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Full text of "L'Albania: notizie geografiche, ethnografiche e storiche"

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'BIBLIOTECA ITALO-ALBANESE - Voi. I 



ARTURO GALANTI 



L'ALBANIA 



NOTIZIE GEOGRAFICHE, ETNOGRAFICHE 
E STORICHE 




ROMA ;. '" ^ 

SOCIETX KDITRICl! DANTE ALIGHIERI 
190 1 



Proprietà letteraria 



Roma — Tip. Nazionale di G. Bcrtero e C. 



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1 



V 
V 



INDICE 



^A.VVERTENZA Pag. 5 



PARTE I. 
Notizie geografiche ed etnografiche. 

Gap. I. Geografia fisica. La piccola e la grande 

Albania Pag. 7 

Id. n. Origini del popolo albanese o shkipe- 

taro e dei nomi Albania e Shképèria. » 25 

Id. III. Lingue dominanti nella piccola e nella 
grande Albania. Tribù e colonie al- 
banesi )> 33 

Id. IV. Popolazione dell'Albania. Statistica. Il 

costume albanese » 46 

Id. V. Religioni dominanti nell'Albania. Istru- 
zione. Scuole confessionali e nazionali. » 52 

Id. vi. Circoscrizioni amministrative. Governo. 

Usi e consuetudini » 59 

Id. VIL Condizioni cconom'che deirAlbanìa. . » 66 



O 



69649 



— 4 — 

PARTE li. 
Notizie storiche. 

Gap. I. Età antica. Tribù illiriche ed epirote. 

La conquista romana Pag. 80 

1d. II. La dominazione bizantina. I Bulgari. 
I Serbi. I Normanni. Manfredi, gli 
Angioini, i Duchi di Durazzo. La 
dinastia dei Baisela e altri dinasti 
albanesi. I Turchi e la Repubblica 
di Venezia (a. 395-1421 deirE. V.). » 100 

Id. III. Giorgio Gastriota, detto Scanderbeg. I 
Turchi conquistano l'Albania dopo 
la morte di Scanderbeg. L'Albania 
sotto la dominazione turca. Golonie 
albanesi in Italia (a. 1421-1750). . » 13S 

Id. IV. Bey e Pascià ereditari. I Busciatli di 
Scutari. Ali Tepelenli (di Tepelen) 
Pascià di Janina (a. 1 750-1 831) . . » 180 

Id. V. Storia recente dell* Albania. La Lega 

albanese. Gli Albanesi d'Italia ... » 216 

Saggio di una bibliografia geografica, etno- 
grafica E STORICA dell'Albania .... » 239 

Carta geografica dell'Albania e carta etno- 
grafica DELLA penisola BALCANICA. 



5^WW^W^^HWW^^fH?^H^^ 



AVVERTENZA 



Questo lavoro si chiude con una copiosa bi- 
bliografia; ma non è facile immaginare che far- 
raginosa congerie di notizie incerte o incomplete 
o contraddittorie o erronee o fantastiche o esagerate 
vien fuori dalla maggior parte dei libri da me 
consultati ed additati al lettore. L'Albania non 
possiede archivi né ha documenti propri della 
sua storia. Documenti notevoli non c'è da tro- 
varne, per alcuni periodi della storia albanese, 
che negli archivi di Venezia. Ma comporre una 
storia documentata non fu il mio compito, né 
consultai perciò quegli archivi. 

Scrivendo specialmente per le scuole io mi sono 
dovuto contentare di raccogliere succintamente in 
un solo libro ciò che si trova disseminato in opere 
diverse, più o meno voluminose, più o meno degne 
di fede e di studio ; ma la fatica che in molti casi 
dovetti durare per rintracciare il vero fu tutt'altro 



che lieve, e sarebbe stato necessario che empiessi 
il mio libro di note e ne raddoppiassi la mole, 
se avessi voluto volta per volta additare gli errori 
altrui, ed esporre te ragioni che determinarono 
la mia scelta tra notizie discordi, tra racconti di- 
versi, tra disformi descrizioni, tra disparati giudizi. 
Discussi soltanto quando mi sembri» necessario. 
In tutti gli altri casi della bontà dei criteri, con 
cui procederti nel comporre l'opera mia, giudi- 
cheranno i competenti, che non possono essere 
molti, dappoiché non vi ha forse altro paese 
d'Europa, che sia cosi poco conosciuto e studiato 
e cosi difficile a conoscersi ed a studiarsi, come 
fu sempre ed è tuttora la terra degli Shkipetari. 




^^^W^W^WWWWWWWW^^^^'WW^^'''^ 



PARTE I. 



Notizie geografiche ed etnografiche. 



Capitolo I. 

Geografia fisica. 
La piccola e la grande Albania. 

// popolo albanese, — Il popolo albanese o Shki- 
petaro (i) è un antichissin^o popolo, fiero, valoroso, 
amante dell* indipendenza e della patria, del quale 
potrebbe dirsi ciò che lo storico romano Cornelio 
Tacito disse della piccola nazione germanica dei 
Longobardi: a Per questa gente è titolo di gloria 
la scarsezza del numero ». Molti e molti secoli 
passarono infatti dairepoca nella quale i remoti 
progenitori dei prodi Shkipetari si stanziarono 

(x) Avverto una volta per sempre che nella trascrizione 
dei nomi albanesi credetti opportuno attenermi, così nelle 
carte gec^rafiche come nel testo, alle norme seguite dalla 
Società geografica itaìiana. Ciò posto, al gruppo fonetico sh 
deve assegnarsi lo stesso valore, ch'esso ha nelPalfabeto 
inglese (es. Shakespeare, Sheridan), pari a quello del gruppo 
alfabetico italiano se dinanzi alle vocali i ed e {sci sce). 



— 8 — 

nelle sedi, che i loro discendenti occupano tuttora, 
ed altri popoli o assai più numerosi o assai più 
potenti e civili vollero conquistare quelle sedi; ma 
la conquista non fu mai completa, e nulla valse 
a cancellare il carattere nazionale albanese, quale 
risulta sopratutto dall'aspetto fisico, dall'indole 
intrepida, dalle tradizioni, dai costumi, dalla favella 
tutta sua propria di questo piccolo popolo di 
guerrieri. 

Ciò sarà messo in chiara luce specialmente dalla 
storia degli Shkipetarì. Ora è anzitutto necessario 
dare qualche notizia geografica della regione che 
gli Italiani chiamano Albania e gli Albanesi Shké- 
pèria. 

U Albania nella penisola balcanica, — L'Albania 
fa parte di quella grande penisola, che si estende 
a sud est del continente europeo tra il mar 
Nero, il Bosforo, il mar di Marmara, i Dar- 
danelli, il mare Egeo (costa orientale), il mare 
Jonio e l'Adriatico (costa occidentale), e si chiama 
Balcanica, perchè attraversata da est a ovest, a 
mezzodì del basso Danubio, dalla catena montuosa 
dei Balcani. La parte meridionale di questa pe- 
nisola è costituita dal regno di Grecia, tra il mare 
Egeo e lo Jonio; la parte centrale dalla Turchia 
europea tra il mar Nero, il Bosforo e il mar di 
Marmara, i Dardanelli e l'Egeo all'est, lo Jonio 
e l'Adriatico all'ovest; la parte settentrionale da 
parecchi Stati compresi tra il mar Nero e l'Adria- 
tico, vale a dire la Bulgaria con la Rumelia orien- 
tale, la Romania, la Serbia, il Montenegro e una 
parte dell* impero austro-ungarico (Erzegovina, 
Bosnia, Croazia e Dalmazia). L'Albania spetta alla 



— 9 - 

seconda di queste tre parti, vale a dire alla cen- 
trale (Turchia europea) che si divide in tre prin- 
cipali regioni : l' Albania suddetta a occidente, 
lungo rAdriatico e lo Jonio, la Rumelia e la Ma- 
cedonia a oriente, dai confini delFAlbania al mar 
Nero, al mar di Marmara, all'Egeo. 

La costa albanese ha di fronte suU* Adriatico il 
littorale delle provincie pugliesi del regno d'Italia, 
sullo Jonio risola di Corfù e le isolette di Paxo 
e di Antipaxo (regno di Grecia) e più lungi la 
costa di Calabria (regno d*Italia). Al nord della 
costa albanese lungo TAdriatico si estendono le 
coste del Montenegro e della Dalmazia (Impero 
austriaco), al sud lungo lo Jonio le coste della 
Grecia. Fra Otranto, sul canale dello stesso nome, 
che congiunge il mar Jonio e l'Adriatico, e il capo 
Glossa (it. Linguetta) sulla costa albanese non cor- 
rono più di 72 km. di un mare non molto profondo; 
né di molto maggiore è la distanza che separa 
il porto di Brindisi (costa italiana) da quello di 
Valona o Avlona (costa albanese); ond*è che 
qualche geologo ha espressa a questo proposito 
Topinione, che in remotissimi tempi, anteriori ad 
ogni memoria storica, non un canale separasse, 
ma un istmo congiungesse in quel punto le due 
opposte regioni. Più stretto ancora è il canale 
che separa Corfù da quella parte dell'Albania che 
porta il vecchio nome di Epiro. 11 tratto di mare 
tra le due estremità settentrionale e meridionale 
della detta isola e la costa epirota è addirittura 
brevissimo. 

Confini geografici, — Non è facile segnare i confini 
geografici deirAlbania, così lungo il lido occiden- 



IO 



tale come verso le interne regioni della penisola 
Balcanica, giacche ragioni storiche, etnografiche e 
politiche ne hanno continuamente variata l'esten- 
sione e la configurazione. Il Montenegro ad esempio, 
che per un certo tempo fu compreso nell'Albania, 
oggi non solo sta da sé, ma occupa città e ter- 
ritori albanesi: Antivari, Dulcigno (Ulkùn), Pod- 
goritsa, Giabliak e Fùndina coi rispettivi territori, e 
le tribù dei Cuci e dei Triepshi. 

11 distretto di Arta, tra il fiume Arta e il Pindo, 
fu ceduto dalla Turchia alla Grecia colla conven- 
zione di Costantinopoli del 24 maggio 1881 in 
seguito al trattato di Berlino. 

Cosi anche largamente rappresentato, ma non 
prevalente, è l'elemento albanese in quella contrada 
che nel medio evo ebbe il nome di Rascia 
(vecchia Serbia), nella Serbia meridionale, nei 
territori di Mitrovitsa e Prishtina a occidente 
della Serbia meridionale e nei territori di Uscub 
o Scoplje (Scopia) in Rumelia, di Monastir 
o Bitolia e di Castorià in Macedonia; ond*è 
che la Rascia con Novibazar, Mitrovitsa e Prish- 
tina e la famosa pianura di Cossovo, dove i 
Turchi fiaccarono nel secolo xiv la potenza dei 
Serbi, nonché parte della Rumelia e della Mace- 
donia si trovano comprese nell'Albania in più di 
un libro e in parecchie carte geografiche. Airin- 
contro altre razze e nazionalità, cioè la greca, la 
valaca, la serba, la bulgara, la turca, sono pure 
alla lor volta rappresentate in città e territori di 
quella regione, cui si attribuisce senza contrasto 
il nome di Albania. 

L* Albania geografica e la etnografica. — Tutto ciò 



— II — 



m'iaduce a distinguere due Albanie, la geografica e 
la etnografica^ che potrebbero anche chiamarsi la 
piccola e la grande Albania, alla stessa maniera che 
si distinguono da chi vi ha interesse la piccola e 
la grande Serbia, la piccola e la grande Bulgaria, 
la piccola e la grande Grecia. 

DeirAlbania etnografica, che non ha confini na- 
turali, parleremo nel seguente capitolo. Meglio 
definiti sono i confini di quella che abbiamo chia- 
mata TAlbania geografica, esclusa per altro la 
parte limitrofa al Montenegro, dappoiché il nucleo 
montuoso costituente inattuale Stato montenegrino 
può ben dirsi che formi geograficamente una cosa 
sola coir alta Albania. Ciò premesso, T Albania 
geografica è situata, misurando i due punti più 
lontani da nord a sud (la frontiera settentrionale 
e la punta di Prevesa) fra il 39® e il 43* all'in- 
circa di latitudine boreale. Per la longitudine il 
punto più occidentale (il capo Linguetta) si trova 
a circa 19% 20' di longitudine est da Green wich, e 
uno dei punti più orientali (il monte Peristeri a 
sud-ovest di Monastir) di poco oltrepassa il 21". 
Essa inoltre è parte integrate, come già si disse, 
della Turchia europea, e confina a nord e a nord- 
ovest col Sangiaccato di Novibazar (Rascia del 
medio evo) e col Montenegro, a ovest col mare 
Adriatico e con lo Jonio, a sud col golfo di Arta, 
che la divide dalla Grecia centrale, ad est colla 
Grecia, da cui la divide il fiume Arta, colla Ma- 
cedonia, e coi sopra ricordati territori di Uscub 
e Prishtina (vecchia Serbia), da tutte le quali con- 
trade la divide quella linea montuosa di displuvio, 
che distaccandosi dalle Alpi albanesi comprende 



— Il- 



la massa dello Sciàr-Dagh (l'antico Scardus) e va 
a raggiungere per via di altipiani e montagne più 
o meno elevate il sistema del Pindo al sud, se- 
parando i bacini dell'Adriatico e dello Jonio da 
quelli del Danubio e dell'Egeo. 

Forma generale. — Nella forma generale, date 
le naturali irregolarità dei lati, l'Albania può sem- 
brare un rettangolo inclinato nella direzione nord- 
ovest sud-est con 400 km. circa di lunghezza su 
1 20 in media di larghezza e uno sviluppo di coste 
che supera i 500 km. Linee ed anelli di montagne 
pietrose la ricoprono tutta dal Montenegro alla 
Grecia, notevoli soprattutto per la moltiplicità, ta- 
lune anche per l'altezza. 

Monti^ laghif fiumi, stagni e lagune, — Parti- 
colarmente degne di nota per la loro altezza 
appaiono in primo luogo le Alpi albanesi^ che di- 
rigendosi da sud-ovest a nord-est, tra il lago di 
Scutari e la pianura di Gossovo, chiudono a set- 
tentrione il bacino del Drin; poi al sud-est di 
questa catena la massa dello Sciar Dagh, diretta 
alla sua volta da nord-est a sud-ovest. 

Le Alpi albanesi, che verso il sud si diramano in 
numerosi gioghi e non furono ancora interamente 
esplorate, raggiungono probabilmente i 3000 metri, 
e per il loro carattere alpestre meritano il nome 
che venne loro attribuito. Le più alte vette appar- 
tengono ai monti Procletja, Mocra, Visitor e Com, 
Il Ljuheten, ch'è la più alta cima dello Sciar- 
Dagh, s'accosta ai 2700 metri. 

Allo Sciar mettono capo quelle due linee di 
montagne, connesse ai monti della Bosnia, in 
mezzo alle quali scorre da nord a sud il Drin 



- 13 - 

bianco, proveniente appunto dai gioghi più o- 
rientali delle Alpi albanesi. Allo Sciar mette 
capo una delle due catene montuose, in mezzo 
alle quali scorre, profondamente incassato, da 
sud a nord, il Drin nero, proveniente dal lago 
di Ocrida. Questa catena è quella a destra del 
fiume. La catena a sinistra si distende sino al- 
l'estremità meridionale del lago di Ocrida, e da 
essa partono parecchie ramificazioni, fra le quali 
scorrono i fiumi, che si dirigono verso l'A- 
driatico, attraversando una buona parte dell'alta 
Albania. 

Il Drin bianco e il Drin nero, riunendosi presso 
restremo limite orientale delle Alpi albanesi dopo 
un corso di circa 1 50 chilometri per ciascuno, for- 
mano il Drin (l'antico *Drilon), che è il più gran 
corso d'acqua dell'Albania. Due ponti sono co- 
struiti sul Drin nero e sul Drin bianco a poca di- 
stanza dal punto ove confluiscono. Un altro ponte 
più antico, detto il ponte del Vizir, sorge non di- 
scosto dagli altri due sul Drin, il quale corre dap- 
prima da sud-est a nord-ovest, poi piega a occi- 
dente verso il mare. 

La stretta e profonda valle chiusa da monti 
senza sentieri con pareti a picco di 1000 metri 
d'altezza, in fondo alla quale esso scorre appena 
formato, si allarga mano a mano, i monti digra- 
dano, e il Drin entra nella pianura di Scodra o 
Scalari, la più estesa di tutta l'Albania. Il mezzo 
di questa pianura è occupato dal vasto lago di 
Scutari (anticamente Labeatis), che si estende da 
sud est a nord-ovest in lunghezza (Km. 50) più 
che in larghez'za (Km. 14), limita al sud l'altipiano 



— 14 — 

della Zernagora (Montenegro) e per una por» 
zionc verso ponente appartiene politicamente al 
Montenegro, per tutto il resto all'Albania. 11 Drin, 
dopo un corso di circa loo chilometri, manda 
la maggior parte delle sue acque verso Scutari 
per un alveo che esso si formò da sé medesimo 
nel 1858, non ostante le dighe con le quali si 
era tentato di contenerlo. Codesta diramazione del 
Drin, che ha nome Dr inazza, sbocca nella Bojana^ 
emissario del lago, p ne accresce soverchiamente 
la massa acquea, di guisa che i quartieri più bassi 
di Scutari sono oggidì frequentemente inondati, 
quando il Drin è in piena. La necessità di rego- 
lare il corso del Drin è quindi universalmente ri- 
conosciuta; ma là questione si dibatte senza risul- 
tato da molti e molti anni. 

Nella Drinazza affluisce, sotto Scutari, il grosso 
torrente Kiri, che nasce dalle montagne a nord-est 
di codesta città . Men ricco d*acqua , il ramo 
principale del Drin corre per altri 40 km. verso 
il sud con pendenza incerta e cangiante, e va 
a gettarsi a traverso a terreni paludosi nel mare, 
non lungi dalla piccola città di Lesh o Alessio 
(rantica Lissos). 

Questo ramo del Drin non è quindi naviga- 
bile. Navigabile è invece dalla foce al villaggio 
di Obotti per i battelli di modeste proporzioni 
la Bojana, sopra ricordata, che nasce a sud-est del 
lago, dove trovasi Scutari, ha un corso assai si- 
nuoso, e si getta nel mare tra Dulcigno e San Gio- 
vanni di Medua. Obotti è a tre ore di cavallo da 
Scutari. 

La Bojana e dai geografi considerata come la 



— 15 — 

continuazione del fiume Moraccia^ che forma il 
lago di Scutari entrando in esso dalla parte del 
Montenegro, Dal villaggio di San Giorgio sino al 
mare la Bojana segue il confine politico tra il 
Montenegro e la Turchia. Affluente di destra della 
Moraccia è il Zem o Sem (in lingua serba Gjevna)^ 
che oggi appartiene nel suo corso superiore alla 
Albania e nell'inferiore al Montenegro. 

Fra le diramazioni che si distaccano dalla sum- 
mentovata catena di sinistra del Drìn nero e se- 
parano Tuno dalFaltro i principali fiumi dell* Al» 
bania, è notevole la più settentrionale, tra il Drin 
e il Mali o Matja, formata da un gruppo di mon- 
tagne alto appena mille metri, ma di assai difficile 
accesso, che è come la cittadella inespugnabile 
di quella che suol chiamarsi VAUa Albania, L'abi- 
tano le invitte tribù montanare dei Ducadgini e 
dei Mirditi. 

Là enormi roccie di serpentino emergono in 
mezzo a terreni calcarei, alte muraglie si elevano 
da tutte le parti attorno a valli anguste, e rumo- 
rosi torrenti corrono rapidamente su scoscese 
pendici e precipitano in cataratte e cascate. 

D'altro canto nella regione montuosa orientale 
dell'Albania il contrafforte meridionale dello Sciar 
sulla destra e la catena ad esso parallela sulla sini- 
stra del Drìn si abbassano a poco a poco, prendendo 
un aspetto meno formidabile, per abbracciare da 
ultimo larghi bacini lacustri, dove si raccolgono 
le acque Ed eccoci al lago di Ocrida (Tantico 
Lychnis), il più grande dell'Alta Albania dopo 
quella di Scutari, a 680 metri sul livello del mare, 
con 269 chilometri quadrati di superficie, jo chi- 



— i6 -^ 

lometri di lunghezza e i^ di larghezza. Esso è 
cosi trasparente^ che vi si veggono r pesci a 20 
metri di profondità ; ed è quella ov'csso si trova 
tutta una regione lacustre al confine della Mace- 
donia, da cui la separa una catena di monti, la 
quale può considerarsi come il seguito di uno dei 
contrafforti meridionali dello Scardo, e alla quale 
appartengono gli alti picchi granitici del Pensieri 
(m. 2360) e della catena Neretshca piattina. Me- 
ritano di essere ricordati in. questa regione lacustre 
insieme al lago di Ocrida, dal quale nasce il Drin 
nero, il piccolo lago Malik^ lungo /o e largo j chi- 
lometri, a 8^0 metri sul livello del mare, il Presta^ 
lungo 28 chilometri e largo /o, e il Venlrok o 
lago di Drenavo, lungo 18 e largo in media 5 chi- 
lometri. 

Siti ambedue a 8^0 metri sul livello del mare 
e separati da un istmo largo appena un chilometro, 
i laghi Venlrok e Presta comunicano probabilmente 
tra loro per vie sotterranee. Fra i laghi di Ocrida e 
di Presba si eleva la catena dei monti Galicilsa, 

A sud di codesta regione di laghi, dominata 
a sud-ovest dalla superba cima del Tomor, co- 
mincia, in quella che suol chiamarsi Bassa Al- 
bania, il sistema del Pindo, che nella sua parte 
più settentrionale prende il nome di Grammos, 
Il Grammos separa il bacino del lago di Caslorià 
(Albania etnografica) e la valle della Vislrilsa, che 
scorre verso il golfo di Salonicco, da quella parte 
dell'Albania geografica, che è bagnata dai fiumi 
Devoly Ljumi Beratil e Vojussa (l'antico Aoo), Giova 
osservare a questo proposito che la catena del 
Grammos è piuttosto bassa, con colli e valichi di 



- 17 - 

facile accesso tra 1* Albania e la Macedonia e ter- 
mina con una notevole depressione al sud del 
monte Vojon. Da questo punto la catena va grada- 
datamente elevandosi e raggiunge quasi i 2600 metri 
nello Smolica, donde si possono scorgere a un 
tempo le acque dell'Egeo e dello Jonio e le rive 
della Grecia di là dal Golfo di Arta. 

Dallo Smolica in poi la catena del Pindo torna 
ad abbassarsi, finché all'est di Janina^ capitale 
della Bassa Albania, che al sud della Vojussa ha 
Tantico nome di Epiro^ forma il massiccio, o nodo 
montagnoso di Meizovo, dove appunto ha principio 
la giogaia del Pindo propriamente detto con le 
sue pittoresche e disordinate piramidi alte fin 
oltre i 2300 metri, colle sue foreste di pini e di 
faggi. Per il passo di Zigo presso Metzovo dalla 
valle di Janina si passa in quella della Salamvria 
(antico Peneo) nella Tessaglia. Il Pindo si dirige 
verso il sud con due linee di montagne, oggi spet- 
tanti ambedue politicamente alla Grecia, in mezzo 
alle quali scorre VAspropotamo (antico Acheloo). 
Ai piedi della linea occidentale, che è la più bassa, 
le valli epirote assumono carattere schiettamente 
meridionale. 

Il fondo del largo bacino calcare situato alla base 
occidentale del massiccio di Metzovo è occupato 
dal lago di Janina (Pambotis lacus\ molto meno 
elevato sul livello del mare del lago di Derida 
(metri 480). Assai poco profondo in generale, 
quantunque in qualche punto (tra l'isola e la sor- 
gente di Trabattova) oltrepassi i 50 metri, questo 
lago misura 61 kmq. di superficie, 8 km. di lun- 
ghezza e 4 di larghezza, e non ha affluenti note- 
2 



— i8 -- 

voli, ma viene alimentato dalle copiose sorgenti, 
che pullulano a pie' delle roccie. Esso inoltre co- 
munica per mezzo di un canale paludoso con un 
altro bacino lacustre, situato più al nord e chiamato 
Lapscistas, Ambedue questi bacini hanno poi degli 
emissari invisibili. Le acque del Lapshìstas si 
gettano infatti in un gorgo per ricomparire a sud 
ovest in un grosso torrente che si chiama Velchis 
e si getta nel fiume Calamas (l'antico Thyamis). 

Le acque del lago di Janina piombano ugual- 
mente in varie voragini e scorrono sotterra per 
alimentare a grande distanza, secondo T opinione 
di qualche geografo, il Mavropolamo (fiume nero), 
che è l'antico Acheronte e si getta nel mare Jonio 
in una piccola baia, la quale ha nome Porto Fa- 
nzrì (il Glychys limen degli antichi). Al Mavropo- 
tamo, chiamato anche Panari o Glichis, viene ad 
unirsi vicino al mare un altro fiumicello non meno 
celebre, il Oocito^ dalle acque insalubri (oggi 
Vuvos). 

A settentrione del lago di Janina la catena dei 
monti Micicheli si estende da sud-est a nord-ovest, 
A sud-ovest dello stesso lago le linee montuose 
deir 0//7sica e del paese di Suli raggiungono ancora 
i 1500 e i mille metri di altezza, ma le altre linee 
che le fiancheggiano, quantunque assai scoscese 
e di difficile accesso, son molto meno elevate, 
e verso il mare digradano in bassi promontori, 
rocciosi e brulli. Frequentemente nelle anguste 
valli chiuse da queste piccole alture stagnano 
le acque piovane, persino nel letto dei torrenti. 
Ma a nord dello stagno di Butrìnto, situato 
lungo il braccio più angusto del canale di Corfù 



- 19 - 

e paragonabile agli stagni che s'incontrano sulla 
riva settentrionale del golfo di Arta, il littorale 
torna ad elevarsi per formare Taspra catena dei 
monti Chimara o ^ Acrocerauni, che supera colla 
sua più alta vetta (Cica) i 2000 metri. A questi 
monti fu dagli antichi greci dato il nome di Acro- 
ceraunij perchè terribilmente battuti dai venti, dagli 
uragani e* dalle folgori. Gl'infami scogli acroce- 
rauni della poesia classica sono ancora assai temuti 
dai naviganti. Il Capo Linguetta segna il termine 
di queste montagne precipitanti a picco sul mare» 

Altre catene interne notevoli della bassa Albania 
son pure quelle che, staccandosi dal Pindo, si di- 
rìgono da sud-est a nord-ovest, separano il bacino 
del Devol da quello del LjunU Beratit (monti Tomof) 
e il bacino del Ljumi Beratit da quello della 
Vojussa, e chiudono a sinistra quest'ultimo bacino. 
La catena del Tomor raggiunge nel Tomor pro- 
priamente detto i 2400 metri. La catena a sinistra 
della Vojussa raggiunge i 2000. 

Fatta eccezione per i monti acrocerauni, l'ab- 
bassarsi delle montagne da est ad ovest, ossia 
verso il littorale, è un carattere comune a tutta 
TAlbania. Di qui i frequenti e grossi stagni e la- 
gune in comunicazione col mare ed i terreni pa- 
ludosi lungo tutta la costa, che nella stagione 
dei calori esalano miasmi altrettanto pestiferi e 
pericolosi, quanto buona e salubre è in ogni epoca 
dell'anno l'aria delle montagne e delle alte valli 
albanesi. Le febbri della Bojana sono tra le più 
terribili di tutto il littorale Adriatico. Anche a Pre- 
vesa e a Filippiades infieriscono febbri ribelli ad 
ogni cura e violente, quantunque rare, perniciose. 



— 20 — 



Ecco i nomi delie sopraddette lagune. Lagune di 
Cravasta e Cavacli e stagno di Terbuf tra i fiumi 
Shcumbi e Semeni ; laguna di Soli a settentrione 
della foce delia Vojussa, laguna di Arta o di Va- 
Iona a settentrione di Valona; laguna di Butrinto 
di fronte all*inboccatura settentrionale del Canale di 
Corfù; lagune di Cucalia e di Logaru tra le foci 
dei fiumi Luros ed Arta nel golfo di Arta. 

Nelle bassure paludose vengono naturalmente a 
finire i principali fiumi dell'Albania. Eccone i nomi 
a cominciare dal nord. La Bojana e il Drin già 
ricordati e descritti ; il Mali o Matja, che ha le 
sorgenti nel distretto di Elbassan, scorre dapprima 
da sud-est a nord-ovest, pòi volge a ponente verso 
l'Adriatico, subito dopo aver ricevuto il suo prin- 
cipale affluente che ha nome Fani ed è formato da 
due rami {Pandi Mali e Fandi Vogeli) i quali rac- 
colgono in massima parte le acque dei numerosi 
torrenti della Mirdiùa o paese dei Mirditi ; VIshmi 
e VArzen^ fiumicelli quasi paralleli al carso infe- 
riore del Matja; lo Shcumbi (antico Genusus), il 
quale ha le sorgenti sulle montagne che costeg- 
giano la riva occidentale del lago di Ocrida, e 
scorre dapprima, per breve tratto, da nord a sud, 
poi da oriente a occidente, segnando per circa 
loo chilometri il confine fra Taita e la bassa Al- 
bania, fino all'Adriatico, dove si getta ai sud di 
Durazzo ; il Semeni appartenente esso pure ai ba- 
cino dell'Adriatico e formato dalla unione dei- 
YErghent o Liumi Beratit, che proviene dai sud- 
est) col Devoli che esce, come già sappiamo, dal 
lago Maiik ; la Vojussa, o Vjosa, che viene per 
importanza subito dopo il Drin, nasce dai monte 



— 21 — 

Zigos presso il nodo di Meteovo, scorre da sud- 
est a sud-ovest per circa 190 chilometri, quanti 
non ne misurano insieme il Devol e il Sementa ri- 
ceve sulla sinistra il Orino (verso Tinterno) e la 
Suscitza (verso il mare), paralleli al suo corso, e 
si getta nell'Adriatico al nord di Valona ; il Pavia 
e il KalamaSy veri torrenti che dopo un breve corso 
affluiscono allo Jonio nel canale di Corfù; il Ma- 
vropotamos e il Vuvos già mentovati, e infine il 
Luros (antico Oropos) e VAria (antico Arachltis) che 
scorrono da settentrione a mezzodì, ricevono a 
destra e a sinistra numerosi torrenti e terminano 
nel golfo di Arta. Dei due, TArta è il più notevole 
con un corso di 1 30 chilometri ali'incirca. Il golfo 
di Arta è quello che gli antichi chiamavano d*Am- 
bracia. V'ha chi ritiene con qualche fondamento che 
le voragini del Lago di Janina alimentino non il 
Mavropotamo, ma il Luros. 

Scorre solo in parte dentro i confini dell'Albania 
il Um^ che nasce dal pendio meridionale del Com, 
passa accanto ai villaggi di Gusinje e di Piava, 
gira attorno al nodo più settentrionale delle Alpi 
albanesi e volgendo al settentrione va a gettarsi 
nella Orina, affluente della Sava (bacino del Da- 
nubio). 

Scorrono fuori dell'Albania geografica, ma in 
parte dentro quelli dell'etnografica, Vlbar che è un 
affluente della Morava di Serbia e quindi appartiene 
al bacino del Danubio, e il Vardar, che è il fiume 
principale della Macedonia. Neiribar affluisce presso 
Mitrovitsa il fiumicello Sitnitsa^ che bagna la pia* 
nura di Cossovo, e riceve il Lab, Vicino al Vardar 
trovasi Uscub, e il Vardar può considerarsi come 



— 22 — 

fiume appartenente all'Albania etnografica fino a 
Kòprùlù. 

Da un'espansione del Lim^ in quel tratto del suo 
corso superiore che appartiene all'Albania, è for- 
mato il piccolo lago di Piava, lungo circa 7 chilo- 
metri, largo 3, a 810 metri sul livello del mare. 

Troppo rapidi e poco profondi e facili a dissec- 
carsi nell'estate, i fiumi dell'Albania non sono 
adatti alla navigazione, eccettuandone la Bojana 
anche per i piccoli vapori fino a Obotti e il Luros 
per le barche di piccolo tonnellaggio fino al vil- 
laggio dello stesso nome. Anche la Vojussa e il 
* Semeni possono essere risaliti per breve tratto da 
piccoli caiki. Non sarebbe difficile rendere la Bo- 
jana navigabile sino alla stessa Scutari. 

Rade e porti, — Il littorale albanese non difetta 
di golfi, di rade e di porti naturali. Nell'alta Alba- 
nia, sempre procedendo dal nord al sud, la rada di 
San Giovanni di Medua, che può dirsi la rada ma- 
rittima di Scutari, la rada e il porto di Durazzo 
(l'antica Dyrrhachium\ che sarebbe un ottimo porto, 
se l'adiacente laguna fosse ben mantenuta come 
anticamente in comunicazione col mare ; nella bassa 
Albania il porto di Valona o Avlona fra i più ampi 
e sicuri dell'Adriatico, a due chilometri dal suo 
scalo, sul golfo dello stesso nome formato dalla 
penisola che termina al capo Linguetta e perfet- 
tamente difeso da codesto capo e dall'isolotto di 
Sasseno, la rada di Porto Panormo o Palermo, for- 
mata dagli estremi contrafforti meridionali della ca- 
tena degli Acrocerauni, la rada di Santi Quaranta 
di fronte alla punta settentrionale dell'isola di Corfù, 
le rade di Sajada, Gomenitza e Plataria, il piccolo 



- 23 - 

porto di Parga in faccia allPisoletta di Paxo, inac- 
cessibile ai vapori, e finalmente il porto di Prevesa 
airentrata del golio di Arta, non lungi dal famoso 
promontorio di Azio, che appartiene alla Grecia 
sull'opposta sponda. Il porto di Butrinto, un dì 
eccellente, altro non è da gran tempo che una 
palude. Nel golfo di Arta merita appena di essere 
ricordato il piccolo porto di Salahora tra le lagune 
di Cucalia e di Logaru. 

Oggidì il più notevole porto dell'Albania è senza 
dubbio Valona, così per la sua sicurezza ed am- 
piezza come per la vicinanza alle coste d'Italia. 
Esso oggidì non ha traccia di fortificazioni. Chi 
volesse e potesse servirsene a scopi militari for- 
tificandolo, godrebbe incontrastabilmente una po- 
sizione formidabile e privilegiata sul canale di 
Otranto, che è quanto dire su tutto il mare Adriatico. 

Clima. — Come già dicemmo, il clima dell'Al- 
bania è sano, fatta eccezione di parecchi distretti 
del littorale, dove regnano le febbri palustri. Le 
acque dei iSumi, inquinate da insetti e vegetali in 
putrefazione, non sono generalmente potabili, e 
rendono necessario Tuso dell'acqua di sorgente, 
che abbonda specialmente sui monti. 

Brusche e sensibili sono in Albania le variazioni 
della temperatura. L'inverno è breve, ma freddo, 
particolarmente sulle montagne a causa della bora 
(tramontana), che le percuote frequentemente. Nella 
stagione estiva all'incontro il termometro rara- 
mente supera i 28 gradi centigradi. Le più gravi 
epidemie difficilmente allignano nelle regioni mon- 
tuose. 

Albania settenirionaley centrale e meridionale» — 



I 
I 



— 24 — 

Abbiamo già accennato che lo Shcumbi (af&uente 
al mare presso il 41^ parallelo che attraversa il 
lago di Ocrida) divide Talta dalla bassa Albania. 
Quest'ultima suol essere alla sua volta divisa in 
Albania centrale e meridionale, separate Tuna dal- 
l'altra dal fiume Vojussa. È all'Albania meridio- 
nale che spetta il nome di Epiro. 

Osservazioni. — Da quanto fin qui si è detto 
parmi che risultino evidenti certe condizioni geo- 
grafiche dell'Albania, alle quali giova ricollegare 
fin d'ora alcuni fatti d'indole etnologica, storica 
ed economica, che osserveremo in seguito e di cui 
dovremo renderci ragione parlando della etnologia, 
delle vicende storiche e politiche e delle passate 
e presenti condizioni economiche dell'Albania. 

Invero, dalla sua conformazione geografica, es- 
senzialmente montuosa e di difficile accesso in 
parecchi punti, deriva la persistenza quasi indi- 
sturbata in essa per secoli e secoli dell'antichis- 
simo popolo che s'insediò, in tempi assai remoti, 
su quelle montagne, e quivi conservò immutato 
il proprio tipo linguistico e l'antropologico. — 
Dalla sua situazione in un punto appartato della 
penisola balcanica, fuori delle grandi vie fluviali, 
terrestri e marittime tra il settentrione e il mez- 
zodì, l'oriente e l'occidente d'Europa, nonché tra 
l'Europa e gli altri continenti, e dalla prevalenza 
del terreno montuoso, boschivo e da pascolo sul 
suolo coltivabile dipendono gli scarsi progressi 
economici, sociali, civili e politici di quella popo- 
lazione. — Infine dalla grande vicinanza delle sue 
spiaggie alle opposte spiaggie d'Italia, all'ingresso 
del mare Adriatico, trae origine la ragione pre- 



- 25 — 

cipua per cui sovente, cosi nei tempi antichi come 
nel medio evo e nell'età moderna, chi fu padrone 
delfuna spiaggia cercò di esserlo delFaltra e chi 
ebbe mire e interessi suU* Adriatico dovette prima 
o poi rivolgere la propria attenzione sugli scali 
albanesi. 



Capitolo II. 

Origine del popolo albanese o shkipetaro 
e dei nomi Albania e Shkeperìa. 

. La razza bianca e la stirpe aria o indo-europea. 
— La razza bianca, che fin dai tempi preistorici 
popolò la maggior parte della terra nota agli an- 
tichi, specialmente attorno al bacino del Mediter- 
raneo, fu dagli etnologi divisa in base ad un cri* 
terio essenzialmente linguistico in due grandi rami 
o stirpi : la stirpe camilosemitìca e la stirpe aria o 
indo-europea. 

Al ramo ano appartenevano nell'antica Europa 
le seguenti famiglie : la greca o ellenica, la traco» 
illirica, ritalica propriamente detta, la celtica, la 
germanica, la sarmatica o slava, ciascuna delle 
quali suddiyidevasi in numerose tribù. 

La /amiglia traco-^iliirica» — La famiglia traco* 
illirica, che è quella che più e* interessa, estende* 
vasi in tempi assai remoti dalle rive occidentali 
del Mar Nero {Ponto Eusino) all' Adriatico ; a 
oriente le tribù traciche (Dardania, Peonia, Mace-* 
donia. Tracia, Mesia, Dacia): a occidente le illi- 
riche, lungo lo Jonio (Epiro) e tra l'Adriatico e il 



- 26 - 

Danubio (lllirio propriamente detto, Dalmazia, Li- 
burnia, Pannonia), donde si propagarono pure in 
Italia lungo le coste occidentali dell'Adriatico 
(Istria, Venetia, lapigia). 

Dissi che il criterio su cui si fondano queste 
classificazioni etnografiche è essenzialmente lingui- 
stico. Ciò significa che tutte le lingue parlate dai 
popoli della stirpe aria o indo-europea presentano 
delle importanti somiglianze nella grammatica e. 
nelle radici delle parole, pur rimanendo fra loro 
distinte per notevoli differenze, secondo le famiglie 
alle quali i popoli suddetti appartengono. Le lingue 
e i dialetti si distinguono quindi in famiglie o 
gruppi come i popoli: il gruppo ellenico, il traco- 
illirico, il celtico, Titalico, il germanico, il sarma- 
tico o slavo. Da queste antiche lingue derivano le 
moderne. 

Ma non tutte le lingue antiche nel trasformarsi 
ebbero la fortuna di sopravvivere in eguale misura, 
per il fatto ben noto agli studiosi che alcuni po- 
poli predominando sugli altri imposero loro la 
propria lingua, di guisa che per alcuni gruppi il 
campo del dominio linguistico si estese, per altri 
si ristrinse. Acquistarono terreno il gruppa elle- 
nico, il germanico, lo slavo, l'italico (lingue neo- 
latine); lo perdettero il celtico e il trago-illirico. 

Il campo occupato dalle lingue traco-illiriche, 
alle quali dobbiamo limitarci, fu infatti invaso in 
Italia dalla lingua latina (dialetto veneto, dialetto 
friulano e dialetti pugliesi), nella grande penisola 
tra il Mar Nero, l'Egeo, lo Jonio e l'Adriatico e 
nella valle del Danubio dalla lingua greca, dalla 
latina (rumeni o valachi), dalle favelle slave (serbo- 



— 27 - 

croati e bulgari), e dalle lingue ungherese e turca, 
le quali ultime non sono di tipo, ario {inflessivó)^ 
ma di tipo uralo-altaico {agglutinante). Alla penisola 
balcanica si dà oggi infatti da qualcbe geografo il 
nome di slavo-ellenica, mentre un tempo la si 
poteva chiamare traco-illirica. 

Gli albanesi sono neo-illirici. — Premesso tutto 
questo, giova notare che la lingua albanese, se* 
secondo gli studi più recenti e più autorevoli, è 
una lingua che appartiene senza dubbio al tipo 
ario o indo-europeo e non può di troppo essere 
ravvicinata, perchè ha una struttura ed una im- 
pronta tutta sua propria, né al greco, né alle 
lingue slave, nò ai celtici dialetti. 

Non c*è bisogno di aggiungere altro per com- 
prendere, come abbiano ragione coloro i quali so- 
stengono, che la lingua albanese è in sostanza, 
pur tenuto conto delle naturali trasformazioni e 
della inevitabile intrusione di elementi estranei, la 
lingua degli antichi Illirici, Ed è questo un primo 
titolo di gloria per quel minuscolo popolo di mon- 
tanari, che solo fra tutti i popoli traco-illirici seppe 
conservare la favella dei suoi remoti progenitori, 
anche meglio di quel che abbiano saputo conser- 
vare il loro idioma originale i montanari della 
Cornovaglia, del Principato di Galles e della Scozia, 
e gli abitanti deirirlanda e della Brettagna occi- 
dentale francese, che sono gli unici rappresentanti 
genuini delle genti celtiche un tempo dominanti 
sopra una plaga assai estesa del continente euro- 
peo. In conclusione ai moderni albanesi conviene 
il nome di neo-illirici, come ai greci moderni quello 
di neo-greci, e ai moderni italiani, francesi, spa- 
gnoli, portoghesi e rumeni quello di neo-latini. 



— 28 — 

Gli albanesi non sono pelasgi né slavi. — La 
chiarezza, o meglio la evidenza di questa ipo- 
tesi mi dispensa dali'obbligo di combattere a 
fondo le altre opinioni, che sull'origine degli Shki- 
petari furono messe innanzi dagli scrittori di cose 
albanesi. Alcuni infatti sostennero che la Ungua 
albanese è Tantica lingua dei divini Pelasgi, mentre 
ancora è da dimostrare che i Pelasgi siano mai 
esistiti come popolo a sé, e v*ha all'incontrò chi 
opina ch'essi debbono essere piuttosto identificati 
colle antiche tribù traco^illiriche o con le elleniche 
o con le italiche e persino colle semitiche. Altri 
hanno voluto ravvicinare gli Shkipetari ai Caldei 
della Mesopo tamia o agli Albani del Caucaso, ma 
i Caldei non erano un popolo ario e nulla si sa 
della lingua parlata dagli Albani del Caucaso, 

Altri poi asserirono che 1* albanese è la lingua 
degli antichi slavi, ma questa opinione non ha 
ombra di fondamento, perchè l'albanese troppo 
differisce dalle odierne lingue slave. Le somiglianze 
che indubbiamente vi sono, o dipendono dalla co- 
mune appartenenza al ceppo ario, o vanno attri- 
buite a infiltrazioni non tanto remote: e questo 
ragionamento vale anche contro coloro, che fissa- 
rono la propria attenzione sopra altre somiglianze 
e affinità col greco, specialmente eolico, col celtico, 
col latino, coirarmeno e persino coU'etrusco I Per 
il latino tuttavia giova osservare, che qualche dotto 
linguista ha potuto riscontrare nella lingna alba- 
nese tracce evidenti dell'influsso che aveva comin- 
ciato ad esercitare sull'illirico idioma il latino ai 
tempi della dominazione romana. 

VAlbania del Caucaso. — Dì tutte le opinioni 



- 29 - 

qui riferite Tunica che possa fermare l'attenzione, 
per ridentità dei nomi, è quella che ricongiunge 
TAlbania d'Europa all'antica Albania del Caucaso 
(regione oggidì conosciuta col nome di Schirvan 
o Georgia orientale): tanto più che gli albani del 
Caucaso, non per la lingua, di cui nulla si co- 
nosce, ma per i caratteri antropologici, pei co- 
stumi e per le istituzioni, quali si desumono 
dagli antichi scrittori, sembra che fossero anche 
essi un popolo ario affine alle popolazioni arie 
dell'Armenia, della Persia e di tutto laltipiano 
iranico. Se non che nessuna memoria storica do- 
cumentata e accertata ci pone in grado di affer- 
mare che gli Albani del Caucaso sieno mai trasmi- 
grati in Europa per fissare la loro dimora là dove 
oggi si trovano gli albanesi. Gli storici armeni, 
che sono i più autorevoli per la vicinanza del loro 
paese al Caucaso e che chiamano l'Albania cau- 
casica Arganie, narrano solamente che nel 7* se- 
colo dopo Cristo gli abitanti dell' Arganie, premuti 
dai Kazari e da altri popoli nomadi, emigrarono 
nell'Armenia. 1 loro discendenti parlano oggi l'ar- 
meno, né si sa, come ho già detto e ripetuto, 
quale fosse la loro lingua primitiva. A buon conto 
nessuna delle lingue che oggi si parlano nella re- 
gione caucasea somiglia all'albanese. 

Origine del nome Albania, — Si tratta dunque 
di una di quelle somiglianze o identità di nomi, che 
sono tutt'altro che infrequenti in geografia e da 
cui non è lecito trarre deduzioni troppo arrischiate. 
D'altra parte l'antica Britannia fu anche chiamata 
Albion. I montanari della Scozia chiamano il loro 
paese Albany. Alba ò nome frequentissimo nella 



— 30 — 

antica Italia {AìbaLonga nel Lazio, Alba Fucense 
nel paese dei Marsi, Aita Ponipéia, oggi Alba, 
Albìum Ingaunum, oggi Albenga, AUmim Intemelium, 
oggi Ventimiglia, e la tribù degli A /^/ct in Liguria). 
Nella antica Gallia e nelFantica Spagna s*incontra 
pure il nome di Alba. A tutti nota è la città di 
Albi in Provenza, donde trassero il loro nome gli 
eretici albigesi nel secolo XIII. Chi oserebbe da 
tutti questi nomi dedurre, che gli albanesi abbiano 
avuto stanza in tempi antichi anche nella Bri* 
tannia, nella Gallia, nella Spagna e in Italia > 

Maggior considerazione merita invece V ipotesi, 
che tutti o quasi tutti questi nomi richiamino il 
radicale ario alò o alp, significante bianco e alta 
montagna (dalla bianca cima nevosa). Quasi tutti 
i luoghi sopra nominati sono infatti montuosi, e 
per V Albania si avrebbe anche questa notevole 
coincidenza, che il detto nome corrisponderebbe 
abbastanza esattamente a quello di Shképèria, deri- 
vato da una parola albanese che vuol dire roccia. 
« Montanari^ abitanti le roccie » tale sarebbe il si* 
gnifìcato dei nomi Albanesi e Shkèpètari, 

Ma i nomi Albania ed Albanesi^ dicono alcuni 
dotti, sono diventati di uso generale solo nel se- 
colo XV, dopo la lotta degli Shkipetari coi Turchi 
e il passaggio di molti di essi in Italia. Furono 
gli eruditi italiani che misero in voga quei nomi 
e primi identificarono gli Albani d'Asia e gli Alba- 
nesi d'Europa. Ciò è vero, ma non risolve la que- 
stione deirorigine del nome. Donde venne quel 
nome agli abitanti della Shkèpèria } Qui sta il nodo 
della questione. 

Ora occorre sapere che l'antico geografo greco 



— 51 — 

Tolomeo del 2" secolo dell'era volgare ricorda 
nella sua Geografia la città di Aìbanopoli in un 
territorio deiriUirio, che corrisponde a una parte 
della moderna Albama. Cosi pure neiriUirio egli 
nomina un monte AWanoriy che è pure ricordato 
da un altro geografo dell'antichità, da Strabone, 
col nome alterato di Albion. V'ha pertanto chi ha 
▼oloto rintracciare il nome corrispondente ad Aì- 
banopoli nella città di Berat^ che in lingua alba- 
nese significa la bianca^ chi in quello di Elhassan 
(l'antica Scampa)^ affermando che Elbassan s*in« 
contra col nome di Aìbanopoli anche nelle ero* 
nache, che narrano le gesta di Roberto Guiscardo 
e dei Normanni d'Italia in Albania (sec. XI). — 
D'altra parte un cantone marittimo dell* antica 
Caonia, ossia della regione degli Acrocerauni, abi* 
tata dalla tribù albanese dei Ljapt, porta il nome 
di Ar berta o Arbenia, e un tempo nei libri eccle- 
siastici, oggi in tutte le scritture albanesi, questo 
nome è adoperato per Shkèpèrìa, Si noti inoltre, 
a proposito del naturale scambio delle due con- 
sonanti liquide / ed r, che gli scrii tori armeni 
chiamano Arganie l'Albania del Caucaso, che negli 
scrittori bizantini s'incontra fin dall'i i*^ secolo il 
nome degli Arbanitai (Albanesi), che i greci mo- 
derni chiamano gli Albanesi ArvaniteSy i serbi li 
chiamano Arbanàs, e i turchi e i bulgari ArnautL 
Ciò posto, non dovrebbe parere inverosimile 
che il nóme di Arberia siasi esteso a poco a poco 
a tutto il paese degli Albanesi. Lo estendersi del 
nome di un determinato luogo a una regione è 
un fatto assai frequente nell'uso dei nomi geogra- 
fici. Il nome Italia^ per esempio, fu un tempo 



- 32 - 

limitato all'estrema punta della penisola di fronte 
alla Sicilia. 11 nome di Forum Julii (oggi Cividale) 
si propagò a tutta la regione Forumjuliana o friu- 
lana (oggi Friuli). 

Gli eruditi italiani sarebbero semplicemente tor* 
nati alla forma fonetica primitiva {aW per arv o 
arb\ tratti dalle già rilevate somiglianze con altri 
nomi, specialmente coli* Albania del Caucaso ; e la 
forma creata, o meglio rinnovata dagl* Italiani, 
avrebbe prevalso in tutto il resto d*Europa, meno 
TAlbania, la Turchia, la Grecia, la Serbia e la 
Bulgaria, dove tuttora la liquida / è sostituita 
dalla liquida r. 

V'ha infine chi afferma, che i Normanni di Ro- 
berto Guiscardo avrebbero dato all'intera regione 
il nome di quella che era loro sembrata la mag- 
giore città (Albanopoli, vale a dire Elbassan): ed 
anche in questo caso si sarebbe esteso a tutta una 
plaga geografica ed etnografica il nome di un 
luogo isolato. 

Origine del nome Shkèpèria. — Pieno accordo non 
regna tra gli eruditi neppure sulla derivazione del 
nome Shkèpèria, Taluni, anziché da Shkip = roccia 
(confronta latino scopulus), vollero derivare code- 
sto nome dal greco xi/os=i spada o da skeptòs^=ifuU 
mine: altri dalla voce albanese Shkjpoing, che si- 
gnifica intendere, quasiché Shkipetari volesse dire : 
coloro che intendono la lingua nazionale; altri da 
Shkjup = aquila, di guisa che Shkipetari signifi- 
cherebbe: figli delFaquila. Ma non sembra che 
queste ipotesi abbiano avuto fortuna. Oggi la eti- 
mologia più comunemente accettata é quella alla 
quale io pure diedi la preferenza. 



- 33 - 



Capitolo III. 

Lingue dominanti 

nella piccola e nella grande Albania. 

Tribù e Colonie Albanesi. 

Gheghi e Toski — Non è da credere che gli 
Albanesi formino un tutto così omogeneo dal 
punto di vista etnico e nazionale, da non dar 
luogo, come tanti altri popoli, a distinzioni e a 
divisioni. Differenze di lingua, di religione, di 
costumi e di tradizioni, rivalità d'interessi territo- 
riali, politici ed economici, e persino disparità di 
caratteri antropologici, rendono necessarie delle 
nette distinzioni, le quali un tempo erano ben giu- 
stificate da odi implacabili e da lotte accanite. 
Quegli odi non ancora spenti del tutto potranno 
cessare soltanto per virtù del sentimento nazio- 
nale, che accenna a trionfare e a prevalére anche 
in Albania, nonostante i gruppi e le tribù, in cui 
la nazione albanese si decompone. 

Due sono i gruppi: i Gheghi e i Toski; i Gheghi 
dal confine settentrionale (territori di Ipek e di 
Gusinje, valle della Cijevna o Zem, lago di Scutari e 
corso inferiore della Bojana) al fiume Shcumbi ; i 
Toski dallo Shcumbi in giù : donde i nomi di GAe- 
garia e Toskeria all'alta ed alia bassa Albania. Spe^ 
cialmente tra i Gheghi e i Toski ferveva in tempi 
non lontani un odio mortale. Oggi le ire si vanno 
raddolcendo, e il comune interesse nazionale si 
impone. V'ha per altro tra gli uni e gli altri dif- 
ferenza notevole nei dialetti. V'ha differenza nella 

3 



- 34 - 

religione, come più oltre dimostrerò. V'ha diffe- 
renza negli usi, nei costumi e nel grado di ci- 
viltà, giacché i Toski sono alquanto più civili e i 
Gheghi, soprattutto sulle montagne, conservano 
ancora parecchie costumanze barbariche e feudali. 
V'ha infine differenza nei caratteri antropologici, 
giacché tra i Gheghi prevalgono la grande sta- 
tura, l'occhio e il capello nero e la forma dolico- 
cefala del cranio (testa lunga), mentre i Toski 
sono di forme assai meno slanciate, e hanno so- 
vente l'occhio ceruleo, il capello biondo e meno 
lunga la forma del cranio : tutti indizi probabili di 
incrocio diverso con genti d'altra stirpe, che fu- 
rono dal popolo illirico degli Shkipetari assimilate 
al nord e al sud del loro paese, pur conservando, 
specialmente nell'alta Albania, un tipo che li di- 
stingue da tutti gli altri popoli d'Europa. 

Tribù gheghe. — I Gheghi comprendono anzi- 
tutto una quarantina di tribù (fis o fare), che me- 
ritano questo nome per la loro solida e com- 
patta organizzazione, specialmente nelle regioni 
montuose. Ogni tribù comprende un numero mag- 
giore o minore di villaggi : ogni villaggio un certo 
numero di case o famiglie. 

Ciò posto, vanno in primo luogo notate nel 
territorio che si distende a settentrione del Drin 
le tribù maljsore o montanare propriamente dette, 
dalla voce albanese malj, che vuol dire montagna. 
Ricorderò le più importanti. 

Verso il confine del Montenegro, nelle valli su- 
periori del Lim e del Zem, la tribù Kilmeni; sulla 
sinistra del Zem inferiore, la tribù Cruda; più 
prossime al lago di Scutari (riva orientale), se- 



— 35 — 

guendo la direzione da nord a sud, le tribù Hoti od 
Hotti^ Castrati, Busahuit e Coplik: al nord-est dei 
Castrati, successivamente, le tribù Screlt^ Boga e Cle- 
menti; più prossime al Drin, procedendo da sud- 
ovest a nord«est, lungo i pendii delle montagne 
comprese tra la valle del Drin e la valle del Kiri, 
le tribù Posripa^ Dushmani, Pubti, Sciosci, Sciatta; 
tra Pulati alFest e Castrati all'ovest la tribù Rioli, 
Appartengono tutte queste tribù alla provincia o 
vilajet di Scutari, e alle cosiddette Sei montagne di 
Scutari la maggior parte di esse. 

Poiché le singole tribù si suddividono, come 
vedremo nel seguente capitolo, in Bariak o ban" 
diere^ v*ha chi attribuisce il nome di tribù a dei 
Bariak^ Così, ad esempio, Temali e Shlaco sono 
bariak di Posripa, Lohe è bariak di Rioli. 

Vivono nelle montagne al sud del Drin infe- 
riore, sempre nel Vilajet di Scutari, i Ducadgini^ e 
al sud dei Ducadgini i Mirditi e al sud e all'ovest 
della Mirdizia altre piccole tribù di minor conto. 

S'incontrano nel Vilajet di Cossovo, a cui ap- 
partengono, procedendo dal territorio di Pulati e 
degli Sciosci e Scialla verso il limite orientale 
delle Alpi albanesi, fin presso le città di Prizrend, 
Giacova e Ipek, a destra del Drin, le tribù Mer- 
turiy Tasciy Nicai, Crasniky Tropoja, Gasai, Biluci, 
Hassi, Berisk, Bugovaj ecc., e su alcuni pendii dello 
Sciar-Dagh la tribù Luma o Ljuma. 

Appartengono al Vilajet di Monastir tre altre 
tribù gheghe degne di menzione : Matija nella valle 
superiore del Mati, Luria tra la Mirdizia e il Drin 
nero, Dibra sulle due rive del Drin nero e spe- 
cialmente sulla riva destra. 



-36- 

Accennai già nel primo capitolo alle piccole 
tribù gheghe, oggi soggette al Montenegro. 

L'orìgine e il significato dei nomi di parecchie 
di codeste tribù sono difficili a rintracciare, e cir- 
colano in proposito tra gli Albanesi racconti e 
leggende diverse e contraddittorie. L'idea preva- 
lente è la discendenza da un comune antenato. 
Alcuni nomi di tribù erano infatti un tempo casati 
di famiglia. Moltissimi tuttavia derivano da nomi 
di luogo, altri da epiteti e appellativi; per altri 
poi si è ricorso, in mancanza di meglio, ad un 
eponimo: per es. Hotti da un preteso Hot^ Cle- 
menti da un Qolmendi (Nicola il saggio) o da 
un certo abate Clemente che secondo una curiosa 
tradizione era un veneziano rifugiatosi sui monti 
dell'Albania. Su questa materia peraltro non vale 
la pena d'insistere. Siamo qui, generalmente par- 
lando, nel campo della leggenda più che in quello 
della Storia. 

Città e cantoni dei Gheghi, — Tra il mare da 
una parte e i monti dei Ducadgini, dei Mirditi e 
dei Matija dall'altra, nel Vilajet di Scalari, gisice un 
tratto di paese vicino alla costa, limitato al nord 
dal lago di Scutari e dalla Bojana, al sud dallo 
Shcumbi, che è abitato da Gheghi i quali non si 
raggruppano in vere e proprie tribù, ma costitui- 
rono dei centri di popolazione che dir si possono 
grandi, se si paragonano ai villaggi abitati dalle 
tribù montanare. Tali sono coi rispettivi territori 
o distretti le maggiori città di Scutari e di Tirana, 
e le città minori, cui meglio converrebbe il nome 
di grossi villaggi, di Alessio o Lesh, Cavaja, Croja 
o Cruja, Prezija, Ishmì, Durazzo, Pekinje, 



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— 37 - 

Dopo le tribù e le città vengono in 6 ne i Canloni, 
che comprendono un numero maggiore o minore 
di piccoli villaggi, e non formano quella unità 
organica che è propria delle tribù, nò presentano 
quel complesso di tradizioni, di costumanze e di 
diritti che delle tribù sono propri. Si tratta di 
unità o circoscrizioni Semplicemente locali, costi- 
tuite dagli abitanti d*una vallata, d*un altipiano, 
d'una pianura, con naturali frontiere più o meno 
nettamente delineate. Tali sono, ad esempio, nel 
Vilajet dì Scutari, i cantoni Anamalijt, cioè la pia- 
nura che si distende sulla riva destra della Bojana 
verso il lago di Scutari, Bregti-Bunes a sinistra 
della Bojana, Bregu-Drinit a destra del basso Drin, 
Zadrima o Sappa sulla sinistra del Drin fino ad 
Alessio, e qualche altro. 

Dal Vilajei di Scutari passando a quello di Cos- 
sovo sono da notare le città e relativi territori o 
distretti di Teiovo, Prizrend^ Giacova, Ipek nell'Al- 
bania geografica, Uscub o Scopia, Mitrovitsa, Prishtina 
e Ghilane nella etnografica, e i cantoni Podrtma, 
sulla riva sinistra del Drin bianco, Drenila, cioè la 
collina. tra la pianura di Metoja presso Ipek e la 
pianura di Cossovo presso Prishtina, e qualche altro. 

Infme nel Vilajet di Monastir, senza uscire dal 
territorio dei Gheghi, s'incontrano le città e i re- 
lativi distretti di Dibra (alta e bassa) j Ocrida, Elbassan 
(Alta Albania geografica), Monastir, FriUp, Crcevo o 
Crescevo (Alta Albania etnografica), nonché il can- 
tone Cermenica a oriente di Elbassan. 

Taluni attribuiscono a tutte queste città e can- 
toni dei Gheghi nell'Albania geografica ed etno- 
grafica il nome di triHi del piano. 



- 38- 

Tribù, città e cantoni dei Toski. — Anche i Toski 
si suddividono in tribù, cui meglio converrebbe 
per la loro costituzione il solo nome di cantoni, 
delle quali le più notevoli sono : i Tosk o Toski 
propriamente detti tra lo Shcumbi e la Vojussa ed 
anche sulla sinistra di questo fiume ; i Liab o 
Ljapi, chiamati anche, ma impropriamente. Lapidi 
o Japidi, neir Acroceraunia e tra il corso medio 
della Vojussa e il mare fino a Delvino e al fiume 
Pavia, coi principali centri nelle città e territori 
di Delvino e Berat (Ljapuria); i Chimarioti nella 
regione dei monti Chimara; gli Sciamidi o dami 
(Ciam) tra il Pavia e il Mavropotamo, coi princi- 
pali centri a Paramitia, Margariti e Filiates (da" 
muria o Sciamuria); e gli abitanti del Lamariy 
distretto di Prevesa. È assai verosimile che i dami 
abbiano tratto il proprio nome dal Thyamis (l'o- 
dierno Calamas). 

Anche ^nella bassa Albania ci sono poi città più 
o meno importanti e veri e propri cantoni: cioè, 
nel Vilajet di Janina, la città e i grossi villaggi, 
coi relativi distretti, di Berat, Valona, Premet, 
Conitsa, Delvino, Argirocastro, Filiates, Paramitia, 
Margariti, Filippiades, Parga, Prevesa e Janina, e i 
cantoni Musachia tra i corsi inferiori dello Shcumbi 
e della Vo)ussa, Colonia alle sorgenti del Ljumi 
Beratit, Chimara sul pendio occidentale del Monte 
Cica, Pogoniani a sinistra della Vojussa e alle sor- 
genti del Orino e del Calamas, Zagori al nord di 
Janina e alle sorgenti della Vojussa e delfArta 
tra i monti Micicheli e il Pindo, SuU tra Janina e 
Parga, e qualche altro : nel Vilajet di Monastir le 
città e distretti di Ghiortsa (Coritsa o Corda) al sud 



- 39 - 

del lago Malik (bassa Albania geografica) e Ca- 
storia sul lago dello stesso nome (bassa Albania 
etnografica), e i cantoni Sopat al sud di Elbassan 
tra i fiumi Shcumbi e Devol, Mocra al sud del 
lago di Ocrìda, Devol alFest di Coritsa e alle sor- 
genti del fiume omonimo, e Opara all'ovest di 
Coritsa sulla sinistra riva del Devol. 

/ Greco<ilbanesi. — Debbo per altro affrettarmi a 
notare, che più si scende verso il sud e più il dialetto 
albanese dei Toski cede il campo alla lingua greca, 
specialmente al sud di Argirocastro, Conitsa, Ja- 
nina, Prevesa ed Arta, che oggi appartiene alla 
Grecia, sembrano città elleniche. L'albanese non è 
quivi parlato, quando è parlato, che fra le pareti 
domestiche. Questi albanesi delle tribùt toske, che 
parlano albanese e greco, si chiamano pure greco- 
albanesi. Per essere anche più chiaro dirò che Tuso 
dell'idioma ellenico domina in tutta quella parte 
della bassa Albania di qua dal Pindo e al nord 
del golfo di Arta, che ha per centri principali 
Prevesa, Arta, Janina e Coritsa, e trovasi unito 
all'uso dell'idioma albanese nel cantone di Chimara, 
nella regione che ha per centro Premet e in tutto 
il paese a oriente del mare Jonio, che ha per 
principali centri Delvino, Filiates, Paramitia e Mar- 
gariti. 

Prettamente albanese è per altro la lingua della 
costa dal Capo Linguetta fino al villaggio di Ca- 
stro-Sikia (Fortezza del Fico), vicino a Prevesa, e 
i puri albanesi costituiscono pur sempre i due 
terzi della popolazione dell'Epiro e primeggiano 
per censo e per posizione sociale. 

Serbia Bulgari e Turchi. ^— C'è poi da notare 



— 40 — 

che un grosso distretto popolato da Serbi si stende 
da Ipck a Prizrend ; che nella stessa Prizrend vivo- 
no serbi e albanesi, quantunque con prevalenza di 
questi ultimi; che un distretto, ma assai più pic- 
colo, di Serbi s'incontra fra la Vojussa e il Semc- 
ni ; che a Ocrida appaiono i Bulgari e costituiscono 
un'isoletta di lingua bulgara fra i due laghi di Ocri* 
da e di Presba ; che altri bulgari s'incontrano nel 
paese dei Dibra lungo il Drin nero. I Turchi sono 
piuttosto numerosi a Monastir, e ve n ha pure a 
Uscub, a Prizzend, a Scutari ed in Elbassan. 

Gli Zinzari, — Una speciale menzione meritano 
in Albania dal punto di vista etnografico gli Zm" 
zari o Tzinzarij o Valacki o greco-valachi, che 
parlano una lingua affine al rumeno, quantunque 
coi rumeni non s'intendano, e spesso anche greco, 
e sono assai numerosi cosi dentro in confini del- 
TÀlbania geografica come dentro quelli della et- 
nografica, vale a dire sulle pendici del Grammbs 
e del Pindo fino a Castorià e nella piccola città 
di Cruscevo a 7 ore da Prilip verso Dibra, e s'in- 
contrano anche a Uscub, a Còprùlù, a Prizrend,' a 
Scutari, ad Alessio, nonché in parecchie isole 
linguistiche tra il lago di Ocrida e il mare, spe- 
cialmente a Elbassan, Pekinje e Durazzo. Altro 
centro importantissimo di questi Valachi è la po- 
liglotta Monastir. Essi non vanno confusi con gli 
Zingari^ di cui v'ha qualche piccola tribù errante 
anche in Albania. Il loro nome di Zinzari deriva, 
secondo una tradizione rumena, dal latino Quirt' 
quarii o Quintarii^ cioè soldati della V legione, 
ed essi vengono così riconnessi alle colonie di 
veterani romani che l'imperatore Trajano collocò 



— 41 - 

nella Dacia e che diedero origine alla liagua ru- 
mena o moldo-valaca, che è lingua neolatina. 
Altri oggi sostengono che questa lingua di tipo 
neo-latino, dominante in parecchi punti della pe- 
nisola balcanica fuori della Rumenia propriamente 
detta, e parlata persino nel centro dell' Istria da 
popolazioni montane, sia Tavanzo e l'indizio del 
largo dominio che la lingua latina aveva acqui* 
stato nella detta penisola ai tempi del dominio 
romano. 

Con denominazione di origine greca i valachi 
del Pindo e di Monastir sono anche chiamati 
Kulzo-Valachi o Valachi zoppi^ che è come dire 
falsi valachi. Esiste infine fra i Valachi dell'Epiro 
una popolazione speciale di circa 20 o 25,000 in- 
dividui che si chiama degli Arhanito-Vlaki {Valachi 
albanesi)^ forse perchè parlano Tidioma albanese e 
il valaco, e fra loro di preferenza l'albanese. 

In conclusione, isole elleniche al sud, bulgare e 
valache a oriente e al centro, serbe al settentrione, 
limitano l'elemento albanese entro gli stessi con- 
fini dell'Albania geografica, ma senza nulla togliere 
alla sua compattezza. 

La grande Albania, — Dal canto suo l'elemento 
albanese si estende, come più volte si è visto, 
anche oltre i confini di codesta Albania, in conti- 
nuità coi territori che le appartengono, formando 
così insieme all'Albania geografica, quella che ab- 
biamo chiamata la grande Albania o Albania etnch 
grafica. Riassumiamo a questo proposito ciò che 
in gran parte abbiamo di già accennato. 

Vanno compresi anzitutto in questa grande Al- 
bania le citte o villaggi che dir si voglia e i ter- 



- 42 - 

ritori montenegrini di Dulcigno e di Antivari lungo 
TAdriatico, le città o villaggi e i territori di Podgo- 
ritsa, Spug' e Giabliak, e i territori delle tribù 
albanesi dei Cuci e dei Triepshi, accanto alle 
tribù maljsore deirAlbania. Dacché Podgoritsa, 
Antivari e Dulcigno per il trattato di Berlino del 
1878 appartengono al Montenegro, molti albanesi 
musulmani le hanno abbandonate cedendo il campo 
all'elemento serbo -montenegrino; ma v'è tuttavia 
in questi luoghi una notevole rappresentanza del- 
Telemento albanese. 

Appartengono inoltre alla grande Albania l'an- 
tica Rascia ed altre parti della vecchia Serbia, 
giacché Telemento albanese è rappresentato nella 
Rascia da nuclei notevoli sino a Novi-bazar e anche 
più oltre a nord-ovest, è numeroso nel piano di 
Cossovo^ circonda le isole di lingua serba di Mi- 
tropica o Mitrovitsa e Prishtina in territorio turco, 
e popola una buona parte del bacino superiore 
della Morava detta di Bulgaria fin sopra Curshumlje 
e Procoplje, entro i confini del regno di Serbia. 

Appartengono alla grande Albania anche alcuni 
distretti della Rumelìa e della Macedonia, perché 
nella valle superiore del Vardar, a Calcandele o Te- 
toro, a Còprùlù o Valesa, attorno ad Uscub, popolata 
prevalentemente da serbi e anche, da turchi, vivono 
non pochi albanesi ; perché gruppi albanesi sono 
insediali al nord e ali* est di Uscub nei dintorni 
di Cumanovo e Caratova in continuità coi gruppi 
albanesi della vecchia Serbia; perché ci sono al- 
banesi di là dal Grammos nel bacino del lago di 
Castorio e nella valle superiore della Vistritsa; 
perché infine, quando ci si dirige verso Monastir, 



- 43 - 

oltrepassata risola di lingua bulgara Ocrida-Presba, 
s*incontrano, prima di giungervi, altri albanesi, i 
quali oltracciò, a mezzogiorno di Monastir (popo- 
lata da serbi, bulgari, albanesi, turchi e valachi) e 
più ancora a settentrione di essa fino a Prilip^ 
formano nuclei veramente compatti e affermano 
tuttora colla propria presenza il loro vecchio di- 
ritto a considerarsi come indigeni della Macedonia. 
È in forza di questo diritto d'indigenato, che i pa- 
trioti albanesi comprendono nella grande Albania 
la Macedonia intera, quantunque in essa si noti 
pure l'incontestabile presenza delle lingue bulgara, 
serba, turca e greca, e della intera Tessaglia, quan- 
tunque in essa non si parli che greco. È indubi- 
tato del resto che nomi locali di origine albanese 
s*incontrano in paesi oggi abitati esclusivamente 
da serbi, da bulgari e da greci. 

Assai degne di considerazione sono altresì le 
colonie di Albanesi, lungi dalla madre patria. 
Le più importanti si trovano in Grecia ed in 
Italia. 

Gli Albanesi della Grecia. — Esistono colonie 
albanesi nella Locride, in Beozia vicino a Tebe, 
nell'Attica e fin presso l'acropoli d'Atene. Colonie 
albanesi costituiscono l'intera popolazione della 
parte settentrionale di Andros e dell' Eubea me- 
ridionale (Negroponte), nonché delle isole di Spetzia 
e d'Hydra al sud della Morea tra i golfi di Egina 
e di Nauplia. Ne esistono nella Megaride. Pre- 
dominano sulla popolazione greca nell' isola di 
Salamis (golfo di Egina) e nell'isola di Paros 
(Cicladi). Formano (nella Morea o Peloponneso) 
la massa principale degli abitanti dell' ArgoUde, 



— 44 — 

della Corinzia e delia Sicionia. Se ne incontrano 
nell'Arcadia, nella Laconia, nella Messenia e nel- 
TElide. In altre parole gli albanesi costituiscono 
circa una settima parte della popolazione di tutta 
la Grecia, tantoché voglionsi da molti considerare 
come indigeni ossia abitanti di quei luoghi fin dai 
tempi antichi quali tribù illiriche. Per altro questi 
albanesi della Grecia sono oggi tutti più o meno 
ellenizzati. In massima parte cioè essi parlano greco, 
o per lo meno greco e albanese. Relativamente 
pochi son quelli che parlano albanese soltanto. 

Gli Albanesi d* Italia. — In Italia le colonie al- 
banesi, che non risalgono più indietro del se- 
colo XV, formano gruppi di piccoli villaggi nelle 
Calabrie, nelle Puglie, nella Basilicata, nella Ca- 
pitanata, nei Principati, nella provincia di Te- 
ramo (Abruzzo) e in Sicilia. In Italia la lingua 
albanese si conserva nel popolo ignorante meglio 
che fra la gente colta, ed è la lingua esclusivamente 
parlata tra le pareti domestiche. E difficile, tut- 
tavia, in quei villaggi trovare oggi un albanese, 
che parli la propria lingua soltanto e non conosca 
pure il dialetto italiano circostante o la lingua 
italiana, mentre venti o venticinque anni fa non 
vi si parlava che l'albanese. 

Tanto gli albanesi della Grecia, quanto quelli 
dell'Italia cooperarono al risorgimento ed alla in- 
dipendenza delle due nazioni che li ospitano : quelli 
anche più di questi, com'era naturale, data la im- 
portanza numerica proporzionale incomparabilmente 
maggiore della popolazione albanese che dimora 
in Grecia di fronte a quella che vive in Italia. 
All'incontro gli albanesi d'Italia raggiunsero un 



— 45 — 

grado di coltura ben più elevato che non i loro 
fratelli di Grecia e d'Albania» contribuirono co- 
stantemente a illustrare la storia e la lingua della 
propria patria d'origine, e quel che è più, note- 
volmente contribuiscono tuttora a formare e tener 
desto con lavori letterari il sentimento nazionale 
albanese e a rinsaldare e ribadire i secolari vin- 
coli di amicizia e di simpatia, che legano il popolo 
Shkipetaro all'Italia. 

Altre colonie albanesi. — Qualche altro nucleo di 
albanesi esiste m Dalmazia {Borgo Erizzo presso 
Zara) e a Fiume, in Croazia {Mitrovic^ con due 
piccole propagini della tribù dei Clementi), nella 
Bosnia, in Bulgaria, in parecchi punti della Turchia 
europea oltre i già ricordati (per es. a Salonicco) 
ed in Egitto, dove nel secolo XIX gli albanesi fu- 
rono attratti in buon numero dalla dinastia di ori- 
gine albanese dei Khedive (sovrani) quivi oggi re- 
gnanti, e specialmente dal fondatore della dinastia 
Mehemet Ali e dal suo nepote Ismail-pascià. Molti 
albanesi vivono pure in Rumenia, specialmente a 
Bukarest, e gareggiano con quelli d'Italia per la 
devozione all'idea nazionale. 

Meritano due parole anche i villaggi greco-alba- 
nesi del Bosforo: Arnaut^Keui sulla costa d'Europa 
a kil. 7 1/2 dal porto di Costantinopoli, e Arnaut- 
Keui sulla costa d'Asia a io kil. da Beicos. Questi 
ed altri villaggi di Arnauti o Shkipetari in Turchia 
e nell'Asia Minore sono dovuti a concessioni di 
terre fatte dal governo ottomano ai veterani ar- 
nauti dopo un lungo e lodevole servizio militare. 
A tutti nota è poi l'importanza che oggi hanno 
gli albanesi a Costantinopoli, nell'esercito special- 



— 46 — - 

mente, nei pubblici uffici e nella corte del Sultano. 
La guardia personale del Gran Signore è composta 
di albanesi, che soli hanno il diritto di portare il 
turbante verde. Le ragioni di questo attaccamento 
degli abitanti dell'Albania al governo turco, e della 
fiducia che il Sultano ripone in essi, risulteranno 
evidenti dalla recente storia della Skèpèria e ap- 
pariranno, quali sono, una logica conseguenza del 
ridestato sentimento nazionale degli Shkipetari. 



Capitolo IV. 

Popolazione dell'Albania. Statistica. 
Il costume albanese. 

Dati statistici generali, — Il numero di tutti gli 
albanesi viventi nella Grande Albania^ su di una su- 
perficie di oltre 25,000 chilometri quadrati, senza 
calcolare quelli che hanno perduto Tuso del proprio 
idioma, si fa ascendere generalmente a 1,300,000 
anime, di cui 1,100,000 in quella che abbiamo 
chiamata Piccola Albania, A tutto il territorio della 
piccola e- della grande Albania unite insieme, senza 
distinzione di lingue e di stirpi, si possono asse* 
gnare 2,000,000 di abitanti. Mancano per altro sta- 
tistiche precise e sicure, giacché in Turchia, e più 
specialmente in Albania, un vero e proprio censi- 
mento non si è mai fatto finora. Oltracciò si pos- 
sono contare 50,000 albanesi a Costantinopoli, in 
altri punti della Turchìa europea ed asiatica, nel- 
l'esercito turco e nella guardia albanese del Sul- 
tano ; 1 5,000 nel principato del Montenegro ; 280,000 



- 47 - 

nella Grecia (v' ha chi esagera questa cifra) ; circa 
50,000 in Italia, secondo il prof. Leopoldo PuUèi 
nella Terra del Marinelli, Voi. IV, Gap. XI, pag. 508 
(200,000 secondo gli scrittori italo-albanesi); non 
meno di 30,000 sparsi qua e là in altri Stati : in 
tutto 1,750,000 all*incirca (2,000,000 secondo altri 
computi un po' esagerati, 1,500,000 secondo altri 
calcoli men favorevoli airelemento albanese). — 
Abitano inoltre nell'Albania etnografica 140,000 
Valachi, 150,000 Greci e 400,000 slavi (bulgari e 
serbi) in cifra tonda, nonché poche migliaia di 
turchi e di ebrei; e si forma così con 1,300,000 
albanesi la popolazione di 2,000,000 sopra accen- 
nata per la Grande Albania, 

Popolazione delle tribù, — Le tribù più numerose 
neirAlta Albania sono quelle dei Dibra e dei Mirditi, 
Pei Dibra le cifre sono molto incerte. Ai Mirditi 
chi assegna 32,000, chi sole 20,000 anime. Ven- 
gono poi le tribù di Palati con gli Scialla e gli 
Sciosci (11,000), dei Ducadgini (11,000), dei Matija 
(10,000), dei Gis/ra/» (10,000), degli Motti (9500), dei 
Clementi (9000), degli Screli (9000), di Coplik 
(8000), di Gruda (5000). Tutte le minori tribù 
montanare dell'Alta Albania messe insieme non 
superano le 20,000 anime. Ci sono tribù, che non 
raggiungono il migliaio di persone, come ad esem- 
pio i Busahuit, 

Popolazione delle città, — Per il resto dell'Albania 
geografica accennerò soltanto ai principali centri 
di popolazione delle tribù del piano nell'alta e 
delle tribù toske nella bassa Albania, dappoiché co- 
deste tribù non costituiscono unità distinte e quasi 
autonome, come le tribù gheghe delle montagne. Si 



- 48 - 

noti inoltre che taluni di codesti centri di popola- 
zione non sono, come già sappiamo, abitati da soli 
albanesi. 

Nel Vilajet o provincia di Cossovo (Alta Albania 
nord-orientale) : Ipek o Pechia tra le Alpi albanesi 
e la vasta pianura del Drin bianco non lontano 
dalle sorgenti di questo fiume e a 39 chilometri 
dal lago di Piava (sede di un mutessarrif turco, 
ossia capoluogo del Sangiaccato di Ipek: abitanti 
i5,Qoo); Giacova o Jacova al sud di Ipek (abitanti 
12,000); Prìzren, Prizrend o Prizrendiy al sud-est 
di Giacova, sulla Bistritsa affluente del Drin bianco, 
ai piedi di un monte su cui sorge Tantica citta- 
della (sede di un mutessarrif: abitanti 30,000) ; 
Tetovo sur un contrafforte dello Sciar-Dagh, a 12 
ore da Prizren (abitanti 8000). 

Nel Vtlajet di Monastir (Alta Albania sud-orien- 
tale) : Dibra presso il Drin nero (sede di un mutes- 
sarrif: abitanti 15,000); Ocrida sulla riva orientale 
del lago dello stesso nome (abitanti 15,000); /?/* 
bassan sulla riva destra dello Shcumbi (sede di un 
mutessarrif. Abitanti 8000). Nello stesso Viia^et di 
Monastir, ma nella bassa Albania orientale : Coritsa, 
Ghiortsa o Corcia^ al sud del lago Malik (sede di 
un mutessarrif: abitanti 10,000). 

Nel Vilajet di Scutari (Alta Albania nord-occi- 
dentale) : Scutari sul lago dello stesso nome, tra il 
lago, la Drinazza e il torrente Kiri, con una vec- 
chia cittadella sulla collina (sede del Vali o Gover- 
natore : abitanti 35,000), e da Scutari in giù, Croja 
o Cruja sopra un*altura con un'antica cittadella di- 
roccata (abitanti 6000) ; Tirana^ sorta nel secolo xvii 
in una pianura interna della media Albania a de- 



- 49 - 

stra deirArzen (abitanti 12,000); Durazzo sul mare 
all'ovest di Tirana (sede di un mutessarrìf: abi- 
tanti 3000); Cavaja a sud-est di Durazzo presso il 
mare (abitanti 5000). 

Nel Vilajet di Janina (bassa Albania) : Berai sulle 
due rive dell'Erghent, con un ponte dì pietra e 
un'antica e forte cittadella, dai Bulgari e dai Turchi 
chiamata Belgrado d Albania (sede di un mutessar- 
rìf: abitanti 15,000); Valona o Avlona a mezz'ora 
dalla costa con un ottimo porto (abitanti 5000); 
Erghen o Argirocastro non molto lungi dal mare 
sulla sinistra del Orino affluente della Vojussa 
(sede di un mutessarrìf : abitanti 1 2,000) ; Tepelen. 
Premei e Conitsa, piccole città nella valle della 
Vojussa; Delvino al sud di Argirocastro presso' alla 
rada e scalo di Santi Quaranta (abitanti 7000); 
Filiates nella valle del Calamas a breve distanza 
dallo scalo di Sajada ; Janina sul lago dello stesso 
nome tra un gruppo di colline e il lago (sede del 
Vali.: abitanti 22,000); Parga sul mare (abitanti 
2000); Margariti e Paramitia^ borghi di 3000 abi- 
tanti fra Parga e il cantone di Suli ; Prevesa sul 
mare (sede di un mutessarrif ; abitanti 8000), Filip- 
piades fondata di qua dal fiume Arta da profughi 
di Arta dopo la cessione di questa città alla Grecia 
(abitanti 5000). 

In complesso, per l'Albania geografica, si possono 
assegnare 500,000 abitanti all'alta e 600,000 alla 
bassa Albania. 

Sono inoltre centri notevoli di popolazione, sem- 
pre di nazionalità mista, dentro i più larghi con- 
fini dell'Albania etnografica, nel Sangiaccato di 
Novibazar, Novibazar Jenibazar al conQuente della 

4 



— 50 — 

Jesinitsa e della Rashca affluenti deiribar: nel 
Vilajet di Cosso vo, Mttrovitsa al confluente della 
Sitnitsa coiribar, Prishtina al sud-est di Mitrovitsa 
(sede di un mutessamf : abitanti 21,000); Ghilane^ 
piccola città con 6000 abitanti presso il confine 
serbo e capoluogo del distretto, ove si rifugiarono 
gli albanesi di Nishy Lescovatz e Vranja dopo la 
cessione di quei territorii alla Serbia pel trattato 
di Berlino ; Uscub o Scopia^ sulle due rive del Var- 
dar tributario del mare Egeo (residenza del Vali 
di Cosso vo : abitanti 35,000) : nel Vilajet di Mo- 
nastir, Monastir o Biiolia a nord-est del monte 
Peristeri sulle due rive del ruscello Dragar (sede 
del Vali : abitanti 50,000) ; Prilip (abitanti 6000) 
snWi. via tra Monastir e Uscub ; Cruscevo a ponente 
di Prilip (abitanti 8000) ; Castorià o Casrieh sul lago 
dello stesso nome (abitanti 8ooo). 

Appartiene alla Grecia Arta sul fiume Arta (abi- 
tanti 8000). Appartengono al Montenegro Podgo- 
ritsa (abitanti 4000), Dulcigno (3000), Antivari {i$oo\ 
Spug o Spuz (1000) GiahKak o Jabliak (looo). 

Caratteri antropologici degli Albanesi in gene- 
rale. — Accennai già ai caratteri antropologici, che 
distinguono i Gheghi dai Toski. Caratteri general- 
mente comuni ad ambedue le stirpi sono il collo 
lungo, il petto largo e forte, il corpo asciutto e 
nervoso. Hanno occhi non grandi, sguardo fisso 
e diritto, sopraccigli brevi, fronte piatta, naso 
affilato. D*una singolare agilità di membra e pie- 
ghevolezza di muscoli, ostentano tuttavia nel por- 
tamento, specialmente i Gheghi, un non so che 
di teatrale, come gli atleti. In questo portamento 
quasi potrebbe dirsi che si rivela l'orgoglio na* 



— se- 
zionale, come nelle parole e nei gesti. Le donne 
sono degne degli uomini. 

// costume albanese, — A questo insieme di bei 
caratteri fisici dà grande rilievo il magnifico cO' 
stume albanese, adottato anche dai greci e perciò 
detto impropriamente costume greco, col giusta- 
cuore scintillante di ricami d*oro e di seta multi- 
colore, colle tnaniche svolazzanti e colla fustanella 
o gonnella bianca (phistan) dalle pieghe innumere- 
voli, stretta ai fianchi da una rossa cintura. Questa 
cintura porta attaccato sul davanti una specie di 
astuccio di pelle ricamato in oro, che si chiama 
siiakì dal nome turco silah (arme), perchè in esso 
r Albanese colloca le sue armi: pistole, pugnali, 
jatagan, insomma un vero arsenale. Gli Shkipetari 
si radono abitualmente la testa lasciando sopra 
la fronte un lungo ciufiò di capelli, e non con- 
servano della barba che i baffi. Una propria 
foggia di vestire hanno i Mirditi. Indossano 
infatti una zimarra di lana bianca, aperta da- 
vanti, e portano sulle spalle una specie di man- 
tello nero con cappuccio quadrato, pure di lana. 
Larghi calzoni che arrivano appena al malleolo, 
grosse calze di lana e sandali ai piedi, in capo 
un casco o calotta di feltro, attorno alla vita una 
fusciacca di pelle nera, nella quale si veggono 
artisticamente inserti e disposti pugnali, pistole e 
jatagan, e ad armacollo Tinseparabile Martina (fu- 
cile Martini moderno) completano il singolare ab- 
bigliamento. Anche altre tribù montanare usano il 
mantello néro, che, secondo la tradizione, fu dai 
cristiani albanesi adottato in segno di lutto per la 
morte di Giorgio Scanderbeg. Le donne portano 



- 52 - 

la zimarra, i calzoni con ricami, la gonnella e il 
grembiule. Merita altresì di essere notato un ori- 
ginale abbigliamento delle donne scutarine catto- 
liche: un ampio mantello di panno rosso con 
pellegrina quadra, destinata a coprire, rialzandola 
sul capo, il talman (diadema). Le musulmane, rigo- 
rosamente velate, in modo da non lasciare scor* 
gere che gli occhi, come esige il costume turco, 
si ravvolgono in una specie di dominò di seta, 
nero o a colori. 

Giova aggiungere che il costume di andare ar- 
mati appartiene più specialmente agli Albanesi 
delle montagne. Le fogge occidentali vanno anche 
diffondendosi, com*è naturale, tra gli Albanesi, 
particolarmente nelle città. Diffusissimo è l'uso del 
fez. 



Capitolo V. 

Religioni dominanti nell'Albania - Istruzione. 
Scuole confessionali e nazionali. 

Religioni. — La popolazione dell'Albania appar- 
tiene a tre diverse confessioni religiose : la maomet- 
tana, la cristiana cattolica, e la cristiana ortodossa 
o greca-scismatica, come dicono i cattolici. La cat- 
tolica è delle tre la più antica in Albania. La greca- 
scismatica vi si diffuse ai tempi della dominazione 
bizantina in seguito allo scisma d'Oriente (sec. xi) 
e per infiltrazioni serbe, bulgare, valache e greche 
nella nazione albanese. La maomettana cominciò 
a diffondersi specialmente fra i signori albanesi 



— S3 — 

(beg o bey) ed i loro aderenti fin dai tempi della 
conquista turca (sec. xv), come unico mezzo per 
sfuggire alla prepotenza e alle spoliazioni degli 
invasori. Nella bassa Albania molto contribuì alia 
difihsione dell'islamismo, tra la fine del xviii e il 
principio del xix secolo, Ali di Tepelen pascià di 
Janina. 

Nell'alta Albania, tra le tribù gheghe delle mon- 
tagne a sinistra del Drin e in alcuni tratti del lit- 
torale da Dulcigno a Valona prevale la religione 
cattolica, segue la maomettana, viene ultima a 
grande distanza l'ortodossa; fra le tribù del piano 
e tra quelle che dimorano lungo il Drin bianco e 
il Drin nero e sulla destra del Drin, la religione 
maomettana è in notevole prevalenza sulla catto- 
lica, e l'ortodossa viene ultima parimenti con poche 
migliaia di seguaci. 

Nella bassa Albania all'incontro è in assoluta 
prevalenza la religione maomettana; segue la or- 
todossa, e la prima sta alla seconda come tre a 
due. Di cattolici indigeni nella bassa Albania non 
ve ne sono. Il cattolicismo non vi è rappresentato 
che da stranieri, e in tutto il vilayet di Janina 
dessi non arrivano a 400 persone. 

Per scendere a qualche particolare aggiungerò 
che secondo alcune statistiche, in verità tutt' altro 
che sicure e precise, nella piccola Albania i cat- 
tolici non sarebbero più di 1 10,000, i maomettani 
1,100,000; e a questo proposito giova osservare, 
che sono interamente cattolici i Mirditi; che pre- 
valgono di gran lunga i cattolici tra le tribù Moti, 
Clementi, Screli, Castrati, Pulati, Scialla, Sciosci e 
in qualche altra di minor conto; che si equi- 



- 54 - 

librano quasi cattolici e musulmani nelle tribù dei 
Ducadgini e Posripa (con lieve prevalenza dei cat- 
tolici) e nelle tribù Cruda, Rioli, Coplik e Matija 
(con lieve prevalenza dei musulmani); che final- 
mente sono molti i cattolici nel cantone della Za- 
drima e nella piccola città di Alessio e suo terri- 
torio. In tutto il rimanente delFalta Albania il 
numero dei cattolici è molto scarso. 

Quasi tutti i Toski non ellenizzati sono musul- 
mani e popolano specialmente TAcroceraunia, e i 
distretti di Berat, Tepelen, i\rgirocastro e Delvino. 
I Toski ellenizzati, circa 150,000, sono quasi tutti 
ortodossi. 

I maomettani delle città dell* Alta Albania sono 
credenti fanatici. Vivono invece fra loro in buona 
armonia, persino nella stessa casa, e stringono 
anche fra loro parentadi e matrimoni i cattolici e 
i musulmani delle tribù maljsore. Non sono cre- 
denti fanatici neppure i maomettani della bassa 
Albania e accade di sentirli giurare così per la 
Panaghia (la Vergine) come per il Profeta. 

Di ebrei ve n*ha soltanto nella bassa Albania 
fin dai tempi in cui Filippo II cacciò gli israeliti 
dalla Spagna. I valachi seguono tutti indistinta- 
mente la religione greca. 

Fuori dell* Albania geografica prevalgono di gran 
lunga gli albanesi maomettani nella Bosnia e nella 
vecchia Serbia, a Prishtina, a Uscub, a Monastir 
e nel resto della Turchia, gli ortodossi a Ca- 
storio. 

Per gli albanesi cattolici d*Italia e scismatici della 
Crecia valgono le cifre già accennate per la po- 
polazione albanese in quei due Stati, di albanesi 



- ss - • 

dltalia appartengono per altro, in massima parte, 
al rito greco-unito. 

Diocesi arcivescovili e vescovili delP Albania catto- 
lica» — L'Albania cattolica ha tre diocesi arcivescovili 
e tre vescovili. Le arcivescovili sono : Uscub o Scopia 
con sede a Prìzrend e 8 parrocchie, Scutari con 20 
parrocchie, Durazzo con sede a Derbinisti e 78 par- 
rocchie ; le vescovili sono : Zadrima o Sappa con 20 
parrocchie e sede a Nensciati, Alessio con sede a 
Calmeli e io parrocchie, Pulati con 9 parrocchie, 
più l'abbazia di Orosh con l'abate mitrato, che 
i Mirditi riconoscono come loro capo spirituale. 
L'abbazia di Orosh conta io parrocchie. È sede ar- 
civescovile, con IO parrocchie, anche Antivari (Mon- 
tenegro). Un culto speciale professano gli albanesi 
cattolici per S. Nicola vescovo di Bari, e non c'è 
diocesi albanese, che non abbia una parrocchia 
dedicata a questo santo. 

Vescovi ortodossi. — Risiedono vescovi ortodossi 
a Ocrida, Durazzo, Argirocastro, Berat, Janina, 
Paramitia, Conitsa e Prevesa. 

I valachi non hanno né vescovo né clero pro- 
prio, ma ecclesiasticamente dipendono dalle dio- 
cesi ortodosse sopra citate, ed è appunto per 
questo che furono facilmente ellenizzati. Circa venti 
anni or sono un valaco del villaggio di Ardela 
(distretto di Samarìna, vilayet di Monastir), di nome 
Apostolo Margariti, iniziò un'attiva propaganda per 
svincolare i valachi dal clero greco e creare un 
clero valaco con propri vescovi. Furono anche 
tentate delle pratiche a questo fine presso il Sul- 
tano : pratiche costantemente avversate dal Patriar- 
cato greco. 



- 56- 

Moschee. — Ogni centro notevole di popolazione 
musulmana ha inoltre le sue moschee, e in mo- 
schee furono dai turchi trasformate molte chiese 
cristiane. Nella sola Prizrend se ne contano ven- 
tiquattro. Di molte altre chiese cristiane oggi non 
esistono che le rovine in parecchi punti delFalta 
e della bassa Albania. 

Conventi, — Qualche convento cristiano più o 
meno antico s'incontra pure in alcune città albanesi. 
Famoso tra gli altri il convento di S. Francesco 
in Alessio, che la tradizione dice fondato dal po- 
verello d'Assisi in persona. Monastir deve il suo 
nome al convento Moncisitr Bucova, che sorge a 
un* ora di di stanza dalla città. Più non esistono 
che poche rovine di una famosa abazia benedet- 
tina, detta di S. Giovanni, che sorgeva presso Scu- 
tari, nella diocesi di Drivasto, tra il torrente Kiri 
e il lago, come risulta da Registri pontifici e da 
documenti veneziani dei secoli XIV e XV. 

Scuole con/esstonali. — Non mancano, dove c'è 
popolazione cristiana, missioni e scuole tenute da 
corporazioni religiose cattoliche e greche. I parroci 
cattolici, i papas greci e i muezzin musulmani sono 
molto frequentemente i maestri dei bambini alba- 
nesi: il clero cattolico è in massima parte indigeno. 
L'insegnamento dei muezzin è ristretto al Corano. 
Del resto i genitori poco si curano di fare istruire 
i propri figliuoli, e la percentuale degli albanesi 
che sanno leggere e scrivere rimane senipre assai 
bassa, specialmente fra i gheghi. 

A Scutari e in genere in tutta l'Albania gode- 
vano una volta grande favore fra la popolazione 
cattolica i soli francescani. Oggi vanno aggiunti ai 



- 57 - 

francescani i gesuiti e le monache stimolatine e 
di Zagabria (Croazia). L'Austria ha la protezione 
del culto in Albania e provvede in gran parte e con 
liberalità alle esigenze di esso. Sussidia inoltre a 
Scutari tre scuole, due maschili rette da gesuiti e 
francescani e. una femminile retta dalle suore slim" 
matincy oltre un asilo, d'infanzia; protegge e sus- 
sidia il seminario di Scutari, tenuto dai Gesuiti. 
Ha fondato due scuole, una maschile e una femmi- 
nile, a Durazzo, una scuola maschile a Tirana, una 
femminile a Ipek, una maschile a Giacova. Altre 
scuole austrache esistono a Scirocca sul lago di 
Scutari, a Trosciana ("Zadrima) e nel paese degli 
Ho ti. Una scuola femminile che verrà affidata a 
suore di carità di Zagabria, si sta costruendo a 
Calmeti, residenza del vescovo di Alessio. L'Au- 
stria ha fondato e mantiene a Scutari un ospedale 
servito da suore di carità di Zagabria e un me- 
dico-chirurgo gratuito pei cattolici poveri. Non 
mancano borse di studio concesse dal governo 
austriaco ai giovani albanesi, che si recano a fre- 
quentare le scuole secondarie e le università della 
Cisleitana. L'Austria protegge altresì la missione 
dei Lazzaristi francesi a Monastir. 

I greci dal canto loro hanno disseminato 
scuole da Elbassan ad Arta, ma più specialmente 
in Epiro, e queste loro scuole dipendono dal 
clero e dai vescovi ortodossi, e sono larga- 
mente sussidiate dal Sillogos di Atene (Società per 
la diffusione della lingua greca). Ha una certa, im- 
portanza il Ginnasio greco di Janina. Le scuole 
greche hanno senza dubbio contribuito a diffon- 
dere fra i Toski una cultura e civiltà alquanto su- 



- 58 - 

periore a quella un po' troppo arretrata dei Gheghi, 
e ai Toski mussulmani, che abbiano raggiunto ufi 
certo grado di cultura, non è difficile aprirsi la 
via ai più alti offici dello Stato, come infatti non 
di rado avviene. Proprie scuole hanno anche i 
valachi, specialmente in Ocrida, a Janina, a Berat 
e in molti villaggi del Pindo, e munifico soste- 
nitore di queste scuole valache è il sopra ricor- 
dato patriota valaco Apostolo Margariti. Vi sono 
inoltre scuole slave a Scutari e nei principali 
centri di popolazione mista serbo-albanese e bul- 
garo-albanese. Vi sono anche scuole turche, ma 
la Turchia spende per esse poche migliaia di lire. 

Scuole italiane, — L*Italia, che ha vecchie tra- 
dizioni di coltura e di diffusione della propria 
lingua in Albania da mantenere e le antiche rela- 
zioni di commercio e di buona vicinanza fra le 
due opposte rive dell* Adriatico da rinnovare, 
mantiene soltanto una scuola tecnico commerciale, 
due scuole elementari (una maschile e una femmi- 
nile) e un giardino d'infanzia a Scutari. Con tutto 
ciò la lingua italiana è sempre, tra le lingue 
straniere, la nieglio conosciuta, specialmente nel- 
Talta Albania, dove si parla da molti italiano. Pa- 
recchie parole italiane penetrarono nel dialetto di 
Scutari ai tempi della dominazione veneta: il che 
per altro non esclude che molti abitatori delle 
montagne albanesi ignorino persino il nome e la 
esistenza deiritalia. 

Scuole nazionali. — Col ridestarsi del sentimento 
nazionale non può essere a meno che gli albanesi 
si persuadano della necessità di scuole nazionali. 
Per ora una scuola nazionale è sorta a Corìtsa 



- 59 - 

ed una a Prìzrend. Solo è a desiderare che molte 
altre scuole simili sorgano tra breve in tutta l'Al- 
bania. Vero è d'altronde che il governo ottomano 
non aveva mai voluto concedere fino ad oggi che 
s'istituissero scuole con insegnamento in lingua 
albanese. 



Capitolo VI. 

Circoscrixionl amministrative - Governo. 
Usi e consoetndini. 

Circoscrizioni amministrative, — Per quanto ri- 
guarda le circoscrizioni amministrative è da notare 
anzitutto, che la Turchia nello stabilire queste 
circoscrizioni, soggette a mutazioni assai frequenti, 
non bada alle frontiere naturali, né segue criteri 
etnografici. In Turchia la provincia o governo (vi- 
lajet) si suddivide in distretti o circoli maggiori 
(sangiaccati o mutessarriflik), che alla loro volta si 
suddividono in distretti o circoli minori (Kazà o 
Kaùnacamlik e Nahie o Miidiriet). A capo di ogni 
villaggio sta poi il cosiddetto Muktar. Nelle città 
ha il suo Muktar ogni quartiere. 

Ciò posto, delle quattro provincie, nelle quali 
l'Albania è compresa, due sole, quelle di Janina e 
di Scutari, sono interamente chiuse entro i confini 
geografici dell'Albania. 

11 governo o provincia (vila)et) di Cossovo com- 
prende i sangiaccati di Ipek, di Prìzrend, dì Novi- 
bazar e di Uscub. Il vilajet di Monastir comprende 
i sangiaccati di Dibra, Elbassan, Monastir e Ser- 



- 6o - 

figiè. Ora, Novibazar, Uscub e Monastir sono fuori 
dei confini geografici della vera e propria Albania, 
quantunque debbano essere compresi entro i suoi 
confini etnografici. Viceversa non appartengono 
nemmeno alfAlbania etnografica pel vilajet di 
Cosso vo buona parte del sangiaccato di Novibazar 
e la metà orientale del sangiaccato di Uscub e 
pel viJajet di Monastir i due terzi del sangiaccato 
di Serfigiè. 

Infine il vilajet di Janina abbraccia i sangiac- 
cati di Berat, Argirocastro, Janina e Prevesa e 
quello di Scutari i sangiaccati di Scutari e Du- 
razzo. 

Governo, — Un vero e proprio governo esiste 
solo nelle città e tribù gheghe del piano e nelle 
città e tribù dei toski senza eccezione, coi rispet- 
tivi distretti e cantoni. Con queste città e tribù e 
rispettivi distrettì e cantoni le Autorità turche, 
cioè il Vali o governatore della provincia, che è 
ordinariamente un Pascià, investito della somma 
dei poteri civili e militari, il Mutessarri/ o prefetto 
del sangiaccato, il Kaimakam o sotto-prefetto del 
Kazà e il Mudir o capo del Mudiriet, trattano 
come con gli altri sudditi dell* Impero ottomano, 
facendo valere possibilmente la legge, ammini- 
strando con una certa regolarità la giustizia e 
riscuotendo regolarmente le tenui imposte, con 
speciali riguardi e particolare propensione, com' è 
naturale, verso l'elemento musulmano. 

Come in tutti i vilajet deirimpero, si riunisce 
sotto la presidenza del Vah il Consiglio o tribu- 
nale pascialicale {Medjlts\ composto dall'Intendente 
di finanza {Maliè-mudtr)^ dal giudice {Cadì)^ dal 



-- 6i - 

prete (Mujìi) e da dieci altri membri, tutti nomi- 
nati dal Vali e scelti di preferenza fra i musul- 
mani. Varie ed estese sono in materia ammini- 
strativa, civile, penale e di polizia le attribuzioni 
dei Consiglio o tribunale pascialicale^ contro le cui 
deliberazioni non è ammesso appello. 

Ai musulmani spetta di diritto e di fatto la pre- 
valenza anch& nei tribunali di commercio (Tidjaret* 
medjlis). 

Soltanto la popolazione musulmana delle sud- 
dette città e tribù e rispettivi distretti e cantoni 
presta il servizio militare tra i soldati regolari 
(nizam) e nella riserva (redi/). La popolazione 
cristiana paga una tassa di esenzione militare, 
detta nizamiè. È da avvertire per altro che il san- 
giaccato dì Scutari è privilegiato (mustesnà) e per 
effetto di tal privilegio i musulmani sono in quel 
sangiaccato esenti dal servizio militare e debbono 
solo prendere le armi in caso di guerra per la 
difesa della frontiera. 1 cattolici poi della città 
pagano il nizamiè^ come nei vilajet non privile- 
giati (tanzimat). 

Fra i toski musulmani sono reclutati in gran 
parte i 600 soldati (askier), che costituiscono la 
Guardia di Palazzo del Sultano. 

La legge della montagna. — Sostanzialmente di- 
verso è il governo delle tribù gheghe montanare, 
che ben possono dirsi, alcune specialmente, quasi 
indipendenti. Esse si governano infatti e si ammi- 
nistrano da sé medesime secondo le loro consue- 
tudini e tradizioni, che chiamano legge della mon- 
tagna e che non è legge scritta e viene attribuita, 
come si vedrà a suo luogo, al famoso capo alba- 
nese Lek Ducadgin. 



- 62 - 

Esiste inoltre a Scutari un tribunale speciale 
detto Gibal, il quale applica nei diversi casi, cosi 
in civile, come in penale, la legge della montagna e, 
assistito dall'Autorità turca, procede all'esecuzione 
delle sue sentenze. 

Ogni tribù si divide in bandiere o bairak^ coman- 
date da un bairaktar. Il numero dei bairak varia 
secondo l'importanza delle tribù. Quella dei Mir- 
diti, ad esempio, comprende 5 bairak: Orosh, Spaci, 
Kushneni, Pandi e Dibri, 

Ogni bairaktar tratta e sorveglia i più gelosi 
interessi del bairak e provvede all'applicazione 
della legge, assistito da un Consiglio di anziani 
(vecchiardi) delle principali famiglie, sedenti nel 
Consiglio stesso frequentemente per diritto eredi- 
tario. Il numero dei componenti il Consiglio varia 
secondo l'importanza del bairak. La riunione dei 
bairaktar costituisce il Gran consiglio della tribù, 
che in caso di guerra nomina il capo supremo 
con potere strettamente determinato e temporaneo. 

Di solito ogni tribù tiene un rappresentante 
presso il Vali da cui dipende, e il Governo otto- 
mano è alla sua volta rappresentato presso cia- 
scuna tribù da un personaggio, il cui principale 
ufficio è quello di riscuotere le imposte, quando 
ciò sia possibile e quando le imposte non vengano 
condonate per meriti di guerra o per altra ragione. 
Questi rappresentanti delle tribù presso il Vali e 
del Vali presso le tribù si chiamano bulouk'basct o 
semplicemente bey. Il più autorevole è per singo- 
lare privilegio il bulouk-basci delle tribù degli Hoti. 

E nemmeno le tribù gheghe della montagna 
prestano servizio nell'esercito regolare: bensi in 



-63 - 

tempo di guerra accorrono alla chiamata del Sul- 
tano fra gli irregolari {basci-ònzuk^ ciascuno sotto 
le proprie bandiere e i propri capi, e costituiscono 
la più formidabile delle milizie ottomane. Le tribù 
dei Mirditi e degli Hoti hanno il privilegio di 
marciare alla testa delle altre colle loro bandiere. 
U nome degli Arnauti suona pertanto ammirato 
e temuto in tutto TOriente e persino in Egitto e 
nella stessa Abissinia, giacché un corpo di milizie 
albanesi faceva parte degli eserciti egiziani ai 
tempi di Mehemet-Alì e dei suoi successori. Del 
resto quest'uso di militare negli eserciti stranieri 
è invalso tra gli Shkipetari fin dal secolo xv, come 
a suo luogo vedremo, ed era cosa naturale in un 
popolo battagliero per indole e per tradizione. 

Sentimenti e costumanze speciali degli albatiesi, — 
Una volta le tribù gheghe erano assai frequen- 
temente in guerra tra loro, coi Montenegrini, coi 
Serbi e colle tribù toske. Oggi pel ridestato sen- 
timento nazionale resta immutato l'odio pei Serbi 
e pei Montenegrini, ma sono diminuite notevol* 
mente le rivalità e i dissensi intestini. Frequenti 
in ogni tempo furono contro il comune nemico 
strettissime e spontanee alleanze tra le diverse 
tribù albanesi. Cessato il pericolo, sempre cessò 
del pari la lega o alleanza; e le cose non vanno 
diversamente ai tempi nostri. 

Del resto accanto all'amor della patria ed all'at- 
taccamento alla propria tribù domina vivissimo 
neiranimo di ogni Albanese il sentimento della 
libertà e del diritto individuale. 11 Ghego delle 
tribù montanare ed anche il Tosko delle montagne 
porta con sé costantemente il suo fucile e sulla 



-64- 

bocca di esso le proprie ragioni. E qui è il caso 
di accennare anche ad altri sentimenti e ad altre 
costumanze proprie degli Albanesi. Quanto alle 
donne osserverò che in Albania esse vengono 
gelosamente custodite in casa dai musulmani e 
anche dai cristiani delle città, finché sono ra- 
gazze, e che fra gli stessi maomettani, a meno 
che non abbiano lungamente dimorato a Costan- 
tinopoli, non è frequente la poligamia. In com- 
penso la donna è circondata dal massimo rispetto, 
e può recarsi sola dovechessia senza timore d*ia- 
sulti e di violenze. La maggiore delle vigliaccherie 
per un Albanese è Tuccidere una donna, o un 
prete, o un fanciullo perchè impotenti a difendersi. 
Chi si pone sotto la protezione di una donna può 
percorrere anche i luoghi più appartati e perico- 
losi senza alcun rischio, e i luoghi pericolosi non 
fanno difetto, giacche nell'Alta Albania è frequente 
la vendetta personale e gentilizia, ossia per soli- 
darietà di parentela. La bassa Albania poi è anche 
infestata dal brigantaggio. Sono sacri altresì per 
gli albanesi, specialmente sui monti, i doveri del- 
TospitaUtà; inviolabile è la persona dell'ospite. 
Ucciderlo è delitto mostruoso, anche se si tratti 
di un traditore o di una spia, di un omicida o di 
un seduttore; in questi casi, per Io meno, finché 
la colpa dell'ospite non sia di pubblica ragione e 
il termine della chiesta ospitalità non sia trascorso. 
Tutte queste costumanze delle tribù montanare 
albanesi furono paragonate ^ a quelle di parecchi 
popoli non ancora civili, antichi e moderni. Le 
somiglianze dipendono esclusivamente dallo stato 
primitivo delle tribù albanesi, a tutte le società 



- 65 - 

primitive facilmente paragonabili. A questo modo 
si giustifica il sopraddetto costume della vendetta, 
a cui è obbligata per diritto e per dovere con- 
suetudinario tutta la parentela delFuomo e della 
donna, cui fu recata offesa o violenza, tal quale 
come nella famosa fodda dei Longobardi. Talvolta 
questo diritto e dovere, detto del sangue (Diak), 
si estende air intera tribù, tantoché in siffatti casi 
la giustizia del Vali turco o arriva troppo tardi, 
o si riduce ad una semplice formalità. Per le stesse 
ragioni il concetto di patria limitavasi un tempo 
presso gli Albanesi, come presso tutte le società 
primitive, alla sola tribù, per lo meno nella 
maggior parte dei reciproci rapporti. Solo di 
fronte al nemico comune il sentimento di razza 
e di nazione si affermava unanime e potente. Il 
che spiega come dal secolo xv in poi il nome 
dell'eroico Scanderbeg sia divenuto il simbolo 
deirunità nazionale albanese. Gli avvenimenti del 
secolo XIX, il principio di nazionalità universal- 
mente affermatosi in codesto secolo, la propaganda 
della Lega albanese dopo il trattato di Berlino 
hanno anche in Albania rafforzato ed esteso oltre 
i confini della tribù il concetto di patria. Ed è 
giusto che questo avvenga, ed è lecito augurare 
che questo nuovo sentimento della grande patria 
albanese valga a salvare quel popolo di valorosi 
dalle cupidigie di conquista e di assimilazione dei 
popoli e degli Stati che lo circondano. E quanto 
di meglio ponno oggi desiderare a questo fine gli 
Albanesi, si è di rimanere, possibilmente, autonomi 
sotto la Turchia, che la nazionalità Shkipetara ac- 
carezza, per lo meno nei momenti di pericolo, e 

5 



- ee -- 

di strìngere amichevoli legami coiritalia, che della 
nazionalità albanese può essere a tempo debito 
sostegno e presidio per tutela dei suoi propri in- 
teressi nell'Adriatico. 



Capitolo VII. 
Condizioni economiche dell'Albania. 

Agricoltura, — L* Albania è sotto Taspetto agri- 
colo ed industriale in uno stato primitivo, quale 
dev* essere naturalmente lo stato di un popolo, cui 
mancano in gran parte gli stimoli naturali del 
progresso sociale : istruzione, contatto costante con 
popoli più progrediti, conoscenza dei comodi della 
vita e dei mezzi per procurarseli, curiosità, attività, 
emulazione, concorrenza, moltiplicità di bisogni 
da soddisfare. L'Albania produce, in luoghi diversi, 
slntende, secondo il clima e la natura del suolo, 
grano, orzo, segala, avena, riso, la cui coltura è 
oggi quasi abbandonata, mais, lino, canapa, ta- 
bacco, olio, vino, in quantità insufficiente anche 
per il paese essendo state le vigne devastate dalle 
malattie, frutta, legumi, ortaglie, aranci, limoni, 
resina, sommacco e scotano (per la concia delle 
pelli) e kermes. La bassa è delle due Albanie la 
più ricca, specialmente di olive ti, di grasse pra- 
terie, di pingui orti e di fioriti giardini. La produ- 
zione dei cereali è copiosa sopratutto nelle pianure 
Bregu-Bunes, Bregu-Drinit, Zadrima, Musachia, 
Cossovo, Metoja. Del mais se ne produce più del 
bisogno e se ne esporta dalle pianure di Scutari 



-67- 

e dalla Musachia in Dalmazia, nel Montenegro e 
in altri paesi dell* Adriatico. Cossovo invia grano 
ai molini di Salonicco. Gli oliveti prevalgono nella 
zona marittima, specialmente nei dintorni di Ales- 
sio, Cavaja, Elbassan, Valona, Parga e Prevesa e 
si esporta olio albanese, in verità male confezio- 
nato, in Italia, in Austria, a Malta e nei paesi 
interni della Turchia. La coltura del tabacco pre- 
vale nell'alta Albania, e dei tabacchi di Ipek, 
Giacova e Scutari si fa notevole contrabbando, 
non essendosi potuto imporre a quei paesi il mo- 
nopolio. Va all'estero il tabacco da naso di Berat. 
Abbondano in tutta l'Albania le foreste, e quindi 
il legname da costruzione : il pino, l'abete, il pla- 
tano e specialmente il frassino, e la quercia. Me- 
ritano particolare menzione le foreste della vallata 
deiribar, della Mirdizia, del Grammos e di Chi- 
mara e quelle che si distendono tra il basso Mati 
e il basso Arzen. Velieri di Dulcigno trasportano 
legna da fuoco dall'Albania in Egitto, Tunisia e 
Tripolitania. Da Valona ebbe il suo nome la Val- 
lonea (ghianda di cerro), che serve ai cuoiai ed ai 
tintori. Le vallonee sono fornite particolarmente 
. dai boschi di querele di Parga e Chimara e ven- 
gono imbarcate nei porti di Valona e di Parga e 
nei minori scali tra Parga e Valona. Il sommacco 
si trae dal polverizzamento delle foglie e lo sco- 
tano dal polverizzamento del legno di un arbo- 
scello che i montanari raccolgono e vendono nelle 
piazze commerciali, specialmente di Scutari e di 
Alessio. Le montagne della Mirdizia ne producono 
la maggior quantità. Le pelli d'orso, di volpe, di 
faina, di martora e particolarmente di montone e 



- 68 ~ 

• 

di capra costituiscono un altro ramo di produzione. 
A Ocrida fioriva trent*anni fa il commercio delle 
pelliccie, oggi notevolmente diminuito. Oggi Scu- 
tari, Janina, Premet, Coritsa e i porti del littorale 
sono le piazze di smercio delle pelli e delle lane. 
Se ne importano specialmente in Austria e in 
Italia. Erano famose nell'antichità le razze di ca- 
valli e di vacche e i cani molossi dell'Epiro. Og- 
gidì sono tenuti in gran pregio i cavalli del ter- 
ritorio della Musachta, piccoli, nervosi, vivacissimi, 
resistenti a qualsiasi fatica e indomabili come gli 
abitanti. Nella Ljapuria si ammirano ancora certi 
grossi cani così coraggiosi e forti da levare facil- 
mente un cavaliere d'arcione. Furono sempre e 
sono ancora assai fertili i piani di Prìzrend, di 
Ipek, di Cossovo, di Scutari, di Janina, della Mu- 
sachia e di Butrìnto, la vallata del Mati, quella 
di Argirocastro, attraversata dal Drino, il piano 
ben coltivato di Tirana e tutto l'Epiro meridionale. 

Ma tutta la produzione sopra descritta ha il di- 
fetto capitale di essere scarsa e lavorata con me- 
todi arcaici e attrezzi primitivi. Le macchine agrì- 
cole sono in Albania sconosciute. Immensi sono 
d'altronde i danni che quasi ogni anno arrecano , 
i fiumi per difetto assoluto di arginature e d'inca- 
nalamenti. Ignote del pari le opere di dissecca- 
mento e d'irrigazione. 

Molti generi di prima necessità debbono essere 
importati, e la esportazione costante è ristretta ai 
seguenti prodotti naturali : legname, sale minerale, 
pelli, sommacco, vallo nea, kermes, tabacco, mais, 
lana, capre, montoni, cavalli, bestiame bovino. Se 
i raccolti vanno assai bene si esportano in pie- 



-69- 

cola quantità anche Tolio ed il grano. Con tutto 
ciò la peggior piaga deirindustria agricola, spe- 
cialmente della bassa Albania, ò sempre la pasto- 
rizia, dappoiché i terreni per la maggior parte 
sono ridotti a pascoli o lasciati incolti. Questq 
preferenza per l'allevamento del bestiame ha fon- 
damento neirindole e nelle tradizioni degli abi- 
tanti. Son dedite alla vita nomade di pastori tutte 
le tribù montanare dell'alta Albania, e nella bassa 
Albania specialmente gli abitanti di tutto il bacino 
della Vojussa, del cantone Pogoniani, del cantone 
di Suli, delle montagne del Tomor, del Grammos, 
e migliaia di pastori frequentano nell'estate i pa- 
scoli dello Sciar Dagh, 

Industria mineraria e manifatturiera. — Più infe- 
lici ancora appaiono le condizioni dell* industria 
mineraria e della manifatturiera. Unica industria 
mineraria ò quella esercitata dalla Banca Otto- 
mana a Seleniza nel distretto di Valona per 
estrarre bitume. Ci sono inoltre le saline di Se- 
meni, di Arta e di Cavaja, le quali ultime sono 
messe a profitto dall* Amministrazione delle entrate 
cedute ai creditori della Turchia. Esistono giaci- 
menti di cromo nei distretti di Uscub, Ipek 
e Prizren, di rame in quello di Coritsa. Ma i 
fiacchi tentativi per trarne un utile non diedero 
ancora buoni risultati. Per quanto riguarda Tin- 
dustria manifatturiera, gli oggetti di prima neces- 
sità vengono di fuori, specialmente dall'Austria 
(Cisleitana), ossia da Trieste. Le principali ma- 
nifatture a cui si dedicano gli Albanesi sono 
quelle che hanno relazione col costume: ma per 
le armi vengono di fuori le canne da fucile, le 



- 70 - 

lame da coltello, la polvere; per le industrie fab- 
brili le ferramenta ; per le vesti le tele di lino, le 
sete e i panni grezzi; pei ricami i fili d'oro e di 
argento e di seta e lana colorata. A Scutari, a 
Prizrend e a Giaco va si fabbricavano un tempo in 
grande quantità armi di lusso e calci e casse da 
fucile e da pistola e lame e manichi di coltello e 
Jalagan : ma le armi moderne di fabbrica europea 
hanno fatto decadere in Albania il mestiere del- 
Tarmajuolo. A Scutari, a Prizrend e a Janina si 
fabbricano altresì drappi e giubbetti e giacchette 
ricamate in oro ed in seta, di cui si ha largo smercio 
in Bosnia, Albania, Dalmazia e Montenegro. Gia- 
cova fornisce dei passamani, cordoni, galloni, bot« 
toni in seta e fili metallici. Scutari, Dibra, Prizrend 
e Janina forniscono cuoi marocchini rossi e gialli. 
Un pò* dappertutto si tessono stoffe e panni spe- 
ciali con telai a mano. 

Esistono inoltre parecchi molini a vapore nel 
vilajet di Monastir (a Prishtina, a Uscub, a Prilip, 
a Cruscevo, a Ocrida, a Coritsa), segherie mecca- 
niche a Mitrovitsa e a Smoctina presso Valona, 
una fabbrica di panni speciali detti aha per uso dei 
dervisci e dei poveri a Dihovo presso Monastir e 
alcuni opifici di passamani ugualmente presso I^lo- 
nastir, a Magarovo. 

Rispetto a certi speciali mestieri vale la pena di 
notare, che la tribù di Dibra fornisce in abbon- 
danza muratori e legna) uoli. Sono inoltre rinomati 
in Turchia i pasticcieri di Monastir, Coritsa, Prizren 
ed Elbassan. Gli abitanti di alcuni cantoni dello 
Sciar-Dagh percorrono i paesi balcanici vendendo 
sakp e buia^ due bevande di grande consumo tra 



— 71 - 

il popolo di quei paesi. Da alcuni cantoni del Vi- 
lajet di Janina provengono parecchi macellai, fornai 
e mercanti di stoffe di Costantinopoli e di altre 
città deirimpero turco, alcuni dei quali misero in- 
sieme grosse fortune. 

Industria della pesca. — Tutt'altro che fiorente è 
sulle coste albanesi Tindustrìa della pesca ma- 
rittima. Si può ben dire ch'essa non è nemmeno 
praticata. 

Misera ò pure la pesca dei laghi. Soltanto 
Scutari esporta in piccola quantità anguille dissec- 
cate, scoranze affumicate e bottarga. 

Commercio — Date queste modestissime primi- 
tive condizioni della produzione, ò naturale che 
altrettanto modeste e primitive sieno le condizioni 
del commercio, rese anche più difficili dalla quasi 
assoluta mancanza di vere e proprie vie di comu- 
nicazione. Basti dire che fra lo scalo di San Gio- 
vanni di Medua e il bazar di Scutari non esiste 
una strada, ma soltanto un sentiero, che edge 
dieci ore di cavallo, di guisa che la via preferibile 
per recarsi a Scutari è quella di Cetiigne^ capitale 
del Montenegro, donde si discende facilmente a 
Rieca^ punto di partenza di un vaporetto che at- 
traversa il lago. Le vie, a cui si diede il nome 
di strade, e che pongono in comunicazione fra 
loro i principali centri di popolazione sopra ricor. 
dati, diventano impraticabili nella stagione delle 
pioggie e nella bassa Albania sono anche malsicure 
per il non infrequente brigantaggio, né possono 
servire al commercio che per mezzo di carri tirati 
da buoi e a dorso di cavallo. 

Non sono molto migliori delle altre le due così 



- 72 - 

dette strade carozzabili tra Janina e i porti di Pre- 
vesa e di Salahora, la prima delie quali passa per 
Delvino, la seconda vicino ad Arta, con cui è con- 
giunta da una piccola diramazione. Non esistono 
strade carrozzabili neppure di nome nel Vilajel di 
Scutari. Qualcheduna di più che in quello di Janina 
se ne conta nel Vilajel di Monastir: da Monastir 
a Janina per Liascovik e Coritsa, da Monastir a 
Struga, da Monastir a Salonicco, da Monastir a 

« 

Cozana, da Monastir a Prilip e Gradsco. 

I corsi d^acqua non sono in massima parte na- 
vigabili, come già sappiamo, e mancano di ponti, 
tantoché si additano come rarità monumentali i 
ponti altrove ricordati del Drin bianco e del Drin 
nero, i ponti veneziani sul Kiri e sulPArta, il ponte 
di Kurd Pascià sullo Shcumbi vicino ad Elbassan 
e più su, sopra lo stesso fiume, i ponti di Hagi 
Pascià, Cumara e Ciuches. I porti sono, per dir cosi, 
abbandonati alla natura. 

II commercio interno è quindi solo possibile per 
mezzo di carovane, e le interruzioni di questo ser- 
vizio possono durare settimane intere. Quindi an- 
che soltanto i prodotti che compensano pel loro 
valore le spese di trasporto possono essere di- 
retti verso i grandi centri e i porti d'imbarco. Il 
resto rimane quasi senza valore nei luoghi di pro- 
duzione ed è venduto a vii prezzo nei piccoli bazar 
del paese. Ognuno comprende, ad esempio, quanto 
maggiore importanza potrebbe assumere in Albania 
il commercio del legname da costruzione, se le vie 
di comunicazione e i mezzi di trasporto non faces- 
sero difetto. 

Il commercio marittimo è quasi esclusivamente 



— 73 — 

austriaco per la via di Triestei essendo tutti gli 
scali albanesi regolarmente frequentati dai piroscafi 
del Lloyd austriaco con tre approdi alla settimana 
(linea celere settimanale, linea greco-albanese e linea 
tessalo-albanese). Esiste pure una linea esercitata 
dalla Società di navigazione ragusea, linea che par- 
tendo da Trieste va fino a Obotti, risalendo la 
Bojana. L'Austria, per vecchia concessione, ha 
uffici postali in tutta la costa albanese ed a Janina. 
Da poco tempo gli scali d'Albania sono pure toc- 
cati dai piroscafi della Società Italiana di Naviga- 
zione La Puglia^ con quattro viaggi al mese. Ba- 
stimenti a vela turchi, dulcignotti e greci approdano 
irregolarmente nei porti albanesi e qualche tra- 
baccolo italiano sale fino a Obotti. Le navi degli 
altri Stati, della Francia, per esempio, e deir In- 
ghilterra, effettuano ordinariamente gli scambi 
commerciali coi porti albanesi mediante il trasbordo 
delle merci sui battelli del Lloyd e della Puglia 
in altri porti. Ma ad ogni modo il commercio in- 
glese, il francese, l'italiano, il turco ed il greco, 
seguono, a notevole distanza, il commercio del- 
l'Austria coirAlbania. L* Inghilterra viene dopo 
l'Austria coi tessuti e coi manufatti di cotone; 
quindi la Francia colle farine. L'Italia tiene il 
quarto posto. Anche la Germania cerca da un po' 
di tempo di stringere con l'Albania qualche rela- 
zione commerciale per la via di Trieste, sopratutto 
per il legname da costruzione. Cento anni fa il 
monopolio del commercio sulle coste albanesi era 
diviso tra i Veneziani, i Ragusei e i Provenzali. 
I soli marinai albanesi, che si possano dire per 
secolare tradizione intraprendenti, sono i dulci- 



- 74 - 

gnotti, e Dulcigno non appartiene più airAlbania. 
Nondimeno, buon numero di Duicignotti, dacché 
Dulcigno fu occupata dal Montenegro, emigrarono 
a Scutari e misero i loro velieri sotto bandiera 
turca. Gli abitanti cristiani del cantone di Chimara 
esercitano pure il mestiere di marinai. 

Da rapporti dei consoli francesi a Scutari e a 
Janina, negli anni 1883 e 1884, risulta che il com- 
mercio di Prevesa rappresentò, nel 1883, per la 
bassa Albania, un valore di lire 8,415,745 tra im- 
portazione ed esportazione, e il commercio di Scu- 
tari rappresentò, per Talta Albania, nel 1884, un 
valore ugualmente complessivo di lire 5,778,652. 

Ma i rapporti dei consoli francesi sono inesatti. 
Dati recenti, estratti dai libri delle Dogane, e senza 
tener conto naturalmente del contrabbando, pre- 
sentano in cifre rotonde per il solo vilayel di Ja- 
nina 9iOoo,ooo di franchi per V importazione e 
6,000,000 per la esportazione. Nel 1898 tutta l'Al- 
bania ebbe 34,000,000 di franchi d* importazione 
e 12,000,000 di esportazione, con troppo forte 
prevalenza, a dir vero, a favore della esportazione 
nella bilancia commerciale, ove per giunta si con- 
sideri, che le merci che s' importano in Albania 
sono in massima parte di consumo e in parte mi- 
nima di uso industriale. La Grecia, che conta ap- 
pena mezzo milione di più di abitanti dell* intera 
Albania, ci presenta invece nel 1898 per l'impor- 
tazione lire 116,276,000 e per l'esportazione lire 
72,477,000. 

Il contrabbando è d'altronde esercitato in Al- 
bania su larga scala. 

Strade ferrate — Non sono per ora le strade fer- 



- 7S - 

rate che possano aver migliorato di molto questo 
stato di cose. Nessuna ferrovia oggi percorre quella 
che abbiamo chiamata Albania geografica. Solo il 
territorio delFetnografica è attraversato dalie linee 
Salonicco-Monastir, Salonicco - Uscub - Prishtina- 
Mitrovitsa , Uscub*Salonicco, Uscub -Vranja-Nish 
(Nissa) Belgrado-Vienna. 

Speranze e progetti per ^avvenire. — Quanto fin 
qui si è detto non esclude per altro la speranza 
di futuri progressi, pei quali la popolazione Shkipe- 
tara potrà aumentare di qualche milione senza bi- 
sogno di allargare i confini del proprio territorio. 

La fertilità del suolo in parecchi luoghi, il clima 
temperato quasi dappertutto, l'energia degli abi- 
tanti, i progressi della coltura giustificano i migliori 
presagi per Tavvenire di quel forte paese riguardo 
alla produzione agricola ed anche ali* industriale. 

Nò meno legittime sono le speranze per i com- 
merci. Prizrend, Scutari, Janina occupano allo 
sbocco delle montagne siti ove già dovette natu- 
ralmente agglomerarsi la popolazione a causa dei 
vantaggi naturali che vi si trovano riuniti. Coritsa 
a mezzodì dei laghi di Ocrida e di Malik ò e 
diventerà sempre più un luogo di traffico assai 
frequentato, grazie alla sua posizione sulla. soglia 
del passaggio tra il versante del mare Adriatico 
e quello del mare Egeo. Importanza commerciale 
sempre maggiore deve acquistare Monastir negli 
scambi tra la Macedonia e TAlbania. A Ipek, a 
Prishtina, a Giacova, situate in valli magnifiche, 
debbono naturalmente operarsi gli scambi tra la 
Macedonia e la Bosnia, tra i serbi e gli alba- 
nesi. Novibazar o Yenibazar, il cui nome significa 



-76 - 

nuovo mercato e che è succeduto a Staribazar 
{vecchio mercato)^ un di capitale della Rascia o 
vecchia Serbia, costituisce eoa Mitro vitsa il punto 
naturale a cui debbono convergere, per vie con- 
centriche, i traffici del Montenegro, della Ser- 
bia, della Bosnia, dell* alta Albania e dell' alta 
Macedonia. L*esecuzione della strada ferrata da 
Nish a Vranja e il suo collegamento colla li- 
nea Mitrovitsa-Uscub-Salonicco ha messo TAl- 
bania orientale in comunicazione colla rete delle 
ferrovie europee, e questo è già molto. È in que- 
stione per ora una ferrovia che dovrebbe attra- 
versare TAlbania da est a ovest, avendo la sua 
testa di linea a Valona e il termine a Salonicco. 
Esistono pure in progetto la congiunzione di Du- 
razzo con la linea Monastir-Salonicco e di Scutari 
e San Giovanni di Medua con le ferrovie serbe. È 
nota infìne Y intenzione dell* Austria di costruire una 
ferrovia, a dir vero più strategica che commer- 
ciale, tra Serajevo, Novibazar e Mitrovitsa. Ognun 
vede del resto quanta importanza sopratutto avrebbe 
pel commercio albanese la costruzione di comu- 
nicazioni trasversali tra i porti e gli scali albanesi 
dell'Adriatico e dello Jonio e le piazze commer- 
ciali dell'Albania orientale (Ipek, Giacova, Prizren, 
Uscub, Dibra, Monastir e Coritsa). 

Le buone strade carreggiabili, i ponti sui fiumi, 
il miglioramento degli scali marittimi sono altri 
benefici che non potranno mancare col naturale 
progresso della civiltà in Albania. 

Certo è poi che, se il governo turco fosse il 
primo a promuovere ed eseguire opere di pub- 
blica utilità, sarebbe anche il primo a risentirne i 
vantaggi. 



Uffici consolari. — Giova infine ricordare, che 
parecchi sono gli Slati europei che tengono uffici 
consolari in Albania: l'Austria, l' Italia, la Francia, 
ta Russia, l'Inghilterra, la Grecia, la Serbia, la 
Rumenìa e il Montenegro. La Grecia ha sette 
consolati nel solo Epiro. L'Austria ha uffici con- 
solari nei quattro VHajet albanesi di Scutarì, Ja- 
nina, Cossovo e Monastir. L'Italia ha consolati a 
Scutarì, a Janina e a Monastir, viceconsolati a Va- 
lona e Durazzo e un'agenzia consolare a Prevesa. 




r^T^ 



U^lJ9i9ti$iSUlfi9U^L9U^a^kStt^i3tl^i^^ 



PARTE 11. 
Notizie storiche. 



Capitolo I. 

Età antica. Tribù illiriche ed epirote. 
La conquista romana. 

IlUrio ed Epiro. — Come i moderni così gli an- 
tichi abitatori illirici dell'Albania si dividevano in 
tribù: dal lago di Scodra ai confini dell' Acro- 
ceraunia le tribù illiriche propriamente dette, dal- 
TAcroceraunia al golfo di Ambracia (oggi d*Arta) 
le tribù epirote. Vero è che nelFantichità classica 
greco-romana il nome di Illirio o Illirico si estese 
a tutta la regione situata fra il Danubio e l'Adria- 
tico, comprendendo anche la Dalmazia, la Liburnia 
e la Pannonia; ma il paese cui spettava da più 
antico tempo il nome di Illyrium o Illyris era ap- 
punto quello che oggi abbraccia il Montenegro 
e Talta e media Albania. L'Albania inferiore chia- 
mavasii come ai giorni nostri, Epiro. 

Tritìi illiriche. — Le principali tribù dell' Illirio 
propriamente detto erano i Parthini e i Taulanzi 



- 8o - 

{Taulantit) lungo l'Adriatico, i Penesti lungo il 
Drilo (Drin nero), i Pirusti e i Dcssareti nella re- 
gione dei laghi, i Fordei nel centro del paese. 

Tribù epirote. — Le principali tribù delir Epiro 
erano i Parauei e gli Atintani sulle due rive del- 
TAoo superiore (Vojussa), i Caoni {Chaonia) nel- 
r Acroceraunia, i Molossi (Molossis) attorno al 
Pambolis lacus (lago di Janina), i Tesproti {The- 
sprotta) lungo lo Jonio, fra il Thyamis (Calamas) 
e il golfo di Ambracia, i Drìopi al sud, sul fiume 
Arachtus (Arta), i Dolopi nella valle superiore 
delFAcheloo (Aspropotamo), gli Athamani (Atha- 
manta) nella valle dell'Inaco, affluente dell'Acheloo, 
gli Anfilochi {Amphtlochia) a oriente del golfo di 
Ambracia. Ramo dei Tesproti erano i Cassopei 
{Cassopìa), colla importante città di Cassope nel 
bacino deirOropo (Luros). Ramo dei Molossi 
erano gli Hellopi colla città di Hella o Dodona 
(Helloptà), Per questa parte dell'Epiro meridionale 
trovasi anche usato il nome di Selleide da quei 
Selli che nell' Iliade di Omero sono posti a cu- 
stodia deiroracolo dodoneo. Alla Macedonia ed 
alla Mesia appartenevano le contrade che noi 
abbiamo escluse dalFAlbania geografica e inclu- 
se neir etnografica. Scopia, ad esempio, oggi 
Uscub, suirAxio, oggi Vardar, era città dei Dar- 
dani, tribù illirica della Mesia. E superfluo ag- 
giungere che anche la Mesia e la Macedonia, 
come tutte le altre regioni accennate nel capi- 
tolo li della I parte, erano anticamente popolate 
da tribù traco-illiriche, di stirpe aria o indo-eu- 
ropea, affini a quelle delFIllirio e delFEpiro. Come 
i traci, gli antichissimi Illiri tatuavano i loro corpi 



— 8i — 

e offrivano alle loro divinità sacrifici umani. Il 
contatto coi greci prima, poi coi romani, li rese 
un pò* più civili. Quanto ai famosi pirati illirici 
è bene sapere ch'essi appartenevano alle tribù 
settentrionali della costa adriatica, cioè alle libur- 
niche ed alle dalmatiche, non a quelle di cui qui ci 
occupiamo. 

Antiche leggende, — Non vale la pena di riferire 
minutamente quanto i poeti, i geografi e gli storici 
deirantichìtà classica favoleggiarono sui più antichi 
re illirici, sui nomi di questa o di quella regione 
deirUlirio e dell'Epiro. I Pelasgi primi abitatori di 
di quelle contrade e fondatori di Dodona, i Colchi 
fondatori di Colchinio o Ulcinio (Dulcigno), Gorgo 
figlio di Cipselo fondatore di Ambracia, Pirro Neot- 
tolemo figlio di Achille che divenne re dell'Epiro 
e fu il capostipite della dinastia dei Pirridi, Eleno 
figlio di Priamo fondatore di Buthroto (Butrinto), 
Enea che sbarca coi suoi troiani sui lidi d'Epiro 
e visita Buthroto, come racconta Virgilio nel 3® 
dtWEneide (v. 293 e segg.). Clinico re dell'IUirio 
figlio di Millo che manda 72 navi ai greci durante 
l'assedio di Troia, i Selli custodi dell'oracolo della 
pelasgica Dodona, come afferma Omero nel XVI 
àtìVlliade (v. 234, 235), sono tutti nomi e fatti 
e personaggi da relegarsi nel regno delle favole. 

Dalle origini al iv secolo avanti Cristo. — Dalle 
origini fino al iv secolo avanti Cristo la storia può 
soltanto affermare con una certa sicurezza i fatti 
seguenti. 

Alle antiche tribù illiriche ed epirote vanno at- 
tribuite le massicce mura a pietre poligonali so- 
vrapposte senza cemento, che sogliono chiamarsi 
6 



— 82 — 

pelasgiche o ciclopiche e di cui si trovano avanzi 
qua e là nella bassa e nelFalta Albania, cioè nella 
vallata di Paramitia ai piedi delle montagne di 
Suli, sulle due rive della Vojussa, per esempio 
presso il villaggio di Plotcha a 4 ore di cavallo 
da Valona e tra le rovine di Byllis presso Gra- 
ditsa, a Zalongo sulla destra del basso Luros, 
nelle fondazioni della piccola città di Castritsa e 
in alcune rovine presso la città a poca distanza 
dal lago di Janina, ai piedi dei monti Mtctcheli. 
In queste rovine il colonnello Leake nel 1835 aveva 
creduto di riconoscere gli avanzi della famosa Hella 
ó Dodona. Lo stesso Leake aveva trovati, qualche 
chilometro a S O. di Castritsa, ai piedi dell' O/i- 
tstca, in una valle che prende il nome dal villaggio 
di Dramisious o Dramési, gli avanzi di un teatro 
e di due templi e aveva supposto che questo fos- 
se il sito di Passaron, capitale dei re Molossi. Ma 
nuovi scavi misero quivi in luce nel 1877 non solo 
parecchie antichità, ma anche due tavolette ex-voto 
con iscrizioni a Giove Naios o Dione e molti fram- 
menti di tripodi. Il sito dell'antica Dodona e del- 
l'oracolo Dodoneo è quindi oramai definitivamente 
accertato. 

Sono di costruzione ciclopica anche le parti in- 
priori delle muraglie del castello di Alessio, e le 
reliquie del cosiddetto castello Gaetani a un'ora 
da Scùtari. E poi facile scorgere come quel genere 
di costruzione non sempre appartenga, in quei luo- 
ghi, alla più remota antichità, ma siasi quivi conser- 
vato anche in tempi nei quali altrove l'arte del co- 
struire aveva fatti notevoli mutamenti e progres- 
si; ed è ovvio dedurne la scarsa influenza che 



-83 - 

l'arte greca doveva aver esercitata in quelle con- 
trade. Io credo che vadano pure attribuite agli 
antichi Illirici le tombe di Comani (Alta Albania), 
nelle quali il Console di Francia a Filippopoli A. 
Degrand ha rinvenuti numerosi oggetti in ferro, in 
argento e specialmente in bronzo (A. Degrand. 
Souvenir s de la Haute' Albanie^ 1901, pag. 249-265). 
Ad antichità remotissima, forse anteriore all'immi- 
grazione illirica, appartengono invece certi monu- 
menti megalitici (Dolmen e Menhir) che s* incontra- 
no qua e là in Albania, come in tante altre con- 
trade del mondo antico. 

L'Epiro fu forse abitato da tribù elleniche prima 
del passaggio neirElIade o Grecia, non potendosi 
altrimenti spiegare il culto che i greci avevano 
per Tantichissimo oracolo di Dodona, non infe< 
riore per fama ed importanza agli oracoli di Delfo 
e di Delo, e il fatto che anche altri nomi consacrati 
dalla greca mitologia, l'Acheronte, la palude Ache- 
rusia attraversata dall'Acheronte, il Oocito, gli 
Elisi, r A verno ebbero origine in Epiro. In quei 
luoghi cavernosi, dove in profondi abissi si get- 
tano le acque del lago di Janina e del Lapscistas, 
posero gli EUeni la discesa all'Averno, ossia ai 
regni di Ade o Plutone, mentre nei piani deliziosi 
di Janina collocarono gli Elisi. Di qui il nome di 
antica Eliade dato da Aristotile alla regione, dove 
sorgeva la città di Hella. 

La città di Phoenice, cui serviva di porto On- 
ckesmo, nella Chaonia, non molto lungi dal lido 
che guarda Corfù, doveva forse il suo nome a un 
emporio dei più vecchi e famosi navigatori e 
mercanti del mondo antico, dei Fenici. 



- 84- 

Più tardi i greci stabilirono importanti colonie ma- 
rittime sulle coste illiriche ed epirotiche, quali : Pan- 
dosia sull'Acheronte (Mavropotamo), antica colonia 
dell'Elide; Ambracia^ oggi Arta, fondata dai Corei- 
resi (ab. di Corcyra, ossia Corfù) nel 635 av. Cristo; 
Epidamno o Dyrrachio (Durazzo) fondata dai Cor- 
ciresi nel 627 av. Cristo; Elatria^ Elaea e Chimerion 
sulle coste della Tesprozia, Apollonia presso la foce 
deirApso (Semeni), Argos Amphilochion nell'Anfi- 
lochia a oriente del golfo di Ambracia, tutte fon- 
date da Corciresi e Corinzi, essendo i Corinzi alla 
lor volta i fondatori di Corcyra o Corfù. — Ephyra 
alla foce dell' Acheronte, ricordata nell' Odissea 
d'Omero (1, 259, II, 328) non pare che fosse colonia 
greca. Cosi anche non sembra che abbia fonda- 
mento la tradizione derivata da un racconto di 
Diodoro Siculo, che Lissos (Alessio) sia stata 
fondata dai Siracusani ai tempi del tiranno Dio- 
nisio il vecchio. I critici affermano che si tratta 
di un errore di scrittura, e che invece di Lissos 
deve leggersi /ssa, oggi Lissa, isola e città della 
Dalmazia. Dal nome dell'antica Apollonia (oggi Poi- 
lina) deriva probabilmente quella della medievale 
e moderna Avlona (Valona), quantunque il luogo 
dove oggi sorgono Valona e il suo scalo non sia 
precisamente quello dove sorgevano la città ed il 
porto dell'antica Apollonia. 

Nel VI secolo av. Cristo i Galli, condotti da 
Sigoveso, invasero e depredarono rillirio e forse 
anche T Epiro. 

Devcsi anche ricordare che durante il primo pe- 
riodo della guerra del Peloponneso (432-422 av. C.) 
alcune città e tribù della costa illirica ed epirota, 



- 85 - 

specialmente Epidamno o Dyrrachio ed Ambracia, 
furono impegnate nel conflitto, che scoppiò fra i 
Corciresi ed i Corinzi e fu cagione della guerra. 
Il conflitto anzi ebbe principio nel 435, perchè i 
Corinzi erano intervenuti a favore della fazione 
democratica di Epidamno contro Taristocratica, la 
quale era favorita dai Corciresi, per difenderla 
contro la tribù illirica dei Taulanzi, che alcuni no- 
bili fuorosciti avevano condotta ai danni della città. 
Non insisterò per altro su questi fatti, perchè Epi- 
damno ed Ambracia non erano allora città illiri- 
che, ma greche. 

Conquista macedone, — Come ognuno vede, i fatti 
che ho accennati finora, sono per la massima parte 
incerti e frammentari. La storia certa e continua del- 
PlUirio comincia nel secolo IV avanti Cristo, allor- 
quando le tribù illiriche assalirono la Macedonia e 
furono respinte da Filippo il Macedone, padre di 
Alessandro Magno, verso il 360 av. Cristo. Il re degli 
miri Bardyles ritentò la prova nel 356, ma fu bat- 
tuto nuovamente, e Filippo invase e conquistò 
riUirio e lo annesse alla Macedonia, di guisa che 
il nome della Macedonia fu da lui esteso fino al- 
l'Adriatico e al porto di Durazzo. 

I figli di Bardyles Clito e Glauco si ribellarono, 
ma il figlio di Filippo, Alessandro, li, ridusse al- 
l' obbedienza e costrinse gì' lUiri a fornirgli un 
corpo di milizie ausiliari per la spedizione contro 
la Persia (a. 334 av. Cristo). 

Dopo la morte di Alessandro Magno grilliri 
riconquistarono T indipendenza sotto la condotta 
di Glauco, al quale successe il figlio Pleurate. 
Agrom, succeduto a Pleurate, soggiogò l'Epiro, 



- 86 - 

s*impadroni di Corcira e guerreggiò colla Lega 
etolica allora dominante nella Grecia centrale (a. 
250). La capitale dell*Iilirio era a quei tempi 
Scodra (Scutari). 

La regina Teuta. Roma e gPIlliri, — Alla morte 
di Agrom la vedova di lui Tenta assunse la reg- 
genza in nome del figlio minorenne di Agrom 
Pineas, nato dalla prima moglie del morto re 
(a. 232). Questa bellicosa regina, assalite le isole 
della Dalmazia e della Liburnia, nidi di pirati, le 
aveva già ridotte nel 230 sotto il suo dominio 
tutte tranne Issa (Lissa), che aveva deliberato di 
bloccare in persona, quando giunsero al suo co- 
spetto due legati o ambasciatori, Cajo e Lucio 
Corunciano, che Roma le inviava per querelarsi 
con essa delle piraterìe illiriche. Tenta rispose 
che i re degriUirii non erano soliti impedire ai 
proprì sudditi di far uso del mare. Mosso a sde- 
gno da questa risposta, il più giovane dei due 
Corunciani esclamò : « Se tali sono gli usi degl* II- 
liri, i romani non indugeranno a prestarti aiuto 
per correggerli. » Tenta indignata alla sua volta 
per questa acerba ironia, non appena i due am- 
basciatori furono partiti, diede ordine che s'inse- 
guissero e si uccidesse il più giovane. 

Intanto dopo la resa d*Issa Tenta aveva prose- 
guite le sue conquiste e si era impadronita della 
greca Dyrrachio e di Corcira e minacciava TEpiro. 
Allora gli Epiroti chiesero aiuto a Roma, e il S&i 
lUito accolse subito la domanda. Due consoli ro- 
mani comparvero con grandi forze di terra e dt 
mare innanzi a Corcira, che Teuta aveva dato a 
governare a un greco suo confidente, che aveva 



-87- 

nome Demetrio di Faro. Costui consegnò Corcira 
ai Romani senza nemmeno tentare di difenderla, 
e Teuta fu costretta da questo e da altri successi 
dei Romani a chiedere la pace. Essa dovette ce* 
dere Corcira e la parte meridionale del suo stato, 
che furono date a governare a Demetrio sotto la 
protezione dei Romani: dovette inoltre pagare un 
tributo e promettere che griUirii non sarebbero 
comparsi mai a mezzodì di. Lissa con più di due 
barche alla volta. 

Un'invasione della Macedonia tentata dagrillirii 
nel 221 fu respinta dal re macedone Antigono Do- 
sone. Di li a qualche tempo Teuta mori, e Deme- 
trio occupò tutto lo Stato, cercando nel tempo 
stesso di sottrarsi al predominio dei Romani. I 
Romani gli mossero guerra, lo cacciarono dal re- 
gno, che tornò al legittimo erede di Agrom, Pi- 
neas, sempre sotto la protezione di Roma. Deme- 
trio, costretto a fuggire, erasi recato alla corte di 
Filippo V di Macedonia, allora in guerra coi 
Romani. Filippo non solo ricusò di consegnarlo ai 
Romani, che glielo richiedevano, ma ne fece il suo 
principal consigliere (216 av. Cristo). 

Durante le guerre macedoniche tra Roma e Fi- 
lippo V gli Illirii stettero per i Romani, e qualche 
importante avvenimento si compiè neirillirio. 

Eesendosi indotto Filippo V ad allearsi con An- 
nibale cartaginese durante la guerra che questi 
conduceva contro la potenza romana nell'Italia 
meridionale, fu tra l'altro convenuto fra i due al- 
leati che sul trono d'Ulirio sarebbe stato ricollo- 
cato Demetrio, e l'Epiro sarebbe passato sotto il 
dominio di Filippo. Costui erasi quindi spinto con 



— 88 — 

un forte esercito sino ad Apollonia, ed aveva oc- 
cupato Lissos ed altre città dell' lUirio, pronto a 
passare in Italia in soccorso di Annibale, quando 
il pretore Marco Valerio con una piccola squadra 
sorprese alla foce del fiume Aoo (Vojussa) le navi 
del re macedone, e lo costrinse a bruciarle tutte 
e a ritornare in fretta nel suo regno, dove i Ro- 
mani Io tennero a bada suscitandogli contro la 
Lega degli Etoli e Attalo re di Pergamo nell'Asia 
Minore. Qualche anno dopo (205 av. Cristo) a 
Dyrrachio fu conchiusa la pace per opera del con- 
sole Publio Sempronio Tuditano tra Roma e Fi- 
lippo, e cosi ebbe fine quella che suole chiamarsi 
la i^ guerra macedonica. 

Scoppiata la seconda guerra pei subdoli maneggi 
di Filippo, il console Publio Scipione Galba sbarcò 
ad Apollonia (a, 200), e al principio dell'anno se- 
guente, guidato dagrillirii, si avanzò sin nella valle 
deU'Axio (Vardar); ma non avendo potuto indurre 
Filippo a scendere in campo aperto, se ne tornò 
per la valle dell' Apso (Ergent e Semeni) ad Apol- 
lonia senza aver nulla conchiuso. Il suo successore 
Publio Villio Tappulo nel 198 risali la valle del- 
l' Aoo coll'intenzione di passare dall'Epiro in Tes- 
saglia attraverso alla catena del Pindo, e trovò 
Filippo fortemente trincerato in un'angusta gola 
della detta valle. Si accingeva ad assalirlo, quando 
gli giunse la notizia che il nuovo console Tito 
Quinzio Flaminino era giunto a Corcira per assu- 
mere il comando. 

Flaminino, consigliato da Epiroti esperti dei 
luoghi e specialmente da un tal Caropo, principe 
epirota ch'era tenuto in molta considerazione dalle 



-89- 

tribù deirEpiro, riusci a far pervenire 4000 fanti 
e 300 cavalli sulle alture che dominavano il campo 
dei nemici. Filippo fu battuto, e colle reliquie del 
suo esercito si ritrasse in Tessaglia, dove Flami- 
nino non tardò ad inseguirlo. La guerra fu quindi 
trasportata in Tessaglia. 

// re Genzio - Vlllirio provincia romana, — Re- 
gnava allora neiriilirio Pleurate II, succeduto a 
Pineas. A Pleurate II successe Genzio, che fu l'ul- 
timo re degli lUirìi, e pose la sua sede a Lissos 
(Alessio) ritolta ai Macedoni. Costui fu un despota, 
che non seppe farsi amare dai suoi sudditi. Inoltre 
tornò a incoraggiare con tutte le sue forze la pi- 
rateria, e da ultimo si collegò con Perseo re di 
Macedonia in guerra coi Romani. L'anno 168, 
mentre il console Lucio Paolo Emilio, sbarcato a 
Dyrrachio, recavasi a combattere Perseo in Mace- 
donia e in Tessaglia, il pretore Anicio Gallo, coi^ 
1000 fanti e 300 cavalli, fermavasi ncirillirio per 
assalire il re Genzio, che di lì a poco fu costretto 
a rinchiudersi in Scodra, e dopo alcune infruttuose 
sortite dovette arrendersi a discrezione. Genzio 
adornò colla sua moglie Etleva il trionfo del vin- 
citore, e riUirio divenne provincia romana. Gli 
abitanti di Ulcinio (Dulcigno), che durante la 
guerra avevano parteggiato per Roma, ottennero 
speciali privilegi. 

Assai più gloriosa di fronte a questa antica 
storia deinUirio è quella deirEpiro per un famoso 
personaggio, che gli Albanesi giustamente esal- 
tano come un eroe della loro schiatta. È questi 
il re Pirro, che fu il più singolare venturiero del- 
l'antichità. 



- 90 - 

V Epiro - Alessandro Molosso. — Anche la storia 
deirEpiro non ci appare certa e continua prima 
dei IV secolo avanti Cristo, nel quale cominciano 
a dominare su tutto TEplro la tribù dei Mo- 
lossi e una dinastia uscita dal grembo di questa 
valorosa tribù. Tutte le tribù epirote furono in- 
fatti ridotte sotto il proprio scettro dal re dei 
Molossi Alessandro, cognato di Filippo di Mace- 
donia, padre di Alessandro Magno. Ond*è che gli 
Shkipetari a ragione affermano che Alessandro 
il grande, pur non tenendo conto della stretta affi- 
nità etnica fra i Macedoni e griUiro-epiroti, aveva 
nelle vene sangue albanese, giacché la madre di 
lui, Olympia, era appunto sorella del re dei Mo- 
lossi, divenuto ormai re deirEpiro. È noto inoltre 
che Olympia era donna violenta e imperiosa ed 
oltremodo superba della nobiltà della sua stirpe, 
che vantavasi di discendere da Pirro, figlio di 
Achille. 

Alessandro, re delFEpiro, morì nel 326 avanti 
Cristo, e gli successe Eacide, e ad Eacide Alceta, 
dopo il quale sali al trono il celebre Pirro, che 
non dimorò lungamente nel paese, perchè la sua 
brama di gloria e di avventure lo spinse in cerca 
di lontane imprese e lo trasse finalmente a morire 
lungi dalla patria. 

Nella battaglia d*Ipso combattuta fra i diadochi 
o successori d*Alessandro Magno per dividersi 
rimpero macedone, Pirro, giovinetto di appena 
17 anni, pugn^ da valoroso al fianco di Demetrio 
Poliorcete, figlio di quell'Antigono re di Siria che 
era uno dei diadochi e perdette in quella battaglia 
la vita (anno 305 av. C). Passato quindi in Egitto, 



-gi- 
ove regnava Tolomeo Sotero, figlio di Tolomeo 
Lago, altro dei diadochì, Pirro trovò grazia presso 
la regina Berenice, la quale gli diede in moglie 
la propria figlia Antigone. Pochi anni dopo, di- 
venuto re d'Epiro, alla morte del fratello Alceta, 
lo troviamo in Macedonia, dov'era sorta contesa 
per la successione tra i figli del re Cassandro, 
morto nel 297, i quali avevano appunto fatto ap- 
pello a lui ed a Demetrio Poliorcete. Pirro vi 
giunse prima e tentò una spartizione dei regno 
fra i contendenti; ma Demetrio Poliorcete, essendo 
poi sopraggiunto con forze preponderanti, costrinse 
Pirro, un dì amico suo, a ritirarsi e assunse per 
se medesimo il regno di Macedonia, che tenne 
sette anni (294-287). Demetrio venne in uggia ai 
suoi sudditi per Talterigia e l'arroganza dei modi 
e per la pazza e sfrenata prodigalità cui erasi ab- 
bandonato; ond*è che, quando nel 287 Pirro si 
presentò a contendergli il trono, i Macedoni affa- 
scinati dall'indole generosa e affabile e dall'audace 
valore del re d'Epiro, lo accolsero come un libe- 
ratore e abbandonarono tutti Demetrio, che fu co- 
stretto a fuggire. Ma nemmeno Pirro riusci a 
mantenersi lungamente sul trono di Macedonia e 
ne fu cacciato alla sua volta dopo soli sette mesi 
da Lisimaco re delh Tracia e dell'Asia Minore. 

Tornato in Epiro Pirro visse in pace alcuni anni, 
abbellì Ambracia e ne fece la metropoli del suo 
regno, edificò Berenicia (oggi Prevesa) e regnò 
splendidamente. Ma l'indole instabile e la irre- 
quieta giovinezza non gli permettevano di godersi 
una lieta tranquillità. 

Egli aveva sposato in seconde nozze la figlia di 



- 92 - 

Agatocle, tiranno di Siracusa, morto nel 289 av. C. 
e famoso per aver cacciati i Cartaginesi dalla Si- 
cilia assalendoli nella stessa Africa. Di guisa che 
quando gli giunse dagli abitanti della colonia do- 
rica di Taranto, in guerra con Roma, Tinvito di 
recarsi in Italia a difenderli, egli, desideroso di 
emulare la gloria del suocero, e memore del pro- 
posito di Alcibiade e di Alessandro, che avevano 
mirato^iroccidente come a un nuovo campo di 
guerre e di trionfi, non tardò ad accogliere le sol- 
lecitazioni dei legati di Taranto. Dopo aver debel- 
lati i Romani e i Cartaginesi e aver ridotto sotto 
il proprio dominio la Magna Grecia (Italia meri- 
dionale e Sicilia) e la Libia, egli vagheggiava di 
tornarsene carico d'allori a dominare la Grecia 
tutta, a dettar patti agli esausti monarchi della 
Macedonia e dell'Asia. Questi sogni Pirro rivelò 
un giorno con sicura fede nel successo della pro- 
pria impresa, come narra Plutarco nella vita di 
lui, al suo fido consigliere Cinea; e avendogli 
Cinea domandato : « Ma ottenuto tutto questo che 
farem noi> » a Riposeremo in pace, egli rispose, 
passando il tempo fra divertimenti e conversazioni 
filosofiche. 9 « E chi c'impedisce di farlo subito, 
soggiunse Cinea, mentre abbiamo agi e comodità > 
A qual fine andremo, se cosi è, a spargere il san- 
gue, a sostenere travagli e fatiche, ad incontrare 
pericoli, a fare e a riportare molti mali> » « Per 
la fama e per la gloria! conchiuse Pirro: e in 
queste parole era Tuomo, era il principe. 

Volgeva alla fine l'anno 28 1 e Pirro non aveva 
che 38 anni, quando con una forza di 20,000 uo- 
mini ordinati in falangi alla maniera dei Mace- 



- 93 - 

doni, 20éo arcieri, 500 frombolierì, 3000 cavalli e 
20 elefanti approdò a Taranto, che subito costrinse 
ad abbandonare le sue mollezze ed a partecipare 
alla guerra con uomini e denaro. 

c( Codesti barbari non sono barbari diss*egli, 
quando si trovò per la prima volta di fronte ai 
Romani e scorse i loro accampamenti e li vide 
ordinati in battaglia; e due volte in vero li vinse, 
ad Eraclea e ad Ascoli di Apulia, ed ambedue le 
volte tanta fu la strage dei suoi, che la frase 
Vittoria dì Pirro passò in proverbio per indicare 
un successo ottenuto a caro prezzo. 

E insieme al valore dei Romani egli ebbe anche 
a sperimentarne ben presto la virtù. La incorrutti- 
bilità di Fabrizio, T inflessibile dignità del popolo 
e del Senato di Roma, col quale invano trattò di 
pace e di accordi a mezzo di Cinea, e infine la 
generosa condotta dei consoli romani, i quali gli 
fecero sapere che il suo medico aveva offerto di 
avvelenarlo, lo indussero a fare una tregua per 
il momento senza condizioni, per passare in Sicilia 
al comando di un esercito greco-siculo contro i 
Cartaginesi e i Mamertini (a. 278). Dopo aver com- 
battuto in Sicilia con varia sorte, mortogli Cinea 
e tratto sempre a cambiar partito dalla sua insta- 
bile natura, abbandonò l'isola, e tornò a tentare 
la fortuna in Italia. Ma la fortuna non gli fu pro- 
pizia, e presso Benevento fu battuto dal console 
Curio Dentato, avendo i legionari romani con frecce 
avvolte in stoppa ardente spaventati gli elefanti, 
che volgendosi indietro misero lo scompiglio tra 
le file degli Epiroti (a. 276). 

Dopo la disfatta di Benevento Pirro si ritrasse 



- 94 - 

a Taranto e mandò a chiedere aiuti in Macedonia 
ed in Siria. Non avendone potuti avere, lasciò a 
Taranto un piccolo presidio e salpò per l'Epiro, 
e là avuta notizia che Antigono Gonata, figlio di 
Demetrio Poliorcete, si era impadronito del regno 
di Macedonia fin dal 278, volle contendergliene 
il possesso. Si guerreggiò per due anni, dal 274 
al 272, e la lotta fra i due emuli ebbe fine in Argo. 
Pirro infatti era entrato nel Peloponneso per sog- 
giogare le città che parteggiavano pel Macedone. 
Fallitogli un tentativo contro Sparta, si volse 
contro Argo, alla cui volta mosse pure Antigono 
con tutte le sue forze. I due eserciti entrarono 
nella città dà due opposte parti e pugnarono per 
le strade, finche Pirro, colpito alla testa da un 
tegolo che una donna aveva scagliato dal tetto 
dèlia propria casa, cadde da cavallo e fu messo 
a mòrte da alcuni soldati di Antigono. Questa fine 
miseranda ebbe uno fra i più valorosi e intra- 
prendenti capitani deirantichità, il migliore senza 
dùbbio dei principi del suo tempo, ammiratore 
dei propri nemici, se come lui valorosi, e da essi 
ammirato; ma troppo impetuoso, troppo incostante 
nei suoi propositi, troppo intollerante dell'avversa 
fortuna per potersi assicurare la fiducia degli amici 
e il successo delle belle imprese, immaginate più 
per vaghezza di gloria che per ponderata ambi- 
zione. Come Riccardo I d'Inghilterra e Carlo XH 
di Svezia egli vinse molte battaglie, ma non seppe 
mai cogliere il frutto delle vittorie, e finì inglorio- 
samente una vita trascorsa in mezzo ai pericoli, 
senza che la storia abbia potuto registrare il nome 
di chi l'uccise. 



- 95 - 

. U Epiro e i Romani, — A Pirro successe nel 373 
suo figlio Alessandro, cui tennero dietro Pirro II e 
Tolomeo, col quale si estinse la discendenza di Ales- 
sandro Molosso (335 av. C). Le tribù e le città del- 
TEpiro tornarono allora a governarsi ciascuna per 
conto proprio, ed essendosi inimicate colla Lega 
etolica^ salita verso quell'epoca a notevole potenza, e 
avendo stretta alleanza contro gli Etoli con Filippo V 
di Macedonia e con la Lega Achea, gli Etoli invasero 
TEpiro e distrussero nel 319 il tempio di Giove 
a Dodona, che per altro venne più tardi restaurato. 
Scoppiate qualche anno dopo le ostilità tra Fi- 
lippo V e i Romani, le tribù e le città dell'Epiro 
accettarono di buon grado la protezione di Roma, 
ed aiutarono anche talvolta, come già sappiamo, 
i Romani nelle guerre contro la Macedonia. Ma 
nell'ultima di queste guerre contro gli Epiroti 
furono compromessi da Cefalo, un principe che 
godeva tra le tribù dell'Epiro la stessa considera* 
zione che aveva goduta quel Caropo, di cui parlai 
nella guerra tra Filippo V e il cònsole Flaminino. 
Cefalo infatti si obbligò con Perseo, re della Ma- 
cedonia, a sollevare l'Epiro contro i Romani. 

V Epiro provincia romana» Ulllirio e l'Epiro sotto 
la dominazione di Roma, — Sconfitto Perseo nella 
disastrosa giornata di Pidnà (168 av. C), Cefalo e gli 
altri capi delle tribù insorte delFEpiro cercarono 
volontariamente la morte : ma questo non bastò ad 
appagare il Senato romano ed il condole Paolo 
Emilio. Per ordine del console furono distrutte le 
mura di tutte le città dell'Epiro, vennero obbUgati 
gli abitanti a consegnare quanto possedevano di più 
prezioso, e ben 150,000 di quegli infelici vennero 






-96- 

tratti in prigionia e venduti schiavi. L*Epiro, ridotto 
in provincia romana come rillirio, diventò una de- 
solata regione, e solo seguitarono a prosperare col 
favore di Roma le città della costa o prossime alla 
costa: Avlona, Oricon, Amantia, Phoenice, Butrotum, 
Pandosia e la stessa Ambracia, quantunque assai 
decaduta dallo splendore dei tempi di Pirro. Fioriro- 
no altresì le città costiere dell* lUirio: Scodra, Sardos, 
Lissos, Dyrrachion, Apollonia, Byllis. Certo è d'al- 
tra parte che anche al tempo dei Romani le tribù 
illiriche ed epirote dell' interno rimasero in quella 
condizione di quasi indipendenza, ch'esse hanno 
saputo conservare più o meno attraverso a tutte 
le dominazioni, che si proclamarono e furono ri- 
conosciute padrone di quelle contrade. Il fatto che 
la lingua degli Illirici non subì radicalmente l'in- 
fluenza latina e la migliore prova di siffatta affer- 
mazione. Il dominio sicuro ed assoluto della costa 
era quello che premeva ai Romani. Giulio Cesare 
infatti ridusse a colonia romana Butrotum. Più 
tardi delle colonie romane furono pure condotte 
a Scodra e ad Antibarum (Antivari). Scodra co- 
niò persino monete proprie. D'altro canto Apollo- 
nia, Dyrrachion ed Oricon, in fondo al golfo for- 
mato dal capo Linguetta, divennero porti as^ai 
frequentati dai Romani nelle loro relazioni con 
la Macedonia, con la Tessaglia e in genere con 
tutto l'Oriente europeo, Nell'lllirio aveva perciò 
principio la grande strada, che metteva in comu- 
nicazione l'Oriente con i porti italiani ed illirici 
dell'Adriatico, la famosa Via Egnazia (Aegnatia), 
A Brindisi (Brundusium) infatti, sulla costa italica, 
faceva capo la Via Appia, e un breve tratto di mare 



- 97 - 

separava il porto di Brindisi da quelli di Dyrrachio 
e d* Apollonia. Da queste due città movevano poi 
due rami della Vìa Egnazia per congiungersi a Co- 
dana sul Genuso (Shcumbi), donde la detta via pro- 
seguiva per Scampa (Elbassan), e girando la punta 
settentrionale del lago Lycnis, toccava Lycnido 
(Derida), Eraclea, Tessalonica (Salonicco), Amphì- 
polis, per terminare a Byzanzio (Costantinopoli). La 
Via Egnazia era insomma la via che doveva più 
rapidamente condurre Je legioni romane in Tes- 
saglia ed in Grecia, nella Macedonia e nella Tracia, 
sulle rive del Danubio e sulle spiaggie dell'Egeo, 
della Propontide, del Bosforo e del Ponto Eusino 
(Mar Nero). Questo carattere esclusivamente mili- 
tare e niente affatto commerciale della Via Egnazia 
spiega il come e il perchè neppure al tempo dei 
Romani Tlllirio e TEpiro abbiano raggiunta una 
vera e propria importanza commerciale ed econo- 
mica. È da notare inoltre che, come i Greci non 
si curarono d'introdurre la civiltà e la coltura nel- 
rinterno del paese, così non se ne curarono i 
Romani. 

Ad Apollonia venne ad imbarcarsi coi suoi le- 
gionari Cornelio Siila, reduce dalla guerra mitri- 
datica combattuta in Grecia e nell'Asia Minore 
(a. 83 av. C). La città di Apollonia fu anche 
centro di studi, e il giovane Ottaviano vi studiò 
retorica. Oggi un convento sorge sul luogo della 
fiorente Apollonia. Di antichi avanzi non e' è che 
una colonna dorica logorata dal tempo. 

Oltre che nelle guerre macedoniche anche nelle 
guerre civili che tra Cesare e Pompeo, fra Otta- 
viano ed Antonio, in Tessaglia e in Macedonia, 

7 



-98- 

e vicino alle spiagge illiriche ed epirote per terra 
e per mare si combatterono, i porti e le città del- 
rillirico e dell'Epiro (Durazzo specialmente, Apol- 
lonia ed Orico) ebbero grande importanza come 
luoghi di approdo e basi di operazioni militari. Il 
primo periodo della guerra tra Cesare e Pompeo, 
come Cesare stesso racconta nei suoi Commentari, 
si svolse nell'Epiro, attorno a Durazzo e sulle rive 
dell'Apso. Di là Cesare, risalendo la valle dell' Aoo, 
trasportò la guerra in TQ3saglia. In Orico Giulio 
Cesare pose il suo quartiere generale prima di 
muovere contro Pompeo a Durazzo. Quivi si trattò 
anche, ma inutilmente, la pace. Nel porto di Orico 
la squadra Cesariana, affidata da Cesare al suo 
luogotenente Acilio, quantunque tirata a terra e 
difesa da tre coorti, venne distrutta da Sesto figlio 
di Pompeo. Più tardi da Apollonia, dove si tro- 
vava a studiare, il figlio adottivo di Cesare, Otta- 
viano, corse a Roma dopo la uccisione del Dittatore. 
Durante la contesa fra Antonio ed Ottaviano 
Durazzo segui la parte di M. Antonio, e all'in- 
gresso del golfo di Ambracia fu combattuta nel 
31 av. C. la famosa battaglia d'Azio. A perpetuo 
ricordo di questa vittoria, che gli fruttò il titolo 
di Augusto e l'impero di Roma, nello stesso 
anno 31 Ottaviano gettò le fondamenta di una 
grande città, Nicopolt (città della Vittoria) a set- 
tentrione di Berenice (Prevesa) fondata da Pirro 
e rimasta senza importanza. Nicopoli, proclamata 
colonia romana, divenne la prima città non solo 
dell'Epiro ma di tutta la Grecia occidentale, e tale 
si mantenne fino al medio evo. Nel medio evo 
decadde e si spopolò, e delle mura, dei teatri. 



_ 99 - 

delie terme e dei palagi marmorei che l'adorna- 
vano oggi non rimangono che le rovine: magni- 
fiche rovine che destano tuttora la meraviglia del 
viaggiatore e dell'archeologo. Anche di altre an- 
tiche città epirote oggi restano notevoli reliquie, 
cioè di Amantia, di Byllis e di Cassope, capitale 
dei Cassopei* 

Augusto stabilì pure una festa quinquennale in 
onore di Apollo Aziaco a Nicopoli in comptiemo- 
razione della sua vittoria. 

È noto inoltre che Durazzo accolse per breve 
tempo Cicerone esule da Roma poco prima del 
suo richiamo in patria. 

Men certo si è che alcune città dell'IUirio pro- 
priamente detto abbiano dato i natali ad alcuni 
imperatori dell'epoca romana e bizantina, vale a 
dire Antivari a Diocleziano, Prizrend a Giuliano 
Vapostata e Ocrida o Uskub a Giustiniano. Le 
fonti più autorevoli dicono invece Giustiniano na- 
tivo della Mesia e propriamente di un piccolo 
villaggio dov'egli, divenuto imperatore, fece co- 
struire la città di Justmtana, oggi Kustendil (Bul- 
garia). Giuliano Tapostata si ritiene piuttosto na- 
tivo di Costantinopoli, dove vide la luce il 6 no- 
vembre 331. Diocleziano infine vuoisi con maggior 
probabilità che sia nato presso Salona in Dalmazia. 
Egli era per altro oriundo di Dioclea Doclea, 
le cui rovine esistono col nome di Dukla presso 
il confluente dei fiumi Zeta o Zedda e Moraccia 
nel Montenegro. Doclea apparteneva realmente al- 
l' Illirio, e può considerarsi come compresa entro i 
confini della vecchia Albania prima che l'elemento 
serbo sostituisse nel Montenegro T illirico. 



— 100 



Agli albori del Cristianesimo rillirio e TEpiro 
furono probabilmente visitati dal 1- apostolo San 
Paolo e dai suoi compagni, che sbarcarono ad 
Apollonia per recarsi di là in Macedonia, neiril- 
lino e nell'Epiro, e i vescovi illirici ed epiroti 
compaiono frequentemente nella storia dei primi 
sette secoli del Cristianesimo, e specialmente nella 
storia dei Concili, come partigiani ferventi della 
fede cattolica. 

In conclusione, tranne alcuni fatti che riguar- 
dano la storia ecclesiastica, nuU'altro abbiamo dal 
I secolo dell'era volgare al iv, da Augusto a Teo- 
dosio, che meriti attenzione e ricordo neirillirio 
e nell'Epiro. 



Capitolo IL 

La dominazione bizantina - I Bulgari, i Serbi, i 
Normanni - Manfredi, gli Angioini, i Duchi di 
Durazzo - La dinastia dei Baisela e altri dinasti 
albanesi - I Turchi e la Repubblica di Venezia 

(a. 395-1421 dell'E. V.). 

La dominazione bizantina. — Allorché, dopo la 
morte di Teodosio il grande (a. 395 d. C.) l'Impero 
romano fu definitivamente diviso tra i suoi due 
figli Arcadio ed Onorio, e al primo toccò l'Oriente, 
l'Occidente al secondo, l'Albania, che non aveva 
ancora questo nome, fu aggiudicata airimpero orien- 
tale o bizantino e obbedì agl'imperatori di Bisanzio 
(Costantinopoli). Essa faceva parte allora della 
Prefettura dell'/Z/ir^'co, che dicevasi orientale per 
riicn'nguerlo dall'/Z/ir/co occidentale (Dalmazia, Li- 



lOI — 



burnia, Paniionia), ch*era una diocesi della Prefet- 
tura d'Italia, spettante airimpero d'occidente. Ol- 
tracciò r Albania era divisa in tre provincie : Talta 
Albania dalle valli della Zeta e della Moraccia 
(nell'odierno Montenegro) allo Shcumbi col nome 
di Prevalitana {Praevalts o Praevalitana), la media 
Albania dallo Shcumbi alla Vojussa col nome di 
Nuovo Epiro, la bassa Albania dalla Vojussa al 
golfo di Arta col nome di Vecchio Epiro. 

I Goti. — Ai Visigoti, tribù germanica ch'era 
stata accolta nelle terre dell'Impero dall' impera* 
tore Valente (a. 276 d. C.) e alla quale era stata 
assegnata dapprincipio come sede la Mesia (oggi 
Bulgaria), Arcadio concesse di stabilirsi appunto 
nella Prevalitana e nell'Epiro. Di là il famoso Ala- 
rico mosse una prima volta, nel 402, poi, fallita 
questa impresa, una seconda volta nel 409 alla con- 
quista di Roma. Fu questa la prima occupazione 
barbarica toccata a quelle provincie dell'Impero. 
Liberate dai Visigoti, che dall'Italia passarono di 
poi nella Gallia e nella Spagna, la Prevalitana e la 
provincia d*Epiro restarono unite, com'erano fin dal 
395, airimpero d'Oriente o greco o bizantino che 
dir si voglia. Nel 481 le visitarono gli Ostrogoti, 
che avevano alla lor volta valicato il Danubio e 
presero per assedio Durazzo. Ma anche gli Ostro- 
goti passarono verso la fine del V secolo in Italia, 
e l'Epiro e la Prevalitana ancora una volta fu- 
rono libere. Se non che Teodorico, re degli Ostro- 
goti e conquistatore dell'Italia, avendo estesa sul 
principio del VI secolo la propria dominazione 
nella Liburnia, nella Dalmazia, nella Pannonia e 
in tutto rillirico fino al Danubio, anche la Pre- 



— 102 — 

valitana venne sotto la sua giurisdizione. Proba- 
bilmente fu sua anche la città di Durazzo, dove 
la figliuola di lui Amalasunta avrebbe tenuto, se- 
condo la tradizione, palazzo e corte. L'Adriatico 
trovavasi così in tutta la sua estensione, dal ca- 
nale di Otranto al golfo del Quarnero, sotto il 
dominio dei Goti. 

Di nuovo la dominazione bizantina. — L'impera- 
tore Giustiniano (a. 527-565) ritolse, per opera 
di Narsete, agli Ostrogoti insieme àiritalia anche 
le regioni della penisola balcanica eh* essi ave- 
vano assoggettate, e sulle terre costiere del mare 
Adriatico e dello Jonio dominò per qualche tempo 
la sola Bisanzio. Lo stesso Giustiniano eresse 
nella Prevalitana e nell'Epiro, come nelle altre 
Provincie del suo Impero, numerosi castelli forti- 
ficati come luoghi di rifugio e di difesa contro le 
irruzioni dei barbari. È opera dell'imperatore Giu- 
stiniano l'antico acquedotto, che mena l'acqua po- 
tabile a Uscub da una distanza di due ore e mezza. 
Presso la città l'acquedotto attraversa una piccola 
vallata sopra un'alta galleria con 120 arcate. 

Giova ricordare che, durante la guerra tra gli 
ostrogoti e i bizantini, il re Totila venne con una 
armata a devastare le coste dell'Epiro, ma, come 
ho detto, gli ostrogoti furono battuti da Narsete 
(a. 552-554), e per un pezzo nessu n'armata navale 
salpò dalle coste italiane alla conquista dell'Al- 
bania. I conquistatori vennero invece dalle terre 
danubiane. 

/ Serbi, — Nella prima metà del vn secolo, re- 
gnante l'imperatore Eraclio I, comparvero i serbi, 
ch'erano un popolo slavo, e invasero ed occupa- 



- 103 - 

rono, oltre il paese che da essi ebbe il nome di 
Serbia, la Bosnia, la Dalmazia e l'Albania setten- 
trionale. 

Ai serbi seguirono in quello stesso secolo i 
Croati, altro popolo slavo; ma nella Prevalitana 
i Serbi prevalsero, per altro soltanto nelle pia- 
nure, che le tribù illiriche delie montagne rima- 
sero indipendenti o semi-indipendenti, quali erano 
su per giù anche sotto i romani e i bizantini. I 
capi o principi serbi si chiamavano zupani e solo 
nelFxi secolo su tutti gli altri zupani primeggiò 
Stefano Dobroslaw, il cui figlio Michael (1050-80) 
prese il titolo di re (Kralj) ed ebbe confermato 
questo titolo dal pontefice romano Gregorio Vii. 
A quel tempo T Albania settentrionale e parte del 
Montenegro obbedivano a un proprio principe o 
zupanot che riconobbe Talta sovranità di Michael; 
e la residenza di questi principi serbi dominanti 
suiralta Albania era Scutari. An ti vari ad essi ap- 
parteneva. 

Leggendaria origine dei Mirditi. — Spetta pure 
al secolo VII un fatto al quale si vorrebbe da 
taluno riconnettere Torigine della valorosa tribù 
Shkipetara dei Mirditi. 

Nel VII secolo, essendo imperatore d'Oriente 
Giustiniano II, gli Arabi invasero la Siria e co- 
strinsero le popolazioni cristiane del Libano ad 
emigrare. 1 20,000 Mardaiti o Maroniti, dice una 
leggenda tutt'altro che popolare e da nessun do- 
cumento storico confortata, furono allora traspor- 
tati per ordine di Giustiniano II sull'altipiano 
albanese, in cui abitano tuttora col nome di Mir^ 
diti^ fedeli sempre come allora alla Chiesa di 



— I04 — 

Roma. Ma questa non può essere che una fiaba, 
derivata dalla somiglianza dei nomi, come la pre- 
tesa di ricongiungere gli albanesi d'Europa agli 
albani del Caucaso e i Gheghi, i Ljapi e i Ciami 
ad altre popolazioni caucasee, nei cui nomi s'in- 
contrano delle assonanze coi nomi suddetti più 
che delle affinità glottologiche che possano essere 
con rigore scientifico dimostrate. I mirditi parlano 
inoltre il puro albanese della Ghegaria e non una 
sola parola o forma di linguaggio semitico con- 
forta la loro pretesa origine siriaca. Essi presen- 
tano qualche differenza dagli altri Shkipetari nei 
costumi e nella foggia del vestire; ma nulla v'ha 
in quei costumi e in quelle vesti che sappia di 
asiatico. Nelle tradizioni del popolo nessun ri- 
cordo del Libano. All'incontro una tradizione del 
paese afferma che i mirditi derivino da quei Du- 
cadginz, che si rifugiarono dopo la morte di Scan- 
derberg (1467) sui monti della Mirdizù e quivi a 
lungo difesero la propria indipendenza. In ap- 
poggio di questa tradizione starebbero i seguenti 
fatti. I mirditi abitano ancora accanto alla tribù 
dei ducadgini loro costanti amici ed alleati. I mir- 
diti osservano tuttora nella sua più pura forma la 
semplice e austera legge di Lek Ducadgin^ del 
quale avrò occasione di parlare in questo stesso 
capitolo e nel seguente. Dei mirditi non si trova 
menzione documentata prima del secolo xvi. Il 
loro nome significa in lingua albanese: a i bravi, 
i valorosi, » 

/ Bulgari, — Fin dal vii secolo anche la media 
e la bassa Albania, che costituivano tuttora due 
Provincie bizantine, le cui metropoli erano NicopoH 



— 105 — 

e Duraz70, furono occupate dai barbari. Le invasero 
i bulgari^ popolo di origine asiatica (gruppo uralo- 
altaico) che si uni a genti slave e ne adottò la lin- 
gua, la religione e i costumi. Il famoso Stmeon, 
primo zar dei bulgari, che aveva estera la propria 
signoria sulla Tracia, la Macedonia e la Tessaglia, 
si spinse tra il 914 e il 927 fino a Butroto, a 
Chimara, ad Avlona, e le conquistò. Gli successe 
Peter (927-969), sotto il quale Timpero bulgaro si 
divise in due: il regno dell'est e il regno del- 
l'ovest. Il regno dell* ovest ebbe per capitale 
Ocrida e fu il più potente. Oggi si ammira an- 
cora presso Ocrida il vasto convento di San 
Naum, che risale all'epoca del regno bulgaro ed 
è uno dei più ricchi della Macedonia. La stessa 
Durazzo fu presa dallo zar Samuele (977-1010). 

Per altro, vivo ancora Samuele, Basilio II, im- 
peratore bizantino, assali il regno degli Zar bui* 
gari e riusci finalmente ad abbatterlo. L'ultimo 
zar fu Johann Wladislaw. La provincia o Thtma 
di Durazzo fu subito ricostituita. 

Gli Amalfitani e i Ragusei, — Notevoli commerci 
iniziarono allora nel porto di Durazzo i mercanti 
della famosa repubblica italiana di Amalfi sul 
golfo di Salerno e quelli di Ragusa in Dalmazia. 
I Ragusei riuscirono anzi ad estendere in seguito 
i loro commerci anche nell'interno dell'Albania e 
a mantenervisi più a lungo degli Amalfitani, la 
cui potenza commerciale ebbe fine proprio nel 
secolo XI. Nel bazar di Uscub si addita oggi un 
vecchio Han (specie di Caravanserraglio, ossia di 
albergo e magazzino ad un tempo per mercanti e 
mercanzie), che nel medio evo ed anche più tardi 



— io6 — 

servi di residenza e di deposito ai mercanti ra- 
gusei. E noto infatti che l'attività commerciale 
degli abitanti di Ragusa non ebbe fine che al 
principio di questo secolo, dopo che a Ragusa fu 
tolta la sua «ecolare indipendenza da Napoleone T. 
Ragusa per altro non coltivò in Albania che i suoi 
interessi commerciali. Essa non aspirò mai, come 
Venezia, a domini territoriali. 

/ Veneziani e gli Ungheresi, — Infatti fin dal 
secolo XI volsero le loro mire a Durazzo anche i 
Veneziani e persino gli Ungheresi, ma né gli unì 
né gli altri riuscirono a stabilirvisi solidamente. 

Gli Albanesi e lo scisma d'Oriente. — Durante lo 
stesso secolo xi, per lo scisma d'Oriente che se- 
parò la Chiesa greca dalla romana, si determinò 
neir Albania la prima scissura religiosa, giacché 
le tribù toske aderirono alla Chiesa bizantina, men- 
tre le gheghe rimasero fedeli alla romana. 

/ Normanni. — Sulla fine del secolo xi si get- 
tarono sull'Albania con rapida, ma passeggera for- 
tuna, i Normanni, una gente germanica originaria 
della Scandinavia che aveva dato il nome alla 
Normandia francese. Dalla Normandia di Francia 
buon numero di Normanni passò alla conquista 
dell'Italia meridionale, e di là a quella deiriUirio e 
dell'Epiro, giacché era naturale, come si é visto 
coi Romani, coi Goti e coi Bizantini, e come" 
vedremo in seguito per altre dominazioni, che 
chiunque diveniva padrone dell'Italia meridionale 
aspirasse altresì al possesso dell'Albania sull'op- 
posta e troppo .vicina riva dell'Adriatico. 

Erano condottieri dei Normanni, nell'impresa 
d'Epiro, Roberto Guiscardo e il figlio di lui Boe- 



— 107 ~ 

mondo, coi quali aveva stretto alleanza la repub- 
blica di Ragusa. Partiti dal porto di Brindisi con 
una potente armata di i6o legni, i Normanni s'im- 
padronirono anzi tutto di Corfù, quindi posero 
Tassedio a Durazzo nel giugno del 1081, Roberto 
Guiscardo per mare, Boemondo per terra, essendo 
con una parte dell'esercito sbarcato a questo scopo 
sulle spiaggie deirCpiro. L'imperatore d'Oriente 
Alessio Comneno, salito al trono nell'aprile di 
quello stesso anno, si rivolse per aiuto a Venezia 
promettendole larghi privilegi e il compenso delle 
spese; e i Veneziani naturalmente avversi alla 
nuova potenza normanna, che minacciava d'inse- 
diarsi sulle due rive del canale di Otranto all'in- 
gresso dell'Adriatico, cedettero senza indugio alle 
imperiali promesse. Un'armata veneziana condotta 
dallo stesso Doge Domenico Selvo accorse a Du- 
razzo, sforzò vittoriosamente l'entrata del porto e 
costrìnse i Normanni a togliere il blocco dalla 
parte del mare. Difendeva la città Giorgio Paleo- 
logo. Roberto Guiscardo e Boemondo continuarono 
gagliardamente l'assedio dalla parte di terra e, 
in compenso del non aver potuto impedire ai Ve- 
neziani d'entrare in Durazzo, sconfissero nell'ottobre 
del 108 1 con 15,000 dei loro un esercito di 75,000 
uomini, che Alessio Comneno conduceva in per- 
sona in aiuto della città. Il grosso della flotta Ve- 
neziana allora si ritirò, e al principio del 1082 i 
Normanni entrarono in Durazzo, secondo la storio- 
grafa bizantina Anna Comneno per tradimento 
degli Amalfitani e dei Veneziani, secondo gli sto- 
riografi italo-normanni Goffredo Malaterra e Gu- 
glielmo Apulo per tradimento di un solo Veneziano, 



— io8 — 

dopo un'accanita, ma inutile resistenza degli altri 
Veneziani e dei Durazzesi. Dopo la presa di Du- 
razzo, Avlona, Cassope, Butroto (oggi Butrinto), 
Jobannina o Janina (così detta fin dal sesto se- 
colo dal suo patrono S. Giovanni), Ocrida e Scopia 
(Uscub) caddero Tuna dopo l'altra in potere dei 
Normanni, che penetrarono anche in Macedonia 
e in Tessaglia occupando Castorià e Tricala. Per 
altro, Boemondo rimasto solo, perchè il padre 
aveva dovuto far ritorno in Italia, e abbandonato 
da una parte dei suoi, dovette sgombrare le Pro- 
vincie conquistate, che non poteva più a lungo di- 
fendere. 

Ridotto cosi a mal partito egli mandò a chiedere 
aiuti a Roberto, mentre l'imperatore Alessio rivol- 
gevasi di nuovo ai Veneziani. 11 Guiscardo s'in- 
dusse finalmente a ritentare l'impresa con una 
formidabile armata, e scontratosi coli* armata ve- 
neziana presso la spiaggia di Cassope ebbe per 
due volte, a distanza di tre giorni, la peggio. I 
Veneziani rimandarono allora in patria una parte 
delle navi ; ma il Guiscardo, non ancora debellato, 
tornò alla riscossa e vinse (1084J. 

I Normanni svernarono a Porto Panari, alla foce 
del Mavropotamo. I Veneziani si ripresentarono 
nella primavera del 1085 e nelle acque di Butrinto 
e di Corfù riportarono una nuova vittoria. Il Gui- 
scardo si volse allora contro le isole e, mentre 
assediava Cefalonia, fu colto dalla pestilenza che 
quivi infieriva, e nel luglio del 1085 morì. Lui 
morto, i Bizantini riconquistarono le terre albanesi 
ed epirote, che ancora rimanevano in potere dei 
Normanni e tra queste Durazzo. Venezia ebbe dal- 



— 109 "" 

l'Imperatore d'Oriente un compenso in denaro, 
terreni e botteghe e magazzini in Durazzo e Co- 
stantinopoli e libero approdo senza pagare gabella 
nei porti dell'Impero. Era doge a quel tempo Vi- 
tale Falier. 

Come altrove accennai, nelle cronache che nar- 
rano le gesta dei Normanni compare per la prima 
volta in occidente il nome di Albania, già in uso 
fin dal principio del secolo xi negli scrittori bi- 
zantini. 

Così ebbe fine Teffimero dominio dei Normanni 
sotto il quale si erano riunite ancora una volta, 
ma per breve ora, le opposte spiaggie delle Puglie 
e deir Albania con grave preoccupazione dei Ve- 
neziani già predominanti da lunga pezza sul mare 
Adriatico e padroni dei porti dell'Istria e della 
Dalmazia. Durazzo non toccò per altro ai Vene- 
ziani, ma fu nel ino occupata dai Serbi, ai quali 
la ritolse Manuele Comneno (1143-80), di guisa 
che la provincia o Thema di Dyrrachion potè 
essere per l'ultima volta ricostituita. L'intera pro- 
vincia comprendeva allora a mezzodì Valona o Av- 
lona, Glavniza (Acroceraumia) e Berat, a setten- 
trione Croja, Alessio, Drivasto, Pulati, Dulcigno 
e Antivari, la quale acquistò importanza dopo la 
scomparsa di Doclea, da cui ereditò la qualità e il 
titolo di sede metropolitana o arcivescovile. 

Durazzo era di questa grossa provincia la capi- 
tale, ma della sua grandezza oggi non rimangono 
altre testimonianze che le rovine della cattedrale 
e le cadenti mura. 

Regnante Ruggero II nelle due Sicilie e l'impe- 
ratore Manuele in Oriente, i Normanni ritentarono 



— Ilo — 

rimpresa contro la Grecia e TAlbania, espugna- 
rono Corfii e saccheggiarono Cefalonia, Negropontc, 
Atene e Corinto (i 145). Manuele Comncno si ri- 
volse anch'egli a Venezia promettendo nuovi pri- 
vilegi e concessioni diverse, tra le quali è ricor- 
data la cessione della Chiesa di S. Andrea a 
Durazzo. I Veneziani non intrapresero la guerra 
che nel 1148, essendo doge Domenico Morosini. 
Riportarono a ogni modo alcuni successi e libe- 
rarono Corfu. Morto Ruggero II (1154) il doge 
conchiuse la pace col successore di lui Guglielmo L 
Infine, regnando a Bizanzio l'usurpatore Andronico, 
Durazzo fu occupata per brevissimo tempo dal re 
normanno delle due Sicilie Guglielmo II (i 185), cui 
nuovamente si opposero, ma con poca fortuna, i 
Veneziani. Durazzo fu in quella occasione data al 
saccheggio da Tancredi, conte di Lecce, ch'era 
stato da Guglielmo II posto a capo della flotta 
normanna. 

/ re Serbi di Rascia. — Pochi anni dopo vi 
rientrarono i Serbi, essendo loro re quello Ste- 
fano Nemanja^ che fu il capo stipite della dinastia 
dei Nemanidi e il fondatore del regno di Rascia, 
cosi chiamata perchè Stefano pose la sua residenza 
a Rascia o Rassia (Staribazar, poi Novibazar). 
Avanzi di terme romane, di chiese e di castelli 
serbi restano ancora a indicare l'importanza che 
ebbero un tempo quei luoghi. 

I Serbi dominarono allora sull'Albania da Sta- 
ribazar, Prishtina e Uscub ad Antivari, Durazzo 
e Berat. Degna di nota è la sorte speciale tbccata 
ad Antivari, alla quale i re Serbi, per la sua ec- 
cellente posizione sul mare, concessero tali privi- 



— Ili — 

iegi, ch'essa potè costituire una specie di repub- 
blica aristocratica, quasi indipendente, che batteva 
moneta propria e che ai re serbi pagava soltanto 
tributo. Tra le sue nobili famiglie si citano i Bazan, 
i Boris, i Churiaze, i Cratsh, i Goya, i Maruscio, 
i Miros, i Prode, i Samoili, i Tichoje. Secondo 
una tradizione consacrata in un rapporto diretto 
nel 1692 da Mario Giorgio, arcivescovo di Scutarì, 
alla Congregazione di Prapaganda, il re serbo 
Wladimir dimorò con la sua corte a Cralna presso 
Antivari. Della chiesa dedicata all'Assunzione della 
Vergine, dove il re Wladimir sarebbe stato sepolto, 
e di un convento eretto a fianco della chiesa dalla 
vedova di lui Cossawa, non restano che scarse 
vestigia. 

È superfluo aggiungere che le tribù shkipetare 
delle montagne anche sotto i dinasti di Rascia* 
finché il regno di Rascia durò, conservarono quella 
semi-indipendenza alla quale erano abituati da 
secoli. 

La IV Crociata^ Venezia e l'Albania - Michele 
Angelo Despota di Epiro, — Ma non tutte le con- 
quiste dei re serbi di Rascia furono durature. Nel 
1302 un Michele Angelo Comneno, figlio di Gio- 
vanni Angelo Sebastocratorc (erano gli Angeli 
una famiglia appartenente per discendenza femmi- 
nile alla dinastia dei Comneni già imperante a 
Bizanzio), si ribellò all'imperatore Alessio III An- 
gelo suo cugino, che aveva alla sua volta usurpata 
la corona. 

E noto che in quell'anno i condottieri della 
IV Crociata, tra cui primeggiava Enrico Dandolo, 
doge di Venezia, la quale aveva fornito per quella 



— 112 — 



spedizione le navi, anziché dirigersi difilati alla 
liberazione del Santo Sepolcro, s* indugiarono per 
compenso a riprendere Zara ribellatasi ai Vene- 
ziani coirà ppoggio di Emerico re d'Ungheria, poi 
ad assediare in Costantinopoli 1* imperatore Ales- 
sio HI. Michele Angelo Comneno fece causa co- 
mune coi Crociati, e appena Costantinopoli fu 
caduta, s' impadroni dell'Epiro, deirAcarnania, della 
Etolia e di una parte della Tessaglia, che fino 
allora avevano fatto quasi sempre parte dell* Im- 
pero bizantino, fondando cosi uno Stato autonomo, 
ch*egli intendeva di trasmettere ai suoi successori, 
col titolo di Despota di Epiro, 

Intanto nel trattato di spartizione delle terre 
deir Impero bizantino fra i conquistatori, dopo la 
presa di Costantinopoli e la creazione dell* Impero 
latino in sostituzione del greco (a. 1 202-1 204), 
venivano assegnate a Venezia, insieme a tante altre 
terre ed isole, la provincia T>yrrackii et Arbani, 
1* Epiro, TAcarnania, l' Etolia e le isole Jonie. 
Venezia occupò anzi tutto Corfu e la città e pro- 
vincia di Durazzo, che eresse in ducato, prepo- 
nendovi Marino Valeresso. Ma quando volle avan- 
zarsi verso 1* Epiro, lo trovò occupato da Michele 
Angelo. Dopo lunghe contese, di cui poco si co- 
nosce, si venne tra il 1208 e il 12 io ad un accordo, 
pel quale Venezia ritenne Corfù e la provincia 
Dyrrachii et Arbani^ mentre per tutte le altre terre 
componenti la nuova Despotia di Epiro, come ad 
esempio la provincia Nicopolis, la provincia Joan- 
nina, la provincia Drynopolis, la provincia Acridis 
(Ocrida), si accontentò di un platonico riconosci- 
mento dell'alta sua sovranità feudale e di un annuo 



— 113 — 

tributo di 42 iperperì e due broccati d*oro, colla 
promessa per giunta che il Despota Tavrebbe aiu- 
tata a tenere a freno gli Arhanitai (Albanesi), che 
probabilmente facevano dai monti non infrequenti 
scorrerie sulle città della costa. Che Durazzo era 
ancora in possesso dei Veneziani nel 1210 risulta 
dal fatto che il Duca Marino Valeresso non voleva 
riconoscere l'arcivescovo di Durazzo, Manfredo, 
perchè non era veneziano. S* intromise il ponte- 
fice Innocenzo III e l'arcivescovo fu confermato 
appunto nel 1210, e nella sua investitura promise 
fedeltà al Doge di Venezia per so e per la città 
affidata alle sue cure spirituali. 

Teodoro Angelo, — Ma il dominio dei Veneziani 
su Durazzo, yArbani e Corfù non durò .a lungo. 
Essendo stato assassinato nel 1214 il despota Mi- 
chele Angelo, il fratello di lui, Teodoro^ che fu 
acche Imperatore di Tessalonica (Salonicco), assaU 
i possedimenti veneziani e tutti li occupò, non 
esclusa Corfù (12 15). Erroneamente è da taluni 
storici attribuita questa conquista allo stesso Mi- 
chele o ad altro despota dello stesso nome, che avrebbe 
regnato tra Michele e Teodoro. Verso quel tempo 
i despoti d*Epiro appaiono anche signori della città 
di Drtvasto sopra ricordata, la quale sorgeva a 
oriente del lago di Scutari e fu sede vescovile 
fin dal IX secolo ed ebbe nei secoli xiii, xiv e xv 
notevole importanza, ma poi decadde, come più 
oltre si vedrà e come anche oggi attestano le ro- 
vine dei suoi castelli, delle sue mura, delle sue 
torri. 

I Veneziani sperarono in una rivincita, quando 
nel 1217 Pietro di Courtcnay, conte di Auxerre, 
8 



— 114 - 

mosse con poche forze alla volta di Costantino- 
poli per prendere possesso della corona d'Impe*- 
ralorc latino d'Oriente dopo la morte dell'Impe- 
ratore Enrico di Fiandra. Essi indussero Pietro di 
Courtenay a sbarcare a Durazzo e a inaugurare il 
suo regno colla riconquista di quella città. Ma 
Pietro di Courtenay non riuscì nell'impresa e 
cadde prigione del despota Teodoro e morì nella 
prigionia (1217-1219).! possedimenti albanesi furono 
per Venezia perduti. 

Di nuovo Bulgari e Serbi - Stefano Duscian zar 
dei Serbia dei Greci e degli Albanesi. — Intanto fin dal 
1 18Ó i Bulgari si erano ribellati a Bisanzio essi pure, 
e avevano ricostituito un nuovo Impero bulgaro, 
che ebbe la sua sede a Tirnovo di Bulgaria. Lo 
zar bulgaro Johann Asan lì, il re Joanniccio degli 
storici italiani (121 8-1 241), occupò una parte del- 
l'Albania e si spinse fino all'Adriatico. Egli vinse 
e fece prigioniero nel 1230 Teodoro Angelo Com- 
ncno, despota di Epiro e imperatore di Tess aionica, 
durante la cui prigionia la despotia di Epiro fu 
governata dal suo fratello minore Manuele Angelo 
(t230i237). Asan li diede in moglie a costui una 
propria figlia e sposò nel 1240 una figliuola di 
Teodoro Angelo, Irene. Nel 1237 Manuele Angelo 
fu deposto da un figlio di Michele I, Michele li, 
che resse la despotia di Epiro fino al 1271. Quanto 
a Johann Asan li, si sa che, trovatosi nel tempo 
stesso alle prese coi bizantini, coi serbi, cogli 
ungheresi e coi tartari della Russia meridionale, 
non potè reggere solo contro tutti, e la parte 
orientale del nuovo Impero fu ben presto riacqui- 
stata dall'imperatore latino di Costantinopoli, Bai- 



- 11$ — 

dovino II di Courtenay, la parte occidentale dai 
re serbi di Rascia, che tuttora dominavano in una 
parte almeno deiralta Albania. Nelle vicinanze di 
Scutari si osservano ancora gli avanzi di una chie- 
sa fondata, dicesi, dall'imperatore Giustiniano, e 
ricostruita dalie fondamenta nel 1 240 in onore dei 
Ss. Martìri Sergius e Bachus da Elena, figlia del« 
l'imperatore Baldovino II e regina reggente di 
Rascia durante la minorità dei figli Stefano e Urosh, 
chiesa in cui già alcuni re serbi deirxi secolo 
(Bodino» Dobroslaw, e Gradijna) erano stati sepol- 
ti. Si sa d'altro canto che Uscub fu definitivamente 
rivendicata al dominio dei serbi da Stefano Urosh 
II Milutin (a. 1282-13 30), sotto il quale i serbi 
s'impadronirono anche della media Albania, del- 
l'Epiro e della Macedonia (a. 1292 e seguenti). 
Regnante Urosh II, nel 1288, i serbi che apparte- 
nevano fin dal VII secolo alla chiesa cattolica, 
passarono alla chiesa greca. Gli albanesi loro 
soggetti rimasero fedeli a Roma, e nel 13 12 
presero addirittura le armi per difendere la pro- 
pria fede. Nel 13 18 si collegarono altresì con 
Filippo di Taranto, fin dal 1304 signore di Du- 
razzo, come fra poco vedremo, con Carlo Roberto 
d'Anjou re di Ungheria, con Mladin batto di Bosnia, e 
costrinsero Mil.utin a riconoscere il loro diritto (i 321). 
Urosh II morì nel 1330 e fu sepólto in Uscub. A 
Urosh II Milutin successe Vladislao, a Vladislao 
Urosh 111, che combattè con fortuna coi bulgari, a 
Urosh III Stefano Duscian (i 336- 1 356), soprannomi- 
nato Silni ossia il forte^ il potente^ che fu il più gran 
re della Rascia. Egli combattè con successo coi 
bizantini, cogli ungheresi, coi bulgari e sottomise 



— ii6 - 

la Bosnia, la Macedonia, la Tessaglia, tutta l'Al- 
bania coirEpiro e una parte della Grecia, e si in- 
coronò nel 134Ó zar, ossia imperatore, dei Serbi, 
dei Greci e degli Albanesi. Sul punto di annientare 
l'impero bizantino, soggetto fin dal 1261 alla di- 
nastia greca dei Paleologi, egli mori nej 1356. Se 
avesse potuto compiere le sue imprese e ringio- 
vanire, trasformandolo, Timpero bizantino, forse i 
turchi ottomani non sarebbero mai riusciti a met- 
tere piede in Europa. Nel 1349 egli emanava in 
Uscub, che aveva scelto per sua sede abbellendola 
notevolmente, il famoso codice^ col quale garantiva 
la vita, la libertà e la proprietà dei propri sudditi. 
Egli crasi anche proposto di promuovere tra i 
suoi popoli la coltura e il commercio ; ma la morte 
ne troncò i disegni, e colla sua scomparsa lo 
splendore del regno serbo di Rascia si spense 
Altra sede favorita di Duscian il forte fu Prizren. 
Duscian fece altresì coltivare con ottimi risultati 
le miniere d'oro e d'argento di Novobrdo presso 
Prishtina, oggi abbandonate. Codeste miniere, le 
cui più antiche notizie risalgono al 1326, seguita- 
rono ad essere esplorate anche sotto i successori 
di 'Duscian fin verso la metà del 1400. Novobrdo 
era allora in relazione con Sofia, Adrìanopoli, 
Costantinopoli, Salonicco e l'Italia,, e gli italiani, 
e specialmente i veneziani, avevano in Novobrdo, 
ch'essi chiamavano Novomonie, una fiorente co- 
lonia. Della città di Novobrdo oggi non esistono 
che le rovine. 

Duscian aveva dato a governare ai più potenti 
bojari o nobih del popolo serbo le provincie con- 
quistate. Sotto il suo debole figlio Stefano Urosh 



- 117 - 

quei governatori di provincie si resero quasi indi- 
pendenti e costituirono altrettanti piccoli regni. 
Con Stefano Urosh IV si estinse altresì la dinastia 
dei Nemanidi. 

Ai tempi di Stefano Duscian appartiene proba- 
bilmente la fondazione del celebrato castello Ro- 
sa/a di Scutari, sul quale serbi e albanesi raccon- 
tano strane leggende. L'architetto che aveva nome 
Rosa^ dice una di codeste leggende, non sapeva 
che si fare vedendo crollare a più riprese Topera 
incominciata. Corse allora insistente la voce, che 
la facessero crollare le fate. Per placarle e rendere 
la rocca incrollabile e inespugnabile era necessario 
sacrificare loro una giovine donna murandola viva 
nella fortezza L'architetto vi fece murare la sua 
stessa sorella, che chiamavasi Fa. Di qui il nome 
Rosa/a del Castello di Scutari, incrollabile e ine- 
spugnabile per volonjtà delle fate come le montagne 
della Ghegaria e delFAcroceraunia 

Anche la bassa Albania aveva dovuto subire il 
giogo di Stefano Duscian, non esclusi i despoti 
d'Epiro. Ma qui occorre tornare un po' indietro. 

// re Man/redi. — Nel 1259 il despota di Epiro 
Michele II Angelo diede la sua figlia Helena Angelo 
in moglie a Manfredi di Svevia o d'Hohenstaufen, 
re delle due Sicilie, che dalla dinastia normanna 
erano passate a quella degli Svevi per le nozze di 
Costanza di Altavilla, figlia dell'ultimo re normanno 
Guglielmo II, con Enrico VI di Svevia, ava di Man- 
fredi. Michele II Angelo assegnò in dote alla sua 
figliola Valona, Canina, Berat, Durazzo e Corfù. Ma 
con Manfredi ebbe fine la dominazione degli Svevi 
nelle due Sicilie. Carlo d'Anjou che aveva tolto il 



- ii8 - 

regno e la vita a Manfredi, morto combattendo nella 
battaglia di Benevento (1266), volle, com'era na- 
turale, occupare le città dell'Albania che al suo 
avversario avevano appartenuto e che Michele II 
Angelo desiderava riprendere, dopo aver fatto as- 
sassinare Filippo Ghinardo lasciato da Manfredi a 
governare i possedimenti albanesi. 

Gli Angioini e i Duchi di Durazzo, — Gli alba- 
nesi, sostenuti dai bizantini e da Michele II, si 
opposero a Carlo d'Anjou per parecchi anni. Ciò 
nonostante Carlo potè riavere Durazzo nel 1272 
e Berat nel 1273, essendo despota di Epiro fin dal 
1271 il figlio di Michele II, Niceforo. Nel 1274 
Durazzo fu scossa dalle fondamenta da un terribile 
terremoto Gli abitanti fuggirono, e le crollanti 
case lasciate in abbandono vennero saccheggiate 
dagli albanesi delle montagne. Solo quattro anni 
dopo i durazzési tornarono da Berat. ove in mas- 
sima parte si erano rifugiati; ma Tantico splendore 
della loro città s* era di molto eclissato. 

Il IO aprile 1279 due procuratori, nominati da 
Carlo d'Anjou, ricevevano da Niceforo Angelo 
Comneno l'omaggio e il giuramento di fedeltà, e 
il giorno 12 aprile altri commissari del re Carlo 
occupavano in suo nome alcuni importanti luoghi 
dell'isola di Corfù. La despotìa d'Epiro veniva 
così a trovarsi sotto l'alta sovranità dei re delle 
due Sicilie. Niceforo mori nel 1 296 'e gli successe 
Tommaso Angelo Comneno, suo figlio. 

Del resto il tentativo degli Angioini di ridurre 
durevolmente sotto la propria dominazione am- 
bedue le rive dell'Adriatico all'ingresso di codesto 
mare non ebbe miglior fortuna di quello dei re 
Normanni. 



— 119 — 

Nel 1292 ricomparvero, come sopra si è visto, 
i serbi, e le conquiste angioine andarono perdute. 
Nel 1296 Tommaso Angelo Comneno riusci a ri- 
prendere Arta, Janina e Lepanto. Nel 1304 un 
Filippo principe di Taranto e di Acaja, nel quale 
Carlo II d'Anjou aveva trasferiti i suoi diritti, s'im- 
padronì di Durazzo. A Filippo la tolse poi il 
fratello Giovanni principe di Morea, che prese il 
titolo di duca di Durazzo, trasmettendolo ai di- 
scendenti, che sedettero sul trono di Napoli (ramo 
durazzese degli Angioini) : ond' è che questi re 
fecero battere moneta in proprio nome a Durazzo, 
a Corfù ed a Lepanto; e all'ambizioso re di Napoli 
Ladislao di Durazzo piacque persino di attribuirsi 
in qualche diploma il titolo di Rex Albaniae, Ma 
di fatto re dell'Albania egli non fu mai. 

Già si vide come nel 1 3 1 8 gli albanesi abbiano 
fatto causa comune con Filippo di Taranto contro 
il re dei serbi Urosh II. In questo stesso anno 13 18 
Tommaso Angelo veniva assassinato dal suo ne- 
pote Nicola Orsini detto Comneno, conte di Cefa- 
lonia, che ne sposò la vedova. 

Fra il 13 3Ó e il 13 56, mentre soggiacevano alla 
dominazione di Stefano Duscian tutta l'Albania e 
il despotato di Epiro tolto ad Anna Paleologa 
vedova di Giovanni II Orsini Comneno succeduto 
nel 1323 al fratello Nicola da lui assassinato, 
la sola Durazzo rimaneva in potere degli Angioini 
di Napoli per virtù di un valoroso capo albanese, 
Tanusio Topia, che riusciva a conservarne la si' 
gnoria alla vedova di Giovanni duca di Durazzo, 
Agnese di Perigord. È notevole il fatto che il 
monaco francese Evocar dus (Brochard) nel 1332 



— 120 — 

distingueva gli abitatiti della città e territori di 
Durazzo dai circostanti illirici o albanesi e slavi 
col nome di Latini, ed è faori di dubbio che i 
Durazzesi, come anche gli abitanti di Antivari, 
Dulcigno, Scutari e Drivasto vergavano nel medio 
evo in latino i loro atti, e composero in latino le 
iscrizioni delle loro monete, quando ne coniarono. 

Giova pure ricordare, prima di procedere oltre, 
che nel medio evo erano città importanti dell'E- 
piro Glavnitsa (Acroceraunia), Graditzion, Stefa- 
nikiai e Cernii. Queste città oggi più non esistono 
come più non esiste Nicopoli. Di Cernii non si 
conpsce nemmeno il luogo dove sorgeva. 

Ed ora riprendiamo il filo della narrazione dopo 
la morte del re Stefano Duscian il forte. 

I Balscia^ signori della Zedda, i Topia ed altri 
dinasti albanesi, — Quando sotto il debole figlio 
di Stefano Duscian l'impero serbo si spezzò in 
parecchie signorie e i re di Serbia non conserva- 
rono che una sovranità nominale sui propri do- 
minii, tra codeste signorie una ne sorse notevolis- 
sima, fondata nel Montenegro sul fiume Zeta o 
Zedda, affluente di destra della Moraccia qualche 
chilometro a monte di Podgoritsa, da Balscia /, 
un nobile serbo che aveva servito valorosamente 
in guerra Stefano Duscian. È puerile e non me- 
rita nemmeno di essere confutata la derivazione 
di questi Balscia dalla famiglia provenzale dei 
Baux. 

II distretto della Zeta o Zedda era stato per un 
certo tempo governato da un ramo dei Nemanidi, 
i quali affermavano d'essere originari di quella 
contrada, essendo Stefano Nemanja, il potente re 



— 121 — 



di Rascia altrove ricordato, nativo di Rtbnica, oggi 
Podgoritsa. Codesto distretto avevano invaso nel 
momento delia loro maggiore potenza i Despoti 
d*Epiro. Poi Tavevano governato dei personaggi 
scelti fra i maggiorenti del Regno serbo, quale 
fu ad esempio quell'Elia conte (Knex) della Zedda, 
che nel ni8 fu mandato da Stefano Urosh II am- 
basciatore ai Ragusei insieme al vescovo di Scutari. 
Ora vi compaiono i Baiscta^ destinati a estendere 
di li a poco la loro dominazione sopra una non 
piccola parte dell'Albania. 

Balscia I morì nel 1361 e lasciò tre figli: Stra- 
scimir, Giorgio I e Balscia II, i quali sottomisero 
la repubblica di Antivari, che si impegnò a pagar 
loro un tributo annuo di 2000 ducati, e s'impa- 
dronirono della costa adiacente fino a Dulcigno; 
poi conquistarono Scutari, che il Bano di Bosnia 
Tvrtko aveva occupata dopo la morte del re dei 
Serbi Stefano Urosh e infine tolsero Croja a Carlo 
Topia signore di Durazzo, e la Zadrima sulla si- 
nistra del basso Drin ai principi Ducadgin. 

Ma come mai, si domanderà, erano i Topia di- 
ventati signori di Durazzo, che Tanusio Topia aveva 
tenuta e difesa per conto degli Angioini } Occorre 
sapere anzi tutto che il figlio di Tanusio Topia, An- 
drea, aveva conquistato il cuore e la mano di una 
figlia naturale del re Roberto di Napoli destinata ad 
altre nozze. La cosa dispiacque alla corte angioina 
e i due infelici tratti con bugiarde lusinghe in 
Italia, furono fatti morire. Gli orfani Carlo e Giorgio 
Topia, allevati a Croia, giurarono di vendicare i 
propri genitori, e affermandosi eredi dei diritti 
angioini, perchè sangue reale angioino correva 



— 122 — 

nelle loro vene, volsero l'animo a conquistare Du- 
razzo, che fu assediata da Carlo Topia nel 1361 
e difesa dal capitano che governava Durazzo per 
conto della regina Giovanna I di Napoli, nepote 
di re Roberto. Nella contesa si immischiarono 
anche le repubbliche di Venezia e di Ragusa, che 
avevano colonie mercantili nella città, e Giorgio 
Balscia. Una pestilenza decimò inoltre assedianti ed 
assediati, ma il capitano angioino dovette alla fine 
arrendersi nel 1363, e Carlo Topia divenne signore 
di Durazzo. Dopodiché, pacificatosi coi Balscia, si 
uni con essi in parentela sposando Caterina figlia 
di Balscia I. Da Carlo Topia fu pure ucciso in 
battaglia il figlio di Giovanni II Orsini, Niceforo, 
che nel 1356 dopo la morte di Stefano Duscian 
aveva ricuperata la despotia d'Epiro, e che fu l'ul- 
timo della discendenza maschile degli Orsini Com-> 
neno. 

Altre parentele intanto avevano preparato ai 
Balscia possibili successioni : parentele strette con 
Andrea Musachi signore di Castorià, con Alessandro 
Glorie signore di Canina e Valona, slavo di ori- 
gine, e con Gropa o Ropa signore di Ocrida. Essi 
occuparono inoltre Dulcigno e cercarono di stabi- 
lire buone relazioni con Vlasio di Matarango, un 
albanese che signoreggiava nelle vicinanze di Du-* 
razzo e con Ragusa e Venezia, con Venezia spe- 
cialmente che li annoverò tra i suoi cittadini e 
loro riconobbe il diritto di armare navi, ma nello 
stesso tempo non permise che sottomettessero con 
esse la città di Cattaro. La stessa Venezia fece in 
quell'epoca intendere a Carlo Topia, che essa non 
poteva permettere le imprese piratesche, alle quali 



pareva volessero dedicarsi i Durazzesi, mentre Ra- 
gusa dal canto suo si opponeva al commercio del 
sale, che i Durazzesi volevano istituire con Cattaro 
in concorrenza coi Ragusei. 

Morto il principe Alessandro signore di Canina 
e Valona, i Balscidi assalirono e vinsero il suo figlio 
e successore Giorgio Gioric e occuparono quelle due 
città (a. 1371), aiutati in questa impresa da Andrea 
Musachi e da Gropa, che in ricambio chiesero di 
essere soccorsi contro Marko Kraljevic' (i), figlio 
del Voivoda Vukatshin, che alla morte di Stefano 
Urosh aveva occupato il trono serbo. Questo 
Marko Kraljevic' aveva tolte a Gropa e a Musachi 
le città di Ocrida e Castorià. Gli alleati, dopo 
l'impresa di Canina e Valona assalirono il Kra- 
ljevic', e non solo gli ritolsero Castorià ed Ocrida 
ma anche Ipek e Prizrend, che vennero occupate 
dai Balscia (a. 1372J. Verso questa stessa epoca 
saliva pure a notevole potenza nella bassa Albania 
un Gino Bua Spata, principe albanese, figlio di 
Pietro Bua Spata, signore di Argirocastro. Questo 
Gino Bua Spata tolse nel 1375 la signoria o de- 
spotia di Arta a un Gino Loshia Mazarachi, che 
l'aveva ereditata dal padre Pietro Loshia, investi- 
tone nel 1358 dal re dei Serbi Stefano Urosh IV« 

Intanto fin dal 1373 il principe Ludovico di Na- 
varrà, investito per ragioni di stretta parentela dalla 
regina Giovanna I di Napoli dei diritti su Du razzo 
e l'Albania, si accinse a farli valere. Ma egli appena 
sbarcato morì, e le sue truppe presero a guerreg- 

(i) A questo e' si dia il suono palatale che ha nella 
lingua italiana il e dinanzi alle vocali % ed e. 



^ 124 — 

giare per conto proprio cogli albanesi e special- 
mente con Carlo Topia. Questi ricorse per aiuto 
al cognato- Giorgio Balscia, e Durazzo fu facil- 
mente liberata dalla incomoda presenza di quei 
mercenari. I due alleati per altro non tardarono 
ad attaccar briga, ma Durazzo rimase a Carlo Topia 
(1376). Ricomparvero più tardi i Balscidi, e Bai- 
scia II riuscì a impadronirsi per sorpresa delFam- 
bita città e del suo porto (1383). Carlo Topia 
dovette esulare. 

/ Turchi ottomani e la Repubblica di Venezia, — 
Colla conquista di Durazzo la potenza dei Balscia 
raggiunse il suo culmine. Carlo Topia dal canto 
suo ebbe allora il torto di rivolgersi ai Turchi ot- 
tomani^ che dal regno di Brussa (Bitinia) nell'Asia 
Minore o Anatolia erano a quel tempo passati sotto 
il sultano Amurat o Murad I in Europa, e anda- 
vano rapidamente estendendo il proprio dominio 
nella penisola balcanica. Dopo parecchie piccole 
scorrerie i turchi invasero con grandi forze l'Al- 
bania, condotti da Chaireddin Pascià, e giunti di- 
nanzi a Berat la presero e la incendiarono. Bal- 
scia II accorse con 1 1 ,000 guerrieri e si combattè 
sulle rive della Vojussa. L'esercito di Balscia II 
subì una grave disfatta, lo stesso Balscia fu uc- 
ciso e la sua testa chiusa in un sacco venne spe- 
dita al Sultano, come annunzio della vittoria 
(a. 1385). Carlo Topia riebbe Durazzo, ma i turchi 
imbaldanziti si spinsero fino al confluente del Drin 
Bianco e del Drin nero da un lato, dall'altro fin 
sotto Valona. 

La signoria del Balscia fu allora scossa grave- 
mente, e parecchie città albanesi passarono sotto 



— 125 — 

altri padroni. Cimara ad esempio sotto un certo 
Ermolao Lombardo, la Zadrima sotto i Ducadgin, ai 
quali i Baisela l'avevano tolta parecchi anni prima, 
mentre alla vedova di Baisela II Comnena, figlia 
di Andrea Musachi, restava la signoria di Valona 
e Canina. 

Intanto Carlo Topia impensierito della presenza 
di quei turchi, il cui intervento aveva egli stesso 
invocato, sollecitava la protezione della repubblica 
di Venezia, che a quel tempo volgeva di nuovo 
e più risolutamente che mai le sue mire verso il 
littorale albanese, sia per rifarsi della perdita 
della Dalmazia, toltale dal re d'Ungheria Luigi il 
grande d'Anjou col famoso trattato del i8 feb- 
braio 1358, sia per porvi piede stabilmente prima 
che i turchi arrivassero a impossessarsene, giacché 
la conquista turca avrebbe significato la perdita 
di tutte quelle franchigie e di tutti quei privi- 
legi che nei porti di Albania godeva la Sere- 
nissima. 

Nel 1388 sotto la protezione di Venezia pone- 
vasi pure interamente Comnena signora di Valona 
e Canina. 

Giorgio 11 Strascimirov Balscia, figlio di Stra- 
scimiro e nepote e successore di Balscia 11, ugual- 
mente preoccupato dei minacciosi progressi della 
potenza ottomana, erasi dal canto suo legato 
in parentela col conte Lazaro Grebljanovic', di- 
venuto re dei Serbi di Rascia, sposandone la fi- 
gliuola Despa (Elena). 

Ed eccoci all'anno 1389, al terribile anno che 
segnò la fine della potenza dei Serbi. 

Già fin dal 1371 il voivoda Vukatshin, re dei 



— 126 — 

Serbi di Rascia, aveva perduta la vita combat- 
tendo contro il sultano Murad I, e il figlio di lui 
Marko Kraljevic', sopra ricordato, erasi sottomesso 
al vincitore. 

Lazaro Grebljanovic', già governatore di Mashva 
e Sirmio, proclamatosi re, volle sottrarre la Serbia 
al giogo turco, e alleatosi col Bano di Bosnia 
Tvrtko, affrontò le forze ottomane nella pianura di 
Cossovo a un'ora da Prishtina verso il nord, là 
dove il Lab confluisce nella Sitnitsa. Egli perdette 
la battaglia e la vita, e con lui peri il fiore della 
nobiltà serba. Nella tremenda battaglia perì anche 
il sultano Murad, cui fu eretto in mezzo alla pia- 
nura un mausoleo, che ancora esiste. Non è certo 
che a Cossovo abbia combattuto anche Giorgio li 
Baisela, ma certo è ch'egli, trinceratosi nei suoi 
stati, vi fu assalito dai turchi e perdette Castorià, 
Berat, Drìvasto e Scutari e si ridusse alla sola si- 
gnoria di Antivari e di Dulcigno, giacché il do- 
minio della Zcdda era passato a Radic' Cernojevic', 
genero di Giorgio I Balscia. Drivasto e Scutari 
Giorgio II le potè poi riavere per intercessione 
di una sua parente, che trovavasi nell'Harem del 
Sultano. Più tardi, nel 1396, assalito di nuovo, 
egli vendette' Drivasto e la città e il castello Rosafa 
di Scutari con i territori adiacenti per una pen- 
sione annua di 1000 ducati ai veneziani, la qual 
cessione è da taluni storici erroneamente attribuita 
a Strascimiro Balscia, suo padre. Intanto i vene- 
ziani nel 1392 avevano ottenuta anche la città di 
Durazzo da Giorgio Topia figlio di Carlo, che ne 
aveva fatta consegna a Saracin Dandolo, capitano 
del Golfo, e s'erano presa Alessio colPaiuto di 



— 127 — 

Radic' Cerno je vie e dei Ducadgin. E qui si noti che 
Alessio era la chiave del commercio di Durazzo 
verso rinterno, commercio allora limitato al sale. 
Nel 1404 sottomettevasi alla repubblica di Venezia 
anche Nichela Topia, figlio di Giorgio, impadro- 
nitosi di Croja dopo che questa città fin dal 1393 
era stata ceduta ai veneziani da un Marco Barba- 
digo, genero di Carlo Topia. La repubblica, ac- 
cettandone Tomaggio, lasciava Nicheta Topia al 
governo di quella città. Verso codesto tempo pro- 
clamavasi del pari suddito della Serenissima Da- 
miano Dushman signore di Pulati, già suddito del 
sultano Bajazet. 

Il dominio Veneziano andava insomma acqui- 
stando grandi e giustificate simpatie per la sua 
moderazione e saggezza tra gli Albanesi, e alfe- 
stensione della preponderanza veneta sulle coste 
di Albania contribuiva, al principio del 400, la 
momentanea decadenza delFimpero turco sopraf- 
fatto dal Kan dei Mongoli Tamerlano (Timur 
Lenk), che aveva costretto Bajazet I a togliere 
l'assedio da Costantinopoli per correre incontro 
alle orde mongoliche nell'Asia Minore, dove fii 
battuto e fatto prigioniero (a. 1402 — Battaglia 
di Angora). Nella prima metà del secolo xv i Ve- 
neziani riuscirono anche a stabilirsi solidamente 
a Valona, a Butrinto, a Parga e persino a Patrasso 
ed a Lepanto, quest*ultima cedutale nel 1407 da 
Paolo Spata, figlio naturale di Gino Bua Spata 
sopra ricordato. Infine delle vicine isole Jonie 
tranne Cefalonia, la Repubblica di Venezia era 
venuta in possesso, per spontanea dedizione, fin 
dalla seconda metà del secolo xiv, non ostante ì 



— 128 — 

diritti che su di esse, e specialmente su Corfù, 
vantavano i re angioini di Napoli del ramo du- 
razzese. A questi diritti rinunziò definitivamente 
per 30,000 ducati il re di Napoli Ladislao (16 agosto 
1402), quello stesso che restituì ai Veneziani i 
porti della Dalmazia, che Luigi d*Anjou re d'Un- 
gheria, suo stretto parente, le aveva tolti. Sui 
porti dalmati, come sul ducato di Durazzo e sulla 
despotia d'Epiro aveva solennemente affermata la 
propria sovranità, dopo la morte del re Luigi (1383) 
Carlo di Durazzo, padre di Ladislao e pretendente 
al trono d'Ungheria. 

Giorgio II Strascimirov Balscia, ridotto nuova- 
mente al solo possesso di Antivari e di Dulcigno, 
morì nel 1404, e a lui successe il figlio Balscia III. 
Nel colmo della sua potenza Giorgio II aveva altresì 
fatto coniare moneta propria in slavo ; e monete 
col nome suo, ma in latino, avevano coniate il 
municipio di Scutari intitolandola al protomartire 
S. Stefano e quello di Antivari sotto il patrocinio 
di S. Lorenzo. Nel 1386 anche il Municipio di 
Dulcigno commetteva ad un orefice di Ragusa il 
conio per le sue modeste monete di rame. 

Balscia III, nonostante le simpatie che sulle coste 
albanesi e persino fra le indomite tribù shkipetare 
delle montagne Venezia erasi accattivate colla 
mitezza e liberalità del suo governo, lottò finché 
visse colla Serenissima allo scopo di rialzare la 
potenza della sua casa, alternando lunghe ostilità 
e brevi tregue o effimeri accordi, ora alleato or 
nemico dei piccoli signorotti albanesi limitrofi al 
suo piccolo Stato. Egli venne a morte nel giugno 
del 1421 senza aver nulla conchiuso e senza la** 
sciar figli maschi. 



— 129 — 

Quando Balscia III morì, Venezia era già pa- 
drona non solo di Scutari, Alessio, Durazzo e 
Valona, ma anche di Dulcigno, come pure di tutta 
la costa da Antivari alle bocche di Cattaro. Questi 
domini! essa governava coi suoi Procuratori, salvi 
sempre i privilegi locali, mentre nella rimanente 
Albania signoreggiavano numerosi dinasti, o del 
tutto indipendenti come certe tribù montanare, 
ovvero sotto l'alta protezione, ora del Sultano da 
un lato, ora di Venezia dalFaltro. 

Dinasti albanesi. — Primeggiavano tra costoro 
Stefano Cernojevic' voivoda del Montenegro, im- 
padronitosi pure di Antivari alla morte di Bal- 
scia III, Paul e Lek (Alessandro) Ducadgin nel paese 
oggi appunto occupato dalla tribù che si chiama 
dei Ducadgini e obbedisce ad un complesso di leggi 
a Lek Ducadgin attribuite, Peter Span o Spanos 
in Dri vasto, Giorgio Stresio e Goiko Balscia tra 
Croja e Alessio, Lek Dushman in Pulati sulla 
destra del Drin, Lek Zaccaria nella Zadrima infe- 
riore e a Dajna (Dagno) sulla sinistra del Drin, 
Gropa a Dibra, i Musachi nella così detta Musachia 
sul Semeni, Andrea Topia nella media Albania 
lungo la costa, Zenevisi attorno ad Argirocastro, 
Arainites Topia Golem Comnenos nell'Acrocerau- 
nia e nell'alto Epiro, i Tocco nel basso Epiro. 
I Tocco estendevano la loro signoria anche nel- 
TEtolia. Essi erano succeduti anzi tutto agli Or- 
sini Comneno nella contea di Cefalonia, e su- 
bito si erano eretti a pretendenti della despotìa 
di Epiro, venuta, come già sappiamo, per la mas- 
sima parte in possesso degli Spata. Nel 14 18 Carlo 
Tocco assalì ed uccise Maurizio Bua Spata Sguro 

9 



— 130 — 

e riunì le despotìe di Arta e di Janina alla Contea 
di Cefalo nia. Oggi è poi messa in dubbio con va- 
lidi documenti la vecchia tradizione, che Croja(Kruja 
= la città delle fontane, in lingua albanese) abbia 
appartenuto per un certo tempo a quel Giovanni 
Castriota, da cui nacque Teroe albanese Giorgio 
Castriota detto Scanderbeg, che - segnò il punto 
più luminoso delia storia dell'Albania. Né più si- 
cura di questa è la tradizione, che assegna origine 
serba ai Castrioti, a Peter Spanos e alla famiglia 
dei Ducadgin. 

Intanto la potenza turca, fiaccata dai Mongoli 
come ho sopra accennato, riprendeva dopo pochi - 
anni lena e vigore con Solimano Chelebi( 1402-14 io), 
con Musa Chelebi (14 io- 141 3), con Maometto I 
(141 3-1 421) e più ancora con Amurat o Murad II 
(1421-1451). 

I Turchi rinnovarono le loro intraprese nella 
penisola balcanica, e la stessa Venezia s'indusse 
a pagar loro un tributo annuo di 1000 ducati pei 
suoi possessi albanesi, conchiudendo a questo scopo 
un trattato con Solimano Chelebi (febbraio 1410), 
mentre parecchi dinasti dell'Albania si ponevano 
sotto la protezione del Sultano. Del tributo poi la 
Repubblica veneta si compensava ordinando al 
Conte Capitano di Scutari d'imporre a quelle po- 
polazioni la tassa di mezzo ducato per ogni foco- 
lare, a imitazione di Balscia III, che per pagare il 
tributo al Sultano aveva imposta, in forma meno 
tollerabile, per ogni focolare la tassa di un ducato. 
Alcune città albanesi, come ad esempio Croja, ac- 
coglievano anche presidii turchi. Nel 1430 Venezia 
ebbe a temere per la stessa Scutari, dov'era scop- 



- 131 - 

piata una ribellione, e inviò Silvestro Morosini 
per domare i ribelli Stefano Maramonte e Zanusio, 
e di là tener d'occhio i Turchi, pronti ad appro- 
fittare di qualsiasi occasione. Nel 143 1, mentre 
Murad II assediava Tessalonica (oggi Salonicco) 
per toglierla ai Bizantini e ai Veneziani, che anche 
in quel porto godevano larghi privilegi, si pre- 
sentavano a lui ambasciatori della città di Janina 
per offrirgliene il possesso, purché fossero rispettati 
i beni e le persone, e gli abitanti avessero facoltà 
di governarsi da loro sotto Talta sovranità del 
Sultano. La proposta fu bene accolta, ma i citta- 
dini di Janina ebbero motivo di non essere troppo 
soddisfatti delle conseguenze della loro profferta. 
Pochi anni dopo cadeva in potere dei Turchi 
anche Arta, di guisa che ai Tocco più non rima- 
neva che la Contea di Cefalonia, di cui sulla fine 
del secolo xv furono definitivamente spogliati dai 
Veneziani. 

Politica di Venezia in Albania — L' Albania, 
divisa o meglio frantumata in tante piccole si- 
gnorie, spesso discordi e rivali, era destinata a 
soccombere. Designati alla sovranità del paese 
altri non potevano essere che i Turchi o i Vene- 
ziani. 

Da quanto abbiamo sin qui narrato e dai docu- 
menti che si conservano nei veneti archivi risulta 
abbastanza chiara la politica, che la Repubblica 
Veneta seguiva, nei tempi di cui ci stiamo occu- 
pando, per estendere i propri dominii in Albania 
col maggior risparmio possibile di uomini e di 
denaro. 

Impotenti a difendersi dai Turchi e a conscr- 



- 132 - 

vare da sé soli la propria signoria, i dinasti alba- 
nesi si rivolgevano per soccorsi alla Serenissima 
e le offrivano il dominio delle loro terre conten- 
tandosi in compenso di modeste provvigioni annue. 
Venezia annuiva, nonostante il magro profitto che 
da quegli acquisti poteva derivare al tesoro dello 
Stato, perchè le premeva di opporre un argine al 
dilagare della potenza turca. 

B. Cecchetti in una comunicazione fatta allVs/A 
tato Veneto intorno agli stabilimenti politici della 
Repubblica Veneta nell'Albania (Atti del R, Istituto 
Veneto, nov. i8jy, ott, iSy^f), ragiona molto acuta- 
mente intorno a questa politica, e le sue osserva- 
zioni possono anche servire di preambolo a quanto 
dovrò raccontare nel seguente capitolo. Talora, 
dice a un dipresso il Cecchetti, la Repubblica 
accettava senz'altro Tofferta dei signori albanesi, 
ma voleva che si allontanassero dalle terre cedute; 
o riceveva quei luoghi, morti i principotti, dalle 
loro mogli ; o li rifiutava, se il conservarli le avesse 
costato grave spesa. Quasi sempre incoraggiava i 
signori albanesi a resistere ai Turchi, ma occor- 
rendo, consigliava pure la pace. Talvolta accettò 
quei signori come amici e tributari, quasi fossero 
investiti da lei di feudi con giurisdizione. Li acca* 
rezzo, ma sempre col minor dispendio possibile. 
Fece anchcr qualche scusa ai Turchi. Respinse, poi 
accettò del pari la signoria offertale da talune Co- 
munità. Mandavano esse in tal caso loro amba- 
sciatori a Venezia colle condizioni o capitoli delia 
dedizione, i quali stabilivano i diritti della citta- 
dinanza di fronte al Governo veneto. Questo li 
approvava o li modificava o respingeva per decreto 



- 135 - 

del Collegio o del SenatX) (Mislì e Mar); (i) poi 
mandava in quelle terre Provveditori o Rettori ordi- 
nari o Sindici inquisitori. Amministravano costoro 
secondo gli statuti del luogo, o dove mancassero 
secondo le leggi veneziane ; qualche volta a tenore 
degli statuti locali nella parte civile, nella crimi- 
nale secondo il veneto diritto. 

Il Cecchetti ha inoltre legato alVlstituto Veneto 
una copiosa raccolta di documenti, che suffragano 
le sue osservazioni. Da un documento del 1393 
riguardante Alessio appare, ch'era vietato cedere 
un luogo cogli abitanti a guisa di schiavi, tranne 
il caso in cui tali fossero per nascita o vendita. 
Da documenti del 1365, del 1407 e del 1475 risulta 
che Venezia ebbe qualche vertenza e contesa colla 
Corte di Roma per la nomina di un arcivescovo 
di Durazzo e per impedire il trasferimento di quel- 
Tarcivescovato in altra città. Da un documento di 
Drivasto del 1405 si deduce il pareggiamento degli 
ecclesiastici agli altri cittadini nella custodia della 
città e nel pagaménto delle imposte. Altri docu- 
menti si riferiscono a maritaggi di signori albanesi 
con gentildonne veneziane, ad elezioni di giudici 
locali per piccole liti, a trattative con personaggi 
e Comunità albanesi. Notevolissima è la raccolta 
di ducali e di decreti del senato per l'acquisto, la 
difesa e l'amministrazione delle terre d'Albania. 

Contuttociò, non ostante l'avveduta politica e 
il buon governo della Repubblica Veneta, i Turchi 



(i) Vedi Bibliografia (Medio evo, dalla caduta delV Impero 
d^occidente a Giorgio Scanderbeg), là dove si accenna agli 
archivi di Venezia. 



- 134 - 

finirono col trionfare, perchè erano i più forti, 
perchè a Venezia mancò l'invocato soccorso dei 
principi cristiani e perchè la Serenissima di altro 
non si preoccupava che del possesso della costa 
necessaria al suo predominio commerciale, lad- 
dove nell'interno non dell'Albania soltanto, ma 
di tutta la penisola balcanica, il dilagare della po- 
tenza ottomana era favorito dalla debolezza e 
dalla rivalità dei grandi e piccoli Stati cristiani. 
Infatti, come si è già visto in parte e come in 
parte si vedrà, proseguendo i Turchi nell'intra- 
prendcre le loro conquiste in Europa trovarono 
la penisola balcanica sminuzzata in numerose e 
tra loro ostili signorie: l'impero bizantino, ormai 
decrepito e ridotto a troppo angusti confini, lo 
Stato serbo-macedone, indebolito dall'assoluta au- 
tonomia feudale di governatori paragonabili agli 
antichi satrapi della Persia, le despotie albanesi 
nelle condizioni sopra descritte, le colonie vene- 
ziane, il ducato d'Atene e i principati bulgari e 
moldo-valachi. Riuniti, questi grandi e piccoli 
Stati avrebbero potuto facilmente aver ragione 
dei Turchi. Divisi e spesso rivali e nemici cad- 
dero ad uno ad uno in balia del conquistatore, e 
furono sua preda e possesso. 

Soltanto la nazione albanese ebbe prima di sog- 
giacere un eroe, e questo eroe fu Scanderbeg, 



135 



Capitolo III. 

Giorgio Castriota detto Scanderbeg - I Turchi 
conquistano l'Albania dopo la morte di Scan- 
derbeg - L'Albania sotto la dominazione turca - 
Colonie albanesi in Italia (1421-1750). 

Giorgio Scanderbeg, — Incerta é tuttora rorigine 
della famiglia dei Castrioti, giacché alcuni le attri- 
buiscono origine serba, altri albanese; alcuni affer- 
mano che l'avo di Giovanni Castriota, padre di 
Giorgio, chiamavasi Costantino, e avendo sposata 
Helena Topia, figlia o nepote di Carlo Topia, avanzò 
pretese per questo titolo sulla città di Croja e fu 
giustiziato come ribelle dai Vene iani nel 1402; 
altri invece sostengono che il padre di Giovanni 
Castriota chiamavasi Paolo, e il Costantino in que- 
stione apparteneva al casato dei Baisela. Comunque 
sia, non tocca a noi risolvere una questione di cosi 
mediocre importanza. La fama di Scanderbeg é tutta 
sua, e nulla le tolgono e le aggiungono le oscure 
origini e le incerte gesta de' suoi antenati. 

Come non é certo che Giovanni Castriota, padre 
di Giorgio, divenisse signore di Croja, cosi non é 
affatto sicuro ch'egli abbia avuta in signoria la città 
di Castorià e che dal nome di questa città sia de- 
rivato il cognome dei Castrioti, Taluni infatti ri- 
ducono il dominio di Giovanni Castriota a pochi 
e oscuri villaggi nel territorio delle tribù dei Matija 
e dei Dibra. Non so con quanto fondamento altri 
ravvicinano il nome dei Castrioti a quello di Castri, 
piccolo villaggio presso S. Giorgio nella Mirdizia, 



— 136 — 

o ai nomi riuniti delle tribù dei Castrati e degli 
Hotti. 

Certo è soltanto che Giovanni Castriota fu per 
un certo tempo vassallo dei Veneziani, la cui pro- 
tezione aveva chiesta contro i Turchi, e ricevette 
da essi una pensione. Certo è pure che combat- 
tendo contro i Turchi di Evrenos Pascià nel 1410 
Giovanni Castriota fu vinto e costretto a dare come 
ostaggi quattro suoi figliuoli, tra i quali era Giorgio. 

Giorgio era nato nel 1403 a Croja, secondo una 
tradizione non molto sicura, e aveva 7 anni quando 
fu condotto a Costantinopoli, dove naturalmente 
venne educato nella fede maomettana. Dei suoi 
fratelli più non si ebbe notizia, e si disse che pe- 
rissero avvelenati. Cresciuto in età Giorgio diede 
prova di straordinario valore combattendo in Asia 
contro i nemici della Mezzaluna, si da meritare la 
benevolenza di Amurat o Murad II, che gli fu 
largo di onori e di benefizi, nonché l'ammirazione 
dei turchi, che lo soprannominarono Iskender-bey 
(il signore ^Alessandro^ nome che diventò più tardi 
Scanderbeg sulle labbra degli Albanesi. 

Giorgio Castriota fece dunque le sue prime armi 
senza essere costretto a combattere contro i propri 
compatrioti e a far macello di genti cristiane. Ma 
lion doveva essere sempre cosi. 

Fin dal 1425, salito al trono di Serbia Giorgio 
Brankovic', nepote di Lazaro Greblianovic', il cui 
figlio Stefano Lazarovic'aveva pagato tributo al sul- 
tano Bajazet, erasi il nuovo re proposto di scuotere il 
giogo turco e di riconquistare l'Albania, e aveva stretto 
alleanza a questo fine con Sigismondo di Lussem- 
burgo, sacro imperatore romano e re di Germania, 



- 137 - 

di Boemia e d'Ungheria. Gii Ungheresi mandati 
incontro ai Turchi furono battuti e Giorgio Bran- 
kovic', abbandonato a se stesso, dovette obbligarsi 
a pagare un annuo tributo dì 50,000 zecchini, a 
offrire la sua figlia a Murad II e a servire come 
vassallo negli eserciti del Padiscià. 

Pochi anni dopo moriva il padre di Giorgio Ca- 
striota (1432), ma non risulta da verun fatto o do- 
cumento accertato che l'eroico albanese abbia in 
tale occasione manifestato il desiderio di lasciare 
il suo posto d'onore fra i guerrieri del Sultano per 
succedere al padre nei suoi modesti domini! fra le 
tribù maljsore dell'Albania. L'ora della riscossa non 
era ancora suonata. 

Nel 1439 Giorgio Brankovic' ritentò la fortuna 
delle armi e fu di nuovo sconfitto e obbligato a 
rifugiarsi in Ungheria. In questa impresa vuoisi 
che nell'esercito turco militasse e si coprisse an* 
Cora una volta di gloria Giorgio Castriota, che forse 
fin d'allora cominciò a sentirsi a disagio tra i sol- 
dati del sultano, perché col vinto re di Serbia ave- 
vano combattuto parecchi de' suoi fratelli albanesi. 

Scanderheg e Giovanni Hunyady. — Un valoroso 
condottiero sorgeva di li a qualche tempo in Un- 
gheria ad arrestare la marcia trionfale dei turchi 
verso l'occidente d'Europa. Questo valoroso chia- 
mavasi Giovanni Hunyady, voivoda di Transilvania, 
e il desiderio di emularne le gesta spinse proba- 
bilmente Giorgio Castriota, che già meditava nel 
grande animo nuovi disegni, a tornare alla religione 
de' suoi padri e a combattere per l' indipendenza 
della patria sotto il vessillo di Cristo. L'occasione 
non tardò a presentarsi. 



- 138- 

Nel 1440 Ladislao Jagellone re d'Ungheria, in- 
coraggiato da papa Eugenio IV, risolse di opporsi 
ai turchi irrompenti e di rimettere sul trono di 
Serbia Giorgio Brankovic', e pose alla testa dei suoi 
ungheresi Giovanni Hunyady. L'Hunyady disfece 
gli Osmanli a Vorag e a Nissa sulla Morava (1442). 
Fu appunto nella battaglia di Nissa che Scanderbeg 
si staccò dal Sultano. 

Gesta di Scanderbeg in ^Albania - ^urad II, — 
Dopo avere assistito, v'ha chi dice d'accordo col- 
l'Hunyady, alla disfatta dei turchi, egli raccolti attorno 
a sé trecento albanesi si fece incontro al segretario 
guardasigilli (Rejs Effendi) del Padiscià, travolto nella 
fuga dei turchi, e lo costrinse a scrivere a nome di 
Murad II una lettera, nella quale lo si nominava go- 
vernatore di Croja ; quindi lo uccise. Ciò fatto co' suoi 
albanesi si diresse alla volta dell'Albania e giunto a 
Dibra alta, fu da quelle genti, tra le quali i ca- 
strìoti avevano tenuto signoria, accolto con im- 
menso entusiasmo. Scelse fra quei di Dibra altri 
trecento compagni, e con questa piccola ma fida 
scorta di 600 prodi giunse a Croja, e in virtù della 
lettera che aveva fu ricevuto solennemente dal go- 
vernatore turco, che gli cedette, come la lettera 
ingiungeva, il potere. Nella notte il presidio turco, 
colto alla sprovvista, veniva messo a fil di spada. 
Il mattino appresso Scanderbeg chiamò il popolo 
a libertà e proclamò la propria conversione al cri- 
stianesimo insieme al nepote Hamza. 

I tbrchi che si trovavano nell'Albania s'affretta- 
rono a rinchiudersi nei luoghi fortificati, Moises 
Golem, che signoreggiava sopra una gran parte 
del paese dei Dibra come vassallo del sultano, si 



— 139 — 

sottomise a Scanderbeg e divenne il suo braccio 
destro. 

Scanderbeg stabili anzi tutto di assediare il forte 
di Petrejla, eretto a difesa dei passi pei quali da 
Tirana si scende a Durazzo e ad Elbassan. Di que- 
sto forte oggi esistono soltanto le rovine. Giorgio 
Castriota in breve costrinse i difensori alla resa, 
mentre Hamza con 3000 cavalieri albanesi obbli- 
gava il comandante turco del forte di Gar-i-barth 
(Petralba), altro castello di cui oggi non restano 
che pochi avanzi nel territorio dei Matija, a conse- 
gnargli la piazza con libera uscita da es$a per sé 
e per i suoi. 

Altre forze turche si erano chiuse nella fortezza 
di Svetigrad a sud est di Dibra alta sulla destra 
del Drin nero. Anche di Svetigrad si veggono og- 
gidì le rovine presso Kodzondgik. 

Fallito un primo tentativo per espugnarla, Scan- 
derbeg lasciò a bloccarla Moises Golem con 3000 
cavalieri e tornò a Croja, donde mosse poi verso 
Derida, dove si stava concentrando un corpo di 
turchi per tentare la liberazione di Svetigrad. Con 
soli 300 cavalieri egli costrinse i turchi a ritirarsi, 
quantunque avesse già al suo comando 8000 cava- 
lieri e 7000 fanti. 

Tutto questo accadde nel 1443. In questo stesso 
anno Venezia s'impossessava di Antivari toglien- 
dola al Voivoda montenegrino Stefano Cerno) evie', 
perchè dalle sue terre egli recava eccessive mo- 
lestie ai dominii albanesi della Repubblica, e per 
far cessare queste molestie invano il Senato Veneto 
aveva scritto al Sultano, del quale il Voivoda era 
nominalmente suddito. Esecutore degli ordini del 



— 140 — 

Veneto Senato nella occupazione di Antivari fu An- 
tonio Diedo, capitano del golfo (31 maggio). Nella 
primavera del 1444 si sparse la voce che Murad II 
apparecchiavasi a ridurre l'Albania all'obbedienza, 
e allora Scanderbeg risolse di convocare i capi al* 
banesi a un convegno in Alessio, essendo la repub- 
blica di Venezia, cui Alessio apparteneva, ben di- 
sposta come sempre a favorire qualsiasi proposito 
o tentativo per arrestare i progressi degli Osmanli. 

L'appello di Giorgio Castriota non rimase ina- 
scoltato. Convennero in Alessio Arainites Topia, 
Andreas Topia, Giorgio Stresio, Goìko Balscia, i Du- 
cadgin, Giovanni Musachi, Lek Zaccaria, Pietro Spa- 
nos. Lek Dushman e il principe montenegrino Ste- 
fano Cernojevic', ch'era nato da una figlia di Gio- 
vanni Castriota e sposò Voisava di Giorgio Scan- 
derbeg. Assistevano al convegno anche i governatori 
veneziani di Alessio, Scutari e Durazzo. 

L'assemblea deliberò di costituire una lega per 
difendere l'Albania contro i Turchi, e capo della 
lega, su proposta di Arainites Topia, fu procla- 
mato Giorgio Castriota. Ch'egli sia stato procla- 
mato invece re dell'Albania non é vero, perché 
ognuno di quei dinasti voleva per conto suo rima- 
nere indipendente e sovrano. Il dominio diretto di 
Scanderbeg altro allora non abbracciava che Croja, 
il paese dei Mirditi e dei Matija, ai quali possessi 
egli più tardi aggiunse Dibra, la piccola Musachja, 
e alcuni altri lembi di territori tolti in propizie oc- 
casioni ai suoi alleati. 

Intanto Moises Golem aveva espugnato Svetigrad, 
lasciandovi un presidio, e con 5000 uomini rag- 
giungeva il capo della lega, il quale, messi insieme 



— I4X — 

cosi 15,000 guerrieri, afFrettavasi a muovere incontro 
a 40,000 turchi condotti da Ali-pascià. Scanderbeg 
prese posizione a Dibra bassa e quivi attese il ne- 
mico, che non tardò a giungere e si accinse ad 
assalire le fortificazioni albanesi senza potervi im- 
piegare tutte le proprie forze ad un tempo. La di- 
sfatta dei turchi fu piena. 22,000 osmanli giacquero 
sul campo di battaglia, 2000 prigionieri e 25 
bandiere caddero in mano degli albanesi. 

Chiamato subito dagli altri principi cristiani che 
erano in lotta coi turchi in loro aiuto, Scanderbeg 
mosse con 20,000 uomini verso Belgrado, ed essen- 
dosi opposto al suo passaggio Giorgio Brankovic', 
egli già accingevasi ad aprirsi la strada colla forza, 
quando gli giunse notizia che l'Uniade era stato 
sconfitto dai turchi a Varna e il re Ladislao d'Un- 
gheria era perito nella terribile battaglia (io no- 
vembre 1444). Se ne ritornò allora in Albania, e 
quivi dopo qualche tempo gli fu recata una let- 
tera del sultano, che aveva risoluto di negoziare la 
pace tanto con lui quanto con l'Uniade. La lettera 
per altro, com'era da aspettarsi, non chiedeva la 
pace, bensi prometteva perdono al ribelle vassallo 
e cosi cominciava: « xAmurat oiiomanOy sovrano dei 
turchi e imperatore d^Oriente, a Scanderbeg suo in- 
grato pupillo. 3> Era stata scritta il 15 giugno 1445. 

L'eroe albanese convocò l'assemblea dei capi per 
giudicare delle proposte del sultano, e l'assemblea 
fu unanime nel respingerle sdegnosamente. Forte 
di questo voto, Scanderbeg inviò a Murad II una 
fiera risposta in data del 12 agosto, intitolandosi 
« soldato di Gesù Cristo e prìncipe albanese e degli 
Epiroti* » 



— 142 — 

I turchi ripresero l'ofFeasiva nell'autunno del 
1445, ^ Fizur-pascià alla testa di 9000 uomini si 
accinse a penetrare nell'Albania per la via di Priz- 
rend. Scanderbeg ne fu informato, e con soli 3500 
uomini attese fra anguste gole di montagne il ne- 
mico e piombò all'improvviso sulle file ottomane 
costrette dalla natura dei luoghi ad allungarsi e a 
procedere separate senza potersi appoggiare a vi- 
cenda. 

II pascià scampò alla strage con pochi superstiti, 
I prigionieri furono soli 300. 

Mustafà-pascià, mandato con nuove forze alla ri- 
scossa nella primavera del 1446, non fu più fortu- 
nato di Fizur. Quantunque avesse mutato tattica e 
procedesse cautamente di posizione in posizione, 
assicurandosi le retrovie, devastando il paese per 
dove passava e portando dappertutto il terrore, si 
lasciò cogliere da ultimo in una imboscata, e assa- 
lito di nottetempo non potè impedire che Timpre- 
veduto assalto portasse lo scompiglio tra i suoi. 
Riusci egli pure a fuggire lasciando moltissimi 
morti e circa 300 prigionieri, e raccolte le truppe 
che aveva lasciate a protegfgere le retrovie raggiunse 
a stento il confine turco, inseguito senza tregua 
dagli albanesi, che in questa terza battaglia non 
avevano avuto che soli 70 morti. 

Poco dopo l'annunzio della sconfìtta di Mustafà, 
Murad II abdicava nominando suo successore il 
figlio Maometto II. La cristianità respirò, sperando 
in un periodo di tregua, e il nome di Scanderbeg 
corse glorioso per tutta l'Europa. 

Scanderbeg in guerra con la Repubblica di Venezia, 
— Nello stesso tempo scoppiava purtroppo un con- 



- 145 - 

flitto tra Scanderbeg e i veneziani. Lek Ducadgin 
aveva fatto assassinare Lek Zacaria signore della Za« 
drima inferiore e di Dajna (Dagno) per impossessarsi 
dei suoi beni. La vedova dell'ucciso si rifugiò a Scu- 
tari e trattò coi veneziani la cessione di Dagno, e la 
Serenissima ne ordinò senz'altro la occupazione. Ma 
a questo punto si fece innanzi Giorgio Castriota, 
affermando che con un precedente trattato Lek 
Zacaria aveva ceduto a lui Dagno in caso di morte* 
Tentò quindi di sorprendere Dagno, ma non vi 
riusci. Batté per altro i veneziani in battaglia cam- 
pale, quantunque essi si fossero collegati coi despoti 
Lek Dushman di Palati e Peter Span o Spanos 
di Drivasto. ; e corse a metter l'assedio a Dagno, dopo 
aver costrutto on luogo fortificato (Balesa) per im- 
pedire le comunicazioni fra Dagno, Scutari e Dri- 
vasto. V'ha chi afferma, non so con quanto fonda- 
mefite, che l'uccisore di Lek Zacaria sia stato non 
Lek Dukadgin, ma Lek Dushman. 

Le cose erano a questo punto, quando Murad II, 
peiitito della propria abdicazione, riprese le redini 
dello Stato e subito pensò a vendicarsi di Scan- 
derbeg. Dicesi che a tale impresa lo incoraggiasse 
questa volta anche un messo del Senato Veneto. 
Murad II mandò in Macedonia Mustafà-pascià con 
20,000 uomini e con l'ordine di tenersi sulla difen- 
siva, finché egli in persona non fosse giunto con 
maggior nerbo di truppe. Ma il Pascià, informato 
della guerra che si combatteva tra Venezia e Giorgio 
Castriota, scrisse al Sultano afiìnché volesse per- 
mettergli di approfittare dell'occasione, e ottenuto 
il permesso, passò al principio del 1447 il confine 
sopra Ocrida dirigendosi rapidamente su Croja; 



— 144 — 

ma egli altro non fece che andare incontro a una 
nuova sconfitta, che Scanderbeg gl'inflisse nel ter- 
ritorio dei Mirditi. Il pascià fu fatto prigioniero 
con 12 de' suoi capi e io,ooo turchi giacquero sul 
campo di battaglia, mentre gli albanesi non ebbero 
che 200 morti (1447). 

Il Senato Veneto, che aveva occultamente seguita 
verso il Castriota una doppia e perversa politica, 
dovette allora pacificarsi coll'eroe albanese. Ecco 
infatti com'erano andate le cose. Il Senato, non 
potendo aver ragione di Scanderbeg colle forze della 
Repubblica, si era accordato, come sopra ho detto, 
col Sultano, ordinando nel tempo stesso al Capi- 
tano di Durazzo Paolo Loredan, che si apparec- 
chiasse ad assalire il Castriota, appena giungessero 
i Turchi; ma ove questi tardassero, per guadagnar 
tempo intavolasse delle trattative di pace col Ca- 
striota, e gli ricordasse l'antica amicizia della Re- 
pubblica col padre suo, e gli promettesse per la 
cessione di Dagno un annuo tributo di 1 500 ducati, 
e soli 500 se egli volesse conservare quel castello, 
I Turchi vennero finalmente e furono battuti: e 
allora il Senato conchiuse senz'altro la pace (gen- 
naio 1448). Fu quindi stabilito che la Repubblica 
considererebbe come veri e buoni amici Scanderbeg, 
Lek Ducadgin e gli altri principi albanesi; che ri- 
terrebbe Dagno e pagherebbe 1400 ducati all'anno; 
che i Veneziani avrebbero facoltà di prendere in 
afiitto in Albania case e terreni, e Scanderbeg 
avrebbe diritto di ritirare da Durazzo dugento 
some di sale e altre mercanzie senza dazio. Pro- 
metteva inoltre il Castriota di unirsi all'esercito di 
Giovanni Hunyady. 



— 145 — 

Conchiusero il trattato per la Repubblica Paolo 
Loredan, conte e capitano di Purazzo, e Andrea 
Venier provveditore ; e da quel momento tra Scander* 
beg e la Repubblica veneta durò un accordo perpetuo 
contro il comune nemico, e il nome di Giorgio 
Castriota detto Scanderbeg fu scritto nel libro d'oro 
della nobiltà veneziana. Si attribuisce a Scanderbeg 
la fondazione di una cappella dedicata alla Madonna, 
che tuttora esiste ai piedi della montagna, su cui 
si veggono oggidì soltanto le rovine della città e 
fortezza di Dagno. Dagno fu città vescovile fino al 
1520. La distrussero i Turchi. 

Intanto Murad II, che aveva vinto ancora una 
volta rUniade (18 ottobre 1448), s'apparecchiava a 
condurre in persona contro il suo ribelle vassallo 
albanese un esercito di 60,000 soldati, e nel febbraio 
del 1449 muoveva su Svetigrad continuamente mo- 
lestato durante la marcia da Scanderbeg, di guisa 
che solo verso la metà di maggio potè si poderoso 
esercito cingere d'assedio quella piccola piazza. 

Scanderbeg era sempre solo co' suoi albanesi, 
non avendo ottenuto che un po' di danaro dal Pon- 
tefice e delle vettovaglie da Venezia. Contuttoció 
non si perdette d'animo. Non più di 1000 uomini 
difendevano Svetigrad, mentre Scanderbeg con 
5000 uomini si aggirava, comparendo e scompa- 
rendo continuamente e a tempo opportuno, at- 
torno agli accampamenti ottomani. Più volte 
Murad II ordinò assalti parziali o generali, e gli 
assalitori furono sempre respinti. Il 22 giugno, in 
una delle solite improvvise comparse del Castriota, 
i turchi perdettero 2000 uomini tra morti e feriti e 
600 prigionieri; degli albanesi non uè caddero più 

IO 



— 146 — 

di 40. Ili un'altra fazione peri Fizur-pascià e 4000 
turchi soggiacquero. Migliaia d'uomini costarono i 
numerosi assalti, tanto che in capo a due mesi e 
mezzo il sultano aveva di già perduti 30,000 uo- 
mini e accingevasi ad abbandonare l'assedio, quando 
essendo i turchi riusciti a intorbidare l'acqua di 
cisterna che gli assediati bevevano, gettando nella 
cisterna un cane morto, il presidio capitolò, e 
avendo ottenuto di uscire dalla ifortezza con l'onore 
delle armi andò a raggiungere Scanderbeg. In quel 
frattempo era pure caduta in potere dei turchi la 
città di Berat, che dominava la strada da Durazzo 
a Janina. 

Il sultano pago di questi successi iniziò il 31 lu» 
glio 1449 la ritirata, che non potè compiere senza 
nuove perdite inflittegli dall'infaticabile condottiero 
albanese con incessanti molestie. 

Partito Murad II, Scanderbeg tentò subito di ri- 
prendere la fortezza perduta, ma per mancanza di 
artiglieria dovette abbandonare l'impresa. 

Murad II aveva giurato di tornare l'anno ap- 
presso, e tornò infatti con 6000 cavalli, e 40,000 
giannizzeri per assediare Croja, e impiegò nel- 
l'assedio parecchi grossi cannoni. Ma l'assedio di 
Croja fu per lui più sfortunato di quello di Sveti- 
grad, giacché dopo 5 mesi di continui assalti e di 
ripetuti insuccessi che gli costarono molte migliaia 
di uomini, dovette ritornarsene indietro con tutto 
TesercitOj e arrivato ad Adrianopoli, quivi mori 
poco dopo, il 5 febbraio 1451. I principi cristiani 
inviarono a Scanderbeg doni e provvigioni, e lo 
proclamarono strenuo e impareggiabile difensore- 
della cristianità. Largheggiava più di tutti gli altri 



- 147 - 

principi in queste dimostrazioni di simpatia Alfonso V 
d'Aragona, re di Napoli e di Sicilia. 

Nel colmo della sua gloria Scanderbeg sposava 
Andronica, figlia di Arainites Topia Golem, e spo- 
gliava nel tempo stesso i meno potenti dei suoi al- 
leati di una parte dei loro possessi. 

Scatiderbeg e Maometto II. — Uno dei primi atti del 
nuovo sultano Maometto II, fu di rivolgersi a Scan- 
derbeg per invitarlo a dichiararsi suo vassallo e 
a pagare tributo. La risposta dell'indomito alba- 
nese fu una scorreria nel territorio turco. 

Per immediato ordine del sultano Hamza-pascià 
mosse contro l'Albania verso la fine del 145 1 con 
un grosso esercito, e questa volta il nepote di 
Skanderbeg Hamza ebbe intero l'onore della vit- 
toria. Egli piombò sul nemico con 5000 guerrieri. 
Caddero 7000 turchi, e gli albanesi non perdet- 
tero che 34 uomini. 

Nella primavera del 1452 altri 20,000 turchi con- 
dotti dal Sangiacco Debreas-pascià non ebbero mi- 
gliore sorte per virtù di Scanderbeg in persona, 
che varcò i confini dell'Albania per recare la de- 
vastazione e lo spavento nel bacino del Vardar. Le 
città di Uscub e di Monastir, che già da parecchio 
tempo obbedivano ai Turchi, dovettero premu- 
nirsi contro un possibile attacco degli albanesi. 

Nell'inverno dello stesso anno il Castriota consi- 
gliatosi coi suoi luogotenenti, deliberò di riconqui- 
stare Svetigrad e Berat. Egli accingevasi a com- 
piere questa impresa, quando inaspettatamente si 
vide abbandonato da due suoi luogotenenti Moises 
Golem e il nepote Hamza, che disgustati probabil- 
mente dall'abituale alterigia del loro capo offersero 



— 148 — 

i propri servigi al sultano, il quale li accolse con gioia 
e affidò nella primavera del 1453 15,000 uomini a 
Moises Golem. Ma costui fu sorpreso e sconfitto 
nella valle del Drin nero e non ricondusse al sul- 
tano che 4000 soldati. 

Intanto Maometto II, avendo espugnata Costan- 
tinopoli (29 maggio 1453), proclamava Hamza pa- 
scià d'Albania e gli dava 5000 cavalieri, coi quali 
unitosi ad Isa pascià di Rumelia, che disponeva di 
45,000 soldati, Hamza si accinse a conquistare il 
suo pascialato. Incontro a questi 50,000 osmanli 
mosse Giorgio Castriota nella primavera del 1453 
con li, 000 guerrieri, e ancora una volta piombò 
di sorpresa sul nemico e lo disfece. 20,000 turchi 
copersero il campo di battaglia, 10,000 ne furono 
trucidati nella fuga, soli 1500 ne rimasero pri- 
gionieri con lo stesso Hamza, che deriso e di- 
sprezzato da tutti potè fuggire più tardi a Costan- 
tinopoli, dove fini miseramente la vita. Miglior 
sorte toccò a Moises Golem, che caduto in disgra- 
zia del sultano se ne tornò in Albania e riusci a 
riconciliarsi col suo antico signore, cui rimase fe- 
dele sino alla morte. 

Intanto il Castriota avendo ricevuto da Alfonso V 
di Aragona denari, uomini comandati da Raimondo 
d'OrlafFa, viveri ed armi, fra cui parecchi cannoni, 
si preparava all'assedio di Berat, che iniziò nella 
primavera del 1455 con 15,000 uomini fra i quali 
1000 italiani. Narrasi che fra il 1453 ^ ^1 ^455 Giorgio 
Scanderbeg sia stato ospite dei Ragusei, i quali piut- 
tosto che tradire l'ospitalità permisero ai Turchi di 
aumentare il tributo, che ad essi pagava la Repub- 
blica, da 1500 a 5000 ducati. 



— 149 — 

Maometto II inviò in aiuto di Berat Sevali pa- 
scià con 40,000 cavalieri. Sevali giunse fin presso 
alla città con rapidissime marcie quasi inaspettato. 
Scanderbeg rimase questa volta con 4000 de' suoi 
attorno a Berat. Incontro al nemico mosse Mu- 
sachi; ma la cavalleria di Sevali riusci ad avvilup- 
parlo. Accorse Scanderbeg, ma troppo tardi per 
vincere. Gli albanesi riuscirono soltanto a ritirarsi 
in buon ordine, abbandonando tutta l'artiglieria e 
lasciando sul terreno 5000 morti, fra i quali quasi 
tutti gl'italiani. I turchi pagarono la vittoria con 
la metà dell'esercito. 

Scanderbeg approfittò della morte di Musachi, ca- 
duto combattendo, per impadronirsi di una buona 
parte de' suoi dominii. 

A quest'epoca l'invitto condottiero albanese po- 
teva già vantarsi di aver ucciso di propria mano 
parecchie centinaia di turchi, con quella spada, che 
secondo la tradizione, nessun altro braccio avrebbe 
potuto e saputo maneggiare con altrettanto vigore. 

Si hanno incerte notizie sugli avvenimenti degli 
anni 1456-57. A quanto pare Maometto II lasciò 
in pace l'Albania, perché occupato nella conquista 
della Serbia e nell'assedio di Belgrado, sotto le cui 
mura subi per virtù di Giovanni Hunyady una me- 
moranda sconfitta (11 luglio 1456), Scanderbeg 
potè quindi volgere l'animo irrequieto ad altre 
imprese. 

Scanderbeg in Italia, — Il 27 luglio 1458. mori 
l'amico e protettore di Scanderbeg, Alfonso V di 
Napoli detto il Magnanimo, e gli successe il figlio 
Ferdinando. La morte di Alfonso destò un vivo 
rammarico nell'animo del Castriota e di tutti gli 



— 150 — 

albanesi ; oiid*é che essendo sorta contesa per la 
successione fra Giovanni della seconda casa di 
Anjou, sostenuto da quasi tutti i baroni del regno 
e da parecchi principi italiani, e Ferdinando che 
altri non aveva dalla sua parte che il duca di 
Milano Francesco Sforza e il pontefice Pio II, una 
domanda di soccorso pervenuta a Scanderbeg dal 
figlio di Alfonso V non rimase inascoltata. 

Giorgio Castriota deliberò di accorrere in difesa 
di Ferdinando d'Aragona, ridotto a mal partito dal 
suo competitore Giovanni d'Anjou e dal capitano di 
ventura Giacomo di Nicolò Piccinino, che l'Angioino 
aveva assoldato; e conchiuso un accordo colla Re- 
pubblica di Venezia, la quale promise di difendere le 
coste dell'Albania e i dominii del prode albanese du- 
rante la sua assenza, salpò da Durazzo con 8000 
uomini tra fanti e cavalieri e approdò sulla fine di 
giugno del 1459 ^ Bari, dove Ferdinando trovavasi 
assediato. Il Duca d'Anjou fu costretto a togliere 
l'assedio, e al principio del seguente anno fu battuto 
ad Ursara Irpina. Scanderbeg obbligò quindi la mag- 
gior parte dei baroni ad abbandonare l'Angioino, sot- 
tomise Trani e in compenso dei suoi servizi fu da 
Ferdinando investito dei feudi di Trani e di San Gio- 
vanni Rotondo e di un vasto territorio ai piedi del 
Gargano (Siponto), tornandosene nel maggio dello 
stesso anno 1460 in Albania, dove la sua presenza 
era reclamata da nuove minaccie di invasione dei 
turchi. 

Ultime gesta dì Scanderbeg in Albania, ^ Quattro 
eserciti turchi, forti ciascuno di 30 o 40,000 
uomini, furono uno dopo l'altro disfatti dall'invin-? 
cibile Castriota tra il 1460 e il 1461. 



— iSi - 

> Questa serie d* infelici imprese de* suoi generali 
indusse il sultano a più miti consigli. Egli diresse 
al capo dei collegati albanesi una lettera amichevole 
con queste tre proposte : libero passaggio alle truppe 
turche nel territorio albanese in caso di guerra con 
Venezia, libero commercio tra albanesi e turchi, 
invio a Costantinopoli come ostaggio di Giovanni 
Castriota unico figlio di Scanderbeg. Questi rispose 
di non potere accettare che la -seconda di codeste 
proposte, e Maometto li, contro la generale aspet- 
tativa, annui e la pace fu ratificata (1462): ma nori 
durò più di un anno. 

Pio II avea intanto convocata in Ancóna la crociata, 
bandita nel concilio di Mantova fin dal 145.9. Stretti 
ih lega i veneziani e Mattia Corvino re d'Ungheria, 
egli indusse il Castriota ad unirsi alla lega e a 
rompere là pace conchiusa con Maometto li, scio- 
gliendo solennemente dal giuramento lui e ^'iotti i 
capi albanesi per mezzo di una bolla diretta all'ar- 
civescovo di Durazzo (1463). 

Scanderbeg, dichiarata la guerra al sultano e 
presa senza por tempo in mezzo l'offensiva, ripor- 
tava una delle sue solite vittorie con immensa strage 
dei nemici, ai confini della Macedonia presso Ocrida, 
il 4 agosto 1463, cioè il giorno stesso nel quale 
moriva in Ancona Pio IL La morte del pontefice 
mandò a monte la crociata. I principi ritirarono 
l'adesione, i convenuti ad Ancona si sbandarono, 
l'armata veneziana comandata dal doge Cristoforo 
Moro tornò a Venezia, e Scanderbeg si trovò solo 
contro tutte le forze che Maometto II aveva rac- 
colte per far fronte alla crociata. Per altro di queste 
milizie riunite nella Rumelia solo una parte fu in* 



- 152 - 

viata in Macedonia per porre un termine alle scor- 
rerie albanesi. Se non che Balaban-Vader-pascià, un 
rinnegato albanese che era tra i migliori generali 
di Maometto II, non si contentò di questa inglo- 
riosa difensiva e volle invadere l'Albania. 
. Sconfitto due volte con enormi perdite ritentò la 
prova una terza volta al principio del 1464, diri- 
gendosi con 24,000 soldati verso la fortezza di Pe- 
tralba (Gur-i-barth), mentre Jakub-Arnaut con altri 
16,000 combattenti muoveva da Berat verso Tirana. 
Scanderbeg con mirabile tattica li assali separata- 
mente l'uno dopo l'altro e annientò i loro eserciti. 
Caddero nei due scóntri 20,000 turchi, 1000 ne fu- 
rono fatti prigionieri e vennero liberati 4000 schiavi 
cristiani. Il Castriota uccise di propria mano Jakub 
Arnaut. 

Allora Maometto II, il conquistatore di Costanti- 
nopoli, fuori di sé per la collera risolse di condurre 
in persona un poderoso esercito contro il suo ter- 
ribile avversario, ed aggiunte nuove truppe alle 
forze raccolte da Balaban Vader si mise in mar- 
cia con 150,000 soldati. Egli erasi proposto di 
prendere Croja, e nella primavera del 1465 lo 
smisurato esercito si trovò radunato attorno alla 
capitale di Giorgio Scanderbeg. La difendeva la 
valorosa tribù dei Mirditi. Dirigeva le operazioni 
della difesa Baldassarre Perducci. L'intrepido Ca- 
striota, come durante l'assedio tentato nel 1450 da 
Murad II, si aggirava con poche migliaia di uomini 
nei boscosi e dirupati dintorni della città, piombando 
ora da una parte ora da un'altra sui turchi, mentre 
gli assediati compievano alla lor volta con buon 
successo sortite diurne e notturne. 



- 153 - 

Minacciato per giunta dagli Ungheresi sul Danu« 
bio e dal principe del Cherman (Caramania) in 
Asia, Maometto II dovette alfine anche lui, come 
Murad II, abbandonare l'assedio di Croja, dopo 
avervi senza frutto sacrificato 30,000 dei suoi, la- 
sciando a proseguire l'assèdio Balaban con 19,000 
soldati. 

A corto di mezzi per liberarsi da questa incomoda 
presenza, Scanderbeg deliberò di fare un viaggio a 
Roma, dove ebbe una splendida accoglienza, ma 
non potè ottenere dal pontefice Paolo II che un 
lieve soccorso in denaro. Più generosa fu la Repub- 
blica di Venezia, che a quel tempo lottava coi tur- 
chi nella Morea e che gl'invio denari e vettovaglie, 
armi ed armati. Ottenuti inoltre nuovi contingenti 
di truppe dai capi e dalle tribù albanesi collegate, 
la cui fiducia in lui non aveva più limite, potè 
mettere insieme un esercito di 24,000 uomini, coi 
quali inflisse a Balaban una nuova sconfitta, in cui 
questo rinnegato perdette la vita. Una canzone al- 
banese ne celebra la morte, ma senza far menzione 
di Scanderbeg. Essa con poca verosimiglianza attri- 
buisce la uccisione di Balaban a un Tanusio To- 
pia, che sarebbe stato alla sua volta ferito a morte. 
- Nella primavera del 1466 tornò il sultano in per* 
sona con 130,000 combattenti contro V astuto ribelle^ 
com'egli chiamava il Castriota, e i veneziani suoi al- 
leati, e pose l'assedio a Durazzo. Da Durazzo passò 
a Croja; da Croja tornò verso Durazzo, e molestato 
continuamente dagli albanesi senza riuscire a nulla, 
dopo una breve sosta ad Elbassan riprese umiliato 
ed afflitto la via di Costantinopoli, lasciando ai con- 
fini un corpo di 20,000 soldati in osservazione. 



— 154 — 

Erano corsi inutilmente sei mesi dal suo ingresso 
in Albania. 

Ricevuti nuovi soccorsi in denaro e in vetto- 
vaglie dal re di Napoli e dalla Serenissima, Scan- 
derbeg si recò in Alessio, e quivi convocò tutti 
i dinasti albanesi e i rappresentanti delle tribù per 
intendersi con essi sul piano di difesa contro nuovi 
e non improbabili attacchi dell'implacabile sultano. 

3\iCorte e glorifica%ione di Scanderbeg, — Già erano 
cominciate le sedute di quel Congresso, quando il 
Castriota fu colto dalla febbre. Si racconta che es- 
sendogli stato annunziato che i turchi erano com- 
parsi nelle vicinanze di Scutari, l'eroico albanese 
volle montare a cavallo, quantunque ammalato, 
e che al suo apparire i turchi presero senz'altro la 
fuga e scomparvero. Dopo aver cosi trionfato an- 
cora una volta col solo terrore del suo nome, Scan- 
derbeg mori in Alessio il 17 gennaio 1467, nell'età 
di 64 anni, dopo 24 anni di guerre e di vittorie. 

La storia può dire di lui, come di Giulio Cesare 
e di Alessandro, che non fu vinto mai. In 22 bat- 
taglie affrontò con poche forze eserciti numerosis- 
simi e vinse sempre. Codeste forze erano costituite 
negli ultimi anni da una milizia stabile di 8000 
cavalli e 7000 fanti, oltre parecchi venturieri fran- 
cesi e tedeschi. Oggi lo si sarebbe chiamato un 
eroico guerrigliero, « Nuovo Alessandro, Principe dei 
Cavalieri »: sono questi i nomi con cui lo celebrò 
Giorgio Byron. 

Fu sepolto in Alessio, nella cattedrale di San Ni- 
colò, che fu più tardi trasformata in moschea. Là 
tomba dell'eroe é scomparsa. Del suo corpo dice 
una strana leggenda che i turchi di Maometto II, 



- 155 - 

allorché nel 1478 occuparono Alessio, se lo divisero 
in minutissime particelle, che portavano indosso 
come talismani per essere invulnerabili e vittoriosi 
in ogni guerra. 

' Il pontefice Paolo II, il re di Napoli Ferdinando 
e la repubblica di Venezia decretarono alla sua me- 
moria straordinarie onoranze. 

La tradizione afferma che lo stesso Maometto II 
abbia detto un giorno di lui: « Un simile leone 
non apparve né apparirà più mai sulla terra ». La 
sua spada é pure consacrata nella tradizione, e un 
canto albanese, fra i tanti che ancora lo celebrano, 
pone sulle sue labbra queste parole: « sul taglio 
della mia spada sta rappreso il sangue dei Turchi 
e là dorme la morte ». A Maometto II che glie la 
chiedeva in dono dicesi abbia risposto, che non 
poteva mandargliela, perché ci avrebbe dovuto 
unire anche il braccio che la maneggiava. 

Sir William Tempie nel Saggio sulle virtù eroiche 
colloca Scanderbeg, insieme a Giovanni Hunyady^ 
fra gli eroi che meritarono la corona senza portarla. 

Nella biblioteca granducale di Weimar si con- 
serva col nome di libro di Scanderbeg un manoscritto 
in pergamena di 325 fogli adorni di figure in in- 
chiostro di Cina e diviso in due parti. La prima 
rappresenta macchine e invenzioni di guerra, ponti, 
mulini, ecc. del secolo xv, la seconda, certo po- 
steriore, contiene scene di vita pubblica e privata, 
giuochi, feste, costumanze, mestieri, ecc. Dicesi che 
lo regalasse al Castriota Ferdinando d'Aragona. 

V Albania dopo la morie di Scanderbeg, — Occu- 
pato continuamente a guerreggiare, Giorgio Ca- 
striota non ebbe agio di ordinare e consolidare 



^ 156 - 

quella specie di Stato federale che lo aveva eletto 
per suo capo. Fors'anche non ne ebbe voglia, né 
é lecito aflfermare che, volendolo, avrebbe saputo 
farlo. Eroica ed immortale personificazione del va- 
lore albanese, egli non amava che la guerra, e cre- 
devasi predestinato a distruggere la potenza musul- 
mana e ad annientare i nemici della fede di Cristo. 
Perciò non volle accettare la pace che Murad II 
gli offriva: perciò infranse senza scrupolo i patti 
giurati con Maometto IL Lui morto, la lega alba- 
nese, composta di elementi indisciplinati e tenuti 
insieme soltanto dalla indiscussa autorità del suo 
capo, si sciolse, e la fiducia degli shkipetari in se 
stessi, ravvivata continuamente dall'invitto eroismo 
del loro condottiero, venne meno. L'indipendenza 
dell'Albania era ormai destinata a finire. Venezia, 
cui l'invincibile Castriota aveva af&data la tutela 
dei proprii domini, ne tentò la difesa con l'aiuto dei 
montenegrini e di qualche capo o tribù della Shké- 
pèria; ma furono inutili sforzi. Solo Scanderbeg 
sapeva vincere sempre gli sterminati eserciti degli 
Osmanli; ma Scanderbeg non poteva risorgerei 

(Assedio e difesa di Scutari, — La guerra coi Per- 
siani aveva impedito al sultano Maometto II di trar 
subito profitto dalla scomparsa à^Wastuto ribelle. Fi-» 
nalmente nel 1474 egli potè inviare alla conquista 
delle città albanesi tenute dai Veneziani, che accen- 
navano a voler raccogliere l'eredità del Castriota, 
molte migliaia di uomini e un'artiglieria formidabile 
sotto il comando di Suleiman Pascià di Rumelia. 

Essendo doge di Venezia Niccolò Marcello, il 17 
maggio 1474, i Turchi incominciarono l'assedio di 
Scutari, difesa appunto dai Veneziani comandati da 



- 157 - 

Antonio Loredano e dai Montenegrini di Ivan Cer- 
no) evie' (Ivanbeg)y presso il quale erasi recato a sol- 
lecitare soccorsi il Provveditore Lodovico Bembo. 

Intanto alla foce della Bojana Tradiano Gritti 
sconfiggeva Tarmata turca e riceveva per questa 
vittoria le congratulazioni del Senato veneto, il 
quale con lettera ad Antonio Donato, oratore a Roma, 
s'affrettava altresì a domandare che il pontefice 
Sisto IV inducesse i principi italiani ad unirsi alla 
Repubblica nella guerra contro il Turco e le pro- 
curasse per lo meno looo fanti e looo cavalli per 
tre mesi. Altri aiuti il Senato veneto chiedeva di- 
rettamente al re di Napoli Ferdinando d'Aragona, e 
inviava Sebastiano Badoer ambasciatore al re d'Un- 
gheria Mattia Corvino. Aiuti non ne vennero pur- 
troppo da nessuna parte. Ma Scutari seppe tuttavia 
valorosamente resistere. Di questa eroica resistenza 
ci ha lasciata una descrizione il contemporaneo Ma-' 
lipiero, ricordato da Samuele Romanin nella sua 
Storia documentata di Venezia (Voi. IV, pag. 372). 

« Avevano gli Scutarini, scrive il Romanin ser- 
vendosi di codesta descrizione, certi cofani di vi- 
mini impeciali, nei quali conservavano il frumento, 
ed empiutili invece di pece, zolfo e stoppia li get- 
tavano ardenti sui Turchi. Facevano inoltre rotolare 
dall'alto immensi massi, caricavano le artiglierie a 
ciottoli e adoperavano diverse specie di fuochi arti- 
ficiali; coi quali mezzi tanta strage fecero dei ne- 
mici, che il pascià fu costretto alla fine a ritirarsi, 
molestato continuamente dagli abitanti dei luoghi 
per cui passava. 9 Perirono, dicesi, in quell'assedio 
7000 osmanli, 14,000 ne rimasero feriti. 

A Venezia si celebrarono per cosi fortunato sue- 



- 158 - 

cesso grandi feste, e un vessillo cremisi col S. Marcò 
e collo stemma di Scutari fu deposto a perpetuo 
ricordo di quell'eroica difesa nella basilica di S. Marco. 
Il glorioso avvenimento fu pure immortalato in un 
quadro di Paolo Veronese, che adorna la sala del 
Gran Consiglio a Venezia, con questa scrittura : Scod" 
rUj bellico omni apparaiu diu vehementerque a Turco 
oppugnate^ accerima propugnaìione retinetur. Il Lore- 
dano fu creato cavaliere e nominato Provveditore 
d'armata ed ebbe in dono 2000 ducati per maritare 
una sua figliuola. 

In questo stesso anno 1474 vuoisi che i Turchi 
abbiano fondato sulle rovine dell'antica Ribnica il 
forte di Podgoritsa. 

Caduta di Croia e di (Alessio. — Ma il Sultano 
voleva cacciare ad ogni costo i veneziani da tutta 
l'Albania. Venne quindi in persona con 150,000 
combattenti, e nel mese di maggio del 1477 com- 
parve dinanzi a Croja. Accorsero alla difesa di quella 
piazza Ambrogio Contarini da Durazzo con 22,000 
soldati e il famoso capo albanese Lek Ducadgia con 
8000 guerrieri delle montagne. In una felice sor- 
tita essi penetrarono inaspettati nel campo ottomano. 
L'esercito turco fu sbaragliato, ma essendosi i vin- 
citori abbandonati al saccheggio degli accampa- 
menti per poi tornarsene via, i difensori di Croja 
vennero ricacciati nella fortezza, l'assedio fu ripreso 
e dopo 13 mesi di resistenza Croja stretta dalla fame 
più che dalle armi dovette arrendersi. La guarni- 
gione e gli abitanti vennero passati a fil di spada 
(15 gì^g^o 1478), non ostante la promessa che 
avrebbero avuta salva la vita. Il Contarini e Lek Du- 
cadgin perirono fra i tormenti. Ma anche qui non 



— 159 — 

so con quanto fondamento taluni sostituiscono Lek 
Dushman a Lek Ducadgin. Il Romanin afFerma che 
alla difesa di Croia era pure accorso il 27 gennaio 
1478 Giovanni figlio di Giorgio Scanderbeg. La fa- 
mosa fortezza di Croja, che tanti assedi aveva vit- 
toriosamente respinti, fu demolita assai più tardi, nel 
1832. Soltanto pochi avanzi rimangono del Castello 
bianco y residenza di Scanderbeg. Croja ha oggi 
l'aspetto di un villaggio di agricoltori e le sue case 
sorgono disperse senz'ordine sul declivio del monte 
di Santo Spiridione in mezzo agli olivi. 

Nello stesso anno 1478 fu pure espugnata Ales- 
sio, ed anche di Alessio, ch'era sotto i veneziani 
una città ricca di edifizi, di chiese e di scuole, oggi 
più non esistono che poche rovine e un misero 
ammasso di case attorno ad un piccolo ba^ary abitato 
da bottegai cattolici e avvelenate nella stagione 
estiva dai miasmi delle acque stagnanti^ lasciate dalle 
inondazioni del Drin. Gli abitanti musulmani più 
agiati dimorano oggi di preferenza nel borgo detto 
Varosey a due miglia dal ba^afy sul pendio della 
montagna che domina il diruto castello. Il baiar è 
situato tra la collina, ove sorgono i resti della cit- 
tadella veneziana, e la riva del Drin. 

Nuovo assedio e cessione di Scuiari - Caduta di 
Drivasto. — Addi 20 maggio 1478 fu infine cinta 
d'assedio per la seconda volta la città di Scutari, 
dinanzi alla quale comparve, dopo la caduta di 
Croja, lo stesso Maometto II. Scutari era difesa da 
1600 cittadini, fra cui parecchi veneziani, e da al- 
trettanti montenegrini. Alla testa dei veneziani sta- 
vano il provveditore Antonio da Lezze, Nicola 
Moneta, Florio Jonima e l'ingegnere Donato. luco- 



— i6o — 

raggiava gli assediati alla difesa con ardenti parole un 
frate domenicano, fra Bartolomeo d'Epiro. Il campo 
turco occupava la pianura e le alture all' intorno 
per un circuito di 40 miglia! 150,000 soldati cir- 
condavano la città da tutte le parti, e ben die^ 
cimila cammelli erano stati adoperati a traspor-- 
tare le artiglierie, le munizioni e le provvigioni. 
Un terribile cannoneggiamento, durato parecchi gior- 
ni, abbatté pertanto in più punti le mura, sostituite 
dagli assediati con trincee di pietre e fascine. Con- 
dotte le cose a questo punto, il 22 luglio già la 
mezzaluna sventolava sul bastione della porta prin- 
cipale, quando le truppe ausiliari montenegrine 
piombarono sui turchi e riuscirono a respingerli,, 
e al posto del vessillo turco sventolò di nuovo 
quello di San Marco. Calò la notte e fu tregua* Il 
giorno appresso si rinnovò l'assalto e fu ugual- 
mente ributtato. Perirono in quegli assalti 400 
assediati e 12,000 assedianti. Il 27 luglio i turchi 
tentarono un nuovo investimento generale e fu- 
rono obbligati a ritirarsi con perdite non inferiori 
a quelle del giorno 22. Il sultano se ne consolò 
di li a poco tempo colla presa di Drivasto, i cui 
difensori caddero tutti fino all'ultimo. Le loro teste 
furono portate dinanzi alle mura di Scutari, ma l'a- 
troce spettacolo non spaventò gli strenui difensori 
di quell'eroica città: tanto che il Padiscià s'indusse 
finalmente a partire, lasciando a proseguire il blocco 
della piazza soli 40,000 uomini sotto Ahmed Eyrc- 
nos Pascià. Ciò non ostante Venezia, stanca del- 
l'abbandono in cui era lasciata dai principi cristiani, 
chiese al principio del 1479 la pace, che venne con- 
chiusa il 25 gennaio. Scutari, le cui angustie erano 



- i6i - 

andate crescendo di giorno in giorno, affermando 
il provveditore Antonio da Lezze che non la si 
poteva più sostenere, fu dai veneziani consegnata 
al Sultano, salva la vita dei difensori. Gli assedi di 
Scutari e di Drivasto avevano costato ai turchi la 
perdita di 45,000 uomini. Anche della caduta di 
Scutari abbiamo una descrizione lasciataci dallo 
scutarino Barlezio (Marinus Barletius. De expugna' 
tione Scodrenst). 

Il Provveditore veneto Antonio da Lezze usci da 
Scutari con 450 uomini e 150 donne seco recanti 
gli averi, le armi e i sacri arredi delle chiese, senza 
che i Turchi 11 molestassero. Egli fu dapprima creato 
cavaliere, ma poi, essendo stato accusato da alcuni 
scutarini di avere affermato che la città non si 
poteva più difendere, mentre vi erano vettovaglie e 
munizioni per altri quattro mesi, fu dal Consiglio 
dei Dieci punito con dieci anni di relegazione a 
Capo d'Istria e colla esclusione perpetua dai pub- 
blici uffici. 

Il trattato conchiuso con Maometto II stabiliva 
taluni patti rispetto ad altre questioni pendenti fra 
il Sultano e la Serenissima: ma questa é materia 
che non ci riguarda. Dirò soltanto che rimase ga- 
rentito a Venezia il libero accesso nei porti del- 
l'Albania. 

Acerbe censure furono anche mosse a Venezia 
per codesto trattato. Ma che cosa di più si poteva 
da essa pretendere, dopo una guerra di tanti anni, 
contro un cosi potente nemico, senza che alcuno 
mai l'aiutasse? 

Vale la pena di ricordare che un anno dopo, 
•cioè nel 1480, i Turchi sbarcavano ad Otranto e la 
II 



— 102 — 

saccheggiavano orribilmente. Ma per buona ventura 
dell'Italia, Otranto non rimase in possesso dei 
Turchi, che, appena morto Maometto II (1481), 
più non si curarono di estendere la loro domina- 
zione sulle spiaggie e sui porti delle Puglie. Nello 
stesso anno, infatti, in cui mori il potentissimo Sul- 
tano, Otranto fu ripresa dal re di Napoli, Ferdi- 
nando d'Aragona, e i Turchi più non tornarono. 

Dopo la caduta di Croja, di Alessio e di Dri- 
vasto, e la cessione di Scutari, anche Giovanni Mu- 
sachi fu nel 148 1 vinto e spogliato dai Turchi, e 
mori nel 1510. Per l'Albania non v'era più salvezza. 
Molti albanesi allora esularono e furono bene ac- 
colti nelle terre della Repubblica veneta, nell'Italia 
meridionale e in Sicilia. A quegli abitanti di Scu- 
tari che si rifugiarono a Venezia vennero concesse 
pensioni, impieghi e terre da coltivare. Risale pro- 
babilmente a quell'epoca la colonia albanese di 
Borgo Erizzo, presso Zara, dove si parla il dialetto 
dei Gheghi Delle colonie allora stabilitesi nella 
bassa Italia e in Sicilia parlerò alla fine del pre- 
sente capitolo. Solo i Mirditi si difesero ancora per 
qualche tempo prima di venire ai patti col vinci- 
tore, che s'impegnò a lasciarli in possesso delle loro 
armi e a rispettarne la proprietà, i costumi, la re- 
ligione: i quali patti furono e sono ancora rispettati 
dai turchi. 

Anche gli Albanesi della bassa Albania, che si 
erano rifugiati nei monti Acrocerauni {Chimarioti\ 
lottarono intrepidamente contro le milizie di Bajazet II 
nel 1492, e ottennero nel 1537 da Solimano il Ma- 
gnifico onorevoli patti, che loro garantivano una 
relativa indipendenza, per lo meno dai pascià della 
bassa Albania. 



- i63 - 

/ Veneziani perdono Duralo* Dulcigno, Antivari 
e Valona, — Solo alcune città della costa restarono 
ancora per qualche tempo in possesso dei Veneziani, 
i quali tanto si preoccuparono di non provocare 
ulteriormente le ire e l'intervento degli Ottomani, 
che nel 1495 imprigionarono l'arcivescovo di Du- 
razzo, perché incitava la popolazione all'odio contro 
i Turchi. 

Contuttociò i turchi assalirono e presero Durazzo 
nel 1501. Dulcigno e Antivari rimasero ai veneziani 
fino al 1571. In quest'anno i turchi assediarono Dul- 
cigno condotti da Ahmet pascià. La difendeva Serra 
Martinengo con soldati italiani ^ francesine dopo una 
lunga resistenza fu pattuita la resa. Ma non appena 
la capitolazione venne sottoscritta, entrarono nella 
città i giannizzeri, e si abbandonarono al saccheggio 
e alla strage. I pochi superstiti si rifugiarono sui 
monti. Antivari, dopo aver resistito a un primo as- 
sedio tentato dal pascià di Scutari Suleiman nel 
1538, cadde in potere dei turchi nel 1571 per la 
viltà del suo governatore Alessandro Dogato. Costui 
all'annunzio dell'arrivo degli ottomani prese con la 
guarnigione la fuga, abbandonando la città al suo 
destino. Gli abitanti capitolarono senza resistere. 
Molti di poi esularono, altri si convertirono all'isla- 
mismo. L'arcivescovo Giovanni, che aveva cercato 
d'indurre il Donato a resistere, fu per ordine del- 
l'ammiraglio Ali pascià obbligato a vestirsi dei suoi 
sacri indumenti e quindi appiccato. Fu in questo 
medesimo tempo distrutta dai Turchi la piccola città 
di Sfakia (Sciassi) tra Scutari e Autivani. Dalle molte 
chiese di Sfakia, ch'era città vescovile, più non re- 
stano che pochi avanzi. Nel 1590 anche i Cimarioti, 



— i64 — 

afHtti da una terribile carestia, dovettero ricono- 
scere l'assoluta sovranità del sultano. 

Due imprese tentate dai veneziani nel 1 649 e nel 
1717 per riprendere Antivari fallirono interamente, 
quantunque nel 17 17 fossero anche soccorsi dal 
Vladika Danilo e dai suoi montenegrini. Ugual 
sorte ebbero nel 1696 e nel 17 17 gli assedi di Dui- 
cigno. Nel 1696 i turchi ebbero per alleata la tribù 
degli Hotti. Nel 17 18 non giovò ai veneziani per 
Dulcigno, come non aveva loro giovato per Anti- 
vari, l'aiuto del Vladika Danilo. 

Valona fu perduta dalla Serenissima nel 1690. 

Tersistenia del dominio veneto nella bassa Albania 
e nelle isole Jonie. — In compenso furono dai Ve- 
neziani conquistate Arta e la sua cittadella nel 1668, 
durante la guerra di Candia, Prevesa, da essi con- 
quistata nel 1449 e perduta e ripresa più volte, ri- 
mase definitivameme a Venezia durante la guerra 
suddetta. Il trattato di Carlovitz (1699) glie ne con- 
fermò il possesso. 

Parga moderna, edificata dagli abitanti dell'antica 
Parga (Paleoparga) a occidente di questa e munita 
di una cittadella, erasi posta fin dal 1401 sotto la 
protezione di Venezia, che nel 1572 ne costrusse 
il porto. Anche Butrinto e qualche altro punto 
della costa epirota erano venuti in potere dei vene- 
ziani nel secolo xv, e Parga, Prevesa e Butrinto 
erano specialmente utili alla Repubblica, perché 
situate in vicinanza delle isole Jonie, la maggior 
parte delle quali essa possedeva come già sappiamo 
per spontanea dedizione fin dalla seconda metà del 
XIV secolo, e il cui possesso a lei lungamente 
conteso dai Turchi le fu definitivamente assicurato 



- i65 - 

dal trattato di Passarovitz (a. 1718). Vedremo a suo 
tempo come anche Arta, Butrinto, Prevesa e Parga 
vennero insieme alle dette isole in potere degli 
ottomani tra la fine del secolo xviii e il principio 
del XIX. 

Oggidì della dominazione veneta non esistono 
in Albania altre vestigia che il veneto leone scol- 
pito all'ingresso principale del castello Rosafa di 
Scutari, e rovine di castelli, e chiese trasformate 
per la maggior parte in moschee, secondo il co- 
stume dei turchi, e avanzi di costruzioni, di scul- 
ture, di iscrizioni e di stemmi veneziani (fra i quali 
non manca mai il leone di San Marco) ad Antivari, 
a Dulcigno, ad Alessio, a Durazzo, a Valona, a 
Prevesa, a Parga, non che un ponte sul torrente 
Kiri presso Scutari detto dì Ura-thCesit ed uno sul 
fiume Arta ad Arta. 

Sarebbe altresì cosa di sommo interesse rintrac- 
ciare nei veneti archivi, pubblici e privati, i docu- 
menti delle strette relazioni che per un pezzo esi- 
stettero tra Venezia e l'Albania. * Molti albanesi 
infatti ottennero la cittadinanza veneziana e persino 
il titolo di nobiltà e presero dimora nelle città 
della Veneta repubblica; molti veneziani si stabi- 
lirono in Albania, e si strinsero frequenti parentele 
tra famiglie albanesi e veneziane. 

Tanto più utili sarebbero queste indagini negli 
archivi dì Venezia, in quanto che andarono irre- 
missibilmente perduti quasi tutti i documenti delle 
nobili famiglie albanesi, che lottarono con Giorgio 
Scanderbeg per l'indipendenza dell' Albania. Tra i 
pochi studiosi che di qualche nuova ed utile ri- 
cerca abbiano dato sinora notizia (vedi bibliografia) 



— i6ò — 

merita particolare menzione B. Cecchetti, che nella 
Comunicazione airistituto veneto altrove citata rende 
conto succintamente di oltre 700 documenti riguar- 
danti l'Albania da quando la Repubblica veneta vi 
ebbe, in parte, dominio, fino alla caduta di Scutari 
e degli altri luoghi in potere dei Turchi, nonché 
talune sollevazioni degli albanesi nei secoli xvn e 

XVIII. 

A proposito poi di Dulcigno cade qui in accon- 
cio ricordare che, durante la guerra tra Venezia e 
i turchi nel secolo xvii, i* Dulcignotti si dedicarono 
per proprio conto alla pirateria con certe barche di 
tipo speciale, e divennero terribili corsari. Un pa- 
scià di Scutari, Mehemet Busciatli, verso la metà 
del secolo xviii riusci finalmente a sorprendere e a 
distruggere codeste barche tutte insieme nel porto 
di Dulcigno vecchia, tre miglia a nord-ovest della 
moderna Dulcigno. La vecchia Dulcigno fu dai 
Veneziani cinta di mura, che ancora si ammirano. 

L'Albania sotto la dominazione turca. — La storia 
dell'Albania sotto la dominazione dei turchi an- 
novera frequenti guerre coi montenegrini, anche in 
sostegno della Turchia, e frequenti contese fra tribù, 
specialmente fra Gheghi e Toski. Delle tribù al- 
cune, come più volte accennai, rimasero quasi 
indipendenti, particolarmente sulle montagne meno 
accessibili, essendo solo obbligate a fornire sol- 
dati irregolari, volendo, e a pagar tributo, po- 
tendo. Anche parecchi dinasti rimasero per molto 
tempo autonomi, come semplici vassalli della Porta, 
Nuove signorie ereditarie, con vero carattere feu- 
dale, sorsero anzi per opera di alcuni pascià indi- 
geni preposti al governo 'di questa o di quella parte 



— lóy — 

dell'Albania (di Ipek, per esempio, di Scutari, di 
Prizrend, di Uscub, di Janina). Avendo infatti la 
religione di Maometto acquistati numerosi proseliti 
tra gli shkipetari e in special modo tra i dinasti e 
tra le più ricche famiglie, cui premeva di conservare 
sotto la protezione del sultano i beni e la potenza, 
tantoché tra i convertiti si citano persino alcuni 
membri della famiglia Dukadgin, ne segoni che la 
Turchia comprese ben presto la convenienza di af- 
fidare a pascià e bey nazionali il governo del ter- 
ritorio albanese. 

Pascià e bey nazionali - Sollevaxioni degli (Albanesi. 
— In questa persuasione venne la Porta subito dopo 
la disfatta toccata al Pascià Pasvan-Oglù nel Campo 
degli Spahi presso Scutari per opera degli albanesi 
insortì nel 1572. Il primo pascià indigeno fu , pro- 
prio il condottiero dei ribelli Ibrahim della famiglia 
di thCahtnud ^eyoli di Ipek. I discendenti di Ibrahim 
governarono una parte dell'alta Albania fino al 
1830, e talvolta furono anche in guerra col sul- 
tano. Un bel canto albanese del 1572 cosi celebra 
il glorioso evento: 

« Acuti gridi portati sulle ali rapide del vento 
boreale si sono uditi nelle campagne; la polvere 
del suolo sollevata in nuvole, che si scorgono da 
lungi, annunzia la marcia di un esercito. Sono i 
ventimila albanesi di Scutari, che dal vasto piano 
di Lamac Spahive (Campo degli Spahi) si avanzano 
contro il nemico. 

« Chi é colui che, si differente in ciò dai suoi 
compagni d'arme, mostra tanta semplicità nel ve- 
stimento, e si grande modestia nel contegno ? colui 
che ispira tanto terrore per la colossale statura e 



— i68 — 

pel fiero sguardo, colui che coU'accìaro fiammeg- 
giante in pugno, precedendo i più valorosi, mostra 
il cammino della battaglia? È desso Ibrahim della 
illustre famiglia di Mahmud fìeyoli, il capo degli 
albanesi, Teroe più illustre fra tutti quei guerrieri, 
cosi per la sua virtù, come per il suo coraggio. 
Avanzati, o Pasvan-Oglù, colle tue falangi, co' tuoi 
Bosniaci, co' tuoi Rumelioti, co' tuoi asiatici; seb-r 
bene tre volte più numerosi di noi, porteranno essi 
stessi il disordine nelle loro masse, è saranno ca- 
gione della disfatta delle tue schiere! Il sangue 
scorre a flutti, e il suo corso é arrestato dalla bar- 
riera che gli oppongono i cadaveri ammonticchiati 
dei giannizzeri caduti in tre scontri ..... Un pa- 
nico terrore si é impadronito delle truppe otto- 
mane. Pasvan-Oglù, minacciato dai suoi, prende 
la fuga, seguito dai suoi soldati. Perché fuggire, o 
Pasvan? Avanzati, al contrario! Vieni per impa- 
rare a conoscere il valore albanese, per far com- 
prendere al sultano, tuo Signore, gli effetti d'una 
guerra intrapresa per oscurare Tonor nostro e at- 
tentare alla nostra libertà. Delle bandiere scono- 
sciute fino ad ora, dei ricchi e splendidi stendardi 
sono mescolati a quei dei vincitori; essi sono i 
trofei della vittoria, le spoglie del nemico abbando- 
nate nel campo di battaglia. Venite, o generosi 
figli ! Venite o sposi adorati ! Venite nel seno della 
vostra famiglia a riposarvi delle fatiche della guerra 
e ad insegnare ai vostri figli ad imitare il vostro 
coraggio. » 

Tra la fine del secolo xvi e il principio del xvii 
(1570, 1571, 1580, 1596, 1602, 1616) ripetute of- 
ferte di sollevazione furono fatte alla Repubblica 



— 169 — 

veneta dai Ducadgini e dai Cernojevic'; mala Re- 
pubblica non se ne prese cura. Tra i documenti 
di quelle sollevazioni rimaste in progetto, raccolti 
dal Cecchetti, questi addita come notevoli quelli 
del 1602 e del 16 14, che narrano le deliberazioni 
prese dai Capi del popolo albanese adunati in 
Sant'Alessandro nel territorio dei Ducadgini, per 
avvisare ai modi migliori per condurre ad effetto 
l'impresa. A quelle assemblee faceva per l'appunto 
difetto la segretezza, perché potessero approdare a 
qualche cosa di pratico e di sicuro. Risulta infine 
da quegli stessi documenti che tra il 161 5 e il 1619 
un turco, che si spacciava per fratello del Gran 
Signore e gran principe ottomano, insieme a un al- 
banese, Giovanni Renesi, tentò in Francia qualche 
pratica per sollevare l'Albania. Non se ne fece nulla, 
secondo il solito. 

Nel 1592 gli albanesi offersero la signoria del 
loro paese a Carlo Emanuele di Savoia, ma Carlo 
Emanuele, in guerra colla Francia, declinò l'offerta, 
come pure la declinarono nel 1606 Rodolfo II 
d'Absburgo, nel 161 5 il duca di Parma Ranuccio I 
Farnese. Né miglior esito ebbero in quella stessa 
epoca altre offerte al re di Spagna e ai Pontefici : 
tanto scarsa speranza ponevano a quel tempo i 
principi cristiani in una lotta coi Turchi. 

Nel 1623 Sulejman pascià di Scutari invase con 
80,000 soldati il Montenegro e fu respinto. Nel ri- 
torno piombarono su di lui presso Podgoritsa gli 
uomini delle tribù dei Cuci e dei Clementi e fe- 
cero grandissima strage dei turchi. Sulejman tornò 
nella valle del Sem l'anno appresso per vendicare 
l'onta della sconfitta, e fu di nuovo battuto. Solo 



— lyo — 

nel 1638 la Turchia potè aver ragione della belli- 
cosa tribù dei Clementi. Perduti i suoi condottieri 
Vakodud e Hotash, la tribù si sottomise. Ai nota- 
bili fu tagliata la testa e l'intera tribù venne tra- 
piantata in altri luoghi, in massima parte nei din-* 
torni di Prishtina. Nel 1645 i Clementi stabilirono 
di tornare a viva forza nelle loro sedi primitive, 
tra i maljsori, e ai turchi non riusci d'impedirlo. 

Fondazione di Tirana. — Nella prima metà del 
1600 sorse in mezzo a una pianura ben coltivata, 
* a oriente di Durazzo e a non grande distanza dal 
fiume Arzen da un lato e dagli affluenti di sinistra 
dell' Ishmi dall'altro, la città di Tirana, che oggi 
conta 12,000 abitanti, quantunque manchi di una fa- 
cile comunicazione col mare. Secondo una tradizio- 
ne albanese l'avrebbe fondata un potente bey di nome 
Souleyman, della famiglia dei Barkine, e l'avrebbe 
chiamata Teheran (donde Tirana) in ricordo di una 
vittoria da lui riportata in Persia guerreggiando pei 
Turchi. Souleyman mori a Bagdad e a Bagdad se 
ne conserva il cuore mentre il suo corpo é sepolto 
presso una moschea di Tirana, detta la vecchia Mo^ 
schea, 

Vlslamismo si diffonde tra gli ^Albanesi, — Ma 
intanto le conversioni degli albanesi, come anche 
dei bosniaci, all'islamismo, si facevano sempre più 
frequenti, e gli shkipetari maomettani, ben altri- 
menti dei serbi, dei bulgari e dei greci rimasti fe- 
deli alla religione di Cristo, cominciavano a consi- 
derarsi come osmanli e ne erano alteri. Devoti al 
Sultano, essi finirono col costituire il nerbo degli 
eserciti turchi, tanto che si può bene affermare che 
nella seconda metà del secolo xvii i turchi non 



- lyi - 

avrebbero certo avuta la forza d'invadere l'Ungheria 
e di assediare la stessa Vienna (1683), senza la va- 
lida cooperazione dei loro sudditi bosniaci e albanesi. 
Né soltanto gli shkipetari maomettani appaiono in 
questo singolare periodo della storia albanese alleati 
degli ottomani, ma tali si mostrano per la maggior 
parte anche gli shkipetari cristiani; il che non deve 
far meraviglia, ove si pensi che le rozze tribù mon- 
tanare dell'Albania, conservatesi cristiane, servendo 
come milizie ausiliari volontarie negli eserciti otto- 
mani, erano ben pagate e rimunerate, partecipavano 
largamente alla spartizione dei lauti bottini di guerra, 
e non erano per giunta soggette ad altro obbligo 
che a quello di riconoscere la sovranità del Sultano. 

Certo anche più indipendenti di loro rimasero i 
vicini abitanti della Zernagora, che all'obbedienza 
non si vollero mai sotto nessuna forma piegare; 
ma questa completa autonomia essi non poterono 
mantenere che a prezzo di guerre e di molestie 
incessanti. 

Ciò posto, era ben naturale che tra gli albanesi 
il concetto dell'indipendenza assoluta non potesse 
germogliare che nel cervello di qualche Pascià ere- 
ditario, come vedremo nei seguenti capitoli. 

Gli albanesi nelle guerre austro-turche. — 11 ca- 
pitolo presente chiuderò con brevi cenni sulla 
condotta degli albanesi durante le grandi guerre 
austro-turche tra la seconda metà del secolo xvii 
e la prima metà del xviii, e sulla origine delle 
numerose colonie albanesi in Italia ed in Grecia. 

Fra il 1683 e il 1690, mentre si combatteva fra 
l'Austria e la Turchia la terribile guerra che ebbe 
fine col trattato di Carlovitz, dopo la liberazione di 



— 172 — 

Vienna per opera di Giovanni Sobieski re di Po- 
ionia, l'Albania orientale e l'alta Albania furono 
invase dagli austriaci, che vennero battuti e costretti 
a ritirarsi (a. 1689). Si segnalarono in questa cam^ 
pagna tra le milizie ausiliari della Turchia i mir- 
diti. 

Nell'anno 1700 compare l'eroe nazionale t prin- 
cipe dei mirditi Ghion (Giovanni) Marku, che molte 
imprese compiè per proprio conto e al servizio dei 
turchi e dei pascià di Scutari, d'Ipek, di Prizrend 
e di Giacova, ed è ancora celebrato nei patri canti 
non meno di Scanderbeg. Non é certo che egli 
discendesse dal famoso guerriero e legislatore Lek 
Ducadgin. Certo è invece ch'egli fu il capostipite 
di quella dinastia dei principi dei mirditi, alla quale 
appartiene il vivente Prenk-Bih-Doda, di cui par- 
leremo più oltre. Ghion Marku cadde ucciso in 
uno scontro sul fiume Shkumbi. Soltanto le tribù 
dei Clementi e dei Cuci appaiono durante le 
guerre austro-turche collegate ai montenegrini con- 
tro gli osmanli, e precisamente negli anni 1687 e 
1688 in cui gli ottomani subirono nuove disfatte. 

All'anno 1690 appartiene la traslazione del pa- 
triarcato serbo di Ipek (Pekia) a Carlovitz, Esistono 
ancora in Ipek il celebre monastero che serviva di 
residenza al patriarca, e una chiesa del 1562 con 
parecchie tombe di patriarchi. 

Gli austriaci invasero di nuovo l'Albania nel 
1737 e domandarono la cooperazione dei Clementi. 
Essi accettarono, e il 12 ottobre si trovarono im- 
pegnati nella sanguinosa battaglia di Valjevo. Di 
20,000 albanesi e serbi non ne scamparono che soli 
1000, fra i quali 500 Clementi, che si trasferirono 



— 173 - 

nel territorio austriaco, dove i loro discendenti po- 
polano ancora alcuni villaggi. Anche questa volta 
i mirditi combatterono insieme agli albanesi mao- 
mettani pei turchi contro gli austriaci, tantoché 
nel 1739, dopo il trattato di pace di Belgrado tra 
l'Austria e la Turchia, un firmano di Mahmud I 
concesse al principe dei mirditi ed ai harjaktar della 
tribù un assegno annuo di 100 some di biada. Non 
so con quanto fondamento taluni fanno risalire 
questa concessione al 1689. 

Colonie albanesi in Italia. — Ho accennato a piccole 
colonie albanesi soggette all'Austria. Ben più impor- 
tanti di queste colonie albanesi in Austria sono quelle 
che sorsero in Italia, prima e dopo la morte di 
Giorgio Scanderbeg. È opportuno, anzi necessario, 
dire qualche cosa di queste colonie, che non hanno 
dimenticata la propria origine e hanno contribuito 
non poco a illustrare la nazione albanese. 

Allorché Alfonso V d'Aragona volle consolidare 
il conquistato reame di Napoli e domare i calabresi, 
ben conoscendo il valore degli Shkipetari, per la 
fama che già di sé aveva levato in Europa il Ca- 
striota, ottenne che dall'Albania venissero a militare 
al suo soldo molti albanesi, comandati da un tal 
Demetrio Reres, che aveva seco due suoi figli 
Giorgio e Basilio. Domata la Calabria, con diploma 
del 1443, di cui si conserva copia nel seminario 
albanese di Palermo insieme ad altri documenti che 
si riferiscono alla fondazione di colonie albanesi in 
Sicilia, Alfonso nominò il Reres governatore della 
provincia di Reggio-Calabria, e volle che una parte 
delle truppe albanesi si stabilisse in Sicilia, per di- 
fenderla contro i possibili attacchi dei suoi rivali 



- 174 - 

angioini della seconda casa d'Anjou. Sorse cosi in 
Sicilia la colonia di Contessa in provincia di Palermo, 
circondario di Corleone (a. 1450). Intanto sorgevano 
in Calabria i villaggi albanesi di Amato, Andalo, 
Arietta, Casalnovo, Caraffa, Vena, Zangarone, Palla- 
gorla, S, Nicola delV^Alto, Carfini, Giwerie, Marce- 
dusa e Zagaria, tutte in provincia di Catanzaro. 

Qjaando Scanderbeg accorse in aiuto di Ferdi- 
nando I, figlio di Alfonso, ed ebbe in premio, come 
sappiamo, i feudi di Trani, S. Giovanni Rotondo e 
Siponto, molti de' suoi quivi rimasero dopo la sua 
partenza, adescati dalla feracità del suolo e dalla «- 
mitezza del clima. Altri ne vennero, vivo ancora 
Scanderbeg, e più anche dopo la sua morte e dopo 
la caduta di Croja e di Scutari in potere della 
Turchia, bene accolti dal re Ferdinando, che loro 
concesse terre da coltivare e aiuti in denaro nei 
primi anni della loro dimora. Cosi fra il 1461 e 
il 1480 ebbero origine le colonie albanesi di Fag- 
giano, S, Tietro in Galatina, Martignano, Montepa- 
rano, %pccafor7jita, S. Martino, S. Mariano, Sier^ 
Ilaria, Corigliano, Zollino nella terra d'Otranto o 
provincia di Lecce, alcune delle quali si dicono 
greche non solo perché come quelle di Sicilia pro- 
fessano il rito greco, ma anche perché traendo ori- 
gine da paesi greci della bassa Albania parlano greco. 
Sorsero in quella stessa epoca e per le stesse ragioni 
le colonie di Casalnovo, Casalvecchio, 5. Paolo, Greci, 
Panni, Castelluccio de' Sauri e Facta in Capitanata o 
provincia di Foggia, di S. Elena, S. Croce di Migliano 
e Colle del Lauro nel Molise o provincia di Campo- 
basso ; di S. Demetrio, Macchia, S. Cosmo, Vaccari\%p, 
S, Giorgio Albanese, Spezzano, Lungro, Firmo, Acqua" 



- 175 — 

formosa^ Castroregi^, 5. Costantino ^ Cavallarino, 
Cervicato, Cerieio, Civita, Frassineto, Mongrassano, 
Plaiki, Penile, Rota, S. Basilio, S. Benedetto Ul- 
lano, S. Caterina, S. Giacomo, S. Lorenzo, S. Mar" 
tino, 5. Sofia d'Epiro, Serra di Leo Marri e Falco- 
nara Albanese in Calabria, provincia di Cosenza 
(circondari di Rossano, Paola e Castrovillari). 

I nomi di tutti questi villaggi sono, come ognuno 
vede, quasi tutti italiani. Ma ciò non deve parere 
strano, perché si trattava di contrade che già ave- 
vano il lóro nome, ma erano quasi affatto spopo- 
late prima dell'arrivo degli albanesi. 

Fra il 1481 e il 1492 altri albanesi cristiani emi- 
grarono recandosi in Sicilia, ove sorsero le colonie 
di Palatilo uidrianOy 'Piana dei Greci, Santa Cristina, 
Gela e Mexxpjuso in provincia di Palermo (circondari 
di Corleone, Palermo e Termini Imerese), Sanf (An- 
gelo in provincia di Girgenti, San Michele di ^agoria 
e ''Bronte in provincia di Catania. 

Nel 1534 gli albanesi di Corone in Morea, che 
due anni prima si erano sottomessi ad Andrea 
Doria, ammiraglio genovese al servizio dell'impe- 
ratore Carlo V, essendo la loro città caduta nuo- 
vamente in potere dei turchi, ottennero dal viceré 
di Napoli Don Fedro de Toledo di essere accolti 
nell'Italia meridionale e vennero su 200 navigli, e 
alcuni si unirono ai loro connazionali, già dimo- 
ranti in Sicilia e nel continente, altri si stabilirono 
a Napoli, a Melfi e nell'isola di Lipari, altri infine 
fondarono le colonie di barile, D^aschite, San Co- 
stantino Albanese, San Taolo Albanese, brindisi della 
Montagna nella Basilicata o provincia di Potenza, 
e di Farneta in provincia di Cosenza. 



Nel 1680 nuovi emigrati albanesi fondarono Ururiy 
Torlocannoney CampomarinOy 3^ontecilfone nella pro- 
vincia di Campobasso e Chieuti nella Puglia (pro- 
vincia di Foggia). 

Nel 1744, regnante a Napoli Carlo III di Bor- 
bone, gli abitanti cristiani di un paese dell' Acroce- 
raunia, soverchiati dai maomettani, vennero con- 
dotti da tre sacerdoti in Italia e furono collocati 
nel feudo di badessa già appartenente ai Farnesi 
di Parma nell'Abruzzo ulteriore (provincia di Te- 
ramo), e quivi fondarono il villaggio di Villa ba- 
dessa. 

Finalmente sotto Ferdinando IV vennero gli ul- 
timi albanesi, che si stabilirono a Brindisi. 

Oggidì si contano in Italia una settantina di vil- 
laggi di origine albanese : venticinque sono cristiani 
cattolici di rito greco unito e tutti gli altri di rito 
prettamente latino. Peraltro parlano la lingua albanese 
secondo Francesco L. PuUé, che di codesti villaggi 
ne omette parecchi, solo 50,000 persone (V. La Terra 
del Marinelli, voi. IV. L'Italia, cap. XI, Le lingue 
e le genti d'Italia di Francesco L. PuUé, pag. 508), 

Connesso alla trasmigrazione degli albanesi in 
Italia dopo la morte di Scanderbeg é il trasporto 
dell' immagine di una Madonna detta del ^uon 
Consiglio da Scutari a Genazzano nel Lazio. Co- 
desta Madonna reputata miracolosa é oggetto di 
un culto secolare e méta di devoti pellegrinaggi 
per le popolazioni rurali del Lazio e degli Abruzzi. 
La leggenda racconta che il 25 aprile 1467, poco 
dopo la morte del Castriota, mentre i turchi con- 
quistavano l'Albania e i cristiani l'abbandonavano, 
quella immagine per non essere profanata dagli 



— »- 



- 177 — 

infedeli si distaccò dalla parete in cui si trovava, 
e trasportata dagli angeli traversò l'Adriatico e 
l'Appennino e venne a posarsi vicino a Roma, a 
Genazzàno del Lazio, feudo dei Colonna e patria 
del pontefice Martino V (Oddone Colonna) e di 
quel Colonna Marcantonio che fu tra i vincitori di 
Lepanto. A Scutari si mostra àncora nella parete 
di una chiesa diroccata presso la città il luogo dove la 
immagine si trovava, e quel luogo é anche là visitato 
dai cattolici albanesi con grande devozione. Scutari é 
sempre pei cattolici albanesi sotto la protezione 
della Madonna, cui é dedicata la nuova cattedrale, 
essendo state tutte le chiese di Scutari ai tempi 
della conquista turca atterrate o convertite in mo- 
schee. Una canzone popolare cattolica invoca il 
ritorno della miracolosa immagine a Scutari, che 
non ne é immemore. Quanto a Genazzàno, quivi 
ancora vivono delle famiglie che si vantano di di- 
scendere da pellegrini di Scutari; quegli stessi 
forse che vi trasportarono la portentosa Madonna. 
Colonie albanesi in Grecia, — Meno note delle 
origini delle colonie albanesi d'Italia sono le origini 
delle colonie albanesi della Grecia. Talune di esse 
si fanno persino risalire a genti illiriche di già sta- 
bilite in Grecia fin dai tempi antichi, citandosi in 
proposito un passo di Tucidide, in cui lo storico 
della guerra del Peloponneso parla di una gente 
barbara dimorante ai piedi dell'Acropoli, dove anche 
oggi esiste una colonia albanese. « Albanesi nel 
Peloponneso — scrive Gustavo Meyer — sono 
nominati per la prima volta nel 1349, ma non si 
può dubitare che già molto prima alcune schiere 
albanesi abbiano preso dimora in Grecia. » Dopo 
12 



— 178 — 

la conquista ottomana molti altri shkipetari emigra- 
rono nell'Eliade, e il loro nnmero andò continua- 
mente crescendo per le naturali relazioni fra l'Epiro 
e la Grecia. 

Venturieri albanesi, — Giova infine ricordare che 
molti altri albanesi abbandonando la patria ridotta 
in servitù, anzi che adattarsi a costituire pacifiche 
colonie di agricoltori in paesi stranieri, preferirono 
di dedicarsi, conforme ai loro bellicosi istinti, come 
gli svizzeri, al mestiere delle armi. Furono essi che 
costituirono almeno in parte le famose milizie degli 
stradiotti (JStratioti\ cioè soldati della repubblica ve- 
neta. Altri di essi nel secolo xvi militarono in Inghil- 
terra, in Germania, in Francia, negli eserciti di 
Enrico VII, Massimiliano d'Austria, Francesco I. 
Le gesta di uno di loro. Mercurio ^oua, compiute 
fra il 1495 e il 1520, furono descritte in versi greci 
da Gorona'ios di Zante, cui le dettò in prosa lo stesso 
Bona, che aveva visti da vicino Carlo VII, Luigi XII 
e Giulio II e aveva assistito alle sedute del Senato 
veneziano. Sono altresì ricordati nella storia i di- 
scendenti dei Castrioti, dei Renesi, dei Cos;azza, 
dei Leca. 

Tra i documenti raccolti dal Cecchetti c'^ una 
deliberazione del Senato veneto del 9 aprile 1500 
sopra uno Scanderbeg, che voleva tentare la riscossa 
dell'Albania a prò di Venezia. 

Nei primi anni del secolo xvi uno Scanderbeg da 
Ravenna era capitano dì soldatesche venete, lodato 
per le sue operazioni fedeli e valorose. Mori a Fama- 
gosta nell'isola di Cipro. 

Un altro erede del nome dei Castrioti fu Antonio 
marchese d'Atripalda e duca della Ferrandina, va* 



— 179 — 

loroso capitano ed amico di Carlo V, morto assas^ 
sinato il 17 febbraio 1548 a Murano, dov'è sepolto. 
Unico superstite della discendenza dei Castrioti è 
presentemente un marchese Castriota Scanderbeg, 
che vive a Napoli. 

Il reggimento %eal Macedonia istituito da Carlo III 
nel regno di Napoli componevasi di albanesi. 
Codesto reggimento si segnalò per valore ed ardi- 
mento nella famosa battagha di Velletri (a. 1744) 
e nella difesa di Guastalla (a. 1746) durante la 
guerra di successione d'Austria. È notevole un 
rescritto del re Carlo HI, che proclama corpo 
nazionale il reggimento %eal Macedonia e lo fissa 
di guarnigione a Napoli, accennando ai diritti 
dei re di Napoli sull'Albania: diritti che probabil- 
mente si facevano risalire per eventi a noi noti ai 
re normanni, svevi e angioini. « Avendo in vista 
il Re il diritto di dominio che gli compete sugli 
albanesi, dei quali é composto il reggimento « di 

fanteria %eal Macedonia • ha dichiarato e 

determina che il mentovato reggimento sia consi- 
derato come corpo nazionale, e che aver debba 
per queste circostanze le prerogative e preferenze 
che gli appartengono. » Questo reggimento, il cui 
nome sulla fine del secolo xviii era stato cambiato 
in quello di Reggimento ^Albanese, fu sciolto nel 
1812^ quando il re Ferdinando concesse alla Sicilia, 
per suggestione degli inglesi, la costituzione di 
Spagna. La maggior parte degli ufficiali e soldati 
vennero rimandati in patria. I pochi che espressero 
il desiderio di rimanere furono incorporati in quei 
reggimenti napoletani, cui si dette il nome di esteri 
per distinguerli dai reggimenti siciliani, che si chia- 



— i8o — 

marono nazionali. Tra gli ufficiali superiori che 
rimasero nell'esercito napoletano merita di essere 
ricordato il tenente generale Demetrio Leca o Lecca, 
nato nel 1799 da una famiglia chimariota. Allievo 
del R, Collegio delV<iAnnun7Jatella^ nel quale per de- 
creto di Carlo III doveva essere riservato costante- 
mente un posto a un albanese di nobil famiglia, 
Demetrio Leca fu ufficiale nel reggimento %eal Ma- 
cedonia e sali in seguito ai primi gradi. Mori nel 
1862. 

Del resto la formazione di una milizia albanese 
nel Reame di Napoli ai tempi di Carlo III di Bor- 
bone serve anche a dimostrare, che appena ricosti- 
tuito uno stato indipendente nell'Italia meridionale, 
gli occhi del nuovo Principe si erano rivolti senza 
indugio verso l'opposta riva dell'Adriatico, mentre 
ìa dominazione spagnola aveva annientata qualsiasi 
relazione fra le due sponde, né era valsa a ranno* 
dare codeste relazioni la breve dominazione austriaca. 

Ed ora torniamo alla storia dell'Albania, che an- 
cora ci riserba fatti di singolare interesse. 



Capitolo IV. 

Bey e Pascià ereditari — I Busciatli di Scutari 
— Ali Tepelenli (di Tepelen) Pascià di Janina 
(1750-1831). 

^ey e Pascià ereditari, — Si é già visto come sotto 
la dominazione ottomana l'Albania fosse governata 
in modo da non avere un solo ed assoluto signore, 
pascià o vizir, che la reggesse tutta a nome del 
Padiscià. Città e tribù costituivano quasi altrettante 



— i8i — 

repubbliche o piccoli stati vassalli e tributari della 
Porta, retti da più o meno potenti signori o bey e 
da pascià ereditari, i quali non si peritavano di met- 
tersi in conflitto anche coi turchi, se il loro parti- 
colare interesse lo richiedeva. Causa di tali conflitti 
era non di rado un manifesto desiderio di assoluta 
autonomia. 

I ^usciaili, — Fra questi ambiziosi bey e fra 
queste famiglie di pascià ereditari, di ciascuna delle 
quali non sarebbe né interessante né agevole tessere 
la storia, meritano particolare menzione nella seconda 
metà del secolo xviii e nei primi lustri del xix i 
Busciatli di Scutari e Ali di Tepelen. Obbedirono i 
primi esclusivamente all'impulso di personali ambi- 
zioni. Cominciò il secondo allo stesso modo e fini 
coU'atteggiarsi a vindice dell'indipendenza nazionale, 
greca e albanese. 

La famiglia dei Brusciatli pervenne alla dignità 
del pascialato verso la metà del secolo xviii. Ne é 
il capostipite Mehemet Bey di Busciat, un villaggio 
presso Scutari che era un tempo un luogo di piacere 
delle nobili famiglie scutarine, adorno di eleganti 
edifizi di cui oggi non esistono che le rovine. Me- 
hemet bey, quantunque maomettano, pretendeva di 
discendere da un ribelle fratello di Giorgio Cerno- 
jevic', signore del Montenegro, eh' crasi rifugiato a 
Busciat. Dato che ciò sia vero, era evidentemente 
la sua come tante altre una famiglia dicristiani 
rinnegati. 

Mehemet 'Brusctatlu — Mehemet Brusciatli per- 
venne al pascialato con la violenza e con l'astuzia. 
Essendosi infatti stabilito a Scutari nel quartiere o 
sobborgo di Tahakiy ch'era una volta la Scutari 



— l82 — 

veneziana, e avendovi acquistato credito e prestigio, 
si recò un giorno incontro a un nuovo pascià, che 
la Porta inviava a Scutari per sedarvi una contesa 
sorta fra i due principali quartieri della città, Tabaki 
e 7erii. Incontratolo con piccola scorta egli lo 
indusse a recarsi in casa sua, e quivi lo trattenne 
come prigioniero, spogliandolo anzi tutto di ogni 
suo avere e quindi costringendolo a chiedere alla 
Porta il proprio richiamo è ad affermare, per giunta, 
che nessuno poteva essere tanto degno e capace di 
reggere il pascialato di Scutari quanto Mehemet 
Busciatli.1 

Costui fu infatti nominato pascià, e di li a poco 
tempo ottenne altresì di trasmettere ai suoi discen- 
denti il proprio potere. Dopo di che egregiamente 
secondato dai fìgli Mustafà, Kara Mahmud, Ibrahim 
e Ahmed, si sbarazzò dei bey rivali e delle loro 
famiglie, distruggendole con inganni e tradimenti 
degni di Cesare Borgia. Consolidata cosi la propria 
signoria, si alleò colle tribù Maljsore e coi Mirditi 
riconoscendone l'assoluta indipendenza e mosse con- 
tro Dulcigno, ch'era diventata come già sappiamo 
una repubblica di Corsari. Sorprese e distrusse la 
flottiglia di barche che i pirati dulcignotti tenevano 
riunita nel vecchio porto, e costrinse la città a sot- 
tomettersi. Quindi assoggettò con pari accorgimento 
e non minore energia Alessio, Tirana, Elbassan, e 
il territorio dei Ducadgini, il cui pascià Karaman 
divenne suo vassallo. 

Nel 1768, allorquando la Porta inviò un esercito 
di 120,000 uomini contro il Montenegro, che alla 
dominazione turca non voleva piegarsi a nessun 
costo, il figlio di Mehemet, Kara Mahmud, fece parte 



- i83 - 

della spedizione con 40,000 uomini. L'impresa falli 
e Kàra Mahmud battuto co' suoi albanesi dai mon- 
tenegrini, tornò indietro verso Antivari con 15,000 
uomini di meno. Subito dopo morì Mehemet pascià, 
avvelenato, a quanto si dice, per ordine del governo 
turco, perché si era rifiutato di partecipare alla guerra 
contro la Russia, regnante la zarina Caterina II. 
Non dissimile sorte toccò al suo figlio primogenito 
Mustafà in Morea, dov'erasi recato per ordine del 
sultano con 3000 gheghi per punire i toski, che 
opprimevano le città greche di cui si erano impa- 
droniti. Ottenuto l'intento, il Gran Signore permise 
ai greci di sbarazzarsi anche dei gheghi che li ave- 
vano liberati, e neppure uno di essi rivide la patria. 

Kara Mahmud ^usciatli, — Kara Mahmud rac- 
colse l'eredità paterna e rese ben presto il suo 
nome assai temuto tra gli elleni, i toski, gli slavi 
e gli ottomani. Egli si mostrò dapprincipio bene- 
volp verso la Porta, e nel 1770 condusse 20,000 
gheghi a sedare la rivoluzione ch'era scoppiata in 
Grecia per eccitamento dei Russi. « Sciami di alba- 
nesi — scrive uno storico greco — piombarono 
sul Peloponneso e sparsero per tutto il paese la più 
grande desolazione 3>. 

Tornato a Scutari Mahmud volle vendicarsi dei 
montenegrini, che Io avevano battuto pochi anni 
prima, ma non ebbe in questa sua spedizione mi- 
glior fortuna. Bruciò due villaggi, rapi degli ar- 
menti, ma dopo aver perduto 1000 dei suoi 30,000 
guerrieri dovette ritornarsene. Più fortunata fu una 
nuova spedizione contro la Zernagora nel 1785. 

Egli approfittò dell'assenza del Vladika (Principe 
Vescovo) Pietro I Petrovic', e nel maggio di quel- 



— i84 — 

Tanno invase il Montenegro, accompagnato da Prenk 
Leka, nepote del famoso Ghion Marku, e dai suoi 
Mirditi, occupò Celtigne, ne bruciò il monastero, 
levò il tributo, prese ostaggi e se ne ritornò indietro 
violando, contro le promesse fatte anteriormente al 
Provveditore straordinario di Cattaro, il territorio 
veneziano, bruciando chiese e conventi e tutto de- 
vastando. Dopo di che se ne venne ad Antivari e 
di là alla residenza di Scutari. 

Il Senato veneto incaricò allora il Bailo, cioè il 
suo ambasciatore a Costantinopoli, di chiedere una 
riparazione pei danni e per le offese. Il Sultano, 
colta ben volentieri l'occasione per finirla col troppo 
intraprendente vassallo, inviò un esercito per pu- 
nirlo. Il bosniaco Stanitsa e Bateli capo della tribù 
dei Dibra^ alleati di Mehemet, trattennero l'esercito 
turco fino all'arrivo del pascià coi suoi albanesi. I 
turchi subirono una completa disfatta nella famosa 
pianura di Cossovo. Ma gli alleati di Mahmud fu- 
rono da lui assai male ricompensati. Avendogli il 
Sultano mandato a dire che gli avrebbe restituita 
la sua grazia, se gli avesse mandate le teste di quei 
suoi alleati, egli ottemperò alla sleale richiesta. « An- 
cora manca una testa, gli fece scrivere il Padiscià, 
la tua! j> 

Il Pascià di Scutari vide allora la necessità di 
procacciarsi altri e più potenti amici, e dappoiché 
era per più indizi evidente, che l'Austria fin dai 
tempi di Maria Teresa volgeva cupidi sguardi verso 
l'Adriatico, egli offerse all' imperatore Giuseppe II, 
figlio di Maria Teresa, i propri servigi, e durante 
le trattative adoperò parole cosi benevole verso i 
cattolici, che a Vienna si sperò addirittura nella sua 



- i85 - 

conversione. È noto infatti che l'Austria appunto 
col proteggere gl'interessi del cattolicismo in Al- 
bania e col favorire e istruire gli albanesi cattolici 
mirava a immischiarsi nelle faccende albanesi e ad 
acquistarvi credito ed influenza. In un'assemblea di 
capi convocata a Podgoritsa, Mahmud giurò ad un 
tempo sul Corano e sul Vangelo, che avrebbe com- 
battuto ad oltranza contro la Turchia, ed ebbe poco 
dopo in regalo da Giuseppe II una grande croce 
d'argento massiccio. 

Il Sultano Abdul-Hamid fu oltremodo sdegnato 
di quest'aperta ribellione e dei progressi dei giaurri 
(infedeli) in Albania. Per ordine dello Scheich-uUIslam 
il gran Muftì pronunciò l'anatema contro Kara 
Mahmud e lo dichiarò fermatili^ cioè scomunicato 
con firmano officiale. Ventiquattro pascià sotto il 
comando supremo del Serraschiere Kara-Zechi, si 
accinsero a schiacciare«il ribelle con 60,000 uomini. 
Mahmud ebbe appena il tempo di rinchiudersi nel 
castello Rosafa di Scutari con 80 guerrieri, e di là 
tenne segrete pratiche con alcuni dei pascià asse- 
dianti, non meno di lui ambiziosi, tra i quali v'era 
un altro famoso ribelle, Ali di Tepelen pascià di 
Janina, cui ben poco premevano, pei disegni che 
andava di già mulinando, gl'interessi del Governo 
ottomano. Incoraggiato dal benevolo atteggiamento 
dei pascià, Kara Mahmud finse di volersi arrendere 
e chiese di recarsi al campo degli assedianti. Appena 
egli vi fu giunto, scoppiò una insurrezione fra le 
truppe albanesi. Le tribù cattoliche degli Scialla e 
degli Sciosci, secondate da quella dei Posripa, fu- 
rono le prime a combattere contro Kara-Zechi. 
Mahmud s'impadronì dell'artiglieria. I pascià si voi- 



— i86 — 

sero in fuga e Tesercito turco venne tagliato a 
pezzi. Selim pascià, che con 15,000 bosniaci accor- 
reva in aiuto di Kara-Zechi, fu sbaragliato dalla 
tribù degli Hotti. Quella dei Mirditi unita a genti 
maljsore sterminò un altro esercito condotto dal 
fratello del Serraschtere Ibrahim, mentre lo stesso 
Mahmud incendiava la flottiglia turca ancorata alla 
foce della Bojana. 

Albanesi musulmani e cristiani, gheghi e tosici, 
si erano per la prima volta uniti e avevano vinto. 
Mahmud era al colmo della sua potenza. 

Una canzone ghega musulmana celebra ambedue 
queste memorabili vittorie del pascià di Scutari. 
Ecco anzitutto la descrizione della battaglia vinta da 
Mahmud. 

« Per tutta la Rumelia si sparge la fama, che 
il Sultano abbia dato ordine ai tre viziri di mettersi 
in marcia sotto il comando del serraschiere. I pascià 
hanno mandato Causcioli (un ghego) a Prishtina 
per raccogliere gli spahi e condurli seco. Cosi 
vuole il Sultano. 

« In un'ora quest'annunzio é pervenuto a Mahmud 
pascià. Col coraggio del drago, egli misura i piani 
della Rumelia in un istante. 

a Causcioli guarda coU'acuta sua vista. Da lon- 
tano, da molto lontano io veggo arrivare il leone. 
Egli piomba colle sue schiere sugli spahi. Guardate 
ciò che fa l'eroe... .. 

« La battaglia e il fuoco durano fino a mezza- 
notte. Tutti i pascià sono fuggiti. Oh come il loro 
esercito é messo a fil di spada ! 

a Selim pascià co' suoi bosniaci sfugge agli as- 
salti degli Hotti, ma Ahmed pascià (// fratello più 



— iSy — 

giovane di Kara Mahtnud) e gli albanesi combattono 
come eroi dell'antichità. 

« Duecento, trecento teste sono tagliate. Dei capi 
ne rimangono sette sul campo della strage. Le 
pietre, gli alberi, sono imbrattati di sangue. Tutto 
questo toccò agli infelici bosniaci. » 

E qui il poeta passa a descrivere l'assedio del 
castello %osafa, 

« Ma guardate il vizir del mare. Egli viene col 
suo naviglio che porta nei fianchi la strage. Le 
pianure e il mare sono coperti di soldati 

cr Essi potrebbero raccogliere il mondo intero, 
ma non riuscirebbe loro d'impadronirsi della for- 
tezza, di questa opera divina.. .. 

« Majo Babà (un pascià albanese, morto combat- 
tendo per lo Islam sotto le mura di Drivasto e ono- 
rato fra i santi musulmani) e tutti i santi pregano 
Allah di non abbandonare i suoi fedeli servi alba- 
nesi 

a Andiamo, corriamo contro il nemico, racco- 
mandiamoci ad Allah! Cosi dice il leone e piomba 
fuori abbandonando i bastioni. Alla sua vista il 
nemico atterrito prende la fuga, e la maggior parte 
degli osmanli rimangono suoi prigionieri. Tabaki, 
Terzi, quanti sono i nostri ? Rimania^no tutti presso 
il nostro signore. Mostriamogli ogni giorno che 
siamo pronti a morire per lui. Allah sia lodato, 
che gli potemmo provare il nostro coraggio. 

« E voi , uccelli dell' aria e della montagna, 
piangete Causcioli, l'albanese traditore della sua 
patria..... » 

Liberatosi dei turchi, l'astuto e sospettoso Mahmud 
volle anche troncare i maneggi dell'Austria. A 



— i88 — 

un'ambasceria mandata da Giuseppe II con ricchi 
doni e 50,000 ducati toccò una ben triste sorte. 
Mahmud conchiuse un trattato di alleanza, accettò i 
doni, li ricambiò con un fucile albanese e due 
belle pistole e accompagnò gli ambasciatori fino 
alla Moraccia. Sull'altra riva li aspettavano parecchi 
albanesi, che tagliarono loro la testa, li spogliarono 
delle vesti e dei doni e mandarono ogni cosa al 
pascià di Scutari. Le teste degli ambasciatori au- 
striaci furono da lui spedite a Stambul e bastarono 
a riconciliarlo colla Porta (a. 1789). 

Ma la vittoria, che gli aveva arriso contro i turchi, 
non gli arrise ugualmente contro i montenegrini, 
dei quali fu sempre nemico, quantunque si vantasse 
di discendere da una famiglia di principi della 
Zernagora. 

Il 13 ottobre 1789 fu battuto dai montenegrini 
suo fratello Ibrahim. Tra la fine del 1789 e il prin- 
cipio del 1790 egli stesso di ritorno da una poco 
fortunata spedizione in Croazia, vide quasi annien- 
tato il suo esercito dai montenegrini alleali cogli 
Erzegovesi e coi Bocchesi (abitanti delle Bocche di 
Caltaro). Due anni dopo mandò contro il Monte- 
negro 12,000 uomini con alcuni suoi fidi luogote- 
nenti, e furono respinti lasciando sul terreno 90 
morti e 270 feriti. Accorse egli stesso con 10,000 
guerrieri e il Vladika Pietro I gl'inflisse una nuova 
disfatta. Mahmud perdette 1000 uomini, e ferito 
egli stesso fuggi. I distretti di Piperi e di Bielo- 
pavlic' rimasero da quel momento soggetti al Mon- 
tenegro. 

Lasciati in pace i montenegrini , 1* irrequieto 
Mahmud si die a molestare altri vicini, e nel 1795 



— 189 — 

mosse guerra a Kurd pascià di Berat, capitale della 
Toskeria, il quale vantavasi, non si sa con quanto 
fondamento, di discendere da Giorgio Scanderbeg. 
Certo é che la sua famiglia governava quel pascia- 
lato sin dal secolo xvi. Anzi i pascià di Berat ave- 
vano esteso il loro dominio sopra una buona parte 
dell'Albania meridionale, v'ha chi dice sino alla 
stessa Janina. Quindi il pascià di Scutari assalendo 
Berat mirava evidentemente a propagare alla sua 
volta la propria dominazione su tutta l'Albania. 
Kurd aveva fama inoltre di uomo pacifico è poco 
disposto a uscire in campo, ed era perciò poco 
accetto ai suoi sudditi toski, non meno bellicosi dei 
gheghi. 

Cominciarono ben presto le diserzioni. Il genero 
di Kurd, che governava Elbassan, dopo un effimero 
tentativo di resistenza si accordò con Mahmud. Il 
figlio di Kurd, inviato a soccorrerlo, ritornò fug- 
gendo a Berat. Il bey di Cavaja Mahmud, che 
aveva sposata una sorella di Kara Mahmud, Krajo- 
Khanum, quantunque l'avesse ripudiata, stette per 
l'aggressore. 

Se non che Mahmud, dopo un combattimento 
vittorioso che costò la vita a 6000 albanesi, e dopo 
aver devastato il paese con grande furore, se ne 
tornò indietro, forse perché minacciato sulla sua 
frontiera settentrionale, e abbandonò il suo propo- 
sito di impadronirsi di Berat. 

La guerra fratricida aveva fatto rinascere l'odio 
fra i gheghi e i toski, e una canzone popolare 
ghega celebra la vittoria di Mahmud, il valore dei 
gheghi e l'ignavia dei toski al loro paragone. 

« Aga Ruka grida: O Toski, perché fuggite 



— 190 — 

come donne? A che vi servono le sciabole, che 

portate al fianco? Meglio mille volte morire che 

vivere disonorati. 

« Essi non odono la sua voce. Essi fuggono in 

disordine. Andate, o Toski di Berat e 

non vi misurate più con gli Scutarini. Essi non 
sanno fuggire, ma sanno in vece con le loro lunghe 
armi colpire da lontano. » 

L'anno appresso (1796) Kara Mahmud raccolse 
20,000 guerrieri e assali di nuovo il Montenegro, 
ma questa volta perdette egli stesso nel terribile 
scontro la vita. I canti della Zernagora dicono che 
3000 albanesi perirono co] loro capo. Una canzone 
ghega, diretta al bey di Cavaja, attribuisce a due 
cagioni la disfatta é la morte del fratello di Krajo- 
Khanum, sposa del bey di Cavaja: la precau- 
zione dei Montenegrini di nascondersi dietro le 
siepi e le roccie e l'assenza dei mirditi, dei fedeli 
guerrieri mirditi, che non erano là a sostenere il 
leone di Scutari. Se non che un'altra tradizione af- 
ferma che il capo dei mirditi Prenk Leka accom- 
pagnava Mahmud. I montenegrini, secondo il poeta 
albanese, uccisero il pascià con le palle usctle 
dalle siepi: « Avanti miei fedeli mirditi, egli 
conchiude, fate piangere a quegli infedeli lacrime 
di sangue per vendicare il Bassa, che, se voi a- 
veste preso parte alla battaglia, non sarebbe rimasto 
solo. » 

Certo é ad ogni modo che i montenegrini ucci- 
dendo l'intraprendente e ambizioso pascià di Scutari 
resero al loro secolare nemico, il padiscià, uno 
straordinario servigio. 

Ihrahim 'Busciatli. I Toptan di Tirana, — Morto 



- 191 - 

Kara Mahmud, il governo del pascialato di Scutari 
passò a suo fratello Ibrahim, che essendo stato subito 
riconosciuto dalla Porta mostrò la sua gratitudine 
adoperandosi a propagare Vlslam attorno a Scutari 
e combattendo i bey poco devoti all'autorità del 
Sultano. Tra costoro prin^eggiava Kaplan pascià della 
fanijglia d^i Toptan, la quale pretendeva di discen- 
dere dai famosi Topia ed alla originaria signoria di 
Croja, riacquistata nei primi anni del secolo xvi da 
un Ali bey, dei Topia unico superstite, aveva ag- 
giunta negli ultimi anni del secolo xviii la signoria di 
Tirana. Kaplan pascià mori di veleno nel 1816, e gli 
successe il figlio Abdul Rahman^ 

L'altro fratello di Ibrahim Bosciatli, Ahmet, era 
caduto in potere di Kara-Zechi pascià nel 1786, du- 

• 

rante l'assedio di Scutari, ed era stato decapitato. 

Nel 1806, mentre Zerni Giorgio e i suoi serbi 
davano molto da fare al sultano Selim III, Ibrahim 
ebbe ordine di marciare contro i ribelli e raccolse 
45,000 uomini. Altrettanti ne aveva raccolti tra i 
serbi mussulmani il pascià di Bosnia, Bekir: ma 
albanesi e bosniaci non riuscirono ad aver ragione 
degl'insorti. 

Musiafà 'Busciatli. — Ibrahim mori senza lasciare 
figliuoli e la successione toccò al nepote Mustafà, 
contro il quale Ali di Tepelen pascià di Janina 
eccitò il principe dei mirditi Prenk Leka. La guerra 
durò qualche anno, e il pascià di Scutari fu alfine 
costretto a comprare la pace a caro prezzo. 

Nel 181 2 Ali di Tepelen legavasi in parentela 
con Mustafà dandogli in isposa una sua nepote, che 
il sospettoso pascià di Scutari mandò a prendere 
da bey di Dibra con 800 cavalieri, non stimando 



— 192 — 

prudente muoversi egli stesso dal suo Konak o pa- 
lazzo nel Castello Rosafa. 

Giunti a questo punto ci é necessario conoscere 
chi era e che cosa macchinava a quel tempo Ali 
di Tepelen. 

Alt di Tepelen, — In una delle più tetre gole d'una 
montuosa contrada nel territorto dei Toski, a Tepelen, 
nacque (Ali nel 1741 da una nobile famiglia Toska, 
convertita come tante altre all'islamismo e dedita alla 
guerra di generazione in generazione. L'avo suo 
Muktar pascià cadde combattendo per la Turchia al 
principio del secolo xviii. Il padre Veli bey venne 
scacciato da Tepelen dai propri fratelli e postosi a 
^capo di una Banda di clefti riusci a vendicarsi dei 
suoi persecutori. Chiamavansi Clefti o (Armatoli i 
battaglieri abitanti di alcune contrade della Grecia 
settentrionale, delia Tessaglia, della Macedonia e 
dell'Epiro, che rifugiatisi sui monti fin dai tempi 
di Maometto II, quivi esercitavano sotto propri 
capi il brigantaggio: donde il nome di Clefti, I 
pascià della Macedonia, della Tessaglia e dell'Epiro 
spesso ne riconoscevano l'indipendenza e rispetta- 
. vano l'autorità dei loro capi, e non meno frequen- 
temente li assoldavano come milizie irregolari. I 
Clefti della Tessaglia e dell'Epiro furono nel 1821 
l'anima e la forza della greca insurrezione. Essi 
sono anche noti sotto il nome di Talikari^ cioè 
forti giovani. Per mezzo di questi giovani Veli bey 
punì i fraterni oltraggi, ma non lasciò, morendo, 
al figlio Ali che una capanna e poche e incolte 
terre. La vedova di lui Khamco, figlia del Bey di 
Conitsa, era donna assai energica, e coltivò nel 
proprio figliuolo la brama della potenza e l'istinto 



- 193 - 

del comando. « Debbo tutto a mia madre — dice 
egli stesso in certe memorie frammentarie dettate 
a un greco suo segretario — perché mio padre 
morendo non mi aveva lasciato che un buco e pochi 
campi. La mia immaginazione accesa da colei che 
mi die due volte la vita, dacché di me fece un 
uomo e un vizir, mi svelò il segreto del mio de- 
stino. Ond*é che io non sognai altro che potenza, 
tesori, palazzi, insomma tutto ciò che il tempo ha 
effettuato e ancora mi promette, perocché il segno 
a cui son giunto non é il termine delle mie spe- 
ranze. » 

La madre gli procurò anzi tutto i mezzi per met- 
tere insieme una banda di Clefti toski, coi quali 
doveva vendicarla degli abitanti di Hormovo e di 
Cardiki, che avendola catturata dopo la morte del 
marito si erano permessi di offenderla atrocemente, 
e non l'avevano lasciata libera che mediante un 
grosso riscatto. Vinto fuggi a Tepelen, dove la 
fiera donna lo accolse con amare parole. Cadde 
quindi con altri clefti in potere di Kurd pascià di 
Berat, e invece di essere condannato a perire sulla 
forca come i suoi compagni, fu per la sua affasci- 
nante giovinezza e perché era parente di Kurd dal 
lato materno, trattato con ogni cortesia e quindi 
rilasciato. 

A 24 anni sposò Emineh, figlia di Capelan pa- 
scià di Delvino e diede una sorella in moglie ad 
Ali pascià di Argirocastro. Capelan pascià di li a 
poco tempo, per aver mostrate delle velleità d'in- 
dipendenza dalla Sublime Porta e per avere inco- 
raggiato delle ribellioni nella bassa Albania, fu 
preso, e per ordine del sultano decapitato a Mona- 



— 194 ~ 

stir. Ali tentò di succedere al suocero, alla cui ro- 
vina aveva contribuito denunziandolo, ma non vi 
riusci, perché fu prevenuto da Selim pascià. 

Alla morte di Kurd pascià. Ali sperò di ottenere 
il vizirato di Berat, ma anche questa speranza restò 
delusa, perché l'ottenne invece il genero dì Kurd, 
Ibrahim bey di Valona. Ali deliberò allora d'impa- 
dronirsi di Tepelen, e questa volta raggiunse l'in- 
tento e divise fra i suoi seguaci le ricchezze tolte 
ai trucidati nemici. Qualche tempo dopo, saputo 
che Selim pascià di Delvino era caduto in disgrazia 
del Sultano per alcune concessioni fatte ai vene- 
ziani, gli fece mozzare il capo che mandò in dono 
al Gran Signore, Quindi occupò Delvino. Venne 
allo stesso modo in suo potere Argirocastro, dopo 
ch'egli ebbe fatto assassinare il cognato Ali pascià. 
Simili procedimenti non erano del resto affatto 
nuovi neir Impero ottomano in generale, ed in par- 
ticolare nell'Albania. 

(Ali, pascià di Janina, — Nel 178^, per i servigi 
resi alla Turchia nella guerra turco-russa. Ali ottenne 
il pascialato di Trikala (Tessaglia) e la carica di 
'Dervendgibakiy ossia di preposto alla sicurezza e po- 
lizia delle strade, e in verità per opera sua dalle 
goledel Pindo alla valle di Tempe e al passo delle 
Termopili l'ordine e la tranquillità rassicurarono il 
paese e chi aveva necessità di percorrerlo. Il nome 
di Ali già suonava assai temuto, ed egli ne approfittò 
per impadronirsi nel 1788 del pascialato di Janina, 
che aveva appartenuto, a quanto sembra, per un 
certo tempo a Kurd di Berat. I ministri turchi si 
lasciarono corrompere dall'oro di Ali e legittimarono 
senza indugio l'occupazione ; né valse che i princi- 



- 195 - 

pali cittadini di Janina, la quale costituiva da un pezzo 
una specie di repubblica aristocratica, dove il bassa 
€ra costantemente il balocco dei bey, facessero a 
Costantinopoli delle rimostranze, perché volevano 
al solito un pascià mite e temperato. Ali s'impose, 
e tosto cominciò a fortificare la città per assicu- 
rarsene il possesso, e vi edificò il castello di L/- 
tharitiay detto anche il Castello del lagOy sormontato 
da una gran torre a cinque piani. Era una specie 
di cittadella, costruita sovra una penisoletta del lago 
di Janina, e separata dalla terra per mezzo di un 
fossato, in cui entrava l'acqua del lago. 

Intanto si compieva la spedizione a noi già nota 
del Serraschiere di Rumelia contro Kara Mahmud 
pascià di Scutari. Ali approfittava dell'occasione per 
occupare Ocrida, e dappoiché era di già padrone 
di Metzovo, si può ben dire che erano ormai in 
suo potere i valichi che conducono da Costantino- 
poli e dalla Macedonia in Albania. 

Poco dopo riusciva ad occupare Hormovo e la 
distruggeva con orrende stragi, dappoiché la madre, 
morendo nel 1787, gli aveva legata quest'atroce 
vendetta. Di là passò ad occupare in parte i pos- 
sedimenti di Ibrahim di Berat, il quale si vide 
inoltre obbligato a far lega con esso contro gli agà 
ed i bey dell'Epiro occidentale e contro i Sulioti, e 
a consentire alle nozze di due sue figliuole con 
due figli del pascià di Janina, Muktar e Veli. 

cAlì e i Sulioti. — Già fin dal 1788 Ali assalendo 
i Sulioti, che gli erano avversi, aveva dato princi- 
pio ad una guerra che é rimasta famosa nella storia 
come uno dei più gloriosi esempi di lotta pertinace per 
l'indipendenza contro la preponderanza del numero- 






— 196 — 

1 Sulioti discendevano da alcune famiglie cri- 
stiane dell'Epiro, che si erano stabilite verso il 
1660 sulle inaccessibili montagne di Suli per sot- 
trarsi alla tirannia politica e religiosa dei conqui- 
statori ottomani. Nel 1788 la comunità saliva a 
560 famiglie, che parlavano soltanto albanese e si 
reggevano a repubblica con 18 villaggi. 

Ali mandò tra il 1788 e il 1789 contro Suli un 
esercito di 10,000 uomini, che fu disfatto. Ne mandò 
un altro nel 17^2 di 22,000, che subi la stessa sorte 
per il valore principalmente dell'eroico Zavella, e 
della moglie di lui Mosko e della figlia Kaido, 
giacché le donne in questa guerra di Suli non fu- 
rono certo meno eroiche degli uomini. Ali, che 
seguiva da vicino la spedizione, si salvò a stento 
egli stesso. Al ritorno in Janina Emìneh, la sua 
sposa, volle intercedere presso di lui per i sulioti* 
Ali montò in furore e la minacciò di morte, con 
una pistola sparando per altro in aria. Emineh am- 
malò per lo spavento e mori. 

Miglior esito non ebbero dopo questo rifiuto i 
raggiri, poiché Zavella, allora prigioniero di Ali, 
mandato a Suli per trattare un amichevole accordo, 
che senza dubbio celava il proposito di un tradi- 
mento, quantunque avesse lasciato a Janina in 
ostaggio un proprio figlio, anziché incoraggiare i 
sulioti alla resa, ne li dissuase e scrisse in propo- 
sito ài pascià di Janina una memorabile lettera: 
« Io mi congratulo — egli scriveva — di avere 
ingannato un impostore e sono pronto a difendere 
la mia patria contro un assassino tuo pari. Mio 
figlio può perire, ma saprò vendicarlo prima di 
scendere io stesso nella tomba. Alcuni infedeli, che 



- 197 - 

ti somigliano dicono che io sono un padre senza 
pietà, perché sacrifico mio figlio alla propria mia 
liberazione. Ma, rispondimi, se tu divenissi padrone 
delle nostre montagne non uccideresti mio figlio e 
tutta la popolazione con esso? Allora chi farebbe 
le sue vendette ? Ora che siamo liberi possiamo 
essere vincitori, e mia moglie ancora giovane può 
darmi altri figliuoli. Se il figlio mio si lagnasse di 
essere sacrificato per la patria, sarebbe indegno di 
vivere e di portare il mio nome. Consuma dunque 
il tuo delitto, o perfido, che io sono impaziente di 
vendicarmi. » 

L'astuto pascià dovette rimandare l'impresa di 
Suli a miglior tempo, e intanto si consolò dell'onta 
inflittagli continuando ad abbattere, ora colla vio- 
lenza, ora coli' inganno i signorotti (bey ed agà) 
dell'Epiro, tra loro, come sempre, gelosi e discordi, 
spogliandoli d'ogni loro avere e mandandoli tal- 
volta a rifarsi con uffici e missioni in altri luoghi. 

Nel 1797, approfittando dell'amicizia dei francesi, 
che condotti dal generale Gentilly avevano sostituita 
la repubblica di Venezia nel dominio dèlie isole 
Jonie e delle città e porti di Prevesa, di Parga e di 
Biitrinto, nonché di Arta e Salahora, Ali assoggettò 
la popolazione dell'Acroceraunia. L'anno appresso, 
scoppiata la guerra tra la Porta e la Francia per 
la spedizione di Napoleone Bonaparte in Egitto, 
occupò Arta e Butrinto, sbaragliò i francesi presso 
le rovine di Nicopoli, prese e distrusse Prevesa 
e molti francesi menò schiavi o fece decapitare, 
ricevendo per queste sue gesta, le congratulazioni 
di Nelson. Ciò fatto, cominciò anche a vagheggiare 
l'idea d'insignorirsi con le proprie forze delle isole 



— 198 — 

Jonie, dacché invano, a quanto dicesi, le aveva 
chieste a Napoleone Bonaparte per riunirle con 
l'Epiro, promettendo in compenso di proclamarsi 
vassallo della Francia. Se non che quelle isole fu- 
rono, il marzo 1799, occupate da un'armata turco- 
russa e quindi costituite in repubblica sotto il 
protettorato della Turchia e della Russia (Conven- 
zione di Costantinopoli del 21 marzo 1800). La 
Francia riconobbe la Repubblica delle Isole Jonie 
nel trattato di Amiens (marzo 1802). Ali soprasse- 
dette e volle intanto aver ragione ad ogni costo 
degli abitanti di Suli. Nel 1799 un nuovo esercito 
di 12,000 uomini venne respinto da Mosko, da Foto 
Zavella e da Kisto Botzari. Ma l'ultima campagna 
condotta fra il 1800 e il 1803 ottenne finalmente 
l'esito agognato, e Ali dopo aver riguadagnati col 
denaro coloro che si erano uniti ai sulioti e dopò 
essere riuscito a far esulare Foto Zavella, nonostante 
l'ostinato valore di quei montanari e l'energia del 
monaco Samuele che li animava alla resistenza, 
potè finalmente costringerli a capitolare in capo a 
tre anni di guerra il 12 dicembre 1803. Aveva do- 
vuto impiegare nell'impresa 30,000 uomini! Il mo« 
naco Samuele aveva dato fuoco alle polveri ed era 
saltato in aria con 600 musulmani. Kisto Botzari 
era caduto con dieci compagni nelle mani dei ne* 
mici, che lo fecero perire tra i tormenti. Meritano 
poi glorioso ricordo le donne di Zalongo, che dopo 
aver combattuto da eroine, per non essere preda 
dei vincitori si precipitarono nei burroni e nei 
fiumi tenendosi per mano e cantando o coi figli 
lattanti tra le braccia. A quei sulioti che potè avere 
in poter suo il feroce Ali fece pagare il fio per 



— 199 — 

tutti gli altri, condannandoli ai' più atroci supplizi. 
Interi villaggi vennero nella Selleide dati alle fiamme. 
Suli fu rasa al suolo e la maggior parte dei su- 
lioti, ritiratisi nella vallata di Parga e cacciati anche 
di là, si rifugiarono, come vedremo, nelle isole 
Jonie. Richiamati più tardi, come pure vedremo 
fra poco, da Ali in guerra con la Porta, lot- 
tarono per l'indipendenza contro i turchi. Esiliati 
di nuovo nelle isole Jonie, poterono finalmente 
dopo la pace tornare nel continente e riguadagnare, 
decimati da tante traversie, le loro montagne. Sul 
posto della vecchia Suli sorge oggidì una fortezza 
costruita da Ali e restaurata nel 1853. 

(Ali al colmo della sua potenza. — Lasciando da 
parte, per non dilungarci troppo, altri fatti di mi- 
nore importanza, come la liberazione della Mace- 
donia dalle bande di clefii e di armatoli che la 
infestavano, imposta ad Ali dal Sultano, che inge- 
losito della sua crescente fortuna sperava di per- 
derlo con quel difficile incarico, pur avendolo no- 
minato Comandante generale della Romelia ; lasciando 
da parte le vicende de' suoi figli e nepoti, che con 
cariche e offici in altre provincie turche lo aiutavano 
ad esercitare indirettamente la propria signoria e ad 
estendere il proprio prestigio fuori delle terre 
albanesi, veniamo senz'altro al momento in cui 
l'intraprendente pascià raggiunse il culmine della 
sua potenza in seguito alla conquista di Berat. 

Il saggio e pacifico pascià di Berat Ibrahim, as- 
salito alla sprovvista e costretto a capitolare, si 
rifugiò colla moglie a Valona, e di là passò, non 
sentendosi abbastanza sicuro, tra i Ijapi dell' Acro- 
ceraunia; ma fu invece proprio da costoro conse- 



— 200 — 



gnato ad Ali, che Io relegò dapprima a Conitsa e 
lo fece da ultimo condurre a Janina e gettare nelle 
terribili segrete del serraglio, ove tanti prigionieri 
languivano e donde usciva soltanto chi poteva ri- 
scattarsi a prezzo di molto oro (a. 1812). 

Cosi ebbe fine la signoria dei bassa di Berat, 
che pretendevano di essere discendenti di Scan- 
derbeg. 

In questa impresa giovò molto ad Ali Topera di 
Omer Brionia un prode bey albanese che nella 
guerra egiziana aveva battuti a Rosetta gl'inglesi. 

Si affrettarono allora a riconoscere spontanea- 
mente la suprema signoria del vizir di Janina i 
pascià di Elbassan e di Croja e gli altri signorotti 
dell'alta Albania. Poco dopo cadeva in suo potere 
Cardiki, su cui egli compi la terribile vendetta le- 
gatagli dalla madre, come già aveva fatto su Hor- 
movo. Intanto con spoliazioni e confische andava 
continuamente accrescendo anche i propri tesori. 
. Certo é che giunto a tanta altezza, se non avesse 
giudicata ben salda la dominazione dei Busciatli di 
Scutari nella Ghegaria, li avrebbe senza dubbio 
assaliti. Non aveva mancato d'altronde di aprirsi 
per questa impresa una strada, cercando, come al- 
trove si é detto, di sollevare contro il nuovo pascià 
di Scutari, Mustafà Busciatli, i mirditi. 

Avendo Mustafà dopo alcuni anni di guerra con- 
chiusa coi mirditi, quantunque a caro prezzo, la 
pace, Ali di Tepelen giudicò miglior partito strin- 
gere con esso alleanza e parentela, e la primogenita 
del figlio suo Veli andò sposa infatti a Mustafà. 
L'Albania trovavasi cosi nel 181 2 quasi interamente 
soggettata a due soli capi supremi, indipendenti di 



— 20I 



fatto se non di diritto dal Gran Signore, il pascià 
di Scutari e il pascià di Janina. 

Cessione di Parga, — Nella primavera del 1813 Ali 
occupava definitivamente tutto TEpiro, meno Parga, 
ov*eransi rifugiati i sulioti. Dal 18 14 al 18 17 la rocca 
di Parga fu tenuta dagl'inglesi, essendo stato rico- 
nosciuto all'Inghilterra dai trattati di Parigi e di 
Vienna il protettorato della Repubblica delle isole 
Jonie, ricuperate dai Francesi pel trattato di Tilsitt 
nel 1807 e ad essi dagli inglesi ritolte tra il 1809 e 
il 1814. Anzi allorquando nel trattato di Vienna del 
1815 si trattò di confermare all'Inghilterra il protet- 
torato di quelle isole, lasciando alla Turchia tutte le 
città e i porti dell'Epiro che prima del 1897 appar- 
tenevano a Venezia, i Pargioti avrebbero voluto se- 
guirne le sorti. Questo desiderio non fu soddisfatto, 
e gl'inglesi abbandonarono Parga. Parga fu quindi oc- 
cupata da Ali di Tepelen nel maggio del 181 9, quando 
per altro quasi tutti i suoi abitanti, che l'Inghil- 
terra non avrebbe mai dovuto tradire, avevano esu- 
lato ritirandosi insieme ai sulioti a Corfù e por« 
tando seco le ossa dei loro padri. Isella fortuna e 
cessióne, di /Porga parla degnamente Ugo Foscolo 
nelle sue opere politiche. I profughi di Parga é 
il titolo di una poesia di Berchet. 

c4/i e il Sultano Mahmud IL — Ma intanto il 
Sultano. Mahmud II, salito al trono fin dal 1808, 
andava da lungo tempo meditando il disegno di 
ridurre l'Albania ed i suoi capi all'obbedienza asso- 
luta* Le vicende della rivoluzione francese, le im- 
prese napoleoniche, le mire ambiziose e i progressi 
della Russia, le agitazioni serbe e moldo-valache, 
l'espansione marittima dell'Inghilterra avevano fino 



— 202 — 

allora impedito che la Sublime Porta attendesse di 
proposito alle cose dell'Albania, e tutte codeste cir- 
costanze avevano anche favorite indubbiamente le 
ambiziose mire di Ali di Tepelen, come di altri 
riottosi vassalli della Turchia in Asia ed in Europa. 
Mahmud II, il sultano riformatore, meditava di ap- 
plicare al suo Impero la politica dell'accentramento 
e di ridurre tutti i ribelli indistintamente a piegare 
il collo sotto il giogo ottomano. Domati l'uno dopo 
l'altro i grandi vassalli più o meno indipendenti 
dell'Asia, intimoriti con procedimenti esemplari e 
spietati i bey serbi, capi della turbolenta aristocrazia 
bosniaca, indotto a mostrarsi devoto agl'interessi della 
Turchia anche il pascià di Scutari, Mustafà Busciatli, 
il Sultano si propose di far tornare al dovere i due 
soli principi che non parevano disposti a obbedirlo 
e che erano proprio due albanesi, Mehemet Ali in 
Egitto e Ali di Tepelen in Albania. 

Anima e mente della congiura contro la potenza 
di Ali era a Costantinopoli Ismaele-Pacho bey, che 
il Pascià di Janina aveva esiliato. Ali, informato di 
tutto, cercò di farlo assassinare, e prezzolati sicari 
lo colpirono, ma non a morte, mentre recavasi alla 
moschea di S. Sofia. L'audace attentato fu ragione 
più che sufficiente per dichiarare ribelle il signore 
di Janina ^ cancellarlo dall'elenco dei vizir dell'Im- 
pero, mentre il Muftì Hadgi Kalil Effendi lanciava 
contro di lui l'anatema e lo proclamava scomuni- 
cato (fermatili). Era l'anno 1820. 

Tutti i governatori musulmani della Tracia e 
della Rumelia furono chiamati alle armi per oppri- 
merlo, non escluso il pascià di Scutari, e il co- 
mando supremo della spedizione venne affidato a 



— 203 ~ 

Ismaele Pacho bey, già nominato vali di Janina e 
di Delvino. 

tAlt e VinsurreTJone greca. — Ali spiegò allora ri- 
solutamente la bandiera dell' insurrezione, e mentre 
fino a quel tempo non aveva mirato ad altro che a 
far trionfare la religione di Maometto e molto aveva 
contribuito a diffonderla nella bassa Albania, cambiò 
d'un tratto tattica e condotta, e cercò aiuti anche 
fra i cristiani, riconciliandosi cogli armatoli dell'A- 
croceraunia e coi sulioti (parecchi dei quali avevano 
fra il 1807 e il 18 12 costituito un reggimento alba- 
nese al servizio della Francia e di Napoleone I), ec- 
citando i greci alla rivolta, concludendo una specie 
di lega con VEteria greca (famosa società secreta 
per la redenzione morale e politica della Grecia 
suddivisa in numerosi comitati o eforie) e riunendo 
da ultimo nel maggio del 1820 a Janina parecchi 
armatoli e clejìi greci e adepti délV Eteria, nonché 
moltissimi capi albanesi, cristiani e maomettani. Al 
cospetto di costoro egli cercò anzitutto di giustificare 
la sua precedente condotta, aflFermando che tutto il 
male che aveva fatto ai cristiani lo aveva compiuto 
per obbedire agli ordini della Sublime Porta, mentre 
tutto ciò che aveva fatto di bene, riunendo sotto 
la propria dominazione gran parte dell'Albania, era 
opera sua, diretta al solo scopo di emancipare la 
patria. Invitò quindi gli arcivescovi e i sacerdoti 
del profeta Issa (Gesù) a benedire le armi dei cri- 
stiani ch'erano figli suoi, e rivolto ai capi loro, 
raccomandò di difendere i diritti comuni e di reg- 
gere con equità la valorosa nazione ch'egli asso- 
ciava ai propri interessi. Il solo Prenk Leka, capo 
dei Mirditi, protestò ch'egli ed i suoi non avreb- 



— 204 — 

bero mai preso le armi contro il padiscià; ma la 
sua protesta fu soffocata dalle grida unanimi di 
« viva Ali! viva il restauratore della libertà I » 

Intanto due eserciti turchi movevano verso l'Al- 
bania, seminando dappertutto il terrore e la morte. 
Li conducevano Pehlevan Babà pascià di Bulgaria e 
Ismaele Pacho bey eletto pascià di Janina. Ali posse- 
deva moltissima artiglieria e aveva messo in condi- 
zione di difendersi e di resistere tutte le principali 
città del suo Stato: Ocrida, Valona, Canina, Berat, 
Premet, Butrinto, Delvino, Argirocastro, Tepelen, 
Porto Panormo, Parga, Prevesa, Su li, Paramitia, 
Arta, Janina e i suoi castelli (i82i). Ottenne inoltre 
dal Vladika del Montenegro la promessa di attaccare 
Scutari, ove Mustafà Busciatli movesse ai suoi danni, 
mentre mandava agenti provvisti di denaro nella 
Morea, nelle isole dell'Arcipelago, a Smirne, a Sa- 
lonicco, a Bukarest, nel^a Bosnia e nella Serbia 
per suscitare una generale sollevazione contro la 
Turchia. Ormai egli non era più rambizioso e cru- 
dele pascià musulmano, nemico dei cristiani, avido 
di dominio e di ricchezze, avvezzo ad abusare senza 
pietà della vittoria e servirsi di qualunque mezzo 
per raggiungere i suoi fini. Egli che aveva allagata 
di sangue l'Albania, era diventato d'un tratto il cam- 
pione della libertà e della indipendenza dei popoli 
cristiani e maomettani contro la dominazione dei 
turchi. Greci, albanesi, serbi, rumeni, bulgari, turchi 
erano ugualmente chiamati da lui a rivendicare i 
propri diritti. Greci e albanesi specialmente dove- 
vano stringersi in un sol patto di solidarietà e di 
fratellanza pel comune riscatto. V'ha chi dice che 
egli giunse persino a promettere una costituzione, 



— 305 — 

e che la sua prediletta donna, Vasiliki, lo chiamava 
novello Scanderbeg. 

Purtroppo però il nuovo Scanderbeg, a differenza 
dell'antico, non aveva intorno a sé che amici diffìi- 
denti e inquieti, di guisa che al momento supremo, 
più che le armi del nemico, furono le diserzioni, i 
tradimenti, i dissensi de' suoi, che troppo lungo sa- 
rebbe enumerare e descrivere minutamente, che lo 
ridussero agli estremi, non ostante le rivalità e le 
defezioni che travagliavano pure i) campo avversario, 
non ostante che in tutta la Grecia serpeggiasse e 
si andasse diffondendo la insurrezione, non ostante 
il valido appoggio dei valorosi sulioti, tornati ai 
loro monti e condotti alla difesa di Ali da Nothi, 
Cristo e il figlio di Cristo Marco Botzari, da Nicola 
Zavella, da Lambro Veico. 

Fine di Ali, — Dopo circa due anni di guerra, nella 
quale le milizie di Ali, e più specialmente i Sulioti, 
riportarono frequenti ma infruttuose vittorie sopra 
Kurscid pascià della Morea, che aveva surrogato nel 
comando supremo dell'esercito turco Ismael Pacho 
bey, essendo caduto nell'ottobre del 1822 in potere 
di Kurscid, per tradimento o viltà del presidio, il 
castello di Litharitza sul lago di Janina, che i turchi 
assediavano da diciotto mesi. Ali si trovò rinchiuso 
in un fortino del castello con 35 uomini e con la 
prediletta sposa Vasiliki. Quivi egli teneva a dovere 
e in inquietudine il vincitore colla minaccia di dar 
fuoco alle polveri, che si trovavano accumulate in 
200 barili sotto il fortino, e di mandare cosi tutto 
in aria, comprese le sue ricchezze ch'erano avida- 
mente desiderate dai turchi. Kurscid finse allora di 
volere intavolare con esso delle trattative di pace e 



■— 206 — 

di riconciliazione facendosi intermediario fra lui e 
il sultano, e lo indusse a trasferirsi a questo fìne 
nel convento di Panteleimon, che sorge in un'iso- 
letta in mezzo al lago» Quivi Ali fu preso a tradi- 
mento, non vivo per altro come Kurscid avrebbe 
desiderato. « La mia testa non si consegna con 
tanta facilità! » esclamò uccidendo con un sol colpo 
di pistola uno di coloro che lo dovevano catturare. 
Si impegnò una lotta fra costoro e i palikari di 
Ali. Ali ferito a morte da un colpo di pugnale, 
ebbe il tempo di gridare a uno dei suoi, a Costan- 
tino Botzari: « Va, uccidi la pura Vasiliki, perché 
non sia contaminata da questi infami ! » Egli aveva 
allora 8i anni. Vasiliki non venne uccisa, ma potè 
scampare, e mori dieci anni dopo a Missolungi, 
ov'erasi ritirata. 

V'ha per altro sulla morte di Ali una versione, 
giusta la quale la stessa Vasiliki avrebbe tradito il 
vizir. Secondo codesta versione Ali pascià, abban- 
donato dalla maggior parte dei suoi soldati, perché 
non li pagava, si sarebbe ritirato spontaneamente 
dal forte di Litharitza nel convento di Panteleimon 
in mezzo al lago. Prima per altro di abbandonare 
il forte, ov'erano nascosti i suoi tesori, egli collocò 
il suo fedele negro Selim presso al deposito delle 
polveri con l'ordine di appiccarvi il fuoco, qualora 
i turchi accennassero a voler penetrare nella for- 
tezza. Ali mostrò altresì a Selim un anello e gl'im- 
pose di giurare che non avrebbe abbandonato il 
suo posto né spenta la torcia accesa che doveva te- 
nere in mano, se non quando gli fosse recato l'a- 
nello. Ciò avrebbe voluto dire che ogni pericolo 
era cessato. Selim giurò e il vizir si ritrasse nel- 



— 207 ~- 

risola Qui Vasiliki gl'involò l'anello e lo vendette 
a Kurscid pascià, , informandolo nel tempo stesso 
degli ordini impartiti al negro Selim. Kurscid potè 
cosi in virtù del prezioso gioiello impossessarsi 
senza rischio del forte e forse dei tesori ivi na- 
scosti. 

Poco dopo segui nel modo sopra descritto la 
catastrofe di Ali di Tepelen. 

La testa del ribelle, portata a Kurscid, che s'in- 
chinò rispettosamente dinanzi ad essa e. baciò la 
lunga barba bianca che dava al vecchio vizir un 
aspetto patriarcale e venerando, fu poi mandata a 
Costantinopoli per essere esposta alle porte del ser- 
raglio. Gli Shkipetari accortisi troppo tardi della 
grave perdita che avevano fatta, gli celebrarono degli 
splendidi funerali e lo piansero; ma non si può 
certo dire che lo avessero difeso ad oltranza! 

Ecco un brano di canzone popolare su Ali Te- 
pelenliy soprannominato cArslan (il leone) : « Dove 
sei Ali pascià? Cadesti da valoroso coi tuoi com- 
pagni di gloria e di sventura. Tu fosti un eroe e 
come tale ti piansero l'Epiro e l'Albania. Ma il tuo 
sangue non resterà senza vendetta. Shkipetari ed 
Elleni, deponendo gli odi antichi e i presenti ran- 
cori, versando sangue nemico e compiendo i tuoi 
disegni consoleranno il tuo spirito immortale. » Gli 
storici francesi dipingono Ali a neri colori : alcuni 
storici inglesi ne fanno quasi un eroe: la verità 
sta, come sempre, nel mezzo. 

Spento Ali, anche i suoi figli Veli, Muktar e Salik, 
che già da qualche tempo avevano consegnate ai 
turchi quasi senza difenderle le piazze di Prevesa, 
di Argirocastro e dì Premei, ed erano tenuti in 



— 208 — 

prigionia come ostaggi, furono condannati a morire. 
La stessa sorte toccò a Mehemet pascià di Delvino, 
figlio di Veli. Veli, Salik e Mehemet vennero de- 
capitati. Muktar vendette a caro prezzo la vita, 
dopo aver gridato fieramente a coloro che dovevano 
eseguir la sentenza : « Un albanese non muore come 
un eunuco! » Visto perire nella resistenza l'ultimo 
de' suoi uomini, egli già carico di ferite diede fuoco 
alle polveri e non lasciò al sultano che ceneri e 
cadaveri. 

Altri figli di Veli erano stati strangolati sotto 
gli occhi del padre e cosi di tutta la famiglia del 
despota di Janina non rimase che la memoria. Sin 
le donne furono uccise, tranne, come sopra ho 
detto, la bella Vasiliki che lo aveva tradito. 

La Corte di cAlì di Tepelen. — Della splendida 
corte di Ali si legge una magnifica descrizione nel 
Giovine Araldo di Giorgio Byron, fervente ammira- 
tore dell'Albania e degli albanesi. In quella corte 
v'erano pure parecchi italiani, che Ali amava e sti- 
mava. Pochi anni prima che Ali cadesse, racconta 
l'alsaziano Cherfbeer nelle sue Mémoires sur la Grece 
et sur V^Alhanie (Paris, 1827), il veneziano Pesarini 
addestrava un piccolo corpo di cavalieri alla tattica 
europea, il lombardo Agostino Frappano comandava 
l'artiglieria a cavallo, il napoletano Del Carretto e il 
siciliano Santo Monteleone erano ingegneri, il còrso 
Marcellese aveva sotto i suoi ordini una piccola squa- 
dra navale, Vincenzo Micarelli napoletano era chimico 
del vizir, il dott. Tagliapietra era suo medico, il resi- 
dente inglese Foresti, altro italiano, suo consigliere. 
Dovevansi indubbiamente a costoro le idee di pro- 
gresso che Ali vagheggiava. Egli infatti cercò di prò- 



— 209 "~ 

muovere Tagricoltura e i commerci, e fece di Janina 
una città bella e popolosa, che raggiunse sotto la 
sua signoria i 40,000 abitanti. Vi aveva anche isti- 
tuite delle scuòle elementari e secondarie ed una 
biblioteca. Scomparso Ali, Janina decadde rapida- 
mente, o meglio tornò qual'era prima che Ali ne 
avesse fatta la capitale del suo Stato. I danni del- 
l'assedio del 1821-22 furono gravissimi. Delle sue 
16 chiese non ne rimangono che 6, rialzate dalle ro- 
vine. Sofferse parecchio anche la Moschea di Ar- 
slan Agà, ch'era stata costrutta nel 1712 sul posto 
della basilica di S. Giovanni, patrono della città e 
che ancora racchiude parecchie antiche colonne. 
Venne distrutto anche il forte Litharitza sul lago. 

Gli albanesi e Vindipendenia della Grecia: — In- 
tanto continuava l'insurrezione della Grecia, e gli 
albanesi, divisi purtroppo fra le milizie turche e 
quelle dei rivoltosi, compierono dall'una parte e 
dall'altra meraviglie di valore. 

Ma più specialmente degni di ricordo sono gli 
albanesi e i valachi d'Albania, che combatterono 
eroicamente per l'indipendenza della Grecia fra il 
1821 e il 1827: primo fra tutti Marco Botzari, che 
passò in Grecia dopo aver invano tentata co' suoi 
sulioti, morto Ali, un'ultima difesa dell'Epiro, che 
durante quella terribile rotta fu orribilmente deva- 
stato. Stanno a fianco di Marco altri due Botzari 
Nothi e Costantino e poi Tutza, gli Zavella Chistos, 
Cristos e Giorgio, Condurioti, Tombasi, Odisseo, 
Karaiskakis, Gura, Griva, Zervati, Sturnari, Jallocosti, 
l'amniiraglio idriota Miaulis ed altri molti. Generalis- 
simi dell'esercito greco furono per un certo tempo due 
epiroti, Odisseo nella regione orientale, Marco Bot- 

H 



— no — 

zari nella occidentale. Fecero causa comune coi 
sulioti nel pugnare per la greca indipendenza gli 
armatoli dell' Acroceraunia. Zaimis e Canaris, due 
altri eroi dell' insurrezione ellenica, erano albanesi 
ellenizzati. L'eroismo dei marinai albanesi d'Idra e 
di Spetzia é scritto nelle pagine della storia a lettere 
d'oro. Missolungi, Navarrino, Nauplia, Psara, Eleusi, 
il Pireo, l'Acropoli d'Atene risuonano ancora del 
nome albanese. 

Combatterono invece per la Turchia contro i Greci 
insorti Mustafà pascià di Scutari e Prenk Doda 
principe dei Mirdìti, figlio e successore di Prenk 
Leka, insieme allo zio Lek-i-zij (Alessandro il nero), 
al cugino Prenk Marku, e quell'Omer Vrioni che 
qualche anno prima aveva gagliardamente sostenuto 
Ali di Tepelen, e Varnakiotis, un suliota rinnegato. 
Erano con tutti costoro non meno di 15,000 gheghi 
e 5000 toski. 

A Karpenizi in Etolia nel 1823 erano di fronte alba- 
nesi contro albanesi. Nella notte del 22 agosto Marco 
Botzari si propose di sorprendere il campo turco e di 
penetrare nella tenda di Mustafà pascià di Scutari per 
ucciderlo. « Se mi perdete di vista — diss'egli ai 
240 sulioti che lo seguivano — dirigetevi alla tenda 
di Mustafà e là mi troverete. Dio ci vede e guida! » 
Essi giunsero inosservati nel campo nemico, e Marco 
Botzari entrò nella tenda di un capo dell'esercito 
turco credendo che fosse quella di Mustafà. Era 
invece la tenda del principe dei Mirditi Prenk Doda. 
Quivi l'eroe suliota cadde sotto i colpi di Lek-i-zij, 
ch'era il più terrìbile guerriero della Ghegharia. 
V'ha per altro sulla morte di Botzari un'altra ver- 
sione, secondo la quale egli sarebbe stato ferito a 



— 211 — 

morte nella tenda di Hussein pascià, nepote del 
pascià di Scutari. 

Nel ritorno Prenk Doda sottomise i Dibra, che 
erano insorti contro Mustafà Basciatli. Circa un 
anno dopo una donna di Scutari l'avvelenò ed egli 
mori a Cattaro, dove si era recato per curarsi e 
dove ancora esiste il suo sepolcro. Fu riconosciuto 
principe dei Mirditi suo zio Alessandro il Nero. 

Ma la sorte di Ali di Tepelen e le sue imprese 
avevano lasciata una traccia profonda negli animi 
degli albanesi. Il sentimento nazionale si era, per 
opera del pascià di Janina, ridestato come ai tempi 
di Scanderbeg, e la devozione al sultano Mahmud II 
era scossa, tanto più che il Gran Signore colle sue 
tendenze riforraatrici e colla distruzione dei Gianniz- 
zeri, era giunto a scontentare una gran parte dei 
musulmani del suo impero. 

Le insurrezioni albanesi contro il dominio otto- 
mano dovevano di tratto in tratto rinnovarsi e al- 
ternarsi con atti eroici di devozione e di fiducia, a 
seconda delle circostanze, cosi nell'alta come nella 
bassa Albania. Doveva (ciò che più importa) il se- 
colo XIX, sacro ai trionfi del principio di nazionalità, 
veder sorgere accanto alle altre questioni nazionali, 
la greca cioè, la serba, la bulgara, anche la que- 
stione albanese. 

Ultime imprese di Mustafà ^usciatli, pascià di Scu- 
tari, — Tornato a Scutari Mustafà entrò in tratta-, 
tive con Milosh Obrenotvic', capo dei serbi, collo 
Zar della Russia Nicolò I e coU'ambizioso Mehemet 
Ali viceré d'Egitto, figlio di un agà albanese di Ca- 
vala in Macedonia, ricevendo da tutti costoro consigli 
e denari. Al pascià di Scutari altro non si chiedeva 



— 212 — 



che dì guadagnar tempo con diversi pretesti e di 
non muoversi, finché i russi non fossero in marcia 
su Costantinopoli. Gli eventi avrebbero dovuto 
suggerirgli la condotta che più gli conveniva. 

Fedele ai patti, Mustafà non si mosse da Scutari 
se non quando il generale russo Diebìtch era di 
già padrone di Adrianopoli e marciava su Stambul. 
Allora con 35,000 uomini Mustafà entrò in Bul- 
garia^ occupò Nissa ed attese. Intanto l'intervento 
della Francia e dell' Inghilterra e il trattato di 
Adrianopoli (1829) salvavano il Sultano dall'estrema 
rovina, e Mustafà tornavasene, quantunque a malin- 
cuore, a Scutari. Si é detto con ragione che, ove 
egli fosse stato più intraprendente ed energico, e 
avesse avuto animo e mente pari all'ambizione, la 
dinastia dei Busciatli regnerebbe oggi sul Bosforo. 

Il gran vizir Mahemed Rescid pascià si propose 
allora di restaurare l'autorità imperiale. Ma il mo- 
mento era critico, che nel 1830 un' insurrezione era 
scoppiata nella Toskeria essendosi accordati per 
un'azione comune contro la dominazione turca Veli 
bey, governatore di Janina, Metzovo, Arta e Prc- 
vesa e Seliktar Poda pascià della media Albania. 
Intanto la Bosnia e la Tessaglia erano pure in armi, 
e Mehemet Ali continuava nel suo atteggiamento 
ostile in Egitto» 

Il pascià di Scutari prometteva a tutti il suo ap- 
poggio, ma al solito non si moveva, e dava tempo 
così a Rescid pascià di sopraffare i ribelli, prima 
che avessero potuto riunire le loro forze. 

Battuti da Rescid, i toski ribelli prestarono fede 
alle proposte di riconciliazione, di pace e di gene* 
rale amnistia del gran vizir e caddero in un mo- 
struoso agguato. 



— 213 ~ 

Per festeggiare l'avvenuta riconciliazione Rescid 
pascià invitò ad un banchetto a Monastir tutti i 
capi delle fare e i nobili della Toskeria. Le mense 
furono imbandite nell'aperta campagna ; ma durante 
il convito un improvviso fuoco di moschetteria e 
una carica alla baionetta di gente appostata semi- 
narono la morte e il terrore fra i convitati. 

Si mosse a questo punto anche Mustafà ; ma, al 
solito, era già troppo tardi. Mehemed pascià di 
Prizrend e Ivzi pascià di Ipek avevano promesso di 
secondarlo. Il primo tenne la promessa ; il secondo 
era un traditore. 

Mustafà mandò innanzi Ali bey, figlio di un bri- 
gante romeliota, con 8000 uomini per occupare 
Sofia, e Ali bey condusse a fine l'impresa, ma com- 
mise atroci crudeltà, che alienarono gli animi delle 
popolazioni già ben disposte verso il pascià di 
Scutari. Costui parti dalla sua capitale accompa- 
gnato da 7 pascià amici suoi con 4000 guerrieri. 
Alessandro il Nero, principe dei mirditi, era con 
lui. Senza difficoltà i ribelli s'impadronirono di 
Prilip, oasi albanese in mezzo a bulgari macedoni. 

Dopo aver perduto a Prilip in feste ed in orgie 
un tempo prezioso, gli albanesi procedettero innanzi 
ed occuparono il monte Babuscia, che domina le 
gole conducenti a Monastir. 

Rescid si mosse alla sua volta per sorprenderli e 
al sorger del sole era ai piedi delle alture di Ba- 
buscia. Aveva con sé éooo ni%am (regolari), dei 
volontari e qualche cannone. Corse all'assalto, e la 
mancanza di direzione, la mitraglia dei cannoni, un 
terribile assalto alla baionetta dei ni%am e la defe- 
zione delle genti di Ivzi pascià misero nell'esercito 
di Mustafà un vero e proprio terror panico. 



— 214 — 

Mahraud di Prizrend tentò invano di arrestare la 
fuga. L'onda dei fuggiaschi travolse poco dopo 
anche Mustafà. La sua tenda, tolta dall'avo suo al 
Sultano, cadde con tutto ciò ch'egli aveva portato 
seco nelle mani del nemico. 

Solo i più bravi dei gheghi, tra i quali i mirditi 
con Prenk Marku, si trincerarono in un luogo che 
dominava la gola, e resistettero per dieci giorni 
agli assalti di tutto l'esercito di Rescid, che li 
snidò finalmente^ ma con gravissime perdite. Intanto 
Mustafà ebbe il tempo di rifugiarsi a Scutari con 
alcuni maljsori e mirditi, e di rinchiudersi nel ca- 
stello Rosafa, insieme al suo fido alleato Lek-i-zij. 

I montanari cristiani della Ghegharia, malcontenti 
di un capo che non aveva saputo tener alta nelle 
gole di Babuscia la fama della sua casa, lasciarono 
passare l'esercito di Rescid, che moveva all'assalto 
di Scutari, senza molestarlo. Dell'esercito di Rescid 
faceva parte Abdul Rahman bey di Tirana, della 
famiglia dei Toptan, il quale nel 1817 era stato 
cacciato dalla sua signoria da Mustafà Busciatli e dal 
bey di Cavaja Ibiahim, e l'aveva riacquistata nel 1820. 

Ma alcuni giorni di buona resistenza ridestarono 
il sentimento nazionale delle tribù montanare. Non 
doveva un esercito turco calpestare per troppo 
tempo il suolo albanese. Corse quindi un'intesa fra 
gli scutarini e i maljsori, a capo dei quali stava 
allora la tribù degli Hotti, antichi rivali degli abi- 
tanti di Scutari : che cioè in un giorno determinato 
avrebbero compiuta un'azione combinata contro i 
turchi, i maljsori piombando dalle montagne, gli 
scutarini facendo una sortita. I primi tennero la 
promessa, ma gli scutarini non si mossero, di guisa 



- 2IS — 

che dopo una breve lotta quelli dovettero ritirarsi, 
lasciando 50 morti e 150 feriti nella pianura e 22 
prigionieri. 

Più tardi, dopo la caduta dei pascià ereditari di 
Scutari, in una fazione provocata dal vladika del 
Montenegro, gli Hotti si vendicarono del vergognoso 
abbandono, decimando e cacciando in fuga 1500 
guerrieri di Scutari, che movevano in aiuto di 
Podgoritsa, minacciata dai montenegrini. 

Dopo la ritirata dei maljsori, Rescid iniziò contro 
Scutari e la fortezza Rosafa un terribile bombar- 
damento, e tentò vari assalti che vennero respinti. 
I mirditi fecero al solito prodigi di valore. Ma 
dopo quattro mesi di resistenza, avendo una bomba 
fatto saltare in aria la polveriera ed incendiato il 
konak o palazzo del pascià, questi si vide costretto 
ad arrendersi. L'Austria, la cui mediazione Mustafà 
aveva chiesta, lo salvò dalla sorte toccata ad Ali 
di Tepelen. 

Condotto a Costantinopoli colla famiglia, ebbe 
una pensione di 100,000 piastre, e alla fine attirò 
sopra di sé l'attenzione del sultano Abdul-Medgid, 
che gli restituì il titolo di pascià a tre code e lo 
manc^ò governatore (vali) in parecchie provincie. 
La dinastia dei Busciatli aveva finito di regnare. 

Il principe dei mirditi Lek-i-zij fu, dopo la resa 
del castello Rosafa, relegato a Janina. Al suo ritorno, 
nel 1837, crudeli uccisioni e vendette funestarono 
la famiglia dei principi dei mirditi, dei discendenti 
di Ghion Marku. Cosi pervenne il governo della 
tribù a un giovinetto che aveva nome Bib-Doda, 
il quale acquistò ben presto fama di valoroso con- 
tinuatore delle gesta dei suoi antenati. 



2l6 — 



Capitolo V. 

Storia recente dell'Albania - La lega albanese. 

Gli albanesi d'Italia. 

Fine del feudalesimo albanese. — Caduto il po- 
tente pascià di Scutari, il gran vizir Rescid pascià 
credette di avere definitivamente sottomessa l'Al- 
bania, e cominciò a demolire i castelli e le torri 
dei bey e si propose di ridurre tutti i pascià ere- 
ditari, che risiedevano a Giacova, Ipek, Prishtina e 
in altre città albanesi, nonché le tribù montanare, 
alla vera e propria condizione di docili sudditi. 
Certo é che, come Ali di Tepelen aveva distrutto 
il feudalesimo ereditario albanese nella Toskeria, 
può ben dirsi che il gran vizir Rescid pascià lo abbia 
annientato nella Ghegaria* 

Mehemei-Alt pascià d* Egitto. — Mentre era inteso 
a quest'opera, Rescid ebbe l'incarico di arrestare 
la marcia vittoriosa degli egiziani di Mehemet«Ali. 
La miglior truppa egiziana era appunto formata dì 
albanesi, e il figlio di Mehemet-Ali, Ibrahim, scon- 
figgendo a Koniah Rescid pascià (183 1), parve quasi 
che avesse voluto vendicare la disfatta che i con- 
nazionali del pascià d'Egitto avevano sofferto a 
Babuscia ed a Scutari. 

Ancora una volta, se non fosse stato trattenuto da 
una lega europea, un albanese sarebbe forse riuscito 
a insediarsi sulle rive del Bosforo. Di li a qualche 
anno per il trattato di Londra (15 luglio 1840) Me- 
hemet-Ali dovette contentarsi della sovranità eredi- 
taria dell'Egitto. È quindi albanese la famiglia dei 



— 217 ~ 

Khedive egiziani anche oggi regnante sotto l'alta 
sovranità della Porta e la sovranità eflfettiva o pro- 
tettorato che dir si voglia dell'Inghilterra. 

Non erano d'altra parte ancora finite nel 183 1 le 
agitazioni nell'alta e nella bassa Albania. 

Moti albanesi tra il i8^j e il 18^4, — Ali-Namik 
pascià, che Rescid aveva lasciato al Governo di 
Scutari, trovò ben presto assai grave l'esercizio del 
suo ufficio. Il Vladika del Montenegro Pietro II 
disfece due volte le truppe che il pascià di Scutari 
aveva inviate per costringere ia Zernagora a rico- 
noscere la sovranità del Sultano. 

Nel 1835 i capi musulmani di Scutari insorsero, 
costrinsero i capi cristiani ad accordarsi con loro e 
obbligarono il pascià a rinchiudersi nel Rosafa. I 
gheghi minacciarono persino di piombare su Bcrat, 
capitale dei toski e chiave dell'Albania, contando 
sull'appoggio del nuovo governo della Grecia. Ma 
il re Ottone, fiacco ed incerto, non volle compro- 
mettersi. Con tutto ciò i ribelli mandarono una de- 
putazione a Costantinopoli e ottennero il richiamo 
di Namik. . 

Il suo successore Hafiz pascià, appoggiato da sette 
battaglioni, sperò di avere miglior successo. I mu- 
sulmani diedero anche questa volta l'esempio della 
resistenza (anno 1836). Erano alla loro testa Jussuf- 
bey della famiglia dei pascià ereditari, e Hamza- 
Agà-Kazasi già compromesso nella precedente sol- 
levazione. Una delle solite canzoni gheghe celebra 
e descrive questi fatti, e contiene questa caratteri- 
stica frase: «Non crediate, o soldati del Nizam, 
che Skodra somigli Babuscia. Qui troverete la 
morte ». Anche questa volta le tribù maljsore ac- 



— 2l8 — 

corsero in aiuto degli scutarini, si creò un governo 
provvisorio ed Hafiz fu alla sua volta costretto a 
rinchiudersi nel Rosafa. « Il nemico é vinto dap- 
pertutto I - dice la canzone - Skodra ! Skodra ! Oggi 
tu hai mantenuta la tua fama ». Già da sei mesi 
durava questo stato di cose, quando il Vali di Ru« 
melia Mahmud pascià mosse con 20,000 uomini al 
soccorso di Hafìz. Ma la sua avanguardia composta 
di 3000 toski fu al passaggio del Drin battuta dai 
gheghi, ed egli ritiratosi in disordine dovette accon- 
sentire alla deposizione di Hafiz. Una generale am- 
nistia fu concessa. 

Venne quindi nominato pascià di Scutari Bajram 
bey, che governò pacificamente. Gli successe Hassan 
Pascià Valf, che nel 1839 mosse guerra ai monte- 
negrini, conducendo seco anche alcune migliaia di 
albanesi. I montenegrini ottennero prima vittoria e 
costrinsero le tribù degli Hotti, dei Gruda e dei 
Clementi e i bey di Prizrend, di Ipek e di Prish- 
tina a unirsi ad essi e a far causa comune coi 
cristiani. Il sultano Abdul-Medgid si rivolse allora ai 
mirditi per ridurre all'obbedienza i ribelli, ma i 
mirditi rifiutarono di prendere le armi contro i loro 
fratelli di stirpe. Nuovi tentativi per assoggettare il 
Montenegro fallirono, e la sconfitta del pascià di 
di Scutari rimase invendicata. 

In quello stesso anno 1839 e nel successivo un 
agitatore albanese, Tafil Bazi, andava preparando 
d'accordo coi greci un'insurrezione generale ; ma il 
governo ottomano insospettitosene lo chiamò a Co- 
stantinopoli, e quivi lo trattenne . sotto assidua vigi- 
lanza come amico dei greci e promotore di torbidi 
in Albania. 



— 219 "~ 

Nel 1842 scoppiò a Scutari una sommossa contro 
ì gesuiti^ che sostenuti dall'Austria e dal pascià vo- 
levano edificare una scuola. L'agitazione si propagò 
tra i musulmani dell'Albania e vi parteciparono 
anche parecchi cattolici, scontenti dell'importanza e 
dell'influenza che andavano acquistando nel paese i 
preti forestieri, strumenti della politica austriaca, 
tanto più che il clero indigeno era scarso e tale da 
non poter aspirare generalmente che ai gradi infe- 
riori della gerarchia. I gesuiti dovettero abbandonare 
il paese. Sopraggiunse Omer pascià, vinse gli alba- 
nesi presso Caplan Han e presso Calcandelen, prese 
e puni Uscub e Prishtina, e l'Albania fu pacifi- 
cata (1844). 

Nel 1847 si sollevarono i Ciami e per parecchi 
mesi sostennero vigorosamente la lotta ; ma essendo 
loro mancati al solito gli aiuti promessi dal governo 
greco dovettero alla fine deporre le armi II serra- 
schiere Rescid pascià si servi in questa campagna 
contro i ribelli epiroti del valoroso principe dei mir- 
diti Bib-Doda. 

Nel 1849, nel 185 1 e nel 1852 delle scorrerie 
tentate dai maljsori e nuove spedizioni intraprese 
dai turchi contro i montenegrini furono vigorosa- 
mente respinte. Governava allora la Zernagora quel 
principe Danilo I della famiglia dei Petrovic', che 
riuscì nel 1852 a trasformare il Montenegro da prin- 
cipato episcopale elettivo a principato laico dinastico. 

Durante la guerra turco-montenegrina del 1852, 
2000 mirditi condotti da Bib-Doda in aiuto di Omer 
pascià e di Osman-Mazar pascià di Scutari condot- 
tieri dei turchi, ebbero a soffrir gravi perdite, ma 
copersero la ritirata dell'esercito turco e lo salva- 
rono da un completo annientamento. 



— 220 



Nella guerra della Crimea Bib-Doda accompagnò 
coi suoi mirditi Omer pascià sul Danubio. Una 
questione provocata da Omer fu appianata soltanto 
nel 1856 dallo stesso Bib-Doda, che si recò in per- 
sona in Costantinopoli e fu quivi spalleggiato dal- 
l'ambasciatore francese. 

Una rivolta scoppiata a Scutari nel 1854 costrinse 
Alla pascià a rinchiudersi nel castello. S'intrbmise 
il console francese e la rivolta fu sedata. 

A un tentativo d'insurrezione nella bassa Albania 
mancò in quello stesso anno, coinè nel 1835 e net 
1847, il promesso appoggio dei greci. Alla fine del 
gennaio di quell'anno Spiridione Karaiskaki, alla testa 
di alcuni ferventi partigiani délValleania greco-alba- 
nese e di un impero ellenico, proclamava dal quartier 
generale di Radabizi nella provincia di Arta l'indi- 
pendenza e la libertà di tutte le regioni dell'antica 
Grecia. Ma la Grecia non mandò che un corpo di 
volontari, partito il 14 marzo da Atene sotto il co- 
mando di Cormusi vice presidente della Camera 
dei deputati. 

Comparve altresì nel campo degli insorti l'ex Mi- 
nistro della guerra del Regno di Grecia Zavella, 
altro albanese. Ma tutto fini li, e l'accordo delle 
potenze alleate per la guerra della Crimea nel non 
voler secondare le aspirazioni greco-albanesi obbligò 
gl'insorti a deporre i bellicosi propositi. 

Né miglior sorte ebbe nella stessa epoca un 
tentativo di Grivas, greco di Acarnania, che con 
numerosi fuorusciti epiroti e suoi compaesani passò 
in Epiro, e recatosi da Arta sulle montagne di Giu- 
merica giunse fino a Metzovo e se ne impadronì, 
seminando dappertutto il terrore e saccheggiando 



— 221 



a man salva le case dei privati e le chiese. Accor- 
sero i toski in massa per opporglisi, ed egli dovette 
ripassare le montagne e far ritorno in Grecia, carico 
per altro di bottino come un brigante. 

Greci e albanesi, — Da quel momento le simpatie 
degli albanesi per la Grecia andarono scemando 
d'anno in anno, e la idea di costituire un impero 
ellenico fondato sulla unione e magari sulla fusione 
degli shkipetari e degli elleni andò perdendo credito 
e terreno, e più non ebbe che pochi e solitari se- 



guaci. 



Ciò apparve evidente quando, più tardi, nel 1862, 
sembrò che l'idea dovesse risorgere, e a Janina e a 
Durazzo si costituì una giunta greco-albanese per 
promuovere nuove agitazioni. Questa giunta altro 
non potè fare che scrivere e diffondere un memo- 
randum ai popoli cristiani, in data del 15 luglio 
1862, il quale lasciò il tempo che aveva trovato, 
come a nessun risultato condusse la speranza collo* 
cata in Giuseppe Garibaldi e dall'eroe dei due 
mondi incoraggiata con un proclama ai popoli slavi. 
Giuseppe Garibaldi, cambiando di un tratto propo- 
sito, dedicò invece nel 1862 tutta l'anima sua al- 
l'impresa che lo condusse ad Aspromonte, e di una 
insurrezione albanese più non si tenne parola. 

I gesuiti in Albania, — Intanto fin dal 1855 erano 
tornati a Scutari i gesuiti, sostenuti e sovvenuti 
dall'Austria, e avevano fondato un seminario catto- 
lico albanese. Per la fondazione di questo seminario 
l'imperatore Francesco Giuseppe conchiuse col Va- 
ticano uno speciale concordato (15 agosto 1855) e 
diede 81 io fiorini immediatamente, più una rendita 
annua di 3000 fiorini. Ma la diffidenza non era spenta 



— 222 



negli animi degli scutarinì, e si rinnovarono le agita- 
zioni in quell'anno e nel successivo, tantoché il pascià 
di Scutari dovette permettere la demolizione del se- 
minario (i2 giugno 1856). Giova notare che queste 
diffidenze albanesi erano alimentate dal sospetto, 
che l'Austria mirasse alla conquista dell'Albania, so- 
spetto che rimontava all'epoca dei noti maneggi ed 
intrighi di Maria Teresa e di Giuseppe II e si era 
perpetuato, di guisa che lo si trova espresso anche 
in un canto del 181 3 ov'é detto: « Le belle e fer- 
tili contrade d'Albania, queste montagne d'oro e 
questi eroi stanno a cuore all'Austria ; essa le vuole 
e le avrà, quando questi leoni diventeranno agnelli. » 

Tornando ai gesuiti, é d'uopo aggiungere ch'essi 
non si diedero, com'è loro costume, per vinti. Ces- 
sata la guerra di Crimea, Mustafà pascià venne sulla 
fine del 1856 con 10,000 uomini a ristabilire l'or- 
dine a Scutari, e la Compagnia di Gesii ottenne 
dalla Porta un indennizzo e il permesso di rifab- 
bricare l'edifizio atterrato. 

In quello stesso anno 1856 si rinnovarono tra 
gli albanesi e i montenegrini vecchie contese a ca- 
gione della tribù shkipetara dei Cuci, compresa da 
gran tempo nel territorio montenegrino. 

Nel 1862 Bib-Doda accompagnò con 2000 mir- 
diti Omer pascià in una spedizione contro il Mon< 
tenegro e si segnalò come sempre in tutti gli scontri 
pel suo valore. La stessa città di Cettigne corse 
pericolo di essere presa. L'intervento diplomatico 
della Russia salvò il Montenegro. Bib-Doda mori 
nel 1870. 

Gli tAlhanesi nelle guerre del i8j6 e del 187J. — 
Una relativa tranquillità durò nell'Albania dal 1862 



— 223 — 

al 1875. Nel 1875 scoppiò l'insurrezione della 
Bosnia e dell'Erzegovina, e il principe Nikita del 
Montenegro tentò di sollevare anche gli albanesi; 
ma il tentativo non ebbe felice esito. Nel 1876 i 
maljsori stettero dalla parte dei turchi contro il 
Montenegro e furono travolti nella loro disfatta. I 
mirditi, che la Turchìa aveva cercato di ridurre a 
una più stretta dipendenza trattenendo come ostaggi 
a Costantinopoli il figlio di Bib-Doda Prenk Bib« 
Doda, rimasero neutrali. 

Dopo i primi successi del Montenegro, Dervish 
pascià cercò di guadagnare i mirditi alla causa della 
Turchia rimandando il principe prima a Scutari, 
quindi al suo paese col titolo di pascià e colla de- 
corazione dell'Osmanjé. Mille mirditi sarebbero in 
compenso venuti in aiuto dei turchi. Altre vittorie 
del Montenegro e la circostanza che lo zio di Prenk, 
Ghion Marku, era tenuto prigioniero da Dervish 
pascià indussero invece Prenk Bib-Doda a mandare 
a Cettigne una persona di sua fiducia per conchiu- 
dere col principe del Montenegro la desiderata al- 
leanza, che fu infatti stipulata. Cominciarono subito 
dopo le ostilità, e avendo i mirditi preso Senal bey 
lo barattarono con Ghion Marku, il quale fu cosi 
liberato. 

Ma gli aiuti promessi da Nikita tardarono, per- 
ché la Serbia aveva conchiusa la pace (18 febbraio 
1877) e la Russia non aveva ancora dichiarata la 
guerra. Il ritardo riusci fatale. Dervish pascià rac- 
colse tutte le sue forze, e la preponderanza del nu- 
mero e le armi perfezionate ebbero ragione del leg- 
gendario valore dei mirditi. Orosh fu presa, Prenk 
Bib-Doda e sua madre fuggirono. Altri capi è fau- 



— 224 — 

tori dell'alleanza col Montenegro vennero esiliati o 
condotti in ostaggio, e ritornarono in Albania quando 
il successore di Dervish pascià. Ali Saib, si riconciliò 
con Prenk e riuscì a staccarlo dal Montenegro. 

Intanto nello stesso anno 1877 aveva principio 
la guerra turcorussa. Agenti russi invano tentarono 
di far insorgere gli albanesi, e Prenk Bid-Doda fo 
co' suoi mirditi tra gli eroi di Plewna e di Scipka, 
dove anche le altre milizie albanesi si segnalarono. 
11 3 settembre 1877 i montenegrini s'impadroni- 
rono del forte di Nicsish e tredici giorni dopo di 
Bilek, e, riusciti vittoriosi in altri scontri, il 25 di- 
cembre assalivano i turchi accampati tra Dulcigno 
e la Bojana. Nel 1879 Antivarì e Dulcigno cad- 
dero in loro potere. Avendo anzi i dulcìgnoti 
conteso ferocemente ai montenegrini la conquista 
della loro città casa per casa, ne segui un incendio, 
che ridusse in cenere una quarta parte di Dul- 
cigno. 

Dal canto suo la Serbia, che aveva riprese le osti- 
lità dopo la caduta di Plevna, vinceva i turchi a 
Vranja e proclamava la propria indipendenza. 

// irattaìo di ^Berlino, — Ho detto già ch'era ri- 
serbata al secolo xix la sorte di veder sorgere tra 
le altre questioni nazionali anche ima questione alba- 
nese, 11 momento storico di questo importante fatto 
é appunto quello a cui siamo giunti : e parrà strano, 
ma cosi é, chi spinse gli albanesi a celliere codesto 
momento storico e a cercare di profittarne fu lo 
stesso governo ottomano con un atto d'innegabile 
scaltrezza politica. 

Il trattato di Berìino, in sostituzione di quello 
stipulato tra la Russia e la Turchia a Santo Ste> 



— 225 — 

fano, era stato sottoscritto (13 luglio 1878). La 
Serbia otteneva il riconoscimento della sua com- 
pleta indipendenza ed un aumento di territorio a 
spese dell'Albania (territori di Kusumlje e di Vranja) ; 
il Montenegro vedeva anch'esso riconosciuta final- 
mente dalla Porta la sua indipendenza e otteneva 
sempre a spesa dell'Albania Antivari, con l'annesso 
littorale meno Dulcigno, e i territori di Gusinje e 
Piava e della tribù dei Triepsi; la Grecia, che 
aveva addirittura chiesta per sé tutta l'Albania, oltre 
la Macedonia e la Tessaglia, riceveva pur sempre 
a danno dell'Albania geografica parte dell'Epiro, 
all'Austria era concesso d'occupare e amministrare 
la Bosnia e l'Erzegovina, e le si ri^erbava il di- 
ritto di porre guarnigione nel sangiaccato di Novi- 
Bazar, popolato non da serbi soltanto ma anche da 
shkipetari. Era cosi aperta all'Austria una strada fa- 
cile e sicura per accrescere, specialmente nell'alta 
Albania, la propria influenza. I bulgari e i rumeni 
ebbero pure la loro parte di concessioni. In con- 
clusione tra tutte le nazioni balcaniche la sola na- 
zione albanese veniva a bella posta lasciata in di- 
sparte senza farle nemmeno l'onore di nominarla. 
Brandelli di territorio albanese erano anzi destinati 
ad arrotondare la Serbia, il Montenegro e là Grecia. 
Poco mancò che un lembo di terra albanese ve- 
nisse concesso anche ai bulgari ; e mentre il sul- 
tano rimaneva di fronte all'Albania padrone della 
casa, l'Austria metteva un piede sulla soglia. È giusto 
per altro riconoscere che gli albanesi nulla ave- 
vano fatta fino al trattato di Santo Stefano per es- 
sere diversamente trattati. Anzi quando era scop- 
piata la guerra turco-russa essi avevano fatto, come 

15 



— 226 — 

si é visto, causa comune colla Turchia. Dunque 
non si poteva tener conto di diritti ch'essi non ave- 
vano né saputo né voluto affermare. 

Vero é, d'altro canto, che, durante il congresso 
di Berlino, avuto sentore che in esso sarebbero 
stati in gran parte confermati quegli strappi al ter- 
ritorio albanese, che il trattato di Santo Stefano 
aveva di già sanciti, erasi formato un Comitato ceti" 
ir ale per la difesa dei diritti della nazionalità alba- 
nese. Vero é pure che la Turchia con fine accorgi- 
mento politico trovava degno di appoggio questo 
primo accenno ad un movimento nazionale albanese, 
che le giovava per tenere a freno gli appetiti dei 
serbi, dei montenegrini, dei greci e di qualche altro 
ancora, tanto che il rappresentante ottomano nella 
seduta del i° luglio non aveva tralasciato di rile- 
vare che al Montenegro si poteva dare qualche 
cosa verso il nord, per rispettare al sud i diritti 
degli albanesi, e che la cessione di Spitza sarebbe 
stata da preferire a quella di Antivari, dove i mon- 
tenegrini non si sarebbero potuti mantenere che a 
dispetto di quelle popolazioni. Intanto un proclama 
diramato il 30 maggio dal sopraddetto Comitato 
centrale chiudevasi con queste parole: « Noi desi- 
deriamo ardentemente di vivere in pace con tutti i 
nostri vicini del Montenegro e della Grecia, della 
Serbia e della Bulgaria. Non domandiamo, non vo- 
gliamo niente da loro; ma siamo fermamente riso- 
luti a ben conservare ciò che é nostro. Si lasci 
dunque agli albanesi la terra albanese. » 

In seguito al trattato di Berlino, i serbi abban- 
donarono le contrade che non erano loro assegnate, 
e si ritirarono di qua dai nuovi confini erzegovesi, 



— 227 "" 

instaurando la propria amministrazione ne) territorio 
che loro veniva aggiudicato. Solo in alcuni villaggi, 
tra Prishtina e Lescovaz, dovettero usare la forza. 
I montenegrini dal canto loro ritennero i distretti 
dei Triepsi e di Antivari, e abbandonando Dulcigno 
domandarono che venissero loro consegnati i di- 
stretti di Gusinje e di Piava, che non avevano àn- 
cora occupati. 

Allora, autorizzato indubbiamente dal Governo 
ottomano, il vali di Scutari, Hfussein pascià, con^ 
vocò nell'estate del 1878 i notabili delle diverse 
tribù albanesi a Prizrend, e loro fece meglio com- 
prendere, ciò che del resto avevano di già capito 
da sé stesse, quanto fosse cioè ignominioso che di 
tutti i popoli balcanici i soli shkipetari obliassero 
la loro nazionalità e lasciassero strappare dei brani 
dal corpo della nazione albanese a profitto di altri 
popoli. 

La Lega albanese, — Questi eccitamenti furono 
accolti dai rappresentanti di tutte le contrade del- 
l'Albania con straordinario entusiasmo. Maomettani, 
cattolici e ortodossi, toski e gheghi dimenticarono 
i secolari odi e dissensi, e da tutti unanimemente si 
deliberò di opporsi alla consegna di distretti albanesi 
alla Serbia, al Montenegro, alla Grecia, e di fondare 
una Lega albanese per difendere a oltranza i minac- 
ciati interessi nazionali dell'Albania. 

Ecco i tre principali articoli dello statuto della 
Lega, che nella sua concisione rispecchiava l'indole 
risoluta e fiera del popolo shkipetaro. 

« Art. I. La Lega albanese é costituita per la 
difesa e la rivendicazione del territorio nazionale, 

« Art. 2. Ogni albanese può far parte della Lega, 



— 228 — 

giurando nel momento dell'ammissione di propu- 
gnare con tutti i mezzi la completa autonomia della 
sua patria. 

« Art. 3. Qualunque membro della Lega che di- 
sconoscendo i propri doveri si renderà reo di tra- 
dimento, cadrà inesorabilmente trucidato. » 

Uno dei primi atti della Lega fu quello di pre- 
sentare a Lord Beaconsfield durante il Congresso 
di Berlino un memorandum in data del 13 giugno 
1878 da Scutari d'Albania. 

Occorre aggiungere che si formarono ben presto 
tre Comitati della Lega con residenza a Prizrend, a 
Scutari e ad Argirocastro : i primi due contro la 
Serbia, il Montenegro e l'Austria, l'ultimo contro 
la Grecia. 

Ma contro la Serbia, che, come si é visto, aveva 
già occupata la parte sua, c'era poco da fare. 

Più agevole era opporsi ai montenegrini ed ai 
greci, che la parte loro non avevano ancora occu- 
pata del tutto e contro l'Austria, che dopo aver 
domata la resistenza dei bosniaci, minacciava di 
occupare anche il Sangiaccato di Novi-Bazar, come 
gliene dava diritto in caso di necessità il trattato 
di Berlino. 

Le forze della Lega si insediarono pertanto nei 
distretti di Gusinje e di Piava per opporsi alla occu- 
pazione montenegrina. 

Il principe Nikita, volendo evitare un inutile 
spargimento di sangue, ricorse allora alle trattative 
diplomatiche. La Russia intervenne e obbligò la 
Sublime Porta a inviare in Albania il Muschir Me- 
hemet Ali pascià allo scopo di persuadere gli al- 
banesi a rassegnarsi. Gli albanesi appiccarono il fuoco 



— 229 — 

alla casa in cui Mehemet Ali aveva preso alloggio 
a Giacova e lo uccisero, mentre cercava mezzo bru- 
ciacchiato uno scampo. 

Non fu più fortunato, nell'inverno del 1879, 
Ahmet Muktar pascià, cui per poco non toccò la 
stessa sorte. Egli invano si sforzò di ridurre all'ob- 
bedienza gli shkipetari con 6 battaglioni fatti venire 
da Mitrovitsa, e fini col rinunciare all'impresa. Degli 
scontri ebbero anche luogo sulla fine del 1879 tra 
montenegrini e albanesi. 

Allora da uno dei rappresentanti delle Potenze al 
Congresso di Berlino fu messa innanzi la proposta 
di uno scambio. Il confine del Montenegro non sa- 
rebbe stato più rettificato dalla parte di Piava e 
Gusinje, ma dalla parte di Podgoritsa. Col consenso 
della Turchia cosi fu stabilito il 18 aprile 1880. 

La Porta ritirò le sue truppe dal territorio ceduto, 
ma subito ne presero il posto le bande della Lega. 
Parve in tal frangente alle Potenze che tutto ciò 
non potesse accadere senza segreti accordi col Go- 
verno turco, e lord Granville, ministro inglese, mise 
innanzi la proposta di presentare alla Turchia un 
ultimatum^ in cui le s'imponesse come nuova defi-< 
nitiva transazione di cedere ai montenegrini dentro 
tre settimane il territorio marittimo da Antivari 
alla Bojana, compresa la città di Dulcigno coi suoi 
due porti di Dulcigno e di Val di Noce (nome 
dato dai veneziani, che oggi si conserva ancora). 
Rimanevano inoltre aggiudicate al Montenegro Pod- 
goritsa, Giabliak e Fùndina coi rispettivi territori e 
la tribù dei Triepshi. 

L'Austria non voleva veramente accettare questa 
proposta, contraria ai suoi interessi ; se non che. 



— 230 — 

non avendo potuto avere dalla sua l'Italia, molto 
interessata essa pure in tale vertenza, fini coiraderire 
alV ultimatum^ come lo aveva formulato il governo 
britannico. 

Il 26 giugno l'Inghilterra fece alla Porta la con- 
cordata intimazione, e a sostegno della medesima 
si ebbe dinanzi a Dulcigno una dimoslra%ione navale^ 
cui parteciparono tutte le potenze che avevano fir- 
mato il trattato di Berlino. 

D'altro canto la convenzione di Costantinopoli 
del 24 maggio 1881 poneva la Grecia in possesso 
del ■ distretto di Arta fra il fiume Arta e il Pindo, 
conforme alle decisioni del trattato di Berlino, eia 
occupazione greca si compiè senza dar luogo a sub- 
bugli, non essendo stata concessa ai greci Janina, 
com'era corsa voce si volesse fare contro i voti e 
le speranze della Lega albanese. 
. Ho già detto del resto e dimostrato che ogni 
simpatia e qualsiasi fiducia degli albanesi nella Gre- 
cia risorta era venuta meno fino dall'epoca della 
guerra di Crimea, per l'inerzia e l'incapacità dimo- 
strata dai greci in parecchie occasioni. Una riprova 
dell'indifferenza, o meglio della ostilità degli shkipe- 
tàri di fronte alle aspirazioni dei patriotti elleni, si 
ebbe altresì all'epoca del Congresso di Berlino non 
solo nell'atteggiamento della Lega di Prizrend con- 
tro le pretese dei greci, ma anche nel modo come 
fu accolto in Epiro uno dèi soliti tentativi di sol- 
levazione in favore della annessione alla Grecia. 
Cinquecento greci, fra cui pochi epiroti insieme al- 
l'italiano conte Conturbia di Milano, sbarcarono a 
Licur%iy vìcmo a Santi Quaranta^ appunto per solle- 
vare l'Epiro: ma neppure un cristiano si mosse, e 



— 231 — 

l'albanese musulmano Giulecca (Ghion Lek) coi 
suoi shkipetari sbaragliò facilmente la malcapitata 
coorte. Molti di coloro che la componevano, fra i' 
quali Conturbia, vennero uccisi. Tutti gli altri fu- 
rono fatti prigionieri, e dovettero la propria sal- 
vezza all'intervento dei consoli esteri, che ne otten- 
nero la liberazione. 

Contro gl'insorti dell'Alta Albania la Porta mandò 
un esercito di 30,000 uomini, comandato dal vec- 
chio giannizzero Dervish pascià, che colle arti di- 
plomatiche più che colle armi ottenne, in capo a 
qualche anno, la completa sottomissione degli al- 
banesi, che oggi vivono in quelle condizioni so- 
ciali, politiche ed economiche che furono già da 
me descritte nella prima parte di questo libro. 

Dulcigno, ch'era stata dai montenegrini restituita 
alla Porta, conforme alle deliberazioni del trattato 
di Berlino prima deWultimatum sopra ricordato, fu 
da Dervish pascià occupata dopo aver battuti 600 
dulcignoti, che, uniti ad alcuni altri albanesi venuti 
in loro aiuto dalle montagne di Scutari, erano usciti 
dalla città sotto il comando di Hadgi Mehemet bey 
e Shakis Effendi per opporsi all'esercito del sul- 
tano. 

Dervisch pascià riusci persino a togliere ai mirditi 
ed all'ancora vivente principessa madre il loro gio- 
vane principe Prenk Bib-Doda, che venne relegato 
a Castamuni nell'Asia minore, dove si trova, e ad 
istituire in quel libero paese una gendarmeria, i co- 
siddetti laptiè mirditi, che quivi fanno a dir vero più 
male che bene, perché, non pagati regolarmente, 
s'impongono e danno motivo a fermenti. 

È superfluo aggiungere che, ristabilita la quiete 



— 232 — 

in Albania, quasi tutti ì capi albanesi compromessi 
nella Lega di Prizrend furono spenti o esiliati. Con 
tutto ciò nessuno potrebbe mai negare che un sen- 
timento nazionale albanese oggi esista, come. risulta 
anche da fatti posteriori al 1880, ma troppo a noi 
vicini perché sia lecito farne argomento di storia. 
Accennerò soltanto alla nuova Lega stretta nel mag- 
gio 1883 fra le tribù dei Castrati, Hotli, Cruda e 
Screli per opporsi alla delimitazione definitiva del 
confine turco-montenegrino, e all'entusiasmo con 
cui gli albanesi presero parte in prò della Turchia 
all'ultima guerra turco-greca (1897), nonostante i 
tentativi di propaganda filellenica, che i greci avevano 
rinnovati dopo il trattato di Berlino fra i cristiani 
dello Epiro coU'appoggio del patriarcato greco di 
Costantinopoli. Se la Grecia avesse vinto nella 
guerra del 1897, si sarebbe senza dubbio ingrandita 
a spese della Macedonia e dell'Albania, mentre l'Al- 
bania non vuole oggi essere assorbita dalla Grecia, 
come non vorrebbe essere aggregata all'Austria, 
alla Serbia, alla Bulgaria, al Montenegro. Gli alba- 
nesi preferiscono rimaner fedeli alla Turchia, a 
patto che essa rispetti e difenda la loro integrità 
nazionale e conceda delle riforme. I desideri di 
una parte di essi non si spingono più oltre di una 
larga autonomia sotto la sovranità del sultano. Non 
mancano i fautori dell'indipendenza assoluta sotto il 
protettorato di una qualche potenza europea. Inte- 
grità nazionale e riforme sono i concetti fondamen- 
tali della Lega che avvince anche presentemente 
tra loro gl'irrequieti e indomabili abitatori delle 
città e distretti di Prizrend, Ipek e Giacova (Vilajet 
di Cossovo). Partigiani e propugnatori in Albania 



- 233 — 

deirantagonismo coi greci, coi bulgari, coi serbi, 
dell'opposizione alla propaganda austriaca, e di una 
larga autonomia nazionale sono oggidì anche i vala- 
chi, i quali, quantunque in massima parte ellenizzati, 
hanno perduta essi pure, dopo l'ultima guerra, ogni 
fidacia nella Grecia. V*ha oggi tra essi chi spera 
piuttosto in un'intima unione valaco-albanese. 

Ciò posto, il sentimento nazionale di un popolo 
antico e valoroso, di una schiatta pura e gagliarda 
qual'é l'albanese, dev'essere tenuto in considerazione 
non dai turchi soltanto, ma da tutti gli stati confi- 
nanti, e in particolar modo dalla diplomazia europea, 
arbitra delle sorti di tutti i popoli balcanici. È inutile 
aggiungere che un compito speciale spetta in questa 
politica avveduta e conciliante alla nostra Italia, in 
cui Gheghi e Toski, generalmente parlando, veg- 
gono un'alleata naturale disposta a sostenerli e ad 
aiutarli. 

Gli albanesi (Tlialia, — Dappoiché, finalmente, in 
questa affermazione del sentimento nazionale alba- 
nese e dei diritti nazionali dell'Albania non ultima 
parte hanno gli albanesi di Italia, mi si permetta di 
dedicare alle colonie italoalbanesi le ultime pagine 
di questo libro. 

Molti albanesi d'Italia acquistarono chiaro nohie 
nelle armi, nelle lettere, nella politica e nella car- 
riera ecclesiastica. Ricorderò fra i primi Ferrante 
Castriota marchese di Civita S. Angelo, caduto nella 
battaglia di Pavia (1525), Nicolò e Giorgio Basta, 
che militarono gloriosamente nella seconda metà 
del secolo xvi e sul principio del xvii al servizio 
degli Asburgo. Ricorderò pure tra gli studiosi 
di storia, lingua e letteratura albanese, nel se- 



— 234 — 

colo XVII, Pietro Bcrgdano e il padre Francesco 
Bianco, nel secolo xviii il padre Francesco Maria 
da Lecce e Giulio Variboba, nel secolo xix Fran- 
cesco Antonio Sartori. Girolamo De Rada, il nestore 
dei patriotti e letterati albanesi, Giuseppe Serembe, 
Demetrio Camarda, Giuseppe ed Angelo Masci, Ga- 
briele. Darà, Giovanni Schirò, Luigi Petrassi, Giu- 
seppe Crispi, Vincenzo Stratigò. Egregi raccoglitori 
di canti albanesi sono il De Rada, il Camarda, il 
Dorsa e lo Schirò. Sono albanesi l'illustre statista 
Francesco Crispi e il prof. Pasquale Turiello del- 
l'Università di Napoli. Era di origine albanese Fe- 
derico Seismit-Doda, che fu deputato al Parlamento 
italiano e ministro del Regno d'Italia. La vera e 
propria Albania non può certo vantare ugual numero 
di uomini illustri per coltura. La sua gloria è tutta 
nelle armi. Si citano ciò nonostante Marino Barlezio 
di Scutari, storico di Scanderbeg del secolo xvi, il 
dotto conoscitore della lingua albanese Kristoforidis 
di Elbassan il poeta Nesim bey da Premet (Epiro), e 
il letterato Naim Beg Frashèri della bassa Albania, 
che ha vissuto e scritto a Bukarest fra il 1886 e 
1896. 

Le colonie albanesi d'Italia vantano pure dei 
propri istituti d'istruzione: // collegio di Palermo 
e // collegio di S, KAdriano, Questo secondo col- 
legio fondato nel 1733 in Ullano dal papa Cle- 
mente XII, Corsini, che aveva la madre di origine 
albanese, fu poi nel 1794 trasferito da Ullano, 
ov'eragli stato assegnato il Monastero di S. Bene- 
detto ceduto a tale scopo dall'Ab. Commendatario 
Cardinal Carafa, nel monastero di S. Adriano (co- 
mune di S. Demetrio a Corone, provincia di Co- 



— 235 — 

senza) licenziando i monaci basiliani che l'occupa- 
vano, e venne dotato di laute rendite e posto sotto 
patronato regio dal re Ferdinando IV. Per il testo 
delle Bolle di Clemente XII e del Dispaccio reale 
di Ferdinando IV, e per i decreti sovrani posteriori 
riguardanti l'istituto di S. Adriano, emanati dal re 
Gioacchino Murat nel 1810 e nel 181 2, dal Didat- 
tico Giuseppe Garibaldi e dal Prodittatore Giorgio 
Pallavicino nel i86o in nome di Vittorio Emanuele 
II re d'Italia, e dallo stesso Vittorio Emanuele nel 
1864, rimando i lettori ai Titoli di fondazione del 
Collegio italo-greco Corsini di S, (Adriano, pubbli- 
cati dal dott, Guglielmo Tocci a Corigliano Calabro 
nel 1889. L'uno e l'altro dei suddetti collegi di 
Palermo e di S. Adriano furono destinati sin qui 
all'istruzione ecclesiastica e classica dei giovani delle 
colonie albanesi di là e di qua dal Faro, e diedero 
alla coltura albanese i suoi migliori rappresen- 
tanti. 

È noto inoltre che il risorgimento politico del- 
l'Italia trovò tra gl'italo-albanesi non pochi fautori 
ardenti e devoti, alcuni dei quali soffersero anche 
il carcere e l'esilio e salirono il patibolo per la 
causa italiana. Agesilao Milano impiccato il 13 di- 
cembre 1856 per avere tentato di uccidere il re 
Ferdinando di Napoli, era albanese di S. Benedetto 
UUano. 

Esiste pure in Italia una Società nazionale alba- 
nese, che sorse nell'ottobre del 1895 collo scopo di 
provvedere all'adozione di un alfabeto albanese, alla 
compilazione di un dizionario, alla pubblicazione di 
una Rivista italo-albanese ed all'instaurazione di 
maggiori relazioni colla madre patria. 



- ii6- 
Certo é, in conclusione, che l'halia e l'Albania 
furono in ogni tempo l'una all'altra congiunte da 
vincoli di varia natura. Se cìó risulta evidente da 
questo libro, il modesto scopo per cui esso fu scritto 
si può dire raggiunto. 




Nota al Capitolo VII della Parte i\ 

Ho detto nel Capitolo VII della r* Parte di questo 
libro, che Tltalia tiene presentemente negli scambi com- 
merciali deir Albania cogli Stati europei il quarto posto. 
Aggiungerò qui alcune notizie recentissime, da me raccolte 
quando già il libro era in corso di stampa, dalle quali è 
lecito argomentare che le relazioni commerciali fra Tltalia 
e l'Albania potranno acquistare in tempo non lontano 
quello sviluppo e quella importanza, che dovrebbero avere 
e non hanno. 

La Società Tuglia, aderendo a un voto espresso dal 
recente Congresso geografico di Milano, studia un progetto 
di navigazione del Lago di Scutari con bandiera monte- 
negrina, mercè il quale dei vaporetti costruiti a tal uopo 
risalirebbero da San Giovanni di Medua per Obotti a Scu- 
tari, e toccherebbero partendo da Scutari altri punti del 
lago, cioè GlavnìtZci, Vir e Rjeca che non è veramente sul 
Iago, ma comunica con esso per una larga via d'acqua. 

Il servizio marittimo fra l'Italia e l'Epiro, ora quindi- 
cinale (Brindisi, Santi Quaranta, Corfìi, Prevesa, Salahora), 
sarà reso settimanale. 

L'agenzia commerciale italiana, fondata a Janina fin 
dall'anno scorso, procede abbastanza bene. 

In un recente articolo del sig. Charles Loiseau, com- 
parso nella Revue de Taris (i® maggio 1901), si parla tra 
l'altro con particolare favore di un progetto di ferrovia, 
al quale io pure ho accennato nel Capitolo VII della i* 
PartCy e che dovrebbe congiungere Scutari e San Giovanni 
di Medua colle ferrovie serbe. 



— 238 — 

Codesto progetto, utile senza dubbio al Montenegro, 
avrebbe innegabilmente una qualche utilità anche per FAl- 
bania, che non ha, come già sappiamo, vie ferrate che 
Tattraversìno dalPìn terno al mare. 

La detta ferrovia, movendo da Nish. toccherebbe in- 
fatti Prishtina e Jpek, e quindi penetrando nel territorio 
montenegrino passerebbe per Andrievitsa e Podgoritsa e 
metterebbe capo a Scutari^ donde due diramazioni, l'una 
verso Antiyari (Montenegro), l'altra verso San Giovanni 
di Medua (Albania) la porrebbero in comunicazione col 
mare. 

A me sembra nondimeno che per l'Albania e per il 
suo commercio con Pltalia sarebbe sempre più utile una 
strada ferrata, che attraversando il territorio albanese nel 
cuore dall'Albania mettesse capo sul mare a Durazzo o a 
Valona. Ad ogni modo un progetto non esclude l'altro. 
Così potessero tutti avere esecuzione, il che non è davvero 
probabile ai tempi che corrono. 



>AùM)Aù^i()M>^iùAÙAÙAÙ^>AÙAÙ^iùMfM)AO^ 



SAGGIO 



DI UNA 



BIBLIOGRAFIA GEOGRAFICA, ETNOGRAFICA E STORICA 



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Periodico Arhri i Rii (La Giovane Albania). Palermo, 1887, 
diretto da F. Stassi Petta e Giuseppe Schirò. 

Periodico Fiamuri Arhèrit (La bandiera dell'Albania). Cori- 
gliano Calabro, 1883-87, diretto da Girolamo De 
Rada. 

Periodico La Naiione albanese, 1 897-1 901, diretto da An- 
selmo LORECCUIO. 

Giornali albanesi comparsi in epoche diverse a Bukarest, a 
Bruxelles e al Cairo. 



Carie geografiche deìTalta e bassa Albania (scala i : 300,000), 
pubblicate dalllmp. Istituto geografico militare au- 
striaco (Vienna). 

H.Hassert. Carta deif alta Albania.Vìtnm (scala 1:200,000). 

E. De Gubernatis. Carta d'Epiro^ 1875 (scala i : 400,000). 

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d'Europa del Lejéan, del Sax, del Sohr, del Kiepert, 
dell'ANDRÉE, del Gerland. 



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(IP parte del libro). 

Antica geografia dell'Olino e dell'Epiro. 

Scrittori greci e romani di cose geografiche. Greci: Stra- 
done, Tolomeo e Stefano Bizantino; Latini: Pom- 
ponio Mela, Plinio il Naturalista é Solino. 

Itinerari di Antonino. 

Tabula Peutingeriana. 

Moller. Geographi minor es, 

Kiepert. Lehrbuch der alien Geographie, 

Bevan. Manual of ancient geography. Esiste tradotto in 
italiano. Firenze, G. Barbera editore, 1872. 



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W. Smith. Dictionary o{ Greek and Roman geography, 
BuNBURY. A history of ancient geography among the Greeks 

and Romans. 
KiEPERT. Atlas antiquus, 

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Leon Heuzey et H. Daumet Mission archéologìque de Ma- 
cèdoine. Douzième Uvraison. 1877. C. IV Dyrrachium 
ou Èpidamnos. C. V. %echerches sur la còte d'Epire, 
tApollonie, Oricum et les monts tAcrocéranniens, 
L. Fr. Tafel. De via Romanorum Egnatia, Tùbingen, 1842 
A. Baldacci. Una scoperta archeologica nelV Albania setten- 
trionale» Boll, della Soc. geogr. it., voi. XXXVI, 1899. 
A. Degrand. Souvenirs de la haute ^Albanie. Op. cit., 
cap. XVII. Les nécropoles mystérieuses. 



La città e l'oracolo di Hella o Dodona e relative 

notizie archeologiche. 

Omero. Iliade. L. VI; Odissea. L. XIV, XIX. 
Hesiodo presso Strabone. 
Erodoto, L. I, li. 
Eschilo. Prometeo, 

Scoliaste di Sofocle (Trag.. Trachinie). 
Pindaro nel Peana in onore del nume Dodoneo (fram- 
menti). 
Aristotile (Meteorol, l). 
Plutarco. Vita di Pirro, 
DioTORO Siculo, d. XXVI. 
Strabone, L. VII e IX. 
Polibio, L. IV. 
Pausania, L. Vili, X. 
Cicerone. De divinatione, 
Cornelio Nepote. Vita di Lisandro. 



— 246 — 

Stefano Bizantino alla voce A&>6.>vyi (Dodone). 

Leake. Travels in Northern Greece, London, 1835-41. 

Revue archéologique, maggio anno 1877. Jupiter Dodonèen 
par M. X. Gautier De Claubry. — Giugno. 'Dodone 
et ses ruines par M. Const. Carapanos. 



Epoca preellenica, ellenica o greca e romana 
fino alla caduta dell'Impero d'Occidente. 

Scrittori greci: Tucidide (Storia delia guerra del Pelopoti- 
neso); Plutarco (Vite di Alessandro, Demetrio^ Pirro, 
T, Quinzio FlamininOy Paolo Emilio, Cicerone, Pompeo, 
G. Cesare, Antonio); Diodoro Siculo (Biblioteca sto- 
rica); Appiano alessandrino (Storia romana); Polibio 
(Storia universale); Dione Cassio (Storia romana). 

Scrittori latini; Tito Livio (^& urbe condita libri); Giulio 
Cesare (De hello civili); Cicerone (Epistole e Filip'' 
piche) ; Lugano (Pharsalia) ; Vellbjo Patercolo 
(Historia romana); C. Svetonio Tranq.uillo (De 
Vita Casarum); Floro {Epitoma bellorum omnium); 
C. Plinio (Naturalis Historia); Giustino {Epitoma 
historiarium Philippicarum Pompei Trogi); Eutropio 
(Breviarium ab urbe condita); Cl. Claudiano (De bello 
getico e Panegirici). 

Corpus Inscriptionum latinarum, 

JoRDANES. De rebus geticis (nei Monumenta Germaniae 
historica), 

Historia Miscella (nei Rerum Italicarem Scriptores del Mu- 
ratori, voi. I). Cfr. nuova edizione riveduta, ampliata 
e corretta con la direzione di G. Carducci. Lapi, ed», 
Città di Castello, 1900. 

ZosiMo bizantino. Hist, novae libri sex (trad. dal greco). 

Zippel. Die rómische Herrschaft in lìlyrien, 1877. 

G. O. a. Moller. De Corcyraeorum republica, 1835. 

Janske. De rebus Corcyraeorum, 1849. 



— 247 — 

Neumamn. De veteribus nummis et nuuquam in lucem e^ 

ditis. 1779. 
Storici moderai della Grecia: Grote, Hertzbèrg, Smith, 

ecc. ecc. 
Storici moderni di Roma e dell'Impero romano: Rollin, 

Vannucci, Niebuhr, Mommsen, Jhne, Iager, Hertz- 

BERG, Merivale, Bertolini, Duruy, ecc, ecc. 



Weber. AHgsmeine Weltgeschichte, ' 

Cantù. Storia universale, 

Helmolt. Weltgeschichte. Viertes Band, Die Randìànder des 

Mittelmeeres, Leipzig und Wien. Bibliographisches In- 

stitut, 1899-900. 



Parlati. lìlyricum sacrum, Venetiis, 175 1- 1869. 
Labbé, Baluzio, Coleto, Mansi. Conciti. 
xActa Sanctorum (Collezione dei Bollandisti). 
L: DucHESNE. Ulllyricum eccUsiastique, 1890. 



Tajani. Le istorie albanesi, Salerno, 1886. 

Giovanni Schirò. Memorie storiche. Nel giornale di scienze, 
lettere ed arti, Palermo, n. 46-50, 1834-35-36. 

Storia delT Albania (in albanese) scritta da un ghego ano- 
nimo. Alessandria d'Egitto, 1898. 

G. Dorcet. Les Albanais et leur róle dans Thistoire, Nella 
Revue de France. 

VoN Hahn, Hecciuard, GoPCBRic'. Opere citate nella Bi- 
bliografia per la i* parte. 



Medio evo^ dalla caduta dell'Impero d'Occidente 

a Giorgio Scanderbeg. 

Storici moderni di Teodorico re degli Ostrogoti e del regno 
gotico in Italia (De Roure, Deltuf, Hurter, Brad- 
ley, Manso, Dahn, Von Pflugk-Harttung, Hodgktn, 
Mommsen, ecc.). 



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- ♦ -< 



— 249 — 

Cronaca di *Argirocastro» Ed. con un commentario di 
A. PETRibES, 1871. (Vedi Karl Krumbacher. GeschichU 
der byxantinisclìen litteratur. Mùnchea, 1897, pag. 395). 

Gfròrer. By:^antini5che GeschichU, 1872-77. 

G. HoPF. Geschichte Griechenlands im MiUelalter, Nella En- 
ciclopedia di Ersch e Grùber. Voi. 8$, 86. 

Id. Geschichte der Frànkischen Herrschajt in GriechenJand. 

Id. Chroniques grèco-romanes inédites ou peu connues, Berlin, 
1873. 

Hertzberg. GeschichU Griechenlands im MtiUlaJUr, Gotha, 
1876. 

Id. Storia dei Biiantini, nella storia universale di G Gncken 
(trad. it. Vallardi editore. Milano). 

G. FiNLAY. History of the By fantine Empire from T216 to 

lo. History of Greece from the conquest of the Crusaders to 

the conquest of the Turcks, London, 1877. 
Gaudenzi. Sui rapporti tra V Italia e P Impero d'OrienU fra 

gli anni 4^6^$ $4. Bologna, 1888. 
Tafel. Symholae criticae geographiam By^antinam spectan-^ 

tes. Negli Atti della R. Accad. di Monaco, (Abhandl. 

der III Classe, T. V). 
MiKLosicH e I. Moller. Acta et diplomata graeca medii 

aevi sacra et profana, 
C0NSTANTIN Sathas. Bihliotheca graeca medii aevi, Venetiis* 

Parisiis, 1892. 
Id. Documents inédits relatifs à Thistoire de la Grece au 

moyen dge, 
F. Chalandon. Essai sur le regne d'Alexis i®** Comnène 

(io8i*Jii8), Paris, 1900. 



Presbyter Diocleas. Regnum Slavorum* Fra gli Scriptores 
rerum Hungaricarum di Jo. G. Schwandtner. Tomo 
3°. Lipsia 1748. 

Lucius. Historia della Dalmazia (De regno Dalmaticae et 
Croaliae), Amsterdam, 1678 



— 2)0 - 

Orbimi. Istoria del Regno degli Slavi, Pesaro, jyoi. 

Monumenta spectantia historiam slavorum meridionalium (Za- 
gabria, Acad.) e Monumenta historica Slavorum meri- 
dionalium (Zagabria, Soc. archeol.). 

Makuscev. Sugli Slavi in Albania nel medio evo, Varsavia, 
187 1 (polacco). 

MiKLOSicM. Monumenta serbica, Vienna, 1858. 

Pucic'. Monumenta serbica, 

Majkov. Storia del popolo serbo, Belgrado, 1877 (serbo- 
croato). 

Kallay. Storia del popolo serbo (ungherese). Trad. tedesca, 
Lipsia, 1878. 

Pypine e SpASSOWiTCH. Bulgari, serbo-croati, ruteni (russo, 
trad. in francese). 

Cronache dei re Serbi edite dal Vucomanovic'. (Belgrado). 

Palaousof. // secolo dello i^ar Simeone (russo). 

Safari K. Genealogie serbe, Belgrado, 1853 (serbo-croato). 

Engel. Geschichte Serbiens, 

LjUBic'. Opis lugosl, Zagabria, 1875. 

HiLFERDiNG. Geschichte der Bulgaren und Serben (trad. ted. 
dal russo. Bautzen, 1856-64). 

Neugebauer. Die Sùdsìaven und deren Lànder. Leipzig, 
1858. 

Rac'ki. La battaglia di Ccssovo, Nelle Memorie dell'Accad. 
di Zagabria, 1889 (serbo-croato). 

Jiric'ec. Geschichte der Bulgaren, Prag, 1876 (czeco, trad. 
in ted.). 

Th. Uspenskij. La formazione del secondo impero bulgaro, 
Odessa, 1879 (russo). 



Tajani. Le istorie albanesi, op. cit. 

VoK Hahn. Albanesische Studien, op. cit. 

HECQ.UARD. Histoire et descripiion de la haute Albanie, op. 

cit. 
Gopcevic*. Oberalbanien und seine Liga, op. cit. 
Giovanni Schirò. Memorie storiche, op. cit. 



- 251 - 

Storia deir Albania (in albanese) scritta da un ghego ano- 
nimo, op. cit. 



Giuseppe Gelcich. La Zedda e la Dinastia dei Balscidi: 
Studi storici documentati. Spalato, 1899. 

MijATOvic'. Cenni storici sulla Zedda Zeta (Glasnik di Bel- 
grado, XLIX ; serbo-croato). 

G. MusACCHi. Historia de Casa Mnsacchi (nelle Croniques 
gréco-romanes del prof. Hopf. Berlin, 1873). 



Petrovic'. Storia del Montenegro fserbo-croato). Mosca, 

I7S4. 
Alex. Andric'. Geschichte des Fùrstemthums Montenegro. 

Wien, 1855. 
MiLAKOVic'. Storia del Montenegro, Trad. it. di Kaznacic', 

Ragusa, 1877. 
RoviNSKi. Cernogoria. Pietroburgo, 1888. 
MiKLOSiCH. Die Serhischen Dynasten Certioevich, (Wien, 

1896. Atti dell'Imp. Accad. delle Scienze, Voi. CXII). 
G. Margotti. // Montenegro e le sue donne, Milano, 1896. 



LuccARi. annali di Ragusa. Venezia 1605. 

Id. Copioso ristretto degli Annali di Ragusa. Ragusa, 1790. 

AppENDiNi. Notizie istoriche criticU suir antichità, storia e 

letteratura dei Ragusei. Ragusa, 1802. 
Engel. Geschichte das Freistaates Ragusa, Wien, 1807. 
Restl Cronache di Ragusa, Zagabria, 1893. 
Monumenta Ragusina, Reformationes. 
Mormora. Storia di Corftì, 
Ermanno Lantzis. Della condizione politica delle isole Jonie 

sotto il dominio veneto, Venezia, 1858. 
Pansa. Istoria del f antica Repubblica di Amalfi. Napoli, 

1774. 
Camera. Istoria della città e costiera di Amalfi. Napoli, 
1836. 



— 252 — 

Ughelli. Italia sacra. 

Muratori. Rerum italicarum scriptores (Raccolta degli sto- 
rici ital. dal 500 dell'E. V. al 1500). 

Nuova edizione dei Rerum Hai, Script , riveduta, ampliata 
e corretta con la direzione di G. CARDUCCf. Lapi, 
Città di Castello, V. Tomo XXII, Parte IV. Le vite 
dei Dogi di Marin Sanudo, a cura di G B. Monticolo, 
con note importanti per l'indicazione delle fonti. 

P£RTZ. Monumenta Germaniae historica inde ah anno D ad 
MD. 

Rerum Sicuìarum scriptores. Frsincoforte, 15 79* 

C A PASSO. Le fonti della Storia delle Provincie napoletane dal 
^68 al ijoo (Arch. stor. napolet., 1876). 

Id. Historia diplomatica. Regni utriusque Siciliae ah. an, 1250 
ad an, 1266. 

Dal Re. Cronisti e scrittori sincroni napoletani, Napoli, 

1845. 
Società napoletana di Storia patria. Monumenti storici. 

Fra i cronisti e storiografi medievali per Tepoca normanna 
e per le relazioni normanno albanesi, specialmente 
importanti Guglielmo Apulo, Goffredo Malaterra, 
Lupo Protospatario, Romoaldo Salernitano, Ugo 
Falcando: per l'epoca sveva e angioina e pei Duchi 
di Durazzo, Riccardo da San Germano, Niccolò 
DE Iamsilla, Saba Malaspina, Domenico di Gra- 
vina, Tristano Caracciolo, Pandolfo Collenuccio, 
e i Registri angioini (Inventario cronologico sistematico. 
Napoli, 1894). 

Michael Ritius. (Michele Rizzio sec. xvi) De regihus Nea- 
polis et Siciliae, 

Fra i cronisti e storiografi veneti specialmente importanti 
per le relazioni veneto -albanesi sino ai tempi di Giorgio 
Scanderbeg: Martin da Canale, Andrea Dandolo, 
Marin Sanudo, Paolo Morosini, Andrea Navagero; 
Marco Antonio Sabellico, Bernardo Giustiniani, 
ViTTOR Sandi. 



- 253 - 

Storici moderni dei reami di Sicilia e di Napoli: Angelo 

DI Costanzo, Pietro Giannone, Camera, Summonte, 
- Capecelatro, ecc. 
Gautier d'Arc. Hisioire des conquétes des Normdns en Italie, 

en Sicile et en Grece, Paris, 1830. 
De Bazancourt. Histoire de Sicile sous la domination des 

Normands, 1846. 
A, F. Graf. Geschichte der Normannen in Sicilien. 
Tafel, Komnenen und Normannen, Ulm. 1852. 
Karl Schwartz. Die Feldiùge Robert Guiscards gegen das 

hyiant^ Reich, Fulda 1854. 
Brandileone. I primi Normanni d'Italia in Oriente, Riv. 

st. ìt. I. 2. 
Id. Spedizione di Guglielmo II in Oriente. Cronaca Parte- 
nopea, Napoli. 
Ad. Fed. Schak. Geschichte der Normannen in Sicilien, 

Berlin, 1889. 
L. V. Heinemann. Geschichte der Normannen in Unteritalien 

und Sicilien. Leipzig, 1894. 
Storici della Casa d*HolTenstaufen (Niccolini, Raumer, 

Schirrmacher, ecc.). 
De Noulis. Histoire des Rois de Sicile et de Naples de la 

Maison d^Anjou, 
Storici moderni della Repubblica Veneta : Laugier, Daru, 

' Cappelletti, Romanin, Le Bret, Gfròrer, ecc. 
Marin. Storia civile e politica del commercio dei Venexiani. 

Venezia, 1798. 
G. A. MoRANA. Saggio delli commerciali rapporti dei Vene- 

i^iani colle ottomane scà'e di Duralo ed Albania, Ve- 
nezia, 1816. 
M. J, Armingaud. Venise et le Bas empire. Negli Archives 

des missions scientifìques et littérairesì II serie. T. IV, 

Paris, 1867. 
Karl Neumann. Ueber die Urkundlichm quellen x.^ Ge^ 

schichte der byxantinischfvenetianischtn ^ ^e^iechungen, 

Mannbeim, 1892. 



— 2$4 — 

Lenel, Die EntsUhung der Vorhcrrschaft Venedig' s an d, 
AdriaU Meer Bonn, 1897 

LjUBic'. Reìaiioni tra i Ragusei e la Repubblica di Venexia, 
Nelle memorie delPAccad. di Zagabria. 

E. A.Freeman. Suhjectand Neighbour Lands of Fenice, 1881. 

Tafel e Thomas. Urkutiden j^ur àlteren Handels und Staats- 
geschichte von Venedig, in tre volumi delle Fontes 
rerum austriacarumj pubblio. dell'Imp. R. Accademia 
delle Scienze ài Vienna (1856 e seguenti). 

Guglielmo Heyd. Le colonie commerciali degli italiani in 
Oriente nel medio evo, Trad. in it. dal ted. da Giu- 
seppe Muller, Venezia, 1866. 

E. Musatti. Venezia e le sue conquiste nel medio evo. Ve- 
rona, 1881. 

Archivi di Venezia, Ragusa, Napoli e Palermo. Archivi 
del Vaticano. Nell'Archivio di Stato di Venezia (il più 
importante di tutti) le raccolte note sotto i nomi à\ 
Liher plegiorum, libri pactorum, liber albus, Commemo- 
riàlì, Misti Senato (cioè non separati per materie am- 
ministrative, ma misti dì materie comuni e diploma- 
tiche), Secreta Senato, e registri delle parti Senato Mar 
(riguardanti l'amministrazione ordinaria delle città della 
Dalmazia, dell'Istria, dell'Albania e del Levante, mentre 
i decreti o parti riguardanti le città di terraferma erano 
dette del Senato terrà). 

Petrus De Santo Odorico. Descripiio urbis Scutari et 
Albaniae cum registro concessionum, 1416-17. (R. Arch. 
gen. di Venezia. Collezione codici ex Brera). 

Parte dei documenti depositati da B. Cecchetti nell'Ar- 
chivio del R. Istituto veneto (Vedi Comunicazione del 
socio B. Cecchetti intorno agli stabilimenti politici 
della Repubblica veneta nell'Albania, &tta al R. Isti- 
tuto veneto nell'adunanza del 23 febbraio 1874. Negli 
Atti del R. Istituto veneto, novembre 1873, ottobre 
1874). 



— 2$5 - 

Indici del liber alhus e dei libri pac forum, (Atti della 
R. Accad. di Monaco, ^* classe, voi. Vili, parte I). 



Spruner e Menke. Atlante in 139 carte per la Storia del 

medio evo e moderno (tedesco). 
Bevan and Phillott. Medieval geography, 
Droysen. Atlante storico (ted.). 
KiEPERT. Carta della Grecia nel X secolo (ted.). 
F. Schrader. Atlas de géographie historique, 
R, Labberton. Nuovo atlante storico (ingl.), 
Freemann. Géographie history of Europe, 
DuRUY. Géographie politique du moyen'dge, 
Lelewel. Géographie du moyen-dge (con Atlante). 
L, HuGUES. Storia della geografia. 



Baronius, Raynald, Sponde, Bzovio. Annales ecclesiastici. 

MoRONi. Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica. 

Parlati, lllyricum sacrum. op. cit. 

Bullarium Sumtn, Pontificum, 

Iaffé. Regesta pontificum romanorum. 

L, Duchesne. Vlllyicum ecclésiastique, pp. cit. 



Cantù, Weber. Storie universali^ già citate. 

E. La visse. Histoire generale du IVme siede à nos jours, 

Giorgio Scanderbeg. La conquista ottomana. 

Cronisti e storiografi veneti già citati. 

Storici della Repubblica veneta e del Reame di Napoli già 
citati. 

Archìvi già citati. 

Parte dei documenti depositati da B. Cecchetti nell'Ar- 
chivio del R. Istituto Veneto.. 

Annali Veneti (1457-1500) del Senatore Domenico Mali- 
piero. Firenze, Viesseux, 1843. Arch. stor. it., I Serie, 
Voi. VII, (Cfr. S. RoMANiN. Storia documentata di Ve- 
ne^ia. Voi. IV, pag. 372). 



— 256 — 

-Marinus Barletius. ^De Vita et moribus Georgii CaslriotL 
Venezia, 1504, Francoforte, 1578, Strassburg, 1^97. 

Storia anonima di Scanderheg (lat). Roma, 1524. 

G. M. BoNARDO. Vita di G, Castriota. Venezia, 16 io. 

JocoBUs ScHRENK. *Auguslissimorum Imperatorum, Serenis- 
simorum Regum, lllustriss. Trincipumy Comitum, Ba^ 
ronum, etc. et verum ah ipsis gestarum descriptiones. 
MDCI. Opera tradotta in ted. e stampata a Innsbruck 
nel 1603 col ritratto di Scanderbeg. 

Fontano Giorgio Bertoldo. Historia G, Castrioti, Fran- 
coforte, 1609. 

Bianco Francesco, vescovo di' Sappa. Vita di G, Castrioti, 
Venezia, 1636. 

Margherita Sarrocchi. La Scanderheide, Poema epico in 
14 canti. Roma, 1626. 

Chevreau, Scanderheg. Paris, 1644. 

F. Du PoNCET. Hist, de Scanderheg roi d^Aìhanie. Paris, 1 709. 
Chevilly. Scanderheg ou les aventures du prince d'Alhanie, 

1732. 

G. M. BiEMMi. Istoria di Giorgio Castriotto detto Scanderheg. 

Brescia, 1742. 

Paganel. Hist, de Scanderheg, Paris, 1855. 

JACQ.UES DE Lavardin. Histoire de G, Castrioty roi d'Albanie. 

Andrea Papadopulo Vetro Leucadio. Storia di Scan- 
derheg (trad. dal greco moderno). Napoli, 1820. 

Ugo Zoncada. Scanderheg, Storia del sec. xv. Milano, 
1874. 

C. Padiglione. Di G. C. Scanderheg, Napoli, 1879. 

CuNiBERTi. VAlhania ed il Principe Scanderheg, Torino, 1898. 

Alberto Straticò. Il genio di Scanderheg, Palermo, 1892. 

Encyclopedie universelle des hommes illuftres {Scanderheg). 

MoRERi. Le grand *Dictionaire historique. Art. Scanderbeg. 

Storia di Giorgio Scanderheg (in lingua albanese). Bucarest, 
1898. 

DuPLESSis. Vie de Scanderheg, 



- 257 - 

Cantù, Weber. Storie universali, già citate. 
La VISSE. Hist, generale, ecc., già cit. 



Archivio gen. di Venezia. Nota di documenti riguardanti 

Scanderbeg e il figlio (1458-1467) nel Notatorio 2 

(N. 25 'dell'Archivio) degli Officiali alla Rason Vecchia, 
Codice denominato Graecus con docum. del tempo della 

caduta di Scutari in potere dei Turchi, 1478- 1504. 

(R. Arch. gen. Atti diplomatici restituiti dal Governo 

austriaco nel 1868, n. 231). 
Cesare Augusto Levi. Fene^ia e il Montenegro, Giorgio 

C^ernovich e Antivari, 1443-1494. Gli ultimi conati 

della Ripubblica, Venezia, 1896. 
J. VoN Hahn, Griechische und Albanesische Màrchen. Lipsia, 

1864. 

Saladino turco. Cronaca delTorig, e progressi della casa 
Ottomana, composta in lingua turca e trad. da Vin- 
cenzo Bratutti. 

Chalgondylas. De origine et rebus gestis Turcarum, Libri X. 
Basilea, 1556. 

Marikus BARLErius. T>e expugnatione scodrensi. Basilea, 1556 
(insieme all'opera del Chalcondilas). 

Sansovino. Historia universale deWorigine et imperii dei 
Turchi, Venezia, 1568. 

RiCH, Knolles. Historia Turcica generalis, complectens ori- 
gines Turcarum ad a, 1636. 

Foresti. Mappamondo historico. Vite dei Califfi maomettani 
e degli imperatori ottomani, Venezia, 1706. 

Deguignes. Histoire generale des Huns, des Turcs et des 
Mogols, 

G. Rampoldi. Annali musulmani, Milano, 182261826. 

De Hammer. Storia deirimpero ottomano, (Trad. del Ro- 
manin). 

Zinkheisen. Geschichte des Osmanl, Reich. 

Guillet. Fie de Mahomet II, 



17 



1 



— 258 — 

^ Vincenzo Dorsa,Tajani,Von Hahn, Hecq.uard, Gopcevic', 
Giovanni Schirò, A, Straticò. Anonimo ghego. 
Up. cit 
Periodico La Naiiane albanese. 



Dal principio della dominazione ottomana 
fino ai nostri giorni. 

Storici moderni della Turchia e dei Sultani turchi, del- 
l'Austria e dei sovrani austriaci, della Repubblica Ve- 
neta, del periodo napoleonico e della Grecia. 

« Relatione et descrittione del Sangiacato di Scutari, dove 
si da piena contezza delle città et siti lóro, villaggi, 
case ed habitationi, rito, costumi, bavere et armi 
di quei popoli » fatta da Mariano Bolizza, nobile di 
Cattare, 1614. (R. Arch. gen. di Venezia, Miscellanea 
codici. Cod. n. 254). 

Informazioni sopra origine e metodo delle arbitrarie in 
affari di sangue in Albania (sec. xviii). (R. Arch. gen. 
di Venezia. Cancelleria secreta. Cattaro e popolazioni 
confinarie). 

Matricola della Scola di S. M. e S. Gallo degli Albanesi 
in S. Maurizio in Venezia. (Biblioteca Marciana, CI. VII, 
cod. MCCXXXVII). 

Taluni dei documenti depositati da B. Cecchetti nell'Ar- 
chivio del R. Istituto Veneto. 

Da consultarsi la pubblicazione della R. Sqvrin tendenza 
agli Archivii veneti : Gii Archivii della Regione veneta. 
Venezia, 1881. Voi. II. Città di Venezia. Alle rubriche: 
Dalmazia ed Albania^ Dura^xp, Senato (Decreti Dal- 
maxia ed Albania^ Dispacci Ambasciatori e Residenti, 
Dispacci Provveditori generali). Nobili delF Albania. 

Archivii del Vaticano e di Propaganda Fide. Archivii della 
Compagnia di Gesù. 



— 259 — 

PouauEVJLLE. Mémoires sur la Vie et la puissance d'Ali 

pasciày viiir de Janina, 
Id. Voyage dans la Grece, Paris, 1821. 
Id. Histoire de la guerre pour Vindépendance de la Grece. 
Cerfbeer. Mémoires sur la Grece et V Albanie. Paris, 1827. 
Dora d'Istria. Albanesi musulmani. Nuova Antologia, giu- 
gno 1868, maggio 1870, settembre 1870. 
GopcEVic'. Oberalbanien und seine Liga. Leipzig, i88i. 
Pietro Chiara. U Albania, Palermo, 1869. 
Id. L'Epiro, gli Albanesi e la Lega Palermo, 1880. 
Bernard. La Turquie et TEllènisme contemporain* 
Anselmo Lorecchio. La Questione albanese. Catanzaro 1898. 
A. Baldacci. Gli albanesi nel Montenegro, Boll, della Soc. 

geogr. it., voi. XXXV, 1898. 
Id. V Italia e la questione albanese. Firenze, 1899. 
Giuseppe Schirò. Kènkat e luftès (I canti della battaglia) 

con note e osservazioni sulla questione d'oriente. Pa- 
lermo. 1897. 
Id. Ta Dheu i huaj (Nella terra straniera). Poema, con note 

storiche. Palermo, 1900. 
Gabriello Dora. Kènka e Spràsme e Balés (Il canto ultimo 

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