.   Forse  eh'  avrai  da  me  quel  che  tu  chiedi. 
Onde  il  Duca  si  volse,  e  disse:  Aspetta, 
E  poi  secondo  il  suo  passo  procedi. 

82.  Ristetti,  e  vidi  due  mostrar  gran  filetta 
Deir  animo,  col  viso,  d'  esser  meco; 
Ma  tardavagU  il  carco  e  la  via  stretta. 

85.    Quando  fur  giunti,  assai  con  1'  occhio  bieco 
Mi  rimiraron  senza  far  parola: 
Poi  si  volsero  in  se,  e  dicean  seco: 

88.    Costui  par  vivo  all'  atto  della  gola: 

E  s'  ei  son  morti,  per  qual  privilegio 
Vanno  scoperti  della  grave  stola? 


voUj.  par  tài 


A.  1.  Wniat 


71.  Veuìen  —  74.  Ciascun  —  75.  E  1*  occhio  —  si  in  and.  —  77.  Fermate  i  p.  —  78.  la  ria  fosca  —  81.  seco  del  suo  -  Jìix  ^'^ 
><7.  Tolgieno  —  insieme 


ì 


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CKECH.  Vili.    BOLO.    6.    IPOCRITI. 


INFERNO    XXIII.    91  —  114. 


FRATI    GODENTI. 


151 


.  VA  uu 


l.  "i.  3.  e  coshii 


i.l>3.  rh'  tLKÌì  occhi 


91.    Poi  disser  me:  0  Tosco,  eh'  al  collegio 
DegF  ipocriti  tristi  se'  venuto, 
Dir  chi  tu  sei  non  avere  in  dispregio. 
!)4.    Ed  io  a  loro:  Io  fili  nato  e  cresciuto 

Sopra  il  bel  fiume  d'  Arno  alla  gran  villa , 
E  son  col  corpo  eh'  i'  ho  sempre  avuto. 
97.    Ma  voi  chi  siete,  a  cui  tanto  distilla, 

Quant'  io  veggio,  dolor  giù  per  le  guance, 
E  che  pena  è  in  voi  che  si  sfavilla? 

100.    E  r  un  rispose  a  me:  Le  cappe  rance 
Son  di  piombo  si  grosse,  che  li  pesi 
Fan  cosi  cigolar  le  lor  bilance. 

103.    Frati  Godenti  fiimmo,  e  Bolognesi, 
Io  Catalano,  e  questi  Loderingo 
Nomati,  e  da  tua  terra  insieme  presi, 

10(5.    Come  suole  esser  tolto  un  uom  solingo 
Per  conservar  sua  pace,  e  fiimmo  tali, 
Ch'  ancor  si  pare  intomo  dal  Gardingo. 

109.    Io  cominciai:  0  frati,  i  vostri  mali... 

Ma  più  non  dissi:  eh'  air  occhio  mi  corse 
Un,  crocifisso  in  terra  con  tre  pali. 

112.    Quando  mi  vide,  tutto  si  distorse, 
Soffiando  nella  barba  coi  sospiri: 
E  il  frate  Catalan,  eh'  a  ciò  s'  accorse, 


e.  Poi  mi  disser 


A.  t.  lì.  Di"  ohi 
n'  av. 


A.  1.  sì  grosso 


H.  e  A  li  occhi 


A    1.  con  soBp. 

A.  2.  (\  K  frate  Cnt. 


91.  Poi  (lisscrmi  -   93.  non  1'  «Tcre  —  «  dispregio  —  108.  p*r  dintorno  —  Grandingo 


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152 


OKRCH.  Vili.    HOLG.    6.    IPOCRITI. 


INFERNO    XXin.    115-138. 


CAIFA,    ANNA. 


115.    Mi  disse:  Quel  confitto,  che  tu  miri, 
Consigliò  i  Farisei,  che  convenia 
Porre  un  uom  per  lo  popolo  a'  martiri, 
i.  2. 3.  peruv.  118.    Attravcrsato  e  nudo  è  nella  via, 

i.  che  sentn         '  Comc  tu  vcdl,  cd  c  mcstlcr  eh'  ei  senta 

Qualunque  passa  com'  ei  pesa  pria: 
121.    Ed  a  tal  modo  il  suocero  si  stenta 
1. 2.  dal  conc.  Ih  qucsta  fossa,  e  gli  altri  del  concilio 

Che  fii  per  li  Giudei  mala  sementa. 
124.    Allor  vid'  io  mara\4gliar  VirgiUo 

Sopra  colui  eh'  era  disteso  in  croce 
Tanto  vilmente  nell'  eterno  esilio. 
127.    Poscia  drizzò  al  frate  cotal  voce: 

Non  vi  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci 
Se  alla  man  destra  giace  alcuna  foce, 
i.  amendue  2.  amenduo  ISO.    Oudc  uoì  ambo  c  duc  posslamo  uscirci 

3.  ambedue 

Senza  costringer  degli  angeli  neri, 
u  d-  est.»  loco  Che  vegnan  d'  esto  fondo  a  diparth'ci. 

133.    Rispose  adunque:  Più  che  tu  non  speri 

S'  appressa  un  sasso ,  che  dalla  gran  cerchia 
Si  move,  e  varca  tutti  i  vallon  feri, 
i.  2.  s.  che  .juesto        13(>.    Salvo  ch' a  questo  h  rotto,  e  noi  coperchia: 

Montar  potrete  su  per  la  mina. 
Che  giace  in  costa,  e  nel  fondo  soperchia. 


J).  omf  i^f-A 


B.  dal  roDP. 


U.  P..i  ilirizi 


/?. 


C.  «mcodw 
i»edue 


D.  Risp.  11! 


1.  (?i  n  li 

che  «^iL 


118.  nudo  nella  —  119.  vedi,  e  di  mestier  ||  vedi,  è  mestier  —  122.  quella  fossa  —  123.  Che  fur  —  127.  Poscia  «li rixi"  -  »  ' 
130.  aniliiduo  —   131.  Senza  costretta  ||  Senza  scontrar  —  133.  Risp.  :  Adunque  più  —  137.  potete 


^ 


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CERCH.  vili.  BOLO.  6.  IPOCRITI.  INFERNO    XXIII.    139—148.  frate  catalano.  153 

VM).    Lo  Duca  stette  un  poco  a  testa  china, 
Poi  disse:  Mal  contava  la  bisogna 
(>olui,  che  i  peccato!'  di  là  uncina.  ^  r. />.  di  qua  une. - 

A.  m.  là  vicina 

142.    E  il  frate  :  Io  udi'  già  dire  a  Bologna  b.  dire  Boi. 

Del  Diavol  vizii  assai,  tra  i  quali  udi' 

(^h'  egU  è  bugiardo,  e  padre  di  menzogna. 
145.    Appresso  il  Duca  a  gran  passi  sen  gì, 

Turbato  un  poco  d' ira  nel  sembiante  : 

Ond'  io  dagV  incarcati  mi  parti' 
148.    Dietro  alle  poste  delle  care  piante. 


l-bj.  Dietro  alle  peste 


I  I.  20 


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CANTO  VENTESIMOQUARTO 


i.  2.  3.  a  casa 


1.  mutata  f. 


In  quella  parte  del  giovinetto  anno, 

Che  il  sole  i  crin  sotto  1'  Aquario  tempra, 
E  già  le  notti  al  mezzo  dì  sen  vaimo: 
4.    Quando  la  brina  in  sulla  terra  assempra 
L' imagine  di  sua  sorella  bianca, 
Ma  poco  dura  alla  sua  penna  tempra; 
7.    Lo  villanello,  a  cui  la  roba  manca, 

Si  leva  e  guarda,  e  vede  la  campagna 
Biancheggiar  tutta,  ond' ei  si  batte  Tanca: 

10.    Ritorna  in  casa,  e  qua  e  là  si  lagna. 

Come  il  tapin  che  non  sa  che  si  faccia; 
Poi  riede,  e  la  speranza  ringavagna, 

13.    Veggendo  il  mondo  aver  cangiata  faccia 
In  poco  d'  ora,  e  prende  suo  vincastro, 
E  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caccia: 

16.    Così  mi  fece  sbigottir  lo  Mastro, 

Quand'  io  gli  vidi  sì  turbar  la  fronte , 
E  così  tosto  al  mai  giunse  lo  impiastro: 


e,  i  crini  l'  Aq. 


A.  exeinpra 


R.  a  casa 
D.  taupiu 
r.  U.  sper.  il  ringav. 

.•1.  2.  C.  In  poca  d'  o. 


A.  I.  (?)  D.  Quando  gli 


3.  a  tncic/o  —  ti.  e  la  sua  —  pena  —  12.  rìucav.  |,  ricav.    -  17.  Quando  lo  vidi 


20* 


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156 


CERCH.  Vili.    BOLG.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXIV.    19-42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  2.  3.  vidi  imprima 


1.  2.  3.  istima 


1.  2.  3.  prerinto 


1.  2.  infine 


19.    Che  come  noi  venimmo  al  guasto  ponte, 
Lo  Duca  a  me  si  volse  con  quel  piglio 
Dolce,  eh'  io  vidi  prima  a  pie  del  monte. 

22.    Le  braccia  aperse,  dopo  alcun  consigUo 
Eletto  seco,  riguardando  prima 
Ben  la  mina,  e  diedemi  di  piglio. 

25.    E  come  quei  che  adopera  ed  estima. 

Che  sempre  par  che  innanzi  si  proveggia; 
Così,  levando  me  su  ver  la  cima 

28.    D'  un  ronchion,  avvisava  un'  altra  scheggia, 
Dicendo:  Sopra  quella  poi  t'  aggrappa; 
Ma  tenta  pria  s'  è  tal  eh'  ella  ti  reggia. 

31.    Non  era  via  da  vestito  di  cappa, 

Che  noi  a  pena,  ei  lieve,  ed  io  sospinto, 
Potevam  su  montar  di  chiappa  in  chiappa. 

34.    E  se  non  fosse,  che  da  quel  procinto, 

Più  che  dair  altro,  era  la  costa  corta. 
Non  so  di  lui,  ma  io  sarei  ben  Aànto. 

37.    Ma  perchè  Malebolge  in  ver  la  porta 
Del  bassissimo  pozzo  tutta  pende, 
Lo  sito  di  ciascuna  valle  porta 

40.    Che  r  una  costa  surge  e  Y  altra  scende: 
Noi  pur  venimmo  alfine  in  sulla  punta 
Onde  r  ultima  pietra  si  scoscende. 


ff.  e.  vidi  imprima 
B.  ap.  e  dopo 


li.  istima 


e;  »'  e  tal  che  ù  —  D 
«r  PTrdi  chr  ti 


B.  precinto 


(\  da  ciaac. 


B.  in  fine 


2L.  eh'  io  il  vidi  ||  che  '1  vidi  —  27.  per  la  cima  —  28.  rocchione  —  33.  di  clappa  in  ci.  ||  di  cia])pa  in  eiappa  ~  3^4.  tutto  pende  — 
4^  pietra  discose. 


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TERCH.  vili.    BOLO.    7.    LADRI.  INFERNO     XXIV.     43—66.  DANTK    E    VIROIMO.  157 

43.    La  lena  m'  era  del  polinon  sì  munta 

Quando  fili  su,  ch'io  non  potea  più  oltre,      ^.  guamr  io  n. 

Anzi  mi  assisi  nella  prima  giunta. 
4fi.    Omai  convien  che  tu  cosi  ti  spoltre ,  n.  cosi  che  t« 

Disse  il  Maestro,  che,  sedendo  in  piuma. 

In  fama  non  si  vien,  ne  sotto  coltre, 
49.    Senza  la  qual  chi  sua  vita  consuma, 

Cotal  vestigio  in  terra  di  se  lascia, 
i 3.  oa  in  acqua  Qual  fìimmo  in  aer  ed  in  acqua  la  schiuma: 

52.    E  però  leva  su ,  vinci  1'  ambascia 

Con  r  animo  che  vince  ogni  battagUa, 

Se  col  suo  grave  corpo  non  s'  accascia. 
ó5.    Più  lunga  scala  convien  che  si  sagUa: 

Non  basta  da  costoro  esser  partito: 

Se  tu  m' intendi,  or  fa  si  che  ti  vaglia. 
58.    Leva'  mi  allor,  mostrandomi  fornito 

Meglio  di  lena  eh'  io  non  mi  sentia; 

E  dissi:  Va,  eh'  io  son  forte  ed  ardito, 
fil.    Su  per  lo  scogUo  prendemmo  la  via, 

Ch'  era  ronchioso,  stretto  e  malagevole. 

Ed  erto  più  assai  che  quel  di  pria. 
tì4.    Parlando  andava  per  non  parer  fievole, 

1.  i.  3.  Onde  una  Ed    UUa    VOCC    USCIO     dall'    altro    fosso  ,  a.  l.  ina*  una  -   a  I). 

usci 

A  parole  formar  disconvenevole. 

44.  non  potei  —  47.  giacendo  in  p.  —  52.  Or  leva  su,  omai  vinci  —  54.  grere  pondo  —  62.  rocchioso  —  (io.  dell'  alto  f. 


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158 


(  KROH.  Vili.    B(»LG.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXIV.    67-90. 


DAMTK    E    VIRGILIO. 


1.  2.  3.  Ove  s'  ai{|riuui(e 


1.  2.  centri  —    1.  2.  3. 
anfr.sid. 


()7.    Non  so  che  disse,  ancor  che  sopra  il  dosso 
Fossi  dell'  arco  già  che  varca  quivi; 
Ma  chi  parlava  ad  ira  parea  mosso. 

70.    Io  era  volto  in  giù;  ma  gU  occhi  vivi 

Non  potean  ire  al  fondo  per  Y  oscui*o: 
Perch'  io  :  Maestro ,  fa  che  tu  arrivi 

7H.    Dall'altro  cinghio,  e  dismontiam  lo  muro; 
Che  com'  i'  odo  quinci  e  non  intendo. 
Cosi  giù  veggio,  e  niente  afliguro. 

7().    Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo, 

Se  non  lo  far:  che  la  domanda  onesta 
Si  dee  seguir  coli'  opera  tacendo. 

79.    Noi  discendemmo  il  ponte  dalla  testa. 
Dove  si  giunge  coli'  ottava  ripa, 
E  poi  mi  fu  la  bolgia  manifesta: 

82.    E  vidivi  entro  terribile  stipa 

Di  serpenti,  e  di  si  diversa  mena. 

Che  la  memoria  il  sangue  ancor  mi  scipa. 

85.    Più  non  si  vanti  Libia  con  sua  rena; 
Che,  se  chehdri,  iaculi  e  farce 
Produce,  e  ceneri  con  amfisibena; 

88.    Ne  tante  pestilenzie  ne  si  ree 

Mostrò  giammai  con  tutta  1'  Etiopia, 

Ne  con  ciò  che  di  sopra  il  mar  rosso  ee. 


fì.  Ove  -  A.  2.  B.  C  1). 
^'  ai(i;iun{;e 


A.  2.  C.  U.  di  serp.  di  si 


A.  1.  o  faree 

H.  C.  D.  oeutri 
H.  aiiphysib. 


(j8.  Kos»'  io   -   69.  ad  ire   —  77.  il  far  ||  è  il  far  ||  col  far   —  H5.  che  'n  stia  rena  —  HO.  Thè  »e  quella  idri  ||  Che  a'  ella  idri  (?)!| 
Chersi.  chelidri  —  iaculi,  farce  (?)  —  87.  Producer  ||  Produca  (?)  —  H8.  Non  tante  |l  Che  tante  —  90.  Non  con  ciò  —  hupra  al  mar 


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CEBCH.  vili.   BOLO.    7.   LADRI.  INFERNO    XXIV.    91—114.  VANNI  FL'cri.  159 

91.    Tra  questa  cruda  e  tristissima  copia 

Correvan  genti  nude  e  spaventate, 

Senza  sperar  pertugio  o  elitropia. 
94.    Con  serpi  le  man  dietro  avean  legate: 

Quelle  ficcavan  per  le  ren  la  coda 

E  il  capo,  ed  eran  dinanzi  aggroppate. 
97.    Ed  ecco  ad  un,  eh'  era  da  nostra  proda, 

S'  avventò  un  serpente,  che  il  trafisse 

Là  dove  il  collo  alle  spalle  s'  annoda. 
100.    Ne  0  si  tosto  mai,  ne  I  si  scrisse, 

Com'  ei  s'  accese  ed  arse,  e  cener  tutto 

Convenne  che  cascando  divenisse: 
103.    E  poi  che  fu  a  terra  sì  distrutto,  .j. />.  k  poi  eh- eì 

Ucruer-l.  2.  e  La    polvCr    SÌ    raCCOlSC    per     se    stessa,  ^.l.rirolse-^.e  perse 

er  sr 

(n<,ud  E  in  quel  medesmo  ritornò  di  butto:  ^.  in  quei 

106.    Cosi  per  li  gran  savi  si  confessa. 

Che  la  Fenice  more  e  poi  rinasce, 
Quando  al  cinquecentesimo  anno  appressa. 
^i*da  109.    Erba,  ne  biado  in  sua  vita  non  pasce, 

L  e  d-  am.  Ma  sol  d'  Inccuso  lagrime  ed  amomo  ;  h.  e  a*  «n. 

E  nardo  e  mirra  son  1*  ultime  fasce.  n.  e  mirra  e  nardo 

112.  E  qual  è  quei  che  cade,  e  non  sa  corno. 
Per  forza  di  demon  eh'  a  terra  il  tira, 
0  d'  altra  oppilazion  che  lega  T  uomo. 

•.13.  Sena»  aspettar  —  86.  Che  li  ficc.  ||  Le  quai  ficc.  —  per  li  ren  —  105.  E  quel  —  107.  lo  Fenice  -  liW.  biade 


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160  ( KR( H.  vili.  BOLO.  7.  LADRI.  INFERNO   XXIV.    115—138.  VANNI  Fiori. 

115.    Quando  si  leva,  che  intorno  si  mira 

Tutto  smarrito  dalla  gi'ande  angoscia  d.  ^^^t  ^. 

Ch'  egli  ha  sofferta,  e  guardando  sospira; 
1  IH.    Tal  era  il  peccator  levato  poscia. 
1. 2. 3. 0  Riustizia  -  0  potenzia  di  Dio  quanto  se'  vera  !  b,  o  veudtta  - 

1.  2.  3.  quanto  è  sev.  R.  «nianT'r  -• 

Che  cotai  colpi  per  vendetta  croscia. 

121.    Lo  Duca  il  domandò  poi  chi  egli  era: 

Perch'  ei  rispose:  Io  piovvi  di  Toscana, 
Poco  tempo  è,  in  questa  gola  fera. 

124.    Vita  bestiai  mi  piacque,  e  non  umana. 

Sì  come  a  mul  eh'  io  fui:  son  Vanni  Fucci 
Bestia,  e  Pistoia  mi  fu  degna  tana. 

127.    Ed  io  al  Duca:  Digli  che  non  mucci, 

E  domanda  qual  colpa  quaggiù  il  pinse: 
1. 2. 3.  uoui  già  di  Ch'  io  il  vidi  uomo  di  sangue  e  di  crucci.      ^'  '^  "«"  ^' 

1.  2.  3.  comicci  ma  di  -  fc 

130.    E  il  peccator,  che  intese,  non  s'infinse, 
Ma  drizzò  verso  me  1'  animo  e  il  volto, 
E  di  trista  vergogna  si  dipinse; 
1H3.    Poi  disse:  Più  mi  duol  che  tu  m'  hai  colto 
Nella  miseria,  dove  tu  mi  vedi, 
1. 2. 3.  quaucv  io  Che  quando  fili  dell'  altra  vita  tolto. 

13H.    Io  non  posso  negar  quel  che  tu  chiedi; 
•  In  giù  son  messo  tanto,  perch'  io  fui 
Ladro  alla  sacrestia  de' belli  arredi;  r.  oìm:. 

IH),  della  grande  —  117.  sofferto  —  120.  per  giustizia  (?)   —   scroscia  —  121.  Lo  Duca  doni.   —   123.  questa  l>otgis  -  C^  ^ 
Fucci  —  129.  lo  vidi 


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CERCH.  Vili.    BOLO.    7.    LAURI. 


INFERNO    XXIV.    139—151. 


VANNI    PUCCI. 


161 


3.  Neri 

l.  2.  3.  Firenze 


-.  3.  te  II  debbia 


1H9.    E  falsamente  già  fu  apposto  altrui. 

Ma  perchè  di  tal  vista  tu  non  godi. 
Se  mai  sarai  di  fuor  de'  lochi  bui, 

142.    Apri  gli  orecchi  al  mio  annunzio,  ed  odi: 
Pistoia  in  pria  di  Negri  si  dimagra, 
Poi  Fiorenza  rinnuova  genti  e  modi. 

145.    Tragge  Marte  vapor  di  vai  di  Magra 
Ch'  è  di  torbidi  nuvoli  involuto, 
E  con  tempesta  impetuosa  ed  agra 

148.    Sopra  campo  Picen  fia  combattuto: 

Ond'  ei  repente  spezzerà  la  nebbia. 
Si  eh'  ogni  Bianco  ne  sarà  feruto  : 

151.    E  detto  l'ho,  perchè  doler  ti  debbia. 


A.  1.  JJ.  fu  «ià 

//.  da*  luoghi 

D.  Pist.  pria  -  JJ.  Neri 
—  ^.  1.  dimaera 

R.  Firenze 

A.  I.  Macra 

A.  a  Che  di  torb. 

A.  1.  aera 

C.  Sovra  'l  campo 


fì.  ten  debbia 


141.  da'  luo{(hi  ||  d'  esti  luoghi  —  143.  dismagra  —  146.  nuv.  è  involuto 


21 


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CANTO  VENTESIMOQUINTO 


3    ani  ho  duo 


*2   3.  T. ,  Dio 


RiliattcìKln 


2.  3.  Sp.  non  V. 
2.  3.  eie'  muri 


IJ.  con  essa 


3.  Wii.  grillando 


joLÌ  fine  delle  sue  parole  il  ladro 

Le  mani  alzò  con  ambedue  le  fiche, 

Gridando:  Togli,  Iddio,  che  a  te  le  squadro.     /?. Toga. dìo 
4.    Da  indi  in  qua  mi  fiir  le  serpi  amiche, 

Perch'  una  gU  s'  avvolse  allora  al  collo, 

Come  dicesse:  Io  non  vo'  che  più  diche: 
7.   Ed  un'  altra  alle  braccia,  e  rilegollo. 

Ribadendo  se  stessa  sì  dinanzi, 

Che  non  potea  con  esse  dare  im  crollo. 
10.    Ahi  Pistoia,  Pistoia,  che  non  stanzi 

D' incenerarti,  sì  che  più  non  duri, 

Poi  che  in  mal  far  lo  seme  tuo  avanzi. 
13.    Per  tutti  i  cerchi  dell'  inferno  oscuri 

Non  vidi  spirto  in  Dio  tanto  superbo, 

Non  quel  che  cadde  a  Tebe  giù  da'  muri. 
16.    Ei  si  fuggì,  che  non  parlò  più  verbo: 

Ed  io  vidi  un  Centauro  pien  di  rabbia 

Venir  chiamando:  Ov'  è,  ov'  è  T  acerbo?  r. />.  veu.  gridando 


A.  l.  D.  fare  il 
r.  Z>.  tutti  cerchi 
fì.  C.  Sp.  non  vidi 


*2.  ainbo  e  due   -  3.  To*  le  Iddio  —  6.  die:  Non  vo'  —  10.  che  non  stai, 
dell'  inf.  «Inri 


anzi  —  11.  D'  ingenerare,  si  ^  12.  mal  far  lo  tuo  mal  s. 


2r 


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164 


CERrH.    Vili.    BOLO.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXV.    19-42. 


1.  2.  ove 


1.  molte  Toltf 


1.  2.  3.  eh'  ei  f. 


i.  2.  3.  all'  altro 


19.    Maremma  non  cred'  io  che  tante  n'  abbia, 
Quante  bisce  egli  avea  su  per  la  groppa, 
Infin  dove  comincia  nostra  labbia. 

22.    Sopra  le  spalle,  dietro  dalla  coppa, 

Con  r  ale  aperte  gli  giacca  un  draco, 
E  quello  affoca  qualunque  s' intoppa. 

25.    Lo  mio  Maestro  disse:  Quegli  è  Caco, 
Che  sotto  il  sasso  di  monte  Aventino 
Di  sangue  fece  spesse  volte  laco. 

28.    Non  va  co'  suoi  fratei  per  un  cammino, 
Per  lo  fiutar  frodolente  che  fece 
Del  grande  armento ,  eh'  egli  ebbe  a  vicino  : 

31.    Onde  cessar  le  sue  opere  biece 

Sotto  la  mazza  d'  Ercole ,  che  forse 
GUene  die  cento,  e  non  sentì  le  dieee. 

34.   Mentre  che  sì  parlava,  ed  ei  trascorse, 
E  tre  spiriti  venner  sotto  noi. 
De'  quai  ne  io  ne  il  Duca  mio  s'  accorse, 

37.    Se  non  quando  gridar:  Chi  siete  voi? 
Per  che  nostra  novella  si  ristette. 
Ed  intendemmo  pure  ad  essi  poi. 

40.    Io  non  gU  conoscea;  ma  ei  seguette,     ' 
Come  suol  seguitar  per  alcun  caso. 
Che  r  un  nomare  un  altro  convenette. 


A.  V  ali 

A.  1.  Questi  (?) 
1).  del  monte 


D. 


«he  fr«MÌ.  f.  -  fi. 
eh'  ei  feee 


D.  Ne  Rli 


m.  verso  noi 


A.  1-  il  I>.  m.  né  io 


D.  iiov.  nostra 


29.  Per  lo  furo  ||  Per  lo  Airto  —  3&.  I  tre  spiriti  —  39.  Ed  attendemmo  —  42.  1*  un  nominar  1'  altro 


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TERCH.    Vili.    BOLO.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXV.    43-66. 


AOMKL    BRUNRLLESrni. 


165 


1.  '1.  amrndue     3.  nm- 
bfdue 


1.  2.  3.  albi-r 


43.    Dicendo:  Cianfa  dove  fia  rimaso? 

Perch'  io ,  acciocché  il  Duca  stesse  attento, 
Mi  posi  il  dito  su  dal  mento  al  naso. 

46.    Se  tu  sei  or.  Lettore,  a  creder  lento 
Ciò  eh'  io  dirò,  non  sarà  maraviglia. 
Che  io,  che  il  vidi,  appena  il  mi  consento. 

41).    Com'  io  tenea  levate  in  lor  le  ciglia, 

Ed  un  serpente  con  sei  pie  si  lancia 
Dinanzi  all'  uno,  e  tutto  a  lui  s'appiglia. 

52.    (.'oi  pie  di  mezzo  gli  avvinse  la  pancia, 
E  con  gli  anterior  le  braccia  prese; 
Poi  gli  addentò  e  Y  una  e  1'  altra  guancia. 

55     Gli  diretani  alle  cosce  distese, 

E  miseli  la  coda  tr'  ambe  e  due, 
E  dietro  per  le  ren  su  la  ritese. 

58.    EUera  abbarbicata  mai  non  fue 

Ad  arbor  sì,  come  V  orribil  fiera 

Per  r  altrui  membra  avviticchiò  le  sue  : 

61.    Poi  s'  appiccar,  come  di  calda  cera 

Fossero  stati,  e  mischiar  lor  colore; 

Ne  r  un  ne  1'  altro  già  parca  quel  eh'  era  : 

64.    Come  procede  innanzi  dall'  ardore 

Per  lo  papiro  suso  un  color  bruno, 

Che  non  è  nero  ancora,  e  il  bianco  more. 


I),  trai  m.  e  '1  n. 


/}.  levato 


A. 

M.  discesi' 

1). 

intr'  am. 

A.  2. 

/}. 

ambedue 

fi. 

(\ 

amendur 

e. 

l)arbacata 

H. 

an>er 

e.  »\\  uii 


4H.  rhe  '1  redo  ~*  50.  si  slancia  —  57.  le  reni  la  —  62.  state  —  (3.  I'  altrr»  non  parea  —  (i(>.  non  è  vivn 


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166 


rKHCH.    Vili.    BOLO.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXV.    67—90. 


riANFA    DONATI. 


()7.    Gli  altri  due  riguardavano,  e  ciascuno 
1.  Aimt^i  Gridava:  0  me,  Agnèl,  come  ti  muti! 

Vedi  che  già  non  sei  ne  due  ne  uno. 

70.    Già  eran  li  due  capi  un  divenuti, 

Quando  n'  apparver  due  figure  miste 
In  una  faccia,  ov'  eran  due  perduti. 

73.    Fersi  le  braccia  due  di  quattro  liste; 

Le  cosce  con  le  gambe,   il  ventre  e  il  casso 
Divenner  membra  che  non  fur  mai  viste. 

7().  Ogni  primaio  aspetto  ivi  era  casso: 
Due  e  nessun  Y  imagine  perversa 
Parca,  e  tal  sen  già  con  lento  passo. 

7J>.    ('ome  il  ramarro,  sotto  la  gran  fersa 
De'  dì  canicular  cangiando  siepe, 
Folgore  par,  se  la  via  attraversa: 

82.    (>osì  parca,  venendo  verso  1'  epe 

Degli  altri  due,  un  serpentello  acceso, 
Livido  e  nero  come  gran  di  pepe. 

85.    E  quella  parte,  donde  prima  è  preso 

Nostro  alimento,  all'  un  di  lor  trafisse; 
Poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso. 

88.  Lo  trafitto  il  mirò,  ma  nulla  disse: 
Anzi  coi  pie  fermati  sbadigliava, 
Pur  come  sonno  o  febbre  1'  assalisse. 


A.  2.   C.  D.  catuno 

B.  D.  .\u^el 

A.  due  corpi 


.4.  /.  fi.  Si  pareva 


A.  2.   C.  doud'  è  pr.  pr. 
—  ^.  1.  impr.  f- 


A.  2.  C.  i^iù  dinaiixi 


67.  altri  lo  rimi.    -  '58.  .Vgiiol  —  71.  m'  apparver  —  79.  Come  ramarn»  —  tìlJ.  Ne*  di  caii.  —  *tì.  parte,  mule  di  pr 


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CKRrH.    VII».    BOLO.    7.    LAURI. 


INFERNO    XXV.    91-114. 


GUERCIO    CAVALCANTI. 


167 


1.  2.  3.  H  iiiooiitrava 


1.  2.  J.  dove  tocctk 


1. 1  unnidiie    3.  ambe- 
due 


1.  2.  3.  materie 


91.    Egli  il  serpente,  e  quei  lui  riguardava: 

L'  un  per  la  piaga,  e  T  altro  per  la  bocca 
Fumavan  forte,  e  il  fiimmo  si  scontrava. 

94.    Taccia  Lucano  ornai,  là  dov'  ei  tocca 
Del  misero  Sabello  e  di  Nassidio, 
Ed  attenda  ad  udir  quel  eh'  or  si  scocca. 
Taccia  di  Cadmo  e  d'  Aretusa  Ovidio  : 

Che  se  quello  in  serpente,  e  quella  in  fonte 
Converte  poetando,  io  non  l'invidio: 
Che  due  nature  mai  a  fronte  a  fronte 


H.   C.  lì.  elove  torca 
A.  Sahellio 


97 


C,  e  non  r  iiiv. 


100 


Non  trasmutò,  sì  ch'ambo  e  due  le  forme     .j.  2.  ambod.  a  ambea. 

B.  C.  ameiul. 


A  cambiar  lor  materia  fosser  pronte. 

103.   Insieme  si  risposero  a  tai  norme, 

Che  il  serpente  la  coda  in  forca  fesse, 
E  il  feruto  ristrinse  insieme  1'  orme. 

106.    Le  gambe  con  le  cosce  seco  stesse 

S'  appiccar  sì,  che  in  poco  la  giuntura 
Non  facea  segno  alcun  che  si  paresse. 

109.    TogUea  la  coda  fessa  la  figura 

Che  si  perdeva  là,  e  la  sua  pelle 
Si  facea  molle,  e  quella  di  là  dura. 

112.    Io  vidi  entrar  le  braccia  per  1'  ascelle, 
E  i  due  pie  della  fiera,  eh'  eran  corti, 
Tanto  allungar,   quanto  accorciavan  quelle. 


H,  C.  materie 


(\  rosh* 


J.  m.  C.  peni.  i;ià 


95.  eh'  ora  scocea  —  99.  Converti  —  105.  E  il  trafitto  —  113.  E  due  pie  —  114.  ascortavan  ||  scorriavaii 


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168 


TERCH.    Vili.    BOLO.    7.    LADRI. 


INFERNO    XXV.    115  —  138. 


BUUSO    D.    ABATL 


1.  2.  3.  tr.  invcr 


1.  naso  la  f. 


1.  2.  8.  ijiaceva 


1.  2.  3.  fui^ge 


115.    Poscia  li  pie  diretro,  insieme  attorti, 

Diventaron  lo  membro  che  T  uom  cela, 
E  il  misero  del  suo  n'  avea  due  porti. 

118.    Mentre  che  il  fummo  1'  uno  e  1'  altro  vela 
Di  color  nuovo,  e  genera  il  pel  suso 
Per  r  una  parte ,  e  dall'  altra  il  dipela , 

121.    L'  un  si  levò,  e  1'  altro  cadde  giuso, 

Non  torcendo  però  le  lucerne  empie, 
Sotto  le  quai  ciascun  cainbiava  muso. 

124.    Quel  eh'  era  dritto,  il  trasse  ver  le  tempie, 
E  di  troppa  materia  che  in  là  venne. 
Uscir  gli  orecchi  delle  gote  scempie: 

127.    Ciò  che  non  corse  in  dietro  e  si  ritenne, 
Di  quel  soperchio  fé'  naso  alla  faccia, 
E  le  labbra  ingrossò  quanto  convenne. 

IHO.    Quel  che  giacca,  il  muso  innanzi  caccia, 
E  gli  orecchi  ritira  per  la  testa. 
Come  face  le  corna  la  lumaccia: 

1S3.    E  la  hngua,  che  avea  unita  e  presta 

Prima  a  parlar,  si  fende,  e  la  forcuta 
Neil'  altro  si  richiude ,  e  il  fummo  resta. 

1H6.    L'  anima,  eh'  era  fiera  divenuta. 

Si  fuggì  sufolando  per  la  valle, 

E  r  altro  dietro  a  lui  parlando  sputa. 


R.  trwsc  'a^w 


B,  iia*«>  fare»* 


B.  «ìàffTì 


1).  ««nf  f»  '^^ 


B.  fugsf     -^ 
fa«p 


120.  Dall*  una  p.  —  dell'  altra  —  altra  dip.  —  123.  quali  ciasc.  cambia  muso  —  126.  le  orecchie  -  per  le  g»jt«  -  I2S.  n*- 
131.  le  iireccliie  —  137.  Siif.  seii  Ì. 


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CERCH.    Vili.    BOLO.    7.    LADRI.  INFERNO     XXV.      139-  151.  PUCCIO    SCIANCATO. 

139.    Poscia  gli  volse  le  novelle  spalle, 

E  disse  all'altro:  Io  vo' che  Buoso  corra,    /;.  agii  altri 
Com' ho  fatt' io,  carpon,  per  questo  calle.      ».  com- fo -.o /^.  como 

142.  Così  vid'  io  la  settima  zavorra 

Mutare  e  trasmutare;  e  qui  mi  scusi 
s  ri  fior  - 1. 2. 1*  La  novità ,  se  fior  la  penna  abborra.  a.  m.  h.  u  lingua 

143.  Ed  avvegnaché  gli  occhi  miei  confusi 

Fossero  alquanto,  e  1'  animo  smagato, 

Non  poter  quei  fuggirsi  tanto  chiusi, 
148.    Ch'  io  non  scorgessi  ben  Puccio  Sciancato  : 

Ed  era  quei  che  sol,  de'  tre  compagni 

Che  venner  prima,  non  era  mutato: 
151.    L'  altro  era  quel  che  tu,  Gaville,  piagni. 


1%).  Poscia  ei  volse  —  141.  Come  io  faccio  (|  Come  fec*  io  —  144.  s*  è  fior  —  145.  Avvegnaché 


22 


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CANTO  VENTESIMOSESTO 


2.  3.  Firenze 


1.  2.  3.  del  Ter 


vTodi,  Fiorenza,  poi  che  sei  si  grande, 
Che  per  mare  e  per  terra  batti  Y  ali, 
E  per  r  inferno  il  tuo  nome  si  spande. 
4.    Tra  li  ladron  trovai  cinque  cotali 

Tuoi  cittadini,  onde  mi  vien  vergogna, 
E  tu  in  grande  onranza  non  ne  sali. 
7.    Ma  se  presso  al  mattin  il  ver  si  sogna, 
Tu  sentirai  di  qua  da  picciol  tempo 
Di  quel  che  Prato,  non  eh'  altri,  t'  agogna. 

10.   E  se  già  fosse,  non  saria  per  tempo. 
Così  foss'  ei,  da  che  pure  esser  dee; 
Che  più  mi  graverà,  com'  più  m'  attempo. 

13.   Noi  ci  partimmo,  e  su  per  le  scalee, 

Che  n'  avean  fatte  i  borni  a  scender  pria. 
Rimontò  il  Duca  mio,  e  trasse  mee. 

16.    E  proseguendo  la  solinga  via 

Tra  le  schegge  e  tra'  rocchi  dello  scoglio, 
Lo  pie  senza  la  man  non  §i  spedia. 


(\  Firenze 


A.  2.  B.  a  D.  del  ver 


J.  a  D.  fatti  borni 


A.  1.  lo  scheggio 


3.  inferno  tuu  —  6.  onoruua  —   12.  aggreveri  —  14.  Che  '1  bujor  n'  avea  fatto  se.  —   borni  scender  —   ascender  —  15.  il  mio 
»tni  —  IC.  perseguendo 

22- 


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172        TERCH.   Vili.  BOLO.   8.  MALI   CONSIOL.        INFERNO     XXVL     19—42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


fì.  zanzara 


A.  1.  colà  ove 


19.    AUor  mi  dolsi,  ed  ora  mi  ridoglio, 
1. 2. 3.  Quando  QuRiid'  io  diìzzo  la  mente  a  ciò  eh'  io  vidi  ;     ^-  ^'  ^-  Q»»»^"  - 

D.  a  quel 

E  più  lo  ingegno  affreno  eh'  io  non  soglio , 
22.    Perchè  non  corra,  che  virtù  noi  guidi; 
Sì  che  se  stella  buona,  o  miglior  cosa 
W  ha  dato  il  ben,  eh'  io  stesso  noi  m' invidi.  ^  ^  (•>  ^  ^"»'  •"*' 

—   B.  non  m' Inv. 

25.    Quante  il  villan,  eh'  al  poggio  si  riposa, 

Nel  tempo  che  colui  che  il  mondo  schiara 
La  faccia  sua  a  noi  tien  meno  ascosa, 
i.  2. 3.  zanza?»        28.    Comc  la  mosca  cede  alla  zenzara, 
1.  gii  per  Vede  lucciole  giù  per  la  vallea, 

1.  eoli  ove  Forse  colà  dove  vendemmia  ed  ara: 

31.    Di  tante  fiamme  tutta  risplendea 

L'  ottava  bolgia,  si  com'  io  m'  accorsi, 
1. 2. 3.  Tosto  che  Tosto  eh'  io  fui  là  've  il  fondo  parea. 

34.    E  qual  colui  che  si  vengiò  con  gU  orsi. 
Vide  il  carro  d'  EUa  al  dipartire , 
Quando  i  cavalli  al  cielo  erti  levorsi; 
37.    Che  noi  pò  tea  si  con  gU  occhi  seguire. 
1. 2. 3.  Che  veti.  ('Il' cì  vcdcssc  altro  che  la  fiamma  vsola, 

Sì  come  nuvoletta,  in  su  salire: 
40.    Tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola 

Del  fosso,  che  nessuna  mostra  il  furto, 
Ed  ogni  tì{ynma  un  peccatore  invola. 


B.  [).  T«>9to  ehe  -  A 1 
r.  I).  fui  dovei 


/>.  pò  te  a  con 

B.  D.  Che  ve.L  r.  Thi 
ved. 

(\  in  sul  sai. 


B.  Del  foeo 


U).  ed  ancor  mi  do^liu   —  27.  tiene  a  noi  nasc.   —  30.  Farsi  colà  —  33.  eh'  io  fui  ove    —  37.  con  1'  occhio   —  39.  in  suo  salire 


40.  si  muove 


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rKRcn.  vili.  BOLO.  8.  MALI  C0NSI6L.       INFERNO    XXVI.    43^66. 


ULISSE   E    DIOMEDE. 


173 


2.  3.  ri»posi 


!i.  3.  rorroii 


43.    Io  stava  sopra  il  ponte  a  veder  surto, 

Si  che,  s' io  non  avessi  un  ronchion  preso, 

Caduto  sarei  giù  senza  esser  urto. 
48.    E  il  Duca,  che  mi  vide  tanto  atteso. 

Disse  :  Dentro  da'  fochi  son  gli  spirti  : 

(ciascun  si  fascia  di  quel  eh'  egli  è  inceso. 
41).    Maestro  mio,  rispos' io,  per  udirti  //.risposi 

Son  io  più  certo;  ma  già  m'  era  avviso 

Che  così  fiisse,  e  già  voleva  dirti: 
52.    Chi  è  in  quel  foco,  che  vien  si  diviso 

Di  sopra,  che  par  surger  della  pira, 

Ov'  Eteòcle  col  fratel  fii  miso  ? 
55.    Risposemi:  Là  entro  si  marth'a 

Ulisse  e  Diomede,  e  cosi  insieme 

Alla  vendetta  vanno  come  all'  ira  : 
58.    E  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme 

L'  aguato  del  cavai,  che  fé'  la  porta 

Ond'  usci  de'  Romani  il  gentil  seme. 
61.    Piangevisi  entro  1'  arte,  per  che  morta 

Deidamia  ancor  si  duol  d'  Achille , 

E  del  Palladio  pena  vi  si  porta. 
(>4.    S'  ci  posson  dentro  da  quelle  faville  r.  se  possou 

Parlar,  diss' io,  Maestro,  assai  ten  prego 

E  riprego,  che  il  prego  vaglia  mille. 


U.  dalla  pira 


D.  Kispuse  a  me 
l).  dentro 


H.  rumili 


14.  rocchion  —  48.  che  s;li  è  ine.  ~  50.  m'  era  viso  -^  54.  Dov'  Et 


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174        f^ERCH.   Vili.   BOLO.    8.   MALI    CONSIGL.         INFERNO     XXVI.     67—90.  VI 

fi7.    Che  non  mi  facci  dell'  attender  nego, 

Finche  la  fiamma  cornuta  qua  vegna: 
Vedi  che  del  disio  ver  lei  mi  piego. 

70.    Ed  egli  a  me:  La  tua  preghiera  è  degna 
Di  molta  lode ,  ed  io  però  V  accetto  ; 
Ma  fa  che  la  tua  Ungua  si  sostegna. 

7H.    Lascia  parlare  a  me  :  eh'  io  ho  concetto 

Ciò  che  tu  vuoi:  eh'  ei  sarebbero  schivi, 
Perch'  ei  fiir  Greci,  forse  del  tuo  detto. 

76.    Poiché  la  fiamma  fii  venuta  quivi, 
1.  a.  3.  Ove  Dove  parve  al  mio  Duca  tempo  e  loco, 

In  questa  forma  lui  parlare  andini: 

79.  0  voi,  che  siete  due  dentro  ad  un  foco, 
S' io  meritai  di  voi  mentre  eh'  io  \dssi, 
S' io  meritai  di  voi  assai  o  poco, 

82.    Quando  nel  mondo  gU  alti  versi  scrissi, 
Non  vi  movete;  ma  1'  un  di  voi  dica 
Dove  per  lui  perduto  a  morir  gissi. 

85.    Lo  maggior  corno  della  fiamma  antica 
Cominciò  a  crollarsi  mormorando. 
Pur  come  quella  cui  vento  affatica. 

88.    Indi  la  cima  qua  e  là  menando. 

Come  fosse  la  lingua  che  parlasse, 
Gittò  voce  di  fuori,  e  disse:  Quando 


B.  eh*  i'  r  h« 


(\  Perchè  Air 


li.  Ore 


B,  Ove 


D.  che  vento 
V.  lÀ  e  i|ua 


09.  ver  lor  —  73.  che  io  concetto  —  74.  Ciò  che  vuoi  dir  —  78.  fornm  a  lui  —  84.  pcrdutto  ~  90.  GitU»  voci  ||  Gittò  foco  ||  Vocitò  voce 


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rKRCH.   Vili.  BOLO.   8.  MALI  CONSIOL.       INFERNO    XXVI.    91-- 114. 


ULISSE. 


175 


>ot«ro  —  3.  a  me 


L  3.  iustu 


,  3.  Marroeco 


91.    Mi  diparti'  da  Circe,  che  sottrasse 

Me  più  d'  un  anno  là  presso  a  Gaeta,  ^.  cajet» 

Prima  che  si  Enea  la  nominasse; 
94.    Ne  dolcezza  di  figlio,  ne  la  pietà 

Del  vecchio  padre,  ne  il  debito  amore, 

Lo  qual  dovea  Penelope  far  Ueta,  4  Penelope 

97.    Vincer  poter  dentro  da  me  1'  ardore 

Ch'  r  ebbi  a  divenir  del  mondo  esperto , 

E  degli  vizii  umani  e  del  valore: 
100.    Ma  misi  me  per  Y  alto  mare  aperto 

Sol  con  un  legno  e  con  quella  compagna 

Picciola,  dalla  qual  non  fui  deserto. 
103.    L'  un  lito  e  V  altro  vidi  infin  la  Spagna, 

Fin  nel  Morrocco,  e  l' isola  de'  Sardi, 

E  r  altre  che  quel  mare  intorno  bagna. 
106.    Io  e  i  compagni  eravam  vecchi  e  tardi, 

Quando  venimmo  a  quella  foce  stretta, 

Ov'  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi, 
109.    Acciocché  1' uom  più  oltre  non  si  metta: 

Dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilla, 

Dall'  altra  già  m'  avea  lasciata  Setta. 
112.    0  frati,  dissi,  che  per  cento  miUa 

Perigli  siete  giunti  all'  occidente,  a.  2.  r.  punti  «ete 

A  questa  tanto  picciola  vigilia  a.  piccola 


(\  D.  Piccola 
B.  vidi  insin 
/>.  Fin  al 


A.  2.  C.  U.  I)«v'  Ere. 


97.  Vincer  poteo  ^  dentro  me  —  96.  ebbi  divenir  —  1(U.  della  qual  —  103.  lito  vidi  e  1*  altro  —  104.  Mcmrocco  —  105.  K  1'  altra  — 


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176        CERCH.    vili.   BOLO.    8.    MALI    CONSIOL.        INFERNO     XXVI.     115—138.  ULISSE. 

1.  dirimali.  115.    De' vostri  sensi,  eh' è  del  lìmanente,  e.  dc  nostri  -  ^.  di 

rim. 

Non  vogliate  negar  1'  esperienza, 

Diretro  al  sol,  del  mondo  senza  gente. 
118.    Considerate  la  vostra  semenza: 

Fatti  non  foste  a  viver  come  bruti, 

Ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza. 
121.    Li  miei  compagni  fec' io  sì  acuti,  j.  »..  r. />./.  arguti 

Con  questa  orazion  picciola,  al  cammino, 

Che  appena  poscia  gli  avrei  ritenuti. 
124.    E,  volta  nostra  poppa  nel  mattino. 

De'  remi  facemmo  ale  al  foUe  volo,  ^  «i^ 

1. 2.  H.  <iei  lak.  Scmprc  acquistando  dal  lato  mancino. 

127.    Tutte  le  stelle  già  dell'  altro  polo 

Vedea  la  notte,  e  il  nostro  tanto  basso, 

Che  non  surgeva  fuor  del  marin  suolo. 
130.    Cinque  volte  racceso,  e  tante  casso 

Lo  lume  era  di  sotto  dalla  luna,  ^i.  m.  r.  z>.  ddia  lun. 

Poi  eh'  entrati  eravam  nell'  alto  passo ,  /?.  »itro  p. 

133.    Quando  n'  apparve  una  montagna  bruna 

Per  la  distanza,  e  parvemi  alta  tanto. 

Quanto  veduta  non  n'aveva  alcuna.  .4.  a  non  av^va 

136.    Noi  ci  allegrammo,  e  tosto  tornò  in  pianto; 
1. 2.  .3.  •  dalla  Che  dcUa  nuova  terra  un  turbo  nacque , 

E  percosse  del  legno  il  primo  canto. 

119.  utili  siete  —  120-  virtù  e  con.  —  1*23.  sverei  tenuti  —  125.  a  folle  v.  —  127.  alto  polo  —  129.  siirgea  di  fuor  —   131.  Il  lume  - 
134.  pareami  —  135.  non  m"  avea  —  137.  un  trombo  nacque 


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ci:nrii.  viii.  bolo.  8.  mali  consiol.     INFERNO    XXVI.    139-  142.  Ulisse.  177 

139.    Tre  volte  il  fé'  girar  con  tutte  Y  acque, 
Alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso, 
E  la  prora  ire  in  giù,  com'  altrui  piacque. 

142.    Infin  che  il  mar  fu  sopra  noi  richiuso. 


141.  K  ritornar  in  giù,  come 


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CANTO  VENTESIMOSETTIMO 


ijrià  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  qiieta, 
Per  non  dir  più,  e  già  da  noi  sen  già 
Con  la  licenza  del  dolce  Poeta; 
4.    Quando  un'  altra,  che  dietro  a  lei  venia, 
Ne  fece  volger  gli  occhi  alla  sua  cima, 
Per  un  confuso  suon  che  fuor  n'  uscia. 
7.    Come  il  bue  CiciUan  che  mugghiò  prima 
Col  pianto  di  colui  (e  ciò  fu  dritto) 
Che  r  avea  temperato  con  sua  Urna, 
10.    Mugghiava  con  la  voce  dell'  afflitto, 

Sì  che,  con  tutto  eh'  ei  fosse  di  rame, 
u  Purf  par.  Purc  c'  parcva  dal  dolor  trafitto  : 

13.    Così  per  non  aver  via  ne  forame, 
1. 2. 3.  del  foco  Dal  principio  nel  foco ,  in  suo  linguaggio         a.  w.  b.  c.  d.  dei  foco 

Si  convertivan  le  parole  grame. 
16.    Ma  poscia  eh'  ebber  colto  lor  viaggio  ^i.  r^chebbe 

Su  per  la  punta,  dandole  quel  guizzo  d.  cundoii 

Che  dato  avea  la  lingua  in  lor  passaggio, 

1.  fiamma  queta  —  12.  Ei  pur  mugghiava  dal  —  14.  Da  principio 

23* 


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180        CERCH.    Vili.    BOLO.    8.    MALI    CONSIGL.         INFERNO     XXVII.      19  —  42. 


GUIDO    DA    MONTEFELTHO. 


1.    *  isto    2.  3.   issa 
I.  2.  3.  aizzo 


1.  2.  3.  onde  mia 


l.  2.  .3.  che  Tever 


1.  2.  3.  Ma  i>al. 
3.  or  vcn 

3.  come  e  st. 
3.  In  si  cova 


19.    Udimmo  dire:  0  tu,  a  cui  io  drizzo 

La  voce,  e  che  parlavi  mo  Lombardo, 
Dicendo:  istra  ten  va,  più  non  t'  adizzo: 

22.    Perch'  io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo, 
Non  t' incresca  restare  a  parlar  meco: 
Vedi  che  non  in  cresce  a  me,  ed  ardo. 

25.    Se  tu  pur  mo  in  questo  mondo  cieco 
Caduto  sei  di  quella  dolce  terra 
Latina ,  ond'  io  mia  colpa  tutta  reco , 

28.    Dimmi  se  i  Romagnuoli  han  pace,  o  guerra; 
Ch'  io  fili  de'  monti  là  intra  Urbino 
E  il  giogo  di  che  '1  Tever  si  disserra. 

31.    Io  era  ingiuso  ancora  attento  e  chino, 

Quando  il  mio  Duca  mi  tentò  di  costa, 
Dicendo:  Parla  tu,  questi  è  Latino. 

M.    Ed  io  eh'  avea  già  pronta  la  risposta. 
Senza  indugio  a  parlare  incominciai: 
0  anima,  che  se'  laggiù  nascosta, 

37.    Romagna  tua  non  è,  e  non  fu  mai. 

Senza  guerra  ne'  cor  de'  suoi  tiranni: 
Ma  'n  palese  nessuna  or  vi  lasciai. 

40.    Ravenna  sta,  come  stata  è  molti  anni: 
L'  aquila  da  Polenta  la  si  cova, 
Si  che  Cervia  ricopre  co'  suoi  vanni. 


A.  in  «tra     ('.  stra 


IJ.  ti  ria  or.  stare 
S.   r.  risUre 


I).  no  rincresce 


B.  onde  —  A.  2.  (\  tutta 
mia  e. 


//.  «he  Tcvcr 
A.  2.  r.  intento 


(\  pronta  srià 


B.  or  veii 


10.  n  cui  dirizzo   —   21.  istà  ten  va  ||  sta  ten  va  ||  statti  o  va  —  t'  attizzo  ||  t'  adrizzo  —  22.  <;iunto  (pta  alqu.  —  2?i.  t*  iner.  di  stare  — 
31).  V'  il  i;i<»<?o  »'  clic  Tevere  disserra  —  31.  era  anc.  in  giù  att.  —  37.  non  è,  uè  non    -  38.  guerra,  nò  fuor    -  39.  veriina  or   -  41.  I.'  a<;(i^lìa 


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fERCII.  Vili.  BOLO.   8.   MALI   CONSIOL.        INFERNO    XXVII.    43  —  06. 


OUIDO    DA    MONTEFKLTRO. 


181 


I,  3.  3.  di  Franr. 


1.  'l  1..1  ritta 


1.  'juolla 


43.    La  terra  che  fé'  già  la  lunga  prova, 

E  de'  Franceschi  sanguinoso  mucchio. 
Sotto  le  branche  verdi  si  ritrova. 
1.  V  3.  K 1  Masun  V.  4(},    jj  Mastìu  vccchio,  e  il  nuovo  da  Verrucchio, 
Che  fecer  di  Montagna  il  mal  govei-no. 
Là  dove  soglion,  fan  de'  denti  succliio. 

49.    Le  città  di  Lamone  e  di  Santei^no 

Conduce  il  leoncel  dal  nido  bianco. 
Che  muta  parte  dalla  state  al  verno: 

52.    E  quella  a  cui  il  Savio  bagna  il  fianco, 

(.'osi  fom'  ella  sie'  tra  il  piano  e  il  monte, 
Tra  tirannia  si  vive  e  stato  franco. 

55.    Ora  chi  sei  ti  prego  che  ne  conte: 

Non  esser  dm'o  più  eh'  altri  sia  stato, 
Se  il  nome  tuo  nel  mondo  tegna  fronte. 

58.    Poscia  che  il  foco  alquanto  ebbe  rugghiato 
Al  modo  suo,  1'  acuta  punta  mosse 
Di  qua,  di  là,  e  poi  die  cotal  fiato: 

6L    S' io  credessi  che  mia  risposta  fosse 

A  persona  che  mai  tornasse  al  mondo. 
Questa  fiamma  stana  senza  più  scosse: 

fi4.    Ma  perciocché  giammai  di  questo  fondo 
Non  tornò  vivo  alcun ,  s' i"  odo  il  vero , 
Senza  tema  d' infamia  ti  rispondo. 


1- 1  ritornò  air. 


n.  D.  tli  Frane. 


J.  l.('')^./>.  E •!  Mastio 
V.  -  (\  Ih  dal  Ver. 


A.  1.  (?)  //.  r.  1.  (i)  I). 
La  città 

A,  2.  r.  U.  del  nido 
n.  dall'  estate 
H.  (\  D.  (|uella  cui 
(\  come  sie* 


A.  2.  e.  «lur  i>iù  eh'  altri  ti 


ti.  ritornò  alcun 


lì*,  la  brADca  verde   —  48.  far  de*  denti  —  fA.  com'  ella  si  è  -    54.  Trai  tiranni    —  in  .stato  franco  —  59.  Al  mondo  suo   —  (i4.  Ma 


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182        TERCH.    Vili.    BOLO.    8.    MALI    CONSIOL.         INFERNO     XXVII.     67  —  90.  GUIDO    DA    MOSTEFELTSO. 

1. 2. 3.  rordigiipro      67.    lo  fuì  uoiii  d' aiTOc ,  c  poi  fili  cordelliero,  *.  roni..:^r, 

Credendomi,  si  cinto,  fare  ammenda: 
E  certo  il  creder  mio  veniva  intero, 

70.    8e  non  fosse  il  gran  Prete,  a  cui  mal  prenda, 
Che  mi  rimise  nelle  prime  colpe; 
E  come,  e  quare  voglio  che  m'intenda. 

7H.    Mentre  eh'  io  forma  fui  d'  ossa  e  di  polpe , 
Che  la  madre  mi  die,  Y  opere  mie 
Non  furon  leonine,  ma  di  volpe. 

7fi.    Gli  accorgimenti  e  le  coperte  ^de 

Io  seppi  tutte;  e  sì  menai  lor  arte, 
Ch'  al  fine  della  terra  il  suono  uscie. 

79.    Quando  mi  vidi  giunto  in  quella  parte  e.  Qu»ii.ri 

1. 2. 3.  età  dove  Di  mia  etade,  ove  ciascun  dovrebbe  //. /Arù.a.-r 

(vaiar  le  vele  e  raccogUer  le  sarte, 

82.    (Jiò  che  pria  mi  piaceva,  allor  m' increbbe,         A.^rvnm,^. 
E  pentuto  e  confesso  mi  rendei; 
Ahi  miser  lasso!  e  giovato  sarebbe. 

85.    Lo  Principe  de'  nuovi  Farisei,  j .«.  ^3I*1^ 

Avendo  guerra  presso  a  Laterano,  dmUm 

E  non  con  Saracin,  ne  con  Giudei; 

88.    (^hè  ciascun  suo  nimico  era  Cristiano, 
E  nessuno  era  stato  a  vincer  Acri, 
Nò  mercatante  in  terra  di  Soldano: 


72.  E  rome,  e  quale    -  73.  che  in  forma  ||  che  forma  —  77.  e  seminai  —  tal  arte  —  80.  Di  quella  età  -   82.  Ciò  ehr  m'mp*^- 
K.  de'  vivi  Farisei  —  R7.  co'  Saracin  —  90.  terra  del  Sold. 


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.  3.  rostaiitin 


CKRCH.  vin.  BOLO.  8.  MALI  COKSIOL.     INFERNO    XXVn.    91  —  114. 

91.    Ne  sommo  offizio,  ne  ordini  sacri 

Guardò  in  se,  ne  in  me  quel  capestro 
(>he  solea  far  li  suoi  cinti  più  macri. 

94.    Ma  come  Constantin  chiese  Silvestro 

Dentro  Siratti  a  guarir  della  lebbre, 
Cosi  mi  chiese  questi  per  maestro 

97.    A  guarir  della  sua  superba  febbre: 

Domandommi  consigho,  ed  io  tacetti, 
Perchè  le  sue  parole  parver  ebbre. 

100.  E  poi  mi  disse:  Tuo  cor  non  sospetti: 
Finor  t'  assolvo ,  e  tu  m' insegna  fare 
Si  come  Penestrino  in  terra  getti. 

103.    Lo  ciel  poss'  io  serrare  e  disserrare, 

Come  tu  sai;  però  son  due  le  chiavi, 
Che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care. 

106.    Allor  mi  pinser  gli  argomenti  gravi 

Là  Ve  il  tacer  mi  fu  avviso  il  peggio, 
E  dissi:  Padre,  da  che  tu  mi  lavi 

109.    Di  quel  peccato,  ov'  io  mo  cader  deggio, 
Lunga  promessa  con  Y  attender  corto 
Ti  farà  trionfar  nell'  alto  seggio. 

112.    Francesco  venne  poi,  com' io  fui  morto. 
Per  me;  ma  un  de'  neri  Cherubini 
x«i.  portar  Gli  dlssc :  Nol  portar;  non  mi  far  torto. 


GUIDO    DA   MONTEFELTRO. 


183 


2.  3.  ove  mo 


D.  i  suoi 
H.  (.'ostonfin 
B.  deUe 


A.  MI.  E  poi  ridisse 

C  Poi  mi  rid. 

B.  m'  inspflcne 


B.  I).  ove  mo 


A.  (\  U.  Non  portar 


91.  Ne  '1  sommo  ||  Non  sommo  —  92.  Guardando  ia  sé  —  questo  cap.  —  95.  dalla  lebbre  —  96.  Cosi  questi  mi  chiese  —  101.  m*  ins. 
•  -  102.  Prenestìno  |{  Pellestrino  ||  Palestriuo  —  107.  Là 've  tacere  —  HO.  impromessa  —  V  attener  —  112.  poi  che  io  fui  jl  poi  eh'  io  mi 
poi  da  eh'  io  fili  [|  da  poi  eh*  io  fui 


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184        ("ERt^H.    vili.    BOLO.    8.    MALI   i'ONSIGL.      INFERNO     XXVII.     115  —  136.  GUIDO   DA    MONTF.FKLTBO. 

i.  2. 3.  se  nr  dee  ?m     115.    Veiùr  scii  (lec  là  gìù  tra' uiìoì  mescliini.  .4.2.R  r. />.  *«  ucd.c 

giù 

Perche  diede  il  consiglio  frodolente, 

Dal  quale  in  qua  stato  gli  sono  a'  crini; 
118.    Ch'  assolver  non  si  può,  chi  non  si  pente. 

Ne  pentere  e  volere  insieme  puossi, 
1.  Per  contrad.  Per  la  coutradiziou  che  noi  consente. 

121.    0  me  dolente!  come  mi  riscossi, 

Quando  mi  prese,  dicendomi:  Forse 

Tu  non  pensavi  eh'  io  loico  fossi  ! 
124.    A  Minos  mi  portò:  e  quegli  attorse 

Otto  volte  la  coda  al  dosso  duro, 

E,  poi  che  per  gran  rabbia  la  si  morse, 
127.    Disse:  Questi  è  de' rei  del  foco  furo: 

Perch'  io  là  dove  vedi  son  perduto, 

E  SI  vestito  andando  mi  rancuro. 
130.    Quand'  egli  ebbe  il  suo  dir  cosi  compiuto, 

La  fiamma  dolorando  si  paitio, 

Torcendo  e  dibattendo  il  corno  acuto. 
133.    Noi  passammo  oltre,  ed  io  e  il  Duca  mio. 

Su  per  lo  scoglio  infino  in  suU'  altr'  arco 

Che  copre  il  fosso,  in  che  si  paga  il  fio 
1 36.   A  quei  che  scommettendo  acquistan  carco.         a.  m.  r.  u,  d.  quei 


115.  \'enir  or  giù  seii  dee  ||  Ven.  non  dee  quacrgiù  —  U6.  Però  che  die'  —   117.  Da  ludi  in  qua  —  119.  peulir  —    121.  eom'  io  nu 
rÌKC.  —  123.  logieo  —  127.  rei  dal  foeo  —  132.  Tore,  e  detoreeudo  —  133.  il  Duca  mio  ed  io  —  134.  infino  sull'  ai.  —  13(>.  soronietteudd 


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CANTO  VENTE8IM0TTAY0 


1.  'L  3.  Se  s'  adun. 


2.  3.  sentio 


V_yhi  poria  mai  pur  con  parole  sciolte 
Dicer  del  sangue  e  delle  piaghe  appieno, 
Ch'  i'  ora  vidi,  per  narrar  più  volte? 
4.    Ogni  lingua  per  certo  verria  meno 

Per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente, 
Ch'  hanno  a  tanto  comprender  poco  seno. 
7.    S'  ei  s'  adunasse  ancor  tutta  la  gente , 
Che  già  in  sulla  fortunata  terra 
Di  Puglia  fu  del  suo  sangue  dolente 

10.    Per  li  Troiani,  e  per  la  lunga  guerra 
Che  dell'  anella  fé'  si  alte  spoglie, 
Come  Livio  scrive,  che  non  erra: 

13.    Con  quella  che  sentì  di  colpi  doghe, 

Per  contrastare  a  Roberto  Guiscardo. 
E  r  altra,  il  cui  ossame  ancor  s'  accoghe 

16.    A  Ceperan,  là  dove  fu  bugiardo 

Ciascun  Pughese,  e  là  da  Taghacozzo 
Ove  senz'  arme  vinse  il  vecchio  Alardo  : 


IJ.  ptiiria 


H.  I).  Sr  8*  adun. 


A.  2.  C.  o  per 

A.  m.  C.  si  larghe 

B.  sentio 


A.  2.  r\  IJ.  Deve 


3.  Che  ora  vidi   —  8.  Che  giace   —  9.  Di  Puglia  e  fu  —  del  sangue  suo  —   10.  Per  li  Romaui  —   12.  Com'  Tito  Livio  ||  Siccome 
•  fio  —  scrìsse  Livio  —  14.  Viscardo 

I.  24 


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186       CRRCH.  vili.  BOLO.  9.  SKMIN.  DI  SCAND.       INFERNO     XXVIII.     19  —  42. 


MAOMETTO. 


1.  2.  3.  d'  Agguagliar 
1.  2.  3.  ]1  modo 


1.  2.  3.  insili 


1.  2.  3.  *  corata 


1.  Macometto 


l.  è  c]iii 


19.    E  qual  forato  suo  membro,  e  qual  mozzo 
Mostrasse,  da  equar  sarebbe  nulla 
Al  modo  della  nona  bolgia  sozzo. 

22.    Già  veggia  per  mezzul  perdere  o  luUa, 
Com'  io  vidi  un,  così  non  si  pertugia, 
Rotto  dal  mento  infin  dove  si  trulla: 

25.    Tra  le  gambe  pendevan  le  minugia; 
La  curata  pareva,  e  il  tristo  sacco 
Che  merda  fa  di  quel  che  si  trangugia. 

28.    Mentre  che  tutto  in  lui  veder  m'  attacco , 

Guardommi,  e  con  le  man  s'  aperse  il  petto, 
Dicendo:  Or  vedi  come  io  mi  dilacco: 

31.    Vedi  come  storpiato  è  Maometto. 

Dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  Ali 
Fesso  nel  volto  dal  mento  al  ciuffetto: 

34.    E  tutti  gii  altri,  che  tu  vedi  qui, 

Seminator  di  scandalo  e  di  scisma 
Fur  vivi;  e  però  son  fessi  cosi. 

37.  Un  diavolo  è  qua  dietro  che  n'  accisma 
Sì  crudelmente,  al  tagho  della  spada 
Rimettendo  ciascun  di  questa  risma, 

40.    Quando  avem  volta  la  dolente  strada; 
Perocché  le  ferite  son  richiuse 
Prima  eh'  altri  dinanzi  gli  rivada. 


B.  Il  modo 


JJ.  Fesso  —  B.  insin 
C.  ove 

D.  pendeva  la 
A.  2.  C.  par.  il 


B.  m.  C.  scoppiato 


r.  Fur  ivi 
C\  D. 


21.  nuova  bolgia   —   22.  mezzul  fendere   —  28.  in  lui  ved.  tutto  —  31.  come  scìpato  —  35.  di  scandali 
tutti;  però  —  37.  assisma  —  40.  avem  volto  —  41.  rinchiuse 


36.  Fur  vivi  ;  pert^  ||  Fur 


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CXBCII.  vili.  BOLO.  9.  8EMIN.  DI  SCAND.      INFERNO     XXVIII.     43  —  66. 


FRA    DOLCINO. 


187 


43.    Ma  tu  chi  se'  che  in  sullo  scoglio  muse, 
Forse  per  indugiar  d' ire  alla  pena, 
Ch'  è  giudicata  in  sulle  tue  accuse? 

46.    Ne  morte  il  giunse  ancor,  ne  colpa  il  mena, 
Rispose  il  mio  Maestro,  a  tormentarlo; 
Ma  per  dar  lui  esperienza  piena, 

49.    A  me,  che  morto  son,  convien  menarlo 
Per  lo  inferno  quaggiù  di  giro  in  giro: 
E  questo  è  ver  cosi  com'  io  ti  parlo. 

52.    Più  fur  di  cento  che,  quando  1'  udirò, 
S'  arrestaron  nel  fosso  a  riguardanni  • 
Per  maraviglia  obbliando  il  martiro. 

55.    Or  di'  a  Fra  Dolcin  dunque  che  s'  armi, 

luiuoi-i.  di  breve  Tu  chc  forse  vedrai  lo  sole  in  breve, 

S'  egli  non  vuol  qui  tosto  seguitarmi, 

58.    Sì  di  vivanda,  che  stretta  di  neve 
Non  rechi  la  vittoria  al  Noarese, 
Ch'  altrimenti  acquistar  non  saria  lieve. 

61.    Poi  che  r  un  pie  per  girsene  sospese, 
iMvoiniiietio  Maomctto  mi  disse  està  parola. 

Indi  a  partirsi  in  terra  lo  distese. 

64.    Un  altro,  che  forata  avea  la  gola 

E  tronco  il  naso  infin  sotto  le  ciglia, 
E  non  avea  ma'  eh'  un'  orecchia  sola  ,• 


e.  com'  io  COI»! 


B.  il  sole 


A.  Maoniet  R.  Macometto 


A.  forato 


D.  av.  che  una 


45.  Che  han  giud.  —  50.  Per  questo  inferno  giù  —  59.  Novarese  —  (56.  dentro  le  ciglia  —  66.  un'  oreglia 

24* 


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188      CKncii.  vili.  BOLO.  9.  SKMIN.  DI  SCAND.     INFERNO    XXVIII.    67  —  90. 


PIER  DA  MEDICINA. 


1.  2.  3.  Vcrccllo 
1.  da  Fano 


B.  Vercello 
D.  da  Fano 


(57.    Restato  a  riguardar  per  maraviglia  e:  Ristato 

Con  gli  altri,  innanzi  agli  altri  aprì  la  canna 
Ch'  era  di  fuor  d'  ogni  parte  vermiglia; 
2. 3.  disse:  o  tu  70.    E  dissc i  Tu ,  cuì  colpa  non  condanna, 

1. 2. 3.  cui  gii  vidi  E  cui  io  vidi  su  in  terra  Latina, 

Se  troppa  simiglianza  non  m' inganna, 
73.   Rimembriti  di  Pier  da  Medicina, 

Se  mai  torni  a  veder  lo  dolce  piano, 
(>he  da  Vercelli  a  Marcabò  dichina. 
7().    E  fa  saper  ai  due  miglior  di  Fano, 

A  messer  Guido  ed  anco  ad  Angiolello 
Che ,  se  V  antiveder  qui  non  è  vano, 
79.    Gittati  saran  fuor  di  lor  vasello, 
1.  macerati  E  mazzcratì  presso  alla  Cattolica, 

Per  tradimento  d'  un  tiranno  fello. 
1. 2. 3.  Cipri  82.    Tra  Y  isola  di  Cipro  e  di  Maiolica 

1.  mai  rotai  Nou  vldc  mal  si  gran  fallo  Nettuno , 

1.  piratc  Non  da  pirati,  non  da  gente  Argolica. 

85.    Quel  traditor  che  vede  pur  con  V  uno , 
E  tien  la  terra,  che  tal  è  qui  meco. 
Vorrebbe  di  vedere  esser  digiuno, 
88.    Farà  venirli  a  parlamento  seco; 

Poi  farà  sì,  che  al  vento  di  Focara 
Non  farà  lor  mestior  voto  ne  preco. 


B.  cui  vidi  già  in  -  U. 
in  su  terra    A.  in  sua  i. 


D.  del  lor 


tt.  C.  D.  Cipri 
B.  D.  mai  eotal 
A.  B.  i>irate 


.J.  1.  vederla 


71.  K  eli'  io  vidi  —  73.  Rammentiti  —  77.  Angelello  —  79.  vascello  ||  ostello  —  83.  fallo  ne.ssuuu  —  84.  Non  di  p.,  uim  di  i;.  .\rg.  || 
Non  da  Ideate  pirata,  non  da  Arg.  —  90.  Non  sarà 


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e  £K<'tI.  vili.  BOLO.  9.  S£MIN.  DI  SCAND.      INFERNO     XXVIII.     91—114.  FIKR   DA   MEDICINA. 

91.    Ed  io  a  lui:  Dimostrami  e  dichiara, 

Se  vuoi  eh'  io  porti  su  di  te  novella, 
Chi  è  colui  dalla  veduta  amara.  d.  deu» 

94.    AUor  pose  la  mano  alla  mascella 

D'  un  suo  compagno,  e  la  bocca  gU  aperse 
Gridando:  Questi  è  desso,  e  non  favella:        ^.i.  Questo 
97.    Questi,  scacciato,  il  dubitar  sommerse 
In  Cesare,  affermando  che  il  fornito 
Sempre  con  danno  1'  attender  sofierse. 

100.    0  quanto  mi  pareva  sbigottito 

Con  la  lingua  tagliata  nella  sti*ozza, 
Curio,  eh'  a  dire  fii  così  ardito! 

103.    Ed  un  eh'  avea  1'  una  e  1'  altra  man  mozza, 
Levando  i  moncherin  per  1'  aura  fosca, 
Sì  che  il  sangue  facea  la  faccia  sozza, 

106.    Gridò:  Ricorderà'  ti  anche  del  Mosca, 

Che  dissi,  lasso!  Capo  ha  cosa  fatta, 
Che  fu  il  mal  seme  per  la  gente  tosca. 

109.   Ed  io  gli  aggiunsi:  E  morte  di  tua  schiatta;      .i.  liRiimsi 
Perch'  egli  accumulando  duol  con  duolo, 
Sen  gio  come  persona  trista  e  matta. 

112.   Ma  io  rimasi  a  riguardar  lo  stuolo, 
E  vidi  cosa  eh'  io  avrei  paura, 
Senza  più  prova,  di  contarla  solo; 


189 


3.  l'h'  a  tlieer 


3.  tirila  gente 
3.  v'  aggiunsi 


A.  2.  C.  D.  a  dir  fu 
B.  a  dicer  fu 


D.  r  aria 


C.  D.  anco 


A,  t.  cir  è  il         a  D. 
fu  mal  —  B.  della  gente 


94.  Allur  pone  —  1UI3.  Ricorderai  anche  —  107.  Che  disse 


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190      CERCH.  vili.  BOLO.  9.  SEMIN.  DI  SCAND.       INFERNO     XXVUI.     115-138. 


BERTBAH    li.    BORNIO. 


2.  3.  osbergo 


1.  2.  3.  K  «juei 


1.  2.  3.  appiè 


3.  al  re  (.ìiovane  diedi    - 
1.  2.  3.  i  mai  e. 


1.  2.  3.  Absal. 
l.  putizelli 


115.    Se  non  che  coscienza  mi  assicura, 

La  buona  compagnia  che  Y  uom  francheggia 
Sotto  r  asbergo  del  sentirsi  pura. 

118.    Io  vidi  certo,  ed  ancor  par  eh'  io  '1  reggia, 
Un  busto  senza  capo  andar,  si  come 
Andavan  gli  altri  della  trista  greggia. 

121.    E  il  capo  tronco  tenea  per  le  chiome, 
Pesol  con  mano  a  guisa  di  lanterna, 
E  quel  mirava  noi,  e  dicea:  0  me! 

124.    Di  se  faceva  a  se  stesso  lucerna. 

Ed  eran  due  in  uno,  ed  uno  in  due; 
Com'  esster  può.  Quei  sa  che  si  governa. 

127.    Quando  diritto  al  pie  del  ponte  fiie. 

Levò  il  braccio  alto  con  tutta  la  testa 
Per  appressarne  le  parole  sue, 

130.    Che  furo:  Or  vedi  la  pena  molesta 

Tu  che,  spirando,  vai  veggendo  i  morti: 
Vedi  se  alcuna  è  grande  come  questa; 

133.    E  perchè  tu  di  me  novella  porti, 

Sappi  eh'  io  son  Bertram  dal  Bornio,  quelli 
Che  diedi  al  re  Giovanni  mai  conforti. 

136.    Io  feci  il  padre  e  il  figlio  in  se  ribelli: 
Achitòfel  non  fé'  più  d'  Ansalone 
E  di  David  co'  malvagi  pungelli. 


e.  D.  osbergo 


B.  E  quei 


A.  2.  a  Quei  1  sa 

V.  il  sa 

B.  D.  a  pie 


2.  C.  novelle 
Beltramo  del  B. 


A.  2.  B.  Absal. 

B.  D.  Né  di  D.  - 

A.  B.  puiizelli 


117.  uabenso  —  122.  Pensol  ||  Presol  ||  Preso  —  135.  Che  d.  al  re  giorane  —  196.  figlio  esser  ri)». 


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CERCH.  vili.  BOLO.  9-  SEMIN.  DI  SCAND.      INFERNO     XXVIII.     139-142.  BERTRAM    D.    BORNIO.  191 

139.    Perch'io  partii  così  giunte  persone, 

Partito  porto  il  mio  cerebro,  lasso! 

Dal  suo  principio  eh'  è  in  questo  troncone. 
142.    Così  s'  osserva  in  me  lo  contrapasso. 


142.  Cosi  si  serva 


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CANTO  VENTESIMONONO 


2  si  so/T. 


i.  2.  non  credi 


1.  dietro 


Aja  molta  gente  e  le  diverse  piaghe 
Avean  le  luci  mie  sì  inebriate, 
('he  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe; 
4.    Ma  VirgiUo  mi  disse:  Che  pur  guate? 
Perchè  la  vista  tua  pur  si  soflFolge 
Laggiù  tra  1'  ombre  triste  smozzicate? 
7.    Tu  non  hai  fatto  si  all'  altre  bolge  : 
Pensa,  se  tu  annoverar  le  credi, 
Che  migUa  ventidue  la  valle  volge; 

10.    E  già  la  luna  è  sotto  i  nostri  piedi: 

Lo  tempo  è  poco  omai  che  n  è  concesso, 
Ed  altro  è  da  veder  che  tu  non  vedi. 

13.    Se  tu  avessi,  rispos'  io  appresso, 

Atteso  alla  cagion  perch'  io  guardava. 
Forse  m'  avresti  ancor  lo  star  dimesso. 

16.    Parte  sen  già,  ed  io  retro  gli  andava. 
Lo  Duca,  già  facendo  la  risposta, 
E  soggiungendo:  Dentro  a  quella  cava. 


A.  plaghe 


JJ.  tr.  e  sniozz. 
A.  si  fatto 
IJ.  annumerar 


fi.  luna  sutto  ~  B.  C. 
s.  nostri 

C.  IK  V.  'l  tempo 


4.  Che  più  {;uat«  ? 
1. 


•25 


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194        CERCH.  vili.  BOLG.  9.  SEMIN.  DI  SCAND.         INFERNO     XXIX.      19  —  42.  OEHI    DELBELL(». 

1. 2. 3.  ten.  gli  orchi    19.    Dov' io  teDCva  or  l'occhio  si  a  posta,  ^  i.  ovio- 

Credo  che  un  spirto  del  mio  sangue  pianga    A.^wn^ 
La  colpa  che  laggiù  cotanto  costa. 
22.    Allor  disse  il  Maestro:  Non  si  franga 

1.0  tuo  pensier  da  qui  innanzi  sopr'  elio  : 
Attendi  ad  altro,  ed  ei  là  si  rimanga; 
25.    Ch'  io  vidi  lui  a  pie  del  ponticello 

Mostrarti,  e  minacciar  forte  col  dito, 
2.  E  vidi  nom.  Ed  udl  '1  uomluar  Geri  del  Bello. 

28.    Tu  eri  allor  sì  del  tutto  impedito 

Sopra  colui  che  già  tenne  Altaforte, 
Che  non  guardasti  in  là;  sì  fii  partito. 
31.    0  Duca  mio,  la  violenta  morte 

Che  non  gli  è  vendicata  ancor,  diss'  io, 
Per  alcun  che  dell'  onta  sia  consorte, 
1. 2. 3.  onde  se..        34.    Fccc  lui  dìsdcguoso  ;  ond'  ei  sen  gio 
1. 2. 3.  io  stimo  Senza  parlarmi,  sì  com'  io  estimo;  /?  e  u  i<  - 

Ed  in  ciò  m'  ha  e'  fatto  a  se  più  pio. 
1. 2. 3.  iiisii..,  37.    Così  parlammo  infino  al  loco  piimo 

Che  dello  scoglio  1'  altra  valle  mostra, 
1.2.  lami  Se  più  lume  vi  fosse,  tutto  ad  imo. 

40.    Quando  noi  fummo  in  sulF  ultima  chiostra  a  fummo  st 

Di  Malebolge ,  sì  che  i  suoi  conversi  «  e  ^^e  « 

Potean  parere  alla  veduta  nostra, 


20.  Credo  uno  sp.  —  24.  e  quei  là  —  5S.  al  pie  del  |j  di  là  del  —  27.  Ed  udi.  nom.   —  30.  guard.  iu  luì  —  si'  fu  par?  -  ^ 
fatto  II  ut'  ha  fatto  elli  —  assai  più  pio  ||  a  lui  più  pio  —  37.  al  lato  pr.  ^  38.  1'  alta  valle  —  39.  Se  vi  fosse  più  lumi 


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TERCH.  vili.    BOLO.    10.    FALSATORI.  INFERNO     XXIX.     43  —  66.  DANTE    E    VIRGILIO.  195 

43.    Lamenti  saettaron  me  diversi, 

Che  di  pietà  ferrati  avean  gli  strali: 
Ond'  io  gli  orecchi  colle  man  copersi. 
46.    Qual  dolor  fora,  se  degli  spedali 

Di  Valdichiana  tra  il  luglio  e  il  settembre ,      ^  ''^'  ^  ■  '"  '"«^'^  - 
1.  li  sard.  e  di  Mar.  E  di  Maremma  e  di  Sardigna  i  mali  «  'H  sard.  e  di  M*r. 

49.    Fossero  in  una  fossa  tutti  insembre; 

Tal  era  quivi,  e  tal  puzzo  n'usciva,  />.  iH.^a 

1. 2, 3.  suole  uscir  -  Qual  suol  vculr  delle  marcite  membre. 

3.  dalle 

52.    Noi  discendemmo  in  sull'.ultima  riva 

Del  lungo  scoglio,  pur  da  man  sinistra, 

Ed  allor  fii  la  mia  vista  più  viva 
13.  fondo,  dove         55.    GIÙ  vcr  lo  fondo,  là  Ve  la  ministra  r. /a  fondo,  dove 

Dell'  alto  Sire,  infallibil  giustizia, 

Punisce  i  falsator  che  qui  registra. 
58.    Non  credo  che  a  veder  maggior  tristizia 

Fosse  in  Egina  il  popol  tutto  infermo. 

Quando  fu  1'  aer  sì  pien  di  malizia, 
61.    Che  gli  animali  infino  al  picciol  vermo 

Cascaron  tutti,  e  poi  le  genti  antiche, 

Secondo  che  i  poeti  hanno  per  fermo,  ^. 2.  ^  r.  z>.  che  poeti 

64.    Si  ristorar  di  seme  di  formiche; 

Ch'  era  a  veder  per  quella  oscura  valle 

Languir  gli  spirti  per  diverse  biche. 

43.  saettare  in  me  ||  sacttaronmi  —  44.  Che  di  pianto  —  46.  Qu.  dol.  fuora  esce  dei^li  —  49.  iu  una  tutte  <{uante  ins.  —  51.  mar- 
Itif-  lucnibre  |]  fracide  ni.  —  .^.  pur  a  man  sin.  —  54.  A'ista  assai  più  —  55.  Giù  in  ver  del  f.  —  57.  i  malfattor  -  i'A.  dei  semi  dì  f.  — 
'«  per  la  divi.sa  v. 

25* 


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196 


CERCH.  vili.   BOLO.    10.   FALSATORI.  INFERNO     XXIX.     67—90. 


ORIFFOUN»». 


1.  2.  appoggiati 
•2.  3.  8'  appoggia 
1.  2.  3.  a' pie 

1.  2.  da  sigiiorso 


1.  2.  3.  E  si  ir. 


1.  E  d'  altro 


1.  2.  3.  a  un 


1.  2.  .3.  Dimmi 


67.    Qua!  sopra  il  ventre,  e  qual  sopra  le  spalle 
L'  un  dell'  altro  giacea,  e  qual  carpone 
Si  trasmutava  per  lo  tristo  calle. 

70.    Passo  passo  andavam  senza  sermone, 

Guardando  ed  ascoltando  gli  ammalati, 
Che  non  potean  levar  le  lor  persone. 

73.    Io  vidi  due  sedere  a  se  poggiati. 

Come  a  scaldar  si  poggia  tegghia  a  tegghia, 
Dal  capo  al  pie  di  scliianze  maculati: 

76.    E  non  vidi  giammai  menare  streggliia 
Da  ragazzo  aspettato  dal  signorso. 
Ne  da  colui  che  mal  volentier  vegghia; 

79.    Come  ciascun  menava  spesso  il  morso 

Dell'  unghie  sopra  se  per  la  gran  rabbia 
Del  pizzicor,  che  non  ha  più  soccorso. 

82.  E  sì  traevan  giù  1'  unghie  la  scabbia, 
Come  coltel  di  scardova  le  scaglie, 
0  d'  altro  pesce  che  più  larghe  1'  abbia. 

85.    0  tu  che  colle  dita  ti  dismaglie, 

Cominciò  il  Duca  mio  all'  un  di  loro , 
E  che  fai  d'  esse  tal  volta  tanaglie, 

88.    Dinne  s'  alcun  Latino  è  tra  costoro 

Che  son  quinc'  entro,  se  1'  unghia  ti  basti 
Eternalmente  a  cotesto  lavoro. 


(\  al  sr^ld. 
I).  s' ipp---:?.' 


.-1.  2.  B.  (.  l>.  l 
.-1.  1.  -ini  -*srr 


69.  lo  stretto  calle  —  76.  menar  sì  stregghia  —  77.  A  ragazso  --  78.  Ne  a  colui  —  89.  Che  son  «jiia  dentro 


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PERCH.  vili.  BOLO.   10.   FALSATORI.         INFERNO    XXIX.     91  —  114. 


GRIFFOLINO. 


197 


].  3.  3.  amliodur 


3.  Alberto 


91.    Latin  sem  noi,  che  tu  vedi  si  guasti 

Qui  ambo  e  due ,  rispose  V  un  piangendo  : 
Ma  tu  chi  se\  clie  di  noi  domandasti? 
94.    E  il  Duca  disse:  Io  son  un  che  discendo 
Con  questo  vivo  giù  di  balzo  in  balzo, 
E  di  mostrar  l' inferno  a  lui  intendo. 
97.    AUor  si  ruppe  lo  comun  rincalzo; 

E  tremando  ciascuno  a  me  si  volse 
('on  altri  che  V  udiron  di  rimbalzo. 

100.    Lo  buon  Maestro  a  me  tutto  s'  accolse, 
Dicendo  :  Di'  a  lor  ciò  che  tu  vuoli. 
Ed  io  incominciai ,  poscia  eh'  ei  volse  : 

103.    Se  la  vostra  memoria  non'  s' imboli 

Nel  primo  mondo  dall'  umane  menti, 
Ma  s'  ella  viva  sotto  molti  soli , 

lOfi.    Ditemi  chi  voi  siete  e  di  che  genti: 

La  vostra  sconcia  e  fastidiosa  pena 
Di  palesarvi  a  me  non  vi  spaventi. 

109.    Io  fui  d'Arezzo,  ed  Albero  da  Siena, 
Rispose  r  un ,  mi  fé'  mettere  al  foco  ; 
Ma  quel  perch'  io  mori'  qui  non  mi  mena. 

112.    Ver  è  ch'io  dissi  a  lui,  parlando  a  gioco. 
Io  mi  saprei  levar  per  1'  aere  a  volo  : 
E  quei  che  avea  vaghezza  e  senno  poco. 


A.  2.  D.  ambed.     B. 
«mbod.      C.  umend. 


/>.  Voti  e,\'i  altri 


//  involi 


(1).  --  XXXlll.  9.] 


f\  e  sonno 


i4.  \m  Dura  disse   -  9G.  a  lui  1*  inf.  int.  —  102.  io  cominciai  —  106.  Dinne  chi  voi  —   1(^.  Abato  da  S.     -  11*2.  eh'  io  dis»!  lui 


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198 


CKRCII.  Vili.  BOLO.    10.  FALSATORI. 


INFERNO    XXIX.    115-139. 


CAPOCCHIO. 


1.  2.  3.  per  1'  «Icli. 
1.  '2.  3.  fallir 


1.  2.  3.  Tranne  lo  Str. 


l.  (■outra  Senesi 


1.  2.  3.  tea  <lef 


115.    Volle  eh'  io  gli  mostrassi  1'  arte;  e  solo 
Perch'  io  noi  feci  Dedalo,  mi  fece 
Ardere  a  tal,  che  T  avea  per  figliuoh). 

118.    Ma  nell'ultima  bolgia  delle  diece 

Me  per  alchimia  che  nel  mondo  usai, 
Dannò  Minos,  a  cui  fallar  non  lece. 

121.    Ed  io  dissi  al  Poeta:  Or  fu  giammai 
Gente  si  vana  come  la  sanese? 
Orto  non  la  francesca  sì  d'  assai. 

124.    Onde  l'altro  lebbroso  che  m'intese. 

Rispose  al  detto  mio:  Trammene  Stricca, 
Che  seppe  far  le  temperate  spese; 

127.  E  Niccolò,  che  la  costuma  ricca 
Del  garofano  prima  discoperse 
Neil'  orto,  dove  tal  seme  s'  appicca; 

IHO.    E  tranne  la  brigata,  in  che  disperse» 

Caccia  d'  Ascian  la  vigna  e  la  gran  fronda, 
E  r  Abbagliato  il  suo  senno  proferse. 

IHS.    Ma  perchè  sappi  chi  sì  ti  seconda 

Contra  i  Sanesi,  aguzza  ver  me  V  occhio 
Sì,  che  la  faccia  mia  ben  ti  risponda; 

VM).    8ì  vedrai  eh'  io  son  1'  ombra  di  Capocchio, 
Che  falsai  li  metalli  con  alchimia, 
E  ti  dei  ricordar,  se  ben  t'  adocchio , 

1S9.    Com'  io  fui  di  natura  buona  scimia. 


B.  (\  per  r  alrli. 
r,  a  cui  peccar 

B.  senese 


/?.  (\  Contra  S. 
fì.  Senesi 


A.  2.  B.  r.  O.  le  dcf 


TiU.  Neil'  urtu.  ove  cdUl  —  130.  E  trammeu'  la  brig.  —  131.  C.  d'  Asciano  la  v.  e  la  fronda   -  la  i;rau  ftmda  —  132.  K  V  .tbl^diAt* 
suo  .senno  —  134.  drizza  ver  me  —  136.  E  vedrai  —  137.  con  V  alchimia 


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(ANTO  TRENTESIMO 


1  mostro  ((ia  anA 


1.  2.  3.  co'  duo 
I.  Venir,  care,  di 


'-  3.  incarco 


iN  el  tempo  che  Giunone  era  crucciata 
Per  Semelè  contra  il  sangue  tebano, 
Come  mostrò  una  ed  altra  fiata, 
4.    Atamante  divenne  tanto  insano, 

Che  veggendo  la  moglie  con  due  tìgli 
Andar  carcata  da  ciascuna  mano, 
7.    Gridò:  Tendiam  le  reti,  sì  ch'io  pigli 
La  leonessa  e  i  leoncini  al  varco: 
E  poi  distese  i  dispietati  artigh, 

10.    Prendendo  T  un  che  avea  nome  Learco, 
E  rotollo,  e  percosselo  ad  un  sasso; 
E  quella  s'  annegò  con  1'  altro  carco. 

13.   E  quando  la  fortuna  volse  in  basso 

L'  altezza  de'  Troian  che  tutto  ardiva. 
Si  che  insieme  col  regno  il  re  fu  casso: 

16.    Ecuba  trista  misera  e  cattiva. 

Poscia  che  vide  Polissena  morta, 
E  del  suo  Polidoro  in  sulla  riva 


fi.  co'  duo 

A.  m.  fi.  Venir  care. 


r.  incarco 


2.  iloti  lo  saneue  teb.  —  3.  ed  una  ed  altra  f.  —  7.  Disse:  Tendiam  —  la  rete  —  Ib.  K  'l  bel  suo  Poi. 


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200  CERCH.  vili.  BOLO.   10.  FALSATORI.  INFERNO     XXX.      19  —  42.  MIRRA. 

19.    Del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta, 
Forsennata  latrò  si  come  cane; 
1. 2.  Tanto  dolor.  -  Tanto  il  dolor  le  fé'  la  mente  torta. 

l.  la  fé" 

22.    Ma  ne  di  Tebe  furie  ne  Troiane    *  a.  i.  Ma  noo  (?) 

Si  vider  mai  in  alcun  tanto  crude, 
Non  punger  bestie ,  non  che  membra  umane,  <■  no  m  punger 
1.2.  Vidi  due  25.    Quant' io  vidi  in  due  ombre  smorte  e  nude,        /?.  yididuc 

Che  mordendo  correvan  di  quel  modo 
Che  il  porco  quando  del  porcil  si  schiude. 

28.    L'  una  giunse  a  Capocchio,  ed  in  sul  nodo 
Del  collo  r  assannò  sì  che,  tubando. 
Grattar  gli  fece  il  ventre  al  fondo  sodo. 

31.    E  r  Aretin,  che  rimase  tremando,  //.tirando 

Mi  disse:  Quel  folletto  è  Gianni  Schicchi, 
E  va  rabbioso  altrui  cosi  conciando. 

H4.    0,  diss'  io  lui,  se  1'  altro  non  ti  ficchi  ^.  r.  dusnui 

Li  denti  addosso,  non  ti  sia  fatica  ff.  lì  uiMcMom 

A  dir  chi  è,  pria  che  di  qui  si  spicchi.  ^.2.  a  dar 

37.    Ed  egli  a  me  :  Queir  è  V  anima  antica 
Di  Mirra  scellerata,  che  divenne 
Al  padre,  ftior  del  dritto  amore,  amica. 

40.    Questa  a  peccar  con  esso  cosi  venne, 
Falsificando  se  in  altrui  forma, 
1.2. 3.  .he  iu  là  Come  l'altro,  che  là  sen  va,  sostenne, 


27.  Clic  porco  —  28.  (ìiunse  Capocclùo   -  29.  1'  azzannò  —  32.  ^'anni  Srhicchi  —  34.  non  t'  inficchi  —  36,  A  dirmi  chi  e  —  39.  Fuor 
del  diritta  amor,  al  padre  am. 


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CHRCH.  vili.  BOLG.  10.  FALSATORI.  INFERNO     XXX.     43  —  66.  GIANNI    SCHICCHI.  201 

43.    Per  guadagnar  la  donna  della  torma, 
Falsificare  in  se  Buoso  Donati, 
Testando,  e  dando  al  testamento  norma. 

46.    E  poi  che  i  due  rabbiosi  fiir  passati, 
L  so%ra  i  quali  Sopra  cu'  io  avea  V  occhio  tenuto,  a.  2.  e.  sopra  q..aii 

Rivolsilo  a  guardar  gli  altri  mal  nati. 

49.    Io  vidi  un,  fatto  a  guisa  di  liuto,  ^.  leuto 

Pur  eh'  egli  avesse  avuta  Y  anguinaia 
Tronca  dal  lato,  che  l'uomo  ha  forcuto.        ^. 2. dair aito 

a  dall'  altro 

I.  idropisia  52.    La  grave  idropisì,  che  sì  dispaia 

Le  membra  con  l'umor  che  mal  converte,       e.  che  1  mai 

Che  il  viso  non  risponde  alla  ventraia, 
L  3.  Fac.  lui         55.    Faceva  a  lui  tener  le  labbra  aperte,  /y.  Fa*,  lui 

Come  r  etico  fa,  che  per  la  sete 
i  3.  rivcrti  L'  un  verso  il  mento  e  1'  altro  in  su  rinverte.  ^-  'averte 

58.    0  voi,  che  senza  alcuna  pena  siete 

(E  non  so  io  perchè)  nel  mondo  gramo, 

Diss'  egh  a  noi,  guardate  ed  attendete 
61.    Alla  miseria  del  maestro  Adamo: 

Io  ebbi,  vivo,  assai  di  quel  ch'io  volli. 

Ed  ora,  lasso!  un  gocciol  d'  acqua  bramo. 
64.    Li  ruscelletti,  che  dei  verdi  colU 

Del  Casentin  discendon  giuso  in  Arno, 
i  e  freddi  Faccndo  i  lor  canali  freddi  e  molli ,  a.  2.  a  e  freddi 


U.  Falsificando  —  48.  Rivolaimi  —  altri  ammalati   —  50.  l' inguinaja   —  51.  Tr.  d'  un  lato    -   ove  1'  uomo  è  forcuto  (?)   —  (fi.  Del 
irino  scendon  giù    -  66.  canali  verdi 

I.  26 


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202 


(ERCH.  Vili.  BOLG.   10.  FALSATORI. 


INFERNO    XXX.    67-90. 


MAESTRO    ADAMO. 


1.  2.  3.  via  più 


1.  2.  3.  surgeli. 
1.  2.  3.  suso 


1.  2.  Dentro  ec 
1.  2.  3.  vanno  int. 


1.  2.  E  più 


I.  2.  3.  avevan  tre  — 
1.  parate 


67.    Sempre  mi  stanno  innanzi,  e  non  indarno; 
Che  r  imagine  lor  vie  più  m'  asciuga. 
Che  il  male  ond'  io  nel  volto  mi  discarno. 

70.    La  rigida  giustizia,  che  mi  fruga, 

Tragge  cagion  del  loco  ov'  io  peccai, 
A  metter  più  li  miei  sospiri  in  foga. 

73.  Ivi  è  Romena,  là  dov'  io  falsai 
La  lega  sigillata  del  Batista, 
Perch'  io  il  corpo  su  arso  lasciai. 

76.    Ma  s' io  vedessi  qui  1'  anima  trista 

Di  Guido,  o  d'Alessandro,  o  di  lor  frate, 
Per  fonte  Branda  non  darei  la  vista. 

79.    Dentro  e'  è  V  una  già,  se  1'  arrabbiate 
Ombre  che  van  dintorno  dicon  vero: 
Ma  che  mi  vai,  eh'  ho  le  membra  legate? 

82.    S' io  fossi  pur  di  tanto  ancor  leggiero , 

Ch'  io  potessi  in  cent'  anni  andare  un'  oncia. 
Io  sarei  messo  già  per  lo  sentiero, 

85.    ('creando  lui  tra  questa  gente  sconcia. 
Con  tutto  eh'  ella  volge  undici  miglia, 
E  men  d'  un  mezzo  di  traverso  non  ci  ha. 

88.    Io  son  per  lor  tra  si  fatta  famiglia: 
Ei  m' indussero  a  battere  i  fiorini. 
Che  avean  ben  tre  carati  di  mondiglia. 


A.  2.  inanti 

B.  via  più 


li.  C.  BUgi^ellata 


A,  Blanda 


H.  vanno  int 


A.  1.  Io  mi  &ar.  zik 
messo  pel  (?) 


A.  m.  B.  E  più    - 
A.  1.  di  mezzo 


A.  %  B.  C.  avevan  tre  - 
B.  earate 


69.  nel  viso  mi  disc.   —   71.  dal  loco  ov'  io  j)  di  là  dov'  io  —  72.  più  i  miei  pensieri   —  81.  con  le  membra  Icg.  —  82.  fossi  aiiror 
di  tanto  pur  —  86.  lui  per  questa  g.  —  86.  eh'  ella  gira  —  90,  Oh'  aveano  tre 


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CERCH.  Vili.  BOLO.   10.  FALSATORI. 


INFERNO    XXX.    91  —  114. 


SINOK    DA    TROIA. 


203 


.2.3  («cnata 


1.  la  irov. 


1. 1  3.  ijuando  pioTTÌ 
1.  2.  che  deano 
1. 2.  3.  Giuseppe 


1.  2.  3.  mestier  disc. 


I 


i-  i  3.  fosti  a  Tr. 


B.  taupini 
R.  bauiiata 


R.  Giuspppo 


A.  IH.  C.  Forte 


91.    Ed  io  a  lui:  Chi  son  li  due  tapini, 

Che  fumai!  come  man  bagnate  il  verno, 

Giacendo  stretti  a'  tuoi  destri  confini? 
94.    Qui  li  trovai,  e  poi  volta  non  dierno. 

Rispose ,  quand'  io  piovvi  in  questo  greppo ,  b.  quando  p. 

E  non  credo  che  dieno  in  sempiterno.  r.  che  deano 

97.    L'  una  è  la  falsa  che  accusò  Joseppo  ; 

L'  altro  è  il  falso  Sinon  greco  da  Troia: 

Per  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo. 
100.    E  r  un  di  lor,  che  si  recò  a  noia 

Forse  d'  esser  nomato  si  oscuro, 

Col  pugno  gli  percosse  1'  epa  croia: 
103.    Quella  sonò,  come  fosse  un  tamburo: 

E  mastro  Adamo  gli  percosse  il  volto 

Col  braccio  suo  che  non  parve  men  duro, 
106.    Dicendo  a  lui:  Ancor  che  mi  sia  tolto 

Lo  mover,  per  le  membra  che  son  gravi, 

Ho  io  il  braccio  a  tal  mestiere  sciolto. 
109.    Ond'  ei  rispose:  Quando  tu  andavi 

Al  foco,  non  1'  avei  tu  cosi  presto; 

Ma  sì  e  più  1'  avei  quando  coniavi. 
112.    E  l'idropico:  Tu  di' ver  di  questo; 

Ma  tu  non  fosti  si  ver  testimonio, 

Là  've  del  ver  a  Troia  fosti  richiesto. 


A.  2.  (\  Col  pugno 


R.  mistier  disc. 


A.  2.  C.  fosti  a  Tr. 


108.  F]d  io  ho  '1  braccio  —  114.  Ove  del  ver  ||  Quando  del  ver  —  Quando  fosti  del  ver 


26- 


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204  CERCH.  vili.  BOLO.  10.  FALSATORI.  INFERNO     XXX.     115—138.  ADAMO    E    SINONE. 

1. 2. 3.  dissi  falso  -      115.    S'io  dissi '1  falso,  tu  falsasti  il  conio,  ^.  r.  .li..,.. 

1.  2.  3.  e  tu  fals.  B.  <■  tai- 

Disse  Sinone,  e  son  qui  per  un  fallo, 

E  tu  per  più  che  alcun  altro  demonio. 
118.    Ricorditi,  spergiuro,  del  cavallo, 
1.2. 3.  quei  Rispose  quel  eh'  avea  enfiata  1'  epa;  /?.  c,un 

E  siati  reo,  che  tutto  il  mondo  sallo. 
2. 3.  A  te  sia  121.  E  tc  sia  rca  la  sete  onde  ti  crepa. 

Disse  il  Greco,  la  lingua,  e  1'  acqua  marcia 
.3.  in.  agli  -  2.  u  s  ass.  Chc  il  vcutre  iuuanzi  gli  occhi  sì  t'  assiepa,    a  in  i,i 

124.    Allora  il  monetier:  Cosi  si  squarcia 
2. 3.  per  dir  mal  La  bocca  tua  pcr  suo  mal  come  suole;  c.pennnr. 

mal  iir 

Che  s' i'  ho  sete,  ed  umor  mi  rinfarcia, 
127.    Tu  hai  1'  arsura,  e  il  capo  che  ti  duole, 
E  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisso, 
Non  vorresti  a  invitar  molte  parole. 
130.    Ad  ascoltarli  er'  io  del  tutto  fisso, 

Quando  il  Maestro  mi  disse:  Or  pur  mira, 

Che  per  poco  è  che  teco  non  mi  risso.  «  chr^r, 

non  [>!'■ 

133.  Quand'  io  '1  senti'  a  me  parlar  con  ira, 
Volsimi  verso  lui  con  tal  vergogna, 
Ch'  ancor  per  la  memoria  mi  si  gira. 

136.    E  quale  è  quei  che  suo  dannaggio  sogna,         A.dvnr^^ 
Che  sognando  desidera  sognare. 
Si  che  quel  eh'  è,  come  non  fosse,  agogna; 

117.  K  tu  per  più  clic  nuli' altro  ||  E  tu  ci  sci  pcr  più  eh'  altro  —  118.  Ricorditi  il  spergiuro  —  120.  E  sei  si  rei'  -  i-  '  ' 
Elie  te  —  sia  reo  la  sete  —  123.  ti  fa  scpa  —  125.  per  ciurmar  come  ||  a  parlar  mal  come  —  129.  -vorresti  a  mutar  -  tn-ri*  '*" 
180.  Qual  è  colui 


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CERm.  vili.  BOLO.  10.  FALSATORI.  INFERNO    XXX.    139  —  148.  dante  k  Virgilio.  205 

139.    Tal  mi  tee' io,  non  potendo  parlare,  .^.  r.  pos.em!o 

(Jhe  desiava  scusarmi,  e  scusava 

Me  tuttavia,  e  noi  mi  credea  fare. 
142.    Maggior  difetto  men  vergogna  lava. 

Disse  il  Maestro,  che  il  tuo  non  è  stato; 

Però  d'  ogni  tristizia  ti  disgrava: 
145.    E  fa  ragion  eh'  io  ti  sia  sempre  allato. 

Se  più  avvien  che  fortuna  t'  accoglia, 

M  Dove  -  1.2.3.  sien  OvC    Sla    gCUtC    ÌU    SÌmÌglÌante    piato;  .J.  2.  //.  r.  sien  «enti 

sciiti 

148.    Che  voler  ciò  udire  è  bassa  voglia. 


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CANTO  TRENTESIMOPRIMO 


Una  medesma  lingua  pria  mi  morse, 
SI  che  mi  tinse  1'  una  e  T  altra  guancia , 
E  poi  la  medicina  mi  riporse. 
4.    Cosi  od'  io,  che  soleva  la  lancia 

D'  Achille  e  del  suo  padre  esser  cagione 
Prima  di  trista  e  poi  di  buona  mancia. 
7.    Noi  demmo  il  dosso  al  misero  vallone 
Su  per  la  ripa  che  il  cinge  dintorno, 
Attravei'sando  senza  alcun  sermone. 

10.    Quivi  era  men  che  notte  e  men  che  giorno. 
Si  che  il  viso  m'  andava  innanzi  poco  : 
Ma  io  senti'  sonare  un  alto  corno, 

13.  Tanto  eh'  avrebbe  ogni  tuon  fatto  fioco, 
Che,  contra  se  la  sua  via  seguitando. 
Dirizzò  gli  occhi  miei  tutti  ad  un  loco: 

16.    Dopo  la  dolorosa  rotta,  quando 

Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta, 
Non  sonò  si  terribilmente  Orlando. 


e.  Ma  senti  rison.   — 
A.  m.  it»  udi'  — 
A.  e.  altro  crirno 


4.  Così  odìi  —  Hoìtm  far  la  1.    -    8.  la  ripa  eh' ei  cinge    —    10.    Qui  era  inen    —    11.  il  viso  n' andava  13.  uffnì  suon   —   14.  E 


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208 


INFERNO    XXXI.    19-42. 


1.  2.  ili  là  alta 


1.  2.  3.  tutti  .jii. 


1.  2.  r  aer 


1.  2.  3.  Fuggènii 
3.  C»i ugnerai 


1.2. 


19.    Poco  portai  in  là  volta  la  testa, 

Che  mi  parve  veder  molte  alte  torri; 
Ond'io:  Maestro,  di',  che  terra  è  questa? 

22.  Ed  egli  a  me:  Però  che  tu  trascorri 
Per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi, 
Avvien  che  poi  nel  maginare  aborri. 

25.    Tu  vedrai  ben,  se  tu  là  ti  congiungi, 

Quanto  il  senso  s' inganna  di  lontano  : 
Però  alquanto  più  te  stesso  pungi. 

28.    Poi  caramente  mi  prese  per  mano, 

E  disse:  Pria  che  noi  slam  più  avanti. 
Acciocché  il  tatto  men  ti  paia  strano, 

HI.  Sappi  che  non  son  tom,  ma  giganti, 
E  son  nel  pozzo  intorno  dalla'tipa 
Dall'  umbilico  in  giuso  tutti  e  qua;' 

H4.    Come,  quando  la  nebbia  si  dissipa, 

Lo  sguardo  a  poco  a  poco  raffigura 
Ciò  che  cela  il  vapor  che  1'  aere  stipa  : 

37.    Cosi  forando  T  aiu'a  grossa  e  scura. 

Più  e  più  appressando  in  ver  la  sponda, 
Fuggiemi  errore,  e  cresce'mi  paura. 

40.    Perocché  come  in  sulla  cerchia  tonda 
Montereggion  di  torri  si  corona; 
Cosi  la  proda,  che  il  pozzo  circonda, 


A.  t.  Prrr'. 


r.  i». 


e.  »■  iuroroua 


21.  Maestro,   deh,   che  terra  —   30.  non  ti  paja   —  31.  i^appie  che    —   32.  int.  della  ripa  — 
36.  che  r  aer  stipa  ||  dell"  aere  stipa  —  39.  Fuggiami  —  crcscemi  ||  cresccami 


3.  Dallo  bfllifo  -  34 


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INFERNO   XXXI.    43  —  66. 


209 


ì.  tor  cotali 


3.  uoiu  s'  aft'. 


43.  Torreggiavan  di  mezza  la  persona 
Gli  orribili  giganti,  cui  minaccia 
Giove  del  cielo  ancora,  quando  tuona. 

46.    Ed  io  scorgeva  già  d'  alcun  la  faccia, 

Le  spalle  e  il  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 
E  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 

49.    Natiu:a  certo,  quando  lasciò  1'  arte 
Di  si  fatti  animali,  assai  fé'  bene. 
Per  torre  tali  esecutori  a  Marte: 

52.    E  s'  ella  d'  elefanti  e  di  balene 

Non  si  pente,  chi  guarda  sottilmente. 
Più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene: 

55.    (3hè  dove  V  argomento  della  mente 

S'  aggiunge  al  mal  volere  ed  alla  possa, 
Nessun  riparo  vi  può  far  la  gente. 

58.  La  faccia  sua  mi  parca  lunga  e  grossa, 
Come  la  pina  di  san  Pietro  a  Roma; 
Ed  a  sua  proporzione  eran  1'  altr'  ossa: 

61.    Si  che  la  ripa,  eh'  era  perizoma 

Dal  mezzo  in  giù,  ne  mostrava  ben  tanto 
Di  sopra,  che  di  giungere  alla  chioma 

64.    Tre  Fiison  s'  averian  dato  mal  vanto  : 

Perocch'  io  ne  vedea  trenta  gran  palmi 
Dal  loco  in  giù,  dov'  uomo  affibbia  il  manto. 


fì.  ior  colali 


A.  m.  Che  quando 
A.  1.  Si  giunge 


A.  Piero 


A.  1.  proporzion  tutte 
r  al.  (?) 


A.  1.  Tre  Fresoni  s' avrìen 


51.  Per  toHer  tali  —  {)3.  Non  si  pente  ||  Non  si  pentì  ||  Non  si  pentio  -^  60.  In  sua  proporsion  —  <)6.  Dal  collo  in  giù  —  dove 


bia 


27 


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210  POZZO.  INFERNO    XXXI.    67-90.  nkmbrotto. 

H7.    Ratei  mai  amech  zabi  almi, 

Cominciò  a  gridar  la  fiera  bocca. 

Cui  non  si  convenian  più  dolci  salmi.  a.  e.  eonvenia 

70.    E  il  Duca  mio  ver  lui:  Anima  sciocca, 

Tienti  col  corno,  e  con  quel  ti  disfoga, 

Quand'  ira  o  altra  passion  ti  tocca. 
73.    Cercati  al  collo,  e  troverai  la  soga 

Che  il  tien  legato,  o  anima  confusa, 

E  vedi  lui  che  il  gran  petto  ti  doga.  a.  r.  vedi  lei 

76.    Poi  disse  a  me:  Egli  stesso  s'  accusa; 

Questi  è  Nembrotto,  per  lo  cui  mal  coto 

Pure  un  linguaggio  nel  mondo  non  s'  usa.       //.  più  «n 
79.    Lasciamlo  stare,  e  non  parliamo  a  voto: 

Che  così  e  a  lui  ciascun  linguaggio. 

Come  il  suo  ad  altrui  eh'  a  nullo  è  noto. 
82.    Facemmo  adunque  più  lungo  viaggio 

Volti  a  sinistra;  ed  al  trar  d'  un  balestro 

Trovammo  V  altro  assai  più  fiero  e  maggio. 
85.    A  cinger  lui,  qual  che  fosse  il  maestro 

Non  so  io  dir,  ma  ei  tenea  succinto 

Dinanzi  1'  altro,  e  dietro  il  braccio  destro 
88.    D'  una  catena,  che  il  teneva  avvinto 

Dal  collo  in  giù,  sì  che  in  sullo  scoperto 

Si  ravvolgeva  infino  al  giro  quinto. 

Vìi.   Kapliei;!   —  izabi   —  fi8.   la  fioca  bocca  —  73.  Cercati  il  collo  —   trov.  la  xoga    -   76.  S' et;Ii  stosso   —   77.  Nembròt,  per  lo 
cui  —  7R.  Lascialo  stare   -  W.  Non  io  direi 


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,  2.  3.  e  fece 


POZZO.  INFERNO    XXXI.    91-114.  fialtk. 

91.    Questo  superbo  voli'  esser  esperto 

Di  sua  potenza  contra  il  sommo  Giove, 
Disse  il  mio  Duca,  ond'  egli  ha  cotal  merto. 
94.    Fialte  ha  nome;  e'  fece  le  gran  prove, 
Quando  i  giganti  fer  paura  ai  Dei: 
Le  braccia  eh'  ei  menò,  giammai  non  move. 
97.    Ed  io  a  lui:  S'  esser  puote,  io  vorrei 
Che  dello  ismisurato  Briareo 
Esperienza  avesser  gU  occhi  miei. 

100.    Ond'  ei  rispose:  Tu  vedrai  Anteo 

Presso  di  qui,  che  parla,  ed  è  disciolto, 
Che  ne  porrà  nel  fondo  d'  ogni  reo. 

103.    Quel  che  tu  vuoi  veder,  più  là  è  molto, 
Ed  è  legato  e  fatto  come  questo. 
Salvo  che  più  feroce  par  nel  volto. 

106.    Non  fii  tremoto  già  tanto  rubesto, 
Che  scotesse  una  torre  cosi  forte, 
Come  Fialte  a  scotersi  fu  presto. 
1. 2.  .3.  temetti  più     109.    AUor  temett' io  più  che  mai  la  morte, 

E  non  v'  era  mestier  più  che  la  dotta, 
S' io  non  avessi  viste  le  ritorte. 

112.    Noi  procedemmo  più  avanti  allotta, 

E  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinqu'  alle. 
Senza  la  testa,  uscia  fuor  della  grotta. 


211 


.4.  ternioto 


B.  temetti  piti 


92.  coutra  al  sommo  —  96.  eli'  ei  menò  già ,  mai 
110.  mestier  fuor  che  la  dotta 


97.  Se  esser  può  —   106.  N.  fu  trem.  mai  tanto  —  109.  più  che  mai  di  m.  — 


'11' 


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212  POZZO.  INFERNO    XXXI.    115-138.  antbo. 

115.    0  tu,  che  nella  fortunata  valle, 
3.  reda  Che  fece  Scipion  di  gloria  ereda ,  (•  ««i* 

Quando  Annibal  co'  suoi  diede  le  spalle, 

118.    Recasti  già  mille  leon  per  preda, 

E  che,  se  fossi  stato  all'  alta  guerra 

De'  tuoi  frateUi,  ancor  par  eh'  e'  si  creda. 

121.    Che  avrebber  vinto  i  figli  della  terra; 
1.2.3. giuso  Mettine  giù  (e  non  ten  venga  schifo)  //. giuso-j. 

Dove  Cocito  la  freddura  serra. 

124.    Non  ci  far  ire  a  Tizio,  ne  a  Tifo: 

Questi  può  dar  di  quel  che  qui  si  brama:     a.^,^^ 
Però  ti  china,  e  non  torcer  lo  grifo. 

127.    Ancor  ti  può  nel  mondo  render  fama; 

Ch'  ei  vive,  e  lunga  vita  ancor  aspetta, 
Se  innanzi  tempo  grazia  a  se  noi  chiama. 

130.  Così  disse  il  Maestro:  e  quegh  in  fretta 
Le  man  distese,  e  prese  il  Duca  mio, 
Ond'  Ercole  senti  già  grande  stretta. 

133.    Virgilio,  quando  prender  si  sentio, 

Disse  a  me:  Fatti  in  qua,  si  eh'  iati  prenda:  j  ^'^<^^ 
Poi  fece  si,  che  un  fascio  er'  egli  ed  io. 

136.    Qual  pare  a  riguardar  la  Carisenda 

Sotto  il  chinato,  quando  un  nuvol  vada 

3.  oh- ella  in  coutrario  Sopr'CSSa    SI,     ChC    clla    lUCOUtrO    penda;  >¥.  si,rheae:u 

119.  Anche  se  fossi  —  all'  altra  guerra  ~   120.  De'  tuoi  fratei  —  124.  Non  ci  far  gire  —   12B.   ancor  V  arpetu  -  i*^  '^ 
d'  Ercol  II  U'  d*  Ercole  (?)  —  jpà  la  gran  str.  ||  la  grande  str.  —  137.  Sotto  chinata  —  quando  nuvol  v. 


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POZZO,  INF-ERNO    XXXI.    139-145.  ante».  213 

139.    Tal  parve  Anteo  a  me  che  stava  a  bada  ^.  a  me  Anteo 

Di  vederlo  chinare,  e  fu  tal  ora 

Ch'  io  avrei  volut'  ir  per  altra  strada  :  -^  *  ^"^"»'  *"•**'  (•) 

142.    Ma  lievemente  al  fondo,  che  divora 
j. 3.  riposò  Lucifero  con  Giuda,  ci  sposò;  r.  sposo*- 

Ne  sì  chinato  li  fece  dimora, 
145.    E  come  albero  in  nave  si  levò.  r.  icvoe 


141.  Che  avrei  Tolut'  ir  -   145.  Ma  rome  —  alber  di  nave 


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CANTO  TRENTESIMOSECONDO 


3.  rime  ed  aspre 


3.  m.  <i  babbo 


3.  mule  pari. 


STiardava 


CI' 

k5  io  avessi  le  rime  aspre  e  chiocce, 

Come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 

Sopra  il  qual  pontan  tutte  1'  altre  rocce, 

4.    Io  premerei  di  mio  concetto  il  suco 

Più  pienamente;  ma  perch'  io  non  l'  abbo, 

Non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco. 

7.    Che  non  è  impresa  da  pighare  a  gabbo, 

Descriver  fondo  a  tutto  Y  universo. 

Ne  da  lingua  che  chiami  mamma  e  babbo. 

10.    Ma  quelle  Donne  aiutino  il  mio  verso, 
Ch'  aiutaro  Amfion  a  chiuder  Tebe, 
Si  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso. 

Vi.    Oh  sopra  tutte  mal  creata  plebe, 

Che  stai  nel  loco ,  onde  '1  parlare  è  duro , 
Me'  foste  state  qui  pecore  o  zebe. 

Ifi.    Come  noi  fiimmo  giù  nel  pozzo  scuro 

Sotto  i  pie  del  gigante,  assai  più  bassi, 
Fa\  io  mirava  ancora  all'  alto  muro, 


fi.  rime  ed  aspre 


r.  Di  «cri ver 

A.  m.  m.  »  babbo 


.4.  m.  uve  '1  p.    /f.  onde 
pari. 


.-1.  1.  dei  i(ìi(auti 

fi.  io  guardava  —  A.  t. 
allato    .-l.m. //.all'altro 


4.  tlel  mio  euue.  —  15.  state  voi  pec.  —  Vn.  nel  passo  scuro  ^  18.  ancor  intorno  il  muro 


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216 


rERCH.    IX.    TRADITORI. 


INFERNO    XXXII.    19-42. 


CONTI    DI    MANGONA. 


].  Slitto  |). 


l.  2.  3.  Di  verno  — 
2.  3.  Aiistericch 

1.  2.  3.  Né  1  Tanni 
1.  2.  3.  Tabt'rniccli 


l.  2.  3.  criccli 


19.    Dicere  udimmi:  Guarda,  come  passi; 

Fa  sì,  che  tu  non  calchi  con  le  piante 
Le  teste  de'  fratei  miseri  lassi. 

22.    Perch'  io  mi  volsi,  e  vidimi  davante 

E  sotto  i  piedi  un  lago,  che  per  gelo 
Avea  di  vetro  e  non  d'  acqua  sembiante. 

25.    Non  fece  al  corso  suo  sì  grosso  velo 
D' inverno  la  Danoia  in  Osterie , 
Ne  Tanai  là  sotto  il  freddo  cielo, 

28.    Com'  era  quivi:  che,  se  Tambernic 
Vi  fosse  su  caduto,  o  Pietrapana, 
Non  avria  pur  dall'  orlo  fatto  cric. 

31.    E  come  a  gracidar  si  sta  la  rana 

Col  muso  fuor  dell'  acqua,  quando  sogna 
Di  spigolar  sovente  la  villana: 

H4.    Livide  insin  là  dove  appar  vergogna, 
Eran  1'  ombre  dolenti  nella  ghiaccia, 
Mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna. 

H7.    Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  faccia: 

Da  bocca  il  freddo,  e  dagU  occhi  il  cor  tristo 
Tra  lor  testimonianza  si  procaccia. 

40.    Quand' io  ebbi  d'intorno  alquanto  visto, 
Volsimi  a'  piedi,  e  vidi  due  sì  stretti, 
Che  il  pel  del  capo  avieno  insieme  misto. 


r.  Va  si 


li.    ifOtU»    \}. 


H.  C.  V  ìuv.  —  B  AiiMe- 
rìcchi  C  Osterirchi 
A.  2.  Osterlicphi 


--I.2.  B.  C.  Tamheruiccbi 


A.  2.  H.  f '.  cricchi 


A.  ì.  Liv.  si  lÀ 


A.  1.  m*  ebbi 


19.  Die.  udimmo        2(k  la  Danubia  —  Osterleccbi  ||  Estrelicchi  ||  ver  StrìlUcchi  —  27.  Non  Tanai  —  26.  Ciambcruiccbi  \\  Giambcr- 
licchi  —  30.  pur  coir  orlo  —  34.  Liv.  iufin  là  |,  L,  infra  là  ||  L.  sin  là  —  41.  Volsi  i  miei  passi  —  42.  il  pel  del  corpo 


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CERCH.  IX.  8PARTIM.  1.  CAiNA. 


INFERNO    XXXII.    48-66. 


CONTI   DI   MANGONA. 


217 


:no  c«>«  legno  — 
2.  3.  spranga  mai 


A.  Col  legno  —  A.  2.  B. 
C.  spranga  mai 


43.    Ditemi  voi,  che  si  stringete  i  petti, 
yi^'^Tìi  Diss'io,  chi  siete.  E  quei  piegaro  i  colli;        ^.piegarli 

E  poi  eh'  ebber  li  visi  a  me  eretti,  a  i.  a  me  diretti 

46.    Gli  occhi  lor,  eh'  erari  pria  pur  dentro  molli, 

Gocciar  su  per  le  labbra,  e  il  gielo  strinse    ^.  per  labbra 

Le  lagrime  tra  essi,  e  riserrolli: 
49.    Con  legno  legno  mai  spranga  non  cinse 

Forte  cosi,  ond'  ei,  come  due  becchi, 

Cozzaro  insieme  :  tant'  ira  li  vinse. 
52.    Ed  un,  eh'  avea  perduti  ambo  gli  orecchi 

Per  la  freddura,  pur  col  viso  in  giue 

Mi  disse:  Perchè  tanto  in  noi  ti  specclii? 
55.    Se  vuoi  saper  chi  son  cotesti  due, 

La  valle,  onde  Bisenzio  si  dichina. 

Del  padre  loro  Alberto  e  di  lor  fue. 
58.    D'  un  corpo  uscirò  :  e  tutta  la  Caina 

Potrai  cercare,  e  non  troverai  ombra 

Degna  più  d'  esser  fitta  in  gelatina: 
n  ciueiia  fii.    Nou  quclU,  a  cui  fu  rotto  il  petto  e  1'  ombra 

Con  esso  un  colpo,  per  la  man  d'  Artii: 

Non  Focaccia:  non  questi,  che  m' ingombra 
64.    Col  capo  sì,  eh'  io  non  veggio  oltre  più., 
woartuik  E  fu  nomato  Sassol  Mascheroni: 

Se  Tosco  se',  ben  sa'  ornai  chi  fu. 


L  Disse:  Perchè 
>t. 


B.  Disse:  Pere,  cotanto 
C.  Disse:  Perchè  in 
noi  tanto 


A,  C.  Bisenso 


i  e'  fu 


47.  Gocc.  giù  per  le  l.   —  48.  Le  lagr.  tra  esse  —  53.  la  freddura ,  e  pur  —  60.  d'  esser  fatta  in  gel.  —  61.  Non  quello  —  62.  Con 
A  coljM»    -  (3.  Non  Foc.  con  questi  —  66.  ben  dei  saper  chi  fu 

1.  28 


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218  CERCH.    IX.    8PARTIM.    1.    CAINA.  INFERNO     XXXIl.     67—90.  OAMiriON    de'  PAZZI. 

67.    E  perchè  non  mi  metti  in  più  sermoni,  A.mim^tix 

3.  eh' io  sono  Sappi  ch'io  fui  il  Camicion  de' Pazzi,  .4.  «r.v.. 

Ed  aspetto  CarUn  che  mi  scagioni. 
70.    Poscia  vid'  io  mille  visi ,  cagnazzi 

Fatti  per  freddo:  onde  mi  vien  riprezzo, 

E  verrà  sempre,  de'  gelati  guazzi. 

73.    E  mentre  che  andavamo  in  ver  lo  mezzo, 

1. 2. 3. raiina  Al  qualc  Ogni  gravczza  si  raduna,  r. ragu^  ir. 

Ed  io  tremava  nell'  etemo  rezzo: 
76.    Se  voler  fu,  o  destino,  o  fortuna, 

1.  pcrict.  Non  so:  ma  passeggiando  tra  le  teste, 

Forte  percossi  il  pie  nel  viso  ad  una.  .4.  i.neiv^r 

79.    Piangendo  mi  sgridò:  Perchè  mi  peste? 
Se  tu  non  vieni  a  crescer  la  vendetta 
Di  Mont'  Aperti,  perchè  mi  moleste? 
82.    Ed  io:  Maestro  mio,  or  qui  m'  aspetta, 
Sì  eh'  io  esca  d'  un  dubbio  per  costui: 
Poi  mi  farai,  quantunque  vorrai,  fretta. 
85.    Lo  Duca  stette;  ed  io  dissi  a  colui 

Che  bestemmiava  duramente  ancora:  j. /. bu^nw-- 

Qual  se' tu,  che  cosi  rampogni  altrui? 

2.  che  va  88.    Or  tu  chi  se',  che  vai  per  1'  Antenora  a.  i.  o  n 

Percotendo,  rispose,  altrui  le  gote 
1. 2.  vivo  fossi  Si,  che  se  fossi  vivo,  troppo  fora?  /?.  t.v.> fo.*. 

71.  Fatti  pel  loci)  —  77.  pass,  fra  le  teste  —  78.  il  pie  nel  capo  —  81.  Monte  Aperto  —  84.  quanto  vorrai 


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rERCII.  IX.  SPARTUI.  2.  ANTENORA.  INFERNO     XXXII.     91—114.  BOCCA    DEGLI    ABATI.  219 

91.    Vivo  son  io,  e  caro  esser  ti  puote, 

Fu  mia  risposta,  se  domandi  fama, 

Ch'  io  metta  il  nome  tuo  tra  1'  altre  note. 
94.    Ed  egli  a  me:  Del  contrario  ho  io  brama: 

Levati  quinci,  e  non  mi  dar  più  lagna: 

Che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama. 
97.    Allor  lo  presi  per  la  cuticagna, 

E  dissi:  E'  converrà  che  tu  ti  nomi, 

0  che  capei  qui  su  non  ti  rimagna. 
100.    Ond'  egU  a  me:  Perchè  tu  mi  dischiomi,  ^.  di»comi 

1  Numi  Ne  ti  dirò  ch'io  sia,  ne  mostrerolti, 

Se  mille  fiate  in  sul  capo  mi  tomi.  a.  mine  volte  - 

/?.  fiate  sul 

103.    Io  avea  già  i  capelli  in  mano  avvolti, 
3.  tratto  E  tratti  gUen'  avea  più  d'  una  ciocca, 

Latrando  lui  con  gU  occhi  in  giù  raccolti; 
106.    Quando  un  altro  gridò:  Che  hai  tu.  Bocca? 

Non  ti  basta  sonar  con  le  mascelle, 

Se  tu  non  latri?  qual  diavol  ti  tocca?  -4.  utra 

109.    Omai,  diss'  io,  non  vo'  che  tu  favelle. 

Malvagio  traditor,  che  alla  tua  onta  a.  che  u  tua 

Io  porterò  di  te  vere  novelle. 
112.    Va  via,  rispose,  e  ciò  che  tu  vuoi,  conta; 

Ma  non  tacer,  se  tu  di  qua  entr'  eschi, 
3.  Di  quel  Di  quei  eh'  ebbe  or  cosi  la  lingua  pronta. 

'M.  Del  contr.  aggio  brama  ~  97.  Allora  il  pr.  ||  Allor  lo  preser  ~  96.  E  dissi:  Converrà  ||  E  dissi:  Ek,  couverrA  —  99.  eapel  sol 
OD  ti  —  107.  sonar  per  le  mase.  —  108.  che  diavol  —  109.  che  più  favelle  —  110.  con  la  tua  onta  -   113.  se  di  qua  entro 

28- 


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220 


CKKCH.  IX.  SPARTIM.  2.  ANTENORA.  INFERNO     XXXII.     115  —  139. 


BU080   DA    DUKBA. 


1.  Beccaria 


1.  2.  3.  del  Soia. 


1.  capello 


1.  2.  3.  s'  aggiunge 
3.  sì  rose 


1.  2,  3.  che  tu 


115.    Ei  piange  qui  l'argento  de' Franceschi: 
Io  vidi,  potrai  dir,  quel  da  Duera 
Là  dove  i  peccatori  stanno  freschi. 

118.  Se  fossi  domandato,  altri  chi  v'  era. 
Tu  hai  da  lato  quel  di  Beccheria, 
Di  cui  segò  Fiorenza  la  gorgiera. 

121.    Gianni  de'  Soldanier  credo  che  sia 

Più  là  con  Ganellone  e  Tribaldello, 
Ch'  apri  Faenza  quando  si  dormia. 

124.    Noi  eravam  partiti  già  da  elio, 

Ch'  io  vidi  due  ghiacciati  in  una  buca 
Sì,  che  r  un  capo  all'  altro  era  cappello: 

127.    E  come  il  pan  per  fame  si  manduca, 
Cosi  il  sopran  li  denti  all'  altro  pose 
Là  've  il  cervel  si  giunge  colla  nuca. 

130.    Non  altrimenti  Tideo  si  rose 

Le  tempie  a  Menalippo  per  disdegno, 
Che  quei  faceva  il  teschio  e  1'  altre  cose. 

133.    0  tu  che  mostri  per  si  bestiai  segno 
Odio  sopra  colui  cui  tu  ti  mangi. 
Dimmi  il  perchè,  diss'  io,  per  tal  convegno, 

136.    Che  se  tu  a  ragion  di  lui  ti  piangi, 

Sappiendo  chi  voi  siete,  e  la  sua  pecca, 
Nel  mondo  suso  ancor  io  te  ne  cangi, 

1 39.    Se  quella  con  eh'  io  parlo  non  si  secca. 


B.  BeccMT 


A.  già  parti'.. 
A.  1.  »>«!• 


B.  l'un  &«r»:  ;- 


A.  1.  Ovrl-  !- 


B.  f  he  ta 


A.  fi»  scf€» 


115.  E  piange  qui  —  117.  dove  i  traditori  -   122.  Ganalouc   —  Tibaldello  ||  Tcbaldello  ||  Tobaldello  —   127.  si  manu» 
isdegno   -  132.  faceva  al  teschio  —  135.  con  tal  convegno  —   137.  Sapendo  —  138.  Nel  in.  su  ancora  —  139.  Se  questa 


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CANTO  TRENTESIMOTEHZO 


2.  3.  tu  sic 


2.3. 

•2.  .3. 


il  Conte 
(ju.  r  Aro. 


Jja  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto 
Quel  peccator,  forbendola  ai  capelli 
Del  capo,  eh'  egli  avea  diretro  guasto. 
4.    Poi  cominciò  :  Tu  vuoi  eh'  io  rinnovelli 
Disperato  dolor  che  il  cor  mi  preme, 
Già  pur  pensando,  pria  eh'  io  ne  favelli. 
7.    Ma  se  le  mie  parole  esser  den  seme, 

Che  frutti  infamia  al  traditor  eh'  io  rodo, 
Parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

10.    r  non  so  chi  tu  sei,  ne  per  che  modo 
Venuto  se'  quaggiù;  ma  Fiorentino 
Mi  sembri  veramente,  quand  io  t'  odo. 

13.    Tu  dei  saper  eh'  io  fili  Conte  Ugolino, 
E  questi  è  Y  Arcivescovo  Ruggieri  : 
Or  ti  dirò  perch'  io  son  tal  vicino. 

16.    Che  per  1'  effetto  de'  suo'  ma'  pensieri. 
Fidandomi  di  lui,  io  fossi  preso 
E  poscia  morto,  dir  non  è  mestieri. 


fì.  sì  levò 


A.  Dispictato 
r.  che  ne  fav. 
A.  (\  esser  tlien 


[D.  XXIX.  109  -  J 
A.  2.  vedrà  'mi 


R.  tu  sie 


fì.  questi  r  Are. 
A.  m.  perch*  ei  *on 
(\  2.  mal  pen«. 


1.  del  fiero  pasto  —  3.  eh'  ei  gli  area  —  8.  Che  fruttin  fama  —  9.  Pari,  e  lagr.  mi  vedrai  ||  Pari,  vedrai  e  lagr.  —  14.  K  questi) 
errhè  i  son  tal  (?)  —  16.  del  suo  mal  pens. 


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222         rEiini.  IX.  si'ARTiM.  2.  ANTENORA.        INFERNO    XXXIll.    19  —  42.  conte  Ugolino. 

19.  Però  quel  che  non  puoi  avere  inteso, 
Ciò  è  come  la  morte  mia  fii  cruda, 
Udirai,  e  saprai  se  m'  ha  oflfeso. 

22.    Breve  pertugio  dentro  dalla  muda. 

La  qual  per  me  ha  il  titol  della  fame, 
i^h' altrui  E  in  che  conviene  ancor  ch'altri  si  chiuda,   /JErhr-Aù 

25.    M'  avea  mostrato  per  lo  suo  forame 
i.  Pij,,„„,e  Più  lune  già,  quand  io  feci  il  mal  sonno,       B.piuwm-f: 

Che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame. 

28.    Questi  pareva  a  me  maestro  e  domio. 

Cacciando  il  lupo  e  i  lupicini  al  monte. 
Per  che  i  Pisan  veder  Lucca  non  ponno. 

31.    Con  cagne  magre,  studiose  e  conte,  A^uiM^n 

(Gualandi  con  Sismondi  e  con  Lanfranchi 
S'  avea  messi  dinanzi  dalla  fronte. 

34.    In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi  /;.?»«  trm, 

Lo  padre  e  i  figli,  e  con  1'  acute  scane 
Mi  parca  lor  veder  fender  li  fianchi. 

37.    Quando  fili  desto  innanzi  la  dimane,  j.  au»aia 

Pianger  senti'  fra  il  sonno  i  miei  figUuoh, 
eh'  eran  con  meco,  e  domandar  del  pane. 

40.    Ben  se'  crudel,  se  tu  già  non  ti  duoli, 
i.  2.  ciò  ci.  al  mio  Pcusaudo  ciò  ch'il  mio  cor  s'annunziava:      A.'iB'.h 

mio  -  l>  • 

E  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli? 


21.  Naprai  s'  ci  m'  ha  off.  —  26.  Più  lumi  già  —  quando  feci  —  31.  nuLf^  e  studiose  —  35.  1*  acute  sane  —  37.  Qiiaa<l  >'  ' 
39.  Ch*  erano  mect»  —  41.  ciò  che  il  cor  s'  ann. 


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f-RRCH.  IX.  SPARTIM.  2.  ANTENORA.         INFERNO     XXXIII.     43  —  66.  CONTE    UOOI.ISO.  223 

arMn2.i»ramdMti  43.    Già  Braii  destì,  e  l'ora  s'appressava  /?.  «r»  .lestxi 

Che  il  cibo  ne  soleva  essere  addotto, 
E  per  suo  sogno  ciascun  dubitava: 
46.    Ed  io  sentii  chiavar  1'  uscio  di  sotto 
All'  orribile  torre  ;  ond'  io  guardai 
Nel  viso  a'  miei  figliuoi  senza  far  motto. 
49.    Io  non  piangeva;  si  dentro  impietrai: 
Piangevan  elli;  ed  Anselmuccio  mio 
Disse:  Tu  guardi  sì,  padre:  che  hai? 
52.    Però  non  lagrimai,  né  rispos' io  ^.  prrdò 

Tutto  quel  giorno,  ne  la  notte  appresso, 
Infin  che  1'  altro  sol  nel  mondo  uscio. 
55.    Come  un  poco  di  raggio  si  fu  messo 
Nel  doloroso  carcere,  ed  io  scorsi 
Per  quattro  visi  il  mio  aspetto  stesso: 
i  mani  per  ci.       58.    Ambo  Ic  msni  per  lo  dolor  mi  morsi. 
i Kqiiei  Ed  ei,  pensando  eh' io '1  fessi  per  voglia         /^.  K.,nci 

Di  manicar,  di  subito  levorsi, 
HI.    E  disser:  Padre,  assai  ci  fia  men  dogUa, 
Se  tu  mangi  di  noi:  tu  ne  vestisti 
Queste  misere  carni,  e  tu  le  spoglia. 
64.    Queta'  mi  allor  per  non  farli  più  tristi: 
i^uci  di  Lo  dì  e  r  altro  stemmo  tutti  muti  : 

Ahi  dura  terra,  perchè  non  t'  apristi? 

43.  e  r  ora  trapassava  —  45.  E  per  suo  segno  —  46.  E  io  sento  chiavar  —  47.  Uell'  orrib.  torre  -  onde  (guardai  —  4S.  a'  miei 
A  -  49.  si  dentro  m' impetrai  —  50.  pens.  eh'  il  fessi  —  61.  assai  ci  sia  ||  ass.  te  sia  —  62  Che  tu  mangi  -  tu  le  ve.stisti  —  65.  1/  un 
*  altro  I'  Quel  giorno  e  V  al. 


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224 


(  EKCH.  IX.  SPARTIM.  2.  ANTKNORA. 


INFERNO    XXXm.    67-90. 


CONTE    UOOLINU. 


1.  'À.  E  tre  di 


1.  2.  3.  Capraia 


1.  Uuiiicriilue 


67.    Posciachè  fummo  al  quarto  dì  venuti, 
(raddo  mi  si  gittò  disteso  a'  piedi, 
Dicendo  :  Padi-e  mio ,  die  non  m'  aiuti  V 

70.    Quivi  morì:  e  come  tu  mi  vedi, 

Vid'  io  cascar  li  tre  ad  uno  ad  uno 

Tra  il  quinto  di  e  il  sesto  :  ond'  io  mi  diedi 

7H.    Già  cieco  a  brancolar  sopra  ciascuno, 

E  due  di  li  chiamai  poi  che  fur  morti: 
Poscia,  più  che  il  dolor,  potè  il  digiuno. 

76.    Quand'  ebbe  detto  ciò,  con  gli  occhi  torti 
Riprese  il  teschio  misero  coi  denti. 
Che  furo  all'  osso,  come  d'  un  can,  forti. 

7J>.    Ahi  Pisa,  vituperio  delle  genti 

Del  bel  paese  là,  dove  il  si  suona; 
Poi  che  i  vicini  a  te  punir  son  lenti, 

82.   Movasi  la  Caprara  e  la  (iorgona, 

E  faccian  siepe  ad  Arno  in  su  la  foce, 
8ì  eh'  egli  anneghi  in  te  ogni  persona. 

85.    Che  se  il  Conte  Ugohno  aveva  voce 
.    D'  aver  tradita  te  delle  castella. 

Non  dovei  tu  i  figUuoi  porre  a  tal  croce. 

88.    Innocenti  facea  V  età  novella. 

Novella  Tebe,  Uguccione  e  il  Brigata, 
E  gU  altri  due  che  il  canto  suso  appella. 


H.  K  tre  eli 

l).  Poiché '1  dol.    put«- 
più  che  "1 


A.  m.  (\  Che  for&r  l'o»n 


B.  Capraja 


A.  2.  a  face'  gii  età 
D.  l'gnìccione 


07.  al  ({uartcì  divenuti   -  69.  E  disse:  Padre  perchr  non  —  72.  Tra  il  quarto  di  e  '1  quinto  —  74.  poi  eh'  ei  fur  tu.  ||  da  che  fur  ni.  —      j 
HI.  Si  che  anneghi   -  85.  Che  se  Conte  Ug.  —  avea  la  voce  ||  avea  ria  voce  —  86.  D'  aver  tradito  te  ||  D'  av.  tradite  tre  (?)  —  87.  Non  dovrano 
i  figl.  portar  tal  cr.     -  hh.  Innocent'  i  facea 


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CERCH.  IX.  8PARTIM.  3.  TOLOMEA.  INFERNO     XXXIII.     91  —  114.  FRATE    ALBERIOO.  225 

91.    Noi  passamm'  oltre,  là  've  la  gelata  Adovcug, 

Ruvidamente  un'  altra  gente  fascia, 

Non  volta  in  giù,  ma  tutta  riversata. 
94.    Lo  pianto  stesso  li  pianger  non  lascia, 

E  il  duol,  che  trova  in  sugli  occhi  rintoppo. 

Si  volve  in  entro  a  far  crescer  1'  ambascia:  ^  volge -/^.v.  dentro - 

A.  2.  C.  D.  e  fa  cr. 

97.    Che  le  lagrime  prime  fanno  groppo, 

E,  sì  come  visiere  di  cristallo, 

Riempion  sotto  il  ciglio  tutto  il  coppo. 
100.    Ed  awegna  che,  si  come  d'un  callo, 

Per  la  freddura  ciascun  sentimento 

Cessato  avesse  del  mio  viso  stallo,  />.  daimiov. 

103.    Già  mi  parca  sentire  alquanto  vento; 

Perch'io:  Maestro  mio,  questo  chi  move? 
>. 3.  quaggiuso  Non  è  quaggiù  ogni  vapore  spento?  ^.  quagiuso 

106.    Ond' egli  a  me:  Avaccio  sarai,  dove  a2.  r.  AEdegu 

Di  ciò  ti  farà  1'  occhio  la  risposta, 

Veggendo  la  cagion  che  il  fiato  piove.  u.  Dato  move 

109.    Ed  un  de'  tristi  della  fredda  crosta 

Gridò  a  noi:  0  anime  crudeli 

Tanto,  che  data  v'  è  1'  ultima  posta, 
112.    Levatemi  dal  viso  i  duri  veli. 

Si  eh'  io  sfoghi  il  dolor  che  il  cor  m' impregna,  e.  d.  w  duoi 

Un  poco,  pria  che  il  pianto  si  raggeli. 

94.  lor  pianger  non  1.  —  96.  .Si  Tolve  indietro  —  a  far  volver  I*  amb.  —  100.  E  ayvcgna,  cosi  come  (?)  —  112.  Levatemi  del  riso  || 
li  tìso  —  113.  il  cor  mi  pregna 

I.  29 


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226 


CERCH.  IX.  8PABTIM.  3.  TOLOMEA. 


INFERNO    XXXni.    115-138. 


FRATE    ALBEBIOO. 


1.  dalle  frutta 


1.  2.  3.  dissi  lui 


1.  gli  è  tolto 


1.  2.  3  dietro 


115.    Perch'  io  a  lui:  Se  vuoi  eh'  io  ti  sowegna, 
Dimmi  chi  sei,  e  s' io  non  ti  disbrigo, 
Al  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  convegna. 

118.    Rispose  adunque:  Io  son  Frate  Alberigo, 
Io  son  quel  delle  frutte  del  mal  orto, 
Che  qui  riprendo  dattero  per  figo. 

121.    0,  diss' io  lui:  Or  sei  tu  ancor  morto? 
Ed  egli  a  me:  Come  il  mio  corpo  stea 
Nel  mondo  su,  nulla  scienza  porto. 

124.    Cotal  vantaggio  ha  questa  Tolomea, 
Che  spesse  volte  1'  anima  ci  cade 
Innanzi  eh'  Atropòs  mossa  le  dea. 

127.  E  perchè  tu  più  volentier  mi  rade 
Le  invetriate  lagrime  dal  volto, 
Sappi  che  tosto  che  Y  anima  trade, 

130.    Come  fee'  io,  il  corpo  suo  1'  è  tolto 

Da  un  demonio,  che  poscia  il  governa 
Mentre  che  il  tempo  suo  tutto  sia  volto. 

133.    Ella  mina  in  si  fatta  cisterna; 

E  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
Dell'  ombra  che  di  qua  retro  mi  verna. 

136.    Tu  il  dei  saper,  se  tu  vien  pur  mo  giuso: 
EgU  è  Ser  Branca  d'Oria,  e  son  più  anni 
Poscia  passati,  eh'  ei  fu  sì  racchiuso. 


B.  ehi  fili- 


A.  2-  daU.*  f    ■ 


fi.  r.  di*w  1. 


A.  Prima  ri*  - 


.i.  m.  f.  Nel  9 
ilr.-/).1- 


A.  1.  e  M» 


126.  Atr.  morso  le  dea  —  12R.  I^c  vetriate  lagr.  —  130.  il  corpo  su  1*  e  tolto 


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CERCH.  IX.  SPABTIM.  3.  TOLOMEA. 


INFERNO    XXXIII.    139-157. 


BRANCA   D    ORIA. 


227 


1.  2.  3.  diss'  io 


1.  ucor  Michert  Z. 
3.  un  diav. 


1.  f^Uen  ap. 
1.  2.  3.  fu  lui 


139.    Io  credo,  dissi  lui,  che  tu  m' inganni; 

Che  Branca  d'  Oria  non  morì  unquanche, 
E  mangia  e  bee  e  dorme  e  veste  panni. 

142.    Nel  fosso  su,  diss'  ei,  di  Malebranche, 
Là  dove  bolle  la  tenace  pece. 
Non  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

145.    Che  questi  lasciò  il  diavolo  in  sua  vece 
Nel  corpo  suo,  e  d'un  suo  prossimano 
Che  il  tradimento  insieme  con  lui  fece. 

148.    Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano. 

Aprimi  gli  occhi:  ed  io  non  gliele  apersi, 
E  cortesia  fii,  in  lui  esser  villano. 

151.    Ahi  Genovesi,  uomini  diversi 

D'  ogni  costume,  e  pien  d'  ogni  magagna. 
Perchè  non  siete  voi  del  mondo  spersi? 

154.    Che  col  peggiore  spirto  di  Romagna 

Trovai  un  tal  di  voi,  che  per  sua  opra 
In  anima  in  Cocito  già  si  bagna, 

157.   Ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 


B.  D.  diss*  io 


A,  2.  C.  dei  Malcbr. 

A.  1.  Là  ove 

B.  ancor  Mickeri  Z. 


A.  corpo  suso  —    A.  C. 
et  un 


C.  oggimai 


B.  D.  fu  lui 


C.  costum,  pieni 


A.  D.  di  voi  un  tal 
D.  in  Coc.  si  b. 


139.  lo  credo ,   diss'  io  a  lui  —  149.  non  glieli  apersi  —  150.  E  cori,  fu ,  a  lui  —    152.  Pien  di  malizia  e  d'  ogni  ria  mag. 

29* 


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CANTO  TRENTESIMOQUARTO 


rexilla  Regis  prodeunt  inferni 

Verso  di  noi:  però  dinanzi  mira, 
Disse  il  Maestro  mio,  se  tu  il  discerni. 
4.    Come  quando  una  grossa  nebbia  spira, 
0  quando  T  emisperio  nostro  annotta, 
Par  da  lungi  un  moUn  che  il  vento  gira; 
7.    Veder  mi  parve  un  tal  dificio  allotta: 
Poi  per  lo  vento  mi  ristrinsi  retro 
L  3.  non  V  era  Al  Duca  uiìo  ;  chò  non  lì  era  altra  grotta. 

10.    Già  era  (e  con  paura  il  metto  in  metro) 
L  3.  tutte  era«  Là,  dovc  1' ombrc  eran  tutte  coperte,  r  tutte  r ombre - 

B.  D.  tutte  eran 

E  trasparean  come  festuca  in  vetro. 
L  stanno  ai;.        13.    Altre  souo  a  glaccrc ,  altre  stanno  erte. 

Quella  col  capo,  e  quella  con  le  piante;         ^.  2.  cai>o.«,ueiia 
Altra,  com' arco,  il  volto  a' piedi  inverte.        /;.  ai  pie  nm. 
16.    Quando  noi  fummo  fatti  tanto  avante, 

Ch'  al  mio  Maestro  piacque  di  mostrarmi         d.  parve  di  m. 
La  creatura  eh'  ebbe  il  bel  sembiante, 

3.  se  tu  diseemi  —  G.  malin  elie  vento  gira  ||  in.  eh'  al  vento  g.  —  9.  non  gli  era  altra  gr.  —  12.  eome  festuche  —  13.  altre  sono 
~  U.  (gitale  col  capo  ||  Altre  col  e.  ||  Qual  va  col  corpo  —  quale  con  le  p.  ||  ed  altre  con  le  p.  |[  qnal  va  e.  le  p.  —  15.  eom'  arco  il 
»    -  ai  pie  riverte 


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230  CKRCH.  IX.  SPARTIM.  4.  OIUDECCA.  INFERNO     XXXIV.     19  —  42.  LUCIFERO. 

19.    Dinanzi  mi  si  tolse,  e  fé'  restarmi, 

Ecco  Dite,  dicendo,  ed  ecco  il  loco. 

Ove  convien  che  di  fortezza  t'  armi. 
22.    Com'  io  divenni  allor  gelato  e  fioco, 

Noi  domandar.  Lettor,  ch'io  non  lo  scrivo,    />.  Nona. 

Però  eh'  ogni  parlar  sarebbe  poco. 
25.    Io  non  morii,  e  non  rimasi  vivo: 

Pensa  oramai  per  te,  s'  hai  fior  d' ingegno,     a.  oggim«i  -  e.  pene 

ornai 

Qual  io  divenni,  d'  uno  e  d'  altro  privo. 
28.    Lo  imperador  del  doloroso  regno 

Da  mezzo  il  petto  uscia  fuor  della  ghiaccia;  ai. Daim««op. 

E  più  con  un  gigante  io  mi  convegno, 
31.    Che  i  giganti  non  fan  con  le  sue  braccia:  B.n.chtgig. 

1. 2. 3.  oggimai  Vcdi  Oramai  quant'  esser  dee  quel  tutto  b.  a  oggimai 

1.  2.  3.  fatta  part*  Ch'  a    COSI    fattC    parti    si    confaccia.  B.  D.  fatt»  parte 

34.    S'  ei  fii  sì  bel  com'  egli  ò  ora  brutto, 

E  contra  il  suo  Fattore  alzò  le  cigUa,  ^i.  contro  ai  suo 

Ben  dee  da  lui  procedere  ogni  lutto. 

37.  0  quanto  parve  a  me  gran  maravigUa, 
Quando  vidi  tre  facce  alla  sua  testa! 
L'  una  dinanzi,  e  quella  era  vermigUa; 

40.    L'  altre  eran  due,  che  s'  aggiungieno  a  questa 
Sopr'  esso  il  mezzo  di  ciascuna  spalla, 
E  si  giungieno  al  loco  della  cresta;  a.  m.  u.  ai  colmo 

19.  e  fé*  ristarmi   -  26.  Pensa  ornai  tu  per  te  —  31.  Che  gigante  non  fa  —  non  fanno  con  le  br.  —  32.  Pensa  oramai  —  34.  com'  cHo 
ora  è  —  4().  Dell'  altre  due,  che  —  s'  aggiungeano  —  41.  da  ciasc.  spalla 


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rKRCII.  IX.  8PARTIM.  4.  OIUDECCA. 


INFERNO    XXXIV.    43-66. 


GIUDA,    BRUTO. 


231 


là .  ove 


gran  p. 


B.  là,  ove 


B.  D.  conveniva 
D.  vidi  mai 


A.  1.  B,  r.  J).  vilpistrello 

D.  t.  sollazzava    IJ.  m. 
su  alzava 


43.    E  la  destra  parea  tra  bianca  e  gialla; 

La  sinistra  a  vedere  era  tal,  quali 

Vengon  di  là,  onde  il  Nilo  s'  avvalla. 
46.    Sotto  ciascuna  uscivan  due  grandi  ali, 

Quanto  si  convenia  a  tanto  uccello; 

Vele  di  mar  non  vid'  io  mai  cotali. 
ipistr.  2. .3.^vispiatr.  49.    Nou  avcau  penne,  ma  di  vipistrello 

Era  lor  modo;  e  quelle  svolazzava, 

Sì  che  tre  venti  si  movean  da  elio. 
52.    Quindi  Oocito  tutto  s'  aggelava: 

Con  sei  occhi  piangeva,  e  per  tre  menti 

Gocciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava. 
55.    Da  ogni  bocca  dirompea  coi  denti 

Un  peccatore,  a  guisa  di  maciulla. 

Si  che  tre  ne  facea  così  dolenti. 
58.    A  quel  dinanzi  il  mordere  era  nulla. 

Verso  il  graffiar,  che  tal  volta  la  schiena 

Rimanea  della  pelle  tutta  brulla. 
61.    Quell'  anima  lassù  che  ha  maggior  pena, 

Disse  il  Maestro,  è  Giuda  Scariotto, 

Che  il  capo  ha  dentro,  e  fuor  le  gambe  mena.    u.  dentro  hai  capo 
64.    Degli  altri  due  eh'  hanno  il  capo  di  sotto , 

Quei  che  pende  dal  nero  ceffo  è  Bruto: 

Vedi  come  si  storce,  e  non  fa  motto: 


A.  1.  tai  volte 


A.  coin'  ei  ai  st. 


43.  La  destra  mi  parea  —  47.  al  tristo  ucc.  ||  a  sì  (atto  ucc.  —  48.  non  vid'  io  cotali  —  49.  Non  avea  penne  -  vespertello  |)  pipi- 
Ilu  —  50.  in  suso  alzava  ||  in  su  lanciava  —  54.  Gocc.  il  petto  e  sangu.  b.  ||  Goce.  al  petto  sangu.  b.  ||  Gocc.  pianto  e  sant^u.  b.  (?)  — 
A  quel  di  mezzo  —  62.  Giuda  Iscariotto 


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232  CENTRO  dell' UNIVERSO.  INFERNO    XXXIV.    67—90.  lucifero. 

67.    E  r  altro  è  Cassio,  che  par  si  membruto. 

Ma  la  notte  risurge;  ed  oramai 

E  da  partii',  che  tutto  avèm  veduto. 
70.    Com'  a  lui  piacque,  il  collo  gU  avvinghiai;         5.  c^in«i»r 

Ed  ei  prese  di  tempo  e  loco  poste: 

E,  quando  l'ale  fiiro  aperte  assai,  ^  r  aur  -  ^.  aperte 

^  furo 

73.    AppigUò  se  alle  vellute  coste: 

Di  vello  in  vello  giù  discese  poscia 

Tra  il  folto  pelo  e  le  gelate  croste. 
7().    Quando  noi  fiunmo  là  dove  la  coscia  d.  u  ove 

8i  volge  appunto  in  sul  grosso  dell'  anche, 

Lo  Duca  con  fatica  e  con  angoscia 
79.    Volse  la  testa  ov'  egli  avea  le  zanche, 

Ed  aggrappossi  al  pel  come  uom  che  sale, 

Si  che  m  inferno  io  credea  tornar  anche. 
1. 2. 3.  per  cutaii      82.    Atticutl  bcu,  chè  per  si  fatte  scale,  z?.  percouiì 

Disse  il  Maestro,  ansando  com'  uom  lasso, 

(Jonviensi  dipartir  da  tanto  male. 
85.    Poi  usci  fiior  per  lo  foro  d'  un  sasso , 

E  pose  me  in  sull'  orlo  a  sedere: 

Appresso  porse  a  me  1'  accorto  passo. 
88.    lo  levai  gli  occhi,  e  credetti  vedere  a.  io  chinai 

Lucifero  com'  io  1'  avea  lasciato, 

E  vidili  le  gambe  in  su  tenere. 

71.  prese  del  tempo  loco  e  posto  —  77.  in  sul  groppo  dell*  anche  —  79.  ov'  elio  avea  -  83.  ansiando  com'  uom  1.  —  84.  di  tanto  nule 


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SALITA    AL    PUROAT.  INFERNO     XXXIV.     91  —  114.  DANTE    E    VIHOILIO.  283 

91.    E  s' io  divenni  allora  travagliato,  ^. siodiv. 

La  gente  grossa  il  pensi,  che  non  vede 
i  V"*i  er«  il  Qual  e  quel  punto  eh'  io  avea  passato.  /?.  n.  gu*i  era  ii 

94.    Levati  su,  disse  il  Maestro,  in  piede: 

La  via  è  lunga,  e  il  cammino  è  malvagio, 
E  già  il  sole  a  mezza  terza  riede.  e-  io  soie 

97.    Non  era  camminata  di  palagio 

Là  V  eravam,  ma  naturai  burella  z^.  i)«v  e«y. 

Ch'  avea  mal  suolo,  e  di  lume  disagio.  r.  chavcai 

100.    Prima  ch'io  dell'abisso  mi  divella,  ^.  che  deiio  -  z>.  daiio 

Maestro  mio,  diss' io  quando  fili  dritto, 
A  trarmi  d'  erro  un  poco  mi  favella. 
103.    Ov'  è  la  ghiaccia?  e  questi  com'  è  fitto 
Si  sottosopra?  e  come  in  si  poc'  ora 
Da  sera  a  mane  ha  fatto  il  sol  tragitto? 
106.    Ed  egli  a  me:  Tu  immagini  ancora 
j.  D'esser  -  1. 2.  Esscr  dì  là  dal  centro,  ov'  io  m'  appresi        -^- 1-  (?)  «.  d- esser  - 

mi  presi  B.  C.  D.  mi  presi 

•mondo  Al  pel  del  vermo  reo  che  il  mondo  fora. 

109.    Di  là  fosti  cotanto,  quant' io  scesi: 

Quando  mi  volsi,  tu  passasti  il  punto  />. guandio 

Al  qual  si  traggon  d'  ogni  parte  i  pesi: 
112.    E  se'  or  sotto  1'  emisperio  giunto 
(lied  è  opposto  Ch'  è  contrapposto  a  quel  che  la  gran  secca  ^-  c^ed  é  opp.  - 

Coperchia,  e  sotto  il  cui  colmo  consunto 

U3.  punto  eli'  io  m'  avea  —   lasciato  —  96.  a  mezza  notte  riede   —  97.  cammin.  da  palagio  —   98.  Ov'  eravam   —  99.  Ch'  avea  di 
-  li)5.  ha  fatto  il  suo  trai;.  —  113.  Ch'  è  opposito  ||  Che  è  opposto 

1.  m 


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234  SALITA  AI.  PUHOAT.  INFERNO   XXXIV.    115—139.  dante  e  Virgilio. 

115.   Fu  r  uom  che  nacque  e  visse  senza  pecca: 
Tu  hai  li  piedi  in  su  picciola  spera 
Che  r  altra  faccia  fa  della  Giudecca.  j.  r*itrmj*r:. 

118.  Qui  è  da  man,  quando  di  là  è  sera: 
E  questi  che  ne  fé  scala  col  pelo, 
Fitto  è  ancora,  sì  come  prim'  era. 

121.    Da  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo: 

E  la  terra  che  pria  di  qua  si  sporse,  r.D.^i,>^>r^ 

Per  paura  di  lui  fé'  del  mar  velo , 
1. 2. 3.  no.tro        124.    E  venuc  air  emisperio  vostro;  e  forse  h.o.u..^^ 

Per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  loco  voto 
Quella  che  appar  di  qua,  e  su  ricorse. 

127.    Loco  è  laggiù  da  Belzebù  remoto  a.  c.  Bek^  =» 

Tanto,  quanto  la  tomba  si  distende. 
Che  non  per  vista,  ma  per  suono  è  noto 

1 30.    D'  un  ruscelletto  che  quivi  discende 

Per  la  buca  d'  un  sasso ,  eh'  egli  ha  roso      a.  u  »k*« 
Col  corso  eh'  egU  avvolge,  e  poco  pende. 

133.    Lo  Duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso 
Entrammo  a  ritornar  nel  chiaro  mondo: 
E  senza  cura  aver  d'  alcun  riposo 
1. 2.3.sai.  «u       136.    Salimmo  suso,  ei  primo  ed  io  secondo,  /?,  i;sj.»l 

Tanto  eh'  io  vidi  delle  cose  belle 
Che  porta  il  ciel,  per  un  pertugio  tondo, 

139.    E  quindi  uscimmo  a  riveder  le  stelle. 

118.  Qui  è  di  man  |)  Qui  è  dì  man  —  U  è  di  sera  —  119.  E  questi  che  oe  fa  se.  ||  E  questi  che  r  a  me  kc.  -  12U.  aacor  «:  '-' 
prima  era  —  126.  qui  loco  ||  quel  loco  —  126.  e  in  su  ricorse  —  134.  Entrammo  per  tornar 


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PURGATORIO 


m* 


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CANTO  PRIMO 


1.  2.  3.  miglior  acqua 


1  3.  dietro 


1.  2.  3.  Ore 


2.  3.  poesia 


2.  3.  Callìopea 


1.  ebe  di  usci    2.  ehed 

l'usci 


Xer  correr  migliori  acque  alza  le  vele 
Ornai  la  navicella  del  mio  ingegno, 
Che  lascia  retro  a  se  mar  si  cinidele. 
4.    E  canterò  di  quel  secondo  regno, 
Dove  r  umano  spirito  si  purga, 
E  di  salire  al  ciel  diventa  degno. 
7.   Ma  qui  la  morta  poesì  risurga, 

0  sante  Muse,  poiché  vostro  sono, 
E  qui  Calliope  alquanto  surga, 

10.    Seguitando  il  mio  canto  con  quel  suono 
Di  cui  le  Piche  misere  sentirò 
Lo  colpo  tal,  che  disperar  perdono. 

13.    Dolce  color  d'  orientai  zaffiro. 

Che  s'  accogUeva  nel  sereno  aspetto 
Dell'  aer  puro  infino  al  primo  giro, 

16.    Agli  occhi  miei  ricominciò  diletto. 

Tosto  eh'  f  uscii  fuor  dell'  aura  moitii, 
Che  m'  avea  contristati  gli  occhi  e  il  petto. 


{/>— 57.]  R  miglior  acqua 


C.  dietro 


tì.  Ove 


A.  (\  re5urga 


(\  Dal  mezzo  puro 


fi.  ched  i'  usci'  fuor 


3.  dietro  a  me  —  5.  1*  uman  spirito  —  9.  alquanto  turga  —  U.  le  Ninfe  mis.  —  14.  nel  benigno  asp.  —  17.  eh'  io  fuori  uscii 


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238 


ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    I.    19-42. 


1.  2.  da  loro 


2.  3.  Port.  »'  8a<iì 


1.  2.  3.  centra  'I 


19.    Lo  bel  pianeta  che  ad  amar  conforta, 
Faceva  tutto  rider  1'  oriente, 
Velando  i  pesci  eh'  erano  in  sua  scorta. 

22.    Io  mi  volsi  a  man  destra,  e  posi  mente 
All'  altro  polo ,  e  vidi  quattro  stelle 
Non  viste  mai  fuor  che  alla  prima  gente. 

25.    Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle. 
0  settentrional  vedovo  sito. 
Poiché  privato  sei  di  mirar  quelle! 

28.    Com' io  dal  loro  sguardo  fui  partito, 

Un  poco  me  volgendo  all'  altro  polo, 
Là  onde  il  carro  già  era  sparito; 

31.    Vidi  presso  di  me  un  veglio  solo, 

Degno  di  tanta  riverenza  in  vista, 

Che  più  non  dee  a  padre  alcun  figliuolo. 

34.    Lunga  la  barba  e  di  pel  bianco  mista 
Portava,  e  i  suoi  capegli  simigUante, 
De'  quai  cadeva  al  petto  doppia  lista. 

37.    Li  raggi  delle  quattro  luci  sante 

Fregiavan  sì  la  sua  faccia  di  lume, 

Ch'  io  '1  vedea  come  il  sol  fosse  davante. 

40.    Chi  siete  voi,  che  contro  al  cieco  fiume 
Fuggito  avete  la  prigione  eterna? 
Diss'  ei,  movendo  quell'  oneste  piume. 


.1.  1.  parca  lo  cìel 


B,  da  loro 


1.  era  già  dispar. 
un  vcrrhio 


centra  'I 
Fuggita  av. 


20.  Tutto  faceva  —  rider  tutto   —    24.  che  dalla  prima   —  27.  di  veder  quelle   —  28.  di  loro  sguardo   —  9l).  La  dove  —  31.  ^'i<Ii 
verso  di  me  —  38.  Che  più  non  ebbe  —  al  padre  ->  34.  barba  di  pel  —  40.  sopra  '1  cieco  f. 


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ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    I.    48  —  66. 


239 


'I.  3.  con  mani 


1.  2.  3.  se.  dal  oiel 


1.  2.  3.  non  e'  era 


3.  Mostrata 


43.    Chi  v'  ha  guidati?  o  chi  vi  fu  lucerna, 
Uscendo  fuor  della  profonda  notte 
Che  sempre  nera  fa  la  valle  inferna? 

46.    Son  le  leggi  d'  abisso  così  rotte? 

0  è  mutato  in  ciel  nuovo  consiglio, 
Che  dannati  venite  alle  mie  grotte? 

49.    Lo  Duca  mio  allor  mi  die  di  piglio, 

E  con  parole  e  con  mano  e  con  cenni, 
Riverenti  mi  fé'  le  gambe  e  il  cigUo. 

52.    Poscia  rispose  lui:  Da  me  non  venni; 

Donna  scese  del  ciel,  per  li  cui  preghi 
Della  mia  compagnia  costui  sovvenni. 

55.  Ma  da  eh'  è  tuo  voler  che  più  si  spieghi 
Di  nostra  condizion,  com'  ella  è  vera. 
Esser  non  puote  il  mio  che  a  te  si  neghi. 

58.    Questi  non  vide  mai  1'  ultima  sera, 

Ma  per  la  sua  folUa  le  fii  si  presso. 
Che  molto  poco  tempo  a  volger  era. 

61.    Si  come  io  dissi,  fili  mandato  ad  esso 

Per  lui  campare,  e  non  v'  era  altra  via 
Che  questa  per  la  quale  io  mi  son  messo. 

64.    Mostrato  ho  lui  tutta  la  gente  ria; 

Ed  ora  intendo  mostrar  quegli  spirti 
Che  purgan  se  sotto  la  tua  balia. 


fì.  scese  dal  eiel 


[D.  1  -]  A.  1.  i*uò  lo  mio 
r.  può  il  m. 


S.  1).  non  e'  era 


D.  Mostr.  gli  ho 


43.  efae  vi  fii  lue.  —  46.  sempre  buja  ||  nera  sempre  —  49.  Allora  il  D.  mio  —  52.  Poi  sì  risp.  —  risp.  a  lui  —  58.  scese  da  ciel  — 
57.  non  può  che  il  mio  a  te  —  59.  ri  fìi  si  pr.  —  62.  non  gli  era  —  66.  tua  bailia 


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240  ANTiPUROATOBio.  PURGATORIO    1.    67—90.  catokb. 

67.    Come  io  V  ho  tratto,  saria  lungo  a  dirti: 

Dell'  alto  scende  virtù  che  m'  aiuta 

(vonducerlo  a  vederti  ed  a  udirti. 
70.    Or  ti  piaccia  gradir  la  sua  venuta: 

Libertà  va  cercando,  che  è  sì  cara, 

Come  sa  chi  per  lei  vita  rifiuta. 
73.    Tu  il  sai;  che  non  ti  fii  per  lei  amara  /;. Tu^^.ri,: 

In  litica  la  morte,  ove  lasciasti 
2.  :j.  reste-  I.  hì  car»  La  vcsta  chc  al  grau  dì  sarà  sì  cliiara.  .4. 1. 1?)^  .« 

76.    Non  son  gli  editti  eterni  per  noi  guasti: 

Che  questi  vive,  e  Minos  me  non  lega; 

Ma  son  del  cerchio  ove  son  gli  occhi  casti 
79.    Di  Marzia  tua,  che  in  vista  ancor  ti  prega, 

0  santo  petto,  che  per  tua  la  tegni: 

Per  lo  suo  amore  adunque  a  noi  ti  piega. 
82.    Lasciane  andar  per  li  tuoi  sette  regni: 

Grazie  riporterò  di  te  a  lei. 

Se  d'  esser  mentovato  laggiù  degni. 
85.    Marzia  piacque  tanto  agli  occhi  miei. 

Mentre  eh'  io  fui  di  là,  diss'  egli  allora, 
1.2. 3.  volle  Che  quante  grazie  volse  da  me,  fei.  b.d. rowt 

88.    Or  che  di  là  dal  mal  fiume  dimora, 

Più  mover  non  mi  può  per  quella  legge 

Che  fatta  fu  quando  me  n'uscii  fiiora.  A.m.fnm{- 

<)8.  eke  II'  AJuta  —  Gè.  Condarlo  e  a  rederti  —  78.  son  nel  cerchio  —  80.  O  santo  padre  ->-  82.  I^ascìane  gir  —  8&.  ci''  •* 
eh'  io  vissi  —  90.  quand'  io  me 


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ANTIPURGATOBIO. 


PURGATORIO    1.    91  —  114. 


241 


1.  2.  3.  la&ini*n 


1.  2.  3.  ricingA 


1. 1  3.  stinga 


1. 1  3.  and.  davanti 


91.    Ma  se  donna  del  ciel  ti  move  e  regge 

Come  tu  di',  non  e'  è  mestier  lusinghe  : 
Bastiti  ben,  che  per  lei  mi  richegge. 
94.    Va  dunque,  e  fa  che  tu  costui  ricinghe 

D'  un  giunco  schietto ,  e  che  gU  lavi  il  viso, 
Sì  che  ogni  sucidmne  quindi  stinghe: 
97.    Che  non  si  converria  V  occhio  sorpriso 

D'  alcuna  nebbia  andar  dinanzi  al  primo 
Ministro,  eh'  è  di  quei  di  Paradiso. 

100.    Questa  isoletta  intorno  ad  imo  ad  imo, 
Laggiù  colà  dove  la  batte  V  onda, 
Porta  de'  giunchi  sopra  il  molle  Umo. 

103.    Nuli'  altra  pianta  che  facesse  fronda, 
0  indurasse,  vi  puote  aver  vita. 
Perocché  alle  percosse  non  seconda. 

106.    Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita; 
Lo  sol  vi  mostrerà,  che  surge  omai, 
Prender  lo  monte  a  più  lieve  salita. 

109.    Cosi  sparì;  ed  io  su  mi  levai 

Senza  parlare,  e  tutto  mi  ritrassi 
Al  Duca  mio,  e  gU  occhi  a  lui  drizzai. 
i.'j3.FigiiuoUeguiìin.  112.    Eì  comiuciò i  Seguisci  h  miei  passi: 

Yolgiamci  indietro,  che  di  qua  dicliina 
Questa  pianura  a'  suoi  termini  bassi. 


l.  Pigliate '12.  Prendete 
3.  Prender  il 


ff.  lusinga 

A.  r.  Bastisi  l>en 

R.  rioinga 

A.  stringhe    /?.  stinga 

B.  D.  andar  davanti 


H.  D.  dov'  ella  batte 


D.  t.  Prendete  '1  m. 
B.  Pigliate  '1  ni.  — 
B.  alU  sai. 


D.  Figliuol,  segui  m. 


91.  donna  dal  cicl   —  93.   Basti  si  che  ||  Basta  ben  che   —   per  lei   tu  mi    -  95.  D'  un  TÌnchio    —  96.  quivi  stinghe  —   102.  Porta 
de'  rinclij  -  104.  0  che  indur.  —  113.  Volgiti  ind.  ||  Volgete  ind. 


II. 


31 


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242  ANTiPURfiATOBio.  PURGATORIO    I.    115  —  136.  dante  k  Virgilio. 

115.    V  alba  vinceva  1'  ora  mattutina 

Che  fuggia  innanzi,  sì  che  di  lontano 

Conobbi  il  tremolar  della  marina. 
118.    Noi  andavam  per  lo  solingo  piano 
1. 2. 3.  smarrito »tr.  Com' uom  chc  toma  alla  perduta  strada,       /?. smarrì .^ 

Che  infino  ad  essa  gli  par  ire  in  vano. 
121.    Quando  noi  fìunmo  dove  la  rugiada  A.l.\ku^ru■ 

Pugna  col  sole,  e  per  essere  in  parte 
1.2. 3.  Ove  ad.  Dovc  adorezza,  poco  si  dirada;  /?.  ovf..kr 

124.    Ambo  le  mani  in  sull'  erbetta  sparte 

Soavemente  il  mio  Maestro  pose; 

Ond'  io  che  fui  accorto  di  su'  arte ,  z>.  Ed  io 

127.    Porsi  ver  lui  le  guance  lagrimose:  r. />.  vaui 

Quivi  mi  fece  tutto  discoperto  a.  hi 

Quel  color  che  Y  inferno  mi  nascose. 
130.    Venimmo  poi  in  sul  Uto  diserto, 

Che  mai  non  vide  navicar  sue  acque 
1.2. 3.  Uom,  che  di  rit.  Uomo ,  clic  di  tomar  sia  poscia  esperto. 

133.    Quivi  mi  cinse  si  come  altrui  piacque: 

0  maraviglia!  che  qual  egh  scelse  i^.^uairu.--* 

L'  umile  pianta,  co  tal  si  rinacque 
136.    Subitamente  là  onde  la  svelse.  j.tf.u«.- 


115.  li'  alba  viiicea  sii  —  120.  rIì  par  gin*  —  123.  Dove  adaurezza  —  128.  Lui  mi  fece  -  133.  rome  a  lui  piarqnf 


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e  ANTO  SECONDO 


vTià  era  il  sole  all'  orizzonte  giunto , 
Lo  cui  meridian  cerchio  coperchia  b.  d.  w  c«ì 

Jerusalem  col  suo  più  alto  punto: 
4.    E  la  notte  che  opposita  a  lui  cerchia, 
(ianRei;ià  Uscìa  òx  Gaugc  fuor  colle  bilance,  ^.  dì  Gange  già 

Che  le  caggion  di  man  quando  soperchia;       (\v\^t\\c^. 
7.    Si  che  le  bianche  e  le  vermiglie  guance. 
Là  dove  io  era,  della  bella  Aurora, 
Per  troppa  etate  divenivan  rance. 
.lunghesso  il  mare  10.    Noi  cravam  luughcsso  mare  ancora, 
Aspetta  suo  2.3.  Come  gente  che  pensa  a  suo  cammino,  h.  cir aspetta  suo  cam. 

he  pensa  suo 

Che  va  col  core,  e  col  corpo  dimora: 
sul  press..  2.  suol  13.    Ed  ccco  Qual ,  sorpreso  dal  mattino,  b.  «oi  presso  dei  matt. 

»so  -  l.  2. 3.  del  m.  x  x 

Per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia 
Giù  nel  ponente  sopra  il  suol  marino; 
16.    Cotal  m'apparve,  s'io  ancor  lo  veggia, 
Un  liune  per  lo  mar  venir  sì  ratto. 
Che  il  mover  suo  nessun  volar  pareggia; 

5.  fuor  dalle  bilance  —  11.  penta  il  ano  cam.  —  13.  Ecco  qual  solo  presso  —  soppresso  da  uiatt.  —  16.  sì  ancor  lo  t. 

31* 


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244 

1.  Del  qual 


ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    II.    19  —  42. 


ANGELO. 


1.  2.  B.  a  lui  n  uscio 


1.  2.  aperser  1'  «li 


19.    Dal  qual,  coin'  io  un  poco  ebbi  ritratto 
L'  occhio  per  domandar  lo  Duca  mio, 
Rividil  più  lucente  e  maggior  fiitto. 
i.  2. 3.  d-  ogni  parte      22.    Poi  d'  ogul  lato  ad  esso  m'  apparìo 

Un  non  sapeva  che  bianco,  e  di  sotto 
A  poco  a  poco  un  altro  a  lui  uscio. 

25.    Lo  mio  Maestro  ancor  non  fece  motto 

Mentre  che  i  primi  bianchi  apparser  ali: 
AUor  che  ben  conobbe  il  galeotto, 

28.    Gridò:  Fa,  fa  che  le  ginocchia  caU: 

Ecco  r  Angel  di  Dio  :  piega  le  mani  : 
Omai  vedrai  di  sì  fatti  offiziaU. 

31.    Vedi  che  sdegna  gli  argomenti  umani. 
Sì  che  remo  non  vuol,  ne  altro  velo 
Che  r  ale  sue ,  tra  liti  sì  lontani. 

34.    Vedi  come  Y  ha  dritte  verso  il  cielo , 

Trattando  1'  aere  con  Y  eterne  penne. 
Che  non  si  mutan  come  mortai  pelo. 

37.    Poi  come  più  e  più  verso  noi  venne 
L' uccel  divino,  più  chiaro  appariva; 
Per  che  1'  occhio  da  presso  noi  sostenne; 

40.    Ma  chinai  1'  giuso  ;  e  quei  sen  venne  a  riva 
Con  un  vasello  snelletto  e  leggiero. 
Tanto  che  1'  acqua  nulla  ne  inghiottiva. 


B.  e.  V  B.>e  4 
J.  l.  1  lui  B  -•'- 

B.  e.  apfTyr 


B.  rhiuiii  k  EJ- 


C  r  ali  -  (   ''  »' 
liti  Ioli 


B.  TralL  I  x'* 


*i3.  non  iiapea  che  biancheggiar  Di  s.  —  24.  un  altro  appresso  uscio  —  25.  non  faeea  motto    -  2fL  apparvcr  ali  ||  appar\e 
'M.  ginoechie  —  3.').  V  arr  ron  —  37.  K  come  più  —  38.  L'  angiol  divino  ||  1/  angcl  di  Dio  —  41.  un  vasrclln   -  vasccl  isnrllrtto 


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GooQle      ^ 


fhe  parott    —    1.  2. 
.  per  i^pritto 


lì.  che  parca  —  D.  per 
desor.    /?.  per  iscritto 


'  pò»  1 


3.  oarr.  il  rapr. 


amo  spirti 
3.  seni  ]>er. 


ANTIPURGATORIO.  PURGATORIO    n.    43  —  66.  angklo.  245 

43.    Da  poppa  stava  il  celestial  nocchiero, 

Tal  che  faria  beato  pur  descritto; 

E  più  di  cento  spirti  entro  sediero. 
46.    In  exitu  Israel  de  Egitto 

(Jantavan  tutti  insieme  ad  una  voce, 

Con  quanto  di  quel  salmo  è  poscia  scritto,     ^.  è  poi  «eritto 
49.    Poi  fece  il  segno  lor  di  santa  croce; 

Ond'  ei  si  gittar  tutti  in  sulla  piaggia, 

Ed  ei  sen  gì,  come  venne,  veloce.  />.««»  pi« 

52.    La  turba  che  rimase  lì,  selvaggia 

Parea  del  loco,  rimirando  intorno, 

Come  colui  che  nuove  cose  assaggia. 
55.    Da  tutte  parti  saettava  il  giorno 

Lo  sol ,  eh'  avea  colle  saette  conte  e.  va  soi 

Di  mezzo  il  ciel  cacciato  capricorno, 
58.    Quando  la  nuova  gente  alzò  la  fronte 

Ver  noi,  dicendo  a  noi:  Se  voi  sapete, 

Mostratene  la  via  di  gire  al  monte. 
61.    E  Virgilio  rispose:  Voi  credete 

Forse  che  siamo  esperti  d'  esto  loco  ;  h.  u.  m.  siamo  spirti 

Ma  noi  slam  peregrin ,  come  voi  siete.  b.  r.  «em  per. 

64.    Dianzi  venimmo  innanzi  a  voi  un  poco. 

Per  altra  via  che  fii  sì  aspra  e  forte, 

Che  lo  salire  ornai  ne  parrà  gioco.  '^  "^órlLfi' ^^' ^  "'' 


4.'».  entro  sederò  —  47.  Cant  tutti  quanti  —  51.  com'  ei  venne  —  M.  Come  colei    -  fifi.  A  tutte  parti  —  M.  innanti  a  voi   -  66.  Che  '1 
rmiii  ti  n>e  1  sai.  oggìmai 


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246 


ANTIPITRRATORIO. 


1.  2.  3.  lo  spirar 
D.  ancora 


1.  2.  3.  che  porta 


1.2. 


1.  agli  occhi  miei  — 
1.  2.  3.  s'  affisar 

1.  2.  3.  tutte  qu. 


1.  2.  3.  trarresi  av. 


1.  2.  3.  dictrri 


1.  Con.  allora  2.3.  Allor 
con.  —  1. 2. 3.  e  pre^AÌ 


PURGATORIO    II.    67-90.  r 

67.    L'  anime  che  si  fur  di  me  accorte, 

Per  lo  spirare;  eh'  io  era  ancor  vivo, 
MaravigUando  diventaro  smorte; 

70.    E  come  a  messaggier,  che  porti  oUvo, 
Tragge  la  gente  per  udir  novelle, 
E  di  calcar  nessun  si  mostra  schivo; 

73.    Cosi  al  viso  mio  s'  affissar  quelle 
Anime  fortunate  tutte  e  quante, 
Quasi  obbliando  d' ire  a  farsi  belle. 

76.    Io  vidi  una  di  lor  trarsi  davante 

Per  abbracciarmi  con  si  grande  afifetto, 
Che  mosse  me  a  far  lo  simigliante. 

75).    0  ombre  vane,  fuor  che  nell'aspetto! 
Tre  volte  retro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
E  tante  mi  tornai  con  esse  al  petto. 

82.    Di  maraviglia,  credo,  mi  dipinsi; 

Per  che  1'  ombra  sorrise  e  si  ritrasse, 
Ed  io  seguendo  lei,  oltre  mi  pinsi. 

85.    Soavemente  disse  eh'  io  posasse: 

Conobbi  allor  chi  era,  e  '1  pregai 

Che  per  parlarmi  un  poco  s'  arrestasse. 

88.    Risposemi  :  Cosi  com'  io  t'  amai 

Nel  mortai  corpo,  così  t'  amo  sciolta: 
Però  m'  arresto  :  ma  tu  perchè  vai? 


8.  e.  I).  lo  spirar  - 
(\  che  io  —  B.h.auci-n 


B.  /).  rbc  porrà 


B.  alsli  orchi  miri  — 
B,  »'  affisar  C.  s'ar!i>rr 
Z>.  s*  affisser 

A.  2.  B.  (\  U.  tuttf  i\ìi. 


B.  e.  trarresi  av. 


B.  Omlire  vaiie 
B.  r.  n.  dietro 


B.  Con.  allora  A.  2.  t. 
Allor  conolibi  -  R. 
D.  e  predai 


70.  al  messaggier  —  72.  E  del  calcar  —  73.  s'  avvisar  —  75.  d' ire  e  farsi   —  76.  di  loro  trarsi  —  trarrersi  |{  tragcersi  —  7^.  far  il 
aim.  —  81.  mi  tornar  |)  mi  trovai  —  con  nulla  ||  con  nullo 


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ANTIPURGATOBIO. 


PURGATORIO    li.    91  -  114. 


247 


1,  i  3.  do-ve  io  «OH 

1.  M'a  te  com'era  t.  terra  t. 
-  2. 3.  comr  tanta  ora  è 


3.  che  < 


^alla 


1.  2.  3,  Tevere 


91.    Casella  mio,  per  tornare  altra  volta 
Là  dove  soii,  fo  io  questo  viaggio, 
Diss'  io;  ma  a  te  com'  è  tanta  ora  tolta? 
1)4.    Ed  egli  a  me:  Nessun  m'  è  fatto  oltraggio. 

Se  quei,  che  leva  e  quando  e  cui  gli  piace, 
Più  volte  m'  ha  negato  esto  passaggio  ; 
97.    Che  di  giusto  voler  lo  suo  si  face. 

Veramente  da  tre  mesi  egli  ha  tolto 
Chi  ha  voluto  entrar  con  tutta  pace. 

100.    Ond' io  che  era  ora  alla  marina  volto, 
Dove  r  acqua  di  Tevero  s' insala. 
Benignamente  fili  da  lui  ricolto 
I.Ì3.0V  «5iihadr.     103.    A  qucUa  foce,  ha  egli  or  dritta  T  ala: 

Perocché  sempre  quivi  si  ricoglie, 
Qual  verso  d'  Acheronte  non  si  cala. 

106.  Ed  io:  Se  nuova  legge  non  ti  toglie 
Memoria  o  uso  all'  amoroso  canto , 
Che  mi  solca  quetar  tutte  mie  voglie, 

109.    Di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 

L'  anima  mia,  che  con  la  sua  persona 
Venendo  qui,  è  affannata  tanto. 

112.    Amor  che  nella  mente  mi  ragiona ^ 

Cominciò  egli  allor  sì  dolcemente, 

Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 


H.  C.  U.  dove  io  Mon 


H.  M'  a  te  coni'  era  tanta 
terra  t. 


H.  voi.,  e  terrà 

f.  delTev.  -  //.Tevere 

D.  raccolto 

B.  ov"  egli  ha  dr. 

D.  quivi  sempre 


A.  t.  mie  doglie 


.4.  ancor  nel  cor 


92.  lÀ  d'  ov'  io  8on  —  93.  Ma  a  te,  diss'  io  —  com'  ora  tanta  terra  è  ||  come  tant'  erta  è  (?)  —  96.  leva  quando  —  100.  che  or  era 
)Ua  -  1(>|.  si  raccoglie  —  105.  verno  Acheronta  ||  verso  Acheronte  ||  verso  di  Caronte  —  109  consolarmi  alqu.  ||  quietare  alqu.  —  110.  eolla  mia 
\^n.  -   113.  Coni,  egli  a  dir 


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248 


ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    n.    115-133. 


3.  Noi  eravjim 


1.  2.  3.  bi»da 


1.  2.  3.  Lahr.  il  e 
3.  fui^gir  ver 

1.  dove  s*  arresta 


115.    Lo  mio  Maestro,  ed  io,  e  quella  gente 
Ch'  eran  con  lui,  parevan  sì  contenti, 
Come  a  nessun  toccasse  altro  la  mente. 

118.    Noi  andavam  tutti  fissi  ed  attenti 

Alle  sue  note;  ed  ecco  il  veglio  onesto, 
Gridando:  Che  è  ciò,  spiriti  lenti? 

121.    Qual  negligenza,  quale  stare  è  questo? 

Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio, 
Ch'  esser  non  lascia  a  voi  Dio  manifesto. 

124.    Come  quando,  cogliendo  biado  o  loglio, 
Li  colombi  adunati  alla  pastura, 
Queti  senza  mostrar  V  usato  orgoglio, 

127.    8e  cosa  appare  ond'  elli  abbian  paura, 
Subitamente  lasciano  star  1'  esca. 
Perchè  assaliti  son  da  maggior  cura; 

130.    Cosi  vid'  io  quella  masnada  fresca 

Lasciar  lo  canto,  e  gire  in  ver  la  costa, 
('ome  uom  che  va,  ne  sa  dove  riesca: 

133.    Ne  la  nostra  partita  fu  men  tosta. 


/J.  Noi  eravam 


B.  (\  l)iada 


A.  abbili  paura 


B.  D.  Lasc.  il  e. 
B.  dove  i»'  arrei»ta 


116.  parevain  —  UH.  Noi  sederam  —  119.  il  vecchio  on.  —  121.  Qual  ne^ghienza  —  qual  ristare  —  124.  Come  cogl.  biada  ovvero  1. 
Siccome  ricopi,  b.  n  1.  —  n  biada  o  loglio 


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CANTO  TERZO 


1.  2.  3.  dietro 


1.  2.  da'  »uoì 


Avvegnaché  la  subitana  fuga 

Dispergesse  color  per  la  campagna, 
Rivolti  al  monte  ove  ragion  ne  fruga; 
4.    Io  mi  ristrinsi  alla  fida  compagna: 
E  come  sare'  io  senza  lui  corso? 
Chi  m'  avria  tratto  su  per  la  montagna? 
7.    £i  mi  parea  da  se  stesso  rimorso: 
0  dignitosa  coscienza  e  netta, 
Come  t'  è  picciol  fallo  amaro  morso! 

10.    Quando  U  piedi  suoi  lasciar  la  fretta, 

Che  r  onestade  ad  ogni  atto  dismaga, 
La  mente  mia,  che  prima  era  ristretta, 

13.   Lo  intento  rallargò,  sì  come  vaga, 

E  diedi  il  viso  mio  incontro  al  poggio. 
Che  inverso  il  ciel  più  alto  si  dislaga. 

16.   Lo  sol,  che  retro  fiammeggiava  roggio. 
Rotto  m'  era  dinanzi,  alla  figura 
Ch'  aveva  in  me  de'  suoi  raggi  T  appoggio. 


B,  senza  lui  volto 


A.  piceol  fallo 


B.  pria 


B.  C.  D.  dietro 


e.  Ch'  avca  in  i 


2.  Distperdeiise  ^  rostor  —  3.  ragion  li  fr.  —  ne  fuga  —  7.  E  lui  parea  —  di  sé  stesso  —  12.  era  distretta  —  14.  ineontra  il  p. 
U«*  a\eva 


li. 


32 


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250 


ANTIPUBOATORIO. 


PURGATORIO    III.    19-42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  2.  3.  fncev'  oinlira 


2.  3.  turm.  e  caldi 


1.   pU88Ut4>  avcHti 


1.  vedesti 


19.    Io  mi  volsi  dallato  con  paura 

D'  esser  abbandonato ,  quand'  io  vidi 
Solo  dinanzi  a  me  la  terra  oscura: 

22.    E  il  mio  Conforto:  Perchè  pur  diffidi, 
A  dir  mi  cominciò  tutto  rivolto: 
Non  credi  tu  me  teco,  e  ch'io  ti  guidi? 

25.    Vespero  è  già  colà,  dov'  è  sepolto 

Lo  corpo,  dentro  al  quale  io  facea  ombra: 
Napoli  r  ha,  e  da  Brandizio  è  tolto. 

28.    Ora,  se  innanzi  a  me  nulla  s'  adombra, 
Non  ti  maravigliar  più  che  de'  cieli, 
Che  l'uno  all'  altro  raggio  non  ingombra. 

31.    A  sofferir  tormenti,  caldi  e  gieli 
SimiU  corpi  la  virtù  dispone, 
Che,  come  fa,  non  vuol  che  a  noi  si  sveli. 

M.    Matto  è  chi  spera  che  nostra  ragione 
Possa  trascorrer  la  infinita  via, 
('he  tiene  una  sustanzia  in  tre  persone. 

37.    State  contenti,  umana  gente,  al  quia: 
Che  se  potuto  aveste  veder  tutto, 
Mestier  non  era  partorir  Maria; 

40.    E  disiar  vedeste  senza  frutto 

Tai,  che  sarebbe  lor  disio  quetato, 
Ch'  eternalmente  è  dato  lor  per  hitto. 


e.  A  dir  ineom. 


Zi.  D.  facpv'  (imbra 


(\  tona,  e  caldi 


A.  1.  cuutente  umane 
i^ntì  (?) 

B.  C.  posauui      - 

A.  l).  arrssi    /?.  avesti 


.1.  2.  H.  r.  D.   vedesti 


A.  i'  lor  dato 


19.  volsi  da  lato  —  22.  disfidi   —  25.  Vcspercggia  colà  —  25,  26.  dove  sepolto  É  il  corpo  —  27.  Kd  a  Braud.  —  2K.  Otuai  ,   se    — 
nulla  H  aombra  ||  milla  fa  ombra    -  33.  come  *l  fa  ||  rome  sia    -  35.  Possa  trascender  —  37.  State  contenta     -  :)8.  possuto  fosse  -   42.  eternamenie 


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ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    III.    43-66. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


251 


1  a  pie    2.  3.  appiè 


1.  'l.  era  una  se. 


43.    Io  dico  d'  Aristotele  e  di  Plato, 

E  di  molti  altri.    E  qui  chinò  la  fronte; 
E  più  non  disse,  e  rimase  turbato. 

46.    Noi  divenimmo  intanto  al  pie  del  monte: 
Quivi  trovammo  la  roccia  sì  erta, 
Che  indarno  vi  sarien  le  gambe  pronte. 

49.    Tra  Lerici  e  Turbìa,  la  più  diseita, 
La  più  romita  via  è  una  scala, 
Verso  di  quella,  agevole  ed  aperta. 

52.    Or  chi  sa  da  qual  man  la  costa  cala, 

Disse  il  Maestro  mio,  fermando  il  passo, 
Sì  che  possa  sahr  chi  va  senz'  ala? 
1 2. 3.  che  tenendo  il    55.    E  iHeutre  ch'  cì  teneva '1  viso  basso, 
1. i. 3.  Esaminava  Esamiuaudo  del  cammin  la  mente. 

Ed  io  mirava  suso  intorno  al  sasso, 

58.    Da  man  sinistra  m'  apparì  una  gente 

D'  anime,  che  movieno  i  pie  ver  noi, 
E  non  parevan,  sì  venivan  lente. 

61.    Leva,  diss'io,  Maestro,  gli  occhi  tuoi: 
Ecco  di  qua  chi  ne  darà  consiglio, 
Se  tu  da  te  medesmo  aver  noi  puoi. 
1.13.  ciuardommi  allora  64.    Guàrdò  a  loro ,  c  cou  llbcro  piglio 

Rispose:  Andiamo  in  là,  eh'  ei  vegnon  piano; 

E  tu  ferma  la  speme,  dolce  figlio.  z>. «dolce 


•t  pareva 

i-  2.  3.  dissi  al 


5.  r.  a  pie  J.2.Z>.appiè 
D.  Dove  trov. 

.(.  C.  Leriee 


A.  La  più  rotta  mina  — 
B.  era  una  se. 


A.  1.  tenea  il 


A.  1.  B.  Esaminava 
A.  2.  C.  Ed  esaminava 


D.  sin.  appari 


B.  dissi  al  M. 


B.  D.  Guardommi  — 
A.  1.  (?)  B.  1).  allora 


49.  Lerici  ed  Urbi  —  50.  La  più  minata  ||  La  p,  rainosa  —  riva  ||  costa  —  58.  m'  apparse  —  59.  che  moveano  —  60.  si  veniann  — 
il.  L.  diss'  io,  al  M,  ||  Leva,  Maestro,  diss'  io 

32* 


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252  ANTIPUROATORIO.      INTERDETTI.  PURGATORIO     III.     67  —  90.  DANTE    K   VlRGILtO. 

tì7.    Ancora  era  quel  popol  di  lontano, 

1.2.3.  r dico  -  1. dopo  Dico,  dopo  li  nostri,  mille  passi,  /Aiodirr. -t 

nostri    2.  3.  dopo  i.  n.  dopo  Br-i«r 

Quanto  un  buon  gittator  trama  con  mano, 

70.    Quando  si  strinser  tutti  ai  duri  massi  u.  ad  »  m*^^ 

Dell'  alta  ripa,  e  stetter  fermi  e  stretti. 
Come  a  guardar,  chi  va  dubbiando,  stassi,      i/.  chi  daiui: 

73.    0  ben  finiti,  o  già  spiriti  eletti,^ 

Virgilio  incominciò,  per  quella  pace 
Ch'  io  credo  che  per  voi  tutti  si  aspetti, 

76.    Ditene,  dove  la  montagna  giace. 

Si  che  possibil  sia  1'  andare  in  suso; 
1. 2. 3.  Che  i  perder  Chc  pcrdcr  tcffipo  a  chi  più  sa  più  spiace.      -».  ch«p.r^- 

79.    Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso 

Ad  una,  a  due,  a  tre,  e  T  altre  stanno  r.  Edun* 

Timidette  atterrando  V  occhio  e  il  muso; 

82.    E  ciò  che  fa  la  prima,  e  T  altre  fanno, 

Addossandosi  a  lei  s'  ella  s'  arresta,  u.  Adbe^^i- 

1.  lo  perché  Semplici  e  quete,  e  lo  'mperchè  non  sanno:    x>.  loperrt 

85.    Sì  vid'  io  movere  a  venir  la  testa 

Di  quella  mandria  fortunata  allotta ,  r.  «nandr* 

Pudica  in  faccia,  e  nell'  andare  onesta. 

88.    ('ome  color  dinanzi  vider  rotta 

La  luce  in  terra  dal  mio  destro  canto. 

Sì  che  r  ombra  era  da  me  alla  grotta,  -i».  rdi» 

71.  Dell'altro  monte  —  73.  O  ben  fin.  già  —  74.  Virg.  cominciò  —  82.  U  prima,  l'altre 


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MANFREDI. 


L  imiirtro 


l  frro 


""he  <|Ufsti 


ANTIPURfìATORTO.      INTKRDETTI.  PURGATORIO     III.     91—114. 

91.    Restaro,  e  trasser  se  in  retro  alquanto, 
E  tutti  gli  altri  che  venieno  appresso. 
Non  sapendo  il  perchè,  fenno  altrettanto. 
94.    Senza  vostra  domanda  io  vi  confesjBo, 

Che  questo  è  corpo  uman  che  voi  vedete, 
Per  che  il  lume  del  sole  in  terra  è  fesso. 
97.    Non  vi  maravighate;  ma  credete, 

Che  non  senza  virtù  che  dal  ciel  veglia, 
Cerchi  di  soperchiar  questa  parete. 
100.    Cosi  il  Maestro:  e  quella  gente  degna: 

Tornate,  disse,  mtrate  innanzi  dimque, 
Coi  dossi  delle  man  facendo  insegna. 
103.    Ed  un  di  loro  incominciò:  Chiunque 
Tu  se',  così  andando  volgi  il  viso, 
Pon  mente,  se  di  là  mi  vedesti  unque. 
106.    Io  mi  volsi  ver  lui,  e  guardail  fiso: 

Biondo  era  e  bello,  e  di  gentile  aspetto; 
Ma  r  un  de'  cigli  un  colpo  avea  diviso. 
109.    Quand'  io  mi  fui  umilmente  disdetto 

D'  averlo  visto  mai,  ei  disse:  Or  vedi: 
E  mostrommi  una  piaga  a  sommo  il  petto. 
112.    Poi  sorridendo  disse:  Io  son  Manfredi, 
Nepote  di  Constanza  Imperadrice: 
Ond'  io  ti  prego  che  quando  tu  riedi. 


253 


ì.  disse  s»orrid 
Uosfaiiza 


fi.  IJ.  RisUn.  — 

H.  r.  O.  indietro 


-J.  2.  C.  U.  Kap.  perchè 
-  a.  fero 


C.  U,  Per  che  lume 


(\  da  eici 


A.  2.  6'.  />.  K  uuarda,  Me 


A.  1.  (?)  (\   (Quando  mi 


H,  V.  Gostanza 


^L  K  tutte  r  altre  —  ehe  veniano  —  96.  il  lume  del  cielo 


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254  ANTll'lIRCATORIO.       INTERDETTI.  PURGATORIO     111.      115  —  138.  MANPBEIM. 

115.    Vadi  a  mia  bella  figlia,  genitrice  r. /ifisu,. 

2. 3.  Cicilia  Dell'  Gnor  di  Sicilia  e  d'  Aragona,  ACirUi./, 

i.  i.  3.  a  lei  il  ver  E  diclù  il  vcFO  a  Icì ,  s'  altro  si  dice:  *.  akuw 

118.    Poscia  eh'  i'  ebbi  rotta  la  persona 
•2.  Di  duo  Di  due  punte  mortali,  io  mi  rendei 

Piangendo  a  quei  che  volentier  perdona. 
121.    Orribil  turon  li  peccati  miei; 

Ma  la  bontà  infinita  ha  si  gran  braccia, 
1. 2. 3.  rivoivt.  Che  prende  ciò,  che  si  rivolge  a  lei.  ^. />.  m.i- 

124.    Se  il  pastor  di  Cosenza,  che  alla  caccia 
Di  me  fu  messo  per  Clemente,  allora 
Avesse  in  Dio  ben  letta  questa  faccia,  />.  i«in 

127.    L'  ossa  del  corpo  mio  sarieno  ancora 
In  co  del  ponte  presso  a  Benevento, 
Sotto  la  guardia  della  grave  mora. 
130.    Or  le  bagna  la  pioggia  e  move  il  vento 
i.  2. 3.  dal  re«i.o  DÌ  fuor  dcl  regno,  quasi  lungo  il  Verde,       i?.  r.dairrt^ 

1.2. 3.  Ove  le  Dov' ei  le  trasmutò  a  lume  spento.  /?.  ovrie/' 

1H3.    Per  lor  maledizion  si  non  si  perde,  D.m»M.r^ 

Che  non  possa  tornar  1'  eterno  amore, 
i.  èfuoideiv.  Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde. 

136.    Ver  è  che  quale  in  contumacia  more 

Di  santa  Cliiesa,  ancor  che  al  fin  si  penta. 
Star  gli  convien  da  questa  ripa  in  fiiore 


117.  E  dica  II  E  di'  ||  E  dinne   —    119.  Di  due  colpi  —   123.  che  si  risolve  —  124.  Coscenza  —   129.  jjrcve  m«r»  -  13^  ' 
e  batte  il  vento  —  133.  Già  lor  mal.  —  135.  fior  dal  v   ||  fior  «li  verde  —  138.  ripa  fuore 


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ANTIPURGATORIO.       INTERDETTI.  PURGATORIO     HI.      139  -   145.  MANFREDI.  255 

139.    Per  ogni  tempo,  ch'egli  e  stato,  trenta,  // che  gu  è 

In  sua  presunzion,  se  tal  decreto 
Più  corto  per  buon  preghi  non  diventa. 

142.    Vedi  oramai  se  tu  mi  puoi  far  lieto, 
1.  2.  (iosuiwa  Rivelando  alla  mia  buona  Constanza 

Come  m'hai  visto,  ed  anco  esto  divieto; 

145.    Che  <|ui  per  quei  di  là  molto  s'  avanza. 


141.  buon  prego  —  142.  Vedi  o^KÌinai 


H.  e.  D.  GoHtanza 


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CANTO  QUARTO 


2.  3.  altra  è 


[JU. 


v^uando  per  dilettanze  ovver  per  doglie, 

Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda,  u.  nostra  virtù 

L'  anima  bene  ad  essa  si  raccoglie, 
4.    Par  che  a  nulla  potenza  più  intenda; 

E  questo  è  contra  quello  error,  che  crede       i>.  contro  a  qu. 

Che  un  anima  sopr'  altra  in  noi  s'  accenda. 
7.    E  però,  quando  s'  ode  cosa  o  vede, 

Che  tenga  forte  a  se  V  anima  volta, 

Vassene  il  tempo,  e  T  uom  non  se  n'  avvede: 
10.    Ch'  altra  potenza  è  quella  che  1'  ascolta. 

Ed  altra  quella  che  ha  Y  anima  intera: 

Questa  è  quasi  legata,  e  quella  e  sciolta. 
13.    Di  ciò  ebb'  io  esperienza  vera, 

Udendo  quello  spirto  ed  ammirando: 

Che  ben  cinquanta  gradi  salito  era 
16.    Lo  sole,  ed  io  non  m'  era  accorto,  quando 

Venimmo  dove  queir  anime  ad  una 

Gridaro  a  noi  :  Qui  è  vostro  domando.  r.  quìv-  è 


A.  2.  B.  r,  altra  è  quclU 

e.  Qu.  quasi  —  A.  1. 
quella  sciolta  (?) 


2.  nostra  si  couipr.  —  4.  più  attenda  —  10.  è  questa  —  17.  Ven.  otc  qu.  an.  ||  Ven.  là  dove  qu.  alme 
li.  Xì 


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258 


ANTIPURGATORIO. 


PURGATORIO    IV.    19-42. 


DANTK    E    VIRGILIO. 


1.  Salico 


1.  2.  con  r  ale 


I.  2.  salavam 
1.  d'  ogiii  parte 

1.  2.  3.  Quando  noi 


1.  2.  H.  dietro  a  me 


A.  in  su     C.  su  in   — 
A.  (\   e  in  cac. 


fi.  con  r  ale 


19.    Maggiore  aperta  molte  volte  impruna," 

Con  una  forcatella  di  sue  spine, 

L'  uom  della  villa,  quando  1'  uva  imbruna, 
22.    Che  non  era  la  calla,  onde  saline  r.  uraiie  />.  io  r*iie 

Lo  Duca  mio  ed  io  appresso  soli, 

Come  da  noi  la  schiera  si  partine. 
25.    Vassi  in  Sanleo,  e  discendesi  in  Noli: 

Montasi  su  Bismantova  in  cacume 

Con  esso  i  pie  ;  ma  qui  convien  eh'  uom  voli , 
28.    Dico  con  1'  ali  snelle  e  con  le  piume 

Del  gran  disio,  diretro  a  quel  condotto, 

Che  speranza  mi  dava,  e  facea  lume. 
31.    Noi  salivam  per  entro  il  sasso  rotto, 

Fi  d'  ogni  lato  ne  stringea  lo  stremo, 

E  piedi  e  man  voleva  il  suol  di  sotto. 
34.    Poiché  noi  fummo  in  sull'  orlo  supremo 

Dell'alta  ripa,  alla  scoperta  piaggia: 

Maestro  mio ,  diss'  io ,  che  via  faremo  ? 
37.    Ed  egli  a  me:  Nessun  tuo  passo  caggia; 

Pur  su  al  monte  retro  a  me  acquista, 

Fin  che  n'  appaia  alcuna  scorta  saggia. 
40.    Lo  sommo  er'  alto  che  vincea  la  vista, 

E  la  costa  superba  più  assai, 

Che  da  mezzo  quadrante  a  centro  lista. 


A.  2.  B.  a  D.    s&laTam 


B.  Quando  noi 


fi.  (\  J).  dictr«i  a  me 


21.  1/  uomo  di  villa  —  22.  la  scala  ||  la  callaja  —  27.  ma  lì  conv.  —  30.  E  speranza  —  ne  dava  —  31.  saglivam  ||salevani  |t  sAlievaro.  I| 
sagliavam  —  per  esso  il  s.  —  33.  e  mani  volea  —  34.  Poi  noi  fammo  —  38,  Pur  suso  al  ni.  —  42.  Clie  dal  messo  —  al  centro 


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ANTIPUROATOBIO. 


PURGATORIO    IV.    43  —  66. 


DANTK    K    VIROILIO. 


259 


1.  rh'  io  staym 


l.  2.  3.  Ore 


1  3.  Tu  Tcdresti 


B.  O  iìglio,  disse 
B.  insin 

A.  Ed  additominì 


sprouavar 


/?.  C.  D.  sotto  pie 

.'(.  2.  (\  D.  ambodui 
B.  anibidui 

/?.  r.  D.  al  levant* 


1. 2.  quando i- coni.      43.    lo  SFa  lasso ,  quando  cominciai:  /?.  quandi  com. 

0  dolce  padre,  volgiti,  e  rimira 

Com'  io  rimango  sol,  se  non  ristai. 
LO  figlio d.  2.3.0     46.    Fiffliuol  mio,  disse,  infin  quivi  ti  tira, 

figliuold.- 1.2.3.  insin  ^  ^ 

Additandomi  un  balzo  poco  in  sue. 
Che  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gira. 

1.  spronavan  49.    §1  ffii  spTouaTOu  Ic  paTolc  suc , 

Ch'  io  mi  sforzai,  carpando  appresso  lui. 
Tanto  che  il  cinghio  sotto  i  pie  mi  fue. 

1.  ambidui  2.  amendui  52.    A  scdcT  cì  poucumio  ìvì  amòo  e  dui 

3.  ambedui 

Volti  a  levante,  ond'  eravam  saliti, 

Che  suole  a  riguardar  giovare  altrui. 
55.    GU  occhi  prima  drizzai  a'  bassi  liti; 

Poscia  gli  alzai  al  sole,  ed  ammirava 

(yhe  da  sinistra  n'  eravam  feriti. 
58.    Ben  s'  avvide  il  Poeta,  che  io  stava 

Stupido  tutto  al  carro  della  luce. 

Dove  tra  noi  ed  Aquilone  intrava. 
61.    Ond'  egli  a  me:  Se  Castore  e  Polluce 

Fossero  in  compagnia  di  quello  specchio , 

Che  su  e  giù  del  suo  lume  conduce ,  ^  gi»  «  «u 

()4.    Tu  vederesti  il  Zodiaco  rubecchio  ^.tu  vedresti 

Ancora  all'  Orse  più  stretto  rotare, 

Se  non  uscisse  fuor  del  cammin  vecchio. 


/?.  e.  l).  Ove 


43.  quando  incom.  —  46.  Fit;liaol,  mi  disse  —  fin  quivi  —  47.  un  b.  un  poco   —   48.  al  poggiti   —   tutto  aggira  —  50.  carpendo  — 
prcsao   -  55.  pria  dirizzai  -  ne"  bassi  I.  -  58.  eh"  io  restava  —  62.  di  questo  sp.  -  64.  robccchio  —  (V5.  più  presso 

38- 


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>f.2.a]nbodue  ^/.ambidui 
B.  D.  unendue 

A.  onde  è  U  «tr. 


260  ANTiPUHOATORio.  PURGATORIO    IV.    67  —  90.  dante  e  Virgilio. 

67.    Come  ciò  sia,  se  il  vuoi  poter  pensare, 

Dentro  raccolto  immagina  Sion 

Con  questo  monte  in  sulla  terra  stare 
i.2.amenduc 3. ambedue  70.    Si,  clic  ambo  c  (Jue  lianuo  un  solo  orizzon, 
1. 2.  onde  è  la  str.  E  diversi  cmi Speri  ;  onde  la  strada. 

Che  mal  non  seppe  carreggiar  Feton, 
73.    Vedrai  come  a  costui  convien  che  vada 

Dall' un,  quando  a  colui  dall'altro  fianco, 

Se  r  intelletto  tuo  ben  chiaro  bada. 
76.    Certo,  Maestro  mio,  diss'io,  unquanco 
1. 2. 3.  Non  vid* io  Non  vidi  chiaro  si,  com' io  discerno, 

Là  dove  mio  ingegno  parca  manco: 
79.    Che  il  mezzo  cerchio  del  moto  superno. 

Che  si  chiama  Equatore  in  alcun'  arte, 

E  che  sempre  riman  tra  il  sole  e  il  verno, 
1.  lacagion,  rhèdiqu.  82.    Pcr  la  ragion  che  di',  quinci  si  parte 

Verso  settentrion,  quando  gli  Ebrei 

Vedevan  lui  verso  la  calda  parte. 
85.    Ma  se  a  te  piace,  volentier  saprei 

Quanto  avemo  ad  andar,  che  il  poggio  sale 

Più  che  salir  non  posson  gli  occhi  miei. 
88.   Ed  egli  a  me:  Questa  montagna  è  tale, 

(vhe  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  grave,      /;.  sempre  n  com. 

E  quanto  uom  più  va  su,  e  men  fa  male. 


B.  Non  vid'  io  — 
C.  com'  or  disc. 

C.  D.  dove  'I  mio 


B.  I).  la  ragion 


(\  sotto  la  calda 


67.  Come  rio  fia    -  ?2.  Che  mal  ne  ||  Clic  mal  si  ;|  Che  mal  la  i|  La  qual  non  —  75.  ciiiaro  abbada  —  76.  Certo,  diss'  io.  M.  m. 
7«.  Là  ove  '1  mìo  —  82.  Per  la  ragione  che  quinci  —  85.  Ma  se  ti  piace  -  90.  E  quanto  più 


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ANTIPURGATORIO.       NEOLIOENTI. 


PURGATORIO    IV.    91-114. 


BELACQUA. 


261 


1.  che  su  and.  —  1.2.3. 
ti  sia 

1.  2.  3.  kìù  r  Andar 


1.  da  presso 


2,  3.  ned  io    -    1.  2.  3. 
ned  ci 


1.  2.  3.  Come  I*  uom  per 
nri^hienza 


1.  2.  3.  disse:  Va 


91.    Però  quand'  ella  ti  parrà  soave 

Tanto,  che  il  su  andar  ti  fia  leggiero, 
Come  a  seconda  giuso  andar  per  nave; 
94.    AUor  sarai  al  fin  d'  esto  sentiero: 

Quivi  di  riposar  Y  affanno  aspetta. 
Più  non  rispondo,  e  questo  so  per  vero. 
97.    E,  com'  egli  ebbe  sua  parola  detta, 
Una  voce  di  presso  sonò:  Forse 
Che  di  sedere  in  prima  avrai  disti'ctta. 

100.    Al  suon  di  lei  ciascun  di  noi  si  torse, 

E  vedemmo  a  mancina  un  gran  petrone, 
Del  qual  ne  io  ne  ei  prima  s'  accorse. 

103.    Là  ci  traemmo;  ed  ivi  eran  persone 

Che  si  stavano  all'  ombra  dietro  al  sasso, 
Com'  uom  per  negligenza  a  star  si  pone. 

106.    Ed  un  di  lor  che  mi  sembrava  lasso. 
Sedeva  ed  abbracciava  le  ginocchia, 
Tenendo  il  viso  giù  tra  esse  basso. 

109.  0  dolce  Signor  mio,  diss'io,  adocchia 
(Jolui  che  mostra  se  più  negligente. 
Che  se  pigrizia  fosse  sua  sirocchia. 

112.    AUor  si  volse  a  noi,  e  pose  mente. 

Movendo  il  viso  pur  su  per  la  coscia, 
E  disse:  Or  va  su  tu,  che  se'  valente. 


A  2.  /y.  e.  D,  che  su  and. 
—  H.  C.  Ih  ti  si» 

-4.  l.i;iìi l'andar  (?)  B.  D. 
uiii  andar —  A.  tn.  in  nave 


//.  D.  da  prcsKo 


fi.  IJ.  nv  ei  ne  io 
C.  nt«  egli  né  io 


-1.  2.  //.  Come  1'  uoin  per 
necs^liienxa 


ff.  disse:  Va  —   A.  1.  va 
tu  su 


92.  che  in  su  and.  ||  che  su  1'  and.  ||  che  'n  su  l'  and.   — 
UI2.  uè  egli  pria  —  103.  e  quivi  eran  —  114.  Or  va  tu,  che  se* 


93.  a  seconda  in  giuso  ||  a  sec.  in  giù   —  *J?<.  gridò  :  Forse  -  90.  iiupria  — 


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262 


ANTIPURfiATORIO.      NEOLItJKNTI.  PURGATORIO     IV.      115—139. 


BKLAC-QL'A. 

115.    Conobbi  aUor  chi  era;  e  queir  angoscia, 

Che  m'  avacciava  un  poco  ancor  la  lena,       r. // un  poco  .iior 

Non  m' impedì  1'  andare  a  lui;  e  poscia 
118.    Che  a  lui  fui  giunto,  alzò  la  testa  appena, 

Dicendo:  Hai  ben  veduto,  come  il  sole 

Dall'  omero  sinistro  il  carro  mena? 
121.    GU  atti  suoi  pigiai,  e  le  corte  parole 

Mosson  le  labbra  mie  un  poco  a  riso; 

Poi  cominciai:  Belacqua,  a  me  non  duole 
124.    Di  te  ornai;  ma  dimmi,  perchè  assiso 

Quiritta  sei?  attendi  tu  iscorta, 
1. 1  ha  ripr.  0  pur  lo  modo  usato  t'  hai  ripriso  ? 

127.    Ed  ei:  Frate,  Y  andare  in  su  che  porta? 

Che  non  mi  lascerebbe  ire  ai  martiri 
2.  V  uscier  3.  1/  aiigci  L'  ucccl  di  Dio  chc  slcdc  in  sulla  porta. 

130.    Prima  convien  che  tanto  il  ciel  m'  aggiri 

Di  fuor  da  essa,  quanto  fece  in  vita, 
1. 2. 3.  «i  fili  H  Perch'io  indugiai  al  fine  i  buon  sospiri; 

133.    8e  orazione  in  prima  non  m'  aita, 

Che  surga  su  di  cor  che  in  grazia  viva: 
1. 2.  non  è  gradita  L'  altra  clic  val ,  che  in  ciel  non  e  udita  ? 

136.    E  già  il  Poeta  innanzi  mi  saliva, 

E  dicea:  Vienne  omai,  vedi  eh'  è  tocco 

Meridian  dal  sole,  e  dalla  riva 
139.    Copre  la  notte  già  col  pie  Morrocco. 


A.  l.  Qui  retto  — 
A.  2.  tu  a  scorta 


A.  Ed  elli:  O  frate 
C.  D.  VA  elli  a  me 


B.  il  ciel  t'  ag^.    (\  il  e. 
iugiri 

A.  2.  da  esso 

r.  D.  Perchè  ìnd.   — 
B.  al  fin  li 


1.  2.  X  Marrocco 


R.  dei  sole  —  B.  C.  U. 
e  che  alla  r. 

A.  Monrocco 


Ut».   Che  m'avanzava   —   ancor  di  lena   —    121.   le  poche  par.    —    124.   ma   di'  perche    —    125.  Quiritto    —    Lìti,  ha  te  ripriso  - 
127.  r  andar  su  —  131.  quant'  io  feci  —  134.  che  grazia  avviva  —  136.  innanzi  a  me  -    137.  Vieni  ormai  —  138.  ed  alla  riva  fj  eh*  è  alla  rira 


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CANTO  QUINTO 


Lo  era  già  da  queir  ombre  partito, 
E  seguitava  1'  orme  del  mio  Duca, 
Quando  diretro  a  me,  drizzando  il  dito, 
4.    lina  gridò:  Ve',  che  non  par  che  luca 
Lo  raggio  da  sinistra  a  quel  di  sotto, 
E  come  vivo  par  che  si  conduca. 
7.  Gli  occhi  rivolsi  al  suon  di  questo  motto, 
E  vidile  guardar  per  maravigha 
Pur  me,  pur  me,  e  il  lume  eh'  era  rotto. 
10.    Perchè  1'  animo  tuo  tanto  s' impiglia. 

Disse  il  Maestro ,  che  1'  andare  allenti  ? 
Che  ti  fa  ciò  che  quivi  si  pispiglia? 
i.  2. 3.  V.  dietro      13.    Vìcu  rctro  a  me,  e  lascia  dir  le  genti; 
a.  torre,  ferino  Sta  comc  torre  ferma,  che  non  crolla 

Giammai  la  cima  per  soffiar  de'  venti. 
Ifi.    Che  sempre  V  uomo,  in  cui  pensier  rampolla 
Sopra  pensier,  da  se  dilunga  il  segno, 
Perchè  la  foga  1'  un  dell'  altro  insolla. 


A.  2.  fi.  C.  V,  \ìen  dietro 
/}.  Sui  fermo  come  torre 
e.  di  venti 


A.  IN.  dell'  un  1*  altro 


3.  diretro  a  noi  —  0.  si  dediiea  —  14.  Sta  come  torre  forte    -  18.  Perchè  la  soga 


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264 


ANTIPURGATORIO.       NEGLIGENTI. 


PURGATORIO    V.    19-42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  2.  3.  da  trav. 

\ 


1.  mezza  notte 


1.  2.  3.  che  corre 


19.  Che  poteva  io  ridir,  se  non:  Io  vegno? 
Dissilo,  alquanto  del  color  consperso 
Che  fa  r  uom  di  perdon  tal  volta  degno, 

22.    E  intanto  per  la  costa  di  traverso 

Venivan  genti  innanzi  a  noi  un  poco, 
Cantando  Miserere  a  verso  a  verso. 

25.    Quando  s'  accorser  ch'io  non  dava  loco, 

Per  lo  mio  corpo,  al  trapassar  de'  raggi, 
Mutar  lor  canto  in  un  0!  lungo  e  roco; 

28.   E  due  di  loro  in  forma  di  messaggi 

Corsero  incontro  a  noi,  e  domandarne: 
Di  vostra  condizion  fatene  saggi. 

31.    E  il  mio  Maestro:  Voi  potete  andarne, 
E  ritrarre  a  color  che  vi  mandaro, 
C;he  il  corpo  di  costui  è  vera  carne. 

34.    Se  per  veder  la  sua  ombra  restaro, 

Com'  io  avviso,  assai  è  lor  risposto: 
Facciangli  onore,  ed  esser  può  lor  caro. 

37.    Vapori  accesi  non  vid'  io  si  tosto 

Di  prima  notte  mai  fender  sereno, 
Ne,  sol  calando,  nuvole  d'agosto, 

40.    Che  color  non  tornasser  suso  in  meno, 

E  giunti  là,  con  gli  altri  a  noi  dier  volta. 
Come  schiera  che  scorre  senza  freno. 


D.  Or,  che  poteva  io  dir 


B.  da  trav. 


D.  t.  due  intanto 


B. 


D.  t.  Come  gente 


19.  io  più  dir   —  2().  alqu.  di  color   —  22.  Intanto  per  la  e.   —   27.  Mutar  Io  canto  —  32.  E  ridire  a  col.  —  34.  ristaro  —  39.  Nel 
sol  cai.  —  in  nuv,  d'  ai?.  —  41.  E  giunto  là  —  K  giunti  gli  altri  là,  a  noi  —  con  gli  altri  dier  v. 


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ANTIPUROATORIO.      NEGLIGBNTI. 


PURGATORIO   V.    43  —  66. 


JAC.   DEL    CASSERO. 


265 


1.  2.  3.  Che  dietro 


43.    Questa  gente,  che  preme  a  noi,  è  molta, 
E  vengonti  a  pregar,  disse  il  Poeta; 
Però  pur  va,  ed  in  andando  ascolta. 

46.    0  anima,  che  vai  per  esser  lieta 

Con  quelle  membra,  con  le  quai  nascesti, 
Venian  gridando,  un  poco  il  passo  queta. 

49.    Guarda,  se  alcun  di  noi  unque  vedesti. 
Sì  che  di  lui  di  là  novelle  porti: 
Deh  perchè  vai?  deh  perchè  non  t'  arresti? 

52.   Noi  fìimmo  già  tutti  per  forza  morti, 
E  peccatori  infino  all'  ultim'  ora: 
Quivi  lume  del  ciel  ne  fece  accorti 

55.    Sì,  che,  pentendo  e  perdonando,  fuora 
Di  vita  uscimmo  a  Dio  pacificati, 
Che  del  disio  di  sé  veder  n'  accora. 

58.    Ed  io:  Perchè  ne'  vostri  visi  guati, 

Non  riconosco  alcun;  ma  se  a  voi  piace, 
Cosa  eh'  io  possa,  spiriti  ben  nati, 

61.    Voi  dite;  ed  io  farò  per  quella  pace, 
Che,  retro  ai  piedi  di  sì  fatta  guida. 
Di  mondo  in  mondo  cercar  mi  si  face. 

64.  Ed  uno  incominciò:  Ciascun  si  fida 
Del  beneficio  tuo  senza  giurarlo. 
Pur  che  il  voler  nonpossa  non  ricida. 


D.  t.  Qii.  schiera 


A.  \.  in  andar  asc. 


A.  2.  I).  unqua 


A.  2.  fummo  tutti  già 


D.  veder  di  sé 


/?.  C.  D.  Che,  dietro 


A.  1.  E  1'  uno 


49.  di  noi  giammai  ved.  —  SO.  novella  porti  —  53.  insino  —  54.  lume  dal  ciel  —  66.  il  voi.  la  possa  ||  il  voi.  tua  possa 

IL  34 


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266 


ANTIPURGATORIO.      NEOLIOENTI. 


PURGATORIO    V.    67-90. 


JAC.    DEL    CASSERO. 


1.  2.  3.  •  Pcrcir  io 


2.  3.  che  dritto 


1.  2.  3.  QuAnd'  i'  fui  - 
1.  2.  3.  Oriaco 


l.  2.  3.  braco 


1.  2.  a  laco 


1.  2.  io  fui  Buone. 


67.    Ond'io,  che  solo,  innanzi  agli  altri  parlo 
Ti  prego,  se  mai  vedi  quel  paese 
Che  siede  tra  Romagna  e  quel  di  Carlo, 

70.    Che  tu  mi  sie  de*  tuoi  preghi  cortese 
In  Fano  sì,  che  ben  per  me  s'  adori 
Pur,  eh'  io  possa  purgar  le  gravi  offese. 

73.    Quindi  fu' io;  ma  li  profondi  fori. 

Onde  uscì  il  sangue,  in  sul  qual  io  sedea. 
Fatti  mi  furo  in  grembo  agli  Antenori, 

76.    Là  dov'  io  più  sicuro  esser  credea: 

Quel  da  Esti  il  fé'  far,  che  m'  avea  in  ira 
Assai  più  là  che  '1  dritto  non  volea. 

79.    Ma  s' io  fossi  fiiggito  inver  la  Mira, 

Quando  fili  sopraggiunto  ad  Oriago, 
Ancor  sarei  di  là  dove  si  spira. 

82.  Corsi  al  palude,  e  le  cannucce  e  il  brago 
M' impigliar  sì,  eh'  io  caddi,  e  lì  vid'  io 
Delle  mie  vene  farsi  in  terra  lago. 

85.    Poi  disse  un  altro:  Deh,  se  quel  disio 

Si  compia  che  ti  tragge  all'  alto  monte. 
Con  buona  pietate  aiuta  il  mio. 

88.  Io  fui  di  Montefeltro,  io  son  Buoneonte: 
Giovanna,  o  altri  non  ha  di  me  cura; 
Perch'  io  vo  tra  costor  con  bassa  fi*onte. 


B.  ionanzi  gli 


A.  1.  (?)  (\  D.  tu  mi  sia 


H.  U.  che  dritto 


B.  D.  Quand*  io  fui   — 
B.  D.  Oriaco 


B.  I).  braco 


B.  D.  laeo 


B.  D.  io  fui  Buone. 
A.  di  me  non  ha 


67.  Ed  io,  che  —  78.  più  in  là  — 
e  gli  altri  —  non  han  di  me 


83.  Mi  pigliar  sì  —  87.  Con  sì  buona  piet.  ||  Deh.  con  buona  piet.  —  88.  lo  fui  da  M.  —  89.  Giov. 


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ANTIPURGATORIO.       NEGLIGENTI.  PURGATORIO    V.     91  —  114.  BUONCONTE.  267 

91.    Ed  io  a  lui:  Qual  forza,  o  qual  ventura 
Ti  traviò  si  fuor  di  Campaldino, 
Che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura? 
94.    Oh,  rispos' egli,  appiè  del  Casentino  e.  apièdicas. 

Traversa  un'  acqua  che  ha  nome  l' Archiano, 
Che  sopra  1'  Ermo  nasce  in  Apennino. 
1.V3  uvcìi        97.    Dove  il  vocabol  suo  diventa  vano  «.  r.  u  ve  i  toc. 

Arriva'  io  forato  nella  gola. 

Fuggendo  a  piede  e  sanguinando  il  piano.     (-  />•  insanguinando 
100.    Quivi  perdei  la  vista,  e  la  parola 
Nel  nome  di  Maria  finii,  e  quivi 
Caddi,  e  rimase  la  mia  carne  sola. 
103.    Io  dirò  il  vero,  e  tu  il  ridi'  tra  i  Vivi; 

L'  Angel  di  Dio  mi  prese,  e  quel  d' inferno 
1.  ia.  daicici  Gridava:  0  tu  del  ciel,  perchè  mi  privi?       Adaiòei 

106.    Tu  te  ne  porti  di  costui  1'  eterno 

Per  una  lagrimetta  che  il  mi  toglie; 
Ma  io  farò  dell'  altro  altro  governo. 
i.  2.  neir  a*r  si       109.    Bcu  sal  comc  nell'aere  si  raccoglie     *  a.  h.  d.  new  ^er  s\ 

Quell'  umido  vapor  che  in  acqua  riede, 
Tosto  che  sale  dove  il  freddo  il  coffUe.  />.  che^iugne-cdove 

°  freddo 

112.    Giunse  quel  mal  voler,  che  pur  mal  chiede 

Con  r  intelletto,  e  mosse  il  fummo  e  il  vento 
Per  la  virtù,  che  sua  natura  diede. 


92.  Ti  trasviò  —  97.  Là  dove  il  nome  suo  —  90.  Pudendo  a  pie   —   a  piedi,  insangu.  —   100.  la  vista  e  la  parola:  —  101.  Nel  n. 
1  M.  fiai  —  108.  Io  dico  —  dirò  vero  —  111.  ove  'l  freddo  lo  coglie  —  112.  Giunto  quel  —  113.  ei  mosse  il  f. 

34* 


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268  ANTIPURGATORIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO    V.     115—136.  PIA    DE*  TOLOMEI. 

115.   Indi  la  valle,  come  il  dì  fu  spento, 
1.  DiPrat.  Da  Pratomagno  al  gran  giogo  coperse  ij.ìigr^g. 

1. 2. 3.  iiciei  Di  nebbia,  e  il  giel  di  sopra  fece  intento      -4.i.^.i>.iicieidisop«i 

118.    Sì,  che  il  pregno  aere  in  acqua  si  converse: 

La  pioggia  cadde,  ed  ai  fossati  venne 

Di  lei  ciò  che  la  terra  non  sofferse: 
121.    E  come  a'  rivi  grandi  si  convenne, 

Ver  lo  fiume  real  tanto  veloce  .4.  fiume  rrgai 

2. 3.  siruinò  SÌ  ruiuò,  chc  nulla  la  ritenne. 

124.   Lo  corpo  mio  gelato  in  sulla  foce 

Trovò  r  Archian  rubesto;  e  quel  sospinse 

Nell'Amo,  e  sciolse  al  mio  petto  la  croce,  a,  m.  e.  ver  v  Amo 
127.    Ch'  io*  fei  di  me  quando  il  dolor  mi  vinse: 

Voltommi  per  le  ripe  e  per  lo  fondo. 

Poi  di  sua  preda  mi  coperse  e  cinse. 
130.    Deh,  quando  tu  sarai  tornato  al  mondo, 

E  riposato  della  lunga  via. 

Seguitò  il  terzo  spirito  al  secondo, 
133.   Ricorditi  di  me,  che  son  la  Pia: 

Siena  mi  fé',  disfecemi  Maremma: 

Salsi  colui  che  innanellata  pria, 
136.    Disposando  m'  avea  con  la  sua  gemma. 


120.  Ciò  che  di  lei  —   126.  1'  Arch.  robusto   —   128.  Volt,  per  le  coste   —   129.  di  sua  pietra  —  190.  Se  quando  tu  sar.  —   134.  e 
disfecemi  —  I3ti.  Disposato  ||  Disposata 


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CANTO  SESTO 


i^uando  si  parte  il  giuoco  della  zara, 
Colui  che  perde  si  riman  dolente, 
Ripetendo  le  volte,  e  tristo  impara: 
4.    (>on  r  altro  se  ne  va  tutta  la  gente  : 

Qual  va  dinanzi,  e  qual  di  retro  il  prende, 
E  qual  da  lato  gli  si  reca  a  mente. 
7.    Ei  non  s'  arresta,  e  questo  e  quello  intende: 
A  cui  porge  la  man  più  non  fa  pressa; 
E  cosi  dalla  calca  si  difende. 

10.    Tal  era  io  in  quella  turba  spessa. 

Volgendo  a  loro  e  qua  e  là  la  faccia, 
E  promettendo  mi  sciogliea  da  essa. 

13.    Quivi  era  1'  Aretin,  che  dalle  braccia 

Fiere  di  Ghin  di  Tacco  ebbe  la  morte, 
E  r  altro  che  annegò  correndo  in  caccia. 

16.    Quivi  pregava  con  le  mani  sporte 
Federico  Novello,  e  quel  da  Pisa 
Che  fé'  parer  lo  buon  Marzucco  forte. 


(\  di  dietro 


tì.  più  no  i  f» 


A.  1.  fuggendo  in  e. 
J).  pregavan 


2.  E  ({url  che  perde  —  5.  Qual  va  dinanti  —  13.  Ivi  era  —  17.  e  qual 


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270 


1.  2.  3.  tutte  qu. 


ANTIPUROATORIO.       NEGLIGENTI.  PURGATORIO    VI.     19—42. 

19.    Vidi  Cont'  Orso,  e  V  anima  divisa 

Dal  corpo  suo  per  astio  e  per  inveggia, 
Come  dicea,  non  per  colpa  commisa; 

22.    Pier  dalla  Broccia  dico:  e  qui  provveggia, 
Mentr  è  di  qua,  la  donna  di  Brabante, 
Si  che  però  non  sia  di  peggior  greggia. 

25.    Come  libero  fui  da  tutte  e  quante 


PIER    DALLA    BROCCIA. 


U.  non  sia  però 

A.  2.  fi.  a  D.  tutte  qu. 


Queir  ombre  che  pregar  pur  eh'  altri  preghi,  u.  che  pre^an 


Si  che  s'  avacci  il  lor  divenir  sante , 

28.    Io  cominciai:  E' par  che  tu  mi  neghi, 
0  luce  mia,  espresso  in  alcun  testo. 
Che  decreto  del  cielo  orazion  pieghi; 
1.2.3.  queste  «enti  pregan  31.    E  qucsta  gcutc  prcga  pur  di  questo. 

Sarebbe  dunque  loro  speme  vana? 
0  non  m'  è  il  detto  tuo  ben  manifesto? 

34.    Ed  egli  a  me:  La  mia  scrittura  è  piana, 
E  la  speranza  di  costor  non  falla, 
Se  ben  si  guarda  con  la  mente  sana. 

37.    VAih  cima  di  giudizio  non  s'  avvalla. 

Perchè  foco  d'  amor  compia  in  un  punto 
Ciò  che  dee  satisfar  chi  qui  si  stalla: 

40.    E  là  dov' io  fermai  cotesto  punto, 

Non  si  ammendava,  per  pregar,  difetto, 
Perchè  il  prego  da  Dio  era  disgiunto. 


1.  2.  3.  soddisf.  -  l.  2. 
3.  8'  astalla 


-■I.  C.  iu  lor  dìv. 
A.  Incomìuciai 
C.  mia.  sopresso 


B.  soddisfar  -    B.  C. 
D.  8*  astalla 


19.  Vidi  '1  Conte  —  22.  della  Broccia  —  23.  Mentre  è  di  li  -  26.  par  eh'  altrui  preghi 


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ANTIPrROATORIO.      NEOLIOENTI. 


PURGATORIO  VI.    43—66. 


271 


43.    Veramente  a  così  alto  sospetto 

Non  ti  fermar,  se  quella  noi  ti  dice, 
Che  lume  fia  tra  il  vero  e  V  intelletto. 

4H.    Non  so  se  intendi;  io  dico  di  Beatrice: 
Tu  la  vedrai  di  sopra,  in  sulla  vetta 
Di  questo  monte,  ridere  e  felice. 
2.3.  Kd io:  Buon  Duca  49.    Ed  io  i  Siguorc,  audiamo  a  maggior  fretta: 


1.  2.  3.  ritenta 


ilinanzi 


1.  2.  3.  che  a  posta 


1- 1  3.  guardando 


(3hè  già  non  m'  affatico  come  dianzi; 

E  vedi  ornai  che  il  poggio  V  ombra  getta. 

52.    Noi  anderem  con  questo  giorno  innanzi, 
Rispose,  quanto  più  potremo  omai; 
Ma  il  fatto  è  d'  altra  forma  che  non  stanzi. 

55.    Prima  che  sii  lassù,  tornar  vedrai 

Colui  che  già  si  copre  della  costa, 
Si  che  i  suoi  raggi  tu  romper  non  fai. 

58.    Ma  vedi  là  un'  anima,  che  posta 

Sola  soletta,  verso  noi  riguarda, 
Quella  ne  insegnerà  la  via  più  tosta. 

61.  Venimmo  a  lei:  0  anima  Lombarda, 
Come  ti  stavi  altera  e  disdegnosa, 
E  nel  mover  degli  occhi  onesta  e  tarda! 

64.    Ella  non  ci  diceva  alcuna  cosa; 

Ma  lasciavane  gir,  solo  sguardando 
A  guisa  di  leon  quando  si  posa. 


tì.  Ed  io:  Buon  Duea 
A.  mi  fatico 


B.  (\  U.  Si  che  «noi 
B.  C.  U.  eh*  a  posta 


A.  1.  soletta  e  verso 
(\  sol.  in  verso 


D.  ti  stai 


47.  Tu  la  vedr.  al  sommo  della  vetta  —  49.  Ed  io.  Maestro  —  51.  il  poggio  ombra  non  getta    -  55.  Prima  che  siani  —  57.  romper 
con  tai  _  fin.  Qu.  ne  assennerà    -   02.  Come  tu  stai 


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272  ANTIPURGATORIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO    VI.     67—90.  *  SORDELLO. 

67.    Pur  Virgilio  si  trasse  a  lei,  pregando 

Che  ne  mostrasse  la  miglior  salita; 

E  quella  non  rispose  al  suo  domando: 
70.    Ma  di  nostro  paese  e  della  vita 

C  inchiese.    E  il  dolce  Duca  incominciava: 

Mantova.  ..ET  ombra,  tutta  in  se  romita, 
73.    Surse  ver  lui  del  loco  ove  pria  stava, 

Dicendo:  0  Mantovano,  io  son  Sordello 

Della  tua  terra.    E  V  un  1'  altro  abbracciava. 
76.    Ahi  serva  Italia,  di  dolore  ostello. 

Nave  senza  nocchiere  in  gran  tempesta. 

Non  donna  di  provincie,  ma  bordello! 
79.    Queir  anima  gentil  fii  così  presta. 

Sol  per  lo  dolce  suon  della  sua  terra, 

Di  fare  al  cittadin  suo  quivi  festa; 
82.    Ed  ora  in  te  non  stanno  senza  guerra 

Li  vivi  tuoi,  e  r  un  V  altro  si  rode 

Di  quei  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 
85.    Cerca,  misera,  intorno  dalle  prode 

Le  tue  marine,  e  poi  ti  guarda  in  seno  ^.  «  guardi  m  s. 

Se  alcuna  parte  in  te  di  pace  gode. 
88.    Che  vai,  perchè  ti  racconciasse  il  freno 

Giustiniano,  se  la  sella  è  vota? 

Senz'  esso  fora  la  vergogna  meno. 

G8.  a  suo  domando  —  71.  Ci  chiese  —  88.  perchè  ti  rassettasse 


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ANTIPURGATORIO.      NEGLIGENTI. 


PURGATORIO   VI.    91  —  114. 


273 


>.  3.  Ces.  nella  selU 


i.  2.  3.  e  costor  con  a. 


91.    Ahi  gente,  che  dovresti  esser  devota. 
E  lasciar  seder  Cesare  in  la  sella, 
Se  bene  intendi  ciò  che  Dio  ti  nota! 
94.    Guarda  com'  està  fiera  è  fatta  fella, 

Per  non  esser  corretta  dagU  sproni, 
Poi  che  ponesti  mano  alla  predella. 
97.    0  Alberto  Tedesco,  che  abbandoni 

Costei  eh'  è  fatta  indomita  e  selvaggia, 
E  dovresti  inforcar  li  suoi  arcioni, 

100.    Giusto  giudizio  dalle  stelle  caggia 

Sopra  il  tuo  sangue,  e  sia  nuovo  ed  aperto, 
Tal  che  il  tuo  successor  temenza  ii'  aggia  : 

103.    Che  avete  tu  e  il  tuo  padre  soflferto. 
Per  cupidigia  di  costà  distretti, 
Che  il  giardin  dell'  imperio  sia  diserto. 

106.    Vieni  a  veder  Montecchi  e  Cappelletti, 

Monaldi  e  Filippeschi,  uom  senza  cura: 
Color  già  tristi,  e  questi  con  sospetti. 


a  D.  nella  sella 


r.  ciò  eh*  i*  dico ,  nota 


/?.  //  /.  e  il  tuo  j 


1.1*  presura  2.  T  op-    109.    Vìcu,  crudcl,  vìcuì,  c  vcdl  la  pressura 

pressura 

De'  tuoi  gentili,  e  cura  lor  magagne, 


1.  'L  3. 


com  e  sicura 


1.  2.  3.  Ved.,  sola 


E  vedrai  Santafior  com'  è  oscura. 
112.    Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne, 
Vedova  e  sola,  e  dì  e  notte  chiama: 
Cesare  mio,  perchè  non  m'  accompagne? 


fi.  e  costor  con  !». 

/?.  e  vedrai  (?)  -  /?.  la 
presura  —  A.  2.  C. 
l).  V  oppressura 


A.  IH.  come  si  cura 

R.  I).  pom'  p  sicura 


H.  Xcà. ,  sola 


96.  alla  bredella  ||  alla  bridella  ||  alla  bardella  (?)  -  d9.  Ben  dovresti  —  102.  Sì  che  il  tuo  —  103.  Che  avete 

n.  :^5 


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274 


ANTIPUROATOBIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO    VI.     115—138. 


BORDELLO. 


1.  2.  3.  Che  le  terre 


2.  8.  che  si  «rgom. 


1.  e  dice,  i'  mi 


2.  3.  S'  io  dico  ver 


115.    Vieni  a  veder  la  gente  quanto  s'  ama; 
E  se  nulla  di  noi  pietà  ti  move, 
A  vergognar  ti  vien  della  tua  fama. 

118.    E  se  licito  m'  è,  o  sommo  Giove, 

Che  fosti  in  terra  per  noi  crucifisso, 
Son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove? 

121.    0  è  preparazion,  che  nell'  abisso 

Del  tuo  consiglio  fai,  per  alcun  bene 
In  tutto  dall'  accorger  nostro  scisso? 

124.    Che  le  città  d' Italia  tutte  piene 

Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 

127.    Fiorenza  mia,  ben  puoi  esser  contenta 

Di  questa  digression  che  non  ti  tocca, 
Mercè  del  popol  tuo  che  s'  argomenta. 

130.    Molti  han  giustizia  in  cor,  ma  tardi  scocca. 
Per  non  venir  senza  consiglio  all'  arco  ; 
Ma  il  popol  tuo  r  ha  in  sommo  della  bocca. 

133.    Molti  rifiutan  lo  comune  incarco; 

Ma  il  popol  tuo  sollecito  risponde 
Senza  chiamare,  e  grida:  Io  mi  sobbarco. 

136.    Or  ti  fa  lieta,  che  tu  hai  ben  onde: 

Tu  ricca,  tu  con  pace,  tu  con  senno. 
S' io  dico  '1  ver,  1'  effetto  noi  nasconde. 


B.  Del  tutto  —  (  '.  dell'acc. 
D.  dMÌV  intender 

B,  Ih  Chi-  le  terre 


.-1.  Floretitia 

A.  2.  che  HI  argom. 
A.  2.  (*.  in  cor,  e  tardi 
r.  sene»  '1  con». 


B.  e  diee:  Ut  -  JJ.  lo 
mi  sobarco  r.  Io 
me  ne  sbarro 

B.  ben  donde 

A.  2.  C.  pace,  e  tu 

A.  2.  C.  S*  i«»  dico  ver 


IHi.  nulla  pietà  di   noi    —    118.  E  soilicito  vien    —    119.  fosti  per  noi  in  terra  —   120.  Gli  occhi  pietosi  son    —    123.  In  tutt«>  per 
corregger       ascisso  —  124.  Che  le  terre  —  125.  un  Metel  div.  —  126.  Ciascun  villan  —  130.  e  tardi  scocca 


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ANTIPURGATORIO.       NEGLIGENTI.  PURGATORIO    VI.     139  —  151.  SORDKl 

1. 2. 3.  Lacedcmon*     139.    Atene  c  Lacedcmoiie ,  che  fenno 

L'  antiche  leggi,  e  furon  sì  civili, 
Fecero  al  viver  bene  un  picciol  cenno 

142.    Verso  di  te,  che  fai  tanto  sottili 

Provvedimenti,  che  a  mezzo  novembre 
Non  giunge  quel  che  tu  d'  ottobre  fili. 

145.    Quante  volte  del  tempo  che  rimembre, 
Legge,  moneta,  offizio,  e  costume 
Hai  tu  mutato,  e  rinnovato  membre! 

148.    E  se  ben  ti  ricordi,  e  vedi  lume. 

Vedrai  te  simigUante  a  quella  inferma. 
Che  non  può  trovar  posa  in  sulle  piume, 

151.    Ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma. 


275 


1.  2.  3.  mon.  et  off. 


1.  2.  3.  ti  rìc()rd* 


A.  2.  B.  Lacedemon» 
(\  D.  Lacedemoni» 


A.fWfCìono —  j4.pircol 


/).  Leggi  —  A.  2.  C.  mon. 
offici  D.  mon.  ed  offici 
B.  mon.  ed  officio 

f/.  rinnovate 
(\  ti  ricorda 


146.  monete  —  offizj  —  148.  Ma  se  ben  —  149.  te  simigliare  —  151.  con  dar  volte 


35* 


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CANTO  SETTIMO 


2.  3.  innaiui  »  aè 


1.  ore  *1  nutrir 


Jtoscia  che  Y  accoglienze  oneste  e  liete 
Furo  iterate  tre  e  quattro  volte, 
Sordel  si  trasse,  e  disse:  Voi  chi  siete? 
4.    Prima  che  a  questo  monte  fosser  volte 
L'  anime  degne  di  salire  a  Dio, 
Fur  r  ossa  mie  per  Ottavian  sepolte. 
7.    Io  son  Virgilio  ;  e  per  nuli'  altro  rio 
Lo  ciel  perdei,  che  per  non  aver  fè: 
Cosi  rispose  allora  il  Duca  mio. 

10.    Qual  è  colui  che  cosa  innanzi  se 

Subita  vede,  ond'  ei  si  maraviglia, 

Che  crede  e  no,  dicendo:  EU'  è,  non  è; 

13.    Tal  parve  quegli,  e  poi  chinò  le  ciglia, 
Ed  umilmente  ritornò  ver  lui, 
Ed  abbracciollo  ove  il  minor  s'  appigha. 

16.    0  gloria  de'  Latin,  disse,  per  cui 

Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra, 
0  pregio  eterno  del  loco  ond'  io  fui. 


A.  Ansi  che 


A.  1.  E  r  abbracciò    - 
A.  2.  abbracciol  dove  — 
A.  2.  C.  D,  M  nutrir  - 
A.  2.  <\  si  piglia 

D.  dÌKs'  ei 


ft.  Anime  degne  —  11.  onde  si  mar.  —  15.  abbracciòl  li  ore 


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278 


ANTIPURGATORIO.       NEGLIGENTI. 


PURGATORIO   VII.    19-42. 


SORDELI.O. 


19.    Qual  merito,  o  qual  grazia  mi  ti  mostra? 
S' io  son  d'  udir  le  tue  parole  degno , 
1.  o  di  qu»i  Dimmi  se  ^den  d' inferno ,  e  di  qual  chiostra. 

22.    Per  tutti  i  cerchi  del  dolente  regno, 
Rispose  lui,  son  io  di  qua  venuto: 
Virtù  del  ciel  mi  mosse,  e  con  lei  vegno. 
1. 2. 3.  ho  perduto     25.    Nou  pcr  far,  ma  per  non  fare  ho  i' perduto 

Di  veder  Y  alto  Sol  che  tu  disiri, 
E  che  fu  tardi  da  me  conosciuto. 
28.    Loco  è  laggiù  non  tristo  da  martiri, 
Ma  di  tenebre  solo,  ove  i  lamenti 
Non  suonan  come  guai,  ma  son  sospiri. 
31.    Quivi  sto  io  coi  parvoli  innocenti, 

Dai  denti, morsi  della  morte,  avante 
('he  fosser  dall'  umana  colpa  esenti. 
M.    Quivi  sto  io  con  quei  che  le  tre  sante 
Virtù  non  si  vestirò,  e  senza  vizio 
1. 2. 3.  tutte  qu.  Conobber  Y  altre,  e  seguir  tutte  e  quante. 

37.    Ma  se  tu  sai  e  puoi,  alcuno  indizio 

Dà  noi,  perchè  venir  possiam  più  tosto 
1. 2. 3.  dove  il  purR.  Là  dovc  Purgatorfo  ha  dritto  inizio. 

40.    Rispose:  Loco  certo  non  e;  è  posto: 
1.  andar  su  Licito  m'  è  audar  suso  ed  intorno: 

Per  quanto  ir  posso,  a  guida  mi  t'  accosto. 


B.  A  veder 

A.  t.  per  me  con, 
D.  di  niftrt. 

B.  Ma  da  ten. 


A.  2.  a  dell*  am. 


A.2.  B.  C.  D.  tutte  (]u. 

D»  sai  o  puoi 

A.  %  C.  Dà  a  noi 
D.  Dire  a  noi  — 
D.  che  poss.  ven. 


^1.  1.  m'  è  r  and.  D.  m*  è 
d'  and.  —  B.  andar  su 


19.  e  qual  grazia  —  20.  la  tua  panda  —  26.  Il  veder  —  V  altro  Sol  —  31.  Quivi  son  io  —  38.  Di  a  noi   —   40.  non  e*  è  imposto  

41.  Licito  n'  è 


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l.  'I.  'ò.  Se  mi  COU8.  — 
1.   menrò 


1.  2.  3.  o  non  sarri» 


1.  coti  essa  andar 


1/2.  3.  disse,  dantjue 


1.  alungiati 


L  2.  3.  Talloni  scemau 


ANTIPUROATURIO.      NE«LI«KNTI.  PURGATORIO     VII.     43  —  66.  SORDRL 

43.    Ma  vedi  già  come  dichina  il  giorno, 
Ed  andar  su  di  notte  non  si  puote; 
Però  è  buon  pensar  di  bel  soggiorno. 

4(5.    Anime  sono  a  destra  qua  rimote: 

Se  '1  mi  consenti,  io  ti  meiTÒ  ad  esse, 
E  non  senza  diletto  ti  fien  note. 

49.    Com'  è  ciò?  fii  risposto:  chi  volesse 
Salir  di  notte,  fora  egli  impedito 
D'  altrui?  ovver  saria  che  non  potesse? 

52.    E  il  buon  Sordello  in  terra  fregò  il  ihto, 
Dicendo:  Vedi,  sola  questa  riga 
Non  varcheresti  dopo  il  sol  partito: 

55.    Non  però  che  altra  cosa  desse  briga, 
Che  la  notturna  tenebra,  ad  ir  suso: 
Quella  col  non  poter  la  voglia  intriga. 

58.    Ben  si  poria  con  lei  tornare  in  giuso, 

E  passeggiar  la  costa  intorno  errando. 
Mentre  che  V  orizzonte  il  di  tien  chiuso. 

61.    Allora  il  mio  Signor,  quasi  ammirando: 
Menane  dunque,  disse,  là  ove  dici 
Che  aver  si  può  diletto  dimorando. 

64.    Poco  allungati  e'  eravam  di  hci, 

Quand'  io  m'  accorsi  che  il  monte  era  scemo, 
A  guisa  elle  i  vallon  li  sceman  quici. 


279 


A.  declina 


//.  C.  D,  Se  mi  cous. 
I).  menerotti 


H.  D.  o  non  —  H.  sarria 


(\  questa  sola 


H.  D.  con  lei  andare 


H.  disse  dunque  - 
D.  dove  dici 


H.  C.  alungiati 

J.  1.  (?)  V.  Quando 
m'  acc. 

//.  valloni  sceuì. 


43.  Ma  vedi  là  —  46.  Però  è  ben  pens.  —  di  buon  sogi».  —  49.  Com'  è  si  —  51.  D'  altrui?  «  sarìa    -  () 
eh'  ei  non  pot.  —  53.  solo  questa  —  .i(i.  a  gir  suso  —  62.  adunque  —  66.  che  i  vallon  si  sceman 


saria  dunque  perche*  non  - 


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280 


ANTIPITROATOBIO.      NEOLIOENTI. 


PURGATORIO   VII.    67-90. 


SORDELLO. 


1.  2.  Li  ove 
1.  2.  3.  e  coccd 


67.    Colà  disse  quell'  ombra,  n'  anderemo 
Dove  la  costa  face  di  se  grembo, 

i.  aspetteremo  E  quivì  il  iiuovo  giomo  atteiidcremo. 

i.«heinbo2.3. •sghembo  70.    Tra  crto  c  piano  era  un  sentiero  schembo, 

Che  ne  condusse  in  fianco*  della  lacca, 
Là  dove  più  che  a  mezzo  more  il  lembo. 

78.  Oro  ed  argento  fino,  cocco  e  biacca, 
Indico  legno  lucido  e  sereno, 
Fresco  smeraldo  in  1'  ora  che  si  fiacca, 

76.    Dall'  erba  e  dalli  fior  dentro  a  quel  seno 
Posti,  ciascun  saria  di  color  vinto. 
Come  dal  suo  maggiore  è  vinto  il  meno. 

79.  Non  avea  pur  natura  ivi  dipinto. 
Ma  di  soavità  di  miUe  odori 
Vi  facea  un  mcognito  e  indistinto. 

82.    Sahe^  Regina^  in  sul  verde  e  in  su  i  fiori 
Quivi  seder  cantando  anime  vidi, 
Che  per  la  valle  non  parean  di  fuori: 

85.    Prima  che  il  poco  sole  omai  s'  annidi, 

Cominciò  il  Mantovan  che  ci  avea  volti, 
Tra  costor  non  vogUate  eh'  io  vi  guidi. 

88.    Di  questo  balzo  meglio  gh  atti  e  i  volti 
Conoscerete  voi  di  tutti  e  quanti, 
Che  nella  lama  giù  tra  essi  accolti. 


L  2.  3.  ine.  indist. 


1.  2.  3.  Quindi 


1.  2.  3.  Tra  color 

2.  3.  Da  quesio 
1.  2.  3.  tutti  qu. 


A.  2.  a  D.  E  li  il  n.  - 
B.  aspetteremo 

D.  Tra  V  erta  e  *1  piane 


B.  C.  U.  Là  ove 

A.  V.  J).  fine  —  B.t  cocro 


B.  eh'  ei  si  f. 

C.  Dall'  erbe 


D.  ine.  indisi. 

B.  C.  D.  in  su  fiori 

A,  1.  (?)  B.  Quindi 


A.  1.  (?)  B.  Tra  color 

A,  2.  B.  a  JJ.  tutti  qu. 
A.  2.  nella  valle 


70.  sentier  sghembo  —  73.  e  croco  e  lacca  —  75.  allora  che  si  fiacca  —  76.  fiori  entro  quel  —  77.  Posti,  a  ciasc.  —  82.  sul  verde 
e  sui  fiori  —  83.  Cantando  li  seder  an.  —  cantando  seder  —  66.  che  n'  avea  volti  —  88.  meglio  e  gli  atti 


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ANTIPUROATOHIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO     VII.     91  —  114. 


RIDOLFO    IMPERAOORR. 


281 


A.  Rodulfo 


A.  tardo  —  A.  B.  C.  per 
altro 


1.  Cbr  monta  2.  3.  Che 
HolU 


91.    Colui  che  più  sied'  alto,  e  fa  sembianti 

D'  aver  negletto  ciò  che  far  dovea, 

E  che  non  move  bocca  agli  altrui  canti, 
94.    Ridolfo  imperador  fii,  che  potea 

Sanar  le  piaghe  eh'  hanno  Italia  morta, 
1.2.  per  altro  Si  chc  tardi  pcr  altri  si  ricrea. 

97.    L'  altro,  che  nella  vista  lui  conforta, 

Resse  la  terra  dove  V  acqua  nasce, 

Che  Multa  in  Albia,  ed  Albia  in  mar  ne  porta:  ^.  «-ue  «onu  -  />.  u 

porta 

100.    Otacchero  ebbe  nome,  e  nelle  fasce 

Fu  megUo  assai,  che  Vincislao  suo  figUo 
Barbuto,  cui  lussuria  ed  ozio  pasce. 

103.    E  quel  Nasuto,  che  stretto  a  consiglio 

Par  con  colui  ch'ha  si  benigno  aspetto, 
Morì  fuggendo  e  disfiorando  il  giglio: 

106.    Guardate  là,  come  si  batte  il  petto. 

L'  altro  vedete  eh'  ha  fatto  alla  guancia 
Della  sua  palma,  sospirando,  letto. 

109.    Padre  e  suocero  son  del  mal  di  Francia: 
Sanno  la  vita  sua  viziata  e  lorda, 
E  quindi  viene  il  duol  che  sì  li  lancia. 

112.    Quel  che  par  sì  membruto,  e  che  s'  accorda 
1. 2. 3.  dal  masch.  Cautaudo  cou  colui  del  maschio  naso , 

D'  ogni  valor  portò  cinta  la  corda. 


1.  2.  3.  Nasetto 


I.  et  {sfiorando 


H.  Nasetto 


li.  dal  masoli. 
U.  cinto 


91.  ed  ha  sembianti  —  92.  che  far  doreva  —  94.  che  poteva  —  96.  si  rileva  —  99.  Che  muta  in  A.  ||  Che  volta  in  A.   —   101.  Pare 
eoa  lui  —  109.  e  suocero  fur  —  110.  la  vita  lor  vis.  —  111.  E  quinci  viene 


II. 


.36 


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PIKB   D    ARAGONA. 


B.  di  pò*  lui 


fì.  *ltre  rfdc 


V.  Giacomo 


B.  Anco 


282  ANTIPURGATORIO.      NKGLIOENTI.         PURGATORIO    VII.     115  —  136. 

115.    E  se  re  dopo  lui  fosse  rimaso 

Lo  giovinetto  che  retro  a  lui  siede. 
Bene  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso; 
1. 2. 3. altre rede      118.    Che  uou  SÌ  puote  dir  dell'altre  erede. 

Jacomo  e  Federico  hanno  i  reami: 
Del  retaggio  miglior  nessun  possiede. 

121.    Rade  volte  risurge  per  li  rami 

L'  umana  probitate  :  e  questo  vuole 
Quei  che  la  dà,  perchè  da  lui  si  chiami. 
1.2. 3.  Anco  124.    Anche  al  Nasuto  vanno  mie  parole, 

Non  men  eh'  all'  altro,  Pier  che  con  lui  canta, 
Onde  PugUa  e  Provenza  già  si  duole. 
1. 2.  miglior  la  p.     127.    Taut'  è  dcl  seme  suo  minor  la  pianta, 

Quanto  più  che  Beatrice  e  Margherita, 
Costanza  di  marito  ancor  si  vanta. 

130.    Vedete  il  re  della  semphce  vita 

Seder  là  solo,  Arrigo  d' Inghilterra: 
Questi  ha  ne'  rami  suoi  migliore  uscita. 

133.    Quel  che  più  basso  tra  costor  s'  atterra. 

Guardando  in  suso,  è  Guglielmo  Marchese, 

Per  cui  ed  Alessandria  e  la  sua  guerra         *  p«^'  «^«i  ai. 

136.    Fa  pianger  Monferrato  e  Canavese.  a  Fé  piaog. 


1.  2.  Gostanza 


A.  m.  D.  m,  miglior  la  p. 


B.  a  Gostanza  D.  Goost 


2.  minore  use. 


1.  2.  Per  cui  Al. 

2.  3.  e  '1  Canav. 


118.  Che  dìcer  non  sì  paò  —  degli  altri  erede  —   119.  Jacopo  ||  Giacopo  —  120.  Del  redaggio  ||  Ma '1  retaggio  —  122.  1/ um. 
probità  —  124.  ran  le  mie  par.  —  131.  Giacer  là  solo  (|  Pianger  là  solo  —  134.  Chiard.  ìb  su 


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CANTO  OTTAVO 


1.  nuovo  e  ptTe^T. 


1.  (Ui  luei  —  1.  bocea  con 


L.  li«Uineiitr 


Jcira  già  V  ora  che  volge  il  disio 
Ai  naviganti,  e  intenerisce  il  core 
Lo  dì  eh'  han  detto  ai  dolci  amici  addio  ; 
4.    E  che  lo  nuovo  peregrin  d'  amore 
Punge,  se  ode  squilla  di  lontano, 
Che  paia  il  giorno  pianger  che  si  more: 
7.    Quand'  io  incominciai  a  render  vano 
L'  udire,  ed  a  mirare  una  dell'  alme 
Surta,  che  V  ascoltar  chiedea  con  mano. 

10.    Ella  giunse  e  levò  ambo  le  palme. 
Ficcando  gli  occhi  verso  V  oriente, 
Come  dicesse  a  Dio  :  D'  altro  non  calme. 

13.    Te  lucis  ante  si  devotamente 

Le  uscì  di  bocca,  e  con  sì  dolci  note, 
Che  fece  me  a  me  uscir  di  mente. 

16.    ET  altre  poi  dolcemente  e  devote 

Seguitar  lei  per  tutto  Y  inno  intero, 
Avendo  gU  occhi  alle  superne  rote. 


B.  nove  peregr.  — 
(\  pellegrin 


D.  ambe 


A.  I.  L*  uscio  IJ.  Lì  uscì 
—   B.  D.  boce»  con 


8.  ed  ammirare  —  U.  gli  ocehi  in  eiel  verso  or.  —  16.  dolcem.  derote 


36- 


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284 


ANTIPURGATORIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO    Vili.     19  —  42. 


ANGELI    CU8TODL 


2.  3.  neir  opposta 


1.  2.  3.  che  a  troppo 


19.    Aguzza  qui,  Lettor,  ben  gli  occhi  al  vero, 
Che  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile, 
Certo,  che  il  trapassar  dentro  è  leggiero. 

22.    Io  vidi  quello  esercito  gentile 

Tacito  poscia  riguardare  in  sue, 
Quasi  aspettando  pallido  ed  umile: 

25.  E  vidi  uscir  dell'  alto,  e  scender  giue 
Due  angeli  con  due  spade  affocate, 
Tronche  e  private  delle  punte  sue. 

28.    Verdi,  come  fogliette  pur  mo  nate, 

Erano  in  veste,  che  da  verdi  penne 
Percosse  traean  dietro  e  ventilate. 

31.    L'  un  poco  sopra  noi  a  star  si  venne, 
E  r  altro  scese  in  1'  opposita  sponda. 
Sì  che  la  gente  in  mezzo  si  contenne. 

34.  Ben  discerneva  in  lor  la  testa  bionda; 
Ma  nelle  faccie  V  occhio  si  smarria, 
Come  virtù  che  al  troppo  si  confonda. 

37.    Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria, 

Disse  Sordello,  a  guardia  della  valle, 
Per  lo  serpente  che  verrà  via  via. 

40.    Ond'  io  che  non  sapeva  per  qual  calle, 
Mi  volsi  intorno,  e  stretto  in'  accostai 
Tutto  gelato  alle  fidate  spalle. 


A.  2.  (\  IJ.  pavido 


h.  JJ.  Kr.  in  Tis!a 


A.  1.  neir  opposta  (?) 


A.  2.  B.  D.  che  a  tr. 


23.  Tacito  tutto  rìgu.  —  24.  Quasi  ammirando  —  25.  uscir  dall'  alto  ||  use.  del  ciclo  —  29.  Er.  in  vesti  —  99.  )o  serp.  vhe  venta  - 
40.  Ma  io  che  non 


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NINO   VISCONTI. 


2.  3.  Sord.  anche 


1.  vederti 


2.  3.  dichiarasse 


1.  2.  a  me  si  v. 
1.  2.  3.  Currado 


ANTIPURGATORIO.      NEGLIGENTI.  PURGATORIO    Vili.     43  —  66. 

43.    E  Sordello  anco:  Ora  avvalliamo  ornai 

Tra  le  grandi  ombre,  e  parleremo  ad  esse: 
Grazioso  fia  lor  vedervi  assai. 

46.    Solo  tre  passi  credo  eh'  io  scendesse, 
E  fui  di  sotto,  e  vidi  un  che  mirava 
Pur  me,  come  conoscer  mi  volesse. 

49.    Tempo  era  già  che  V  aer  s'  annerava, 

Ma  non  sì,  che  tra  gli  occhi  suoi  e  i  miei 
Non  dichiarisse  ciò  che  pria  serrava. 

52.    Ver  me  si  fece,  ed  io  ver  lui  mi  fei: 

Giudice  Nin  gentil,  quanto  mi  piacque, 
Quando  ti  vidi  non  esser  tra  i  rei! 

55.    Nullo  bel  salutar  tra  noi  si  tacque: 

Poi  domandò  :  Quant'  è ,  che  tu  venisti 
Appiè  del  monte  per  le  lontane  acque? 

58.    0,  diss'  io  lui,  per  entro  i  lochi  tristi 

Venni  stamane,  e  sono  in  prima  vita, 
Ancor  che  1'  altra  sì  andando  acquisti. 

61.    E  come  fu  la  mia  risposta  udita, 

Sordello  ed  egli  indietro  si  raccolse. 
Come  gente  di  subito  smarrita. 

64.    L'  uno  a  Virgilio,  e  l'altro  ad  un  si  volse 
Che  sedea  lì,  gridando:  Su,  Corrado, 
Vieni  a  veder  che  Dio  per  grazia  volse. 


285 


1.  2.  3.  dissi  lui 


S.  Sord.  anche 


fì.  vederti 


('.  d...risser  A.  d...rasser 
D.  dlscernesser  — 
A.  si  errava 


D.  Nessun  bel 

JJ.  per  si  lout. 
B.  dissi  lui 


A.  ricolse 


h.  a  me  si  v. 


D.  li  sedea  -  H.  (\  D. 
Currado 


43.  AUor  Sord.:  Ora  (|  Sordello  allora  —  anco:  Avalliamo  —  Or  valichiamo  —  46.  Soli  tre  ||  Sol  trenta  (?)  —  47.  Ch'in  fui  tra 
liiTo,  e  vidi  —  che  ammirava    -  50.  e  miei  —  64.  Quaad*  io  ti  v.  —  esser  tra  rei  —  58.  lo  dissi  lui 


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286  ANTIPURGATORIO.      NEOLIOENTI.  PURGATORIO    Vili.     67  —  90.  NINO    VISCONTI. 

67.    Poi  volto  a  me:  Per  quel  singular  grado,  ^.  ci;,  volti  •  m* 

Che  tu  dei  a  colui,  che  si  nasconde 

Lo  suo  primo  perchè,   che  non  gli  è  guado, 
70.    Quando  sarai  di  là  dalle  larghe  onde. 

Di'  a  Giovanna  mia,  che  per  me  chiami 

Là  dove  agi'  innocenti  si  risponde. 
73.    Non  credo  che  la  sua  madre  più  m'  ami. 

Poscia  che  trasmutò  le  bianche  bende, 

Le  quai  convien  che  misera  ancor  brami. 
76.    Per  lei  assai  di  lieve  si  comprende,  s.àiuiri  v.dìikyi 

Quanto  in  femmina  foco  d'  amor  dura,  ^. d*m»r 

2. 3.  noi  Merende  Se  V  occMo  o  il  tatto  spcsso  non  1'  accende. 

79.    Non  le  farà  si  bella  sepoltura 

La  vipera  che  i  Milanesi  accampa,  ^  »  (?)  e-,  v.  diei 

Com'  avria  fatto  il  gallo  di  Gallura.  /?.  utu 

82.    Cosi  dicea,  segnato  della  stampa 

Nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  zelo, 

Che  misuratamente  in  core  avvampa.  ^.2.  e. /;.  »misur««i. 

^  -  ^.  2.  r.  />.  i  cori 

85.    (xli  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  al  cielo. 

Pur  là  dove  le  stelle  son  più  tarde,  z).  coUdove 

Si  come  rota  più  presso  allo  stelo. 

88.    E  il  Duca  mio:  Figliuol,  che  lassù  guarde? 
Ed  io  a  lui:  A  quelle  tre  facelle, 
Di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arde. 

84.  il  core  avvampa  -  90.  Di  quel  polo 


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ANTirUROATORIO.     MEOUOENTI.        PURGATORIO    VIIL    91  —  114. 


COBBADO    MALA8PINA. 


287 


3.  Com'  ei  pari. 


I.  perchè  là  ~  1.  2.  3. 
goatasse 


1.2.3.  la  testa,  e '1  dosso 


91.    Ed  egli  a  me:  Le  quattro  chiare  stelle  e. />.  ond  egli 

Che  vedevi  staman,  son  di  là  basse, 

E  queste  son  sahte  ov'  eran  quelle. 
94.    Com'  io  parlava,  e  Sordello  a  se  il  trasse 

Dicendo:  Vedi  là  il  nostro  avversaro; 

E  drizzò  il  dito,  perchè  in  là  guardasse. 
97.    Da  quella  parte,  onde  non  ha  riparo 

La  picciola  vallea,  era  una  biscia, 

Forse  qual  diede  ad  Eva  il  cibo  amaro. 
100.    Tra  V  erba  e  i  fior  venia  la  mala  striscia, 

Volgendo  ad  or  ad  or  la  testa  al  dosso, 

Leccando  come  bestia  che  si  liscia. 
1. 2. 3.  noi  vidi  -  1. 2.  103.    Io  non  vidi,  e  però  dicer  non  posso, 

3.  noi  posso 

Come  mosser  gU  astor  celestiali, 
1. 2. 3.  e  r  uno  Ma  vidì  bcuc  r  uno  e  1'  altro  mosso. 

106.    Sentendo  fender  1'  aere  alle  verdi  ali, 
i.  i.  3.  Foggio  Eug^  '1  serpente ,  e  gh  angeli  dier  volta        n-  Fuggio 

Suso  alle  poste  rivolando  eguali. 
1.2.  a  Giudice  109.    L' Ombra  che  s'era  al  Giudice  raccolta,  >?./>.  a  Giudice 

Quando  chiamò,  per  tutto  quell'  assalto 

Punto  non  fu  da  me  guardare  sciolta.  ^  guardar  discioiu 

112.    Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto 

Trovi  nel  tuo  ai'bitrio  tanta  cera, 
1. 2.  insioo  Quant'  è  mestiero  infino  al  sommo  smalto ,     e.  mestieri 


e.  piccola 


C.  veniva  lama 


C.  JJ.  Leccandol 


fi.  D.  noi  vidi  -   D.  noi 
posso 


e.  U.  e  r  uno 


92.  Che  vedemmo  —  94.  Con  me  '1  pari.  (?)  —  96.  Vedi  là  nostro  —  106.  Su  alle  poste  -  112.  che  ti  ^lida  —  114.  insino 


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288 


ANTIPURGATORIO.       NKOLIOENTI.        PURGATORIO    Vili.     115—139. 


CORRADO    MALASPINA. 


1.  2.  3.  ValdimaKi'a 


1.  2.  3.  Currado 


I.  2.  3.  dissi  lui 


l.  della  bontà 


i.  tutti  rju. 


115.    Cominciò  ella:  Se  novella  vera 

Di  Valdimaera,  o  di  parte  vicina 

Sai,  dilla  a  me,  che  già  grande  là  era. 

118.    Chiamato  fui  Corrado  Malaspina: 

Non  son  Y  antico,  ma  di  lui  discesi: 
A'  miei  portai  1'  amor  che  qui  raffina. 

121.    0,  diss'  io  lui,  per  li  vostri  paesi 

Giammai  non  fili;  ma  dove  si  dimora 
Per  tutta  Europa,  eh'  ei  non  sien  palesi? 

124.    La  fama  che  la  vostra  casa  onora. 

Grida  i  signori,  e  grida  la  contrada, 
Si  che  ne  sa  clii  non  vi  fu  ancora. 

127.    Ed  io  vi  giuro,  s' io  di  sopra  vada. 

Che  vostra  gente  onrata  non  si  sfi:egia 
Del  pregio  della  borsa  e  della  spada. 

ISO.    Uso  e  natura  si  la  privilegia, 

Che,  perchè  il  capo  reo  lo  mondo  torca, 
Sola  va  dritta,  e  il  mal  cammin  dispregia. 

1S3.    Ed  egh:  Or  va,  che  il  sol  non  si  ricorca 
Sette  volte  nel  letto  che  il  Montone 
Con  tutti  e  quattro  i  pie  copre  ed  inforca, 

136.    Che  co  testa  cortese  opinione 

Ti  fia  chiavata  in  mezzo  della  testa 

Con  maggior  chiovi  che  d'  altrui  sermone, 

139.    Se  corso  di  giudizio  non  s'  aiTCsta. 


B.  C.  D.  Valdimagra 
D.  Sai,  dillo 


A.  Fui  chiam.  —  B.  (. 
D.  Currado 


B.  C.  dis»i  lui 


D,  2.  Gridan  aign. 


A,  gente  ornata 

B.  delia  bontà 


119.  da  lui  disc.  —  120.  qui  m'  affina  -  121.  Certo,  diss'  io,  per  li  -  125.  Grida  i  Seniori  —  126.  Si  che  lo  sa  —  129.  pregio  del  ralow 


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CANTO  NONO 


J-Ja  concubina  di  Titone  antico  AdiTiun 

1. 2. 3.  al  b»uo  Già  s' imbiancava  al  balco  d'  oriente ,  b,  ai  bauo 

Fuor  delle  braccia  del  suo  dolce  amico: 
4.    Di  gemme  la  sua  fronte  era  lucente ,  d.  t.  u  sua  faccia 

Poste  in  figura  del  freddo  animale, 
Che  con  la  coda  percote  la  gente: 
7.    E  la  notte  de'  passi,  con  che  sale, 

Fatti  avea  due  nel  loco  ov'  eravamo, 
E  il  terzo  già  chinava  in  giuso  Y  ale  ; 
10.    Quand'  io  che  meco  avea  di  quel  d'  Adamo, 
Vinto  dal  sonno ,  in  suU'  erba  inchinai 
1. 2. 3.  Li  ve  -  1. 2.  Ovc  già  tuttl  c  ciuque  sedevamo.  ^.  uvc  -  /?.  e.  d. 

sedav.  «edav. 

13.    Neil'  ora  che  comincia  i  tristi  lai 

La  rondinella  presso  alla  mattina, 
Forse  a  memoria  de'  suoi  primi  guai, 
2.3.  peiicgr.  16.    E  chc  la  mente  nostra  peregrina 

Più  dalla  carne,  e  men  da'  pensier  presa, 
Alle  sue  vision  quasi  è  divina; 

2.  •'  imbiaccava  —  al  balcon  d"  or.  —  9.  E  il  giorno   —   12.  Là  dove  tutti  —  13.  che  iucomincia   -  17.  Men  dalla  carne  —  e  più 
da*  i>.  —  dal  pensier 

n.  :^7 


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290 


ANTIPURGATORIO. 


l.  2.  3.  Con  r  ale 


1.  2.  3.  concist. 


PURGATORIO    IX.    19-42. 

19.    In  sogno  mi  parea  veder  sospesa 

Un'  aquila  nel  ciel  con  penne  d'  oro, 
Con  r  ali  aperte,  ed  a  calare  intesa: 

22.    Ed  esser  mi  parca  là  dove  foro 

Abbandonati  i  suoi  da  Ganimede, 
Quando  fu  ratto  al  sommo  consistoro. 

25.    Fra  me  pensava:  Forse  questa  fiede 

Pur  qui  per  uso ,  e  forse  d'  altro  loco 
Disdegna  di  portarne  suso  in  piede. 
1. 2. 3. che piii rotate    28.    Poi  mi  parca  che  roteata  un  poco, 

Terribil  come  folgor  discendesse, 
E  me  rapisse  suso  infino  al  foco. 

31.    Ivi  pareva  eh'  ella  ed  io  ardesse, 

E  sì  r  incendio  immaginato  cosse. 

Che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse. 

34.    Non  altrimenti  Achille  si  riscosse, 

Gli  occhi  sveghati  rivolgendo  in  giro, 
E  non  sappiendo  là  dove  si  fosse, 

37.    Quando  la  madre  da  Chiron  a  Schiro 

Trafiigò  lui  dormendo,  in  le  sue  braccia. 
Là  onde  poi  li  Greci  il  dipartirò; 

40.    Che  mi  scoss'  io ,  si  come  dalla  faccia 

Mi  fuggì  il  sonno,  e  diventai  ismorto. 
Come  fa  1'  uom  che  spaventato  agghiaccia 


AQUILA. 


1.  insÌDO 


1.  3.  sapendo 


1.  2.  fuggìo  —  l.  2.  3. 
div.  smorto 


li.  a  Con  r  ale 
C.  calcare 


H.  concist. 


A.  C.  che  roteato 
B.  che  poi  rotata 


S.  JJ.  di  Chiron 

À.  Trasfugò 

H.  t.  (ir.  indi  *!  partirò 

li.  e.  JJ.  div.  smorto 

A.  2.  chespav.  hacaccin 
fi.  U.  m.  che  S]>av. 
aeracela 


20.  Un'  aguglia   —   25.   lo  dicea  fra  me  stesso  :  Questa  —   34.  altramente 
42.  Come  falcone  che  spavento  accaccia  —  adiaccia 


37.  a  Hcìro  —  40.  Lor  mi  scoss'  io  —  della  faceta  — 


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ANTIPURGATORIO. 


3.  più  di  due 


1.  2.  3.  che  muti 


PURGATORIO    IX.    43 --66.  lu 

43.    Dallato  m'  era  solo  il  mio  conforto, 

E  il  sole  er'  alto  già  più  che  due  ore, 
E  il  viso  m'  era  alla  marina  torto. 

46.    Non  aver  tema,  disse  il  mio  Signore: 

Fatti  sicur,  che  noi  siamo  a  buon  punto: 
Non  stringer,  ma  rallarga  ogni  vigore. 

49.    Tu  se'  omai  al  Purgatorio  giunto: 

Vedi  là  il  balzo  che  il  chiude  d' intomo; 
Vedi  r  entrata  là  've  par  disgiunto. 

52.    Dianzi,  nell'  alba  che  precede  al  giorno, 
Quando  Y  anima  tua  dentro  dormia 
Sopra  li  fiori,  onde  laggiù  è  adorno, 

55.    Venne  ima  donna,  e  disse:  Io  son  Lucìa: 
Lasciatemi  pigUar  costui  che  dorme. 
Sì  r  agevolerò  per  la  sua  via. 

58.    Sordel  rimase ,  e  1'  altre  gentil  forme  : 
Ella  ti  tolse,  e  come  il  dì  fii  chiaro, 
Sen  venne  suso,  ed  io  per  le  sue  orme. 

61.    Qui  ti  posò:  e  pria  mi  dimostraro 

Gh  occhi  suoi  belli  queir  entrata  aperta; 
Poi  ella  e  il  sonno  ad  una  se  n'  andar o. 

64.    A  guisa  d'  uom  che  in  dubbio  si  raccerta, 
E  che  muta  in  conforto  sua  paura, 
Poi  che  la  verità  gli  è  discoperta, 


291 


A.  1.  sicuro,  noi 


B.  che  'l  cin(^ 

A.  2.  a  IJ.  dove  par 

IJ.  il  snorno 

D.  ond'  è  laggiù  ad. 


A.  B.  Ih  gentil  forme 


A.  2.  R.  C.  D.  ohe  muti 


47.  sicuro,  che  senio  —  48.  ma  t'  allarga  —  51.  dove  '1  par  —  58.  le  altre  genti,  ftior  me  —  61.  Qui  riposò  —  ma  pria 


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292 


PORTA   DEL   PURGATORIO. 


1.  Che  coli  —  1.  mi  parea 
un  r.  2.  3.  p...  mi 
imprima  un  r. 


1.  2.  3.  Ditel 


PURGATORIO    DC.    67-90. 

67.    Mi  cambia'  io  :  e  come  senza  cura 

Videmi  il  Duca  mio,  su  per  lo  balzo 
Si  mosse ,  ed  io  diretro  inver  Y  altura. 

70.    Lettor,  tu  vedi  ben  com'  io  innalzo 

La  mia  materia,  e  però  con  più  arte 
Non  ti  maravigliar  s' io  la  rincalzo. 

73.    Noi  ci  appressammo,  ed  eravamo  in  parte, 
Che  là,  dove  pareami  prima  un  rotto. 
Pur  come  un  fesso  che  muro  diparte, 

76.  Vidi  una  porta,  e  tre  gradi  di  sotto. 
Per  gire  ad  essa,  di  color  diversi. 
Ed  un  portier  che  ancor  non  facea  motto. 

79.    E  come  T  occhio  più  e  più  v'  apersi , 
Vidil  seder  sopra  il  grado  soprano, 
Tal  nella  faccia,  eh'  io  non  lo  soffersi: 

82.  Ed  una  spada  nuda  aveva  in  mano 
Che  rifletteva  i  raggi  sì  ver  noi, 
Ch'  io  dirizzava  spesso  il  viso  in  vano. 

85.    Dite  costinci,  che  volete  voi? 

Cominciò  egli  a  dh'e:  ov'  è  la  scorta? 
Guardate  che  il  venir  su  non  vi  noi! 

88.    Donna  del  ciel,  di  queste  cose  accorta. 

Rispose  il  mio  Maestro  a  lui,  pur  dianzi 
Ne  disse:  Andate  là,  quivi  è  la  porta. 


ANGELO    PORTIKRJC. 


D.  Si  mise 


B.  Che  colà  -  fì.  mi 
parca  un  rotto  A.  2. 
C.  p...  mi  prima  rotto 


D.  ignuda 

C.  riflettra  li  r. 

B.  Ditel 


6H.  su  ver  lo  b.  —  73.  e  dirivammo  —  74.  Colà  dove  —  79.  come  gli  occhi  ~  81.  Tal  nella  vista  —  H4.  spesso  gli  ocehi  —  H7.  non 
v"  aunui  --  88.  qu.  cose  e  accorta  —  90.  qui  è  la  p.  ||  eh*  ivi  è  la  p. 


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PORTA    DKL    PUH0AT0R10. 


PURGATORIO    IX.    91-114. 


AKOELO   PORTIERE. 


293 


91.    Ed  ella  i  passi  vostri  in  bene  avanzi, 
Ricominciò  il  cortese  portinaio: 
Venite  dunque  a'  nostri  gradi  innanzi. 
1.2. 3.  Une  yen.,  e  lo  *r.     94    Là  Ve  venimuio ,  allo  scaglion  primaio. 

Bianco  marmo  era  si  pulito  e  terso, 
2. 3.  spcrrhiav»  Cli'  io  uù  spccliiai  ìxì  csso  quale  io  paio. 

97.    Era  il  secondo,  tinto  più  che  perso, 
D'  una  petrina  ruvida  ed  arsiccia, 
Crepata  per  lo  lungo  e  per  traverso. 

100.    Lo  terzo,  che  di  sopra  s'  ammassiccia, 
Porfido  mi  parca  si  fiammeggiante. 
Come  sangue  che  fiior  di  vena  spiccia. 

103.    Sopra  questo  teneva  ambo  le  piante 

L'  Angel  di  Dio,  sedendo  in  sulla  soglia, 
Che  mi  sembiava  pietra  di  diamante. 

106.    Per  li  tre  gradi  su  di  buona  vogha 

Mi  trasse  il  Duca  mio,  dicendo:  Chiedi 
Umilemente  che  il  serrame  scioglia. 

109.    Divoto  mi  gittai  a'  santi  piedi: 

Misericordia  chiesi  che  m'  aprisse  : 
Ma  pria  nel  petto  tre  fiate  mi  diedi. 

112.    Sette  P  nella  fronte  mi  descrisse 

Col  punton  della  spada,  e:  Fa  che  lavi. 
Quando  sei  dentro,  queste  piaghe,  disse. 


A.  Ed  elli 


C  ai  vostri  gr. 

D.  Là  ci  traemmo 
B.  scalon  pr. 


A.  \.  Porfirio 


A.  di  adamante 
a  si  di  b. 


A.  a.  C.  D.  tre  volte 


91.  i  f^adi  nostri  —  96.  era,  e  sì  pnl.  —  HO.  chiesi,  e  che  ||  chiesi,  e  eh'  ei  —  111.  Ma  pria  tre  volte  nel  petto  ||  Ma  tre  volte  nel 


petto  pria 


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ANGELO   PORTIERE. 


2.  r  una  d'  esse 


294  PORTA    DEL    PURGATORIO.  PURGATORIO     IX.     115  -  138. 

115.    Cenere  o  terra  che  secca  si  cavi, 

D'  un  color  fora  col  suo  vestimento , 
E  di  sotto  da  quel  trasse  due  chiavi. 

118.    V  una  era  d'  oro  e  V  altra  era  d'  argento: 

Pria  con  la  bianca,  e  poscia  con  la  gialla 
Fece  aUa  porta  si  eh'  io  fui  contento. 

121.    Quandunque  1'  una  d'  este  chiavi  falla, 
Che  non  si  volga  dritta  per  la  toppa, 
Diss'  egli  a  noi,  non  s'  apre  questa  calla. 

124.  Più  cara  è  V  una;  ma  1'  altra  vuol  troppa 
D'  arte  e  d' ingegno  avanti  che  disserri, 
Perch'  eir  è  quella  che  il  nodo  disgroppa. 

127.    Da  Pier  le  tengo;  e  dissemi,  ch'io  erri 
Anzi  ad  aprir,  che  a  tenerla  serrata. 
Pur  che  la  gente  a'  piedi  mi  s'  atterri. 

130.    Poi  pinse  l'uscio  alla  porta  sacrata, 

Dicendo:  Intrate;  ma  facciovi  accorti 
Che  di  fiior  toma  chi  'ndietro  si  guata. 

1H3.    E  quando  fur  ne'  cardini  distorti 

Gli  spigoli  di  quella  regge  sacra. 
Che  di  metallo  son  sonanti  e  forti, 

13H.    Non  rugghiò  si,  ne  si  mostrò  sì  aera 
Tarpeia,  come  tolto  le  fu  il  buono 
1. 2. 3.  aoiuie  poi  Metello ,  per  che  poi  rimase  macra. 


1.  2.  3.  rui;gù> 


A.  1.  d'  oro,  r  altra 


D.  Qualunque 


C.  Più  chiara 


A.  1.  B.  che  nodo 


D.  alli  pie 

A.  m.  alla  parte 
fì.  serrata 


B.  ruggìo 

D.  quando  tolto 

B.  donde  poi 


116.  con  suo  vest.  —  117.  sotto  di  quel  —  121.  Quantunque  —  122.  si  volga  dritto  —  125.  Ed  arte  e  ingegno  —  129.  a  pie  si  mi  s' ati. 


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CORK.  I.  SUPERBI.  PURGATORIO    IX.    139  —  145.  dante  e  viroilioi  295 

139.    Io  mi  rivolsi  attentò  al  primo  tuono, 

E,  Te  Defim  laudamus^  mi  parea 

Udir  in  voce  mista  al  dolce  suono. 
142.    Tale  imagine  appunto  mi  rendea 

Ciò  eh'  io  udiva,  qual  prender  si  suole 

Quando  a  cantar  con  organi  si  stea: 
145.    Ohe  or  sì  or  no  s' intendon  le  parole. 


141.  a  dolce  —  l^.  render  si  suole 


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CANTO  DECIMO 


1.  2.  salaram 


2.  3.  ciò  fece 

l.  Tento  —1.2.  lo  stremo 


Jloì  fìimmo  dentro  al  soglio  della  porta 
Che  il  malo  amor  dell'  anime  disusa, 
Perchè  fa  parer  dritta  la  via  torta, 
4.    Suonando  la  sentii  esser  richiusa: 

E  s' io  avessi  gli  occhi  volti  ad  essa, 
Qual  fora  stata  al  fallo  degna  scusa? 
7.    Noi  salivam  per  una  pietra  fessa, 

Che  si  moveva  d'  una  e  d'  altra  parte. 
Si  come  r  onda  che  fugge  e  s'  appressa. 

10.  Qui  si  convien  usare  un  poco  d'  arte. 
Cominciò  il  Duca  mio,  in  accostarsi 
Or  quinci,  or  qumdi  al  lato  che  si  parte. 

13.    E  ciò  fecer  li^nostri  passi,  scarsi 

Tanto,  che  pria  lo  scemo  della  luna 
Rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcarsi, 

16.    Che  noi  fossimo  fuor  di  quella  cruna. 
Ma  quando  fummo  liberi  ed  aperti 
Su,  dove  il  monte  indietro  si  rauna, 


(\  al  fililo  stau  — 
D.  stato 


A.  2.   /?.  C.  l).  salaTam 


H.  ciò  fece 
//.  In  stremo 


A.  raduna 


7.  salivam  |)  salevam  —  9.  Come  \  onda  »  o  che  s'  appressa  —  12.  al  loco  ohe  si  p.  —  13.  E  questo  fece  i  —  14.  prima  il  scemo  — 
16.  quella  cuna  —  18.  Là  dove  —  monte  dritto 


II. 


38 


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298  roRN.  I.  SUPERBI.  PURGATORIO    X.    19  —  42.  esempi  d' umiltà. 

1. 2.  «nend.  3.  ambed.  19.    lo  staDcato,  6(1  RHibo  6  duc  inccrti 

Di  nostra  via,  ristemmo  su  in  un  piano 
Solingo  più  che  strade  per  diserti. 
22.    Dalla  sua  sponda,  ove  confina  il  vano, 
1.  Apiè  2. 3.  AppH-  Al  pie  dell'  alta  ripa,  che  pm*  sale, 

Misurrebbe  in  tre  volte  un  corpo  umano: 
25.    E  quanto  Y  occhio  mio  potea  trar  d'  ale 
Or  dal  sinistro  ed  or  dal  destro  fianco, 
Questa  cornice  mi  parea  cotale. 
28.    Lassù  non  eran  mossi  i  pie  nostri  anco, 
Quand'  io  conobbi  quella  ripa  intorno. 
Che  dritto  di  saUta  aveva  manco, 
.31.    Esser  di  marmo  candido,  e  adomo 
3.  Poiicieto  D'intagli  sì,  che  non  pur  PoUcreto, 

1. 2. 3.  gli  averebbe  Ma  la  uatura  li  avrebbe  scorno. 

34.    V  angel  che  venne  in  terra  col  decreto 
Della  molt'  anni  lagrimata  pace. 
Che  aperse  il  ciel  dal  suo  lungo  divieto, 
37.    Dinanzi  a  noi  pareva  sì  verace 

Quivi  intagUato  in  un  atto  soave, 
Che  non  sembiava  imagine  che  tace. 
40.    Giurato  si  saria  eh'  ei  dicesse:  Ave; 
L  3.  Perche  quivi  Pcrocchè  ivi  era  immaginata  quella. 

Che  ad  aprir  1'  alto  amor  volse  la  chiave. 


A.  2.  ambedul  V.  am- 
bedue B.  ambodur 
B.  amendue 

D,  in  su  un  —  C.  su  un 


A.  2.  B,  C.  D.  A  pie 


A.  2.  (\  Quella 

p.  Quando  cou. 

B.  drieto  di  sai. 


R.  li  alerebbe 

B.  De  li  molt'  anni 
A.  2.  C.  Aperse 

D.  in  aito  si  Sitavc 


D.  Perché  ìyì 


20.  restammo  iu  su  —  21.  strada  per  dis.  —  23.  Ai  pie  —  altra  ripa  —  24.  Misurrebbe  tre  volte  —  30.  Che,  dritta,  di  salita  (?)  — 
32.  D'  iutaglio  —  37.  Dinanzi  a  me 


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COSN.    I.   SUPERBI. 


PURGATORIO    X.    43-66. 


ESEMPI    D    UMILTÀ. 


299 


.  2.  3.  8Ì  propriuD. 


1.  2.  3.  per  quella 


].  2.  3.  tutu  qu. 


1.  2.  3.  FaoeA  dieer 


2.  3.  immaK-t  e  gli  oc. 


mano  -   .4.  ond" 
core  alla  {;. 


43.    Ed  avea  in  atto  impressa  està  favella, 

Ecce  anciUa  Dei^  propriamente  /?.  si  propnam. 

Come  figura  in  cera  si  suggella. 
46.    Non  tener  pure  ad  un  loco  la  mente, 

Disse  il  dolce  Maestro,  che  m'  avea 

Da  quella  parte,  onde  il  core  ha  la  gente:     ^'i^;^ 
49.    Perch'  io  mi  mossi  col  viso,  e  vedea 

Diretro  da  Maria,  da  quella  costa,  ^.  perqueiia 

Onde  m'  era  colui  che  mi  movea, 
52.    Un'  altra  storia  nella  roccia  imposta  : 

Perch'  io  varcai  Virgilio ,  e  femmi  presso , 

Acciocché  fosse  agli  occhi  miei  disposta. 
55.   Era  intagliato  li  nel  marmo  stesso 

Lo  carro  e  i  buoi  traendo  1'  arca  santa, 

Per  che  si  teme  offizio  non  commesso. 
58.    Dinanzi  parea  gente;  e  tutta  e  quanta 

Partita  in  sette  cori,  a'  due  miei  sensi 

Faceva  dir  Y  un  No ,  1'  altro  Sì  canta. 
61.    Similemente  al  fiimmo  degl'  incensi 

Che  v'  era  immaginato,  gli  occhi  e  il  naso 

Ed  al  si  ed  al  no  discordi  fensi. 
64.    Lì  precedeva  al  benedetto  vaso,  //.  e. />.  proceri. 

Trescando  alzato,  1'  umile  Salmista, 

E  più  e  men  che  re  era  in  quel  caso. 


A.  2.  //.  a  D.  tutu  qu. 


H.  Facea  dlcer 


49.  Mi  volai  col  viso  —  57.  Per  cui  ai  t.  —  62.  1'  occhio  e  'l  naao 


38- 


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300 

1.  2.  3.  Di  centra 


CORN.   I.   SUPERBI. 


PURGATORIO    X.    67  —  90. 


ESEMPI    D    UMILTÀ. 


1.  2.  3.  romaii  prince,  1» 
cui  gran 


L  2.  E  dico 


1.  2.  3.  Dintorno 
1.  2.  r  ai^iglie 

1.  2.  3.  infra  tutti 


B.  Di  centra 

U.  Mie.  eh'  amm. 


e.  di  presso 

D.  dietro  —  A.  2.  C\  D. 
da  Mie.  bianch. 


A.  m.  H.  D.  K  dico 


67.    D' incontra  effigiata  ad  una  vista 

D'  un  gran  palazzo  Micol  ammirava. 

Sì  come  donna  dispettosa  e  trista. 
70.    Io  mossi  i  pie  del  loco  dov'  io  stava, 

Per  avvisar  da  presso  un'  altra  storia 

Che  diretro  a  Micol  mi  biancheggiava. 
73.    Quivi  era  storiata  T  alta  gloria 

Del  roman  principato,  il  cui  valore 

Mosse  Gregorio  alla  sua  gran  vittoria: 
7f).    Io  dico  di  Traiano  imperadore; 

Ed  una  vedovella  gli  era  al  freno. 

Di  lagrime  atteggiata  e  di  dolore. 
79.    Intorno  a  lui  parca  calcato  e  pieno 

Di  cavalieri,  e  V  aquile  nell'  oro 

Sopr'  esso  in  vista  al  vento  si  movieno. 
82.    La  miserella  intra  tutti  costoro 

Parca  dicer:  Signor,  fammi  vendetta 
2. 3.  Del  mìo  -  1.  figlio  DÌ  mio  figUuol  cli'  c  morto,  ond  io  m'  accoro,  b.  r.  d.  «guo 

85.    Ed  egU  a  lei  rispondere:  Ora  aspetta 
1.2. 3.  Kd  ella  Tauto  ch' io  tomi.    E  quella:  Signor  mio, 

Come  persona  in  cui  dolor  s'  affretta, 

88.    Se  tu  non  tomi?  Ed  ei:  Chi  fia  dov'  io 

1. 2. 3.  Kd  ella  La  ti  farà.     E  quella  :  L'  altmi  bene 

A  te  che  fia,  se  il  tuo  metti  in  obblio? 


B.  Dintorno 
B,  V  aguglie 

/?.  (■.  D.  infra  tutti 


B.  /).  Ed  ella 


70.  i  piedi  —  ov'  io  stava  —  73.  Ov' era  stor.   -  74.  roman  prence   —   79.  a  lui  era  —  80.  d'  .V|uile  —   dell'  oro  —  81.  sopr' essi 
Kl  pareva  dir  -  88.  E  quei:  Chi  fia  —  90.  se  tu '1  metti 


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rORN.    I.    SUPERBI. 


PURGATORIO   X.    91  —  114. 


K8SMPI   D    UMILTÀ. 


301 


2.  3.  *  erano  intenti 


1.  2.  3.  a  peggio 


91.  Ond'  egli:  Or  ti  conforta,  che  conviene 

Ch'  io  solva  il  mio  dovere,  anzi  eh'  io  mova: 

Giustizia  vuole  e  pietà  mi  ritiene. 
94.    Colui,  che  mai  non  vide  cosa  nuova, 

Produsse  esto  visibile  parlare,  j.  i.  questo  visibii 

Novello  a  noi,  perchè  qui  non  si  trova. 
97.   Mentr'  io  mi  dilettava  di  guardare 

Le  imagini  di  tante  umilitadi^ 

E  per  lo  fabbro  loro  a  veder  care; 
100.    Ecco  di  qua,  ma  fanno  i  passi  radi. 

Mormorava  il  Poeta,  molte  genti: 

Questi  ne  invieranno  agli  alti  gradi. 
103.    Gli  occhi  miei  eh'  a  mirar  eran  contenti, 

Per  veder  novitadi,  onde  son  vaghi, 

Volgendosi  ver  lui,  non  fiiron  lenti. 
106.    Non  vo' però.  Lettor,  che  tu  ti  smaghi 

Di  buon  proponimento,  per  udire 

Come  Dio  vuol  che  il  debito  si  paghi. 
109.    Non  attender  la  forma  del  martire: 

Pensa  la  succession;  pensa  che,  al  peggio,    i*.  r. />.  a  peg^.c 

Oltre  la  gran  sentenza  non  può  h'e.  .1.  oitreaiia 

112.    Io  cominciai:  Maestro,  quel  ch'io  veggio  />. queichio 


D.  Di  veder  ^ 


C.  Com'  Idio 


l.  2.   Mover  ver  noi  — 
1.  2.  mi  semblan 


Mover  a  noi,  non  mi  sembran  persone, 
E  non  so  che,  si  nel  veder  vaneggio. 


A.  fi.  mi  semblan 

.4.  m.  C.  non  so  «e  io 
nel  V.  D.  non  so  a'  io 
nel  mi*  v. 


98.  Ginst.  il  vuole  —  102.  inviteranno  —  agli  altri  gradi  —  105.  Volg.  ver  lor  —  106.  Non  vo*.  Lettor,  però 


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302 


CORN.    I.    SUPERBI. 


PURGATORIO    X.    116  —  189. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


3.  Voi  siete    -    1.  '2.  3. 
*  entomata 

l.  *2.  3.  verme 


115.    Ed  egli  a  me:  La  grave  condizione 

Di  lor  tormento  a  terra  li  rannicchia 

Si,  che  i  miei  occhi  pria  n'  ebber  tenzone. 
118.    Ma  guarda  fiso  là,  e  disviticchia 

Col  viso  quel  che  vien  sotto  a  quei  sassi:     i>.  sotto  quei 

Già  scorger  puoi  come  ciascun  si  picchia. 
121.    0  superbi  Cristian,  miseri  lassi. 

Che,  della  vista  della  mente  infermi, 

Fidanza  avete  ne'  ritrosi  passi; 
124.    Non  v'  accorgete  voi,  che  noi  siam  vermi 

Nati  a  formar  1'  angelica  farfalla, 

Che  Vola  alla  giustizia  senza  schermi? 
127.    Di  che  1'  animo  vostro  in  alto  galla. 

Poi  siete  quasi  antomata  in  difetto, 

Sì  come  verino,  in  cui  formazion  falla?         ^. verme 
130.    Come  per  sostentar  solaio  o  tetto, 

Per  mensola  talvolta  una  figura 

Si  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto ,  c-  aggiugner 

133.    La  qual  fa  del  non  ver  vera  rancura 

Nascere  a  chi  la  vede;  così  fatti 

Vid' io  color,  quando  posi  ben  cura.  Aq«andio 

136.    Ver  è  che  più  e  meno  eran  contratti, 

Secondo  eh'  avean  più  e  meno  addosso. 

E  qual  più  pazienza  avea  negli  atti, 
139.    Piangendo  parca  dicer:  Più  non  posso. 


A.  B.  C.  a  chi  li  v. 


115.  La  greve  cond.    •—   118.  gu.  fìsso   —   ed  assoticchia  —    120.   si   nicchia  —   121.  mis.  e   lassi  —  122.  Sì  della  v.  —  della  r.  e 
della  m.  —  128.  automata  ||  atomata  —  130.  solario  —  134.  in  chi  la  vede  —   13R.  men  parean  contr.  —  137.  che  più  e  meno  avean 


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CANTO  DECIMOPRIMO 


A.  1.  (?)  e.  D.  affetù 


1.  2.  3.  al  nostro 


»vJ  Padi'e  nostro,  che  nei  cieli  stai, 

Non  circonscritto,  ma  per  più  amore, 

Che  ai  primi  effetti  di  lassù  tu  hai, 
4.    Laudato  sia  il  tuo  nome  e  il  tuo  valore 

Da  ogni  creatura,  eom'  è  degno 

Di  render  grazie  al  tuo  dolce  vapore. 
7.    Vegna  ver  noi  la  pace  del  tuo  regno, 

Che  noi  ad  essa  non  potem  da  noi, 

S' ella  ncm  vien,  con  tutto  nostro  ingegno.     />.  tutt«  i  uostro 
10.    Come  del  suo  voler  gli  angeU  tuoi 

Fan  sacrificio  a  te,  cantando  Osanna, 

Così  facciano  gli  uomini  de'  suoi. 
13.    Dà  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna, 

Senza  la  qual  per  questo  aspro  diserto 

A  retro  va  chi  più  di  gir  s'  afianna. 
16.    E  come  noi  lo  mal  ohe  avem  sofferto 

Perdoniamo  a  ciascuno,  e  tu  perdona. 

Benigno,  e  non  guardar  lo  nostro  merto. 


A.  A  retto  —  C\  «'hi  pur 


fi.  al  niistro 


ti.  tuo  alto  vapore  —  7.  ver  noi  la  grasia  —  15.  ehi  di  più  gir  —  16.  abbiam  solT. 


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304 


roRN.    I.    SUPERBI. 


PURGATORIO    XI.    19 --42. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  k'  Atlrlona 


l .  le  nuoto 


19.    Nostra  virtù,  che  di  leggier  s'  adona, 

Non  spermentar  con  V  antico  avversaro, 
Ma  libera  da  lui,  che  sì  la  sprona. 

22.    Quest'  ultima  preghiera,  Signor  caro. 

Già  non  si  fa  per  noi,  che  non  bisogna, 
Ma  per  color,  che  dietro  a  noi  restaro.  « 

25.    Così  a  se  e  noi  buona  ramogna 

Queir  ombre  orando ,  andavan  4Sotto  il  pondo , 
Simile  a  quel  che  talvolta  si  sogna, 

28.    Disparmente  angosciate  tutte  a  tondo, 
E  lasse  su  per  la  prima  cornice, 
Purgando  le  caligini  del  mondo. 

31.    Se  di  là  sempre  ben  per  noi  si  dice, 

Di  qua  che  dire  e  far  per  lor  si  puote 
Da  quei,  eh'  hanno  al  voler  buona  radice? 

34.    Ben  si  dee  loro  aitar  lavar  le  note. 

Che  portar  quinci,  sì  che  mondi  e  hevi 
Possano  uscire  alle  stellate  rote. 

37.    Deh!  se  giustizia  e  pietà  vi  disgrevi 
Tosto,  sì  che  possiate  mover  V  ala. 
Che  secondo  il  disio  vostro  vi  levi, 

40.    Mostrate  da  qual  mano  in  ver  la  scala 

Si  va  più  corto;  e  se  e'  è  più  d'  un  varco. 
Quel  ne  insegnate  che  men  erto  cala: 


A.  B.  %'  addona 


C.  Simile  quel 


A.  1.  la  earmine  (?) 


25.  a  sé  e  a  noi  —  !ft).  Dìsp.  angiutiose  —  36.  monde  e  lievi 


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rORN.   1.   SUPERBI. 


PURGATORIO    XI.    43-66. 


OMBCRTO    DA    S.    FIORE. 


305 


43.    Che  questi  che  vien  meco,  per  T  incarco 
1. 2. 3.  onde  si  DcUa  camc  d'Adamo,  oiid' ei  si  veste, 

Al  montar  su,  con  tra  sua  voglia,  è  parco. 

46.    Le  lor  parole,  che  renderò  a  queste, 
Che  dette  avea  colui  cu'  io  seguiva, 
Non  fur  da  cui  venisser  manifeste; 

49.    Ma  fii  detto:  A  man  destra  per  la  riva 
Con  noi  venite,  e  troverete  il  passo 
Possibile  a  salir  persona  viva. 

52.  E  s' io  non  fossi  impedito  dal  sasso , 
Che  la  cervice  mia  superba  doma. 
Onde  portar  convienmi  il  viso  basso, 

55.    Cotesti  che  ancor  vive,  e  non  si  noma, 
Guardare'  io,  per  veder  s' io  1  conosco. 
E  per  farlo  pietoso  a  questa  soma. 

58.    Io  fui  Latino,  e  nato  d'  un  gran  Tosco: 
i.'2.«uiKi.-3.Aid...«cbi  Guglielmo  Aldobrandesco  fu  mio  padre: 

Non  so  se  il  nome  suo  giammai  fu  vosco. 

61.    L'  antico  sangue  e  1'  opere  leggiadre 

De'  miei  maggior  mi  fer  si  arrogante , 
Che  non  pensando  alla  comune  madre, 

64.    Ogni  uomo  ebbi  in  dispetto  tanto  avante 
1.2. 3.  Senesi  Ch'  io  nc  moH' ;  come  i  Sanesi  sanno, 

L  in  compagn.  E  sallo  ìu  Campaguatlco  ogni  fante. 


R.  U.  onde  si 


D.  venisson 


D.  non  si  doma 


H.  Per  farlo 


D.  Aldobrandeschi 


C.  Ognun  ebbi 
R.  Senesi 


46.  eh'  ei  renderò  —  47.  colai  cb'  io  segu.  —  56.  se  il  conosco  —  58.  Latino .  nato  —  65.  morii ,  e'  miei  San.  il  sanno 

n.  39 


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306 


CORN.    I.   SUPERBI. 


PURGATORIO    XL    67-90. 


ODERISI    D    A  GOBBIO. 


67.    Io  sono  Omberto:  e  non  pure  a  me  danno 
1. 2. 3.  sup.  fc-  Superbia  fa,  che  tutti  i  miei  consorti 

Ha  ella  tratti  seco  nel  malanno. 
70.    E  qui  convien  eh'  io  questo  peso  porti 
1. 2. 3.  soddisf.  Per  lei,  tanto  che  a  Dio  si  satisfaccia. 

Poi  eh'  io  noi  fei  tra'  vivi,  qui  tra'  morti. 
73.    Ascoltando,  chinai  in  giù  la  faccia; 

Ed  un  di  lor  (non  questi  che  parlava) 
Si  torse  sotto  il  peso  che  lo  impaccia: 
76.    E  videmi  e  conobbemi  e  chiamava, 
Tenendo  gU  occhi  con  fatica  fisi 
1. 2. 3.  con  loro  A  mc ,  chc  tutto  chin  con  lui  andava. 

79.    (),  dissi  lui,  non  sei  tu  Oderisi, 
3.  d'Anubbio  L'  onor  d'  Agobbio,  e  1'  onor  di  queir  arte 

1. 2. 3.  è  chiani.  Chc  allumlnarc  chiamata  è  in  Parisi? 

82.    Frate,  diss'  egli,  più  ridon  le  carte 

Che  pennelleggia  Franco  Bolognese: 
L'  onore  è  tutto  or  suo,  e  mio  in  parte. 
85.    Ben  non  sare'  io  stato  si  cortese 

Mentre  eh'  io  vissi,  per  lo  gran  disio 
Dell'  eccellenza,  ove  mio  core  intese. 
88.    Di  tal  superbia  qui  si  paga  il  fio; 

Ed  ancor  non  sarei  qui,  se  non  fosse. 
Che,  possendo  peccar,  mi  volsi  a  Dio. 


A.  2.  C.  D.  UmberU» 

A.  seco  tratti 

D.  che  questo 

(\  a  Dio  sat  — 
B.  soddisfaccia 

I).  Poiché  noi 


A,  1.  (?)  R.  con  loro 


A.  (\  da  (ìobbio 


//.  non  sarc'  it»  i{ui 


6B.  Superbia  fu  —  75.  che  gli  impaccia  —  79.  dias'  io  luì  —  Odorisi  —  80.  d'  Eugubio  —  84.  è  tutto  kuo  —  e  'I  mio  parte 


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CORK.  I.  SUPERBI.  PURGATORIO    XI.    91-114.  ooxRisi  d'  aoobbio.  307 

91.    0  vanagloria  dell'  umane  posse, 

Com'  poco  verde  in  sulla  cima  dura, 
Se  non  è  giunta  dall'  etati  grosse  ! 
1. 2. 3.  pinttir.  94.    Crcdctte  Cimabue  nella  pittura  b.  r.  ,„ntur« 

Tener  lo  campo,  ed  ora  ha  Giotto  il  grido, 
1.  i.  a.  di  eouii  ose.  Sì  che  la  fama  di  colui  è  oscura. 

97.    Così  ha  tolto  V  uno  all'  altro  Guido 

La  gloria  della  lingua;  e  forse  è  nato 
Chi  r  uno  e  1'  altro  caccerà  di  nido.  a.  dei  nido 

100.    Non  è  il  mondan  romore  altro  che  un  fiato 

Di  vento,  che  or  vien  quinci  ed  or  vien  quindi,  u.  che  vien 
E  muta  nome,  perchè  muta  lato. 
103.    Che  fama  avrai  tu  più,  se  vecchia  scindi  ^. /.  cucvoce- 

D.  arrai  più 

Da  te  la  carne,  che  se  fossi  morto 

Innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il  dindi,       a.  Anzi  che  m 

106.    Pria  che  passin  mill'  anni?  eh'  è  più  corto 

Spazio  all'  eterno,  che  un  mover  di  ciglia. 
Al -cerchio  che  più  tardi  in  cielo  è  torto. 

109.  Colui,  che  del  cammin  sì  poco  piglia 
Dinanzi  a  me,  Toscana  sonò  tutta, 
Ed  ora  a  pena  in  Siena  sen  pispigUa, 

112.    Ond'  era  sire,  quando  fii  distmtta 
La  rabbia  fiorentina,  che  superba 
Fu  a  quel  tempo ,  sì  com'  ora  è  putta.  '^  ^Tcom^l  ó™ 

92.  Com'  poco  il  verde  —  93.  Se  non  è  Tinta  —  94.  Gimabò  —  108.  se  vecchio  —  105.  Nauti  che  tu  lasc.  —  106.  Pria  che  passi  — 
KH.  più  tardo  —  HO.  Dinansi  a  te 

39* 


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308 


2.  3.  Provenz. 


2.  3.  soddisf. 


1.  *J.  Kgli,  per  tr. 


:.  I.  SUPERBI.  PURGATORIO    XI.    115—138. 

115.    La  vostra  nominanza  è  color  d'  erba, 
Che  viene  e  va,  e  quei  la  discolora, 
Per  cui  eir  esce  della  terra  acerba. 

118.    Ed  io  a  lui:  Lo  tuo  ver  dir  m' incora 

Buona  umiltà,  e  gran  tumor  m'  appiani 
Ma  chi  è  quei  di  cui  tu  parlavi  ora? 

121.    Quegli  è,  rispose,  Provinzan  Salvani: 
Ed  è  qui,  perchè  fu  presuntuoso 
A  recar  Siena  tutta  alle  sue  mani. 

124.    Ito  è  cosi,  e  va  senza  riposo, 

Poi  che  mori:  cotal  moneta  rende 
A  satisfar  chi  è  di  là  tropp'  oso. 

127.    Ed  io:  Se  quello  spirito  che  attende. 
Pria  che  si  penta,  V  orlo  della  vita. 
Laggiù  dimora,  e  quassù  non  ascende, 

130.    Se  buona  orazion  lui  non  aita. 

Prima  che  passi  tempo,  quanto  visse. 
Come  fu  la  venuta  a  lui  largita? 

133.    Quando  vivea  più  glorioso,  disse. 
Liberamente  nel  campo  di  Siena, 
Ogni  vergogna  deposta,  s'  affisse: 

136.    E  lì,  per  trar  V  amico  suo  di  pena. 

Che  sostenea  nella  prigion  di  Carlo, 
Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena. 


PROVINZAN    SALVANI. 


A.  va  e  viene 


O.  lì  tuo  ver  dir 

A.  1.  Tuo  vero  dir 


D.  Proveii».   — 
(\  D.  Silvani 


a.  a  D.  Ed  io  a  lui  - 
C.  D,  S«  lo  spirto 
B,  Quello  sp. 


U.  disposta 


115.  è  un  color  —    118.  Tuo  dir  vero   —   IJiO.  quei  del  qu»l  —    121.  Quegli  è,  diss' ei   —   Provinciau  —    128.  si  penta,  all'orlo  — 
129.  Quaggiù  dimora  —  132.  la  venuta  sua  largita 


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coHN.  I.  SUPERBI.  PURGATORIO    XI.    139  -  142.  provinzan  salvani.  309 

139.    Più  non  dirò,  e  scuro  so  che  parlo;  r.  eh- i«  parlo 

Ma  poco  tempo  andrà  che  i  tuoi  vicini 

Faranno  sì,  che  tu  potrai  chiosarlo. 
142.    Quest'  opera  gli  tolse  quei  confini. 


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CANTO  DECIMOSECONDO 


.  pianger 


Ui  pari,  come  buoi  che  vanno  a  giogo, 
Leon  questa  M'  andava  io  con  quella  anima  carca. 

Fin  che  il  sojfferse  il  dolce  pedagogo. 
4.    Ma  quando  disse:  Lascia  lui,  e  varca, 

Che  qui  è  buon  con  la  vela  e  coi  remi, 
Quantunque  può  ciascun,  pinger  sua  barca; 
7.    Dritto  si,  come  andar  vuoisi,  l'ife' mi 

Con  la  persona,  avvegna  che  i  pensieri 
Mi  rimanessero  e  chinati  e  scemi. 
10.    Io  m'  era  mosso,  e  seguia  volentieri 

Del  mio  Maestro  i  passi,  ed  ambo  e  due 
(iià  mostravam  come  eravam  leggieri, 
13.    Quando  mi  disse:  Volgi  gli  occhi  in  giue: 
1.  i.  3.  per  aiiegRiar.  Buou  ti  Sarà,  per  tranquillar  la  via, 

Veder  lo  letto  delle  piante  tue. 
16.    Come,  perchè  di  lor  memoria  sia, 
1. 2. 3.  sopr-  a-  scp.  Sopra  Ì  scpoltl  le  tombe  terragne 

1. 2.  eh-  egli  era  Portan  scguato  quel  eh'  elli  eran  pria  : 


J.  2.  amenti.    3.  ambed. 


H.  cuu  questa 


A.  m.  U.  Dirittu,  come  - 
A.  /.  vuoisi  andar 


U.  rimauesbuuo  incliu. 


D.  ambedue     H.  C. 
amendue 


l).  t^uand'  ei  mi 
H.  per  alleggiar 


//.  6'.  Sopra  sep. 

A.  i.  eh'  clli  era  in  (?) 
R.  li.  eh'  elli  era 


2.  N"  andava  —  quell'  alma  —  9.  rimanesser  chinati  ed  iscemi  —  inchinati  iscemi  —  13.  Kd  ei  mi  disse  —  IH.  ({uali  elli  cran 


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312 


rORN.    I.    SUPERBI. 


ESEMPI   DI    SUPERBIA. 


1.  2.  3.  Più  d'  altra 


1.  Celestiale  star 


2.  3.  Nembrotte 


A.  del  monte 


A.  2.  B.  Più  d'  altra 


PURGATORIO    XII.    19  —  42. 

19.    Onde  li  molte  volte  se  ne  piagne  ^.  i.  sen  ripiagne  (?) 

Per  la  puntura  della  rimembranza,  /;.<.  u  pittura 

Che  solo  ai  pii  dà  delle  calcagne: 
22.    Sì  vid'  io  li,  ma  di  miglior  sembianza, 

Secondo  V  artificio,  figurato 

Quanto  per  via  di  fuor  dal  monte  avanza. 
25.    Vedea  colui  che  fii  nobil  creato 

Più  eh'  altra  creatura,  giù  dal  cielo 

Folgoreggiando  scender  da  un  lato. 
28.    Vedeva  Briareo,  fitto  dal  telo 

Celestial,  giacer  dall'altra  parte,  «.  celestiale  sur 

Grave  alla  terra  per  lo  mortai  gelo. 
31.    Vedea  Timbreo,  vedea  Pallade  e  Marte, 

Armati  ancora,  intorno  al  padre  loro, 

Mirar  le  membra  de'  Giganti  sparte. 
H4.    Vedea  Nembrot  appiè  del  gran  lavoro, 

Quasi  smarrito,  e  riguardar  le  genti 

Che  in  Sennaar  con  lui  superbi  foro. 
37.    0  Niobè,  con  che  occhi  dolenti 

Vedeva  io  te  segnata  in  sulla  strada  a.  i.  aegnato 

Tra  sette  e  sette  tuoi  figliuoU  spenti! 
40.    0  Saul,  come  in  sulla  propria  spada 

Quivi  parevi  morto  in  Gelboè, 

Che  poi  non  sentì  pioggia  ne  rugiada! 


e.  a  rigu.    A.  a  rimirar 


19.  Onde  le  molte  —  si  ripiagne  —  22.  Si  vid*  io  là  —  26.  giù  del  cielo  —  34.  Nembrotto  —  35.  Tutto  smarr.  —  smarrito  riguardar  — 
in  rimirar  ^  36.  con  lui  superbe  ||  con  lui  insieme  —  40.  come  sulla 


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CORX.    I.    SUPERBI. 


PURGATORIO    XII.    43-66. 


ESEMPI    DI    SUPERBIA. 


313 


1.  A  ragna 

2.  mezza  ragna 


1.  Quivi  è  il  tuo 


1.  Ed  anco 


2.  3.  e  di  stile 


1.  2.  3.  un  ing. 


43.    0  folle  Aragne,  sì  vedea  io  te 

Già  mezza  aragna,  trista  in  su  gli  stracci 
Dell'  opera  che  mal  per  te  si  fé'. 

46.    0  Roboam,  già  non  par  che  minacci 

Quivi  il  tuo  segno;  ma  pien  di  spavento 
Nel  porta  un  carro  prima  che  altri  il  cacci. 

49.    Mostrava  ancor  lo  duro  pavimento 

Come  Almeon  a  sua  madre  fé'  caro 
Parer  lo  sventurato  adornamento. 

52.    Mostrava  come  i  figli  si  gittaro 

Sopra  Sennacherib  dentro  dal  tempio, 
E  come,  morto  lui,  quivi  il  lasciaro. 

55.    Mostrava  la  ialina  e  il  crudo  scempio 
Che  fé'  Tamiri,  quando  disse  a  Ciro: 
Sangue  vsitisti,  ed  io  di  sangue  t'  empio. 

58.    Mostrava  come  in  rotta  si  fuggirò 

Gli  Assiri,  poi  che  fu  morto  Oloferne, 
Ed  anche  le  reliquie  del  martiro. 

61.   Vedeva  Troia  in  cenere  e  in  caverne: 
0  Ilion,  come  te  basso  e  vile 
Mostrava  il  segno  che  lì  si  discerne! 

64.    Qual  di  pennel  fu  maestro,  o  di  stile, 

Che  ritraesse  1'  ombre  e  i  tratti ,  eh'  ivi 
Mirar  farieno  ogn'  ingegno  sottile? 


(\  iiiexza  ra^na 


A.  1.  (?)  tì.  Quivi  è  il  tuo 
A,  1.  senza  che  altri  (?) 
A.  ancora  lo  dur 

l).  m.  Costar 

D.  Mostra  come 

R.  (\  dentro  al 

l).  quivi  laMciaro 

A.  Thamari 


B.  Ed  anco 


A.  C.  D.  ti  discerne 


B.  D.  un  ing. 


44.  mezza  aragno  ||  mezzo  ragno  —  fìtta  in  su  gli  str.  ||  fatta  in  su  gli  str.  —  46   non  par  già  —  49.  ancora  il  duro  —  52.  eome  figli 
sagi tiare  —  53.  dentro  del  tempio   —   (54.  fu  il  mastro  —  65.  1'  ombre  e  gli  atti  —  i  tratti  quivi 


u. 


40 


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314 


8ALITA    ALLA    CUBN.    IL 


PURGATORIO    XU.    67-90. 


1.  io  mirai 


].  2.  3.  And.  rnm. 
I.  d'  andar 


1.  2.  3.  Sì  eh*  Pi 


67.    Morti  li  morti,  e  i  vivi  parean  vivi. 

Non  vide  me'  di  me  chi  vide  il  vero , 
Quant'  io  calcai  fin  che  chinato  givi. 

70.    Or  superbite,  e  via  col  viso  altiero, 

Fighuoli  d'Eva,  e  non  chinate  il  volto. 
Sì  che  veggiate  il  vostro  mal  sentiero. 

73.    Più  era  già  per  noi  del  monte  volto, 

E  del  cammin  del  sole  assai  più  speso, 
Che  non  stimava  1'  animo  non  sciolto  : 

7(>.    Quando  colui  che  sempre  innanzi  atteso 
M'  andava,  incominciò:  Drizza  la  testa; 
Non  è  più  tempo  da  gir  sì  sospeso. 

79.    Vedi  colà  un  Angel  che  s'  appresta 

Per  venir  verso  noi:  vedi  che  torna 
Dal  servigio  del  dì  1'  ancella  sesta. 

82.    Di  riverenza  gli  atti  e  il  viso  adorna. 
Sì  che  i  diletti  lo  inviarci  in  suso: 
Pensa  che  questo  dì  mai  non  raggiorna. 

85.    Io  era  ben  del  suo  ammonir  uso, 

Pur  di  non  perder  tempo,  sì  che  in  quella 
Materia  non  potea  parlarmi  chiuso. 

88.    A  noi  venia  la  creatura  beUa 

Bianco  vestita,  e  nella  faccia  quale 
Par  tremolando  mattutina  stella. 


(\  mei  di  me 


.4.2.  B.  C.  Z>.  Andava - 
J.  2.  B.  D.  comìnpìó 

C  da  ir     l).  d*  andar 


A.  D.  il  viso  e  gli  atti 
A.  1.  D.  inviarci  ansi* 


A.  <\  D.  vestito 


67.  paricn  vivi    —  70.  O  auperbite  —  77.  N'  andava  —  82.  e  il  viso  e  gli  a.  — 
di  suo  —  «8.  Ver  noi  veniva 


3.  Si  che  diletti  —   lo  menarci  —   86.  Io  era  già 


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r 


SALITA    ALLA    CORN.    II. 


PURGATORIO    XII.    91-114. 


315 


I.  batu-  -  Ì.2.  3.  r  ale 


91.    Le  braccia  aperse,  ed  indi  aperse  V  ale: 
Disse:  Venite;  qui  son  presso  i  gradi, 
Ed  agevolemente  ornai  si  sale. 
1. 2. 3.  A  qu.  winuMio     94.    A  qucsto  invito  vengoii  molto  radi. 

0  gente  umana,  per  volar  su  nata, 
Perchè  a  poco  vento  così  cadi? 
97.    Menocci  ove  la  roccia  era  tagliata: 

Quivi  mi  battèo  V  ali  per  la  fronte, 
Poi  mi  promise  sicura  Y  andata. 

100.    Come  a  man  destra,  per  salire  al  monte, 
Dove  siede  la  Chiesa  che  soggioga 
La  ben  guidata  sopra  Rubaconte, 

103.    Si  rompe  del  montar  V  ardita  foga, 
Per  le  scalee  che  si  fero  ad  etade 
Ch'  era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga; 

106.    Così  s'  allenta  la  ripa  che  cade 

Quivi  ben  ratta  dall'  altro  girone  : 
Ma  quinci  e  quindi  1'  alta  pietra  rade. 

109.    Noi  volgendo  ivi  le  nostre  persone, 
Beati  pauperes  spiritiiy  voci 
Cantaron  sì  che  noi  dirla  sennone. 

112.    Ahi!  quanto  son  diverse  quelle  foci 
Dalle  infernali;  che  quivi  per  canti 
S'  entra,  e  laggiù  per  lamenti  feroci. 


A.2.  R.  C.  A  i|ij.  annunzio 


B.  C.  D.  V  ale 
IJ.  ci  proni. 

H.  e.  D.  Ove 


D.  Noi  volgemmo 


95.  Ahi  gcnt€    —    99.  sic.  1'  entrata   —   101.  Ove  siede   —   107.  dall'  alto  girone   —    108.  V  altra  pietra    -   109.  Quivi  volgendo  le 
111.  Cantavan  —  112.  queste  foci 

40- 


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316  iORS,  II.  INVIDIOSI.  PURGATORIO    XII.    115  —  136.  dante  k  Virgilio. 

115.    (iià  montavain  su  per  li  scaglion  santi, 

Ed  esser  mi  parea  troppo  più  lieve, 

Che  per  lo  pian  non  ini  parea  davanti: 
118.    Ond'io:  Maestro,  di',  qual  cosa  greve 

Levata  s'  è  da  me,  che  nulla  quasi 

Per  me  fatica  andando  si  riceve? 
121.    Rispose:  Quando  i  P,  che  son  rimasi 

Ancor  nel  volto  tuo  presso  eh'  estinti, 

Saranno,  come  1'  un,  del  tutto  rasi, 
124.    Fien  li  tuoi  pie  dal  buon  voler  sì  vinti, 

Che  non  pur  non  fatica  sentiranno. 

Ma  fia  diletto  loro  esser  su  pinti,  -i- 1  ««  »pì»ti  <•) 

127.    Allor  fec'  io  come  color  che  vanno 

(Jon  cosa  in  capo  non  da  lor  saputa, 
1. 2.  sospicciar  Sc  uou  chc  Ì  ccnui  altrui  sospicar  fanno  ;      ^  •  ''^'\  ^':"*"  -  ^  '" 

*^  ■■■  spicciar 

130.    Per  che  la  mano  ad  accertar  s'  aiuta, 

E  cerca  e  trova,  e  quell'  offizio  adempie 
Che  non  si  può  fornir  per  la  veduta; 

133.    E  con  le  dita  della  destra  scempie 

Trovai  pur  sei  le  lettere,  che  incise 
1. 2.  delle  chiavi  Qucl  dallc  clùavi  a  me  sopra  le  tempie  :         i.  fi.  u.  ueiie  chiavi 

13(5.    A  che  guardando  il  mio  Duca  sorrise. 


12U.  eiiber  sospinti  -    12S.  di  lor  —  134.  sei  delle  lettre  —  135.  Quei  d.  chiavi 


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CANTO  DECIMOTERZO 


.  2.  3.  non  gli  è 


/. 


iNoi  eravamo  al  sommo  della  scala, 
Ove  secondamente  si  risega 
Lo  monte,  che  salendo  altrui  dismala: 
Ivi  cosi  ima  cornice  lega 

Dintorno  il  poggio,  come  la  primaia, 
Se  non  che  1'  arco  suo  più  tosto  piega. 
Ombra  non  li  è,  ne  segno  che  si  paia; 
Par  sì  la  ripa,  e  par  si  la  via  schietta 
Col  livido  color  della  petraia. 

10.    Se  qui  per  domandar  gente  s'  aspetta, 
Ragionava  il  Poeta,  io  temo  forse 
Che  troppo  avrà  d'  indugio  nostra  eletta. 

13.    Poi  fisamente  al  sole  gli  occhi  porse; 

Fece  del  destro  lato  al  mover  centro, 
E  la  sinistra  parte  di  se  torse. 

Ifi.    0  dolce  lume,  a  cui  fidanza  i'  entro 

Per  lo  nuovo  cammin,  tu  ne  conduci, 
Dicea,  come  condur  si  vuol  quinc'  entro: 


I).  Dove   -  li.  (\  rilega 


C.  1).  al  poggio 


(\  non  !;li  è 


li.  Con  livido 


A.  fìssaiiiente   —    D.  al 
sol  gli  oc.  suoi  p. 

C  dal  destro  —  A,  2. 
B.  C.  D.  a  moTer 


6.  r  arco  ipii  più  t.  —  7.  Ombre  non  v*  è  —  che  li  paia  —  8.  Parvi  la  ripa 


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318 


,  2.  3.  cagione 


CORN.    II.    INVIDIOSI. 


1.  *2.  3.  dietro 


1.  *2.  3.  dimandai 


I.  2.  3.  Lo  buon  M. 


2.  3.  Tr.  da  amor 


PURGATORIO    XIII.    19-42. 

19.    Tu  scaldi  il  mondo,  tu  sopr'  esso  luci; 

S'  altra  ragione  in  contrario  non  pronta, 
Esser  den  sempre  li  tuoi  raggi  duci. 

22.    Quanto  di  qua  per  un  migliaio  si  conta, 
Tanto  di  là  eravam  noi  già  iti. 
Con  poco  tempo,  per  la  voglia  pronta. 

25.    E  verso  noi  volar  furon  sentiti, 

Non  però  visti,  spiriti,  parlando 
Alla  mensa  d'  amor  cortesi  inviti. 

28.    La  prima  voce  che  passò  volando, 

Vi?ium  non  habent,  altamente  disse, 
E  retro  a  noi  X  andò  reiterando. 

31.    E  prima  che  del  tutto  non  s'  udisse 

Per  allungarsi,  un'altra:  Io  sono  Oreste, 
Passò  gridando ,  ed  anco  non  s'  affisse. 

34.    0,  diss' io.  Padre,  che  voci  son  queste? 
E  com'  io  domandava,  ecco  la  terza 
Dicendo:  Amate  da  cui  male  aveste. 

37.    E  '1  buon  Maestro  :  Questo  cinghio  sferza 
La  colpa  della  invidia,  e  però  sono 
Tratte  d'  amor  le  corde  della  ferza. 

40.    Lo  fren  vuol  esser  del  contrario  suono: 
Credo  che  Y  udirai,  per  mio  avviso. 
Prima  che  giunghi  al  passo  del  perdono. 


ESEMPI   DI    CARITÀ. 


B.  cagione 
A.  Ksser  dìen 


A.  m.  C.  che  cantò 


R.  r.  I).  dietro 


B.  dimandai 


B.  Tr.  da  amor 


20.  altra  regione  —  non  ponta  —  21.  Esser  deon  —  22.  per  un  migliai  ||  p.  un  miglio  —  28.  passò  cantando  —  32.  Per  alnngiarsì 
sono  Ariste  >-  34.  O,  dissi.  Padre  —  35.  E  mentre  dom.  —  39.  della  sferza  -  41.  che  li  adirai  —  42.  che  giungi  ||  che  vegni 


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rORN.    II.    INVIDIOSI. 


DANTE    E   VIRGILIO. 


1.  fiera  il  riso 


Guarda*  iuu. 
2.  ombra 


1.  2.  3.  Quando  fui 


1.   tutti  eran  cop. 


PURGATORIO    XIII.    43  —  66. 

43.    Ma  ficca  gli  occhi  per  1'  aer  ben  fiso, 
E  vedrai  gente  innanzi  a  noi  sedersi, 
E  ciascun  è  lungo  la  grotta  assiso. 

46.    Allora  più  che  prima  gli  occhi  apersi; 

Guardarmi  innanzi,  e  vidi  ombre  con  manti 
Al  color  della  pietra  non  diversi. 

49.    E  poi  che  fummo  un  poco  più  avanti, 
Udi'  gridar:  Maria,  ora  per  noi. 
Gridar:  Michele,  e  Pietro,  e  tutti  i  Santi. 

52.    Non  credo  che  per  terra  vada  ancoi 
Uomo  si  duro,  che  non  fosse  punto 
Per  compassion  di  quel  eh'  io  vidi  poi  : 

.i5.    Che  quand' io  fui  si  presso  di  lor  giunto, 
Che  gli  atti  loro  a  me  venivan  certi, 
Per  gli  occhi  fili  di  grave  dolor  munto. 

58.    Di  vii  cihcio  mi  parean  coperti, 

E  r  un  sofferia  1'  altro  con  la  spalla, 
E  tutti  dalla  ripa  eran  soflferti. 

61.    Così  li  ciechi,  a  cui  la  roba  falla. 

Stanno  ai  perdoni  a  chieder  lor  bisogna, 
E  r  uno  il  capo  sopra  Y  altro  avvalla, 

64.  Perchè  in  altrui  pietà  tosto  si  pogna, 
Non  pur  per  lo  sonar  delle  parole, 
Ma  per  la  vista  che  non  meno  agogna: 


319 


fi.  e.  ficca  il  viso 


B.  Guarda'  inn. 


JJ.  l'dia  ^Tìd. 


(\  vadi 


/?.  (\  l).  Cjuando  fui 


(^.  Y  un  lo  rapo 


43.  per  i' aere   —  44.  vedr.  genti   —  45.  oiaschedun  lungo   —   51.  Ora,  Michele    —   ?fi.  vada  ancuoi   —  54.  Da  comp/u»8.  —  55.  E 
<|iiando  —  57.  da  grave  dol.  —  59.  E  1'  un  sostenea 


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320 


COKN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIII.    67-90. 


I.  2.  3.  umbre .  dov'  io 


1.  2.  .S.  Vedendo 


67.  E  come  agli  orbi  non  approda  il  sole, 
Cosi  air  ombre,  là  v'  io  parlav'  ora, 
Luce  del  ciel  di  se  largir  non  vuole; 

70.    (.'he  a  tutte  un  fil  di  ferro  il  ciglio  fora, 
E  cuce  sì,  come  a  sparvier  selvaggio 
Si  fa,  però  che  queto  non  dimora. 

73.    A  me  pareva  andando  fare  oltraggio, 

Veggendo  altrui,  non  essendo  veduto: 
Perch'  io  mi  volsi  al  mio  consiglio  saggio. 

7(>.    Ben  sapev'  ei,  che  volea  dir  lo  muto; 
E  però  non  attese  mia  domanda; 
Ma  disse:  Parla,  e  sii  breve  ed  arguto. 

79.    Virgilio  mi  venia  da  quella  banda 

Della  cornice,  onde  cader  si  puote, 
Perchè  da  nulla  sponda  s' inghirlanda  : 

82.    Dall'  altra  parte  m'  eran  le  devote 
Ombre,  che  per  1'  orribile  costura 
Premevan  sì,  che  bagnavan  le  gote. 

85.  Volsimi  a  loro,  ed:  0  gente  sicura, 
Incominciai,  di  veder  1'  alto  lume 
Che  il  disio  vostro  solo  ha  in  sua  cura; 

88.    Se  tosto  grazia  risolva  le  schiume 

Di  vostra  coscienza,  si  che  chiaro 
Per  essa  scenda  della  mente  il  fiume. 


B.  ombre .  dov'  io  D.  /. 
o.  di  clr  io  —  D.  m.  o. 
quivi  ond'  io  pari'  ora 


e.  D.  a  ttiUi 
fi.  servaggio 


B.  J).  Vedendo 


D.  sie  breve 


A.  le  spume 


(>7v  non  approva  —  68.  ombre ,  ov'  io  parlava  |)  ombre  qui ,  ond'  io  parlo  |)  ombre ,  che  parlavan  —  70.  i  cigli  fora  —  74.  non  esser 
▼ed.  —  78.  sia  breve 


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CORN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    Xra.    91-114. 


321 


2.  3.  Più  ionanxi 


i.  2.  3.  Senese 


1.  Fosse 


1.  2.  3.  non  credi 


91.    Ditemi  (che  mi  fìa  grazioso  e  caro) 

S'  anima  è  qui  tra  voi,  che  sia  latina; 

E  forse  a  lei  sarà  bnon,  s' io  1'  apparo. 
94.    0  frate  mio,  ciascuna  è  cittadina 

D'  una  vera  città;  ma  tu  vuoi  dire. 

Che  vivesse  in  Italia  peregrina. 
97.    Questo  mi  parve  per  risposta  udire 

Più  là  alquanto,  che  là  dov'  io  stava; 

Ond'  io  mi  feci  ancor  più  là  sentire. 
100.    Tra  Y  altre  vidi  un'  ombra  che  aspettava 

In  vista;  e  se  volesse  alcun  dir:  Come? 

Lo  mento,  a  guisa  d'  orbo,  in  su  levava. 
103.    Spirto,  diss'  io,  che  per  salir  ti  dome. 

Se  tu  se'  quelli  che  mi  rispondesti, 

Fammiti  conto  o  per  loco  o  per  nome. 
106.    r  fui  Sanese,  rispose,  e  con  questi 

Altri  rimondo  qui  la  vita  ria, 

Lagrimando  a  colui,  che  se  ne  presti. 
109.    Savia  non  fui,  aA^egna  che  Sapia 

Fossi  chiamata,  e  fui  degli  altrui  danni 

Più  lieta  assai,  che  di  ventura  mia. 
112.   E  perchè  tu  non  creda  ch'io  t'inganni, 

Odi  se  fui,  com'  io  ti  dico,  folle. 

Già  discendendo  1'  arco  de'  miei  anni. 


A.  1.  (?)  D.  Più  innanzi 


B.  Fammiti  noto 

/?.  />.  Senese 

D.  rammendo  qui 


B.  non  credi 
r.  Odi  s*  io  fui 


91.  Ditene  —  98.  forse  lei  fia  —  ei  sarà  bnon,  se  io  —  lo  imparo  —  96b  pellegrina  —  102.  A  guisa  d'  orbo,  il  mento  —   113.  enme 
t'  ho  detto  or,  folle 


lì. 


41 


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322 

1.  2.  3.  Krauo  i  citi. 


COKN.   II.    INVIDIOSI. 


Dio 


1.  2.  3.  ad  ogni  altra 
1.  2.  3.  eh'  i*  levai 

1.  Come  fé' 

1.  2.  3.  su  lo  stremo 


PURGATORIO    Xm.    115-138.  sapia. 

115.    Eran  li  cittadin  miei  presso  a  Colle 
In  campo  gixmti  coi  loro  avversari, 
2. 3.  pregava  -  1. 2. 3.  Ed  io  pregai  Wdlo  di  quel  eh'  ei  volle. 

118.    Rotti  fur  quivi,  e  volti  negli  amari 

Passi  di  fuga,  e  veggendo  la  caccia, 
Letizia  presi  a  tutte  altre  dispari: 

121.    Tanto  eh'  io  volsi  in  su  Y  ardita  faccia, 

Gridando  a  Dio:  Omai  più  non  ti  temo; 
Come  fa  il  merlo  per  poca  bonaccia. 

124.    Pace  volli  con  Dio  in  suU'  estremo 

Della  mia  vita;  ed  ancor  non  sarebbe 
Lo  mio  dover  per  penitenza  scemo, 

127.    Se  ciò  non  fosse,  che  a  memoria  m'  ebbe 
Pier  Pettmagno  in  sue  sante  orazioni, 
A  cui  di  me  per  cantate  increbbe. 

130.   Ma  tu  chi  se',  che  nostre  condizioni 

Vai  domandando,  e  porti  gU  occhi  sciolti, 
Si  come  io  credo,  e  spirando  ragioni? 

133.    Gh  occhi,  diss'io,  mi  fieno  ancor  qui  tolti; 
Ma  picciol  tempo,  che  poca  è  Y  offesa 
Fatta  per  esser  con  invidia  volti. 

136.  Troppa  è  più  la  pam'a,  ond'  è  sospesa 
L'  anima  mia,  del  tormento  di  sotto, 
(3he  già  lo  incarco  di  laggiù  mi  pesa. 


B.  Eran  i  eitt. 

-4.1.  pregava  (?)-//.  Dio 

A.  per  li  am. 

À.  veggend*  io  la 

J,  m.  B.  C.  ad  ogni  altra 

B.  eh'  io  levai 

A.  1.  (?)  B.  Come  fé 

B.  su  lo  stremo 


A.  piccol 


A.  al  torm. 


120.  a  tutti  altri  —  121.  in  su  levai  —  123.  fa  il  mergo  —  127.  a  mem.  n'  ebbe  ->  128.  Pettinajo  —  129.  per  carità  ìncr.  -    133.  mi 
fieno  ancor .  diss'  io  —  134.  Ma  poco  tempo  —  136.  Troppo  è  più  —  137.  dal  tormento 


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CORN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    Xni.    139-154.  sapi'a.  323 

139.    Ed  ella  a  me:  Chi  t'  ha  dunque  condotto 
Quassù  tra  noi,  se  giù  ritornar  credi? 
Ed  io  :   Costui  eh'  è  meco ,  e  non  fa  motto  : 

142.    E  vivo  sono;  e  però  mi  richiedi, 

Spirito  eletto,  se  tu  vuoi  eh'  io  mova 
1.  Di  \k  in  parte  DÌ  là  pcr  tc  aucor  U  mortai  piedi.  ff-  dì  ^  «  parte  - 

^  ^  a  /).  mortai 

1. 2. 3.  o  quesu         145.    Or  questa  è  ad  udir  si  cosa  nuova, 

Rispose,  che  gran  segno  è  che  Dio  t'  ami; 
Però  col  prego  tuo  talor  mi  giova.  ^.Peròchei- e.  predio 

148.    E  chieggioti  per  quel  che  tu  più  brami, 
Se  mai  calchi  la  terra  di  Toscana, 
Che  a'  miei  propinqui  tu  ben  mi  rinfaini. 

1.  quelle  gente  jsj     Tu  U  vcdrai  tra  quella  gente  vana 

Che  spera  in  Talamone,  e  perderagU 
Più  di  speranza,  che  a  trovar  la  Diana; 

3.  vi  perderanno  154.      Ma    piÙ    VÌ    mCttCrannO    gU    ammiragU.  ^.  l.  vi  perderanno  (?) 


139.  Kd  elli  a  me  —  140.  se  laggiù  tornar  cr.  —  145.  O  questo  è  —  149.  calchi  più  terra  —  151.  Tu  i  troverai  —  153.  trovar  Diana 
154.  più  li  perderanno 


41* 


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CANTO  DECIMOQUARTO 


1.  parli  a  colo 


A.  ('.  li  abbi 


D.  chi  se' 


.-i.  1.  di  me  a  mano  dr.  (?) 


vyhi  è  costui  che  il  nostro  monte  cerchia, 
Prima  che  morte  gli  abbia  dato  il  volo, 
Ed  apre  gU  occhi  a  sua  vogUa  e  coperchia?, 
4.    Non  so  chi  sia;  ma  so  eh'  ei  non  è  solo: 
Domandai  tu  che  più  gh  t'  avvicini, 
E  dolcemente ,  sì  che  parli ,  acco'  lo.  b.  parli  a  colo 

7.    Così  due  spirti,  l'uno  all'altro  chini, 
Ragionavan  di  me  ivi  a  man  dritta; 
Poi  fer  li  visi,  per  dirmi,  supini: 
10.    E  disse  l'uno:  0  anima,  che  fitta 

Nel  corpo  ancora,  in  ver  lo  ciel  ten  vai,        a  Ancor  nei  corpo 
Per  carità  ne  consola,  e  ne  ditta 
13.    Onde  vieni,  e  chi  sei;  che  tu  ne  fai 
Tanto  maravigUar  della  tua  grazia. 
Quanto  vuol  cosa,  che  non  fu  più  mai. 
16.    Ed  io:  Per  mezza  Toscana  si  spazia   - 
•    Un  fiumicel  che  nasce  in  Falterona, 
E  cento  miglia  di  corso  noi  sazia. 


--1.  D.   Per  mezzo  Tose. 


1.  Ob.  chi  è  costui   —  5.   che  più  là  t'  ar?ic.  ||  se  tu  più  t'  avT.   —  8.  di  me  inver  man  dr.    —    li.  inverso  il  ciel 


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326 


CORK.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIV.    19  —  42. 


GUIDO    DKI.    DUCA. 


19.    Di  sopr'  esso  rech'  io  questa  persona: 
1. 2. 3.  DirTi  ohi  «a  Dìfvì  ch'  io  sla ,  saria  parlare  indarno; 

Che  il  nome  mio  ancor  molto  non  suona. 
22.    Se  ben  lo  intendimento  tuo  accamo 
Con  lo  intelletto,  allora  mi  rispose 
1. 2.  H.  prima  dicea  Qucì  che  dìccva  pria,  tu  parli  d'  Arno. 

25.  E  r  altro  disse  a  lui:  Perchè  nascose 
Questi  il  vocabol  di  quella  riviera. 
Pur  com'  uom  fa  dell'  orribili  cose? 
28.  E  r  ombra  che  di  ciò  domandata  era, 
Si  sdebitò  cosi:  Non  so,  ma  degno 
Ben  è  che  il  nome  di  tal  valle  pera: 
HI.    Che  dal  principio  suo  (dov'  è  sì  pregno 

L'  alpestro  monte,  ond'  e  tronco  Peloro, 
Che  in  pochi  lochi  passa  oltra  quel  segno) 
34.    Infin  là.  Ve  si  rende  per  ristoro 

Di  quel  che  il  ciel  della  marina  asciuga, 
Ond'  hanno  i  fiumi  ciò  che  va  con  loro , 
37.    Virtù  così  per  nimica  si  fuga 
i.  biscia  per  6v.  Da  tuttl,  comc  biscia,  o  per  sventura 

Del  loco,  o  per  mal  uso  che  U  fruga: 
40.    Ond'  hanno  si  mutata  lor  natura, 
GU  abitator  della  misera  valle. 
Che  par  che  Circe  gU  avesse  in  pastura. 


B.  Dirvi  chi  sia 


/>.  prima  dicea 
A.  1.  disse  lui 


A.  1.  ot'  c 


C,  Infin  ove  D.  Infin  dove 


D.  mutato 


B.  t.  paura 


20.  eh'  io  sia ,  sare'  —  parlarvi  ind.  —  22.  tuo  incarno  —  81.  ond'  è  si  pregno  —  32.  ov'  è  tronco  —  35.  che  il  sol 


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COBN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIV.    43-66. 


GUIDO    DKL    DUCA. 


327 


1.  2.  3.  caggendo 


1.  '2.  3.  sarà  costui 


43.    Tra  brutti  porci,  più  degni  di  galle, 

Che  d'  altro  cibo  fatto  in  uman  uso. 
Dirizza  prima  il  suo  povero  calle. 

4H.    Botoli  trova  poi,  venendo  giuso. 

Ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa. 
Ed  a  lor,  disdegnosa,  torce  il  muso. 

49.    Vassi  cadendo,  e  quanto  ella  più  ingrossa. 
Tanto  più  trova  di  can  farsi  lupi 
La  maledetta  e  sventurata  fossa. 

•52.    Discesa  poi  per  più  pelaghi  cupi, 
Trova  le  volpi  si  piene  di  froda. 
Che  non  temono  ingegno  che  le  occupi. 

55.    Ne  lascerò  di  dir,  perch'  altri  m'  oda: 

£  buon  sarà  a  costui,  se  ancor  s'  ammenta 
Di  ciò,  che  vero  spirto  mi  disnoda. 

58.    Io  veggio  tuo  nipote,  che  diventa 

Cacciator  di  quei  lupi,  in  sulla  riva 
Del  fiero  fiume,  e  tutti  gli  sgomenta. 

61.    Vende  la  carne  loro,  essendo  viva; 

Poscia  gU  ancide  come  antica  belva: 
Molti  di  vita,  e  se  di  pregio  priva. 

64.    Sanguinoso  esce  della  trista  selva; 

Lasciala  tal ,  che  di  qui  a  miU'  anni 
Nello  stato  primaio  non  si  riusciva. 


H.  Tra  i  brutti 


(\  ven.  ingiuso 
-•1.  chieder 

H.  (\  D.  caggendo 


ti,  sarà  costui 

D.  Di  quel  —  D.  m.  buono 
sp.  —  A.  spirito  mi  sn. 
,—  D.  nìì  disn. 


(\  di  quivi 


45.  prima  suo  —  48.  disdegnando  —  4&.  Va  si  ci^^endo  —  S4.  non  temon.  d' ing.  ||  non  trovano  ing.  —  56.  perch*  altrui  m'  oda 
ro.  tutti  gli  spaventa  —  62.  gli  neeide 


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328 

1.  2.  3.  futuri  (Ianni 


OORN.    II.   INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIV.    67-90. 


RINIBR    DA    CALBOLl. 


1.  avesse 


1.  2.  3.  semenM 


2.  conaorto.  o  divieto 


1.  2.  3.  8*  è  reda 


67.    Come  all'  annunzio  de'  dogliosi  danni 
Si  turba  il  viso  di  colui  che  ascolta, 
Da  qual  che  parte  il  periglio  lo  assanni; 

70.    Cosi  vid'  io  r  altr'  anima,  che  volta 

Stava  ad  udir,  turbarsi  e  farsi  trista, 
Poi  eh'  ebbe  la  parola  a  se  raccolta. 

73.    Lo  dir  dell'  una,  e  dell'  altra  la  vista 
Mi  fé'  voglioso  di  saper  lor  nomi, 
E  domanda  ne  fei  con  preghi  mista. 

76.    Per  che  lo  spirto,  che  di  pria  parlòmi, 
Ricominciò  :  Tu  vuoi  eh'  io  mi  deduca 
Nel  fare  a  te  ciò,  che  tu  far  non  vuo'  mi; 

79.    Ma  da  che  Dio  in  te  vuol  che  traluca 
Tanta  sua  grazia,  non  ti  sarò  scarso: 
Però  sappi  eh'  io  son  Guido  del  Duca. 

82.    Fu  il  sangue  mio  d' invidia  sì  riarso, 

Che  se  veduto  avessi  uom  farsi  Ueto, 
Visto  m'  avresti  di  livore  sparso. 

85.    Di  mia  semente  cotal  paglia  mieto. 

0  gente  umana,  perchè  poni  il  core 
Là  'v'  è  mestier  di  consorto  divieto  ? 

88.    Questi  è  Rinier;  quest'  è  il  pregio  e  Y  onore 
Della  casa  da  CalboU,  ove  nullo 
Fatto  1^'  è  erede  poi  del  suo  valore. 


e.  D.  il  volto 


A.  1.  dell'uno,  e  dell 
altro 

A.  2.  C.  D.  Mi  fer 


D.  reluca 


H.  avease 


D.  sementa  B.  semenxA 


C.  D.  Ov-  è  -  ^.  2, 
conaorte 


r.  D.  CalvoU 

A.  2.  R.  C.  D.  a*  è  retU 


69.  periglio  1'  assanni   —  71.  Stando  ad  udir  —   77.  eh'  io  mi  riduca  —  79.  Ma  quando  vuole  Iddio  che  in  te  trai.   —  SO.  Tanto 
sua  gr.  —  H4.  di  livido  aparso  —  87.  Là  v'  è  '1  meatier  ||  Dov'  è  mest.  —  di  consorti  divieto  ||  di  consorzio  riiv.    -  89.  di  Calboli  ||  de'  Calb. 


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CORN.    II.    INVIDIOSI. 


GUIDO   DEL    DUCA. 


1.  2.  Z.  Manardi 


1.  2.  un  fabbro 


1.  2.  viv.  vosco 


1.  ET  una  e  l' altra  g.  - 
1.  diredata 


PURGATORIO    XIV.    91-114. 

91.    E  non  pur  lo  suo  sangue  è  fatto  brullo 

Tra  il  Po  e  il  monte,  e  la  marina  e  il  Reno 
Del  ben  richiesto  al  vero  ed  al  trastullo; 
94.  Che  dentro  a  questi  termini  è  ripieno 
Di  venenosi  sterpi,  sì  che  tardi 
Per  coltivare  omai  verrebber  meno. 
97.    Ov'  è  il  buon  Lizio,  ed  Arrigo  Mainardi, 
Pier  Traversaro,  e  Guido  di  Carpigna? 
0  Romagnoli  tornati  in  bastardi! 

100.    Quando  in  Bologna  un  Fabbro  si  ralligna? 
Quando  in  Faenza  un  Bernardin  di  Fosco, 
Verga  gentil  di  picciola  gramigna? 

103.    Non  ti  maravigUar,  s'io  piango,  Tosco, 
Quando  rimembro  con  Guido  da  Prata 
Ugolin  d'  Azzo ,  che  vivette  nosco , 

106.    Federico  Tignoso  e  sua  brigata, 

La  casa  Traversara,  e  gU  Anastagi 
(E  r  una  gente  e  V  altra  è  diretata), 

109.    Le  donne  e  i  cavaUer,  gli  affanni  e  gli  agi, 
Che  ne  invogliava  amore  e  cortesia. 
Là  dove  i  cor  son  fatti  si  malvagi. 

112.    0  Brettinoro,  che  non  fuggi  via. 

Poiché  gita  se  n'  è  la  tua  famiglia, 
E  molta  gente  per  non  esser  ria? 


329 


iJ.  r  sì  pieno 


B.  a  IJ.  Manardi 


A.  piccola 


A.  Quand'  io 

A.  vivetton  —  A.  m.  B. 
C.  D.  viv.  vosco 


A.  dihereUta  ||  B.  D. 
diredata 


96.  omai  verrebbe  —  97.  il  buon  Licio  —  101.  Favensa  ~  102.  Vegna  gentil  —  U2.  Brettinor  perchè 

II.  42 


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330 


rORN.   II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIV.    115-138. 


OUIUO    DEL-nUCA. 


3.  de'  Fautoli ,  sic. 


1.  2.  vostra  rag. 
1.  *2.  sa])avam 


1.  2.  3.  di  eoatra 


2.  fìiggia  3.  fuggi*» 


115.    Ben  fa  Bagnacaval,  che  non  rifiglia, 

E  mal  fa  Castrocaro,  e  peggio  Conio, 
Che  di  figliar  tai  Conti  più  s'impiglia: 

118.    Ben  faranno  i  Pagan,  dacché  il  Demonio 
Lor  sen  gira;  ma  non  però  che  puro 
Giammai  rimanga  d'  essi  testimonio. 

121.    0  Ugolin  de'Fantolin,  sicuro 

È  il  nome  tuo ,  da  che  più  non  s'  aspetta 
Chi  far  lo  possa  tralignando  oscuro. 

124.    Ma  va  via,  Tosco,  ornai,  eh'  or  mi  diletta 
Troppo  di  pianger  più  che  di  parlare. 
Si  m'  ha  nostra  ragion  la  mente  stretta. 

127.    Noi  sapevam  che  quel!'  anime  care 
Ci  sentivano  andar:  però  tacendo 
Facevan  noi  del  cammin  confidare. 

130.    Poi  fummo  fatti  soU  procedendo, 

Folgore  parve,  quando  1'  aer  fende. 
Voce  che  giunse  d' incontra,  dicendo  : 

133.  Anciderammi  qualunque  m'  apprende; 
E  fuggi,  come  tuon  che  si  dilegua. 
Se  subito  la  nuvola  scoscende. 

136.  Come  da  lei  1'  udir  nostro  ebbe  tregua, 
Ed  ecco  r  altra  con  si  gran  fracasso, 
Che  somigliò  tuonar  che  tosto  segua: 


e.  figliar  cotAÌ  C. 


A.  ì.  di  luì  test.  (V) 
H.  D.  de"  Fantoli,  "n  sic. 


Ji.  C.  D.  sapavam 

A,  1.  Fac«ano  a  noi 
A.  fatti  fummo 

/?.  di  con  tra 


C.  Che  subito 


118.  quando  il  demonio  —  120.  di  «è  testim.  —  126.  nostra  region  —  131.  1'  aere  fende  —  132.  giunse  incoutr»  a  noi    -  133.  qual- 
unque mi  prende  —  135.  E  subito  —  186.  lo  dir  nostro 


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rORN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XIV.    139-151. 


ESEMPI    l>    INVIDIA. 


331 


139.    Io  sono  Aglauro,  che  divenni  sasso. 
3.  istrinR.  2. ii«triiìn.  Ed  alloF  ^Bv  ristringermi  al  Poeta, 

Indietro  feci  e  non  innanzi  il  passo. 
142.    Già  era  1'  aura  d'  ogni  parte  queta, 

Ed  ei  mi  disse:  Quel  fu  il  duro  camo, 

Che  dovria  Y  uom  tener  dentro  a  sua  met^i. 
145.    Ma  voi  prendete  Y  esca,  sì  che  Y  amo 

Dell'  antico  avversario  a  se  vi  tira; 

E  però  poco  vai  freno  o  richiamo. 
148.    Chiamavi  il  cielo,  e  intorno  vi  si  gira, 

Mostrandovi  le  sue  bellezze  eterne, 

E  r  occhio  vostro  pure  a  terra  mira; 
151.    Onde  vi  batte  chi  tutto  discerne. 


tì.  per istrins;.  D.  per str. 
A.  2.  C.  In  destro  feci 


A.  2.  C.  il  ciel,  che  'ntomo 


M2.  Già  era  i'  aere  —  144.  dovria  icner  1'  uom 


42* 


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CANTO  DECIMOQUINTO 


i. 


(guanto  tra  1'  ultimar  dell'  ora  terza, 
E  il  principio  del  di  par  della  spera. 
Che  sempre  a  guisa  di  fanciullo  scherza, 
Tanto  pareva  già  in  ver  la  sera 
Essere  al  sol  del  suo  corso  rimaso; 
Vespero  là,  e  qui  mezza  notte  era. 
E  i  raggi  ne  ferian  per  mezzo  il  naso. 
Perchè  per  noi  girato  era  si  il  monte. 
Che  già  dritti  andavamo  in  ver  1'  occa.so; 

10.    Quand'  io  senti'  a  me  gravar  la  fronte 

Allo  splendore  assai  più  che  di  prima. 
E  stupor  m'  eran  le  cose  non  conte  : 

13.    Ond'  io  levai  le  mani  in  ver  la  cima 

Delle  mie  ciglia,  e  fecimi  il  solecchio. 
Che  del  soperchio  visibile  lima. 

IH.    Come  quando  dall'  acqua  o  dallo  specchio 
Salta  lo  raggio  all'  opposita  parte, 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 


A.  1.  Quando  s. 


e.  lo  moodo 


7.  E  i  raggi  ne  frdian  ||  K  i  r.  ne  fendieu  ||  E  i  r.  uè  fendean  —  9.  andavam  verso  1'  oec.  —  15.  Del  soperchio  del  sol  TiBÌkil  lima 


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334 


rORN.    II.    INVIDIOSI. 


PURGATORIO    XV.    19-42. 


1.  la  mia  luce 


19.    A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte 

Dal  cader  della  pietra  in  egual  tratta. 
Si  come  mostra  esperienza  ed  arte; 

22.    Così  mi  parve  da  luce  lifratta 

Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosso. 
Perchè  a  fiiggir  la  mia  vista  fii  ratta. 

25.    Che  è  quel,  dolce  Padre,  a  che  non  posso 
Schermar  lo  viso  tanto,  che  mi  vaglia, 
Diss'  io,  e  pare  in  ver  noi  esser  mosso? 

2S.    Non  ti  maravigliar,  se  ancor  t'  abbaglia 
La  famigUa  del  cielo,  a  me  rispose: 
Messo  è,  che  viene  ad  invitar  eh'  uom  saglia. 

Jil.  Tosto  sarà  che  a  veder  queste  cose 
Non  ti  fia  grave,  ma  fiati  diletto, 
Quanto  natura  a  sentir  ti  dispose. 

34.  Poi  giimti  fummo  all'  Angel  benedetto, 
Con  lieta  voce  disse:  Entrate  quinci 
Ad  un  scaleo  vie  men  che  gU  altri  eretto. 

37.    Noi  montavam,  già  partiti  da  linci, 
E,  Beati  misericordes ,  tue 
Cantato  retro,  e:  GocU  tu  che  vinci. 
i.2.amendue3.ainhcdue  40.    Lo  mio  Macstro  cd  io  soli  ambo  e  due 
2. 3.  pensava  Suso  audavamo ,  ed  io  pensai,  andando. 

Prode  acquistar  nelle  parole  sue; 


2.  3.  tìeti 


J.  I).  eqiial  tr. 

C.  ni"  apparve 
A.  1.  (filivi 


J.  D.  Schermir 


I).  Non  ti  fie 
fieti 


a  u. 


\.  2.  3.  IntraU* 


1.  2.  3.  mont...mo   — 
1.  2.  3.  part.  linci 


R.  Intrate 

A.  via  men  che  1'  altro 


R.  montaTamo  —  B.  part. 
linci  --  C.  di  linci 


A.  2.  a  D,  ambed.   B. 
amend. 


19.  e  cotanto  si  parte  —  23.  Un  dinanzi  da  me  —  25.  dolce  P.,  eh'  io  non  p.  —  90.  a  invitar  eh*  uomo  a.  —  34.  Poi  fummo  giunti  — 
31).  Ad  un  0cafl;lion       37.  partiti  già  —  40.  ambodue  ||  ambidue  ->  41.  Su  andavamo 


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roRK.  II.  INVIDIOSI.  PURGATORIO    XV.    43  —  66. 

43.    £  dirizza*  mi  a  lui  sì  domandando  : 
1.  chcvoiHe  Che  voUe  dir  lo  spirto  di  Romagna, 

E  divieto  e  consorto  menzionando? 
46.    Per  eh'  egli  a  me  :  Di  sua  maggior  magagna 
Conosce  il  danno;  e  però  non  s'  ammiri 
Se  ne  riprende,  perchè  men  sen  piagna. 
1. 2. 3.  sappununui     49.    Pcrchè  s' appuntan  li  vostri  disiri, 

Dove  per  compagnia  parte  si  scema, 
Invidia  move  il  mantaco  ai  sospiri. 
52.    Ma  se  V  amor  della  spera  suprema 

Torcesse  in  suso  il  disiderio  vostro, 
Non  vi  sarebbe  al  petto  quella  tema; 
1.  Perchè  ijuanto  2.3.   55.    Che  pcr  Quauti  si  dice  più  li  nostro, 

Che  per  quanto; 

Tanto  possiede  più  di  ben  ciascuno, 
E  più  di  caritate  arde  in  quel  chiostro. 

58.    Io  son  d'  esser  contento  più  digiuno, 
Diss'io,  che  se  mi  fossi  pria  taciuto, 
E  più  di  dubbio  nella  mente  aduno. 

61.    Com'  esser  puote  che  un  ben  distributo 
I  più  posseditor  faccia  più  ricchi 
Di  se,  che  se  da  pochi  è  posseduto? 

64.    Ed  egli  a  me:  Perocché  tu  rificchi 
La  mente  pure  alle  cose  terrene. 
Di  vera  luce  tenebre  dispicchi. 


(consorzio  di  beni.) 


335 


1.  2.  3.  mi  fosse 


A.  B.  Che  volse 


A.  consorte  —  A  meuto- 
vando 


B.  saputo  hanno  i  C.  U. 
s'  appuntano  i   — 
B.  nostri 

r.  Ove 


B.  Perchè  (|uanto  A.  U. 
Che*  per  quanto 


6*.  che  s' io  mi  —  B.  fosse 

A.  puoté  esser 

A.  1.  Li  più    V.  In  più 

A.  Diss'  io .  che  se 


45.  div.  e  consoncio  —  48.  Perchè  suo  punto  han  lì  —  51.  il  mantice  —  63.  Tore,  in  su  il  dis.  —  57.  arde  cjuel  eh.  —  59.  Dissi,  ohe 


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336 


CORN.    III.    IRACONDI. 


PURGATORIO    XV.    67-90. 


ESEMPI    DI   MANSUETUDINE. 


1.  2.  3.  Che  lassù  è 


l.  siano 


1.  ni'  apparve 


67.    Quello  infinito  ed  ineflfabil  bene 

Che  è  lassù,  cosi  corre  ad  amore 
C'ome  a  lucido  corpo  raggio  viene. 

70.    Tanto  si  dà,  quanto  trova  d'  ardore: 
Si  che  quantunque  carità  si  estende. 
Cresce  sopr'  essa  Y  eterno  valore. 

73.    E  quanta  gente  più  lassù  s' intende. 

Più  v'  è  da  bene  amare,  e  più  vi  s'  ama, 
E  come  specchio  V  uno  all'  altro  rende. 

76.    E  se  la  mia  ragion  non  ti  disfama, 

Vedrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente 
Ti  torrà  questa  e  ciascun'  altra  brama. 

79.    Procaccia  pur,  che  tosto  sieno  spente. 

Come  son  già  le  due,  le  cinque  piaghe. 
Che  si  richiudon  per  esser  dolente. 

82.    Com'  io  voleva  dicer  :  Tu  m'  appaghe  : 
Vidimi  giunto  in  sulF  altro  girone. 
Si  che  tacer  mi  fer  le  luci  vaghe. 

85.    Ivi  mi  pai've  in  una  visione 

Estatica  di  subito  esser  tratto, 

E  vedere  in  un  tempio  più  persone: 

88.    Ed  una  donna  in  suU'  entrar  con  atto 
Dolce  di  madre,  dicer:  Figliuol  mio, 
Perchè  hai  tu  così  verso  noi  fatto? 


.4.  (\  Ch'  è  lassù,  e  cosi 
B.  Che  lassù  è.  così 


f  '  Più  n'  è  —  />.  di  bene 


lì.  C.  siano 


D.  Quivi  -  A.  2.  B,   r. 
D.  m*  apparve 


(fu.  Come  al  lucido  —  71.  carità  s*  accende   —  73.  lassù  s*  incende  ||  lassù  s'  attende   —  74.   Più  vi  dà  ben  amore  —  83.  Giunto 
mi  vidi  —  84.  le  cose  vaghe  -  87.  in  un  tempo  —  80.  Filmilo  mio 


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CORN.  III.  iBACONDi.  PURGATORIO    XV.    91  —  114.  esempi  di  mansuetudine.  337 

91.    Ecco  dolenti  lo  tuo  padre  ed  io 

Ti  cercavamo.    E  come  qui  si  tacque, 

Ciò,  che  pareva  prima,  disparìo. 
1.  mi  parve  94.    j^di  m'  apparvc  un'  altra  con  quelle  acque        <^-  ^-  ™»  p*^« 

Giù  per  le  gote,  che  il  dolor  distilla, 
1. 2. 3.  per  gran  Quaudo  di  grau  dispetto  in  altrui  nacque; 

97.    E  dir:  Se  tu  se'  sire  della  villa,  e .z>. sesm 

Del  cui  nome  ne'  Dei  fu  tanta  lite. 

Ed  onde  ogni  scienza  disfavilla, 
100.    Vendica  te  di  quelle  braccia  ardite 

Che  abbracciar  nostra  figUa,  o  Pisistrato. 

E  il  signor  mi  parca  benigno  e  mite 
103.    Risponder  lei  con  viso  temperato: 

Che  farem  noi  a  chi  mal  ne  disira. 

Se  quei,  che  ci  ama,  è  per  noi  condannato? 
106.    Poi  vidi  genti  accese  in  foco  d' ira. 

Con  pietre  un  giovinetto  ancider,  forte 

Gridando  a  se  pur:  Martira,  martira: 
109.    E  lui  vedea  chinarsi  per  la  morte, 

Che  r  aggravava  già,  in  ver  la  terra,  />.  i- aggr.  giù  ^.  i.  lui 

grav.  giuso  (?) 

Ma  degli  occhi  facea  sempre  al  ciel  porte;    tracie 
112.    Orando  all'  alto  Sire  in  tanta  guerra, 
Che  perdonasse  a'  suoi  persecutori, 
Con  queir  aspetto  che  pietà  disserra. 

95.  che  dolor  (list.    —   9H.  da  gran  dispetto  —  96.  Onde  fa  gii  tra'  Dei  cotanta  lite    —  99.  E  donde    -    i06.   vidi  gente  accese   — 
107.  un  garzonetto  —  112.  Orando  1'  alto  Sire  ||  Pregando  1'  alto  S. 

II.  43 


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838 


rOBN.   III.    IRACONDI. 


PURGATORIO    XV.    115-138. 


DANTE    E    VIRGILIO. 


1.  Bariau 


1.  dell'  eterno 


115.    Quando  Y  anima  mia  tornò  di  fuori 

Alle  cose,  che  son  fuor  di  lei  vere, 

Io  riconobbi  i  miei  non  falsi  errori. 
118.    Lo  Duca  mio,  che  mi  potea  vedere 

Far  sì  com' uom  che  dal  sonno  si  slega,       .4.  i.  Farmi  come  co 

Disse:  Che  hai,  che  non  ti  puoi  tenere? 
121.    Ma  se'  venuto  più  che  mezza  lega 

Velando  gU  occhi,  e  con  le  gambe  avvolte 

A  guisa  di  cui  vino  o  sonno  piega? 
124.    0  dolce  Padre  mio,  se  tu  m'  ascolte, 

Io  ti  dirò,  diss'  io,  ciò  che  mi  apparve 

Quando  le  gambe  mi  ftu'on  sì  tolte. 
127.    Ed  ei:  Se  tu  avessi  cento  larve 

Sopra  la  faccia,  non  mi  sarien  chiuse  i».  sanan 

Le  tue  cogitazion,  quantunque  parve. 
130.    Ciò  che  vedesti  fu,  perchè  non  scuse 

D'  aprir  lo  core  all'  acque  della  pace 

Che  dall'  eterno  fonte  son  diflfuse.  b.  c.  deir  et. 

133.    Non  domandai,  Che  hai,  per  quel  che  face       ^.  ».  r.  quei  chei  f. 

Chi  guarda  pur  con  1'  occhio,  che  non  vede,  ^-  «<>"  gii  occw 

Quando  disanimato  il  corpo  giace; 
136.    Ma  domandai  per  darti  forza  al  piede: 

Così  frugar  conviensi  i  pigri,  lenti  ^.  1.  pigri  «  lenti 

Ad  usar  lor  vigiUa  quando  riede. 


116.  fìior  delle  vere  —  117.  in  me  li  falsi  errori  —  119.  dal  sogno  si  si.   —  126.  mi  furono  tolte  —  127.  Ed  egli  -  mille  larve 
131.  D'  aprire  il  core  —  all'  aequa  —  137.  Cosi  fugar  —  conviene  i  pigri 


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roRN.  III.  IRACONDI.  PURGATORIO    XV.    139  —  145.  dante  k  Virgilio. 

139.    Noi  andavam  per  lo  vespero  attenti 
i.2.potén  Oltre,  quanto  potean  gli  occhi  allungarsi,     />.  oitra 

Contra  i  raggi  serotini  e  lucenti: 
142.    Ed  ecco  a  poco  a  poco  un  fummo  farsi 

Verso  di  noi,  come  la  notte,  oscuro, 

Ne  da  quello  era  loco  da  causarsi: 
145.    Questo  ne  tolse  gli  occhi  e  1'  aer  puro.  ^-  \  e-.  />.  agu  occhi 


139.  andavam  ver  lo  vcsp.  —  140.  quanto  potea  l*  occhio  —  145.  1'  aere  puro 


43* 


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CANTO  DECIMOSESTO 


Ijuio  d'inferno,  e  di  notte  privata  a.i. prwato 

D'  ogni  pianeta  sotto  pover  cielo ,  e,  d.  pianeto 

Quant'  esser  può  di  nuvol  tenebrata,  ^.  i.  tenebrato 

1.2.  Non  fero  4.    Non  fece  al  viso  mio  si  grosso  vela,  ».  Nonfer 

Come  quel  fummo  eh'  ivi  ci  coperse , 

Ne  a  sentir  di  così  aspro  pelo; 
7.    Che  r  occhio  stare  aperto  non  sofferse: 

Onde  la  Scorta  mia  saputa  e  fida 

Mi  s'  accostò,  e  Y  omero  m'  offerse. 
10.    Si  come  cieco  va  dietro  a  sua  guida 

Per  non  smarrirsi,  e  per  non  dar  di  cozzo     a,  a  ©per 

In  cosa  che  il  molesti,  o  forse  ancida; 
13.   M'  andava  io  per  1'  aere  amaro  e  sozzo, 

Ascoltando  il  mio  Duca  che  diceva  aasc.  mìoD. 

Pur:  Guarda,  che  da  me  tu  non  sie  mozzo. 
16.    Io  sentia  voci,  e  ciascuna  pareva 

Pregar,  per  pace  e  per  misericordia, 

L'  Agnel  di  Dio,  che  le  peccata  leva.  cLangci 

1.  o  di  notte  priv.  ||  o  notte  pr.  —   4.  Non  fé*  al  v.  —  6.  cosi  aspero  pelo  —  7.  noi  sofferse  —   10.  dietro  sua  gn.  —   12.  e  forse 
ano.  Il  o  ver  anc.  ||  o  che  Y  ane.  —  15.  16.  diceva:  Por  guarda 


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342  ^ORN.  III.  IRACONDI.  PURGATORIO    XVI.    19  —  42.  marco  lombardo. 

19.    Pure  Agnus  Dei  eran  le  loro  esordia: 
1. 2.  era  in  tutti  3.  in  Uiia  parola  ìdl  tutte  era,  ed  un  modo,  a  er*  in  tutti  cu. 

tutti  era  in  tutti  era 

Si  che  parea  tra  esse  ogni  concordia.  d.  tra  essi 

22.    Quei  sono  spirti.  Maestro,  ch'i' odo? 

Diss'  io.   Ed  egli  a  me:  Tu  vero  apprendi, 

E  d' iracondia  van  solvendo  il  nodo. 
25.    Or  tu  chi  se',  che  il  nostro  fmnmo  fendi, 

E  di  noi  parli  pur,  come  se  tue 

Partissi  ancor  lo  tempo  per  calendiV 
28.    Cosi  per  una  voce  detto  fue. 

Onde  il  Maestro  mio  disse  :  Rispondi,  a.  2.  b,  c  d.  mi  ^x^ 

E  domanda  se  quinci  si  va  sue. 
31.    Ed  io:  0  creatura,  che  ti  mondi, 

Per  tornar  bella  a  colui  che  ti  fece. 

Maraviglia  udirai  se  mi  secondi. 
34.    lo  ti  seguiterò  quanto  mi  lece. 

Rispose;  e  se  veder  fummo  non  lascia, 

V  udir  ci  terrà  giunti  in  quella  vece. 
37.    Allora  incominciai:  Con  quella  fascia, 

Che  la  morte  dissolve  men  vo  suso, 

E  venni  qui  per  la  infernale  ambascia  ;  .4. 2.  b.  c.  d.  per  inf. 

40.    E,  se  Dio  m'  ha  in  sua  grazia  richiuso 
2. 3. eh' e- vuol  Tanto,  che  vuol  ch'io  veggia  la  sua  corte 

Per  modo  tutto  fiior  del  modem'  uso, 

20.  e  iu  un  modo  —  40.  in  sua  gr.  rinchiuso  —  41.  eh'  io  vegna  alla  tua  e. 


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COEN.  IH.  IRACONDI.  PURGATORIO    XVI.    43  —  66.  (influssi  del  cielo.)  343 

43.    Non  mi  celar  chi  fosti  anzi  la  morte, 

Ma  dilmi,  e  dimmi  s'  io  vo  bene  al  varco; 
1.  fìsn  E  tue  parole  fien  le  nostre  scorte.  />.  u  tue  ~  b.  «mn 

46.    Lombardo  fili,  e  fui  chiamato  Marco: 

Del  mondo  seppi,  e  quel  valore  amai  ^. ,«.  vai.  usai 

Al  quale  ha  or  ciascun  disteso  1'  arco  : 
49.    Per  montar  su  dirittamente  vai: 

Così  rispose;  e  soggiunse:  Io  ti  prego 

Che  per  me  preghi,  quando  su  sarai. 
52.    Ed  io  a  lui:  Per  fede  mi  ti  lego 

Di  far  ciò  che  mi  chiedi;  ma  io  scoppio 

Dentro  a  un  dubbio,  s' io  non  me  ne  spiego,  r. />.  Dentro  a- un 
55.    Prima  era  scempio,  ed  ora  è  fatto  doppio 

Nella  sentenza  tua,  che  mi  fa  certo  . 

Qui  ed  altrove,  quello  ov' io  l'accoppio.         />.  aitr.  udovio 
58.    Lo  mondo  è  ben  cosi  tutto  diserto 

D'  ogni  virtute,  come  tu  mi  suone, 

E  di  malizia  gravido  e  coperto: 
61.   Ma  prego  che  m'  additi  la  cagione, 
1. 2. 3. la veRga  Sì  ch' io  la  vcggla,  e  ch'io  la  mostri  altrui;  /^.u vegga 

Che  nel  cielo  uno,  ed  un  quaggiù  la  pone. 
64.    Alto  sospir,  che  duolo  strinse  in  bui,  i  ,«.//.  r.  str.  in  nui 

Mise  fiior  prima,  e  poi  cominciò:  Frate, 

Lo  mondo  è  cieco,  e  tu  vien  ben  da  lui. 

49.  direttamente  —  54.  Dentro  ad  un  d.  —  .57.  Quivi  ed  altrove  —  62.  Si  eh'  io  la  saccia 


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344  cofiK,  III.  IRACONDI.  PURGATORIO    XVI.    67—90.  (libero  arbitrio.) 

67.    Voi  che  vivete,  ogni  cagion  recate 


1.  2.  3.  al  cielo,  si  come 


1.  11  cielo 


1.  2.  batt.  del  ciel 


1.  2.  pres.  vi  svia 


Pur  suso  al  ciel,  cosi  come  se  tutto 

Movesse  seco  di  necessitate. 
70.    Se  cosi  fosse,  in  voi  fora  distrutto 

Libero  arbitrio,  e  non  fora  giustizia, 

Per  ben,  letizia,  e.  per  male,  aver  lutto. 
73.    Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia, 

Non  dico  tutti:  ma,  posto  eh'  io  il  dica, 

Lume  v'  è  dato  a  bene  ed  a  malizia, 
76.    E  libero  voler,  che,  se  fatica 

Nelle  prime  battaglie  col  ciel  dura. 

Poi  vince  tutto,  se  ben  si  nutrica. 
79.    A  maggior  forza  ed  a  migUor  natura 

Liberi  soggiacete,  e  quella  cria 

La  mente  in  voi,  che  il  ciel  non  ha  in  sua  cura. 
82.    Però,  se  il  mondo  presente  disvia. 

In  voi  è  la  cagione,  in  voi  si  cheggia. 

Ed  io  te  ne  sarò  or  vera  spia. 
85.    Esce  di  mano  a  lui,  che  la  vagheggia 

Prima  che  sia,  a  guisa  di  fanciulla, 

Che  piangendo  e  ridendo  pargoleggia, 
88.    L'  anima  semplicetta,  che  sa  nulla, 

Salvo  che,  mossa  da  Ueto  fattore, 

Voi  enti er  torna  a  ciò  che  la  trastulla. 


A.  2.  tA  cielo,  8Ì  come 
B.  C.  D.  al  ciclo, 
por  eome 


B,  Il  cielo 

A.  2.  B.  post'  r 

C.  D.  s*  affatica 

B.  batt.  del  ciel 
A.  2.  Vìnce  poi 


B.  ohe  s*  annulla 
A.  dal  lieto 


67.  Voi  che  venite  —  76.  voler,  che,  se  fatica  ||  voi.  ehi  b'  affatica  —  77.  battaglie,  e  col  ciel  ||  batt.  che  *1  elei  —   79.  A  miglior 
forza  —  82.  il  mondo  pres.  disia  —  87.  ridendo  parvoleggia 


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rOBN.    III.    IBACONDI. 


PURGATORIO    XVI.    91  —  114. 


1.  2.  3.  torce  *l  suo 


2.  Fftcén 


1.  2.  3.  e  r  uno  e  l' altro 


(due  soli.) 

91.    Di  picciol  bene  in  pria  sente  sapore; 

Quivi  s' inganna,  e  dietro  ad  esso  corre. 
Se  guida  o  fren  non  torce  suo  amore. 
94.    Onde  convenne  legge  per  fren  porre; 
Convenne  rege  aver,  che  discernesse 
Della  vera  cittade  almen  la  torre. 
97.    Le  leggi  son,  ma  chi  pon  mano  ad  esse? 
Nullo;  perocché  il  pastor  che  precede 
Ruminar  può,  ma  non  ha  T  unghie  fesse. 

100.    Per  che  la  gente,  che  sua  guida  vede 

Pure  a  quel  ben  ferire  ond'  eli'  è  ghiotta, 
Di  quel  si  pasce ,  e  più  oltre  non  chiede. 

103.    Ben  puoi  veder  che  la  mala  condotta 

E  la  cagion  che  il  mondo  ha  fatto  reo, 
E  non  natura  che  in  voi  sia  corrotta. 

106.    Soleva  Roma,  che  il  buon  mondo  feo. 

Due  Soh  aver,  che  1'  una  e  1'  altra  strada 
Facean  vedere,  e  del  mondo  e  di  Deo. 

109.    L'  un  r  altro  ha  spento;  ed  è  giunta  la  spada 
Col  pastorale ,  e  T  un  con  1'  altro  insieme 
Per  viva  forza  mal  convien  che  vada; 

112.    Perocché,  giunti,  T  un  l'altro  non  teme. 
Se  non  mi  credi,  pon  mente  alla  spiga, 
Ch'  ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme. 


A,  pieeol 
pria 

A,  e  retro 

ff.  torce  il  suo 


345 


A.  1.  tiene 


C.  D.  città 


l).  imperocché  <-  A.  \. 
C.  procede 


H.  C.  D.  pasturale  - 
/>.  e  r  un  e  r  altro 


D.  giunto 


9B.  freno  non  torce  —  94.  convenne  leggi  —  99.  Rumigar  può  ||  Rugumar  può  —  106.  che  in  noi  bia 

II.  44 


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346  roHN.  III.  IRACONDI.  PURGATORIO    XVI.    115—138.  marco  lombardo. 

3.  Adige  115.    In  sul  paese  eh' Adice  e  Po  riga  r.  Adige 

Solea  valore  e  cortesia  trovarsi, 

Prima  che  Federico  avesse  briga: 
118.    Or  può  sicuramente  indi  passarsi 

Per  qualunque  lasciasse,  per  vergogna, 

Di  ragionar  coi  buoni,  o  d'  appressarsi. 
121.    Ben  v'  en  tre  vecchi  ancora,  in  cui  rampogna  c.Btnvk 

V  antica  età  la  nuova,  e  par  lor  tardo 

Che  Dio  a  mighor  vita  ìi  ripogna; 
1. 2. 3.  Currado  124.    CorTado  da  Palazzo,  e  il  buon  Gherardo,         /?.  r.  x>.  Currado 

E  Guido  da  Castel,  che  me' si  noma  r.  «he  mei 

Francescamente  il  semplice  Lombardo. 
127.    Di'  oggimai  che  la  Chiesa  di  Roma, 

Per  confondere  in  se  due  reggimenti, 

Cade  nel  fango,  e  se  brutta  e  la  soma. 
130.    0  Marco  mio,  diss'io,  bene  argomenti; 
1. 2. 3.  dal  retaggio  Ed  or  disccmo ,  perchè  da  retaggio  ^  2.  b.  a  dai  retaceo 

Li  figU  di  Levi  fiirono  esenti: 
133.    Ma  qual  Gherardo  è  quel  che  tu,  per  saggio. 

Di',  eh'  è  rimaso  della  gente  spenta. 

In  rimproverio  del  secol  selvaggio?  ^.  e. /;.  in  rimprovero 

136.    0  tuo  parlar  m' inganna  o  e'  mi  tenta,  ^  2.  e.  01  tuo 

Rispose  a  me;  che,  parlandomi  Tosco, 

Par  che  del  buon  Gherardo  nulla  senta.        /?. /.  buon  curra^io 


120.  coi  buoni,  d'  appressarti  ||  coi  b. ,  e  d'  appr.  |)  coi  b. .  ad  appr.  —  121.  Ben  ▼'  e  tra  vecchi  —  ancor  tra  vecchi  —  12S.  E  Gu.  di 
Castel  —  129.  e  brutta  sé  -  131.  dal  redsf^o  —  13B.  In  rimprover  del  secolo 


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roBN.  III.  IRACONDI.  PURGATORIO    XVI.    139—145.  Gherardo  da  cammino.  347 

139.    Per  altro  soprannome  io  noi  conosco, 
1.  togliesse  S' io  noi  togliessi  da  sua  figlia  Gaia.  /?.  to^uesse 

Dio  sia  con  voi,  che  più  non  vegno  vosco. 
142.    Vedi  r  albòr  che  per  lo  fiimmo  raia,  '  b.  io  fiume 

Già  biancheggiare,  e  me  convien  partirmi, 
1.  2. 3.  chcRii  paja  L'  Angclo  è  ivi,  prima  eh'  io  gU  appaia.         h.  che  w  pi^a 

1.  2. 3.  Cosi  parlò        145.    Così  tomò ,  c  più  non  volle  udirmi.  r.  così  parlò  -  b.  e 

poi  —  I).  volle  dirmi 


143.  e  mi  convien  ||  a  me  convien  ||  onde  convien  —  144.  che  u'  appaia  ||  ohe  m'  appaia  ||  che  '1  dì  pua  —  145.  tomò,  ehè  più 


44- 


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CANTO  DECIMOSETTIMO 


rvicorditi ,  lettor,  se  mai  nell'  alpe 

Ti  colse  nebbia,  per  la  qual  vedessi 

Non  altrimenti,  che  per  pelle  talpe; 
4.    Come,  quando  i  vapori  umidi  e  spessi 

A  diradar  cominciansi,  la  spera 

Del  sol  debilemente  entra  per  essi;  ^•*^«*" 

7.    E  fia  la  tua  imagine  leggiera 

In  giugnere  a  veder,  com'  io  rividi 

Lo  sole  in  pria,  che  già  nel  corcare  era. 
10.    Si,  pareggiando  i  miei  co' passi  fidi  ^.  r.  pnsscg^iando 

Del  mio  Maestro,  uscii  fuor  di  tal  nube 

Ai  raggi,  morti  già  nei  bassi  lidi. 
13.    0  immaginativa,  che  ne  rube 

Tal  volta  sì  di  fiior,  eh'  uom  non  s'  accorge, 

Perchè  d' intorno  suonin  mille  tube, 
16.    Chi  move  te,  se  il  senso  non  ti  porge? 

Moveti  Imne,  che  nel  ciel  s'informa  /;.  Moventi 

Per  se,  o  per  voler  che  giù  lo  scorge.  n.  u  scorge 

1.  ae  mai  in  alpe  —  15.  d' intomo  suoni  —  16.  Che  move  te 


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350 


rORN.    III.    IRACONDI. 


PURGATORIO    XVII.    19-42. 


ESEMPI   U    IRACONDIA. 


1.  piove 


19.    Dell'  empiezza  di  lei,  che  mutò  forma 

Neil'  uccel  che  a  cantar  più  si  diletta, 
Neil'  imagine  mia  apparve  1'  orma: 

22.    E  qui  fu  la  mia  mente  si  ristretta 

Dentro  da  se,  che  di  fuor  non  venia 
Cosa  che  fosse  allor  da  lei  recetta. 

25.    Poi  piovve  dentro  aU'  alta  fantasia 
Un  crocifisso  dispettoso  e  fiero 
Nella  sua  vista,  e  cotal  si  moria. 

28.    Intorno  ad  esso  era  il  grande  Assuero, 

Ester  sua  sposa  e  il  giusto  Mardocheo, 
Che  fii  al  dire  ed  al  far  cosi  intero. 

31.   E  come  questa  imagine  rompeo 

Se  per  se  stessa,  a  guisa  d'  una  bulla 
Cui  manca  V  acqua  sotto  qual  si  feo  ; 

34.    Surse  in  mia  visione  una  fanciulla. 

Piangendo  forte,  e  diceva:  0  regina. 
Perchè  per  ira  hai  voluto  esser  nulla? 

37.    Ancisa  t'  hai  per  non  perder  Lavina; 

Or  m'  hai  perduta;  io  son  essa  che  lutto. 
Madre,  alla  tua  pria  eh'  all'  altrui  ruina. 

40.    Come  si  frange  il  sonno,  ove  di  butto 
Nuova  luce  percote  il  viso  chiuso, 
Che  fratto  guizza  pria  che  moia  tutto; 


D.  Dell*  imprezza 


A.  m.  B.  C.  fosse  ancor  - 
D.  concetta 


B.  a  D.  Mardocco 


19.  Dell'  empietà  di  lei  —  20.  che  cantar  —  21.  mia  parve  1'  orma  —  27.  Nella  sua  faccia  -   cotal  si  morrìa   - 
parea  —  38.  1'  accjua  s<itto,  e  t«l  si  feo  —  39.  Madre,  la  tua  —  più  che  —  1*  altrui  mina  ||  alla  mia  r.  >-  42.  franto  guissa 


2Bu  Intorno  a  lui 


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SALITA    ALLA    CORN.    IV. 


PURGATORIO    XVII.    43-66. 


351 


1.  2.  3.  che  il  lume 
3.  quello  eh'  è 


1.  spirto 


B.  V  ima^ne  mia 
H.  che  il  lume 


A.  come  sol  (\  come  '1  sol 


43.    Così  r  immaginar  mio  cadde  giuso , 

Tosto  eh' un  lume  il  volto  mi  percosse, 

Maggiore  assai,  che  quel  eh'  è  in  nostr'  uso. 
46.    Io  mi  volgea  per  vedere  ov'  io  fosse, 

Quand'  una  voce  disse  :  Qui  si  monta  : 

Che  da  ogni  altro  intento  mi  rimosse; 
49.    E  fece  la  mia  voglia  tanto  pronta 

Di  riguardar  chi  era  che  parlava, 

Che  mai  non  posa,  se  non  si  raffronta. 
52.   Ma  come  al  sol,  che  nostra  vista  grava, 

E  per  soperchio  sua  figura  vela. 

Così  la  mia  virtù  quivi  mancava. 
55.    Questi  è  divino  spirito,  che  ne  la 

Via  d'andar  su  ne  drizza  senza  prego, 

E  col  suo  lume  se  medesmo  cela. 
58.    Sì  fa  con  noi,  come  1' uom  si  fa  sego; 

Che  quale  aspetta  prego,  e  l'uopo  vede,        .4. m.»ap. poiché r uopo 

MaUgnamente  già  si  mette  al  nego. 
61.    Ora  accordiamo  a  tanto  invito  il  piede: 

Procacciam  di  salir  pria  che  s'  abbui, 

Che  poi  non  si  poria,  se  il  dì  non  riede. 
64.    Così  disse  il  mio  Duca,  ed  io  con  lui 

Volgemmo  i  nostri  passi  ad  una  scala; 

E  tosto  eh'  io  al  primo  grado  fili, 


H.  diritto  sp. 
.-1.  Via  (la  ir  su 


46.  Maggior  che  quello  assai  —  47.  Qui  si  smonta  -  55.  Questo  dirino  sp.  —  56.  Vi»  da  gir  su  -  59.  prego  all'  uopo 
rir  el  s'  abbui  —  63..  non  si  porria  —  se  il  sol  non  riede 


pna 


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352 


rORN.    IV.    ACCIDIOSI. 


1.  2.  3.  nel  volto 


2.  3.  rivolsi  .ti  mio  M. 


1.  2.  li.  ijiti  ri  tu 


PURGATORIO    XVII.    67-90.  (amobk.) 

67.    Sentami  presso  quasi  un  mover  d'  ala, 
E  ventarmi  nel  viso,  e  dir:  Beati 
Pacifici^  che  son  senza  ira  mala. 

70.    Già  eran  sopra  noi  tanto  levati 

Gli  ultimi  raggi  che  la  notte  segue, 
Che  le  stelle  apparivan  da  più  lati. 

73.    0  virtù  mia,  perchè  si  ti  dilegue? 

Fra  me  stesso  dicea,  che  mi  sentiva 
La  possa  delle  gambe  posta  in  tregue. 

76.    Noi  eravam  dove  più  non  saliva 
La  scala  su,  ed  eravamo  affissi. 
Pur  come  nave  eh'  alla  piaggia  arriva  : 

79.    Ed  io  attesi  un  poco  s' io  udissi 
Alcuna  cosa  nel  nuovo  girone; 
Poi  mi  volsi  al  Maestro  mio,  e  dissi: 

82.    Dolce  mio  Padre,  di',  quale  oflFensione 
Si  purga  qui  nel  giro,  dove  semo? 
Se  i  pie  si  stanno,  non  stea  tuo  sermone. 

85.    Ed  egh  a  me:  L'  amor  del  bene,  scemo 
Di  suo  dover,  quhitto  si  ristora. 
Qui  si  ribatte  il  mal  tardato  remo: 

88.    Ma  perchè  più  aperto  intendi  ancora, 
Volgi  la  mente  a  me,  e  prenderai 
Alcun  buon  frutto  di  nostra  dimora. 


D.  qti«BÌ  presso 


(\  tiinto  sopra  noi 


C.  di  più 


A.  semU  suso 


n.  Se  i  piedi  st.   -  U. 
non  stia 


.4.  Del  ano  —  /f.quiritu 


A.  D.  intenda 


ti^.  A  ventarmi    —  7U.  tanto  montati  —   76.  eraram  ove  più   —  80.  nell'  altro  girone  —  81*  K  poi  mi  volsi  —  83.  nel  giron  -  o^r 
semo  —  H4.  Se  i  pie  sostanno 


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CORN.    IV.    ACCIDIOSI. 


1.  2.  ',i.  fu  sempre 

2.  male  ohiettt» 
1. 2.3.  per  tr.  o  per  poco 


353 

A.  1.  (^om.,  fii;liiiol  mio 

B.  fu  sempre 

B.  C.  per  tr.  o  per  poco 
A.  2.  C,  nel  primo  ben 


PURGATORIO    XVII.    91  —  114.  (amore.) 

91.    Ne  creator,  ne  creatura  mai, 

Cominciò  ei,  figliuol,  fii  senza  amore, 

0  naturale,  o  d'  animo;  e  tu  il  sai. 
94.    Lo  naturai  è  sempre  senza  errore; 

Ma  r  altro  puote  errar  per  malo  obbietto, 

0  per  poco,  o  per  troppo  di  vigore. 
97.    Mentre  eh'  egli  è  ne'  primi  ben  diretto, 

E  ne'  secondi  se  stesso  misura. 

Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto; 
100.    Ma,  quando  al  mal  si  torce,   o  con  più  cura, 

0  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene. 

Contra  il  fattore  adopra  sua  fattura. 
103.    Quinci  comprender  puoi  eh'  esser  conviene 

Amor  sementa  in  voi  d'  ogni  virtute , 

E  d'  ogni  operazion  che  merta  pene. 
106.    Or  perchè  mai  non  può  dalla  salute 

Amor  del  suo  suggetto  torcer  viso, 

Dall'  odio  proprio  son  le  cose  tute: 
109.    E  perchè  intender  non  si  può  diviso, 

E  per  se  stante,  alcuno  esser  dal  primo. 

Da  quello  odiare  ogni  affetto  è  deciso. 
112.    Resta,  se  dividendo  bene  estimo. 

Che  il  mal  che  s' ama  è  del  prossimo,  ed  esso  ^.ehef«m«-  .j.2.f»m« 

del  B.  D.  8  ama  o  del 

Amor  nasce  in  tre  modi  in  vostro  Inno. 

96.  E  per  troppo,  e  per  poco  —  96.  E  nel  secondo  —  104.  Àm.  semenza  —  iu  noi  —  114.  in  nostro  limo 

II.  Ah 


1.  2.  3.  voli^er  viso 
1.  Dell'  odio 


2.  3,  Né  per  sé  —  2.  del 
primo 


B.  C.  U.  volicer  tìso 
//.  Dell'  ..dio 


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354  roRN.  IV.  ACCIDIOSI.  PURGATORIO    XVn.    115—139.  (amobk.) 

2.  K.chi  115.    E  chi,  per  esser  suo  vicin  soppresso,  a.  2.  b.  a  n.  Kt  chi 

Spera  eccellenza,  e  sol  per  questo  brama 
Ch'  e'  sia  di  sua  grandezza  in  basso  messo. 
1.2.  Et  chi  118,    E  chi  podere,  grazia,  onore,  e  fama  a.  2.  b,  e.  n.  va  ehi 

Teme  di  perder  perch'  altri  sormonti. 
Onde  s'  attrista  sì,  che  il  contrario  ama; 

121.    Ed  è  chi  per  ingiuria  par  eh'  adonti 

Sì,  che  si  fa  della  vendetta  ghiotto; 

E  tal  convien,  che  il  male  altrui  impronti.    ^1.  che  male 

124.    Questo  triforme  amor  quaggiù  disotto 

Si  piange;  or  vo'  che  tu  dell'  altro  intende. 
Che  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 

127.    Ciascun  confiisamente  un  bene  apprende, 
Nel  qual  si  queti  1'  animo ,  e  distra  : 
Perchè  di  giugner  lui  ciascun  contende. 

130.    Se  lento  amore  in  lui  veder  vi  tba, 
0  a  lui  acquistar,  questa  cornice. 
Dopo  giusto  penter,  ve  ne  martira. 

133.    Altro  ben  è  che  non  fa  1' uom  felice; 
Non  è  fehcità,  non  è  la  buona 

1.  2.  3.  ben  fr.  e  rad.  EsSCUZa,    d'   Oglìì    bUOU    frUttO    radice.  ^  2.  B.  a  D.  b«n  fr. 

e  rad. 

136.    L'  amor,  eh'  ad  esso  troppo  s'  abbandona, 

Di  sopra  noi  si  piange  per  tre  cerchi  ;  -^  «"P»*  •  »"• 

Ma,  come  tripartito,  si  ragiona, 

139.    Tacciolo,  acciocché  tu  per  te  ne  cerchi. 

117.  di  8u»  potenza  —  128.  si  cheti  |)  si  queta  —  129.  di  giunger  lui  —  130.  amore  a  lui  —  132.  giusto  pentir  —  136.  d"  ugni  ben  fatto  - 
136.  Ij'  amor ,  che  a  desso 


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CANTO  DECIMOTTAVO 


l.  Ogni  ben 


].  fiati 


cip. 


Jtosto  avea  fine  al  suo  ragionamento 
L'  alto  Dottore,  ed  attento  guardava 
Nella  mia  vista  s' io  parea  contento  : 
4.   Ed  io,  cui  nuova  sete  ancor  frugava. 
Di  fuor  taceva,  e  dentro  dicea:  Forse 
Lo  troppo  domandar,  eh'  io  fo,  gli  grava. 
7.    Ma  quel  padre  verace,  che  s'  accorse 
Del  timido  voler  che  non  s'  apriva. 
Parlando,  di  parlare  ardir  mi  porse- 
lo.   Ond'  io:  Maestro,  il  mio  veder  s'  avviva 
Si  nel  tuo  lume ,  eh'  io  diseemo  chiaro 
Quanto  la  tua  ragion  porti  o  descriva: 
13.    Però  ti  prego,  dolce  Padre  cai'o, 

Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci 
Ogni  buono  operare  e  il  suo  contraro. 
16.    Drizza,  disse,  ver  me  1'  acute  luci 
Dello  intelletto,  e  fieti  manifesto 
L'  error  dei  ciechi  che  si  fanno  duci. 


e  b'  io  era 


V.  Che  T  troppo 


/i.  nel  suo  lume 


(\  rimostri 

fì.  Oipii  ben  op. 

A.  1.  ver  me,  disse 

B.  fiati 


10.  il  mio  voler  s'  avviva  —  12.  la  tua  ragion  porta  —  16.  Disse .  Drisza  ver  me  —  1*  ardite  luci 


45- 


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356 


CORN.   IV.    ACCIDIOSI. 


PURGATORIO    XVIII.    19-42. 


(amore.) 


1.  Terità  alla  g. 


19.   L'  animo,  eh'  è  creato  ad  amar  presto, 
Ad  ogni  cosa  è  mobile  che  piace, 
Tosto  che  dal  piacere  in  atto  è  desto. 

22.    Vostra  apprensiva  da  esser  verace 

Tragge  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega. 
Si  che  r  animo  ad  essa  volger  face. 

25.    E  se,  rivolto,  in  ver  di  lei  si  piega, 

Quel  piegare  è  amor,  quello  è  natura 
Che  per  piacer  di  nuovo  in  voi  si  lega. 

28.   Poi  come  il  foco  movesi  in  altura. 

Per  la  sua  forma  eh'  è  nata  a  salire 
Là  dove  più  in  sua  materia  diu'a; 

31.    Così  r  animo  preso  entra  in  disire, 

Ch'  è  moto  spiritale,  e  mai  non  posa 
Fin  che  la  cosa  amata  il  fa  gioire. 

34.    Or  ti  puote  apparer  quant'  è  nascosa 
La  veritade  aUa  gente  eh'  avvera 
Ciascuno  amore  in  se  laudabil  cosa; 

37.    Perocché  forse  appar  la  sua  matera 

Sempr'  esser  buona;  ma  non  ciascun  segno 
E  buono,  ancor  che  buona  sia  la  cera. 

40.  Le  tue  parole  e  il  mio  seguace  ingegno, 
Risposi  lui,  m'hanno  amor  discoperto; 
Ma  ciò  m'  ha  fatto  di  dubbiar  più  pregno  ; 


I).  in  verso  Ini 


A.  Ch'  è  molto 


A.  2.  C.  D.  al  mio 


41.  Risposi  a  Ini  ||  llispos*  io  Ini 


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rOHN.    IV.    ACCIDIOSI. 


1.  2.  .3.  dritto  o  torto 


1.  2.  3.  eh'  è  opra  «li  f. 


2.  3.  virtude 


1.  2.  3.  E  de'  pr. 
1.  2.  3.  Che  sono 
1.  lor  mele 


1.  2.  3.  E  dell'  MS. 

ì.  2.  3.  Cagioii 
1.  amor 


JJ.  è  dinanzi  a  noi 


B.  dritto  o  torto 


PURGATORIO    XVni.    43-66.  (amore.)  357 

43.    Che  s'  amore  è  di  fiiori  a  noi  offerto , 

E  r  anima  non  va  con  altro  piede, 

Se  diitta  o  torta  va,  non  è  suo  merto. 
46.    Ed  egli  a  me:  Quanto  ragion  qui  vede 

Dirti  poss'  io  ;  da  indi  in  là  t'  aspetta 

Pure  a  Beatrice;  ch'opera  è  di  fede.  m  y^.  eh- è  opra  di  r. 

49.    Ogni  forma  sustanzial,  che  setta 

E  da  materia,  ed  è  con  lei  unita, 

Specifica  virtù  ha  in  se  colletta, 
52.    La  qual  senza  operar  non  è  sentita. 

Ne  si  dimostra,  ma'  che  per  effetto. 

Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita. 
55.    Però,  là  onde  vegna  lo  intelletto 

Delle  prime  notizie,  uomo  non  sape, 

Ne  de'  primi  appetibih  1'  affetto, 
58.    Ch'  è  solo  in  voi,  sì  come  studio  in  ape 

Di  far  lo  mele;  e  questa  prima  voglia 

Merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape. 
61.    Or,  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia, 

Innata  v'  è  la  virtù  che  consiglia. 

Che  dell'  assenso  de'  tener  la  soglia. 
64.    Quest'  è  il  principio,  là  onde  si  piglia 

Ragion  di  meritare  in  voi,  secondo  /;.  capon 

Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia. 


e.  virtute 


H.  mai  che 

D.  verde  fronda 


B.  Et  è  prima  appetibile 
A.  1,  (V)  B.  Che  sono 

A.  1.  lande 

B.  innata  n'  è 

A.  1.  (?)  B.   E  dell'  MS. 


43.  Clie  se  è  am.  a  noi  di  f.  —  di  fuor  da  noi  ||  di  fuor  di  noi  —  44.  E  l'animo  —  49.  Ogni  sustansial  forma  —  51.  Spec.  virtude 
e  ha  —  S5.  là  donde  vegna  —  61 .  E  perchè  a  qn.  —  63.  Ed  eli*  ha  senso  di  ten.  —  66.  buoni  o  rei  amori  (?) 


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358 


CORN.    IV.    ACCIDIOSI. 


PURGATORIO    XVra.    67-90. 


1.  mortalità 


1.  poguait 


1.  i'  imprende 


2.  secchion,  che  tiitiitt» 


1.  2.  3,  Tra  Sardi  e  r. 


1.  2.  3.  dipo!it4i 


(LIB£BU    ARBITRIO.) 

67.    (3olor  che  ragionando  andaro  al  fondo, 

S'  accorser  d'  està  innata  iibertate, 

Però  moralità  lasciaro  al  mondo. 
70.    Onde  pognam  che  di  necessitate  ^'  ^-  p"k«*"  ^  i»'»^»^ 

Surga  ogni  amor  che  dentro  a  voi  s'  accende, 

Di  ritenerlo  è  in  voi  la  potestate. 
73.    La  nobile  virtù  Beatrice  intende 

Per  lo  libero  arbitrio,  e  però  guarda 

Che  r  abbi  a  mente ,  s'  a  parlar  ten  prende,    fì.  t  imprende 
7(ì.    La  luna,  quasi  a  mezza  notte  tarda,  .4.  »..  a  ter»  uone 

Facea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade, 

Fatta  com' un  secchione  che  tutto  arda;  '     tÙtto  òrjd»  i>' 

tutiitt'  arda 

79.    E  correa  contra  il  ciel  per  quelle  strade 

Che  il  sole  infiamma  allor,  che  quel  da  Roma  o.  mt  qu*ndo  nuei 

Tra  i  Sardi  e  i  Corsi  il  vede  quando  cade;     e.  Tra  corsie  s. 
82.    E  quell'  ombra  gentil,  per  cui  si  noma 

Pietola  più  che  villa  Mantovana, 

Del  mio  carcar  deposto  avea  la  soma  :  b.  diposto  r.  dupo^u» 

85.    Perch'  io ,  che  la  ragione  aperta  e  piana  ^  io  qu^u»  rag. 

Sopra  le  mie  questioni  avea  ricolta,  //.raccolta 

Stava  com'  uom  che  sonnolento  vana. 
88.    Ma  questa  sonnolenza  mi  fu  tolta 

Subitamente  da  gente,  che  dopo 

Le  nostre  spalle  a  noi  era  già  volta. 


70.  Onde  pouiam  ||  Onde  ponean  —  75.  a  parlar  tì  prende  -  78.  com'  un  sche9i;iau  -  rlie  in  tutto  arda  —  84.  l)i  mio  carro 


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rORN.    IV.    ACCIDIOSI. 


PURGATORIO    XVm.    91-114. 


ESEMPI   DI   PREMURA. 


»59 


1.  Quale  Um. 


l.  2.  3.  Tale  per  qu. 


l.  con  frett*  oorse 


1.  2.  pereliè  '1  «ol 


1.  2.  3.   che    trr)V. 
troverrai 


91.    E  quale  Ismeno  già  vide  ed  Asopo, 
Lungo  di  se  di  notte  furia  e  calca, 
Pur  che  i  Teban  di  Bacco  avesser  uopo; 
94.    Cotal  per  quel  giron  suo  passo  falca, 

Per  quel  eh'  io  vidi  di  color,  venendo, 
Cui  buon  volere  e  giusto  amor  cavalca. 
97.    Tosto  fur  sopra  noi,  perchè,  correndo. 
Si  movea  tutta  quella  turba  magna; 
E  due  dinanzi  gridavan  piangendo: 

100.    Maria  corse  con  fretta  alla  montagna; 
E  Cesare,  per  soggiogare  Ilerda, 
Punse  MarsiUa,  e  poi  corse  in  Ispagna. 

103.    Ratto,  ratto,  che  il  tempo  non  si  perda 

Per  poco  amor,  gridavan  gli  altri  appresso; 
Che  studio  di  ben  far  grazia  rinverda. 

106.    0  gente,  in  cui  fervore  acuto  adesso 

Ricompie  forse  negligenza  e  indugio, 
Da  voi  per  tepidezza  in  ben  far  messo, 

109.    Questi  che  vive  (e  certo  io  non  vi  bugio) 
Vuole  andar  su,  purché  il  sol  ne  riluca; 
Però  ne  dite  ov'  è  presso  il  pertugio. 

112.    Parole  fiiron  queste  del  mio  Duca: 
Ed  un  di  quegli  spirti  disse:  Vieni 
Diretro  a  noi,  e  troverai  la  buca. 


R.  Quale  Ysmeiion 


R.  (\  Tale  per  qu. 
C  Per  (pi.  vid'  io 


D.  in^il.  dinanzi 


r.  1).  sublunare    A. 
Riib^iuK. 


B.  favore  ao. 


H.  più  elle  il  sol 

A.  m.  ti.  r.  D.  ne  dite 
ond'  è 


91.  K  quali  Ism.  —  99.  E  due  innanci  —  102.  Corse  Mars.  -  114.  Dietro  da  noi 


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360 


CORK.    IV.   ACCIDIOSI. 


PURGATORIO    XVin.    115-138. 


ALBERTO   AB.   DI   S.    ZENO. 


2.  B.  Melftii 


l.  2.  3.  d'  «vervi  avuto 


115.    Noi  Siam  di  voglia  a  moverci  sì  pieni, 
Che  ristar  non  potem;  però  perdona, 
Se  villania  nostra  giustizia  tieni. 
118.    Io  fili  Abate  in  san  Zeno  a  Verona, 

Sotto  lo  imperio  del  buon  Barbarossa, 
Di  cui  dolente  ancor  Milan  ragiona. 
121.    E  tale  ha  già  V  un  pie  dentro  la  fossa. 
Che  tosto  piangerà  quel  monastero, 
E  tristo  fia  d'  averne  avuto  possa; 
124.    Perchè  suo  figUo,  mal  del  corpo  intero, 

E  deUa  mente  peggio,  e  che  mal  nacque. 
Ha  posto  in  loco  di  suo  pastor  vero. 
127.   Io  non  so  se  più  disse,  o  s'  ei  si  tacque, 
Tant'  era  già  di  là  da  noi  trascorso; 
Ma  questo  intesi,  e  ritener  mi  piacque. 
130.    E  quei,  che  m'  era  ad  ogni  uopo  soccorso, 
1.  vol^itiqu»  Disse:  Volgiti  in  qua,  vedine  due 

1.2.3. Airacc.ven.daiido  Vcuirc,  dando  air  accidia  di  morso. 

1. 2.  .ucén  133.    Diretro  a  tutti  dicean:  Prima  fiie 

Morta  la  gente,  a  cui  il  mar  s'  aperse, 
1.2. 3.  Guminn  Chc  vedcssc  Jordan  le  erede  sue; 

136.    E  quella,  che  Y  affanno  non  sofferse 
Lenitigli,.  Fino  alla  fine  col  figliuol  d' Anchise, 

Se  stessa  a  vita  senza  gloria  offerse. 


i>.  restar 


B.  piede  entro  —  />.  alla  f. 

B.  d'  aver  av.  -  H.  <. 
avuta 

A.  1.  Perchè  *l  suo 


A.  2.  (\  o  8r  si  L 


A.  1.  Volgiti  qua 

fi.  Air  are.  venir  dami" 


B.  r.  Oiordan 


B.  Sin  alU  f.  -  B.  D. 
col  figlio 

B.  Se  stesso 


124.  mal  di  corpo   —    127.  non  so  s' ei  più  disse   —   o  poi  si  tacque   —   131.  Volviti  —  e  vidi  due   —   182.  Venir,  dando  all'are.  - 
137.  alla  fine  del  W 


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CORK.  IV.  ACCIDIOSI.  PURGATORIO    XVm.    139  —  145.  dante  k  Virgilio.  361 

139.    Poi  quando  fiir  da  noi  tanto  divise 

Queir  ombre,  che  veder  più  non  potersi, 

1.  2.  3.  pensier  dentro  NuOVO    pCnsierO    deUtrO    a    me    si    mise,  5.  e.  /J.  pensier  dentro 

dji  me  da  me 

142.    Del  qual  più  altri  nacquero  e  diversi; 

E  tanto  d'  uno  in  altro  vaneggiai, 

Che  gli  occhi  per  vaghezza  ricopersi.  ^.  2.  r. />.  w.  vanei^z» 

145.    E  il  pensamento  in  sogno  trasmutai.  />.  somno 


142.  Dal  qual  più 


46 


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CANTO  DECIMONONO 


1.  2.  3.  Con  gli  -   i.  2. 
3.  guerci 


3.  le  color. 


JMeir  ora  che  non  può  il  calor  diurno 
Intepidar  più  il  freddo  della  luna, 
Vinto  da  terra  o  talor  da  Saturno; 
4.    Quando  i  geomanti  lor  maggior  fortuna 
Veggiono  in  oriente,  innanzi  all'  alba. 
Surger  per  via  che  poco  le  sta  bruna; 
7.    Mi  venne  in  sogno  una  femmina  balba, 

Negli  occhi  guercia,  e  sopra  i  pie  distorta, 
Con  le  man  monche,  e  di  colore  scialba. 

10.    Io  la  mirava;  e,  come  il  sol  conforta 

Le  fredde  membra  che  la  notte  aggrava, 
Cosi  lo  sguardo  mio  le  facea  scorta 

13.    La  lingua,  e  poscia  tutta  la  drizzava 
In  poco  d'  ora,  e  lo  smarrito  volto. 
Come  amor  vuol,  così  lo  colorava. 

16.    Poi  eh'  eli'  avea  il  parlar  cosi  disciolto. 
Cominciava  a  cantar  si,  che  con  pena 
Da  lei  avrei  mio  intento  rivolto. 


D.  e  Ulor 

D.  E  geomanti 

A.  2.  r.  D.  poco  li  sta 
D.  somno 

B.  Con  li  —  B.  guerci  — 

B.  r.  sopra  pie 


A.  C.  poca  d*  ora 

A.  1.  la  colorava 

B.  Cornine,  cantar 
D.  avrei  il  mio 


5.  Veggion  nell'  oriente  —  10.  Io  1'  ammirava  —  18.  Avrei  da  lei 


46' 


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364 


rORN.   IV.    ACCIDIOSI. 


PURGATORIO    XIX.    19  —  42.  su 

19.    Io  soli,  cantava,  io  son  dolce  Sirena, 

Che  i  marinari  in  mezzo  mar  dismago; 

Tanto  son  di  piacere  a  sentir  piena. 
22.    Io  volsi  Ulisse  del  suo  caminin  vago 

('ol  canto  mio;  e  qual  meco  si  ausa 

Rado  sen  parte,  sì  tutto  1'  appago. 
25.    Ancor  non  era  sua  bocca  richiusa, 

Quando  una  donna  apparve  santa  e  presta      h.  donna  parve 

Lunghesso  me  per  far  colei  confiisa. 
1. 2. 3.  o  virg.,  virg.     28.    0  Virgilio ,  o  Virgilio,  chi  è  questa?  //.  z>.  ovirg..  vin?. 


l.  2.  Serena 


1.  8.   mezzo  il  mar    2. 
mezz»  il  mal 


1.  2.  3.  lo  trassi 
1.  2.  3.  Al  canto 


B.  e.  D.  serena 
A.  1.  mezzo  il  mar 

A.  m.  dk  muover  p. 

B.  lo  trassi 

B.  /).  Al  canto 


l.  donna  parve 


1.  2.  3.  veniva 

i.  2.  3.  apriva 
l.  2.  3.  mostravami 
I.  2.  3.  usciva 
1.  2.  3.  Io  volsi 


1. 2.  r  aperto  3.  la  porta  — 
1.  2.  per  lo  <jual 


A.  2.  r.  Fieramente  io  d. 


Fieramente  diceva;  ed  ei  venia 

Con  gh  occhi  fitti  piu'e  in  quella  onesta.. 
31.    L'  altra  prendeva,  e  dinanzi  1'  apria 

Fendendo  i  drappi,  e  mostrandomi  il  ventre,  /?.  mostravami 

Quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  n'  uscia.  a.  i.  (?)  d.  o.r  mi  sr 

34.    Io  mossi  gli  occhi,  e  il  buon  Virgilio:  Almen  tre  /?.  io  voui 

Voci  t'  ho  messe,  dicea:  surgi  e  vieni, 

Troviam  Y  aperta  per  la  qual  tu  entre. 
37.    kSu  mi  levai,  e  tutti  eran  già  pieni 

Deir  alto  di  i  giron  del  sacro  monte. 

Ed  andavam  col  sol  nuovo  alle  reni. 
40.    Seguendo  lui,  portava  la  mia  fronte 

('ome  colui  che  Y  ha  di  pensier  carca. 

Che  fa  di  se  un  mezzo  arco  di  ponte: 


I).  m.  Voci .  come  dirc-f 
-  A.  2.  C.  messe  e  dirr» 

B.  m.  Y  aperto  B.  /.  V. 
la  porta  —  B.  m.  per 
lo  qual 


A.  santo  monte 


2().    in   mezzf)  al  mar   —   24.   sin   tutto   —   34.   gli  occhi  al   buon  Virgilio  (|  gli  o.  al  buon   Maestro  ||  gli  o.   e  '1  mio  Maestro  - 
e  mentre  ||  mentre  -    36.  Voci,  come  die.  ||  Vociò,  come  die.  —  36.  per  la  qual  tu  v'  entre 


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SALITA    ALLA    CORN.    V. 


1.  2.  H.  V  ftle 


1.2.  ameiidiip  3.  ambedue 


PURGATORIO    XIX.    43-66.  ano: 

43.  Quand' io  udi':  Venite,  qui  si  varca; 
Parlare  in  modo  soave  e  benigno, 
Qual  non  si  sente  in  questa  mortai  marca. 

46.  ('on  r  ali  aperte  che  parean  di  cigno, 
Volseci  in  su  colui  che  si  parlonne. 
Tra'  due  pareti  del  duro  macigno. 

49.    Mosse  le  penne  poi  e  ventilonne, 

Qui  lugent  affermando  esser  beati, 
Oh'  avran  di  consolar  V  anime  donne. 

52.    Che  hai,  che  pure  in  ver  la  terra  guati? 
La  Guida  mia  incominciò  a  dirmi, 
Poco  ambo  e  due  dall'  Angel  sormontati. 

55.  Ed  io:  Con  tanta  suspizion  fa  irmi 
Novella  vision  eh'  a  se  mi  piega, 
Si  eh'  io  non  posso  dal  pensar  partirmi. 

58.    Vedesti,  disse,  quella  antica  strega, 

Che  sola  sopra  noi  omai  si  piagne? 
Vedesti  come  1' uom  da  lei  si  slega? 

61.    Bastiti,  e  batti  a  terra  le  calcagne, 

Gli  occhi  rivolgi  al  logoro,  che  gira 
Lo  Rege  eterno  con  le  rote  magne. 

64.    Quale  il  falcon  che  prima  ai  pie  si  mira, 
Indi  si  volge  al  grido,  e  si  protende 
Per  lo  disio  del  pasto  che  là  il  tira; 


365 


R.  t.  qua  si  v. 

A.  m.  mort  barca 
/?.  C.  D.  V  ale 
C.  Volsesi 


A.  2.  D.  ambedue  C.  am- 
bedui    B.  amendiie 

I).  sospensiou 


(\  Ved.  qii.  ant. .  disse 


A.  Riv.  gli  occhi 


44.  Parlando  in  modo  —  40.  le  penne  sue  e  vent  —  e  poi  avventilonne  —  54.  ambìduc  —  59.  Vedesti!  —  ({urlla ,  disse  —  fiO.  Vedeshi, 
cttDie  —  62.  rivolgi  al  Indoro 


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366  ^^^^-  ^'  AVARI.  PURGATORIO    XIX.    67  —  90.  Adriano  v. 

67.    Tal  mi  fec'  io,  e  tal,  quanto  si  fende  A.t  b.  r. />.  qu.ndn 

si  f. 

La  roccia  per  dar  via  a  chi  va  suso, 

N'  andai  infìno  ove  il  cerchiar  si  prende.         a.  infin  dove 
70.    Coin' io  nel  quinto  giro  fui  dischiuso, 

Vidi  gente  per  esso  che  piangea. 

Giacendo  a  terra  tutta  volta  in  giuso.  a.  l  a  trrr»  e  tutta  <?. 

73.    Adhaesit  pavimento  anima  mea^ 

2..'J.Seiitia-3.dirloro  SCUti'  dir    lor    COU    SÌ    alti    sospiri,  /?.  lordir 

Che  la  parola  appena  s' intendea. 
76.    0  eletti  di  Dio,  li  cui  soffriri 

E  giustizia  e  speranza  fan  men  duri,  b.  e.  d.  tk  mtn  d. 

Drizzate  noi  verso  gU  alti  saliri.  c\  nri».  voi 

79.    Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri, 

E  volete  trovar  la  via  più  tosto. 

Le  vostre  destre  sien  sempre  di  furi. 
82.    Così  pregò  il  Poeta,  e  sì  risposto 

Poco  dinanzi  a  noi  ne  fii;  perch'  io 

Nel  parlare  avvisai  1'  altro  nascosto  ;  ^  att.  nei  p. 

1. 2. 3.  agli  occhi  al  s.  85.    E  voIsì  gU  occW  allora  al  Signor  mio  :  a.  i.  (?)  b.  «ga  occhi 

Ond'  egli  m'  assentì  con  Ueto  cenno 

Ciò  che  chiedea  la  vista  del  disio. 
88.    Poi  eh'  io  potei  di  me  fare  a  mio  senno , 

Trassimi  sopra  quella  creatura, 

Le  cui  parole  pria  notar  mi  femio, 

*.  Poi  e!»e  potei  far  di  me 


al  S. 


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roRN.  V.  AVARI.  PURGATORIO    XIX.    91  —  114.  Adriano  v.  367 

91.    Dicendo:  Spirto,  in  cui  pianger  matura 

Quel  senza  il  quale  a  Dio  tornar  non  puossi, 
Sosta  un  poco  per  me  tua  maggior  cura. 
94.    Chi  fosti,  e  perchè  volti  avete  i  dossi 

Al  su,  mi  di',  e  se  vuoi  eh'  io  t' impetri 
Cosa  di  là  ond'  io  vivendo  mossi.  ^  onde  viv. 

97.    Ed  egli  a  me:  Perchè  i  nostri  diretri  r. z>. Perchr nostri 

Rivolga  il  cielo  a  sé,  saprai:  ma  prima, 
i.2.ego8am  Scìos  quod  sgo  fuì  successor  Petri 

100.    Intra  Siestri  e  Chiaveri  si  adima 

Una  fiumana  bella,  e  del  suo  nome 
Lo  titol  del  mio  sangue  fa  sua  cima. 
103.    Un  mese  e  poco  più  prova'  io  come 
1.  del  fango  Pcsa  11  grau  manto  a  chi  dal  fango  il  guarda,  b.  a  u.  dei  fango 

1.  Che  men  mi  semblan  ChC    pluma    SCmbraU    tUttC    1'  altTC    some.  ^-  '•  P>M«»»  B'  »»•  »n«n  «ni 

1.  •mefu  106.    La  mia  conversione,  omè!  fu  tarda;  e.  convemMion 

Ma,  come  fatto  fui  Roman  Pastore, 

Così  scopersi  la  vita  bugiarda. 
109.    Vidi  che  li  non  si  quetava  il  core, 

Né  più  salir  poteasi  in  quella  vita;  a.  a  potiesi 

Per  che  di  questa  in  me  s'  accese  amore. 
112.    Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 

Da  Dio  anima  fili,  del  tutto  avara: 

Or,  come  vedi,  qui  ne  son  punita. 

94.  Chi  folte  —  100.  Chiavari  —  102.  fé'  sua  oima  —  106.  piuma  assembran  ||  più  m'  assembrmn  ||  più  m'  assembra  ||  pliun*  m'  assembra  || 
più  mi  sembran  |)  piume  sembran  —  107.  com'  io  &tto  fui  —  100.  Vidi  che  più  non  —  s'  acquetava 


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1 


368 


rORN.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XIX.    115  —  138. 


ADRIANO    V. 


1.  2.  3.  ousr.  dritta 


r.  D.  (lisirhiara 

B.  pen'  a  il  m.  e  più 
D.  s'  adher&e 
B.  In  alto.  foKso 


115.    Quel  eh'  avarizia  fa,  qui  si  dichiara 
In  purgazion  dell'  anime  converse, 
E  nulla  pena  il  monte  ha  più  amara. 

118.    Sì  come  1'  occhio  nostro  non  s'  aderse 
In  alto,  fisso  alle  cose  terrene, 
Così  giustizia  qui  a  terra  il  merse. 
/121.    Come  avarizia  spense  a  ciascun  bene 

Lo  nostro  amore,  onde  operar  perde'si, 
Così  giustizia  qui  stretti  ne  tiene, 

124.    Ne' piedi  e  nelle  man  legati  e  presi; 
E  quanto  fia  piacer  del  giusto  Sire, 
Tanto  staremo  immobili  e  distesi. 

127.    Io  m'  era  inginocchiato,  e  volea  dire; 

Ma  com'  io  cominciai,  ed  ei  s'  accorse. 
Solo  ascoltando,  del  mio  riverire: 

130.    Qual  cagion,  disse,  in  giù  così  ti  torse? 
Ed  io  a  lui:  Per  vostra  dignitate 
Mia  coscienza  dritto  mi  rimorse. 
1. 2. 3.  gambe,  e  levati   133.    Drizza  Ic  gambc ,  Icvati  su,  jfrate. 

Rispose:  non  errar,  conservo  sono 
Teco  e  con  gli  altri  ad  una  potestate. 

136.    Se  mai  quel  santo  evangelico  suono, 
Che  dice  Neque  nuhent^  intendesti, 
Ben  puoi  veder  perch'  io  così  ragiono. 


117.  nulla  pena  al  in.  è  più  am.  —  122.  onde  opera  perdèsi  —  125.  piacer  dell'  alto  Sire  —  126.  inunub.  e  sospesi  —   134.  ché»rrrv< 
sono  —  138.  Ben  puoi  saper 


B.  cose,  dritta 
V.  Dissi  le  g. 


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roRN.  V.  AVARI.  PURGATORIO    XIX.    139  —  145.  (alagia  de'  fieschi.)  369 

139.    Vattene  ornai;  non  vo'  che  più  t'  arresti, 

Che  la  tua  stanza  mio  pianger  disagia,  ^.  mio  pregar 

Col  qual  maturo  ciò  che  tu  dicesti. 

142.  Nepote  ho  io  di  là  eh'  ha  nome  Alagia, 
Buona  da  se,  pur  che  la  nostra  casa 
Non  faccia  lei  per  esemplo  malvagia  ;  i>-  per  esempli 

i.  2. 3.  m' è  di  là         145.    E  questa  sola  di  là  m'  è  rimasa. 


139.  che  più  m'  arresti  —  140.  mi«)  purgar  —  141.  Col  qual  mariiirn  —  144.  per  esempio 


II.  47 


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CANTO  VENTESIMO 


v^ontra  miglior  voler  voler  mal  pugna; 
Onde  contra  il  piacer  mio,  per  piacerli, 
Trassi  dell'  acqua  non  sazia  la  spugna. 
4.   Mossimi;  e  il  Duca  mio  si  mosse  per  li 
Lochi  spediti  pur  lungo  la  roccia, 
Come  si  va  per  muro  stretto  ai  merli;  ^.  i.  mun  stretti 

7.    Che  la  gente,  che  fonde  a  goccia  a  goccia 

Per  gli  occhi  il  mal  che  tutto  il  mondo  occupa. 
Dall'  altra  parte  in  ftior  troppo  s'  approccia.    />.  i)*u'  »itr«  in  f.,or 
IO.    Maledetta  sie  tu,  antica  lupa,  .^.  «leitn 

Che  più  che  tutte  1'  altre  bestie  hai  preda. 
Per  la  tua  fame  senza  fine  cupa! 
13.    0  ciel,  nel  cui  girar  par  che  si  creda 
Le  condizion  di  quaggiù  trasmutarsi. 
Quando  verrà  per  cui  questa  disceda? 
1. 2. 3.  coi  pusi      16.    Noi  andavam  con  passi  lenti  e  scarsi,  McopMsiiy.ceoipassi 

Ed  io  attento  all'  ombre  eh'  io  sentia 
Pietosamente  piangere  e  lagnarsi: 


8.  Per  gli  oeebi  il  duol  —  9.  tutto  s'  approccia 


47* 


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372 


CORN.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XX.    19  —  42. 


ESEMPI   DI    LARGHEZZA. 


1.  2.  i^arén 


1.  2.  3.  ritorno 


1.  2.  3.  lo  ti  dirò 


1.  2.  3.  che  tfie 


19.    E  per  ventura  udi':  Dolce  Maria: 

Dinanzi  a  noi  chiamar  cosi  nel  pianto. 
Come  fa  donna  che  in  partorir  sia; 

22.    E  seguitar:  Povera  fosti  tanto, 

Quanto  veder  si  può  per  queir  ospizio, 
Ove  sponesti  il  tuo  portato  santo. 

25.    Seguentemente  intesi:  0  buon  Fabbrizio, 
Con  povertà  volesti  anzi  virtute, 
Che  gran  ricchezza  posseder  con  vizio. 

28.    Queste  parole  m'  eran  si  piaciute, 

Ch'  io  mi  trassi  oltre  per  aver  contezza 
Di  quello  sputo,  onde  parean  venute. 

31.    Esso  parlava  ancor  della  larghezza 
Che  fece  Niccolao  alle  pulcelle, 
Per  condurre  ad  onor  lor  giovinezza. 

34.    0  anima  che  tanto  ben  favelle, 

Dimmi  chi  fosti,  dissi,  e  perchè  sola 
Tu  queste  degne  lode  rinnovelle? 

37.    Non  fia  senza  mercè  la  tua  parola, 

S' io  ritorni  a  compier  lo  cammin  corto 
Di  quella  vita  che  al  termine  vola. 

40.    Ed  egli:  Io  '1  ti  dirò,  non  per  conforto 
Ch'  io  attenda  di  là ,  ma  perchè  tanta 
Grazia  in  te  luce  prima  che  sii  morto. 


D.  Dove 


A.  IJ.  Niccolò 
A,  m.  su»  giov. 


(\  Dimmi,  disft'  io.  rlii  f. 
A.  Disft'  io .  di  Dina 
chi  f. 


C.  S' io  torni 


H.  D.  V  ti  dirti 


(\  che  »ia  H.  />.  «-he  su 


21.  che  a  jiartorir  sia  —  27.  gran  ricchczxe  —  29.  Che  me  trassi  —    37.  Non  fie  senza   —   3«.  a  compir  lo  cam.    -    40.  Ed  eijli  :  K 


ili  dii 


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CORN.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XX.    43-66. 


UGO    CIAPETTA. 


373 


43.    Io  fili  radice  della  mala  pianta, 

Che  la  terra  cristiana  tutta  aduggia 
Si,  che  buon  frutto  rado  se  ne  schianta. 
1.2.3.  Guanto.  Lilla     46.    Ma,  sc  Doaglo ,  Lilla,  Guanto,  e  Bruggia 

Potesser,  tosto  ne  saria  vendetta; 
Ed  io  la  cheggio  a  lui  che  tutto  giuggia. 

49.    Chiamato  fili  di  là  Ugo  Ciapetta: 

Di  me  son  nati  i  Filippi  e  i  Luigi, 
1. 2. 3. .' Francia  Pcr  cuì  novellamentc  Francia  è  retta. 

1.2. 3.  Figliaci  fui  d'un  52.    Figlio  fii' io  d' uu  bcccaio  di  Parigi. 

Quando  li  regi  antichi  venner  meno 
Tutti,  fiior  eh' un,  renduto  in  panni  bigi, 

55.    Trovaimi  stretto  nelle  mani  il  fileno 

Del  governo  del  regno,  e  tanta  possa 
1. 2.  e  più  iV  am.  DÌ  uuovo  acqulsto ,  e  sì  d'  amici  pieno , 

58.    Ch'  alla  corona  vedova  promossa 

La  testa  di  mio  figho  fii,  dal  quale 
Cominciar  di  costor  le  sacrate  ossa. 

(51.    Mentre  che  la  gran  dote  Provenzale 

Al  sangue  mio  non  tolse  la  vergogna. 
Poco  valea,  ma  pur  non  facea  male. 

64.    Lì  cominciò  con  forza  e  con  menzogna 

La  sua  rapina;  e  poscia,  per  ammenda. 
Ponti  e  Normandia  prese,  e  Guascogna. 


B.  Guantai ,  Lilla 


J.2.  CD.  rheggio a <|uei 


H.  (\  IJ.  »•  Francia 


/?.  r.  D.  Figliuol  - 
C.  fui  d'  un 


A.  m.  H.  e  più  d'  am. 

B.  Che  la  c«>r. 


li.  «Iota  —  1).  Provinciale 


47.  ne  farian  vendetta  —   50.  Luisi  —  52.  Parisi   —   54.   ridotto  in  panni  —  bisi  —   55.   stretto  nella  mano   —  63.    Poco   potea 
6B.  e  la  Guascogna 


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374  ^ORN-  V.  AVARI.  PURGATORIO    XX.    67  —  90.  (beali  di  fbancia.) 

67.    Carlo  verme  in  Italia,  e,  per  ammenda, 
1. 2. 3.  currad.  Vittima  fé'  di  Corradino  ;  e  poi  b.  a  d.  (  urrad. 

Ripinse  al  ciel  Tommaso,  per  ammenda. 
2. veKghù.  70.    Tempo  vegg' io,  non  molto  dopo  ancoi, 

Che  tragge  un  altro  Carlo  fiior  di  Francia, 
Per  far  conoscer  meglio  e  se  e  i  suoi. 
1.2. 3.  esce,  e soiu con  j-}.    Scnz' armc  u'  esce  solo,  e  con  la  lancia 

Con  la  qual  giostrò  Giuda;  e  quella  ponta 
Si,  eh'  a  Fiorenza  fa  scoppiar  la  pancia.  a.  Fiorenti» 

76.    Quindi  non  terra,  ma  peccato  ed  onta 
Guadagnerà,  per  sé  tanto  più  grave, 
Quanto  più  lieve  simil  danno  conta. 
79.    L'  altro,  che  già  usci  preso  di  nave. 

Veggio  vender  sua  figlia,  e  patteggiarne, 
1. 2. 3.  fan  li  cors.  Comc  fauuo  Ì  corsar  dell'  altre  schiave.  b.  f»n  u  co«. 

82.    0  avarizia,  che  puoi  tu  più  fame, 
1.2.3.  Poi  eh' hai  il ...  Poscia  eh  hai  lo  mio  sangue  a  te  si  tratto,        ci>«ii-  b.cu. 

ni  io  sangue  mio 

Che  non  si  cura  della  propria  carne? 
85.    Perchè  men  paia  il  mal  futuro  e  il  fatto ,  a.  a  futuro  fat*o 

1. 2. 3.  Aia«..«  Veggio  in  Anagna  entrar  lo  fiordaUso,  b.c.d.mmi^ìl- 

B.  r.  la  fiordal. 

E  nel  Vicario  suo  Cristo  esser  catto. 
88.    Veggiolo  un'  altra  volta  esser  deriso  ; 
Veggio  rinnovellar  1'  aceto  e  il  fele, 
E  tra  vivi  ladroni  esser  anciso.  a.  tra  i  tìtì 


tì9.  Kispiuse  al  ciel    —   70.  Tempo  veggo  io   -    83.  Poscia  eh'  è  '1  sangue  mio   -   85.  K  perehè  paia  il  mal    —  86.  fior  d'  aliso  |. 
fiordeliso  —  90.  tra  nuovi  ladroni 


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CORM.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XX.    91-114. 


ESEMPI    DI   AVARIZIA. 


375 


1.  2.  3.  è  disposto 
1.  2.  3.  quando  s*  asm. 


1.  2.  3.  Acam 


A.  m.  C.  D.  t.  ale.  cosa 

B.  riposta 


91.    Veggio  il  nuovo  Pilato  sì  crudele, 

Che  ciò  noi  sazia,  ma,  senza  decreto, 

Porta  nel  tempio  le  cupide  vele. 
94.    0  Signor  mio,  quando  sarò  io  lieto  .j.  »,.  quanto  sarò 

A  veder  la  vendetta,  che,  nascosa, 

Fa  dolce  l' ira  tua  nel  tuo  segreto  ? 
97.    Ciò  eh'  io  dicea  di  queir  unica  sposa 

Dello  Spirito  Santo,  e  che  ti  fece 

Verso  me  volger  per  alcuna  chiosa, 
100.    Tanto  è  risposta  a  tutte  nostre  prece. 

Quanto  il  di  dura;  ma,  quand'  e'  s'  annotta,  .^.  i.  comr  s* ann.  (?) 

Contrario  suon  prendemo  in  quella  vece. 
103.    Noi  ripetiam  Pigmalion  allotta. 

Cui  traditore  e  ladro  e  patricida 

Fece  la  vogUa  sua  dell'  oro  ghiotta; 
106.    E  la  miseria  dell'  avaro  Mida, 

Che  seguì  alla  sua  domanda  ingorda, 

Per  la  qual  sempre  convien  che  si  rida. 
109.    Del  folle  Acan  ciascun  poi  si  ricorda. 

Come  furò  le  spoglie ,  sì  che  T  ira 

Di  Josuè  qui  par  eh'  ancor  lo  morda. 
112.    Indi  accusiam  col  marito  Safira: 

Lodiamo  i  calci  eh'  ebbe  Ehodoro  ; 

Ed  in  infamia  tutto  il  monte  gira 


H.  e  1'  altro  p. 
parririda 


A.D. 


A.  B.  D.  Acam  - 
R.  Ac.  ancor  ci  si 

r.  D.  Tome  furon 


H.  tutto  '1  moiulo 


93.  Portar  nel  tempio   -   100.  Tanf  è  disposta  ||  Tanf  è  risposto  -   102.  Contr.  snon  prendemmo  -   106.  Elie  la  mis.  -   109.  Del 
folle  Achor  <-  poi  ciascun  si  —  IH.  Di  Giosuè  —  pare  ancor  che  '1  morda 


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376  coRN.  V.  AVARI.  PURGATORIO    XX.    115  —  138.  esempi  di  avarizia. 

115.    Polinestor  eh'  ancise  Polidoro. 

Ultimamente  ci  si  grida:  Crasso, 

Dicci,  che  il  sai,  di  che  sapore  è  Y  oro.        ^  i.  (?)  a />.  Diiei 
1. 2. 3. Tal. pariiam      118.    Talor  parla  Turi  alto,  e  l'altro  basso,  ^. aito.iaitro 

Secondo  r  affezion  eh'  a  dir  ci  sprona, 

Ora  a  maggiore,  ed  ora  a  minor  passo; 
121.    Però  al  ben  che  il  di  ci  si  ragiona, 

Dianzi  non  er'  io  sol;  ma  qui  da  presso         r.  dipr. 

Non  alzava  la  voce  altra  persona. 
124.    Noi  eravam  partiti  già  da  esso, 

E  brigavam  di  soperchiar  la  strada 
1.2. 3.  poder  Tanto ,  quanto  al  poter  n'era  permesso;        /?.  r.  poder 

127.    Quand'  io  senti',  come  cosa  che  cada, 

Tremar  lo  monte:  onde  mi  prese  un  gielo, 

Qual  prender  suol  colui  che  a  morte  vada. 
130.    Certo  non  si  scotea  si  forte  Delo,  ^.  m.  credo  non  si 

Pria  che  Latona  in  lei  facesse  il  nido, 

A  partorir  li  due  ocelli  del  cielo.  a.  h  duo» 

133.    Poi  cominciò  da  tutte  parti  un  grido 

Tal,  che  il  Maestro  inver  di  me  si  feo,         n.  inverso  me 

A.  Terso  me 

Dicendo  :  Non  dubbiar,  mentr'  io  ti  guido. 
136.    Gloria  in  excelsiSy  tutti.  Beo 

Dicean,  per  quel  ch'io  da  vicin  compresi,     .i. 2. che d* vie. 
Onde  intender  lo  grido  si  poteo. 

117.  Di'  tu.  che  il  sai  ||  Diltu,  che  il  sai  —   119.  eh'  ad  ir  ei  sprona  (?)  —   128.  Tremar  il  monte  —   ond'  eì  mi  prese  ~  130.  nos. 
si  sroten  —  187.  per  cpiel  eh'  io  dai  vicin  cumpr. 


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COEN.   V.    AVARI. 


PURGATORIO    XX.    139-151. 


A.  t.  il  tr.  e  r  ynno  — 
A.  m.  e  '1  dir  comp. 


(TREMOTO.) 

1.2. 3.  Noi  Ci  restammo  139.    Noi  stavauio  immobili  e  sospesi, 

Come  i  pastor  che  prima  udir  quel  canto,     r.  i>.  cheim» 
Fin  che  il  txemar  cessò,  ed  ei  compièsi. 
142.    Poi  ripigUammo  nostro  cammin  santo: 
1-2  jpi^e»  Guardando  V  ombre  che  giacean  per  terra, 

Tornate  già  in  sull'  usato  pianto. 
2.ign.mi*-i.2.cotonte  145.    NuUa  iguorauza  mai  con  tanta  guerra 

Mi  fé'  disideroso  di  sapere, 
Se  la  memoria  mia  in  ciò  non  erra, 
148.    Quanta  pare'mi  allor  pensando  avere: 
1.2. 3.  dimandare  eroso  Né  pcr  la  fretta  domaudam'  er'  oso. 

Ne  per  me  li  potea  cosa  vedere: 
151.    Cosi  m'  andava  timido  e  pensoso. 


377 


B.  cotanta 


IJ.  Qu.  mi  parve  -> 
A.  pariemi 

n.  dimandare  er  oso 


139.  Noi  ci  stavamo  —  140.  i  pastor  che  primi  ||  i  past.  che  in  prima   -    142.  ripi;;!.  il  nostro  cam.   —   146.   Mi   fé'  disiderando   — 
150.  Né  per  me  si  potea 


II. 


48 


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CANTO  VENTESIMOPRIMO 


1.  2.  pungémi 


1.  2.  condolcmi 


1.  2.  3.  dietro 

2.  3.  Dappir 


1.  2.  3.  Rendè  lui 


Lja  sete  naturai  che  mai  non  sazia, 
Se  non  con  1'  acqua  onde  la  femminetta 
Sammaritana  domandò  la  grazia, 
4.    Mi  travagliava,  e  pungeami  la  fretta 

Per  la  impacciata  via  retro  al  mio  Duca, 
E  condoleami  alla  giusta  vendetta. 
7.    Ed  ecco,  si  còme  ne  scrive  Luca, 

Che  Cristo  apparve  ai  due  eh'  erano  in  via, 
Già  surto  ftior  della  sepulcral  buca, 

10.    Ci  apparve  un'  ombra,  e  retro  a  noi  venia 
Da  pie  guardando  la  turba  che  giace; 
Ne  ci  addemmo  di  lei,  si  parlò  pria, 

13.  Dicendo:  Frati  miei,  Dio  vi  dea  pace. 
Noi  ci  volgemmo  subito,  e  Virgilio 
Rende'  gli  il  cenno  eh'  a  ciò  si  conface. 

16.    Poi  cominciò:  Nel  beato  conciUo 

Ti  ponga  in  pace  la  verace  corte. 
Che  me  rilega  nell'  eterno  esiho. 


B.  puiigémi 
e.  D.  dietro 


A.  condoliémi   B.  con- 
dolémi 


B.  C.  O,  dietro 

A.  \.  Dal  pie 

A.  C.  O  frati 

B.  a  Rendè  Ini 


B.  ne  rilega 


6.  E  condolendomi  a  giusta  vend.  —  14.  ci  volgemmo  subiti 


48* 


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380 


rORN.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XXI.    19  —  42. 


B.  r  poi  aiìdaT&  — 
A.  andaTMi 


A.  1.  B.  per  colei 
A.  l.  ancor  tratta 


B.  Ond'  io  r  ho  tr. 


1.  egli,  perchè  andava    19.    CoHie ,  dìss'  cgU,  c  poTte  aiidavam  forte, 

2.  3.  egli .  e  perchè 

•"**•*'  Se  voi  siete  ombre  che  Dio  su  non  degni, 

Chi  v'  ha  per  la  sua  scala  tanto  scorte? 

22.    E  il  Dottor  mio:  Se  tu  riguardi  i  segni  />. rigu. a- segni 

Che  questi  porta  e  che  V  angel  profila, 
Ben  vedrai  che  coi  buon  convien  eh'  ei  regni. 

25.    Ma  perchè  lei  che  dì  e  notte  fila. 

Non  gli  avea  tratta  ancora  la  conocchia, 
Che  Cloto  impone  a  ciascuno  e  compila, 

28.    L'  anima  sua,  eh'  è  tua  e  mia  sirocchia, 
Venendo  su,  non  potea  venir  sola; 

2.  non .'  adocchia  Pcrocch'  al  uostro  modo  non  adocchia. 

31.    Ond'  io  fui  tratto  fiior  dell'  ampia  gola 

D'inferno,  per  mostrargli,  e  mostreroUi 
Oltre,  quanto  il  potrà  menar  mia  scuola. 

34.    Ma  dinne,  se  tu  sai,  perchè  tai  crolli  7>./.  dimmi 

Die'  dianzi  il  monte,  e  perchè  tutti  ad  una 
Parver  gridare  infino  ai  suoi  pie  molli? 

37.    Sì  mi  die'  domandando  per  la  cruna 

Del  mio  disio,  che  pur  con  la  speranza 
Si  fece  la  mia  sete  men  digiuna. 

40.    Quei  cominciò:  Cosa  non  è  che  sanza 
Ordine  senta  la  religione 
Della  montagna,  o  che  sia  fuor  d'  usanza. 

19.  Com'  è,  diss'  egli  —  e  parte  andava  forte  —  20.  Se  voi  siete  ombra  —  21.  per  le  sue  scale  —  22.  Se  tu  rigu.  ai  segni  —  25.  M» 
per  colei  —  Ma  perchè  Lachesì ,  che  di  le  f.  —  26.  Non  gli  era  tratta  —  28.  mia  sorocchia  —  31.  dell'  empia  g.  —  34.  se  tu  '1  sai  —  35.  dianzi 
al  monte  —  perchè  tutto  ad  una  —  36.  Parve  gridare  —  42.  Per  la  montagna 


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rOBN.   V.   AVARI. 


381 


1.  2.  3.  cielo  in  sé  da  se 
1.  2.  Esser  si 


2.  3.  Si  sente,  sì 

1.  2.  3.  il  sol 

3.  tatto  libero 
l.  2.  3.  di  voler 


li.  in  sé  da  se 


A.  2.  f\  erandin 


IJ.  Non  corruscar 


PURGATORIO    XXI.    43-66.  sta 

43.   Libero  è  qui  da  ogni  alterazione; 

Di  quel  che  il  ciel  da  sé  in  sé  riceve 

Esserci  puote,  e  non  d'  altro,  cagione: 
46.    Perché  non  pioggia,  non  grando,  non  neve, 

Non  rugiada,  non  brina  più  su  cade, 

Che  la  scaletta  dei  tre  gradi  breve. 
49.    Nuvole  spesse  non  paion,  né  rade. 

Né  corruscar,  né  figlia  di  Taumante, 

Che  di  là  cangia  sovente  contrade. 
52.    Secco  vapor  non  surge  più  avante 

Ch'  al  sommo  dei  tre  gradi  eh'  io  parlai, 

Ov'  ha  il  vicario  di  Pietro  le  piante. 
55.    Trema  forse  più  giù  poco  od  assai; 

Ma,  per  vento  che  in  terra  si  nasconda, 

Non  so  come,  quassù  non  tremò  mai: 
58.    Tremaci  quando  alcuna  anima  monda 

Sentesi,  si  che  surga,  o  che  si  mova 

Per  sahr  su,  e  tal  grido  seconda. 
61.    Della  mondizia  sol  voler  fa  prova, 

Che,  tutta  hbera  a  mutar  convento, 

L'  alma  sorprende,  e  di  volar  le  giova. 
64.    Prima  vuol  ben;  ma  non  lascia  il  talento. 

Che  divina  giustizia  contra  voglia, 

Come  fii  al  peccar,  pone  al  tormento. 

45.  e  non  d*  altra  ragione  —  46.  grandine  o  neve  ||  grand,  e  nere  —  47.  non  brina  pur  su  cade  —  48.  scaletta  di  tre  gr.  —  53.  gradi 
ond'  io  parlai  —  57.  non  trema  mai  —  59.  Sentasi  si  —  60.  Per  salir  su,  cotal  gr.  —  61.  Dell'  immondixia  —  suo  voler  ||  suol  Toler  ||  solversi  — 
6.3.  L*  alma  sol  prende  -  64.  ma  noi  lascia  —  66.  con  tal  voglia 


A.  di  tre  gr. 
D.  Dov*  Ila 
A.  m.  Tremò 

A.  Non  so  com'  è 

D.  Si  sente ,  sì 

lì.  il  sol  -  B.  t.  ver  si  fa 

/?.  /.  IJ.  2.  di  voler 


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382 


CORN.    V.    AVARI. 


PURGATORIO    XXI.    67-90. 


67.    Ed  io  che  son  giaciuto  a  questa  doglia 
Cinquecento  anni  e  più,  pur  mo  sentii 
Libera  volontà  di  miglior  soglia. 

70.    Però  sentisti  il  tremoto,  e  li  pii 

Spiriti  per  lo  monte  render  lode 

A  quel  Signor,  che  tosto  su  gì'  invii. 


1.  2. 


.  3.  Cosi  gu  disse  -  73.    Così  ne  disse;  e  però  eh'  ei  si  gode 

1.  2.  3.   che  si  gode  ^  ^ 

Tanto  del  ber  quant'  è  grande  la  sete, 
Non  saprei  dir  quant'  ei  mi  fece  prode. 

76.    E  il  savio  Duca:  Omai  veggio  la  rete 

Che  qui  vi  piglia,  e  come  si  scalappia. 
Per  che  ci  trema,  e  di  che  congaudete. 

79.    Ora  chi  fosti  piacciati  eh'  io  sappia, 
E,  perchè  tanti  secoli  giaciuto 
Qui  sei,  nelle  parole  tue  mi  cappia. 

82.    Nel  tempo  che  il  buon  Tito  con  1'  aiuto 
Del  sommo  Rege  vendicò  le  fora, 
Ond'  usci  il  sangue  per  Giuda  venduto, 

85.    Col  nome  che  più  dura  e  più  onora 
Era  io  di  là,  rispose  quello  spirto. 
Famoso  assai,  ma  non  con  fede  ancora. 

88.    Tanto  fu  dolce  mio  vocale  spirto. 

Che,  Tolosano,  a  se  mi  trasse  Roma, 
Dove  mertai  le  tempie  ornar  di  mirto. 


D.  1.  voglia 
A.  termo to 


B.  Così  li  disse 


C.  quanto  mi  f. 


C.  1.  per  Giudei 


A.  Ove 


70.  Però  sentiste   —   75.  Non  saprei  dire  quanto  ei  mi  fé'  pr.  —  77.  Che  qui  v'impiglia  —  78.  Diochè  ti  trema  —  84.  per  Gìwìa 
traduto  —  H8.  fii  dolce  il  mio  —  90.  Dove  le  tempie  mi  ornai  di  m. 


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CORN.  V.  AVARI.  PURGATORIO    XXL    91  —  114.  .     stazio.  383 

91.    Stazio  la  gente  ancor  di  là  mi  noma: 

Cantai  di  Tebe,  e  poi  del  grande  Achille, 
Ma  caddi  in  via  con  la  seconda  soma. 
94.   Al  mio  ardor  fur  seme  le  faville,  a.  a  mio 

Che  mi  scaldar,  della  divina  fiamma, 
Onde  sono  allumati  più  di  mille; 
97.    DeU' Eneida  dico,  la  qual  mamma  ^.DeuoEn.-z?.ioqu»i 

Fummi,  e  fìimmi  nutrice  poetando: 
Senz'  essa  non  fermai  peso  di  dramma.  n.  m.  non  re-  mai 

100.    E,  per  esser  vivuto  di  là,  quando 

Visse  Virgilio,  assentirei  un  sole  i?.  Giunse  virg. 

1. 2. 3.  cv  i'  non  Pìù  chc  uon  dcgglo  al  mio  uscir  di  bando.    -^  de^bo 

103.    Volser  Virgilio  a  me  queste  parole  ^.  voisevirg. 

1.2.3. dicea  Cou  viso  chc ,  taccudo ,  disse:  Taci: 

Ma  non  può  tutto  la  virtù  che  vuole; 
106.    Che  riso  e  pianto  son  tanto  seguaci 

Alla  passion  da  che  ciascun  si  spicca,  /r. diche 

Che  men  seguon  voler  nei  più  veraci. 
109.    Io  pur  sorrisi,  come  1'  uom  eh'  ammicca; 

Perchè  1'  ombra  si  tacque,  e  riguardommi 
Negh  occhi,  ove  il  sembiante  più  si  ficca. 
112.    E,  se  tanto  lavoro  in  bene  assommi,  a  e.  labore  -  5.  in- 

sieme  ass. 

1. 2. 3.  faccia  tua  Dìssc,  pcrchè  la  tua  faccia  testeso 

1.2. 3.  d- un  riso  IJu  lampeggiar  di  riso  dimostrommi?  «dmiruo 

97.  Dell'  Eneide  —  99.  non  pesai  peso  ~  106.  men  segue '1  voler  —  112.  Eh,  se  tanto  ||  Deh!  se  tanto 


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384  COEN.  V.  AVARI.  PURGATORIO    XXI.    115-136.  stazio. 

115.    Or  son  io  d'  una  parte  e  d'  altra  preso; 
L'  una  mi  fa  tacer,  V  altra  scongiura 
1. 2. 3.  inteso.  Ch'  io  dica  :  ond'  io  sospiro ,  e  sono  inteso 

1. 2. 3.  Di',  a  mio  M.     1 18.    Dal  hiìo  Maestro ,  e:  Non  aver  paiu*a,  b.  d.  m\  ii  mio  m. 

Mi  disse,  di  parlar;  ma  parla,  e  digli 
Quel  eh'  ei  domanda  con  cotanta  cura. 
121.    Ond'  io:  Forse  che  tu  ti  maravigli,  /?.  Forse  tn 

Antico  spirto,  del  rider  eh'  io  fei; 
Ma  più  d'  ammirazion  vo'  che  ti  pigh. 
124.    Questi,  che  guida  in  alto  gli  occhi  miei, 
E  quel  Virgilio,  dal  qual  tu  togliesti 
1. 2. 3.  F..rte  a  o.  Forza  a  cantar  degli  uomini  e  de'  Dei.  a.  m.  r.  a  Forte  a  r 

127.    Se  cagione  altra  al  mio  rider  credesti, 
1.2.3.  vera,  ed  esser  cr.  Lasclala  pcr  uou  vcra  esser,  e  credi 

Quelle  parole  che  di  lui  dicesti. 
130.    Già  si  chinava  ad  abbracciar  li  piedi  /?.i  piedi 

1. 2. 3.  ma  e'  gli  d.  Al  mio  Dottor  ;  ma  egli  disse  :  Frate ,  b.  d.  m»  ei  u  d. 

Non  far,  che  tu  se'  ombra,  ed  ombra  vedi. 
133.    Ed  ei  surgendo:  Or  puoi  la  quantitate 

Comprender  dell'  amor  eh'  a  te  mi  scalda. 
Quando  dismento  nostra  vanitate, 
136.    Trattando  1'  ombre  come  cosa  salda. 


116.  1/  uuo  mi  fa  tar.,  l*  altro  se.  —  119.  Mi  dice,  di  pari.  —  120.  Quel  che  dom.  —  125.  Virg.,  del  qual  —  126.  Forse  a  caaur  - 
dì  uomini  —  127.  S'  altra  cag.  —  130.  Gii  s'  inchiuava  —  131.  ma  quei  gli  disse  —  136.  Qujuid'  io  dismento 


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CANTO  VENTESIMOSECONDO 


1.  2.  3.  dietro 


1.  2.  lor  diliro 

3.  n'  ave»   —    1.  2.  3.  in 
le  sue 


1.  2.  3.  Giovenale 


irià  era  Y  Angel  retro  a  noi  rimaso, 
L'  Angel  che  n'  avea  volti  al  sesto  giro, 
Avendomi  dal  viso  un  colpo  raso: 
4.   E  quei  eh'  hanno  a  giustizia  lor  disiro, 
Detto  n'  avean,  Beati ^  e  le  sue  voci 
Con  sitiOf  e  senz'  altro,  ciò  fornirò. 
7.    Ed  io,  più  lieve  che  per  Y  altre  foci, 
M'  andava  sì,  che  senza  alcun  labore 
Seguiva  in  su  gli  spiriti  veloci: 

10.    Quando  Virgilio  cominciò:  Amore, 

Acceso  di  virtù,  sempre  altro  accese. 
Pur  che  la  fiamma  sua  paresse  fuore. 

13.    Onde,  dall'  ora  che  tra  noi  discese 
Nel  limbo  dello  inferno  Juvenale, 
Che  la  tua  affezion  mi  fé'  palese, 

16.   Mia  benvoglienza  inverso  te  fu,  quale 
Più  strinse  mai  di  non  vista  persona. 
Sì  eh'  or  mi  parran  corte  queste  scale. 


B.  a  D.  dietro 


B.  D.  in  le  sue 

C.  tino,  senza  —  A.  2. 

C.  altr'  otio  fom. 

B.  per  altre 


A.  1.  incominciò  (?) 
A,  2.  C.  D.  Are.  da  Tirtù 


B.  C.  Giovenale 


C.  benv.  verso 


3.  del  viso   —   un  pecco  raso   —   4.  eh*  hanno  giustizia  in  lor  dis.   —   5.  Detti  n*  av.   —   6.  Con  titiunl   —  senz*  altro  ne  fornirò    — 
11.  sempre  altri  acc.  —  13.  d*  allora  —  17.  Più  strinse  alcun  —  18.  or  mi  parèn 


II. 


49 


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SALITA   ALLA    CORN.    VI. 


PURGATORIO    XXII.    19-42. 


2.  3.  Come  poteo 


1.  2.  3.  camion    —    l.  2. 
3.  80I)  nascuse 


1.  2.  3.  ove  tu  chiunr 


19.   Ma  dimmi,  e  come  amico  mi  perdona 
Se  troppa  sicurtà  m'  allarga  il  freno, 
E  come  amico  omai  meco  ragiona: 

22.    Come  potè  trovar  dentro  al  tuo  seno 
Loco  avarizia,  tra  cotanto  senno 
Di  quanto,  per  tua  cura,  fosti  pieno? 

25.    Queste  parole  Stazio  mover  fenno 

Un  poco  a  riso  pria;  poscia  rispose: 
Ogni  tuo  dir  d'  amor  m'  è  caro  cenno. 

28.    Veramente  più  volte  appaion  cose, 
Che  danno  a  dubitar  falsa  matera, 
Per  le  vere  ragion  che  sono  ascose. 

31.   La  tua  domanda  tuo  creder  m'  avvera. 

Esser  eh'  io  fossi  avaro  in  Y  altra  vita. 
Forse  per  quella  cerchia  dov' io  era: 

34.    Or  sappi  eh'  avarizia  fu  partita 

Troppo  da  me,  e  questa  dismisura 
Migliaia  di  lunari  hanno  punita. 

37.    E,  se  non  fosse  eh'  io  drizzai  mia  cura, 
Quand'  io  intesi  là  dove  tu  esclame, 
Crucciato  quasi  all'  umana  natura: 

40.    Per  che  non  reggi  tu,  o  sacra  fame 
Dell'  oro,  1'  appetito  dei  mortali? 
Voltando  sentirei  le  giostre  grame. 


e.  Come  poteo 


ìi.  ragion   —   H.  sod 
nascose 


(\  in  altra 


H.  a  <|uestA 


B.  ove  —  A.  B.  chiaai' 
D,  Quaai  cniec. 
D,  A  che 
(\  Dell'  oro  appet 


'H.  eh'  io  fossi  scarso  —  34.  Or  sappia  —  41.  gli  appetiti  de'  mort. 


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SALITA    ALLA    CORN.    VI. 


l.  2.  3.  Per  1"  ìgncir. 
3.  penrir 


PURGATORIO    XXIL    43-66.  stì 

43.   AUor  m'  accorsi  che  troppo  aprir  Y  ali 

Potean  le  mani  a  spendere,  e  pente'mi 
Così  di  quel  come  degli  altri  mali. 

46.    Quanti  risurgeran  coi  crini  scemi, 

Per  ignoranza,  che  di  questa  pecca 
Toglie  il  penter  vivendo,  e  negU  estremi! 

49.   E  sappi  che  la  colpa,  che  rimbecca 

Per  dritta  opposizione  alcun  peccato. 
Con  esso  insieme  qui  suo  verde  secca. 

52.   Però,  s' io  son  tra  quella  gente  stato 
Che  piange  1'  avarizia,  per  purgarmi, 
Per  lo  contrario  suo  m'  è  incontrato. 

55.    Or  quando  tu  cantasti  le  crude  armi 
Della  doppia  tristizia  di  Jocasta, 
Disse  il  Cantor  de'  bucolici  carmi, 
1. 2. 3.  quel  che  Hin  li  58.    Pcr  qucllo  che  CUò  teco  lì  tasta, 

con  teco  t. 

Non  par  che  ti  facesse  ancor  fedele 
La  fé,  senza  la  qual  ben  far  non  basta. 

1.  qu»i  lumi  o  qu.        61.    Sc  così  c,  qual  sole  o  quai  candele 

Ti  stenebraron  sì,  che  tu  drizzasti 
Poscia  diretro  al  pescator  le  vele? 
64.   Ed  egli  a  lui  :  Tu  prima  m' inviasti 

Verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte, 

1. 2. 3Kprim*  E  poi,  appresso  Dio,  m'alluminasti. 


387 


1.  contasti 
3.  Gidcast» 


.4.  risaranno  a'  crin  se. 


B.  Tagli  el  p. 


R.  suo  veder  secca 


B.  contasti 


A.  2.  B.  C.  quel  che  Clio 
lì  con  teco  tasta 

r.  IJ.  ti  facessi 


B.  quai  lumi  o  quai 
A.  stencbraro 
A.  C  ai  pescator 
D.  Tu  primo 


B.  D.  m.  E  prima  - 
V.  appr.  a  Dio 


48.  tìt.  negli  —  48.  E  sappie  —  51.  Come  esse  ins.  ||  Commesso  ics.  —  58.  Per  qu.  che  creò  teco  le  t.  ||  Per  Quel ,  che  li  creò  teco 
te  t.  —  Clio  ti  teco  t  —  60.  La  fede,  sensa  qxial  —  61.  qual  sole  e  quai  cand.  ~  64.  prima  mi  guidasti  —  66.  K  poscia  appr.  ||  E  primo  appr. 

49- 


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388 


SALITA   ALLA    CORN.    VI. 


PURGATOMO    XXn.    67  —  90. 


1.  2.  3.  dietro 


1.  prog.  scende 


2.  3.  colorar  distend. 
1.  2.  3.  tutto  qu. 


2.  Si  coiison. 


67.   Facesti  come  quei  che  va  di  notte, 

Che  porta  il  lume  retro,  e  se  non  giova, 
Ma  dopo  se  fa  le  persone  dotte, 

70.    Quando  dicesti:  Secol  si  rinnuova; 

Toma  giustizia,  e  primo  tempo  umano, 
E  progenie  discende  dal  ciel  nuova. 

73.    Per  te  poeta  fui,  per  te  cristiano; 

Ma  perchè  veggi  mei  ciò  ch'io  disegno, 
A  colorare  stenderò  la  mano. 

76.    Già  era  il  mondo  tutto  e  quanto  pregno 
Della  vera  credenza,  seminata 
Per  li  messaggi  dell'  eterno  regno; 

79.   E  la  parola  tua  sopra  toccata 

Sì  consonava  ai  nuovi  predicanti, 
Ond'  io  a  visitarli  presi  usata. 

82.    Vennermi  poi  parendo  tanto  santi. 

Che,  quando  Domizian  li  perseguette. 
Senza  mio  lagrimar  non  ftu*  lor  pianti. 

85.  E  mentre  che  di  là  per  me  si  stette. 
Io  li  sovvenni,  e  lor  dritti  costumi 
Fer  dispregiare  a  me  tutte  altre  sette; 

88.    E  pria  eh'  io  conducessi  i  Greci  ai  fiumi 
Di  Tebe,  poetando,  ebb' io  battesmo; 
Ma  per  paura  chiuso  Cristian  fii'mi. 


B.  D.  dietro 


U.  m.  e  dolce  tempo 


A.  2.  B.  C.  D.  profitnje 
seende 


B.  D.  veggi  me* 

D.  A  colorar  distead. 

B,  C,  D.  tutto  quwitt. 


B.  Veanonmi 


C  e  i  lor  dr.  co«.t- 


(K  e  a  sé  uou  i(iova    —    71.  e  '1  primo  t    —    75.  A  col.  estenderò   —   79.  prima  toccata   —   80.   Si  consonava  —  81.  feci  usata  - 
M.  Senza  *1  mio  laj^r.  —  85.  per  me  di  là  si  st.  —  86.  e  a  lor  dritti  cost.  —  87.  Fer  dispregiarmi  ||  Fer  dispiacere  a  me  —  tutte  1*  altrr 


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SALITA    ALLA    COBN.    VI. 


PURGATORIO    XXII.    91-114. 


389 


1.  (errar  —  1.  2.  3.  più 
rhe  il 


1.  *J.  3.  amico 
1.  «le  li  sai 


91.    Lungamente  mostrando  paganesmo; 

E  questa  tepidezza  il  quarto  cerchio 
Cerchiar  mi  fé'  più  eh'  al  quarto  centesmo. 
94.    Tu  dunque,  che  levato  hai  il  coperchio 
Che  m'  ascondeva  quanto  bene  io  dico, 
Mentre  che  del  salire  avem  soperchio, 
97.    Dimmi  dov'  è  Terenzio  nostro  antico, 
Cecilio,  Plauto  e  Varrò  ,^  se  lo  sai, 
Dimmi  se  son  dannati,  ed  in  qual  vico. 

100.    Costoro,  e  Persio,  ed  io,  ed  altri  assai, 

Rispose  il  Duca  mio,   slam  con  quel  Greco 
Che  le  Muse  lattar  più  eh'  altro  mai, 

103.  Nel  primo  cinghio  del  carcere  cieco. 
Spesse  fiate  ragioniam  del  monte, 
Che  sempre  ha  le  nutrici  nostre  seco. 


B.  ('ercar  —  A.  l.  più 
ohe  il  (?) 


.-1.  2.  D.  Che  II'  ascund. 


H.  (\  D.  8f  li  sai 


1.  2.  3.   Ch'  ha  le  nutr. 
n.  .sempre  s. 

i.nosoo;AnaCTeoiite2.  106.    Euripidc  v'è  uosco ,  cd  Antifoutc , 


3.  nosco,  e  Anacr. 


Simonide,  Agatone  ed  altri  piùe 
Greci  che  già  di  lauro  ornar  la  fronte. 

109.    Quivi  si  veggion  delle  genti  tue 
Antigone,  Deifile  ed  Argia, 
Ed  Ismene  si  trista  come  fiie. 

112.  Vedesi  quella  che  mostrò  Langia; 
Ewi  la  figlia  di  Tiresia  e  Teti, 
E  con  le  suore  sue  Deidamia. 


A.  2.  C  più  d'  altro  — 
I).  altri 

.-1.  C  primo  cerchio 


D.  ilx'  ha  sempre  —  H. 
C.  CI»'  ha  le  mitr.  u. 


A.  si  veggoii 

B.  Antigouo 


94.  levato  m'hai    —   96.  abbiam  sop.   —   97.  98.  Ter.  nostro,  l'antico  Cecilio   -   90.  o  in   qual  vico    -    106.  le  mitrie  nostre   — 
l*€.  Venoseo ,  Antifonte  —  lOH.  gii  di  U  ornar  —  113.  È  qui  la  figlia 


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390 


CORN.   VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIL    115-138. 


STAZIO,    VIRGILIO    E   DANTE. 


i.Tac..ci-i.2.amendue  115.    Taccvansì  ambo  e  due  già  li  poeti, 

3.  ambedue 


B.  C.  uneudue 
D.  ambeduf 


1.  2.  3.  allo  stremo 


1.  -2.  3.  Un  alber 


2.  3.  dall'  alta 


C  da  salire 


/f.  a  men  sosp. 


Di  nuovo  attenti  a  riguardare  intorno, 

Liberi  dal  salire  e  dai  pareti; 
118.    E  già  le  quattro  ancelle  eran  del  giorno 

Rimase  addietro,  e  la  quinta  era  al  temo, 

Drizzando  pure  in  su  1'  ardente  corno; 
121.    Quando  il  mio  Duca:  Io  credo  eh'  allo  estremo  /?.  r.  aiio  stremo 

Le  destre  spalle  volger  ci  convegna, 

Girando  il  monte  come  far  solemo. 
124.    Cosi  r  usanza  fu  li  nostra  insegna, 

E  prendemmo  la  via  con  men  sospetto 

Per  r  assentir  di  quell'  anima  degna. 
127.   Elli  givan  dinanzi,  ed  io  soletto 

Diretro,  ed  ascoltava  i  lor  sermoni 

Gli'  a  poetar  mi  davano  intelletto. 
130.   Ma  tosto  ruppe  le  dolci  ragioni 

Un  arbor  che  trovammo  in  mezza  strada, 

Con  pomi  ad  odorar  soavi  e  buoni. 
133.    E  come  abete  in  alto  si  digrada 

Di  ramo  in  ramo,  cosi  quello  in  giuso, 

Cred'  io  perchè  persona  su  non  vada. 
136.    Dal  lato,  onde  il  cammin  nostro  era  chiuso, 

Cadea  dell'  alta  roccia  un  liquor  chiaro, 

E  si  spandeva  per  le  foglie  suso.  i?.  le  fogue  e.».*^ 


A.  2.  C.  ascultara  W 

D.  nostre  rag. 

B.  Un  alber 


115.  ambidue  —  i  poeti  —  116.  a  riguardar  d*  int.  |i  e  riguardando  vai,  —  117.  Lib.  di  salire  —  122.  volger  ne  convegna  -  l^-  E^^ 


givan  —  129.  donavanmì  intell.  —  133.  si  disgrada  —  138.  per  le  foglie  in  suso 


I 


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roBN.  VI.  GOLOSI.  PURGATORIO    XXII.    139—154.  esempi  di  temperanza.  391 

1. 2. 3.  aibrr  1 39.    LÌ  due  poctì  all'  arbor  s'  appressar©  ;  d.  aibor  b.  aibcr 

Ed  una  voce  per  entro  le  fronde 
Gridò:  Di  questo  cibo  avrete  caro.  r. arctecaro 

142.    Poi  disse:  Più  pensava  Maria,  onde  z>. donde 

Fosser  le  nozze  orrevoli  ed  intere,  />. honrevon 

Ch'  alla  sua  bocca,  eh'  or  per  voi  risponde,  r.  d  per  ««i 

145.    E  le  Romane  antiche  per  lor  bere 

Contente  furon  d'  acqua,  e  Daniello 
Dispregiò  cibo,  ed  acquistò  sapere. 

1.2.3.  primo,  quanf  oro     148.      Lo    SCCOl    prlinO ,    ChC    qUailt'or',    fu    bello,  ^y.  />.  pnmo,  quam- oro 

Fé'  saporose  con  fame  le  ghiande, 

1.  2.  nett.  per  sete  E    UCttarC    COU    SCtC    OgUl    rUSCCllo.  H.  per  sete 

151.   Mele  e  locuste  furon  le  vivande. 

Che  nutrirò  il  Batista  nel  diserto;  ^'  nudnr  -  ^.2.  r.  io 

Bar. 

Perch'  egU  è  glorioso ,  e  tanto  grande 
154.    Quanto  per  l'Evangelio  v'  è  aperto.  //.  io  van^eIio 


144.  ehe  per  voi  risponde  —  147.  Dispregiò  '1  cibo  —  154.  n'  è  aperto 


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CANTO  VENTESIMOTERZO 


1.2. 3.  dietro  air  necellin 


1.  mi  disse 


jjLLentre  che  gli  occhi  per  la  fronda  verde 
Ficcava  io  cosi,  come  far  suole 
Chi  retro  agli  uccellili  sua  vita  perde; 

Lo  più  che  padre  mi  dicea:  FigUuole, 


A.  C.  D.  Fice.  io  sì 


B.  C.  D.  dietro  -  B.  D, 
all'  uccellili 


D.  Filiole 


Vienne  oramai,  che  il  tempo  che  e'  è  imposto  D.vieni-.4.r7.oggimai 

—   D.  che  n'  è  imp. 

Più  utilmente  compartir  si  vuole, 


7.    Io  volsi  il  viso,  e  il  passo  non  men  tosto 
Appresso  ai  savi,  che  parlavan  sie, 
Che  r  andar  mi  facean  di  nullo  costo. 

10.    Ed  ecco  piangere  e  cantar  s'udìe: 
Labia  mea^  Domine y  per  modo 
Tal  che  diletto  e  dogUa  parturie. 

13.    0  dolce  Padre,  che  è  quel  eh'  i'  odo? 

Comincialo;  ed  egli:  Ombre  che  vanno, 
Forse  di  lor  dover  solvendo  il  nodo. 

16.    Sì  come  i  peregrin  pensosi  fanno, 

Giugnendo  per  cammin  gente  non  nota. 
Che  si  volgono  ad  essa  e  non  ristanno; 


B.  il  passo  e  *1  viso 


(\  piang.  e  gridar 


C.  partorie 


C.  1).  restanno 


2.  come  ficcar  suole  —  4.  mi  dicea:  Figliuol,  eh!  —  6.  il  tempo  che  n'  è  posto  —  9.  mi  facea  —  13.  O  d.  Padre  mio,  eh'  è  quel  — 
16.  i  pellegrin 


11. 


50 


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394 


CORN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIII.    19-42. 


FORESE    DONATI. 


1.  2.  3.  Erisi ton  si  fusse 


19.    Cosi  diretro  a  noi,  più  tosto  mota, 

Venendo  e  trapassando,  ci  ammirava 
D'  anime  turba  tacita  e  devota. 

22.    Negli  occhi  era  ciascuna  oscura  e  cava, 
Pallida  nella  faccia,  e  tanto  scema, 
Che  dall'  ossa  la  pelle  s' informava. 

25.    Non  credo  che  così  a  buccia  estrema 
Eresitone  fosse  fatto  secco, 
Per  digiunar,  quando  più  n  ebbe  tema. 

28.    Io  dicea  fra  me  stesso  pensando:  Ecco 
1. 2. 3.Gerus.  La  gcutc  chc  pcrdè  Jerusalemme, 

Quando  Maria  nel  figlio  die'  di  becco. 

31.    Parean  1'  occhiaie  anella  senza  gemme. 
Chi  nel  viso  degli  uomini  legge  omo, 
Ben  avria  quivi  conosciuto  1'  emme. 

34.    Chi  crederebbe  che  1'  odor  d'  un  pomo 
Sì  governasse,  generando  brama, 
i. 2. 3.  sappìeudo  E  qucl  d' uu' acqua,  non  sapendo  comò? 

37.  (jià  era  in  ammirar  che  sì  gli  affama. 
Per  la  cagione  ancor  non  manifesta 
Di  lor  magrezza  e  di  lor  trista  squama; 

40.    l]d  ecco  del  profondo  della  testa 

Volse  a  me  gU  occhi  un'  ombra,  e  guardò  fiso, 
Poi  gridò  forte:  Qual  grazia  m'  è  questa? 


A.  1.  CMominsTs 


B.  Ercs.  si  f.  -  À. . 
Eresi  ton  fosse  fati 
si  s.  (?) 

A.    1.   qUADtO  più 


B.  r.  Gtrwsai. 


V.  occhiaia 


B.  E  quelli  dunque  - 
B,   C.  I).  »»ppirLi3 


'lA.  dell'  ossa  ||  dall'  osso  ->  si  sformava  —  25.  a  buccia  scema  —  29.  che  perdeo  —  90.  nel  figliuol  —  35.  Sì  goTernandi»  ^eneras^r  - 
'Ai.  E  questi  dunque  —  41.  e  guatò  fiso 


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CORK.  VI.    GOLOSI. 


FORESE   DONATI. 


l.  2.  3.   Risposi  lui 


A.  2.  r.  D.  Qu.  favcUa 

B.  Mia  conscientia 

A.  m.  B.  alla  uscita  se. 


1.  2.  3.  addietro  -  1.  2. 
3.  mi  sottiglio 


l.  2.  3.  oltre 


PURGATORIO    XXin.    43-66. 

43.    Mai  non  1'  avrei  riconosciuto  al  viso;  ^. z>. noniarei 

Ma  nella  voce  sua  mi  fii  palese 

Ciò  che  r  aspetto  in  se  avea  conquiso. 
46.    Questa  favilla  tutta  mi  raccese 

Mia  conoscenza  alla  cambiata  labbia, 

E  ravvisai  la  faccia  di  Forese. 
49.    Deh  non  contendere  all'  asciutta  scabbia, 

Che  mi  scolora,  pregava,  la  pelle. 

Ne  a  difetto  di  carne  eh'  io  abbia; 
52.    Ma  dimmi  il  ver  di  te,  e  chi  son  quelle 

Due  anime  che  là  ti  fanno  scorta: 

Non  rimaner  che  tu  non  mi  favelle. 
55.    La  faccia  tua,  eh'  io  lagrimai  già  morta, 

Mi  dà  di  pianger  mo  non  minor  doglia,  ^.  mo  minor  u  d. 

Rispos'  io  lui,  veggendola  si  torta.  r.  Risposi  lui 

58.    Però  mi  di',  per  Dio,  che  si  \à  sfoglia; 

Non  mi  far  dir  mentr'  io  mi  maraviglio. 

Che  mal  può  dir  chi  è  pien  d'  altra  voglia. 
61.    Ed  egli  a  me:  Dell'  eterno  consiglio 

Cade  virtù  nell'  acqua,  e  nella  pianta 

Rimasa  retro,  ond'  io  si  m'  assottiglio. 
64.    Tutta  està  gente  che  piangendo  canta. 

Per  seguitar  la  gola  oltra  misura,  «.  oitrc 

In  fame  e  in  sete  qui  si  rifa  santa. 


995 


D.  Dall'  eterno 


B.  dietro  C.  indietro 
D.  a  dietro  —  B,  C. 
mi  sottìi^Iio 


43.  r  avrei  riconosciuta  —  45.  1'  aspetto  si  avea  ||  V  aspetto  suo  avea  —  46.  tutto  mi  raccese  —  47.  alla  cangiata  |]  e  la  cambiata  — 
49.  non  attendere  ||  non  intendere  -  67.  Risposi  a  lui 

50* 


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396 


COBN.   VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXnL    67-90. 


FORESE    DONATI. 


1.  Y-  accende  67.    Dì  bcré  c  dì  mangiar  n'  accende  cura 

L'  odor  eh'  esce  del  pomo,  e  dello  sprazzo 
Che  si  distende  su  per  la  verdura. 
70.    E  non  pure  una  volta,  questo  spazzo 
Girando,  si  rinfresca  nostra  pena; 
Io  dico  pena,  e  dovrei  dir  sollazzo; 
73.    Che  quella  voglia  all'  arbore  ci  mena. 
Che  menò  Cristo  lieto  a  dire:  Eli, 
Quando  ne  liberò  con  la  sua  vena. 
76.    Ed  io  a  lui:  Forese,  da  quel  dì 

Nel  qual  mutasti  mondo  a  migUor  vita, 
i.  2. 3.  inaino  Cluqu'  aniii  non  son  volti  infino  a  qui. 

79.    Se  prima  fii  la  possa  in  te  finita 

Di  peccar  più,  che  sorvenisse  V  ora 
Del  buon  dolor  eh'  a  Dio  ne  rimarita, 
1.  di  qua  ven.  -  1.2.3.  82.    Comc  sc' tu  quassù  venuto?  Ancora 

venuto  ancora? 

Io  ti  credea  trovar  laggiù  di  sotto, 
Dove  tempo  per  tempo  si  ristora. 
1. 2. 3.  Ed  cgu  85.    Ond'  egli  a  me  :  Sì  tosto  m'  ha  condotto 

A  ber  lo  dolce  assenzio  de'  martiri 
La  Nella  mia  col  suo  pianger  dirotto. 
88.  Con  suoi  preghi  devoti  e  con  sospiri 

Tratto  m'  ha  della  costa  ove  s'  aspetta, 
E  liberato  m'  ha  degU  altri  giri. 


/>.  IH.  discende  —  A.  m. 
C.  D.  m.  giù  per  U  v  - 

/?.  r. /J./.persnaTfrd. 


A.  C.  dovha 

/>.  arbero  C.  albero  A. 
m.  arbori  A. 2.  albrrc 
A.  1.  labore 


B.  D.  iusino 


tì.  suvenissr 


B.  di  qua  ven. 


/?.  Ove 


B.  della  valle 
D.  dagli  altri 


72.  e  devria  dir  —  73.  all'  arb.  ne  mena  —  87.  con  suo  pianger  —  89.  dalla  costa  —  onde  s'  aspetta 


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rOBM.  VI.    COLOBI. 


PURGATORIO    XXm.    91-114. 


FORESI   DONATI. 


397 


1.  2.  3.  che  tanto 


91.    Tant'  è  a  Dio  più  cara  e  più  diletta 
La  vedovella  mia,  che  molto  amai, 
Quanto  in  bene  operare  è  più  soletta; 
94.    Che  la  Barbagia  di  Sardigna  assai 
Nelle  femmine  sue  è  più  pudica, 
Che  la  Barbagia  dov'  io  la  lasciai. 
97.    0  dolce  frate,  che  vuoi  tu  eh'  io  dica? 
Tempo  futuro  m'  è  già  nel  cospetto, 
Cui  non  sarà  quest'  ora  molto  antica, 

100.    Nel  qual  sarà  in  pergamo  interdetto 
Alle  sfacciate  donne  fiorentine 
L'  andar  mostrando  con  le  poppe  il  petto. 

103.    Quai  Barbare  fur  mai,  quai  Saracine, 
Cui  bisognasse,  per  farle  ir  coperte, 
0  spiritali  o  altre  discipline? 

106.    Ma  se  le  svergognate  fosser  certe 

Di  quel  che  il  ciel  veloce  loro  ammanila. 
Già  per  urlare  avrian  le  bocche  aperte. 

109.  Che,  se  1'  antiveder  qui  non  m' inganna. 
Prima  fien  triste  che  le  guance  impeli 
Colui  che  mo  si  consola  con  nanna. 

112.  Deh,  frate,  or  fa  che  più  non  mi  ti  celi; 
Vedi  che  non  pur  io,  ma  questa  gente 
Tutta  rimira  là  dove  U  sol  veli. 


yi.  m.   C.   cui  tanto    JJ. 
eh'  in  tanto  B.  che  tanto 


tt.  Barbargli 

A.  più  è 

B.  Barbari;ia 


(\  per  falir 


A.  IJ.  avricn  —  A.m.  B. 
ir  gtiancie 


97.  frate,  or  che  vuoi  tu  —  107.  Di  ciò  che  il  ciel  —  109.  E,  se  I'  antiveder  —  III.  si  consola  per  nanna 


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398 


COBN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXin.    115-133. 


P0BE8E   DONATI. 


1.  su  compagna 


2.  3.  la  sgombra 


115.    Perch'  io  a  lui  :  Se  ti  riduci  a  mente 
Qual  fosti  meco  e  quale  io  teco  fui, 
Ancor  fia  grave  il  memorar  presente. 

118.    Di  quella  vita  mi  volse  costui 

Che  mi  va  innanzi,  V  altr'  ier,  quando  tonda 
Vi  si  mostrò  la  suora  di  colui; 

121.    E  il  sol  mostrai.    Costui  per  la  profonda 
Notte  menato  m'  ha  da'  veri  morti, 
(von  questa  vera  carne  che  il  seconda. 

124.    Indi  m'  han  tratto  su  li  suoi  conforti. 
Salendo  e  rigirando  la  montagna 
Che  drizza  voi  che  il  mondo  fece  torti. 

127.    Tanto  dice  di  farmi  sua  compagna, 
Ch'  io  sarò  là  dove  fia  Beatrice; 
Quivi  convien  che  senza  lui  rimagna. 

130.    Virgilio  è  questi  che  così  mi  dice, 

E  addita'  lo,  e  quest'  altro  è  quell'  ombra 
Per  cui  scosse  dianzi  ogni  pendice 

133.    Lo  vostro  regno  che  da  se  lo  sgombra. 


D.  Se  tu  rid. 


A.  m.  fia  grato 


A.  1.  de'  veri  (?) 


B.  Ched  io 

A.  1.  è  questo 
D.  queir  altro 
D.  Per  cui  si  se. 

C.  la  sgombra 


123.  che  seconda  —  126.  die  drissa  noi  —  128.  là  dove  sarà  Beatr.  —  129.  Qui  convien  —  133.  Del  vostro  regno 


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CANTO  YENTESIMOQUARTO 


jM  è  il  dir  r  andar,  ne  Y  andar  lui  più  lento 
Facea,  ma  ragionando  andavam  forte, 
Si  come  nave  pinta  da  buon  vento. 
4.   E  r  ombre,  che  parean  cose  rimorte, 
Per  le  fosse  degli  occhi  ammirazione 
Traean  di  me,  di  mio  vivere  accorte. 
7.   Ed  io,  continuando  il  mio  sermone. 

Dissi:  Ella  sen  va  su  forse  più  tarda 
Che  non  farebbe,  per  1'  altrui  cagione. 
1. -2.3.  .e  tu  sai,  dovè  10.    Ma  dimmi,  se  tu '1  sai,  ov'  è  Piccarda; 

Dimmi  s' io  veggio  da  notar  persona 
Tra  questa  gente  che  sì  mi  riguarda. 
13.   La  mia  sorella,  che  tra  bella  e  buona, 
Non  so  qual  fosse  più,  trionfa  lieta 
Neir  alto  Olimpo  già  di  sua  corona. 
16.    Sì  disse  prima,  e  poi:  Qui  non  si  vieta 
Di  nominar  ciascun,  da  eh'  è  sì  munta, 
Nostra  sembianza  via,  per  la  dieta. 


(\  lui  lento 


A.'l.  C.parevaii  -  A.2. 
t.  C,  cose  smorte 
D.  m.  cosi  rim. 


(\  su  sen  va 

A.  2.  C.  1),  per  altrui 

A.  2.  B.  C.  D.  se  tu  sai  - 
A.  2.  r.  D.  dov*  è 


B.  1).  sì  ti  rigu. 


l).  disse  pria 

A.  2.  (\  ciasc. ,  quando  è 


2.  andava  forte  —  4.  parevan  cose  morte  —  7.  al  mio  sermone  —  8.  Dissi:  La  sen  va  —  forse  e  più  tar<la 


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400 


OORN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIV.    19-42. 


MARTINO    IV. 


19.    Questi,  e  mostrò  col  dito,  è  Bonagiunta, 
Bonagiunta  da  Lucca;  e  quella  faccia 
Di  là  da  lui,  più  che  Y  altre  trapunta, 
22.    Ebbe  la  santa  Chiesa  in  le  sue  braccia: 
Dal  Torso  fu,  e  purga  per  digiuno 
L'  anguille  di  Bolsena  e  la  vernaccia. 
1. 2. 3.  mi  mostrò        25.   Molti  altri  mi  nomò  ad  uno  ad  uno; 
2.  .3.  nel  nomar  E  del  uomar  parcau  tutti  contenti. 

Si  eh'  io  però  non  vidi  un  atto  bruno. 
28.    Vidi  per  fame  a  vóto  usar  li  denti 
Ubaldin  dalla  Pila,  e  Bonifazio 
Che  pasturò  col  rocco  molte  genti. 
31.    Vidi  messer  Marchese,  eh'  ebbe  spazio 

Già  di  bere  a  Forlì  con  men  secchezza, 
E  sì  fii  tal  che  non  si  sentì  sazio. 
1. 2.  .3.  poi  f»  prezw     34.    Ma,  comc  fa  chi  guarda,  e  poi  si  prezza 


r.  L*  aiijruilU 
B.  mi  mostre» 


B.  e  non  s*  Apprezza 


1.  2.  \k  v'  ti  sentia 


Più  d'  un  che  d'  altro,  fé' io  a  quel  da  Lucca,  r.  feiaqu.  z^.fccìact.. 

Che  più  parca  di  me  aver  contezza.  a.  m.  voler  cont, 

37.    Ei  mormorava,  e  non  so  che  Gentucca 

Sentiva  io  là  ov'  ei  sentia  la  piaga  r.  sent.  io  doT-  ei 

Della  giustizia  che  sì  li  pilucca.  ^.  lìsipii. 

40.    0  anima,  diss'io,  che  par  sì  vaga 

Di  parlar  meco,  fa  sì  ch'io  t'intenda,  e.  chef  intenda 

E  te  e  me  col  tuo  parlare  appaga. 


23.  Da  Torsi  fu   —   24.  in  la  vernaccia   —   27.  Si  che  però   —   33.  E  si  fu  —  si  sentia  saxio   —   34.  e  non  si  pressa   —    3^  io  tee, 
a  quel  —  36.  di  me  veder  contezza  —  38.  là  dov'  ei  sentia  —  42.  £  me  e  te  —  del  tuo  pari. 


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conti,  VI.   00L08I. 


1.  2.  Dichìareranlti  — 
3.  D..reraiiti 


1.  2.  3-  Amore  spira 
1.  2.  3.  CTie  detU 


PURGATORIO    XXIV.    43-G6. 

43.    Femmina  è  nata,  e  non  porta  ancor  benda, 
Cominciò  ei,  che  ti  farà  piacere 
La  mia  città,  come  eh'  uom  la  riprenda. 

46.    Tu  te  n'  andrai  con  questo  antivedere; 

Se  nel  mio  mormorar  prendesti  errore, 
Dichiariranti  ancor  le  cose  vere. 

49.  Ma  di'  s' io  veggio  qui  colui  che  fiiore 
Trasse  le  nuove  rime,  cominciando: 
Dorine^  cK  avete  intelletto  d^  Amore, 

52.    Ed  io  a  lui:  Io  mi  son  un  che,  quando 
Amor  mi  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 
Che  ditta  dentro,  vo  significando. 


BONAOIUNTA. 


401 


1.2. 


3.  veRKiodissegiì  55.    0  fratc,  Issa  veggio,  disse,  il  nodo 


l.  2.  3.  Notaio 


Che  il  Notaro,  e  Guittone,  e  me  ritenne 
Di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  eh'  i'  odo. 
58.   Io  veggio  ben  come  le  vostre  penne 

Diretro  al  dittator  sen  vanno  strette. 
Che  delle  nostre  certo  non  avvenne. 
1.2.  3.  più  a  gradire     61.    E  qual  plù  a  tìguardar  oltre  si  mette, 

Non  vede  più  dall'  uno  all'  altro  stilo; 
E  quasi  contentato  si  tacette. 
64.    Come  gli  augei  che  vernan  lungo  il  Nilo 
Alcuna  volta  in  aer  fanno  schiera 
Poi  volan  più  in  fretta  e  vanno  in  filo; 


1.  2.  verse»  il  Nilo 
1.  2.  3.  di  lor  fanno 


A.  C.  come  eh*  or  la  ripr. 

B.  nel  mio  morar 

B.  C.  I).  Diehiareranti 


JJ.  ed  iu  quel  modo 
B.  e  quel  modo 

A.  Che  detto 


C.  JJ.  O  fr. ,  disse ,  issa  v. 
—  B.  vegg'  io ,  diss*  elll 


B.  stile  il  nuovo 

A.  m.  B.  le  nuove  penne 


JJ.  a  guardare    B.  a 
^adìre 


B.  verso  il  Nilo 

A.  m.  B.  C.  di  lor  fanno 

D.  più  a  fretto 


47.  E  se  al  mio  morm.  —   48.  Diehiareratti    —  63.  Amar  mi  spira  —  S5.  issa  vedo ,  disse  —  61.  E  qual  più  oltre  a  rìi^ardar  —  a 
guatare  —  63.  quasi  concentrato  ||  quasi  contentando  —  64.  che  volan  verso  —  lungo  il  stilo 


II. 


51 


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402 


rORN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIV.    67-90. 


3.  e  sì  pass. 


1.  2.  3.  dietro 


1.  2.  8.  risposi  lui 


1.  2.  3.  Verso  la  v. 


1.  2.  3.  sempre  infin 


1.  2.  3.  eir  a  te  fia 


A.  marrezza 


tì.  e.  U.  «Hetn. 


(CORSO    DONATI.) 

67.    Così  tutta  la  gente  che  lì  era, 

Volgendo  il  viso,  raffrettò  suo  passo, 

E  per  magrezza  e  per  voler  leggiera. 
70.    E  come  1'  uom  che  di  trottare  è  lasso 

Lascia  andar  li  compagni,  e  si  passeggia 

Fin  che  si  sfoghi  1'  aJffoUar  del  casso  ; 
73.    Sì  lasciò  trapassar  la  santa  greggia 

Forese,  e  retro  meco  sen  veniva, 

Dicendo:  Quando  fia  eh'  io  ti  riveggia? 
76.    Non  so,  rispos' io  lui,  quant' io  mi  viva;  e.  risposi  lui 

Ma  già  non  fia  il  tornar  mio  tanto  tosto, 

Ch'  io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva. 
79.    Perocché  il  loco,  u'  fui  a  viver  posto, 

Di  giorno  in  giorno  più  di  ben  si  spolpa, 

Ed  a  trista  ruina  par  disposto. 
82.    Or  va,  diss'  ei,  che  quei  che  più  n'  ha  colpa 

Vegg'  io  a  coda  d'  una  bestia  tratto 

In  ver  la  valle,  ove  mai  non  si  scolpa. 
85.    La  bestia  ad  ogni  passo  va  più  ratto, 

Crescendo  sempre  fin  eh'  ella  il  percuote ,        n-  ^^^v^  ìnfi.- 

E  lascia  il  corpo  vilmente  disfatto. 
88.    Non  hanno  molto  a  volger  quelle  rote, 

(E  drizzò  gli  occhi  al  ciel)  che  ti  fia  chiaro 

Ciò  che  il  mio  dir  più  dichiarar  non  puote. 


A.  1.  rh'  a  tr  ('ri 


75.  ch'io  ti  richeggia  —  77.  il  torn.  mio  tantosto  —  79.  Perchè  il  loco,  ov'  io  fili  —  82.  Or  va,  «lissc.  che  quei  —  83.  >>$aeifì  »  ' 


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rORN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIV.    91-114. 


STAZIO,    VIRGILIO  B  DANTE. 


403 


I.  2.  3.  a  uni  hi  entr. 


2.  3.  Pan-ermi  i  r. 


1.  2.  lor  voglia 


2.  ii.  arbori*,  ad  esso 


91.    Tu  ti  rimani  ornai,  che  il  tempo  è  caro 

In  questo  regno  si,  eh'  io  perdo  troppo 
Venendo  teco  sì  a  paro  a  paro. 
94.    Qual  esce  alcuna  volta  di  galoppo 

Lo  cavalier  di  schiera,  che  cavalchi, 
E  va  per  farsi  onor  del  primo  intoppo, 
97.    Tal  si  parti  da  noi  con  maggior  valchi; 
Ed  io  rimasi  in  via  con  esso  i  due, 
Che  fur  del  mondo  si  gran  maliscalchi. 

100.    E  quando  innanzi  a  noi  entrato  fiie. 

Che  gU  occhi  miei  si  fero  a  lui  seguaci, 
Come  la  mente  alle  parole  sue, 

103.    Pai'vem'  i  rami  gravidi  e  vivaci 

D'  un  altro  pomo,  e  non  molto  lontani, 
Per  esser  pure  allora  volto  in  làci. 

106.    Vidi  gente  sott'  esso  alzar  le  mani, 

E  gridar,  non  so  che,  verso  le  fronde, 
Quasi  bramosi  fantolini  e  vani, 

109.  Che  pregano,  e  il  pregato  non  risponde; 
Ma  per  fare  esser  ben  la  vogUa  acuta, 
Tien  alto  lor  disio  e  noi  nasconde. 

112.    Poi  si  parti  si  come  ricreduta; 

E  noi  venimmo  al  grande  arbore  adesso, 
Che  tanti  preghi  e  lagrime  rifiuta. 


li.  con  eaai  due 

A.2.  marUe.  CU.  mareso. 

A.  a  lui  ai  fer  segu. 

B.  t.  mente  e  le  par. 


(\  Per  esse 


B.  sotto  le  fr. 


99.  sì  buon  malUc.  —  106.  volto  iliaci  —  111.  Tien  alto  il  lor  dialo  —  113.  grande  albero  —  a  desso  (?) 

51* 


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404 


OORN.  VI.    GOLOSI. 


PURGATORIO    XXIV.    115-138. 


ESEMPI   ni   GOLOSITÀ. 


1.  2.   uon  ebb«    3.   non 
gli  ebbe 

1.  2.  3.  inver  Mad. 


2.  rallargAni 

1.  2.  3.  [lurtamnio  oltre 


B.  uuu  ebbe 


B.  V.  inver  M»U. 
B.  distese 


115.    Trapassate  oltre  senza  farvi  presso; 

Legno  è  più  su  che  fii  morso  da  Eva, 

E  questa  pianta  si  levò  da  esso.  b.  «ì  parti  da  es.o 

118.    Sì  tra  le  frasche  non  so  chi  diceva;  r.  no«soehe 

Per  che  Virgilio  e  Stazio  ed  io  ristretti, 

Oltre  andavam  dal  lato  che  si  leva.  b.  d.  da  uu. 

121.    Ricordivi,  dicea,  de'  maledetti 

Nei  nuvoh  fonnati,  che  satolli  i?.  fermati 

Teseo  combatter  co'  doppi  petti; 
124.    E  degli  Ebrei  eh'  al  ber  si  mostrar  molli, 

Per  che  no'  i  volle  Gedeon  compagni, 

Quando  ver  Madian  discese  i  colli. 
127.    Sì,  accostati  all'un  de' due  vivagni, 

Passammo,  udendo  colpe  della  gola. 

Seguite  già  da  miseri  guadagni. 
130.    Poi,  rallargati  per  la  strada  sola, 

Ben  mille  passi  e  più  ci  portaro  oltre,  z;.  portammo  oit« 

Contemplando  ciascun  senza  parola. 
133.    Che  andate  pensando  sì  voi  sol  tre? 

Subita  voce  disse;  ond' io  mi  scossi. 

Come  fan  bestie  spaventate  e  poltre. 
136.    Drizzai  la  testa  per  veder  chi  fossi; 

E  giammai  non  si  videro  in  fornace 

Vetri  o  metalli  sì  lucenti  e  rossi, 


liti,  rhe  morso  fu  —  119.  ed  io  riatcttl  —  125.  Perchè  non  volle  |)  Perchè  non  v"  ebbe  -    127.  due  vigagiù  —  135.  spaveiitaw  o  j-fltr 


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SALITA   ALLA    CORN.   VII.  PURGATORIO     XXIV.     139—154.  ANOKLO.  405 

139.    Com'  io  vidi  un  che  dicea:  S'  a  voi  piace 

Montare  in  su,  qui  si  convien  dar  volta; 

Quinci  si  va  chi  vuole  andar  per  pace. 
142.    L'  aspetto  suo  m'  avea  la  vista  tolta: 
1. 2. 3.  indietro  Pcrch'  io  uA  volsi  retro  a'  miei  dottori ,  a  dietro  h.  d.  indietro 

Vjotdl  uom  che  va  secondo  eh'  egli  ascolta,     b-  ci«  h  «coit* 
145.    E  quale,  annuiiziatrice  degli  albori, 

L'  aura  di  maggio  movesi,  ed  olezza: 

Tutta  impregnata  dall'  erba  e  dai  fiori;  r. daiierbe 

148.    Tal  mi  sentii  un  vento  dar  per  mezza 

La  fronte,  e  ben  senti'  mover  la  piuma, 

Che  fé'  sentir  d'  ambrosia  1'  orezza. 
151.    E  senti'  dir:  Beati  cui  alluma 

Tanto  di  grazia,  che  1'  amor  del  gusto 

Nel  petto  lor  troppo  disir  non  fuma, 
154.    Esuriqndo  sempre  quanto  è  giusto. 


148.  mi  senti'  da  uu  vento  -   la3.  Troppo  nel  petto  lor  disio 


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CANTO  VENTESIMOQUINTO 


1.   Ma  va  alla 


1.  erti"Z2a 


1.  2.  '.i.  tniiinu  al  f. 


vJra  era  onde  il  salir  non  volea  storpio, 
Che  il  sole  avea  lo  cerchio  di  merigge 
Lasciato  al  Tauro  e  la  notte  allo  Scorpio. 
4.    Per  che,  come  fa  1'  uom  che  non  s'  affigge, 
Ma  vassi  alla  via  sua,  checche  gh  appaia, 
Se  di  bisogno  stimolo  il  trafigge; 
7.    Così  entrammo  noi  per  la  callaia. 

Uno  innanzi  altro,  prendendo  la  scala 
(>he  per  artezza  i  saUtor  dispaia. 

10.    E  quale  il  cicognin  che  leva  Y  ala 

Per  voglia  di  volare,  e  non  s'  attenta 
D'  abbandonar  lo  nido,  e  giù  la  cala; 

13.    Tal  era  io,  con  voglia  accesa  e  spenta 
Di  domandar,  venendo  infino  all'  atto 
Che  fa  colui  eh'  a  dicer  s'  argomenta. 

16.  Non  lasciò,  per  l'andar  che  fosse  ratto. 
Lo  dolce  Padre  mio,  ma  disse:  Scocca 
L'  arco  del  dir  che  infino  al  ferro  hai  tratto. 


H.  e.  D.  aveva  il  oerehio 


H.  Ma  va  alla  -  D.  sua 
via,  che  li  app. 


A.  1.  (?)  H.  ertezza 


li.  infili  a  ferro 


1.  Ora  era  che  il  stai.     -   non  vuole  storpio   —   2,  aveva  al  cerchio   —  3.  Lasciato  il  Tauro   --    4.  fa  come  V  uom      -   8.  tuo  anzi 
altro  II  Tuo  anzi  1'  altro  ||  Itti  'nanti  ali*  altro  —  prendemmo  la  scala  -  9.  Che  per  altezza  —  11.  di  volar,  ma  non  e*  attenta  -  Ki  con  voce  accesa 


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408  SALITA    ALLA    COEN.    VII.  PURGATORIO     XXV.     19  —  42.  (GENERAZIONE.) 

19.    AUor  sicuramente  aprii  la  bocca, 

E  cominciai:  Come  si  può  far  magro 

Là  dove  1'  uopo  di  nutrir  non  tocca? 
22.    Se  t'  ammentassi  come  Meleagro  j,  i.  (>)  ,j^  «„„,„,!«, 

1. 2. 3.  d- un  tixzo  Si  consumò  al  consumar  d*  un  stizzo, 

Non  fora,  disse,  questo  a  te  sì  agro:  .4.  <,«.  »  te.  ais« 

25.    E,  se  pensassi  come  al  vostro  guizzo 

Guizza  dentro  allo  specchio  vostra  image. 

Ciò  che  par  duro  ti  parrebbe  vizzo; 
28.    Ma  perchè  dentro  a  tuo  voler  t'  adage, 

Ecco  qui  Stazio,  ed  io  lui  chiamo  e  prego, 

Che  sia  or  sanator  delle  tue  piage.  ^.  deiiemie-^r^ 

1. 2.uvendetu  31.    Sc  la  vcduta  eterna  gli  dislego. 

Rispose  Stazio,  là  dove  tu  sie, 

Discolpi  me  non  potert'  io  far  nego. 
M.   Poi  cominciò:  Se  le  parole  mie. 

Figlio,  la  mente  tua  guarda  e  riceve. 

Lume  ti  fieno  al  come  che  tu  die. 
37.    Sangue  perfetto,  che  mai  non  si  beve 
2.  assentate -2, 3.  vene.  Dall' assctatc  vcuc,  c  sì  rimane 

si  rim. 

Quasi  alimento  che  di  mensa  leve, 
40.    Prende  nel  core  a  tutte  membra  umane 
Virtute  informativa,  come  quello 
Ch'  a  farsi  quelle  per  le  vene  vane.  a.  2.  b.  che  ftr« 

21.  r  uopo  del  nodrir   ~   24.  disse,  a  te  questo  —  28.  dentro  al  tuo  voler  —  31.  ^[t  dispiego  —  37.  che  poi  non  si  beve      12.  C^'-* 
farsi  cjuello  ||  (lie  frange  quello 


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SALITA   ALLA    CORM.   VII. 


PURGATORIO    XXV.    43-66. 


(GENERAZIONE.) 


409 


1.  ft(l(jper»re 


1.  2.  fé'  pestare 


1.  2.  3.  ivi  impr. 


1.  2.  ai  pie^a 


1.  2.  3.  Dove 


l.  2.  3.  i^k  fece 


1.  passibile 


43.    Ancor  digesto,  scende  ov'  è  più  bello 

Tacer  che  dire;  e  quindi  poscia  geme 
Sopr'  altrui  sangue  in  naturai  vasello. 

46.   Ivi  s'  accoglie  Y  uno  e  T  altro  insieme, 

L'  un  disposto  a  patire  e  1'  altro  a  fare, 
Per  lo  perfetto  loco  onde  si  preme; 

49.    E,  giunto  lui,  comincia  ad  operare. 
Coagulando  prima,  e  poi  avviva 
Ciò  che  per  sua  materia  fé'  constare. 

52.    Anima  fatta  la  virtute  attiva, 

Qual  d'  una  pianta,  in  tanto  differente, 
Che  quest'  è  in  via,  e  quella  è  già  a  riva, 

55.    Tanto  opra  poi  che  già  si  move  e  sente. 
Come  fiingo  marino;  ed  indi  imprende 
Ad  organar  le  posse  ond'  è  semente. 

58.    Or  si  spiega,  figliuolo,  or  si  distende 
La  virtù  eh'  è  dal  cor  del  generante. 
Ove  natura  a  tutte  membra  intende: 

61.    Ma,  come  d'  animai  divenga  fante, 

Non  vedi  tu  ancor:  quest'  è  tal  punto 
Che  più  savio  di  te  fé'  già  errante  ; 

64.    Si  che,  per  sua  dottrina,  fé'  disgiunto 
Dall'  anima  il  possibile  intelletto. 
Perchè  da  lui  non  vide  organo  assunto. 


A.  Quivi  —  D.  raccolto 


B.  D.  rarriva 
B.  fé'  frustare 


^.1.  quella  già 


A.  1.   Come  il  fungo 
B.  Come  afuoogo  — 
tt.  D.  ivi  impr. 


A.  2.  fi.  C.  D.  Dove 


45.  naturai  vascello   —  46.  e  1'  altro  in  seme  —  48.  onde  si  spreme   —   49.  E ,  giunto  lì  ||  E ,  giunto  V  un  -  56.  ed  indi  prende  — 
37.  ond'  è  possente  —  61.  divenga  infante  —  62.  quest'  è  quel  punto  —  64.  fu  disgiunto 


II. 


52 


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410 


SALITA   ALLA   COBN.   VII. 


PURGATORIO    XXV.    67  —  90. 


1.  2.  3.  Seco  ne  porta 


B.  Apri  la  ver.  - 
B.  vien  al  p. 


(COBPI  ASREI.) 

67.    Apri  alla  verità  che  viene  il  petto, 
E  sappi  che,  si  tosto  come  al  feto 
L'  articular  del  cerebro  è  perfetto, 
70.    Lo  Motor  primo  a  lui  si  volge  lieto 
Sopra  tanta  arte  di  natura,  e  spira 
Spirito  nuovo  di  virtù  repleto, 
73.    Che  ciò  che  trova  attivo  quivi,  tira 

In  sua  sustanzia,  e  fassi  un'  akna  sola. 
Che  vive  e  sente,  e  se  in  se  rigira. 
76.   E  perchè  meno  ammiri  la  parola. 

Guarda  il  calor  del  sol  che  si  fa  vino. 
Giunto  all'  umor  che  dalla  vite  cola, 
79.    E  quando  Lachesis  non  ha  più  lino, 
Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute 
Ne  porta  seco  e  1'  umano  e  il  divino. 
82.    L'  altre  potenze  tutte  quante  mute; 

Memoria,  intelligenza,  e  volontade, 
In  atto  molto  più  che  prima  acute. 
1. 2. 3.  Senza  restarsi    85.    Scuz' arrcstarsi,  per  se  stessa  cade 

Mirabilmente  all'una  delle  rive; 
Quivi  conosce  prima  le  sue  strade. 
1.2.  là  la  ciré.  88.    Tosto  chc  loco  li  la  circonscrive, 

La  virtù  formativa  raggia  intorno, 
Così  e  quanto  nelle  membra  vive; 

6H.  E  «appiè  -  73.  che  trova  quivi  att  —  79.  Laehesì  jj  Lachèsi  —  non  ha  più  di  lino  —  84.  più  che  pr.  argute  —  88.  Scnia  ristars: 


B.  Vinto  -  A.  D.  ue.U 
vite 

^.2.  r.  Quando- Jl 
B.  C.  D.  più  del  la 


A.  1.  tutte  quasi  (V) 


D.  Senaa  restarsi 
A.  l.  ad  una 


A.  2.  i\  che  "l  loco  - 
B.  certoscrÌTP 

.•I.  l.  informativa 


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SALITA    ALLA    CORN.    VII, 


PURGATORIO    XXV.    91-114. 


411 


2.  3.  V  aere 


1.  2.  3.  si  mostra  ad. 


1.  2.  3.  inaino 


l.  2.  3.  afiìgon  li 


1.  2.  3.  tu  miri 


A.  2.  gli  altrui  raggi 


(COBPl   AKRKI.) 

91.    E  come  V  aer,  quand'  è  ben  piorno, 

Per  r  altrui  raggio  che  in  se  si  riflette, 

Di  diversi  color  diventa  adorno, 
94.    Così  r  aer  vicin  quivi  si  mette 

In  quella  forma  che  in  lui  suggella, 

Virtualmente  Y  alma  che  ristette  : 
97.   E  simigUante  poi  alla  fiammella 

Che  segue  il  foco  là  Vunque  si  muta, 

Segue  allo  spirto  sua  forma  novella. 
100.    Perocché  quindi  ha  poscia  sua  paruta, 

E  chiamat'  ombra;  e  quindi  organa  poi 

Ciascun  sentire  infino  alla  veduta. 
103.    Quindi  parhamo,  e  quindi  ridiam  noi, 

Quindi  facciata  le  lagrime  e  i  sospiri 

Che  per  lo  monte  aver  sentiti  puoi. 
106.    Secondo  che  ci  affliggono  i  disiri 

E  gh  altri  affetti,  V  ombra  si  figura, 

E  questa  è  la  cagion  di  che  tu  ammiri. 
109.    E  già  venuto  all'  ultima  tortura 

S'  era  per  noi,  e  volto  alla  man  destra. 

Ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura. 
112.    Quivi  la  ripa  fiamma  in  fuor  balestra, 

E  la  cornice  spira  fiato  in  suso. 

Che  la  reflette,  e  via  da  lei  sequestra; 

91.  E  come  I'  arco  —  ben  piovomo  —  92.  che  in  lui  si  riflette  —  94.  1*  aere  vicin  —  96.  che  in  lui  si  suggeUa  —  9B.  segue  il  foeo 
dovunque  —  100.  qui  ha  possa  sua  par.  —  101.  organo  —  102.  fino  alla  yed.  —  106.  aver  sentito  puoi  —  106.  che  trafiggon  li  dis.  —  107. 1'  ombra 
ai  sfigura  —  109.  E  già  venuti  —  111.  eravamo  intenti  ||  erav.  accesi  —  112.  fiamme  in  fuor  bai. 

52  ♦ 


^.  1.  E  simigl. 
IJ.  là  unque 

A.  1.  Segue  lo 
C.  quindi  poseia 

C.  quivi  organa 

B.  insino 

r.  riandiam 

D.  et  sospiri 


B.  JJ.  affiggon  li 
C.  afligono  li 


B.  C.  D,  tu  miri 


B.  C.  D.  e  volti 


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412 


CARNALI. 


PURGATORIO    XXV.    115-139. 


SSKMPI  DI   CASTITÀ. 


1.  2.  3.  temeva  il  cader  g. 
1.  per  esto 


1.  2.  3.  Del  grand'  ard. 
1.  caler  mi  fé' 

1.  2.  3.  guard.  ai  loro 


2.  3.  anche 

1.  2.  Corse  Diana 


1.  a  cantar 


1.  2.  3.  e  con  tai  p. 


A.  1.  dair  alto 


B.  D.  E  quinci  -  A.  \ 
e  qninei  t.  —  A.  2.  T. 
di  cader  g.  B.  D.  rad.  z- 


B.  per  esto 


115.    Onde  ir  ne  convenia  dal  lato  schiuso 

Ad  uno  ad  uno,  ed  io  temeva  il  foco 

Quinci,  e  quindi  temea  cadere  in  giuso. 
118.    Lo  Duca  mio  dicea:  per  questo  loco 

Si  vuol  tenere  agli  occhi  stretto  il  freno 

Perocch'  errar  potrebbesi  per  poco. 
121.    Summae  Deus  dementiae^  nel  seno 

Al  grande  ardore  allora  udii  cantando, 

Che  di  volger  mi  fé'  caler  non  meno  : 
124.    E  vidi  spirti  per  la  fiamma  andando; 

Perch'  io  guardava  loro,  ed  a'  miei  passi, 

Compartendo  la  vista  a  quando  a  quando,    i?.  pìccìoi  pas«.  con 

picc.  seguitando 

127.    Appresso  il  fine  eh'  a  queir  inno  fassi. 

Gridavano  alto:  Virurft  non  cognosco; 

Indi  ricominciavan  l' inno  bassi. 
130.    Finitolo,  anco  gridavano:  Al  bosco 

Si  tenne  Diana,  ed  Elice  caccionne 

Che  di  Venere  avea  sentito  il  tosco. 
133.    Indi  al  cantar  tornavano;  indi  donne 

Gridavano,  e  mariti  che  for  casti, 

Come  virtute  e  matrimonio  imponne. 
136.    E  questo  modo  credo  che  lor  basti  z?  ^ch-.iorb. 

Per  tutto  il  tempo  che  il  foco  gU  abbrucia;  ^.  n  brucia -/?.  r 

abbruscia 

Con  tal  cura  conviene,  con  cotai  pasti 


B.  El  grande  ard. 
B.  caler  mi  fé' 

B.  guard.  ai  Ioni 

B,  Picciol  passo  i 
picc.  seguitani 

A,  Appr.  al  fine 


139.    Che  la  piaga  dassezzo  si  ricucia. 


B,  e  con  tai  pasti 
B.  C.  ricìiscia 


137.  gli  abbrusa  —  139.  si  ricusa  ||  sia  richiusa 


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CANTO  VENTESmOSESTO 


Jjxentre  che  sì  per  1'  orlo,  uno  innanzi  altro, 
2. 3.  «idav.  spesso  Ce  n'andavauio,  e  spesso  il  buon  Maestro 

Diceva:  Guarda;  giovi  eh'  io  ti  scaltro, 
4.    Feriami  il  Sole  in  suir  omero  destro, 
Che  già,  raggiando,  tutto  Y  occidente 
Mutava  in  bianco  aspetto  di  cilestro, 
7.    Ed  io  facea  con  V  ombra  più  rovente  n.  più  dolente 

Parer  la  fiamma;  e  pure  a  tanto  indizio 
1. i 3  Vidi moif  o.  Vid' io  molt' ombre,  andando,  poner  mente.    //.  r.  vicu  mou- o. 

10.    Questa  fu  la  cagion  che  diede  inizio 
Loro  a  parlar  di  me;  e  cominciarsi 
A  dir:  Colui  non  par  corpo  fittizio. 
13.    Poi  verso  me,  quanto  potevan  farsi, 
Certi  si  feron,  sempre  con  riguardo 
Di  non  uscir  dove  non  fossero  arsi. 
16.    0  tu,  che  vai,  non  per  esser  più  tai'do. 
Ma  forse  reverente,  agli  altri  dopo. 
Rispondi  a  me  che  in  sete  ed  in  foco  ardo: 

1.  Mentre  cosi  —   uno  ansi  l'altro  —  3.  Dineami:  Guarda  ||  Dicendo:  Gu.  —  giù,  via,  rh'  io  ti  sr.  —  13.  tjuantiuujue  potean  farsi  - 
14.  sì  fero  —  15.  donde  non  fossero  —  16.  per  non  esser  più  t. 


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414 


rORN.    VII.    CARNALI. 


1.  acqua  fresca 


1.  fosse 

1.  2.  3.  eh'  apparse 


1.  2.  3.  Forse  a  spiar 


2.  Sopra,  gridar 


i.  2.  3.  entrò  Pas. 


PURGATORIO    XXVI.    19  —  42. 

19.    Ne  solo  a  me  la  tua  risposta  è  uopo; 

Che  tutti  questi  n'  hanno  maggior  sete 
Che  d'  acqua  fredda  Indo  o  Etiopo. 

22.    Dinne  com'  è  che  fai  di  te  parete 

Al  sol,  come  se  tu  non  fossi  ancora 
Di  morte  entrato  dentro  dalla  rete. 

25.    Si  mi  parlava  un  d'  essi,  ed  io  mi  fora 
Già  manifesto ,  s' io  non  fossi  atteso 
Ad  altra  novità  eh'  apparve  allora; 

28.    Che  per  lo  mezzo  del  cammino  acceso 

Venia  gente  col  viso  incontro  a  questa, 
La  qual  mi  fece  a  rimirar  sospeso. 

31.   Lì  veggio  d'  ogni  parte  farsi  presta 

Ciascun'  ombra,  e  baciarsi  una  con  una, 
Senza  restar,  contènte  a  breve  festa: 

34.    Cosi  per  entro  loro  schiera  bruna 

S'  ammusa  1'  una  con  1'  altra  formica, 
Forse  ad  espiar  lor  via  e  lor  fortuna. 

37.    Tosto  che  parton*  1'  accoghenza  amica. 
Prima  che  il  primo  passo  li  trascorra. 
Sopragridar  ciascuna  s'  affatica; 

40.  La  nuova  gente:  Soddoma  e  Gomorra; 
E  r  altra:  Nella  vacca  entra  Pasife, 
Perchè  il  torello  a  sua  lussuria  corra. 


ESEMPI   DI   LUSSURIA. 


A,  Non  solo  —  B.r  e..- 


A.  non  fosse 


B,  fosse 

B,  C.  eh*  apparse  - 
IJ.  che  parrr 


j4.  Venne—  C.  DA'M 
venia 


B.  r.  ristar 


A.  \.  Sopra  il  gridir 


23.  Al  sol.  pur  come  tu  —  32.  baciarsi  una  ad  una 


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rORN,    VII.    CARNALI. 


PURGATORIO    XXVI.    43  —  66. 


GUIDO    OUINIZELLI. 


415 


3.  a  primi 


I.  2.  3.  Che  sì  ne  va 


43.    Poi  come  gru,  eh'  alle  montagne  Rife 

Volasser  parte,  e  parte  inver  Y  arene. 
Queste  del  giel,  quelle  del  sole  schife; 

46.    L'  una  gente  sen  va,  V  altra  sen  viene, 
E  toman  lagrimando  ai  primi  canti, 
Ed  al  gridar  che  più  lor  si  conviene; 

49.    E  raccostarsi  a  me,  come  davanti. 

Essi  medesmi  che  m'  avean  pregato. 
Attenti  ad  ascoltar  nei  lor  sembianti. 

52.    Io,  che  due  volte  avea  visto  lor  grato, 
Incominciai:  0  anime  sicure 
D'  aver,  quando  che  sia,  di  pace  stato, 

55.    Non  son  rimase  acerbe  né  mature 

Le  membra  mie  di  là,  ma  son  qui  meco 
Col  sangue  suo  e  con  le  sue  giunture. 

58.    Quinci  su  vo  per  non  esser  più  cieco: 

Donna  è  di  sopra  che  n'  acquista  grazia. 
Per  che  il  mortai  pel  vostro  mondo  reco. 

61.   Ma  se  la  vostra  maggior  vogUa  sazia 

Tosto  divenga,  si  che  il  ciel  v'  alberghi, 
Ch'  è  pien  d'  amore  e  più  ampio  si  spazia, 

64.    Ditemi,  acciocché  ancor  cai'te  ne  verghi. 
Chi  siete  voi,  e  chi  è  quella  turba 
Che  se  ne  va  diretro  ai  vostri  terghi? 


B.  rAccostansi 
fì.  che  n'  »vèn  pp. 
^.1.  Aiiseult&r 


fi.  Quinci  vo  su 


fi.  C.  D.  per  vostro 


R.  i.  che  *!  V*  alberghi 


B.  Ditemi  si  eh'  ano. 


B.  (lie  sì  ne  va 


44.  Volasse  parte  —  46.  Qu.  del  gielo ,  qu.  del  sol  sch.  —  57.  Col  sangue  loro  e  colle  lor  giuni  —  59.  che  m'  acquista  gr. 


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416 


COHN.    VII.    CARNALI. 


PURGATORIO    XXVI.   67-90. 


GUIDO   OUINIZELLt. 


1.  2.  'à.  uè  cbiese 
1.  2.  3.  Per  viver 


(ì7.    Non  altrimenti  stupido  si  turba 

Lo  montanaro,  e  rimirando  ammuta, 
Quando  rozzo  e  salvatico  s' inurba, 

70.  Che  ciascun'  ombra  fece  in  sua  paruta; 
Ma  poiché  fiiron  di  stupore  scarche, 
Lo  qual  negli  alti  cor  tosto  s'  attuta, 

73.   Beato  te,  che  delle  nostre  marche. 

Ricominciò  colei  che  pria  m' inchiese, 
Per  morir  meglio  esperienza  imbarche! 

76.  La  gente,  che  non  vien  con  noi,  oflFese 
Di  ciò,  perchè  già  Cesar,  trionfando. 
Regina,  contra  se,  chiamar  s'intese; 

79.    Però  si  parton  Soddoma  gridando. 

Rimproverando  a  se,  com'  hai  udito. 
Ed  aiutan  Y  arsura  vergognando. 

82.    Nostro  peccato  fu  ermafrodito; 

Ma  perchè  non  servammo  umana  legge, 
Seguendo  come  bestie  T  appetito , 

85.    In  obbrobrio  di  noi,  per  noi  si  legge. 
Quando  partiamci,  il  nome  di  colei 
Che  s' imbestiò  neU'  imbestiate  schegge. 

88.    Or  sai  nostri  atti,  e  di  che  fummo  rei: 
Se  forse  a  nome  vuoi  saper  chi  semo. 
Tempo  non  è  da  dire,  e  non  saprei. 


A.  t.  salv.  entra  in  urU 


ti.  t.  atti  cor    -  C  sali.'j 
B.  si  muta 


B.  ue'iiphiesc 

A.  m.  B.  r.  D.  Per  vÌT-^r 


A.  contrm  a  sr 


A.  L  B.  C.  Ed  a  cin a 
D.  Ed  ainnUn 


B.  rome  bestia 


B.  C.  D.  Qu.  partinri 


B.  D.  di  dire 


74.  prima  mi  chiese  —  77.  perchè  Cesar  —  81.  E  aiutanu  1*  arsura  ||  E  dau  giunta  all'  ara.  —  82.  fu  d*  Ermafrodito  ~  87.  imbesehiate  - 
90.  Tempo  nou  v'  e  da  dire 


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CORN.    VII.    CARNALI. 


1.   2.  3.  Guiiiieelli 
1 .   ^  3.  allo  stremo 


1.   ^.  3.  (Quando  i'  udì' 


PURGATORIO    XXVI.    91—114. 

91.    Faretti  ben  di  me  volere  scemo; 

Son  Guido  (juinizelli,  e  già  mi  purgo 
Per  ben  dolermi  prima  eh'  all'  estremo. 
94.    Quali  nella  tristizia  di  Licurgo 

Si  fer  due  figli  a  riveder  la  madre, 
Tal  mi  fec'  io ,  ma  non  a  tanto  insurgo , 
97.    Quand'  i'  odo  nomar  se  stesso  il  padre 

Mio,  e  degli  altri  miei  miglior  che  mai 
Rime  d'  amore  usar  dolci  e  leggiadre  : 
100.    E  senza  udire  e  dir  pensoso  andai, 
Lunga  fiata  rimirando  lui, 
Ne  per  lo  foco  in  là  più  m'  appressai. 
lOH.    Poiché  di  riguardar  pasciuto  fui, 

Tutto  m'  offersi  pronto  al  suo  servigio. 
Con  r  affermar  che  fa  credere  altrui. 
106.    Ed  egU  a  me:  Tu  lasci  tal  vestigio. 

Per  quel  eh'  i'  odo,  in  me  e  tanto  chiaro, 
1.2.3.  torre,  né  far  bigio  Chc  Lctc  iiol  può  tor,  uò  farfo  bigio. 

109.    Ma,  se  le  tue  parole  or  ver  giuraro, 
i.  mi  mostri  Dimmi  chc  è  cagion  per  che  dimostri 

1.2.3.  «uardard- avermi  Nel  dlrc  e  ucl  guardarc  avermi  caro? 

112.    Ed  io  a  lui:  Li  dolci  detti  vostri 

Che,  quanto  durerà  1'  uso  moderno, 
Faranno  cari  ancora  i  loro  inchiostri. 


OUIDO    OUINIZELLI. 


417 


.-1.  C.  Guinizzelli 


r.  Per  non  dol.  —  /?. 
e.  allo  stremo 


A.  1.  udir  o  dir 


2.  //.  r.  U.  torre  né 
far  1>. 


B.  /).  mi  mostri 

A.  2.  fi.  (\  guardar  d' av. 


C.  aiieorli  —  yi.//.  iucostri 


91.  di  me  il  volere  —  95.  Si  fero  i  figli  —  96.  Tal  mi  faccio  —  103.  Poiché  del  riguardar  —  109.  al  ver  giuraro  —  114.  Far.  neri 

n.  5a 


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418  f'ORN-  VII.  CARNALI.  PURGATORIO    XXVr.    115  —  138.  Arnaldo  Daniello. 

115.    0  frate,  disse,  questi  ch'io  ti  scerno  .4.2. ir. r./>.qiie.ci,v 

mo  ti   —    iff.   »T<Ta< 

1.  ed  add.  col  dito  inn.  r^i      t.  i         jj*x^  '^^ 

2. 3.  e  add.  uno  sp.  (>ol  (lito ,  eo.  adoito  uii  spirto  innanzi,  b.  Additò  coi  dit..  r^ 

ìnn. 

Fu  miglior  fabbro  del  parlar  materno. 
118.    Versi  d'  amore  e  prose  di  romanzi 

Soperchiò  tutti,  e  lascia  dir  gli  stolti 

Che  quel  di  Lemosì  credon  eh'  avanzi.  v.  Limusi 

121.    A  voce  più  eh'  al  ver  drizzan  li  volti,  ^.  dri««piiv. 

E  così  fermai!  sua  opinione  a  co.ì  ferma  ia  - 

A.  loro  o\). 

Prima  eh'  arte  o  ragion  per  lor  s'  ascolti. 

124.    Così  fer  molti  antichi  di  Guittone, 

Di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio. 

Fin  che  1'  ha  vinto  il  ver  con  più  persone,    b.  eh-  ei  .inu.  ii  m 

127.    Or,  se  tu  hai  si  ampio  privilegio, 

# 
Che  licito  ti  sia  1'  andare  al  chiostro. 

Nel  quale  è  Cristo  abate  del  collegio ,  r.  La  dov*  è  cnst. 

1. 2. 3.  dir  d,  pat.        130.    Fagli  per  me  un  dir  di  un  paternostro ,  «.  u.  1.  dir  dì  y^^ 

Quanto  bisogna  a  noi  di  questo  mondo, 

1. 2. 3.  Ove  Dove  poter  peccar  non  è  più  nostro.  /?.  o^e 

1.  loco  a  lui  133.    Poi,  forse  per  dar  loco  altrui  secondo,  ^.  locoaiui 

Che  presso  avea,  disparve  per  lo  foco,  ^. />.  che pr«u tv.» 
1.  pera«,ua- 2.3.per                Coiuc  pcr  1' acqua  pcscc  andando  al  fondo,    r.  ^.  P"*cqu^- 
136.    Io  mi  feci  al  mostrato  innanzi  un  poco, 

E  dissi  eh'  al  suo  nome  il  mio  disiro  a.  2.  r.  u.  ^^s^r 

Aj)parecchiava  grazioso  loco. 

115.  io  ti  cerno    -    118.  Verso  d'  amore   —   121.   A  voce  più  che  a  ver  —   123.  Prima  eh*  altra  ragion   —    125.  dando  il  pt«P    ' 
126.  il  ver  com*  più  persone  -  130.  per  me  udir  di 


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roHN.    VII.    CA&NALI. 


ARNALDO    DANIELLO. 


PURGATORIO    XXVI.    139  -  148. 

139.    Ei  cominciò  liberamente  a  dire: 

Tan  m'  abelis  vostre  cortes  deman^ 

Qtj^  leu  710 -m  puesc^  ni-m  vneil  a  vos  cobrire. 


419 


A.  r.  D.  A  dir 


I.  2.  3.  »bbt'l.  VI) tre    - 

1.  2.  cortois 

2.  Chi  eu  —  1 . 2. 3.  non— 
1.2.puou&—  1.2.3.niv. 

2.  jcu  -  i.  2.  che  -  142.    Je  sui  Arnauty  qtie  plor^  e  vai  cantan, 

3.  chantan 


Consiros  vei  la  passada  folor. 

E  vei  iaiizen  la  ioi  qv!  esper^  denan. 


2.  Con  si   tost.  -    1. 

2.  spassada 

2.ciau5en  —  1.2.  leior 

3.  lo  ioni  —  1.2.  che  sp. 

i.Aravu5  3.Araus-  145.    Ara  VOS  prec  per  aqxiella  valor ^ 

l.  2.  prec  pera  eheila 


1.  2.  Che  Tus  Khida   - 
1.2.  delle  se.  3.  de  Uso. 

1.  2.  Sovegna  tus     3. 
Sovengaus 


Que  vos  guida  al  som  de  t  escalina 
Sovenha  vos  a  temps  de  ma  dolor, 
148.    Poi  s'  ascose  nel  foco  che  gli  affina. 


I).  clie  r  affìua 


VERSI  DI  ARNALDO  DANIELLO, 

QUALI  LI  CORREGGE 


Il  Raynouard 

(.loiirn.  des  savants.  1830.  Févr.  p.  67-78). 

Tan  m'  abellis  vostre  cortes  demau, 

Ch*  ieu  no  ine  puosc  ni  m  voi!  a  vos  cobrire; 

Jcu  .sui  Aruaut  che  plor  e  vai  cantan: 
Consiros  vei  la  passada  follor, 
K  vei  jauzen  Io  joi  qu'  csper  denan. 

Ara  vos  prec  per  a((uclla  valor, 

Quo  US  guida  al  som  sens  freich  e  sens  calina, 
Sove^na  vos  a  temprar  ma  dolor. 


Il  Galvani 

(Osa.  sulla  poesia  de*  trovata  p.  474). 

Tan  in*  abclhis  vostre  cortes  deman, 

Qu'  ieu  no  m  puesc  ni  vueilh  a  vos  cobrire. 

.leu  sui  Arnauti  que  plor  e  vai  cantan, 
Cossiros  vei  la  passada  folor, 
E  vei  jauzen  la  joi  qu'  esper  denan. 

Ara  US  prec  per  aquella  valor, 

Que  US  giiia  al  som  ses  duel  e  ses  calina, 
Souvenha  us  a  temps  de  ma  dolor. 


Il  Diez 

(Leben  u.  Werke  der  Troiibad.  p.  347). 

Tan  m'  abelis  vostre  cortes  deman, 

Que  ieu  no-m  puesc  ni-m  vueil  a  vos  cobrire. 

Jcu  sui  Arnaut,  que  plor  e  vau  cantan: 
Car,  sitot  vei  la  passada  folor, 
Eu  vei  jausen  lo  jorn,  qu'  esper,  denan. 

Ara  vos  prec  per  aquella  valor, 

Que  US  guida  al  som  de  T  escalina, 
So\  cgna  vos  a  temps  de  ma  dolor. 


53* 


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VERSI  DI  ARNALDO  DANIELLO, 

QUALI  SI  LEGGONO 


Nel  Cod.  di  S.  Croce  (A.) 

Tant  niabelis  vostre  cortes  demaiit, 

Que  ieu  non  vuoili  ne  puosch  a  vos  cubrìr. 

.leu  sui  Arnaut!  que  plaur  e  vauch  ciantant, 

Aysi  quant  vos  vedes  la  spassada  follour, 
Et  vauch  iausent  le  yor  que  es  per  denant. 

Ara  vos  prech  per  a  quella  valour 

Que  vos  condus  al  som  de  la  (al.  d'  està)  scalina , 
Sovcnha  vos  a  temps  de  ma  dolour. 


Nel  Cod.  Vaticano  (B.) 

Tarn  m'  abbelis  vostre  cortois  deman, 
Chieu  non  puous,  ne  vueil  a  vos  cobrire. 

Jeu  sui  Amaut,  che  plor,  et  vai  caiitan 
Con  sì  tost  vei  la  spassada  follor: 
Et  vei  giausen  le  ior  che  sper  dcnan. 

Ara  vus  preu  per  achella  valor 

Che  vus  ghida  al  som  do  le  scaliua: 
Sovegnas  vus  a  temps  de  ma  dolor. 


Nel  Cod.  di  Berlino  (C.) 

Tant  m  bellis  nostre  cortes  dcmant 

Che  yo  non  puest  ni  uuegl  ad  uos  cubrir. 

Jo  suy  Arnaut,  che  plor  e  uau  cantant 

Ay  si  com  uos  ueses  la  passada  follor 
Et  uau  gausent  la  yoie  eh'  es  per  denant. 

Ara  vos  preg  per  a  chella  uolor 

Che  uous  condus  al  sum  d'  està  scalina 
Soncnga  uos  ad  temps  de  mon  dolor. 


Nel  Cod.  Caetani  (D.) 

Tant  menbelis  vostre  cortois  demant. 
Che  ye  ne  puis  ne  vuel  a  vous  coubrir. 

Ye  suis  Amaut,  que  pleure  et  vois  cantant 
Consìrant  vois  le  spassee  fallour, 
Et  vays  joiant  le  jour  qu'  espoìr  danant. 

Hor  vous  prie  per  celle  valour 

Que  vous  condus  al  som  d'  està  scalina 
Sovegna  vous  au  temps  de  mon  dolor. 


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CANTO  VENTESIMOSETTIMO 


1.  En  r  onde   2.  K  "n  l'  o. 
—  1.  2.  di  nuovo 


1.  2.  3.  Sì  disse 


1.  mani  r.  mi  presi 
1.  foco,  immag. 


J^i  come  quando  i  primi  raggi  vibra 
Là  dove  il  suo  Fattore  il  sangue  sparse, 
Cadendo  Ibero  sotto  Y  alta  Libra, 
4.  E  r  onde  in  Gange  da  nona  riarse, 

Si  stava  il  sole;  onde  il  giorno  sen  giva, 
Quando  1'  Angel  di  Dio  lieto  ci  apparse. 
7.    Fuor  della  fiamma  stava  in  sulla  riva, 
E  cantava:  Beati  mundo  corde ^ 
In  voce  assai  più  che  la  nostra  viva. 

10.    Poscia:  Più  non  si  va,  se  pria  non  morde, 
Anime  sante,  il  foco:  entrate  in  esso, 
Ed  al  cantar  di  là  non  siate  sorde, 

13.    Ci  disse,  come  noi  gli  fummo  presso: 

Perch'  io  divenni  tal,  quando  lo  intesi, 
Quale  è  colui  che  nella  fossa  è  messo. 

IH.    In  sulle  man  commesse  mi  protesi, 

Guardando  il  foco,  e  immaginando  forte 
Umani  corpi  già  veduti  accesi. 


A.  (\  Fattor  lo  sangue 

A.fn.  C.  Cadendo  in  Ebro 

^.1.  B,  D.  m.  di  nuovo 
A.  2.  da  nova 

fi.  Come  r  Ang. 


fì.  Si  disse 

A.  1.  />.  quAiid'  io 

fì.  mani  comm.  mi  presi 

B.  foco,  imm. 


3.  sotto  all'  altra  Libra  —  5.  Si  stava  il  sole  —  13.  disse ,  poiché  noi  —  16.  Quale  eolui  —  16.  lu  sulle  mani  tutti)  mi  pr. 


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422  ^<^*^-  ^"    CARNALI.  PURGATORIO    XXVII.    19  —  42.  Virgilio,  dante  k  stazio. 

19.    Volsersi  verso  me  le  buone  scorte, 

E  Virgilio  mi  disse  :  Figliuol  mio ,  e.  fì«?iìo  mio 

1. 2. 3.  Qui  pilota  Qui  può  esser  tormento ,  ma  non  morte. 

22.    Ricordati,  ricordati...  e,  se  io  ^.  R»cor«im. r  ht 

Sopr'  esso  Gerion  ti  guidai  salvo, 
1.-2.3. orohesonpiùpr.  Chc  farò  Ora  presso  più  a  Dio? 

25.    Credi  per  certo  che,  se  dentro  all'  alvo 

Di  questa  fiamma  stessi  ben  mill'  anni, 

Non  ti  potrebbe  far  d'  un  capei  calvo. 
28.    E,  se  tu  credi  forse  eh'  io  t'inganni, 

Fatti  ver  lei,  e  fatti  far  credenza 

Con  le  tue  mani  al  lembo  de'  tuoi  panni. 
31.    Pon  giù  omai,  pon  giù  ogni  temenza. 

Volgiti  in  qua,  e  vieni  oltre  sicuro;  —  /?./>. voiRitiquA-.^ 

qua.   vieni  ed  f''- 

1. 2. 3.  contr»  coso.  Ed  io  pur  fcnuo ,  e  contro  a  coscienza.  (•  d.  contr.  co^r 

34.    Quando  mi  vide  star  pur  fermo  e  duro ,  *  r»»  *>"»  • 

Turbato  un  poco,  disse:  Or  vedi,  figlio, 

Tra  Beatrice  e  te  è  questo  muro. 
37.    Come  al  nome  di  Tisbe  aperse  il  ciglio 

Piramo,  in  sulla  morte,  e  riguardoUa, 

Allor  che  il  gelso  diventò  vermiglio; 
40.    Cosi,  la  mia  durezza  fatta  solla, 

Mi  volsi  al  savio  Duca,  udendo  il  nome  i>.  ai  s»vio  mio 

Che  nella  mente  sempre  mi  rampolla.  r  sempre  « 


28.  E .  se  tu  forse  credi  —  32.  e  vieni ,  entra  sicuro  |j  e  vien  meco  sicuro 


T^tav 


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1.  '2.  3.  rr.  la  t«9ta 


1.  al  fantìii 


SALITA    AL    FARAD.    TKRR.  PURGATORIO     XXVH,     43-66. 

43.    Oiid'  ei  crollò  la  fronte,  e  disse:  Come? 
Volemci  star  di  qua?  indi  sorrise, 
Come  al  fanciul  si  fa  eh'  è  vinto  al  pome 

4().    Poi  dentro  al  foco  innanzi  mi  si  mise, 
Pregando  Stazio  che  venisse  retro, 
Che  pria  per  lunga  strada  ci  divise. 

49.    (Jome  fui  dentro,  in  un  bogliente  vetro 
Gittato  mi  sarei  per  rinfrescarmi, 
Tant'  era  ivi  lo  incendio  senza  metro. 

52.  Lo  dolce  Padre  mio,  per  confortarmi, 
Pur  di  Beatrice  ragionando  andava. 
Dicendo:  GU  occhi  suoi  già  veder  parmi. 

55.    (ruidavaci  una  voce  che  cantava 
Di  là;  e  noi,  attenti  pure  a  lei. 
Venimmo  fuor  là  dove  si  montava. 

58.    Venite,  benedirti  patìis  mei^ 

Sonò  dentro  ad  un  lume,  che  li  era 
Tal,  che  mi  vinse,  e  guardar  noi  potei. 

HI.    Lo  sol  sen  va,  soggiunse,  e  vien  la  sera; 
Non  v'  arrestate,  ma  studiate  il  passo. 
Mentre  che  V  occidente  non  s'  annera. 

64.    Dritta  salia  la  via  per  entro  il  sasso. 

Verso  tal  parte,  eh'  io  toglieva  i  raggi 
Dinanzi  a  me  del  sol  eh'  era  già  basso. 


VIRGILIO,    DANTE    K    STAZIO. 


423 


H.  la  testo 

//.  1).  al  faiitin 
<\  innanzi  a  me 
1).  (lietro 

A.  2.  C.  D.   ('<im'  io  fui 
l).  mi  saria 


H.  r.  D.  la  ove 


U.  soggi  tigne 


A.  Dentro  salia 

B.  v\\  io  tollea 


44.  Volemoei  star  qua?  -  45.  eh'  è  giunto  al  pome  —  57.  Venimmo  infino  là  ove  —  62.  ma  mutate  il  passo  -  68.  non  ri  annera  - 
%•  A\  io  tagliava  i  raggi 


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424 


SALITA    AL    FARAD.    TEBR. 


PURGATORIO    XXVU.    67  —  90. 


VIRGILIO,    DANTK    K    STAZIO. 


67.    E  di  pochi  scaglion  levammo  i  saggi, 

Che  il  sol  corcar,  per  1'  ombra  che  si  spense. 


1.  2.  3.  dietro 


Sentimmo  retro  ed  io  e  U  miei  saggi. 

70.    E  pria  che  in  tutte  le  sue  parti  immense 
Fosse  orizzonte  fatto  d'  un  aspetto, 
E  notte  avesse  tutte  sue  dispense, 

73.  Ciascun  di  noi  d'  un  grado  fece  letto; 
Che  la  natura  del  monte  ci  aflfranse 
La  possa  del  saUr  più  che  il  diletto. 

76.    QuaU  si  fanno  ruminando  manse 

Le  capre,  state  rapide  e  proterve 
1. -2. 3.  prima  ohe. s.  Sopra  Ic  ciffic ,  avautl  che  sien  pranse, 

79.    Tacite  all'  ombra,  mentre  che  il  sol  ferve, 
Guardate  dal  pastor  che  in  sulla  verga 
1.2.3. lorpoRKiato serve  Pogglato  s'  è ,  c  lor  di  posa  serve; 

82.  E  quale  il  mandrian  che  fuori  alberga, 
Lungo  il  peculio  suo  queto  pernotta, 
Guardando  perchè  fiera  non  lo  sperga; 

85.    Tali  eravamo  tutti  e  tre  allotta, 

Io  come  capra,  ed  ei  come  pastori, 
1. 2. 3.  dalla  grotta  Fasclati  quiucl  e  quindi  d'  alta  grotta. 

88.    Poco  potea  parer  li  del  di  fuori; 

Ma  per  quel  poco  vedev' io  le  stelle, 
Di  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori. 


/?.   e.  li.  dietro 


A,  2.   C,  D.  piii': 
A.  2.  c.  />.  gu  M-- 

fi.   e.  i).  ehe  sw 


R.  lor  p»i(i;iatn  sev' 


1).  per.  e  quetn 


D.  e  quei 

A.  quindi  e  tjuiiifi  - 
D.  dalia  v 

A.2.B.  C.  D.  P.  pif 

li  del  di  cii  (. 


(\  solere  più 
più  alte 


68.  il  sol  eolcar  —  70.  Prima  che  tutte  —  76.  rugumando  —  81.  lor  di  possa  serve  —  86.  tutti  tre  —   88.  Poco  parer  potrà  b  : 
albori  |j  P.  pareva  lì  del  oiel  di  fuori  ||  P.  parer  potea  il  cìel  di  f.  ||  P.  potea  parer  lo  ciel  dì  f. 


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SALITA    AL   FARAD.    TERB. 


PURGATORIO    XXVU.    91  —  114. 


VISIONE    DI    LIA. 


425 


1 .  2.  Dal  su'  ammiraiclio 


1.  2.  3.  meli  loutaiii 


D.  in  sonno 


91.    Si  ruminando,  e  sì  mirando  in  quelle, 

Mi  prese  il  sonno;  il  sonno  che  sovente, 
Anzi  che  il  fatto  sia,  sa  le  novelle. 
94.    Neir  ora  credo ,  che  dell'  oriente 

Prima  raggiò  nel  monte  Citerea, 
Che  di  foco  d'  amor  par  sempre  ardente, 
97.    Giovane  e  bella  in  sogno  mi  parca 

Donna  vedere  andar  per  una  landa 
CogUendo  fiori,  e  cantando  dicea: 

100.    Sappia,  qualunque  il  mio  nome  domanda,  .4.  sappi 

Ch'io  mi  son  Lia,  e  vo  movendo  intorno 
Le  belle  mani  a  farmi  una  ghirlanda. 

103.  Per  piacermi  allo  specchio  qui  m'  adorno; 
Ma  mia  suora  Rachel  mai  non  si  smaga 
Dal  suo  miraglio,  e  siede  tutto  giorno. 

106.    EU'  è  de'  suoi  begli  occhi  veder  vaga, 
Com'  io  dell'  adornarmi  con  le  mani; 
Lei  lo  vedere,  e  me  1'  oprare  appaga. 

109.    E  già,  per  gU  splendori  antelucani. 

Che  tanto  ai  peregrin  surgon  più  grati. 
Quanto  tornando  albergan  più  lontani, 

112.    Le  tenebre  fuggian  da  tutti  i  lati, 

E  il  sonno  mio  con  esse;  ond' io  leva'mi, 
Veggendo  i  gran  maestri  già  levati. 


A.  m.  C.  U.   Mi  pr.  un 
sonno 


/i.  C.  ammiraglio  —    C. 
D.  tutto  '1  (giorno 


A.  m.  D.  m.  men  lontani 


91.  Si  ammirando  —  e  rimirando  in  qu.  —  92.  Mi  pr.  il  sogno;  il  sogno  —  94.  che  nell'  oriente  —  106.  KlI*  è  di  suoi  t|  EU'  è  co*  suoi  — 
Kte.  me  r  ornare  appaga  —  112.  da  tutti  lati 


11. 


54 


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426  SALITA    AL    FARAD.    TERR.  PURGATORIO     XXVII.     115—138.  EMANCIPAZIONE    DI    DANTE. 

115.    Quel  dolce  pome,  che  per  tanti  rami 

Cercando  va  la  cura  dei  mortali. 

Oggi  porrà  in ^ pace  le  tue  fami: 
118.    Virgilio  inverso  me  queste  cotali  // virg.  verso 

Parole  usò,  e  mai  non  furo  strenne 

Che  fosser  di  piacere  a  queste  eguali. 
121.    Tanto  voler  sopra  voler  mi  venne 

Dell'  esser  su ,  eh'  ad  ogni  passo  poi 
2.  Al  volo  mio  Al  volo  mi  sentia  crescer  le  penne. 

124.    (yome  la  scala  tutta  sotto  noi 

Fu  corsa,  e  fummo  hi  su  il  grado  superno, 

In  me  ficcò  VirgiUo  gli  occhi  suoi, 
127.    E  disse:  Il  temporal  foco  e  1'  eterno 

Veduto  hai,  figho,  e  sei  venuto  in  parte 
1. 2. 3.  ov  io  Dov'  io  per  me  più  oltre  non  discerno.  h.  cv  ìo 

130.    Tratto  t'  ho  qui  con  ingegno  e  con  arte: 

Lo  tuo  piacere  omai  prendi  per  duce: 

Fuor  sei  dell'  erte  vie,  fuor  sei  dell'  arte. 
133.    Vedi  là  il  sol  che  in  fronte  ti  riluce; 

Vedi  r  erbetta,  i  fiori  e  gli  arbuscelli, 

1. 2.  Che  queiiA  3.  (Hic  Che  qul  la  terra  sol  da  se  produce  a.  i.  (?)  b,  nie  *^Mt\u 

ipiesfa 

2. 3.  vcKi.o,.  136.    Mentre  che  vegnan  heti  gli  occhi  belU,  />.  »i.  u  moi  ocrin  i. 

(Jhe  lagrimando  a  te  venir  mi  fenno, 
kSeder  ti  puoi  e  puoi  andar  tra  elli. 

115.  tlolre  pomo  -    129.  più  oltre  per  me  -    133.  Vedi  il  sole  (j  Vedi  lo  sol  -    138.  e  poi  andar 


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SALITA    AL    FARAD.    TERR.  PURGATORIO     XXVII.      139—142.  EMANCIPAZIONE    DI    DANTE.  427 

139.    Non  aspettar  mio  dir  più,  ne  mio  cenno.  r.  più  mio  dir 

1. 2. 3.  dritto,  8ano  Libcro ,  dritto  e  sano  è  tuo  arbitrio, 

E  fallo  fora  non  fare  a  suo  senno;  r.»  tuo  senno 

142.    Perch'  io  te  sopra  te  corono  e  initrio. 


140.  è  il  tuo  arbitrio  —  141.  fora  a  non  fare  —  al  suo  senno 


54- 


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CANTO  VENTESIMOTTAVO 


Vago  già  di  cercar  dentro  e  dintorno 
La  divina  foresta  spessa  e  viva, 
Ch'  agli  occhi  temperava  il  nuovo  giorno, 
4.    Senza  più  aspettar  lasciai  la  riva, 

Prendendo  la  campagna  lento  lento 
Su  per  lo  suol  che  d'  ogni  parte  oliva. 
7.    Un'  aura  dolce ,  senza  mutamento 
1.  per  lo  volto  Avcrc  ìu  sc,  mi  feria  per  la  fronte 

Non  di  più  colpo,  che  soave  vento; 
10.    Per  cui  le  fronde,  tremolando  pronte, 
Tutte  e  quante  piegavano  alla  parte 
U'  la  prim'  ombra  gitta  il  santo  monte  : 
13.    Non  però  dal  lor  esser  dritto  sparte 

Tanto,  che  gU  augelletti  per  le  cime 
Lasciasser  d'  operare  ogni  lor  arte; 
16.    Ma  con  piena  letizia  1'  ore  prime, 

Cantando,  ricevièno  intra  le  foglie, 
Che  tenevan  bordone  alle  sue  rime, 


1.  2.  3.  Tutte 


H"- 


1.  2.   ricevemmo    3.  ri- 
ceveano 


A.  auliva 


H.  r.  D.  Tutte  qu. 
C.  pregavano 

B.  la  prim'  onda 


li.  intra  le  fronde 
D.  Che  faoevan 


3.  Con  gli  oeohi  -  6.  uliva  —  17.  Cantando  risedeano  —  18.  alle  lor  rime 


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430 


PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXVIII.    19-42. 


MATELDA. 


19.    Tal,  qual  di  ramo  in  ramo  si  raccoglie 
Per  la  pineta,  in  sul  lito  di  Chiassi, 
Quand'  Eolo  Scirocco  fuor  discioglie. 

22.    Già  m'  avean  trasportato  i  lenti  passi 
2. 3.  antica  Belva  Dentfo  alla  sclva  antica  tanto,  ch'io 

1.  ov  io  Non  potea  rivedere ,  ond'  io  m'  entrassi  : 

1. 2. 3.  ecco  più  25.    Ed  ecco  il  più  andar  mi  tolse  un  rio, 

Che  iiiver  sinistra  con  sue  picciole  onde 
Piegava  1'  erba  che  in  sua  riva  uscio. 

28.    Tutte  r  acque  che  son  di  qua  più  monde, 
Parrieno  avere  in  se  mistiu'a  alcuna. 
Verso  di  quella  che  nulla  nasconde; 

31.    Avvegna  che  si  mova  bruna  bruna 
Sotto  r  ombra  perpetua,  che  mai 
Raggiar  non  lascia  sole  ivi,  ne  luna. 

34.    Coi  pie  ristetti  e  con  gli  occhi  passai 
Di  là  dal  fìumicello,  per  mirare 
La  gran  variazion  dei  freschi  mai: 

37.    E  là  m'  apparve,  si  com'  egU  appare 
Subitamente  cosa  che  disvia 
Per  maraviglia  tutt'  altro  pensare , 

40.    Una  Donna  soletta,  che  si  già 

Cantando,  ed  iscegUendo  fior  da  fiore, 
Ond'  era  pinta  tutta  la  sua  via. 

12.  m'  aveau  trapassato  —  25.  Ed  ecco  più  1'  andar  ||  Kd  ecco  1'  andar  più  —  29.  Pareauo  avere  — 


A.  Sci  lo  ero 


B.  or'  i<» 

A.  2.  n.  C.  D.  ecco  p,n 

(\  piccole 


/?.  Parrìano  C.D.VhTrrw 


B.  Co*  pie.  colli  cfcÌL 
ristretti  -  C.  Zi.to  i-^ 
ristretti 

A.  2.  C.  D.  dal  Giiuie- 
per  amm.ir. 


B.  ci  apparve 


,  del  fiumiccl  —  per  rimjrarr 


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PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXVIU.    43-66. 


431 


43.    Deh,  bella  Donna,  eh'  ai  raggi  d'  amore 

Ti  scaldi,  s' io  vo'  credere  ai  sembianti,  • 
Che  soglion  esser  testimon  del  core, 
1. 2. 3.  Vegliati  voglia    4(>.    Vegnati  in  voglia  di  trarreti  avanti , 

Diss'  io  a  lei,  verso  questa  riviera. 
Tanto  eh'  io  possa  intender  che  tu  canti. 

49.    Tu  mi  fai  rimembrar,  dove  e  qual  era 
Proserpina  nel  tempo,  che  perdette 
La  madre  lei,  ed  ella  primavera. 

52.    Come  si  volge,  con  le  piante  strette 

A  terra  ed  intra  se,  donna  che  balli, 
E  piede  innanzi  piede  a  pena  mette, 

55.    Volsesi  in  sui  vermigli  ed  in  sui  gialU 
Fioretti  verso  me,  non  altrimenti 
Che  vergine,  che  gli  occhi  onesti  avvalli: 

58.   E  fece  i  preghi  miei  esser  contenti. 

Si  appressando  se,  che  il  dolce  suono 
Veniva  a  me  co'  suoi  intendimenti. 

61.    Tosto  che  fu  là  dove  1'  erbe  sono 

Bagnate  già  dall'  onde  del  bel  fiume. 
Di  levar  gli  occhi  suoi  mi  fece  dono. 

B4.    Non  credo  che  splendesse  tanto  lume 
Sotto  le  cigUa  a  Venere  trafitta 
Dal  figlio,  fuor  di  tutto  suo  costume. 


A.  2.  fi.  C.  D.  Wgnati 
voglia  —  AA.  trarti 
(lavanti  (?) 


I).  Si  eh*  io  inteiuler 
possa 


D.  che  fummo  tlove 


li.  tutto  fuor  <li  uno  oost. 


45.  esser  messaggier  —  4B.  di  traerti  ||  dì  tras^erti  —  54.  piedi  innanzi  piedi  —  55.  Volse«ii  su  ì  vcrinit^li  e  su  i  ((iaHi 


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432 


PARADISO    TERRESTBE. 


PURGATORIO    XXVin.    67-90. 


1.  -2.  3.  Ih  've 


l.  dilettosti 


1.  *2.  D.  lin})Ui(iian 


R7.    Ella  ridea  dall'  altra  riva  dritta, 

Traendo  più  color  con  le  sue  mani, 
Che  r  alta  terra  senza  seme  gitta. 

70.    Tre  passi  ci  facea  il  fiume  lontani; 
Ma  Ellesponto,  dove  passò  Xerse, 
Ancora  freno  a  tutti  orgogli  lunani, 

73.    Più  odio  da  Leandro  non  sofferse. 

Per  mareggiare  intra  Sesto  ed  Abido, 

Che  quel  da  me,  perchè  allor  non  s'  aperse. 

76.    Voi  siete  nuovi,  e  forse  perch'io  rido. 
Cominciò  ella,  in  questo  loco  eletto 
Air  umana  natura  per  suo  nido , 

79.  Maravigliando  tienvi  alcun  sospetto; 
Ma  luce  rende  il  salmo  Delectastiy 
Che  puote  disnebbiar  vostro  intelletto. 

82.    E  tu,  che  sei  dinanzi,  e  mi  pregasti. 

Di'  s'  altro  vuoi  udir,  eh'  io  venni,  presta 
Ad  ogni  tua  question,  tanto  che  basti. 

85.    L'  acqua,  diss'  io,  e  il  suon  della  foresta, 
Impugna  dentro  a  me  novella  fede 
Di  cosa,  eh'  io  udi'  contraria  a  questa. 

88.    Ond'  ella:  Io  dicerò  come  procede 

Per  sua  cagion,  ciò  eh'  ammirar  ti  face, 
E  purgherò  la  nebbia  che  ti  fiede. 


A.  2.  a  Ti.  Tratiaudo 


ìi.  a  lÀ'v*"  -   A.'J^f  .: 
passò  —  C.  D.  Sf  ^^- 


A.  JJ.  m.  I>ilaui:»ti 
A.  1.  ilìs vegliar  (:i 

(\  Di",  e  s'  altn» 


«j8.  delle  sue  mani  —  71.  Ma  i'  Ellesponto  —  81.  Che  piiote  disiiebriar  —  8*2.  Or  tu,  che  sei 
Io  ti  dirò  —  90.  che  "u  te  siede 


Di'  s'  altro  vuoU  —   eK  Ed.  .-" 


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PARADISO    TERRESTRK. 


PURGATORIO    XX Vili.    91-114. 


(LETK.) 


433 


1.  2.  H.  buono  a  ben 


1.  1/  ex&lutìoii 
1.  2.  3.  diemi 

1.  2.  3.  ver  lo  ciel 
l.  2.  3.  lib.  è  (U  indi 


91.    Lo  sommo  Ben,  che  solo  esso  ^  se  piace, 

r.  Fc'  r  uom   -  D.  e'I 

Fece  r  uom  buono,  e  a  bene,  e  questo  loco      ben  di  qu.  i.  b.  ^ 

bene  a  qu.  1. 

Diede  per  arra  a  lui  d'  eterna  pace.  b.  arra  hn  r  eterna  p. 

94.    Per  sua  diflFalta  qui  dimorò  poco; 

Per  sua  diffalta  in  pianto  ed  in  ajffanno 

Cambiò  onesto  riso  e  dolce  gioco. 
97.    Perchè  il  turbar,  che  sotto  da  se  fanno 

L'  esalazion  dell'  acqua  e  della  terra, 

Che,  quanto  posson,  retro  al  calor  vanno,    /?.  r. />.  dietro 
100.    All'  uomo  non  facesse  alcima  guerra. 

Questo  monte  salio  verso  '1  ciel  tanto; 

E  libero  n  è  d' indi,  ove  si  serra. 
103.    Or,  perchè  in  circuito  tutto  e  quanto 

L'  aer  si  volge  con  la  prima  volta, 

Se  non  gU  è  rotto  il  cerchio  d'  alcun  canto  ;  a.  i.  (?)  b.  r.  se  non  r 


/>.  Cangiò 

B.  il  Uirb.   di  sotto  da 
C.  il  t.  che  di  sotto  a 

A.  B.  esaltacion 


B.  salì   -    B.  a  D.  ver 
lo  ciel 

A.  r.  da  indi 

A.  B.  C.  2.  J).  tutto 
quanto 


1.  che  tutti.  2. 3.  ohe  106.    lu  qucstu  altczza,  che  in  tutto  è  disciolta 

tutto  p 

Neil'  aer  vivo,  tal  moto  percote, 
E  fa  suonar  la  selva  perdi'  è  folta; 
109.    E  la  percossa  pianta  tanto  puote, 

Che  della  sua  virtute  1'  aura  impregna, 
E  quella  poi  girando  intorno  scote: 
112.    ET  altra  terra,  secondo  eh'  è  degna 
1. 2  3.  Per  »è  o  i>er  Pcr  sè  c  pcr  SUO  cìcI,  concepe  e  figlia 

Di  diverse  virtù  diverse  legna. 


B.  ohe  tntf  *• 


A.  r  aer  impr. 


A.  l.  r  alta  terra 


IH.  che  solo  a  sè  piace  —  98.  d*  intera  pace   —  98.  L*  esultazion   -    IM.  1'  aria  si  volga   —    106.   da  quel  canto   —    107.   tal  modo 
percote  —  114.  di  diversa  virtìi 


li. 


55 


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434 


PARADISO    TERRKSTRK. 


PURGATORIO   XXVIII.    115-138. 


(lxtè.) 


A.  1.  semenU  (?) 


1.  che  ciel  conv. 

1.  eh'  aspetta  -  1.  2.  3. 
o  perde 


1.  2.  del  voler 


1.  2.  3.  perchè  più 


C.  che  *l  pei  coii\. 
B.  fiume  rh*  «spetti 


fi.  del  voler  A.  1.  drl 
valor  (?) 


115.   Non  parrebbe  di  là  poi  maraviglia, 

Udito  questo,  quando  alcuna  pianta 

Senza  seme  palese  vi  s'  appiglia. 
118.   E  saper  dei  che  la  campagna  santa, 

Ove  tu  sei,  d'  ogni  semenza  è  piena, 

E  frutto  ha  in  se,  che  di  là  non  si  schianta,  jm^r.  che  giammai 
121.    L'  acqua  che  vedi  non  surge  di  vena 

Che  ristori  vapor,  che  giel  converta, 

Come  fiume  eh'  acquista  e  perde  lena; 
124.    Ma  esce  di  fontana  salda  e  certa, 

Che  tanto  dal  voler  di  Dio  riprende. 

Quant'  ella  versa  da  due  parti  aperta. 
127.    Da  questa  parte  con  virtù  discende. 

Che  toglie  altrui  memoria  del  peccato; 

Dall'  altra,  d'  ogni  ben  fatto  la  rende. 
130.    Quinci  Lete,  così  dall'  altro  lato 

Eunoè  si  chiama,  e  non  adopra, 

Se  quinci  e  quindi  pria  non  è  gustato. 
133.    A  tutt'  altri  saporì  esto  è  di  sopra; 

Ed  avvegna  eh'  assai  possa  esser  sazia 

La  sete  tua,  perch'  io  più  non  ti  scopra, 
136.    Darotti  un  corollario  ancor  per  grazia. 

Ne  credo  che  il  mio  dir  ti  sia  men  caro, 

Se  oltre  promission  teco  si  spazia.  d.  «itra  prom. 


A.  DaU'  altìro  -  B  If- 
fratto  le  r. 


A.  m.  esso  -  J.  «.  s*?pr 

questo 


B.  D.  perchè  più  - 
^.2.Cnondis<'opr* 


115.  Non  dee  parer  di  li  —   120.  non  si  ehianta  —  122.  Cbe  rictorin  vapor  —  che '1  ciel  conv.  —   133.  Come  l'altra  ch'a«M°  " 
12S.  Che  tanto  di  voler  —  130.  Lete,  e  cosi  —  131.  e  non  si  adopra 


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PARADISO   TEBRE8TRK.  PURGATORIO     XXVIII.     139—148.  (LSTK.)  435 

139.    Quelli  che  anticamente  poetare 

L'  età  dell'  oro  e  suo  stato  felice, 

Forse  in  Parnaso  esto  loco  sognaro. 
142.    Qui  fu  innocente  V  umana  radice; 

1.  2.  3.   primaT.  sempre  QuÌ    prilUaVCra    è    SCmprC,    ed    ogni    frutto;  -4.  i?./J.primav. sempre 

Nettare  è  questo  di  che  ciascun  dice. 

1.2.3.  mi  rivoW addietro    145.      lo    UIÌ    VOIsÌ    dirCtrO    allora    tutto  .1.2.  ».  6./>.  mirivoUi 

-   B.  r.  D.  addietro 

A'  miei  Poeti,  e  vidi  che  con  riso 
Udito  avevan  V  ultimo  costrutto  : 
148.    Poi  alla  bella  Donna  tornai  il  viso. 


139.  (Quelli  che  altamente  ->  140.  suo  star  felice  —  141.  esto  loco  seguaro  —  145.  mi  riyolsi  indietro 


55' 


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CANTO  VENTESIMONONO 


1. 2. 3.  di  fugg.«  qu.  di  ved. 


1.  et  mici 

1.  2.  al  levante 

I.  anco    2.  3.  anche 

1.  i.  la  D.  mia  a  me 


Lvantando  come  donna  innamorata, 
Continuò  col  fin  di  sue  parole: 
Beatiy  quorum  teda  sunt  peccata. 
4.    E  come  ninfe  che  si  givan  sole 

Per  le  salvatiche  ombre,  disiando 
Qual  di  veder,  qual  di  fuggir  lo  sole, 
7.    AUor  si  mosse  contra  il  fiume,  andando 
Su  per  la  riva,  ed  io  pari  di  lei, 
Picciol  passo  con  picciol  seguitando. 

10.    Non  eran  cento  tra  i  suo'  passi  e  i  miei, 
Quando  le  ripe  igualmente  dier  volta. 
Per  modo  eh'  a  levante  mi  rendei. 

13.    Ne  ancor  fu  così  nostra  via  molta, 

Quando  la  Donna  tutta  a  me  si  torse, 
Dicendo:  Frate  mio,  guarda,  ed  ascolta. 

16.    Ed  ecco  un  lustro  subito  trascorse 
Da  tutte  parti  per  la  gran  foresta. 
Tal  che  di  balenar  mi  mise  in  forse. 


A.  seWatiohe 


A.  PìppoI  —   A.  pìcpol 

A.  eijiialm. 

R.  r.  D.  al  levante 

lì.  (\  1).  Né  anco 

fi.  la  D.  mia  a  sé  mi  t 

A.  1.  Frate!  mio 
A.  1.  vedi,  ed  asc.  (?) 


4.  che  si  giran  sede  (?)  —  14.  a  me  tutta 


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438 


HABADISO    TEBRESTRE. 


PURGATORIO    XXIX.    19-42. 


TRIONFO  DELLA  CHIESA. 


1.  terra  al  rielo 


l.  2.  3.  e  poi  hiiu^a 


19.  Ma  perchè  il  balenar,  come  vien,  resta, 
E  quel  durando  più  e  più  splendeva, 
Nel  mio  pensar  dicea:  Che  cosa  è  questa? 

22.    Ed  una  melodia  dolce  correva 

Per  r  aer  luminoso  ;  onde  buon  zelo 
Mi  fé'  riprender  Y  ardimento  d'  Eva, 

25.    Che,  là  dove  ubbidia  la  terra  e  il  cielo, 
Femmina  sola,  e  pur  teste  formata. 
Non  soflferse  di  star  sotto  alcun  velo; 

28.    Sotto  il  qual,  se  devota  fosse  stata, 
Avrei  quelle  ineffabili  delizie 
Sentite  prima,  e  più  lunga  fiata. 

31.    Mentr'  io  m'  andava  tra  tante  primizie 
Dell'  eterno  piacer,  tutto  sospeso, 
E  disioso  ancora  a  più  letizie, 

34.    Dinanzi  a  noi,  tal,  quale  un  foco  acceso, 
Ci  si  fé'  r  aer,  sotto  i  verdi  rami, 
E  il  dolce  suon  per  canto  era  già  inteso: 

37.    0  sacrosante  Vergini,  se  fami. 

Freddi,  o  vigilie  mai  per  voi  soffersi, 
Cagion  mi  sprona ,  eh'  io  mercè  ne  chiami. 

40.    Or  convien  eh'  EUcona  per  me  versi, 
Ed  Urania  m'  aiuti  col  suo  coro, 
Forti  cose  a  pensar,  mettere  in  versi. 


R.  ('h*  a  lei  si  nbb. 


A.  2.  Sotto  al  qu. 


B.  e  poi  lunsa 


ft.  C.  U.  Così  fc   - 
C.  1).  sotto  rrrd 


A.  1.  (?)  D.  Ed  Ennoi» 
D.  Forte 


21.  Nel  mio  peusier  —  23.  Per  l'aere   —  25.  Che,  là  ove  ||  Ch'  ella,  dove   —  29.  Avrìa  —  30.  Meglio  sentite   —  e  pur  Inw^i  — 
31.  Mentre  m*  and.  fra  t.  —  33.  ancor  di  più  let.  ~  34.  quale  in  foco  —  3B.  si  fece  1"  aere  —  36.  per  canti  —  39.  mercè  vi  chiami  -  42.  Forte  ^"« 


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PARADISO   TXRSE8THB. 


PURGATORIO    XXIX.    43  —  66. 


TRIONFO  DELLA  CHIESA. 


439 


1. 2. 3.  alberi  43.    Poco  pìù  oltpe  sette  arbori  d'  oro 

Falsava  nel  parere  il  lungo  tratto 
Del  mezzo,  eh'  era  ancor  tra  noi  e  loro; 
1. 2. 3,  quando  r fui      46.    Ma  quando  fili  si  presso  di  lor  fatto, 

Che  r  obbietto  comun,  che  il  senso  inganna. 
Non  perdea  per  distanza  alcun  suo  atto; 
49.    La  virtù,  eh'  a  ragion  discorso  ammanna, 
Siccom'  elli  eran  candelabri  apprese , 
E  nelle  voci  del  cantare,  Osanna. 
52.    Di  sopra  fiammeggiava  il  bello  arnese 
Più  chiaro  assai,  che  luna  per  sereno 
Di  mezza  notte  nel  suo  mezzo  mese. 
55.    Io  mi  rivolsi  d'  aromirazion  pieno 

Al  buon  Virgiho,  ed  esso  mi  rispose 
Con  vista  carca  di  stupor  non  meno. 
58.    Indi  rendei  1'  aspetto  all'  alte  cose, 
1.  inoyeno2.3.moyieno  Chc  SÌ  movcauo  lucoutro  a  uoì  sì  tardi, 

Che  foran  vinte  da  novelle  spose. 
61.    La  Donna  mi  sgridò:  Perchè  pur  ardi 
1.2.3.  neir affetto  Sì  ucU' aspctto  dcUc  vìvc  luci, 

E  ciò  che  vien  diretro  a  lor  non  guardi? 
64.    Genti  vid'  io  allor,  com'  a  lor  duci , 
Venire  appresso,  vestite  di  bianco; 
1. 2. 3.  Rìammai  di  qua  E  tal  caudor  di  qua  giammai  non  fuci. 


B.  D.  alberi 
H.  nel  parerte  il  1uoi(o 
H.  meno  la  terra  aiic. 
H.  quand*  i'  fui 


(\  iielli  bori 


B.  muvieno  —  6'.  in  con- 
trario si  t. 

A.  1.  foran  giunte  (?) 


.l.m./?.r./>./.  nell'affetto 


A.  vid'  io  a  lor 


H,  giammai  di  qua 


47.  Che  r  obice  comun  —  58.  air  altre  cose  —  GO.  Che  forien  yinte  —  63.  diretro  a  noi 


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440 


PARADISO    TERRESTRE. 


TRIONFO  DELLA  CHIESA. 


C.  iuprendera    A.  'L  L. 
imprender  D.  pcodeu. 

A.  ±  a  D.  E  rcn.ifarai 


PURGATORIO    XXIX.    67-90. 

67.    L'  acqua  splendeva  dal  sinistro  fianco, 
E  rendea  a  me  la  mia  sinistra  costa, 
S'io  riguardava  in  lei,  come  specchio  anco.    j. tìru. lei 

70.    Quand'  io  dalla  mia  riva  ebbi  tal  posta, 
Che  solo  il  fiume  mi  facea  distante, 
Per  veder  meglio  ai  passi  diedi  sosta, 
1. 2. 3.  witiare  avante     73.    E  vldl  le  fiammelle  andar  davante, 
1. 2. 3.  iiìetro  a  s."  Lasclando  retro  a  se  1' aer  dipinto, 

1. 2.  avea  beiiib.  E  di  tratti  pennclh  avean  sembiante; 

1. 2.  Di  oh-  ci;ii  3.  Si    76.    SÌ  chc  lì  sopra  rimanea  distinto 

Di  sette  liste,  tutte  in  quei  colori. 
Onde  fa  T  arco  il  sole,  e  Delia  il  cinto. 

79.    Questi  ostendali  dietro  eran  maggiori. 

Che  la  mia  vista;  e,  quanto  al  mio  avviso. 
Dieci  passi  distavan  quei  di  fiiori. 

82.    Sotto  così  bel  ciel,  com'  io  diviso, 
Ventiquattro  seniori,  a  due  a  due. 
Coronati  venian  di  fiordaliso. 

85.    Tutti  cantavan:  Benedetta  tue 

Nelle  figlie  d'  Adamo,  e  benedette 
Sieno  in  eterno  le  bellezze  tue. 

88.    Poscia  che  i  fiori  e  V  altre  fresche  erbette, 

A  rimpetto  di  me  dall'  altra  sponda,  /;. »uaitra 

Libere  fiir  da  quelle  genti  elette,  r.  Liberi  fur 


che  «lì 

1.  fé'  r  an-o 
l.  2.  8.  iiteiiilali 
1.  2.  3.  a  miu  av\-. 


B.  solo  il  lumr 
B.  diedi  posta 

/?.  C.  D,  dietro  a  *f 
B.  avea  semi». 

A.  m.  B.   r.  Di  che  l: 
D.  Si  che  là 

B.  et  Elia 
A.  2.  B.  (\  D.  .limr. 


1.  2.  signori 


A.  1.  (?)  B.  D.  t.  suTT- 
A.  C.  fi«»r  d'  aliati 


tì7.  L'  acqua  impreudeaini  ||  Prendeami  1*  acqua  —  (S.  la  sinistra  costa  —  75.  Che  di  tr.  —  tratti  paiuielli  —  avicn  semb.  -  T^<  ^' 
eh'  eG;Iì  —  79.  ostendai  diretr<i  (?)  —  indietro  —  81.  quei  dai  fiori  ~  86.  Btnedieta  tue 


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PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXIX.    91  —  114. 


TRIONFO  DELLA  CHIESA. 


441 


1.  Coronati 


R.  C.  I).  ('Oronati  eiasc. 


1.  2.  3.  lor  fnnna 


1.  2.  3.  rhe  in  questa 


91.    Si  come  luce  luce  in  ciel  seconda, 

Vennero  appresso  lor  quattro  animali, 
Coronato  ciascun  di  verde  fronda. 
94.    Ognuno  era  pennuto  di  sei  ali, 

Le  penne  piene  d'  occhi;  e  gli  occhi  d'  Argo, 
Se  fosser  vivi,  sarebber  cotali.  -4.  sarebbon 

97.    A  descriver  lor  forme  più  non  spargo 

Rime,  lettor;  eh'  altra  spesa  mi  strigne 
Tanto,  che  a  questa  non  posso  esser  largo.  ^.  ca  n  questa 
100.    Ma  leggi  Ezechiel,  che  li  dipigne 
Come  li  vide  dalla  fredda  parte 
Verni"  con  vento,  con  nube  e  con  igne; 
1. 2. 3.  E  qu»i  li  trov.    103.    E  quali  i  troverai  nelle  sue  carte, 

TaU  eran  quivi,  salvo  clv  alle  penne 
Giovanni  è  meco,  e  da  lui  si  diparte. 
106.    Lo  spazio  dentro  a  lor  quattro  contenne 
Un  carro,  in  su  due  rote,  trionfale, 
Ch'  al  collo  d'  un  grifon  tirato  venne. 
1.2.3.  Ed  esso  tcndea  su  109.    Esso  tcudca  ìu  SU  F  uua  e  r  altr'  ale 

Tra  la  mezzana  e  le  tre  e  tre  liste. 
Si  eh'  a  nulla  fendendo  facea  male. 
112.    Tanto  sahvan,  che  non  eran  viste; 
3.aTea..  Lc  mcmbra  d'  oro  avea,  quanto  era  uccello,  ^.  avea,  in  quanto 

E  bianche  1'  altre  di  vermiglio  miste. 


./.  1.  (?)   B.  D.   E   quai 
li  trov. 


A.  Johann! 

A.  1.  C.  Un  carro,  su 

IJ.  t.  d*  un  grifon  legato 

A.ILB.  C.  D.  Ed  esso 
t«ndea  su 

B.  Si  che  nulla 


92.  Verniero  presso  a  lor   —   96.   S*  ei   fosse  tìvo   —   100.  che  le  dipigiie   —    101.  Come  le  vide   —    102.  con  Tento  e  con  nube    — 
108.  E  quale  i  troT.  —  101  Tale  eran  —  106.  Lo  spazzo  dentro  —  114.  1'  altre  e  di  verm. 


II. 


56 


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442 


PARADISO    TXBRESTRE. 


PURGATORIO    XXIX.    115-138. 


TRIONFO  DELLA  miESA. 


1.  et  al  canto 


1.  2.  3.  onestato  e  sodo 


115.    Non  che  Roma  di  carro  cosi  bello 

Rallegrasse  Affiricano,  o  vero  Augusto; 
Ma  quel  del  Sol  saria  pover  con  elio; 

118.    Quel  del  Sol,  che  sviando  fii  combusto. 
Per  r  orazion  della  Terra  devota. 
Quando  fu  Giove  arcanamente  giusto. 

121.    Tre  donne  in  giro,  dalla  destra  rota, 
Venian  danzando;  T  una  tanto  rossa, 
Ch'  a  pena  fora  dentro  al  foco  nota: 

124.   L'  altr*  era,  come  se  le  carni  e  V  ossa 
Fossero  state  di  smeraldo  fatte; 
La  terza  parca  neve  teste  mossa: 

127.   Ed  or  parevan  dalla  bianca  tratte. 

Or  dalla  rossa,  e  dal  canto  di  questa 
V  altre  togliean  V  andare  e  tarde  e  ratte. 

130.   Dalla  sinistra  quattro  facean  festa. 

In  porpora  vestite,  dietro  al  modo 

D'  una  di  lor,  eh'  avea  tre  occhi  in  testa. 

133.  Appresso  tutto  il  pertrattato  nodo. 
Vidi  due  vecchi  in  abito  dispari. 
Ma  pari  in  atto,  ed  onesto  e  sodo. 

136.   L'  un  si  mostrava  alcun  de'  famigliari 

Di  quel  sommo  Ippocrate,  che  natura 
AgU  animaU  fé'  eh'  eli'  ha  più  cari. 


/?.   r.  D.  AKUstri 


e.  Per  orasiim 


S.  D.  deUa 


C.  D.  et  al  <*«iit«» 


/f./>.purpura^j.p^i7  - 
—  A.  ret-Tf»  a]  sl 


A.  m.  (\e  con  istafio  » . 


A.  1.  eh'  eUi  ha 


116.  di  carro  d'  or  sì  bello   —    117.  pover  con  quello  f|  pover  a  elio   —    129.  1/  altre  cogliean  —  e  lente  e  r»tle   —    135l  vcr- 
oneato  e  sodo 


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1.  un  vecchio 


1.  Di  sopra  al  e. 


PARADISO  TERBXSTBlù.  PURGATORIO    XXIX.    139  —  154. 

139.  Mostrava  V  altro  la  contraria  cura 
Con  una  spada  lucida  ed  acuta, 
Tal  che  di  qua  dal  rio  mi  fé'  paura. 

142.    Poi  vidi  quattro  in  umile  paruta, 
E  diretro  da  tutti  un  veglio  solo 
Venir,  dormendo,  con  la  faccia  arguta. 

145.    E  questi  sette  col  primaio  stuolo 
Erano  abituati;  ma  di  gigli 
Dintorno  al  capo  non  facevan  brolo, 

148.    Anzi  di  rose  e  d'  altri  fior  vermigli: 

Giurato  avria  poco  lontano  aspetto, 
Che  tutti  ardesser  di  sopra  dai  cigh. 

151.  E  quando  il  carro  a  me  fu  a  rimpetto, 
Un  tuon  s'  udi  ;  e  quelle  genti  degne 
Parvero  aver  V  andar  più  interdetto, 

154.   Fermandos'  ivi  con  le  prime  insegne. 


TRIONFO  DELLA  CHIESA. 


443 


B.  C.  un  veocbio 


B.  Di  sopra  al  e. 


D.  Giur.  aTrei 


A.  1.  ùi  dirimpetlo  (?) 


143.  e  dietro  da  tututti  —  145.  col  primiero  st.  ^  1&2.  Un  tuon  a'  udio 


56' 


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CANTO  TRENTESIMO 


1.  %olsc,  sȓ  come  a 


1.  Vieni  .sposa 


2.  3.  Quale  i  b. 


1.  2.  3.  carne  alleviando 


l^uando  il  settentrion  del  primo  cielo, 
Che  ne  occaso  mai  seppe  ne  orto, 
Ne  d'  altra  nebbia,  che  di  colpa  velo, 
4.    E  che  faceva  li  ciascuno  accorto 

Di  suo  dover,  come  il  più  basso  face, 
Qual  timon  gira  per  venire  a  porto, 
7.    Fermo  si  affisse,  la  gente  verace. 

Venuta  prima  tra  il  grifone  ed  esso, 
Al  caiTo  volse  se,  come  a  sua  pace: 

10.   Ed  un  di  loro,  quasi  da  ciel  messo, 
Veniy  sponsa^  de  Libano y  cantando, 
Gridò  tre  volte,  e  tutti  gli  altri  appresso. 

13.    Quali  i  beati  al  novissimo  bando 

Surgeran  presti  ognun  di  sua  caverna. 
La  rivestita  voce  alleluiando, 

16.    Cotali,  in  sulla  divina  basterna. 

Si  levar  cento,  ad  vocerà  tanti  senis^ 
Ministri  e  messaggier  di  vita  eterna. 


D.  tu.  pr.  che  '1  grifone 
B.  (\  volse,  si  come  a 
A.  2.  D.  dal  ciel 


.•1.  atUelviando 
B.  alleviando 


B.  a  voci  tanto  senix 


14.  La  rinvestita  v. 


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446 


PARADISO   TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXX.    19-42. 


1.  2.  B.  lei  sostenen 


1.  2.  3.  ricadeva  Riti 


1.  2.  roii  la  sua  pres. 


19.    Tutti  dicean:  Benedictus^  qui  veniSy 

E,  fior  gittando  di  sopra  e  dintorno, 
Manibus  o  date  lilia  plenis. 

22.    Io  vidi  già  nel  cominciar  del  giorno 
La  parte  orientai  tutta  rosata, 
E  r  altro  ciel  di  bel  sereno  adorno, 

25.   E  la  faccia  del  sol  nascere  ombrata, 
Si  che  per  temperanza  di  vapori, 
L'  occhio  la  sostenea  lunga  fiata; 

28.    Così  dentro  una  nuvola  di  fiori, 

Che  dalle  mani  angeliche  saliva, 
E  ricadea  in  giù  dentro  e  di  fiiori, 

31.    Sopra  candido  vel  cinta  d'  oUva 

Donna  m'  apparve,  sotto  verde  manto. 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva. 

34.   E  lo  spirito  mio,  che  già  cotanto 

Tempo  era  stato  che  alla  sua  presenza 
Non  era  di  stupor,  tremando,  affranto, 

37.    Senza  degli  occhi  aver  più  conoscenza. 
Per  occulta  virtù  che  da  lei  mosse, 
D'  antico  amor  sentì  la  gran  potenza. 

40.    Tosto  che  nella  vista  mi  percosse 

L'  alta  virtù,  che  già  m'  avea  trafitto 
Prima  eh'  io  fuor  di  puerizia  fosse. 


A.  dei  ^ap. 

B.  lo  sostenea 


B.  C.  D.  ricadna: 
A.  1.  cinto 


A.  L  B.  cou  U  »u 


B.  nella  Inoc 


A.  Prima  rbc  f-( 


21).  e  di  sopra  e  dint.  —  23.  tutta  arrossata  ~  31.  Sotto  candido  vel  —  35.  cu'  alla  sua  pres.  —  36.  tremando .  inlranto  -  4- 


luce  mia 


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PARADISO   TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXX.    43-66. 


PARTENZA  DI  VIRO. 


447 


1.  2.  .3.  rimasa 


1.  '2.  3.  padrr 


1.  2.  3.  adre 


2.  Non  piang.  anche 


/i.  padre 


B.  penici)  —  8.  madre 


li.  adre 


43.    Volsimi  alla  sinistra  col  rispitto  a.  r.  con  ««?. 

Col  quale  il  fantolin  corre  alla  mamma, 

Quando  ha  paura  o  quando  egli  è  afflitto ,       r-  egu  è  trafitto 
46.    Per  dicere  a  Virgilio:  Men  che  dramma 

Di  sangue  m'  è  rimaso,  che  non  tremi;  ^.  rimasa 

Conosco  i  segni  dell'  antica  fiamma. 
49.    Ma  Virgilio  n'  avea  lasciati  scemi 

Di  se,  Virgilio  dolcissimo  patre, 

Virgilio  a  cui  per  mia  salute  die'  mi: 
1.2.3.  pcrdeo  -  1.2.  52.   NÒ  quautunquc  perde  Y  antica  matre, 

Valse  alle  guance  nette  di  rugiada, 

Che  lagrimando  non  tornassero  atre. 
55.    Dante,  perchè  VirgiUo  se  ne  vada, 

Non  pianger  anco,  non  pianger  ancora; 

Che  pianger  ti  convien  per  altra  spada. 
58.    Quasi  ammiragUo,  che  in  poppa  ed  in  prora 

Viene  a  veder  la  gente  che  ministra 

Per  gU  altri  legni,  ed  a  ben  far  la  incuora,    r.  ai  ben  far 
61.    In  sulla  sponda  del  carro  sinistra. 

Quando  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio, 

Che  di  necessità  qui  si  registra, 
64.    Vidi  la  Donna,  che  pria  m'  appario  ^.  che  u  m- app. 

Velata  sotto  1'  angelica  festa. 

Drizzar  gU  occhi  ver  me  di  qua  dal  rio. 


2.  alti  legni 


44.  Col  qu.  il  fanciullln  —  46,  Per  dicere:  O  Virg.  men  —  52.  Ne  quantunque  portò  -  57.  per  altra  strada  -  68.  che  di  poppa 
à.  r  angelica  vesta 


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448 


PARADISO    TERRESTRE. 


2.  dalla  fronte 

1.  2.  Realmente 

1.  2.  3.  dietro  riserva 
1.  2.  3.  Guardami 


1.  2.  in  esso,  trassi  3.  in 
esso,  io  tr. 


3.  Sente  '1  sapor 


PURGATORIO    XXX.    67-90.  beatr 

67.    Tutto  che  il  vel  che  le  scendea  di  testa, 
Cerchiato  dalla  fronde  di  Minerva, 
Non  la  lasciasse  parer  manifesta; 

70.   Regalmente  nell'  atto  ancor  proterva 
Continuò,  come  colui  che  dice, 
E  il  più  caldo  parlar  diretro  serva: 

73.    Guardaci  ben:  ben  son,  ben  son  Beatrice: 
Come  degnasti  d'  accedere  al  monte? 
Non  sapei  tu,  che  qui  è  Y  uom  felice? 

76.    Gli  occhi  mi  cadder  giù  nel  cliiaro  fonte; 

Ma  veggendomi  in  esso,  i  trassi  all'  erba. 
Tanta  vergogna  mi  gravò  la  fronte. 

79.    Cosi  la  madre  al  figlio  par  superba, 

Com'  ella  parv^e  a  me;  per  che  d'  amaro 
Sentì  '1  sapor  della  pie  tate  acerba. 

82.  Ella  si  tacque,  e  gli  Angeli  cantaro 
Di  subito:  lìi  te^  Domine^  speravi: 
Ma  oltre  pedes  meos  non  passaro. 

85.    Si  come  neve,  tra  le  vive  travi. 

Per  lo  dosso  d' Italia  si  congela 
Soffiata  e  stretta  dagh  venti  schiavi, 

88.    Poi  hquefatta  in  se  stessa  trapela, 

Pur  che  la  terra,  che  perde  ombra,  spiri, 
Si  che  par  foco  fonder  la  candela: 


A.  1.  D.  dell»  fr.  - 
r.  fronda  B.  frt.ij' 


B.  Realmente 


J.  2.  B.  <\  tì.  diem- 
si  serra 

A.  2.  B,  C.  D.  ben  rfiL 
ben  sem  B. 


B.  iimesso,  tr. 
trassi 


(\  la  matre 


A.  2.  C.  D.  S^uie  ;  ìa 


A.  C.  D.  Ma  uàra  /- 
A.  1.  nevi 


I).  sé  stesso 


A.  fender  la  caad. 


67.  le  pendea  di  testa  —  68.  Cerch.  dalle  fr.  —  69.  Non  lasciasse  parer  lei  —  70.  negli  atti  anoor  —  73.  Gu.  ben,  sos  bea,  !►  : 
ben  B.  ||  Gu.  ben,  s' io  son.  ben  son  B.  —  74.  Come  sdegnasti  d' ace.  (f)  —  d*  ascendere  al  m.  -  78.  Tanto  vergogna  —  90.  Si  e -a  f«? 
foco  fonde 


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PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXX.    91-114. 


449 


A.  Retro  -  A.  1.  alle 
rote  (?) 

A.  poicli*  io  int. 

C,  Lor  compartir  — 
B.  par  che  se  detto 


P-XXX1.12.]- ff.la 
destra  coscia 

B.  e  le  sustanzie 


91.    Così  fili  senza  lagrime  e  sospiri 

Anzi  il  cantar  di  quei  che  notan  sempre 
Dietro  alle  note  degli  eterni  giri. 

94.   Ma  poiché  intesi  nelle  dolci  tempre 

Lor  compatire  a  me,  più  che  se  detto 
Avesser:  Donna,  perchè  si  lo  stempre? 

97.   Lo  giel  che  m'  era  intorno  al  cor  ristretto, 
Spirito  ed  acqua  fessi,  e  con  angoscia 

A.  2.   B.  D.  Della  b.  e 

1.  Dalla  b.  e  dagli  o.  Pcr  la  bocca  e  per  gli  occhi  usci  del  petto.      ^*^?^»  «•  ^'  ^«k^^  «  ^ 

■■■  "  ■■■  della  b. 

1. 2.  la  destra  coBcia     100.   Ella,  pur  fcrma  in  sulla  detta  coscia 

Del  carro  stando,  alle  sustanzie  pie 

Volse  le  sue  parole  cosi  poscia: 
103.    Voi  vigilate  nelF  eterno  die. 

Si  che  notte  ne  sonno  a  voi  non  fiora 

Passo,  che  faccia  il  secol  per  sue  \ie; 
106.    Onde  la  mia  risposta  è  con  più  cura. 

Che  m' intenda  colui  che  di  là  piagne, 

Perchè  sia  colpa  e  duol  d'  una  misura. 
109.   Non  pur  per  opra  delle  rote  magne. 

Che  drizzan  ciascun  seme  ad  alcun  fine. 

Secondo  che  le  stelle  son  compagne; 
112.    Ma  per  larghezza  di  grazie  divine, 

Che  sì  alti  vapori  hanno  a  lor  piova. 

Che  nostre  viste  là  non  van  vicine, 


A.  m.  ne  giorno 

B.  faccia  secol 


A.  Clic  drixxa 

B,  che  le  rote 


92.  quei  che  rota»  sempre  —  96.  pari  che  detto  —  97.  m'  era  dentro  al  cor  |j  m'  era  al  cor  dentro  —  distretto  —  112.  Ma  per  lai^hexze 
II.  57    . 


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450  PARADISO    TERRESTRE.  PURGATORIO     XXX.     115  —  138.  BEATRICE. 

115.    Questi  fu  tal  nella  sua  vita  nuova  /?. /.  ndiata. 

Virtualmente,  eh'  ogni  abito  destro 

Fatto  averebbe  in  lui  mirabil  prova.  e.  Avrebbe  fatto 

118.    Ma  tanto  più  maligno  e  più  Silvestro 

Si  fa  il  terren  col  mal  seme  e  non  colto, 
1. 2. 3.  di  buon  vig.  Quant*  egli  ha  più  del  buon  vigor  terrestro.  b.  di  buon  tì? 

1.  con  mio  y.  121.    Alcuu  tempo  il  sostenni  col  mio  volto;  /?.  con  mio  t. 

Mostrando  gli  occhi  giovinetti  a  lui, 

Meco  il  menava  in  dritta  parte  volto. 
124.    Sì  tosto  come  in  sulla  soglia  fui 

Di  mia  seconda  etade,  e  mutai  vita,  a.  i.etàemuu. 

Questi  si  tolse  a  me,  e  diessi  altrui. 
127.    Quando  di  carne  a  spirto  era  salita, 

E  bellezza  e  virtù  cresciuta  m'  era, 

Fu'  io  a  lui  men  cara  e  men  gradita; 
130.    E  volse  i  passi  suoi  per  via  non  vera,  a.  i.  eì  vouc 

Imagini  di  ben  seguendo  false, 

Che  nulla  promission  rendono  intera. 
1.2.3. Nel' inipetr.sp.  133.    Né  Impetrare  ispirazion  mi  valse,  /?.  Né r imi,etr..r 

Con  le  quali  ed  in  sogno  ed  altrimenti 

Lo  rivocai;  sì  poco  a  lui  ne  calse. 
136.    Tanto  giù  cadde,  che  tutti  argomenti 

Alla  salute  sua  eran  già  corti, 

Fuor  che  mostrargli  le  perdute  genti.  a.  i.  Fuorché i= 

117.  Fatto  avrebbe  —  118.  tanto  più  malvagio  —  124.  in  sulla  porta  fui  —  129.  men  cara  a  lui  —  134.  uè  in  sogno 


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PARADISO   TXBR£STR£.  PURGATORIO     XXX.     139  —  145.  BEATRICE.  451 

139.    Per  questo  visitai  1'  uscio  dei  morti, 

Ed  a  colui  che  V  ha  quassù  condotto ,  r.  fa  &  costui 

Li  preghi  miei,  piangendo,  fiiron  porti. 
1.3.  L- alto  fato  2.  L- alto  142.    Alto  fato  di  Dio  sarcbbc  rotto,  ».  i/«itofatt^ 

fatto 

Se  Lete  si  passasse,  e  tal  vivanda 
Fosse  gustata  senza  alcuno  scottò 
145.    Di  pentimento  che  lagrime  spanda. 


57- 


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CANTO  TRENTESmOPRIMO 


1.  CoufìisioD,  paura 


\J  tu,  che  sei  di  là  dal  fiume  sacro, 
Volgendo  suo  parlare  a  me  per  punta, 
Che  pur  per  taglio  m'  era  parato  acro, 
4.    Ricominciò,  seguendo  senza  cunta. 

Di',  di*,  se  questo  è  vero;  a  tanta  accusa 
Tua  confession  conviene  esser  congiunta. 
7.    Era  la  mia  virtù  tanto  confusa, 

Che  la  voce  si  mosse,  e  pria  si  spense. 
Che  dagli  organi  suoi  fosse  dischiusa. 

10.   Poco  sofferse,  poi  disse:  Che  pense? 

Rispondi  a  me;  che  le  memorie  triste 
In  te  non  sono  ancor  dall'  acqua  offense. 

13.    Confiisione  e  paura  insieme  miste 

Mi  pinsero  un  tal  sì  fuor  della  bocca, 
Al  quale  intender  fur  mestier  le  viste. 

16.    Come  balestro  frange,  quando  scocca 

Da  troppa  tesa,  la  sua  corda  e  1'  arco, 
E  con  men  foga  1'  asta  il  segno  tocca; 


vi.  m.  Et  tu,  ohe  se' 
C.  Volgendo  il  suo 


[I).  XXX.  100.  -]  - 
A.  Ancor  non  son  in  te 

B.  Confusion,  paura 


1.  Eh  tu,  ohe  se'  —  12.  dall'  acque  offense  —  15.  fu  mestier  -^  16.  come  al  balestro  —  17.  Per  troppa  tesa  —  18.  E  come  in  fuga 


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454  PARADISO    TERRESTRE.  PURGATORIO     XXXI.      19  —  42. 

19.  Sì  scoppia'  io  sott'  esso  grave  carco. 
Fuori  sgorgando  lagrime  e  sospiri, 
E  la  voce  allentò  per  lo  suo  varco. 

22.    Ond'  ella  a  me:  Per  entro  i  miei  disiri, 
Che  ti  menavano  ad  amar  lo  bene 
Di  là  dal  qual  non  è  a  che  si  aspiri, 
1. 2. 3.  fosse  «tir ...ti.      25.    Qual  fossi  attraversati,  o  quai  catene 

Trovasti,  per  che  del  passare  innanzi 
Dovessiti  cosi  spogliar  la  spene? 

28.    E  quali  agevolezze,  o  quali  avanzi 

Nella  fronte  degli  altri  si  mostraro. 
Per  che  dovessi  lor  passeggiare  anzi? 

31.  Dopo  la  tratta  d'  un  sospiro  amaro, 
A  pena  ebbi  la  voce  che  rispose, 
E  le  labbra  a  fatica  la  formaro. 

34.    Piangendo  dissi:  Le  presenti  cose 

Col  falso  lor  piacer  volser  miei  passi, 
Tosto  che  il  vostro  viso  si  nascose. 

37.    Ed  ella:  Se  tacessi,  o  se  negassi 

Ciò  che  confessi,  non  fora  men  nota 
La  colpa  tua:  da  tal  giudice  sassi. 
1. 2. 3.  dalla  |.r.  40.    Ma  quaudo  scoppia  della  propria  gota 

L'  accusa  del  peccato ,  in  nostra  corte 
Rivolge  se  contra  il  tagUo  la  rota. 


rONFESSIOKE  DI  DANTE. 


B.  entro  miei 

B,  Dì  qua  dal  qu. 
B.  fosse  attr...te 


D.  delle  altre 


A.  la  sformare 


A,  RivoWe 


42.  Hi  volile  allor  coutra 


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PARAI>ISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXI.    43  —  66. 


RAMPOGNE    DI    BEATRICE. 


455 


1.  2.  3.  nat  ed  arte 


I.  2.  3.  e  ohe  son  t 


.  dovea  grav 


i  fanc. 


B.  iiat.  ed  arte 


A.  Reclusa  —  A.  2.  e  che 
son  in  t.  B.  C.  D. 
e  che  son  t. 


1.2.  3.  me' vergogna  43.      Tuttavia ,    perchè    mO    vergogna    porte  «.  me- vergogna 

Del  tuo  errore,  e  perchè  altra  volta 

Udendo  le  Sirene  sie  più  forte,  ^sieipiùf. 

46.    Pon  giù  il  seme  del  piangere,  ed  ascolta; 

Sì  udirai  come  in  contraria  parte 

Mover  doveati  mia  carne  sepolta. 
49.    Mai  non  t'  appresentò  natura  o  arte 

Piacer,  quanto  le  belle  membra  in  eh'  io 

Rinchiusa  fui,  e  sono  in  terra  sparte: 
52.    E  se  il  sommo  piacer  sì  ti  fallio 

Per  la  mia  morte,  qual  cosa  mortale 

Dovea  poi  trarre  te  nel  suo  disio? 
55.    Ben  ti  dovevi,  per  lo  primo  strale 

Delle  cose  fallaci,  levar  suso 

Diretro  a  me  che  non  era  più  tale. 
58.    Non  ti  dovean  gravar  le  penne  in  giuso. 

Ad  aspettar  più  colpi,  o  pargoletta, 

0  altra  vanità  con  sì  breve  uso. 
61.    Nuovo  augelletto  due  o  tre  aspetta; 

Ma  dinanzi  dagli  occhi  dei  pennuti 

Rete  si  spiega  indarno  o  si  saetta. 

.  Quale  fané.  2. 3.  Quale    64.       QualÌ    Ì    faUCiulU    VCrgOgUaudO    muti,  /y.  Quale  fanc. 

Cori  gli  occhi  a  terra,  stannosi  ascoltando, 
E  se  riconoscendo,  e  ripentuti. 


D.  1.  Dalle  cose 


C.  dovien   B.  dovea 


A.  1.  altra  novità  (?) 


50.  le  membra  belle  —  51.  che  sono  in  terra  sp.  (|  e  che  in  terra  son  sp.  —  54.  Dovea  poter  trar  te  —  55.  per  lo  proprio  strale  — 
99.  Ad  asp.  più  colpo  —  61.  due  e  tre  n*  aspetta  —  62.  din.  degli  occhi  —  63.  e  si  saetta 


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456 


PARADISO   TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXI.    67-90. 


PENTIMENTO    DI   DANTE. 


67.    Tal  mi  stava  io.    Ed  ella  disse:  Quando 
Per  udir  sei  dolente,  alza  la  barba, 
E  prenderai  più  doglia  riguardando. 
70.    Con  men  di  resistenza  si  dibarba 

Robusto  Cerro,  o  vero  al  nostral  vento, 
1.2. 3. terradurba  0  vero  a  qucl  della  terra  di  larba, 

73.    Ch*  io  non  levai  al  suo  comando  il  mento  ; 
E  quando  per  la  barba  il  viso  chiese, 
1.  il  Tenen  Bcu  couobbl  il  vclcu  dell'  argomento. 

76.   E  come  la  mia  faccia  si  distese, 
1. 2.  belle  creai.  Posarsl  qucllc  prlmc  creature 

1. 2.  appanion  Da  loro  aspcrslou  Y  occhio  comprese  : 

79    E  le  mie  luci,  ancor  poco  sicure, 

Vider  Beatrice  volta  in  sulla  fiera, 
Ch'  è  sola  una  persona  in  due  nature. 
82.    Sotto  suo  velo,  ed  oltre  la  riviera 
1.2.3.  Verde,  pareami  Viuccr  parcaml  plù  sè  stcssa  antica, 

3. cbciaitro  Vluccr  chc  r  altre  qui,  quand'  ella  e'  era. 

85.    Di  penter  sì  mi  punse  ivi  1'  ortica, 

Che  di  tutt'  altre  cose,  qual  mi  torse 
Più  nel  suo  amor,  più  mi  si  fé'  nimica. 
88.    Tanta  riconoscenza  il  cor  mi  morse, 

Ch'  io  caddi  vinto,  e  quale  allora  femmi. 
Salsi  colei  che  la  cagion  mi  porse. 


A.  t.  alaostral    JL  i 
air  austral 


C.  conobbi  il  voler 
B.  discese 

B.  apparsion 


C.  D.  Sotto  n  suo  rei- 

B.  sè  stesso 

B,  quando  la  ci  rn 


C.  la  rai^oD 


<jH.  Per  ud.  si  è  dol.  —  7&  apersion  ||  apparìzion  ||  operasion  —  84.  Vieppiù  che  I*  altre  qui  ||  Che  vineea  V  altre  qui  (?)  -  <f>»^^^' 
\k  era  -  85.  Di  pcntir  —  si  mi  vinse  —  87.  Più  da  suo  amor  —  80.  e  quale  io  allor  femmi 


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PABAOI80    TEBBESTSE. 


DANTE  BAGNATO  IN  LETE. 


2.  3.  virtù  di  fuor 


1.  2.  3.  col  braccio 
1.  2.  3.  sem  ....  senio 


1.  2.  3.  ag..ran  li 


A.  m.  di  sua  TÌrtìi 


1.  2.  3.  volte  stava 


PURGATORIO    XXXL    91-114. 

91.    Poi,  quando  il  cor  di  fuor  virtù  rendemmi, 

La  Donna  eh'  io  avea  trovata  sola, 

Sopra  me  vidi,  e  dicea:  Tienimi,  tiemmi. 
94.    Tratto  m'  avea  nel  fiume  infino  a  gola, 

E,  tirandosi  me  dietro,  sen  giva 

Sopr'  esso  1'  acqua,  lieve  come  spola, 
97.    Quando  fui  presso  alla  beata  riva. 

Asperges  me  sì  dolcemente  udissi, 

Ch'  io  noi  so  rimembrar,  non  eh'  io  lo  scriva,  b.  che  noi 
100.    La  bella  Donna  nelle  braccia  aprissi, 

Abbraceiommi  la  testa,  e  mi  sommerse. 

Ove  convenne  eh'  io  1'  aequa  inghiottissi; 
103.    Indi  mi  tolse,  e  bagnato  m'  offerse 

Dentro  alla  danza  delle  quattro  belle, 

E  ciascuna  del  braccio  mi  coperse. 
106.    Noi  Siam  qui  ninfe,  e  nel  ciel  siamo  stelle; 

Pria  che  Beatrice  discendesse  al  mondo. 

Fummo  ordinate  a  lei  per  sue  ancelle. 
109.    Menrenti  agU  occhi  suoi;  ma  nel  giocondo 

Lume  eh'  è  dentro  aguzzeranno  i  tuoi 

Le  tre  di  là,  che  miran  più  profondo. 
112.    Così  cantando  cominciaro;  e  poi 

Al  petto  del  grifon  seco  menarmi. 

Ove  Beatrice  stava  volta  a  noi. 


457 


e.  D.  fino  a  gola 

A.  1.  Tirandosi  (?)    - 
A.  retro  —  A.  1.  sene  g. 

^.2.  a  scola  i?.Z>.  stola 


yl. 2.  B.  C.  D.  sem ...  semo 


C\  D,  Mcrrcnti 
B.  aguszeran  li 


B.  C.  volta  stava 


91.  virtù  da  fuor  —  92.  eli'  io  m'  avea  trov.  —  91.  infin  la  gola  —  96.  E,  tirandomi  sé  dietro    -  109.  Menremti  ||  Merremti  )|  Mercnti 
112.  cantando  inoomineiaro 


li. 


58 


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458 

2.  riapìanni 


PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXI.    115  —  138. 


GRIFONE  E  BEATRICE. 


1.  ftftx.  se ,  di  ar 

1.  2.  3.  del  più  alto 

2.  Cantando  -  2. 3.  caribo 
1.  2.  3.  la  sna  cani. 


115.    Disser:  Fa  che  le  viste  non  risparmi; 
Posto  t'  avem  dinanzi  agli  smeraldi, 
Ond'  Amor  già  ti  trasse  le  sue  armi. 

118.    Mille  disiri  più  che  fiamma  caldi 

Strinsermi  gU  occhi  agU  occhi  rilucenti, 
Che  pur  sopra  il  grifone  stavan  saldi. 

121.    Come  in  lo  specchio  il  sol,  non  altrimenti 
La  doppia  fiera  dentro  vi  raggiava, 
Or  con  uni,  or  con  altri  reggimenti. 

124.    Pensa,  lettor,  s' io  mi  maravigliava, 

'  Quando  vedea  la  cosa  in  se  star  queta, 

E  neir  idolo  suo  si  trasmutava. 

127.  Mentre  che,  piena  di  stupore  e  Ueta, 
L'  anima  mia  gustava  di  quel  cibo, 
Che,  saziando  di  se,  di  se  asseta; 

130.    Se  dimostrando  di  più  alto  tribo 

Negli  atti,  r  altre  tre  si  fero  avanti. 
Danzando  al  loro  angelico  carribo. 

133.    Volgi,  Beatrice,  volgi  gli  occhi  santi. 
Era  la  lor  canzone,  al  tuo  fedele 
Che,  per  vederti,  ha  mossi  passi  tanti. 

136.    Per  grazia  fa  noi  grazia  che  disvele 
A  lui  la  bocca  tua,  sì  che  discerna 
La  seconda  bellezza  che  tu  cele. 


r.  D.  riaptannì 
B.  Poaio  t'  vft 


B.  Come  lo  sp. 


A,  1.  Or  con  uno.  ""' 
B,  D.  Or  con  alii  f 


A,  guatando 

C.  aac.  sé ,  di  sé  ì).^ 
aè  di  sé.  di  !«■ 

A.  2.   B,  C.  D.  dt. 

alto 

B.  D.  li  altri  m 
.-I.  2.  r.  D.  Canra^J 


B.  la  sna  cua. 


D.  fa  a  noi 


120.  sopra  il  grifon  atayano  —  121.  Come  in  iapecchio  sol  —  196.  fanne  gracia  —  137.  la  faccia  tua  f|  la  rista  toa  —  ai  eh'  ri  <i^<^ 


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PARADISO  TEBBKSTRK.  PURGATORIO     XXXI.     139  —  145.  BEATRICE   DISVELATA.  459 

139.    0  isplendor  di  viva  luce  etema, 

Chi  pallido  si  fece  sotto  V  ombra 

1.  beve  -  1.  2.  citerna  Sì    dì    PamaSO ,    O    beVVe    in    sua    cisterna,  «.  beve  in  sua  eitema 

142.    Che  non  paresse  aver  la  mente  ingombra, 

Tentando  a  render  te  qual  tu  paresti 

Là,  dove  armonizzando  il  ciel  t'adombra,     m  la  ove -5.  armeni.. 
145.    Quando  nell'  aere  aperto  ti  solvesti? 


139.  O  splendore  |i  Ahi  splendor  —  divina  luce  —  141.  e  bevve  —  142.  Chi  non  paresse 


58* 


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CANTO  TRENTESIMOSECONDO 


JLanto  eran  gli  occhi  miei  fissi  ed  attenti 
A  ^sbramarsi  la  decenne  sete, 
Che  gli  altri  sensi  m'  eran  tutti  spenti; 
4.    Ed  essi  quinci  e  quindi  avean  parete 

Di  non  caler,  cosi  lo  santo  riso  a.  t.  e.  non  calar 

1. 2. 3.  tracii  A  sc  tpaeali  con  1'  antica  rete  ;  b.  c.  d.  traén 

7.    Quando  per  forza  mi  fii  volto  il  viso  r,  mi  fu  tolto 

Ver  la  sinistra  mia  da  quelle  Dee, 
Perch'io  udia  da  loro  un:  Troppo  fiso.  e  io  udì- -^.2  e.  a* 

lor:  Non  troppo 

1.  Ladisposu  10.    E  la  disposizion  eh*  a  veder  ee  ff.  La  disposiz. 

Negli  occhi  pur  teste  dal  sol  percossi. 

Senza  la  vista  alquanto  esser  mi  fee; 
13.    Ma  poi  che  al  poco  il  viso  riformossi. 

Io  dico  al  poco,  per  rispetto  al  molto  ^.  2,  r;.  io  dico  poco 

Sensibile,  onde  a  forza  mi  rimossi, 
16.    Vidi  in  sul  braccio  destro  esser  rivolto  r.  z>.  vidi.ui 

Lo  glorioso  esercito,  e  tornarsi 

Col  sole  e  con  le  sette  fiamme  al  volto. 


1.  fisi  ed  attenti  —  4.  £  d'  essi  \\  E  tese  —  avien  parete  ||  avea  parete  —  5.  Di  non  calere,  così  il  santo  —  6.  A  se  trapeli  ||  A  se 
tiroUi  —  7.  mi  fu  torto  —  8.  Per  la  sinistra  —  9.  da  loro:  Uh,  troppo  fiso! 


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462 


PARADISO    TERBESTBE. 


PURGATORIO    XXXII.    19  —  42. 


(albero  o.  conoscenza.) 


1.  procedeva 


l.  2.  in  angelica 


1.  Difrenata 


1.  Di  foglia 

2.  3.  La  chioma 
2.  più  V*  V  SII 

1.  per  ah.  mirata 


19.    Come  sotto  gli  scudi  per  salvarsi 

Volgesi  schiera,  e  se  gira  col  segno, 
Prima  che  possa  tutta  in  se  mutarsi; 

22.    Quella  milizia  del  celeste  regno. 

Che  precedeva,  tutta  trapassonne 

Pria  che  piegasse  il  carro  il  primo  legno. 

25.    Indi  alle  rote  si  tornar  le  donne, 

E  il  grifon  mosse  il  benedetto  carco, 
Sì  che  però  nulla  penna  crollonne. 

28.    La  bella  donna  che  mi  trasse  al  varco, 
E  Stazio  ed  io  seguitavam  la  rota 
Che  fé'  r  orbita  sua  con  minore  arco. 

31.    Sì  passeggiando  V  alta  selva  vota, 

Colpa  di  quella  eh'  al  serpente  crese. 
Temprava  i  passi  un'  angeUca  nota. 

34.    Forse  in  tre  voli  tanto  spazio  prese 
Disfrenata  saetta,  quanto  eramo 
Rimossi,  quando  Beatrice  scese. 

37.    Io  sentii  mormorare  a  tutti:  Adamo! 
Poi  cerchiaro  una  pianta  dispogliata 
Di  fiori  e  d'  altra  fronda  in  ciascun  ramo. 

40.    La  coma  sua,  che  tanto  si  dilata 

Più,  quanto  più  è  su,  fora  dagl'  Indi 
Ne'  boschi  lor  per  altezza  ammirata. 


A.  e  si  gira 

A.  m.  mirarsi 

B.  procedeva 


B.  Si  che  poi 


B.  eh'  al  presente  oitt* 
B.  C.  2.  D.  in  ang^ehrj 

B.  quando  eramo 


B.  Poi,  cerchiata 

^.  Di  fogUa />. /.  Di  focl.p 

^.1.  più  va  aii  (r) 

A.  2.  B.  C.  D.  per  alt. 
mirata 


19.  Cosi  botto  —  20.  e  si  move  col  segno  —  21.  in  sé  tutta  —  23.  tutto  trapa&s.  —  26.  il  grifon  Tolse  il  glorioso  earco  —  27.  S: 
che  clapoi  nulla  —  30.  Che  fea  1'  orbita  sua  ||  Che  1'  orbita  facea  —  con  minor  varco  —  35.  Disserrata  saetta  -  37.  Io  sentia  morm.  —  39.  r  d'  altra 
fronde  —  fronda  con  suo  ramo  —  40.  La  cima  sua  —  41.  quanto  si  va  su 


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PARADISO    TERRESTBE. 


PURGATORIO    XXXn.    43  —  66. 


(roma  cristiana.) 


463 


I.  se'  grif.  se  non 


2.  3.  si  torse 


3.  a  pie 


1.  2.  3.  dietro 


1.  sì  nuovo 


1.  2.  3.  ne  quaggiù  si 


43.   Beato  sei,  grifon,  che  non  discindi 

Col  becco  d'  esto  legno  dolce  al  gusto, 
Posciachè  mal  si  torce  il  ventre  quindi. 

46.    Cosi  d' intomo  all'  arbore  robusto 

Gridaron  gli  altri;  e  1'  animai  binato  : 
Sì  si  conserva  il  seme  d'  ogni  giusto. 

49.   E  volto  al  temo  eh'  egli  avea  tirato, 
Trasselo  al  pie  della  vedova  frasca; 
E  quel  di  lei  a  lei  lasciò  legato. 

52.    Come  le  nostre  piante,  quando  casca 

Giù  la  gran  luce  mischiata  con  quella 
Che  raggia  retro  alla  celeste  lasca, 

55.    Turgide  fansi,  e  poi  si  rinnovella 

Di  suo  color  ciascuna,  pria  che  il  sole 
Giunga  li  suoi  corsier  sott'  altra  stella; 

58.    Men  che  di  rose,  e  più  che  di  viole. 
Colore  aprendo,  s'innovò  la  pianta. 
Che  prima  avea  le  ramora  sì  sole. 

61.    Io  non  lo  intesi,  e  qui  non  si  canta 

L' inno  che  quella  gente  allor  cantaro, 
Ne  la  nota  soffersi  tuttaquanta. 

64.    S'  io  potessi  ritrar  come  assonnaro 

Gli  occhi  spietati,  udendo  di  Siringa, 


B.  D.  se'  grif. ,  se  non 
C.  grif.  se\  che  non 
—  /).  2.  rescindi 


J.  m.  C.  D.  si  torse 
A.  albero 


B.  El  volto 


B.  C.  D.  dietro 
B.  t.  fassi 


B.  Giunto  —  /?.  scn«' 
altra  st. 


D.  Clic  pria 

.-I.  1.  e  •!  qui  (?)    A.  2. 
B.  C.  né  qni 


D.  occhi  spirtoti 


Gli  occhi  a  cui  più  vegghiar  costò  sì  caro  ;     e.  n.  a  em  pur  vcggu. 


45.  mal  si  storse  —  57.  con  altra  stella  —  59.  Colore  apprende  —  ai  nuova  —  61.  e  qui  non  ci  ||  e  qui  già  non  ai  ||  e  quaggiù  non 
si  i|  né  di  qua  si 


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464  PARADISO    TERRESTRE. 

1.  2.  3.  pìntor 


PURGATORIO    XXXII.    67-90. 


(CHIESA    ROMANA.) 


R.  IN.  C.  pin tor  B.t.  piau : 


C.  Del  sunno  e  d"  u:. 
chiamar 


B.  C.  D.  pome 


A.  C.  Johannì 


67.    Come  pittor  che  con  esemplo  pinga 
Disegnerei  com'  io  m'  addormentai; 
Ma  qual  vuol  sia  che  1'  assonnar  ben  finga. 

70.    Però  trascorro  a  quando  mi  sveghai, 

E  dico  eh'  un  splendor  mi  squarciò  il  velo 
Del  sonno,  ed  un  chiamar:  Surgi,  che  fai? 

73.    Quale  a  veder  dei  fioretti  del  melo, 
1.  pome  Che  del  suo  pomo  gU  AngeU  fa  ghiotti, 

E  perpetue  nozze  fa  nel  cielo, 

76.    Pietro  e  Giovanni  e  Iacopo  condotti 
E  vinti  ritornaro  alla  parola. 
Dalla  qual  furon  maggior  sonni  rotti, 

79.  E  videro  scemata  loro  scuola, 
Così  di  Moisè  come  d'  EUa, 
Ed  al  Maestro  suo  cangiata  stola; 

82.    Tal  torna'  io ,  e  vidi  quella  pia 

Sopra  me  starsi,  che  conducitrice 
Fu  de'  miei  passi  lungo  il  fiiune  pria; 

85.    E  tutto  in  dubbio  dissi:  Ov'  è  Beatrice? 
i.  2.3.  Kd  ella  Oud'  clla  :  Vedi  lei  sotto  la  fronda 

1.  a.  3.  seder».  Nuova  scdcrc  in  sulla  sua  radice. 

88.    Vedi  la  compagnia  che  la  circonda; 

Gli  altri  dopo  il  grifon  sen  vanno  suso, 
Con  più  dolce  canzone  e  più  profonda. 


(J8.  Desiguaret  —  69.  Ma  qnal  Taoi  —  70.  trascorro ,  e  quando  —  71.  Io  dico  —  73.  veder  di  fioretti  )|  veder  li  fiurrtti  —  d.  z:  - 
74.  Che  (lei  suoi  pomi  —  gli  angeli  fan  gU.  —  75.  fan  nel  eiclo  ~  77.  E  giunti  ritorn.  —  81.  al  Magistro  suo  —  89.  di  po'  il  grifon 


A.  2.  r.  />. 

lor 


B.  sedersi 


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PARADISO    TSRRESTVE.  PURGATORIO     XXXII.     91  —  114.  (persecuzioni  DEI  CRISTIANI.)  465 

1.2.3.  fu  più  91.    E  se  più  fii  lo  suo  parlar  diffiiso  5.  r;.  fu  più 

Non  so,  perocché  già  negli  occhi  in'  era 
Quella  eh'  ad  altro  intender  m'  avea  chiuso. 
94.    Sola  sedeasi  in  sulla  terra  vera,  ^.  sedicsì  r.  sede-ai 

Come  guardia  lasciata  li  del  plaustro, 
Che  legar  vidi  alla  biforme  fiera. 
97.    In  cerchio  le  facevan  di  se  claustro 

Le  sette  ninfe, -con  quei  lumi  in  mano 
Che  son  sicuri  d'  Aquilone  e  d'  Austro. 

100.    Qui  sarai  tu  poco  tempo  silvano, 
E  sarai  meco,  senza  fine,  cive 
Di  quella  Roma  onde  Cristo  è  Romano  ;        /?•  i>5  q«e»*  torma 

103.    Però,  in  prò  del  mondo  che  mal  vive, 

Al  carro  tieni  or  gli  occhi,  e  quel  che  vedi, 
Ritornato  di  là,  fa  che  tu  scrive. 

106.    Così  Beatrice;  ed  io,  che  tutto  ai  piedi 
De'  suoi  comandamenti  era  devoto , 
La  mente  e  gU  occhi,  ov'  ella  volle,  diedi. 

109.    Non  scese  mai  con  sì  veloce  moto  r.  Non  esce  mai 

Foco  di  spessa  nube,  quando  piove  r.  dì  spensa  uubc 

1. 2. 3.  più  è  rem.  Da  qucl  confine  che  più  va  remoto ,  a.  1.  più  è  rem.  (?) 

112.    Com'  io  vidi  calar  1'  uccel  di  Giove 

Per  r  arbor  giù,  rompendo  della  scorza, 
Non  che  dei  fiori  e  delle  foglie  nuove; 


I).  di  fiori  -  D.  delle 
cose  u. 


IH.  terra  nera  ||  terra  mera  —  96.  Che  legar  vide  —  97.  li  facean  —  107.  Di  suoi  comand.  -  112.  Com'  io  sentii  —  113.  Dell'  alber  giù 

n.  59 


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466  PARADISO    TERRESTRE.  PURGATORIO     XXXII.     115—138.  (ERESIE  E  RICCHEZZE.) 

1.2. 3.  Eferio  115.    E  feri  il  caiTo  di  tutta  sua  forza,  ^.  Eferio 

Ond'  ei  piegò,  come  nave  in  fortuna, 
2.3.  dau- onde  Vinta  dall'  onda,  or  da  poggia  or  da  orza.    ^  i.  vinto  a»  onda 

118.    Poscia  vidi  avventarsi  nella  cuna 
Del  trionfai  veiculo  una  volpe, 
Che  d'  ogni  pasto  buon  parca  digiuna. 
121,    Ma,  riprendendo  lei  di  laide  colpe, 

La  Donna  mia  la  volse  in  tanta  fiita,  .4.  >.  r.  umue 

1.  soifeMe  Quanto  sofferson  Y  ossa  senza  polpe.  a.  b.  »offe«e 

124.    Poscia,  per  indi  ond'  era  pria  venuta, 
1. 2.  LaguKiia  L'  aquila  vidi  scender  giù  nell'  arca  b.  Lagugu»  -  a.  va. 

Y  aqu. 

Del  carro,  e  lasciar  lei  di  se  pennuta. 
127.    E  qual  esce  di  cor  che  si  rammarca, 

Tal  voce  uscì  del  cielo,  e  cotal  disse: 

O  navicella  mia,  com' mal  sei  carca! 
130.    Poi  parve  a  me  che  la  terra  s'  aprisse 

Tr'  ambo  le  rote,  e  vidi  uscirne  un  drago, 

Che  per  lo  carro  su  la  coda  fisse: 
133.    E,  come  vespa  che  ritragge  Y  ago, 

A  se  traendo  la  coda  maligna, 

Trasse  del  fondo,  e  gissen  vago  vago. 
136.    Quel  che  rimase,  come  di  gramigna  .j.  r , />.  i.  .u  «r«a5rw. 

Vivace  terra,  della  piuma  offerta, 
1. 2. 3.  cHhu  e  beuiRiia  Forsc  cou  intcnziou  sana  e  benigna, 

120.  paato  ben  parca         123.  Quanto  sofferser   —   129.  con  mal  sfi  carca  (!  co'  mal  sci  e.    -    131.  Tr"  ambe  le  rote   —    1:15.  Tr*»-e 
del  carro  —  138.  intcnzìon  vai^a 


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PARADISO   TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXIl.    139-160. 


PUTTANA    E    GIGANTE. 


467 


1-  2.  3.  in  vista  mai 


1.  2.  3.  insili 


139.    Si  ricoperse  e  funne  ricoperta 

E  r  una  e  Y  altra  rota  e  il  temo ,  in  tanto 

Che  più  tiene  un  sospir  la  bocca  aperta. 
142.    Trasformato  cosi  il  dificio  santo 

Mise  fiior  teste  per  le  parti  sue, 

Tre  sopra  il  temo,  ed  una  in  ciascun  canto. 
145.    Le  prime  eran  cornute  come  bue; 

Ma  le  quattro  un  sol  corno  avean  per  fronte  :  u.  t.  Ma  le 

Simile  mostro  visto  ancor  non  fue. 
148.    Sicura,  quasi  rocca  in  alto  monte, 

Seder  sopr'  esso  una  puttana  sciolta 

M'  apparve  con  le  ciglia  intorno  pronte. 
151.    E,  come  perchè  non  gli  fosse  tolta. 

Vidi  di  costa  a  lei  dritto  un  gigante, 

E  bacia vansi  insieme  alcuna  volta: 
154.    Ma,  perchè  1'  occhio  cupido  e  vagante 

A  me  rivolse,  quel  feroce  drudo 

La  flagellò  dal  capo  infin  le  piante. 
157.    Poi,  di  sospetto  pieno  e  d'ira  crudo, 

Disciolse  il  mostro,  e  trassel  per  la  selva 

Tanto,  che  sol  di  lei  mi  fece  scudo 
160.    Alla  puttana  ed  alla  nuova  belva. 


ff.  in  visU  —    A.  2.  R. 
C.  D.  mai  non 


D.  t.  Poi  dispettoso  p. 


J).  Tanto  clie  '1  sol 
A.  m.  di  Ini 


142.  E  trasfonnato  si 
Bovr'  essa  —  160.  N'  apparve 


—  l'edificio  santo  —  147.  Sim.  in  nostra  vista  ||Sim.  mostro  iu  vita  —  148- Sicura,  come  rocca  —  149.  Scender 


,59- 


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CANTO  TRENTESIMOTERZO 


JLJeuSy  tenerunt  gentes,  alternando. 
Or  tre  or  quattro,  dolce  salmodia 
i.  2. 3.  incom.,  lagrim.  Lc  donne  incominciaro ,  e  lagrimando  :  u,  comineuron  lagr. 

4.    E  Beatrice  sospirosa  e  pia 

Quelle  ascoltava  sì  fatta,  che  poco 
Più  alla  croce  si  cambiò  Maria. 
7.    Ma  poiché  V  altre  vergini  dier  loco 

A  lei  di  dir,  levata  dritta  in  pie,  />. lev. ritu 

Rispose,  colorata  come  foco: 
10.    Modicurriy  et  non  mdebitis  me, 

Et  iteruniy  Sorelle  mie  dilette, 
Modicuniy  et  vos  videbitis  me. 
.tutte sette  13.    Poi  Ic  sì  uiìsc  Inuanzi  tutte  e  sette, 

E  dopo  se,  solo  accennando,  mosse  me  di  pò* .è 

Me  e  la  Donna,  e  il  Savio  che  ristette. 
16.    Cosi  sen  giva,  e  non  credo  che  fosse 
Lo  decimo  suo  passo  in  terra  posto, 
Quando  con  gh  occhi  gli  occhi  mi  percosse; 

8.  levata  suso  —  18.  Quando  con  1'  occhio 


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470 


PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXIII.    19  —  42. 


(DUCE    VATICINATO.) 


19.    E  con  tranquillo  aspetto:  Vien  più  tosto, 
Mi  disse,  tanto  che  s'  io  parlo  teco, 
Ad  ascoltarmi  tu  sie  ben  disposto. 

22.    Si  com' io  fui,  com' io  doveva,  seco, 

Dissemi:  Frate,  perchè  non  ti  attenti 
1.2.3. A diniAnaare ornai  A  domaudarmi  omai  venendo  meco? 

25.    Come  a  color,  che  troppo  reverenti, 

Dinanzi  a'  suoi  maggior  parlando  sono , 
Che  non  traggon  la  voce  viva  ai  denti, 

28.    Avvenne  a  me,  che  senza  intero  suono 
Incominciai:  Madonna,  mia  bisogna 
Voi  conoscete,  e  ciò  eh'  ad  essa  è  buono. 

31.    Ed  ella  a  me:  Da  tema  e  da  vergogna 
VogUo  che  tu  omai  ti  disviluppe. 
Si  che  non  parli  più  com'  uom  che  sogna. 

34.    Sappi  che  il  vaso  che  il  serpente  ruppe. 
Fu,  e  non  è;  ma  clii  n'  ha  colpa,  creda 
Che  vendetta  di  Dio  non  teme  suppe. 
1. 2. 3.  wn«a  reda        37.    Noii  Sarà  tutto  tcmpo  senza  ereda 
1. 2.  L"  affugiia  L'  aquila  che  lasciò  le  penne  al  carro , 

Per  che  divenne  mostro  e  poscia  preda; 

40.    Ch'  io  veggio  certamente,  e  però  il  narro, 
A  darne  tempo,  già  stelle  propinque. 
Sicure  d'  ogni  intoppo  e  d'ogni  sbarro  ; . 


H.  K  contra  quell-  ^\ 

A.  siei     D.  sia 

A.  2.  C.  Si  eome  fu: 

B.  D.  A  ilimaudar«  ysa. 

B.  Come  color 

C.  D.    Din.  a'  lor  it.;; 


B.  C.  senaa  r«da 
B.  L'  agullia 

B.  però  oaiTo 
A.  1.  Addume  i*) 


2.  3.  Sicuro 


22.  E  come  io  fui  (|  Tosto  eh'  io  fui  —  26.  Come  iti  c<»lor   —  26.  Dinauxi  al  suo  maggior   —    di  parlar  sono   ~  27.  tra^w.  k  ▼  ^^ 
▼ive  —  28.  Avvenne  in  me  —  37.  Non  sarà  d'  ogni  tempo  —  39.  Per  eh'  ei  divenne 


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PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXIII.    43  —  66. 


(DUCE    VATICINATO.) 


471 


I.  2.  3.  di  Dio 

1.  2.  3.  E  quel  ffiK. 

1.  Mo  fune 


1.  2.  3.  di  pee.  e  di  b. 


1.  2.  .3.   Queste  par.   sì 
Ir  ins. 


l.  2.  3.  Ed  aergi 


2.  3.  ìstima 


43.    Nel  quale  un  cinquecento  diece  e  cinque, 
Messo  da  Dio,  anciderà  la  foia 
Con  quel  gigante  che  con  lei  delinque. 

4().    E  forse  che  la  mia  narrazion  buia, 

Qual  Temi  e  Sfinge,  men  ti  persuade, 
Perch'  a  lor  modo  lo  intelletto  attuia; 

49.    Ma  tosto  fien  li  fatti  le  Naiade, 

Che  solveranno  questo  enigma  forte, 
Senza  danno  di  pecore  o  di  biade. 

52.    Tu  nota;  e,  sì  come  da  me  son  porte 
Cosi  queste  parole  segna  ai  vivi 
Del  viver  eh'  è  un  correre  alla  morte  ; 

55.    p]d  abbi  a  mente,  quando  tu  le  scrivi. 
Di  non  celar  qual  hai  vista  la  pianta, 
Ch'  è  or  due  volte  dirubata  quivi. 

58.    Qualunque  ruba  quella,  o  quella  schianta. 
Con  bestemmia  di  fatto  offende  a  Dio, 
(^he  solo  all'  uso  suo  la  creò  santa. 

fil.    Per  morder  quella,  in  pena  ed  in  disio 
Cinquemili'  anni  e  più,  V  anima  prima 
Bramò  Colui  che  il  morso  in  se  punio. 

H4.  Dorme  lo  ingegno  tuo,  se  non  estima 
Per  singular  cagione  essere  eccelsa 
Lei  tanto,  e  sì  travolta  nella  cima. 


B.  a  D.  di  Dìo 

R,  Ohe  eon  qu.  s;ig.  lei 


(\  T.  e  spinse  -  H.  D. 
me*  ti  pers. 


R.  C.  i>.  tosto  ficr 
/?.  lì  fatte 


R.  D.  di  per.  r  di  b. 


R.  inseis^ua 


R,  C.  VA  agsci 


A.  1.  Che  or  (?)  - 
A.  1.  è  dìnibata  (?) 


D.  offende  Iddio 


//.  ìstima 


46.  Di  quel  gigaute  —  che  con  lui  —  46.  E  sappi  che  la  mia  —  47.  nette  e  persuade  —  48.  E  che  a  lor  modo  —  intelletto  aeuja  - 
.   lifii   li  fntì  II  fien  le  fata  —  e  le  Naiade  —  53.  Qu.  par.  cosi  le  insespia  —  56.  Di  non  tacer  -  57.  derobata  —  (52.  Cinquemila 


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472 


PARADISO   TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXIII.    67-90. 


BEATRICE    E    DANTE. 


1.  2.  3.  All'alber 

1. 2. 3.  ed  in  peccato  tinto 

2.  3.  Voglio  anche 
1.  Che  te  nel  porti 


e  r  arbor   B.  U.  • 
r  alber 

,  io  veggo 

,  m.  et  dimpftn'fl 


67.    E,  se  stati  non  fossero  acqua  d'  Elsa 

Li  pensier  vani  intomo  alla  tua  mente, 

E  il  piacer  loro  un  Piramo  alla  gelsa,  r.  mpiramo 

70.    Per  tante  circostanze  solamente 

La  giustizia  di  Dio,  nello  interdetto. 
Conosceresti  all'  arbor  moralmente. 

73.  Ma,  perch'  io  veggio  te  nello  intelletto 
Fatto  di  pietra  ed,  impietrato,  tinto, 
Si  che  t'  abbaglia  il  lume  del  mio  detto, 

76.    Voglio  anco,  e  se  non  scritto,  almen  dipinto. 
Che  il  te  ne  porti  dentro  a  te,  per  quello 
Che  si  reca  il  bordon  di  palma  cinto. 

79.    Ed  io:  Sì  come  cera  da  suggello. 

Che  la  figura  impressa  non  trasmuta, 

Segnato  è  or  da  voi  lo  mio  cervello.  j?.  di  voi- r.j. 

82.    Ma  perchè  tanto  sopra  mia  veduta 
Vostra  parola  disiata  vola,' 
Che  più  la  perde  quanto  più  s'  aiuta? 

85.    Perchè  conoschi,  disse,  quella  scuola 

Ch'  hai  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina 
Come  può  seguitar  la  mia  parola; 

88.    E  veggi  vostra  via  dalla  divina 

Distar  cotanto,  quanto  si  discorda 
Da  terra  il  ciel  che  più  alto  festina. 

67.  E ,  se  stato  >-  74.  in  petrato  tìnto  ||  impetrato  e  tinto  ||  di  petrato  tinto  —  76.  a  ben  dipinto  ||  abbi  *1  dipinto   —  77.  O  "? 
porle  —  dentro  almen  per  qu.  —  81.  Segnato  e'  è  —   or  per  voi  —   86.  Perchè  conosca  —  86.  e  vcj^a  sua  dottr.  »   86l  E  TepE>  ^'■•*^*  ' 
90.  Da  terra  al  ciel  —  il  ciel ,  che  più 


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PARADISO    TSRRESTRS. 


PURGATORIO    XXXIII.    91-114. 


(fontana.) 


473 


.  2.  3.  Sì  come  di  Leteo 
hreMi 


2.  3.  din.  a  schiera 


2.   in  suo  Test.    3.  in 
sue  vfst. 


91.    Ond'  io  risposi  lei:  Non  mi  ricorda 

Ch'io  straniassi  me  giammai  da  voi, 
Ne  honne  coscienza  che  rimorda. 
94.    E,  se  tu  ricordar  non  te  ne  puoi, 

Sorridendo  rispose,  or  ti  rammenta 
Come  bevesti  di  Lete  ancòi; 
97.    E,  se  dal  fummo  foco  s'  argomenta, 
Cotesta  oblivion  chiaro  conchiude 
Colpa  nella  tua  voglia  altrove  attenta. 

100.    Veramente  oramai  saranno  nude 

Le  mie  parole,  quanto  converrassi 
Quelle  scoprire  alla  tua  vista  rude. 

103.    E  più  corrusco,  e  con  più  lenti  passi. 
Teneva  il  sole  il  cerchio  di  merigge, 
Che  qua  e  là,  come  gli  aspetti,  fassi, 

106.    Quando  s'  affisser,  sì  come  s'  affigge 
Chi  va  dinanzi  a  gente  per  iscorta. 
Se  trova  no  vitate,  o  sue  vestigge, 

109.    Le  sette  donne  al  fin  d'un'  ombra  smorta, 
Qual  sotto  foghe  verdi  e  rami  nigri 
Sopra  suoi  freddi  rivi  Y  Alpe  porta. 

112.    Dinanzi  ad  esse  Eufrates  e  Tigri 

Veder  mi  parve  uscir  d'  una  fontana , 
E  quasi  amici  dipartirsi  pigri. 


A.  straneasse 

A.  2.  C.  che  mi  morda 


B.  di  Le  the  bevesti 


A.  il  sol  lo  cerchio 


B.  din.  a  schiera 


A.  o  sua  vest.  B.  in  suo 
▼est. 


A.  l.  verdi  fofi^Iie 


D.  am..  a  dipartirsi 


91.  risposi  a  lei  —  02.  Ch'  io  strariassi   ~   96.  di  Lete  tu  bevesti  ||  bevesti  ta  di  Let«  ||  bevesti  acqua  di  Lete  —    103.  e  più  eon 
—  104.  merige  —  106.  come  la  spera  Tassi  -  106.  afBge  —  106.  vestige  -  114.  di  partirsi 


II. 


60 


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474 


PARADISO    TERRESTRE. 


PURGATORIO    XXXm.    115-138. 


(  EU  NOÈ.) 


1.  2.  3.  Leteo 


2.  3.  Fatto  ha 


1.  2.  3.  Tosto  com'  è 


115.    0  luce,  o  gloria  della  gente  umana, 

Che  acqua  è  questa  che  qui  si  dispiega 
Da  un  principio,  e  se  da  se  lontana? 

118.    Per  cotal  prego  detto  mi  fii:  Prega 

Matelda  che  il  ti  dica;  e  qui  rispose, 
Come  fa  chi  da  colpa  si  dislega, 

121.    La  bella  Donna:  Questo,  ed  altre  cose 
Dette  gli  son  per  me;  e  son  sicura 
Che  r  acqua  di  Lete  non  gliel  nascose. 

124.    E  Beatrice:  Forse  maggior  cura, 

Che  spesse  volte  la  memoria  priva. 
Fatta  ha  la  mente  sua  negU  occhi  oscura. 

127.    Ma  vedi  Eunoè  che  là  deriva: 

Menalo  ad  esso,  e,  come  tu  sei  usa, 
La  tramortita  sua  virtù  ravviva. 

130.    Com'  anima  gentil  che  non  fa  scusa, 
Ma  fa  sua  vogUa  della  voglia  altrui, 
Tosto  eh'  eir  è  per  segno  fiior  dischiusa; 

133.    Così,  poi  che  da  essa  preso  fili, 

La  bella  Donna  mossesi,  ed  a  Stazio 
Donnescamente  disse:  Vien  con  lui. 

136.    S' io  avessi,  lettor,  più  lungo  spazio 

Da  scrivere,  io  pur  canterei  in  parte 

Lo  dolce  ber  che  mai  non  m'  avria  sazio  ; 


|7>.-145.] 


A.  ì.  Tosto  com'  *■  ~ 
C.  per  segni 

A.  2.  C.  ad  esssa  pmr 

fui 


119.  Matelda  che  ti  dica  —  121.  Queste  ed  altre  ->  123.  Che  'I  fiume  di  Lete  —  132.  Tosto  che  gli  è  ||  Tosto  che  è  —  Sì  !.>«*•  fS-* 
per  segno  è  —  136.  Onestamente  disse  —  137.  io  pur  conterei 


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PARADISO  TERRESTRE.  PURGATORIO    XXXIIl.    139-145.  (EUNOÈ.)  475 

139.    Ma  perchè  piene  son  tutte  le  carte  r..on  piene 

Ordite  a  questa  Cantica  seconda, 

Non  mi  lascia  più  ir  lo  fren  dell'  arte. 
142.    Io  ritornai  dalla  santissim'  onda 

Rifatto  sì,  come  piante  novelle 

Rinno veliate  di  novella  fronda, 
145.    Puro  e  disposto  a  salire  alle  stelle.  [i>.  m-j 


139.  M»  perchè  ne  non  pien  tutte  ->  141.  più  ire  il  fren 


60- 


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PARADISO 


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CANTO  PRIMO 


1.  2.  3.  qiial  di  lassù 


1.   Fa  me 
L .    2.  dimanda  dar 
:.    '2.  3.  Insin  a  qui 
.  22.  amrndue  3.  ambedue 


Ija  gloria  di  colui  che  tutto  move 
Per  r  universo  penetra,  e  risplende 
In  una  parte  più,  e  meno  altrove. 
4.    Nel  ciel  che  più  della  sua  luce  prende 
Fu*  io,  e  vidi  cose  che  ridire 
Ne  sa,  ne  può  chi  di  lassù  discende; 
7.    Perchè,  appressando  se  al  suo  disire, 
Nostro  intelletto  si  profonda  tanto, 
Che  retro  la  memoria  non  può  ire. 

10.   Veramente  quant'  io  del  regno  santo 
Nella  mia  mente  potei  far  tesoro. 
Sarà  ora  materia  del  mio  canto. 

1 3.    0  buono  Apollo ,  all'  ultimo  lavoro 

Fammi  del  tuo  valor  sì  fatto  vaso, 
Come  domandi  a  dar  1'  amato  alloro. 

16.    Infino  a  qui  1'  un  giogo  di  Parnaso 

Assai  mi  fu,  ma  or  con  ambo  e  due 
M'  è  uopo  entrar  nell'  aringo  rimaso. 


A.  2.   li.    r.  D.   qual  di 
lassù 


D.  Sarà  or  la  mar. 

B.  Fa  me 

H.  Come  dimanda  dar 

B.  Insin  a  qui 

A.  2.   C.   D.   ambedue 
B.  amendne 


4.  sua  luce  rende  —  8.  N.  intell.  approfonda  —  9.  Che  dietro  —  14.  del  tuo  lavor  —  17.  con  ambidue 


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480 


PARADISO    I.     19-42. 


I.  2.  sì  mi  ti  pr. 


1.  capo  mani  frati 


1.  mi  farà 


1.  2.  3.  dirptro  a  mv. 


(invocazione.) 

19.    Entra  nel  petto  mio,  e  spira  tue 
Sì,  come  quando  Marsia  traesti 
Della  vagina  delle  membra  sue. 

22.    0  divina  virtù,  se  mi  ti  presti 

Tanto,  che  Y  ombra  del  beato  regno 
Segnata  nel  mio  capo  io  manifesti, 

25.    Venir  vedra'mi  al  tuo  diletto  legno, 
E  coronarmi  allor  di  quelle  foglie, 
Che  la  materia  e  tu  mi  farai  degno. 

28.  Si  rade  volte,  padre,  se  ne  coglie, 
Per  trionfare  o  Cesare  o  Poeta, 
(Colpa  e  vergogna  delle  umane  voglie) 

31.    Che  partorir  letizia  in  sulla  lieta 
Delfica  deità  dovria  la  fronda 
Peneia,  quando  alcun  di  se  asseta. 

34.    Poca  favilla  gran  fiamma  seconda: 

Forse  retro  da  me  con  miglior  voci 
Si  pregherà  perchè  Cirra  risponda. 

37.    Surge  ai  mortali  per  diverse  foci 

La  lucerna  del  mondo;  ma  da  quella. 
Che  quattro  cerchi  giunge  con  tre  croci, 

40.    Con  miglior  corso  e  con  migUore  stella 
Esce  congiunta,  e  la  mondana  cera 
Più  a  suo  modo  tempera  e  suggella. 


B.  I).  si  mi  ti  pr. 


B.  D.  capo  manif. 


A.  2.  C.  Vedrami  al  p.» 
del  tao 

A.  2.    C.   Venir,  ^  -'. 
delle  f. 


B.  mi  farà     C.  mi  \%r^ 


A.  1.  di  sé  alcuan 


B.  D   Forse  direirc  a  "  • 
A.  2.  Dietn>  da  em 


20.  Marstia  tu  traesti   —  21.  Della  guaina  ^  25.  Verr&mi  al  pie  —  27.  Che  la  materia  - 
favilla  —  1)7.  da  diverse  foci  —  39.  giunge  quattro  eerchi 


Penea   —  quando  altrui   —  34.  F 


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SFSRA    DEL   POCO. 


PARADISO    I.    43-66. 


DANTE    E    BEATRICE. 


481 


1.  degli  atti  Auoi 


1.  oltre  nostr  uso 


43.    Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera 

Tal  foce  quasi;  e  tutto  era  là  bianco 
Quello  emisperio,  e  1'  altra  parte  nera, 

46.    Quando  Beatrice  in  sul  sinistro  fianco 
Vidi  rivolta,  e  riguardar  nel  sole: 
Aquila  si  non  gli  s'  affisse  unquanco. 
1. 2. 3.  eome  secondo     49.    E  SI  couic  '1  sccoudo  ragglo  suole 

Uscir  del  primo,  e  risalire  insuso, 
Pur  come  peregrin  che  tornar  vuole; 

52.    Cosi  dell'  atto  suo,  per  gli  occhi  infuso 
Neir  imagme  mia,  il  mio  si  fece, 
E  fissi  gU  occhi  al  sole  oltre  a  nostr'  uso. 

55.  Molto  è  hcito  là,  che  qui  non  lece 
Alle  nostre  virtù,  mercè  del  loco 
Fatto  per  proprio  dell'  umana  spece. 

58.    Io  noi  soffersi  molto,  ne  si  poco, 

Ch'  io  noi  vedessi  sfavillar  dintorno , 
Qual  ferro  che  bogUente  esce  del  foco., 

61.    E  di  subito  parve  giorno  a  giorno 

Essere  aggiunto,  come  quei  che  puote 
Avesse  il  ciel  d'  un  altro  sole  adorno. 

64.    Beatrice  tutta  nell*  eterne  rote 

Fissa  con  gli  occhi  stava;  ed  io  in  lei 
Le  luci  fissi,  di  lassù  remote, 


1.  vedesse 

I.  2.  3.  boUeutr 


B.  come  secondo 
A.  Escir 


R.  delli  atti  suoi 


D.  oltre  al  nostr'  uso 
B.  C.  oltre  nostr'  uso 


A.  B.  vedesse 

A.  2.  C.  D.  Come  f. 
B.  Come  '1  f.  -  B. 
r.  D.  ferro  bogl. 


l  3.  luci  fiitse 


B.  luci  fisse 


43.  mane  di  U  —  44.  Tal  foce;  e  quasi  tutto  —  48.  Aguglia  —  54.  E  volsi  il  viso  al  sole  —  SQ.  favillar  —  61.  E  subito  mi  parvo 
III.  61 


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482 


SAUTA    ALLA   LUNA. 


PARADISO    1.    67-90. 


(ARMOmA   DELLE    8FEBE.) 


2.  3.  consorto 


1.  et  isterni 


2.  3.  Ad  acquetarmi 


67.    Nel  suo  aspetto  tal  dentro  mi  fei, 

Qual  si  fé'  Glauco  nel  gustar  dell'  erba, 
Che  il  fé'  consorte  in  mar  degli  altri  Del 

70.    Trasumanar  significar  per  verba 

Non  si  poria;  però  1'  esemplo  basti 
A  cui  esperienza  grazia  serba. 

73.    S' io  era  sol  di  me  quel  che  creasti 

Novellamente,  Amor  che  il  ciel  governi, 
Tu  il  sai,  che  col  tuo  lume  mi  levasti. 

76.  Quando  la  rota,  che  tu  sempitemi 
Desiderato,  a  se  mi  fece  atteso, 
Con  r  armonia  che  temperi  e  discerni, 

79.    Parvemi  tanto  allor  del  cielo  acceso 

Dalla  fianmia  del  sol,  che  pioggia  o  fiume 
Lago  non  fece  mai  tanto  disteso. 

82.    La  novità  del  suono  e  il  grande  lume 
Di  lor  cagion  m'  accesero  un  disio 
Mai  non  sentito  di  cotanto  acume. 

85.    Ond'  ella,  che  vedea  me,  sì  com'  io, 
A  quietarmi  1'  animo  commosso, 
Pria  ch'io  a  domandar,  la  bocca  aprio, 

88.    E  cominciò:  Tu  stesso  ti  fai  grosso 

Col  falso  immaginar,  sì  che  non  vedi 
Ciò  che  vedresti,  se  1'  avessi  scosso. 


B.  coDSorto 


D.  Desìdenu 


B.  et  isterni 


U.  el  grati  lane 


D.  al  domandar 


W.  Che  il  feo  —  7B.  Se  era  sol  di  me  —  77.  Desiderando   —  79.  di  cielo  acceso   —  80.  Della  fiamma  —  84.  da  cotaok*  a^"  * 
88.  Tu  stessi  —  90.  se  1'  avesti  scosso 


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SALITA    ALLA    LUNA. 


PARADISO    I.    91-114. 


(OBDIMK   DKLL'  universo.) 


483 


,  2.  3.  tutte  qu. 


1'  altre  creat. 


A.  2.  B.  C.  il  primo  sito 
C.  eh'  a  desso 


Z>.  fui  più  irret. 


D.  ora  miro 


2.  instinto 


91.    Tu  non  se' in  terra,  si  come  tu  credi; 

Ma  folgore,  fuggendo  il  proprio  sito, 

Non  corse,  come  tu  eh'  ad  esso  riedi. 
94.    S' io  fui  del  primo  dubbio  disvestito 

Per  le  sorrise  parolette  brevi, 

Dentro  ad  un  nuovo  più  fui  irretito; 
97.   E  dissi:  Già  contento  requievi 

Di  grande  ammirazion;  ma  ora  ammiro 

Com'  io  trascenda  questi  corpi  lievi. 
100.    Ond'  ella,  appresso  d'  un  pio  sospiro. 

Gli  occhi  drizzò  ver  me  con  quel  sembiante,  e.  rer  me  dnasò 

Che  madi*e  fa  sopra  figliuol  deliro; 
103.    E  cominciò:  Le  cose  tutte  e  quante 

Hann'  ordine  tra  loro;  e  questo  è  forma 

Che  r  universo  a  Dio  fa  simigUante. 
106.    Qui  veggion  1'  alte  creature  1'  orma 

Dell'  eterno  valore ,  il  quale  è  fine , 

Al  quale  è  fatta  la  toccata  norma. 
109.    Neil'  ordine  eh'  io  dico  sono  accline 

Tutte  nature,  per  diverse  sorti. 

Più  al  principio  loro  e  men  vicine; 
112.    Onde  si  movono  a  diversi  porti 

Per  lo  gran  mar  dell'  essere,  e  ciascuna 

Con  istinto  a  lei  dato  che  la  porti. 


e.  D.  sopra  il  figl. 

A.  2.  B.  C.  Z>.  tutte  qn. 

A.  questa  è  f. 

R.  l'altre  rreat. 


che  in  esso  riedi  —  101.  drtazò  in  ver  me  —  102.  sopra  figlio  deliro  —  104.  ordine  intra  loro  —  100.  sono  incline 

61* 


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484  SALITA    ALLA    LUNA.  PARADISO     1.     115 — 138.  (OBDINE    DELL*  UNIVERSO.) 

115.    Questi  ne  porta  il  foco  inver  la  luna, 
1. 2. 3.  promotore  Qucstì  ucì  COI  mortalì  è  permotore,  r.  promotorf 

Questi  la  terra  in  se  stringe  ed  aduna. 

118.    Ne  pur  le  creature,  che  son  fiiore 
D' intelligenza,  quest'  arco  saetta, 
Ma  quelle  eh'  hanno  intelletto  ed  amore. 

121.    La  provvidenza,  che  cotanto  assetta, 

Del  suo  lume  fa  il  ciel  sempre  quieto ,  a.  u  cìci 

Nel  qual  si  volge  quel  eh'  ha  maggior  fretta: 

124.    Ed  ora  lì,  com'  a  sito  decreto, 

Ceii  porta  la  virtù  di  quella  corda, 

Che  ciò  che  scocca  drizza  in  segno  lieto. 

127.    Ver'  è  che,  come  forma  non  s'  accorda 
Molte  fiate  alla  intenzion  dell'  arte, 
Perch'  a  risponder  la  materia  è  sorda; 

130.    Così  da  questo  corso  si  diparte 

Talor  la  creatura,  eh'  ha  potere 

Di  piegar,  così  pinta,  in  altra  parte, 

133.    (E  sì  come  veder  si  può  cadere 

Foco  di  nube)  se  1'  impeto  primo 

A.  C.  JJ,   Lo  aitem 

1. 2. 3.  A  terra  è  torto  V  attcrFa ,  torto  da  falso  piacere.  b-  tort»  -  ^  i 

falso  piar. 

136.    Non  dei  più  ammirar,  se  bene  estimo, 

Lo  tuo  salir,  se  non  come  d'un  rivo  j.  i.  (?>/>.  iw..^^ 

Se  d'  alto  monte  scende  giuso  ad  imo. 

rj2.  Nel  suo  lume  —  129.  la  materia  scorda  —  133.  Cosi  come  veder  —  134.  sì  l' impeto  primo  —   135.  L'  atterra,  toera  f<  I.»  "r^* 
torce  II  La  terra  ha  tolto  ||  I^a  terra  ha  torto  ||  L'  aere  ha  torto 


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SALITA  ALLA  LUNA.                    PARADISO    I.    139  —  142.               (ordine  dell'  universo.)  485 

139.    Maraviglia  sarebbe  in  te,  se  privo 

D' impedimento  giù  ti  fossi  assiso, 

^  H,  Come  terra  C.  Come 

1.  2.  3.  Come  a  terra                              Come    in    tCFra    QUlete    in    foco    vivo.  a  terra-  Aqmef  è 

quieto  f.  i«  foco 

142.    Quinci  rivolse  inver  lo  cielo  il  viso.  />. inverso icieiio viso 


141.  Come  material)  Con  materia  —  quieta  —  il  foco 


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CANTO  SECONDO 


2.  3.  Dietro 


2.  3.  nuove  Muse 


1.  non  si  vien 


2.  3.  eguale 


vJ  voi  che  siete  in  piccioletta  barca, 
Desiderosi  d'  ascoltar,  seguiti 
Retro  al  mio  legno  che  cantando  varca, 
4.    Tornate  a  riveder  li  vostri  liti. 

Non  vi  mettete  in  pelago;  che  forse, 
Perdendo  me,  rimarreste  smarriti. 
7.    L'  acqua  eh'  io  prendo  giammai  non  si  corse  : 
Minerva  spira,  e  conducemi  Apollo, 
E  nove  Muse  mi  dimostran  1'  Orse. 

10.    Voi  altri  pochi,  che  drizzaste  il  collo 

Per  tempo  al  pan  degli  Angeli,  del  quale 
Vivesi  qui,  ma  non  sen  vien  satollo, 

13.    Metter  potete  ben  per  V  alto  sale 

Vostro  navigio,  servando  mio  solco 
Dinanzi  all'  acqua  che  ritorna  equale. 

16.    Quei  gloriosi  che  passaro  a  Coleo, 

Non  s'  ammiraron,  come  voi  farete, 
Quando  Jason  vider  fatto  bifolco. 


(\  U.  Dietro  al  mio 


.-1.  1.  ismarriti 


10.  che  drizzate  il  collo  —  14.  Vostro  nayilio  —  16.  paasaro  al  Coleo  —  17.  Non  si  ammiraron  ||  Non  si  miraron  —   Ib.  Giason 
idcr  Jason  —  bofolco 


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488 


PARADISO    IL    19-42. 


DANTE    E    BBATSICE. 


1.  da  voce  !ii  disoli. 


3.  D.  potè»  mia  rura 


1.  Pareva  me 

1.  adam.  in  eui  lo  sol 

1.  2.  3.  Ne  ricevette 
1.  Raggio  <1>  *ol<^ 


A.  2.  e.  esser  na*f  » 


19.    La  concreata  e  .perpetua  sete 

Del  deiforme  regno  cen  portava 

Veloci,  quasi,  come  il  ciel  vedete. 
22.    Beatrice  in  suso,  ed  io  in  lei  guardava;  r. edioaiei 

E  forse  in  tanto,  in  quanto  un  quadrel  posa, 

E  vola,  e  dalla  noce  si  dischiava, 
25.    Giunto  mi  vidi  ove  mirabil  cosa 

Mi  torse  il  \iso  a  se;  e  però  quella. 

Cui  non  potea  mia  opra  essere  ascosa, 
28.    Volta  ver  me  si  lieta  come  bella: 

Drizza  la  mente  in  Dio  grata,  mi  disse, 

(yhe  n'  ha  congiunti  con  la  prima  stella. 
31.    Pareva  a  me  che  nube  ne  coprisse 

Lucida,  spessa,  solida  e  polita, 

Quasi  adamante  che  lo  sol  ferisse. 
34.    Per  entro  se  V  eterna  margarita 

ìse  recepette,  com'  acqua  recepe 

Raggio  di  luce,  permanendo  unita. 
37.    S' io  era  corpo ,  e  qui  non  si  concepe 

Com'  una  dimension  altra  patio, 

Ch'  esser  convien  se  corpo  in  corpo  repe, 
40.    Accender  ne  dovria  più  il  disio 

Di  veder  quella  essenza,  in  che  si  vede 

Come  nostra  natiura  e  Dio  s'  unio. 


(\  mi  eopris>e 
JJ.  lue.  e  spessa 

r.  margerita 

B.  C.  D.  Ne  rire^' 

S.  Raggio  di  Mlf 


20.  ci  portava  —  21.  Veloce  quasi  —  27.  non  potea  mia  voglia  —  31.  Parevami  —  3&.  com' aequa  ricepe  —  S6l  rimanendo  nB.a- 
4().  Acc.  uoii  dovria  —  4Z  in  Dio  %'  unio  ||  a  Dio  s'  unio? 


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PARADISO    IL    43-66. 


(macchie  della  luna.) 


489 


1.  2.  3.  rimoto 


1.  Ove 


1.  2.  3.  dietro 


l.  che  fanno 


43.    Li  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  fede, 

Non  dimostrato,  ma  fia  per  se  noto, 
A  guisa  del  ver  primo  che  1'  uom  crede. 

46.    Io  risposi:  Madonna,  sì  devoto, 

Quant'  esser  posso  più,  ringrazio  lui 

Lo  qual  dal  mortai  mondo  m'  ha  remoto. 

49.    Ma  ditemi,  che  son  li  segni  bui 

Di  questo  corpo,  che  laggiuso  in  terra 
Fan  di  Gain  favoleggiare  altrui? 

52.    Ella  sorrise  alquanto,  e  poi:  S'  egli  erra 
L'  opinion,  mi  disse,  dei  mortali, 
Dove  chiave  di  senso  non  dissenna, 

55.    Certo  non  ti  dovrien  punger  gli  strali 

D'  ammirazione  omai;  poi  retro  ai  sensi 
Vedi  che  la  ragione  ha  corte  1'  ali. 

58.    Ma  dimmi  quel  che  tu  da  te  ne  pensi? 

Ed  io  :  Ciò  che  n'  appar  quassù  diverso , 
Credo  che  il  fanno  i  corpi  rari  e  densi. 

61.    Ed  ella:  Certo  assai  vedrai  sommerso 

Nel  falso  il  creder  tuo,  se  bene  ascolti 
L'  argomentar  eh'  io  gli  farò  avverso. 

64.    La  spera  ottava  vi  dimostra  molti 

Lumi,  li  quaU  nel  quale  e  nel  quanto 
Notar  si  posson  di  diversi  volti. 


lì.  ma  fir 


C.  D.  Com'  esser  posso 

C.  del  mortol   -    «.  />. 
rimoto 


A.  Ella  subrìse 


a  Ove 


B.  C.  D.  dietro 


R.  C.  D.  che  fanno 


D.  che  gli 


48.  del  mort»l  —  49.  che  sono  i  segni  —  SO.  là  giù  in  terra  —  56.  più  dietro  —  65.  li  (]u.  e  nel  quale  —  (16.  da  diversi 

*     III.  62 


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490  LUNA.  PARADISO    U.    67—90.  (macchie  dxlla  luna.) 

67.    Se  raro  e  denso  ciò  facesser  tanto, 

Una  sola  virtù  sarebbe  in  tutti, 

Più  e  men  distributa,  ed  altrettanto. 
70.    Virtù  diverse  esser  convengon  frutti 

Di  principii  formali,  e  quei,  fuor  ch'uno,       ^. Depnnc 
I.  seguiterìano  Seguitcricno  a  tua  ragion  distrutti.  b.  seguterianc. 

73.    Ancor,  se  raro  fosse  di  quel  bruno 

Cagion,  che  tu  domandi,  od  oltre  in  parte 

Fora  di  sua  materia  si  digiuno  i?.  sé  digiuno 

76.    Esto  pianeta,  o  sì  come  comparte  epiteto  -  «pi.:,  s 

Lo  grasso  e  il  magro  un  corpo,  cosi  questo 

Nel  suo  volume  cangerebbe  carte. 
79.    Se  il  primo  fosse,  fora  manifesto 

Neir  eclissi  del  sol,  per  trasparere 

Lo  lume,  come  in  altro  raro  ingesto. 
82.    Questo  non  è;  però  è  da  vedere 

Dell'  altro,  e,  s' egU  awien  eh'  io  l' altro  cassi. 

Falsificato  fia  lo  tuo  parere. 
85.    S'  egli  è  che  questo  raro  non  trapassi. 

Esser  conviene  un  termine,  da  onde 

Lo  suo  contrario  più  passar  non  lassi; 
88.    Ed  indi  1'  altrui  raggio  si  rifonde 

('osi,  come  color  toma  per  vetro. 

Lo  qual  diretro  a  se  piombo  nasconde. 

71.  Da  prinripii  —  74.  »  d' ftltre  —  »  in  parte  —  77.  il  magro  in  corpo  ~  80.  Neil'  ecrliue  —  \&.  che  1*  altro  io  caa»ì 


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LUNA. 


491 


A.  1.  Ivi  lo  raggio  — 
AA.iu  altra  parte  (?) 

D.  lui  rifratto 

^.  1.  deliberarte  (?) 


A.  1.  vostr.  arte  (?) 


B.  di  po'  '1  dosso 


PARADISO    II.    91  —  114.  (macchie  della  luna.) 

1.  che8idim.  91.    Or  dirai  tu  eh'  ei  si  dimostra  tetro 

Quivi  lo  raggio  più  che  in  altre  parti, 
Per  esser  li  rifratto  più  a  retro. 
94.    Da  questa  instanzia  può  diliberarti 
Esperienza,  se  giammai  la  provi, 
Ch'  esser  suol  fonte  ai  rivi  di  vostr'  arti. 
97.    Tre  specchi  prenderai,  e  due  rimovi 

Da  te  d'  un  modo,  e  V  altro,  più  rimosso, 
Tr'  ambo  U  primi  gli  occhi  tuoi  ritrovi. 

100.    Rivolto  ad  essi  fa  che  dopo  il  dosso 

Ti  stea  un  lume  che  i  tre  specchi  accenda,  e.  che  tre  .p. 
E  tomi  a  te  da  tutti  ripercosso. 

103.    Benché  nel  quanto  tanto  non  si  stenda 
La  vista  più  lontana,  li  vedrai 
Come  convien  eh'  egualmente  risplenda. 

106.    Or,  come  ai  colpi  delli  caldi  rai 

Della  neve  riman  nudo  il  suggetto 
E  dal  colore  e  dal  freddo  primai; 

109.    Cosi  rimaso  te  nello  intelletto 

Voglio  informar  di  luce  si  vivace, 
Che  ti  tremolerà  nel  suo  aspetto. 

112.    Dentro  dal  ciel  della  divina  pace 

Si  gira  un  corpo,  nella  cui  virtute 
L'  esser  di  tutto  suo  contento  giace. 


D.  I.  nel  quarto 


A.  C.  subietto 


96.  di  nostre  arti  —  101.  Ti  stia  —  108.  E  dal  calore  ||  Dal  candore  —  e  dai  freddi 


62- 


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492  i-UNA.  PARADISO   IL    115  —  138.  (inplubnzb  dei  cikli.) 

115.   Lo  ciel  seguente,  ch'ha  tante  vedute, 
Queir  esser  parte  per  diverse  essenze 
Da  lui  distinte  e  da  lui  contenute. 

118.    Gli  altri  giron  per  varie  diflFerenze  r.perv^uraiff 

Le  distinzion,  che  dentro  da  se  hanno, 
1.  »iorfinc  Dispongono  a  lor  fini  e  lor  semenze. 

121.    Questi  organi  del  mondo  cosi  vanno, 

Come  tu  vedi  omai,  di  grado  in  grado, 
Che  di  su  prendono,  e  di  sotto  fanno. 
2. 3. bene  «me  124.   Riguarda  bene  omai  si  com' io  vado 


127.    Lo  moto  e  la  virtù  dei  santi  giri. 

Come  dal  fabbro  1'  arte  del  martello. 
Dai  beati  motor  convien  che  spiri. 

130.    E  il  ciel,  cui  tanti  lumi  fanno  bello. 
Dalla  mente  profonda  che  lui  volve 
Prende  l' image,  e  fassene  suggello. 

133.    E  come  Y  alma  dentro  a  vostra  polve 
Per  differenti  membra,  e  conformate 
A  diverse  potenze,  si  risolve; 

136.    Così  r  intelligenza  sua  bontate 

Multiplicata  per  le  stelle  spiega. 
Girando  se  sopra  sua  unitate. 

117.  Da  lui  dÌBtrfttte   —  119.  La  distincion  -  131.  Della  mente  »  138.  Girandosi  sopra 


A.  m.   C.  D.  Ri.- 
a  me 

B.  C.  D.  Per  r»- 


1. Per esto loco  Per  qucsto  loco  al  ver  che  tu  disiri,  '    i^  -i^ 

cbe  dìs. 

Sì  che  poi  sappi  sol  tener  lo  guado. 


A,   \.  sol  poi  •■arr- 

A.  2.    a   D.  liti 
A.  2.  r\  Dai  Tfrar 
D.  1.  Uuto  Icr. 


U.  sua  vaili u' 


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PARADISO    U.    139-148. 


(macchie  della  luna.) 


493 


1.  2.  ohe  r  avviva 


139.    Virtù  diversa  fa  diversa  lega 

Col  prezioso  corpo  eh'  eli*  avviva. 
Nel  qual,  si  come  vita  in  voi,  si  lega. 

142.    Per  la  natura  lieta  onde  deriva, 

La  virtù  mista  per  lo  corpo  luce. 
Come  letizia  per  pupilla  viva. 

145.    Da  essa  vien  ciò  che  da  luce  a  luce 

Par  differente,  non  da  denso  e  raro: 
Essa  è  formai  principio  che  produce, 

148.    Conforme  a  sua  bontà,  lo  turbo  e  il  chiaro. 


B.  C  D.  che  r  avviva 
A.  2.  lì.  r.  D.  vita  in  lui 


A.  è  il  fonnal  priuc. 


141.  In  lui ,  sì  come  —  148.  a  sua  bontade  il  t.  —  torbo 


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CANTO  TERZO 


.  profferir 

.  2.  3.  visione  apparve 


CotAl  vidi  più 


i^uel  sol,  che  pria  d'  amor  mi  scaldò  il  petto, 
Di  bella  verità  m'  avea  scoperto, 
Provando  e  riprovando,  il  dolce  aspetto; 
4.    Ed  io,  per  confessar  corretto  e  certo 
Me  stesso,  tanto  quanto  si  convenne. 
Levai  lo  capo  a  proferer  più  erto. 
7.    Ma  vision  m'  apparve,  che  ritenne 
A  se  me  tanto  stretto  per  vedersi. 
Che  di  mia  confession  non  mi  sovvenne. 

10.    Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi, 

0  ver  per  acque  nitide  e  tranquille, 
Non  sì  profonde  che  i  fondi  sien  persi, 

13.    Tornan  dei  nostiì  visi  le  postille 

Debili  si,  che  perla  in  bianca  fronte 
Non  vien  men  tosto  alle  nostre  pupille; 

16.    Tali  vid'  io  più  facce  a  parlar  pronte, 

Perch'  io  dentro  all'  error  contrario  corsi 
A  quel  eh'  accese  amor  tra  l' uomo  e  il  fonte. 


A.  2.  B.  a  D.  Levai  *! 
capo 

A.  2.  B.  C.  D.  visione 
apparve 


D.  1.  per  la  bianca  fr. 

D.  Non  vien  men  forte 

fì.  D.  CoUl  -  B.  vidi 
più  —  A.  m.  C.  ap- 
parir pronte 


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496 


LUNA.      INCOSTANTI. 


l'irCARDA   DONATI. 


1.  E  non  i^li  TÌdi 


1.  2.  pucril  quote) 


I.  2.  3.  Che  la  ver. 


PARADISO    in.    19  —  42. 

19.    Subito,  si  coin'  io  di  lor  m'  accorsi, 

Quelle  stimando  specchiati  sembianti, 
Per  veder  di  cui  fosser,  gli  occhi  torsi; 

22.    E  nulla  vidi,  e  ritorsili  avanti 

Dritti  nel  lume  della  dolce  guida. 
Che  sorridendo  ardea  negli  occhi  santi. 

25.    Non  ti  maravighar  per  eh'  io  sorrida. 

Mi  disse,  appresso  il  tuo  pueril  coto, 
Poi  sopra  il  vero  ancor  lo  pie  non  fida, 

28.    Ma  ti  rivolve,  come  suole,  a  voto. 

Vere  sustanzie  son  ciò  che  tu  vedi, 
Qui  rilegate  per  manco  di  voto. 

31.    Però  parla  con  esse,  ed  odi,  e  credi; 
Che  la  verace  luce  che  le  appaga 
Da  se  non  lascia  lor  torcer  li  piedi. 

34.  Ed  io  air  ombra,  che  parca  più  vaga 
Di  ragionar,  drizza'mi,  e  cominciai. 
Quasi  com'  uom  cui  troppa  voglia  ismaga: 

37.    0  ben  creato  spirito ,  che  a'  rai 

Di  vita  eterna  la  dolcezza  senti. 
Che  non  gustata  non  s' intende  mai; 

40.    Grazioso  mi  fia,  se  mi  contenti 

Del  nome  tuo  e  della  vostra  sorte. 
Ond'  ella  pronta  e  con  occhi  ridenti: 


B.  E  nolli  vidi 


A.  subrìdendo 
A.  subrida 


A.m.  C.  Z*.  Chcfc.?n 
Am  anrora  il  pc? 


A.  2.  B.  D.  che  lì  j 
D.  Di  sé 
A.  Ond"  io 


B.  D.  spirto 


A,  non  6i  sente  r^ 


19.  Di  subito ,  com*  io  —  2B.  ti  rivoWi ,  come  suoli  —  30.  Quivi  legate  —  33.  torcere  ì  piedi 


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LUKA.      INCOSTANTI.  PARADISO     III.     43  —  66.  PICCARDA   DONATI.  497 

43.    La  nostra  carità  non  serra  porte 

A  giusta  voglia,  se  non  come  quella 
Che  vuol  simile  a  se  tutta  sua  corte. 
46.    Io  fui  nel  mondo  vergine  sorella; 
1. 2. 3.  ben  mi  rigu.  E  sc  la  mcutc  tua  ben  si  riguarda ,  /?.  ben  te  ngn. 

Non  mi  ti  celerà  V  esser  più  bella, 
49.    Ma  riconoscerai  eh'  io  son  Piccarda, 

Che,  posta  qui  con  questi  altri  beati, 
.  2. 3.  son  nella  sp.  Bcata  souo  In  la  spera  più  tarda. 

52.    Li  nostri  aflfetti,  che  solo  infiammati 
Son  del  piacer  Son  ucl  placcr  dcUo  Spirito  Santo, 

2. 3.  ord.  formati  Lctiziau  dcl  su'  ordluc  informati.  a.  2.  /?.  e.  d.  ordine 

formati 

55.    E  questa  sorte,  che  par  giù  cotanto, 

Però  n'  è  data ,  perchè  fur  negletti  a.  Però  «on  d«ta 

Li  nostri  voti,  e  vóti  in  alcun  canto. 
58.    Ond'  io  a  lei:   Ne'  mirabili  aspetti 

Vostri  risplende  non  so  che  divino. 

Che  vi  trasmuta  dai  primi  concetti. 
61.    Però  non  fui  a  rimembrar  festino, 

Ma  or  m'  aiuta  ciò  che  tu  mi  dici. 

Si  che  raffigurar  m'  è  più  latino. 
'  64.    Ma  dimmi:  voi,  che  siete  qui  felici, 

Desiderate  voi  più  alto  loco 

Per  più  vedere,  o  per  più  farvi  amici? 

44.  A  giusto  prego  —  47.  ben  sé  riguarda  —  51.  sono  alla  spera  —  54.  dal  sa'  ordine  —  GO.  Clie  vi  tramuta   —  63.  Si  che  '1  raffìg. 

III.  63 


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496 


LUNA.      INCOSTANTI. 


PARADISO    in.    67—90. 


L.  2.  3.  in  cantate 


1.  2.  form.  ad  esso 


1.  volontà  è 


1.  2.  3.  ella  cria  —  1.  < 
che  nat 


1.  2.  etgi  la  grasia 


A.  subrise 


(GRADI  DCLLA   BEATITUDINE) 

67.    Con  quelle  altr'  ombre  pria  sorrise  un  poco; 
Da  indi  mi  rispose  tanto  lieta, 
Ch'  arder  parea  d'  amor  nel  primo  foco: 

70.    Frate,  la  nostra  volontà  quieta 
Virtù  di  carità,  che  fa  volerne 
Sol  quel  eh'  avemo ,  e  d'  altro  non  ci  asseta. 

73.    Se  disiassimo  esser  più  superne, 
Foran  discordi  li  nostri  disiri 
Dal  voler  di  colui  che  qui  ne  cerne, 

76.    Che  vedrai  non  capere  in  questi  giri, 
S'  essere  in  carità  è  qui  necesse^ 
E  se  la  sua  natura  ben  rimiri. 

79.   Anzi  è  formale  ad  esto  beato  esse 
Tenersi  dentro  alla  divina  voglia. 
Per  eh'  una  fansi  nostre  voghe  stesse. 

82.    Sì  che,  come  noi  sem  di  sogha  in  soglia 

Per  questo  regno,  a  tutto  il  regno  piace, 
Com'  allo  re  eh'  a  suo  voler  ne  invoglia, 

85.    E  la  sua  volontate  è  nostra  pace; 

Ella  è  quel  mare  al  qual  tutto  si  move 
Ciò  eh'  ella  crea  e  che  natura  face. 

88.    Chiaro  mi  fii  allor  com'  ogni  dove 

In  cielo  è  Paradiso,  e  sì  la  grazia 

Del  sommo  ben  d'  un  modo  non  vi  piove. 


B.  in  carìtatr 


B.  C,  JJ.  form.  a  . 


D.  Si  come  n<ù  «^- 

di  —    C.  sian  . 


A.  1.  Come  a  quel  re  ' 
in  suo  voi. 

B,  (\  D.  volontà  >- 

A.  t.  C.  mar  dal  ../  > 

B.  Ciò  eh*  elli    -   h 
D.CTÌM  —  B.  o'-V- 


71.  Amor  di  carità  —  77.  Se  esser  in  car.  e'  è  qui  —  84.  Come  a  re  »  che  suo  voi.  —  85.  In  la  sua  voi.  ~  90.  D'  un  somn-.- 


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LUNA.      IKC08TAKTI. 


PARADISO    UI.    91  —  114. 


PICCABOA    DONATI. 


499 


C.  D.  eh'  un  cibo 


1.  2.  'à.  si  chiere 


91.    Ma  si  com'  egli  avvien,  se  un  cibo  sazia, 
E  d'  un  altro  rimane  ancor  la  gola, 
Che  quel  si  chiede,  e  di  quel  si  ringrazia;    at.  sichiere 


94.    Così  fec'  io  con  atto  e  con  parola. 

Per  apprender  da  lei  qual  fu  la  tela 
1. 2. 3.  iuBìno  al  co  Oudc  uou  trassc  infino  a  co  la  spola. 

97.    Perfetta  vita  ed  alto  merto  inciela 

Donna  più  su,  mi  disse,  alla  cui  norma 
Nel  vostro  mondo  giù  si  veste  e  vela, 
100.    Perchè  in  fino  al  morir  si  vegghi  e  donna 
Con  quello  sposo  eh'  ogni  voto  accetta, 
Che  caritate  a  suo  piacer  conforma. 
103.    Dal  mondo,  per  seguirla,  giovinetta 

Fuggi'mi,  e  nel  suo  abito  mi  chiusi, 
E  promisi  la  via  della  sua  setta. 
1.2. 3.  pili  eh"  a  bene    106.    Uomini  poi,  a  mal  più  ch'ai  bene  usi, 

Fuor  mi  rapiron  della  dolce  chiostra; 
1. 2.  a  Dio  lo  si  sa  E  Dio  si  sa  qual  poi  mia  vita  fusi. 

109.    E  quest'  altro  splendor,  che  ti  si  mostra 

Dalla  mia  destra  parte,  e  che  s'  accende 
Di  tutto  il  lume  della  spera  nostra, 
112.    Ciò  eh'  io  dico  di  me  di  se  intende: 
Sorella  fu,  e  cosi  le  fu  tolta 
Di  capo  r  ombra  delle  sacre  bende. 


e.  Ciò  fec*  io 


B.  insino 


(\  Perchè  fin  al  m. 


A.  carità  a  suo 


C.  D.  al  mal  —  fì.m  bene 


D,  E  Dio  il  sa    B.  Idio 
si  sa  A.  l.  Dio  sì  si  sa 


92.  Ed  un  altro  domanda  —   96.  trasse  fin  a  co  ||  trasse  insino  al  fin   —    100.  si  vegli   e  dorma   —    103.  per  seguir  la  giovin.   — 
1(>4.  «  del  sao  abito  —  106.  Iddio  sci  sa  —  114.  delle  sante  bende 

63* 


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500 


LUNA.      INCOSTANTI. 


PARADISO    III.    115-130. 


CONSTANZA   IMPERATRICE. 


1.  2.  3.  C.  suo  grado 

1.  2.  3.  Gostanza 
I.  2.  3.  Soave 


2.  noi  sofferse 


115.    Ma  poi  che  pur  al  mondo  fu  rivolta 

Contra  suo  grato  e  contra  buona  usanza,     b. 
Non  fii  dal  vel  del  cor  giammai  disciolta. 

118.    Quest'  è  la  luce  della  gran  Constanza,  b. 

Che  del  secondo  vento  di  Suave  b. 

Generò  il  terzo,  e  Y  ultima  possanza. 

121.    Così  parlommi,  e  poi  cominciò:  Ave, 
Maria ^  cantando;  e  cantando  vanio, 
Come  per  acqua  cupa  cosa  grave. 

124.    La  vista  mia,  che  tanto  la  seguio, 

Quanto  possibil  fu,  poi  che  la  perse, 
Volsesi  al  segno  di  maggior  disio, 

127.    Ed  a  Beatrice  tutta  si  converse; 

Ma  quella  folgorò  nello  mio  sguardo 
Si,  che  da  prima  il  viso  non  soflFerse; 

130.    E  ciò  mi  fece  a  domandar  più  tardo. 


e,  D.  Contr»  • 
grado 


C.  D.  Gosucuj 
C.  D.  SosTf 


D.  tanto  lei  ! 


E  Bcairìre 
C.  nel  mìo  *?: 


116.  Uontr'  a  suo  gr.  e  contr*  a  —  119.  secondo  vanto  —  129.  Si ,  che  di  prima 


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CANTO  QUARTO 


1.  liber  uom  V  un  si  ree. 


.  2.  Fessi  Beatr. 


Intra  due  cibi,  distanti  e  moventi 
D'  un  modo,  prima  si  moma  di  fame. 
Che  liber  uomo  V  un  recasse  ai  denti. 
4.    Sì  si  starebbe  un  agno  intra  due  brame 
Di  fieri  lupi,  egualmente  temendo; 
Sì  si  starebbe  un  cane  intra  due  dame. 
7.    Per  che,  s' io  mi  tacea,  me  non  riprendo. 
Dalli  miei  dubbi  d'  un  modo  sospinto, 
Poich'  era  necessario,  ne  commendo. 

10.    Io  mi  tacea,  ma  il  mio  disu*  dipinto 

M'  era  nel  viso,  e  il  domandar  con  elio 
Più  caldo  assai,  che  per  parlar  distinto. 

13.    Fé'  sì  Beatrice,  qual  fé'  Daniello, 
Nabuccodonosor  levando  d' ira. 
Che  r  avea  fatto  ingiustamente  fello, 

16.    E  disse:  Io  veggio  ben  come  ti  tira 
Uno  ed  altro  disio,  sì  che  tua  cura 
Se  stessa  lega  sì,  che  fuor  non  spira. 


B.  1)'  uu  modo ,  pria 
D.  lib.  uom  r  un  si  ree. 


B.  C.  D.  Fessi  Beatr. 


B.  Sé  stesso 


8.  egualmente  sospinto  —  12.  Più  chiaro  aasai  —  13.  qual  se  Daniello  (?) 


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502 


LUNA.      INCOSTANTI. 


PARADISO    IV.    19-42. 


(SEGGIO   DEI   BEATI.) 


19.  Tu  argomenti:  Se  il  buon  voler  dura, 
La  \dolenza  altrui  per  qual  ragione 
Di  meritar  mi  scema  la  misura? 

22.    Ancor  di  dubitar  ti  dà  cagione. 

Parer  tornarsi  V  anime  alle  stelle, 
Secondo  la  sentenza  di  Platone. 

25.    Queste  son  le  question  che  nel  tuo  velie 
Pontano  egualemente;  e  però  pria 
Tratterò  quella  che  più  ha  di  felle. 

28.    Dei  Serafin  colui  che  più  s' india, 
2. 3.  sami.eiio  Moìsò,  Samucl,  e  quel  Giovanni, 

1.  prender  vuoi  Qual  prcudcr  vuoli,  io  dico,  non  Maria, 

31.    Non  hanno  in  altro  cielo  i  loro  scanni. 
Che  quegli  spirti  che  mo  t'  apparirò. 
Ne  hanno  all'  esser  lor  più  o  meno  anni. 

34.    Ma  tutti  fanno  bello  il  primo  giro , 
E  diflFerentemente  han  dolce  vita. 
Per  sentir  più  e  men  V  eterno  spiro. 

37.    Qui  si  mostraron,  non  perchè  sortita 

Sia  questa  spera  lor;  ma  per  far  segno 
Della  celestial  eh'  ha  men  salita. 

40.    Così  parlar  conviensi  al  vostro  ingegno, 
Perocché  solo  da  sensato  apprende 
Ciò  che  fa  poscia  d' intelletto  degno. 


l.  a  vostro 


C.  V  aainm 


A,  Jobanni 

B.  prender  vuoi 

A.  1.  Che  questi  spinar! 


A.2. B.  CD.  hi  si mi^v 
—  B.  inostram 


21.  Di  meriUr  vi  scema  -   25.  Queste  son  question  —  29.  Samuele  —  30.  Che  prender  vuoli   -   35.  Ma  differentem.  —  37.  (^n." 
si  mostran  —  39.  Della  spiritual 


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LUNA.      INCOSTANTI. 


PARADISO    IV.    43  —  66. 


(animx  e  stelle.) 


503 


ì.  Gabriello 


43.    Per  questo  la  Scrittura  condiscende 
A  vostra  facultate,  e  piedi  e  mano 
Attribuisce  a  Dio,  ed  altro  intende; 

46.  E  santa  Chiesa  con  aspetto  umano. 
Gabriel  e  Michel  vi  rappresenta, 
E  r  altro  che  Tobia  rifece  sano. 

49.  Quel  che  Timeo  dell'  anime  argomenta 
Non  è  simile  a  ciò  che  qui  si  vede. 
Però  che,  come  dice,  par  che  senta. 

52.    Dice  che  Y  alma  alla  sua  stella  riede, 
Credendo  quella  quindi  esser  decisa-. 
Quando  natura  per  forma  la  diede. 

55.   E  forse  sua  sentenza  è  d'  altra  guisa, 

Che  la  voce  non  suona,  ed  esser  puote 
Con  intenzion  da  non  esser  derisa. 

58.    S'  egl'  intende  tornare  a  queste  rote 

L'  onor  dell'  influenza  e  il  biasmo,  forse 
In  alcun  vero  suo  arco  percote. 

61.    Questo  principio  male  inteso  torse 

Già  tutto  il  mondo  quasi,  si  che  Giove, 
Mercurio  e  Marte  a  nominar  trascorse. 

64.    L'  altra  dubitazion  che  ti  commove 

Ha  men  velen,  perocché  sua  malizia 
L  3.  Non  ti  potria  Nou  ti  poria  mfeuar  da  me  altrove. 


nen  vciien 


JJ.  piede  e  nutuu 


B.  simile  a  quel 


A.  JJ.  Jovc 


H.  men  venen 


.S5.  E  forse  sua  intenzion  —  60.  In  ale.  Tcro  il  suo  —  63-  a  nmninar  (?)  —  stracorae 


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504  l'UNA.     INCOSTANTI.  PARADISO    TV.   67  —  90.  (volontà  k  violenza.) 

67.    Parere  ingiusta  la  nostra  giustizia 

Negli  occhi  dei  mortali,  è  argomento 

Di  fede,  e  non  d'  eretica  nequizia. 
70.    Ma,  perchè  puote  vostro  accorgimento 

Ben  penetrare  a  questa  ventate, 

Come  disiri,  ti  farò  contento. 
73.    Se  violenza  è  quando  quel  che  paté. 

Niente  conferisce  a  quel  che  isforza, 

Non  fur  quest'  alme  per  essa  scusate  ; 
76.    Che  volontà,  se  non  vuol,  non  si  ammorza. 

Ma  fa  come  natura  face  in  foco. 

Se  mille  volte  violenza  il  torza; 
79.    Perchè,  s'  ella  si  piega  assai  o  poco. 

Segue  la  forza;  e  cosi  queste  fero, 
1. 2. 3.  Potendo  Posscudo  ritomare  al  santo  loco.  a.  i.  pos&.  ru^: 

s«nto  (?) 

2. 3.  il  lor  Toicre         82.    Sc  fossc  stato  lor  volere  intero ,  /?,  a,  n  lor  roi^- 

Come  tenne  Lorenzo  in  sulla  grada, 

E  fece  Muzio  alla  sua  man  severo, 
85.    Così  le  avria  ripinte  per  la  strada 

Ond'  eran  tratte,  come  furo  sciolte; 

Ma  cosi  salda  voglia  è  troppo  rada. 
88.    E  per  queste  parole,  se  ricolte 

V  hai  come  devi,  è  1'  argomento  casso. 

Che  t'  avria  fatto  noia  ancor  più  volte.  b,  d.  cmu  «..  :. 

75.  per  esso  scusate  —  81.  rifuggirne  al  santo  —  82.  lor  solere 


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LUNA.      INCOSTANTI. 


1.  Non  V*  use.  2.  3.  Non 
n*  use. 


1.   2.   3.  Perocché  8.  al 
pr.  V.  è  pr. 


B.  C.  D.  Gostanza 


B.  C.  D.  cozitra  grato 


PARADISO    IV.    91  —  114.  (volontà  £  violenza.)  505 

91.   Ma  or  ti  s'  attraversa  un  altrp  passo 

Dinanzi  agli  occhi  tal,  che  per  te  stesso 

Non  usciresti,  pria  saresti  lasso.  i?.  Non  n* uscir. 

94.   Io  t'ho  per  certo  nella  mente  messo, 
Ch'  alma  beata  non  porla  mentire, 
Perocch'  è  sempre  al  primo  vero  appresso:    ^•^•^-  c.^.  Pwoochè 

"'■■'•  *•  ^  sempre  al  pr.  vero  è  pr. 

97.    E  poi  potesti  da  Piccarda  udire, 
1. 2. 3.  Gostanza  Chc  1'  affeziou  dcl  vel  Constanza  tenne, 

Si  eh'  ella  par  qui  meco  contradire. 
100.    Molte  fiate  già,  frate,  addivenne 
1.  •  contro  a  gr.  Chc ,  pcr  fugglr  pcrigUo ,  contro  a  grato 

Si  fé'  di  quel  che  far  non  si  convenne; 
103.    Come  Almeone  che  di  ciò  pregato 

Dal  padre  suo,  la  propria  madre  spense. 

Per  non  perder  pietà  si  fé'  spietato. 
106.    A  questo  punto  voglio  che  tu  pense 

Che  la  forza  al  voler  si  mischia,  e  fanno 

Sì  che  scusar  non  si  posson  1'  offense. 
109.    Voglia  assoluta  non  consente  al  danno. 

Ma  consentevi  in  tanto,  in  quanto  teme, 

Se  si  ritrae,  cadere  in  più  affanno. 
112.    Però,  quando  Piccarda  quello  espreme, 

Della  vogha  assoluta  intende,  ed  io 

Dell'  altra,  sì  che  ver  diciamo  insieme. 


A.  2.  C,  D.  in  tanto, 
quanto 


94.  Io  t'  ho  certo  -  100.  Spesse  fiate 
111. 


(>4 


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g06  LUNA.    INCOSTANTI.  PARADISO    IV.    115—138.  (verità  e  dubbio.) 

115.    Cotal  fu  r  ondeggiar  del  santo  rio, 

Ch'  usci  del  fonte  ond'  ogni  ver  deriva; 
Tal  pose  in  pace  uno  ed  altro  disio. 

118.    0  amanza  del  primo  amante,  o  diva, 

Diss'  io  appresso,  il  cui  parlar  m' inonda, 
E  scalda  sì,  che  più  e  più  m'  avviva, 
1.  mi»  si  prof.  121.    Non  è  r  aflFezion  mia  tanto  profonda,  a  mu  «  prof.«i. 

Che  basti  a  render  voi  grazia  per  grazia;      i^.  »  voi  render 
Ma  quei  che  vede  e  puote,   a  ciò  risponda.  5.  vede  e  può 

124.    Io  veggio  ben  che  giammai  non  si  sazia 

Nostro  intelletto,  se  il  ver  non  lo  illustra, 
Di  fuor  dal  qual  nessun  vero  si  spazia. 

127.    Posasi  in  esso,  come  fiera  in  lustra, 

Tosto  che  giunto  1'  ha:  e  giugner  puoUo; 
Se  non,  ciascun  disio  SBxébhe  frustra. 

130.    Nasce  per  quello,  a  guisa  di  rampollo, 

Appiè  del  vero  il  dubbio:  ed  è  natura,  a.2.  b.  cd^ì^r 

dubbio 

Ch'  al  sommo  pinge  noi  di  collo  in  collo. 
133.    Questo  m' invita,  questo  m'  assicura, 

Con  riverenza,  donna,  a  domandarvi 

D'  un'  altra  verità  che  m'  è  oscura. 
1. 2. 3.  aoddisfiirvi        136.    Io  vo*  saper  se  1' uom  può  satisfarvi  /?.  sodisfarvi 

Ai  voti  manchi  si  con  altri  beni, 
2. 3.  st«ier*  Ch'  alla  vostra  staterà  non  sien  parvi. 

116.  Chf  uscia  —  119.  il  cui  parlar  mi  monda  —  121.  Non  è  la  voce  mia  —  122.  Che  a  render  basti  grasia  a  voi  —  12B.  o^ 
si  Bp.  —  131.  Appiè  del  dubbio  il  vero  —  132.  pinge  il  ver  di  collo 


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LUNA.      INCOSTANTI.  PARADISO     IV.     139—142.  DANTK   E   BEATRICE.  507 

139.   Beatrice  mi  guardò  con  gli  occhi  pieni 
1. 2. 3.  con  8i  div.  Di  faville  d'  amor  così  divini,  b.  c.  con  sì  diTini 

I.  rirtute  die  -  2. 3.  dic ,  vlnta,  mìa  virtù  diede  le  reni,  />.  virtù,  diedi  b.  c. 

diedi  le  r.  virtiite  die' 

142.    E  quasi  mi  perdei  con  gli  occhi  chini. 


141.  mia  virtù,  i'  dei  le  r. 


64- 


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CANTO  QUINTO 


io  ti  fiammeggio  nel  caldo  d'  amore 
Di  là  dal  modo  che  in  terra  si  vede. 
Si  che  degli  occhi  tuoi  vinco  il  valore, 
4.    Non  ti  maravigUar;  che  ciò  procede 

Da  perfetto  veder,  che  come  apprende, 
1. 2.  •  bene  appreso  Cosi  nel  bcnc  apprcsso  move  il  piede. 

7.    Io  veggio  ben  sì  come  già  risplende 
Nello  intelletto  tuo  1'  eterna  luce, 
Che,  vista  sola,  sempre  amore  accende; 
10.   E  s'  altra  cosa  vostro  amor  seduce, 

Non  è,  se  non  di  quella  alcun  vestigio 
Mal  conosciuto,  che  quivi  traluce. 
13.    Tu  vuoi  saper,  se  con  altro  servigio, 

Per  manco  voto,  si  può  render  tanto, 
ir  «.sicuri  Che  l'anima  sicuri  di  Utigio. 

16.    Sì  cominciò  Beatrice  questo  canto; 

E,  sì  com'  uom  che  suo  parlar  non  spezza. 
Continuò  così  il  processo  santo: 


B.  ▼incc  '1  vai. 


B.  bene  sì  come  rispl. 


B.  C.  D.  r  anima  si  curi 


3.  Si  che  del  viso  tuo  —  Si  eh'  tia  degli  occhi  tuoi  vinto  —  9.  vista  solo  e  sempre  ||  vi  sta  sola,  e  sempre  —  15.  l'an.  assicuri 


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510  "-^'NA.     racosTANTi.  PARADISO    V.    19  —  42.  (voti  permutati.) 

19.   Lo  maggior  don,  che  Dio  per  sua  larghezza 
Fesse  creando,  ed  alla  sua  bontate 
Più  conformato,  e  quel  eh'  ei  più  apprezza, 

22.    Fu  della  volontà  la  libertate, 

Di  che  le  creatiu^e  intelligenti, 
i.  Tutte  e  sole  E  tuttc  c  solc  fiiro  e  son  dotate.  /?.  xnttc  e  soie 

25.    Or  ti  parrà,  se  tu  quinci  argomenti, 
L'  alto  valor  del  voto ,  s'  è  sì  fatto , 
Che  Dio  consenta  quando  tu  consenti; 

28.    Che,  nel  fermar  tra  Dio  e  Y  uomo  il  patto, 
Vittima  fassi  di  questo  tesoro, 
Tal  qual  io  dico,  e  fassi  col  suo  atto. 

31.    Dunque  che  render  puossi  per  ristoro? 

Se  credi  bene  usar  quel  eh'  hai  offerto, 
Di  mal  tolletto  vuoi  far  buon  lavoro. 

34.    Tu  se'  omai  del  maggior  punto  certo  ;  d.  dei  primo  pumo 

Ma,  perchè  santa  Chiesa  in  ciò  dispensa. 
Che  par  contra  lo  ver  eh'  io  t'  ho  scoperto ,   d.  eontr»  dei  ver  - 

B.  cb*  i*  ho  sr<ìT. 

37.    Convienti  ancor  sedere  un  poco  a  mensa. 

Perocché  il  cibo  rigido  eh'  hai  preso 

Richiede  ancora  aiuto  a  tua  dispensa.  D.t.óìftuBM 

40.    Apri  la  mente  a  quel  eh'  io  ti  paleso , 

E  fermai  vi  entro;  che  non  fa  scienza. 

Senza  lo  ritenere,  avere  inteso. 


21.  e  quel  che  più  —  più  ▼'  appreszA  —  36.  Che  par  contrario  ai  ver  ||  Che  p.  contra  il  dover  —  41.  E  fermai  dentro  —  42.  Seu» 
lo  ritener ,  r  «v.  int. 


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LUNA.      INCOSTANTI. 


PARADISO    V.    43-66. 


(voti  permutati.) 

43.    Due  cose  si  convengono  all'  essenza 
Di  questo  sacrificio  :  Y  una  è  quella 
Di  che  si  fa,  1'  altra  è  la  convenenza. 

46.    Quest'  ultima  giammai  non  si  cancella, 
Se  non  servata,  ed  intorno  di  lei 
Si  preciso  di  sopra  si  favella; 
2. 3.  iieccssitoto  fu     49.    Però  necessità  fii  agli  Ebrei 

Pur  r  offerere,  ancor  che  alcuna  oflFerta 
Si  permutasse,  come  saper  dei. 

52.   L'  altra,  che  per  materia  t'  è  aperta, 

Puote  bene  esser  tal,  che  non  si  falla 
Se  con  altra  materia  si  converta. 

55.   Ma  non  trasmuti  carco  alla  sua  spalla 
Per  suo  arbitrio  alcun,  senza  la  volta 
E  della  chiave  bianca  e  della  gialla; 

58.   Ed  ogni  permutanza  creda  stolta, 

Se  la  cosa  dimessa  in  la  sorpresa. 
Come  il  quattro  nel  sei,  non  è  raccolta. 

61.    Però  qualunque  cosa  tanto  pesa 

Per  suo  valor,  che  tragga  ogni  bilancia, 
Satisfar  non  si  può  con  altra  spesa, 
a.  Non  prendano  i  64.    Nou  prcudan  U  mortah  il  voto  a  ciancia  : 

aort. 

Siate  fedeli,  ed  a  ciò  far  non  bieci, 


511 


.  3.  credi  stolta 


B.  Soddisfar 


.^c^/fu^jept^  Come  Jeptè  alla  sua  prima  mancia; 


fi.  e.  D.  neceMitato  i\i 
D,  V  offerir 


fi.  che  non  falla 


B.  C.  D.  credi  stolta 


fi.  Soddisfar 

fi,  prendan  1  mort. 


A.  in.  fed.  «  acciocché 

'1  far  non  b. 
C.  Come  fu  Jepte 

D.  Come  fé*  Jepte 


50.  ancor  alcuna  offerta  —  55.  Ma  non  tramuti  —  60.  non  è  ricolta  —  64.  11  volto  a  ciancia 


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512  LUNA.      INCOSTANTI.  PARADISO     V.     67—90.  (dispensazione  DAL  VOTO.) 

67.    Cui  più  si  convenia  (licer:  Mal  feci, 

Che,  servando,  far  peggio;  e  così  stolto 
Ritrovar  puoi  lo  gran  duca  dei  Greci,  2?.  d.  puoi  u jm 

70.    Onde  pianse  Ifigenia  il  suo  bel  volto, 
1.  e  folli  e  savi  2. 3.  e  E  fc' pianger  di  sé  li  folli  e  i  savi,  /?.  di  sé  i  foUi 

i  f.  e  i  savi 

Ch'  udir  parlar  di  cosi  fatto  colto. 

73.    Siate,  Cristiani,  a  movervi  più  gravi, 

Non  siate  come  penna  ad  ogni  vento, 
E  non  crediate  eh'  ogni  acqua  vi  lavi. 

76.  Avete  il  vecchio  e  il  nuovo  Testamento, 
E  il  pastor  della  Chiesa  che  vi  guida: 
Questo  vi  basti  a  vostro  salvamento.  z>.  vibast.   ' 

vostro 

79.    Se  mala  cupidigia  altro  vi  grida, 

Uomini  siate,  e  non  pecore  matte, 
1. 2. 3.  tra  voi  di  voi  S\  chc  il  Gludco  di  voi  tra  voi  non  rida.        /?.  e.  travoii^ 

A.  fra  voi 

82.   Non  fate  come  agnel  che  lascia  il  latte 
1.  madre  semplice  Dclla  sua  madrc ,  e  sempUce  e  lascivo  5.  madre,  sf^^ 

Seco  medesmo  a  suo  piacer  combatte. 
85.    Cosi  Beatrice  a  me,  com*  io  scrivo; 
Poi  si  rivolse  tutta  disiante 
A  quella  parte  ove  il  mondo  è  più  vivo. 
1. 2.  Lo  suo  piacere  -  gS.    Lo  SUO  taccrc  c  il  trasmutar  sembiante  b.  lo  suo  i.^ 

1.  2.  8.  tramutar  g   j^  mss  » 

Poser  silenzio  al  mio  cupido  ingegno. 
Che  già  nuove  questioni  avea  davante. 


73.  al  moveni'i   —   76.  il  nnovo  e  il  vecchio   —   85.  com*  io  iscrivo  ||  com'  io  vi  scrivo  ||    com*  io  descrivo   ||   rom*  io  1   *^ 
87.  ov*  è  il  mondo  più  v. 


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MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    V.    91  —  114. 


GIUSTINIANO. 


513 


1.  Come  nel  segno 


C.  vidi  sì  lieta 
B.  Come  nel  segno 


/?.  D.  da  mia  nat. 


1.  2,  3.  Tra{;gono  i  pesci 


1.  Cosi  vid'  io  più 


.  2.  3.  che  di  lèi 


91.    E  SI  come  saetta,  che  nel  segno 

Percote  pria  che  sia  la  corda  queta, 

Cosi  corremmo  nel  secondo  regno. 
94.    Quivi  la  Donna  mia  vid'  io  si  lieta, 

Come  nel  lume  di  quel  ciel  si  mise, 

Che  più  lucente  se  ne  fé'  il  pianeta. 
97.    E  se  la  stella  si  cambiò  e  rise, 

Qual  mi  fec'  io ,  che  pur  di  mia  natura 

Trasmutabile  son  per  tutte  guise! 
100.    Come  in  peschiera,  eh'  è  tranquilla  e  pura, 

Traggonsi  i  pesci  a  ciò  che  vien  di  fuori,     />.  Traggono  i  pesci 

Per  modo  che  lo  stimin  lor  pastura; 
103.    Si  vid'  io  ben  più  di  mille  splendori 

Trarsi  ver  noi,  ed  in  ciascun  s'udia: 

Ecco  chi  crescerà  li  nostri  amori. 
106.    E  si  come  ciascuno  a  noi  venia, 

Vedeasi  1'  ombra  piena  di  letizia 

Nel  folgor  chiaro  che  da  lei  uscia. 
109.    Pensa,  lettor,  se  quel  che  qui  s' inizia 

Non  procedesse,  come  tu  avresti 

Di  più  sapere  angosciosa  carizia; 
112.    E  per  te  vederai,  come  da  questi 

M'  era  in  disio  d'  udir  lor  condizioni, 

Si  come  agli  occhi  mi  fur  manifesti. 


B.  Cosi  vid'  io  più 


C.  Vedrassi 

B.  C.  D.  che  di  lei 


B.  E  parte  vederai 

C.  D.  E  pur  per  te 
vedrai 


102.  eh'  egli  estirain  sua  past.  —  111.  Di  più  udire 
III. 


65 


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514 


MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    V.    115—139. 


GIUSTINIANO. 


1.  2.  Da  noi 


115.    0  bene  nato,  a  cui  veder  li  troni 

Del  trionfo  eternai  concede  grazia. 
Prima  che  la  milizia  s'  abbandoni, 

118.    Del  lume  che  per  tutto  il  ciel  si  spazia 
Noi  semo  accesi:  e  però,  se  disii 
Di  noi  chiarirti,  a  tuo  piacer  ti  sazia. 

121.    Cosi  da  un  di  quegli  spirti  pii 

Detto  mi  fu;  e  da  Beatrice:  Di'  di' 
Sicuramente,  e  credi  come  a  Dii. 

124.    Io  veggio  ben  si  come  tu  t'  annidi 

Nel  proprio  lume,  e  che  dagli  occhi  il  traggi, 
1.2. 3. Perche' corrusca  Pcrch'  cì  corruscau,  sì  come  tu  ridi; 

127.    Ma  non  so  clii  tu  sei,  ne  perchè  aggi. 
Anima  degna,  il  grado  della  spera, 
1. 2. 3.  con  gli  altrui  Chc  sì  vcla  sì  mortal  con  altrui  raggi. 

130.    Questo  diss' io  diritto  alla  lumiera 

Che  pria  m'  avea  parlato,  ond'  ella  fessi 
Lucente  più  assai  di  quel  eh'  eli'  era. 

133.    Si  come  il  sol,  che  si  cela  egli  stessi 
1.2.3.  quando  il  caldo  Pcr  troppa  lucc ,  comc  il  caldo  ha  rose 

Le  temperanze  dei  vapori  spessi; 

13(5.    Per  più  letizia  sì  mi  si  nascose 

Dentro  al  suo  raggio  la  figura  santa, 
E  così  chiusa  chiusa  mi  rispose 

139.    Noi  modo  che  il  seguente  canto  canta. 


A.  O  ben  ereato 


A.  2.  B.  a  D.  I>a  LO.  - 
B.  ehìaiir.  a  ni> 


.1.  2.  B.  r.  D.  Prrrì.  f 
corrusca 


fì.  (\  D.  con  gli  «It- 


A.  pria  area 


115.  Oh  bene  è  n.  —  117.  Pr.  eh'  alla  mil.  1"  A!>b.  -  120.  a  tuo  voler  li  s.  -  125.  Nel  primo  1.      rhe degli  o.  —  127.  chi  tu  sie  -  131.  li-  '.'-» 


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CANTO  SESTO 


'L  Goiitantìn  3.  Costantin 
3.  oli'  ella  sedino 


1.  2.  3.  Nello  stremo 


B.  C.  J).  Costantin 


//.  Nello  stremo 


Deutr'  «He  leggi  2.  3. 
D"  entr-  alle  1. 


3.  Agahito 


Xosciacliè  Constantiii  V  aquila  volse 

Contra  il  corso  del  ciel,  che  la  seijuio 

Dietro  air  antico,  che  Lavina  tolse, 
4.    Cento  e  cent'  anni  e  più  V  uccel  di  Dio 

Neir  estremo  d*  Europa  si  ritenne, 

Vicino  ai  monti  de'  quai  prima  uscio; 
7.    E  sotto  r  ombra  delle  sacre  penne 

Governò  il  mondo  li  di  mano  in  mano, 

E  sì  cangiando,  in  sulla  mia  pervenne. 
10.    Cesare  fui,  e  son  Giustiniano, 

Che,  per  voler  del  primo  amor  eh'  io  sento, 

D'  entro  le  leggi  trassi  il  troppo  e  il  vano;     //.  ir mtr  »  ic  le5;^M 
13.    E,  prima  eh'  io  all'  opra  fossi  attento. 

Una  natura  in  Cristo  esser,  non  piìre. 

Credeva,  e  di  tal  fede  era  contento; 
16.    Ma  il  benedetto  Agapito,  che  fue 

Sommo  pastore,  alla  fede  sincera 

Mi  dirizzò  con  le  parole  sue. 


A.  C.  Justiniano 


A.   C.  Credea 
D.  Agabitn 


3.  che  Lavinia  tolse  —  11.  amor  che  sento  —  12.  Fuor  alle  lcg{;i    -    18.  Mi  ridrizzo 


05* 


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516 


MKRCURIU.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VI.    19-42. 


GIUSTINIANO. 


1.  2.  3.  di  spirarmi 
1.  2.  3.  tutto  in  lui 


1.  2.  ma  la  couUis. 


1.2.3.  che  suo  dir  era  19.    lo  gli  Credetti,  e  ciò  che  in  sua  fede  era 

Veggio  ora  chiaro,  sì  come  tu  vedi 
Ogni  contraddizion  e  falsa  e  vera. 

22.    Tosto  che  con  la  chiesa  mossi  i  piedi, 
A  Dio  per  grazia  piacque  d' inspirarmi 
L'  alto  lavoro ,  e  tutto  a  lui  mi  diedi. 

25.    Ed  al  mio  Bellisar  commendai  V  armi, 
Cui  la  destra  del  ciel  fii  sì  congiunta, 
Che  segno  fu  eh'  io  dovessi  posarmi. 

28.  Or  qui  alla  question  prima  s'  appunta 
La  mia  risposta;  ma  sua  condizione 
Mi  stringe  a  seguitare  alcuna  giunta; 

31.    Perche  tu  veggi  con  quanta  ragione 

Si  move  contra  il  sacrosanto  segno, 

E  chi  '1  s'  appropria,  e  chi  a  lui  s'  oppone. 

34.    Vedi  quanta  virtù  1'  ha  fatto  degno 
Di  riverenza,  e  cominciò  dall'  ora 
Che  Fallante  morì  per  dargli  regno. 

37.    Tu  sai  che  fece  in  Alba  sua  dimora 

Per  trecent'  anni  ed  oltre,  infino  al  fine 
Che  i  tre  ai  tre  pugnar  per  lui  ancora. 
1. 2. 3.  Sai  qud  che  fé"  40.    E  srì  ch'  cì  fc'  dal  mal  delle  Sabine 

Al  dolor  di  Lucrezia  in  sette  regi. 
Vincendo  intomo  le  genti  vicine. 


B.  che  'il  suo  àa  t 


2.  3.  eli'  e'  fece 


1.  2.  Che  tre   -   1.  2.  3. 
a  tre 


A.2.B.(.D.^i] 
B.  r.  D.  tutKi  \ 
B.  BellÌBaa 

A,  B.  do\e5><> 

.4.2.  B.JJ.mÈU' 


D.  Pallanu 


A.  2.  eh*  el  fei-« 
B.  Alhia 


U.  Che  ire  r  *Tt 
B.  Sai  quel  rh*-  :' 


24.  L'  alto  valore  —  29.  ma  mia  condizioue  —  31.  tu  vedi  con  questa  rag.  — 
al  f.  —  'Stè.  per  lui  pugnare  ancora 


15.  d*  allora  —  37.  Tu   sai   eh'  esa4i  fé'  -  >. 


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3dERrURIO.       AMBIZIOSI. 


PARADISO    VI.    43  —  66.  (prodezze  dell'  aquila  romana.)  517 


1.  2.  3.  quel  che  fé* 


1.  2.  3.  Incontro  agli 


1.  2.  3.  e  Deci,  e  F»bi 


43.    Sai  quel  eh'  ei  fé',  portato  dagli  egregi 


1.  2.  3.  Po .  di  che 


1.  2.  3.  iiisiiio 


.  3.  oude  il  Rod. 


1.  2.  3.  ftaltó  il  Rub. 


Romani  incontro  aBrenno,  incontro  a  Pirro,  />.  contr- *  Br.  econtr* 

».  p. 


I.  2.  3.  Farsaglia 


E  contra  gli  altri  principi  e  collegi: 

46.    Onde  Torquato,  e  Quinzio  che  dal  cirro 
Negletto  fu  nomato,  i  Deci,  e'  Fabi 
Ebber  la  fama  che  volontier  min-o. 

49.    Esso  atterrò  1'  orgoglio  degli  Arabi, 
Che  diretro  ad  Annibale  passaro 
L'  alpestre  rocce  di  che,  Po,  tu  labi. 

52.    Sott'  esso  giovinetti  trionfaro 

Scipione  e  Pompeo,  ed  a  quel  colle, 
Sotto  il  qual  tu  nascesti,  parve  amaro. 

55.    Poi,  presso  al  tempo  che  tutto  il  ciel  volle 
Ridur  lo  mondo  a  suo  modo  sereno, 
Cesare  per  voler  di  Roma  il  toUe: 

58.    E  quel  che  fé'  da  Varo  infino  al  Reno, 
Isara  vide  ed  Era,  e  vide  Senna, 
Ed  ogni  valle  onde  Rodano  è  pieno. 

61.    Quel  che  fé'  poi  eh'  egli  usci  di  Ravenna, 
E  saltò  Rubicon,  fu  di  tal  volo 
Che  noi  seguiteria  Ungua  ne  penna. 

64.    In  ver  la  Spagna  rivolse  lo  stuolo; 

Poi  ver  Durazzo,  e  Farsalia  percosse 
Sì,  eh'  al  Nil  caldo  si  sentì  del  duolo,   x 


A.  2.  fì.  C.  Incontro  agli 


e.  e  Deci 


A.  2.  drietrt» 

H,  JJ.  Po.  di  che    C.  di 
che  poi 

D.  Sott'  esso  i  giov. 


B.  appresso  '1  tempo 


JJ.  dal  Varo  —  B.  insino 


C.  D.  onde  '1  Rodano 


/y.  Farsaglia 

B.  C.  sentì  si  del  duolo 


47.  e  !  Deci  -  52.  Sott*  esso  i  giovan.  —  58.  E  quel  eh*  ei  fé*  —  infino  a  Reno  —  63.  Che  non  seguit.  —  GB.  Sì,  che  il  Nil 


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518 


MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


1.  Tolemeo 


PARADISO    VI.    67  —  90.  (prodezze  dell'  aquila  romana.) 

67.    Antandro  e  Siinoenta,  onde  si  mosse, 

Rivide,  e  là  dov' Ettore  si  cuba,  a.  dovt  fau^t 

E  mal  per  Tolommeo  poi  si  riscosse: 


1.2.3.  Da  onde  yenne-  70.    Da  iiidi  scesc  folgoraiido  a  Juba; 

1.  2.  3.  Giuba 


1.  2.  3.  Poi  si  riv. 


1.  2.  3.  quel  rhe  fé' 


1.  2.  Modoua  -   1.  2.  3. 
fu  dol. 


1.  2.  3.  inaino 


1.  2.  3.  Giaiu» 


Poscia  si  volse  nel  vostro  occidente, 
Dove  sentia  la  Pompeiana  tuba. 

73.    Di  quel  eh'  ei  fé'  col  baiulo  seguente, 
Bruto  con  Cassio  nello  inferno  latra, 
E  Modena  e  Perugia  fé'  dolente. 

7().    Piangene  ancor  la  trista  Cleopatra, 

Che,  fuggendogh  innanzi,  dal  cohibro 
La  morte  prese  subitana  ed  atra. 

79.    Con  costui  corse  hifino  al  lito  rubro; 

Con  costui  pose  il  mondo  in  tanta  pace. 
Che  fu  serrato  a  Jano  il  suo  delubro. 

82.   Ma  ciò  che  il  segno  che  parlar  mi  face 
Fatto  avea  prima,  e  poi  era  fatturo 
Per  lo  regno  mortai,  eh'  a  lui  soggiace, 

85.    Diventa  in  apparenza  poco  e  scuro. 
Se  in  mano  al  terzo  Cesare  si  mira 
Con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro; 

88.    Che  la  viva  giustizia  che  mi  spira 

Gli  concedette,  in  mano  a  quel  eh'  io  dico, 
Gloria  di  far  vendetta  alla  sua  ira. 


A.  1.  (i)  A.  n.  \r' 

sì  si  risr. 

B,  Da  ondf  ^ti.u 

B.  Giuba 

A.  2.  B.  C  Pr.i  ^:  r 

r.  Ovi 

B.  quel  che  iV 


r*. />.  Modoua  .i>: 
-  A.  Pcn-.J 


B.  (viaiit. 


A.  D.  sultctM' 


G9.  poscia  si  srosse  —  70.  D' indi  discese  ||  Indi  disc.  ||  Da  onde  uscì  —  71.  Onde  si  volse  —  73.  col  bailo  seguente  (?)  —  76.  P.&  * 
77.  Che .  veggeudol ,  innanzi  dal  col.  —  78.  Prese  la  morte  —  79.  in  fine  a  lito  —  87.  con  aspetto  puro 


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MERCURIO.      AMBIZIOSI.  PARADISO     VI.     91  —  114.  (prodezze  DBLL'  AQUILA  ROMANA.)  519 

91.    Or  qui  t'ammira  in  ciò  ch'io  ti  replico:  i>.t' ammira  a  ciò 

Poscia  con  Tito  a  far  vendetta  corse 
Della  vendetta  del  peccato  antico. 
94.    E  quando  il  dente  Longobardo  morse 

La  santa  Chiesa,  sotto  alle  sue  ali  d.  sotto  le  sue 

Carlo  Magno,  vincendo,  la  soccorse. 
97.    Omai  puoi  giudicar  di  quei  cotali, 
2. 3.  de* lor  falli  Ch' io  accusal  di  sopra,  e  di  lor  falli, 

2. 3.  tutti  i  vostri  Che  son  cagion  di  tutti  vostri  mali. 

100.    L'uno  al  pubblico  segno  i  gigli  gialli  r. teguogigii 

Oppone,  e  T  altro  appropria  quello  a  parte, 
2. 3.  Si  eh-  h  forte  a  Sì  chc  fortc  a  veder  è  chi  più  falli.  ^-  ^  sì  eh*  è  forte  a 

vcd.  qual  più  si  f.  ^*^^-  «^"  P^"  »^  *'• 

103.    Facciali  li  Ghibellin,  faccian  lor  arte 

Sott'  altro  segno;  che  mal  segue  quello 
Sempre  chi  la  giustizia  e  lui  diparte: 
106.    E  non  V  abbatta  esto  Carlo  novello 

Coi  Guelfi  suoi,  ma  tema  degli  artigli 
Ch'  a  più  alto  leon  trasser  lo  vello. 
109.    Molte  fiate  già  pianser  li  figli 

Per  la  colpa  del  padre,  e  non  si  creda 
:.  3.  larmi  Chc  Dio  trasmutl  1'  arme  per  suoi  gigh.         r-  <■•  o.v^Tmi 

112.    Questa  picciola  stella  si  correda  .4.  e.  piccola 

>a-  buoni  Dei  buoni  spirti ,  che  son  stati  attivi  a.  1.  (?)  r.  m  buoni 

Perchè  onoro  e  fama  li  succeda; 


91.  f  ammira  iu  c|uel  ^  101.  Opp. ,  e  quel  s*  appr.  1'  altro  —  102.  Si  che  forte  è  a  ved.  —  103.  Faccian  i  Ghib.  —  105.  Sempre  che 
iiiì*t-   —  109.  Spesse  fiate  -  piansero  i  figli  -  IH.  pe*  suoi  gigli 


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520 


MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VI.    115-138. 


1.  2.  3.  Quinci 


1.  2.  3.  fanno  dolci 


2.  3.  margherite 


1.  2.  3.  ^andr  e  bella 


1.  2.  3.  reina 

2.  3.  Berlinghieri 


115.    E  quando  li  disiri  poggiai!  quivi 

Si  disviando,  pur  convien  che  i  raggi 
Del  vero  amore  in  su  poggin  rnen  vivi. 

118.  Ma,  nel  commensurar  dei  nostri  gaggi 
Col  merto,  è  parte  di  nostra  letizia, 
Perchè  non  li  vedem  minor  ne  maggi. 

121.    Quindi  addolcisce  la  viva  giustizia 

In  noi  r  affetto  sì,  che  non  si  puote 
Torcer  giammai  ad  alcuna  nequizia. 

124.    Diverse  voci  fan  giù  dolci  note; 

Cosi  diversi  scanni  in  nostra  vita, 
Rendon  dolce  armonia  tra  queste  rote. 

127.    E  dentro  alla  presente  margarita' 
Luce  la  luce  di  Romeo,  di  cui 
Fu  r  opra  bella  e  grande  mal  gradita. 

130.    Ma  i  Provenzali  che  fer  contra  lui 

Non  hanno  riso,  e  però  mal  cammina 
Qual  si  fa  danno  del  ben  fare  altiiii. 

133.  Quattro  figlie  ebbe,  e  ciascuna  regina, 
Ramondo  Beringhieri,  e  ciò  gli  fece 
Romeo  persona  umile  e  peregrina; 

136.    E  poi  il  inosser  le  parole  biece 

A  domandar  ragione  a  questo  giusto, 
Che  gli  assegnò  sette  e  cinque  per  diece. 


B.  Quinri 


A.  1.  (?)  B.  fiJi 


/?.  grande  f  t-*  - 

/?.  gr.  bflUt . 

v«.2.ProTÌn2.A:f- 
B,  Pr..ci*i  b  : 
-    R.  CI)  ' 


B.   r.  l).  rem» 


B.  Ih  Bering  «" 
C.  Berli  :.-;  - 


V.    poi   lo  XD  ■** 

D.  inoi*«i 


115.  li  disir  poggiano  —  118.  di  nostri  gftggi  —  121.  Quivi  adolesce  —    126.  Romeo,  da  cui    —   132.  Qual  fa  danno   -    -    "«^ 
d'  altrui  II  del  ben  faY  ad  altrui  —  134.  Raimondo 


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MBRCURio.     AMBIZIOSI.  PARADISO    VI.    139—142.  ROMEO.  521 

139.    Indi  partissi  povero  e  vetusto; 

E  se  il  mondo  sapesse  il  cor  eh'  egli  ebbe 

Mendicando  sua  vita  a  firusto  a  frusto, 
142.    Assai  lo  loda,  e  più  lo  loderebbe. 


140.  E  se  il  mondo  il  sapesse 


III.  66 


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CANTO  SETTIMO 


2.  3.  niAlahoth 


2,  3.  per  B  e  per  ICE 


ijsanìia  sanctiùs  Deus  Sabaoth^ 
SuperiUustrans  claritate  tua 
Felices  ignes  horum  malacoth! 
4.    Cosi,  volgendosi  alla  nota  sua, 

Fu  viso  a  me  cantare  essa  sustanza, 
Sopra  la  qual  doppio  lume  s'  addua: 
7.    Ed  essa  e  T  altre  mossero  a  sua  danza, 
E,  quasi  velocissime  faville, 
Mi  si  velar  di  subita  distanza. 

10.    Io  dubitava,  e  dicea:  Dille,  dille, 

Fra  me,  dille,  diceva,  alla  mia  donna 
Che  mi  disseta  con  le  dolci  stille; 

13.    Ma  quella  riverenza  che  s' indonna 

Di  tutto  me,  pur  per  BE  e  per  ICE, 
Mi  richinava  come  Y  uom  eh'  assonna. 

16.    Poco  sofferse  me  cotal  Beatrice, 

E  cominciò,  raggiandomi  d'un  riso 
Tal,  che  nel  foco  farla  V  uom  felice: 


A.  Sabbaoth 

D.  malaoth  B.  malahoih 
A.  2.  C.  malachoth 

D.  m.  alla  rota  sua 
C.  D.  viso  a  me  veder 


C.  D.  t.  Mi  si  levar 


A.  1.  per  B  e  per  ICE 

D.  richiamava    C.  ri- 
chiama 


6.  lume  8*  indua  —  12.  Che  mi  disseti  —  17.  ragionando  d' un  riso  —  18.  saria  Y  uom  fel. 


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524  MERCURIO.     AMBIZIOSI.  PARADISO    VII.    19  —  42.  (mistero  della  redenzione.) 

19.    Secondo  mio  infallibile  avviso, 

Come  giusta  vendetta  giustamente 
1.2. 3.  Puniu fosse,  t'hai  Veugiata  fosse,  t*  ha  in  pensier  miso;  b.d.^^ulu^^ 

22.    Ma  io  ti  solverò  tosto  la  mente: 

E  tu  ascolta,  che  le  mie  parole 

Di  gran  sentenza  ti  faran  presente. 
25.    Per  non  sofirire  alla  virtù  che  vuole 

Freno  a  suo  prode,  queir  uom  che  non  nacque, 

Dannando  se,  dannò  tutta  sua  prole; 
28.    Onde  1'  umana  specie  inferma  giacque 

Giù  per  secoli  molti  in  grande  errore, 

Fin  eh'  al  Verbo  di  Dio  di  scender  piacque, 
31.    U'  la  natura,  che  dal  suo  fattore 

S'  era  allungata,  unio  a  se  in  persona  b.  «ii«ngi.ui-: 

Con  r  atto  sol  del  suo  etemo  amore. 
1.2.3.  a  quel  che  si  rag.  34.    Or  drizza  il  viso  a  quel  eh'  or  si  ragiona: 

Questa  natura  al  suo  Fattore  unita, 

Qual  fii  creata,  fu  sincera  e  buona; 
1. 2. 3.  se  stessa  pur  fu  37.    Ma  pcr  sc  stcssa  fu  ella  sbandita  a.  2.  b.  c.  u  - 

fu    -   D  f». 

Di  Paradiso,  perocché  si  torse 

Da  via  di  verità  e  da  sua  vita.  j. /.  Da.Nu.ò 

40.    La  pena  dunque  che  la  croce  porse, 
S'  alla  natura  assunta  si  misura, 
Nulla  giammai  sì  giustamente  morse; 


19.  Secondo 'l  mio  —  ineffabile  av^'.  —  24.  ti  sarau  presente  —  30.  discender  piacque  —  31.  E  la  natura  —  33.  rattorti.    - 
37.  fu  pure  sbandita  ||  fu  pur  isbandita 


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MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VII.    43-66. 


(mistero  della  redenzione.) 


525 


1.  2.  3.  sfavilla 


43.    E  cosi  nulla  fii  di  tanta  ingiura. 

Guardando  alla  persona  che  sofferse, 
In  che  era  contratta  tal  natui'a. 

46.    Però  d'  un  atto  uscir  cose  diverse; 

Ch'  a  Dio  ed  ai  Giudei  piacque  una  morte: 
Per  lei  tremò  la  terra  e  il  ciel  s'  aperse. 

49.    Non  ti  dee  oramai  parer  più  forte, 

Quando  si  dice  che  giusta  vendetta 
Poscia  vengiata  fu  da  giusta  corte. 

52.    Ma  io  veggi'  or  la  tua  mente  ristretta 

Di  pensier  in  pensier  dentro  ad  un  nodo, 
Del  qual  con  gran  disio  solver  s'  aspetta. 

55.    Tu  dici:  Ben  discemo  ciò  eh'  i'  odo; 

Ma,  perchè  Dio  volesse,  m'  è  occulto, 
A  nostra  redenzion  pur  questo  modo. 

58.    Questo  decreto,  frate,  sta  sepulto 

Agli  occhi  di  ciascuno,  il  cui  ingegno 
Nella  fiamma  d'  amor  non  è  adulto. 

61.  Veramente,  però  eh'  a  questo  segno 
Molto  si  mira,  e  poco  si  discerné^ 
Dirò  perchè  tal  modo  fii  più  degno. 

64.    La  divina  bontà,  che  da  sé  speme 

Ogni  hvore,  ardendo  in  sé  scintilla 
Si,  che  dispiega  le  bellezze  eterne. 


e.  un  modo 

A.  Ben  decerno 
C.  perchè  Iddìo 


A.  di  ciascun,  lo  cui 
D.  t,  de*  mortali,  il  cui 


A.  m.  B.  sfavilla 


52.  Ma  io  veggo  —  53.  Di  pena,  in  pensiero  dentro  a  un  nodo  —  51.  Lo  qual  —  58.  Questo  secreto 


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526 


MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VU.    67-90. 


1.  diffranc» 


1.  2.  3.  di  Farad. 
1.  2.  3.  poteasi 

1.  2.  3.  per  un 


(mistxbo  dilla  rsdkkzione.) 


67.    Ciò  che  da  lei  senza  mezzo  distilla 

Non  ha  poi  fine,  perchè  non  si  move 
La  sua  imprenta,  quand'  ella  sigilla. 

70.    Ciò  che  da  essa  senza  mezzo  piove 

Libero  è  tutto,  perchè  non  soggiace 
Alla  viitute  delle  cose  nuove. 

73.    Più  r  è  conforme,  e  però  più  le  piace; 

Che  r  ardor  santo,  eh'  ogni  cosa  raggia, 
Nella  più  simigliante  è  più  vivace. 

76.    Di  tutte  queste  cose  s'  avvantaggia 

L'  umana  creatura,  e,  s'  una  manca. 
Di  sua  nobilita  convien  che  caggia. 

79.    Solo  il  peccato  è  quel  che  la  disfranca, 
E  falla  dissimile  al  sommo  bene, 
Per  che  del  lume  suo  poco  s' imbianca; 

82.  Ed  in  sua  dignità  mai  non  riviene. 
Se  non  riempie  dove  colpa  vota, 
Contra  mal  dilettar,  con  giuste  pene. 

85.    Vostra  natura,  quando  peccò  tota 

Nel  seme  suo,  da  queste  dignitadi, 
Come  da  Paradiso,  fu  remota; 

88.    Né  ricovrar  poteansi,  se  tu  badi 

Ben  sottilmente,  per  alcuna  via. 
Senza  passar  per  1'  un  di  questi  guadi  : 


D.  Nelle 


A,  m.  i\  D.  H- 
-    D.  ti  y^ 


U.    E    «U»aiJ 


r.    O.  ('ontra  .  *. 


B.   r.  D.  di  Pi-> 

A,  (\  polirò»  / 

B.  C.  D,  prr  r 


68.  Nou  ha  più  fine 
90.  di  questi  gradi 


9.  La  sua  impronta  —  73.  però  più  li  piace  —  86.  Nostra  natura 


Non   ritrovar    poi.  ■ 


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MEBCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VII.    91-114. 


(mistero  della  redenzione.) 


527 


I.  discretamente 


1.  2.  3.  ras^ion 


1. 2.  ambodue  3.  ambedue 
1.  2.  tanto  è  più 


.  2.  per  r  uno    —    l.  *2. 
3.  per  r  Altro 


91.    0  che  Dio  solo  per  sua  cortesia 

Dimesso  avesse,  o  che  Y  uoin  per  se  isso 
Avesse  satisfatto  a  sua  follia. 
94.    Ficca  mo  1'  occhio  per  entro  1'  abisso 
Dell'  eterno  consigUo,  quanto  puoi 
Al  mio  parlar  distrettamente  fisso. 
97.    Non  potea  Y  uomo  nei  termini  suoi 

Mai  satisfar,  per  non  poter  ir  giuso 
Con  umiltate,  obbediendo  poi, 

100.    Quanto  disobbediendo  intese  ir  suso, 

E  questa  è  la  cagion  per  che  Y  uom  fue  . 
Da  poter  satisfar  per  se  dischiuso. 

103.    Dunque  a  Dio  convenia  con  le  vie  sue 
Riparar  1'  uomo  a  sua  intera  \ata, 
Dico  con  r  una,  o  ver  con  ambo  e  due. 

106.    Ma  perchè  1'  opra  è  tanto  più  gradita 
Deir  operante,  quanto  più  appresenta 
Della  bontà  del  core  ond'  è  uscita; 

109.    La  divina  bontà,  che  il  mondo  imprenta. 
Di  proceder  per  tutte  le  sue  vie 
A  rilevarvi  suso  fu  contenta; 

112.    Ne  tra  1'  ultima  notte  e  il  primo  die 
Sì  alto  e  sì  magnifico  processo, 
0  per  r  una  o  per  1'  altra  fu  o  fio. 


B.  Dell'  et.  statuto 


fi.  D.  ragion 


A:ì.D.  ambed.  B.  ambod. 
C.  amend. 

B.  C.  D.  tanto  è  più 
D.  Dall'  operante 
A.  2.  Delle  bontà 


A.  2.  C.  Dì  riproc.  per 
tutte  sue 


C.  o  sì  magn. 

B.  O  per  r  uno  o  per 
r  altro 


91.  O  che  Iddio  —  94.  Ficca  mo  gli  occhi  —  102.  da  »è  disch.  —  108.  ond*  ella  è  uscita  —  HI.  A  rileyarla  suso 


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528  MBBCURio.     AMBIZIOSI.  PARADISO    VIL    115—138.  (crbatube  incorruttibili.) 

115.    Che  più  largo  fii  Dio  a  dar  se  stesso,  ^.  fuwdi- 

1. 2. 3.  In  far  V  uom  A  fap  1'  uoDi  sufficìente  a  rilevarsi,  b.  d.  in  («  a 

Che  s'  egli  avesse  sol  da  se  dimesso.  a.  i,  ches...-. 

118.    E  tutti  gli  altri  modi  erano  scarsi 

Alla  giustizia,  se  il  Figliuol  di  Dio 

Non  fosse  umiliato  ad  incarnarsi. 
121.    Or,  per  empierti  bene  ogni  disio, 

Ritorno  a  dichiarare  in  alcun  loco, 

Perchè  tu  veggi  li  così  com'  io. 

1.2.  3.  Io  veggio  l'aere    124.      Tu    dici  I    lo    VCggiO    1'  aCqUa,    io    veggio    il    foco,     ^.  C.Io.e^ 

1.2. 3.  i/«oqii»ei*t.     ,  U  aer,  e  la  terra,  e  tutte  lor  misture  /?.  r.Lar..» 

Venire  a  corruzione,  e  durar  poco; 
127.    E  queste  cose  pur  fur  creature;  ^imr^rr- 

Per  che,  se  ciò  eh'  ho  detto  è  stato  vero, 
1. 2. 3.  iiovTian  Esscr  dovrlcn  da  corruzion  sicure.  b.  v.^^t  ^  - 

130.    Gli  Angeli,  frate,  e  il  paese  sincero 

Nel  qual  tu  sei,  dir  si  posson  creati, 

Sì  come  sono,  in  loro  essere  intero; 
133.    Ma  gli  elementi  che  tu  hai  nomati, 

E  quelle  cose  che  di  lor  si  fanno, 

Da  creata  virtù  sono  informati. 
136.    Creata  fu  la  materia  eh'  egU  hanno, 

Creata  fu  la  virtù  informante 

In  queste  stelle,  che  intomo  a  lor  vanno.      />. intere.. 


115.  a  far  se  stesso    -    116.  Per  far  1*  nom   -   117.  Che  se  gli  —  121.  E  per  emp.   —    empirti    -   122.  a  (iìchiann.  - 
cose  fiirnn  cr.  —  128.  se  ciò  eh'  è  detto  —  132.  Si  com*  e'  aono  —  136.  Di  ereata  virtù  —  138.  Da  queste  stelle 


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MERCURIO.      AMBIZIOSI. 


PARADISO    VII.    139  —  148.  (creature  incorruttibili.) 


529 


.  2.  3.  Di  compi. 


1.  2.  3.  nostra  viu 


139.   L'  anima  d'  ogni  bruto  e  delle  piante 
Da  complession  potenziata  tira 
Lo  raggio  e  il  moto  delle  luci  sante. 

142.    Ma  vostra  vita  senza  mezzo  spira 

La  somma  beninanza,  e  la  innamora 
Di  se,  si  che  poi  sempre  la  disira. 

145.  E  quinci  puoi  argomentare  ancora 
Vostra  resurrezion,  se  tu  ripensi 
Come  r  umana  carne  fessi  allora, 

148.    Che  li  primi  parenti  intrambo  fensi. 


B.  D.  Di  compi. 


B.  nostra  vita 


C.  J).  Nostra  reaurr. 


140.  Di  complessione  —  141.  il  moto  dalle  luci  —  143.  benignanza  —  144.  Di  sé  poi  si,  che  sempre  —  148.  intrambi 


ni. 


67 


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CANTO  OTTAVO 


2.  3.  Di  sacrifici 


2.  Questa  per  m. 
che  sedette 


^olea  creder  lo  mondo  in  suo  pendo 
Che  la  bella  Ciprigna  il  folle  amore 
Raggiasse,  volta  nel  terzo  epiciclo; 
4.   Per  che  non  pure  a  lei  facean  onore 
Di  sacrificio  e  di  votivo  giìdo 
Le  genti  antiche  nell'  antico  errore; 
7.   Ma  Dione  onoravano  e  Cupido, 

Quella  per  madre  sua,  questo  per  figlio, 
E  dicean  eh'  ei  sedette  in  grembo  a  Dido; 

10.    E  da  costei,  ondalo  principio  piglio, 
Pigliavano  il  vocabol  della  stella 
Che  il  sol  vagheggia  or  da  coppa  or  da  ciglio. 

13.   Io  non  m'  accorsi  del  salire  in  ella; 

Ma  d'  esservi  entro  mi  fece  assai  fede 
La  Donna  mia,  eh'  io  vidi  far  più  bella. 

16.    E  come  in  fiamma  favilla  si  vede, 
E  come  in  voce  voce  si  discerne. 
Quando  una  è  ferma  e  V  altra  va  e  riede; 


A.  2.  B.  C.  Di  sacrifici 

D.  h"  antiche  genti 

A.  2.  Ma  Dydone  - 
D.  adoravano 

A.  B.  C.  Questa  per 
madre 


D.  Prende  vano 


D.  mi  fé'  asbai 


A.  2.  B.  D.  ed  altra 


1.  Solia  creder  —  18.  m*  accorsi  di  salire 


67' 


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A.'ì.  B.C.D.ri^ìetm 


532  >KNER£.      AMOROSI.  PARADISO     Vili.     19  —  42.  CARLO    MARTELLO. 

19.    Vili'  io  in  essa  luce  altre  lucerne 

Moversi  in  giro  più  e  men  correnti, 
i.  2. 3.  viste  eterne  Al  inoclo ,  crcclo ,  dì  lor  viste  interne. 

22.    Di  fredda  nube  non  disceser  venti, 
0  visibili  o  no,  tanto  festini, 
(Jhe  non  paressero  impediti  e  lenti 
25.    A  chi  avesse  quei  lumi  divini 
2. 3.  Veduto  Vcdutl  a  noi  venir,  lasciando  il  giro 

i.  ku  altri  serat.  Pria  comiuciato  in  gli  alti  Serafini. 

1. 2. 3.  E.iieMo  28.    E  dentro  a  quei  che  più  innanzi  apparirò,  i?.  e  dietro 

Sonava  Osanna  sì,  che  unque  poi 
Di  riudir  non  fui  senza  disiro. 
31.    Indi  si  fece  1'  un  più  presso  a  noi, 

E  solo  incominciò:  Tutti  sem  presti 
Al  tuo  piacer,  perchè  di  noi  ti  gioi. 
34.    Noi  ci  volgiam  coi  principi  celesti 
1. 2. 3.  i>u..Kiro.d,in  D' uu  giro ,  c  d' uu  girare,  e  d'una  sete,         /?./;.D«u«iro.da,r 

girar 

1. 2. 3.  t«i  nel  momh.  Al  quali  tu  dcl  inoiido  già  dicesti: 

37.     Voi  che  intendendo  il  terzo  del  movete; 

E  sem  sì  pien  d'  amor  che,  per  piacerti. 

Non  fia  men  dolce  un  poco  di  quiete. 
40.    Poscia  che  gli  occhi  miei  si  furo  offerti 

Alla  mia  Donna  riverenti,  ed  essa 

Fatti  gli  avea  di  se  contenti  e  certi, 

21).  Volgersi  in  giri  —  32.  E  solo  comincio 


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VENERE.      AMOROSI. 


PARADISO    vili.    43-66. 


CARLO    MARTELLO. 


533 


3.  Di*  chi  se'  tu 


1.  Per  tu  signor 

1.  2,  3.  Crotona 
1.  Là  dove 


43.    Rivolsersi  alla  luce,  che  promessa 

Tanto  s'  avea,  e:  Di'  chi  siete,  fue 

La  voce  mia  di  grande  affetto  impressa. 

46.    E  quanta  e  quale  vid'  io  lei  far  piùe 

Per  allegrezza  nuova  che  s'  accrebbe, 
Quand'  io  parlai,  all'  allegrezze  sue! 

49.    Così  fatta,  mi  disse:  Il  mondo  m'  ebbe 

Giù  poco  tempo;  e,  se  più  fosse  stato, 
Molto  sarà  di  mal,  che  non  sare'bbe. 

52.    La  mia  letizia  mi  ti  tien  celato. 

Che  mi  raggia  dintorno,  e  mi  nasconde 
Quasi  animai  di  sua  seta  fasciato. 

55.    Assai  m'  amasti,  ed  avesti  bene  onde; 

Che,  s'io  fossi  giù  stato,  io  ti  mostrava 
Di  mio  amor  più  oltre  che  le  fronde. 

58.    Quella  sinistra  riva  che  si  lava 

Di  Rodano,  poi  eh'  è  misto  con  Sorga, 
Per  suo  signore  a  tempo  m'  aspettava: 

61.    E  quel  corno  d'  Ausonia,  che  s' imborga 
Di  Bari,  di  Gaeta  e  di  Catona, 
Da  ove  Tronto  e  Verde  in  mare  sgorga. 

64.    Fulgeami  già  in  fronte  la  corona 

Di  quella  terra  che  il  Danubio  riga 
Poi  che  le  ripe  tedesche  abbandona; 


i\  Hivolsesi 


B.  Quaudo  parlai 


D.  Molto  saria 
B.  La  tua  letizia 


D.  stato,  ti  mostr. 


C.  D,  Bari ,   e  di  G. 
A.  D.  Gaieta 

A.  I.  Da  dove 


A.  già  in  testa 


44.  Dir  chi  siete  ||  Deh,  chi  siete   —   46.  E  quanto  {|  Eh  quanta  ||  0  quanta   —    vidi  lei   —   48.  alle  bellezze  sue    —    49.  Così  fatta 
i>«poi»e  :  Il  m.  —  50.  se  più  fossi  stato  —  tì3.  Là  ove  ||  Da  onde  —  Tronto  il  Verde  ||  tronco  il  V.  —  il  verde  mare  ~  65.  che  Danubio  riga 


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534 


VENERE.      AMOROSI. 


PARADISO    vili.    67  —  90. 


(re    ROBERTO.) 


1.  da  Kolo 


1.  2.  3.  CArioa  più 
1.  2.  larga  Parca 


1.  2.  'ó.  Ot'  ogni 


1.  aiicho  questo  caro 


67.    E  la  bella  Triiiacria,  che  caliga 

Tra  Pachino  e  Peloro,  sopra  il  golfo 
Che  riceve  da  Euro  maggior  briga, 

70.    Noii  per  Tifeo,  ma  per  nascente  solfo, 
Attesi  avrebbe  li  suoi  regi  ancora, 
Nati  per  me  di  Carlo  e  di  Ridolfo, 

73.    Se  mala  signoria,  che  sempre  accora 
Li  popoli  suggetti,  non  avesse 
Mosso  Palermo  a  gridar:  Mora,  mora. 

76.    E  se  mio  frate  questo  antivedesse, 
V  avara  povertà  di  Catalogna 
Già  fiiggiria,  perchè  non  gli  offendesse; 

79.    Che  veramente  provveder  bisogna 

Per  lui,  o  per  altrui,  sì  eh'  a  sua  barca 
Carcata  più  di  carco  non  si  pogna. 

82.    La  sua  natura,  che  di  larga  parca 

Discese,  avria  mestier  di  tal  milizia 
Che  non  curasse  di  mettere  in  arca. 

85.    Perocch'  io  credo  che  T  alta  letizia 

Che  il  tuo  parlar  m'infonde,  signor  mio, 
Là  've  ogni  ben  si  termina  e  s' inizia , 

88.    Per  te  si  veggia,  come  la  vegg'io, 

Grata  m'  è  più,  e  anco  questo  ho  caro. 
Perchè  il  discerni  rimirando  in  Dio. 


A.  Trjnaclia 


A.  B.  da  Kolo 


A.  Rodolfo 


D.  non  r  offend. 


B.  C.  D.   più  d  mrir 


B.  Ov*  ogni  A.'2.  < 
Dov'  ogni 

A.  si  vegga 

IJ.  anche  ho  qufsto  - 


68.  sopra  at golfo  —  71.  Accesi  avrebbe  —  88.  come  te  vegg'io  —  90.  rimirando  Iddio 


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VBNBBX.      AMOROSI. 


2.  3.  Si  eomf  rocca 


C  mi  fai  chiaro 


.■I.  t.  B.  C.  Come  esser 
può 


A.  t.  dove  tieni 


A.  I.  cerchi  prandi  (?) 


e.  in  la  mente 


PARADISO    Vni.    91  —  114.  (pioli  dissimili  ai  padri.)  535 

91.   Fatto  m'  hai  lieto,  e  cosi  mi  fa  chiaro, 

Poiché,  parlando,  a  dubitar  m'  hai  mosso, 

Come  uscir  può  di  dolce  seme  amaro. 
94.    Questo  io  a  lui;  ed  egli  a  me:  S' io  posso 

Mostrarti  un  vero,  a  quel  che  tu  domandi 

Terrai  il  viso  come  tieni  il  dosso. 
97.    Lo  ben  che  tutto  il  regno  che  tu  scandi 

Volge  e  contenta,  fa  esser  virtute 

Sua  provvidenza  in  questi  corpi  grandi; 
100.   E  non  pur  le  nature  provvedute 

Son  nella  mente  eh'  è  da  se  perfetta. 

Ma  esse  insieme  con  la  lor  salute. 
103.    Per  che  quantunque  questo  avco  saetta 

Disposto  cade  a  provveduto  fine, 

Sì  come  cosa  in  suo  segno  diretta. 
106.    Se  ciò  non  fosse,  il  ciel  che  tu  cammine 

Producerebbe  si  li  suoi  effetti, 

Che  non  sarebbero  arti,  ma  mine; 
109.   E  ciò  esser  non  può,  se  gì' intelletti 

Che  movon  queste  stelle  non  son  manchi, 

E  manco  il  primo  che  non  gli  ha  perfetti. 
112.    Vuoi  tu  che  questo  ver  più  ti  s*  imbianchi? 

Ed  io:  Non  già,  perchè  impossibil  veggio 

Che  la  natura,  in  quel  eh'  è  uopo,  stanchi 


A,  non  sarebbono  — 
r.  arte 


96.  Terrai  Io  viao  -  106.  cota  a  sno  segno  —  110.  movono  este  stelle  -   112.  che  questo  uer  —  vero  più  s' imbianchi 


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536 


VENERE.      AMOROSI. 


PARADISO    Vili.    115-138. 


1.2.  3.  insino 


2.  3.  Sf  rse 


1.  2.  8.  dietro 


(figli  dissimili  ai  padri.) 

115.  Ond'  egli  ancora:  Or  di',  sarebbe  il  peggio 
Per  r  uomo  in  terra  se  non  fosse  cive  ? 
Si,  rispos'  io,  e  qui  ragion  non  cheggio. 

118.    E  può  egli  esser,  se  giù  non  si  vive 
Diversamente  per  diversi  offici? 
No,  se  il  maestro  vostro  ben  vi  scrive. 

121.    Sì  venne  deducendo  infino  a  quici; 

Poscia  conchiuse:  Dunque  esser  diverse 
Convien  dei  vostri  eflFetti  le  radici: 

124.    Per  che  un  nasce  Solone,  ed  altro  Xerse, 
Altro  Melchisedech,  ed  altro  quello 
Che  volando  per  V  aere,  il  figUo  perse. 

127.    La  ch'cular  natura,  eh'  è  suggello 

Alla  cera  mortai,  fa  ben  sua  arte. 

Ma  non  distingue  l'  un  dall'  altro  ostello. 

130.    Quinci  addivien  eh'  Esaù  si  diparte 

Per  seme  da  Jacob,  e  vien  Quirino 
Da  sì  vii  padre  che  si  rende  a  Marte. 

133.    Natura  generata  il  suo  cammino 

Simil  farebbe  sempre  ai  generanti. 
Se  non  vincesse  il  provveder  divino. 

136.    Or  quel  che  t'  era  retro  t'  è  davanti; 

Ma  perchè  sappi  che  di  te  mi  giova. 
Un  corollario  vogUo  che  t'  ammanti. 


J}.  Ond*  ella 


A.  m.  e  quei  :  Ra^'.nr. 


B.  D.  insino 

A.  1.  (?)  B,  ▼ostri  affrtt 

B.  C.  D.  Sene 
a  e  I'  altro 


B.  C.  D.  dicwo 


A.  D.  eoTfùAmno 


118.  E  punte  ei;li  esser  —   120.  ben  mi  scrive  —   124.  un  nasce  Absalon   —   131.  seme  di  Jacob   —   133.  Nat  gen.  suo  ean».  — 
138.  Di  un  corollario 


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VKNERE.      AMOROSI. 


1.  2.  3.  che  fu  nato 


PARADISO    Vm.    139—148.  (figli  dissimili  ai  padri.) 

139.    Sempre  natura,  se  fortuna  trova 

Discorde  a  se,  come  ogni  altra  semente 
Fuor  di  sua  region,  fa  mala  prova. 

142.   E,  se  il  mondo  laggiù  ponesse  mente 
Al  fondamento  che  natura  pone. 
Seguendo  lui,  avria  buona  la  gente. 

145.   Ma  voi  torcete  alla  religione 

Tal  che  fia  nato  a  cingersi  la  spada, 
E  fate  re  di  tal  eh'  è  da  sermone; 

148.    Onde  la  traccia  vostra  è  fuor  di  strada. 


537 


A.  C.  Fuor  A  di  sua  ragion 


i?.  che  fu  nato 


A.  l.  Sicché  la  tr.  - 
D.  vostra  traccia 


199.  Natura  sempre  -  140.  Disparì  a  sé  -  144.  Seguendo  lei  -  147.  E  fatto  è  re 


III. 


68 


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CANTO  NONO 


-LJapoichè  Carlo  tuo,  bella  Clemenza, 
M'  ebbe  chiarito ,  mi  narrò  gì'  inganni 
Che  ricever  dovea  la  sua  semenza; 
4.    Ma  disse:  Taci,  e  lascia  volger  gU  anni; 

Sì  ch'io  non  posso  dir,  se  non  che:  pianto 
(Giusto  verrà  diretro  ai  vostri  danni. 
7.    E  già  la  vita  di  quel  lume  santo 

Rivolta  s'  era  al  sol  che  la  riempie, 
2  3.  Come  a  quel  Comc  qucl  bcn  eh'  ad  ogni  cosa  è  tanto, 

lo.    Ahi,  anime  ingannate,  e  fatture  empie, 
Che  da  sì  fatto  ben  torcete  i  cori, 
Drizzando  in  vanità  le  vostre  tempie! 
13.    Ed  ecco  un  altro  di  quegli  splendori 

Ver  me  si  fece,  e  il  suo  voler  piacermi 
Significava  nel  chiarir  di  fiiori. 
16.    Gli  occhi  di  Beatrice,  eh'  eran  fermi 

Sopra  me,  come  pria,  di  caro  assenso 
Al  mio  disio  certificato  fermi. 


R.  rliiftrAto 


A.  m.  Ma  el  disse  B.  D. 
Mi  disse  —  A.  \. 
lasci»  mover 


r.  D.  E  «ìà  U  vista 


D.  m.  nel  parer  di  fuori 


7.  E  gfà  la  luce  —  H.  Riv.  s'  era  al  ben  —  IO.  an.  ingann.,  &tue  ed  empie  —  17.  del  caro  ass.  ||  di  chiaro  ass. 


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540 


VENERE.      AMOROSI. 


PARADISO    IX.    19  —  42. 


CUNIZZA   DA   ROMANO. 


19.    Deh  metti  al  mio  voler  tosto  compenso, 
Beato  spirto,  dissi,  e  fammi  prova 
Ch'  io  possa  in  te  rifletter  quel  eh'  io  penso. 

22.    Onde  la  luce  che  m'  era  ancor  nuova,  /?.  m >«  gii  n^  n 

Del  suo  profondo,  ond'  ella  pria  cantava, 
Seguette,  come  a  cui  di  ben  far  giova: 

25.   In  quella  parte  della  terra  prava 
1. 2. 3.  intra  Riuto  Itallca,  chc  slcdc  tra  Rialto 

E  le  fontane  di  Brenta  e  di  Piava,  ^.  e  le »onu..t 

28.    Si  leva  un  colle,  e  non  surge  molt'  alto, 
j.  2. 3.  La  onde  Là  doudc  sccsc  già  una  facella,  b.  c.  d  u  .t> 

1.2. 3.  auacontr.  grande  Chc  fccc  alla  coutrada  uu  grande  assalto. 

31.    D'una  radice  nacqui  ed  io  ed  ella;  .4.  i.  nac^or 

Cunizza  fui  chiamata,  e  qui  refulgo, 
Perchè  mi  vinse  il  lume  d'  està  stella.  v.  deiu  steiu 

34.   Ma  hetamente  a  me  medesma  indulgo 

La  cagion  di  mia  sorte,  e  non  mi  noia, 

1.  2.  3.  forse  parria  Chc    panala    forSC    fortC    al    vostro    vulgo.  B.  forse  i»»m- 

1. 2.  chiara  gioia         37.    DÌ  qucsta  luculcnta  e  cara  gioia 

Del  nostro  cielo,  che  più  m'  è  propinqua. 
Grande  fama  rimase,  e,  pria  che  moia, 
40.    Questo  centesim'  anno  ancor  s' incinqua. 
Vedi  se  far  si  dee  1'  uomo  eccellente, 
Si  eh'  altra  vita  la  prima  relinqua! 

21.  Si  che  in'  te  possa,  rifl.  che  perno  ~  26.  Rio  alto  >-  32.  qui  rifulgo  • 


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VENERE.      AMOROSI.  PARADISO     IX.     43—66.  CUNIZZA    DA    ROMANO.  541 

43.    E  ciò  non  pensa  la  turba  presente, 

Che  Tagliaxnento  ed  Adice  richiude,  a.  Athyce 

Ne  per  esser  battuta  ancor  si  pente. 
46.    Ma  tosto  fia  che  Padova  al  palude 
2.vincen««  Cangerà  l'acqua  che  Vicenza  bagna,  ^.  vinceu»» 

Per  esser  al  dover  le  genti  crude. 
49.    E  dove  Sile  e  Cagnan  s'  accompagna,  a.  sìiw  -  />.  ca^ua 

Tal  signoreggia  e  va  con  la  testa  alta, 

Che  già  per  lui  carpir  si  fa  la  ragna. 
52.    Piangerà  Feltro  ancora  la  diffalta 

Dell'  empio  suo  pastor,  che  sarà  sconcia 

Sì,  che  per  simil  non  s'  entrò  in  Malta. 
55.    Troppo  sarebbe  larga  la  bigoncia 

Che  ricevesse  il  sangue  Ferrarese, 

E  stanco  clii  il  pesasse  ad  oncia  ad  oncia, 
58.    Che  donerà  questo  prete  cortese. 

Per  mostrarsi  di  parte;  e  cotai  doni 

Conformi  fieno  al  viver  del  paese.  ^.««10 

61.    Su  sono  specchi,  voi  dicete  Troni, 

Onde  rifulge  a  noi  Dio  giudicante. 

Sì  che  questi  parlar  ne  paion  buoni. 
64.    Qui  si  tacette,  e  feceini  sembiante 

Che  fosse  ad  altro  volta,  per  la  rota 

In  che  si  mise,  com'  era  davante. 

44.  Adìgf  —  49.  Silc  e  '1  Cagnan  —  s' incompagns  —  57.  stanco  che  cercasse 


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542 


VENKEE.      AMOROSI. 


PARADISO    IX.    67-90. 


FOLCO    DA   MARSIGLIA. 


1.  2.  3.  sei  ale 


I.  satisfari 


1.  2.  3.  Tra  discord. 


67.    V  altra  letizia,  che  m'  era  già  nota 

Preclara  cosa,  mi  si  fece  in  vista  a.  i.  per  w*  e  .>* 

Qual  fin  baiaselo  in  che  lo  sol  percota. 
70.  "Per  letiziar  lassù  fulgor  s'  acquista, 

Si  come  riso  qui;  ma  giù  s'  abbuia 

L'  ombra  di  fiior,  come  la  mente  è  trista. 
73.    Dio  vede  tutto,  e  tuo  veder  s' inluia, 

Diss'io,  beato  spirto,  sì  che  nulla 

Vogha  di  se  a  te  puote  esser  fuia.  -*♦  «•-  vogha  n  nr 

76.    Dunque  la  voce  tua,  che  il  ciel  trastulla 

Sempre  col  canto  di  quei  fochi  pii 

Che  di  sei  ali  fannosi  cuculia, 
79.    Perchè  non  satisface  ai  miei  disii? 

Già  non  attenderei  io  tua  domanda, 

S' io  m' intuassi,  come  tu  t' immii. 
82.    La  maggior  valle  in  che  1'  acqua  si  spanda, 

Incominciaro  allor  le  sue  parole, 

Fuor  di  quel  mar  che  la  terra  inghirlanda, 
85.    Tra  i  discordanti  Uti,  contra  il  sole  «.  r.  z>.  Trai 

Tanto  sen  va  che  fa  meridiano 

Là  dove  Y  orizzonte  pria  far  suole. 
88.    Di  quella  valle  fu*  io  Uttorano, 

Tra  Ebro  e  Macra,  che,  per  cammin  corto. 

Lo  Genovese  parte  dal  Toscano.  />.  p^^  i.,  ,^ 


A.  2.     Z>.     f*nrH.   U  ■ 
B.  C.  faceas  !* 

/?-    V.    U.   »»ti«5»': 


A.  come  t'  ìmrci 


eO.  Qttal  fin  baiasse  —  75.  puote  esser  buja  ~  78.  fatto  han  la  ouc.  —  86.  Tanto  si  va 


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VENXBK.      AMOROSI. 


PARADISO    IX.    91-114. 


FOLCO   DA  MABSIOLIA. 


543 


B.  D.  Rodupea 

ì).  Fu  già  da  Demof.  - 
A.  B.  D.  Demofonte 


91.    Ad  un  occaso  quasi  e  ad  un  orto 

Buggea  siede  e  la  terra,  ond'  io  fui, 
Che  fé'  del  sangue  suo  già  caldo  il  porto 
94.    Folco  mi  disse  quella  gente,  a  cui 

Fu  noto  il  nome  mio,  e  questo  cielo 
Di  me  s' imprenta,  com'  io  fei  di  lui; 
97.    Che  più  non  arse  la  figha  di  Belo, 
Noiando  ed  a  Sicheo  ed  a  Creusa, 
Di  me,  infin  che  si  convenne  al  pelo; 
2.3.  Rodopea  100.   Né  quella  Rodopeia,  che  delusa 

Fu  da  Demofoonte,  ne  Alcide 
Quando  Iole  nel  cor  ebbe  richiusa. 
103.    Non  però  qui  si  pente,  ma  si  ride, 

Non  deUa  colpa,  eh'  a  mente  non  torna, 
!.3.deiTaior,chopd.  Ma  dcl  valorc  ch'ordinò  e  prò  vide. 

106.    Qui  si  rimira  nell'  arte  che  adorna 
!.  3.  Con  tanto  affetto  Cotauto  cfifetto ,  c  disccmesi  il  bene 

t.  3.  Perchè  al  mondo  Pcr    ChC    Ìl    mOUdO    di    SU    qUel    di    giù    torna.       />.  Perch' ai  mondo 

109.   Ma  perchè  le  tue  voghe  tutte  piene 

Ten  porti,  che  son  nate  in  questa  spera. 

Procedere  ancor  oltre  mi  conviene. 
112.    Tu  vuoi  saper  chi  è  in  questa  lumiera. 

Che  qui  appresso  me  cosi  scintilla, 

Come  raggio  di  sole  in  acqua  mera. 


B.  (\  U.  valor,  oh'  ord. 


B.  C.  D.   Con  tanto  - 
B.  D.  affetto 


92.  Buggea  si  vede  -  102.  ebbe  rinch.  —  105.  del  voler  —  106.  Perche  il  modo  ||  Perchè  al  modo  —  di  giù  quel  di  su  —   113.  qui 
o  di  me 


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544  VKNERE.      AMOROSI.  PARADISO     IX.     115—138.  RAAB. 

115.    Or  sappi  che  là  entro  si  tranquilla  d.  che  q.»  entn» 

Raab,  ed  a  nostr'  ordine  congiunta 
2. Diluì  Di  lei  nel  sommo  grado  si  sigilla. 

1.  Di  questo  118.    Da  questo  cielo,  in  cui  V  ombra  s'  appunta, 

Che  il  vostro  mondo  face,  pria  eh'  altr'  alma  o.  i.  mondo  few 

Del  trionfo  di  Cristo  fd  assunta. 
121.    Ben  si  convenne  lei  lasciar  per  palma 

In  alcun  cielo  dell'  alta  vittoria 

Che  s'acquistò  con  1' una  e  l'altra  palma;    i>.  cbes»o»cc40 
124.    Per  eh'  ella  favorò  la  prima  gloria 

Di  Josuè  in  sulla  Terra  Santa, 

Che  poco  tocca  al  papa  la  memoria. 
127.   La  tua  città,  che  di  colui  è  pianta 

Che  pria  volse  le  spalle  al  suo  fattore, 

E  di  cui  è  la  invidia  tanto  pianta,  x>.  uinr.  mttaqnt. 

130.    Produce  e  spande  il  maledetto  fiore 

Ch'  ha  dis\iate  le  pecore  e  gU  agni. 

Perocché  fatto  ha  lupo  del  pastore.  a.  2.  a  n.  Pf^r^i  : 

fatto  lopo 

133.    Per  questo  1'  Evangelio  e  i  Dottor  magni 
Son  dereUtti,  e  solo  ai  DecretaU 
Si  studia  sì,  che  pare  ai  lor  vivagni. 
1.  papa  e  card.  136.    A  qucsto  iuteude  il  papa  e  i  cardinaU: 

Non  vanno  i  lor  pensieri  a  Nazzarette, 
Là  dove  Gabbriello  aperse  1'  ah. 

119.  in  pria  ch*  altr*  alma  -  123.  Ch*  ei  s*  acqu.  —  136.  int  e  il  papa  -  137.  Non  hanno  i  lor  p.  -  138.  Gabbrièl  ||  G«bn«lc 


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VKNERE.      AMOROSI. 


PARADISO    IX.    139-142. 


FOLCO    DA    MARSIGLIA. 


1.  2.  3.  cimitero 


1.  2.  3.  adultero 


139.   Ma  Vaticano,  e  Y  altre  parti  elette 
Di  Roma,  che  son  state  cimiterio 
Alla  milizia  che  Pietro  seguette, 

142.    Tosto  Ubere  fien  dell'  adulterio. 


545 


B.  C.  D.  cimitero 


D.  Della  milizia 

D.  Uh.  tosto  -  ^.  l. 
daU-  ad.  -  B.  C.  JJ. 
adultero 


III. 


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CANTO  DECIMO 


1.  2.  3.  moto  ali*  altro 


fjruardando  nel  suo  figlio  con  V  amore 
Che  r  uno  e  1'  altro  etemalmente  spira, 
Lo  primo  ed  inefiabile  valore, 
1. 2. 3.  o  per  occhio       4.    Quauto  per  mente  o  per  loco  si  gira 

Con  tanto  ordine  fé',  eh*  esser  non  puote 
Senza  gustar  di  lui  chi  ciò  rimira. 
7.   Leva  dunque,  lettor,  all'  alte  rote 
Meco  la  vista  dritto  a  quella  parte 
Dove  r  un  moto  e  1'  altro  si  percote; 

10.   E  lì  comincia  a  vagheggiar  nell'  arte 

Di  quel  maestro,  che  dentro  a  se  1'  ama 
Tanto  che  mai  da  lei  1'  occhio  non  parte. 

13.   Vedi  come  da  indi  si  dirama 

L'  obbliquo  cerchio  che  i  pianeti  porta, 
Per  satisfare  al  mondo  che  U  chiama; 

16.   E  se  la  strada  lor  non  fosse  torta, 

Molta  virtù  nel  ciel  sarebbe  in  vano, 
E  quasi  ogni  potenza  quaggiù  morta. 


..  2.  r  obblico 


J}.  r  uno  all'  altro 


A,  Cotanto  ordine 

A.  1.  (?)  A.  m.  C.  I).  ehi 
ben  rim.  B.  ciò  che 


V.  la  vista  drìtU 
B.  D.  moto  air  altro 


B,  D.  V  oblieo 


8.  dritto  in  quella  parte  —  10.  Elli  comincia  —  16.  Che  se  la  strada 


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548 

1.  2.  3.  dal  dritto 


SOL£.      TEOLOGI. 


1.  Drietu 


2.  8.  Che  a  se  ritorce 


1.  2.  3.  ugui  ora 


^.2.  C.  dal  dhth 


C.  Ch*  a  »r  nti.rf 


PARADISO    X.    19  —  42.  dante  e  beatrice. 

19.   E  se  da  dritto  più  o  men  lontano 

Fosse  il  partire,  assai  sarebbe  manco, 

E  giù  e  su,  dell'  ordine  mondano. 
22.    Or  ti  riman,  lettor,  sopra  il  tuo  banco. 

Dietro  pensando  a  ciò  che  si  preliba, 

S'  esser  vuoi  lieto  assai  prima  che  stanco. 
25.    Messo  t'ho  innanzi:  omai  per  te  ti  ciba; 

Che  a  se  torce  tutta  la  mia  cura 

Quella  materia  ond'  io  son  fatto  scriba. 
28.    Lo  ministro  maggior  della  natura, 

Che  del  valor  del  cielo  il  mondo  imprenta,    x>.  dei  ciei  i .«.  : 

E  col  suo  lume  il  tempo  ne  misura, 
31.    Con  quella  parte  che  su  si  rammenta 

Congiunto,  si  girava  per  le  spire 

In  che  più  tosto  ognora  s'  appresenta. 
34.    Ed  io  era  con  lui;  ma  del  salire 

Non  m' accors'  io,  se  non  com'  uom  s'  accorge. 

Anzi  il  primo  pensier,  del  suo  venire: 


A.  2.  B.  C  D.  I 

-  B.r.D> 


i.EBcatr.2  3.ohBeatr.  37.    È  Beatrìcc ,  qucUa  che  si  scorge 

-  1.  2.  3.  si  scorge 

Di  bene  in  meglio,  sì  subitamente 
1. 2, 3.  sporge,  Chc  1'  atto  SUO  per  tempo  non  si  sporge. 

1.2. 3.  lucente!  40.    Quaut' csscr  convenia  da  se  lucente 

Quel  ch'era  dentro  al  sol  dov'  io  entra'mi, 
2. 3. parxcnt*.  Nou  pcr  color,  ma  per  lume  parvente! 


19.  Che  se  dal  dritto  —  21.  E  su  e  giti  —  32.  girava  con  le  spire  —  33.  ogni  ora  l'  appreseuta  —  37.  Eh  Beatrice  (?)  - 
quella ,  clic  si  —  ((uella  che  mi  scorge  —  41.  Che  quel .  eh*  era  entro  al  sole  ov*  io 


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DANTS   E   BSATBICE, 


SOLE.     TSOLOOi.  PARADISO    X.    43  —  66. 

i. 3. lo i.,«. e  1  «rte      43.    Perch'io  lo  ingegno,  l'arte  e  l'uso  chiami, 

Sì  noi  direi  che  mai  s' immaginasse, 
Ma  creder  puossi,  e  di  veder  si  brami. 

46.    E  se  le  fantasie  nostre  son  basse 

A  tanta  altezza,  non  è  maravigUa, 

Che  sopra  il  sol  non  fu  occhio  eh'  andasse. 

49.    Tal  era  quivi  la  quarta  famiglia 

Dell'  alto  padre  che  sempre  la  sazia, 
Mostrando  come  spira  e  come  figlia. 
.  2. 3.  omiuciò  52.    E  Beatrice  incominciò  :  Ringrazia, 

Ringrazia  il  sol  degli  Angeli,  eh'  a  questo 
Sensibil  t'  ha  levato  per  sua  grazia. 

55.  Cor  di  mortai  non  fii  mai  sì  digesto 
A  devozione,  ed  a  rendersi  a  Dio 
Con  tutto  il  suo  gradir  cotanto  presto, 

58.    Com'  a  quelle  parole  mi  fec'  io  ; 

E  sì  tutto  il  mio  amore  in  lui  si  mise. 
Che  Beatrice  eclissò  nell'  obbho. 

61.    Non  le  dispiacque;  ma  sì  se  ne  rise, 

Che  lo  splendor  degli  occhi  suoi  ridenti 
Mia  mente  unita  in  più  cose  divise. 

64.    Io  vidi  più  fulgor  vivi  e  vincenti 

Far  di  noi  centro  e  di  se  far  corona. 
Più  dolci  in  voce  che  in  vista  lucenti. 


549 

A.  %  C.  lo  ing.  e  1'  arte 


A.  2.  B.  C.  D.  cominciò 


D.  Non  li  disp. 


57.  Con  tutto  il  suo  gridar  —  59.  E  se  tutto  —  63.  in  più  pensier  divise  —  66.  in  voci 


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550  ^^^^'    TEOLOGI.  PARADISO   X.   67—90.  Thomas  d' AQumo. 

67.    Cosi  cinger  la  figUa  dì  Latona 

Vedem  tal  volta,  quando  1'  aere  è  pregno       x2.qn«Hrer»^ 
Sì,  che  ritenga  il  fil  che  fa  la  zona. 
1. 2. 3.  dond- io  70.   Nella  corte  del  ciel,  ond' io  rivegno,  A/^.dopdio 

Si  trovan  molte  gioie  care  e  belle  a  sì  troT.i 

Tanto,  che  non  si  posson  trar  del  regno, 

73.   E  il  canto  di  quei  lumi  era  di  quelle;  xi.  ieutiO) -. 

eran  (?) 

Chi  non  s' impenna  sì,  che  lassù  voli, 
Dal  muto  aspetti  quindi  le  novelle. 
76.    Poi,  sì  cantando,  quegli  ardenti  soU 

Si  fiir  girati  intomo  a  noi  tre  volte, 
1.  ai  fissi  p.  Come  stelle  vicine  ai  fermi  poli,  z?.  rie.  .remi p 

B.  ai  iasi  pc 

79.   Donne  mi  parver,  non  da  ballo  sciolte. 
Ma  che  s*  arrestin  tacite ,  ascoltando 
Fin  che  le  nuove  note  hanno  ricolte.  ^  i.  lenoTc 

82.  E  dentro  all'  un  senti'  cominciar  :  Quando 
Lo  raggio  della  grazia,  onde  s'  accende 
Verace  amore,  e  che  poi  cresce  amando 

85.   MultipUcato,  in  te  tanto  risplende. 

Che  ti  conduce  su  per  quella  scala, 
U'  senza  risaUr  nessun  discende, 

88.    Qual  ti  negasse  il  vìn  della  sua  fiala 
Per  la  tua  sete,  in  libertà  non  fora. 
Se  non  com'  acqua  eh'  al  mar  non  si  cala. 


A.  mi.   e.  D.  :.  Jt 
adei 


D.  per  la  S6a  s<^ 


fìB.  Si,  che  ricinga   —  che  la  fa  zona  ||  che  i  fa  la  x.   —  72.  trar  di  regno  —  77.  intomo  a  me  —  83.  grasia,  in  cbe  »»f^" 
84.  amore ,  ohe  —  90.  C'Osì  com'  acqua 


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80LB.      TEOLOGI. 


PARADISO    X.    91-114. 


ORAZIANO.      SALOMONE. 


551 


91.    Tu  vuoi  saper  di  quai  piante  s' infiora 

Questa  ghirlanda,  che  intorno  vagheggia 
La  bella  donna  eh'  al  ciel  t'  avvalora. 
94.    Io  fili  degli  agni  della  santa  greggia. 
Che  Domenico  mena  per  cammino, 
LDu  ben  U'  bcu  s' Impiugua  se  non  si  vaneggia. 

97.    Questi,  che  m'  è  a  destra  più  vicino, 

Frate  e  maestro  fammi,  ed  esso  Alberto 
.  2. 3.  È  di  coiogna  Fu  di  Coloiùa,  cd  io  Thomas  d'Aquino. 

. 2. 3.  Se  tu  di  tutti     100.    Se  si  di  tutti  gli  altri  esser  vuoi  certo, 

Diretro  al  mio  parlar  ten  vien  col  viso 
Girando  su  per  lo  beato  serto: 
103.    Queir  altro  fiammeggiare  esce  del  riso 
Di  Grazian ,  che  Y  uno  e  1'  altro  foro 
Aiutò  si  che  piace  in  Paradiso. 
106.   L'  altro  eh'  appresso  adorna  il  nostro  coro, 
Quel  Pietro  fii  che,  con  la  poverella, 
.  2. 3.  n  suo  tesoro  Offcrsc  a  Santa  Chiesa  suo  tesoro. 

109.   La  quinta  luce,  eh'  è  tra  noi  più  bella, 

Spira  di  tale  amor,  che  tutto  il  mondo 
Laggiù  ne  gola  di  saper  novella. 
112.    Entro  v'  è  1'  alta  mente  u'  si  profondo 

Saper  fu  messo,  che,  se  il  vero  è  vero, 
A  veder  tanto  non  surse  il  secondo. 


2.  3.  La^ù  n'  lia  gol» 
2.  3.  r  Alta  luce 


A.   2.    C\   D,    Padre    e 
maestro 

A.  2.  B.  C.  D.tàì  Col. 
-  B.  C.  D.  Gologna 


D.  Girando  '1  su 


D,  il  suo  tesoro 


D.  Dentro  nell'  alta  — 
B.  r  alta  luce 


97.  E  questi  —  96.  ed  esso  è  Alberto  —  99.  Di  Colonia  —  100.  degli  altri  tutti  ~  101.  Diretto  al  mio  p.  —   106.  che  piacque  in 
I  ohe  pare  in  P.  —  106.  A  Santa  Chiesa  offerse  —  111.  Laggiù  le  gola  —  112.  un  si  profondo 


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552 


SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    X.    115  —  138. 


O  SOSIO.      BOEZIO. 


115.    Appresso  vedi  il  lume  di  quel  cero 

Che,  giuso  in  carne,  più  addentro  vide 
L'  angelica  natura  e  il  ministero. 

118.    Neir  altra  piccioletta  luce  ride 
1. 2. 3.  templi  crist.  Quell'  avvocato  dei  tempi  cristiani, 

i.Agu«tin2.3.  ARostin  Del  cuì  latluo  Augustiu  si  provvide. 

121.    Or,  se  tu  r  occhio  della  mente  trani 

Di  luce  in  luce,  dietro  alle  mie  lode, 
Già  dell'  ottava  con  sete  rimani. 

124.    Per  vedere  ogni  ben  dentro  vi  gode 

L'  anima  santa,  che  il  mondo  fallace 
Fa  manifesto  a  chi  di  lei  ben  ode. 

127.    Lo  corpo  ond'  ella  fu  cacciata  giace 

Giuso  in  Cieldauro,  ed  essa  da  martiro 
E  da  esilio  venne  a  questa  pace. 

130.    Vedi  oltre  fiammeggiar  1'  ardente  spiro 
D'Isidoro,  di  Beda,  e  di  Riccardo 
Che  a  considerar  fii  più  che  viro. 

133.    Questi,  onde  a  me  ritoma  il  tuo  riguardo, 
E  il  Ixune  d'  uno  spirto ,  che  in  pensieri 
Gravi,  a  morir  gli  parve  venir  tardo. 

136.    Essa  è  la  luce  etema  di  Sigieri 

Che,  leggendo  nel  vico  degli  strami. 
Sillogizzò  invidiosi  veri. 


1.  D*  bidero 


1.  2.  a  morire  -  1.  2.  3- 
esser  tardo 


giù  in  r  C.c^ 

e.  -  r.  pi  •- 

vide 


B.   C.  templi  rn* 

B.  Di  cui  labri  - 
Agastin 


J9.  dal  marriri 


C.  Dì  Sideru  f 


2.  C.  JJ.  (^Br£ 
É  U  lame  «T  u 
1.  Grarì  iJ  =  ' 


r  . 

Seggieri 


115.   Appr.  vidi   —    119.  di  tempi  crist.   —  122.  alle  melode   —   126.  a  chi  da  lei  —   128.   in  Cieldoro   —    \ZL   «die  i  jf^ 
185.  Grave  a  morir  —  gli  parve  a  venir  tardo 


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SOLE.     TEOLOGI.  PARADISO    X.    139  —  148.  dante  e  beatrice.  553 

139.   Indi  come  orologio,  che  ne  chiami 

Neil'  ora  che  la  sposa  di  Dio  surge 
A  mattinar  lo  sposo  perchè  1'  ami, 

l.i.  .3.  parte  e  r  altra       142.      CllC    1'  Una    partC    l'altra    tira    ed    urge,  ^.  />.  parte  e  r  »ltra 

Tin  tin  sonando  con  si  dolce  nota,  /?.  Tin  tin  tanUDdo 

Che  il  ben  disposto  spirto  d'  amor  turge  ; 
145.    Cosi  vid'  io  la  gloriosa  rota 

Moversi,  e  render  voce  a  voce  in  tempra      e,  »  render 
Ed  in  dolcezza,  eh'  esser  non  può  nota, 
1. 2. 3.  dove  il  ipoir      148.    Sc  uou  colà  dovc  gioir  s' insempra. 


144.  Che  ben  disposto  —  145.  glor.  nota 


III.  70 


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CANTO  DECIMOPRMO 


dietro  a  giura  —  1. 
amphorismi 


,  2.  3.  e  per  sofismi 


vJ  insensata  cura  dei  mortali, 
Quanto  son  difettivi  sillogismi 
Quei  che  ti  fanno  in  basso  batter  Y  ali! 
4.    Chi  dietro  a  iura,  e  chi  ad  aforismi 

Sen  giva,  e  chi  seguendo  sacerdozio, 
E  chi  regnar  per  forza  o  per  sofismi, 
7.   E  chi  rubare,  e  chi  civil  negozio, 

Chi,  nel  diletto  della  carne  involto, 
S'  affaticava,  e  chi  si  dava  all'  ozio; 

10.    Quando,  da  tutte  queste  cose  sciolto. 
Con  Beatrice  m'  era  suso  in  cielo 
Cotanto  gloriosamente  accolto. 

13.    Poi  che  ciascimo  fii  tornato  ne  lo 

Punto  del  cerchio,  in  che  avanti  s'  era, 
Fermossi  come  a  candellier  candelo. 

16.    Ed  io  senti'  dentro  a  queUa  lumiera, 

Che  pria  m'  avea  parlato,  sorridendo 
Incominciar,  facendosi  più  mera: 


1).  difett  i  Bill. 


A.  1.   C.  amforismi   B. 
D.  anfor. 


D,  e  per  sofismi 
D.  Chi  di  rubare 


D.  ciascun  fu  ritom. 


A.  2.  Fermo  si   C.  Fer- 
mi sì 


3.  che  fiuiti  io  abisso  ~  7.  E  chi  in  mb.,  e  chi  in  civ.  d.  —  10.  Quand'io,  da  tutte  —  15.  Fermarsi  —  16.  dentro  la  lumiera 

70* 


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556 


SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    XI.    19-42. 


(san  fbakcesco.) 

i. 2. 3.  m* accendo        19.    Così  coih' io  dcl  SUO  raggio  risplendo, 

Si,  riguardando  nella  luce  eterna, 
Li  tuoi  pensieri,  onde  cagioni,  apprendo. 

1. 2. 3.  chr  si  riccrn»    22.    Tu  dubbl,  cd  hai  voler  che  si  discerna 


1.  2.  3.  e  sì  dist. 


I.  iVon  nacque 


I.  in  amore 


1.2. d'amendue  3. d'am- 
bedue 


In  sì  aperta  e  in  si  distesa  lingua 

Lo  (licer  mio,  eh'  al  tuo  sentir  si  stema, 

25.  Ove  dinanzi  dissi:  U^  ben  s^  impingua ^ 
E  là  u'  dissi:  Non  surse  il  secondo; 
E  qui  è  uopo  che  ben  si  distingua. 

28.   La  provvidenza,  che  governa  il  mondo 

Con  quel  consiglio  nel  quale  ogni  aspetto 
Creato  è  vinto  pria  che  vada  al  fondo, 

3L   Perocché  andasse  ver  lo  suo  diletto 
La  sposa  di  colui,  eh'  ad  alte  grida 
Disposò  lei  col  sangue  benedetto, 

34.   Li  se  sicura  ed  anco  a  lui  più  fida. 
Due  Principi  ordinò  in  suo  favore, 
Che  quinci  e  quindi  le  fosser  per  guida. 

37.   L'  un  fii  tutto  serafico  in  ardore, 

L'  altro  per  sapienza  in  terra  fue 
Di  cherubica  luce  uno  splendore. 

40.    Dell'  un  dirò,  perocché  d'  ambo  e  due 

Si  dice  r  un  pregiando,  qual  eh'  uom  prende, 
Perchè  ad  im  fine  fiir  1'  opere  sue. 


A.  2.  ond«  caci'''t.-t  • 
D.  onde  rigic 

A.'L  B.C.  f\itiir- 

B.  C.  e  si  «list. 
f\  si  srrrna 

C.  Dorè 

A.  I.  Là 'Te  dai 
B.  C.  .\o"  w 


D.  Terso  '1  n 


A.  2.B.r.D 
Ini 


J}.   foSSOD 


A,  2.  imbe djf  t 
ameiidce 


21.  onde  caggion  ||  ond'  è  cagione  (?)  —  22.  Ta  dnbbi.  e  vaoli  a  te  che  —  25.  dianzi  —  36.  li  foaser  —  37.  tanto  «fn^*** 


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80LB.      TKOLOOI. 


PARADISO    XI.    43 -( 


(san  pbancesco.) 


557 


1.  2.  3.  dal  beato 

1.  monte  d'  alta  rosta 


1.  2.  3.  greve 

1.  2.  3.  quella  rosta 


1.  Tirtù  alcun 


1.  2.  3.  E  dinanzi 


1. 2. 3.  Mille  e  cent*  anni 


43.    Intra  Tupino,  e  1'  acqua  che  discende 
Del  colle  eletto  del  beato  Ubaldo, 
Fertile  costa  d'  alto  monte  pende, 

46.    Onde  Perugia  sente  freddo  e  caldo 
Da  porta  Sole,  e  diretro  le  piange 
Per  grave  giogo  Nocera  con  Gualdo. 

49.    Di  questa  costa,  là  dov'  ella  jfrange 

Più  sua  rattezza,  nacque  al  mondo  un  sole, 
Come  fa  questo  tal  volta  di  Gange. 

52.    Però  chi  d'  esso  loco  fa  parole 

Non  dica  Ascesi,  che  direbbe  corto, 
Ma  Oriente,  se  proprio  dir  vuole. 

55.    Non  era  ancor  molto  lontan  dall'  orto, 
Ch'  ei  cominciò  a  far  sentir  la  terra 
Della  sua  gran  virtute  alcun  conforto; 

58.    Che  per  tal  donna  giovinetto  in  guerra 

Del  padre  corse,  a  cui,  com'  alla  morte, 
La  porta  del  piacer  nessun  disserra, 

61.  Ed  innanzi  alla  sua  spiritai  corte. 
Et  coram  patre  le  si  fece  unito; 
Poscia  di  dì  in  di  1'  amò  più  forte. 

64.    Questa,  privata  del  primo  marito. 

Mille  cent'  anni  e  più  dispetta  e  scura 
Fino  a  costui  si  stette  senza  invito; 


B.  Del  collo 

B.  monte   d*  alta  costa 
—  C.  prende 

B.  Perogia 

B.  D,  greve 
B.  quella  costa 


(\  Non  dica  Scesi 


B.  virtù  alcun 


A.  2.  B.  r.  D.  E  dinanzi 


44.  Dal  colle  eletto  —  47.  dietro  le  piange  —  48.  Per  gr.  gioco  —  53.  Aasesi  —  56.  Che  cominciò   -  62.  li  si  fece 


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558 


SOLE.      TEOLOGI. 


I.  2.  3.  con  Cristo  aftlse 


PARADISO    XI.    67-90.  (sak  prahcesoo.) 

67.    Ne  valse  udir  che  la  trovò  sicura 

Con  Amiclate,  al  suon  della  sua  voce, 
Colui  eh'  a  tutto  il  mondo  fé'  paura; 

70.  Ne  valse  esser  costante,  ne  feroce, 
Si  che,  dove  Maria  rimase  giuso. 
Ella  con  Cristo  pianse  in  sulla  croce. 

73.   Ma  perch'  io  non  proceda  troppo  chiuso , 

Francesco  e  Povertà  per  questi  amanti  b. 

Prendi  oramai  nel  mio  parlar  diffiiso. 

76.    La  lor  concordia  e  i  lor  lieti  sembianti. 
Amore  e  maraviglia  e  dolce  sguardo 
1. 2. 3.  de- penaier  Faccau  csscr  cagiou  di  pensier  santi; 

79.    Tanto  che  il  venerabile  Bernardo 

Si  scalzò  prima,  e  dietro  a  tanta  pace 
Corse,  e  correndo  gli  parv'  esser  tardo. 

82.    0  ignota  ricchezza,  o  ben  ferace! 

Scalzasi  Egidio,  scalzasi  Silvestro, 
Dietro  allo  sposo;  sì  la  sposa  piace. 

85.   Indi  sen  va  quel  padre  e  quel  maestro 

Con  la  sua  donna,  e  con  quella  famigUa 
Che  già  legava  1'  mnile  capestro  ; 

88.    Ne  gli  gravò  viltà  di  cor  le  cigUa, 
Per  esser  fi'  di  Pietro  Bemardone , 
Ne  per  parer  dispetto  a  maraviglia. 


i.  2.  3.  ben  verace 
I.  2.  3.  e  BcalzMi 


B.  D.  de'  pensier 

A.  retro 

B.  J).  verace 
B.  D.  e  sralusi 

A,  1.  qu.  padre,  qc  = 


.  ('ostuì  eh'  a  tatto  —  70.  Non  valse  ->  74.  di  questi  am.  -  7&  Faoien  esser  cag.  —  89.  esser  fio  —  figlio  di  Pier  Bmardow 


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SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    XI.    91  —  114. 


(san  psamcbsco.) 


559 


91.   Ma  regalmente  sua  dura  intenzione 

Ad  Innocenzio  aperse,  e  da  lui  ebbe 
Primo  sigillo  a  sua  religione. 
94.    Poi  che  la  gente  poverella  crebbe 

Dietro  a  costui,  la  cui  mirabil  vita 
Meglio  in  gloria  del  ciel  si  canterebbe, 
97.    Di  seconda  corona  redimita 

Fu  per  Onorio  dall'  eterno  spiro 
La  santa  voglia  d'  esto  archimandrita: 
100.    E  poi  che,  per  la  sete  del  martiro, 
Nella  presenza  del  Soldan  superba 
Predicò  Cristo  e  gli  altri  che  il  seguirò, 
103.   E  per  trovare  a  conversione  acerba 
1.2.3.  u  gente,  e  per  Troppo  la  gcutc,  pcr  uou  starc  indarno, 

DOD 

Reddissi  al  frutto  dell'  italica  erba; . 
2. 3.  Tevere  106.    Nel  CHido  sasso ,  intra  Te  vero  ed  Arno, 

Da  Cristo  prese  1'  ultimo  sigillo , 

Che  le  sue  membra  due  anni  portamo. 
109.    Quando  a  colui  eh'  a  tanto  ben  sortiUo, 

Piacque  di  trarlo  suso  alla  mercede, 
1.2.3.  Ch'egli  acquistò  Ch'  cì  mcritò  ucl  SUO  farsl  pusillo, 

112.    Ai  frati  suoi,  sì  com'  a  giuste  erede. 

Raccomandò  la  sua  donna  più  cara, 
i.r»mMser  con  fede  E  comaudò  chc  1' amasscro  a  fede; 


D.  realmente 


B,  Vero  sigillo 


A.  Retro 


A.   1.   Redissi    C.  Tor- 
nossi 

D.  tra  TcT.  —  B.  Tevere 
A.  C.  Di  Cristo 


A.  1.  di  trarlo  alla  sua 

mere. 

B.  Ch*  egli  acquistò 


B.  (\  I).  la  donna  sua 


103.  Ei  per  trov.  ||  E  per  tornare  —  110.  sn  alla  mercede  —  111.  Che  meritò  —  112.  a  giusti  erede  ||  a  giasto  er. 


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560  SOLE.     TKOLOOi.  PARADISO    XI.    115—139.  (domenicani.) 

115.    E  del  suo  grembo  V  anima  preclara 
i.  «ivou..  Mover  si  volle,  tornando  al  suo  regno,  i?.  «voue 

1.  non  voue  Ed  al  SUO  corpo  non  volle  altra  bara.  b.  non  voue 

118.    Pensa  oramai  qual  fu  colui,  che  degno 

Collega  fii  a  mantener  la  barca 

Di  Pietro  in  alto  mar  per  dritto  segno! 
121.    E  questi  fii  il  nostro  patriarca; 

Per  che  qual  segue  lui,  com' ei  comanda,      />.  chi5«j«e 
1. 2. 3.  buona  merce  Disccmer  puoi  chc  buouc  merce  carca. 

124.    Ma  il  suo  peculio  di  nuova  vivanda 

E  fatto  ghiotto  si,  eh'  esser  non  puote 

Che  per  diversi  salti  non  si  spanda; 
127.    E  quanto  le  sue  pecore  remote 

E  vagabonde  più  da  esso  vanno. 

Più  tornano  all'  ovil  di  latte  vote. 
130.    Ben  son  di  quelle  che  temono  il  danno, 

E  stringonsi  al  pastor;  ma  son  si  poche. 

Che  le  cappe  fornisce  poco  panno. 
133.    Or,  se  le  mie  parole  non  son  fioche. 

Se  la  tua  audienza  è  stata  attenta. 

Se  ciò  eh'  ho  detto  alla  mente  rivoche, 
136.    In  parte  fia  la  tua  vogUa  contenta. 

Perchè  vedrai  la  pianta  onde  si  scheggia, 
1.2.  il  corregger     3.  E  vcdral  il  corcgglcr  che  argomenta  A.i.veArù-B.  0.^:1 

che  »'  argomenta  eonrgger 

2.  i)u  heu  »  imp.         139.    C  òeu  s^  impiììgKQy  se  non  si  vaneggia. 


A.  2.  r.  E  «  U  tua  - 
(\  D.  udienza 


116.  Partir  si  volle  —  118.  chi  fu  colui  ||  qual  fu  quei  —  121.  E  questo  fu  —  122.  Però  qual  segue  —  qual  segui  -  135.  Sr  no  "^  ' 
(1eu<i  —  138.  K  vedrà  —  al  corr.  ||  lo  corr.  —  correggiere  (|  correggierì  ||  corredar  (|  correlano  —  che  1'  argumenta 


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CANTO  DECIMOSECONDO 


2.  3.  d'  uà  cerchio 


2.  3.  quel  che  rifuse 


3.  GKunone 


^ì  tosto  come  Y  ultima  parola 
La  benedetta  fiamma  per  dir  tolse, 
A  rotar  cominciò  la  santa  mola; 
4.    E  nel  suo  giro  tutta  non  si  volse 

Prima  eh'  un'  altra  di  cerchio  la  chiuse, 
E  moto  a  moto,  e  canto  a  canto  colse; 
7.    Canto,  che  tanto  vince  nostre  Muse, 
Nostre  Sirene,  in  quelle  dolci  tube, 
Quanto  primo  splendor  quel  eh'  ei  refuse. 

10.    Come  si  volgon  per  tenera  nube 
Due  archi  paralleU  e  concolori, 
Quando  Junone  a  sua  ancella  iube, 

13.    Nascendo  di  quel  d'  entro  quel  di  fuori, 
A  guisa  del  parlar  di  quella  vaga, 
Ch'  amor  consunse  come  sol  vapori; 

16.    E  fanno  qui  la  gente  esser  presaga, 

Per  lo  patto  che  Dio  con  Noè  pose, 

Del  mondo  che  giammai  più  non  si  allaga: 


fi.  D.  d'  un  cerchio 

C.  e  a  canto  a  e.  —  A. 
1.  a  canto  accolse 


B.  U.  quel  che  refuse 


9.  quel  che  rifluse  —  10.  Come  si  veggion  —  per  tenue  nube  —  15.  come  il  sol  —  17.  patto  che  Iddio  —  18.  più  non  allaga 
III.  71 


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562  ^^^^'    TEOLOGI.  PARADISO    XIL    19  —  42.  s.  Bonaventura. 

19.    Così  di  quelle  sempiterne  rose 

Volgeansi  circa  noi  le  due  ghirlande,  /?.  voi^dorim. 

2. 3.  air  intima  E  sì  1'  estrcma  air  ultima  rispose. 

1.2.3.  l'altra  festa      22.    Polcliè  il  tiipudio  e  Y  alta  festa  grande,  ^2.  b.  c.d.:. 

festa 

Sì  del  cantare  e  sì  del  fiammeggiarsi, 
Luce  con  luce  gaudiose  e  blande, 

A.  1.  Ins.  al  par'?  - 

25.    Insieme  a  punto  ed  a  voler  quetarsi,  «••  c.^xà^. 

quetarsi 

Pur  come  gli  occhi  eh'  al  piacer  che  i  move 
Conviene  insieme  chiudere  e  levarsi, 
28.    Del  cor  dell'  una  delle  luci  nuove  -<•  i^*»  ^^°^' 

Si  mosse  voce,  che  Y  ago  alla  stella 
Parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dove  ;  ^  p««'  «»•  f' 

31.    E  cominciò:  L'  amor  che  mi  fa  bella 

Mi  tragge  a  ragionar  dell'  altro  duca,  /?.  deir  aito  ,i^. 

Per  cui  del  mio  sì  ben  ci  si  favella. 
1. 2. 3.  che  dov- è  r  un   34.    Degno  è  che  dove  1' un,  l'altro  s'induca,  «.che  dover: 

che  r  OD  «ìe  'f 

Sì  che  com'  elli  ad  una  militaro, 
Così  la  gloria  loro  insieme  luca. 
37.    L'  esercito  di  Cristo,  che  sì  caro 

Costò  a  riarmar,  dietro  all'  insegna  ^'  i-  •  ^aiMr- 

retro  aU  las 

1. 2. 3.  sospeccioso  SÌ  movca  tardo,  suspiccioso  e  raro;  d.  sospecpio* 

40.    Quando  lo  imperador  che  sempre  regna, 
Provvide  alla  milizia  eh'  era  in  forse. 
Per  sola  grazia,  non  per  esser  degna;  />.  Prrser.r 

20.  Volgìeusi    —   '2'\.  Luce  con  luci   —  26.  piacer  che  move   —   27.  chiudersi  e  levarsi    —  29.  1'  ago  la  stella   —   Sii,  il  ••-' 
33.  si  ci  favella  —  34.  Degno  è  ben  che  1'  un  e  1'  altro  —  40.  che  lassù  regna 


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SOLE.      TSOLOOI. 


PARADISO    XII.    43  —  66. 


I.  Il  sol 


1.  2.  3.  C&llaroga 


l.  2.  A.  delle  rede 


(S.    DOMENICO.) 

43.    E,  com'  è  detto,  a  sua  sposa  soccorse 

Con  due  campioni,  al  cui  fare,  al  cui  dire 

Lo  popol  disviato  si  raccorse. 
46.    In  quella  parte,  ove  surge  ad  aprire 

Zeffiro  dolce  le  novelle  fronde, 

Di  che  si  vede  Europa  rivestire, 
49.    Non  molto  lungi  al  percoter  dell'  onde, 

Dietro  alle  quali,  per  la  lunga  foga. 

Lo  sol  tal  volta  ad  ogni  uom  si  nasconde, 
52.    Siede  la  fortunata  Calaroga, 

Sotto  la  protezion  del  grande  scudo, 

In  che  soggiace  il  leone,  e  soggioga. 
55.    Dentro  vi  nacque  1'  amoroso  drudo 

Della  fede  cristiana,  il  santo  atleta. 

Benigno  ai  suoi,  ed  ai  nemici  crudo; 
58.    E  come  fii  creata,  fu  repleta 

Sì  la  sua  mente  di  viva  virtute, 

Che  nella  madre  lei  fece  profeta. 
61.    Poiché  le  sponsalizie  fur  compiute 

Al  sacro  fonte  intra  lui  e  la  fede, 

U'  si  dotar  di  mutua  salute; 
La  donna,  che  per  lui  1'  assenso  diede, 

Vide  nel  sonno  il  mirabile  frutto 

Ch'uscir  dovea  di  lui  e  delle  erede; 


563 


64 


v4.  1.  Il  sol  (?) 

B.  Callaroga  D.  Caralog« 


A.  1.  Dentr"  ivi  (?) 


D.  come  fti  creato 

C.  divina  virt  A.  m.  in 
divina  virt. 


.4.  Al  santo  fonte 
A.  \y  s\  dotaro 


D.  nel  sogno  —  D.  mi- 

rabil  fr. 
A.  C.  delle  rede    D.  di 

sue  erede 


51.  ad  ognun  —  56.  il  grande  atleta  —  59.  L'  anima  sua  di  divina  virt.  —  60.  lui  fece  prof.  —  66.  lo  mirabil  fr.  —  66.  degli  erede 

71' 


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564 


SOLE.      TKOLOfìl. 


1.  2.  3.  Domenico 


1.  Dirietro 


PARADISO    XII.    67  —  90.  (s.  doueuico.) 

67.    E  perchè  fosse,  quale  era,  in  costrutto, 
Quinci  si  mosse  spirito  a  nomarlo 
Del  possessivo  di  cui  era  tutto. 

70.    Dominico  fii  detto;  ed  io  ne  parlo 
Sì  come  deir  agricola,  che  cristo 
Elesse  all'  orto  suo  per  aiutarlo. 

73.    Ben  parve  messo  e  famigliar  di  cristo; 

Che  il  primo  amor  che  in  lui  fu  manifesto 
Fu  al  primo  consiglio  che  die  cristo. 

76.    Spesse  fiate  fu  tacito  e  desto 

Trovato  in  terra  dalla  sua  nutrice. 
Come  dicesse:  Io  son  venuto  a  questo. 

79.    0  padre  suo  veramente  Felice! 

0  madre  sua  veramente  Giovanna, 
Se  interpretata  vai  come  si  dice! 

82.    Non  per  lo  mondo,  per  cui  mo  s'  affanna 
Diretro  ad  Ostiense  ed  a  Taddeo, 
Ma  per  amor  della  verace  manna, 

85.    In  picciol  tempo  gran  dottor  si  feo, 
Tal  che  si  mise  a  circuir  la  vigna, 
Che  tosto  imbianca,  se  il  vignaio  è  reo; 


2.  Kdaii*-  1.2. 3.  che  88.    Ed  alla  sedia,  che  già  fii  benigna 

Al  già 

Più  ai  poveri  giusti,  non  per  lei. 


2.  3.  siede,  e  che 


Ma  per  colui  che  siede,  che  traligna. 


81.  come  si  dice  -  83.  Dietro  ad  Ost  -  88.  alU  fede 


B.  C.  D.  DomeEt 


A.  B.  Pinrtm 


I 
A^\n  pirro!  vr     i 


A. 


alla  jiedf  -  ' 
fu  òk 


A.  1.  f.\tA' 


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SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    XU.    91  —  114.  (s.  Domenico.) 

91.    Non  dispensare  o  due  o  tre  per  sei, 
1. 2.3.  primo  racante  Non  la  fortuna  dì  prima  vacante, 

Non  decimas  quae  sunt  pauperum  Dei^ 
1. 2. 3.  centra  il  mondo     94.    Addoffiandò;  ma  contro  al  mondo  errante 

Licenza  di  combatter  per  lo  seme, 
.  si  fascian  Dcl  qual  ti  fasclan  ventiquattro  piante. 

97.    Poi  con  dottrina  e  con  volere  insieme 
Con  r  offizio  apostolico  si  mosse, 
Quasi  torrente  eh'  alta  vena  preme, 
100.    E  negli  sterpi  eretici  percosse 

L' impeto  suo ,  più  vivamente  quivi 
Dove  le  resistenze  eran  più  grosse. 
103.    Di  lui  si  fecer  poi  diversi  rivi, 
Onde  r  orto  cattolico  si  riga. 
Si  che  i  suoi  arbuscelli  stan  più  vivi. 
106.    Se  tal  fii  1'  una  rota  della  biga. 

In  che  la  santa  chiesa  si  difese, 
E  vinse  in  campo  la  sua  civil  briga, 
109.    Ben  ti  dovrebbe  assai  esser  palese 

L'  eccellenza  dell'  altra,  di  cui  Tomma 
Dinanzi  al  mio  venir  fii  sì  cortese. 
112.    Ma  r  orbita,  che  fé'  la  parte  somma 
Di  sua  circonferenza,  è  derelitta. 
Si  eh'  è  la  muffa  dov'  era  la  gromma. 


565 


A.  1.  (?)  D.  disp.  due 
A.  1.  a  2.  e  tre 


D.  contro  il  mondo 


/>.  1.  si  fascian  -  B,  D. 
venti  e  qu. 


U.  Dell'  off. 


D.  i.  ti  doTT.  ornai 


r.  Innanzi  '1  mio  venir 


91.  dispens.  e  due  —  ^.  incontro  al  m.  —  96.  ci  fascian  —  97.  con  volere  e  con  dottr.  —  con  valore  ina.  —  104.  Di  che  1*  orto  ~ 
rriga  —   113.  Da  sua  circ. 


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566 


S«)LE.      TEOLOGI. 


PARADISO    XII.    115-138. 


8.  BONAVKNTUBA. 


115.    La  sua  famiglia,  che  si  mosse  dritta 

Coi  piedi  alle  sue  orme,  è  tanto  volta, 
1. 2. 3.  dirietro  Che  qucl  dinanzi  a  quel  diretro  gitta;  i?.  dinetro 

1.2. 8.8' avvedrà         118.    E  tosto  sì  vcdrà  della  ricolta 

Della  mala  coltura,  quando  il  logho 
Si  lagnerà  che  1'  arca  gU  sia  tolta. 
121.    Ben  dico,  chi  cercasse  a  fogho  a  fogUo 
Nostro  volume,  ancor  troveria  carta 
U'  leggerebbe:  Io  mi  son  quel  eh'  io  soglio. 
124.    Ma  non  fia  da  Casal,  ne  d'  Acquasparta, 
Là  onde  vegnon  tali  alla  scrittura, 
1. 2. 3.  ch'  lino  u  f.  -  Che  r  un  la  fugge ,  e  Y  altro  la  coarta. 

1.  2.  e<l  altro 

127.    Io  son  la  vita  di  Bonaventura 

jDa  Bagnoregio,  che  nei  grandi  offici 
Sempre  posposi  la  sinistra  cura. 

1.  AguBtin  2. 3.  Agost.    130.    lUuminato  ed  Augustin  son  quici,  /?.  e  Agu.tn 

Che  fiir  dei  primi  scalzi  poverelh, 
Che  nel  capestro  a  Dio  si  fero  amici. 
133.    Ugo  da  San  Vittore  è  qui  con  eUi, 

E  Pietro  Mangiadore,  e  Pietro  Ispano  r.  z>.  Piem  > 

Lo  qual  giù  luce  in  dodici  libeUi;  b.d.u^,^ 

1.  N.  prof.,  il  mctr.      136.    Natau  profeta,  e  il  metropoUtano  /?.  n.  pnf   - 

Crisostomo,  ed  Anselmo,  e  quei  Donato        b.d.gt'^'' 

1. 2. 3.  poiier  mano  Ch'alia  prlm' artc  degnò  por  la  mano;  .4.2.  «r.; 


/>.  Che  Ity:.  - 
»on  quel  < 
soslio 


(\  t'Iie  un  U  1    I  - 

D.Ol  LS    A    - 

D.  eda.tr>'' 


117.   11  quel   dietro   —    121.   Ben  credo    -    123.  Du'  leggerebbe    —    131.  soaloi   ~~    132.  si  fanno  am.    —    134.  Pictrv.  (• 
137.  (Visnst. .  Anselmo 


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SOLE.       TEOLOGI. 


1.  2.  3.  CalavT. 
(ìiovaceh. 


PARADISO    XII.    139-145. 

1. 2.  luban  è  quivi       139.    Rabano  è  qui,  e  lucemi  da  lato 
2.3.  Il  Calabrese  abate  Gioacchino, 

Di  spirito  profetico  dotato. 
142.    Ad  inveggiar  cotanto  paladino 

Mi  mosse  la  infiammata  cortesia 
Di  fra  Tommaso,  e  il  discroto  latino; 
145.    E  mosse  meco  questa  compagnia. 


AB.    GIOACCHINO. 


567 

A.  2.  C\  fulgemi  da  Iato 

B.  a  D.  Calavreae  ~  C. 
Giovacch.    A.  Joacch. 

A.  palatino 
/>.  l.  Si  mosse 


144.  Di  fra  Tom.  il  discr.  lat. 


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CANTO  DECIMOTERZO 


Immagini  chi  bene  intender  cupe 

Quel  eh'  io  or  vidi  (  e  ritenga  Y  image , 
Mentre  eh'  io  dico ,  come  ferma  rupe) 
4.    Quindici  stelle  che  in  diverse  plage 
Lo  cielo  avvivan  di  tanto  sereno, 
Che  soperchia  dell'  aere  ogni  compage  ; 
7.    Immagini  quel  carro  a  cui  il  seno 

Basta  del  nostro  cielo  e  notte  e  giorno, 
Si  ch'ai  volger  del  temo  non  vien  meno;       j?. Fin cv ai voig. 
10.    Immagini  la  bocca  di  quel  corno, 

Che  si  comincia  in  punta  dello  stelo 
A  cui  la  prima  rota  va  dintorno, 
Aver  fatti  13.    Avcr  fatto  di  se  due  segni  in  cielo  a.2.  b.  a  d.  A^er  tM 

(Qual  fece  la  figliuola  di  Minoi 
Allora  che  sentì  di  morte  il  gielo), 
16.    E  r  im  nell'altro  aver  h  raggi  suoi,  .4.  i.  e  r  uno  air  altro 

.  amenduc  2.  amenduo  Ed    ambO    C    dUC    glrarsl    per    maniera,  e.  ambedue  J?.Z>.amen- 

3.  ambedue  due 

.  2.  al  primo  Chc  1'  uuo  audassc  al  prima  e  1'  altro  al  poi,  b.  d.  ai  primo 

2 .  Ciò  eh'  io  or  v.  —  6.  dell'  arte  ogni  comp.  —  17.  ambedui  —   18.  andasse  al  pria 

Ul.  72 


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1.  2.  in  una  susUozia 
1.  e  Tolger 


570  SOLE.     TEOLOGI.  PARADISO    XIII.    19  —  42.  salo 

19.    Ed  avrà  quasi  Y  ombra  della  vera 

Costellazion,  e  della  doppia  danza, 
Che  circulava  il  punto  dov*  io  era; 

22.  Poi  eh'  è  tanto  di  là  da  nostra  usanza, 
Quanto  di  là  dal  mover  della  Chiana 
Si  move  il  ciel  che  tutti  gli  altri  avanza. 

25.  Li  si  cantò  non  Bacco,  non  Peana, 
Ma  tre  Persone  in  divina  natura. 
Ed  in  una  persona  essa  e  V  umana. 

28.    Compiè  il  cantare  e  il  volger  sua  misura. 
Ed  attesersi  a  noi  quei  santi  lumi. 
Felicitando  se  di  cura  in  cura. 

31.   Ruppe  il  silenzio  nei  concordi  numi 
1. 2. 3.  in  che  mip.  Poscla  la  lucc ,  in  cui  mirabil  vita 

Del  poverel  di  Dio  narrata  fumi, 

34.    E  disse:  Quando  T  una  paglia  è  trita, 

Quando  la  sua  semenza  è  già  riposta, 
A  batter  1'  altra  dolce  amor  m' invita. 

37.    Tu  credi  che  nel  petto,  onde  la  costa. 
Si  trasse  per  formar  la  bella  guancia, 
Il  cui  palato  a  tutto  il  mondo  costa, 

40.  Ed  in  quel  che,  forato  dalla  lancia, 
E  poscia  e  prima  tanto  satisfece. 
Che  d'  ogni  colpa  vince  la  bilancia. 


1.  della  lancia 


A.  Baco  -«.?'. 

B.  in  una  ^ustiri^ 
B.   e  Toteer  -  J 


B.  (\  D.  in  ri.'  - 


A.  sementr 


A.  Lo  fai  p»L 


23.  Quanto  quaggiù  dal  m.   —  28.  Compiè  il  eantor   — 
41.  E  poscia  e  pria  —  42.  vinse  la  bil. 


9.  Ed  atteser  a  noi   —  35.  semenU  —   401  E  in  quello  -  àfÒA  '• 


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SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    Xni.    43—66. 


SALOMONE. 


571 


I.  2.  3.  ebbe  secondo 


1.  2.  che  si  mea 


1.  2.  3.  che  in  lor 


2.  3.  nuove  suss. 


43.    Quantunque  alla  natura  umana  lece 
Aver  di  lume,  tutto  fosse  infuso 
Da  quel  valor  che  1'  uno  e  V  altro  fece  : 

46.    E  però  ammiri  ciò  eh'  io  dissi  suso , 

Quando  narrai  che  non  ebbe  il  secondo 
Lo  ben  che  nella  quinta  luce  è  chiuso. 

49.    Ora  apri  gli  occhi  a  quel  eh'  io  ti  rispondo, 
E  vedrai  il  tuo  credere  e  il  mio  dire 
Nel  vero  farsi  come  centro  in  tondo. 

52.    Ciò  che  non  more,  e  ciò  che  può  morire, 
Non  è  se  non  splendor  di  quella  idea 
Che  partorisce,  amando,  il  nostro  Sire; 

55.    Che  quella  viva  luce  che  si  mea 

Dal  suo  lucente,  che  non  si  disuna 

Da  lui,  ne  dall'  amor  che  a  lor  s' intrea, 

58.    Per  sua  bontate  il  suo  raggiare  aduna, 
Quasi  specchiato,  in  nove  sussistenze, 
Eternalmente  rimanendosi  una. 

61.    Quindi  discende  all'jiltime  potenze 

Giù  d'  atto  in  atto  tanto  divenendo. 
Che  più  non  fa  che  brevi  contingenze; 

64.    E  queste  contingenze  essere  intendo 
Le  cose  generate,  che  produce 
Con  seme,  e  senza  seme  il  ciel  movendo. 


A.  1.  ammiri  a  ciò   D. 
miri  ciò 

B,  ebbe  secondo 
A.  Il  ben 


C.  l).  che  8'innea 

i>.  che  in  lor 

D.  bontà 

r.  specchiati 

A.  m.  Quindi  si  stende 
D.  devenendo 


E.  di  ciel  mov. 


46.  miri  a  ciò  —  48.  11  sen  che  nella  —  51.  come  in  centro  tondo  —  56.  qa.  vera  luce  —  che  si  nea  —  67.  Da  lui  e  dall'  amor 

72* 


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572 


SOLE.      TEOLOGI. 


PARADISO    Xni.    67-90. 


SALOMONE. 


denno 


67.    La  cera  di  costoro,  e  chi  la  duce, 

Non  sta  d'  un  modo ,  e  però  sotto  il  segno 
Ideale  poi  più  e  men  traluce: 
i.  •Tviene  eh'  un  me  70.    Oud'  cgU  awicu  ch'  uu  mcdesimo  legno, 

Secondo  specie,  meglio  e  peggio  frutta; 
E  voi  nascete  con  diverso  ingegno. 

73.    Se  fosse  a  punto  la  cera  dedutta, 

E  fosse  il  cielo  in  sua  virtù  suprema, 
La  luce  del  suggel  parrebbe  tutta; 

76.   Ma  la  natura  la  dà  sempre  scema, 
Similemente  operando  all'  artista, 
Ch'  ha  r  abito  dell'  arte ,  e  man  che  trema. 

79.  Però  se  il  caldo  amor  la  chiara  vista 
Della  prima  virtù  dispone  e  segna, 
Tutta  la  perfezion  quivi  s'  acquista. 

82.    Cosi  fu  fatta  già  la  terra  degna 
Di  tutta  r  anunal  perfezione  ; 
Così  fu  fatta  la  Vergine  pregna. 

85.    Sì  eh'  io  commendo  ti\a  opinione  : 

Che  r  umana  natura  mai  non  fue, 
Ne  fia,  qual  fu  in  quelle  due  persone. 

88.    Or,  s' io  non  procedessi  avanti  piùe. 
Dunque,  come  costui  fu  senza  pare? 
Comincerebbor  le  parole  tue. 


JJ.  m.  La  ipen  di  txai 
-  B.  D.  r  «ddutt 


D.  poi  e  più 

B.  avviene  eh'  un  : 
desmo 


C.  tomae  ciclo 

A.  m.  La  cera  del  itz. 

D.  luit  layda  (li  i  di 


A.  Com...  bon  D.  C<*- 
bor 


68.  Non  aian  d'  un  m.  —  1\.  peggio  e  meglio  —  90.  Cominciarebben  ||  Convìneerebber 


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90LX.     TXOLOOi.  PARADISO    Xm.    91  —  114.  Salomone.  573 

1.2. 3.  ben  quel  che  non    91.    Me,  perchè  paia  beii  ciò  che  non  pare, 

Pensa  chi  era,  e  la  cagion  che  il  mosse, 
1. chieri  Quando  fu  detto:  Chiedi,  a  domandare. 

94.    Non  ho  parlato  sì,  che  tu  non  posse 

Ben  veder  eh'  ei  fii  re,  che  chiese  senno,      .4.1.  vedere 
Acciocché  re  sufficiente  fosse; 
97.    Non  per  saper  lo  numero  in  che  enno  a.  i.  saper  ii  num. 

Li  motor  di  quassù,  o  se  necesse 
Con  contingente  mai  necesse  fenno; 
100.    Non,  si  est  dare  primum  motum  esse^ 
0  se  del  mezzo  cerchio  far  si  puote 
Triangol  sì,  eh'  un  retto  non  avesse. 
103.    Onde,  se  ciò  ch'io  dissi  e  questo  note,  x).  ci«  eh- io  dico 

3.  prudenza  è  quel  ved.  Rcgal  prudcuza  c  qucl  vedere  impari, 

In  che  lo  strai  di  mia  intenzion  percote. 
a. dirizzi  106.    E,  se  al  Surse  drizzi  gli  occhi  chiari, 

Vedrai  aver  solamente  rispetto 
le  buon  Ai  regi,  che  son  molti,  e  i  buon  son  rari.     /^  <  Airei  -  v.tw 

buon  rari 

109.    Con  questa  distinzion  prendi  il  mio  detto, 
E  così  puote  star  con  quel  che  credi 
Del  primo  padre  e  del  nostro  diletto. 
J3.  tifia  112.    E  questo  ti  sia  sempre  piombo  ai  piedi. 

Per  farti  mover  lento,  com' uom  lasso: 
Ed  al  sì  ed  al  no,  che  tu  non  vedi; 


91.  perchè  para  —  94.  Non  è  parlato  —  96.  Intender  eh'  ei  —  fu  il  re  —  99.  Non  contingente  —   101.  se  nel  mezzo  cerchio  (?)  — 
«t*.  .Ai  re .  che  sono  molti 


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574 


SOLI.      TBOLOOI. 


PARADISO    XIIL    115-138. 


SALOMONE. 


1.  2.  3.  Cosi  neir  un 


1.  2.  3.  Sabell» 


1.  Non  sian 


1.  che  sian 


115.    Che  quegli  è  tra  gli  stolti  bene  abbasso, 
Che  senza  distinzion  afferma  o  nega, 
Neir  un  così  come  nell'  altro  passo; 

118.    Perch'  egl'  incontra  che  più  volte  piega 
L'  opinion  corrente  in  falsa  parte, 
E  poi  r  affetto  lo  intelletto  lega. 

121.    Vie  più  che  indarno  da  riva  si  parte, 

Perchè  non  torna  tal  qual  ei  si  move, 
Chi  pesca  per  lo  vero  e  non  ha  1'  arte  : 

124.    E  di  ciò  sono  al  mondo  aperte  prove 
Parmenide,  MeUsso,  Brisso  e  molti 

I  quali  andavano,  e  non  sapean  dove. 
127.    Si  fé'  SabelUo  ed  Arrio,  e  quegU  stolti 

Che  fiiron  come  spade  alle  scritture 
In  render  torti  li  diritti  volti. 

130.    Non  sien  le  genti  ancor  troppo  sicure 
A  giudicar,  sì  come  quei  che  stima 
Le  biade  in  campo  pria  che  sien  mature; 

1H3.    Ch'  io  ho  veduto  tutto  il  verno  prima 

II  prun  mostrarsi  rigido  e  feroce, 
Poscia  portar  la  rosa  in  sulla  cima; 

136.    E  legno  vidi  già  dritto  e  veloce 

Correr  lo  mar  per  tutto  suo  cammino. 
Perire  al  fine  all'  entrar  della  foce. 


affenna  r  l^ 


A.  Perch*  fi  3- 1 


C.  al  moihlfi  i  ' 


B,   SahfKo  -  . 
Arno 

B.  C.  fur  r.iiEr  i' 


.2.  fi.  r.  z/  V 

leg. 


2.  C  Lo  ?r 
le  roM 


115.  Che  quello    ~  più  abbasso   —    119.  a  falsa  parte  ||  in  altra  parte  -    125.  Melisso  e  Brìsso   —    126.  Li  quai  ~  ^^'' 
sapevan  —   137.  tutto  il  suo  camm.  —  138.  Poscia  perir  all'  entr.  —  all'  entrar  nella  f. 


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80LB.     TEOLOGI.  PARADISO    XIII.    139—142.  Salomone.  575 

3.  e.erM*rt.       139.    Noii  CFeda  donna  Berta  o  ser  Martino  ^.2.  ff.r.i?.  e  set  »urt. 

Per  vedere  un  forare,  altro  oflferere, 
Vedergli  dentro  al  consìglio  divino;  ^. 2. /?. vederlo 

142.    Che  quel  può  surgere,  e  quel  può  cadere. 


139.  moDn«  Berta 


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CANTO  DECIMOQUARTO 


fuori  e  deatro 


Ual  centro  al  cerchio,  e  si  dal  cerchio  al  centro, 
Movesi  r  acqua  in  un  ritondo  vaso, 
Secondo  eh'  è  percossa  fuori  o  dentro. 
4.    Nella  mia  mente  fé'  subito  caso 

Questo  eh'  io  dico ,  sì  come  si  tacque 
La  gloriosa  vita  di  Tommaso, 
7.    Per  la  similitudine  che  nacque 

Del  suo  parlare  e  di  quel  di  Beatrice, 
A  cui  sì  cominciar,  dopo  lui  piacque: 

10.    A  costui  fa  mestieri,  e  noi  vi  dice 

Ne  con  la  voce,  ne  pensando  ancora, 
D'  un  altro  vero  andare  alla  radice. 

13.    Ditegli  se  la  luce,  onde  s' infiora 

Vostra  sustanzia,  rimarrà  con  voi 
Etemalmente  sì  com'  ella  è  ora; 

16.    E,  se  rimane,  dite  come,  poi 
Che  sarete  visibili  rifatti, 
Esser  potrà  eh'  al  veder  non  vi  noi. 


B.  fuori  e  dentro 


D.  inTÌsibili 


2.  rotondo  —  3.  percosso  —  9.  dietro  a  lui  piacque  —  10.  non  lo  dice  —  16.  ditene  com'  poi 

III.  73 


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578  ^^^^'     TEOLOGI.  PARADISO    XIV.    19  —  42.  (corpi  glorificati.) 

19.    Come  da  più  letizia  pinti  e  tratti 

Alla  fiata  quei  che  vanno  a  rota, 

—  -  _  ,.  .  R  MoTon  la  V.  -  j, I 

1.  Movoiiiav.  Levan  la  voce,  e  rallegrano  gli  atti;  «uegran  ncgiì r 

22.    Così  air  orazion  pronta  e  devota 

Li  santi  cerchi  mostrar  nuova  gioia 
Nel  tornear  e  nella  mira  nota.  />.  nei  volger  u  ma 

25.    Qual  si  lamenta  perchè  qui  si  moia. 

Per  viver  colassi! ,  non  vide  quive  ^.i.  non  Tede 

Lo  refrigerio  dell'  eterna  ploia. 
28.    Queir  uno  e  due  e  tre  che  sempre  vive , 
E  regna  sempre  in  tre  e  due  ed  uno. 
Non  circonscritto,  e  tutto  cii'conscrive, 
31.    Tre  volte  era  cantato  da  ciascuno 
Di  quegU  spirti  con  tal  melodia, 
Ch'  ad  ogni  merto  saria  giusto  muno. 
34.   Ed  io  udi'  nella  luce  più  dia 

Del  minor  cerchio  una  voce  modesta, 
1. 2. 3. dell- Angelo  Forsc  qual  fti  dall'Angelo  a  Maria,  r. deiiAn^io 

37.    Risponder:  Quanto  fia  lunga  la  festa 
Di  Paradiso,  tanto  il  nostro  amore 
•2.  Si  raggerà  SÌ  raggerà  dintorno  cotal  vesta.  a.  sì  raggerà 

1. 2. 3. seguita  40.    La  sua  chiarezza  seguirà  l'ardore,  «.^.seguita 

L'  ardor  la  visione,  e  quella  è  tanta, 
1. 2. 3.  sopra  suo  Quauta  ha  di  grazia  sopra  il  suo  valore.         A.'2.B.c.i).^vn- 

20.  Alcuna  fiata   —   21.  La  voce  movon   —   le  voci   —    rallegrai!  gli  atti  ||  rallegranne  gli  a.  —   25.  Chi  si  lamenta   —  'li.  p»*'*  ~ 
39   diuturno  a  ootal  ||  deutro  a  cotal  —  42.  Quanto  ha 


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SOLE.     TKOLOOi-  PARADISO    XIV.    43  —  66.  (corpi  glorificati.)  579 

43.    Come  la  carne  gloriosa  e  santa 

Fia  rivestita,  la  nostra  persona 
i.2.ahittaqu.  Più  grata  fia  per  esser  tutta  e  quanta.  a.2.  b.  c.D.uxtt^qn. 

46.    Per  che  s'  accrescerà  ciò  che  ne  dona  e.  Per  che  r  «roresc. 

Di  gratuito  lume  il  sommo  bene; 

Lume  eh'  a  lui  veder  ne  condiziona: 
49.    Onde  la  vision  crescer  conviene, 

Crescer  V  ardor  che  di  quella  s'  accende. 

Crescer  lo  raggio  che  da  esso  viene. 
52.    Ma  sì  come  carbon  che  fiamma  rende, 

E  per  vivo  candor  quella  soperchia  . 

Sì,  che  la  sua  parvenza  si  difende, 
55.    Così  questo  fulgor,  che  già  ne  cerchia, 

Fia  vinto  in  apparenza  dalla  carne 

Che  tutto  dì  la  terra  ricoperchia;  ai. tutto u a; 

58.    Ne  potrà  tanta  luce  afFaticame,  ^.  nò  pori 

Che  gli  organi  del  corpo  saran  forti 

A  tutto  ciò  che  potrà  dilettarne.  /?.  che  pori  r.  che  porrà 

61.    Tanto  mi  parver  subiti  ed  accorti 

E  r  uno  e  1'  altro  coro  a  dicer:  Amme, 

Che  ben  mostrar  disio  dei  corpi  morti; 
64.    Forse  non  pur  per  lor,  ma  per  le  mamme, 

Per  li  padri,  e  per  gli  altri  che  fiir  cari, 

Anzi  che  fosser  sempiterne  fiamme. 

57.  la  carne  ricoperchi»  —  58.  Non  porrà  —  63.  disio  di  corpi  —  65.  che  i  fur 

73' 


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580  SALITA   A  MARTE.  PARADISO     XIV.     67  —  90.  DANTI    S   BEATRICE. 

67.    Ed  ecco  intorno,  di  chiarezza  pari,  e.  a» ehi^rczz. 

Nascere  un  lustro  sopra  quel  che  v'  era, 
1. 2. 3.  A  guisa  Per  guisa  d'  orizzonte  che  rischiari.  a.  2.  b.  c.  d.  a  ^m 

70.    E  si  come  al  salir  di  prima  sera 

Comincian  per  lo  ciel  nuove  parvenze, 
1. 2.  la  cos» pare  Sì  chc  la  vista  parc  e  non  par  vera;  a.^b.com^o^^^.l^ 

73.    Parvemi  li  novelle  sussistenze 

Cominciar  a  vedere,  e  fare  xm  giro 
Di  fiior  dair  altre  due  circonferenze. 
76.    0  vero  isfavillar  del  santo  spiro, 
Come  si  fece  subito  e  candente 
1. 2. 3. noi Boffr.  Agli  occhi  miei  che  vinti  non  soffrirò! 

79.   Ma  Beatrice  si  bella  e  ridente 
1. 2. 3.  tr» r altre  Mi  SÌ  ffiostrò,  chc  tra  quelle  vedute  a  trai- altre 

Si  vuol  lasciar  che  non  seguir  la  mente.         a  1.  che  noi  *e«t 
82.    Quindi  ripreser  gli  occhi  miei.virtute 
A  rilevarsi,  e  vidimi  translato 
1. 2. 8.  a  più  alta  Sol  cou  mìa  Donna  in  più  alta  salute. 

85.    Ben  m'  accors'  io  eh'  io  era  più  levato, 
Per  r  affocato  riso  della  stella. 
Che  mi  parca  più  roggio  che  1'  usato. 
88.    Con  tutto  il  core,  e  con  quella  favella 

Ch'  è  una  in  tutti,  a  Dio  feci  olocausto, 

Qual  conveniasi  alla  grazia  novella;  .*.  e.  eon™». 

70.  8Ì  come  a  salir  —   71.  Comincia  per  lo  e.    —   75.  Di  fuor  dell'  altre   —    79.  si  bella  e  si  ridente   —   81.  che  non  segii  -^^ 
rilevarsi 


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MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XIV.    91  —  114. 


DANTE    £   BEATBICE 


2.  min.  in  maggi 


3.  quei  raggi 


2.  3.  Che  in  quella 
non  80  veder 


91. 


581 

A.  ].  nel  mio  petto  (?) 


C.  cotanto 


A.  2.  B.   C.  JJ. 
in  maggi 


E  non  er'  anco  del  mio  petto  esausto 

L'  ardor  del  sacrificio,  eh'  io  conobbi 

Esso  litare  stato  accetto  e  fausto; 
94.    Che  con  tanto  lucore  e  tanto  robbi 

M'  apparvero  splendor  dentro  a  due  raggi 

Ch'  io  dissi  :  0  EUos  che  si  gli  addobbi  ! 
97.    Come,  distinta  da  minori  e  maggi 

Lumi,  biancheggia  tra  i  poli  del  mondo 

Galassia  si,  che  fa  dubbiar  ben  saggi, 
100.    Sì  costellati  facean  nel  profondo 

Marte  quei  rai  il  venerabil  segno. 

Che  fan  giunture  di  quadranti  m  tondo.        i>.  di  quadrante 
103.    Qui  vince  la  memoria  mia  lo  ingegno; 

Che  quella  croce  lampeggiava  cristo. 

Si  eh'  io  non  so  trovare  esemplo  degno. 
106.   Ma  chi  prende  sua  croce  e  segue  cristo. 

Ancor  mi  scuserà  di  quel  eh'  io  lasso. 

Vedendo  m  queir  albor  balenar  cristo. 
109.   Di  corno  in  corno,  e  tra  la  cima  e  il  basso. 

Si  movean  lumi,  scintillando  forte 

Nel  congiungersi  insieme  e  nel  trapasso. 
112.    Così  si  veggion  qui  diritte  e  torte, 

Veloci  e  tarde,  rinnovando  vista. 

Le  minuzie  dei  corpi,  lunghe  e  corte, 


B.  non  Bo  veder 


93.  11  solitario  sUto   -   97.  tra  minori  —  101.  lo  venerabil  a.   -   106.  e  segui  CR.  —  108.  Veggendo  ||  Udendo  —  in  qucU'  arbor 
Icnar  neU' arbor  CR.  —  109.  Dintorno  intomo  —  in  corno,  dalla  cima  al  b.  —  114.  di  corpi 


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582 


MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XTV.    115-139. 


DANTE    E    BEATRICE. 


1.  2.  3.  fan  dolce 


1.  2.  3.  Per  iscusarmi 


115.    Moversi  per  lo  raggio,  onde  si  lista 

Tal  volta  1'  ombra,  che  per  sua  difesa 
La  gente  con  ingegno  ed  arte  acquista. 

118.    E  come  giga  ed  arpa,  in  tempra  tesa 
Di  molte  corde,  fa  dolce  tintinno 
A  tal  da  cui  la  nota  non  è  intesa, 

121.    Così  dai  lumi  che  lì  m'  apparinno 

S'  accogliea  per  la  croce  una  melode, 
Che  mi  rapiva  senza  intender  Y  inno. 

124.    Ben  m'  accors'  io  eh'  eli'  era  d'  alte  lode. 
Perocché  a  me  venia:  Risurgi  e  vinci , 
Com'  a  colui  che  non  intende  ed  ode. 

127.    Io  m' innamorava  tanto  quinci. 

Che  in  fino  a  li  non  fu  alcuna  cosa 
Che  mi  legasse  con  sì  dolci  vinci. 

IBO.    Forse  la  mia  parola  par  tropp'  osa. 

Posponendo  il  piacer  degli  occhi  beUi, 
Ne'  quai  mirando  mio  disio  ha  posa. 

133.    Ma  chi  s'  avvede  che  i  vivi  suggelli 

D'  ogni  bellezza  più  fanno  più  suso, 
E  eh'  io  non  m'  era  lì  rivolto  a  quelli, 

136.    Escusar  puommi  di  quel  eh'  io  m'  accuso 
Per  escusarmi,  e  vedermi  dir  vero: 
Che  il  piacer  santo  non  è  qui  dischiuso, 

139.    Perchè  si  fa,  montando,  più  sincero. 


/I.2.r./J.  fan  dol«  •.«!!. 


A.  <\  V.  da  lumi 


A.  C  eh"  clli  er» 
A.  a  Retwyi 


B.  di  ciò  ch'io 
B.  Per  iseuaaraii 


124.  alta  lode   —    127.  Ond'  io  m'  iimam.   —    132.  mio  disio  s'  ha  posa  ||  m.  dis.  s'  apposa  ||  m.  dia.  si  posa   —    133.  chi  La  rcde  - 
134.  fanno  più  souso  —  135.  non  m'  era  più  riv.  ~-  riv.  ad  elli  —  136.  E  scasar  ||  E'  scusar  —  137.  e  udirmi  (|  e  parermi  —  138.  Che  piarfr  ub^^ 


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CANTO  DECIMOQUINTO 


.  2.  3.  onde  s*  acc. 


-Denigna  volontade,  in  cui  si  liqua 
Sempre  V  amor  che  drittamente  spira, 
Come  cupidità  fa  nell'  iniqua, 
4.    Silenzio  pose  a  quella  dolce  lira, 
E  fece  quietar  le  sante  corde, 
Che  la  destra  del  cielo  allenta  e  tira. 
7.    Come  saranno  ai  giusti  preghi  sorde 

Quelle  sustanzie  che,  per  darmi  voglia 
Ch'  io  le  pregassi,  a  tacer  fur  concorde? 

10.   Ben  è  che  senza  termine  si  dogUa 

Chi,  per  amor  di  cosa  che  non  dui'i 
Eternalmente,  queir  amor  si  spoglia. 

13.    Quale  per  li  seren  tranquilli  e  puri 
Discorre  ad  ora  ad  or  subito  foco, 
Movendo  gli  occhi  che  stavan  sicuri, 

16.   E  pare  stella  che  tramuti  loco. 

Se  non  che  dalla  parte  ond'  ei  s'  accende 
Nulla  sen  perde,  ed  esso  dura  poco; 


C\  in  che  si  liqua 


A.  1.  Come  fa  cupidigia 
neir  in. 


A.  1.  Come  sarieno  (?) 


D.  t.  Nidla  s'  apprende 
D.  m.  N.  si  perde 


1.  volontà,  in  che  —  12.  cotal  ben  si  spoglia  —  15.  che  si  stan  sicuri  —  17.  ov'  ei  s'  accende  —  18.  Nulla  sen  parte 


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584 


MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XV.    19  —  42. 


CACCIAOUIDA. 


1.  2.  3.  dietro 


2.  8.  del  figli uol 


1.  2.  3.  de' mortai 


19.    Tale,  dal  corno  che  in  destro  si  stende, 
Al  pie  di  quella  croce  corse  un  astro 
Della  costellazion  che  li  risplende; 

22.    Ne  si  parti  la  gemma  dal  suo  nastro. 
Ma  per  la  lista  radiai  trascorse, 
Che  parve  foco  retro  ad  alabastro. 

25.  Si  pia  r  ombra  d'  Anchise  si  porse. 

Se  fede  merta  nostra  maggior  Musa, 
Quando  in  Elisio  del  figlio  s'  accorse. 

28.    0  sanguis  meuSy  o  superinfusa 
Gratta  Dei y  sicut  tibiy  cui 
Bis  unquam  coeli  jarrna  reclutai 

31.    Cosi  quel  lume;  ond'  io  m'  attesi  a  lui. 
Poscia  rivolsi  alla  mia  Donna  il  viso, 
E  quinci  e  quindi  stupefatto  fili; 

34.    Che  dentro  agli  occhi  suoi  ardeva  un  riso 

Tal ,  eh'  io  pensai  co'  miei  toccar  lo  fondo 
Della  mia  grazia  e  del  mio  Paradiso. 

37.    Indi,  ad  udire  ed  a  veder  giocondo, 

Giunse  lo  spirto  al  suo  principio  cose 
Ch'  io  non  intesi,  si  parlò  profondo: 

40.    Ne  per  elezion  mi  si  nascose, 

Ma  per  necessità,  che  il  suo  concetto 
Al  segno  dei  mortai  si  soprappose. 


B,  in  dcstn 

C.  A  pif 


B.  D.  d.rtrt. 


B.  D.  iii  Elbe 

figli&Al 


D.  to«ir  J 


A.U.CVv-^- 


fi.  dr"  EsTi 


22.  Non  si  partì  —  <•%.  Tal  che  pensai  —  36.  Dalla  mia  —  mia  gloria  —  40.  mi  fur  nascose  —  42.  dì  mortai  11  ^^  »  "^ 


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MARTK.      MILITI. 


PARADISO    XV.    43-66. 


CACCIAOUIDA. 


585 


1.  E  seguitti 

.  3.  maggior  voi. 

ianco  per  bruno 


IO  pens. 


.  3.  Dell'  un 


hi  mi  sìa 


C,  sii  tu 


A.  2.  E  seguitò 

A.  1.  Tr.  in  legg.  -  A. 
C.  del  magno 

A.  1.  Da'  non  si  m.  — 
A.  1.  bianco  mai 

A.  a  Solvuto  hai 


43.   E  quando  Y  arco  dell*  ardente  affetto 

Fu  sì  sfocato,  che  il  parlar  discese  />.  sfogato 

Inver  lo  segno  del  nostro  intelletto; 

46.    La  prima  cosa  che  per  me  s' intese, 
Benedetto  sie  tu,  fu,  trino  ed  uno. 
Che  nel  mio  seme  sei  tanto  cortese. 

49.   E  seguiò:  Grato  e  lontan  digiuno. 

Tratto  leggendo  nel  magno  volume 
U'  non  si  muta  mai  bianco  ne  bruno, 

52.    Soluto  hai,  figUo,  dentro  a  questo  lume 
In  eh'  io  ti  parlo,  mercè  di  colei 
Ch'  air  alto  volo  ti  vesti  le  piume. 

55.    Tu  credi  che  a  me  tuo  pensier  mei 

Da  quel  eh'  è  primo,  cosi  come  raia  d.  eh  è  prima 

Dall' un,  se  si  conosce,  il  cinque  e  il  sei.        ». Deiiun 

58.    E  però  chi  io  mi  sia,  e  perch'  io  paia 
Più  gaudioso  a  te,  non  mi  domandi. 
Che  alcun  altro  in  questa  turba  gaia. 
i- e"  min.  2. 3.  che  i  61.    Tu  crcdl  il  vcro  ;  che  minori  e  grandi  />.  ci  grandi 

Din.  —  2. 3.  e  i  grandi 

Di  questa  vita  miran  nello  speglio, 
In  che,  prima  che  pensi,  il  pensier  pandi. 
64.   Ma  perchè  il  sacro  amore,  in  che  io  veglio 
Con  perpetua  vista,  e  che  m'  asseta 
Di  dolce  disiar,  s'  adempia  meglio, 


44.  distese  —  48.  nel  mio  sangue  --  49.  E  segui  :  Gr.  e  lontano  dig.  —  50.  legg.  del  magg.  voi.  —  55.  tuoi  pensier  —  56.  DI  quel  || 
]ual  —  57.  ae  '1  si  conosce  —  64.  in  cui  io  veglio  —  65.  Con  perp.  vita  —  66.  Del  dolce  disiar 


III. 


74 


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586 


MABTE.      MILITI. 


CArCIAGUIDA. 


PARADISO    XV.    67  —  90. 

67.   La  voce  tua  sicura,  balda  e  lieta 
Suoni  la  volontà,  suoni  il  disio, 
A  che  la  mia  risposta  è  già  decreta. 
70.    Io  mi  volsi  a  Beatrice,  e  quella  udio 
2. 3.  arruemi  Pria  ch'  io  parlassl,  ed  arrosemi  un  cenno 

1.2. 3.1*  ale  Clic  fccc  crcsccr  Y  ali  al  voler  mio. 

1. 2.  E  oominciai         73.    Poi  cominciai  così  :  L'  affetto  e  il  senno , 

2.3.  egualità  Comc  la  prima  equalità  v'  apparse, 

D'  un  peso  per  ciascun  di  voi  si  fenno  ; 
1.2.3.  Perocché  al  sol  76.    Peroccliè  il  sol,  che  v'  allumò  ed  arse 


1.  2.  8.  en  si  igu. 


1.  2.  3.  io  che  io 


Col  caldo  e  con  la  luce,  è  si  iguali, 
(3he  tutte  simiglianze  sono  scarse. 

79.    Ma  voglia  ed  argomento  nei  mortali. 
Per  la  cagion  eh'  a  voi  è  manifesta, 
Diversamente  son  pennuti  in  ali. 

82.    Ond'  io  che  son  mortai,  mi  sento  in  questa 
Disagguaglianza,  e  però  non  ringrazio, 
Se  non  col  core,  alla  paterna  festa. 

85.    Ben  supplico  io  a  te,  vivo  topazio. 
Che  questa  gioia  preziosa  ingemmi. 
Perchè  mi  facci  del  tuo  nome  sazio. 

88.    0  fronda  mia,  in  cu' io  compiacemmi 

Pure  aspettando,  io  fui  la  tua  radice: 
Cotal  principio,  rispondendo,  femmi. 


D.  Volsimì  a  B. 

I). 

B. 


m.  amsemi 


a  V  ale  -  Dì  ù 
volar 


CI  apparse 
ciascun  di  noi 
Però  eh'  è  1  sol 
e  sì  iguali 


A.  son  pennute 


B.  C.  D.  in  che  io 


(>7.  blanda  e  lieta  —  71.  arrisommi  —  73.  Poi  cominciar  ||  Poi  ineominciai  —  74.  m*  apparse  —  76.  il  sole  t*  allumò  -  77.  G'ici^*' 
e  con  la  voce  —  83.  Disuguaglianza  —  89.  io  son  la  tua  radice 


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MARTE.    MILITI.  PARADISO    XV.   91  —  114.  (fiobsnza  antica.)  587 

91.    Poscia  mi  disse:  Quel,  da  cui  si  dice 

Tua  cognazion,  e  che  cent'  anni  e  piùe 
Girato  ha  il  monte  in  la  prima  cornice, 
94.    Mio  figlio  fu,  e  tuo  bisavo  fue: 

Ben  si  convien  che  la  lunga  fatica 
Tu  gli  raccorci  con  Y  opere  tue.  /^.  gii  »  race. 

97.    Fiorenza,  dentro  dalla  cerchia  antica,  ^.  Firen« 

Ond'  ella  toglie  ancora  e  terza  e  nona, 
Si  stava  in  pace,  sobria  e  pudica. 

100.    Non  avea  catenella,  non  corona. 

Non  donne  contigiate,  non  cintura 
Che  fosse  a  veder  più  che  la  persona. 

103.    Non  faceva,  nascendo,  ancor  paura 

La  figlia  al  padre,  che  il  tempo  e  la  dote 

Non  fuggian  quinci  e  quindi  la  misura.  a.  fuggìen  a  foggia 

106.    Non  avea  case  di  famiglia  vote;  i>.  nonavcan 

Non  v'  era  giunto  ancor  Sardaiiapalo 
A  mostrar  ciò  che  in  camera  si  puote. 

109.    Non  era  vinto  ancora  Montemalo  e.  Non  vera 

Dal  vostro  Uccellatoio ,  che,  com'  è  vinto 
Nel  montar  su,  così  sarà  nel  calo. 

112.    Bellincion  Berti  vid'  io  andar  cinto 

Di  cuoio  e  d'  osso,  e  venir  dallo  specchio 
2. 3.  viso  dipinto  La  donna  sua  senza  il  volto  dipinto  ;  s.  d.  viso  dipinto 


A.  1.  Non  vi  avea 


A.  Che  a  veder  fosse 


93.  alla  prima  eom.  —  94.  tuo  bisavol  —  96.  Ta  gli  racconti  —  97.  dentro  dalla  mara  —  98.  ella  coglie  —  100.  ne  corona  —  102.  Che 
sse  a  vender  —  105.  Non  foggia  quinci  —  lOG.  Non  v'  avean  —  107.  Non  era  —  HO.  Dal  nostro  —  UcceUator  ||  Uccellato* 

74* 


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588 


MASTI.      MILITI. 


PARADISO    XV.    116-138. 


(FIORENZA   ANTICA.) 


1.  2.  3.  fori.  !  e  ciase. 


1.  al  studio 


1.  2.  3.  pria  li  padri 


2.3.  DeTr.,  e  di  Fica. 


1.  2.  3.  e  Comiglia 


115.    E  vidi  quel  de'  Nerli  e  quel  del  Vecchio 
Esser  contenti  alla  pelle  scoperta, 
E  le  sue  donne  al  fuso  ed  al  pennecchio. 

118.    0  fortunate!  Ciascuna  era  certa 

Della  sua  sepoltura,  ed  ancor  nulla 
Era  per  Francia  nel  letto  deserta. 

121.    L'  una  vegghiava  a  studio  della  culla, 
E  consolando  usava  Y  idioma 
Che  prima  i  padri  e  le  madri  trastulla; 

124.   L'  altra  traendo  alla  rocca  la  chioma, 
Favoleggiava  con  la  sua  famiglia 
De'  Troiani,  di  Fiesole,  e  di  Roma. 

127.    Saria  tenuta  allor  tal  maraviglia. 

Una  Cianghella,  un  Lapo  Salterello, 
Qual  or  saria  Cincinnato  o  Comiglia. 

130.    A  cosi  riposato,  a  cosi  bello 

Viver  di  cittadini,  a  cosi  fida 
Cittadinanza,  a  cosi  dolce  ostello,    « 

133.   Maria  mi  die',  chiamata  in  alte  grida, 
E  nell'  antico  vostro  Batisteo 
Insieme  fui  cristiano  e  Cacciaguida. 

136.   Moronto  fii  mio  frate  ed  Eliseo; 

Mia  donna  venne  a  me  di  vai  di  Pado, 
E  quindi  il  soprannome  tuo  si  feo. 


A.  1.  del  Neric 


e  ria*f. 


B.  C.  piia  li  pair. 
A.  la  eoma 

A.  FeatUe 
D,  tenuto 

C.  Sarterello 

B,  D.  e  Corni^ 


A,  C.  fratre 


fiat. 


115.  quel  di  Nerli  -  117.  le  lor  donne  ->  126.  Di  Troiani  -  128.  un  Lupo  -  un  Salterello  -  131.  de'eittad.,  e  con 
136.  Moronte 


13;.  n  »c 


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MABTE.      MILITI. 


CACCIAOUIDA. 


1.  2.  3.  CuiTAdo 


1.  2.  3.  del  pastor 


1.  2.  3.  martirio 


PARADISO    XV.    139-148. 

139.  Poi  seguitai  lo  imperador  Corrado, 
Ed  ei  mi  cinse  della  sua  milizia, 
Tanto  per  bene  oprar  gli  venni  in  grado. 

142.    Dietro  gli  andai  incontro  alla  nequizia 

Di  quella  legge,  il  cui  popolo  usurpa, 
Per  colpa  dei  pastor,  vostra  giustizia. 

145.  Quivi  fa'  io  da  quella  gente  turpa 
Disviluppato  dal  mondo  fallace, 
n  cui  amor  molte  anime  deturpa, 

148.    E  venni  dal  martiro  a  questa  pace. 


589 


B.  C.  D.  Currado 


A.  Retro 


D.  di  pastor 


B.  D.  martirio  •>   B.  in 
tanta  pace 


141.  venni  a  grado  —  146.  del  mondo  fall. 


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CANTO  DECIMOSESTO 


Rincominc. 
K  Beatrice 


\J  poca  nostra  nobiltà  di  sangue! 
Se  gloriar  di  te  la  gente  fai 
Quaggiù,  dove  Y  affetto  nostro  langue, 
4.    Mirabil  cosa  non  mi  sarà  mai; 

Che  là,  dove  appetito  non  si  torce, 
Dico  nel  cielo,  io  me  ne  gloriai. 
7.    Ben  sei  tu  manto  che  tosto  raccorce. 
Sì  che ,  se  non  s'  appon  di  die  in  die , 
Lo  tempo  va  dintorno  con  le  force. 

10.    Dal  Voiy  che  prima  Roma  soffierie. 

In  che  la  sua  famiglia  men  persevra, 
Ricominciaron  le  parole  mie. 

13.    Onde  Beatrice,  eh'  era  un  poco  scevra, 
Ridendo,  parve  quella  che  tossio 
Al  primo  fallo  scritto  di  Ginevra. 

16.    Io  cominciai:  Voi  siete  il  padre  mio. 
Voi  mi  date  a  parlar  tutta  baldezza, 
Voi  mi  levate  si,  eh'  io  son  più  eh'  io. 


e.  di  dì  in  die 

D,  Roma  prima 

D.  persevera 

A.  C.  Rincominc. 

A.  2.  B.  C.  E  Beatrice  ■ 
D.  scevera 

1).  Gincvera 

A.  2.  Io  incornine. 


10.  che  in  prima  —  prima  a  Roma  ||  a  Roma  prima  —  s'  offerie  —  11.  me'  persevra  —  17.  tanta  baldcEssa 


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592  MARTE.    MILITI.  PARADISO    XVI.    19  —  42.  (antenati  di  dante.) 

19.    Per  tanti  rivi  s'  empie  d'  allegrezza 

La  mente  mia,  che  di  se  fa  letizia, 

Perchè  può  sostener  che  non  si  spezza.  ^.  si.p«iM 

22.    Ditemi  dunque,  cara  mia  primizia, 
1. 2.  Quai  BOI!  gli  V.  Quai  fiir  li  vostri  antichi,  e  quai  fiir  gh  anni  b.  d.  gu*ii.ni 

3.  Qu.  fiiro  i  V. 

Che  si  segnaro  in  vostra  puerizia. 

25.    Ditemi  dell'  ovil  di  San  Giovanni 

Quanto  era  allora,  e  chi  eran  le  genti 

Tra  esso  degne  di  più  alti  scanni.  a,  i.  in  «*..  r 

28.    Come  s'  avviva  allo  spirar  dei  venti 

Carbone  in  fiamma,  cosi  vidi  quella  acarbom-r> 

Luce  risplendere  a' miei  blandimenti: 

31.    E  come  agU  occhi  miei  si  fé'  più  bella. 
Così  con  voce  più  dolce  e  soave, 
Ma  non  con  questa  moderna  favella, 

34.    Dissemi:  Da  quel  dì  che  fii  detto:  ave. 

Al  parto  in  che  mia  madre,  eh'  è  or  santa, 
S'  alleviò  di  me  ond'  era  grave, 

37.    Al  suo  Leon  cinquecento  cinquanta 
2.  E  tre  fiate  E  trcuta  fiatc  venne  questo  foco 

A  rinfiammarsi  sotto  la  sua  pianta. 

40.    Gli  antichi  miei  ed  io  nacqui  nel  loco 

Dove  si  trova  pria  1'  ultimo  sesto  b.  d.  ove 

Da  quel  che  corre  il  vostro  annual  gioco.       i>.  Daqw 


22.  o  cara  mia  —  23.  gli  antichi  vostri  ||  li  maggior  nostri  —  2S.  e  quante  eran  le  genti  -  27.  de*  più  alti  —  28.  s' vrt.  y 
dei  ▼.  —  30.  Luce  rispondere  —  35.  parto  di  mia  m.  —  37.  Al  Sol  Leon  ->  42.  eorre  al  vostro 


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MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XVI.    43  —  66. 


(FIORENZA    ANTICA.) 


593 


1.  De'  campi    —   2.  3.  e 
di  Ccrt.  —  1.  Feghine 


1.  Lk  < 


i.  2.  3.  \'aldigrieve 


43.    Basti  de'  miei  maggiori  udirne  questo; 
Chi  ei  si  furo,  ed  onde  venner  quivi, 
Più  è  tacer,  che  ragionare  onesto. 

46.    Tutti  color  eh'  a  quel  tempo  eran  ivi 

Da  poter  arme,  tra  Marte  e  il  Batista, 
Erano  il  quinto  di  quei  che  son  vivi. 

49.    Ma  la  cittadinanza,  eh'  è  or  mista 

Di  Campi,  di  Certaldo  e  di  Fighine, 
Pura  vedeasi  nell'  ultimo  artista. 

52.    0  quanto  fora  megUo  esser  vicine 

Quelle  genti  eh'  io  dico ,  ed  al  Galluzzo 
Ed  a  Trespiano  aver  vostro  confine, 

55.    Che  averle  dentro,  e  sostener  lo  puzzo 

Del  villan  d'  Aguglion,  di  quel  da  Signa, 
Che  già  per  barattar  ha  1'  occhio  aguzzo  ! 

58.    Se  la  gente,  eh'  al  mondo  più  traligna, 
Non  fosse  stata  a  Cesare  noverca. 
Ma,  come  madre  a  suo  figliuol,  benigna, 

61.    Tal  fatto  è  Fiorentino,  e  cambia  e  merca. 
Che  si  sarebbe  volto  a  Simifonti, 
Là  dove  andava  1'  avolo  alla  cerca. 

64-    Sariasi  Montemurlo  ancor  dei  Conti; 

Sariansi  i  Cerchi  nel  pivier  d'  Acoiie, 
E  forse  in  Valdigreve  i  Buondelmonti. 


A.  1.  (?)  D.  Chi  8i  fos- 
sero, e  donde  ei 

vi.  1.  è  1  tacer,  che '1  rag. 
A.  1.  /?.  C.  eran  vivi 


A.  2.  eh'  or  soQ    B.  son- 
v*  ivi 


A.  2.  B.  C.  D.  De'  campi 
A.  vediesi 


C.  da  Guglion 


A.  Sommofonti 

B,  Là  ove 


A.  1.  Sarieno  i  Cerchi  (?) 

—   C.  da  Cone 

B.  C.  D.  V'aldigrieve  — 

A.  C.  Buondalm. 


43.  dirne  questo  ||  or  dime  qu.  ||  a  dirne  qu.  —  44.  Chi  ei  si  fosser  ||  Chi  fossero  essi  —  45.  che  a  ragion.  —  47.  Da  portar  — 
armi  —  48.  che  sono  ivi  —  49.  eh*  ora  è  mista  —  50.  Fichine  —  55.  sofferìr  lo  puzzo  —  62.  Semifonti  ||  Semifonte  —  64.  Conte  —  65.  del 
piover  —  piever  d*  Acone  —  66.  Buondelmonte 


III. 


75 


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594 


MABTE.      MILITI. 


PARADISO    XVT.    67-90. 


(schiatte  fiorentine.) 


2.  3.  Che  cieco 


1.  fttti  Fioreut. 


67.    Sempre  la  confiision  delle  persone 
Principio  fii  del  mal  della  cittade, 
Come  del  corpo  il  cibo  che  s'  appone. 

70.    E  cieco  toro  più  avaccio  cade 

Che  '1  cieco  agnello,  e  molte  volte  taglia 
Più  e  megUo  una  che  le  cinque  spade. 

73.    Se  tu  riguardi  Luni  ed  Urbisaglia 

Come  son  ite,  e  come  se  ne  vanno 
Diretro  ad  esse  Chiusi  e  Sinigaglia: 

76.    Udir  come  le  schiatte  si  disfanno. 

Non  ti  parrà  nuova  cosa,  ne  forte. 
Poscia  che  le  cittadi  termine  hanno. 

79.    Le  vostre  cose  tutte  hanno  lor  morte 
Si  come  voi;  ma  celasi  in  alcuna 
Che  dura  molto,  e  le  vite  son  corte. 

82.    E  come  il  volger  del  ciel  della  luna 
Copre  ed  iscopre  i  liti  senza  posa, 
Così  fa  di  Fiorenza  la  fortuna; 

85.    Per  che  non  dee  parer  mirabil  cosa 
Ciò  ch'io  dirò  degli  alti  Fiorentini, 
Onde  la  fama  nel  tempo  è  nascosa. 

88.    Io  vidi  gli  Ughi,  e  vidi  i  CatelUni, 

Filippi,  Greci,  Ormanni  ed  Alberichi, 
Già  nel  calare,  illustri  cittadini; 


A.  t  Com'  è  -  A.  t.  D. 
del  TOBtro  il  cibo 


C.  Che  cieco 


-■I.  Clu»i  e  Scnoiralli» 


A.  *2.  C.  V.  e  discopre 
A.  Fircnac 


D,  i.  nel  mondo 


68.  delle  citUde    -   69.  del  vostro  cibo    -   73.  Luna   - 
86.  altri  Fiorentini  -  K7.  De'  quai  la  fama  —  90.  Già  nel  Gallare 


75.  Diretro  a  loro  —  e  Chiusi   —    77.  cosa  nuova   —  85.  Però  non  Art 


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MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XVI.    91-114. 


(schiatte  fiorentine.) 


595 


1.  Sopra  la  poppa 


'2.  3.  iattura 


i.  rdz» 

1.  2.  3.  Grande  era 
1.  -2.  3.  Sìfanti 


1.  Il  ceppu  —  1.  uacqu. 
Calf. 

1-  2.  3.  erano  tratti 


1-  2.  3.  quali  vidi 


■  in  tutt'  i  suoi 


91.    E  vidi  così  grandi  come  antichi, 

Con  quel  della  Sannella,  quel  dell'  Arca, 
E  Soldanieri,  ed  Ardinghi,  e  Bostichi. 
94.    Sopra  la  porta,  che  al  presente  e  carca 
Di  nuova  fellonia  di  tanto  peso 
Che  tosto  fia  giattura  della  barca, 
97.    Erano  i  Ravignani,  ond'  è  disceso 

Il  conte  Guido,  e  qualunque  del  nome 
Dell'  alto  Bellincion  ha  poscia  preso. 

100.    Quel  della  Pressa  sapeva  già  come 
Regger  si  vuole,  ed  avea  Caligaio 
Dorata  in  casa  sua  già  1'  elsa  e  il  pome. 

103.    Grandi  eran  già  la  colonna  del  Vaio, 

Sacchetti,  Giuochi,  Fifanti  e  Barucci, 

E  Galli,  e  quei  che  arrossan  per  lo  staio. 

106.    Lo  ceppo,  di  che  nacquero  i  Calfucci, 
Era  già  grande,  e  già  eran  tratti 
Alle  curule  Sizii  ed  Arrigucci. 

109.    0  quali  io  vidi  quei  che  son  disfatti 

Per  lor  superbia!  e  le  palle  dell'  oro 
Fiorian  Fiorenza  in  tutti  suoi  gran  fatti. 

112.    Così  facean  li  padri  di  coloro 

Che,  sempre  che  la  vostra  chiesa  vaca. 
Si  fanno  grassi  stando  a  consistoro. 


a  D.  iattura 


D,  il  Galigaio 


A.  2.  B.  a  D,  Grande 

era  già 

B,  Sifanti 


B.  Il  ceppo  —  B.  nac- 
quero Calf.  C.  nac- 
quer  li  Calf. 

A.  2.  eran  su  tratti 


B.  Quali  io  V. 

A.  Firenze 

B.  D.  i  padri 

B,  concistoro 


93.  Rostichi    —   94.  che  a  presente  —  102.  Dorato  —  già  1'  elso  —  106.  Galli  e  quei  —  quei  che  arroson  —  106.  Alle  canili  |)  Alle 
carole  -  109.  O  quali  vidi  io  —  112.  Cosi  eran    —    113.  la  chièsa  vostra  —  114.  stando  al  consistoro 

75' 


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596 


MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XVT.    115—138. 


1.  La  tracoUta 


1.  2.  3.  Dietro 


2.  3.  piccola 


2. 3.  Che  il  suoc.  il  facesse 


I.  con  popol   -   1.  2.  3. 
rauni 


(schiatte  FIORENTIKB.) 

115.   L' oltracotata  schiatta,  che  s' indraca  ^.  u oitracotont» 

Retro  a  chi  fugge,  ed  a  chi  mostra  il  dente  b.  c.D.mttro 

0  ver  la  borsa  com'  agnel  si  placa, 
118.    Già  venia  su,  ma  di  picciola  gente, 

Sì  che  non  piacque  ad  Ubertin  Donato 

Che  poi  il  suocero  il  fé'  lor  parente. 
121.    Già  era  il  Caponsacco  nel  mercato 

Disceso  giù  da  Fiesole,  e  già  era 

Buon  cittadino  Giuda  ed  Infangato. 
124.    Io  dirò  cosa  incredibile  e  vera: 

Nel  picciol  cerchio  s'  entrava  per  porta, 

Che  si  nomava  da  quei  della  Pera. 
127.    Ciascun  che  della  bella  insegna  porta 

Del  gran  barone,  il  cui  nome  e  il  cui  pregio  a.  in  cuin.umFi 

La  festa  di  Tommaso  riconforta, 
130.    Da  esso  ebbe  milizia  e  privilegio; 

Avvenga  che  col  popol  si  raduni 

Oggi  colui  che  la  fascia  col  fregio. 
133.    Già  eran  Gualterotti  ed  Importuni; 

Ed  ancor  saria  Borgo  più  quieto. 

Se  di  nuovi  vicin  fosser  digiuni. 
La  casa  di  che  nacque  il  vostro  fleto. 

Per  lo  giusto  disdegno  che  v'  ha  morti, 

E  posto  fine  al  vostro  viver  lieto,  r.  z>.  e  pose  inf 


A.  B.  a  piecoU 


A.  I.  il  fesse  lor  p.  |?) 


A.  Fesulc  -  J,l.r.F., 
^k  era 

A,  Juda 


A.  pircol 

C.  D.  ài  quei 

Z>.  Qualunque  delU 


B.  con  pop.  —  B.  C.  b 
rauni 


A.  dei  nuovi 


136. 


115.  L'  oltra  cotante  ||  L*  oltracontata  ||  L'  altra  contenta  —  120.  Che  poi  il  suocer  lo  feo  lor  ||  Che  poi  il  suoeer  se  '1  fr  lor:|(V 
il  suocero  poi  il  fesse  lor  —  122.  di  Fiesole  —  123.  Guida  ed  Infang.  ||  Guido  ed  Inf.  —  12S.  Nel  primo  cerchio  —  129.  Thomasio  —  134.  Fd  va 
saria  —  196.  La  casa  di  che  parla 


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MARTK.      MILITI. 


A,  2.  tì.  C.  D.  onor.  essa 
A.  Buondalmonte 


D.  t,  nosze  tue  —  A.  2. 
C.  altrui  rei  conf. 


B.  sarcbber 


PARADISO    XVI.    139  —  154.  (schiatte  fiorentine.)  597 

2. 3.  onor.  es«        139.    EpR  ODorata  ed  essa,  e  suoi  consorti. 

0  Buondelmonte,  quanto  mal  fuggisti 

Le  nozze  sue  per  gli  altrui  conforti! 
2.3.  sarebber  142.    Moltì  sarcbbou  lieti,  che  son  tristi. 

Se  Dio  t'  avesse  conceduto  ad  Ema 

La  prima  volta  che  a  città  venisti. 
145.    Ma  conveniasi  a  quella  pietra  scema 

Che  guarda  il  ponte,  che  Fiorenza  fesse 

Vittima  nella  sua  pace  postrema. 
148.    Con  queste  genti,  e  con  altre  con  esse, 

Vid'  io  Fiorenza  in  sì  fatto  riposo , 

Che  non  avea  cagion  onde  piangesse. 
151.    Con  queste  genti  vid' io  glorioso 

E  giusto  il  popol  suo  tanto,  che  il  giglio 

Non  era  ad  asta  mai  posto  a  ritroso, 
154.    Ne  per  division  fatto  vermiglio. 


A.  Firenze 


(\  con  altri 
A.  Firenze 


E9.  e  i  suoi  —  140.  come  mal  fuggisti  —  147.  Vittima  in  sulla  sua  —  148.  con  altre  e  con  esse 


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CANTO  DECIMOSETTIMO 


v^jual  venne  a  Climenè,  per  accertarsi 
Di  ciò  eh'  avea  incontro  a  se  udito,  /;.  dì  quei  eh- av. 

1  fa  i  padri  Qucì  ch'  ancor  fa  li  padri  a'  figli  scarsi  ;  b.  r.  d.  &  i  padri 

4.    Tale  era  io,  e  tale  era  sentito 

E  da  Beatrice,  e  dalla  santa  lampa 
Che  pria  per  me  avea  mutato  sito. 
7.    Per  che  mia  donna:  Manda  fuor  la  vampa 
Del  tuo  disio,  mi  disse,  sì  eh'  ella  esca 
Segnata  bene  della  interna  stampa;  z>.  Sfg«.  lievi 

10.    Non  perchè  nostra  conoscenza  cresca 
Per  tuo  parlare,  ma  perchè  t'  ausi 
A  dir  la  sete,  sì  che  1'  uom  ti  mesca. 

1. 2.  3.  pianta  mia  13.      0     Cara    pÌOta    mia,    che    sì    t'  inSUSi  ^  Z>.  pianta  mia -^.l. 

p. ,  ehe  cosi  t' ins. 

Che,  come  veggion  le  terrene  menti 
Non  capere  in  triangolo  due  ottusi,  x?.  untriang. 

16.    Così  vedi  le  cose  contingenti. 

Anzi  che  sieno  in  sé,  mirando  il  punto 
A  cui  tutti  li  tempi  son  presenti; 

3.  Quel  eh' anoor  fa  —    5.  Da  Beatrice   —  8.  fa  eh' eli*  esca   —   9.  Segnata  lieve  —   eterna  stampa   —    11.   parlar,  ma  perchè  tu 
'  ausi  -  13.  O  eara  pietà  ||  O  cara  pietra  —  15.  in  triangol  due 


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600 


MABT£.      MILITI. 


PARADISO    XVII.    19-42. 


(vicende  future  di  dakte.) 


1.  a  quella  voce 


1.  2.  3.  invescava 


1.  torrente 


19.  Mentre  eh'  io  era  a  Virgilio  congiunto 
Su  per  lo  monte  che  V  anime  cura, 
E  discendendo  nel  mondo  defunto, 

22.    Dette  mi  fiir  di  mia  vita  futura 

Parole  gravi  ;  avvenga  eh'  io  mi  senta 
Ben  tetragono  ai  colpi  di  ventiu'a. 

25.    Per  che  la  vogUa  mia  saria  contenta 

D' intender  qual  fortuna  mi  s'  appressa; 
Che  saetta  previsa  vien  più  lenta. 

28.    Così  diss'.io  a  quella  luce  stessa 

Che  pria  m'  avea  parlato ,  e  come  volle 
Beatrice,  fu  la  mia  voglia  confessa. 

31.    Ne  per  ambage,  in  che  la  gente  folle 

Già  s' inviscava,  pria  che  fosse  anciso 
L'  Agnel  di  Dio  che  le  peccata  toUe, 

34.    Ma  per  chiare  parole,  e  con  preciso 
Latin ,  rispose  quell'  amor  paterno , 
Chiuso  e  parvente  del  suo  proprio  riso: 

37.    La  contingenza,  che  fuor  del  quaderno 
Della  vostra  materia  non  si  stende, 
Tutta  è  dipinta  nel  cospetto  eterno. 

40.    Necessità  però  quindi  non  prende. 

Se  non  come  dal  viso,  in  che  si  specchia, 
Nave  che  per  corrente  giù  discende. 


/>.  Buon  teir.  -  C.  ir.- 
tagono 


D.  m.  Di  saper 


D.  m*  avie  pari. 


A.  1.  (?)  C.  D.  Not  f<r 
amb. 


[/?.-39.J 
D,  Della  nostra 


B.  C.  torrenre 


32.  iuveschiava  —  36.  del  suo  chiaro  riso  —  37.  fuor  del  quaterno  —  42.  per  correnti  ||  di  corrente 


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MABTS.      MILITI. 


PARADISO    XVII.    43  —  66.  (esilio  di  dante  vaticinato.) 


601 


2.  3.  8Ì  vuole. 


e  qu. 


3.  coiitra  te  — 
presso 


1.  porci 


43.   Da  indi,  si  come  viene  ad  orecchia 

Dolce  armonia  da  organo,  mi  viene 
A  vista  il  tempo  che  ti  s'  apparecchia. 

46.    Qual  si  parti  Ippolito  d'  Atene 

Per  la  spietata  e  perfida  noverca, 
Tal  di  Fiorenza  partir  ti  conviene. 

49.    Questo  si  vuole,  questo  già  si  cerca, 
E  tosto  verrà  fatto,  a  chi  ciò  pensa 
Là  dove  Cristo  tutto  di  si  merca. 

52.   La  colpa  seguirà  la  parte  offensa 

In  grido,  come  suol;  ma  la  vendetta 
Fia  testimonio  al  ver  che  la  dispensa. 

55.    Tu  lascerai  ogni  cosa  diletta 

Più  caramente,  e  questo  è  quello  strale 
Che  r  arco  dello  esiUo  pria  saetta. 

58.   Tu  proverai  si  come  sa  di  sale 

Lo  pane  altrui,  e  com'  è  duro  calle 
Lo  scendere  e  il  salir  per  1'  altrui  scale. 

61.    E  quel  che  più  ti  graverà  le  spalle 

Sarà  la  compagnia  malvagia  e  scempia, 
Con  la  qual  tu  cadrai  in  questa  valle, 

64.    Che  tutta  ingrata,  tutta  matta  ed  empia 
Si  farà  contro  a  te;  ma  poco  appresso 
Ella,  non  tu,  n'  avrà  rossa  la  tempia. 


D.  A  visa 


A.  Firenze  —  B.  si  eonv. 

B.  C.  D.  81  Tuole ,  e  qu. 

A.  I.  tutto  il  di 


A.  testimone 


C.  n  pane 


B.  C.  contra  te 


44.  dall'  organo   —   46.  Qual  si  partio  —  49.  Questo  si  voWe   —    51.  tutto  si  commerca  -    56.  Più  coralmente  ||  Più  pienamente  — 
Sì  com'  i*  dur' calle       6(x  rotta  la  tempia 

III.  76 


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602 


MARTE.      mUTI. 


PARADISO    XVII.    67-90. 


(SCALIGBBI.) 


1.  2.  3.  Ch'avrà  in  te 


3.  Fia  primo 


67.    Di  sua  bestialitate  il  suo  processo 

Farà  la  prova,  sì  che  a  te  fia  bello 
1. 2. 3.  Averti  L'  avctti  fatta  parte  per  te  stesso. 

1.  Il  primo  70.    Lo  primo  tuo  rifugio  e  il  primo  ostello 

Sarà  la  cortesia  del  gran  Lombardo, 
Che  in  sulla  Scala  porta  il  santo  uccello, 
73.    Che  in  te  avrà  sì  benigno  riguardo 

Che  del  fare  e  del  chieder,  tra  voi  due, 
Fia  prima  quel  che  tra  gU  altri  è  più  tardo. 
76.    Con  lui  vedrai  colui  che  impresso  fue, 
Nascendo,  sì  da  questa  stella  forte. 
Che  notabiU  fien  Y  opere  sue. 
1. 2. 3.  ancor  le  genti     79.    Nou  sc  uc  sou  Ic  gcutl  aucora  accorte, 

Per  la  novella  età;  che  pur  nove  anni 
Son  queste  rote  intorno  di  lui  torte. 
1.2. 3. Arrigo  82.   Ma  pria  che  il  Guasco  l'alto  Enrico  inganni, 

Parran  faville  della  sua  virtute 
In  non  curar  d'  argento,  ne  d'  affanni. 
85.   Le  sue  magnificenze  conosciute 

Saranno  ancora  sì,  che  i  suoi  nimici 
Non  ne  potran  tener  le  lingue  mute. 
88.    A  lui  t'  aspetta  ed  ai  suoi  benefici; 

Per  lui  fia  trasmutata  molta  gente. 
Cambiando  condizion  ricchi  e  mendici; 


B.  C.  D.  Atpt  - 
fatto  prr  v  ,. 

B.  11  priiiu> 


B.  V.  (V  »m  1 
A.  1.  dal  fan-  '  J 


D.  mirabili  - 


B.  D.  t  'f  i*^''  • 
V.  di  '.t  - 
Ini  TiJv 

A.  il  Vaff  - 


67.  Di  sua  bestialità  il  suo  —  69.  fatto  a  parte  —  73.  risguardo  —  76.  Colai  vedrai  —  78.  notab.  fian  —  87.  Nm  b'  p" 


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MARTI.      MILITI. 


PARADISO    XVII.   91-114. 


e  uol  dirai 

2.  3.  che  fìa  pres. 


.  3.  Via  più 


Quidentia 


D.  E  portatene 

A.  2.  B.  C.  D.  e  noi  <lirai 


A.  Che  retro 


B.  Via  più  là    D.  Pia 
oltre 


(ESILIO    DI   DANTE    VATICINATO.)  Q()3 

91.    E  porteraine  scritto  nella  mente 

Di  lui,  ma  noi  dirai;  e  disse  cose 

Incredibili  a  quei  che  fien  presente. 
94.    Poi  giunse:  Figlio,  queste  son  le  chiose 

Di  quel  che  ti  fu  detto;  ecco  le  insidie 

Che  dietro  a  pochi  giri  son  nascose. 
97.    Non  vo'  però  eh'  a'  tuoi  vicini  invidie, 

Poscia  che  s' infutura  la  tua  vita 

Vie  più  là  che  il  punir  di  lor  perfidie. 
100.   Poi  che  tacendo  si  mostrò  spedita 

L'  anima  santa  di  metter  la  trama 

In  quella  tela  eh'  io  le  porsi  ordita, 
103.    Io  cominciai,  come  colui  che  brama, 

Dubitando,  consiglio  da  persona 

Che  vede,  e  vuol  dirittamente,  ed  ama: 
106.    Ben  veggio,  padre  mio,  si  come  sprona 

Lo  tempo  verso  me,  per  colpo  darmi 

Tal,  eh'  è  più  grave  a  chi  più  s'abbandona;  a^. c.echepiùsabb. 
109.    Per  che  di  provedenza  è  buon  eh'  io  m'  armi   fi.  prtmidentia 

Sì  che,  se  loco  m'  è  tolto  più  caro. 

Io  non  perdessi  gli  altri  per  miei  carmi. 
112.    Giù  per  lo  mondo  senza  fine  amaro, 

E  per  lo  monte,  del  cui  bel  cacume 

Gli  occhi  della  mia  Donna  mi  levaro. 


A.  1.  Dubbiando  di  rons. 


91.  V.  porterai  ser.  —  93.  quel  che  fia  ||  quei  che  son  —  96.  sono  ascose  —  97.  che  tuoi  vie.  —  96.  che  sia  futura  ||  che  sia  *n  futuro  — 
icomìuciai  —  104.  Dubbiando  aver  cons.  —  109.  di  prudenza  —  110.  se  '1  loco 

76- 


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604 


UARTE.      MILITI. 


PARADISO    XVn.    115  —  138. 


(CABATTEIUB   DEL   POtìlIA.) 


1.  2.  3.  8*  io  ridico 


1.  ogni  vergogna 


1.  2.  3.  come  vento 


1.  2.  non  fa  (V  onor 


1.  '2.  3.  ai  fama 


115.    E  poscia  per  lo  ciel  di  lume  in  lume, 

Ho  io  appreso  quel  che,  s' io  il  ridico, 
A  molti  fia  sapor  di  forte  agrume; 

118.  E,  s'io  al  vero  son  timido  amico, 
Temo  di  perder  vita  tra  coloro 
Che  questo  tempo  chiameranno  antico. 

121.    La  luce  in  che  rideva  il  mio  tesoro, 

Ch'  io  trovai  li,  si  fé'  prima  corrusca, 
Quale  a  raggio  di  sole  specchio  d'  oro; 

124.,  Indi  rispose:  Coscienza  fusca 

0  della  propria  o  dell'  altrui  vergogna. 
Pur  sentirà  la  tua  parola  brusca. 

127.    Ma  nondimen,  rimossa  ogni  menzogna. 
Tutta  tua  vision  fa  manifesta, 
E  lascia  pur  grattar  dov'  è  la  rogna; 

130.    Che,  se  la  voce  tua  sarà  molesta 

Nel  primo  gusto,  vital  nutrimento 
Lascerà  poi  quando  sarà  digesta. 

133.    Questo  tuo  grido  farà  come  il  vento. 
Che  le  più  alte  cime  più  percote; 
E  ciò  non  fia  d'  onor  poco  argomento. 

136.  Però  ti  son  mostrate  in  queste  rote, 
Nel  monte,  e  nella  valle  dolorosa, 
Pur  r  anime  che  son  per  fama  note  ; 


-^.2.  /?.r.I>.>' io  ridir, 


A.  2.  B.  a  D.  perder 
virer 


1).  sì  fece  pria 
D.  t  Come  a  ragpo 


[B.  -  132.] 

[/?.  130-J 

A.2.  B,  C.  U.  comtrn'- 


B.  a  D.  di  fama 


li8.  sonri  intimo  amico  —   121.  ridea  Io  mio  —  131.  Al  primo  gusto  —  132.  poscia  quando  6a  dig.  »  134.  Ir  più  alte  torri 


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MARTE.     MILITI.  PARADISO    XVII.    139  — 142.  (carattere  del  poema.)  605 

139.    Che  r  animo  di  quel  ch'ode,  non  posa,  .4.  di  quei  oh- ode 

Ne  ferma  fede  per  esemplo  eh'  haia 
1.  Cd  «cosa  La  sua  radice  incognita  e  nascosa,  i?.  ed  ascosa 

142.    Ne  per  altro  argomento  che  non  paia. 


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CANTO  DECIMOTTAVO 


1.  2.  3.  Qti.  spirto 

].  2. 3.  il  dolce  con  I*  ac. 


1.  2.  3.  Omì  bel  viso 


irià  si  godeva  solo  del  suo  verbo 
Quello  specchio  beato,  ed  io  gustava 
Lo  mio,  temprando  col  dolce  V  acerbo; 
4.    E  quella  Donna,  eh'  a  Dio  mi  menava. 
Disse:  Muta  pensier,  pensa  ch'io  sono 
Presso  a  colui  eh'  ogni  torto  disgrava. 
7.    Io  mi  rivolsi  all'  amoroso  suono 

Del  mio  conforto,  e,  quale  io  allor  vidi 
Negli  occhi  santi  amor,  qui  1'  abbandono; 

10.  Non  perch'  io  pur  del  mio  parlar  diffidi, 
Ma  per  la  mente  che  non  può  reddire 
Sopra  se  tanto,  s'  altri  non  la  guidi. 

13.  Tanto  poss' io  di  quel  punto  ridire, 
Che,  rimirando  lei,  lo  mio  affetto 
Libero  fu  da  ogni  altro  disire. 

16.    Fin  che  il  piacere  eterno,  che  diretto 
Raggiava  in  Beatrice,  del  bel  viso 
Mi  contentava  col  secondo  aspetto, 


D.  Il  mio  -  a.  r.  Jj. 

il  dolce  con  r  ac. 


H.  Libero  fui 


.4.  2.  H.  r.  dal  bel  viso 


5.  pensa  chi  io  souo  —  6.  Pensa  a  colui  —  eh'  ogni  arto  disgr.  —  10.  Non  perchè  pur  —  disfidi  -  11.  non  può  ridire  —  12.  Sopra 
ne  -  13.  qii.  punto  reddire  —  16.  Si  che  il  piac.  —  18.  nel  secondo  ||  eoi  sereno 


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608  MARTE.     MILITI.  PARADISO    XVni.    19  —  42.  josui. 

19.    Vincendo  me  col  lume  d'un  sorriso,  /?.  roniumc 

Ella  mi  disse:  Volgiti  ed  ascolta, 

Che  non  pur  ne'  miei  occhi  è  Paradiso. 
22.    Come  si  vede  qui  alcuna  volta 

L'  affetto  nella  vista,  s'  elio  è  tanto  />. sei^iiètMt.. 

Che  da  lui  sia  tutta  1'  anima  tolta, 
25.    Così  nel  fiammeggiar  del  fulgor  santo, 
1. 2. 3.  A  cui  mi  volsi  A  ch'  io  mi  voIsì  ,  conobbi  la  voglia  d.  a  eh*  miroK. 

In  lui  di  ragionarmi  ancora  alquanto. 
2. 3.  E  tcraiiieiò  28.    Eì  comiuciò  :  In  questa  quinta  soglia 

1. 2. 3.  Dcir  albero  Dcll'  axborc  che  vive  della  cima ,  u.  Deu-  »ihm. 

E  frutta  sempre,  e  mai  non  perde  foglia, 
31.    Spiriti  son  beati,  che  giù,  prima 

Che  venissero  al  ciel,  fur  di  gran  voce. 

Si  eh'  ogni  Musa  ne  sarebbe  opima. 
34.    Però  mira  nei  comi  della  croce; 

1.2.3.  Quel  chi' or  noni.  QucllO     Ch'  ÌO    UOmCrÒ  ,    lì    farà    l'atto  A.I.B.C.D.Ì^t: 

eh'  i'  or  ouD. 

Che  fa  in  nube  il  suo  foco  veloce.  z>.  iifoco$uo 

37.    Io  vidi  per  la  croce  un  lume  tratto 

Dal  nomar  Josuè,  com'  ei  si  feo. 

Ne  mi  fu  noto  il  dir  prima  che  il  fatto.  j.  imm*iid.t 

40.    Ed  al  nome  dell'  alto  Maccabeo 

Vidi  moversi  un  altro  roteando, 

E  letizia  era  ferza  del  paleo. 

26.  rouohh'  io  la  voglia  —  29.  vive  dalla  cima  —  35.  Quel  eh'  io  ti  nomerò 


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MARTE.      MILITI. 


PARADISO    XVIII.    43-66. 


CARLO   MAGNO. 


609 


43.    Così  per  Carlo  magno  e  per  Orlando 

Due  ne  segui  lo  mio  attento  sguardo, 
Com'  occhio  segue  suo  falcon  volando. 
ouBiieimo  46.    Poscia  trasse  Guiglielmo,  e  Rinoardo, 

E  il  duca  Gottifredi  la  mia  vista 
Per  quella  croce,  e  Roberto  Guiscardo. 

49.    Indi,  tra  V  altre  luci  mota  e  mista, 

Mostrommi  Y  alma  che  m'  avea  parlato, 
Qual  era  trai  cantor  del  cielo  artista. 

52.    Io  mi  rivolsi  dal  mio  destro  lato 

Per  vedere  in  Beatrice  il  mio  dovere, 
2. 3.  o  per  parole  0  per  parlare ,  o  per  atto ,  segnato , 

55.   E  vidi  le  sue  luci  tanto  mere. 

Tanto  gioconde,  che  la  sua  sembianza 
Vinceva  gli  altri,  e  V  ultimo  solere. 

58.    E  come,  per  sentir  più  dilettanza. 

Bene  operando ,  V  uom  di  giorno  in  giorno 
S'  accorge  che  la  sua  virtute  avanza  ; 

HI.    Sì  m'  accors'  io  che  il  mio  girare  intorno 
Col  cielo  insieme  avea  cresciuto  1'  arco , 
Veggendo  quel  miracol  più  adorno. 

64.    E  quale  è  il  trasmutare  in  picciol  varco 

Di  tempo  in  bianca  donna,  quando  il  volto 
.     Suo  si  discarca  di  vergogna  il  carco; 


A.  R.  Rolando 


miracol    sì   ad.    2.  3. 
miracolo  più  ad. 


C.  Guiglelmo 
C,  Gottifredo 
B.  C.  D.  Ruberto 


B.  O  per  parole 


l,  3.  si  dificarchi 


A.  1.  girar  d' intorno  (?) 

B.  U.  si  adorno 

A.  picco] 

B.  C.  si  discarchi 


47.  Guittifredo  —  .55.  Io  vidi  —  57.  Vinceva  le  altre  —  66.  di  vergogna  carco 

in. 


77 


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610 


GIOVE.      GIUSTI   GIUDICI. 


PARADISO    XVm.   67  —  90. 


•  DILIGETE  JU8TITIAM,* 


1.  2.  fu  volto 


1.  or  altra  sch. 


67.    Tal  fu  negli  occhi  miei,  quando  fili  volto, 
Per  lo  candor  della  temprata  stella 
Sesta,  che  dentro  a  se  m'  avea  ricolto. 

70.   Io  vidi  in  quella  giovial  facella 

Lo  sfavillar  dell'  amor  che  lì  era, 
Segnare  agli  occhi  miei  nostra  favella. 

73.   E  come  augelli  surti  di  riviera, 

Quasi  congratulando  a  lor  pasture, 
Fanno  di  se  or  tonda  or  lunga  schiera, 

76.    Si  dentro  ai  lumi  sante  creature 
Volitando  cantavano,  e  faciensi 
Or  D,  or  I,  or  L,  in  sue  figure. 

79.    Prima  cantando  a  sua  nota  moviensi; 
Poi,  diventando  T  un  di  questi  segni, 
Un  poco  s'  arrestavano  e  tace'nsi. 

82.    0  diva  Pegasea,  che  gì'  ingegni 
Fai  gloriosi,  e  rendili  longevi, 
Ed  essi  teco  le  cittadi  e  i  regni, 

85.   Illustrami  di  te,  si  eh'  io  rilevi 

Le  lor  figure  com'  io  1'  ho  concette; 
Paia  tua  possa  in  questi  versi  brevi. 

88.    Mostrarsi  dunque  in  cinque  volte  sette 
Vocali  e  consonanti;  ed  io  notai 
Le  parti  si  come  mi  parver  dette. 


V.  vidi  qneOa  -  i 
ioTìal 


I}.  nnoTA  fa^rb 


U.  a  sue  p*stut 

A.  m.  fi.  C.  0  - 
srh. 


A.  diveaesui.> 


C.  che  si  (^  «c- 


B.  Le  ti»e  f^rr 


U.    Ckttd'  io   BctK 

D.  mi  fwTM  CT 


(jtf.  raccolto   —  73.  Che  come  augelli  —  7B.  ai  lumi  santi   —   77.  e  faceansi  —  79.  a  sua  rota  —  moveansi  —  81.  racran^  - 
divina  Pegaaea  —  87.  Paia  tua  fona  —  88.  dunque  cinque  —  volte  e  sette 


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GIOVE.      GIUSTI   GIUDICI. 


PARADISO    XVni.    91-114. 


2.  3.  agurarsi 
l.  2.  parve  r 

3.  qu&l  poeti 

1.2.3.  •che  Tace. ,  sortille 


3.  eh"  ei  forma 


1.  2.  3.  Par.  imprima 


AQUILA    IMPERIALE. 

91.    Diligite  Justitiamy  prunai 

Fur  verbo  e  nome  di  tutto  il  dipinto; 
Qui  judicatis  terrara,  fur  sezzai. 
94.    Poscia  neir  M  del  vocabol  quinto 
Rimasero  ordinate,  si  che  Giove 
Pareva  argento  li  d'  oro  distinto. 
97.   E  vidi  scendere  altre  luci  dove 

Era  il  colmo  dell'  M,  e  li  quetarsi 
Cantando,  credo,  il  ben  eh'  a  se  le  move 

100.    Poi,  come  nel  percoter  dei  ciocchi  arsi 
Surgono  innumerabili  faville, 
Onde  gli  stolti  sogUono  augurarsi, 

103.    Risurger  parve  quindi  più  di  mille 

Luci,  e  salir  quali  assai,  e  quai  poco, 
Si  come  il  sol,  che  1'  accende,  e  sortille; 

106.   E,  quietata  ciascuna  in  suo  loco, 

La  testa  e  il  collo  d'  un'  aquila  vidi 
Rappresentare  a  quel  distinto  foco. 

109.    Quei  che  dipinge  li  non  ha  chi  il  guidi, 
Ma  esso  guida,  e  da  lui  si  rammenta 
Quella  virtù  eh'  è  forma  per  li  nidi; 

112.    L'altra  beatitudo,  che  contenta 

Pareva  prima  d' ingigliarsi  all'  emme. 
Con  poco  moto  seguitò  la  imprenta. 


611 


A.  2.  C.  juttUiam,   li 
prima! 


A.  D.  Jove 


C.  Paren  d'  argento   — 
A.  m.  da  or  distinto 


C.  agtirarsi 

B.  a  D.  parvcr 

C.  ed  a  salir 
H.  D.  Si  com'  è  '1  sol 


^.  eh* e' forma-  ii.l.(?) 
C.  che  i  forma 


B.  Par.  imprima 


96.  il  colmo  dell'  emme  —  99.  eh'  a  sé  li  move  —  100.  di  ciocchi  arsi  ||  dei  ceppi  arsi  —  104.  quale  assai  e  qua!  —  106.  e'  sortille  (?) 
107.  e  il  colmo  —  d'  un'  aguglia  vidi  —  HO.  di  lui  si  ramm. 

77- 


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612 


GIOVE.      GIUSTI    0IX7D1CI. 


PARADISO    XVIII.    115-136. 


AQUILA   IMPERIALE. 


1*  2.  3.  dimostraron 


1.  Di  comper. 
1.  murò  di  sangue 


1.  2.  3.  Paolo 


2.  3.  a  martire 


115.    0  dolce  stella,  quali  e  quante  gemme 
Mi  dimostraro  che  nostra  giustizia 
Effetto  sia  del  ciel  che  tu  ingemme! 

118.    Per  eh'  io  prego  la  mente,  in  che  s' inizia 
Tuo  moto  e  tua  virtute,  che  rimiri 
Ond'  esce  il  fummo  che  il  tuo  raggio  vizia; 

121.    Si  eh'  un'  altra  fiata  omai  s'  adiri 

Del  comperare  e  vender  dentro  al  tempio. 
Che  si  murò  di  segni  e  di  martìri. 

124.    0  milìzia  del  ciel,  cu'  io  contemplo. 
Adora  per  color  che  sono  in  terra 
Tutti  sviati  dietro  al  malo  esemplo. 

127.    Già  si  solca  con  le  spade  far  guerra; 

Ma  or  si  fa  togliendo  or  qui  or  quivi 
Lo  pan  che  il  pio  padre  a  nessun  serra: 

130.   Ma  tu  che,  sol  per  cancellare,  scrivi, 
Pensa  che  Pietro  e  Polo,  che  morirò 
Per  la  vigna  che  guasti,  ancor  son  vivi. 

133.   Ben  puoi  tu  dire:  l'ho  fermo  il  disiro 
Sì  a  colui  che  volle  viver  solo, 
E  che  per  salti  fii  tratto  al  martiro, 

136.    Ch'io  non  conosco  il  Pescator  ne  Polo. 


B.  dimostrari- 


D.  virtù .  f br  !»  ■ 


A.  IN.  B,  D.t.f 
sanfru^ 


A.  isTÌàà  -  J  ." 


C\  Paulo  À.'^ 


B.  C.  a  n»--<  f 
JJ.  con.  Vtst'  ' 


116.  Mi  si  mostraro  —  118.  la  mente,  che  s' inizia  —  120.  ohe  tuo  raggio  ||  che  tuoi  rag{p  —  122.  dentro  al  tempio  —  VH  -■ 
126.  dietro  a  malo  —  esempio  —  128.  or  quindi  or  quivi  —  131.  che  Piero  —  133.  lo  fermo  ho  il  dia. 


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CANTO  DECIMONONO 


,  3,  eon  r  ale 


A,  B,  D.  con  r  ale 


L  anche 


^uant'  < 


Xarea  dinanzi  a  me  con  V  ali  aperte 

La  bella  image,  che,  nel  dolce  frui, 

Liete  faceva  1'  anime  conserte. 
4.    Parca  ciascima  rubinetto,  in  cui 

Raggio  di  sole  ardesse  sì  acceso, 

Che  ne'  miei  occhi  rifrangesse  lui. 
7.   E  quel  che  mi  convien  ritrar  testeso. 

Non  portò  voce  mai,  né  scrisse  inchiostro,     /?.c.incostro^.enco«tro 

Ne  fii  per  fantasia  giammai  compreso; 
10.    Ch'  io  vidi,  ed  anco  udii  parlar  lo  rostro, 

E  sonar  nella  voce  ed  Io  e  Mio, 

Quand'  era  nel  concetto  Noi  e  Nostro. 
13.    E  cominciò:  Per  esser  giusto  e  pio 

Son  io  qui  esaltato  a  quella  gloria. 

Che  non  si  lascia  vincere  a  disio;  a i>. aid.sio 

16.    Ed  in  terra  lasciai  la  mia  memoria 

Si  fatta,  che  le  genti  lì  malvage 

Commendan  lei,  ma  non  seguon  la  storia. 


e.  anehc 


B.  Quant'  era  ^  A,2.  C. 

e  Noi  e  N. 


3.  Liete  faceano  —  9.  giammai  per  fantasia  —  13.  E'  eomineiò  —  14.  a  qnesU  gloria 


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614 


OIOVK.      GIUSTI   OIUDICI. 


PARADISO    XIX.    19-42. 


AQUILA    IMPBBIALK. 


1.  2.  3.  Sentir  mi  f. 
1.  ardori 


1.  Ben  so  che   -    1.  se    28. 

nel  e.  alto  r. 


1.  3.  II  vostro 


19.    Cosi  un  sol  calor  di  molte  brage 

Si  fa  sentir,  come  di  molti  amori 
Usciva  solo  un  suon  di  quella  image; 

22.  Ond'  io  appresso  :  0  perpetui  fiori 
Dell'  eterna  letizia,  che  pur  uno 
Parer  mi  fate  tutti  i  vostri  odori, 

25.    Solvetemi,  spirando,  il  gran  digiuno 

Che  lungamente  m'  ha  tenuto  in  fame , 
Non  trovandogli  in  terra  cibo  alcuno. 
Ben  so  io  che,  se  in  cielo  altro  reame 
La  divina  giustizia  fa  suo  specchio, 
Che  '1  vostro  non  1'  apprende  con  velame. 

31.    Sapete  come  attento  io  m'  apparecchio 
Ad  ascoltar;  sapete  quale  è  quello 
Dubbio,  che  m'  è  digiun  cotanto  veccliio. 
i.  2. 3.  Quasi  fide,  eh  34.    Qual'  il  falcou  eh'  uscendo  del  cappello 

esec  —  2.  3.  di  capp. 

1. 2.  eon  l'ale  s  applaude  Movc  la  tcsta,  c  coll'  ali  sì  plaudc , 

Voglia  mostrando,  e  facendosi  bello, 
37.    Vid'  io  farsi  quel  segno,  che  di  laude 
Della  divina  grazia  era  contesto. 
Con  canti,  quai  si  sa  chi  lassù  gaude. 
40.    Poi  cominciò:  Colui  che  volse  il  sesto 
1. 2. 3.  Allo  stremo  All'  cstpcmo  dcl  moudo ,  e  dentro  ad  esso 

Distinse  tanto  occulto  e  manifesto, 


A.  Ksciva 


B.  Sentir  nu  ù»  - 
R,  ardori 


B.  Ben  %o  cbf  - 

nel  c\t\u 


art.  m  »f  i 


A.  2.  8.  i\  D  K  - 
cene  rh'(*- 
di  cappiri' 

A.  1.  (*\  D.  »r 


A.  Vidi  fan* 


B.   r.  Allo  *fr  : 


19.  di  molta  brage  —  20.  eosi  di  molti  —  27.  Non  trovando  li  in  terra  —  SO.  1'  appr.  col  velame  —  33.  diginao  tanto  -  * 
falcon  —  ch'.esoendo  —  87.  Vid*  io  far  si  qu.  segno  —  30.  quai  si  fa  —  40.  Poi  ineominciò 


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niOVE.      GIUSTI   GIUDICI. 


L  3.  sé  in  sé 


PARADISO    XIX.    43-66. 

ì.3.Nonpoteo        43.   NoH  potè  SUO  valof  si  fare  impresso 

In  tutto  r  universo,  che  il  suo  verbo 
Non  rimanesse  in  infinito  eccesso. 

46.  E  ciò  fa  certo  che  il  primo  superbo, 
Che  fu  la  somma  d'  ogni  creatura, 
Per  non  aspettar  lume,  cadde  acerbo: 

49.    E  quinci  appar  eh'  ogni  minor  natura 
E  corto  recettacolo  a  quel  bene 
Che  non  ha  fine,  e  se  con  se  misura. 

52.  Dunque  nostra  veduta,  che  conviene 
Essere  alcun  dei  raggi  della  mente 
Di  che  tutte  le  cose  son  ripiene, 

55.    Non  può  da  sua  natura  esser  possente 
Tanto,  che  suo  principio  non  discerna 
he  gli  è  2. 3.  eh- egli  è  Molto  di  là,  da  quel  che  V  è  parvente. 

58.    Però  nella  giustizia  sempiterna 

La  vista  che  riceve  il  vostro  mondo, 
.  3.  lo  mare  entro  Com' occhlo  pcr  lo  mar,  dentro  s'interna; 

61.    Che,  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo. 
In  pelago  noi  vede,  e  nondimeno 
3.  Kgii;.,in»  E  li,  ma  cela  lui  Y  esser  profondo. 

64.    Lume  non  è,  se  non  vien  dal  sereno 

Che  non  si  tiu'ba  mai,  anzi  è  tenebra, 
Od  ombra  della  carne,  o  suo  veleno. 


AQUILA    lUPERlALE.  6X5 

B.  Non  poteo 


,  3.  di  sua  nak. 


li.  Dunque  vostra  natura 

B.  tutte  nature 

B.  la  sua  nat. 

C.  D.  eh*  egli  e ,  parr. 

A.  1.  il  nostro  m. 

A.  2.  B.  C.  D.  lo  mar. 

entro 

B.  della  proda  —  il.  vegga 


3.  veneno 


A.  da  sereno 


A.  B.  veneno 


44.  Per  tutto  1*  univ.  —  51.  Ch'  è  senxa  fine  —  63.  alcun  di  r^gi  —  56.  che  '1  suo  prine.  —  ! 
he  —  63.  ma  cela  1  lui  —  6&.  Che  non  si  muta 


B.  ricepe  ~  00.  Con  occhio  —  61. Che. 


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616  oiovK.     GIUSTI  GIUDICI.  PARADISO    XIX.    67  —  90.  (infkdbli  oammati.) 

67.    Assai  t'  è  mo  aperta  la  latebra, 

Che  t'  ascondeva  la  giustizia  viva, 

Di  che  facci  question  cotanto  crebra; 
70.    Che  tu  dicevi:  Un  uom  nasce  alla  riva 

Dell'  Indo,  e  quivi  non  è  chi  ragioni 

Di  Cristo,  ne  chi  legga,  ne  chi  scriva; 
73.    E  tutti  i  suoi  voleri  ed  atti  buoni 

Sono,  quanto  ragione  umana  vede,  a.  2.  r  ìì... - 

Senza  peccato  in  vita  o  in  sermoni. 
1.  b»tteKgiato  76.    More  non  battezzato  e  senza  fede: 

Ov'  è  questa  giustizia  che  il  condanna?  d.  i>oirr 

1.  Qual  è  1»  e.   -    l.  2.  r\    1    ^     \  i  •  io 

scd  fi  non  .^  «•  ckh  Ov  c  la  colpa  sua,  se  ei  non  crede?  i».  Dovei  ,. 


non 


A.  2.  r.  u 


79.    Or  tu  chi  sei,  che  vuoi  sedere  a  scranna. 

Per  giudicar  da  lungi  mille  migUa,  a.  a*  hm^. 

Con  la  veduta  corta  d'  una  spanna? 

82.    Certo  a  colui  che  meco  s'  assottiglia. 
Se  la  scrittura  sopra  voi  non  fosse, 
Da  dubitar  sarebbe  a  maraviglia.  a,  u,  dì  c« 

»ar.  r  r  .' 

85.    0  terreni  animali,  o  menti  grosse! 

La  prima  volontà,  eh'  è  per  se  buona, 

Da  se,  che'  è  sommo  ben,  mai  non  si  mosse. 
88.    Cotanto  è  giusto,  quanto  a  lei  consuona; 

Nullo  creato  bene  a  se  la  tira, 

Ma  essa,  radiando,  lui  cagiona. 

71.  Del  Nilo  —  e  qui  uou  è  ->  73.  tutti  suoi  —  suoi  valori  —  76.  ed  in  sennoni   —  80.  E  giudicar  —  di  lungi    —   8SL  »r 
tiglia  (?)  —  83.  sopra  noi  —  86.  eh  è  da  sé  buona 


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niOVE.      GIUSTI   GIUDICI. 


PARADISO    XIX.    91-114. 


(iNFKDELI   DANNATI.) 


617 


91.    Quale  sopr'  esso  il  nido  si  rigira, 

Poi  che  ha  pasciuto  la  cicogna  i  figU, 
E  come  quei  eh'  è  pasto  la  rimira; 
94.    Cotal  si  fece,  e  sì  levai  li  cigli. 
La  benedetta  imagine,  che  1'  ali 
Movea  sospinta  da  tanti  consigli. 
97.    Roteando  cantava,  e  dicea;  QuaU 

Son  le  mie  note  a  te,  che  non  le  intendi, 
Tal  è  il  giudizio  eterno  a  voi  mortali. 
2.  Poi  seguitaron         lOQ.    Poi  sì  quctarou  quei  lucenti  incendi 

Dello  Spirito  Santo,  ancor  nel  segno 
Che  fé'  i  Romani  al  mondo  reverendi , 

103.    Esso  ricominciò:  A  questo  regno 

Non  sali  mai  chi  non  credette  in  Cristo, 
Ne  pria,  ne  poi  eh'  ei  si  chiavasse  al  legno. 

106.    Ma  vedi,  molti  gridan  Cristo,  Cristo, 

Che  saranno  in  giudizio  assai  men  prope 
A  lui,  che  tal  che  non  conosce  Cristo; 

109.    E  tai  Cristiani  dannerà  1'  Etiope, 

Quando  si  partiranno  i  due  collegi, 
L'  uno  in  eterno  ricco,  e  1'  altro  inope. 

112.    Che  potran  dir  li  Persi  ai  vostri  regi, 
Come  vedranno  quel  volume  aperto, 
Nel  qual  si  scrivon  tutti  i  suoi  dispregi? 


I.  Vel  pria,  vel  poi  — 
I.  che  si  chiav.  2. 
3.  che  '1  sì  eh. 


1.  2.  3.  nuii  conobbe 
1.  *2,  Cristian  dami. 


A.  2.  B.  C.  D.  pasciuti 
C.  eomc  quel 
/>.  levò  li  cigli 


A.  t.  a  D.  Poi  seguitaro 


H.  U.  Né  1  pria  A.  1. 1. 
C.  E  1  pria  A.  t.  2.  E 
pria  —  fi.  né  "1  poi  C. 
e  '1  poi  A.  t.  e  poi 


/?.  non  conobbe 
fi.  Cristian  dannerà 
A.  C.  in  due  collegi 


C.  Che  poran  —  A.  \. 
ai  nostri 


1.  Quando   vedr.    2.   3. 
Coni'  e'  vedr. 


98.  Son  le  mie  rime  —  100.  Poi,  seguitando  —  103.  Ei  si  ricominciò  —  106.  0  pria,  o  poi  —  106.  molti  gridar  —  109.  lo  Etiope 
111.  ricco,  r  altro 


III. 


78 


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618 


GIOVK.       GIUSTI    GIUDICI. 


PARADISO    XIX.    115-138. 


(FILIPPO  IL  BELLO.) 


1.  "2,  3.  Geriisal. 


1.  Ove  Aneli. 


115.   Li  si  vedrà  tra  V  opere  d'  Alberto 

Quella  che  tosto  moverà  la  penna, 
Per  che  il  regno  di  Praga  fia  deserto. 

118.   Lì  si  vedrà  il  duol  che  sopra  Senna 
Liduce,  falseggiando  la  moneta, 
Quei  ehe  morrà  di  colpo  di  cotenna. 

121.   Li  si  vedrà  la  superbia  eh'  asseta, 

Che  fa  lo  Scotto  e  V  Inghilese  folle 

Si,  che  non  può  so&ir  dentro  a  sua  meta. 

124.    Vedrassi  la  lussuria  e  il  viver  molle 

Di  quel  di  Spagna,  e  di  quel  di  Buemme, 
Che  mai  valor  non  conobbe,  ne  volle. 

127.    Vedrassi  al  Ciotto  di  Jerusalemme 
Segnata  con  im  I  la  sua  bontate. 
Quando  il  contrario  segnerà  un  emme. 

130.    Vedrassi  V  avarizia  e  la  viltate 

Di  quel  che  guarda  V  isola  del  foco, 
Dove  Anchise  finì  la  lunga  etate; 

133.    Ed,  a  dare  ad  intender  quanto  è  poco, 
La  sua  scrittura  fien  lettere  mozze, 
Che  noteranno  molto  in  par\^o  loco. 

1 36.    E  parranno  a  ciascun  Y  opere  sozze 

Del  barba  e  del  fratel,  che  tanto  egregia 
Nazione,  e  due  corone  han  fatte  bozze. 


A.  Plaga 

A.    €'.  il  dol.: 

V.  Quel  che  as-rr' 

A.  Scoti» 


C  Grrusalemcx 


C.  V  A  neh  -  ' 


C.  U.  1.  chi'  a-  •  " 


U.  hati  &!' 


122.  K  fa  lu  Se.  -  125.  quel  dì  Boemme  -  127.  il  Ciotto  ||  al  Carni  —  129.  signarà  -  132.  Anch.  tinia  —  1%.  Ch«^  m-r-- 


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GIOVE.       GIUSTI    GIUDICI. 


PARADISO    XIX.    139-148. 


(RE    MILUTINO.) 


619 


139.    E  quel  di  Portogallo,  e  di  Norvegia 

Li  si  conosceranno,  e  quel  di  Rascia 
1  adiiisiA  2.  aggiustò  dic  uial  ha  visto  il  conio  di  Vinegia. 

1. 2. 3.  Tngheru         142.    0  bcata  Ungaria,  se  non  si  lascia 

Più  malmenare!  E  beata  Navarra, 
Se  s'  armasse  del  monte  che  la  fascia! 

145.    E  creder  dee  ciascun  che  già,  per  aiTa 
Di  questo,  Nicosia  e  Famagosta 
Per  la  lor  bestia  si  lamenti  e  garra, 

148.    Che  dal  fianco  dell'  altre  non  si  scosta. 


B.  male  aclvìst/t 

C.  Ungheria 


A.  Famaugnsla 
D.  lamenta 


143.  O  bcata  -  148.  fianco  degli  altri 


78' 


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CANTO  VENTESIMO 


Vijuando  colui  che  tutto  il  mondo  alluma 
.  sitiiscendc  Dell' emisperio  nostro  si  discende, 

.  E  1  giorno  Che  il  giorno  d'  ogni  parte  si  consuma, 

4.    Lo  ciel,  che  sol  di  lui  prima  s'  accende, 
Subitamente  si  rifa  parvente 
Per  molte  luci,  in  che  una  risplende. 
7.    E  quest'  atto  del  ciel  mi  venne  a  mente, 
Come  il  segno  del  mondo  e  de'  suoi  duci 
Nel  benedetto  rostro  fii  tacente; 
10.    Però  che  tutte  quelle  vive  luci, 
3.  Vie  più  lucendo  Vìc  plù  luceutìi,  comiuciarou  canti 

Da  mia  memoria  labili  e  caduci. 
13.    0  dolce  amor,  che  di  riso  t'  ammanti, 
3.  quei  favilli  Quanto  parevi  ardente  in  quei  flailli, 

Ch'  ave'no  spirto  sol  di  pensier  santi! 
16.    Poscia  che  i  cari  e  lucidi  lapilli, 

Ond'  io  vidi  ingemmato  il  sesto  Imne , 
Poser  silenzio  agli  angelici  squilli. 


li.  E  '1  giorno 

A.  prima  sol  di  lui 


A.  2.  B.  C.  D.   Vie  più 
lucendo 


C.  D.  eh'  avieno 


4.  Lo  cielo .  che  di  lui  pr.  —  che  primo  sol  di  lui  —  14.  tjuci  flavilli  —  15.  Ch'  avien  spirito 


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622 


GIOVK.      GIUSTI   GIUDICI. 


PARADISO    XX.    19-42. 


19.   Udir  mi  parve  un  mormorar  di  fiume, 

Che  scende  chiaro  giù  di  pietra  in  pietra, 
Mostrando  Y  ubertà  del  suo  cacume. 

22.    E  come  suono  al  collo  della  cetra 

Prende  sua  forma,  e  si  come  al  pertugio 
Della  sampogna  vento  che  penetra, 

25.    Cosi,  rimosso  d'  aspettare  indugio, 
i. dciiagiigii.  Quel  mormorar  dell'  aquila  salissi 

Su  per  lo  collo,  come  fosse  bugio. 

28.    Fecesi  voce  quivi,  e  quindi  uscissi 

Per  lo  suo  becco  in  forma  di  parole. 
Quali  aspettava  il  core  ov'  io  le  scrissi. 

31.    La  parte  in  me  che  vede,  e  paté  il  sole 
1.2.  Neil- agugiie  NcU' aquUc  mortaU,  incominciommi. 

Or  fisamente  riguardar  si  vuole, 

34.    Perchè  dei  fochi,  ond'  io  figura  fomini, 

QuelU,  onde  Y  occhio  in  testa  mi  scintilla, 
E  di  tutti  i  lor  gradi  son  U  sommi. 

37.    Colui  che  luce  in  mezzo  per  pupilla, 
Fu  il  cantor  dello  Spirito  Santo, 
Che  r  arca  traslatò  di  villa  in  villa. 

40.    Ora  conosce  il  merto  del  suo  canto, 

In  quanto  effetto  fu  del  suo  consiglio. 
Per  lo  remunerar  eh'  è  altrettanto. 


r.  Audir  -  J.    s 


1.  3.  Dì  tutti  i  loro 


1.  trasmutò 


1.  2.  3.  affetto 


r. 


A. 


A. 


r. 


D. 


A. 


A. 


A,'L  l.  ' 
l*j.  -  t.. 

2.   i\  l..  r>=!    . 

Fectsi  V  *f 

1.  Su  per  i 
1.  il  f*w  ..  • 

Nrll'ap^i- 
fissameli  ir 

Perrh"  i  ->  ~ 
fochi  U.  .-• 

son  li  •-  -cm  - 


B.  trasmuta 


B.  affrtu^ 


;J0.  Quale  aspettava  —  il  cor  oud'  io  —  36.  E'  di  tutti  lor  ||  Di  tutti  loro  (?)  —  40.  Ora  couoseo 


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oiovK.    GIUSTI  GIUDICI.  PARADISO   XX.    43 — 66.  bzkcbia.    costamtiro.  (>23 

43.    Dei  cinque,  che  mi  fan  cerchio  per  ciglio, 

Colui  che  più  al  becco  mi  s'  accosta, 

La  vedovella  consolò  del  figlio. 
46.    Ora  conosce  quanto  caro  costa 

Non  seguir  Cristo,  per  Y  esperienza 

Di  questa  dolce  vita,  e  dell'  opposta. 
49.    E  quel  che  segue  in  la  circonferenza. 

Di  che  ragiono ,  per  V  arco  superno , 

Morte  indugiò  per  vera  penitenza. 
52.    Ora  conosce  che  il  giudizio  eterno 
3.  perchè  degno  Nou  sì  trasmuta ,  quando  degno  preco 

Fa  crastino  laggiù  dell'  odierno. 
55.    L'altro  che  segue,  con  le  leggi  e  meco,  .4. 2. die ^gui - ^. 2. 

è  mceo 

Sotto  buona  ìntenzion  che  fé'  mal  frutto. 

Per  cedere  al  pastor,  si  fece  Greco. 
58.    Ora  conosce  come  il  mal,  dedutto 

Dal  suo  bene  operar,  non  gli  è  nocivo, 

Avvegna  che  sia  il  mondo  indi  distrutto. 
(U.    E  quel  che  vedi  nell'arco  declivo, 
cqueiiii  Guiglielmo  fu,  cui  quella  terra  plora 

Che  piange  Carlo  e  Federico  vivo. 
64.    Ora  conosce  come  s' innamora 

Lo  ciel  del  giusto  rege,  ed  al  sembiante 

Del  suo  folgore  il  fa  vedere  ancora.  t.  fi.ig«ri«f» 

13.  l)i  cinque  —  49.  segue  la  cireonf  —  50.  Di  eh*  io  ragiono  —  56.  eon  le  leg^  meco   —    57.  Per  rrecJere   —    50.  buono  opernr  — 
<>  vìtrì  tli  ffinutri  —  che  al  semb. 


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624 


GIOVE.      GIUSTI    GIUDICI. 


PARADISO    XX.    67-90. 


BtPEO    TBOIANO. 


67.    Chi  crederebbe  giù  nel  mondo  errante, 
Che  Rifeo  Troiano  in  questo  tondo 
Fosse  la  quinta  delle  luci  sante? 

70.    Ora  conosce  assai  di  quel  che  il  mondo 
Veder  non  può  della  divina  grazia, 
Benché  sua  vista  non  discema  il  fondo. 
2. 3.  guai  lodoietta      73.    Quale  allodctta  che  in  aere  si  spazia 

Prima  cantando,  e  poi  tace,  contenta 
Deir  ultima  dolcezza  che  la  sazia, 

76.    Tal  mi  sembiò  1*  imago  della  imprenta 
Dell'  eterno  piacere,  al  cui  disio 
Ciascuna  cosa,  quale  eli'  è,  diventa. 

79.   Ed  avvegna  eh'  io  fossi  al  dubbiar  mio 
Li  quasi  vetro  allo  color  che  il  veste, 
Tempo  aspettar  tacendo  non  patio; 

82.  Ma  della  bocca:  Che  cose  son  queste? 
Mi  pinse  con  la  forza  del  suo  peso; 
Per  eh'  io  di  corruscar  vidi  gran  feste. 

85.    Poi  appresso  con  V  occhio  più  acceso 
Lo  benedetto  segno  mi  rispose, 
Per  non  tenermi  in  ammirar  sospeso: 

88.    Io  veggio  che  tu  credi  queste  cose, 

Perch'  io  le  dico,  ma  non  vedi  come; 
Sì  che,  se  son  credute,  sono  ascose. 


1.  vetro  al  color 


B.  allolctU 


C.  D.  mi  .semhr.. 


n.  retro  al  color 


che  r  occhio 
Il  bcnedcnn 


73.  quale  udoletta  —  che  in  aria  ||  che  nell'  aere  —  70.  l' image  —  79.  avvegna  che  fossi   —  81.  fACcudo  aspettar  —  M.  Per  rbr  > 
corr.  —  del  cornwrar  —  89.  Perch'  io  1'  ho  detto  —  90.  son  nascose 


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GIOVE.      GIUSTI    GIUDICI. 


TBOIANO. 


625 


1.2.3.  non  puolc,  s' altri 


B.  bene ,  ma  la  qoidit. 
B.  D.  non  puote ,  s'  altri 


1.  2.  3.  sovranza 


1.  2.  3.  dallo  Inf. 


B.  vince  ogni  soa 


C.  D.  perchè  non  vedi 


PARADISO    XX.    91-114. 

91.    Fai  come  quei,  che  la  cosa  per  nome 
Apprende  ben;  ma  la  sua  quiditate 
Veder  non  può,  se  altri  non  la  prome 
94.    Regnum  coelorum  violenza  paté 

Da  caldo  amore,  e  da  viva  speranza, 
Che  vince  la  divina  volontate; 
97.    Non  a  guisa  che  V  uomo  all'  uom  sopranza,      a.i.  r.  r.  z;.  aohrama 
Ma  vince  lei,  perchè  vuole  esser  vinta, 
E  vinta  vince  con  sua  beninanza. 
100.    La  prima  vita  del  ciglio  e  la  quinta 
Ti  fa  maravigliar,  perchè  ne  vedi 
La  region  degli  Angeli  dipinta. 
103.    Dei  corpi  suoi  non  uscir,  come  credi, 
Gentili,  ma  Cristiani,  in  ferma  fede. 
Quel  dei  passuri,  e  quel  dei  passi  piedi; 
106.    Che  r  una  dello  Inferno,  u'  non  si  riede 
Giammai  a  buon  voler,  tornò  all'  ossa, 
E  ciò  di  viva  speme  fu  mercede; 
1. 2. 3.  mise  sua  possa    109.    DÌ  vlva  spcmc ,  chc  mise  la  possa 

Ne'  preghi  fatti  a  Dio  per  suscitarla. 
Si  che  potesse  sua  voglia  esser  mossa. 
112.    L'  anima  gloriosa,  onde  si  parla, 

Tornata  nella  carne,  in  che  fii  poco. 
Credette  in  Lui  che  poteva  aiutarla; 


e,  E  r  una 


C.  D.  divina  spene 

C.  D.  Divina  spene   — 
B.  mise  sua  possa 


92.  Appr.  bene;  ma  sua  —   93.  se  altro  non  —  95.  Di  caldo  am. 
prima  luce  —  105.  di  passuri ,  e  quel  di  passi  —  114.  che  là  potè  aiutarla 

in. 


'   di  viva  sp.  —  97.  sombranza   —   99.  benignanza  —   100.  La 


79 


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626 


OIOVK.      GIUSTI   GIUDICI. 


1.  *2.  3.  insino 


1.  2.  3.  Onde  ered. 


1.  2.  3.  rìprendeane 


D. 


D. 


r. 


che  la  ra^ri 
L'  altro 


1.  (?)   r.   Ér 
B.   D.  is-:-   - 


Gli  ocrh. 


1.  2.  3.  vuole  Dio 


PARADISO    XX.    115-136.  bifeo  troiano. 

115.    E  credendo  s'  accese  in  tanto  foco 

Di  vero  amor,  eh'  alla  morte  seconda 

Fu  degna  di  venire  a  questo  gioco. 
118.    L'  altra,  per  grazia,  che  da  sì  profonda 

Fontana  stilla,  che  mai  creatura 

Non  pinse  Y  occhio  infino  alla  prim'  onda,    ^ 
121.    Tutto  suo  amor  laggiù  pose  a  drittura; 

Per  che,  di  grazia  in  grazia.  Dio  gli  aperse 

L'  occhio  alla  nostra  redenzion  ftitura:  n 

124.    Ond'  ei  credette  in  quella,  e  non  sofferse  b 

Da  indi  il  puzzo  più  del  paganesmo, 

E  riprendiene  le  genti  perverse.  b.  npjTudr^ 

127.    Quelle  tre  donne  gli  fiir  per  battesmo, 

Che  tu  vedesti  dalla  destra  rota, 

Dinanzi  al  battezzar  più  d'  un  millesmo. 
130.    0  predestinazion,  quanto  remota 

E  la  radice  tua  da  quegli  aspetti 

Che  la  prima  cagion  non  veggion  tota!  a. 

133.    E  voi,  mortali,  tenetevi  stretti 

A  giudicar;  che  noi,  che  Dio  vedemo, 

Non  conosciamo  ancor  tutti  gli  eletti; 
136.    Ed  enne  dolce  così  fatto  scemo, 

Perchè  il  ben  nostro  in  questo  ben  s' affina. 

Che  quel  che  vuole  Iddio  e  noi  volemo.         n. 


▼e^. 


Che  cW'  - 
vanir  Dì- 


117.  a  questo  loco  —  121.  Tutto  il  suo  —  amor  in  lui  pose    —  129.  più  che  un  millesmo  —  136.  E  come  è  dolrr 


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OIOVS.      GIUSTI   GIUDICI. 


PARADISO    XX.    139-148. 


AQUILA. 


139.    Cosi  da  quella  imagine  divina. 

Per  farmi  chiara  la  mia  corta  vista, 
Data  mi  fu  soave  medicina. 
142.    E  come  a  buon  cantor  buon  citarista 
Fa  seguitar  lo  guizzo  della  corda. 
In  che  più  di  piacer  lo  canto  acquista; 
2.3. chepwiè,mi8i  145.    Sì,  mcutrc  che  parlò,  si  mi  ricorda 

rie. 

Ch'  io  vidi  le  due  luci  benedette, 
batter  gli  occhi  PuT  comc  battcr  d'  occhi  si  concorda, 

148.    Con  le  parole  mover  le  fiammette. 


627 


B.  batter  gli  occhi 


142.  buon  ceterista  —  145.  mentre  che  parlossi ,  mi  —  147.  d'  occhi  che  a*  accorda 


79* 


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CANTO  VENTESIMOPRIMO 


I.  '2.  3.  Ed  ella 


1.  2.  3.  Scmele  fu 


.  2.  Parrebbe  fronda  — 
I.  2.  che  trono 


!•  'i.  3.  specchio 


ijrià  eran  gli  occhi  miei  rifissi  al  volto 
Della  mia  Domia,  e  V  animo  con  essi, 
E  da  ogni  altro  intento  s'  era  tolto; 
4.    E  quella  non  ridea,  ma:  S'io  ridessi, 
Mi  cominciò,  tu  ti  faresti  quale 
Fu  Semelè,  quando  di  cener  fessi; 
7.    Che  la  bellezza  mia,  che  per  le  scale 
Dell'  eterno  palazzo  più  s'  accende, 
Com'  hai  veduto,  quanto  più  si  sale, 

10.    Se  non  si  temperasse,  tanto  splende, 

Che  il  tuo  mortai  potere,  al  suo  fulgore. 
Sarebbe  fronda  che  tuono  scoscende, 

13.   Noi  Sem  levati  al  settimo  splendore. 

Che  sotto  il  petto  del  Leone  ardente 
Raggia  mo  misto  giù  del  suo  valore. 

16.    Ficca  diretro  agli  occhi  tuoi  la  mente, 
E  fa  di  quegh  specchi  alla  figura. 
Che  in  questo  specchio  ti  sarà  parvente. 


A.  1.  (?)  B.  Ma  qiieUa 
C.  D.  Incominciò 
A.  1.  Fé'  Sem.  (?) 


D.  più  811  sale 


B.  Parrebbe  —  A.  fronde 
—  D.  che  '1  tuono 
B.  che  trono 


3.  m'  era  tolto  —  5.  M' incominciò  —  7.  Che  la  letizia  —  15.  Raggia  mo  mesto  —  18.  (.'he  questo  ^pccchìo  ti  farà 


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630 


SATUBNO.      ROMITI. 


PARADISO    XXI.    19  —  42. 


SCALA   DI   JACOB. 


B.   C.  Qual  Mf  «b 

D.  Qiiaiuio  m- 

D.  m'  era  i^tv-' 


A.  2.  in 


1. 2. 3.  Quai  sap.         19.    Chi  sapessc  qual  era  la  pastura 

Del  viso  mio  nell'aspetto  beato, 
Quand'  io  mi  trasmutai  ad  altra  cura, 

22.    Conoscerebbe  quanto  m'  era  a  grato 
Ubbidire  alla  mia  celeste  scorta, 
Contrappcsando  X  un  con  X  altro  lato. 

25.    Dentro  al  cristallo,  che  il  vocabol  porta, 

Cerchiando  il  mondo,  del  suo  chiaro  duce,     i?.  cercando  -  ? 

dnee 

Sotto  cui  giacque  ogni  malizia  morta, 
28.    Di  color  d'  oro,  in  che  raggio  traluce, 

Vid'  io  uno  scaleo  eretto  in  suso 

Tanto,  che  noi  seguiva  la  mia  luce. 
2. 3.  Vidi  anche  31.    Vidi  auco  pcr  U  gradi  scender  giuso 

1.  Tanto  splendor  Tautì  splcudor,  ch'  io  pensai  eh'  ogni  lume 

Che  par  nel  ciel,  quindi  fosse  diflFiiso. 
34.   E  come,  per  lo  naturai  costume. 

Le  pole  insieme,  al  cominciar  del  giorno. 

Si  movono  a  scaldar  le  fredde  piume; 
37.    Poi  altre  vanno  ^da  senza  ritorno. 

Altre  rivolgon  se,  onde  son  mosse. 

Ed  altre  roteando  fan  soggiorno; 
40.    Tal  modo  parve  a  me  che  quivi  fosse 

In  quello  sfavillar  che  insieme  venne, 

Sì  come  in  certo  grado  si  percosse; 


B.  Tanto  ì^p..  - 
pensai 

D.  Che  ^vpv 


21.  dair  altra  cura  —  32.  pensai  ogni  lume   —  33.  nel  cielo  quindi  esser  diffuso 


.  rivolgonsi  —  donde  soa  la.  ~  2>  ^  * 


giorno 


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SATURNO.      ROMITI. 


PARADISO    XXI.    43-66. 


PIER    DAMIANO. 


631 


i.  2.  3.  mi  t'  accosta 


1.  2.  3.  però  qui 


43.    E  quel  che  presso  più  ci  si  ritenne, 

Si  fé'  si  chiaro ,  eh'  io  dicea  pensando  : 
Io  veggio  ben  1'  amor  che  tu  m'  accenne. 

46.    Ma  quella,  ond'  io  aspetto  il  come  e  il  quando 
Del  dire  e  del  tacer,  si  sta,  ond'  io 
Contra  il  disio  fo  ben  eh'  io  non  domando. 

49.    Perch'  ella,  che  vedeva  il  tacer  mio 
Nel  veder  di  colui  che  tutto  vede, 
Mi  disse:  Solvi  il  tuo  caldo  disio. 

52.    Ed  io  incominciai:  La  mia  mercede 

Non  mi  fa  degno  della  tua  risposta. 
Ma  per  colei  che  il  chieder  mi  concede, 

55.    Vita  beata,  che  ti  stai  nascosta 

Dentro  alla  tua  letizia,  fammi  nota 
La  cagion  che  si  presso  mi  t'  ha  posta; 

58.    E  di',  perchè  si  tace  in  questa  rota 
La  dolce  sinfonia  di  Paradiso, 
Che  giù  per  1'  altre  suona  si  devota. 

61.    Tu  hai  r  udir  mortai,  si  come  il  viso. 
Rispose  a  me;  onde  qui  non  si  canta 
Per  quel  che  Beatrice  non  ha  riso. 

64.    Giù  per  h  gradi  della  scala  santa 
Discesi  tanto,  sol  per  farti  festa 
Col  dire,  e  con  la  luce  che  m'  ammanta: 


D.  Negli  occhi 
C.  SoWi  tuo 


47.  si  stava .  ond*  io  —  48.  fo  ben  s*  io  non  dom. 


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g32  SATURNO.     ROMITI.  PARADISO    XXI.    67  —  90.  pieb  Damiano. 

H7.    Ne  più  amor  mi  fece  esser  più  presta,  /;.  mi  fé >,-- 

Che  più  e  tanto  amor  quinci  su  ferve, 

Sì  come  il  fiammeggiar  ti  manifesta; 
70.    Ma  r  alta  carità,  che  ci  fa  serve 

Pronte  al  consiglio  che  il  mondo  governa, 

Sorteggia  qui,  sì  come  tu  osserve. 
73.    Io  veggio  ben,  diss'  io,  sacra  lucerna. 

Come  libero  amore  in  questa  corte 

Basta  a  seguir  la  provvidenza  eterna: 
76.    Ma  quest'  è  quel,  eh'  a  cerner  mi  par  forte, 

Per  che  predestinata  fosti  sola 

A  questo  offizio  tra  le  tue  consorte.  a.  intra  ir 

1. 2. 3.  Non  venni        79.    Né  vcum  prfma  all'ultima  parola, 

Che  del  suo  mezzo  fece  il  lume  centro, 

Girando  se,  come  veloce  mola. 
82.    Poi  rispose  1'  amor  che  v'  era  dentro  : 

Luce  divina  sopra  me  s'  appunta, 

Penetrando  per  questa  ond'  io  m' inventro  ;      b.  mi  rrrtr 
3.  con  mio  veder         85.    La  cuì  vlrtù,  col  mio  veder  congiunta, 

Mi  leva  sopra  me  tanto,  eh'  io  veggio 

La  somma  essenza  della  quale  è  munta. 
88.    Quinci  vien  1'  allegrezza  ond'  io  fiammeggio  ; 
1.2.3*  Perchè  alla  vista  Pcrchè  la  vlsta  mia,  quant'  ella  è  chiara,         r.  eiurk^.n 

1.  La  carità  La  clùarità  della  fiamma  pareggio. 

Hi.  Volando  se  |l  Volvendo  se  (?)  —  84.  questa  in  eh'  io  ||  qu.  ov'  io  —  m' innentro  ||  m' incentro  (?) 


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SATURNO.      BOMITI. 


PARADISO    XXI.    91-114. 


PIKR   DAMIANO. 


633 


.  presumma 


fiimma 


a.>tsumina 


dixnandAr  umilm. 


91.   Ma  queir  alma  nel  ciel  che  più  si  schiara, 

Quel  Serafini  che  in  Dio  più  V  occhio  ha  fisso , 
Alla  domanda  tua  non  satisfarà; 
94.   Perocché  si  s' inoltra  nell'  abisso 

Dell'  eterno  statuto  quel  che  chiedi, 
Che  da  ogni  creata  vista  è  scisso. 
97.    Ed  al  mondo  mortai,  quando  tu  riedi, 
Questo  rapporta,  sì  che  non  presuma 
A  tanto  segno  più  mover  li  piedi. 

100.    La  mente  che  qui  luce,  in  terra  fuma; 
Onde  riguarda,  come  pua  laggiùe 
Quel  che  non  puote,  perchè  il  ciel  V  assuma. 

103.    Sì  mi  prescrisser  le  parole  sue, 

Ch'  io  lasciai  la  questione,  e  mi  ritrassi 
A  domandarla  umilmente  chi  fue. 

106.    Tra  due  liti  d' Itaha  surgon  sassi, 

E  non  molto  distanti  alla  tua  patria. 

Tanto,  che  i  tuoni  assai  suonan  più  bassi,    ^. 

109.   E  fanno  un  gibbo,  che  si  chiama  Catria, 
Disotto  al  quale  è  consecrato  un  ermo, 
Che  suol  esser  disposto  a  sola  latria. 

112.  Così  ricominciommi  il  terzo  sermo; 
E  poi,  continuando,  disse:  Quivi 
Al  servigio  di  Dio  mi  fei  sì  fermo. 


A.  2.  fi.  C.  D.  presumma 


A.  2.  R.  a  D.  fumma 


A.  1.  non  può,  perchè  lo 
e.  8*  ass.  —  A.  2.  B. 
C  D.  assumma 


D.  prescrissnii 


A.   domandarli     B.   do- 
mandare 

A.  1.  Tra  i  due  (?) 


99.  qui  mover  li  p.  -  106.  A  domandarlo 
III. 


80 


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634 


SATURNO.       ROMITI. 


PARADISO    XXI.    115—138. 


PIER    DAMIANO. 


1.  conv.  che  tosto 


1.   pescatur 
nella 


1.  3.  fu 


115.    Che  pur  con  cibi  di  liquor  d'ulivi, 

Lievemente  passava  caldi  e  gieli, 

Contento  nei  pensier  contemplativi. 
118.    Render  solca  quel  chiostro  a  questi  cieli  .4.  f,..ei  cia.istr« 

Fertilemente,  ed  ora  è  fatto  vano, 

Si  che  tosto  convien  che  si  riveli. 
121.    In  quel  loco  fu'  io  Pier  Damiano; 

E  Pietro  peccator  fili  nella  casa  ^.pesrator-*.f«r^ 

Di  Nostra  Donna  in  sul  lito  Adriano. 
124.    Poca  vita  mortai  m'  era  rimasa, 
•2. 3.  giiand- io  fu  Quando  fui  chiesto  e  tratto  a  quel  cappello,  r.  guanaiofm 

Che  pur  di  male  in  peggio  si  travasa. 
127.    Venne  Cephas,  e  venne  il  gran  vasello 

Dello  Spirito  Santo,  magri  e  scalzi, 

Prendendo  il  cibo  di  qualunque  ostello. 
130.    Or  voglion  quinci  e  quindi  chi  rincalzi 

Li  moderni  pastori,  e  chi  li  meni. 

Tanto  son  gravi,  e  chi  diretro  gli  alzi. 
1. 2. 3.  lor  ku  paiafr.     133.    Coprou  dcl  mautl  loro  i  palafi'eni. 

Si  che  due  bestie  van  sott'  una  pelle  : 

0  pazienza,  che  tanto  sostieni! 
13f).    A  questa  voce  vid'  io  più  fiammelle 

Di  grado  in  grado  scendere  e  girarsi. 

Ed  ogni  giro  le  facéa  più  belle. 


A.   C  niacri 


A.  da  qualunque 


//.    de"  lort»  ammat-f  - 
fi.  lor  li  palarir. 


115.  Che  pur  enti  riho  —   116.  passava  e  caldi  e  f^ieU   ~  121.  Pietro  Damiano    —    125.  al  giau  cappello  —   130.  chi  i  nii4-«I-'     » 


alzi 


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SATURNO.     ROMITI.  PARADISO    XXI.    139  —  142.  pier  Damiano.  g35 

139.    Dintorno  a  questa  vennero,  e  fermarsi, 
E  fero  un  grido  di  si  alto  suono, 
2. 3.  aasomigi  01x6  uou  potrebbe  qui  assimigliarsi;  />.  »somi(;i. 

142.    Ne  io  lo  intesi,  si  mi  vinse  il  tuono. 


140.  K  fenno  wn  |;rìdn 


80' 


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CANTO  VENTESIMOSECONDO 


1.  'i.  3.  La  qual  vedrai 


v/ppresso  dì  stupore  alla  mìa  guida  ^.  i.  Apppewo  -  ^.  a» 

stup. 

Mi  volsi,  come  parvol,  che  ricorre 

Sempre  colà  dove  più  si  confida: 
4.    E  quella,  come  madre,  che  soccorre 

Subito  al  figlio  pallido  ed  anelo  ^.  m.  «guo  pavido 

Con  la  sua  voce,  che  il  suol  ben  disporre,     /;.«.  con  queiu  voce 
7.    Mi  disse:  Non  sai  tu  che  tu  sei  in  cielo? 

E  non  sai  tu  che  il  cielo  è  tutto  santo, 

E  ciò  che  ci  si  fa  vien  da  buon  zelo? 
10.    Come  t'  avrebbe  trasmutato  il  canto, 

Ed  io,  ridendo,  mo  pensar  lo  puoi, 

Poscia  che  il  grido  t'  ha  mosso  cotanto  ; 
13.    Nel  quale,  se  inteso  avessi  i  preghi  suoi, 

Già  ti  sarebbe  nota  la  vendetta. 

Che  tu  vedrai  innanzi  che  tu  muoi. 
16.    La  spada  di  quassù  non  taglia  in  fretta, 

Ne  tardo,  ma'  che  al  parer  di  colui,  /;.Nè tardi -^.aipiaccr 

Che  disiando  o  temendo  Y  aspetta.  a.  i.  «•  appetta 


1.  Appreso  di  shipor  —  9.  che  si  ci  Ta  |j  che  si  si  fa  ||  che  vi  si  fa  —  17.  Ne  tardò  —  mai  che  al  |I  mai  al 


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638 


SATURNO.      ROMITI. 


l.  invcr  altrui 


1.  2.  3.  la  vista  ridili 


1.  2.  3.  con  mutui 
1.  2.  3.  riprcme 


2.  3.  margher. 


1.  2.  3.  Cassino 


PARADISO    XXII.    19-42. 

19.  Ma  rivolgiti  ornai  inverso  altrui; 
Ch'  assai  illustri  spiriti  vedrai , 
Se  com'  io  dico  V  aspetto  ridui. 

22.    Com'  a  lei  piacque  gli  occhi  dirizzai, 
E  vidi  cento  sperule,  che  insieme 
Più  s'  abbelUvan  coi  mutui  rai. 

25.  Io  stava  come  quei  che  in  se  repreme 
La  punta  del  disio ,  e  non  s'  attenta 
Del  domandar,  sì  del  troppo  si  teme 

28.    E  la  maggiore  e  la  più  luculenta 

Di  quelle  margarite  innanzi  fessi, 
Per  far  di  se  la  mia  vogha  contenta. 

31.    Poi  dentro  a  lei  udi':  Se  tu  vedessi, 
Com'  io ,  la  carità  che  tra  noi  arde , 
Li  tuoi  concetti  sarebbero  espressi; 

34.    Ma  perchè  tu,  aspettando,  non  tarde 
Air  alto  fine ,  io  ti  farò  risposta 
Pure  al  pensier  di  che  si  ti  riguarde. 

37.    Quel  monte,  a  cui  Casino  è  nella  costa, 
Fu  frequentato  già  in  sulla  cima 
Dalla  gente  ingannata  e  mal  disposta. 
1. 2. 3.  Ed  io  9on  quel  40.    E  qucl  sou  io  che  su  vi  portai  prima 

Lo  nome  di  colui,  che  in  terra  addusse 
La  verità,  che  tanto  ci  sublima; 


S.   BENEDETTO. 


ohe 


A. 


1.  iirusb 
d*  s'itnii 


C.  rrtlu- 
2.  r.  b. 


^   r.  D.  ripr^.- 


IJ.  .sarebbxG 


iS.  C.  (  1- 


19.  iuver  d'  altrui   —  22.  Come  le  piacque   —   gli  occhi  ritoruai   —  24.  s*  abbetliauo   —  27.  Di  domaudar    —   s'  ccii  t' 
34.  aspettando,  più  non  tarde  —  35.  Ad  alto  fin  —  eh'  io  ti  farò  —  36.  Pria  al  pensier  —  da  che  sì  ti  rii^u.  ~  40.  E  qaeì  >ou  i 


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SATURNO.       ROMITI. 


PARADISO    XXII.    43  —  66. 


S.    BENKDETTO. 


639 


43.    E  tanta  grazia  sopra  me  rilusse, 

Ch*  io  ritrassi  le  ville  circostanti 
i.i.3.empio- 1.2.C01U.  Dall' impio  culto  che  il  mondo  sedusse. 

46.    Questi  altri  fochi  tutti  contemplanti 
Uomini  furo,  accesi  di  quel  caldo 
1. 2. 3.  nascere  i  fiori  Chc  fa  uasccr  li  fiori  c  Ì  fruttì  santi. 

I.  Quivi  è  -  1.  ,,iiivi  i  49.    Qui  è  Maccario ,  qui  è  Romoaldo , 


li.  e.  D.  empio  —  B.  colto 


1.  Qui  sono  i  fr. 
1.  Fermar o  i  p. 


1.  Quanto  il  sol 


1.  2.  3.  Ove 


Qui  son  li  frati  miei  che  dentro  ai  chiostri 
Fermar  U  piedi  e  tennero  il  cor  saldo. 

52.    Ed  io  a  lui:  L'  affetto  che  dimostri 

Meco  parlando,  e  la  buona  sembianza 

Ch'  io  veggio  e  noto  in  tutti  gli  ardor  vostri, 

55.    Cosi  m'  ha  dilatata  mia  fidanza, 

Come  il  sol  fa  la  rosa,  quando  aperta 
Tanto  divien  quant'  eli'  ha  di  possanza. 

58.    Però  ti  prego,  e  tu,  padre,  m'  accerta 

S' io  posso  prender  tanta  grazia,  eh'  io 
Ti  veggia  con  imagine  scoperta. 

61.    Ond'  egU:  Frate,  il  tuo  alto  disio 

S'  adempierà  in  sull'  ultima  spera. 

Dove  s'  adempion  tutti  gli  altri,  e  il  mio. 

64.    Ivi  è  perfetta,  matura  ed  intera 

Ciascuna  disianza;  in  quella  sola 
E  o^ni  parte  là  dove  sempr'  era. 


H.  D.  nascere  i  fiori 
R.  Quivi  k  —  B.  quivi  « 
R.  D.  Qui  sono  i  fr. 


H.  a  D.  Fcrmaro  i  p.  - 
/>.  renner  lo  cor 


A.  1.  quando  è  aperta 


A.  Ti  vegfta 

C.  D.  O  frate 

D.  S'  adempion 
n.  D.  Ove 


A.  1.  (?)  B.  1),  Ed  ocni 
parte 


43.  K  tanta  luce  —  47.  Uomini  fiinno ,  are.  ||  Uom.  accesi  furt)   —   48.  nascer  e  fiori  e  frutti  ~  49.  Qui  e'  è  Mac.  —   quivi  Uou>.  — 
Kimoaldo  —  56.  dilatato  ||  dilettata  —  61.  il  tuo  raldo  disio  —  65.  e  in  quella  sola 


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640 


SATURNO.      ROMITI. 


PARADISO    XXn.    67—90. 


8.   BENEDETTO. 


1.  2.  3.  Jacob  isponcer 


1.  2.  3.  e  giù  per  d. 


1.  fa  i  cor 


1.  2.  3.  parente 


2.  3.  oracione 


67.   Perchè  non  è  in  loco,  e  non  s' impola, 
£  nostra  scala  infino  ad  essa  varca, 
Onde  cosi  dal  viso  ti  s*  invola. 

70.   Infin  lassù  la  vide  il  patriarca 

Jacob  porgere  la  superna  parte, 
Quando  gli  apparve  d'  Angeli  si  carca. 

73.   Ma  per  salirla  mo  nessun  diparte 
Da  terra  i  piedi,  e  la  regola  mia 
Rimasa  è  per  danno  delle  carte. 

76.   Le  mura,  che  solcano  esser  badia, 
Fatte  sono  spelonche,  e  le  cocolle 
Sacca  son  piene  di  farina  ria. 

79.   Ma  grave  usura  tanto  non  si  toUe 

Contra  il  piacer  di  Dio,  quanto  quel  frutto 
Che  fa  il  cor  dei  monaci  si  folle. 

82.    Che,  quantunque  la  chiesa  guarda,  tutto 
E  della  gente  che  per  Dio  domanda; 
Non  di  parenti,  ne  d'  altro  più  brutto. 

85.    La  carne  dei  mortali  è  tanto  blanda, 

Che  giù  non  basta  buon  cominciamento 
Dal  nascer  della  quercia  al  far  la  ghianda. 

88.    Pier  cominciò  senz'  oro  e  senza  argento , 
Ed  io  con  orazioni  e  con  digiimo, 
E  Francesco  umilmente  il  suo  confvento. 


e. 


D.  tcaU  ib 
ad  esso 


C.  da  park 


D.  E  rimasa 


A.  fa  i 


A.  dri  par.  -  ^ 
A.  1.  rbr  .VI 

A.  1.  «  r«j 


D. 


'.  oranf>t' 


67.  Perchè  non  è  in  loro  —  71.  Jacobbe  polder  (?)  —  76.  Le  mure  -  79.  Ma  tanti)  ^ra^e  usura  —  84.  Nr  dì  parcnu 
mente  suo  conv. 


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SALITA    ALLO    STILLATO. 


PARADISO    XXIL    91-114. 


DANTE    E   BEATRICE. 


641 


1 2. 3.  al  priuc.  91.    E ,  sc  guardì  il  principio  di  ciascuno, 

Poscia  riguardi  là  dov'  è  trascorso, 
Tu  vederai  del  bianco  fatto  bruno. 

3.  volto  retrorso  Piii  fu.    94.    Veramente  Giordan  volto  è  retrorso  ; 

e  il  mar  fugg. 

Più  fu  il  mar  fuggir,  quando  Dio  volse, 


1.  a  udir 


B.  al  princ. 

/J.  ov*  è 

r.  Tedrai  del  bianru 

D.  Jordan 


B.  il  mal  fuggire,  quando 
volse 


B.  a  udir 


A.  2.  B.  a  D.  tutto  in  «è 


C.  un  cenno  sol 


Mirabile  a  veder,  che  qui  il  soccorso. 
97.    Cosi  mi  disse,  ed  indi  si  ricolse 

Al  suo  collegio,  e  il  collegio  si  strinse; 
2. 3.  in  su  tutto -i.  in  ȏ  Poi ,  comc  turbo ,  tutto,  in  su  s'accolse. 

100.   La  dolce  Donna  dietro  a  lor  mi  pinse 

Con  un  sol  cenno  su  per  quella  scala, 

Si  sua  virtù  la  mia  natura  vinse; 
103.    Ne  mai  quaggiù,  dove  si  monta  e  cala 

Naturalmente,  fu  sì  ratto  moto, 

Ch'  agguagliar  si  potesse  alla  mia  ala. 
106.    S' io  torni  mai,  lettore,  a  quel  devoto 

Trionfo,  per  lo  quale  io  piango  spesso 

Le  mie  peccata,  e  il  petto  mi  percoto, 
109.    Tu  non  avresti  in  tanto  tratto  e  messo 

Nel  foco  il  dito ,  in  quanto  io  vidi  il  segno  a.  ì»  quanto  vidi 

Che  segue  il  Tauro,  e  fui  dentro  da  esso. 
112.    0  gloriose  stelle,  o  lume  pregno 

Di  gran  virtù,  dal  quale  io  riconosco 
2. 3.  il  mio  iug.  Tutto,  qual  che  si  sia,  lo  mio  ingegno;         b.  r  n,  n  m\o  ìn^. 


92.  E  poi  riguardi  ^  94.  fatto  retrorso  —  dS.  il  mar  a  fuggir  —  99.  Poi  come  a  turbo  —  iu  se  tutto  ||  in  sé  stesso  —  s'  avvolse  - 
9.  in  tanto  tratto,  messo 


III. 


SI 


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642 


STKLLATO.      GXMXLLI. 


DANTE    E   BSATBICB. 


l.  2.  3.  in  giiiso 


1.  2.  3.  tutt«  qii. 


1.  Ch'  ei;li  ha 

1.  2.  3.  punte  veratn. 


PARADISO    XXII.    115—138. 

115.    Con  voi  nasceva  e  s'  ascondeva  vosco 

Quegli  eh'  è  padre  d'  ogni  mortai  vita,  z/.  coiniet. 

Quand'  io  senti'  da  prima  1'  aer  Tosco  ; 
118.    E  poi,  quando  mi  fìi  grazia  largita 

D'  entrar  nell'  alta  rota  che  vi  gira. 

La  vostra  region  mi  fu  sortita. 
121.    A  voi  devotamente  ora  sospira 

L'  anima  mia  per  acquistar  virtute 

Al  passo  forte,  che  a  se  la  tira. 
124.    Tu  sei  si  presso  all'  ultima  salute. 

Cominciò  Beatrice,  che  tu  dei 

Aver  le  luci  tue  chiare  ed  acute.  a.  i.  anr^t* 

127.    E  però,  prima  che  tu  più  t'inlei,  o.  piùtut.: 

Rimira  in  giù,  e  vedi  quanto  mondo  b.  m  ^u^ 

Sotto  li  piedi  già  esser  ti  fei; 


130.    Sì  che  il  tuo  cor,  quantunque  può,  giocondo    .<.i.i?.eor. 

U.  Rappr»^- 


S'  appresenti  alla  turba  trionfante. 
Che  Ueta  vien  per  questo  etera  tondo. 

133.    Col  viso  ritomai  per  tutte  e  quante 
Le  sette  spere,  e  vidi  questo  globo 
Tal,  ch'io  sorrisi  del  suo  vii  sembiante; 

136.    E  quel  consiglio  per  migliore  approbo 

Che  r  ha  per  meno  ;  e  chi  ad  altro  pensa 
Chiamar  si  può  veracemente  probo. 


A.  2.  B.  b 


B.   (\  U.  \ 


115.  e  si  s'ascoudca   —    117.  senti' di  prìm«  —   121.  or»  e  sosp.  ||  e  or»  e  sosp.   —    IS.  che  &  se  forte   —   127.  tu  p- 
130.  Sì  quel  tuo  cor  —  quantunque  puoi  1)  quantunque  più  —  135.  di  suo  vii  —  137.  Che  U  pon  mente 


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STELLATO.       OBMKLLL  PARADISO     XXII.     139—154.  (SETTE    PIANETl)  643 

139.    Vidi  la  figlia  di  Latona  incensa 

Séhza  quell'  ombra,  che  mi  fii  cagione 
Per  che  già  la  credetti  rara  e  densa. 

142.    L'  aspetto  del  tuo  nato,  Iperione, 

Quivi  sostenni,  e  vidi  com'  si  move 

Circa  e  vicino  a  lui  Maia  e  Dione.  ^i.  2.  viciua  a  lui 

145.    Quindi  m'  apparve  il  temperar  di  Giove  ^.m*  apparse 

1.2.3  e  quindi -Icaro  Tra  il  padrc  e  il  figUo;  e  quivi  mi  fu  chiaro  a.  2,  b.  a  v.  t  qmndi 

—  B.  mi  fu  caro 

Il  variar  che  fanno  di  lor  dove. 
148.   E  tutti  e  sette  mi  si  dimostraro  ' 

Quanto  son  grandi,  e  quanto  son  veloci, 

E  come  sono  in  distante  riparo. 
151.    V  aiuola  che  ci  fa  tanto  feroci, 

A.   1.    Volg..nii   con    — 

Volgendom'  io  con  gli  eterni  Gemelli,  -4. 1.  (?)  b.  con  ui 

e  li  gem. 

Tutta  m'  apparve  dai  colU  alle  foci:  ^.2. Rr.traicoUicief. 

154.    Poscia  rivolsi  gli  occhi  agli  occhi  belli. 


143.  vidi  che  si  move  —  145.  Quindi  m*  aperse  —  151.  L*  aunuola  ||  La  mola  —  152.  con  lei  in  li  Gemelli 


81' 


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CANTO  VENTESmOTERZO 


\jome  Y  augello,  intra  Y  amate  fronde, 
Posato  al  nido  dei  suoi  dolci  nati 
La  notte,  che  le  cose  ci  nasconde, 
4.    Che,  per  veder  gli  aspetti  disiati, 

E  per  trovar  lo  cibo  onde  li  pasca, 
In  che  i  gravi  labor  gli  sono  aggrati, 
7.    Previene  il  tempo  in  suir  aperta  frasca, 
E  con  ardente  affetto  il  sole  aspetta, 
Fiso  guardando,  pur  che  Y  alba  nasca; 

10.    Così  la  Donna  mia  si  stava  eretta 
Ed  attenta,  rivolta  inver  la  plaga 
Sotto  la  quale  il  sol  mostra  men  fretta; 

13.    Sì  che  veggendola  io  sospesa  e  vaga, 
Fecimi  quale  è  quei,  che  disiando 
Altro  vorria,  e  sperando  s'  appaga. 

16.    Ma  poco  fii  tra  uno  ed  altro  quando, 
Del  mio  attender,  dico,  e  del  vedere 
Lo  ciel  venh»  più  e  più  rischiarando. 


B.  C.  1).  In  che  gravi  — 
C.  D.  labori  gli  son 
grati 

D.  al  tempo 


A.  Fisso  —  A»  m.  pur 
se  r  alba 

tì.  mia  stava 


I).  vorrebbe 


l.  Come  r  uccello  —  6.  gli  sono  agiati  —  7.  Prevenne  —  in  su  aperta  fr.  —  11.  inver  la  piaga 


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646 


STELLATO.      GEMELLL 


PARADISO    XXni.    19  —  42. 


TRIONFO    DI    CRISTO. 


1.  Parvcmi 


1.  2.  3.  mi  ronvien 


1.  Che  *1  viso  mio  non 


1.  snvranz*  2. 3.  sobranxa 


l.  2.  3.  tra  il  rìelo 


19.    E  Beatrice  disse:  Ecco  le  schiere 

Del  trionfo  di  Cristo,  e  tutto  il  frutto 
Ricolto  del  girar  di  queste  spere. 

22.    Pareami  che  il  suo  viso  ardesse  tutto, 
E  gli  occhi  avea  di  letizia  si  pieni. 
Che  passar  mei  convien  senza  costrutto. 

25.    Quale  nei  plenilunii  sereni 

Trivia  ride  tra  le  ninfe  eteme, 

Che  dipingono  il  ciel  per  tutti  i  seni, 

28.    Vid'  io,  sopra  migliaia  di  lucerne, 

Un  sol  che  tutte  quante  Y  accendea, 
Come  fa  il  nostro  le  viste  superne; 

31.    E  per  la  viva  luce  trasparea 

La  lucente  sustanzia  tanto  chiara 
Nel  viso  mio,  che  non  la  sostenea. 

34.    0  Beatrice,  dolce  guida  e  cara...! 

Ella  mi  disse:  Quel  che  ti  sopranza 
E  virtù,  da  cui  nulla  si  ripara. 

37.    Quivi  è  la  sapienza  e  la  possanza 

Ch'  apri  le  strade  intra  il  cielo  e  la  terra, 
Onde  fu  già  sì  lunga  disianza. 

40.    Come  foco  di  nube  si  disserra 

Per  dilatarsi  si,  che  non  vi  cape, 

E  fuor  di  sua  natura  in  giù  s*  atterra. 


^.2.ParirBi;  !, 


reni 


C  tra».|>a?r>« 

B.  C1»e  I  v:* 
tenera 

A.  t.  C.  El  Sri 

A.  2.  B,  c.  ;• 


A.*2,B.( 


B.    a  AOB  . 


27.  dipingon  lo  ciel  —  33.  eh'  io  non  U  sost.  ->  34.  Eh  Beatrice  —  o  dolce  guida  —  f&.  Allor  mi  disac 


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STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXIII.    43  —  66. 


RISO   DI    BEATRICE. 


647 


1. 2. 3.  Così  la  m.        43.    La  meote  mia  così,  tra  quelle  dape 

Fatta  più  grande,  di  se  stessa  uscio, 
E,  che  si  fesse,  rimembrar  non  sape. 
46.    Apri  gli  occhi  e  riguarda  qual  son  io; 
Tu  hai  vedute  cose,  che  possente 
Sei  fatto  a  sostener  lo  riso  mio. 
49.    Io  era  come  quei,  che  si  risente 

Di  vision  obblita,  e  che  s'ingegna 
1. 2. riduceriasi a m.  ludamo  dì  ridurlasi  alla  mente, 

I.  udii:  Qu.  proff.  è  d.   52.    Quaudo  io  udi' questa  profferta,  degna 

Di  tanto  grado,  che  mai  non  si  estingue 
Del  libro  che  il  preterito  rassegna. 
55.    Se  mo  sonasser  tutte  quelle  lingue 
Che  Polinnia  con  le  suore  fero 
Del  latte  lor  dolcissimo  più  pingue, 
58.    Per  aiutarmi,  al  miUesmo  del  vero 

Non  si  verria,  cantando  il  santo  riso, 
1. 2.  asp.  facea  E  quauto  il  sauto  aspetto  il  facea  mero. 

61.    E  così,  figurando  il  Paradiso, 

Convien  saltar  lo  sacrato  poema. 
Come  chi  trova  suo  cammin  reciso. 
1. 2.  il  ponderoso        64.   Ma  cM  pcusassc  il  poderoso  tema, 

E  r  omero  mortai  che  se  ne  carca, 
Noi  biasmerebbe,  se  sott'  esso  trema. 


B,  Cosi  la  m.  mia  — 
D.  fra  qu.  A.  m.  da  qu. 


8.  riducerlasi  a  mente 


A.  C.  D.  Polymia  - 
B.  con  le  sue  sore 


A.  C.  cant  al  santo 

B,  aspetto  facea 


D.  al  ponder. 

B.  che  sì  ne  carca 


45.  K,  che  si  fosse  —  47.  Tu  hai  veduto  —  50.  obblita,  che  s' ing.  —  53.  Di  tanto  grato  —  54.  che  preterito  —  disegna  —  65.  Se 
me  sonasser  —  56.  Le  quai  Poi.  —  57.  dolciss.  e  più  pingue  —  58.  Per  a'  tarmi  al  millesimo  ||  Per  ritrarne  il  millesimo  —  al  millesimo  vero  — 
59.  Non  converria  —  60.  il  dolce  asp.  —  aspetto  face  mero  —  63.  Com*  uom  che  trova  ^  66.  Neil*  omero  —  66.  Non  biasmerebbe 


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648 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXIII.    67-90. 


MARIA   VBBOIME. 


i.  peieggio  2.  poieggio    67.   Nodl  6  pileggio  da  picciola  barca 

Quel  che  fendendo  va  Y  ardita  prora, 
Ne  da  nocchier  eh'  a  se  medesmo  parca. 

70.    Perchè  la  faccia  mia  si  t' innamora. 

Che  tu  non  ti  rivolgi  al  bel  giardino 
Che  sotto  i  raggi  di  Cristo  s'  infiora? 

73.    Quivi  è  la  rosa  in  che  il  Verbo  Divino 
Carne  si  fece;  quivi  son  li  gigli, 
Al  cui  odor  si  prese  il  buon  cammino. 

76.    Così  Beatrice.  Ed  io,  eh'  a'  suoi  consigU 
Tutto  era  pronto,  ancora  mi  rendei 
Alla  battagha  dei  debili  cigU. 

79.    Come  a  raggio  di  sol,  che  puro  mei 
Per  fratta  nube,  già  prato  di  fiori 
1.3.  coperto  Vidcr,  copcrtl  d'  ombra,  gli  occhi  miei; 

82.    Vid'  io  così  più  turbe  di  splendori, 
Folgorati  di  su  da  raggi  ardenti, 
1. 2. 3.  di  f,ii«ori  Senza  veder  principio  dei  fulgori. 

85.    0  benigna  virtù  che  sì  gV  impronti, 
Su  t'  esaltasti  per  largirmi  loco 
Agli  occhi  lì,  che  non  eran  possenti. 

88.    Il  nome  del  bel  fior,  eh'  io  sempre  invoco 
E  mane  e  sera,  tutto  mi  ristrinse 
L'  animo  ad  avvisar  lo  maggior  foco. 


A.  Per  qwl  fn^  - 


B.  JJ.  copcn< 


ZI.  Fali;urms     - 
77.  di  ra-r 

B.  D.  di  fn> 


A.     C    DOB  T  <1 

^.  2.  c  n  :::. 


67.  puleggio  II  pelaggio  ||  pUaggio  ||  polaggio  ||  pareggio  |{  paraggi©  (?)  —  68.  Quei  che  -  76.  s'  apprese  ||  s*  «prr^  -  " 
raggi  —  di  sole,  che  pur  —  puro  inei  —  80.  Per  fredda  nube  —  83.  Folgorate  ||  Fulminati  —  86.  O  divina  virtù  —  H7.  ik^  e'ens  ; 


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GABBIEL    ARCANGELO. 


STELLATO.      OSMELLL  PARADISO     XXIII.     91  —  114. 

91.   E  come  ambo  le  luci  mi  dipinse 

Il  quale  e  il  quanto  della  viva  stella, 
Che  lassù  vince,  come  quaggiù  vinse, 
94.    Perentro  il  cielo  scese  una  facella. 

Formata  in  cerchio  a  guisa  di  corona, 
E  cinsela,  e  girossi  intorno  ad  ella. 
97.    Qualunque  melodia  più  dolce  suona 
Quaggiù,  e  più  a  se  V  anima  tira, 
Parrebbe  nube  che  squarciata  tuona, 

100.  Comparata  al  sonar  di  quella  lira, 
Onde  si  coronava  il  bel  zaffiro, 
Del  quale  il  ciel  più  chiaro  s' inzaffira. 

103.    Io  sono  amore  angelico,  che  giro 

L'  alta  letizia  che  spira  del  ventre , 
Che  fu  albergo  del  nostro  disiro; 

106.   E  girerommi.  Donna  del  ciel,  mentre 
Che  seguirai  tuo  figlio,  e  farai  dia 
rrhe«ii  2.3.  perchè  lì  Pìù  la  spcra  suprcma,  perchè  gli  entre. 

109.    Cosi  la  circulata  melodia 

Si  sigillava,  e  tutti  gli  altri  lumi 
Faceau  sonar  lo  nome  di  Maria. 

112.    Lo  real  manto  di  tutti  i  volumi 

Del  mondo,  che  più  ferve  e  più  s'  avviva 
Neir  aUto  di  Dio  e  nei  costumi , 


649 


B.  Che  Imsù  vinse 


/>.  Nube  parrebbe 


A.  1.  Donde 


B.  che  spiro 


B.  per  cheli  I  C.  perchè  lì 


ir  abito 


A.  2.  C.  D.  Facea  sonar 
-  B.  lo  lume  di  M. 


A.  1.  (?)  B.  più  saliva 

A  1.  Xeir  abito  (?)  B. 
Via  neir  atto  —  l). 
dei  nost. 


93.  Che  quassù  —  come  laggiù  —  91.  il  ciel  discese  —  98.  ed  a  aè  più  —  101.  Onde  s'  incoronava  —  HI.  sonare  il  nome 


III. 


82 


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650 


STELLATO.      (ìKMKLLL 


PARADISO    XXIIl.    115—139. 


MARIA    VERGIKE. 


1.  r  eterna  r. 


1.  2.  3.  come  fant.  - 
3.  che  ver 


2.  3.  la  sua  rima 


2.  3.  Babilonia   -   1.  2. 
3.  uve 


115.    Avea  sopra  di  noi  Y  interna  riva 

Tanto  distante,  che  la  sua  parvenza 
Là  dov'  io  era  ancor  non  m'  appariva. 

118.    Però  non  ebber  gli  occhi  miei  potenza 
Di  seguitar  la  coronata  fiamma, 
Che  si  levò  appresso  sua  semenza. 

121.  E  come  il  fantolin,  che  in  ver  la  mamma 
Tende  le  braccia  poi  che  il  latte  prese, 
Per  r  animo  che  in  fin  di  fuor  s' infiamma  ; 

124.    Ciascun  di  quei  candori  in  su  si  stese 

Con  la  sua  fiamma,  sì  che  1'  alto  affetto 
Ch'  egli  aveano  a  Maria,  mi  fu  palese. 

127.  Indi  rimaser  lì  nel  mio  cospetto, 
Regina  coeli  cantando  si  dolce. 
Che  mai  da  me  non  si  partì  U  diletto. 

130.    Oh  quanta  è  1'  ubertà  che  si  soffolce 
In  queir  arche  ricchissime ,  che  foro 
A  seminar  quaggiù  buone  bobolce! 

133.    Quivi  si  vive  e  gode  del  tesoro 

Che  s'  acquistò  piangendo  nell'  esilio 
Di  Babilon,  dove  si  lasciò  Y  oro. 

136.    Quivi  trionfa,  sotto  Y  alto  Filio 

Di  Dio  e  di  Maria,  di  sua  vittoria, 
E  con  r  antico  e  col  nuovo  concilio 

139.    ('olui,  che  tien  le  chiavi  di  tal  gloria. 


A.  f.  B,  C.  D.  Y  tlcri 
riva 


JJ.  non  appariva 


H.  D.  come  fant. 
D.  ehe  latTr 


A.  m.  U.  m.  la  -^ua   a- 
U.  Ch*  avfvaBu 
A.  rimasou 


A    biibt»lrf 

H.  C'ume  si  vi\f 


U.  BabiUmia  -  *-  ' 
HI.  />.  dovei-  ' 
r.  la»ri«  />.  h    • 


U.  la  Mia  vttL 


13).   appr.  a  sua  semenza  ||  intorno  &iia  scm.    —    126.  Ch'  avicno   —    127.   noi  min  aspetto 
lasriò  —  lasriò  hini    -  138.  e  nell'  antico  e  nel  nntivo 


iXi.    si  godr    e  vive    —    I35 


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CANTO  VENTESIMOQUARTO 


3.  An/i  che  m. 
3.  alla  sua  voglia 


\J  sodalizio  eletto  alla  gran  cena 
Del  benedetto  agnello,  il  qual  vi  ciba 
Sì,  che  la  vostra  voglia  è  sempre  piena; 
4.    Se  per  grazia  di  Dio  questi  preliba 

Di  quel  che  cade  della  vostra  mensa, 
Prima  che  morte  tempo  gli  prescriba, 
7.    Ponete  mente  all'  affezione  immensa, 
E  roratelo  alquanto:  voi  bevete 
Sempre  del  fonte  onde  vien  quel  eh'  ei  pensa. 

10.    Così  Beatrice:  e  quelle  anime  liete 
Si  fero  spere  sopra  fissi  poli, 
Fiammando  forte  a  guisa  di  comete. 

13.    E  come  cerchi  in  tempra  d'  orinoli 

Si  giran  sì,  che  il  primo,  a  chi  pon  mente , 
Quieto  pare,  e  1'  ultimo  che  voli, 

16.    Così  quelle  carole  differente - 

Mente  danzando,  della  sua  ricchezza, 
Mi  si  facean  stimar  veloci  e  lente. 


e.  dalla  vostra 
B.  Anzi  che  morte 


/>.  roratela 


A.  sopra  i  fissi 

A.  m   FìammaDdo  volte 


A.  2.   Mi  si  faeéno    H. 
C.  U.  Mi  faeéao 


2.  ohe  vi  ciba  ||  il  qual  ne  ciba   —   3.  la  nostra  vogliif  —  5.  della  nostra  mensa   —    11.  Si  fenno  spere 
Ulla  sua 

82* 


1*2.  Raggiando  forte  — 


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652 


KTKI.LATO.      «E»ELLI. 


PARADISO    XXIV.    19  —  42. 


8.   PIETBO.       (fede.) 


3.  tanto  vivo 


1.  2.  3.  Ov'  ogni 


19.    Di  quella  eli'  io  notai  di  più  bellezza 
Vid'  io  uscire  im  foco  sì  felice, 
Che  nullo  vi  lasciò  di  più  chiarezza; 

22.    E  tre  fiate  intorno  di  Beatrice 

Si  volse  con  un  canto  tanto  divo, 
Che  la  mia  fantasia  noi  mi  ridice; 

25.    Però  salta  la  penna,  e  non  lo  scrivo, 

Che  l'immaginar  nostro  a  cotai  pieghe, 
Non  che  il  parlare,  è  troppo  color  \dvo. 

28.    0  santa  suora  mia,  che  si  ne  preghe 
Devota,  per  lo  tuo  ardente  affetto 
Da  quella  bella  spera  mi  disleghe. 

31.    Poscia,  fermato  il  foco  benedetto, 
Alla  mia  Donna  dirizzò  lo  spiro, 
Che  favellò  cosi,  com'  io  ho  detto. 

34.    Ed  ella:  0  luce  eterna  del  gran  viro, 
A  cui  nostro  Signor  lasciò  le  chiavi, 
Ch'  ei  portò  giù,  di  questo  gaudio  miro, 

37.  Tenta  costui  dei  pimti  lie\i  e  gravi. 
Come  ti  piace,  intomo  della  fede. 
Per  la  qual  tu  su  per  lo  mare  andavi. 

40.    S'  egli  ama  bene,  e  bene  spera,  e  crede. 

Non  t'  è  occulto,  perchè  il  viso  hai  quivi, 
Dov'  ogni  cosa  dipinta  si  vede. 


A.  2.  r.  li 


D.  è  pr- 


r*rU. 


(\  com*  i=< 


B.  nostro  t^^\ 


C\  dì  psTC 


f '-  soprs  1*  nr 


B.  i"W  «B 


20.  uscirne  —  'il,  nulla  yen'  luciò  —  29.  Devota  per  lo  tuo  devoto  —  33.  com'  io  t*  ho  detto 


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STILLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXIV.    43  —  66. 


1.  baccialier 


1.  deir  altro 

1.  E  cominciai 
I.  2.  3.  padre 


653 


e.  D.  questo  Re   —   ^1. 

r;.  D.  v'  ha  -  A,  a. 

(\  D.  fatti  civi 


A.  l.  è  ben  (?) 

B.  baciallier 

B.  D.  appr. .  nou  per 


('.  lavai 


S.  PIETRO,      (fede.) 

43.   Ma  perchè  questo  regno  ha  fatto  civi 
Per  la  verace  fede,  a  gloriarla, 
Di  lei  parlare  è  buon  eh*  a  lui  arrivi. 

46.    Sì  come  il  baccellier  s'  arma,  e  non  parla, 
Fin  che  il  maestro  la  question  propone, 
i.2,3.appr..ia,nonper  Pcr  appro Varia ,  c  uou  per  terminarla; 

49.    Così  m'  armava  io  d'  ogni  ragione. 

Mentre  eh'  ella  dicea,  per  esser  presto 
A  tal  querente  ed  a  tal  professione. 

52.    Di',  buon  Cristiano,  fatti  manifesto; 
Fede  che  è  ?  Ond'  io  levai  la  fronte 
In  quella  luce  onde  spirava  questo; 
1. 2. 3.  e  queiu  pr.       55.    Poi  uiì  voIsì  a  Bcatricc,  ed  essa  pronte 
1. 2. 3.  perchè  io  Scmbiauzc  femmi,  perch'io  spandessi 

L'  acqua  di  fiior  del  mio  intemo  fonte. 

58.    La  grazia  che  mi  dà  eh'  io  mi  confessi, 
Comincia'  io,  dall'  alto  primipilo, 
Faccia  li  miei  concetti  esser  espressi. 

61.    E  seguitai:  Come  il  verace  stilo 

Ne  scrisse,  patre,  del  tuo  caro  frate, 
Che  mise  Roma  teco  nel  buon  filo, 

64.   Fede  è  sustanzia  di  cose  sperate. 

Ed  argomento  delle  non  parventi; 
1. 2. 3.  E  questa  E  qucsto  parc  a  me  sua  quiditate.  b.  k  questa 


B.  dell'  altro 


B,  E  cominciai   D.  Co- 
mincia* in 


48.  Per  aiutarla  —  52.  facci  manifesto  —  66.  ed  ella  pronte  —  57.  etemo  fonte  —  GO.  concetti  bene  espressi   —  tì&.  non  parenti  — 
.  parve  a  me 


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654 


STELLATO.       GEMELLL 


PARADISO    XXIV.    67-90. 


S.    PIETRO.       (fede.) 


1.  K  poi  udì' 


1.  2.  3.  nascose 
1.  2.  lor  v'  è  ili 


1.  Giù  per  scienza 
1.  2.  3.  Non  v'  avria 


1.2.3.  Ed  lo -3.  Sì,  l'iu 


67.    Allora  udii:  Dirittamente  senti, 

Se  bene  intendi,  per  che  la  ripose 

Tra  le  sustanzie,  e  poi  tra  gli  argomenti. 

70.    Ed  io  appresso:  Le  profonde  cose, 

Che  mi  largiscon  qui  la  lor  parvenza, 
Agli  occhi  di  laggiù  son  si  ascose, 

73.  Che  r  esser  loro  v'  è  in  sola  credenza. 
Sopra  la  qual  si  fonda  1'  alta  spene, 
E  però  di  sustanzia  prende  intenza; 

76.    E  da  questa  credenza  ci  conviene 

Sillogizzar,  senza  avere  altra  vista; 
Però  intenza  di  argomento  tiene. 

79.    Allora  udii:  Se  quantunque  s'  acquista 
Giù  per  dottrina  fosse  così  inteso. 
Non  gli  avria  loco  ingegno  di  sofista. 

82.    Cosi  spirò  da  queir  amore  acceso; 

Indi  soggiunse:  Assai  bene  è  trascorsa 
D'  està  moneta  già  la  lega  e  il  peso; 

85.    Ma  dimmi  se  tu  1'  hai  nella  tua  borsa. 
Ond'  io:  Si,  ho,  si  lucida  e  si  tonda. 
Che  nel  suo  conio  nulla  mi  s' inforsa. 

€8.   Appresso  usci  della  luce  profonda, 

Che  li  splendeva:  Questa  cara  gioia. 
Sopra  la  quale  ogni  virtù  si  fonda, 


A.  2.  a  pfrrL 
rÌ9pu<v*« 


D.    occhi  i!i;r:  : 


iJ.  di  qucJ.'  i- 


A.   C.  spLewk» 


68.  perchè  la  si  pose  —  76.  ti  conviene  —  78.  E  però  intenza  ||  Perocché  intenza  —  81.  Non  avria  —  Si,  Delia  moaci 


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1.2.3.  Prop...ne  che  si  ti 


1.  *ì.  3.  aiieude 


1.  2.  '4.  ludi  amo 


STELLATO.       GEMELLI.  PARADISO     XXIV.     91  —  114.  S.PIETRO.       (fEDK.) 

91.    Onde  ti  venne?  Ed  io:  La  larga  ploia 
Dello  Spirito  Santo,  eh'  è  diffusa 
In  sulle  vecchie,  e  in  sulle  nuove  cuoia, 
94.    E  sillogismo ,  che  la  m'  ha  conchiusa 
Acutamente  sì,  che  in  verso  d'  ella 
Ogni  dimostrazion  mi  pare  ottusa. 
97.   Io  udii  poi:  L'  antica  e  la  novella 

Proposizion  che  così  ti  conchiude, 
Perchè  1'  hai  tu  per  divina  favella? 

100.    Ed  io:  La  prova  che  il  ver  mi  dischiude 
Son  r  opere  seguite,  a  che  natura 
Non  scaldò  ferro  mai,  ne  battè  incude. 

103.    Rispostò  fummi:  Di',  chi  t'  assicura 

Che  queir  opere  fosser?  Quel  medesmo 
Che  vuol  provarsi,  non  altri,  il  ti  giura. 

106.    Se  il  mondo  si  rivolse  al  Cristianesmo, 
Diss'  io,  senza  miracoli,  quest'  imo 
E  tal,  che  gli  altri  non  sono  il  centesmo; 

109.    Che  tu  entrasti  povero  e  digiuno 

In  campo,  a  seminar  la  buona  pianta. 
Che  fii  già  vite,  ed  ora  è  fatta  pruno. 

112.    Finito  questo,  l'alta  Corte  santa 

Risonò  per  le  spere  im:  Dio  laudamo, 
Nella  melode  che  lassù  si  canta. 


655 


e.  che  r  &lma 
D.  chi'  verso 

JJ.  Io  vidi  poi 

B.  C.  D.  Pro])... ne  che 
si  ti 

B.  conchiude 


C.  né  batte   -   A.'L  B- 
e.  a  11  cu  de 

(\  che  t'  assic. 


D.  altri  tei  giura 
U.  si  volse 


B.  (•  fatto 


B.  laudiamo 


91,  Onde  ti  viene  —  94.  E  il  sillogismo  —  che  me  l'ha  —  102.  No»  scalda  ||  Né  scaldò  -   105.  ne  altri 


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656 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXIV.    115— 1S8. 


1.  U  tua  Domi» 
1.  2.  3.  Inaino 


8.   PIETRO.      (fede.) 

115.    E  quel  Baron  che,  si  di  ramo  in  ramo, 
Esaminando,  già  tratto  m*  avea, 
Che  air  ultime  fronde  appressavamo, 

118.    Ricominciò:  La  grazia  che  donnea 

Con  la  tua  mente,  la  bocca  t'  aperse 
Infino  a  qui,  com'  aprir  si  dovea; 

121.    Si  eh'  io  approvo  ciò  che  fiiori  emerse; 

Ma  or  conviene  esprimer  quel  che  credi. 
Ed  onde  aUa  credenza  tua  s'  offerse. 


1. 2. 3.  padre  -  2. 3.  e  124.    0  sauto  patrc,  spirito  che  vedi 

spirito 

Ciò  che  credesti  si,  che  tu  vincesti 
1. 2. 3.  .cpoicro  piii  Ver  lo  sepolcro  i  più  giovani  piedi, 

127.    Comincia'  io,  tu  vuoi  eh'  io  manifesti 

La  forma  qui  del  pronto  creder  mio, 
2.3.  Ed  anche  Ed  auco  la  caglou  di  lui  chiedesti. 

1.2. 3. «no Pio  130.    Ed  io  rispondo:  Io  credo  in  uno  Iddio 

Solo  ed  etemo,  che  tutto  il  ciel  move, 

Non  moto,  con  amore  e  con  disio; 
133.   Ed  a  tal  creder  non  ho  io  pur  prove 

Fisice  e  metafisice,  ma  dalmi 
2. 3.  Anche  Auco  la  vcrità  che  quinci  piove 

1.  per  prof,  per  .almi    136.    Pcr  Moisè ,  pcr  profcti,  e  per  salmi, 

Per  r  E vangeho ,  e  per  voi  che  scriveste , 

Poiché  r  ardente  Spirto  vi  fece  almi; 


D,  Si  eh'  tL  air 


B.  la  toa  Iw •^2l 


D.  fuor  d'  rsse-^ 
j4.  2.  CU.  r.T 


B.  a  u.\^- 

D.  e  .r-:r: 


c  u.u^ 


Bm  ano  T^i< 


iJ,  Fì»ieb«  <  I  • 


A.  profrì" 


I>,  Ti  fr  aJ'. 


117.  ultime  frondì  —  118.  La  gr.  che  dovea  —  119.  Nella  tua  mente  —  la  Toce  t'aperse   —   120.  aprir  ti  de^ea   —   l^i.  - 
124.  o  spirito  —  126.  di  Giovanni  i  piedi  —  190.  rispondo ,  eh'  io  —  138.  T  ardente  spirito 


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STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXIV.    139-154. 


1.  3.  .«•««/  et  e*te 


S.    PIETRO.       (fede.) 

139.   E  credo  in  tre  persone  eterne,  e  queste 
Credo  una  essenza  si  una  e  si  trina, 
Che  sofferà  congiunto  sono  ed  este. 

142.    Della  profonda  condizion  di\4na 
>  3.  tocco  mo,  la  mente  Cli' io  tocco,  uella  uientc  mi  sigilla 

Più  volte  r  evangelica  dottrina. 

145.    Quest'  è  il  principio;  quest'  è  la  favilla 
Che  si  dilata  in  fiamma  poi  vivace, 
E,  come  stella  in  cielo,  in  me  scintilla. 
1. 2. 3.  quel  che  piare    148.    Comc  il  siguor  ch'ascolta  quel  che  i  piace, 

Da  indi  abbraccia  il  servo,  gratulando 
Per  la  novella,  tosto  eh'  ei  si  tace; 

151.    Cosi,  benedicendomi  cantando. 

Tre  volte  cinse  me,  si  com'  io  tacqui, 
L'  apostolico  lume,  al  cui  comando 

154.    Io  avea  detto;  si  nel  dir  gli  piacqui. 


657 


A.  2.  R.  Credo  in  tre 
A.  1.  B.  Credo  in  una 


A.  2.  C.  congiunta  — 
D.  funi 


A.  2.  C.  D.  toeeo  mo, 
la  mente 


A.  t.  C.  più  vivace 


141.  die  soffcre  —  Mum  et  este  —  142.  congiunzion  divina  —  151.  e  cantando 


III. 


83 


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CANTO  VENTESIMOQUINTO 


1.  2.  3.  ovile ,  ov'  io 


1.  2.  3.  quella  schiera 
1.  ne"  vicari 


l^e  mai  continga  che  il  poema  sacro, 
Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra, 
Sì  che  m'  ha  fatto  per  più  anni  macro , 
4.    Vinca  la  cradeltà,  che  fiior  mi  serra 
Del  bello  ovil,  dov'  io  dormii  agnello 
Nimico  ai  lupi,  che  gli  danno  guerra; 
7.    Con  altra  voce  omai,  con  altro  vello 
Ritornerò  poeta,  ed  in  sul  fonte 
Del  mio  battesmo  prenderò  il  cappello; 

10.    Perocché  nella  Fede,  che  fa  conte 

L'  anime  a  Dio,  quivi  entra'  io,  e  poi 
Pietro  per  lei  sì  mi  girò  la  fronte. 

13.   Indi  si  mosse  un  lume  verso  noi 

Di  quella  spera,  ond'  uscì  la  primizia 
Che  lasciò  Cristo  dei  vicari  suoi. 

16.    E  la  mia  Donna  piena  di  letizia 

Mi  disse:  Mira,  mira,  ecco  il  Barone, 
Per  cui  laggiù  si  visita  Galizia. 


B.  le  più  volte  macro 
D.  per  molf  anni  m. 


R.  D.  ovile ,  ov'  io 


C.  la  fonte 


A.  m.  R.  quella  schiera 


6.  che  mi  fanno  —  8.  poeia  in  sul  fonte  —  9.  battesmo,  e  prenderò 


83- 


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660 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXV.    19-42. 


s.  JACOPO,     (speranza.) 


1.  2.  8.  comp., 
V  altro 


l.  2.  3.  si  prande 


1.  la  larghezza 


3.  Quante  Gesù 


1.  3.  del  mortai 


1.  2.  3.  del  foco 


A.    i^ratularr  « 
D.  asn^  ; 

D,  Tariti 


C.  n.  la  bT£.'. 


19.    Si  come  quando  il  colombo  si  pone 

Presso  al  compagno,  e  V  uno  all'  altro  panda,  s.  c«np .  r  . 

Z>.  e  r  «Jtr 

Girando  e  mormorando,  l'affezione, 
22.    Cosi  vid'  io  r  un  dall'  altro  gi^ande 

Principe  glorioso  essere  accolto, 

Laudando  il  cibo  che  lassù  li  prande. 
25.    Ma  poi  che  il  gratular  si  fu  assolto. 

Tacito  coram  me  ciascun  s'  affisse. 

Ignito  sì,  che  vinceva  il  mio  volto. 
28.    Ridendo  allora  Beatrice  disse: 

IncUta  vita,  per  cui  V  allegrezza 

Della  nostra  basilica  si  scrisse, 
31.    Fa  risonar  la  speme  in  questa  altezza; 

Tu  sai  che  tante  volte  la  figuri. 

Quanto  Jesù  ai  tre  fé'  più  chiarezza. 
34.    Leva  la  testa,  e  fa  che  t'  assicuri; 

Che  ciò  che  vien  quassù  dal  mortai  mondo,    A.^iLrui 

Convien  eh'  ai  nostri  raggi  si  maturi. 
37.    Questo  conforto  dal  foco  secondo     .  a.  i.  (?>  b. 

Mi  venne;  ond'  io  levai  gli  occhi  ai  monti. 

Che  gì'  incurvaron  pria  col  troppo  pondo. 
40.    Poiché,  per  grazia,  vuol  che  tu  t'  affronti 

Lo  nostro  Imperadore,  anzi  la  morte,  n.^^^^ 

Neil'  aula  più  segreta,  co'  suoi  Conti; 


A.  2.  B.  D  '3^ 


A,  l.  Gestì  * 
A.  r  U 


22.  vid'  io  r  uno   —  2B.  Tao.  eoiitra  me  ||  Tae.  incontro  a  me  —  oiasc.  si  fisse   —   32.  Perchè  tante  fiate  —  V  affiori  - 
via  più  —  de*  suoi  Conti 


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STELLATO.      OBMELLL 


PARADISO    XXV.    43  —  66. 


8.    JACOPO.       (speranza.) 


661 


43.    Si  che,  veduto  il  ver  di  questa  corte, 
La  speme  che  laggiù  bene  innamora 
In  te  ed  in  altrui  di  ciò  conforte: 

46.    Di'  quel  che  eli'  è,  e  come  se  ne  infiora 
La  mente  tua,  e  di'  onde  a  te  venne; 
2.  Cosi  seguio  Cosi  segui  '1  secondo  liune  ancora. 

49.    E  quella  pia,  che  guidò  le  penne 
Delle  mie  ali  a  cosi  alto  volo, 
Alla  risposta  cosi  mi  prevenne: 

52.    La  Chiesa  militante  alcun  figliuolo 

Non  ha  con  più  speranza,  com'  è  scritto 
Nel  sol  che  raggia  tutto  nostro  stuolo; 

55.    Però  gli  è  conceduto  che  d'  Egitto 
2.3.  Gerus.  Vcuga  ìu  Jcrusalcnune  per  vedere, 

Anzi  che  il  mihtar  gU  sia  prescritto. 

58.    Gli  altri  due  punti,  che,  non  per  sapere 
1. 2. 3.  pcrch- ei  Sou  domaudatl,  ma  perchè  rapporti 

Quanto  questa  virtù  t'  è  in  piacere, 

61.    A  lui  lasc'  io;  che  non  gli  saran  forti. 

Ne  di  iattanza,  ed  egli  a  ciò  risponda, 
E  la  grazia  di  Dio  ciò  gli  comporti. 

64.    Come  discente  eh'  a  dottor  seconda. 


B.  mie  ale 


D.  tutto  1  n.  -    U.  t. 
nostro  polo 

D.  Però  è 
C,  Genisal. 


A.  m.  C\  e'  è  in  piac. 


D.  Come'I  disc.  —  A.  l. 
che  dottore  (?)  JJ. 
eh*  al  dottor 


.  2.  3.   in   quel  eh'  egli 
é  esperto 


Pronto  e  libente,  in  quello  ch'egli  è  sperto,  r  a  in  quei />.  in  ci.» 

—  B.  C.  D,  esperto 

Perchè  la  sua  bontà  si  disasconda: 


4-1.  liacrimc  che  laggiù  —  46.  di'  come  se  ne  inf.  —  47.  e  di'  donde  -  49.  che  guidava  le  penne  —  iìO.  cosi  fatto  volo  —  60.  Quanto 
questa  —  virtute  è  —  61.  A  lui  li  lascio 


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662 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXV.    67-90. 


s.  JACOPO,     (speranza.) 


67.    Speme,  diss'io,  è  uno  attender  certo 
Della  gloria  fiitura,  il  qual  produce 
Grazia  divina  e  precedente  merto. 

70.    Da  molte  stelle  mi  vien  questa  luce; 
Ma  quei  la  distillò  nel  mio  cor  pria, 
Che  fii  sommo  cantor  del  sommo  duce. 
1. 2. 3.  Sperino  in  te  -  73.    Speveììt  ifi  t€ ^  ucUa  sua  teodia 

l.  tii»  Thcodia 

Dice,  color  che  sanno  il  nome  tuo: 
E  chi  noi  sa,  s'  egli  ha  la  fede  mia? 

76.    Tu  mi  stillasti  con  lo  stillar  suo 
1. 2. 3.  Nella  pìst.  Ncli'  cplstola  poi ,  SI  cli'  io  son  pieno , 

Ed  in  altrui  vostra  pioggia  repluo. 

79.    Mentr'  io  diceva,  dentro  al  vivo  seno 

Di  quello  incendio  tremolava  un  lampo 
Subito  e  spesso,  a  guisa  di  baleno. 

82.    Indi  spirò  :  L'  amore  ond'  io  avvampo 
Ancor  ver  la  virtù,  che  mi  seguette 
Infin  la  palma,  ed  all'  uscir  del  campo, 

85.    Vuol  eh'  io  respiri  a  te ,  che  ti  dilette 
Di  lei;  ed  emmi  a  grato  che  tu  diche 
Quello  che  la  speranza  ti  promette. 

88.    Ed  io:  Le  nuove  e  le  scritture  antiche 

Pongono  il  segno.    Ed  esso:  Lo  mi  addita. 
Dell'  anime  che  Dio  s'  ha  fatte  amiche 


1.  eh'  i'  ti  (liletU- 
1.  a  grado 

1.  nuove  8cr.  e  Y  ant. 

1.  Porgono  —  1.  2.  3. 
segno,  ed  esso  lo 
m'  addita , 

i.  2.  3,  amirhe. 


B.   C.    D.  Sperino  ir.  tf 
-   />.  e  neìl*  - 
D.  tua  teodia 


B.  D.  Nella  pi5t..h 


D.  t.  Ancor  nella  t 

D,  Fino  alla 

D.  eh'  io  spiri 

D.  emmi  ^.  —  A.  li  ■ 
grado 

B,  nuove  srritt.  e  \  x.' 


B,  Porgono  —  A. 
Ed  essa 

V.  che  Iddio 


67.   Speme  e  disio   —   68.  futura,  che  produce   —    73.  nell'  alta  teodia    —    74.  Dice  'n  color  ||  Dicon  color   —  Tb.  vostra  j!<jì*  - 
rìpluo  —  82.  spirò  1'  amore  -  87.  t*  impromette 


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S.    GIOVANNI    EVANO. 


1.  E  'l  su'  fratello 


.3. 


STELLATO.       OKMILLI.  PARADISO     XXV.     91  —  114. 

91.   Dice  Isaia,  che  ciascuna  vestita 

Nella  sua  terra  fia  di  doppia  vesta, 
E  la  sua  terra  è  questa  dolce  vita. 

94.    E  il  tuo  fratello  assai  vie  più  digesta, 
Là  dove  tratta  delle  bianche  stole, 
Questa  rivelazion  ci  manifesta. 
I.  prima  e  pr«.s8o  -     97.    E  priuia,  apprcsso  al  fin  d'  este  parole, 

1.  2.  3.  il  fin 

Sperent  in  te,  di  sopra  noi  s*  udì, 
A  che  risposer  tutte  le  carole; 

100.    Poscia  tra  esse  un  lume  si  schiarì. 

Si  che,  se  il  Cancro  avesse  un  tal  cristallo, 
L' inverno  avrebbe  un  mese  d'  un  sol  dì. 

103.   E  come  surge,  e  va,  ed  entra  in  ballo 
Vergine  lieta,  sol  per  fare  onore 
Alla  novizia,  e  non  per  alcun  fallo, 

106.    Cosi  vid'  io  lo  schiarato  splendore 

Venire  ai  due,  che  si  volgeano  a  rota, 
Qual  conveniasi  al  loro  ardente  amore. 

109.   Misesi  lì  nel  canto  e  nella  nota; 

E  la  mia  Donna  in  lor  tenne  Y  aspetto, 
Pur  come  sposa,  tacita  ed  immota. 

112.    Questi  è  colui  che  giacque  sopra  il  petto 
Del  nostro  Pellicano,  e  questi  fiie 
D' in  sulla  croce  al  grande  offizio  eletto. 


663 


.  *i.  3.  Il  verno 


2.  3.  novizia  .  non 


JJ.  m.  E  poi  —  A.  t,  E  pr. 
e  presso  —  B.  D.  il  fin 

D.  noi  udì* 


C.  Lo  verno 

A.  1.  surge,  va 

B.  C.  D.  novieia*  non 


A,  si  Tolgieno    B.  si 
volve'no 


D,  tene»  1'  asp. 
C,  I).  come  donna 


2.  a.  Di  su  Is  or. 


B.  JJ.  Di  su  la  er. 


{m.  ha  manifesta   —   97.  E  prima,  presso    —    100.  si  ehiari    —    104.  Vergine  lenta   —    per  farne  onore    —    HO.  in   lui  tenne  (?)   — 
,  tacita  e  remota  -  114.  In  su  la  croce 


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664 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXV.    115-139. 


S.    GIOVANNI   EVANO. 


3.  nel  suon 
trino 


1.  2.  Mi 


1.  2.  3.  vr«l«TlH 


115.    La  Donna  mia  cosi;  ne  però  piùe 

Mosse  la  vista  sua  di  stare  attenta 
Poscia,  che  prima,  alle  parole  sue. 

118.    Quale  è  colui  ch'adocchia,  e  s'argomenta 
Di  vedere  ecUssar  lo  sole  un  poco, 
Che  per  veder  non  vedente  diventa; 

121.    Tal  mi  fec'  io  a  quell'  ultimo  foco, 

Mentreche  detto  fu:  Perchè  t'  abbagU 
Per  veder  cosa,  che  qui  non  ha  loco? 

124.    In  terra  è  terra  il  mio  corpo,  e  saragli 

Tanto  con  gli  altri  che  il  numero  nostro 
Con  r  etemo  proposito  s'  agguagli. 

127.    Con  le  due  stole  nel  beato  chiostro 
Son  le  due  luci  sole  che  salirò; 
E  questo  apporterai  nel  mondo  vostro. 

130.    A  questa  voce  l' infiammato  giro 

Si  quietò  con  esso  il  dolce  mischio. 
Che  si  facea  del  suon  del  trino  spiro, 

133.    Sì  come,  per  cessar  fatica  o  rischio. 
Li  remi,  pria  nell'  acqua  ripercossi. 
Tutti  si  posan  al  sonar  d' im  fischio. 

136.    Ahi  quanto  nella  mente  mi  commossi, 
Quando  mi  volsi  per  veder  Beatrice, 
Per  non  poter  vedere,  ben  eh'  io  fossi 

139.   Presso  di  lei,  e  nel  mondo  felice! 


A.  2.  C.  /).  1.  pr.roi.  \t 


R.  In  terra  terra  ii  i  '. 
In  t.  terra  r  "  C- 


V.  questo  porterà' 


A.  m.  nel  suon  -  t  e 
trino    A.  nel  t- 


D.  iu  ae<]ua  | 


-4.2.  C.  veder.  }>arW 
io  D.  veder  leo.  ^  t 
eh'  io  ft.  ben  ^tt»' 
eh'  i- 


116.  Mns^er  la  vista  ||  Mostrò  la  vista  -  da  stare  att.  —  121.  iu  quell'  ultimo  —  133.  per  sehivar  fatica  —  ISiì.  mi  pereo»». 


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CANTO  VENTESIMOSESTO 


arcrc  tosto 


Alfa  ed  ()aie(;a 
m. .  lievemente 


A.  M.  D.  lo  lume  spento 


A.  1.  N'  uscì 


D.  di*  dove 


A.  in  te  tsmarrita 


IVlentr'  io  dubbiava  per  lo  viso  spento , 

Della  fulgida  fiamma  che  lo  spense 

Uscì  un  spiro  che  mi  fece  attento, 
4.    Dicendo:  In  tanto  che  tu  ti  risense 

Della  vista  che  hai  in  me  consunta, 

Ben  è  che  ragionando  la  compense. 
7.    Comincia  dunque,  e  di'  ove  s'  appunta 

L'  anima  tua,  e  fa  ragion  che  sia 

La  vista  in  te  smarrita  e  non  defunta; 
10.    Perchè  la  Donna,  che  per  questa  dia 

Region  ti  conduce,  ha  nello  sguardo 

La  virtù  eh'  ebbe  la  man  d'  Anania. 
13.    Io  dissi:  Al  suo  piacere  e  tosto  e  tardo  b.  piacere  tosto 

Vegna  rimedio  agli  occhi  che  fur  porte, 

Quand'  ella  entrò  col  foco  ond'  io  sempr'  ardo.  d.  entrò  nd  foco 
1().    Lo  ben,  che  fa  contenta  questa  corte, 

x\lfa  ed  0  è  di  quanta  scrittura 

Mi  legge  Amore,  o  lievemente  o  forte.  /?.  Am.,  uevem.  e  forte 


2.  Dalla  fulgida    -    3.  Giunse    —   tino  spiro    —   -I.  ti  rinsense  —  7.  e  diiniDt  in  che  —    13.  Al  fno  piacere  —  18.  Migliore  Amore 
vetnentp 


ni. 


84 


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066  STELLATO.      0£MKLLI.  PARADISO     XXVF.     19  —  42.  8.    OIOVAMKI.       (CABITÀ.) 

19.    Quella  medesma  voce,  che  paura  .4  .ned«»*iu. 

Tolta  m'  avea  del  subito  abbarbaglio , 

Di  ragionare  ancor  mi  mise  in  cura; 
22.    E  disse:  Certo  a  più  angusto  vaglio  ccen^i^ 

Ti  conviene  schiarar;  dicer  convienti 
1. 2. 3.  ti»  dri«*ò  Che  drizzò  1'  arco  tuo  a  tal  berzaglio. 

25.    Ed  io:  Per  filosofici  argomenti, 

E  per  autorità  che  quinci  scende, 

Cotale  amor  convien  che  in  me  s' imprenti;    a.  #.  e.  ri,*  . 

prenti 

28.    Che  il  bene ,  in  quanto  ben ,  come  s' intende ,     x>.  in  cja^t  - 
Così  accende  amore,  e  tanto  maggio, 
Quanto  più  di  bontate  in  se  comprende. 

31.    Dunque  all'  essenza,  ov'  è  tanto  avvantaggio, 
Che  ciascun  ben  che  fuor  di  lei  si  trova. 
1. 2. 3.  che  di  MIO  lume  Altro  uon  è  clì'  un  lume  di  suo  raggio . 

un  r. 

1. 2. 3.  Più  che  in  altro  34.    Pìù  chc  In  altra  convien  che  si  mova 
1.  colui  che  cerne  La  mcute ,  auiaudo ,  di  ciascun  che  cerne         a.  c^ai  cb-  ^ 

Lo  vero,  in  che  si  fonda  questa  prova. 
37.    Tal  vero  allo  intelletto  mio  sterne 

Colui  che  mi  dimostra  il  primo  amore 
Di  tutte  le  sustanzie  sempiterne. 
40.    Sternel  la  voce  del  verace  autore,  o.m.hr^^.. 

Che  dice  a  Moisè,  di  se  parlando: 
1.  fan.  sentir  lo  ti  fafò  vcdcrc  ogul  valorc.  ».  &„,  m^>  - 


20.  Tolto  m'  avea  —  24.  Che  drìxzò  gli  occhi  tuoi  —  27.  che  ne  imprenti  —  29.  Cotanto  accende  ||  Così  attende    —    ìi 
nuli'  a.  —  convienr  rhe  —  .%.  Il  vero  —  37.  mio  disterne  {|  mio  disceme  ||  mio  si  sceme  —  40.  Steme  la  v.  ||  Seerael  U  t. 


D.   cane"  r  mìz 


f\  O.  tanto  >& 


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STILLATO.      OBMCLLI. 


PARADISO    XXVI.    43  —  66. 


S.   GIOVANNI,      (carità.) 


«67 


3.  sovra  ad  ogni  — 
2.  3.  ulto  haiidn 


3.  autorìtade 


Dell'  a^glia 

3.  Ove  menar  Tolea 


«rnimii  -  2. 3.  in-  43.   Stemili]ii  tu  aiicora,  cominciando  e.  stemimii 

iomincinndo 

L'  alto  preconio,  che  grida  V  arcano 

Di  qui  laggiù  sopra  ogni  altro  bando. 
46.    Ed  io  udi':  Per  intelletto  umano, 

E  per  autorìtadi  a  lui  concorde, 

De'  tuoi  amori  a  Dio  guarda  il  soprano. 
49.    Ma  di*  ancor,  se  tu  senti  altre  corde 

Tirarti  verso  lui,  si  che  tu  suone  b.  Tirati  e.  Tirate 

Con  quanti  denti  questo  amor  ti  morde. 
52.   Non  fu  latente  la  santa  intenzione 

Dell*  aquila  di  Cristo,  anzi  m*  accorsi  b.  a  Deu-agugua 

Dove  volea  menar  mia  professione.  i?.  ove 

55.    Però  ricominciai:  Tutti  quei  morsi, 

Che  posson  far  lo  cor  volger  a  Dio, 

Alla  mia  caritate  son  concorsi; 
58.    Che  r  essere  del  mondo,  e  V  esser  mio. 

La  morte  eh'  ei  sostenne  perch*  io  viva, 

E  quel  che  spera  ogni  fedel,  com'  io, 
61.    Con  la  predetta  conoscenza  viva, 

Tratto  m'  hanno  del  mar  dell'  amor  torto , 

E  del  diritto  m*  han  posto  alla  riva. 
64.    Le  fronde,  onde  s*  infronda  tutto  V  orto 

Dell'ortolano  etemo,  am' io  cotanto,  ^.  eterno  nrtoi. 

Quanto  da  lui  a  lor  di  bene  è  porto. 


Ite  *1  .sostenne 


43.  Scernilmi  ||  Scenùmel  ~  4&.  Di  qui  laggiuso  —  e  sopra  •  4S.  guarda  soprano  —  49.  Ma  dimmi  aneor  —  50.  Tir.  verso  noi  — 
a  sua  intenzione  —  56.  AUor  eomineia*  io  —  68>  Perekè  1*  esser  —  62.  dell'  amar  torto  —  64.  Le  frondt  —  06.  Qu.  di  ben  da  lui  a  lor 

84' 


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STELLATI).      GK^KLLL 


PARADISO    XXVI.    67-90. 


1.  adhorrc 


1.  2.  3.  U  stimativa 


fi7.    Sì  com'  io  tacqui,  un  dolcissimo  canto 
Kisonò  per  lo  cielo,  e  la  mia  Donna 
Dicea  con  gli  altri:  Santo,  Santo,  Santo. 
1. 2. 3.  come  al  lume     70.    E  come  a  lumc  acuto  si  dissonna  ^  ^-  ^  *^  '- 

Per  lo  spirto  visivo  che  ricorre 
Allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna, 

73.    E  lo  sveghato  ciò  che  vede  abborre, 
Si  nescia  è  la  sua  subita  vigilia. 
Fin  che  Y  estimativa  noi  soccorre:  «.  t.  u  .u. 

76.    Cosi  degli  occhi  miei  ogni  quisquiha 

Fugò  Beatrice  col  raggio  de'  suoi, 

1. 2. 3.  rifulgeva  più  Che  rifulgean  da  più  di  mille  miUa; 

79.    Onde,  me'  che  dinanzi,  vidi  poi, 
E  quasi  stupefatto  domandai 
D'un  quaito  lume,  ch'io  vidi  con  noi. 

82.    K  la  mia  Donna:  Dentro  da  que' rai 

Vagheggia  il  suo  fattor  1'  anima  prima , 

Che  la  prima  virtù  creasse  mai.  a.  r*  rr...c  - 

85.    Come  la  fronda,  che  flette  la  cima 

Nel  transito  del  vento,  e  poi  si  le\a 
3.  propia  virtù  Per  la  propria  virtù  che  la  sublima,  a.  r.  pr,,- 

88.    Fec'  io  in  tanto ,  in  quanto  ella  dicevn , 

Stupendo;  e  poi  mi  rifece  sicuro  t.  su^^u\ . 

Un  disio  di  parlare,  ond'  io  ardeva: 


D.  Onde  m:{. 
mrslif 

A.    ob-stUJ.rj'  t 
A.m.  <•.  /A  -. 


<i^<.  Rìp.  per  le  hpcre  —  71.  Per  lo  spirito  inviso   —    74.   è   1a  subita  vig.   —   7:'».   uuii  soccorre  —   76.  Cosi  dagli   —  TT 
7H.  Clie  rifulcea  -     79.  Onde  mai  —  che  innaiiEÌ  —  87.  Per  la  pr.  raRion  —  88.  iu  tanto  quanto 


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STELLATO.      flKMKLLI. 


PARADISO    XXVI.    91-114. 


irti  presti) 


u  lui  In  voglia 


:>.  l>ti  ti'  la  vo];lìa 


ptireijlif  r  altre 


3.  Tu  viu»i  udir 


91.    E  cominciai:  0  pomo,  che  matm^o 

Solo  prodotto  fosti,  o  padre  antico, 
A  cui  ciascuna  sposa  è  figlia  e  nuro; 
94.    Devoto,  quanto  posso,  a  te  supplico, 
Perchè  mi  parli;  tu  vedi  mia  voglia, 
E,  per  udirti  tosto,  non  la  dico. 
97.    Tal  volta  un  animai  coperto  broglia 

Si,  che  r  affetto  convien  che  si  paia 
Per  lo  seguir  che  face  a  lui  l' invoglia  ; 

100.    E  similmente  Y  anhna  primaia 

Mi  facea  trasparer  per  la  coperta 
Quant'  ella  a  compiacermi  venia  gaia. 

103.    Indi  spirò:  Senz'  essermi  profferta, 

Dante,  la  voglia  tua,  discemo  meglio 
Che  tu  qualunque  cosa  t'  è  più  certa. 

106.    Perch'io  la  veggio  nel  verace  speglio 
Che  fa  di  se  pareglio  all'  altre  cose, 
E  nulla  face  lui  di  se  pareglio. 

109.    Tu  voi  saper  quant'  è  che  Dio  mi  pose 
Neir  eccelso  giardino,   ove  costei 
A  cosi  lunga  scala  ti  dispose, 

112.    E  quanto  fu  diletto  agli  ocelli  miei, 

E  la  propria  cagion  del  gran  disdegno, 
E  r  idioma  eh'  usai  e  eh'  io  fei. 


li.  riatiC.  cosa 


D.  Che  mi  parli  —  D. 
vedi  la  mìa 

/A  tosto .  Li  ti  diro 


tì.  a  lui  la  voglia 


B.  1).  Da  tr  la  \oslia 


A.  V.  pareglio  1'  altre 
B,  paregle  1*  altre 


//.  I).  Tu  vtioi  udir 
A.  2.  (\  D.  giardiii,  dove 


A.  l.  (?)  IJ.  ehe  fei 


ìC5.  figlia  o  miro   —    lOI.   Mi  facea  trapassar  —    107.  di  sé  parelio  (?)  ||  di  se  pareglia   —    112.   E   quanto  fu  piaeere    —    114.  eh'  io 


e  fei 


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670 


STELLATO.      QXMELLI. 


1.  (^iiatim  milia 


PARADISO    XXVI.    115  -138.  adai 

115.    Or,  figliuol  mio,  non  il  gustar  del  legno 
Fu  per  se  la  cagion  di  tanto  esilio, 
Ma  solamente  il  trapassar  del  segno. 

118.    Quindi,  onde  mosse  tua  Donna  Virgilio, 
Quattromila  trecento  e  due  volumi 
Di  sol  desiderai  questo  concilio; 

121.   E  vidi  lui  tornare  a  tutti  i  lumi 

Della  sua  strada  novecento  trenta 
Fiate,  mentre  eh'  io  in  terra  fu'mi. 

124.    La  lingua  eh'  io  parlai  fu  tutta  spenta 

Innanzi  assai  eh'  all'  opra  inconsumabile 
Fosse  la  gente  di  Nembrot  attenta; 

127.    Che  nullo  effetto  mai  razionabile. 

Per  lo  piacere  uman,  che  rinno velia, 
Seguendo  il  cielo,  sempre  fu  durabile. 

130.    Opera  naturale  è  eh' uom  favella; 
Ma,  così  o  così,  natura  lascia 
Poi  fare  a  voi  secondo  che  v'  abbella. 

133.    Pria  ch'io  scendessi  all'  infernale  ambascia, 
L  s'  appellava  in  terra  il  sommo  bene. 
Onde  vien  la  letizia  che  mi  fascia; 
1.2.3.  ifflw  chiamò  poi  136.   E?  sì  cluamo  da  poi,  e  ciò  conviene. 

Che  r  uso  de'  mortaU  è  come  fronda 
In  ramo,  che  sen  va,  ed  altra  viene. 


1.  2.  3.  InnMisi  che 

2.  3.  Ncmbrotte 

1.  2.  3.  nullo  «fretto 


1.  2.  Va  s*  app.    3.  Kl 
h'  app. 


B.  r.  D.  gaattmmil.a 


A.  i.  C.  a  questi  |jn 


B.  Inuaocì  cbf 


B.  nullo  affetto 


A.:    1%   appell.   B  f' 
s'app.  C.  r»«s»i; 


A.  B.  9Ì  ehiamò  p**- 

B.  Che  '1  viso 


A.  2.  C.  D.  Di  r»u.  - 
A.2.  C.tV  i.m 


Uu.  O  figliuol  —  il  gusUr  quel  legno  •  11&  Quiri.  onde  ~  122.  aorec.  e  trenU  -  127.  rasiocinabile   ~    L34.  /  s'  api>flU>«  - 
13(i.  L  MI  chiamò  ||  Kit  si  chiamò  —  ehiamò  poi  EU 


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STELLATO.      GEMELLI.  PARADISO     XXVI.     139—142.  ADAMO.  671 

139.    Nel  monte,  che  si  leva  più  dall'  onda, 
Fu'  io,  con  vita  pura,  e  disonesta. 
Dalla  prim'  ora  a  quella  eh'  è  seconda, 
i.  2. 3.  air  ora  sesta      142.    Coiue  il  sol  iììmìsl  quadpa ,  1'  ora  sesta. 


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CANTO  VENTESIMOSETTIMO 


2.  luto  '1  Farad. 


3.  provrdenza 


Al  Padre,  al  Figlio,  allo  Spirito  Santo 
Cominciò:   Gloria,  tutto  il  Paradiso, 
Sì  che  m' inebbriava  il  dolce  canto. 
4.    Ciò  eh'  io  vedeva,  mi  sembiava  un  riso 
Dell'universo;  per  che  mia  ebbrezza 
Entrava  per  1'  udire  e  per  lo  viso. 
7.    0  gioia!  o  ineffabile  allegrezza! 

0  vita  intera  d'  amore  e  di  pace  ! 
0  senza  brama  sicura  ricchezza! 

10.    Dinanzi  agli  occhi  miei  le  quattro  face 

Stavano  accese,  e  quella  che  pria  venne 
Incominciò  a  farsi  più  vivace; 

13.    E  tal  nella  sembianza  sua  divenne, 

Qual  diverrebbe  Giove,  s'  egU  e  Marte 
Fossero  augelU,  e  cambiassersi  penne. 

IR.    La  provvidenza,  che  quivi  comparte 
Vice  ed  offizio,  nel  beato  coro 
Silenzio  posto  avea  da  ogni  parte. 


D.  si  ohe  mia 


C.  rangiaaserai 
C.  provedenza 

B.  post'  avend'  a  oi;ai 


1.  ed  al  Spirito  —  W.  Tal  che  m' inebbr.  —  7.  o  inestimabile   -  8.  O  riU  integra  —  15.  Fossero  ueeelli  —  rambiasser  penne 

ni.  85 


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674 


STELLATO.      GEMELLI. 


PARADISO    XXVII.    19-42. 


S.    PIKTHO. 


1.  2.  3.  ciinitrrio 


1.  la  Bpuuiia 


19.    Quand'  io  udi':  Se  io  mi  trascoloro. 
Non  ti  maravigliar;  che,  dicendolo, 
Vedrai  trascolorar  tutti  costoro. 

22.    Quegli  eh'  usurpa  in  terra  il  loco  mio , 
Il  loco  mio,  il  loco  mio,  che  vaca 
Nella  presenza  del  Figliuol  di  Dio, 

25.    Fatto  ha  del  cimitero  mio  cloaca 

Del  sangue  e  della  puzza,  onde  il  perverso. 
Che  cadde  di  quassù,  laggiù  si  placa. 

28.    Di  quel  color,  che  per  lo  sole  avverso 
Nube  dipinge  da  sera  e  da  mane, 
Vid'  io  allora  tutto  il  ciel  cosperso  : 

31.    E,  come  donna  onesta,  che  permane 
Di  se  sicura,  e,  per  1'  altrui  fallanza, 
Pure  ascoltando,  timida  si  fané, 

34.    Così  Beatrice  trasmutò  sembianza; 

E  tal  eclissi  credo  che  in  ciel  fue. 
Quando  patì  la  suprema  possanza. 

37.    Poi  procedetter  le  parole  sue 

Con  voce  tanto  da  se  trasmutata. 
Che  la  sembianza  non  si  mutò  piùe: 

40.    Non  fu  la  sposa  di  Cristo  allevata 

Del  sangue  mio,  di  Lin,  di  quel  di  Cleto, 
Per  essere  ad  acquisto  d'oro  usata; 


1.   gwri   tir 
l  oloi  ""k    • 


H.  fxm'wrvt" 


D,  di{i.  f  ilA  • 


li.  per  alimi 


A.  2.  U.  «TT... 


,  (od  U  ««i« 
,  la  «p<iLNj 
.  di  Lii  •'    I 


ifi>.  Fatto  hall  del  cimit.  -^  9R.  superna  pnss.  ||  divina  posa.  —  37.  Poi  procedendo  —  38.  da  «è  tautu 


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STKLI.ATO.      GXMKLLI. 


PARADISO    XXVU.    43  —  66. 


675 


•:  Fio.  e  Sisto  -  2.  3. 
Pio .  Calisto 


rontra  batt.  2  3.  con- 
trn  i  batt. 


2.  3.  A  priyilcgi 


Soccorra  presto 


2.  K  iiun  tiasc.    —    1. 
2.  iiou  nasc. 


43.    Ma  per  acquisto  d'  esto  viver  lieto 

E  Sisto  e  Pio  e  Calisto  ed  Urbano 
Sparser  lo  sangue  dopo  molto  fleto. 

46.    Non  fu  nostra  intenzion  eh'  a  destra  mano 
Dei  nostri  successor  parte  sedesse, 
Parte  dall'  altra,  del  popol  cristiano; 

49.    Ne  che  le  chiavi,  che  mi  fur  concesse, 
Divenisser  segnacolo  in  vessillo, 
Che  contr'  a  i  battezzati  combattesse; 

52.    Ne  eh'  io  fossi  figura  di  sigillo 

Ai  privilegi  venduti  e  mendaci, 
Ond'  io  sovente  arrosso  e  disfavillo. 

55.    In  vesta  di  pastor  lupi  rapaci 

Si  veggion  di  quassù  per  tutti  i  paschi: 
0  difesa  di  Dio,  perchè  pur  giaci? 

58.    Del  sangue  nostro  Caorsini  e  Guaschi 

S'  apparecchian  di  bere;  o  buon  principio, 
A  che  vii  fine  convien  che  tu  caschi! 

61.  Ma  r  alta  provvidenza,  che  con  Scipio 
Difese  a  Roma  la  gloria  del  mondo. 
Soccorra  tosto ,  sì  com'  io  concipio. 

64.    E  tu,  figliuol,  che  per  lo  mortai  pondo 
Ancor  giù  tornerai,  apri  la  bocca, 
E  non  asconder  quel  eh'  io  non  ascondo. 


B.  E  Pio  e  Sisto   -    C. 
U.  Sisto,  Pio,  Cai. 

A,  2.  lor  sangue 


B.  C.  JJ.  dell'  altra 


C.  D.  oontra  i  batt    B. 
rontra  batt. 


U.  A  privilegi 
B.  ed  isfavillo 


D.  O  giiidisio 
A,  Vasehi 


B.  mortai  mondo 


B,  D.  E  non  nasc.  — 
B.  D.  non  nascondo 


45.  Sparse  lo  sangue  -  46.  Né  fu  nostra  —  49.  mi  far  commesse  —  51.  Di  clie  io  •>  08.  Soccorra  questo  sì  ||  Proveggia  questo  si 

85' 


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A.  I.  TÌdi  rcrv  - 
l'ecifam 


676  STELLATO.      OKHKLLI.  PARADISO     XXVII.     67—90.  DAKTB    E    BEATBICE. 

67.    Sì  come  di  vapor  gelati  fiocca 

In  giuso  r  aer  nostro,  quando  il  corno 
Della  Capra  del  ciel  col  sol  si  tocca; 

70.    In  su  vid'  io  così  Y  etere  adomo 

Farsi,  e  fioccar  di  vapor  trionfanti, 

Che  fatto  avean  con  noi  quivi  soggiorno.        x>.  qui  ««.  .^  ^ 

73.    Lo  viso  mio  seguiva  i  suoi  sembianti,  ^.  !.««*» h« 

1. 2. 3.  segui  fin  E  scguì  ìu  fiu  chc  il  mezzo,  per  lo  molto,      A.±B.cb^T 

Gli  tolse  il  trapassar  del  più  avanti.  />.  dipiù.. 

1. 2. 3.  mi  vide  asciolto  76.    Oudc  la  Douua,  che  mi  vide  assolto  yAmirid.^ 

Dell'  attendere  in  su,  mi  disse:  Adima 
Il  viso,  e  guarda  come  tu  sei  volto. 

79.    Dall'  ora  eh'  io  avea  guardato  prima, 

Io  vidi  mosso  me  per  tutto  1'  arco  e.  e  ^a 

Che  fa  dal  mezzo  al  fine  il  primo  clima; 

82.    Sì  eh'  io  vedea  di  là  da  Gade  il  varco 

Folle  d'  UUsse ,  e  di  qua  presso  il  lito  a.  r.  d.  f^v. 

Nel  qual  si  fece  Europa  dolce  carco.  ^,  !.(?)«.  v 

85.    E  più  mi  fora  discoperto  il  sito 

Di  questa  aiuola;  ma  il  sol  procedea 
1.  un  segno  più  Sotto  Ì  Huei  picdi,  un  segno  e  più  partito. 

88.    La  mente  innamorata,  che  donnea 

Con  la  mia  Donna  sempre,  di  ridure 
Ad  essa  gli  occhi  più  che  mai  ardea: 

tìH.  In  giù  r  aere  nostro  —  72.  quivi  suo  giorno  —  73.  L'  aspetto  mio  —  seguto  —  77.  Dell'  attender  Ia«sù 


posr 


B.  r.  an  »cr 


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riKLO    CRISTALLINO. 


PARADISO    XXVII.    91  —  114. 


DANT£    K    KKATKirK. 


677 


91.    E  se  natura  od  arte  te'  pasture 

Da  pigliare  occhi,  per  aver  la  mente, 
1. 2. 3. pinture  I»  camc  Umana,  o  nelle  sue  pitture, 

94.    Tutte  adunate  parrebber  niente 

Ver  lo  piacer  divin  che  mi  rifulse. 
Quando  mi  volsi  al  suo  viso  ridente. 
97.    E  la  virtù,  che  lo  sguardo  m' indulse, 
Del  bel  nido  di  Leda  mi  divelse, 
E  nel  ciel  velocissimo  m' impulse. 
1. 2. 3.  •  vivissime        100.    Lc  parti  sue  vicissime  ed  eccelse 
1.  Si  uniforme  Sì  unifomù  sou ,  ch' io  non  so  dh'e 

Qual  Beatrice  per  loco  mi  scelse. 
103.    Ma  ella,  che  vedeva  il  mio  disire, 
Incominciò,  ridendo,  tanto  lieta. 
Che  Dio  parca  nel  suo  volto  gioire: 
1. 2. 3.  La  nat.  del  moto  1 06.    La  uatura  del  mondo ,  che  quieta 

Il  mezzo,  e  tutto  1'  altro  intorno  move, 
Quinci  comincia  come  da  sua  meta. 
109.    E  questo  cielo  non  ha  altro  dove 

Che  la  mente  divina,  in  che  s'  accende 
.  e  virtù  L'  amor  che  il  volge  e  la  virtù  eh'  ei  piove. 

112.    Luce  ed  amor  d'  un  cerchio  lui  comprende. 
Sì  come  questo  gli  altri,  e  quel  precinto 
.  Colui  che  i  volge  Colul  chc  il  ciiigc  solamcutc  intende. 


B.  (\  pinture 


D.  Quaud*  io  mi 


H.  Del  bel  niilio 


A.  2.  B.  r.  D.  Si  uni- 
forme —  J.  1.  che 
non  so  (?) 


1).  Ma  f|Mella  -  A,  vedea 
lo  mio 


a  (-he  Iddio 


97.  che  lo  splendor  m'  ind.  —   99.  mi  pulse  —   105.  nel  volto  suo  (|  nel  suo  tìki*  —   111.  che  il  volve  —  che  i  piove   —    113.   e  quel 


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g78  riEi.o  CRISTALLINO.  PARADISO    XXVII.    115—138.  dakte  e  beatbice. 

115.    Non  è  suo  moto  per  altro  distinto; 

Ma  gli  altri  son  misurati  da  questo, 

Si  come  dieci  da  mezzo  e  da  quinto.  e  s.  r.^  .^ 

118.    E  come  il  tempo  tenga  in  cotal  testo  v.comtxr^ 

Le  sue  radici,  e  negli  altri  le  fronde, 
Omai  a  te  puot'  esser  manifesto.  a.o.^u^ 

121.    0  cupidigia,  che  i  mortali  affonde 

Sì  sotto  te,  che  nessuno  ha  potere 
1. 2.  i>.  ritrar  gli ...  DÌ  trarrc  gli  occhi  fuor  delle  tue  onde!  i>.  iHtmd - 

124.  Ben  fiorisce  negU  uomini  il  volere; 
Ma  la  pioggia  continua  converte 
In  bozzacchioni  le  susine  vere. 

127.    Fede  ed  innocenza  son  reperte 
1. 2.  pargoletti  Solo  ucì  parvolcttì;  poi  ciascuna  Baoì^tt 

1.  «ali  cop.  Pria  fugge ,  che  le  guance  sien  coperte.  /?.  r.  d.  *«ì 

130.    Tale,  balbuziendo,  ancor  digiuna. 

Che  poi  divora,  con  la  lingua  sciolta. 
Qualunque  cibo  per  qualunque  luna; 

133.    E  tal,  balbuziendo,  ama  ed  ascolta  ^.  EuirtoiN. 

La  madre  sua,  che,  con  loquela  intera, 
1.  z  3.  DiBia  Disira  poi  di  vederla  sepolta.  b.  ih.-  o  i-^ 

130.    Cosi  si  fa  la  pelle  bianca,  nera, 

Nel  primo  aspetto,  della  bella  figlia 

Di  quei  eh*  apporta  mane  e  lascia  sera.  e.  ^^  pom 

116.  aon  ineasurati  —  117.  Sì  coin*  è  dieci  —  121.  fiorisce  nei  giovani  —  128.  e  poi  ciascuna 


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(•i»Lo  CBISTALLINO.  PARADISO    XXVIl.    139  —  148.  ijaktk  e  beatrick.  679 

139.    Tu,  perche  non  ti  facci  maraviglia, 

Pensa  che  in  terra  non  è  chi  governi; 

i.  :ì.  Onde  *i  «via  Ondc  sì  svla  r  umana  famiglia. 

.  Re.i«.*i«  tutto  sverni  142.    Ma  prima  che  gennaio  tutto  si  sverni, 

Per  la  centesma  eh'  è  laggiù  negletti, 

l).  Ruggii ieraii  H.  Riiij;];e- 
».  H.  Rui.^eraI.  Ruggll'aU    SI    qUCSti    Cerchl    superni ,  '»«  t^-.  Raggerà.;  - 


145.    Che  la  fortuna,  che  tanto  s'  aspetta, 


(\  r|neflti  micci 


i.  :ì.  ..'  ^o^^  le  i.r.  L^  poppc  volgcrà  ìu  sullc  prore ,  ^  2.  «  »«  »«  p^-  ^  •  ^• 

u*  son  If  i»r. 

Sì  die  la  classe  correrà  diretta; 
148.    E  vero  frutto  veiTà  dopo  il  fiore.  /;  ai  p«."i  fiore 


l*).  Sappi  che  in  terra  —   142.  chi*  Kcntiai'  tutto  —  144.  (urrrau  si  —  145.  ohe  ratto  s'  aspetta  —  146.  La  poppa  vol};erà 


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CANTO  VENTESIMOTTAVO 


.  3.  rìw   II  contro 


.  ^.  in  i specchio 
!.  '.\.  dietro 

i.  3.  rivolve 
!*hc  s'  accorda 


roscia  che  contro  alla  vita  presente 
Dei  miseri  mortali  aperse  il  vero 
Quella  che  imparadisa  la  mia  mente; 
4.  Come  in  lo  specchio  fiamma  di  doppioro 
Vede  colui  che  se  n'  alluma  retro, 
Prima  che  Y  abbia  in  vista  o  in  pensiero , 
7.    E  se  rivolge,  per  veder  se  il  vetro 

Gh  dice  il  vero,  e  vede  eh'  el  s'  accorda 
Con  esso,  come  nota  con  suo  metro; 

10.    Cosi  la  mia  memoria  si  ricorda 

Ch'io  feci,  riguardando  nei  begli  occhi, 
Onde  a  pigliarmi  fece  Amor  la  corda. 

13.    E  com'  io  mi  rivolsi,  e  furon  tocchi 

Li  miei  da  ciò  che  pare  in  quel  volume, 
Quandunque  nel  suo  giro  ben  s'  adocchi, 

16.    Un  punto  vidi  che  raggiava  lume 

Acuto  sì,  che  il  viso,  eh'  egli  affoca, 
Chiuder  conviensi,  per  lo  forte  acume: 


/i.  U.  che  'ncontro 


A.  2.  che  in  Paradiso  hu 
1»  I).  f.  eh'  è  Par.  alla 


D.  dietro 


B.  rivf»lve 


A.  rivolsi,  fiiron 


.-1.  1.  (?)  O.  Qiiantonque 


1.  intorno  alla  vita  -  2.  Di  miseri  —  4.  lume  di  doppiero  —  5.  »e  n"  allumi    -  7.  8.  per  veder  lo  vetro  Se  «lice  il  vero 


appare 


IH. 


m 


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682  ^»*'i<»  cmsTALLiNo.  PARADISO    XXVIII.    19  —  42.  gerarchie  celesti. 

1.  quinci  par  19.    E  qualc  stella  par  quhici  più  poca, 

2. Parr. luna  PaiTebbe  luiia  locata  con  esso, 

Come  stella  con  stella  si  colloca. 
22.    Forse  cotanto,  quanto  pare  appresso 

r,  AUu  r.  U  .    A 

1. 2. Au«cig.,er3.Hai«  Alo  cingCF  la  lucc  clic  il  dipigne,  '^iiui'^ 

cigli. 

1.  Quanto  il  vap.  Quando  ìl  vapoi*,  che  il  porta,  più  è  spesso,  '*  rV-  *  ? 

25.    Distante  intomo  al  punto  un  cerchio  d' igne 
Si  girava  si  ratto ,  eh'  avria  vinto 
Quel  moto,  che  più  tosto  il  mondo  cigne; 

28.    E  questo  era  d'  un  altro  circuncinto , 

E  quel  dal  terzo,   e  il  terzo  poi  dal  quarto. 
Dal  quinto  il  quarto ,  e  poi  dal  sesto  il  quinto. 

31.    Sopra  seguiva  il  settimo  si  sparto  /;.  sopn*^. 

Sopra  •*■-  :* 

Già  di  larghezza,  che  il  messo  di  Juno 

Intero  a  contenerlo  sarebbe  arto. 
34.    Cosi  r  ottavo  e  il  nono;  e  ciascheduno 

Più  tardo  si  movea,  secondo  eh'  era 

In  numero  distante  più  dall'  uno: 
37.    E  quello  avea  la  fiamma  più  sincera, 

Cui  men  distava  la  favilla  pm^a; 

Credo ,  però  che  più  di  lei  s' invera. 
40.    La  Donna  mia,  che  mi  vedova  in  cura 

Forte  sospeso,  disse:  Da  quel  punto 

Dependo  il  cielo,  e  tutta  la  natura.  r. nipendr 

24.  il  vapor,  rlie  il  cinge  —  26.  S'  aggirala  —  32.  messo  di  (tiuno  —  %.  In  numero  distinto 


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CIELO    CRISTALLINO. 


OBRARCIIIK    OBLESTL 


PARADISO    XXVUI.    43  —  66. 

43.    Mira  quel  cerchio  che  più  gli  è  congiunto, 
E  sappi  che  il  suo  movere  è  sì  tosto 
Per  r  affocato  amore ,  ond'  egli  è  punto. 

46.    Ed  io  a  lei:  Se  il  mondo  fosse  posto 

Con  r  ordine,  eh'  io  veggio  in  quelle  rote, 
Sazio  m'  avrebbe  ciò  che  m'  e  proposto. 

49.    Ma  nel  mondo  sensibile  si  puote 
Veder  le  volte  tanto  più  divine, 
Quant'  elle  son  dal  centro  più  remote. 

52.    Onde,  se  il  mio  disio  dee  aver  fine 

In  questo  miro  ed  angelico  tempio, 
Che  solo  amore  e  luce  ha  per  confine, 
2, 3  come  I- esemplo  55.    Udir  couvicmmi  ancor  perchè  l'esemplo 
E  r  esemplare  non  vanno  d' im  modo  ; 
Che  io  per  me  indarno  ciò  contemplo. 

58.    Se  li  tuoi  diti  non  sono  a  tal  nodo 
Sufficienti,  non  è  maraviglia, 
Tanto,  per  non  tentare,  è  fatto  sodo. 

61.    Così  la  Donna  mia;  poi  disse:  Piglia 

Quel  eh'  io  ti  dicerò,  se  vuoi  saziarti, 
Ed  intorno  da  esso  t'  assottiglia. 

64.    Li  cerchi  corporai  sono  ampi  ed  arti. 

Secondo  il  più  e  il  men  della  vbtute, 
Che  si  distende  per  tutte  lor  parti. 


683 


3.  indarno  &  eiò 
9on  da  (ni  n. 


A.  m.  fi.  C.  Sazio  sarebbe 


A.  t.  Veder  le  rote  D.  t. 
Ved.  le  cose  —  A.  m. 
/A  m.  più  festine 


A.  m.  B.  C.  I).  come  1*  es. 


A.  Ed  io  per  me   —   D. 

ind.  a  ciò 

B.  li  tuoi  detti  —  B.  son 

da  tal  n. 


U.  eh'  i'  or  ti  dirò 
.D.  K  dintorno 


47.  iu  quatte  rote  -  .'j8.  le  tue  dita  ||  li  tuoi  denti  —  tì2.  se  vuoi  scieiMÌarti  —  H4.  crrehi  eorporal   -  enno  ampi  ||  sou  ampli 

86» 


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684 


CIELO   TBISTALLINO. 


PARADISO    XXVIII.    67-90. 


OKBASCUIE    CELESTI. 


1.  2.  3.  L"  alto  univ. 


1.  2.  3.  coiivenenza 


67.    Maggior  bontà  vuol  far  maggior  salute; 
Maggior  salute  maggior  corpo  cape, 
S'  egli  ha  le  parti  egualmente  compiute. 

70.    Dunque  costui,  che  tutto  quanto  rape 
L'  altro  universo  seco,  corrisponde 
Al  cerchio  che  più  ama,  e  che  più  sape. 

73.    Per  che,  se  tu  alla  virtù  circonde 
La  tua  misura,  non  alla  parvenza 
Delle  wsustanzie  che  t'  appaion  tonde, 

76.    Tu  vederai  mirabil  conseguenza, 

Di  maggio  a  più,  e  di  minore  a  meno. 
In  ciascun  cielo,  a  sua  intelligenza. 

79.    Come  rimane  splendido  e  sereno 

L'  emisperio  dell'  aer,  quando  soffia 
Borea  da  quella  guancia,  ond'  è  più  leno, 

82.    Per  che  si  purga  e  risolve  la  roffia 

C'he  pria  turbava,  si  che  il  ciel  ne  ride 
Con  le  bellezze  d'  ogni  sua  parroffia; 

85.    Cosi  fec'  io,  poi  che  mi  provvide 

La  Donna  mia  del  suo  risponder  chiaro, 
E,  come  stella  in  cielo,  il  ver  si  vide. 

88.    E  poi  che  le  parole  sue  restaro. 
Non  altrimenti  ferro  disfavilla 
Che  bolle,  come  i  cerchi  sfavillaro. 


B.  bonutr  tuoI 


m^E. 


B.  D.  V  alto  oniT.  - 
A.  1.  (?)  fl.  «erocd^. 
risponde 


A.  m.  Di  riasrun 


(\  Kura 


A.  t.  B,  (\  ijucl  fk  : 
riel 


A.  l.  Che  b«lb  -  h 
come  kIì  ot^ch. 


74.  air  apparfiiza        M.  Borea  ilalla  guancia  -   ^3.  Che  pria '1  turbava  —  sì  che  ne 'I  ciel  ride  -   84.  paroffia 


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CIELO  CRISTALLINO.  PARADISO    XXVIII.    91  -  114. 

.»  ncendio  seguitava    91.    Lo  inceiidìo  loT  seguìva  ogni  scintilla; 

Ed  eran  tante,  che  il  numero  loro 
egi.  «ciocchi  Più  che  il  doppiar  degli  scacchi  s*  immilla. 

94.    Io  sentiva  osannar  di  coro  in  coro 

Al  punto  fisso  che  U  tiene  all'  ubi, 
E  terrà  sempre,  nel  qual  sempre  foro; 
97.    E  quella,  che  vedeva  i  pensier  dubi 

Nella  mia  mente,  disse:  I  cerchi  primi 
.  li.  mostrat*.  T'  hauuo  mostratl  i  Serafi  e  i  Cherubi. 

100.    Così  veloci  seguono  i  suoi  vimi, 

Per  simigliarsi  al  punto  quanto  ponno, 
E  posson  quanto  a  veder  son  sublimi. 

unuri.  che  ini.   —  2. 

3.  dintorno  -1.2.  JOB.    QucgU  alttì  amor,  che  intomo  a  lor  volino, 

3.  sii  vonno 


GERARCHIE    CELKSTI.  0g5 

A.  1.  O.  seguì  ogni 


A,  2.  B.  C.  alli  ubi 

A.  2.  li,  C.  D.  nei  cpiai 


C.  1.  D.  mostratu  -  JJ. 
mostr.  Ser.  —  A.  2. 
B.  a  D.  e  Cher. 


A.  1.  al  veder 

A.  2.  B.  C.  D.  amori  che 
int.  gli  vonno 


Si  chiaman  Troni  del  divino  aspetto, 

Perchè  il  primo  temaro  terminonno. 
106.    E  dei  saper  che  tutti  hanno  diletto. 

Quanto  la  sua  veduta  si  profonda 

Nel  vero,  in  che  si  queta  ogn'  intelletto. 
109.    Quinci  si  può  veder  come  si  fonda 

L'  esser  beato  nell*  atto  che  vede, 

Non  in  quel  eh'  ama,  che  poscia  seconda;    />.  poscia  i  seconda 
112.    E  del  vedere  è  misura  mercede,  />. misure 

Che  grazia  partorisce  e  buona  voglia; 

Cosi  di  grado  in  grado  si  procede. 


91.  Lo  incendio  suo  —  vinoeva  ogni  se.  —  96.  tiene  aljubi  —  96.  Eterni  sempre  -  97.  ehe  seiitia  i  pens.  —  108.  che  intorno  lor  — 
i  primo  trìnaro  —  lOft.  che  tanto  hanno  dil.  —  107.  Quando  la  sua  —  lOB.  in  che  si  fonda 


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686 


CIKI.O    CBISTALLINO. 


PARADISO    XXVIII.    115—139. 


GERARCHIE    TELESTI. 


1.  r  altre  Dee 


1.  2.  3.  rH  oeehi 


115.    L"  altro  terriaro,  che  cosi  germoglia 
In  questa  primavera  sempiterna, 
Che  notturno  Ariete  non  dispoglia, 

118.    Perpetuai  emente  Osanna  sverna 

Con  tre  melode,  che  suonano  in  tree 
Ordini  di  letizia,  onde  s' interna. 

121.    In  essa  gerarcliia  son  le  tre  Dee, 

Prima  Dominazioni,  e  poi  Virtudi; 
L'  ordine  terzo  di  Podesfcidi  ee. 

124.    Poscia  nei  due  penultimi  tripudi 

Principati  ed  Arcangeli  si  girano: 
L'  ultimo  è  tutto  d'  Angelici  ludi. 

127.    Questi  ordini  di  su  tutti  rimirano, 

E  di  giù  vincon  sì,  che  verso  Dio 
Tutti  tirati  sono,  e  tutti  tirano. 

130.    E  Dionisio  con  tanto  disio 

A  contemplar  questi  ordini  si  mise. 
Che  li  nomò  e  distinse  coin  io. 

133.    Ma  Gregorio  da  lui  poi  si  divise; 

Onde,  si  tosto  come  Y  occhio  aperse 
In  questo  ciel,  di  se  medesmo  rise. 

136.    E  se  tanto  segreto  ver  proferse 

Mortale  in  terra,  non  voglio  eh'  ammiri; 
Che  chi  il  vide  quassù  gliel  discopei-se 

139.    (3on  altro  assai  del  ver  di  questi  giri. 


A.  2.  B.  D.  trÌDarr» 
C.  trinano 


A.  a  ()*.  i*bcr 


A.  2.   C.  O.    r  alire  1»  - 


A.  2.  C.  O.    tatti  s"    r» 
mirano 


C.  Terso  Iddio 


fJ.  Ma  |K>i  Or.  ù*  l-a  » 


116.    In  quella  primav.    —    121.  l'  alle  Dee  ||   !/  altre  idee    —    128.  ehe   inverso  Dio    —    UH.  da  lui  si  %i  dimise  —    136.  tanto  lU  >* 
vero  II  cotanto  si  vero  —  lliJ.  ('he  chi  il  vede 


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C^ANTO  VENTESIMONONO 


.  anibudue  2. 3.  ambodno 
-  1.  2.  li  figli 


.  il  ciuit 


!.  Ni  tactjur 
.  Fiso 

.  dico,  e  non  dim. 
,  2.  3.  fìi  vuoi 
2.  3.  Ove 


come  piac(|iie 


H.  U.  ambedue    C.  ani- 
bodui  A.  2.  ambedui 


B.  liliali  tu  del  ptuito  — 
C.  che  zenit  —  A.m. 
lì.  die  li  tiene  in  libra 


D.  di  quel  cinto 


v^uando  ambo  e  due  i  figli  di  Latona, 

Coperti  del  Montone  e  della  Libra, 

Fanno  dell'  orizzonte  insieme  zona, 
4.    Quant'  è  dal  punto  che  il  zenit  inlibra, 

Infin  che  T  uno  e  \  altro  da  quel  cinto. 

(Cambiando  \  emisperio,  si  dilibra, 
7.    Tanto,  col  volto  di  riso  dipinto, 

Si  tacque  Beatrice,  riguardando 

Fisso  nel  punto  che  m'  aveva  vinto: 
10.    Poi  cominciò:  Io  dico,  non  domando 

Quel  che  tu  vuoli  udir,  perch'  io  1'  ho  visto 

Dove  s'  appunta  ogni  uhi  ed  ogni  quando.       /?.  ove  s- aH>. 
13.    Non  per  avere  a  se  di  bene  acquisto,  />.  per  av.  in  sé 

Ch'  esser  non  può,  ma  perchè  suo  splendore 

Potesse,  risplendendo,  dir:  Subsisto; 
Ifi.    In  sua  eternità  di  tempo  inore, 

Fuor  d*  ogni  altro  comprender,  come  i  piacque. 


S'  aperse  in  nuovi  amor  T  eterno  amore. 


./.  1.  (?)  ff,  U.   in  nove 

amor 


1.  ambedue  —  4.  il  xenit  i  libra    —    9.  mi  avea  vinto   —   12.  La  ove  s*  app.    —    15-  rispondendo,  dir    —    Sussisto   —    18.  Sparsene 


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688 


CIELO    CRISTALLINO. 


PARADISO    XXIX.    19-42. 


OEHARCHIB    CELESTI 


].  2.  3.  ad  Atto 


ed  in  erist. 


2.  3.  dui  suo  8. 


1.  2.  3.  l)r  secoli 


1.  2.  3.  E  tu  Io  vedcrai 
—  1. 2.  ben  ne  guati 
3.  bene  gu. 


19.    Ne  prima  quasi  torpente  si  giacque; 
Che  ne  prima  ne  poscia  procedette 
Lo  discorrer  di  Dio  sopra  quest'  acque  : 

22.    Forma  e  materia  congiunte  e  purette 
Uscirò  ad  esser  che  non  avea  fallo, 
Come  d'  arco  tricorde  tre  saette  ; 

25.    E  come  in  vetro,  in  ambra  od  in  cristallo 
Raggio  risplende  si,  che  dal  venire 
All'  esser  tutto  non  è  intervallo: 

28.    Cosi  il  triforme  effetto  del  suo  Sire 

Neir  esser  suo  raggiò  insieme  tutto, 
Senza  distinzion  nell'  esordire. 

31.    Concreato  fu  ordine  e  costrutto 

Alle  sustanzie,  e  quelle  furon  cima 

Nel  mondo,  in  che  puro  atto  fu  produtto. 

34.    Pura  potenza  tenne  la  parte  ima; 

Nel  mezzo  strinse  potenza  con  atto 
Tal  vime,  che  giammai  non  si  divima. 

37.  Jeronimo  vi  scrisse  lungo  tratto 
Di  secoli,  degli  Angeli,  creati 
Anzi  che  V  altro  mondo  fosse  fatto  ; 

40.    Ma  questo  vero  è  scritto  in  molti  lati 
Dagli  scrittor  dello  Spirito  Santo; 
E  tu  ten'  avvedrai,  se  bene  agguati; 


A.  1.  KviT. 

B.  triroTdo 
B.  U.  rà  in  rn 
A.m,U.ìix:z' 
(\  min  '  ì'  5*' 
D.  tisi  «•>  ^ 


A.  i  r.  U. 


r.  tìCT»«:C 


B.  r.  D.  r»e  ' 

U.  alt.. 


20.  precedette   —    23.  dou  aveaa  faUo   ~  2G.  del  venire  ^  27.  non  gli  è  iatorvallo   —  30.  Scasa  distenaiooe 
:}3.  fu  perdutto  —  36.  Tal  vimine,  che  mai  -   si  disvima  —  37.  Jeroa.  ne  scrisse  —  42.  se  ben  vi  guati 


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CIELO    CRISTALLINO. 


PARADISO    XXIX.    43  —  66. 


OBRARCHIK   CELESTI. 


689 


1. 2. 3.  ragion  lo         43.    Ed  anchc  la  ragione  il  vede  alquanto , 

Che  non  concederebbe  che  i  motori 
i.frssercot.  Senza  sua  perfezion  fosser  cotanto. 

46.    Or  sai  tu  dove  e  quando  questi  amori 
1. 2. 3.  Furon  creati  FuTOU  elcttì ,  c  comc;  sì  chc  spenti 

1. 2.  giÀ  son  tre  Ncl  tuo  disio  già  souo  tre  ardori. 
LgiugneriMi             49.    Nc  giugnericsi ,  numerando,  al  venti 

Si  tosto,  come  degli  Angeli  parte 

2. 3.  alimenti  Turbò  il  suggctto  dci  vostri  elementi. 

52.    L'  altra  rimase,  e  cominciò  quest'  arte, 
Che  tu  discerni,  con  tanto  diletto, 
Che  mai  da  circuir  non  si  diparte. 

55.  Principio  del  cader  fu  il  maledetto 
Superbir  di  colui,  che  tu  vedesti 
Da  tutti  i  pesi  del  mondo  costretto. 

58.    Quelli,  che  vedi  qui,  furon  modesti 
.  2. 3.  dell»  boat.  A  riconosccr  se  dalla  bontate. 

Che  gli  avea  fatti  a  tanto  intender  presti; 

61.    Per  che  le  viste  lor  furo  esaltate 

Con  grazia  illuminante,  e  con  lor  merto, 
Sì  eh'  hanno  piena  e  ferma  volontate. 

64.    E  non  voglio  che  dubbi,  ma  sie  certo, 
2. meritoro  Chc  riccver  la  grazia  è  meritorio, 

3.  gli  i-  aperto  Sccoudo  chc  1'  affctto  r  è  aperto. 


B.  lo  vede  />.  ne  vede 

B.  fesser  cotanto 
D.  quando  e  dove 

A.  m.  D.  Furon  ereati 
D.  son  già  ì  tre 

B.  giugneriasi 

A.  C.  il  subietto 


B.  della  bont. 


D.  ferma  e  piena  volont. 

D.  sia  certo 

^.Ch*  a  rie.  —  ^.meritoro 

A.  C.  gli  è  aperto  D.  li 
è  ap. 


48.  sono  i  tre  ard.  —  49.  a  venti  —  51.  Mutò  il  sugg.  —  di  vostri  elem.  -   54.  Che  mai  dal  cireuir  —  59.  A  riconoscersi  dalla  b.  — 
ma  sii  eerto  —  66.  ricever  la  gloria  —  ci*  meritorio 


III. 


87 


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g90  CIELO  CRISTALLINO.  PARADISO    XXIX.    67  —  90.  gbsabchie  celesti. 

1. 2,  eonsisujro  67.    Omai  dintomo  a  questo  consistono  b.  ooiw«toro 

Puoi  contemplare  assai,  se  le  parole 

1.  »ltrc.  lavoro    2.  altro  MÌC    SOn    lìCOlte  ,    SCnZ*  altFO    aiUtOrio.  R,  altro  Uvon. 

aiiitoro 

70.   Ma,  perchè  in  terra  per  le  vostre  scuole 

Si  legge  che  Y  angelica  natura 

È  tal,  che  intende,  e  si  ricorda,  e  vuole,       /?.  esinuroa 
73.    Ancor  dirò,  perchè  tu  veggi  pura 

La  verità  che  laggiù  si  confonde, 

Equivocando  in  si  fatta  lettura. 
76.    Queste  sustanzie,  poiché  fiir  gioconde 

Della  faccia  di  Dio,  non  volser  viso 

Da  essa,  da  cui  nulla  si  nasconde: 
79.    Però  non  hanno  vedere  interciso 

Da  nuovo  obbietto,  e  però  non  bisogna 

Rimemorar  per  concetto  diviso.  ^.  2.  Rammracm 

82.    Sì  che  laggiù  non  dormendo  si  sogna. 

Credendo  e  non  credendo  dicer  vero; 

Ma  neir  uno  è  più  colpa  e  più  vergogna. 
85.    Voi  non  andate  giù  per  un  sentiero 

Filosofando;  tanto  vi  trasporta 

L'  amor  dell'  apparenza  e  il  suo  pensiero. 
88.   Ed  ancor  questo  quassù  si  comporta 

Con  men  disdegno,  che  quando  è  posposta 
1. 2. 3.  e  <iuamio  La  dìvlua  scrittura,  o  quando  è  torta.  -4.  i.(n /?./>.  r,»r 

77.  halla  fuorin  —  M.  Ma  V  nltimo  è  più  rolpa  che  vrrg. 


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CULO    CRISTALLINO. 


PARADISO    XXIX.    91-114. 


^DANTX   E   BEATRICE. 


691 


SI  sporse 


91.   Non  vi  si  pensa  quanto  sangue  costa  /;.  quanto  cam 

Seminarla  nel  mondo,  e  quanto  piace 

Chi  umilmente  con  essa  s'  accosta. 
94.    Per  apparer  ciascun  s' ingegna,  e  face 

Sue  invenzioni,  e  quelle  son  trascorse 

Dai  predicanti,  e  il  Vangelio  si  tace. 
97.    Un  dice  che  la  luna  si  ritorse 

Nella  passion  di  Cristo,  e  s'interpose, 

Per  che  il  lume  del  sol  giù  non  si  porse;     5.  si  .porse 


Firenze 


100.    Ed  altri  che  la  luce  si  nascose 

Da  se;  però  agi'  Ispani  ed  agi'  Indi, 
Com'  a'  Giudei,  tale  eclissi  rispose. 
Non  ha  in  F.  -  2. 3.  103.    Nou  ha  Fiorcuza  tanti  Lapi  e  Bindi, 

Quante  sì  fatte  favole  per  anno 
In  pergamo  si  gridan  quinci  e  quindi; 

106.    Sì  che  le  pecorelle,  che  non  sanno, 

Tornan  dal  pasco  ^pasciute  di  vento, 
E  non  le  scusa  non  veder  lo  danno. 

109.    Non  disse  Cristo  al  suo  primo  convento: 
Andate,  e  predicate  al  mondo  ciance, 
Ma  diede  lor  verace  fondamento; 

112.    E  quel  tanto  sonò  nelle  sue  guance, 

Sì  eh'  a  pugnar,  per  accender  la  fede, 
2. 3.  scudi  Dell'  Evangelio  fero  scudo  e  lance. 


2.  3.  lor  danno 


A.  E  r  altro  B.  E  mentre 


/?.  Non  ha  in  Fior 
C.  Quanto 


D.  il  non  veder  —  A.  2. 
C.  D.  lor  danno 


96.  Sue  inteiuioni  —  97.  la  luna  si  ricorse  —  \ 
114.  Dell'  Evang.  furo  se. 


,  il  lume  del  ciel  —  100.  E  mente;  che  la  1.  —  la  luna  si  nasc.   —   106.  E   non  gli 


87- 


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692  ^^^^^  CRISTALLINO.  PARADISO    XXIX.    115—138.  dante  s  beatrice. 

115.    Ora  si  va  con  motti  e  con  iscede  /?.  ««k«ì' 

A  predicare,  e  pur  che  ben  si  rida, 
Gonfia  il  cappuccio,  e  più  non  si  richiede. 

118.   Ma  tale  uccel  nel  becchetto  s'  annida. 

Che  se  il  vulgo  il  vedesse,  vederebbe  j. leiv^w- 

La  perdonanza  di  che  si  confida;  j.-iroi  b< 

2,3.  stoltezza  121.    Pcr  cuì  tauta  stoltizia  in  terra  crebbe. 

Che,  senza  prova  d*  alcun  testimonio. 
Ad  ogni  promission  si  converrebbe.  /;.  »ir..n.Tr 

124.    Di  questo  ingrassa  il  porco  sant'  Antonio., 
2.3.  altri  assai,  che  son  Ed  altri  aucor,  chc  son  assai  più  porci,        D.^nn^^ 

peggio  che  p.  F*S^'    * 

Pagando  di  moneta  senza  conio. 
1. 2. 3.  flcm  digr.         127.    Ma  pcrchè  siam  digressi  assai,  ritorci  b.^^ 

GU  occhi  oramai  verso  la  dritta  strada,         A.^r.u^r: 

tir. 

Si  che  la  via  col  tempo  si  raccorci.  -<.  i  O)  ^  * 

^  vita  -  5. 

130.    Questa  natura  sì  oltre  s' ingrada 

In  numero,  che  ©lai  non  fu  loquela, 

Ne  concetto  mortai,  che  tanto  vada.  D.ot^rtrt. 

1.  E  se  riguardi  133.    E  sc  tu  guRrdl  quel  che  si  rivela  AK^rrv 

Per  Daniel,  vedrai  che  in  sue  migliaia  />.PfrUtt.'^ 

Determinato  numero  si  cela. 

i. Untola raia  136.    La  prima  luce,  che  tutta  la  raia, 

Per  tanti  modi  in  essa  si  recepe. 
Quanti  son  gli  splendori  a  che  s*  appaia.       z>.  g«»u>».' 


US.  con  muti  e  con  isc.  —  119.  il  vedesse,  non  terrebbe  —  124.  Dì  questa  ingrassa  ->  125.  Ed  altri  assai  ascor.  y*^^^^' 
Ed  altri  assai,  cbe  sono  ancor  più  porci  —  129.  Si  cbe  la  vista  —  137.  Per  tanti  medii 


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CIKLO    CRISTALLINO. 


PARADISO    XXIX.    139—145. 


DANTE    K   BEATRICE. 


693 


139.    Onde,  perocché  all'atto  che  concepe 
Segue  r  aflfetto,  d'amor  la  dolcezza 
n  esse  si  concepe  Diversamciite  in  essa  ferve  e  tepe. 

142.    Vedi  r  eccelso  ornai,  e  la  larghezza 
Dell'  eterno  valor,  poscia  che  tanti 
Speculi  fatti  s'ha,  in  che  si  spezza, 

145.    Uno  manendo  in  se,  come  davanti. 


H.  però  all'  atto 

A.  B.  C.  d*  amar  la  dolc. 

D.  Vedi  r  eccesso 


141.  in  esse  ferve  —  143.  Dell'  etemo  piacer  —  145.  come  da  avanti 


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CANTO  TRENTESIMO 


2.  o.  seraila 


1.  2.  3.  Poco  sar. 


Jb  orse  se'  milia  miglia  di  lontano 
Ci  ferve  1'  ora  sesta,  e  questo  mondo 
China  già  V  ombra,  quasi  al  letto  piano, 

4.    Quando  il  mezzo  del  cielo,  a  noi  profondo, 
Comincia  a  farsi  tal,  che  alcuna  stella 
Perde  il  parere  infino  a  questo  fondo; 
7.    E  come  vien  la  chiarissima  ancella 

Del  sol  più  oltre,  cosi  il  ciel  si  chiude 
Di  vista  in  vista  infino  alla  più  bella; 

10.    Non  altrimenti  il  trionfo,  che  lude 

Sempre  dintorno  al  punto  che  mi  vinse, 
Parendo  in  chiuso  da  quel  eh'  egl'  inchiude, 

13.    A  poco  a  poco  al  mio  veder  si  estinse; 
Per  che  tornar  con  gU  occhi  a  Beatrice 
Nulla  vedere  ed  amor  mi  costrinse. 

16.    Se  quanto  infino  a  qui  di  lei  si  dice 
Fosse  conchiuso  tutto  in  una  loda. 
Poca  sarebbe  a  fornir  questa  vice. 


/).  Ci  ferrea  la  scst'  ora 


li.  Comincia  farsi 


A.  1.  vista  fino 


A.  m.  Parea  dischiuso  — 

C.  «la  quei  —  A.  m. 
che  r  inch. 

B.  il  mio  veder 


C.  iiichiuso   —    B.  tutto 
inch. 

B.  C,  D.  Poco  sar. 


3.  China  giù  l'  omhra  —  a  lito  piano  — <  11.  Sempre  intomo  —  12.  eh'  elio  incliiudc  —  13.  al  mio  veder  distinse 


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PARADISO    XXX.    19-42. 


DANTE    E    BEATSICE. 


1.  questo  punto 

1.  2.  3.  Suprat<i 
1.  2.  3.  il  Vigo 

1.  2.  3.  (la  se  m«<l. 

1.  2.  3.  iusino 

I.  2.  3.  Non  è  il  segu. 

1.  2.  3.  che  il  mio 


1.  2.  3.  di  spedito 


19.    La  bellezza  eh'  io  vidi  si  trasmoda 

Non  pur  di  là  da  noi,  ma  certo  io  credo 
Che  solo  il  suo  fattor  tutta  la  goda. 

22.    Da  questo  passo  vinto  mi  concedo, 

Più  che  giammai  da  punto  di  suo  tema 
Suprato  fosse  comico  o  tragedo. 

25.    Che,  come  sole  in  viso  che  più  trema, 
Cosi  lo  rimembrar  del  dolce  riso 
La  mente  mia  di  se  medesma  scema. 

28.  Dal  primo  giorno  eh'  io  vidi  il  suo  viso 
In  questa  vita,  infino  a  questa  vista. 
Non  m'  è  il  seguire  al  mio  cantar  preciso; 

31.    Ma  or  convien  che  mio  seguir  desista 
Più  dietro  a  sua  bellezza,  poetando, 
Come  air  ultimo  suo  ciascuno  artista. 

34.    Cotal,  qual  io  la  lascio  a  maggior  bando. 
Che  quel  della  mia  tuba,  che  deduce 
L'  ardua  sua  materia  terminando, 

37.    Con  atto  e  voce  d'  espedito  duce 

Ricominciò:  Noi  semo  usciti  fuore 

Del  maggior  corpo  al  ciel,  eh'  è  pura  luce, 

40.    Luce  intellettual  piena  d'  amore. 

Amor  di  vero  ben  pien  di  letizia. 
Letizia  che  trascende  ogni  dolzore. 


A.  1.  Tinti»  il    - 

B.  e.  D.  S  H  rv. 

B,  in  fiso  .1  d't  ■ 

B.  D,ÓA%t  mi 
B,  Del  pfiak' 


A.  1.   Nul  BÀili'T 

Noi  seffain  -  i 
B.  il  m:-    u 

B.  D.  thtiÌK,  ■ 

cantar  àt^. 


B.  C  dì  spw^"' 


.4.  1.  a  rie! 


24.  fosse  u  coni.  —  comedo  o  trag.  —  25.  come  in  sole  il  viso  —  27.  da  sé  medeaino  ||  da  me  medesmo  —   301  Noi  tj  "^  ' 
il  seguir  oh'  io  mio  cantar  -  33.  all'  ult.  suo  bnon  citarista  —  39.  eh'  è  vera  luce  ||  eh*  è  mera  luce  —  42.  ogni  dolciore 


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EMPIREO.  PARADISO    XXX.    43—66.  piume  e  fiori. 

43.    Qui  vederai  1'  una  e  1'  altra  milizia 

Di  Paradiso ,  e  Y  una  in  quegli  aspetti 
Che  tu  vedrai  all'  ultima  giustizia. 

46.  Come  subito  lampo  che  discetti 
Gli  spiriti  visivi,  si  che  priva 
Deir  atto  r  occhio  di  più  forti  obbietti; 

49.    Cosi  mi  circonfulse  luce  viva, 

E  lasciommi  fasciato  di  tal  velo 
Del  suo  fulgor,  che  nulla  m'  appariva. 
>.  3  1- amor,  che  quel*  52.    Scmprc  1'  amorc ,  che  quieta  il  cielo, 

questo 

AccogUe  in  se  cosi  fatta  salute, 

Per  far  disposto  a  sua  fiamma  il  candelo. 

55.    Non  fur  più  tosto  dentro  a  me  venute 
Queste  parole  brevi,  eh'  io  compresi 
.sopramia  Mc  sonuoutar  di  sopra  a  mia  virtute; 

58.    E  di  novella  vista  mi  raccesi 

Tale,  che  nulla  luce  è  tanto  mera, 
Che  gli  occhi  miei  non  si  fosser  difesi. 

61.    E  vidi  lume  in  forma  di  riviera 

Fulgido  di  fulgore,  intra  due  rive 
Dipinte  di  mirabil  primavera. 

64.    Di  tal  fiumana  uscian  faville  vive, 

E  d'  ogni  parte  si  mettean  nei  fiori. 
Quasi  rubin  che  oro  circonscrive. 


.  fosse  difesi 


2.  3.  Fulvido   -   3. 
fulgori 


697 


I).  vedrai  V  una  A.  C. 
vedrai  tu  1*  una  — 
^.  I.  altra  primìzia 


A.  1.  r.  D.  Dall'  atto 


A.  2.  C.  D.  V  amor,  che 
—  /i.quetaesto  A.% 
C.  queta  questo 

B,  con  sì  fatta 


R.  D.  Fulvido 

C.  uscieii 

B.  metten  C,  mettieu 

A.  \.  rubino  che  oro 


43.  Quivi  vedrai  —  altra  delìzia  —  48.  dei  più  forti  —  52.  che  acqueta  —  62.  Fluvìdo  ||  Fluido  —  63.  Vestite  di  mirab.   —  fó.  sì 
:scean  nei  fiori 


HI. 


88 


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098  EHPiBEO.  PARADISO    XXX.    67  —  90.  rosa  celeste. 

67.    Poi,  come  inebriate  dagli  odori, 

Riprofondavan  se  nel  miro  gorge, 

E,  s'  una  entrava,  un'  altra  n'  uscia  fiiori. 

70.    L'  alto  disio  che  mo  t' infiamma  ed  urge 
D'  aver  notizia  di  ciò  che  tu  vei. 
Tanto  mi  piace  più,  quanto  più  turge.  .4. Tannai r- 

73.    Ma  di  quest'  acqua  convien  che  tu  bei, 
Prima  che  tanta  sete  in  te  si  sazii: 
Cosi  mi  disse  il  sol  degU  occhi  miei. 
2.3. Anche  76.    Auco  sogglunsc :  Il  fiume,  e  U  topazi!  j. Anrhe 

Ch'  entrano  ed  escono,  e  il  rider  dell'  erbe 
Son  di  lor  vero  ombriferi  prefazii;  *.  ubnffni* 

feri  -  Al  «.'• 

1.  da  sé  sian  79.    Nou  chc  da  se  sien  queste  cose  acerbe  :  a  a*  « .«. 

Ma  è  difetto  dalla  parte  tua. 

Che  non  hai  viste  ancor  tanto  superbe.  .4.  i.noaLi 

82.    Non  è  fantin  che  si  subito  rua 

Col  volto  verso  il  latte,  se  si  svegli 

Molto  tardato  dall'usanza  sua,  B.t.^.t^ 

85.    Come  fec'io,  per  far  migliori  spegli  .4.  cicb^.. 

Ancor  degli  occhi,  chinandomi  all'  onda 

Che  si  deriva,  perchè  vi  s' immeglì.  ^.  cbeairra 

88.    E  sì  come  di  lei  bevve  la  gronda  [d,-w] 

Delle  palpebre  mie,  cosi  mi  parve 

Di  sua  lunghezza  divenuta  tonda. 

67.  inebr.  degli  odori  —  76.  Così  ne  disse  —  76.  soggiunse:  E*  fiori  —  80.  Ma  è  il  dif.  ||  Non  è  dif.  —  82.  fanlinncWsti 
83.  Convolto  verso  ||  Cogli  occhi  verso  —  84.  Molto  tardando  —  87.  perchè  noi  s*  imm. 


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PARADISO    XXX.    91-114. 


ROSA    CKLSSTE. 


1.  com'io  il  vidi 


3.  Quando  è   -    1.  2.  3. 
nel  verde 


91.    Poi,  come  gente  stata  sotto  larve, 

Che  pare  altro  che  prima,  se  si  sveste 
La  sembianza  non  sua  in  che  disparve; 
94.    Così  mi  si  cambiato  in  maggior  feste 
Li  j&ori  e  le  faville,  si  eh'  io  vidi 
Ambo  le  corti  del  ciel  manifeste, 
97.    0  isplendor  di  Dio,  per  cu'  io  vidi 
L'  alto  trionfo  del  regno  verace , 
Dammi  virtù  a  dir  com'  io  lo  vidi. 

100.    Lume  è  lassù,  che  visibile  face 
Lo  Creatore  a  quella  creatura, 
Che  solo  in  lui  vedere  ha  la  sua  pace; 

103.    E  si  distende  in  circular  figura 

In  tanto,  che  la  sua  circonferenza 
Sarebbe  al  sol  troppo  larga  cintura. 

106.    Fassi  di  raggio  tutta  sua  parvenza 

Riflesso  al  sommo  del  Mobile  primo, 
Che  prende  quindi  vivere  e  potenza. 

109.    E  come  clivo  in  acqua  di  suo  imo 

Si  specchia,  quasi  per  vedersi  adorno. 
Quanto  è  nell'  erbe  e  nei  fioretti  opimo, 

112.    Si  soprastando  al  lume  intorno  intorno 
Vidi  specchiarsi  in  più  di  mille  sogUe, 
Quanto  di  noi  lassù  fatto  ha  ritorno. 


A.  Che  per  altro   —    C. 
si  veste 


A.  2.  B.    C.  com'  io  il 
vidi 


A.  si  dist.  a  ciré. 


A.  2.  C.  Qaando  è  — 
A.  1.  (?)  B.  nei  fior, 
adimo 


96.  Ambe  le  corti   —  97.   O  splendore  di  Dio   —  99.  Danuni  yirtute   —   si  come  io '1  vidi   —   109.  E  come  elinn   —   111.  Qu.  è 
«eli"  erba  -  113.  più  di  mille  foglie  —  114.  Quanto  da  noi 

88* 


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700  EMPIREO.  PARADISO    XXX.    115  —  138.  (enrico  tu.) 

115.    E  se  r  infimo  grado  in  se  raccoglie 

Sì  grande  lume,  quant'  è  la  larghezza 

Di  questa  rosa  nell'  estreme  foglie? 
118.    La  vista  mia  nell'  ampio  e  nell'  altezza 

Non  si  smarriva,  ma  tutto  prendeva 

Il  quanto  e  il  quale  di  quella  allegrezza.        j.  El(j«::• 
121.    Presso  e  lontano  lì,  ne  pon  ne  leva, 

Che  dove  Dio  senza  mezzo  governa, 

La  legge  naturai  nulla  rileva. 
124.    Nel  giallo  della  rosa  sempiterna,  j.  r.NfUi. 

1. 2. 3.  rigrada  Che  SÌ  dilata,  digrada  e  redole  A.2.r.Aw^ 

1.  al  fior  che  s.  Odor  di  lode  al  sol  che  sempre  verna,  ^.  l.od.d:.. 

127.    Qual  è  colui  che  tace  e  dicer  vuole, 

Mi  trasse  Beatrice,  e  disse:  Mira 

Quanto  è  il  convento  delle  bianche  stole! 
130.    Vedi  nostra  città  quanto  ella  gira! 

Vedi  U  nostri  scanni  sì  ripieni, 

Che  poca  gente  omai  ci  si  disira. 
133.   In  quel  gran  seggio,  a  che  tu  gli  occhi  tieni,  ^2. ^e« 

Per  la  corona  che  già  v'  è  su  posta,  r.  cherró. 

Prima  che  tu  a  queste  nozze  ceni, 
1. 3. augosu  136.    Sederà  l'alma,  che  fia  giù  agosta,  r. aag»» 

1. 2. 3.  alto  Arrigo  Dcll' alto  Eurico ,  eh' a  drizzare  Italia 

Verrà  in  prima,  che  ella  sia  disposta.  ^.  «.fàrs^^- 


uo.  tutto  apprenderà  —   121.  Presso  o  lontano  —   122.  Che  dove  Iddio   ~  124.  Nel  ciglio  della  rosa    —    12S.  àie'' 
131.  Vedi  li  nostri  sciami  —  132.  poca  gente  più  ci  si 


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EMPIREO.  PARADISO    XXX.    139  —  148.  (clemente  v.)  701 

139.    La  cieca  cupidigia,  che  vi  ammalia, 
Simili  fatti  v'  ha  al  fantolino , 

l.rauor  per  fame  ChC    mUOr    dì    famC    C    caccia    via    la    balia;  ^.  muor  per  fame 

142.   E  fia  prefetto  nel  foro  divino 

Allora  tal,  che  palese  e  coperto  ^.  i.  che  in  palese 

Non  anderà  con  lui  per  un  cammino. 
145.    Ma  poco  poi  sarà  da  Dio  sofferto 

Nel  santo  ofifizio  ;  eh'  ei  sarà  detruso 

Là  dove  Simon  mago  è  per  suo  merto,         [/j.  88-] 

1. 2.  3.  quel  d- Alagn*       148.      E    faià    QUCl    d'  AuagUa    esser    più    giuSO  //.  e  quei  d*  Alagna  - 

A.  m.  (\  J).  andar  più 


148.  entrar  più  giuso 


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CANTO  TRENTESIMOPRIMO 


3.  r  ale 
tal  tenn. 


In  forma  dunque  di  candida  rosa 
Mi  si  mostrava  la  milizia  santa. 
Che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  sposa; 
4.   Ma  r  altra,   che  volando  vede  e  canta 
La  gloria  di  colui  che  la  innamora, 
E  la  bontà  che  la  fece  cotanta, 
7.    Si  come  schiera  d'  api ,  che  s' infiora 
Una  fiata,  ed  una  si  ritorna 
Là  dove  suo  lavoro  s' insapora, 

10.    Nel  gran  fior  discendeva,  che  s'adorna 
Di  tante  foglie,  e  quindi  risaliva 
Là  dove  il  suo  amor  sempre  soggiorna. 

13.   Le  facce  tutte  avean  di  fiamma  viva, 

E  r  ah  d'  oro ,  e  Y  altro  tanto  bianco , 
Che  nulla  neve  a  quel  termine  arriva. 

16.    Quando  scendean  nel  fior,  di  banco  in  banco 
Porgevan  della  pace  e  dell'  ardore, 
Ch'  egli  acquistavan  ventilando  il  fianco. 


A.  che  la  face 

r.  D.  d'  ape 

^.  1.  ed  altra  si  rit.  (?) 

A.  2.  dove'l  suo  lav. 


A.  R.  V  ale 


C.  D.  di  bianco  in  bianco 


.    b.  Una  fiata  e  un*  altra  —  9.  suo  labore 


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704 


PARADISO    XXXI.    19  —  42. 


ROSA  CELESTE. 


1.  esser  davante 


1.  che  unica 

1.  2.  3.  (|iiagi|;ius(i 
1.  di  tal  pi. 


1.  2.  3.  Veggeudo 


1.  2.  3.  Libit<i  iiou  ud. 


19.    Ne  lo  interporsi  tra  il  disopra  e  il  fiore 
Di  tanta  plenitudine  volante 
Impediva  la  vista  e  lo  splendore; 

22.    Che  la  luce  divina  è  penetrante 

Per  r  universo,  secondo  eh'  è  degno, 
Sì,  che  nulla  le  puote  essere  ostante. 

25.    Questo  sicuro  e  gaudioso  regno, 

Frequente  in  gente  antica  ed  in  novella, 
Viso  ed  amore  avea  tutto  ad  un  segno. 

28.    0  trina  luce,  che  in  unica  stella 

Scintillando  a  lor  vista  si  gii  appaga, 
Guarda  quaggiù  alla  nostra  procella. 

31.    Se  i  Barbari,  venendo  da  tal  plaga. 

Che  ciascun  giorno  d'  Ehce  si  copra, 
Rotante  col  suo  figlio  ond'  eli'  è  vaga , 

34.    Vedendo  Roma  e  Y  ardua  sua  opra 
Stupeface'nsi,  quando  Laterano 
Alle  cose  mortali  andò  di  sopra; 

37.    Io,  che  al  divino  dall'umano. 

Air  eterno  dal  tempo  era  venuto, 

E  di  Fiorenza  in  popol  giusto  e  sano, 

40.    Di  che  stupor  dovea  esser  compiuto! 
Certo  tra  esso  e  il  gaudio  mi  facea 
Libito  il  non  udire,  e  starmi  muto. 


D.  tanta  moltìtiidi» 


CD.  li  puote- fi.  ^>»r 
darante 


A.  avea  tutta 

A.  B.  che  unia 

B.  quaggiuso 

B.  Sì  eh'  e  Birb.  -  ! 
di  tal  p. 

B.  C.  D.  Vei;g«ad- 


B,  ed  air  unano 
B,  Dell'  et.  del  to: 


A.  2.    B.  a  D.  L?.-. 
non  ad. 


27.  Kido  ed  ani.  —  33.  Roteante  ||  Rotando  —  37.  3&  Io  eh'  era  al  div.  dall'  um.  E  all'  et.  dal  tempo  ven.  —  42.  e  farmi  muto 


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EMPIREO.  PARADISO    XXXI.    43  —  66. 

43.    E  quasi  peregrin,  che  si  ricrea 

Nel  tempio  del  suo  voto,  riguardando, 
E  spera  già  ridir  com'  elio  stea , 

46.    Sì  per  la  viva  luce  passeggiando, 
Menava  io  gli  occhi  per  li  gradi, 
Mo  su,  mo  giù,  e  mo  ricirculando. 
».3.vedev.vi8i»carità  49.    Vcdca  di  Carità  visi  suadi, 

D'  altrui  lume  fregiati  e  del  suo  riso , 
Ed  atti  ornati  di  tutte  onestadi. 

52.   La  forma  general  di  Paradiso 

Già  tutta  mio  sguardo  avea  compresa, 
E  in  nulla  parte  ancor  fermato  il  viso; 

55.    E  volgeami  con  voglia  riaccesa 

Per  domandar  la  mia  Donna  di  cose. 
Di  che  la  mente  mia  era  sospesa. 

58.    Uno  intendea,  ed  altro  mi  rispose; 

Credea  veder  Beatrice,  e  vidi  un  Sene 
Vestito  con  le  genti  gloriose, 

61.    Diffuso  era  per  gli  occhi  e  per  le  gene 
Di  benigna  letizia,  in  atto  pio. 
Quale  a  tenero  padre  si  conviene. 

64.    Ed:  EUa  ov'  è?  di  subito  diss' io. 

Ond'  egli:  A  terminar  lo  tuo  disiro 
Mosse  Beatrice  me  del  loco  mio; 


8.    BSBNARDO. 


705 


1.  E  d'  atti 


1.  2.  3.  tutto  il  mio 


1.2. 3.  In  nulla-  I.fcrm. 
viso  2.  3.  ferm.  fiso 


B.  Nel  tempo 
B.  com'  elli  stea 

D.  per  quei  irradi 

A.  Vedeva  visi  di  car. 

B.  D'  altri  lumi  -  D.  di 

suo  riso 


A.  1.  (?)  B.  D.  In  nulla  - 
A.  2.  B.  C,  fermato 
\\bo  D.  ferm.  fiso 


B.  A  domanda 


A.  m.  int. ,  un  altro 


A.  U.  Ed  ot'  è  ella? 
subito 


44.  di  suo  voto   —  45.  co'  meglio  stea   —  46.  Su  per  la  viva  — 
3.  Già  tutto  '  lo  mio  sguardo 

III. 


8.  Or  su,  or  giù,  e  or  rie.   —  49.  E  vedèa  visi   —   in  carità 


89 


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706 


PARADISO    XXXI.    67-90. 


ORAZIONE  A  BEATRICE. 


1.  alla  mia  vista 


1.  2.  3.  avran  la  pot. 


67.    E  se  riguardi  su  nel  terzo  giro 

Del  sommo  grado,  tu  la  rivedrai 
Nel  trono  che  i  suoi  merti  le  sortirò. 

70.    Senza  risponder  gli  occhi  su  levai, 
E  vidi  lei  che  si  facea  corona, 
Riflettendo  da  se  gli  eterni  rai. 

73.    Da  quella  region,  che  più  su  tuona, 

Occhio  mortale  alcun  tanto  non  dista. 
Qualunque  in  mare  più  giù  s'  abbandona , 

76.    Quanto  lì  da  Beatrice  la  mia  vista; 
Ma  nulla  mi  facea,  che  sua  effige 
Non  discendeva  a  me  per  mezzo  mista. 

79.    0  Donna,  in  cui  la  mia  speranza  vige, 
E  che  soffristi  per  la  mia  salute 
In  Inferno  lasciar  le  tue  vestige; 

82.    Di  tante  cose,  quante  io  ho  vedute, 
Dal  tuo  potere  e  dalla  tua  bontate 
Riconosco  la  grazia  e  la  virtute. 

85.    Tu  m'  hai  di  servo  tratto  a  libertate 

Per  tutte  quelle  vie,  per  tutti  i  modi, 
Che  di  ciò  fare  avei  la  potestate. 

88.   La  tua  magnificenza  in  me  custodi 

Si,  che  l'anima  mia  che  fatta  hai  sana, 
Piacente  a  te  dal  coipo  si  disnodi. 


D.  trono,  in  ehe  -  /'. 
r  assortirò 

U,  in  su  levai 


D.  Qujmui  da  E  -  > 
D.  alla  mia  ~s: 


B.  A  che  s.offr. 


68.  Dal  Bommu    —   69.  trono ,  a  che    —   la  sortirò   ~   87.  avevi  potest.  ||  avevi  in  pot  ||  aveano  pot.   -    88.  La  tua  munifirrwj 
90.  del  corpo  -    la  disnodi  ||  si  dischiodi 


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S.    BERNARDO. 


1. 1"  accoverà.  2.  t' accen- 
derà 

1.  Più  a  mont. 


1.  Pieno  d'  amor 


].  ehf  fosse 


A.  t.  C.  A  cui  pr.  B.  Che 
pr.  D.  A  pr. 


A.  \.  Ch'  a  veder 

A.  2.  B.  a  D.  Più  a 
montar 

D.  Reina   -   A.  \.  del 
ciel,  per  cui  io  (?) 

A.  I.   Pieno  d'  amor  (?) 


EMPIREO.  PARADISO    XXXI.    91-114. 

1.  2.  3.  e  quella  91.       CoSÌ    OFaì  ;     6(1    ella    SÌ    lontana,  ^.  />.  equeUa 

Come  parea,  sorrise,  e  riguardommi;  a  rispose,  e  riga. 

Poi  si  tornò  all'  eterna  fontana. 
94.    E  il  santo  Sene:  Acciocché  tu  assommi 
Perfettamente,  disse,  il  tuo  cammino, 
A  che  prego  ed  amor  santo  mandommi, 
97.    Vola  con  gh  occhi  per  questo  giardino; 
Che  veder  lui  t*  acconcerà  lo  sguardo 
Più  al  montar  per  lo  raggio  divino. 

100.    E  la  Regma  del  cielo,  ond'  i'  ardo 

Tutto  d'  amor,  ne  farà  ogni  grazia, 
Perocch'  io  sono  il  suo  fedel  Bernardo. 

103.    Quale  è  colui,  che  forse  di  Croazia 
Viene  a  veder  la  Veronica  nostra. 
Che  per  V  antica  fama  non  si  sazia, 

106.    Ma  dice  nel  pensier,  fin  che  si  mostra: 

Signor  mio  Gesù  Cristo,  Dio  verace,  e.  wdio  verace 

Or  fu  sì  fatta  la  sembianza  vostra? 

109.    Tale  era  io  mirando  la  vivace 

Carità  di  colui,  che  in  questo  mondo, 
Contemplando,  gustò  di  quella  pace. 

112.    Figliuol  di  grazia,  questo  esser  giocondo, 
Cominciò  egh,  non  ti  sarà  noto 
2. 3.  quaj^giuBo  al  f.  Tcueudo  gH  occhi  pur  quaggiù  al  fondo  ; 


707 


U8.  Che  veder  lei  —  t'  acuirà  lo  sgu.  (?)  —  101.  d'  amore ,  ne  farà  —  106.  non  sen'  sazia  —  107.  Jesù  —  Ch.,  re  verace  —  114.  pur 
%\{ì  qua  al  fondo 

89' 


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708 


EMPIREO. 


PARADISO    XXXI.    115  —  138. 


MABIA    VKBGIKE. 


1.  Reina 


1.  2.  3.  La  parte 

2.  3.  Soperchia 


.3.  Quanta  a<l  ìmm. 


115.   Ma  guarda  i  cerchi  fino  al  più  remoto, 
Tanto  che  veggi  seder  la  Regina, 
Cui  questo  regno  è  suddito  e  devoto. 

118.    Io  levai  gU  occhi;  e  come  da  mattina 
Le  parti  orientai  dell'  orizzonte 
Soperchian  quella,  dove  il  sol  declina, 

121.    Cosi,  quasi  di  valle  andando  a  monte, 
Con  gli  occhi  vidi  parte  nello  estremo 
Vincer  di  lume  tutta  V  altra  fronte. 

124.    E  come  quivi,  ove  s'  aspetta  il  temo 

Che  mal  guidò  Fetonte,  più  s'infiamma, 
E  quinci  e  quindi  il  lume  è  fatto  scemo; 

127.    Cosi  quella  pacifica  oriafianuna 

Nel  mezzo  s'  avvivava,  e  d'  ogni  parte 
Per  egual  modo  allentava  la  fiamma. 

130.   Ed  a  quel  mezzo,  con  le  penne  sparte. 
Vidi  più  di  mille  Angeli  festanti, 
Ciascun  distinto  e  di  fulgore  e  d'  arte. 

133.    Vidi  quivi  ai  lor  giochi  ed  ai  lor  canti 
Ridere  una  bellezza,  che  letizia 
Era  negli  occhi  a  tutti  gli  altri  Santi. 

136.    E  s' io  avessi  in  dir  tanta  divizia, 

Quanto  ad  immaginar,  non  ardirei 
Lo  minimo  tentar  di  sua  delizia. 


A.  ehe  TC£^ 


D.  La  panr 

B.  Sopork  j  - 

C.  lurU' 

C.  D.  al  US  '.'* 


D.  qui. 


A.  2.  V.  U 

fa  >*f». 


D.  Vid  .0 
B.  l).  dist:a- 


Icdm 


US.  i  cerchi  infino    —    117.  suddito  devoto   —    123.  Vincer  del  lume  —    127.  crea  fiamma  (|  orifiamma  ||  orofiunou 


ocehl  quivi 


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EMPIREO.  PARADISO    XXXI.    139—142.  maria  vergine.  709 

139.    Bernardo,  come  vide  gli  occhi  miei 

Nel  caldo  suo  calor  fissi  ed  attenti,  ^.  2.  e.  caldo  suo  caicr 

Li  suoi  con  tanto  affetto  volse  a  lei, 

142.    Che  i  miei  di  rimirar  fé' più  ardenti.  ^.  2.  r.  z>.  .sife^più- 


^.  m.  contenti 


1-12.  fer  più  ardenti  ||  si  fé'  più  ardenti  —  più  attenti 


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CANTO  TRENTESIMOSECONDO 


^otto  di  costei 


2.  3.  Insiiio 


Affetto  al  suo  piacer  quel  contemplante, 
Libero  offizio  di  dottore  assunse, 
E  cominciò  queste  parole  sante: 
4.   La  piaga,  che  Maria  richiuse  ed  unse, 
Quella  eh'  è  tanto  bella  da'  suoi  piedi 
È  colei  che  1'  aperse  e  che  la  punse. 
7.    Neil'  ordine,  che  fanno  i  terzi  sedi. 
Siede  Rachel  di  sotto  da  costei 
Con  Beatrice,  si  come  tu  vedi. 

10.    Sara,  Rebecca,  Judit,  e  colei 

Che  fu  bisava  al  cantor,  che,  per  doglia 
Del  fallo,  disse:  Miserere  meiy 

13.   Puoi  tu  veder  cosi  di  sogUa  in  soglia 

Giù  digradar,  com'  io  eh'  a  proprio  nome 
Vo  per  la  rosa  giù  di  foglia  in  fogha. 

16.    E  dal  settimo  grado  in  giù,  si  come 
Infino  ad  esso,  succedono  Ebree, 
Dirimendo  del  fior  tutte  le  chiome; 


JJ.  L'affetto  A.2.  L'effetto 


B.  a  Et  colei 


A.  2.  B.  C.  e  RebeccA  — 
D.  Rabecche  -  A.i. 
e  Judit 


D.  com'  io  a  pr. 


B.  Ed  al  sett. 


A.  le  rome 


1.  Assetto  al  suo  p.  —  5.  che  tanto  è  bella  —  11.  che,  con  doglia 


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712  KMPiREO.  PARADISO    XXXn.    19  —  42.  s.  oiovak  batista. 

19.    Perchè,  secondo  lo  sguardo  che  fee  *.  a^pr^er.^ 

La  fede  in  Cristo,  queste  sono  il  muro 
A  che  si  parton  le  sacre  scalee. 

22.    Da  questa  parte,   onde  il  fior  è  maturo 
Di  tutte  le  sue  foglie,  sono  assisi 
Quei  che  credettero  in  Cristo  venturo. 

25.    Dall'  altra  parte,   onde  sono  intercisi 
1. 2. 3.  Di  voto  i  seniic.  DÌ  votì,  ìu  semicircoli  si  stanno  b,d.i^v. 

Quei  eh'  a  Cristo  venuto  ebber  li  visi.  b.  c»  vea«r 

28.    E  come  quinci  il  glorioso  scanno 

Della  Donna  del  cielo,   e  gU  altri  scanni 

Di  sotto  lui  cotanta  cerna  fanno ,  a.  2.  e  it  ^ 

31.    Cosi  di  contra  quel  del  gran  Giovanni, 

Che  sempre  santo  il  diserto  e  il  martiro  .4.  «idi^rt 

Sofferse,   e  poi  l' Inferno  da  due  anni; 

34.    E  sotto  lui  così  cerner  sortirò 
1. 2. 3. Agostino  Francesco,  Benedetto  ed  Angustino,  b.cd.\: 

1. 2. 3.  E  gli  altri  Ed  altri  sin  quaggiù  di  giro  in  gko.  /?.  Eti.^m 

37.    Or  mira  1'  alto  provveder  divino , 

Che  r  uno  e  1'  altro  aspetto  della  fede 
Egualmente  empierà  questo  giardino. 

40.    E  sappi  che  dal  grado  in  giù,  che  fiede 
A  mezzo  il  tratto  le  due  discrezioni, 
Per  nullo  proprio  merito  si  siede,  n. «ai^i. 

19.  Che  per  secondo  —  21.  À  che  si  paron  —  26.  Dei  voti  —  29.  ed  altri  scanni 


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.  3.  sono  spirti 


2.  3.  Ed  anche 


1.2.  3.  solverò  forte 


3.  *  Intra  sé  qni 


I.  2.  3.  Tolontade 


1.  r  aifetto 


EMPIREO.  PARADISO    XXXU.    43  —  66. 

43.   Ma  per  Y  altrui,  con  certe  condizioni; 
Che  tutti  questi  son  spiriti  assolti 
Prima  eh'  avesser  vere  elezioni. 

46.    Ben  te  ne  puoi  accorger  per  li  volti, 
Ed  anco  per  le  voci  puerili. 
Se  tu  U  guardi  bene  e  se  gU  ascolti. 

49.    Or  dubbi  tu,   e  dubitando  sili; 

Ma  io  ti  solverò  '1  forte  legame , 
In  che  ti  stringon  li  pensier  sottili. 

52.  Dentro  all'  ampiezza  di  questo  reame 
Casual  punto  non  puote  aver  sito , 
Se  non  come  tristizia,  o  sete,  o  fame; 

55.    Che  per  etema  legge  è  stabilito 

Quantunque  vedi,  sì  che  giustamente 
Ci  si  risponde  dall'  anello  al  dito. 

58.   E  però  questa  festinata  gente 

A  vera  vita  non  è  sine  causa: 
Entrasi  qui  più  e  meno  eccellente. 

61.   Lo  Rege,  per  cui  questo  regno  pausa. 
In  tanto  amore  ed  in  tanto  diletto, 
Che  nulla  volontà  è  di  più  ausa, 

64.   Le  menti  tutte  nel  suo  lieto  aspetto. 

Creando,  a  suo  piacer  di  grazia  dota 
Diversamente;  e  qui  basti  1'  effetto. 


BAMBINI   BATTEZZATI. 


713 


C.  per  altrui 
B.  sono  spirti 


B.  solverò  forte 


B.  Causai  punto  non  può 


A.  2.  C.  D.  destinaU 


B.  volontade 


B.  V  affetto 


49.  dubbiando  sili  ||  dubitando  fili  (?)   ~    50.  Ma  io  dissolverò   —    64.  tristizia,  sete  e  fame   —    67.  Così  risponde    —    64.  lieto 
cos|)«tto  —  66.  al  suo  piacer 


III. 


90 


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714 


PARADISO    XXXIL    67—90. 


MABIA    VERGINE. 


1.  BasUrasi 


1.  2.  3.  b'  assomigli» 


67.    E  ciò  espresso  e  chiaro  vi  si  nota 

Nella  Scrittura  santa  in  quei  gemelli. 
Che  nella  madre  ebber  l' ira  commota. 

70.    Però,  secondo  il  color  dei  capelli 
Di  cotal  grazia,  Y  altissimo  lume 
Degnamente  convien  che  s' incappeUi. 

73.    Dunque,  senza  mercè  di  lor  costume, 
Locati  son  per  gradi  differenti, 
Sol  differendo  nel  primiero  acume. 

76.    Bastava  si  nei  secoli  recenti 

Con  l'innocenza,  per  aver  salute. 
Solamente  la  fede  dei  parenti; 

79.    Poiché  le  prime  etadi  fiir  compiute. 

Convenne  ai  maschi  all'  innocenti  penne, 
Per  circoncidere,  acquistar  virtute. 

82.    Ma,   poiché  il  tempo  della  grazia  venne, 
Senza  battesmo  perfetto  di  Cristo, 
Tale  innocenza  laggiù  si  ritenne. 

85.  Riguarda  omai  nella  faccia  eh'  a  Cristo 
Più  si  somiglia,  che  la  sua  chiarezza 
Sola  ti  può  disporre  a  veder  Cristo. 

88.    Io  vidi  sopra  lei  tanta  allegi*ezza 

Piover,  portata  nelle  menti  sante. 
Creata  a  trasvolar  per  quella  altezza, 


A.  I.  C.  il  s 


A.  r.  Ba»UTu 


C.  la  «df 


A.  1.  aiB&«^ 


A.  2L  C  1K1  « 


A.ì.{:)h.>r^ 


72.  che  ai  incappelli  ||  che  l' incappelli  (?)   -   76.  Bastavali  ||  Bastava  lì  ||  Bastavangli    -   84.  ne  si  tenne   -  (C.  &4x  r 
89.  portata  daUe  menti  —  90.  Create  e  trasTolar 


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PARADISO    XXXU.    91-114. 


GABRIEL    ARCANGELO. 


715 


ale 


l  3.  del  sol  U  st. 


L  3.  esser  puote 


\.  Gìufio  a  M. 

i.    3.    ili    Volhf 


91.    Che  quantunque  io  avea  visto  davante. 
Di  tanta  ammirazion  non  mi  sospese. 
Ne  mi  mostrò  di  Dio  tanto  sembiante. 
94.    E  queir  amor  che  primo  li  discese, 

Cantando  :  Ave,  Maria^  gratia  piena ^ 
Dinanzi  a  lei  le  sue  ali  distese. 
97.   Rispose  alla  divina  cantilena 

Da  tutte  parti  la  beata  Corte, 

Si  eh'  ogni  vista  sen  fé'  più  serena. 

100.    0  santo  Padre,  che  per  me  comporte 

L'  esser  quaggiù,  lasciando  il  dolce  loco 
Nel  qual  tu  siedi  per  eterna  sorte, 

103.    Qual  è  quell'  Angel,  che  con  tanto  gioco 
Guarda  negU  occhi  la  nostra  Regina, 
Innamorato  si,  che  par  di  foco? 

106.    Cosi  ricorsi  ancora  alla  dottrina 

Di  colui,  eh'  abbelliva  di  Maria, 
Come  del  sole  stella  mattutina. 

109.    Ed  egli  a  me:  Baldezza  e  leggiadria, 

Quanta  esser  può  in  Angelo  ed  in  alma, 
Tutta  è  in  lui,  e  si  volem  che  sia, 

112.    Perch'  egli  è  quegli  che  portò  la  palma 

Giù  a  Maria,  quando  il  FigUuol  di  Dio 
Carcar  si  volle  della  nostra  sahna. 


A.  B.  ale 


C.  che  brlliva 


D.  esser  puote 


D.  Giiiso  a  Maria 
C.  si  Tolse 


91  amor  che  prima  —  104.  negli  occhi  alia  nostra  —  110.  Quanto  esser  può  —  112.  *  Perch'  egli  e  quello 

90» 


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B.  Ma  TieDai-i 


D.  seggio) 


7X6  EMPIREO.  PARADISO    XXXII.    115  —  138.  adamo  e  s.  pibtbo. 

1. 2. 3.  M» Vienne  oin.    115.   Ma  vieiù  omai  con  gli  occhi,  si  com' io 

Andrò  parlando,  e  nota  i  gran  patrici 
Di  questo  imperio  giustissimo  e  pio. 

118.    Quei  due  che  seggon  lassù  più  felici, 

Per  esser  propinquissimi  ad  Augusta,  /?.  Agu*u 

Son  d'  està  rosa  quasi  due  radici. 

121.    Colui  che  da  sinistra  le  s'  aggiusta, 

]E  il  Padre,  per  lo  cui  ardito  gusto 
L'  umana  specie  tanto  amaro  gusta. 

124.    Dal  destro  vedi  quel  Padre  vetusto 

Di  santa  Chiesa,  cui  Cristo  le  chiavi 
Raccomandò  di  questo  fior  venusto. 

127.    E  quei  che  vide  tutt'  i  tempi  gravi, 
Pria  che  morisse,  della  bella  sposa 
Che  s'  acquistò  con  la  lancia  e  coi  chiavi,     f.  coicur 

130.  Siede  lungh'  esso;  e  lungo  1'  altro  posa 
Quel  Duca,  sotto  cui  visse  di  manna 
La  gente  ingrata,  mobile  e  ritrosa. 

133.    Di  contro  a  Pietro  vedi  sedere  Anna, 
Tanto  contenta  di  mirar  sua  figlia, 
1.2.3.  occhio  Che  non  move  occhi  per  cantare  Osanna. 

136.    E  contro  al  maggior  Padre  di  famiglia 
Siede  Lucia,  che  mosse  la  tua  Donna, 
Quando  chinavi,  a  ruinar,  le  ciglia. 


A.  eoDira  A  bi&' 


A.  al  roisv 


117.  imperio  grandissimo  —  121.  da  sin.  li  s'  aggiusta  ||  da  sin.  sì  le  aggiista  (?)  -  12fi.  fior  vetusto   —   133.  D'i 
veder  sua  figlia  —  138.  chinavi ,  a  ritornar 


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PARADISO    XXXII.    139-151. 


DANTE  E  8.  BERNARnO.  717 

R.  pcrchf'  tempo 


139.    Ma  perchè  il  tempo  fogge,  che  t'  assonna, 
Qui  farem  punto,  come  buon  sartore 
Che,  com'egli  ha  del  panno,  fa  la  gonna;    ^.  i. come h** p. così 

fa  (?) 

142.  E  drizzeremo  gli  occhi  al  primo  amore, 

Sì  che,  guardando  verso  lui,  penetri, 

Quant'  è  possibil,  per  lo  suo  folgore. 

145.    Veramente  (ne  forse  tu  t'  arretri 

Movendo  V  ali  tue,  credendo  oltrarti) 
Orando,  grazia  convien  che  s'impetri, 
3.  che  puotc  -  1.  148.    Grazia  da  quella  che  può  aiutarti; 

aitarti 

.  mi  seguirai  E  tu  uiì  scguì  cou  1'  affezlouc , 

Si  che  dal  dicer  mio  lo  cor  non  parti; 
151.    E  cominciò  questa  santa  orazione. 


.  3.  r  ale  -  1.  cred. 
altrarti 


A.  m.  non  forse 
H.  r  ale 

R.  aitarti 

A.  2.  C.  D.  mi  seguirai 


142.  al  sommo  amore  —  150.  1*  occhio  non  parti 


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CANTO  TRENTESIMOTERZO 


»  Vergine  madre,  figlia  del  tuo  figlio. 
Umile  ed  alta  più  che  creatura, 
Termine  fisso  d'  eterno  consiglio , 
4.    Tu  se'  colei  che  Y  umana  natura 

Nobilitasti  sì,  che  il  suo  Fattore  e  n  tuo  Fatt. 

1. 2.  Non  si  sdegnò  Non  dìsdcgnò  di  farsi  sua  fattura. 

7.    Nel  ventre  tuo  si  raccese  Y  amore. 
Per  lo  cui  caldo  nell'  eterna  pace 
Cosi  è  germinato  questo  fiore. 
10.    Qui  sei  a  noi  meridiana  face 

Di  cantate,  e  giuso,  intra  i  mortali,  .4. 2.  e  giù  -  ^.2./? 

e.  D.  intra  mort. 

Sei  di  speranza  fontana  vivace. 
13.    Donna,  sei  tanto  grande,  e  tanto  vali, 

Che  qual  vuol  grazia,   ed  a  te  non  ricorre, 

Sua  disianza  vuol  volar  senz'  ali. 
16.    La  tua  benignità  non  pur  soccorre 

A  chi  domanda,  ma  molte  fiate 
{.  Liberaimeat*  Liberamente  al  domandar  precorre. 

I.  figlia  di  Di»  figlio  -   10.  Quivi  sei  —  11.  giuso,  trai  mort  —  17.  anzi,  molte  fiate 


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720  EMPIREO.  PARADISO    XXXIII.    19^42.  obaz.  di  s.  bebkabdo. 

19.    In  te  misericordia,  in  te  pietate,  i?.  in  i*  r  a:..r; 

In  te  magnificenza,  in  te  s'  aduna 
Quantunque  in  creatura  è  di  bontate. 

22.    Or  questi,  che  dall'infima  lacuna  i;. dair iafim. * 

1. 2. 3.  insin  qui  Dell'  uuivcrso  infin  qui  ha  vedute 

Le  vite  spiritaU  ad  una  ad  una, 

25.    Supplica  a  te,  per  grazia,  di  virtute 

Tanto  che  possa  con  gli  occhi  levarsi 
Più  alto  verso  1'  ultima  salute. 

28.    Ed  io,  che  mai  per  mio  veder  non  arsi 

Più  ch'io  fo  per  lo  suo,  tutti  i  miei  preghi 

Ti  porgo,  e  prego  che  non  sieno  scarsi,  ATipre?..-. 

31.    Perchè  tu  ogni  nube  gli  disleghi 

Di  sua  mortalità  coi  preghi  tuoi, 

Sì  che  il  sommo  piacer  gli  si  dispieghi. 

34.    Ancor  ti  prego,  Regina,  che  puoi 
1.2.3.  vuoi,  che  tu  con».  Ciò  chc  tu  vuoIì,  chc  conscrvì  sani,  a.zb.cd.'- 

B.  fW  Vi  <**•• 

Dopo  tanto  veder,  gU  affetti  suoi. 
1.  Vince  37.    Vinca  tua  guardia  i  movimenti  umani: 

Vedi  Beatrice  con  quanti  Beati 
Per  li  miei  preghi  ti  chiudon  le  mania 
40.    (tIì  occhi  da  Dio  diletti  e  venerati, 
i.  2.  ne^li  urator  Fìssì  ucll' orator ,  uc  dimostrar©  ^.Dduo^.^ 

1.  gli  ,„„  ^r.  Quanto  i  devoti  preghi  le  son  grati.  b,u^^ 

25.  Supplica  te  —  28.  per  mio  voler  —  29.  Più  che  fo  —  85.  che  gli  cons.  sani  |{  che  perservi  e  sani  ^  36l  Dopo  tanti  'f" 


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doveva 

aorrideva 

3.  guard.  in  suso 

volerà 


EMPIREO.  PARADISO     XXXin.     43  —  66.  8AKTI88.   TRINITÀ.  721 

43.    Indi  all'  eterno  lume  si  drizzaro, 

Nel  qual  non  si  de'  creder  che  s' invìi  a.  2.  c.D.thtB'inh 

Per  creatura  1'  occhio  tanto  chiaro. 
46.    Ed  io  eh'  al  fine  di  tutti  i  disii 

M'  appropinquava,  si  com'  io  dovea, 

L'  ardor  del  desiderio  in  me  finii. 
49.   Bernardo  m'  accennava,  e  sorridea, 

Perch'  io  guardassi  suso  ;  ma  io  era  b.  guard.  in  »ubo 

Già  per  me  stesso  tal  qual  ei  volea;  />. quaiiovoiea 

52.    Che  la  mia  vista,  venendo  sincera, 

E  più  e  più  entrava  per  lo  raggio 

Dell'  alta  luce,  che  da  se  è  vera. 
aqui.nèinn.        55.    Da  quiucl  innauzì  il  mio  veder  fu  maggio 
3.  il  parlar  nostro  Chc  il  parlar  mostra,  eh' a  tal  vista  cede, 

E  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio. 
58.    Qual  è  colui  che  sognando  vede, 
E  dopo  Che  dopo  il  sogno  la  passione  impressa  a  e  dopo 

Rimane,  e  1'  altro  alla  mente  non  riede; 
61.    Cotal  son  io,  che  quasi  tutta  cessa 

Mia  visione,  ed  ancor  mi  distilla 

Nel  cor  lo  dolce  che  nacque  da  essa. 
64.    Cosi  la  neve  al  sol  si  disigilla, 

Così  al  vento  nelle  foghe  Uevi 

Si  perdea  la  sentenza  di  Sibilla. 

43.  b'  addrinaro  —  44.  Nel  qa.  non  si  può  creder  —  46.  al  fin  di  tutti  quanti  i  d.  -  47.  M'  appropinquai  ||  Appropinquara  • 
io  devea  —  63.  A  più  a  più  entr.  ||  E  più  fiso  entr.  —  55.  Da  indi  innanzi  —  56.  Che  il  pari,  mostri  —  57.  Eccede  U  m.  —  59.  Che  dopo 
ino  -  63.  Nel  cor  il  dolce  —  65.  nelli  fogli 


A.  2.  a  C.  D.  il  parlar 

nostro 

B.  cede  la  materia 


D.  colui  il  qua!    —    A. 
somniando 


m. 


91 


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D.  Pos»ft  oi'Atrv 


722  EMPIREO.  PARADISO    XXXIII.    67  —  90.  sautiss.  trixità. 

67.    0  somma  luce,  che  tanto  ti  levi 

Dai  concetti  mortali,  alla  mia  mente 
Ripresta  un  poco  di  quel  che  parevi, 

70.   E  fa  la  lingua  mia  tanto  possente, 

Ch'  una  favilla  sol  della  tua  gloria 
Possa  lasciare  alla  futura  gente; 

73.    Che,  per  tornare  alquanto  a  mia  memoria, 
E  per  sonare  im  poco  in  questi  versi. 
Più  si  conceperà  di  tua  vittoria.  ^.  «.  dis«v: 

76.    Io  credo,  per  l'acume  ch'io  soffersi 

Del  vivo  raggio,   ch'io  sarei  smarrito, 

Se  gli  occhi  miei  da  lui  fossero  avversi.  a.  stctm 

79.    E  mi  ricorda  eh'  io  fili  più  ardito 

Per  questo  a  sostener  tanto,  eh'  io  giunsi 
L'  aspetto  mio  col  valor  infinito. 

82.    0  abbondante  grazia,   ond' io  presunsi 
Ficcar  lo  viso  per  la  luce  eterna 
Tanto,  che  la  veduta  vi  consunsi! 

85.    Nel  suo  profondo  vidi  che  s'interna,  z>-Md.u 

Legato  con  amore  in  un  volume, 
1.  squaterna  Ciò  chc  pcr  1' uuivcrso  si  squaderna; 

1. 2. 3.  accidente         88.    Sustauzla  ed  accidenti,  e  lor  costume,  /?.«*ia«:r 

1.  z  3.  Tutti  confi.  Quasi  conflati  insieme  per  tal  modo,  i?.T«tt,f,d 

Che  ciò  eh'  io  dico  è  un  semplice  lume. 


f  pf  T  tti 


79.  Kl  rai  ricfirda  —  80.  a  riguardar  unto  —  81.  col  volere  inf.  —  88.  Sust&iicie  ed  aocidense  —  ^.  Qu.  coailatr 


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EMPIREO. 


PARADISO    XXXin.    91-114. 


8ANTISS.   TRINITÀ. 


723 


a   mirar 


E  tutta    -    1.  2.   nel 
mirar   3.  di  mirar 


3.  eh*  ^  11 


2.  3.  che  d'  infante 


qual  s'  era 


91.   La  forma  universal  di  questo  nodo 

Credo  eh'  io  vidi,  perchè  più  di  largo, 
Dicendo  questo,  mi  sento  eh'  io  godo. 
94.   Un  punto  solo  m'  è  maggior  letargo, 
Che  venticinque  secoli  alla  impresa, 
Che  fé'  Nettuno  ammirar  1'  ombra  d'  Argo. 
97.    Così  la  mente  mia,  tutta  sospesa. 
Mirava  fissa  immobile  ed  attenta, 
E  sempre  del  mirar  faceasi  accesa. 

100.   A  quella  luce  cotal  si  diventa, 

Che  volgersi  da  lei  per  altro  aspetto 
E  impossibil  che  mai  si  consenta; 

103.  Perocché  il  ben,  eh'  è  del  volere  obbietto, 
Tutto  s'  accoglie  in  lei,  e  fuor  di  quella 
E  difettivo  ciò  che  li  è  perfetto. 

106.    Omai  sarà  più  corta  mia  favella. 

Pure  a  quel  eh'  io  ricordo ,  che  di  un  fante 
Che  bagni  ancor  la  lingua  alla  mammella. 

109.   Non  perchè  più  eh'  un  semplice  sembiante 
Fosse  nel  vivo  lume  eh'  io  mirava, 
Che  tal  è  sempre  qual  era  davante; 

112.   Ma  per  la  vista  che  s'  avvalorava 

In  me,  guardando,  una  sola  parvenza, 
Mutandom'  io,  a  me  si  travagUava: 


A.  m.  pur  di  largo 


B.  yent*  e  cinque 


A.  1.  fisso 

B.  C.  D.  di  mirar 


D.  eh'  è  li 


D.  più  d'  un  sompl. 


D.  qual  8*  era  C,  cben  t'era 


96.  Nettuno  mirar   —  96.  Stava  fissa    —   103.  eh'  è  del  vedere  obbi.    —    106.  sarà  più  certa  —    107.  che  di  fante   -   113.  In  tre. 
2;uardando  —  114.  Mutando  me  —  a  me  mi  travagliava 

91' 


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724 


PARADISO    XXXIIL    115-138. 


SANTI88.    TRINITÀ. 


1.  2.  a  me  arridi 


1.  2.  3.  Pareva  in  te 


1.  noi  ritrova 


1.  L' ìm.  e  '1  cerchio 


115.   Nella  profonda  e  chiara  sussistenza 
Deir  alto  lume  parvenu  tre  giri 
Di  tre  colori  e  d'  una  continenza; 

118.    E  r  un  dall'  altro,  come  Iri  da  Iri, 

Parea  riflesso,  e  il  terzo  parca  foco 
Che  quinci  e  quindi  eguahnente  si  spiri. 

121.    0  quanto  è  corto  il  dire,  e  come  fioco 

Al  mio  concetto!  e  questo,  a  quel  eh'  io  vidi, 
E  tanto,  che  non  basta  a  dicer  poco. 

124.  0  luce  eterna,  che  sola  in  te  sidi. 
Sola  t' intendi,  e  da  te  intelletta 
Ed  intendente  te,  ami  ed  arridi! 

127.    Quella  circulazion,  che  sì  concetta 

Pareva  in  tre,  come  lume  riflesso. 
Dagli  occhi  miei  alquanto  circonspetta, 

130.    Dentro  da  se  del  suo  colore  stesso 
Mi  parve  pinta  della  nostra  effige. 
Per  che  il  mio  viso  in  lei  tutto  era  messo. 

1 33.    Qual  è  '1  geometra  che  tutto  s'  affige 

Per  misurar  lo  cerchio,  e  non  ritrova, 
Pensando,  quel  principio  ond' egli  indìge; 

136.    Tale  era  io  a  quella  vista  nuova: 
Veder  voleva,  come  si  convenne 
L' imago  al  cerchio,  e  come  vi  s' indova; 


A.  parvemu 

B.  ed  ana 


B,  8*  aspiri 

A.  e  come  è  fioco 


A.  2.  intendendo 
a  me  arridi 


A.  2.  B.  C  D.  Pairer» 
in  te 


JJ.  Qual  geometra 
B.  noi  rìtrora 
D.  a  quel  prine. 


B.  V  im.  e  *1  eerehio 


116.  Dell'  alta  luce  -    parvonmi  tre  g.  —    121.  O  come  è  corto  —  124.  che  solo  in  te  —  126.  e  t'  arridi  (?)  —    130.  del  suo  fid^ore 
stesso  —  133.  Quale  il  geometra  —  137.  Saper  Toleva 


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BMPiRXO.  PARADISO    XXXIII.    139  —  145.  conclusione.  725 

139.    Ma  non  eran  da  ciò  le  proprie  penne,  [c'.-i«.j- ^noner» 

Se  non  che  la  mia  mente  fìi  percossa 

Da  un  fulgore,  in  che  sua  voglia  venne. 
142.    Air  alta  fantasia  qui  mancò  possa; 

Ma  già  volgeva  il  mio  disiro  e  il  veUe,  u.  voig.  «i  mio  -  ^.2. 

^  ^  B.  D.  disio  il  twAe 

Si  come  rota  eh'  egualmente  è  mossa, 
145.   L'  amor  che  move  il  sole  e  V  altre  stelle.  ic.  139-1 


141.  sua  voglia  tenne    —  143.  il  mio  volere  e  il  velie  —  146.  L'  amor  che  mosse 


FINE 


BERLINO,     RIDOLFO   DECKKB ,   STAMPATORE    DEL   RE 


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ERRORI  OCCORSI  NELLO  STAMPARE: 


Pag.  114      luferno     XVII.    117.  «viso,  e  disotto*  corrige:  «viso  e  disotto- 


122  .  XIX.      28.  -fiameggiar- 

316  Purgatorio  XII.       126.  -su  pinti,- 

411  -  XXV.     96.  •  virtualmente - 

416  -  XXVI.    77.  .perchè. 

457  .  XXXI.   96.  .spola,- 

503  Paradiso  IV.          46.  -umano.- 

588  -  XV.       127.  -maraviglia,- 

670  -  XXVI.  136.  -chiamo- 


•fiammeggiar- 
-su  pinti. - 
•virtualmente," 
-per  che- 
-spola.- 
-  umano - 
•maraviglia- 
•  chiamò - 


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