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Full text of "La rassegna della letteratura italiana"

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

DELLA LETTERATURA ITALIANA 



DIRETTORI 



ALESSANDRO D'ANCONA e FRANCESCO FLAMINI 



^NlSrO XI. — 1903. 



COLLABORARONO! 



F. BALDAS8EB0NI - B. BERTANA - L. BIADENE - A. BONAVENTURA - V. GIAN - 
B. CLERICI - T. GONCARI - V. CRE8CINI - P. d'aCHIARDI - A. d'aNCONA - L. FER- 
RARI - B. FILIPPINI - F. FLiTHJNI - G. GENTILE - P. G. GOIDANICH - G. LISIO - 
P. LONARUO - G. MANACORDA - A. F. MASSÈRA - A. MEDIN - A. M08CHKTTI - 
A. NERI - F. NERI - E. G. PARODI - M. PELABZ - D. PROYENZAL - P. PRUNA8 - V. 
ROSSI - R. SALARIS - I. SANESI - M. STEKZI - E. TEZA - G. VOLPI - F. ZAMUALDI. 



PISA 

ENRICO SPOERRI, Libraio-Editork 



a-- 



INDICE DEL VOLUME XI 



Receimloiii. 



B. Crocb, Etteiica come scienza dell' esprewoRe linguistica generate (F. Neri) . p. 1 
G. Akias, Le IHitmioni giuridiche medievali nella Divina Commedia (G. BaldaAse- 

roni) P« 7 

L. BuoBMB, Il libro deiU tre scritture e i Volgari delle False Scuse e delle vanità, di 

Bonvesin da la Riva (£. G. Parodi) p. 18 

G. Lisio, L'Arte del periodare nelle opere volgari di Dante Alighieri e del sec. XIII 

(O. Gentile) p. 23 

C. Ai'i'BL e E. Proto, Die Triumphe F. Petrarca ecc. e Sulla composizione dei Trionfi 
(A. MoBchettiì p. «7 

V. Vivaldi, La Gerusalemme liber. studiata nelle sue fonti (V. Rossi) .... p. 78 
N. Busitrro, farlo de' Dottori, letterato padovaìio del sec. XVII (E. Bertana) . p. 78 

L. Di Fkamcia, Franco Sacchetti novelliere (G. Volpi) p. 86 

A. Dklla Tokrk, Di Antonio Vinciguerra e delle sue &ttire (V. Gian) .... p. 98 
G. B. Makcuksi, Uomanzieri e Romanzi italiani del Settecento (T. Concari) . . p. \0Z 
L. EiMSTBiM, The Italian Renaissance in England studies (F. Flamini) .... p. 110 

F. Flauiki, // Cinquecento (A. Medin) p. 188 

G. Muomi, Lodovico di Brem ecc. (E. Clerici) p. 140 

A. SoLKRTi, Le origini del melodramma (A. Bonaventura) p. 148 

£. Pamzacciii, // libro degli Artisti (F. D' Achiardi) p. 148 

F. P. Ldiso, Fra Chiose e Commenti alla D. C. (L Sanesi) p. 218 

C. CAt*o«i, Vincenzo da Filicaja e le sue opere (G. Manacorda) p. 217 

J. GiLLiÉBON et E. Edmomt, Atlas linguistique de la France (P. G. Goidanich). p» 210 
F. MoKosciifi, Lez. storiche di Leti. ital. — P. Prtbocchi, La lingua e la storia lettera- 

ria d'Italia ecc. (G. Lisio) p. 223 

A. Bkllomi, Frammenti di critica letttr. (D. Provenzal) p. 228 

Rime antiche Sanesi ecc. (H. Pelaez) p. 288 

E. Clbbici, Il Conciliatore (P. Prunas) p. 268 

Miscellanea in onore di A. fì taf (là. ¥err Ari) p. 280 

T. Gaboallo, Il Palatino d' Ungheria (E. Teza) p. 288 

M. Fuocui, Il Prometeo incatenato (F. Zambaldi) p. 270 



«lOO'^O^ 



ÌV UaIIUIÌIIOMA BlMLlOQRAhfaÀ 



CoBiii]ile»Blonl. 

A. E. MassAra, Un riuuUore poco noio del Sec. XV: Giovanni del Testa da Pisa p. 44 

E. O. Pabodi, / versi comuni a Pietro da Barsegapé e ad Uguccione da Lodi . p. 116 

P. LoKABDO, (Quattro lettere ined. di O. Della Casa p. 154 

U, &AhARUf Ftdvio Testi e un Poemetto anonimo del sec. XVII p. 166 

A. Nbhi, Alcune rime di Q. V, Bossi p. 288 

B. Fiuppixii Scàligeriana p. S78 

Anmuuil blblloirraflel. 

P. Toi^oo, Ètudes sur le Thldtre comique francais du moyen àge eie, (M. Storsi); p. 4. — 
BiblioUca crUica della LetL Ital, diretta da F, Torraca (G. M.); p. 47. — Q. Giaoosa» 
/ castelli valdostani (A. D' A.); p. 180. — G. Bussolara, La Francia daUik Restaura- 
zione alla fondazione della Repubblica (A. D' A.); p. 180. — C. Doi«cbtti, Le bische e 
i giuochi di' azzardo a Venezia (A. D'A.); p. 181 — E. Maai, Donne di storia e romanzo 
(A D* A.); p. 215. — G. Volpi, NoU di varia erudizione ec. (F. Flamini); p. 245. — A. 
Lopobts-Basdi, Nelle Letterature straniere (A. BoDaventnra); p. 278. — E. Bbaiibilla, 
Foscoliana (A. D'A.); p. 277. — G. Nbgbi, Ultimi saggi (A. D'A.); p. 278. — I Fioretti 
di S. Francesco^ nelle ediz. Manzoni^ Passerini, Fomacìari (M. Stersi); p. 280. 

Cronaca pp. 51-72; 124-181; 162-212; 246-252; 288-828 

MeeroloiTie* 

Gavton Paria p. 182 



RASSEGNA BBLIOGRAMCA 

DELLA LETTERATTOA ITALIANA 

Di,ttt9ri: k. D'ANCONA 6 F. FLAMINI. Sdiion: E. 8P0EBBI. 



Anno XI. Pisa, Qbnnaio 1903. N. 1. 



Abbonamento anoao } J^J {i^^ro* ! ! ^i" 2. I Un nnm. Mpiffato Cent. ••. 



SOMMARIO: B. Cbooi, Eat$Hea come tcitnaa dtìV e$pre—ion€ Ungui$Hea gittéraié 
(F. Neri). — O. A bus. Le igiitueioni ffiuHdieks medievali nella Divina Commedia 
(F. Bftldassorooi). — L. Biadink, // Libro delle ire Scritture e i Volgari delle Falee 
Scuse e delle Vanità di Bonvesin da la Riva (E. U. Parodi). — G. Lisio, L'Arte 
del periodo nelle opere volgari di Z). Alighieri e del $ee, XIIL (G. Gantile). — 
G. Appbl, Die Triumphe Franeeeeo Petrareae in kritiechen Texte herauegegeben; 
E. Photo, Sulla eompoeiaione dei TVionfl (A. Mosehdttl). — ComanleaiioDi. 
A. F. M AMÉBA, Un rimatore poco noto del see. XV {Giovanni del Vesta da Pisa), 
— Annonii bibliofrafiei (Vi si parla di: P.Toldo - Bibl. cHtiea della LeU. 
ital.). — Cronaea. 



Bbniditto Croce. — Estetica eoms scienza dell'espressione s linguistica gene- 
rais, — Milano-Palermo-Napoli, R. Sandron, 1902 (S."», pp. XX-550). 

Benedetto Croce riprende e sviluppa ora in modo compiato la trattazione, 
che a?ea già ordita notevolmente in dae saggi, di teoria e di storia: ^ e di due 
parti, teorica e storica, si compone questo libro ; del quale è doveroso notar 
subito la serietà e quella eh* io vorrei dire sincerità scientifica, nella cono- 
scenza precisa delle ricerche anteriori, ordinata e dominata da un pensiero 
originale. Ricordo un piano di studj, descritto dal C. in fine al volume della 
Critica letteraria : ' molto doversi aspettare da un lavoro inteso specialmente 
a sbandire dall* estetica concetti estranei e confusionarj, e a liberare il con- 
cetto dell* arte e del bello dai confini segnati arbitrariamente con 1* uso lin- 
guistico, ' riconoscendo la connessione intima dei cosiddetti fatti estetici ed 
' artistici con altri fatti della vita dello spirito ,. Le idee e le opinioni del C. 
si svolsero e si modificarono in molte parti, V approdo non fu dove egli sup- 
poneva dapprima ; ' ma veramente noi abbiamo ora dinanzi una ricerca si- 
stematica guidata da quegli intenti, una grande opera di semplificazione — 
più volte a dirittura cesarea. 



1 Tdti fondanuntaU di %m*B»tttiea eoo. negli AiUàéVU Pontaniana, voi. XXX, e G, B, Vico 
primo eeopriteri detta aeienta tatétiea, nella FUgrta, aprile 1901. 

t Tedi nella a.a edlz.. Boma. Loeecber. 1896. p. 177. 

e II C. prevedeva nell'insieme nn ritomo alle vedute del Banmgarten, obe ora inveoe 
giudica severamente quale ritrovatore A^W Estetica, nata» e non scienza (oflr. pp. 219 sgg.); 
e nn atteggiamento di oppoeistone egli tiene ora contro tutta l'estetioa metaflaioa tedesca. 



2 RA88BONA BIBLIOGRAFICA 

La conoscenza umana ha dae forme: conoscenza intuitiva e conoscenza 
logica: la prima coglie le eosé, V individuale, per mezzo della fantasia, che è 
produttrice d* immagini; la seconda V universale, le relazioni delle cose, per 
mezzo deir intelletto, che produce concetti. L'intuizione è indipendente dal- 
r intelletto; ma è un* attività spirituale, ciò che forma la materia, e quindi non 
può venir confusa con la materia stessa, con la sensazione, eh* è passività. 
Il G. non nega che attività e meccanismo, specificamente distinti, si possano 
unificare in un concetto pili generale ; ammette che " la ricerca sia da ten* 
* tare ,, ma intanto a lui importa che la differenza sia stabilita. Lo spirito, 
in quanto attività, intuisce e forma nello stesso tempo: T intuizione che noi 
abbiamo di una cosa è la sua stessa espressione: intuire è esprimere, sen- 
z' altro. La scienza dell* intuizione, dell* espressioUe, è 1* estetica: che può 
ancor dirsi scienza dell* arte o del bello, quando s* intenda per arte 1* espres- 
sione e per bello il valore eh* essa raggiunge: questi due concetti, che det- 
tero tanto da fare agli estetici per la ricerca di determinazioni e distinzioni 
precise, si uniscono ora indissolubilmente nell* espressione. Ed è questa la 
veduta nuova del Croce; perché altri aveano già studiato Parte in relazione 
con la conoscenza intuitiva, ma soltanto come espressione di intuigioni, di 
alcune intuizioni d* uno speciale valore estetico. Per render chiaro a noi stessi 
il concetto dell* arte, dobbiamo estenderlo ad ogni fatto espressivo, compreso 
naturalmente quello eh* è il primo e più comune e diffuso — il linguaggio. 

Distinguere, sceverare il contenuto e la forma nell* opera d* arte è impos- 
sibile: in pratica, le analisi rivolte a quel fine si riducono ad un inganno 
verbale, ad una semplice convenzione, che non può toccare 1* intima unità 
e irreducibilità dell* espressione. Quando 1* espressione è formata in noi, essa 
può conservarsi, può riprodursi per mezzo della memoria ; che è aiutata dagli 
stimoli fisici della riproduzione, da quei segni esteriori, cui diamo di con- 
sueto il nome inesatto di opere d*arte: poesie, quadri, statue ecc. Con questi 
se^ni, 1* espressione viene esteriorizzata, comunicata agli altri; il critico, per ri- 
produrre in sé r opera d*arte, ripercorre la stessa via che già fu percorsa 
dair artista : fra gusto e genio, sostanzialmente identici, non v* è differenza che 
di intensità. Cosi il giudizio estetico ha un suo criterio sicuro, che non per- 
mette varietà né discordia : e quando noi siamo esattamente informati delle 
condizioni in cui un* opera d*arte fu prodotta, noi possiamo risentirla in 
tutta la sua bellezza, possiamo serenamente stabilirne il valore. Di qui la 
grande importanza della critica storica, che vuole appunto rappresentarci, con 
la maggiore fedeltà possibile, le condizioni dell* arte in ogni tempo. 

Questa, nella sua ossatura, la parte costruttiva dell* estetica : sulla quale 
— poiché la filosofia è unità e non v* hanno scienze fllos(iflche particolari 
se non come un aspetto, un lato determinato di quell'unità inscindibile — 
il G. inserta il suo disegno di una filosofia dello spirito. L* attività spirituale 
è teoretica e pratica : teoretica, nella forma intuitiva e nella forma intellet- 
tiva ; pratica, nella forma meramente utile, o economica, e nella forma mo- 
rale. Questi quattro momenti, o gradi, sono disposti in modo che i gradi teo- 
retici stanno ai pratici come il primo teoretico al secondo teoretico e il primo 



DBLLA LBTTBRATUBA ITALIANA B 

pratico al secondo pratico. Il solo fatto estetico è indipendente: ma non v'ha 
concetto senza intuizione, e non v'ha un fatto pratico senza la conoscenza, 
nelle sue due forme : V utile presuppone cosi V intuizione e il concetto, e la 
moralità presuppone Futile. Non esistono altre forme di attività spirituale: 
je se altre ne furono poste, si riducono tutte sotto il concetto (felle precedenti : 
cosi, notevolmente per noi, la storia sotto il concetto delP arte. Il G. combatte 
la storia ideale, che ' si muta per intrinseca necessità in una scienza o filo- 

* sofia dello spirito « (p. 43), ed è questa sola la scienza, la vera scienza e 
perfetta : fuori di essa, abbiamo complessi, non sistemi di conoscenze : * ciò 
'che di scientifico è nelle scienze naturali, è filosofia: ciò che vi è di na^ 

* turale, è mero fatto , (p. 33) ; quando si pone un concetto, si rientra nella 
cerchia della filosofia : * sui fatti naturali si può ragionare ; ma non si può 
'cavarne quel sistema, Me solo dello spirito.. La storia, le scienze natu- 
rali, le matematiche sono forme secondarie e miste della conoscenza : le due 
forme pure o fondamentali sono V intuizione che ci dà il mondo, il fenomeno, 
e il concetto che ci dà il noumeno, lo spirito (p. 34). Alla quale ultima af- 
fermazione non sapremmo accostarci in nessun modo, perché varchiamo con 
essa i limiti d' ogni critica della conoscenza : il G. infatti muove dall' osser- 
vazione interna, dal soggetto conoscente, dallo spirito, e ci offre lungo la via 
analisi e discussioni di una reale utilità; ma a questo punto noi ci troviamo 
di fronte il concetto, che non studia più le relazioni tra fenomeni — come 
dev'essere, e come si era stabilito —, ma qualcosa che ne sconfina, e ci dà 
esso stesso un noumeno, lo spirito. E, quanto alla posizione rispettiva delle 
scienze naturali e della filosofìa, sarebbe poco male se noi dovessimo in- 
tendere col nome di filosofia tutta la conoscenza ; ma con ciò non si muta 
d* un punto la questione intorno alla conoscenza stessa. Il G. non vuole che 
si parli di convenzioni per le energie dello spirito: * perché si abbiano con- 

* venzioni particolari, è necessario che esista qualcosa su cui non si con- 

* viene, ma che sia l'agente stesso della convenzione; l'attività spirituale 
' dell' uomo. La limitatezza delle scienze naturali postula l' illimitatezza della 
' filosofia ,. Da ciò che ha premesso ij G., risulta solo che la parte veramente 
scientifica delle scienze naturali dev* esser compresa, è anzi compresa nella 
filosofia; ma non vien luce sulla misura, sui confini del nostro apprendi- 
mento, e questi confini, se e* erano, rimangono, senza differenze. 

Quest* obbiezione ci basta aver qui soltanto accennata; ritornando alla 
parte propriamente estetica, nella teoria del G. v' è tutta una serie di discus- 
sioni contro gli arbitriti malintesi, i concetti fallaci che ingombrano ì pre- 
cedenti sistemi filosofici, ed anche l'interpretazione comune dell'arte: il G. 
pone ben chiaramente la necessità che sia riconosciuta l' indipendenza del- 
l'arte a fondamento di ogni sana ricerca estetica. Ma la sua critica è volta 
soprattutto a distruggere quattro errori particolari, de' quali anche, a conclu- 
sione del suo libro, fa una rapida storia, e per 1* importanza loro e perché 
di continuo rinascono sotto varie forme ad insidiare il progresso della scienza. 
11 primo è quello delle categorie rettoriche, della forma ornata : ora, non esi- 
ste un ornamento che possa aggiungersi all' espressione, come una ricchezza 



4 RA88B01IA BIBLIOORAFIOA 

pili squisita, una bellezza più delicata ed accorta : la parola propria è quella 
che esprime P immagine, cosi com*è: e la metafora o la perifrasi o T ellissi 
che altro sia, non è che la forma stessa, balzata viva, tutt* uno con V idea. 
Il che é verissimo, e sarà bene insistervi e battervi su fin che rimanga traccia 
di queir insegnlDtnento artificioso, che disgiunge la forma dal pensiero, dal- 
r immagine, ciò è dalla sua stessa ragion d'essere: è una conseguenza lo- 
gica di ciò che si ò appreso studiando la natura dell* espressione, dove con- 
tenuto e forma sono inscindibili. Ma il G. non trae questa conclusione dai 
principj già stabiliti ; per giungere a una demolizione più complessa, muove 
nuovamente dair osservazione interna. Ogni espressione dev'essere considerata 
in sé, e, fra le moltissime altre, non può riaccostarsi a questa piuttosto che 
a quella : " si scrutino quanto si vuole i fatti estetici, e non si riuscirà a 

* trovare tra essi differenze formali, né a scomporre il fatto estetico in un 
' fatto estetico di primo e in un altro di secondo grado. Ciò significa che 
" non è possibile una classificazione delle espressioni , (p. 71). E questa con- 
clusione il G. avvalora col fatto che variano continuamente ' le impressioni 
'ossia ì contenuti: ogni contenuto è diverso da un altro, perché niente si 
' ripete nella vita ; e al variar continuo dei contenuti segue la varietà irri- 

* ducìbile dei fatti espressivi, sintesi estetiche delle impressioni ,. Diciamo al- 
lora che non sono possibili le classificazioni delie impressioni, ciò è che in 
natura non sono possibili le classificazioni : ^ a rigor di termini, potremo con- 
venirne tutti; ma in questo caso non vediamo ragione di combattere unica- 
mente le classi delle espressioni. 

In questa recisa negazione a noi pare si accolga quanto è di eccessivo 
in altre due critiche, mosse dal G. ai concetti dei generi artistici e letterary 
e dei limiti delle arti. Egli combatte la teorica dei generi come un'intro- 
missione intellettualistica nel fatto estetico. Entrando in una galleria o leg- 
gendo una serie di poemi, si può ' dopo aver guardato e letto, proceder oltre, 
'ed indagar la natura delle cose colà espresse,, ritrarre da quei singoli 
quadri e componimeati le astrazioni di costumi, paesaggi, ritratti, fatti tra- 
gici ecc. La contemplazione estetica ha dato luogo ad un pensiero logico, ad 
un raziocinio, ai concetti, popiamo, della vita domestica, della cavalleria, 
deir idillio, della crudeltà. " Ma nessuno può obiettar nulla a tal procedere . . . 
" L'errore comincia quando dal concetto si vuol dedurre V espressione, e nel 
' fatto sostituente trovar le leggi del fatto sostituito ,, quando noi ci chie- 
diamo: ' qual'è la forma estetica della vita domestica, della cavalleria, del- 

* r idillio, della crudeltà, e cosi via V come debbono essere rappresentati que- 

* sti contenuti F » Di qui le leggi o regole dei generi, che sono false, assurde 
fin dalla radice. I critici pretendono allora di comparare ogni nuova opera 
ad un lor modello ideale, giudicare secondo un lor proprio codice, aristotelico, 
o classico, o romantico; invece, l'opera d'arte vuol essere confrontata con 
sé stessa, e non con altre, perché in sé, nella sua vita interiore, reca la sua 

1 II Cdel resto non ammette^uddlTlsioni originali nelle quattro forme dello spirito 
{ott. p. 141). 



DIÉLLÀ LtettÉiUTÙttA ITAUAMA h 

beileixa. ita quando il d ano messo che Don ci son lèf(gi di un genere, segue 
afTermando che non ci sono generi, dissimula un salto, che in realtà non 
è cosi agevole. Lo stabilire i generi e lo studiarli è precisamente un processo 
logico, intellettualistico, che ne. campo della scienza non è più un" intromis' 
noH$; r intelletto ha la sua parte nell* esame dei prodotti artistici, a quel 
modo che 1* Estetica è scienza, cioò risulta di concetti. Questa lotta a oltranza 
contro i generi deriva da queir opposizione generale ad ogni classe di espres- 
sioni; mentre chi ne ammette la possibilità può ricercare nelle opere d'arte 
le intime e reali affinità psicologiche di certi gruppi, che son detti, ad es., 
lirici o drammatici: purché non si traggano leggi e non si creda di pos- 
seder la tavola compiuta e infallibile di ciò che V ingegno umano può varia- 
mente produrre neir arte, e, nella stessa considerazione storica, non si parli, 
come si parlò, di una solitaria e schematica evoluzione dei generi. Anche 
qui, si tratta di far bene ; e, quando sia ben fatto, ò giusto e lodevole che si 
rappresenti lo svolgimento di un genere, per coglierne la parte vitale dopo 
i tentativi mal certi, e lo sfiorire e lo smarrirsi, e anche, a volte, il rinnovarsi 
guaduale attraverso un pensiero ed un* arte più fresca. 

Il G. stesso, ad altro proposito, non finisce con V ammettere nn certo 
criterio di genere quando descrive il progresso, eh' è nella storia artistica 
e letteraria, non sopra un'unica linea, ma in tanti cieli progreeeivi " cia- 

* scuno col proprio problema, e progressivo solo riepeito a quel problema , ? 
Egli reca V esempio tipico del progresso nelF elaborazione della materia ca- 
valleresca dal Pulci airAridsto. " Con V insistere ancora su quella stessa ma- 
' teria non si avrebbe se non la ripetizione od imitazione, il diminuire o 
" r esagerare, il guastare il già fatto, insomma la decadenza. Esempio, gli epi- 

* goni ariosteschi. Il progresso comincia col ricominciar di un nuovo ciclo. 

* Esempio, il Cervantes . (p. 137). Ed ecco una serie di opere artistiche riu- 
nite in un gruppo, secondo il principio dell' elaborazione successiva di una 
materia comune. 

Il C, combattendo ogni concetto di limiti fra le arti, fa ancora la critica 
delle classificazioni estetiche (pp. 115-16); e qui, oltre al fatto di una possi- 
bile partizione (non gerarchia) delle arti, la stessa intrinseca colleganza del 
< contenuto e della forma ci costringe a parlare di espressioni musiecili, pit- 
toriche, e simili : possiamo astrarre dal suono e dal colore, come semplici 
ietrumenW, ma non dalla natura originaria, intuitiva, di una data espressione. 
— Un quarto errore particolare ò il bello fisico, il bello di n<Uura: coerente alla 
alla sua teoria, il G. non può ammettere la bellezza se non come attività spi- 
rituale, e quindi un oggetto esterno non è di per sé né bello né brutto: tut- 
t' al più, queste parole posssono significare, crediamo anche pel G., una mag- 
giore o minor convenienza dell'oggetto col proprio fine naturale. In altri 
casi uno spìrito agile di artista compie sf rapidamente e si di frequente il 
processo estetico delle impressioni, che non sa distinguere la materia dalla 
forma, ch'ò produzione del suo spirito: ciò avviene un po' in tutti ed è aju- 
tato da molti fraintesi, ormai comuni pel lungo uso. 

La Storia del G. ci rappresenta lo svolgimento dell' Estetica come scienza 



1 



6 ìtÀSSBaifA BIBLIOÒRAPiOA 

deW espressione, scienza moderna di cai le prime linee già si disegnano nel- 
r opera universale del Vico : nondimeno il G. riprende brevemente Io studio 
dalle teoriche deir arte neir antichità. Riconosciuto il valore di questa ricca 
e densa rassegna, non sta ora in noi rilevare o aggredire alcuni giudi^ e al- 
cune vedute particolari; ma da un* osservazione non sappiamo tenerci, poiché 
ci pare che il Kant e lo Schopenhauer n* escan più depressi che non si con- 
venga, in una storia appunto della scienza intuitiva : V intuizione, quale mezzo 
conoscitivo necessario e indipendente, entra davvero nel dominio scientifico 
col Kant. È, più che altro, una questione di proporzioni : il G. dopo la scoperta 
del Vico ha reagito anche troppo contro i pensatori tedeschi. 

Ma v* è nel libro del G. qualcosa che nelle rigide, aride linee schematiche 
imposte alla brevità di una recensione, non è possibile mantenere né ripro- 
durre: ed è la vivacità della ricerca, T amore, che a volte scatta nella passione, 
per quest' ordine di studj ancora dubbioso, considerato finora dai più con 
una diffidenza inerte. Qualunque debba essere la parte acquisita alla scienza 
per queste indagini del G. — - e la più vitale e feconda sta certo nel riacco- 
stamento, nella compenetrazione del fatto estetico col linguaggio, con V espres- 
sione, inlesa cosi nel suo significato più vasto e insieme più preciso, — il 
nobile desiderio deir autore, di acquistare amici a tali studj, spianando osta- 
coli e indicando vie da percorrere, * sarà ad ogni modo compiuto : il G. serba 
anch^egli * l'attrattiva di quegli scrittori che, oltre ciò che danno essi, addi- 
tano e fanno intravvedere una ricchezza da conquistare ,. La Storia del G. 
ha sulle precedenti il merito di tener conto e di Xrattar più da vicino di certe 
opere critiche, ch'erano state prima escluse o trascurate, ritenute quasi estranee 
air estetica propriamente detta: ad es., le Poetiche del Ginquecento. E uno 
dei più vibrati capitoli di tutto il libro è quello sul De Sanctis, argomento 
carissimo al G.; il quale anche riconosce — ciò che davvero non gli accade 
di frequente — un grande valore negli scritti di due estetici, THanslick e il 
Fiedier, che sono appunto due critici. Egli combatte le teorie estetiche parti- 
colari, ma non vuole rinchiudersi nella pallida e sola speculazione astratta : 
sente e ricorda la necessità dello studio vivo, ad immediato contatto con 
r opera d' arte, e di una letteratura critica che sia vigorosamente congiunta 
con r Estetica. 

Ferdinando Neri. 



1 V. Pì'tfaxiont; p. IX. 



DKLLA LntKRAltTtU ItALtANA 



G. Arias. — Le istituzioni giuridiche medievali nella Divina Com- 
media. — Firenze, Lumachi, 1901 (8.^ pp. VI-240). 

Le istitazioni giuridiche dei tempi di Dante furono, in gran 
parte, multiformi e contraddittorie, derivando alcune dallo scom- 
parso regime feudale, altre invece da quella società mercantile, 
che, piena di audacie innovatrici, portò seco tutto un diverso 
modo di pensare e di agire. 

Lo scopo che T Arias si è proposto è stato quello di mettere 
il pensiero di Dante in relazione con tali opposti concetti giuri- 
dici, di ricercare quali di quei concetti il Poeta approvò, di ve- 
dere infine qual giudizio egli dette delle tendenze e delle aspira- 
zioni deir età sua. Alle quali non poteva certo essere favorevole un 
uomo, che, come Dante, sinceramente rimpianse i tempi di Caccia- 
guida, quando Firenze, dentro il cerchio ristretto delle sue mura, 
e si stava in pace, sobria e pudica >; un uomo, che alla < gente 
nuova > e alle nuove idee soqiali ed economiche, che le classi 
commercianti introdussero, si mostrò tenacemente contrario. Per- 
ciò egli non solo aderf alle istituzioni giuridiche, che furono 
comuni ai due momenti storici, cui abbiamo accennato; ma 
delle altre, di quelle che seguono necessariamente la evoluzione 
dei tempi e mutano con il rinnovarsi delle condizioni sociali, 
egli approvò quelle soltanto, che provenivano da un* età ante- 
riore: egli insomma rimase fedele alle costumanze del passato e fu 
uomo feudale. Tale appunto è la conclusione, cui giunge P Arias : 
con quali argomentazioni e con quali prove, vedremo: ci affret- 
tiamo intanto a riconoscere che, sebbene non abbiano tutte 
eguale valore, esse acquistano, dal loro complesso, singolare 
efiicacia. 

Esaminata la definizione dantesca del giure, PArias vuol dimo- 
strare che il Poeta esaltò V opera legislativa di Giustiniano, non 
già per il suo intrinseco valore, ma per la sua importanza e 
convenienza politica. Dante ebbe poi un dispregio certo eccessivo 
per r opera dei giuristi contemporanei, che pur qualche bene 
apportarono alla società comunale, e, per cause religiose e po- 
litiche, dette giudizio molto severo della legislazione ecclesiastica 
e specialmente dei suoi commentatori: ond^è da concludersi che 
e non fu né cultore, né giudice benevolo, o semplicemente equo, 
€ della scienza del diritto» (p. 26). Ma la noji profonda cono- 
scenza che Dante ebbe del giure, non esclude che nella Commedia 



S njMEQÌHA BIBtilOQttAnOA 

si ritrovino accenni, spesso involontarj, ma non per questo meii 
degni di esame, alle istituzioni del M. E., tra le quali < tiene prin- 
«cipalissimo luogo la vendetta privata» (p. 31). L* Arias non 
accetta T opinione dello Scherillo e pensa che Dante più che 
condannare questo istituto, ne vituperi il tralignamento. Il Poeta 
non coinvolge infatti nello stesso biasimo Mosca e Buondelmonte, 
il consigliatore e la vittima? {L^. XXVIII, 103 e sgg.: Farad. 
XYI, 136 e sgg.) E non è giusto pensare che condanni il primo 
solo perchè suggerf una pena sproporzionata alla colpa delP altro? 
(p. 48). Eppure, il rimprovero che D. fa a Buondelmonte e Tal- 
lusione al «giusto disdegno» degli Amidei (Farad. XVI, 137)* 
inducono a credere che il Poeta giudicasse severamente la loro 
vendetta, non tanto perché gli sembrò lontana da ogni equa re- 
tribuzione del male, quanto perchè vide in essa un ben triste 
esempio di giustizia privata e gli apparve come il principio di 
quelle implacabili inimicizie, per le quali il giglio della sua 
Firenze si fece vermiglio. 

Del resto, i molti luoghi della Commedia citati dalFAut. 
a pp. 43-45 non si possono riferire alP istituto della vendetta, 
sicché quelle testimonianze non dimostrano punto che Dante la 
riconoscesse, come forma di giustizia. Ma resta V episodio di Geri 
(Inf. XXIX, 18 e sgg.), che — a prima vista — sembra confer- 
mare pienamente la tesi dell'Arias. Tuttavia, quando leggiamo a 
p. 55 che se il poeta elogiò nel « buon » Marzucco un atto di per- 
dono {Furg. VI, 17-18), cadde allora in « una delle consuete cou- 
c tradizioni degli uomini medievali », pensiamo che assai meglio si 
spiegherebbe una di tali contraddizioni nelPepisodio di Oeri, mentre 
D. si trova dinanzi uno e spirto del suo sangue » e il cruccio del- 
l'ucciso consorte lo commuove e lo turba. Qui veramente è le- 
cito credere che, per un sentimento spontaneo ed improvviso, 
risorga in D. l'uomo del tempo suo. 

L'Arias osserva inoltre come in alcune pene imaginate dal 
Poeta, si ritrovino tutti i caratteri della vendetta privata: così i 
fratelli Alberti cozzano insieme « mossi da quello stesso senti- 
< mento d'ira perversa, che si mantiene immutato, oltre tomba» 
(p. 57) e il conte Ugolino morde con rabbia il cranio del suo ne- 
mico. L'osservazione è giusta, ma forse non è favorevole alla tesi 
dell' Arias, poiché D., imaginando che i dannati invano ricerchino 



i Notevoli le parole dell'OrriMO « E dice per lo giusto disdegno, però ohe li Amidei 
■ ebbero cagione manlfeeta di dlidegntnl, d come più nobili, coutra li BuondelmonU ■• 



DBLLà LBrmUTUBA ITALIANA 9 

nella vendetta uno sfogo ai loro odj, un lenimento ai loro mar- 
tiri e in essa ritrovino invece un nuovo tormento morale, per 
biasimarla ancora una volta. 

N^l capitolo su La solidarietà comunale e famigliare si afferma 
tra raltre,<che le invettive dantesche contro alcune città deiri- 
talia sono inspirate a quel concetto medievale della solidarietà 
« che involge, specie nelle colpe, tutti i cittadini di un medesimo 
«stato» (p. 64); sicché, per TAut., i fieri disdegni contro Pistoia 
(Inf. XXV, 10-12) e contro Genova(Jn^. XXXIII, 151-57) sarebbero 
suggeriti dalle malvagie opere di Vanni Fucci e di Branca d^O- 
ria, mentre è forse più giusto pensare che il Poeta prenda oc- 
casione dalle colpe dei due dannati, per esprimere un severo giu- 
dizio sulle città dove nacquero.^ 

Con queste osservazioni non intendiamo punto infirmare Tidea 
fondamentale del lavoro deir Arias e siamo assai lontani dal pen* 
sare che D. abbia precorso i tempi e intuite le verità poste in 
luce dalla moderna scienza penale; ma non vorremmo che, nel 
combattere i sostenitori di tali erronee credenze, si peccasse « per 
«troppo di vigore». E veramente a noi sembra che l'Alighieri, 
pur essendo uomo del M. E. e seguace di idee e costumanze, che 
già a^ tempi suoi andavano scomparendo, abbia potuto, per al- 
tezza di ingegno, disapprovare taluna di quelle consuetudini, che, 
in generale, Io trovavano consenziente. 

L'Arias ha poi veduto nel Poema involontarie reminiscenze 
di istituti giuridici, anche là dove, a nostro credere, le idee di Dante 
furono generate da ben altri ricordi. Gosf, trattando del sistema 
penale nella Commedia, egli osserva : « Il primo scopo che la 
« pena si prefigge è la vendetta: si renda all'offensore male per 
« male. Analogamente la Divina vendetta del Poema Dantesco si 
« studia di attribuire una pena del tutto rispondente al male com- 
« piuto. Tuttavia la pena del Medio Evo ebbe pure un fine più 
«elevato; V espiazione. Dante, seguendo l'uno e l'altro concetto, 
« applica il primo nell'Inferno, il secondo nel Purgatorio ». (pé 79). 

Ora, l'analogia tra i principj direttivi del sistema penale dan- 
tesco e quelli del sistema penale del M. E. esiste, ma — a parer 
nostro — è puramente casuale; dacché il duplice concetto della 
vendetta e dell'espiazione fu offerto al Poeta dalle dottrine cri- 
stiane e a quelle soltanto egli dovette inspirarsi. Giusto invece 

1 è da OMerrare ohe il giadisio di D. si aooorda con quello di altri porliiorl del tempo. 
Ctt. le parole di O. Villaoi (Cronica, 1, 33) en Piatola ; e quelle di Jacopo d'Oria bq Genova 
{ÀhttnU» ginutnaest in B. 1. S.» VI, 608) cit. auohe da T. CmIuì uel ano noto commento «Ila D. 0, 



10 ftijgmifA BiBUoeiuricu 

e qltrempdo opportuno è il raffronto, che T Aut. fo, tra. le singole 
pene imaginate da D. e alcune tra le più caratteristiche del 
tempo (p. 87 e sgg.): o T argomento — come altri ha osservato,^ 
— r sarebbe stato degno di meno fuggevole illustrazione. 

Nella IV parte del libro (Ordinofnentù giudiziario) è inserito 
un articolo, che già vide la luce nella ttaasegna Nazionale (l."" 
aprile 1901): in esso T^^^^^ ^"^^ dimostifare che la nota simili- 
tudine dei campioni e nudi ed unti » {Inf. XVI, 24-22) non si ri- 
ferisce — come sostiene il Davidsohn • — ai campioni del duello 
giudiziario, sibbene « agli spettacoli di lotta, i quali, a somiglianza 
€ degli antichi avevano luogo nelF età medievale » (p. 183). 

II Davidsohn ha, alla sua volta, confutato autorevolmente la 
tesi deir Arias, ' adducendo a conferma della sua, nuove testimo- 
nianze, le quali hanno certo molto valore per dimostrare che il 
duello giudiziario vigeva ancora nei primi decennj del sec. 
XIV, ma non provano, con eguale evidenza, che i campioni vi 
combattessero — come i Danteschi — nudi, unti e senz'armi; 
cosicché non ci pare possa affermarsi che la questione sia defini- 
tivamente risolta. 

Chiude questa parte del libro un capitolo, nel quale si illu- 
strano le parole del De Monarchia sul giudizio di Dio e giusta- 
ipen\te si conclude che le teoriche di Dante, favorevoli alP effi- 
cacia probatoria del duello, dimostrano ancora una volta come 
egli sia « il Poeta del Medio Evo, spoglio, è vero, delle sue più 
e ba^se volgarità, ma non delle sue idee, di quelle soprattutto che 
€ attiqgon vita dalla fede > (p. 140). 

Lfi quinta parte tratta del Diritto civile e specialmente degli 
U$i nuziali' Dopo aver dimostrato che < T inanellare è proprio del 
< fidanzamento e il deaponsare o < consentire per sua sposa > ìtta- 
€ nettando, è proprio del matrimonio > (p. 149), T Arias scrive ohe 
nei versi della Pia {Purg. V, 135-36) e* è una manifesta allusione 
alle due cerimonie, e — accettando la lezione disposata — spie- 
ga in tal modo il noto passo: «Lo sa colui che me, già fidan- 
« zata d' altri, aveva tolto per sua sposa > (p. 150). Ma se ci fer- 
miamo «air esame genuino de' versi danteschi» la interpreta- 
zione non è da accettarsi che in parte. Il Mazzoni ne ha parlato 
di recente nel Bull, della Società Dantesca: ^ la lezione disposando 

i V. U KQeofliooe di O. Salyrminx in Bull. d. Soe, Dani. 74. N. S. IX, 112 e agg. 
> < / campioni nudi ed unii > in BuU, oit., N. S. VII, 89-43. — L'àbub (p. 126, noU 1) ne 
■bagllA la eitastonr. 

• In BnU. d, Soe. Dant$9ca N. 8. IX, 18S-187. 
. « N.B. 1X^82 4 Bgg. 



DBLLà LIBTTBtUtuaA ItAtlAIlA U 

— egli ha osservato — è da preferirsi per numero e au{x)rità di 
codici e, poiché essa esclude subito che il Poeta abbia alluso a un. 
precedente fidanzatpento della Pia, < si ha da ritrovar^ nei versi di 
€ Dante con Taccenno a tutt^^ due le cerimonie, T identità della 
€ persona, che prima fu fidaqzato della Pia e le fu quindi marito >. 
Ma, secondo noi, anche con la lezione disposata .(^ indubbiamente 
' meglio che con V altra) si può pensare che il fidanzato ,e il mar 
rito sieno la persona medesimii: 

Salai onlai che, InanelUU pria, 
Dlopoiata m'avea con la aaa gemma. 

« Lo sa colui che, avendomi prima inanellata (è la cerimonia 
< del fidanzamento), mi aveva poi disposata con la sua gemma (è 
«la cerimonia del matrimonio)». Con T altra lezione invece le 
difficoltà di ammettere il duplice accenno sono assai gravi; e non 
occorrono certo molte parole per dimostrare che quel disposando 
appar subito come un inciso, che presuppone logicamente una 
contemporaneità nelle due azioni del disposare- e delf inanellare. ^ 

La dote e le seconde nozze danno argomento a due capitoli 
successivi, nel primo dei quali P Arias prende occasione da un 
noto passo del Paradiso (XV, 103-105) per indagare le cause che 
determinarono un accrescimento nel valore della dote e per di- 
mostrare come tale fenomeno sia dovuto al passaggio dal regime 
magnatizio al mercantile, nonché al progressivo deprezzamento 
del capitale mobiliare, che rialzò, di conseguenza, il valore della 
moneta. Anche le osservazioni contenute nelP altro capitolo sono 
tali, che ognuno dovrà convenirne. La dottrina dei Padri della 
Chiesa fu contraria alle seconde nozze, mentre la legislazione ca- 
nonica vide in seguito la necessità di non avversarle: ora, P Arias 
afferma a ragione che Dante, per queir intenso desiderio ch^ egli 
ebbe di tornare ai principj originarj e puri del Cristianesimo, 
preferì la teorica primitiva: e che tale fosse il pensiero del Poeta 
dimostra chiaramente T episodio di Nino Visconti. 

Della moneta, del contratto di mutuo e delP usura, TAut. tratta 
nella sesta parte del libro, dimostrando larga conoscenza delle 
dottrine economiche dell'età medievale. L'Alighieri, fieramente 
avverso attempi nuovi e al nuovo ordinamento sociale, non si 



> Se non ai ammette questa oontemporaneità, ò necessario Bforxare il teilo a una simile 
interpretazione : « Lo sa colai che mi aveva prima inanellata, poi disposandomi >. B il poi, 
in tal caso, è sottinteso nel verso con odo sforsu ecoesaivo di buon volere. 



12 RÀASUgKA ÈIBUOÒkAPIGÀ 

curò della glorii^ cbe dai traffici derivava alla sua j^irenze: da 
ciò ha origine, in parte, il suo sdegno per T espansione del e ma- 
€ ledetto fiore » {Farad. IX, 130) e la sua indifferenza per i danni 
subfti dal commercio fiorentino, quando Filippo di Francia fai" 
saggiò la moneta {Farad. XIX, 118-120). E contro F usura egli 
si scaglia e per alto intendimento morale e civile > e < punisce 
€ con pena più delle altre grave e vergognosa gli usurai » (p. 202). 
Molto bene T Arias, parlando dei tormenti, cui essi sono condan- 
nati, dà alla borsa che pende loro dal collo un significato di 
fiero rimprovero per la nobiltà usuraia, che, dimentica della sua 
origine, si era data al commercio bancario. 

L\ultima parte {La costituzione politica e sociale dei comuni) 
si apre con un capitolo, dpve TArias tenta di dimostrare che le 
parole dei due frati gaudenti Bolognesi {Inf. XXIII, 103-108) 
alludono non solo al podestà, ma anche airUfficiale forestiero 
della Mercanzia: T ipotesi tuttavia dovrebbe essere confortata da 
ragioni più convincenti e più salde. ^ D'altronde — non siamo noi 
i primi a notarlo * — queste ultime pagine appaiono incompiute 
e troppo affrettate. E cosf è da giudicarsi la breve conclusione, 
con cui termina il pregevole libro. 

Pregevole veramente, e degno di essere, più che letto, studiato. 
Se non sempre le ipotest e le affermazioni espresse dalP Arias 
appaiono convincenti, se nell'opera sua si avvertono talvolta di- 
vagazioni e sovrabbondanze e taP altra lacune' o troppo fugge- 
voli accenni a luoghi della Commedia, che meritavano trattazione 
p^ù ampia; è doveroso riconoscere che il libro ha, non di rado, 
pagine ricche di osservazioni nuove ed acute, e. interi capitoli, 
dove i concetti giuridici dell'età medievale sono illustrati con 
perspicuità e il pensiero di Dante è compreso compiutamente. 

E noi ci auguriamo di vederne presto una seconda edizione, che 
— resa migliore per le cure assidue dell' Aut. — anche tipogra- 
ficamente appaia più corretta. 

i : F. Baldàsseboni 



i V^ ft qtiesio proposito, le oi«er¥azioni del SaÌì^iìiiix (ioùk ttik» p. 113. nota). 

t Gfr.U reoeneione del B.iii QiomaU SioHco della Uti. Ite YoLXXXÌX (1909), p. 416. 

s Alcnne ne ha notate 11 Salvbkutx uelU reoenaione oit. 



DBLLA LVFTBRATURA ITALIANA 13 



Lbawdro Biadine. — Il Libro delle ire Scritture e % Volgari détte 
False Scuse e détte Vanità di Bonvesin da la Riva, — Pisa, En- 
rico Spoerri, 1902 (8.*, pp. XXXVIIM13). 

In questo volume il Biadene pubblica le poesie di Bonvesin 
da Riva, che conservava ancora inedite, fino a poco tempo fa, il 
noto cod. Ambrosiano T, 10 sup.; e cioè tutte le poesie ch'erano 
rimaste inedite del fecondo verseggiatore lombardo, ad eccezione 
della Vita di Sanf Alessio, che si trova in un altro Ambrosiano e 
della quale finora non venne comunicata al pubblico che solo una 
parte. È noto che i medesimi testi furono, qualche tempo prima che 
dal Biadene, pubblicati da Vincenzo de Bartbolomsdis, nei Documenti 
di Storia letteraria della nuova e benemerita Società filologica ro- 
mana. Come rincontro dei due romanisti sia avvenuto non sappiamo 
e non importa di sapere, ma si può con sicurezza afiPermare che le 
conseguenze non ne sono state dannose per Bonvesin; giacché il 
Biadene, che all'uscire del primo fascicolo dell'edizione del de 
Bartholomaeis si trovava ad aver già stampato la sua, fu indotto a 
una nuova revisione del manoscritto, del cui risultato, benché ai 
riduca ad assai poco, rende conto in fine del volume, e a compilare 
il Lessico de' suoi testi, del quale aveva prima creduto di poter 
fare a meno. Abbiamo dunque davanti a noi un'edizione delle 
più accurate e nel tempo stesso delle meglio illustrate. 

Il più importante e il più esteso dei tre poemetti^ editi nel 
volume, è U Libro dette tre Scritture, diviso naturalmente in tre 
parti: eia Scrittura negra, che tratta della nascita, vita e morte 
€ dell' uomo e delle dodici pene infernali; la Scrittura rossa, che 
€ narra la Passione di Cristo ; la Scrittura o Lettera dorata, che 
€ descrive le dodici glorie del Paradiso ». Segue il Volgare dette 
false scuse, che gli uomini adducono per trovare un pretesto di 
non seguir'la virtù; e il Volgare delle Vanità, il quale, come dice 
da sé il titolo del cod. T, 10, Como le vanitade deno fi despresiade, 
mostra che pazzo e cieco è l' uomo il quale si assottiglia per af- 
ferrare un'ombra, che tosto dilegua, cioè i vani beni del mondo. 

Questa che son venuto indicando, è la divisione del Biadene. 
Ma non è da tacere che, secondo il de Bartholomssis, invece, i tre 
poemetti si ridurrebbero a due, giacché il secondo, ossia il Volgare 
delle false scuse, non sarebbe che una continuazione del primo e 
farebbe quindi parte integrante della terza parte di esso, la Let" 



\ 



14 RABSBGNA BmLIOeRAPIOA 

tera dorata. Quale dei dae editori abbia colto nel segno non è 
cosf facile decidere. La contiguità delle due parti nel codice prova 
poco, anche perché in esso le tre Scritture sono separate V una 
dair altra, per mezzo di altre poesie- frapposte, e prima di tutte 
ricorre T ultima, lek- Scrittura dorata; ma parrebbe invece provare 
in favore del de Bartholomasis la convenienza deir ultima quar- 
tina del poemetto con la prima del Volgare delle false scuse. 
La quartina di chiusa suona cosf: 

Oy Deo,oomo queUo è mtto.eatiro -e àgamon* 
ke perde cotale thezoro. trovando excmatione! 
corno quello è prode e savio, corno quello è barooe, 
ke per ben fare aqniata ■£ grande pouessione I 

E l'altra: 

Molti homlni in questa vita se dano exoueatione 

ke elll eeraveno boni, ma dixeno che non pono, 

perzò che avere non veleno brega né passione. 

Oy Deo, éomo qnilll sono màtl ohe troveno tale oaxonei 

Osserva però giustamente il Biadene che Bonvesin poteva, 
cominciando il tiuovo poemetto, avere in mente V ultima strofa 
di queir altro suo lavoro; e, a dire il vero, non è cosf ricco il 
materiale linguistico e fraseologico di cui dispongono codesti au- 
tori, né cosf ferace la loro fantasia che noi dobbiamo maravigliarci 
se tratto tratto si ripetono quasi colle medesime parole. Ed è pure 
verissimo che fra i componimenti di Bonvesin si riscontra di solito 
un legame logico assai stretto, senza che ciò importi una vera e 
propria continuità. A me pare infine che se si guardi attenta- 
mente, la strofa di chiusa del LO>rà delie tre Scritture si dimostra 
scritta quando ancora il poeta non pensava ad affibbiare a questo 
nessuna appendice; non solo perché essa ha veramente Pària di 
una chiusa, ma soprattutto perché, se il poeta avesse avuto in 
animo di proseguire eoi Volgare déUt false scuse, avrebbe proba- 
bilmente invertito T ordine dei versi, ponendo per ultimi i due 
primi, com^ èra facile e naturale. * 

Questo è un piccolo argomento, ma assai piò valido parrà quello 
^el Biadene, che Bonvesin nel Prologo del poemetto, benché esponga 
tutta la contenenza delle tre parti di esso, alla Scrittura dorata 
non assegna altro tema che di parlare e de la corte divina, Zoe de 
« le dodexe glorie de quella terra fina ». Lo stesso può dirsi anche 
del prologo speciale della Scrittura dorata. E resta finalmente 
un^ altra osservazione da fare, in favore del Biadene. La Scrittura 
negra comincia con due capitoli, De la nasione de Vomo e De la 



/ 



ì 



DBLLA LBTTBMTURAITAUAIIA 15 

morte de Vomo, i quali formano come ùnMntroduziotie geiierale a 
tutto il poemetto: si tratta della vita terrena pripia di descrivere 
r oltreterrena. Ma il terzo capitolo, De la pena ke ha Vomo quando 
d morcy il quale discorre soprattutto della morte del peccatore, e il 
i]narto ed ultimo, De le dodexe pene de lo wfernOj hanno i loro na- 
turali contrapposti nei due capitoli che compongono la Scrittura 
doratàf cioè De sòie vene al iusto' quando étto more^ e quelloi sud- 
diviso in paragrafi minori, ^ delle dodici glorie \ Non resta dunque 
nessun posto per un^ aggiunta o un'appendice, 8;e si voglia aver 
qualche riguardo a quella simmetria delle varie parti del poemetto, 
che doveva parer necessaria anche a un povero artista come Bon- 
vesin, e che il de Bartholomaeis cercò di dimostrare anche più com- 
plicata e più cosciente che in realtà non sia. Unendo il Volgare 
deUe false scuse col poemetto, si sciupano le proporzioni di questo, 
e si toglie parte della sua efficacia alla descrizione, con cui si 
chiude, delle glorie celesti. 

Un'osservazione del de Bartholomaeis parrebbe fornirci un 
punto di partenza per datare con qualche sicurezza il Libro dette 
tre Scritture, Due versi di esso furono introdotti, senza cambiarne 
il metro, da Pietro da Barsegapé nel suo Sermone; e questo es- 
sendo stato compiuto, come è noto. Tanno 1274, il poemetto di 
Bonvesin risulterebbe di qualche tempo anteriore, e sarebbe cioè 
stato composto da lui negli anni della sua giovinezza. Il Biadene 
propende ad accogliere questa deduzione del de Bartholomaeis e 
anzi la conforta di qualche nuova prova, scovando a sua volta 
nel Sermone altri piccoli riscontri col poemetto di Bonvesin; ma 
poi gli viene il sospetto, non più che il sospetto, che queste ul- 
time piccole imitazioni apparenti si devano all'avere i due autori 
seguito una fonte comune, e che invece i due alessandrini, indi- 
cati dal de Bartholomeeis, sieno stati introdotti nel codice del 
Barsegapé dal suo tardo copista. Lo stesso copista avrebbe intro- 
dotto più oltre, da una fonte ignota, altri quattro alessandrini 
(vv. 2131-34) < che non sembrano collegarsi troppo bene cogli ot- 
« tonafj novenari frammezzo a cui essi pure sono collocati >. 

Che il Biadene voglia mostrarsi molto circospetto nel difen- 
dere il Barsegapé dall'accusa di plagio, è troppo naturale, cre- 
dendo egli provata la capacità a delinquere dell'oscuro poeta 
meneghino, pei numerosi furti che gli si attribuiscono, commessi 
a danno del Libro di Ugugon da Laodho. Il Barsegapé sarebbe 
dunque recidivo. Ma se si trattasse d' un'ingiusta accusa? Io stesso 
tenterò la revisione del primo processo, in altro fascicolo della 



j 



16 lUflnBGMA BIBLIOttRAFIOA 

Bassefffia; ma supponendo fin d'ora che gli argomenti da me 
esposti riescano almeno a suscitare gravi e fondati dubbj sul va* 
lore delle prove addotte prima contro il Barsegapé, non dovremmo 
andar molto guardinghi anche neir accogliere le nuove accuse? 

Intanto, dei due alessandrini comuni a Bonvesin e al Barse- 
gapé (Bonvesin, Scrittura rossa 47-48, Barsegapé 1534-85) mi sem- 
bra agevole giudicare; ossia il sospetto del Biadène è per me 
quasi una certezza: cercherò di dimostrare per tutti i versi di 
Uguccione, che si trovano inseriti nel poemetto milanese, che an- 
ch' essi sono un'aggiunta di un tardo copista. E probabilmente 
ha ragione il Biadene anche pei quattro alessandrini d'ignota 
provenienza. 

Riguardo poi agli altri versi, indicati dal Biadene, dove l'ac- 
cordo del Barsegapé con Bonvesin riesce evidente, io credo molto 
difficile dimostrare che si tratti d'interpolazioni, ma cerco invano 
una prova qualsiasi, la quale mi faccia parer più verosimile che 
l'imitatore sia il Barsegapé e non invece Bonvesin. Direi anzi 
che riesce subito, a chi guardi con qualche attenzione, molto ve- 
rosimile il contrario. Il Barsegapé descrive la Passione, tenendosi 
stretto al Vangelo di Matteo, e solo aggiungendo qua e là alcuni 
particolari da Luca e Giovanni: ogni parola di lui si può quasi 
dire che abbia la sua ragione e la sua fonte nel testo sacro. Il 
poemetto di Bonvesin, dove invece poco si dice dei fatti e non 
ad altro si mira che ad insistere, con monotone variazioni e ri- 
petizioni dello stesso motivo, sugli oltraggi e i dolori inflitti a 
Gesù, non poteva riuscire al Barsegapé di nessun vantaggio; 
mentre il Barsegapé se non altro forniva a Bonvesin una traccia 
pel racconto. Non mi maraviglierei se questi avesse imitato dal- 
l'altro qualche frase che ricordava: mi maraviglierei invece se 
il Barsegapé, che seguiva passo passo il Vangelo, fosse ricorso a 
Bonvesin per le parole di Pilato e eo no volio esser colpado In lo 
f sangue de questo hom » (vv. 1528-59), che traducono S. Matteo: 
< Innocens ego sum a sanguine insti huius »; o per la descrizione 
degli ultimi istanti di Gesù, che proviene da S. Giovanni: 



E Is so» teste l'Inolinòe 
e ds beve si gè domandòe. 
E un dell 9adel fo tosto scorto, 
sxeo con fere el g'sre sporto; 
e qasndo el o'sre ben cercso 
sii 9adei disse: 'l'è consuinso '. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 17 

Questi due passi nel Barsegapé sgorgano spontanei, e colla loro 
nuda semplicità mostrano che Tingenuo verseggiatore non pen- 
sava che a rendere come meglio sapeva il Vangelo ; mentre Bon- 
vesin dà loro una forma artificiosa e contorta, e del Vangelo non 
segue che le linee più generali. Infine, si capisce che Bonvesin, 
il quale andava in caccia di adornamenti e di frasi, togliesse ^1 
Barsegapé un* espressione come e le carne quaxe pariveno si negre 
€ corno coldera » ; ma si capisce meno che il Barsegapé, se gli 
fosse venuto in mente di prendere da lui qualche cosa, ne avesse 
preso cosf poco. 

Gol suo poemetto, Bonvesin viene ad aggiungersi alla seriq, 
già abbastanza lunga, dei cosiddetti precursori di Dante; ma mi 
guarderei bene dair attribuirgli soverchia importanza. Anch* egli, 
come la maggior parte di codesti precursori, serve a far numero, 
ma non ha un suo significato individuale, non aggiunge alcun 
particolare veramente nuovo alle nostre cognizioni, non diminuisce 
d^un millimetro T immensa distanza che corre fra codesta massa 
incomposta di oscuri tentativi e il Poema sacro. Non è neppur 
facile trovarvi riscontri tali di concetto, che possiamo servircene 
per illustrare qualche verso della Divina Commedia o per indicare 
la lontana origine di qualche imaginazione di essa: chi non voglia 
ricordare le catene di cui vengon cinti nelP Inferno i peccatori, le 
quali son tante di numero quanti sono i peccati di questi (1, 571): 

oon tonti mortoli peocaU corno more el pecoatoro, 
con tooto oadene gè ligsno le membro oon dolore; 

certi tipi di tormenti, che ricorrono anche nelle altre leggende 
o composizioni consimili, ma qui sono descritti con molta com- 
piacenza e larghezza. ^ 

Del valore poetico di Bonvesin non è il caso di parlare: egli 
non è troppo superiore a quei suoi poco più vecchi colleghi lom- 
bardo-veneti, che dai loro monotoni strumenti non sanno trarre 
suppergiù che un solo e identico suono. Nemmeno in lui nulla 
che s'avvicini alla varietà e alla vivacità dell* unico poeta del- 
l' Alta Italia, che sia meno indegno di questo nome, T Anonimo 
genovese. Senza dubbio non mancano in Bonvesin motivi poetici 



1 n Terso di Danto, che ei riférlice all'angelo nocchiero del Purgatorio, ledente a prora. 
« Tal che fwU beato pur deeoriito », può avere una specie di commento in alcune etrofe di 
Bonreein, dorè molto prollasamento li avolge il concetto che la vieta d' un angelo baste- 
rebbe a rendere beato un uomo, anche in measo ai tormenti. 



18 RA88BONA BIBLIOGRAFICA 

e frasi robuste, che possono rendere più sopportabile Tinesperienza 
di queir arte primitiva; senonché, come avviene anche negli altri, 
di solito sono motivi tradizionali e frasi trovate già pronte o nei 
testi biblici o nelle leggende anteriori. Ma Bonvesin è un uomo 
colto, che sa di molte cose e soprattutto sa di latino: e degli 
insegnamenti retorici, che sMmpartivano alla scuola di latino, egli 
cerca di fare suo prò anche nella poesia volgare; donde proviene 
certa esteriore ricercatezza, che ne^suoi versi contrasta talvolta 
curiosamente con la rozzezza dell'insieme, e si esplica soprat- 
tutto in giochi di parole, come: < Plurando se torzeva, torzando 
€ se plurava, Pianzeva sospirando, pianzando suspirava > Libro 
de le Ire Scritture II 242 sg., « e gloria dolcissima e dolceze glo- 
« rioxe » III 42, « oy festareza gloria, oy gloriosa festa » III 349, 
« angossoxa angustia » I 900, < angustievele angustia » 901, e altri 
consimili. 

Con queste ricercatezze stilistiche, alla cui seduzione non sfuggf 
neppur Dante, sono affini certe ricercatezze di simmetria esteriore, 
e fra queste annovero anche e in primo luogo la tripartizione del 
poemetto delle Tre Scritture; dove Bonvesin tenta di innalzare, ad 
un concetto artistico di dipendenza e di contrapposizione quel- 
l'ordine per motivi evidenti quasi necessario, in cui trovava 
disposti in altre leggende e libri ascetici i suoi tre argomenti: 
Peccato ossia Inferno, Passione di Gesù Cristo, Salvazione ossia 
Paradiso. Colla tripartizione del Poema dantesco tutto ciò non 
ha nulla che fare; ma, insieme con altre preziosità, come sarebbero 
le volute corrispondenze, osservate dal Biadene, fra il primo ca- 
pitolo della Scrittura dorata e il terzo della Scrittura negra, e un 
po' anche l'artificiosa disposizione delle rime nelle prime cinque 
quartine del Volgare delle Vanità, ricorda piuttosto i sapienti e 
artistici, e talvolta anche troppo raffinati congegni di decorazione 
esterna, che Dante ha imaginato nel suo poema e soprattuttto 
nel Purgatorio. 

L' edizione che il Biadene ha fatto dei tre componimenti di 
Bonvesin è tale da contentare le più severe esigenze, e un ottimo 
contributo agli studj dialettologi ci è l'ampio Glossario di cui ha 
voluto corredarla. I passi difficili o anche afi^atto incomprensibili 
non mancano in queste poesie; ma di solito il Biadene ha tro- 
vato per essi la spiegazione giusta o almeno una spiegazione so- 
disfacente. Assai poco saprei suggerire di nuovo io stesso per il 
miglioramento o l'intelligenza del testo; e non molte né molto 
importanti osservazioni potrei fare intorno al Glossario. Ciono- 



ORLLA LBTTRRATURA ITALIANA 19 

nostante /accolgo qui in fine le note, che son venuto facendo 
via via nella lettura, perché son persuaso che specialmente nella 
critica e neli^ esegesi dei testi ogni pruno fa siepe. 

Testo. Libro delle ire Scritture, 1 9: e sembra un^erroiiea aggiunta 
di un copista, che non intese. — 163 rari: non sarà da risalire ad un 
'rcrfì, per Wanti erranti ? Cfr. qui Glossario, s. atantare. — 311 pur de 
una sola gota non vote fi intexo, cioè, forse: il peccatore non sarà in- 
teso, esaudito nemmeno di una scintilla, vale a dire nemmeno tanto 
da esser arso da una scintilla di meno. Ma si potrebbe anche 
sospettare che sia da legare insieme pare uno cayro aprexo Pur 
de una sola gota, acceso da un^ unica fiamma. E non vole fi intexo 
starebbe da sé, legandosi piuttosto col verso seguente. — 461 : hi 
intenda a ki el piaxe, sarà da leggere ke int., ecc., ed è quindi una 
delle solite frasi, riguardanti in apparenza T uditorio, ma che in 
realtà non sono che zeppe, volute dal verso e dalla rima. Pel 
senso equivale a hi lo vole sapere si lo sapia del v. 771, o anche 
^ s*el è ehy voUa odire di III 466. — 478 Sono i demonj che 
hanno aUegrevole core: cfr. Ili 346. — 599-600: a tuta fiada an^ 
guetio va unito con ciò che precede, cioè angustio se appena mi 
tocchi una goccia d'acqua bollente. Il poeta aggiunge a dirve lo 
motto, ossia forse a dìrvelo in uno m. — 665: virgola dopo questo 
verso; il he, con cui comincia il verso seguente, dipende da de- 
leìigua lo misero de sede. — 667 Non va T interpretazione proposta 
in nota: il complemento di inspemano è lo bronco colado^ quan- 
tunque Fautore, se fu Fautore, dimenticandosene, abbia aggiunto 
gè fi. — 735-36: intenderei, un po' arditamente, se si vuole: male 
abia ki me gè mise (in questo reo letto), con pene cosf angosciose, 
eomo el me è stravixo^ come ho anche troppo provato! Il ))oeta 
doveva dire eomo el me è vixo o devixo, ma la frase era troppo lan- 
guida, e rha rinforzata, foggiando uno stravixo. — 771: soppri- 
merei la prima parte della nota; cfr. qui al v. 461. — 887. Met- 
terei punto dopo drudo e morbio, e intenderei onde debio fugire 
come un'interrogazione, corrispondente a quella del v. 879, que 
dAio fare, mi lasso? e del v. 895 unde son yo mo venuto? — II 40. 
Metterei un interrogativo in fine di questo verso, come ha fatto 
il de BartholomsBis. — 75. Il verso, che manca nel cod. seguito, 
suona nel cod. N. 95: de scergne che gen fiva aqueUa gente mastina. 
Non vedo bene perché al B. esso non paja accordarsi col resto 
della strofa; ma bisogna però intendere il de come un'esclama- 
zione, e come esclamativo tutto il verso. — 358 lo terzo di sera 
lo meo resuscitamento. Mi sembra affermazione troppo categorica 



'20 RASSiEGllA BIBLIOGRAFICA 

quella del B. che si pronunciasse resustamento. E perché non sup- 
porre che sia aggiunto meo? — III 121 ma d gè è strabèllo tem- 
porerio e mirabele temperanza. Questo verso, che per la sua lun- 
ghezza ricorda quelli del Marchese Colombi, esige qualche cor- 
rezione; ma invece di mutare il legittimo temporerio in temporio^ 
che si trova al v. 184, cancellerei piuttosto mirabele, e anzi forse 
sostituirei temporerio anche nel v. 184, cancellando stradìdcissima. 
— Volgare delle false scuse, 160: è un verso difficile. Forse il senso 
si compie col verso precedente: quanto più il corpo patisce, tanto 
più grande letizia T anima deve attendersi. Poscia il poeta si ri- 
volge al supposto uditorio : ki el sa vedere^ da Deo, stogando in 
bona via? Chi sa veder ciò, in nome di Dio! seguendo sempre la 
via diritta? — 261 sgg. Capisco poco bene questa quartina; ma 
forse basta sopprimere il ke iniziale del secondo verso, e spiegare 
il tutto cos(: Non v^è uomo al mondo, il quale, se rifletta, per 
acquistare un tesoro assai maggiore, quasi sgomentandosi (delia 
propria stoltezza), non si induca a rendere il mal tolto. Ma con- 
vengo che è un concetto poco chiaro e malamente espresso. Forse 
il meglio è risolversi a sopprimere anche il non del secondo verso 
(restituire il numero voluto di sillabe sarebbe facilissimo), e in tal 
caso tutto diventa chiaro: nessuno può, riflettendoci, impaurirsi 
di rendere il mal tolto, per acquistare assai più di quello che perde. 
Glossario. — Non mi indugio in questioni linguistiche e mi 
contento di indicare qualche modificazione o qualche aggiunta. 
abraxamento ^ bruciamento, incendio \ Ma è in senso figurato, 
'cruccio'. — asmorsare, ma anche smorsare 1 180, — atantare: 
Li vermi più te aspectano in guanto più te atanti In grassa e in 
drueea: in quanto più ti lasci tentare dalla grascia, ecc., tradur- 
rebbe il B., ma sarebbe uso piuttosto strano. Il nostro atantar 
non significherà invece ' indugiare -si \ come per es. il suo pa- 
rente bestenfar? Certo, atento per 'attesa' si trova. Ma allora il 
meglio non sarebbe metter punto dopo tantar, e sopprimer la 
virgola dopo drueea? — attastare tastare, cfr. pel significato 
tantar. — biassare ' contorcere, stravolgere, Flechia biaxo, ecc. *. 
Manca il rimando, ma se si allude al v. I 558, credo sia da in- 
tendere diversamente. I diavoli lacerano i peccatori a menerò 

a membro con le grampe e con li dentoni: Li biasseno e 

li segulieno e li nieeno con bastoni, cioè ' li biascicano \ Non cor- 
risponde adunque al genov. sbiasciu, ma al genov. giasdà; e 
del resto Tant. biaxar, prov. biaisar ecc., non mi pare possa 
avere il senso che il B. gli farebbe assumere. — botoli ' pruni, 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIAMA 21 

sterpi *. Il B. vorrebbe unirlo col prov. bozola termine, limite, e 
afferma vi si deva riconoscere il tema boi-. Non pare, poiché si 
deve piuttosto risalire a qualcosa come boccio, cfr. Salvioni, Dialetto 
d'Arbedo 16, Cavassico 357 sgg,, Parodi, Arch. glott. XVI 117. — 
cadiva sarebbe per cadita caduta, come compiva per compita, e può 
. essere; ma il medievale cadivtis, servus e. servo epilettico, mi su- 
scita in mente dei dubbj. — cayro: vorrebbe leggere cayró: sa- 
rebbe dunque un pretto provenzalismo? — coUecto latinismo': 
certo, per T ortografia, ma probabilmente non già per sé stesso, 
cfr. r od. genov. akiigeitu, ecc. — eomprema comprima (cioè opprima) 
III 674: anche II 379, ch^è forse esempio migliore e basta, se noit 
erro, a distruggere il dubbio che il B., esprime sotto comprexo,iBk 
proposito dell' esempio suo proprio. — confondftto 1 593 vale a un 
dipresso ^ malnato, maledetto \ — degno ^ degnato, dato ^ meglio 
' dovuto ', me è degno mi spetta. — deporto, reo d. tormento. Sa- 
rebbe da ricordare anche il semplice deporto II 294, che ha il senso 
generico di ' condizione, stato \ Nondimeno, in senso buono, senza 
aggettivo, si trova III 412, ma glorioso d. III 10, ecc.; cfr. strameeo. 
— desvegnire: per l'es. di I 688 è forse piuttosto da confrontare 
il senso di desvenuto; cfr. anche I 883: tuto me desvegno ^ vo tutto 
a male'. — incujgine: aggiungi che è maschile. — manco: credo 
valga ' monco ', come il genov. manJcéttu, e cfr. K5rting Et. W. 
5867 — podere: si doveva ricordare il senso speciale che ha I 
304, 549, 580, 867, III 13 ecc. ; e un' osservazione consimile può 
farsi per volere. — predicare: manca l'indicazióne dell'esempio 
forse pili notevole, Q 100: e tu a quello exeniplo deverissi essere 
predicato, cioè, forse, ' edificato '. — pregno ' I 703, restio, ri- 
troso?' Ma c'è anche un altro esempio, Q 84, e, data la diffi- 
coltà di capire il primo, è bene ricordarli tutti e due. Pel 
secondo, l'interpretazione idei B., data in nota, mi sembra si- 
cura: il ricco ha già avuto il suo sulla terra: il misero è com- 
pensato colla gloria del cielo, il quale è il buon frutto che lo 
rende pregno, sazio, sodisfatto. Se cosf è, bisogna risolversi ad 
ammettere il medesimo significato anche pel primo esempio; e 
cioè conviene rinunciare alla punteggiatura che il B. adotta nel 
testo, e al senso che propone nel Glossario, per dar la preferenza 
alla punteggiatura e al senso che propone in nota: perzò che era 
pregno (sazio di piaceri mondani, felice sulla terra) Non trovo qui 
niente he non me sia malegno. — regoroxo, in, 'sregolatamente?' 
Al B. pare il contrario di a regoloso, che ricorre in un' altra poesia 
inedita; ma sembra che invece sia la stessa cosa. Dice il poeta: 



22 ÉASSÉGi^A BIBtlOORAriOA 

la rota (delle vicende umane) non ha stato, va sempre in regoroxó^ 
cioè sempre al suo modo, secondo la sua direzione: cfr. il lat. 
rigor^ e anche rigorare. Il de BartholomsBis intende ^ incessan- 
temente^ e potrebbe anche stare. — serevoroxo credo col de 
BartholomsBis sia proprio il riflesso popolare di scrofoloso. — 
serdilla: o il passo è gaasto o non dubiterei aflutÌM> che si tratti 
di ^ scintilla \ Cfr. il de Bartholomseis, al quale mi avvicino, in- 
tendendo: r usura è mala scintilla, di cui avvampa il cuore del 
peccatore, impedendogli di rendere il mal tolto. — squatarare: il 
yh.squataràse sciarrarsi, vive nel genovese.- volere: può ricordarsi 
anche voya sia che I 42. — sanio buffone: perché una sola ci- 
tazione, mentre ce ne sono altri tre esempj, I 803, III 15, 356? — 
ssema 1 170: non sarà errato ? Si potrebbe pensare a mena, corno 
queUa è soea mena! E il lapsus sema sarebbe spiegato dal fatto 
che il vocabolo precedente finiva con ea. 

Fra i vocaboli che mancano nel Glossario, ricorderò, a tacere 
di alcune congiunzioni composte : {scuse vane e) casse Q 264, ea- 
xamenti 1 157, coìiquixo Q 37 e altrove, eroda cade R 2, damnoxo, 
in senso passivo, I 68, declina inclina II 254, dormilia Q 249, fb- 
letto diavolo I 523, ghignare 1 504 e ghigni I 523 ecc., impiliar 
Q 250, impastrulia R 17, inane mano I 544, Q 92 (si dà solo la 
frase per mane subito; cfr. per maìw R 104), masselli {de ferro) 1 
584, e cfr. desmassati ib. 585, mettere (nelle frasi mettere per niente 
III 388, de lo assay non mete cura Q 272), peria perduta II 366, 
presente davanti, R 16, pwsa cosa puzzolente II 196, sana^ richejga 
s„ I 112 {aninM s. salva I 728), sonare dirsi II 82, stramitade 1 
495, 499, 520, toro tronco III 20, via (nella frase a tuta via II 45, 
cfr. a tuta ftada, s. fiada)^ ecc. 



E. G. Parodi. 



DBLLA LETTERATURA ITAUANA 23 



Giuseppe Lisio. — Varie dd periodo nelle opere volgari di D. 
Alighieri e del sec. XIIL — Saggio di critica e di storia let- 
teraria. — Bologna, Zanichelli, 1902 (8.^, pp. VllI-240). 

E libro fortemente pensato, frutto di lunghe assidue fatiche 
e di delicato e provato intelletto d*arte, scritto con vivezza ed 
eleganza rara: un libro veramente degno dell'ingegno e degli 
studj deirÀ. 

L'intendimento del quale - per dirlo con le sue stesse parole - 
è < di fermare la prima pietra di una critica della forma, che non 

< comprende già una lingua o una letteratura, ma uno scrittore 
€solo ne' rapporti co' contemporanei e, possibilmente, con quelli 

< che pili gli si accostano o più ne divergono ». Da questa forma, 
che comprende in sé tutta la bellezza dell'arte, ei trasceglie ed 
astrae per ora un solo elemento, che gli apparisce del resto cosi 
complesso da inchiudere in certo modo tutti gli altri: il periodo, 

< poiché accoglie in sé l'arte di concepire e legare il concepito, 
<e concerne intimamente l'abilità di foggiare al pensiero l'e- 

< spressione, di trarre da questa i più varj e mirabili effetti ». Son 
noti in proposito i recenti studj generali del Grober e particolari 
del Vossler sugli elementi stilistici delle opere letterarie. Ma il 
Lisio, se concede qualche cosa, qua e là, in alcune parti della 
ricerca, ai concetti puramente estrinseci e però poco conchiudenti 
di quella scuola, si tiene ordinariamente fuori da tali teoriche più o 
meno scientifiche nell'aspetto, ma di nissun valore sostanziale, e 
va notando per un rispetto o per l'altro le bellezze o i difetti 
dei periodi danteschi: cogliendo costantemente nel segno e a- 
prendo non pochi spiragli, com'egli dice poeticamente, nel velo, 
che spesso avvolge le cause e gli effetti della bellezza formale. 

Ma l'arte di Dante nel periodo è effetto di lavorio incoscio 
e spontaneo, o di deliberato proposito ? Il Lisio si propone sul 
principio questa domanda; e crede dover rispondere che Dante 
voUe raggiungere certi pregj estetici con l'elaborazione della 
forma, osservando che in varj luoghi delle opere sue egli ci mostra 
chiaramente, ora che era perfettamente consapevole dell' impor* 
tauza della sintassi nell'arte, ora che si proponeva a disegno 
certi artificj di quella come mezzi opportuni e adeguati per ap- 
propriare l'espressione alla materia dell'arte. 

Onde il Lisio finisce col conchiudere ricordando il concetto 
degli scolastici che l'arte fosse figlia della natura; e soggiun- 



24 tUSSfiONA BlBLlOOttAriOA 

gendo che figlio, benché degenere deir arte, è poi V artificio ; e 
che sarebbe meglio immaginare queste tre astrazioni, anziché in 
tal relazione di parentela, come fuse e simili a un^onda marina 
dalle parti disformemente colorate : in cui si vedono netti i con- 
fini di ciascun colore; ma materia comune a tutti è e rimane 
Tacqua. Fuor di similitudine: il fondamento delP artifìcio, il suo 
motivo, è il fondamento e il motivo dell'arte: arte e artificio 
sgorgano da una medesima fonte. Il che è vero: ma se sMntenda 
con moltissima discrezione. È la ricerca dell'arte, che ci trascina 
nell'artificio, e quindi fuori dell'arte: ma quando l'arte si ricerca, 
essa è già smarrita e non si troverà pid; non già che la ricerca 
a un certo punto si fermi nell'arte: e, un po' piò in là che pro- 
ceda, precipiti nell'artifizio. 

U Lisio stesso ci richiama alla mente quel luogo della Vita 
Nuova (cap. XIX), in cui il poeta ci racconta, che dopo aver 
pensato molti df a Beatrice e a piti degni modi di lodarla, un 
giorno camminando lungo « un rivo chiaro molto », la sua « lingua 
« parlò quasi come per sé stessa tnossa, e disse Donne che avete 
« intelletto clamore » ; e il Lisio stesso riconosce nel racconto e viva 
€ e vera la storia della composizione del genio » (13). Or se questa 
è la storia di ogni composizione artistica, la teoria, il proposito, 
la deliberazione del Poeta non han che vedere con l'arte viva e 
vera ch'egli produce; ma solo con l'artificio. Vero è bensf che 
il Poeta stesso talora resta vittima come di un falso vedere, cre- 
dendo suo proposito e sua meditata dottrina, antecedente al fatto 
dell'arte, ciò che non è se non la semplice e conseguente con- 
statazione ed espressione de' moti spontanei dell'animo suo e 
de' naturali processi della sua fantasia nella creazione dell' opera 
artistica. Cosf è chiaro che si tratta di una constatazione e non 
di un proposito nei versi del Purg. IX, 170-72 citati dall' A.: 

Lettor, tu vedi ben oom'lo InnaUo 
U mia materia; e però con pia arte 
non ti meravigliar s'io la rincalzo. 

Quest'avvertenza al lettore segue infatti alla descrizione che 
già egli ha fatto della visione dell' aquila ne' più lavorati, come 
di^e il Lisio, e stupendi periodi che abbia mai composti. E come 
una sosta che fa il Poeta a un certo punto del quadro che vien di- 
pingendo, per gettare uno sguardo di compiacimento alla tela che 
già raccoglie la visione della sua fantasia. Ma non occorre che 
tali avvertenze seguano materialmente: precedano pure nel verso; 
esse seguono sempre nello spirito per lo meno a quell'oscura e 
ancora incerta intuizione della creatura della fantasia non ancora 



DSLLA LBtTBRATURA ITAUANA 26 

incarnata in sonanti parole, cbe precede immediatamente la espres- 
sione: simili in tntto a quelle prosaiche avvertenze che ognun 
di noi mette innanzi a ogni libro che pubblichi: scrìtte quasi 
sem-pre quando tutto il libro è già scrìtto e magarì stampato ; o 
se scritte talvolta apparentemente prìma, in fatto pensate ne- 
cessariamente anche allora quando tutto o quasi il disegno del 
libro ci è nella mente da tempo. La poesia come la prosa, V arte 
come la conoscenza è spontanea : e la riflessione sui mezzi onde 
raggiungiamo Tarte il sapere, presuppongono imprescindibil- 
mente Parte già creata, il sapere già conquistato. 

Con ciò non voglio dire che TA. abbia fatto' un'opera vana o 
tentato un'impresa impossibile. AI contrarìo, Futilità e P impor- 
tanza del suo lavoro, e la ragionevolezza della sua ricerca con- 
sistono in ciò: ch'ei si è posto in quella situazione psicologica 
in cui è Dante quando interrompendo per un momento la sua 
poesia, s'accorge di aver con piti arte dell'ordinario rincalzato 
la sua materia; e dice a sé e al lettore 



Lettor, tu vedi ben com'lo innalio 
U mi» m»teri» ...» 



cioè nella situazione di chi rìfiette e critica interrompendo e rom- 
pendo l'opera d'arte, per scrutarvi e scoprirvi entro, con l'ana- 
lisi spietata dell'anatomista che viviseziona gli organismi, i se- 
greti motivi della ?ita di bellezza, che le ha comunicato la fan- 
tasia — e fa perciò lavoro di crìtica e di storia. Se fosse altrì-^ 
mentì, egli non sarebbe riuscito a mostrarci se non gli artificj 
e i secentismi, in cui Dante stesso cascò quando volle dar legge 
al libero processo della sua fantasia: che non è stato certamente 
il disegno del Lisio, e non è il valore del suo bellissimo libro. 

Dopo una larga introduzione, dove è tracciata una breve storia 
del periodo nella letteratura delle origini e delle teorìe retoriche 
e grammaticali del tempo istesso, tutto il resto del libro è con- 
sacrato all' analisi del periodo dantesco nelle opere volgarì. Vi 
sono studiate sottilmente le relazioni del periodo col verso e col 
metro, della prosa con la poesia, le sonorità, le ripetizioni, la col- 
locazione, e gli effetti della rima; in fine, il collegamento e l'or- 
ganismo del periodo dantesco, la corrispondenza in esso tra la 
materìa e la forma, e quanto in quest' arte Dante trasse dal suo 
maestro ed autore. 

Riassumere brevemente la molteplice copia di osservazioni 
felici e ingegnose sparse per tutti questi argomenti è impossibile; 
e non sarebbe né anche utile, perché il valore di tutte consta 



26 RA88BONA BIBLIOORAFIOA 

del valore di ciascuna; e tutte perciò, ad una ad una, bisogna. co- 
noscerle. Onde non si può che esortare, come fo, e vivamente, 
tutti gli studiosi o semplici lettori di Dante, che pulla vogliano 
lasciarsi sfuggire della sua arte, a procurarsi e leggere questo 
lavoro del Lisiò. Le idee geoesali in tal materia, — sebbene il 
Lisio sia spesso tentato dair andamento stesso della sua ricerca 
a formularne qualcuna, — non hanno né possono avere un real 
valore. Poiché ogni periodo è un piccolo organismo artistico a 
sé, e una piccola opera d^arte; e ogni opera d'arte porta con 
sé la sua legge, ha una particolar bellezza tutta sua; alla quale 
non può competere che un'osservazione, una valutazione crìtica 
del tutto particolare e propria. Potrei citar degli esempj: ma chi 
ha bisogno aei documenti per credere che la critica del Lisio è 
esatta e verace, non crederebbe che pei soli casi degli esempj. 
Tanto vale risparmiarsi la fatica, e invitare a leggere da sé 
tutto quello che il Lisio ha saputo dirci. Per la stessa ragione 
non so intendere perché TA. non abbia visto tutta la vanità di 
certe statistiche; e si sia quindi affaticato a computare il numero 
di certi fatti stilistici, che ricorrono in Dante. Poiché egli stesso 
ci dice che questa e non è materia che si possa stringere in breve; 
« né i tipi si possono cristallizzare in formule algebriche o in 

< figure geomètriche », e che rìdurre a tipi le varie forme di per 
riodo che si riscontrano in Dante, sarebbe commettere un tradi'^ 
mento estelico (p. 192). Si contano le cose simili; ma ogni periodo, 
ogni fatto stilistico, ò un fatto a sé; corrispondente a un certo 
stato dello spirito, assolatamente determinato, la cui conoscenza 
non può essere che speciale e circostanziata, se cosi m'è lecito 
di esprimermi. Per tutti i fatti stilistici, che il Lisio ha sapien- 
temente analizzati, e degli altrì forse che nella poesia dantesca 
si potevano opportunamente, sottoporre allo stesso sguardo scru- 
tatore, si può ripetete, quella, bella .comparazione: che al. Lisio 
vien fatta a .certo punto per darci V immagine delle tante migliaia 
di tersine o doppie terzine racchiudenti ciascuna un perìodo, che 
s'incontrano nella Cqmmedia. « Chi guardi :a' grandiosi pilastri del 

< Palazzo del Podestà in Bologna, ne scorge le pareti fregiate di 
«pili che duepila rosette ^^ d' un largo tutte,, '^d'un giro, d'un 

< girare „ tutte tonde. A prima vista, sembrano foggiate sul mer 

< desimo stampo : aguzzando gli pcchi, si rivelano tutte disformi, 

< pur lievissimamente, di disegno e di bellezza; tanto che non ne 

< troveresti pur una che somigli nll' altra > (p. 120). Ora, chi voglia 
conoscere l'arte cosparsa nei fregj di quei pilastri, che altro può 
fare che rimirare a una. a una quelle piti che duemila rosette? 

Giovanni Gentile. 



DBLLA LttTTBRATtmA ITALIANA 27 



ÀPPiL Garl. -— Die Triumphe, FrancBseo Petrareas in krUisehem TexU he- 
rausgegeben, — Halle a. S., Niemeyor, 1901, (8.^ pagg. XLlV-476). 

Proto Eurigo. — Sulla eompo$ision$ dei Trionfi, — Napoli, Giannini, 1901, 
(8.», pagg, 96). 

Di qilestl due sttidj il primo, quello delFÀppel, è il più grosso volume 
che sino ad ora sia stato scritto intorno ai Trionfi del Petrarca considerati 
nella loro forma esteriore; il secondo quello del Proto, è un opuscolo di me- 
diocre spessore, che intende invece portare nuova luce sul contenuto dei 
TVionfi stessi, anzi stilla prima origine del loro contenuto. Ma, poiché forma 
e contenuto nello studio delle produzioni letterarie ed artistiche non sono 
cosf facilmente separabili come nella maggior parte de' frutti il nocciolo dalla 
polpa, abbiamo creduto bene di dar conto qui di tutti due i lavori insieme, 
— tanto più che, come vedremo, talvolta Tuno è tratto di necessità nel 
campò' deir altro. 

Grosso volume abbiamo detto quello dell'Appel, — forse troppo grosso, 
se si consideri che a rendersi ragione della bontà di un testo critico il let- 
tore non ha sempre bisogno di seguire in lutti i suoi meandri la via per- 
corsa dall'editore, e che P accumulare per decine e decine di pagine notizie 
minutissime, espresse in formule numeriche e di aspetto quasi algebrico, nella 
ignoranza per parte del lettore o per lo meno nella privazione dei codici, 
di cui quelle formule rappresentano il contenuto, non serve ad altro che ad 
ingenerare confusione anzi sbalordimento nel lettore stesso. Anche con tale 
dovizia di indicazioni, il controllo di chi non abbia intenzione di rifare tutto 
il lavoro a fundamentis non può essere che superficiale e sommario. E poi- 
ché in libri di tal genere molto dobbiaitao fidarci neir onestà, nella perizia 
e nella diligenza deir editore, meglio vale da parte di questo 1* enunciare or- 
dinatamente e chiaramente le premesse di metodo e di fatto donde muo- 
vono le ricerche del testo e V esporre, non meno ordinatamente e chiaramente 
maMn forma riassuntiva, i resultati degli studj compiuti, cosf che ciascuno 
possa farsi un'idea esatta ma complessiva del metodo seguito e della serietà 
con cui esso fu adoperato. Ma V A., un po' forse per naturale modestia, molto 
poi per l'altissimo concetto del metodo, che egli giustamente vuole sia osservato 
in simili lavori, non credette di darci qui una edizione definitiva dei Trionfi, 
anzi fin dalle prime righe ci avverte che l' opera potrà in più luoghi e per 
nuove indagini e studj venir corretta; da ciò la necessità di offrire ai futuri 
studiosi anche tutto il materiale di preparazione necessario ai loro confronti. 
Di questo però possiamo fin d'ora esser sicuri che, tranne qualche parziale 
e non molto importante ritocco di un verso o di una strofa, nessuno rifarà 
la lunga via dall' A. faticosamente e valorosamente percorsa, e che, se grosse 
discussioni ancora avran luogo, queste volgeranno tutte intorno alla vecchia 
questione dell' ordinamento dei canti, non certo intorno alle parole del testo. 



2d RASSBQNA BIBLIOGRAFIOA 

Sotto questo aspetto, diciamolo sobito, V edizione dell' Appel può nel suo com- 
plesso considerarsi come definitiva. Ma veniamo ad esaminare pili davvicino 
il lavoro importantissimo. 

La introduzionéy che occupa le pagg. I-XLIV è certamente la parte meno 
necessaria di tutto il volume. L' autore vi tratta questioni non inerenti al 
testo critico, ma bensì alla formazione ed al contenuto del poema, aggiran- 
dosi cosi fuori del campo a lui strettamente segnato, ma non riuscendo a 
darci quella monografia compieta, che sarebbe pur tanto desiderabile, della 
insigne opera petrarchesca. Dopo affermata Y importanza dei Trionfif perché 
da essi è posto in viva luce il sentimento umanistico del poeta (al che si 
si potrebbe osservare che altre opere del P., pur essendo di minor pregio, 
servono assai meglio a tal fine) e dopo aver osservato come avvenga che con 
questo sentimento umanistico si fondano in lui il religioso e T amoroso, fa 
un rapido e non molto concludente confronto fra Laura e Beatrice. E qui, 
parlando delle relazioni fra il P. e la donna sua, ci sembra, se non erriamo 
nói nella lettura, che V a. sia corso troppo lontano. L* amore del P., dice egli, 
non rimase un languore non corrisposto, una preghiera rivolta da lontano; 
questo suo amore dovette poggiare sopra basi più solide. * Es ist kein Zweifel 

* dass er der Geliebten auch in Verkehr nahe getreten ist, das Zcichen ihrer 

* Neigung ihn beglùckt haben ,. Noi non siamo certo di quelli che, con 
molta leggerezza, vogliono santificare il poeta e renderlo un modello di per- 
fezione negandogli anche quei difetti che air uomo e pid al precursore del 
rinascimento non mancavano; ma ci pare proprio che accusa più grave 
e con minore fondamento non ai potesse lanciare contro il poeta e Ih donna 
sua. Nulla in tutte le opere del P. ci induce a credere che tra Laura e il 
poeta ci siano state le intime reiasioni dalP a. volute e che la donna abbia 
reso felice il poeta con prove materiali della propria inclinazione. É ancor 
dubbio per molti, se non per noi, che Laura abbia corrisposto anche plato- 
nicamente all'affetto del suo cantore; e il credere, come fa Ta., che solo 
r influenza della lirica trobadorica abbia impedito al P. di informarci chia- 
ramente sulla natura di tali relazioni, è ribadire una gratuita accusa con 
una ipotesi errata, giacché, se intime relazioni ci fossero state, T influenza 
della poesia trobadorica, spesso cosi crudamente realistica, avrebbe anzi 
indotto forse il poeta a non nasconderle. 

Più importante è la rassegna degli amici del P. nominati nei Trionfi e 
la questione chi sia T ombra che, come Virgilio a Dante, spiega al poeta le 
figure del Trionfo d' amore e un tratto lo accompagna nella via. Petrarca, 
si sa, non ne ha detto il nome e i commentatori hanno invano cercato di 
determinarlo con qualche sicurezza. L' a. prende in considerazione ad uno ad 
uno tutti gli amici del P. e, dopo averli quasi tutti eliminati o per T una o 
o per r altra ragione, finisce col propone il nome di Guido Settimo, come 
di quello che meglio, a parer suo, si conviene colle indicazioni un po' vaghe 
offerte dal P. stesso. Ma, a dir vero, la proposta dell' a. non ci soddisfa per 
più ragioni. Delle quali ragioni una egli stesso tira in campo, non sens^a 
confessarne la gravità, — il fatto che Guido era ligure di nascita, mentre Tom- 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 29 

bra dice di se stessa : teeo nacqui in terra toèca. Né può passare senza destar 
dnbbj r interpretazione che egli vorrebbe dare a quel tasca nel senso di ita- 
liana, poggiandosi specialmente sul verso : fuggo dal mi' natio dolce aere tosco 
del son. L' aura gentil, perché anzitutto, anche in questo sonetto, tosco vuol 
dire proprio toscano (di Toscana, anzi di Pisa veniva allora il poeta) e poi 
perché, se mai, la parola avrebbe ivi acquistato questo significato più largo 
solo in contrapposizione ali* idea del paese straniero, da cui è inspirato il so- 
netto. Qui invece, nel Trionfo d* Amore, questa contrapposizione non esiste, 
e alla parola tosca s* aggiunge e dà maggior forza e precisione T altra paròla 
teeò, cosi che non è facile ammettere che non si tratti di un toscano. ìfa 
ben maggiori difficoltà ancora si oppongono alla ipotesi dell* A. Guido Set- 
timo era della stessa età del P., aveva con lui studialo a Montpellier e a 
Bologna, era cresciuto con lui più quale vero fratello che quale amico, come 
appunto si rileva dalla testimonianza stessa del P.; nulla invece mi pare più 
evidente e sicuro nel Trionfo che la notevolissima differenza di età che deve 
correre fra T ombra e il poeta. Il ragionare antico dell* ombra scopre appunto 
al poeta chi in quell* ombra sì celi ; e 1* ombra comincia : Ch'an tempo é eh' io 
pensava — vederti qui fra noi, ehi da'prim' anni — tal presagio di te tua 
vita dava. Potrebbero stare tali parole in bocca di un coetaneo ? E il P. lo 
chiama padre e 1* altro gli risponde figliuol mio ; e il P. stesso, quasi a propria 
scusa, cosf si esprime : E per la nova età ch'ardita e presta — fa la mente 
e la lingua, il dimandai, dove quel nova età non può intendersi certo in 
in altro modo se non in antitesi alla grave età del duce; mentre a sua volta 
questi gli risponde: per empier la tua giovenil voglia, in antilesi cosf alla 
propria età senile. Non dunque Guido Settimo; ina chi allora? Ecco; accet- 
tata per il momento e per necessità più che per convincimento 1* interpre- 
tazione che 1*8. dà a quel tosea (giacché a farlo apposta, degli amici toscani 
del P. nessuno ben s' adatta ali* ufficio di guida) mi pare che egli si sbrighi 
nn pò* troppo presto di un* altro principalissimo e autorevolissimo amico: 
Tomaso da Messina. Egli non crede opportuno neanche di prenderlo in con- 
siderazione per il solo fatto che ò incontrato e nominato più tardi dal P. 
(Hit 59) : Volsimi a' nostri e vidi 'l bon Thomasso, il che escluderebbe, secondo 
lui, che Io avesse veduto e gli avesse parlato prima. Ma procediamo con 
attenzione e con cautela. Nessun capitolo dei Trionfi certo ha tante e tanto 
evidenti imitazioni dantesche come questo primo: Al Tempo. Il poeta attorno 
al carro d* Amore vede innumerabili ombre; una tra queste si stacca dal- 
1* altre, si fa riconoscere e gli spiega, con parole che ad ogni tratto ricordano 
1* uno o 1* altro passo dantesco, la scena che si svolge dinanzi e gli nomina le 
persone chto vi prendono parte. Ma, quando, come Dante nel Paradiso ter- 
restre conosce la presenza di Beatrice prima ancora di vederla, il P. impal- 
lidisce e trema prima ancora di accorgersi che Laura gli sta di fianco, il 
duce suo, con sorriso e parole ironiche, si congeda da lui e scompare, mentre 
il poeta non sa, come Dante, staccare gli occhi dagli occhi della sua donna. 
E il P., a cui (come dissegli il duce nel congedarsi) per essere intinto della me- 
desima pece ò lecito ornai parlare da se stesso con chi gli piace, continua nel 



30 RA8SBQMA BIBI^iOaMFipA 

e. Ili a vedere coloro che fprono celebri poeti e scrissero d*iimore, e tra 
questi vede '/ bon Thomasso — cK ornò Bologna ed or Messina impingua. 
Ora, prima di. tutto, si capisce che F ombra, che fa ()a duce al P., appunto per tal 
sua somiglianza col Virgilio dantesco da cui deriva, non può che essere up 
poeta, — e si capisce anche che, se il P. non ne dice subito il nome,, non 
deve averlo fatto per il gusto di lasciarci poi rompere la testa a cercarlo, 
ma perché deve aver pensato di rimediare più tardi a questa ommjssjone. 
Anzi a tal suo intendimento sembra appunto che accenni j quandp fa che la 
sua guida gli dica: Non sai tu ben ch'io — son de la turba f e' mi eonviein 
seguire, L* ombra appartiene alla turba degli amanti .che il poeta sta pas- 
sando in rassegna, e nella turba dobbiamo, per eccitamento dell* ombra, stessa, 
cercarla. Che dunque il P. riveda poscia Tomaso e lo nomini non è già una 
difficoltà per identificare questo coir ombra, ma ò anzi quasi una condizione 
necessaria. E Tomaso soddisfa perfettamente a tutte le condizioni che sono 
caratteristiche del duce petrarchesco. Amico del P., era però parecchi anni 
più vecchio di lui e degno in tutto delle testimonianze di onqre e di rispetto 
che il poeta gli prodiga e, per Tesser morto già da più tempo mentre il 
P. scriveva i suoi Trionfi, ben adatto ali' ufficio di guida. 

Resterebbe, come dicemmo, la difficoltà del luogo di nascita, quando non 
si volesse, come a noi appunto sembra, intendere tosea per italiana. Ma si 
noti che nulla sappiamo della nascita di Tomaso. Le notizie bi^rafiche 
di Iqi si fondano specialmente su quanto pe lasciò detto il Petrarca stesso* 
e r epiteto * da Messina • potre|)be ben essergli venuto dal luogo dem sua più 
lunga residenza e della sua n^oi te. Altri Caloria si ritrovano bensì in Sicilia, ma 
più tardi di lui.' E per quanto il cognome possa far pensare forse ad un 
originale . Ca/auWa o Calavria,^ il che ci trasporterebbe sempre ben lungi 
di Toscana e in terra meridionale, è da tener ben conto del fatto che CkUorio 
veniva usato, certo come nome e non so se come cognoipe, a Bologna e 
altrove nei secoli XII, XIII e XIV. Molti sono in quei secoli i Calorio nelU 
famiglia Zabarella, allora residente a Bologna e più tardi trasferitasi a Pa- 
dova. Non è dunque affatto provato che Tomaso non possa per avventura 
essere anche toscano. — Or veggansi i versi, coi quali il P. saluta appunto 
Tomaso quando lo incontra fra la turba: 

O fugace dolee^^at o Tiver lassol 

Chi mi ti tolte af toato dinan9i 

<8«D^ 1 qua) DOD eapea movere un paeaoT 
Dofe ae'or. che meco eri pur diaoQi? 

i quali versi possono bensi riferirsi alla intimità durata fra i poeti e alla 
separazione avvenuta in seguilo al passaggio di Tomaso da Bologna a Messina, 



1 Vedi FmAOABSBTTT, UHert etc.» ai Inogbi dell' iodioe. 

s Vedi Vrrr. Rosai, Caio Caloria Pontio < la poesia volgare letteraria di Sicilia nel secolo 
JCF.Palenuo.1898. 

• ()iieat* etimo mi è aasgerito dal cUariaaimo eoliegs prof. A, inatti. 



DBLLA LKTTBRATURA ITALIANA 31 

ma possono par anche intendersi come accenno al distacco del P. dalla sua 
'guida nel regno d* Amore. Si notino specialmente le parole: senza *l qùal 
non 8apea movere un ptueo accennanti all'idea di guida o di duce, e le altre 
parole tanto precise: che meeo eri pur diangl, E del resto il Petrarca, con 
artifizio ai suoi tempi comune, avrebbe ben potuto fare ddlle due cose ùùa 
soia, cioè raffigurare nel suo primo accompagnarsi cóli* ombra e poi nel suo 
improvviso separarsi da lei appunto le vicende della sua amicizia con To- 
roaso, prima suo fido compagno anzi guida, perché più vecchio, nelle giove- 
Bili imprese d* amore, poi da luì allontanatosi per le vicende della vita. E 
allora i versi sopra citati si riferirebbero nello stesso tempo air uno e a1- 
«r altro fatto: al reale e ali* allegorico. Che se questa a taluno sembri so^ 
Cerchia sottigliezza, non io v'insisterò, contentandomi solo di confermare che, 
fra i tanti amici del P;, Tomaso solo è quegli cui' meglio può attribuirsi 
r ufficio di duce. 

Dopo aver notato, come inesplicabile, ilfatto che il P. non nomina tra i 
poeti del tempo e tra i suoi amici il Boccaccio, sebbene non solo dovesse 
aver già letto le opere di questo, ma dalla Amorosa Visione togliesse, almeno 
in parie, il concetto dì questi suoi stessi' Trionfi, — dopo aver mostrato 
quanto più alto sia il pregio dell'opera petrarchesca di fronte agli altri 
componimenti di ugual genere ad essa anteriori, TA. viene a stabilire la data 
del principio della composizione fra il 1348 e il 1356 e con maggior proba- 
bilità e precisione al 1352. La visione principia, come sempre principiano 
tali poemi, di primavera e il luogo, donde èssa move, è non Tisolettà di 
Citerà, come vogliono molti commentatori, nia Cipro. Non sono però d'ac- 
cordo coir A., quando egli vede un notevolissimo salto di tempo dal TVionfo 
d^ Amore al T\*ionfo della Pudicizia, salto che, a suo parere, sarebbe giusti- 
ficato dalla libertà concessa alla Visione, ma che non cesserebbe di parere 
inatile e inesplicabile, perché non richiesto da nessuna ragione né biografica, né 
estetica, né logica. L'errore, in cui cadde TA. assieme a tutti gli altri commen- 
tatori (il Leopardi compreso), fu cagionato dalle parole tepido vernò dei versi: 

(17,168) Era n triampho dove 4'oDd* «alM 
perooton Bftia, ch'ai tepido Temo 
giani', e a man destra in terra ferma aalee : 

nelle quali parole si vide un accenno alla mitezza della stagione invernale 
Beila Campania, facendo cosi impiegare nientemeno che nove mesi al pas- 
saggio del trionfo da Cipro a Baia, esempio affatto nuovo nel genere lette- 
nrio delle Visioni, se si pensa che il viaggio stesso di Dante non dura' che 
pochi giorni. E come siano stati occupati quei nove mesi il poeta non dice, 
né i commenUtori sanno indovinare. Ma verno, a mio credere, non è \i 
usato certamente per inverno, bensì per primavera o stagione semplice- 
moiKte, come derivante da ««re non da kibernum^ e tepido non è 



I Non mi consta che questa parola sia mai stata nsata con questo senso nella lingna 
Doaira» ma è .certo oba da vn =- primattra Tiene il tciIk) ftentare osato da Dante : al #af 
ch$ 9$mpr$ rtnia (Par. ZXZ« 186) « da altri. 



i 



32 RASSBONA BIBLIOORAFIOA 

che «Urìbuto compleinentare e necessario di verno. Nessun salto di tempo 
dunque dalPun ali* altro Trionfo, che sarebbe irragionevole, ma ininterrotto 
progredir dell* azione. Opportuna invece è la interpunzione nuova, propo- 
sta daU*a. per 1* ultimo dei versi medesimi, quale 1* abbiamo riprodotta, mea- 
tre, secondo la vulgata, leggevasi: ginnae a man destra, e in terra ferma 
ealse, nuova interpunzione che modifica notevolmente il significato del luogo. 
Il Trionfo, da Cipro passato a Baia, continua verso Avignone, che è sempre 
indicato dai P« come luogo Ji nascita di Laura, quantubque Laura sia ia- 
dubbiamente nata, giusta le indagini del Flamini che 1* a. accetta integral- 
mente, a Gaumont. Dopo il Trionfo della Morte, cioè dopo il e. V, manca ogai 
altra indicazione di luogo, il che appar naturale, se si penai che coi Trì^ufl 
della Fama, del Tempo e dell* Eternità ci troviamo, per dir coti, fuori d^la 
terra stessa. Molte e gravi sono le oscurità, le contraddizioni, le ripetiiioni, 
le inverosimiglianze nei Trionfi, e TA. dichiara di non voler assumersi il 
salvamento di essi come opera letteraria; rimangono tuttavia rattezza del 
concetto generale, la felice trovata di alcuni pezzi lirici, la bellezza del ywiL 
Ed anche di questo equo e moderato giudizio sentiamo di dover dare ali* A. 
pienissima lode, che, se i Trionfi poterono, nei primi secoli dalla loro compo- 
sizione, piacere a tal grado che nelle sole biblioteche italiane il sumero dei 
manoscritti loro ò quasi doppio di quello delle Rime, ciò provenne più che 
tutto dell* indole storico-didascalica di quella poesia, òhe soddisfaceva egre* 
giamente al desiderio popolare di erudizione, come è provato dal fiorire di 
innumeri poemetti didascalici imitanti la Commedia e i Trionfi, Ma, giudicati 
coir occhio sereno e imparziale della critica, i Trionfi appaiono, nel loro 
complesso, deficiente opera di imitazione, dove la tela del racconto è pove* 
rissima cosa, e il contenuto non è che aride filze di nomi e fugaci e pallide 
rappresentazioni di fatti, e la forma, ingemmata qua e là di peregrine bel* 
lezze, pur sovente si deturpa di oscurità e di storture ioescusabili. 

La grande cura data dal poeta alla lima dei versi fa si che per 5 capi* 
toli noi possiamo distinguere due redazioni diverse, delle quali Tuna più 
antica, 1* altra pili recente; e le correzioni dalPuna nell* altra introdotte ri- 
guardano ripetizioni di rime o di parole, mutazioni di accenti, sostituzione di 
vocaboli, aggiungiraenti di versi. 

Passa poi 1* A. a trattare la questione delle fonti. Le simiglianse col Boman 
de la Rose e col Tesoretto sono assai vaghe; più chiara è 1* influenza della 
Commedia, ma anche questa spesso ò inafferrabile, si fa sentire più che ve- 
dere, perché il poeta, mentre traduce alla lettera le fonti antiche, parafrasa 
e rifonde le moderne. E qui giustamente TA. combatte un metodo nuovia* 
Simo di critica, éhe non vorrebbe ammettere imitazione o inspirazione o de- 
rivazione se non dove ci fosse identità, — mentre nella ricerca delle fonti 
canone di ottima critica è questo: che le dissimiglianze fra il testo originale 
e il derivato non contano, contano invece e soltanto, pur che siano specifiche, 
le simigliaoze. Il dire: il tal pensiero o la tal frase non furono dal Petr. 
chieste a prestito a Dante, perché una o due parole non corrispondono o 
perché Tidea è rivolta ad un significato alquanto diverso, non è ragionare 



DBLLA LIBTTBRATURA ITALIANA 33 

a lume di crìtica, o di logica che è Io stesso. E se taluno, come avvenne, 
opponendo, dica : il Peti*, non può aver attinto nel tal Inogo al Boccaccio, 
perché il Boccaccio vi nomina dieci personaggi antichi e il P. pur ripetendo 
gli stessi nomi e quasi nello stesso ordine, ne lascia fuori due o tre, dioe cosa 
che non conviene neanche discutere. L' A. tuttavia prova che, par essendovi 
parecchi notevoli e diretti e indiscutibili punti di contatto fra la Commedia e 
i Trionfi, qaesU derivano da quella, più che in altro modo, attraverso VAm<h 
roM Fmofte del Boccaccio. Ma di ciò, perché ne ha trattato pili larga- 
mente il Proto nel suo opnscok), diremo sulla fine. L* A. chiude la sua intro- 
dnaione mostrando che già nella seconda parte delle Rime tutto era pronto 
e disposto per la composizione dei Trionfi; il sentimento della nullità delle 
cose terrene spingeva il poeta a cercare solo 1* amore ultraterreno, e la spe- 
ranza lo animava di rivedere Laura nel cielo. Da ciò la pietà di Laura verso 
il poeta e le visioni di lei, esposte nei sonetti, delle quali taluna prelude 
veramente ai Trionfi, talché si può dire che questa seconda parte sia già un 
vero Trionfo dell'Amore e della Pudicizia. 

Tutta questa V Introdugione, V A. dice quindi delle condizioni tra le quali 
si svolse r opera sua di editore e del metodo da lui seguito. Le condizioni 
di ricostruzione del testo dei Trionfi sono ben diverse che per il testo delle 
Rime, Dei Trionfi non abbiamo un autografo se non per V ultimo capitolo, 
ed anche per questo la lezione non é certo definitiva; inoltre ò assai diffi- 
cile e forse impossibile vedere tutti i mss., che sono sparsi per tutto il mondo 
e molti dei quali si trovano in mano di privati. L*A. ne collazionò 252, più 
ne vide molti altri che escluse per varie ragioni dall* esame; circa 400 fra 
tutti. Cominciò col fissare gli autografi o le copie collazionate certamente 
sugli autografi, come il vat. 3196 per T ultimo capitolo, il brano dell* edizione 
Ubaldini; il «asan. 924, il parm. 1636, etc. Poi fissò oltre a cento i punti crì- 
tici, più numerosi nel I cap. a causa delle maggiorì disformità di lezione. ^ 
Seguono quindi la discussione delle principali varianti e la questione dell* or- 
dinamento dei capitoli. Quanto alle varianti ci é impossibile qui seguire 1* a. 
nella disamina delle diverse lezioni, disamina condotta sempre con illuminato 
senso di critica, tanto più che su taluna di esse varianti avremo occasione 
di ritornare più tardi ; quanto invece ali* ordinamento dei capitoli, pur non 
intendendo rifare la questione complicatissima, diremo che, dopo questo stadio 
dell* A., si troverebbero di fronte o il vecchio ordinamento riprodotto dal Me- 
stica col ritorno però alla prima distribuzione offerta dal manoscritto casa- 
natense per opera del Beccadelli e del Daniello, o questo nuovo ordinamento, 
proposto e usato dall*A. sulla scorta di un numero grandissimo di manoscritti. 



IL'», non oonobbe o non tenne in conto un mftnoeoritto delU biblioteca civica di Pa- 
dova (C. P. 509, II) che contiene appanto il I oap. {Ut noite) dei Trionfi, beUiasimo quader- 
netto della prima metà del XV, scritto con molta eleganza en pergamena rasata, obe avreb- 
be dovuto certamente, secondo l'intenzione del copista, essere ti primo di un assai fine vo- 
lume. Ké il quadernetto panni intieramente trascutabile, come quello in cai alla elegansa 
dalla scrittura corrisponde la aoearateisa della lezione, vicina a quella dei testi migliori. 



34 RA88BGNA BIBLIOORAFIOA 

Né i due ordinamenti sarebbero essenzialmente diversi fra loro ; solo che il 
secondo escluderebbe i tre capitoli Stanco già, La tu^te é Nel cor pien, che nel 
primo occupano i posti é, 7, 8, e ridurrebbe cosi a dieci soltanto il numero dei 
capitoli; escluderebbe poi anche le terzine: Quanti già, che seguono al cap. Qi^m- 
do ad un. VA. dice che i mss., su cui egli si fonda, sono i pili autorevoli, ma oon 
possiamo giudicare se veramente sia cosi, mancandoci una descrizione anche 
sommaria di tutti i manoscritti, quale pur sarebbe stata desiderabile, mentre egli 
descrive solo, con molta cura, alcuni di quelli che, a giudizio suo, sono i fon- 
damentali. Questo però è certo che il numero maggioro dei testi e tra essi non 
pochi di notevole autorità gH starebbero contro. Che il nuovo ordinamento 
corrisponda ad un preciso e bene studialo disegno artistico, non cVè dubbio; . 
i capitoli dei Trionfi sarebbero solo dieci e si dividerebbero in due primi 
gruppi uguali di cinque capitoli e di tre trionfi ciascuno. Cosi nel primo 
gruppo si avrebbero i tre Trionfi, diremo così, terreni dell'Amore, della Pu- 
dicìzia e della Morte, e nel secondo gruppo i tre ultraterreni della Fama, del 
Tempo e dell* Eternità. Inoltre i due gruppi si corrisponderebbero simmetri- 
camente nella suddivisione interna: in ciascun d*essi tre canti sarebbero dati 
al primo Trionfo e un canto a ognuno dei seguenti ; si avrebbe cioò una di- 
sposizione di tal fatta : 

1,2,3;1;1;;1,2,3;1;1. 

Correzione e ordinamento dunque intieramente simmetrico, — tanto sim- 
metrico forse da far dubitare che il P., morto senza poter dare ali* opera sua 
r ultima mano, lo abbia, se non pensato, fissato, e che TAppel non si sia un 
pò* lasciato sedurre dalla stessa sua perfezione e simmetria. 

Nel capitolo: La cronologia dei Trionfi, TA. s'accorda col Mestica nel ri- 
portare il principio della composizione del poemetto al 1352 o 1353 e viene poi 
osservando tutti i dati cronologici del I canto e dei canti seguenti, per con- 
cludere che il lavoro di revisione e correzione durava ancora alla morte del 
poeta. Impossibile è invece, dice egli nel capitolo seguente, delineare un al- 
bero genealogico dei manoscritti, perché quasi subito dopo la morte del poeta, 
a causa appunto delle condizioni di testo non definitivo in cui era rimasto 
il poema, cominciarono i tentativi per la ricostruzione di un testo critico, — 
dal che gli incrociamenti di varie lezioni anche nei manoscritti pid antichi 
e le difficoltà di cogliere i vincoli di parentela che legano Tuno ali* altro. 
L*A. ammette dunque che nella scelta dei testi fondamentali e delle varie 
lezioni non potè sempre seguire il rigido criterio obiettivo della pluralità e 
della maggiore autorità, ma che in parte dovette fare opera subiettiva e in 
parte anche piegarsi alle necessità materiali del luogo, ponendo a base del- 
1* opera sua i mss. di Roma e di Firenze, perché più agevoli a studiare di 
altri non meno forse autorevoli ma troppo lontani. Ricco di osservazioni in- 
teressanti è il capitolo Della metrica; in quello invece Dell'ortografia e delia 
prosodia Ta. istesso dichiara che non fa se non completare le indagini di- 
ligenti già pubblicate dal Savelli. Ma qui poi non giungiamo ad intendere 
perché altrove, cioè nel principio delle Note, egli avverta di non aver sem- 



DBLLA LBTTBRATURA ITAUANA 35 

pre introdotto nella ricostrozione del testo le forme ortografiche già ricono- 
scinte abituali del poeta; è vero però che il poeta stesso se ne mostrava 
incerto di frequente. 

E veniamo al testo critico. Dei primi tre canti, cioò di tutto il Trionfo 
tUU'Amore^ nonché dei primi 99 versi del e. IV, Trionfo dèlia Rtdieigia, e 
del canto: Staneho già, sono dati a fronte i due testi, il più antico e il più 
recente; di questi e di tutti gli altri canti poi sono in nota le varianti. D 
testo è sempre ricostruito con cura e con vero acume di criiioo, dandosi nei 
casi dubbj tutte due le lezioni per mezzo dello sdoppiamento della riga; e le 
varianti sono riprodotte con minutissima diligenza. Con troppo minuta dili- 
genza anzi, che di taluni evidenti errori del copista, dove non ò possibile 
supporre nessun deliberato mutamento morfologico o Ibnetico, era davvero 
inutile tener conto ed aumentare con essi un fardello già di per sé abì)a- 
stanza grave. Finito goeho per funereo gioeho, inietoM per inetabil, lartende 
per r attende, panimoda per [Bìpaminanda, hppo per Hppo, tirùngi per stringi, 
Vneggiar per Vaneggiar, peneoea per pen^osa^ quettraltra per guettaUra 
non sono varianti ma distrazioni de* copisti, veri trascorsi di penna che non 
dovevano venir registrati. Ma di qualche questioncella sulla scelta della le- 
zione diremo ora nel rivedere le numerosissime Note, che seguono al testo 
e nelle quali 1*A. lascia anche, molte volte, il compito suo di editore per 
soddisfare ali* altro, assai più ampio e più aperto a discussione, di esegeta. 
Chiediamo venia se talune delle osservazioni nostre saranno esposte in forma 
quanto più succinta e presso che telegrafica ; ma non possiamo soverchia- 
mente abusare dello spazio accordatoci. Il lettore, tenendo sempre sott* occhi 
il libro deirA., supplirà alla deficienza. Ecco i punti principali che ci sem- 
brano controversi. 

I, llS-7 1 — I Ed eUa [Fedra] ne morio, TendetU forse 
d'Ypolito e di Tbeseo e d'Adrianna, 
eh' a moriét ta 1 eai bene, amando cor»$ i. 

Non mi par dubbio il che doversi riferire a Fedra e non ad Arianna. 
Arianna non coree a marte cioè non si uccise per amore, ma fu abbando- 
nata, come ben si sa, da Teseo nell* isola dove, secondo alcuni mori, ma se- 
condo la più comune versione, accolta da Catullo, fu trovata e sposata da 
Bacco. Il eke deve dutfque intendersi avverbialmente: perchè, 

II, 16-18 — I L'altro più di lontan, qael è 1 gran Greco; 
né vede Egitto e l'empia OUtemestra: 
or puoi veder Àwior tftgli i htu eUeoI «. 

Non è possibile intendere che V amore, di cui è parola in quest'ultimo verso, 
sia quello di Gliteronestra per Egìsto, né di Agamennone per Cassandra. Che 
si intenda di un amore di Agamennone non ci può esser dubbio, giacché 



t ^er 1# oitMÌope,n»taralnieQte,oi teniamo al testo deU'Appel. 



36 RASSBÓNA BIBLIOQRAFIOA 

appunto lai ne è acciecato a tal segno da non vedere i due adulteri, ma non 
si capisce, o difficilmente si capisce, come tale effetto potesse fare 1* amore 
di lui per Cassandra. Né di Cassandra è qui minimamente parola. Credo 
dunque che il verso accenni air amore di Agamennone per la moglie stessa, 
tanto più che fu appunto sempre V amore per la moglie che, da Agamen- 
none in poi e certo anche prima, rese ciechi i mariti. 

n, 66 — « À qneste malattia ootal 
Ootal à questa malattia ». 

L* a. propone come vedesi, due lezioni, la cui differensa consiste solo nella 
diversa collocazione della parola coiai. Non tiene invece in nessun conto una 
variante, che ci dà malitia in luogo di malattia e che è portala, con note- 
vole accordo, da numerosissimi e importanti codici. Non mancano anzi tutto 
esempi di malizia usata nel senso di malaitia ; ma poi qui vuol dire forse 
male eausato da fattucchieria, da influenza perniciosa, considerando quasi tale 
r amore. È bensì vero che il medicando di sopra e il remedio del verso stesso 
richiamano necessariamente Tidea di malattia, ma appunto per questo trovo 
difficile che molti manoscritti abbiano mutato di lor capriccio la parola pili 
facile e più comune nella più difficile e meno pronta. 

II 184 segg. L'A. riporta nel primo testo la lezione più lunga formata di 
7 versi e nel secondo testo la lezione dì un verso solo. Non si capisce per- 
ché non abbia invece preferito la lezione del cod. Cas. che consta di 4 versi : 

« In Kannui so ohe cosa è l'alma ^aga, 
rotto parlar con aubito ailentio, 
ohe poco dolce molto amaro appaga, 
di chi 8*à il mei ^mprato con l'afleentio ». 

Questa, oltre aver T autorità indiscutibile di più di un buon manoscritto, 
è quella che meglio corrisponde alle necessità logiche ed estetiche del perìodo. 

111,44 — « L'nn Piero e VaUro e '1 men famoso Arnaldo ». 

L' altro Piero potrebbe essere, piuttosto che Peire Rogier proposto dall' a., 
Peire Bremons celebre per le sue canzoni d* amore. 



Y, 78 ~ I Da India, dal Oataio. Harrocobo e Spagna ; 
• 'l meno avea già pieno e le pendici ». 



Non so vedere la necessità o Tutilità di porre quel punto e virgola dopo 
Spagna e di scindere la forma el in e *L Si ottiene cosi un verso sospeso, 
senza evidente costruzione grammaticale, e si sciupa intieramente Tidea. Il 
P. con r India, il Gataio, il Marocco e la Spagna volle indicare i confini di 
quasi tutto il mondo allora conosciuto ; il mezzo è appunto questo mondo. 



dblìa UmÈkàrijkk rrÀùÀixi ^7 

i!gii dice i tùlio lo spazio conlenuto in mezzo dair India, dal Gàiaio, eie. era già 
pieno... Leggerei dunque: el,e ommetterei il pònto e Virgola. 

y, 168 — « Lo spirto par partir di qwèl bel seno 
con tutte lue virtatl In so romito 

dVM 

fatto in quella parte 11 elei eereno ». 

La Yecchia lezione avea, adottata per prima dal P., è cerio gramaiical- 
mente la più chiara, quantunque un pò* in contrasto, per il senso, con ciò che 
segue/ La nuova lezione «ra, proposta dalF A., non ha che 1* appoggio di dae 
manoscritti e rende assai più involuta la costruzione; si noti però che in 
tal caso, per ottenere un senso gramaticale, conviene intendere partire in si- 
gnificato transitivo con soggetto cielo e oggetto »pirto, cioè: il cielo era di* 
venuto sereno per separare lo spirto da quel bel seno, eie. 

y. 162. — « Non come fiamma che per for^a è spenta, 

ma che per ae medesma si oonaame, 

ni mtffl 

, . . in pace, l'anima contenta, ... ». 
M M ondo 

Né vada, come vnole V A., è impossibile leggere perché contraddice affatto al. 
senso dei due versi che precedono e che colla loro similitudine espriniono 
tutto r opposto. Se n'andò mi ha tutto T aspetto di nn rabberciamento so- 
stituito dair amanuense, che volle avere un senso chiaro ad ogni eosto, e di - 
fatti è portato da un solo manoscritto. Preferirei ne vada col ne pleonastico, 
sottintendendo la copulativa e, e ommettendo la virgola dopo pace. Insomma, 
dopo r idea allegorica della fiamma si avrebbe V idea propria dell* andarsene 
in pace dell* anima, posta ugualmente al congiuntivo quasi coordinata alla 
precedente. Unica è non lieve, a dir vero, difficoltà la mancanza deWe. 

yi. 33. — I E leggeasi a oiaacnno intorno al ciglio 
il nome, ai tMndo più di ghria amico ». 

Confesso candidamente che non arrivo a farmi una ben chiara idea della 
miova interpretazione proposta dalKa., tanto più che quella già data dal 
Tassoni e da tutti accettata è cosf evidente che di più non è possibile. Il 
verso 33 deve riconnettersi col precedente v. 19: Scolpito per le fronti era 
il valore; ciascun uomo avea scolpito sulla fronte il proprio nome nella forma 
più nota al mondo. Fors* anche, quantunque i manoscritti non sembri lo 
provino, il P. scrisse al modo invece che al mondo, 

vili. 14. — < Questo cantò gli errori « le fatiche 
* d* nna > 



Credo debba accettarsi senz* altro la proposta deirÀ.^ che la nota autografa del 



98 fUS8toÌ<A bl^LiOORAFlGA 

P.: 8ine duino obscurum est, riportata dal Beccadelli, si riferisca al v. 14, vera- 
mente di assai dubbio senso, piuttosto che al 13, il quale è di per sé chiarissimo. 

A or6dftr 
Vili. 79. — « Vidi Ippia, e l wechiarel ^ ., ^ oso 
'^'^ che già ta 

Di saper tatto 

Dir I Io so tutto », 

Non parmi affatto debba leggersi e 'l vecehiarel ma el o il senza la virgola 
precedente. Anche lasciando che Cicerone narra appunto di Ippia che si 
gloriasse di saper tutto, si deve notare che di ciascun filosofo qui nominato 
il poeta riassume con una o più parole il carattere: Anaxarco è intrepido $ 
virUe, Xenocrate piti saldo che un tasso, Democrito tutto pensoso, per suo 
voler di lume e d* oro easso, e via via. In questa lunga serie, accettando la 
proposta delFÀ., unico nome isolato, senza attributo che lo illumini, sa- 
rebbe quello d* Ippia, mentre poi ad esso seguirebbe, pure unico esempio, 
una allusione perifrastica ad un filosofo di cui sarebbe taciuto il nome, e 
appunto un allusione che ad Ippia può benissimo riferirsi. Leggere dunque 
e 'l sarebbe sciupare tutta la costruzione rettorica ed estetica di quelle ter- 
zine. 

VUI. 110. — • Goef al lunu fU famoso e lippo. 

00 la brigata al suo maestro eguale •. 

Preferirei a suo lume portato da molti autorevoli manoscritti piuttosto che 
al lume. Se si accettasse fumoso allora riuscirebbe chiaro anche al lume, 
cioè: Epicuro fu fumoso o di incerta vista dinanzi alla luce; ma, ammessa la 
lezione famoso adottata dall' A. e che è la più certa, riesce ben difficile ac- 
cordare ridea di diffamatore con quella di luce. Che vorrà dire diffamatore 
della luce P — A suo lume indicherebbe invece : alla propria anima ; — lumen 
vitae nel senso di anima è usato assai di frequente da Virgilio e da Lu- 
crezio. Epicuro che negò V anima immortale sarebbe stato lippo e famoso 
a suo lume, quanto a dire cieco e diffamatore dell'anima propria, 

IX. lé-15. — I Ck$ più n$l eia ò io che 'n Utra un uomof 
A cui t99tr tgual ptr gratia clteggiof 

Tutti i vecchi lettori del poema avevano riunito questi due versi in una sola 
domanda, né so vedere il perché della nuova interpunzione adottata dall' A. 
Essa non fa che rendere alquanto oscuro il senso, di per sé prima chiaris- 
simo: ' Che cosa ho io, esclama il Sole, più di quello che ha Tuomo sulla 
* terra, r uomo a cui anzi debbo per grazia chiedere di esser uguale?,. Né 
vedrei qui una allusione air anima, di cui sono dotati gli uomini e non è 
dotato il sole, allusione veduta dal Gesualdo e dal Leopardi. L'inferiorità 
del sole di fronte all'uomo è chiaramente spiegata nei versi 25 sgg., dove 
é detto che l'uomo può divenire col passar degli anni sempre più celebre 
anche se è morto, mentre il sole tal è qual era dopo tante migliaia d' anni. 

IX. 116. — « Ogni cosa mortai tempo interrompe 



DBLLA LBTTBIUTURA ITAUANA 39 

Non trovando nessuoa lezione accettabile, perché tutte prive di senso e di 
legame sintattico, VA, ha preferito sostituire il verso con una riga di puntini. 
Però in nota dice che, fra le tante, più accettabile gli sembrerebbe la lezione : 
$ ritolt'à, à men buon non, a' più degni, A me pare invece che basti enun- 
ciare una simile proposta, perché debba essere scartata senz* altro. Più or- 
ribile verso non saprei immaginare. Quella virgola dopo il non, quel mm per 
no, quelle tre parole inoposillabiche e nasali di seguito senza pausa inter- 
media: mén htMn non, quei due à à pure di seguito, sono tali barbarie fone- 
tiche che non potevano suonare neanche per un momento su quél dolce di 
Calliope labro del cantore di Laura. Ma, poi anche, il verso non avrebbe 
ugualmente nessun senso né si collegherebbe in nessun modo con eiò che 
precede o che segue. Piuttosto preferirei la lezione offerta dal Gas. 610 (que- 
sto ms. dà, si noti, assai sovente un testo corretto) la quale suona cosi : e 
ritoUo a* men buon, non eh* a* pia degni. Al ritolto si potrebbe sostituire, sulla 
autorità di quasi tutti gli altri manoscritti, ritolta; e ritolta sarebbe come 
apposizione di mortaie. Il verso, non bello certo, è però passabile e il senso 
corre abbastanza bene : * il tempo interrompe ogni cosa mortale e ritolta cosf 
* ai meno buoni come ai più degni .. Non sarà certo soluzione perfetta, ma 
la meno infelice che, in tali difficoltà, si possa sperare, e versi peggiori non 
mancano nei Trionfi, 

X.103. — ■ e de'gQAdAgnl 

▼eri e de' fidili si flui ragione, 
ohe tutti Han aUor oprt d'aragni. 

Rigettata la vecchia opinione del Castel vetro, TA. espone il dubbio se opre 
d'aragni debba intendersi nel senso di evidenti, trasparenti (perché al mo- 
mento del Giudizio finale tutte le opere umane buone o cattive saranno cosf 
appunto visìbili a tutti), o non piuttosto intendere come i vecchi commen- 
tatori vanità, debolezze, riferendole solo ai guadagni falsi e vedendo quindi in 
quelle parole una restrizione dell* idea principale, fatto o figura logica che 
si osserva anche al verso 114 del canto stesso. A vero dire, quest'ultima 
soluzione é impedita in modo assoluto da quel tutti, che sembra messo li 
apposta per avvertire il lettore che non si tratta solo de* guadagni falsi, ma 
de* veri e de* falsi insieme. A rincalzo invece delia prima interpretazione osser- 
verei che il concetto, brevemente enunciato in questi tre versi 103-105, è 
ripreso e largamente svolto nei versi che seguono 109-112, dove appunto si 
dice : 

Neiaan segreto Ik obi oopra o ohinda, 

lift ogni conieienfft, o chlAr», o fosup 

dinanzi a tutto '1 mondo aperta e nuda; 
e fla chi ragion giudichi e conosca. 

Si noti r ultimo verso, vera e propria esplicazione della frase si farà ragione 
del V. 104. Guadagni poi deve intendersi nel senso di ealcoli, come effetto 
per la causa, e il senso riesce allora chiarissimo. 



40 tlASSBOllA BlftLIOatUFlCA 

II > i3. >- « O me I ma poche notti 

Air a tanti desir u brevi e scarse, ^ 

indarno a maritai giogo condotti 
{eh* è del nostro furor «eu9« uon faUte), 
e i legittimi nodi fbron rotti ». 

É impossibile leggere eh' è e chiudere il verso fra parentesi, come fa TA., e 
ciò per tre ragioni: 1. ch'è^ nel senso quod est con un predicato plurale dopo 
di sé, non è ammesso dalla sintassi italiana ; 2. il si comparativo del verso 4) 
richiama di necessità un che correlativo nel secondo membro del periodo, 
3. il verso 45 : i legUHmi etc. cominciante con quel e copulativo non po- 
trebbe cosi legarsi a ciò che precede e tutta la costruzione sintattica del pe- 
riodo ne andrebbe spezzata. La lettura dunque deve rimanere quale fu am- 
messa dai vecchi interpreti del poema, chiudendo con due virgole il verso : 
indarno etc. e conservando il chs correlativo del si. Resta la difficoltà a'ssai 
grave di intendere il significato dei due versi: che del nostro furor etc; ma 
probabilmente legittimi nodi non è che una ripetizione esplicativa di scuse 
non false e tutt* assieme non sono che una perifrasi di matrimonio, dovendosi 
intendere: che le scuse non false del nostro furore e i nostri nodi legittimi 
furono rotti, cioè fu rotto il nostro vincolo matrimoniale. Orribili versi ad 
ogni modo, ma non li abbiam fatti noi! 

II. 118. — I eh' è coDteDta costei lasciar me 11 regno, 

io il mio diletto, e questi la sua vita, 

via 
per far» . più che ae^Vun l'altro degno >. 
Vie 

Intanto, al v. 1 18 conviene scegliere e leggere o lasciarme il regno o lasciar 
me e *l regno, giacché i due complementi oggetti cosf disgiunti mal possono 
stare. Quanto poi al v. 120 f interpretazione del Biagioli è di tale evidenza 
e facilità, che il voler sostituirne un* altra è davvero opera vana. Quella pro- 
posta dalfa., si fonda sur una sottigliezza: far degno in alcuni passi pe- 
trarcheschi vuol dire non solo creder degno di una cosa, per dir cosf, teo- 
ricamente, ma render degno cioè partecipe della cosa stessa praticamente. 
Cosi, secondo lui, il verso andrebbe spiegato non: perché ciascuno stimava 
V altro più degno di sé del bene desiderato ^ ma invece: perché ciascuno pre- 
feriva porre V altro invece di sé in possesso del bene desiderato. Il che, se ben 
si guardi, vuol dir lo stesso; è la stessa idea portala solo ad un grado mag- 
giore di esplicazione, giacché chi crede degno uno di una cosa, generalmente 
gliela dà o vuol dargliela. £, come si vede, uno sforzo dì esegesi affatto inu- 
tile. 

V.» 15 — » Come il cor gioveull di lei s'accorse, 
co*ù pensosa, in atto liumlle e saggio, 
8' assise ». 

L*À. propone di interpretare T avverbio come nel significato modale e cor- 
relativo del cosi seguente, cioè: cosi fiorente di giovinezza quale V avea la 



DELLA ttrtTÉHk'MkA ItALìANA 4l 

prima f>oUa eeduta, 8* assise. Ma bisogna convenire che questo fiorente di già- 
vinegza è tutto neila fantasia del commentatore e che la sola parola che 
^o'ssa accennarvi ben lontanamente : giovenil, non si riferisce a Laura ma al 
Petrarca. Se si volesse intendere grammaticalmente giusta il desiderio dell* A., 
bisognerebbe riferire il come e il cosi al pensoso in atto kumile e saggio^ ma 
il Petr. non disse mai di aver veduta, la prima volta, Laura pensosa. A 
me non par dubbio che il come e il co«^' siano veramente due correlativi 
temporali, quali furono intesi da tutti i commentatori e stiano in luogo di 
tosto che. Si ricordi infatti il verso dantesco, di cui questo è forse una re- 
miniscenza: subito si compio di lor m'accorsi. Ma c'è di più. Quel di lei 
t' accorse non può essere interpretato, come vorrebbe F a„ per la vide, ma per 
la riconobbe, essendo quasi una risposta, voluta dalla intelligenza di tutto il 
brano al riconosci? di ppco prima. E qifesto significato esclude già di per 
sé tutta r interpretazione proposta dalPA. Il cor giovenil vale, ben sMntende, 
per la memoria giovanilf, cioè la memoria delle cose giovanili. 

V.» 28 — « Ed lo: e Al fin di questa altra serena 
oh'à nomo vtta, che per prova il sai, 
de, dimmi se '1 morir è si grao pena ». 

L*A. legge coi manoscritti pili autorevoli serena non sirena e propone di ri- 
ferire serena a vita con evidente reminiscenza dantesca; e su questo non 
parmi si possa affatto dubitare. 

Diremo ora assai brevemente dell* opuscolo del Proto. Si capisce subito 
che il lavoro delKAppel, uscito, dopo di quello del Proto, ha, in parte precor- 
rendone in parte infirmandone talune conclusioni, tolto a questo una parte 
del valore che gli si sarebbe potuto riconoscere. Valore del resto non molto 
alto, quando si consideri che in questo opuscolo di quasi 100 pagine è un 
ibis redibis coniìnno intorno press* a poco alle medesime idee, un accennare 
^uasi affermando e poi uno smentire e un ripetere senza fine, talché pur il 
più paziente dei lettori ne prova, dopo breve spazio, stanchezza e sfiducia. 
11 lavoro si può, coni air ingrosso, divìdere in due parli, nella prima delle 
quali si discute della possibile derivazione dei Trionfi dalla Commedia e dalla 
Aìnorosa Visione, nella seconda assai più breve, della data del suo comin- 
ciamenlo. 

In quella il Pr. si fa a sostenere che V idea ispiratrice dei Trionfi venne 
al poeta dallo stesso Sogno di Scipione, che la forma egli ne prese almeno 
in parte dsìiV Africa, ma iche la spinta definitiva ebbe dalla lettura deir^mo- 
rosa Visione. E per quanto riguarda le relazioni fra VA. V. e i TV*., ricono- 
sciamo volentieri che egli riuscf a provarle abbastanza sicuramente, confer- 
mando in parte cosf e illustrando quanto anche TAppel, come vedemmo, ha 
provato. Soltanto che, come spesso avviene, egli restringe un pò* troppo lo 
sguardo al particolare argomento e non avverte che talune delle concordanze 
da lui notate sono comuni non solo ai Trionfi e alla A. V., ma a tutta o 
quasi tutta la poesia allegorico -didascalica del tempo. Tale, a mo*d* esempio, 
la rappresentazione figurativa di fatti storici a mezzo di pitture o sculture ; 



42 RA88BONA BIBUO^IUriOA 

V ItU€Uig$ntia ioformi. Quanto alle imitazioni dantesche egli sobordina la 
modo assolato tutto il suo argomentare ad una preoccupazione unica, quella 
di provare che il Petr. non aveva letto verameate prima del 1359 la Diviati 
Ck>mraedia e che quindi ogni imitasione formale di essa, che nei TV. si ri- 
trovi, deve notk esistere o deve essere stata inserita dopo quel tempo. Già 
egli non i^mmette neanche come discutibile, grazia sua, che accenni a remi- 
niscenze dalla Vita Nova e dalla Commedia possano esserci nel Canzoniere, 
e di fronte a tal reciso giudizio noi pover uomini dobbiamo chinar il capo 
contriti; ma ben poche imitazioni dalle più evidenti si salvano anche nei 
Trionfi dall* opera sua spietatamente demolitrice. Fino ad ora nessuno aveva 
mal dubitato che i famosi versi : 

O PoUxniiia, or prego ohe m' aiti, 

e %n» Memoria, 11 mio etile accompagni 

ohe 'mprende a ricercar diversi liti, 

ricordassero i non meno famosi di Dante: 

O Maee.o alto ingegno or m' aiutate 
ICènte eto. 

Ma che? U pr$go viene da nnprM9r dell'Eneide, il m'aiii da un favtns 
mdti9 delle Georgiche, la M$moria non è proprio proprio la JtfÌMi<« dantesca, 
i diversi liti, poiché indicano, a suo giudizio, materia varia in sé non diversa 
da materia prima trattata,' non hanno « che vedere col celebre votiri liti 
dantesco, e poi Ovidio stesso ha detto una volta: navis iUrpet dir dell* ar- 
gomento del suo lavoro ; il Petrarca dunque non sognava neanche della Com- 
media, quando scrisse quei versi i Qualcuno anche potrebbe supporre che il 
verso : Qnefti fur feeo miei ingegni e mie arti possa derivare dal dantesco : 
TVatio t'ho qui con ingegno e eon arte, e ciò non tanto per la coincidenza evi- 
dentissima delle parole, quanto per la identità della situazione poetica, giacché 
cosi neirun caso come neiP altro è la donna ohe parla air amante dell'influen- 
za da lei esercitata sull'animo suo per trarlo a salvamento. Ha quel qualcuno 
davvero non saprebbe che anche Orazio ha unito le due parole ingegno ed 
arte, nel verso: Ingeniummieera quia fortunatiue arte credit. Che poi il senso 
non combini neanche mille miglia da lontano, questo non conta; certo il 
Petr. ha attinto ad Orazio e non a Dante. E cosf per decine di pagine. Ad 
ammettere V imitazione si vogliono, giusta una nuova mirabile critica (di cui 
il Proto par voglia seguire T infelice esempio) due cose: prima che le parol# 



1 O pero|ié poi il diverti non possa proprio yenir messo In reiasione colla materia pre- 
cedente e non possa quindi intendersi, come suona, per distrai o dijfgrenti, vattelapesca. Il 
canto, uno di quelli esclusi dall'Appel, era l'ottavo nel Tecohio ordinamento e non fa certo 
il primo in ordine di composizione. E quella iuvocasione posta lì a messo lavoro, non può 
in altro medo^ giustlilcarsl se non coli' ammettere clie il Petr. intendesse, come Dante, ao- 
oenntre con essa ad un mutamento e ad un elevamento del soggetto da lui trattato. U «he 
appunto è riconfermato dal verso che segue; Uomini § /atti gloriati « magni. 



► 



DBLLA LBTTBRATDRA ITALIANA 43 

e il significato dei versi coincidano esattamente in modo che, se misurate 
i righi col compasso, non sgarrino di nn ette; poi, che nessuno al mondo 
abbia mai usato per PinnaniJ una di qiielie parole, giacché allora è beli* e 
deiciso, r imitasione è tolta, sempre dal più antico. Dire che il Petr. non è un 
plagiario e neanche un imitatore, ma un ingegno possentemente originale che 
asssimila e rifonde ciò che ha preso da altri, talché le indagini delle remi- 
niscenze devono dalla identità di alcune parole solo ricevere conforto, ma 
fondarsi sopratutto nella somiglianza del pensiero, nel disegno generale di un 
canto, nella concordanza di alcune situazioni, nell'atteggiamento di un* idea; 
— dire che, se di venti parole o frasi petrarchesche, scelte qua e là in un 
sol canto, tre ne trovate in Virgilio e due in Orazio e quattro in Ovidio e 
via cosf, ma poi tutte venti le trovate in Dante, principio elementare di lo- 
gica e di critica vuole che solo in Dante si riconosca la loro fonte comune, 
perché la prova viene appunto dallo scambievole appoggio che quelle parole 
quelle frasi si danno ; è tempo perduto. Talché in verità non mette conto 
di battagliare con armi cosi differenti. Osserveremo soltanto che il Pr., ritor- 
nando sul suo lavoro oggi, dopo V edizione deirAppel, forse converrebbe di 
dover mutare giudizio su taluni punti. Per esempio, il verso : eh' angi tempo 
à di vita Amor divisi, dove la derivazione dal dantesco : ch'Amor di no$trm 
vita dipartine è tanto evidente da apparir quasi materiale e quindi inne- 
gabile, era da lui, per amore della sopradetta tesi aprioristica, accettato solo 
come un rabberciamento posteriore asserendo che il Petr., prima di leg- 
gere la Commedia, dovea aver scritta T altra lezione : ohe per eua man di 
vita eran divisi, dove reminiscenza dantesca non si vede. Ora, neanche a farlo 
apposta, dalla edizione critica delPAppel risulta che la forma: eh'at»9i tempo etc, 
appartiene proprio alla prima redazione del Canto, ed io non dubiterei di 
ammettere che invece più tardi il poeta, riconoscendo troppo evidente e vol- 
gare r imitazione, da che egli rifuggiva, ne tolse al verso ogni apparenza. 

Assai meglio discusna, forse perché più brevemente, e fondata su inda- 
gini nuove è la seconda parte, che, come dicemmo, tratta il tempo del co- 
minciamento dei Trionfi. Ivi con copia di buone argomentazioni è fissata 
al 1351 la data della prima epistola poetica a Barbato di Sulmona, epistola 
in cui si avrebbe il primo accenno alla concezione del poema. La concezione 
segui dunque alla conoscenza dell*^ morosa Viéibne, ma la redazione scritta 
non cominciò (e in questo il Pr. si accosta alla comune opinione confermata 
anche dalPAppel) se non sulla primavera del 1352 in Valchiusa. Dal che si 
vede che dei risultati buoni anche dall' opuscolo del Pr. sono offerti ; essen- 
done, come dicemmo, pur attraverso i difetti di metodo e di forma, più che 
a Sufficienza provato quanto del resto era già ammesso in tesi generale, che 
la lettura del poemetto boccaccesco ebbe influenza notevole sulla fantasia 
del Petrarca neir ideare i TVionfi. 

Andria Mosgbitti. 



44 RAfiSfiONÀ ÉtSLìOQnkFlÓA 

COMUNICAZIONI. 

UN RIMÀTOBS POCO NOTO DBL SECOLO XY. 

Giovanni Del Testa da Fisa, 

Nel ms< 1739 dell' Università di Bologna - Vlsoldiano notissimo - occorre 
an canzonieretto di 28 componimenti, la maggior parte sonetti e ìì resto 
sestine, dati dal ed. come fattura di un rimatore, altronde ignorato, da Pisa, 
di nome (secondo ogni probabilità) Giovanni Del Testa. Veramente, per es- 
sere esatti, le cose stanno in questi termini: da ce. 193» a 198^ si succedono 
una sestina e 21 sonetti che al giudizio dell'autore o dell'amanuense pare 
formassero una serie organica, come provano queste indicazioni poste al 
principio e alla fine della piccola serie: Domini Johannis eyllenij viri eloquen- 
tissimi quedam Fragmenia Ineipiunt et Finiunt fragmenta D, Johanni» cyllenif 
yro viridi; da ce. 302» a 305^ abbiamo poi tre sestine e 3 sonetti, dei quali 
cotnponimenti il primo à la didascalia Domini Johannis Teste Cyllenij de 
Pisisy e gli altri un semplice eiusdem. Che tali diverse denominazioni si ri- 
feriscano ad una medesima persona, è innegabile, non solo per esser quelle 
quasi identiche tra loro, ma anche perché una sestina e un sonetto della 
seconda serie, i nn. 393 e 394 della tavola data da 6. Rossi,^ appaiono mani- 
festamente scritti per la stessa madonna Verde, V amata del rimatore, a cai 
son dedicate le più delle ri«ie del primo gruppo. Di questa raccoltina di 
poesie; poiché nessuno se n* è occupato fin' ora (né meno il diligentissimo 
Flaìnini nella sua Lirica toscana del Rinascimento) ^ non sarà male spender 
qui due parole. 

E prima di tutto, chi era l'autore? Della sua biografia non sappiamo 
nulla;* solo, dall' esser due sonetti suoi (i nn. 395 e 396) dedicati al duca 
Ercole I di Ferrara (1474-1504), possiam porre il fiorire di lui nell'ultimo 
quarto del sec. XV. Appartenne egli alla famiglia Del Testa, notÌ3sima tra le 
pisane; tuttavia tra i membri di questa non conosciamo (come mi faceva 
osservare il eh. prof. Lupi, che qui, cogliendo V occasione, ringrazio) nessuno 
che avesse il nome di Giovanni e vivesse press' a poco al tempo del rima- 
tore in discorso.^ Del resto non più di noi furono informati, tra gli antichi. 



I In Propugnatore, N. ■., VI [1893] 2, 112-67. Secondo queeta tavola cito sempre anche gli 
aliti eomponl menti. > 

> Il qnale, per altro, deliberatamente ai astenne (come nella prefazione egli stesso con- 
fessa) dal trattare di quei rimatori che non erano nati o al meno Tissnti a Firenze. 

s Questa famiglia (lat. 7V«<r< o de Tenia) oggidì estinta apparteneva al qttariierium Kinlhice 
e doveva essere a bastanza antica se un Bemard%a de Tenta (comunicaslone del prof. Lupi) 
sindlava a Bologna già nel 1202. Molti Del Testa furono degli anziani della loro patria, come 
puoi vedere dal documenti pubblicati da F. Bonaimi neir^icA. ator. it. (voi. VI della serie*!, 
parte seconda). — Quanto all'aggiunta di Cyllenius al nome del nostro autore, non so come 
spiegarla, a meno che si tratti di soprannome: che patronimico non so risolvermi a cre- 
derla. Alcnni sonetti volgari di nn rimatore indicato con il soprannome di CylUnio o Cylleme 
Mercurio e diretti al veronese Felice Feliciano, si trovano in uu cod. dell'editore L. 8. Olschki 



DBLLA LKTTBRATURA. ITALIAMA 4& 

il Grescimbeni, che ricordò il Del Testa nel secondo volume de* Comentari,^ 
né il Quadrio * che attinse anche questa volta, come quasi sempre, dal custode 
d'Arcadia. Tra i moderni intendeva m etler in luce questo pisano E. Lamma 
nel lavoro, rimasto incompiuto, su Alcuni peirarchitti del $ee, XV;^ e lo 
ricordò di sfuggila il Flamini,^ rimandando il lettore RÌVlitaria del Gre- 
scimbeni. 

Veniamo ora al canzoniere del nostro poeta, canzoniere forse più note- 
vole di quanto si può credere, ove lo giudichiamo alla stregua degli altri 
moltissimi che dello stesso tempo ci restano. Intendiamoci: nulla di straor- 
dinario; Fautore assorge solo qualche volta, e non è poco, alla mediocrità, 
eh* è il supremo limite estetico della scuola alla quale appartenne ; e di essa 
ha, in genere, tutti i caratteri (direi, i difetti) che furono cosf bene còlti dal 
Flamini nelP opera citata pili sopra: ristrettezza di concetti e faticòsità di 
espressioni,' frequenti oscurità, non poche invei^sioni e latinismi, e sopra 
tutto il peso soffocante della mitologia classica, o, meglio, della retorica mito^ 
logica quattrocentista.^ A volte si tocca il grottesco nella commistione del 
sopranaturale pagano co* *1 cristiano, come quando (n. 207), dopo il ricorda 
dei doni che alla bella donna fecero Minerva Venere Apollo, è detto che 
' gli angioli summi del celeste coro , le diedero il dolce canto. In compenso 
la musa del rimatore s* inalza ov*ei tocca delle bellezze della sua donna; versi 
ben fatti s* incontrano più facilmente, e anche concetti, se non nuovi, al meno 
espressi con qualche originalità; valgano ad esempio questi:^ 

Celeste forma in nitido alabastro; 
gli ocohii dee stelle e '1 capo de fino oro; 
bianche rose e Termlglie lo porle e *n ostro; 

la man d'avorio 

n.l99); 

e gran parte del sonetto n. 904, che qui trascrìvo per intero: 

Questa alsna gloriosa e ftanolia donna, 
che per mostrar de dio valore e possa 
boggi è tra noi per terra in carne e 'n ossa, 
de beltà specchio e de virtù colonna; 



x«eent«ment« illustrato da 0. Maezi {Sw«Ui di Fel, Félieiano i io La Bibìi^a,yr.lU (lVOl-9) 
86 Bgg.); ma non è possibile determinare se questo Cyllenio sia una stessa persona oo"l Del 
Testa. La ragion cronologica, tuttavia, non si opporrebbe all'identificazione. 
1 Ed. óeìVJttoria del 1780 : voi. III. p. 800. 

• Pag. 209 del voi. U dell' JUorfo. 

t Propufffiaior9,Ui {1887] 2,203 sgg.; 884 sgg. 
4 Oiom, Hot, dtUa hit. il, XV (1890] 289 n. 1. 

• In due sonetti (197 e 198) ricorre il medesimo concetto che né Virgilio né Omero avreb- 
bero potuto degnamente cantare della donna amata dal poeta; in altri due (206 e 207), di 
costei si enumerano le bellezze, onde le diverso divinità dell'Olimpo le fecero dono. Gos{ 
ifii ottri t U p*rlé del b$l voUo son ricordati al meno in cinque poesie e quasi sempre con le 
stesse parole. 

• Notevoli specialmente, sotto questo rispetto, i sonetti 196 e 206-207. 

V HI attengo sempolosamente ma non pedantescamente al ma., usando delle llcenca 
oonoeese in slmili trascrizioni. 



46 RASSRONA BIBLIOaRAFICA 



quftDdo U vedo 80*pigliata in gonfi» 
par ohe aia él iole onm l' aurora moaaa, 
alegra chiara lostni biaocha e rena, 
tanto nel Tolto splende mia madonna. 

Ma poi oh' ella à raoolti 1 crini d'oro 
in nn bel groppone ripoaato alquanto, 
gli ostri e le perle fanno el ano lavoro. 

o dio, che pealmeggiar, che dolce eantol 
oh' a gli angioli del del. nel snmmo coro, 
dinanzi al gran faetor, non ne do vanto. 



Il quale sonetto ci fa creder che GiovaDDi godesse T intimità della saa 
donna (vedi il verso quinto): certo, in quella confessione delle dolci confi- 
denze che questa si permette co* 'h sno amatore - e la confessione par che 
venga fuori involontaria di mezza al convenzionalismo cortigianesco che 
aggrava il resto del sonetto - traluce un affetto pili umano e più vivo, che 
ci fa guardar con occhio meno severo le smancerie in cui tosto ricade 
r autore. L' amor suo, fuori di questo che s' è notato, non à nulla di singo* 
lare: alle lodi della bella * (nn. 196-199, 202-207) si alternano confessioni di 
raffreddamento nel poeta (n. 212) e lamenti per la crudeltà dell'amata (nn. 194, 
195, 200, 213). Un dolore amoroso veramente sentito esprime, a parer mio, 
il robusto sonetto n. 215. 

L* argomento predominante nel piccolo canzoniere è dunque 1* amore: 
anche altri oggetti tuttavia non son esclusi. Cosi ricorderò i due sonetti 
395 e 396 al duca di Ferrara, in tono di consiglio il primo, di lode il secondo; 
il 394 • pubblicato dal Grescimbeni -, graziosa descrizione del calendimaggio 
in città e pe* i campi; il 214 morale, il 208 a lode di Firenze, il 209 ali* Italia, 
e in fine il 210 e il 211, ove son nominati alcuni pittori contemporanei ed un 
artefice Corredino, che con Tiperbolismo quattrocentistico è detto superiore 
a Fidia e a Policleto. L* ultimo dei due sonetti non sarà inutile riprodurre, 
non foss* altro che a titolo di curiosità; ed è il seguente: 

Io tarò sempre amieo a* diplnotori, 
a Forte e Maroho e al Borgho mio divino; 
ma '1 gran Giovanni e 1 bnon Gentil Bellino 
flan sempre dlgnl di celesti honorl. 

costor son qnei, d'ogni altra gente fòri 
cb'àn traoto l'arte e preso sno camino, 
dui bei fratelli e '1 patre lor piti fino 
mastro da fkrne in versi gran romori. 

ICa lasso el mio Franoesoho da l*nn lato, 
eh' a l'uno e l'altro stile à messo il legno 
per làrse al mondo un bel cavallo alato? 



1 Nel oansonlere è chiamata co' *1 nome di Verde. Questa parola, ohe del resto potrebbe 
un twkal, Heorre, tra gli altri, nel nn. 198, 300, 901. 907. 919. 916, 898. 8M. Un altro ao» 
cenno al nome di un'amata (Laura?) si ha forse nei sonetti 901 e 919. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 47 



Antonio aiocio è ben do Undo dogno« 
• aun Boldd obo Soop* à pareggiato ; 
mn Oondino in creta el primo togno.! 



Aoche, degne di oseerraziope eoa le eestioe, componimento poco asato 
al tempo del poeta, delle quali reetano quattro, numero tanto piO noteTole eu 
ventotto componimenti a pena che costituiscono il canzoniere. Di queste 
sestipe, la tana (n. 392) è una preghiera scritta per la festa di Natale: pi!0- 
babilmente in essa si dee veder la ragione per cui il buon canonico Gre- 
seimbeni affermava che * nelle sestine apparisce egli (il Del Testa) piiì felice 
* e meno incolto ,, In realtà io preferisco i sonetti alle tre prime seeiioe, 
non forse ali* ultima (n. 394), amorosa, che pnresenta qoa e là,.aB U fiur del 
Petrarca, alcuni luoghi felici. Le due rimanenti (nn. 194 e 391), di ninn pregici, 
si aggirano su i soliti lamenti, una per la crudeltà di madonna, T altra per 
la corruzione del secdo. 

In conchiusione, questo rimatore avrebbe potuto continuar a dormire nel- 
r oblio del manoscritto senza danno né grave né leggero delle lettere nostre; 
ma visto che molti altri, più di lui immeritevoli, son ricondotti continua- 
mente alia luce, m' è parso bene di rendergli giustizia con queste poche ri- 
ghe. Tuttavia voglia credere il lettore che non mai il nostro Giovanni fu cosi 
sincero, come quando, lamentandosi, disse di sé (n. 393) che il caso la for- 
tuna e la stella sua non lo fecero nascer poeta. 

Aldo Frang. IfAssisA. 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. 

Parre Toldo. — Éiudes $ur le Théàire eamiqué franfais du mayen àge §t 
èur U ròlt de la NouvélU dans Im Farete et dan$ Uè Comédiee — in Sludj 
di FiM. Bamatuta — fase. 35 (voi IX, fase. 3). 

Il compito propostosi dalPa. in questo lavoro non ò certo dei più agevoli, 
quando si pensi ch'egli ha cercato di stabilire le relazioni tra la Farsa e la 
Commedia profana francese da una parte e la Novella indigena e forestiera da 
un'altra, cominciando dal sorgere del teatro comico oltr' Alpe, quale erede per 
indole e scopi dei * Fableaux ., che cadevano decisamente in disuso, e spingen- 
dosi Ano al rinnovamento nei primordi del sec. XVIIL Né per quanto egli faccia 
oggetto speciale del suo studio la produzione dei secoli XV e XVI, i limiti cro- 



I I pittori indicati nei tt. 8-8 sono i tre famosi Bellini, Teneslani, Jacopo, padre, e i flgU 
CHovannl (1497-1516) e dentile (▼. 1428-1607). — Antonio Bregno, veroneee, detto Riccio o Rìmma, 
fu arebltetto e acaltore, e mori a Foligno nel 1498. — Di Olovanni Boldd, medaglista e pittore 
▼eneslano della metà del aec. XY, abbiamo aloune medaglie datate dal 1457 al 14M. — Oli altri 
artisti nominati nel sonetto non son riescito ad identificare, meno forse Gorradino, ohe pnò 
essere il domenicano fira'Bartolommeo Corradlnl, detto OameTale. pittore e architetto qrbina^e 
Tliaato fin dopo al 14S8. 



48 EA88BQNA BIBLIOGRAFICA 

nologici cessano dal rimanere a gran distanza Tun dair altro: ma se a questo 
si aggiunga la difficoltà delP indagine in materia tanto copiosa ed in cosi pic- 
cola parte ordinata, ci si metterà in grado di apprezzar con maggiore eqaità 
il presente lavoro. Il quale si può dividere in due parti: la prima dilìgente ^d 
accurata sulla commedia dei secoli XV e XVI; la seconda, meno sicura e sen- 
z*alcttn dubbio insufHcente sul teatro comico, del sec. XVII e dei primi anni 
del sec. XVIIL Ciò non ostante, pur aggiungendo che 1* argomento è ben lungi 
dair essere esaurito, vogliamo affrettarci a convenire che questo studio rappre- 
senta un notevole contributo a quella storia sistematica delle relazioni tra 
Francia e Italia, d* indole più psicologica che letteraria, la quale almeno finora 
non è che un desiderio per molti. Sono dieci capitoli in tutto, più la prefa* 
zinne: nel primo (pp. 187-203) T A. prende in esame alcuni motivi tradizionali 
di giuochi d* astuzia elaborati nei fa volelli e passati direttamente nella com* 
media e nella farsa del XV e del XVI secolo. Nel secondo (pp. 303-218) pone 
in )*elazione qualche produzion comica, che direttamente ne derivi, coi nu- 
merosi componimenti in prosa ed in verso, ne' quali è un continuo palleggio 
d* argomenti in favore ed in opposizione al matrimonio. Quindi prendendo 
le mosse da una giusta affermazione, che T ideale, cioè, della moglie nel 
medio evo era la donna sottomessa in tutto e per tutto alla forza bni* 
tale del marito, il T. va rintracciando nei débata, nei contrasti e nelle no- 
velle nostrane molte derivazioni d'uno stesso motivo sul modo più oppor- 
tuno, onde può valersi il marito per domare V ostinazione femminile (cap. lU 
pp. 219-233); e serba al IV cap. (pp. 233-264) la disamina dei drammi, che 
traendo il' ridicolo da un Iato opposto del matrimonio, portano sulla scepa 
i mariti aggirati continuamente dalP astuzia delle lor donne. Al qual propo- 
sito osserva giustamente Ta. che il marito diventa in questi drammi Tm^ 
senza della stupidità, sicché il trionfo degli espedienti di negromanti, di 
scongiuri, di apparizioni e d' unguenti miracolosi messi in opera dalla moglie, 
sempre astuta è vero, ma d* un* astuzia ingenua e grossolana, riesce mpUo 
facilitato.' Senonché, per quanto non frequenti, s* incontran per le oom- 
medie e per le novelle del tempo anche esempj di fedeltà da parte doUe 
donne, che volgono la loro astuzia tradizionale non ad ingannare il maritOf ni» 
ad aiutarlo per iscoprire chi vorrebbe attentare ali* onore della famiglia : in 
questo caso quale protagonista ridicolo, al marito sottentra ramante. Tale è 
Y argomento del V cap. (pp. 265-277) che, quanto alla materia di elaboratione 
chiude Pesame assai largo e paziente, condotto con diligenza sulla commedia 
francese nel suo primo periodo. Nei tre capitoli successivi (VI, VII, Vili, 
pp. 277-324) la ricerca è volta a lumeggiare i caratteri che più frequentemente 
tornano in scena. Tutta la società, senza riguardo alcuno di casta o privi- 
legio, il contadino ignorante come il nobile orgoglioso, in special modo' 
se povero come il prete, che tutto assorto in un falso pietismo pur di poter 
coprirsi sotto una maschera d'illibatezza e santità si crede lecito tener mfino 
a qualunque intrigo, tut^ insomma, prestano argomento al ridicolo. Non gran 
novità perciò tra i protagonisti del teatro francese e quelli della nostra 
Rinascenza, appunto perché tanto qui come oltr* Alpe la commedia come la 
novella rispecchiano ugualmente le debolezze e le ridicolaggini della so- 
cietà. A questa prima segue una seconda parte, direi quasi, divisa a sua. 



DBLLA LVFTBRATURA ITALIANA 49 

volift in dae capitoli, i qanli ancorché sien ben natriii dì falli non posson 
prelendere che di sfiorar 1* argomenlo. Il IX (pp. 324-356) vorrebbe studiare 
le relazioni della novella colla commedia francese della Rinascenza e del 
XVH secolo, e com'è naturale s'indugia su Molière e su quei di sua scuola; 
il X ed ultimo movendo da questo punto arriva ai primi anni del 1700 con 
particolar riguardo al La Fontaine, quale novelliere ed autore drammatico. 
Ci siamo diffusi alquanto a dar ragione di questo studio perché interessa 
la letteratura nostra, e in special modo la forma novellistica, per i numero- 
sissimi riscontri che il T. istituisce tra intrecci di novelle e drammi francesi 
e novelle e facezie e farse di autori italiani, quali il Boccaccio, il Sacchetti, il 
Poggio, Sabadino degli A rienti, Masuccio, lo Straparola, il Domenichi, il Ser- 
cambi, il Doni, il Bandello, il Firenzuola e molti e molti altri, onde per questo 
rispetto il presente lavoro può esser considerato come un buon contributo 
alla storia della varia fortuna, eh' ebbe fuor d' Italia il patrimonio novelUstìco 
nostrano. M. Stbrzi. 



Bibliateèa critica della Letteratura italiana diretta da Frangksgo Torraca: 
fase. 36-42: E. Hauvbtte, F. Torraca, E. Gochin, V. Gian, F. Golagrosso.* 
— Firenze, Sansoni, 1901. 

Dobbiamo alla conferenza di E. Hauvittk su Dante e la poe9Ìa francese 
del RinaedmetUo (di pagg. 38 in 16.<» — trad. Agresta) notizie preziose e 
accortamente raccolte salta fortuna del Divino Poema in Francia. Dalle re- 
miniscenze di Cristina de Pizan ci conduciamo gradatamente alle imitazioni 
sapienti di Margherita di Navarra, che le concezioni allegoriche, lo stile e il 
metro tolse dalla poesia dell' Alighieri. Noi amiamo questo genere di ricerche 
che dimostrano come tra furori di rapine e di guerre, gli spiriti di nazioni 
diverse s'accordino nel puro dominio dell'arte. Nel caso speciale poi non 
abbiamo che a rallegrarci che la dotta conferenza venga ad integrare il noto 
e importante studio del nostro Flamini su Le lettere italiane aUa corte di 
Francesco L — Va notata in appendice la recensione di F. Torraca al Lifnre 
da Chemin de Long Estude di Cristina de Pizan, pubblicato la prima volta 
dal Paschel nel 1881. 

Lo stesso prof. Torraca raccoglie in un volumetto a parte (di pagg. 40 in 
16.") quanto ha potuto rintracciare delle Donne italiane nella poesia provengale. 
Alcune figure — Beatrice figlia di Bonifazio marchese del Monferrato, Bea- 
trice e Giovanna d'Este, Emilia Traversare, la contessa di Provenza — n'e- 
scono in luce pili chiara, in più efficace rilievo ; ma altre, la maggior parte, 
non ostante i nuovi documenti e le notizie con fatica raccolte restano ancora 
nell'oscurità. Dalla quale alcune ora son tratte per le notevoli aggiunte del 
Bertoni {Oiorn, Stor, XXXVI, XXXVIII). Intorno all'interessante argomento 
molte cose potranno ancora ricercare e trovare gli studiosi : l' A. ha fatto il 



t Del fate. 37-38 (Krftus, F, Pttrarca e la atta ccuriBponàtnta epistolari) ai è già parlato 
nella Bota. IX, 839. 



50 RA8819GNA BIBLIOGBAFIOA 

dover suo indicando da maestro la via. — In una nota in appendice si tratta 
in particolare della famosa TVeva di Guglielmo de La Tor, che si vorrebbe 
composta prima del 1920. 

Non tanto la minuzia delle ricerche e dei fatti quanto le considerazioni 
argate, la forma garbata e vivace rendono pregevole e graditissimo alla let- 
tura il libro di E. Gochin sul Boeeaecio (di pagg. 104 in 16.*). I giudizi snl- 
r uomo, sui suoi amori, sulle sue credenze religiose e sui criterj morali non 
tutti forse persuaderanno, ma piaceranno per la convinzione sincera — frutto 
di lungo studio — onde sono dettati. Vorremmo ad ogni modo che non 
cosi gran conto si fosse Fatto della dimora del Boccaccio a Napoli, che ne 
venisse attenuata e quasi messa in dubbio la profonda e sincera toscanità. 
— Fa appendice alla studio una nota erudita sulla seconda visita di mesa. 
Giovanni a Venezia, che TA. vorrebbe far risalire air anno 1367. 

Un ottimo Medaglione del Rinaaeimento ricostruisce V. Gian trattando con 
paziente minuzia di Cola Bruno Messinese e delle sue relazioni con Pietro 
Bembo (pagg. 102 in 16.<*). L*A. con somma cura indaga le vicende dell* umile 
gretario; come fu a Venezia ed allo studio di Padova, poi a Urbino e a 
Roma; come divenne amministratore del patrimonio del Bembo non solo, 
ma anche suo bibliotecario e revisore di stampe e consigliere in questioni 
di lettere. Onorato della intera fiducia del cardinale attese con coscienza 
all'educazione dei figli di lui. Naturalmente ebbe e mantenne relazioni con 
molti letterati e in special modo col Lampridio, col Bonfadio, con Trifon Ga- 
briele, col Ramusio. Quanti meglio lo conobbero e furono suoi amici ama- 
ramente ne piansero la morte avvenuta nel 1542. Negli ultimi anni fu Ta- 
mima dell* Accademia degli Infiammati di Padova o, co m* ebbe a dire Fran- 
cesco Quirini: 'di essa mentissimo padre,. Merito suo grandissimo, nota 
giustamente il G.. fu d'aver scritto poco; di questo poco è offerto un saggio 
nell'Appendice, ove, con una diligentissima bibliografia delle lettere del Bruno/ 
si contengono interessanti saggi epistolari inediti suoi e del Bembo. 

Da qualche tempo ò ritornato in onore più di quanto meriti il Teatro 
gesuitico, F. Golagrosso che di cotesto Teatro con speciale riguardo a Saverio 
Bettinelli trattò anni sono, ripubblica il suo studio ampliato e corretto (di 
pagg. XXVM38 in 16.*). Della natura di quelle curiose rappresentazioni, dei 
criterj a quali gli autori s'ispiravano, delle norme che ne regolavano l'esecu- 
zione, parla con la scorta del Baysse, dello Zeidler e, nella prefazione, del 
ReinhardstOttner. Ampiamente si diffonde sulle tragedie del Bettinelli — del 
quale espone le teoriche — rilevandone le molteplici relazioni con la tra- 
gedia Francese. Accurata è la disamina; buona e ricca la messe delle no- 
tizie, ma al lavoro avrebbe giovato assai un ordine più severo ed una 
maggior concisione. G. M. 



DELLA LSTTEHATOBA XTAUANA 51 



CRONACA. 

.'. La Strenna dantesca pubblicata quest^anno - ed è il secondo • dai 
sigi;. Bagci e Passerini (Firenze, Lumacbi, di pag. 152 in le."") contiene pa- 
recchi scritti, alcuni dei quali degni di special nota, ed è ornata di illustra- 
zioni : che sono, il ritratto di D. di Andrea dei Castagno, la casa di Dante, e 
il bozzetto della ricostituzione della medesima, le undici medaglie dantesche 
del Museo del Bargello, il ritratto del Carducci ecc. le Regole per trovare il 
termine pasquale, il plenilunio pasquale e la Pasqua compilate da F. Anoklitti 
secondo le dottrine del poeta, e un Calendario ove sono notate date storiche 
riferentesi al poema e al suo autore, ricordiamo i seguenti scritti: G. Carducci, 
Allusioni di D. alla Vita Nuova, postille al * libello , giovanile (ma ormai ò 
posto in dubbio che il * Messer Brunetto , ricordato in un sonetto, sia il La- 
tini: è piuttosto un Brunelleschi) : L Del Lungo, Le case degli Alighieri a Fi- 
renze (notizie rilevanti e sicure di topografia fiorentina e alighieriana) ; L B. 
Supino, Le medaglie di D. nel museo del Bargello (accurata illustrazione numi- 
smatica e storica); F. D'Ovidio, Nota al e, XI, 19-21 dell' laferno; 6. Maz- 
zoni, Minime curiosità dantesche; 6. Mestica, La missione di D. nella D. C; 
N. ZiNGARBLU, Ben s'impingua e Son si poche; A. Bonaventura, L'armonia 
delle sfere nella D. C; G. Federzoni, Ancora pel numero nove; 6. Vandelli, 
Int al testo critico della />. C, Si aggiungano informazioni bibliografiche su 
Oli studj danteschi, notizie sulla Società dantesca italiana, su la Leetura 
Dantis, e poesie originali e tradotte. Non vogliamo poi dimenticare uno scritto 
del prof. A. Eccher sulla Società Dante Alighieri, su quella istituzione che fra 
mezzo a mille difficoltà prosegue un fine altamente nazionale, ed opportu- 
namente ha scelto a sua insegna il nome del creatore della nostra letteratura. 

.'. Abbiamo un nuovo studio suir anno della finzione dantesca, di che ò 
autore il sig. P. Boccone (Leggendo la D, C, Palermo, tip. Era Nova, 1902 di 
pagg. 50 in 15.<^). Esso si compone di quattro capitoletti seguiti da tre chiose. 
Il primo è inteso a mostrare in special modo, contro le conclusioni dell*An- 
gelitti, che gli argomenti storici forniti dal poema stesso inducono a porre 
la visione nel 1300. È veramente notevole V interpretazione proposta ai v. 78 
e. XXIII Purg., la quale se a primo aspetto, per la sua novità, ha qualche 
apparenza di sottigliezza, finisce col persuadere. Secondo il B. quelle parole 
rivolte da D. air amico Forese * cinqu' anni non son volti in fino a qui » non 
hanno il senso di una semplice determinazione cronologica, ma scaturiscono 
da un sentimento di meraviglia naturale in D., che stretto a lui tanto fami- 
liarmente da convertirlo a mutar vita, come dice V Ottimo, poteva saper be- 
nissimo per quanti anni il Donati fosse vissuto nel peccato : ammesso che 
questi anni fossero in numero di cinque, e ricordandosi della legge * tempo 
* per tempo si ristora ,, D. doveva rimaner sorpreso che non essendo passati 
ancora cinqu'anni dalla sua morte, egli si trovi nel Purgatorio e non neirAnti- 
parga.torìo; onde si spiega la curiosità di D. e T esaltazione di Nella, che 



h2 RABSBONA BIBLIOGRAFICA 

colle sue preghiere aveva diminuito al consorte le pene d'oltretomba — . 
Non altrettanto persuasiva ci sembra V interpretazione dei rimpianti di Nino, 
né la divisione in due momenti, che VA. vorrebbe vedere nel discorso del 
buon giudice di Gallura, perché crediamo che le terzine dantesche in questo 
punto formino un sol tutto, riferentesi al nuovo matrimonio della vedova di 
Nino col signore di Milano : é un rimpianto spontaneo che si chiude coir ac- 
cenno aperto alle cause che lo determinano. Ma non per questo diamo al 
fatto un valore assoluto per trasportare la data della visione nel 1031, perché 
se è assodato che il fidanzamento di lei fu concluso soltanto nel maggio 
del *300, nulla impedisce di credere che per la notorietà dei contraenti 
se ne parlasse già nel marzo dell' anno giubilare. NelP ultima parte 1* a. cerca 
mostrare con sottili distinzioni sul modo di computar il tempo, che la con- 
traddizione tra i fenomeni astronomici, che stanno per Tanno anteriore, è 
soltanto apparente, non sostanziale —. Il verso 75 del e. V. Inf. propone 
air a. il quesito: perché Francesca e Paolo son leggeri al vento? Perché, 
egli risponde, D. con quell'aggettivo * leggeri , ha voluto indicare la vicinanza 
dei due dannati rispetto a lui ed al suo duca. Infatti, egli dice, si sa che 
quando due corpi si muovono colla stessa velocità nello stesso spazio, ma 
in punti per distanza diversi, i più vicini a chi guardi paion pili veloci. La 
qual cosa a noi sembra che qui non potesse avverarsi trattandosi non di 
moti regolari ma discordanti per direzione e velocità: e questo valga come 
nota speciale. In generale poi, non crediamo sia cosa prudente I* andar in- 
vestigando ragioni scientifiche, là dove il poeta si lasciava condurre non dal 
raziocinio ma dalla fantasia; si che a noi sembra che anche qui quell* epi- 
teto sia stato suggerito al poeta dalla consistenza materiata che ai suoi occhi 
prendeva la visione, o forse anche dal desiderio di dare a questa visione 
un'evidenza pittorica — . La chiosa seconda riguarda la 'mala striscia, 
dell' Vili. Purg., nella quale l'a. vede raffigurata la politica, ' astuta sempre, 
' come astuto è il serpente, ma qui cattiva, egoistica e solo curante delle ap- 
* parenze ,. Cosi nelle spade spuntate egli vede il simbolo della potenza regale, 
che può influire soltanto sulle azioni esterne dei sudditi: nell' affoca mento 
di esse, il simbolo di carità, e negli angeli che le impugnano, la personifica- 
zione del motto * omnis potestas a Deo ,. Senonché a noi sembra che questa 
limitazione del simbolo non regga, perché in tal caso non sarebbe ragio- 
nevole che Sordello, un trovatore, vedesse anch' egli nel serpe il suo nemico 
(cfr. Vili Purg. V. 95: Vedi là il nostro avversaro), ed anche perché l'ac- 
costamento fatto da D. stesso tra il serpe della valletta ed il serpe d* Eva 
ci induce a vedere nella * mala striscia , il simbolo del peccato in genere, 
piuttosto che di uno speciale peccato ■—. Colla quarta chiosa torna l'a. sul- 
r interpretazione della "Concubina di Titone „ nella quale egli vede raffi- 
gurata l'Aurora solare. 

/. Torna a riardere la vexata quaestio del pie fermo con due pubblica- 
zioni del prof. E. Sicardi {Un enitnma dantesco, estr. dalla Rip. d'Italia, agosto 
1902 e Ancora la spiegazione di un enitnma dant., ih., ott. 1902) ed altra del 
sig. L. ÀRBzio; Il pie fermo di Dante su la piaggia diserta (Palermo, Reber, 
1902). Il Sic. vuol mostrare che D. col celebre verso non intese dire d'es- 
sere in salita, ma di percorrere un terreno pianeggiante o d'insensibile in* 



DELLA LBttBRAtUÉA ITaLÌANA 53 

tliaazione, perché il modo * a* pie „ a suo parere fu adoperato da D. e 
dai contemporauei soltanto per indicare un territorio cosi configurato, sia 
ancora perché per piaggia non sì può intendere altrimenti, come egli vuol 
dedurre anche da un passo del Convito. Allarga poi i confini della selva tanto 
da includervi anche la piaggia diserta; crede si debba cominciare a parlar di 
salita soltanto colla parola erta ; sostiene che T incontro delle tre fiere avvenga 
in piano, e intende il ruinare in basso loco in sen^o puramente allegorico. 
Passando poi al nodo della questione rifiuta il modo d* intendere tradizionale, 
esprimendosi in modo certo non benigno verso i vecchi commentatori, a capo 
de' quali sta Giov. Boccaccio, e sostituisce alla loro la sua interpretazione, 
secondo la quale D. avrebbe voluto dire: mi trema van le gambe per la paura, 
e potevo tener fermo soltanto il piede che poggiava sul terreno; T altro 
vacillava. E su questo punto pid che sull'altro consentiamo coir a. — Gol 
secondo articolo, comparso poi sulla medesima Rivista, più che esporre nuovi 
argomenti a conferma della sua opinione, polemizza vivacemente col Passerini, 
che sul Marzocco aveva discusso e negato ogni valore alla soluzione da lui pro- 
posta — . L'Arbzio scrive per confutare il S., col quale non s'accorda rispetto al 
significato che questi attribuisce al costrutto * a' pie „ ed alla parola piaggia; 
intende diversamente il passo del Convito; dà un significato del tutto nuovo 
all'aggettivo diserta, che egli prende in senso di ronehiosa; e, ripigliando 
l'interpretazione tradizionale interpreta: ripresi la strada per la piaggia sco- 
scesa, tanto che essendo impedito nella salita ad ogni passo, il piede su cui 
poggiavo il corpo rimaneva sempre più basso. Acume ai due scrittori non 
manca, ma a noi basta aver notato sommariamente le opinioni dell'uno e 
dell'altro; incliniamo però a credere che Dante abbia voluto significare che 
il modo suo di procedere era siffatto, che poggiandosi colla persona più sul 
pie posteriore che eoli' anteriore, era sempre pronto a dar di volta e tornare 
addietro. 

/. Conobbe Dante il Traetatus Sphaerae, che Bartolomeo da Parma 
* partim de suo et partìm de alieno , compilò in Bologna nel 1297 ? Il 
prof. Gius. BoFFiTO crede che si; e in una breve memoria, dal titolo: Dante 
e Bartolomeo da Parma (estr. dai Rendiconti del R, Ist Lomh, di se, e lett,, 
serie II, voi. XXXV, 1902, pp. 10, in 8.°) raccoglie ed esamina, coli' usata 
|>onderazione, più luoghi delle opere dantesche (Par,, \, 64 e 76, XIV, 30; 
Conv., Ili, e. 5, Un. 137 sgg.), che offrono qualche * parallelismo , colle dottrine 
dell'astronomo ducentista. Da tali raffronti si avvantaggiano non poco le 
nostre conoscenze, assai scarse tuttavia, in fatto di cosmografia dantesca. Ma 
sopratutlo un passo del Paradiso, tormentato dai critici (i vv. 37-42 del e. I), 
sembra ricevere nuova luce dalie ricerche del dotto barnabita. Secondo l'o- 
pinione di Bartolomeo da Parma e dei cosmografi del tempo, il coluro equi- 
noziale, quando il sole sorge col segno dell' ariete, coincide ^perfettamente 
coir orizzonte retto. Ora, supposto che i quattro cerchi nominati da Dante 
sieno il coluro equinoziale, l'orizzonte, l'equinozio e Io zodiaco, e il sole si 
trovi nella costellazione dell'ariete, ne consegue che ì cerchi riduconsi effet- 
tivamente a tre, e tre sono le croci che formano, intersecandosi in un sol 
punto. Al contrario quattro cerchi separati e distinti, incontrandosi nello 
stesso punto, formerebbero sei croci, non tre. 



&4 EUdSfiONA BlftLlOQRAf'lCA 

Ricca di erudizione solida e riposta è pure T altra memoria del prof. 
BoFFiTO, che qui reipstriamo : Di alcune quiationeelU di Cosmogonìa dantesca 
(estr.. dalla Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali, luglio 1902, 
pp. 14, in S.**). La mondana cera (Par,, I, 41), il suggeUo degli elementi (Par., 
XXIX, 51) e il soggetto della neve (Par.f II, 107) sono gli argomenti, intorni 
ai quali il B. ha esercitata la critica sua, minuta e diligente. Pel primo e- 
nigma dantesco, passi di Aristotile e di Alberto Magno valgono a confermare 
che la mondana cera di Dante non è che la materia sensibile, vegetabile ed 
animale, ovvero, in generale, gli elementi. Il soggetto degli elementi è pel 
BofQto, conforme alle dottrine di S. Tommaso, la materia prima; e quello 
della neve la materia della neve medesima, cioè T acqua. 

.*. Accennammo già quando ne usci la I parte, agli studj del p. G. Bof- 
FiTo sulla Quaestio de Aqua et Terra attribuita a Dante. Ora ne è stata 
pubblicata la II ed ultima parte (estr. dalle Memorie délVAccad, dell. Sciente 
di Torino, di 86 pagg. in 4.^ gr.). Le conclusioni a cui mirava Ta. erano 
già note, ed ora sono corroborate di minute ricerche e dotti ragionamenti, 
che determinano le fonti alle quali ricorse chi compose la Quaestio. Posta 
al tempo di Dante, la Quaestio, secondo T opinione autorevole del p. B., 
' sarebbe un anacronismo storico scientifico ,, dacché si vale di scrittori 
che Dante non conobbe, e contraddice a sentenze da Dante approvate e 
seguite. E, come già fu da altri opinato, Fautore di questa falsificazione 
resta quel Moncettl, che primo la pubblicò col nome di Dante. 

.*. Gol titolo Poesia pagana ed Arte Cristiana il prof. Fbd. Romani racco- 
glie due suoi scritti : V uno su V Inferno di Virgilio, V altro su le principali 
figurazioni della Sibilla di Cuma neU* Arte cristiana (Firenze, Oischki, 1902, 
di pagg. 70 in 8.<^), ambedue notevolissimi per dottrina e per forma. Gol 
primo descrive T inferno quale fu rappresentato dal gran poeta latino, ricer- 
candone le origini nel pensiero e nella religione pagana, mostrando ciò che 
di simile e di dissimile vi ha fra esso e T inferno cristiano del poema dan- 
tesco, e per ultimo tracciando, coir aiuto di una carta, T itinerario del viaggio 
di Enea al Tartaro. Tutto il lavoro è condotto con fine senso d' arte, e acuti 
sono i raffronti fra la descrizione virgiliana e la dantesca. Quasi appendice 
al primo è il secondo scritto, che enumera i concetti e le forme varie colie 
quali vennero rappresentate le Sibille in genere, e più particolarmente la 
Gumana, e ce le pone sott' occhio in ben diciotto illustrazioni di affreschi e 
quadri di celebri autori. Il R. mostra in questo studio buon gusto artistico 
e sicura conoscenza delle vicende della pittura. L'edizione è elegantissima 
e ben curata la stampa. Ha a pag. 27 lin. 29 non sarà da leggersi mariti 
uccisori anziché uccisi? 

.'. Il dott. Garlo Stkirbr col suo scrino : Pet* la data del De Monarchia 
(Novara, GanLone, 1902) vuol confermare V opinione di coloro che credono il 
De Monarchia esser stato composto prima del Convito e più precisamente 
nel 1303. Ha a noi non sembra necessario riconoscere, come TA. vorrebbe, 
chiara allusione al De Monarchia nel luogo citato del Convito, dove a nostro 
parere il modo avverbiale * ogni qual volta „ va inteso come amplificazione 
rettorica, usata da D. per esprimere il senso di dolore, ond*era oppresso ogni 
volta che parlando di reggimento civile, a lui si presentava spontaneo quello 



DlCLLA LSTtBRAtCftA ffA^ANA SÉ 

di Fireoze. Tant' è vero che in quel che segue (* Ha perocché ,) per 

Bcasarsi della brevità con cai qui tratta la materia attenente ad equo go- 
verno, cita il penultimo Trattato ove più si distenderà a questo proposito, 
ma non il De Monarchia, come sarebbe stato per lo meno molto logico e 
naturale, se quest* opera fosse stata compiuta, come vuole lo S., prima del 
Convito. Nò riesce pid persuasiva T altra osservazione intorno alla frase 

* familiarìa destruenda „ il qual modo neutro, a nostro parere, non ha senso 
limitato come vuole il Tocco ed accetta lo St., ma indica quel complessò 
di idee e di cose materiali care al Poeta, il cui ricordo dovè riuscirgli dolo- 
roso non solo nei primi momenti di vita randagia, come pensa TA., ma 
ovunque e sempre fino alla morte, n commento poi ai vv. 1-15 del XVI 
del Puradiso, riferiti a p. 16 in forma cosf deplorevolmente errata, ci lascia 
molto dubbiosi, come pure non comprendiamo per quale ragionamento giunga 
Ta. alla condusione della p. 23. A noi sembra invece che il tempo in cui D. 
cessò dal disprezzare e dal combattere i guelfi, e scorgendo attorno a sé 
un pili krgo orizzonte, capi esser suo dovere di illuminare gli avversai^ e 
mostrar loro il diritto divino dell* impero, coincida perfettamente con quel 
periodo di vita, senza dubbio d* assai posteriore ai perigliosi avvolgimenti dei 
primi anni d* esilio, quando * fatta parte per sé stesso „ comprese, grazie agli 
stttdj scientifici e filosofici, non dover pid schierarsi tra i Bianchi o tra i Neri, 
ma istruire con un trattato coloro ch*ei credeva nellMgnoranza. Per tali 
cotisiderazioni, e per altre ancora, non crediamo poterci accordare colf A. 
neir assegnare all'anno 1303 la composizione del De Monarchia. 

.*. Il prof. L. Gbrbovi ha preso a soggetto di una sua Conferenza L'amore 
nella cita e nette opere di Dante (estr. dalla Rassegna Nasionale del 16 ott 
190S). In soggetto ormai cosi trito, ha saputo esporre con efficacia quanta 
parte tenga T amore nei casi e negli scritti del nostro maggior poeta, ed ha 
illustrato specialmente la Vita Nuova e i casi in essa narrati. Un certo lirismo 
nella forma, che conveniva alla lettura, poteva con vantaggio esser attenuato 
nelle stampe. 

.*. La beneficenza in Dante (estr. dalla Rass. Nazionale del l.*> ott. 1902, 
di pagg. 9 in 16.**) è breve parte di un pid ampio lavoro che il prof. A. 
Morena dedicherà a studiare La morale economica di Dante. Dal poema e 
pid dal Convito, Ta. raccoglie e coordina i concetti del sommo poeta intorno 
all'argomento, e li illustra senza coartarne né lo spirito né la lettera, si da 
farci augurare che presto posto innanzi agli studiosi il frutto della accurata 
indagine. 

.'. Il sig. A. Bblloni studia le relazioni fra Dante e Lucano (estr. dal 
O, st, d. let, it. V. XL p. 120). Che i commentatori sian andati in genere trop- 
pa oltre neir asserire che D. descrivendo 1* incenerirsi di Vanni Pucci copiasse 
da Lucano, conveniamo col B.; ma d* altro lato ben pochi potrebbero accor- 
dargli che il sommo poeta non avesse in quel punto * affatto la mente al 

* caso deir infelice soldato di Catone , (p. 3). Perché indiscutibilmente tra 
gli episodj di Vanni Pucci e di Sabello ci sono due forti punti di identità : 
il morso del serpe e 1* incenerirsi delle carni, pei quali anche a noi sembra 
probabilissimo che D. traesse i motivi, e solo i motivi, da Lucano, che egli 
cita, si noti bene, nel canto successivo. Oppbrtunamente V A. istituisce alcuni 



56 RA88ISQNA B16L100RAF1CA 

confrouti tra particolari espressioni del pensiero nella frase, e fa notare che 
D. tolse da Lucano l'espediente di porre a riscontro Torà delKan emisfero 
coir ora deir altro per dare maggior esattezza alle modificazioni cronologiche. 
Partendo poi da un riscontro virgiliano, egli crede di identificare nel Marcello 
del VI Pnrg. il distruttore di Siracusa, qui simbolo del salvatore della patria 
in genere, e non il Marcello menzionato da Lucano qual fiero oppositore 
deir autorità imperiale. * Àppar chiaro, egli dice, per giustificare questa ia- 

* terpretazione, che agli oppositori dell' impero D. accenna nei vv. 91-96, si 

* che egli si ripeterebbe se ad essi alludesse anche nei versi 125-126 «. Se- 
nonché a noi sembra che di ripetizione nei due luoghi si possa parlare, per- 
ché nel primo l'apostrofe è rivolta contro i Montecchi, i Cappelletti, i Mo» 
naldi, i Filippeschi, i Santafiora, contro i nobili insomma, ch*ei chiama 

* gentili ., mentre nel secondo è drizzata ai villani dai subiti guadagni, at- 
teggiati a politicanti ostili all' impero. Notevoli invece sono la conferma che 
per mezzo di nuovi riscontri dà alla parola * pregno , (v. 31 e. XIV Purg.) 
nel senso di ricco di acque; il commento con cui dilucida i due gioghi di 
Parnaso accennati nel Paradiso (e. 1, vv. 16- 18), e la * delfica deità,, non- 
ché r assai valido rincalzo alla variante, già da altri sostenuta ai vv. 85-87 
e. XXIV Inf. 

.'. Il sig. Cirillo Bernardi intitola Lascio cotale trattato ad altro chiosatore 
(Bozzolo, 1902) un suo studio dantesco. Secondo il B., Dante non volle allu- 
dere né air amico Sigisbuldi né ad altri, ma a sé stesso : il luogo ove Dante 
chiosò la partita di Beatrice sarebbe la prima parte del e. XXX del Purgatorio. 
Ma non crediamo che TA. colga nel segno. Infatti il Poeta medesimo dicendo 
di non voler trattar questa materia per evitare la necessità di lodare sé 
stesso, ci avverte colla maggior chiarezza possìbile, se pur non vogliamo 
prender quella come una frase generica, che in tutt' altri che in lui si deve 
ricercare il chiosatore. Invero, anche attenendoci soltanto al significato let- 
terale e grammaticale, nessuno potrà mettere in dubbio che * altro chio- 

* satore , voglia significare * persona diversa da chi scrìve .. Ma anche pre- 
scindendo da questo, è vero che il P. nel XXX del Purg. chiosi la partita di 
Beatrice? Il B. risponde nfiérmativamente, perché secondo lui la frase chiosar 
la partita non vuol dir altro che determinare la condizione di Beatrice in 
cielo. Il che non ci sembra conforme al vero, perché la frase suddetta a 
nostro parere, vuol dire * porre in chiaro, le cause della partita, descriverne 
i modi, le circostanze e tutt*al più accennare a qual porto tranquillo si 
fosse indirizzata l'anima di Beatrice ,. Ora invece di tutto questo, nel XXX 
del Purgatorio si accenna soltanto di volo al tempo in cui essa di carne sali 
a spirito. Per siffatte ragioni non crediamo che l'interpretazione del B. 
possa aver fortuna. 

.'. Il prof. Nrno StMONBTTi sosteueodo che V Epistola a Cangraihde 
non e di Dante (Spoleto, Bagnoli, 1902) vuole confermare con qualche 
nuova osservazione il resultato, al quale ò giunto nel Giorn. d^nt an. X, 
quad. VI e VII, l'amico F. P. Luiso, cui è diretto quest'opuscolo in forma 
di lettera aperta. Non vogliamo punto entrare nel merito della questione, 
ma soltanto far osservare all' a. che ai suoi ragionamenti nitri e ben fon- 
dati se ne potrebbero opporre. Egli ammette adunque col L. che un ignoto 



DSLLA LBtTÈÌUTtmA italuHa &7 

abbia scrilto questa lettera, seoz* alcuna idea di farla passare alla posterità 
come scrittura di Dante, ma soltanto per accompagnare a Gangrande, il 
dono, ch'ei gli faceva, della terza cantica di Dante. Il donatore, osserva 
il S., vuol contraccambiare il signore di Verona * adeguatamente, con doni 

* pari al pregio, che de^benefizj ricevuti sente neir animo , (pag. 3). I beneficj 
ricevuti son grandi e quindi v*è bisogno d* un contraccambio grande, dice 
il S., e va bene: ma arrivato a qpesto punito, abbandonandosi alla fantasia, 
ci descrive T ignoto autore dell* epistola, intento nella sua biblioteca a 
esaminare invano i suoi * scrìttarelli , per offrirne qualchednno in omaggio 
allo Scaligero, accorgendosi soltanto dopo attento esame che un solo libro 
della sua raccolta può pagare il beneficio ricevuto, e questo libro sarebbe 
il Paradiso danineo. Ha tuttociò allo stato presente delle cose non è 
che gioco di fantasia, perché, a chi ben consideri il testo latino, la 
parola munì^eala manifesta un senso beo diverso da quello di * scrtt- 

* tareUi ,, come vorrebbe il S. Infatti i benefirj ricevuti dal donatore furon 
materiali: perciò guardando ben sottilmente la cosa a beneficj materiali 
sarebbe bisognato corrispondere con altrettanti beneficj della atessa specie; 
ma il donatore per quanto vedesse questo suo dovere, per la ristrettezza dei 
mezzi non poteva presentare a Gangrande altro che piccoli doni * munu- 
scula ,. E allora a Dante, vero o simulato che sia, non restava che offrire 
parte di quel poema, in cui più si appuntavano le sue. speranze, su cui anzi 
fondava la certezza della sua grandezza : vohis ad$eribo, afferò, vobié deniqué 
reeommMdo, Le quali espressioni abbiam voluto qui riferire per mostrare che 
la tesi sostenuta, o meglio confermata dal S., anche qui trova un inciampo ; 
infatti con qual diritto un terzo qualunque si permetteva dì scrivere il nome 
di Gangrande in fronte alla cantica dantesca? Nessqn altro che Dante o 
vero o simulato poteva adscriberg il poema ad un principe: altrimenti il 
primo a riderne sarebbe stato lo Scaligero. Altra osservazione del S» è la 
seguente : in questa lettera dedicatoria si dice che il dono accrescerà lustro 
al nome di colui, al quale è dedicato. È sempre usato, osserva Ta., che nelle 
dediche si dica perfettamente il contrario; che cioè F opera è umile cosa 
ma acquisterà pregio dal nome che porta io fronte: solo uno che non fosse 
Dante poteva parlar cosf del Paradiso. 11 che a noi sembra per lo meno 
un pp* ingenuo, perché ci si dimentica che qui si dovrebbe aver a che fare 
col .libero fiorentino immune da ogni cortigianeria civile e letteraria, ai suoi 
tempi del resto ben scarsa; col poeta che pur dì trovare la libertà, ha af- 
frontato i disagj del mistico viaggio d* oltretomba ; con colui, che consapevole 
della gi-andezza del proprio ingegno non aveva esitato a proclamare che al- 
l'opera sua avevan posto mano e cielo e terra: qual meraviglia se non si 
disdiceva davanti ad un piccolo principe della terra? E questa nobile su- 
perbia non si rivela anche in parecchi tratti delle opere minori, del Con- 
vUo in special modo ? Né ha viilore queir oblati della pag. 5,> dopo quanto 
abbiamo osservato suir adseribo della formula finale della salutatio. Perciò, se: 
condo noi, la conferma del S. alle opinioni del L. non ha tutto quel valore 
che atra, è sembrato attribuirgli. 

.'.Il sig. Aldo Fr. M assira studia nuovamente La Patria e la Vila di Cecco 
Angiolieri, Siena, 190S (estr. dal Bull, senese di st, patria, an« YIII, 1002 



58 ' kASiBONA' BiBLIÒdilArtdÀ 

fascili). Scopo pròeit>uo dì quest'opuscolo è di confatare gi^an parte di ciò chó 
sa Cecco fa scrìtto dal Mancini in Cortona nel medio-evo (Firenze, Gameseechi, 
1997) e nel Contributo dei Cortonesi alla coltura italiana (Firenze, CSarnesee^ 
chi, 1898). Negato ogni valore alla identificazione del poeta umorista con un 
Cecco di Angioliero eortonese, Ta. tien fermo, secondo i pili, che Cecco per la 
nascita, per la vita, per la sua poesia, sia * gloria tutta senese,: ricostruisce 
un piccolo albero genealogico, che partendo dair avo abbraccia i quattro figli 
del poeta, di cui litesse la vita aggiungendo a quel poco che si sapeva di lui 
e <di sua feimiglia qualche altra notizia eh* egli ò venuto rintracciando : no- 
tevole tra r altre è quella sulla morte di Cecco, che resta fissata a qualche 
tempo prima del 1313, come si ricava indirettamente dalla deliberazione del 
Consiglio generale di Siena riguardante V eredità di Cecco, già accennata dal 
prof. D* Ancona, ma ora opportunamente pubblicata in fine air opuscolo. 

.'. In uno Studio eulla poesia goliardica^ il sig. S. Saktanoklo (Palermo, Re- 
ber, 1908, di pp. 98 in 16.*) si propone anzitutto di dimostrare come i Goliardi 
non siano stati altro che giullari e buffoni e non abbiano mai scrìtto la 
poesia ritmica latina a noi pervenuta sotto il nome di * Goliardica ,. Il me- 
todo che egli tiene nella sua ricerca è il seguente; esamina dapprima i do- 
cumenti pid recenti e poi confronta il risultato ottenuto coi documenti più 
antichi; e cosi riesce non infelicemente a provar^ che i (Goliardi erano solo 
giullari, documentando un'affermazione analoga fatta dal Novati. Combatte 
poi r opinione dello Straccali, che i Goliardi fossero scolarì vaganti e 8*apre 
cosi la via a dimostrare, con un attento esame dei documenti in cui il nome 

* goliardus « trovasi riportato, che gli autori della poesia goliardica non fu- 
rono i Goliardi. Passa quindi a sfatare la leggenda di * Golia , il quale sarebbe 
stato, secondo T attestazione di Giraldo Cambrense, un famoso parasfta e 
capo di una associazione di Goliardi; e con buona copia d'argomenti prova 
come questa leggenda si sia formata in Francia e trasformata in Inghilterra, 
dove Golia diventò Fautore dapprima di poesie giullaresche e in appresso 
di poesie satiriche, morali, religiose e ascetiche. Il nome di Goliardi poi I* A. 
lo fa derivare dal latino " gula , ; opinione che si può sostenere tanto lin- 
guisticamente che storicamente. Negata la paternità ai goliardi della poesia 
goliardica, resta a ricercare chi ne siano gli autori ; e l* A. esaminati i do- 
cumenti varj di sffatta forma di poesia, conclude affermando che questa poesia 
non fu mai in opposizione collo spirito dei tempi e fu composta da studenti, 
chierici e monaci e cantata nelle scuole, nelle cìiiese, nelle corti, nelle piazze, 
anche dal popolo. L-a. poi si propone di contribuire alle difficili ricerche 
per stabilire la patria delle poesie ritmiche latine, per lo pid anonime, ba- 
sandosi suir influenza che la pronuncia francese del latino ha sulla versifi- 
cazidòe ritmica: ma T argomento pare a noi incerto e non del tutto accet- 
tabile. L'autore chiude questo suo studio, che ci sembra un contributo buono 
allo studio della poesia goliardica, dimostrando con molti esempj (tra i 
quali importante è la riproduzione d' un ritmo latino inedito, tratto dal codice 
Fitalia in Palermo) che possediamo * per ogni genere in cui si suddivido là 

* la poesia goliardica, documenti sufficienti che attestano l'esistenza di questa 

* poesia anche in Italia ,. 

- .*. Dei canterini, poeti e suonatori a servigio del Comune, si occuparono 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 59 

dopo Adamo Rossi di Perugia, il D* Ancona; Io Zippel, il No?ati ed altri, ma 
poco si sapeva dei Canterini senesi, e ora un curioso documento, ebe riguarda 
la musica di palazzo, ò pubblicato in occasione nuziale dal sig. Paolo Pio- 
GOLOMiNi (Siena, Lazzeri, 1902 di pagg. 12 in 16.^), altro aggi ungendo vene che 
riguarda lo scultore senese Lorenzo di Mariano detto il Manina. 

.'. Che le differenze fra le lingue neolatine e fra i dialetti di ciascuna di 
esse abbiano a spiegarsi con T immanenza delle favelle, cui il latino si so- 
vrappose, fu sentenza di una scuola filologica, che per tal modo esagerò un 
concetto, nel quale, inteso discretamente, v' ha pur quache cosa di vero e 
d'innegabile. Bene ha fatto dunque il prof. F. D'Ovidio tornando a prander 
in esame V arduo problema, ricercando le Reliquie prohahiH o possibili degli 
antichi dialetti iialiei nei moderni dialetti italiani e negli idiomi romanzi in 
genere (Napoli, tip. Univerait., 1902 di pagg. 45 in 16.*), additando le difficoltà 
fra mezzo alle quali può farsi V indagine, e suggerendo il metodo, seguendo 
il quale si può giungere a buoni risultati. Lo scritto è vecchio di più anni, 
ma poiché Fautore è ritornato su quest'argomento, e intanto in lui è ere^ 
scintala dottrina e l'esperienza, noi facciamo voti che si lasci prendere dal- 
la vaghezza di una materia che può dirsi nuova, e che è certo importantis- 
sima, e compia rincominciato lavoro, del quale oltre le fondamenta, dà in 
questa pubblicazione alcuni particolari, che invogliano del resto. 

.*. Il dott. PiBTRO Egidi in un opuscolo Di un sermone semidrnmmatieo dd 
see, XV (Perugia, Unione tipogr. 1902, di pagg. 11 in 16."*) dà notizia di un 
frammento di sermone intorno alla incarnazione, che si conserva nel cod. 
1287 della Vittorio Emanuele. La importanza di esso consiste neir offrirci 
uno dei gradi intermedj della evoluzione corsa tra i Sermoni semidrammatici, 
che furono studiati dal De Bartholomseis, e gli informi tentativi di Devozione, 
fatti conoscere dal De Lollis. 

.'. Il prof. Giov. Pansa, oltre essere un accurato bibliografo, come mostra 
la sua recente pubblicazione, che illustra un* ignota edizione guattroeentina 
degli Statuti suntuaty di Aquila con brevi aggiunte al saggio erìtieo suUe stam- 
perie abrumsesi (Aquila, tipogr. Aternlna, 1902 di pagg. 16 in 16.«), è anche un 
acuto osservatore di tutto ciò che concerne la vita antica e nuova della sua 
regione. L* opuscolo ora dato in luce col titolo Metereologia e Superstizione in 
Abruzzo (Teramo, tip. Abruzzese, di pagg. 20 in 16.*), raccoglie e illustra con 
varia dottrina alcune credenze popolari sulle bufere, sui fulmini e le pietre 
dette del fulmine, e su altre superstizioni riguardanti i paurosi fenomeni natu- 
rali. Ma anche più c'interessa ciò eh' egli riferisce di Una Leggenda seannesè 
intorno a Carlo Magno. È un'aggiunta notevole alle Tradizioni Carolingie 
in Italia, che si rannoda a quel romanzo dei fatti di Antifor di Barosia, che fu 
poema assai diffuso e letto nel Cinquecento. Alla leggenda carolìngia un'altra 
ne precede, sempre appartenente a Scanno, riguardante quel Pietro Baia- 
bardo Bailardo, del quale tanto fu favoleggiato, e sul quale è da vedere 
un saggio del prof. D'Ancona nelle Varietà storiche e letterarie (I, 15) e una 
Comunicazione del prof. Gabotto in questa nostra Rassegna (VI, 88). 

.'. Per occasione nuziale II prof. Ano. Solbrti ha pubblicato (s. n. t., 1902, 
di pagg. 27 in 16.*) una antica Rappresentazione di Febo e Pitone o di Dafne, 
contenuta nei cod. mantovano, che ha anche l' Orfeo. Essa è ricordata e 



60 tlARSBONA BIBLIOQRAFICA 

riassunta nelle Origini del Teatro del D* Ancona, II, 350, ma piacerà posse- 
derla per intero. Pare che sia lavoro poetico e mnsicale del fiorentino Gian 
Pietro della Viola, e che fosse rappresentata alla corte dei Gronzaga nel 1486. 

.'. È uscito in luce il 24.° Bullettino dell'Istituto Storico Italiano (Roma, 
Forzani, dì pagg. 209 in 18.°), che contiene una accurata e ben illustrata 
raccolta di Poesie minori riguardanti gli Scaligeri a cura dei proff. G. Cipolla 
e Fl. Pkllkgrini. Sono centun documenti, formanti tutt* insieme un corredo 
assai rilevante alla storia dei signori di Verona dal 1271 ai prìncipj del 
sec. XV, il grido dei quali echeggiò anche fuori del proprio territorio, poiché 
le loro gesta s' intrecciano per luogo tempo coi fatti della superiore e della 
media Italia. Poesie di cortigiani e voci di rimatori di piazza, carmi latini 
e frottole volgari, iscrizioni metriche, epigrammi, ballate, sonetti, formano 
una svariatissima collana poetica, in mezzo alla quale splende come gemma 
di maggior luce, il brano della Commedia in che Dante tesse la lode degli 
illustri suoi ospiti. Le illustrazioni dei due dotti veronesi, a cui è dovuta 
questa raccolta, nulla lasciano da desiderare cosi rispetto alla correttezza dei 
testi, come alle notizie storiche. 

.*. Il prof. 6. Zipp£L per occasione nuziale dà in luce Utw lettera inedita 
di Francesco Filelfo a Lorenzo il Magnifico (Pistoja, Fiori, 1892, di pagg. 13 
in 16.°). La lettera è in volgare, ed è curiosa, non solo perché in essa si 
ritrova il carattere petulante ed inquieto del celebre umanista, ma anche 
perché egli ci si mostra neli* aspetto d'informatore politico, dandosi eoa 
tal ufficio autorità di consigliere e di giudice, e cercando il favore dei po- 
tenti. Il documento é accuratamente illustrato dall'editore. 

.*. Il sig. H. Varnhaoen ha riprodotto a fac-simile un antico poemetto ita- 
liano, cioè La novella di due preti et un cherico inamorato d* una dama 
(Erlangen, Junge, 1903, di pagg. 17 in 16.° non numer.), del quale due soli 
esemplari, tipograficamente indipendenti T uno dall' altro, si conservano, Tuno 
a Berlino, r altro nella Biblioteca di Erlangen; ambedue hanno tuttavia le 
stesse xilografìe, una in principio, l'altra in fine. 11 poemetto ha il carattere 
degli altri componimenti congeneri: facilità di verso, vivezza di esposizione, 
ma forma scorretta e rozza. Di queste burle fatte a preti lascivi dai mariti 
delle donne da essi insidiate, non difettano esempj nei nostri novellieri, e 
parecchi paralellistpi col fatto cantalo nel poemetto raccoglie il dotto editore 
nella breve prefazione, in aggiunta a quanto scrisse in una sua Memoria sulle 
antiche stampe italiane nell'Universitaria di Erlangen. La riproduzione è 
ottimamente riuscita. 

.*. El Concionerò de Mathias Duque de Estrada ecc. por Bonilla. t Sam 
Martin y Eugenio Meli (estr. da La Revista de Archivos, Bibliothecas y Mu- 
0^00) è descritto qual' é : una copiosa antologia di poeti spagnoli del sec. XVII 
conservata in un cod. della Nazionale di Napoli. Di questo Mathias che fu 
il raccoglitore, nulla è noto, ma V opuscolo ha importanza per le notizie bi- 
bliografiche che raccoglie e i testi spagouoli che pubblica. 

.*. Di un' Ecloga di L. Ariosto e della sua allegoria storica (estr. ^sXV Ateneo 
Veneto, ao. XXV, voi 1, fase. 3, Venezia, 1902) c'intrattiene in un suo lavo- 
retto il sig. St. Fermi. Conveniamo coli' a. sull'importanza di questo compo- 
nimento, perché ci mostra in un dato momento la figura morale dell'Ariosto, 



DBLLA LETTERATURA ITAMANA 61 

ma certo ne avrebbe acquistata ancor più se TA. avesse dimostrato esser 
questa Tunica ecloga <iel poeta reggiano; perché Tafifermare soltanto di aver 
"forti motivi, per non creder autentica T altra rinvenuta nel 1845 da Teo- 
dorico Landoni, come tutte le frasi troppo generiche, lascia il tempo che trova. 
S* indugia a parlare dei fatti sanguinosi ai quali T ecloga allude: il delitto cioè 
compiuto dal cardinale Ippolito per gelosia sul fratello naturale Don Giulio, 
la congiura sorta dal desiderio di vendetta di quest'ultimo e poi abortita, 
la punizione dei congiurati. Dopo il riassunto del componimento preso ad 
esaminare, riconferma la data già da altri assegnatagli (32 Iug.*12 sett. 1506) 
ed il luogo, ove secondo ogni probabilità fu scritto, eh* è Ferrara. Indaga poi 
gli scopi deir ecloga che, secondo Pa., si riducono a celebrare con Iodi il duca 
Alfonso e la duchessa Lucrezia Borgia e ricostruire il fatto in modo che il 
card. Ippolito, cui il poeta serviva da tre anni, rimanesse in parte discol- 
pato. Dopo un accenno bibliografico alle 10 edizioni, che del componimento 
si fecero dal 1807, fino al quale anno era rimasta inedita, al 1894, passa a 
due riscontri realmente notevoli tra alcuni versi dell* ecloga ed altri del Fm- 
riosOf ed in fine chiude V opuscolo con qualche considerazione sullo scarsis- 
simo merito letterario che air ecloga può attribuirsi. 

.*. L' editore Romagnoli-DalP Acqua, editore della R. Commissione dei Te^tl 
di Lingua, ha messo in luce il voi. IV delle Rime di T. Tasso curate da A. 
Solerti sui manoscritti e sulle antiche stampe (Bologna, 1992 di pagg. 386 in 
16.<*). Il voi. contiene le Rime d*oeea9Ìone e d'eneomfo: prima quelle di data in- 
certa, e poi quelle composte negli anni 1585-86. La stampa è condotta dal 
Solerti colla solita accuratezza e con copia di apparato critico. 

.*. Lo scritto di L. Frati su Una Pasquinata contro i lettori dello studio 
bolognese nel 1563 (Bologna, Zanichelli 1902, di pagg. 15 in 16.*), acquista 
una certa importanza per V opportuno accostamento che il moderno editore 
istituisce tra questa e quella famosa, della quale Tanno dopo fu incolpato 
Torquato Tasso, allora ventenne. Dal lato letterario questa cinquantina di 
terzine (che di tante si compone ali* incirca la pasquinata) ha ben scarso 
valore, ma contribuisce quale documento storico a farci comprender meglio 
quelT ambiente della scolaresca bolognese, che poco più tardi al Tasso doveva 
cagionar tante noje. 

.*. Enumerando I Capitani lucchesi del sec, XVI e di ciascun d*es8Ì dando 
qualche notizia, il sig. G. Sardi (Lucca, Giusti, 1902, di pagg. 118 in 118 in 
16.*) ha scritto una pagina di non poca impo rtanza della storia della sua 
città. I capitoli più rilevanti di questo lavoro sono quelli dedicali al tempo 
delT assedio di Firenze e alle imprese del Ferruccio, ad illustrar le quali, 
oltre che di documenti di archivio, TA. si giova di un poemetto su la bat- 
taglia di Oatinana, rarissimo, e del quale la sola copia, mutila, trovasi nella 
biblioteca lucchese, scritto da un medico Donati, che si intitolava Donato 
Gallofilo, Interessanti sono i ragguagli che TA. ci comunica intorno alla po- 
litica degli Anziani lucchesi, oscillante con sottili astuzie fra la benevolenza 
verso Firenze e la tema delT Impero, non solo nel tempo delT assedio, ma 
anche di poi, durante T audace impresa di Piero Strozzi. Con queste indagini 
il sig. S. rinnova i nomi e la gloria di parecchi valorosi suoi concittadini del 
sec. XVI, e accenna ad altri capitani lucchesi del successivo, che, come tanti 



62 RASSEGNA BIBLIOORAPIOA 

altri italiani di queir età, diedero prova di valore in Fiandra, in Polonia, in 
Francia, in Austria; e vorremmo che essi e le loro gesta fornissero materia 
ad altra Memoria dell'erudito autore. 

,\ Il prof. Aut. Favaro ha accresciuto di due altri lavori la copiosa serie 
dei suoi 8tn4j galilejani. Con uno, che prosegue la collana de Oli amici t eor^ 
rispondenti di Galileo (Venezia, Ferrari, 1903, dì pagg. 37 in 16.*) ci pairla 
con nuovi e minuti particolari dì queir Alessandra Bocchineri * che fece 
* palpitare di senile affetto il cuore sempre giovane di Galileo «, e alla quale 
ò diretta V ultima lettera che di lui ci sia pervenuta. Oltre che di lei, il P. 
ci parla di due fra i suoi tre mariti, cioè Francesco Rasi aretino, che fu 
valentissimo musicista e cantante, e Giov. Fr. Buonamici, esperto diplo- 
matico, amici ambedue del sommo matematico. Anzi di quest' ultimo è fra 
i documenti, e dopo altre lettere dell'Alessandra, pubblicata una importante 
relazione del processo di Galileo. Essa era nota, ma taluno ne aveva negato 
r autenticità, non senza buone ragioni : la nuova lezione di essa, scoperta dal 
F., e assai diversa da quella già divulgata, ci sembra tale da eliminare ogni 
dubbio. -~ L'altro è un ragguaglio interessante su / (iocuNMn/i del Proeeeso 
di Oalileo (Venezia, Ferrari, 190^, di pagg. 50 in 16.*) ove si narrano le vi* 
cende del volume della Inquisizione romana, contenente gli atti del processo 
galiziano, trasportato in Francia da Napoleone, poi per lunghi anni smarrito, 
e quando ritornò a luce dato più volte alle stampe con arbitrj d' ogni sorta, 
ommlssioni ed errori. Ora agli editori della Edizione nazionale delle opere 
di Galileo è stato concesso, con liberalità che desterà negli studiosi maraviglia 
e insieme gratitudine, di trarne copia dall' originale, ed esso entrerà a far 
parte dell'ultimo volume, il XIX, della raccolta. Intanto colla storia delie vi- 
cissitudini, ne abbiamo qui le primizie per opera del prof. Favaro, il quale al 
testo del Processo potrà aggiungere anche una serie di documenti che ne 
fanno parte, benché non contenuti nel citato volume. Certo è che questa 
pubblicazione getterà gran luce su un fatto, narrato fin ora a seconda delle 
diverse opinioni e passioni, ma senza la scorta di autorevoli documenti. Sol- 
tanto è da lamentare che Io Stato, il quale non sa e non può far l' editore, 
salvo che per la spesa, abbia voluto restringere a troppi pochi esemplari 
l'edizione così detta nazionale e l'abbia sottratta al commercio, cosicché 
non è facile giovarsene se non da pochi privilegiati, e ricorrendo alle bi- 
l^lioteche. Un libro non ò mai perfettamente edito se non si trova da com- 
prare. E ora che lo Stato ha deliberato di assumersi la spesa di stampa 
delle opere di Leonardo, vorremmo che non si cadesse nello stesso errore, 
e fosse lecito acquistarsi a proprie speso quelle . pubblicazioni, che un privato 
può non potere o non volere avere tn dono dal Ministero. 

.*. U sig. Oskar Klihobr studia il teatro comico italiano a Parigi sul finire 
del secolo XVll nello scritto Die Comédie Italienne in Parie naeh der 8am* 
mlung von Oherardi (Strassburg, Trdbner, 1902). Interessante senza dubbio per 
la nostra letteratura é questo volume, nel quale l' a. prende a considerare gli 
svariati prodotti della commedia italiana in Francia, con particolar riguardo 
^. quelle pubblicate dal Gherardi nella sua raccolta. Elgli crede che queste 
rappresentino in genere l' anello di congiunzione tra la commedia dell' Arte 
^j J^, commedia . regolare, tra le bufiTonerie della prima e le produzjqni di 



DELLA LBTTBJUTURA ITALIANA 63. 

gasto parigino, tra i caratteri esteriori della commedia nostrana ed i tipi 
italiani da un lato, ed il contennto francese dall'altro. Fino al 1682 la com- 
media dell'Arte in Parigi si vale delia lingua nativa, conserva tatti i carat- 
teri e gli elementi tradizionali del luogo d'origine, si mantiene insomma 
talmente immune da ogni mistura esotica, che rappresenta l'ulteriore e 
naturale sviluppo della commedia improvvisa, per natura e per foroia 
prettamente italiana. Dal 1682 in poi essa è costretta a infranciosarsi in modo 
che la sua storia s'integra con quella del teatro e del costume parigino. 
Cosi l'opinione già espressa a questo riguardo dal Moland viene ora confer- 
fermata dal K. Cominciando dai primi anni del sec. XVI sotto la reggenia 
di Francesco I, egli mostra nei cenni introduttivi come l'emigrazione in 
Francia dei nostri commedianti s'accresca man mano che ci s'inoltra nei 
tempi, in special modo net sec. XVII, sul finire del quale tre teatri stavano 
aperti al pubblico parigino : la Commedia francese, l' italiana e l' Opera. Op- 
portunamente l'a. si studia di porre in rilievo questo incremento delle rap^ 
presentazioni ; segue, fin dove glielo permettono i documenti, le loro vicende ; 
s'indugia in special modo attorno ai nostri commedianti, circondati di sim-. 
patia non solo da parte del pubblico, ma anche della corte fino all'anno 
nel quale pel matrimonio morganatico del re colla Maintenoni sono condan- 
nate il riso e le buffonate e trionfa attorno a Luigi la bacchettoneria. Il re, 
stesso, pochi anni prima cosi appassionato pel teatro italiano, assiste in 
questo tempo mollo raramente alle rappresentazioni: ^opo il 1690 poi, le 
trascura affatto. I comici italiani però continuano ancora per qualche tempo a 
sollevare coi loro dialoghi, scintillanti di spirito e di vivacità talora satirica, ^ 
gli infrolliti cortigiani di Versailles, ma inutilmente: i tempi son mutati, i 
commedianti francesi ottengono il sopravvento. Nel novembre e decembre del 
1691 questi danno a corte 10 rappresentazioni, 5 i nostri; nella prima metà, 
del '95 quelli 21, questi 4; nel '96 quelli 11, questi 2 e nel secondo semes^re^ 
quelli 19 questi 1, fino a che nella primavera del '97, mentre la compagnia 
fra^icese dà aneora qualche rappresentazione a Versailles, i comici italiani son. 
costretti a partirsene. Questo è U sunto della introduzione, in cui il K. anticipa 
i resultati, ai quali giunge col suo studio diviso in quattro capitoli, più un 
indice bibliografico, breve ma accurato. Nel primo dà il sunto delle cin- 
quantacinque commedie del Gherardi, nel secondo le esamina dal loro aspetto 
pili caratteristico, come documenti cioè di caricatura, importanti per la storiai 
del costume e della cultura. Nobili, banchieri, avvocali, medici, poeti, accade^, 
miei, ' preziosi e preziose , in genere, il melodramma, il sesso femminile, 
Parigi, insomma colle sue mode e con tutte le sue stranezze, davano materia 
ai nostri commedianti. Nel 3.<^ cap. dà indicazioni biografiche più o meno^ 
abbondanti e più o meno sicure su coloro, che in maggior grado si distinsero, 
e prende ad esaminare i tipi, che essi incarnavano, sui quali non dice però 
gran che di nuovo; nel quarto discorre del carattere letterario delle commedie, 
prettamente italiane e di quelle più tardive, che accolsero la lingua dal 
^ese ove erano rappresentate; ne pone in evidenza lo scopo 8atiric9, gli. 
elementi onde risultano, cosi la trama interna della Commedia, come la rappre- 
sentazione esterna, e accenna al vaudeville ed all'opera comica come agli ult,imi 
frutti di questa produzione letteraria. Nelò.'ed ultimo capitolo tratta (iegli 



64 RA8880NA BIBLIOGRAFICA . 

autori francesi, che ancor si ricordano per aver secondalo e contribuito colle 
loro commedie ali* incremento del teatro italiano in Francia. Per concludere, 
a noi sembra che questo lavoro condotto senza dubbio con metodo rigoro- 
samente scientifico, non dica molte cose nuove, riassuma bensf e disponga 
e riconfermi con ordine e chiarezza cose già note, ma sparse per articoli o 
per libri svariati, rendendo con ciò un vero servizio agli studiosi. 

.'. Estralta dalla Rivista Musicale Italiana (voi. IX, 1903, fase. S.^" di pp. 56) 
ò una importante Memoria del prof. A. Solerti su Le rappresentazioni mu" 
sleali di Venezia dal 1571 al 1605 per la prima volta descritte. Il prof. So> 
lerti, che sta lavorando sui primi saggi del Melodramma, e annunzia pros- 
sima la pubblicazione di alcuni volumi di documenti su tal materia, ci dà 
qui, compilata dal sig. àvallb della Marciana, una bibliografia di cinquantun 
componimenti melodrammatici, dati in Venezia dal 1571 al 1605, e che co- 
stituiscono un periodo importante delle origini del genere. Il primo notato 
è il Trionfo di Cristo dì Celio Magno, e 1* ultimo è 1% Pazza saggia di ano- 
nimo. I soggetti di queste rappresentazioni sono assai varj: mitologi, storici, 
tragici, comici. Ampj sono i ragguagli bibliografici, sf da darci una idea del- 
r argomento e svolgimento delle favole musicate. Il Solerti pare voglia ar- 
re^itarsi nella storia del dramma musicale ai primordj del sec. XVII, ma poi- 
ché dice di aver raccolto insieme quanto * dai contemporanei , fu scritto su 
cotesto periodo, e altri, o lui stesso, potrebbe invogliarsi a conoscere e far 
conoscere le narrazioni dei contemporanei pur pel periodo successivo, ci piace 
qui menzionare una fonte inesplorata, additataci dal nostro dotto amico, Emile 
Picot: ed è il Mereure de France, che contiene numerosi e curiosi ragguagli 
sugli spettacoli veneziani a cominciare dal 1679. Poiché ormai non ci è dato 
attingere a questa sorgente, altri Io faccia; il valente amico ci asserisce 
che raccogliendo insieme le relazioni del vecchio giornale francese si po- 
trebbe farne un discreto volumetto. 

.'. Proseguendo le indagini e gli studj sulle origini del Melodramma, il 
prof. A. Solerti ci dà ora una monografia su Laura Ouidieeioni'Lucekesini 
ed Emilio de* Cavalieri (estr. dalla Riv, Music, Ital, di pagg. 33 in 16.*), che 
con molti particolari espone quanto ha potuto raccogliere sulla poetessa 
lucchese e sul musicista romano, che " per la fusione dei loro spiriti e per 

* rintimità della vita, dettero per primi la forma del melodramma nell* accordo 

* della poesia con la musica ,. Con questi pregevoli studj del Solerti comincia 
un pò* di luce su un periodo oscuro, eppure egualmente rilevante per la 
storia della poesia e per quella della musica. 

/. A proposito dell* Estetica di O, B. Vico, e a conforto di opinioni già 
espresse (cfr. Flegrea, aprile 1902), il nostro amico e collaboratore B. Croci 
pubblica un breve scritto (estr. dalla Riv, di Filosofia e Scienze affini, ag. 
1902), ove, ribattendo le critiche della signorina Martinazzoli, conferma e 
rincalza la tesi * che al Vico si debba il ritrovamento della scienza estetica ,. 

.'. E uscito a luce coi torchi dello Zanichelli il XIII voi. delle Opere di 
C. Carducci (di pagg. 469 in 16.*). Esso è tutto dedicato al Parini, non però 
air autore del Giorno, ma a quello delle Odi e dei Sanetti: si sa che al poema 
e alla sua storia il Carducci ha dedicato già dal *94 un intero volume, che 



DELLA LBTTB1UTURA ITALIANA 65 

a suo tempo rientrerà nella serie. Gli scrìtti qui raccolti colla denominazione 
Il Barini minore sono usciti a Ince in vaij tempi e in periodici diversi. Ne 
diamo T indice: // Par ini principiante - U Accademia dei Traef ormati e O» 
ParitU - Pariniana (Preliminari - La Vita Rustica - Il Brindisi - L'Im- 
postura - Le Nozze) - Dentro, fuori, intorno ai Sonetti di O. P. (I Sonetti di 
G. P, • Devozione - Galanteria • Varietà) - Saggio di bibliografia pariniana 
(Opere, Testimonianze, Elogi, Vite ecc.. Storie letterarie ecc.). Questi diversi 
scritti, tutti meritamente noti ai cultori delle nostre lettere, sono stati dalPa. 
riveduti ed accresciuti, e cosi insieme raccolti formano una lettura dotta e 
piacevole per copia di notizie biografiche, storiche e letterarie, e acutezza 
di osservazioni. La parte più accresciuta é la bibliografica : notiamo però in 
essa Tommissione del commento alle Odi del prof. D'Ancona (Le Mounier 
1884r), che pur è menzionato nel corso del voi. Ma le bibliografie non riescono 
mai complete. 

.'. Del prof. Matteo Nolfi abbiamo alcune Note critiche al Filippo di 
Vittorio Alfieri (Tonno, Pelrini, 1901, in 8.^ pp. 64); utili certo ed interessanti, 
ma che ci sembrano d'assai inferiori per originalità e novità di rìeerche agli 
scrìtti pubblicati sullo stesso argomento dairimpallomeni e dal De Sanctis. 
In verità le prime pagine (1-19), ove si tratta dei caratteri generali delle 
tragedie alfìerìane, non offrono gran che di rilevante. Vi si discorre alla rin- 
fusa e superficialmente dell' efficacid esercitata dall' arte alfieriana sul risor- 
gimento politico della nazione, delle vicende della tragedia italiana innanzi 
il 700, del teatro inglese e dello Shakespeare, delle tragedie classiche fran- 
cesi, della tragedia greca civile e patrìottica, dell' Arcadia e della teorica eie/- 
V arte per Varte, Più accurato è l'esame della tragedia alfieriana (pp. 20-44). 
al quale seguono alcune osservazioni, assai appropriate, sull'arte, sul verso 
e sulla lingua del Filippo (pp. 45-58). Ma, quanto allo stile, non possiamo ta- 
cere all'autore alcuni appunti. Troppo spesso la scarsa precisione dei con- 
cetti e l'improprietà della forma offendono il lettore; come nei perìodi seguenti: 
' Nei tratti circoscrittivi ed intensivi di questo carattere di innamorata donna,. 
" salta agli occhi un dieegno di condotta assai semplice, liscio, veloce, e insie- 
' me monco ed arido . . . p. 21 , . . . ' [Isabella] come costruzione etica non è 

* quindi la Fenice delle consorti; come lavoro d'arte questo tipo muliebre, 

* quantunque assai debole, desta nell'animo una profonda emozione e m lama 

* una salubre efficacia (p. 25) ,. In conclusione, l' importanza del soggetto 
avrebbe meritato, ci sembra, una trattazione assai pili profonda, e un' espo- 
sizione pili ordinata, e più lucida. 

.'. Di Un emulo di Vittot*io Alfieri, il co. Alessandro Pepoli, e più precisa- 
mente di un saggio di genere drammatico * nuovo ,, da lui intitolato con nome 
greco ftsedia, tratta il prof. N. Du Sanctis in una breve, ma succosa memoria 
(Catania, Galatola, 1901, pp. 30, in 8.<*). É noto come l'elegante patrizio bo- 
lognese in più atti della sua vita privata e letteraria mostrasse V ambizione 
preoccupazione di apparire emulo dell'Alfieri. Gran * domator di cavalli «, 
come questi, e corteggiatore di dame, il Pepoli aspirò, doq mcfno dell'asti- 
giano, al vanto di restauratore della tragedia italiana; e divise con lui gli 
applausi dei teatri aristocratici, ove tal genere era coltivato di preferenza. 
L'Alfieri scrìveva V Agamennone, e il Pepoli un Agamennone, ma senza con- 



66 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

fidenti; Tuno componeva il Filippo, e l'altro il suo Z>. Carlo; quegli dava 
alle scene il Bruto II, e questi H sepolcro della libertà. Cosi, mentre V asti- 
giano, innestando la tragedia sul vecchio tronco del dramma musicale, ten- 
tava nella tramelogedia V Abele un genere nuovo, che 'riaprisse., come 
s' esprimeva, " nei contemporanei la comunicazione tra V intelletto e V udito , , 
il Pepoli si atteggiava a riformatore del teatro italiano colla * fìsedia , il La- 
dislao. Che cosa fosse tal " fìsedia , secondo i concetti del poeta, e che cosa 
poi riuscisse neir opera concreta ; quali siano i pregi del Ladislao, e quali, più 
grandi e più numerosi, i difetti, ricerca il De Sanctis e pone in luce con ogni 
diligenza, esaminando il componimento drammatico nelle sue parti, e raf- 
frontandolo coir Abele alfieriano. Frutto di tali indagini è la conclusione, che 
trascriviamo: * La tramelogedia dell* Astigiano non era quella cosa indefini- 

* bile che V autore credeva, e, fondandosi su elementi già preesistenti e ben 

* determinati, poteva chiamarsi un tentativo : la fìsedia del Pepoli riusci in- 

* vece alla negazione dell'arte drammatica, perché, consistendo essa in una 

* mescolanza capricciosa di generi diversi e ripugnanti tra loro, non giunge 
'^ a destare nell'animo nostro quegli effetti pei quali il componimento teatrale 

* è creato , . 

.'. Il quinto degli Anniversary manzoniani del prof. BiLLczzà discorre de 
Le Versioni inglesi, tedesche e russe dei Promessi Sposi (estr. dalla Bass» 
Nazionale dell'ottobre 1902, di pagg. 27 tu 16.*). Le traduzioni esaminate 
sono sei tedesche, tre inglesi e una russa. Sarebbe incredibile, se l'a. n<Ni 
ce ne fornisse le prove, lo strazio che del romanzo italiano hanno f»tto 
costoro, che possono ben dirsi traditori, anziché traduttori. Brani interi «ono 
arbitrariamente ommessi (ad es. V Addio di Lucia, l'episodio di Cecilia ecc.), 
e le traduzioni errate sono innumerevoli e scandalose. Bidire è scambiato 
con ridere, caso in casa, ora avverbio in ora nome, secentista in sessagenario, 
campagna in compagnia, manacce in minacce, cento sguardi in cento guardie, 
pruno in pugno, inferriata in Ferrer; parlare a balzi diventa parlare futi- 
l'orlo di un precipizio, far d'ogni erba fascio, far d'ogni mosca un elefante, 
un pajo di maniche, un par di manette; sbudellarsi è reso sfogar la maUn- 
conia/ E cosf per centinaia di casi. Par fatto apposta per ingarbugliare il 
senso! Con altro studio che ci promette, l'a. trarrà le sue conclusioni per 
dedurne qual veramente fu, in tre grandi paesi di Europa, la fama del Man- 
zoni e la conoscenza della sua opera. 

.'. Il prof. Giov. Nkgri nell' opuscolo Dubbj manzoniani e risposte (Milano, 
Agnelli, 1903, di pagg. 36 in 16.®) esamina uno scritto ben noto del dott. 
Bellezza su certe * contraddizioni e incongruenze , , che si sono volute rin- 
venire nei Promessi Sposi, e con acutezza, che talvolta è forse troppa, di- 
fende il Manzoni da quelle accuse, e da altre mosse dal march. Crispolti. 
Altra volta ci è accaduto di accennare a questa controversia, esprìmendo 
l'opinione che se anche quei nei esistessero nel romanzo, non attenuereb- 
bero d' un minimo che, la fama dell' autore. Anche il sole ha le sue macchie. 
Anche Dante mette la figlia di Tiresia nel Limbo, e Manto, che è cotesta 
fìglia di Tiresia appunto, nell' Inferno. Anche l'Ariosto fa combattere pala- 
dini, che ha già dato per morti. Difendiamo pure dalla taccia d'incongruenza 
o di sbadataggine il Manzoni; ma non gli facciamo grave carico se Renzo 



DRLLA LBTTBRAtURA ITALIANA 07 

avesse in (porno dì divieto mangiato quelle famose polpette e quel non meno 
famoso stafatino. Il Negri dice che sarà accaduto per effetto della carestia* 
che rendeva meno osservanti. E sia cosi, e pur che sia finita, accordiamoci 
su tal plausibile spiegazione. Quanto al bravo Negri, aspettiamo da lui, dopo 
le belle illustrazioni leopardiane, un lavoro al quale aveva posto mano pa- 
recchi anni addietro sul poeta Angelo Mazza, e vorrremmo che desse com- 
ponimento al lavóro su cotesto, che fra i poeti del sec. XVIII è uno dei 
più notevoli. 

.*. La morte che improvvisamente ha ai 25 agosto 1903 interrotto gli studj 
e i lavori del prof. Policarpo Petrocchi, non ha fortunatamente impedito 
il compimento e la pubblicazione dei Bromessi Sposi, raffrontati suUé due 
edigioni del 1825 e 1840 con iifi commento atorieo, e$tetieo e filologico. La 
Ditta Sansoni ha infatti messo testé a luce quest' opera, che consta di 4 voi. 
di complessive pagg. X-1272 in 16.*. Quale fosse V intendimento del Petroc- 
chi è detto nella Introdmione; già comparsa dal 1893: esso è stato osser- 
vato costantemente nel corso del lungo e faticoso lavoro, e compiuto 
con copiosissimo e utilissimo Indice delle Note, Ninno poteva dirsi me- 
glio atto del Petrocchi, toscano e autore di un pregiato Dizionario italiano, a 
un'opera come questa, alla quale si richiedevano molta conoscenza della 
lingua e molta squisitezza di gusto. Né questo solo bastava; ma anche ri- 
chiedevasi molto senso d' ordine per disporre la varia materia, e fkr vedere 
anche sensibilmente la serie di mutazioni, anche lievi, del testo del romanzo. 
A tutto ciò é riuscito molto bene il Petrocchi, adoperando diversità di ca- 
ratteri e separazione delle varianti dalle postille. Certo chi vorrà procurarsi 
un semplice diletto estetico non leggerà i Promesei Sposi in questa edizione, 
come il più gustoso modo di legger la Divina Commedia è leggerla in una 
edizione senza commenti ; ma gli studiosi, maestri e scolari, e tutti quelli 
che già conoscendo il libro, vorranno meglio apprezzare V arte finissima del- 
r autore, si compiaceranno nel ricorrere a questo commento, che tante cose 
insegna sul difficil magistero dello scrivere. Si potrà qualche volta dissentire 
dal Petrocchi, perché la materia è di natura sua disputabile, ma non si potrà 
non riconoscere che in questo lavoro del compianto pistojese v' ha un te- 
oro di acute osservazioni filologiche e di soda e svariata dottrina. 

.'. Un Matrimonio curioso nel 700 é il titolo di un opuscoletto edito dal 
prof E. Filippini Per le Nozze Zaniboni-Panazza (Menaggio, Baragiola, 190i2, 
pp. 14, in 8.*). Si tratta di un matrimonio di sorpresa, celebrato da due pae- 
sani di Val d*Intelvi dinanzi al parroco di Cima o Lacima (Lago di Lugano), 
nel 1753. Il fatto, che ricorda assai da vicino V episodio famoso dei Promessi 
Sposi, ed ha qualche valore anche per la storia del costume, é riferito per 
disteso dal parroco medesimo, 6. B. Gobbi, in certe sue Memorie della Cura, 
che si conservano manoscritte a Menaggio, presso T Archivio del Subecono- 
mato dei Benefizj vacanti. E ad illustrazione del racconto manzoniano lo dà 
alla luce li F., corredandolo di erudite note ed opportune considerazioni. 

.'. Di Antonio Quadagnoli poeta satirico tratta il sig. C. Stiavklli (Roma, 
Mariani, 1902 pagg. 20 in IG."*) in uno scritto, il quale é detto formar parte 
di un libro, più volte annunziato e che ormai vorremmo veder a luce, sul 
poeta aretino e la toscana dei suoi tempi. L' a. studia specialmente le pre- 



68 RASSBGi^A BIBLlOOKAtrldA 

fazioni in sesta rima che il Gaadagnoli dal 1832 al '58 poneva innanzi al 
lunario popolare di Sesto Gaio Baccelli, e in esse rileva specialmeuto le al* 
lusioni politiche, per concludere poi, contro V opinione di parecchi che ne han 
toccato, eh* ei fu un poeta politico e liberale. Forse vi è esagerazione cosi 
da parte di chi troppo vilipese il Guadagnoli e la sua poesia, come da parte 
dello Stiavelli, che lo difende e lo leva troppo più su che non meriti. Vera- 
mente pili che un poeta satirico fu un poeta giocoso, e V onestà delle sue 
intenzioni e delle sue parole non va scambiala col liberalismo e colle sue 
più dirette e vere manifestazioni innanzi al 1848. A noi pare che l'apologia 
del poeta aretino vada diminuita di qualche tono. E del resto se, come è 
promesso dal titolo, il sig. S. tratterà insieme del Guadagnoli e della Toscana 
ai suoi tempi, e ben scorgerà e dimostrerà le attinenze fra questi e il poeta, 
da tale studio imparziale e sereno, scevro cosi da smania di detrazione 
come di panegirico, balzerà fuori la figura del Guadagnoli più rassomigliante 
al vero. 

/. In occasione di nozze, il prof. P. Antolini ha messo a luce due lettere 
di Fklick Foresti (Argenta, tip. operaia, di 14 pagg. in 16.*), uno dei martiri 
nostri del *21. Sono notevoli, perché, specialmente la prima, danno idea del 
modo di sentire e di pensare, tutto spirituale e romantico, della goneraziene 
a cui il Foresti apparteneva. L'Anlolini ci annunzia di aver fra mano una 
vita del Foresti: e noi ne affrettiamo coi voti la pubblicazione. 

.*. Sono usciti a luce i fase. 46-48 de / Comici italiani del prof» L. Rasi, 
che comprendono gran parte della lettera R. Notevoli sono parecchi articoli 
in essi contenuti; amplissima la biografìa di Adelaide Ristori, arricchita di 
ritratti che la rappresentano nelle parti, dove levò maggior grido. Impor- 
tanti anche gli articoli consacrati agli attori Antonio, Luigi e Francesco 
Riccoboni, che mantennero in unore oltr' alpi Parte comica italiana. Poteva 
forse esser più ampio il cenno dato della Robolti: ma insufficiente addirittura 
ci sembra quello consacrato ad Amato Ricci, che spesso innalzò la maschera 
popolana dello Stenterello a dignità maggiore, trasformandola a parte di ca- 
ratterista. In Firenze, nella tradizione, il Rasi avrebbe potuto facilmente 
trovare elementi a una più ricca biografìa di un attore davvero eccellente. 

.*. Il dolt. G. BiADKGo raccoglie in un volume alcuni Discorsi e profili 
letterati (Milano, Coglialo, di pagg. 287 in 16.*), dei quali diamo i titoli: Dante 
e gli Scaligeri — Per il i.* centenario delli Biblioteca eoman, di Verona — 
Il Pisanello — G. Zanella — R. Fulin — Giov, Sauro e N. Tommaseo — 
Francesca Lutti — Felice Griffini — Eft. Se. Righi — Antonio Rosmini a 
Verona — Discepoli veronesi del Rosmini — Il can, Giuliari, Fr. Angeleri 
e Paolo Perez — Antonio Pof/tpei - ■ Cesare Betteloni, — Della massima parte 
di questi studj abbiamo dato un cenno via via che uscivano a luce, e non 
potremmo che ripetere quel che già dicemmo di ciascun di essi. Ora si rileggono 
volentieri insieme riuniti, perché si possono dire altrettanti capitoli di un 
medesimo libro. L'abbondanza delle notizie anedottiche va del pari col buon 
ordine e colla chiarezza elegante nel darci ragguagli d* uomini e d* istituzioni, 
spettanti per la maggior parte alla cultura veronese. Ma noi accogliamo il vo- 
lume e gli facciamo festa non solo per ciò che contiene, ma per quello che 
promette, e che dovrà essere una storia letteraria di Verona nel sec. XVIII 



DKLLA LETTERATURA ITALIANA 69 

e XIX. Il Biadego è chiamato a questo lavoro di importanza non soltanto 
municipale, dagli stndj di tutta la sua vita. 

.'. Lo studio riassuntivo e molto sintetico del sig. L. CrstbllA; Leggendo 
Lenau (Treni, Vecchi, di pagg. 23 in 16.*), tretta della produzione dramma- 
tica e lirica del poeta di Gsatad; e ci interessa più particolarmente per il 
confronto che il C. istituisce nelle ultime pagine tra il suo autore ed il Leo- 
pardi. Ambedue sono grandi poeti del dolore ; il quale è fatto talora meno 
acerbo nel Recanatese da quella vena d* humourf che mancò completamente 
al Lenau. Ambedue resi pessimisti oltre che da inclinazione naturale, dalla 
loro costituzione fisica e dai rapporti ch'essi ebbero colla società ; Tuno tor- 
mentato dal dubbio tra scienza e religione, T altro sconfortato dal più re- 
ciso scetticismo. Il quale però non toglie al Leopardi di elevarsi talora al- 
l' educazione umana, al concetto delia fratellanza universale, mentre nel Lenau 
la poesia è soltanto sfogo al dolor suo. Carattere saliente della poesia nel- 
l'uno e nell'altro è un forte soggettivismo — . Cose nuove, originali questo 
libretto non reca, ma compendia garbatamente quanto finora, in special modo 
in Italia, è stato detto suU' argomento. 

.'. Importante assai per la storia del nostro risorgimento è un Diario 
dei fatti occorsi in Genova negli anni 1847-49, scritto via via da I. 6. Isola 
nell'età sua giovanile, e ora messo a luce (Genova, Carlini, 1902, di pa^*g. 26 
in 16."*). Dalle prime dimostrazioni e dalle grida sommesse a gloria di Pio 
IX si arriva alle fucilate e al boro bardante nto, che domò l'inesplicabile rivolta 
genovese dopo la battaglia di Novara: Nella rapida forma di appunti gior- 
nalieri ci rivivono dinanzi nei loro tratti più caratteristici, una quantità di 
fatti dimenticati, e scorgiamo via via il corrompersi dell' opinione, che dagli 
evviva trascorre agli a&6a«so e dalla fiducia trapassa al sospetto e all'odio. 
Chi legga questo diario, anche se non genovese, può comprendere come da 
si bel principio si cascò a cosi vii fine: e sarebbe desiderabile che ogni città 
italiana potesse offrire nei diaij contemporanei ai primi albori del risorgi- 
mento, una raccolta di notizie cosi copiosa e sincera. 

.'. Per le nozze Niccola i-Parenti il sig. A, Chiti ha pubblicato una Lettera 
di L, Mazzi a Pietro Contrucei (Pistoja, 1902), scritta il 25 maggio 1837 per 
ringraziare V amico che gli aveva mandato in dono copia delle sue * iscri- 
" zioni italiane,,, stampate appunto in quell'anno. L'editore nella garbata 
prefazione promette uno studio sull'epigrafia con special riguardo al Con- 
trucci, e non possiamo augurarci altro che questa promessa diventi presto 
cosa compiuta. 

.*. Il prof. Francesco Torraga salendo per la prima volta la cattedra di 
letteratura comparata neir Università di Napoli, dopo aver annunziato che 
nel suo corso tratterà di Goffredo Chaucer, ha discorso del suo predecessore 
e dei proprj antichi compagni, cioè di Francesco De Sanctis e della sua se- 
conda scuola (nella Settimana del 7 Dee. 1902), e lo ha fatto con affetto e 
con garbo. Il ritratto del maestro è fedelmente preso dal vero: quello dei 
discepoli ci attrae col nome di tanti uomini, dispersi in varie parti d'Italia 
e in varj ufficj, ma nei quali si conserva ed appare qualche tratto delja co- 
mune derivazione. Dopo tanti casi di fortuna noi auguriamo al Torraca di 
aver trovato nella cattedra napoletana un sicuro porto, al quale sarà di tutela 
il nome del gran maestro ed educatore, cui egli succede. 



70 RA88BGNA BIBLIOGRAFICA 

.'. Agli studiosi, specialmente uni versi larj, dell* antico francese, giung^erà 
gradito i* annunzio della nuova edizione de La Vie d$ Saint Alexis) dataci 
da Gaston HàRis (Paris, Bouilion, 1903 di pagg. 63 in 16.* picc). È il testo 
critico deir antico poema, seguito da un lessico completo e da una tavola 
delle assonanze: esso è ricostruito, per ciò che riguarda la lezione, mediante 
la comparazione dei manoscritti, e rispetto alle forme sullo studio dell* evo- 
luzione storica della lingua. Come libro di scuola, il poemetto è accompa- 
gnato da tutti i sussidj più necessari : e come lettura di antico testo, ò nel 
vero r editore affermando che se non è il primitivo originale perduto, non 
può molto sensibilmente differire da esso. 

.*. Pietoso intento è stato quello della sig.* Giul. 0. Gampilli di racco- 
gliere colla denominazione di Rose di maeehia ì versi di Fa. Goppi Tosca.- 
NiLLi (Livorno, Giusti, 1902 di pagg. 64 in 16.«), tutti di genere popolare, e 
rinfrescare cosi la memoria di un giovane ingegno, cui la morte precoce tolse 
di poter mostrare il gentil vigore delle sue forze. Nato nel '32, mori egli nel '64. 
Non tutti i suoi versi hanno egual pregio, e tornando su di essi V autore, se 
li avesse dovuto stampare, a taluni avrebbe tolto certe forme un pò* leziose, 
ad altri dato un nerbo maggiore. Ma crediamo degna assolutamente di sal- 
varsi dairobifo la serie di stornelli sulla Rosa di Novara, fresca e spontanea 
ispirazione dall'aura che nel principio del 1859 fecondava i germi del no- 
stro risorgimento. E intanto il popolo non ha esso obliato, anzi ha costu- 
ditò e serbato nella sua memoriaf e ripete ancora il Fior della Bara. 

.*. Nella pubblicazione Faville patrie il nostro collaboratore A. A. Migribli 
(Treviso, Turazza, 1902, di pagg. 55, in 16.) raccoglie alcuni aneddoti di storia 
patria dal '48 agli anni successivi, per rammentare ignoti o dimenticati eroismi 
e oscuri ma benemeriti cooperatori e martiri della causa del risorgimento 
nazionale. 

.'. Notizie curiose insieme e interessanti allo studio della scienza medica 
e alla storia della pubblica igiene, raccoglie G. Pitré in una sua Memoria, 
che modestamente battezza col nome di appunti, su l'Accademia di medi- 
cina, i medici, gii aromatarj e alcune malattie in Palermo nella seconda metà 
del sec. XVIII (Palermo, tip. del Giorn. di Sicilia, 1902 di pagg. 22 in 16.«). 
Spigolare in uno scritto che è già una spigolatura scelta in un campo assai 
vasto, sarebbe ardua cosa, e ce ne asteniamo. Ma vogliam dire soltanto come 
questo scritto dell'infaticabile siciliano mostri quanti ostacoli vi erano nel 
passato ai provvedimenti igienici e ai metodi più razionali per la cura dei 
morbi ; ma come in cotesto passato, al quale si rimproverano superstizione 
e ignoranza, si trovino pur anche sani provvedimenti ed utili istituzioni, pro- 
mosse dal buon senso e ispirate dalla carità. 

.'. Il sig. Paolo Segato, che recentemente scrisse nella Rivisia d* Italia 
dello scrittore friburghese Alberto Bilzius, ha pubblicato Una Novella di 
quest'autore tradotta in vernacolo feltrino (Feltre, Gastaldi, 1902, di pagg. 23 
in 16.<*). Essa fa parte della raccolta Novelle e scene della vita popolare della 
Svizzera, ed ebbe speciale fortuna, perché da essa fu tratto il testo di un' o- 
pera musicale molto in voga ni suo tempo, intitolata Der Tabulettkràmer 
(II mercìaiolo ambulante). Il Segato ha fatto precedere alla sua versione 
alcune informazioni sulle principali caratteristiche della fonetica e della mor- 
fologia del fellfino. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 71 

.*- Diligente e interessante è lo scritto che la sig.' GiMiià Ginzatti ha con« 
sacrato a Alfomo de Lamartine e Vltalia (Livorao, Giusti, 1902, di pagg. 116 in 
16/) e che si legge volentieri anche dopo aver veduto il capitolo che al poeta 
delle Méditations consacra il Magnien nel suo recente voi. bvlW Italie de$ 
Bomantique», V autrice segue a passo a passo il poeta francese dai primi 
anni fino a quando, presso alla tomba, ingiuriò Dante con insana parola e 
suscitò le ire degli italiani. Nota come la OerusaUmme liberata, a sua con- 
fessione, fu il primo libro che gli facesse impressione sulla fantasia e sul 
cuore (pag. 31). L'Ariosto invece — cosa strana! — io faceva sbadigliare 
(pag. 8). Deir Alfieri portò giudiq mutevoli (pagg. 8-10) : del Foscolo, i Sepolcri 
del quale imitò, avverti la parentela intellettuale coi maggiori ingegni (pag. 33). 
fi curioso poi che in un momento delta sua gioventù dicesse di aver quasi o- 
bliato il francese pel * releste idioma , nostro, e onorare soltanto i poeti italiani 
(pag. 17). Deir Italia si sa come sentenziasse, e come una spada italiana gli 
ricacciasse in gola la villana sentenza: ma ebbe poi sensi di pentimento del- 
l' offesa gratuita (pagg. 70-81). Buona è la trattazione delle scritture lamarti- 
niane, che T Italia ispirò: e lucida 1* esposizione della verità o no, dell'idillio 
òì'Oroziella (pagg.. 19, 31,27), che è tutto un postumo ricamo ideale sui ri- 
cordi di una avventura amorosa, e, come a dire, la purificazione di una sca- 
pestrataggine giovanile: ma che ad ogni modo resta un capolavoro letterario. 
Questo saggio, io ripetiamo, è buono, e Certi piccoli nei non ne diminuiscono il 
valore: cosi notiamo (pag. 50) che il Galiani non può farsi vivere fino a poco 
prima del 1820, dacché era morto già nel 1787 : il general Pepe menzionato a pp. 
56 non può esser Gabriele — quello del duello — ma Guglielmo, né (pag. 66) 
lo scritto di Gabriele, dal quale il duello ebbe origine, può dirsi un' operetta : 
era un art. dell'Antologia ; lo scrittore d%\V Arcadia non era un conte Salvagnoli- 
Marchetti, ma un semplioe abate ecc. Buono è in generale lo stile, e di frasi 
come questa a pag. 99 — * il CSampanile di Giotto, inno alato che si slancia 
ardito nello spazio azzurro, — fortunatamente non ce n'è moli' altre. 

.'. Abbiamo innanzi a noi parecchi volumi della Biblioteca Storica del 
Riaargimento italiano^ pubblicati nel corso del 1902 dalla Società editrice Dante 
Alighieri di Roma. Cominciamo dal render conto del voi. 4-5 della serie 
terza, che è la parte prima del lavoro di Ermanno LogwHisiMr, -Oitteeppe Ga- 
ribaldi e la sua legione nello Stato Romano, 1848-49 (di pagg. XI-278, con 
nno schizzo geografico). È un libro di che non può dirsi che bene. Ogni 
pili minuto particolare è vagliato con tutta cura, e somma è l'indipendenza 
colla quale l' A. giudica certi trascorsi di lingua e certi impeti del generale, 
l'atteggiamento suo rimpelto al governo e ai suoi superiori gerarchici, l'in- 
sofferenza delle forme legali e il modo di combattere qualche volta un 
po' all'impazzata contro forze disciplinate e maggiori. Le sue relazioni col 
Pisacane e col Roselli sono poste in chiara luce senza tendenza apologetica, 
ma con tutta imparzialità. E l'A. può concludere che * anche alla prova di 
'^ una indagine scrupolosa dei minimi atti della vita di Garibaldi, pur dimo- 

* strandosi egli, come uomo, non esente dai difetti e dalle dek>olezze della 
' natura umana, resiste, e la sua figura continua a grandeggiare fra tutti co- 

* loro che la circondano per lucidità di visione nel guardare davanti a sé, per 
"prontezza d'azione, per forza, spontaneità e sincerità di patriottismo ,. Con 



72 RASSEGNA BIBLIOaRAPIGA 

qaesU pabblieazìoDe, della quale atlendiamo il seg^uito, la persona del gene- 
rale esce dalle nebbie della leggenda, ed entra nella piena luce della storia. 

— Buon documento di storia sarà la riproduzione fatta da M. Mbnohiiii dei 
sei quaderni de La Giopine Italia del Mazzini, della quale sono già uscite 
due dispense 6, 1M2 (la prima di pagg. XXXVIII-135, T altra di pagg. 258). 
Contengono oltre scritti di occasione, anche brani di storia, come le memorie 
sui casi napoletani dal 1799 arSl, la risposta del Sercognani al gen. Armandi 
riguardante i fatti di Romagna del *31, ecc. il Mengbini vi ha mandato in- 
nanzi una opportuna prefazione con molte e curiose notizie suU* origine del 
giornale, sulle sue vicende, i collaboratori, le persecuzioni dei governi italiani 
del tempo e gli oltraggi che contro il giornale furono scagliati dalie penne degli 
scrittori a quei governi devoti, che formano, diremmo, la parte amena della 
pubblicazione, il Mengbini promette anche un Indice analitico delle materie, 
che ajnlerà a far ricerche in questa ristampa del periodico. Per esaltezza 
bibliografica avremmo desiderato che si indicasse via via a quale dei fasci- 
coli della Oiovine Italia appartengano gli articoli riprodotti. 

— Il voi. 9-10 contiene uno scritto del dott. Gennaro MoNDàiNi su / moti 
politici del '48 e la setta dell' Unità Italiana in Basilicata (di pagg. XI[-3i4), 
frutto di assidue indagini su documenti del tempo. Intento dell'autore ci 
sembra sia quello di mostrare come la rivoluzione politica del '48 non sia 
in fondo se non un * effetto politico di una rapida evoluzione economico- 

* sociale ,, della quale le prime origini risalgono al decennio del governo 
murattiano e ali* introduzione di nuove idee e di nuove istituzioni. Allora 
alla nobiltà feudale si surrogò la borghesia, che si trovò in lotta cosi con la 
monarchia assoluta come coir elemento popolare. Questa è la tesi di filosofia 
della storia, che collega e rischiara i fatti narrati dalPA. Il quale accusa di 
gretto * municipalismo , i promotori di quei fatti, ma non tace come la setta 
deir '^ Unità italiana , avesse non piccola diffusione anche in Basilicata. E 
pur notando in questa narrazione storica un pò* di rigidità sistematica in fa^^ 
vore di una tesi, V k. ha ragione di rilevare verso la fine T importanza della 

* questione demaniale non ancora pur troppo risolta in Basilicata e nelle 
" altre terre del mezzogiorno d* Italia ,. 

— Il voi. 7-8 è uno scritto delPavv. G. Leti, Fermo e il card, Filippo de 
Angélis (di pagg. X-276), un pò* lungo e minuto, più cronaca che storia, ma 
alla storia non inutile per conoscere le condizioni di una città dello stato 
pontificio durante lo sgoverno de* preti, e 1* opera invadente, baldanzosa e 
spesso pazzesca, di un alto dignitario ecclesiastico. I particolari di fatti e di 
persone fermane sono corroborati da documenti, e hanno tutto 1* aspetto di 
esattezza. Meno sicuri sono gli accenni a cose e personaggi non di Fermo: 
ad es. a pagg. 80 dando una breve biografia di Cesare Trevisani si dice che 
egli a Firenze * fondò Io Spettatore italiano col Finali e col Ricasoli ,. Ora, per 
essere esatti, i fondatori di quel periodico furono Celestino Bianchi e Cesare 
Donati : il Finali era a Torino, e il Ricasoli stava a Broglio e collo Spettatore 
non aveva relazione nessuna. 



A. D'AHOOMA dinttoré rttpontahilé. 

PIM. TlpogrMU F. MartotU, 1909. 



RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

DELLA LETTERATUHA ITALIANA 

Pù èttari: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Kdit&rt: E.8POBRRI? 



Anno XL Pisa, Febbraio-Marzo- A<^rilb 1903. N, 2-3-4. 

Abbonamento annuo j PJJ }'Stwo .' '. ^^^ •. ! ^° °"™- "«P»™*® Cen^- *•• 1 

^MMARIO: V. Vivaldi, La Gtru9alémmt Liberata Biudiata nelle ttM forme (Jeiami 
pHneipàU del pornna) (V. Ro«ai). — N. Busbtto, Carlo De* Dottori leiierato pado- 
vano del S'esulo XVII, etndio hioffrafieo- letterario (E. BerUna). — L. Di Fbuiou, 
Franco bacchetti novelliere fG. Volpi). — A. Drlla Torri, Di Antonio Vineiguvrra 
e delle eue satire (V. Clan). — 0. Marchui, Bomanoieri e Romangi del Setteeonio 
(T. Coneari) — f.. Binstbiic, The ital/an Renaievanee in Enflamd Studiee (F. Pia- 
nloi). — ComuoieRiioni. B. (*. Parodi, / vervi oommni a Pietro da Barveffopé 
e ad Uguoeione.da Lodi, -^ CrooROR. — N«ero]offR. 



Vincenzo VivALor. — La Gerusah^nme Liberata studiata nelle sue 
fonti {Azione principale del poema). — Trani, V. Vecchi, ti- 
pografo-editore, 1901 (8.^ pp. Vili, 351). 

Nel 1893 il prof. Vivaldi pubblicò due volumi di studj Sulle fanH 
della Gerusalemme Liberata (Catanzaro, Caliò), coi quali « volle 
« portare - mi valgo delle parole di lui stesso - il suo contributo 
« air indagine sulle fonti delP opus nuignum del Tasso, mostrando 
« quante reminiscenze vi siano dei poemi cavallereschi >. Con altro 
intento pose mano all'opera di cui diede fuori, or fa circa un 
anno, questo primo volume; il quale abbiamo tardato ad annun- 
ziare nella speranza che avessero intanto ad uscire i ProlegO' 
meni, se non anche il secondo volume con cui V opera sarà com- 
piuta. Nel volume che ci sta fra mano, il Vivaldi intese a discu- 
tere tutte le fonti della Liberata indicate prima da altri o da 
lui e «per mezzo d'un lavoro eliminativo ed aggiungendone qua 
« e là qualcuna nuova, a fissare quella a cui il Tasso veramente 
«attinse». Un giudizio sicuro su quest'opera laboriosa non sarà 
veramente possibile se non quando avremo sott' occhio anche il 
frutto delle ricerche del Vivaldi sulle letture e sulla coltura del 
Tasso, sulle sue predilezioni letterarie, sui suoi principi d'arte poe- 
tica, sulle cronache della prima crociata delle quali si valse; cioè 
il volume dei Prolegomeni^ ed insieme la trattazione, che darà 



74 RASSEGNA UBLIOQRAFIOA 

materia al secqndo vqlume, intorno alle fonti degli epiaodj. Tut- 
tavia non vogliamo indogiare più oltre a dire del primo, con- 
cernente Fazione principale del poema, vale a dire il racconto 
dei fatti guerreschi che si compiono intorno o dentro Gerusa- 
lemme; anche perché, costretti come saremo dalla natura stessa 
del libro piuttosto a rìtrarne il generale andamento ed il metodo, 
che a riassumerne e a discuterne i singoli risultati, avremo forse a 
fare qualche osservazione o ad esprimere alcun desiderio onde 
potrà giovarsi la part^ non peranco statnpata. 

Lode incondizionata merita la diligenza che il Y. ha posto nel 
ricercare e raccogliere per entro ai commenti, alle scritture e- 
spressamente cronologiche, alle lettere d^l Tasso, tutti gli addita- 
mene di riscontri e di convenienze. Poche cose e di non grande 
importanza gli saranno sfuggite,^ né qui accade censurare la 
mancanza d'esatte indicazioni bibliografiche ne'suoi rinvij, per- 
ché 9^ codesto legittimo desiderio M lettore provvederanno, ^on 
v'ha dubbio, i ProUgameni. Gli additamenti raccolti il V. esamina 
e discute via via ad uno ad uno, esponendo le ragioni per cui 
questi gli sembrano a buon dritto da annoverarsi tra le e fonti » 
del Tasso e quelli giudica di dover escludere dal novero; e riesce 
cosi a sbarazzare il terreno della ricerca da molte male erbe a- 
liinentate dall'inconsulta vaghezza ch'ebbero alcuni critici, di 
accumulare riscontri su riscontri non sempre a proposito. In sulla 
fine del secondo volume il Y. tirerà certo le somme di questa sua 
minuziosa disamina e con altrettanta diligenza metterà in luce 
la varia contribuzione - varia per quantità e per qualità - recata 
dai vaij scrittori al poema tassiano. Per quel che è dato vedere 
finora, par bene che come la parte storica dipende essenzialmente 
dai cronisti della Crociata, cosf la parte fantastica da Yirgilio più 
di frequente che da qualsiasi altro classico, greco o latino o ita- 
liano. 

Alla diligente incetta delle fonti fin qui segnalate non corri- 
sponde nell'opera del Y. una altrettanto diligente ed acuta clas- 
sificazione di esse. Anche lasciati da banda i riscontri casuali o 
mal definiti, la parola e fonte >, in ispecie quando si parli di ar- 
tisti non volgari, può avere cosi ampio e cosi vario significato, 



i Tn le open ore lioone aleondié di limile el paragone deir^^ro faneiul e che gì* Ita* 
rono per questo olUte altroTe, doToreno enere ricordete a p. 16, anche la spagnola CtUtiina, 
le epistole di N. Franco (vedi questa Raasegna, HI, U2 e VII, 281) e il CorUgianc del Castiglione 
(ediz. Clan, p. 869). Fone la gran voga della bella similitudine fermò l'attensione del Tasso 
sul noto passo di Lucrezio, passo che gli fa modello, come a ragione afferma il Vivaldi. 
Anche ei poteva notare che il Tasso stesso dice che 11 brntto veno Alia vendetta «t mon all'aiuto 
{lÀb. IX, 86) è modlflcazioue d'uno (ancor più brntto) > troppo rubato dalla Cauaee » {Letiere, 
ed. Oliasti, voi. I, p. 66). Ma le sono ipesie. 



DBM^ LSTT-mUTinU TTAIilANA 75 

che quando non si voglia - il che pur sarebbe opportano «- .re- 
stringere i^uso della parola ad una determinata categoria di fonti, 
occorre almeno fare delle distinzioni. Un'opera può spiegarci come 
e perché in un certo momento T attività fantastica d'un artista 
siasi riyolta in un certo senso; un'altra chiarirci il motivo ^ 
certe associazioni d'idee o magari di certe dissociazioni; qua 
possiamo trovare come a dire la traccia del canunino percorso 
dalla fantasia; là il perché d'un determinato atteggiamento del 
conccrinto e quindi deJl'espoessioue. Si hanno .cosf e foati > di aa- 
tura diversa, che a lor volta possono avere in 4iyerso nuido ope- 
rato; o che lo scrittore le tenesse deliberatiaiQi&ujie presenti; o che 
gliene rifiorisse nel cervello il ricordo, spontaneo ma da lui rav- 
visato; o che misteriose affinità psichiche, abitudini intellettuali, 
avviamento di educazione e di studj lo conducessero, senza ch'egli 
se n'avvedesse, ad una concezione simile o uguale a quella di 
altro scrittore. Ora nel libro del Vivaldi, ae la i^atura stessa deUe 
cose determina talvolta la separazione delle fonti sostanziali dalle 
formali - passi per brevità questa grossolana nomenclatura -, non 
sempre tale distinzione è osservata e ben di r94o è fatta dal- 
l'autore con netta coscienza. 

La mancanza di saldi criterj direl^tivl e di una chiara visione 
della delicata complessità dd problemi, parmi sia infatti il prin- 
cipal difetto di questa p>nr accurata opera del Y. In più d'im 
luogo egli ha occasione di riconoscere in un medesijo^o raccolto 
in una medesima descrizione del kuq poeta fonti molteplici { 
eppure in altri luoghi (p. es. a pp. 25, 195) non si perita di ad«- 
durre come argomento contro la ragÌQnevole2;?ia d'un raffronto 
istituito da altri, la dìmpstrazione ch'egli abbia dato, d'altra de*- 
rivazione; come se non sia possibile che nel feirvente crogiolo della 
fantasia elementi di,!disparata origine siaiisi fasi insieme, o filoni 
d'altro metallo siansi insinuati nella mass^a del più abbondante. 
Questo preconcetto, congiunto, mi permetta il V. di dirlo, a certo 
malcelato proposito di contradire a' suoi predecessori, adombra 
non di rado la serenità del giudizio o conduce a conclusii)ni che 
contrastano coli' evidenza. Recherò due esempj. 

Il verso del Tasso « La divisa dal mondo ultin^a IrLui Ja » (Lt6., 
I, 44) è certo calcato sul virgiliano « Ut penitu^ toto divìsos orbe 
«Britannos». Il Novara però ricordò anche l'oraziano cUltiraos 
« orbis BritanuQs >. Ma, chiosa il Y. (p. 37), « 1' aggettivo diviso 
€ ripetuto nei due autori mostra che il Tasso ebb^ presepte Yir- 
« gilio nello scrivere ». Io non mi farò a sostenere che nell* e- 
spressione tassiana c'entri per un po' anche il lirico di Yenosa; 
osserverò soltanto che la chiosa del nostro A. può essere rim- 



76 RASSBaNA BIBLIOGRAFICA 

beccata cosf : e V aggettivo tdHmo ripetuto nei dne autori mostra 
« che il Tasso ebbe presente Orazio nello scrivere », 

Il Vivaldi (p. 192 sgg.) col Multineddu giudica derivato dal- 
l' episodio di Partenopeo nella Tébaide (X, 702 sgg.) quello di 
Lesbino nella LibercUa (IX, 81 segg.). Le somiglianze nella situa- 
zione e nell'andamento della piccola azione fanno credere che 
sia proprio cosf; ma ciò non deve impedire di ammettere che a 
determinare l'intuizione fantastica che di quella scena ebbe il 
Tasso, abbiano conferito rappresentazioni di altri poeti. Di Le- 
sbino scrive il Tasso: 

A cui non anco la atagion notella 
Il bel mento apargea dH primi fiori, 
(IX, 81). 

In Partenopeo Stazio rileva: 

Nonduin inatotae rone» Unugine malae. 
(IX, 703). 

Presso Virgilio, il re Evandro dice di sé : 

Tnm mihi prima genM yestibat flore iuomta, 
(Vili. 160). 

E di Federico Gonzaga l'Ariosto dice: 

FederloOp cb* ancor non ha la gnanola 
De' primi /tori sparsa. 

(XXXin^M). 

Ebbene come si fa a negare che nella figurazione del giovinetto 
Lesbino abbiano comunque avuto parte e Virgilio e l'Ariosto? 
Sia pure che la scena descritta da Stazio fosse presente al poeta 
quand'ei narrava la pietosa morte del paggio di Solimano; pure 
a nessuno credo parrà dubbio che quand'egli venne a raffigurarsi 
l'immagine del giovinetto sventurato, altre reminiscenze gli ger- 
mogliassero nella mente. Né quelle di Virgilio e dell' Ariosto 
soltanto. Seguita il Tasso: 

Palon perle e rugiade in in la bella 
Gnanoia irrigando i tepidi oudori; 
Giunge grazia la poh* al erin§ incoUo 
E sdegnoso rigor dolce è in qusl volto. 

E stazio: 

multnmque seTerla 

Asperat ora minia ; aed fìrontia aenrat honorem 

Ira deoene 

Illum et Bidoniae Joga per Theameela njrmphae 
Bellantem atque ipeo sudore et puÌ9sr§ gratum 

Landant 

(IX. 704-6, 709-11). 

Ma nella IV Eroide d'Ovidio si legge: 

Te tana iste rigor positique sins arU capilli 
Et levifl egregio puivia in ore decet. 

(TT. 77-8). 



DBLLA LBTTBftAtURA ITALIANA 7? 

Al Vivaldi i versi di Stazio pajono più simili a quelli del Tasso 
che non siano i versi del poeta di Sulmona. Nessun altro, credo, 
sarà di questo avviso; molti vedranno invece anche qui le tracce 
d'una specie della memoria, non rara ne^ poeti delle età di produ- 
zione riflessa, della memoria frammentaria, la quale come più 
plastica e più atta a dar luogo a nuove combinazioni, che non 
sia la memoria sistematica a svolgimento continuo,^ meglio aiuta 
il lavoro fantastico. 

Uno studio di fonti che non vada oltre all'indicazione delle 
opere e dei passi messi a profitto dall' autore, si riduce ad un 
passatempo erudito non molto piacevole. Solo quando il ricerca- 
tore avrà anche mostrato come il suo poeta siasi valso delle fonti, 
se di tutte in un modo o non piuttosto delle une a questa e delle 
altre a quella guisa, se di tutte ad ogni intento o non piuttosto 
delle une ad un fine e delle altre ad un altro, come abbia trasfor- 
mato la materia che gli si offriva dinanzi, come collegato e fuso 
in nuove unità gli elementi raccolti da più parti e per quanto 
abbia cooperato alla nuova creazione egli stesso colla sua propria 
attività fantastica; solo allora il ricercatore potrà dire d'aver toc- 
cato la meta, che altra non può essere se non una conoscenza 
quanto più sia possibile esatta e piena dell'arte del poeta. Nel 
volume che abbiamo sott'occhio il V. non è andato mai oltre la 
raccolta e la scelta del materiale greggio, e può far meraviglia 
che egli non abbia sentito il bisogno di prepararsi via via con 
08.servazioni spicciolate le basi di quello che avrà ad essere l'ul- 
timo ornamento del suo edificio. Quello stesso episodio di Lesbino, 
su cui ci siamo un po' intrattenuti, variato di reminiscenze vir- 
giliane e ovidiane e ariostesche, ma fondato su Stazio, avrebbe 
porto occasione, o m'inganno, ad alcuna di siffatte osservazioni. 
D'altro canto un impaccio ad un certo genere di rilievi se l'è 
creato il Vivaldi colla sua stessa divisione fondamentale del la- 
voro {Aaione principale, Episodj); perché quando non si seguano 
ordinatamente le manifestazioni dei varj caratteri dei personaggi 
e nell'azione principale e negli episodj, è difficile cogliere i mo- 
tivi delle modificazioni, che il poeta abbia recato ne' suoi modelli 
e quindi assai di rado ci si viene a trovare nel punto di vista 
più favorevole ad un giudizio delle sue creazioni. Ma, non ne du- 
bitiamo, un'ampia e ben ragionata Conclusione ovvierà a questi 
iuconvenienti ; viene a dirlo il Vivaldi stesso promettendo, in sul 
chiudere questo primo volume, di trattare in altro punto del suo 

lavoro «dei caratteri dell'arte del Tasso >. 

Vittorio Rossi. 

i Tb, RiBUT, Ksnai sur l' imugiudlioH c)«u^f-< ce, Paris, 1900, pp. 18-9. 



^8 kASBBGltA ÌSlfiLròaRÀFÌCX 



Doti. Natali Bussrro. — Carlo De* DaUorileiieraio padovano del seeolo XVII, 
studio biografieo-UUerario, Città di Castello, Lapi, 1902 (m 8.», pp. VII-397). 

Carlo De' Dottori è stato sempre ricordato in latte le nostre storie let- 
terarie an pò* ampie; di loi dovettero più specialmente occuparsi coloro che 
attesero alla storia del poema eroicomico e della tragedia; a lai sei 1793^ 
dedicò una buona Memoria, prevalentemente biografica, il suo concittadino 
ab. Giuseppe Gennari; e delle sue opere, ma pili in particolare deW Aristodemo, 
scrisse, or è poco, la signorina Lina De Carlo; adesso poi il dott. Busetto 
ci dà in cotesto volume (che per la mole eccede senza dubbio V importanza 
del soggetto) una monografìa del Dottori cosi ampia, minuziosa e ben cor- 
redata di documenti, che può considerarsi esauriente e definitiva. 

Certo senza T aiuto d'essa, del Dottori non si potrà ormai pili discorrere; 
e se anche i giudiq* dati dal Busetto sul suo autore e sul pregio delle singole 
opere di hii non fossero tutti destinati a restare, l'aiuto pòrto da cotesto 
diligente lavoro a chiunque voglia mettersi in grado dì valutare l'animo e 
inerte del secentista padovano, sarà sempre indispensabile. 

Allo studio sul Dottori, che occupa le prime 343 pagine, segue una co- 
piosa appendice, formata da documenti genealogici ed economici, da lettere 
inedite del Dottori ad alcuni princìpi suoi padroni o protettori, e ad alcuni 
letterati suoi amici, come frate Ciro di Pers e Girolamo Graziani. 

S'aggiungono anche alquante lettere inedite "di personaggi diversi, (pre- 
lati, prìncipi e patrìzi veneziani) al Dottorì ; ma non tutte coteste lettere — 
siano del Dottorì siano d'altri — appaiono cosi rìle vanti che meritassero 
d* essere integralmente stampate. Bfcglio avrebbe fatto il Busetto estraendone 
i passi ntiN ed innestandoli nel testo del suo studio o allegandoli neHe note 
a pie di pagina ; dove potevano anche trovare luogo opportuno quelle lettere 
piti importanti e significative, che gli fosse piaciuto di riprodurre per disteso. 
Avrebbe cosi alleggerito di non poco il volume, e avrebbe raggiunto meglio 
il legittimo desiderio di chi trova documenti notevoli : far M che non pas- 
sino inosservati; ciò che spesso accade quando si confinino nelle lunghe ap- 
pendici. Neppure colla diligenza dei lettori di monografìe erudite — che 
^esso per necessità devon essere frettolosi — conviene far troppo a fidanza! 

Seguono, nella II parte dé\V Appendice, parecchi scritti inediti del Dottori, 
riprodotti o inlegralmenie o pnr/iahnente; e sono: alcune note di lingua 
snWAriatodewo; i due primi canti deW Asino nella forma della prìma ste- 
sura; poche stanze dei canti inediti della Galateo; qualche saggio dell'altro 
poemetto La Prigione; molti saggi del poema satirico II Parnaso; poi so- 
netti satirici e burleschi ed epigrafi latine. 

La HI parte àtW Appendice è finolroente costituita da uia copiosissima 
Notìzia dei manoscritti e delle stampe delle opere edite e inedite di Carlo 
Dottorì. 

Come si vede il Busetto ha compiuto il suo studio con ogni scrupolo 
di buona preparazione, con la più precisa informazione di tutto ciò che 
apparteneva al suo, autore, ed anche — conviene aggiungere — con buona 



bSLLA LittfEUàfijkA rtALlAtlÀ ?{l 

^oùoécbnitL dell* din bieDle in eoi si trovò a rivere; che della vita padovana 
nel secolo XVII il Bosetto cercò il quadro iq ottimi docarnenti sincroni, e 
specialmente in quelle Alcune oaiire inedite (del Dottori, e d* amici e con- 
cittadini di lui), di cui già discorse neW Ateneo Veneto del 1901. 

Venendo ora a dar conto dello Studio blografieo-letteraHo, premetto che nei 
noTe capitoli, in cui è diviso, i* esposizione della rita del Dottori non è di- 
stìnta dfllir esame delle sne opere. * Ho intrecciato. - scrive TA. - * non 
sènza difficoltà al racconto della vita varia e complessa Pesame e T apprez- 
zamento degli scritti, avendo avvertito che questi per la massima parte sono 
il riflesso di quella „ (p. VI). Ora è innegabile che parte della produzione 
letteraria del Dottori in qualche modo dipende dai casi e dalle vicende di lui ; e 
lo provano le allusioni a fatti della sua vita privata, che non vi mancano; 
però si badi chq, nell* insieme, la produzione letteraria del secentista pado* 
vano è ben lontapa dalP avere quella spiccata impronta soggettiva che rendè 
inesplicabili, inintelligibili T opere d'altri scrittori, quando si considerino se- 
pAratamente dal momento in cui furono prodotte, dalle condizioni specia- 
lissime, esteriori ed interne, in cui versarono ne* diversi momenti della loro 
vita gli autori di esse. 

D* altra parte la vita e Tindole del Dottori — a quanto ne sappiamo — 
non hanno in so nulla di cosf straordinario e di cosf singolare da rendere 
straordinarie e singolari anche le sue opere, sicché, a capire e a valutar queste, 
bisogni non perder d* occhio mai quelle. Insomma io non credo che fosse pro- 
prio necessario, nel nostro caso, di mandare innanzi di pari passo lo studio bio- 
grafico col letterario; anzi ritengo che Taver voluto intrecciarli, abbia recato 
qualche danno all'economia del libro e alla limpidezza della esposizione; senza 
conlare che sarebbe stato ceKo comodo ed utile avere raccolta tutta in un 
capitolo una compiuta biografia dell* autore, corretta e integrata mercé le 
nuove ricerche laboriosamente compiute- dal Busetto. Egli avrebbe messo 
cosf in pili chiara hice quel tanto (non è forse molto, ma è pur qualche 
cosa) ch'egli fu in grado d* aggiungere a ciò che già sapevasi Intorno al- 
l'uomo di cui studiò la vita e il carattere. 

Nel 1. cap., dopo un cenno sugli sntennti del Dottori, il Busetto discorre 
più dello slato degli studj e del costume a Padova nella prima mela del 
seicento, che degli studj giovanili e della a'dofescenza del suo autore; argo- 
mentando, in mancanza di dirette notizie, che quelli e questa dovettero ri- 
sentirsi delle generali condizioni del luogo e del tempo; e aggiungendo una 
ampia analisi MV Alfenore, novella o romanzetto galante che il Dottori 
compose appena ventenne. 

L* Alfenore è un omaggio adulatorio alle dame, a cui è dedicato — ma 
le dame non sentirono soltanto le carezze, hensf anche le punte della penna 
del Dottori, uso, come tant* altri, ad alternare complimenti e satire. Fu so- 
spettato autore di certo libello in cui alcuni gentiluomini e alcune signore 
di Padova non erano risparmiati, e passò un brutto guaio. Di ciò il Busetto 
discorre nel II cap., in cui tratta dei costumi giovanili del Dottori e del 
poemetto la Prigione, che si riattacca appunto a quel tal guaio dianzi ac- 
cennato; delle prime liriche erotiche d? lui e della sua * natura voluttua- 
ria . (voleva dir voluttuosa); esamina lii OtUalea e gli Sfortnnati amori, 



80 KASSBGNA BIBLlOGHAFiCA 

che male (secondo ogni probabilità, cfr. p. 51) gli furono attribuiU; iodi 
discorre delje prinie liriche filosofico-poliliche, che incominciarono a sgor- 
gare dalla vena del Doltori abbondanti, specialmente dopo che il matrimoDÌo 
(1644) — non esemplare e non felice — ebbe chiuso, il più agitato e sca- 
pigliatQ periodo della giovanezza del poeta. 

Il III cap. riguarda principalmente V indirizzo poetico seguito dal Dottori, 
ohe appartiene, senza dubbio al gruppo dei lirici classicheggianti del suo 
secolo; e il. poemetto satirico // Parna$o, in cui la satira personale e k 
civile sono mescolate con la letteraria. 

Nel IV cap., che abbraccia gli anni 1650-53, il Busetto raccolse le notizie 
che si riferiscono alla vita cortigiana del Dottori, ai rapporti di lui col prin- 
cipe Leopoldo di Toscana e col card. Rinaldo d' Este, al cui servigio stette 
qualche tempo in Roma. Cade in questo periodo la nuova ristampa delle 
Ode e la composizione delle Canzoni, di cui il Busetto discorre (e non gliene 
facciamo simprovero) piuttosto brevemente; la composizione deìV Asino, e 
il cominciamento deW Aristodemo. A queste due opere, }e sole veramente 
che abbiano ancor qualche vita o qualche rinomanza, sono poi consacrati 
due lunghi speciali capitoli (V e VI), sui quali più oltre mi fermerò un mo- 
mento. 

Il cap. VII segue la vita e V operosità letteraria del Dottori tra il 1654 
e il 1657; dal ritorno di lui in patria, dove è assunto a varie cariche pub- 
bliche, al momento in cui, rimasto vedovo, mette finalmente giudizio e si dà 
a vita più soda, prendendosi cura dei figli. In questo periodo egli compose 
altre nuove canzoni morali, in cui il Busetto rilevò certi '^ accenni di pessi- 
*! mismo preleopardiano ,. Leggo peeaimiemo, come mi dà il sommario del 
capitolo e la p. 192; non romanticismo preleopardiano, come è stampato, 
certo per errore, a p. 188 ed altrove; ed aggiungo che il Busetto non ha 
creduto punto d'aver scoperto nel Dottori un precursore vero del Leopardi; 
però non parmi ch'egli abbia spiegata in tutti i modi possibili queir ombra 
di tristezza eh' è diffusa in alcuni di cotesti componimenti del suo autore. 

* Io non voglio fare del Dottori , - egli scrive - * un pessimista del colore 

* leopardiano, che sarebbe manifesia l'esagerazione; ma è certo che la rovi- 
"^.nata complessione del corpo, il cumulo di invidie, di dispetti, di odii, di. 
" faccende tediose, il vano cozzare dell'ideale e del razionale con la realtà, 

* determinarono sin dalla gioventù del nostro poeta un certo pessirnh^mo 
^ filosofico, che.... può accompagnarsi anche con un'indole naturalmente 
"gioconda, quale in parte ebbe il Dottori , (p. 193). Non sarebbe stato inutile 
avvertire che quel certo pessimismo filosofico poteva manifestarsi nella poesia 
del secept^sta padovano anche indipendentemente da qualsiasi speciale pre- 
disposizione soggettiva a lui propria, poiché è tuli' altro che raro nella let- 
teratura del tempo. Piangere sulle miserie della vita, gemere sulla inesora- 
bile fugacità degli anni, distrutturi d'ogni bellezza, d'ogni gioia, d'ogni for- 
tuna, detestare gl'inganni, la vanità del mondo, proclamare la nullità delle 
speranze e, della vita, ecc., fu esercizio che piacque a molti e molti verseg- 
giatori del seicento, né importa qui cercarne le ragioni ; né posso io qui sten- 
dermi a ci|afne esempj, che a chiunque abbia qualche diretta notizia della 
lettera.tura di quel secolo riuscirebbero inutili. Per un polimetro già edito 



DELLA L.BTTSRATURA1TALJAMA 81 

dal Trucchi ' soUo jl Titulo di inanità del mondo, e rielilo ur noo è molto 
con qaesrailro lilolo: Della mieeria e vanità umana,* un amico del Dottori, 
fra Giro di Pers, parve già un diretto e legittimo precursore del Leopardi. 
Ma basterà che ricordi Anlooio Abati, V abate delle arguzie, come i contem- 
porauei lo chiamarojao, T autore delle Frascherie. Ebbene; tra le Poesie pò* 
etume di lui (Bologna, Realdini, 1671) spesseggiano le variazioni, in tutti 
i toni, su questo tema: 

Ogni OM» M uà Tft. 
Blcchesza, 

B«U6SM, 

Fortexa d'età: 
Ogni cosa te uè ▼». s 

Si veda T altra frottola, pur malinconica, che termina cosf: 

Che avuisa, ohe avanza 
Da l'empia eoiagura? 
La gloria fAtttra 
Già termina in onta, 
Oià scende obi monta, 
Perché l'oro mancò, fama s' oscura; 
Che se l*oro del sole a noi tramonta. 
Non mira i morti altrui la notte ombrosa: 
Finisce ogni cosa. *; 

o r altra che conclude: 

Coai al flii moribondo 

Nel mondo è il tutto, ansi col tutto è il mondo >: 

oppure il sonetto, piuttosto bruttacchiolo : 

So la tòrta del mondo aspra pendice 

Muove l'uomo nascente a i falli il piede 

E del pianto d'Adamo antico erede 
, I suol f ni uri error geme e predice. 

Sotto una destra poi moderatrice. 

Quasi vite recisa, al piauto riede ; 

Quindi in pid saldo piò pianger si vede 

DI Fortuna e d' Amor 1* orma infelice. 
Ne la sua chioma aUln neve biancheggia, 

Che stemprata dal cor i rai tremanti, 

'L'opie de l'alma rea stiI1a.«^^t^ndeggia. 
Cosi favella al suo sepolcro aranti. 

' Se il natal, se la faga un fin pareggia, 

Oho ÙA l'umana' vita altro che pianti 1 6 

Però si badi che i confini tra V umor tetro e il giocoso appaiono nell* Ab- 
bati assai incerti (e non in lui solo cotesta incertezza si fa manifesta); in* 



1 Poesie italiane inedite di dugento autori ecc.. IV, 312 sgg. 

3 In appendice allo studio di B. Ouyon. hYn Ch-o ài Ptra « la »ua ftOMta, Udine, 1897. 

8 Così incomincia una luuiia frottola intitolata Fugiìcìlà /ru#NaMa, tutte dello stesso te- 
nure.a p. 'iOO delie Potnit cit. 

4 P. 338. 8* intitola appunto finiace ogni cosa. 

5 P. 420. 8' in titola Caducità dell* humaiie co»e. 

4 P.487: Cht la wUa hìunana iu tutte U quattro età e laerime. 



88 RÀSSlfiONA ntBLìookAtìck 

Mli cotesto accorato deploratore delle Umane miserie cotii pose anche' uoil 

fbeeta; pfr musica, in lode delta morfey la quale incomincia cosi: 
.Il 

Viva U Morta, viva, 

Quest'è una Dea 

Cbe in terra sta, 
' ' Che a rbnom si fa 

Tanto pietosa, 

Che ne' debiti snoi paga ogni oorn; 

e finisce con una preghiera alla pietosa dea di non venir a trovare il poeta 
prima eh* egli T abbia chiamata davvero!' 

Mi rimetto in careggiata, e proseguo il frettoloso rendiconto. 

Il cap. Vili, che abbraccia oltre un decennio (1658-1669) c'informa dei 
rapporti del Dottori con la Casa d' Austria, alla quale egli s' era legato col fa- 
vore dei Gonzaga, e specialmente di quella Eleonofa cbe fu moglie di Fer- 
dinando imperatore, grande amico e mecenate (occorreva ricordarlo) di let- 
terati italiani, e poeta anch'esso (come Dio non vuole) in nostra lingua. Ap- 
partengono a cotesti anni, oltre a parecchi sonetti ed odi, il dramma per 
musica, r Ippolita, alcune non liete vicende domestiche del Dottori (non al- 
leviate dall'annua pensione assegnatagli dalla corte absburgbese) e due viaggi 
da lui compiuti: uno a Vienna, l'altro a Firenze. 

Nel IX cap. è riassunta la storia degli ultimi sedici anni non tutti tran- 
quillamente vissuti dal Dottori (1670-1 686) procii^ negotiis^ e tra le poche cose 
da lui composte in questo periodo, meritano particola r menzione le due o- 
pere drammatiche : Bianca de' Rossi e Zenohia di MudamiHo, sulU quali 
il Busetto si trattiene a lungo, cercando di mostrare la * loro importanza 
storica nello svolgimento del dramma verso il tipo moderno,. 

La Zenobia di Radamisto è una delle tante opere éragi-eomiche di cui fu fertile 
il nostro seicento. Essa attesta unicamente (se pur non si voglia riconoscere una 
prova d'influenza francese nella scelta d'un soggetto che già era stato trattato 
dal d'Aubignac e dal Montauban *) l'abbandono delle forme classiche del dram- 
ma tragico, eh' è comune in Italia negl' ultimi decenni del secolo XVII. La Zeno- 
bia è in prosa, come pure la Bianca de' Rossi, che peraltro s'attiene più fedel- 
mente allo schema delle tragedie, e ne conserva anche il coro, esclamante e pia- 
gnucolante in prosa. Ora al Busetto parve che '^ avendo trattato in prosa 
un argomento essenzialmente tragico ;,, il Dottori facesse, * rispetto alla ge- 
nesi e allo svolgimento del dramma moderno, opera non trascurabile ,; e che 
negli * elementi romanzeschi « di cui venne * rimpolpando il nudo schema 
deHa tragedia classica ,, nella violata unità di luogo, oltre che '^ nella gran 
parte concessa all'elemento amoroso ,, siano da ravvisare "^ gli inìzj di un 



I /r»,p.316. 

9 Veramente la precedenza non Ispetta ai Francesi; che già prima del d'Antignao e del 
Montauban aveva trattato cotesto sofzgetto nn poeta della corte di Carlo Emanuele 1, 11 geno- 
vese O. Antonio Ansaldo. La sua Ztnobia regina A* Armenia, di cui darò qualche notizia altrove, 
non fa mal pobblicata. 11 ms. cbe ce la conserva esiste alla Nazionale di Torino, segnato 
N. VI, 46. Non porta data; ma per pid di un' indizio sicuro esso appartiene ai primi anni del 
secolo XVII. 



bsLLA LÈtTÈkAtuitA ititUNA 83 

ftrle nuova , (p. 215). Bisognerebbe sapere che cosa s'abbia ad inleodere 
per * dramma moderno ., prima di decidere se cotesti fatti notati neir opera 
del Dottori preludano veramente ad esso. Comunque, cotesti fatti, neir ulti- 
mo quarto del seicento, erano tutf altro che nuovi e singolari; poiché, p. es., 
quella prevalenza degli elementi romanzeschi e amoroU nella nostra tragedia 
era già incominciata a manifestarsi da un secolo ; come sarebbe facile, ma 
qui fuor di luogo, a provarsi. 

Qualche parola adesso intorno a que* capitoli V e VI che trattano delle 
due maggiori opere del Dottori; buoni entrambi, malgrado qualche prolis- 
sità e ridondanza (difetto di tutto il libro), e qualche lacuna, che pur vi si 
nota. 

DeW Asino il Busetto comincia a discorrere rifacendosi dalla storia della 
cofnposizrone di cotesto poema eroicomico, che fu davvero il primo in cui 
riapparissero schiette le forme, il motivo, T andamento e, in parte, il sapore 
della Secchia, sulla quale venne fedelmente, ma non servilmente e non in- 
felicemente esemplato. Poi indica le fonti da cui la materia del poema è de- 
rivata nel suo sostrato storico; avverte in qual modo essa materia fosse 
elaborata, combinata e trasformata dall' autore ; nota a quali parti di essa 
egli conservasse, in certa misura, dignità e serietà eroica, e a quali altre patti 
desse espressione comica; divide in più gruppi distinti, secondo la loro 
origine o storica o fantastica, il lor carattere comico od eroico, il lor siguf- 
fìcato satirico, ecc. i diversi personaggi che vi compaiono appena o vi agi- 
scono. Gotesta rassegna di personaggi óeW Asino è assai diligente, minuta ; 
né sarebbe stato male se il Busetto T avesse in qualche parte abbreviata; 
che, a dir vero, non tutte quelle varie figure e figurine del Dottori hanno 
rilievo e contorni cosi spiccati e singolari da fermar T attenzione. Piuttosto 
avrét preferito ch'egli s'indugiasse alquanto di più intorno a qualche per- 
sona degna di nota, che passa quasi inavvertita nella lunga schiera delle 
figure pili comuni. Sono poche, p. es., le cinque linee che il Busetto (p. 125) 
dedica a Desmanina, moglie ripudiata d'Ezzelino il Monaco; intorno alla 
quale sospira d'amor silenzioso il cavalleresco conte Ardiccione di Peraga, 
che rispetta, tacendo, la virtù e il dolore della donna sopraffatta dalPonta 
deiringinsto ripudio (cfr. e. I, st. 90.*^ sgg.) e tutta assorta nei chimerici sogni 
di vendetta, che la porteranno poi ad affrontare in campo il marito scono- 
scente, ed a morire contenta sotto i colpì di lui (e. IV, st. 14.* sgg.). Il ro- 
manzesco ed il tragico di quella storia d' amore non somiglia in nulla a ciò* 
che di più serio v'ha nella Secchia; dove anche il famoso episodio degli 
amori della Luna e d'Endimione, cantati da ScarpinelYo (e. Vili, st. 46." sgg.), 
finisce in una sghignazzata. Ora non il solo episodio che ho richiamato, ma 
anche altre parti deW Asino hanno impronta e intonazione tutt' altro che eroi- 
comica; e alla frequenza di tali elementi era da dar qualche peso nel con- 
siderare il poema del Dottori in relazione cogli altri poemi congeneri. Se- 
condo me V Asino è il nostro poema eroicomico in cui l' intonazione e il co- 
lorito proprj del genere sono meno contìnui; e perciò, se parmi giusto il dire 
che ' l'imitazione tassoniana è più larga „ in esso che non in: quafeiasi al- 
tro poema della medesima famiglia, non sono ben persuaso che in esso sia 
* più compiutamente raggiunta la fusione del faceto col serio ,; né che 



64 EASSBGNA BIBLIOGRAFICA 

* meno degli altri poemi eroicomici V Asino risenta T influsso dei poemi epici 
e dei romanzi eroico-galanti del tempo , (p. 145). Piuttosto consentirei nel 
ritenere che il poema del Dottori sia effettivamente pervaso d* * un forte 
realismo, e che l'essenza di questo realismo sia eminentemente satirica « 
(p. 131). Il Busetlo ha analizzato assai bene il contenuto satirico deW Asino, 
distinguendone i varj motivi e soggetti (e ha fatto cosa opportuna, anche 
perché da chi, or non è molto, fu studiato /' elemento satirico nei poemi 
eroieomiei, *■ il poema del Dottori fu trascurato affatto) ; sennonché parmi che 
nelle pagine dedicate a cotesta ricerca egli non abbia rilevato un degli ac- 
cenni satirici pili vivi e nuovi che vi compajono, voglio dire il ritratto 
del menante, curioso, indiscreto, disinvolto cacciator di novelle da spacciare 
negli avvisi; voglio dire il ritratto di Mercurio giornalista (e. II st. 40 sgg.). 
Lungamente il Busetto discorre anche deW Aristodemo, né io potrei qui 
riassumere, neppure per sommi capi cotesto capitolo che si stende per 35 
grandi pagine. L* Aristodemo fu composto fra il *53 e il '54 e rappresentato nel 
maggio di queir anno a Padova con successo, per tre volte consecutive, da 
dodici giovani cavalieri; stampato non fu che nel '57, dopo che l'autore lo 
ebbe ritoccato e corretto secondo gli. avvisi del principe Leopoldo di Toscana 
e di Giro de'Pers. Raffrontata la tragedia al racconto storico di Pausania, 
che le servi di fonte, il Busetto si ferma a rilevare la larghezza con cui il 
Dottori interpreta le regole delle unità, e gli dà special lode di tale " indi- 
pendenza artistica , (p. 154). Veramente non parmi che fosse il caso di guar- 
dare con soverchia ammirazione e meraviglia un procedimento tutt' altro che 
nnico e nuovo; che il Dottori, estendendo la durata dell'azione a 48 ore, 
fece ciò che da alcuni in teoria erasi già concesso, e da parecchi in pratica 
erasi già fatto. Quanto poi all' abbondanza degli episodj, essa non è tale da 
costituire eccezione; ben più ricche ne sono non poche tragedie della se- 
conda metà del cinquecento e del seicento. Rassegnati i luoghi dell' iir/^fo- 
demo in cui traspare qualche imitazione o reminiscenza, anche lontana, dei 
tragici greci e di Seneca, il Busetto espone i giudizj dei contemporanei sulla 
tragedia del Padovano, e poi quelli de' critici più tardi o recentissimi; fer- 
mandosi specialmente ad esaminare un' accusa più volte ripetuta contro lo 
stile deW Aristodemo, che parve a molti troppo lirico. * Ciò è vero , — con- 
fessa il Busetto -7 ' e di tal difetto noi possiamo veder la cagione nella 
struttura metrica della tragedia, eccessivamente abbondante in parecchi 
tratti drammatici, di settenari e di quinari, e nell'indole artistica dfA poeta 
non menq che nelle condizioni dell' animo suo quando scriveva o, meglio, 
rifaceva V Aristodemo. In quegli anni, come appare dal suo epistolario, soffri 
^ssni d'ipocondria e di mal di stomaco e nel 1657 gli mori la moglie; ò 
appunto di que' giorni la lettera con la quale accompagnava V Aristodemo 
al card. Rinaldo, dicendo che aveva imparato a scriver tragedie dalle sue 
vere , (p^ 163). Con ciò non parmi che il lirismo deW Aristodemo sia chia- 
ramente, sufficientemente spiegato. La frequenza de' versi rotti è propria an- 
che d'altre tragedie, né per questo il loro stile brilla di fosforescenze liri- 
che. Chi oserebbe, p. ea., di sostenere che sian lirici i prosaicissimi settenari 

I (^. Zaccaokini, negli StttdJ di letleraluia r7(i/»'i»((i,' Napo li 1900,111.' 



DBLtÀ !*KTTERATURA ITAUANA fe 

e quinari che Io Speroni adoperò nella Canare, coir intento d* imitar meglio 
— con quo* versi — i quali escono, egli diceva, frequentemente, spontanea- 
mente dalle labbra di chiunque parli — il discorso improvviso e comune? 
Anche 1* ipocondria, il mal di stomaco, ecc. non bastano, secondo me, a spie- 
gare il famoso lirismo del Dottori : che andava piuttosto considerato in re- 
lazione ad alcuni fatti stilistiri evidenti in tragedie della fine del cinquecento 
e del seicento, nelle quali s* accentua una specie, di reazione contro quel 
canone di piana e languida semplicità, che s*era formato suir esempio e sui 
precetti del Trissino e (j* altri. Uno dei primi a dire aperto che lo stil tra- 
gico poteva assorgere alle forme più ornate e concitate della espressione 
poetica, e valersi di quel parlar figurato eh* eragli stato interdetto, fu appunto 
un contemporaneo del Dottori, il p. Sforza Pallavino. Ma intorno a questo 
punto vi sarebbero molte cose da aggiungere, che mi condurrebbero a ài- 
langarmi oltre il lecito. 

' Due qualità nuove „ scrive il Busetto ' o quasi nuove (non ancora bene 
osservate) contraddistinguono T Aristodemo ..., cioè la ben riuscita rappre- 
sentazione del tipo femminile in Merope e Anfla ... e (quel che pili ira- 
porta) l'elemento amoroso dominante cosf che da esso dipendono ranno- 
darsi e lo scioglimento detrazione , (p. 164). Delle due cose, queUn che pi4 
importa, fu già osservata (bene o male) anche da altri; ed ha effettivamente 
ana certa importanza, ma non quale il Busetto se la figura ; e non direi che 
deir «/«mento amoroso il Dottori fosse primo a far cosf ' largo uso . (p. 179)^ 
Oltre ai tragici nostri che ivi il Busetto ricorda, altri, della fine del cinque- 
cento, avrebbero potuto fornirgli materia d'utile confronto, e persuaderlo che 
V elemento amoroso s'era già accampato da molti anni come assoluto signore 
salla scena tragica. Può servire d'esempio tipico VAdelgiso dello Zinani. 
Dopo essersi indugiato, forse più che non convenisse, a ribattere certe cen- 
sure date dal Beneducci al Dottori, e a svolgere le lodi fattene dal Pagani- 
Cesa, il Busetto raffronta V Aristodemo al cosf detto tipo tragico francese, no- 
tando qualche * notevole affinità , di cotesta nostra tragedia ' col teatro 
d* oltralpe , (p. 150) ; e conclude che * VAristodetno di Carlo Dottori, benché 
difettoso riguardo allo stile „ (troppo facilmente, secondo me, egli ha con- 
cesso questo famoso difettose s'è dimenticato di notare in che lo stile tra- 
gico del Dottori s' avvantaggi in calore e in movimento su quel pili comune 
dei gelidi e compassati nostri tragedi del cinquecento) * è una delle pochis- 
sime tragedie buone del nostro secento; e sebbene modellato sullo stesso 
stampo classico . . . , segna un notevole passo nell' evoluzione verso qoel tipo 
di tragedia italiana che s'affermò coU'Alfìeri ,. 

In che il Dottori precorra e preannunzi l'Alfieri, per me — lo dichiaro — 
non so vederlo; ma non importa, e concludo alla mia volta anch'io, affer- 
mando con convinzione, che, malgrado qualche esuberanza ed inesperienza 
giovanile, qualche giudizio non ben dimostrato né forse dimostrabile, e la 
tendenza ad accrescere più che non fosse giusto l'importanza e il merito del 
suo autore, il Busetto ha fatto opera utile nel complesso, e in più d'una 
parte buona e lodevole. 

Emilio Birtana. 



86 RA88BONA BIBUOORAFIOA 



Lettbrio Di Francia. — Franco Sacchetti novelliere. — Pisa, Niatri, 
1902 (8.0 gr., pp. 344). Estratto dagli Alwali ddla R ScHolq 
Normale superiore di Fisa, Voi. XVI. 

Le novelle di Franco Sacchetti sono un attraente argomento 
di studio, e tanto più dovevano allettare qualche giovane, in 
quanto non si aveva di esse una illustrazione larga e coscenziosa; 
onde si può dire che sia stato bene ispirato il sig. Di F. accin- 
gendosi a questo lavoro, che ha compiuto almeno cpn gran4i& 
amore. £ questo grande amore gli deve valere perché, se nel 
libro si trovan delle mende, come credo, non si dia ad esse 
troppa importanza. 

Però prima di parlare dell'opera, il Di F. ci ha voluto ri- 
presentare l'autore, ed ecco che il cap. I s'intitola appunto Vita 
di Franco Sacchetti, Nell'avvertenza il nuovo biografo ci dicp 
che pon si è < curato di interrogar gli archivj perché sapevQ pfae 
altri a ciò attendeva da varj anni » : nemmeno ha tratto partito, 
quanto avrebbe potuto, dal canzoniere del Sacchetti: anzi, se ta- 
lora ne ha riportati dei versi, li ha. citati quasi sempre dalle 
siampe dell' Allacci, del Carducci e di altri, invece che dal pre- 
^iosQ autografo laurenziano. Abbiamo dunque una nuova bio- 
grafia del Sacchetti provvisoria; sicché forse l'autore avrebl^e 
potuto rinunziare affatto all' idea di descriver la vit^ del piacevole 
trecentista (eh' era cosa non richiesta necessariamente dal tem» 
propostosi), contentandosi di far vedere lungo il suo stadio quanto 
lume si può trarre dal Trecentonoveìle per conoscere le vicende 
e il carattere dello scrittore. Nonostante egli determina meglio la 
cronologia della vita di Franco ^ e dà rilievo alla sua figpra, stu- 
diandolo in relazione ai fatti, ai quali esso part^ecipò, se pon sem- 
pre coir opera, almeno col sentimento. 

' Colle notizie biografiche s' intrecciano osservazioni sulla qua- 
lità morali, delle quali poi sì parla di proposito, per compiere il 
ritratto, nelle ultime pagine del capitolo; il qual ritratto sarebbe 
riuscito più intero, se si fosse tenuto conto, come meritavano, 
delle corrispondenze poetiche, che occupano un posto notevole nel 



t Al DI F.yCome già a me, è sfuggito ohe il priorato del 1383 pare ala da trasportarsi 
al 1384. Si veda Ln Vita Iltiìiuua mi rmasciumilo, ìiiHno, j898, 1, 106. Che Franco dovè re- 
carsi a Genova pld d'una volta, non è il primo 11 Di F. a oaservarlo : si veda la n. 1 a p. 309 
dell'ed, Sonzogno delle NwelU, la sola che ora ho a mano. 



DBU.A I.STTBRATURA ITAJLUNA 87 

canzoniere sacchettiano. II Di F. fa notare la serenità' d'aìsimo, 
r amor di patria e della famiglia, la fede salda e profonda, la 
probità, il buon senso naturale che distinguono il suo autore, « 
discorre pure della cultura di esso, che dichiara < molto limi- 
€ tata » (p. 39) ^: conclude dicendo che < come nella vita, cosi 
€ nelle opere, il Sacchetti rimase schiettamente trecentista » (p. 42). 
Il oap. II è dedicato ai Sef-moni evangelici^ perchè, avendt> quésti 
f molti punti di contatto » con le novelle, il Di F. ha creduto 
bene di fermarsi su di essi prima di parlare delP opera più nbta 
di Franco: e ne fa un esame diligente, forse alquanto minuto, se 
si ripensa ai titolo del libro. Discute prima il tempo della compo- 
sizione, concludendo che deve porsi < fra il 1378 e il 1392, ma 
più vicino a quella che a questa data » (p. 45): quindi discorre 
della loro costituzione, del contenuto e della forma, lasciando 
da parte gli aneddoti, i quali sono studiati separatamente nel 
cap. III. In questi Sermoni sMntrecciano questioni dogmatiche 
con altre riguardanti la disciplina ecclesiastica e la morale; 
delle quali alcune possono avere una qualche importanza e ser^ 
vire a penetrar meglio lo sguardo nella vita del sec. XIV; ma 
< ce n' è parecchie di inutili e oziose » (p. 53). Il meglio si può 
dire che consista nelle tirate satiriche e nei paragoni < presi per 
lo più dalla vita comune, famigliare » (p. 62). Del resto di qua- 
rantanove sermoni, uno solo, il 2^ « si distingue da tutti gli 
^Itri per maggior compostezza e diciamo pure per vera bellezza » 
(p. 60): i rimanenti, dal più al meno, sono < un accozzo di varie 
questioni, di esempj, di digressioni narrative ed erudite senza 
legame > (p. 47). Né rispetto air arte c^è molto da rallegrarsi: 
se r andatura del periodo è « più corretta », è anche < più fati- 
cosa che nelle novelle» (p. 65); se la lingua è più scelta, è 
anche spesso infarcita di latinismi. Dopo ciò mi meraviglia che il 
Di F. alzi la voce contro di me, per avere io chiamato il Sac- 



I A proposito d0n« oaltura del Saocbetti in ralMione con*arte «lu, U SI F. oi Ai^ dne 
giadii;j, l'uno a breve distansa dall'altro, ebe non vanno molto d'accordo. Infatti a p. 3| 
dice cbe « Franco era nato artista»... e la scarsa cultura, in luogo di ntu>cergli, serbò iniaiU 
« U fwilità dtUé oua m*ntéi fortuna per noi, percbé. invece di uno scrittore originale, scbietto 
« e colorito, avremmo avuto un compositore di libri in latino ecc.. . «: ma poi a p. 39 alTerma 
obe quella di Franco « fu una messa cultura, cbe assai spesso, imece di giovare, gli uocque, 

fl percbé nelle poesie, ad esempio per U mania di mostrarsi istruito, fece a volte delle 

f tiritere noiosissime.. . le quali guastano la f^sobezss dell' ispiraxione », Si veda pure a p. 86. 
Parlando della « libreria » di Franco mi pare cbe il DI F. sia un po^ arrisoblato. Non ò 
necessario obe egli conoscesse e tanto meno possedesne tutte lo opere di cui citava qnalchv 
passo con esattessa. Ofir. questa Rasaegua» 1899, p. SO. 



88 RA881M«1IA mBlJOaRAFfOA 

cbetti € il piti arido e il più goffo degli ascetici italiani del sao 
tempo » > e che, avendo io detto che i Sermoni t non attestano 
né ingegno aperto, np fervore di cuore nell'autore », esca in que- 
sta espressione: t Riguardo alP ingegno aperto e al fervore di 
cuore, mi permetto di osservare che è troppo arrischiata e for- 
8* anche presuntuosa V affermazione del Volpi ». (p. 64). Che ci 
abbia che fare qui la presunzione, non so veramente; questo perà 
è da osservare, che, se io non ho trovato e fervitte di cuore » 
nei Sermoni^ il Di P. ci dice che Franco discorre di religione 
« quasi sempre con la mente fredda del critico teologante, rara" 
mente col cuore* (p. 48) e csi perde in fredde considerazioni'* 
(p. 61) ; se io non ho visto nel Sacchetti ascetico « apertura di 
mente» e Tho giudicato «il più arido e il più ^o/fo degli asce- 
tici italiani del suo tempo », il Di F. trova che egli abusa del-, 
r allegoria e delia retorica; e e specialmente T allegoria è il pid 
delle volte goffa^ stentata, noiosa come quella de'^^tà goffi scrittori 
del Medio Evo » (p.- 60), e che quando il buon Franco « vuole 
commuovere, si gonfia (!) per dar fuori una fantasia, che vorrebbe 
essere grandiosa ed è invece — almeno per noi — goffamente 
« barocca » (p. 61). Tanto che concludo che la migliore dimostra- 
zione e conferma che potessi aspettarmi dei miei giudizj, V ha data 
appunto colle sue osservazioni lo stesso mio contraddittore. 

Vero è che per spiegare l'imperfezione àetì Sermoni il Di P* 
si appiglia a un'ipotesi, di cui si compiace: aitzi per lui non è 
ud' ipotesi, ma un fatto certo: i iSermofi» sono semplicemente ab- 
bozzati e sarebbero stati qualche cosa di meglio, se avessero 
avuto una maggiore elaborazione e l'opera della lima. Argo- 
mento per concludere cosf è unicameute quelU stessa imperfe- 
zione, che si vuole in certo modo giustificare. Io non dico che ciò 
sia impossibile: ma mi pare che per affermare con sicurezza quanto 
afferma il Di F., occorra qualche altro argomento. Si poteva ri- 
cavare qualche cosa dallo stato del testo dei /Sermoni nel mano- 
scritto autografo; se non che il codice laurenziano dà torto al 
Di F., perché son tutti argomenti contrarj alla sua tesi la scrit- 
tura chiara e ordinata, come di chi copia cose già preparate; le 
pochissime correzioni ed aggiunte (se ne incontran forse più nel 
Canzoniere); la mancanza di segni indicanti pentimenti; il fatto 
stesso che i Sermoni si trovano in un volume, che contiene scritti, 
come le poesie, certamente elaborati e fissati nella forma defini- 

1 U Tnunto, Milano, VtlUrdi, p. 198. 



DILLA LVrrBRATURA ITALIANA 89 

ti va. E poi come si concilia questa idea dell'abbozzo con T os- 
servazione fafcta dallo stesso Di F., che nei Sermoni la sintassi è 
più sostenuta e la lingua pili scelta che nelle novelle? Ma an- 
che ammettendo per indubitato che queste scritture siano poco 
più che appunti da essere integrati e corretti, che si guadagna? 
Poco, al mio parere. Quando leggo certi pensieri dei Sermoni, provo 
un senso di pena; e considero che se anche fossero espressi con 
pili arte, non potrei riceverne una buona impressione; perché il 
male sta nella sostanza, nella maniera di concepire certe cose, 
non nelle maniera di esporle. 

Nel cap. Ili si esaminano le 15 novelle che Franco inserisce 
nei Sermoni; e la conclusione è che « più di dieci derivano sicu- 
€ ramente da fonti scritte, una o due probabilmente furono at- 
€ tinte alla tradizione orale » e due € pur derivando degli scrittori 
€ latini » subirono forti cambiamenti (p. 85). E cosf si vede la 
differenza che è tra questi racconti e quelli del TrecenionovéUe : 
i primi ci riconducono più air antichità e alla leggenda e i se- 
condi invece ci fanno partecipare alla vita del tempo dell'autore. 

Argomento del cap. IV sono la cronologia e la fortuna del 
Treeentonovelle. Prima però della cronologia il Di F. vuol toccar 
la questione della composizione delle novelle. Egli ci dice che 
€ bisogna far distinzione fra composizione e riordinamento delle 
€ novelle » (p. 87), che queste furono scritte alla spicciolata e t poi 
€ ordinate nella raccolta cosi come stanno » (p. e), coli' aggiunta 
del proemio e delle moralità. Quello dunque che risulta chiaro 
dalle parole del Di F. è che i commenti alle novelle sono, secondo 
lui, di qualche tempo posteriori alle novelle stesse; ma se queste 
siano disposte secondo il tempo in cui furono scritte, oppure or- 
dinate secondo un criterio diverso dal cronologico, è questione 
che non si propone. ^ Quanto alla cronologia, il Di F. conferma 
l'opinione del Gaspary che l'opera sia cominciata nel 1392 e. 
compiuta dopo il 1395. Discorrendo della fortuna di essa fa ve- 
dere come Franco, assai conosciuto come novellatore nel suo se- 
colo, fu in quello appresso dimenticato, e dal cinquecento ad oggi 
è via via cresciuto nella considerazione degli studiosi. Cosi siamo 
finalmente al capitolo più importante: Il Treeentonovelle: Fonti e 
riscontri. 

Seguire passo passo il Di F. nella sua faticosa ricerca sarebbe 



1 A giudicarne da qnel ohe il Di F. dice a p. 104 parrebbe riteDcsae che Franco aTeue 
Mgulto un ordine logico; ma poi a p. 292 ai esprime diversamente. 

7 



90 RAflSBGNA BIBLIOORAFIOA 

impossibile: mi studierò di dare, per quanto posso, anMdea chiara 
del metodo seguito e dei resultati ottenuti. Questa illustrazione 
delle novelle sacchettiane si può dire che è di due specie: da una 
parte il Di F. ha procurato di raccogliere notizie intorno ai per- 
sonaggi a cui si attribuiscono le avventure, dalF altra è andato 
cercando racconti ed aneddoti che abbiano più o meno relazione 
colle avventure stesse; e non solamente ha frugato nelle raccolte 
medioevali, ma ha pure avuto V occhio cosf a scrìtti posteriori al 
Sacchetti come alla tradizione vivente, per trovare indizj da cui 
potere argomentare, almeno come possibile, la provenienza della 
narrazione del suo autore. 

Il Di F. ha avuto la buona idea di raggruppare le novelle 
secondo i personaggi o secondo la materia; e cosf il cap. V è 
diviso in paragrafi, alcuni dei quali hanno dei titoli generici (Re 
e principi, Potestà e gitulici ecc.), altri hanno per titoli nomi di 
protagonisti (Bernabò Visconti, Basso della Penna ecc.), altri non 
hanno un unico titolo; ma comprendono novelle diverse. Forse 
si poteva fare a meno di questa terza categoria, e sopra tutto 
si poteva evitare che sotto un certo titolo si trovassero novelle 
che con esso non avessero che fare, come, ad esempio, quella di 
Ooppo Domenichi, che è compresa nel gruppo intitolato Giotto e 
Buffalmacco (§ XVIII). Ancora si sarebbe potuto disporre i di- 
versi gruppi secondo un certo ordine e alcuni fonderli insieme, 
perchè oltre al comodo della trattazione si sarebbe raggiunto un 
altro scopo, quello di disegnare meglio certi tipi e presentarli 
pili nitidi e tutti in un tratto air osservazione del lettore. Pn6 
essere che un filo sottile sfuggitomi leghi i diversi gruppi di no- 
velle nell'ordine che loro ha dato il Di F.; ma, per esempio, non 
apparisce quanto opportunamente Basso della Penna, l'arguto 
albergatore, stia fra due signori, Bernabò Visconti e Rodolfo da 
Camerino; il Gonnella e Dolcibene li vedremmo volentieri ac- 
canto, senza i predicatori di mezzo, anzi tutti i buffoni grandi e 
piccoli si farebbero buona compagnia, mentre qui sono sparpa- 
gliati: lo stesso si dica dei pittori e dei medici. 

Il campo è vasto; e quindi, anche se il mietitore si è mo- 
strato infaticabile, non deve far maraviglia che nella illustrazione 
delle novelle sacchettiane resti ancora da spigolar qualche cosa. 
Intanto, per parte mia, fo le seguenti aggiunte e osservazioni. 
Le lasagne bollenti che obbligano a piangere (p. 126) ricordano 
la novelletta dei frati che mangiano il migliaccio, narrata nel 
Morgante (XVI, 42 e 43). A proposita di Amerigo da Pesaro e 



DBLLA I.BTTSRATUEA ITALIANA 91 

delle leggi contro il lusso delle donne fiorentine (p. 138) si po- 
teva ricordare quel che ne dice Guido Biagi nella Vita italiana 
del Rinascimento^ I, 106 e 107. A certe storpiature del Pater 
fwster (p. 156) allude anche Simone Serdini {Giornale stor. della 
ìeit. itàl,, XV, 42), Il taglio ingegnato da Bartolino farsettaio (p. 165) 
è argomento di un sonetto di Luigi Pulci (n. XI delFed. del 1759). 
Che quel messer Rossellino della Tosa della nov. 126 possa es- 
rere messer Rosso della Tosa morto nel 1309 (non nel 1308) 
(p. 194) non mi pare; prima, perché i diminutivi e i vezzeggia- 
tivi dei nomi propri avevano in quel tempo pid importanza che 
non si creda per distinguere le persone, e poi perché nei docu- 
menti, accanto al più noto messer Rosso della Tosa si trova no- 
minato anche un Rossellino della medesima famiglia (v. Del 
Lungo, Dino Compagni ecc. II, 413, in nota) da non confondersi, cre- 
do, eoi feditore omonimo della battaglia di Montecatini, e che invece 
potrebb' essere quel Rossellino della Tosa che i commentatori di 
Dante' c^ indicano come marito di Riccarda Donati, forse quello 
stesso che fu potestà di Montemurlo nel 1291 e nel 1292 e di 
Modena nel 1297 (Ghernrdi, Le constdte della Rep. fior.j II, p. 595, 
664 e 666). Che il ser Giolo della nov. 51 sia la stessa persona 
che Ciolo degli Abati, quello del proverbio e del NoveUino (p. 204), 
non è impossibile; ma non c'è da fidarsi troppo della corrispon- 
denza del nome solo, tanto pili che il personaggio del Sacchetti 
ha il titolo dì sere^ che manca tanto nel NoveUino^ quanto nel 
proverbio. Si può aggiungere che nel Novellino Ciolo Abati è pre- 
sentato semplicemente come un amico che va a trovare 1* amico : 
non abbiamo veramente il parassita del Sacchetti. Per Massaleo 
degli Albizzi (p. 207) si veda, invece dell'Ammirato, l'opuscolo 
di P. Papa: Rime di ser Matteo di Landoeeo degli Albieei (Fi*- 
renze, 1895. Nozze Bacci-Del Lungo). La preferenza di Valore di 
Buondelmonti per la macina del grano (p. 233) mi ricorda queste 
parole d'una lettera di Luigi Pulci: «Or sia alla buon'ora! Di- 
« cono molti che l'oro, le pietre preziose, il reobarbaro, l'azzurro 
« oltra marino sono d'assai prezzo; a me pare la farin.i. Vivadun- 
« que la farina in secula secuhrum! ^ (Lettere, Luccsl, 1886, p.26). 
Le conclusioni a cui giunge il D. F. sono notevoli. Di 218 
novelle, mentre gli accessorj « sono storici in quasi tutte >, (p. 286) 
solamente 91 hanno resistito alla dotta analisi del critico e si 
possono considerare veramente storiche; le altre sono o tra- 
dizionali o miste o dubbie. ^ 

I A prop.)8ito del numero pinttoeto grande delle noTelle tradisioDAll trovate nel Sao- 
cbetti, il Pi F. a p. lOi Bi esprime coei: • In quetta ricerca abbiamo ftdncia di giungere a 



92 aASSBONA BIBLIOGRAFICA 

II cap. VI sentitola Vedere estetico della materia e cUUa forma. 
Il Di F. fa notare la differenza tra il Sacchetti e il Boccaccio e 
COSI riassume le sue osservazioni : «... la novella del Sacchetti è 
< essenzialmente realistica, aneddotica, esteriore e di costume, men- 
. < tre quella del Boccaccio è essenzialmente romanzesca, psicolo- 
€ gica, di carattere » (p. 294). Farmi, però, esagerato il dire che 
Tintore non raggruppò le novelle «secondo certi argomeuti o 
€ personaggi o categorie di personaggi » (p. 292) e cbe fra esse 
si avvertono solo deboli legami esteriori. Non ci sembra cbe ciò 
possa dirsi, quando su Basso della Penna si hanno quattro no- 
velle di seguito (18-21); altre quattro di seguito su Rodolfo da 
Camerino (38-41); due su Dolcibene (24 e 25); due su Bibi (49 
e 50); due gruppi di due sul Gonnella (173 e 174, 211 , e 212). 
Le novelle 220-2^5 costituiscono un gruppo per TafiGlnità della 
materia e lo stesso Franco ci avverte al principio della nov. 226 
d^ averne consapevolezza: « Alcuna inframmessa è da dare a questi 
« inganni. . . ». E altre frasi simili si potrebbero citare contro Taf- 
fermazione del Di F., il quale del resto non si è ricordato d'a- 
vere scritto a p. 104 che il novelliere t spesso congiunse insieme 
« novelle dello stesso genere o le raggruppò intorno a certi tipi 
€ a lui cari ». 

Dopo aver confrontato il Sacchetti anche con altri novellieri 
contemporanei, il Di F. passa a studiare T opera sua in se stessa. 
Franco coi suoi racconti ci tiene vicini a lui nell'ordine del tempo, 
come dello spazio e ci fa rivivere la vita gaia e spensierata del 
suo secolo. La sua è un'arte di mezzo (e qui il Di F. si trattiene 
a combattere coloro che giudicano artista inconsApevole il Sac- 
chettti delle novelle) che sta tra quella complessa del Boccaccio 
e quella semplice e primitiva del NaveUino. Il Stecchetti non sa 
comporre novelle complicate, né sfoggia immaginativa; ma ascolta 
e raccoglie, rappresentando specialmente la realtà esteriore con 



«qualche liraltato nuovo, almeno rispetto airanolnta e ardita affermasione del Volpi, il 
qoale di 323 novelle sacchettiane erede che ' lolo dne appartengano alla apecie delle no- 
ff velUne tradizionali medioevali'*. Ma la citazione non è esatta: io non aono atato aasolnto^ 
né ardito. Non avendo né tempo, né modo (e'neanohe, dirò, l'obbligo) di riscontrare se tutte 
, le novelle del Sacchetti che hanno apparenza storica fossero veramente storiche, cosa dif- 
ficile, perché, come ben dice lo stesso Di F., e pochissime « di quelle tradizionali e potreb- 
« bero riconoscersi come tali a occhio nudo, perché il novelliere. . . si è ingegnato di oom- 
« porle nella verità •, (p. 105) scrissi cosi: « .. .sono fatti quasi esolnsivamente di tolort e/e- 
< rico, . . . Solo dne delle novel le mi gtmbra cbe facciano eccezione e appartengano alla specie 
« delle novelline tradizionali ecc. » Ora il Di F. lascia la prima frase, dalla seconda leva il 
aembra; e così dà un altro aspetto alla cosa. 



DBLLA LBTTBRATtTRA ITAUANA 98' 

evidenza, sempre presente e sempre pronto a mettere innanzi la 
sua persona. Discorrendo delle specie dei personaggi e dei loro 
caratteri il Di F. torna al confronto col Boccaccio; ragiona quindi' 
delle moralità, delle diverse specie di comico, delP umorismo. 
Aspettavo con una certa curiosità di vedere trattato ^importante 
argomento dello stile e della lingaa; ma una nota ci avverte che 
l'autore, non volendo e abusare troppo dell'onorevole ospitalità» 
(p. 323), concessagli negli Annali dell'Università pisana, si è do- 
vuto contentare di pochi cenni generali, ai quali bastano tre pagine. 
Concludendo, questo del Di F. è un lavoro nel quale possono 
notarsi esuberanze e deficienze, ma che, nel suo complesso, è utile. 
La parte migliore per la copia dell'erudizione e per la novità 
delle conclusioni mi pare quella che riguarda le fonti del Tre- 
centonoveUe; e, nonostante le mende notate ed altre di minor conto, 
si può dire che l'autore rivela alcune buone attitudini alla critica 
letteraria e un ingegno bisognoso più di freno che di stimolo. 

Guglielmo Volpi. 



Arnaldo Della Torre. — Di Antonio Vinciguerra e delle sue satire, 
— Rocca S. Casciano, Cappelli, 1902 (8.", pp. 255). 

Alla serie, già numerosa, delle monografie illustranti singoli 
autori del Rinascimento nostro, viene ad aggiungersi, in buon 
punto, questa del Della Torre. 

In buon punto, dico, perché del satirico veneziano che ne e 
l'oggetto, molto si parlava, ripetendo, sino ad ora, ma senza che 
l'opera sua fosse stata mai sottoposta a quell'esame che solo 
poteva permettere di parlarne con «conoscenza di causa». 

L'A. è giovane operoso, già favorevolmente noto agli studiosi; 
ma giova rilevar subito che questo lavoro, sebbene venuto in luce 
ultimo dei suoi, è, se non erriamo, il primo da lui pensato e com- 
posto, onde non è a stupire se serba ancora molte delle incertezze, 
deficenze ed incoerenze proprie della prima redazione. 

Il libro si divide in due sezioni distinte, l'una, storico-biogra- 
fica, l'altra, letteraria; quella, diciamo subito, senza confronto più 
nuova ed utile e concludente di questa. 

L'A. ammette col Cicogna l'origine recanatese della famiglia 
Vinciguerra, ma non approfondisce l'indagine e l'opinione sua 
non conforta, come avrebbe potuto, con l'analogia di altre con- 
simili immigrazioni sulle Lagune compiute da famiglie dell'Italia 
centrale - e propriamente dal versante adriatico, Marche e Ro- 
magna - che diedero anche buoni cultori alle lettere nostre. Da 



94 ìUsaiiéNÀ BtéLioefcAFJOA 

Eimini, p. es., passò a Venezia un grappo dMmmigrati, fra i quali 
il padre di quel Giovan Battista Ramasio, che proprio in questi 
giorni ha avuto un diligente e sagace illustratore, nel dott. Antonio 
Del Piero. * 

Oriundo dunque da Recanati, ma veneziano di nascita, sebbene 
non di condizione, patrizia, il V. dovette nascere fra il 1440 e il *46, 
dacché un documento fatto conoscere dairA., ci informa che il 
29 settembre del ^58 il giovane Antonio teneva già T officio di 
donzello del Maggior Consiglio. Da questo punto il D. T. cerca di 
seguirlo nei primi suoi studj e in quelli degli anni più maturi, 
raccogliendo buone notizie sulle relazioni letterarie di lui con 
Giovanni Caldiera, che gli fu maestro in umanità e potè ispirargli 
il culto di Dante, con Gian Mario Filelfo,* con Giorgio Merula, 
e coi letterati fiorentini, specialmente il Ficino e il Landino. 

Ma la relazione più saliente nella vita del Y. fu quella con 
Bernardo Bembo, che egli accompagnò come segretario nelle varie 
ambascerie, in Ispagna (1468-69) e per due volte a Firenze (1474-76 
e 1478). È peccato quindi, data V importanza di questa relazione, 
che FA. non sia riuscito ad aggiungere nulla a quanto era già 
noto, sovrattutto per lumeggiare l' aspetto letterario di essa. 

Veramente solo nell'ambasceria fiorentina del 74 il V. è de- 
signato col titolo di secretarius, mentre prima era uno dei notai 
(seribaé) della Cancelleria. Ora, appunto in questo officio e in una 
particolare attribuzione, che al nostro come a letterato poteva 
essere data, credo debba ricercarsi V origine e la ragione di quel* 
r altro titolo o soprannome di Cronicus o Cronico^ con cui lo ve- 
diamo frequentemente menzionato e per la cui spiegazione il 
D. T. non tenta neppure una congettura qualsiasi. Che queir epi* 
teto potesse equivalere a Croìtista^ è reso più probabile dal fuiJto 
che il y ., reduce dalla sua missione neir isola di Veglia, compilò 
una Cronica di quell'isola e degli avvenimenti che la riguarda^- 
viuio, la quale, segnalata già da A. Zeno, che la possedeva fra i 
suoi codici, fu modernamente data in luce, come ricorda anche 
rA.(p.56). 

Il quale ci offre un'idea abbastanza compiuta dell'attività con- 
tinua spiegata dal Secretarlo veneziano, informandoci delle altre 
sue numerose missioni, che furono tutte politiche e diplomatiche, 



1 Della vita e degli slndi tliO,Ji. ìiamusio, Venezia, lOOQ, cfr. pp. 5-6. (Estr. d»1 S. Arch. 
Veneto, N. S., t IV, P. 2). 

< U D. T. ricorda opporiunsmento l'epintoU poetica oon la quale il Filelfo rispondova 
ad un'altra del V.; ma doveva avvertire cbe quelle lodi ttbardellate, ond'eraoo prodighi gli 
umanisti, lungi dall'essere prese alla lettera, meritano d'esser poste In quarantena o perle 
meno attenuate di molto. 



DfeLLA LBTtBtUTtJttA ITALIANA 95 

eeeézìon fati» per una curiosa, una specie dMnoarico tra scienti^ 
fico e politico*aminÌDÌstrativo per la compilazione d'una carta del 
Friuli (p. 43). Il cronico, per ragioni del suo officio, *dÌTenta dun* 
que anche cartografo. Queste notizie il D. T. attinge in gran 
parte dalP Archivio veneziano, ma buona parte di esse erano già 
da più che mezzo secolo conosciute per mezzo degli Annali Veneti 
di Domenico Malipiero, quelli che il Sagredo, loro editore, giudicò 
€ splendido monumento di storia italiana ».' Gli Annali non hanno, 
naturalmente, quella copia ed esattezza d'informazioni che i do- 
cumenti officiali ci forniscono, ma derivano, è chiaro, in gran parte 
da essi e li integrano per quei casi nei quali le ricerche dell'A. 
sono rimaste infruttuose. Quando invece fra i documenti e gli 
Annali ci sia disaccordo,* dovremo dar torto ai secondi, purché 
la colpa non sia dell' editore, non sempre esatto nel ricostruirne 
la cronologia. 

Fra le missioni sostenute dal Y. una delle più delicate fu quella 
affidatagli nel settembre del 1486, allorquando, revocato Antonio 
Loredan dall' ambasciata di Roma sotto l' accusa di sodomia, f Ur 
mandato il nostro secretano a reggerla temporaneamente in at- 
tesa del nuovo titolare (pp. 66 sg.). Peraltro su questa faccenda 
è doveroso notare che gli Annali ci fanno sapere ciò che i docu- 
menti consultati dall'A. non dicono — o pajono non dire — che 
la brutta accusa onde fu colpito il Loredan, era aggravata da 
nn* altra, cioè dalla violazione e comunicazione di segreti d'offi- 
cio, ma che, sebbene fosse condannato in contumacia a dieci anni 
di bando, l' ambasciatore fini con l' essere assolto € per esser sta co- 
€ gnussù che la imputazion era calunniosa ». ' 

Secondo il D. T. (pp. 77-80) il V., inviato a Bologna, presso 
Giovanni Bentivoglio, capitano generale della Lega contro Car- 
lo Vili, con decreto del 10 giugno 1495, vi sarebbe rimasto inin- 
terrottamente sino alla fine dell'agosto '99. Invece dagli AnncUi 
si apprende che durante questo periodo di tempo il solerte segre- 



1 VeìV Archino «/or. i7a2.. t. VII delU prima S., 1SÌ8. 

3 II OMO pia curioso di discrepanza ò quello che si riferisce alla calda rioliiesta che 
papa Inoocenzo Vili fece nel gennaio 1488 al Cousiglio di Venezia per avere presso di se, 
ai propri servigi, il Vinciguerra. Mentre i documenti citati dall'A. (pp. 71-2} c'informano che 11 
Consiglio dei Dieci accolse la domanda ma che il V. finì col rinunciare, per contro il Malipiero 
(p. 308) scriveva sotto l'anno li88: « A di 21 de zener papa Innocenzo ha richiesto la Signorìa 
« che gbe daga Antonio Vinclvera segretario: et è sta preso de darghelo etèandà: e sempre 
< ghe è sta in gratia i. ^ 

8 Scrive il Malipiero (pp. 298-9): « A* 6 de settenbrio li86, l'è sta [il Loredan] revoca per 
« lettere dei Cai di X, perché un miedego ohe ghe praticava in casa, scrisse a essi Cai, che 
« alcuni zovetti trivisaui dormiva con esso e per tal causa i haveva in libertà tutte le cose 
« pubbliche, e le referiva al Cardeual de Napoli. K 1 Cai mandò Antonio Viiicivera a Roma ecc. ■. 



96 RA8SB0NA BIBLIOGRAFICA 

tarlo fu per ben due volte a Firenze, Tnna nel giugno 1495, 
e spazza drio » di Pietro Dolfln, generale dei Camaldolesi, V altra 
nel 1498, testimonio e informatore degli ultimi atti con cui si 
chiuse la tragedia di frate Girolamo Savonarola. ^ 

Questa fu probabilmente l'ultima missione compiuta dal Y., 
il quale, malandato in salute, si ritirava in -una sua villetta di 
Zovon, in quel di Padova. Il 3 dicembre del 1502 egli vi faceva 
testamento — e il D. T. lo pubblica per intero in Appendice, ma 
poco correttamente * -^, e moriva il 9 di quello stesso mese. Dove 
avveniva la morte? Non a Zovon, risponde TA. (p. 84), perché 
il Sanudo, registrandola, parla di Padova. Il che è esatto, ma non 
va preso alla lettera. E ammissibile infatti che il povero Secre* 
tario, da un pezzo malato (« stato assa^ malato », scrive il Sanudo), 
proprio quando era moribondo (« corpore languens, jacens in 
«lecto », dice il testamento), dopo avere testato, nel cuor deir in- 
verno, venisse trasportato in città, con un tragitto tutt' altro che 
breve e a quel tempo, certo malagevole, per istrade accidentate 
e faticose? non devesi credere piuttosto che il Sanudo, al- 
lorquando scriveva ch'esso era morto a Padova» intendesse par- 
lare del < territorio di Padova », nel quale appunto sorgeva la 
villa di Zovon, non troppo nota neppure ai Veneziani ? 



1 Op. eitt pp. 848, 500. A pp. 78-9 l' A. riproduce i dae ■onetU politici, che il V. spedì in 
Bolof^na, qdo del qaali, la riapoata In difeaa di Venesia, era uscito dalla sua penna. 

Doveva ricordare ohe essi erano stati già segnalati di sui DiaH del Sanudo dal Cbsabbo, 
ha formaxioHt di Maairo Pasquino^ Boma, 1894, pp. 10-11 dell' estr. dalla N. Anfoloffitt. A p. 31 
alla forma latiniszata Barbadigo andava sostituita quella volgare Barbarigo, Lo strambotto 
sul ritratto del V. eseguito dal Carpaccio, clie l'A. opportunamente pubblica a p. 83, era stato 
edito e illustrato dal OoLASAim nel FanfuUa d. domtnica» A. XXIII, n. 28, 14 luglio 1901. 

s Leggendo questo documento nel testo pubblicato dall' A. (pp. 231-5X Ti trovai così mal- 
trattati il senso e la grammatica, che, nonostante ravvertensa dell'editore, nonostante la qua- 
lità del testo medesimo, evidentemente scritto in un latinaccio notarile mescolato col vol- 
gar padovano, chiesi ed ottenni dalla benemerita Diresione del Museo padovano (ohe qui 
ringrazio pubblicamente) un'accurata collazione con l'originale. Il resultato di questa colla- 
zione confermò i miei giusti sospetti, come apparirà dal saggio delle principali correzioni 
che offro agli studiosi, avvertendo che i primi numeri rinviano rispettivamente alla pagina 
e alla linea della stampa, il ma. indica il testamento originale. 

221,2 Indlctione prima, ms. quinta; 4 preseutibus viri, ms. presentibus prudentissimis 
viri (sic); 6 habitat padue in centra, ms. habitatoris padue In contrata; 11 omnes habitant, 

ms. omnibus habitatoribus ; 12 testibus ad hec habiti, ms habitis; 13 vochati et rogati, 

ms. voichatis et rogatis; 222, 2 hoc igitnr, ms. hec igitur ; 11 ut. ms. et ; 12 Cartusie Venetianim, 
ms. Cortusie Venetiis; 17 dieta ecclesia, ms. diete ecclesie; 22 labore nullo, ms. nullo labore; 
32 qnod antea, ms. per antea; 33 eiua corpnm quatuor diea. ms. elus corpus per dies quatuor; 
34 costodiantur, ms. custodient; 223 2 potueruut. ms. potuerint; 4 post mortem, ms. post mor- 
tem suam; 6 oum domus.ms. cum domis {sic); 8 in vila tantum, ms. in vita tantum ; 13 sunt, 
ms. sint; omni dies, ms. omnes dies; 15 bacelem argenti, ms. bacilem argenteum: potis argenti, 
ms. probabilmente posatis argenteis; 20 reliquit, ms. rellnquit; 224, 3 prò ducati, ms. prò 
ducatis; 7 purquod, ms. prout qnod; 12 omise cum le satire, ms. onise [forse onite) cum le 
satire; 14 cura diligeutia, ms. cum diligenzia; 16 aliarum, ms. altero; 16 ipae testatoris, ms. 
ipse testatori 18 babeant vestigiam, ms. habeatur vestigium; 26 qnas fercbat, ms. quod ferebat; 
27 duas, ma. suaa; 31 arti fllogofle, ms. artis fllosofla; 226 omnem aliud, ma. omne aliud. 



DRLLA LBTTRIUTURAITALIANA. 97 

L* esame delle opere del V. si riduce dì necessità u quello delle 
Satire, onde troppe parole spende TA. intorno alPipotetico Can- 
zoniere e al De principe in terza rima, dal momento che del primo 
ci sono rimasti soltanto un sonetto ed un capitolo, tali da im- 
pedirci di deplorare la perdita del resto, e del secondo è irrepe- 
ribile il cod. che lo conteneva, membranaceo e con la dedica al 
Doge Leonardo Loredan. 

Anche più sobrio il D. T. poteva essere nel parlare della Epi" 
siala consolatoria in terzetti, che il V. inviò al Caldiera per la 
morte della figlia Catteruzza. Nulla di più comune del fatto av- 
veduto al societario bazzicante con le Muse: nei suoi primi anni 
egli rimò, come quasi tutti i giovinj d'allora, petrarchescamente 
d^amor profano, e in sèguito obbedf a quella tendenza moraleg- 
giante e quasi ascetica, che si rivela in questa Epistola, anche 
in grazia deirargomeuto, e più si manifesterà nelle satire propria- 
mente dette. L'A. osserva che Tessere rimasto il V. celibe impe- 
nitente non deve stupire, anzi era « cosa che ben si addiceva a chi, 
« come lui, vedeva nel matrimonio la morte di ogni virtù e scriveva 
< una sàtira pe'r celebrare la verginità ». Sarà; quantunque alle pa* 
role dei poeti, e sovrattutto dei versaioli di questo calibro, convenga 
dare un valore assai relativo. Ma vien fatto di chiederci: forse, 
che la virtù, T esercizio delle virtù e la conservazione della vir-> 
ginità stavano dunque, pel V., nel mettere al mondo dei figli na- 
turali, com'egli fece? E non dovremo appunto'nel pentimento di 
questo fatto e nel desiderio di tener celata il più possibile que- 
sta contraddizione fra le belle parole in brutti versi e la realtà, 
cercare la cagiou vera per la quale il bravo Segretario non men- 
zionò il figlio suo naturale Marcantonio, se non in un passo del 
testamento, dove si vede che la mala condotta del giovane ac- 
cresceva il cruccio neir animo del moribondo moralista? 

Di ognuna delle satire vinciguerriane Fautore porge un largo 
(troppo largo, trattandosi di componimenj;). notissimi) riassunto, e 
cerca di determinare F occasione e la cronologia, additando, quando 
gli si offre il destro, fonti e riscontri. Cosf, ad es., nella satira 
De miseria hunianae condUionis, che più che una satira, potrebbe 
dirsi un trattatello ascetico (cfr. p. 116), egli rileva alcune inne- 
gabili derivazioni dal De contemptu mundi, la nota operetta di 
Innocenzo III, e dalP altro opuscolo latino De laude solitariae vitae, 
attribuito a S. Basilio. La rassegna si chiude con V esame delle 
quattro satire inedite, che per certi dati interni appajono eviden- 
temente composte dal V. negli ultimi suoi anni, certo, dopo il 1492. 

Alla fine del volumetto il D. T. si propone dMndagare quale 
sia « il valore storico » - veramente, storico-letterario - di questa 



d§ ftASMmtA BtUtJOORAÌPlOÀ 

prodazione satìrica del Secretano veneziano, quale posto cioè gli 
spetti nella storia della satira. Di togliergli «il primato inteso 
« in modo assolato > non era, a dir vero, neppure il caso, dacché 
ormai a nessuno poteva venire in mente di credere e di dire che 
prima di lui non si fossero scritte satire. E lo stesso D. T. rico- 
nosce che ciò « non ha bisogno di dimostrazione > (p. 193), ma 
viceversa poi ammannisce per parecchie pagine un abbozzo, su- 
perfluo, della storia di alcuni motipi satirici, > rammenta che prima 
del y. s^era avuta una serie copiosa di capitoli ternarj, d'indole 
gnomica e moraleggiante, che < per certi riguardi è una satira* 
e vera e propria» e che Giorgio Sommariva aveva pubblicata la 
sua versione di Giovenale in terza rima. Ciononostante, TA. con- 
« serva questo priorato > al V. in grazia d^ un « elemento nuovo » 
che egli vede nella sua produzione per la prima volta, eccezion 
fatta per Dante, cioè « la chiara manifestazione e la esplicita di- 
€ chiarazìone della propria personalità, e la coscienza del proprio 
« ufficio di poeta satirico ». 

Ma qui il D. T. fu vittima d' una singolare illusione pronun- 
ciando un giudizio ohe riesce tanto più inatteso, dacché egli me- 
desimo rileva (p. 203) che certe enfatiche pretensiose dichiarazioni 
del y. non sono che una parafrasi di altre consimili di Giovenale. 
Anzi queste dichiarazioni, tolte dal poeta latino^ lungi dal bastare 
a darci un elemento della nuova personalità, come vorrebbe TA., 
ne sono la negazione più assoluta. Parimenti, non sono bastanti 
a tale dimostrazione le boriose e romorose parole con cui il Y. 
invoca solennemente i più illustri satirici delP antichità clàssica: 
« Surga qui Talta tuba yenosina, | La citara d'Arunca, e quel 
«d'Aquino, | Che il scettro tiene in poesia latina ecc.». Fiato 
sprecato, i poeti invocati, non vollero rispondere. E si capisce: 
sarebbe troppo agevole impresa, se, a fare T individualità e la^ 
grandezza d'un poeta, bastassero di tali invocazioni e dichiara- 
zioni non so se più indiscrete o strampalate! 

Né maggior ragione ha l'A. di lodare il yeueziano per Ttim- 
versalità saHrica, Che in lui fosse T intenzione temeraria di me- 
nare la falce inesorabile, come dice, in tutti i campi, di scagliare 
i suoi < fulgori, arinati alla ruina del vizio », non nego; ma dalla 
intenzione al fatto, in arte specialmente, c'è di mezzo l'abisso, 
e anche nell'arte — anzi nell'arte sovrattutto — le intenzioni 



1 Mi restrliiRO ad nn'ouervazione: l'A. cita (p. 196) la yeneia e la Btca come sagffi dt 
componimenti aatlriel, mentre non sono cbe innocue parodie burlesche della poeaia ruatièale. 
A proposito poi. di aatira politica: ninno che conoeca la aat TX del V. Cantra more» ttuiu» 
MatetUi potrà crederò cbe eaaa non sia, in fondo, altro cbe " una aatira politica vera e propria ,^ 
Con questo criterio, quanto più politica si dovrebbe dire la prima satira dell* Ariosto! 



t)ÈUhA LftttBiUlUtU ItikLUtfA m 

non valgono se non in quanto i fatti loro corrispondano. E 1^ ef- 
fetto, nell'opera satirica del Y., fu tale da rendere neppure pen- 
sabile quella lode. ^ 

In quest'ultima parte del suo libretto TÀ. tradise» ad ogni 
pie' sospinto un'incertezza grande di criterj, cìie lo costringe ad 
ommissioni, esagerazioni e anche contraddizioni non lievi. 

^Un punto importante della sua trattazione doveva essere l' in- 
dagine degli elementi classici e del loro atteggiarsi o... irrigi- 
dirsi mortificati nelle satire del V. Invece egli se ne sbriga (p. 206) 
con due parole, cosi : « Sarebbe inutile aggiungere che il V. at- 
« tinge a piene mani dai satirici latini », e appiè' di pagina con- 
densa in quattro righe alcune citazioni puramente numeriche, 
che si potrebbero senza fatica moltiplicare, ma che, gettata a 
queL modOf non dicono nulla. È evidente che il critico ha riiHiE^ 
ziato al suo principale officio, mentre gli sarebbe stato tacile di- 
mostrare che, dove non fraintende, }ì Secretano veneziano, per 
cieca imitazione, fa la caricatura del. poeta d'Aquino. 

La stessa osservazione valga per le imitazioni dantesche» 
«Si possono con molta facilità coglitore imitazioni di versi dan- 
« teschi in tutte le satire del nostro >, scrive più oltre (p. 218) 
l'À., aggiungendo un'altra noticina che non serve a nulla. Invece 
sarebbe stato utile e non difficile dimostrare c.he razza d'imita- 
tore, goffo e irriverente, dell'Alighieri, sia statq il Y.,il quale in- 
terpretava a modo suo — un modo tanto arbitrario, quanto gros- 
solano — il testo della Commedia.^ 

Anche pel D. T. il posto da assegnarsi al V., nella storia della 
satii;a è il medesimo che si suole concedergli, il posto di primo 
scrittore di quella che può chiamarsi < satira regolare italiana » 
(p. 208). Sul quale giudizio avrei da fare qualche riserva, ma non 
è questo il momento. ^ 

Fiiittosto ho il dovere di giustificare ciò che dicevo de|l.e con- 
traddizioni, nelle quali è caduto l'A. In un luogo (p. 185)' egli 
scrive che le quattro satire inedite < come corrono nel loro svol- 
« gimento più spedite, cosi sono anche per quel che riguarda il 
« concetto, più originali e indipendenti » — e simile sentenza ri- 
pete più oltre (p. 215). Sennonché, parlando subito dopo della 
satira 8.", una delle quattro inedite, osserva che « solo essa riesce 

1 li D. T. a provftre che 1 ■ posteri Imioadlati » del V. compretoro quanto c'era di nnovo 
nelle satire sue e • Io riconobbero aturlit verbia *, addnoe (p. 206) il titolo della prima stampa 
delle satire vinolgncnr^ane. Ma egli fjralntende qoel titolo di 0/wra iio«o»ctae eracomnnlaainio 
nelle stampe popolaresche, specie della Veuexia a partire dal sec XV cadente. 

> Valga un esemplo, tratto dalla sat. IV: ■ Mentre il fior della età è in cima Yerde ■!! 
Un* altra gemma pseado-dantesca, nella stessa satira, ò la sg.: « Chi tuoI esser felice quag- 
giùf prenda | Dietro il mio solco, che spumando corre | , La strada, prima ohe l'età discenda ». 



100 RAdSBGNA BIBlJOOkAPICA 

< molto pesante perle lunghe filastrocche di eseiupj tratti dalla sto- 

< ria antica, e non avvivati da un solo lampo di poesia»; 
e di nuovo, neirAppendice (p. 231), le suddette quattro satire di- 
ventano «le piti perfette che il V. potesse compiere, data la 
« sua speciale tempra letteraria ». Ma proprio quando ci atten- 
deremmo dairA. il testo di queste quattro perfezioni vinciguer- 
riane, egli ci dichiara (p. 241) che s* è accontentato di dare un 
sunto di tre di esse e non ne pubblica che una, la terza « la sola 
«veramente che ne meriti il conto». Oh allora?! 

LMncertezza poi di cri ter} nella valutazione estetica si rivela 
anche nel linguaggio critico, insufficiente ed improprio, sòvrat- 
tntto troppo generico, che non entra mai nel vivo e nel caratte- 
ristico del documento poetico. Nel rapido esame estetico delle 
satire vinciguerriane VA. vi trova (p. 211) < versi realmente belli, 

< nei quali si può cogliere una certa concisione di idee ed una 
« forma che riesce scultoria nella sua ruvidezza... In questi versi 

< I voleva dire « in questa forma ruvida, ma scultoria »] potremo 

< dire che consiste la peculiarità della poesia vinciguerriana ». E 
altrove (p. 212): « versi belli non mancano »... « versi ben tor- 

< niti », « esempj di gagliarda ruvidezza » [il « ben tornito » fa a' 
« pugni col < ruvido »!]. Nella 3.* satira « in numero assai maggiore 
«sono i brani notevoli» (p. 213) e altri versi «degni di ogni 
« considerazione ». Altrove (sat. IV) l'À. trova altri versi che « non 
«sono da tacersi» e cosi via coi versi notevoli, belli e simili. La 
conclusione di tutti questi giudizj spicciolati è che «T unico vero 
« pregio artistico delle satire del V. è quella gagliarda ruvidezza 
« della forma, che ci dà alle volte versi pieni di maschio vigore » 
(p. 217). È lo stesso giudizio che, più breve ed efficace, dava non 
è molto Vittorio Rossi, parlando « di una cotal rude energia di 
« rappresentazione » di cui fa prova « talvolta » il Veneziano; quel 
medesimo, in fondo, che aveva dato il Sansovino. Peccato tuttavia 
che FA. stesso abbatta inesorabilmente questo giudizio e le lodi 
prodigate nelle sue pagine ai vei bersi vinciguerriani, col dichia- 
rare (p. 209) che una delle cause, fra le altre, che « contribuisce* 
«nel V. a distruggere goni effetto artistico, è la lotosità 
« della lingua », come diceva V accademico Aideano. 

Se il D. T. avesse sottoposto ad un esame più attento le sa- 
tire del V., avrebbe potuto dare un'espressione più concreta e 
sicura e più coerente ai proprj giudizj; avrebbe potuto dimostrare 
che egli, eccitato sovrattutto dall'esempio del Sommariva, ^ che 
aveva tentato di rivestire di brutta forma volgare, in terzine, le 



I Come ho detto, l'A. ricorda sì la veraione sommarlTiana, ma non ne trae il partito che 
avrebbe potato e dovuto. 



DBLLA LKTTBRATURA ITAUAICA 101 

satire di Giovenale, si invasò dellMdea di diventare egli il Gio- 
venale cristiano, credette che bastasse fare la voce grossa, prer 
dicare, tuonare, gonfiando le gote, ma fallf miseramente per di- 
fetto di ispirazione, dMngegno, di arte. Riuscì soltanto, in quel 
suo vano arrabattarsi poetico, a dar saggio di goffa e pretensiosa 
poesia presecentistica. E a fare apposta, i segni di questa sna 
gonfiezza e turgidità sono visibili proprio in quei medesimi, passi 
cbe il D. T. cita (p. 213) come i più degni di nota. Invoco un pò* di 
^benevola attenzione e d* abnegazione dal paziente lettore. 
Il V. parla delP avarizia ed esclama: 

Questo è fi Teneii, che serpe per le vene 

De le mitre eiiperbo e de* tirsnol. 

Che hanoo poeto in riodiezxe ogni lor spene t 
Amaro seme di futuri danni. 

Che Italia Imprefnia. e langnida sn el parto 

Oià ti comincia a tórger dagli affanni. 

L'À. trova « ardente patriottismo » e « tratti caratteristici » in 
questi versi, nei quali è un séguito di immagini una più barocca 
e falsa e impropria delP altra, tali da disgradarne il peggior se- 
centista; dai quali apprendiamo che T avarizia è un veleno, che 
questo serpeggia per le vene delle mitre e . .. dei tiranni^ che poi 
diventa un seme amaro, che impregna V Italia, la quale ha già le 
doglie del parto, dal quale nasceranno i danni futuri di lei ! Ma 
chi potrà negare che questo non sia un parto mostruoso o un 
aborto della musa satirica vinciguerriana? 

Qualcuno dirà chMo incrudelisco troppo contro ... un morto, 
il y.; ma rispondo che sarebbe ingiusto usargli indulgenza o pietà, 
tanto si mostra pièno di sé e ridevolraente borioso. non ebbe 
il coraggio, proprio egli, che aveva quei versi sulla coscienza, di 
rivolgere al mondo un monito come questo: 

Or sappia il mondo che d'altro non cnro, 
Che del miei dolci e grasios! versi, 
die tratto m'hao dal ino costume oeonro •? 

E, peggio ancora, non osò proclamare la dolce gloria acquistata 
col suo stile fluente, parafrasando un verso dell'Alighieri : 

Né yogUo pld tener dentro nascosto 
La ricca vena del Mente stile. 
Che ,m' ha tratto dal pM, Ara I rari posto - ? • 

E questo ci sembra più che bastante, anche per dimostrare che 
allorquando il D. T. (pag. 220) concludeva con T asserire che il V. 
«ci appare come il vero poeta satirico cristiano », la 
penna dovette tradire il suo pensiero. Tanto varrebbe, iillorn, 
dire che un banchiere fallito è.., un vero banchiere moderno! 



102 RAWBONA BIBLIOaiUFlOA 

Mi rincresce, in fine, dì notare che dalla Appendice II, la quale 
doveva essere un contributo alla futura edizione critica delie sa- 
tire Tincigaerriane, e che tratta àellvLprimiiiva dispoMeione di esse, 
6Ì desume i( convincimento che TA. non ha ancora la prepara- 
zione necessaria per una impresa simile. ^ Un esempio. Della C%m- 
9ùlaioria al Galdiera il D. T. si trova ad avere due redazioni di- 
verse, una manoscritta, da un cod. laurenziano, P altra a stampa. 
Egli st chiede (p. 234) quale di esse sia e la precedente », e con- 
fessa di non avere « nessuno elemento per poter rispondere in 
« modo certo ». 

Proprio nessuno? E le varianti? In ogni modo, mentre ci at- 
tenderemmo eh* egli porgesse agli studiosi questi «elementi» di 
discussione e di giudizio, cioè le varianti, « appunto perciò non 
« riporta queste differenti lezioni, tanto più che esse non intac- 
« cano il senso generale deir epistola ». Invece si restringe a tra- 
scrivere i trenta versi mancanti alla volgata. 

Se pei libri di critica letteraria valessero i noti precetti che 
Orazio dava ai giovani Pispni, e il D. T. non avesse lasciato 
trascorrere il « multa dies » dalla prima composizione di questa 
monografia senza « multa litura » e sovrattutto se avesse avuto 
il coraggio di rifarne la seconda parte, sarebbe stato un gua- 
dagno grande per lui, pel Y. e pei lettori» grandissimo per quelli 
fra essi che devono adempiere Pofficio, spesso increscioso, di critici. 

VlTTOWO ClAH. 

Giambattista Marchisi. — Romanzieri e Bomanzi italioni del SeUeeento, — 
Studj e ricerche con bibliografia e illustrazioni. — Bergamo, Istituto 
d'Arti grafiche Editore, 1903. 

' Gli studj dei quali è composto il presenta volume, non presumono co- 
* stitttire una storia del nostro romanzo del Settecento. Ma da essi potran- 
' nosi facilmente dedurre le linee fondamentali di una storia futura ,. Cosf 
TA. (p. 333), che a me 'pare abbia, se non esaurito, almeno portato tal con- 
tributo di ricerche e di studj sopra il soggetto preso a trattare, da togliere 
ad altri il bisogno o la voglia di tornare su un argomento, che è certamente 
notevole per il rispetto della psicologia e della storia, ma, riguardo al quale 
quanto all'etica e all'estetica ho i miei dubbj. Il Voi., d*un 400 pagine, è 
nitidamente ed elegantemente impresso, con una quarantina o più di rami 
intercalati nel testo, riprodotti dalle opere originali ; damine eleganti, cava- 
lieri cirrati e incipriati, salottini confidenti, sfondi di verde e d'ombre, navi 
simboliche abbandonate a simboliche onde, e ghirigori e fregj capricciosi e 
versetti allusivi, come piacevano al secolo filosofo e galante. Comprende sette 

1 Ma fòTta è on'improM ohe non merita la faUoa e il diapendlo neoesaaij. Tanto, te adi- 
KioDl ohe abbiamo del V., quantanque poco oorrette, aono laffloieoti ; le quattro aatire ioe- 
dite, delle quali poeeeggo oopia, sono anch' ease troppo miaerabile cosa. E vi aono ben altre 
opere, più nUli e più rare, da mettere o rimettere in Jooel 



DBLLA LBTTBRATURA ITAUANA 103 

empitoU e due appendici, la prima delle qo«li è lo stadio d*iin Kualofiissinu) 
romanzo satirico, messo ionaazi come no possibile ' contributo alla storia 
del Giorno * ed anche un solo commento a un episodio di esso « ;' T altra 
è un Saggio bMiografico dei romanzi originali • tradoUi del See. XVIII, eon 
«ina punta nel sec. sncceseivo, almeno per quanto riguarda Vincenzo Coco, 
il Foscolo e Aleesandro Verri. > 

U cap. 1.*, che è de' più brevi (pp. 11-46), ma pieno di utili notizie a 
spiegare lo svolgimento del romanzo in Italia nel sec. XVIH, discorre degli 
influssi stranieri, che in tal forma d*arte operarono su di noi, e ne risve- 
gliarono e informarono il gusto, specie nella seconda metà del secolo, in cni 
cominciò a prender voga. I grandi romanzieri inglesi di queli* età Richardson, 
Fiedling, De Poe, Smoliet, Johnson, V amico del Baratti, con le Pamele e le 
Ghrieee, le Amelie, i Bobineon erano fra noi tradotti e letti e diffusi più di 
Swill e di Steme co' loro romanzi comico-satirici ; la Pamela fu ben presto 
conosciuta, imitata, portata sul teatro, parodiata; e di orfanelle inglesi, d*av* 
venturieri inglesi, d'onorati inglesi eran piene le carte. -* Di Francia non è a 
dire: un pelago: Lesage, Harivaux, Prevost, Montesquieu, che con le LeUree 
Pereanee, modellate su un vecchio romanzo italiano (p. 39), apriva T adito a 
tante imitazioni e contraffazioni in forma epistolare; poi ^oltaira e Rousseau, 
ehe con la Nuova Eloisa dava alla Francia .la preminenza iSPS(ifBsto genere 
letterario, e con loro altri, o raen noti o ignorati, eran la itelizltt^'del gran pub- 
blico dei lettori. Romanzi sentimentali e fantastici, filosoflcie galanti, etici e 
pastorali si traducevano * talora pessimamente , si raffazzonavano per le 
persone letterate, che invano contro quella produzione straniera eran messe 
in guardia da una critica un po' illiberale e ristretta, ma di buona coscienza.* 



t àntniure di UUo eagnolo bolognesi, Horia critica $ galalite, che l'A. orftde tradotta dal- 
l' inglete, probabilmente da O. Qossi (p. 859), di aopra no esemplare fhmeeie. DI oodetto 
romaoso di Cottntry wì è anebe ana tradaslone tedesca, molto posteriore alla noatra. di 
Johann Fritdrieh Jnngtr, Uipzig» 1782, mutato 11 titolo, secoudo la libertà dei traduttori e 
raffaxzonatori d'allora, in Utr Kleine Ctsar; vedi M. Ooedeke, voi. IN^. p. 224; Io studio fn già 
pubblicato nel Oiom. Stor. della Leti. 'Ila/,, voi. XXXVIII, p. 97-122. E poiché quesU nota è per 
la letteratura oanlna, aggiungerò alle oitacioul dell'autore ,nn'0r<fi/ON# dt P. I. Martello 
ift morie di Po con» mérnmsoe stampata in fiologna nel 1727, In Tersi e Prooe, presso Lello 
della Volpe, part. 1. p. 187 e s«g.; il quale Martello avrebbe anche ne Lo Stai-nuto di Xrcolf, 
specie di rappresentazione burattinesca, fornito a Swift l'idea del Gulliver e do'suoi lilli- 
puzziani; raoooatamento, che fall paio con l'altro del Cicerone e del Trittram Skandff,e da 
aooogliarsi eon beneflsJo d'Inventarlo. Quanto poi concerne le lagrime in moiio di Pippo eané 
vicentino ricordate dall'A. a p. 884, atampate a Milano nel 1749, noto che a Vicenni tre anA| 
prima, nel 1746, si fece un'edisiooe col titolo: Epicedi a Pippo il Barbino^ che dev'easere 
tntt'una eoea con le Lagrime, con qualche alterazione, come si vede dal titolo alquanto 
mutato. 

s Bioorderò alcuni di codesti romanzi francesi o tradotti In flranoese, che I giornali 
eonteuBporanei offrivan coma primizie ai lettori italiani; l'A. ehe molU ne cita a p. 88 e aegg. 
lasciò da parte, forse perchè non han trovato un traduttore italiano: Uè Vidooiindco do 
la fortune, dall' IngL in tre voi. — Aurelie oh la ti* du grand monde, pure dall'ingl. in duo 
voi. ^ La leUs Sjprienne, in tre voi.; non ho trovato di questi ulttmi alcuna Indicazione tipog. 
— Si^ e Orsola, anno Lottare iolralto da «n portafoglio per il oig. di Cfutrmaio, Parigi, 1778; è 
usa tradnsioDe italiana? •>• Così U memorie del eanté di Bettem, che si danno oome stam- 
pate a Roano nel 1766, e una Sihia tratta dàll* j4m/n/a e dal Paatcrfldo, stampata in Parigi 
con la data di Londra, operetta ■ scritta elegantemente, m-i troppo teneramente » dice il ro- 
censore, e portava in fronte TOvidiano; Hribcre Jfttùt amor {Oiorn, de' UH, di A'jrwM. anno 



104 KABSSallA BiULlOOkAl^lCA 

È QD quadro animato e vivo, che potrebbe considerarsi come una bella In- 

troduxione, se il libro avesse forma organica e una. 

Di P. Chiari, romanciere, discorre l'À. nel 2.* cap. (pp. 49-186) con particolar 
competenza, e passando in rassegna quella sna laboriosità tumultuaria, pro- 
seguila per più d*un ventennio, senza calore neir anima e senza fiamma 
nel cervello, trova modo d'innestare qua e là tante notizie biografiche, ret- 
tificare errori di date e di fatti, stendersi nelle polemiche, che scompigliarono 
)a vita letteraria e civile della Venezia d* allora.* Dà estratti, talvolta un pò* 
lunghetti, della FiloMfeana UaL, che è in ordine di tempo il primo romanzo 
del Chiari, suggeritogli da consimili racconti inglesi e francesi ; de La Bai' 
lerina Onorata, de La Cantatriee per disgratfia (riduco codesti titoli ai lor 
termini minimi), due parti d'una trilogia teatrale, la cui terza parte ò La 
Commediantt in fortuna OB»ia ecc. stesa, al solito, in pochi giorni. Segue 
La Oioeatriet di Lotto, uno de* più ricercati e famosi, e poi non so quanti 
altri, tramezzati da Lettere, Rifle$9Ìoni critiche, Saggi, TraduBioni, che usci- 
vano dalla penna di quell'uomo, mossa, si direbbe, da un congegno mecca- 
nico anzi che da volontà consapevole o da un'idea dominante, senza ohe 
mai nel corso dell'opera sna, a maraviglia feconda nel decennio dal 1750 
al '60, si giovasse di nuovi elementi o facesse ' evoluzione alcuna , verso 
una più sincera e schietta comprensione del vivere contemporaneo; sempre 
uguale monotona raffazzonatrìce. Poi notizie su La Beila Pellegrina, che^il 
M. dice suggerita da una commedia del Voltaire (p. 94 e segg,); La Franeeoe 
in /to/f'a, sparsa di macchiette e figurine piacevoli; La Viniziana di Spirito; 
La Donna che non si trova, nel quale par * che senta la carezza di quell'aria 

* che spirava d'oltr' Alpi, anche se non ne sente la forza innovatrice (p. 114) ,. 
Ma la narrazione affoga * nelle solile avventure d'amore e di viaggi . nelle 
solite combinazioni d'avvenimenti improvvisi, variate qua e là di facili com- 
mozioni e fantasticherie, cosi care " alle anime tenere che ricavan diletto dal 

* pianto ,.* Cosi via via l'À. scende per ordine cronologico agli ultimi it>- 
manzi, fino alla Fantasima che, egli dice, * si potrebbe ancora leggere con 

* qualche diletto, se non fosse, come tutti gli altri, eccessivamente lungo ar- 
" ruffato e sproporzionato , (p. 129). Ho trascritto le proprie parole dell' A. 
perché, per quanto si voglia essere benevoli al Chiari, non è possibile far 
altrettanto con l'opera sua, anche senza discostarci dai propositi suoi e dal 
fine ch'egli assegnava al romanzo; né bastano tratti vivi, e accessoig geniali, 
che non mancano, o qualche timido intendimento di satira più casuale che 
d'intenzione, a rimettere in vista quei libri che, almeno nel rispetto dell'in- 
venzione e dell'arte, non sono esemplari pregevoli. 



1743); poi QDft Or/atfHa dil CaeUtlo ài GarlotU Smith, oelebntiislioo, no Viaggio di Btot/ar 
ipoeomdriaeo io forma epistolare, e altri pubblicati dal Briand, dal Bnisaon e dal QaiUot, ohe 
erano in Parigi quel ehe io Venesia il Paeiiielli, il Battaglia e il Colett . Del retto, nel 1746 
il Oiùm.LetLdi Situa, Hbù. dì settembre, dando notlsla d'nn romabao stampato l'anno pri- 
ma a Norimberga, Mona dtUt ofptnlure maritnglioti del gtntituomo Ferdinando di Thon» uo- 
tara con amare sxa, che anche in Italia abbondavano i cattivi romana! d'ogni epecie, etapidl 
e incoereutl corno e più di quello che presentava al pubblico. 

1 Lo studio, avvisa l'A., era già stato pubblicato in opuscolo a parto nel 1900 a Bergamo. 

* Cosi nell'art, primo della CatUatrieé ptr diogratia. 



DKUiA LXTTBiUTUilA ITALIAICA 105 

E mi para su p^r gid del medesimo avviso anche VA.: figure di perso- 
naggi scolorite e stinte, qualcuna insulsa (p. 61); grossolane pitture d'am- 
biente (p. 77), nessnnai o pochissima arte nel comporre gli elementi onde il 
racconto s' intesse, (p; 103), assenza d'interesse e di personalità, strascico, 
fatica, sbiavatura di stile, son tante cose che, anche senza essere sistematico 
detrattore del Chiari, bastano a spiegare le censure di qualche contempo- 
raneo, un pò* maldicente per vero, ma arguto e giudizioso, che metteva T abate 
bresciano tra gli annufifoni della letteratura con qualche travata héstialmenU 
fàliet,^ Una lode va<data air A., d'averci saputo pazientemente condurre per 
codesta landa inamena senza farci sentire la stanchezza del cammino, o la 
voglia di restara a mezzo. 

U capitolo III discorre di Antonio Piazza romanziere, che per opera del- 
FA. viene a prendere il posto che gli spetta ndla storia del romanzo ita- 
liano del Settecento; la materia è nuova, né senza attrattiva.* Narratore, com- 
mediografo, gazzettiere il Piazza, nella vita longeva (1742-18S5), fu prima 
ammiratore ed emulo del Chiari, poi, con intendimenti più realistici, indipen- 
dente e geniale riformatore d'un genere, sviato tra avvolgimenti e garbugli 
d'intrecci di fantasia (p. 149); meritava dunque chi se n'occupasse quanto 
e più del Chiari, nel quale s' era fin qui incentrata e raccolta la storia dd 
romanzo di quell'età. L' A. move dal primo romanzo, che il Piazza pubblicò 
a vent' anni, dove si rivela " pessimo scrittore, ma non antipatico « (p. 143), 
e dove adopera, come il suo modello, la forma autobiografica e la distrìlm- 
zione e divisione della materia in capitoli co' rispettivi argomenti in fronte. 
Ha la sua arte acquista andando; L* Italiano Fortunato ò scritto con OMno 
disagio di costrutto e di lingua; e cosi U Incognita Innocente^ UBbroa^ I 
Zingani, dei quali ultimi l'A. dà un largo estratto e un passo del eap. X 
come saggio di satira del costume signorile. Il Piazza gli pare più studioso 
della realtà, anche se grossolana nell'espressione e grottesca (p. 173); più 
fermo nel concetto che la storia va cercata meglio della favola, e che, di- 
ceva lui, " è canone saggio innalzare i propij lavori sul piano che la verità 
' e la natura , suggeriscono.' Anche più tardi tornava sui medesimi canoni, 
e n' attendeva l' approvazione da quel pubblico colto ' che non ama .il ma- 
raviglioso romanzesco, ma semplicità e union delle azioni, non i caratteri 

1 0. Gozzi, Mimorit inutili, XXXIY. — Circa i processi di composizione, l'editore napo- 
letano de Im BalUriva Onorala, 1756, neir avviso A chi Uggt, dice ohe ÌI Ciliari ne'snoi romanzi 
"trasporta di fatto quanto trova di bnono 9 di meKlio de* romanzi francesi: e 11 volerli 
tradurre oggidì (qaei romanzi francesi) non sarebbe che replicare sotto pili torchi e sotto 
titoli differenti la medesima cosa «. O dov'è allora il loro valore psicologico rispetto a noi? 
Anche il Lesage metteva a sacco i romanzi picareschi di Spagna; ma la satini delle debolezze 
umane, le scene della vita privata, i tratti storfci sono de' costunii e del vivere contempo- 
raneo di Francia. — Quanto è poi alla smania è all'agevolezza di comporli, 11 Chiari per 
bocca d'ona principessa svedese ne L' AMa%ìtt*)ncoijniiat cap. 10, così ne parla: "Io son 
d'un carattere così capriccioso in qnesta materia; che aver vorrei cento mani e centupli- 
care me stessa, onde scrivere e pubblicare ogni giorno òpere somiglianti, che il bramano, 
si aspettano, si comprano e si ristampano — e diceva il vero — specialmente pid sono strava- 
ganti e compassionevoli,. 

s Como autore di romanzi, il Piazza era ilioòrdato in compagnia del Chiari ed altri 
aeritUni da dosiina dal Foscolo, nel Saggio ecc. — Prose Liti., Voi 2., p. 289. 

8 Atmao che vi^ innanzi alla Commedia Aa famiglia mal regolata, di pochi anni poste- 
riore al romanzi rioordatL - « 



106 KAMBQHA BIBUOGEAFIOA 

esagerati, ma quei ehe sono copiati dalla naiara, e che oon sono spinti oltre 
i confini deirnmana eondiiiotie «.* 

La si direbbe nna teorlea precorritrice; se non che in pratica continuò 
anche Ini, se non a meravigliare con le stravagante del casi, a intenerire e 
far piangere, e fu un pò* nel romanzo quel che il Gamerra nel dramma, uno 
sorìttora lagrìmoeo e sentimentale. Del resto io non fò che toccare alcuni punti 
della sua ineeanribibile operosità nel romanzo, che TA. segue con molta dì* 
Ugema, raccogliendo via via notizie utilissime per la storia del teatro Ita* 
liano della seconda metà del Settecento, che forni al Piazza la materia per 
nu altro romanzo^ scritto, dice TA., oon la solita fretta (p. 183 e segg.).* 

Nel cap. IV son raccolte rare notizie sui romanzi erotici di Vincenzo Rota, 
padovano ;* di 6. B. Verci, lo storico della Marca Trlvigiana e degli Etzelini, 
di Giuseppe Maria Poppa, e di altri meno conosciuti, * stesi sui soliti motivi 

* chiariani, i soliti casi, le solite avventure, le solite colpe dell* amore, che 

* ritornano io mille guise e s* avvicendano, le eteme colpe, gli etemi deliri ,. 
(p. 210). Il Poppa meritava forse maggior discorso; * studente laborioso, 

* archivista di private famiglie, romanziere, scrittore ti* altre cose fantastiche, 

* stadlante musicale, compilatore di leggi e maritò , come egli scrìve di sé 
nelle Mémariéf non istarebbe male in compagnia degli altri venturieri lette^ 
rati di queir età, piil modesto però da conoscer bene il pregio dell* opera 
propria, se, preeentaDdoei ai posteri in poche pagine autobiografiche, sce* 
glieva per sé 1* epigrafe virgiliana: 8uni ìaenfmùt rerumA S* accosta pili al 
Chiari che al Piazza, per 1* amore al fiintastico e al meraviglioso, e per la 
forma autobiografica, ehe predilige. Poi il gusto per 1* allegorìa cominciò à 
invadere anche il Romanzo, e su 1* esempio, al solito, di Francia si ebbero 
// GùngruBO di CU$ra deirAlgarotti, un Viagfio M'itola li'^iMoré di uh 
Borromeo, un anonimo Naufragio friict mi mare d§l ditingmnno, (p. 214 e 
segg.Xche lia qualche tocco rìlevato e vivace, e alcune figuro bravamente 
descritte.* A tutto codesto rigoglio del romanzo, maggiore che mai ti^ Ìl 
1750 e il *70, non mancò la parodia, per 1* appunto com*era avvenuto iu 
Germania molti anni prima ; ^ e Francesco Gritti veneziano, buon cultore del 



t Coti neUa ooaolnslone d'una sua Oominedia Chi la dura la nne*, oompinU in 'rreviso 
l'inno 1811, che il M. diee mai rappretentata, edita in Vanesia daUa atamperia Molinari 
nel 1823. 

s Neil' avvilo che va innanai a / d§Uri ddU a»Um$ amanii, l'editore Baaaaglia, Veneiia 
1783, prometto la ristampa di due altri romanci 1m ItmoatUt peruguiiata e La Moglit attua 
wuariiù, ohe mi pare dia come cose del Piasaa; il Maroheei aggiudica il aecondo al Chiari 
{Afptndicé HbUogrt^^, p. 400;. 

s Del RotOt che un ammiratore contemporaneo dice e ingegno bisiarro », è alle atampe 
un Baccanale, felice imltasione del Bedi e del Bamifaldi, ohe il dott. Yortanato Federici, 
bibliotecario deiruniveraità di Padova, mandava nel 1823, in oocatione di nosie, al dottor 
Floriano Caldani prof, di Anatomia in detta Università. 

4 Gap. XV. Il M. dà il aeoondo romanio del Foppa, U Memorie dtl MarehtM i'Aaimrg; 
come stampato nel 1776; nel cap. V delle Memoirì» il Foppa l'assegna al 1778. 

ft Un CongrtMo di Pomato, stampato a Ferrara nel 1774, sensa nome d* autore, per Giu- 
seppe Barbieri, mi pare abbia rapporti col romanzetto allegorico piuttosto che col romanso 
galante, almeno da quanto si può argomentare dalla notizia che se ne legge nelle KwtlU 
dèlta Hip. Uit. di Vtntzia per l'anno 177S, p. 71. 

• Ricorderò un' Antipamtla, sensa nome d'autore "orf^r di» inldtkti faltcht Unsdmld in 
in dnt BtgahtnhiiUtì dar Sgrtnt, Tedi K. Qoedeke, loo. cit. La Famtla era stata tradotta io 



DBIXA LimiUTURA ITALUNA 107 

palrio dialetto, «rgoto parodiata del teatro oootenoporaneo e gran tradaUor^ 
di cose francesi, mandò per le stampe, sotto il nome di Dottor Pi(-Puf le 
Memorie del sig, Tommaaino, che sono un documento di satira piccante e 
giadiziosa. Peccato, dice TA., che T opera restasse interrotta (p. 222). 

U cap. V oi porta nel gran mare dei romanci eatirici, fUoaofici e morali, 
asciti in sul finire dd secolo, quando le facoltà del pensiero parvero raffi* 
qarsi nei presentimento de* moti che sopravvenero. Dà nn largo estratU> 
d*an amplissimo e bizsarro romanzo del yeneiiano Zaccaria Seerimaa, or- 
dito sa qaello sfondo di divagazioni e di viaggi, i^aro agP Inglesi, in regioni 
chimeriche, tra abitanti immaginari, nella contrada delle Scimmie» in qn^Ua 
dei Cinocefali, poi neUa fortezza dei venti, nel castello delle misure, nei oaimpi 
della miseria, mescolando stranamente il positivo e TaUegorloQ, il reale a il 
fantaatico, il verisimile a il mostruoso e grottesco. Vi sono accenni saliripi 
ai costfimi del tempo, r amore morboso per i cani, per le discussioni fiioso- 
fiche, per mode e riti ohe ebbero le eleganti frecciate del Perini e dell* Al* 
fieri ; ma il tutto con prolissità, ripetizioni, monotonia, goffaggine e mancanza 
di genialità (p. 241) e di vita interiore, che del resto sarebbe semplicità 
cercare in quegli scrittori* — Vengono poi i romanzi morali e eatirici di 
6. Goeai« dove, a dir il vero, il romanzo ci vuole na pò* di sfòrzo a tro^ 
varcalo; due romanzi del Casanova, uno dei quali, d* inspirazione gulive* 
rkna, perché scritto in francese eccede i confini del tema; nondimeno 
VA. ne dà la trama (p. 251-264), come di cosa importante e ormai fatta 
rarissima.* Accenni evidenti di satira, piU politica che personale, VA^ trova 
néìVAbariUe di Ippolito Pindemonte; romanzo uscito nel 1790, aspramente 
giudicato, e * ormai affatto dimenticato, (pp. 266-261); la Russia la (Ger- 
mania la Francia vi sono sotto finti nomi descritte na'loro difetti, eoo qufil- 
ebe esagerazione, dal giovine viaggiatore italiano, che solo nella iiTtfOf'd ^a- 
landa (1* Inghilterra) trova un paese ideale e degno d* ogni encomio per piil 
rispetti. Per qnesto forse VAbarith piaceva ali* Alfieri, e per qnella taggiara 
tinta di francofobismo, che raggiungerà nel MitogaUo un astio senza esempio, 
e che in Ippolito non esce dai limiti d*ttn sereno ottimismo. Se non che 
il secolo, che s* affrettava ad altro, parve anche fastidire il romanzo filoso- 
fico, sia pure con buoni intendimenti satirici e pregj artistici; occorreva 
mutar strada, e in quel trepidare e imbaldanzire degli animi, si cercò un anti- 
doto alle pericolose novità, con un ritorno alle narrazioni educative snllo stam- 
po del Tekmaoo (p. 264). Il nostro romanziere pedagogista fu il sig. Miche|atti, 
aquilano d'origine, e il suo Monte Areieo, o della virtù, venne a dettare 
Parte del governo, senza sogni di grandezza e di gloria, a un prìncipe ere- 
ditario, cbp era U figlio di Carolina d* Austria e d*un Borbone spergiuro 
(p. 265).' Ultimo esampio di romanzo didattico, che preludoi di lontano, tiì 



Occmini» Bel 174S, da« snni iiriaM oha in Ilalis, éore U prin» tradnsioiMt smobAo tt M., 
n»MM àék ITUi parò le NceeìU ÙUrammtim* p«r l'anno 1742, p,167 d*iiao noUsift d'UM 
tradasione della Pamtia, oome uno de' ptd celebrati romanal. 

1 8* inlMoias Uemmurmt^ eu kitéetn d'SdmtoHl é, d'KUeabtik, eon la IndteMloae di Fraga, 
nella atamperla della Sonola normale ; p. 261 e legg. 

> T7n stoni, di qnel tempo, ohe ai atampaTa e ICantora {Oiem, detia LtU. liaL per 1* anno 
nM,tom.III, par.n) ne data notliia eon parole pvo^ benevoli; lo dice " lananido, dlAiap 



lOS RASSEGNA BIBIJOORAPIGA 

romanzo patriottico d*UQ*età più prossima a noi, e si collega sAV OriiSf per 
il sentimento e la forma epistolare intercalata qaa e là tra la narrativa e 
la dialogica, è il Platone in Italia di V. Goco, che * ancora si legge e fa 
' pensare, insegna ed educa , (p. 273). ^ 

Con il sesto cap. eccoci finalmente a due nomi conosciuti: ad A. Verri e 
al Foscolo, alle Avventure di Saffo e ali* OH18, un romanzo erudito d*argO' 
mento greco e un romanzo di passione d'argomento contemporaneo. L*A. 
se ne risente, e anche lo stile pare che si ravvivi dopo un tanto aggirarsi 
tra ' ignoti e dimenticati ,. Il capitolo è de' più densi e geniali. Vi ai 
ricordano i primi tentativi di romanzo storico anteriori al Verri (pagine 
278-281), le traduzioni di consimili opere, dovute al diffondersi dell* amore 
per gli studj storici e archeologici in quello scorcio di secolo, da* quali, 
forse, attinse il Verri inspirazione per la Saffo.* Alla Saffo tenner dietro 
le Notti romane ; poesia di sepolcri ed eloquenza di silenzj e d* ombre, che 
più sotto 1* Autore definisce, con ragione, un poema didascalico in prosa 
(p. 294), e la Vita di Erostrato, dove nella struttura e storicità del perso- 
naggio altri volle trovare un adombramento del Bonaparte. Ma già altre 
correnti di opinioni e di idee entravano nel dominio delle lettere, e or- 
mai la storia dello spirito irrequieto, che vede una dopo 1* altra dileguare 
1* idealità vagheggiate, ò nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Il M. ne rifa, 
valendosi di recentissimi studj nostrali- e stranieri, la genesi, ben differente 
da quel che n* aveva scritto il Garrer, uno de*primi biografi del poeta; narra 
delle vicende esteriori e dei moventi psicologici che condussero alla com- 
posizione del romanzo;^ tocca della popolarità della forma epistolare e della 
materia di sentimento in romanzi allora di moda, e della facile discendenza 
dal Richardson e dal Rousseau al Foscolo (p. 306), che trovò nell* ambiente 
storico-sociale il soggetto per un racconto d* amore compenetrato di senti- 
mento patriottico e di spirito filosofico, volto ali* indagine d*un problema, 
che aveva richiamato 1* attenzione di tanti altri. ^ E cosf V Ortis quanto al 



perdente!! in ooee minute eoo. , In qnel tempo, o giù di li, un altro aquilano Orazio Antonio 
Cappelli dedicava al Re oattolioo delle due Sicilie un poema fliosofloo in quattro libri 
Della Ugge di Natura» in Napoli preaeo Donato Campo, che ei chiude con le Iodi al governo 
del Principe t {MagauMino Toscano, voi. 12.). 

1 Un sentore di satira personale, perduto per noi, doveva essere nel FtaieH«, specie nel 
Tom. II, dove sotto la figura di Nicorio è vivamente e neranunte dipinto Monti, come diceva 
con dolore il Manzoni, scrivendone all'amico G.B. Pagani in data 6 settembre 1807 {Hpitt, 
Voi. 1.); nelle Edizioni posteriori alla prima milanese il luogo in discorso fu soppresso. 

s Un anno prima della Saffo era uscito in Parigi Àgalhon et Déidami» par M. de... oha 
svolge una scena d'amore tra notizie archeologiche nell'isola di Paros e in luoghi vicini 
ad Atene. E poichò sono a codeste citazioni, ricorderò un altro racconto di quegli anni, 
posteriore di poco alla SalTo, stampato a Florence, Imprimerie de la rose, indicazione fitlsa 
senza dubbio, di certo sig. Imbert, che pone la scena a Troia, prima del famoso assedio. 

8 II M. scrive che il romanzo uscì in Bologna nel maggio o nel giugno del '99; Foscolo 
dice 'verso la fine, di quell'anno; Notista Bibliogr. dettata per l'edizione londinese, che 
invece fu fatta a Zurigo. 

4 Alle rare notizie in proposito (p. 308 e sega.) aggiungerò, ohe alcuni anni prima da 
un giovine piemontese, il cav. Viale, era stato pubblicato in Genova per il Franoelli sotto 
il bel nome di Canti del solitario delle .Alpi un poemetto in ottave, tutto sul Suicidio. Vedi 
Oiom.deUa LpH. Ital. per l'anno 1793 dove è recato anche nn sonetto del medesimo autore 



DBLLA LBTTBRAtURA ITAUaNa lOd 

Soggetto e air arte, parve * suggellare un periodo della stona del romanzo, 
" e finire un genere passionale , anziché aprire la via a un nuovo indirizzo 
artistico (p. 320). Lasciamo air A. rispondere de* suoi giudizj. e avvertiamo 
rimparzialità con la quale si comporta nella controversia dei rapporti tra 
il Werther e YOrth; proclive a scagionare il Foscolo dalla taccia di bu- 
giardo, che in questo proposito gli fu affibbiata, pensa che Teroe del nostro 
romanzo è più vero del tedesco, più psicologicamente consono alle situazioni 
che Io sospingono alla tragica soluzione finale. In materia non del tutto 
nuova, ha trovato modo di dir cose non dette e interessanti, e scrivere 
pagine che mi sembrano delle più rapide e convincenti. 

Né meno importante ò il capitolo ultimo, VII (pp. 326-334), fatto in gran 
parte di considerazioni generali, fondate, s'intende, su documenti e prove che 
TA. ha raccolto da opere di critica e di amena letteratura, commedie, no- 
velle, corrispondenze, giornali, memorie; e dove anche si trovano tante que- 
stioni collaterali suirutilità del romanzo, combattuto da* Giansenisti e da* Ge- 
suiti, da trattatisi e da predicatori ; sul suo diffondersi e prevalere come forma 
connessa con 1* estetica e 1* anima del tempo; sopra quel suo accompagnare 
e cooperare al risvegliarsi della coscienza morale e civile e al raffinarsi del 
sentimento, ali* entusiasmo per la scienza e la filosofia, ali* amore per le in- 
dagini della storia, nella quale, un pò* più tardi, cercò fatti e soggetti, che po- 
tessero accendere altri sentimenti, che non i soliti dell* amore e della galan- 
teria per carezzare le orecchie patrizie. 

Dalla vergognosa celebrità del Chiari, come la chiamò un giudice forse 
un pò* parziale (p. 332), che fece del romanzo un guazzabuglio di cose sor- 
prendenti e scomposte, al Foscolo, che diede al tomanzo la consistenza 
d*una vera e propria opera d*arte (p. 319), TA. ha tracciato in questi suoi 
studj il cammino da esso percorso nel secolo, che sta scritto in fronte al libro. 

Al quale come siasi apparecchiato, con qual corredo di materiali diligen- 
temente raccolto ed elaborato, oltre le ricche notizie bibliografiche, messe a 
lor luogo nel testo a pie* di pagina, fa fede la seconda appendice, dove sono 
catalogati i romanzi italiani e tradotti del sec. XVIII : a centinaia, benché 
nella breve nota, che va innanzi, accenni ali* imperfezione e deficienza del 
Saggio, giustificate dalla difficoltà di simili ricerche. ^ 



pieno di quel tetro maliucouico e fantastico, che è in tanti scritti di quel tempo. Del reato 
molti anni prima Appiano Buonafede aveva pubblicato iu Lucca una Storia critica < filosofica 
dtl suicidio ragionato, {n»lì% Stamperia di V. OiuDtial, 1761), dove tra altri maestri di quel- 
l'atto cita un'apologia del suicidio ardita ed eloquente fatta dal Montesquieu nella set- 
tantaquattresima delle Uttie» Peiaane»; veramente è la LXXVI nell'ediz. Oarnier Freres, 
Paris. In quella storia Ciomaziano ricorda parecclii moderni, oltro gli antichi, ohe prima di 
Werther e di Ortis s'apparecchiarono al suicidio con pieno conviucimeuto. 

t A p. 386 del Saggio dà le Diagraiie d'Urnttia.Moztk nome d'autore; una edizione bo- 
doniana, Parma 1793, lo dà come opera di Carlo Benvenuto Rebbio conte di S.Raffaele: e 
credo aia del medesimo una Emiréna, romauzo educativo stampato dal Malatesta in Milano 
nel 1776. — A p.397; Vita del Barone di 2V«mA:. edizione del 1789. Italia; non so se sia una 
stessa cosa con una ohe è data come traduzione dal fl:.inoe8e e l'indicazione lialiot in 
Milano prèsso Giacomo BoriUi. — A p. 389, Mtmoris della Duchessa di Kingston ; molto prima 
dell'edizione veneziana, se n'era fatto an transunto per il Oiomals d$lU nuose mode, anno 
1788-89 tom. VI- VII. — Aggiungerò: Abdeksr ansia l'arts di conoscsrs la bellesMa^ romanzetto 
galante, pieno di fredde allegorie, tradotto dal francese; Italia. 1787. — UlUre ingleai di di- 



ilo RA88feGNA BlBUoelUriCA 

Troppe altre citazioni e oaaerTazioni richiederebbe la copiosa materia dal 
volume, specie dove, senza uscire dal sog^lto principale, si stende in ri- 
eerche comparative e rafifronti con opere simili di altre letterature, già adulte 
e rigogliose, dove il romanzo era davvero la dimostrazione dell'indole e dello 
spirito di quelle genti, e rappresentava, comunque, una vittoria della moder* 
Dita sulle grandi forme tradizionali dell'arte classica, cbe a quella genera- 
zione impaziente e audace, desiderosa di verità, non parevano le più adatte 
a servire come mezzi di propaganda. •— Ha non voglio abusare oltre della 
eoKese ospitalità della Rassegna, contento d' aver messo in chiaro i pregj e 
r importanza del lavoro. T. Goncari. 



Lewis Einstein. — The italian Reiìaissance in England Studies. — 
New York, The Columbia University press, 1902 (8.** picc, 
pp. XVI-420). 

Non veramente di «Stndj», come si legge nel titolo, si tratta; 
bensì di un^opera complessiva di divulgazione. Che se qua e là 
Fautore ha occasione — come vedremo — di esporre i risul- 
tamenti d* indagini proprie, per lo più egli altro non fa se non 
raccogliere da fonti stampate, antiche e moderne, sommarie no- 
tizie sugF importanti quanto vasti soggetti, che negli otto capi- 
toli del suo lavoro viene sinteticamente svolgendo. 

È un libro questo del signor Einstein, che può aspirare prin- 
cipalmente al vanto d* invogliare gli studiosi a rivolgersi ad un 
campo ch'egli nella prefazione non a torto chiama mezzo ine* 
splorato. Il disegno della grande opera, a cui la fortuna delle 
lettere italiane in Inghilterra durante i secoli XV e XVI merita 
di offrire argomento, c'è già in queste pagine, giudiziosamente e 
maestrevolmente tracciato; anche la disposizione della materia 
dovrà essere certo non diversa da quella che qui le è data. Ma 
perché tale opera possa esser scrìtta con quella copia di notizie 



ttrse ditme trftdoite dairinglese; l'aatore dev' essere italUno, come si può argomentare dalla 
notizia cbe ne davano le Sonile Itti, di Veneeia per l* anno 1764» p. 40. — Soffno, tndaxiooo 
dal ftanoese, con aggiunte e note; Milano. 1775 presso Oaleaui.— Anna lf<i/, storia Inglese, 
Milano 1776; la tradoclone italiana è dedicata t all'autore oblarissimo del Libro del delitti 
e delle pene ». — Lt iitgroiU del dettino onero 1 Pausi fur amore con rami, Italia 1778, prtooù 
I librari mercanti di noeita MeMo etamperia Firola. — Noterò per nltimo ohe a p. 415 il M. dà 
tra i romanai L'Uliète il giovane dell' ab. Lazsarini, ohe è il titolo d*nna tragedia del Las- 
zarini stampata tra 11 1719 e 20 a Padova e a Ferrara; equivoco, come VA. medesimo mi 
avvisa, incorso a cagione di nn Catalogo di libri italiani del fa signor Plonoel, avvocato al 
Parlamento di Parigi, nel quale catalogo sotto la mbrica Romanri p. 318 tra gli altri è citato 
l' Vtiitae. — Un romanaetto pastorale dev' essere anche II Monte Liceo del Savioli, opera gio- 
vanile sull'andamento AeìV Arcadia del Sannaszaro; 11 trovarci de' versi tramezzati alla 
prosa non guasta, perché, per esempio, erano in versi sncbe 1 romanzi di Riccardo Blakmor, 
che O. Oozzi. in nota al Saggio di critica del Pope, oant. UI, chiama lo Soudery dell' Inglill- 
tarra, e del quale si diceva ohe ogni anno partorisse un grosso volume. 



dbllà lrtsbatoba italiana 111 

ch^è desiderabile, occorre che prima veng^a condotto molto in- 
nanzi il lavoro monografico preparatorio; occorre che sia prima 
bene dissodato il terreno sn cui si dovrà edificare, mediante le 
indnstrì fatiche di eraditi inglesi, americani ed italiani ; occorre, 
insomma, che si faccia per Tlnghilterra ciò che per la Francia 
son venuti e vengono facendo, oltre a qualche nostro connasio^ 
naie, il Picot, il Vianey, THan vette ecc.^ Con ottimo pensiero, 
tre professori americanii G. E. Woodberry, J« B. Fletcher, J. £. 
Spingarn, hanno in questi giorni messo mano alla pubblicaeione 
di un Journal of comparative Uterature, sotto gli auspicj della 
Columbia University di Nuova York.' Giova augurare, che con 
questo mezzo, e mediante la serie degli studj di letteratura com^ 
parata editi dalla detta Università, dei quali anche il volume di 
cui parliamo fa parte, si riesca a mettere insieme tutto il mate* 
riale che occorre alla costruzione del desiderato edifizio. AirEin* 
Stein resterà pur sempre il merito d^ esserne stato il primo ar*- 
chitetto. E se la sintesi finale sarà affidata a lui, tanto meglio. 

Vediamo intanto e i pregi e le lacune del libro che ci sta 
dinanzi. 

Nel primo capitolo si parla di coloro che primi ammirarono, 
e fecero ammirare, in Inghilterra la cultura umanistica. Sono 
eruditi e mecenati: fra questi ultimi, dì gran lunga più beneme- 
rito di Ogni altro Umfredo duca di Glocester. Le notizie che TEin*- 
stein dà intorno ad esso e ai letterati italiani da lui protetti 
poco aggiungono a ciò che si ricava dal Creighton ^ e dal Voigt.^ 
L^ autore avrebbe potuto arricchirle giovandosi delle pagine che 
il Borsa nella sua monografia sul Decembrio ^ dedica al duca di 
Glocester e ai vincoli che lo strinsero ai nostri umanisti, in ispecie 
a Tito Livio da Forlì. Sul quale, del pari che sulla corrispondenza 
del Decembrio col Duca, gli avrebbe inoltre giovato conoscere 
un altro scritto sul celebre umanista di Vigevano: quello del 
Qabotto.^ 

1 Vero modello di coef fatte monografie mi sembrano le doe reoentiasime di E. Piocyr: /^« 
HaUeiiM nt Firme* au Xfl. mUcU, 1. serie (Bordeaux, 1902, eetr. dal Bull, italim) e Dts Franca 
qui ùtit icrit tìi Hnlién au IVI. tiècU, Parigi, 1902, (estr. dalla Hn, ita hihUoihéqwi), con le quali 
il mio dotto amico ai viene preparando a quella Hittoire de la lilier.ital.9n Fiance au XYI. 
wiéeUt ch'egli promette, e che riaacirà certo magistrale e in ogni parte compiuta. 

> Han promesso di oollaborarTi anche una ventina di comparatisti stranieri, fra eoi otto 
iUllanl. 

s The Earlff Renaitnanee i» Bftgland, Cambridge, 1896. 

4 Die WiederteMmng dee chue. AUerihuma.i Berlino. 1893. Il cap. l.del lib. VI, che tratta 
dell'Umanesimo in Inghiterra,è messo qui largamente a profitto dell'Einstein. 

A Un umaniata wignanaaeo <f«l aac. XI f, Oenova, 1898 (estr. dal Oiùvn. ligit»iieo, XX), cap. U. 
Ofr. questa Ras»., I, 229 sgg. 

• L'attiwftà pottHea di P. C. Decembrio, Oenova, 1898 (estr. dal Oiorn. Uguatieo, XX), pp. 35-6 
e 39. Gir. questa Hana., loc. cit. — Il Oabotto quivi (p. 35) prometteva anche un lavoro spedale 



112 RASSBaNA BIBLIOORAPICA 

Anche ciò che l'È. ci fa sapere intomo agli Inglesi che nel 
secolo XV vennero ad erudirsi nelle Università italiane è troppo 
scarso.^ Si può dire, anzi, che serva soltanto a stuzzicar la nostra 
curiosità e, di conseguenza, a far sorgere in noi il desiderio d'un 
lavoro speciale sull'importante soggetto, simile a quello che, 
con diligenza e perizia, ha incominciato il Picot intorno àgli stu- 
denti francesi venuti fra noi.* Parimente, sugl'Italiani che inse- 
gnarono umanità ad Oxford, non troviamo in questo libro se non 
qualche accenno. Sarà vero che, com' è stato congetturato, il 
Grocyn e il Linacre — i quali formano col Latimer la tilade del- 
l' erudizione oxoniese nell'estremo Quattrocento — abbiano stu- 
diato in Oxford sotto Cornelio Vitelli? Di questo lodato latinista 
e grecista italiano, che fu, secondo Polidoro Vergili, il primo 
docente d'umane lettere in quella città, perché non dar notizia 
ai lettori? Il Vitelli fu anche professore d'eloquenza all'Univer- 
sità di Parigi, e in Italia insegnò a Venezia e, probabilmente, a 
Padova. Nativo di Cortona, non già di Corneto, come credette il 
Vergili,' egli è noto soprattutto per le sue scritture contro il Pe- 
rotto ed il Merula."* 

Molto più copioso di notizie è il capitolo secondo, che tratta 
dell'efficacia esercitata sul costume cortigianesco dell'Inghilterra 
dall'esempio delle corti italiane del Rinascimento e dai libri del 
Castiglione, del Della Gasa, del Muzio, del Guazzo, ecc. Notevole 
ciò che l'Einstein scrive del Book of honor and armes e del Honor 
militar and civil di Guglielmo Segar, della Fractise del Saviolo, 
del The nobles or of nobility dell' Humphrey. Curiosi particolari 



(ohe credo non abbia mai pubblicato) sulle relazioni italiane di Uuiflrcdo. — Giova osservare, 
che al Duca di Oloceater è dedicata una 'delle tante versioni dal greco di Lapo da Castl- 
gUonchio inniore: la Fi/^ d'/IrZ/fcerAf di Plutarco. Nella dedicatoria (ex Bouon la, H non. decem. 
1437). stampata per inten» nelle Vite di Plutarco edite dal Campano a Boms nel U70 (1.325) 
e parzialmente da F. P. Luiso. in Siudj ital. di Jiloìoffia clnssiea di Firenze, VII, 373-75, Lapo 
dice di avere avuto contezza dell'amore d'Umfredo per gli studj d* umane lettere da Zenone 
di Castiglione, vescovo di B«yeux (sul quale v. Borsa, Decembrio, cit , pp. 60-61). 

1 Oli sarebbe stato ntile vedere ciò che della dimora di Giovanni Tiptoft, conte di Wor- 
cester, in Italia e doUa dedica d' una versione di Luciano fattagli dal Griffolini verso il 1460. 
scrive Q. Mxmczmi, liyanc. OriffoUni coguominuto Fnmc. Artiino, Firenze, 18U0, pp. 30-31. Dir« 

* Francesco Aretino , soltanto (Einstein, p. 25) genera ambiguità; dacché può far credere, che 
si tratti del celebre Francesco Accolti. 

• /*e« Francai» à l' Unieersiti de Ftiraia au XW ti au XVI. siede, in Journal dea »artfnÌ9t 
febbraio- marzo 10O2. 

s PouooBX Y%&oiiAi Atiglicae liiiloriae, Basilea. 1534, p. 610: * Coruelius Vitellius, homo 

* italtts Corneti, quod est marltimnm Uctrnriao oppidum, natus nobili prosapia, vir optimas 
'graticsusque. omnium primus Oxouii bouas 1 itera» docuorat.. 

4 Cfr. TiRABOSGHi, Storia d. Ittt. it, VI. lib. 3.o, cap. V, § 66 ; Zeno, Votmiaut, II, 64, 83 ; Hai> 
LAM, HinL de la litUr. de l'Hurope, traduz. di A. Bor^beni, Parigi, 1839, 1, 234-35, 276; Cbkvibb, 
Jiigt.de VUnie.de Parit, IV, 439, 441; G. Mamcxwi, Il contributo dei Cortcnesi alla cttUnra itid., 
Firenze, 1898, pp. 21, 25-26. 



DKLLA LBTTBRATURA ITALIANA US 

egli ci offre cii^ca allo « sport », alle maschere ed alle mode che 
gP Inglesi nel Cinquecento imitavano dagP Italiani; e fa giuste 
osservazioni sulle teoriche intorno alP amore e alla donna, sul- 
ridea del perfetto cortigiano e diplomatico, sulle dottrine stra- 
tegiche, ch'essi imparavano allora da noi. La conoscenza del no- 
fi^ro idioma alla corte d'Enrico Vili e poi della regina Elisabetta; 
le fàiiche di Giovanni Florio, figlio d'un profugo protestante ita- 
liano, ad incrementò di tale conoscenza; infine l'impronta essen- 
zialmente italiana data in Inghilterra, durante il secolo decimo- 
sesto, COSI alla vita dell'alta società, come all'educazione femmi- 
-tiile, offrono argomento all'nltima parte di questo capitolo. 

Al qnale ne tien dietro nn altro che, a mio avviso, è il mi- 
gliore del libro. Tratta degli Inglesi che nel Rinascimento viag- 
giarono per l'Italia, ammirandone gli splendori artistici, e ne de- 
scrissero ai connazionali le bellezze ed i costumi. In questa parte 
.del suo lavoro l'Einstein s'è valso di materiale difficilmente ac- 
cessibile a noi Italiani, od anche inedito nelle biblioteche del 
Regno Unito; ^ onde ha fatto opera veramente utile, per quanto 
suscettiva di non pochi accrescimenti. Ed utile, ma troppo som- 
mario, è ciò che nel capitolo seguente (di sole venti pagine) egli 
nJice del fanatismo britannico per le cose nostre e del conseguente 
grido d^ ali* armi contro il « pericolo italiano », per cui l'« italia- 
€ nate englishman » divenne oggetto di riprovazione e di sarcasmo. 

Deficiente, invece, mi sembra il capitolo V, con cui si apre la 
seconda parte del libro. Il soggetto, attraentissimo, — « GÌ' Ita- 
« liani in Inghilterra: ecclesiastici, artisti e viaggiatori » — me- 
ritava di più e di meglio! La questione se Dante fu ad Oxford 
vi è appena accennata. ' Fra i dotti della nostra nazione che 
varcarono la Manica, non veggo ricordato, né qui né altrove, quel 
Girolamo Balbi di Venezia, tipo d'umanista vero (nel senso pili 
lato del vocabolo e sul vecchio stampo italiano), che le famose 
polémiche coU'Andrelini, col Tardif, col Gaguin ^ costrinsero verso 
il 1496 a lasciar Parigi, dove professava umane lettere, e a tra- 
sferirsi in Inghilterra.* Di Andrea Ammonio della Rena da Lucca 



I Veggaal, a pp. 386-87, U Usta dcKli Unglish acctnwtt 0/ Haly in the sìxUtuth centurff. 

> L'È. dice soltanto: « It han even beeu thoiight by some, that Dante atndied tbeology 
e there > (p. 180). Eppure, quel che In proposito ebbero ad osservare il QLASSTOifK (In Nifi*- 
Utnth centui-ff del giugno 189^), A. R. Harbh (In The nation del 27 aprile 1893) ed altri meri- 
tava d'esser discusso. Cfr. A. Makenduzzo, Se Ihtnte fu ad Oxfoftl^ in Aa Hcinliìia^ X. un. 18 sgg. 

3 Vedi in proposito Ia.Q%iq%u, Siudien sur 6e»ch.d. frantói. HumnniB\n%i»t in Vierteijabr»- 
aehriflf.KuUw u. Litter.dtr /TenaiMaiiff, 1, 1-48. 

^ Sul Balbi, oltre all' Agostini {Scritt. venen., l\, 240 sgg.), al Mazzuchklli {Scritt. d' IttUia, 
II, I, 83) e al Tzbaboschi {Storia, I00. oit., § 65). v. i miei StudJ di sttoria letter. Uni, e straniira^ 
liivomo, 1895, pp. 206-7. 



lU RASBBONA BDIMOOBAriCA 

(m. 1517) è qui ricordato, incompinfcamenie, il Domd ^ e poco piu^ 
laddove egli avrebbe dovuto campeggiare nel capitolo di cui par- 
lìanio. Non lieve efficacia ebbe, in fatto, sai conterranei d^ado^ 
zione questo grande amico d* Erasmo,* che diventò segretario ddl 
re d'Inghilterra per le lettere latine, e si procacciò la stima di 
uomini come Tommaso Moro e Qiovfinni Golet ' I suoi Poemata^ 
fino a noi pervenuti, che lo mostrano in relazione con alti digni-» 
tarj britannicif la sua Scotici conflktus historia e il D^ rebus niAtli, 
di cui abbiam notizia dalle lettere deir umanista di Rotterdam, 
certo giovarono a rafforzare nella patria dello Shakespeare lo sto-* 
dio e r amore delle lettere latine.^ Similmente, oontriW non poco 
a diffondere presso codesta nazione la cultura umanistica qnel 
Polidoro Vergilio o Vergili, di cui T Einstein nel suo libro avrebbe 
dovuto trattare, per quanto sommariamente, con ben maggiore 
accuratezza. ^ 

Dopo aver discorso brevemente degli artisti italiani in Inghil* ^ 
terra, dei libri in italiano quivi stampati, de* nostri eretici ches 
come Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli, vi si rifn*- 
f^arono, degli ambasciatori veneziani e di quanti altri riferirono 
in Italia ciò che oltre la Manica avevano osservato, 1* autore vie- 
ne a trattare un tema che non entra propriamente neir àmbito 
degli studj letterarj: i mercanti italiani in Inghilterra. Noi ci 
contenteremo di notare, come qui T Einstein, pur valendosi d* uno 
speciale lavoro di E. A. Bond su tal soggetto, ^ esponga i risul- 
tameati di ricerche proprie nelPÀrchivio di Stato di Firenze e 
nei manoscritti del Museo Britannico. ^ La parte meno applrofon* 
dita di questo importante capitolo ci 9embra quella che rignarda 
r effetto prodotto sul popolo destinato a divenire il padrone dei 
mari dair esempio e dall'opera dei ;nostri navigatori, esploratori 
e geografi. Il bellissimo argomento vi è appena afiorato. Scarse 
ed inesatte le notizie su Pietro Martire d'Ànghiera e le sne Decaie$ 



1 La Tera forma del nome italiano d'Ammonio, efoggiU anehe al dlligentlaaimo Haz- 
ZVCHSLLI [Sari IL d'Italia, II, 646-47). ta troyata da C. LuccHniKi. ikUa $UHo UtUr. dti dne^to 
Ittcckenf, in Hem. 4 docum, per anité alta ttotia dtl dtteatQ lucchese, Lvooa, 1825, IX. 182. 

> Cfr. M. Bkicb. EiUMMut v, Rotterdam eco., in WestdenUelu ZeiUdwifl, enpplem. IX [1896|. 
136. £ vedi l*ediz. di Leida, 1710, deHe Opera omnia d'EiuaMO, ni.I, ool. 108 D, 403 B, 788 F. 

8 Cfr. 8. KnoKT, Thè life nf d,r John Colei, Londra, 1724. Quest'opera oontiene utili potide 
an Ammonio, dalle quali l'È. avrebbe potuto ricavar proiltto. 

« Cfr. E. O.Lkdos, Le» potete* latine» d'Andrea Ammonio delta Rena, In IUe,ds» HHiothò» 
^ue», maggio 1897. Ancbe qneato articolo, aoritto con piena conoaoensa delle fonti per la vita 
d'Ammonio, avrebbe potuto aomminlatrare all' E. il modo di trattar di lui come si conveniTa. 

• Oltre al Tibaboschi ed al Bayle, vedi eul Vergili 11 Commentario degli uomini iUuoiri 
d' IMtino, Urbino, 1819, pp. 96-100. 

6 ItiAia» merehant» in Rngland» in ArchneoUtgia, voi. XXVIIL 

7 Cfr. la lista delle Mantucript aource», a pp. 391-03. 



DBLLA LVrTKEATURA ITALIAlfA 115 

de orbe novo; ^ irriconoscìbile, sotto T appellativo di Luig^i Yer- 
tomanno da Roma, il viaggiatore bolognese Lodovico de Vartbe- 
ma, autore del divulgatissimo Itineratno. * 

Ed eccoci agli ultimi due capitoli del libro, che in sole cento 
pagine trattano delle e idee storiche e politiche «degli Italiani in 
« Inghilterra > e deir influenza della nostra letteratura sulla let- 
teratura inglese del Cinquecento. È facile capire, ohe si tratta d*un 
semplice excursus, à* un disegno tracciato a grandi linee, nel quale 
p»rti rilevanti del quadro rimangono nelP ombra. ^ Ed anche qui 
sviste ed omissioni ; ^ anche qui non è tenuto conto, quanto si 
sarebbe dovuto, di qualche scrìtto speciale.^ Ma, nonostante, la 



1 Pietro Martire non Ita nuil presidente del Ooneiglio delle iDdie, come afferma l' autore 
a paf. 379: bensì elettone membro nel 1018, venne confermato neH'nflloio aei anni dopo, 
quando si procedette al riordinamento di tale consesso. Qnest' errore V E. avrebbe evitato, se 
sul geografo d'Anghlera avesse messo a profitto le monografie di H. A. Schumaohbb, Piini» 
Mattar, dtr Ouekiekttehréibér dea WtUmetri», Nuova Tork, 1870; I. H.Mabiì/ol, P. M. d'Anghlera, 
Parigi, 1887; O. Pxminsi, P, M. d^A. e U 9ut ttUuiwi auU» •eoptrU oetanieke, in BaeeoUa di 
docum. e studj pubbl daUa Commi»9, Colombkina ecc., P. V, voi. Q.o (Boma, 1894) E in tal caso 
egli non avrebbe mancato altresì di notare, cbe il D« orbe Movenel 1687 fa ristampato per 
onra d'nn inglese, Biccardo Hacklnyt, con dedica ad nn altro inglese, il Balelgb; entrambi 
celebri negli annali della geografia. 

s * Lewis Vertomannns gentleman of tbe citie of Rome , è cbiamsto eflìettivamente il 
De Vartbema nella prima versione inglese del suo IHntrario (ofr. P. Axat di 8. Fhjppo, BiO' 
9r0/la dei eie^aiori ital, eoo.,* Boma, 1883, p. 337); ma l* K.'non doveva ometèare d'Identiflcare 
codesto incognito * Vertomannns , col ben noto viaggiatore e di soggiungere in proposito le 
opportune notizie. 

s Al tutto insufficiente, per esempio, ciò cbe si dice a pp. 363-84 sullMmitaisione italiana 
nella novella inglese 1 All'È, è sfuggito l'importante lavoro del Kosppbl, Studien eur Be»ek. 
dmr ilud. ScuOe iu der •»#!. Utter, dee X7I, Jahrk., Strasburgo, 1893 (fliio. 70.o delle QueUen «. 
Fwreckunffen mw Sprack - u. KuUurgewh. d, §erman. YóUttr)i lavoro che, inietti, egli non cita nella 
BUdicgroJla insieme cogli altri del medesimo autore. Vedine riassunti 1 rlsultamentl princi- 
pali nel mio Cinqtueenic, Milano, 1903, p. 480. 

4 Dello Zodiaeua witae del Pallngenio TE. cita a p. 346 la versione incompiuta del 1561 
{The fini eix òesès etf Jf. P.). Ha essa usci per intero alla luce nel '65; e i primi tre libri il 
Qooos aveva già pubblicati, tradotti, nel '60 (cfir. E. Tbza, lo Ztdit^me eilae d* Pier Angelo Mau- 
MoUi, Bologna, 1888, p. 11, estr. dal Propugnatore). — L' Aminta del Tasso TE. erede sia stata tra- 
dotta in eeametrl latini da Tommaso Watson nel 1687 {corrèggi 1686). Trattasi, invece, di undici 
Qtureìae dal Watson medesimo composte col titolo A'Aminta, che con la pastorale tassesca 
nulla hanno di eonune. Cfr. Solerti, BibUogr. deWAwUeUa, in Opere inAMn in ersi' di 7*. ftsee, 
Bologna, 1896, UI, esiv m. — Che il Cromwell abbia detto al cardinal Polo d'aver preao a 
guida della sua condotta li Principe del Machiavelli, afferma il Polo stesso ; ma 1* E. non do- 
veva tralasciar di notare, che la veridicità di tale asserxioue è stata impugnata dal Bbosgh, 
(Siech, von Knglttnd, Gotha, 189U, VI, 369 (cfr. Vizxabi,ìV. Mach, e i euoi tempi,* II. 4S8-84). 

B Sul soggiorno di Giordano Bruno in Inghilterra, era da mettere a profitto nn articolo 
di A. Valoimiou, in ìm eita ital^ I» 19 (v. anche L. Auvbat, 0. B. à Parie, estr. dai Uém, de la 
Soeiélé de fEiet, de Parie et de V lie-de-France, XXVII [1900). p. 9). • Buone notiiie snll'lmitaaione 
del Sannazzaro nello Shepheard' s Cnlendar dello Spenser e nell' il reodta del Sidney, 1']^ poteva 
ricavare da nn noto scritto delToBBACA {Gl'imitatori eiranieri di J, Sannazaro,* Boma, 1883, 
pp. 71-78). — Intorno alle imitazioni del Wyatt da' nostri satirici, non si doveva trascurare la 
memoria di P. Bellkzza. in liefidic. del K. letituio lombardo, XXX, fase 8.» — S' avverta per 
ultimo, cbe della vasU e bella opera di A. W. Wabd, A hietorp of engtiek dromeitie Merature 
eoe, di cui TE. cita ed adopera Tedia, del 1876 in due volumi, una nuova edlsloBe riveduta 
*e corretta, in 3 volumi, ai ò pubblicata nel 1899 a Londra. 



116 aABSBOMA BmLIOOtUFlCA 

lettura di quest'ultima parte del libro giova a dare unSdea com-* 
plessiva dei molti debiti che gP Inglesi hanno coli* Italia in ispecie 
per ciò che si riferisce al magistero dello stile, deir elocuzione, 
del verso. Ed oltre che utile, riesce piacevole, per la vivacità del 
dettato e per la copia di assennate osservazioni. 

Delle quali — giova notare per ultimo — non è penuria nean* 
che negli altri capitoli del libro. Anzi in ciò sta la maggiore at- 
trattiva di esso e il maggior merito delP autore. Chi voglia aver 
sott* occhio una specie dMn ventano, ben ragionato, di quello che 
nel Rinascimento P Inghilterra attinse alle vivide sorgenti della 
nostra vita, della nostra cultura e delF arte nostra, percorra da 
capo a fondo questo volume, che, anche per Passetto tipografico 
e per le belle illustrazioni che lo adornano, piace e diletta. 

Fbaxcbsco Flamini. 



COMUNICAZIONI. 

I VERSI COMUNI A PIBTRO DA BARSEGAPÉ E AD UOUCGIONE DA LODI. 

È noto che il Tobler, pabblìcando nel 1884 il Libro di UguQon da Laodho, 
richiamò T attenzione degli studiosi sul fatto che vaij gt*uppi di versi si ri- 
trovano uguali, con varianti di poco conto, nel Sermone del Barsegapé, e 
eh* egli dette ragione di questo, certo non fortuito, accordo,, supponendo che 
il Barsegapé si fosse senza scrupolo giovato, a scanso di fatica, dell* operetta 
del suo pili vecchio collega. Al Tobler fecero eco coloro che più tardi parla- 
rono o deiruno ò dell* altro dei due poemetti, e ricorderò il Salvioni, Giornale 
storico della letteratura italiana, XXIX 453 n., e il Keller, nella sua edizione 
crìtica del Sermone, 7 A Io mi sono persuaso che le cose stieno in modo assai 
diverso, e mi provo a darne qui una dimostrazione, che vorrei riuscisse chiara 
e convincente. 

disaminiamo i passi che il Barsegapé avrebbe tratto dal Libro di Uguc- 
cione. Tutti, ad eccezione di uno, che per ora lascio da parte, si trovano 
verso la fine del poemetto, dove i vv. 2180-2^01, 2220-23, 2234-45, 2264-69, 
2272-79, 2294-319, 2334-67, 2384-92, corrispondono rispettivamente ai vv. 
171334. 1739-42, 1743-54, 1757-62, 1763-70, 1773-98, 1801-34, 1835-43 di 
Ugnccione. 

Nel primo passo, il Barsegapé comincia a descrìvere il Giudizio Univer- 
sale, parafrasando molto fedelmente San Matteo, 25, 31 sgg. Si noti che della 
sua fedeltà al Vangelo il Barsegapé se ne tiene e ne fa quasi pompa davanti 



1 Die Rfim/trfdigt d*f PUtrù dn Barwgnpé, Kriliseher Text mii KinWivM^, Orammaltk u. Olonar, 
krggpb, 9. EiOL lt«T.T.»». Franenfeld, 1901 {Beilnge attm Progrnmm der TJnirg, Kantonachttlé fùr 
da» SchutJQhr 1900 1901), 



DBLLA LBTTBRATURA ITAUAnA 117 

ai suoi uditori. Parlando della venuta di Gesii Cristo sulla terra, dice espres- 
samente (y V. 404-5) : 

•o vel voUo oninUure 
■egoudo lo Vangelio: e'I'ò trscto in valgare.' 

Noi crediamo che gli si deva prestar fede, almeno fino a prova decisa- 
mente contraria. 

Dice San Matteo: ' Gum autem vebérit Filius hominis in majestate sua, 
et omnes angeli cum eo, tunc sedebit super sedem majestatis suae: et con- 
gregabuntur ante eum omnes gentes, et separabit eos ab invicem, sicut pa- 
stor segregat oves ab haedis ...... 

E il nostro traduce: 

ai68. — E la divina maiesti. 

la pretloaa podestà. 

JhesQ Cbrlate, lo Deo poacenta, 

monto .forte o grande mente 

se ponerà suso la cadrega, 

e davanzo la la nobel scbiera, 

e ca^ri e tubatnrl 

e li grangi e li mennri. 

Ominnoa homo debia li andà 

a quelo arengo generi. 

Molto tosto e prestamente 
ai79. — aaemblarà tuta la «ente: 



2202. — Partir i anWL lo Segnore 
si Como fa lo bon pastore, 
ki mete le pegore dal'nna parte 
e li caprili mete desvarte. 

È evidente che fra questi due passi non c'è soluzione di continuità, e 
che rendono esattamente la descrizione del primo dei Vangeli. Non si desi- 
dera dunque nulla di pili. Senonchò fra V uno e 1* altro sono inseriti 22 versi 
di Uguccione (1713-34), i quali cominciano: 

2180. — Le grande vertne dal cel vera. 
In Jesepbat la oondnrà 
r altissimo veraxe Deo 
per 9 adi gare Io bon e '1 reo, 

e dopo aver descritto i segni minacciosi del cielo, ecc., conchìudono così: 

2200. — Oi Deo, cnm seran beai 

kiUi k'eran mondi trovai I 

Si può forse discutere sul buono o cattivo accordo dei primi di questi 
versi uguccioniani con quelli che li precedono immediatamente nel Sermone; 
ma mi par difficile concedere che dopo gli ultimi, ora citati, i quali si rife- 
riscono solo ai giusti, trovino luogo conveniente i versi del Barsegapé 2202 



S II Keller: «fgontìo lo tatigfìio « lo tracio in vulgnre. Tutt'al più posso ammettere olii- 
InTeoe di t' Vò sia da leggere < (copulativa) l'ò. Uaile dunque l' osserrasione del Keller, 
pag. 4, che al Barsegapé sia servito di fonte anche un nudo in eulgart. 



118 RAinOMA B1III4OORAFI0A 

sgf., doY6 si ritorna alia divisione della pecore dai iieccbi: 'Partir i avrà 

10 Segnore \ Non parrà dunque temeraria congettura la mia» che i 92 versi 
di Uguccione sieno stali Introdotti tardi, per opera di qualche amanuense, 
nel testo del Barsegapé, allo scopo di aggiungervi quello che ci mancava. 

11 Barsegapé si tiene stretto al Vangelo: Uguccione attinge invece anche 
ad altre fonti più ricche di particolari e propriamente, com'io credo, ai noti 
poemetti francesi sui 'quindici segni del Giudizio*:^ è naturale che qual- 
cuno eercasse di fondere insieme i due testi, per non perdere nulla di cosi 
interessanti notizie. È il medesimo procedimento che troviamo spesso adot- 
tato dai trascrittori di enciclopedie, di cronache o anche di romanzi me- 
dievali. 

Seguirebbero i versi del Barsegapé 2220-2223, che dovrebbero corrispon- 
dere ai versi di Uguccione 1739-1742; ma non so chi vorrebbe assumersi di 
affermare con sicurezza che i due verseggiatori non possano averli scritti 
senza saper Tuno deir altro. 11 testo del Vangelo dice: * Venite, benedicti 
Patria mei, possidete paratura vobis regnum a constitutiooe mundi,, e il 

Barsegapé traduce: 

Veni a mÌ,beoedlctl vu, 
ke vo 8iaf li ben Tenn: 
▼eoi TiA. alo regno meo, 
ki V' è apreatado dal patre meo I 

E UgUQon, poco diversamente, ma un pò* fedelmente: 

Voi benedheti, a mi vegni, 
lo regno men poeaederì, 
q*eii v'ài preatad e preparato, 
■i com a voi e nonciato. 

Dopo il passo citato dianzi, San Matteo continua: * esuri vi enim, et de- 
distis mihi manducare: sitivi, et dedistis miti bibere: hospes eram, et eolie- 
gistis me: nudus et cooperaistis me: infirmus et visitastis me: in carcere 
eram, et venistis ad me. Tuuc respondebunt ei iusti, dicentes : Domine, quando 
te vidimus esurientem, et pauimus te?. . . ,. 

Letterale è la traduzione del nostro poeta: 

2224. — In fame e aede me yedltli, 

grande pietà de mi avlstl. 

Yq me faaiitt earltae. 

▼in e pane me dease aaae. 

Yn me Tediati peregrinare, 

oom eaao tu me flai stare ; 

nndo me ▼ediatl e mal gnamldo, 

e ben da tuì fu e'reatldo: 

inférmo me Tediati et in prexon, 
2238. ~ de mi poitaai oompMaton. 



2246. — Dix li ioati inlora a Ohriato: 

' Or dì, meser, quando fo qneato, 
ke ni^ te videmo in povertà 
e ke te feaaemo carità 'Y 



1 Più d'un verao di Uguooione è. a quello ehe poaao Tederà, tfadotlo alla lettera dal 
francese. 



DBLLA LBTTBRATURA ITAUAM 119 

Ho cambialo nel v. 2i46 V ancora ebe porta il manoscritto in altro av* 
TorlHo di tampo inUra ; e qaesto basta a mettere in tvtto d* accordo il Bar* 
segapé col Vangelo, e a legare insieme indissolubilmente i due passi riferiti. 
Come credere doaqoe che sieno stati introdotti nel poemetto proprio dal 
s«o autore i versi SS34-2M5, provenienti da Ugoeciene (1748'54), che ripe* 
tono senta nessun motivo le medesime cose e perfino sdoppiano la dooaanda 
dei giusti? 

998*. — *M 9^ 9o ▼leni poT«ro e unAo, 

otim lef rc^ fu TMevndo: 

par earltà yn m'aibragtfi 

• vestimente me doBMl: 

■•4 eo fa tafermo et amalftOk 

da ▼« ftei b«B revliitMx 

¥olto B'aTtai pattava a dot» 

ai corno para de flliol '. 

Diran li inati ad «Mk Toxe 

là o aera 1* vera erose: 

' Quando te Tldemo, petre aanotet» 
0245. — ke nu te aenrimo eotaniof ' 

L* amanuense, che inserf questi versi, si trovò, giunto air ultimo di essi, 
dinanzi alla piccola difficoltà di quelP avverbio inìara del v. 2246 e lo ag- 
giustò alla meglio in ancora, ottenendo un apparente legame di senso. 

Per ragioni consimili e forse anche più forti vanno senz'altro tolti via 
dal Sermone i vv. 3264-69 (= Ug. 175762), e i vv. 2272-79 (= Ug. 1763-70). 
Basti accennare alla sciocca ripetizione che conterrebbero i versi del Barse- 
gapè 2280-81, rispetto ai due che il precedono. Tarda inserzione sono pur 
senza dubbio i vv. 2334-2367 (=: Ug. 1801-1834), poiché nel testo del Ser- 
mone le parole di Gesù Cristo, sempre ricalcate su quelle del Vangelo, hanno 
la loro fine naturale coi versi 2332-33: 

Maledietl et blaatemal. 
▼u Te ilari là aempre mal. 

Qualche difficoltà parrebbe opporci il fatto che tolto via tutto ciò che 

spetta ad Ugueeiooe, a questi due versi ne seguirebbero subito altri due 

consifliili, i vv. 2368-69 : 

Or atarì deatmai e malmenai 
e dala mia parte ale blaatemal. 

ila io non eredo di mancare ai suggerimenti della prudenza, supponendo 
che anch* essi sieno da escludere dal Sermone, come uno sdoppiamento, non 
Indagherò se voluto o casuale, degli altri due. 

Finalmente i vv. 2384 - 92, che corrispondono agli ultimi nove versi del 
Libro di Uguccione (1835-43), e il verso 2393, che probabilmente è di Uguc- 
cione medesimo (e dovrebbe quindi aggiungersi in fine al suo Libro, resti- 
tuendogli r ultimo verso che gli manca), dividono di nuovo parti e concelli 
che devono stare uniti, e formano un intermezzo Inaspettato e perturbatore. 
Il Barsegapé si propone ora di tacer dei dannati e di parlare dei giusti: e 
dei giusti parla nel verso 2394 e nei successivi. I versi uguccioniani interposti 
si rivolgono invece agli uditori e sono una delle solite formole di chius»«{ 



120 RA88BQNA BIBLIOGRAFICA 

tanto pili faori di posto io questo punto, in quanto chfl la vera chiosa del 
Barsegapé non è lontana e, come si può iraaginare, è somigliantissima d*in* 
tonazione e di senso. 

In questa descrizione del Giudizio universale bo lasciato da parte, perché 
presentano difficoltà pili serie, i vv. 2294-S319, che rispondono ai vv. 1773-98 
di Uguccione. Traducendo sempre San Blatteo, il Barsegapé mette in versi 
le parole del Signore ai maledetti, e la parafrasi, molto fedele, si compie coi 
▼. 2293. Seguono i versi di Uguccione, che ripetono al solito cose consimili, 
con particolari un pò* differenti, e che noi, valendoci dell* esperienza omai 
acquistata, saremmo pronti ad escludere dal Sermone, Ma due almeno di 
questi versi disgraziatamente sono necessaij al senso, quelli che corrispon- 
dono air evangelico: ' Tunc respondebunt ei et ipsi (i dannati), dicentes. . . .. 
Scrivo in corsivo i due versi di Uguccione strettamente necessaij: 

3282. — lUledIoti. Md*v«ii Tte 

in quel* grande tenebri», 

entro lo fogo eternale! 

Ee sempre mai Aevi li stare 

oam lo falso crudel inimigo, 

lo diabolo Tegio antfgo. 

No me valse marce clamare, 

ke TU me volisi albregare. 

Vu me vedisi afamao, 

nndo e omdo et amalao : 

de mi non avlsl pietà, 
2293. — ke a mi vu fisi carità. 



2312. — Reapanderà U pitcaior 

e<m grande dalia t con tvsmùr: 

2320. — Quando te videmo nndo esser 
en povertà, fame e sede ? 

Il verso 2320, a dire il vero, nel manoscritto è legato coi versi prece- 
denti, di Uguccione, per mezzo di un ni, ni quando te videmo, ecc.; ma, 
lasciando stare che con esso abbia una sillaba di troppo, nulla impedisce di 
credere che il mi sia stato aggiunto proprio allo scopo di ottenere il necessario 
legame. Siamo a un dipresso nel medesimo caso di queir avverbio inlora, 
mutato in ancora. Del resto, nei vv. 2320-21 è spremuto tutto il succo delie 
parole di S. Matteo: * Domine, quando te vidimus esurìentem, aut sitientem, 
aut hospitem, aut nudum, aut infirmuro, aut in carcere, et non ministravi- 
mus tibi?,; cosicché non e* è alcun bisogno di valersi dei sei versi di 
Uguccione, che li precedono nel manoscritto : 

2314. — Mo quando te videmo in besognia, 

ke de ti non avessemo sognia? 

Se altra persona nel dlsesse, 

a mi no par k'e'gel credesse, 

ke ti vedesemo inflrmità 
2319 — soferir ne necessità. 

Aggiungiamo anzi che poco si accordano questi con quelli, se non altro 
perchè la neeeeeità, di cui si parla al v. 2319, non è altra cosa che la povertà, 
ecc., del 2321. 



DBLLA LBTTBRATURA ITfl^AnA 121 

Concludiamo dunque daccapo che strettamente necessarii sono soltanto 
i versi 231 !2- 13; e giunti a, questo punto è diffìcile che non sentiamo il 
bisogno di fare Tultiipo passo e di considerare anche questi ultipi indizi; 
di plagio come tarda^ inserzione d* ui) copista, phe li ha sostituiti a due versi 
originarli del Barsegapè, diciamo meglio. Probabilmente si presentò qui 
un caso consimiJjB a quello dei vv. 2^42-46. dove si ripete due volte * Dirao 
* li insti „ * Dix li i||isti ,. Ivi era possibile rabbercia.i^e i versi e, con una 
piccola alterazione, conservare tanto il testo orig^inario quanto la glossa uguc- 
cionianii,; nel caso presente invece, fra le d^e parafrasi dell* unico concettp 
' dicono i peccatori « non essendo interposto pulla, bisognava rassegnarsi 
ad accogliere r. una e a sopprimere Tajtra; e la soppressione, per un caso o 
per una svista qualsiasi, fu fatta in danno del Barsegapè. Ma poi, si può 
jmrlar qui d'una,, vera e propria soppressione? Non è ben probabile che al- 
meno pe| primo verso i due autori s* inconlrasseijo, quasi per forza, in nn*u^icj^ 
forma Besponderà li peeeator? E anche il secondo doveva suonare nel testo 
origiivile del Bersegapé assai, simile ali* ugucciooiano con grande dolio e con 
tr$mqt\ Uno scambio era dunque. mfAio facile e poco dani^oso: non era quasi 
joeppure uno scambio. , . '\ - 

Veniamo fìnalmente al passo che,, quantpnque si trovi in principio del 
poemetto, abbiam lasciato per ultimo, perché, considerato da sé solo, non ci 
avrebbe dato modo di formarci un* opinione ferina e determinata o anche 
avrebbe potuto ^ndurei in errore. Fondandosi sol^tanto su di esso - e clii da 
che proprio su di esso non si sieno fondati e il Tobler e gli altri? • uno 
potrebbe veramente propendere a giudicare il Barsegapè reo convinto; ma 
quanto a noi, che studiando gli altri passi ci slam fatto un chiaro concetto 
delle cose, basta un semplice calcolo di probabilità a persuaderci, che se il 
Barsegapè, nonostante le apparenze contrarie, non fu colpevole altrove, dif- 
ficilmente sarà stato in quest* unico passo. 

Il Barsegapè comincia il suo poemetto od ovp, cioè dalla creazione del 
mondo, e naturalmente viene ben presto a parlare di Adamo ed Eva, del 
loro peccato e della loro punizione. Cacciati fuori dal Paradiso terrestre, 
devono guadagnarsi la vita col Pudore deHa fronte: 

216. — Illi laTonn fwm mente 

per beo vlTer nadrto mente,.! 

e ai 1 den «ver flol anche loroM 

tal è reo e tal è bono. 

Tati semo de lor enendhi 
• ki tn qaeato mmido aemo Yenudhi; i 

tal fan *1 ben e tal fi» '1 male, 
ns. ■— aegondo qael k' I à plaxé fare. 



288. — L* omo à In sì una cosa 

ke noi voi lazar (itar) en pofaa: 
l'anima è l'una e*I corpo è l'altra, 
ke *1 fa speaeo de ftreda calda.' 
L* anima T9I stare in penitentia. 



I II Keller: « a'i. 

s II paaso è senza dubbio Ruasto. e non è facile oorreggerlo. SI potrebbe pensare che la 
M la qoale non lascia star in posa V nomo sia T intima lotta e discordia ftra le due forae 



122 IU8SKGNA IIIRIJOORAP^ICa 

ma il corpo dod ne vuol sapere, ecc. ecc. Una domanda si affaccia subito, 
alla qaale non è cosi facile rispóndere: qaestf due passi sono sufBcenteraente 
colleirati fra loro? Collegati sctoo. non e* è dubbio; n^a, secondo 1* ingenuità 
di quei vecchi narratori e spefcialmente dei nostro Barsegapé, noi ci atten- 
deremmo qualche verso di pili, che rivolgendosi agli uditori, li preparasse 
ai nuovi argomenti e fors^ anche li esortasse a meritarsi il paradiso. Goal, 
dopo finito di parlare dei pleccati mortali, egli annuncia che passerà a trat- 
tare della venuta di Gesù Cristo (vv. 4(Mr-5); e poi fa un preambolo non 
breve, prima di descrivere là Passione (861-933), e un altro, prima di deaeri* 
vere il Giudizio universale (2107-148): a tacere che oltre ai versi "di pream- 
bolo, qui ci sono anche quelli che chiudono con una delle solite ammonifioni 
la parte precedente. 

Consideriamo però che il preambolo alla Vita di Gesù Cristo e quello 
al Giudizio universale sono nécessarii, perché ci introducono alla seconda e 
alla terza delle tre grandi parti in cui il poemetto è diviso: creazióne e pec- 
cato, redenzione, giudizio. Nel nòstro passo invece, piuttòsto che un nuovo 
argomento, abbiamo la conbhisione e la moralizzazione dèlia prìnla parte, 
con tutte le necessarie considerazioni sulla lotta fra la carne e lo spìrito 
e il conseguente trionfo dei' peccati mortali. 

Insomma, potranno rimanere del dubbi, ma non si può dimostrare che 
fra i due passi non ci sia un sufficiente legame ; e tutt* al più ammetteremo 
volentieri che la nostra medesima incertezza spieghi faòflmedte tome- il so- 
lito rafTazzonatore abbiti, fra Tuno e T altro, inserito alcuni 'Versi di Ugnc- 
rione (1067-80): *. 

M4. — D'AdAlii « d*«v» ofilml lUMOM, . " ) 

- d* 9#to pò eMn.éixMMQi 
« *. -,' t , • il «fBoneB^a Ul iaioria , 

ke sia de seuo e de memorie! 

Et eo ho ben in Deo fidanza ' 

seb^a omlnnoa itienéminfa, ' 

ke ve dirò mi tal eemblàni 

M IM parva eefio da fast* . . 

. . Io (^neeto mnodo è una discordia 

ke da rar aen trova ooncordia: 

l'anima e t- corpo «e gOMÌa.- 

9asoan voi pMndeie la eoa via: 

1*011 no voi 90 ke raltro Hw,* 
287. — no ee volen aooniaiiar. 

Eppure anche qui rinettHadme dell* interpolatore si palesa: T nomo che scrìsse 
i vv. 238 sgg. non poteva àver^ davanti a sé gli ultimi di questi citati ora: 



eontrarie; e in tal caso l'urna e V altra del verso 240 non si rlfterlrebbero a qael cùta, ma 
starebbero da sé, come se il poeta volesse dire: l*ànima e' il borpo son due eeseri distintL 
E forse egli scrisse: L'ottimn f una e 't corpo wt altro, JTc H fa sìhssù éi /rèdo caldo. Ossia: 
l'anima lia la sna propria individualità e lia la sna anche 11 corpo; la qiùd cosa (cioè la 
quale coesistensa in ini di dne esifdri eoel diversi) spesso gli (à provare contro sna voglia 
freddu e caldo, oppure lo Induce a continue conlradixionl, fiuMndolo passare pei pld diversi 
stati. Può anch'essere che il verso Ki'l/a «/iMfo, ecc., si riferisca unicamente al corpo ; U 
qnalo corpo «ipesao Io fa pausare dal fk«ddu al caldo; e allora sarebbe da ricordare ciò che 
il Barsegapé atesso dice del mondo, vv. 390 sgg.: Sncosi fi ds l'omo k'è in loa hailia, K 
f$lo e caldo $ /am«, oodtie • cariotiu: So pò alar m utta, oh eia aìogro oh gramo. 



DELLA LBTTBRATURA ITALIAKA 123 

essi mostrano che le due parti sono state collocate accanto, quasi mecca- 
nicamente, senza criterio. E chi sa inoltre, se i versi di Uguccione non ab- 
biano anche usurpato il posto di altri versi del povero Barsegapé, i quali 
dovessero formare quel nesso più stretto e più evidente fra i versi 223 e 
238, che pur può parere desiderabile? 

Ma le difficoltà non sono vinte tutte: una ne resta, forse più grave, certo 
tale che non possiamo formulare intorno ad essa un giudizio netto e preciso. 
Uguccione, subito dopo il peccato di Adamo ed Eva, introduce le considera- 
zioni sulla lotta fra l'anima e il corpo: lo stesso fa pure il Barsegapé. Inoltre 
i vv. 242-52 di questo rammentano abbastanza vivamente, per 1* andamento 
e il significato, i vv. 1085 sgg. di Uguccione. Si potrebbe adunque concedere 
che il Barsegapé avesse qualche ricordo del Libro del suo predecessore e 
in questo passo lo seguisse almeno alla lontana; ma a me sembia più pro- 
babile che le somiglianze provengano invece dai ricordi, presenti ad entrambi, 
di consimili leggende anteriori. Il passo di San Paolo (ad Galataa V 17), 
eh' è il punto di partenza di entrambi i poeti, era notissimo e dette origine 
ai più ampi e vari! svolgimenti; e d'altra parte sarebbe singolare che il Bar- 
segapé, nel quale la caduta di Adamo ed Eva e poi le disquisizioni sul pec- 
cato sono organicamente legate insieme e colle parti seguenti, ricorresse al 
Libro di Uguccione, dove non stanno da sé e non formano che un breve 
particolare in mezzo alla monotona congerie degli ammonimenti morali. Fi- 
nalmente il motivo della lotta fra T anima e il corpo (o il mondo, che egli 
poi sostituisce a questo) è svolto dal Barsegapé in modo diverso e più com- 
piuto, cosf da avvicinarsi al tipo dei noti contrasti.' 

Concludo finalmente. Il Barsegapé non è affatto reo delle colpe appostegli 
di plagio continuato: è già molto se si può conservare un leggero dubbio 
che gli sia balenato un fuggevole ricordo dell* operetta del suo predecessore 
e ne abbia tratto Tidea, soltanto Tidea, d'introdurre nella sua trattazione il 
motivo del contrasto fra l'anima e il corpo, che del resto egli conosceva 
assai bene per proprio conto. Per tutti gli altri passi uguccioniani, non si 
può dubitare che sieno tarde interpolazioni. Forse un manoscritto del Bar- 
segapé venne glossato lungo i margini, con passi analoghi del Libro di Uguc- 
cione,' per opera del suo possessore, che potremmo anche imaginare prov- 
vedesse cosi ai bisogni della sua professione; e più tardi le glosse furono 
fuse, con assai poco discernimento ma non forse senza un determinato pro- 
posito, col testo originale. In una vera e propria edizione critica del Barse- 
gapé questi passi interpolati dovrebbero essere espunti. 



1 è piuttosto aiDgalare il passaggio improvviso dalle considerazioni sulla discordia del- 
l'anlniaedel corpo ai rimproveri al mondo; benché Timo e l'altro aleno motivi tradlslo- 
nali, coi quali si rannodano le disquisizioni sui peccati mortali, derivate anch'esse. In nl- 
tima origine, dal citato passo di San Paolo. È probabile che il Barsegapé togliesse le linee 
generali di questo passo da qualche modello anteriore, se non da pid d'uno. 

> E forse non solo di Uguccione. Tedi Biadkmk, Il Libro delle tré Scritturi, eoo., di Bon» 
ee^in da Riva, pag. IX, pei vv. 2131-34 del Barsegapé, e cfr. Rn$9tgna XI, pagg. 15 sg. (Mi ai 
permetta di notar qui che un errore di stampa rese di dif&cile intelligenza le linee 8-9 di 
pag. 15: a Un. 8 si legga: 'come cercherò di dimostrare „ ecc., e nella Un. 9 si sopprimali 
secondo che), 

4> 



124 RA8SR0NA BIBLIOGRAFICA 

Mi sono diffuso nella dimostrazione assai piti che non vorrebbe T esiguità 
deir argomento e della mia congettura; ma ci son stato indotto dal desiderio 
di riuscir chiaro e dalla speranza di non aver a ritornare su cosi piccola 
questione. Del resto, quando si comincia non si sa dove si fluisce e, come 
dice r aurea massima del mio Barsegapé, 



no è con in sto mnndo • Ul è Ila mia credenza 
ki se possa fenir se la no se oomen^a. 



E. 6. Parodi. 



CRONACA. 

.'. È stata pubblicata a cura del sig. A. Lìsini una seconda edizione del- 
r Elenco dei Documenti esistenti nella Sala della Mostra e nel Museo dslU 
TavolsUs dipinte della Bieeherna e della Gabella, nel R. Archivio di Siena 
(Siena, Lazzerì, di pagg. 61 con 3 illustraz.). Il libretto non è soltanto una 
guida pei visitatori, ma è un indice di curiosi ed importanti documenti di 
storia e d^arte. Essi risalgono a remota antichità : il primo documento è del 
736. Seguono ad esso diplomi imperiali (Lodovico il pio, Ottone I, Federigo I, 
Carlo IV ecc.), Bolle Papali (Alessandro III, Pio II ecc), Documenti con sot- 
toscrizioni autografe di Imperatori (Massimiliano, Carlo V ecc.), di Papi e 
Cardinali (Leone X, Leone XIII ecc.), di Re e Principi (Ugo il Grande, la 
Contessa Matilde, Ferdinando e Isabella, Filippo II, Francesco Foscari, Ga- 
leotto Manfredi, Andrea Doria ecc.), di scienziati e letterati (il Machiavelli, 
il Della Casa, Paolo Giovio, Claudio Tolomei ecc.), di artisti (Giacomo della 
Guercia, Francesco di Giorgio Martini, il Biringucci, il Peruzzi, il Sodoma ecc.), 
di capitani ed uomini d' arme (1* Aguto, lo Sforza, il Piccinino, Prospero Co- 
lonna, il Borbone, il Maramaldo, Malatesta Baglione ecc.), di donne illustri 
(le due Giovanne di Napoli, 1* Isotta da Rimini, la Caterina Sforza, Giulia 
Farnese, Caterina de' Medici, Isabella Orsini, Bianca Cappello, Elisa Bacioc- 
chi ecc.); poi, documenti religiosi, politici, artistici (fra questi le quietanze 
di Niccola Pisano pei lavori del Pulpito). Notevole è una serie di Documenti 
danteschi, che ricordano personaggi e fatti menzionati nella Div. Commedia 
(una sentenza sottoscritta da Pier della Vigna, una procura sottoscritta da 
ser Brunetto, le condanne fatte a Casella, il rendiconto della Pia dei Tolomei, 
il codicillo di madonna Sapia, una donazione di Cunizza ed altri assai, e 
per ultimo il Testamento del Boccaccio). Seguono Carte mercantili e Curio- 
sità, e infine documenti della cacciata degli Spagnuoli da Siena e della difesa 
della libertà in Montalcino. — La seconda parte dell* interessante volumetto 
contiene 1* indice delle Tavolette che si veggono nel Museo. 

.*. Il sig. T. Cannizzaro, ben noto come poeta, prende a trattare colla sua 
pubblicazione 11 Lamento di Lisabetta da Messina e la Leggenda del Vaso 
di Basilico (Messina, tip. Tribunali, 1902, di pp. 125) un punto controverso 
di storia e di ciitica letteraria e di poesia popolare. È noto come il Boccaccio 
(IV, 5) dopo aver narrato il caso miserando dell* Isabetta, cui i fratelli tol- 



MlLA LttTtBRAtURA TTALIANA 125 

gono il testo di basilico, ove aveva sotterrato la tèsta dell' amante, dà quelli 
uccisole, e che ne muore di dolore, conclude a questo modo: ' E cosi il suo 

* disavventurato amore ebbe termine. Ma poi a un certo termine divenuta 

* questa cosa manifesta a molti, fu allora chi compose quella Canzone, la 

* quale ancora oggi si canta : Qual esso fu lo mal cristiano Che mi furò' la 
* grasea ecc.,. Questa Canzone fu pubblicata per primo, per intero, dal 
Fanfani; pòi con maggior cura dal Carducci, e sta in un cod. laurenziano. 
Il sig. C. prendendo a studiarla, sostiene, contro chi vi scorse il raffaz- 
zonamento antico di una primitiva canzone siciliana, eh* essa ci sì pre- 
senta nelle sue forme native del vernacolo insulare. E con questo con- 
cetto ne tenta una ricostruzione, la quale sarebbe riuscita più chiara, se 
fosser meglio coordinati il testo e le note : se, cioè, la numerazione progres- 
siva dei versi si accordasse coi richiami delle note, che rispondono invece 
ai versi di ciascuna strofe. Ma facendo come ha fatto, e il più spesso la 
nota essendo distante, in altra pagina, dal verso che illustra, il riscontro non 
è facile né comodo: sicché, meglio piuttosto era raccogliere dopo ciascuna 
strofe le annotazioni, intercalandole fra Tuoa e Taltra. Comunque sia di 
ciò, abbiamo della Canzone una forma da tenerne conto. Ma non sempre 
andremmo d'accordo col G. su alcune lezioni: per es. il verso 51 non ci pare 
che possa suonare Fosse chi la mi r insegnar di voglia, né che il voglia possa 
starvi a codesto modo: sicché riteniamo più giusta la correzione del Fanfani: 
Forse chi la mi r insegnar voglia. Quanto poi a giudicare la canzone * un 
' vero gioiello letterario ,, è question di gusto, e sarebbe superflua e vana 
cosa il provarsi a combattere cotesto giudizio. Più d' accordo ci troviamo col- 
Ta. nel dubitare della relazione attestata dal Boccaccio fra la novella e là Can- 
zone, sebbene discordiamo poi da lui nel trovare in questa allusioni sensuali; 
e neanche potremmo, ammettere in tutto certi argomenti a provare 1* origine 
messinese della poesia. Il sig. C. afferma fra le altre cose che * dire la testa 
' del basilico per significare sulla quale cresceva il basilico non è espressione 

* né naturale né chiara, mentre rimettendovi grasta il senso si fa logico e 

* piano ,. Ma se testa neir antico uso toscano vai quanto testo o vaso e se 
grassa in siciliano ha egual significato, non intendiamo qual valore possa 
avere l'argomento del sig. C. Dove poi dissentiamo assolutamente da lui è 
rispetto all'origine storica del Lamento. ' Io ho pensato, egli scrive, che ove 

* si trovasse nella Storia o nelle Leggende di Sicilia, dalla metà del sec. XIII 

* a quella del XIV, qualche illustre donna dal nome di Elisabetta, alla quale 

* si potessero per un fatto di grande pubblicità, bene e naturalmente appli- 

* care i sentimenti e le frasi contenute nel Lamento, se ne potrebbe legit- 
' timamente e con grande probabilità dedurre che ad essa abbia voluto al- 
' ludere il poeta anonimo, chiunque esso sia stato , . Ed è cosf che la Lisabetta 
del Lamento diventa la figlia di Enrico di Carinzia e Boemia, sposa a Pietro II 
re di Sicilia. Ma se, si può ammettere, come vuole non senza ragione fa., che la 
donna e l'amante innominati del Lamento non si trovino in alcuna rispondenza 
coir Isabetta e il Lorenzo della novella boccaccesca, ben maggioro è la di- 
stanza fra il caso del Lamento e la storia della regina di Sicilia: il che il 
sig. G. riconosce formalmente dicendo che: 'con siffatta congettura non 

* pretendip.mo affermare che tra il gran Giustiziere (il Palizzr) e la regina 



l26 ttASStBONA ttlBUOOkAti'tOA 

* Elisabetta esistessero rapporti pili familiari e più teaeri di quelli coQseotiti 
" tra una regina e il suo primo ministro ,. Con tal esplicita dichiarazione, 
si può dire che Ta. abbia condannato tutto quello che segue, con ampio 
svolgimento, per rincalzare il suo assunto di argomenti d* ogni maniera. Fra 
i quali ve n*ha taluno di singoiar tenuità: per es. quello dedotto dal verso 
e forse glie ne gioveria, rivolto dalla donna appassionata a chi le rendesse 
ciò che r era stato tolto : E dontriegli un bacio in disianza : forse glie ne 
gioveria* 11 che vuol dire semplicemente: forse gli sarebbe gradevole tal 
ricompensa: e per ciò non ci capacitiamo che la frase abbia * grandissimo 

* significato , se fosse vera la congettura che chi parla è una regina, re- 
stando invece superflua e vota di senso se il Lamento si suppone in bocca 
di una donna privata. Il tentativo finale di ritrovare in Mazzeo di Ricco 
da Messina V autore del Lamento è poi assolutamente cervellotico e fondato su 
ragioni di niun valore: e basti citare una sola di queste: il Lamento nei 
primo verso usa villania, e Mazzeo in una Canzone villanamente: altrui cose 
dice il Lamento e Mazzeo adopera questa parola altrui nello stesso senso. — 
Concludendo, il sig. C. dà in questo suo scritto, saggio di molta e forse troppa 
ingegnosità, ma di non vera esperienza nei trattar le questioni che sì rife- 
riscono a poesia popolare. Può ben essere, come l*a. sostiene, che il cosi 
detto Lamento sia invece un allegorico canto amoroso, che in nulla si ran- 
nodi colla narrazione boccaccesca; ma può anche ben essere che si ti-atti 
di un caso amoroso di personaggi oscuri ed ignoti, né sia da cercare ad esso 
un fondamento storico in vicende auliche e regali. Anche gli umili possono 
trovare un umile narratore dei loro dolori. 

.'. Tra i personaggi mitici delP India non vi è forse figura e tipo che me- 
glio di Naciketàs rappresenti ed incarni 1* indole estremamente speculativa 
degrindi. Naciketàs è un giovane brahmano, che avendo ottenuto dal dio 
della morte la scelta di tre doni, insiste perché questi 'gli sveli T arcano d*oi- 
tretomba. Come ogni altra leggenda, anche questa di Naciketàs si è venuta 
man mano trasformando nella seriore letteratura brahmanica ed il seguirne 
il graduale svolgimento per poi descriverne la forma che ha assunto nei 
Purana, forma oggetto dell' interessante lavoro del dott. Bblloni, di cui è ap- 
punto apparsa ora la prima parte. (Il Nàsiketopàkhànam secondo i mss. 

* 1253 „ e ** 916 e , dell* * India Office „ preceduto da una notizia sulle ■ Vi- 
sioni Indiane „, Parte prima. Estratto dal Giornale della Società Asiatica Ita- 
liana, Firenze, 1902, voi. XV in 8..^). In questa TA. dà una breve notizia 
storica sulle Visioni indiane in genere ed espone poi con molta sobrietà 
insieme ed accuratezza tutto ciò che si riferisce alla leggenda di Naciketàs, 
alle sue origini, alle sue varie redazioni. 11 pregevole opuscolo è condotto con 
serietà e scrupolo scientifico, ed invoglia a prender notizia della seconda 
parte del lavoro, la quale conterrà un materiale nuovo ed originale estratto 
da due manoscritti inediti. E di molta lode è meritevole TA. che pur attin- 
gendo alle fonti indiane, ha sapulo e saprà rendere V opera sua accessibile 
a lettori, anche profani di Sanscrito, i quali avessero vaghezza di conoscere 
le leggende escatologiche dell* India, afRn di studiare le assonanze che pre- 
sentano coi miti occidentali d* oltretomba. Il contemperamento insomma del- 
l' esattezza filologica con 1* esposizione facile e piana della materia pare rag- 



DBIJ.A MHTBRATURA ITALIANA 127 

giunto in questo lavoro, che va particolarmente segnalato air attenzione de- 
gli studiosi della letteratura delle Visioni. 

.'. Estratto dai voli. X-XIII della Rivista delle Bibl, ed ArehicJ, abbiamo 
innanzi a noi, raccolto insieme, T indice de Le Carte di P. Giordani nella 
Lauremiana, diligentemente compilato dal doti. G. Mazzi (Firenze, France- 
scbini, di pagg. 46 in 8.® 1902). Queste carte giordaniane sono raccolte in 
XXIV voi., dei quali, cinque contengono scrìtti dei Giordani; uno, di altri 
autori; dodici, P Epistolario; due, lettere di varj; T ultimo, documenti per 
la vita civile e letteraria del Giordani. È, come si vede, una suppellettile 
copiósa, e cbi volesse mettervi le mani, ma sapesse adoperarle a guida del 
cervello, ne caverebbe buon profitto a se e agli studj. Lasciando stare, che 
su questi scritti si potrebbe condurre una edizione degli scritti del piacen- 
tino compiuta e corretta, il vantaggio che se ne caverebbe per una nuova 
stampa deW Epistolario sarebbe notevolissimo. E V Epistolario meriterebbe 
di esser riprodotto, riordinandolo, accrescendovi le lettere al Giordani, che si 
potessero rinvenire in questo deposito laurenziano e altrove, compiendo le 
lacuoe, e aggiungendo note illustrative di cose e di persone. Se ne formerebbe 
un repertorio di notizie di storia civile e letteraria, copiosissimo e impor- 
tante pel periodo che corre dalla dominazione franees^e agli albóri del *48. Il 
Gussalli ha certamente fatto non poco per la glorili dèi 'suo amico; ma spe- 
cie rispetto air Epistolario, ha anche gVayis^mé' colpe, perchè non solo esso 
non è raccolto tutto insieme; ma dissertiinato in varj volumi, ma, inoltre, 
stampando sotto la dominazione austriaca, e quando troppo vivi erano i ricordi 
di uomini e di fàtU, ha stracciato e soppresso troppi brani di lettere del 
Giordani e d' altri. Il peggio è che queste soppressioni non sono state fatte 
su copie, ma sugli originali, e in modo da non potersi scorgere ciò che sta 
sotto il nerissimo Trego dMnchiostro: e in altri casi ha tagliato U carta. 
Né basta: molte lettere a lui stesso dirette ha bruciato, lasciandone soltanto, 
quasi compiacendosene, il ricordo. Cosi nel fascio delle lettere del '44 è anno- 
tato: distrutto quasi tutto ; e distrutto è per la massima parte quello * copioso 
ed intimo , dal *36 al *38, colf avvertenza: * E credasi che senza la notizia 
di tale carteggio resta ignota la miglior parte dell'animo del Giordani.. E 
allora perché abbruciare barbaramente, e con si poca reverenza allo scrit- 
tore? Ci guardi il cielo da amici e zelatori cosf faty^j Ad onta, però, dei guasti 
e delle falcidie operate dal Gussalli, si potrà sempre riprodurre quel che 
resta dell* Epistolario giordaniano con nuove cure, e sopratutto con annota- 
zioni su cose e persone, e spiegazioni di allusioni e forme convenzionali, che 
spesso adoperava il Giordani, volendo liberamente confidarsi cogli amici, ma 
fidando nella ignoranza di quelli che gli aprivano la corrispondenza. Di questo 
coperto linguaggio sì hanno esempj frequenti nelle lettere, e vario secondo 
le persone. Cosf ad es. corrispondendo col Gicognara, chiamava mamma 
r Italia: e ci ricordiamo sempre P indignazione di un dotto uomo, al quale, 
aprendo un volume deìV Epistolario, venne fatto dMtnbattersi in una serie 
dì lettere dove cotesta parola si trova accompagnata da epiteti ingiuriosi 
ed irriverenti, sicché si scandalizzò contro il Giordani, non intèndendo eh* egli 
si scagliava, non contro la propria genitrice, ma contro ritalia serva di quei 
giorni! Quest* Indice - del Mazzi possa essere pertanto d'incitamento a qnal- 



Ì28 RA8SBONA BlBlJOQRAt^ìtiA 

che stadioso per darci un nuovo e più compìulo lavoro sullo scrillore pia- 
centino, e se è possibile, V Epistolario in forma degna delP autore. 

.'. Con lodevole sollecitudine il sac. Felice Ceretti fa seguire al primo 
volume, cui già accennammo {Rassegna IX, 177), il secondo delle sue Biografie 
Mirandolesi (Mirandola, Grillo, 1902, di pagg. 242 in 16.°), che comprende le 
lettere L- 0. Non sono certamente molti coloro fra i biografati, il cui nome 
superi il territorio dell'antico ducato; ma ciò accade tuttavia in tutte le 
consimili raccolte municipali o regionali, né il fine di queste è il registrare 
soltanto i nomi di grande celebrità. Tuttavia anche in questo volume ci imbat- 
tiamo in qualche uomo, del quale non è senza utilità o curiosità conóscere i 
particolari della vita. Tale ad esempio Flaminio Loìli, che sofferse T esilio per 
la libertà, e che ricordiamo aver veduto a Firenze nel 1849, oratore nei cir- 
coli popolari e autore di poesie, ricche di sensi patriottici, più che di pregj 
d'arte. Alla storia del periodo napoleonico appartengono Giuseppe e Luigi 
Laosi e il padre loro Giovanni: il primo ministro della giustizia nella Ce- 
salpina e poi del Direttorio, e nel regno d' Italia nuovamente preposto alla 
Giustizia; T altro, seguace della fortuna del fratello e suo segretario nello 
steiiso dicastero. Biografìa interessante e ricca di particolari è quella di An- 
nibale Maffei, soldato di mollo valore nelle guerre del sec. XVII e nelle milìzie 
piemontesi, ove giunse ai più alti gradi, e plenipotenziario di Vittorio Amedeo 
al Congresso di Utrecht, e per lui Viceré in Sicilia. Altri, di minor fama, sono 
giureconsulti, medici, teologi, architetti, pittori, soldati, musici e comici ecc. 
Lie biografìe sono condotte con diligenza e narrate elegantemente: e Miran- 
dola dovrà esser grata a questo indefesso raccoglitore delle patrie memorie. 

.*. In occasione del Congresso storico internazionale tenutosi in Roma dal 
2 al 9 aprile, furono fatte molte e rilevanti pubblicazioni. Faremo un rapido 
cenno non di tutte, ma solo di quelle, specie d'indole bibliografica, che ci 
sono pervenute. 

Da Venezia ci giunge, compilato dal sig. G. Giomo a cura della R. Deputa- 
zione di storia patria un volume fV Indice generale della prima serie (1891-1900) 
del periodico storico Nuovo Archivio Veneto (Venezia, Visentin i, di pag. 232, 
in 16.**). Gli Indici sone generale j cronologico, dei Documenti per nome, geo* 
grafico dei documenti, per nome, per luogo, per materia, 

. — A cura della stessa Deputaspione, e del medesimo compilatore, abbiamo 
un voi. di Indici per nome di autore e per materia delle pubblicazioni sulla 
storia medievale italiana raccolte e recensite da C. Cipolla nel Nuovo Archivio 
Veneto (Venezia, Visentini, di 427 pagg. in 16.°). Gli autori dei quali s' indicnno 
gli scritti, che spesso sono una ricca serie, sommano a 3712: e questo basti 
a indicare la utilità bibliografica di questo volume. 

— La R. Deputazione Veneta di Storia patria ha pur dato incarico al suo 
segretario prof. G. Occioni-Bonaffons di compilare un Indice tripartito delle 
sue pubblicazioni (Venezia, tip. Emiliana, di pagg. 77 in 16.*'). Gli Indici sono 
per ordine di pubblicazione^ per autori in ordine alfabetico e dei nomi di per- 
sone e di cose. Ad essi precedono Notizie preliminari storiche sulla Depu- 
tazioi^e stessa e l'Elenco dei Socj. 

^ — Anche V Ateneo Veneto a cura del vicepresidente C. Musatti ci dà un 
vobimettd di Indici dei lavori comparsi nelle sue pubblicazfoni dal 1812 a 



bBLlJk L8TTBRATURA ITALIANA 129 

tulio ii 1900 (Venezia,. Garzia, di pagg. 167 ìd 16.°). Gli Indici ^ono due; per 
materie e per autori. 

— E il Friuli ci offre a cura deirAccademia di Udine, V Indice per aur 
tori e per materie delle Memorie inserite negli Atti dell'Accademia steeea 
(Udine, DoreUi, di pagg. 35 in le.^"). 

— > Dalla LoMBARQiA e dalla Società Lombarda ci viene un bel voi. intitolato 
Miscellanea di Studj e Documenti (Milano, Gogliati, di pagg. 163 in 16.° con 
iliastraz.). Diamo T indice degli scritti in esso contenuti, che basterà a de- 
notarne r importanza : A. Sipulcri, / papiri delln Basilica di Monza e le re- 
liquie inviaie da Roma — F. Novati, Bartolommeo della Capra e i primi 
suoi paesi in Corte di Roma — B. Nooara, / codici di Maffeo Vegio nella 
Biblioteca Vaticana e un inno di lui in onore di S, Ambrogio — R. Sab- 
BADiNi, n card. Branda da Castiglione e il rito- romano — A. Ratti, QuaroH' 
tadue lettere originali di Pio 2,^ relative alla guerra per la successione nel 
reame di Napoli (1460-63) >— E. Motta, Otto pontificati del Cinquecento (1551- 
1591) illustrati da corrispondenze trivulziane — «S. Ambro&oli, Una medaglia 
poco nota di p. Pio IV nel R, Gabinetto numismatico di Brera. . 

— L'Istituto Lombardo ci dà V Indice dei lavori storici contenuti nelle 
sue pubblicazioni dalla fondazione a tutto il 1901 (Milano, Hoeplij di pagg. 63 
in 16.°), che è insieme per autori e per materie. 

— La Società storica coroense ci dà gli Indici del suo Periodico, M 
qualeldal 1878 al 1900 sono usciti 13 voi. (Gomo, Ostinelli^ di pagg. 1 15 in 18.°), 
e sono per autori, per materie e cronologici. < 

— Dal PiiMONTB ci giunge soltanto come saggio, V Introduzione aW Indice 
Metodico della Rivista Storica italiana dal 1884 al 1901 (Pinerolo, tip. so- 
ciale, di pagg. XXXVII in 16.°). Questa introduzione scritta dal prof. G. Ri- 
NAUDO è buon augurio dell* opera, che sarà compresa in due voi. di circa 
500 pagg. ciascuno. AH* Introduzione tengono dietro V Elenco dei Periodi spo- 
gliati nella Rivista, e quello dei Collaboratori. 

— La Liguria manda una breve Memoria sulla società storica savonese 
(Savona, Bertolotto, di pagg. 19 in 16.°) a cura del segretario A. Bruno, con- 
tenente Vindice delle pubblicazioni (mancante però di rimandi ai voi.) e 
V Elenco del Soci. 

— Da Modena la R. Deputazione di storia patria offre un saggio del sao 
proposito di continuare ad ampliare la Biblioteca modenese del Tiraboscbi, 
col primo fascicolo che ne ha messo a luce (Modena, soc. tipogr., di pagg. 80 
in 16.*'). La copia di notizie biografiche e bibliografiche che troviamo in questo 
saggio, è garanzia che V opera dei continuatori sarà degna del primo ini^iatora, 

— La Toscana si presenta in primo luogo con un Indice suppletivo de! 
triennio 1898-1900 (serie V, voi. 21-26) deW Archivio storico italiano (Firenze, 
Galileiana, di pagg. 74 in 16.°), al quale precedono interessanti per quanto 
brevi, alcuni cenni sulla storia di cotesto periodico, compilali con diligenza 

■da A. GlORQBTTI. 

— Parte di maggior volume è ciò che intanto A. Gherardi, ci dà deir//t- 
venlario sommario del R. Archivio di Stato in Firenze (Firenze, Galileiana, 
di pagg. 128 in 16.°), che, compiuto, e se anche compendioso, ognun vede 
quanto sarà utile agli studiosi: il che avverrà fra breve, quando sia ultimato. 



130 RA88ISOI9A HIBLlOORAKlGA 

— L'archivista I. Del Badia ha compilato gli Indici (geografico, crono- 
logico e onomastico) della Miseeìlanea fiorentina di erudizione e di storia; 
utile pubblicazione, della quale sono a stampa (ed è desiderabile che presto 
stano in maggior numero) due soli volumi (Firenze, Laudi, di pp. XXIV in 16.*). 

— Il prof. G. Sgaramblla ha compilato V Indice deW Archivio del CoUegio 
Cicognini di Pra^o (Prato, Giacchetti, di pagg. 29 in 16."), preponendovi una 
breve storia di (juel rinomato Istituto. 

— Di Siena ricordiamo due pubblicazioni : T una è V Indice eomario delU 
serie dei documenti del R, Archivio di Slato (Siena, Lazzeri, di pagg. 151 in 16.*) 
a cura del Direttore A. Lisi5i, e che prelude air Inventario generale, che pros- 
simamente uscirà a luce : e V altra sono gli Indici, a cura di P. Piccolomini, 
delle pubblicazioni della Società senese di storia patria, della Sezione lette- 
raria dell'Accademia dei Rozzi e della Commissione senese di essa Accademia, 
preceduti da Relazioni del presidente A. Rossi e del segretario F. Donati (Siena, 
Lazzeri, di pagg. 124, in 16 *) ; utilissimi repertorj ambedue, di storia muni- 
cipale. 

— Roma, sebbene sede del Congresso, non sappiamo che abbia dato se 
non gli Indici generali delle pubblicazioni dell* Accademia di Conferenze sto- 
rico-giuridiche, che hanno il nome di Studj e documenti di Storia e Dirilto, 
compilati per nomi di autori, secondo ragioni cronologiche e secondo persone, 
luoghi e cose da E. Cblani (Prato, Giachetti, di pagg. 105 in 4.*). 

— E perché fatto a spese 'del Comitato centrale notiamo sotto questa 
rubrica V Indice tripartito della Rivista storica del Risorgimento italiano, com- 
pilato da F. GuKRRi e A. Zanblli (Prato, Giachetti, di pagg. 40 in 16.*). Esso 
è geografico, cronologico e onomastico, e suggella una pubblicazione che rese 
non pochi servizj alla storia contemporanea, e pid poteva renderne se la 
vita le fosse durata più lunga. 

— Napoli per cura dellla Società Napoletana di storia patria, manda una 
Relazione del prof. M . Schifa (Napoli, Pierro, di pagg. 24 in 16.*), che narra 
le origini, i propositi e T operato dal 1876 al 1903, di cotesto benemerito e^ 
operoso istituto. 

— Dalla Sicilia e dalla Società per la storia patria abbiamo V Indice go- 
nerale dell'Archivio storico siciliano (1873-1900) per autori, cronologico, e per 
materie (Palermo, Era Nuova, di pagg. 151 in 4.*), al quale si aggiunge la 
Relazione del segr. G. Lodi, Sul movimento scientifico ed economico della So- 
cietà siciliana per la storia patria nel sessennio 1895-1900 (Palermo, Lo Sta- 
tuto, di pagg. ÌB in 16.*): V uno e l'altra notevoli documenti dell* operosità 
dei siciliani nel rifare la storia dell* isola. 

— Altre pubblicazioni cui diede occasione il Congresso meritano di es* 
ser ricordate. E prima la Biblioteca di Bibliografia storica italiana: Cata- 
logo tripartito delle Bibliografie finora pubblicate sulla storia generale e par- 
licere d'Italia (Roma, Loescher, di pag. 39 in 4.*). La ripartizione è la 
seguente: 1. Bibliografia di storie a stampa, 2. Bibliografia di storie mss,, di 
Documenti storici ecc., 3. Bibliografia di Statuti. La compilazione di questi 
Indici è opera del sig. Emilio Calvi, e A. Lumbroso vi ha premesso una 
Prefazione, che dà ragione del lavoro e della sua opportunità. II lavoro è 
condotto dal Calvi con quella perizia, che già ha mostrato nel terzo e quarto 



DRI.LA LnTKRATimA ITALIANA e M'SA» ^kH 13t 

Snpplemento alla Bibliothfea Bihìiographiea Italica delP Ottino e Foroagalli : 
esso comprende oltre cinquecento indicazioni di bibliografie storiche gene- 
rali particolari, disposte per ordine alfabetico di luoghi, quanto alle opere 
a stampa, da Abruzzi a Zddo; poi collo stesso sistema, le opel*e manoscritte 
da Ancona a Vicenza, per ultimo la bibliografia di Statoti da Alhenga a 
Viterbo, Un indice geografico ^raggruppa i titoli delle tre parti, e per alttmo 
viene un Supplemento di addizioni, e correzioni. La riconoscenza e il plauso 
degli studiosi di storia vorremmo incoraggiassero il sig. Calvi a metter fuori 
prontamente le annunziate Tavole storiche dei Comuni Italiani. 

— Pili lungo discorso del rapido annunzio che siamo costretti a consa- 
crargli, meriterebbe il srmtnoso voi. col quale il prof. A. Mosghetti, nostro 
carissimo collaboratore, illustra // Museo Civico ài Padova (PatloVa/Prospe- 
rini, di pagg. 176 in 4.^). Con esso si descrivono ìe diverse rarcòlle, che 
insieme formano cotesto insigne istituto patavino: la Biblioteca, neWe y^rìe 
sue classificazioni (padovana, di testi di lingua, dì manoscritti e incunaboli*, 
di autografi, femminile, dantesca, petrarchesca, cominiana, ecc.). gli Archittf 
(storici, giudiziarj, ecc.), le Raccolte artistiche, archeologiche e varie (Pinaco- 
teca, Abiti e stoffe, archeologica, lapidaria, patriottica, ecc.) e il Museo nu- 
mismatico Bottacin. La descrizione comprende le origini, le vicende e lo stato 
attuale delle raccolte, ed è arricchita di ritratti e di belle riproduzioni di oggetti 
d*arte. Fra questi ultimi notiamo la riproduzione df quadri insigni del Ba- 
saiti, dello Squarzon, di Gian Bellino, del Previtali, di Tiziano, di Antonello 
da Messina, del Longhi, del Tiepolo, ecc. e d* sculture del Canova e del Vela. 
Padova può a buon dritto vantarsi di possedere un cosf ricco tesoro di 
memorie cittadine e di lavori d*arte, ed esser lieta dell* averne affidata la 
custodia, r aumento e T illustrazione ad un cosi zelante e dotto uomo com*é 
il Moschetti. Ma debita lode va data anche ai singoli cittadini padovani, 
che in numero di venticinque, più due ditte, tipografica Pana e F altra fo- 
tografica, hanno volenteroaamente concorso alla spesa occorrente per le illu- 
strazioni, che di tanto accrescono il pregio di questa pubblicazione. 

— Importante per gli studj storici ò la Comunicazione di Virr. Fiomm 
su / lavori preparatori alla nuova edizione dei Rerum Italicetrum Scriptorss, 
che si fa dal tipografo-editore 'Lapi di Città di Castello (di pagg'. 51 in 4.*"). 
Essa ei da notizia dei lavori pk compiuti e degli iniziati, e ci porge affida- 
mento che la difficile impresa sarà condotta a termine. E noi ad èssa ap- 
plaudiamo. Forse qualcuna di queste riproduzioni non corrispoiiderà al bi- 
sogno e air aspettativa: ma errare humanum est, e in tal sorta di opere, 
ogni errore speciale è sempre riparabile. Intanto, il fare invece del non fare, 
è in sé stesso buona cosa; ottima poi, se vi si può aggiungere un epiteto: 
far bene. Il Fiorini nel suo discorso dà notizia della distribuzione delle ri- 
stampe muratoriane, e delle cautele prese perché si dieno buoni testi e ben 
illustrati, e aggiunge le Norme per la compilazione de0li [ndici; e Y editore 
a sua volta, dà un saggio dei testi e degli indici. I fascicoli già pubblicati 
sono 15, e la ristampa mnratoriana procede alacremente. 



t^ ' RAMBèNA RIMaoOlUnOA 



NECROLOGIA. 



t ti 5 marzo scorso spengevasi a Cannes il grande filologo e lèllerato 
Gaston Parìsj in seguito a lunga malatlta, della quale;! primi sintomi, ó 
almeno i pid violenti, si inanifestarono in liai Tanno passato, dopo* un pia- 
cevole e può ben dirsi, trionfale viaggio in Italia. Egli aveva appena! sessan- 
taquattro anni, e quel che perde in lui la scienza, lo sanno tutti i cultori 
di essa; quello che' mancherà j*ora innanzi agl'i amici, questi soltanto pos- 
sono saperlo e sentirlo. Tutti i giornali anche politici, hanno deplorato la 
perdita di tanto maestro. Chi scrive commosso queste poch^ parole ha cer- 
cato di parlare più degnamente del Paris, com'hiemorandolo presso TAcca- 
demia dei Lincei con un discorso che presto uscirà a liicW negli Atti' ài co- 
testo Istituto. Avremmo tuttavia voluto dar in Questo periodico essenzial- 
mente bibliografico, una Indicazione più compiuta che fosse possibile, delle 
pubbliqazioni di lui, e ci eravamo accinti al lavoro quando abbiamo saputo 
ch'essa è già stata fatta — sotto gli occhi del Paris stesso — dal suo af- 
lievo,lr prof. Éediér: e perciò ce ne asteniamo. Ma vogliamo ricordare, non 
senza sentirne soddisfazione, che il Paris mostrò la sua benevolenza alPn- 
mile nostra RaMegna, e la degnò della sua cooperazione, come si vede dal 
saggio AnsiriB de Chartage e la ** Seconda SpàgHa „j che si trova neir an- 
nata I, pag. 154. 



Per mancai^za di spazio la maggior parte 
della Cronaca è rimandata al prossimo 
fascicolo. 



A. D'AvooiiA dir$Uwr§ rupom9abiU, 

Pm. Tipofraflft F. MMrtottf , 1908. 



RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

DELLA LETTEMTUEA ITALUNA 

IHrtttori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Uditore: E. 8P0EBBI. 



Anno XI. Pisa, Maggio-Giuono-Luglio 1903. N. 5-6-7. 

Abbonamento annuo [ ™ l'artero' ' ! ^l" •. ! Un num.aeparato Cent. !»•. i 

«SOMMARIO: F. Flamini, // Ctnqmeento (A. Modin). — 0. Muowi. Ludovico di Bremt 
e le prime polemiche intorno a madama di Sta?l ed al romanticismo in Italia 
{1816) (E. Clerici). — A. Solbrti, Le origini del meludramma (A. BoDaronturi). — 
E. Panzaccri, // libro degli artisti (^ntolofria) (P. D'Achiardl). — A. WmSBLonxT, 
Zur Frage Uber die Heimath der Legende vom ìteiligen Orai (V. Creseini). — 
OomnnieasioBi. P. I^nardo, Quattro lettere inedite di O. Della Casa. — K. 
Salaris, Fulvio Testi ed un poemetto anonimo d*l secolo XV IL — Annonii bi- 
bliografici (Vi BJ parla di: Oiacosa, BriBioIara, Dolcetti). — Cronaca. 



Francbsco Flamini. — // Cinquecento, — Milano, F. Vallardi, 1902; voi. VI 
della Storia letteraria d' Italia scritta da una società di professori (8.° 
gr., pp. XI-594). 

Era nostro primo proposito, e insieme desiderio della direzione di questo 
periodicoi di limitare il discorso intorno al libro sul Cinquecento, pubblicato 
or non è molto da uno dei due direttori della Rassegna^ ad una recensione 
puramente espositiva del suo contenuto. Sennonché la lettura del libro ci fece 
mutar idea; perchè, come non ci sarebbe piaciuto di tacere le giuste Iodi 
dovute a questo importante volume, cosi non avremmo potuto né voluto 
passar sotto silenzio la poche mende che crediamo di avervi riscontrate: e 
però, abbandonata ogni altra considerazione in proposito, deliberammo di 
scriverne con libertà di giudizio, come se fautore non avesse alcuna parte 
nella redazione di questa Rassegna, né fosse nostro amico carissimo. 

Dopo questa dichiarazione, che reputammo necessaria, veniamo senz'altro 
al volume, la cui mole e il cui indice-sommario particolareggiato che gli va 
innanzi bastano da soli, quando si ripensi al nome dell* autore, a convincerci 
che abbiamo dinanzi un'opera critica di non comune iuipuiliiuza. Già di per 
so il solo fatto di pubblicare un libro intorno ad un secolo, come il Cin- 
quecento, così straordinariamente ricco di ogni genere letterario, di autori 
e di opere, e sul quale si è scritto tanto e da tanti in Italia e fuori, fa pre- 
supporre in chi vi si accinge una fibra assai forte di erudito e di crìtico e 
spalle adeguate al grave incarco. Il Flamini infatti padroneggia con occhio 
sicuro non pur tutta T opera letteraria di quel secolo, ma anche il copioso 
lavoro crìtico che intorno ad essa si venne esercitando fino ai nostri giorni, 
e iameggia opportunamente le maggiori figure, che, quali altrettanti fari, ci 

10 



134 RA88BONA BIBLIOORAPIGA 

guidaDo neli* intricato labirinto delle opere germogliate in quel perìodo ma- 
ravigliosamente fecondo. 

Molta parte della produzione letteraria del Cinquecento era stata già in 
precedenza studiata da altri con larghezza di vedute e profondità di dottrina, 
tali da lasciar poco a desiderare ; ma su altre si era sorvolato, ovvero non 
si era usata la stessa cura diligente ed esauriente. Il F., com' ò ben naturale, 
si giovò degli scritti generali e particolari dei suoi predecessori, ma rinnovan- 
done spesso il lavoro critico, in modo che potè talvolta rettificare o com- 
piere r opera loro. Alcuni capitoli di questo volume non potevano riuscirci 
per ciò del tutto nuovi ; né avrebbe potuto essere diversamente: ma in altri, e 
pili specialmente in quelli dov*è studiata la prosa, troviamo indagini, notizie e 
osservazioni originali. Tuttavia anche in quelle parti nelle quali lo soccorse 
il lavoro altrui, egli, come abbiam detto, rielaborò e disegnò la materia in 
mòdo, che questa larga e densa sintesi della storia letteraria del Cinquecento, 
tanto pei contenuto quanto per la forma sobria, disinvolta, efficace e dove 
occorreva anche vivace, ha quella spiccata impronta di originalità, che manca 
nei libri di pura compilazione. 

L*A. in una breve avvertenza premessa alla sua ampia e dotta biblio- 
grafia* ricorda le opere generali onde più specialmente si giovò: cioò, il se- 
condo volume della Storia della Letteratura del Gaspary, che ebbe * sott*oc- 
* chio spessissimo e con profitto ,, il ifanua/e D* Ancona-Bacci e le opere 
monumentali del Quadrio, del Tiraboschi e dello Zeno. * Invece, di nessun 
' aiuto m*ò stata la troppo sistematica Storia della lett. ital. di U. A. Canello ,: 
giudizio codesto che a noi pare troppo severo e che avremmo voluto rispar- 
miato ad un uomo tutt* altro che indegno della sua fama e ad un* opera la 
quale, giova non dimenticarlo, fu pubblicata ventitre anni or sono e che no- 
nostante il suo schematismo (e quale storia letteraria generale non è più 
o meno schematica?), per larghezza e novità di vedute, per acutezza e ori- 
ginalità, talora perfino soverchia, di giudizj e per alcune partì veramente 
notevoli, quali, ad esempio, le pagine dove discorre della lirica e del poema 
romanzesco e dell* epico, non può essere trascurata da uno storico delle no- 
stra letteratura: né infatti la trascurò neppure il F. stesso, citandola in più 
luoghi della sua bibliografia. 

Ma anche più severo fu il F. verso il Ginguené, che non nomina affatto 
in nessun luogo del suo volume ; mentre, come ognun sa, ben sei dei nove 
volumi della Histoire litt, d'Italie del Ginguené sono dedicati al Cinquecento. 
Ma l'ampiezza della trattazione non sarebbe titolo sufficiente dì lode, ove 



1 Aggiante, oorresloni e onerruionl 1 cultori degli studj leitonrl non muiehoranno 
di fare a questa bibliografia, le quali tuttavia non varranuo a diminuirne rimporttnn • 
l'utilità. Per parte mia confeaeo di non averla sottoposta ad un esame accurato, e nello 
scorrerla notai solo una certa disngnsgliansa nel modo di citare te edisionl dei testi e mi 
vennero sott' occhio talune dimenticanse di poco conto. Pel Modesti, ad es.,(p.638) egli 
ricorda il voi. pubblicato dall'Albini nel 1886, e non la posteriore monografia dello stesso 
A. edita negli Aiti $ Memorie della JL Deputai, di Si. patria per U pror. di Romagna, III serie, voi. 
XYII— . A p. 650 non accenna alle dne stampe dei Canti Camescialeachi fatte in Lucca nel 
1760, di cui V. Gamba, Serie dei Te9Ìi (1839) p. 83 — . La prima edix. delle opere di Bussanta 
è infatti la vicentina del 1698, ma si poteva avvertire che se ne fecero poi parecchie altre. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 135 

mancassero le larghe analisi crilicbe dei poemi, delle tragedie e delle com- 
medie, la eqailà e finezza dei giudizj desunti dallo stadio diretto delle opere, 
il buon ordinamento della materia e la vivacità dell* esposizione, che al con- 
trario abbondano neir opera del letterato francese; la quale, nonostante t 
lavori recenti, assai pili ricchi di notizie biografiche e bibliografiche, rimane 
tuttavia un* opera utile agli studiosi del Cinquecento. 

Il volume del F. si divide in tre grandi parti : nella prima studia la finale 
evoluzione del Rinascimento, nella seconda la letteratura claeeiea del gran 
eeeolo, nelF ultima la letteratura al tempo deUa reazione cattolica. Riservan- 
doci di discutere poi il disegno di quest'opera, riassumiamone brevemente 
la contenenza. Precedo la trattazione dei tre grandi argomenti una breve 
introduzione sul pensiero nel Rinascimento, che fu, più che filosofico, politico 
e aKistico. Lo spirito critico del Machiavelli e il senso pratico del Guicciar- 
dini innalzarono la politica a dignità di scienza; e quanto air arte, il Rina- 
scimento, prevalendo in esso sul pensiero il culto della bella forma, anziché 
creare, svolse, assimilò e perfezionò la materia dei classici: onde la formula 
deli* arl« per l'arte si può adattare benissimo agli Italiani del Rinascimento. 
Ciò spiega perché in tanto fervore di studj classici la maggior gloria della 
nostra poesìa in questo periodo sia stata V epopea cavalleresca di origine e 
di argomento affatto medievali, ' campo da spiegarvi T agile varietà delPin- 

* gegno finamente educato ,. 

Nel primo capitolo della prima parte, la quale va dal 1494 al 1530, cam- 
peggiano le due grandi figure del Machiavelli e del Guicciardini; ed ò una 
bella sintesi, non priva di osservazioni originali, degli studj più notevoli pub- 
blicati di recente sui due statisti fiorentini. L*A. non nasconde la sua predi- 
lezione per il Machiavelli, la quale manifesta anche in un giudizio forse troppo 
reciso ch'egli dà dell* ingegno del Guicciardini, là ove dice, * che la larghezza 

* audace originale delle idee e la potenza di sintesi, maravigliose nell* autore 

* dei Dieeorei, in lui si desiderano ,. 

Come allora (cap. II) la pittura grandeggiò su tutte le altre arti figura- 
tive, perchè essendo spariti i modelli classici, era libera nella scelta dei sog- 
getti e dei colorì; cosf nella poesia il poema romanzesco avanzò in perfe- 
zione col Furioso ogni altra forma, perché, quanto alla materia, * poteva 
'spaziare a suo piacimento ne* campi fioriti dell* invenzione poetica ,. Bello 
e sotto ogni aspetto compiuto 1* esame larghissimo, che 1* A. fa del poema 
arìosteo, e cioè della materia, della forma, delle fonti, del valore storico e 
artistico, dello scopo e della grande sua fortuna.* 

La euUura umaniaiica e il volgare è 1* argomento del terzo capitolo. Ve- 
nezia, tra il cadere del sec. XV e il sorgere del XVI, colle sue celebri tipo- 
grafie e accademie fu uno dei principali centri donde irradiò la cultura 
classica, non pure in Italia, ma in tutte le nazioni civili d* Europa. E poiché 
*la storia dell* umanesimo è in gran parte la storia del culto della forma 
'secondo le vane tendenze, che prevalsero ne* secoli dal decimoquarto al 



1 A p. 75 il F. dice, che Orlando pid prode e piò magoaniiuo di tatti 1 OftTtlieri, eeoe 
Tittorioeo da qaaUiaBi impresa ienea bi90ffno éP incanii. Ma Orlando non era forte, a nn 
di preno eome Achille, invulnerabile in tutta la penona, ftiorcbé nella pianta del piedi? 



136 RA88BGNA BIBI.IOGRAFICA 

''decimoseslo^, ravviamento retorico e formale degli stadj sopra la latinità 
favori ia Italia il fiorire delle Università e delle Accademie e giovò ai pro- 
gressi deli* antiquaria e air incremento dei Musei e delle bibliotecfae. * Ai 
^ progrediti studj della lingua e delle opere letterarie degli antichi corrispose 

* una pili larga e in generale meglio intesa imitazione di esse nella pro- 

* duzion poetica originale in latino ,, e però si ebbero poemi sacri con pa- 
ludamento classico, poemi filosofici, didascalici ed epici. Assai migliore fu 
la lirica, di cui tutte le forme e i metri tutti ebbero numerosi e talvolta 
eccellenti cultori, quali il Bembo, il Gotta e il Navagero; e in generale la 
produzione poetica in latino dei primi decenni del Cinquecento è, ove si ec- 
cettui la drammatica, che manca di calore e di sincerità, un fatto letterario 
importantissimo. Ma la seconda età del Rinascimento non attese soltanto a 
rievocare il passato, sf anche a rinnovar V uso del volgare presso i dotti ; e 
r ultima parte di questo capitolo è dedicata appunto al famoso dibattito in- 
torno alla lingua letteraria italiana, nel quale ebbe parte principalissima il 
Bembo, la cui idea di attenersi ai Trecentisti trionfò. 

^L* opera dei drammatici e dei lessicografi portò air unificazione della 

* lingua. ...e T evoluzione del Rinascimento condusse ad una produzione di 

* poesia e prosa italiana uniforme ne* caratteri generali, ma copiosa e cor- 
^ retta, povera di capolavori, ma ricca d* opere pregevoli ,, che forma il sog- 
getto della seconda parte di questo libro, in cui è studiata quella che TA. 
chiama la letteratura elaàaiea del gran secolo; e cioè nel I cap. la poesia 
narrativa, nel II la lirica e le forme minori, nel III la drammatica, nel lY la 
prosa. Nella poesia narrativa di questo periodo, che va dal 1530 al 1560, ab- 
biamo gli epigoni deirjAriosto, che si sforzano di emulare il loro modello 

* cercando il nuovo nello strano ,, e una doppia forma di parodia (se cosi 
possiamo esprimerci) del poema romanzesco, vale a dire le vere e proprie 
canzonature delPAretino, del Folengo, del Lasca e di altri minori, e il poema 
epico gravemente riplasmato sullo stampo classico, del Trissino, delP Ala- 
manni ecc. Ma assai più che neir epica gli Italiani di questo periodo si eser- 
citarono nella lirica. Il Bembo, che fu il riformatore del gusto, cominciò con 
lo scriver liriche cortigiane e di mestiere, al modo di quelle del Galroeta, 
del Notturno e cosi via ; rime che poi egli stesso rifiutò. II suo mutamento 
avvenne nel 1523 circa: allora, attingendo la materia delle sue rime dal Pe- 
trarca, ' rivolse tutte le sue cure- alla forma : cioè a dar salda compagine al 

* verso, cosi sciatto presso i suoi predecessori immediati, e ad ottenere, in- 

* sieme con la sudata facilità, una compostezza signorile ,. 

La scuola veneziana sorta sotto gli auspicj del Bembo contribuì a dif- 
fondere il petrarehismo non solo nel Veneto e nella Lombardia, ma anche 
per tutta la rimanente penisola, e cosi si ebbe, come disse il Franco, * il 
" Petrarca commentato, il Petrarca imbrodolato, il Petrarca tutto rubato, il 

* Petrarca temporale, il Petrarca spirituale ,. La lirica del Cinquecento, tran- 
ne pochissime eccezioni, quali Michelangelo, il Tansillo, il Berni e Gaspara 
Stampa, è * un gran deserto di fantasia e d'idealità ,. L*A., contro T opinione 
del Graf e di altri, non ammette che ci sia stata una vera e propria vigorosa 
corrente di antipetrarchismo, ma solo dei rivoletti che produssero ' frescura 
*e verde al modo d'un' oasi ,. Più gradite assai, perché improntate a mag- 



DELLA LBTTBRATURA ITALIANA 137 

gior sincerità, ci riescono le forme minori della lirica: la satira derivata dal 
sermone dei secoli precedenti, politica, morale e sociale, la poesia burlesca, 
la carnescialesca e la rasticale. Notevoli le ultime pagine dì questo capìtolo, 
in coi il F., giovandosi di studj suoi e di altri, discorre dei mecenati e degli 
imitatori che la lirica italiana del Cinquecento ebbe fuori della penisola, so- 
prattutto in Francia e in Ispagna;.e una importante novità di questo libro, 
a differenza delle storie letterarie precedenti, * è appunto, in questo e in altri 
capitoli, lo studio dell' influenza esercitata dalle varie forme letterarie italiane 
fuori della nostra patria. 

Non certo meno ampio di questo sulla lirica è il successivo capitolo sulla 
drammatica, in cui ad una ad una sono passate in rassegna tutte le varie 
categorie, dalla tragedia regolare del Trissi'no e del Rucellai a quelle del 
Giraldi, che dimostrò libertà di criterio e uu. lodevole senso di modernità; 
dalla commedia di imitazione plautina e terenziana a quella di tradizione 
paesana ; dalla farsa (genere intermedio fra la tragedia e la commedia), alla 
commedia rusticale e bucolico-rnsticale, onde derivarono le favole pastorali 
del Tasso e del Guarini, come .'dalla farsa procede la commedia * dell* arte , 
e * a soggetto ,. Di tutte queste varie categorie il F. studia i caratteri gene- 
rali, e per ognuna fa 1* analisi critica delle tragedie e delle commedie pili 
notevoli, indugiandosi naturalmente più a lungo sulle commedie deirAriosto, 
dell'Aretino, del Lasca e . particolarmente sulla Mandragola del Machiavelli; 
a proposito della quale ci /compiacciamo di veder confermata T opinione e- 
spressa prima d' ogni altro dal Ganello, e che fu poi accettata e ribadita dal 
Villari e da chi scrive questo articolo, che cioè, quanto al concetto informa- 
tivo, la burla oscena, non sia fine a se stessa, ma come dice il F., ^stm- 
' mento necessario alla rappresentazione di una società fracida fin dalle fon- 
* damenta ,. La parte più nuova di questo capitolo è T ultima, in cui TA. 
tratta del teatro popolare e dell* influenza esercitata dalla drammatica ita- 
liana in Francia, in Ispagna e in Inghilterra. 

Ben cento fitte pagine di questo Volume sono dedicate alla prosa del 
secondo periodo, cioè alla storiografia, ai romanzi, alle novelle, alle opere 
didascaliche e parenetiche, di critica, di polemica e di epistolografia. Sebbene 
non manchino pregiate monografie sui più notevoli prosatori di questo pe- 
riodo, tuttavia nessuno, prima del F., aveva sottoposto la prosa del Cinque- 
cento ad un esame cosi diligente, cosi ampio, cosi denso di osservazioni, 
come questo che TA. ci ofTre nel cap. IV. Noi non possiamo certo seguirlo 
qui in codesta sua lunga rassegna di scrittori e di opere, ma ci basta notare, 
come della prosa, che mercé V umanismo aveva, con 1* unificazione, acquistato 
un tipo nazionale tutto proprio, sia messo bene in evidenza il vario colo- 
rarsi e atteggiarsi nelle diverse opere, a seconda dell'indole degli scrittori.' 



I Per la drammailc* qualche accenco fece però anche il Qaspary. 

t Quanto al Sanuto non ripeterei col Cantii che la lingua dei Diari sia quella allora 
parlata dai Yenexiani; che il Sanato in questa e nelle altre sue opere si industriò di riac- 
costare come meglio seppe il suo dialetto al tipo della lingua letteraria; ciò che parrà ma- 
nifesto a chi confronterà la lingua del lanuto con quella, ad es., delle commedie e delle 
lettere del Calmo. Il F. inoltre riferisce in modo inesatto il titolo d'una delle opere del 



138 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

La terza parte del volatne, la quale s* intitola La letteratura al tempo 
della reazione eattolieay e che va dal *60 al '95 circa, è assai più breve delle 
precedenti ; e ciò non solo perché la messe delle opere letterarie nelP altimo 
quarantennio, se non scarseggiò, certo venne scemando, ma anche, o perchè 
airA. venne un pò* meno la lena, o perché i limiti imposti dalP editore pro- 
babilmente lo costrìnsero ad affrettarsi verso la fine; se pure non vi con- 
tribuirono tutte un pò* queste ragioni insieme. Quest'ultima parte è divisa 
in due soli capitoli: nel primo sono studiate le tendenze nuove del pensiero 
e dell* arte al prorompere della reazione cattolica, che irrigidi il pensiero in 
dogmi fissi e immutabili. Allora le lettere, sotto T influsso dell* assolutismo 
polìtico e religioso, si ridussero - un trastullo vano dello spirito ; di qui le 
innumerevoli Accademie che pullularono da un capo ali* altro della penìsola. 
La società veniva educata dai Gesuiti; onde lo spirito ascetico largamente 
diffuso in tutte le forme della nostra letteratura di queir età, persino nei 
romanzi e nelle novelle. Nella lirica e nella drammatica, anche per ciò che 
8* attiene agli elementi formali, gli indizj del decadimento sono evidenti: * un 
'desiderio irrequieto del nuovo, una smania di far inarcare le ciglia, uno 
" sviscerato amore per le sottigliezze e le squisitezze ,. Spentasi nel popolo, 
per effetto dell* Inquisizione e del predominio spagnuolo, ogni operosità civile 
e politica, era ben naturale che i cultori della scienza deUo stato dovessero, 
in generale, accontentarsi di filosofare sugli antichi testi, anziché ispirarsi 
alle miserande condizioni dei loro tempi. Sola Venezia, ultimo asilo di libertà 

• di indipendenza politica e religiosa, ebbe a questo tempo un vero e degno 
seguace del Machiavelli in Paolo Paruta, che, storico, filosofo e diplomatico 
ad un tempo, nelle sue opere accoppiò la pratica con la teoria. 

Ma se nella seconda metà del Cinquecento, a causa dell* oppressione po- 
litica e intellettuale, parve come disseccata ogni fonte di originalità nelle 
manifestazioni artistiche e nelle elucubrazioni politiche, non mancarono, anzi 
appunto per ciò spesseggiarono gli scritti di argomento esclusivamente sto- 
rico, letterario e filosofico, i lavori di erudizione classica ed ecclesiastica, le 
polemiche sulle questioni della lingua, i trattati e le epistole; tutte quelle 
opere insomma per le quali il letterato o il filologo o lo storico non doveva 
mai spingere lo sguardo oltre * il chiuso della sua servitù civile e intellet- 

* tuale „. A ogni modo, 1* unità del nostro volgare nella seconda metà del 
secolo XVI si afforzò in modo, da servire a tutte le più svariate manifesta- 
zioni del pensiero, esercitando straordinaria efficacia anche in parecchie na- 
zioni straniere, dove i nostri prosatori furono tradotti, ridotti e imitati. 

L'ultimo capitolo tratta del dramma pastorale e dell'epopea; e in esso, 
come ben s' indovina, domina sovrana la figura del Tasso : tanto che, ad 
eccezione di alcune pagine in cui l'A. discorre degli inizj e dei precedenti 
immediati del dramma pastorale e del poema epico, e di altre sul Pastor 
fido del Guarini, tutto il rimanente è dedicato al massimo poeta e prosatore 
della seconda metà del Cinquecento. Il Tasso e il Guarini fecero * per la 



Sannto: Spedisione di Carlo Vili e di Luigi XI Un Italia^ porche egli non narrò che la sola 
spedizione di Carlo Vili. E invece, poiché ricorda le opere principali di Ini, non doveva di- 
menticare i Commentari della guerra di Ferrara (Venezia, 1829). 



DBLLA LBttBRATtmA ItAUAMA l39 

poesia bacolica destinata alle scene quello che sugrinisj del secolo stesso 
avean fatto per T epopea T Ariosto, per la lirica e per la prosa il Bembo: 
levatala cioè di mano alla gente grossa e inesperta, la raccostarono ai classici 
esemplari del genere (che in embrione contenevano anche V elemento dram- 
matico), e la svolsero ed ampliarono secondo la loro dottrina, il loro ingegno 
e il loro gusto finemente educato ,. Buonissime anche queste pagine sul 
Tasso; né alcuno potrebbe richiedere dal F. cose nuove, dopo i molti e lodati 
lavori, che in questi ultimi anni specialmente si vennero pubblicando suU* in- 
felice autore della Gerusalemme e delP Aminta. 

Tenninato il rapido riassunto, per sommi capi, della vastissima materia 
contenuta in questo poderoso volume, cui nessuno vorrà né dovrà lesinare 
tutta la lode che sinceramente gli è dovuta, anche il nostro compito sarebbe 
adempiuto, se non c'incombesse l'obbligo di esaminare, oltre al contenuto, 
anche il disegno generale dell' opera. Ogni distribuzione e divisione in materia 
letteraria è di per se stessa artificiale e soggettiva; e però non sarà mai, 
su questo punto, agevole l'accordo dei critici. Sennonché siffatte divisioni 
saranno tanto meglio e tanto pid largamente accette, quanto più approssi- 
mativamente rispecchieranno lo svolgimento e gli intrìnseci e vicendevoli 
rapporti dei fatti storici e dei Ietterai^. Che se il Canello ha soverchiamente 
insistito nel ricercare come l'arte sia fluita dalla vita e quanto su di essa 
abbia poi influito (che è l' idea principe di tutto il suo libro), il F. invece 
vi badò forse troppo poco: da ciò quel suo ordinamento, che, secondo noi 
crediamo, non sempre si accorda con le vicende storiche del secolo. 

Con lo spuntare del sec. XVI non comincia un nuovo indirizzo filosofico, 
letterario e artistico, ma seguita e si compie l'opera iniziata nel Quattrocento; 
e però ben giustamente il F. considerò la storia letteraria di una parte del 
Cinquecento come la finale evoluzione del Rinascimento. Nel secondo tren- 
tennio si manifesta, secondo il F., la vera letteratura del gran secolo, quella 
letteratura cioè che pe' suoi caratteri particolari potremmo dire propria esclu- 
sivamente del Cinquecento, ossia dall'età classica nazionale; a differenza 
non solo della precedente, ma anche di quella degli ultimi quarant' anni, in 
eul per effetto della reazione cattolica e del predominio spagnuolo, il pen- 
siero e l'arte assumono quelle tendenze per le quali le lettere e le arti si 
avviano di gran passo al Seicento. 

Ora, poiché è evidente e innegabile che il sec. XVI si divide in due età 
storiche ben distinte, e che questa divisione avvenne proprio a mezzo del 
secolo, quando il Santo Ufficio cominciò a inquisire e si inaugurò il Concilio 
di Trento, non riesce ben chiara, per quanto si badi più che alla cronologia, 
all' intrìnseco svolgimento dei generi e delle forme letterarie, questa triplice 
ripartizione della materia ideata dal F., onde derivano q^reccbie contraddi- 
zioni, ammettiamo pure più formali che intrìnseche, ma che non perciò sa- 
rebbe, crediamo, stato meglio evitare, adottando un disegno corrispondente 
alla divisione storica ora accennata. Eccone qualche esempio tra i più no- 
tevoli. Il Bembo cominciò a scriver le sue rime nei primi anni de) sec. XVI, 
le pubblicò nel '30, mori nel '47; il F. parla di lui come umanista e dell' opera 
sua in favor del volgare nella prima parte, e del lirico e, si noti, degli Aao- 
lani compiuti intorno al 1502, nella seconda. Cosi dicasi di Michelangelo, la 



140 RASSKONA BIBLIOORAFICA 

cui operosità poetica si svolge nel primo trentennio, non già nel secondo. 
Al primo periodo appartengono veramente e il Berni, morto nel *35 e le satire 
deir Ariosto, di coi il F. tratta nel secondo. La Ninfa Tiberina del Molza (1538) 
non è che la continuazione e il perfezionamento dì un genere portato già cosi 
alto dal Poliziano e dal Magnifico, onde se ne doveva parlare nella prima 
parte. Quanto alla drammatica, della quale si discorre nella seconda parte, 
la Sofonisba del Trissino e la Rosmunda del Rucellai sono deP15, T Oreste 
deP25« e si arriva alla metà del secolo con 1* Grazia dell* Aretino. Le com- 
medie del Machiavelli e dell* Ariosto sono anteriori al *30; e per la prosa, 
oltre agli Asolane e al Corltgiano del Castiglione, morto nel *29, il Libro di 
natura d^ Amore delFEquicola fu composto nientemeno che circa il 1495; 
e pure anche di questo, come degli altri, il F. discorre nella seconda parte. 
Ma se TA. divide T opera sua in tre parli, non perciò crede che il Cin- 
quecento debba essere diviso in tre età; che anzi alle due età suaccennate 
egli allude in pili luoghi del volume (p. 296 e 418), e più chiaramente che 
altrove nella conclusione, dove dice benissimo : ' Il Cinquecento comprende 

* propriamente, non una sola, bensf due distinte età della letteratura italiana. .. 

* La prima è quella in cui lo spirito del classicismo... trionfò incontrastato 

* fra noi nelParte e nella vita. La seconda è quella in cui contro esso spirito 
' si combatterono in Italia le più fiere battaglie, tentando di restringere al 

* formale, ali* estrinseco, 1* efficacia dell* opera del Rinascimento. La prima età 

* chiude e suggella: la seconda apre ed avvia ,. E se ciò è, come noi cre- 
diamo, verissimo, perché non fondere insieme le due prime parti del libro, 
in modo da mostrare che proprio alla metà del secolo si compf anche let- 
terariamente, oltr,e che politicamente, 1* opera del Rinascimento? Noi insomma 
avremmo preferito che il F. avesse abbandonato del tutto il criterio artifi- 
ciale dei suoi tre periodi o parti, e si fosse più decisamente attenuto a quello 
storico, per cui nessun altro secolo forse ebbe due età cosf nettamente di- 
stinte da fatti e da caratteri politici e letterarj del tutto diversi, e per il 

tempo cosi giustamente proporzionate, come il Cinquecento. 

A. Mkdin. 

G. Mdoni. — Ludovico di Breme e le prime polemiche intorno a 
madama di Staèl ed ed romanticismo in Italia (1816) — Milano, 
Società Editrice libraria, 1902 (S.'^ pagg. 99). 

Dopo aver accennato di volo agli scrittori principali, che get- 
tarono le basi delle nuove dottrine romantiche, alla Stael, allo 
Schlegel, al Sisniondi, T A. passa senz'altro ad esaminare quei 
due famosi articoli j)ubblicati da madama di Staèl nella Biblioteca 
Italiana, ricordando le polemiche a cui essi dettero origine, e che 
durarono vive e continue per tutto quel tempestoso anno 1816. 
Comincia egli col riferire i primi attacchi contro la baronessa 
comparsi nelle Novelle Letterarie fiorentine, sostenuti e rafforzati 
dallo Spettatore di Milano, e la difesa generosa e cavalleresca del- 
Tabate di Breme, di cui venne in queir anno alla luce T opuscolo 



DELLA LBTTBRATURA ITALIANA 141 

Discorso intorno alV ingiiistieia di alcuni givdiej letterarj italiani. 
Dae articoli poco men che ingiuriosi contro la Stael scagliò 
anche il servilissirao e frivolo periodico Corriere delle Dame, dei 
quali era autore quel conte Trussardo Caleppio, commissario di 
polizia e futuro redattore delV Aceaitabrighef che si distinse più 
t* .rdi per la guerra spietata al Conciliatore. « Le sue idee >, os- 
serva il Muoni, < sono un tessuto di meschinità e di vaniloquenza >. 
Né tacque il Monti che, nel numero del giugno della Biblioteca^ 
pubblicò anonimo un dialogo, in cui parlava di quei due articoli, 
come pure delle accuse del conte Trussardo: e, accanto alla cri- 
tica «colta e garbata» del Londonio, si ebbe IMnsulso e sgan- 
gherato articolo del Giornale di letteratura e di belle arti in Fi- 
refise. A castigar però questi velenosi libelli, veniva gid < la 
più acerba frustata » che in quel tempo fosse agli avversarj di- 
stribuita: le Avventure letterarie o consigli d'un galantuomo a varj 
scrittori^ scritte da Pietro Borsieri. Di questo libro, il quale « de- 
sta un vivo interesse in chi voglia conoscer da vicino i retro- 
scena delle guerricciole letterarie d^allora », e che a noi veramente 
appare < unico e singolare tra gli sconci vauiloquj dei polemisti 
contemporanei », il Muoni riferisce lunghi e notevoli brani, per 
mostrare «quali meriti singolari d* arguzia, di sobrietà e di lar- 
ghezza di vedute » fosse nel futuro collaboratore del Foglio Az" 
eurro. Lo strepito di queste battaglie giunse perfino all'orecchio 
del Leopardi giovinetto, che, in quelFanno medesimo, inviò al- 
l' Acerbi un suo articolo, in risposta a quello della Stael sulle 
Traduzioni. Ma T Acerbi, che forse in queir articolo non trovava 
bastante sapore di lingua, ne rifiutò la pubblicazione. 

Nel secondo capitolo, il M. esamina brevemente (sarebbe stato 
meglio farlo nel primo), quali idee s' avessero, in Italia e nel 1816, 
intorno al romanticismo. Mostra anzitutto di òhe genere fossero 
i consigli forniti dalla Stael ai letterati italiani, scegliendo i più 
importanti fra quelli che diedero origine allei difese. Tra coloro 
che sostennero vigorosamente la scrittrice francese, oltre il Bor- 
sieri, troviamo anche, com'è naturale, Ludovico di Breme. Que- 
st'ultimo, nota il Muoni, pubblicò il suo Discorso anche prima 
della Lettera Seinisena di Grisostomo, della quale anticipò molti 
punti. Sulle sue idee generali, meno note ma non meno larghe 
ed originali di quelle del Berchet, l' A. s'indugia alquanto, rife- 
rendo, come ei suole, di quello scritto brani caratteristici. « La 
natura », osserva il Breme, « non entra per nulla in queste nostre 
decisioni e classificazioni di secoli inarrivabili, di letteratura clas- 
sica e non classica Scommetterei il Tesoro di ser Brunetto 

Latini e fra Guittone con monsignor Bottari, che la natura mette 
in una sola classe Omero, Dante, Shakespeare, Sofocle ». 



142 RASSBGNA BIBLtOORAFIOA 

Il terzo ed ultimo capitolo sembra a noi non tanto opportu- 
namente posposto agli altri due, coi quali non ha in verità al- 
cun intimo legame. Essendosi presentata alla mente dell* A., nello 
studiare le polemiche romantiche di quell'anno, assai caratteri- 
stica la figura deir abate di Breme, egli ne tesse in parte la 
biografia. Ricorda quali fossero le sue relazioni e le sue amicizie 
letterarie, durante il periodo di tempo che va dal 1807 al 1818: 
e quali vincoli di gratitudine e d^affetto, quali cordiali rapporti 
fossero tra T abate romantico e il suo maestro Tommaso Valperga 
di Galuso, tra lui e la contessa d* Albany ; e torna giustamente 
ad insistere suir ammirazione del Breme per madama di Staél. 
L'influenza di questa donna, che nella sua villa di Goppet in 
Isvizzera radunava sovente una elettissima schiera d'ingegni, che 
ospitava il Byron e lo Schlegel, il Pictet e il Brougham, fu per 
l'ingegno del Breme decisiva, e durò assai viva per tutta intera 
la vita di luì. L'A. termina ricordando l'amicizia del Breme per 
il Foscolo, alquanto offuscata piò tardi da un disgustoso incidente; 
le relazioni col Monti e col Botta, e i legami fraterni che strinsero 
la sua anima con quelle, assai simili, del Borsieri e del Pellico. 
In unione con questi due egli formò in Milano quel primo cena- 
colo romantico (1815-16), da cui fu concepito un nuovo periodico, 
Il Bersagliere^ sentinella avanzata del Conciliatore, 

Lo studio del M. contiene senza dubbio molte curiosità aned- 
dotiche e molte notizie letterarie, e riesce interessante, perchè 
tende a farci meglio conoscere quel primo accendersi in Italia 
d'una questione, a cui erano legate cosi da vicino le sorti della 
nostra letteratura. Assai utili tornano pure quei brani eh' egli 
riferisce, estratti da opuscoli e da periodici assai rari, per lumeg- 
giare di quando di quando l'indole di quelle polemiche. Ma, nel 
complesso, a noi pare che questo lavoro manchi di compattezza 
organica. Non parlando della poca opportunità che presentano 
quei cenni sulla vita privata del Breme, posti in fine del libro, 
quando si sono già esaminate, nei due capitoli precedenti, le sue 
idee letterarie e le idee morali ; troppo fitta e troppo densa è la 
selva dei minuti particolari, delle notizie, delle rettifiche, degli 
stessi brani, allineati l' uno di seguito all' altro, con un nesso non 
sempre naturale; troppo minute le fila e le diramazioni e l'in- 
treccio delle opinioni; cosf che nella mente del lettore non rimane 
un concetto chiaro e complessivo delle contese letterarie d'allora. 
Eppure r argomento era di tal natura, da rendere indispensabili 
queste conclusioni e queste sintesi parziali, per seguire le linee 
grandiose ed immutabili della nuova teoria, senza perdere di vista 
il corso principale, attraverso una miriade di rigagnoletti. Alcune 



DBLLA LBTTBRATUEA ITALIANA 143 

questioni, di grande importanza, sono poi dalFA. toccate un po' 
troppo fugacemente. Accennando al sorgere del romanticismo, egli 
afferma come « a tre si possano ridurre i germi dell^ arte roman- 
tica, attecchiti in Italia prima che venissero le discussioni teoriche: 
e cioè i poemi di Ossian, le lagrimose Notti di Young, la poesia 
sepolcrale . . . »; concludendo che « la cosa esisteva dunque prima 
deli^dea >. Su questa esistenza del romanticismo prima ancora 
della sua nascita, bisognerebbe un pò* meglio intendersi. Il ro- 
manticismo italiano, che si determina in forma di scuola soltanto 
dopo il 1815, non predicò né poteva predicare cose del tutto 
nuove: ma originale è la fusione intima di tutti quegli elementi 
letterari, filosofici, morali e patriottici, che dà a concetti e a teo- 
rie, spesso in parte già enunciate, una fisionomia singolare ed un 
carattere assolutamente nuovo. Edmondo Clbbici. 



A. Solerti. — Le origini del melodramnM. — Torino, Bocca, 1903. 

LMdea di raccogliere in un volume le principali testimonianze 
dei contemporanei, intorno alle origini del Melodramma, è stata 
certamente una felicissima idea: giacché sebbene gran parte degli 
scritti dal Solerti raccolti fosse già stata anche modernamente 
rimessa in luce dal Vogel, dal Gevaert e da altri, pure g^ova trovar 
riuniti tanti importantissimi scritti in una moderna edizione 
italiana. £ di ciò va data lode al prof. Solerti, che può giusta- 
mente lusingarsi di aver fatto opera, la quale tornerà gradita agli 
studiosi deir interessante argomento. In fatto da tali testimonianze 
si rileva ben chiaramente a qual concetto e a quali intendimenti 
si ispirarono gli iniziatori di quella < Riforma Fiorentina », che 
originata dall'idea di un ritorno all'antica arte dei Greci, pose 
invece le fondamenta dell'opera teatrale moderna. 

Che la prima spinta alla maraviglio$a iwveneione^ come Jacopo 
Peri la chiama, sia stata data da Emilio del Cavaliere (cui la for- 
tuna negò per molto tempo fama pari al suo merito) non si può 
mettere in dubbio. Oltre al suo editore Alessandro Guidotti che 
gliene dà vanto, lo riconosce il Peri medesimo dicendo come: dal 
signor Emilio del Cavaliere, prima che da ogni àUro ch'io sappia^ 
con maravigliosa invenzione, ci fusse fatta udire la nostra musica 
siMe scene. E da quanto dice il Guidotti si deduce che il genti- 
luomo romano intendesse di fare le sue composizioni a somiglianza 
di quello stile cól quale si dice che gli antichi Greci e Romani nelle 
scene e teatri loro solcano a diversi affetti muovere gli spettatori. 

Ma ciò che più preme notare sono gli avvertimenti dati nella 



141 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

Epistola ai lettori per la giusta interpretazione di queste sue mu- 
siche: tra i quali attirano più vivamente la nostra attenzione 
quelli rivolti al cantante, che dovrà cantar con affetto, senza pcts- 
saggi (cioè seqza inopportune fioriture a scapito del sentimento 
drammatico) e accompagnarsi con una azione appropriata, e quelli 
relativi agli strumenti, che dovranno esser in numero proporzio- 
nato alla cap£^cità della sala e perché non sieno veduti si deb- 
hono suonare dietro le téle della scena; colia qual prescrizione Emilio 
del Cavaliere anticipava di circa due secoli e mezzo l'idea wa- 
gneriana! Ed anche un'altra cosa importante diceva il grande 
artista, sempre in rapporto agli strumenti o meglio al loro ufficio 
nel dramma. Quella che il Corabarieu chiamava la Psicologia 
dell'orchestra e della quale attribuiva a G. Giacomo Rousseau 
l'invenzione (che 1' Hellouin rivendicava invece a Claudio Monte- 
verdi) era stata già immaginata e sentita, anche prima che dal 
gran Cremonese, da Emilio del Cavaliere, il quale, come dice l'Epi- 
stola, Uxudarebbe mutare stromento conforme alV affetto del recitante. 

Non è chi non vegga l'importanza di questa idea dell' appro- 
prìafé ad ogni personaggio una classe di strumenti: idea che se 
non fosse stata enunciata da Emilio del Cavaliere prima che co- 
minciasse il '600, si direbbe della più fresca modernità. Né meno 
notevole è il concetto di lui intorno a quella varietà di ritmo^ che, 
tanti secoli dopo, poneva sulla sua bandiera Gioacchino Rossini, 
e che l'antico compositore invocava, volendo che Varie e le mif- 
siche non sieno similiy ma variate con molte proporaioni, cioè tri- 
ple, sestuple e di binario. E più e più altre cose e intorno alla du- 
rata degli spettacoli, e all'ordinamento del teatro, e ai libretti 
per musica ci piacerebbe pure notare se, comparando la materia 
allo spazio di cui possiamo disporre, non ci sentissimo costretti 
ad affrettare il cammino. 

Perciò sulla ormai ben nota e Prefazione » del Peri alla sua 
< Euridice » non ci fermiamo se non per rilevare come un' altra 
idea di un altro grande alemanno, Cristoforo Gluck, sia stata anti- 
cipata da un antico musicista italiano. E noto che il Gluck soste- 
neva dover essere la musica una declamazione intensiva: e che 
cosa voleva Jacopo Peri se non imitar col canto chi parla e usare, 
a modo de' Greci, un^ armonia che avanzando quella del parlare 
ordinario scendesse tanto dalla melodia del cantare^ che pigliasse 
forma di cosa mezzana? Perciò egli diceva di aver cercato una 
maniera di musica, che potesse prender temperato corso tra i mo- 
vimenti del canto sospesi e lenti e quegli dalla favella spediti e ve- 
loci^ e di aver trovato come nel parlar nostro molte voci s'into- 
nino di per sé in guisa che vi si può fondare armonia. Simile prò- 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 145 

cedimeato usava nel comporre Vincenzo Bellini, il quale in una 
lettera a Filippo Cicconetti, tra 1* altro, scriveva: «chiuso quindi 
nella mia stanza comincio a declamare la parte del personaggio 
del dramma con tutto il calore della passione e osservo intanto 
le inflessioni della mia voce, Taffrettamento e il languore della 
pronunzia in questa circostanza, T accento insomma ed il tono del- 
Tespressione che dà la Natura all'uomo in balfa delle passioni; 
e vi trovo i motivi ed i tempi musicali adatti a dimostrarle e a 
trasfonderle in altrui per mezzo dell'armonia. .. ». 

Importantissima è poi la « Prefazione » di Giulio Gaccini alle sue 
Nuove Musiche^ la quale pure è un vero e proprio Inanifesto este- 
tico, che contiene in sostanza tutte le idee sul dramma lirico, di 
Gluck e di Wagner. Ivi egli narra come dalle discussioni cogli 
amici della Camerata Fiorentina (nelle quali aveva appreso più 
che in trentanni nel contrappunto) avesse derivato la convin- 
zione a non pregiare quella sorta di musica, che non lasciando bene 
intendersi le paróle, guasta il concetto et il versOf ora allungando 
et ora scorciando le sillabe per accomodarsi al contrappunto^ lace* 
ramento della poesia: ivi espone come gli venisse in pensiero di 
introdurre una sorte di musica per cui altri potesse quctói che in 
armonia favellare e come avesse sempre ricercato V imitazione dei 
concetti delle parole; ivi si scaglia contro gli abusi dei cantanti 
pei loro giri di voci e trilli e gruppetti, ritrovati non già perché 
sieno necessarj alla buona maniera di cantare, ma sf per dare una 
certa tUiìlazione agli orecchi di quelli che meno intendono che cosa 
sia cantare con affetto: ivi insomma porge una quantità di pre- 
cetti intorno all'estetica e alla pratica dell'arte musicale, che ci 
fanno ammirare tanta acutezza di osservazione e tanta finezza 
di gusto. 

Segue, nella raccolta del Solerti, la prefazione di Marco da 
Gagliano alla Dafne: quella prefazione in cui il colto ed equili- 
brato composi tor fiorentino mostra di possedere cosf largo con- 
cetto dello spettacolo teatrale, da dichiarare che non basta la mu- 
sica sola a formarlo, ma richiedonsi molti altri requisiti dall'in- 
sieme dei quali acquista veramente eccellenza. E anche qui come 
non ricordare gli. scritti del Wagner .sull'opera d'arte dell'av- 
venire e come non riconoscere che anche qui l'innovazione te- 
desca non fu altro (in rapporto alle mutate condizioni dei tempi) 
che un ritorno ad un'anticaglia italiana? 

Ma la prefazione alla Dafne ha inoltre una grande impor- 
tanza storica, giacché l'autore vi narra come ebbero origine gli 
spettacoli chela Camerata Fiorentina ideò, e ne racconta le prime 
vicende. Indi sì dilunga a parlar della Dafne^ dando numerosi e 



146 RASnONA UBIJOORAPIOA 

giadiziosi aTyertimenti intorno alla sua esecuzione: avvertimenii 
che sono ai tempo stesso tanti precetti artistici della più indi- 
scutibil giustezza. 

E la serie delle Prefazioni si chiude con quella di Filippo Vi- 
tali r\V Aretusa, prefazione che è solo un resoconto della prima 
esecuzione di quella favola e del grande successo riportato, con 
relative modeste dichiarazioni deir autore che, al solito, ne attribui- 
sce il merito agli esecutori, air apparato scenico etc. etc. 

À questo punto del volume troviamo ripubblicato l'impor- 
tante « Discorso » di Vincenzo Giustiniani sopra la musica dei suoi 
tempi. Il Solerti opportunamente riproduce anche l'erudita av- 
vertenza che vi premise Salvatore Bongi, quando pubblicò il Di- 
scorso per occasione di nozze, e che fornisce ampie notizie sul- 
l'autore e sull'opera sua. Nel discorso del Giustiniani poi, è se- 
guito il cammino della nuova arte musicale da' suoi primi passi, 
fino al 1628, anno nel quale indubitatamente fu scritto: e si parla 
con assai diffusione delle condizioni della musica, sia vocale che 
strumentale, in quel tempo. 

Pure alle origini del Melodramma si riferisce l'estratto della 
prima parte de^ Discorsi e Regole sovra la musica di Severo Bo- 
nini, che ci dà particolareggiate informazioni intorno a coloro 
che idearono e a quelli che interpretarono il nuovo genere d'arte, 
cioè intorno ai principali cantori, cantatrici e compositori recita^' 
taiivi di Fireììee, com' egli li chiama. A complemento delle quali 
notizie il diligentissimo prof. Solerti aggiunge in nota quelle al- 
tre che si ricavano da un raro opuscolo della Biblioteca Riccar- 
diana. 

Segue la notissima < Lettera » di Pietro De' Bardi, documento 
che non doveva mancare in questa raccolta, ma sul quale, per essere 
stato stampato e- ristampato più volte, stimiamo inutile soffer- 
marci. Assai meno noto è invece il lungo « Discorso » di Pietro Della 
Valle, pubblicato nel 1763 dal Gori nel 2.' volume dei Trattati 
di mtisica di G. B. Doni e nel quale lo scrittore, che ha pel suo 
tempo idee molto avanzate, si propone di dimostrare che: la mu' 
sica deW età nostra non è punto inferiore, ansi è migliore di gudla 
ddFetà passata. Il discorso è del 1640 ed è diretto a Lelio Gui- 
diccioni, il quale avea lamentato (come in tutti i tempi si è fatto) 
la decadenza della musica vecchia. Pietro della Valle, che era di 
opposto parere, combatte i soverchi artificj della musica vecchia 
fondata esclusivamente sul contrappunto, e mostra come i compo- 
sitori dell'età sua abbiano concorso a liberarla da quel difetto, 
facendo luogo al sentimento e alla giusta espressione delle pa- 
role. Parla poi del suo Carro di fidUtà d' amore (di cui il Solerti 



DBLLA LBTTBRATUIU ITAUAlf A 147 

riproduce in appendice il tesfco da un rarissimo opuscolo) e discute 
a lungo sulIMndirizzo dell'arte nuova, sui nuovi cantanti, sulle 
tante novità peregrine, che alV età passata furono affatto ignote^ per 
le quali Parte venne acquistando maggior calore di sentimento 
e maggiore scioltezza di forme. 

Dopo una descrizione delle opere sulla musica di 0. B. Doni, 
leggiamo nelP interessante volume alcuni estratti dal Trattato 
della musica scenica di lui. Vi hanno dei capitoli assai curiosi, 
come quello in cui Fautore vuol dimostrare che, jmché le lunghe 
musiche generano tedio, è molto meglio cantare parte delle azioni 
che tutte intere! Che ne direbbero i nostri editori? — In altro 
capitolo il Doni studia a quali specie di azioni drammatiche con- 
venga più o meno la melodia, dimostrando che meglio si adatta 
alla tragedia che alla commedia e che può introdursi, ma limi- 
tatamente, nelle Rappreseìtfazioni spirituali^ mentre le Pastorali 
possono aver musica in tutte le parti loro. 

Un altro capitolo si riferisce alle origini del cantare in scena, 
e ripete le notizie storiche della e Riforma Fiorentina » : altri trat- 
tano del Mimo antico^ delle Favole AteUane e degli Intermeggi, 
del progresso di cui la scena lirica è suscettibile, deir accompa- 
gnamento strumentale. Con felice pensiero il Solerti aggiunge 
poi un passo tolto dal Trattato de-generi e della Musica, nel 
quale è fatta una chiara distinzione tra il genere madrigalesco 
e il nuovo stile monodico, affermandosi che il miglioramento che 
ha fatto la musica per questa sorte di nhclodie è molto notabile^ per 
quanto le imperfezioni dello stile madrigalesco debbano, secondo 
il Doni, pili che al genere in sé, attribuirsi alF artefice, cA<! non 
l'assegna a soggetti proporzionati. 

La riproduzione del testo poetico della Bappresentaeione di Ani^ 
ma e Orpo, un* ampia e diligente Bibliografia delle prime Favole 
in Musica dal 1600 al 1640 (di parecchie delle quali si hu ora per 
la prima volta notizia) ed un'altra copiosa Bibliografia relativa 
alla letteratura sulle origini del Melodramma, aggiungono pregio 
al volume che il prof. Solerti ha messo insieme con acuto discer* 
nimento e con cura amorosa. 

Ahnaldo Bonaventura. 



148 RA88BQNA BIBLIOORAFIOA 



Eneico Paszacchi. — n libro degli artisti (Antologia). — Milano, 
Cogliati, 1903 (pp. XV-527, in 16.^). 

Mentre si sta discutendo circa T opportunità, o, per meglio dire, 
la necessità di introdurre una buona volta T insegnamento della 
storia delParte nelle nostre scuole, ecco alla luce un libro, che 
se non può contribuire alla soluzione del grave problema, può 
tuttavia prestare un valido ajuto a quei volenterosi che avessero 
desiderio di cominciare ad infondere nei giovani un certo inte- 
resse ed amore per quei negletti studj. Lo scopo che Enrico Pan- 
zacchisi è proposto con questa Antologia è stato appunto quello 
di indurre gli studiosi a familiarizzarsi con lo spirito, con la cul- 
tura e con le abitudini della vita dei nostri pittori, scultori e ar- 
chitetti. E poiché fortunatamente i nostri grandi artisti, senza 
essere veri e proprj letterati, non furono neanche quegli uomini 
incolti che taluno suppone, di modo che < quando alcuni di essi* 
« adoperarono la penna con qualche intendimento letterario, per 
€ la vivacità e la grazia innata dello scrivere, meritarono d^ essere 
« talvolta invidiati dagli uomini di lettere propriamente detti », 
cosf FA. è riuscito a comporre felicemente nello stesso tempo un 
opera d*arte, di letteratura e di storia, raccogliendo in questo 
volume prose e versi, che ad artisti in gran parte appartengono. 
Inoltre, poiché le relazioni fra artisti e letterati furono nei di- 
versi secoli multiformi e continue, egli ha creduto opportuno 
unire a quei brani altri brani di poeti e di prosatori, che ad ar- 
tisti o ad opere d^arte in qualche modo si riferiscono. 

La materia è divisa per secoli, ed ai brani riportati vengono 
fatti precedere per ogni secolo brevi cenni riassuntivi della sto- 
ria artistica di quel dato periodo, al quale gli scritti stessi appar- 
tengono. Ogni volta che comparisce nel libro il nome di un ar- 
tista, le annotazioni richiamano brevemente la vita e le opere di lui. 

Per i secoli XIII e XIV ai brani di prosa scelti dal Trattato 
della Pittura di Genuino Cennini, dai Commentar) del Ghiberti, 
dalla Cronaca di Giovanni Villani, dalla Vita Nuova di Dante, 
dalle novelle di Franco Sacchetti, e sopratutto poi dal Vasari, 
sono uniti non pochi brani poetici, che colle arti plastiche stanno 
in una certa relazione. Così VA. riporta le mirabili terzine del 
e. X del Purgatorio, nelle quali Dante, descrivendo le sculture 
che ornano la ripa tra il primo ed il secondo girone, dà forma 
perfettamente plastica alla sua immaginazione; quelle relative a 
Franco Bolognese, alcuni sonetti di Dante stesso, del Petrarca, 
di Andrea Orcagna ed alcune rime del Poliziano. 



DELLA LETTERATURA ITALIANA 149 

Per il secolo XV, oltre che a quelli del Vasari, che tanto in 
questo, come nel secolo successivo tengono la prevalenza, un largo 
posto è concesso aj^li scritti di L. B. Alberti. L'A. riferisce pure 
un brano di quella Cronaca rimata di Giovanni Santi, padre di 
Rafifaello, la quale pur non avendo un grande valore poetico, non 
è tuttavia priva di interesse per i frequenti accenni alParte ed 
agli artisti contemporanei. 

L^ arte del secolo XV non dava vita soltanto alle tele ed alle 
p.ireti delle chiese e dei chiostri. Per intendere adeguatamente la 
sua alta importanza politica e civile in quel secolo, non basta 
studiare le opere d'arte che uscirono dai pennelli divini, non ba- 
sta leggere i brani dei biografi. L'arte penetrata neir anima del 
popolo diveniva parte vitale di ogni manifestazione del popolo 
stesso, ed informava di se le feste pubbliche, i giuochi ed ogni al- 
tra espressione di quella età festosa ed obliosa. Nelle liete ma- 
scherate, inventate da artisti e da gaudenti buontemponi, abbia- 
mo di tutto ciò le testimonianze pili fedeli; ed i Canti Carnascia- 
leschi che in quelle occasioni si cantavano dal popolo, ci danno la 
più intensa vibrazione di cotesta nota gaia e spensierata. Cosi FA. 
alle narrazioni che il Viisari ci ha lasciato di tali feste, unisce op- 
portunamente alcuni brani di quei canti, come quello del Trionfo 
di Bacco e di Arianna, cosi delizioso nel suo ritornello: 

*Chi vuoi oBiier lieto sia 
Di doman non c'è certessa ,. 

Parimente un brano di quella strana e bizzarra opera che è il 
Sogno di Polifilo, e che va adorna di preziose incisioni attribuite 
al Mantegna, al Bellini, a Raffaello, a Jacopo de' Barberi, ci ri- 
porta ai tempi, nei quali andavano maturandosi le forme della 
nuova architettura, che doveva essere inaugurata pid tardi da Bra- 
mante. Chiudono gli scritti del sec. XV molti brani del Trattato 
della Pittura di Leonardo da Vinci, nei quali i consigli pili pra- 
tici in fatto di arte vengono accoppiati ai sentimenti della più 
alta poesia, che ispiravano costantemente quel sommo genio en- 
tusiasta delle bellezze del corpo umano e dell'armonia che regna 
fra tutte le opere della natura. 

Premesse, secondo il solito, alcune considerazioni storiche al- 
l' esame del sec. XVI, di questo secolo, che come dice il Taine, 
ci dette in arte il tipo di un'umanità superiore, e che potrebbe 
avere per insegna quei due versi di Michelangelo: 

* Per fido esempio di mia Tooasione 
Nascendo mi fo data la bellezza a, 

11 



150 KA8SBONA BIBLIOGRAFICA 

l'A., dopo avere altresì osservato che non bisogna intendere e 
studiare quest^ epoca in un senso troppo rigorosamente cronolo- 
gico, passa a darci brani del Vasari, di Messer fialdassar Casti- 
glioni, del Borghini, dei Dialoghi del Firenzuola, di rime del Bembo, 
di Giovanni della Casa, ottave deirAriosto, versi di artisti, quali 
il Bramante, il Francia, il Reni, e sopratutto poi di Michelan- 
gelo, per la biografia del quale vengono riportati in gran numero 
dei brani del Condivi. Si aggiungano a questi scritti molte lettere 
scambiate fra artisti, letterati e principi, alcuni dialoghi di Paolo 
Pino, di Ludovico Dolce, di Andrea Gilio, alcuni passi della au- 
tobiografia di Raffaello da Montelupo, molti di quelle del Cellini 
e dei trattati di lui suir Oreficeria e sulla scultura, altri sonetti 
del Cellini stesso, del Varchi, del Bronzino, ed altri trattati an- 
cora del Lomazzo, di Romano Alberti, di 6. B. Armenino, del 
Palladio, e si capirà facilmente come la fisonomia di questo grande 
secolo ne risulti chiara ed evidente nelle sue varie manifestazioni. 

L^arte del secolo successivo, ispirata a quel sentimento reli- 
gioso misto di fervore e di entusiasmo declamatorio, che pure 
aveva ancora in se molti elementi di forza e di grandezza, trova 
le più fedeli testimonianze del suo carattere nelle Vite del Bal- 
dinucci, in molte poesie di G. B. Marini, nella Felsina Pittrice di 
G. C. Malvasia, nel Microcosmo della pittura di Francesco Scan- 
nelli, in alcune lettere dei Caracci, di G. Reni, del Bernini, in rime 
del Bernini stesso, o a lui dedicate, di Salvator Rosa e di Ago- 
stino Caracci, ed in altri brani di prosa del Borromini, di Carlo 
Gregorio Rosignoli ecc. 

Per il sec. XVIII, non avendo allora avuto la patria nostra 
abbondanza di artisti di grande valore, non potevamo purtroppo 
avere neanche una grande copia di scritti letterarj, che servis- 
sero ad illustrarne le opere. Al Rococò^ che aveva trionfato fino 
verso la metà del secolo, tanto di là quanto di qua dalle Alpi, 
si oppose in Italia quel movimento artificioso, che con slancio 
poco sincero proclamò il trionfo della bellezza greca e romana. 
Il Tiepolo, che primeggia fra coloro che si tennero in disparte dal 
rinnovamento classico, rappresenta T ultimo fulgóre della grande 
arte veneziana. Accanto a lui il Canaletto e Rosalba. Fra gli ar- 
chitetti sono da ricordarsi il Gallo e il Dotti. Notevole fama eb- 
bero il Soli, il Temanza, lo Zanoia, il Cagnola, il Canina, il Diedo. 
Per la pittura, a Roma T astro maggiore è Vincenzo Camuccini; 
a Firenze Luigi Sabatelli e il Benvenuti aretino. Ma tutti questi 
artisti ben poco scrissero, e chi scrisse di loro o della loro arte 
si lasciò spesso dominare dal barocco sia nella forma che nel 
concetto. Sono tuttavia degni di nota e non privi di interesse gli 



DBLLà LBITERATURA ITALIANA 151 

scrìtti di Gio. Maria Ciocchi, la pittura in Parna?^o; i Saggi so- 
pra la [)ittura di Fr. Algarotti, gli Avvertimenti di Giuseppe Za- 
netti, i Dialoghi del Bottari, molti passi delle opere del Milizia, 
il Trattato di Niccola Passeri, i Sonetti di Giuliano Cassiani, ed 
alcuni epistolarj. 

Venendo finalmente al sec. XIX, che racchiude in se, come 
dice FA. molti, svariati e spesso confusi movimenti d*arte e di 
idee, i brani degli scrittori in fatto d^arte ci si offrono assai più 
abbondanti che per il secolo precedente. Le lettere del Canova, 
i Ricordi di Massimo D^ Azeglio, TAutobiografia del Dupré, molti 
brani del Tommaseo, ci danno nello stesso tempo i migliori e- 
sempj di bello scrivere, ed i migliori ammaestramenti suir arte 
contemporanea. A questi vanno uniti alcuni scritti di Giuseppe 
Bossi, le terzine di Paiolo Costa sul gruppo del Laocoonte, il ce- 
lebre sonetto del Giusti sulla Fiducia in Dio del Bartolini, le Me- 
morie di Fr. Hayez, gli Scritti d^arte del Mussini, alcuni sonetti 
di Andrea Maffei, V ode dello stesso Panzacchi a Michelangelo, e 
quelle del Carducci per la statua < la madre » di Adriano Cecioni. 
Chiudono la raccolta alcuni brani di tre pittori, che si possono 
annoverare fra i piti arditi ed i più forti della seconda metà del 
secolo: Luigi Serra, Giovanni Segantini e Telemaco Signorini. Le 
lettere dei primi due, e Caricaturisti e Caricaturati » ed alcuni 
sonetti del terzo, ci rivelano gli alti ideali artistici, che anima- 
rono le menti di quei maestri scesi da poco nella tomba, ideali 
che in gran parte sono ancora quegli stessi di molti giovani 
viventi. 

Cosf, giungendo fino alla soglia delFarte nostra contemporanea, 
il Panzacchi ha saputo darci un libro, che è opera utile e anche 
nuova, e che riuscirà di pari interesse tanto per gli artisti quanto 
per i letterati, iniziando quelli con piacevoli letture ad una mag- 
giore conoscenza della letteratura che li riguarda, e questi a fa- 
miliarizzarsi un po^ pili cogli artisti finora troppo a torto negletti. 

Pietro D'Achiardl 

A. Wesselofsky. — Zur Froge ilber die Heimath der T rgende vom 
heUigen Gh-al (Sonderabdruck aus dem Archiv ttlr slavische 
Philologie, Bd. XXIII); Berlin, 1901 (pp. 70, 8.«). 

Questo saggio del romanista insigne spetta alla ricca serie 
delle pubblicazioni, onde a gara colleghi, amici, discepoli vollero 
onorare il giubileo cattedratico del prof. D'Ancona. 

Ben è vero ciò che avverte, cominciando, il W.: la leggenda 
del san Graal ha già promossa una intera letteratura, che ogni anao 



152 tlABSBONA BIBLIOGRAFICA 

più s* estende, ed agita sempre nuove questioni. ^ Quale fu la culla 
della leggenda? Come s^ è formata? Rispecchia essa uno schema 
favoloso di origine gallese, cui siensi accomodati motivi e nomi 
di saghe cristiane: o si tratta invece del processo contrario: del- 
r amplificarsi di un racconto apoctifo cristiano, che sia stato 
abbellito e ornato di frange fantastiche, attinte alle leggende po- 
polari del Galles? Due le vedute fondamentali; due sono i campi, 
ne^ quali si aggruppano gli studiosi. Ma non basta: data T ultima 
ipotesi, di dove spuntò il tema apocrifo? Dair Oriente o dal seno 
stesso del cristianesimo gallese? 

Il W. aveva avuta ancora T occasione di toccare siffatti proble- 
mi. Per lui non v'ha dubbio che la leggenda del san Graal sia di 
origine cristiana: egli aveva già chiaro in mente il concetto che si 
dovesse ammettere una fonte orientale e che s'avesse a conside- 
rare come un pili tardo evento il localizzarsi della leggenda in 
Bretagna. Ora egli corregge, approfondisce e precisa: nelle fonti 
de' romanzi del san Graal si rifletterebbero leggende irradiatesi da 
una diaspora cristiano-giudaica in Palestina, in Siria, in Etiopia; 
e si sarebbero esse comunicate e aggiustate al mondo occiden- 
tale per effetto di una trasmissione del tutto meccanica. 

Le più antiche testimonianze occidentali circa Giuseppe d'Àri- 
matea e il Graal offrono l'insieme di questi dati precipui: Giu- 
seppe ha raccolto il sangue del salvatore, e proprio in un vaso, 
ch'era stato usato nella santa cena presso Simone il lebbroso: 
egli è amico dell'apostolo Filippo e propagatore del vangelo: 
pratica il sacramento eucaristico su l' esempio della cena di Cristo, 
ed erige una chiesa in onore della madre di Dio: il figliuol suo 
viene consacrato vescovo. Stabilito questo, il W. si volge ad esplo- 
rare le leggende orientali; e comincia da un monumento geor- 
giano (e mit enim grusinischen Denkmal »), che manifestamente 
riflette una più antica fonte orientale, probabilmente siriaca. Il 
più remoto de' manoscritti, cui venne fatto al W. di risalire, spetta 
al 977 ; e il racconto, che si trae da quella e da altre versioni, 
presenta curiosi riscontri con lo schema di ciò che l'occidente 
narrerà più tardi in rima e in prosa. Campeggia ivi pure la fi- 
gura di Giuseppe: ivi pure la sacra cena vien celebrata nella 
casa di Simone da Cirenaica od in quella di Giuseppe: questi 
raccoglie il sangue di Cristo ; sparge il vangelo a Lydda o Dio- 
spolis, ove si reca al fine stesso anche l'apostolo Filippo: sorve- 



1 Per farsi un'idea di codesto rigoglio critico, basta vedere la bibliografia eh' è in E, 
Wkohsslxb, Die Sagt vom hfiligen Orni in ihrer Sntwieklung bis mt/ R. Waqntr» Parai/al^ HaUe 
a, 8., 1898, pp. 191 agg. 



DfiLLA LItTTBtUtURA ITALIANA 15^ 

glia la edificazione della chiesa in onore della madre di Dio, e 
in questa Enias è consacrato yescovo 

Porte di cotesti raffronti, il W. passa ad analizzare le due prin- 
cipali versioni della leggenda del san Graal: il romanzo di Robert 
de Boron e la prima parte, che potrebV esser la più antica, del 
«Grand Saint Graal». Seguire via via, lentamente, la disamina 
acuta, le illustrazioni ingegnose e dotte del W., d^ ordine geogra- 
fico, storico-religioso, etimologico, in una Rivista, che non in- 
tende alla storia comparativa delle letterature medievali, sarebbe 
un fuor d^ opera. Ci bastino le conclusioni. 

Il substrato della parte prima del < Grand Saint Graal » è 
una leggenda locale, propriamente siriaca, derivante da una dia- 
spora giudaico-cristiana nel settentrione della Mesopotamia: il 
nome Orcaus rimanda al siriaco Orhoi, non air arabo Rùha^ che 
è Rohais (Edessa) delle fonti occidentali. In codesta leggenda 
si figurava Giuseppe come predicatore del cristianesimo, battez- 
zato dair apostolo Filippo e in possesso del sangue di Cristo. Ora, 
circa il 1135 presso Guglielmo di Malmesbury, o piuttosto nella 
sua fonte, compare una notizia non bene perspicua sopra Giu- 
seppe, r amico deir apostolo Filippo, del quale si dice già che 
predicò il cristianesimo in Bretagna: innanzi il 1204 si diffon- 
deva per r occidente il racconto di Giuseppe e del vaso della cena, 
che nel 750 sarebbe stato reso manifesto in una visione ad un 
romito bretone: e che si trattasse del vaso col sangue di Cristo, 
come resulta dal prologo del « Grand Saint Graal », che della vi- 
sione narra pur esso, è chiaro. Tutto ciò poteva appartenere ad 
una leggenda apocrifa siriaca di colorito giudaico-cristiano o forse 
nestoriano, ad una leggenda del secolo Vili, che venne trasmessa 
per via indiretta air occidente romanzo, e in tal forma che rivela 
cognizione immediata e personale deir oriente. Eccoci dunque al 
tempo delle crociate, al principio del secolo XII: anzi il W. de- 
terminerebbe il punto e il tempo della comunicazione del rac- 
conto apocrifo agli occidentali: la signoria franca su Edessa (Or- 
caus) dal 1097 al 1144. 

Più arduo fissare il tempo della versione parallela della leg- 
genda, che ci fu conservata nel romanzo di Robert de Boron. In 
ogni modo, è duplice la redazione che l'Europa conobbe. A Co- 
stantinopoli non pare che essa attecchisse, mentre cosi fortunato 
accoglimento incontrò nella Francia settentrionale e in Inghil- 
terra. Si rispecchia una versione particolare in Wolfram von 
Escheubach; ed una più antica fase del racconto su la inchiesta 
del mistico vaso, forse sta in fondo alla seconda parte del « Grand 
Saiut Graal». La contenenza religiosa della leggenda, che ai cat- 



154 ìUssAgna bibLioorafìca 

tolici romani riusciva oscura, venne da essi in vario modo inter- 
pretata e ridotta. Operò il solito spirito del r adattamento locale, 
81 che la straniera leggenda in sé ricevesse tratti della saga in- 
digena e con questa strettissimamente si intrecciasse. Cosi s^ ap- 
propriò dessa Perceval; e la tavola rotonda di Uter-Pendragon 
venne concepita come terza, dopo la tavola della cena di Gesù e 
Giuseppe. Cosi forse Hebron, abbreviato in Bron, potè esser fatto 
tutt' uno con il gallese Bran il benedetto, il Graal con un favoloso 
talismano ecc. A questo modo il racconto della predicazione del 
cristianesimo in un riposto angolo deir oriente si svolse nella 
storia di un* antica conversione della Bretagna, indipendente da 
Pietro e da Roma. Questo sollevava la coscienza della chiesa 
bretone, e la leggenda si fece popolare, perché rispondeva a' fini 
della lotta politico-religiosa. E contemporanea fu un'altra evo- 
luzione di genere afiTatto letterario: la contenenza religiosa si 
esagerò, si oscurò più sempre con intrusioni fantastiche, etero- 
genee, su la via del misticismo e de' nuovi problemi psicologici. 
I motivi originarj della leggenda cedetter luogo ad altri, cui do- 
minava un inquieto spirito di elevazione trascendente, una bra- 
mosia tormentosa di luce e di purità, una specie di nostalgia del 
cielo, al quale avrebbe sollevato, rapito l'errabondo mortale il 
santo Graal. 

Questa la ricostruzione del Wesselofsky, luminosa, acuta, ori- 
ginale. Varrà essa a risolvere il faticoso problema, che l'ha su- 
scitata? Sconfiggerà essa lo scetticismo, che perpetuamente s'ac- 
compagna alla ricerca delle remote, nebulose origini ? 

Vincenzo Ciìescini. 

COMUNICAZIONI. 

QUATTRO LETTERE INEDITE DI O. DELLA CASA. 

Con la cedola Concistoriale del 2 aprile 1544 ^ Monsignor Gio- 
vanni Della Casa venne eletto dal Pontefice Paolo III Arcivescovo 
della Chiesa di Benevento, rimasta vacante per la rinunzia di 
Francesco della Rovere. Appena si seppe questa notizia, i Con- 
soli * della città beneventana ed il Capitolo metropolitano si af- 
frettarono ad esprimere al nuovo arcivescovo le più sentite con- 



t Vedi la blo};ralia del Coutc G. B. GaHotti nello Oiure del Casa. voi. I, Milano, 1806, 
pag. 59. Secondo l'Ugliclli, voi. Vili dell' Italia Sacra, Venetiis, MDCCXXI, col, 170, l'eleaione 
sarebbe avvenuia il 7 e nou il 2. 

* I Consoli in questo tempo erano 8; vedi il mio studio: Oli Statuti di Benevento sino 
aUaJine del «ec. A' 17. Benevento. De MarUni, 190*2. 



DBLLA LETTERATURA ITALIANA 155 

gratulazioni per la dignità di recente conferitagli, inviando a 
Roma l'Arcidiacono e molto nobile et costumato et gentil homo » 
(doc. II). 

Alla partenza di questi il Della Casa, in data del 3 maggio, 
scrisse due lettere; ^ indirizzando la prima ai Consoli, come capi 
della città, per ringraziarli della gentile premura che avevano 
avuta. In essa si lamenta che a cagione dei e tempi pericolosi » 
non potrebbe egli venire a Benevento « a fare 1' obbligo stw » 
prima del mese di ottobre; intanto però li prega di favorire la 
Chiesa ed il Clero, promettendo dal canto suo di fare quanto può 
nelle «occorrenze della città». La seconda è diretta ai Canonici 
e Capitolo, di cui l'Arcivescovo gradisce le congratulazioni; e non 
sentendosi bastante a sostener il grave peso della sua carica, in- 
voca l'aiuto divino. E poiché può venire a visitare la sua Chiesa 
soltanto nel prossimo ottobre, ^ li esorta a dargli subito avviso, 
qualora si accorgano di « alcun errore nella administratione o nel 
« Clero », affinché lo possa emendare, sebbene si trovi lontano. 

Del 30 maggio dello stesso anno è la terza lettera diretta, 
come la prima, ai Consoli e città di Benevento. Da questa si ri- 
leva che avendo i Masftìifici Signori mandato al nuovo Arcivescovo 
un ambasciatore, M. Scipione Perrotti, per trattare di un certo 
negocio, non si era potuto ottenere altro dal Camerlengo, che una 
lettera per Monsignor Arcella, perché non molestasse la città per 
tutto il mese di giugno. 

Non molti mesi prima della sua morte, ^ il Della Casa scrive 
al Capitolo ed ai Canonici una quarta lettera, partecipando che 
ha destinato al governo della Chiesa di Benevento il Vescovo di 
Lesina, in sostituzione di Monsignor di Civita di Poma, che dovrà 
assentarsi per alcuni mesi. 

PlETKO LONAKDO. 



1 Fono alla quarta deUe lettere che al pubblicano per la prima volta accenna Pompeo 
SaroelU, Memorie cronologiche dei Veacoti ed Aicirf acovi di Benecento, Napoli, MDCXCI. pag. 145 
con le parole: < Ho veduto delle lettere del nostro Arcivescovo in cui egli si sottoscrivova : 
V Arciciicovo di Beiierento, meutre. le altre tre sono firmate: Oio. A^/.(etto] di Bevecento. 

3 Non sappiamo se mantenesse o uo la promessa: certo si è che in una lettera al ni> 
potè Pandolfo Bucellai, del 9 agosto 1550, dice: «Disegno andare a Benevento adesso e 
tf star là fino a fatto Natale >. Opae rit.» voi. II. pag. 216. £d ò probabile che prima di que- 
st'anno non visitasse la città, poiclié nel 1544, dopo nominato arcivescovo, venne destiuato 
Nunzio Apostolico alla Repubblica di Venezia, e la sua Nunziatura « fini' colla vita di 
« Paolo lU » (1549): Op.cii., voi. t pag. 69 sg. 

3 SI disputò circa l'anno della sua morte. L' affermazione del Casotti, cho egli morisse 
li 14 novembre 1556 e ora provata esatta da O. Cuuoiula. HuU' turno deUa morie di m. Della 
(Tom, Pistoia. Fiori , lUOl. 



156 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 



I.» 

AUi Nostri Magxi Sig.ri li S,ri Consuli et citta di Benevento figliuoli nostri 
spirituali. 

Molto Mag.ei Sig.ri miei. 

Per la relation del R.do S.or ArchidiacoDo il quale ci è parso di cono- 
scere molto costumato religioso et aobil gentilhomo et per le lettere delle 
SS. V. abbiamo conosciuto Thonorato giudicio che fanno di noi et quanto 
hanno sentito piacere della dignità nostra, del uno et del altro rendiamo lor 
gratie quanto possiamo maggiori ; et pregamo N. S. Dio che ne presti del suo 
favore si che noi possiamo adempiere in parte quello che SS. V. sperano 
di noi, et perche non ci possiamo si tosto spedir di qua che possiamo partir 
avanti i tempi pericolosi, et cosf venir a far Tobligo nostro prima che ad 
Ottobre, pregamo le SS. V. che si degnino in quello che occorre favorir la 
Chiesa et il Clero, et ci offriamo al incontro nelle occorrenze della città, et 
particularmente di ciascuno pronti ad ogni loro commodo, alle quali ci rac- 
comandiamo pregando N. S. Dio che doni loro la sua gratia. Di Roma allj 
IIJ di Maggio MDXLIIIJ. 

D. V. SS. «' piacer 

6io. El. di Benevento. 

IL» 

Alti molto Reverendi Sig.ri Canonici et Capitolo di Benevento fratelli a- 
mantissiini. 

Molto Reverendi Signori. 

Il buon animo delle SS. V. verso di me et il piacere che hanno preso 
del iudicio che N. S.re ha fatto di me preponendomi alla Chiesa Beneven- 
tana mi è molto grato, pensando che con T amore che mi portano potremo 
più unitamente servire al culto di N. S.re Dio et al servitio della detta 
Chiesa; ne le ringratio dunque, offerendo loro al incontro pari volontà, prima 
nella administration della Chiesa e poi particularmente anchora nelle loro 
occorrenze. Piaccia a sua M.tà divina ch'io possa esser bastante à sostener 
si grave peso et a sodisfare à quanto esse si promettono di me. 

Ho conosciuto il Reverendo S.or Archidiacono molto nobile et costumato 
gentil homo et S. S. esporrà anchora più largamente alle SS. V. quanto sbn 
desideroso di piacer loro, né per bora mi occorre altro che exortarle che 
dove veggano alcun errore nella administratione o nel Clero, si degnino dar- 
mene adviso, acciocché con lo aiuto di Dio lo possa emendare cosf absente, 
poi chMu non posso venir al obligo mio sino a Ottobre, al qual tempo pia- 



I Archivio dtUa Città di Benevento^ voi. IX, n. i. 

* Archivio Capitolare del IH*omo di Btnevento, \o\.S9,u. 16. 



DELLA LBtTRRATURA tTALI^J^A ì&t 

cendo a Dio verrò a visitar la Chiesa et le SS. V. alli quali mi raccomando 
pregando N. S.re Dio che le custodisca in sua gratia. 
Di Roma alli IIJ di Maggio M. D. X. LIIIJ. 

Circa la Cappella abbiamo commesso al Signor Archidiacono che quando 
sarà costà elegga due huomini periti o più se gli piacerà che veggano dove detta 
Cappella si può far senza preiuditio di quella del corpus domini et che si faccia. 

Di V. SS. Reverendi uti frater Jo. El. BiNitvsan. 

Alli molto Mag.ci S.ri come fratelli li Sig.ri Consuli et città di Ben/Bvento, 

Motto Magxi S.ri, ' 

Habbiamo ricevuta la lettera de le S. V. et inteso il negocio loro, nel 
quale come doverrà ancho avisarle M. Sttipio Perotto non s'è potuto far 
altro che ottenere una lettera deirill.mo et R.mo Camerlengo diretta, a 
Mons.or Arcella che non molesti cotesta città per questo contado per tutto' 
il mese di Giugno prossimo fra questo tempo si potrà vedere di fare qual- 
che altra cosa del che non maucaremo per il desiderio che habbiamo sempre, 
et stiano sane. • ;• 

Di Roma alli XXX di maggio M. D. XLIIIJ 

delle SS. V. cùmt/raUllo'' ^»- ^ 

610. El. di Benevento. 

mi.* 

4lli Reverendi come fratelli il Capitolo et Canonici di Benevento Monsignore 
della Casa, 

Reverendi come fratelli. Perché monsignor di Civita di Penna ha da esser 
absente per alcun mese da Benevento per servitio de nostri padroni, et de^ 
sìderando noi che la nostra Chiesa non patisca ne le cose spirituali el 
temporali durante Tabsentia di S. S. habbiamo deputato al governo di es8{^ 
Chiesa il molto Reverendo Vescovo di Lesina come le SS.rie VV. potranno 
vedere per la sostitutione autentica fatta dal detto Monsignor di Penna' in 
persona di S. S. Però sarà debito delle SS.ie vostre di obedire al prefato 
vescovo di Lesina in tutto quello che appartiene alla nostra iurisdittione come 
le hanno fatto per il passato ai detto monsignor di Penna o come farebbero 
alla persona nostra propria, et alle SS. VV. ci raccomandiamo et ofTeriamo 
pregando if S.r Dio benedetto che le consoli. Di Roma alli VIIJ di Maggio 1556 

di VV. SS.ie €Owt frateUo 

L'Arcivescovo di Benevento. 



1 Archivio dtUa Cillà di B«n«v€fUOt voi. IX, o. 51. 

> Archivio Capitolare del Duomo di Benevento, voi. 88, n. 48. 



158 RAflSBONA BIBLIOORAPICA 

FULVIO TESTI E UN POEMETTO ANONIMO DEL SECOLO XVII.* 

I. 

he gtierre che Carlo Emanuele di Savoia combatte negli anni 
che corsero dal 1613 al 1618, prima per la successione del Mon- 
ferrato e poi direttamente contro la Spagna, che era intervenuta 
imponendo alF ardito duca sabaudo condizioni troppo dure, ride- 
starono in tutta la penisola Podio contro il dominio straniero, 
che gravava con mano di ferro sopra la patria, e risvegliarono 
molte speranze di redenzione. Un'eco di queste speranze è ri- 
masta non solo nelle notissime Filippiche, attribuite finora al Tas- 
soni,^ ma anche in gran numero di scritture anonime, in prosa 
e in verso, che dovettero avere allora una grande diffusione.* 

Fulvio Testi, che non era ancora diventato cortigiano degli 
Esten^^i né ancora aveva P animo viziato dalParia della corte, 
anch' egli, dinanzi al nobile ardimento di Carlo Emanuele, che, 
solo fra i principi d'Italia ligj tutti agli Spagnuoli, osava opporsi 
loro con le armi e proclamare la sua libertà e la libertà d'Italia, 



1 Mi preme avvertire che, «e questo brt ve scritto, per rsxiooi*che qui sarebbe inutile 
spiegsre, vieii pubblicato soltanto ora, fa però composto nel 1900 e presentato^ come ap- 
pendice della mia test di laurea, s 11 a facoltà letteraria di Pisa. Ora compare alquanto mo- 
dificato. 

> Gli furono contestate già dal Oabotto {Per la nlovia della UtUr. citile dei tempi di Carlo 
Emauiìfle I, ito t Rendiconti dell'Acoad. dei Lincei ■, serie V, voi. Ili, fase. 6 p. 331 n. 4) e pid 
tardi da Q. Rna ( Alessandro Tassoni $ Carlo Emanuele 1 di Savoia» in Giorn. stor. lett. it., XXXII, 
e in Poeti della Corte di C. E. 1 di Savoia, Torino, Loesober, 1899), cui rispose D. Ferrerò {U 
due prime Filippiche nono opera di Àless. 7'assoui, in Oioru. st. lett. it., XXXV). Il Rua replicò 
(cfr. Giorn. st. XXXVI) ribattendole osservazioni del Ferrerò e riaffermando la sua opinione. 
Il slg. Vranceseo Bartoli {FUhio Te^iii autore di pinose e poesie politiche e dette FiUppiché» Olttà 
di Castello, Lapi, 1900: e Fulvio Sacoiano (F. Testi). U Filippiche e due altre scritture contro 
gli Spaguuùli, Milano, Sonzogno, 190*2) venuto terzo nella disputa, identificando col Testi 
quel Fulvio Bavoiano, ohe il Tassoni nel Manifesto dice essere l'autore delle due prime 
Filippiche, attribuisce questa e molte altre scritture politiche al poeta modenese; ma la sua 
dimostrazione, che pur contiene delle osservazioni notevoli, è ben lungi dal riuscire eouvlu- 
cente. AU'identificasione del Bavoiano col Testi 8' oppongono non poche difficoltà: ei sono 
qua e là negli ops. di quello notizie autobiografiche che mal s'adattano a qiwsto. Io non 
posso qui entrare in molti particolari; basti osservare che le Filippiche furono evidente- 
mente composte a Roma alla fine del 1614 o al principio dol 1615, mentre il Testi, partito 
da Roma oel maggio del '14, dopo breve soggiorno, non ci ritornò che nel '20. La questione 
sarà nuovamente trattata sulla scorta di nuovi docimicnti dal prof. Rua in un volume di 
prossima pubblicazione, nel quale ristudierà tutta la letteratura civile dei tempi di C. E. I. 

8 Cfr. D'Ancona, Saijui di polemica e di poesia politica del sec. XV IJ» in « Archivio Veneto ■ 
voi. III. p. 2; Il concetto dell'unità politica ne' poeti italiani» \n « StndJ di critica e storia let- 
teraria •. Bologna, Zanichelli. 1880; e F. Oabotto, op. cit . 



DtttLA LBTTBHATURA ITAUAMA 159 

si senti infiammar Tanimo e non potè trattenere un grido di am- 
mirazione.' 

Già in un sonetto, pubblicato fra altre sue rime nel 1613,^ 
aveva benedetto la guerra, che destava T Italia dalPozio e dal 
sonno, in cui Tavevano immersa tanti anni di servitù. Il Tassoni, 
il fiero nemico degli Spagnnoli, col quale il Testi aveva fatto vita 
comune in Roma nel 1614, aveva probabilmente accresciuto in 
lui rodio contro la Spagna e P ammirazione per il Duca di Sa- 
voia. Sicché, quando al giovane poeta, raccolto nella tranquillità 
della sua casa, giunse notizia che Carlo Emanuele, abbandonato 
e avversato dagli altri principi d^talia, amanti del quieto vivere 
e gelosi Tuno dell'altro, ed esortato a far pace dalla repubblica di 
Venezia, rimaneva dubbioso ed esitante dinanzi a una nuova 
guerra, egli, pieno T animo di nobile entusiasmo, sciolse il suo 
canto, per eccitare il duca a proseguire animosamente T impresa 
cosi bene iniziata, rompendo ogni indugio e lasciando da parte 
ogni esitanza: 

Carlo, quel generoso invitto core. 

Da cui spera soccorso Italia oppressa, 

A che bada? a che tarda? a che più cessa? 

Nostre perdite son le tue dimore. 
Spiega r insegne ornai, le schiere aduna, 

Fa che le tue vittorie il mondo veggia; 

Per te milita il Giel, per te guerreggia 

Fatta del tuo valor serva Fortuna. 

Né ti curare scaltri non s'unisce a te e non ti soccorre: a te 
solo spetterà la gloria di schiacciare il capo all'Idra ìbera e il 
vanto di atterrare il Qerione che opprime l'Italia. ' 

Accanto alle quartine, generalmente più note,^ si devono ri- 
cordare altri due sonetti, composti probabilmente prima di esse, 
i quali benché meno importanti, sono pur notevoli per lo spirito 
che li anima. Nel primo, intitolato < All' Altezza del Duca di 



t È dedicato a Simon Carlo Roudiiielli « astrologo ccooUeaiisaimo >, e lutltolato Sopra 
i iuiimUi d* llatia, È notevole, oltre che per lo spirito die io anima, anche per eerto imma- 
gini, che ricompaiono poi nei canti a Carlo Emanuele del 161T. Cfr. Rimi di Fulvio Teati, 
Venezia, CiotU. 1613, pag. 63. 

1 Vedi Rime di F. Testi. Modena, Caseiani, 1617. 

9 Di esse F. Qabottofece eonoeoere. di sul cod. n. 298 della Blbl. del Re di Torino, una 
parafrasi francese (Cfr. Cita parafimi frimrette tMU qttartiue di FuMo Tenti, in < Biblioteca 
delle scuole italiane •, novembre 1S91), che egli assegna, conio l'originale, all'estate 1614 (Cfr. 
Fer <(i ètoria ecc., p. 326). Probabilmente prima anche che fossero stampato con le altre 
poesie nel 1617, le quartine uscirono e si diffusero in fogli volanti, dei quali qualcuno è 
giunto Uno a noi ed è conservato nella Bibl. del Re di Torino. 



16Ó RAÌNUtOllA BlBLlOGRAriOA 

Savoia >, l'Italia, un tempo regina del mondo e ora «fatta mi- 
sera e prigioniera », mostra a Carlo Emanuele le piaghe sanguinose 
aperte nel suo seno dalla ferocia dei dominatori stranieri, e spera 
di sottrarsi col suo aiuto < al giogo indegno ». ^ Neir altro « Id 
persona delF Italia sopra i presenti motivi di guerra > si lagna che 
i suoi figli si uniscano agli stranieri per straziarla e insanguinarla: 

Misera Italia, onde sperar degg* io 
Tregua a* miei guaì, soccorso a* miei perigli, 
Se crudi incontro a me fatti i miei figli 
Sé stessi han per altrui messo in oblio? 

Dunque barbaro stuol rapace e rio 
Vien nei mio petto a insanguinar gli artigli, 
E congiunti con lor farsi vermigli 

. Vedrò i guerrieri miei nel sangue mio? 

Itene pur, ingrati figli e indegni, 
E lasciate di voi empie memorie 
Fatti ministri in me de gli altrui sdegni. 

Infelici trofei, misere glorie. 
De le proprie ruine altrui far regni, 
E le perdite sue chiamar vittorie.' 

Dopo gli insuccessi della primavera del 1615, il duca di Sa- 
voia dovette piegare, e cedendo alle preghiere e alle istanze dei 
mediatori e alle minacce di guerra delP ambasciatore francese 
conchiuse un accordo con la Spagna (2.*' trattato di Asti - 21 
giugno). Ma di questa pace non rimase soddisfatto né il duca di 
Mantova, che si lagnava di non avervi avuto parte e rifiutava di 
perdonare ai ribelli, né la Spagna, cui rincresceva il non aver 
potuto umiliare, come desiderava, il duca di Savoia, che aveva 



1 Fimi di F. Tosti, ediz. elt. 1 primi veni 

« Qaella, che già nel secolo Tetasto 
Fa del mondo reins, lUlia slters, 
E ch'or misers fstta e prigioniera 
Di barbare catene ha '1 coUo onusto ecc., 

ricordano un sonetto politico di Qiov. Qnidlccioni * A Vincenzo Bnonviso sulle guerre d'I- 
talia del 1626 •: 

« Qursta che tanti secoli Ria stese 
Si lungi il braccio del felice impero 
Donna delle proTincle e di quel vero 
Valor, che in cima d' alta gloria ascese ; 

Oiace vii serva e di cotante offese. 
Che sostisn dal Tedesco e dall' Ibero, 
Mon spera il fin . , . . » 

1 £diz. oit, pag. 162. 



DELLA LBTTBRATUBA ITALIANA 161 

trattato con lei da pari a pari, e spìaceva anche che garanti deh 
r esecuzione del trattato dovessero essere i Francesi, i quali pote- 
vano per tal modo intervenire nelle cose d* Italia. Ma per allora 
alla Spagna conveniva dissimulare il suo malcontento, per non 
creare nuovi ostacoli al duplice matrimonio combinato con la 
Francia già da cinque anni. Però appena questo fu celebrato^ 
decisa a non mantenere i patti stipulati ad À«ti, richiamò TYno- 
yosa, che era sembrato troppo condiscendente, e mandò al governo 
di Milano D. Fedro di Toledo; il quale non tardò a manifestare 
i suoi propositi ostili al Duca Sabaudo, cui voleva costringere a 
chiedere perdono al re, 

Carlo Emanuele, pur non piegandosi alle pretensioni del go- 
vernatore spagnuolo, mostrava desiderio di pace, o fosse realmente 
stanco di cosf lungo e inutile armeggio, o lo movessero ragioni di 
opportunità politica. Mentre pur continuavano e dalFuna parte 
e dairaltra gli armamenti e i preparativi di guerra, furono avan- 
zate proposte e avviate trattative di accomodamento; le quali, 
benché si prolungassero per quasi tutto Tanno seguente, fallirono 
completamente per 1* ostinazione di D. Fedro nel pretendere che 
il Duca chiedesse perdono e rinunziasse al trattato d* Àsti. 

Cosi nel settembre ricominciarono le ostilità: dapprima^ Carlo 
Emanuele toccò qualche sconfitta; ma poi, soccorso dalle armi 
dei Francesi e aiutato dai danari di Venezia, riportò una serie di 
vittorie, che destarono T ammirazione e T entusiasmo di quanti 
seguivano con amore i progressi delle sue armi. In poco tempo 
fu un rapido fiorire di canti politici e patriottici, suscitato dagli 
eventi propizi dei primi mesi del 1617. 

Proprio in quelPanno, in sul cominciar delP aprile, il Testi 
dava fuori un nuovo volume di Rime e lo dedicava <all*Invit- 

< tissimo Principe Carlo Emanuello di Savoia » ' con una lettèta 
nobilissima, in cui esprime con calda eloquenza la sua amrtiira- 
zione per il grande guerriero, che raccoglieva « in sé solo e ne'suoi 
«serenissimi figli tutto il valore» dUtalia, e che per due volte 
aveva vinti e dispersi due potenti eserciti spagnuoli. « Io - scrive 

< nella dedicatoria - dopo haver cantato di bella donna, tratto 
« dal fervor delTetà rivolgo lo stile alTeroico valore di V. A., e 
« le mie Muse, che danzavano dianzi con le Grazie e Venere, cor- 
«rono al suon dell'armi agT inviti di Marte». 

Queste Rime, uscendo alla luce in quella lieta primavera, in 



1 Urne I di Fulvio Testi | «ir Invittisaimo | Principe ( Carlo Emanuello | Duca ' di Sa- 
▼ola I In Modena, con licenaa de' superiori. Meli' ultima pagina: « In Modena, | Per Olulian 
CMaiani, M. DO. XVn. | In 24.o (16 per 10 Va), di pagf . 210 pid 2 n. n. 



162 RASSEGNA BIBMOOHAFICA 

coi il successo fortunato delle armi sabaude aveva ridestato le 
speranze di molti e ispirato il canto dei poeti, non potevano non 
accogliere anch^esse l'eco di siffatte speranze e di tali canti. In- 
fatti, oltre che nelle quartine e nei sonetti già ricordati, troviamo 
accenni a Carlo Emanuele e alla sua impresa ardimentosa nelle 
ottave « al sig. Conte Fabio Scotti » : 

. . . E M duca Àlpin, eh' ora cavalli e fanti 
Raduna, iateoto a gloriose imprese . . .; 

e più chiaramente in quelle dedicate < al sig. 6io. Battista Pan- 
zetti », per esortarlo a prendere le armi : 

Or che fa, pien di nobile ardimento, 
Qual già contra i Giganti in Flegra Giove, 
qual Alcide a domar mostri intento, 
Carlo contra a V Ibero eccelse prove; 
Tu dunque in ozio neghittoso e lento 
Starai, Panzetti, e non andrai là dove 
Marte, tuo Dio, ti chiama, e la Fortuna 
' Mille a la destra tua palme raduna? 

Altri navighi, spinto da ingorde e avare brame, per mari ignoti; 
tu, che sei chiamato dal tuo genio ad imprese gloriose, impugna 
la spada, e non ti mancherà degno premio. Qià in altre occasioni 
hai dato prove del tuo valore; 

... Ma se gloria desii suprema e vera 
Per la strada di Marte il pie volgendo. 
Vanne a V Alpino Eroe, che il ferro impugna 
E per la libertà d'Italia pugna. 

Goffredo, liberando il sepolcro di Cristo, diede materia di altis- 
simo canto «a fortunato ingegno»; 

... Ma se r Italia che dei propri danni 
E dell'altrui viltà par che s'adiri, 
Dopo sf lunghi e sf penosi affanni 
Pia che libera e lieta un df respiri, 
Spiegherà pili d'un cigno eccelsi vanni, 
Carlo innalzando agli stellanti giri . . . ' 

In quello stesso tempo, in cui dedicava le Rime a Carlo Ema- 
nuele, è probabile che il giovane poeta dettasse anche quel poe- 
metto in quarantatre ottave, conosciuto generalmente col nome 

t Edis. cit.. p«g. 151. 



DBLLA LSTTB1UTUBA ITALIANA 163 

di Pianto d'Italia,^ e che ormai gli dovrebbe essere restituiio 
senza contestazione alcuna. 



II. 

Molto s'è discusso intorno a questo poemetto, per stabilire se 
esso appartenga al Tassoni, al Testi o al Marino; e il dibattito 
è stato cosf lungo e cosi minuta la discussione, che oramai pò* 
trebbe parere inutile perdita di tempo il riparlarne. Né io mi sarei 
indotto a trattare di nuovo questo argomento, se non avessi visto 
che pur dai difensori del Testi, intenti a notare affinità stilisti- 
che e a rilevare corrispondenze di concetti e concordanza di frasi 
e conformità d'atte^^rgiamenti, si è troppo trascurato ciò che a 
me sembra possa dare la prova pid sicura e decisiva in favore di 
questa attribuzione: l'esame diligente, cioè, dei manoscritti, né 
pochi né privi d'importanza, nei quali il componimento ci è con- 
servato. 

Ma, prima di tutto, non sarà inutile rifare la storia della lunga 
questione. 

Lorenzo Crasso, nella biografia che del Testi inseriva fra i 
suoi Elogi d'huomini iìltisfri, pubblicati nel 1666,* citava fra le 
opere a stampa del poeta modenese V Italia, Più d'un secolo dopo 
il Tiraboschi,^ cui forse era rimasta ignota questa notizia, attri- 
buiva anch' egli al Testi il poemetto anonimo; e la sua opinione 
veniva accolta dagli Editori modenesi,^ che per primi stamparono 
fra le poesie del loro concittadino il detto componimento, e da 
quanti, dopo di loro, curarono edizioni del Testi o scrissero in- 
torno a lui. 5 Ma nel 1847 il poemetto fu pubblicato, come inedito. 



I Fu pubblicato «lift niAccbia fra \\ 1615 e 11 1617 e tieìle prima «tampe è intitolato: 
t L'Italia I airinvittlBfllmo | e OloriOBlMimo Prencipe | Carlo Emanuel Duca di Savoia ». In 
8,o di pp. 16 n.n. Di quest'antica edizione poeeiede quattro eaemplart la BihlioUca Marciana 
di Venetia. due la Bfhl. Vittorio Emanuele^ e uno la Ca»ttnnten»t e la Barbtrina di Roma, VÀm- 
brosiftna di Milano, 1' Unittrtiinria di Bolof^na, la NtuionaU di Firense e VOraioriana di Na- 
poli. Un esemplare ne ho Tisto anche preeao il D'Ancona. Nella copia della Btbl. Gasanatenao, 
che è registrata nel vecchio catalogo fra le opere del Testi, sopra il titolo è scritto, di mano 
del see. XVII * Auttore Fulvio Testi •; e nell'ultima carta prima del fine: f Del Conto Fulvio 
Testi », di carattere piii recento. 

s Voi. I.pag.S88. 

8 Vita del eonU Guitto Tetti, Modena. 1780. pag. 156. 

* Opere scelte di F\ileio Testi, voi. I (Poesie], Modena. 1817. 

B Bi trova col nome del Testi nell'ediz cit del 1817 e in quella di Brescia, Venturini, 
1822. t. II; di Milano, Bottoni, 1834. pp. 493-96; nei Versi alla patria di Urici italiani dal set. 
XIV al XVJir, raccolti per cura di F. L. Polidori, Firense, Cecchi, 1847, pp. 133-60; nel Serto 
di documenti attenenti alle Heoli Case di Savoia e di Bratfansa per le auspicatissime notte di 
S. A. R, la Principessa Pia di Savoia con 8. M. Luigi di Portogallo, Firense, stomp. Beile, 1862, 
per Francesco Cambiagi; nel Parnaso modenese dal tee. XV al tee. J Vili, Modella, 1866; nel 



164 RASSBaNA BTRLIOORAPICA 

fra le poesie del Marino dal Trucchi, ^ che lo trasse dal Cod. 
Mglb. 359, e riprodotto in un'edizione di poesie dello stesso Ma- 
rino nel 1861.* 

Nel 1880 il D'Ancona, rilevando corrispondenze di concetto 
e di forma fra le ottave e le Filippiche, espresse il dubbio, se 
piuttosto che al Testi esse non dovessero attribuirsi al Tassoni;^ 
ma si continuò tuttavia dai più a crederle opera del Testi. ^ Se 
non che nel 1887 il Mango, ^ osservando la evidente somiglianza 
e la strettissima relazione che corre fra questo poemetto e le 
quartine a Carlo Emanuele [Carlo, quel generoso invitto corej, 
ch'egli credeva del Marino, ne indusse jche anche l'altra poesia 
dovesse con molta probabilità attribuirsi a quest'ultimo. Il Bel- 
loni,^ rilevando l'errore grossolano in cui era caduto il Mango 
con l'assegnare al Marino un componimento, che trovasi fra le 
Rime del Testi, rivendicò a questo le ottave dedicate al duca di 
Savoia. Il Mango "^ non s'appagò a queste ragioni; e appoggian- 
dosi all'autorità del Toppi® e del Quadrio,^ i quali citano fra 
le opere del Marino xxvCItalia afflitia^^^ identificò con essa la poesìa 



'AiVtri del «<'C. X K//, Milano, Sonzogno, 1878; nelle PoesU di Fulvio Tésii» Torino, 1S62, p. 201 
■gg., e nelle Mime scelte di Fulvio Testi «nnoUte d» E. BoucagUa, Bologna, Aczoga idi, 1888. 
£ come opera h\x^ lo tennero il Cicconl [Del scìiiiméttio italiano nei poeti del seicento^ in «An- 
tologia Italiana • di Torino, 1846. p. 633), 11 Ferrerò {Il conte F. Testi alla corte di Torino, "Mi- 
lano, DaelII, 1865, p. 21), il De Castro {Fttlvio Testi e le Corti italiane nella pi-iinn metà del XVI l 
secolo, Milano, Battexsati, 1876, p. 23), il Santi {F. Testi e C, Emanuele, in « Rivista Europea ■, 
1880, 16 gennaio), il Molinerl {Carlo Emanuele l duca di Sacoia p. 351) ed altri, che verremo 
via via citando. 

i Trucchi, Poesie inedite di dugeuto autori. Prato, 1847. voi. IV, p. 337. Il Tmoobi, a p. 837 
ci fa aa ere che 11 Pianto d* Italia trovasi nel cod. Mglb. 360, p. 494; e nella pag. seguente, 
sotto 11 titolo del poemetto aggiunge : « Ottave estratto dal cod. 3561 mglb. della raccolta 
malatestiana >. 

> Opere del cav. Oiamb. Marino con giunta di nuovi componimenti inediti, Napoli, Bonteaux 
et Anbry, 1861. In quest'edizione il poemetto, che è dato come inedito, è invece stampato 
secondo la lezione datane dal Trucchi di sul cod. Mglb. 359 o 3561. 

a Studj di critica § di storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1R80, pp. 90-91, dov' ò ristam- 
pato il disourao sul Concetto dell'unità politica nei poeti italiani. Nella l.a ediz. di questo di* 
scorso (Pisa, ff. Nistri, 1876. p. 57, n. 84) 11 D'A. si mostrava ancora incerto, ma inclinava piut- 
tosto ad aUribuirle al Testi. 

4 Cfir. C. Pascal, Fulvio Testi poeta cicile, in ** Napoli letteraria «, a. I, n. 30. 

& F. Mango, Il Marino poeta lirico, Cagliari, 1837, pp. 102 e segg. 

6 Testi, Tassoni o Marino? in * Propugnatore . n. s. voi. II, p. I (1889). Il Belloni s'è occu- 
pato nuovamente della questione in un recente studio, intitolato f Testiana •, stampato nei 
suol Frammenti di critica letteraria, {yiiìtLUO, Albrlghi, Segati e C, 1903) pp. 167-77. 

7 Di alcune stame adespote del «ce. A' 177, Palermo, 1890. e ristampato poi senza modifi- 
cazioni iu Varietà letterarie, Roma, 1899, pp. 35 segg. 

& Biblioteca napolitana et apparato de gli kuomini illustri di Napoli s del regno, Napoli, 
1678. p. 106. 

9 istoria 9 ragion d'ogni poesia, t. II, p. I. cap. 8, pp. 282-86. 

>o II Belloni nel suo secondo scritto, che ora citeremo, fa osservare che nessun codlee 
porta questo titolo; ma veramente esso si legge nei codd. Gampori y. z. 2. 36 e Y, B, 6, 9 della 
B. Biblioteca Estense di Modena e nel cod. 22-4 della Blbl. D'Addosio. 



DBLLA LETTERATURA ITALIANA 165 

tanto dispatata. II Belloni replicò,^ opponendo alla testimonianza 
del Toppi e del Quadrio quella più antica di Lorenzo Crasso, e 
dimostrando con raffronti stilistici esservi maggiori affinità for- 
mali e sostanziali fra le poesie del Testi e le ottave, che non fra 
queste e le composizioni del Marino; e conchiudeva che «tra i 
« discutibili ancori le maggiori probabilità erano per il Testi ». 

Contemporaneamente, e senza conoscere lo scritto del Belloni, 
propugnava la stessa opinione di lui il sig. Luigi Arezio, ^ il quale 
fece notare anzitutto che il Cod..3561, dal quale si diceva tratto 
il componimento nell'edizione del 1861, era lo stesso Cod. Mgl. 
359, da cui l'aveva trascritto il Trucchi. ^ Osservò poi che que- 
sto ms. non poteva avere tutto quel valore, che gli si attribuiva, 
dal momento che in esso venivano spacciate per inedite poesie 
già stampate più di trent'anni prima. Fatte quindi ricerche nella 
biblioteca Estense, riuscì ad avere notizia di due codici; i quali 
però non poterono servire a provare che le famose ottave sono 
del Testi, perchè in uno esse erano adespote e nell'altro il nome 
dell'autore era stato aggiunto dal Tiraboschi.* In mancanza di 
prove dirette, l' Arezio cercò la soluzione del problema ricorrendo, 
come già aveva fatto il Belloni, a confronti stilistici ; e anch' egli 
dalle molte rassomiglianze, che venne via via notando, conchiuse 
doversi attribuire il poemetto auonimo al poeta modenese. 

Sebbene questi risultati, per il metodo troppo soggettivo con 
cui si erano ottenuti, non fossero veramente troppo sicuri e inop- 
pugnabili, erano nondimeno, nello stato della questione, i più 
probabili; cosi che anche il D'Ancona, che prima aveva espresso 
qualche dubbio, ne fu convinto e si dichiarò apertamente favo- 
revole all'opinione del Belloni e dell' Arezio.^ 

Nel 1894 il Gabotto, che riprese in esame tutta la letteratura 
civile dei tempi di Carlo Emanuele I, ^ ponendo altrimenti la 
questione, sostenne che la tanto disputata Italia non potesse es- 

1 Di una piusia anotiima del sec. XVII, in * Propugnatore «, n. «. voi. IV, p. II (1801), fase. 
22-23. 

* SulV auUnticilà di un poemetto pubblicato cdla macchia nel tee, Z Fi /.Palermo, Amenta, 
1891. 

> Né era coaa troppo diiAolle a notare, giacché il Trucchi stesao a pug. 338 indica col 
n. 3561 quello stesso ms., ohe nella pag. antecedente aveva designato col n. 369. 

* I codici conosciuti dall'Areaio sono quelli segnati ora, il 1 o CX. O. 3, 2, e il secondo 
0C« J. 9, 16, che più innanzi descriveremo. È strano che l'Arezio oou siasi accorto ohe nel v. 
dell' ultimo foglio del cod. OS* Q. 3, 2, si trova scritto, della stessa mano : * Canzone del sig. Co: 
* Testi contro de gli Spagnuoli .; e che 11 cod. OC. J. 9, 15 non contiene intero li poemetto, 
ma finisce alla st. 84. 

B V. Mamtale della letteratura italiana, voi. III, p. 412 e Letteratura civiU dei tempi di Carlo 
Km. f, in * Rendiconto dell'adunanza solenne della R. Acoad. del Lincei, 4 Giugno 1893 ., p. 78. 
6 Op. cit. 

14 



166 RABSBONA BIBLIOGRAFICA 

sere né del Testi né del Tassoni né del Marino, < perché nes* 
«sano di questi tre grandi scrittori avrebbe cosi largamente at* 
«tinto dagli altri due contemporanei».^ Ma - salvo il Gabotto 
e il Mango, che ostinatamente rimase fermo nella sua prima 
opinione' - tutti erano ormai d^ accordo nel ritenere il poeta 
modenese autore delle ottave anonime; e questa convinzione ve- 
niva rinforzata da un documento pubblicato dal Bua.^ Ciò no- 
nostante nel 1897 si levò ancora una voce a difesa del Marino, 
ma con argomenti cosf deboli^ anzi addirittura puerili, da non 
meritare eh* altri si prendesse la briga di confutarli;^ onde la 
lunga disputa si poteva senz'altro ritenere definita a favore del 
Testi. 

Se non che recentemente la questione si riaccese per la sco- 
perta di documenti, che a tutta prima parrebbero infirmare le 
conclusioni del Belloni e dell' Arezio. P. P. Parrella, in un arti- 
colo della Rassegna criliea,^ additò una miscellanea di stampe 
e due codici della biblioteca Oratoriana di Napoli, ne' quali il 
poemetto, che sembrava assicurato al Testi, si trova col nome 
del Marino. Nella miscellanea, che contiene ventisette opuscoli 
politici, è inserito un esemplare della stampa originale delle otr 
tave, nel quale alla parola Italia è aggiunto a penna l'aggettivo 
afflitta e sotto il titolo intero si legge, pure manoscritta, l'indi- 
cazione: del cav. Gio, Battista Marino. Con lo stesso titolo e con 
la stessa indicazione è registrato in un catalogo della biblioteca 
Oratoriana, compilato nel 1736: da ciò il Parrella deduce 1* at- 
tendibilità dell'attestazione del Toppi, il quale per conseguenza, 
ricordando l'« Italia afflitta »^ non poteva riferirsi ad altro che 
alle quarantatre ottave. Queste si trovano pure adespote e aue- 
pigrafiche nel Cod. Pil. X, n. XXVIII della stessa biblioteca; ma 
poiché sono frammischiate a componimenti del Marino, a questo 
il Parrella le assegna, benché non rechino, come gli altri, il nome 



1 Op. oit., pag. 832. n. 2. 

> Ctr. Di una poesia politica (in * Note letterarie „, Palermo, 1894, pp. 7-21), e " Varietà 
letterarie ., Boma, 1899, pp. 89 e segg. L'Aresio tornò pure snlla questione con un altro opa. 
(Ancora sulV atUcniieità d' un poemetto adespoto del aee. XVII, Palermo 1893), nel qnale non 
aggiunge argomenti né pid nuovi né più calzanti degli anteriori; ma indica un terso ma., 
11 cod. Gampori y. z. 2, 36, che contiene le ottave adespote. 

s In una lettera del conte Scaglia, ambasciatore di Savoia a Venesia, del 19 agosto 1617, 
si trova inclusa un'altra lettera, con firma inintelligibile, datata di Ferrara 16 agosto 1617, 
nella quale si leggono queste parole : « Mi mandi quelle stanze del S. Fulvio Testi che sono 
uscite alle stampe, perché facendo raccolta in un libro di tutte queste scritture, s'accomo- 
derà in stampa e manoscritto (sic) imaginandomi che lo stampatore lo abbia avuto da lei b: 
V. • Giom. stor. della letter. ital., • XXVII. pp. 231-32. 

4 L. Predieri, // Pianto d'Italia, in * Rivista abruzzese ,. ottobre, 1897. 

s P.P. Parrella, L' autore del t Pianto d' Italia •. in * Rassegna critica della letter. ItaU, 
1899, n. 10-12, pp. 213 e seg. 



DKI.LA LETTKRATUIiA ITAIJANA 167 

del poeta napoletano. E lo confermano in questa convinzione al- 
cnne parole, con le quali l'anonimo raccoglitore dedica il volume: 
«La fortunii m^ha tatto capitar di Francia alcune composizioni 

< del cav. Marino ... le quali composizioni quantnnque di là mss. 

< si leggano, non son però mai uscite alle stampe ». Ora, poiché 

< la Murtoleide e la Marineidc, che fanno parte della raccolta, fu- 
rono edite nel 1619, il Parrella ne induce che il codice dev'essere 
stato scritto prima di quell'anno, e precisamente nel 1615, anno 
in cui — secondo lui — il poemetto fu composto e pubblicato. 

Nell'altro codice dell' Oratoriana, intitolato Ragguagli di Par- 
nassa e contenente scritture politiche dal 1615 al 1629, le ottave 
hanno lo stesso titolo delle stampe originali, sotto il quale, a ca- 
ratteri pili grossi, che il Parrella giudica della stessa mano, si 
legge: del cav, Gio, Battista Marino, Ora - prosegue il Parrella -, 
poiché i sostenitori del Testi non possono recare altra prova di- 
retta in favore della loro tesi, tranne l'opinione del Tiraboschi, 
il quale non si sa perché attribuisca II Pianto al suo concitta- 
dino; poiché il carme non fu parte di nessuna edizione delle Rime 
del Te^ti né è stato mai pubblicato sotto il nome di lui separa- 
tamente prima del 1780, né trovasi infine in nessun codice, non 
c'è ragione per sostenere ch'egli ne sia l'autore e non il Marino, 
al quale lo assegnano i mss. indicati. Né si può opporre il do- 
cumento pubblicato dal Rua, j^nacché in esso non si può vedere 
indicato con assoluta certezza il componimento, eh' è oggetto della^ 
controversia. 

Il ragionamento e la conclusione del Parrella parvero a molti 
COSI sicuri e convincenti, da assicurare al Marino la paternità del- 
l' //a/»a o almeno rendere molto incerta e dubbia l'attribuzione 
di essa al Testi. > Ma nello stesso tempo il Bartoli, che tolse a 
studiare molte delle scritture politiche del seicento, * indicava due 
manoscritti del sec. XVII, uno della Bibl. di Parma e l'altro del- 
l'Estense, nei quali il poemetto trovasi col nome del poeta mo- 
denese. E poco più tardi il Borzelli, * sottoponendo a minuto e- 
same le prove addotte dal Parrella, dimostrava in modo esauriente 
il niun valore di esse e la ninna attendibilità del Cod. Pil. X, 
n. XXVIII della Bibl. Oratoriana. 

Anzitutto, mentre in fronte a tutti gli altri componimenti il 
raccoglitore non ha lasciato di ripetere il nome del Marino, pro- 
prio in quello, di cui si discute, esso manca; né basta per attri- 
buirglielo il fatto che si trovi frammischiato ad altre poesie di 

1 Ott. Giora. 8t. lett. it.. XXXVIII, fase. 110-111, psg. 882. 
s Fulvio leaii autore delle Filippirhe ecc.. Città di OaBteUo, Lapi, 1900. 
> Ancora dell'auiore del * Pianto d' Ualia ., in « B^as. crit. della letter. it. », anno V, n. 9*12| 
pp.219 le^g. 



168 RiUMBONA BIBUOQRAFIOA 

lui, perché in tal caso si dovrebbero ritenere come sue alcune 
che manifestamente non gli appartengono. Inoltre, anche a non 
tener conto di quest'omissione e ammettendo che il raccoglitore 
lo ritenesse veramente del Marino, la sua testimonianza non può 
avere tutta queir importanza, che il Parrella le attribuisce. Le 
parole della dedica, ch'egli cita, non bastano a persuaderci che 
il ms. sia anteriore al 1619, perché potrebbero essere nient' altro, 
che una delle tante gherminelle, a cui spesso e volentieri ricor- 
revano nel seicento editori e stampatori, per acquistare più credito 
e assicurare maggior spaccio ai propri libri. ^ Né maggior valore 
possono avere le due miscellanee,* nelle quali il nome del Marino 
fu aggiunto dal possessore, l'avvocato Giuseppe Valletta, che pro- 
babilmente ebbe questa notizia dal Magliabechi, al quale appar- 
teneva il Cod. Mglb. 359, e la comunicò alla sua volta al Toppi, 
che se ne servi per la sua Biblioteca napolitana. 

Vien COSI a mancare l' argomento principale a favore del Ma- 
rino e cade tutta la dimostrazione del Parrella. Non resta dunque 
che riaffermare e rinforzare con prove più sicure e inoppugnabili 
l'attribuzione al Testi. 

Io non starò a ripetere qui i confronti stilistici, sui quali tornò 
a insistere recentemente il Bartoli, ^ né m' indugierò a rilevare 
altre somiglianze e analogie, che pur sarebbe assai facile addurre,^ 
fra le poesie del Testi e le ottave a Carlo Emanuele. E neppure 
mi fermerò a ricordare la testimonianza di Lorenzo Crasso, la 
'quale è ben più importante e autorevole di ogni altra, perché 
egli ebbe in eredità i mss. del Marino e poteva perciò solo tro- 
varsi in grado di sapere la verità. A dissipare ogni dubbio e a 
togliere ogni esitanza, più d'ogni altro argomento intrinseco o 
estrinseco, mi pare abbia valore la tradizione manoscritta, la quale 
soltanto io credo possa darci la prova più certa e decisiva, per 
affermare che il poemetto anonimo dedic^ato a Carlo Emanuele 
di Savoia è opera di Fulvio Testi. ^ 

Ho potuto aver notizia di ventisette codici, nei quali esso è 
contenuto, e che qui importerà descrivere: 

i QaesU fmooIU «embn proprio «ppareooliUU per U stampa : obi Toglia pennadar* 
Bene rilegga le parole della dedicatoria riportate dal Parrella. 

< Anch' io potrei citare la misceli. 297 della Bibl. Casanatense. in cni nn esemplare del 
poemetto reca sopra il titolo il nome del Testi, scritto in carattere del seo. XVII. 

s II ttro a%dor€ del poimtUo v // Italia b, in * Fanfalla della Domenica „ anno XXIV, n. 39 
[20 Inolio 1902]. 

4 Un notevole riscontro ci è fornito da tutta la canzone In morie di htadnma Virginia 
Medici d'Kste (Rime, edtz. 1617, p. 118), in cui 11 poeta immagina che la defunta dachessa ap- 
paia in sogno al marito e cerchi di consolarlo. £ questa poesia è di poco anteriore al poe- 
metto, essendo la Duchessa morta nel gennaio del 1616. 

& Non COSI pare al Bel Ioni, il qnale crede molto incerto quest'argomento di prova, 
perché f non sempre ò possibile, i^nci é molto diffleile, lo stabilire se rftttribmsioQe si fondi 



D8LLA LBttSRArtRA ITALIANA 169 

1. God. n. 908 della biblioteca di Parma, cart., in fol., del sec. XVII. È un 
cod. miscellaneo, che, oltre le Quartine contro la corte di Roma, contiene 

* L'Italia all' Inpitti88.°, e Gloriosise.'* Prencipe \ Carlo Emanuele Duca di \ 
Savoia I Del Cavaliere Fuluio Testi ^,^ 

2. Cod. Vaticano latino 8918. Cartaceo, misceli, in 4.^ dei secc. XVI e XVII, 
di carte 62 num. recentem. È composto di 16 fascicoletti di vario formato, 
rilegati in pergamena. Il 16.<* di 6 carte [ce. 57i'-62v] contiene le ottave col 
degoente titolo: * U Italia | Del caualier Fuluio Testi Modenese all' | Invit- 
iis,^ Pr,P^ Carlo Emanuelle \ Duca di Sauoia ,. 

3. Cod. 998 della R. Biblioteca di Lucca, segnato N. 7 CC. Gart., in fol. 
(320 X ^^0), dei sec. XVIF e XVIII, diviso in quattro parti. Contiene rime 
vane, per lo più di autori lucchesi, trascritte da un tal Domenico Vanni e 
poi legate in volumi da Bernardo Baroni. Nella 2.* parte, pag. 82, dopo le 
quartine Contro la corte di Roma (pag. 70 e segg.) si legge : Italia | all' In- 
vittissimo e Gloriosissimo Carlo Emanuele \ Duca di Savoia. E in fine : 

* Del S.r C, D. Fuluio Testi ,. 

NeUa 3.* parte vi sono altri due componimenti del Testi: 

l.<^ Candia invasa dal Turco [pag. 18] ; 

2.** Alla SJà di N, S. I Papa Innocenzo decimo \ Si loda la pace, e dalla 
mano di S, B. doppo la \ particolare d' Italia s' aspetta V universale d' Eu- 
ropa , [pag. 19]. 

4. Cod. 560 della R. Biblioteca di Lucca, segnato B. 417-418. Cart. in fol. 
(320 X 3^) del -^ec. XVII, di pp. 478 num., non compreso V indice. Contiene 
rime di diversi autori del sec. XVII, fra le quali : 

1.** L' Italia I all' Invittissimo e Qloriosiss.^ Prencipe \ Carlo Emanuelle 

I Duca di Savoia [pp. 218-230]. E in fine: Del Sig/ Conte D."" Fuluio Testi, 

2.' Esortazione al sig. Conte Panfilio ad | emanciparsi contro il Turcho. 
Ode [pp. 242 e segg.] ' Del Co. D. Fuluio Testi ^. 

5. Cod. misceli., latino classe XIV, n. 45 della R. Biblioteca di S. Marco di 
Venezia. Cart., in 4,^ di pp. 330 num. É di provenienza zenìana, e contiene 
alcune scritture del sec. XV e del XVI: unica del sec. XVII e in italiano 

* L'Italia del Conte Fulvio TeHÙ All' Invittissimo e Gloriosissimo Carlo Ema- 
nuele Duca di Savoia „ [pp. 145-166]. 

Accanto al titolo v* è T indicazione * Si trova stampata a parte ,, che pare 
d* altra mano. In margine, di fianco alla st. 22.* è notato * Filip. Ili ,; alla 
23.*, • D. Pier di Toledo ,; alla 25.*, * Duca di Mantova et di Savoia etc. ,; 
alla 27.*, * March, di Pescara et del Vasto, Fabrizio Colonna etc. ,: alla 29.*, 

* C. Duca di Savoia ,. 

6. Cod. deirOratoriana di Napoli, sognato Pil. X n. XXVIII, Cart., sec. XVII. 

II poemetto è anepigrafico e adespoto, ma frammischiato a componimenti 
del Marino.' 

•Q ragioni ben valide o non sia pia tosto una para e semplice sapposixione del trascrit* 
tore •. (Cfr. « Teatiana », in • Frammenti di critica letter. » cit., pag. 172). Ma se tale oeHer- 
▼azione può valere per qualche ms., non credo si debba dire altrettanto di tutti quelli, cLe 
lo indico qui appresso, la cui importanza e autorità appare manifesta. 

i Ne dette notizia per il primo F. Bartoli {Fulvio Testi atUon di prosi e poaii politiche 
e dille mippiche. Città di Castello, Lapi, 1900, pag. 67). 

s Cfr. E. Mandarini, / mas, della biblioteca Oratoriana di Napoli, Napoli, 1897. pp. 234-35; 
e P. P. Parrella, art. cit. 



l70 lUsSEOÌfA BlBLiOGRAÌriCA 

7. Cod. deir Oratoriana di Napoli, intitolato " liagguagli di i^arnaèio ,* 
Gart., sec. XVH, di ce. 207 no. e 17 bianche. Al n. 10 si trova: L'Italia \ 
all' Inviltisaimo \ e QloriosiBB. P.' | Carlo Emanuele Duca di Savoia ; e sotto 
questo titolo, in carattere più grosso, il nome del Marino.' 

8. Cod. 3392 della R. Bibl. Gasanatense, cart. della seconda metà del sec. 
XVIl, in 8.% di ce. 308 num. + 80 n. n., non compresi T elenco degli ** Autori 
che si contengono in questo volume , e V* Indice alfabetico del principio di cia- 
scuna composizione ,. Goutiene poesie di vaig autori del sec. XVIl, e fra le altre: 

1.** Alla Santità di Papa Innocentio Decimo | Si loda la Pace e dallm 
mano di Sua Beatitudine doppo la particolare d* Italia s' aspetta V Uni- | 
versale d'Europa, * Del Testi , [ce. 77'-79']; 

2.» Alla Corte di Roma. * Del Testi , [ce. 79'-80*] ; 

3.0 Italia I A Carlo Emanuelle Duca di Savoia, [ce. 80^-861']. In fìne: 
'^ Del Testi ,. 

9. God. Mglb. II. IV, 11. God. misceli, cart. 28 X 30 di varie mani, dei 
secoli XVH e XVIII, di ce. 266 num. recentemente, composto di 18 piccolr 
codici. 11 3.'' contiene le seguenti poesie del Testi [ce. 68''-72^] : 

l.*" Ode a Raimondo Monteeuceoli 

2.0 Ganzone al March. Massimiliano Monteeuceoli (sono soltanto le 
prime quattro strofe). 

3.0 Quartine contro Roma (ne mancano due). 

Il cod. VII da e. 112' a 121'' contiene varie poesie adespote e alcnne 
di Girolamo Preti. La prima delie adespote è: L'Italia alV Illustrisdmo \ et 
Gloriosiss.'^ Carlo | Emanuelle duca di Savoia [ce. 113'-119^.* 

10. God. Palatino 263 della Bibl. Nazionale di Firenze. Gart. misceli, del 
sec. XVII (270 X 1^7), pagg. 356 num. ant., delle quali le prime 245 sono 
scritte di mano dello scienziato e poeta fiorentino Lorenzo Bellini; le ri- 
manenti sono di tre o quattro fascicoli scritti da mani diverse e in tempi 
di poco anteriori. Al n. XL (pp. 52*5i) contiene : Sopra il lusso di Roma • 
quartine di Fulvio Testi; e al n. LXV (pp. 178-184): Italia \ stanze | d^ 
conte Fulvio Testi \ All'Illustrissimo e Gloriosissimo \ Carlo Emanuele Duca 
di Savoia,^ 

11. God. Estense n. 1430, segnato a. S. 3, 2. Gart. in 8.° piccolo del sec. 
XVII, già appartenuto al Gonte Valdrighi. Gontiene: * Marino Gio, Batt, 
Martoleide, fischiata prima al Stigliani , (sic) ; * La Marineide, risposta che 
fa il Murtola al Marino, risata prima ,. E poi: * L'Italia travagliata \ del 
•SL** Comm/' Fulvio Testi „, seguitn da due canzoni del Testi, una *' Al S. Go. 
Fran.o Fontana ,, T altra * Al Sereniss.'"' S.' Prencipe Rinaldo Gard.'» d'Este 
nella sua promozione ,. 

12. God. Estense n. 837, segnato a. G. 3. 2. Gart. in fol. dei sec. XVI e 
XVH, misceli, di prose e versi. Oltre ad altri componimenti del Testi, alcuni 
dei quali autografi, contiene, in un faseicoletto di 8 ce. in 12.°, il poemetto 
anepigrafieo. Nel v. dell'ultima carta si legge, dello stesso carattere delle ot- 



' E. Mandarini, 0/;. ri7.,pp. 290 e sgg., e PArrelIa, aW. r(7. 

2 A.Bartoli,/ inmioficnUi italiani della Bibl. XnziouaU di Fìrenzf , voi, IH, p. 301. 
» Cfr. Falermo, I manoscritti Pnlatini, voi. I, pp. 450-58. Di su questo cod. furouo pubbli* 
oate le ottave nel e Serio di docwnetiti aiienenti alle Heali Case di Savoja e di Brayxnza > già ci t* 



DKLLA LUrriRATUEA ITAUANA 171 

Uve: * Cantone del $ig. eo. Testi contro de gli Spagnuoli ,, e questa indica- 
zione è poi ripetuta da mano recente su un altro foglio, che serve di co- 
perla al fascicoletto. In questo ms. mancano le st. 31, 32 e 33.^ 

13. Cod. Estense n. 560. segnato a. J. 9, 15. Cart. in 12.<* picc, sec. XVH, 
di ce. 45 n. n., intitolato * Sonetti ed altre composizioni poetiche di vari au- 
tori ,. [n una striscia di carta, incollata sul foglio che serve di guardia, è 
scritto: * Questi componimenti mss. erano in fine delle poesie liriche di Fulvio 
Testi LXV. A. 56 , [ora VII, B. 61 : è V edizione Cassiani del 1645]. La scrit- 
tura minuta e nitida ha molta somiglianza con quella del Testi; ma non 
oserei affermare che sia proprio sua. — Le ottave a Carlo Emanuele sono 
anepigrafiche e adespote; nel margine, di mano del Tiraboschi, è scritto: 
" Di Fulvio Testi ,.' Il componimento finisce con la st. 34. 

14. Cod. Gampori nell* Estense di Modena Y. Z. 2. 36. Cart. in 8.^ sec. 
XVII di ce. 81. Contiene V * Italia afflitta „, adespota. > 

15. Cod. Vaticano 9226, cari, in 12.<>(14X 10) della 2.' metà del sec. XVII. 
Contiene, oltre ad alcune rime del Tassoni e del Marino, anche le ottave a 
Carlo Emanuele senza titolo, in fine delle quali è scritto: ''Fui, Testi ^, 

16. Cod. Barberiqi XLIV, 249 della Biblioteca Vaticana. Cart., in 4.<>, del 
sec. XVII, di carte 141 num. recentem. 

É una miscellanea di versi di varj autori, composta di fascicoli e fogli 
di formalo e carattere diversi, rilegati insieme. In un fascicolo di 17 carte, 
di scrittura nitida ed elegante, con un frontespizio ornato di fregi e fogliami 
a penna, trovasi il poemetto col seguente titolo : * V Italia | liberata \ del 
Conte I Fulvio Testi \ A Carlo Emanuel \ Duca \ di \ Savoia [ce. 53r-65v]. 
Nella e. 55', dove incominciano le ottave, si legge: * Invittissimo j Et \ Glo- 
riosissimo Preneipe ,. — Nel medesimo fascicolo [ce. 77^-70^] trovasi la nota 
canzone del Testi * Alla Santità di N, Sig, \ Papa Innocentio X \ Si loda la 
pace e dalla mano | di Sua Beatitudine \ dopo la particolare d* Italia \ s'aspetta 
l'Universale | di Europa | Del Conte \ Fulvio Testi ^, Seguono a questo, in 
diversi fogli [ce. 71>^-8GrJ, altri sette componimenti, che si trovano tutti a 
stampa nella * Bacc. generale delle poesie « del Testi (Modena, Sogliani, 1653), 
e fra gli altri tre sonetti (uno in doppio esemplare) diretti a Urbano Vili, 
e ai due nipoti di lui Antonio e Francesco Barberini, che sono autografi. I 
fogli, che contengono questi sonetti, dovevano far parte prima di un altro 
volume, come appare evidente dall* antica numerazione. 

17. Cod. Mglb. 359. Cart., sec. XVII. A pag. 494, di mano di Antonio Ma- 
latesti, con la data del 1645, si legge: * // Pianto d* Italia del Cav. Gio. BaU. 
Marino dedicato al gloriosissimo e serenissimo duca di Savoia «. 

18. Cod. 242 della Bibl. Guarnacci di Volterra. Cart. sec. XVIL Contiene, 
il * I tanto d'Italia del cav. Gio. Batt, Marino «.^ 



1 È QDO dei codd. cit. d» L. Ar^io {Sutt'autnUicitù ecc.). 

1 È pure eli. dall' Areslo, li qnale però non a'eccone che mene«vano le ultime nove 



3 Cit. dall' Arezio nel suo secondo o^. {Ancora Bull* auienlicità di un poenuUo ecc.;. 

* Me dà notixie 11 Borselli {art, ci7.),ll quale crede probabile olie il trancrlttore di que- 
sto ma. volterrano sia lo stesso del cod. Mglb. 359, fondandosi sull'Identità del titolo, ohe 
hanno le stanze nell'uno e nell'altro codice. 



172 RA88BONA BIBLIOGRAFICA 

19. God. 22*4 della Bibl. D*Addosio, ora facente parte della Sagarriga- 
Visconti di Bari. — Cari., del sec. XVH. Vi si legge T * Italia afflitta del 
eavaliero Gio Batt.^ al Seren.^'^o sig. Duca di Savoia Carlo Emanuele ^. 

20. Cod. Canipori Y. 6. 2. 1 dell'Estense di Modena. Cart., in fol., sec. 
XVII, pp. 208 n. n. 4- 3 fogli bianchi, intitolato " Lettere e poesie di Fuluio 
Testi ,. Contiene 224 lettere, seguite da un indice, al quale tengon dietro tre 
poesie del Testi : V ultima [pp. 196-208] è intitolata : L' Italia prigioniera \ 
* all' Invittissimo Carlo Emanuelle \ Duca di Savoia ,. Finisce con la st.34.' 

La scrittura rassomiglia perfettamente a quella di Giulio Testi, fi- 
gliuolo del poeta. 

12. God. Estense IX, e. GarL, in fol., della seconda metà del sec. XVII, 
intitolato * Giardino di varie composìttioni ,. È una voluminosa raccolta in 
sei voli, messa insieme, negli ultimi anni del sec. XVH,' da un tal Mallerti, 
che cosi sottoscrive a p. 1582 del t. II: * Manuscritto da me Pietro Antonio 
Mallerti „. Oltre ad altre poesie del Testi sparge negli altri volumi, nel t. II 
sono contenute le seguenti: 

. l.<* Si detestano le lascivie di Roma \ Poesia del sig.^ eonte D. Fuluio 
Testi [pp.mi'Qlì]; 

2.» L'Italia | poesia del conte D, Fuluio Testi [pp. 672-685]. 

Anche in questo ms. il poemetto termina con la st. 34.' 

22. Cod. n. 1501 della R. Bibl. di Lucca, segnato M. 6. GarL, in fol. 
(280X 3iO) del sec. XVIII, di ce. 211, delle quali le ultime 37 bianche. Con- 
tiene diversi componimenti, alcuni anonimi, trascritti da un Lodovico Breni, 
e fra gli altri : 

1." Contro la Corte di Roma [ce. 83^-84'] * Del Sig.r Co. D. Fuluio TeMi ,. 
2 <» • Italia I aìV Inviti »^o g Oloriosiss»*» Cario Emanuelle \ Duca di Sa- 
uoia\, E in fine: " Del sig/ Co. D. Fuluio Testi ^. 

23. God. Campori Y. B. 6. 9 della R. Bibl. Estense. Cart. in 8.» di ce. 132^ 
del sec. XVni, intitolato : "Poetiche composizioni di diversi autori,. 

Dalla pag. 44 alla pag. 59 contiene : 

• Italia afflitta \ Sogno del conte Fulvio Testi j Al Ser.»'o sig. Carlo 
Emanuel Duca di \ Savoia. 

24. God. Trivulziano.^ Curt., in 4.^ sec. XVII. Contiene le ottave adespote. 

25. Cod. 1. XI. 26 della Bibl. Comunale di Siena.» GarL, del sec. XVII. 
Contiene: L'Italia al Duca Carlo Emanuele di 5nrq;a, adespota. 

26. God. XU. E. 43 della Bibl. Nazionale di Napoli. Contiene il poemetto 
adespoto, insieme con la Pietra del paragone politico di Traiano Boccalini.* 

27. Cod. I. 3. 31 della Bertoliana di Vicenza. Contiene pure il poemetto 
adespoto.'^ 



t Cobi senz' altro, tua s'iutcudc il resto omesbo dal copista Cfr. Borzel li, ar<. ci ^ 

2 Nel t. IV, p. 1599 si trova uu Houetto * sopra Genova battuta dai francesi uel 1684 ,. 

8 È cit. auchc dal Burtoli, o/;. («/..p. 57. 

* Lo cotioMco soltanto dalla menzione che ne fa il De-Castro, o/i. ciY. p. 25,n.l. 

5 £ iiidicaU) dal Falletti, Sitf/yi, Palermo, Uiaunoue e Lamantia, lb»5, pp. 124-25. 

6 Cfr. Borzelli,«r/.ci/. 

7 Cf. Borzelli, op. al. 



DBLLA LETTERATURA ITAUANA 173 

Come si vede, il poemetto si trova adespoto in otto mas.; in 
quindici reca il nome del Testi, mentre quello del Marino non si 
trova con certezza che in quattro, giacché nella Miscellanea ci- 
tata della Bibl. Oratoriana pare si debba ritenere aggiunto po- 
steriormente. Dunque, non che essere esatta T affermazione del 
Parrella, secondo il quale in nessun codice si troverebbe il nome 
del Testi, la testimonianza dei mss. giustifica e convalida T attri- 
buzione delle ottave al poeta modenese. Certo non tutti quelli, 
nei quali le troviamo a lui attribuite, hanno ugual valore per la 
risoluzione del problema; ma a nessuno può sfuggire l'impor- 
tanza dei primi quattro, e segnatamente del Parmense 908 e del 
Vaticano 8918, nei quali il titolo di cavaliere, che accompagna il 
nome del Testi, indica chiaramente che sono anteriori al 1635, 
anno in cui il nostro poeta fu nominato conte di Busanella. Essi 
inoltre ci offrono quasi tutti una lezion^e assai migliore e pili cor- 
retta, che gli altri codici, come può facilmente persuadersene 
chiunque voglia prendersi la briga di confrontarli con le stampe 
antiche. 

Adunque, senza bisogno di ulteriori prove e di più lunghi ra- 
gionamenti, io credo si possa ormai conchiudere icon perfetta si- 
curezza, che il poemetto dedicato a Carlo Emanuele è opera di 
Fulvio Testi. 

Dimostrato cosf chi sia il vero autore, vediamo a qual tempo 
dobbiamo fissarne la composizione. Anche su questo punto e' è 
disparere. Il Tiraboschi credeva probabile fosse stato scritto e 
pubblicato nel 1617, supponendo che il Testi fosse processato e 
condannato non solo per le Rime dedicate a Carlo Emanuele, ma 
per le < stanze ancora separatamente date alla luce >.^ Il Belloni, 
TArezio, il Gabotto e il Parrella l'assegnano invéce alla prima- 
vera del 1615; il Rua * torna all'opinione del Tiraboschi e la 
rincalza con nuovi argomenti; infine il Bfirtoli ^ e il Borzelli 
lo credono anch'essi scritto nel 1617. 

Fu già dimostrato — né qui è d' uopo ripetere — che le quar- 
tine sono anteriori al poemetto, il quale non è in sostanza che 
un'amplificazione di quelle. Ora, è generalmente ammesso che le 
quartine sieno state composte nel 1615 : ^ e questa data, alla quale 



I Vita, pan. 158. 

3 11 Raa s'è in parto ricreduto, e in unu studio cho darà presto alla lac« si propone 
dì dimostrare cho le dan parti, di cui — necoudu Ini — consta il poemetto, furono cotiipoate 
separatamctite e iu diverso tempo: la l.*^ (st. 1-31), che contieuc la visione, sarebbe del 1616, 
e la 'i.«. in cut il poeta agKiunge i suoi conforti a quelli dell'Italia (st. 34-43). del 1617. 

3 Anche il Bartoli, nel ano ultimo scritto, propende per il 1615. 

* I) Oabotto però, par ammettendone la priorità sulle ottave, le crede dell'estate 1614, 
peclié gli paro che l'allaaioue contro Venezia (« La reina del mar riposi il fianco, | SI liaci 



174 RA88BOMA BtBLIOGHAPlCA 

ci riportano del resto gli accenni storici, ci è fornita anche da 
nna nota del God. Estense n. 983 (a. 0.9.25): ^ dunque bisogna cer*^ 
care dopo quest^anno il momento politico, che è descritto nelle 
ottave. Da tutto il contesto appare evidente che furon scritte nel- 
r aprile di un anno, in cai mentre la fortuna arrideva alle armi 
di Carlo Emanuele, trattative di pace vennero a interrompere il 
corso dedle sue vittorie.' 

Ciò mal si conviene agli avvenimenti del 1615^ che nel mareo 
e nell'aprile di quell'anno furono poco propizj al duca di Sa- 
voia, tanto ch'egli non rifiutò di venire ad un accordo, che fu poi 
concluso il 21 giugno (2.° trattato di Asti). Invece corrisponde 
pienamente a' primi mesi del 1617, ne' quali, ripresesi le armi, il 
Duca sabaudo con l'aiuto del maresciallo francese Lesdiguières, 
riportò parecchi successi su gli Spugnnoli, i quali non furono più 
alieni dall' accogliere le proposte di pace fatte dalla reggente di 
Francia. Al contrario il duca, incoraggiato dagli ajuti francesi e 
imbaldanzito per le recenti vittorie, mal s'acconciava a deporre le 
armi e interrompere i successi e cercava d'acquistar tempo scher- 
mendosi con vaghe risposte. 

Ancora: nella seconda parte del componimento il poeta, ag- 
giungendo i suoi conforti a quelli dell'Italia apparsagli in sogno, 
esclama : 

' Vedrem dai tuo valor fiaccate e dome 

Le forze onde T Italia egra si duole, 

E si grande apparecchio svanir come 

Larve notturne allo spuntar del sole: 

Che r alterigia Ibera, il cui gran nome 

Quasi idolatra il mondo adorar suole, 

É un tuon che fende Taria e poi svanisce, 

Lampo che abbaglia sf, ma non ferisce. 
Se gli eserciti immensi, che spogliando 

Due volte Europa a' danni tuoi fur tratti 

Senza lancia impugnar o stringer brando 



n Tolto 6 a'iuaneUl 11 crine t) gi coiiTenga pili toBto a quel momento Jn cui tra Venesi» 
e Savoia era rottura completa, che « alla primavera del '16, dopo che gli la Bepubbllca aveva 
ripreso i negoziati col duca «li Savoia, per mezzo di Ranieri Zeno, e ne'oonsigU venealani 
cominciavano a proporsi pid gagliarde risoluzioni*. Ha si può obiettare al QaboUo, che 
quando il Testi scriveva le quartine, la repubblica non aveva ancora compiuto manlfeata- 
mente nessun atto, dal quale il pubblico potesse apprendere che essa ai decideva a naclre 
dair irresoluzione e a dare soccorsi a Carlo Emanuele; si che il poeta a buon diritto po- 
teva ancora lanciare le sue frcoclato contro di lei. 

1 Cartaceo, in i.o, del seo. XVII. Da o. 278r a e. 23Sv conUene le quarUne con quatto 
titolo: « Al ser.mo sig.re Duca di Savoia Cauzonetta si crede sia del sig. Fulvio TeaU anno 
1615 *. 

s Cfr. specialmente st. 83, vv. 1-6; at 5.» 



DBLLA LBttBtlAttJIU ITAUANA 175 

Fur al primo apparir rolli e disfalli, 
Miseri! or che faran che mendicaDdo 
Van colmi di Umor accordi e patti? ' 
Riformeranno eserciti migliori? 
Onde trarran le genti, ond*i tesori? 

Anche queste due stanze ci riportano a^ primi del 1617; i due 
eserciti spagnuoli vinti e disfatti dal duca è probabile sieno quelli 
che combatterono nel 1615 e nell'inverno 1616-17.* 

Le stesse cose, quasi con identiche parole, sono ripetute nella 
dedicatoria delle Rime del Testi a Carlo Emanuele, che qui con- 
verrà tener presente: « . . . . Né . . . si può udire senza stupore 
« che U maggior Re del mondo le sia venuto due volte sopra con 
< due i maggiori eserciti eh* egli facesse già inai; ... e che due volte 
€ cosi grandi apparecchi, cosi tremendi sforzi sieno stati, come 
«nebbia al vento di tramontana, dissipati e distrutti dal suo va- 
« lore. » ' E questa dedicatoria ha appunto la data del primo d'a- 
prile 1617. La conclusione, pertanto, non può essere dubbia. Viene 
poi a confermarla il documento pubblicato dal Rua, nel quale 
non può vedersi indicato altro che il nostro poemetto, giacché 
il Testi nel 1617 non pubblicò separatamente altre stanze. E 
d'altra parte, quelle scritture da raccogliere insieme in un libro, 
alle quali accenna hi lettera citata, non possono essere, a mio pa- 
rere, se non d'argomento e di carattere politico. E me ne per- 
suade il fatto che il misterioso personaggio, che scrive la lettera, 
richiede la poesia proprio a un ambasciatore di Savoia, dal quale 
aveva già avuto altre scritture politiche.^ 

Da quanto abbiamo esposto risulta che la conchiusìone pili 
probabile, cui si possa arrivare in questo dibattito, è, che il cosi 



1 Assegnando il poemetto al 1615, come si spiegherebbero questi versi? In quell'anno 
sii Spaglinoli, non ebe nundican accordi e palli, respingevano rÌ8olntawent« le proposte 
•vanzate dalla Beggeut* di Francia per messo dell'ambasciatore Sillery; e soltanto verso 
11 maggio piegarono a pia miti consigli. 

> AI Belloni. che nel suo ultimo scritto torna a sostenere con nuovi argomenti la data 
del 1615, non sfngg/ l'importanza dell' accenno contenuto nello stanze citate, ohe oontra- 
dice alla sua opinione. E per togliere di mezzo la difiicoltà, sostiene che in esse non si 
deve vedere nn'allasione ai casi del piccolo Piemonte, ma pid tosto e ai due famosi scacchi 
subiti dalla Spagna quando Filippo II aveva tentato, con pericolo di tutta l'Europa, la con- 
quista dell'Inghilterra e della Francia •, cioè alla « scoijfltta dell' tnriiici6i7e annata (1588), 
e alla guerra terminata con la pace di Verviiis (1508) •. Ma, se anche non risultasse chiaro 
da tutto il contesto che in questi versi si allude agli avvenimenti d'Italia, contro l'ipotesi 
troppo ingegnosa del Belloni starebbe, ad ogni modo, la vera lezione del v. 2 della si. XXXVII, 
nel quale si deve leggere, con le antiche stampe e con la maggior parte dei mas., e a' danni 
tuoi ». 

s RitM di FuUio TtBli, Modena, Cassiani, 1617. 

4 Qtt. Rua, Epopea Satoina^ in « Qiorn. st. lett. ital., XXVlf, pagg. 231-32. 



176 RA88BONA BIBLIOQR^FIOA 

detto Pianto d' Italia sia opera del Testi, al quale lo assegnano 
e la conformità dello stile con altri suoi scritti e la testimonianza 
della maggior parte dei codici ; e che esso sia stato composto nella 
primavera del 1617, nelle stesse circostanze, nelle quali il Testi 
dedicava a Carlo Emanuele il volumetto delle sue Rime, 



NOTA BIBLIOGRAFICA. 



Do qai la descrizione sommaria di una Miscellanea di scritture politiche, 
ignota ai bibliograO, che si conserva nella biblioteca Universitaria di Bologna 
[Misceli. GLXI, segnata 0. V. 20]. 

Contiene venticinque scritture, in verso e in prosa, la maggior parte delle 
qaali sono già conosciute da altre consimili raccolte del tempo. 

I. Pietra | del Paragone | politico | Tratta | dal Monte Parnaso | Dove si 
toccano i governi delle maggiori Mo- | narchie del Universo. | Di Troiano (sic) 
Boccalini | con una nuova aggiunta dell' istesso, | Impresso in Gormopoli (sic) 
per Zorzi Teler, | MDCXV. 

Di ce. 55 n. n. — Nella e. % si trova il seguente titolo: * Dei Raguagii 
di Parnaso | Parte terza, | di Troiano | Boccalini, | air Illusi rissimo mio | si- 
gnor osservandissimo M. F. R. 

II. Bagnagli | di | Parnaso | Centuria | Quarta. — s. a. n. di ce. 22. n. n. 
Sono quelle che il Tassoni nel * Manifesto , chiama le * Esequie della 

riputazione di Spagna , e che dice composte da un frate francescano. 

Il Gabotto {Per la st, della leti, eiv. ecc., p. 404 e sgg.) ne fa una minuta 
analisi. ' 

III. Replica I alla risposta | contra la Quarta Centuria, | dei Bagnagli | di 
Parnaso | s. a. n. di pp. 16 n. n. 

Questa replica si trova anche in fine a un'edizione antica delle Filip- 
piche, ed è seguita, come nella nostra miscellanea, da una quartina che serve 
da epigrafe, e da due sonetti.' 



.1 A qneiii Adottagli risponde H noto < Discorso » del Bpocino, cui replicò il Tassoni. Af» 
ipriìni^ del discorso socciniano fa pubblicata un'altra risposta, a cui accenna il Oaboito 
(op. cit., pag. 415) ma senza darne indicadone precisa. Di questa Risposta trovo notizia nel 
carteggio dell* ab. Oeminiauó Ansaloni, ambasciatore mudencRe a Milano, il quale il 26 aprile 
1617 scriveva al duca, Cosare d'Este: '11 foglio dell'avviso di questa settimana sarà an- 
nesso a questi carta et insieme la diffesa /aita imumti ad Appallo per la calunnia data alla 
Repittatioìté spagnola, che fu data per morta veli' nstalto di Asti e per sepolta alla Certosa di 
Pismonte , (R. Archivio di Stato di Modena - Gart. ambasc. da Milano, 1617). 

s La quartina e il 2." sonetto intitolato * Italia madre a' Principi suoi figli . si troTano 



DBLLA LBTTKRATURA ITALIANA 177 

IV. Supplimento | a gli Avvisi | di Parnaso. — s. a. n., di ec. 8 n. n. 
Secondo il Gabolto (op, eit, p. 527) è opera di qael Valerio Fulvio Sa- 

voiano, al quale, coin*è noto, il Tassoni attribui le due prime Filippiche. 

V. Filippica I [seguita poi da altre sei]. — s. a. n., di ce. 2S n. n. 

La terza ha il titolo di: " Ragionamento | d'Italia \ Filippica II[ ^, 
La k,\ la 6.* e la 7.' sono firmate: * L'Innominato accademico libero ,. 
È uguale in tutto alla ediz. delle Filippiche descritta dal Tirabosclii 
(Biblioteca modenese, V, p. 204), salvo che nel nostro esemplare manca la 
* Caducaloria prima «, che precede quella ci t. dalF erudito modenese.' 

VI; Risposta | alle scritture | intitolate | Filippiche. — s. a. n., di ce. 8 p. n. 
È datata * di Milano ,, ma senza indicazione di giorno, di mese né' d'anno. 

VIL Lettera scritta dalPlUlia i alla S.tà di N. Sig.'« | Papa Paulo V. | s. 
a. D.; ce. 8 n. n. 

É * Data nel Giardin del mondo li 1 maggio 1617 ,, e sottoscritta * Di 
V. Beatitudine | Fedelissima, Devotissima, et Ubidientissima serva | la tor- 
mentata, e lacerata Italia „ 

Si trova anche nella Miscellanea descritta dal D'Ancona, ^a^^i di p(h 
Umica e di poesia politica (in Archivio Veneto, voi. Ili, p. 2.', ops. 1.^) e in 
un'altra dell' Oratoriana di Napoli, descritta da P. P. Parrella. {L'autore del 
Pianto d' Italia, in Rom. cnt., IV, n.< 1019 ops. XVII). 



riprodotti nelU prefazione di Silvio GlMioini a * Le FiUppiohe contro rII Spagnnoli di Alea- 
aandro Taa8onl„Firenae,l866. pag. VT, da un'antica edisione ugnale alla nostra. 
Il 1.0 aonetto è 11 seguente: 

« L* Aquila fiera, che da euppi borrori 
D'orrendi aeWi (ale) nac/, d' hermi confini, 
Temeraria i terreni a noi Ticini 
Tenta rapir aotto menriii (sic) honorl 

Olà soTra 1 curvi Abettl I bianolllnl 
Spiega maligna, e gì' infedeli errori 
D'una fede Infedel, d' empi ftirori 
Trova chi aiuta, e I suoi rapaci fini. 

Tu />eti,Bol ben nominato figlio 
D'Italia bella, aspro contrasto e fero 
Fai, rlntUBzando un èi rapace artiglio ; 

Deb scuoti 11 giogo altrui, e tanto impero 
Dibella pur, deli via fatti vermiglio 
Ne' danni suoi vendicator severo*. 



Ctt. su questa Riplica anche Errerà (S%Mt FUippich» di Ale»». TwMtn, pag. 47) e Gabotto {op. 
ciL, pag. 416). 

s Dn esemplare in tutto aguale a quello conosciuto dal Tlraboschi è posaeduto dalla 
3ibllotec« della B. Scuola normale superiore di Pisa, 



178 RA8SBGNA BIRIJOQRAFICA 

Vili. La tormentala e lacerata Italia | alla S> di N. Sig. | Papa Paalo 
V. I s. a. n., di carte 8 n. n. 

* Data nel Giardin del mondo, il giorno della festività di San Pietro 
29 giugno 1617 ,, e fìrmala come nella precedente. (Cfr. Saggi ecc. del 
D* Ancona, o. 2; e Misceli. Oratoriana, u. XIX). 

IX. L* Italiano | a principi | della sua | Provincia. | s. a. n., carte 4 n. n. 
(Gfr. D'Ancona, n. VI). 

Com.: * Non è maraviglia che vedendosi le miserie, et le calamità ecc. 
Fin.: * gli animi tratti alla naturale unione, et pace , E firmato: * L* I-nnoroi- 
nalo Academico libero ,. 

X. Caducatione | Prima. — s. a. n., carte 8 n. n. 

XI. Instruttione a Prencipi j della maniera | con la quale si gover- | nano 
ti Padri Glesuiti, fatta da persona religiosa, et totalmente spassionata. | In 
Poschiavo Per Peter | Landolfo, et Bonatto Minghino. L* anno 1617. | Di 
carte 14 n. n. 

(Cfr. Misceli. Oratoriana, n. II). . 

XII. L' Italia I air Invittissimo | e gloriosissimo Prencipe | Carlo Emanuel 
Duca di Savoia. | s. a. n., ce. 8 n. n. 

(Cfr. D'Ancona, n. XI; Misceli. Orator. n. VII). 

XIII. L' Accademico | pacifico | alla Santità di Nostro | Signore Papa 
Paolo V. per la Paci- | ficatione d'Italia. | s. a. n., ce. 8 n. n. 

(Gfr. D' Ancona, n. XII ; Oratoriana, n. XIII). 

XIV. Italia I a Roma. | s. a. n. ; ce. 4 n. n. 
(Cfr. D'Ancona, n. VII; Oratoriana, n. XVIII). 

XV. Italia I a | Venezia. | s. a. n., ce. 4 n. n. 
(Cfr. D' Ancona, n. IX ; Oratoriana, n. XVI). 

XVI. Al genio | del signor | Duca | di Savoia. — s. a. n., ce. 4 n. n. 
(Cfr. D' Ancona, n. V ; Oratoriana, n. IV). 

XVIL Alla Santità | di Nostro | signore | Papa Paolo V. | Canzone. — s. 
a. Q., di ce. 4 n. n. 

(Gfr. D' Ancona, n. V ; Oratoriana, n. XXI). 

XVIII. Capitolo I a Principi. | s. a. n., dì carte 4 n. n. 
(Cfr. D'Ancona, n. XVIII). 

XIX. La I Italia j alla | Francia alla | Germania, et alla j Inghilterra i Can- 
zone di Zorastro (sic) Pacuvio. — s. a. n., di ce. 4 d. n. 

(Cfr. D'Ancona, n. Vili; Oratoriana, n. XI). 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 179 

XX. A Princìpi | Ghristiani. | s. a. n., ce. 4 n. n. 
(Cfr. D'Ancona, n. XVII). 

XXI. Canzone \ in lode | di Venetia. | s. a. n., carl^ 4 n. n. 
(Gfr. D* Ancona, n. X). 

XXII. Al Serenissimo di Savoia. | s. a. n. 

È an foglio volante, in formato più grande degli altri ops., e contiene 
un sonetto, che com.: * Né carcere potrà, né lungo esigilo, e fin.: "Sacri- 
ficar quest'anima per voi ,. hi fondo alla pagina si legge: 

• EPIGRAMMA. 

* Ant nibll, ani Oacaar terqne, alU voco Toletus 
Dixit: In Allobrognni ùnta movet anut Diic«m. 
Quod cupit B«9eqaitnr, voti fit io aRmine oompoa; 
Eaae neqalt Caesar. incipit eue nihil .. 

XXIII. Sentenza | di Giove | tra T Aquila, et il Leone. | s. a. n. ce. S n. n. — 
Nella 1.^ carta e* è un sonetto che com.: * Chi sei tu che formidabil tenti ,, e 
fin.: * Regni ella in aria pur, in mar e in terra ,. La 2.' carta è bianca. 

XXIV. Sboraure | de cuor | de Polifonio | Fifa Venetian.. | Sboraura pri- 
ma. I s. a. n., di ce. 7 n. n. 

(Gfr. D'Ancona, n. XXX). 

XXV. Sboraure j de cuor | de Polifonio | Fifa Venetian | Sboraura seconda. | 
8. a. n., di ce. 7 n. n. 

(Gfr. D'Ancona, n. XXXI; Gamba, Serie degli scritti in dialetto vene- 
ziano, Venezia, 1832, p. 109). 

Paimondo Salaris. 



180 RASSEGNA BIBMOGRAFICA 

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. 



(r. GiACOSA. — / Castelli Valdostani. — Milano, Cogliali, 1903, un voi. di 
pagg. 383 in IG.» 

È an libro di poesia e di sloriu insieme commiste, e che perciò si legge 
con diletto e con istruzione. L'autore descrive un paese del quale conosce 
cosi ì più nascosti recessi, come le vicende e le tradizioni più intime: del 
quale ama le bellezze naturali, al pari delle Cronache dei castelli e dei vil- 
laggi, che riproducono la vita del passato. È un libro sincero, e dopo averlo 
letto, restano impressi nella memoria i luoghi descritti con tanta verità e 
schiettezza. Una trentina di belle figure illustrative ci pongono innanzi agli 
occhi castelli, torri, ponti, fontane; ma la parola dello scrittore ce li dise- 
gna con non minor evidenza dell* arte. Né si creda poi che l'autore ci dia 
soltanto descrizioni di luoghi, che a lungo andare genererebbero in noi una 
specie di sazietà: egli sa rievocare Tetà remota, quando quei ruderi, cadenti 
per vecchiaja o rassettati al gusto e alle necessità del presente, erano dimore 
di signori, e nido di armigeri. Senza romantiche svenevolezze, ma con acuto 
senso storico, egli sa dirci non soltanto com'erano costruiti quei forti edifizj, 
ma qual vita entro vi si menava: sa dirci le usanze dei potenti e quelle dei 
coloni, e ci narra le avventure d'amore e di guerra, per le quali taluno di 
quei castelli è celebre nella storia. Le donne dei Challants, re Arduino e molti 
altri personaggi sfilano innanzi a noi, e si atteggiano cosi come furono in 
vita. 

Noi vorremmo che ogni regione di quest'Italia nostra, ov'è da luogo a 
luogo tanta varietà di bellezze di natura e di vicende storiche trovasse al 
pari della Valle d'Aosta chi la descrivesse, formando una serie di preziosi 
volumi, che meglio ci farebbe conoscere ed amare la patria comune. Forse 
è cosa da potersi sperare; ma a ciascuna dovrebbe anche augurarsi chi sa* 
pesse farlo coli' arte pittorica e la parola musicale di Giuseppe Giacosa. 

A. D'A. 



G. Brizzolara. — La Francia dalla Restaurazione alla fondazione della terga 
Repubblica {1814-1870). — Milano, Hoepli, 1903, un voi. in 16.<» di pagg. 
XX.695). 

Annunziamo con piacere questo che ci pare un buon libro, degno di far 
parte della * Collezione Storica Villari , pubblicata dal solerte editore Hoepli. 
La materia della narrazione è distribuita in quattro periodi: la Restaurazione, 
la Monarchia di Luglio, la Seconda Repubblica, il Secondo impero, e ognun 
sa quanta grandezza e varietà di eventi si comprenda in cosiffatte storiche 
divisioni. Ciascuna di queste ha nel libro l'ampiezza che merita, e ciascuna 
conferisce unità alla narrazione storica. L'autore ha attinto alle fonti migliori, 
e porge bell'esempio di equanimità e buon criterio nell' esporre i fatti. Non 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 181 

ci sarebbe tuttavia spiaciuto, se invece delle rare note a pie di pagina, alla fine 
d*ogni periodo, egli avesse ritato le opere da lui consultate, additando bre- 
vemente le ragioni dell' aver nel racconto di certi fatti più controversi, pre- 
ferito runa air altra. Porse la mole già notevole del volume lo ha tratte- 
nuto dal far ciò; ma certo che questo corredo accrescerebbe pregio ad un 
lavoro, che da ogni aspetto ci par commendevole. Se però questa Storia con- 
seguirà il buon successo, che le auguriamo e che merita, sarà codesta un'ag- 
giunta che accrescerà valore a una nuova edizione. E dacché siamo sulla 
via dei consigli, o almeno dei desìderj, vorremmo che in una ristampa, oltre 
la storia degli avvenimenti si desse almeno un cenno di quella delie lettere, 
e in generale della cultura, poiché si tratta di materia intimamente collegata 
con r altra, uè c'è bisogno di lungo discorso per dimostrarlo. Quanto alla 
forma, ci sembra che V a. abbia saputo insieme contemperare la gravità della 
scuola storica italiana con la scioltezza delPuso moderno, essendo facile e 
chiaro senza mai cader nel volgare ; e che la lingua sia generalmente buona 
e schietta. L'editore Hoepli provveda a che altri volumi simili a questo, nar- 
rino le moderne vicende delie altre nazioni dì Europa. A. D'A. 



Giov. Dolcetti. — Le bische e i giuochi d'azzardo a Venezia (1172-1807). — 
Venezia, libreria Aldo Manuzio, 1903. Un voi. di pagg. XIII- 287 in 16.» 

È un fenomeno curioso, e insieme un problema psicologico, il notare come 
non sia raro il caso di barbieri, che al rasojo alternino la penna. L'Italia 
antica può ricordare il Burchiello, che diede se non V origine, il nome a una 
forma poetica, e dopo lui Lazzero Migliorucci : e la Francia moderna anno- 
vera tra i barbieri un poeta non punto spregevole, lo Jasmin. Ma ripensando 
che panche gli illetterati sono, e possono esser poeti, e se n'hanno esempj 
di tutti i tempi e di tutti i luoghi, cessa la meraviglia se troviamo fra essi 
anche i barbieri. Più strano è annoverarli nella schiera degli eruditi; ma 
forse non vanamente Orazio accompagnò insieme lippis atque tonsorilma, 
come ricercatori di recondite notizie. L'Italia adunque ebbe or non è molto, 
un barbiere erudito in Gaetano Moroni, autore o compilatore del gran Dizio- 
nario di erudizione ecclesiastica, ed ora ha questo veneziano, che cercando 
neirArchivio de*Frari documenti alla compilazione di un opera storica sul- 
l'Arte sua (e già ne ha dato qualche saggio), ha trovato tanto, rispetto ai 
giuochi d' azzardo, da comporre il presente volume. Le due provinciedel resto, 
sono contigue, perché ai tempi almeno delia Serenissima, ben spesso i bar- 
bieri erano insieme biscazzieri. Da siffatte indagini ne è uscito fuori intanto 
questo volume, che va dai tempi più remoti ai principj del secolo scorso, 
e contiene quantità di fatti, accuratamente disposti. Esso è diviso in otto 
capitoli, i titoli dei quali possono dar idea del contenuto del libro: / giuochi; 
Le bische; i barbieri biscazzieri, i Casini da giuoco; la posta del giuoco; 
i bari; i delitti dei giuocatori; le condanne. L'autore desume tutta la ma- 
teria sua dai documenti veneziani ; altri noterà in un lavoro più ampio sul 
giuoco in generale, certe rassomiglianze, e ne chiarirà l' origine e la deriva- 
la 



182 aASSBONA BIBLIOGRAFICA 

zione. Per es. le scommesse che V a. ricorda (p. 1^) in Venezia circa V ele- 
zione di questo o quel nobile alle pili cospicue cariche politiche, trovano un 
riscontro colle scommesse usate a Roma in occasione di conclavi : e l'altra 
usanza di impegnar grosse somme circa il sesso nascituro da illustri dame, 
a Genova era il giuoco del redoglio. Importante assai è il capitolo sui Casini 
da giuoco; e di questi ve n*era persino per le meretrici (p. 63), le quali, è 
noto, ne* pili bei tempi della gaja vita veneziana, non erano dai rettori della 
Serenissima vedute di mal* occhio o perseguitate: ma ve n*era anche per 
nobili dame, ed una di esse osservava: * il Ridotto è assai comodo per un 
forestiere, * poiché per la cortesia degli abiL.Mili può farvi molte relazioni, e 
** il giuoco, se può pericolosamente impegnare, almeno lo allontana dal vuoto 
* della noia „ (p. 74). Questo capitolo sui Ridotti, che si direbbero quasi una 
istituzione veneziana, potrebbe esser ampliato da quanto forniscono in pro- 
posito le relazioni di viaggiatori. Ma Ta., Io ripetiamo, non è voluto uscir 
fuori dal suo speciale argomento, e sebbene abbia voluto nella Bibliografia del 
giuoco (p. 246), mostrare di conoscer la materia in tutta la sua ampiezza, ha 
serbato al suo lavoro il carattere dì contributo locale alla storia dei giuoco. 
Egli poi lo ha arricchito, oltre che d'indici copiosi, di alcune Appendici assai 
utili. Ma la prima " Nomignoli della plebe nel sec. XVIII , forse poteva esser 
pili ricca; e fra esse Appendici non avremmo avuto ritegno di porre quel 
*' piccolo dizionario del turpiloquio e delle bestemmie dei giuocatori , che egli 
ha compilato, ma che non ha voluto pubblicare. Noi ricordiamo di aver visto 
in un librone del seicento registrate con approvazione delle autorità, tutte le 
pili orrende bestemmie: e Salvatore Bongi mise insieme tutte quelle che 
ricorrevano negli atti del malefìcio della Repubblica di Lucca. Sono curio- 
sità dirette ai curiosi, e il modo tenuto dal Bongi nel pubblicare quel suo 
florilegio, prova che ciò può farsi senza scandalo. In mancanza di ciò, faremo 
buon viso alla Appendice 2.% che raccoglie Motti, Proverbi e Modi di dire 
derivati dal giuoco: e, tutt' insieme saremo grati al bravo barbiere di Rialto, 
che ci ha regalato queste indagini sulla storia del patrio costume. 

A. D'A. 



CRONACA. 

.'. È a tutti noto come si sia sollevata una questione sui ritratti di Dante. 
L'argomento era stato trattato ultimamente dal dott. Ingo Kraus, Z>a« por- 
trait Dantes (Berlin, Paul, 1901), dopo che l'altro e maggiore Kraus ne aveva 
toccato nella sua magistrale opera sul sommo poeta. È da ricordare anche 
rispetto al ritratto giottesco, T articolo, dimenticato dal Kraus, del prof. D* An- 
cona nella Lettura, cui era aggiunto il dipinto giottesco sul calco fatto dal 
Kirkup e pubblicato dalla Società Arundelliana, riproducente l'affresco qual 
era innanzi gli imbratti del restauratore Marini. Cotesto articolo valse ali* au- 
tore quella che vien detta mnschera-Kirknp, della quale sono notissime le 
copie, e che la vedova del pittore inglese gli donò per riconoscenza della 
difesa da lui assunta del defunto marito. Pareva di essa perduta ogni trac- 
cia; ed ora è ritrovata, ed a suo tempo diventerà proprietà del Municipio di 



DELLA LHTTRHATURA ITALIANA 1P3 

Firenze, perché la ponga nella cappella del Bargello insieme con un esem- 
plare della stampa arundelliana, ormai irreperibile in commercio. Ora una 
nuova effigie dantesca, del sec. XIV, parve al prof. A. Chiappelli scorgere 
nella cappella stro7.ziana in S. Maria Novella nel dipinto del Paradiso, e tal sua 
scoperta annunziò nel Marzocco del 20 dee. scorso. Al prof. Chiapponi rispose 
Il prof. P. Papa in un articolo del Giornale dantesco (XI, 1), dove negando 
la rassomiglianza di quella effigie col comune tipo dantesco, faceva notare 
rome altra figura, pur nella stessa cappella, ma nella pittura del Giudizio, 
fosse stata già dal Barlow, dal Volkmann, e più recentemente dal Mesnil ri- 
conosciuta come dantesca. Il prof. Chiappelli ha risposto al Papa e ad altri 
contraddittori in un artic. della Nuova Antologia del 16 aprile, confermando 
il suo primo giudizio, e riproducendo i due affreschi. Egli congettura inoltre 
che la figura che «la dirimpetto a quella in che riconosce Dante, possa esser 
il Petrarca, e un* altra di fianco a questa, Gino o il Boccaccio. A noi sembra, 
che fra le due figure del Paradiso e del Giudizio, se ve n^è una che ricordi 
Dante, sia senza alcun dubbio quest'ultima, che si riaccosta al tipo del poeta in 
età avanzata. L* altra si può almanaccare quanto si vuole, e perfino mettergli 
un libro ipotetico sotto il braccio : ma per noi non rassomiglia al tipo dantesco 
né giovane né vecchio. Nella controversia, ma schierandosi contro il Chiap> 
pelli, è pure entrato il sig. 6. L. Passerini con una notevole pubblicazione 
{Pel ritratto di D., Firenze, Olschki, di pp. 19, in 18."), concludendo che dal 
ritratto di Giotto, solo trecentesco, si passa ai ritratti danteschi della seconda 
metà del sec. XV, che sono: il disegno del cod. palatino, il dipinto di Dome- 
nico di Michelino, la miniatura riccardiana, la maschera Torrigiani, e forse 
il busto del Museo di Napoli. A noi sembra che ingiustamente sia qui om- 
messa ogni menzione della maschera-Kirkup, che secondo una plausibile 
congettura di Corrado Ricci, sarebbe calcata non già sul volto del morto poeta, 
ma sul busto che, opera forse di Tulio Lombardo, stava sul sepolcro di 
Dante a Ravenna, e che dopo note vicende, passato da Gian Bologna al Tacca, 
è andato perduto. Tanto più ci pareva degno di ricordo, avendo messo in 
lista la maschera Toriigiani, circa la quale possono aversi molti dubbj, e che 
più che darci un* idea del volto dantesco, sembra effigiare un capoccia to- 
scano in berretto da notte, e mezzo rimbecillito. — La pubblicazione del 
Passerini riferisce molti più o meno autentici ritratti danteschi: ma non 
sappiamo perché, volendo offrirci il dipinto giottesco anteriormente al ma- 
laugurato restauro, si sia giovato di una riproduzione di seconda mano e 
non di quella della fedele e diretta stampa arundelliana. 

.'. Il signor Filippo Zamboni ha pubblicato un* Aggiunta di circa 40 pa- 
gine alla sua Autobiografia inserita nell* opera Gli Ezzelini, Dnnte e gli schiavi, 
che di recente ha ristampato (Firenze, Bemporad, 190i2, in Mi.^}. L* annun- 
ziamo perché alla fine del fascicoletto si vede riprodotta in facsimile 1* im- 
magine di Dante quale fu disegnata e colorita in uno dei due codici della 
Commedia, che si conservano nella Palatina di Vienna. Noi crediamo collo 
Zamboni che questa figura non sia stata mai pubblicata, ma non riscon- 
triamo in essa i tratti caratteristici dell'immagine del poeta, quale appare dai 
ritratti più autorevoli. Anche questo, insomma, del codice Viennese ci sembra 
OD ritratto di fantasia, 



184 RA88BGNA BIBLIOGRAFICA 

.*. Gol titolo Note alla Divina Commedia (Perugia, Tip. V. Santacci, 1902, 
in 16.' picc.) il signor Silvio Federici ha pubblicato alcune postille da lui 
segnate nei margini di un* edizione della D. C. col commento del Casini. Il 
volumetto di più di cento pagine non ci pare che contenga osservazioni 
notevoli; quasi sempre si tratta di dichiarazioni, che è utile fare spiegando 
a viva voce nella scuola i canti di Dante, ma che non occorre inserire in 
un commento stampato. Qualche volta le chiose appaiono molto strane; 
es. surga di Purg. I, 9 è spiegato : * Calliopea si alzi in piedi, per meglio 
* accompagnare il mio canto con le sue dolcissime armonie ,. 

.'. // canto VI del Purgatorio è stato letto in Orsanmichele dal prof. F, 
NovATi, e ora ne abbiamo a stampa il commento (Firenze, Sansoni, di pp. 55 
in 16.®), pieno di acute osservazioni e arricchito di note erudite. Il N. si in- 
trattiene specialmente su Sordello, sui suoi casi, e sulle ragioni che pote- 
rono indurre il poeta a fargli rappresentare la nobii parte, che tutti sanno. 
Non crede che ciò derivasse dair ammirazione per il pianto in morte di Ser 
Blacas; e opina che Dante conoscesse altre poesie di lui, e casi delia vita 
ultima, che ci sono ignoti, e dififerirebbero dalla leggenda creatasi intorno 
al nome del trovatore mantovano. E questa ci sembra una probabile conget- 
tura, che il N. fiancheggia di buoni argomenti ; ma la rassomiglianza fra Sor- 
dello giudice dei regnanti del suo tempo nel pianto e indicatore e giudice 
degli spiriti principeschi della valletta, vuole che si ponga in prima riga 
r ipotesi pili generalmente acccolta, senza tuttavia fare di quella lirica — 
ed è ciò che nega appunto il N. — V* unica , ispiratrice del solenne epi- 
sodio del Purgatorio. Un altro punto importante è toccato dal N., rispetto 
cioè alle favole su Sordello raccolte dall' Aliprandi, sostenendo, e ci sembra 
con buona ragione, che egli non ne fu inventore, come altri asserì, ma divul- 
gatore soltanto, deducendole, al pari di altri episodj della sua cronaca, da 
fonti anteriori. Neil* ultima parte della sua lettura, il N. fa notare come il 
senso deir unità politica della patria assurga in questo canto * a trionfale 
manifestazione d'arte ,, ma sia più antico e replicatamente affermato anche 
negli scrittori del più oscuro medio evo. 

.'. // e. XI dell* Inferno è stato illustrato per la Lectura Dantia dì Or- 
sanmichele dal prof. A. Linaker (Firenze, Sansoni, di pp. 40 in 16.®). Oppor- 
tunamente la spiegazione di questo canto essenzialmente filosofico, è stata 
affidata a un cultore di tal materia. Ognuno sa quante difficoltà la parola stessa 
di Dante presenti per intendere la distribuzione delle colpe e delle pene nel- 
r Inferno e per il ragguaglio con quella del Purgatorio. Dal riferire l'opinione, 
esposta dal L., ci asteniamo, perché si entrerebbe in un troppo ampio pelago, 
avendo la controversia in proposito dato origine a molti e diversi scritti, 
con disparatissime sentenze; ci basti il dire che la diffidi materia è trat- 
tata dal L. con vivezza e lucidità somma. 

/. Il prof. V. Spinazzola ci dà illustrato // Canto XVII delV Inferno (Na- 
poli, Trani, di pp. 33 in 16.®). Non crederemmo esatto ciò che si dice sul prin- 
cipio, che, cioè, questo canto ** non ha avuto sinora alcun esame critico „ 
perché, indipendentemente da tutto quello che è stato detto, anche stravagan- 
temente, sul significato simbolico di Gerione, vi ha nella Lettura Dantie di 
Firenze una speciale illustrazione di esso (v. Rassegna, IX, 233). Ma, lasciando 



DELLA LÌÈTTlBRAtURA itALIANA l85 

star ciò, eh* è dì secondaria importanza, quello che il sig. S. scrive è ben 
pensato e bene esposto in forma viva e chiara. Quanto egli dice del modo 
come Dante descrive il mostro immane, delle sensazioni provate da lui in 
quel viaggio nel vuoto, degli elementi antichi e nuovi onde si compone la 
figura di Gerione e della virtù di vita in lui infusa dalK immaginazione del 
poeta, è tutto assai ben detto. Né meno ci sembra notevole la dichiarazione 
del significato simbolico del gran mostro, che, concordiamo con luì, ' traspare 

* come da limpidissimo vetro ,, esser la Frode, sebbene altri recentemente, 
arzigogolando, volesse riconoscervi Tlnvidia. Ed è vero quello ch*eglì osserva, 
e che può estendersi alla spiegazione di altri simboli, e ad altre * scoperte , 
che ogni tanto si bandiscono in tal proposito: che cioè Dante sarebbe stato 
ben misero poeta, se certe immagini e forme della Commedia avessero do- 
vuto attendere sei secoli per esser pienamente dichiarate. 

.'. Enrico Proto, nello scritto Per un passo oscuro della Vita Nova (estr. 
dalla Ross, crii. d. leti, it.) riprende in esame il noto passo della V, N,: Ego 
tamquam centrum circuii, cui simili modo se habent eircunferentiae partes ; 
tu autem non sic, e, richiamando gli accenni della V, N. ed un passo molto 
opportuno dell* Etica Nicomachea, esposta e commentata da S. Tommaso, 
rincalza 1* opinione del Federzoni (Studj e diporti danteschi, Bologna, Zani- 
chelli, 1902, pp. 47-48), secondo la quale Amore si serve di questa immagine 
per esprimere la sua propria condizione di signore della nobiltà, ed il rim- 
overo a Dante per essersi abbandonato, oltre ai limiti della * cortesia , al- 
r amore per la * donna schermo ,. 

.*. Il sig. 6. Gargìlno-Gosbnzìi ripigliando a trattare II passaggio delV Ache- 
ronte (Castelvetrano, Lentini, di pp. 43 in 16.^), osserva che la questione è 
vecchia, e non risoluta, ma ciò non gli è d* ostacolo a discorrerne di nuovo. 
Egli succosamente riferisce dapprima le spiegazioni del Puccianti e d* altri 
fino alle nuove divinazioni del Pascoli, e del Ghiappelli, ma conclude che 

* il poeta ci lascia perplessi in faccia a questo mistero , sia per necessità 
poetica * consigliata air autore dal suo stile allegorico e polisenso , sia dal- 
r essere il viaggio di Dante, per quanto rappresentato come reale, * niente 

* altro che una visione ,. Noi timidamente aggiungeremo che il voler pene- 
trare certe parti misteriose del poema, dove 1* amore evidentemente ha vo- 
luto non esser chiaro ed esplicito, non è altro che una ingegnosa ginna- 
stica intellettuale : e dopo tanto affaticarsi su questo oscuro episodio, come 
su tanti altri, confessiamo che Tunica cosa significata da Dante è questa: 
eh* egli passò Acheronte. Il resto è congettura, esposta pili o meno ingegno- 
samente dai commentatori. 

.'. Tempo addietro il prof. M. Morici scrisse (v. Rassegna, VII, 150) per 
sfatare la leggenda che Dante dimorasse al monastero di Fonte Avellana, 
dove una cella prende nome da lui : anzi volle dimostrare anche, che il 
poeta non che farvi soggiorno, nemmeno vi peregrinò, ma vide il monte 
Catria da Ravenna, e lo descrisse aiutandosi di un passo di Lucano. Sorge 
adesso il sig. L. Nigolstti a contraddire le asserzioni del Morici (Dante al 
monastero di Fonte Avellana, Pesaro, Federici, di pp. 61 in 18."). Quanto al 
primo punto, tutti gli argomenti addotti non giovano a render maggiormente 
credibile la tradizione, non molto dissimile da quella della Torre di Dante in 



Ì86 RA^BONA BIBLIOGRAFICA 

Luoigiana e in Caseiiliou. Può anche essere che neir errabonda sua vita, I* e- 
suie poeta sia stato ospitato dai benedettini dell'Avellana, e proprio nelle 
stanze che portano il suo nome ; è pili diffìcile V ammettere, se anche non sia 
impossibile, che ivi scrivesse * non minimam partem , della Commedia, come 
porta una iscrizione postavi nel 1557 da un abate commendatario fiorentino: 
né vi sono dati sicuri che servano a corroborare siffatta tradizione. Quanto 
all'altro punto della controversia, se cioè il gibbo di che parla Dante sia stato 
veduto dall'Avellana, o invece, come vorrebbe il prof. Morici, dalla badia ra- 
vennate dì Cliiaae fuon, rimaniamo dubbiosi, vedendo che il Nicolettì asserisce 
che * da Classe il Catria non si vede, assolutamente non si vede, e nessuno 
ha mai potuto vederlo ,. A dirimere i dubbj non ci vorrebbe altro che un 
** sopraluogo , di dantisti : o se questo riuscisse troppo incomodo, un refe- 
rendum; ma forse i ravennati direbbero di si, e gli altri di no; e cosi si 
rimarrebbe sempre all'oscuro. 

.'. Il comm. Marco Besso, bibliofilo e dantista, A proposito di una ver- 
sione latina della Divina Commedia (Firenze, Franceschini, di pag. 32 in 16.*) 
rettifica e corregge le asserzioni contradditorie del Batines, del Witte e del 
Ferrazzi circa la traduzione del poema fatta dal padre Carlo d'Aquino della 
C. d. G. e stampata a Napoli nel 1728. Notisi bene, stampata a Roma, ma 
colla data di Napoli, perché il maestro dei sacri palazzi non permise che a 
Roma si pubblicasse il testo del poema, anche se, come il traduttore aveva 
eseguito per ordine dei superiori, fossero nella patte italiana soppressi e om- 
messi nella traduzione certi passi troppo arditi e scandalosi. La traduzione 
dunque è, checché altri ne abbia detto, dell'intero poema: salvo per quei 
luoghi che il censore stimava non approvabili. Ora il sig. Besso è andato 
ricercando e additando tutte queste lacune, cagionate non soltanto da motivi 
di religione, laddove Dante tuona contro la decadenza e la corruzione della 
Chiesa temporale, ma anche da riguardi politici verso * le nazioni straniere ,, 
cioè verso le città italiane dal poeta vituperate. Curiosa cautela, che forse 
serviva a coprire e inorpellare le vere ragioni dell'altra! II sig. B. non solo 
nota tutte coteste om missioni, ma aggiunge la traduzione di tutti quei luoghi, 
fatta da un capo ameno, buon latinista nella forma classica e nella mac* 
cheronica, che fu il vicentino Francesco Testa, il quale per tal modo rese 
compiuta la traduzione del p. Gesuita. E poi ricorda come l'avvedimento 
della censura romana facesse scuola in Russia, dove nella prima stampa 
della traduzione del Mier è stato tolto quanto poteva servir di scandalo poli- 
tico, religioso o morale; e come in quella greca di Musurus-pascià ambasciatore 
turco, noi XXVIII dell'Inferno a Maometto è stalo sostituito Ario! Strani que- 
sti * brachettoni , di Dante! E ricordiamo anche, come in un'opera stampata 
a Venezia, precisamente nella Biografia del sec, XVKf, del Tipaldo, si met- 
tessero dei pudichi puntini all' ultima parola del v. 72 Inf. XXIV, forse per- 
ché parve che i due ss fossero una forma veneta di due zz toscani! 

.'. E. Tkza in un opuscolo intitolato L'Inferno e la nuova traduzione 
armena (Padova, Raudi, 1902. pp. 12 in ìd.^) dà notizia della prima tradu- 
zione armena in versi deW Inferno intero, pubblicata dal p. Arsenio Ghazikean. 
Il Teza giudica questa versione molto fedele, ma insieme fa alcune osserva- 
zioni e conclude augurando per le altre due cantiche una versione in prosa, 
che riesca a riprodurre con maggiore efficacia 1' arte dantesca. 



DBLLA LBTtKRATURA ITALIANA 187 

.*. t^rendendo le mosse dall' artic. del si*;. Bellai^ue nella Revue des d, 
mondes del t. gennaio, il prof. A. Taddei in un opuscolo su Dante e la musica 
(Livorno, Giusti, di pagg. 15 in IO.*"), parla di alcune melodie ispirate al poema 
dantesco, ommcsse dallo scrittore francese, e aggiunge assennate considera- 
zioni sul modo migliore di interpretare musicalmente alcuni episodj della 
Commedia, e fra questi specialmente il bellissimo principio del e. Vili del 
I^trgatorio, 

.*. Il prof. G. Del Ghicca non è rimasto capace di ciò che dicono i com- 
mentatori sul Veltro e sugli altri simboli del I canto dell' Inferno, e special- 
mente su La Lupa dantesca: e con questo nome intitola uno studio in pro- 
posito, (estr. dalla Rassegna nazionale del 1. febbr. 1893. A lui non sembra 
accettabile che essa significhi T avarizia, come ** intendono tutti gli antichi e 
il pili dei moderni „. Egli ragiona acutamente assai nel confutar le altrui 
dottrine: ma quando vi sostituisce la propria, secondo la quale, la lupa 
significherebbe * la morte ,, confessiamo la nostra inettitudine a penetrare 
il suo pensiero. 

.'. Lo scritto del sig. G. Paolucci, su Pretese elezioni di Giudici al tempo 
di Federico li di Svevia (Palermo, Lo Statuto, pp. 17 in 8.®) essenzialmente 
tratta un punto di storia civile e giuridica, ma interessa anche indirettamente 
la storia letteraria, e la controversia sull* antico poeta Guido delle Colonne. 
È noto a chi vi ha tenuto dietro, che il Torraca, contro il Monaci, sostenne 
che l'antico poeta potè esser giudice di Messina, perché nativo di questa 
città: il sig. P. annuendo all'opinione del Garufi, che Guido poteva, ma non 
doveva esser un messinese, vuol dimostrare che il Torraca interpetrò erronea- 
mente le costituzioni frediriciane ammettendo che i giudici delle citta dema- 
niali fossero eletti dalle Comunità. La questione è ancora ardente e sub 
judice, e noi aspetteremo che la sentens^a venga pronunziata e raccolga il 
consenso del pubblico degli studiosi, sicché ne refluisca qualche maggior luce 
sul poeta siciliano. 

.*. In un libretto intitolato Shakespeare e i classici italiani (Lanciano, 
Garabba, 190!2, pp. 46 in 16.<> picc.) il prof. L. Mascbtta-Garacci ha raccolto 
un gruzzolo di riscontri fra luoghi dei drammi, delle commedie e dei sonetti 
del grande scrittore inglese e altri di scrittori italiani come il Guinizelli, Dante, 
il Petrarca, il Boccaccio e l'Ariosto. Non diremo che i riscontri siano sempre 
convincenti; ma l'opuscolo arreca in complesso un nuovo contributo alla 
storia della conoscenza della nostra letteratura in Inghiltera. 

.*. In questi tempi di rinnovato feroce antisemitismo giunge opportuno 
Un altro documento su la colonia ebrea di Montegiorgio, edito da C. Page 
(Teramo, Riv. Abruzzese, di pagg. 8, in !().<') in continuazione d'altra ante- 
riore pubblicazione, dal quale si vede che se sul finire del sec. XIII si 
saccheggiavano dalla plebe marchigiana le botteghe e le fabbriche di tessuti 
degli ebrei, vi erano però giudici che condannavano alla riparazione dei 
danni : la qual cosa e la riparazione alle olTese di sangue, pare che non si 
usino altrimenti in Hussia nel sec. XX. L'editore del documento accenna 
ad altre notizie sulle colonie ebree in varj paesi delle Marche : e sarebbe 
bene le raccogliesse, come hanno fatto, il Ciscato per Padova, il Luzzatto per 
Urbino. 



188 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

.'. Neir ultimo fasciculo (n. t2()) degli Studj di filologia romanza uscito 
testé, F. L. Mannugci dimostra lucidamente che il Libro de la misera humana 
eondieione contenuto in un codice genovese della Biblioteca delle Missioni 
Urbane, non è, come il Guarnerio si proponeva di dimostrare, una traduzione 
immediata del De Contempiu Mundi di Innocenzo III, * sibbene una tradu- 

* zione della Miseria dell' Uomo di Bono Giamboni, che a sua volta l* opera 

* propria elaborò sul latino del pontefice ,. La conclusione è specialmente 
importante per questo, che appartenendo, a quanto asserisce il Mannucci, la 
traduzione genovese indubbiamente al principio del sec. XIV, cade il dubbio 
del Gaspary che il Trattato attribuito al Giamboni, per essere scritto in prosa 
troppo forbita e piena, provenga da una penna del secolo seguente. In fine 
di questo fascicolo leggiamo Y annunzio che con esso cessa la pubblicazione 
degli Studj di filologia romanza. Non possiamo fare a meno di esprimere 
il nostro dispiacere per tale notizia. 

.'. Il libro di I. G. Isola, [parlari italici daW antichità fino a noi (Livorno, 
Giusti, 8.^ pp. 175) comprende due parti. Nella prima si discorre dell* ori- 
gine delle lingue romanze e specialmente dell* italiano; la seconda è un 
Catalogo delle voci e maniere pertinenti all'antico latino rustico conformi alle 
odierne. Questo Catalogo riproduce, con aggiunte e ritocchi, quello stesso che 
r autore aveva già pubblicato nel 1880 in un volume della Collezione di o- 
pere inedite o rare^ in cui V Introduzione alle Storie Nerbonesi, edite nella 
medesima Collezione, si allargò tanto da essere intitolata nientemeno che 

* Storia delle lingue e letterature romanze ». E V opinione intorno air orìgine 
delle lingue romanze allora dalK Isola esposta, sì trova pur troppo ripetuta e 
ribadita nella prima parte del libro uscito ora col titolo sopra riferito. Egli 
cioè continua a credere, e crede anche di esser giunto a dimostrare, che le 
lingue romanzi) siano sorelle del latino (cfr. pp. 3 e 9), rimontando esse 

* direttamente e senza interruzione alcuna, ai secoli più lontani , (p. 38). 
Anche se avessimo tempo e spazio non ci indugeremmo a confutare tale 
opinione, sebbene Fautore sia sicuro che il lettore si metterà in fine dalla 
sua parte (p. 11)! Beata sicurezza che gli fa considerare come impigliato nel- 
r errore il Diez (p. 8 e 9) e gli fu notare amaramente che finora * le basi 

* della scuola germanica non suno scosse del tutto ^ (p. 27). Proprio cosi! 
Non senza utilità è il Catalogo, che, come abbiamo detto, segue a codesta 
prima parte del libro; ed è utile in quanto le singole voci sono confortate di 
esempj; ma in quali osservazioni e spiegazioni accade anche qui spesso di 
imbatterci! Dopo aver dato una scorsa a questo Catalogo, non ci fa pili me- 
raviglia che il medesimo autore abbia compilato anche queir altro che s'inti- 
tola Voci e maniere genovesi nei classici italiani (estr. dalla Rivista Ligure 
di Scienze, Lettere ed Arti; Genova, 1902, 8.», pp. 40), e che potrebbe altret- 
tanto bene intitolarsi Voci e maniere italiane nel genovese. L'autore nota che 
gli esempj da lui. raccolti * contengono voci e maniere rispondenti in modo 

* singolare e puntualissimo i.d altrettante fra le pili caratteristiche del dia- 

* letto genovese . (p. 1). Si tratta invece di voci e locuzioni comuni a gran 
parte d' Italia. E che bisogno poi e* era in generale di documentarle con esempj 
di scrittori classici, se quasi tutte son note a chi conosca un pò* la lingua 
letteraria e il toscano? Nondimeno, a chi se ne sappia servire, non diremo 
inutile del tutto neppur questo secondo Catalogo. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA l8d 

.'. li prof. Raymond Wsbks, insegnante di lingue ronoanze neir Università 
di Missouri, ha pubblicato (The University of Missouri Studles ediied by 
Frank Thilly professor of philosophy, voi. (« fase. 2.^) uno studio suU* antico 
poema francese intitolato Covenant Vivien, che per rispetto alla sua genesi 
offre gravi difficoltà variamente spiegate dai critici, specialmente francesi, che 
se ne sono occupati. U Weeks riprendendo T argomento, ultimamente stu- 
diato dallo Jeanroy, viene alla conclusione che il poema francese ci rappre- 
senta la fusione di due narrazioni epiche, la cui materia noi troviamo nelle 

* Storie Nerbonesi , del nostro Andrea da Barberino. E appunto per 1* aiuto 
che le * Storie Nerbonesi , danno alla soluzione del problema abbiamo voluto 
segnalare agli studiosi italiani il lavoro del Weeks. 

.*. Per quanto non si riferisca direttamente agli studj cui è dedicata 
questa Rassegna, tuttavia annunziamo, per P utilità dei riscontri che possono 
cavarne i cultori della nostra antica letteratura, la pubblicazione di Paul 
Mbyer intitolata Noliee d'un manuacrU de Trinity College (Cambridge) (Pa- 
ris, Imprimerie Nationale, 1903, pp. 51 in 8."). L'illustre romanista dà notizia 
della redazione poetica in antico francese della Vita di S. Giovanni T ele- 
mosiniere e della Vita di S. Clemente papa, studiando le relazioni fra il testo 
volgare e gli originali latini da cui derivano, ed esaminando la lingua del 
primo. 

.'. Il prof. Man ARA Valoimigli ha dedicato uno studio alla Pùtèia aaiiriea 
latina medievale in Italia col titolo di Appunti (Messina, Nicotra, 1902, in 16.*). 
Dopo aver discorso nei primi due capitoli Di alcuni caratteri della coltura 
latina medioevale in Italia e della satira medioevale in Italia nella tradì' 
zione e nella cultura classica, nei quattro capitoli seguenti passa in ras- 
segna quel che Tltalia nel medioevo produsse, di poesia satirica, classifi- 
cando i documenti di essa in quattro gruppi: satira profana e satira asce- 
tica; satira miscredente e poesia goliardica; satira nella contesa tra Impero 
e Chiesa; satira politica. Chi legga il libretto del Valgimigli s' accorgerà che 
come fu scarsa la produzione della poesia satirica latina, cosi fu anche poco 
originale ; qualche cosa di pili è da notare nel genere politico, ma è sempre 
ben poca cosa. — 11 Valgimigli mostra in generale d'essere bene informato 
della letteratura del suo argomento, e per qualche deficienza che può appa- 
rire nel suo lavoro egli dichiara nella prefazione di non aver potuto com- 
piere, come avrebbe voluto, le ricerche necessarie. Tuttavia, talvolta chi legge 
nota che in qualche punto era assolutamente necessario approfondire le ri- 
cerche. A proposito, per esempio, della poesia goliardica in Italia egli af- 
ferma recisamente collo Straccali * che i Goliardi formassero una vera 

* associazione di scolari vaganti in seno agli scolari stessi; ove non tutti gli 

* scolari vaganti erano goliardi, ma ove tutti i goliardi erano scolari vaganti ,. 
E sia pure; ma bisognava tener conto dell* opinione messa innanzi poco prima 
dal Novati {Bibl. delle Scuole Ital. 1.^ gennaio 1900), che nega resistenza di 
questa associazione, e vedere se ad essa potevano opporsi saldi argomenti. 
Un accenno della prefazione al Roman de Renard e ai rifacimenti italiani, 
editi dal Teza e dal Putelli, dà occasione ad una nota in fine del libro in 
cui il Valgimigli comunica i risultati di un suo studio inedito intorno a quei 
rifacimenti. Contrariamente air opinione del Sudre e del Paris egli crede * che 



190 KABBISGNA BIBLIOGRAFICA 

* i due poemetti su Rainaldo e Lesengrino in Italia non avessero avuta altra 

* fonte che tradizioni orali; e che da queste tradizioni orali venute dal comun 

* fondo della epopea renardiana d*oÌtr'alpe, ma interamente rimaneggiate e 
'con certa originalità rifatte dai trovieri italiani, derivassero i due poemetti 

* ìndipendentissimi Tuno dati* altro ,,. Attendiamo le prove di tale asserzione. 

.'. Il prof. G. Sai.vioni in una Nota dei Rendiconti delP Istituto lom- 
bardo (Serie H, Voi. XXXV, 1902) intitolata Di un documento dell'antico 
volgare mantovano^ dopo aver rilevato T importanza del recente studio del 
Gian su Vivaldo Belcalzer {Giorn. stor. d. lett. ital., Supplemento, Num. 5) ri- 
ferendone anche le principalissime conchiusioni, e dopo aver osservato che 
la lingua di questo antico scrittore mantovano non contiene nulla di vera- 
mente caratteristico, ma insieme nulla anche che contraddica al dialetto di 
Mantova, stende della medesima lingua usata dal Belcalzer un commento 
sistematico mettendone in evidenza i fatti più notevoli, nonché quelli che 
hanno particolar riferimento al moderno dialetto di Mantova. 

.*. La leggenda dei due amanti, ossia dei due sposi, che per amor di 
perfezione cristiana mantengono la castità nel matrimonio, e dopo morte 
sono chiusi in un medesimo sepolcro, a testimonianza della loro eterna fede, 
leggenda diffusa in Italia ed in Francia, fu presa ora in esame dal prof. N. 
Tamassia {Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXII, parte seconda, pp. 45-63). 
Egli ne ricerca la genesi movendo dalla leggenda di Ingiurioso e Scolastica 
riferita da Gregorio di Tonrs, e confrontandola con le altre consimili di Re- 
ticlo e sua moglie, raccontata dal medesimo autore, di Plauzio e Orestilla 
accennata da Valerio Massimo, e con le altre due pili antiche di Martiniano 
e Massima, tramandataci dallo scrittore africano Vittore Vitense, e di Vale- 
riane e Cecilia romana, compresa negli Ada di questa santa. Tutte codeste 
leggende hanno comuni i tratti caratteristici, si riducono cioè in fondo a una 
sola e medesima leggenda. Come essa sarà sorta ? La risposta a tale dimanda 
costituisce la parte più nuova e interessante dello scritto del Tamassia. Se- 
condo il quale T origine sarebbe stata questa. Sono comuni in antico le 
tombe di coniugi, adornate di statue, o busti che li rappresentano per lo più 
con le destre congiunte: sotto è un epitaflo, che ne dice le lodi e la felicità 
non rotta dalla morte, ma diventata eterna nella pace del sepolcro (pp. 57-58). 
Ora scorrendo le iscrizioni funebri, anche dell'epoca romana, sMncontrano 
espressioni (e il T. ne raccoglie alquante) che a un cristiano potevano far 
credere i due coniugi fossero vissuti puri d'ogni contatto carnale. La dottrina 
dei padri della Ghiesa, secondo i quali questa sarebbe stata la massima per- 
fezione del matrimonio, aiutava tale interpretazione. Si tratterebbe dunque 
in fondo di interpretazione cristiana di monumenti pagani. La cosa è ben 
possibile, diremo anzi che apparisce probabile. Lo scritto è condotto col de- 
bito corredo di erudizione e non senza acume; ma, se non c'inganniamo, 
avrebbe avuto bisogno di essere rielaborato nella composizione. Cosi com'è 
non riesce sempre agevole seguire il filo della dimostrazione. Opportuna, 
ma non altrettanto corretta, la riproduzione di passi di autori latini. 

.*. Il prof. Vincenzo Crescini in una sua breve nota ha dato una prima 
comunicazione su Gli Affreschi epici medievali del Museo di Treviso (Venezia, 
Q. Ferrari, 1903, pp. in IO."*). Li scoperse primo in una casa di Treviso che 



DBLLA LBTTBRAttJRA itALIANA 19l 

Spetta al sec. XII, il prof. Luigi Bailo, il qaale li ottenne in dono dal pro- 
prietario e li trasportò e allogò iu una sala del Museo eh' egli dirige. Gli affre- 
schi sono tre. Uno è così frammentario, che non si è potuto ancora deter- 
minare quali fatti eroici e romanzeschi riproduca; ma gli altri due ripro- 
ducono Tuno il duello di Ferragli con i paladini francesi, conforme il rac- 
conto che se ne legge nella cronaca del pseudo Turpino e nella Entrée de 
Spagne; T altro la scena di Aristotile, vinto dall'amore, che fa da palafreno 
alla bella, che avea innamorato di sé Alessandro il Grande. Il Crescini darà 
quanto prima insieme col Bailo un'illustrazione completa di queste preziose 
reliquie pittoriche; qui intanto ha rilevato un'importante conseguenza, che 
si può ricavare dall'affresco rappresentante il duello, per la storia dell'epopea 
franco- veneta. Gli affreschi secondo i criterj suggeriti dalla storia dell'arte 
spettano alla fìne del dugento o al principio del trecento; ciò vuol dire che 
V Entrée de Spagne dovette essere composta verso la metà del sec. XIII, se 
essa avea reso tanto popolare il duello di Ferragu, che sulla fine del secolo 
il pittore si ispirò ad esso e lo riprodusse, sebbene con varianti, o originali 
o che ci riportano a una redazione deW Entrée diversa da quella che si con- 
serva nel codice marciano. Il Crescini e il Bailo pubblicheranno le loro illu- 
strazioni, che aspettiamo con vivo desiderio, nella Miscellanea di storia del- 
l'arte medievale, che pubblica la Società filologica romana. Il Crescini an- 
nunzia pure che insieme col Bailo pubblicherà le illustrazioni di altri af- 
freschi rappresentanti leggende troiane, che si trovano nella Loggia de' Cava- 
lieri in Treviso. 

.'. Uno studio di Paolo D'Ancona su le Rnppresenlazioni allegoriche delle 
Arti liberali nel Medio Evo e nel Risorgimento (estr. da l' Arte, V, fase. V-XII, 
di pp. 76 in 4t.^) riuscirà gradito ed utile a quanti si occupano di antica let- 
teratura nonché ai culturi dell'arte, per le molte illustrazioni ch'esso con- 
tiene. A noi è vietato discorrerne a lungo: e ci limitiamo ad un cenno, lo- 
dando almeno la diligenza adoprata dal giovane autore in siffatte ricerche, 
ed augurando ch'egli progredisca di bene in meglio in questa sorta di studj. 

.'. Il Comitato che viene preparando le Onoranze che saranno rese nel 
prossimo anno in Arezzo a Francesco Petrarca, nella ricorrenza del sesto 
centenario della sua nascita, ha pubblicato il primo numero del Bol- 
lettino degli Atti (Arezzo, Sinatti, 1903, pp. 20 iu S.^"), in cui notiamo fra altro, 
un articolo di Francesco Flamini sull'importanza di codeste onoranze, una 
breve descrizione dei più bei monumenti d'arte della città di Arezzo, con 
illustrazioni, del signor Adolfo Ribaux, e i quattro sonetti di Gabriele D'An- 
nunzio su Arezzo. 

.*. Alfredo Chiti in un opuscolo estratto dalla Rivista delle Biblioteche 
e degli Archivi XIII, 10-13 (Firenze, Franceschini, 1903, pp. 8 in 16.«), ha dato 
notizia dei Trionfi del Petrarca tn un ignoto eodicetto pistojese. Il codice, 
di proprietà dell' avv. Luigi Chiappelli, fu scritto nel quattrocento e pare 
appartenesse in origine al poeta pistojese Tommaso Baldinotti ; nel seicento 
era di Giuliano Pacioni, valente giureconsulto pure pistojese. Dall'esame che 
ne ha fatto il Chiti risulta ch'esso va ad aggrupparsi coi codici della se- 
conda raccolta, secondo la classificazione fattane dal Mestica (p. XVIII della 



192 RAS88GNA BIBLIOGRAFICA 

ediz. delle Rime del Petrarca). Quanto alla lezione, ci offre un testo ecclet- 
tico, generalmente buono ; e come saggio il Gbiti ne ha estratto le varianti, 
tenendo presente l'edizione del Mestica stesso. 

.'. Per la nuova edizione dei Rerum Italicarum Seriptores il dott. Ar- 
naldo Seoarizzi, che già consacrò un* accurata e dotta monografia a Michele 
Savonarola (Padova, Gallina, 1900), ha ora ristampato di sul codice padovano, 
già adoperato dal Muratori, il Libellus de magnifieis ornamentis regie eim- 
tali» Padue, com^Q9Ìo circa il 1446 da quel famoso medico ed erudito (Città 
di Castello, 1902). L'operetta, affine a molte altre, anteriori o coeve, intese 
all'esaltazione di città italiane, ha importanza specialmente locale; ma poi- 
ché Padova tiene un luogo cospicuo nella storia del pensiero italiano in sul 
chiudersi del medio evo e all'aprirsi del Rinascimento, Io scritto del Savo- 
narola ha già offerto e può offrire notizie non ispregevoli anche a chi in- 
vestighi le vicende delle lettere, delle arti e della scienza fuori della cerchia 
di quella, o di una qualsiasi città. Tanto più, in quanto che il Segarizzi ha 
corredato il testo, diligentemente riprodotto, di note copiose, nelle quali, va- 
lendosi non di rado anche di materiale manoscritto, arricchisce e rivede e cor- 
regge quanto viene narrando o descrivendo il suo autore. 

.'. Al prof. E. Costa, chiaro cultore delle discipline giuridiche, dobbiamo 
alcuni Nuovi documenti intorno a Pietro Pomponazzi (Bologna, Zanichelli, di 
pp. 41 in 18."*) da lui rinvenuti nel fare, nell'Archivio di Bologna, ricerche 
d'altro genere; ma ch'egli ha creduto utile di recare a conoscenza degli stu- 
diosi, opportunamente illustraniloli. Essi non sono soltanto una nuova pagina 
della biografìa del gran filosofo, ma anche della storia della cultura, pei molti 
particolari che contengono intorno ai contrasti fra gli antichi nostri Comuni 
per procurarsi e quasi strapparsi i migliori insegnanti universitari. Già il 
Podestà e il Fiorentino avevano tratti dagli archivj altri consimili documenti 
sul filosofo mantovano, e ora a quelli vantaggiosamente si aggiungono per 
maggior notizia delle vicende e del carattere del Pomponazzi, questi che 
pubblica il prof. Costa. 

.'. Giuseppe Biadeoo in un opuscolo intitolato Per la Storia della cultura 
veronese nel sec. XIV (Venezia, C. Ferrari, 1903, pp. 39 in 16.*) pubblica ed 
illustra nuovi documenti intorno ad Antonio da Legnago e a Rinaldo Ca- 
vallini; specialmente intorno al primo, di cui con un gruzzolo di notizie 
aggiunte ad altre che ebbe occasione di comunicare qualche anno fa, rico- 
struisce la figura di letterato e uomo politico. Nato verso la metà del tre- 
cento, nel 1369 era notaio e cancelliere scaligero, nel 1375 consigliere di 
Cansignorio, che alla sua morte lo chiamò con altri a vegliare sui figli; 
viaggiò a Ferrara, a Ravenna, a Roma, e nel 1385 era morto. Salito tanto 
in alto, fornito di cultura umanistica, diventò amico e protettore di poeti ed 
umanisti; e il Biadego illustra le sue relazioni con Francesco Vannozzo, e 
Anastasio di Ravenna, maestro di gr^iramatica nello studio padovano. Fu 
grande ammiratore di Dante, ed è notevole una sua lettera del 1378 a un 
Pietro Ravennate, a cui parla del suo viaggio a Ravenna e a Roma. Ai dan- 
tisti riuscirà gradita, perché vi impareranno a conoscere un ammiratore del- 
l'Alighieri fino ad ora ignoto, e perché potranno raccogliere la notizia del- 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 193 

Taltissimo pregio in cui i Ravennati tenevano il sepolcro di Dante fino dal 
1378, e quella del rifiuto che avrebbero opposto gli stessi Ravennati, già 
prima del 1378, a una domanda della quale nulla sapevamo, fatta dai fio- 
rentini di riavere per denaro le ossa di Dante. Pure rispetto agli studj dan- 
teschi è notevole una lettera in latino di Antonio da Legnago al Re Ven- 
ceslao, erede del sacro romano impero, al quale, in termini che ricordano le 
esortazioni dantesche, il letterato veronese mette innanzi i mali della patria, 
sperando aiuto dal discendente di Arrigo VII. Questa lettera e un* altra di 
Leonardo Terunda, pur esso colto veronese, indirizzata per la stessa ragione 
a Venceslao, mostrano come persistesse ancora per tutto il trecento la tra- 
dizione deiridea imperiale nella città di Verona, in cui più dovette esercitare 
efficacia il pensiero di Dante. L* opuscolo del Biadego è veramente succoso 
e porta un buono e interessante contributo alla storia della cultura della 
sua città natale. 

.'. Ricco ed utile contributo alla storia patria reca G. Pansa pubblicando 
Quattro Cronache e due Diarj inediti relativi ai fatti dell* Aquila dal sec, 
XIIl al XVI (Sulmona, Golaprete, di pp. L-113 in 8.*^). La prima cronaca 
va dal 1055 al 1414, la seconda dal 1254 al 1423, la terza pure dal 1254 
al 1423, r ultima dal 1476 al 1564: e i Diarj appartengono ai tempi della 
sollevazione del 1528: sono tutti documenti inediti, e ciascuno è opportuna- 
mente annotato. Ma la scrittura forse più importante è la Dissertazione pre- 
liminare, nella quale il dotto abruzzese discorre sulle fonti edite e inedite 
della storia aquilana. Rilevantissimo è ciò che osserva 1* a. intorno alla cro- 
naca rimata di Buccio di Ranallo, della sua importanza storica e della ne- 
cessità di ristamparla su buoni codici e con apparato critico. Ma tutto quanto 
il discorso del P. è una bella e dotta pagina di storiografia aquiliana. 

.'. Fra i poeti popolareggianti deir ultimo quattrocento va annoverato quel 
marchigiano Bbnedrtto da Ginooli, del quale, da stampa rarissima, riproduce 
per occasione di nozze, una Barzelletta il 6ig. L. Luzio (Sanse verino-Marche, 
Bellabarba, di pp. 18 in 16.**). Essa è intitolata le Monaeelle, e doveva esser 
evidentemente cantata da maschere vestite deir abito monastico: Monaeslle 
ineare&rate Siamo state già moWanni: Per uscir di tanti affanni Siamo al 
secol ritornate: tale è T introduzione, che serve anche di ritornello. Ognuno 
capisce che si tratta di un lamento di queste infelici, che deplorano il per- 
duto fiore della loro gioventù e bellezza e si lagnano delP avarizia dei loro 
genitori. Il motivo era comune e se ne hanno altri esempj nella poesia po- 
polare e popolareggiante del tempo. Questa barzelletta, sebbene vada un 
pò* per le lunghe, non manca di brio, e fa desiderare che T editore di essa 
pubblichi, insieme con uno studio sul dimenticato cingolano, anche una scelta 
almeno dei suoi componimenti. 

.'. Il prof. L. Piccioni reca un non inutile contributo alla storia degli u- 
manisti e dell* umanesimo con due piccole biografie, Tuna di Michelangelo 
da Panieale, maestro perugino a Cesena (Cesena, Biasini e Tenti, 1902, di pp. 
15 in 16.^ picc), r altra di Angelo Vadio, riminese, maestro a Cesena (ibid., 
1903, di pp. 17 in 16.**): ambedue pregevoli nella brevità loro, e da consi- 
derarsi come pietruzze da adoperarsi u un insigne futuro edifizio. 

.'. Nel voi. X degli StudJ di filologia classica il prof. R. Truffi ci fa co- 



194 RASSRONA RIRMOORAFICA 

noscere un fatto finora ignoto: cioè Erodoto tradotto da Guarino veronese 
(estr. di pp. 21 in 16.*). Di questa traduzione latina, che sarebbe prima in 
ordine di tempo, e anteriore a quelle del Valla e del Palmieri, restano al- 
cuni frammenti in un cod. della Classense di Ravenna, che contengono i 
primi settantun capitoli delle storie erodotee. Il sig. T. li pubblica, e aggiunge 
cosi una nuova opera alla serie delle molte, per le quali il vecchio umanista 
fu benemerito della cultura classica. 

.*. Il prof. P. Provasi illustra uno dei migliori eptsodj della Caccia di 
Erasmo da Valvasone {La Cerva delle Fate, Udine, Del Bianco, di pp. 21 in 
IG."*), indagando quali sono le fonti cavalleresche a cui l'autore ha attinto, 
e confrontando V episodio con classiche reminiscenze d' immagini e di forme. 

.'. Il dott. P. PiccoLoiiiNi ha pubblicato due curiosi Documenti di peda- 
gogia e di scuola (estr. dal Bullett. sanese di storia patria^ di pagg. 10 in 16.«): 
Tuno dì essi contiene le Istruzioni di Giacomo Todeschini Piccolomini, 
nipote di Pio II e fratello di Pio III, al figlio Enea, scritte nel 1499, che 
roditore ragguaglia alla nota lettera di Lorenzo il Magnifico al figlio car- 
dinal Giovanni, e ai Suggerimenti di buon vivere di Francesco Sforza al figlio 
Galeazzo. I capitoli di Giacomo sono di vario genere, ma, come avverte ro- 
ditore, danno testimonianza di prudenza, non di sensibilità di cuore e altezza 
d* animo. Fra essi vi è il consiglio al giovinetto di non impacciarsi in cose 
di Stato, e levarci anzi e partire quando sì trovasse in un circolo di persone 
che ne trattassero. Vuole anche che il figlio vesta * alla civile , e abbia un 
fiorino al mese * per lavare lo capo e per le sue scarpe ,, ma ingiunge di 
non seguire * le forgie (fogge) oltramontane , —. 11 secondo documento è una 
specie di Calendario universitario, e riguarda specialmente le vacazioni, o 
vacanze, che anche allora erano, a quel che pare, la cosa piti interessante 
per professori e studenti. E le officiali non erano poche: ma anche a quei 
tempi vi erano quelle che i giovani sì pigliavano straordinariamente. E circa 
queste vi sono ordini di pene severissime, e fra le altre * quattro tratti di 
corda,; ma l'editore aggiunge che esaminando gli atti del magistrato, non 
ha trovato testimonianza dell* applicazione di tal castigo. Gli studenti saranno 
stati buoni e diligenti, o V autorità avrà lasciato correre, anche quando fos- 
sero per dato e fatto proprio, incorsi in tal punizione? 

.'. Il sig. F. Gbritti, del quale più volte abbiamo ricordato 1* operosità nel 
ricercare e mettere in luce i documenti storici della Mirandola, dà fuori a- 
desso un manipolo di Lettere inedite del e. G. Francesco II Fico della Mi" 
randola (Modena, Vincenzi, dal voi. 3, serie V delle Memor. di st, patr, di 
Modena, di pp. 18 in 16.<>). Queste lettere dell' infelice e dotto principe mi- 
randolano del sec. XVI sono dall' autore diligentemente illustrate. 

.*. Per la storia delle relazioni fra la letteratura spagnola e T italiana è 
utile a leggersi quanto il prof. R. Truffi scrive su Antonio Frasso, poeta del 
sec, XVI (Cagliari, tìpogr. sarda, di 32 pagg. in 16.<>). Il Frasso o Lo Frasso, 
nato in Alghero, fu nel suo romanzo de Fortuna de Amor imitatore del San- 
nazaro e del Montemayor, e quel suo componimento pastorale, sebbene assai 
mediocre, ha meritato una menzione, non si potrebbe dire se benigna o 
ironica, del Cervantes. Un' altra parte del suo romanzo continua la tradizione 
dei Carocci provenzaleschi e dei trionfi italiani : né manca il suo nome nella 



DBLLA LRTTKRATURA ITALIANA 195 

schiera dei cento e più poeti, cui, bene o male, sa»citò T estro la vittoria di 
Lepanto. L'autore di questo saggio non esagera i meriti poetici del Frasso, 
ma ricorda opportunamente il nume e gli scijlti di questo sardo, che per 
le opere sue appartiene alla letteratura iberica. 

.*. Giuseppe Battuta poeta e letterato del 600 con documenti inediti è il 
titolo d*un volumetto di pp. 41 di Edoardo Pbdio (Trani, Vecchi, 1902), ma 
in realtà ad es:)o non corrisponde il contenuto. Precede (1-24) una biografia, 
ma molto vaga e generica; quindi VA. passa brevemente in due minuscoli 
capitoletti ad esaminare le opere poetiche del B.: basti dire che nel primo 
in tre paginette si sbriga della lirica amorosa, sacra ed elica; in una e mezza 
dei tre libri d'epigrammi, ed in un'altra e mezza degli epicedi eroici! Nel 
secondo poi, con sei piccole facciate di slampa parla delle Giornate Ac- 
cademiche, delia Poetica, del romanzo storico e delle due Vite di Santi, 
scritte dal B.! É inutile l'aggiungere dopo ciò, che il P. è riuscito soltanto 
a dar pochi cenni del suo autore; ma non certo una piccola ed organica 
monografia, come sembrerebbe a primo aspetto dal titolo dal lui apposto 
air opuscolo. 

.*. Il nostro giovane collaboratore M. Sterzi ha volto i suoi stndj sopra 
un autore del seicento, del quale non poco si parlava, ma che poco era stu- 
diato e conosciuto: Jacopo Cicofj/inni, e ad esso ha dedicato una monografia, 
che raccoglie e vaglia le notizie dell.i vita e delle opere (estr. dal Oiorn. della 
Liguria^ Spezia, Zappa, di pp. 90 in 16.*"). Dopo accertatane la biografia, il Cico- 
gnini vien considerato come lirico ed imitatore del Chiabrera, e come autore 
drammatico; nel qual genere ha un certo merito e non mediocre importanza, 
perché la sua produzione teatrale mostra l'ultimo svolgimento della tradi- 
zione paesana, prima che, col figlio di lui Giacinto e con altri, prevalesse la 
imitazione spagnuola. Tutto ciò è discorso dallo S. con sicurezza d'informa- 
zioni, misura di esposizione e bontà di giudizj. 

/. Che anche un piccolo comune possa colia propria storia dar luce alla 
conoscenza della storia generale, e sopratutto a quella parte che al ài d'oggi 
pili si cerca di possedere, lo mostra il Comune di Tregnago nel veronese, 
che conserva nel suo Archivio una cospicua serie di documenti antichi. E 
di essi si è sapientemente giovato il sig. Ciro Ferrari, studiando i documenti 
dal 1505 al 1510 e dicendoci per tal modo Com* era amministrato un Comune 
del Veronese al principio del see. XVI (Verona, Franchini, di pp. 99 in 16.»). 
È la vita ìntima di un municipio, che vien svolta innanzi ai nostri occhi, e 
che ci lascia argomentare usanze comuni e generali di altri enti consimili, 
almeno nella stessa regione o nel dominio. Ai cultori della storia, e anche 
diremmo ai legislatori ia tal materia, gioverà conoscere come si governava 
un antico comune italiano, derivante dalla libertà latina e non dal feudale- 
simo straniero, per quello che $<petta alla civica amministrazione in argo- 
mento di dazj, di edifizj pubbli :i da mantenere o restaurare o edificare, 
di estimi, di pascoli, di bilanci, di elezioni ecc. Il lavoro cosi bene e ordi- 
natamente condotto dal sig. F. è arricchito anche di un utile glossario del 
termini del vernacolo, che ricorrono nei documenti. A nessuno sfuggirà l'im- 
portanza di queste ricerche, che nella vita di un piccolo Comune rurale, ripro- 
ducono e illustrano anche quella di consimili aggregazioni nei tempi trascorsi, 



196 tUSSBONA BIBLIOORAPICA 

.'. Registriamo alcaoe pubblìcazioDÌ galilejaoe del prof. A. Fatabo, che 
sebbene lutto iotenlo alla Edizione Nazionale delle opere del sommo filosofo 
ed astronomo, non lascia sfuggirsi V occasione di raccogliere e illustrare al- 
cuni minori scritti o documenti di Galileo stesso, o che in qualche mcido 
lo riguardano. Intanto egli riprende la serie degli Amici e Corrispondenti di 
OaliUo, dandoci duo altri saggi biografici; T uno, ed è il VII nella serie, so 
Giovanni Ciampoli (Venezia, Ferrari, di pp. 55 in IG.*"), T altro, ed è TVIII, 
su Giov. Francesco Sagredo (Venezia, Visentini, di pp. 132 in 16.**) : ambedue 
degnissimi di portare il nome di amici del gran maestro. Del primo, maggiori 
notizie diede in questi ultimi tempi un omonimo, il sig. Domenico Ciampoli, 
ma il Favaro vi sa aggiungere qualche cosa di nuovo. Egli fu un grande 
ammiratore di Galileo : e a spiegare come cadde in disgrazia di Urbano Vili, 
pili che tale amicizia contribuì, secondo il Favaro, V essersi egli mostrato 
fautore degli Spagnnoli : ci sembra pertanto che il vero si trovi in quelle 
parole del Reusch, che il Favaro stesso riferisce: * L* indignazione del papa 

* contro il Ciampoli può aver contribuito a indisporlo verso Galileo, e vice- 

* versa lo sdegno da lui provato per la stampa del Dialogo, avrà aggravato 

* il suo corruccio contro il Ciampoli , . Del Sagredo ognun sa quanto ei fosse 
entusiasta degli studj di Galileo, e devoto alla sua persona. Il F. sfata la 
leggenda che il Sagredo avesse parte alla chiamata di Galileo in Padova, 
ma mette in chiara luce tutti gli ufQcj amichevoli da lui usati al maestro, 
e congettura che forse Galileo non avrebbe rinunziato alla * libertà patavina . 
di che godeva, per tornare in uno Stato ove dominavano i frati e i bigotti, 
se in quel momento il Sagredo non fosse stato in Soria. Dalle lettere di 
questi, deplorando la perdita di quelle di Galileo al Sagredo, riporta tutto 
ciò che più giova a lumeggiarne il carattere e gli studj, facendo rilevare 
quanto egli valesse nelle discipline fisiche e nelle esperienze. Al saggio bio- 
grafico va aggiunto un bel manipolo di documenti, fra i quali le Relazioni del 
Sagredo al Senato di ritorno dal consolato di Soria. — L'altra serie, di 
Scampoli galilfjani, rimasta lungo tempo interrotta, viene continuata ora colla 
pubblicazione di un 13.<* fascicolo (Padova, Randi, di pp. 81 in 16.^), che con- 
tiene i n.^ LXXX1X-XC((. Essi trattano di un voi, miscellaneo di scritti astro* 
logici e matematici posseduti dalla Bibl, Univ, di Bologna ; di Galileo e del ie- 
lescopio; di Galileo e G, B. Doni, e di un disegno finora sconosciuto per una 
edizione delle opere di G, Questo disegno appartiene al Giordani, e veramente 
non è stato male che non fosse eseguito, tanto ne erano errati i criterj. E 
pare impossibile che al Giordani appartenga un giudizio su Galileo, che dal 
F. vien riferito, e che non vogliamo riportare, tanto più che possiamo ad 
esso contrappore quest'altro dello stesso Giordani: ' Questo (il Galileo) degli 

* scrittori italiani parmi che sia quello che unisce in sé pidpregj: massime 

* i dialoghi del sistema pajono diviui , (Opere, Append. 370). — Vogliamo 
aggiungere che nel fase, dell' Arch, St. Ital. testé uscito (ser. V, voi. XXXI) il 
prof. F. ha inserito una critica acerba ma giusta, del recente libro del sig. 
Ricci-Riccardi, Galileo e fra Tomm. Cacci ni. 

.*. Due pubblicazioni del prof. A. Saviozzi appartengono egualmente alla 
storia del costume e a quella del dramma. L'una per nozze Braggio Guer- 
rieri (Pesaro, Terenzi, di pp. 16 in 16.«) contiene, convenientemente iiluslrate, 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 197 

due lettere di don Bernardino Zanca alla duchessa d* Urbino, e raccontano 
le feste carnevalesche in Pesaro nel 1527, descrivendo le varie mascherate 
del giovane principe Guidobaldo. lii una di esse, e in figura di ortolana, al 
pittore Genga parve che il giovinetto cosi travestito fosse * una vera figura 
antica,. Fu anche rappresentata un* Egloga del cancelliere Bernardino Fat- 
tori, della quale però non è dato il titolo. — In altra pubblicazione per nozze 
Rossi-Viterbo (Pesaro, Terenzi, di pp. 13 in 16.*) si dà ragguaglio con let- 
tere di Melchiorre Zoppiu, di una Rappresentazione in Bologna nel 16^^, che /6^ 
è quella del Tancredi di Rodolfo Campeggi, con gran lusso di apparati e di 
macchine. Un particolare curioso notato dal relatore è che Venere e Tira 
— due personaggi mitologici degli intermezzi musicali, ' sono state due donne 
in effetto, e Venere una tale che non conosce una nota e non sa Tabeci ,. 
Tutta la lettera è piena di curiosi particolari suir assetto scenico del sec. XVII. 
.\ Una pubblicazione importante per le vicende del costume e la storia 
del lusso è quella di Polifilh (sotto il qual nome tutti sanno nascondersi 
Tarch. L. Beltrami), mandata fuori in occasione del Congresso storico, e che 
ha per titolo : La guardaroba di Lucrezia Borgia (Milano, Allegretti, di pp. 
HO in 16.*). Il documento tratto dall' Archivio di Modena è illustrato dot- 
tamente e un piccolo glossario giova a ben comprendere il significato di 
alcuni vocaboli. Nella prefazione, T editore tocca della questione storica ri- 
guardante la vita e i costumi della figlia di papa Alessandro: si sa che ai 
di nostri il Campori, e poi più ampiamente il Gregorovius ne vollero rivendicar 
la fama, che romanzieri e drammaturghi del periodo romantico avevano 
offesa, probabilmente oltre il vero ; e il B. anch* egli si mette a fianco degli 
apologisti. Ma di Lucrezia e dei Borgia sarà come di Pietro Aretino : se ne 
potranno attenuare le colpe, ma gente pulita d'ogni macchia non divente- 
ranno mai. Quello intanto che importa, è conoscere mercé questa interes- 
sante pubblicazione, di stampa elegante e resa più attraente dalla riprodu- 
zione di tre medaglie della Borgia, che cosa era nel sec. XVI il corredo di 
una principessa, sebben figlia del "servo dei servi ,; e dall'enumerazione 
degli oggetti di vestiario, delle argenterie, e di cose d*uso domestico, e* è da 
rimaner sbalorditi. Ad es. v'è ricordata una mantiglia di raso foderata d'er- 
mellino, con 84 baiassi, 29 diamanti, e 115 perle, ed un'altra con 61 rubini, 
55 diamanti, 8 perle grosse, 412 mezzane e 1140 piccole. E cosf via, con men- 
zione di capi ragguardevoli per quantità e pregio: si che non è da mara- 
vigliare se pel trasporto del corredo da Roma a Ferrara occorsero 150 moli. 
Un particolare curioso che si ricava da brani di lettere, per lo pili di agenti 
politici, è che fin d'allora, mentre parrebbe frivolezza odierna di referendaij 
o relatori o reporter, si descrivevano minutamente gli abiti, le foggie, le gioje 
delle donne nelle feste e nei principeschi ritrovi. 

.'. E. Tbza in una sua Nota (Padova, Randi, 1902, pp. 21 in 16.*) dà no- 
tizia di Scipione Mer curii, che fu un frate medico del seicento, e di un suo 
curioso libro intitolato Oli errori popolari d* Italia, che venne fuori in Pa- 
dova nel 1645, e ne riferisce qualche brano. In Appendice riporta due brani 
della Chirurgia di Maestro Rolando in dialetto veneto, traendoli da un codice 
dell'Universitaria di Padova. Il Teza addita il codice, che è poco noto, agli 
studiosi delie parlate venete. 

u 



198 RA8SBONA BIBLIOGRAFICA 

.'. Col saggio su la Storia e leggenda di Pietro Aretino (Roma, Loescber, 
(li pagg. 107 in IG.*") il prof. Giov. Mari ha inteso separare nella biografìa 
del * flagello dei principi , ciò che vi ha di vero da quello che v* ha di fan- 
lastico, dovuto in parte ai proprj vanti del gran libellista e dei suoi acco- 
liti, e in parte maggiore alle invettive degli avversaij e degli emuli, alcuni 
dei quali non erano migliori di lui. L'impresa era ardua, e non diremmo 
che Ta. sia in tutto riuscito: rimane molto di dubbioso e d* ignoto, che non 
si potrà mai compiutamente conoscere e giudicare. Ma egli si è tenuto lon- 
tano dalla tendenza apologetica, che va prevalendo presso taluni, e special- 
mente si mostra nel recente volume del sig. Carlo Bertani. Il secolo certa- 
mente era perverso, gli esempj istigavano al male ; ma quand* anche si di- 
mostri la perversione dell' * ambiente , non per questo l'Aretino non fu un 
gran furfante: d'ingegno, ma furfante. L'autore di questo saggio è general- 
mente equo nei giudizj, e nelle ultime pagg. anche efficace, ma la cura della 
forma usata in queste, rende troppo apparente certa trascuratezza o impro- 
prietà delle antecedenti, dove predomina un fare soverchiamente familiare 
e pedestre. 

.'. Chi sa quanta parte della vita e della cultura italiana di un tempo 
fossero le Accademie, non si maraviglierà che il dolt. 6. BrADSOo abbia con- 
sacrato uno studio speciale a quelle della sua città nativa (Accademie Ve- 
ronesi, s. n. t., di pp. 31 in ÌQ.'*). Ve n'ha di tutti i nomi e di tutte le ma- 
terie, seguendo e accompagnando lo svolgimento delle idee e degli intenti, 
che si succedono e via via predominano, fìnché dagli Ineatenatif che sono i 
pili antichi, si giunga all' Accademia di Agricoltura, ancor fiorente, e che è 
andata col tempo allargando la cerchia de' suoi studj. 

.'. Il sig. A. 6. Spinelli, noto per altre pregiate pubblicazioni sulla vita e 
gli scritti del maggior commediografo italiano, nel giorno (26 febbrajo) in 
che a Modena si scoprf una lapida in onore di lui, nella casa dei suoi mag- 
giori, ha pubblicato Quattro note goldoniane (Modena, Forghieri e Pellequi. 
di pp. 11). Sono piccole cose, le quali pur giovano a sapersi e potranno esser 
utilizzate in una ristampa delle Memorie autobiografiche, che meriterebbero 
di venir riprodotte con illustrazioni e note, riprendendo e compiendo ciò che 
aveva cominciato il von LOhner. Le quattro note sono cosf intitolate : Lapide 
e Modena - Ritratto ignorato - Il Sonetto del Vicini contro i Gesuiti - Me- 
lodramma giocoso poco noto: Oratorio dubbio. 

.'. Il prof. A. Scrocca ha dato in luce uno Studio critico suW Agamennone 
e sulV Oreste di V. Alfieri (Livorno, Giusti, di pp. 72 in 16.<») in che accusando 
di * falso , (e la parola ci par troppo cruda) il Villemain pel giudizio delle 
relazioni fra i tragici francesi e l' astigiano, e, per conseguenza, di "ingiu- 
rioso al vero e all' Alfieri , anche quello non disforme del Bertana, sotto- 
pone a lungo ed acuto esame le due * tragedie gemelle ,. Esso conclude 
che r Alfieri in generale, nell' uso dei soggetti antichi, tratti dalle favole, dif- 
ferentemente da come fecero i francesi, dei quali perciò non può dirsi se- 
guace, trasforma il sovranaturale in umano; e che, in particolare, le due 
citate tragedie vengono dall' Agamennone di Seneca, e l' Oreste ritrae qualche 
cosa àa\V Elettra di Sofocle e da quella del Crébillon, e nullla daW Oreste 
del Voltaire; sicché l'Alfieri scrivendo di aver ignorato quest* ultimo, e aver 
tratto ispirazione alle " gemelle , dall' autore latino, scrisse il vero. 



DELLA LBTTBRATURA ITALIANA 199 

/. Il Manicìpio di Salemi pabblicando uno scrilto inedito di un antico 
concittadino, porge occasione al dott. Salv. Romano di parlare di Francesco 
d* Aguirre e la sua opera sul Riordinamento degli studj generali in Torino 
(Palermo, tip. Lo Statuto, dì pp. 14 in 8.*). Il D' Aguirre fu uno di quei sici- 
liani che Vittorio Amedeo condusse seco in Piemonte, ove illustrarono sé 
stessi e la patria lontana : egli fu chiamato alla direzione degli studj, e in 
tal qualità nel 1715 presentò al re un disegno dì riforma, che finora rimase 
inedito, e chiamò air insegnamento uomini egregi d'ogni parte d* Italia, fra 
i quali il Lama, il Tagliazucchi, il Pasini e il Gravina, che fu colto da morte 
nell'atto di porsi in viaggio. Con cotesto disegno, non soltanto T insegna- 
mento superiore nelle università, ma si riformava, consertandolo ad esso, 
anche quello inferiore: si direbbe un preludio della Université napoleonica. 
L'a. di questa memoria dà notizie rilevanti del D' Aguirre, che però poi, 
perduta la fiducia del suo principe, passava in Lombardia al servizio deirim- 
peratore Carlo VI. L'esame del suo disegno di riforma datoci dal R. è utile, 
ma è forse pit^ conciso di quello che si può desiderare da chi segua con 
amore le vicende delle antiche istituzioni pedagogiche italiane. 

.*. A. Magnocayallo prendendo occasione dallo studio del De Castro {Un 
precursore milanese di Cagliostro, in Arch. stor, lombardo, ser. HI, f. IV, 350-89) 
pubblica altre Notizie e documenti ined. intorno all'alchimista O. Borri (estr. 
daWArch. st lomh., an. XXIX, f. XXXVI), fratte dalla Bibliotoca e dagli Archivj 
Vaticani. I primi due documenti contengono una minuta descrizione del modo 
tenuto per far pronunziar l'abiura ai seguaci di questo strano tipo, impasto 
d'asceta, d'alchimista e di ciarlatano. Altrettanto interessanti son dei brani 
di lettere (pp. 13-20) per la maggior parte del nunzio Pignatelli, perché mo- 
strano la fama, che il Borri era riuscito ad acquistarsi, ed il M. ne ritesse 
opportunamente la biografia, insistendo sui punti, che dai nuovi documenti 
ricevono luce. 

.*. Alla maggior conoscenza di quello strano episodio della vita siciliana, 
che cominciò in Messina colla ribellione a Spagna e fin( col tradimento e 
l'abbandono da parte dei francesi, porla un nuovo contributo il prof. P. 
Cardona discorrendo di Catania ed il Val di Noto durante la rivoHa mes' 
sinese del 1674-78 (Arcireale, Etna, di pp. 115 in IG.**). Coli' aiuto di inesplo- 
rati documenti, l'a. illustra il moto della città ove prima arse la ribellione, 
con la narrazione dei casi avvenuti nei luoghi contermini, che meno erano 
noti, porgendo per tal modo utili materiali a chi ci darà la completa storia 
della rivolta messinese. 

.'. Curiose informazioni ci offre il dott. 6. Pitrè nel suo scrìtto sa T gior- 
nali e la pubblicità iti Palermo nella seconda metà del sec. XV f II (Palermo ^ 
tip. lo Statuto, di pp. 22 in S,^). Questo studio di un cosi zelante e dotto 
amatore e conoscitore delle cose dell'isola nativa, è un buon contributo alla 
storia generale del giornalismo in Italia, che è sempre da farsi. Poco pili 
potrà trovarsi di quello che il P. ha raccolto ed esposto, e si dovrà ad ogni 
modo concludere che il giornalismo nacque tardi in Sicilia e a stento yi 
attecchì. Certi particolari che il P. riferisce mostrano che fosse realmente 
una pianta esotica, come si desume dallo scarso numero di giornali, e dalla 
breve vita di ciascuno. I giornali annoverati dal P, sono le Novelle Miseel- 



200 RASSEGNA BIBLIOORAFIOA 

lanee di Sicilia (1764-67), il Nuovo Postiglione (1771>72), la Raccolta di no- 
tizie (1793-1805), il Giorn, di Commercio (aprile-luglio 1794), Lrasformatosi 
nel Giornale di Sicilia, che, cod varie vicende, darà tattora. Àltreilanto me- 
schino è il giornalismo letterario. Tutti erano di piccolo formato, di cattiva 
stampa, niuno quotidiono, e pertanto a caro prezzo. È notevole come fin 
d'allora in special rubrica apparissero domande e offerte di ufficj e di ser- 
vigi per ajo, cameriere, cameriera ecc. 

.'. Giovandosi di lettere e di scritti inediti il nostro collaboratore V. Gian 
ha descritto con nuovi particolari V Agonia di un grande italiano sepolto vivo, 
cioè di Pietro Giannone, vittima d* ire principesche e sacerdotali. Lo scritto, 
notevole per ragguagli biografici e informazioni su un'opera inedita l'Ape 
ingegnosa, fu inserito nella N. Antologia del 16 febbr, ma nell'estratto (dì 
pp. 30 in 16.*^) ha parecchie note, che nella pubblicazione periodica furono 
ommesse. 

.'. In un articolo estratto ueW Archivio Stor. dell'antico Marchesato di 
Saluzzo (anno II, I, IV) e intitolato La Bibbia di Silvio Pellico, Adriano Auo. 
MiGHiKLi s'occupa di due Bibbie, appartenute ambedue a Silvio Pellico: l'una 
di minor valore conservata in una sala della Casa Gavazza in Saluzzo, e l'altra 
di gran lunga più importante, come quella, che avrebbe servito di conforto al 
povero Silvio, quando proprio trovavasi allo Spieberg. Su quest' ultima, tor- 
nata in Italia dopo varie peripezie e posseduta come sembra fino a poco tempo 
fa dal sacerdote D. Stefano Monini, priore dei Bagni di San Giuliano, presso 
Pisa, ed ora passata in mano d'ignoti, il M. richiama giustamente l'attenzione. 

.'. Il dott. Luioi Mario Gapklli ha dato fuori (Novara, Fratelli Miglio, 1903, 
di pp. 37 in 16.'* picc.) la prima parte di un suo studio intitolato Per la 
maggior fonte letteraria dei * Promessi Sposi ». Dopo aver notato che in 
tutte le opere del Manzoni si possono rilevare influssi e inspirazioni diverse, 
anche di opere straniere, senza che esse detraggano nulla alla originalità del 
grande scrittore, esamina brevemente quel che è stato finora scritto intorno 
alle fonti dei Promessi Sposi, ed afferma che la maggiore fonte sono i ro- 
manzi di Walter Scott anteriori al 1827. Questa opinione non è nuova, ma 
nessuno ha forse finora fatto delle opere del romanziere inglese quell'esa- 
me accurato in confronto col romanzo del Manzoni, che è necessario per 
venire a solide conclusioni. Il Gapelli ha studiato l'argomento secondo il 
metodo che indicava in proposito alcuni anni fa il D' Ovidio in un suo ar- 
ticolo, salvo che egli ha istituito i confronti non col testo inglese, come vo- 
leva il critico napoletano, ma colle traduzioni francesi e italiane del tempo, 
giacché il Manzoni non potè aver letto quei romanzi nella lingua originale, 
che non conosceva. I risultati di questo esame il Gapelli darà in due altre 
parti del suo studio, intitolati Influssi scottiani sui P. M,; Influssi manzo- 
niani sugli ultimi romanzi di W, Scott, ch'egli annunzia di prossima pubbli- 
azione. 

.'. Quel singoiar poemetto che è il Lament del Marchionn di gamb avert 
di Garlo Porta è stato recentemente ripubblicato per cura di F. Fontana 
(Milano, stab. Menotti Bassani). Belle illustrazioni di R. Salvador! adornano 
il testo, di cui curò la stampa, accompagnandola di brevi note, G. Saltioni ; 
il quale, come si sa, attende da parecchio tempo a preparare una nuova e- 



DBLLA LSttBRATUiU ItALlANA 20l 

dizione di tutte le poesie del Porta. Sarà i* edizione definitiva. Egli si indusse 
a dar fuori intanto il Lament nella speranza che altri possa fornirgli qualche 
ragguaglio sull'autografo di tutto intero il poemetto, mentre a lui e, com'egli 
prova, anche agli altri editori che tennero dietro al Cherubini, non è noto 
che quello della prima parte posseduto dal discendente del poeta, sig. dott. 
Carlo Porta. Delle note alcune dichiarano voci e modi caduti in disuso o 
di non troppo facile intelligenza. Una di esse ci sembra non colpir giusto, 
quella dei versi 287-88, secondo la quale * fuss on can doveva essere * un 
modo ormai irrigidito per dire * si trattasse anche d* un cane',. Invece se- 
condo noi fuse on ean non significa altro in quel luogo che fossi un cane, 
diventassi un cane, e sarebbe una delle solite espressioni usate dal popolo a 
rinforzare un'afférmazione. 

.'. Alla memoria di Niccolò Tommaseo e nell'anniversario della sua morte, 
E. TiZA dedica un Proemio a Canti di popolo della Bulgaria e della Russia 
(Venezia, Ferrari, 1902, di pp. BO in 16.*). Aspettando i Canti, leggiamo con 
reverente interesse questo /^ro^mto, nel quale l'a. discorre dell'uomo, al quale 
più egli si assomiglia nella varietà e vastità della dottrina e nella attitudine 
a raggruppare insieme reminiscenze e notizie di diversa provenienza, frutto di 
immensa lettura e di tenace memoria. Molte cose son qui riferite dell' uomo 
e dello scrittore, che illustrano il Tommaseo da tali due aspetti e ne dimo- 
strano r animo e la mente, avvalorando l' intima conoscenza dello scrittore 
e dell'uomo col vivo e perenne affetto all'amico e maestro. 

.*. n comm. C. Arlìa (Firenze, soc. tip. ed., di 16 pag. in 16.<*) in una pub- 
blicazione nuziale, per mezzo di una Novellina popolare illustra un modo di 
dire usato dal Machiavelli, dal Lasca, dal Gelli, dal Cecchi: E* mivien voglia di 
ridere, e ho male, Appar molto probabile che la Novellina spieghi il modo 
di dire; ed, evidentemente, doveva alludere a un racconto assai divulgato - 
questo dell'Arila od altro consimile- perché nella C/t2ria, la forma completa 
è: E' mi vien voglia, come disse colei ecc. 

.'. Per le nozze Pini-Cinotti il sig. C. Masi ha messo insieme cinque Lettere 
inedite di O. Arcangeli (Empoli, Traversar!, di pp. 22 in le.^*), accuratamente 
illustrandole con note relative a fatti e a persone. Ma per non frastagliare il 
dettato di sic. avremmo addirittura corretto certi piccoli errori ortografici : e poi 
abbreviato anche certi cenni biografici di persone ben note, ampliando invece 
gli altri di men noti personaggi : per es. i ragguagli troppo scarsi su Lorenzo 
Neri empolese. Al nome Berti avremmo detto trattarsi di Filippo Berti, che 
coir Arcangeli fu scelto a compagno di viaggio dal russo general Ostermann: 
autore degli Amanti sessagenarj e di altre commedie, e benemerito fondatore 
del Ginnasio drammatico in Firenze: brav'uomo, troppo ingiustamente di- 
menticato. Ad ogni modo, il sig. M. conosce e mette in pratica il buon me- 
todo di pubblicare corrispondenze epistolari. 

.*. II sig. N. Castagna in un breve opuscolo raccoglie Fatti e note su / 
deputati al Parlamento napoletano del 1820-21 (Città S. Angelo, tip. della 
Vita Abruzzese, di pag. 36 in 16." picc), attingendo sopra tutto al ricordo 
dei discorsi paterni. Egli intanto corregge parecchi errori di uomini e di date 
di chi anteriormente trattò di quell'episodio della storia del mezzodi: ma 
queste rettificazioni, e le brevissime notizie aggiunte ai nomi di ciascun de- 



202 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

putalo, ci lasciaDo vogliusi di qualche cosa di più. Se l'A. è giunto a rin- 
tracciare in qual via e a qual numero abitavano essi a Napoli, dovrebbe 
ragionevolmente aver radunato maggior messe di ragguagli suir esser di 
ciascuno, sulle opere ecc. e questi, dacché qui non ci sono comunicati, spe- 
riamo debbano dar argomento ad una ulteriore pubblicazione. 

.'. Il prof. Brognougo aggiunge qualche pagina alla biografia del e. Gi- 
rolamo Bissari, pubblicando alcune lettere del suo Carteggio (Vicenza, Fabris, 
di pp. 19 in 16.*'). Sono lettere di gentil donne bolognesi al prode soldato 
deir indipendenza italiana, ma sono reliquie di una più ampia corrispondenza, 
fattaci già in parte conoscere da V. Imbrtani nel volume dedicato ad Ales- 
sandro Poerio. Queste narrano con curiosi particolari il viaggio di Pio IX 
nei suoi stati e specialmente a Bologna, nei 1857. 

.'. Il giornale la Favilla raccoglie in un solo fascicolo in onore di Alinda 
Bonaeci Brunamonli (Perugia. Cooperativa, di pp. 96 in 4.°) versi e prose 
sulla insigne poetessa, della quale Perugia e V Italia piangono la morte recente, 
Vi sono riuniti il discorso commemorativo del prof. L. Tiberi, uno del prof. 
G. Urbini su Y educazione artistica della egregia donna, due scritti, Tuno di 
G. Trabalza su la Pensatrice, V altro di L. Grilli su la traduzione delle Geor- 
giche; versi della signora Aganoor-Pompiu, poesie e ricordi autobiografici 
della Brunamonti .stessa, il ritratto di lei, la fotografia di un busto, un auto- 
grafo ecc., e infine, oltre altre cose, saluti e telegrammi di uomini illustri e 
di donne colte, mandati il giorno in che Perugia volle degnamente onorare 
la memoria dì colei, che aveva sparso sulla patria tanta luce di poesia, mite 
insieme e gagliarda. Chiude il fascicolo una bibliografia degli scritti della 
Brunamonti, e di quelli d* altri che di lei parlano. Dalla varietà degli scritti 
qui raccolti vien fuori V immagine intellettuale e morale della insigne poetessa, 
nella effige della quale, qual' è fotograficamente riprodotta, sembra ricono- 
scere le doli che le furono proprie ; indovinando dallo sguardo il vigore vi- 
vace deir ingegno, dai lineamenti, la dolcezza del sentimento. — Anche un 
intero numero della Roma letteraria (25 febbr.) è consacrato alle lodi della 
Brunamonti con scritti delle signore Aganoor-Pompilj, Albertoni-Tagliavini, 
Anzolelti, Cianelli, Haidée, Pezzi-Pascolato, PierantoniMancini e di D. Ciam- 
polì, A. Conti, A. de Gubernatis, Ermini, A. Fogazzaro, D. Gnoli, F. Lampertico, 
G. Mantica, E. Panzacchi, M. Rapisardi, G. Salvadori, G. Urbini, C. Villani ecc., 
che ne illustrano le opere e ne piangono la dipartita da noi. 

.*. Nel voi. V del Roman. Jahreshericht del VOlmoller, il prof. I. Dklla 
Giovanna informa gli studiosi circa // Romanticismo, e la letter. ital, durante 
il Risorgimento nazionale (pag. 325-348) registrando le pubblicazioni su tali 
argomenti apparse dal 1895 al '98. La bibliografia è copiosa ed esatta e i 
giudizj delle singole opere, brevi di necessità, ma fondati su ottimi criterj. 

.*. Nella Rassegna Internazionale (maggio 1903) il sig. G. Stia velli pub- 
blica un articolo, non privo di curiosità, col tìtolo: Epigrammi politici e 
letterari noti, mal noti e ignoti, che potrebbe esser un saggio di più ampio 
lavoro. E allora qualche cosa V a. penserà a rettificare. È egli ben certo che 
il * Poeta Cesareo „ del quale i Versi furono pubblicati nel 1850, sìa lo 
stornellajo pistojese Luigi Giusfredì? Noi crediamo che altri si nasconda sotto 
cotesto nome: e ricordiamo che quando uscirono a luce furono attribuiti 



DELLA LBTTBRATURA ITALIANA 203 

aoD rammentiamo bene se alPavv. Demetrio Giofi o al dott. Pirro Giachi. Il 
dubbio fra Tono o 1* altro è naturale perché erano due amici intrinseci, che 
molto avevano a comune. L'epigramma del Prati che finisce Domine Dio? 
L'ho fatto io, possiamo assicurare di certa scienza, per averlo udito dair au- 
tore, che non ò del *59 ma del *49 o poco dopo, né contro il Grispi, ma 
contro Lorenzo Valerio. Dubitiamo che l'epigramma sul Segato sia del Gìor- 
ginì, del quale molti altri potevano esser addotti : e contro di luì è per scherzo 
diretto l'epigramma Bistin che quando parla (il 3.° verso deve suonare: 
forse perché non ho le forme sue ?) composto non dal Giusti, ma dal Salva- 
gnoli, dal quale pure potevansi raccogliere molti frizzanti epigrammi. 

.'. La pubblicazione del sig. B. Radice. Gli Inglesi nel risorgimento italiano 
(Livorno, Giusti, dì pagg. 44 in 16.<*) riunisce e fonde insieme due discorsi 
tenuti a Bordighiera dinanzi a un pubblico, per la massima parte britannico. 
Ma forse lo scritto ritiene ancora un po' troppo del carattere di lettura o 
conferenza, e conserva certe forme (per es. l' esaltare nel Verdi la * potenza 
* apollinea dell' anima oceanica „) che non si confanno allo scrivere medi- 
tato. Questo scritto ricorda fatti notevoli, ma non tutti comunemente noti, 
e solo è da dolersi che di alcuni si faccia troppo rapido cenno: l'autore però 
annunzia due altre pubblicazioni: Gli esuli italiani all'estero e Gli esuli ita- 
liani nella Gran brettagna, dove non vorrà andar sorvolando, ma tratterà cer- 
tamente la materia con ricchezza e precisione di particolari. E cosi operando 
farà cosa veramente utile alla storia del nostro risorgimento. Quanto alla 
sostanza del racconto, ninno disconosce la parte che nel '60 ebbe la politica 
inglese a sciogliere il nodo intricato delle cose italiane, ma gioverebbe ricordar 
meglio che l'intervento diplomatico inglese succedette all'intervento armato 
francese, e riconoscere che a voler la guerra coli' Austria nel '59 fu solo, 
quasi, Napoleone contro i suoi ministri, contro le Gamere, e può dirsi, 
salvo alcune eccezioni, contro il suo popolo. Per ciò, certe frecciate all' Impe- 
ratore, e certe asserzioni non abbastanza sicure circa i suoi ultimi intenti, 
potevano risparmiarsi. Ninno infatti giurerebbe ch'egli sognasse la corona 
dell* Italia Centrale " sulla testa del cugino , e quella di Napoli * sul capo di 
uno dei Murat,. Se si chiedessero le prove di ciò, sarebbe difficile presentar 
altro che congetture. Anche, non è serio rinnovar la favola che l'Impera- 
tore meditasse far sua * la ferrea isola dei Sardi e la ligure Riviera «, e si 
debba al Russel se non giunse a effettuar questo disegno: perché giova ri- 
cordare come interrogato su tal proposito, ed anzi sull'esistenza di un for- 
male trattato, un ministro italiano ebbe a dire in pieno parlamento, che cono- 
sceva terre italiane da redimere, non terre italiane da cedere: e all'attesta- 
zione del Mazzini, che asseriva il documento trovarsi a Torino, legato con 
un filo rossO; o di altro colore, si opponi<ono quelle recisamente negative del 
Ricasoli e del Visconti Venosta. £ si potrebbero segnalare anche alcuni er- 
rori, pili specialmente cronologici; per es. l'accompagnare nell'esilio Ales- 
sandro Poerio al De Sanclis e al Mancini, dacché il Poerio era già morto di 
ferite a Venezia: e il parlare di * restaurazione neo-guelfa del Gioberti , a 
proposito di fatti del '59 e '60, quando il filosofo torinese da più anni era 
morto, e nel Rinnovamento aveva dato altra direzione al suo pensiero e quindi 
altri consigli agli Italiani. Concludendo, questo opuscolo può essere il germe 



204 RASSBQNA BIBLIOGRAFICA 

di un buon libro, nel quale però, per la gravità e verità della storia, vorrà 
r autore mostrarsi un po' meno . . . inglese ! 

.'. L'opera di F. Comandini pubblicata dal Yallardi, L* Italia nei cento anni 
del aee. XIX, della quale più volte abbiam parlato, e che ha ripreso con 
nuova lena il suo cammino verso la mèta, è ora giunta col fase. 36 agli anni 
1837-'38. Anche questo fascicolo è notevole p<>r ricchezza e precisione di 
notizie e frequenza di illustrazioni d'ogni genere: vedute, ritratti, feste, mode, 
nummi e medaglie ecc. Notiamo, fra le altre illustrazioni, il quadro del Bi- 
scarra rappresentante la promulgazione del codice albertino, i ritratti di Fer- 
dinando di Borbone e di Maria Teresa sua sposa, il gruppo delle regine co- 
stituzionali di Europa (Vittoria d' Inghilterra, Maria Cristina di Spagna, Maria 
da Gloria di Portogallo) da stampa liberale del tempo, i ritratti dell' arcid. 
Ranieri, di Carlo Botta ecc. 

.'. Una pubblicazione che interessa egualmente gli studiosi di Agricoltura, 
quelli di Sociologia, e quelli del folklore è la monografia di E. Mitalli, Usi 
e eoBtumi della Campagna Romana, con prefazione dell' on. prof. A. Celli 
(Roma, tipogr. popol., di pp. Vlf-ITO). Essa ci ricorda i buoni studj del prof. 
Padula, che avrebber meritato di esser dal giornale // Bruzio raccolti in 
volume, sullo Staio delle persone in Calabria, e quelli del Salomone-Marino 
sugli usi e costumi dei contadini di Sicilia, Qualche cosa di simile pubblicò 
il fu on. Toscanelli per il contado pisano. L'autore, che, afferma il Celli, 
è un autentico uomo di campagna, ritrae * dal vero uomini e cose del- 

* l'Agro romano ,, dove * la vita si svolge ancora come in tempi assai re- 

* moti da noi,. Spetta al legislatore rinnovare la vita di una cosi vasta 
plaga, ove si conservano usanze contrarie alla scienza economica ed agricola; 
agli studiosi delle avite usanze popolari sarà utile il veder indicato e fer- 
mato con esatta descrizione ciò che ormai, prima o dopo, è destinato a pe- 
rire, e piacerà questa rassegna di uomini e cose, delle quali appena erano note 
le denominazioni, nonché il carattere. Descrivendo pertanto le tre aziende 
principali della Campagna romana, quella del Campo, quella del Proeoio e la 
terza della Masseria, ci passano innanzi tipi di classi e norme di cultura, che 
attirano la nostra attenzione, e sono intramezzate da curiose notizie su super- 
stizioni e credenze (vedi ad es. quella delia Merla), da proverbj, dettati e 
apologhi, da aneddoti, e da Canti popolari, e da un glossarielto, che avremmo 
però desiderato più ampio, di parole vernacole. 

.'. Maria Pitré, figliuola dell' illustre folklorista, ha pubblicato (Palermo, 
Tipogr. del Giornale di Sicilia, 1903, pp. 19 in 16.°) un gustoso opuscolo La 
Kalsa e i KaUitani in Palermo, in cui descrive l'aspetto e le costumanze 
di uno dei più curiosi quartieri della città di Palermo, che conserva ancora 
il nome di origine araba, e i cui abitanti pescatori o donne in gran parte 
dedite all'arte di ricamare, vivono, si può dire isolati dal restante della città. 
Il quartiere conserva ancora alcuni monumenti d'arte e fra gli altri edifizj 
ha il famoso Convento della Gancia. La signorina Pilré riferisce anche qual- 
che canzone popolare' e noi non sappiamo trattenerci dal riportarne una che 
è veramente poetica: 

Una varcQzza banner! batinerl 
Sta ddia (dea) d'amori mi vinni a purtari; 



DELLA LETTERATURA ITALIANA 205 

Bidlaca tutU li cilesti aferi, 
Trlmavana li speccbl di lu maril 
Binidittu lu Ddlu chi U nunteni. 
Ch'accusai bedda ti Tosi fnruiari! 
Kpamptuann li cinri unn'è ca veni 
L'ariu turbata la fai ai rinari. 

.'. Il prof. V. Angeli ha dalo in luce due Conferenze da lui lette nel R. 
Collegio Cicognini, runa su Amedeo di Savcja, V aìira. su Vincenzo Gioberti 
(Prato, Salvi, di pp. 70) nelle quali con mente bene ispirata e mano sicura 
tratteggia quelle due immagini preclare di soldato e re, e di pensatore. AI 
discorso sai filosofo e politico torinese aggiunge pregio una Nota sulU ac- 
cuse inconsulte, che Francesco Crìspi lanciò contro il Gioberti nel centenario 
celebrato T Aprile 1901. 

.*. A proposito di Marco Minghetti può deplorarsi con ragione che poco 
sia curata la sua memoria da chi per ragioni di sangue o per comunanza 
di dottrine, più ne avrebbe il dovere. Si misero a luce, e non sempre bene, 
tre volumi dei suoi Ricordi; poi, separatamente, un altro sulla Convenzione 
del Settembre. La pubblicazione clie 6. VanzoliiNi fa per occasione di nozze, 
di una sua Lettera a 7. Mamiani, (Urbino, Arduinl, di pp. 11 in 16.^) datata 
deir ottobre *59, e che ha importanza politica e storica, ci fu pensare quanto 
all.i conoscenza dei fatti del nostro risorgimento gioverebbe raccogliere T Epi- 
stolario deir insigne bolognese. 

.*. 11 sig. S. Di Giacomo, noto scrittore napoletano, ha pubblicato un vo- 
lumetto intitolato // Quarantotto: Notizie, Aneddoti, Curiosità intorno al 15 
maggio 1848 in Napoli; arricchito di cinquanta illustrazioni, più quattro fuori 
di testo (Napoli, cdiz. del Corriere di Napoli, di pagg. 52 in 4.°). Non è, come 
dice del resto il titolo, una storia; ma una raccolta di memorie, di notizie, di 
documenti, di curiosità sulla vita napoletana in quel primo respiro di libertà 
e innanzi alla sanguinosa catastrofe, che doveva instaurare il più feroce di- 
spotismo. Sono riproduzioni di fogli volanti, di poesie, di ritratti, di auto- 
grafi, di stampe del tempo, specialmente, fra queste ultime, dei combattimenti 
alle barricate: e lutto rio viene opportunamente illustrato dalla parola del- 
l' autore. Curioso assai lo scrìtto su i Giornali di quel periodo, e i ragguagli 
sui principali compilatori di essi. Chi avrebbe creduto che uno dei più scal- 
manati giornalisti fosse stato quel Gaetano Valeriani, romagnolo, che, in esilio 
diventò libraio, e pedantescamente compose un Vocabolario di voci e frase 
erronee stampato a Torino nel 1855 da Steffenone e Comandona? Ma mor- 
dendo questo e quello dei filologi italiani del tempo, mostra che era sempre 
Io stesso uomo violento che scriveva nel Costituzionale. Questa pubblicazione 
del Di Giacomo, cosf versato nella conoscenza della vita e della storia della 
sua città, si legge con piacere, anche per la scioltezza e la vivacità della 
forma, sebbene qua e là, ad esempio nella introduzione, certe descrizioni 
risentano della vieta retorica giornalistica. 

.*. Conferenze e Conferenzieri è il titolo di una Conferenza appunto, tenuta 
dal sig. P. BARBÈRA ai Circolo filologico di Firenze, del quale è Presidente 
(estr. dalla Rass. Nazionale, del 1. aprile, di 12 pagg. in 16.°). In essa il B. 
espone alcune considerazioni su questa forma di discorsi in pubblico, che 
molto opportunamente potrebber esser apprese e applicate da chi è chiamato, 



206 RASSBONA BIBLIOGRAFICA 

più o inen volente, a esercitar qael diffìcile uftìcio; e rifiorisce il suo dire di 
argute espressioni e di piacevoli aneddoti. 

/. Il buon esito della prima edizione del Manuale di storia della Musica 
del prof. A. Bonaventura ha incoraggiato T editore Giusti di Livorno a farne 
una seconda stampa, accresciuta non soltanto di moie (196 pagg. in 16.<* picc.) 
ma migliorata assai suir antecedente, specialmente nella parte che si riferisce 
alla musica dei Greci e del cristianesimo primitivo, nonché ai contemporanei. 
In piccolo volume abbiamo cosi un esatto e lucido riassunto delle vicende 
deirarte musicale; e chi voglia saperne di più su qualche particolare, troverà 
al fine d*ogni capitolo T indicazioni delle fonti speciali da consultare. 

.'. Per nozze Aruch-Mondolfo un Anonimo livornese, che è poi un giovane 
innamorato della scienza delle monete, fa una Correzione numismtUica ad 
un paragrafo del Vocabolario della Crusca (Firenze, Galletti, di pagg. 7 in 16.^). 
La correzione cade sulla attribuzione di un significato speciale alla parola 
cotale, come se questo vocabolo designasse una moneta fiorentina del sec. 
XVi. Ma sebbene ciò paja appoggiarsi a un passo del Varchi e sebbene altri, 
non che la Crusca, abbia creduto ali* esistenza di una moneta di tal nome, 
TA. vuol dimostrare che essa non fu mai battuta, e perciò non esiste, e che 
cotale nei passi riferiti, vai soltanto quanto pezzo o coso: e la dimostrazione 
ci par riuscitissima; cosicché deve modificarsi il relativo paragrafo del Vo- 
cabolario. 

.'. Una delle ultime pubblicazioni cui attese il compianto dolt. Cammillo 
Vitelli è il Catalogo dei codici che si conservano neW Archivio Rondoni in 
Fiaa, pubblicalo nelPundecimo volume dogli Studj Storici (1902, pp. 176 in 
16.^). Per la maggior parte ì codici descritti sono estranei agli studj lette- 
rari e riguardano la storia di Pisa. Segnaleremo solo i codici 83, 85 e 88, 
il primo dei quali, del sec. XV, contiene rime del Petrarca e di altri minori 
del trecento; il secondo, del seicento, hu un commento alla canzone del 
Gninizelli, Al cor gentil di " G. D. Incognito Contrario , ; V ultimo, come il 
primo, del sec. XV, contiene Tre * Epitome , e Otto * Chiose , della Divina 
Commedia in terzine, che furon già pubblicate dal RafTaelli nelle Deliciae 
eruditorum col nome di Bosone da Gubbio e dal Mehus furono restituite a 
Mino d'Arezzo; il compendio della Divina Commedia, che va sotto il nome 
di Pietro Alighieri e alcuni frammenti dei Trionfi del Petrarca, qualche volta 
con commento volgare. Nel medesimo codice alla fine si leggono alcuni 
frammenti della Divina Commedia e la Canzone di Antonio da Ferrara per 
la supposta morte del Petrarca. 

.'. Abbiamo innanzi a noi il 1.*" voi. di un'opera periodica, della quale 
speriamo sollecita la continuazione, e alla quale auguriamo le sorti pili felici, 
ed è il Piccolo Archivio Storico dell'antico marchesato di Saluzzo (Saluzzo, 
tip. Bovo e Baccolo, I, 1901, di pp. 384 in 16.<»). Esso si pubblica sotto il 
patronato del conte Ludovico di Saluzzo-Crissulo, colla direzione del prof. 
D. Chiattone e la collaborazione dei profT. Rinaudo, Gabotto e Roberti. Inutile 
il dire quanto giovino queste pubblicazioni speciali alla storiografia generale. 
Può dirsi in contrario che sifTatto lavoro separato disperda le forze: ma il 
vero è che in raccolte di tal genere si raceolguno molti, e non inutili docu- 
nienii e studj, che non Iroveielibj uo<;o opportuno in altre d'indole più gene- 



bÉLLA LBttfiRATURA ITALIANA 207 

rale. Certo è iaUnlo che qaesla prima annata dell* Archivio Saluzzese contiene 
molti scritti importanti di storia e letteratura, memorie e varietà, bibliografie 
e cronaca. Fra gli articoli di soggetto storico, notiamo i seguenti : L. G. Pe- 
LissiBR, Il tunnel del Viso; F. Gabotto, La guerrj del Conte Verde contro i 
march, di Saluzzo e del Monferrato nel 1363; G. Roberti, / moti di Revello 
e dell'alta valle del Po in Lujlio 1797; D. Chiattone, Della podesteria in Sa- 
luzzo; G. F. Savio, 1 conti di d^iasolo ; D. Chiattone, Edilizia saluzzese nei 
sec, XV e XVI; L. Commenginger, Zur Geschichte der missionare auf Sa- 
lazzo, E nella parte letteraria: D. Chiattone, / due codd, rnsu. della Francesca 
da Rimini; Una lettera di S. P, a S. Marchisio; Cimelj patriottici {In gergo 
di setta; La carta senza colla del vecchio Schiller); Come fu accolta la Fr. da 
Rimini; F. Gabotto, Lettere ined. di S, P. a C\ Muletti; M. Vicario, Due let- 
tere di S. P.; I. RiNiERi, Il Cola di Rienzi di 5. P,; La prima poesia di S. P,; 
C E. Pathucco, La storia nella leggenda di Griselda; C. Moschetti, Un af- 
fresco del principio del sec. XV (si riferisce ai Disciplinati); V. Marsengo- 
Bastia, Tre lettere di Mon9. della Chiesa all' Aprosio; C. Flbchia, Un mani- 
paletto di etimologie saìuzzesi ecc. 

.'. Il sig. Armando Ferrari annunzia un'opera utile, che sarà pubblicata 
a Milano dalla Libreria editrice nazionale, vale a dire un Dizionario Topo- 
grafico-storico- bibliografico dei Comuni e delle frazioni del Regno d* Italia, 
e ne manda in luce un primo fascicolo contenente la Prefazione, che rende 
conto delle intenzioni del compilatore, e parte della lettera A. da Abano- 
bagni ad Acceglio, Il titolo slesso dichiara il carattere dell'opera e ne di- 
mostra r utilità, dacché ogni articolo contiene per primo, le notizie topogra- 
fiche e statìstiche^ cui seguono i cenni storici, chiudendosi con una indica- 
zioni delle fonti; a cui attingere mnggiori ragguagli. Quest'opera che si an- 
nunzia di 10 voi. di circa 500 pagg. a due colonne, quando sarà finita, terrà 
luogo, come chiaro apparisce, di altri libri speciali, e sarà utile ad ogni 
sorta di persone. Noi rammentiamo che un'idea consimile, quanto almeno 
alla parte storica e bibliografica, aveva avuto dopo il 1860 Felice Le Monnier, 
e che ne aveva affidala T esecuzione ad Adolfo Bartoli. Disgraziatamente 
rimase interrolla sul principio, e dopo che già ne erano slati tirati alcuni fogli. 
Ma se fosse arrivala al termine, sarebbe ormai slato necessario rifonderla 
perché profittasse del progresso degli studi. Noi auguriamo che questa im- 
presa, cui si aggiunge utilmente la parie topografica, sia secondata dal pub- 
blico suffragio e che risponda per esattezza e copia al fine propostosi dagli 
editori e dal compilatore. 

.'. Abbiamo qui addietro (pag. 132) dette alcune poche parole sul no- 
stro perduto amico e collaboratore, Gaston Paris. Registriamo qui alcune 
commemorazioni dell'insigne maestro: dì F. D'Ovidio nel Funfulla della 
Domenica del 15 marzo: di Pio Rajna nel Marzocco del 15 marzo; di 
A. D'Ancona nel Giornale d'Italia del 16 marzo; di H. Morf nel Frank- 
fiìrter ZeiL del 12 marzo {separateabdruck) ; di E. Teza, In memoriam, Pa- 
dova, Bandi, (seduta delPAcc. di Padova dal 12 marzo); di V. Crbscini, Ve- 
nezia, Ferrari (seduta dell' Isl. Yen. del 29 marzo) ; di Gabriel Monod (dal. 
voi. LXXXII della Renue histor.) : di A. D'Ancona, Roma, Salviucci (seduta 
dell' Accad. dei Lincei del 15 marzo ecc.). Pid o meno ampie, tutte que- 



208 RASSEGNA BIBt.IOORAFlCA 

sle commemorazioni significano l'affetto e la venerazione verso l'estinto, 
e deplorano la gran perdita fatta dalla scienza per la sua morte. 

.'. Del compianto Gaston Paris esce postumo in luce un nuovo volume miscel- 
laneo col titolo Legende» pièuses du Moyen Age (Paris, Hachette, di pp. IV-293 
in 16.^), che sarà accolto con non minor favore degli antecedenti. La breve 
avvertenza preliminare dice come il voi. fu messo insieme con tre soli stadj 
dapprima, destinati a un pubblico culto e curioso, ma non speciale: e sono 
Roneevaux; Lb Paradis de la Heine Sihylle; La Legende du Tannhàu$er. 
Sembra che a questo punto fosse condotta la stampa, quando il Paris morì, 
sicché per compiere il voi. si ricorse ad altri scrìtti suoi, pur sempre illu- 
stranti le tradizioni popolari, ma di forma maggiormente scientifica: e sono 
Le Juif errant e Le lai de V Oieelel, ne' quali abbonda la discussione delle 
fonti e l'apparato erudito, senza tuttavia cessare dair essere di gradevole let- 
tura. L'ultimo di questi scritti era men noto, perché pubblicato la prima 
volta per nozze, secondo l'uso italiano, e perciò fuori di commercio. Questo 
volume, che ci giunge dalla degna compagna del Paris, noi lo riceviamo 
con sensi di dolore mai sopito e di ammirazione sempre cresente. Facciamo 
notare ai lettori italiani che, la maggior parte di questi studj riguarda la 
nostra letteratura: il Roncevaux, per la nostra epopea cavalleresca; la Regina 
Sibilla e il Tannhàuser, perché dalle indagini dell* autore resulta che il Ve- 
nusberg ha da cercarsi nel nostro Appennino; le Juif errant, perché una 
parte di esso discute l'apparizione in Italia del misterioso personaggio. 

.'. Ci perviene un voi. di 480 pagg. in 16.** stnmpato a Caltanisetta, edito 
a Palermo presso Sandron, e che l'autore data da Niscemi. Esso ha per ti- 
tolo V. Grkscimonk, Saggi critici e letterari, e in un breve proemio, V autore 
ci fa sapere che * la pubblicazione di alcuni dei presenti studj è possibile 

* soltanto mercé l'affettuoso zelo del prof. V. Reforgiato, mio antico discepolo, 

* il quale, in un tempo in cui il disordine dell'anima mia si rifletteva su tutte 

* le cose mie, andava raccogliendo, come fossero reliquie, e costudf poi ge- 
' losamente una grande quantità di scritti miei „ e finisce coU'attestare 
"all'egregio professore e all'impareggiabile amico imperitura riconoscenza, 
ponendo in fondo la sua brava firma: V. Cresgimonb. Ora noi ci troviamo 
dinanzi a un imbroglio o ad uno scherzo bibliografico, perché la più parte 
di questi Saggi ci sono noti a stampa, col nome di V. Rkforgiato, e di pa- 
recchi di essi abbiamo via via dato un cenno nelle annate decorse della 
Rassegna, Ci limitiamo pertanto a dire che le materie discorse nel voi. sono 
le seguenti : Le Elegie e gli Epigrammi latini di B. Rota — Il pessimismo 
nel Giobbe del Rapisardi — L* elemento epico nelle Odi Barbare di O. Car- 
ducci — // pensiero letterario di G. Mazzini ~ Le rime amorose di F. Al- 
fieri — Gli Epigrammi di Giano Pannonio — Le contraddizioni di G. Leo- 
pardi — Shakespeare e Manzoni — La parodia omei'ica in un dramma dello 
Shakespeare — Donne e Frati nei novellieri italiani — Giovanni Meli e Gia- 
como Leopardi, 

.*. Il sig. Emilio Calvi delia Alessandrina di Roma, già noto per accurate 
compilazioni bibliografiche, imprende una laboriosa ed utile compilazione 
storica, di Tavole storiche dei Comuni Italiani, e ne dà un primo saggio che 
9Ì riferisce alla Liguria e al Piemonle (Roma, Loescher, di pp. 74 in 8.*). 



DBLLA LETTERATURA ITAUANA 209 

Ck>mune per Cornane, se ne notano le vicende politiche, coir indicazione della 
data, e in fondo a ciascun articolo si registrano le fonti, alle quali si ò attinto. 
Ognun vede come sia giovevole agli studiosi V aver un libro al quale ricor- 
rere per sapere qual fosse la condizione e forma di governo di un dato 
Comune in un determinato anno. È questa un'opera di gran fatica a chi la 
compie, e di grande utilità a chi vi vorrà ricorrere; sicché devesi augurare 
che il favore degli studiosi arrida a questo primo saggio, sicché l'autore 
proceda alacremente a darci per tal modo la storia delle altre città italiane. 
Questa prima parte è preceduta da una lettera del prof. A. D'Ancona al 
compilatore, nella quale meritamente lodando l'impresa, si suggeriscono 
alcuni espedienti che la rendano maggiormente proficua. 

.'. È uscito a luce la Bihliographit dea travaux de m. Leopold DelièU, 
il dotto amministratore della maggior biblioteca di Parigi, compilata dal sig. 
P. Lacombk; omaggio a lui offerto nel cinquantesimo anniversario dell'en- 
trata sua in cotesta Biblioteca (Paris, imprim. Nation. di pp. XXXVIIIl-510 
in 8.<^). Il bel volume, ornato di un ritratto, comincia colla lista dei sotto- 
scrittori, di ogni paese, dove non manca qualche nome italiano, e dopo una 
introduzione del compilatore, segue la bibliografia dei lavori del Delisle co- 
minciando dal 1847 fino al 1902, che comprende ben 1889 titoli, ciascun dei 
quali è opportunamente illustrato. Con gentil pensiero, alla bibliografia del ma- 
rito, segue quella della sua signora, che uscita dalla casa dei Bournouf, ha 
voluto coi propri scritti onorare la memoria de' suoi. Vengono per ultimo 
tre indici, cioè dei periodici in che si trovano scritti del Delisle, di questi 
slessi in ordine alfabetico, e l' ultimo di persone, luoghi e materie. Questo 
volume, che è un omaggio alla scienza, è anche per la varietà delle materie 
delle quali l'operoso uomo si occupò con copia di fatti e profondità di ricer- 
che, un sussidio utilissimo agli studiosi della storia e cultura dell' età media 
e delle discipline bibliografiche. 

.*. I parlari dell'Engadina erano stati finora studiati in più d'un lavoro 
(chi non conosce almeno di nome i Saggi ladini dell'Ascoli?) dall'aspetto 
fonologico, morfologico e lessicale ; ma della loro sintassi nessuno s' era oc- 
cupato dì proposito. A questa parte credette bene di rivolgere l'attenzione 
Enrico Augustin, che nella sua dissertazione di laurea uscita ora in luce, 
espone la sintassi del basso - engadinese, tenendo conto anche dei dialetti 
dell' Alta-Engadina e di Val Monastero dove divergano dal primo (Unteren- 
gadinisehe Syntax mit BerUekaichtigung der Dialehte dee Oberengadina und 
MUnsterthah, Halle, Karras, 8.<*, pp. 92). L' autore ci fa sapere di aver fatto 
le sue osservazioni principalmente sulla lingua parlata. Non è dell'indole di 
questo periodico entrare nell'esame di tale lavoro, del quale ci basta rico- 
noscere l'opportunità. 

.'. Ad attestare che gli studj dell'Indologia vanno ogni giorno più acqui- 
stando tra noi serj e valenti cultori sta il pregevole opuscolo del dott. Vit- 
torio Rocca: Sul valore della parola * barbaro , in India, in Grecia, in Roma 
(Livorno, Giusti, 1903). In esso l'A. si propone di rintracciare l'origine della 
parola * barbaro , e d'indagarne la storia semassiologica in India, in Grecia 
ed in Roma, Accennato airordinamento politico delle caste e alle salde ru- 



210 KASSBGNA BIRIJOORAFICA 

dici che esso prese in India fino dai tempi pili antichi. TÀ. passa a ras- 
segna le voci * dasyu ,, ** nileccha ,, * yavana , tra quelle che adoperarono 
grindi a designare i popoli esclusi dalla loro compagine sociale. Il vocabolo 
* barbaro . non ricorre nei Veda, e però PÀ. è giustamente indotto a con- 
getturare che esso sia stato importato in India dalla Grecia. Tesse quindi la 
storia della parola ^àp^po sul suolo deir Eliade e sostiene che sia d'ori- 
gine onomatopeica e non derivi da alcuna radice comune alle lingue ariane. 
Facile poi gli riesce dimostrare che detto vocabolo greco fu presto adottato 
dai Romani. Certo il vasto tema poteva essere trattato con maggiore lar- 
ghezza, massime là dove si parla dei confronti tra le varie parole sanscritiche, 
che designano i popoli non arj; ma nei limiti ristretti assegnati al suo la- 
voro TA. ha pur dato prova di possedere una conoscenza diretta delle fonti 
da cui attinge il materiale per la sua indagine, e di sapere, con acutezza non 
comune d' ingegno, trarre dai fatti raccolti illazioni verosimili e soprattutto 
originali. Dalla solerzia del dott. Rocca ci aspettiamo quindi frutti maggiori, 
e perora ci rallegriamo con lui di averci dato un saggio di quello che egli 
può e deve fare in vantaggio degli sludj dell'Indologia nel nostro paese. 

.'. 11 fascicolo degli Atti della R. Accademia della Crusca pubblicato 
quest'anno (Firenze, Tipogr. Galileiana, 1903, pp. 60 in 16.<») contiene, olcre 
il solito rapporto del Segretario Guido Mazzoni, che dà conto della compi- 
lazione del Vocabolario, V Elogio di Vincenzo De Vit letto dall' accademico 
corrispondente Giuseppe Gugnoni. Di seguito all'Elogio è stampato un utile 
elenco delle opere del De Vit, diviso per materie. 

.'. Sotto la direzione del prof. G. Mazzoni, il tipografo editore Licinio 
Cappelli di Rocca S. Casciano si propone di pubblicare una collezione di 
Indagini di storia letteraria ed artistica. Ne sono già usciti due volumi: 
A. Della Torre, Paolo Marsi, Contributo alla storia deW Accademia Pompo- 
niana: N. Ruggeri, Vincenzo Cuoco, ed è prossimo ad uscire un terzo: C. 
Sgrilli, Francesco Carletti, mercante e viaggiatore fiorentino. Di questi lavori 
parleremo nei prossimi numeri della Rassegna, e intanto auguriamo ogni pili 
felice successo all'impresa degna di plauso e d'incoraggiamento. 

.'. Il prof. V. Fresco pubblica alcune Note e Appunti su M. Randello e le 
sue Novelle (Camerino, Sa vini, di pp. 46 in 16.^'). Lo scritto si divide in due 
parti: e la prima tratta degli Studj e scritti del R., desumendo le notizie 
dalle dedicatorie e dalle novelle: essa contiene ragguagli non inutili; ma 
taluni non furono avvertili: ad es. quello offerto dalla dedica della 58.*, 
giorn. I circa il soggiorno del B. al convento delle Grazie quando vi dipingeva 
Leonardo. Ma è curioso che il Fr. stampando nel 1903, ignori del tutto il lavoro 
del Morellini già uscito nel 1899, non che gli articoli di H. Meyer neWAreh. f, 
d, Studium d, neuren Spraeh. u, Litter., che sono condotti sullo stesso sistema 
da lui tenuto, di cavar cioè dalle novelle e dai proemj le notizie della vita avven- 
turosa del frate lombardo. Anche rispetto a certi personaggi del cinquecento 
mancano particolari che offrivano studj recenti: per es. a pag. 17 parlando del 
Fregoso (Phileremo), andava citato lo scritto del Dobelli sulla Cerva Rianca, 
Pur qualche cosa di notevole v'ha in questa parte: la notizia (p. 19) di alcuni 
scritti perduti del Randello, specie di certi Ragionamenti, e l'opinione che 



DELLA LETTE ATURA ITALIANA 211 

le rime per Méncia non cantino un amore del Randello, ma d'altri: e sa 
questo punto sarebbe stato bene estendersi mag{(iormente a provarlo. AlPul' 
timo sembra che Ta. sia stanco di seguitare le peregrinazioni del Bandello, 
perché si arresta colle indagini al 1530, mentre altri dati biografici offrono pur 
sempre le Novelle e le dediche dopo cotesto periodo: né cita a suo luogo 
lo scrìtto del Patrucco sul Bandello a Pinerolo. — La seconda parte è di 
illustrazione di alcune Novelle: e il tema sarebbe bello e licco; ma qui è 
troppo scarso, e in generale condotto, a quel che pare, di seconda mano. Un 
cultore di studj speciali di novellistica comparata avrebbe da far in pro- 
posito moltissime aggiunte. 

.'. II prof. Vittorio Gian dedica air amico Vittorio Rossi, di recente ri- 
sanato da una grave malattia, un opuscolo - Soteria - in cui ha pubblicato 
e illustrato Una Satira di N. L, Cosmico (Pisa, Nistri, 1903, pp. 28 in 16.«). 
Di questa satira Apostolo Zeno indicò un* antica stampa s. a. n. t., che nes- 
suno ha potuto trovare ; perciò il Gian V ha pubblicata traendola da un co- 
dice estense, insieme coi due sonetti di dedica al Magnifico Tommaso Mo- 
cenigo e alla sua illustre consorte. È T unico documento di poesia satirica 
che il Cosmico ci offra, e ricorda le satire-sermoni del Vinciguerra, ma è 
esempio non troppo felice della sua arte di poetare; e la sua importanza è 
limitata solo a quel che può servire per la storia del genere. II Gian ha 
apposto alla satira alcune note, mostrando le molte reminiscenze, alcune 
anche classiche, sopratutto da Giovenale. 

.'. Alle pubblicazioni bibliografiche (vedi addietro, pag. 128) uscite in 
occasione del Congresso Storico tenuto a Roma nelP aprile, tre ancora dob- 
biamo aggiungerne: 

1. Vindice decennale tripartito della Miscellanea storica della Valdeha 
(Gaslelfiorentino, Giovannelli, di pp. 122 in IG.""), pubblicato dal direttore 
0. Bacci e compilato a cura del Segretario M. Gioni. Precede una Notizia 
della Società Slorica della Valdelsa, che rende conto dell'operato della me- 
desima in dieci anni di esistenza, modesta ma feconda. Seguono gli Indici 
accuratamente condotti, e sono geografieOf cronologico, e onomastico. Dopo 
questi Indici non si può non agurare alla Società della Valdelsa lunga vita, 
a maggior vantaggio degli studj storici. 

2. L'opera della Commissione provinciale di Archeologia e storia patria 
di Bari nel ventennio 1882-1902 è una Relazione del Presidente A. Jatta 
(Bari, Laterza, di pp. 27 in 16.<>) di quanto essa Commissione ha fatto e pre- 
parato. Oltre ad aver promosso scavi e accresciuto un Museo. la Commis- 
sione ha cominciato la slampa del Codice diplomatico barese e di una serie 
di Monografie e Documenti^ de' quali si hanno già tre voi.: le Cronache dei 
fatti del 1799 a cura di G. Ceci, la Storia degli Sforzeschi in Puglia e Ca- 
labria di L. Pepe, e la Puglia nel sec, XV di F. Carabellese. Altri voi. sono 
in preparazione. 

3. La Società Ligure di storia patria per mezzo del prof. G. Cooo rende 
conto dei suoi lavori dal 1858 al 1900 (Roma, Artigianelli, di pp. 54 in IG.*"), 
riassumendo quanto essa ha operato rispetto all' Archeologia (Iscrizioni e 
Aniiehilà-Numismatica) a Stoiia Civile ed Ecclesiastica (Docmnenti illustrali, 



212 KASSBGNA BIBLIOGRAFICA 

Cronache $ Leggende, Monografie, Studj leiterarj e poesie storiche, Leggi e 
Statuti, Cartografia, Colonie, Commercio, Geografia, Navigazioni, Viaggi, Ti- 
pografia) e a Belle Arti. Abbondanli note in fondo alia relazione offrono 
ragguagli bibliografici sui singoli scrilti delle notale categorie. Forse sarebbe 
stato opportuno ed utile soggiungere un Indice bibliografico per autori e per 
materie, di ciò che è contenuto nei più che trenta volumi degli Atti della 
Società finora pubblicati. Vero è che un ragguaglio di ciò che è in ciascun 
volume si trova registrato sommariamente neW Annuario della Società per 
Tanno 1891 (vedi Rassegna, IX, 177). 



A. D'ÀMCOMA direttore re»pon»ahiU, 

Pla«.TipoffnUU F. VariotU, 1903. 



RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

DELLA LETTERATURA ITALIANA 

IHitltori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Bditwre: E.SPOSRRl. 



Anno XI. Pisa, Agosto-Settembre 1903. N. 8-9. 

I Abbonamento annuo } J^J l'Estero" .* ! ^t'* •. I ^^ '*"™- eeparato Oent «•• 1 



SOMMARIO: F.P.LuiBo, Tra ehiou e eomméuH antichi alla Divina Commedia (I.Sft- 
neei)- — ^. Caponi, Vincenzo da Filicaja e le sué opere (Q. ManacordA). — J. Oilué- 
RON et E. BoMOiiT) Atlag linguietique de la Franee (P. H.Goidaoteh). — F. Mokoroini, 
Lezioni eioriehe di letteratura italiana deeunte dalle opere di Franeeeeo Ih San» 
etie e adattate ad ueo delle scuole secondarie; P. Pbtboccui, La lingua e la storia 
letteraria d'Italia dalle origini fino a Dante (fl. LIaio). — A. Bbllori, Frammenti 
di critica letteraria (D. ProTeoial). — Rime antiche senesi trovate da E. Moltbiii 
e illnstrate da V. Or Bartrolonabis con appendice (M. Pelaet). — Coamoicailoni. 
A. Nbri, Alcune rime di Gian Vittorio Rossi. — Anannii bibltograf lei (Ti 
ai parla di: E. Maai - O. Volpi).— Cronaea. 



F. P. Luiso. — Tra chiose e commenti aìitichi alla Divina Com- 
media: Capitolo 7, Le e Chiose » aW Inferno di Iacopo Alighieri 
sono traduzione informe di un originale latino (estr. dsWArch. 
star, ital.y disp. 1.* del 1903). — Firenze, tip. Galileiana, 1903. 

In questo sno noteyolissimo articolo il Lniso, dando prova di 
molta genialità e acame crìtico, propone e sostiene una tesi as- 
solatamente nuova: il testo delle «Chiose» alF Inferno, che si 
attribuiscono comunemente a Iacopo Alighieri, lungi dalPesser 
opera del figlio di Dante, non è invece che una traduzione, anzi 
un « cincischiamento e deturpamento in lingua volgare », di un 
anterior commento latino oggi perduto. Quella oscurità e gof- 
faggine che deturpa le « Chiose » in modo quasi inverosimile e 
per la quale, nel maggior numero dei casi, non arriviamo neppure 
ad intendere che cosa il chiosatore abbia voluto dire, quella o- 
scnrità e goffaggine, di cui non è agevole credere che potesse 
esser reo Iacopo Alighieri, tradisce, quando ben si consideri, una 
forma latina che è stata resa volgare da un interprete grossolano, 
il quale né conosceva il lessico e la grammatica, né aveva « pe- 
«rizia nelFuso della lingua viva». Se tentiamo, infatti, di rico- 
stituire il testo latino, cosf rozzamente e meccanicamente trave- 
stito dal volgarizzatore, vediamo spesso la ragione dei suoi stra- 
falcioni e riusciamo a cogliere il senso delle sue oscure parole. 
E appunto questo tentativo di ricostituzione compie il Luiso, 



214 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

recando ' nutherósi passi delle chiose volgari e proponendo le 
corrispondenti frasi latine che servono a dilucidarli e che, per 
quanto congetturali, non devon certo esser molto lontane dal testo 
originario. 

Alcuni degli esenipj che il Luiso adduce sono quanto mai 
persuasivi; come può agevolmente riconoscere chiunque rifletta 
per un momento a quelli che io qui riferisco: 

1. «... la cui vendetta istoria in chotal modo permane [=^cu- 
«ius vindictae historia in hoc modo permanete]. 

2. € il marchesse Obizzo da Esti in chotal modo colpa si vede 
«[=:iu huius modi culpa videtur] ». 

à. < avendo di suo dominio, cioè di suo signiore [=:sui domini]». 

4. « tra^ quali acidiosi e iracundi operanti [= accidiose et ira- 
€ cunde operantesj >. 

5. «... quella (qualità) che a sé medesimo personcdmetUe e 
« recdlemente ofende » [= « personaliter et realiter », cioè « in per- 
€ sona et in re] ». 

6. « Dipartendosi dalla quinta bolgia, cioè qualità, la sesta in 
«questo canto chorapiutamente si conchiude: cioè di coloro in 
« chtn a V onesta a presenza Voperatione non si segue, che volgare- 
« mente ypocresia si chiama ». (Traduci e intendi « . . .idest eorum, 
« in quibus honestae apparrntiae operatio non sequitur »). 

7. «Si come per falsatori realmente i sopra detti Grifolino e 
« Cappochio figurativamente in questa cholpa prima si pogniono, 
« chosf personalmente di due qui si ragiona ». (Cioè « falsatori 
«delle cose» e «della persona»). 

8. « le cui ardenti infiamate (Laurenz. e fiainanti) qualitadi 
« figurativamente significanno le sueperfue caldezze false che i[n] 
«loro animo si conservano». (Si parla di Ulisse: caìdezge perciò 
sarà riduzione volgare di « calliditates »). 

Se tutte le prove addotte dal Luiso fossero della stessa im- 
portanza e avessero la medesima forza, il suo scritto aquisterebbe 
valore di dimostrazione matematica. Ma, il più delle volte, non 
è cos£; e le sue citazioni e le osservazioni con cui le accompagna 
non valgon davvero a provare che le chiose attribuite a Iacopo 
siano una informe riduzione di un testo latino preesistente. Non 
posso qui recare molti esempj di ciò che affermo perché, altri- 
menti, sarei costretto a riprodurre troppo gran parte delP articolo 
del Luiso. Basteranno dunque i seguenti: 

9. « e simigliantemente in chotal colpa morio Pirro figliuolo 
«d* Achille sì chonsidera [= in hac culpa mortuus Pirrus . . . . 
« consideratur] ». — Il mortuus latino si prestava tanto bene ad 
essere ridotto nel volgare morto, anche da una persona ignorane 



DELIBA LRTTBRATURA ITALIANA 215 

tissima, che la forma morio non può ritenersi indizio di erronea 
intelligenza del testo, ma bensf semplice errore grafico. 

10. « In questa seconda parte qualità per simgliante si truova 
« nn Fiorentino [== In hac parte secundae qualitatis] ». — Un vol- 
garizzatore, che tradnceva parola per parola, come apparisce chiaro 
dall^ esempio 6, fino a distaccare Tuno dalF altro due dativi che 
erano invece strettamente congiunti, avrebbe, se mai, potuto tra- 
durre (quando avesse avuto dinanzi le parole latine proposte dal 
Luiso) «in questa parte di seconda di qualità»; ma perché mai 
avrebbe invertito Tordine delle parole medesime? L* oscurità, dun- 
que, rimane; e nulla ci riconduce ad una precedente forma latina. 

11. « ramentandoglisi lardipe (=r ardire) che per suo malie 
« aquisto di sua muneta re Gharllo di Francia aparentando richiese 
e per la qualle sdegnio none avendo il detto Re accio chonsentito 
e la Cìecilia . . . perdere gli fecie ». Lauretie. «... richiese per lo 
« quale sdegnio ... », dove il pronome relativo è accordato nel 
genere a «sdegnio». E qual senso hanno tutte queste parole? 
Io restituisco il genere femminile a quel relativo, e spiego, tra- 
ducendo in latino: « regem Carolum in parentelam petiit (il sog- 
« getto è il papa Niccolò); prò qua (cioè parentèla) indignatus, 
«quum nollet dictus rex consentire eto. — No. Se l'estensore 
delle chiose avesse letto, nel testo che traduceva, in pareiìtelam^ 
non avrebbe durato fatica a ridurre tali quali queste parole la- 
tine nelle corrispondenti volgari in pareìUda, Per spiegare quello 
strano aparentando, si potrebbe, se mai, pensare ad «ti pareiìtadum; 
ma nulla ci autorizza a preferir questa forma alPaltra, volgare, 
in parentado che, per un grossolano errore di scrittura dell* ama- 
nuense, diventò poi aparentando. Né lo sdegnio ci riconduce ne- 
cessariamente a indignattés, potendo benissimo derivare dal vol- 
gare sdegnato. 

12. «... avaritia, formata in lupa, a significhare di sua bra- 
« mosa e infinita voglia » = ad significationem snae etc. — Anche 
qui si tratterà di un semplice errore di scrittura (forse, a signi^ 
ficare sìm bramosa? o a significato di sua bramosa?)^ che non 
presuppone in alcun modo la forma latina. Se, infatti, T estensore 
dèlie chiose si fosse imbattuto nel significationem proposto dal 
Luiso, lo avrebbe senz'altro reso coli' identico significagione. 

13. « Delle qualli per lo sopra deto motore il (erroneamente 
« il Laurenz. ha in) male volere co V operationi (Laurenz. che 
€ ir operationé) a simigliante efeto producie, si considera» =:pro 
supradicto motore mala voluntas, quae operationes ad similem 
effectum producit, consideratur. — Il costrutto delle chiose è, 
senza. dubbio, in questo esempio, come nell'esempio 9, latineg- 



216 fUSSBONA BIBLIOORAFIOA 

giante; e forse appunto per questo il Luise pose, qui e là, a ri- 
scontro della frase volgare il corrispondente periodo latino. Ma si- 
mili costrutti possono ben essere originali, e non già tracce o resi- 
dui di una traduzione dalla lingua dei dotti: non ne abbonda, forse, 
anche la prosa dantesca del Convivio? Il sopra citato periodo è 
deturpato da un errore puramente materiale: eo invece di che; 
e questo disgraziatissimo co, sfuggito alla penna delP amanuense, 
non ci richiama al latino quae più di quel che possa richiamarci 
al che volgare. 

Ho già detto, e ripeto, che la maggior parte degli esempj ad- 
dotti dal Luiso non hanno maggior valore di questi su cui mi 
è parso bene fermarmi. Ora, è naturale che ciò nuoccia non poco 
alla chiara e precisa dimostrazione della tesi, e che renda difficile 
il conseguimento di un assenso pieno e incondizionato. Io, quanto 
a me, credo che il Luiso abbia veduto giusto e che, nella sostanza, 
debba aver ragione. Ma è un fatto che il trovarsi pochi esempj 
veramente significativi mescolati e, quasi direi, dispersi fra tanti 
altri esempj del tutto insignificanti dà origine ad una curiosa e pe- 
nosa perplessità: sospingendo i lettori ora air assentimento e ora 
alla negazione; facendo, tratto tratto, balenar la certezza dinanzi 
al loro pensiero e risommergendoli, subito dopo, nelP incredulità 
e nel dubbio. Forse il Luiso, come può ricavarsi da queste sue 
parole che riferisco : « Scorriamo ora insieme, o lettore paziente, 
«il libro oscuro; e attingendo le prove giustificatrici della mia 
«fiera denunzia, proviamoci a rimuovere in qualche parte To- 
« scurità addensatavisi per il concorrimento delle diverse cause 
«su accennate» (p. 20), si propose un duplice scopo: quello di 
recare alcuni esempj che fossero veramente atti a dimostrare 
resistenza di un commento latino da cui devono provenire per 
dritta lìnea le chiose attribuite a Iacopo; e quello di rischiararne 
intanto, giacché si trovava a discorrer di esse, alcuni luoghi piti 
difficilmente intelligibili, senza curarsi se questi altri luoghi ci 
presentino, oppur no, un tipo latino. Ma, se è cosi, egli avrebbe 
dovuto mettere in maggior rilievo il duplice fine a cui tendeva: 
non solo dichiarandolo con più aperte parole, ma anche raggrup- 
pando le due specie di citazioni in due serie distinte, sicché le 
une non venissero a confondersi colle altre e non avessero Parìa 
di arrogarsi tutte ad un modo il valore di « prove giustificatrici >. 
Intanto, per effetto di questa infelice confusione, lo scritto del 
Luiso non riesce cosi persuasivo come avrebbe potuto; e la di- 
pendenza delle chiose volgari da un commento latino apparisce 
quale una verità intuita piuttosto che dimostrata. 

Spero che il mio buono e valente amico non si dorrà di queste 



DKLLA LBTTBRATURA ITALIANA 217 

osservazioni. Mi auguro, anzi, che, quando egli avrà terminato dì 
pubblicare neìV Archivio storico italiano questa sua serie di studj, 
che promette fin d* ora di essere interessantissima, vorrà, racco- 
gliendoli in volume, introdurre nel primo capitolo opportune 
modificazioni e correzioni che valgano a dissipare ogni dubbio 
e a rimuovere qualsiasi incertezza. 

Irenko Saresi. 

G. Caponi. — Vincenzo da Filicaja e le sue opere. — Prato, Gia- 
chetti, 1901 (pp. 430 in 16."). 

Il Filicaja (1642-1707) sorge in tempo malaugurato di cruenti 
guerre dinastiche, di slealtà politiche, di dispotismo bacchettone 
e crudele, di ignoranza e di miseria. Langue la scuola galilejana 
nei suoi divulgatori, né ancora alla morente storiografia soccor- 
rono la speculazione filosofica o la ricerca erudita; ancor piac- 
ciono al poeta eroico GoiFredi, Tancredi e Rinaldi combattenti 
con serietà e pudicizia guerre di fantocci, ed il lirico, che sente 
sfuggirsi r ispirazione, rinforza toni e colori, come schermitore 
malsicuro che voglia confondere T avversario con urli e minaccie: 
vanamente piagnucola o morde il moralista, il satirico. E popolo 
e corti troppo spesso tornano dalle prediche pasciuti di vento, 
o ai turpi lazzi delF ormai cadente Commedia dell'Arte plaudono, 
ignobilmente indulgendo alle riposte passioni. 

Era tempo, che da alcuno si studiasse quanto il Filicaja, di 
cui le diverse età han dato così diversi giudizj, abbia concesso 
alle tendenze, ai criterj, ai sentimenti del suo tempo: il C. si è 
accinto air opera con molto amore e con grande studio Tha 
terminata. I risultati, non ostante i gravi difetti di metodo rico- 
nosciuti dairA. con rara modestia, non sarà alcuno che, nel com- 
plesso, non voglia accettare. Certo, se fossero state tolte le molte, 
le troppe digressioni di incomparabile ingenuità, se T analisi fosse 
stata condotta co^ quella sobrietà che al critico, e non solamente 
al critico, è necessaria, ^ e se, sopratutto, la forma fosse stata più 
corretta,* T opera se ne sarebbe assai avvantaggiata. Tuttavia, 

1 Era oooyenleute dedlo«re ben tredici pagine di fittissima stampa a raffìronti difiasi • 
e parole tra 11 Filioi^ja e il Petrarca per oonclndere poi che il secentista non fa Imitatore 
del poeta antico? 

) Lo stile ora Involato e contorto, ora languido e sciatto, non rende davvero piacevole 
la lettura. Improprietà e frasi poi del genere di quelle, che tra le molte scelgo ad es., come 
approvare In chi deve necessariamente farsi giudice dell' altrui buon gusto e oorrettesza ? 
* arritart a questo deperimento della sua fama , (p. 16); * il poeta ebbe ad introdurre nella 
propria arte... non poche cose che egli derivava ecc.^ (p. 37: ofr. p. 128;; *il sentimento 
nudo e crudo (sic) non basta né al poeta né air artista . (pp. 83 e 84); "due poesie così 
ticim e per T argomento o per la composiiiom , (p. 99); * 11 Filiera . . . illustrò incoscientemente 



218 RA88BGMA BIBLIOORAFIOA 

pur COSI cornee, per P abbondanza della materia raccolta e ordir 
nata con diligenza veramente ammirabile, rende possibile tal^ 
sicurezza di giudizio, che nel passato mancava» 

Il Filicaja gode buona nominanza — e non a torto — per le 
sue poesie politiche. Vero è, che i sonetti airitalia né fremono 
armi, né chieggon vendetta, ma, espressione di natura delicata e 
femminea aborrente dal fragore delle armi e fiduciosa in Dio, 
muovono con tristi querele su la misera destinata alla servitù o 
alla morte: ad altri s^ appartenne di risvegliare con più gagliardi 
accenti gli smarriti spiriti degli Italiani. Ma la vittoria degli im- 
periali sulle orde turchesche infiamma il poeta di ardor sacro; 
pure non il valore polono trionfa nel verso rimbombante, ma la 
fòrza della Fede ricacciante P Eresia nelPA verno, ma la vittoria 
di Cristo contro Maometto. £ la Canzone per TAssedio di Vienna, 
bel contesto di classico ordito e di biblica trama, a malgrado di 
ogni artificio o apostrofe o reticenza, sfiderà per molti anni an- 
cora r oblio che già copre quella a Leopoldo I, inetto principe 
gemente presso gli altari mentre i nemici battono in breccia le 
mura della città, o quella a Giovanni Sobiesky, a cui V onore della 
vittoria è conteso dalle forze celesti combattenti in suo favore. 

Un sentimento religioso intimo e ardente pervade la poesia 
del Filicaja, e non è rara in lui la contemplazione mistica, la vi- 
sione, Testasi, onde qualche componimento minaccia con la terri- 
bilità biblica e qualche altro carezza con la soavità francescana ; 
ma lo scrupolo, malattia del secolo, spesso V affligge, e proponi- 
menti e consigli informati a unzione religiosa, e panegirici di 
santi e apologie di miracoli ce lo mostrano vincolato alle forme 
esterne del culto, più che non si convenga ad un uomo di fede 
illuminata e cosciente. Non ebbrezze di amanti, non sorrisi di na- 
tura accoglie la Musa di lui, che fin neìV Amore onesto intravede 
pericoli e che, della Croce facendo sua Clio, non dagli uomini o 
dal mondo attende felicità perfetta. L^ amore della fama soltanto 
— pallido raggio di classicità — si fa strada nell'animo suo pur 
fra le ascetiche contemplazioni. E grati siamo al C, che ci svela 
questo nuovo aspetto del poeta, pubblicando il Prometeo, tra i 

^ I l'ArcadU] « (p. 2Q6): * Leggendo questo critica e questo difesa si prova tonto stupore, che 
non fa (sic) nessiiu effetto le conclusioni a cui arrivano e il criticante e il difensore . (p. 260); 
* quello (sonetto] che ho citoto per il primo pecca di incouiitHnsa{\\) nelle ripetizioni ecc. , 
(p.27a); a p. 279, ad evitare l frontoli esornativi, vorrebbe che il Filicaja ci 'avesse dato 
dei 9on$iii o sema una quartitta o senza una iersiua, o in qualche altra maniera monchi . . . ,: 
a p. 280, l'a. lamento in persona del Filicaja. che nella poesia di lui si possa trovare.... 
"ben misero Vannameutario rappresentatiro(ìl); "Cristo nell'orto è «no presso alla morte, 
(p. 283); *n Filicina ò pieno di remiuisceme di si stesso^ (p. 302); altrove è scritto: * può 
essere che tutto questo ed anche altro, ohe io non conosca, abbia esercitoto un'a£ion< 
QumìUaUsa sul FiliaOi^ii (p328): ecc. ecc. 



OSLLA LtttTBRATUtU ITALIANA 2l9 

migliori componimenti filicajani^ se ben lontano dal concetto e 
dalla grandezza eschilea. 

Ma la classica plasticità delle immagini, onde ancora s^ abbella 
la poesia del Testi, manca a quella del Filicaja. Nella quale, >1 dis- 
sidio tra forma e pensiero, principio e fonte di decadenza, più grave 
forse si rivela che in quella dei contemperanei. Le Muse iutrec- 
cianti ancora vaghe danze sotto il pennello di Giulio Romano^ 
fatte cristiane, si battono il petto e ostentatamente piangono col 
Filicaja i proprj peccati; cosf un giorno il Pantheon significò. 
gofiPamente coi suoi campanili la conversione alla nuova fede. Ma 
la libertà di plagio, tutta cinquecentistica, piace anche ai poeti 
del secolo XVII,. e TAlighieri, il Petrarca e il Tasso sono sac-. 
cheggiati a man salva dal poeta fiorentino, che al Marino, al- 
PAchillini ed al Preti sMspira nelle sue arguzie ed antitesi. Purè 
la maestria del verseggiatore i ritmi antichi bellamente accorda 
coi nuovi, e tale onda d'armonia ne trae, che spesso anche il critico 
più guardingo, appagato e sedotto, condona ridondanze e artificj. 

Guido Màj^àcorda. i 



J. GiLLiÉRON et E. Edmont. — Atlas linguistique de la Franee; 1.*"' fase. — 
Paris, H. Champion, 1902. 

Li* oggetto di questa pubblicazione è estraneo agli studj di cui questa ri* 
vista va seguendo il movimento; ma, per la consueta sua larghezza di ve- 
dute, il prof. D'Ancona ha volato eh* io ne parlassi in questa Rassegna, nella 
speranza che giovani italiani vengano stimolati a darci un* opera di pari 
utilità anche per i nostri parlari. Indicherò dunque la natura e il disegno 
àéiV Atlas, e dirò poi quale sarebbe il sistema da preferirsi per un'opera 
analoga sui dialetti italiani. 

La dialettologia di una nazione ha due intendimenti: uno storico, T altro de- 
fterittivo. La dialettologia storica studia di rifare a ritroso l'evoluzione dei sin- 
goli dialetti, dall'età dei più antichi documenti, o da quelle condizioni primitive 
che con la storia comparala di idiomi afflni si possano ricostruire, fino al 
momento attuale. La meta ideale della dialettologia descrittiva è di offrire 
una informazione esatta e compiuta del patrimonio lessicale, una notazione 
precisa delle condizioni fonetiche, prosodiche, accentuati ve, una descrizione 
morfologica e sintattica di tutti i dialetti e sottodialetti di gna nazione. In 
tal modo, da una parte devono risultar determinati i gruppi principali e i 
sottogruppi, in tutta la loro estcusìone, e nello stesso tempo le minime va- 
rietà locali, e dall'altra parte deve risultare ben distinto quel che sia comune 
a tutto il paese, a più regioni, e quel che sia propriamente regionale, distret- 
tuale o locale, nel lessico, nella fonetica, nella prosodia, nell'accento, nella 
morfologia e nella sintassi. 

Un lavoro di questa che ho chiamato dialettologia descrittiva è l'opera 
insigne dei signori Gilliéron ed Edmont, di cui oggi ci occupiamo. 



2^0 RAdSfiONA BIBLIOGRAFICA 

Da quella che ho indicalo come la meta ideale di quesli sLudj è il loro 
Àlias, come si può facilmeule sospellare, di i^ran Irallo discosto. La Francia 
sola conta 37,000 comuni, il sig. Edmonl ne ha esplorati (chi potrebbe dire 
* soli , ?) 639, e, pur questo si può sospettare, la sua indagine dovette re> 
stringersi ad un numero limitato di parole e frasi. 

La prima parte del compito prefissosi dagli Autori consisteva nel notare 
gli equivalenti dialettali delle forme di un quislionario in un certo numero 
di punti, distanti presso che ugualmente gli uni dagli altri, di lutti i dipar- 
timenti romanzi della Francia e delle regioni francesi appartenenti ad altre 
unità politiche. 

Questo gravissimo compito fu assunto dal sig. Edmont; il quale andò pere- 
grinando per più di quattr* anni nel dominio linguistico francese, correggendo 
ritinerario anticipatamente stabilito, secondochè l'esperienza lo consigliava. 

il quislionario, pure preventivamente stabilito, conteneva: l.^ parole 
lessicali, o scelte nel repertorio popolare e particolarmente adatte a stabilire 
le leggi fonetiche dei parlari, o scelte nel repertorio letterario per mettere 
in luce da una parte il grado di vitalità dei singoli dialetti e dall* altra la 
misura dell* invasione del linguaggio parigino nelle provincie; 2.% parole 
di tipo popolare che si sapeva aver equivalenti lessicali diversi in diversi 
territori; finalmente, frasi semplicissime, atte a dare unMnformazione sulle 
forme flessionali del verbo, sulla dififusìone di certi schemi sintattici e sulla 
fonetica di proposizione. 

I signori Gilléron e Edmont hanno ben diritto alla riconoscenza degli 
studiosi. L* opera loro, infatti, ofifre alla scienza gran copia di materiali nuovi, 
riproduzioni graficamente esatte di materiali vecchi e informazioni ' assai più 
esatte di quanto non si avessero sulla estensione di molti fenomeni fonetici 
e suiruso delle voci e frasi del quislionario. 

Compiuta questa esplorazione, i chiari Autori posero roano al loro ardito 
e faticosissimo disegno di trasportare su tanle carte geografiche le rispon- 
denze dialettali alle singole glosse del quislionario. Un «tal disegno, anche 
se, come dovrò dire, io lo avrei voluto eseguilo in altro modo, non si sa- 
prebbe abbastanza lodarlo : solo ad un profano potrebbe una tale idea parere 
una stranezza; ma probabilmente nessuno vi sarà fra quanti hanno rivolta 
la loro attenzione a sludj dialettali che non abbia nel suo cassetto qualche 
abbozzo analogo fallo per proprio uso e consumo; la carta è per il dialet- 
tologo quel che la figura per chi s' occupa di problemi geometrici ; inquan- 
toché la caria ci permette di fissare nella memoria nettamente e tenacemente 
r estensione geografica dei fenomeni dialettali. 

II primo fascicolo, che solo ho sotto gli occhi, deWAtlas consta di 44 
carte. La prima contiene i nomi francesi delle località; accanto al nome di 
luogo è indicata in parentesi la cifra degli abitanti; un* altra cifra, scritta in 
nero sopra o sotto il nome di luogo, indica 1* ordine progressivo delle esplo- 
razioni fatte; la seconda carta contiene i medesimi nomi locali nella forma 
dialettale; la terza, interessantissima, ci offre la forma dialettale degli appel- 
lativi degli abitanti; dalla quarta in poi troviamo le risposte dialettali alle 
voci e frasi del quislionario (per esempio ad abitile, à Vabri,aeier, il s^a- 
genouilleraieMj tnoije ne les aide pa8, alUr chercher,je vaia, tu va$, où vas-tu, 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 221 

va, nous allons, toi tu iras, que f ailU, allez, $ont alUs). Il nome del luogo 
Doa ricorre se non nella prima carta; nelle carte successive, air indicazione 
del nome locale son sostituite le cifre d'ordine dell* esplorazione. Non si veda 
in ciò solo una semplificazione del lavoro tipo-litografico; è questo un abi- 
lissimo mezzo per render a colpo d'occhio perspicui nella terza carta la 
estensione geografica dei particolari suffissi formativi nei nomi degli a- 
bitanti, nelle successive carte 1* estensione geografica dei singoli fenomeni 
fonetici e delle parole o frasi; solo nella seconda carta, che contiene i nomi 
dialettali dei luoghi corrispondenti ai nomi locali in francese letterario, questo 
sistema era inutile, ed è anzi incomodo. 

A N. 0., in margine, ciascuna carta porta la segnatura delle voci o forme 
di cui si è domandato V equivalente dialettale. Nelle parole, che possono a- 
vere più d* uà* accezione, alla glossa marginale in caratteri neri va aggiunta 
fra parentesi T indicazione complementare del significato, ad es.: aiguilhn 
{tU guèpe). Per indicazioni su altri punti, come sulla separazione dei nessi 
sintattici, sul valore dell' interpunzione tra forme di un sistema morfologico, 
come in abeilU, abeilUa-agneau, agneaux, agnelle, sui criteri dell* accentua- 
zione ecc., rimando per brevità all'opuscolo Notice servant à l'intelli- 
gence des Gartes. 

Ho dato cosi un'idea sommaria, ma spero abbastanza chiara, sulla natura 
e la composizione di questo Atlaa linguiatique de la Franee, Ho detto an- 
che del suo valore e della sua utilità; se qui sotto io dovrò muovere qualche 
appunto al suo organismo, anticipo la dichiarazione che non intendo per ciò 
di diminuire la considerazione, che a quest'opera colossale è dovuta dalla 
critica. 

Passo ora ad esprimere il mio avviso intorno al modo come dovrebbe 
essere organizzata un* opera analoga sui dialetti italiani. Questa per pili ra- 
gioni non dovrebbe essere una pedissequa imitazione dell'opera francese. 
Stabilito preventivamente sui materiali già noti il programma della ricerca 
in un quistionario simile a quello degli Autori francesi, e raccolti sui luoghi 
i materiali opportuni, questi andrebbero prima pubblicati in un libro ad 
illustrazione sistematica dei singoli quesiti fonetici, morfologici, sintattici, 
secondo l'ordine in cui si presentano nelle trattazioni grammaticali. A questo 
libro dovrebbe poi essere aggiunto come appendice l'Atlante. 

Le ragioni di questo diverso ordinamento sono ovvie. Il lettore avrà 
veduto dalla mia recensione, che ad opera compiuta noi avremo weW AilaB 
L d. /. Fr, un piccolo lessico vero e proprio, esposto su carte geografiche ed 
ordinato in ordine alfabetico. Ora non si riesce quasi a persuadersi del 
perché, dopo aver durata l'immane fatica che ho descritto, ì due chiari 
Uomini si siano appagati della modesta soddisfazione di offrire agli studiosi 
dei materiali grezzi, sopratulto quando si pensi che sarebbe bastato loro 
dì seguire nella pubblicazione l'ordine preventivamente, stabilito nel questio- 
nario. Si opporrà facilmente, che una stessa parola può servire ad illustrare 
da per sé più paragrafi di fonetica ed insieme uno di morfologia o di sin- 
tassi; ma appunto per questo era opportuno di fare dell'Atlante l'appendice 
d'un libro sistematico, dai singoli paragrafi del quale si rimandasse ad una 
più d'una delle carte. Si noti ancora, che le carte misurano 54X6^ ^^'i 



222 RAR8BGMA BIBUOGRAFIOA 

8Ì peDsi che i romanisti e specialmente gli studiosi di dialettologia avraa 
da ricorrere ad esse quasi continuamente per attingere o veriBcare noziooi 
attinenti a singoli problemi, e si capirà che per tale ufficio è comodissimo 
il libro, e che un Atante delle belle dimensioni dette finisce contessere molto 
incomodo. Né si obbietti, che V Atlante, che io vorrei V appendice di un libro, 
riuscirebbe un duplicato del libro stesso; T Atlante, come ho detto, servirebbe 
sempre ad offrire una facile e comoda visione dell* insieme. 

Io reputerei inoltre necessario, che nella esplorazione dialettale del nostro 
paese si tenesse anche conto delle cause etnologiche, storiche e geografiche, 
onde ebbero origine, prima, le differenziazioni, poi, i livellamenti dialettali^ 
Supposto che occorra per taluno esser più chiaro, dirò, seguendo TA^oli, 
che le peculiarità fonetiche, onde si differenziano i varj dialetti di un tipo 
linguistico unico, s' hanno ad attribuire alla cosidetta reazione etnica, cioè a) 
particolar {fiodo, onde l'organo vocale di un popolo o d' una tribù riprodusse 
foneticamente la lingua impostagli. Ma i varj coloramenti iniziali sogliono 
andar sbiadendo ed acquistando una tinta uniforme su vasta scala. Condii 
zione perché ciò s'avveri è la frequenza dei commerci; e questa frequenza 
è determio^ta dalle condizioni fisiche e politiche di una regione; e due ag- 
gregati politici limitrofi sogliono anche esercitare ciascuno per suo conto 
una attrazione centripeta, pur se le condizioni naturali del paese sian siffatte 
da avviare i commerci per altre vie. Noi conosciamo un po' air ingrosso T ef- 
ficacia linguistica assimilatrice che esercitarono, in proporzioni assai più 
grandi che non la lingua letteraria, i dialetti parlati nelle capitali degli sta- 
terelli, nei qu&li la nostra Italia fu divisa, sulle parlate dei territori a quegli 
stati pertinenti. 

Di tutte queste cause geografiche e politiche e degli effetti loro andrebbe 
tenuto esatto conto e nota nella esplorazione e poi fatta relazione nel libro 
e neir Atlante. Certo non sarebbe facile fissare tutte queste condizioni su 
carte; ma mani esperte, come ad es. quelle del PuUè, che nell'Atlante an» 
nesso al suo Profilo Antropologico dell' Italia ci ha dato mirabili saggi di 
pvidenza cartografica, potrebbero vincere le difficoltà. Anche, i limiti geogra- 
fici esatti - tanto interessanti per noi - dei singoli fenomeni potrebbero es* 
aere descritti su cartine oro-idrografiche minori, intercalate magari nel libro. 

In ogni modo però, la redazione preventiva del quistionario - e sarebbe 
una fortuna che essa potesse eventualmente esser fatta sotto la direzione 
4eir Ascoli - non potrebbe essere indipendente dal quistionario francese; ciò 
Bopratutto per riguardo alla parte lessicale. Assai spesso in questo la Francia 
meridionale si discosta dalla settentrionale e si avvicina al tipo italiano; 
sarebbe bene far risaltare quelle identità; e tanto meglio se si potessero porre 
in rilievo anche le differenze tra i due territori; con ciò si verrebbe anche 
a dar precisa materia per un capitolo sulla fortuna del latino volgare. 

L'esecuzione del piano da me tracciate richiederebbe certo ancora, mag- 
gior tempo e fatica che non abbia richiesto l'opera egregia dei Francesi; 
tuttavia si pensi che l'Edmont fu solo ad eseguire le esplorazioni sul ter- 
ritorio francese, e, che una doppia, tripla mole di lavoro si otterrebbe, se 
gli esploratori fossero due o tre. 

Del resto, il meglio è nemico del bene, dice il proverbio; e formulo il 



DBLLA LETTERATURA ITALIANA 223 

voto che, comunque, questo lavoro dialettale per T Italia si faccia. S'k faccia 
almeno, perché è indispensabile, il libro, con le cartine intercalate che ho 
dello; fìssale precisamente le condizioni attuali, la redazione dell* Atlante, 
come d* un* opera di lusso e solo sussidiaria, potrà essere rimessa air avve- 
nire. A vincere lo sgomento della immane fatica, pensino coloro i quali 
vagheggiassero un tal disegno che legherebbero il loro nome ad un* opera 
hnperitura. E al voto che T opera si faccia, aggiungo anche il voto che sì 
faccia presto. L* azione livellatrice dei capoluoghi sui dialetti di provincia 
perdura perenne, e più grave di prima, per T unità politica, diviene razione 
analoga della lingua letteraria. Ad ogni lustro che passa, per i facilitati 
commerci, un sempre pili vigoroso colpo è inferto da quegli inesorabili e 
sempre più forti eredi sul corpo stremato delle variopinte parlate italiane, 
viva e cara reliquia dei tempi che furono. 

P. 6. GOIDANICH. 



Fbancesco Mokoncini. — Lezioni storiche di letteratura italiana de- 
sunte dalle opere di Francesco De Sanctis e adattate ad uso deU^ 
scuole secondarie. — Voi. 1, Napoli, Morano, 1902 (pp. XII-518). 

PoLicAiiPO Petrocchi. — La lingua e la storia letteraria di' Italia 
dalle origini fino a Dante. — Roma, Loescher, 1903 (pp. 304). 

Quando si ha per le mani alouu libro simile a questi che sono 
per esaminare, si corre subito con la mente a queir ideale di storia 
letteraria, che ogni onesto insegnante delh scuole secondarie 
viene vagheggiando via via, senza pur mai tentare di attuarlo, 
incerto ad ora ad ora tra le esigenze degli studiosi incontentabili, 
per cui anche tutto non è mai troppo, e le voglie degli studenti, 
facilissimi a contentare, per cui anche il poco è sempre troppo. 
E r ideale storia, per i licei o per altro siipile istituto o anche 
per le persone di media cultura, si fa presto a tratteggiarla. Uno 
sfondo storico, civile religioso sociale; una cornice artistica, scien- 
tifica; una fila, parecchie file, di piccole figure, un po^ velate dalla 
lontananza o dalla nebbia grigia a pena a fior di terra; sul 
davanti, con forte rilievo prospettico, poche figure gigantesche: 
e il quadro è bell'e disegnato. Ma siccome bisogna scrivere, com- 
porre, ecco che i fatti ed i concetti, generali e particolari, si ser ranp 
tra loro con i legami logici della possibile causalità, ecco che si ri- 
connettono alla creazione de' capolavori ; e questi, sopratutto que- 
sti, si analizzano neir intima contenenza, nella forma artistica che 
finalmente hanno preso. £ tutto va esposto con lucidità, con fa- 
cilità; ed ogni più astrusa idea va ridotta ad espressione concreta 
intelligibile a' più; e la mole de' fatti e de'giudizj va ristretta in 
breve rapido discorso. Che l'alunno non ha, non può avere, il 



224 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

tempo di studiarsi il testo di storia, come qaello d' un classico, né 
possiede la capacità di stillare dal testo il succo, di trarne le po- 
che formole entro cui costringere le notizie, i giudizj necessari 
alla sua cultura. E la breve storia, d* altro lato, deve essa fornire 
air insegnante come lo spunto per la illustrazione opportuna, non 
già imporgli la triplice fatica della spiegazione, della eliminazione, 
del riassunto. Il migliore e il maggior tempo della scuola dey^es- 
sere consacrato alla lettura de' classici. 

A tutto questo, ripeto, si pensa, quando si hanno per le mani 
libri come questo; e la comparazione tra Timagine vagheggiata e 
la realtà stampata riesce, naturalmente, a svantaggio dell* ultima. 
Non farà quindi meraviglia se io, giudicando modestamente da 
insegnante liceale, affermo che né Tuna né Paltra di queste re- 
centi storie letterarie risponde affini scolastici. 

Si può imaginare, per il solo primo corso, un libro di testo 
di 431 pagine? ed un altro che, in 300 pagine arriva a mala pena 
all'esilio di Dante, allo spuntare del secolo XIV? 



* * 



Al valente prof. Francesco Moroncini è parso opportuno formare 
un testo di storia letteraria, ponendole a fondamento il pensiero e il 
giudizio di Francesco De Sanctis, integrandola coi risultati della 
critica storica e filologica ultima nelle parti o neglette o errate 
dallo scrittore meridionale. E ne ha tratto fuori un libro, di cui 
un quarto, o poco meno, riguarda le origini etniche e glottolo- 
giche dell'Italia moderna, la letteratura medievale latina, proven- 
zale, francese, gli scrittori delle origini e i minori e mediocri del 
Trecento; i tre quarti rimanenti, si può dire, son consacrati a' tre 
grandi. 

L'evidente sproporzione per sé sola non guasterebbe, se le file 
schierate delle piccole figure non fossero come svanite all' oriz- 
zonte, se non ne fosse risultata una quasi totale mancanza di sfondo 
storico. Noi vediamo i tre grandi giganteggiare come in una 
campagna rasa per guerra; poche erbacce resistenti vi spuntano 
qua e là. Tutto il fervore di vita politica, di vita scolastica, di 
vita artistica, che ribolle in que' primi secoli, che all'occhio non 
svigorito da miopia sembra aver dato a'genj motivo, incentivo, 
educazione, materia, appare qui sedato, o per scarsi accenni s'in- 
dovina a mala pena. La diversità de' tempi, causa efficiente non 
de'genj, ma del loro diverso pensare e atteggiarsi, se talvolta 
semb»'a indicata o anche tratteggiata, non è però svolta né il- 
lustrata come pur si dovrebbe. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 225 

Questo difetto altri potrebbe attribuire al De Sanctis, non al 
Moroncini. Ma è ben male (o mi sbaglio forse?) aver voluto in- 
tegrare il De Sanctis ; la cui opera (intendo specialmente la Storia 
Letteraria) è concezione critica a sé, opera d^arte vera e propria 
di queir ingegno singolare. Né mi sembra lecito rimaneggiarla, 
come si farebbe di un libro qualunque d^ erudizione pura e sem- 
plice, tanto che le parti originali vadano confuse con quelle ag- 
giunte: né mi sembra cosa molto riverente verso il De Sanctis 
riprodurne passi interi, con periodi tagliati via ovvero corretti 
o rifatti nella lingua e nella sintassi. Confronti, chi voglia for- 
marsene unMdea, il § 35 della lezione XII, epilogo al discorso su 
Dante, con la corrispondente chiusa del cap. Vili della Storia. 

Anche T ordinamento, T aggruppamento de* fatti letterari la- 
scia molto a desiderare. 

10 voglio pur riconoscere che a porre Dante, come il frutto 
ultimo della vita letteraria del Comune italiano, e di tutto il primo 
Trecento il Petrarca e il Boccaccio, Fautore dev'essere stato 
mosso da un concetto più tosto artistico che storico di compo- 
sizione. I veri frutti furono dati da essi. Ma chi è avvezzo, e non 
credo male avvezzo, insegnando, ad unire in armonia, per quanto 
sia possibile, Tordine cronologico e T ordine logico; si deve sen- 
tire a disagio di fronte a Cino, a' Villani, al Passavanti, a Cate- 
rina da Siena, collocati tutti prima di Dante. E P amore alla cate- 
goria degli imitatori non fa si che di Cecco d'Ascoli si discorra 
dopo il Boccaccio e il Petrarca? 

11 Moroncini ordina la materia che riguarda i tre grandi con 
questo sistema: ne narra prima la vita, ne rappresenta in breve il 
carattere; poi classifica, espone, giudica le opere minori; in fine, pro- 
cede air analisi del capolavoro. Confesso che il sistema conferisce 
alla chiarezza, facilita l'apprendimento: ma esso deve riuscire per lo 
meno discutibile a chi, avendo presente il metodo del Qaspary, 
seguito poi largamente e con frutto, mal si appaga di questa 
specie di stacco profondo tra la vita e le opere dello scrittore. 

La parte aggiunta dal Moroncini dimostra senza dubbio sicura 
informazione del materiale storico accumulato dagli ultimi studj; 
e si adorna di un bel pregio, non comune; l'esposizione, cioè, ne 
riesce lucida e ordinata. Ricordo, a prova, i cinque capitoli del- 
l'Introduzione e il capitoletto sul petrarchismo. Ma, dove egli 
riprende dal De Sanctis, gli avviene qua e là di riuscire impreciso 
o avventato; si affida troppo, mi sembra, all'afi^ermazione, al giu- 
dizio estetico di lui, senza aggiungere, dove pur si potrebbe e si 
dovrebbe, il proprio grano di sale. 

Di Guido Guinizelli, ad esempio, egli non dice chiaro se fu poeta 



RASSRONA RIRLIOORAFICA 

ò Ilo, e in quali rime; di Gino da Pistoja afferma che < crea nna 
scolastica poetica, una retorica ad uso dell' amore... dove vedi 
comparire ^li spiritelli d'amore», preesistenti, come ognun sa, in 
tutta la lirica del dolce stil novo. 

Il Sacchetti è conciato con questo reciso giudizio: «egli non 
« è artista, né pur d' intenzione ». Certi ambasciatori del Casen- 
tino delle novelle e certe «creature d'amor> delle ballate pro- 
testerebbero, a dir vero. Altrove la soverchia riverenza per il De 
Sanctis gli fa dir troppo male della canzone « Spirto gentil », una 
delle più gravi e appassionate poesie per il Muratori, il Voltaire e il 
Carducci. Per la stessa ragione non mi pare bene inteso il passaggio 
logico (e quindi la sua ragion d'essere) alla stanza VII della 
canzone «Italia mia». La stanza riesce tutt' altro che fredda e 
fuor di posto a chi consideri come l'argomento più grave, piti 
commovente, per i signori di quell'età, doveva esser proprio il 
pericolo di perdizione che l'anima loro correva, qualora essi per- 
durassero nelle fatali discordie. Anche un poeta moderno collo- 
cherebbe da ultimo, se non altro, il pensiero della vita breve, 
della morte vicina, come freno a tutti gli orgogli umani. 
• ' Conchiudendo: noi ci saremmo aspettati che la ricca corrente 
di pensiero critico proprio al De Sanctis, immessa nella corrente 
copiosa delle notizie e de' giudizj storici, ultimamente acquisiti, 
avesse dato luogo a fiume nuovo. In quest'opera, al contrario, i 
rivi delle due correnti sono come sviati e irretiti tra loro: le acque 
non mi sembrano rimescolate e fuse. 

L'utilità reale, che io credo si possa trarre dalla lettura di 
questo libro, consiste nella conoscenza piena de' tre capolavori tre- 
centistici, che si acquista dall'analisi rifatta, di su tutta P opera 
del De Sanctis, e disposta con lucido ordine, con opportuna par- 
tizione. ^ 



* * 



Ad una simile, non uguale, conclusione ci porta anche Pesa- 
me del libro del Petrocchi; a consigliarlo cioè come buona let- 
tura, ma per diversa ragione. 

Il filologo toscano, alla cui erudizione, alla cui acutezza inge- 
gnosa toglieva di serenità e di pregio certa subiettività passio- 
nata, prima che morte immatura, improvvisa lo cogliesse, aveva 
apparecchiato ricchissimi materiali per una nuova Storia lette- 
raria dell'Italia, da lui vagheggiata, cosi per ogni genere di per- 



1 In fondo al volume sou riprodotti per intero i quattro saggi danteschi del De Banotlt 
sq la i^'ancttca, sul Farinata, su Pier delle Vigne, sul Conte Ugolino. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 227 

sone colte, come per gli alunni delle scuole secondarie. Tanto ci 
assicura l'ottimo prof. Mario Menghini nelle due belle affettuose 
pagine, con cui chiude l'opera interrotta in sul IX capitolo della 
parte consacrata al Duecento, cui precede in quattro capitoli una 
Ifìtrodueione su le origini delle lingue e letterature neo-latine, 
sulla coltura del Medio Evo e su la letteratura medievale ante- 
riore alla nostra. L'opera si arresta, l'ho detto già, all'esilio di 
Dante; cosi che noi non possiamo misurare tutto il valore del 
Petrocchi, come potremmo, se egli si fosse cimentato con una 
almeno delle tre corone, con uno almeno de' capolavori. 

Anche dell'epoca trattata ci manca la piena rappresentazione; 
poiché nulla si dice della prosa nel periodo delle origini; ed è 
materia difficile e degna d'essere studiata novamente. A questa 
lacuna si aggiunge un'altra, per naturai conseguenza. Come il 
Petrocchi non c'informò degli influssi che sul sorgere della prosa 
d'arte volgare potettero avere le scuole di grammatica annesse 
alle scuole di notar ia, e delle epistole, de' parlamenti, delle dicerie 
in volgare non curò l'esame; così non mise nel debito rilievo quanta 
parte ebbe su la prosa e su la poesia nostra la scuola di retorica 
latina, tutta nazionale e già a poco a poco maturantesi classica^ 

Ma, pure cosi com'è rimasta, quest'opera ci lascia il desiderio 
di quella parte che la morte impedì fosse compinta. Né il desi- 
derio intiepidirà per altri difetti generali o particolari. La storia 
della trasformazione del latino ne' volgari romanzi cede senza 
dubbio per limpidezza e profondità a quella rapidamente trat- 
teggiata dal Rajna. Nell'ordinamento della materia, Gino da Pi- 
stoja (e forse anche Francesco da Barberino) mi sembra mal col- 
locato prima di Dante, e pur male dopo Jacopone i primi versi- 
ficatori in dialetto lombardo. Questa specie di precedenza che 
la Lombardia si acquista nella produzione volgare non è per nulla 
notata e spiegata. Né so qual necessità logica di causalità o qual 
intimo rapporto interceda tra la dottrina filosofica del dolce stil 
novo e « l' energia materiale accumulata » che « si cangia in 
€ energia fisica e intellettuale, in energia ideale e va presto alla 
«meta» (p. 241). Nella composizione dell'opera urta la mancata 
fusione di molte notizie storiche cosi della vita e delle opere degli 
scrittori, come di altri fatti e problemi, con la narrazione e rap- 
presentazione generale. Onde l'autore, per non venir meno agli 
obblighi suoi verso la scuola, dovette confinare parecchio in mol- 
tissime e lunghissime note. 

Con tutto questo, ripeto, noi desidereremmo l'opera intera. 

Gli è che, contro tutto questo, sta un quid novi nella conce- 
zione e nella esecuzione. Lo sfondo storico riesce qui dipiato con 



228 RA891IGNA RIBUOORAFICA 

ricchezza e con fedeltà. La narrazioae de^ fatti politici, la rappre- 
sentazione della vita civile e religiosa del tempo, e con intendi- 
menti e interpretazioni tutte moderne, hanno preoccupato Fautore 
assai pili che non si suole. E come in un tale ambiente sorga una 
letteratura grande e viva ben s^intende, o, per dir meglio, sMntui- 
sce: che difficilmente si arriverà mai a scoprire, a dimostrare, 
la necessità dell* intima connessione. 

A questo si vuole aggiungere il diletto che proviene dalla chia- 
rezza analitica, dalla vivacità spigliata, dalla facilità, dal correr 
via deir espressione, che sembra alla portata di tutti. 

Il libro si fa leggere; merito non piccolo, qualità non poco 
attraente. ^ Giuseppe Lisio. 



Antonio Bklloni. — Frammenti di critica letteraria. — Milano, Albrighi, 
Segati e G. editori, 1903 (16.«, pp. Xin-268). 

Questo volarne, a coi TA. nella sua modestia ha dato un titolo molto in- 
feriore alla importanza del contenuto, si compone di dieci studj, tre dei quali 
per la prima volta compaiono dinanzi ai lettori e gli altri faron già pabbli- 
catì, ma ora si presentano o con aggiunte e modificazioni o completamente 
rifusi. Noi li esamineremo partìtamente, cominciando da quelli nuovi. 

Nel primo di essi (Di alcune indicazioni cronologiche in Dante e nel Mun- 
saio, pp. 3-14) TA. mostra di credere che Tanno della Visione dantesca sia 
il 1300, quantunque da Purg, XXIII, 76-78 sembri trattarsi del 1301. Con- 
corda quindi col D'Ovidio {Studj sulla D. C, p. 547) nella tesi sostenuta, ma 
si stacca da lui nella scelta degli argomenti, non piacendogli ad es. 1* ipotesi» 
a dir vero un pò* audace, che il cinqu'anni di Dante sia o un errore dei 
copisti invece di un 4 in cifra, o uno sbaglio di calcolo del poeta. Il' B. in- 
vece pensa che Dante, anziché calcolare il tempo realmente trascorso, abbia, 
badato alle 5 cifre degli anni (1296 morte di Forese, 1297, 1298, 1299, 1300 
anno della Visione). Per dimostrar la sua tesi, il B. fa vedere che tale ma- 
niera di computo fu seguita anche da un contemporaneo di Dante, Albertino 
Mussato, là ove parla della ribellione di Padova agli Ezzeliniani. E anche in 
quel passo (nota il B.) ci fu chi volle vedere uno sbaglio degli amanuensi. 
Applicando lo stesso criterio ali* elegia De die natali del Mussato, il B. ne 
cava una novella prova che il poeta padovano nacque nel 1262, come il 
Gloria aveva sostenuto anni sono in una nota polemica. E se (com^è pro- 
babile) prima o poi si finirà per tener autentica la Quaestio de aqua et 
terra, allora, certi che Dante, come tutti gli uomini del M. E., pose la morte 
di Cristo nel 35, per far concordare il mille dugento con eessantasei di Ma- 



1 La tUmpa d«] Ubro, nella maggior parte, fQ carata con dillgensa dal prot Mario 
ICengblni, a cui parve coaf < di rendere un tributo di affetto alla memoria del oomplaiilo 
amieo, cbe molto rlpromettevasi da questo ano Uvoro ». 



DBLLA LSCTTBRATimA 1TAUA1CA 229 

lacoda e il 1300 anno della Visione, non resterà che rieorrore al cHteriò 
di calcolo fin qnt rilevato, ossia al calcolo materiale delle cifre, non deg^li 
anni compiuti.* 

Il secondo di questi nuovi studj ((?. B. Marino e Giovanni Everaeirts, 
p|). 935-38) ò un importante contributo alla conoscenza del corifeo del *600. 
11 B. infatti, confrontando le poesie del Marino con queHé dèi poeta belga 
Giovanni Everaerts (comunemente detto Giovanni Secondo, 1511-36), nota, tra 
queste e quelle, frequenti e rìlevaotissime analogie, sicché egli pensa ragio- 
nevolmente che r Everaerts fosse uno dei tanti poeti eaceheggiati dal poeta 
Napolitano, il quale- delle proprie scorrerie nelle altrui raccolte di versi non 
fece mai un mistero. 

Il terzo scritto (Sul sùggeUo della Rieeiarda di U. Foseoìo, pp. 241-58), 
dopo aTor riferito i giudi^ di Pietro Odescalcbi e del Garrer, i qoalt non 
seppero indicar la fonte della tragedia foscoliana, e T opinione del Mattoni, 
il quale vede solo una lontana parentela tra Rieeiarda e la Giulietta deBo 
Shakespeare, dimostra che la tragedia deriva indubbiamente dalla nov. l 
giorn. IV del Boecaeeio. Giunto a questa interessante e del Uilt^ nuova con- 
clusione, il B. vorrebbe dimostrare che il Foscolo si valse anche della Fran- 
e€9ea d'Anmino di Eduardo Fabbri, scritta prima, ma pubblicata dopo la 
Rieeiarda, Questa seconda ipotesi però è posta innanzi dubitosamente, e i 
pochi riscontri a cui il B. accenna non bastano invero a persuadere del tutto 
il lettore. 

Diciamo ora qualche cosa degli scritti già noti, ma comparenti qui con 
modificazioni ed aggiunte importanti. 

I. ^1* alcuni luoghi de* earmi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante 
(pp. 15-57). Fonde in uno i due suoi studj Sopra un poeto dell' eeloga re- 
sponsiva di Giovanni del Virgilio a Dante (Giorn. stor. d. lett, itaL, XXII, 



1 L'ingegQOM dimofttrazione non et Mmbn per nulla tnflnnata da qnanto ne dioe 
E. O. Pabodi, nel Bull, d, 8oe, doni., N. 8.,X, 194. " E Invece erano proprio yòlii! , eeclama 
il Parodi. E nota: 1996-97-9e-99-lS0O. Ofnqne anni, non T'è ohe dire. Ma, di graala, aegna il 
lettore qneato ragionamento: È nn Catto inoonteetablle che il àfoaaato ealcolò oome pauati 
o tòlti se anni tra il 20 giugno 1256 e il 20 giugno 1811, mentre in realtà non n'erano 
passati che 66. Vnol dire adunque che il MoMato, nel calcolare gli anni passati o wlii, 
comprese, insieme coi 66 anniyersarj del 20 giugno 1266, anche questo stesso giorno. — 
Secondo un tal metodo di computo si potrebbe dire che tra il 26 luglio 1296 (data della 
morte di Forese Donati) e il 26 luglio 1300 (anniversario di quella morte) sono panali 
cinque anni, mentre in realtà non ne sono passati che quattro. In altre parole si potreb- 
bero diro pataati o rnUi cinque anni, perché, comprendendo insieme con gli anniversaij 
anche la data della morte, si ha ciìt^iM volte il 26 Ivglio: 
I. [dato della morte] 26 luglio 1296 \ 
II. |1.* anniversario] 26 luglio 1297 f 

IIL ja.» anniversario] 26 luglio 1298 > = passati o vòlti cinque anni 
IV. [3.0 anniversario! 26 luglio 1299 I secondo il mstodo di com- 
y. {é.* anniversario] 26 luglio 1300 ' pntore del Mussato. 
Ora, poiohé il colloquio tra Forese e Dante nel o. XXIII del Pt%rg„ si finge avvenuto 
nWte fine di mano * ai primi di aprile del 1300, cioè circa tre miti prima del 26 luglio 1300, 
anniversario della morte di Forese; se, nel giorno 26 luglio 1300, si potrebbero dire (se- 
condo il modo di computore del Mussato) paenafi o bòUÌ eluqne anni, nel mano-aprile del 
1800 si potran logicamente dire non pasentì, non nmnra vòlti dnqno anni. Questo francamente 
il nostro pensiero, che ci duole discordi da quello dell'amato Maestro. 

16 



230 EtAflSBOMA BIBiaOGRAPlCA 

269 e sgg.) Intorno a du4 passi di un' eeloga di Dante {Areh. veneto, laglio- 
selt. 1895), teDendo specialmeute conto della recentissima edizione crìtica dei 
sigg. Pb. H. Wieksteed ed E. 6. Gardner Dante and G, del Virgilio (West- 
minster, A. Gonstable, 1902), della quale il B. s*è Decapato estesamente in 
una recensione che venne inserita nel Oiorn, storico (XLII, 181). Il B. ribatte 
alcune osservazioni mossegli dai sigg. W. e G., e torna a sostenere con forti 
argomenti la lezione potabor in III, 88-89, mentre i due inglesi accettano la 
lezione portabor data dal solo ms. Estense. La discussione intorno a questa 
lezione è importante, perchè implica T altra questione dei rapporti interce- 
denti tra i varj mss. Si noti che il Parodi in una recensione del lavoro in- 
glese (in Giorn. dantesco, X, 51 sgg.) non accetta V opinione dei critici in- 
glesi, ai bene quella del B., la quale fu pure accolta dair Albini in suo articolo 
(v. Atene e Roma, IV, 35). Riproducendo la propria interpretazione dei primi 
versi del carme II, già riconosciuta giusta dal Parodi, il B. la conforta d* un 
nuovo riscontro con Lucano (Farsalia, IX, 528-30), e a proposito dei vv. 84-87 
dello stesso carme, il B. dà una nuova interpretazione della tanto disputata 
delfica deità del Paradiso, I, 31-34. 

II. SulV episodio di Ciacco (pp. 61-83). Fonde insieme i due scritti Osser- 
vazioni sull' episodio di Ciacco in rapporto colV episodio di Farinata (Padova, 
Draghi, 1899) e Ciacco (in Biblioteca delle scuole italiane, agosto-settembre 
1900). Con un'argomentazione molto sottile, ma che non può esser detta 
sofistica (ci duole che la deficienza di spazio impedisca di riassumerla), so- 
stiene che probabilmente 1* episodio di Ciacco nel e. VI dell' Inferno è una 
inserzione posteriore. Ripubblicando i due articoli qui uniti, il B. ha aggiunto 
parecchie nuove osservazioni. In complesso le dimostrazione di questa tesi 
importante, se non persuade del tutto, fa pensare, 

III. Sopra un luogo deW episodio di Farinata (pp. 87-92), già pubblicato 
in Rassegna mensile di lettere, di storia e d'arte, a. I, n. 3. Sostiene che il 
regge (Inf. X, 82) non significa torni, ma regga, resista, tenga fronte [agli 
assalti della sorte]. 

lY. Per la storia letteraria di Padova (pp. 95-129). Ripubblica due scritti, 
Tuno Di due Scipioni Sanguinacci rimatori padovani de* secoli XV e XVI, 
già inserito nella Rassegna Padovana, a. I, fase. 1, 1* altro Di Antonio Ongaro, 
notizia biografica, uscito nella Rassegna mensile citata, a. I, un. 1-3. Il primo 
dei due scritti ricompare quasi immutato, il secondo invece è ampliato no- 
tevolmente ed arricchito anche di documenti delPArchivio del Museo Pado- 
vano. 

Y. Di due pretesi inspiratori del Tasso (pp. 133-164). La prima parte di 
questo studio è essenzialmente polemica : in essa il B., ripubblicando il suo 
scritto Della S triade di Pier Angelio da Barga ne* suoi rapporti cronologici 
con la Gsrnsalemme liberata (Padova, Draghi, 1895), combatte la conclusione 
a cui giunse Vincenzo Vivaldi,* e rende la propria dimostrazione più salda 

1 II Vitaldi aostenue \% derivAzione del Tasso dal Bargso nel ano lavoro SulU fonti 
dilla Ger. lib. (Catansaro, Calò, 1893), voi. T, p. 9, ribadi la propria opinione in Aa più grand* 
polemica del cinqwunio (Catanzaro» Calò, 1895), p. 101 sgg.. e in Varia (Catansaro. Calò, 1896), 
p. 168 sgg.; e finalmente nel piti recente stadio La Qer, Uh. studiata nelle ette fonti (Traol, 
Vecchi. 1901), p. 20 sgg., mostra di continuare ancora a considerare la Siriade come noA 
fonte della liberata. 



OBM.A LBTTRRATURA ITAI.IAHA 281 

e compatta, condensandola e sfrondandola da molte digressioni superflue, che 
lo scritto aveva nella sua forma primiera. — Nella seconda parte il B. traccia 
il ritratto morale di Giovan Mario Verdizzotti, bizzarro prete veneziano che 
si vantò d*aver inspirato al Tasso il Rinaldo, Egli sostiene la vanità di tale 
vanto, e combatte il Proto, il quale recentemente s' industriò di dimostrare 
che il Tasso poteva aver tratto V inspirazione del Rinaldo dal 1.* canto del- 
VAapramonte del Verdizzotti. * Il B. reca innanzi molte ragioni, specialmente 
d* indole psicologica, per provare che il Verdizzotti non disse il vero, e cosi 
facendo amplia notevolmente il suo studio Di un altro inspiratore del Tauo, 
già comparso nel Oiorn, at&r. d. iHt. Hai, XXVIII, 176 sgg. 

VL TeBtianà (pp. 167-221). Comprende, ma interamente rifatti, tre scritti: 
Testi, Tastoni e Marino i {Propugnatore, N. S. voi. II fase. 9), Oli amori di 
Pùntea (id. id. fase. 11-12), Di una poesia anonima del secolo XV II (id. voi. 
IV, fase. 22-22), e si vale, oltracciò, di Un capitolo inedito di Fulvio Testi, 
inserito dallo stesso B. in una Miscellanea per laurea (Padova, Gallina, 1801). 
— Il poemetto comunemente noto sotto il titolo di Pianto d' Italia è, se- 
condo il B., veramente del Testi. L* egregio critico, rifacendo il suo studio, 
ha condotto la dimostrazione con altro metodo, appoggiandosi cioè con ar- 
gomenti d'altro genere che non siano quelli dedotti da raffronti stilistici. 
Risalgono* a più di dieci anni fa gli scritti coi quali il B. sostenne contro il 
Mango che il Pianto è opera del Testi; fa perciò meraviglia che il prof. F. 
Bartolì, in un articolo del Fanfulla della Domenica uscito quasi contempo- 
raneamente al libro del 6. (26 luglio 1902), se la prenda col B. con molto 
mal garbo, per certe osservazioni che quesii gli fece quando egli volle so- 
stenere che le Filippiche sono del Testi, appoggiandosi anche sul fatto che 
presentano delle somiglianze col Pianto. Il B. gli osservò, che vi sono, è vero, 
le maggiori probabilità per credere che il Pianto sia del Testi, ma la cosa 
non essendo sicura, non si può prender codesta ipotesi, per quaato proba- 
bile, come caposaldo d' un* altra ipotesi. Or poi vediamo con meraviglia che 
il Berteli, pubblica senz' altro le Filippiche come opera del Testi nella Btblio- 
teca Universale del Sonsogno; e con dispiacere vediamo anche eh* egli vi 
ripete nella prefazione gli attacchi al B.* — Nella seconda parte di questo 
studio il B. dà notizia di due canti in ottava rima del Testi Oli amori di 
Panica, ì quali sono pubblicati per la prima volta interi in appendice. 

VII. Di una probabile fonte del ' Consalvo , (pp. 261-68). La probabile 
fonte del Consalvo leopardiano sarebbe un episodio del Conquisto di Ora- 
naia di Girolamo Graziani. Questo studio fu già pubblicato nel Rinascimento 
di Foggia, agosto-settembre 1895. 



1 Quittioni iaaaetche, lì, 0. M, VerdiMMoUi t il • Rinaldo „ In RasMgna eniica d. liti, ita!., 
VI.p.97. 

* Mentre oorreggo queste bosze redo che 11 Bxllomx h» risposto argutamente al Bar- 
toU neir opuscolo L$ Filippieht « la Pietra d«l ParagoMe. Verona, Franchini, 11)08 (estr. dalla 
ìliJteiUanea nuMiaU Pellegrini- Butti). In quest'opuscolo il B. osserya ohe, lasciandosi guidare 
soltanto dal fallace criterio delle analogie stilistiche (unico criterio seguito dal Bartoli), si 
potrebbe molto ageyolmente dimostrare ohe le Filippieht sono del Boccalini, poiché tra le 
Filippiekt e l'opera boccaliniana corrono molte somlglianse di pensiero • di fnae. 



232 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

Riassumendo, i varj sludj di questo volume dimostrano una volta di più 
quell'acuta diligenza che fa dell' autore del Seicento un dei nostri migliori 
studiosi, e se non portano gran luce alla nostra storia letteraria, ne chiari- 
scono qua e là alcuni punti, e spesso con ipotesi ardita (v. ad esempio i quattro 
studj danteschi) aprono la via a discussioni ed interpretazioni nuove. 

Dino Provbnzal. 



Bime antiche saiesi travate da E. Molteni e Ulastrate da V. Db 
Babtholqmabis con Appendice. — Roma, presso là Società filo- 
logica Romana, M. DCCCC. II (di pagg. 45 in 16.*). 

La giovane Società filologica romana, in poco più di due anni 
di vita ba felicemente intrapreso pubblicazioni notevolissime per 
la storia della nostra antica letteratura, fra le quali una Miscel- 
lanea di letteratura del medioevo di cui la prima puntata è un 
mazzetto di Rime antiche senesi per cura di Vincenzo De Bartho- 
lomaeis. Il ritrovamento di queste rime è dovuto veramente a 
Enrico Molteni, giovane romanista il quale, dopo aver dato un 
saggio assai lusingbiero de* suoi studj e del suo ingegno, mori al- 
cuni anni fa con vero danno della filologia romanza. Il De Bar- 
tholomaeis, esaminando recentemente le carte del Molteni, cbe con 
provvido consiglio sono state depositate nella Biblioteca Ambro- 
siana di Milano, e compilandone un inventario che ha pubblicato 
in appendice al volumetto di cui discorriamo, trovò un frammento 
di codice nella cui copertina si legge di mano del Molteni Poeti 
antichi senesi raccolti da Celso Cittadini. 

Di questi poeti senesi raccolti dal dotto Cittadini si conosce- 
vano finora diverse copie, autografe in parte, ma tutte piò o meno 
incomplete: quattro nel cod. misceli. H. X. 2 della Comunale di 
Siena, una nel cod. H. X. 47 della medesima biblioteca e un* altra 
nel cod. XLV. 18 della Barberina di Roma. Ora a chi esamini il 
frammento molteniano balza subito agli occhi, per la differenza 
della scrittura dovuta a momenti diversi, sebbene in tutto il 
frammento della stessa mano del Cittadini, che esso consta di tre 
parti o^^yf; che y è indipendente dalle sopradette copie di cui 
riproduce il contenuto, che a e ^ si connettono immediatamente 
col codice H. X. 47, di cui reintegra la primitiva enumerazione 
delle carte. Il frammento del Molteni, adunque, completa una delle 
copie esistenti, e ad esse ne aggiunge una nuova. 

La copia più ampia delle rime senesi ci viene offerta ora da 
H. X. 47, che contiene ventitré compouimenti distribuiti nelle carie 
superstiti 14»-32**^ e 60•-63^ delle quali le ce, 29»-30*»> e 60*-63^ 



t^ÈLtk LÈTffckATURA itÀLlANA 28^ 

appartengono al frammento molteuiano. Per nostra fortuna, le 
rime che si leggono in queste ultime erano fino ad ora scono- 
scinte, perché, contrariamente a tutte le altre di cui conosciamo 
la fonte usata dal Cittadini o almeno una copia ad essa paral- 
lela, delle prime non sappiamo donde fosser tolte dal dotto filo- 
logo senese. Ma, considerato il loro genere, di poesie borghesi e 
occasionali,» come vedremo; considerato che il Cittadini dovette 
avere dinanzi un testo assai antico, di cui non sempre riuscì a 
decifrare la scrittura, come appare dalle lacune della sua copia; 
considerato che di esse poesie il medesimo Cittadini ci ofi^re una 
data; non credo sia avventato il pensare, eh* egli le copiasse da 
qualche vecchia cronaca a noi ignota o da libri d'Archivio da- 
tati, scritti di mano di qualche notajo, e quindi in una lettera 
che non dovea esser facilmente intelligibile al Cittadini. Sarà 
perciò il caso di tentar qualche ricerca nell'Archivio senese? Altri, 
che può, vegga; noi vediamo intanto qualcosa delle poesie. Le 
quali non sono molte, quattro in tutto; « ma, osserva il De Bar- 

< tholomaeis, sarebbe assai difficile di ritrovare, entro un'ambito 

< 81 ristretto, maggiore varietà di sostanza e di forma. Qui la pa- 
€ rodia religiosa, che rammenta i goliardi, e la grave tenzone 

< politica; qui la satira aggressiva e personale e la canzone amo- 
€rosa; qui la poesia borghese e la cortigiana, la poesia d'im- 

< pronta popolaresca e quella di raffinata struttura provenzaleg- 
« giante ». Sono documenti tutti, eccetto uno del 1321, che risal- 
gono alla metà circa del dugento e però della massima impor- 
tanza. La prima è una poesia nella quale un Rugieri racconta la 
sua < Passione ». Un giorno egli andò a mangiare insieme coi 
Patarini, e pare che con essi sparlasse del clero. Apriti, cielo! E 
citato a comparire dinanzi al tribunale dell'inquisizione, che si 
componeva del vescovo e di pili che cento giudici feroci € Ke di- 
cieno tutti di none ». II rimatore enumera a uno a uno i giudici, 
ai quali, parodiando, dà nomi di diavoli u di nitri personaggi della 
vera Passione, rappresentando se stesso, come Cristo, innocente : 

Erode v*eiM e Ghaifasso, 
Et Pilato et Setenasso, 
Et Longino et Giudeasso, 
Maricas et Barnaba^sj. 

Gainziano v*era e Nerone, 
Et Staroto et Ferraone, 
Balzabue e Raciglione, 
Ke dicieuo tutti di none. 



234 RASSISQHA BlfiLIOOttAnOA 

Gomincia V interrogatorio ; il povero Rugieri si scusa dicendo che 
non credeva che i suoi commensali fossero patarini, e poi ag- 
giunge: 

Omo di mia arte non si puoe ischasare 

Ki lo *Dvita, ke non vada a mangiare. 

Ma pare non gli valga nulla; e gli ultimi versi della poesia, che 
non ci è conservata intera, echeggiano del grido: a morte! di quei 
feroci giudici: 

Non gnarischa, anzi sia merlo, 
Non ì sia fatto dricto, anzi torto ! 



Il metro è la quartina nionorima di doppj quinarj i quali di- 
scendono talora fino a òttonarj; metro proprio delle narrazioni 
giullaresche della Passione. Il testo è tutto . chiaro, eccetto due 
versi dove ricorrono in rima due parole, ingrati e bistartotif che 
non si sa che cosa voglian dire: la seconda credo debba dividersi 
bistar loti; ma come spiegare la prima parola? Scuto nel v. 12 
significa difesa, non denaro. Il Cittadini in una sua postilla an- 
notò che la poesia è del 1262: donde tolse la preziosa indica- 
zione che ha tutta l'aria di derivare da una fonte sicura? Ogni 
cosa si spiegherebbe, mi pare, se pensiamo che la vivace composi- 
zione derivi da libri d'Archivio, come le rime che il Carducci ed 
altri trassero dai memoriali bolognesi. 

Un' altra composizione assegnata dal Cittadini al 1321 è una 
ballata politica indirizzata al Conte Loffredo del Conte Benedetto 
Gaetano d'Anagui, nipote di Bonifazio Vili, che fu podestà di 
Siena nel 1321. Non pare che i senesi fossero assai contenti del- 
l'opera sua, e il rimatore, che il Cittadini in una sua postilla dice 
possa essere «Simone di Neri di Ranieri Cittadini », fieramente 
d^idendolo gli ricorda in ogni sti*ofa una delle sue prodezze, e 
termina sempre il suo dire con un pungentissimo ritornello : 

Deh Gontin, torna in Campagna. 

col quale rimanda il messere da Siena alla sua Contea di Fondi. 

Il De Bartholomaeis osserva che il Tommasi nella Historia 

di Siena < porta sopra il Conte di Fondi un giudizio assai di- 

< verso dal contemporaneo che sfogava il suo odio contro di lui 

< con questa ballata ». Ora il Cittadini a fianco al v. 6 < e giu- 

< dici e cavalieri » cita alcuni nomi, e rimanda a un < lib. Magi- 
€ straturae » che forse, ricercato, potrebbe dar maggior lume a noi, 



DbLLA LftTTltRAttTtU itALIANA 23S 

come pare Io desse al Cittadini. Una minaccia del rimatore al 
Conte se yolesse restare a Siena, parrebbe richiamarci al poema 
dantesco : 

Se ci stai, havrai del fracto 

D* Alberigo di Romagna. 

Il De B. prudentemente non ardisce affermare se qui si alluda 
al dattero per fico che il faentino raccoglieva nella ghiaccia 
dantesca, ovvero a quello della tradizione corrente intorno ad 
Alberigo. A me pare da escludere P accenno dantesco, e lo stesso 
vedo che pensa il Mazzoni; ' i due versi pianamente spiegati si- 
gnificano: se tu vorrai seguitare a esercitare le tue male arti qui 
a Siena, un bel giorno mangerai delle frutta che il frate Gau- 
dente Alberigo offri ai commensali, secondo il noto racconto ; cioè 
i senesi ti faranno accoppare. 

Pili curiosa e più notevole è la terza poesia, una tenzone po- 
litica nella quale daccapo un Rugieri scambia cobbole con un 
Provenzano che il Cittadini senz^ altro identifica, e sembra assai 
ragionevolmente, col noto personaggio dantesco che espia i suoi 
falli nel girone dei superbi, perché fu < prosuntuoso a recar Siena 
< tutta alle sue mani ». Anche questa poesia ha alcune annota- 
zioni del Cittadini, che fra le altre cose avverte: « Composta nel 
« 1262. A messer Provenzano Salvati (sic) ed è delle più antiche 
« scritture di lingua toscana che si trovino oggi fra noi ». Vera- 
mente non è indirizzata a Provenzano, sibbene è una tenzone, 
(e kostune » anzi dice la poesia con singolare novità dalla nomen- 
clatura provenzale, novità che par derivata dalla tradizione sco- 
lastica) fra Provenzano e Rugieri. Ma la data che indica il Cit- 
tadini coglie nel vero, come mostra il De Bartolomaeis; il quale 
s* industria, al lume degli avvenimenti senesi della fine del 1261, 
di restringere i lìmiti cronologici fra il gennaio e il febbraio del 
1262. Abbattuti i guelfi nella giornata di Montaperti, i senesi e- 
rano insidiati dal pontefice Urbano IV, che tentava approfittare 
delle rivalità cittadine per dividere i ghibellini vincitori. Una 
congiura, per cui fu ucciso il figlio di un priore, parve favorire 
le intenzioni del papa. I priori condannarono nel capo gli assas- 
sini; ma i guelfi, cui appartenevano i congiurati, giudicarono ec- 
cessiva la punizione trattandosi di una vendetta privata; grida- 
rono alla tirannide, che dicevano favorita dal re Manfredi, e sde- 
gnosi uscirono di Siena, ritirandosi nel Castello di Radicofani, 
dove si preparavano alla riscossa. 

i la un artloolo pubblicato nel GiorwtU d' Italia del IS nov. 1902. 



236 RASSkuNA maLloGRAFiòA 

ProveDzano, al tao parere, 

Ke faranno li sciti? 

Raveranno el loro avere, 

K'al papa ne son giti? 

Sieno si arditi 

K*a Siena fien guerrieri? 

Paionti forniti 

Di gente et di Kavalieri? 

Questo dontianda Rugieri al suo concittadino, il quale sostiene la 
potenza e la eccellenza morale di Re Manfredi: 

Quel froriscie e grana 
Che serve a rre Manfredi; 
Ne la Corte Romana 
Mal v*odi e mal vi vedi! 

mentre P altro afferma: 

Provenzano, ki riniega 
La legie cristiana, 
. Rascion è, se la riniegha, 
L* anima aver insana. 

Ma alla fine i due interlocutori si accordano nel desiderare 
la, pace ed augurare che il trionfo T abbia 

.... quei k*ama el komune 
Più ke sé e i parenti, 

e si propongono di mandare ai concittadini come messaggio della 
loj*9 aspirazione la suddetta « kostoae ». Ora mi par chiaro che il 
generoso autore di questa composizione, la quale tanto si allon- 
tana dalla consueta lirica aulica del tempo, rappresenti P ideale di 
molti cittadini, di cui si ha un* eco nella storia del Tommasi, cioè 
che Siena possa avere la pace colla conciliazione delle due parti 
che sono rappresentate da Provenzano e da Rugieri, finti inter- 
locutori nel dibattito poli ti do. ^ Importante è la poesia pel conte- 



1 Questo Bugeri e quel deU» Panione sono gli stessi? À probsbile; ms come questo 
rlrlls *ko8iune. ueancbe l'altro ò necessario credere sia autore della Passione. K l'uno 
e l'altro non credo abbiano ohe vedere con quel Rugieri Apugliese di pld Tocotaia oono- 
secuza Ara gli studiosi. Ctt. Qionu star, dtUa UtUr. itaL, XLU, 172. 



bfiLljk LttttKkAtUllA ìtALlAHA 237 ' 

noto politico e per la figura dantesca, che, con nostro gran gusto, 
ci è presentata nella vivezza di un dialogo che ritrae i senti- 
menti con schiettezza degna di chi ama veramente il suo Co- 
mune, e che ci fa ricordare la suprema aspirazione del vene- 
rando Brunetto Latini quando scriveva il proeitiio al Tesoro ita- 
liano. Il De Bartbolomaeis ha interpretato tutta la poesia in una 
parafrasi per meglio rilevarne il significato, e in generale mi pare 
che colga nel segno. Quanto al testo, qua e là lacunoso e non 
sempre sicuro nella lezione, osserverò che al v. 11 il uiegha del 
manoscritto sarà da correggere certamente in Ofcr^Aa, tenendo a 
riscontro i vv. 41-43; e cosf converrà, pel senso, mettere un 
punto alla fine del v. Il e una virgola alla fine del v. 12. 

L^ultima delle quattro composizioni è un'appassionata < dansa», 
che ha però, come osserva il De Bartholomaeis, la struttura dei- 
discordo. Chi parla in esso è una donna che sospira per il « ca- 
€ valero pid fino | eh' è fiore gibellina | sovr'ogn' altro latino! », nel 
quale il De Bartholomaeis vorrebbe vedere un accenno al Re 
Manfredi, tenendo conto della notizia del Cittadini che assegna 
la poesia (al solito ignoriamo la fonte) al 1260 circa. Ora è assai 
probabile, come crede anche il Mazzoni, che qui si abbia una 
poesia scritta da un rimatore in persona di donna, e però non è 
forse da pensare ad allusioni determinate. Ad ogni modo, la poesia 
è assai notevole per movimento di passione, e qualche tratto in 
cui è rappresentata l'ebbrezza dell'amore sognato non esito a 
dire che mi ricorda la famo?^a odici na di Saffo. Il testo è quasi 
tutto chiaro; il pordiretc del v. 31 è da correggere in perdirctc, 
al V. 34 miset'o è da dividere in mi scro, come già rilevò il Maz- 
zoni ; il V. 44 non ha bisogno di essere emendato, perché so che 
presente paso vuol dire: so che allora, nel momento in cui mi 
sveglio dal sogno d'amore, soffro. 

Ài testo di ciascuna poesia il De Bartholomaeis ha fatto se- 
guire alcune note in parte sue in parte del Cittadini; in fine poi 
ha nggiunto un breve glossario. Quivi alla voce issavia si può 
aggiungere che essa è anche dell'antico romanesco, e se ne può 
vedere un esempio nelle laude romanesche del sec XV pubbli- 
cate di seguito alla Vita di S. Francesca Romana.^ Della parola 
tcnzùf che equivale a intenda e significa < tumulto», si hanno pure 
altri eserapj nella poesia del dugento. 

Mabio Pbimsz. 



t Por cura di Habiamo AbmkUìIiii. Boiua. Moualdl, ISSII* 



238 aAiteiioNA fiiBLiooRiricA 



COMUNICAZIONI. 



ALCUNI BIKE DI GIAN VITTORIO BOSSI. 

Questo scrittore romano, più noto sotto il pseudonimo di Gian 
Nicio Eritreo, ha lasciato tutte le sue opere in latino, tanto che, 
molto opportunamente, il suo ultimo biografo, in un ottimo libro, 
lo ha distinto con T appellativo di «umanista del seicento».^ I 
bibliografi tuttavia ci hanno tramandato memoria di un suo vo- 
lume di rime spirituali dettate in italiano, e di un dramma sacro, 
/{ Tobia, usciti dai torchi nel 1629; pare anzi che questo dramma 
sia anch^esso stampato insieme con le rime, se si deve credere al- 
l'Allacci, il quale reca il luogo d'impressione (Viterbo) e il nome 
del tipografo (Agostino Discepolo), mentre il Mandosio dà la rime 
come edite in Roma.' Questi poi aggiungeva, che carmi latini e 
volgari manoscritti esistevano nella biblioteca Yallicelliana, e, 
giudicandoli unitamente, affermava: « in quibus carminibus omnis 
« flos venustatis, omne poeticae facultatis lumen enituit »; giudizio 
che ha servito di guida a quello del Quadrio, il quale probabil- 
mente (e lo sospetta anche il Gerboni) ^ non ha veduto il libro 
ed attinge senz'altro al Mandosio. Ci sarebbe dunque da credere, 
che questo asserto libretto poetico del Rossi fosse già poco co- 
mune nel settecento; oggi certo è irreperibile, che né al Gerboni^ 
né a noi riuscf di scovarlo: per di pili le rime manoscritte non 
si trovano nella citata biblioteca; di guisa che l'unica poesia 
volgare di lui conosciuta è un sonetto, inserito nelle Epistola^ ad 
Tyrrhenutn, « fluido nella forma, e spirante, nel concetto, un senso 
< di . sommessione devota e di mitezza semplice, che piace ».^ 
«Leggiamolo, che l'averlo dinanzi risparmierà fatica di ricerca 
in volumi non sempre alla mano; 



i Uh umanista dtl seicento. Giano Sicio Eritreo. Studio biografico critico di Luiox Obbbomi, 
Città di CMteno.Lapl,1899. 

* Mamixmio, Bibliotheca Romana, toI. II, p. 253 — Allacci, Drammaturgia, BomA, 1666, 
p. 817. 

a Op. olt., 106. 

4 Epiètotae ad Tgrrhenum, (ediz. 1738), II, 40. — Ojuibomi, op. eli., p. 106. 



DBLLA LBTTBIUTURA tTAUANA 239 



FIAT VOLUNTAS TUA. 

Perchè mai sempre ogni tua sanla voglia 

Iq me s' adempì, o mio Signor, mio Dio, 

Vestimi del tao amor celeste e pio, 

E della propria volontà mi spoglia. 
Ahi sento da mortale altima doglia 

Stringer con dura man, lasso, il cor mio, 

Qual or cieco e sfrenalo empio desio 

A darsi vinto al suo voler T invoglia. 
Ch* esser non può colà, se non tormento. 

Ove teco non regna eterna pace, 

E d'alme a te concordi alto concento. 
Ma se del cor non leghi il piò fugace 

Con stretti lacci a Tamor tuo, qual vento 

Spiegherà il voi là dove à lui più piace. 

Svolge, come si vede, un concetto spirituale, e sta in chiave (se 
ne potrebbe quasi dire un corollario) con le rime di cui vogliamo 
dar comunicazione, poiché anch^esse sono d* argomento ascetico. 
Poche in vero, una canzone ed un sonetto; ma le sole per ora 
che vengano a tener compagnia a quel solitario sonetto innanzi 
riferito, e che in ogni modo possono un po^ meglio testimoniare 
deir attitudine poetica in italiano del nostro latinista. Le precede 
una breve lettera, donde impariamo quando furono scritte ed a 
cbi vennero indirizzate. Eccola: 

Al Molto RbpAo P," Sig.r e pron mio om.»'» il P. D. Andrea FosBa Can,^^ 
Regulare Lateranen.»^ 

Alii giorni passati, sentendomi compunto il core della forza della divina 
gratia,- sparsi queste poche lacrime in rima, in pentimento degl'errori pas- 
sati: rinvio a V. P. acciò con la caldezza delle sue orationi, con le quali, è 
solita di far forza al Cielo, le rappresenti a Sua DiWna Maestà e m'impetri 
da quella perdono. Conoscerà in queste mie basse rime molte imperfettioni 
e debolezze, si come imperfetto e debole è lo spirito dal quale son nate. 
Potrebbe ben ella, con la lima del suo severo giuditio, ridurle a qualche per- 
fettione, si come io spero, con la divina gralia, dare aumento e forza allo 
spirito, alli santi et utili ricordi delle prediche, ch'ella è per fare questo av- 
vento in Roma, il che, se si compiacesse di fare, me le obbligherebbe con 
doppio legame di benefitio. Bagio (aie) a V. P. riverentemente le mani, e le 
prego da Dio ogni contento. Di casa, l'ultimo di novembre 1623. 

Di V. P. molto Rev.d» 

Serv,»* DevoUss,'»*» 
Gio Vittorio Rossi. 



240 RA8SBQNA BIBLIOOtUFIOA 

£ facciamo subito seguire le «poche lacrime in rima»: 



Io vìvea scìollo da catena e laccio 
In dolce libertà, caro a me stesso, 
E più al gran Dio, eh* hor di duol carco invoco. 
Nò di tema rigor, di desir foco 
Mi fea col gielo o con le fiamme impaccio: 
Qaando di tal vaghezza al cor m'offerse 
Forme si rare il mio avversario altero, 
ChMo là corsi; ma quanto, ahimè, diverse 
Far dal mio falso imaginar le prove! 
SI folte nubi e nove 
Di dolor più d*ogn' altro acerbo e fero 
Turbar del viver mio il seren chiaro. 
Ahi, eh* a se stesso amaro, 
Le chiuse luci il cor deluso aperse, 
E ben che tardi, pur conobbe espresso, 
Che fuor di quella viva alla speranza. 
Altro, che pianto e duol, nulla n*avanzza. 

Qual se talhor folle vaghezza invoglia 

Inesperto nocchier, in fragil legno, 

Del mar fidarsi alle chet*onde infide. 

Che non si tosto il Ciel, folgora e stride. 

Che ripresa T insana e cieca voglia. 

Del mar pentito, non che satin riede: 

Tal delle sorde amare acque del Mondo 

Desio mi prese (ahi stolto è chi li crede, 

Che per gioia e piacer, dà pene e scorni) ; 

Onde i miei chiari giorni 

Tosto che venner atri, e dal profondo 

QaestMmplacabil pelago turbossi, 

E *1 Giel di nembi armossi, 

Roco divenni in dimandar mercede. 

Piango hor dolente, et ho me stesso a sdegno. 

Che mal del traditor scorsi T ingegno, 

E quanto amica già, tanto molesta, 

M*è de suoi rei piacer la turba infesta. 

Placido in vista, alteri sdegni copre, 
E in poco mele ha rio veleno ascoso, 
PercbMogannato altri poi bea intanto 
Per diletto il dolor, per riso il pianto ; 
Tal dal sembiante human discordan Topre, 
E chi noi vede, ha il veder corto e losco. 
Gustò mai Palma mia, fin da primi anni, 



DBLLA LETTBRATURA ITALIANA 241 

Gh*a spese di lui vissi, altro che tosco? 
Quando nel loto ove sepolta giacque, 
Suoi fieri slratij tacque? 
Né satio il crudo, de* passati inganni 
La tien mai sempre al duro laccio spinta 
Ove fu colta e vinta, 
E chiusa in career tenebroso e fosco. 
Ella noi segue; ahi stolto ò chi penoso 
Aspro viver seguendo, odia il riposo, 
E chi sprezzate alte Corone e Regni, 
Ritoma al fango de' diletti indegni. 

Qual di porpora e d'or chiara Reina, 
li gran sposo real posto in oblio. 
Arse, impudica, a nova fiamma e vile ; 
Tal rotto il maritai nodo gentile, 
L*alma mia cara alla beltà divina, 
Hebbe d'immondo ardor calde le brame. 
E quando tuono o folgore dovea 
Troncato ha ver del viver mio lo stame, 
Alto Signor, la tua bontà infinita, 
A se dal del m'invita, 
Perch'ogni oscura in me favilla e rea, 
Acceso del tuo amor verace e puro. 
Spenga del Mondo impuro; 
Ma quanto aborri il fiero mostro infame. 
Sia testimon, quel eh' hor dal core invio 
Largo pianto per gl'occhi, e '1 dolor mio, 
E questi a piedi tuoi prieghi e lamenti. 
Ch'io vo' spargendo in voci alte e dolenti. 

Ove fla gionto (ahi lasso), s' allor quando 

Eran più nel gioir fìssi i miei sensi. 

Sciolta dal suo mortai, già l'alma a volo! 

Ahi, che di doglie e pianti armato stuolo 

Tratta a forza I* haria, di pace in bando. 

Quanti a perpetuo esiglio, il crudo Inferno 

Condanna, in chiuso ardente orrido speco. 

Via men di me rubelli al Re superno! 

Quanti ha un sol fallo a sempre arder sospìnto! 

E in me che carco e cinto 

Vissi di mille colpe, infermo e cieco, 

Non cadder l'ire sue vendicatrici? 

Chi fé' loro infelici, 

E me sottrasse al precipitio eterno? 

Mio valor no, ma quei ch'apri e dispensi 

Signor di tua pietate abissi immensi. 

Si m'haven sotto l'ali sue coverto, 



242 RASSRONA RIRLIOORAPICA 

Che poiea il pregio lor più del mio merlo. 
NoD è da vaneggiar, Canzoo, più tempo, 
Ch'io soD già forsi del mio giorno a sera, 
E sopra ho morie dispietala e fera. 
Dunque tema e dolor Talma circondi, 
E quanto abondò il fallo, il pianto abondi. 

SONITTO. 

Se dietro al mio voler, cieco e fatale, 
Gran tempo errai, se con diletto ed arte 
Cercai del biasmo honore in mille carte, 
Se corsi pigro al ben, veloce al male, 

Tale il cor del suo fallo empio e mortale 
Paventa, qual perdute ancore e sarte 
Nave di notte, o come augel, che sparte 
Sopra il tenace vischio, intrica T ale. 

Facessi io almen, come chi prese, errando 
In bassa valle, ampio camino e torto. 
Che poi raddoppia al buon sentiero i passi! 

Perchè da chiaro e divin raggio scorto. 
Move si lento il mio pensier, poggiando 
Al dritto augusto calle, ond* al Ciel vassi ? 

NoQ ci fermeremo a discorrere, ciò che ha fatto cosf bene il 
Gerboni, intorno alPindoIe, al carattere del poeta, per educazione 
e per ambiente volto air ascetismo, né a quella specie di intimo 
dissidio che Io avvicina per qualche rispetto al Petrarca; soltanto 
vogliamo rilevare che queste rime ne forniscono un* altra prova, 
non priva d'importanza. E al Petrarca lo riaccosta altresf non pure 
il contenuto, ma la forma singolarmente della canzone; anzi, se 
r osservazione non appaia troppo sottile, un'eco petrarchesca ri- 
suona persino nella frase della lettera: « far forza al Cielo », che 
potrebbe essere indizio di recente lettura. 

Il 1623 ci richiama, a quel periodo della vita di Gian Vittorio 
in cui stette come familiare presso il cardinale Andrea Peretti, 
e quivi forse, a correggere la malinconia e la monotonia della 
infruttifera esistenza ch'ei condusse per diciotto anni, si rifece 
alle opere di quell'autore, verso il quale è possibile si sentisse 
attratto da certe ragioni di somiglianza. Ne sono uscite queste 
poesie, derivate da uno di quegli non infrequenti scatti di nero 
ascetismo ond'egli era preso, come se fosse il più gran peccatore 
di questo mondo. Occasione immediata ed esterna, la persona cui 
sono indirizzate, e l'imminenza delle prediche che il già illustre 
oratore 9tava ))er incominciare a Roma neiravvento, 



DltLLA tBTTBRATURA ITALIANA 243 

Il p. Andrea Fossa era genovese: entrò a quindici anni nel- 
r ordine dei Lateranensi; ottenne u Padova la laurea in teologia, 
filosofia e diritto canonico; fu teologo del cardinale di S. Cecilia, 
consultore del S. Ufficio in Genova. Ebbe cariche cospicue nella 
sua religione, e sali fino al generalato; di lui si giovarono in 
faccende politiche Vittorio Amedeo di Savoia e Ranuccio Farnese. 
Gli venne conferita la cittadinanza romana. Ridottosi da ultimo 
nel cenobio di S. Teodoro in Genova, quivi mori, forse di peste, 
nel 1657, essendo teologo della Repubblica. Nulla si ha di Ini 
alle stampe; di alcune scritture manoscritte ci hanno la3CÌato 
ricordo i suoi biografi, e pongono fra osse un EpisMarutn ad 
Janum Nicium Erytreum liber singulttris, che, già esistente « nella 

< sua scielta e copiosissima Libraria nel Convento di S. Theodoro 

< di Genova », ^ non si sa dove sia andato a finire, ed ora avrebbe 
servito assai bene al nostro scopo. Da ciò se è lecito argomen- 
tare che una corrispondenza abbastanza nutrita sia passata tra 
il Fossa ed il Rossi (e un tocco se ne legge nella dedica di cui 
ora parleremo); non sappiamo quindi spiegarci come non se ne 
riscontri traccia di sorta nelle opere molteplici del secondo, specie 
neir ampio epistolario, dove fra le lettere ad diversos e* era da 
supporre di trovarne qnalcheduna diretta air abate lateranense. 

Ma r Eritreo si ricordò suir estremo della vita del suo amico 
genovese, e volle fosse a lui dedicata la terza Pinacoteca che 
egli non doveva vedere alla pubblica luce. Senonché la lettera 
che conteneva quest' atto di amicizia e di omaggio, fu a un pelo 
di andare perduta. Il manoscritto che aveva mandato a poco alla 
volta, in varj quaderni, per mezzo di Fabio Chigi, al Nihus, af- 
finché ne procurasse la stampa, già al cadere del 1646 e nei primi 
mesi del seguente, aggiungendo poi man mano altre biografie, 
era indugiato ad esser posto in composizione fino alP agosto, 
quando, dopo ricevuto il primo foglio, ebbe dal Nihus la richiesta 
della dedicatoria. Cascò dalle nuvole, e, turbato, scrisse inconta- 
nente al Chigi: «Maxima Nihusii ad me literae molestia me af- 
«fecerunt; qnae epistolam requiruntad eum scriptam, cujus no- 

< mini haec postuma Pinacotheca dicatur. Quam ego epistolam, 

< longae cujuspiam laudationìs, quam epistolae similiorem (nam 
« amicum, optime de me meritum, ornare constitueram) prius 
« quam ipsani Pinacothecam misi. Quaraobrem peto a te majorem 
«in modum, ut quaeras investiges num ea uspiam domi tuae la- 
« titet, nam scripsisti ad me, nihil eorum, quae ad tertiam hanc 
«Pinacothecam pertineant, interiisse, vel saltem hoc ipsum Ni- 

1 SorBARi, Scrittori d*Ua Liguria» p. 19. 



244 RiUKSOKA BIBLIOGRAFICA 

ichusio significes. Nam magna spe teneo fore ut ea inyeniatiir, 
<8Ì diligenza in perquirendo adhibeaiar. Epidtolae inscriptìo 
€ haee erat: Reverendissimo patri D. Andreae Fossae, Abbati, 

< Canonico Reg. Lateranensi ». E poicbé non veniva risposta, 
soggiungeva poco dopo: «Saperiori hebdomade nollas, neqae a 
€ te, neqae a Nihusio literas ncque quaternionem aliquem PiBa* 

< cokhecae accepi; veram moram hanc acquo animo ferre possnm, 
« si epistola ad Abbatem Andream Fossam reperiafor ». La de- 
dica si ritrovò, e il Nihus gliene diede subito avviso. € Aveo, ex 

< literis Nibusii certior fieri num epistola, qua Pinacotheea D. 
€ Andreae Fossae dicatur, sit inventa » ; cosf egli, lieto, esprimeva 
al Chigi la sua piena soddisfazione. ^ 

E vero, questa dedica vince per diversi rispetti tutte le altre, 
e ci palesa, anche nei particolari, quale e quanta fosse la con- 
suetudine amichevole fra 1* Abate e lo scrittore, e come antica e 
desiderata e costante; né manca la testimonianza del piacere e 
del frutto che il Rossi ritraeva dalle conversazioni di quel reli- 
gioso, che gli parlava con aperta effusione delP animo. Inoltre 
quivi ritroviamo, pur indulgendo alla frase ed al fine, pregevoli 
notìzie biografiche, le quali hanno poi servito largamente a coloro 
che del Fossa ci serbarono memoria.' 

Ecco chi era il canonico lateranense a cui nel 1623 inviava 
r Eritreo la canzone ed il sonetto, s£ come testimonianza di ri- 
morso e di pentimento per i passati trascorsi, mentre certo si 
proponeva di ascoltare indi a poco la vital parola del sacro ora- 
tore, donde sperava quiete e conforto alla turbata coscienza. Se 
le sei carte che compongono il manoscritto ^ non sono autografe 
(e d* altra parte a noi mancano i termini di confronto per con- 
statarlo), è indubitato che provengono da quel convento di S. 
Teodoro, ora distrutto, dove assai tempo dimorò, e dove morf 
r Abate Fossa, anzi potrebbe dirsi addirittura dalla sua libreria 
innanzi citata; quelle stesse, poniamo pure in buona copia cal- 
ligrafica, mandate a lui dall* autore. Il quale considerava queste 
rime < basse » e piene di < molte imperfettioni e debolezze » ; al 
che, fatta ragione dell* umiltà e della compunzione, non vorremo 
al tutto contradire, sebbene a noi sembri possano anch* esse me- 
ritare il benevolo giudizio dato deir unico sonetto dal suo piti 
recente e miglior biografo. Achillb Nbbi. 



1 KpMolat oli., II, p. 78 sgg.; n. LXXVn, LXXVIII, LXXVIIIL 

t Db BoBOfiB, Lyetum LaUramMi, Cesen»e, 1649, 1, p. 21. — Sopbahi, op. oÌt — OiniTl- 
xiANi, Seritt. Liguri, p. 59. — 0hri$ degli hìeognili, Venezia, 1M7. 

I BibUotocA delU B. Università di OenoT» — Coté Dimte, A. IV, 34. 



DBLLA LBTTBSATtnu ITALIANA 245 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. 

.Ernesto BIasi. — Donne di storia e di romanzo. — Bologna, Zaoichellì, 
1903 ; un voi. io IG.^ picc, di pp. 401. 

Questo volume lieo dietro e si ricongiange ad altri due del medesimo 
autore: Studj « ritratti e Nuopì atudj e ritratti, anch'essi pubblicati dallo 
Zanichelli. Il presente si intitola Donne di storia e di romanzo, perché nella 
parte storica predominano tre eroine, e nello studio di sei romanzi più spe- 
cialmente si studiano caratteri femminili. Le tre eroine sono Cristina di 
Savoja, Maria Mancini Colonna e Caterina li di Russia : la prima scesa dal 
trono, la seconda vogliosa di salirvi, l'ultima salitavi col farsi sgabello del 
marito, e rimastavi potentissima. Questi primi tre studj rifanno i ponderosi 
volumi che a ciascuna di coteste tre donne consacrarono rispettivamente il 
De Bìldt, il (o la) Perey, e il Waliszewski: ma i materiali offerti da questi 
scrittori vengono liberamente rielaborati dair autore, che ne estrae il con- 
tenuto, aggiungendovi considerazioni sue proprie. I rimanenti saggi, quelli 
delle donne di romanzo, esaminano creature pili o meno perfette della fan- 
tasia di Marc Monnier, dello Zola, del Rod e della signorina Giacomelli. Se- 
gnaliamo, sopra tutti, quelli riguardanti i romanzi dello Zola, nei quali, unita 
a grande ammirazione per la potenza dello scrittore, si rinviene una singo- 
lare indipendenza di giudizio circa la scuola sperimentale e il romanzo na- 
turalista. Le obiezioni ali* una e air altro, neUMdea e nella pratica effettiva, 
sono notevoli per acume critico, che non si perde in disquisizioni estetiche, 
ma adopera la forma e il linguaggio del buon senso. 

Questo volumetto conferma la riputazione in che è salito il Masi come 
crìtico, specialmente esperto e sicuro neir analisi psicologica dei caratteri, 
sien essi offerti dalla realtà dei fatti o dalla fantasia degli scrittori. 

A. D* AifcoNA. 

GuoLiiLMO Volpi. — Note di varia erudizione e critica letteraria {eeeoli XIV 
e XV), Firenze, 6. Seeber, 1903 (8.» picc, pp. 74). 

Come avverte 1* autore stesso, dei cinque brevi studj compresi in questo 
volumetto solo il primo è nuovo; gli altri videro la luce, in tempi diversi, 
nei giornali letterarj. A tutti, peraltro, TA., di cui è nota agli studiosi la 
diligenza oculata e coscienziosa, ha dato nuove cure, qua e là mutando o 
aggiungendo : V ultimo, anzi, ricompare ora quasi raddoppiato. 

Lo scrìtto inedito con cui il libro s'inizia intenda a confutare quanto In- 
torno a una ballata di Guido Cavalcanti osservò recentemente il Benedacci 
ne' suoi Scampoli erUiei, e a ribadire un' opinione già espressa nel volume 
R Trecento. II Beneducci — il quale di questo lavoro del Volpi ha recato troppo 
severo giudizio, senza porre mente al fatto che la nuova edizione della Storia 
Letteraria VaUardi non doveva in origine essere altro se non un' opera di 
divulgazione (secondo il patto degli autori coli' editore) — ha cercato di di- 
fendere la tradizione che dà come scrìtta nell'esilio a Sarzana la ballata 
Per ch'io non epero di tornar giammai. Il Volpi, contraddicendolo, afferma 



246 RASSEGNA BIBLIOORAFIOA 

ora che tale tradizione non è già aotica, ma di data abbastanza recente ; e, 
fattane in breve la storia, mostra com'essa si fondi nella presupposizione 
che Sarzana venisse anche dagli antichi riguardata come una terra ftiori di 
Toscana; presupposizione falsa — egli dice — poiché codesta città, posta 
sulla sinistra della Magra che ' lo Genovese parte dal Toscano ,, era invece 
pei Fiorentini contemporanei del Cavalcanti T ultima città toscana dalla parte 
della Liguria. 

I testimonj che il Volpi cita in proposito (Dante, Gio. Villani, Fazio degli 
liberti, il Boccaccio) sono autorevoli; e ci pare eh* egli abbia ragione anche 
quando, dopo aver mostrato che ' da Sarzana il Cavalcanti non avrebbe 
' potuto dire che non sperava di tornare in Toscana per la ragione geo- 
' grfifìca , (p. 13), soggiunge che ' anche dato e non concesso che e^'li, di- 
' morando in Sarzana, si sentisse fuori del territorio toscano, non si sarebbe 
^ espresso in quel modo, perché Sarzana anche per lui sarebbe stata almeno 
* molto vicina alla Toscana; ond* egli avrebbe detto, invece : ^o» «|m- 
' ro di tornare in Firenze., . ,. Dove dunque, e quando, avrà egli dettato 
quei versi pieni d* una malinconia cosi profonda ? Ragionevolmente il Volpi, 
conchiudendo questo suo scritto acuto e per più riguardi notevole, conget- 
tura ch*ei li abbia composti 'nella vecchia Nìmesj,, dove si fermò, nelFan- 
dare in pellegrinaggio a S. Jacopo di Compostela, ^ malato e solo, lontano 
' dalla sua donna e dalla sua patria .. 

Degli altri lavoretti raccolti ora insieme dal V. — Pùeeie popolari dei te- 
coli XIV e XV, La bellezza maschile nella poesia volgare del secolo XV ^ 
Una deploratòria in morte di Lorenzo il Magnifico, Francesco Cei poeta fiO" 
rentino dell'ultimo quattrocento — non occorre dare qui notizia; dacché gli 
studiosi già sanno, che contengono notizie curiose, e son frutto d* indagini 
pazienti e fortunate. Solo diremo, che la parte letteraria — al tutto nuova — 
deir ultimo giova a integrare, più efficacemente lumeggiandola, quella figura 
d'improvvisatore fiorentino della scuola del Canteo, dei Tebaldeo, di Sera- 
fino dell'Aquila, che già il Volpi ci avea fatto rivivere dinanzi, nella BibUo^ 
teca delle scuole italiane, tessendone la biografia. F. Flahihi. 

CRONACA. 

.*. Nel fascicolo sesto del Codice diplomatico dantesco il Rajva pubblicò 
nel 1900 una breve notìzia intorno a quella famosa iscrizione degli Ubai- 
dini, che alcuni nostri vecchi storici considerarono come uno dei primi mo- 
numenti della nostra lingua. In quella notizia il Rajna accennava agli ar- 
gomenti principali i quali conducono alla conclusione che il documento è 
una falsificazione cinquecentesca. Il Rajna, riprendendo ora a studiare più 
profondamente la questione, ha pubblicato neW Archivio Storico Italiano 
una dissertazione, L' Iscrizione degli Ubaldini e il suo autore (pp. 70), nella 
quale, dopo aver fatto la storia del documento dal tempo in cui venne in 
luce la prima volta, esamina il marmo, la forma delle lettere, il contenuto 
storico, i personaggi che vi sono menzionati, la lingua, il metro, e dimostra 
in modo che ci pare inconfutabile, che V iscrizione è una falsificazione do- 
vuta a Giovambattista Ubaldini, che la divulgò nel suo libro tutoria della 



DBLLA LKTTBRATURA ITALIANA 247 

casa degli Ubaldini (Firenze, Sermartelli, 1588), dopo avere ingannato il 
Borghini, che la inserì come documento d* ona famiglia fiorentina nei suoi 
DUeorsi editi nel 1585. Del resto, questa iscrizione non è il solo documento 
falso su cui si appoggi V Istoria; ve ne sono altri di cui pure trattic.il 
Rajna per mostrare, come si dice, la capacità a delinquere di Giovambattista 
Ubaldini. La Memoria è corredata di un facsimile della iscrizione, la quale, 
dopo esser» stata trasportata a Firenze nel 1570 in casa di un Ubaldini 
in via Martelli, ritornò in Mugello sulla fine del secolo XVIII, ed ora si 
trova in una sala della Villa detta del Monte, presso Galliano, di proprietà 
del Gomm. Luigi Vaj. D'ora innanzi bisogna dunque risolutamente cancel- 
larla dal novero dei primi documenti in volgare. 

.*. Nel dilagare di studj grandi e piccini intorno al nostro maggior Poeta, 
sia la benvenuta una Bibliografia dantesca (Direttore - Compilatore : Luigi 
SnmirA, Gividale del Friuli, presso Giov. Fulvio, 1902, di pp. 100, in 8.") la 
quale raccoglierà periodicamente le sparse pubblicazioni a servigio del ricer- 
catore. Pur vorremmo, per la miglior economia della rassegna e ad evitare 
troppi vasti e perigliosi confini, che degli etudj intorno al trecento e a coee 
franeeocane non se ne parlasse, o pure, piacendo air A., se ne tenesse conto 
in altra e pili conveniente sede. Né all'opera mancherà la materia finché 
avmnno fiato dantisti e dantofili; il che, se Dio vuole, sarà ancora per un 
pezzo. Nel fascicolo che abbiamo sott' occhio non sono poche, a dir vero, le 
mende: ampie e minuziose rassegne di brevissimi articoli, troppo scarne e 
inconcludenti di opere ponderose ; lodi e incensature a josa, scorrettezze di 
forma, inesattezze. Né sappiamo ad es., quanto opportunamente entrino nella 
Bibliografia il saggio su la prigionia di re Enzo del Frati, gli studj del Torraca su 
la lirica del Duecento e, peggio, la Franeeeea da Rimini di Gabriele D'Annunzio. 
Sul quale TA., lasciato l'ufficio di bibliografo, più voRe ritorna, tratto evi- 
dentemente da una naturai simpatia: che Dio gli conservi. Del resto la so- 
lerzia dell' A. e l' amor suo per l' iniziata impresa ci danno afSdamento, che 
la Bibliografia^ tolte mende ed errori, sia per diventare sussidio prezioso al 
cultore di cose dantesche. 

.*. Dall'ultima volta che parlammo in questo giornale (Vili, 183) della 
Breve esposizione della Dir. Commedia del sig. A. Giordano, essa, accresciuta 
di volume, é già arrivata alla quarta edizione, segno evidente dell'utilità sua 
e dalla favorevole accoglienza avuta nelle scOole. Certo è che, a poco per 
volta, questo libro é diventato una specie di Enciclopedia dantesca, che può 
opportunamente guidare i giovani allo studio del poema. Abbiamo riscontrato 
con piacere, che alcune osservazioni da noi fatte all'autore sono state da 
lui accolte, e di ciò gli siamo grati. Intanto è desiderabile che il sig. G. con 
nuove cure renda sempre migliore un lavoro, che è evidentemente adoperato 
nelle nostre scuole. 

.'. A cura dell'Istituto storico italiano sono usciti a luce due nuovi vo- 
lumi di fonti per la storia d* Italia, contenenti il Chronieon Farfense di 
Gregorio di Catino, cui precedono la Costruetio Farfensis e gli Scritti di Ugo 
di Farfa, a cura di Uoo Balzani (1.« voi. di pp. XLVI-366, %"" di pp. 566, in 
8.*, Roma, tip. Forzani). La prefazione dell'editore tratta dell'importanza di 
questi antichissimi documenti di storia nazionale; riassume le vicende del 
celebre monastero, e raccoglie le notizie intorno ai due autori di questi 



248 RASSEGNA BlDLlOORAfriCA 

scrìtti e ne determina il carattere, con piena informazione e sobrietà di det- 
tato. Questa nuova edizione, collazionata con diligenza, qua e là illustrata di 
note e fornita d'indici Copiosissimi, sarà certamente accolta con applauso 
dafli studiosi, accompagnandosi con quella del Regesto Farfense, pur di Gre- 
gorio di Catino, che il Balzani stesso insieme con I. Giorgi, bibliotecario della 
Gasanatense, ha dato nei volumi della Società romana di storia patria. 

.*. Al prof. BiAOio Brugi, storico del diritto valoroso e geniale, dobbiamo 
due nuovi scritti importanti anche per la storia delle lettere. — Il primo è 
un discorso intitolato Oli scolari dello Studio di Padova nel CinqueeerUo. 
(Padova, Tip. Bandi, 1903), che ci offre un quadro ben disegnato e vivacemente 
colorito della vita studentesca padovana nel secolo pili glorioso pel celebre 
Studio della Serenissima. Da svariate fonti, manoscritte e a stampa, TA. ha 
ricavato copia di notizie, anche peregrine e sempre in sommo grado inte- 
ressanti; le ha collegate maestrevolmente, dilettando e allettando; vi ha in- 
nestato acconcie osservazioni ; ha concluso il suo dire con savi ammonimenti 
agli scolari moderni. — L* altro scritto che annunziamo è una pagina delta 
storia della cultura nostra nella medesima età, e s'intitola: I giureeonsuUi 
italiani del secolo XVI (Modena, 1903, estr. àKÌV Archivio Giuridico Filippo 
Serafini). V smior e vi tratta prima del vero concetto ed intento d*una storia 
letteraria del diritto romano, poi del diritto romano dei postglossatori in 
relazione coi nostri giureconsulti del Cinquecento; collega codesta storia con 
quella dei nostri Studi e delle loro cattedre; e conchiude determinandone i 
limiti con larghezza di criteri. 

.*. L'egregio prof. Agnelli, bibliotecario della Comunale di Ferrara, indotto 
forse dagli ardenti desiderj degli studiosi, si propone di rendere d*uso co- 
mune il pili prezioso tra i cimelj posseduti da Ferrara, l'autografo di quella 
parte deW Orlando che l'Ariosto aggiunse nella edizione definitiva del 1532. 
Non occorrono molte parole per dimostrare l'utilità, la necessità di questa 
impresa. Si tratta di più che 500 ottave, che il manoscritto ferrarese ci ha 
serbato cosf nella forma abbozzata, come nelle loro trasformazioni, come nel 
testo ultimo. Alcune stanze son rifatte sino a cinque volte. Quali e quanti 
elementi offrono allo studioso di stilistica! Tutto l'autografo sarà riprodotto 
in tante tavole in fototipia. Imagine più fedele non si potrebbe desiderarne. 
Noi speriamo che il prof. Agnelli vorrà unire anche la riproduzione di due 
carte esistenti neir Ambrosiana di Milano, le quali, ^lecondo la notizia data 
da G. Lisio all' ultimo Congresso internazionale di scienze storiche, integrano 
la buona copia delle stanze aggiunte; sembrano anzi a dirittura strappate 
dal manoscritto ferrarese. Esprimiamo infine l'augurio, che l'indifferenza o 
Io spavento della spesa {lire cento per tutte le carte) non soffochi in sul 
nascere l'impresa del benemerito bibliotecario. 

.'. La vita e le Rime di Angiolo Bronzino danno titolo ed argomento ad 
uno studio della signorina Albertina Furno (Pistoja, Fiori, di pp. 112 in 16.**). 
È noto come questo pittore fiorentino del sec. XVI (1503-1572) proseguendo 
una tradizione paesana, trattasse insieme col pennello anche la penna. Le 
sue rime serie non hanno gran valore, salvo per la lingua, che è schietta e 
viva : ma le rime * in burla , lo mostrano non indegno discepolo del Bismi, 
e dei pili antichi che di generazione in generazione si esercitarono in tal ge- 
nere di componimenti, mescolandovi qualche spruzzo di satira. Tutta la sua 



DBLLA LBTTBRATURA fTALIANA 249 

prodazìooe poetica è esaminata in forma piana e lucida dalP autrice di questo 
stadio, dopo averne narrata la biografia. Ha poiché essa nota * i caratteri 

* comuni air opera pittorica e poetica del Bronzino ,, crediamo che utilmente, 
a completarne 1* immagine, si sarebbe potato tratiare di lui anche come pit- 
tore, e almeno enumerarne le opere. 

.*. Albertina Furico in un opuscolo intitolato Uno siorneilaio fiorentino 
(Palermo • Torino, Glausen, 1902, pp. 8 in 16.*) dà notizia di un improv- 
visatore di stornelli, Zulimo Franceschi, nativo di Legnaia presso Monticelli 
in quel di Firenze, che fa il mestiere di lustratore di mobili in una bottega 
d*oltr'Arno. Il Franceschi ha una grande facilità di improvvisare, e la Fumo 
riferisce alcuni suoi Rispetti assai graziosi, e di uno di essi anche la tra* 
scrizione delfaria su cui egli lo canta. Siccome il Franceschi si prova vo- 
lentieri a improvvisare stornelli in tenzone, riprendendo T ultimo verso del 
rispetto deir avversario per cominciamento del proprio, la Fumo pensò di 
far cantare a una signorina la Serenata famosa del Bronzino dando 1* an- 
damento di una quartina ad ogni terzetto di essa, col ripetere due volte il 
verso nltimo, che dovea essere il principio dì ogni rispetto del Franceschi. 
La Fumo fu indotta a ciò dalla speranza che sulla bocca del Franceschi 
rifiorissero le canzoni popolari toscane di cui, secondo la dimostrazione del 
Rubieri e del D* Ancona, la Serenata è un centone. Sedici dei cìnqaantasei 
rispetti, che con molta facilità cantò il Franceschi, sono riprodotti dalla 
Fumo, la quale conclude : * Io non do al fatto pili valore di quello che 

* abbia, né presumo di esser giunta con questo stratagemma a ritrovare prò- 

* prio i canti che vivevano nel cinquecento, e de' quali il Bronzino citò il 

* cominciamento ; ma pure non è improbabile che talora il capoverso abbia 

* obbligato lo stornellaio a cantare per intero il rispetto che gli corrisponde ,. 
Ad ogni modo, aggiungiamo noi, i Rispetti del Franceschi saranno nn utile 
termine di confronto con altri che per la Toscana si potranno quando che 
sia rinvenire. 

.'.La prima serie degli Studj che la signorina Eugimia MoNTAifARt an- 
nunzia su V Arte e la Letteratura nella prima metà del see, XIX è consa- 
crata a Pietro Giordani (Firenze, Lumachi, di pp. XIM70 in Ifi.^»), e questo 
saggio fa bene augurare di ciò che verrà in appresso. Intanto, considerato 
in sé stesso soltanto, è un buon lavoro, che getta nuova lace sur un aspetto, 
non illustrato fin ora, dal quale il letterato piacentino dev'esser osservato. 
Il culto dell'arte nelle varie sue forme non fu per Ini una cosa a parte, ma 
connesso con quello della parDla, ed egli avrebbe dovuto rappresentare tale 
intrinseca unione in quello che annunziava * il pid lungo e il più importante „ 
dei suoi lavori. Egli lo intitolava Del vero nelle arti del disegno e della 
parola^ e di esso non restano che frammenti, ma il titolo ce ne dichiara gli' 
intenti. Da tutte le varie scritture del Giordani è perciò T autrice costretta' 
a raccogliere ciò che può darci una idea dei concetti sull'arte, ch'egli agi- 
tava nella sua mente. E senza ben penetrarne l' essenza, e la relazione che 
hanno con le condizioni politiche di quel periodo storico e colla profonda 
italianità del Giordani, mal si comprenderebbe a prima vista come egli po- 
tesse passare dalla celebrazione del Canova a quella del Bartolini; se non 
che, nel primo egli scorgeva il rinnovatore della squisita arte classica nella 
forma, nel secondo colui che le comunicava l'alito avvivatore dell'idea e 



j 



250 RASSBONA BIBLIOORAPICA 

la coscieoxa dei naovi tempi. L'autrice di questo lavoro ha fatto eoo esso 
opera buona, e meglio lumeggiato, da un nuovo aspetto, V immagine di uno 
scrittore, che, quali si sieno i giudizj della posterità, esercitò ai suoi di una 
fera dittatura rispetto al gusto letterario. Salvo qualche cosa di un pò* ne- 
buloso e indeterminato nello stile, non abbiamo che a lodare questo saggio, 
e incuorare T autrice a proseguire la trattazione dell'argomento cominciato 
a svolgere con questo volume. 

.*. È noto come un Gomitato internazionale intendesse celebrare a suo tempo 
il primo centenario delia battaglia di Marengo. Le vicende dei tempi impedi- 
rono Teffettuazione di questo disegno, dei quale restarono tracce nel BuUeUin 
mensuel du Cornile internalional ecc. {Rassegna^ VII, 260) e nella pubblica- 
zione per cura delia società storica alessandrina d*un libro di vaij scrittori 
(Boss. Vili, 308). Adesso il sig. A. Lumbroso, presidente dei Gomitato, dà a luce 
un voi. col titolo Mélanges Marengo (Frascati, tip. Tusculana, di pp. LXXI-233 
in 16.*), che sarà seguito da un altro» ed è fuori di commercio, ma destinato 
alle biblioteche e ai membri dei Gomitato soltanto. Esso contiene gli scritti 
di otto autori, più la prefazione dei compilatore, e parecchie illustrazioni 
(vedute, carte, ritratti ecc.). Sono materiali utili alla storia del memorabile 
avvenimento, in un luogo della prefazione si ricordano i componimenti poe- 
tici ch'esso ispirò. Altri si potevano riferire o almeno indicarne, di autori 
contemporanei : ma fra quelli di poeti dei tempi successivi, oltre il Mameli, 
potevasi rammentare Giuseppe Revere, il carme del quale, che s'intitola 
appunto Marengo, ha molto maggior merito d'arte, che l'informe polimetro 
del giovane bardo genovese. 

.*. Frangbsgo Sklmi, patrioUa, UUsrato, eciengiato meritava i>ene un ricordo 
della sua vita integerrima ed operosa, e lo ha adesso con un voi. dei prof. 
G. GiiNBVAZzi, che alla sua narrazione biografica aggiunge una Appendice di 
UUere inedite (Modena, Forghieri e Pellequi, un voi. in 18." di pp. VII-266 con 
ritratto). La prima forma di questo lavoro era quella di conferenza, e di essa 
ritiene tuttavia le impronte. Meglio era forse rifare il lavoro e più acconciamente 
coordinarne e svolgerne le parti, anziché ul testo sottoporre larghissime note 
e in fondo collocare copiose giunte e correzioni. Gosf com'è, è un lavoro 
alquanto farraginoso e tumultuario, nel quale troppo spesso, e lo dicono 
anche i molti errori tipografici, alcuni del quali corretti a mano, appajono 
i segni della fretta. Dando altra forma più ordinata al suo lavoro e alla 
copia dei materiali, l' autore avrebbe anche potuto meglio lumeggiare alcuni 
aspetti di quest'uomo, che, per naturai drittura d'intelletto, emerse fra i 
contemporanei come scienziato e insieme come letterato. I meriti, ad esempio, 
del Selmi dantista avrebber meritato più lungo discorso, mentre invece sono 
appena indicati, e non per studio proprio, ma per indicazione di giudiq 
d' altri. Il saggio, per citarne uno, del Selmi sul Convivio è un lavoro di ca- 
pitale importanza, specialmente per la divinazione sulle 14 Ganzoni che vi 
sarebber state illustrate; e di ciò appena è fatta menzione. Diremmo quasi 
che le benemerenze del Selmi scienziato sieno poste in più chiara e piena 
luce che quelle del Selmi letterato e dantista. La corrispondenza, che ha 
alcune lettere importanti o curiose, sarebbe stata bene disporla anziché 
per Huloii, per ordine cronologico. A noi pare insomma, letto con interesse 
questo volume, anche per le memorie che in noi ridesta, che debbasi rin- 



DBLLA LBTTBRATUEA ITALIANA 251 

graziare il prof. G. dell'aver riposto io ooore ud uomo per tanti aspetti 
notevole; ma che egli si sia come lasciato sopraffare dalla quantità e va- 
rietà del materiale e dal desiderio di far presto. 

.'. L* infaticabile prof. Arturo FARoncLU ha pubblicato nna seconda serie 
di Mas Apunies y Diwigaeione» Bibliograficat sabre viajes y viajsros par 
EspaHa y POriugal (Madrid, 1903, pp. 83 in 8.» piccolo). Gbi scorra 1* ab- 
bondante bibliografia vi troverà molti nomi d'Italiani cbe viaggiarono per 
la penisola iberica, fermando le loro impressioni in racconti, alcuni dei quali 
giacciono inediti iu biblioteche italiane o straniere. Il Farinelli fa sperare (e 
noi rincoraggiamo) che i suoi appunti e quelli pubblicati da un suo com- 
pagno di studj, il Foulché-Delbosc, possano essere raccolti insieme in un voi. 

.*. A ragione il sig. A. Saccrktti-Tassstti preludendo al suo libro Ls 
scucile puMiche in Rieti dal XIV al XIX secala (Rieti, Frinchi, 1902, di 
pp. VII-903 in 8.*) osserva che 1* illustrare non solo le vicende dell' insegna- 
mento superiore e universitario, ma anche quelle dei minori centri, darebbe 
contributo non piccolo alla storia generale della cultura italiana. Intanto egli 
fa per la sua Rieti quello che è desiderabile cbe altri possa fare per tutte le 
città italiane, e accompagna le vicende dell* insegnamento dal sec. XIV, e 
precisamente dal 1381, in che per la prima volta il Consiglio reatino, pur 
riferendosi a consuetudini anteriori, elesse un maestro di grammatica, fino 
ai di nostri. La serie di questi maestri e delie loro elezioni dura per tutto 
il sec. XV e XVI; e se per la maggior parte sono nomi di oscuri insegnanti, 
ve n'ha alcuno, ad esempio, il Gantaltcio, che è ricordato fra gli umanisti. 
Quali fossero gli ufficj, quali le retribuzioni di questi maestri è da vedere 
nel libro che annunziamo (p. ÒS e seg.), con norme che, del resto, poco 
differiscono dalle comuni ad altre città. Intanto alla 'fine del sec. XVII la 
scuola si mutò in Collegio (1617), che col tempo venne affidato ai padri 
Scolopi (1698), finché ritornò Liceo Comunale (1815). Queste vicende, ohe 
non importano soltanto la storia reatina, sono narrate con largo sussidio 
di documenti, e si terminano con un indice di nomi proprj, che potrà per 
avventura mettere sulla via di trovare qualche notizia biografica di letterati 
minori del quattro e dei cinquecento. 

.'. Nel volumetto di G. Uannu, Prose d'arte e d'estetica (Perugia, Guerra, 
di pp. S46 in 16.°), predomina la materia, che è fuori del campo del nostro 
giornale. Vi è bensì quello scritto su l'estetica dantesca, del quale altra volta 
(Vni, 340) demmo un cenno di meritata lode. Il rimanente tratta d* arte, o 
di criliea letteraria contemporanea. Fra i saggi artistici ci par da segnalare, 
come importante per la storia e notevole per giusto criterio lo scritto // 
Presepio nell'arie umbra (p. 83), né va dimenticato V altro / ritratti di Già- 
camù Leopardi (p. 109), che raccoglie utili notizie sull* argomento. La forma 
schietta e temperatamente calorosa e vivace fa leggere con piacere tutto 
quanto il volume. 

.*. Il prof. G. U. PosoGCo raccoglie insieme varj suoi scritti, col titolo Note 
letterarie e Saggi d* interprelasione ad uso delle scuole secondarie (Faenza, 
Montanari, di pp. 216 in 16."). Sono brevi cose, delle quali taluna non so- 
verchia la pagina : si direbbero rilievi di un copioso banchetto, se non fos- 
sero esse appunto il banchetto offerto al lettore. Fra gli altri scritti prefe- 
riamo quelli interpretativi, nei quali ci pare che maggiormente si scorga 



252 (U8StoNA BlBLlOOtUriCA 

il baoQ gusto deir autore, e la familiarità cogli autori classici italiaui • la- 
tioi. Noi pur facendo slima, come meritano, di queste noterelle, vorremmo 
vedere in esse un saggio di commenti, a Dante per es. o al Petrarca: ma 
Tesser disgiunti dai testi, sebbene Ta. dica che questi sono presenti alla 
mente di tutti o possono dal lettore facilmente esser messi dinanzi ai proprj 
occhi, scema ad essi, cosi come sono, utilità e pregio, perché è sempre in- 
comodo leggendo un libro doverne aprire un altro. Ad ogni modo però« 
queste illustrazioni sono notevoli e da prenderne ricordo, specie dagli inse- 
gnanti. Alcuni scritti di argomento pii\ generale (per es.: Prolegomeni alla 
leUer, ito/, e V Ufficio dello aerittore) sono troppo brevi, ma se mancano di 
novità, non sono senza appropriata dottrina né senza dirittura di giudizio. 
Lo stile é sempre facile e schietto ; ma perché ostinarsi in quella pedanteria 
del a la, de la, de i ecc. ; che può sopportarsi in poesia, ed è cosi incom- 
portabilmente sazievole in prosa? 

.'. Dalla ditta editrice Belforte e comp. di Livorno ci giunge un volumetto 
(di pp. XV-162 in 16.") intitolalo: Fulvio Stanganelli (R. Fiacca vento) Pic- 
cole pfoee letterarie. Le cose piccole presuppongono le grandi, come le opere 
minori le maggiori ; ma ancora non ne abbiamo viste di tal fatta, né sotto 
il nome di Stanganelli, né sotto quello di Fiacca vento. Un breve preludio 
deira. datato da Comtso in Sicilia, avverte il benigno lettore che non pensi 
di trovar nei suo libro * cose prettamente nuove e originali, perché ogni 

* giorno poche sono le cose che paiono nuove ed originali, e non abbiano 
' tanto di barba : solo vi troverà riflesso un animo non indifferente a tutte 
' le pili belle e care idealità, che nelPore triste che attraversiamo, ci può 
' consentire la vita moderna. Queste ultime parole ci incoraggiano alla lettura, 
ma animo ancor maggiore a proseguire ci darebbe la Prefazione che segue, 
segnata Domenico Graffko (chi é questo signore ?). Egli esordisce col dire che 
•Fulvio Stanganelli veramente 'non ha bisogno di presentazione , : tuttavia, 
enumerando le qualità che deve avere un critico, dice sembrargli le * pos» 

* segga „ e che per contrario * non abbia alcuno dei difetti , che possono a eerti 
altri critici rimproverarsi. Si sarebbe invogliati, dopo ciò, a vedere se a tali 
lodi corrispondono gli scritti contenuti nel volumetto; ma il sig. Graffeo (chi 
è questo signore?) cosi conchiude la prefazione, rivolgendosi ai possibili fu- 
turi critici di esso : * vorrebber far la critica di un libro di critica ? , Evi- 
dentemente è meglio lasciar correre, e dar ragione al signor Graffeo (ma chi 
è questo signore?) e accettar per buono tutto quanto egli asserisce in lode 
del suo amico. Del resto, nel volumetto forse uno solo dei saggi, rientrerebbe 
nel campo da noi coltivato : quello su * una rimatrice italiana delie origini , 
cioè sulla Compiuta Donzella. E ci sarebbe su di esso parecchie cose da 
osservare ; ma vogliamo accogliere il consiglio di non ' far la critica di un 
" libro di critica ,. Soltanto, rispetto a cotesto saggio appunto ci dimandiamo 
come e perché, V a. che cita e cita e ricita gli autori, che pid o meno han 
trattato 1* argomento, scrivendo da Gomiso nel 1903 non sa nulla di un la- 
voro sullo stesso argomento, del sig. Liborio Azzolina, stampato a Palermo 
nel 1902 (cfr. Raeaegna, X, 334). Il caso è un pò* strano! 



A. D' Ancona direttore ntpotiMabiU, 

Piaft.Tipogr«IU F. MvIotU, 1803. 



RASSEGNA BIBLIOGEIAPICA 

DELIA LETTERATURA ITALIANA 

nireUori: A. D'ANCONA e F. FLAMINI. Sditwt: E.8P0BBBI. 



Anno XI. Pisa, Ottobre-Novembre-Dicembrb 1903. N. 10-11-12. 



Abbonamento annuo j P®J }!g*J^Jo* * ; ^*/" J. | Un nnm. separato Cent. «•. 1 

SOMMARIO: E. Clkeici, // Conciliatore, pwìoàico milanote (P. Pranas). — Miàeéilanéo 
Hi Mtudj critici edita in onore di Arturo Oraf{L. Ferrari). — T. Garoallo, // Pa- 
latino d* Ungheria. Firenze 1823. Effy olaez Bdnk-Bdnk: Novella : forràtaivai 
epiftUi hiadta Katona Lajos (B. Tesa). — M. Fuochi, Eschilo, Il Prometeo incatt' 
nato (Z ). — ComanicacioDÌ . E. Fìutfìhì^ Scaligeriana. — Annanii biblio- 
grafici (Vi 8i parla di: (A. Loforte-Bandi - E. brambilla - 0. Negri - / Fioretti di 
& Franeeteo). — Cronaea. 



Edmondo Clerici. — B Coneiliatare, periodico milanese, Pisa, Nistri, 1903 (estr. 
dagli Annali detta R. Scuola Normale Superiore, toI. XVII). 

Sono trascorsi sessantanni da che il Sainte-Beure scrìveva che la stona 
de* giornali di Francia era ancora da farete s* augurava vedere qualche a- 
cademia incitare a queir opera due o tre lavoratori, coscienziosi senz'essere 
pedanti, intelligenti senz'essere leggeri. É tempo — egli diceva — che questa 
storia si faccia, perch'è già tardi, e tra poco non sarà più possibile. 

Ma questa storia è in Francia da farsi tuttavia, e non in Francia sol- 
tanto: r Inghilterra e la Germania, che pure ebbero nella prima metà del 
XIX secolo le riviste pili importanti forse di tutta Europa, non possono an- 
cora vantarsi d'averla fatta; e Tltalia ha essa forse su' suoi giornali (e si 
prendano pure i maggiori) studj degni e soddisfacenti ? Chi ha fatto ancora 
oggetto di faticose ricerche e di cure pazienti, in modo che nulla pili ne 
resti da dire, la Biblioteca e il Conciliatore di Milano, V Antologia di Fi- 
renze e il Giornale arcadico di Roma, il Oiornale ligustico di Genova e il 
Progresso di Napoli? Certo non v'ò persona mediocremente eulta che, più 
o meno particolareggiate e precise, non ne conosca le origini e le vicende 
e l'importanza; vi fu, anzi, chi lungamente discorse della Biblioteca italiana 
e del Conciliatore, e chi à^}\^ Antologia : ma la vita del giornale fiorentino 
era, se cosi posso dire, un episodio della vita di 6. P. Vieusseux; e il Tom- 
maseo, che mirava a tratteggiare intera la figura dell'amico ginevrino, non 
potè su Io studio di queir episodio intrattenersi quant* esso consentiva, ben- 
ché per notizia di fatti e originalità di giudizj lo abbia reso prezioso con 
parsimonia abondante. E que'due volumi del Cantù lasciano invero molto 
da desiderare per ordine, per esattezza, per giustizia di apprezzamenti; quan- 
tunque ricchi di lettere inedile, di aneddoti peregrini e di ricerche erudite. 

Anche in quel poco di già fatto è dunque da rinnovare la storia de' gior- 
nali d'Italia, e meglio detto sarebbe: tutta da fare. Per questo appunto gion- 

18 



254 RA8SBONA BIBUOGRAFICA 

gè opportuno il lavoro del Clerici, che colma una lacaoa e fa bella rispon* 
denza al buon lavoro che, non da molti anni, un mìo compagno * di studj diede 
alla luce su '1 giornale de* Verri e del Beccaria. 

Certo, air opera del Clerici non mancano difetti, ma h» pili belle cose 
degli uomini ne hanno, diceva P. Verri ; e i difetti sono, in questo caso, di 
tal natura che trovano facile scusa nelF età giovine dell* autore, e sufficien- 
temente restano compensati da* pregi. Il volume è diviso in tre partì, nella 
prima delle quali è tratteggiata tutta quasi la storia del Conciliatore dalle 
sue origini, determinandone 1* indole e la materia, e via via presentando i 
collaboratori, gli amici e cooperatori : nella seconda, tenendo presente gran 
parte del moto letterario italiano e straniero, si riassumono, discutendole, 
le varie dottrine romantiche, morali, sociali, economiche e storiche: nella 
terza, narrata la fine del giornale e la dispersione degli scrittori, se ne ri- 
cercano le simiglianze d* intenti e dimezzi con 1* il n^oZo^ia, terminando con 
uno sguardo generale al primo romanticismo italiano. 

Noterò via via quelle cose che non mi sembrano esatte, o su le quali 
più o meno diversa è la mia opinione.* Dopo tratteggiato con rapidissimi 
tocchi le condizioni della penisola in séguito alla rovinosa caduta di Bona- 
parte, e parlato del giungere del Pellico in Milano nell* ottobre del 1809, in 
sole quattro pagine (6-10) il Clerici dice de* tentativi del Pellico per far sor- 
gere il Bersagliere, de* ^ malumori e dissensi , tra* collaboratori della Biblio- 
teca, del tentativo infecondo del Giordani e del Monti di contrapporle un 
nuovo giornale; e citata una lettera del Pellico al fratello, ove è detto che 
il conte Porro, profittando dell* ira poetica del Monti e compagni, li aveva 
impegnati a stare uniti per fare un nuovo giornale; conchiude (pag. 10): 

* cosi quelle mal sicure e indecise aspirazioni, quei vaghi disegni che non 

* erano riusciti al Pellico e ai suoi due amici, né al Giordani e ai raalcon- 
" tenti dell* Acerbi, furono determinati e condotti ad effetto col valido ap- 
** poggio di due nobili liberali, come il conte Porro e il conte Gonfalonieri ,. 



1 L. Fkbbabi. Il Cafè, periodico mlUncae del seo. XVIII. Pisa, Nistri. 1889. 

s Tralaiicio, per brevità, le plooolesze. delle quali ricordo aolo qnaleana: numeroal» nelle 
citazioni in nota, aono gli errori di diatrazioue o di atampa : per ea. errata è la citazione 
a pag. 34, nota S.a. e a pag. 40 la nota l.«; che il brano cit. è tolto dal ProgramuM del gior- 
nale: a pag. 86, la nota !.• dev' eaaerc corretta, n. 34 pag. 134 : a pag. 93. la nota 3.» Ta egual- 
mente corretta n. 34 pag. 134: a pag. 118. neta 2.», e pag. 119 nota l.a, la citazione dev'eeaare 
n. 4 pag. 14-16: a pag. 196 la nota 6 Ta corretta, pag. 423 (Peoehio): a pag. 127 la nota 8.» 
deve correggerei n. 46 pag. 181 ; né. per dire il vero, le parole chinie tra virgolette aono di 
Oriaoatomo, che aoriaae molto diveraamente: nella ateaaa pag. 127, la citazione che incomin- 
cia : 4 il romanticiamo non coualate .... ecc. > e flniace « ò lecito a coatoro confondere il 
«genere romantico col genere pazzo, è ben poco preciaa.e tatto il brano viene in not* 
attribuito al Viaconti, mentre dal punto che dice « gli uomini del volgo . . . . > eco. . . . fia 
parte di un altro articolo, firmato il Cwciliatortt an '1 diacorao di L. Habil. {CotieUiatort, n. 40 
pag. 169). Gobi pure (pag. Ili) Bayle è da correggersi in Beyle: e non è esatto citare (pag. 
34-36) il aolo Berchet autore di qnell' articolo « aopra un manoacritto inedito del foglio pe- 
riodico 11 Caffè >; articolo compilato da due persone, come inflitti al vede anche dalla firma, 
nella quale allo paeudonlmo del Berchet a' accompagna la aigla P. E altre inesattezze po- 
trebbero ancora notarsi, ma non è da tacere che scrivendo costantemente Niccclini per de- 
signare il poeta bresciano Oluaeppe Nleolinl, esso si confonde per tal modo col tragico 
Giam-Battlata fiorentino. 



DELLA LBTTKRATURA ITALIANA 255 

li Cóneiliatore, dunque, è già fondato : ma quanto il Clerici ha detto, è in 
verità troppo poco per mostrarne le origini. Se ben si osservi, egli in quelle 
quattro pagine non ha fatto se non togliere que' brani delle lettere del Pel- 
lico, necessari ali* argomento, ponendovi di suo ciò che bastasse a tenerli 
uniti; cosi che que* brani dicono poco, e il tutto è senza vita. 

Quando, ad es. il Pellico e gli amici suoi * in gran segreto , meditavano 
un giornate che seppellisse la BibliaUea, non poche certo erano le difficoltà da 
superare: il Clerici afferma (pag. 7) soltanto che * la grave difficoltà di un*ar- 

* monia intellettuale necessaria ali* impresa si presentava sempre più ardua 

* aHa mente del Pellico ,; e cita un brano di lettera, la quale dice che '^ le 

* volontà non erano ancora sufRcientemenle concordi ,. Ma il perché le vo- 
lontà non erano concordi, if p^r^A^ mancava ' 1* armonia intellettuale, e 
tutti, a confessione del Pellico, guardavansi Tnn 1* altro in cagnesco; il Cle- 
rici non dice, e questo appunto era necessario eh* egli dicesse. E senza dubbio 
Tavrebbe detto, se si fosse più lungamente trattenuto a dipingere le rivalità 
e le gare meschine de* letterati (e il Poligrafo e i numerosi epistolaij gli forni- 
vano materia bastante) e sovra tutto le incertezze, come in politica anche 
in letteratura, dopo il *14; se, in altre parole, si fosse studiato a vivere un poco 
la vita di quel tempo; perché nella prima parte del lavoro manca sovra 
tutto la dipintura di ciò che comunemente suol dirsi ambiente storico. S* ag- 
giunga poi, che nel trattare le orìgini del giornale è un poco dì confusione 
e di inutile ripetizione pé *l modo con che la materia è stata disposta : dopo 
aver detto in fatti (pag. 8) delle liti tra* soci della Biblioteca, e che il Porro 
e il Confalonieri determinarono e condussero ad effetto i vaghi disegni de- 
gli altri (pag. 10), in altre parole, che fondarono il giornale; presentati i ' due 
' nobili liberali , e i varj cooperatori, ritorna ( pag. 30-32) alla Biblioteca 
italiana, a* dissensi con TAcerbi, al ritirarsi de* primi collaboratori ; e ripete : 

* sorse allora, per opera di una società di buoni patrioti . . . jl nostro pe- 

* rìodico ..... S* io non m* inganno, poteva questa materia essQr meglio or- 
dinata, e più ampiamente svolta: più svolta, sovra tutto, per ciò che riguarda 
— come dicevo — 1* ambiente. Il Clerici, ad es. ricorda (pag. 11) una lettera 
del Pellico, ove questi dice che i futuri Conciliatori, che guardavansi prima 
in cagnesco, avvicinandosi si riconobbero, e giustificandosi si stimarono. Le 
riunioni in casa Porro furono sorgente certo non piccola di quell*armonia ; 
non doveva quindi Ìl Clerici ristringersi a dire soltanto (pag. 13) che " la sua 

* {del conte Porro) casa divenne il ritrovo di tutti i più illustri uomini di 
'Milano e di quanti stranieri soggiornassero in quella città per qualche 

* tempo ,; né fugacemente accennarvi altrove (pag. 26). Bisognava rappre- 
sentare la vita di quella casa, che era come una grande lanterna magica in 
cui più meno distinto si disegnava il profilo degli uomini più grandi, e 
non d* Italia soltanto; sorprendere adunati quelli spiriti eletti, e dipingerli 
in quelle loro conversazioni, per elevatezza e importanza paragonabili solo 
a quelle in Firenze nel Gabinetto letterario di 6. P. Vieusseux. Il sentire nel- 
r anima queste cose, 1* avrebbe anche aiutato a intendere 1* anima del gior- 
nale; e mi duole che 1* amico mio si sia lasciata sfuggire l* occasione di 
scrivervi sopra un bel capitolo; che gli elementi per scriverlo non manca- 
vano, e poteva essere geniale e pieno di vita. Oh quante cose belle erano 



256 RASSEGNA BIBLIOOKAPICA 

da dirsi sa quella società della quale lady Morguo scriveva che Parigi stasso 
non ne avrebbe potato offrire una pili amabile e più interessante; su quella 
fucina intellettuale e operosa, di dove il ConeilieUore traeva la vita, e dove 
fiammeggiavano tante idee delle quali solo una piccola parte poteva fluir 
nel giornale! 

Uno de* difetti dunque di questo lavoro, per ciò che riguarda la parte 
storica, parrai consista neir essersi Fautore contentato spesso di accennare 
a' fatti, senza però spiegarli e intenderne 1* anima secreta. E perché sono 
venuto a parlare della parte storica, non vorrò muovergli rimprovero del non 
averla trattata — per ciò che riguarda strettamente il giornale — come si 
conveniva; che egli slesso dichiara (nella prefazione) di ritornarvi sopra in 
avvenire, non avendo pazientemente esaminato le biblioteche private di Mi- 
lano, né V Archivio di Stato; devo bensf dirgli che appunto per queste ra- 
gioni il suo lavoro riesce manchevole, in quanto su ciò che costituisce la 
vita del giornale nelle sue origini e nel suo sviluppo, ne* suoi rapporti con 
gli altri giornali, nella sua fine e nella sua fortuna, non ha cosa, si può dire, 
che già prima non fosse nota. 

Dalle considerazioni d* indole generale scendendo un poco a qualche par- 
ticolare, non saprei consentire davvero air idea del Luzio, riportata dal Cle- 
rici, (pag. 31) che cioè TAcerbi fu ' spirito illuminato ed equanime ,; alla quale 
idea egli fa coro affermando che TÀcerbì conservò una " lodevole impar- 
''zialilà,. Certo, il Giordani, il Monti e gli altri di troppo a lui .superiori, 
co* loro disdegni più che non meritava lo posero in mala luce; ma pur ri- 
conoscendogli molti meriti, a lui negati da* suoi nemici, oso aver qualche 
dubbio sui ^ lumi, dell* Acerbi, in specie quando mi torni in mente 1* acco- 
glienza fatta al Leopardi, della quale il poeta recanatese nelle sue lettere 
certo non molto si compiaceva. In quanto poi alla sua ' lodevole impar- 
' zialità ,, rilegga meco 1* amico Clerici (cito una prova, tra le varie che 
potrei) la lettera che lo Scalyini diresse ali* Acerbi, nella quale non po- 
teva, ben che irato, rimproverarlo di cose non vere; e forse muterà d'opi- 
nione. Dicevagli lo Scalvini : *quand*io scrissi quel mio parere intorno alla 
" versione deWEdipo Coloneo del eav, GiuHi, voi faceste lunga insistenza, per- 
' eh* io tacessi alcune parole che lodavano ... lo stile del Monti : le quali io 

* scriveva quando non era, né pensava essere per divenire, amico a queli*il- 

* lustre ... E quando voleste eh* io ragionassi delle Tragedie di Satvaiore Sew 
" de9'i, era vostro gran desiderio eh* io lodassi quel lavoro ... da tutti trovato 
" indegno di lode; e quasi a fine di persuadermene la bontà, venivate dicen- 

* domi avere lo Scuderi sollecitato per tutta la Sicilia lo spaccio della Biblùh 
' teca italiana* E allorché presi a parlare deW Iliade volgarizzata dal sig. Man- 
' Cini, voi a grandissima pena comportaste eh* io non la ponessi sopra quella 
' del Monti, o non volessi almeno, notando i difetti dell* una, passarmi 
' de*pregj dell* altra. . . ,.' Del resto, che imparzialità poteva essere quella 
dell* Acerbi, se egli stesso, scrivendo ali* amico Carpani, diceva che tra Tal- 
tre cose che si proponeva per iscopo, era dare al giornale (si noti la frase 



» Scritti d\ G. Scalvini, ordinati da N, ToqamfMBèo, FireiiM, Le MonnieMSeO, pag. 119-111. 



DBLLA LKTTBRATORA ITAUANA 25? 

che dipinge totlo Taomo) ' un* aria di imparziatilà e indipendeQxa? , * Un' a- 
ria di imparzialità — dovrà convenirne ramìco mio — non ò wra impania- 
lità, e molto meno, lodevoU, 

Nella pag. 44, trovo scrìtto che il Borsierì * qualche volta firmava gli ar- 

* ticoli con una semplice P. , . Non nego che il Clerici abbia le sue ragioni 
per affermar ciò, ma bisognava pur dirle, pe*l fatto che il Pellico, nel docu- 
mento citato dal Gaotù, asserisce che il Borsierì si firmava P. B. (si noti 
però che nel Conciliaioré nessun articolo è firmato con ambedue queste ini- 
ziali) mentre nella lettera al Foscolo del 17 ottobre 1818 dice invece che B. 
indicava Borsierì. E tanto pili la cosa aveva bisogno di schiarimento, in 
quanto anche 6. Mazzoni, che pur tante cose sa su *1 secolo XDC, dice (0/- 
fo^nto, pag. 237) del Pellico T articolo su le comedie dello Sherìdan e quello 
su *1 Gorniani (entrambi firmati con la sigla P.), che il Clerici, in vece, attri- 
buisce al Borsierì (pag. 41, 86, 98). 

Nò parmi molto esatto il dire (pag. 50) che lo Scalvini fu * amicissimo 

* dei nostri soci, finché non divenne . . . amico dell'Acerbi j,. Lo Seal vini co* 
nobbe e fu amico airÀcerbi da che giunse in Milano: e Alessandro infatti, 
cugino a Giovila, scrisse che questi ' venne in Milano nei primi mesi del 

* 1818; alloggiò in casa Acerbi sino a che passò in casa Melzi, per Tistm- 

* zinne de*figli, alla metà di ottobre 1818 ,.* 

Anche: per ciò che riguarda gli amici e cooperatori, non so se G. B. Nic- 
colini fosse, quanto il Clerici mostra credere, (pag. 52) * partigiano , del Con- 
eUiatare, al quale * amicava ,, al dire del Maroncelli: questo ben so, che pur 
avendo tra gli scrittori del foglio azzurro amici molti, e nella pratica ac- 
colto non poche massime de* romantici, al Capponi, però, allora in Parigi, 
scriveva (lettera del 30 die. 1818) che il romanticismo era una follia per cui 
da* lombardi si scimìeggiavano i tedeschi. A ogni modo, Taver egli rivolto 
agli scrittori della Biblioteca le disdegnose (non le direi * generose ,) parole, 
che il Clerici ricorda, non mostra eh* egli amicasse alle dottrine letterarie del 
Conciliatore; perché furono scrìtte nel 1822 su V Antologia (n. XVII maggio 
pag. 318) in difesa d*una sua traduzione. Cosf pure, dopo aver parlato (pag. 57) 
4elle affinità fra le idee de* Conciliatori in politica e in letteratura, e quelle 
del Foscolo, e ricordato il Parere di lui su 1* instituzione di un giornale let- 
terario per ricercarvi le simiglianze; il Clerici dice (pag. 58): ' non sembra 
' quasi che Ì nostri avessero ben letto e meditato questo parere, prima di 

* accingersi alla loro opera? „. In qualche cosa forse sf, sembrerebbe; in altre, 
no senza dubbio, tanto, più che dissimili, contrarie sono le loro opinioni. 
Avrebbero forse i conciliatori assentito a questo, ad es., che il Foscolo scri- 
veva nel suo parere: * Ogni governo regnante ha bisogno, diritto e dovere 

* di ridurre le opinioni dei sudditi al sistema del suo governo , ? Volendo 
notare le simiglianze, dovevasi pure accennare alle differenze, che non erano 
poche. 

Nel capitolo IV, ove è discorso del romanticismo, trovo qualche idea 



1 Lettera citat» da O. Siazzoni, L' ottocento, p. 231. 
> Scritti cit di a. Scalviui, pag. 251. 



258 rassboNa diBLioaRA^ioA 

(pag. 71 e seg.) che darebbe luogo a aon brevi discussioni: dice i*A. che in 
ogni età, per latte le letterature si possono osservare dae indirizzi del pen- 
siero, Pnno dei qnali conservatore, innovatore T altro: il romanticismo quindi 

* può avere caratteri comuni con qualunque età di transizione, quando par- 

* tigiani del vecchio sistema e novatori ribelli si contendono il campo „ o 
dev* essere considerato come " prodotto di un largo movimento del pensiero 

* e della vita del secolo XVIII ,; ma perché ha " una isonomia propria .» 
FA. dubita ' deir utilità e della verità di una ricerca.. . secondo la quale si 

* trovano i cosidetti precursori del romanticismo un pò* dappertutto «. * Come 

* infatti cercare i precursori di quel nuovo sentimento, che anima V opera 

* dei nostri romantici, mentre tale sentimento ... fu ignoto ai predecessori, 

* e solo in parte e vagamente sentito da qualche ingegno solitario e divi- 

* natore? ,.Le avversioni al convenzionale — continua — le ribellioni alle re- 
gole furono in vario modo e in diverso grado " d' ogni tempo e d* ogni po- 

* polo e non compongono da sole il romanticismo, i cui vaij aspetti invano 

* si cercano in tanti scrittori d'altre età.. Sorvolo su questi benedetti se* 
coli di transizione o dì passaggio, com' altri li chiamano, se bene ho V idea 
che ogni secolo e in sé e per sé, e per rispetto alla vita politica e per ri- 
spetto a tutte le manifestazioni dell' arte, è di passaggio, di transiziome dal 
secolo che Tha preceduto a quel «he lo segue: ma non intendo il perché 
per il Clerici non ci abbiano a essere e non debbano cercarsi i precursori 
del romanticismo; mentre egli stesso riconosce questo un prodotto del se- 
colo XVIII; mentre concede che il sentimento che T anima è stato, e sia pure 

* in parte e vagamente ,, ma tuttavia ' sentito , da qualche ingegno; men- 
tre afferma che le avversioni al convenzionale, le ribellioni alle regole e altri 
molti caratteri del romanticismo, furono in vario modo e in diverso grado 
(e qui esagera) 'd'ogni tempo e d'ogni popolo,. Certo, se i precursori si 
cercano, com'egli dice, * un po' dappertutto «, se in essi si vogliano tutti tro- 
vare i caratteri che costituiscono il romanticismo, ha tra le mani buon gioco; 
non cosi però se si pensa che quel largo movimento del pensiero che anima 
il secolo XIX, ha avuto una lenta preparazione, che molti principj più che 
nuovi, erano soltanto rinnovati, se i precursori, infine, si cercano dove e come 
vanno cercati. Il dire che — per non essere il romanticismo composto di 
soli certi caratteri comuni ad altre età — è inutile e vano cercarne i suoi varj 
aspetti negli scrittori di queir età ; ^ non mi pare ragionamento diritto. Ciò 
significa anzi tutto rinunciare a sapere quanto nel romanticismo è di vera- 
mente originale, ed é lo stesso che pensare e dire che — non ritrovandosi 
i vaij aspetti politico, filosofico ecc. della Comedia ne' precursori di Dante — 
è vano ed inutile ricercar ne' dipinti e ne' marmi e nelle sculture e ne' libri 
anteriori a lui, la sorgente delle sue fantasie e i primi germi del suo pensiero. 

A proposito del romanticismo, là dove parla dell'opera del Visconti (pag. 
Ili) non era da passarsi sotto silenzio il più che lusinghiero giudizio che di 
lui diede il Goethe: vero é che in un punto, trattando del Con^ì/ìa/or^, accenna 
all'articolo (pag. 208), ma la notizia che ne dà é attinta alla lettera del Porro 

t Altrove però, pur dicendo che il romaoticisDio « uon ebbe» precunorl, anunfitt^ «he 
poeBano trovanene per le aingole parti (pag. 233). 



OBLLA LSTTBRATUaA ITALIANA 259 

air Ugooi, riferita dal Gantù ; e ho gran timore (e vorrei iagannamii) che 
il Clerici DOD si sia dato premara di guardarlo; diversamente, non ne avrebbe 
parlato in modo si vago, e sovra tutto non avrebbe detto, modellando la «oa 
su la breve frase del Porro, che il Goethe ' in un articolo sulla letteratura 

* d* Italia ebbe lodi per il giornale milanese e per molti dei suoi collaboratori ,. 
Avrebbe visto, in vece, che de* collaboratori uno solo è il lodato: il Visconti. 
(L'articolo è Sulla muova UtUraiura iialiana: Goethes Werke, Hildburghausen, 
186» voi. XII pag. 577-578). 

Quaich* altra cosa sarebbe ancor da notare, come là dove dice (pag. 158) 
che la Biòliotoea * non poteva interamente disapprovare le nuove dottrine « 
e che combattette * non tanto il romanticismo come teoria, nw le partico- 

* lari persone che lo rappresentavano .: che combattesse le persone, e certe 
persone in ispecie, non ho dubbio; ma in quanto al non disapprovare le 
nuove dottrine, in altre parole, a non combatterle come teoria, lascio rispon- 
dere a P. Zaiotti, il quale appunto nella BibliaUea (t. XXV, 1822, pag. 156) 
scriveva: * Noi abbiamo nel *19 combattuto il romanticismo perché ne sem'- 

* brava nocivo ai buoni studj, e pid ancora perché ne pareva che di quelle 

* letterarie dottrine si cercasse far velo a pericolosi insegnamenti di natura 

* affatto diver^ .. 

Anche: di cose d*arte, poco è pur vero contiene il foglio azzurro 'r ma 
in un lavoro tutto su *i Coueiliatore, a occuparsi di quel poco e* era materia 
saffieiente per scrivervi qnalche pagina, non cinque, righe» come il Clerici ha 
fatto (pag. 42). Infine, sarebbe stato pur bene, per la storia del giornale, ri- 
cordare che in Firenze il 15 di giugno del 184f8 fu data la vita a un gior^ 
naie politico-letterario, co *1 nome> istesso di ConeUiaioro; in tutto diverso 
•ensa dubbio dal primo, e pur singolare nel fatto che vide la luce durante 
larivokzione toscana, come quello milanese poco innanzi la rivoluzione lom- 
barda: tale a ogni modo da meritare un accenno, perché è prova bella non 
solo della fbrtana di quel nome, ma deir efficacia che gli scrittori del foglio 
aaaurro esercitarono su la nazione. ' Il Coneiliator» — scrivevano in fatti nel 

* primo numero i compilatori -^ risuscitando col suo nome una memoria 

* del primo grido d* indipendenza che gì* Italiani fecero sentire ali* Europa 

* dopo la rinnovata servitù straniera, più che a vestirsi senza merito d*una 

* gloriosa divisa, ha inteso di pagare nn tributo di gratitudine a quelle forti 

* anime che seppero affrettare coi voti e preparare con esempj di coraggio 
' * e di saerifloio, 1* italico risorgimento ,. 

Ho notato finora quelli che a me son parsi difetti del libro, pur sapendo 
«he ad altri potrebbero forse non parer tali; tante e tanto varie trasentici 
aon le opinioni, le quali, al dire del Groethe, mutano in tante tinte chiaroscura 
quante sono le gradazioni tra il becco dell* aquila e il naso dell* etiope. A 
ogni modo, quand* anche non mi sia ingannato ne* giudiig che> ho dato, i di- 
fetti non scemano valore ali* opera, cos( come il Clerici Tha concepita. Egli 
si è proposto sovra tutto studiare il contenuto del Conciliatore, e in questo 
studio è riescilo bene: (ricordo, per farne le lodi, i capitoli V. VI, VII e IX; 
se bene in quest'ultimo pili ampiamente erano da notare le simiglianze tra 
il foglio azzurro e V Antologia, e da non trascurarne le differenze). V*è dili- 
genza amorosa nel raccogliere i fatti, acutezza di raffronti e, per ciò che 



260 fUSSaONA Bl&LlOOftAriCA ' 

riguarda la letteratura nostra e straniera, abóndania di cognizioni più che 
non si ritrovi in giovine comunemente: il tutto poi scritto — cosa anche 
questa non comune — correttamente,* se non sempre con elegania. Nel 
complesso, ò lavoro utile e buono; e sarà migliore se il Clerici vorrà — 
come promette nella prefazione — farlo oggetto di nuove cure, sviluppare 
con fruttuose ricerche la storia del foglio assurro e la parte aneddotica, 
e qua e là ritoccarlo e ampliarlo; quand*egli accolga quelle poche miti obie- 
zioni che via via gli sono venuto facendot Se pure ei non voglia per 
tutta risposta ricordarmi ciò che la buona Lauretta diceva in un punto del 
foglio azzurro;* che cioò le donne e gli scrittori hanno in questo un de- 
stino comune: nel dovere le donne soffrire chi non sa loro fare la corte, 
e gli scrittori chi non sa far loro la critica. 

Paolo Pruhas. 



Miseellanoa di studj critici edita in onore di Arturo Graf, — Bergamo, 
Istituto italiano di Arti grafiche, 1903; pp. 850, con ritratto in zincotlpia 
e. una tav. fot. 

Splendida per eleganza e ricchezza di ornamenti tipografici, per abbon- 
danza, varietà e bontà di stu^j critici, per numero e qualità di sottoserìt- 
torì è la MiooManca, che discepoli, amici ed estimatori hanno testé pubbli- 
cata in onore di Arturo Graf, compiendosi il venticinquesimo anno del suo 
insegnamento. La Rassegna bibliografica unisce ed aggiunge la voce sua al 
coro delle lodi, dei plausi e degli augurj. E si affretta a dar parte ai suoi 
lettori di un cosi cospicuo tesoro di osservazioni, di ricerche e di documenti, 
prendendo in esame ogni singolo scritto e dandone, per quanto è possi- 
bile, una notizia analitica ed oggettiva. 

1 (pp. 9-59). Fa. D*Ovmio, La versificazione delle Odi barbare [Messo in 
sodo che le lingue neolatine posseggono una lor propria quantità, di carat- 
tere tutto fisiologico ed eufonico, scevra d*ogni legame storicd con la quan- 
tità latina, e, di più, una quantità veramente ereditata dal latino, quella cioè 
di * posizione «, o meglio di * convenzione ,, il D*0. traccia con mano si- 
cura la storia dei tentativi dei nostri cinquecentisti, e dei tedeschi del sec. 
X3i!^III (il Klopstock, il Kleist, il Vosz, il Goethe, etc), per riprodurre nelle ri- 
spettive lingue i metri classici degli antichi. Il criterio dei poeti tedeschi fu 
di abbandonare, in massima, la quantità, e ricalcare i versi antichi quali 
suonano se letti conforme ad arsi o tesi; sicché ovunque nel verso antico 
cadeva Tarsi, si avessero sillabe tedesche accentate, e sillabe atone o di 
debole accento ovunque cadeva la tesi. Confortato dal grande esempio ger- 
manico e dal ricordo degli stessi infelici tentativi del Tolomei e del Mio- 



1 Devo però ooUre (e a me non piaoe lo scriverò iti prima persona plarale, cbé è tòno 
oratorio) che non è bello il frequente mutare dalla prima persona plurale alla prima sin- 
golare; come nella stessa prefazione: e Noi ci proponiamo. . . », e pili sotto di due righe, 
« Mi sia oonoesso . . . >. 

t N. S pag. 20. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 261 

tomo, il Carducci si adeinse a ritentare la prova ; ma tenne via diversa dai 
suoi predecessori. Egli si applicò a contraffare gli esametri e gli altri versi 
Ialini * rimasti in asso « con quello slesso metodo, onde, secondo 1* ipotesi 
pili ragionevole svolta dal D* Ovidio medesimo in altro scritto (Suil' ori- 
gine dei versi italiani, in Oiorn. tior. d, leU, it., XXXH, pp. 1 sgg.)» si erano 
fatti italiani o romanzi gli altri versi latini. Tentò riprodurre cioè con suoni 
italiani quel ritmo, che danno esametri o alcaici latini, letti air uso italiano, 
sensa riguardo a quantità o ad accenti ritmici. E come la poesia volgare, 
al suo sorgere, e in gran parte la stessa poesia ritmica latina del medio-evo, 
si era attenuta, per ciascun verso, a quei tipi, che offrivano un ritmo più con- 
facente ali* orecchio, eliminando volentieri gli altri metricamente buoni, ma 
ormai ritmicamente malsonanti; cosf il Carducci s* appigliò a quei tipi di 
esametro o d'altro verso che gli suonassero meglio, o venissero a coinci- 
dere con versi già italiani, o sembrassero risultare dalla combinazione di due 
fra essi. Tali sono le conclusioni dello studio, lucido e denso, del D* 0.]. 

S (pp 53-76). 6. Gròbbr, Von Petrarca 'e Laura [Riprendendo in esame 
la dibattuta questione della reale esistenza della Laura petrarchesca, il G. 
dimostra con abbondanza di testimonianze, che il nome di Laura o Lauretta 
(derivato probabilmente dal latino Laurentia) ebbe più di un esempio tra 
i francesi del settentrione e del mezzodì innanzi al tempo del Petrarca, e 
propugna 1* autenticità del cenno necrologico della Laura avignonese, che si 
conserva nel Virgilio del poeta, posseduto ora dairAmbrosiana]. 

3 (pp. 77- 105). P. ToYMBBC, The Earliest Referenees to Dante in Snglith 
Literature [Raccoglie i fasti della prima fortuna di Dante e delle sue opere, 
nella letteratura inglese, dallo Ghaucer al Gray. Particolarmente notevoli sono 
le osservazioni, che il T. dedica alle imitazioni e reminiscenze del divino 
poeta, assai frequenti nello Chaucer]. 

4 (pp. 107-116). G. Pahis, Le eonte de la Oageure dans Boecaee [Studia la 
novella boccaccesca in relazione ad una novella anonima italiana antica, edita 
per la prima volta dal Lami, e ad un romanzetto tedesco quattrocentistico, 
e mostra com* esse formino, nel grande ciclo della Gageure, un gruppo a 
parte, derivato da una versione francese, di cui non restano genuini rap^ 
presentanti]. 

5 (pp. 117-22). V. GaBscmi, Retorica dantesca [Brevi osservazioni su al- 
cuni artifici retorici abusati nella poesia dantesca]. 

6 (pp. 123-43). R. Rmìbr, Cenni nulVueo dell' antico gergo furheeco nella 
letteratura italiana [Studio suU* uso del gergo in alcuni letterati del 500; 
e particolarmente in Antonio Brocardo, al quale il R. restituisce un codi- 
cetto anonimo della raccolta Campori, contenente un largo spoglio di parole 
e frasi gergali e molte poesie furbesche, e in Giovanfrancesco Ferrari, di cui 
esamina tre componimenti poetici interamente furbeschi, con altre poesie 
d'anonimo tratte dal cod. Magi. II, I, 398]. 

7 (pp. 143*8). G. Fragcaroli, Briciole dantesche [L* a. ricerca Se Dante 
ahbia conosciuto le Orazioni di Cicerone, nota alcune Reminiscenge eschilee, 
rileva Una papera di greco, rescituisce alla sua forma autentica II motto di 
Fisistrato, e mostra la trasposizione da Diogene cinico a Dante, del noto 
aneddoto delle ossa gettate al poeta da banchettanti]. 



262 ftA88BGNA BlBLIOGEAFlOA 

8. (pp. 149-59). B. Croci, Franeeseo Patrizio € là critiea deUa reiariea 
ttntiea [Neil' opera del Patrìsio è eccellente il rìassanto storico intorno allo 
svolgimento dell* arte retorica nelle scuole dell* antichità, al suo triplice ealto 
per opera dei sofisti, dei politici e dei filosofi, e al suo risorgimento nei tempi 
moderni sotto V influsso della tradizione antica ; ottime sono anche le osser- 
Tasioni intorno alla inutilità e insufficenza della retorica antica nelle mutate 
condizioni del tempo. Ila se la parte critica è notevole, e viva è la coscienza 
che' la retorica antica non meriti il nome di scienza, manca tuttavia, 
come ben nota il Cr., un principio nuovo ed originale, sul quale il Patrizio 
poggi ed edifichi un solido e ben ordinato sistema di dottrine]. 

9 (pp. 161-94). E. Bbrtana, L'Ariosa, il matrimonio e h donne [A sus- 
eldio dell* interpretazione della nota satira ad Annibale Maleguccio, il B. 
discorre e discute le opinioni varie espresse dall'Ariosto nelle sue opere 
Intorno allo stato coniugale e alle virtù e vizj delle donne; non senza ac- 
cennare con tocchi rapidi e sicuri alle opinioni dominanti nella società del 
Rinascimento e alle contese fra apologisti del gentil sesso e suoi detrattori. 

.La conclusione dello studio del B. ò, che l'Ariosto, pur inclinando a giudiq 
di grande indulgenza verso le donne, e vagheggiando in astratto la bontà 
e l'efficacia morale del matrimonio, era nondimeno disposto a considerare, 
nella realtà, la virtù femminile come la più debole e fragile cosa del mondo, 

• l'ottor dei mariti come inevitabilmente soggetto a molteplici e fortissime 
insidie.Onde i consigli che l'Ariosto dà al cugino Annibale intorno alla pre- 
ferenza dello stato coningale e alla scelta di una buona moglie, sono a pren- 
dersi con benefizio d' inventario, e il genuino significato della satira deve 
ricercarsi phittosto nella facezia finale, tratta dal Poggio, d' intonazione e di 
«enei prettamente misogini]. 

10 (pp. 195-200). 6. Mazzoni, Per la maaehtra di Tabarrino [La maschera 
di Tabarrino, fiorita in Francia nel sec. XVil, è d' origine italiana, e proba- 
bilmente fu creazione del veneziano Giov. Tabarin, che visse ed esercitò 
l'arte sua a Parigi nell'ultimo trentennio del sec. XVL Anche in Ilalia ebbe 
qualche fortuna. La troviamo a Napoli nel 1669, usata da un savoiardo detto 

* il Tamborrino o Tabarrino «, e a Bologna nei primi decenni del 700 per 
opera del comico Bigher. Maurizio Sand attesta, che fin quasi al tempo in 
cui egli scriveva, cioè a mezzo il secolo scorso, era duralo a Bologna nel 
teatro delle marionette il vecchio Ser Tabarrin; una specie di Pantalone 
bolognese, zotico, avaro e illetterato, che affettava un italiano purgato e ve- 
stiva in fogge vistose e stravaganti]. 

11 (pp. 201-22). V. Gian, Per la $toria dello Studio bolo(fné9e nel RinaBci- 
mento, Pro e contro V Amaeeo [Sulla scorta di documenti inediti il G. racconta 
la storia delle trattative corse fra il governo pontificio e- il veneziano per 
riavere Romolo Amaseo (1524), passato quattro anni innanzi all'Ateneo pa- 
dovano, e dei contrasti e delle opposizioni, ch'egli ebbe a soffrire al suo 
ritorno a Bologna per opera di un gruppo di eolleghi, capitanati dall'uma- 
nista Giambattista Pio]. 

12 (pp. 223-33). N. Vaccalluzzo, Severino Boezio e Pier della Vigna nella 
Divina Commedia [Dotta ed ingegnosa disquisizione sul quesito, se * Dante 
' nel rievocare il tragico episodio di S. Miniato e disegnarlo e coloririo netta 



D8U.A LBTTSR4TURA ITALIANA 268 

'spaventosa selva dei saicidi, e nelPidealizsare là figura del protonotaro 

* capuaDo, abbia, ioconsciamente o oo, subilo 1* ioflueaza del De Conaolatione, 
' e risentilo la suggestione vivissima che sali* animo suo generoso si riflet- 

* teva dalla persona di Boezio ,]. 

13 (pp. 235-56). M. Barbi, AUsMndro Manzoni t il suo romanzo nel ear- 
leggio del Tommaseo eoi Vieuaseux [I giudizj del Tommaseo sui Promosoi 
Spo9i, che il B, pubblica con molte altre notizia del grande lombardo, tratte 
dal carteggio con 6. P. Yieiasseux, sono improntati al piò grande entusiasmo; 
e fanno singolare contrasto coli* articolo sul romanzo medesimo, edito nel* 
V AtUoìogia (oit. 1827), ove la lode è assai misurata, e il desiderio di cen- 
surare, sebbene frenato da un ossequio doveroso» traspare vivissimo. Ma 
forse, come pensa il B., nella contraddizione hanno parte non piccola le in- 
perfezioni di (òrma e le reticenze di concetto, cosi frequenti nello stile del 
Tommaseo]. 

U (ppl 257-65). S. D« Chiara, Gli amori di Galeazzo di Tarsia [Breve, 
ma garbata illustrazione del canzoniere del cinquecentista petrarcheggiente]. 

15 (pp. 267-84). P. Bellezza, H * eor di Dante . attribuito dal Manzom 
a V. Monti [Con numerose testimonianze di autori contemporanei il R poim 
in chiaro» che i concetti svolti dal Manzoni nel noto epigramma in lode di 
V. Monti, e che tanto scandalo sollevarono presso i posteri, ebbero al tempo 
sue un* eco fedele negli ek>gj prodigati al cantore della Baooilliana in verso 
e in prosa da numerosi suoi ammiratori; e corrispondono d* altra parte a 
forti convincimenti (non importa stabilire se conformi o no, a verità e giù* 
stizia), radicati noli* animo del grande lombardo intorno ali* opera e alia viia 
dal * divino , poeta]. 

IG (pp. 285-367). A. Farincllì, SerUimento e concetto della natura in Leo- 
nardo da Vinoi [* Fra la natura e Leonardo ,, scrive il F., ' era recìproca 

* corrisf ondenza di alletti e di sentimenti ; e se la Dea solenne si compiacque 

* di largire beni e favori ali* artista scienziato, foggiato da lei con mirabile 

* perfezione, Leonardo mostrossi alla natura in ogni tempo gratis?imo, ebbe 
' per lei una venerazione senza pari ; nell* amare, nel comprendere la natura 

* restrìnse egli, Tuomo di universale sapere, U suo unico vangelo «. Ebbe il 
sentimento della natura esteriore, che molti credono propria dei moderni; 
e con occhia paziente e sagace studiò ed osservò i fenomeni della vita ter* 
rastre e animale, dai più alti e complessi ai più sempiici ed umili. Esplorò 
da solo quanto intere Accademie scientifiche non foi-ero in lunghi anni, s* av- 
venture in campi nuovi ed ignoti, e indagò anche dei fenomeni estetici e 
dello spinto le pretese ragioni fisiche. Andò peregrinando per l* Italia, e rac- 
colse messe immensa di osservazioni : fisiche, astronomiche, metereologiehe, 
idranliche, telluriche. * Del vero cercò ogni aspetto, ogni forma ; alla seo- 
' perla del vero si mise per ogni via, studiò ogni manifesiaiione di natura 
**eon brama sempre insoddisfatta, s*empìó ii capo di ogni scienza, volle s^om- 

* brare l* ombre, le caligini tutte dell* ignoranza ,. E anche 1* ideale dell* arte 
fece coincidere coli* ideale della natura]. 

17 (pp. 369-78). G. Grocioki, Il capitolo aU' Balia del notaio Peregrino éé 
Paolo di Lorenzo [Dai rogiti notarili deirArchivio di Velietri il C. pubMk» 
nni capitolo in cocnpianto delle sorti d* Ualia» d* ignoto cimiaactntiata]. 



264 aA88BONA RtBLIOOftAFtOA 

18 (pp. 379-83). À. Butti, / mecenati di Antonio Cesari [Curiose notixie 
sagli avari e scarsi proiettori del Cesari]. 

19 (pp. 385-90). P. Savi-Lopbz, La villanella di Ciacco [Il S. L. propone 
una interpretazione nuova del componimento; di cui rileva alcuni concetti 
mistici, e che raffronta con altre canzoni pie provenzali, modellate sulla forma 
della pastorella]. 

30 (pp. 391-404). G. Salvioni, Bricciche Bonvesiniane [Interpretazione e 
osservazioni sulle voci : abiacurarse, digo, fissorf fu, gamaito, iniquità, ke, ki, 
ma, moresta, patron, refidaHe, righiniar e temorezó]. 

21 (pp. 405*29). B. Soldati, GVinni sacri d*un astrologo del Rinascimento 
[Sono i Fasti sacri di Lorenzo di Giovanni Bonincontri, sanminiatese, uomo 
d* armi, cortigiano e poeta, lettore di astrologia presso lo studio fiorentino, 
e autore di un ponderoso commento s\V Astronomicon di Manilio e di due 
poemi filosofici e astrologici. Essi formano una specie di calendario sacro 
versificato, misto di canti lirici e narrativi, che ricorda per una parte, quanto 
alla materia, il Leggendario di Iacopo da Varazze, e, per T altra, i Fatti 
del pagano Ovidio e il De sacris diebus del cinquecentista 6. B. Spagnuoli. 
Il S. illustra r interessante raccolta con ogni diligenza, rilevandone i parti- 
colari pili notevoli del contenuto, della materia e dello stile, e dandone un 
giudizio estetico altrettanto sobrio, quanto equo]. 

22 (pp. 431*52). À. Salza, Una commedia pedantesca del Cinquecento [Ac- 
curata disanima della commedia, il Pedante del romano Francesco Belo, 
per ciò che riguarda la rappresentazione del pedagogo e della vita di scuola 
nel sec. XVI]. 

23 (pp. 453-81). K. Vosslbr, Stil, Khythmus und Reim im ihrer Wechsel- 
wirkung bei Petrarca und Leopardi [Premesse alcune distinzioni fra rima 
e ritmo stilistico e acustico (sccondocbé le azioni esercitate da essi, fisica e 
psichica, coincidono o divergono), e fra le varie specie di rima e di ritmo 
stilistico, V a. studia lo svolgersi, V avvicendarsi e il confondersi di tali ele- 
menti nelle tre forme, che segnano le pietre miliari della storia della lirica 
italiana : il canto popolare, ancor vivo nei rispetti e stornelli toscani, il so- 
netto e la canzone rimata dal Petrarca, e la canzone libera del Leopardi. 
Nel primo, che ha strofa composta in virtù di semplice associazione di suoni, 
la rima è tuttavìa strettamente stilistica. Suono e musica generano il pen- 
siero, e questo dipende da quelli direttamente. La poesia stroflca artistica ha 
invece tipi molteplici: alcuni interamente acustici o stilistici; altri misti di 
rima acustica e ritmo stilistico, o di ritmo acustico e rima stilistica. II pen- 
siero gareggia in essa col suono e colla musfca, e tenta, se può, emancipar- 
sene. Quanto alla canzone libera e organica, questa forma il suo schema 
secondo un intimo ordinamento; ha rima stilistica o acustica; ma suono e 
musica obbediscono interamente alle esigenze del pensiero]. 

24 (pp. 483-90). 6. Gigli, Di alcuni soneHi del Boccaccio [I sonetti VI-IX 
delle Rime (edizioni Baldelli e Moutier), ove il Boccaccio, da poco eletto a 
dichiarar Dante al popolo fiorentino, si scaglia contro un ignoto suo detrat- 
tore, e lamenta le molestie di una grave e noiosa malattia, che lo afflisse 
negli ultimi anni della vita]. 

25 (pp. 491-505). P. ToLDo, Rileggendo le Mille e una NotU [Il T. retti- 



DBLLA LBTTBRATURA ITAUANA 265 

fica alcune asserzioni poco esatte del Bédier, e mostra come più d*uno dei 
fableaux (ad es. quello del Piètre qu' on parte, e T altro Dea irùi9 aveuglit 
de Compiengne, almeno in parte) e varie novelle popolari europee (fra le 
altre Lés luntUes del La Fontaine e la noY. 195 del Sacchetti), abbiano ri- 
scontro in narrazioni orientali, e particolarmente in racconti della raccolta, 
cbe va sotto il nome di Mille e una Notte], 

26 (pp. 507-13). H. Varnhaoin, Ueber die AbhàngigheU der vier dlteeien 
Bruche dee NoeéUino von einander [Delle quattro prime edizioni delle Genio 
novelle (cbe sono: 1. del 1525, curata da Carlo Gualteruzzi e impressa a Bo- 
logna: 2. senza note tipografiche: 3. del 1571, pubblicata in appendice alla 
raccolta di Novelle del Sanso vino; 4. del 1572, curata dal Borghini), la se- 
conda è una ristampa della prima, la terza dipende pure da questa, e 1* ul- 
tima si uniforma alla seconda, non senza aver qualche debito alla più an- 
tica]. 

27 (pp. 515-43). 6. A. Cesareo, Amor mi epira.. . [Sotto questo titolo sim- 
bolico è una bella e lucida esposizione del canto XXIV del Purgatorio, ove 
s* illustra particolarmente V episodio letterario del colloquio con Bonagiunta]. 

28 (pp. 545-61). L. Piccioni, A propoeito di un plagiario dd Paradieo 
danteeeo [Il quattrocentista Benedetto da Cesena, autore dì un poema teo- 
logico-morale, in terzine, dal titolo latino : De honore mulierum], 

29 (pp. 563-69). 6. Pitre, Cartelli e Pasquinate nello ecoreio del eee, XVIIl 
in Palermo [Episodj della vita pubblica palermitana negli anni 1793-98]. 

30 (pp. 571-82). A. Solerti, Bricciche taesiane [Due lettere di Torquato 
Tasso a Lorenzo Giacomini Malespini (1587) colle risposte; una nuova at- 
testazione contemporanea del primo amore di Torquato per Lucrezia Ben- 
didio, nelle Rime di Bernardino Percivalle (1562); un sonetto in lode del 
Tasso di Alessandro Saiicino (1566); due lettere di Ercole Cortile, residente 
estense a Firenze, e di Benedetto Fantini, agente del Marchese Filippo d*Este 
a Ferrara, che riguardano le polemiche colla Crusca ; e altre aggiunte e cor- 
rezioni minute alla Vita dell* a.]. 

31 (pp. 583-601). 6. BoFFiTO, La leggenda degli antipodi (Coir usata di- 
ligenza e sagacia critica il B. studia lo svolgimento di questa leggenda geo- 
grafica, che offrì argomento ad un meraviglioso canto deW Inferno dantesco, 
ed ò la chiave di volta della figurazione topografica del Purgatorio]. 

32 (pp. 603-19). I. Sanesi, Per la storia dell' ode [II S. rinfresca la me- 
moria di due cinquecentisti imitatori di Bernardo Tasso, i friulani Giov. Bat- 
tista Amalteo e Guido Casoni. E aggiunge alcune considerazioni intomo ad 

* un aspetto della lirica italiana del sec. XVI non ancora convenientemente 

* e sufficientemente studiato „ T imitazione reciproca cioè dei nostri poeti, 
anche maggiori, nella seconda metà del 500 e principio del sec. XVII]. 

33 (pp. 621-44). A. D* Ancona, La leggenda di Leonzio [* La leggenda di 
' Leonzio ., scrive il D*A., * può dirsi intermedia fra quella di Don Giovanni 

* nelle diverse sue forme, e V altra di un teschio parlante, che nelle tradi- 
' zioni popolari ci si presenta con molla varietà di aspetti.. L*a. illustra 
le differenze, onde la prima va distinta dalle altre ; enumera le versioni che 
ce ne restano, nelle tre forme in che è nota fra noi, di rappresentazione 
teatrale, di tradizione orale e di poema popolare ; studia e ricerca la data 



266 RASSBGIfA BIBLIOaRAFlCA 

probabile delle ndazioni poetiche in fingna toscana e dialetti istriano e si^ 
ciNano, e mostra, come innanzi alla sua diffusione in Italia, il pio racconto 
trovasse favore in Germania presso la Compagnia di Gesti, fosse noto a 
scrittori di cose ascetiche e predicatori, e fornisse argomento a piti poemi 
e drammi sacri, rappresentati nei teatri collegiali deirOrdine, dai primordj del 
sec. XVII alla metà e piti, del see. XVIII. Onde conclude che ' la leggenda 

* di Leonzio non è merce italiana «, ma ' tardi fa introdotta in Italia, ov*efabe 
"scarso favore ,, e le versioni poetiche che ne abbiamo, debbono riportarsi 

* a data relativamente moderna, e non molto superiore a un secolo ,. Chiude 
lo studio la riproduzione del poemetto, nella lezione offerta dalla stampa 
bolognese alla Colomba (principio del sve. XIX)]. 

34 (645-54). F. Flamini, Appunti cT esegesi dantesca [SCuove interpretazioni 
di quattro luoghi del Paradiso, —■ Bar, IX, 54 : leggasi malta anziché MaHa, 
dando al vocabolo significato generico. — Par. IX, 84. Intendasi fuor di 
quel mar nel senso, non già di " eccetto quel mar „ ma di ' uscendo, par- 
" tendo, allontanandosi da quel mare ,. — Par. XI, 133-39. L* ultimo verso 
(* n'ben s* impingua, se' non si vaneggia ,j ha pel FI. valore ironico, non di 
semplice citazione; •/ correggiere è da intendersi usato per sineddoche in 
luogo di i eorreggieri; e scheggia nel v. 137 ha significato di * guasta .. 
Onde r intero passo suona parafrasato cosi : * Ora, se le mie parole non sono 

* inefficaci, se sei stato ben attento, se ti richiami alla mente quel che ho 
' detto, il tuo desiderio di sapere sarà in parte appagato ; poiché vedrai che 

* pianta è quella che vedi sciupare, e in pari tempo vedrai, quanto male i 
" Domenicani si comportino in quel cammino, dove, se non si va fuori di 
" strada, ci si arricchisce ,. — Par. XIX, 115-41. Il FI. rileva resistenza di 
un acrostico assai significativo nelle ultime nove terzine del canto XIX]. 

35 (pp. 655*62). F. Novati, Una ballata in onore di Lodovico Migliorati, 
marchese di Marca e signore di Fermo [Fu composta da ignoto rimatore, 
umbro o abruzzese, tra Testate e T autunno del 1406, quando il crudele e 
ambizioso nipote di Innocenzo VII, da poco tempo creato marchese e ret- 
tore della Marca, capitano generale dell* esercito pontificio e signore di Fermo, 
avea raggiunto Tapice della fortuna e della potenza. Il N. la trae dalle guar- 
die di un Seneca ambrosiano (il cod. A. 118 inf.)]. 

36 (pp. 663-77). E. Sicardi, Attorno all'episodio di Manfredi [Acute e in- 
gegnose osservazioni esegetiche su alcuni luoghi del celebrato episodio dan- 
tesco]. 

37 (pp. 679-89). A. Fiammazzo, /I codice ' Canonici Misceli. 449 , delta 
BodMana di Oxford con commenti latini alla ' Divina Commedia « [Il codice 
descritto dal F. contiene: il commento deir/yt/>nto di Jacopo della Lana, 
tradotto in latino da Guglielmo de Bernardis, e rimanipolato coiraiuto delle 
chiose del Bambaglioli ; i tre proemi déiVInfemo, di Alberico da Rosciate, del 
Laneo, e del Bambaglioli ; un commento latino al Purgatorio, che il F. iden- 
tifica con quello di cui Ìl cod. 8530 dell' Arsenale di Parigi, descritto da L. 
Auvray, conserva due canti incompleti; un commento latino animlmo del 
Btradiso, e i due noti capitoli di Bosone da Gubbio e di Jacopo dì Dante]. 

38 (pp. 691-710). C. Db Lollis, Di Bertran del Pùjet trovatore delVetà 
an^óina [Bertrando del Pojet, castellano di Pnget-Théniers, valente e prode 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 267 

cavaliere, e siniscalco per Carlo d*Angiò in Lombardia, accompagnò il suo 
signore nella spedizione del Napoletano, e n* ebbe il 1269 * la terra di Jal- 
' lano ed altro in Abruzzo ,, che permutò poi con castella ' in iosticiaratu 
'' Terre Laboris ,. Di ritorno da una missione presso il Soldano, fu delegato 
con altri eminenti personaggi a * trattare, Aire e compiere coi capitani, con- 
' sigli e comitati di Bologna, Parma, Modena e Reggio patti, convenzioni, e 

* confederazioni, che sembrassero spedire ad onore della santa madre Chiesa 

* e del re „ (1369), e rappresentò Carlo presso la città di Brescia in qualità 
di vicario (1270). Nel 1272 il re lo eleggeva giustiziere della Sicilia: una 
delle cariche piil importanti dell* amministrazione provinciale angioina. Ma 
da quel punto mancano notizie di Bertrando. E delle molte poesie, eh* egli 
compose, restano solo < un sirventese a confusione degli avari e ad esalta* 
'' zione dei larghi spenditori, e una tenzone pudica e sottile con una dama ,. 
Il De L. ne dà in appendice il testo critico]. 

39 (pp. 711-4(0). V. Rossi, Armi ed amwi d'un orafo fiorentino del Quat* 
trocento [Elegante ed accurata disamina del lungo poema autobiografico, che 
il popolano Michele di Francesco dei Corbizzeschi compose intorno ai casi 
avventurosi della sua vita, e intitolò De bona e (sic) mala fortuna, L*opera, di 
cui il cod. panciatichiano n. 30 conserva V unica copia» è singolare documento 
per la storia dei costumi fiorentini]. 

40 (pp. 741-73). E. Gorra, Carlo Id'Angiò nel Purgatorie dantesco [Dotta 
ed ingegnosa disqnisione sul quesito: perché Dante abbia salvato Carlo 
d*Angiò, e T abbia ammesso a partecipare al convegno dei principi europei 
nella valletta del Purgatorio], 

41 (pp. 775-88). E. Pèacopo, Per la giovinezaa del Sannazaro [Il P. poln 
bhca ed illustra un documento dell* archivio cassinese, che rischiara di viva 
luce le vicende della famiglia Sannazaro e i primi anni della vita del poeta]. 

42 (pp. 789-815). L. 6. Pélissiuì, Pour la hiographie du Cardinal GilUe 
de Viterbe [La biografia del cardinale Egidio Canisio da Viterbo, dotto filo- 
sofo, storico, oratore e diplomatico valente, è assai poco conosciuta, e non 
fu slnora indagata accuratamente. Il P. pubblica, accompagnandola di eru- 
dite note, una delle fonti pili importanti per la vita dell* umanista agosti- 
niano: gli estratti dei regesti officiali degli atti del cardinale durante il suo 
generalato, che si conservano nel cod. ashbnrnhamiano n. 219, di mano del 
card. Enrico de Noris]. 

43 (pp. 817-48). P. Chistohi, Lm lonza di Dante [Ecco i risultati detta 
ricerche del Ch., riassunti dati* autore stesso in fine alla sua memoria: " 1) Per 

* gli allegoristi medievali la pelle maculata, screziata, dipinta, tigrata è sim- 

* bolo della frode. La lonza è detta fiera più veloce, più audace, più crudele 

* del leone, al quale anzi Incute terrore, e perciò in essa è Irobestiata la ma* 

* lìzia, peccato ben più grave della bestialità, raffigurata nel leone; 2) la' 

* corda magica simboleggia 1* efficacia pratica della scienza, ed è maneg- 

* giata appunto da Virgilio, che è allegorica figurazione del sapere umano ; 
• • 3) Oerione corrisponde «Ila lonz.i. c<l ha tìijura di drago, animale, avver- 

* tono i bestiari, come la lonza, più forte del leone; 4) alle quattro nature 

* bestiali, accozzate nel mostruoso Gerione. fanno riscontro le quattro cate- 
" gorie in cui si classificano i fraudolenti delle Malebolge ,]. 

II. FfURABI. 



RAR8RONA RIBLIOORAFICA 



ToMMAgo Gaeqallo. — Il PakUitìo d* Ungheria. Firenze 1823. Egy 
ólase Bành'Bdn. Novèlla: forràsaivat egfiiU hiadta Eatoma 
Lajos. — Budapest, 1901.^ 

Si sdegnavano i Deputati a correggere il Decamerone che, 
nella quarta novella della nona giornata, quelli che corrono pre^ 
sto a ritoccare gli scritti altrui avessero dibarbato daUe ultime 
radici poche parole del grande raccontatore.' Non potevano im- 
maginare che, cresciuta l'età del mondo, e la vigorìa della vanità, 
si biasimasse tutta quanta, ponendole accanto una sorella, che 
non le rubava il posto, ma che non desiderava starne lontana.^ 

Finse Tommaso Gargallo di avere nelle mani un altro rac- 
conto che il Boccaccio forse aveva scritto e poi rifiutato, e dal 
critico siciliano, meno severo dell'autore, riportato agli onori delle 
stampe. Un ignoto avergliene fatto il dono, ed egli supporre 
fosse r amico ab. Lnigi Rezzi: al march. Trivulzio poi lo rido- 
nava, dedicandoglielo. Non dirò impossibile imitare, dietro a molte 
novelle, in una novella, lo stile di piccini o di grandi scrittori: 
ma certo quello che, per le Vite dei Padri, era riuscito al Leo- 
pardi non riuscf al Gargallo. L'avere messo innanzi il nome del- 
Tamico, senza trascinarlo a confessare la sua generosità, ci fa- 
rebbe pensare che di quella burla il Rezzi non fosse all'oscuro, 
per non dire che abbia, nel segreto, o ritoccato o approvato lo 
stile gargalloboccaccesco : e il tirare in ballo il march. Trivulzio, 
onorato e da onorare, è forse segno che questi seppe dove era 
la frode e non vide macchia al suo nome parere un compare. 

Quello che in Italia può essere facilmente o rammentato o 
imparato, domanda maggiore curiosità e fortuna tra gli stranieri; 
ma anche questi, se prudenti, giungono al segno, come toccò al 



1 Onesto è il titolo intero: le parole nngbereei eignlfleano: Ihia noftUa italiana omI Hono 
Batik, puhmcata colU «im fùtili da L, Katotia. È nn libretto (di 33 pag.) tolto via dal voi. XI 
delle FubblieaBicni di atoria liUeraria date fuori, a Peet. dall'Accademia. 

* Of. l'annotasione OXIV (pag. 237; nella edf sione del Le Monnler (1807). 

t Le parole del Gargallo tono qntete: Cki mai tanfo oatrtltbé, da teaedar dtd 9mù p9H9 
qu§UatCk* jMr tanti $4eoU tha tranquiUatnMtt oectipato, per gutata oMdact straniera oUogmrHf 
Ma non aarà temerità il pubblicarla, eenia far fona alV altrui fiducia; che, apparttttgaMi a 
ne al Dteamérone, i degtiittima d'éSèér rammemorata, . . per V esempio ahnono che d prtoemta. 
(ti Mailno drUttgheria momUo d^atitieo codice, ora per la prima volta pubblicaia, #lrau< 19X9, 
Pag. 6 e pag. 8). 



DBLLA LVITB ATURA ITALIANA 269 

signor Lnigi Katona. Che il librettino ascito a Firenze nel 1823 
Io invogliasse, è naturale: c^era nel titolo /{ Patatino iT XJngheriOj 
e i magiari sanno amare le cose della patria. SnlP intrecciare che 
fa r editore del proprio nome a quello del dotto romano e del 
patrizio milanese si stupiva a ragione il Katona: e spero che, 
come io tento dì darne spiegazione, egli voglia seguirmi. 

À Ini importava sopra ogni cosa il vedere a che fonte, o forse 
a che rigagnolo, attingesse il Gargallo: e, ristampando tntta la 
novella, le pose accanto quei luoghi che il traduttore di Orazio 
ricopiò dal libro di Luigi Vertot che si chiama VHisMre des 
Chevaliers hospitalifirs etc. (Paris, 1726, 1753, 1761), o dalla Hista- 
ria Hungnrica del Bonfini, ma avvertendo che dal Bonfini, forse 
non veduto da lui neiroriginale, prende soltanto quello che aveva 
già servito al francese. Strano è che, più tardi, i giudici dello 
stile della novella, se antico o no, non badarono alla citazione 
che il Gargallo faceva dei due che narrarono, secondo lui, quello 
che prima aveva narrato il Boccaccio, cosi mettendo sulla strada 
un critico sagace: ingenttamentej dice il Katona, e forse va detto 
schereosamenie^ come di chi andasse per via travestito da pa- 
gliaccio, ma colla maschera in mano. 

Il Katona raccoglie bene i fatti, e per ogni particolarità del 
vecchio racconto bonfiniano, rinhovato dal Yertot e poi dal 6ar-> 
gallo, offre opportune spiegazioni, da servire anche a storie scritte 
e lette da italiani.^ 

Dnnque il Gargallo si nasconde e non si nasconde: e tiene 
la matassa, ma dà il bandolo a chi vuole: e di queste infinocchìa- 
tnre letterarie pare alP ungherese che sia piti abbondante il seme 
e il frutto nella terra dei carnovali. Dove ripensi alla storia 
letteraria di tutto il mondo vedrà che, se mancano le festività, 
abbondano gli scritti di ignoti o di infinti antori: nessuno si 
duole perché, a lungo, novelle famose fossero dette dell'autore 
del Waverley e non altro, che le poesie del De Lorme sieno di 



I Non è qui il luogo da mettere preeeo al rome metto la storia vera. Bimando per bre- 
▼ita alla storia del Fbssxjbb {0fek,9&n L'ngtm,h4arb.9ùn E. KlHu. Leip. lSCT»I,pag. SlO) n 
bano è Benedetto (Biuk), della famiglia dei Bór: rea senta dabbio ò la regina Gertrude : 
incerti gli storici se del fratelli di lei il Tigliaceo fosse Bertoldo, areivesooTO, o Srberto; 
né alla pnnisione della regina p«re desse mano il tradito marito. Celebre la Ungheria è 
la tragedia in versi di Giuseppe Katova (1792) che usci alla luce la prima volta nel 1821. 
(Ho l'edisiooe del '50, in Kecskemét, procurata da D. Horvàth). Sul poeti tedeschi ohe, In 
ballate o in tragedie, trattarono questo argomento, c'è una bella dissartaaionc dlG. Hxn- 
mcB {Bdnk'BÓM, a vemut kóUiuétben. Budapest, 1839). Anohe Haxb Saohb segai nel suo 
Àndrta» der ìmgtritck Kónig 11 raeoonto del Bonfini. Oon uguale intento Sudeshnà, la regina 
doi f irata, per aBM>re ai fratello Kicaka vuole farsegli mezzana, e tradire la beli* KrshiiA. 
Ma non riesci (M ahibh. IV. e XIV e seg.). 

18 



'270 aAMlSOMA RIBMOORAPICA 

uomo famoso col suo vero nome nella critica francese, che Di- 
dimo Gbierieo rubi una foglìolina di alloro ad Ugo Foscolo. Di 
chiamare sul palco lo Stecchetti non era adesso V occasione, nem- 
meno per chi desidera fosse stata più decente e contegnosa una 
mnsa che poteva ispirare canti pieni di schiettezza e di grazia: 
bensf abbiamo tutti a lamentare che, in codesti carnevali delle 
lettere, non basti l'appiattarsi, mettendo a disperazione molte 
generazioni di eruditi, come Junius,^ ma si ardisca fingersi, e si 
tenti mostrarsi, uno dei grandi. E. Tbza. 



Mario Fuocnr. — Eschilo, Il Prometeo Incatenato, — Sandron, 1902 
(in 16.^). 

E un nuovo volume della « Biblioteca dei Popoli > diretta da 
Giovanni Pascoli. A dir vero, dopo la bella traduzione poetica 
degli Aearnesi di Aristofane, che Ettore Romagnoli inserf nella 
medesima Biblioteca, nel ricevere questo Prometeo in prosa ab* 
biamo provato una certa delusione. Perché Aristofane in versi 
ed Eschilo in prosa? Perché, dice il Fuochi, con quello \i non si 
scherza; vale a dire, sarebbe impresa disperata e un voler cor- 
rere la sorte d'Icaro, come dice Orazio degli imitatori di Pindaro. 
Ma si può forse scherzare con Aristofane? Eppure il Franchetti 
e il Romagnoli non fecero il volo d'Icaro, o almeno seppero mu- 
nirsi d'un forte paracadute. Ha ragione il Fuochi allorché pas- 
sando in rassegna le varie traduzioni italiane del Prometeo, dal 
Cesarotti al Bellotti, ne pone in rilievo i gravi difetti e dimostra 
l'opportunità di una nuova traduzione; ma non ha ragione quando 
crede che una traduzione in prosa, per quanto buona, possa com- 
pensare quei difetti e riempire una simile lacuna. 

Facciamo questa specie di questione pregiudiziale pur ricono- 
scendo il merito di quanto il Fuochi ci offre, ma più con dottrina 
e diligenza di filologo che con genio d'artista. Dottrina e diligenza 
abbiamo constatato con piacere non solo nella traduzione, ma 
nel diffuso Proemio e nelle Note preliminari ad ogni scena. 



1 Dei trentftMltfl eandidnli tirati faori dai «ritloi per dar oerpo a quello aplrllo aereo 
del grande battigltero, ha piti fortuna Sir Pbillp Francia (1740-1818); ma non per modo 
ebe tntti ne aleno peratiaai. (Citerò E; Goass, Hièt of.eighUenth Cttitury Uteratur*. Lood. 1899, 
paff. 368). Anche Un meao fa {.Uhenneum, London, 15 Ang. 1903, p. ìri2) sì conebludeva: Jrniiua 
fn apeeeo eoopcrto ed è ancora Ignoto; nn ignoto ebe diventò scrittore claaalco per la ma 
pastone. (SI veggano gli articoli del sig. W. Fbasb» IUb, pag. 190 e pag. 931)^ 



I>BIJ.A LRTTKaATUIU ITALIANA 27) 

Il Proemio dà le notizie necessarie air inUlligenia di qujesto 
dramma e tratta in modo particolare la questione sul vero si- 
gnificato del Prometeo eschileo e T altra sulP esistenza d'oQ^aziQQ^ 
drammatica. 

£ aoto che neir opinione comune Prometeo rappveseata la 
fi^a ribellione deir umanità contro un dio crudele e tiranno e 
r ingiusta pena ohe ne soffre. Ma i filologi moderni hanno os«* 
servato che questo concetto, diametralmente opposto alle idee 
religiose di fischilo, è falso e si fonda sopra V unica tragedia che 
rimane. Ponendola invece in relazione con le altre che compo^ 
nevano la trilogia, la cosa appare interamente diversa. Kronos e i 
Titani rappresentavano il regno della forza brutale, della selvaggia 
ferocia; Giove rappresenta quello della giustizia, della legge mo^ 
rale, della civiltà. Ma per instaurare questo nuovo ordine di eoae 
anche Giove è costretto ad usare la violenza, a chiudere il padre 
e i titani nel Tartaro, a fiaccare ogni altra opposizione. Prometeo, 
che prima lo aveva aiutato contro gli dei della sua stessa gene- 
razione, quando si trattò di distruggere il genere umano e far 
oasa nuova, gli si oppose. Giove dunque è costretto a trattarlo 
da nemico; ma il torto è di Promeo, che non intende gli alti 
fini a cui mira l'azione del sommo dio. Quando però il nuovo 
regno è assicurato, Giove depone Tira e si riconcilia col titano. 

Queste osservazioni contengono senza dubbio molta parte di 
vero ; ma troppe cose lasciano ancora nel buio. Quale giostìsia. 
quale trionfo della legge morale potevano sospettare gli spetti** 
tori, ohe erano uomini, in quella neroniana risoluzione di mandar 
tutta r umanità all'altro mondo? E quale idea potevano formarsi 
della potenza del sommo dio, se un dio minore gì' impedisce di 
mandarla ad effetto? E qual torto potevano trovare nel titano^ 
che salva l'umanità regalandole il fuoco e insegnandole le erti? 
Qual dei due doveva apparire il civilizzatore, quale il benefattore 
degli uomini? E la punizione di Prometeo non ha tutta VmtU 
di uno sfogo di rabbia anziché d'un atto di giustizia? E non è 
la paura del segreto fatale a Giove ed ostinatamente taciuto da 
Prometeo, che induce quello a più miti consigli? Sono tutte que- 
stioni insolute, come quella del destino nell'Edipo Re, e forse 
non si risolveranno mai, perché conseguenze dell'erronea opinione 
che i poeti traessero dalle favole un rigoroso sistema di dottrine 
morali e componessero delle tragedie a tesi. U Fuochi dissente 
dal Wilamowitz, che definf la tragedia attica un pezzo di leg- 
genda eroica messo sulla scena; ma non si può negare che l'il- 
lustre filologo abbia le sue buone ragioni di pensarla a quel 
modo, e il Prometeo può essere una di queste. 



272 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

Il Proemio vuol poi dimostrare che nel dramma c^ è veramente 
un'azione, e la trova neir audacia con cui Prometeo resiste a 
Giove, rifiuta la mediazione di Oceano, si ostina a conservare il 
segreto delle nozze fatali al suo nemico. Qui poi non sMntende 
perché il Fuochi se la prenda tanto con qaelli che tutto vogliono 
spiegare con la ragione dell'ambiente e dei tempi, se per dimo- 
strare ciò che si propose non fa altro che ricorrere a quella 
ragione, dicendo che nel V secolo intendevasi per azione tragica 
una cosa ben diversa da quella che intendiamo noi e che agli 
antichi bastava molto meno di quello che noi pretendiamo per 
poter dire che un dramma avesse azione. Ciò è vero e può an- 
che spiegarsi con le probabili origini della tragedia: ma è anche 
vero che del secolo Y non si può fare tutta una cosa, e bisogna 
distinguere le varie età e notare il grande progresso fatto anche 
in questa parte dell'azione dalle prime prove di Eschilo alle ul- 
time di Sofocle e di Euripide. 

Per quanto riguarda la traduzione, non potendo qui scendere 
a particolari, basti dire che essa è fedele ed esatta, quale era da 
attendersi da un ellenista come il Fuochi. Però non sempre sa 
emanciparsi dalle forme del testo e pigliare un'andatura più li- 
bera e disinvolta. Troppo spesso mantiene il legame fra le pro- 
posizioni, onde si riempie di perché^ però che^ perciocché; conserva 
certe prolessi, che poco convengono col nostro modo di costruire; 
reca troppo alla lettera certe frasi pleonastiche, come al v. 462. 
Gli epiteti composti, arduo scoglio dei traduttori, perdono assai 
nella decomposizione a cui non possono sfuggire. Certe imagini 
sono sviluppate oltre l'intenzione del poeta. P. e. al v. 149 Eschilo 
potè dire i piloti déW Olimpo per rettori, ma non avrebbe certo 
fatto dell' Olimpo una nave, come il traduttore. 

Ma questi piccoli nei tolgono ben poco al valore generale 
della traduzione, che potrà rendere utile servizio a chi non può 
leggere l'originale o può leggerlo soltanto con una guida fidata 
e sicura. Z. 



DbLLA LBtTBKATtJBA ItALIAMA 273 



COMUNICAZIONI. 



SCÀLIOERIANA. 

Al copioso maldrìale poetico sugli Scalìgeri, cosi accuratamente raccolto 
dai proff. G. Cipolla e Fi. Pellegrini (V. la notizia di cronaca in questa Bob- 
seffna, anno XI, n. 1, pag. 60), non credo si possano fare molte aggiunte. Ha 
non è difficile, a chi studj qualche ramo speciale della letteratura poetica 
del *300 e del primo *400, trovare altre più o meno importanti allusioni alle 
vicende di quella famiglia. Eccone intanto alcune, che io riferisco qui senzp. 
la vana pretesa d*aver fatto delle scoperte, e solo per rispondere ad un 
cortese invito degli egregi illustratori.' 

1. Fra i numerosi componimenti politici in versi del Medioevo, non è 
del tutto ignota la profezia * Ave ihesu figliol de Maria , in 47 ottave, pub- 
blicata dal prof. Mazzatinti nel 1887.* Dubbia ne è la paternità, sebbene il 
Mazzatinti stesso e il Faloci-Pulignani inclinino a credere che quelle ottave 
si debbano al noto profeta umbro, il B. Tommasuccio Unzio da Foligno, a 
cui il cod. Vat. 4872 le attribuisce.' Meno dubbia è la data della loro com- 
posizione, se più che alla didascalia del cod. suddetto si darà importanza a 
certe indicazioni interne, di cui mi pare non sia stato fatto il debito conto.^ 
Ora in codesto componimento che non è stato studiato abbastanza e che 
è sfuggito ai proff. Cipolla e Pellegrini,'^ si legge : 

tucti i tiranni haran tormento, 
et pid comuni perderan lor stato, 
qnel de Veruna sera comfnsamento. 
(Str. 6.). 

1 quali versi, se non contengono una allusione diretta air uno o ali* altro 
degli Scaligeri, certo si riferiscono alla fine del loro dominio in Verona, av- 
venuta nel 1387 per opera di Gian Galeazzo Visconti, tantopiù che neir ot- 
tava seguente si parla di un conte e duca, che ron le sue rapide conquiste 
diventerà signore deir Italia. 



i Vedi il loro prtamMo alle Poesit Minori riguardanti gli Scaligeri, in Bull, dtW Ut. stor. 
ital,, n. 34. 

s Tedi MiaetHanea FroHetteana, voi. II, pagg. 3-7. 

t Vedi Mazzathiti, ntudio cit, e Faloci-Pulionahi, U arti « U UUtrt nUa eort$ dei 
THnci (Foligno, Salvati. 1888) pag. 77. 

4 Cito soltanto i tw. * nel quattrocento cinque quattro e tre , e * ventiquattro anni 
* corona in sulla testa ~ porterà eli ... , che si leggono nelle strofe i5. e 47. 

A Non cos{ ò sfuggita loro la pro/ttia * Piò volte nella mia mente ho sfonato , che 
oontiene chiari accenni ad uno Scaligero e che io nel 18912 cercai d'illustrare sulla reda- 
Kione napoletana. (V. op. eit., pag. 113). Ma ora le mie idee sulta paternità e sulla data di 
quel componimento sono no po' cambiate, comò apparirà dallo studio unito alla edizione 
critica di esso, che sarà fra breve inserita nel BoV Ulivo dtUa H, Ifeputaiiottt di gloria patria 
per V Umbria, 



&T4 HàMMIf A MftLIOQ«AriOA 

S. E dalla poesia profetica popolare passiamo ali* epica dotta. Uà poema, 
in generale poco consultato,^ ma ricco di notizie storiche relative ai tempi 
in cui fa scritto, è il Quadrir§gio del Prezzi.' la <lue luoghi di esso si parla 
della famiglia della Scala. Il primo accenno lo abbiamo nel cap. XIII del 1. II, 
in cui il Prezzi descrive la condizione di coloro che in vita provarono i 
colpi deir incostante Fortuna: la sua guida (Minerva) dice: 

■ Nel MStofcerofaiOkie'tQ uper Tuoi, 
L/ 8on posti i novelli Caini, 
ConsnmAtoil de*Fnite111 niol: 
Quel 4elte BciA» «pioteU IfuUni 
(B pili omieli «he nbbioao cane; 
Ma tosto a basso oalerauno chini. 
(8tr. 46-47). 

Se ora noi ci facciamo ad indagare a chi siano dirette queste parole, la 
storia veronese ci apprende subito che il poeta non poteva qui pensare a 
Gansignorio della Scala, che pure si macchiò due volte di sangue fraterno, 
perché non si può dire che avesse avversa la fortuna un tiranno che dopo 
r uccisione del primo fratello potè riprendere facilmente il dominio della 
città e àoipo avere spento anche il secondo morf naturalmente nel suo splen- 
dido castello. Ma se non bastasse la storia ad escludere Gansignorio dal- 
r accenno frezziano, basterà certamente il fatto che di Gansignorio il poeta 
Sì occupa e molto chiaramente in un altro luogo del Quadriregio, che ve- 
dremo fra poco, ponendolo giustamente fra i traditori anziché fra gli abban- 
donati dalla sorte.' Invece è chiarissima 1* allusione, in questo punto, a uno 
dei figli di Gansignorio, Antonio che, imitando in ferocia il padre, uccise a 
tradimento il suo fratello maggioro Bartolomeo, con cai divideva il comando, 
e poi costretto a fuggire da Verona €» ridusse a morire esule e povero a 
Tredozto. Meno facile è stabilire a quale atltro Scaligero fratricida e disgra- 
ziato si riferisca l'autore,^ o se questi non abbia adoperato per enfasi re- 
torica il plurale invece del singolare. 

I Ciòi'forsd, Agende rtal fatto che del Quadtirtgio ì critici d'i^ggi si occupano troppo 
.poco e se n'hanno finora per le stampe riassunti troppo brevi e scarsi. (Vedi * Il centeunto 
*del QìMdrùtgio^ che vado pubblicando dall'anno scorso nella Bivlsta L* Umbria diretta 
iMl prof. F. Onardabassl : Perugia, tip. Umbra). 

* Non è inutile rammentare ebe secondo l'opinione dell'ab. P. Caunetl, 11 critico plii 
autorevole che finora si sia occupato di proposito del Frezzl e del suo poema, questo sa- 
robbe stato composto fra 11 ISSO e 11 Y400 (V. la «na fìiwertuiiw ÀpH^fftiito ecc. nel voi. II 
dell' ediz. di Foligno del 1725, parg. 23). 

s Tuttavia 11 Pagliariul. commentando 1 versi suddetti, oseerv« che gli fioallgerl taroiio 
* gente veramente fiera e crudele lo pattfeokire verso il proprio sangue, eaaendotiplù volte 
*con rinnovati esempi di crudeltà o di perfidia trucidati l'un l'altro i flrateili»* gnàs» di 
'tanti Caini: dò specialmente succede iu Gansignorio ... e tn Antonio..., (V. la elt ediz. 
del Qttadr., voi. II, pag. 160). Ma egli non s'accorge che, dando ai versi del Fr«zai ons si- 
mile apiegsslone, gli attribuisce 11 grave errore d*aver posto lo stesso personaggio in due 
parti tttverse del H$gtto tfi Sainna, 

* I/a storta, dopo Oansignorto e Antonio, se non erro, non ne registra altri: solo il Oaatii 
' {Storia dtgl*llal.t T. IV, pag. 869 : Torino, Pomba, 1854) dice che Paolo Alboino tenne mano alla 

nccisiouo di Cangrande II: ma io non vedo confermata la notizia né dal Litla {Famiffiit 
CéUbri d' Italia) ne dal Cipolla {Cotnpeudio dtUa Storia politica di Voonu). 



DELLA LBftBRAfURA ItAtlANA 2?à 

3. Ma veniamo senz'altro al secondo e più importante accenno frezziano 
alla signoria scaligera. Nel cap. XVI dello stesso 1. II, dopoché il poetn ha 
descritto la venuta delle Furie e di Medusa in mezzo ai traditori e dopoché 
Minerva gli ha indicato e nominato due di essi, la Dea aggiunge : 

Quel terzo eh' ha Is faccia ai benegna 

E dentro tatto quanto aerpentino, 

E eh' ha la mtonte di veleu ai pregna, 
Fa della Beala e fu crndel Maatino. 

Il ano Fratel maggior accise in pria» 

E poi fu del minor ancor Galuo. 
Morto il primaio ed ei aen foggi via 

Per la paura, ed allor di Verona 

L'altro Frate! pigliò la Signoria. 
Mandò pel Fratricida e a lui perdona: 

E tanto amore in ver di lui acceao 

Ohe la bacchetta aignoril li dona. 
Coetni il donator legato prese 

E stretto il fece mettere in prigione: 

Cosf fu grato a chi fu a lui cortese. 
E poi 'n qneirora, eh* ognun si dispone 

In su r estremo e contrito e coufeaao 

8i rende a Dio con gran divozione, 
Oostui mandò il dispietato messo, 

£ fé' mozzare al suo fratel la testa, 

E di vederla contentò se steseo. 
Or fu mai crudeltà maggior di questa? 

Non quella eh* a Tieste fece Atreo. 

Quando i figli mangiar li die' per festa. 
Non quella di Nettuno e di Teseo, 

Ch' ognun di questi, se ben si pon cura. 

Ingiuria il fece cosi esser reo. 
Ma costui non offesa, non iniura. 

Non la caglon, per che fu nporto Remo, 

Ch"n pria bagnò di sangue l'alte mura; 
Ma sol st fece d'ogni pietà scemo. 

Ohe dopo lui *1 fratello non regnasse: 

Per questo il fé' morir su nell' estremo. 
O doppio fratricida, ae tu lasse 

La doppia prole, il tuo paterno esempio 

Degno è eh' ancor da lor si seguitasse. 
Che l'uno uccise l'altro orudo ed empio, 

E della Scala fu l'ultima feccia 

Che aen fuggi del Veronese tempio 
Dietro a Colei che solo in fronte ha treccia, ^ 
(Str. 62-64). 

L* autore non poteva con maggiore esattezza di particolari descrivere I4 
delittuosa vita di Cansignorio,* né richiamare con parola più efficace T at- 
tenzione del lettor? sulla gravità del suo secondo fratricidio e sul tristissimo 
esempio lasciato dall' infame tiranno ai suoi due figli. Ma è anche da notare 
che in nessuna delie poe$ie minori sugli Scaligeri oggi raccolte si trova 
un'allusione cosi importante agli ultimi signori di Verona. 

Byeacia, sei giugno del 1903. 

Enrico Filippini. 



1 Per l'interpretasione di quest'ultimo verso, che i commentatori del l'ediz. del. 1726 
non ti enrarono d* illustrare, dirò che il poeta, descrivendo la fortuna simboleggiata in una 
donna altissima e piena di false lusiughe in volto, aggiunge che * sol dinanzi avea capelli 
* in teata, (V. 1. II, cap. XIII, terz. 7.). Pare quindi voglia dire ohe Antonio della Scala, fug- 
gendo da Verona, andò incontro all'avversa fortuna, la quale gli preparò, come sappiamo, 
l'esilio e la morte. Questo conferma rallusiono ad Antonio nell'altro luogo citato. 

> liO rlconoace anche il Pagllarlni, dedicando ai versi snddettl tre grandi paglaeidl 
eonunonto (V. voi. cit., pagg. 1G7'17U). — A propesilo Ai Gansiguurio. osservo che 11 Cantn (op. 
eit., pag. 274) aggiunge aU'epitnftio latino duo vcrNi, cho non trovo a paj;. IIG della raccolta 
dei proli Cipolla o Pellrgriui. 



276 RAaSBGRA BIBUOORAKICA 



ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. 



Andrba Lofortk-Randi. — Nelle letterature Straniere (Quinta serie): P&eii. 
— Palermo, Reber, 1903. 

Il DttOTO libro pubblicato dal Loforte-RaQdi, contenente la quinta serie 
de* suoi stttdj intorno alle letterature straniere, è consacrato ai poeti: allo 
Shakspeare, al Byron, al Goethe, allo Shelley. 

Lo studio sullo Shakspeare s* inizia con un accurato esame delle origini 
della Drammatica inglese e delle sue condizioni ai tempi del sommo poeta : e 
di esso, accennato brevemente alla vita, della quale, secondo TÀ., non occorre 
sapere di pili, è esaminata T opera ingente, notandosi come egli dovesse in 
prima la sua fama alle poesie liriche e non ai suoi drammi, mentre proprio 
in questi e non in quelle si mostrò la vera potenza del suo grandissimo 
ingegno. Tale potenza non fu, secondo il Loforte, creatrice: ma consisté nel- 
Tessere il grande inglese riuscito perfetto interprete dell'universa natura. 
Egli trasforma la materia prima di cui si serve (e il Loforle ricorda le fonti 
dell'opera Shakspeariana), e ae^ sopra tutto scolpire le anime. Perciò rispec- 
chia l'umanità, essendo poeta spiccatamente oggettivo. I suoi drammi, dice 
il Loforte, sono grandi fatti, e 1* opera sua contiene tutte le forme del pen- 
siero umano. Da ciò la sua resistenza nei secoli e la sua efficacia anche 
fuor della scena. Lo studio, come tutti gli altri dell' egregio scrittor siciliano, 
mostra nell'À. una diretta e piena conoscenza dell'argomento preso a trattare. 

Segue uno scrilto sul Byron, di cui l'À. indaga la psiche, la fortuna e 
la virtù. Quanto alla prima, osserva che il Byron vive nel suo io, e che il 
Don Giovanni (la sola opera in cui il poeta si manifesti intero) è un com- 
mentario della sue lotta colla società. Quanto alla sua fortuna, nota come 
anche per lui come per tanti altri (a cominciare da Dante) i casi della vita 
furono l'origine delle opere d'arto: quanto alla sua virtù, discute intorno 
alla tanto vilipesa moralità del poeta, sostenendo che fu sempre e sopra 
tiitlo sincero, come sincera è l'opera fiagellatrice del suo capolavoro immortale. 

Il terzo studio è una fiera e arditissima requisitoria contro Volfango 
Groethe, che, pel Loforte, ha perpetrato un ingente furto di gloria. L'A. smi- 
nuzza il suo Faust per cercare di dimostrarne la vacuità e la puerilità, di- 
scutendone sottilmente la favola, l' ordito, la forma. 

Quanto a questa però, ne riconosce l'alto splendore; ma dice che sotto 
ad essa si cerca invano il poeta. Per il sig. Loforte, Faust nulla dice all'u- 
manità: non è un simbolo, non è un'idea, ma un automa, un mannequin, 
un fantoccio. E il Goethe, o classico o romantico che sia, è ugualmente falso, 
oltre ad esser plagiario. — L' ardito scritto provocherà naturalmente la 
ribellione e lo sdegno di tutti gli ammiratori del Goethe: tanto più che il 
Loforte, anche a chi, come noi, le;ga il suo scrilto senza preconcetti, appare 
soverchiamente reciso e assoluto nelle sue draconiane sentenze. È d'uopo 



I 



DBLLA LBTTBRATUBA ITALIANA 277 

Itttlavia riconoscere, che V A. appunto perciò, si dimostra altrettanto corag- 
gioso quanto sincero nell'espressione de* suoi convincimenti, quali e* si sìeno. 

U libro si chiude con uno studio sullo Shelley, che il Loforte pone in 
antitesi col Byron, per quanto, come lui, sia stato un ribelle. E TA. riesce 
a delineare un bel profilo del mistico, sognante poeta, che trovò cosf tragica 
morte nel mar di Viareggio. 

Anche in questo volume, come nei precedenti di cui già demmo notizia, 
il Loforte-Handi mostra le sue qualità di critico bene informato, libero e 
ardito. A. B. 



E. Brambilla. — Foscoliana. — Milano, Sandron, 1903, di pp. 219 in 16.° picc. 

Il volume, come si comprende dal titolo, contiene scritti sul Foscolo, 
di diversa ampiezza ed importanza: e sono in tutto sei, dei quali daremo 
breve notizia speciale — . I. Due comaschi precursori del F. nella materia 
dti Sepolcri. È una aggiunta a quanto in proposito scrìssero lo Zumbini ed 
il Gian: Tun d*essi è 6. B. Giovio, autore di un operetta sui Cimiterj, già 
accennato dal Gian, — che tuttavia non notò la lettera dedicatoria al Fo- 
scolo — e Taltro, Giuseppe Nessi, che scrisse un discorso sulla precipitosa sepol- 
tura. L*uno e Taltro avvalorano T opinione che T argomento preso a trat- 
tare dal Foscolo, era una vera * ispirazione del tempo ,. Ma che sopratutto il 
Foscolo non abbia plagialo 1* amico veronese, è detto nel li. saggio: // * so- 
pruso ,, dove si discute la controversia, che TA. stesso dichiara * intricata ,. 
Ne riferiamo la conclusione, che è questa : i colloquj col Pindemonte furono 
occasione al carme, '^ la materia del quale erasì già venuta addensando 
' nell'animo del poeta più o meno consapevolmente „, ed esso fu * ideato 
*e scritto tra T ultima settimana di giugno e T ultima settimana circa d'a- 
' gosto del 1806 ^. Ma l'argomento meritava una trattazione pid ampia, che 
meglio convincesse, in Unta discrepanza di opinioni, chi per decidersi fra 
esse, voglia averlo tutte schierate dinanzi. — Il IH. studio tratta de V Unità 
organica del Carme, ed è lavoro notevole sotto ogni aspetto, che chiarisce 
il legame ideale dei Sepolcri, e l'arte dei trapassi da una parte all'altra, 
spiegando alcuni passi di meno agevole e più contrastala interpetrazione. 
Ma forse alcune discussioni relegate in nota meglio sarebbero state nel testo 
o avrebbero chiesto più ampio svolgimento. E certi accenni a opinioni e teorie 
moderne stuonano, a parer nostro, nel parlare del Foscolo e della sua poesia. 
Gosf ad es. l'A. (p. 61), esprime il desiderio che il Foscolo non usasse il vo- 
cabolo * plebe « e ne * avrebbe voluto un altro che non ofTendesse il sen- 
* timento umano «: cotesto è * vocabolo men che umanissimo «. Ma plebe 
v'era ai tempi del Foscolo, ce n'è anche ai d( nostri, e chi sa non ci abbia 
a esser sempre: e ai df nostri ci sono tanti che volontariamente scendono 
a condizioni di plebe, anziché sollevar più allo chi è per nascita e per edu- 
cazione più basso. Anche ci pare che sia un po' troppo azzardoso, definire 
il Machiavelli * empirico pessimista e idealista anarchico ,. Se queste parole 
potessero giungere a messer Niccolò, egli certo dimanderebbe : Ghe vuo' U\ 



278 ftABSBONA BIBLIOGRAFICA 

dire? — fi, sansa evocare i morti, potrebbe ogni lettore chiedere che cosa 
e* entri, -a pro^sito del Machiavelli, questa profezia: * Io dico che reetetismo 
^ odierno rappresenta l'anarchismo neirarte: e solo in quel mondo molto per- 

* fetto e felice ma chi sa quanto lontano, a cui gli anarchici aspirano, potrà 

* forse il sentimento estetico esser per se, e 1* arte raggiungere una piena 

* autonomia (p. 68) .. Chi vivrà, vedrà: intanto, mentre gli anarchici aspirano 
air avvenire coi mezst che tutti conoscono, torniamo al Foscolo e ai suoi 
tersi. — Importante è pure lo studio che segue, ed è il IV: Ugo e Francesca, 
che narra le vicende dell' amore del Foscolo per la figlia di 6. B. Giovfo, e 
intanto corregge quantità di inavvertenze dei biografi e di errori di date 
nella stampa àtW Epistolario È il migliore è più compiuto commentario alla 
famosa lettera alla Francesca Giovio del 19 agosto 1809. — Il V. Studio ri- 
guarda una Una pagina di Biagio Pascal neW Ortis, Di un passo che il 
Foscolo stesso dice * non so se suo (vale a dire di Jacopo) o d'altri quanto 
' alle idee« bensì di stile tutto suo . e che il Foscolo introdusse anche nel- 
V Orazione sull'origine e i limiti della Giustizia, il nostro autore per primo 
ritrova la fonte in uno dei pensieri del filosofo di Porto Reale, e rileva con 
acuta analisi quello che il Foscolo vi pose di proprio nell' adattarlo al sao 
modo di vedere. E acuta analisi è anche nell' ultimo studio // sentimento della 
Natura nel sonetto * Alla Sera ,. Qui occorrono specialmente alcune note, che 
sarebbe stato pid opportuno fondere nel testo, o da esso staccarle del tutto; 
ma lo studio sul meraviglioso sonetto è assai delicatamente condotto. Se- 
guono numerose Addenda e Corrigenda. E nelle prime troviamo una as- 
serzione che vorremmo fosse conforme al vero: ed ò circa il crudele epi- 
gramma del Tommaseo contro il Leopardi, del quale il Brambilla dice che 

* non che l'imputazione, neanche il dubbio è possibile, chi ben comprenda 

* la grande anima del sebeuicano (p. !2I2) ,: la qual cosa non serve ad altro 
che a mostrare la molta bontà e generosità d'animo dell'autore. Ahimè! Se 
è vero! .... Gli potremmo mostrare la lettera del * sebenicano «, in che è 
eonteuuto! Ma conchiudendo diremo che il libro è di utile e piacevole let- 
tura, scrìtto in forma garbala e viva: ma, a costo di sembrar pedanti, o co- 
dini, dimanderemmo all'autore di evitare eerte parole e frasi, come rassegna- 
zione neeesaitistica (p. 159), fine ehateaubrianista (p. 174), classicismo deoora- 
mentale (p. 190), e simili, delle quali la nostra lingua non sente davvero il 
bisogno. A. D'A. 

Gaetano Nbori. — Ultimi Saggi: Problemi di Religione, di Politica e di Let- 
teratura. Precedono: G. Negri cittadino e pensatore, discorso di M. Sghk- 
RiLLO, e G. Negri patriota e soldato, discorso di F. Novati, con molte 
Lettere inedite del Negri e con due suoi ritratti giovanili. — Milano, 
Hoepli, di pagg. ClV-409. 

Il titolo apposto al volume ci ammonisce pur troppo che dopo di esso non ne 
verranno altri! La serie cominciata coi Pirofili e Bozzetti storici nel presente e 
nel passato, e proseguita coi Segni dei tempi, i Rumori mondani e le Meditazioni 
vagabonde è chiusa col presente volume. La morte cosi pietosa e inopinata 
del Negri se ha privata la patria di un gran cittadino, non è stata meno 



DBIXA LKTTBRATURA ITALIANA 279 

danùOsa alla cultura nazionale, perché fra i pubblicisli ilaliani non v*era 
altro che Io pareggiasse nella svariata cultura e sopratutto nella conoscenza 
dei maggiori problemi scientifici e morali dell* età nostra e nel saperli esporre 
con facilità e chiarezza su pei giornali e nelle Riviste. Né soltanto possedeva 
una conoscenza estesa e profonda delle materie che prendeva a discutere: 
ma una serenità di mente ed una equanimità di giudizj, che di rado si rin- 
vengono in chi ha piena coscienza degli ardui conflitti della vita odierna. 
Queste doti speciali dell* intelletto e dell* animo facevano del Negri un ottimo 
divulgatore, e conferivano autorità alla sua parola, e maggiore ancora glie 
1* avrebbero conferita, se egli avesse ancora potuta adoperarla in prò della 
patria e del retto sapere. Restano ora, oltre altri scritti, questi cinque vo- 
lumi, che trattano di svariatissime materie, ma che tutti s* informano a un 
solo concetto di ricerca del vero e di morale restaurazione. Egli guarda 
tempre le cose dalfalto e le domina coli* acuto sguardo, e nel risolvere, o 
cercar di risolvere ciò che più agita e sommuove il mondo presente, spe* 
eie rispetto alle credenze religiose, sa farlo con delicatezza, con tolleranza; 
non inasprisce il conflitto, ma lo attenua con un senso di umana universale 
pietà. 

Il volume che annunziamo ha lo stesso carattere degli antecedenti. Offre 
a tutu una sana e giovevole lettura ; ma chi ama la storia del passato e vorrà 
interpretarne il segreto, cercherà il saggio su Nerone e il cristianesimo ; chi 
preferirà addentrarsi negli avvolgimenti della storia moderna, potrà ricorrere 
air ottimo capitolo // Principe di Bismarck nei suoi Pensieri e Ricordi, 
L^arte e il pensiero antico sono studiati a proposito di Lucrezio: quello 
oUierno nei lavori su Anatoìe France, sullo Zola, sul Taine, sul Tennyson, 
I ponderosi problemi suH* ordinamento dello Stato e della Scuola sono trat- 
tati nei due scritti Sulla riforma della legge elettorale politica e su La re- 
h'gione e la morale neW insegnamento : d* Italia, del suo passato e dell* avve- 
nire, discorrono gli altri su Carlo d'Adda e su Lo Statuto e V Unità d'Italia, 
e gli altri due, di argomento vivo e palpitante. La questione meridionale 
guardata dal Nord, e I partiti milanesi. Un dolce e vago riposo allo spirito 
del' lettore, cosi come è a quello del viandante, offre l'articolo Un Paradise 
aljìéstre, che descrive un angolo riposto, addossato alla parete che divide Tltalia 
ila liti valle del Rodano. 

Questi diversi scritti ci disegnano dinanzi 1* immagine ideale dell* autore; 
hi commemorasione dello Scherillo tenuta nell* Accademia scientifica di Milano, 
e 1* altra del Novati presso la Società storica lombarda, ritraggono Tuomo 
e le sue vicende, Topera sua di soldato, di sindaco, di senatore, e ne dicono 
la mente sempre devota ad alti ideali. L*una e 1* altra sono ispirate da ri- 
spetto ed affetto quasi filiale, e alla seconda aggiungono pregio parecchiB 
Iutiere del tempo, in che, poco più che ventenne, il Negri servendo la pa- 
tria nelle file delP^sercito e combattendo il turpe brigantaggio del metzo- 
giorno, iniziava quegli atti di devozione alla patria, di che fu ricca tutta la 
sua successiva, ahi ! troppo breve carriera. A. D*A« 



RASSKONA BlBLIOÓRAPICA 



/ FioretU di Saneto Franeiescho secondo la lezione del cod. fiorentino scritto 
da Amaretto Manelli pubblicati di nuovo da Luigi Manzoni di Mordano, 
edizione con XXX fototipie, Roma, Loescher, MDGGGCII. 

/ Fioretti del Glorioso tnessere santo Francesco e de' suoi frati a cura di 
6. L. Passerini, Firenze, Sansoni, 1903. 

/ Fioretti di S. Francesco secondo T edizione di A. Cesari riscontrati su mo- 
derne stampe per cura del prof. R. Fornaciari, Firenze, Barbera, 1902. 



Son corsi ben diciannove anni, dacché Io Zambrini pubblicando T'Appen- 
dice. alle Opere volgari a stampa* annunziava prossima Tedizione critica dei 

* Fioretti ,, corredala d* un* ampia bibliografìa; ma, sebbene da allora ad oggi 
sia corso tanto tempo, questa promessa non è stata ancora adempiuta. Fin 
dal 1900 il conte Luigi Manzoni, da cui era ragionevole sperare un' opera di 
tal genere, si scusava' col dire di non essersi sentito abbastanza in forza per 
condurla a termine; e non credeva inopportuno intanto ' . . . il dare alla luce 
(riportiamo queste parole dalla pref. d'allora) un testo, il quale non risalti da 
' raffazzonamenti arbitrar) o da lezioni diverse, tratte a capriccio da codici 
' e stampe, ma riproduca fedelmeate un codice solo, scelto fra i migliori ed i 

* più antichi per modo che si possa leggerlo, se non scevro in tutto di mende, 
** almeno rimesso nella forma, in cui fu divulgato da Menante ben noto nel 
'secolo stesso, in cui T opera fu composta o fatta volgare ,.' La nuova le- 
zione era tratta dal codice palatino E. 5, 9, 84,^ opportunamente prescelto, 
perché autografo di quel medesimo Amaretto Mannelli, che è pili noto qual 
trascrittore del Decameron. Certo che, astraendo dalla promessa dell'opera 
completa, di cui abbiamo toccato, anche in questa, sìa pei pregj intrìn- 
seci, sia per gli accenni da parte dell'autore ad altri lavori sull'argomento, 
c'era tanto da soddisfare lo studioso. Infatti in quella stessa prefazione il 
M. annunziava che a completare il primo, avrebbe raccolto in un secondo 
volume le vile di Frate Ginepro, di Frate Egidio, ì suoi Detti Memorabili, la 
Regola dei Frati Minorì, il Testamento del Patriarca, una Pia considerazione 
sulla vit^ di lui, una Profezia ed uno Specchio dell'anima,^ e che altrove si 
sarebbe accinto a trattare per esteso la questione delle fontì.^ Naturalmente 



1 /«< opere wigari a stampa dei secoli Xill e XIV. ~ Quarta edizione oo& Appendice. — 
Bologna. 1884, •;ol. 66-57. 

1 / Fioretti di Sancto Fraticietcho secondo la legione del codice fiorentino scritto da Ama* 
retto Manel11,ora per la prima Tolta edita, pubblicati di nuovo da Luigi Mansoni di Mor- 
dano, Boma, Loeacher MDCCGO, preikt. p. I. 

t Ib. 

4 Ib. p. IV. 

A Ib. p. II. 

6 Ib. p. VI e eegg. Ivi il ood. è descritto con minuzia: por la tsronologia il Manelli stesso 
ricorda d'aver cominciato a scriverlo la vigilia di Pasqua del 13t>6, e d'averlo iinito nel 
luglio. 



DBLLA LETTERATURA ITALIANA 281 

non si pnò pretendere da un autore più di quello, ch'ei voglia o possa dare, 
ma desideriamo soltanto por qui in rilievo come per un ricorso strano di circo- 
stanze anche queste intenzioni dovessero rimanere allo stato di promesse, au- 
gurandoci d* altra parte che il H. voglia mostrar col fatto di non essersene di- 
menticato. Alla distanza di due anni è uscita alla luce una ristampa quasi 
integrale del volumetto del *900, arricchito con nuove riproduzioni in foto- 
tipia di personaggi, allegorie e motivi, connessi colla leggenda francescana e 
ritratti dal pennello d* artisti contemporanei, o di poco posteriori al serafico 
poverello d*Àssisi. In ogni modo, per quanto V opera del Manzoni non possa 
pretendere ad altro, che al merito d' essere un buon contributo alP edizione 
critica definitiva, anche cosf com'è, torna utile ed opportuna per la nostra 
letteratura, e più particolarmente per gli studj francescani. 

Nella sobria prefazione, che qui torna, leggermente modificata, a precedere 
il lavoro, il M., pur affermando di non voler affrontare il problema concernente 
la cronologia dei Fioretti, vi accenna di volata con alcune osservazioni, sulle 
quali vogliam qui dire qualche parola. Egli vede nella compilazione dei 
Fioretti due parti ben distinte: Tuna (capp. l-XXXVIII dei Fioretti e Con- 
siderazioni delle Stimmate) più antica, e T altra (capp. XXXVIII-LIII) com- 
posta in tempi a noi più vicini.' Ed ecco, donde il H. trae questa dedu- 
zione: siccome, egli dice, sette storie della vita di S. Francesco, dipinte da 
Giotto e dai suoi scolari nella Chiesa Superiore d* Assisi serabren tratte dai 
Fioretti e T allegorìa giottesca della crociera di mezzo par ispirata alla terza 
delle Considerazioni delle Stimmate, e siccome d' altro canto sappiamo dal 
Vasari, che Giotto fu chiamato ad Assisi da Fra Giovanni da Morrò, tra il 
1296 ed il 1304, è naturale indurre, che la compilazione di quella parte dei 
Fioretti, che riguarda più particolarmente il servo di Dio e dell' altra, che va 
sotto il titolo di Considerazioni delle Stimmate debbano aver preceduto di 
tempo gli affreschi gicttini della basilica. Siccome invece nella seconda parte, 
tutta dedicata ai seguaci del taumaturgo, V ultimo ricordato tra di questi per 
la cronologia è Fra Giovanni dell'Ai vernia, defunto nel 1322, e se ne parla 
come di persona già morta, le prose, che abbraccian la vita di lui e dei con- 
fratelli van poste per lo meno dopo il 1322. Ora a noi sembra che questo 
modo d' argomentare, per quanto acuto, non renda chiara e scientificamente 
accettabile la conclusione, cui vorrebbe giunger V editore, riguardo alla cro- 
nologia dei Fioretti ed alla loro struttura, che verrebbe in tal caso ad esser 
costituita da due parti, diverse non solo per autore ma anche per tempi. 
Infatti non ci par necessario ammettere che i Fioretti in volgare, quali noi 
Il conosciamo, dovessero già esistere ai tempi di Giotto, soltanto per le somi- 
glianze innegabili, che corrono tra certe prose francescane ed alcuni affreschi 
di quest'ultimo, il quale potò benissimo ispirarsi a quel testo latino, il F7o- 
retum, se già esisteva, od a quegli Aetus Sancii Francaci et soeiorum eju9, che 
sembrano aver costituito il nucleo, onde i Fioretti derivarono. E se ciò non 
bastasse, si pensi che quando Giotto coi suoi dipingeva nella basilica d'Assisi, le 



» Pref. p. III. 



282 RASftBGNA BIBLIOGRAFICA 

tradizioni su Fraacesco, sa Bernardo, su Masseo, sopra Rufino, sopra Egidio» 
sopra S. Chiara, su tutto il cenobio e su tutto quel moto religioso, che Cu 
proprio deir Umbria, eran fresche e vigorose, e costituivan neir insieme quel 
poema francescano, che per quanto forse non fermato accora nella parola^ 
più che nelle menti era scritto nei cuori. Cosi Giotto o nell^un modo o 
neir altro potè trarne argomento pei suoi affreschi, ed in tal caso la que- 
stione verrebbe invertita : che le somiglianze coi Fioretti si spiegherebbero, 
per r influenza delle pitture murali sulle prose francescane, la ogni modo, 
tolta di mezzo quella conclusione riguardante la priorità dei Fioretti in r^tp- 
porto agli affreschi di Giotto, conclusione, che s* imponeva come necessaria 
al M., non ci sembra, come dicevamo, che siano da accettar senz'altro U 
idee del benemerito editore sulla struttura e sulla cronologia dei Fioretti. 
Infatti nulla impedisce, secondo noi, che quello stesso fraticello, il quale 
scrisse dopo il '22 le memorie di Fra Giovanni della Vernia, di eui era stato 
compagno, sia anche V autore, se non di tutte, di alcune almeno delle nar- 
razioncelle, attinenti alla vita del comun padre spirituale, il beato * Fraa- 
' eiescho ,. 

Ma lasciando da parte, come vuol V &, indagini di questo genere, dobbiam 
convenire che la riproduzion diplomatica curata dal M. è scevra d* ogni di- 
fetto. Questa seconda edizione inoltre si avvantaggia sulla prima perché 
r ampia errata-corrige, è qui stata sostituita colle emendazioni, introdotte nel 
testo ; perché il glossario, oltre a registrare parole e frasi peculiari alle prose 
francescane, riporta vicino alla forma antiquata la moderna corrispondente; 
e perché infine le diciannove incisioni, onde adornavasi il testo, son qui sa- 
lite a trenta. Neil* insieme insomma, è una pubblicazione condotta con op> 
portuno sentimento d* artista e con diligente accuratezza d* erudito, in modo 
che faciliterà senza dubbio T opera al futuro editore del testo critico delle 
prose francescane; opara, che noi ci auguriamo sia condotta a termine dallo 
stesso Manzoni. 

Né diversamente si deve giudicare dell* elegante edizioncina, che de * I Fio- 
' retti del Glorioso messere Santo Franciesco e de* suoi frati , ha compiuto 
con la consueta diligenza il conte G. L. Passerini. Nelle poche pagine, ch*egli h, 
precedere al testo, descrive minutamente il codice riccardiano 1670, la cnì 
lezione è stata da lui riprodotta in modo integrale. Ma è doveroso altresì no- 
tare che, oltre ai " Fioretti , ed alle * Considerazioni delle Stimmate g, qui 
si contiene la '^ Vita di Frate Ginepro ,, ristretta in quattordici capitoletti, ed 
in altri nove quella di Frate Egidio, cui 1* accurato editore fa seguire i * Ga- 
' pitoli di cierta dottrina et detti notabili di Frate Egidio «, le ' Visioni et 
' revela^ioni et tentazioni eh* ebbe Frate Egidio innanzi la sua morte,, ed 
i * Begli esempj e miracoli di S. Francescho «, parte dei quali vengono ora 
in luce per la prima volta. Lodevole pensiero infine è stato quello del P. 
di corredare il volumetto delle principali varianti, che il testo, secondo la 
lezione da lui pubblicata, presenta a confronto dell* altro, fornitoci dal Manioni. 

A differenza di questi due, il prof. Fornaciari con un* altra ristampa delle 
prose francescane pei tipi del Barbera, ha voluto comporre un manualetto 
di comoda lettura per le persone colte: * ripresentare, cioè com* egli scrive, 
" il testo dei Fioretti in modo facilmente leggibile, conservandogli però fino 



DBLLA LBTTBRATUBA ITALIAHA 288 

* ad OD certo punto quella patina di antichità, che ha perdalo nella maggior 
' parte delie edizioni recenti . . . , * E non v* è dubbio che lo scopo ò rag- 
giunto; il testo, prescelto dall'editore è quello offerto dalla bea nota edizione 
dei Fioretti, curata dal Cesari, corretta qua e là secondo le varianti del già 
citato codice Mannelli. 

Per concludere, se confrontiamo i testi, quali ci son dati dalle dne riiUmpe 
condotte con intento critico, astrazion fatta dai brevi sonimarj d'ogni capì* 
tolo (perché riguardo a questi non essendovi una forma fissa, ogni traaeril- 
tore sì credè lecito di comporli a proprio arbitrio) è facile accorgersi quamto 
poche di numero e quanto lievi d' importanza sian le varianti, che i due co* 
dici presentano tra di loro. Di ben più notevoli in vece, com* ò natttraU, M 
ne riscontrano quando si pongano a raffronto le edizioni del M. e del P. con 
quella del F., perché nel primo caso V ortografia ò specchio più o meno f»* 
dele della pronunzia dialettale fiorentina sul finir del 300, e sul cominciare 
del secolo successivo, nel secondo caso si mostra più levigata, perché di già 
sottoposta ad erudite elaborazioni. M. Sterzi. 



CRONACA. 



.'. Il Canto Vili del Purgatorio viene ottimamente illustrato in un di- 
scorso del prof. V. Capetti (Milano, Scuola Tipo-litograf., di pag. 40 In 16.^). 
Le bellezze della descrizione della sera colla quale s'inizia il canto, vengono 
delicatamente e pienamente esposte dall' A.; e cosi gli episodj di I^ino gen- 
tile e di Currado Malaspioa, la figurazione del quale è finamente studiata 
a riscontro di quella dell' liberti nel X dell'Inferno. Segue un'Appendice 
Sulle tracce di Virgilio, dove sono raccolte e messe in mostra recondite 
derivazioni della Commedia dall'Eneide. L'A. quasi sembra accettare l'os- 
servazione di un critico benevolo, di troppo addensare: e veramente o per 
natura d'ingegno, o per riflesso, forse, del Tommaseo, la critica sempre ele- 
vata, lo stile adeguato alla materia, talvolta appajono involuti e oscuri, si da 
far desiderare maggior perspicuità e scioltezza a una penna, che ha tanta 
copia di belle e utili cose da significare al lettore. 

.'. Col titolo di Dantiana, il prof. E. Tbza raccoglie alcune notereìle (Pa- 
dova, Randi, di pagg. 27 in 16.<^) nelle quali raccoglie e illustra notizie di tra- 
duttori e storici e giudizj di uomini più o men chiari, sul poema divino: e 
prima enumera le varie sentenze del Goethe, poi dà notizia di un singoiar 
lavoro sulla Vita Nuova di una signora inglese — che precede forse, e forse 
prelude allo strazio di Dante fatto sulle scene inglesi dal Sardou. Per ul- 
timo si propone una nuova interpellazione, ironica, al sonetto di Cino da Pi- 
stoja,che enumera e accresce i difetti del libello di Dante. L'interpretaziune 
è ingegnosa, ma va Ietta e meditata nel testo, al quale rimandiamo. 



I Prelkz. p. XVIU. 



284 RASSBONA BIBLIOGRAFICA 

.'. II prof. L. A. RosTAONO investiga Chi aia Colui che fece per viUate il 
pran rifiuto (Catania, Mollica e Modica, di pagg. 26 in 16.*), confatando da 
prima la opinione di coloro che vi ravvisano Celestino V. Non tutti gli ar- 
gomenti contro siffatta ipotesi sono egualmente calzanti. Negando ad esem- 
pio, che Dante accogliesse la voce che il card. Caetani incitasse Celestino 
air abdicazione, opina, appoggiandosi al Casini, che a ciò non può trovarsi 
allusione nei versi: son due le chiavi Che il tnio anteceasor non ebbe care: 
e ciò ammettiamo fino a un certo punto, non sembrandoci tuttavia che que- 
sto sia un * accenno delicato e rispettoso , al suo predecessore. Altri vi 
può scorgere una scusa di sé medesimo, un accagionare del rifiuto piuttosto 
la pochezza di Celestino che le proprie arti. Il prof. R. riconosce Pilato in 
Colui, e sostiene la sua opinione con argomenti non privi di probabilità. Non 
però diremmo né che egli sia il primo a proporre tale ipotesi, e ne dubita 
lo stesso autore, né, che è pili, eh* egli riesca a infondere in altri la sua con- 
vinzione; e non sappiamo se questo nuovo candidato riuscirà a levar di 
posto quegli che T occupa da tanto tempo: che, ognun sa, melior eat con- 
dillo poaaidentia. U A. ci pare che ragioni sottilmente, ma scriva con troppa 
trascuratezza di forma : potremmo di ciò addurre molti esempj : ci basti 
questa sola proposizione: *L* esser attivamente boni si è solo superando 

* ogni timore d* incomodi, pericoli o danni,. L'A. ci avverte che Io scrìtto 
che stampa è * nella stessa stesura, che aveva quando fu presentato al 
concorso dantesco degli insegnanti secondaij ,; ma chi e che cosa poteva 
impedire di dargli poi una buona e opportuna rivista quanto alla forma? 

.'. Nelle Conferenze promosse dal Ginnasio Comunale di Barletta trovò 
luogo V Interpetrazione del e, XXVII dell'Inferno fatta dal prof. C. B. Bar- 
BERis (Pinerolo, Chianlore, di pagg. 30 in ÌQ.''). U autore, contro il Tosti, il 
Bottagisio ed altri, difensori del nome di Bonifazio Vili, ammette, con pa- 
recchi commentatori antichi e moderni, ' la verisimiglianza del mal consiglio 

* e la conseguente caduta di Palestrina per patti non mantenuti ,, e adduce 
gli argomenti che a tal conclusione lo conducono. E noi in verità, siamo 
d'accordo con lui, parendoci inverosimile, anche ammessa T inimicizia di 
Dante verso Bonifazio, ch'egli di suo capo inventasse il colloquio fra il pon- 
tefice e il cordigliero. Come in tanti altri casi, Dante dovè appoggiarsi a 
una opinione, vera o falsa, generalmente tenuta, e rispondente, almeno ge- 
nericamente, alla realtà di fatto. Questo punto è più largamente d* ogni 
altro, trattato dalP autore, col quale non saremmo del tutto consenzienti 
neir asserire che il parlare * lombardo , voglia dire semplicemente e pura- 
mente * italiano ,, anche ricordandoci che altrove Virgilio chiama " lombardi , 
i suoi parenti, volendo additare quella parte della penisola, che nell'antica 
geografia romana non era Italia ma Gallia Cisalpina, e divenne poi Lombardia. 
Oltre la menzione della voce iasa, il ripetersi di questa denominazione di- 
stintiva, che è pur adoperata {anima lombarda) a proposito del mantovano 
Sordello, ci pone in dubbio rispetto all' interpetrazione data dal Barberis. 

.'. Nello scritto Uullima guida di Dante e le affinità di due anime grandi 
(Livorno, Meucci, di pagg. 29 in 16-^) il prof. P. Vigo ricerca le ragioni per 
le quali nella Divina Commedia, sia fra tanti santi e dottori, prescelto San 
Bernardo a continuare e ultimare T uffizio di accompagnatore e maestro, dopo 



DBLLA LtTTBRATUKA ITALIANA 285 

Virgilio e Beatrice: e oltreché nelVaver volato, come comaaemente si opina, 
"rappresentare in persona di Ini, se stesso e la viva fiducia nel r interces- 
sione della Vergine ., le ritrova in certe ' affinità di intento, di zelo, di desi- 
derio in quelle due anime grandi ,. A questo fine egli mette a ragguaglio i 
passi dell* uno e dell* altro, che dimostrano nelle loro scritture * il desiderio 
eomime ad ambedue dei rinnovamento morale della Chiesa e del cristiano 
consorzio, 1* ardore della crociata, i nobili e santi disdegni contro i traligna- 
tori «, e aggiungiamo noi, la condanna delle ambizioni temporali dei Ponte- 
fici. I brani arrecati opportunamente chiariscono assai bene 1** affinità , vo- 
luta provara dalPa., e spiegano come 1* altissimo conto in che il gran poeta 
teneva il gran teologo, glielo facesse assumere a guida nelPalto delFEmpireo. 
.'. Il sig, A. Cimino ribadisci^ una sua opinione, già espressa di recente 
anche da altri, circa le relazioni fra la genesi della Divina Commedia e il 
Giubileo del 1300, in una Conferenza sulF argomento, che si intitola appunto 
Ancora il giubileo del 1300 e Dante in occasione di una Rivista alla Ripista 
d'Italia (Napoli, D*Aurìa, di pagg. 61, in 16.^). Lasceremo ciò che concernè 
Toccasione delPopuscolo, che ò una polemica contro il prof. Labanca, né segui- 
remo FA. in molte sue divagazioni. Ma un argomento di più, o di maggior peso 
circa il soggetto in discussione, invano si cercherebbe in questo nuovo scritto: 
e quanto il C. ed altri con lui sostengono come fatto, è una mera ipotesi, 
che non esce dai confini del possibile. Se non che in troppi luoghi appa* 
risce che lo zelo religioso non può tener luogo della crìtica oculata, spas» 
sionata, sicura di sé, come laddove si fii un ' torto , a Dante delle s«ft invettive 
contro la corruzione della Chiesa, nonché nella apologia di Bonifazio VII 
(anzi, perfino di Alessandro VI). Quanto poi al dire che Dante ' non ha messo 

* neir Inferno o nel Purgatorio neppure uno che la Chiesa avesse adorato 
' sugli altari „ si può bene concederlo, anche se in colui che fece il gran ri- 
fiuto, si debba riconoscere Celestino V: e ciò per le ragioni addotte dal Tocco 
e dal D* Ovidio; ma che egli non ammettesse * in luogo di salvazione al- 
' euno per cui la Chiesa si fosse pronunziata in contrario ,,d pare propo- 
sizione un pò* arrischiata. Il gran poeta fu schiettamente ed altamente cat- 
tolico: ma non cattolico * cieco „ come il C. lo definisce. E infatti al giu- 
dizio di condanna della Chiesa non sostituisce egli il suo — e sia pure ap' 
poggiandosi a leggende e visioni del tempo — salvando Manfredi, e rimpro- 
verando anzi al pastor di Cosenza di non aver ben letto, obbedendo alla 
scomonica papale, nel libro dei decreti di Dio? E se la Chiesa non eresi 

* pronunziata in contrario , né per Catone né per Rifeo, non é un grande 
ardimento di Dante 1* aver infranto per essi la dottrina cattolica riguardo ai 
Pagani, promettendo ali* ufio, custode del Purgatorio, la ' vesta, che al graa 
' di sarà si chiara „ e per la sola lodevole menzione di Virgilio, collocando 
1* altro nella gloria del Paradiso? E Sigiar! non era condannato dalla Chiesa? 
Cattolico, si, e profondamente fu Dante : ma non * cieco ,: che rispetto a tol- 
lerante larghezza dì mente, non é da mettere in mazzo, tutto che vissuto sei 
secoli fa, colla schiera gretta d* intelletto e d* animo di certi teologi e x^ttolici 
odierni. 

.'. In onore di N. Tommaseo e a ricordo del centesimo anno del suo no- 
scimentOf i padri Rosminiani di Stresa, e per essi la Ditta L. F. Cogliati di 



286' IIA88IBQNA BIBLIOGRAFICA 

Milano hanno pubblicato due lettere del Tommaseo stesso a Paolo Bfr$É 
(di pagg. 77 in 16.<^ picc). Gli studiosi conoscono ed apprezzano meriUoieDte 
il libro del Pere/., su « getU éerchi del Purgatorio, non che T altro diiU 
fragrante che epirano dal Purgatorio e dal Paradiso di Dante, Le doe let- 
tere del Tommaseo sono a propòsito di quest'ultima scrittura: e la priiaa 
di esse ha piti stretta attinenza coir argomento, T altra, pur non discostandost 
da Dante, tratta di ciò che potrà essere il sentire corporeo nella vita futora 
dei beati. Ambedue sono notevoli per erudizione poetica e per dottrina teo- 
logica, e pel modo col quale sono trattate in lucida forma astruse materie, 
nonché per l'agevolezza, e qua^i diremmo familiarità, colla quale eoa vigile 
memoria e ardore di fantasia, T autore, a proposito di Dante, richiama e raf- 
fronta passi di varj autori, e specialmente della Bibbia e di Virgilio. 

.'. Qui addietro (pag. 185) accennammo alla controversia su Dante al mo- 
nastero di fonte Avellana, e al dibattito fra i signori MorSoi e Nicoletti 
sulla possibilità di scorgere il Catria da Ravenna, affermata dal primo, dal- 
l' altro negata. E poiché la negativa era assoluta, perentoria e quasi io forma 
di sfida, dichiarammo di rimaner perplessi. Ma il prof. M. Momci in una Let- 
tera aperta al prof . A. D* Ancona inserita nella Nazione del 16 luglio (n. 197) 
adduce testimonianze di persone autorevoli ed esperte, le quali dicono che 
il Catria, in forma di gibbo, è visibilissimo da Ravenna. Registrando la no- 
tizia di queste valide attestazioni, dimostrate per scienza e per esperieoia, 
pare a noi che la causa del sig. Nicoletti possa ritenersi come perduta* 

.*. Una nota del prof. A. Moschetti su Un'erronea eepresetone di Dmmie 
e un'erronea interpetrazione dei commentatori (s. a. n. t. di pagg. 8 in 16.* 
e una fig.) riguarda il principio del e. XVI Inf., e precisamente il v. 7: Ve- 
nian ver noi, dove, coir aiuto di un disegno, l'autore dimostra che il vèr vale 
non già incontro^ ma di fianco, — 11 secondo punto esaminato ò il verso 
26: el che in contrario il collo faceva a* pie continuo viaggiOy dove l' a. pre- 
ferisce la lezione recata e confermata da tre delle prime quattro edizioni 
del poema: ei che tra loro il collo faceva a' pie (o co' pie) continuo viaggio: 
cioò, ' piedi e collo erano in continuo movimento: i piedi per girare intorno 
' al cerchio, il collo per rivolgersi verso Dante, da cui si andavano mao 
' mano ora avvicinando ed ora lontanando ,. 

.\ L'articolo del prof. P. Bbllizza Del citar Dante (estr. dalla JIom. Neh 
zion., di pagg. 14 in 16.*) contiene notizie aneddote assai curiose: talune pere 
delle citazioni dantesche che raccoglie, per la loro insipidezza potevano tra- 
lasciarsi, e altre migliori se ne potevano ricordare : per esempio, l' epìgrafe 
dal Gioberti apposta al suo Gesuita moderno: Incontanente intesi e eerta 
fui Che questa era la schiera dei cattivi A Dio spiacenti ed ai nmtsici 
sui. — È noto in Firenze come, quando nel '46, o !47, apparve il libro di 
Leopoldo Galeotti sul Dominio temporale dei papi, G. B. Niccolini sentf ri- 
bollire in sé i vecchi spiriti ghibellini, e vi scrisse sul frontespizio: Galeotto 
fu il libro e chi lo scrisse. Si poteva aggiungere, perché contenoto in do- 
cumento storico assai importante e noto, l'uso appropriato di versi dante- 
schi fatto da G. B. Giorgini nella sua relazione del 1860 al Parlamento ita- 
liano per la costituzione e denominazione del regno. Mancavano i deputati 
di Venezia e Roma in quel primo consesso di rappresentanti d'Italia, e II 



DBLLA LVfnntATURA ItAtlANA 287 

Gìoti^ni citò opportatinmente i versi del Pnrnd. XXX: Vedi li nostri scanni 
si ripieni Che poca gente ormai ci si disira. Il prof. Bellezza potrà perFe- 
2Ìotiare, arricchendolo, qaesto saggio, cbe riasci rà sempre di gustosa lettura. 
.'. Gol titolo Saggi critici il sig. M. Mandalari raccoglie (Città di Castello, 
Lapi, di pagg. 153 io 16.^ pìcc.) 9ette suoi scritti, dei quali taluni hanno 
carattere storico^ altri letterario. E questi sono i tre prinni : Matelda — Le 
Satire di Quinto Settano — Questioni dantesche. Il primo fu anteriormente 
pubblicato in rumeno nella versione della Divina Commedia della signora 
Ghlthi, per * esporre lo stato della questione sulla Donna in che Dante si 

* imbatte nella foresta del Purgatorio, annoverando ben sette personaggi 

* storici in che si vuol raffigurare la Matelda dantesca ,. Ma veramente an- 
dava aggiunta alle altre, la donna che nella F. Nuova domanda a Dante in 
che consista Tamor suo per Beatrice: e questa, non la donna gentile, è ve- 
ramente quella proposta del Borgognoni. L*a. crede — e qui diamo con lui 
— che 'Matelda nel suo intimo significato, sia una cosa con Lia: ma sostiene 
anche che sia un personaggio vivente solo nella mente del poeta, e come 
una personificazione del valore etimologico (figlia animoM) del 'nome: e qui 
discordiamo da lui, perché non v'ha nel poema personaggio di significato 
simbolico, che non sia insieme uomo o donna realmente vissuto: né calza 
r esempio di Lucia, perché se essa è la Grazia illuminante è insieme la 
Vergine Siracusana venerata dalla Chiesa come santa. — Soggetto dantesco 
ha pure T altro studio, che espone e riaflsume gli studj di Filippo Zam- 
boni su Gunizza da Romano, nei quali pone infianzi la piti plausibile ragione 
deir averla Dante collocata fra i beati. — Nello studio sul Sergardi — o 
Quinto Settano — ci sembra che in fondo Ta. abbia ragione contro il dott. 
Battignone nel definirne il carattere. Negli altri scritti si danno utili notizie 
solla storia e sulla cultura calabrese. Ma poiché tutti quanti sono ristampe, 
non sarebbe stato inopportuno né inutile rivederli tutti accuratamente pek* 
ciò che spetta allo stile, troppo trasandato e fiacco. 

.*. Un- giovane studioso, il sig. A. Franco, raccoglie per nozze di parenti 
alcuni Appunti di Numismatica Toscana dei sec. XIII e XIV (Firenze, Boti- 
dttceiana, di pagg. 11 in 16.^), ricordando monete che furono coniate a San- 
t* Jacopo in Val di Serchio, a Riglìone e Spedaluzzo, a Rifredi e a Romena. 
L*À. mostra di dubitare che Mastro Adamo (da Brescia, o da Brest, come 
altri crede : certo, in documento autentico testé scoperto è detto anglieus), 
fosse arso davanti al -castello, perché esso non era in territorio fiorentino. 
Ma non è il Camerini che ciò asserisce, come é notato : bensì Io afl'ermano 
unanimente 1 commentatori antichi. E di fronte al castello — valga per quléì 
che valga la tradizione — v' ha una mora di sassi, detta dell' uomo morto, 
che si asserisce eretta a poco a poco sul luogo ove il colpevole artefice 
venne bruciato. 

.*. La nuova pubblicazione del prof. 6. Marukfi: La Divina Commedia 
considerata qual fonte dell'Orlando Furioso e della Gerusalemme liberata 
(Napoli, Pierro, di pag. 216 in 16.'') può tornar utile in genere agli studiosi 
e in particolare ai maestri delle scuole secondarie. La materia ò divisa in 
due parti: nelPuna, le derivazioni certe o probabili, di concetto (simboli, epi- 
sodj, credenze, figure), nelPaltra quelle di pura forma (similitudini, immagini, 



288 RABSSGNA BIBUOQRAFIOA 

modi di dire ecc.). Forse era meglio intitolare il lavoro, lasciaodo la parola 
fonttf 'Imitazioni dell* Orlando e dalla Gerusalemme dalla Commedia, o in 
altro modo consimile. Come succede in tal genere di lavori, spesso si cade 
neir esagerazione di un giusto concetto, e ci sarebbe da ridire qualche cosa 
su quanto annota Ta., cosi per la prima come per la seconda categoria dì 
raffronti; non di rado questi si direbbero un pò* tirati colle molle. Ma scar- 
tando il meno, resta il più ; e questo può dar luogo, specie nelle sruole, a 
buone considerazioni di stile. 

.'. Del prof. 6. Gambèra son raccolte in elegante volumetto (Salerno, Jova- 
ne, di pagg. 88 in 16.* picc. con due tavole) le Note dantesche sparsamente 
pubblicate finora, e di talune delle quali abbiamo altra volta parlato. Il ca- 
rattere loro è generalmente scientifico, e più specialmente astronomico, e 
questa è la ragione per la quale non su tutte abbiamo autorità di senten- 
ziare. Ma ben ci piace di vedere come, contro rAngelitti ed altri, egli so- 
stenga esser la data del poema il 1300, e non il 1301, che è controversia nella 
quale oltre V astronomo, può dir la sua anche il letterato e lo storico. An- 
che per altre di queste note ci par che VA, vegga e spieghi dirittamente, 
come, ad es. pel verso Se quella con cui parlo non si secca, che non vuol 
significare '' Se non muojo „ ma invece ' Se la mia lingua, mentre parlo, 
non si congela, non diventa secca (dura) per freddo ., né mi avvenga come 
a Camicion dei Pazzi che aveva * per la freddura p perduto ambo gli orecchi. 
Non andiamo invece d* accordo coli* A. nella spiegazione del principio del 
IX Pnrg., dove ci sembra che«i descriva hensi 1* aurora solare, ma del nostro 
emisfero, nelle prime due terzine, e dalla terza in giù, per contrapposto, come 
Dante suol costantemente fare, Torà corrispondente nell* altro emisfero: 
1* aurora solare sul monte è invero descritta nella quinta terzina, ed è Torà 
presso alla mattina, quando la rondinella comincia i tristi lai e Dante, già 
vinto dal sonno, ha il sogno simbolico. Ad ogni modo, anche dissentendo 
su certi punti, su altri, spettanti specialmente alle cognizioni scientifiche del 
poeta e alla loro applicazione, in queste Note del sig. G. non c*ò che da 
imparare con reverenza. 

.*. Abbiamo detto liberamente il parer nostro sul primo fascicolo della 
Bibliografia dantesca, anzi pur anche trecentista e francescana, del sig. L. 
SuTTiNA. Lode più schietta ci sembra meritare il fascicolo 2.* (da pagg. 101 a 
208). Alla bibliografia propriamente detta si aggiunge una Rivista critica e 
bibliografica e delle Noterelle, Se il compilatore continua nel voler racco- 
gliere insieme tre diverse categorie di studj (Dante, il Trecento, S. Francesco), 
forse non sarebbe male dar a ciascuna una rubrica distinta. Ad ogni modo, 
lo ripetiamo, alcuni difetti dal primo iniziar dell* opera sono ora scomparsi, 
od attenuati: tuttavia sarebbe sempre desiderabile una maggior obiettività 
nei ragguagli bibliografici. Il sig. Suttina ci annunzia pel prossimo Centenario, 
una Bibliografia delle opere a stampa intorno a F, Petrarca esistenti nella 
biblioteca Petrarchesca- Rossettiana di Trieste, e T aspettiamo con desiderio, 
dopo averne veduto un breve saggio (Perugia, Cooperativa, di pagg. 7 in 16.*), 
che ci dà ragione di bene sperarne. 

.'. Prendendo occasione da Le manuscrit de Dante offerì par J, Minui 
an roi Francois I (Paris, Booillon, di pagg, 19 in 16.*) il dotto bibliofilo L. 



DBLLA LSrTBtUTURA ITALIANA 089 

DoRiz raccoglie varie notizie sul donatore di cotesto codice, contenente i| 
poema col commento di Gainiforte, e in esso ravvisa Jacopo Minuti (Myenut 
o Minut in francese) di orìgine milanese, che segui Francesco in Francia ed 
ivi ebbe ufficj, terminando la sua carica coir esser|Presidente del Parlamento 
di Tolosa. 

.*. Lo studio critico del prof. 6. Di Lbonardis su Publio Virgilio Marónt 
€ Dante (Bologna, Zamorani, di pagg. 33 in 16.*) può parere ad alcuno che, 
anche per dir cose chiare ed ovvie, troppo si avvolga in una terminologia 
nebulosa, e si -svolga in forme, abituali ormai ali* autore, che colla diversità 
dei caratteri, rìchiariiano le ^usanze del Vico ; ma contiene giusti concetti su 
ciò che Virgilio rappresenta nel poema. Propendendo a vedere nel V^ro 
un pontefice, e appunto Benedetto XI, V a. promette di trattare ulteriormente 
il suo assunto e porgere ogni schiarimento in proposito. 

.*. È uscita a luce negli Atii della Società Ligure di Storia Pairia la se- 
conda parte del voi. XXXI, che conduce il Codice diplomatico delle relazioni 
fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante a cura del 
sig. A. FiRiurrro,dal 1275 al 1981. Forma un grosso voi. in 4.* di pagg. LXV-501. 
Di questa rilevante pubblicazione storica demmo altra volta un cenno (v. Ras- 
eegna, X, 125). La lunga prefazione dà larghi ragguagli di colui che Dante trovò 
fitto nel Gocito, in anima, mentre col corpo pareva vivo ancor di sopra, cioè 
di Branca Dona, e della sua famiglia, e illustra insieme la biografia dell* uomo 
e le vicende della città in quel periodo di tempo. 

.*. Il prof. Giuseppi Schiavo In un suo opuscolo intitolato Fra la S^va 
Sacra (Firenze, Lumachi, di pagg. 74 in 16."^) si propone d^ illustrare * tutta 
* nel suo complesso la visione del Paradiso terrestre ,. Egli, convinto che 
Dante nell* immaginare la visione del Paradiso terrestre deve avere avuto pre- 
senti non una, ma molte sacre allegorie e che, tentando quivi una allégoria 
splendida e vivacissima, ricordava senza dubbio antichi veggenti o scrittori a 
lui piti vicini, si dà a raccogliere passi biblici o di scrittori teologi, che siano 
atti a meglio illustrare i concetti mistici adombrali da Dante nella sacra selva. 
La parte più notevole dell* opuscolo ci pare quella nella quale lo Schiavo 
aiutandosi coli* autorità di Riccardo da S. Vittore per quel che dice nel Be- 
> niaminus maior aut De Contemplaiione, vorrebbe mostrare che nel Paradiso 
terrestre Dante rappresenta i primi sei gradi della Gontemplazione, dei quali 
ttitelda e Beatrice sono il 5.* e il 6.* Molte ^u^nsiderazioni raccoglie lo Schiavo 
per chiarire le figure di M. e B. in ordine a questo simbolo, ma noi confes- 
siamo di non essere interamente persuasi del ragionamento suo. Non c^ò 
del resto da meravigliarsene : ormai riguardo alla interpretazione delle alle- 
gorìe dantesche ognuno si forma il suo sistema ed è il solo, spesso, a cre- 
derci. Questo sia detto senza ombra di disdegno per il lavoro dello Schiavo, 
col quale del resto ci troviamo pienamente d* accordo nel credere che a 
voler intendere Dante bisogna sprofondarsi negli scrittori mistici medievali,, 
senza pretendere però di spiegare le allegorie solamente con uno o con un 
altro di quelli. Notiamo in fine ancora un buon rafTronto fra il canto XXIII 
del Paradiso e gli ultimi canti del Purgatorio. 

.'. Buon contrìbuto alla nuova Revue dee études rabelaisiennes arreca il 
prof. P. ToLDO con una sua Memoria che s* intitola La fumèe du roti et la 



"ÌSO IfUfiSRONA BltàaOGÌUl^ìCA 

divination par aignea (str. di pagg. 16 in 16.®) ricercando le origini e l» pa* 
rentele di duo episodj pantagruelici. Il secondo, che pure non ò ignoto in 
Italia e che tratta di due che parlano a cenni, e ognun d* essi interpreta a 
modo suo i gesti dell' altro, c'interessa meno dell' altro, che si riferisce a 
uno dei racconti del Novellino, quello di Fabretto Saracino e della sentonia 
del Soldano contro la sua pretese di farsi pagare da un povero il funvo delle 
sue vivande. La piil antica forma, additata dal T. è in un racconto tamalico, 
e un'altra nei Satraa Khmét^a, E cosi, rispetto ai racconti pili divulgati aeUe 
plebi e negli autori si trova sempre, o quasi, un riscontro in quelli orientali. 
.'. Sul * Ritmo Caasineae , ha pubblicato Francisco Torraca alcuna 
' Nuove osservazioni e congetture , (di pp. 31 in 16.®), che si riferis^sono alla 
lezione, al contenuto e all'autore di esso. Le correzioni al testo sono in- 
trodotte tenendo presente che la struttura strofica del Miimo sia di sette 
oltonaij eoa* la stessa rima, più una coppia di endecasiUabi con rima di- 
versa; ma non sappiamo se tutti saranno disposti ad accettare il nvc^vo 
testo che il Torraca pubblica a fronte a quello dovuto alle cure del Giorgi 
e del Navone, perché in alcuni luoghi troppo si allontana dalla lezione del- 
l' unico codice. Rispetto al contenuto, il Torraca accetta in sostanza la in- 
teqiretazione del Novati modificandola nel senso ch'egli crede di vedere 
nel Ritmo ' uno di quei contrasti o dialoghi tra il Morto e il Vivo, che 

* furono cosi frequenti nell' età di mezzo. Sennonché, d' ordinario il Morto 
' veniva dall' Inferno e giovava al vivo mediante la descrizione dei supplizi 

* «ternamente inflitti alle anime dei reprobi; qui viene dal Paradiso e soc- 

* corre il Vivo, provandogli, con la propria esperienza, che vi sono contentezze 
' spirituali di gran lunga migliori della brutale soddisfazione degl'istinti, de'bi- 
" sogni materiali. Da questo lato il Ritmo segna un progresso, un più idoI- 
" Irato processo di purificazione rispetto al concetto prevalente in altri com- 
' ponimenti didattici popolari ,. L'autore del Ritmo ò ignoto; qualche iodizio 
sulla sua condizione si è creduto ricavare dalle parole en altu m'enoaatiUu, 
che parrebbero alludere a un monaco fora* anche cassinese. Il Torraca spiega 
che r autore annunzia di essere diventato metaforicamente * castellano di 

* un alto castello , nel .senso medesimo in cui Dante dice delle anime che 
sono * cittadine di una vera città ,. Ma chi è questo autore? * li nome del- 

* r autore della llhera versione dei Diaticha de Moribua, di Messer Catenaccio 

* cavaliere d*Anagni, mi si ò offerto spontapeamente a colmar la lacuna della 
" seconda stanza ^ cosi risponde il Torraca ; infatti al luogo dell' ottonario 
mancante egli ha introdotto il verso Truhato aio eo Calenaczo, e rafforza la 
sua ipotesi coq alcqni raffronti tra alcuni pensieri del Ritmo e i peuKieri nuovi 
introdotti, da Catenaccio nei Diaticha, L'ipotesi arditissima, anzi del tutto 
soggettiva, porta ^lla conclusione che il Ritmo non sia fra i più vetesti do* 
cumenti della poesia italiana, ma un produttp della fine del secolo XIII, al 
quale, secondo videro il Giorgi e il Navone, potrebbe appartenere il codice 
che ce lo ha conservato. 11 Torraca aggiunge ancora, che lo schema stro- 
fico del Ritmo che presuppone lunga elaborazione, nel sec. XII sarebbe 

* mirabil mostro ,. 

.'. Il prof. Alfred Jbakroy ha pubblicato nell'opuscolo Un Sirventéa 
eontre Charlea D'Anjou (Toulouse, E. Privai, di pagg. 23 in 16.*) l'illustra- 



DBLLA LMtiBftATtJtU ITALIANA ^9l 

liooe dell^anica poesia provenaale del trovatore genovese Cal9ga Pan9fl»o, 
dì reoe»ie fotta cooosoere dal Bertoni. Di alcune parti della poesia si era 
già oecttpato il Torraea nel suo volume di Studj $u la lirica italiana del 
éunmio; il ieanroy la ristampa introducendovi «.Icune correzioni criti- 
che e spiegando tutte le allusioni storiche, da cui risulterebbe che fu eom- 
peila dopo il mano 1968 con sentimenti ghibellini per accompagoare e he- 
BMUgiumre all'impresa di Corredino, diretto a riacquistare il trono di Napoli 
agli Svevi. Io una nota aggiunta il Jeanroy espone i suoi dubbj che nella 
poesìa di Peire Ghastelnou, Hoimais nom eal far plu9 long* aUndensa (S$udj 
di fil. rom. iX, 464) si alluda alla vittoria di Carlo I d'Angiò a Benevento. 
Egli crede invece che si alluda alla vittoria di Tagliacozzo. Ma dobbiamo 
oflser vare che il verso venctUeneamp lo rei ìianfre indica chiaramente la 
batlaglia di Benevento, e che è assai debole spiegazione quella che dà il 
Jeanroy per ispiegare la menzione di Manfredi dove si allude alla battaglia 
di Taglìaeozzo, Egli dice ^ Manfred a pu ètre considerò par le poète eomme 

* un adversaire plus dangereux, et par consequent plus digoe d' ètre men- 

* tionné ; à moins encore que son nom n' ait été appelé à la fin dn vera 

* per le beeoin de la rime ,. 

.\ Un buon contributo di materiali copiosi e ben vagliati porge alla let- 
temtara sacra del primo secolo, il prot E. Brambilla colla sua pubblicazione 
di Rime ÀMetiiché traseriUe da un eod. napoletano e da un eomense del we, 
XV (Cuneo, Isoardi, di pagg. 78 in 16."»). Nella prima parte offre varianti non 
epregevoli al Fiania della Vergine di frate Ensehnìno; nella seconda riferisce 
tiedici Laudi, illustrandole con notizie letterarie e bibliografiche. Notevoli fra 
esse sono la famosa Donna del Paradieo, specialmente per le aggiunte e 
ialerpolazioBi, due delle quali in endecasillabi : e il Contranto fra la marte 
e il peccatore. Non indegni di osservazione sono 89 proverbj, trascritti nel 
cod. napoletano delle Laudi, e V indicazione di alcuni trattati in prosa, pur 
io esso contenuti; nonché il testo dato da un cod. eomense delia lauda di 
Jacopone Je$u nostro amatore. Chi finalmente ci dark una buona stampa 
deUe cose del tudertioo e de' suoi seguaci, avrà da ques^ pubblicazione un 
prezioso ajuto. 

.'. Il comm. C ArlIa ha pubblicato per nozze Due Sonetti di Antonio 
Pucci (Firenze, Società tipogr., di pagg. 9 in 16.°). Erano inediti, e sono tratti 
dal cod. barberiniano XLV, 145. Il primo è contro un topo che turbava i sonni 
al poeta : e il secondo è la risposta del topo : ed hanno, specialmente il primo, 
la solita festività delle rime del poeta popolano. Ci uniamo al desiderio 
espresso dal chiaro editore, che finalmente, dopo tante sparse pubblicazioni, 
si raccolgano insieme le poesie e le prose del buon trombetta fiorentino. 

/. Il signor HsNRT Cochin in un fascicolo della Revue d*Hi8t, et de litter, 
relig. di quest' anno discorre di Un Correepondani francale de Pétrarque, Si 
tratta di un Pietro, Abate di S. Benigno di Oigione e poi di S. Remigio di 
Beims a cui il Petrarca indirizzò tre lettere (Familiarea XIII, 7 ; XV, 5, 6). 
Il Fracassetti credette che questo personaggio fosse Pietro de Razain ville; 
ma il Cochin mostra che ci. sono delle difficoltà per questa identificazione e 
invita gli storici a indagar meglio fra gli abati di quei due conventi. Intanto 
•gli dalle due lettere sopraciUte e da altre due (Fumiliaies IX, 9, 10) in 



290 àA^ÉGNA BlBLloaftA^lCA 

cui il Petrarca raccomanda l' Abate a dae suoi amici, raccoglie tulle le no* 
tizie elle paò intorno a questo * Pietro . che fu uomo dotto e eerìttore lo- 
dato dal Petrarca, per mostrare che a torto il Ghomton nella sua storia 
della Chiesa di S. Benigno di Digione affermò che da essa non usd'QO solo 
scrittore. 

/. U 9.* BolUUino degli Atti del Gomitato pel centenario petrarchesco eoo- 
tiene un articolo del sig. U. Pasqui sulla Cmo del Petrarca in Arettao, illu- 
strata da due figure, V una delle quali rappresenta quella casa nella quale la 
tradizione vuole che nascesse il poeta, Taltra la strada, poiché altro appunto 
non si sa di certo salvo eh* egli vedesse la luce nella Via deil' Orto. Interes- 
sante ò anche un altro articolo, pur illustrato, su Arezzo antica. Vi sono 
anche Atti del Gomitato ecc. Le illustrazioni sono belle e nitide. Noi esprì- 
miamo il desiderio che si raccolgano e si riproducano dal Gomitato in que- 
sto Bollettino ì più antichi ed autorevoli ritratti del Petrarca. 

.'. Esperti della scuola, hanno creduto 1 proff. L. M. Gapblli e R. Bissom 
che neir insegnamento del latino, e nella prima lettura di autori, accanto a 
Gornelio e a Fedro potesse giovare un libro di svariata materia, e del quale 
non fosse facile procurarsi la traduzione, e perciò hanno compilato una 
Antologia latina tratta dalle opere di F, Petrarca (Torino, Paravia, di pagg. 
166 in 16.*), che raccoglie favole, narrazioni, descrizioni atte alla cultura dei 
giovinetti e capaci di fissarne T attenzione. Questa spigolatura nelle prose 
e nelle poesie del precursore mai^iore degli umanisti, è divisa per materie in 
cinque libri, diligentemente annotata, seguita da un Vocabolario latino e ita- 
liano e da un Elenco alfabetico di regole grammaticali. Nulla pertanto ò 
stato dai compilatori trascurato per render accetto e agevole questo tenta- 
tivo, che non esitiamo a chiamare ardito, ma a cui auguriamo, come merita, 
un felice successo. 

.*. Le origini della Novella narrata dal Frankelegn, nei Canterbury Talez 
del Ckaucer ò il titolo di un bellissimo studio del Rajna (estr. dal voi. XXXII 
della Romania, di pp. 64 in 16.*), che è una dotta ed abile confutazione di 
nn notevole scritto di William Henry Schofleld, della Harvard Univereitp, 
U Rajna torna sopra un problema che aveva già toccato, quasi per inciden- 
za, in un altro recentissimo lavoro su L'episodio delle Questioni d'Amore 
nel Filocolo del Boccaccio, pubblicato nel voi. XXXI della Romania, di cui 
già demmo notizia. Egli dimostra, con nuovi e validi argomenti, che 1* origine 
del Frankelegn' s Tale non può èssere ricondotta ad un antico lai brettone, 
come il Chaucer stesso vorrebbe far credere nel breve prologo che precede 
ti suo racconto, e come sostennero, con crìterj diversi e con differenti vedute, 
il Tyrwhitt, il Landau, lo Skeat, il Wright, ed altri. Il R., con V alta compe- 
tenza eh* egli ha in materie di questo genere, e con la dottrina che rende 
prezioso ogni suo scritto, dinM>stra facilmente, in modo incontestabile, la fal- 
lacia dei nuovi argomenti onde lo Schofleld ha creduto di poter dare sal- 
dezza al vecchio assunto, secondo il quale le parole del prologo chanceriano 
risponderebbero, in qualche modo, al vero. Fonte diretta della novella nar- 
rata dal Fraukeleyn ò, senza dubbio, il racconto boccaccesco nella duplice 
versione della IV Questione del Filocolo e della novella del Decameron (X, 
5) : questo dimostra vittoriosamente il R., togliendo con valide ragioni ogni 



dklla lbttbratura ITALIAKA 
probabilità all'opioiooe iiDpU)(oaLa da alcuni erìlìci del Ghaaeer, secondo la 
quale il poeta inglese e il norelliere italiano avrebbero attinto ad originali 
eomani, o qaasi consimili. In qualche ponto del FraHhelt^n' s TaU ri sono 
convenienze e analogie, che sembrerebbero pid vicine al racconto del Deea' 
menm che a qneWo dei FHoeoh ; ma nel sno complesso, la eontenenxa nar- 
rativa della novella inglese apparisce derivata, direttamente, dalla quarta 
questione del Filoeolo, Con questo sno nuovo studio il R. rivendica al Boo- 
cafccio la fonte di uno dei piti notevoli fra tutti i racconti del poeta bri- 
tanno, dimostrando che a lui fu nota, fra gli altri scritti minori del Gertal* 
deue, anche la lunga e prolissa redaiione della storia di Florio e Blancifiore. 
Con questi risultati cosf lusinghieri per noi, specialmente di fronte a una 
gran parte della critica iuglese, il R. fa fnre un altro passo innanzi alla im- 
portante e dibattuta questione, se il Gbaucer avesse conoscenza del Deta* 
méron. Poiché ora ch'egli ha dimostrato, che insieme con tutti, o quasi tutti, 
gli altri scritti minori del Boccaccio il Chaucer conobbe anche il Fihcolù, 
sembra sempre più inverosimile eh* egli non dovesse proprio saper nulla 
della sua opera maggiore, la quale era pur divenuta popolare cosi rapida* 
mente* E infatti il R., con argomenti di molto valore, certo, ma per noi non 
ancora interamente decisivi, sostiene nelle ultime pagine delle sue indagini 
dotte e geniali, che il Decameron fu, senza dubbio, il diretto ispiratore dei 
Canterbuiy' Tales, 

.*. Buon preludio e solido fondamento a nuovi stu4j sulla vita del Boc- 
caccio ci offre il sig. A. F. Massàra col suo scritto Le pia antiehe biografie 
del B. (estr. di pagg. 41 dal XX VII voi. della ZeiUehr. f. Roman PktMog,), 
dove si riferisce ciò che del certaldese narrarono Filippo Villani, Domenico 
Bandini, Siccone Polentone e Giannozzo Manetti, riproducendo criticamente 
i loro scritti. Sbrogliato il viluppo intricato delle Vite villaniane, e riconosciuto 
che Filippo lasciò del sno libro, e per conseguenza della biografìa del Boccac- 
cio, due Buccessive redazioni, si notano le relazioni dei biografi successivi 
col Villani: alla cui narrazione, togliendo la materia in parte dalla prima, In 
parte dalla seconda forma, Domenico Bandini aggiunse soltanto quel che ri- 
guarda il greco Leonzio, mentre il Manetti ricamò sul canavaccio di messer 
Filippo, poco più che parole e ragionamenti aggiungendo del proprio. Il 
Polentone per contrario ignorò il Villani, e attinse le notizie della sua bio- 
grafia, poco importante del resto, da informazioni di un amico dimorante a 
Firenze. Con questo studio del sig. M. ò sgombrato e assodato il terreno, e 
vi si potrà più saldamente edificare la biografia dell* autore del Deeamoron. 

.'. 11 prof £ Tra riferisce e confronta alcuni Eeompi di Elinando neUo 
Spetehio del Paemvanti (Padova, Laudi, di pagg. 17 in 16.*), fermandosi e 
quello di Giuffredi e Beatrice, trasformalo dal Boccaccio nell* altro, di ben 
altra finale moralità, su Nastagio degli Onesti nella Pineta di Ravenna ; indi 
riporta altra leggenda spirituale da Gasarlo d* Heisterbach, quella dello * seo- 

* lajo parigino , mettendovi a riscontro le versioni del Passavanti stesso e 
del Gavalca. Ragguagliando fra loro gli originali nella loro semplice latinità 
colle versioni, per notar argutamente colla dotta scorta del Teza, le differenze 
e i pregj degli uni e delle altre, concluderemo volentieri con lui: * Gome è 

* bella, nella sua giovinezza, la lingua dei nostri vecchi! ,. 



204 RAaSlONA BIBLIOGIUPIOA 

/. Sagfio di pki ampio lavoro ò quello (HH>blieato dal prof. U. Bsluo su 
iéé pagmizioni g^Ofrafiéhé di Giov. Villani (Pavia, Biezooii di pagg. 1 13 in 16.*). 
QwAstapmiia parie è ioiaolo un accurato Indice alfabetico di tutti i paesi 
e eiiià, di ohe si trova roenzioue oeUa Cronaca, aggiungendovi il eorrìepon-t 
dente moderno. Utiliaeiino è questo lavoro paziente, ehe & vedere qiianlo 
vasto era Tauibttio storico al quale drizzava rocchio e i* oaservazione sna 
il vtcdiio cronista, e iasieme '^ l'esattezza e in alcuni casi la prò oiesza delle 
infisroiazioni «. Ma la seconda parte, ohe Ta. ci promette fra breve, farà me- 
glio iredere quale e quanto ampio tesoro di notizie possedesse il Villani ri- 
spetto a geografìa, e sarà utile preparazione a quella nuova stampa della 
Greoaca, ehe è un deaiderio di tutti gli studiosi. 

.'. Il nostro coUaheraiore G. Manacorda ha pubblicato nel periodico Gli 
Mlukii s(ori0i< una Memoria intorno ad Una eanèa commereiah davanti att'uf- 
fi€Ìo di Gmzeria in Oetw^a n$Ha $econda metà del bm, XIV, interessante as« 
sai per la storia economica e la politica commerciale delle nostre antiche 
repubbliche. <I#a causa era fra mercanti fiorentini e noleggiatori genovesi, • 
fu vinta da questi ultimi, che antica fama afferma saperla pili lunga degli 
altri: quel che a noi importa far notaio è che al piato, tenutosi nel 1375 
iananzi il tribunale di Gazeria, prese parte il cronista Filippo Villani, come 
rappresentante deirArie di Calinaala, e che di lui ai pubblicano fra iDoea- 
menti ben undici lettere volgari. 

.*. IVa lucehi « ^p^de aVintitola una Conferenza del sig. D. Gamici, bene 
illustrata dai prof. D. Mattani (Firenze, Land), di pagg. 71 in 16«), nella 
quale con vivacità si rappresenta la vita del popola di Pistoja - nella sne 
vicende» npecialmenle dall'aspetto sociale, nel tempo della libertà del Gomuna, 
e con veriià si mostra come sieqo antichi certi istituti, che ora, in diversa 
forma, risorgono e portano valido .sussidio ai concetti prevalenti di demo- 
crazia. Alcuni cavviciaamenti ed alcuni giudiij potrebber esser contestati, 
ma tutta la Gonfereasa ti legge, come sarà stata certamente ascaltata, con 
intersisse, non solo fer la forgia, ma per i* amore del ben pubblico e deUa 
giustizia universale, che ispira Fautore. 

.'. Ottimo conàributo Bbì* ia sioria del Dramma saero in Italia è iquetto 
offeriooi dal dott. M. Vattasso, scrittore della Biblioteca vaticana (Aoma, 
tipogr. vatic, di pagg. 129 in 16.''), in aggiunta a ciò che ne diede nel 1901 
negli AneddoU in tdiaUiU romaiteaeo, II volume comprende quattro lavori : 
1.** Nttopi aneddoti drammatici in diaUtto romaneseo, di sur un cod. Vatic. 
— Regina, della prima metà del sec. XV, contenente frammenti di dlvarae 
laudi drammatiche, e per intero una rappresentazione sacra: la Leggenda di 
8. Lucia, nel metro antico della ballata maggiore. Nei frammenti ò noAevola 
€»é che in essi ancor riaune della primitiva forma umbra, né solo nello 
sehema meirieo deHa sestina ottonaria, ma anche talvolta nella forma idio- 
matica. Dallo studio di ciò che resta del dramma della Pàeeione, VA. deduce 
a regione che il testo della compagnia del Gonfalone rimaneggiato dal Dati 
verso il 1500 e da un anonimo nel 1531 esisteva già in dialetto romanesea 
fin dalla prima metà del sec. XV. — li secondo saggio tratta de Le rappre- 
èeniaxioni eaere al Coloeaeo nei 9ee, XV e XVI, coirajuto di documenti tolti 
dair Archivio della Confraternita del Gonfalone, ritraendo da quelli i drammi 



DELLA MTTKRATUiU ITAI^IANa 295 

eseguiti Dal Colosseo fino al 1487, mealre finora il ternHne a quo non si 
poteva fissate se non in età più innoltrata^ A stabilire questo • fatto \ per 
ripetate prove giovano i libri della Compagnia, indicanti' le spese occorse 
per siffatti sacri ludi. L'A. li accompagna per lunga serie di^auni, fino al 
1563, ohe fa V ultimo nel quale si abbia di essi memoria. — Il terzo saggio rit 
prodiftee per intero alcuni Antichi inventari di weii e di aUr$MMÌ iisef» H€ih 
Bappr€99iUaMÌoni della compagnia del Gonfalone ; e T nltimo d presenta il 
dramma sulla eonvérsioue di S, Paolo, rimaneggiato da fra Pietro d'Antùnio 
da Luoignano, Esso appartiene al 1460, ma nella sua ossatura è pid antico, 
ami lascia modo di scorgere ciò. che è anteriore e ciò che vi è di nuo- 
vo, dacché si compone di due forme metriche, sestina e ottave: e queela 
ultime, opeia di fra Antonio, sono interpolazioni e rinfarcimenti, che non al- 
terano la sostanza del dramma, anzi, tolti che sieno, lo spettacolo procede 
da per se, più spedito. Ma questo dramma conferma V ipotesi^ che nel seno 
delle Compagnie sì rimaneggiassero pìd volto le forme anteriori, come an- 
ebe si vede in quello della Paeeione, dato nel Colosseo, che fu pid volte ri- 
fatto, e «che ancora ai df nostri, è il fondamento dello spettacolo dato a Sor» 
devolo ufil biellese. — Tutti questi studj del dott. Vattasso mostrano acume 
di osservazione e bontà di criterio; e ci sono augurio che molto ancora pos- 
siamo aspettarci da lui, che, addetto alla Vaticana, può dirsi presso alla 
* fonte deU'oro „. 

.'. Pochi assai conoscono che sui finire del 400, Plutarco ebbe un tradut- 
tore dopo r anonimo trecentista, che volgarizzò V opera dal catalano, e prima 
assai dell'Adriani, la cui versione restò lungo tempo ignota, e prima ancor 
più del Pompei, rimasto ormai padrone del campo. Il prof* E. Tcz4 richiama 
alla conoscenza degli studiosi un dimenticato scrittore umbro nella sua me- 
moria Plutarco neUa traduzione italiana di B, A, Jaeonello (Venezia, Ferrari, 
di pagg. 17 in 16.*), e il discorrerne gli da adito a confronti curiosi ed utili. 
Sebbene questa traduzione avesse parecchie ristampe, V opera fu obliata 
né venne tenuta in pregio, e a ragione, perché lo J., come giudica rettamente il 
Teza, * scrive con isforzo , ed ha stile troppo * rozzo e slombato ,. Ma om- 
messo affatto nelle più recenti storie letterarie, non era immeritevole che 
alcuno ne dicesse, per riconoscenza almeno, qualche parola, pur assegnando- 
gli il posto non cospicuo che gli spetta nei nostri annali di letteratura. 

.'. Il voi. IX della serie 2.' della Miscellanea di Storia Veneta a cura della 
R. Deputazione di Storia patria contiene, fra altre cose, un interessante Iti- 
nerario di Germania dell'anno 14H a cura di E. SucozrsrsLD. Ne è autore un 
Antonio de' Franceschi coadiutore del segretario dell' ambasciata, che in co- 
test' anno la Repubblica di Venezia mandò all'imperatore Federigo III per 
congratularsi della pace da lui conchiusa. È un diario assai minuto, sebbene 
scritto spesso colla massima concisione, e che, come avverte l' editore, non 
è da confondersi colle celebri Relazioni venete; ma in questi frettolosi ri* 
cordi di viaggio si trovano notizie sui pacai, sul costume, sul modo di viag- 
giare, su quello di al^itare, sui conviti, sulla vita insomma del tempo, di 
molta curiosità e spesso anche importanti. Il dotto editore vi ha posto op- 
portune annotazioni, specialmente per identificare i nom^-dei luoghi ricopdati 
dal viaggiatore. 



296 fuesBONA biblioorapioa 

/. Nella Memoria Soma a Venegia : Satira latina del tee. XV contro U 
Gattamelaia per il monumento del Donatello in Padova (estr. dBfflì Atti della 
Accademia di Padova, Raodi, di pagg. 9 in 16.*) il prof. A. Mbdih, che ci an- 
OQDzia ooa sua Storia della Repuhbliea in Venezia nella poesia — e aia la 
ben venuta — pubblica codèato docomento, finora noto soltanto in parte, e 
rafferma 1* opinione del Tiraboschi, che non sia scrittara del celebre umani- 
sta Basinio Basini. E chi sia il vero autore di questo componimento in TÌtu- 
perio deir illustre condottiero dei veneziani, fingendosi che Roma rimproTeri 
a Venezia T onoranza a lui concessa, non resulta chiaro, sembrando però 
plausibile P ipotesi del Medin, che debba esser uscito dalla penna di un poeta 
sconosciuto di parte sforzesca. 

.'. Assidua e piena preparazione a una stampa critica del Liber Seere- 
torum fideliam Crueie, già edito dal Bongars, attesta lo studio del sig. Ar- 
turo Magnogatallo su Marin Sanado il vecchio e il suo progetto di cro- 
ciata (Bergamo, Arti Grafiche, di pagg. 165 in 16.*). L'A. con molta cura 
raccoglie le notizie sulla vita e le peregrinazioni del vecchio Sanudo, illustra 
le vicende dei tempi ood^ebbe impulso ai suoi disegni di crociata, espone i 
mezzi da lui proposti per metterla ad effetto, e li mette a confronto con gli 
altri disegni di contemporanei, mostrando in lui il buon veneziano, che Tuole 
non soltanto distruggere gli infedeli, ma giovare alla grandezza e prosperità 
della repubblica e ali* ampliamento dei suol commercj coir Oriente. Dopo 
aver pertanto trattato con tanta copia di ragguagli e con buon criterio sto- 
rico, deli* illustre veneziano e dei suoi progetti. FA. parlerà di lui anche come 
geografo e cartografo : ma quello che più desideriamo e attendiamo da lui 
è la promessa nuova edizione dell* opera del Sanudo, arricchita di quelle 
carte in parte Inedite e preziosissime, che si conservano nella Vaticana, a 
Londra e a Bruxelles, e che ci daranno una pubblicazione utilissima alla 
storia civile, religiosa e commerciale. — In altro più recente scritto inserito 
nel Nuopo Archivio Veneto^ lo stesso M. informa di altri codd. dell* opera di 
Marino. 

.'. Il sig. A. SiOARizzi ha pubblicato (Udine, Del Bianco, di pagg. 13 in 
16.*) un poemetto dell* umanista mantovano Francesco Bosco, intitolato De 
civitate Austria, che sulla sòorta di Paolo Diacono, ma con reminiscenze 
vergiliane e non senza vigor di poesia, narra i casi principali della storia 
di Gividal del Friuli. 

.'. Di Francesco Uberti^ umanista ceeenate de^ tempi di Malatesta Novello 
e di Cesare Borgia (Bologna, Zanichelli, 1903, pp. 1-262) ha preso a trattare il 
prof. L. PiCGioai, ma bisogna convenirne con franchezza, che i sei capitoli, nei 
quali TA. ha ripartito il suo lavoro, non svolgono veramente quanto il titolo 
'dello studio farebbe credere, perché in essi più che 1* Umanista in sé e per sé 
vien considerato 1* ambiente in cui questi crebbe e si formò. Gosf dopo 1* in- 
troduzione, in cui si descrivon con diligenza i cinque codici, del tutto inediti, 
contenenti cose deirUberti, VA, intitola il primo capitolo: * I primi anni e 
* i primi studj ,: ma degli uni e degli altri però non dice molto. Egli rivolge 
più volentieri le sue indagini sulla corte letteraria di Novello Malatesta, e 
mostra che in realtà se il signore cesenate non esercitò un vero e proprio 
mecenatismo, come il fratello Sigismondo, nutrì, secondo V uso de* tempi, una 



dbllà lbttbratura itauama 297 

certa predllexione per le lettere e per le arti. Nel terso eontinoa a parlar 
de' torbidi civili di Cesena, e vi si iodai^ia un pò* troppo io confronto alla 
pìccola parte» sostenata dairUberti in tali vicende. Il quarto capitolo ò però 
pili denso : V liberti vien studiato come nomo politico, come partigiano cioè 
del Valentino e della dominaxione borgiana. Il penaltimo infine, riserbato alla 
vita particolare dell' umanista, riesce invero un po' scarso; e V ultimo studia 

* l'uomo e il poeta ,. Sotto il primo aspetto l' Uberti non si distingue tr4>ppo 
dagli altri umanisti ; sotto il secondo ha invece qualche merito per certa fa- 
cilità di vena poetica. A questo proposito avremmo voluto che il P. avesse 
pubblicalo in Appendice alcuni tra i più bei carmi, dell' Uberti, per dar prova 
di queir * amor dell'arte e della gloria « (p. 68), eh' ei riconosce al suo Autore. 
Nel complesso il presente lavoro se lascia troppo spesso dilegnare la figura 
dell'autore prescelto, possiede però il merito indubbio di contribuire con altri 
scritti dell'autore a porre in luce la parte non piccola che prese Cesena alle 
vicende politiche e letterarie del nostro paese e soprs tutto alla cultnra u- 
roanista; e costituisce per ciò un utile capitolo (^ storia del Rinascimento, 

.*. L'erudito ricercatore di cose storiche mirandolesi, il sac. F. Cbritti, ha 
pubblicata, tradotta in italiano, una Lettera $uUa Geografia di C. Tolomeo dd 
e. O. F. Pico della Mirandola (ìlirandola, Grilli, di pagg. SI in 16.*) diretta 
nel 1508 a Giacomo Essler, nella quale si accenna alla circnmnavigasione 
dell'Affrica e alla recenti scoperte geografiche: scrittura finora ignota, e da 
aggiungersi alla bibliografia del dotto principe. 

.*. In occasione di nozze il prof. Abnaldo Foresti ha raccolto in un e- 
legante opuscolo le Bime di Lucia 4^nf (Bergamo, Istituto d'arti grafiche, 
pp. 84 in 8.*), poetessa bergamasca delta seconda metà del cinquecento In 
un discorso proemiale ha raccolto le testimonianze che si hanno della sua 
vita, i gittdiq che intorno a lei diedero i contemporanei, fra cui il Tasso che 
la lodò in un sonetto, e le notizie bibliografiche intorno alle stampe e ai 
manoscritti che conservsno l' opera poetica dell' Albani. La quale non ò in* 
vero mollo abbondante e consiste solo in trentun sonetti, composti, come si 
legge nel frontispizio della vecchia stampa ' quando era dongella In età de 

* anni quindeci in sedici ,. Il leggiadro canzoniere, scrive il Foresti, pur sotto, 
il riflesso dello stile petrarchesco, rivela nel tono e nel colore, una sincerità 
d'affetto e di sentimento, un'impronta di femminilità co' suoi abbandoni, eoo 
le sue grazie, co' suoi dispettosi sdegni, con le sue mortali angoscie, quale, 
raramente si trova tra le numerose rimatrici del tempo. Se anche possa 
parere soverchia questa lode, non si può negare che, considerata l'età in 
cui la rimatrice scrisse, i suoi sonetti meritavano d'esser ricordati, e però 
bene ha fatto il Foresti rinfrescandone la memoria. 

/. Una accurata memoria del dott Err. Pulwo raccoglie notizie su la 
vita e le opere di Un umanieia eieiliano della prima metà del etc. XVI: 
Claudio Mario Aretio (Arcireale, tip. dell'Etna, di pagg. 62 in 16.«). Della 
vita di lui poco si sa di preciso, essendo ignoto quando nacque e quando mori, 
ma può dirsi che fiorisse nel bel mezzo del Cinquecento ; di nobii prosapia, 
segni le fortune di Carlo V, e gli fu appresso in Spagna, in Italia, in Ger- 
mania. Scrisse versi e prose latine, alcune di quest'ultime notevoli, per esser 
descrizioni topografiche della Spagna e della Sicilia ; altre scritture pur bitaiia 



RAB8BONA BlftLlOORAVlOA 

pregio d&I trattare dei fatti del tempo : le rivalità di Carlo V e di Praoeeseo I, 
il sacco di «Roma ecc. Si accorse però che il latino era ormai lingua morta, 
e si! penti di averla usata nelle scritture, ma anzi che volgersi al culto dette 
forma tosoanai ormai divenuta' idioma comune, credè di poter sollevare oea 
precetti ed esempjil eoo parlare isolano a dignità di lingua, e imitando ma 
oontraddiecndo il Bembo, compose a tal fine le 09$érvantn di la Un§uaèi* 
eiiiana, colle- quali volle ftssare i canoni letterari del nativo vernacolo. 
L*esame accurato «he TA. ci dà di quest* opera, mostra come un assunto 
per so stesso infelice e condannato a fallire^ lo scopo, fosse trattato con fol- 
laci oriterj e con arbitrj di gusto personale. Ad ogni modo, e senz'essere 
quel capolavoro, che alcuni mal avvisati panegeristi affermano, questo lavoro 
dell'Arezzo* ha importanza storica, anche come * documento delia tendenza 

* regionalista, che nei tempi passati diede sempre >r<impronta agli studj del- 

* l'isola «. 11 lavoro del dott. P. condotto con molta cura e molta larghezza 
di erìteij si chiude con una buona bibliografia degli scritti del vecchio 
uroaBfista. 

.*. Diligente studio è quello del sig. M. Gatalanosu La venuta dei Normanni 
in Sicilia nella poesia $ nella leggenda (Catania, Monaco e Molcina, di pagg. 
104 in 16."), ma 1* enumerazione che TA. fa di monumenti letterari e popo- 
lari su cotesto argotnento dai tempi più atitichi ai nostri, è pid curiosa che 
utile. L* a. stesso lo riconosce con queste' parole di conclusione: * La tràr 
''dizione poetica e quella popolare del ciclo siculo-normanno si svolsero 
' parai lelamente^ per il corso di otto secoli senza confondere mai le loro 

* acque: la prima, fredda cronaca versificata nel medio evo, esercitazione 
^ retorica dopo il cinquecento,' non attinse mai alle sorgenti fresche della 

* tradizione popolare, mentre questa, a stento comparente nella vasta elabo* 
^razione leggendatia dell'età di mezzo, stagnata poi in tradizioni locali re- 
^ ligiose, non potè mai svolgersi e manifestarsi rigogliosamente .. E tosi è 
Teriimente: e nelPA. lodiamo anche T imparzialità colla quale per amor del 
vero rinunzia; pur serbando vivo il culto patrio, a vanti e borie Infondate, 
anche se le avvalorino voci di illuslri stranieri. Ond*è che egli non accetta, 
e a parer nostro fa bene, r ipotesi di Gaston Paris sull* esistenza di nii*e- 
popea> normanno-siciliana delle gesta di Ruggero e dei suoi, che veramente 
aott'^può essere sefion probabile, ma di una probabilità molto incerta. AlPa. 
pertanto, che ci sembra giovane e volenteroso, auguriamo di trattare con Io 
steseo studio e la stessa cura, un argomento' pili fecondo di utili resultati. 

V. Abbiamo già altra volta ricordato (RUesegna, IX, 943) la prima parte 
di «na monografia di L. Db Bsnkdictis sul cinquecentista BetnaHUno To- 
miiano. Ora ad essa, che conteneva la vita, si aggiunge la seconda che esa** 
mina le opere (Padova, Prosperinì, di pagg. 123 in 16.''). L*a. dopo aver 
accennato ' alle scritture di filosofia e di medicina, più a lungo si intrattiene 
sutle poesie e sulle scritture letterarie e storiche. Come poeta volgare, il 
TomitatiO'fU pedissequo seguace del Petrarca e del Bembo; migliore assai 
come* poeta latino, si da esser qualificato * T ultimo bucolico latino ,: degno 
di tode per siffatti componimenti, non privi, nella stessa imitazione, di qualche 
originalità. NeHe orazioni e nei trattati didattici, egli è quanto a stile e a 
lingua) un seguace del Bembo e dello Speroni ; ma i quattro libri della lingua 



DRLLA LSTTBRATUHA ITALIANA 299 

a, poco hanno di notevole, e neiriraparztalilà sua,*!* a. li definisce 
* nno zibaldone inorganico ,. Maggior lode avrebbe accompagnato il so* 
nome per un trattato epistolare soi costumi dicevoli a un gentiluomo, che 
precede quelli del Gasa e del Castiglione, se questo scrKto non fosse etato 
plagiato dal Sansovino e da Paolo Manuzio, che attirarono a sé il meritOL 
dovato al Tomitano. Un* opera del quale, ancora inedita nel suo complesso^ 
e che sarebbe desiderabile venisse a luce, ò la Vita di A$totre SagliotU, 
ebe si accompagna bene con taote altre di capitani e politici del Ginqne- 
eento, dove i particolari biografici si accoppiano con la narrazione di grandi 
avvenimenti di guerra e di Stato, come quelle del Nardi, del Bassetti, del 
Grìsellioi, del Mellini, del Baldi ecc. Il Tomitano pertanto ò nno degli scrit- 
tori wUmor gentium del secolo XVI ; ma non era inutile rinfrescare la me- 
moria della sna vita e delle sue opere, come ha fatto il De B. con molta 
diligenza, molta chiarezza e con schietta imparzialità. f 

/. Delle fonti della Nauiiea di Bernardino Baldi già si era occupato in ws 
suo lavoro speciale il prof. G. Zaccagnini {Oior» aior. ìétt, iM* XI, 4M); ma 
H prof. P. Provasi ha trovato ancora, e abbondantemente, da spigolare lo 
questo campo, e ci ha dato un nuovo Contributo aUo Bkidio della K, (Fe^mo, 
Montanari, di pagg. 33 in le.*"), compiendo con utili paralleli di scrittori pid 
recenti, le indagini che il suo predessore aveva condotto piti particolarmente 
sugli autori classici. 

.'. Al prof. U. Fresco, ohe già trattò ampiamente delle Commèdie di Pie^ 
tro Aretino, dobbiamo due opuscoli sul teatro del Ginqnecento: Tuno: La ^ 
fortuna dei Meneemi di Plauto nel see. XVI (Gamerino, Savini, d) pagg. 14 
in 16.') : r altro ! Una tradizione novelliadea nelle Commedie del eeei XVI 
(ibid., di pag. 25 in 16.<*). Il primo vuol dimostrare, collo studio di un soggetto 
antico ripetutamente trattalo dalla drammatica del rinascimento, che Timi- 
tazione non fa mai servite, nnendosi ad essa motivi comici nuovi o tradì* 
zionali, che arricchivano e talora intricavano il semplice intreccio latino; 
il secondo, esaminando la varia fortuna del personaggio del eeneoo latino ne fa 
vedere i nuovi aspetti e le caratteristlcbe nuove, speelalmente desunte 'dnl 
Boccaecio e da altri novellatori. Il fatto è che veramente Timltarione non 
fé mai pedissequa e i vecchi personaggi assunsero fogge e ftsonomie nnove^ 
dedotte e dalla novella e dal costume corrente. L* A. ha- cosi toccato alcuni 
punti deHa controversia sul limite della riproduzione comica dall' afttieo; 
r allargare questa ricerca, gioverebbe alla storia del dramma, e il non re* 
stringersi a breri pubblicazioni sarebbe anche a vantaggio della perspicuità 
eos( dell* insieme come dei particolari. 

.'. Annunziamo con piacere la pubblicazione di un nuovo volume détta 
OoUégione di opere inedite o rare della R. Commiesione de'teHi di lingua, 'tksè 
il secondo delle Opere di G. V. Sodrrini, che contiene il TVattato della eoi* 
tura degli orti e giardini, a cura di A. Bacchi Della Leoa (Bologna', Dal- 
TAcqua, di pag. XII-433, in 16.«). God ciò abbiamo, ridotto a buona lezione 
sali* autografo, uno dei piti dilettevoli libri del nostro cinqneeento, e di pu- 
rissimo dettato. Utile è Y aggiunta, ripetuta dalP edizione del Sarcbiani, di un 
Indice delle piante descritte dal Soderioi, secondo la sua denominazione. H 
corrispondente latino e greco e la nomenclatura botanica, * 



300 RAMSOirA BIBLIOQRAFIOA 

.'. Il nostro amico e collaboratóre E. Picot ha pabblicato no primo saggio 
di Ckanis kiUoriquM frangais du XVI siècle, che contiene i componimenU 
spettanti al regno di Luigi XU e di Francesco X (Paris, Colin, di pagg. 164 
in 16.*). Il lavoro è fatto colla dottrina storica e la dillgenia bibliografica, 
proprie al Pieot. Noi ne facciamo menzione, perché una notefol parte di 
queste Canzoni ricorda fatti avvenuti in Italia ; p. es. la battafflla di Mari- 
gnano, quella di 'Pavia, la presa di Roma e la morte di Borbone, la morte 
del cav. Bgjardo ecc. Ugual ricchezza di componimenti poetici, pid o roea 
popolari, avrebbe V Italia per cotesto stesso periodo, e si dovrebbero ormai 
raccogliere e metter in luce, come segni del sentimento politico del tempo. 

.'. Una dotta memoria di B. Crogk illustra Un CahMonUr§ d'amore per 
Coàianza d'Avahe duehusa di FraneaviUa (Napoli, lipogr. Universit., di pagg. 
30 in 4*). Autore del Canzoniere ò Enea Irpino da Parma, noto finora per 
un sonetto soltanto sui poeti dell'età sua — il principio cioè del sec.XVI — nel 
quale sono tuttavìa da identificarsi due rimatori, un lucchese ed un osimano. 
La maggior parte del Canzoniere ò in lode di una illustre signora, che fu 
variamente affermato chi fosse veramente, ed ora dal Croce ò indubbiamen- 
te additata nella celebre Costanza d'Avalos. Di essa è notissima la difesa 
d* Ischia nel 1503 contro le galee francesi, e si sa che fu colta donna, amica 
e protettrice di letterati e poeti. Più che per le rime amatorie, forse det* 
tate da ossequio cortigiano anzi che da vera passione, e che sono di imitazione 
petrarchesca un pò* rozza, il canzoniere dell* Irpino ò da aver in pregio per i 
molti accenni a fatti e personaggi del tempo, e specialmente a donne di qnel- 
r età, di alto lignaggio e di signori! costume. Fra le altre notizie che se ne 
desumono vi ò quella di un ritratto di Costanza fatto da Leonardo da Vinci, 
che la efQgiò forse fra il 1513 e il * 15, in età già matura, e abito vedovile, 
* sotto un bel negro velo , : indicazioni che, sebbene un pò* vaghe, potranno 
servire a identificare questa finora ignota opera vinciana. Tutta la memoria 
ò condotta con quella cura che è propria ad ogni scritto dell* A. 

.'. La pubblicazione del dott. S. STBVANiit, Bieerehe e AppunH 9ulU opere 
di A. F. Doni con Appendice di SpigoUUyre autobiografiche (Firenze, Lastrucci, 
di pagg. 134 in 16.') non dà piti di quello che promette il titolo. Essa è 
parte di un più ampio lavoro, presentato come tesi di laurea, su questo biz- 
zarro autore. La materia è ben ordinata, il giudizio generale snll* instan- 
cabile poligrafo è giusto, ma veramente quanto a biografia e bibliografia, 
poco o punto si aggiunge a quello che aveva esposto il compianto Bongi. 
Quantunque il volume porti la data di quest* anno, non ci pare che siano 
citate e adoperate in esso né la Vita dell'infame Aretino edita dall* Arila 
nel 1901 (v. Raeeegna, IX, 133) né altri scritti deirArHa stesso sul Doni, e 
neppure le Lettore scelte dal Petraglione, che sono del 1902 (Raeeoffnaf X, 
993). Per ora questo nuovo studio sul Doni ci si presenta in condizione 
frammentaria e in forma un pò* sconnessa, forse perché, come annunzia Ta., 
dalla sua Tesi ha traseelto solo alcuni capitoli. 

.'. Proseguendo le indagini già imprese e condotte con costanza feconda 
di buoni resultati, il prof. A. Solvati tratta in un articolo della Rioitta mu- 
sicale italiana (voi. X, fase. 3.), i Precedenti del Melodramma (estr. di pagg. 47 
in Ifi."") accompagnando questo genere dalle prime e timide sue manifesta- 



DB1XA LSTTBBATURA ITALUNA 301 

zioni fioo al soo compiato svolgimento. Nel suo riaHsanto VA. tratta della 
musica nei vag generi drammatici fino alla metà del sec. XV, dei Ganti car 
nescialeschi e dei Trionfi fino alle mascherate e eoeekiate, delia favola pa- 
storale nella seconda metà del sec. XVI, degli intermedj fino alla fine di esso 
secolo, delle Veglie e Balletti, della Commedia dell'Arte, in quanto la musica 
8* introduceva in tutte queste forme di spettacoli, fermandosi poi alle Paeto- 
rali interamente musicate sul finire del Cinquecento. Interessante sono la 
riproduzione della musica di alcuni pezzi del Sacrificio del Beccarì, composta 
da Alfonso della Viuola e cantata dal fra tei suo nella rappresentazione tea- 
trale del 1544, la descrizione degli Intermedj àeìVArmeniaf rappresentata nel 
1599, e r intero libretto dei Fidi amanti, delPanno 1600. Lo scritto del So- 
lerti ò gradita anticipazione ai due voi. su gli Albóri del Melodramma e al- 
Taltro, Musica, Danza e Drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1630, che 
r autore ci annunzia di prossima pubblicazione, e che attendiamo con desi- 
derio poiché Siam certi che con essi, e specie col primo, verrà a fissarsi la 
storia, finora incerta e controversa del Melodramma. Vorremmo tuttavia sot- 
toporre un dubbio ali* egregio autore. Secondo egli afferma parrebbe che 
nelle rappresentazioni sacre la musica e il canto apparissero soltanto qua 
e là, specie nei pezzi essenzialmente lirici : e ciò crediamo anche noi, e senza 
dubbio, per le pid antiche. Ma è pur probabile che tutto il dramma fosse 
musicato, e venisse recitato su una medesima cantilena, salvo appunto per 
cotesti pezzi sopra notati. Né a ciò credere ci induce soltanto il notare che 
i Maggi toacani sono tutti cantati colla stessa aria dal principio alla fine, 
e eoo una cantilena identica per ciascuno di essi, ma anche T attestazione 
di un contemporaneo, il Fortini, che in una delle sue No9eUé — e il passo 
fu citato dal D' Ancona nelle Origini del Teatro (I, 400) — paria MVAria 
delle Rappreeemtagioni. Siamo con ciò lontani dalla musica melodrammatica, 
dove ogni parte ha propria intonazione musicale, ma non ò da trascurarsi 
quest* accenno ad un antico connubio perpetuo della rappresentazione dram- 
matica col canto, e forse coir accompagnamento di strumenti musicali. 

.*. Oltre il noto Racconto etorico sulla vita di Galileo, il prediletto disce- 
polo V. Viviaoi aveva in animo, e ce ne sono testimonianze esplicite e di 
vario tempo, di stendere del medesimo una vita più ampia. Il prof. A. Fa* 
TARO in apposita memoria raccoglie coleste testimonianze (K. V. e la eua 
Vita di O.f Venezia, Ferrari, di pagg. 27 in 16.*^) e cerca di assegnare le ra- 
gioni per le quali egli non condusse ad atto cotesto disegno: e fra quelle 
addotte ci pare che sia assai plausibile 1* infelice condizione dei tempi, nei 
quali r intolleranza della Curia impediva la glorificazione dell* illustre vittima 
deir Inquisizione. 

.*. Altra pubblicazione dello stesso prof. A. Fa varo è quella Per la storia 
dei ManoHcritti Oalileiani concernenti i pianeti medicei (Venezia, Ferrari, di 
pagg. SI in Ifi.*"); essa segue le vicende delle carte sul r argomento, da Ga- 
lileo consegnate al p. Ranieri, e delle quali alcune dopo la morte del valente 
discepolo, si credettero disperse. Ma il prof. F. crede che nei mss. Palatini si 
ritrovi tutto, o quasi, quello che Galileo osservò in rispetto alle stelle me- 
dicee. L* opuscolo si chiude con una bibliografia della controversia, occasio- 
nata appunto dalla stampa di cotesti materiali, fatta per ordine granducale 
dall* Albóri, che vanta vasi autore della scoperta dei medesimi. 



302 KAS8IOMA mBLIOOKàriOA 

.*. È Doto che da parecchio tempo gli tiodioei combattooo fra loro sulla 
?era pateroìtà di alcone scrittore politiche, io prosa o in versi, del see. XVII, 
e qui nella nostra Rontgna il pfof. Salaris trattò or ò poco (vedi p. 168) 
la questione r^tiva al poemetto II pianto d' Italia, con bnone ragioni ii<* 
vendicato al Testi. E al Testi si sa che 11 sig. F. Bartoli vool attribnire aii« 
che le Filippiche, generalmente date al Tassoni. Ora il prof. A. Bhaoiii, che 
già partecipò a qaeste controversie, pubblica per occasione nuxiale un sao 
scritto Le Filippiche e la PSdra di Paragone (Verona, S*ranchini, di pagg. 15 
in 16.*), dove, mettendo a raffronto brani delle due scrittore, conclude boo 
già che autore di quelle sia chi scrisse 1* altra, ma che ' chiunque egli sia 
* stato, si valse largamente dell* opera boccaliniana ,. Ed è conelusione pra* 
dente: e a noi par giusta V osservazione che il B. pone in nota, e poteva 
introdursi a dirittura nel testo, che, cioè, ' nella letteratura politica del se» 
' colo XVd ci è stato un certo numero di frasi fatte, di luoghi comuni, d* im- • 
' maglni convenzionali, che ricorrono nelle scritture di tal genere, senta ehm 
' perciò possa dirsi che queste appartengano tutte allo stesso autore ,. 

.*. Si sa come nel secolo scorso siano stati varj e disformi i gindi^ sai 
p. Bartoli : basta vedere e considerare ciò che scrissero da una parte il Gior^ 
dani, dair altra il Bonghi. Il sig. A. àvbtta ce n* ha dato un saggio utile e cu- 
rioso parlando di Alcuni giudvi^ letterarj sul p, D, B. (estr. dalla Bipiatet 
d* Italia del mano-aprile 1903, di pagg. 9 in 16.). Ma ormai può dirsi che 
si sia giunti a sentenza equa e temperata, quaKò quella riportata dalFA. 
dal Seicento del prof. Belloni. Certo ò che ancora ò da farsi uno studio spe- 
ciale sul Bartoli, che pure avendo molti difetti del suo tempo e altri proveoiaotl 
dal suo modo d* intendere lo stile, ha spesso ardimenti di parola e aaalisì di 
sentimenti, che talvolta preludono alle forme moderne. 

.*. Il prof. N. BnsiTTO ci da un saggio di nuova interpretazione di dò 
che fu la Boeeia eroicomica (Venezia, Pellizzato, di pagg. 30 in 16.*). Seeouilo 
egli si esprime ^il poema eroicomico è parodia e satira insieme, non del 
mondo epico-cavalleresco, ma delia borghesia contemporanea «, parodia a 
doppia faccia, V una rispondente ali* influsso del capitolo satirico e giocoso, 
della commedia popolare, della novella umoristica e della poesia macoher»' 
nica,r altra rispondente ali* influsso dell* epica grave,. Il nuovo eoDcetlDè 
esposto in questo saggio, ma troppo però sommariamente per poterne recar 
giudizio. 

.*. Per nozze Gasperini-Laureati il tipografo cav. F. Mariotti, coadiuvato 
dal bibliotecario U. Morini e dal dott. A. SaoRà ha fatto una pobblicaiioiie 
contedente Quattro lettere di Pietro Metastaeio a Mone. Anpeio Fabroni, ed 
un SonMo sul giuoco pisano del ponte di R. B. Fabri (Pisa, Mariotti, di pagg; 
23 in 16.*). Opportune note illustrano gli scritti delPopusoolo, di beUa ese- 
cuzione tipograflca. 

.'. Per le nozze del fratello prof. Carlo, il sig. C. AirroLiin pubblica alcoae 
Lettere di illustri italiani (Argenta, Taddei-Soati, di pagg. 17 in 16.*), che 
appartengono ad Alfonso Varano, al Metastasio, al Bettinelli, al Giordaal, ai 
Bresciani, al Ferrari-Moreni. Non hanno grande importanza di contenuto, aw 
comunque siasi, il valore di esse sarebbesi accresciuto facilmente con oppor- 
tune illustrazioni di fatti e di persone. È da correggere (p. 7) Maurino oom 
TireUi in Maurino conte Tirelli, 



DELLA UiVTBBiA.TCJRA IT^kLUNA 306 

.*. Uo episodio della misera rita manieipale delle ciUà kaliaiia, dopo eh* 
eessaroBO di aver autonooiia politica, e nel prevalere dei eostami spagnoleschi 
ò offerto dal prot N. Bosmo colia roemoria: / Medaglini e Medaglioni (Pa- 
dova, Cooperativa, di pagg. 10, in 16.*) che erano i nomi di dne fazioni rao- 
nicipali e di elieatele domestiche padovane, cominoiate al fine del sec. XVI 
e dnoale, per contendersi e asnrparsi gli nfficj dviM, fio verso la fine del XVH. 
.'. Il sig; C Grasso autore di ano sonito Le Rime dtgU BrHmi di B/derm» 
« ìa d$eadéma leU^raria in Sicilia e in Italia (Palermo, Reber» di pagg. 182 
io l€k*) sembra esser un principiante, e come tutti i principianti, è diffuso • 
verboso: ma, invero, un pò* troppo indiscretamente. Venutogli a mano un voL 
stampato nel 1734 e contenente le rime del siciliani e peninsulari compo- 
nenti rAccademia degli Ereini, non si ò contentato di un artieoletto da giornale, 
d*an aneddotto storico-letterario; ma ne ha cavato fuori un volumetto di giusta 
mole, gonfiando, come suol dirsi, 1* argomento. Bastava dire, per IntroduzionA 
al discorso, che la poesia prima del Perini trova vasi nelle condixioni, cho 
tutti sanno: ma invece Fa. ha volato scrivere una quarantina di pagg. sulla 
LéUératura détta deeadenwa in Italia e in Sicilia, prendendo le mosse dal 
Cinquecento quando la letteratura ' dopo tanto splendore, accennava a ripie- 

* garsi su sé stessa (?!) ,, saccheggiando a tal fine, il ìlorsolin, il Belloni, il Con- 
cari, lo Scinà e tanti altri. A tutte le cose che dice lo scrittore, ehi sia per poco 
ittCsrinato di storia letteraria, può rispondere : Sapcvamcclo, Lo studio dello 
Rime degli Ereini è fatto nel modo pid fiacco e minuto, piti noioso e meno 
critico, che si potesse mai immaginare, poiché i eompoaimenti sono esami- 
nati uno per uno, e si può dire anche, ciascun d*essi verso per verso. Quindi 
osservazioni di minimo valore : qui è da notare le majuscole alle voci ISroni 
e Gregge (p. 50), altrove è felice la giacitura degli accenti ' io rH nel primo 
' verso e poi nel secondo io $cduttòre, menàio, apìnio (in fin del verso: quasi 

* lo vedi cadere) e nel terzo in falso e eonvimto; ma nel quarto, come preci - 

* pita queUVM'K) . (p.51)! Una poesia è glaciale, Tallra delle rime ha una certa 
disinvoltura: la terza * ha un bel verso .; questo componimento sarebbe passa- 
bile, ma * r ultimo verso è gonfio ,; in quest* altro e* è * fradiciume con osten* 
taaione e ricercatezza , e cosf via. Ognuno de* poeti, stavamo per dire degli 
impotati, passa innanzi al giudice, che lo esamina e lo fruga minutamente di 
fbori e di dentro, poi si dilegua assolto o condannato con o senza attenaanti, • 
dà il passo a un altro. Ma questa sorta di critica è come una anatomia di esseri 
impercettìbili, e se è faticosa per Fautore (p. 124), tanto più riesce tale al 
lettore. Del resto è troppa fatica per un troppo meschino resultato. Aggiun* 
giamo che da pag. 133 al fine si riproducono (ma perché senza il noma dei 
respettivi autori?) ben 135 componimenti degli Ereini: e rnpf anche con 
questo espediente, 1* opuscolo diventa volume ! 

.*. L* amico e collaboratore nostro prof. 6. GnrriLB ha testé pubblicato un 
voi. intitolato Dal Genovesi al Galluppi, ricerche teoriche (Napoli, edfz. della 
Critica, di |^gg. XV-38d in 18.*), che ò il primo degli Studj di Utttratura^ 
storia e fUoeofla pubblicati da B. Croce. Esso studia lo svolgimento del pen« 
siero speculativo nelle provincie meridionali d* Italia: anzi può dirsi, in Na« 
poK, nel secolo che va dalla metà del XVIII alla metà del sec. XIX, seguendo e 
illustrando la elaborazione di quell* empirismo, che è iniziato dal Qenovesi a 



304 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

mette capo al Galuppi. La ragione del trattare di tale evolazione del peo- 
siero italiano in una special regione, sta in questo appunto che il reame di 
Napoli era nei tempi a che si restringe questo studio, politicamente sepa- 
rato dal rimanente d* Italia, e dal presentare un diverso carattere la filosofia 
idealistica, dal Gerdil al Gioberti, neiritalia superiore, dalla empirica preva- 
lente nel mezzogiorno. Il Gentile adunque partendo dal Genovesi, illustra lo 
dottrine di Melchiorre Delfico, di Carlo Lanberg, di Pasquale Borrelli, del 
Bozzelli, giungendo al Galuppi e al Golecchi. LMndole speciale del nostro 
periodico ci trattiene dal dire più lungamente di questa pubblicazione, che ci 
pare sparga nuova luce su un periodo importante del pensiero italiano, e 
nella quale è da lodare, oltre l'esatta esposizione di dottrine filosofiche, la 
copia degli utili ragguagli biografici e bibliografici. 

.'. Il saggio del prof. B. Pbrooli intitolato // Condillae in Italia (Faenza, 
Montanari, di pagg. 93 in 16.^) illustra un periodo del pensiero italiano nel 
sec. XVIIl e nei prìmordj del successivo, con larghezza di informazioni sto- 
riche su alcuni pensatori, molti dei quali ormai dimenticati. Egli dimostra 
come, anche per la chiamata a Parma del filosofo francese, le sue dottrine 
avessero in Italia copiosi seguaci : e aggiunge che il sensismo cnndlllacbiano 
non fu fra noi una passiva acquiescienza a codeste dottrine, ma, mentre li- 
berò la mente italiana dall' ultimo residuo della scolastica, fu anche combat- 
tuto e modificato * costituendo una fase della nostra scuola sperimentale, 
che se non può vantare pagine splendide e gran luce di originalità, merita 
tuttavia un posto più adeguato di quello generalmente assegnatole nella sto- 
ria della nostra filosofia ,. 

.*. Il dott. P. DoMimct ha tratto dair Archivio Livornese, fondato e ordi- 
nato con tanta cura ed abnegazione dal prof. Pietro Vigo, e a lui dedican- 
doli, alcuni Documenti Bulla guerra dell* indipendenza d'America (Siena, tip. 
I. Bernardini, di pagg. 22 in 16.<') che veramente appartengono più alla storia 
toscana che americana, e concernono la politica di neutralità fra i bellige- 
ranti, seguita non senza difficoltà da Pietro Leopoldo nel conflitto fra le co- 
lonie ribellate e la madre patria. Sono documenti scambiatisi fra il governo 
centrale e il governatore di Livorno (non è detto chi fosse), per evitare che 
Livorno, allora principalissimo e fiorente emporio mercantile del Mediterra- 
neo, soffrisse detrimento, e specialmente per parte degli inglesi, che ne ave- 
vano fatto scalo e depositi de' loro commerci. Lo Zobi, ultimo storico della 
Toscana, non fa nessun cenno alle cure e sollecitudini eh* ebbero allora i reg- 
gitori del paese per cotesto episodio di importanza mondiale: e questi do- 
cumenti vengono opportunamente a colmare siffatta lacuna. 

.*. Del Varano, a parer nostro, è maggiore la reputazione che il merito; 
ma ciò non toglie che ne siano state di frequente in questi ultimi tempi 
studiate le Visioni: ed ora abbiamo innanzi a noi le Noie critiche del sig. 
P. PoMPBATi sulle Opeì*e poetiche di lui (Feltre, Castaldi, di pagg. 68 in 16.*). 
L'autore notando che il poeta ferrarese è giunto a noi * con due note in- 
dividuali , l'imitazione dantesca e l'ispirazione del Monti dalle sue Visioni, 
si trattiene specialmente a discorrere di questi due punti, aggiungendo al 
primo, le imitazioni bibliche, e al secondo le derivazioni dai componimenti 
varaniani non del solo Monti, ma del Pignotti^ del Foscolo ecc., intrattenen- 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 305 

ilosi anche sulle Rime pastorali e indicandoae le reminiscenze virgiliane e 
teocritee. La fatica del sig. P. ò utile come raccolta copiosa di materiali, ma 
sarebbe stato desiderabile che egli avesse formulato le sue opinioni sul me- 
rito intrinseco del Varano come poeta, ed assegnato il posto che gli spetta 
nella storia letteraria, dacché essendo essenzialmente un imitatore, fn a sua 
▼cita imitato da non mediocri seguaci. 

.*. Lo scritto del dott G. Gavatorti : Uno sguardo a Reggio di Lombardia 
nel SeUeeenio (Firenze, soc. Tipogr. fiorentina, di pagg. 63 in 16.") è come 
introduzione a più ampio lavoro intorno ad Agostino Paradisi, e vi si tratta 
delle condizioni civili e morali e intellettuali di codesta città estense nel 
sec. XVIII, e pili particolarmente, nell'ultima parte, deir Accademia degli J- 
poeondriaei, che ' nello spirito moderno a cui era informata, nei tentativi 

* verso il nuovo, nella irrequietezza che T agita, ò, se non la prima, eerto 

* una delle prime, e figura quasi come precorritrice (istituita nel 1749) delle 

* accademie di scienze e lettere che vennero di poi nelle principali città 

* d' Italia, e tenuto conto della piccola città in cui è sorta, del notevole 
' svolgimento conseguito, e degli uomini preclari che vi hanno partecipato, 
' rimane un fatto caratteristico e singolare nella storia letteraria italiana ,. 
L* a. possiede ricchezza di documenti e di notizie, e le espone con facilità e 
non senza arguzia, sicché il suo lavoro è gustoso a leggersi ed ò buono e 
promettente preludio allo studio del poeta reggiano e della * cosi detta scuola 

* lirica oraziana ,, della quale egli con altri fu notevole rappresentante. 

.'. Il prof. A. SzRBNA alle Pagine letterarie (v. Rassegna, Vili, 299) fa ora 
seguire un volumetto di egual mole e formato dal titolo Appunti letterari, 
(Roma, Forzani, di pagg. 140 in 16.'^). Della maggior parte di questi scritti, 
ora ritoccati e corretti, abbiamo dato un cenno quando apparvero a luce 
separatamente. Di tutti diamo i titoli: Niccolò Leonico Tomeo — Profana- 
Elione catulliana — Gli epigoni dei Graneilesehi e le tragedie dell'Alfieri — 
R Sonetto italiano al tribunale dei Oeèuiti — L'innesto vaccino nella poesia 
italiana — Alessandro Pòpe e i traduttori veneti dall'inglese nel sec, XVIII 

— Aglaja Anasillide — Rileggendo l'Apologia di L, de' Medici —: Dante e 
l'Aurora. In parecchi di essi (per es. dal terzo al sesto) vi ha copia di no- 
tizie recondite e non prive d'importanza: in tutti, chiarezza e garbo di e- 
sposizione. Ma perché il Serena che mostra di conoscer cosi bene la onl- 
tnra letteraria veneta del sec. XVIII non raccoglie i suoi studj e le sue cure 
su codesto argomento, e non ci da su di esso un lavoro di maggior lena, e 
complessivo ? 

.'. L'intero fascicolo di ottobre della Rivista d'Italia ò consacrato a 
Vittorio Alfieri, e ne diamo il sommario: A. Farinslli, V, A, nell'arte e nella 
vita; M. ScHBRiLLO, Il monologo nella tragedia alfieriana; G. Skroi, La per- 
sonalità di V, A.; E. Bbrtana, Intorno all'Oreste; P. SmvBN. Il dossier di V, A. 
e le schiavesche patenti ; N. Impallombni, La Mirra di V. A.; G. Mazzatinti, 
Bricciche Alfieriane; I. Dblla Giovanna, // Divorzio, commedia di V. A.; A. 
LuHBROso, V, A. giudicato da Stendhal- Beyle ; M. Porbna, Reminiscenze al- 
fierane nei Promessi Sposi; T. Salvini, V. A. e la forma delle sue tragedie; 
CìiAZZkrnni, Bibliografia alfieriana — Illustrazioni: Ritratto della e. D'Aibany 

— La camera ove nacque V. A. ^ Fac-siinile di un autografo — Fac-siniile 



906 lUBIBOMA MHLtOOftAPlOA 

d*an biglietto d'invito alia rappresentazione delle tragedie — Ex librìs di 
V. A. — Il monumento in S. Croce — Il monumento in Asti — U palazto 
Alfieri in Asti. 

.*. Stampato a spese del Comune di Firenze (Roma, tip. della Cambra, 
19 pagg. in 18.*) ò uscito a luce il robusto DUeorso, che I. Dkl Lungo lesse 
nella Sala dei Cinquecento il XIX ottobre, e ripetè a Torino. Esso è fregiato 
del busto deir Alfieri offerto dallo scultore Trentacoste alla Laurenziaoa, della 
figura del monumento del Canova in S, Croce, e del fac-simile del sonetto 
sui quattro grandi poeti italiani. 

.'. Nella fioritura di pubblicazioni cui ha dato luogo il centenario alfie- 
rano, avremmo voluto che parecchie rassomigliassero quella dei prof. A. Nnu, 
Genova e ViUarh Alfieri (Spezia, Zappa, di pagg. 37 in 16.") raccogliendo, 
4;ome si fa in essa, le memorie che riguardano il primo tragico in relazione 
colle varie città italiane, la dimora che ei vi fece, gli amici che vi ebbe, le 
rappresentazioni delle sue opere, le discussioni a cui diedero occasione. 
Il Neri ha largamente mietuto nel campo, che si era assegnato : interessanti 
assai sono le notizie che raduna ed espone su Paolo Girolamo Grimaldi, già 
ministro in Spagna, su Paolo Girolamo Pallavicini, su Giorgio Vieni, su Giu- 
seppe Gregorio Solari, su Gaetano Marre ecc. Ricorda come anche in Genova, 
«1 pari che in altre città, ritornate a vita libera, si rappresentasse nel *97 il 
Bruio primo, con grande entusiasmo di popolo : corregge errori tradìzionaH, 
rettifica date, nulla trascura di ciò che promette il titolo delF ottima mo- 
nografia. 

.*. Il prof. M. PoRKHA raccogliendo insieme scritti vecchi e nuovi ha messo 
insieme un voi. che dà buona testimonianza dei propij studj suir argomento 
e onora FAIfieri. Esso sMntitola V. A.e la tragedia (Milano, Hoepli, di pag. 
XV-103, in 16.*), e dopo poche parole ai lettori contiene i seguenti saggi: 
La vita di V. A. — La " Vita ^ e le ^ Tragedie „ — Il eenOmento della Na- 
tura e il Saul — La poetica alfieriana nella Tragedia — L'unità estetica 
della tragedia alfieriana — L'artista, il cittadino, l'uomo. Del terzo, quarto 
e quinto, che ora ci si ripresentano ritoccati e coordinati al tutto, abbiamo 
già a suo tempo dato un cenno (IX, 168, Vili, 310, IX, 289). Dei naovi, il 
primo riassume ed illustra le vicende della vita dell* astigiano, combattendo 
via via, con armi cortesi ma ben affliate, i contraddittori: e qui ci piace 
solare ciò che è detto sulla or negata forza di volontà dell' Alfieri (p. 23). 
Nel giudizio della Contessa d'Albany, ci sembra che il P. tenga una via me- 
dia, (p. 27) mentre ora sembra sia nato un accordo per vituperarla. Esea è 
aopratutto una donna del sec. XVIII, e ninno vuol presentarla airammira- 
zione dei posteri come una pura colomba. Del resto, per quel che spelta 
alla sua relazione coli* Alfieri, è evidente che molto dobbiamo a lei, come 
ispiratrice del poeta : e questo è ciò che deve maggiormente importare a noi 
italiani. Ma quando dal carteggio pubblicato dal Pellssier, vediamo che nomini 
e donne, e nessun di essi volgare, ramavano e la stimavano, i rìgidi giadi^j 
assoluti dei posteri, debbono esser temperati dai fatti. Altro punto rilevante 
è quello dove si parla del valore storico della autobiografia (p. 48). U P. (te 
forse il primo a rilevarne certe inesattezze: ma ora si è andato troppo piti 
innanzi, tanto da far quasi dell* autore un falsificatore cosciente; e slam 



OKLLA UmJBRATORA ITALIAllA 307 

fratf tira, di rìmeUer le eose al posto, saoza esagaraxiooi, né solo ra^io- 
fiando ma provando: e le considerazioDi contenate nella Nota a pag. 123 
bastane^ a mostrare quanto si sia trasceso sn codesto pnnto. L* attimo scrìtto 
% quasi un liassunito generale, dove si dicono cose sensatissime sul carat- 
tere della tragedia allleriana : ma forse pili largamente poteva toccarsi del eit- 
ladino e deH*aomo e dell* efficacia sna sul rinnovamento italiano. Ma tutto 
in questo voi. è ispirato ad altexza di criteij e temperanza di giudiq, ed è 
giuste darne lode all'autore. 

.'. Anche la Commemorazione centenaria letta dal prof. E. Gomillo presso 
il Lieeo di Gasale (Gasale, Torelli, di pag. 33) con nobiltà di parola riven- 
dica i meriti di V. Alfieri, contro le accuse al tragedo, del Villemain e del 
Ganld, e quelle alPuomo, della scuola lombrosiana e del Bertene, conce- 
dendo quello che è debito suirarte dello scrittore e sui difetti del tempe- 
ramento, ma tenendosi in una via media, e sopratutto fermandosi agii ef- 
fetti civili che r Alfieri volle conseguire, e che la coscienza degli italiani, 
risorti a nuova vita, ampiamente riconosce e confessa. E ci piace poi che 
Ta. ribatta la novissima censura fatta all'Alfieri di non aver egli, odiator 
di tjffanai e spasimante per la libertà, preso parte alla guerra d'America o 
riroeno alla difesa del Piemonte contro i francesi irrompenti. Non omnts 
pmBt$m m9 omnia, e lasciando stare la consideraziooe dell'età del tragèdo 
quando accaddero quei fatti, a questo mondo vi sono battaglie che si com- 
battono colla forza muscolare e altre che si combattono colla forza intel- 
kttuale. Poteva l'Alfieri, se avesse potuto o voluto, esser gregario subaJtemo 
nell'esercito piemontese: ma se ha preferito esser primo vessillifero nell'a- 
fone civile dell'arte, ha fatto certamente opera di gran lunga più proficua 
air avvenire d'Italia. 

.*. Della commemorazione alfierìana tenuta in Potenza dal prof. 6. Gigli 
è data alla stampa (Napoli, Tranì, di pagg. 15 in 16.* picc.) solo una parte, 
«eHa quale con diffuse notizie e buon criterio ò trattata La tetralogia pò- 
ìUi0a di lui, cioè le quattro commedie di intendimento civile, ooneiderao- 
dole come * la manifestazione più immediata e più sincera « delle sue dot- 
trine, già vacillanti, e finalmente fermatesi a tener per ottimo il Groverno 
eoutemperato dei tre elementi, monarchico, aristocratico e democratico „. 

.*. Pia MALGAMm nell' occasione del centenario della morte del grande 
astigiano ha dato fuori un suo studio su L$ liriche di Vittorio Alfieri (Parma, 
Battei, di pp. 65 in 16.*). L'argomento non era stato mai trattato nel suo 
insieme, ehó i saggi del Reforgiato, del Batisti e del Fabris o si limitano a 
4ina parte della lirica, l'amorosa, o si tengono sulle generali; come anche, 
>per necessità, ha fatto il Bertana nel suo recente volume. La lialgarìni ri- 
prendendo l'argomento col proposito di farne un esame completo, ha diviso 
le rime, secondo gli affetti e i pensieri che le ispirarono, in liriche d'amore, 
|ier la madre e per gli amici, politiche, d'argomenti vaij, epigrammi. Di cia- 
•cuoa di queste sezioni ha dato un'informazione diligente ed esatta, mettendo 
in evidenza quanto esse offrono di originale o di derivato da altri; oppor- 
lunamente ha pure dato un cenno, che avrebbe forse potuto essere ampliato, 
dell'elemento lirico nelle tragedie e specialmente nell'immortale Saul Le 
conclusioni a cui giunge TA. non si può dire che siano nuove, ma il gin- 



308 RAS8RaNA> BIBLIOGRAFICA 

diiio che generalmente si suol dare delle liriche dell' Alfièri appare nello 
stadio delia Malgarini ben dimostrato. L'Alfieri badato alle sae liriche una 
impronta d'originalità, per cui, anche per esse, appare distinto dagli altri 
versaioli languidi del settiìcento e, sebbene in un gradino più basso, può 
essere messo accanto al suo illustre contemporaneo, il Perini. 

.'. Nobili sensi e gagliarda parola contraddistinguono il discorso, o con- 
ferenza, del prof. V. Graziadii, che s'intitola da Un sonetto di V. A, (Palermo, 
Reber, di pagg. 52 in 16.**), che è quello ben noto: Giorno verrà. Da esso TA. 
prende le mosse a delineare, o meglio scolpire con tratti rilevati la mente 
e l'animo del tragèdo, chiarirne gli intenti e mostrarne l'efficacia sui suoi 
connazionali. Fra i discorsi pronunziati in varie città italiane nell' occasione 
del Centenario alfieriano, questo ci pare di grandissimo pregio per altezza di 
vedute, e spesso per vigorosa eloquenza. 

.'. Fra i discorsi pronunziati nelle scuole secondarie per l'anniversario 
alfieriano è pur da notarsi quello letto nel Teatro Civico di Sassari dal prof. 
A. GiAHNiin (Sassari, Satta, di pag^. 24 in 16.*), nel quale con dottrina e con 
garbo vien contrapposta la vita italiana del tempo all'anima gagliarda del- 
l'astigiano, e accennato all'efficacia dell'opera sua nel risorgimento nazionale. 

— E anche in altro discorso del prof. S. Rocco letto a Compobasdo e ivi 
stampato (Colitti, di pagg. 33 in 16.**) si mette opportunamente in rilievo l'im- 
portanza politica dell'opera alfieriana. 

.'. La commemorazione letta ai giovani del Liceo d'Ivrea dal prof. EL 
Cesati s'intitola L'Alfieri leggendario (Ivrea, Garda, pagg. 27 in 16.*) perché 
l'oratore volle tornare a considerar l' astigiano qual egli era tenuto fin' ora, 
e diciamolo senz'altro, prima che venisse a luce il libro del prof. Bertana. 
Egli lo combalte gagliardamente e noi non ci sentiamo di dissentire molto 
da lui. Anche il sole ha le sue macchie, ma resta sostanzialmente qval'ò, 
aitare di vita: e veramente la vita italiana del Risorgimento non s'intende 
senza l'Alfieri, che la preparò e la profetò. Naturalmente in un discorso 
commemorativo non può contenersi una critica che segua a passo a passo 
il Bertana; ma quello che l'oratore dice, soffermandosi ad alcune conclu- 
sioni soltanto e confutandole, è ben pensato e ben scritto: e il ritorno al- 
l'Alfieri leggendario, pur riconoscendo i molti pregj del lavoro del Bertana, 
è un giustificato ritorno all' Alfieri, qual ò stato nella mente e nel cuore di 
parecchie generazioni. E coli' a. consentiamo pur anco, e l'avevamo pensato 
e detto anche prima di lui, che nello studio dell'Alfieri il bravo Bertana 
procede un po' troppo colle norme e le forme di una requisitoria. Ma non 
ci piace che il C. ai tre ordini di avversatg dell' Alfieri, notato dal C^rdacci 

- gli accademici, i novatori sconsigliati, i critici - aggiunga e * i campioni della 
critica storica , perché non tutti fra questi fecero plauso al Bertana, e il C 
non dovrebbe ignorarlo. Anzi laddove al B. rimprovera non ingiustamente 
di aver giudicato dell'Alfieri ''senza tener conto delle condizioni dei tempi ^ 
avrebbe dovuto considerare che non era il caso di tenerlo come campione 
della ''critica storica,, dacché nell'assoluto giudizio da lui pronunziato, il 
Bertana appunto si allontanava dai canoni fondamentali di cotesto metodo. 

.*. Si sa che nell'occasione del centenario alfieriano é riarsa la contro- 
versia intorno alla contessa d* Albany e al giudizio sulle relazioni di lei col- 



DBLLA LBTTBRATURA ITAI.IANA 30^ 

r Alfieri. Che fosse T ispiratrice della musa dell* astigiano, egli stesso alta- 
roeote lo assevera, e noD sappiamo perché non gli si dovrebbe credere. 
Può poi essere che negli ultimi tempi si raffreddasse T affetto fra T Alfieri 
eJei: ma essa era in tatto e per tutto una donna del secolo dectmottavo. 
Quel ch*ò certo, si è che, sebbene ardesse di fiamma senile pel Fabre, tutelò 
sempre la memoria e T onore del perduto amico: e nuova prova ce ne da 
im articolo del sig. A. Paoucci • Baozzi nella risorta Miscellanea di Erudi- 
9Ì0M e- Belle Arti del prof. F. Ra vagli (Nuova serie, fase. 3), dove si fa notare 
eoo quante difficoltà della censura e della polizia napoleonica dovesse lottare 
per la stampa dell* opere postume. E si riferisce anche come alla grandu- 
chessa Elisa, la quale le rimproverava l* avversione dell* Alfieri ai francesi, 
TAlbany rispondesse seccamente: * Il avail ses opinions: tous les hommee 
OHt drait d*en avoir „. Replicare cosi nel 1809 alla sorella di Napoleone, 
significa sentire 1* alterezza dell* amicizia col grande defunto. 

.'. Ai signori fratelli Finzi di Mantova dobbiamo, come omaggio alla me- 
moria di un valoroso arcavolo materno, la pubblicazione del Diario di L. 
Carpi di Re vere (Mantova, Mondo vi, di pagg- IX-66 in 4."). Il Carpi fu uno 
dei deportati di Sebenico e Pelervaradino, e il suo Diario illustra quell* epi- 
sodio di eterno obbrobrio ali* Austria, che,, per livore e rabbia, contro ogni 
diritto e ogni senso di umanità, trasse seco nelle casematte della Dalmazia 
e del Sìrmio, centinaia di patriotti cesalpinia che dovè poi, di mala voglia, 
rilasciare in seguito alle vittorie francesi. Quanto essi patirono nelle faticose 
marce e nelle luride prigioni, ma con animo imperterrito, auspicando aUa 
libertà e cantando inni patriottici iq faccia ai loro aguzzini, è narrato con 
veridicità dal Carpi, che della ingiuijta prigionia senU nella rovina finanziaria 
della famiglia, tutto il peso. Leggendo il Diario e badando alle cose nar- 
rate, non ci soffermiamo alla rozzezza e agli errori dello stile e della lin- 
gua. Lo scrittore non era uomo di lettere: tutt* altro! E crediamo che gli 
editori, senza taccia di arJaitrio soverchio, avrebbero reso un servizio al loro 
antenato, correggendo qua e là la fornni, almeno nell* uscita dei verbi p 
neir ortografia, rendendo cosi più gustosamente leggibile il Diario: e rettifi- 
cando alcuni evidenti errori, come ad es. Menon (p. 41) che è invece il ge- 
nerale Menon, lasciato da Napoleone in Egitto : e a p. 59 mutando capo in 
basto, come vuoi la rima. Ad ogni modo, questo è un documento storico, di 
non piccola importanza. Sappiamo che cotesto episodio dei Deportati Cesal- 
pini sarà nuovamente fra breve illustrato a cura dei proff. A. D* Ancona e G. 
Bigoni in un volume della Biblioteca del Risorgimento^ ristampando il primo 
le lettere Sirmiensi dell* Apostoli, e 1* altro premettendovi una accurata bio- 
grafia dell* Apostoli stesso. 

.'. In un opuscolo per nozze: Derivazioni Varaninne nella Visione d* R- 
zechiello di V, Monti j(Livorno, Debatte, di pagg. 16 in 16.**), il dott. L. Cambini 
prova analiticamente ciò che genericamente venne sempre creduto e affer- 
mato, che cioè, il Monti nei suoi primi poemetti, e specialmente in uno di 
essi, imitò non poco dalle Visioni del Varano. Della Visione d'Ezechiello 
aveva più particolarmente discorso anni addietro , il prof. L. Cisorio notan- 
done le relazioni colla Bibbia: e queste non nega T autore del presente 
scritto, ma considera come molto più strette e dirette quelle col poeta fer- 



àio tOMBMA BlàLIOCttAfflCA 

hirese; aggiangeddo però che * la Vimone éel Monti gioTonetlo è di ia«IU> 

* superiore alle sudate e poderose composizioni del Varano «. Nel che eoo- 
cordiamo con lui, e fadlraente concorderanno gli stndtost. Questo breve, «a 
ben rait^onato saggio, è parie di più ampio lavoro del giovane autore sulle 
'Tisioni tn genere e su quelle in specie del Varano, che presto aoguriaoro 
-sia dato m luce. 

,*. Un aneddoto ileRa vita di Vinetmo Monii come itffBMte in Boma M 
€omuHé di Ridi dal 1793 al '97 (Rieti, Trinchi, di pagg. ^ in 18.«) viene 
narrato ed Illustrato dal aig. A. Sagchitti Sassitti. Le eittà che formavano 
lo Stato ecclesiastico tenevano in Roma un loro rappresentante pctrbé sbri* 
gasse i loro affkri presso il governo eentrale: presso a poeo, dice - non sap- 
piamo se ingenuamente o con maliiia • V autore, come fanno era ' presse i 

* vaij ministeri il Senatore e il Deputato .. E il poeta, assunto a ta(le ufficio 
per intercessione del Duca Brasehi sbrigò parecchi incarichi di maggior 
minor importanza, dei quali danno prova le 145 lettere del Comune di 
Rieti a hii, e le 60 e pid di lui al Comune, che si serbano In Archivio. 9i 
'dovè il Monti occupare perfino di idrostatica, e di palle e affasti di cannone, 
non che di cantanti e virtuosi da scritturare pel Comune. Se non che dopo 
quattordici anni di servizio, i tempi erano andati mutandosi : il Comune non 
confermò il suo agente presso la Curia e 1* abate Monti si allontanò dalla 
Curia e fuggi da Roma diventando, com* è noto, il cittadino Monti. 

/. Il prof. A. Scrocca parlando di Una fonU d$l carme: * La BeUeMza 
MI* Univerto , del Monti (estr. dal Oiorn. $tor, della Liguria, di pagg. 7 in 16.*) 
ai raffronti istituiti dallo Zumbini fra quel poemetto e il Kbro Vfl del Ai- 
radièù PifrdiUo, altri ne aggiunge, assai curiosi, da una Orazione che Fran- 
cesco Maria Zanetti recitò in Roma nei 1750, e dalla quale il Monti trasse 
non poéhi particolari. 

.*. A cura del prof, A. A. Mìchieli è stata pubblicata una traduzione della 
Memoria del prof. Fa. ZschkCh, La Vedona Teresa tmeglio converrebbe aver 
riferito il vero titolo: Teresa Vedova) di O, Greppi e l' Jacopo Ortis 44 Ufo 
Foscolo (Treviso, Turatza, di pagg. 61 in 16.*). Molte sono le piccole, ma non 
inutili notizie che vi sì contengono, alle quali altre ne ha aggiunte il Mi- 
chiìBtIi; ma il lavoro in sé ci par poco concludente circa al fare di quell* ira- 
pasticciato * dramma lagrìmoso , una foAte delPOrtis: e, la tesi, a parer no- 
stro, sballata, è assai lievemente toecatav perché la prima parte é tutta consa- 
crata al Moliti, la seconda al Greppi e ali* opera sua, e appena breve spazio 
Testa alla dimostrazione di essa lesi. E T efficacia della Tereisa Vedova vaX ro- 
manzo si ridurrebbe poi a questo; ali* aver * Teresa Monti conquistato dap- 

* prima il poeta colla sua bellezza e col suo spirito nelle conversazióni la 

* casa sua, e ancor più col rappresentare sul teatro una parte, che del tutto 

* le si addiceva , e suU* esempio del Greppi aver fatto vedova P eroina neHa 
prima forma del romanzo. Ma tutto questo è troppo poco per far di quel pa- 
sticcio drammatico una autorevol fonte dell* Ortis, che da altra parte ha più 
evidenti e dirette derivazioni. 

.'. Il dott. Guido Muoni ha pubblicato un saggio intitolato La fama del 
Byron e il Byronitmo in Italia (Milano, Società editrice Hbraria, di pp. 46 
in 16.*) in cui si propone di " rintracciare tra le carte degli illustri nostri. 



DSLLA LBTTBaATURA ITALIANA 311 

* massime dell* età romantica, pili presso a loi, ricordi e gtudiij intorno al 
'lord poeta,. Menziona anzitutto le prime traduzioni italiane e rite del 
Byron, poi riferisce i giadiq dei letterati e poeti italiani dal Pellico al Gar- 
dncci e mette in rilievo quali di essi subirono T influsso del byronismo o 
fiiroBo pili palesemente imitatori del poeta inglese. Le pagine del Muoni ci 
paiono veramente contenere piuttosto che un discorso organico, una serie di 
«ppunti che avrebbero bisogno di essere fusi e svolti. Anche si potrebbero, 
con qualche ulteriore ricerca, aggiungere nuovi nomi a quelli raccolti dal 
Muoni. Noi ci contenteremo di additare Carlo Bini, 1* amico del Guerrazzi e 
del Mazzini, coi quali il livornese ebbe a comune fra altre cose 1* ammirazione 
pel Byron, di cui tradusse alcune poesie: e primieramente il PHffioniero di Cllfl- 
lon pubblicato nBÌVlndietUare Livome99, che avea già accolto traduzioni Ita- 
liane del Byron fatte del Guerrazzi. Al Prigioniero di Chillon il Bini mandò 
innanzi un lungo preambolo che sarebbe stato opportuno ricordare, perché 
egli vi dice che traducendo il Byron intendeva presentare un poeta che pensa 
•profondamente, e ribattere 1* opinione espressa nella prefazione alle Novélie 
del Cesari, stampate a Genova nel 1829, dove si dice che * il Byron, Gualtieri 

* Scott, e somiglianti ingegni cosi gagliardi a mo* di palloni, si levano sulle 
'^ nubi, sino a che ad un soffio di aura nemica, vuoti e vizzi ricaggiano al 

* suolo „, Cfr. SeriUi editi e inediti di Carlo Bini, raccolti da G. Levantlui- 
Pieroni, 3.^ ediz., Firenze, Le Mounier, 1869, pag. 179. 

.*. Nel mese di Settembre ò stato commemorato a Viareggio il poeta 
Shelley e il triste anniversario di quando, cadavere, fu gittato su quella 
sponda pel naufragio dell* Ariel. Il prof. P. Vigo dà un nuovo contributo alla 
storia del triste avvenimento pubblicando alcuni documenti col titolo H nau- 
fragio di F. B, ShMey (Città di Castello, Lapi, pagg. 6 in 16.«) in aggiunta 
a quelli già messi a luce dal Biagi, e tratti dalP Archivio storico livornese. 

.*. Tiratura a parte di pochi esemplari della Bibliografia Napoleonica 
(che vorremmo veder alacremente continuata e condotta a fine) è il voi. 
Stendhal e Napoleone di A. Lumbroso (Roma, Bocca, di pagg. 107 in 8.®). Esso 
però è soltanto la parte prima del lavoro, e la stampa cominciata nel ^7 
si è compiuta ora, ma tuttavia restano fuori alcune importanti pubblica- 
zioni siendaiiane. Anche senza aspettarne il compimento si può dire che 
qui è contenuto un materiale notevole su cotesto grand*amico dell* Italia: forse 
non sarà inopportuno, a suo tempo, rìordinarfo. Intanto molte notizie tro- 
viamo qui sul Beyle e sui giudizj cosi diversi pronunziati sul suo conto, su 
alcune opere sue che pili direttamente riguardano il nostro paese e la storia 
nostra, e specialmente una ricca bibliografia stendaliana, cioè delle opere 
da Itti scritte e di quelle che di lui discorrono. Aspettiamo con desiderio il 
compimento di quest* opera, che interessa del pari l'Italia e la Francia. 

.*. G. PiTRé ha messo insieme da varie raccolte regionali i Canti popolari 
d'Italia »u Napoleone I (estr. di 10 pagg. in 16.*" àdXV Areh, d. tradiz, popoL), 
che quasi tutti suonano a lutto e a vitupero, mentre la più parte delle poesie 
letterarie di quel tempo esalta il guerriero liberatore, il possente monarca. 
La canzone Partirò, partirò, partir bisogna^ non è tanto romana quanto 
anche toscana, anzi forse è da ritenersi dalla Toscana diffusa tutt* intorno ; 
e, risorta nel *48, è forse pili antica dei tempi napoleonici (vedi A. D* Ancona, 



S12 RA8SBONA BIBLIOORAPIOA 

Bicordi € AfffUi, p. 373). È una raccollina assai interessante, che potrà pro- 
babilmente accrescersi. 

.*. Per le nozze del prof. Giro Trabalza colla signorina Rosa, sono state 
fate pubblicazioni di amici e discepoli. E fra esse notiamo le seguenti: 
Piero Riali, Spigolature di psicologia infantile ne' Pe9i$ieri postumi di 
G. Leopardi (Firenze, Paggi, di pagg. 81 in 16.®), raccolta dallo Zibaldone 
leopardiano di quanto riguarda il fanciullo, con pid alcuni ricordi per T edu- 
cazione del medesimo, fatta con cura e preceduta da una opportuna prefa- 
zione, che- condensa sistematicamente, ciò che fu sparsamente detto dal gran 
recanatese. — A. Bertoldi, Tre lettere inedite di Ugo Roseola (Prato, Già- 
chetti, di 16 pagg. in 16.**): una al Bodoni, una alla signora Guai, e la terza 
e più importante, alla sorella. — M. Falooi PoLiavANi, Una pagina di Arte 
Umbra (Foligno, Salvati di pagg. 33 in 16."), interessante capitolo di storia 
artifttica della nativa regione, reso pili interessante dalla riproduzione di an- 
tichi monumenti. — Poesie originali o tradotte pubblicarono i signori Giulio 
Urbi ni. Luigi Grilli, Leopoldo Tiberì; e il prof. 0. Ferrini la traduzione in la- 
tino del sonetto del D* Annunzio su Gubbio. — In questa occasione, per 
donarne gli amici, Io sposo mise a stampa (Roma, Forzaoi, di pagg. 23 in 16.*) 
una sua conferenza su Gubbio^ forse piuttosto lirica, che storica, e eh* egli 
stesso battezza * il Gubbio delia mia fantasia .. 

.'. Molto negli anni scorsi si dispulò circa il Conaaloo del Leopardi, sia 
rispetto alla data che gli spetta, sia considerandolo nel suo intrinseco valore 
d'opera d'arte. Mentre allo Zumbini parve " una delle cose più perfette della 
nostra poesia ,, il Garducci gijidicò che * nell'ordine della poesia leopardiana 
segnasse , contraddizione e disgregazione accidentale ,. Il prof. G. Ghbgghia ri- 
prende e amplifica la sentenza del Garducci in un suo studio critico su co- 
testo componimento (Teramo, Ripista Abruzzese, di pagg. 41). Gi sembra di 
trovare in cotesto scritto alcune cose notevoli, e alcuni raffronti importanti con 
altre poesie dell'autore, prima non addilati : ma ci sembra anche che troppo 
ricalchi e insista, e soverchiamente aggravi i giudizj del maestro che segue 
ed esempla, e troppo anche rigidamente osservi ed esageri quella distioziooe 
in periodi e gruppi, che fu istituita dal Garducci. Volendo * continuare un po' 
l'analisi , carducciana, è arrivato a tali conclusioni di critica puramente io* 
dividuale, da far quasi comparire il Consalw} come opera priva affatto d'ogni 
pregio: il che ci pare eccessivo. In esso trova un contrasto " fra la mal cer- 
cata spontaneità del sentimento e della immagine, e la smania di tentare e 
di svegliare un vero che al poeta sempre più fuggiva dall'anima ,: nel Gon- 
salvo è * sciupato e rattrappito fra le grinze della frase incerta e nell'ordito 
studiosamente contorto della costruzione ritmica, un po' scolastica e un po' 
accademica, quasi fanciullesca , ciò che più efficacemente è detto nell' A- 
spasia: e cosi via. Il troppo stroppi»: e la * continuazione dell'analisi . ha 
passato i limiti del discreto. A ritrarre i pregj e i difetti dei grandi occorre 
mano leggera e delicata: occorre appressarsi al giudizio con ossequio e ti- 
more, e sopra tutto con minor fiducia in teorie astratte, che spesso hanno 
realtà soltanto entro di noi, e da noi sono considerate infallibili pel nostro 
individuai modo di osservare, sicché possa poi avvenire che due critici di 
gran valore, sullo stesso argomento dicano l'uno bianco, l'altro nero. Ma la 
verità, diceva il Renan, sta nelle graduazioni e nelle sfumature. 



DELLA LBTTB ATURA ITALIANA 313 

/. Dopo aver condotto cosf bene innanzi la * Piccola Biblioteca di Scienze 
moderne , gli editori Fratelli Bocca di Torino mettono mano a una " Biblio- 
teca lelteraiìa , in più piccolo formato, di bella carta e nitidi caratteri, alla 
quale aagarìamo il meritato farore del pubblico. [I primo volarne, ora uscito 
alle stampe, è dei sig. R. Giani, V Eitetica nei pensieri di G, Leopardi (di 
pagg. XI-954 in 16.*). Come già il prof. Bertana per ritrarne la mente si valse 
dello Zibaldone, felicemente tornato a luce, cosf ora lo studia il sig. Oiani 
per cavarne fuori ed esporne 1* estetica, riducendo a corpo di dottrina e coor- 
dinando i pensieri e gli accenni disseminati in qnella specie di diario intel- 
lettuale del recanatese. A una rapida scorsa ci è sembrato che V a. di que- 
sto studio abbia fatto opera coscenziosa ed utile, sicché questo volume sia 
come preludio promettente a quelli che seguiranno : ma di esso intendiamo 
dar maggior contezza in appresso. 

.'. Il prof. Adolfo Boeri ha pubblicato uno scritto su Giacomo Leopardi e 
la lingua e la letteratura francese (Palermo, tip. Era Nuova, di pagg. 131 in 8.*), 
in cui ha esposto le osservazioni e i giudizj in proposito che sì trovano dis- 
seminati nello Zibaldone, Il libro si compone di tre capitoli, nel primo dei 
quali TA. parla della molta conoscenza che il Leopardi ebbe della lingua e 
della letteratura francese, come resulta dalle notizie che abbiamo dei suoi 
studj e da alcuni suoi scritti ; nel secondo sono raccolti i giudiij sulla lingua 
e letteratura, che si trovano nello Zibaldone. Il Leopardi ebbe pochissima 
stima del linguaggio e della letteratura dei nostri vicini d'oltr*Alpe. Giudi- 
cava la lingua imperfetta nella sua ortografia, nella pronuncia impropria, 
inelegante, povera di radici dalle quali si possano cavar parole nuove, scarsa 
di sinonimi, e per tutte queste ragioni priva di lingua poetica. Ancora rile- 
vava che il francese è inadatto alle traduzioni, fra le quali apprezzava molto 
solo le Georgiche volgarizzate dal De Lille e le traduzioni delPAmyot, e di 
quest'ultimo perché egli, oltre al greco e al latino, conosceva perfettamente 
i classici italiani, che, al dire di Paul-Louis Gourier * sont la vrate sonree 
' de beautés d*Amyot „, Ciò malgrado la lingua francese ha conquistato una 
universalità che si spiega non colle sue qualità intrinseche, ma coli* influenza 
politica e morale esercitata dalla Francia. Riguardo alla letteratura, scarsa 
messe di giudizj ha potuto raccogliere il Boeri ; oltre che dei traduttori di 
cui 8* è detto, il Leopardi discorre poco benevolmente del Poinsinet, del La 
Foataine, del Bossuet 'che è tutt* altro che un genio,, e con lode invece 
del Bonrdaloue e del Buffon. Ma per quanto il Leopardi avesse poca stima, 
e non sempre a ragione, della lingua e letteratura francese, tuttavia noi 
vediamo eh* egli attinse molto ad esse per la sua cultura. Cosf nell* ultimo 
eapitolo il Boeri parla del sistema filosofico del Leopardi per mostrare 1* in- 
flusso non piccolo che esercitarono sul suo pen&iero i filosofi francesi e 
conclude che T influsso non si limitò alla filosofia, ma anche al modo di scri- 
vere. Il libro del Boeri si legge volentieri, ma non nascondiiimo che ni sa- 
rebbe potuto ridurre alle pili modeste dimensioni di un buon articolo, anche 
perché non sempre era necessario riprodurre per intero i vaij giudizj dello 
Zibaldone. Infine avvertiremo che il Boeri non pare conosca uno scrittn 
recente, del 1903, sul medesimo argomento da lui trattato, di Albkrt Oriol, 
Leopardi et la littèrature frangaise nel Bull f Un italien, II, 304, che sareblie 
stato bene aver presente. 



su RA8WONA BIBLIOflSAFIOA 

.*• Il prot U. Angkli ha insieiiM raceoU,e in un volamatto (Pmto, Giaehetti, 
di pa^. 99 in 16.*) Tre eommémoriuioni: U pfima del 1898: La donna « To- 
m0r0 nei canti di O, Leopardi; la seconda, del 1900; Sordétto; la iena, del 
1901 : Camm^moragione dn caduti a Curtatonc e Montanara, Là pcima ben 
pensala e ben scritta, dimostra, collo stadio dai primi canti elegìaci alF H- 
spa9im, come 1* amore * iniiiatosi violento e fervente nei giovanetti aopi de^ 
Leopardi, divenisse poi soffuso di malinconia e quasi di sentimentalità inge* 
nna « finché nei turbamento e nella certeua di esser egli eeeliiao dalle gioie 
deU*aAiore, avviene il coxzo fra la realtà e l'idealità, e quest'ultima trìo^lSa* 
Se non che, dato il suo temperamento e la saa fibra sensibilissima, il trionfo 
compiuto di nna fiera passione reale trascina alla tragica fine il miserande 
animo del poeta,. — Nel secondo discorso Ta. vuol dichiarare il caraUere 
e r importanza del trovatore mantovano, il concetto che n*ebbe Dante e 
Tarte colla quale lo introdusse nel noto episodio, facendo per ultimo nn 
rapido, ma succoso esame dell* invettiva occasionata dall* abbracciarsi d^iidnn 
poeti, col nome e nel nome della patria. Sembra alfa, che T invettiva corri- 
sponda al Pianto di Sardello per Ser Blaeas, e certo v*ò in essa qualche cow 
che lo richiama: ma non sembrerebbe invece che la rassegna dei prìncipi 
della valletta sia in più immediata relazione coir enumerare e giudicare che 
il mantovano fa i principi del tempo, nel suo componimento provenzale? — 
Nel terso, con ealdi sensi di amor patrio, si narra brevemente la battaglia 
del 39 maggio, si commemora un valoroso pratese, caduto nel conflitto, e si 
accenna alle onoranze ai valorosi, fatte o tentate a Prato nel decennio. Ma qnl, 
come già io altro luogo, vogliamo notare un errore storico, una esagerazione in 
che r a., come molti altri, sono caduti, parlando della commemorazione del 
1851 in Santa Croce, dove veramente il tempio non * fn bagnato dal san- 
gne cittadino per opera degli sgherri, che investirono il numeroso popolo ,: 
fu un semplice parapiglia, e i fucili furono sparati in aria senza danno dì 
persona. Ciò non per difendere il governo lorenese, ma semplicemente in 
omaggio al vero. 

/. Lo Studio intorno alla vila di Carlo Botta della signorina EL Rmb» 
traooiato con la guida di lettere in gran parte inedite (Torino, Glansen, di 
pagg« 84 in 4.*, estr. dalle Memorie dell'Accad, Beale ecc.) non è nna conir 
piota biografia, ma si ferma soltanto su alcuni punti, traendo dall* eplsiolarìo 
raccolto già dal compianto Giovanni Flecchia, e che speriamo il nepote del* 
r egregio uomo darà presto in luce, quanto specialmente riguarda le opinioni 
politiche e letterarie dello storico canavesano. L'a. addita la varietà di con- 
vinzioni politiche nel Botta giovane e nel Botta maturo d*anni e d* espe- 
rienza : che eerto non ò bella cosa né da mostrarsi ad esempio : ma, seguendo 
lo svolgersi degli avvenimenti straordinarj della fine del XVIII e del prìn* 
cipio del secolo XIX quanti non sono fra i contemporanei che cangiarono 
pensieri e voglie! E ad ogni modo, il Botta amò sempre e servi eolla penna 
il suo paese, e visse e morì povero. Dove non si ha cangiamento nel Botta 
é rispetto a idee letterarie: restò sempre un classico, un purista impenitente 
e sfogò sempre V ira sua contro i novatori, i romantici. L'a. raccoglie pareoehi 
dei suoi gindi^, e non si può a meno di sorrìdere leggendo quelli sul Man* 
zoni e sul suo romanzo, mentre ei profonde elogj a meschini sccittorì. Le 



DBLUL LBTTBRATUIU ITALIANA 316 

osMrTujooi critiche del Botta, rappresentanjte di tatla «na scuola, che nel 
roouiBZo non vede se non * sciocchezze e bambinerie « pur riconoscendo ajlo 
scrittore ' no Ingegno grande ., dimostrano qaal profondo rivolgimento arre-h 
casse nel campo delle lettere T opera del Manzoni. La Memoria della stgpo* 
rina IL si fa leggere con piacere, ed è scritta con facilità e scioltezza: non 
sempre con cara della fornu; e, per esempio, che mai vnot significare (pag.^). 
nn 'accompagnamento no. pò* impertinente; frin-fron-frin-fron 2 „ 

.'. Parte di più lungo lavoro, e introduzione ad esso, e lo stadio del. doti. 
P. Prunas, Le Origini dfW Antologia, periodico di O, P, Vìeu9$ei$x (Pistoje^- 
Fiorir di pagg. 48 in 16.«, estr. dalla Raesegna Nazionale, 1. luglio 190^). Pri^ 
ma di tesser la storia delle vicende di cotesto. periodico, che forma tanta 
parte della cultura letteraria della metà deir Ottocento, TA. espone in questo, 
suo studio le condizioni politiche del tempo in che sorse, i vaij tentativi, peyy 
fondare una Rivista italiana, le difficoltà d*ogni genere che dovette supe*. 
rare, mettendo in chiara luce la parte che nell* opera spetta a Gino Cap- 
poni e a Giampietro Vieusseux, ispiratore 1* uno, 1* altro. direttore del perich 
dicoi.La narrazione è condotta su documenti sicuri, specie sul carteggio del 
Vieusseux, che si conserva nella Nazionale di Firenze, copiosissimo e ben 
ordinato, e che è una miniera inesaurìbile di notizie per la storia dei tempi. 
Salvo qualche pò* di lungaggine in principio, dove si espongono le condi* 
zioni politiche dell* Italia fra il *15 e il *20, il Prunas corre spedito ma con 
copia d* informazioni e ricco corredo di testimonianze, in forma beile echi»* 
ra, non priva di naturale eleganza. E questo saggio, cosi hen ordinato e cosi 
ricco di ragguagli su uomini e cose, ci fa bene sperare dell* opera alla qnalft< 
prelude. 

.'. Il 4 ottobre, cinquantesimo anniversario della morte del eonte Edoardi 
Fabbri ceeenate, il giornale locale II eiUadino ha pubblicato un numero quasi 
tutto destinato a celebrare 1* illastre uomo, chiaro per civili virtd e. per forte 
e culto intelletto. La vita di lui è narrata compendiosamente dal sig. N. Tao* 
VAHiLLi, adornata di più ritratti e di altre illustrazioni. Diciamo compendio* 
semente, ma sappiamo che ad una biografia pid ampia attende Taatore* 
la quale ritnrvà con lo svolgimento che merita la vita deiruomo» e la atoiìa. 
dei tempi in che visse e scrisse e operò con zelo d* italiano e drlttura di 
mente e d*animo« E vogliara credere eh* egli ci darà allora il testo dette* 
Memorie sulla sua prigionia nelle carceri pontificie. Un altro breve artìeelo 
dà notine di una tragedia medita del Fabbri La morte di Arrigo IV impe^ 
ratoro, recandone alcuni brani, che fanno desiderare II rimanente. Prefotlo 
quando Murat proclamò 1* indipendenza d* Italia, ministro costituzionale di 
di Pio IX, capo dei liberali romagnoli e perseguitato dal governo dei^ pretii 
autore di tragedie men note di quanto meriterebbero, il Fabbri è ben degaM» 
degtt onori che gli si tributano, e dei quali il migliore e pi4 opportuno sarà 
quello che aspettiamo dell* egregio suo conciltadino. 

.*. Fra i tanti personaggi manzonieoi uno dei piifi vivi è quello di Pep^ 
petoa, il cui nome è rimasto proverbiale ; ma mentre tutti gli aKri, anche 
minori di- lei, erano stati notomizzati e studiati, ninno finora, se no» erriamo», 
ne aveva fatto argomento speciale di considerazione, oonie ora ha fatto il 
prof. V. GaAZiADSi col suo scritto La oerva- di Don Abbondio (Palermo, R«:- 



316 RASSEGNA BTBLIOORAPICA 

ber, di pagg. 42 in 16.®). La critica del 6. è arguta é penetrante, e if tipo 
di questa donna volgare, ma non priva di senso pratico e di coraggio, è pie- 
namente descritto, specialmente a contrasto col pusiilaoime padrone e a 
confronto coir amica sua, 1* Agnese. 

.*. Per la ricerca delle fonti def FromeHi Sposi ha speciale importanza 
un articolo del sig. G. Galli, Un'operetta inedita del card. Federico Borromeo 
sopra la peste in Milano^ ed i Pr. Sp., inserito neWArch, stor. lombardo, se- 
rie HI, fase. XXXIX, p. 110. Benché si fosse- già accennato che quella rela- 
zione del card, al Manzoni non era rimasta ignota, non era stata finora rag- 
gnagliata minutamente Con ciò che in proposito della peste del 1630 è narrato 
nel romanzo, ed è questo che ora vien fatto. Ne resulta che fra gli altri che 
lasciarono memorie del terribile avvenimento, il cardinal Federico fu dal 
Manzoni letto e seguito a preferenza. Vi è ad es., nel Borromeo 1* episodio 
di uno che si salva sul carro dei monatti, come il ìilanzoni fa fare a Renzo: 
vi è r episodio di Cecilia. Se non che, questa ed altra, è materia greggia, 
che il sommo arti«ita ha trasformata col suo magistero. L*a. di quell* articolo 
cita anche altre fonti manzoniane, fra le altre il libro del Lampugnano, dove 
si trova in genere il famoso dilemma di Don Ferrando, che già altri aveva 
additato in un discorso deirAchillini. Meglio cosi: il Manzoni riferendo quel 
celebre ragionamento non potrà esser accusato di plagio, perché ha ripro- 
dotto veramente quello che era il modo comune di pensare e parlare dei 
dotti o pseudo-dotti di queir età. 

.'. Il fascicolo 3.® della 4.' annata deir ottima RiviHa Dalmatùsa è tutto 
dedicato a Niccolò Tommaseo, e contiene i seguenti scritti : I. Dil Lungo e 
P. Prunas, Dal primo esilio, lettere prime, 1834, di N. T, a G, Capponi; in-, 
teressanti primizie del cartegirio fra i due egregi uomini, opportunamente an- 
notato • A. Franchbtti, N, 7. e V educazione - U. Muqostovich, Alcune UU, 
ined, di N, T. al dott, F, Galvani - 6. Canna, Alcuni pensieri su If, 7. - 
Lettera di N. T. a Stefano Grosso - N. Castagna, Ricordi e noie intorno a 
N. T, (rammenta atti e motti di T., lodandone tuttavia alcuni di perfetta in- 
tolleranza e contro la carità, non diremo cristiana, ma umana, come T epi- 
gramma, pili scipito che crudele, contro il Leopardi). - P. Mazzolbni, Alcuni 
scritti editi e inediti di N, T, riguardanti persone e cose patrie (raccolta, che 
facendo contrasto alla inopportunità e peggio, della precedente, ricorda scritture 
e azioni onorevoli del T. in favore della patria Sebenico e di suoi concittadini). 
Una Lettera di Suor Chiara Tommaseo (con notizie curiose sui libri e mano- 
scritti del padre - V. Brunelli, Manoscritti e stampe di N, T, conservati aUa 
Biblioteca Paravia di Zara (utile catalogo del fondo tommaseiano di Zara). - 
AppuiUi e notizie : Le onoranze a N. T. nel centenario della nascita - Pub- 
blicazioni nel centenario della nascita di N. T. • Il fascicolo è reso pili inte- 
ressante dalle frequenti illustrazioni: Ritratti di N. 7. nel 1861 e nel 1873; 
Ritratto di Girolamo Tommaseo; Casa ove nacque N. 7. a Sebenico; Il mo- 
numentù a N, 7. in Sebenico - Facsimile di un autografo del 7. - Albero 
genealogico della famiglia 7. • Con questa pubblicazione la Rivista Dalmatica 
ha.tfoso omaggio air illustre concittadino e portato un reale contributo alla 
bidgnafla e bibliografìa di lui. 

•é;. Opera meritoria e degna è alata fatta in Sicilia, ravvivando il nome 



DKLLA I.BTTBRATCRA ITALIANA 317 

di Paolo Emiliani Giudici e coilocandoue un bosto nella Uoiversità di Palermo 
ai 7 giugno di quesfanno. L'inaugurazione di esso busto (in verità, non molto 
rassomigliante, chi ricordi Tuomo) fu accompagnata da discorsi del prof. 6. 
A. Cesareo, del prof. F. Guardione e di altri, che furono raccolti insieme col 
titolo : Onoranze a P. E, O, neW Università di Palermo (Palermo, Virzf, di 
pagg. 56 in 16.**). Il discorso del Cesareo ci pare assai buono e giusto, e che 
non ecceda, come spesso avviene, i meriti veri del lodato, cui attribuisce a 
buon dritto di aver per primo in nna storia della letteratura italiana, scru- 
tato * la legge rivelatrice dei fenomeni letterarj ,; di aver per primo intuito 
che * un fenomeno letterario non si produce per generazione spontanea, ma 
" è il resultato d*una lunga elaborazione della coscienza collettiva onde 

* nacque ,: ma ciò non toglie che egli non riuscisse poi ad applicare la sua teo- 
rìa con quel medesimo acume con cui la concepiva, e questo liberamente di- 
mostra r oratore, concludendo che, per certi rispetti, si possa dire esser il 
Giudici ' nato troppo presto ,. Ma mentre in ciò consentiamo col Cesareo, 
attribuendo allo storico siciliano la lode e la censura che gli si deve, non 
potremmo consentire con lui, quando assevera che dopo il De Sainctis * suc- 

* cedesse per circa quarant*anni in anni in Italia un periodo d* astinenza, col 

* ritorno a nna critica secca, inanimata, e meccanica ,. Vero è, ei prosegue, 

* che quel periodo di quaresima della intelligenza è ormai oltrepassato e che 

* da qualche anno gli spiriti più alti si son rimessi su una via luminosa ,. 
Ne sia lode a Dio! Ma gli studj "di analisi meticolosa 0, di "trascrizioni, 

* emendazioni, attestazioni, raffronti, che sono filologia e non critica , (ed è 
pur qualche cosa, se sono di filologia buona), quegli studj ai quali appar- 
tengono i lavori del Cesareo stesso sui poeti del periodo svevo, sulle rime 
del Petrarca e il loro ordinamento, e che pur sono valsi a qualche cosa ri- 
spetto al loro autore, appartengono alla prima e alla seconda categoria? A 
noi parrebbe che spettino alla prima, ma si direbbe che il Cesareo, sdegnoso 
di questo ' trionfo della mediocrità ,, voglia separarsi dalla mala compagnia 
degli spiriti piccoli, e confondersi in quella degli * spiriti alti , : e se cosf 
vuole, tal sia, e lo vedremo alla prova! ~. Lo scritto del prof. Guardione 
ha pili eh* altro indole biografica, e ci dà ragguagli men noti dei primi anni 
del Giudici, passati in Sicilia: men sicuri e particolareggiati sono quelli del 
soggiorno in Toscana (a pag. 45 ad es. si parla delle stragi del 29 maggio 
1849 neir anniversario di Gurtatone e Flou tanara, che furono una semplice 
scarica in aria!) e quelli sugli ultimi anni, ne* quali scemò in lui l'operosità 
della mente e la dignità della vita. Meno temperati che quelli del Cesareo, 
sono i gludi^ del Guardione rispetto alle opere del Giudici. La storia della 
Letteratura è lodata, senza riserva, paragonando 1* autore al Beaumont, al 
Guvier, a Galeno, agli Dei d' Omero ecc. Il vero è che la Storia Letteraria 
del Giudici ha un merito grandissimo rispetto ai tempi, ma ormai è stata 
superata : e il tornare ad essa, che pure occupa nn posto cospicuo nella serie 
delle opere congeneri, sarebbe un tornare addietro, sebbene il sig. Guardione 
in tutto il lavoro successivo di critica, frammentaria o generale, non vegga 
ei pure che * fatiche inveHtigatrici delle date di nascita, di sponsali, di doni 

* matrimoniali, di viaggi, di nozze, di morte , . Proprio cosf ! e nuir altro, se- 
condo lui, ^ stato fatto in questi ultimi anni. Quanto alla Storia dei Munieigf, 

22 



318 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 

1* oblio in che è caduta Don è ingiusto, e la Storia del Teatro non è infln 
dei conti, altro che una amplificazione di quel capìtolo della Storta Lette- 
raria, nel quale, primo fra tutti, ed è suo merito, trattò delle Sacre Rappre- 
sentazioni. Alle onoranze, anche per memoria dell* amico, ci uniamo piena- 
mente, e ci compiacciamo che finalmente la sua memoria sia stata ravvi- 
vata e consacrata indelebilmente nella regione nativa: ma non potremmo 
approvare lodi che ci sembrano contrarie al vero, né ammettere il biasimo 
incondizionato di tutta V opera della critica nel tempo successivo. 

.'. Il poeta meridionale Nicola Sole è pili fortunato morto che in vita, 
poiché di lui e della Baailieata de* suoi tempi torna a parlare il prof. G. 
Mari (Melfi, Grieco, di pagg. 159), dopo che ne discorsero il De Sanctis e lo 
Zumbini, Tuno dicendone forse troppo male, T altro troppo bene. Il vero è 
che si parla dì lui, perché nel decennio fra il '49 e il '59, è forse T unico 
poeta meridionale, che emergesse un pò sugli altri, sicché sembra dover rap- 
presentare la letteratura poetica dì quella regione in quel periodo. Del re- 
sto, avendo una certa facilità di versi, la poesia del Sole è fiacca e stempe- 
rata. L'a. di questo saggio poteva forse occupare più utilmente il suo tempo: 
poteva dar forma più breve e più compatta al suo lavoro: poteva curar 
maggiormente lo stile e la lingua, trasandatissimi : poteva esser non diremo 
più ossequente, ma più garbato, nel contraddire i suoi due precedessori. 

.*. Per le nozze della gentile e eulta signora Ada Bellucci col dott G. Ra- 
gnotti alcuni amici hanno pubblicato una bella raccoltina di scritture (Pe- 
rugia, Unione tipogr., 1902, di pagg. 93 in 16.<*). Esse sono: Monita Salutie, 
tratti da un ms. del secolo XVIII, da L. Lanzi. — Alcune notizie eul ritratto 
di Annibale Mariotti^ di V. Ansidei. ~ // giorno nuziale nelle leggi perugine 
del see. XV I^ di G. Degli Azzi Vitelleschi: diligente e curiosa raccolta di notizie 
sull'argomento.— G. Mazzatinti, Camilla d* Amore, dieci strambotti di un 
Cesare Dondolelli del Borgo S. Sepolcro, alcuni dei quali hanno intonazione 
e reminiscenze dal tipo popolare. — L. Fumi, La moda del vestire in Lucca 
dal eec, XIV al see, XIX: è un buono e compiuto saggio sulle léggi sun- 
tuarie della secolare repubblica, pieno di curiosi particolari sul contrasto 
fra il desiderio di frenare il lusso, il bisogno di proteggere le industrie pae- 
sane, e r insaziabile intento femminile delle nuove fogge e dell'imitazione 
degli esempi forestieri. Su questo lavoro, che è il più lungo dell' elegante vo- 
lumetto, potrà ritornare l'autore con nuove cure; e allora vorrà aggiungere 
all' opera «uà un glossarietto, che spieghi il preciso valore di molte parole, 
designanti stoffe, colori, abiti ecc., che o non s' intendono o s' intendono solo 
genericamente per discrezione. — Per la stessa fausta occasione, ma sepa- 
ratamente, L. Manzoni ha pubblicato (Perugia, Unione tipogr., di pagg. 10 in 
160. ^^ documento su Lautizio di Bartolomeo dei Roteili da ì^trugia^ ertf- 
flee, incisore e intagliatore di caratteri da stampa, 

.'. Più tardi dell' occasione alla quale era destinato, è uscito a luce un 
voi. miscellaneo per le Nozze Pèrcopo- Luciani (30 luglio 1902), e perciò tardi 
lo annunziamo (Napoli, Pieno, di pagg. 204 in IG.*"). Parecchi studiosi, emici 
delio sposo, hanno contribuito a formarlo : e qui diamo l' elenco dei varj scritti 
che lo compongono: E. Proto, Il padre di famiglia: dialoghi di T. Tasso 
(ne esamina i pregi e i difetti, e ne indica le fonti). — G. Di Nisgia, Per mm 



DBLLA LKTTBRATURA ITALIANA 319 

fonie probabile della " Bisbetica domata , (Alle molte altre fonti additate 
é discasse; si aggiunge qui la Novella sa fra Michele Porcelli del Sacchetti ; 
ma converrebbe aver qualche prova che lo Shakespeare conoscesse questo 
novelliere italiano, stampato per la prima volta nel 1734). — E. Cocchia, 
Confr&nto fra V Iliade e la Ckaneon de Roland (Con esame accorato dei due 
poemi, combatte il paragone, a tatto vantaggio del poema francese, fatto dal 
Gautìer fra quei due monumenti letleratj). — B. Croci, Curioeiià piehiane 
(Riproduce ed esamina due pareri del Vico sulle tragedie del Gravina e del 
Marchese). — 6. Rosalba, Un episodio della vita di Vittoria Colonna (Pob- 
bliea due diplomi imperiali, dai quali resulterebbe che la Colonna coadiuvò 
Costansa d*Avalos nella difesa d* Ischia). — F. Torraca, Sul ritmo eauineee 
Ne parliamo a parte. — R. Zumbiri, Gli episodi dei montoni e della tempesta 
presso il Folengo e il Rabelais (Adduce nuove prove dell* ' intima parentela 
di questi due autori ,), — N. Zinoarbll!, Per la storia del Seeretum seere- 
torum (Riproduce, accennando preliminarmente le vicende di questo scritto 
famoso, un testo francese del medesimo) — Il valente dedicatario può esser 
ben lieto di questa raccolta offertagli in dono dai suoi amici ed estimatori. 

.*. Importante egualmente alla geografia e alla filologia é uno scritto di 
6. Crogioni, Termini geografici dialettali di Vélletri e contorni (eslr. dalla 
Riv, geograf, ital, di pagg. 9 iu 16.®) contenente vocaboli del parlar locale, 
disposti per ordine di materie, e riguardanti fenomeni metereologici, cultura 
e vegetazione, idrografia ecc. Molti di essi {Buriana, Breccia ecc.) apparten- 
gono anche alle parlate toscane. Altra pubblicazione filologica del Crocioni 
è la riproduzione de L* intervenuta ridivolosi, commedia in dialetto di Cin- 
goli (Torino, Loescher, di pag. 59 in 16.®) scritta nel 1606 da un Francesco 
Borrocci, compositore di commedie e scherzi nel suo vernacolo, che da lui 
s'intitolarono borrocciate, - La commedia, nei brevi versiceli che piacquero 
anche a certi autori dei Prologhi delle Sacre Rappresentazìon*, non manca 
di qualche vivezza, e gli opportuni prolegomeni glottologici dell* editore age- 
volano r intendimento di questa composizione in un dialetto della Marca. 

.*. Grazioso e piacevole libretto è quello messo insieme dal prof. S. Pbl- 
Lim col titolo Medici e Medicine: Igiene popolare (Novara, Miglio, 1909, di 
pagg. 148 in 16.® picc), che è una raccolta — modestamente il compilatore 
Io dice Zibaldone — di aforismi, sentenze, proverbj, epigrammi, aneddoti 
sulle malattie e sui farmachi. Esso si divide in due parti, la prima delle 
qaali tratta del modo di conservare o curare ia sanità del corpo, nonché dei 
professanti Parte medica, raccogliendo in proposito di questi tutto quello che 
r esperienza ha detto in proposito, si in bene come in male. La' seconda 
parte tratta dell* Igiene popolare, e mette in mostra, con opportune illustra- 
zioni morali e storiche, quanto i consigli degli esperti e la sapienza tradi- 
zionale degli uomini ha espresso e trasmesso circa i cibi, le bevande, il dor- 
mire, ramare ecc. É una ricca collezione di adagj e motti, che ai direbbe 
rimasta quasi ignorata, ma che accresciuta e confidata a un buon editore 
potrebbe e dovrebbe avere facile fortuna. 

> .*. Con la consueta competenza e con molta chiarezza Bbnbdrtto Croci 
ha di recente scritto Per la storia della critica e storiografia letteraria (Na- 
poli, Tipogr. della R. Università, di pp. 28 in 8.®) alcune osservazioni che si 



RAMMMA BIBiaoeRAriOA 
possono considerare come i prineipj fondameotali di una stona della crìtica. 
GomÌDcia coi dlstincpiere fra storia della critica e storia delle teorie critiche ; 
la seconda è no capitolo della storia della Poetica, ossia Estetica; la puma 
concerne la critica in atto, è la storia della prodnuooe effettiva dello spirito 
critico nella saa vita concreta. Non bisogna trascurare però la grande ef* 
flcaeia che lo svolgersi della teorìa ha sulla stessa fnnxione critica.; di qoi 
la grande importanza che ha in una stona della critica la esposizione della 
influenza delle teorìe sulla pratica: ma questa esposizione si deve conside- 
rare come un sussidio alla storia della critica, non ò la parte principale. 
Siccome in ogni lavoro critico si possono distinguere tre momenti, che sono : 
1.* erudizione storica, occorrente a intendere un* opera d* arte ; %*^ riprodn* 
zione fantastica dell* opera d*arte; S.*" rappresentazione rìflessa dell* opera 
d*arte; cosi oggetto di una storia della critica ò il risaltato di questi tre 
momenti, ossia il terzo, che comprende i due primi, dei quali è necessario te- 
ner conto solo come elementi sussidiar) e per evitare errori che dalla igno* 
ranza di essi potrebbero nascere. Se uno dì questi momenti prevalesse in una 
storia della critica, questa degenererebbe o in una mera storia di dottrine 
estetiche astratte o in un catalogo bibliografico o in una raccolta di aned- 
doti sulla varietà dei gusti o, finalmente, in un aggregato inorganico di que- 
ste tre storie disparate. Fissato l'oggetto della storia della critica, il Croce 
passa a dire che la trattazione di esso abbraccia tre parti ed importa tra 
ordini di ricerche: 1.* vicende e progresso dell* attitudine o metodo critico 
in genere; 2." risultati particolari raggiunti; 3.* organamento di questi la 
un quadro più o meno vasto, ossia la costruzione delia stona lettorarìa. Lo 
svolgimento di ciascuna di questo parti ò chiarito con esempj, e per la 1.* 
e per la 3.* il Croce dà, si può dire, un abbozzo di quello che dovrebbero 
essere, mostrando quanta e quale preparazione 1* egregio nomo abbia e qual 
fortuna sarebbe se volesse accingersi ad un* opera di cui egli ha neUa mento 
con tanta chiarezza le linee generali e la distribuzione dei capitoli partico- 
larì. In Appendice il Croce raccoglie alcuni pochi appunti per dimostrare 
r influenza esercitato dal Vico sulla crìtica letteraria iUliana: da lui, egli dice, 
derivano il Cesarotti, Marìo Pagano, Francesco Torti, Ugo Foscolo, P. Emiliana 
Giudici e il De Sanctis. 

.'. Gol titolo L'Addio di Ettore e di Andromaca il prof. Fisilb Roium 
ha pubblicato (Firenze, Le Monnier, di pp. 105 in 16.*) la Lettura da lui te- 
nuto nel marzo scorso al Circolo Filologico di Firenze, per incarico della 
Società itoliana per la diffusione e 1* incoraggiamento degli studj classici. 
L'episodio deiriliade vi è esaminalo con molto gusto e finezza; cosicché 
noi vediamo in questo lettura confermate le belle attitudini di crìtico, cha 
il Romani ha rivelato in altre sue precedenti pubblicazioni di cui a suo 
tempo demmo notizia. Per chi amasse rìleggersi per intero 1* episodio e far 
confronti, il Romani ha aggiunto al suo discorso il testo greco dell* episodio, 
la traduzione letterale del Cesarotti e la poetica bellissima del Monti. 

.'. Ci duole d'esser costretti dall* indole del presente periodico a dar sol- 
tanto una breve notizia di uno studio, pubblicato da G. B. MAacHBsi su La 
critica Letteraria e la questione del Genio (estratto dagli Atti dell* Ateneo 
di Bergamo, voi. XX, Bergamo, Istituto d* arti grafiche, 1903 pp. 341), nel 



DELLA LSTTBRATqiU ITALIANA 321 

(fiale ki ««mila qututiio efrea 1* orìgine e la nature del Oenio ò esposta eoo 
larifheua di crìteij, eoa coaoscenxa della materia presa a trattare, e eoo 
pooderata temperanxa di llognaggio. Il M. pone in evideaza la fortuna della 
formata lombroeiana " genio e follia , ; rileva gli errori e le esagerarionl, 
affé qaali essa ha portato, speeialmente perché male applicata éa troppo 
forfidi segnaci; e sMndogia in special modo a dimostrare che, mentre la 
fonia è il reJMiltato di una sregolata attività delle fonzioni psichiche, nel fe- 
nomeno, che dlcesi 9$nio, queste medesime funzioni psichiche hanno, 6 vero, 
tttt* attività eccezionale, ma regolata in questo caso dalla forza vohitiva del- 
r individuo e dalle leggi universali della ragione. Termina coneludendo, che 
per avere la piena comprensione di un'opera d*arle, ò necessario conoscer 
bene, fin nei particolari, la vita dell* artista, la famiglia e T ambiente, in cut 
qoeeti crebbe e si formò. Lo studio del M. si legge col massimo interesse, 
perehò nel trattare una questione molto importante ha il doppio merito d'es- 
ser ben pensato e ben scritto. 

.'. Il prof. D. Garoolio ha raccolto insieme alcuni suoi Saggi di cHHea 
óonfemportméa intitolandoli Virai d'amore e pro$e di Romanzi (Livorno, 
Giusti, di pagg. XV-345 in 16.'*), preludio ad altri volumi, che verranno dipoi 
con altra intitolazione: Per Varie e per la vita — Rieoiendo la eorrenie — 
AOraverao le frontiere, ognun dei quali lascia dal titolo intravedere ciò che in 
essi sarà contenuto. Questo intanto contiene stndj su autori viventi : Vlvante» 
Stecchetti, Pascoli, D* Annunzio, Gena, Coli, Rossi, Orvieto, Mastri, Fogazzaro, 
Neera, De Àmicis, Gorradini, Agostini. I diversi studj sono tolti da giornali 
• riviste, ma ci ricompaiono innanzi arricchiti quasi ognuno di note flnaK, 
alle quali in fondo al volume altre se ne aggiungono d* indole biografica e 
bibliografica, non inutili anche nel momento presente, e che più utili ancora 
saranno coli* andar del tempo per le notizie che contengono. E il tempo 
modificherà certamente alcuni gindiq dell* autore, che inevitabilmente risen- 
tono qualche cosa del gusto corrente e dei vincoli di scuola e d'amicizia: 
ma riconoscerà anche nel critico della produzione letteraria dello scorcio 
del sec. XIX e dei primordi ^^^ ^^f indipendenza di giudizio, buoni criterj 
d*arte e lucidità di forma. Qualche volte dall* esame del libro o dell* opu- 
scolo preso ad esaminare, TA. si solleva a questioni generali di forma, e non 
poèsiamo se non approvare, ad esempio, ciò eh* egli dice intomo al * verso 
Mbero , , che * per evoluzione logica, a furi^ di essere libero e indipendente 
da qualunque legge di rima, di metro e sopratutto di ritmo , finirà col 
diventar prosa. Tutto ciò ò esposto con molto buon senso non solo, ma con 
vero senso d*arte: e ci piace darne lode ali* A. Gerte sfuriate e certi sar- 
casmi contro altra forma di critica non ci sono sfàggiti, ma non vogliamo 
formarci a rilevarli. Infin dei conti, dedicare un accurato studio speciale a 
quella meteora fugace che fu la Vivente, non differisce molto dal diseppel- 
lire un poeta o prosatore di secondo o quart* ordine dei varj secoli della 
nostra letteratura e farne oggetto di critica indagine. La differenza è sol- 
tanto rispetto al tempo a cui appartengono gli scrittori che danno argomento' 
allo studio. La critica letteraria è poi cosa tutta moderna; né poteva fìirsi 
nei secoli decorsi ciò che oggi si fa : ma ogni forma d' arte, buona o me- 
diocre o cattiva, vecchia o recente, ha un valore storico che merita di esser 



J 



822 RASSBONA BIBLIOORAFICA 

coscienziosamente illustrato, per assegaari^li il posto che nella serie delle pro^ 
dazioni letterarie i^li conviene e gli spetta* 

.'. li Prof. V. A. Arullani al libro Pei regni dell'arte, del qaale già par- 
lammo (t. Rassegna, VII, 123) ne fa seguire un altro, aggiungendo air antico 
titolo: e della Critica (Torino, Roux e Viarengo, di pagg. 239 in 16.*), che ha 
gli stessi pregj e difetti notati neir antecedente: un certo garbo nelFesporre, 
ma un che di generico e di superficiale nel trattare materie che richiede- 
rebbero pili ampio svolgimento. Cosi ad es. lo scritto su Le rime del Boc' 
caccio accenna più che non provi, e meglio Ta. avrebbe dimostrato la sua 
tesi, che ci par giusta, se di molti componimenti, i quali dovrebbero dimo- 
strare la verità di quanto assevera, non si fosse limitato a citare i soli ca- 
poversi. Anche ci piacerebbe che Ta. parlasse meno in persona propria; la 
qual cosa potrebbe esser argomento di modestia nel giudicare, ma ha tutta 
r apparenza del contrario. Cosi ad es. in due pagg. - 167-68 - troviamo mia 
simpatia • mio volume - studio mio - a'mmirazione mia ecc., che ad ogni 
modo è forma che stucca. L' autore, che cominciò a farsi conoscere con- un 
saggio abbastanza notevole sulla lirica del settecento, anzi che sperdersi in> 
questi brevi saggi, dovrebbe raccoglier le sue forze su un argomento, che 
meritasse studio largo e profondo. Egli sembra troppo compiacersi in questi 
lavori di fiato corto; ma evidentemente può far più e meglio. Questi sono, 
frantumi:^/ dolore in Dante e nel Petrarca, non è, per esempio, tema da 
restringersi in dodici paginette. E i Pensieri d' arte e di letteratura, coi quali 
si apre il volume, sono in realtà appunti fuggitivi, che lo scrittore fissa sulla 
carta per ricordarsene al caso opportuno; ma cosf come ci vengono offerti, 
non meritavano davvero di uscire dallo scrigno di chi li ha vergati. 

.*. Non è mai troppo tardi l'annunziare un volume compilato dal prof. 
A. SouERTi di Autobiografie e Vite dei maggiori scrittori italiani fino al se- 
colo XVIII narrate da contemporanei (Milano, Albrigbi, Segati e comp., di 
pagg. XIII-580, in 16.<^). La biografia di Dante è la notizia tratta dalle Cro- 
nache del Villani e la vita del Boccaccio; quella del Petrarca è la Lettera- 
ai posteri volgarizzata dal Fracassetti: e di ambedue si reca il parallelo di 
Leonardo Bruni. Del Boccaccio si dà ciò che ne scrissero Filippo Villani 
e il Betussi: di Leon Battista Alberti, la Biogr. e T autobiografia: di Lorenzo 
de* Medici, i Ricordi autobiografici e la vita del Valori : del Poliziano ciò che 
scrisse - non è veramente, né Taltro che segue, un contemporaneo - il Serassi, 
e del Machiavelli, il Baldelli: del Guicciardini, i Ricordi autobiografici, e del 
Tasso, il compendio del Manso: del Parata, il Soliloquio: del Ghiabrera, T au- 
tobiografia: del Marino, la vita del Baiacca: del Galileo, la vita del Viviani, 
e del Muratori, la lettera in che parla di sé. Tale è questa raccolta, che noa 
è soltanto un buon libro di lettura scolastica, ma che torna utile ad ogni 
studioso, specialmente per le illustrazioni che vi ha in nota apposto il com- 
pilatore. 

.'. Che V Antologia della Poesia italiana 0. TargioriTozzktti abbia in- 
contrato nelle scuole la meritata accoglienza, lo prova il fatto della nona 
edizione, che ne esce ora alla luce (Livorno, Giusti, di pagg. XXV1M063, in 
16.*), la quale è stata curata dal prof. F. G. Pellegrini, che già parecchia 
giunte ed emendazioni aveva fatte alla antecedente. Le maggiori modifica-, 



DBLLA LBTTBRATUIUk ITAUANA B23 

iloni sono alia lezione dei testi provenzali e dialettali del pritao perìodo 
poetico. Con queste nuove cure il libro sempre pid conferma la soa atilìtà 
scolastica e il carattere di copiosa raccolta di monumenti poetici d'ogni se- 
colo accuratamente illustrati. 

.'. Col riaprirsi delle scuole, riapparisce per la quinta volta con emenda- 
tioni e giunte la Storia della letteratura italiatia compendiata ad «so delle 
Scuole da G. À. VsirrcrRi (Firenze, Sansoni, di pagg. 275 in 16.* picc), della 
quale la prima stampale del 1892. La fortuna avuta dal libro ne attesta il 
merito e V opportunità air insegnamento secondario. Succinto senza esser 
scarso, questo compendio del Venturi, come quello del nostro Flamini, ò buona 
guida ai giovani scolari. La presente ristampa si avvantaggia sulle anteriori 
per molte emendazioni e giunte, specialmente neir ultimo capitolo, che è 
stato diviso in due e largamente accresciuto. 

.*. Coi tipi del Barbèra è uscito un volume «ottimamente stampato (dt 
pagg. L-1016 in 16.*) intitolato Gemme della Letteratura italiana. Modelli di 
Proea e Poesia con Notizie biografiche, giudizj critici, argomenti delle opere 
principali antiche e moderne, per uso delle scuole e delle colte persone spe* 
eialmente d* Inghilterra e degli Stati Uniti di America raccolte da J. Footb 
Bmohah, dottore in lettere e teologia. Il lungo titolo dice abbastanza il con* 
tenuto del libro, al quale va innanzi un breve discorso Al lettore, in che si 
dichiarano gli intenti e i metodi di questa compilazione, e la ragione del- 
Taver in esso adoperato la lingua italiana, anziché T inglese: questa è, Tesser 
fatto il libro * per gli studiosi che già possano almeno leggere Titalianoicon 
' una certa facilità ,, e non dubitiamo che esso non sia utile per Ja bontà 
e copia della scelta. Gli esempj, corredati di ragguagli biografici e bibliogra* 
fici, sono distinti in periodi: 1.* delle origini, 2."* periodo toscano, 3.* dello 
scadimento della lingua italiana, 4."^ del Rinascimento, b.^ della decadenza 
dello stile, 6.'' dell* èra arcadica, 7.** del Rinnovamento, 8.<* del Risorgimento 
nazionale, 9>* della Nuova* Italia. Un Indice, cosi detto r^^lorico, periodo per 
periodo raccoglie gli scrittori secondo i generi da essi principalmente tirai* 
tali. Vi hanno alcune appendici: la prima delle quali tratta delle pili importanti 
Accademie italiane; la seconda, degli Argomenti delle opere pili notevoli da 
Dante al Prati; la terza, dei varj stili. La raccolta delle * Gèmme i, è ab- 
bondantissima, e per questa il compilatore si è giovato de* suoi predecessod 
italiani, e come riconosce, del Manuale D* Ancona -Bacci in ^modo speciale^ 
Noi auguriamo al Biogham che il suo lavoro * che non pretende ad orìgi - 
" nalità, ma è. frutto di grande amore e di lung» pazienza „ raggiunga ilfine 
propostosi, e che quest'opera valga a spandere maggiormente in Inghilterra 
e in America la conoscenza della nostra letteratura nei suol più cospicui 
esempj di concetto e di espressione. Ove ciò avvenga, in una ristampa del* 
r opera potranno togliersi alcune mende: ad apertura del libro ne notiamo 
una. Il frammento d* Idillio dato a pag. 533 come del Parini non è auten* 
tico. Fu stampato nel Cimento come del Parini, ma ormai tutti sanno, anche 
quelli che già caddero nell* inganno, che autore di esso è T ab. Giuseppe 
Brambilla. 

.'. Sono usciti a luce dalla casa editrice. Barbèra i voi. 2.<^ e 3.* del Ma- 
nuale di Letterata Italiana dei professori A. D* Ancona e 0. Bacci, intera- 



324 RAaSBOMA «VLIOORAFIOA 

mtnte riftitto, e coi quali l* opera ò eompiaU, essendosi già aoteiionneRta 
pabblicali il 1.*, 4.* • il 5.* Il secondo è dì pagg. 713 - • nella edizione ante- 
fiore ne èonUva 631 -; il temo, di 671 - eorrispoadenti alle 664 deiranteeedente. 
Nel secondo toK si aggiungono fra gli autori, de* quali si recano esempj, Geo* 
sino Gennint, Lorenxo Ofaiberti, Oiusto de* Conti, Leonardo Giastintani, Bonac- 
eorso àm Montemagoo, e si dà un nuovo brano del Castiglione e di Bernardo 
Tasso: ne| terzo si aggiungono il Coppetta, Fr. Bracciolini e 6. B. Vico e si 
danno nuovi brani del Vasari, del Borghini, della Stampa, del Rinuccini, del 
Segnerì, del HarcbeHI. I ritratti sono, nel t.* voi., di L. B. Alberti, del Pulci, 
del Bojardo, di Lorento de* Medici, del Savonarola, di Leonardo da Vinci, del 
Poltstano, del Sannanaro, del Machiavelli, del Bembo, dell* Ariosto, di Miche- 
langelo, del Castiglione, del Guicciardini, di Vittoris Colonna, del Pireniuola, 
dell* Alamanni, del Berni, del Gellini, del Della Gasa, del Segni e del Caro. 
Nel teno, del Vasari, del Davansati, del Guarìni, del Parata, del Tasso, del 
Ghiabrera, del Serpi, del Galilei, del Tassoni, del Marino, del Tèsti, del Mon* 
tecuccoli, di S. Rosa, dei Redi, del Magalotti, del Pilicaia, del Vico. Ogni ar- 
lieolo di questa nuova edizione ò Ktato accuratamente riveduto, e la Biblio- 
grafia dei singoli scrittori condotta fino alle ultime pubblicazioni. Fra breve, 
a compimento dell* opera, uscirà 1* Indice g<»nerale dei 6 voli, e un Snpple* 
meato, nome per nome, alla biografia degli scrittori. 

.*. Il nuovo voi. testé edito dgìVIaiituto Storieo Italiano: I DiptanU di 
Berengario I (Roma, tip. Forzani, di pag. XVI-517 in 18.*) a cura di L. Schia- 
PARBLLi inizia la serie di Carte, Botte e Difiomi, che pubblicherà 1* Istituto 
stesso. Esso ne comprende centocinquanta fra veri e falsi, più l* indicazione 
di diplomi perduti. L'edizione ò scrupolosamente condotta sugli origioali o 
su copie antiche, e seguendo le norme della scienza odierna. Cinque Indici for- 
man» utile corredo al testo: cioè dei destinataij dei diplomi, dei nomi propij, 
di cose notevoli, di vocaboli non registrati nei Lessici, e degli scrittori citali 
■•He fonti edite: cui seguono Oiante e eorregioni. Questa pubblicaBone ci 
sembra di grande importanza storica, e auguriamo che ad essa, secondo il 
primitivo coneetto, tengan dietro i diplomi degli altri re d* Italia fine ad Ar- 
duino d* Ivrea. 

.*. Il V* Battettino detta Società fUotogiea Romana contiene oltre i Verbali 
delle adunanze, una nota di P. Rajxa su Oaeton Parie e la Société dee an- 
eiene Uxtee f^anfaie, altra di F. BeiDi su un Documento in votg'tre marchi^ 
giano dei eee. XIV, altre ancora di A. Partsotti intorno alla leggenda di 
8. Giorgio, di V/ FiDmici su gli Affreeehi net territorio di Alatri, di F. Hia- 
HA«ni su una etampa inedita di G, M. Pomedello, e infine alcune Notiate. 

.*. La Società fitotogiea Romana imprende a liberi intervalli la pubblica- 
zione di Studi remanti, che, sotto la direzione del prof. E. Monaci, continue- 
ranno gli Studi di filologia romanaa, dei quali abbiamo annunziato la cessa* 
ziooe. Ne è uscito un primo fascicolo, nel quale sono inseriti i seguenti scritti; 
Q^ BiRToai, Le poetate del Bembo eul eod. Provenzale K (prova che le note del 
eod. parigino, non sono, come alcuno credette, del Petrarca, ma del Bembo. 
S. Pieri, Appunti etimologici, A. Pardugci, La leggenda delta naecita e detta 
gioeentk di Coetantino Magno in una nuova redazione (Approvando la mas- 
sima parte delle congetture del prof. A. Coen su questa curiosa leggenda. 



DBLLA LBTTBRATURA ITALUNA 325 

la cai allerìor forma, cambiato il protagooiaU, sodo rCTr&aiioattribaito al Boc- 
caccio a il LUtro imperiale del BonsigDori, aostieoa con baoni argomenti 
che, non aolo la leggenda sia nata io Italia, ma preciaamente nella Veneiia, 
e fattnra di un qualche nomo di chiesa, recando per nltimo di eaaa on testo 
latino). P. ToLDO, Sulla fortuna dell' ArioaiQ in Francia (Specialmente ri* 
guarda le relazioni del Voltaire coirantore dell* Orlando; ed ò capitolo di 
più ampio la foro, che sarà certamente interessante). V. Grisgihi, Ancora detta 
vece Garda. Notiaie. 

.*. Dobbiamo al prof. D. ZAmcmLLi la pnbblicasione dì quindici Leiiere 
di M. Minghetti a L. GaUotli (Bologna, Zanichelli, dì pagg. 73 in 16.*) tratU 
dagli autografi, che nel carteggio dì ^quest* ultimo si conservano presso la Rie- 
cardiana di Firenxe. Vanno dal *47 al *68, e neir intimità dell'amicìzia, con* 
tengono assennate considerasioni sui casi ?ia via occorrenti, e per ciò sono 
importanti per la atoria. E in servizio di questa, T editore, cosf dotto nella 
conoscenza dei fatti del nostro risorgimento, le ha diligentemente annotate. 

/. U prof. D. Zaricbblli ha pubblicato per nozze un bel gruzzolo di 
Lettere di Bettino Bieaeoli a G. Campani (Siena, Lazzari, di pagg. 39 in 16.*), 
le quali ci mostrano il severo dittatore della Toscana sotto un nuovo aspetto, 
non però disforme dal tipo che se ne ha comunemente: cioè come atudioao 
e sollecito d*ogni miglioramento agrario, eh* egli proseguiva non soltanto 
come possessore di fondi, ma pel benessere dei suoi coloni e a vantaggio 
del risorgimento economico del paeae. CI suo corrispondente era lo scienziato 
Campani profeasore di chimica nell'Università di Siena, ai consigli del quale 
molto ei deferiva e che desiderava compagno e confortatore in ogni nuova 
impresa, in ogni pratico tentativo, persuaso com'era che " i popoli più ricchi 

* e pili illustri sono quelli che promuovono le scienze e ne applicano i prò- 

* nuoziatì .. Queste Lettere si leggono volentieri, anche da ehi non abbia 
competenza neir argomento speciale che irattano» tanto è in ease spontanea 
e profonda l'impronta dell'animo del fiero barone. 

/. Per le nozze Pellegrini-Bozzi il prof. G. CimaoTro raccoglie e pubblica 
alcuni documenti di quel Cesare Rossarol, che Guglielmo Pepe sopranomò 
V Argante della Laguna, e che per Venezia morì nella memoranda difoaa 
del 1849. Sono lettere, che giovano alla biografia del valoroso soldato e alla 
storia dell'assedio; e vi è anche una specie di Patemocter, in forma di liberi 
versi, in ch'egli, religioso profondamente, s'indirizzava a Dio con fervore di 
credente e d' italiano^ Ninno si fermerà alle imperfezioni di forma, e mesta- 
mente ammirerà la fiamma di carità patria, che splende in cotesta preghiera, 
ringraziando chi ce l'ha fatta conoscere. 

/. Dalla ditta L. F. Cogliati di Milano riceviamo alcune recenti pubUI- 
caiioni, che, sebbene non rientrino precisamente nel quadro dei nostri stu^j* 
meritano esser brevemente accennate, anche perché non prive di pregio let* 
terario. La prima è quella di mone. G. Bonomiixi Dal piccolo 8, Bernardo al 
Brennero (un voi. di pagg. XVI-501 in 16.* con illustrazioni), che fa seguito 
ad altri viaggi del pio scrittore. La costante preoccupazione di lui è il fer- 
vore della fede e lo studio delle presenti controversie sociali, rispetto alio 
quali cose ognun conosce i concetti e gli afiTetti, che dietinguono l' A. nell'allo 
clero italiano; ma non ò meno viva e copiosa in queste pagine la ó^wri- 



326 RA89B<S(NA BIBLIOeRAFICA 

zioné dei luoghi vrsitiati, e dalPA. descritli p^r modo, da renderne gradita la 
lettura. — L* altro è un voi. della signora Gbmiia 6io?annini, Le donne di Casa 
Savoia (Un fol. pagg. XII-452, con= ritratti), che è ormai giunto alla seconda 
ediiione: piacevo! rivista di biografia e di storia, che accompagna dairXI 
ai XX secolo, le vicende di una famiglia principesca, da Umberto' Bianca- 
mano a Vittorio Emanuele 3.^ e in esse quelle d*un retaggio, sempre più 
ampliato fino alla formazione del' regno d* Italia. Dei prìncipi Sabaudi è ge- 
neralmente nota la vita, non sempre quella delle donne, figlie o sorelle, 
madri >o spose: e questa appunto T autrice ha voluto investigare non senza 
studio e fatica, > e ritrarre in tante monografie^ che insieme formano un com- 
plesso storicoc In forma facile e piana, abbiamo qui un libro 'di storia, at- 
traente per la successione di tante immagini femminili, e utile per la copia 
e varietà di notizie, che riguardano non soltanto T Italia, ma anche bene 
spesA) paesi stranieri. — Il terzo libro, di cui ci piace far menzione, è di 
P; SroppANr, Come d'autunno ... (un voi. di pagg. X-294 in 16.<* con ìllustraz.). 
È una raccolta di scritti varj, notevoli tutti per bontà di concetto e di forma. 
Chi scrìve è un ecclesiastico: ma che alF amore per la religione congiunge 
saldamente quello dolila patria. Hanno special riguardo ai nostri studj gli 
scritti intitolati Una visUa allo Spielberg (p. 67), che rievoca memorie dei 
prigionieri italiani del *5Kt : la prigione di Silvio Pellico, nelle Casematte, prive 
d* aria e di luce, è "^ orrida ,; ma i tempi sono mutati, e vi è un ritratto del 
poeta, che col suo libro, contribuì anch' egli a trasformar 1* impero da asso- 
lutola costituzionale; la Casella di Lucia (p. 77): quella che la tradizione 
addita, ma che non può esser dimora vera di persona non esistita, bensf 
possibile scena prescelta dal creatore del personaggio nel suo romanzo, ò 
ora V (hteria dei Promeui Sftoei in Acquate; il Mistero di Oberammergau, 
(p. ISl) descrizione di quel rottame d'antichità, come avrebbe detto il Vico, 
che è la rappresentazione della Passione nell* ormai celebre villaggio bava- 
rese; e per ultimo: Galileo e la moderna quietione biblica (p. 219), che coti 
concludie^i ' Il progredire della coltura diede sempre piiì regione al Galilei, 
non solamente sul terreno della scienza positiva, nella quale si era annun- 
ziato come un grande apostolo, ma anche nelle discipline bibliche moderne, 
delle quali» egli si può ben considerare come > un illuminato precuraore ,. La 
lettura del «libro è resa più gradevole delle molte e belle illustrazioni, che 
loi adornano. 

» .'. Un- buon prontuario di notizie è quello che ci offre il sig. A. Fbbrari 
col libro leste uscito a luce: I eommi Pontefici da S, Pietro a Pio X: Cro- 
nologia e note storiche (Milano, Cogliati, di pagg. 151 in 18."*). Questo della 
cronrelogia pontifìcia è lavoro intricato per le controversie, specialmente sui 
primi pontefici, che tutti gli studiosi conoscono; ma ad ogni modo, Ta. non 
ha mancato dì usare ogni diligenza, e dovrà essergliene grato ognuno che 
ricorrererà al suo libro. A dimostrare come esso sia utile giova riferirne 

.la distribuzione, che è la seguente: Sommi pontefici in ordine cronologico 
secondo i* assunzione al pontificato — in ordine alfabetico secondo i loro 
nomi, di battesimo o assunto ^ in ordine alfabetico, secondo la naziona- 

: iilà — in ordine alfabetico secondo i cognomi — in ordine cronologico 
secondò la durata del pontificalo — Indice quantitativo dei Sommi Pon- 



DBLLA LBTTBRATURA ITALIANA 327 

Lefiei omonimi — Elenco dei 264 Sorami Pònleflci e dei 39 Anlipnpi, per 
secoli — Sommi Pontefici' ricordali nella Diri'na Commedia — Efinaln\ente: 
Cronologia storica dei Sommi Pontefici. — Cosf si può dire che il libro ri- 
sponda ad ogni possibil forma di quesito e di ricerca. 

/. Il Congresso bibliogVafico tenutosi in Firenze nello scorso ottobre- ha 
dato occasione a parecchie pubblicazioni, e noi ricorderemo quelle che ci 
sono venute alle mani. — Il comm. P. Babbea a nome della sua casa edi- 
trice ha offerto un Saggio del catalogo ragionato (in corso di stampa) delle 
edizioni barbèriane (di pagg. 16 in 4.**). L' intero lavoro, che registra ed il- 
lustra le pubblicazioni fatte dal 1854 in poi pel corso di 25 anni dal fiin- 
datore della ditta editrice, sarà pubblicato al 1. ottobre 1904 compiendosi il 
mezzo secolo della vita di quella. Ogni articolo è illustrato blbliogrùficameMe, 
e ai nomi degli autori si aggiungono opportune notizie biograflfhc< V*è 
qui qualche piccolo errore da correggere: cosi ad es. 11 Fraticelli non fu «tu- 
tore di due tragedie, una sul Duca d"* Atene, T altra intitolata Gualtiero, ma 
di una sola: Gualtieri duca d'Atene — . Il c^mm. D. Chilovi dà ragguagli su 
L'Archivio storico della letteratura italiana e la Biblioteca Centrale di Firenze 
•(Firenze, Bemporad, di pagg. 128 in 16.^) L'Archivio MÌorieo della letteratura 
italiana è una creazione geniale dell' operoso bibliotecario, che qui ne di- 
chiara il disegno e la distribuzione, e ne dice la presente condizione, spe- 
cialmente per la serie dei Carteggi, che forma un insieme di 400m. lettere. 
Cosf sappiamo che di esso fan parte il carteggio del Vieusseux, composto di 
20 mila lettere, quello di Felice Le Mounier, di 8 mila, del Protonotari di- 
rettore déiV Antologia, di più di 8m. — I signori 6. Fumagalli e A. Berta - 
RKLLi hanno dato fuori un saggio (Milano, Allegretti, di pagg. 12 in 16.*) della 
Guida delle Biblioteche e delle raccolte bibliografiche private. Auguriamo il 
proseguimento di questa compilazione, e non ci dorremmo se le notizie fos- 
sero meno concise — . Il prof. A. Linakkr ha dato Notizie storiche sulla hi- 
blioteea Moreniana (Firenze, Galletti e Cocci, di pagg. 19) ragguagliando di 
queir insigne collezione di libri e manoscritti di storia fiorentina, posseduta 
dalla Provincia di Firenze, e formatasi vìa via colle raccolte Moreni, Bigazzi, 
Frnllani, Palagi, Pecci ed altri. Di essa saia utile che si pubbiirhi il catalogo, e 
•che finalmente sia anche resa di pubblico uso, a vantaggio degli sludiosi e 
della storia. — Il bemerito proposto di S. (xemignano, dott. U. Nohi-Pcscioliri 
ha dato in omaggio al Congresso, un opuscolo (Firenze, tip. Domenicana, di 
pagg. 10 in 16.**) contenente una lettera di M. Amari a F. Zambrini; e un 
Ricoì'4o Alfieriano, che dà notizia della Merope del Ma (Tei postillata dal tra- 
gico astigiano. — Lo scritto del dott. M. Scavi a. Le earte dello Stato e il loro 
assaggio (Torino, Roux e Viarengo, di pagg. 21 in 16.'') tocca una grave que- 
stione, quella cioè della qualità della carta, e propone i mezzi per fabbri- 
carla tale da non dover temere V inevitabile deteriorazione e distruzione della 
medesima. — A. D*Angona e 6. Fumagalli hanno presentalo la loro Relazione 
(estr. dalla Rivista delle Biblioteche ecc. di pagg. 15 in 16.*) sulla Proposta 
di una Biobibliografia italiana, Icriterj alla quale s'informa furono accolti d.il 
Congresso storico internazionale di Roma, e son stati confermati nel Congresso 
bibliografico di Firenze. — Il sig. S. Ricci ha presentato una Comunicazioni^ 
sulla necessità di una bibliografia sistematica italiana per tutte le discipline 



328 RA88BONA BIBLIOOKAFIOA 

archeoìogiehe (Prato, Giachetti, di pagg. 9), della quale il solo titolo dimostra 
r iinporlanza. — Contemporanea al Congresso essendo una esposizione di 
cimelj tipografici, B. Podkstà ha compilato una Guida alla mostva dell'arte 
tipografica in -Firenze (Prato, Giachetti, di pagg. 88 in ÌQ,**), che illustra al- 
cune pubblicazioni fiorentine del Cennini, del Loslein, di Ripoli, di Lorenzo 
veneziano, di Niccolò della Magna, del Miscomini, di Dino di Jacopo, del Bo- 
naccorsi, del Giunta, del Torrentino^cc, più alcuni saggi della biografia orien- 
tale medicea, e dì libri di mu-<ica. — Una bella e ricca pubblicazione è final- 
mente quella del dutt. A. Bkrtarrlli, Iconografia napoleonica del 1796-99, 
che registra i ritratti di Bonnparte incisi in Italia e all'Estero da originali 
italiani, ed è illustrata da cinque tavole in rame (Milano, Allegretti, di pagg. 
70 in 4.<^). Trattando ampiamente il tema, non si notano qui soltanto veri 
e proptg ritratti di Napoleone, ma figure e composizioni ov*egli rappresentato, 
e anche caricature: il tutto con opportune illustrazioni storiche e artistiche. 
Abbiamo intanto in queste immagini del generale e del primo console una fiso- 
nomia ben lontana da quella della ' convenzionale maschera cesarea ,, che 
prevalse dappoi. 

.*. Il sig. T. Canizzaro ha creduto dover replicare al cenno che facemmo 
qui addietro (pag. 124) del suo scritto sulla canzone di Lisabetta da Mes- 
sina. Egli si rivolse a noi per IMnserzione della sua risposta; ma non 
contenendo questa rettificazioni di fatto, bensf discussione di opinioni, non 
abbiamo creduto doverla accogliere, indipendentemente dalla sua lunghezza: 
ed egli r ha posta a stampa, intitolandola Lettera al prof. A, D'Ancona del- 
l' Università di Pisa (Messina, tip. Tribunali, di pagg. 32 in 16.**). La tiratura 
deir opuscolo a 225 esemplari ci assicura che esso avrà avuto larga diffn- 
sione. Noi non crediamo di dover ritornare soli* argomento, ma nulla riti- 
riamo di quanto abbiamo detto. C è una differenza sostanziale fra noi e il 
dotto letterato e poeta messinese su troppi punti di storia, di critica, di me- 
todo. Che sia difficile V intendersi con lui, potrà porger prova sufficiente quello 
che leggiamo a pag. 6. Avevamo scritto, per atto di cortesia, che ci doleva 
di non poter esser d'accordo colV autore dell* opuscolo: era una forma garbata: 
ma il sig. C. replica cosi: * Come se il primo dovere e lo scopo precipuo di 
ciascun autore dovesse esser quello di uniformarsi preventivamente alle opi- 
nioni dei possibili critici suoi ! , Fraintendendo le cose a questo modo, è fa- 
cile aver ragione! Una cosa sola osserveremo: che stampando lettere con- 
fidenziali d' altri — il C. ne stampa due del D*Ancona — se non si crede 
di doverne chiedere licenza, si deve almeno cercare di riprodurle esatta- 
mente. Scommettiamo che là dove il C. trascrive : ^ la sua non è rettifica- 
zione di fatti, ma ò didattica, di opinioni ecc. „ si doveva leggere: ' ma ò 
dibattito di opinioni ecc« .. 



A. D'Amcuna dirtUom reaitoustthih , 

Plaa,Tlpocr«IU r. Muriotti, 1909.